Morte e resurrezione. Gesù Cristo. Vita e insegnamento [6] 8892221191, 9788892221192

Il volume è interamente dedicato agli eventi che, nell’arco di pochi giorni, costituirono la fine della storia terrena d

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Morte e resurrezione. Gesù Cristo. Vita e insegnamento [6]
 8892221191, 9788892221192

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GESÙ CRISTO VITA E INSEGNAMENTO -6N

«Gli eventi che sono nel cuore del volu­ me che ora è davanti al lettore hanno la ca­ ratteristica di scuotere la coscienza, la men­ te,

lo spirito dell'uomo contemporaneo,

immerso nell'atmosfera distratta e secola­ rizzata che oggi si respira. Infatti, la mor­ te e la resurrezione sono ancor oggi, come scriveva san Paolo ai cristiani di Corinto, "scandalo e stoltezza", sono provocazione e interrogazione». S. E. Card. Gianfranco Ravasi

€ 45,00

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Il volume è interamente dedicato agli eventi che, nell'arco di pochi giorni, costituirono la fine della storia terrena di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo. Che cosa ci dicono gli evangelisti degli ultimi giorni della vita di Gesù? Come descrivono la sua resurrezio­ ne? Perché i racconti di questi even­ ti sono così diversi tra loro e quanto sono affidabili? Che significato ha la morte di Gesù per i cristiani e perché la resurrezione di Cristo costituisce la festa più importante della Chiesa? L'opera del metropolita Ilarion si propone di rispondere a queste do­ mande e, al contempo, dimostrare come Gesù Cristo sia contemporane­ amente Dio e uomo. Solo alla luce della fede nella pienezza della divinità e umanità di Cristo, infatti, i raccon­ ti evangelici della sua vita e del suo insegnamento acquistano significato. E solo alla luce della resurrezione si comprende pienamente il mistero la sua passione e morte.

Il metropolita Ilarion di Volokolamsk (al secolo Grigorij Alfeev) è nato a Mo­ sca nel 1966.

È presidente del Diparti­

mento per le relazioni esterne del Pa­ triarcato di Mosca, membro permanente del Santo Sinodo. Dottore di teologia dell'Istituto

Ortodosso

Saint-Serge

di

Parigi, è inoltre compositore di musica sacra e sinfonica.

È autore di numerose

pubblicazioni in russo e in varie lingue occidentali, tra le quali una quarantina di volumi di teologia dogmatica, omileti­ ca, spiritualità, patrologia e traduzioni di patristica dal siriaco e dal greco antico. Presso le Edizioni San Paolo è in corso di pubblicazione la sua opera in più volu­ mi Gesù Cristo. Vita e insegnamento.

hiip://hilarion.ru

In copertina: Cristo Pantocratore, Cefalù, Duomo. © 2020. A. Dagli Orti / Foto Scala, Firenze

Ilarion Alfeev Gesù Cristo Vita e insegnamento

PIANO DELL'OPERA l. L'inizio del Vangelo 2. Il Discorso della montagna

3. I miracoli di Gesù 4. Le parabole di Gesù

5. L'Agnello di Dio 6. Morte e resurrezione

Ilarion Alfeev Gesù Cristo Vita e insegnamento - 6-

MORTE E RESURREZIONE

Presentazione di S. E. Card. Gianfranco Ravasi

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SAN PAOLO

Titolo originale de li' opera:

Jisus Christos Zizn 'i uéenie (v sesti knigach) Kniga sesta}a Smert' i voskresenie

Traduzione dal russo di: Giovanna Parravicini Caterina Deli' Asta Zakharova

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2020 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it

Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5- 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-922-2119-2

PRESENTAZION E

Ardua è la sfida che ha raccolto il metropolita russo I larion Alfeev, stretto collaboratore del patriarca Kirill : quella di com­ porre un ritratto cristologico completo, percorrendo le pagine evangeliche così da fame emergere «vita e insegnamentm> di Gesù di Nazaret, il Cristo, il Figlio di Dio. Imponente è il polit­ tico risultante, articolato in sei quadri grandiosi, corrispondenti ad altrettanti volumi, che raggiungono ora l ' apice supremo, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo. Ilarion si è avviato in que­ sto percorso con la sua competenza primaria che è quella di teo­ logo. Coloro che lo conoscono da vicino - come chi scrive ora queste righe - sanno quanto molteplice sia la sua ricerca che spa­ zi a nel campo dell'arte, della storia, della liturgia, del dialogo ecumenico e, in particolare, della musica (egli è, infatti, anche un apprezzato compositore). * * *

Nella serie monumentale di pagine di questi sei testi cristolo­ gici, stese in uno stile limpido eppur profondo, a dominare è ov­ viamente il confronto rigoroso coi testi fondanti e fondamental i della fede cristiana. Rigoroso, perché il suo approccio tiene con­ to dello sterminato delta ramificato della bibliografia esegetica che ha perlustrato e vagliato - possiamo dire - ognuna o quasi delle 1 3 8.020 parole greche che compongono il Nuovo Testa­ mento, attestandosi in particolare sui quattro Vangeli. Tuttavia la sua analisi non si rinchiude nel perimetro ristretto di una ve7

MORTE E RESURREZ IONE

rifica storico-critica e letteraria, perché, come è noto, la tetralo­ gia evangelica non è costituita da testi simili a un manuale di storiografia, pur trattando eventi e detti storici. Il genere letterario «Vangelo» è, infatti, una «buona notizia», un annuncio di fede, di speranza, di amore e di salvezza che sboc­ cia dal la realtà storica della figura di Gesù di Nazaret e della co­ munità cristiana delle origini. È per questo che l ' analisi del me­ tropolita assume persino i toni di una narrazione che approda al significato trascendente custodito nelle paro le e negli eventi evangelici. I testi sacri, infatti, non sono soltanto «informativi» ma «performativi», cioè aspirano a scuotere il lettore o l 'ascol­ tatore e a condurlo a una scelta radicale, quel1a della fede. Non per nulla, nell' ultima pagina del volume che ora abbia­ mo tra le mani, rivestendosi del manto del pastore, Ilarion getta uno sguardo retrospettivo sull'arco ormai trentennale del suo mi­ nistero sacerdotale per dich iarare la convinzione, nata dalla sua esperienza, che «la fede cristiana sia in grado di cambiare e tra­ sfigurare le persone» . Al termine del suo itinerario evangelico egli si appropria dell'appello che il Risorto rivolge al dubbioso Tommaso: «Non essere incredulo, ma credente ! » . Questo invi­ to, che artiglia e fa sanguinare l'anima di quell'apostolo così da condurlo alla confessione di fede: «Mio Signore e mio Dio», è da lanciare di nuovo soprattutto nella società contemporanea, spesso segnata non tanto dal rigetto aggressivo come accadeva in passato (anche se tale approccio è tutt'altro che spento), quan­ to piuttosto dall'indifferenza e dalla superficialità. È, per certi versi, folgorante la risposta che viene messa in bocca a un Pilato, ormai pensionato, interpellato su Gesù, da lui condannato a morte, da parte del suo ex collega governatore di Siria, nel racconto Il procuratore di Giudea ( 1 902) dello scritto­ re francese Anatole France: «Ponzio, ti ricordi di Gesù il Naza­ reno che fu crocifisso non so più per quale delitto? Ponzio Pila­ to aggrottò le sopracciglia, si portò la mano alla fronte come chi vuole ritrovare un ricordo. Poi, dopo qualche istante di si lenzio: Gesù - mormorò - Gesù il Nazareno? No, non ricordo» . In que­ sto personaggio si condensa l ' atteggiamento di molti nei quali 8

PR ES ENTA Z I ONE

la radice cristiana si è rinsecchita ed è rimasta nel vuoto dell 'a­ nima, neppure come un pallido ricordo. * ••

Eppure, gli eventi che sono nel cuore del volume che ora è davanti al lettore hanno proprio la caratteristica di scuotere la coscienza, la mente, lo spirito dell' uomo contemporaneo, im­ merso nell' atmosfera distratta e secolarizzata che oggi si respi­ ra. Infatti, la morte e la resurrezione - che costituiscono il verti­ ce quantitativo (il Vangelo di Giovanni, ad esempio, è dedicato per metà proprio ali ' «ora» finale pasquale di Cristo) e qualitati­ vo del messaggio cristiano - sono ancor oggi, come scriveva san Paolo ai cristiani di Corinto, «scandalo e stoltezza» (l Cor 1 ,23), sono provocazione e interrogazione. Richiedono, quindi, una ri­ cerca faticosa, un coinvolgimento nell' ascolto, uno scavo in un testo che è testimoniate. Solo così, come continuava l ' apostolo, il Cristo crocifisso e risorto diventa «potenza e sapienza di Dio» ( l C or l ,24 ). È per questo che egli aveva evocato, sempre nella prima let­ tera ai Corinzi, il Credo che aveva lui stesso imparato durante la sua formazione dopo la çonversione. Quella professione di fede si riassumeva proprio nelle due componenti del libro di Ilarion : «Che cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e ai Dodici» ( l Cor 1 5 ,3-5). Questi due atti terminal i della vita di Gesù sono la sorgente generativa della Chiesa, della storia personale di tanti credenti, della inquietudi­ ne che serpeggia nel cuore di molti che cercano un senso ultimo alla loro esistenza. Per citare un altro autore moderno, ricordia­ mo come lo scrittore greco N ikos Kazantzakis nel suo romanzo L 'ultima tentazione ( 1 952) commentava l ' ultima parola di Cri­ sto in croce secondo Giovanni ( 1 9,30): «Levò un grido di trion­ fo: Tutto s'è compiuto ! Ma fu come se dicesse: Tutto comincia! » . * ••

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MORTE E R E S URREZIONE

Ebbene, la trama dei giorni estremi di Cristo è seguita tappa per tappa nei vari capitoli della ricostruzione del metropolita Ila­ rion che tiene in filigrana la sequenza evangelica. Essa si muo­ ve da lontano, dall'avvicinamento a Gerusalemme da parte di Gesù con una sorta di lunga marcia, descritta dall' evangelista Luca in ben dieci capitoli centrali del suo Vangelo (9,5 1 - 1 9,28). Nella città santa l' obiettivo si restringe sull'area del tempio ove, attraverso i dialoghi che Cristo intesse con vari interlocutori, si delineano alcuni temi teologici decisivi per la stessa fede cristia­ na; pensiamo al rapporto tra fede e politica formulato nel cele­ bre detto: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel­ lo che è di Dio», oppure al comandamento principe dell'amore per Dio e per i fratelli, che è anche alla base del possente affre­ sco del giudizio finale (rvlt 25,3 1 -46), o ancora al tema escato­ logico che s'annoda attorno al destino drammatico della stessa città santa. L'angolo di visuale si restringe ancor di più: siamo nella sala al piano superiore di una casa di Gerusalemme, il Cenacolo, do­ ve si consumano atti contrastanti come l' Ultima cena e il tradi­ mento di Giuda, ma dove appare soprattutto l 'epifania dell 'eu­ carestia, cioè la presenza di Cristo nei secoli. Ilarion non esita ad affrontare le questioni connesse a questo momento e ai gesti di Gesù, per condurci poi all'«agonia» del Getsemani, all 'arre­ sto e al duplice processo, quello s inedrale con Anna e Caifa e quello imperiale con Pilato e l 'esito dell 'Ecce homo. Scriveva lo studioso inglese Samuel G.F. Brandon nel suo Processo a Ge­ sù ( 1 968): «Quel la sentenza è divenuta la più importante della storia del 1 ' umanità. Nessuna azione giudiziaria intentata contro una persona è conosciuta da un numero altrettanto grande di per­ sone. Gli effetti del processo di Gesù sulla storia umana sono in­ calcolabili». * * *

Ormai si profi la la vetta di quello sperone roccioso che ha il toponimo di Golgota-Calvario, destinato ad essere, nonostante IO

PR ESENTAZIONE

la sua modesta orografia, l 'emblema più alto nella vicenda se­ colare del l 'Occidente a causa di quella croce e di quell'uomo crocifisso. E se ne Il' analisi del prelato russo si delineano giusta­ mente tutti gli intrecci storico-teologici che avvolgono quel se­ gno umiliante di condanna capitale, divenuto glorioso nella tra­ dizione successiva, se egli puntualizza accuratamente «il signi­ ficato redentivo della morte in croce di Gesù Cristo» e ogni al­ tro corollario tematico, noi vorremmo l iberamente allargare per un istante lo sguardo anche alla folla di coloro che, pur essendo agnostici, rimangono attratti da quell' immagine. A titolo esem­ plificativo, citiamo soltanto alcuni versi del Cristo in croce ( 1 984) che il famoso scrittore argentino Jorge Luis Borges com­ pose a poca distanza dalla sua morte avvenuta nel l 986: «La ne­ ra barba pende sul suo petto. l Il volto non è il volto dei pittori . l È un volto duro, ebreo. l Non lo vedo l ma insisterò a cercarlo l fino al giorno l dei miei ultimi passi sulla terra» . Ormai si apre l'alba della Pasqua. Dopo aver seguito la vicen­ da del Calvario con tutte le scansioni narrative che l 'hanno prece­ duta, accompagnata e seguita, dopo aver illustrato appunto il va­ lore salvifico della morte di Cristo e aver sostato al suo sepolcro aprendo anche uno squarcio sulla questione della Sindone di To­ rino, è sulla resurrezione che si fissa l'attenzione. È «l'evento cen­ trale della storia evangelica», meta suprema di tutta la struttura dei Vangeli, perché - si osserva citando l 'esegeta cattolico Yves Si­ moens - essi sono stati scritti e devono essere letti alla luce della resurrezione. Eppure, nota ancora il metropolita, «il maggior pa­ radosso legato a questo avvenimento consiste nel fatto che esso non fu visto da nessuno» . La sua verificabilità è solo testimoniate indiretta, ossia attraverso quell'esperienza denom inata come le «apparizioni» del Risorto. Ad esse sono destinate pagine molto intense anche perché le narrazioni di questi incontri che vedono protagoniste figure di­ verse (donne, apostoli, Maria di Magdala, discepoli di Emmaus) definiscono la complessità dell'evento pasquale che è resurre­ zione ma anche glorificazione, è storia e trascendenza, è feno­ meno (la tomba vuota) e mistero. Non per nulla il filosofo tede11

MORTE E RESURREZIONE

sco Friedrich W. Schelling invitava lo storico e il teologo a «cu­ stodire ciascuno castamente la propria frontiera» di indagine . Consapevole degli sconfinamenti e delle reazioni critiche regi­ strate nella cultura moderna, ma già in quella antica (suggestiva, oltre al rigetto degli Aten iesi in At 1 7,30-32, è l 'evocazione del verso delle Eumenidi di Eschilo: «Se un uomo muore, non c'è resurrezia;.Ie» ), Ilarion si premura di penetrare questo dato cen­ trale del cristianesimo nelle sue dimensioni più genuine e pro­ fonde, offrendo così le ragioni per credere e comprendere, supe­ rando e controbattendo anche le «versioni alternative della re­ surrezione», puntigliosamente elencate. Ma soprattutto egl i vuole rispondere a una sequenza di do­ mande che spontaneamente affiorano, anche a livello popolare, attorno a questa «pietra angolare» del cristianesimo. Lasciamo a lui la parola. Come poté avvenire questa rivoluzione nella coscienza e nella concezione di mil ioni di persone? Che cosa le indusse a credere in ciò che sembrava impossibile alle generazioni dei loro antenati? Che cosa induce le persone anche nel nostro secolo di progresso tecni­ co-scientifico - in cui, si dice, la scienza ha dimostrato che i mira­ coli non esistono - a credere in questo miracolo centrale della sto­ ria umana e a riunirsi a migliaia la notte di Pasqua nelle chiese, per ascoltare il celebrante proclamare solennemente e ripetutamente : «Cristo è risorto ! » ? E perché, quando risuona questo grido esultan­ te, sui volti della gente spuntano lacrime di gioia, e ognuno rispon­ de con la medesima esultanza: «È veramente risorto ! » , come se il fatto della resurrezione dai morti di un giudeo crocifisso duemila anni fa avesse qualcosa a che fare con la sua vita personale, come se nella sua famiglia fosse avvenuto qualcosa di speciale, straordi­ nario, che suscita gioia, commozione, entusiasmo?1 * * *

Al termine di questa nostra premessa, destinata solo a far in1

Jnjra, pp. 5 5 6-557.

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PRES ENTAZIONE

tuire la ricchezza dello studio del metropolita di Volokolamsk, città a circa un centinaio di chilometri da Mosca, ci sembra si­ gnificativo rimandare alle parole di un pontefice che lo ha cono­ sciuto e stimato, papa Benedetto XVI . Egli, in un suo intervento durante la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Ve­ scovi dedicata alla «Parola di Dio nel la vita e nel la missione del­ la Chiesa», affermava che «solo dove i due livelli metodo logici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di esegesi teologica, di un'esegesi adeguata a questo Li­ bro». Il biblista completo è, quindi, colui che con la sua attrez­ zatura esegetica identifica le componenti storiche e letterarie del testo evangelico, ma al tempo stesso ne intravede e mette in lu­ ce la matrice teologica. È la stessa analogia dell'Incarnazione ad esigerlo: il L6gos di­ vino diventa sarx, cioè «carne» storica e umana, la Parola è espressa in parole. È questo il metodo che Ilarion Alfeev, studio­ so e vescovo, ha tenuto come stella polare nel suo viaggio te­ stuale all ' interno dei Vangeli, al la ricerca del volto genuino di Gesù Cristo, del suo annuncio, della sua azione miracolosa, del­ la sua presenza nelle strade e nelle ore dell 'umanità, nella sua morte tragica e nella sua resurrezione gloriosa. In altri termini, vale quanto affennava il teologo Dietrich Bonhoeffer, vittima della barbarie nazista nel 1 945 : «Cristo non è tale solo in quan­ to è Cristo in sé e per sé, ma lo è anche nel suo riferimento a me: il suo esser-Cristo è il suo esser-pro me» . Gianfranco card . Ravasi Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura �

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PREFAZIONE

Questo libro conclude la collana intitolata Gesù Cristo. Vita e insegnamento. Nei cinque volumi precedenti abbiamo esaminato il materia­ le dei quattro Vangeli canonici che precede l'ultima venuta di Gesù a Gerusalemme. Nel primo libro si è parlato della nascita di Gesù, della sua infanzia, dell' inizio della sua missione pub­ blica. I l secondo è dedicato al suo insegnamento morale, basato sul Discorso della montagna (Mt 5-7). I l terzo e quarto libro so­ no dedicati, rispettivamente, ai miracoli e alle parabole di Gesù. Nel quinto libro ci siamo concentrati sul materiale del Vangelo di Giovanni che non ha paralleli nei sinottici. Finora non abbiamo parlato degli eventi che riguardano gJi ultimi giorni della vita terrena di Gesù, eccezion fatta per un miracolo (la maledizione del fico), esaminato nel terzo volu­ me 1 , per qualche parabola, ripresa nel quarto volume2, e per il dialogo di Gesù con i discepoli dopo l'Ultima cena, esposto nel Vangelo di Giovanni, su cui ci siamo soffermati nel quinto vo­ lume3 . Sempre in quella sede abbiamo parlato della cacciata dei mercanti dal tempio - un avvenimento che G iovanni situa all' inizio della missione terrena di Gesù, mentre Matteo e Mar-

1 Cfr.: ILARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. III: l miracoli di Gesù, pp. 432-444 (i riferimenti- qui e di seguito- sono all'edizione russa, perché quel­ la italiana è al momento in pubblicazione. Solo i riferimenti al vol. II: !l Discorso della montagna, già pubblicato, saranno all 'edizione italiana, ndt). 2/bid, vol. I V: Le parabole di Gesù, pp. 449-555. 3 lbid., vol. V: L 'Agnello di Dio, pp. 467-628.

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MORTE E RESURR EZIONE

co alla fine (noi sposiamo l ' ipotesi che si tratti di due diversi episodi)4• Il presente volume è totalmente dedicato agli eventi che, nel­ l'arco di pochi giorni, costituirono la fine della storia terrena di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell' uomo. Che cosa ci dicono gli evangelisti degli ultimi giorni, ore e minuti della vita di Cristo? Come descrivono la sua resurrezio­ ne? Perché le loro narrazioni di questi eventi sono così diverse tra loro e quanto sono affidabili? Perché la vita di Gesù si è con­ clusa con una morte tanto dolorosa e infamante? Che significa­ to ha la morte di Gesù per i cristiani e perché la resurrezione di Cristo costituisce la festa più importante della Chiesa, il punto centrale della teologia cristiana? Perché la storia degli ultimi giorni della vita terrena di Cristo continua da venti secoli ad eser­ citare un influsso spirituale ed emotivo così potente su milioni di uomini? Questo libro vorrebbe essere una risposta a questa e a molte altre domande. l quattro Vangeli canonici seguono uno stesso schema, se­ condo il quale i capitoli finali, di ampio svi luppo, sono dedi­ cati agli ultimi giorni della vita terrena di Gesù e alla sua re­ surrezione. Sotto questo aspetto il più indicativo è il Vangelo di Giovanni. Solo metà del testo (capitoli 1 - 1 1 ) è dedicata agl i avvenimenti dei tre anni della missione pubbl ica di Gesù. Tut­ ta la seconda parte (capitoli 1 2-24) è dedicata agli ultimi gior­ ni della sua vita terrena, morte e resurrezione. Nei Vangeli si­ nottici il rapporto è un po' diverso: in Matteo e Marco gli av­ venimenti degl i ultimi giorni occupano circa un terzo della nar­ razione (Mt 2 1 -2 8 ; Mc 1 1 - 1 6), in Luca circa un quarto (Le 1 9, 1 9-24,53). Tuttavia, in tutti e quattro i Vangeli, nonostante le differenze, è proprio la parte finale a costituire i l centro se­ mantico: tutta la narrazione precedente può essere considerata un 'ampia introduzione ad essa5• Cominciamo il nostro testo dal le predizioni di Gesù riguardo ·

4 lbid., pp. 72-76, 96- 1 07. 5 M. KAHLER, The So-Ca/led Historical Jesus, p . 80.

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PRE FAZIONE

alla propria morte e dal suo ingresso trionfale in Gerusalemme. Successivamente saranno esam inate le narrazioni riportate dagli evangelisti dei dialoghi di Gesù con i suoi oppositori nel tempio di Gerusalemme, dei suoi ultimi insegnamenti ai discepoli, pro­ nunciati nel medesimo luogo, del complotto dei capi dei sacer­ doti e degli anziani contro Gesù, del tradimento di Giuda, dell'Ul­ tima cena, della preghiera di Gesù nell'orto del Getsemani e del suo arresto. Quindi prenderemo in esame le varie fasi del pro­ cesso contro Gesù : il giudizio del sinedrio, gli interrogatori di Anna e Caifa, que1lo di Erode e il giudizio di Pilato. Il penulti­ mo capitolo del volume è dedicato alla crocifissione e alla se­ poltura di Gesù, l' ultimo alla sua resurrezione e ascensione al cielo. Come nei volumi precedenti, ci baseremo principalmente sui testi dei Vangeli canonici che metteremo a confronto, rilevando e spiegando le differenze esistenti tra le narrazioni parallele. Co­ me materiale ausiliario utilizzeremo svariate testimonianze ri­ guardanti il contesto storico degli eventi e i personaggi che com­ pariranno sulla scena. Laddove necessario ricorreremo ai com­ menti dei padri della Chiesa ai testi del Vangelo, come pure alla bibliografia scientifica contemporanea sul Nuovo Testamento, senza proporci l' obiettivo di fornire un elenco esaustivo delle interpretazioni e posizioni circa le diverse problematiche. Il nostro obiettivo principale rimane Io stesso degli altri volu­ mi della collana: dimostrare che Gesù Cristo è contemporanea­ mente Dio e uomo. Solo alla luce della fede nella pienezza del­ la divinità e umanità di Cristo acquistano significato le narrazio­ ni evangel iche della sua vita e insegnamento. E solo alla luce della sua resurrezione acquistano significato la sua passione e morte.

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Capitolo 1 «GERU SALEMME, TU CHE UCCIDI

l

PROFETI»

Che posto ha avuto Gerusalemme nella vita di Gesù Cristo? A giudicare dai Vangeli di Matteo e Marco, fino al suo ingresso trionfale in questa città, Gerusalemme non avrebbe avuto alcun posto nella sua vita. L'azione principale di questi Vangeli si svol­ ge in Galilea, vengono menzionate altre località (la regione al di là del Giordano, Cesarea di Filippo, i l territorio di Gadara o Ge­ rasa, Gerico), ma di Gerusalemme non si dice nulla. Si potrebbe quindi supporre che Gesù non vi fosse stato fino a quando vi en­ trò trionfalmente, pochi giorni prima della sua ultima Pasqua. L'evangelista Luca propone un quadro un po' diverso. Da lui veniamo a sapere che a quaranta giorni dalla nascita, Gesù fu portato dai genitori al tempio di Gerusalemme, dove il vecchio Si meone e la profetessa Anna lo benedirono (Le 2,22-38). Dal­ lo stesso Vangelo veniamo a conoscenza di un episodio accadu­ to a Gesù all'età di dodici anni, quando durante il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme per la Pasqua non fece ritorno insieme ai genitori ma rimase nel tempio ad ascoltare gli insegnamenti dei maestri (Le 2,4 1 -50). La particolarità che contraddistingue la composizione del Vangelo di Luca è che una parte considere­ vole del testo (circa un terzo del totale) è dedicata all ' u ltimo viaggio di Gesù verso Gerusalemme (Le 9,5 1 - 1 9,28). Nel corso di questo viaggio, Gerusalemme viene menzionata diverse vol­ te, come se in modo invisibile fosse presente nella narrazione, ma gli eventi principali accadono comunque fuori di essa. ' Solo dal Vangelo di Giovanni veniamo a sapere che Gesù con­ servò l 'usanza di recarsi al tempio di Gerusalemme per le gran19

MORTE E RESURREZI ONE

di feste anche dopo l ' inizio della sua predicazione. Proprio a Ge­ rusalemme hanno luogo i dialoghi e i miracoli di Gesù narrati da Giovanni . Il suo Vangelo, quindi, colma una grande lacuna, dovuta al fatto che gli evangelisti sin ottici concentrano l' atten­ zione sulla Galilea e sulle altre regioni della Palestina, passando sotto si lenzio la città più importante del popolo ebraico, centro del la sua vita pol itica e religiosa. Gli evangelisti descrivono Gesù come un uomo che sapeva non solo di dover morire in croce, ma anche che questo sarebbe accaduto a Gerusalemme. Lo spiegava dicendo che «non è pos­ sibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Le 1 3 ,33 ). Dietro questa spiegazione, al l'apparenza semplice e sbrigativa, c'è tutta la storia del rapporto tra Dio e il popolo di Israele - una storia in cui i profeti occupavano un posto particolare. Come abbiamo notato nel volume L 'inizio del Vangelo, Ge­ sù vedeva nel la propria missione la continuazione della m is­ sione dei profeti 1• Di questo aveva parlato nel Discorso della montagna (Mt 5, 17), in diverse parabole, in particolare nella parabola dei vignaioli malvagi (Mt 2 1 ,33-4 1 ; Mc 1 2, 1 -9; Le 20,9-16), nella po lemica con i giudei. Gesù accusava gli scribi e i fari sei di costruire tombe ai profeti e di continuare l'opera de i loro padri, che avevano ucciso i profeti (Mt 23 ,29-32). Sia in Gal i lea che fuori dei suoi confini Gesù si era conquistato la reputazione di grande profeta. Contrariamente alla credenza popo lare però non era semplicemente uno dei profeti : era il Messia promesso. I parametri esteriori della sua missione ter­ rena, tuttavia, ricordavano per molti aspetti il modo di vivere e di operare dei profeti . E doveva concludere la sua vita così come l ' avevano conclusa molti profeti : con una morte violen­ ta a Gerusalemme.

1

pp.

ILARION (ALFEEv), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. 1 : L 'inizio del Vangelo, 473-5 1 0 .

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l. «GERUSALEMME, TU CHE UCCI D I I PR OF ETI»

1. «La salita a Gerusalemme». Le predizioni di Gesù sulla

propria morte

Fin dalle prime pagine del Vangelo di Giovanni sentiamo Ge­ sù parlare della propria «ora» o «tempo». Alle nozze a Cana di Galilea dice a sua madre: «Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Alla proposta dei fratelli di recarsi dalla Galilea a Gerusa­ lemme per la festa delle Capanne, risponde: «Il mio tempo non è ancora venuto» (Gv 7,6); «Il mio tempo non è ancora compiu­ to» (Gv 7,8). L'evangelista, parlando della permanenza di Gesù a Gerusalemme, nota: «Cercavano allora di arrestarlo, ma nes­ suno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora» (Gv 7,30). Tuttavia, sei giorni prima della sua ultima Pasqua Gesù dice al popolo: «Adesso l ' anima mia è tur­ bata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest' ora ! » (Gv 1 2,27). II motivo del salire in croce è presente nello stesso Vangelo fin quasi dall' inizio. Nel dialogo con Nicodemo, Gesù predice: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, cosi bisogna che sia innalzato il Figlio dell' uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3 , 1 4- 1 5). Questo stesso motivo risuo­ na nelle parole pronunciate sei giorni prima dell 'ultima Pasqua: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» . Rife­ rendo queste parole, l'evangelista spiega: «Diceva questo per in­ dicare di quale morte doveva morire» (Gv 1 2,32-33). La parola «croce» nel Vangelo di Giovanni com pare per la prima volta solo nel racconto della crocifissione (Gv 1 9, 1 7). Tut­ tavia, nei Vangeli sinottici si incontra diverse volte negli inse­ gnamenti di Gesù rivolti a diverse persone. Ai propri discepoli dice: «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 1 0,373 8). Ai discepoli e al popolo Gesù rivolge l ' esortazione : «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e m i segua» (Mt 1 6,24; cfr. Mc 8,34; Le 9,23 ). Gesù invita il giovane ricco : «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, 21

MORTE E RE SURREZIONE

lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! [Pren­ di la tua croce e] Seguimi!"» (Mc l 0,2 1 ). Lungo il cammino ver­ so Gerusalemme si rivolge al popolo con queste parole: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere m io discepolo» (Le 1 4,26-27). Come interpretare questi numerosi inviti a prendere e portare la propria croce? Senza dubbio Gesù aveva davanti agli occh i l ' immagine di un uomo condannato all' infamante morte per cro­ cifissione e sapeva che avrebbe dovuto lui stesso subire quella morte. Secondo i Vangeli sinottici, ne parlò molto spesso con i suoi discepoli. Nella bibliografia scientifica, nei manual i sul Nuovo Testa­ mento e in vari repertori di concordanze del testo evangelico solitamente si dice che Gesù annunciò tre volte la propria mor­ te ai discepoli. Questi episodi si chiamano appunto prima, se­ conda e terza predizione di Gesù della propria morte2• Nei so­ li Vangeli sinottici, peraltro, troviamo non meno di c inque si­ mili predizioni. La prima viene fatta da Gesù a Cesarea di Filippo dopo che Pietro, in presenza dei discepoli, lo aveva riconosciuto come il Figl io di Dio. Questo racconto ricorre in tutti e tre i Vangeli si­ nottici. Marco ne offre la versione più completa, in Matteo è un po' più corta, e in Luca è ulteriormente ridotta: Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno (Mt 1 6,21; cfr. Mc 8,3 1 ; Le 9,22). Faceva questo discorso apertamente (Mc 8,32).

2 Cfr. in particolare: K. ALANO, Synopsis quattuor Evangeliorum, p. dizione), p. 243 (seconda predizione), p. 350 (terza predizione).

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232 (prima pre­

L «GER U SALEMME, TU CHE UCCIDI I PROFETI>>

Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverar lo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltando­ si, disse a Pietro: «Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini ! » (Mt 16,222 3 ; cfr. Mc 8,32-33).

Questa dura risposta di Gesù viene spesso interpretata in mo­ do allegorico (« satana» significa «avversario», e Pietro in que­ sto caso si è opposto a Gesù3), o come una forma particolare di esortazione rivolta a Pietro (> . Egli rispose lo-

3 ORIGENE, Commento al Vangelo di Matteo 1 2, 2 1 (GCS 40, 1 1 7). 4 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 55, l (PG 58, 540); tr. it. vol . 2, p. 420.

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MORTE E RESURREZION E

ro :

«Sl, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell' uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elia è già venuto e gli hanno fatto quello che han· no voluto, come sta scritto di lui» (Mc 9,9- 1 3 ; cfr. Mt 1 7,9·12). Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista (Mt 1 7, 13 ).

L'espressione «come sta scritto di lui» nel primo caso si rife­ risce al Messia e allude ai testi dell'Antico Testamento nei qua­ li viene predetta la sua passione (in particolare: Is 53 ; Sal 22). Parte di questi testi viene citata dagli evangelisti nel corso della loro narrazione. Tuttavia, la seconda volta l'espressione «come sta scritto di lui» è riferita a Elia. L'Antico Testamento non con· tiene predizion i del fatto che alla sua seconda venuta Elia debba soffrire o essere disprezzato. Gesù si sta forse riferendo a un te­ sto che non conosciamo? Il dibattito scientifico su questo tema non ha dato alcun risu ltato chiaro5 • La domanda dei discepoli riflette le attese messianiche diffu­ se negli ambienti degli scribi, secondo le quali la venuta del Mes­ sia doveva essere preceduta dal ritorno del profeta Elia sulla ter­ ra. Queste attese si fondavano in particolare sul libro del profeta Malachia, dove si indica che Elia verrà inv iato al popolo di Isra­ ele «prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore» (Ml 3,23). Malachia parla chiaramente della venuta di Elia prima dell'av­ vento del «giorno del Signore», ma non dice nulla di una sua ve­ nuta prima che giunga il Messia. D'altro canto, nelle attese esca· tologiche del popolo di Israele i temi della venuta del Messia e della fine del mondo erano strettamente legati . Ne è conferma indiretta un frammento del Dialogo con Trifone di san Giustino Filosofo (metà del II secolo). In questo dialogo il giudeo dice: « . . . Tutti noi infatti aspettiamo il Cristo che deve venire come uomo da uomini ed Elia che deve venire a consacrarlo con l'un­ zione. Se si manifestasse che questi è il Cristo, va riconosciuto 5

Per una panoramica delle ipotesi cfr.:

J. MARcus, The Way ofthe Lord, pp. 94- 1 1 0.

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l. «GERUSALE MME, TU CHE UCCIDI I PROF E TI»

senz'altro come uomo nato da uomini. Ma dal fatto che Elia non è ancora venuto concludo che non lo è» . Al che Giustino rispon­ de che «la parola di Dio annuncia Elia come precursore del gior­ no grande e terribile, cioè della Sua seconda venuta>>; e per quel che riguarda la sua prima venuta, «già gli fu araldo, in Giovan­ ni, lo Spirito di Dio presente prima in Elia» 6 • Abbiamo sufficienti motivi per supporre che nella coscienza dei giudei si fosse formata un ' intera concatenazione di avveni­ menti escatologici, che comprendeva dapprima la venuta di Elia, poi l' avvento del Messia e infine il sorgere del «giorno del Si­ gnore» (la fine del mondof. I discepoli di Gesù, che condivide­ vano le attese escatologiche del loro popolo, erano pronti a ve­ dere in Gesù il Messia, ma sinceramente non riuscivano a capi­ re come mai Elia non avesse preceduto la sua venuta. Quanto al concetto della passione e crocifissione del Messia, esso non ri­ entrava in alcun modo nel quadro generale, poiché ci si rappre­ sentava la venuta del Messia prima di tutto come una manifesta­ zione del la gloria e della forza divina. La terza predizione di Gesù della propria morte, fissata dai si­ notti ci, avviene in Galilea. Ciascun evangelista riferisce questa predizione in maniera diversa: Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro : « li Fi­ glio dell' uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono motto rattristati (Mt 1 7,22-23). Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcu­ no lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Fi­ glio dell' uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccide­ ranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà>> . Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo (Mc 9,30-32). Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio del­ l' uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi pe6

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GrusTINO IL FILOSOFO, Dialogo con Trifone 49 (PG 6, 5 8 1 -584); tr. it. pp. 1 89- 1 90. Cfr. : J. MARcus, The Way ofthe Lord, p. IlO.

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MORTE E RESURREZI ONE

rò non capivano queste parole: restavano per loro cosi misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento (Le 9,43-45).

Come vediamo, Matteo pone l 'accento sul fatto che la previ­ sione di Gesù rattristò molto i discepoli; Marco, invece, sul fat­ to che i discepoli non capivano le parole di Gesù, ma avevano timore di chiedere spiegazioni; Luca sottolinea l' incomprensio­ ne dei discepoli, ribadendola tre volte in forme diverse («non ca­ pivano queste parole» ; «restavano per loro così misteriose»; non ne coglievano il senso»). Riportando la predizione in forma ab­ breviata, Luca vi aggiunge un preambolo («Mettetevi bene in mente queste parole») che ricorda altre formulazioni tipiche di Gesù, con le quali Egli cercava di focalizzare l'attenzione dell'u­ ditorio su quello che voleva dire («in verità, in verità vi dico; ascoltate e comprendete bene»). Gesù predice la sua morte una quarta volta sulla strada da Ge­ rico a Gerusalemme. Seoondo Matteo, «mentre saliva a Gerusa­ lemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cam­ mino disse loro: "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell 'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché ven­ ga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà"» (M t 20, 1 7- 1 9). Luca descrive una scena analoga, aggiungendo una frase alle parole di Gesù: «e si compirà tutto ciò che fu scrit­ to dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo» . L'evangelista ripor­ ta la reazione dei discepoli, ripetendo lo stesso concetto per tre volte con diverse formulazioni: «ma quelli non compresero nul­ la di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non ca­ pivano ciò che egli aveva detto» (Le 1 8,3 1 -34). Marco dipinge il quadro più vivido. Nella sua narrazione, Ge­ sù va a Gerusalemme da solo, e i discepoli lo seguono a distanza: Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù cam­ minava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo segui­ vano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a

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l. «GERUSALE M M E, TU C H E UCCIDI I PROF ETI »

dire loro quello che stava per accadergli: « Ecco, noi saliamo a Ge­ rusalemme e il Figlio dell 'uomo sarà consegnato ai capi dei sacer­ doti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo con segneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà» (Mc 1 0,32-34).

La prima proposizione di questo testo presenta un certo nu­ mero di varianti diverse nella tradizione manoscritta. In molti manoscritti la frase è costruita in modo tale da far pensare a due o anche tre gruppi di seguaci: «Erano sulla strada per salire a Ge­ rusalemme, e Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgo­ menti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici . . . »8• Qui «erano sulla strada» può essere ri­ ferito a Gesù insieme a tutti coloro che lo seguivano; «erano sgo­ menti» può riferirsi a uno dei gruppi; «erano impauriti», a un al­ tro; « i Dodici», al nucleo principale di discepoli, distinto dal gruppo complessivo dei seguaci. Anche in questa interpretazione, ci troviamo davanti al qua­ dro di una crescente solitudine di Gesù man mano che si avvici­ na a Gerusalemme. Nella narrazione evangelica precedente era quasi sempre circondato dai discepoli e da una folla di persone. I discepoli lo seguivano volentieri e la folla riusciva a trovarlo anche là dove Egli non voleva. Ora la situazione è diversa: Egl i va inesorabilmente incontro alla propria morte, e in questo atto è solo; i gruppi di discepoli, tra cui i dodici, che avevano cerca­ to di fermarlo senza riuscirei, lo seguono a distanza, sgomenti e spaventati dagli eventi che li attendono. Invece di tranquillizzar­ li o confortarl i, Egli li chiama a sé per ribadire quello che già di­ verse volte aveva detto loro, ma a cui essi erano rimasti sordi. Infine, secondo Matteo, Gesù pronuncia una quinta esplicita predizione della propria morte a due giorni dalla festa della Pa­ squa. È un'affermazione estremamente breve e concreta: «Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio de li 'uomo sarà consegnato per essere crocifisso» (Mt 26,2). Molti traduttori in8

Novum Testamentum Graece, p. 1 1 5 .

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MORTE E R E S URREZIONE

terpretano le parole «Voi sapete» come riferite solo alla prima parte della frase: i discepoli sanno che la Pasqua è vicina9• Tut­ tavia, si possono considerare anche riferite all ' intera frase : dopo tante predizioni di Gesù del la sua morte, i discepoli devono sa­ pere che lo aspetta la morte in croce. Gesù aveva ripetutamente predetto che la sua morte sarebbe avvenuta a Gerusalemme. Secondo il Vangelo di Luca, quando «passava insegnando per città e villaggi, mentre era in camm ino verso Gerusalemme», alcuni farisei gli avevano consigliato di non continuare il viaggio, avvertendolo che Erode voleva ucci­ derlo (Le 1 3 ,22-3 1 ). E Gesù aveva risposto : «Andate a dire a quella volpe: "Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni og­ gi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme"» (Le 1 3 ,32-33). Queste parole richiamano un 'affermazione fatta in preceden­ za, fissata in quattro varianti dai quattro evangelisti : «Un profe­ ta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua» (Mt 1 3,57; cfr. Mc 6,4; Le 4,24; Gv 4,44). Allora si parlava della Ga­ lilea, ora di Gerusalemme. Gesù ricorda i profeti uccisi a Geru­ salemme: Zaccaria, figlio di Ioiadà (2Cr 24,20-22), e Uri a, figlio di Semaià (Ger 26,20-23). Probabilmente ricorda anche i re che avevano versato sangue a Gerusalemme. Tra questi ultimi c'è Manasse, del quale si dice: «Versò anche sangue innocente in grande quantità fino a riempime Gerusalemme da un'estremità ali' altra» (2Re 2 1 , 1 6). Giuseppe Flavio accusa direttamente Ma­ nasse dell' assassinio dei profeti: Imitando le scelleratezze degli Israeliti che peccarono contro Dio e cosi perirono, ardl contaminare il tempio di Dio e cosl pure la C ittà e tutta la regione. Disprezzando Dio, uccise tutti i giusti che vi erano tra gli Ebrei, non risparmiando neppure i profeti : ogni

p.

9 B .M. NEWMAN, P. S . SnNE, A Translator s Handbook on the Gospel of Matthew, 704.

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l. «GERUSAL E MME. TU CHE UCCIDI I PROFETI»

giorno faceva strage di alcuni di loro, sicché Gerusalemme gron­ dava sangue10•

Oltre alle vere e proprie profezie sulla morte violenta che lo at­ tendeva e sulla sua resurrezione, Gesù aveva parlato diverse volte di queste cose in metafora. Quando gli scribi e i farisei si rivolge­ vano a Lui chiedendogli un segno dal cielo, rispondeva immuta­ bilmente: «Una generazione malvagia e adultera pretende un se­ gno ! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta» (Mt 1 2,39; 1 6,4; cfr. Le 1 1 ,29). Spiegando il significato di questa predizione, Gesù diceva: «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell' uomo re­ sterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Mt 1 2,40). Nel discorso di commiato tra Gesù e i discepoli dopo l'Ultima cena, riportato da Giovanni, non si parla direttamente né della cro­ ce né della crocifissione, ma il tema della dipartita e del ritorno, cioè della morte e resurrezione, ne è il motivo conduttore: Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, co­ me ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire (Gv 1 3 ,33). E del luogo dove io vado, conoscete la via (Gv 1 4 ,4). Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi ve­ drete, perché io vivo e voi vivrete (Gv 1 4, 1 9). Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi . Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Ave­ te udito che vi ho detto: « Vado e tornerò da voi». Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l 'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate. Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prin­ cipe del mondo; contro di me non può nulla (Gv 1 4,27-30). Non ve l'ho detto dal principio, perché ero con voi. Ora però va­ do da colui che m i ha mandato e nessuno di voi mi domanda: «Do­ ve vai?» . Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore (Gv 1 6,4-6). 10 GrusEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche lO, 3, l (C. 4 1 4); tr. it. vol. l, p. 607. Questi pa­ ralleli vengono indicati da: J.A. FITZMYER, The Gospel according to Luke (X-XXIV), p. 1032.

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MORTE E R E SUR REZIONE

Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete (Gv 1 6, 1 6). In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, per­ ché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mon­ do un uomo. Cosi anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vo­ stra gioia (Gv 1 6,20-22). Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuo­ vo il mondo e vado al Padre (Gv 1 6,28). Ecco, viene l' ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascu­ no per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me (Gv 1 6,32).

Le ultime parole hanno un parallelo in due Vangeli sinottici: «Allora Gesù disse loro: "Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disper­ se ]e pecore del gregge. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea"» (Mt 26,3 1 -32; cfr. Mc 1 4,27-28). Fino al suo arresto Ge­ sù continua a predire ai discepoli quello che deve accadere: Egli vede le prove che lo attendono in tutti i particolari. L'espressione «salire a Gerusalemme» rispecchia la confor­ mazione geografica della Palestina. Gerusalemme si trova su un'altura (754 m sul livello del mare) e la strada che porta ad es­ sa, soprattutto venendo da Gerico (situata a 250-260 m sotto il livel lo del mare), è una ]unga e dura salita. Nel suo ultimo viag­ gio verso Gerusalemme Gesù non sceglie la strada diretta dalla Galilea, ma passa attraverso Gerico. Doveva quindi letteralmen­ te «salire» a Gerusalemme, ascendendovi dalle pianure de] de­ serto di Giuda. Oltre al senso letterale, in questa ascesa c'è anche un senso simbolico. Gesù va incontro alla sofferenza volontariamente: sa che la sua vita si concluderà con una morte violenta, ma sa an­ che che il terzo giorno risorgerà. Il cammino verso la morte è al contempo un 'ascesa verso ]a gloria, nella quale il Figlio di Dio 30

l. «GERUSALEMME, TU CHE UCCIDI I PROFE TI))

dimorava dall'eternità e alJa quale doveva condurre l' umanità da Lui redenta.

2. L'entrata in Gerusalemme

Il racconto dell'entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme è presente in tutti e quattro i Vangeli. Se fino a questo momento i Vangeli sinottici si sviluppavano secondo un certo programma, mentre il Vangelo di Giovanni seguiva un altro schema che si in­ tersecava con essi solo in rari casi, d'ora in poi le due diverse li­ nee narrative si uniscono per poi muoversi in parallelo. Si accre­ sce notevolmente il grado di affinità letteraria dei soggetti co­ muni ai sinottici e a Giovanni, e tali sono praticamente tutti i soggetti principali del la storia della passione. Incominciamo dalla narrazione di Marco, che delinea il qua­ dro più dettagliato degli avvenimenti : Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betania, presso il monte degli U livi, mandò due dei suoi discepoli e disse lo­ ro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Sle­ gatelo e portate lo qui. E se qualcuno vi dirà: "Perché fate questo?", rispondete: "Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito"» . Andarono e trovarono u n puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Per­ ché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva det­ to Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi get­ tarono sopra i loro mantelli ed egli vi sali sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore ! Bene­ detto il Regno che viene, del nostro padre Davide ! Osanna nel più alto dei cieli !>� (Mc 1 1 , 1 - 1 O)

La versione di Luca (Le 1 9,28-3 8) è abbastanza simile a quel­ la di Marco, se ne differenzia solo nel racconto finale: «Era ormai 31

MORTE E RESURREZIONE

vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più al­ to dei cieli!"». In questo modo, se nel testo di Marco Gesù viene acclamato dal popolo, in quello di Luca lo glorifica «tutta la folla dei discepoli» (Le 1 9,3 7). La formula «Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli» ricorda la dossologia angelica dello stesso Van­ gelo, pronunciata alla nascita di Gesù: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Le 2, 1 4). La versione di Matteo si differenzia da quella degli altri due sin ottici per un elemento sostanziale. Secondo Matteo i discepo­ li ricevono l 'ordine di trovare «un'asina, legata, e con essa un puledro» . Portano l ' asina e il puledro da Gesù, vi posano i man­ telli, e Gesù monta in groppa. Matteo sottolinea: «Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un'asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma» (Mt 2 1 , 1 -7). Questa citazione è la contaminazione di due fonti : il libro del profeta Isaia, dove si dice: «Dite alla figlia di S ion: "Ecco, arriva il tuo salvatore . . . "» (ls 62, 1 1 ); e il i ibro del profe­ ta Zaccaria, nel quale leggiamo: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro fi­ glio d'asina» (Zc 9,9). Gli studiosi in genere spiegano la presenza dell' asina e del puledro nel racconto di Matteo con la tendenza del l 'evangelista a raddoppiare 1 1 , oppure con il desiderio di mostrare che la pro­ fezia di Zaccaria si era adempiuta all à lettera1 2• La seconda spie­ gazione sembra più verosimile. In ogni caso non si può cavalca­ re contemporaneamente un' asina e un puledro: se anche ci fosse stato un secondo animale sarebbe stato condotto per le briglie, 11 Matteo parla di due indemoniati (Mt 8,28-34), Marco e Luca di uno solo (Mc 5, l 20; L e 8,26-39). I n Matteo troviamo due ciechi (Mt 20,29-34), mentre negli altri sinot­ tici la stessa narrazione ne presenta uno (Mc 1 0,46-52 ; Le 1 8,35·43). 12 L. MoRRIS, Matthew, p. 520.

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1 . «GER U SALEMME, TU CHE UCCIDI l PROFETI»

accanto a quello montato da Gesù13• Giovanni Crisostomo pro­ pone una propria variante di soluzione del problema: «Mentre i discepoli, sciolta l'asina, la conducevano a Gesù, probabilmen­ te Egli trovò un puledro e vi montò sopra»14• Sottolineiamo che nelle numerose rappresentazioni iconogra­ fiche dell'evento - bizantine, russe oppure occidental i - di re­ gola viene raffigurato un solo asino. Esistono tuttavia anche del­ le immagini con due animalP5• Sul lato settentrionale della fa­ mosa stele di Bètfage c'è un affresco del XII secolo, nel quale sono raffigurati due apostoli che conducono a Bètfage un' asina e un puledro16• Bètfage, località ad est di Gerusalemme, nei pressi di Beta­ nia1 7, viene ricordata in tutti e tre i sinottici; Betania, solo da Marco e Luca. Il nome del villaggio antistante Bètfage, dove i discepoli presero l'asino, non è indicato. Non è da escludere che si tratti della stessa Betania. Nel Vangelo di Giovanni l'entrata di Gesù in Gerusalemme segue la resurrezione di Lazzaro (Gv 1 1 , 1 -46) e la cena a Beta­ nia (Gv 1 2, 1 - 1 1 ). Secondo Giovanni, proprio la resurrezione di Lazzaro sarebbe stata il motivo dell 'accoglienza trionfale di Ge­ sù da parte degli abitanti di Gerusalemme: Il giorno seguente, la grande folla che era venuta per la festa, udi­ to che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e usci incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel no- . 13 Gli studiosi avanzano diverse ipotesi nel tentativo di risolvere il problema. In par­ ticolare, indicano le varianti presenti nei manoscritti, che permettono di interpretare il testo nel senso che furono stesi mantelli su entrambi gli animali, e Gesù salì in groppa a uno di essi; si parla anche del la necessità di portare il secondo animale, affinché il gio­ vane puledro, non ancora domato, potesse passare tranquillo attraverso la folla. C fr. A. A TKAl:ENKO, «Vchod Gospoden' v Ierusalim» (L'entrata del S ignore in Gerusalemme), pp. 38-39; R. H. GuN DRY, The use ofthe O/d Testament in St. Matthew s Gospel, p. 1 99; C . S . KEENER, The Gospel of Matthew, pp. 49 1 -492. 1 4 GIOVANNI CRJsosroMo, Homiliae in loannem 66, l (PG 59, 366). 1 5 Giotto, neli 'affresco deli'Ingresso a Gerusalemme ( 1 305 ca.) nella Cappella degli Scro­ vegni a Padova dipinge un solo asino.·Nell'affresco de l l ' Entrata di cristo a Gerusalemme del suo più giovane contemporaneo Pietro Lorenzetti ( 1 320 ca.), nella basilica inferiore di San Francesco ad Assisi, Gesù è seduto su un 'asina, dietro la quale si scorge un puledro. 1 6 N .N. LISOVOJ, « Vitfagia» (Bètfage), p. 607. 17 D.L. BRAKE, T. BoLEN, Jesus: A Visual History, pp. 1 9 1 - 1 93 .

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MORTE E RESURREZIONE

me del Signore, il re d' Israele ! >> . Gesù, trovato un asinelJo, vi mon­ tò sopra, c òme sta scritto: Non temere, figlia di Sion ! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d' asina. l suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ri­ cordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte. Intanto la folla, che era stata con lui quando chia­ mò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli dava te­ stimonianza. Anche per questo la folla gli era andata incontro, per­ ché aveva udito che egli aveva compiuto questo segno. l farisei al­ lora dissero tra loro: «Vedete che non ottenete nulla? Ecco : il mon­ do è andato dietro a lui !» (Gv 1 2, 1 2- 1 9).

La differenza sostanziale tra Giovanni e i sinottici sta nel fat­ to che nei sinottici l ' avvenimento sembra accuratamente prepa­ rato dal lo stesso Gesù: è Lui a mandare i discepoli nel villaggio; i discepoli portano l'asino (o l'asina con il puledro); Egli vi mon­ ta (o li monta) ed entra trionfalmente in Gerusalemme accom­ pagnato dalle acclamazioni di esultanza della folla (dei discepo­ li). Al contrario, in Giovanni Gesù monta sull'asino perché la folla esultante gli viene incontro (e gli viene incontro perché ha resuscitato Lazzaro). Notiamo che è l'unico caso in tutti i Vangeli in cui Gesù non si sposta a piedi. Tuttavia, così facendo, Gesù non viene meno solo a un'abitudine personale, ma infrange anche la pia usanza di tutti i pel legrini che, se anche arrivavano a Gerusalemme a cavallo, smontavano prima di entrare in città. Del resto, è possi­ bile anche che arrivasse in groppa all 'asino solo fino alle porte della città e poi continuasse a piedi. Come Matteo, Giovanni riporta la profezia dell'Antico Testa­ mento in modo impreciso, unendo insieme vari elementi. Uno di essi è una citazione molto abbreviata da Zc 9,9, un altro, for­ se, un passo dal libro del profeta Sofonia: «Rallegrati, figlia di Sion . . . il Signore è in mezzo a te . . In quel giorno si dirà a Ge­ rusalemme: "Non temere . . . ")) (Sof 3, 1 4- 1 6)18• .

t & A l numero delle profezie veterotestamentarie che non trovano eco diretta nelle nar­ razioni evangeliche sull' ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, ma che la tradizione

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l . «GERUSALEMME, TU C H E UCCIDI l PROFETI>>

Il termine «osanna» (e br. NJ-;'Il1'W1;'1 hosi ii- nnii) letteralmente significa «salva! » . Come asserisce san Girolamo, «in traduzio­ ne dall'ebraico osanna significa: Signore, salvam i ! » 19• Sant' A­ gostino scrive: «11 grido "Osanna" poi, secondo alcuni che co­ noscono l 'ebraico, più che altro esprime un affetto»20• In effetti, ai tempi di Gesù, questa interiezione veniva usata non tanto nel suo significato originario, quanto come semplice esclamazione, che esprimeva lode e si usava come formula liturgica21 • Le esclamazioni della folla sono riportate dagli evangel isti in più varianti: «Osanna al figlio di Davide ! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli! » (Mt 2 1 ,9); «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signo­ re! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide ! Osan­ na nel più alto dei ciel i ! » (Mc 1 1 ,9- 1 0); «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli ! » (Le 1 9,3 8); «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele! » (Gv 1 2, 1 3). I diversi modi di rendere le esclamazioni sono spiegabili con il fatto che la gen­ te lo acclamava in varie forme. In tutte e quattro le versioni è presente la formula «Benedetto colui che viene nel nome del Si­ gnore», in tre «nel più alto dei cieli», in tre l'espressione «osan­ na», in due «re», e in una «Regno» . Tutte e quattro le varianti delle acclamazioni sono costruite sulle parole del salmo 1 1 8( 1 1 7), dove viene usata la parola «osan­ na» : «Ti preghiamo, S ignore: dona la salvezza (ebr. NJ-;'Il1'W1;'1 hosi 'ii-nnii) ! Ti preghiamo, Signore : dona la vittoria! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla ca'

cristiana considera legate a questo avvenimento, appartengono le profezie del patriarca Giacobbe sul Messia, proveniente dalla casa di Giuda: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l 'obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a una vite scelta il figlio della sua asina>> (Gen 49, 1 0- 1 1). Anche il racconto dell'unzione di Salomone al regno viene spesso interpretato come una prefigurazione dell'avvenimento in quanto Sa­ lomone, per ordine del re Davide, era stato condotto su un mulo ( I Re l ,32 40) 19 GIROLAMO, In die dominica Paschae (CCSL 78, 5 50). 20 AGOSTINO, Commento al Vangelo di san Giovanni, omelia 5 1 , 2 (CCSL 36, 440). 21 B.M. NEWMAN, P. S. STJNE, A Trans/ator s Handbook on the Gospel of Matthew, p. 5 78. -

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.

MORTE E RESU RREZIONE

sa del Signore» (Sal 1 1 8,25-26). In tal modo, all'entrata in Ge­ rusalemme Gesù venne accolto con acclamazioni liturgiche: il salmo 1 1 8( 1 1 7) era associato alle grandi feste ebraiche (la festa delle Capanne, della Consacrazione del tempio, delle Settimane e la Pasqua), in particolare alla solenne processione liturgica del­ la festa delle Capanne22, durante la quale si portavano fasci di rami di mirto e salice. È importante sottol ineare anche che que­ sto salmo veniva considerato messianico. Una delle immagini in esso contenute, «la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d'angolo» (Sal 1 1 8,22), fu usata da Gesù in riferimento a se stesso (Mt 2 1 ,42; Mc 1 2, l 0). Il popolo salutava Gesù chiamandolo «re d'Israele» e «figlio di Davide», che viene «nel nome del S ignore» . Che cosa signi­ ficava? Prima di tutto, che il popolo riconosceva a Gesù una di­ gnità messianica, che vedeva in Lui i l discendente di Davide ve­ nuto a ristabilire la potenza perduta del regno di Israele. L'attesa messianica era collegata proprio alla restaurazione della poten­ za politica di Israele (e più concretamente alla liberazione dal potere romano). Nel nuovo Unto si ravvisava innanzitutto un re e una guida della nazione23 • Solo in secondo luogo ci si aspetta­ va di vedere in Lui una guida religiosa e un profeta. I l Messia sarebbe dovuto diventare un secondo Davide, unendo in un 'uni­ ca persona il ministero regale e profetico. Allo stesso tempo, l'idea dell' indipendenza politica era stret­ tamente col legata all' immagine di Israele come popolo eletto da Dio. Ecco perché il re e profeta atteso doveva arrivare «nel no­ me del Signore» . Nella sua venuta si ravvisava il compiersi del­ ' Ia volontà di Dio, la restaurazione della giustizia divina. Il p o­ polo era accomunato dalla «speranza che la lunga storia ebraica avrebbe finalmente raggiunto la meta destinatale da Dio»24• Sebbene il popolo ebraico non avesse una concezione unita22 J . MARcus, Mark, 8-1 6, pp. 774. 23 Più in particolare, cfr. S. MowiNCKEL, He That Cometh, pp. 4-9 (il Messia come re), 56-95 (la concezione del «regno» nell'antico Israele), 280-345 (il Messia come gui­ da nazionale). 24 N.T. WRIGHT, Jesus and the Vìctory ofGod (cit. dall'ed. russa), p. 482.

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l . ((GER U SALEMME, TU CHE UCCIDI l PR OFETI>>

ria e chiaramente formulata del Messia, non c'è dubbio che a lui si collegassero delle speranze politiche. La questione è un' altra: perché Gesù accettò, a quanto pare, onori regali? Perché non so­ lo non volle evitarli ma, al contrario, come si evince dai Vange­ li sinottici, organizzò il suo ingresso in Gerusalemme in modo da dare al popolo la possibilità di esprimere appieno sentimenti ed emozioni legati all'attesa di un potente sovrano? Per rispondere a queste domande dobbiamo ricordare che Ge­ sù agiva sempre in modo coerente, finalizzando parole e azioni al raggiungimento dello scopo per il quale era venuto. E il suo scopo non era affatto quello di regnare a Gerusalemme in quali­ tà di leader politico: il suo scopo era la crocifissione. Proprio per questo motivo molti gesti e parole di Gesù non si inserivano nel­ la logica umana comune, anzi vi si contrappongono nettamente. Gesù accettò gli onori regali e le acclamazioni entusiaste della folla sapendo che a breve tempo sarebbero stati sostituiti da ur­ la di maledizione e di odio. L' ingresso trionfale in Gerusalem­ me tra le grida di gioia del la folla era una tappa della sua salita al Calvario. È necessario ricordare che il tema del Regno occupa un posto centrale nella sua predicazione sin dall'inizio della missione pub­ blica. La predicazione di Gesù comincia con le parole: «Conver­ titevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4, 1 7); «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc l , 1 5). Egli iniziava le sue parabole con le parole: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso para­ gonare?» (Le 1 3 , 1 8). Il tema del Regno dei cieli, o del Regno di Dio, è un motivo conduttore nelle sue parabole e insegnamenti. Parlando ripetutamente del Regno dei cieli, Gesù aveva cer­ tamente presente gli stati d'animo dei suoi ascoltatori e la loro comune speranza che si ricostituisse la potenza perduta del re­ gno di I sraele sulla terra. Con la sua predicazione Gesù tentava di reindirizzare le persone da attese incentrate sulla realtà terre­ na verso una realtà di un altro piano, non legata a un territorio concreto o a un concreto periodo di tempo . Insegnava a subor­ dinare interamente i valori materiali a quelli spirituali: «Cercate 37

MORTE E RESURREZIONE

invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33 ). In senso stretto, per «tutte queste cose» si intende il cibo, il bere e il vestire, ciò che è necessario all 'uomo per la sopravvivenza fisica. In senso più lato si può intendere tutto ciò che riguarda l 'ordine politico e sta­ tale, l'organizzazione della società umana nell ' insieme e speci­ ficamente di ogni singolo popolo. Ogni regno presuppone l'esistenza di un re. Entrando in Ge­ rusalemme su un asino, Gesù dà al popolo un 'immagine visiva di come dovrebbe essere il re, il cui regno «non è di quaggiù» (Gv 1 8,36). Per alcuni anni aveva cercato di spiegare ai propri discepoli e al popolo quale regno fosse venuto a portare sulla terra. Ora vuole mostrarlo attraverso un 'immagine visiva che re­ sti impressa. E si vede che le caratteristiche principali del Mes­ sia promesso sono le stesse indicate dal profeta Zaccaria: è un re «giustm>, «umile» e «salvatore» (Zc 9,9). In tutta la storia del popolo di Israele solo un re ha incarnato queste caratteristiche, colui che è venuto ad «adempiere ogni giustizia» (Mt 3, 1 5), che è «m ite e umile di cuore» (Mt 1 1 ,29) e che Dio ha mandato nel mondo «perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3, 1 7). Il popolo non si aspettava un re simile. Accoglieva Gesù co­ me un leader politico che si sarebbe assiso sul trono di Davide, che avrebbe cacciato gli odiati occupanti romani, avrebbe rico­ stituito il perduto Stato ebraico. Gesù non giustificò queste spe­ ranze. Per questo, dopo solo pochi giorni, la stessa folla che ora lo acclamava esultante con le parole «Osanna. Benedetto colui che viene nel nome del Signore», avrebbe urlato furiosa: «Sia crocifisso ! » (Mt 27,23), «Crocifiggilo ! Crocifiggilo ! » (Le 23,2 1 ; cfr. Gv 1 9,6; Mc 1 5, 1 3 - 1 4), «Deve morire» (Gv 1 9,7); «Togli di mezzo costui ! » (Le 23, 1 8); «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» (Mt 27 ,25). E quelli che acclamano «Benedetto il re di Israele», avrebbero esclamato con maligna ironia: « È il re d'I­ sraele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui» (Mt 27,42). Con le parole «Salve, re dei Giudei!» lo avrebbero percosso sul capo con una canna e gli avrebbero sputato addosso (Mt 27 ,29). La delusione degli ebrei fu tanto grande che quando Pilato fece 38

l . «GERU SALEMME, TU CHE UCCIDI l PROFETI»

scrivere sulla croce: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei», gli dis­ sero: «Non scrivere: "Il re dei Giudei", ma: "Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei"» (Gv 1 9, 1 9-2 1 ). Gli ebrei aspettavano un Messia che fosse un potente monar­ ca, un sovrano assoluto. Ma ciò che è grande agli occhi degli uo­ mini è nulla davanti a Dio. Gesù aveva vinto la tentazione del potere terreno all' inizio della sua missione, quando il diavolo gli aveva offerto tutti i regni del mondo (Mt 4,8- 1 0). Invece dei re­ gni terreni Gesù era alla ricerca del cuore umano, che voleva conquistare non con la forza e la potenza, ma con la mitezza e l 'umiltà. Gesù non voleva schiavi ma figli liberi, che lo scelga­ no come loro re perché l'hanno amato, e non perché Lui è riu­ scito a sottometterli al proprio potere. I giudei non riconobbero i l Messia nel re mite e salvatore, non accolsero la lieta novella del Regno che è dentro il cuore del­ l' uomo. Egli li ammaestrava con parabole sul Regno di Dio, e loro volevano sapere quando e dove avrebbero visto il regno lo­ ro promesso. Ma Egli rispondeva: «> . Il termine «visita» (ÈmCJKom)) fa pensare a un parallelismo tra le parole di Gesù e la profezia di Zaccaria sulla nascita del Messia: «Benedetto il Signore, Dio d'Israele, perché ha visitato (È1tEOKÉ'IfllTo) e redento il suo po­ polo, e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo» (Le 1 ,68-69). Dio ha visitato in modo spe­ ciale il popolo di Israele donandogli il Messia. Ma il popolo non ha riconosciuto questa visitazione, è rimasto sordo alla sua pre­ dicazione, non ha accolto il suo invito al pentimento. Il mistero della salvezza è rimasto nascosto ai suoi occhi. 37

B. KINMAN, Jesus ' Entry into Jerusalem, p. 1 3 8.

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MORTE E RESURREZIONE

La successiva tradizione cristiana avrebbe interpretato unani­ memente la distruzione di Gerusalemme da parte dell'esercito di Tito nel 70 come la punizione inflitta al popolo di Israele per aver respinto il Messia. Nel III secolo Origene, polemizzando con gli ebrei, avrebbe scritto : . . . Consideri adesso in quale modo, quando Gerusalemme era ancora salda e in essa si celebrava ogni culto giudaico, Gesù abbia predetto ciò che le sarebbe accaduto a causa dei Romani. . . E in quel tempo non c' erano affatto eserciti attorno a Gerusalemme, che la cingessero e l' assediassero. Tutto questo, infatti, cominciò sotto il regno di Nerone e durò fino all' impero di Vespasiano, il cui figlio Tito distrusse Gerusalemme, come scrive Giuseppe3 8 , a causa di Gia­ como il Giusto, il fratello di Gesù detto il Cristo, ma, come invece rivela la verità, a causa di Gesù, il Cristo di Dio39•

Gli studiosi discutono, in che misura un ' interpretazione di questo genere possa discendere dalle numerose predizioni di Ge­ sù sulla distruzione di Gerusalemme. Alcuni affermano che l'e­ vangelista Luca non considerasse la distruzione di Gerusalem­ me una conseguenza diretta della morte di Gesù40• Potrebbe es­ sere vero. Tuttavia lo stesso Gesù, nelle parole citate, trasmes­ seci da Luca, crea un legame di causa-effetto tra i due avveni­ menti: Gerusalemme verrà distrutta perché non ha riconosciuto il tempo in cui è stata visitata. Il discorso di Gesù assume una tonalità particolare perché Egli non parla di Gerusalemme in terza persona, ma le si rivolge di­ rettamente, dandole del «tu» (nel breve passo del testo greco questo pronome viene usato dodici volte, a sottolineare la dram­ maticità della profezia sulla rovina della città). Precedentemen­ te Gesù aveva già rimproverato le città in cui maggiormente eraJs Questa affermazione non è presente nell'opera di Giuseppe Flavio nella forma in cui è giunta sino a noi, tuttavia oltre a Origene essa era nota anche a Eusebio di Cesarea (Storia ecclesiastica 2, 23, 20) e a san Girolamo (Gli uomini illustri 1 3 ; PL 23, 632). )9 0RIGENE, Contro Celso 2, 1 3 (GCS2, 1 43); tr. it. p. 1 74. �o J.A. FITZMYER, The Gospel according to Luke (X-XXIV), p. 1 2 5 5 .

so

l . «GERUSALEMME, TU CHE UCCI D I I PROF ETI»

no avvenuti prodigi, perché non si erano convertite; anche ad es­ se si era rivolto direttamente: Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! Perché, se a Tiro e a Si­ done fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sido­ ne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafamao, sarai for­ se innalzata fmo al cielo? Fino agli inferi precipiterai ! Perché, se a Sodoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giu­ dizio, la terra di Sodoma sarà trattata meno duramente di te ! (Mt 1 1 ,2 1 -24; cfr. Le 1 0, 1 3 - 1 5).

Ora tocca a Gerusalemme sentire le parole amare dal Messia che non ha riconosciuto. Gerusalemme non è soltanto la capitale politica del regno di Israele, ne è anche il centro spirituale, e il tempio ne è il cuore. Non a caso, entrando in Gerusalemme, per prima cosa Gesù si dirige al tempio. Rivolgendosi a Gerusalemme, pensa innanzi­ tutto ai sacerdoti del tempio, i sommi sacerdoti che gli si oppo­ nevano assieme agli scribi e ai farisei . Avevano usurpato l'auto­ rità spirituale sul popolo, sedendosi sulla cattedra di Mosè (Mt 23 ,2). Avevano fatto del tempio di Gerusalemme una spelonca di ladri (M t 2 1 , 1 3 ; Mc 1 1 , 1 7; Le 1 9,46). Su di loro, in ultima analisi, sarebbe ricaduta la responsabilità anche della rovina po­ litica del regno di Israele, della cui capitale non sarebbe rimasta pietra su pietra (Mt 24,2; Mc 1 3 ,2; Le 1 9,44; 2 1 ,6). Nei Vangeli di Matteo e Luca c'è un altro appello diretto di Gesù a Gerusalemme, anch 'esso carico di rimprovero: Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quel­ li che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto ! Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta! Vi dico in­ fatti che non mi vedrete più, fino a quando non direte: «Benedetto co­ lui che viene nel nome del Signore! » (Mt 23,37-39; cfr. Le 1 3 ,34-3 5). 51

MORTE E RES URREZIONE

In Matteo con queste parole si conclude l ' insegnamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme. In Luca, Gesù le pronuncia quando è ancora sulla strada verso Gerusalemme, in risposta al­ l'avvertimento dei farisei che Erode lo vuole uccidere. È eviden­ te che Luca vede in esse una predizione dell 'entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, che descriverà qualche capitolo più tar­ di, mentre Matteo vi vede una predizione della futura gloria del Messia e della sua resurrezione. Secondo l ' interpretazione di Giovanni Crisostomo, le parole riportate da Matteo sono una profezia della seconda venuta di Gesù41 • Le parole «quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli» pos­ sono essere intese nel senso che Gesù aveva visitato Gerusalem­ me varie volte e che il fatto era noto agli evangeli sti sinottici. Tuttavia ci pare più convincente l' ipotesi che Gerusalemme in questo caso sia un ' immagine collettiva per indicare tutto il po­ polo di Israele. Nel destino di Gerusalemme è concentrata tutta la storia di Israele e i delitti commessi a Gerusalemme, tra cui l 'uccisione dei profeti, rispecchiano il livello morale e spiritua­ le del «popolo dalla dura cervice» (Es 32,9), uomini «testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie» (At 7,5 1 ). I rimproveri rivolti da Gesù a Gerusalemme suonano come una condanna. Ma non è la condanna di un giudice. Gesù pian­ ge su Gerusalemme, come gli antichi profeti. Possiamo qui ri­ cordare il pianto di Geremia, scritto dopo la distruzione di Ge­ rusalemme nel 5 86 a.C . da parte dei soldati del re babi lonese N abucodonosor: Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! È divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni; la signora tra le provin­ ce è sottoposta a lavori forzati. Piange amaramente nella notte, le sue lacrime sulle sue guance . . . Gerusalemme ha peccato gravemen­ te ed è divenuta un abominio . . . L' avversario ha steso la mano su tutte le sue cose più preziose; ha visto penetrare nel suo santuario i pagani . . . Per questo piango, e dal m io occhio scorrono lacrime . . .

41

GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 74, 3 (PG 58, 683).

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l. «GERUSALEMME, TU CHE UCCIDI I PROFETI»

Si sono consunti per le lacrime i miei occhi, le mie viscere sono sconvolte; si riversa per terra la mia bile per la rovina della figlia del mio popolo . . . Il Signore ha compiuto quanto aveva decretato, ha adempiuto la sua parola decretata dai giorni antichi, ha distrutto senza pietà. (Lam l , 1 -2.8. 1 0 . 1 6 ; 2, 1 1 . 1 7).

Il profeta ritiene che la causa della distruzione della città sia il suo grave peccato. La differenza tra Geremia e Gesù in questo caso sta nel fatto che Geremia piange su un fatto già compiuto, mentre Gesù piange per quello che deve ancora accadere. Tutta­ via, in entrambi i casi la distruzione della città viene vista come la punizione di Dio per i peccati, come una conseguenza diretta del rifiuto della volontà divina. ***

Gerusalemme occupa un posto centrale nella storia dell'anti­ co Israele. Gerusalemme è il centro delle attese, delle speranze del popolo ebraico. Vi si trova il tempio, il santuario più impor­ tante di tutto Israele, dove vengono portate le offerte. Non a ca­ so ogni anno carovane di pellegrini si dirigono alla città santa, al fine di portare le offerte per i propri peccati, implorare Dio, ascoltare ,gli insegnamenti dei maestri tra le mura del tempio. Anche nella vita terrena di Gesù Gerusalemme occupa un po­ sto di rilievo. Come abbiamo già detto, una parte cospicua degli avvenimenti del Vangelo di Giovanni si svolge a Gerusalemme. Nel Vangelo di Luca il primo punto di svolta sono le parole che riferiscono che Gesù «prese la decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Le 9,5 1 ). La successiva missione di Gesù non viene presentata come il passaggio da una città a un 'altra, ma come un movimento consapevolmente volto in direzione di Gerusalemme (nominata in questo Vangelo quasi tante volte quante negli altri Vangeli messi insieme)42• L'entrata di Gesù in Gerusalemme (Le 1 9,3 6-44) sarà il secondo punto di svolta. 42 ILARIO N (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. 1: L 'inizio del Vangelo, p. 1 59.

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MORTE E RESURREZIONE

Da questo momento inizia la storia degli ultimi giorni deJJa vita terrena di Gesù, descritta con dovizia di particolari da cia­ scun evangelista. Proprio questa storia, i l cui coronamento sa­ ranno la morte e resurrezione di Gesù, occupa un posto centrale in tutti e quattro i Vangeli, ne costituisce il culmine e il signifi­ cato centrale . Proprio alla luce di questa storia acquistano senso tutte le parole e i gesti precedenti di Gesù.

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Capitolo 2 I DIALOGHI NEL TEMPIO DI GERU SALEMME

Concludendo il racconto dell' entrata in Gerusalemme e della cacciata dei mercanti dal tempio, l'evangelista Luca scrive di Gesù: «Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popo­ lo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pen­ deva dalle sue labbra nell'ascoltarlo» (Le 1 9,47-48). Che cosa insegnava Gesù nel tempio? I Vangeli sinottici ne parlano in modo piuttosto dettagliato. In essi troviamo alcuni dialoghi di Gesù con i suoi detrattori: farisei, capi dei sacerdoti, scribi, anziani, sadducei ed erodianP . Esponenti di questi grup­ pi Io interrogano allo scopo di «coglierlo in fallo nei suoi discor­ si» (M t 22, 1 5) ed Egli risponde alle domande che gli vengono poste. Infine, l ' evangelista Matteo riporta due lunghi ammaestra­ menti di Gesù : sugli scribi e i farisei (Mt 23 ), sulla distruzione di Gerusalemme, la fine del mondo e il Giudizio universale (Mt 24 25), che verranno analizzati nel prossimo capitolo. In questo capitolo ci concentreremo su cinque episodi : la ri­ sposta di Gesù ai capi dei sacerdoti e agli anziani sulla natu ra della sua autorità; la risposta alle domande dei farisei e degli erodiani sulla liceità di pagare il tributo a Cesare; il dialogo con i sadducei sulla resurrezione; la risposta alla domanda del­ lo scriba su quale fosse il comandamento più importante della -

1 Su L 'inizio

questi gruppi cfr. : lLARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol . I : del vangelo, pp. 636-645.

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MORTE E RESURREZIONE

legge di Mosè; il dialogo con i farisei sull'appellativo di «fi­ glio di Davide» . Tra il primo e il secondo degli episodi elencati l ' evangelista Matteo inserisce tre parabole, quella dei due figli, dei vignaioli omicidi e del banchetto di nozze (Mt 21 ,28-22, 1 4 ), che abbiamo analizzato nel libro Le parabole di Gesù2, e su cui quindi in que­ sto capitolo non torneremo.

l . «Con q uale autorità fai queste cose?))

Il primo degli episodi che prenderemo in considerazione vie­

ne riportato da tutti e tre i sinottici. Secondo Marco si svolge il giorno dopo l ' ingresso di Gesù in Gerusalemme. Come ricordia­ mo, in Marco Gesù si reca al tempio di Gerusalemme la sera, lo visita, e poi va a passare la notte a Betania. Il giorno seguente maledice il fico e caccia i mercanti dal tempio. La sera lascia nuovamente la città. La mattina del terzo giorno torna a Gerusa­ lemme, lungo la strada i discepoli vedono il fico disseccato, Ge­ sù pronuncia un insegnamento sulla fede (Mc 1 1 , 1 1 -26). Quindi ha luogo l'episodio che ci interessa: Andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anzia­ ni e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha da­ to l' autorità di farle?» . Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola do­ manda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovann i veniva dal cielo o dagli uomini? Rispon­ detemi» . Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: "Dal cie­ lo", risponderà: "Perché al lora non gli avete creduto?" . Dic iamo dunque: "Dagli uomini"?» . Ma temevano la folla, perché tutti rite­ nevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo» . E Gesù disse loro : «Neanche io vi dico con qual e autorità faccio queste cose» (Mc 1 1 ,27-3 3).

2 Cfr. :

lbid. , vol. IV: Le parabole di Gesù, pp. 452-5 1 1 .

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2. l DIALOGHI NEL TEMPIO DI GERUSALEMME

In Matteo la maledizione e l' inaridimento del fico avvengono il giorno seguente l ' ingresso in Gerusalemme e la cacciata dei mercanti dal tempio. Lo stesso giorno si svolge il dialogo con i capi dei sacerdoti e gli anzian i (gli scribi non vengono citati) sull'autorità di Gesù (Mt 2 1 ,23-27), praticamente identico alla versione presentata da Marco. Luca non precisa in che giorno si svolge la conversazione: «Un giorno, mentre istruiva il popolo nel tempio e annunciava il Vangelo, sopraggiunsero i capi dei sacerdoti e gli scribi con gli anzian i . . . ». La narrazione che se­ gue (Le 20, 1 -8) coincide quasi completamente con le versioni di Marco e Matteo. Se Luca conosceva entrambe le versioni è molto probabile che usasse consapevolmente l ' espressione «un giorno», per evitare confusion i . L a domanda degli oppositori d i Gesù può essere interpretata in due modi: come riferita all' operato di Gesù in generale oppu­ re al fatto concreto della cacciata dei mercanti dal tempio. C i sembra più convincente la seconda interpretazione. Gesù aveva appena compiuto un gesto che i suoi avversari potevano gi udi­ care per lo meno come una violenza o addirittura come un sacri­ legio: aveva fatto irruzione nel recinto sacro del tempio, aveva rovesciato i tavoli dei cambiavalute e sparpagliato il denaro (sot­ tolineiamo che non si trattava di denaro qualsiasi, ma delle of­ ferte per le necessità del tempio), aveva scacciato il bestiame con una verga (di nuovo, non erano animali qualsiasi, ma sarebbero dovuti servire come sacrificio), aveva interrotto il normale cor­ so degli affari . E tutto questo sotto gli occhi di migliaia di pel­ legrini. Con che diritto aveva agito in questo modo? Giovanni Crisosto mo interpreta così il senso della domanda dei giudei: «Hai ricevuto la cattedra dell ' insegnamento? Sei sta­ to eletto sacerdote, perché hai mostrato una così grande auto­ rità?»3 . A Gesù viene ricordato che non ha né la formazione che gli permetterebbe di assumere il ruolo di maestro e interpretare

J

vol .

GIOVANNI CRISOSTOMO,

Commento al Vangelo di Matteo 67, 2 (PG 58, 634) ; tr. it.

3. p. 80.

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la legge di Mosè, né l ' investitura sacerdotale ufficiale4• I farisei, che avevano ricevuto tale formazione, e i capi dei sacerdoti, che avevano l' investitura, si sentivano i padroni del tempio, mentre Gesù era uno straniero, un pellegrino arrivato da chissà dove, e ai loro occhi privo di qualsiasi autorità. Gesù, come spesso accade anche in altri casi, evita una rispo­ sta diretta e risponde alla domanda con un 'altra domanda. La sua rep1ica ai farisei riguarda un uomo il cui nome era ben noto a tutti: Giovanni Battista. Questi aveva forse ricevuto un 'educa­ zione formale? Era forse un sacerdote? Chi gli aveva dato l ' au­ torità di fare quello che faceva, cioè conferire alle persone un battesimo di penitenza? La risposta a queste domande può esse­ re solo una: Giovanni era un profeta e il carisma profetico non dipende dal l 'educazione o dall' investitura, esso deriva diretta­ mente da Dio. Tuttavia, per motivi evidenti, gli interlocutori di Gesù non possono dargli una risposta chiara. Dobbiamo qui ricordare che, riferendo dell ' operato di Gio­ vanni, l 'evangelista Matteo segnala che «molti farisei e saddu­ cei andavano al suo battesimo» . Giovanni parlava con loro se­ veramente, chiamandol i «razza di vipere» e chiedendo : «Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all ' ira imminente? Fate dun­ que un frutto degno della conversione» . Li invitava a non van­ tarsi della loro discendenza da Abramo, ricordando loro la scu­ re dell' ira divina che taglia dalla radice ogn i albero che non dà frutto, e avvertendoli che dopo di lui sarebbe venuto qualcuno più forte di lui che «pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumen­ to nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile» (Mt 3 ,7- 1 2). Gesù, come ricordiamo\ riprende da Giovanni i l tono severo con cui questi discuteva con i farisei; anch 'Egli li chiama «razza di vipere» (Mt 1 2,34; 23,33) e ricorda loro che «ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (Mt 7, 1 9). 4 Osserviamo che neli' antico Israele, a differenza della Chiesa cristiana, il rito dell'in­ vestitura sacerdotale non comprendeva la consacrazione (cfr. Lv 8). 5 ILARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. 1: L 'inizio del Vangelo, pp. 443-444.

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2. I DIALOGHI N EL TEMPIO DI GERUSALEMME

Sebbene Matteo parli di «molti» farisei e sadducei che si fa­ cevano battezzare da Giovanni, dai discorsi che questi fanno tra loro in presenza di Gesù risulta evidente che per la maggior par­ te avevano rifiutato l' insegnamento di Giovanni. Per questo mo­ tivo la domanda di Gesù li mette con le spalle al muro. Perché Gesù non volle rispondere direttamente alla domanda sulla sua autorità? Evidentemente, per lo stesso motivo per cui non rispondeva ai farisei quando gli chiedevano di mostrar loro un segno dal cielo (Mt 1 6, 1 -4 ). Gesù aveva più volte ripetuto ai giudei di essere stato mandato da Dio e di voler compiere la Sua volontà (Gv 4,3 4; 5 ,23 .3 0.36-3 8; 6,29.3 8-40.44.57; 7, 1 6- 1 8 .2829.33 ; 8, 1 6. 1 8 .26.29.42; 9,4). Egli diceva loro che la sua auto­ rità veniva da Dio (Mt 9,6; Mc 2, l O; Le 5,24; Gv 5,27), ma essi rifiutavano di credergli. Non li convinsero neanche tutti i mira­ coli da Lui compiuti . È proprio di loro che parla Gesù nella pa­ rabola del ricco e di Lazzaro: «Se non ascoltano Mosè e i Pro­ feti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (Le 1 6,3 1 ). Nelle conversazioni con i giudei Gesù parlava spesso di Gio­ vanni. Diceva che «fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista» (Mt 1 1 , 1 1 ). Al1o stesso tempo sottolineava la superiorità della sua missione: «Voi avete invia­ to dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità . . . Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce . lo però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni» (Gv 5 ,3 3 .3536). Ricordando ai farisei e ai sadducei il battesimo di Giovan­ ni, Gesù crea un parallelo diretto tra esso e la sua missione : co­ me non hanno accettato il battesimo di Giovanni e il suo invito a pentirsi, così non accolgono la missione di Gesù. Una risposta diretta sulla natura della sua autorità non avrebbe cambiato nul­ la in questa situazione. Alcuni studiosi vedono in questo episodio un'allusione al fat­ to che nel corso del suo ministero, sulle orme di Giovanni, Ge­ sù avrebbe amministrato il battesimo e che proprio questa pras59

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si sarebbe stata oggetto delle critiche dei suoi oppositori 6 • Tut­ tavia, i Vangeli sinottici non parlano di questa prassi e l' evangeli­ sta Giovanni la ricorda solo en passant, narrando l' inizio del mi­ nistero pubblico di Gesù (Gv 3 ,2 1 ; 4, l ), precisando però che non era «Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli» (Gv 4,2). È difficile concludere, sulla scorta di questi accenni, che Gesù affiancasse alla propria predicazione il battesimo per tutto il pe­ riodo precedente l' ingresso in Gerusalemme prima dell' ultima Pasqua. Non dimentich iamo che Giovanni era fisso in un luogo, sulle rive del Giordano, e la gente andava da lui, mentre Gesù passava continuamente di città in città, di villaggio in villaggio. Nel Vangelo di Matteo la parabola dei due figli fa parte del dialogo con i capi dei sacerdoti e gli anziani. Il soggetto è sem­ plice: un padre aveva due figli; a entrambi il padre ordina di an­ dare a lavorare nella sua vigna; il primo inizialmente rifiuta ma poi, pentito, ci va; il secondo acconsente, ma poi non va. «Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» chiede Gesù. Gli ri­ spondono: «il primo» (Mt 2 1 ,28-3 1 ). Le parole di Gesù rivolte ai capi dei sacerdoti e agli anziani costituiscono un commento alla parabola e contemporaneamente proseguono il dialogo sul­ la natura del battesimo di Giovanni : «In verità io vi dico: i pub­ blicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Gio­ vanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemme­ no pentiti così da credergli» (Mt 2 1 ,3 1 -32). Gesù è coerente nelle sue accuse. Egli mostra che nelJa stra­ da che l'uomo percorre andando verso Dio non è tanto impor­ tante la posizione iniziale, quanto il modo in cui l 'uomo risponde alla chiamata alla conversione. I pubblicani e le prostitute sono i membri più disprezzati della società. Portarli ad esempio ai ca­ pi dei sacerdoti e agli anziani significava pronunciare un'estre­ ma, mortale offesa. La parabola dei vignaioli omicidi (Mt 2 1 ,3344), nei quali gli interlocutori si riconoscono, è il culmine. La 6

J . P. MEIER, A Marginai Jew, vol. II, p. 1 6.

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2 . l DIALOGHI NEL TEMPIO DI GERUSAL EMME

conclusione della conversazione è del tutto naturale: «Udite que­ ste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, per­ ché lo considerava un profeta» (M t 2 1 ,45-46). La massa critica dei rimproveri riversata da Gesù su i capi dei sacerdoti e degli anziani, ai loro occhi ha già superato il limite. Sono pronti a far ricorso a provvedimenti estremi, e solo la sti­ ma del popolo nei confronti di Gesù li trattiene. Tuttavia, presto questo ostacolo verrà meno : «La folla è sempre volubile, non ri­ mane ferma nel suo proposito e, come le onde, si fa trascinare or qua or là dall'impeto di venti diversi . Ora lo venerano e lo ri­ spettano come un profeta; tra poco contro di lui grideranno: "Cro­ cifiggilo, crocifiggilo ! "» 7•

2. Dare a Cesare

Nell'episodio successivo compaiono sulla scena, assieme ai farisei, gli erodiani - con questo termine si intendono, di regola, i servitori del1a corte di Erode Antipa8• Nel Vangelo di Matteo la scena segue la parabola del banchetto di nozze (Mt 22, 1 - 1 4 ) So­ no i farisei a cominciare il dialogo: .

Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere co­ me coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai sog­ gezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» . Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributm> . Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l ' iscrizione, di chi sono?» . Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse 7 GIROLAMO, Commento al Vangelo di Matteo 3, 2 1 4 6 (CCSL 77, 1 99); 222-223 . 8 J.P. MEIER, A Margina/ Jew, vol . III, p. 562. ,

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tr. it.

pp.

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loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel­ lo che è di Dio» . A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciaro­ no e se ne andarono (Mt 22, 1 5-22).

Marco comincia il racconto con le parole: «Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso» . Più avanti la sua versione (Mc 1 2, 1 3- 1 7) si differenzia dalla versio­ ne di Matteo solo per alcuni termini. Il verbo «mandarono» si riferisce ai capi dei sacerdoti, agli scribi, agli anziani ricordati precedentemente (Mc 1 1 ,27). In Luca sono i capi dei sacerdoti e gli scribi a cominciare il dialogo. Essi «si misero a spiarlo e mandarono informatori, che si fingessero persone giuste, per coglierlo in fallo nel parlare e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore». La ver­ sione di Luca è quasi identica a quella di Marco, a eccezione del­ la conclusione : «Così non riuscirono a cogl ierlo in fallo nelle sue parole di fronte al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero» (Le 20,20-26). Per comprendere il senso della domanda posta dobbiamo ri­ cordarci che ai tempi di Erode il Grande, che governava tutto il regno di Israele per conto dei romani, le tasse entravano nelle sue casse e lui, a sua volta, pagava un tributo ai romani. In tota­ le raccoglieva 5,4 milioni di denari all ' anno. Dopo la sua morte, nel 4 a.C. il regno venne diviso e di conseguenza vennero spar­ titi gli obblighi tributari: il sovrano della Giudea Archelao ri­ scuoteva circa 3 ,6 milioni, quello del la Galilea e della Perea, Erode Antipa, circa l ,2 milioni, mentre Filippo, che regnava sul­ l 'Iturea e la Traconitide, circa 600.000 denari9• Dopo la deposi­ zione di Archelao la G iudea passò sotto il governo diretto dei romani e le tasse dell' imperatore venivano riscosse tramite i pub­ blicani, ebrei assunti al servizio dagli occupanti. La situazione di completa dipendenza politica dai romani, l'as­ senza di un proprio sovrano, che fosse tale a tutti gli effetti, era­ no motivo di continuo e profondo risentimento per quanti si ri9 A. STORKEY, Jesus and Politics, p. 2 1 2.

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2. I DIALOGHI NEL TEMPIO DI GER U SALEMME

tenevano l'élite spirituale e politica del popolo ebraico: i mem­ bri del sinedrio, i capi dei sacerdoti e gli anziani. Costoro vive­ vano una condizione di dipendenza forzata dai romani, ma lo spirito di resistenza non si era defin itivamente spento in essi, e misuravano la fedeltà delle persone agli ideali nazionali e alle tradizioni in base al loro atteggiamento nei confronti del potere rom ano. Proprio per questo motivo i pubblicani venivano di­ sprezzati da tutti. La domanda posta a Gesù nasconde un tranello. Se avesse ri­ sposto con un assenso, lo si sarebbe potuto accusare di collabora­ zionismo, di complicità con gli occupanti. Se avesse risposto in senso negativo, lo si sarebbe potuto mandare in prigione. La do­ manda viene posta in presenza del popolo, in modo tale che Egli non possa evitarla, non possa tacere: tutti attendono una risposta. Gesù chiede che gli portino la moneta del tributo, e gli mo­ strano un denaro, la moneta romana che equivaleva alla paga giornaliera di un operaio. Sulla moneta è ritratto l' imperatore e l ' iscrizione recita: «Tiberio Cesare Augusto, figlio del divo Au­ gusto» . I l ritratto di Cesare e l ' iscrizione in cui l ' imperatore vie­ ne proclamato dio è un 'offesa per gli ebrei'0, perché in contrasto con tutta la concezione religiosa dell'Antico Testamento che non ammette raffigurazioni né adorazione di altri dei eccetto l ' Altis­ simo. Tuttavia, questa moneta viene utilizzata nei commerci non solo fuori del tempio, ma anche al suo interno. L'ambiguità del­ la situazione è evidente: tentano di accusare Gesù di collabora­ zionismo proprio coloro che vi sono immersi fino al collo. Come in altri casi, invece di dare una delle due risposte che tut­ ti si attendevano, Gesù porta il discorso su un altro piano e pro­ nuncia parole che obbligano i suoi interlocutori a tacere. Invece di inoltrarsi in considerazioni di tipo politico, dice semplicemen­ te: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel­ lo che è di Dio» . Dal sovrano terreno Egli sposta l'attenzione de­ gli ascoltatori sul Sovrano celeste. E tuttavia non mette in discus­ sione il diritto dell 'autorità terrena di raccogliere un tributo a proIO

fbid. , p. 226.

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MORTE E RESU RREZIONE

prio vantaggio e il dovere dei sudditi di pagare questo tributo. Sembra lasciare tutta questa problematica tra parentesi. Sebbene le parole di Gesù non contengano alcuna teoria po­ litica, esse hanno avuto una grande influenza sulla formazione del pensiero politico-sociale cristiano. Può fungere da parafrasi di queste parole la massima dell' apostolo Pietro: «Temete Dio, onorate il re» ( l Pt 2, 1 7). Questa massima fa parte di un ampio insegnamento che Pietro consegna ai destinatari della sua lette­ ra: «Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Si­ gnore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come inviati da lui per punire i malfattori e premiare quelli che fanno il bene» ( l Pt 2, 1 3 - 1 4). L'apostolo Paolo sviluppa questo insegnamento in modo ancora più dettagliato: Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite . Infatti non c ' è autorità s e non d a Dio: quelle che es istono sono stabil ite da Dio. Quindi chi si oppone all ' autorità, si oppone all 'ordine stabilito da Dio.

E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna. I

governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quan­ do si fa il male. Vuoi non aver paura dell ' autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il m ale. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della pu­ nizione, ma anche per ragioni di coscienza (Rm

1 3 , 1 -5).

È importante sottolineare che gli apostoli Pietro e Paolo invita­ no ad essere leal i e sottomessi alle stesse autorità pagane sotto le quali si trovava la Giudea ai tempi di Gesù Cristo. Questa posi­ zione risale alla concezione veterotestamentaria secondo la quale il sovrano terreno, sia pur pagano e appartenente a un'altra reli­ gione, è stato costituito da Dio e compie la volontà divina. n pro­ feta Geremia riporta le parole udite da Dio su Nabucodonosor, lo stesso che distrusse Gerusalemme e profanò il tempio: La terra, l'uomo e gli animali che sono sulla terra, li ho fatti io con la mia grande potenza e con il m io braccio potente e li do a chi vo-

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2. I DIALOGHI NEL TEMPIO DI GERUSALEMME

glio. Ora consegno tutte quelle regioni in mano al mio servo Nabu­ codònosor, re di Babilonia; persino le bestie selvatiche gli consegno, perché lo servano.

A lui, a suo figlio e al figlio di suo figlio saranno

soggette tutte le nazioni, fmché anche per il suo paese non verrà il momento stabi lito e allora molte nazioni e re potenti lo assoggette­ rann o . Ma intanto la nazione o il regno che non si assoggetterà a Na­ bucodònosor, re di Babilonia, e che non sottoporrà il collo al giogo del re di Babilonia, quella nazione la punirò con la spada, la fame e la peste - oracolo del Signore -, fmché non li avrò messi in suo pote­ re . . . Invece la nazione che sottoporrà il collo al giogo del re di Babi­ lonia e gli sarà soggetta io la lascerò stare tranquilla sul proprio suo­ lo, lo coltiverà e lo abiterà. Oracolo del S ignore (Ger

27,5-8. 1 1 ).

Nella concezione dell'Antico Testamento Dio è la fonte di ogni autorità sulla terra: Egli «depone i re e li stabilisce» (Dn 2,2 1 ). Bisogna opporsi al potere mondano solo quando esso esi­ ge l'abiura alla fede (Dn 3 , 1 6- I 8) o alle «leggi dei padri» (2Mac 7, 1 -4 1 ). In questo caso al credente viene richiesta la disponibi­ lità a opporsi al potere fino alla morte. Il cri stianesimo non ha introdotto cambiamenti in questa con­ cezione della natura dell'autorità terrena. Durante il processo da­ vanti al procuratore romano, Gesù stesso avrebbe detto che il potere gli era stato dato dall'alto (Gv 1 9, 1 1 ). I primi cristiani avrebbero dimostrato la propria sottomissione al potere romano in numerosi scritti apologetici. Nel contempo, molti di loro avreb­ bero accettato prontamente la morte quando sarebbe stato loro chiesto di rinnegare Cristo e di celebrare dei sacrifici all ' impe­ ratore come a un dio. La Chiesa avrebbe serbato questa posizio­ ne per tutto il tempo a venire. Nelle parole di san Giovanni Cri­ sostomo ne troviamo una breve descrizione: «Quando ascolti "Rendi a Cesare quello che è di Cesare", sappi che parla soltan­ to di ciò che non è di alcun danno per la religione, perché se c'è qualcosa di questo genere, non si tratta più di tributo e di impo­ sta di Cesare, ma del diavolo»1 1 • 1 1 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 70, 2 (PG 58, 656); tr. it. vol . 3, p. 1 22 .

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MORTE E R E SURREZIONE

3. Il dialogo con i sadducei sulla resurrezione

L' insegnamento dei sadducei, che compaiono sulla scena nel­ l'episodio successivo, secondo la testimonianza di Giuseppe Fla­ vio «era diffuso tra poche personalità, appartenenti oltretutto a famiglie molto altolocate». Flavio definisce insignificante il lo­ ro influsso, e considera caratteristiche principali del loro inse­ gnamento il fatto che non credono nell' immortalità dell'anima e «non hanno alcun' altra osservanza all ' infuori delle leggi»12• In un altro passo lo storico scrive: I Sadducei . . . negano completamente i 1 destino ed escludono che è

dio possa fare qualche cosa di male o solo vederla; affermano che

in potere degli uomini la scelta tra il bene e il male, e che secondo il suo volere ciascuno si dirige verso l ' uno o verso l ' altro. Negano la sopravvivenza dell' anima, nonché le pene dell ' Ade e i premi.

I

Farisei sono legati da scambievole amore e perseguono la concor­ dia entro la comunità; i Sadducei sono invece, anche tra loro, p iut­ tosto aspri e nei rapporti con i loro simili sono rudi al pari che con gli altri1 3 •

Nonostante la brevità della descrizione del partito dei sadducei offerta da Giuseppe Flavio, essa coincide esattamente con quello che ne sappiamo dai Vangeli sinottici: la domanda che i sadducei pongono a Gesù riguarda proprio il tema dell' immortalità dell'a­ nima. Forse F lavio, in quanto fariseo, sottovaluta l ' influenza dei sadducei: si presume che quantomeno alcuni dei capi dei sacerdo­ ti del I secolo appartenessero a questo partito14• Negli Atti degli apostoli vengono menzionati «il sommo sacerdote con tutti quel­ li della sua parte, cioè la setta dei sadducei» (At 5, 1 7). Schematicamente, possiamo definire i sadducei come l'ala li­ berale nel ventaglio dei partiti politico-religiosi all' interno del giudaismo dei tempi di Gesù. Se dobbiamo prestar fede a Fla12 13 14

GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 1 8, l , 4; tr. it. Io., Guerra giudaica 2, 8, 1 4 ; tr. it. p . 1 42. J .P. MEIER, A Marginai Jew, vol . I I I , pp. 396-399.

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vol. 2, p. 1 1 07 .

2. l DIALOGHI N E L TEMPIO DI GERUSALEMME

vio, �ssi professavano una particolare forma di deismo (Dio esi­ ste, ma non si intromette nel le questioni umane). I sadducei ri­ fiutavano le tradizioni orali e ritenevano necessario osservare soltanto le prescrizioni della legislazione mosaica fissate nelle fonti scritte. Il partito aveva carattere elitario: vi appartenevano esclusivamente i membri delle famiglie aristocratiche, tra il po­ polo non era diffuso. Il l iberalismo nelle questioni dogmatiche si associava per i sadducei al rigorismo nelle questioni giuridi­ che1S, poiché, rifiutando le tradizioni orali, essi rifiutavano in tal modo anche le svariate attenuazioni delle leggi introdotte dai fa­ nsei. Nel Vangelo di Matteo il discorso di Gesù con i sadducei si svolge lo stesso giorno del discorso con i discepoli dei farisei e gli erodiani sulle tasse di Cesare: In quello stesso giorno vennero da lui alcuni sadducei - i quali dicono che non c ' è risurrezione - e lo interrogarono : «Maestro, Mosè disse : Se uno m uore senza figli, suo fratello ne sposerà la moglie e darà una discendenza al proprio fratello. Ora, c' erano tra noi sette fratelli; il primo, appena sposato, mori e, non avendo di­ scendenza, lasciò la moglie a suo fratello. Cosi anche il secondo, e il terzo, fino al settimo. Alla fine, dopo tutti, mori la donna. Alla ri­ surrezione, dunque, di quale dei sette lei sarà moglie? Poiché tutti l' hanno avuta in mogl ie» . E Gesù rispose loro: «Vi ingannate, per­ ché non conoscete le Scritture e neppure la potenza di Dio. Alla ri­ surrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo. Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: lo sono il Dio di A bramo, il Dio di Jsacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi ! » . La folla, udendo ciò, era stupita dal suo insegnamen­ to (Mt 22,23-33).

La versione di Marco si differenzia solo lievemente da quella di Matteo; si conclude con alcune parole di Gesù che mancano invece in Matteo : «Voi siete in grave errore» (Mc 1 2, 1 8-27). 15 Cfr. la discussione su questo tema in: lbid., vol . lll, p. 403.

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MORTE E RESURREZIONE

La versione di Luca inizialmente è testualmente più vicina a quella di Marco, ma le parole conclusive di Gesù vi sono ripor­ tate in modo più dettagliato, e la conclusione del racconto è am­ pliata: Gesù rispose loro: «l figli di questo mondo prendono mogl ie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita fu­ tura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né ma­ rito : infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di /sacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» . Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene» . E non osavano più rivolgergli alcuna domanda (Le 20,34-40).

Nell 'Antico Testamento le concezioni sulla vita dopo la mor­ te non erano chiaramente definite. I testi di Isaia ed Ezechiele, tradizionalmente interpretati dalla tradizione cristiana come pro­ fezie della resurrezione universale (Is 25,6-8; 26, 1 9-2 1 ; Ez 3 7, 1 1 1 ) , nel loro contesto iniziale erano legati piuttosto alle sorti del popolo di Israele: attraverso vivide immagini e visioni i profeti annunciavano il ricostituirsi della casa di Israele nella sua gloria e potenza. In epoca successiva l' idea della resurrezione univer­ sale ebbe una maggior diffusione, come testimonia la storia dei sette martiri Maccabei (2Mac 7 , 1 -4 1 ) 1 6 • L'Antico Testamento non distingue tra inferno e paradiso. Il term ine ?1Ntll sa '6/ («aldilà») indica il luogo dove si trovano tut­ ti i defunti, indipendentemente dalla loro condizione morale du­ rante la vita. Sa '6/ è «la terra delle tenebre e dell'ombra di mor­ te», «terra di oscurità», «terra di disordine, dove la luce è come le tenebre» (Gb 1 0,2 1 -22). Si trova sotto terra (Gen 3 7,3 5 ; Dt 32,22); quanti vi sono entrati non possono più uscime (Gb 7, l O); 16 Della fede nella resurrezione dei morti nel! ' Antico Testamento si è parlato diffu­ samente nel libro: ILARIO N (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. III: I mira­ coli di Gesù, pp. 506-5 1 4 .

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2. l DlALOGHI NEL TEMPIO DI GERUSALEMME

D io non si ricorda di loro poiché sono stati recisi dalla sua ma­ no (Sal 88,6); gli abitanti degli inferi non possono lodare Dio (Sal 88, 1 1 ) . Nel contempo, nell'Antico Testamento si incontra il concetto della presenza di Dio nell ' aldilà: « Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti» (Sal 1 3 9,8). Esiste anche l' idea della liberazione dei figli degli I sraeliti dagli inferi e dal­ la morte: «Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla mor­ te. Dov'è, o morte, la tua peste? Dov'è, o inferi, il vostro ster­ minio?» (Os 1 3 , 1 4). Al tempo di Gesù l ' insegnamento sulla resurrezione e sulla ricompensa dopo la morte era abbastanza diffuso negli ambien­ ti ebraicP7• Nella sua predicazione Gesù ritornava spesso sul te­ ma della ricompensa dopo la morte, parlando del seno di Abra­ mo (Le 1 6,22), presso il quale trovano conforto i giusti, e del fuoco della Geenna (Mt 5,22; 1 8,9; Mc 9,47), dove patiscono i peccatori, della vita eterna e dei supplizi eterni (Mt 25 ,46). Par­ lare della ricompensa dopo la morte non era un' innovazione, le parole di Gesù attecchivano su un terreno già preparato. Tutta­ via, nessun maestro ebreo prima di Gesù aveva delineato un con­ fme tanto netto tra la beatitudine che attende dopo la morte i giu­ sti e i supplizi dei peccatori, nessuno aveva mostrato un legame tanto stretto tra il comportamento dell' uomo durante la vita ter­ rena e la sua sorte nell 'eternità. La posizione dei sadducei era in dissonanza con la concezio­ ne comunemente diffusa della sorte dell'uomo dopo la morte. Essi fonnulano la propria domanda con un accentuato naturali­ smo, con l ' intenzione, così facendo, di dimostrare l'assurdità della fede nella resurrezione. Facendo appello alla nota legge del levirato (Dt 25,5- 1 0), essi la proiettano sulla vita dell'aldilà, crean­ do così una sorta di quadro caricaturale di tale realtà. Sono sicu­ ri che a questa domanda non ci sia risposta1 8• Gesù si volge a ciò che per i sadducei è immutabile, ovvero 17 Cfr. : C. SETZER,

Resurrection ofthe Body in Early Judaism and Early Christiani­

ty, pp. 6·20. 18 D.L. TuRNER, Matthew, p. 53 1 .

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MORTE E RESURREZIONE

le Scritture. Li accusa di non conoscere la Scrittura e dimostra la realtà della resurrezione proprio con una citazione da essa (Es 3 ,6). Tale citazione a prima vista non ha alcun legame con il te­ ma della resurrezione. Per lo meno, le parole di Dio rivolte a Mosè dal roveto ardente non erano mai state interpretate cosi prima di Gesù19• Tuttavia, non di rado Gesù interpretava i testi dell'Antico Testamento secondo una visuale insolita, scopren­ dovi strati semantici più profondi, nascosti sotto la lettera del te­ sto. Difficilmente la sua esegesi in questo caso riuscì a convin­ cere i suoi interlocutori, ma si dimostrò convincente per il popo­ lo e, secondo la testimonianza di Luca, persino per alcuni scribi. Alle parole di Gesù sul fatto che alla resurrezione «non si pren­ de né moglie né marito» (Mt 22,30) viene spesso attribuito il senso che il matrimonio è un 'istituzione terrena, che non si pro­ trarrà nell' eternità. Secondo Tertulliano, «ai cristiani, una volta partiti da questo mondo, non viene promessa nessuna ricompo­ sizione di nozze»20• D' altro canto, lo stesso autore afferma che i coniugi risorgeranno «in unione di spirito» e che «nella vita eter­ na Dio non separerà coloro che egli ha congiunto, lui che vieta di separarsi in questa vita di minor contm>2 1 • Secondo Giovanni Damasceno, dopo la resurrezione non ci saranno «più nozze, non più generazione di figli»22• Alla resurrezione, afferma Gesù, gli uomini «saranno come gli angel i di Dio nei cieli». Per i sadducei, che dicevano «che non c'è risurrezione né angeli né spiriti» (At 23,8), questa af­ fermazione significava poco. Tuttavia, la tradizione cristiana vi ha prestato grande attenzione. Origene vi scorgeva la con­ ferma alla sua teoria sul fatto che alla resurrezione dai morti vi saranno corpi simili a quelli degli angeli, aerei e radiosF3 • Me­ todi o di Ol impo, in polemica con Origene, riteneva che si do­ vesse intendere l 'affermazione di Gesù non nel senso che alla 19

J .P. MEIER, A Marginai Jew, vol . III, pp. 425 , 427. TERTULLJANO, A/la consorte 1, l , 3·5 (CCSL l , 3 74); tr. it. p. 63. In., L 'unicità delle nozze (CCSL 2, 1243); tr. it. p. 1 5 7. 22 GIOVANNI DAMASCENO, La fede ortodossa 4, 27 (PG 94, 1 225); tr. it. p. 32 1 . 2 3 ORIGENE, Commento al Vangelo di Matteo 1 7, 30. 20 1 2

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2. l DIALOGH I N E L TEMPIO DI GERUSALEMME

resurrezione i santi saranno privi del corpo, ma nel senso che la condizione di beatitudine dei santi sarà simile a quella degli angeli24• Molti antichi autori cristiani sostenevano che dopo la resur­ rezione universale le anime umane si sarebbero ricongiunte ai corpi nei quali avevano dimorato durante la vita25 • Nel contem­ po, sottolineavano che si sarebbe trattato di corpi trasfigurati, immortalF6• Come un ago, gettato nel fuoco, cambia colore e si trasforma in fuoco, senza però che la sua natura cambi, allo stesso modo «alla resurrezione tutte le membra risorgono . . . Ogni cosa diventa luminosa, ogni cosa è immersa nella luce e nel fuoco e viene trasformata, ma non accade, come dicono al­ cuni, che si dissolve, che diventa fuoco e che la sua natura scompare»27• La questione della natura dei corpi risorti esula dall 'ambito di questa ricerca. Tuttavia, abbiamo ritenuto opportuno accennarvi in questa sede, in quanto è legata alla resurrezione di Cristo. Quan­ do Gesù risorse dai morti, le persone non riuscivano più a ricono­ scerlo: Maria Maddalena lo scambiò per il giardiniere (Gv 20, 1 5), i due viandanti non riconobbero in Lui il proprio Maestro (Le 24, 1 6), alcuni discepoli dubitarono che fosse Lui (Mt 28, 1 7). Gesù risorto passava attraverso le porte chiuse (Gv 20, 1 9), e ve­ niva preso per un fantasma (Le 24,3 7). Tutto questo indica che il suo aspetto esteriore era mutato; può darsi che fosse mutata anche la materia del suo corpo. Il dialogo con i sadducei si svolge poco prima della resurre­ zione di Gesù e insieme al racconto della resurrezione di Lazza24 Mrromo DI

OuMPO, De Resurrectione 3 1 . GIUSTINO IL FILOSOFO, Apologia prima l , 9 (PG 6, 3 3 7). Cfr. : ATENAGORA DI ATE­ NE, De resurrectione mortuorum 2; 3, 25 (PG 6, 977-98 1 , 1 02 1 ) : i risorti «non possono esistere come le stesse persone, se gli stessi corpi non verranno restituiti alle stesse ani­ me»; TERTULLIANO, La resurrezione dei morti 53 (CCSL 2, 998); tr. it. p. 1 79 («Dovrà risorgere quel corpo che sarà stato seminato»); 63 (CCSL 2, l O 1 1 ) ; tr. it. p. 204 («La car­ ne, dunque, risorgerà: tutta la carne, proprio la carne, e la carne tutta intera»); GREGO­ RIO DI NrssA, L 'anima e la resurrezione (PG 46, l 09), tr. it. p. 82 («per l'anima si rico­ stituirà il medesimo corpo, composto dei medesimi elementi»). 26 GIOVANNI CRISOSTOMO, De resurrectione mortuorum, 8 (PG 50, 4 3 0). 27 PSEUDO-MACARIO, Omelie spirituali 1 5, l O; tr. it. p. 1 90. 25

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MORTE E RESURREZIONE

ro (Gv 1 1 , 1 -4 1 ) fa da preludio a questo avvenimento. Non a ca­ so, questo dialogo è riportato da tutti e tre i sinottici: in tal mo­ do essi sembrano fare spazio per consentire al lettore una miglior comprensione dell' avvenimento centrale della storia evangelica. Si crea la stessa concatenazione logica che vediamo in san Pao­ lo: «Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto ! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, " vuota anche la vostra fede» ( l Cor 1 5 , 1 3- 1 4).

4. «Qual è il primo di tutti i comandamenti?»

Dopo i capi dei sacerdoti, gli anziani, i farisei, gli erodiani e i sadducei entra in scena un altro personaggio, che Marco defi­ nisce uno degli scribi (el'ç -r&v ypaJlJl> . Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all' infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l' intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifich> . Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio» . E nessuno aveva più il coraggio di in­ terrogarlo (Mc 1 2,28-34).

Come vediamo, Marco non dice che lo scriba avesse cattive intenzioni. Al contrario, lo scriba, che ripete quello che aveva detto Gesù e anzi sviluppa in qualche modo il suo pensiero, vie­ ne da Lui lodato.

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2 . I DIALOGHI NEL TEMPIO DI GERUSALEMME

In Matteo la situazione è diversa. Il racconto comincia con le parole: «Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, nel­ la Legge, qual è il grande comandamento?"» . Gesù espone allo­ ra il primo comandamento in versione abbreviata (tralasciando le parole «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l' unico Si­ gnore»), poi il secondo, e infine conclude : «Da questi due co­ mandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,34-40). Così finisce l'episodio. La versione di Luca è ancora più breve, e inoltre l'episodio è inserito in un altro momento della storia evangel ica, subito do­ po il racconto del dialogo di Gesù con i settanta discepoli dopo il loro ritorno dalla pre1"1 tapillin), i farisei li portavano di dimension i decisamente più grandi degli altri9• Osserviamo che Gesù non contestava la prassi come tale di portare questi astucci, ma criticava la moda diffusa tra i farisei di ingrandir li per ostentare una particolare religiosità. Non con9 B . M . NEWMAN, P. S . ST!NE, A Translator s Handbook on the Gospel of Matthew, p, 632.

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3. GERUSALEMME. GLI ULTIMI IN SEGNAME NTI

testava neppure l' uso di portare le frange (in greco Kpac:mdia., in ebraico 1'1'l'X sisiJ.), particolari nappe all'orlo dell'abito, prescrit­ te dalla legge affinché, «quando le guarderete, vi ricorderete di tutti i comandamenti dell 'Eterno» e «sarete santi al vostro Dio» (Nm 1 5,3 7-4 1 ). Ma criticava l' usanza dei farisei di allungare le frange, ancora una volta «per essere ammirati dalla gente» . Suscitava ripugnanza in Gesù l'arroganza dei farisei, il loro voler occupare sempre i posti più in vista, la loro vanità e attac­ camento agli onori . L'evangelista Luca riferisce di come Gesù, ospite di un fariseo, avendo visto che gli invitati sceglievano i posti migliori, dicesse al padrone di casa: Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: «Cedigli il posto ! » . Allora dovrai con vergogna occupare l' ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: «Amico, vieni più avanti ! » . Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali . Perché chiunque si esalta sarà umil ia­ to, e chi si umilia sarà esaltato (Le 1 4, 8- 1 1 ).

Questo consiglio andava in direzione opposta alla prassi dei farisei che scegl ievano sempre i posti migliori e non vedevano in questo niente di sconveniente, poiché ritenevano di «non es­ sere come gli altri uomini» (Le 1 8, 1 1 ) Gesù fa quattro esempi della vanità dei farisei : si compiaccio­ no di avere i primi posti nei banchetti e i primi seggi nelle sina­ goghe e di essere salutati nelle piazze, e che la gente li chiami «Maestro ! Maestro ! » . I primi tre esempi sono presenti anche nei passi paralleli di Marco e Luca: «Diceva loro nel suo insegna­ mento: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lun­ ghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti"» (Mc 1 2,3 8-39; cfr. Le 20,47-48). È il quarto esempio della vanità dei farisei, peraltro, a offrire a Gesù l' occasione di ricordare ai di scepoli che essi hanno un solo Maestro e Guida, Cristo, e un solo Padre che è nei cieli. An.

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MORTE E RESURREZIONE

che se qui Gesù non parla della sua uguaglianza con il Padre, si mette sul suo stesso piano. Alla vigilia della morte, Egli delinea l' immagine di una comunità cristiana stretta intorno a un unico Maestro, una comunità i cui membri si considerano reciproca­ mente fratelli. In tale comunità le regole di comportamento de­ vono essere l'esatto opposto di quelle esistenti tra i farisei: qui sarà innalzato chi si umilia. Durante l ' Ultima cena, lavando i piedi ai, discepoli, Gesù dà loro un esempio visibile di come anch 'essi devono trattarsi gli uni gli altri (Gv 1 3 ,4-5 . 1 2- 1 7). «Ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servito­ re» : questa o analoghe esortazioni si incontrano ripetutamente nei discorsi di Gesù (Mt 20,26-27; cfr. Mc 9,3 5 ; l 0,43 -44; Le 9,48; 22,26). Anche le parole «chi invece si esalterà, sarà um i­ liato e chi si umilierà sarà esaltato» hanno moltissimi paralleli alJ 'interno dei Vangeli (Mt 1 8,4; Le 1 4, 1 1 ; 1 8, 1 4 ). Tali aforismi sono una breve descrizione sintetica del sistema di relazion i che Gesù vuole creare all ' interno della comunità dei suoi discepoli. La Chiesa cristiana è riuscita solo in parte a realizzare l ' idea­ le morale tratteggiato da Gesù. Fin dalla prima generazione di cristiani gli apostoli mettevano in guardia dalle lotte interne alle comunità cristiane ed esortavano all'umiltà, parafrasando gli afo­ rismi del Maestro: Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccide­ te, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete . . . Gente infedele! Non sapete che l ' amore per il mondo è nemico di Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio . . . Anzi, ci concede la gra­ zia più grande; per questo dice: Dio resiste ai superbi, agli umili in­ vece dà la sua grazia . . Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esal­ terà (Gc 4, 1 -2 .4.6 . 1 0). .

I padri e i dottori della Chiesa dei secoli successivi testimo­ niano che lo spirito dei farisei non solo non scomparve nella co94

3. GERU SALEMME. GLI U LTIMI INSEGNAMENTI

unità cristiana ma, a l contrario, vi trovò nuova vitalità. Nel III secolo Origene, commentando il capitolo 23 del Vangelo di Mat­ teo, scrive: m

Oh, se questo fosse stato udito da tutti , soprattutto dai diaconi, dai presbiteri e dai vescovi, soprattutto quelli che ritengono che le parole «Chi si innalza sarà umiliato, e chi si umilia sarà innalzato» non siano state scritte per loro . . . Si sono inorgogliti e a çausa dell 'or­ goglio sono caduti nei lacci del diavolo ( I Tm 3 ,6), e non aspirano, attraverso l'umiltà, a risollevarsi dalla condanna per orgoglio . . . 1 0

Net IV secolo gli fa eco Giovanni Crisostomo, che rileva nel­ l'ambiente della gerarchia ecclesiastica del suo tempo i sintomi dei mali spirituali caratteristici dell'ambiente farisaico: Queste cose, anche se si considerano di poco conto, sono però causa di grandi mali. Queste cose hann o sconvolto città e chiese. Mi viene ora da piangere quando sento parlare di primi seggi e di salu­ ti e penso a quanti mali ne sono derivati per le chiese di Dio1 1 •

Tuttavia Giovanni Crisostomo osservava anche esempi posi­ tivi, in primo luogo nelle comunità monastiche, dove l'umiltà a somiglianza di Cristo non veniva considerata un ideale irrag­ giungibile, ma una norma di vita: Perciò è necessario che chi coltiva il desiderio de i primi posti, cerchi l' ultimo. Chi si abbassa sarà innalzato. E dove troveremo que­ sta um iltà? Volete che andiamo ancora nella città della virtù, alle tende dei santi, ai monti intendo dire, e nelle valli boscose? Ll ve­ dremo il punto più alto di questa umiltà. Uomini che eccellevano alcuni per le cariche profane, altri per le ricchezze, si umiliano da ogni punto di vista, nel vestito, nella casa, nei servizi che prestano, e in ogni modo scrivono l' umiltà come se lo facessero con le lette­ re. Lì è eliminato tutto ciò che costituisce un incentivo all' arrogan10

ORIGENE, Commento al Vangelo di Matteo 12 (GCS 38, 224); tr. it. vol . l, p . 1 2 5 . GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 72, 2 (PG 58, 669-670); tr. it. vol . 3, p . 1 48. 11

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MORTE E R E S U RREZIONE

za: avere bei vestiti, costruire splendidi edifici, possedere molti ser­ vi, il che spesso spinge all'arroganza anche involontariamente. So­ no essi stessi che accendono il fuoco, tagliano la legna, cucinano, servono coloro che vann o da loro. Lì non è possibile udire qualcu­ no insultare né vedere qualcuno insultato, né chi è comandato né chi comanda, ma tutti sono servi e ciascuno lava i piedi dei forestieri, e in questo si svolge una grande gara. E lo si fa senza indagare chi sia il forestiero, se sia schiavo o libero, ma si compie questo servizio verso tutti . . . Tutti hanno la medesima mensa, sia quelli che sono serviti, sia quelli che servono, i medesimi cibi, le medesime vesti, le medesim e dimore, lo stesso tenore di vita. Ll è grande chi assu­ me su di sé un lavoro di poco conto. Non c ' è il mio e il tuo, ma so­ no bandite queste parole, causa di innumerevoli guerre12•

L'esperienza bimillenaria della Chiesa dimostra che l' alto li­ vello morale stabilito da Gesù per i suoi discepoli non è irrag­ giungibile. Non solo nell ' ambiente monastico, ma anche fra i semplici credenti gli esempi di una forma di vita e di pensiero cristiani si contano a milioni. Tuttavia il rischio del fariseismo, inteso come una posizione bigotta e formale nei confronti della pratica religiosa, esiste anche nella tradizione cristiana. Quando si comincia a recepire la religione come un insieme di regole, divieti, minuziose norme e prescrizioni, che si sostituisce all ' a­ dorazione di Dio . Poi dall 'al­ to del tempio lo gettarono nel sottostante burrone19• .

Tuttavia, questo episodio è datato al tempo della prima guerra giudaica, nel 66-70. Se fosse questo lo Zaccaria ricordato nel te­ sto del Vangelo, significherebbe che l'evangelista scrisse dopo l ' anno 70 e mise in bocca a Gesù delle parole su un uomo ucciso più di trent'anni dopo la sua stessa morte. La maggior parte degli studiosi nega la possibilità di tale falsificazione ed è del parere che Gesù parli dello Zaccaria ricordato nel secondo libro delle Crona­ che e che l'appellativo «figlio di BarachiiD> gli fosse assegnato er­ roneamente dall'autore o da un copista del Vangelo di Matteo. No­ tiamo che nel passo parallelo del Vangelo di Luca Zaccaria viene ricordato senza questo appellativo (Le 1 1 ,5 1 ). San Girolamo, commentando questo passo del Vangelo di Matteo, riporta tutte le opinioni note al tempo circa il personag­ gio menzionato: Alcuni sostengono che questo Zaccaria, figlio di Barachia, sia l'undicesimo dei dodici profeti: questa tesi trova rispondenza per­ fetta per quel che riguarda il nome del padre; ma di lui la Scrittura

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GIUSEPPE

FLAVIO, guerra giudaica 4, 5, 4; tr. it. pp. 303 -304.

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MORTE E RESURREZIONE

non dice che fu ucciso tra il tempio e l' altare . . . Altri vogliono ve­ dere in lui lo Zaccaria padre di Giovanni [Battista] , e s' appoggiano alle fantasie degli apocrifi, secondo cui egli sarebbe stato ucciso per­ ché aveva preannunziato l' avvento del Salvatore. Tale ipotesi, non provata dall' autorità delle Scritture, può essere negata con la stessa facilità con cui la si afferma. Altri suppongono che si tratti di quel­ lo Zaccaria che fu ucciso da Joas re di Giuda fra il tempio e l' alta­ re, come narra la storia dei Re . Va però subito rilevato che questo Zaccaria non era affatto figlio di Barachia, ma del sacerdote Joia­ de . . . Nel Vangelo di cui si servono i nazareni, al posto di « figlio di Barachia» , troviamo «figlio di Joiade»20•

Per quale motivo Gesù addossa ai farisei e agli scribi la colpa di tutto il sangue ingiustamente versato, da Abele a Zaccaria? Per lo stesso motivo, risponde Giovanni Crisostomo, per cui in un altro passo Dio fa ricadere la colpa dei padri sui figli «fino alla terza e alla quarta generazione» (Es 20,5). Lo fa «non per­ ché gli uni sono puniti per le colpe degli altri, ma perché, dopo che molti hanno peccato e sono stati puniti, non sono diventati migliori, ma hanno compiuto gli stessi misfatti»2 1 • Gesù ricorda Abele perché è stato ucciso per invidia, e i farisei meditano l'omi­ cidio di Gesù per lo stesso motivo. Riportando gli esempi di giusti e profeti deli ' Antico Testamen­ to, parlando della loro morte violenta, Gesù predice la propria mor­ te. Essa sarà l 'ennesimo delitto che si aggiunge a quelli commes­ si dai «padri» dei farisei e degli scribi del suo tempo. Le parole di Gesù non vanno intese nel senso di una condanna dei farisei per­ ché venerano gli antichi profeti e si prendono cura dei loro sepol­ cri. Egli mostra che l 'autentica venerazione dei profeti deve espri­ mersi nell' evitare gli errori di coloro che erano stati i loro perse­ cutori e assassini. Sebbene i farisei prendano le distanze dai delit­ ti dei loro padri, uccidendo il Giusto diventeraimo loro complici nel versare il sangue di «profeti, sapienti e scribi». 2 0 GIROLAMO, Commento al Vangelo di Matteo 4, 23, 35 (CCSL 77, 2 1 9-220); tr. it. pp. 243-244. 21 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul vangelo di Matteo 74, 2 (PG 58, 68 1 ) ; tr. it. vol. 3, p. 1 70.

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3 . GERUSALEMME. GLI ULTIMI I NSEGNAMENTI

Osserviamo che si tratta di un raro caso in cui il tennine «seri­ bi» viene usato in senso positivo. Nel Nuovo Testamento esisto­ no solo due casi analoghi, e anche il secondo appartiene al Van­ gelo di Matteo : Gesù dice che «ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 1 3 ,52). La via del Re­ gno dei cieli non è chiusa per gli scribi. Sono essi stessi a chiu­ derla davanti a sé, sbarrandone l 'ingresso anche agli altri . Gesù non predice solo la propria morte, ma anche le persecu­ zioni dei giudei contro i suoi discepoli. Proprio in questo senso vanno intese le parole: «alcuni li ucciderete e crocifiggerete, al­ tri li flagellerete nelle vostre sinagoghe e 1i perseguiterete di cit­ tà in città» . Nella letteratura scientifica queste parole solitamen­ te vengono interpretate come un riflesso della contrapposizione tra Chiesa e Sinagoga, da cui fu contrassegnata la storia della Chiesa delle origini (si ritiene che Matteo, che scriveva verso la fine del I secolo per una comunità che subiva persecuzioni da parte dei giudei, abbia messo queste parole in bocca a Gesù per consolare i fedeli). Tuttavia, nulla vieta di interpretare le parole riportate come una profezia di Gesù sul destino della Chiesa da Lui fondata. Prevedendo la sua prossima morte, profetizza con­ temporaneamente anche quello che sarebbe successo dopo. An­ che in precedenza aveva preannunciato più volte ai suoi disce­ poli che sarebbero stati perseguitati (Mt 5, 1 1 - 1 2; 1 0, 1 6-23). E su questo tema sarebbe ritornato nuovamente di lì a poco (Mt 24,9). Le accuse ai farisei, che costituiscono la parte principale del discorso di Gesù nel capitolo 23 di Matteo, si ritrovano parzial­ mente nel Vangelo di Luca. Qui tuttavia appaiono in un contesto completamente diverso: Mentre stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: «Voi fari­ sei pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti ! Colui che ha fatto l' esterno non ha forse fatto anche l ' interno? Date piuttosto in elemosina quel-

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MOIFE E R E S U RREZ IONE

lo che c'è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro. Ma guai a voi, fa� risei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l' amore di Dio. Queste invece era� no le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi pas� sa sopra senza saperlo» . Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, di� cendo questo, tu offendi anche noi» . Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito ! Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Cosi voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri : essi li uccise� ro e voi costruite. Per questo la sapienza di Dio ha detto : "Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno", per� ché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i pro­ feti, versato fm dall' inizio del mondo: dal sangue di Abele fmo al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l' altare e il santuario. Si, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a voi, dotto. ri della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l ' avete impedi­ to» (Le 1 1 ,3 7-52).

Vediamo che per contenuto il testo riportato ripete in gran par� te il discorso di Gesù del capitolo 23 del Vangelo di Matteo. Ci sono alcune differenze nei particolari. Ad esempio, i sepolcri pie� ni di ossa e di ogni marciume, in Luca diventano «sepolcri che non si vedono» : all' immagine della grotta contrassegnata con la calce perché la gente non si contamini entrando casualmente in contatto con il suo contenuto, si sostituisce l ' immagine di grot­ te non segnate, passando sopra le quali la gente non sa che cosa vi si trovi . In Luca i dottori della legge sono trattati come un gruppo a parte, anch 'esso meritevole di accusa: sono proprio lo� ro a interpretare la legge in modo tale da rendeme impossibile l ' osservanza a causa della pletora di minuziose norme e divieti. La predizione di Gesù circa le persecuzioni dei suoi seguaci nel� la versione di Luca si trasforma in un rimando al la Sapienza 1 08

3 . GERUSALEMME. GLI ULT I M I INS EGNAMENTI

Divina. È possibile che si tratti di un 'a11usione a un testo vete­ rotestamentario, ad esempio a queste parole del secondo libro delle Cronache: «Il Signore Dio dei loro padri mandò premuro­ samente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, per­ ché amava il suo popolo e la sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e scherniro­ no i suoi profeti . . . » (2Cr 3 6, 1 5- 1 6). L' espressione «portare via la chiave della conoscenza>> (ilpa.te tl)v KÀ.EÌÙa. 'tfjç yvrocreroç) è unica nel suo genere in tutto il cor­ pus dei Vangeli, ed è anche l'unico caso in cui viene usato il ter­ mine yvrocrt.ç («conoscenza», «comprensione»). Viene usata l' im­ magine della legge come raccolta di testi per la cui comprensio­ ne è necessaria una chiave, cioè una corretta interpretazione. Proclamandosi unici interpreti legittimi della legge di Mosè, i dottori della legge avevano sequestrato questa chiave e se ne era­ no impossessati . L' immagine è consonante con quanto Gesù di­ ce dei farisei in Matteo, asserendo che essi impediscono agli uo­ mini l ' ingresso nel Regno dei cieli . I l discorso d i denunzia d i Gesù nel capitolo 2 3 del Vangelo di Matteo si conclude con un appello diretto a Gerusalemme, pre­ sente anche in Luca (Mt 23,37-39; Le 1 3 ,34-3 5 ). Abbiamo già analizzato questo appello in precedenza22• In Matteo esso svol­ ge una funzione di collegamento tra il discorso di accusa ai fa­ risei e l' episodio successivo, nel quale i discepol i mostrano a Gesù gli edifici del tempio di Gerusalemme. Tuttavia, prima di passare all' esame di quest'ultimo episodio dobbiamo lasciare il Vangelo di Matteo per soffermarci su un episodio che in esso manca, mentre viene riportato da Marco e Luca.

2. Le d ue monetine della vedova

In Marco questo episodio segue immediatamente la denuncia degli scribi, che si conclude con le parole: «Divorano le case del22

Cfr. supra, p. 5 1 .

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MORTE E RESURREZIONE

le vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa» (Mc 1 2,40). La scena in cui la povera vedova viene contrapposta ai ricchi offerenti è la continuazione logica di questa denunzia: Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chia­ mati a sé i suoi discepoli, disse loro: «>25• Giovanni Crisostomo ritiene che in mancanza di mezzi mate­ riali, la sola buona intenzione basta per acquistare il Regno dei cieli : . . . Né con il denaro si vendono i beni celesti, né con il denaro li si acquista, ma per libera decisione di colui che dona il denaro, per saggezza, distacco dalle cure mondane, benevolenza e m isericordia. Se si acquistassero con l' argento, la donna che offri due monetine avrebbe ricevuto poco; ma poiché non l' argento ma la buona inten­ zione aveva efficacia, essa, mostrando la sua disponibilità, ricevet­ te tutto. Non dobbiamo, pertanto, dire che il Regno si acquista con il denaro: non con il denaro, ma per la libera decisione che si mani­ festa attraverso il denaro. Il denaro tuttavia serve, dirai tu. Non il denaro serve, ma la decisione. Se hai quest' ultima, con due mone­ tine puoi acquistare il cielo; ma senza di essa neppure per mille ta­ lenti d' oro comprerai quello che potresti comperare con due mone­ tine. Perché? Perché quando, avendo molto, dai di meno, avrai fat­ to si un'elemosina, ma non pari a quella della vedova; non avrai do­ nato con il suo stesso zelo ; essa infatti si era privata di tutto, o me­ glio, non si era privata, ma si era donata ogni cosa. Dio ha promes­ so il Regno non in cambio di talenti d' oro, ma di un bicchier d ' ac­ qua fresca (Mt 1 0,42); per lo zelo, non per la morte, che non è qual­ cosa di grande, ma per l' intenzione26•

Sant'Agostino, da parte sua, osserva che Zaccheo guadagnò con la metà dei suoi beni lo stesso Regno che la povera vedova acquistò con due monetine: «Il medesimo Regno per il ricco vie­ ne misurato attraverso tesori, e per il povero con un bicchiere d'acqua fresca»27•

24 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 52, 4 (PG 58, 6 8 1 ) ; vol. 3, p. 387. 25 Io., De beato Philogonio 6, 2 (PG 48, 750). 26 lo., Homiliae in Epistolam ad Philippenses 1 6, 3 (PG 62, 29 1 ). 27 AGOSTINO, Esposizioni sui Salmi (CCSL 40, 1 627).

1 13

tr. it.

MORTE E RESURREZIONE

3. La profezia sulla distruzione di Gerusalem me

Tutti e tre i Vangeli sinottici riportano la profezia di Gesù sul­ la distruzione del tempio di Gerusalemme: Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinaro­ no i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta>> (M t 24, 1 -2).

Nel Vangelo di Marco la scena è descritta in modo legger­ mente diverso. Quando Gesù esce dal tempio, uno dei discepo­ li gli dice: «"Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!". Ge­ sù gli rispose: "Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lascia­ ta qui pietra su pietra che non venga distrutta"» (Mc 1 3 , 1 -2). In Luca l'episodio viene esposto nella seguente redazione : «Men­ tre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e ' di doni votivi, disse: "Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta"» (Le 2 1 ,5-6). Il tempio di Gerusalemme era un complesso di edifici, colon­ nati e portici grandiosi e riccamente decorati che non poteva non colpire l' immaginazione dei pescatori della Galilea. Essi espres­ sero la propria ammirazione al Maestro, che però non condi­ videva questo loro sentimento. Invece del grandioso panorama della città con la dominante architettonica del tempio rifulgente d' oro sotto i raggi del sole, Gesù aveva davanti agl i occhi un quadro completamente diverso: l ' immagine terribile della distru­ zione della città e del tempio, del quale non sarebbe rimasta pie­ tra su pietra. Quel lo che Gesù predisse accadde nell 'anno 70, quando la prima guerra giudaica, violenta e sanguinosa, giunse al suo tra­ gico epilogo e la città venne presa d' assedio dalle legioni roma­ ne. La guerra cominciò nel 66, quando il prefetto della Giudea Gessio Floro ordinò di saccheggiare il tesoro del tempio. Gli scontri tra i romani e gli zeloti giudei (che lottavano per l' indi1 14

3. GERUSALEMME. GLI ULT I M I I N S E GNAMENTI

pendenza dal potere romano) condussero a �assicce operazioni belliche da parte dell'esercito romano comandato da Vespasia­ no, che conquistò inizialmente tutta la Galilea e Giaffa e poi la Transgiordania. Nell'estate del 68 i romani stabilirono il control­ lo su tutta la Giudea, a eccezione di Gerusalemme e di alcune fortezze. Dopo che n eli' estate del 69 Vespasiano venne procla­ mato imperatore, le azioni belliche in Giudea vennero portate avanti dal suo figlio ed erede Tito. Fu proprio lui a cingere d'as­ sedio Gerusalemme nella primavera del 7028• Lo storico Tito Li­ vio descrive così la preparazione all' assalto della città: Ci fu tramandato che gli assediati, tra uomini e donne d' ogni età, ammontassero a seicentom ila. Chiunque ne era in grado, portava ar­ mi; sicché gli armati eran più di quanti quel numero comportasse; ostinati a un modo i maschi e le femmine, per i quali tutti, se costret­ ti a mutar sede, era più spaventoso il vivere, che non la morte. Con­ tro questa città e contro questo popolo, Tito (poiché la natura del luogo consentiva azioni d' impeto) deliberò di combattere a mezzo di terrapieni e di gallerie mobili. Distribuiti fra le legioni i diversi compiti, l' attacco fu sospeso sino a che non fossero messi in opera tutti gli antichi e moderni ordigni inventati per espugnare le città29•

Giuseppe Flavio, principale croni sta della guerra giudaica, porta altre cifre. Stando alla sua testimonianza, il numero com­ plessivo dei caduti durante l' assedio sarebbe stato di un milio­ ne e centomila: « la maggior parte di costoro furono giudei, ma non di Gerusalemme; erano infatti convenuti da ogni parte del paese per la festa degli Azimi, quando improvvisamente scop­ piò la guerra in cui si trovarono invescati, e il superaffollamen­ to causò dapprima l ' insorgere tra loro di una pestilenza e poi l ' ancor più travolgente flagello della fame»30• Durante l ' asse­ dio le persone, impazzite per la fame, mangiavano tutto que lzH S . V. BABKINA, «lzrail' drevnij . Greko-rimskij period» (L'antico Israele. Il periodo greco-romano), pp. 656-657 . 29 TACITO, Storie 5 , 1 3 ; tr. it. p . 8 1 5 . 10 GIUSEPPE FLAVIO, Guerra giudaica 6, 9, 3; tr. it. p. 454.

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MORTE E RESUR REZIONE

lo che capitava loro sottomano, fino alle cinture e alle calza­ ture di cuoio; lo storico descrive un terribile caso di cann iba­ lismo3 1 . L' assedio delJa città da parte delJe truppe di Tito si protrasse per circa cinque mesi. Quando tutto fu pronto per l 'assalto, si diede fuoco alla città. Prima si incendiarono le porte, poi il fuo­ co si trasmise agli edifici; infine bruciò il tempio. A quel punto la città era già in mano ai legionari romani: Mentre il tempio bruciava, gli assalitori saccheggiarono qualun­ que cosa capitava e fecero un' immensa strage di tutti quelli che pre­ sero, senza alcun rispetto per l ' età né riguardo per l ' importanza del­ le persone: bambini e vecchi, laici e sacerdoti, tutti indistintamente vennero massacrati, e la guerra ghermi e stritolò ogni sorta di per­ sone, sia che chiedessero mercé sia che tentassero di resistere. Il fra­ gore dell' incendio, che si estendeva in lungo e in largo, faceva eco ai lamenti dei caduti; l ' altezza del colle e la grandezza dell' edificio in fiamme davano l' impressione che bruciasse l' intera città, e il fra­ stuono era tale da non potersi immaginare nulla di più grande e di più terrificante. Da una parte il grido di guerra delle legioni romane che attaccavano in massa, dall' altro l'urlo dei ribelli presi in mezzo tra ferro e fuoco, mentre i popolani rimasti bloccati lassù in alto fug­ gendo sbigottiti incappavano nei nemici e perivano fra alte grida. Ai clamori provenienti dall' alto si mescolavano quelli della massa de­ gli abitanti della città, perché ora, alla vista del tempio in fiamme, molti che per lo sfinimento della fame avevano perduto la forza di parlare ripresero a gemere e urlare . . . Ma più terribile del panico era­ no le sofferenze; pareva che la collina del tempio ribollisse dalle ra­ dici gonfia di fuoco in ogni sua parte, e che tuttavia il sangue fosse più copioso del fuoco e gli uccisi più numerosi dei loro uccisori. La terra era tutta ricoperta di cadaveri, e i soldati per inseguire i fug­ giaschi dovevano calpestare mucchi di corpi. I romani, conside­ rando inutile risparmiare gli edifici circostanti ora che il tempio bru­ ciava, appiccarono il fuoco a tutti . . . 32 . .

Jl 12

/bid. 6, 3, 3 -4. Jbid. 6, 5 , l -2; tr. it. pp. 437-43 8 .

1 16

3. GERUSALEMME. GLI U LTIMI I N SEGNAMENTI

Quando l'esercito ebbe finito di uccidere e saccheggiare, con­ tinua Flavio, [Tito] diede l ' ordine di radere al suolo l' intera città e il tempio lasciando solo le torri che superavano le altre in altezza . . . e il set­ tore del le mura che cingeva la città a occidente: questo per proteg­ gere l' accampamento dei soldati che vi sarebbero rimasti di guarni­ gione, le torri per far comprendere ai posteri com' era grande e for­ tificata la città che non aveva potuto resistere al valore dei soldati romani. Tutto il resto della cinta muraria fu abbattuto e distrutto in maniera cosi radicale, che chiunque fosse arrivato in quel luogo non avrebbe mai creduto che vi sorgeva una città. Tale dunque fu la fine di Gerusalemme, una città amm irata e famosa in tutto il mondo . . 33 .

Con il suo sguardo profetico Gesù vide l' immagine spaven­ tosa della distruzione di Gerusalemme alcuni decenni prima che avvenisse. Proprio questa predizione, fissata da tutti e tre i sinot­ t�ci, è la motivazione principale su cui si basano gli studiosi per affermare che tutti i Vangeli furono scritti dopo l'anno 70. L' analisi del testo del capitolo 24 del Vangelo di Matteo e dei capitoli paralleli del Vangelo di Marco mostra che, oltre alla bre­ ve predizione riportata sopra, in nessuno di questi Vangeli si par­ la della distruzione di Gerusalemme. Se gli evangelisti fossero stati testimoni di ciò che Giuseppe Flavio descrive in modo tan­ to dettagliato e vivido, nei loro testi non sarebbero forse rimaste delle tracce della tragedia vissuta? Inoltre, dopo il 70 avrebbe dovuto essere chiaro quello che in precedenza non era così evidente, e cioè che alla distruzione di Gerusalemme non sarebbe seguita la seconda venuta di Gesù. Se gli evangelisti lo avessero saputo, avrebbero cercato di sepa­ rare il materiale testuale concernente la rovina di Gerusalemme da quello in cui si parla della seconda venuta. Tuttavia ciò non accadde. Il testo degli evangelisti rispecchia l'unione di due di­ versi piani temporali in un unico tessuto narrativo, che a sua voi-

31 /bid. 7, l , l; tr.

it.

p. 457.

117

MORTE E RESURREZI ONE

ta rispecchia l' accostamento del materiale nella fonte primaria orale o scritta alla quale attingono gli evangelisti, e quindi cor­ risponde al modo in cui i temi vennero esposti dallo stesso Gesù. Fu Lui a non voler separare questi due piani temporali, ma al contrario unì nel suo discorso profetico le predizioni di eventi del futuro prossimo con predizioni di eventi lontani nel tempo.

4. La predizione della seconda ven uta

La presa di Gerusalemme da parte dei romani e la distruzione del tempio furono una catastrofe nazionale di tale entità che il popolo ebraico non riuscì a riprendersi per molti secoli a venire. Se gli evangelisti avessero scritto all' indomani della caduta di Gerusalemme, questo evento avrebbe indubbiamente lasciato un ' impronta nei loro testi. Invece nei Vangeli di Marco e Mat­ teo non ne troviamo alcuna traccia. Consideriamo inizialmente la versione di Matteo: Al monte degli U livi poi, sedutosi, i discepoli gli si avvicinaro­ no ·e, in disparte, gli dissero: «Di' a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo» . Gesù rispose loro: «Badate che nessuno vi inganni ! Molti infatti ver­ ranno nel mio nome, dicendo : "lo sono il Cristo", e trarranno molti in inganno. E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si sol leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi sa­ ranno carestie e terremoti in vari luoghi: ma tutto questo è solo l ' ini­ zio dei dolori. A llora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne reste­ ranno scandal izzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorge­ ranno molti falsi profeti e ingannerann o molti; per il dilagare dell' ini­ quità, si raffredderà l' amore di molti. Ma chi avrà perseverato fmo alla fine sarà salvato. Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine. 118

3. GERUSALEMME. GLI ULT I MI INSEGNAMENTI

Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l' abominio del­ la devastazione, di cui parlò il profeta Daniele - chi legge, compren­ da -, al lora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, chi si tro­ va sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, e chi si trova nel campo non tomi indietro a prendere il suo mantello. In quei giorn i guai alle donne incinte e a quelle che allattano ! Pregate che la vostra fuga non accada d' inverno o di sabato. Poi­ ché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non vi è mai stata dali' inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. E se quei gior­ ni non fossero abbreviati, nessuno si salverebbe; ma, grazie agli elet­ ti, quei giorni saranno abbreviati>> (Mt 24,3-22)

Prima di tutto notiamo che i discepoli, secondo la versione di Matteo, fanno due domande : «quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondm> . La prima domanda riguarda la predizione appena fatta da Gesù circa la distruzione di Gerusalemme. Ma la seconda domanda si riferisce a temi completamente diversi. Perché vengono poste queste due domande insieme? Perché nel la coscienza dei disce­ poli i l tema della distruzione di Gerusalemme si collegava in qualche modo a quello della seconda venuta del Maestro. Nel suo discorso Gesù risponde alla seconda domanda, ma ignora di fatto la prima. Non nomina neppure Gerusalemme: l ' unico no­ me geografico menzionato è la Giudea, e anch 'essa in senso la­ to (assieme alle terrazze e ai campi), più che altro come esempio del fatto che chi si troverà in un luogo sarà costretto a fuggire in un altro. Di conseguenza, il discorso può non essere affatto re­ cepito come correlato alla presa di Gerusalemme da parte dei ro­ mam. Nella domanda dei discepoli per la prima volta nel Vangelo di Matteo viene usato il termine 1tapoucria («venuta», «presen­ za»). Esso risuonerà in seguito per tre volte sulle labbra di Gesù nella risposta alla domanda dei discepoli (Mt 24,27.3 7.39). Ne­ gli altri tre Vangeli il termine non si riscontra, mentre nelle let­ tere apostoliche ricorre ripetutamente a indicare la seconda ve­ nuta di Cristo (Gc 5,7; 2Pt 1 , 1 6; 3 ,4. 1 2; l Gv 2,28; l Cor 1 5,23 ; 1 Ts 2, 1 9; 3 , 1 3 ; 4, 1 5 ; 5,23). Sulla base di un uso tanto frequente 1 19

MORTE E R ESURREZIONE

della parola xa.poucria. nel le lettere apostoliche come termine tec­ nico per indicare la seconda venuta di Cristo, gli studiosi cerca­ no di dimostrare che il termine è frutto del lavoro redazionale di Matteo34• Tuttavia questa supposizione è del tutto infondata, non solo perché lo stesso Matteo lo attribuisce a Gesù, ma anche per­ ché non sappiamo quale equivalente aramaico fosse all'origine della parola greca. In Marco la domanda dei discepoli viene riportata un po' di­ versamente: «Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fron­ te al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interroga­ vano in disparte: "Di ' a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per com­ piersi?"» (Mc 1 3 ,3-4). Gesù pronuncia tutto il suo discorso ri­ spondendo a «loro» (Mt 1 3 ,5), cioè a Pietro, Giacomo, Giovan­ ni e Andrea. La domanda è formulata in maniera generica: i quat­ tro discepoli non sanno esattamente cosa debba accadere, per questo motivo non nominano né la distruzione di Gerusalemme, né la seconda venuta e la fine dei tempi. In Luca la domanda vie­ ne posta secondo una versione analoga a quella di Marco : «Gli domandarono: "Maestro, quando dunque accadranno queste co­ se e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?"» (Le 2 1 , 7). Come vediamo, Luca non dice chi fosse stato a porre la domanda. Il discorso di Gesù nei sinottici è riportato in tre diverse re­ dazioni. Quella di Marco è simile a Matteo s ino alla formula: «Questo è l' inizio dei dolori» (Mc 1 3 ,5-8). Poi segue un passo simile alla parte dell ' esortazione di Gesù ai dodici discepoli (Mt 1 0, 1 7-22): ·

Ma voi badate a voi stessi ! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro . Ma prima è necessa­ rio che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. E quando vi con­ durranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello )•

Cfr. ad esempio: A.I. WJLSON, When Will These Things Happen?, p. 1 3 8 .

1 20

3. GERUSALEMME. G L I ULT I M I INSEGNAME N T I

che direte, ma dite ciò che in quell ' ora vi sarà dato: perché non sie­ te voi a parlare, ma lo Spirito Santo. Il fratello farà morire il fratel­ lo, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno (Mc 1 3 ,9- 1 2).

In Marco, come in Matteo, trov iamo le parole « sul l ' abomi­ nio della desolazione», ma senza riferimento al profeta Danie­ le, e presente non «nel luogo santo», ma «là dove non è leci­ to» . Alle parole sulla fuga d' inverno, in Marco non si aggiun­ ge «o di sabato» (lo stesso termine «fuga» neli ' edizione critica manca). Per il resto il testo seguente (Mc 1 3 , 1 3 -20) è simile a quello di Matteo. La versione di Luca, nei passi dove riporta dei paralleli alle versioni degli altri sinottici, è più vicina a Marco che a Matteo (Le 2 1 ,8- 1 9). Tuttavia, proprio nella versione di Luca ci trovia­ mo davanti all ' immagine della distruzione di Gerusalemme, che in Marco e Matteo è di fatto assente: Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sap­ piate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trova­ no neHa Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tomi­ no in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quel le che allattano, perché vi sarà grande cala­ mità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte ]e nazioni; Gerusalemme sa­ rà calpestata dai pagani finché i temp i dei pagani non siano com­ piuti (Le 2 1 ,20-24 ) .

Una differenza così sostanziale tra le versioni di Marco e Mat­ teo da un lato, e quella di Luca dall'altro, induce alcuni studiosi a ipotizzare che tutti e tre gli evangelisti potessero usare una fon­ te comune, scritta o orale, ma che Matteo e Marco avessero com­ posto i loro testi prima della distruzione di Gerusalemme, men­ tre la redazione finale di Luca sarebbe apparsa successivamente, e la profezia di Gesù vi sarebbe stata reinterpretata innanzitutto 121

MORTE E RESURREZIONE

come relativa a questo evento35 • Solo in Luca Gesù dice che Ge­ rusalemme verrà «circondata da eserciti» e «calpestata da paga­ ni»; solo in Luca leggiamo che in seguito al la presa di Gerusa­ lemme molti «Cadranno a fil di spada e s aranno condotti prigio­ nieri in tutte le nazioni» . In Marco e Matteo non ci sono parti­ colari tanto èoncreti, e l'unico passo che può essere interpretato come un riferimento diretto alla presa di Gerusalemme è la cita­ zione de li' «abominio della desolazione» presente nel «luogo san­ to», o , oppure: « È là>> , non credeteci ; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e fa­ ranno grandi segni e miracoli, cosi da ingannare, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l'ho predetto. Se dunque vi diranno: «Ecco, è nel deserto» , non andateci; «Ecco, è in casa» , non credeteci. Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, cosi sarà la venuta del Figlio dell' uomo. Dovunque sia il cadavere, li si radu­ neranno gli avvoltoi. Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le po­ tenze dei cieli saranno sconvolte. Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù del­ la terra, e vedranno il Figlio de/l 'uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all' altro dei cieli. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ra­ mo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l ' estate è vicina. Cosi anche voi: quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa gene­ razione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeran­ no, ma le mie parole non passeranno. Quanto a quel giorno e a quel­ l' ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre. Come furono i giorni di Noè, cosi sarà la venuta del Figlio dell 'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio man­ giavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell' arca, e non si accorsero di nulla fin­ ché venne il diluvio e travolse tutti : cosi sarà anche la venuta del Fi­ glio del l ' uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una 1 24

3. GERUSALEMM E . GL I ULTIMI INSEGNAMENTI

verrà portata via e l ' altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sa­ pete in quale giorno il Signore vostro verrà (Mt 24,23-42).

I l testo si suddivide in tre segmenti tematici indicati dai tre paragrafi . Una parte del primo segmento ha un parallelo in Mar­ co (Mc 1 3 ,2 1 -23), un' altra in Luca (Le 1 7,23-34). Il secondo segmento in Marco viene proposto in una redazione simile a quella di Matteo, anche se con qualche taglio, in particolare man­ ca il riferimento al «segno del Figlio dell'uomo» (Mc 1 3 ,24-27). In Luca il testo parallelo si differenzia considerevolmente: Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, men· tre gli uomini moriranno per la paura e per l ' attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio del! 'uomo venire su una nube con gran­ de potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste co­ se, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vi­ cina (Le 2 1 ,25-2 8).

Il terzo segmento inizialmente è simile in tutti e tre i sinottici (Mc 1 3,28-32; Le 2 1 ,29-3 3). Tuttavia in Luca l'espressione «è vi­ cino, è alle porte», è sostituita da «il regno di Dio è vicino», e man­ cano le parole «quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 1 3 ,32). Successivamente in Marco mancano le parole sui giorni di Noè (Mt 24,3 7-39), mentre in Luca queste parole erano state ripor­ tate in precedenza e all 'esempio di Noè era stato aggiunto quello di Lot (Le 1 7,26-3 6). Le parole sui due nel campo e sulle due don­ ne che macinano a1la mola mancano sia in Marco che in Luca L'in­ vito a vegliare in Marco acquista questa forma ampliata: È come un uomo, che è partito dopo aver lasciatp la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordina­ to al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino (Mc 1 3 ,34-3 5). 125

MORTE E RESURREZIONE

In Matteo a questo punto risuona il seguente appello: «Cerca­ te di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora del­ la notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassina­ re la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell' uomo» (Mt 24,43 -44). In Luca un analogo appello appare in un altro passo (Le 1 2,39-40). Quindi, tema principale dell'esortazione esposta in tutti i si­ nottici non sono gli eventi del futuro prossimo, la distruzione di Gerusalemme e le sciagure legate ad essa, ma gli eventi di gior­ ni dei quali nessuno conosce la scadenza, nemmeno il Figlio di Dio. Nel contempo, gli eventi del futuro prossimo possono es­ sere considerati una prefigurazione di eventi più lontani nel tem­ po, e la distruzione di Gerusalemme la prefigurazione della «fi­ ne dei tempi» . Come nei libri dei profeti dell' Antico Testamen­ to un piano temporale si sovrappone all'altro e avvenimenti del­ la storia del popolo di Israele diventano prefigurazione di even­ ti della storia universale, anche nel discorso di Gesù più piani temporali si sovrappongono, e le sciagure che ricadranno sul po­ polo di Israele al momento della conquista di Gerusalemme da parte dei romani prefigurano le sciagure e le pene che soffriran­ no tutti gli uomini della terra prima della fine del mondo. Proprio così il discorso di Gesù veniva interpretato nella tra­ dizione cristiana delle origini. È noto che subito dopo la resur­ rezione e l ' ascensione di Gesù al cielo, i discepoli cominciaro­ no ad attendere la sua seconda venuta. Qualcuno credeva che sarebbe potuta avvenire molto presto. A tale convinzione po­ tevano indurre, in particolare, le parole «non passerà questa ge­ nerazione prima che tutto questo avvenga», se interpretate non in relazione alla distruzione di Gerusalemme ma alla seconda venuta. Le lettere apostoliche rispecchiano il turbamento delle menti e le di scussioni sul tempo della seconda venuta, che probabil­ mente contraddistinguevano la comunità cristiana delle origini . Vi incontriamo indicazioni sul fatto che « la venuta del Signore è vicina»; «la fine di tutte le cose è vicina» ( l Pt 4, 7). Evidente­ mente alcuni membri della comunità erano sconcertati dal fatto 1 26

3. GERUSALEMME . GLI ULT I M I INSEGNAMENTI

che non fosse ancora sopraggiunta la seconda venuta che era sta­ ta promessa. In risposta san Pietro ricorda la m isericordia divi­ na e la subitaneità della seconda venuta: «Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentez­ za. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che al­ cuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del S ignore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveran­ no e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta» (2Pt 3 ,9- 1 0). Sembra che inizialmente san Paolo ritenesse che la venuta di Cristo sarebbe sopraggiunta mentre era ancora in vita: «Noi tut­ ti non moriremo, ma tutti saremo trasformati» ( l Cor 1 5 ,5 1 ); «An­ cora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire, verrà e non tarderà» (Eh l 0,3 7). N ella prima lettera ai Tessalo­ nicesi Paolo scrive: « . . . noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti . . . E prima risorgeranno i morti in Cri­ sto; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verre­ mo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Si­ gnore in alto, e così per sempre saremo con il Signore» (l Ts 4, 1 51 7). Tuttavia, nella seconda lettera ai Tessalonicesi, avendo evi­ dentemente compreso che la seconda venuta avrebbe potuto es­ sere rimandata, l'apostolo scrive: Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non ]asciarvi troppo pre­ sto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discor­ si, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il gior­ no del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l' apostasia e si rivelerà l' uomo dell' iniquità, il figlio della perdizione, l' avversario, colui che s' innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? (2Ts 2, 1 -5).

Alle pred izioni di Gesù sul fatto che la sua seconda venuta sa­ rà preceduta dal sopraggiungere di vari falsi profeti che si faran1 27

MORTE E RE SURREZIONE

no passare per il Messia, la tradizione cristiana delle origini ag­ giungeva la predizione dell'avvento di un falso profeta, l' «uomo dell' iniquità», ch iamato anticristo. Questo anticristo sarebbe sta­ to preceduto da altri. Caratteristiche le parole dell' apostolo Gio­ vanni: «Figlioli, è giunta l ' ultima ora. Come avete sentito dire che l 'anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già ve­ nuti. Da questo conosciamo che è l' ultima ora» ( l Gv 2, 1 8). Que­ ste parole dimostrano che la sensazione di vivere n eli' «ultima ora» e della prossimità della venuta di Gesù era caratteristica delle prime comunità cristiane. Tuttavia si attendeva il momento in cui «l'empio sarà rivela­ to e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta del­ l ' empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di mi­ racoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell ' i­ niquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accol­ sero l'amore della verità per essere salvati» (2Ts 2,8- 1 0). Questo empio era descritto come « l ' uomo del l ' iniquità, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s' innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fmo a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio» (2Ts 2,3-4). Queste parole di san Paolo furono scritte prima della distruzione del tempio di Geru­ salemme. Nella tradizione successiva la figura dell'anticristo acquistò ulteriori caratteristiche . lreneo di Lione nel II secolo scriveva che l'anticristo si sarebbe fatto passare per Dio: dopo aver otte­ nuto tutta la potenza del diavolo «verrà non come un re giusto, né come un re legittimo, sottomesso a Dio e docile alla sua leg­ ge, ma come empio e iniquo, come apostata, ingiusto e omicida, come ladrone che riassume in sé tutta l' apostasia del diavolo; egli abbatterà gli idoli per far credere di essere lui Dio . . . »36• lp­ polito di Roma, un autore del III secolo, vedeva nelle opere de li' anticristo una sorta di parodia dell'operato di Cristo:

36 1RENEO DI LIONE, Contro le eresie 5, 25, l (SC 1 53, 308); tr.

128

it.

459.

3 . GERUSALEMME. GLI ULTIMI IN SEGNAMENTI

Leone è Cristo, leone è anche l' anticristo; sovrano è Cristo, e so­ vrano - sia pure terreno - è anche l' anticristo. Il Salvatore è appar­ so nei sembianti di agnello; similmente anche quello si mostrerà co­ me un agnel lo, sebbene all ' interno rimarrà lupo. Il Salvatore

è en­

trato nel mondo circonciso, e s im ilmente giungerà anche quello. I l Signore h a inviato apostoli a tutte l e genti, e analogamente anch' egli invierà i suoi falsi apostoli.

Il Salvatore ha radunato le sue pecore

disperse, e anch' egli radunerà il popolo ebre o disperso. Il Signore

ha dato un sigillo a quanti credono in lui, e analogamente lo darà , anch ' egli. In sembianti di uomo è apparso il S ignore, in sembianti di uomo apparirà anch ' egli. Ha resuscitato e mostrato il Salvatore il suo corpo glorioso, come un tempio, e anch' egli restaurerà i l tem­ pio di pietre di GerusaJemme37•

È interessante che perfino due secoli dopo che Gesù aveva pre­ detto la distruzione del tempio di Gerusalemme, l'avvento dell'an­ ticristo fosse ancora collegato a Gerusalemme. Con la differenza che, se san Paolo riteneva che l 'anticristo si sarebbe «insediato nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio», ora, poiché il tempio non esisteva più, si credeva che avrebbe ripristinato l'antico tem­ pio di Gerusalemme. La storia dispose diversamente. Nel IV se­ colo l ' imperatore Costantino ricostruì Gerusalemme, non più co­ me città giudaica ma cristiana, individuandovi i luoghi legati alla vita, passione e morte di Gesù Cristo. Ma dopo la conquista della città da parte degli arabi nel VII secolo, sul luogo dell 'antico tem­ pio di Gerusalemme venne costruita la moschea (nel suo aspetto attuale esiste dalla fine del XII secolo). Del tempio è rimasta una sola parete, chiamata nella tradizione giudaica «Muro del pianto». Nel IV secolo G iovanni Crisostomo fa osservare che nel di­ scorso di Gesù vengono predette sia le future sciagure che gli ebrei dovranno subire dai romani, sia sciagure di tempi più lon­ tani, legate alla confessione della fede dei suoi discepoli: La guerra, dice, sarà duplice : quella degli impostori e quella dei nemici, ma la prima sarà molto più dura, perché andrà all ' assalto

37 IPPOLITO DI RoMA, Demonstratio de Christo et Antichristo 6 (PG 1 0, 733).

1 29

MORTE E RESURREZIONE

nella confusione e nello sconvolgimento delle cose, mentre gli uo­ min i saranno spaventati e turbati . Grande era allora la tempesta, quando la potenza romana cominciava a fiorire, le città erano con­ quistate, si muovevano armi ed eserciti e facilmente si dava credito a molti. Si riferisce alle guerre a Gerusalemme, non a quelle ester­ ne ovunque nel mondo che accadono sempre . . . Ma si riferisce alle guerre giudaiche che sarebbero sopraggiunte fra non molto, perché la loro preoccupazione era costituita dalla potenza romana. Poiché . . . i discepoli pensavano che la fine del mondo sarebbe avvenuta insie­ me alla distruzione del tempio, per correggere anche questa loro opi­ nione disse: «ma non è ancora la fine» . . . Parlando prima dei falsi Cristi, parla poi dei mali di Gerusalemme, confermando sempre, sul la base di ciò che era accaduto, gli eventi futuri anche per gli in­ sensati e pertinacP 8 •

Sempre nel lV secolo, san Girolamo sottolinea che « il segno dell' avvento del Signore sarà dato dall'annunzio del Vangelo a tutto il mondo, in modo che nessuno abbia più scuse» . Girolamo ritiene che «allora la predicazione sarà già completata, oppure la vedremo completarsi in breve tempo», perché, a parer suo, «non ci sarà popolo che ignorerà allora il nome di Cristo. E se anche presso qualcuno non giungerà un predicatore, quel popo­ lo riceverà dai popoli vicini la notizia della fede»39• Le parole di san Girolamo riflettono bene il modo di sentire dei cristiani del IV secolo, quando la fede, dopo essersi a lun­ go nascosta dai persecutori, uscì dalle catacombe, si diffuse in tutto l ' impero romano e divenne di fatto religione di Stato. Al­ lora molti poterono avere l' impressione che il comandamento lasciato da Gesù a predicare il Vangelo a «ogni creatura» fosse stato ormai adempiuto. La storia successiva ha tuttavia dimo­ strato che non era così . A distanza di venti secoli vastissime re­ gioni non sono ancora state conquistate dalla predicazione cri­ stiana e mil iardi di uom ini non hanno mai avuto un reale con­ tatto con Cri sto, anche se hanno sentito parlare di Lui attraver38 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di Matteo 75, l (PG 58, 687-688); tr. it. vol. 3 , p. 1 73 . 1 9 GIROLAMO, Commento al Vangelo di Matteo 4 , 24, 1 4 (CCSL 77, 225); tr. it. p . 248.

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3 . G ERUSALEMME. GLI ULTIMI INSEGNAMENTI

so i testi scolastici, o della Chiesa da Lui fondata attraverso i mass media. V 8 settembre del 1 990, alla vigilia della sua tragica morte per mano di un assassino, il famoso predicatore russo padre Aleksandr Men' tenne una conferenza pubblica sul cristianesimo in cui d i s­ se, tra l'altro: Soltanto le persone miopi possono immaginarsi che il cristiane­ simo sia un fatto realizzato, compiuto. In realtà ha mosso soltanto i primi passi. Molte parole di Cristo ci sono ancora oggi incompren­ sibili, perché siamo uomini di Neanderthal nello spirito. Perché la storia del cristianesimo è solo agli inizi, e quello che c'è stato in pas­ sato, e che oggi storicamente noi chiamiamo storia del cristianesi­ mo, è costituito per una buona metà da tentativi maldestri e fal li­ mentari di realizzarlo40•

Lasciando da parte la valutazione soggettiva e discutibile del­ la storia cristiana, soffermiamoci sul concetto fondamentale, che cioè la storia cristiana è solo agli inizi. Questa affermazione get­ ta nuova luce sulle secolari discussioni su quando verrà la fine del mondo e se la civiltà cristiana durerà ancora a lungo. Ai no­ stri giorni persino i filosofi laici preannunciano «la fine della storia» e scrivono «dell'ultimo uomo»4 1 , ed è diventato un luo­ go comune chiamare la nostra epoca «postcristiana». «Gli ultimi tempi» sono cominciati con la venuta sulla terra del Figlio di Dio incarnato, Gesù Cristo. Ma essi possono dura­ re a lungo, e possiamo attendere la fine della storia ancora per molti secoli. Le profezie di Gesù si realizzano in varie epoche: popoli si sollevano contro altri popoli, ci sono guerre, carestie, epidemie e terremoti, sorgono falsi profeti e traggono molti in inganno, in molti si raffredda l 'amore. Ma la prossimità della se­ conda venuta e della fine della storia non sono concepibili esclu-

40 A. MEN', Mirovaja duchovnaja kuOura (La cultura religiosa universale), p. 4 1 . Queste espressioni sono diventate concetti chiave nella filosofia della storia del fi­ losofo hegeliano americano contemporaneo Francis Fukuyama (che utilizza questi ter­ mini peraltro al di fuori di qualsiasi contesto religioso). 41

131

MORTE E R E SURREZIONE

sivamente secondo categorie cronologiche. Alla domanda «quan­ do?» il Figl io di Dio dà una risposta univoca: «Quanto però a quel giorno o a quell ' ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 1 3 ,32); Gesù invita i suoi discepoli a non calcolare «tempi o momen­ ti che il Padre ha riservato al suo potere» (At l , 7), ma a restare vigili . Proprio questo invito è il motivo dom inante nelle tre pa� rabole che nel Vangelo di Matteo seguono la predizione della se� conda venuta: la parabola del servo fedele (Mt 24,45-5 7), delle dieci vergini (Mt 25, 1 - 1 3 ) e dei talenti (Mt 25, 1 4-30). Le abbia­ mo esaminate, come anche la parabola del Vangelo di Marco sull'attesa del padrone di casa (Mc 1 3 ,32-3 7), nel libro Le para­ bole di Gesìt2•

5. Il Giudizio universale

In questo paragrafo ci resta da analizzare la parte conclusiva dell'ultima esortazione di Gesù nel Vangelo di Matteo. Essa non ha paralleli negli altri Vangeli : Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli an­ geli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verran­ no radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua de­ stra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato, per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete ve­ stito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a tro­ varmi» . Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbia­ mo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti ab-

42 Cfr. : ILARION

(ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol . IV: Le parabole di

Gesù, pp. 5 1 2-5 5 5 .

1 32

3. G E R U S A LEMME. GLI U LT I M I I N S EGNAMENTI

biamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti ab­ biamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?>> . E il re rispon­ derà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno so­ lo di questi miei fratelli più piccol i, l' avete fatto a me» . Poi dirà an­ che a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledet­ ti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, per­ ché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete vi­ sitato» . Anch' essi alJora risponderanno: «Signore, quando ti abbia­ mo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in car­ cere, e non ti abbiamo servito?» . A llora egli risponderà loro: « In ve­ rità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l' avete fatto a me». E se ne andranno: questi al sup­ plizio eterno, i giusti invece alla vita eterna (Mt 25,3 1 -46).

Non di rado questo passo viene considerato una parabola e quindi inserito negli studi sulle parabole di Gesù43 • Talvolta vie­ ne chiamata parabola del Giudizio universale4\ o delle pecore e dei capri45 • Tuttavia, a parer nostro, questa esortazione non è una parabo la, perché l'immagine del pastore che divide le pecore dai capri è presente solo al l' inizio e viene usata come un semplice paragone; in seguito tale immagine non viene sviluppata. Usan­ do la classificazione di Origene, l' immagine del pastore e delle pecore potrebbe rientrare nella categoria delle similitudini46• Nel quadro del Giudizio universale che Gesù propone, è Lui stesso a occupare il posto principale. Tuttavia nella parabola non si presenta così come lo vedeva la gente, ma come un re seduto «sul trono della sua gloria» . È la gloria che possedeva in quanto «Figlio unigenito» (Gv 1 , 1 4), ancora 47 non reggono a una seria critica. Separare i gen­ tili collocandoli in una categoria a sé stante di persone che atten­ dono il giudizio è in contrasto con il modo di pensare di Gesù, come ci viene presentato nelle pagine del Vangelo48• L' espres­ sione «tutti i popoli» in questo caso significa «tutti gJ i uomini», senza esclusioni. Per quanto si parli di popoli, il giudizio non è sui popoli, ma sugli individui. Ognuno si presenta davanti al Giudice adperso­ nam, personalmente. Per chi crede in Gesù come Dio e Salvato­ re questo incontro è P atteso e gioioso coronamento di un cam­ m ino di sequela e di opere buone compiute nel suo nome. Per chi non ha creduto, al contrario, è un fatto inatteso. In ogni caso, sia i primi che i secondi chiedono: «Quando mai ti abbiamo vi­ sto . . ? e scoprono che Gesù li ha visitati nelle sembianze dei sof­ ferenti e dei bisognosi. I criteri che distinguono i giusti dai peccatori non hanno un carattere né religioso né rituale. L'elenco delle opere buone che rientravano nel codice della giustizia dei farisei comprendeva tra le altre cose il digiuno e la decima (Le 1 8,2), lunghe preghiere e sforzi per convertire i pagani (Mt 23 , 1 4- 1 5), lavature di bicchie­ ri, stoviglie, oggetti di rame e letti (Mc 7,4 ), una rigorosa osser­ vanza della «tradizione degli antichi» (Mt 1 5 ,2; Mc 7,3 -6). Nes­ suna di queste virtù viene menzionata da Gesù, che nomina in­ vece varie forme di soccorso ai bisognosi. Giovanni Crisostomo osserva che le opere buone che Gesù si attende. dagli uomini non hanno nulla di difficile o di straordina­ rio : «Non ha detto: Ero in carcere e mi avete liberato; ero infer­ mo e mi avete rimesso in piedi, ma: Mi avete visitato e : Siete venuti a trovarmi»49• In altri passi Gesù parla de) ] ' importanza anche delle più piccole opere di misericordia: «Chi avrà dato da .

47 T. W. MANSON, The Sayings ofJesus, p. 250; J. JEREMIAS, The Parab/es of Jesus, p. 209. 48 Più in particolare, sul significato deli 'espressione n6:vra tèl é6vrt e del tennine é6vrt, cfr. : A. HULTGREN, The Parables ofJesus, pp. 3 1 2-3 14. L' autore arriva alla conclusione che in questo caso si parla di ebrei e pagani accomunati insieme. 49 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di Matteo 19, l (PG 58, 793); tr. it. vol . 3, p. 245 .

1 36

3. GERUSALEMME. GLI ULT IMI I N SEGNAMENTI

bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi pic­ coli . . . in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 1 0,42). Dunque, la ricompensa celeste non viene elargita per grandi gesti e imprese, ma per le piccole e nascoste opere buo­ ne che l'uomo compie nella sua vita quotidiana. Gesù elenca sei categorie di bisognosi : gli affamati, gli asse­ tati, gli stranieri, gli ignudi, i malati e i prigionieri. L'ultima ca­ tegoria si differenzia dalle altre nel senso che di essa fanno par­ te perlopiù persone responsabili della propria rovina, poiché in genere si finisce in prigione in seguito a dei reati commessi . Tut­ tavia Gesù non fa alcuna differenza tra chi ha bisogno di mise­ ricordia a motivo di circostanze oggettive, di cui non ha colpa, e chi è colpevole di reati: sia i primi che i secondi meritano m i.;. sericordia. Nella tradizione successiva della Chiesa i principi determi­ nanti l 'atteggiamento verso i condannati si formarono a partire da questa direttiva fondamentale. Pur non mettendo in discus­ sione la legittimità della condanna inflitta dall'autorità terrena, la Chiesa ha sempre guardato ai prigionieri facendone oggetto di attenzione pastorale e di amore: «La Chiesa non si fa giudice dell' uomo che ha infranto la legge, ma è chiamata a prendersi cura della sua anima. Proprio per questo intende la punizione non come una vendetta, ma come uno strumento di purificazio­ ne interiore del peccatore» . Secondo l ' insegnamento della Chie­ sa, «la privazione o la limitazione della libertà offre all ' uomo che si è posto fuori della società, la possibil ità di rivalutare la propria vita, per ritornare in J ibertà interiormente purificato . . . Durante il periodo di lavoro correzionale il peccato che è nel pro­ fondo della sua anima deve lasciare il posto all'edificazione, all 'ordine, alla pace interiore»50• Nella Russia prerivoluzionaria perfino i condannati a morte venivano assistiti dal sacerdote fi­ no all'ultimo istante. Le sei categorie di bisognosi vengono citate da Gesù come so Osnory social 'noj koncepicii Russkoj Pr.avoslavnoj Cerlcvi (Fondamenti della con­ cezione sociale della Chiesa ortodossa russa) I X, 3 .

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M O RTE E R E S U R RE ZIONE

esempi, e non sono certo un elenco esaustivo di coloro a cui bi­ sogna prestare aiuto. È anche evidente che le opere buone non si riducono a soddisfare i bisogni materiali delle persone. Come sottolinea un antico esegeta, questo passo «può essere compre­ so anche in riferimento ai maestri che hanno dato il nutrimento della dottrina agli affamati di giustizia . . . che hanno dato la be­ vanda della verità agli assetati di conoscenza di Dio . . . Accoglie Cristo stesso chi, insegnando la giustizia, riveste gli ignudi, cioè chi non possiede le vesti dalla giustizia» 5 1 • In questo l'esegeta segue Origene, che mostra come coloro che insegnano agl i uo­ m ini le virtù tessono loro abiti, rivestendo in tal modo Cristo, perché la sua parola non resti ignuda in questo mondo52 • I l punto centrale di questa esortazione è la solidarietà di Ge­ sù con tutti i bisognosi, la sua disponibilità a identificarsi piena­ mente con loro. Anche in precedenza, in molti altri insegnamen­ ti Gesù aveva chiamato beati coloro che hanno fame e piangono (Le 6,2 1 ), aveva chiamato a sé gli stanchi e gli oppressi (M t 1 1 ,28), aveva portato ad esempio i poveri e gli umili (Mc 1 2,42; Le 1 6,20; 2 1 ,2), aveva esortato a dare i propri beni ai poveri (Mt 1 9,2 1 ; Mc l 0,2 1 ), aveva invitato al banchetto poveri, storpi, zop­ pi, ciechi (Le 1 4, 1 3 ). Tuttavia mai finora Gesù aveva identifica­ to se stesso con i bisognosi, come in questo discorso sul G iudi­ zio universale. Egli è pronto a identificarsi persino con un mal­ fattore rinchiuso in prigione, e lo chiama, al pari degli altri, un suo fratello più piccolo. Esprimendo una totale e assoluta solidarietà con tutti i biso­ gnosi, chiamandoli suoi fratelli più piccoli, Gesù invita gli uo­ m ini a concepirsi vicendevolmente come fratelli. Un teologo contemporaneo scrive: Dio non ha bisogno di niente da noi per se stesso; non ha biso­ gno di nulla. Non può essere affamato il Creatore del pane; non può avere sete il Creatore dell' acqua; non può essere ignudo colui che 5 1 PsEUDO-GIOVANNI CRISOSTOMO, Eruditi commentarii in Evangelium Matthaei in­ certo auctore 54 (PG 56, 944). 52 0RIGENE, Commento al Vangelo di Matteo 72 (GCS 38/2, 1 69).

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3 . G E RUSALEMME . GLI ULT I M I I N S EGNAMENTI

ha rivestito tutte le sue creature; non può essere malato colui che è la Fonte della salute; non può essere in prigione il Signore dei si­ gnori. Ma Egli richiede da noi la carità per addolcire e nobilitare i nostri cuori . Essendo onnipotente, Dio potrebbe rendere in un istan­ te tutti gli uomini ricchi, sazi, vestiti e soddisfatti. Ma Egli pennet­ te che gli uom ini abbiano fame e sete, provino le malattie, le soffe­ renze e la povertà per due ragioni. In primo luogo, perché chi sop­ porta tutto ciò con pazienza intenerisca e nobiliti il proprio cuore, si ricordi di Dio e si prostri dinanzi a Lui con fede orante. In secondo luogo, perché chi non prova queste cose (i ricchi, i sazi, i vestiti e i sani, i forti e i liberi) veda le sofferenze umane e per mezzo della carità addolcisca e nobil iti il proprio cuore, e perché le sofferenze altrui diventino la sua sofferenza, e l' altrui umiliazione la propria umiliazione, riconoscendo in tal modo la fraternità e l'unità di tutti gli uomini sulla terra53•

A chi si riferisce Gesù nel suo discorso quando parla dei suoi fratelli più piccoli? Gli studiosi contemporanei hanno opinioni contrastanti al riguardo. Alcuni tendono a vedere nei fratelli più piccoli tutti i bisognosi di aiuto; altri ritengono che Gesù si rife­ risca qui a tutti i suoi seguaci; altri ancora ai suoi discepoli che saranno coinvolti nell 'attività missionaria54• Secondo le ultime due interpretazioni, il criterio su cui verranno giudicati gli uo­ mini al Giudizio universale sarà il modo in cui hanno accolto i discepoli di Gesù. Tuttavia queste interpretazioni ci sembrano artificiose. Nel testo non c'è alcun indizio del fatto che Gesù considerasse suoi fratelli solo i discepoli. Al contrario, nel suo discorso vi sono tutti gli indizi del fatto che considerasse suo fra­ tello ogni uomo bisognoso di aiuto. La sentenza che il Giudice emette è definitiva e inappellabile. Osserviamo le parole che indicano la sorte dei giusti e dei pec­ catori : i primi entreranno nella «vita eterna», i secondi nel «sup­ plizio eterno». Ai giusti il re dice: «Venite, benedetti del Padre 5.1 NIKOLAJ (VELIMIROVIC), Tvorenija (Opere), vol. l , pp. 2 1 0-2 1 1 . 54 Per un excursus sulle diverse posizioni, cfr. : A. HuLTGREN, The Parab/es ofJesus, pp. 3 1 8-323.

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MORTE E RESURREZIONE

mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla crea­ zione del mondo». E ai peccatori : «Via, lontano da me, maledet­ ti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli». Entrambe le condizioni vengono definite eterne. Ma il Regno è stato preparato fin dalla creazione del mondo, mentre il fuoco eterno è stato semplicemente preparato. Dietro questa differen­ za quasi impercettibile ce n'è una sostanziale, ontologica, tra ciò che Dio ha preparato sin dall' inizio per tutti gli uomini e ciò che è stato introdotto nella vita degli uomini malgrado la sua volontà. Secondo la concezione cristiana, Dio non 'ha creato il male . Esso è sorto come conseguenza della disobbedienza del diavolo alla volontà di Dio, ed è entrato nel la vita degli uomini attraver­ so la tentazione del diavolo. Dalla creazione del mondo per gli uom ini era stato preparato solo il Regno, nel quale, se avessero perseverato nel bene e ne li' obbedienza a Dio, essi avrebbero do­ vuto elevarsi a una conoscenza sempre più profonda di Dio, a un'unione sempre più piena con la sua bontà. Tuttavia già la pri­ ma generazione di uomini commise un errore, cedendo alla ten­ tazione dal diavolo, e ogni generazione successiva ripeté questo errore. Nessun uomo è esente dalla tara ereditaria che si esprime nella sua inclinazione al peccato. Ma nessun uomo è legato dai vincoli del peccato al punto da non avere la possibilità di Iibe­ rarsene e di sbarazzarsi del peso di questa eredità, riacquistando attraverso le opere buone il Regno di Dio che aveva perduto. Quanto corri sponde l ' idea del supplizio eterno dei peccato­ ri al la dottrina di Dio come un Padre che ama sia i giusti che i peccatori, che costituisce uno dei temi principali del la predi­ cazione evangel ica di Gesù? Non c'è una contraddizione insu­ perabile tra la bontà divina e il supplizio eterno dei peccatori? Se Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano al­ la conoscenza del la verità» ( l Tm 2,4 ) , perché non riesce a rea­ lizzarlo? A questo e altri interrogativi simili lungo i secoli si è sforzato di rispondere il pensiero teologico sia del l ' Occidente che del l 'Oriente cristiano, giungendo a soluzioni un po ' diver­ se nelle due tradizioni. 1 40

3. GERUSALEMME. GLI ULTIMI IN SEGNAMENTI

In Occidente si è formata la dottrina del purgatorio, un luogo intermedio tra l ' inferno e il paradiso dove i peccatori si trovano temporaneamente e dal quale è possibile liberarsi. Come fonda­ mento biblico della dottrina del purgatorio viene addotta in pri­ mo luogo l' immagine deJia prigione in cui viene recluso il debi­ tore nel Discorso della montagna e nel Discorso della pianura: «In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fi­ no all ' ultimo spicciolo» (Mt 5 ,26; cfr. Le 1 2,59). Questa imma­ gine, secondo i teologi latini, testimonia il carattere temporaneo e purificatore delle pene post morte m. Vengono anche ricordate le parole del Salvatore sul peccato che non sarà perdonato «né in questo mondo né in quello futuro» (Mt 1 2,32): se ne deduce che esistano dei peccati che possono essere perdonati nel mon­ do futuro, e che di conseguenza sia possibile essere liberati dal­ la punizione inflitta per essi . Nella tradizione orientale la dottrina sul purgatorio è sempre stata respinta. Tuttavia, alcuni teologi a partire da Origene han­ no sostenuto che i supplizi dei peccatori non saranno eterni. Gre­ gorio di N issa, in particolare, scrive: «Una volta distrutto il ma­ le dopo un lunghissimo periodo di tempo, non rimarrà altro che il bene. Anche gli inferi, infatti, riconosceranno concordemente la signoria di Cristo» 55. Sempre sulle orme di Ori gene, parla an­ che della possibilità della salvezza finale del diavolo e dei de­ moni56. Anche Isacco di Ninive sostiene queste concezioni57 • La dottrina del carattere temporaneo delle pene post mortem per i peccatori e della possibi lità della salvezza per il diavolo e i demoni nella versione presentata da Origene venne condanna­ ta dal IV Concilio ecumenico. In un'altra pubblicazione abbia­ mo già indicato dettagliatamente i principi secondo i quali que­ sta dottrina venne respinta dalla Chiesa58• In particolare, essa

" GREGORIO DI N ISSA, L 'anima e la risurrezione (PG 46, 72B); tr. it. p. 30. l. Discorsi spirituali 39-40 (CSCO 554, 1 5 1 - 1 68). '8 lLARION (ALFEEV), La Chiesa ortodossa, vol. 2, Dottrina, pp. 574-5 79.

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MORTE E R E S URREZIONE

esclude il concetto del libero arbitrio, cioè l ' idea che seguire Cri­ sto nella vita eterna sia possibile solo in forza di una libera scel­ ta. Inoltre, essa contraddice radicalmente le direttive fondamen­ tali della morale cristiana. In che cosa consiste il senso morale di tutto i l dramma della storia umana, se il bene e il male in ul­ tima analisi vengono ad essere equiparati davanti alla misericor­ dia e alla giustizia di Dio? Che senso ha separare le pecore dai capri al Giudizio universale se il bene non è il criterio unico e assoluto in base al quale avviene tale separazione, o se questa separazione ha un carattere temporaneo? Che senso hanno le sof­ ferenze, le preghiere, gli sforzi ascetici, l'osservanza dei coman­ damenti evangelici, se i giusti verranno prima o poi equiparati ai peccatori? Già nel IV secolo l ' imperatore Giustiniano, principale promo­ tore della condanna di Origene, si chiedeva se fosse giusto «ac­ comunare coloro che hanno condotto fino al la fine una vita di perfezione, con iniqui e pederasti e ritenere che gli uni e gli altri saranno deliziati dai medesimi beni»59• Ai nostri tempi la stessa domanda può essere posta nei confronti di famosi personaggi storici: possono trovarsi nello stesso Regno dei cieli le vittime dei campi di concentramento nazisti e Hitler, le vittime delle re­ pressioni staliniane e Stalin, le vittime degli attentati terroristici e i loro organizzatori? È possibile equiparare aguzzini e martiri, violentatori e assassini alle loro vittime? Il problema fondamentale legato all ' insegnamento evangeli­ co sui supplizi eterni ha un carattere non tanto teologico quanto antropologico. Nonostante l'opinione di alcuni teologi occiden· tali, Dio non ha predestinato nessun uomo al fuoco eterno, pre­ parato per il diavolo: sono gli uomini stessi, volontariamente e coscientemente, a scegliere il diavolo. Il fuoco eterno non è sta­ to preparato né per il diavolo né per gli uomini «fin dalla crea­ zione del mondo», ma sono stati il diavolo e gli uomini da lui sedotti a crearlo per se stessi. 5 9 GrusTINIANO, «Lettera al Santo Concilio su Origene e i suoi seguaci», Acta conci­ /iorum oecumenicorum.

1 42

3 . GERUSALEMME. GLI ULTIMI INSEGNAMENTi

Il giudizio divino comincia sulla terra, dove taluni uomini si mettono dalla parte di Dio, vanno verso la luce e agiscono se­ condo verità, e altri si allontanano da Dio, odiano la luce e fan­ no il male. Il Giudizio universale escatologico sarà solo il com­ piersi del giudizio già cominciato sulla terra, l'assegnazione de­ finitiva all'uomo della condizione che egli stesso si è scelto . * * *

L' esortazione sul Giudizio universale in Matteo conclude la serie di cinque esortazioni di Gesù inserite nella trama narrativa del suo Vangelo. La narrazione riprende dopo ognuna delle quat­ tro precedenti con la formula: «Quando Gesù ebbe term inato questi discorsi . . . » (Mt 7,28); «Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli . . . » (Mt 1 1 , l ); «Ter­ minate queste parabole . . . » (M t 1 3,53); «Terminati questi discor· si . . . >> (Mt 1 9, l ). Alla quinta esortazione segue una formula un po' diversa: «Terminati tutti questi discorsi . » (M t 26, l ). La pa­ rola «tutti» indica la fine della missione pedagogica di Gesù . Da questo momento Gesù, in Matteo e negli altri due sinotti­ ci, parlerà solo per brevi repliche. A un certo punto tacerà (Mt 26,63 ; Mc 1 4,6 1 ) . D' ora in poi l' attenzione del lettore non si concentrerà più sul contenuto deJla sua predicazione, ma su Lui stesso. Gli evangelisti, ognuno a suo modo, racconteranno come Gesù si comportò negli ultimi giorni e neJle ultime ore della sua vita, come morì sulla croce e come poi resuscitò dai morti. Pro­ prio questo racconto costituisce il senso di tutta la narraz ione che lo precede. E solo alla luce di questo racconto comprendiamo appieno il contenuto delle esortazioni di Gesù che abbiamo espo­ sto in precedenza, ogni parola delle quali è stata pagata a prezzo del suo sangue. .

1 43

.

Capitolo 4 IL COMPLOTTO DEI CAPI DEI SACERDOTI, LA CENA A BETAN IA E IL TRADIMENTO DI GIUDA

La storia della passione si apre con i tre episodi che conside­ reremo in questo capitolo: il complotto dei capi dei sacerdoti, la cena a Betania e il tradimento di Giuda. Nei Vangeli di Matteo e Marco questi episodi si susseguono uno dopo l'altro, e dal pun­ to di vista della composizione letteraria costituiscono un tutt'uno, all' interno del quale il secondo episodio occupa il posto princi­ pale, mentre il primo e il terzo hanno rispettivamente la funzio­ ne di preludio e postludio.

l . Il complotto dei capi dei sacerdoti

Del complotto dei capi dei sacerdoti ci parla più dettagliata­ mente Matteo. Dopo aver riportato l ' ultimo discorso di Gesù, l' evangelista scrive: Tenninati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell' uomo sarà con­ segnato per essere crocifisso» . Al lora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. Diceva­ no però: «Non durante la festa, perché non avvenga una rivolta fra il popolo» (M t 26, 1 -5).

La prima frase di questo passo riporta la predizione di Gesù circa la propria morte (come abbiamo già visto, è la quinta voi1 45

MORTE E RESURREZIONE

ta). La seconda frase riporta il racconto della riunione che Mar­ co descrive brevemente : «Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli seri bi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti : "Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo"» (Mc 1 4, 1 -2). Luca parla di questa riunione in modo ancora più laconico (Le 22, 1 -2). La narrazione di Giovann i si differenzia sensibilmente da quello che leggiamo nei sinottici. Nella sua versione infatti la riunione dei capi dei sacerdoti viene subito dopo la resurrezio­ ne di Lazzaro: Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Al lora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lascia­ mo continuare cosi, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e di­ struggerann o il nostro tempio e la nostra nazione)) . Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell ' anno, disse loro: «Voi non ca­ pite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un so­ lo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione interab). Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell 'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da li si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?)) . Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano da­ to ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, per­ ché potessero arrestarlo (Gv 1 1 ,45-57).

È evidente che in Giovanni si parla di una riunione avvenuta un po' prima di quella descritta nei sinottici. Quest'ultima si svol146

4. IL COMPLOTTO DEI CAPI DEI SACERDOTI

se due giorni prima della Pasqua, mentre la riunione di cui parla Giovanni doveva già essere avvenuta qualche settimana prima 1 • Nel periodo di tempo tra le due riunioni Gesù si ritira a Efraim, dove rimane con i discepoli. Nei sinottici questo fatto non viene menzionato, e gli studiosi discutono di quale città possa trattar­ si. Alcuni ritengono che fosse di «Baal-Asor, presso Efraim», ci­ tata nel secondo libro di Samuele (2Sam 1 3 ,23 ). Altri associano Efraim a Ofra ( Gs 1 8,23 ; Gdc 6, I l ; l Sam 1 3 , l 7), Efron (2Cr 1 3 , 1 9) o Afèrema ( I Mac Ì 1 ,34). Ancora nel IV secolo Eusebio di Cesarea situava Efraim a una distanza di venti miglia (circa trenta chilometri) da Gerusalemme2• Oggi la maggior parte de­ gli studiosi identifica Efraim con l ' insediamento di Taybeh, si­ tuato a ventiquattro chilometri da Gerusalemme su un'alta col­ lina, da cui si vede la valle di Gerico e il Mar Morto3 • Abbiamo dunque notizia di due riunioni. La prima è descritta più dettagliatamente. Durante questa riunione l 'argomento prin­ cipale è il seguente : « Se lo lasciamo continuare così, tutti crede­ ranno in lui, verranno i Romani e distruggeranno questo luogo [seguiamo qui la versione della traduzione sinodale russa] e la nostra nazione» . Per « luogo» si possono intendere sia l ' intero paese sia Gerusalen;-me. Alcuni commentatori vi vedono un ri­ ferimento al tempio di Gerusalemme, luogo santo per tutto il po­ polo di Israele4• Nella stessa accezione di «tempio» il secondo libro dei Maccabei menziona «luogo» e «popolo» (2Mac 5, 1 9). A prima vi sta l ' argomento potrebbe sembrare strano : che rapporto esiste tra Gesù, la sua predicazione del Regno dei cie­ li, e una possibile invasione di Gerusalemme da parte dei ro­ mani? In realtà, la storia della passione mostra che gli argo­ menti politici vennero ripetutamente usati contro Gesù, e i suoi oppositori li impiegarono sia per dimostrare il proprio attacca­ m ento agli interessi di Israele, sia, al contrario, per dimostrare lealtà al potere degli occupanti romani. Esigendo da Pilato la 1 R.E. BROWN, The Gospel according John (l-XII), p. 44 1 . 2 EusEBIO DI CESAREA, Onomastikon (GCS I 1 1 1 , 86). 3 A. E. PETROV, ( Ècrnv 'tÒ Ka'tét.ÀUJui J.lOU ), nella quale mangerò la Pasqua assie­ me ai miei discepoli?» . In Luca l 'aggettivo possessivo «mia» non c ' è, mentre secondo Marco a Gerusalemme Gesù aveva una sua stanza - probabilmente in casa di un amico o di un di­ scepolo segreto - di cui i discepoli non erano al corrente. An­ che i profeti Elia ed Eliseo avevano «proprie» stanza di questo tipo in casa d' altri : Elia aveva una stanza al piano superiore, dove usava fennarsi, nella casa della vedova di Zarepta di Si­ dane ( I Re 1 7, 1 9); Eliseo aveva nel la casa di una donna di Su­ nem «una piccola stanza superiore, in muratura», dove aveva­ no preparato per lui «un letto, un tavolo, una sedia e un cande­ liere» (2Re 4, l 0). Anche la stanza dove prepararono la cena a Gesù era al primo piano, come dice la parola àv6.yatov, che indica appunto un luo­ go al piano superiore, sotto il tetto, a cui si accedeva attraverso ..

1 78

5. L' ULTIMA CENA

una scala di pietra o più spesso di legno. In questo caso, i disce­ poli dovevano trovare una stanza «grande, arredata e già pron­ ta», dove quindi il padrone di casa aveva disposto in anticipo il luogo per la cena pasquale. Ai discepoli non restava che appa­ recchiare la tavola. L' espressione «immolare l ' agnello pasquale» sta a indicare che l'agnello, la cui carne veniva mangiata durante la mensa pa­ squale, era sacrificate : era stato precedentemente offerto in sa­ crificio al tempio di Gerusalemme. Secondo Giuseppe Flavio, nel periodo di Pasqua «si offrono sacrifici dali' ora nona fino all' undicesima, e attorno a ogni sacrificio si raccoglie un grup­ po di confratelli in numero non inferiore a dieci - perché non è lecito sedere da solo alla mensa rituale - e sovente essi raggiun­ gono la ventina»7• Alcuni studiosi suppongono che Gesù e i di­ scepoli avessero recato in offerta un agnello nel tempio di Ge­ rusalemme. Ecco come descrive l'evento uno studioso contem­ poraneo: Gesù e i suoi discepoli entrarono nel cortile interno del tempio. Come capo del gruppo Gesù sgozzò un agne llo di un anno o un capretto, detto Kno!:l pasbalrr.auxa (pasqua), e ne fece colare il san­ gue in un vaso d' oro o d' argento . . . L' aria era piena dell' odore del sangue e del grasso bruciato mischiato all' odore dell' incenso. I le­ viti, e forse molti altri cantarono l' hallef8, accompagnati dalle trom­ be e da altri strumenti musicali . . . L'animale veniva scuoiato e il passo successivo era evidente : bisognava portarlo nel luogo dove sarebbe stato consumato; lì doveva essere arrostito e cosi via. I di­ scepoli di Gesù chiesero dove questo sarebbe avvenuto perché non lo sapevano9•

La ricostruzione che abbiamo proposto si basa sulla supposi­ zione che Gesù e i suoi discepoli avessero offerto in sacrificio l'agnello pasquale prima di mangiarlo. Tuttavia nei Vangeli non 7

GIUSEPPE fLAVIO, Guerra giudaica 6, 9, 3; tr. it. p. 454. 8 I Salmi 1 1 2- 1 1 7, cantati dai !eviti mentre offrivano la vittima pasquale. 9 M. CASEY, Aramaic Sources ofMark s Gospel, p. 222.

1 79

MORTE E RESURREZIONE

troviamo alcuna indicazione del fatto che tale offerta sacrificale avesse luogo. Non solo: in nessuno dei Vangeli si menziona la partecipazione di Gesù al culto del tempio. Sappiamo che nelle grandi feste si recava al tempio di Gerusalemme, sappiamo che ne scacciò i mercanti, che insegnò nel tempio, che osservò la rac­ colta delle offerte; ma neppure una volta lo vediamo prendere parte a riti sacrificati. Se all'Ultima cena venne portato in tavola un agnello immo­ lato, il sacrificio poteva essere stato compiuto dal padrone della stanza in cui Gesù si riunì con i discepoli. Ma se seguiamo la cronologia di Giovanni, all' Ultima cena avrebbe potuto non es­ serci l'agnello sacrificate. Dobbiamo inoltre tener presente che i l convito, successivamente chiamato Ultima cena, non venne affatto pensato da Gesù semplicemente come mensa pasquale ri­ tuale. Infine, nella ricostruzione citata è trascurato un elemento im­ portante. Gesù, secondo il Vangelo di Marco, disse ai discepoli di andare in città; e i discepoli ci andarono e vi entrarono. Que­ sto significa che la conversazione si svolse fuori città, e certo non nel tempio di Gerusalemme, dove si compivano i riti sacri­ ficali. Molto probabilmente il dialogo ebbe luogo a Betania, do­ ve Gesù pernottava. Per quanto riguarda l ' espressione di Marco otE tò xacrxa €8uov (letteralmente: «quando immolavano la pasqua», ossia quando offrivano in sacrificio l ' agnello pasquale), essa si riferi­ sce all' usanza generale10, e non certo al fatto che Gesù e i disce­ poli avessero compiuto il rito sacrificate. Fin dalle primissime pagine del Vangelo di Giovanni sentia­ mo parlare di Gesù come dell' Agnel1o di Dio: così lo chiama Giovanni Battista (Gv 1 ,29.37). La parola «agnello» indica in­ nanzitutto l' agnello sacrificale della Pasqua. Secondo la crono­ logia del quarto Vangelo, l'Agnello di Dio muore in croce nel momento preciso in cui nel tempio di Gerusalemme vengono

10

V.

TAYLOR, The Gospel according to St. Mark, p. 537.

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5 . L'ULTIMA CENA

immolati gli agnelli pasquaJi1 1 • Ma Giovanni Battista dice anche che l'Agnello di Dio «toglie il peccato del mondo» (Gv l ,29). In queste parole è contenuto un simbolismo collegato alla vitti� ma espiatoria del l ' Antico Testamento. Secondo le prescrizioni della legge mosaica poteva essere offerto come vittima per il peccato un vitello, un capretto o un agnello (Lv 4), e questo sa� crificio non aveva rapporto diretto con il sacrificio pasquale, che non era considerato espiatorio. La tradizione cristiana delle origini concepiva unanimemente la morte in croce di Gesù come un gesto di espiazione per i pec� cati degli uomini, che una volta per tutte aveva reso inutili gli innumerevoli sacrifici di cui abbonda il culto veterotestamenta� rio. San Pietro dice che gli uomini sono stati redenti «con il san­ gue prezioso di Cristo, agnel lo senza difetti e senza macchia» ( l Pt l , 1 9). I l tema è sviluppato più ampiamente nella lettera agl i Ebrei: La Legge, infatti, poiché possiede soltanto un' ombra dei beni fu­ turi, non ha mai il potere di condurre alla perfezione per mezzo di sacrifici - sempre uguali, che si continuano a offrire di anno in an­ no - coloro che si accostano a Dio . . . Invece in quei sacrifici si rin­ nova di anno in anno il ricordo dei peccati. È impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice : Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato Mediante quella volontà siamo sta­ ti santificati per mezzo de l i ' offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre. Ogn i sacerdote si presenta giorno per giorno a ce­ lebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non pos­ sono mai eliminare i peccati. Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati , si è assiso per sempre alla destra di Dio . . . Infatti, con un'unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati (Eh 1 0, 1 .3-5 . 1 0- 1 2. 1 4). ...

Questa dottrina non era l ' opinione personale del l 'autore del� la lettera agli · Ebrei, ma rispecchia la concezione della Chiesa 1 1 R. ScHNACKENBURG,

The Gospel according to St. John, vol . 1 , p. 299.

181

MORTE E RE S U RREZIONE

delle origini, compresi i quattro evangelisti, circa il carattere re­ dentivo del sacrificio di Cristo. Tale dottrina non lascia spazio alle ipotesi secondo cui alla vigilia della sua morte Gesù pren­ desse parte al sacrificio nel tempio. Questa partécipazione sa­ rebbe stata in contraddizione non solo con la testimonianza con­ corde dei sin ottici sul fatto che il discorso sulla preparazione del­ la pasqua avvenne fuori città, ma anche con il significato teolo­ gico dell 'Ultima cena come ultimo pasto di Gesù con i suoi di­ scepoli prima di essere Lui stesso offerto in sacrificio.

3. La lavanda dei piedi

Prima di esaminare le narrazioni offerte dai sinottici sull'Ul­ tima cena, prendiamo in considerazione la testimonianza che ne dà il quarto Vangelo. Soltanto qui troviamo l'epi sodio in cui Ge­ sù lava i piedi ai discepoli. Nelle fonti ebraiche antiche la lavanda dei piedi si trova in due contesti: cultuale e domestico12• Nel libro dell'Esodo si cita una conca di rame nella quale i figli di Aronne si lavavano le ma­ ni e i piedi (Es 3 0, 1 7-2 1 ; 40,30-32). Filone di Alessandria vede in questo lavacro rituale «il simbolo di una vita irreprensibile e di un 'esistenza pura, condotta tra rendimenti di lode» 1 3 • D'altro canto, c'era l ' uso di lavare i piedi quando si entrava in casa: da­ to che si portavano sandali leggeri e si camminava su strada pol­ verose, lavarsi i piedi entrando, soprattutto prima di una cena, dove ci si sdraiava su dei divani,' era una comune norma igieni­ ca, accanto all'abluzione del le mani. Offrire l'acqua per la la­ vanda dei piedi era uno dei gesti dell 'ospitalità (Gen 1 8,4; 1 9,2; 24,32; 43 ,24). Quando Gesù entrò nella casa del fariseo e quel­ lo non offrì all' ospite l'acqua per i piedi, la cò sa divenne occa­ sione di rimprovero per il padrone di casa (Le 7,44). 12

pp.

C fr. : J.CH. THOMAS, Footwashing in John 26-42. 13 Philonis Alexandrini Opera, vol. 4, p. 232.

1 82

13

and the Johannine Community,

5. L'ULTIMA CENA

Nelle case delle persone ricche l'acqua per la lavanda dei pie­ di veniva offerta dai servi. Se il padrone di casa voleva rendere all'ospite un particolare onore poteva prendere personalmente il recipiente per la lavanda. Era cosa abituale che i discepoli lavas­ sero i piedi al proprio maestro14• Tuttavia nel nostro caso tutto avvenne diversamente dagli usi stabiliti. Lo sottolinea, tra l'al­ tro, anche il fatto che Gesù si mise a lavare i piedi ai discepoli non subito dopo che essi furono entrati in casa, prima di sedersi a mensa, ma dopo che il convito era già iniziato. Per compiere questo gesto Egli interruppe il pasto e si alzò da tavola: Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di S imone Iscario­ ta, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell' acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei disce­ poli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: « Signore, tu la­ vi i piedi a me?» . Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci ; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno ! » . Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai par­ te con me» . Gli disse S imon Pietro: «S ignore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo ! » . Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il ba­ gno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti» . Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri>> . Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chia­ mate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico : un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più 14 C.K.

BARRETI, The Gospel according to St. John, p. 440.

1 83

MORTE E RESURREZIONE

grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica» (Gv 1 3 , 1 - 1 7).

Il racconto si compone di tre segmenti. Nel primo Gesù si al­ za da mensa e comincia a lavare i piedi ai discepoli. Il secondo è dedicato al dialogo tra Lui e Pietro. Nel terzo Gesù, dopo aver nuovamente preso posto a tavola, spiega il significato del gesto che ha compiuto. Nell' originale greco la prima frase del primo segmento è in­ solita per la sua complessa struttura grammaticale. Gli autori del­ la traduzione russa sinodale vi hanno aggiunto alcune parole per chiarirne il senso, ed essa suona così: « . . . manifestò con un ge­ sto che, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine». Giovanni Crisostomo richiama l'attenzione sull' inso­ lita costruzione della frase «avendo amato, li amò fino in fondo» e la interpreta come un'espressione dell'amore particolarmente intenso di Gesù per i suoi discepoli15• L'aggiunta fatta dagli autori della traduzione sinodale riduce la manifestazione dell'amore di Gesù per i discepoli al solo ge­ sto della lavanda dei piedi . Tuttavia questa frase può essere in­ tesa in senso più ampio, come introduzione all ' intera storia del­ la passione16• Il fatto che Gesù «amò fino alla fine» i suoi disce­ poli non si manifesta solo nella lavanda dei piedi ma anche nel dialogo successivo con i discepoli, e soprattutto nei suoi pati1� 16

GIOVANNI CRISOSTOMO, Homi/iae in Joannem 70, l (PG 59, 3 8 1 -382). Di questo si era già accorto A. P. Lopuchin, che non accettava la traduzione sino­ dal e e proponeva questa sua interpretazione della frase: «Ma poiché Egli, ancor prima del la festa di Pasqua, già sapeva che era venuta la sua ora - di passare cioè da questo mondo al Padre, - Gesù, avendo amato i suoi (discepoli) che erano (rimanevano) nel mondo, li amò fino alla fine». Lo studioso osserva: « È chiaro che qui abbiamo un'os­ servazione dell'evangel ista riferita non solo al successivo episodio della lavanda dei piedi, ma anche a tutta la parte dei cap. 1 3- 1 7 . Il Signore amò con tutta la sua forza i discepol i (''fino alla fine", cfr. Mt l 0,22) proprio in quel momento, senti una straordi­ naria pietà per loro proprio allora, perché quella festa di Pasqua, come Lui ben sape­ va, coincideva con gli ultimi giorni in cui i discepol i avrebbero potuto godere del l ' ap­ poggio dell a sua prossimità nei loro confronti. Presto sarebbero rimasti sol i, e il Si­ gnore prevedeva le difficoltà che avrebbero incontrato in quel frangente, l ' infelicità e l 'abbandono che avrebbero sperimentato !». Cfr. : Tolkovaja Biblija (Bibbia commen­ tata), vol. 3, pp. 43 7-43 8.

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5. L'ULT I MA CENA

menti e nella sua morte. «La manifestazione di amore si riferi­ sce solo alla lavanda dei piedi che segue immed iatamente, op­ pure alla morte in croce di Gesù?» si chiede uno studioso. E ri­ sponde: «Indubbiamente si riferisce innanzitutto alla seconda, senza escludere la prima»17• La lavanda dei piedi diventa, secondo il Vangelo di Giovan­ ni, il preludio all ' intera storia della passione, che manifesta al massimo grado l ' amore di Gesù per «i suoi che erano nel mon­ do». Secondo l 'espressione di Cirillo di Alessandria, l ' incarna­ zione del Verbo di Dio «non avrebbe significato, infatti, amarli fino alla fine . . . se egli non avesse voluto correre i l rischio per la vita di tutti». Invece Egli «li amò fino alla fine, e non rifiutò di soffrire, sebbene sapesse, già prima, che avrebbe sofferto: la pas­ sione, infatti, non fu per lui una sorpresa. Nonostante che, dice, potesse evitare l'empia pazzia dei Giudei, dimostrò un grandis­ simo amore verso quelli che nel mondo erano suoi : non rifiutò, infatti, di morire per la vita di tutti»18• L'espressione «sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre» rimanda ad alcuni riferimenti al­ l'«ora» presenti nel quarto Vangelo, a partire dalle nozze di Ca­ na di Galilea (Gv 2,4: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora»), fino al racconto della permanenza di Gesù a Gerusalemme (Gv 7,30: «Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era anco­ ra giunta la sua ora» ; Gv 8,20: «E nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora»), per concludere con l 'esplicita in­ dicazione di Gesù, nel dialogo con i giudei, che era giunta l' ora (Gv 1 2,23 : « È venuta l 'ora che il Figlio dell'uomo sia glorifica­ tO>>). Verso quest'ora - di umil iazione e di gloria, di sconfitta e di vittoria, di morte e di resurrezione - Gesù si era incamminato sin dall' inizio del suo ministero terreno. L'evangelista osserva che la lavanda dei piedi si svolge nel 1 7 R. ScHNACKENBURG, The Gospel according to St. John, vol. 1 8 CIRILLO m ALESSANDRIA, Commento a l Vangelo di Giovanni

p. 1 0.

1 85

3, p. 1 6 . 9 (PG 74, 1 1 2); tr. it.

MORTE E RE SURREZIONE

momento in cui il diavolo ha già insinuato nel cuore di Giuda l ' intenzione di tradire il Maestro. Tuttavia, Giuda rimane anco­ ra tra i discepol i e, di conseguenza, è tra coloro cui Gesù lava i piedi. Anche su questa circostanza l 'esegeta si sofferma in ma­ niera particolareggiata: «Disse questo con stupore l'evangeli sta, mostrando che lavò i piedi a Giuda allorché questi aveva già de­ ciso di tradir! o. In questo modo svela anche la grande malvagità di Giuda, poiché non lo fermarono né l ' aver partecipato alla ce­ na, benché questo di solito plachi il rancore, né il fatto che il Ma­ estro continuasse a preoccuparsi di lui fino all'ultimo giorno»19• Come tutti gli uomini della sua epoca, Gesù portava due ve­ sti: una (chitone) si indossava sopra l 'altra. Quando si svolgeva un lavoro domestico o si serviva a tavola si usava togliere la so­ pravveste. L' evangelista descrive dettagliatamente tutti gli atti di Gesù: Egli si tolse la veste, versò l'acqua in un catino, si cin­ se con un asciugamano e, lavando i piedi a ciascun discepolo, li asciugò con lo stesso asciugamano. Tutti questi particolari, che non sfuggono allo sguardo dell' evangelista, sottolineano che Ge­ sù compì il servizio del servo dal principio (preparazione del ca­ tino con l'acqua), alla fine (asciugatura dei piedi con l 'asciuga­ mano), e lo fece senza l'aiuto di nessuno. Qui vale la pena di ricordare la parabola di Gesù in cui il pa­ drone, tornando a tarda notte da un banchetto di nozze, svolge un ruolo insolito nei confronti dei suoi servi che trova svegl i: si stringe le vesti ai fianchi, li fa sedere a tavola e li serve (Le 1 2,353 7). Il quadro dipinto nella parabola non è realistico secondo i costumi dell'epoca di Gesù, ma diventa realtà nella comunità da Lui fondata, chiamata a vivere secondo altri costumi. Qual è il senso della proposizione subordinata «sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava»? E perché è inserita nella narrazione quasi spezzando lo svolgimento naturale del racconto? S i suppone che sia un chiarimento del l 'evangelista rispetto agli eventi che stanno accadendo, per sottolineare una volta di più (come fa 19

GIOVANNI CRISOSTOMO, Homi/iae in Joannem 70, l (PG 59, 382). 1 86

5. L'ULTIMA CENA

molte volte nel suo Vangelo) che Gesù andava incontro alla morte consapevolmente, compiendo così la volontà del Padre . D ' altro canto, la sua morte è volontaria. Ai giudei aveva detto: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stes­ so . Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Que­ sto è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv l O, 1 7 - 1 8). Queste parole rivelano l 'accordo armonioso tra la volontà del Padre e la volontà del Figlio, al quale il Padre ha dato tutto nel­ le mani. Pietro fa la parte che gli è solita: parla quando tutti tacciono. Forse egli esprime ciò che gli altri non osano dire; o forse, sem­ plicemente, non riesce a trattenere i sentimenti che lo sopraffan­ no. La sua domanda: «tu lavi i piedi a me?» è legata all' idea, per lui naturale, che a lavare i piedi possa essere solo un inferiore nei confronti del superiore. La risposta di Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo» sottolinea che il Maestro ha consapevolmente scambiato i ruoli con i discepoli e che il senso del gesto da Lui compiuto si svelerà loro più tardi, dopo la sua morte e resurrezione. L' inizio del dialogo ricorda quello tra Gesù e Giovanni Batti­ sta, quando Gesù si era recato al Giordano per farsi battezzare da lui: «Giovanni voleva impedirglielo, dicendo: "Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?". Ma Ge­ sù gli rispose: "Lascia fare per ora, perché conviene che adem­ piamo ogni giustizia"» (Mt 3 , 1 4- 1 5). In entrambi i casi la paro­ la «ora» {apn) indica qualcosa che si compie in un preciso mo­ mento sulla terra, ma che ha significato per il futuro. Come nel primo caso Gesù aveva chinato volontariamente il capo sotto la mano di uno che era meno di Lui, così ora Egli si china ai piedi di un inferiore. Pietro, tuttavia, non si lascia convincere dall'esortazione di Gesù, ed esprime una decisa protesta: «non mi laverai i piedi in eterno ! » . A questo punto anche Gesù cambia tono: «Se non ti la­ verò, non avrai parte con me» . La parola «parte» traduce il gre­ co J.Lépoç, che viene usato nella Septuaginta nel senso di «eredi1 87

MORTE E RESURREZIONE

tà» (per rendere l'ebraico p?n l:zeleq)20• La risposta di Gesù va intesa nel contesto generale di ciò che sta avvenendo. La lavan­ da dei piedi - il gesto nel quale Gesù compie un servizio da schia­ vo è un riferimento simbolico e profetico alla crocifissione, nella quale Gesù si manifesta come Colui che «svuotò se stesso, assumendo la forma di servo, e che mortificò se stesso facendo­ si obbediente fino alla morte, e a una morte di croce» (Fil 2,7-8). La crocifissione di Gesù avrebbe avuto per i suoi discepoli un significato redentivo e purificatore, che trova la sua prefigura­ zione nella purificazione con l'acqua durante la lavanda dei pie­ di. Le parole di Gesù significano che senza la purificazione che gli sarebbe stata donata attraverso la morte del Salvatore, Pietro non avrebbe potuto prendere parte alla vita eterna21 • Udite queste parole, l'ardente e focoso Pietro fa seguire imme­ diatamente alla sua affermazione un 'altra, di segno opposto: «non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo! » . «Ardente nell 'op­ porsi, ma ancor più ardente nel dichiarare la sua adesione; e sia l'una che l'altra cosa nascono dall'amore» osserva l'esegeta22• Possiamo immaginare che i discepoli continuassero a restare sdraiati attorno al tavolo mentre Gesù faceva il giro con il cati­ no per la lavanda dei piedi, e che Egli incominciasse dai più gio­ vani per terminare con Pietro, il più anziano dei dodici. Giuda il traditore si trovava fra coloro a cui Gesù lavò i piedi, e proba­ bilmente questo avvenne prima che Lui si accostasse a Pietro (Crisostomo ipotizza che «Cristo dapprima lavò i piedi al tradi­ tore e poi si accostò a Pietrm>23). Anche qui Gesù, per l 'ennesima volta, accenna al traditore: «e voi siete puri, ma non tutti» . Era da molto tempo che Gesù andava dicendo ai discepoli che tra loro c' erano alcuni «che non credevano» poiché Lui « sapeva sin dal principio chi erano quel­ li che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito» (Gv 6,64 ) Adesso che era venuta la sua ora questa mancanza di fede -

.

20 R . E. BROWN, The Gospel according to John (XIII-XXI), p. 565. 2 1 R. BAUCKHAM, The Testimony of the Beloved Discip/e, pp. 1 94- 1 95 . 22 GIOVANNI CRISOSTOMO, Homi/iae in !oannem 70, 2 (PG 59, 383). 23 Ibidem .

1 88

5 . L'ULTIMA CENA

doveva svelarsi, e Gesù lo sapeva. Le sue parole dovettero suo­ nare come un ammonimento terribile per Giuda, il quale ancora non aveva compiuto il passo fatale e avrebbe potuto rinunciare al suo proposito. Tuttavia Giuda non si scopre affatto, tace. Notiamo che Giuda tace nel corso di tutto il racconto evange­ lico, fino all'arresto di Gesù: nessuno degli evangelisti ha regi­ strato una sua replica. Non condivide con nessuno dei discepoli la sua protesta interiore; il progetto del tradimento matura den­ tro di lui e sino all'ultimo istante rimane sconosciuto a tutti, tran­ ne che a Gesù. Dopo aver terminato la lavanda dei piedi, Gesù torna a tavo­ la e pronuncia un 'esortazione nella quale spiega il significato di quanto è appena avvenuto. Dice di aver dato ai discepoli l' esem­ pio, affinché facciano Io stesso. La parola «esempio» (u7t60styf.la) nei Vangeli si trova solo una volta e solo in questo punto, ma è carica di un profondo significato teologico e morale. Mostra che i discepoli sono chiamati ad agire esattamente come il Maestro. Le parole che Gesù pronuncia subito dopo: «In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un in­ viato è più grande di chi lo ha mandato» (Gv 1 3 , 1 6) trovano in­ numerevoli paralleli nei Vangeli sinotticP4• Nell' insegnamento ri­ volto ai dodici discepoli nel Vangelo di Matteo, Gesù dice: «Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore» (Mt l 0,24). Un'espressione simile ritorna nel Di­ scorso della pianura nel Vangelo di Luca (Le 6,40). È evidente che Gesù ripeteva spesso simili frasi, che fungevano da proverbi. Abbiamo già indicato il parallelismo tra la narrazione dell'evan­ gelista Giovanni sulla lavanda dei piedi e il racconto del Vange­ lo di Luca sulla disputa tra i discepoli su chi fosse il più grande tra loro: E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da con­ siderare più grande. Egli disse: « l re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi

24

Cfr. : C.H.

Dooo, Historical Tradition in the Fourth Gospel,

1 89

pp. 335-338.

MORTE E RESURREZIONE

però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più gran­ de, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Le 22,24-27) .

. Anche gli altri evangelisti testimoniano che tra i discepoli na­ scevano simili discussioni (Mc 9,33-3 5), e tuttavia solo in Luca il racconto è incorporato nella narrazione dell'Ultima cena. Questo non significa che la disputa avvenisse proprio in quella occasio­ ne: forse Luca nel corso della narrazione ricorda un episodio ac­ caduto tempo prima (le parole «nacque tra loro anche una discus­ sione» possono essere intese come riferimento a un fatto passato). Al tempo stesso, è molto probabile che Luca, che non menziona la lavanda dei piedi, riporti una parte del dialogo che troviamo in Giovanni . Inoltre, possiamo supporre che proprio là discussione descritta da Luca, sorta durante la cena (ad esempio, mentre i di­ scepoli si sedevano a tavola e dovevano decidere il posto di ognu­ no), spingesse Gesù ad alzarsi da mensa e a mostrare loro con il proprio esempio come dovevano trattars i reciprocamente. Nella tradizione cristiana il racconto della lavanda dei piedi ha avuto svariate interpretazioni. Innanzitutto, viene considera­ to un esempio di umiltà. Giovl!nni Crisostomo dice che, lavan­ do i piedi ai discepoli, Gesù « insegnava loro la madre di tutti i beni: la sapienza del l ' um iltà». L'esegeta vede l'umiltà non solo nel gesto compiuto come tale, ma in diversi suoi particolari: Guarda come Cristo mostra la sua umiltà non solo con la lavan­ da, ma anche con altri gesti . Egli non si alzò prima che si fossero messi a tavola, ma quando tutti si erano già disposti a mensa. E inol­ tre non si limita all 'abluzione, ma dapprima si toglie la veste. E non si ferma neppure a ciò, ma si cinge con un asciugamano; e non ac­ contentandosi di questo, versa Lui stesso l' acqua, non ordina a un altro di riempire il bacile. Egli fa personalmente tutte queste cose per mostrare loro che, quando facciamo il bene, non dobbiamo far­ lo con trascuratezza, ma con ogni diligenza25 • 25

GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae in loannem 70, 2 (PG 59, 383).

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5 . L' ULTIMA CENA

Il tema dell 'umiltà predomina anche nei testi liturgici dedica­ ti a questo episodio: Colui che ha fatto i laghi, le sorgenti e i mari, volendo insegnar­ ci l ' eccel lenza dell'umiltà, si cinge di un lino e lava i piedi dei di­ scepoli, umiliandosi nell' eccesso della sua misericordia per risolle­ varci dall 'abisso del male . . . 26 Umiliato per m isericordia lavasti i piedi dei tuoi discepoli e li guidasti sulla via divina 27 . . .

Un'altra interpretazione teologica deJl'episodio si collega al tema del battesimo. Come abbiamo detto nel volume L 'Agnel­ lo di Dio28, l ' acqua è uno dei simbol i teologici fondamental i nel Vangelo di Giovanni, e sin dai primi capitoli di questo Van­ gelo sta a indicare la nascita spirituale attraverso il battesimo. A Nicodemo Gesù dice : «ln verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). La sarnaritana gli sente dire: «Chiunque beve di quest'ac­ qua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell ' acqua che io gli da­ rò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l ' acqua che io gli darò di­ venterà in lui una sorgente d ' acqua che zampi lla per la vita eterna» (Gv 4, 1 3 - 1 4). La piscina di Siloe dove si lavò il cieco nato (Gv 9,7) è un ' immagine del battesimo. Sullo stesso piano si pone anche il racconto della lavanda dei piedi (e in particola­ re la frase «chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro»). Già Tertulliano sottolineava che «Cristo non è mai senza l ' ac­ qua . . . Predicando, invita gli assetati a bere la sua acqua eterna . . . Recupera le forze presso un pozzo, cammina sull'acqua e gli pia­ ce attraversarla; serve l'acqua ai discepoli»29• Cirillo di Alessan­ dria, commentando le parole che Gesù rivolge a Pietro, afferma:

26 27

Triodion quaresimale. Giovedi santo, mattutino, Kathismata. Ibidem. 28 ILARIO N (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. V: L 'Agnello di Dio, pp. 128- 1 29. 29 TERTULLIANO, Il battesimo 9 (CCSL l , 284); tr. it. p. 1 59.

191

MORTE E R E S U RREZIONE

« . . . Se uno, con la sua grazia, non lava le macchie contratte con il peccato, non sarà partecipe della vita che viene da lui, e rimar­ rà privato del regno dei cieli. Non è lecito, infatti, che gli impu­ ri entrino nelle celesti dimore, mentre, invece, entreranno quelli che, per l'amore di Cristo, hanno la coscienza pura, e sono stati santificati nello Spirito per mezzo del santo battesimo»30• Se­ guendo la stessa interpretazione, Giovanni Damasceno scrive : «Nel piano superiore, nella santa e gloriosa Sion, mentre man­ giava la Pasqua con i suoi discepoli, dopo aver adempiuto all' an­ tico Patto lava i piedi dei discepoli porgendo il simbolo del san­ to battesimo»3 1 • Un'altra interpretazione teologica collega l a lavanda dei pie­ di all 'eucarestia32• In particolare, il fatto che la lavanda dei piedi abbia preceduto la benedizione del pane e del vino può essere visto come l' indicazione che è necessario essere puri per parte­ cipare al sacramento dell'eucarestia. 11 racconto evangel ico della lavanda dei piedi ha avuto un grande influsso non solo sullo sviluppo della morale cristiana. Un gesto che faceva parte dei costumi ebraici del tempo di Ge­ sù, nella Chiesa cristiana si trasformò gradualmente in un rito li­ turgico che si celebrava in diverse occasioni. In particolare, al­ cune fonti del IV-V secolo citano l'uso di lavare i piedi ai neo­ fiti subito dopo la celebrazione del sacramento del battesimo33• Il rito della lavanda dei piedi come parte deJia liturgia del Gio­ vedì santo nacque a Gerusalemme nei secoli VI-VII, come «ri­ flesso della tendenza generale a sottolineare il più possibile la simbologia figurativa della liturgia della passione, particolar­ mente spiccata quando la si celebrava nella Città Santa»; non più tardi dell'VIU secolo il rito entrò in uso anche a Costantinopo­ lP\ e di qui venne poi ripreso daJla Chiesa russa. 1°

CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni 9 (PG 74, 1 1 7); tr. it.

p. 1 5 .

GIOVANNI DAMASCENO, La fede ortodossa 4 , 1 3 (SC 540, 206); tr. it. p . 266. Cfr. O. CULLMANN, Ear(v Christian Worship, pp. l 07- 1 1 O. n Cfr. : J.CH. THOMAS, Footwashing in John 13 and the Johannine Community, p. 1 42. 34 M. Z ELTOV, «Pravoslavnoe bogoslu!enie Velikogo C etverga: proischo!denie i osobennosti» (La liturgia ortodossa del G iovedi santo: origine e particolarità), p. 1 84 . Jl

32

1 92

5. L' U LTIMA CENA

Attualmente questo rito viene celebrato solitamente dopo la liturgia del Giovedi santo dal patriarca di Mosca e di tutta la Rus', come pure da alcuni vescovi nelle proprie cattedrali . Questo ri­ to viene celebrato con particolare solennità a Gerusalemme, do­ ve lo presiede i l patriarca di Gerusalemme35•

4. La predizione del tradimento di Giuda

Tutti e quattro gli evangelisti testimoniano che all'Ultima ce­ na Gesù predisse il tradimento di Giuda. In Marco e Matteo la predizione viene prima della benedizione del pane e del vino. Marco scrive: Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a ta­ vola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, co­ lui che mangia con me, mi tradirà» . Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l' altro: «Sono forse io?» . Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell'uo­ mo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell 'uomo, dal qua­ le il Figlio dell ' uomo viene tradito ! Meglio per quell' uomo se non fosse mai nato ! » (Mc 14, 1 7-2 1 ).

La versione di Matteo coincide completamente con la versio­ ne di Marco (Mt 26,2 1 -24). Tuttavia, alla fine del racconto Mat­ teo aggiunge un dettaglio che non c'è in Marco: «Giuda, il tra­ ditore, disse : "Rabbì, sono forse io?" . Gli rispose: "Tu l'hai det­ to"» (Mt 26,25). Entrambi gli evangelisti testimoniano che al pasto presero par­ te solo i dodici apostoli, non vengono citati altri discepoli, né le donne che spesso servivano a mensa. La domanda dei discepoli: «Sono forse io?» riflette il timo­ re di ciascuno di poter essere un involontario traditore . Nessu­ no di loro nutre in sé la determinazione che è maturata nel cuo35

Un rito analogo esiste anche nella Chiesa cattolica e in alcune comunità protestanti.

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MORTE E RESURREZIONE

re di Giuda, ma tutti hanno paura di non saper sostenere la pro­ va. Gesù, intingendo nel piatto il pezzo di pane insieme al tra­ ditore, lo indica ai discepoli. Nel far questo pronuncia parole terribili sul fatto che meglio sarebbe stato per quell'uomo non nascere affatto. In tal modo, ritiene Giovann i Crisostomo, il Maestro voleva «correggere il traditore», «per farlo vergogna­ re di più e indurlo ad un atteggiamento migliore»3 6 • Ma si può anche supporre che le parole del Maestro avessero piuttosto lo scopo di spaventare il traditore e in tal modo dissuaderlo dal realizzare il suo progetto. In Luca la predizione del tradimento segue il racconto della benedizione del pane e del vino da parte di Gesù. Secondo que­ sto evangelista, dopo aver spezzato il pane e offerto il calice ai discepoli, Gesù dice: «"Ma ecco, la mano di colui che mi tradi­ sce è con me, sulla tavola. Il Figlio de li ' uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell'uomo dal quale egli viene tra­ dito ! " . Allora essi cominciarono a domandarsi l'un l' altro chi di loro avrebbe fatto questo» (Le 22,2 1 -23). Infine, la predizione più particolareggiata di Gesù sul tradi­ mento di Giuda la troviamo nel Vangelo di Giovanni. Qui l ' am­ maestramento di Gesù dopo la lavanda dei piedi si conclude con queste parole: Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto, ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato con­ tro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d' ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che lo Sono. In verità, in ve­ rità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato (Gv 1 3, 1 8-20).

Gesù cita le parole del salmo in cui Davide parla di sé come di un uomo odiato, che i nemici maledicono, di cui si mormora, e contro cui si rivolta persino chi gli stava accanto (Sal 4 1 ,6- 1 0).

3 6 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 8 1 , l (PG 5 7, 73 1 -732); tr. it. vol. 3, p. 269.

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5. L'ULTIMA CENA

Gesù nei suoi ultimi giorni si trovò in una situazione simile. La frase che abbiamo citato, nella traduzione dall'ebraico suona co­ sì: «Anche l'amico in cui confidavo, che con me divideva il pa­ ne, contro di me alza il suo piede» (Sal 4 1 , l 0). Gesù applica que­ sta frase a Giuda, quindi pronuncia alcune parole che hanno un parallelo nell'esortazione agli apostoli che troviamo nel Vange­ lo di Matteo: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt l 0,40). A prima vista non si cogl ie il nesso logico tra Gv 1 3 ,20 («chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, ac­ coglie colui che mi ha mandato») e quel che precede o segue questo versetto: alcuni studiosi pensano addirittura che origina­ riamente il versetto si trovasse in un altro punto del testo37• Al tempo stesso, rilevano il legame semantico esistente tra questo versetto e quello che costituisce la pietra angolare dell' intero epi­ sodio della lavanda dei piedi: «un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato» (Gv 1 3 , 1 6). I l paragone tra l ' inviato e colui che lo manda vale imme­ diatamente nei due sensi, indicando sia la missione di Gesù sia la missione dei suoi discepoli38• A che cosa si riferiscono le parole: «Ve lo dico fin d'ora, pri­ ma che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono»? Quale avvenimento doveva accadere? Sebbene un istan­ te prima si stesse parlando del tradimento di Giuda, queste stes­ se parole indicano ciò di cui i discepoli saranno testimoni nelle ore e nei giorni a seguire: l'arresto di Gesù, il processo, la sua morte in croce. Ma in particolare indicano la sua resurrezione: proprio dopo che sarà risorto e il suo aspetto esteriore sarà cam­ biato, essi dovranno credere che è proprio Lui. Proseguendo la narrazione, Giovanni racconta lo stesso epi­ sodio esposto da Matteo e Marco, ma in modo molto più detta­ gliato : 37

R. E. BROWN, The Gospel according to John (Xli-XXI), pp. 5 7 1 -572. 3� J. AsHTON, Understanding the Fourth Gospel, p. 2 1 8 .

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Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: « ln verità, in verità io vi dico : uno di voi mi tradirà>> . I discepoli si guar­ davano l ' un l' altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. S imon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signo­ re, chi è?)) . Rispose Gesù: « È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò» . E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, fi­ glio di Simone lscariota. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto)) . Nessuno dei commensali capi perché gli avesse detto questo; alcu­ ni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto : «Compra quello che ci occorre per la festa>> , oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso i l boccone, su­ bito usci. Ed era notte (Gv 1 3 ,2 1 -30).

Nella scena descritta vediamo di nuovo Pietro prendere l' ini­ ziativa, ma non pone direttamente la domanda, lo fa tramite il discepolo «che Gesù amava» . Secondo l ' interpretazione tradi­ zionale, questo discepolo era lo stesso Giovanni. Proprio perché questi era stato partecipe dell'avvenimento poté descriverlo più dettagliatamente degli altri evangelisti. L'espressione «fu profondamente turbatm> indica una grande agitazione, un moto interiore di sgomento e di sdegno39• Gesù non si limita a predire il tradimento del discepolo, ma umana­ mente ne è profondamente agitato e sconvolto. Eppure non cer­ ca di fermare il traditore con un avvertimento esplicito o minac­ cioso, ma si limita a un gesto simbolico e ad alcune parole che sembrano avere un senso opposto a quello che ci si sarebbe po­ tuti aspettare dal Maestro in una simile situazione. Leggendo il Vangelo di Giovann i si ha l'impressione che Ge­ sù già sapesse, ali ' atto di scegliere i dodici apostol i, che uno di loro sarebbe diventato un traditore. Non solo, ma esaminando il racconto di Giovanni sull'Ultima cena si può avere la sensaziow Cfr. : ILARIO N (ALFEEV), Gesù Cristo. Jlìta e insegnamento, vol . l: L 'inizio del ge/o, pp. 704-707 .

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H:m­

5. L'ULTIMA CENA

che Gesù stesso abbia spinto Giuda a compiere il suo delitto. Tutti gli evangelisti riportano la predizione di Gesù che uno dei discepoli l' avrebbe tradito, ma solo nel testo di Giovanni Gesù pronuncia le enigmatiche parole: «Quello che vuoi fare, fallo presto», dopo le quali Giuda esce subito, nonostante l'ora tarda (i sinottici non dicono nulla sul fatto che Giuda abbandonasse la mensa). Riguardo a queste parole nasce tutta una serie di domande. Non fu quindi Gesù a spingere Giuda al tradimento? Non fu Lui stesso a scegliere per Giuda questo ruolo? Se non è così, perché non lo fermò? Non poteva forse impedire questo delittuoso in­ tento rivelando lo agli altri discepoli, e rendendo così innocuo il traditore? Sono queste le domande che si pone C irillo di Ales­ sandria nella sua esegesi del Vangelo di Giovanni, e vi risponde in questo modo: non si può rimproverare a Dio ciò di cui è col­ pevole l'uomo. Il Creatore «mise, alle creature intellettuali, le redini della volontà, e permise che esse agissero di loro sponta­ nea volontà, secondo l ' arbitrio di ciascuna» . Ma in questo modo «quelle, dunque, che si applicarono rettamente alle cose miglio­ ri conservano la propria gloria, e rimangono partecipi dei beni loro concessi, e godono della felicità che non può }asciarle» . Al­ tre, invece, che «si lasciano corrompere dalle proprie passioni, trascinate, come dalle correnti, verso cose illecite, pagheranno il fio proporzionato ai loro delitti e, per la colpa dell' ingratitudi­ ne, saranno giustamente condannate a scontare le pene eterne» . Cristo «elesse Giuda e lo annoverò tra i suoi santi discepoli, giac­ ché all' inizio era un buon discepolo. Ma dopo che, a poco a po­ co, fu tentato da Satana e irretito dalla passione del guadagno, soggiacque a questo vizio» . Il commentatore arriva a conclude­ re che «stava a lui la possibilità di non cadere, se avesse voluto seguire il meglio, e applicare tutta la sua persona a seguire sin­ ceramente Cristo»40• Torniamo così al tema della libertà umana e dell'«impotenza» ne



CIRILLO DI ALESSANDRlA, Commento al Vangelo di Giovanni 9 (PG 74, 1 32); tr. it.

p. 24.

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di Dio di fronte a questa libertà. Gesù non si oppose al piano di Giuda per la stessa ragione per cui respinse le tentazioni del dia­ volo: rifiutava di far sfoggio di gesti miracolosi quando glieli chiedevano. Non si nascose da coloro che erano intenzionati ad arrestarlo, non tentò di difendersi al .processo, non scese dalla croce quando lo esigevano da Lui. Se avesse fatto una di queste cose avrebbe violato la libertà degli uomini, avrebbe tolto loro la libertà di scelta. «Cristo non voleva alcuna violenza; ci ha sal­ vati senza coercizione, voleva amore e libertà, affermava la su­ prema dignità dell' uomo» scrive Berdjaev. «Cristo si è manife­ stato al mondo nei sembianti del Crocifisso, è stato umiliato e di laniato dalle potenze di questo mondo . . . Tutto i l significato del manifestarsi di Cristo al mondo consiste appunto nel fatto che il mondo potesse liberamente riconoscere Cristo, amare il Re nei sembianti del Crocifisso, vedere la potenza divina nell'ap­ parente impotenza e debolezza»41 • · Questa debolezza si manifesterà in tutta hi sua forza nella suc­ cessiva storia della passione di Cristo, nella quale ci si presenta davanti un Dio che rinuncia volontariamente alla propria onni­ potenza, che si consegna nelle mani degli uomini, che sopporta senza un lamento gli oltraggi, e muore sulla croce fra terribi li sofferenze fisiche.

5. L'Ultima cena fu una mensa pasq uale?

Siamo arrivati al momento centrale nella narrazione del1 'Ul­ tima cena, il racconto dei sinottici sulla benedizione di Gesù del pane e del vino. Prima di parlarne, è necessario tornare alla questione se l 'Ul­ tima cena fosse realmente una mensa pasquale, ed esaminare la sequenza rituale che le fonti ebraiche prescrivevano per la men­ sa pasquale. La fonte prima e principale è costituita dal libro dell' Esodo, dove si dice: 41 N .A. BERDJAEV, Filosofija svobody (La filosofia della libertà), pp. 1 70-1 7 1 .

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5. L'ULTIMA CENA

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d' Egitto: «Questo mese sarà per voi l' inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese del­ l'anno. Parlate a tutta la comunità d'Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per ca­ sa . . . Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell' ann o ; po­ trete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l' assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po ' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull' architrave del le case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuo­ co; la mangeranno con azzim i e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nel l' acqua, ma solo arrostito al fuoco, con la testa, le zampe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato, lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore !» (Es 1 2, 1 -3 . 5- 1 1 ).

Al tempo della vita terrena di Gesù questo pasto familiare, originariamente semplice pur avendo un carattere particolare, si era trasformato in un vero e proprio rituale, accompagnato da preghiere, dal canto dei salmi e da ammaestramenti del capofa­ miglia. Secondo fonti ebraiche più tardive, ma che rispecchiano la prassi a grandi linee in uso ai tempi di Gesù42, all ' inizio della cena venivano distribuiti ai commensali dei calici di vino dilui­ to con acqua. Ogni membro della fam iglia recitava sul proprio calice il «barek» (ebr. :'1:l,:::l barii/sii, «benedizione»): «Sii bene­ detto Signore, Dio nostro, Re deiJ'universo, che hai creato il frut­ to della vite» . Quindi il capofamiglia recitava il «qaddesh» pa­ squale ( ebr, lll , 1ji qiddiis, «consacrazione»): Benedetto sii Tu, Signore, Dio nostro, Re dell ' universo, che ci hai scelti tra tutti i popoli e ci hai innalzati sopra ogni lingua e ci hai santificati mediante i Tuoi comandamenti. Nel Tuo amore per noi, Tu ci hai dato, Signore Dio nostro, momenti di gioia, feste e tempi 42 Ripreso da: N.D. USPENSKU, Trudy (Opere), vol. 3, pp. 1 0- 1 4. Tuttavia, alcuni stu­ diosi collocano questa pratica alla fine del li secolo.

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MORTE E R E S URREZIONE

di letizia, e questo giorno di festa degli azzimi, questo giorno della nostra liberazione, della sacra riunione in memoria dell' esodo da11'E­ gitto. Poiché Tu ci hai scelti e consacrati tra tutti i popoli, e ci hai dato con amore e benevolenza le Tue sante feste, da vivere in gioia ed esultanza. Benedetto sii Tu, Signore, che hai santificato I sraele e il tempo festivo.

Dopo la lettura del «qaddesh» si beveva il vino e si serviva­ no in tavola gli azzimi, i l succo di erbe amare e l ' « aroshet» (e br .no11n baroseL, «piatto di frutta»). Ven iva servito anche l 'agnello pasquale. Sopra ogni piatto il capofamiglia recitava la preghiera di ringraziamento. Sopra l ' agnello venivano pro­ nunciate le seguenti parole: «Benedetto sii Tu, Signore Dio no­ stro, Re dell' universo, che ci hai santificato con i Tuoi precet­ ti e ci hai comandato di mangiare la pasqua» . L'agnello si man­ giava con erbe amare . Dopo il primo piatto si lavavano le ma­ ni, quindi i calici venivano riempiti nuovamente di vino e co­ lui che presiedeva alzava il piatto degli azzimi dicendo: «Que­ sto è il pane della sofferenza che mangiarono i padri nostri in terra d ' Egitto» . Uno degli azzimi veniva diviso in due e una metà veniva messa da parte, nel caso arrivasse un ospite inat­ teso o un viandante. L'altra metà d eli ' azzimo il capofamiglia lo teneva per sé, mentre gli azzimi restanti venivano divisi tra gl i altri commensali. Poi il membro più giovane del la famiglia, secondo le prescrizioni del libro del l 'Esodo, chiedeva all ' an­ ziano di raccontare la storia della festa (Es 1 2,26-27). Il capo­ famiglia recitava l' «haggadah» (ebr. ;"t1l;"t haggiigii, aram. mlK ' aggiigii, «narrazione»), ossia il racconto de Il ' esodo di I sraele dali 'Egitto. L' «haggadah» terminava con le parole: «Per que­ sto dobbiamo ringraziare, lodare, esaltare, innalzare, adorare, benedire, glorificare e cantare Colui che ha compiuto per i no­ stri padri e per noi tutte queste meraviglie : Egli ci ha tratto dal­ la schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre a una grande luce, dal la sottomissione al l ' in­ dipendenza. Esclamiamo a Lui : Alleluja» . Quindi il capofam i.

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S . L' ULTIMA CENA

glia alzava il calice o lo poneva sul tavolo. Tutti i commensali si mettevano a cantare la prima parte del l ' «hallel» (ebr. ?'m ha/lei, « lode»; Sal 1 1 3 - 1 1 4). Dopo il canto dell'«halleb> si beveva il vino con gli azzimi, quindi il capofamiglia divideva l ' agnello pasquale e lo distribu­ iva a tutti i commensali. Quando l ' agnello era stato mangiato completamente veniva portato un terzo calice di vino e si reci­ tava la preghiera di ringraziamento, a cui partecipavano il capo­ famiglia e tutti i presenti. Il capofamiglia diceva: «Benediciamo il nostro Dio», e tutti rispondevano: «Sii benedetto Signore Dio nostro, Dio d'Israele, Dio degli eserciti, che sei assiso tra i che­ rubini, per il cibo che abbiamo preso» . Il capo : «Benediciamo Colui la cui grazia abbiamo gustato» . Tutti: «Benedetto sii Tu, la cui grazia abbiamo gustato e della cui bontà viviamo» . Capo: «Benedetto sii Tu, Signore Dio nostro, Re dell ' universo, che nu­ tri tutto il mondo per la Tua bontà» . Tutti: «Egli dà il cibo ad ogni vivente, poiché eterna è la Sua misericordia» . Capo: «Per la Sua infinita bontà non ci ha mai fatto mancare il sostentamen­ to» . Tutti : «Non ci venga mai meno in futuro per amore del Suo grande nome» . Capo : «Egli nutre tutti, ha cura di tutti, benefica tutti e alimenta tutte le creature che ha creato». Tutti : «Benedet­ to sii Tu, Signore che nutri tutti». Poi il capofamiglia pronunciava la parte del ringraziamento in cui si ricordava l'esodo di Israele dall'Egitto: Ti ringraziamo Signore, Dio nostro, perché hai dato ai nostri pa­ dri un paese di delizie, buono e spazioso e ci hai fatti uscire dal pae­ se d' Egitto e ci hai liberati dalla condizione di schiavi. Ti ringrazia­ mo perché hai suggellato il Tuo patto con noi nella nostra came4\ per la legge che Tu ci hai concesso e per i comandamenti della Tua volontà che ci hai fatto conoscere, per la vita e la benevolenza che ci hai donato; per il cibo con cui ci alimenti e ci nutri di continuo, ogni giorno, in ogni tempo e ora. Per tutto questo, Signore Dio no­ stro, Ti ringraziamo e benediciamo . . .

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La circoncisione.

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MORTE E RESURREZIONE

Alla fine del rendimento di grazie tutti i commensali diceva­ no: «Amen>> . Poi bevevano il terzo calice e cantavano la secon­ da parte dell' «hal lel» (Sal 1 1 6- 1 1 9). Potevano venire offerti an­ cora uno o due calici . All'ultimo calice si intonava il grande «hai­ lei» (Sal 1 36). Questa ricostruzione ci dà un' idea approssimativa dello svol­ gimento del rito della mensa pasquale. Tuttavia dobbiamo ri­ spondere alla domanda se l ' U ltima cena fosse realmente una mensa pasquale, tanto più se consideriamo che secondo Giovan­ ni essa si svolse prima deli' inizio della Pasqua. La maggioranza degli studiosi concorda nel rispondere affermativamente: alcuni si basano sui Vangel i sin ottici, dove questo viene affermato in modo esplicito e inequivocabile44; altri cercano di armonizzare in modo più o meno convincente i dati dei sinottici con quelli del quarto Vangelo. Gli argomenti a sostegno della tesi che l'Ultima cena fosse una mensa pasquale sono stati raccolti a suo tempo da Joachim Jeremias n eli' opera Le parole del/ 'ultima cend5 • Tali argomen­ ti conservano la loro importanza anche a cinquant'anni di di­ stanza dalla pubblicazione46 • Nel suo libro sulla cena del Si­ gnore, l an Howard Marshall li ha riassunti in dodici punti, no­ ve dei quali ci sembrano degni di nota: l ) i Vangeli sinottici datano l'Ultima cena al momento in cui si immolava l ' agnello pasquale; 2) l'Ultima cena si svolge a Gerusalemme e non a Betania (l'agnello pasquale si mangiava a Gerusalemme); 3 ) il pasto avviene di sera, non di mattina né di pomeriggio; 4) al pasto prendono parte solo i membri della «famiglia» di Gesù, i suoi dodici discepoli; 5) i commensali sono adagiati e non se­ duti intorno al la mensa, cosa che indica il suo carattere festi­ vo; 6) Marco e Luca menzionano il pane a metà del pasto e non

44 Complessivamente, nei Vangeli sinottici la parola «Pasqua» riferita all'ultima se­ ra trascorsa da Gesù con i discepoli ricorre 12 volte: Mt 26, 1 7-19; Mc 1 4, 1 2 (due volte nello stesso versetto). 1 4 . 1 6; Le 22,7-8 . 1 1 . 1 3 . 1 5 . Cfr. : B. PrrRE, Jesus and the Last Sup­ per, p. 256. 45 J. JEREMIAS, The Eucharistic Words ofJesus, pp. 4 1 -62. 46 Cfr. : M. HENGEL, A.M. ScHWEMER, Jesus and Judaism, p. 579.

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5. L'ULTIMA CENA

all' inizio, cosa che corrisponde all ' ordine tradizionale della ce.. na pasquale; 7) l ' uso del vino non era tipico della mensa quo­ tidiana, ma solo di quella festiva; 8) la mensa si conclude con un canto, il che, di nuovo, non era in uso nelle cene consuete, ma in quella pasquale; 9) le parole di ringraziamento pronun­ ciate da Gesù sul pane e il vino ricordano nella forma il tradi­ zionale rendimento di grazie pasquale, celebrato dal capofami­ glia davanti ai familiari47• Tutte queste circostanze parlano in favore del fatto che l 'Ul­ tima cena, nella sua forma esteriore, fosse una mensa pasquale, anche se si svolse prima dell' inizio della festa di Pasqua. Su que­ sto concordano persino gli studiosi convinti che la cronologia di Giovanni sia quella vera e quella dei sinottici sia invece errata. Essi vedono neli 'Ultima cena > (Gv 1 3 ,3 6-38).

La versione di Giovanni, come vediamo, si discosta notevol­ mente dalle altre versioni dell'evento descritto. Qui il racconto 611 ARISTOFANE, Le donne al parlamento 30-3 1 ; tr. it. pp. 390-391 : «Neppure se ti tro­ vavi Il per il secondo chicchirichi del gallo»; GIOVJ;NALE, Satire 9; tr. it. pp. 1 07- 1 08 : «Malgrado questo, l ' oste accanto verrà a sapere prima ancora che sia giorno ciò che il padrone ha fatto, al secondo canto del gallo».

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MORTE E RES URREZIONE

inizia con la domanda di Pietro: «dove vai?», alla quale ben pre­ sto seguirà la domanda di Tommaso: «S ignore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?» (Gv 1 4,5). L'evan­ gelista dipinge un quadro generale di sconcerto dei discepoli, ai quali dapprima Gesù dice: «Figlioli, ancora per poco sono con voi ; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi : dove vado io, voi non potete venire» (Gv 1 3 ,33). Poi li esorta a non turbarsi e a non avere timore (Gv 1 4,27), pro­ mettendo che, anche se proveranno dolore, esso si muterà in una gioia che nessuno potrà togliere loro, perché lo vedranno di nuo­ vo (Gv 1 6,20-22). E proprio in questo contesto si svolge il dia­ logo con Pietro. Nella predizione del rinnegamento che Gesù fa a Pietro, c ' è nel contempo anche un ammonimento . Pietro avrebbe potuto, ricordando questo ammonimento, farne memoria al momento opportuno e non compiere ciò di cui era stato ammonito. La prescienza di D io non significa che l ' uomo sia obbligato a com­ piere ciò che Dio prevede : di questo abbiamo parlato molte vol­ te nelle pagine della nostra opera dedicata alla vita e all' inse­ gnamento di Gesù, in relazione a vari personaggi della storia evangelica. Giovanni Crisostomo, parlando del rinnegamento di Pietro, gli rimprovera la sua presunzione: avrebbe dovuto innanzitutto chiedere aiuto al Maestro, e non promettere ciò che poi non sa­ rebbe stato in grado di mantenere. Confrontando Giuda con Pie­ tro, Giovanni Crisostomo osserva: «L'uno, pur usufruendo di un grande aiuto, non ne trasse alcun vantaggio perché non volle e non dette il suo contributo, mentre l'altro, pur essendo volente­ roso, cadde perché non usufruì di alcun aiuto. La virtù infatti è costituita da questi due elementi»69• L' uomo non deve sperare solo in se stesso: deve sempre ri­ porre la sua speranza in Dio e chiedere il suo ai uto; questa è una delle molte lezion i che si possono trarre dalla storia del 69 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 82, 4 (PG 57, 742); tr. it. vol . 3, p. 290.

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5. L' U LTIMA CENA

rinnegamento di Pietro . Non è un caso che Gesù avesse inse­ anato ai discepoli a concludere la preghiera con queste parole: ceE non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male» (Mt 6, 1 3 ). Ogni uomo, perfino il principe degli apostoli, ha biso­ gno del l ' aiuto di Dio per non inciampare, per non scandaliz­ zarsi, per non cadere in tentazione, per non diventare preda del diavolo.

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Capitolo 6 I L GETSEMANI

Il Getsemani è una località alle pendici del monte degli Ulivi, al di là del torrente Cedron, che scorre tra Gerusalemme e que­ sto colle. Qui si svolgono gli avvenimenti a cui è dedicato que­ sto capitolo: l ' agonia del Getsemani e l ' arresto di Gesù. Tra gli studiosi è invalso l ' uso di chiamare «agonia [lotta] del Getsemani» l'episodio che precede immediatamente il racconto dell' arresto. Questo episodio viene riportato solo dai Vangeli si­ nottici, mentre l' arresto viene descritto da tutti e quattro gli evan­ gelisti. l. L'agonia nel Getsemani

I l monte degli Ulivi v iene ricordato più volte nei Vangel i . Quando si recava a Gerusalemme, Gesù pernottava lì, e a l mat­ tino ritornava in città (Gv 8, l ). Si trovava nei pressi di questa al­ tura quando ordinò a due discepoli di trovargli un'asina e un pu­ ledro per entrare in Gerusalemme (Mt 2 1 , 1 -3 ; Mc 1 1 , 1 -3 ; Le 1 9,29-3 1 ), e vicino al le pendi ci di questo monte il popolo co­ minciò ad acclamarlo come re che veniva nel nome del Signore (Le 1 9,37). Qui si trovava Betania, legata a molti avvenimenti de Ila storia evangelica (Mt 2 1 , 1 7; 26,6; Mc 1 1 , 1 . 1 1- 12; 1 4,3 ; Le 24,50; Gv 1 1 , 1 . 1 8; 1 2, l ). Sul monte degl i Ulivi Gesù parlò ai discepoli dei segni della seconda venuta e della fine del mondo (Mt 24,3 ; Mc 1 3 ,3-4). Negli ultimi giorni del la sua vita terrena di giorno Gesù insegnava nel tempio, e trascorreva le notti sul monte degli Ulivi (Le 2 1 ,37; Mt 2 1 , 1 7 ; Mc 1 1 , 1 1 ). 227

MORTE E RESURREZIONE

Qui Egli si diresse dopo l'Ultima cena. Marco e Matteo de­ scrivono questo cammino molto semplicemente : «Dopo aver cantato l ' inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (Mt 26,30; Mc 1 4,26). Luca si esprime un po ' diversamente: «Uscì e andò, come al solito, al monte degli U l ivi; anche i discepoli lo segui­ rono» (Le 22,39). Secondo Luca non si incamminano in gruppo, ma Gesù si avvia da solo verso il monte, e i discepoli lo seguo­ no. Questo quadro corri sponde di più a ciò che sappiamo del la strada che andava da Gerusalemme verso il Cedron : era un sen­ tiero stretto, che si snodava lungo il pendio del monte e su cui si poteva solo camminare in fila' . In riferimento alla versione di Luca possiamo ricordare che pochi giorni prima, «mentre erano sulla strada per salire a Ge­ rusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgo­ menti; coloro che lo seguivano erano impauriti» (Mc l 0,32). l discepol i avevano udito le predizioni di Gesù circa la propria morte e vedevano che le stava andando incontro con decisione e consapevolezza. Essi lo seguivano, ma lo facevano malvolen­ tieri e con timore. Il Cedron viene citato nella versione di Giovanni: «Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là d e l tor­ rente Cedron, dove c' era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli» (Gv 1 8, 1 -2). I l Cedron è il nome del torrente che ai tempi d i Gesù segnava i l confine orientale d i Gerusalemme. Questo nome indica anche la valle in cui esso scorre. Dal le parole di Giovanni si evince che il giardino del Getsemani era probabilmente il luogo in cui Gesù si era ritirato a pernottare gli ultimi giorni prima dell ' ar­ resto. Giuda dovette aver rivelato questo luogo ai giudei, per­ ché potessero catturare Gesù lontano dal popolo e non aJ ia luce del sole. Gesù sapeva che sarebbe stato arrestato proprio lì. E lo sape­ va non soltanto perché Giuda si era già recato dai capi dei sacer1

W.M. RAMSAY, «The Denials of Peter», p. 278 .

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6. IL G E T S EMANI

doti. Mentre erano ancora in cammino verso Gerusalemme ave­ va detto ai discepoli: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Fi­ glio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli seri­ bi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo ucci­ deranno, e dopo tre giorni risorgerà» (Mc l 0,33-34). Sapeva non solo la sequenza degli eventi, ma anche il momento in cui sareb­ bero accaduti . Per questo, alcuni giorni prima di morire disse: « È venuta l ' ora che i f Figlio del l'uomo sia glorificato» (Gv 1 2,23 ). E, all 'Ultima cena: «Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento» (Le 22,3 7). La descrizione dell'agonia del Getsemani in Matteo e Marco è simile per contenuto, pur differenziandosi per alcuni particolari che si integrano a vicenda. Riportiamo prima la versione di Marco: Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli : «Sedetevi qui, mentre io prego» . Prese con sé Pietro, Gia­ como e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate>) . Poi, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibi­ le, passasse via da lui quell ' ora. E diceva: «Abbà! Padre ! Tutto è possibile a te : allontana da me questo calice! Però non ciò che vo­ glio io, ma ciò che vuoi tu» . Poi venne, li trovò addormentati e dis­ se a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione . Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicen­ do le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, per­ ché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa ri­ spondergli. Venne per la terza volta e disse loro: « Dormite pure e riposatevi ! Basta! È venuta l' ora: ecco, il Figlio dell' uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, co­ lui che mi tradisce è vicino» (Mc 1 4,32-42).

La versione di Matteo inizia così : «Allora Gesù andò con lo­ ro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli : "Se­ detevi qui, mentre io vado là a pregare"» . l tre apostoli sono in­ dicati come Pietro e i due figli di Zebedeo. Il verbo ÈKSUJ.l�Eicr8at 229

MORTE E RESURREZIONE

(«provare paura») è sostituito da À.1.>1tetcr9a.t («provare tristez­ za»). L'espressione «cadde a terra» è sostituita da quel la, più caratteristica nell' uso semita, di «cadde faccia a terra» (E1t€crcv È1tÌ 1tp6cro:mov a.Ù'rou)2• La preghiera di Gesù è resa in questa re­ dazione : «Padre m io, se è possibile, passi via da me questo ca­ lice ! Però non come voglio io, ma come vuoi tu ! » (manca la pa­ rola «Abbà» ; le parole «tutto è possibile a te» sono sostituite da « se è possibile»). N el1 'esortazione a Pietro manca la citazione del suo nome (Simone), ed essa è rivolta fin dal l' inizio al plu­ rale: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora?» . La preghiera che Gesù pronuncia la seconda volta è ri­ portata interamente: «Padre mio, se questo calice non può pas­ sare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà» . Dopo le parole sul fatto che i discepoli dorm ivano, perché i loro oc­ chi si erano appesantiti, non si dice che essi non sapevano co­ me rispondergli. L'espressione «ripetendo le stesse parole» è riferita alla terza, e non alla seconda preghiera. Il finale della storia è esposto in questa redazione: «Poi si avvicinò ai disce­ poJi e disse loro: "Dorm ite pure e riposatevi ! Ecco, l 'ora è vi­ cina e il Figlio dell' uomo viene consegnato in mano ai pecca­ tori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino"» (Mt 26,3 6-46). Gli studiosi che partono dal presupposto che Matteo abbia compilato una redazione del testo di Marco, vedono in questo passo una prova della giustezza della propria tesi. Altri insisto­ no sulla priorità di Matteo e dimostrano con non minor succes­ so, sulla base di questo passo, di aver ragione. Altri ancora par­ lano di una fonte comune, usata da entrambi gli evangelisti e che ciascuno di loro avrebbe redatto a modo suo. Si può anche ipo­ tizzare che nei due evangelisti si rispecchino due varianti della medesima tradizione orale. In ogni caso, nonostante le lievi dif­ ferenza che nel testo sono abbastanza numerose, sostanzialmen­ te Matteo e Marco espongono la stessa storia.

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Su questa espressione, cfr. : ILARION ALFEEV, La forza dell 'amore, p. 2 1 7.

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6. IL GETSEMANI

La versione di Luca si differenzia sostanzialmente dalle due versioni riportate: Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazio­ ne» . Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice ! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» . Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che ca­ dono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li tro­ vò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Al­ zatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (Le 22,40-46).

In alcuni manoscritti del Vangelo di Luca il racconto è no­ tevolmente più breve. Vi mancano due frasi: «Gli apparve al­ lora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pre­ gava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra». Ad esempio, queste parole manca­ no nel papiro del III secolo conservato nell ' Ashmolean Mu­ seum di Oxford, che riporta frammenti del capitolo 22 del Van­ gelo di Luca3 • Mancano anche nei codici S inaitico (prima re­ dazione) e Vaticano del IV secolo, nel Codice Alessandrino del V secolo, e in una serie di altri manoscritti. Per questo motivo il frammento in questione viene riportato nelle edizioni criti­ che contemporanee del Nuovo Testamento entro doppie pàren­ tesi quadre4• D ' altro canto, il frammento è presente nella se­ conda redazione del Cod ice Sinaitico, nel Codex Bezae del V secolo e in moltissimi altri testi manoscritti. Tra gli autori an­ tichi, il passo non viene menzionato da Clemente Alessandri­ no (II sec .) e Origene (III sec.), Atanasio di Alessandria e Am­ brogio di Milano (IV sec .), Ciri1 lo di Alessandria (V sec .) e Giovanni Damasceno (VIII sec .)5, mentre a menzionare il su3 Papiro P69, noto anche come papiro di Ossirinco 2383 . Novum Testamentum Graece, p. 2 1 9. 5 Tuttav ia, non in tutti i casi in cui il passo non viene citato significa che gli autori elencati non lo conoscessero. Cfr. : J. OUPLACY, «La préhìstoire du texte en Luc 22,4344», p. 78. 4

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MORTE E RESURREZIONE

dore di sangue di Cristo sono Giustino il Filosofo6 e lreneo di Lione (Il sec.)?, lppolito Romano (III sec.), Eusebio di Cesa­ rea, Didimo di Alessandria, Giovanni Crisostomo e san Giro­ lamo (IV sec.)8• Il numero di testimonianze a favore dell ' appartenenza del frammento al testo originale del Vangelo di Luca è abbastanza grande. Spiegame l ' esclusione dal testo per qualche motivo è più semplice che non spiegare il suo inserimento in una fase più tarda9• Ad esempio, si potrebbe motivare l'omissione del fram­ mento con il fatto che Gesù è presentato qui come in qualche modo dipendente dall'angelo giunto in suo aiuto10• In ogni caso, noi considereremo il frammento come parte integrante del rac­ conto sull'agonia del Getsemani. Questo racconto ha una grandissima importanza per compren­ dere la personalità di Gesù. In esso ci troviamo di fronte a un uo­ mo che soffre tristezza, paura e angoscia: questi tre stati emotivi sono espressi con l'ausilio dei verbi Àu1teio9at («provare tristez­ za», «affliggersi»), ÈK9aJ.L�Bicr9at («provare paura», «stupirsi», «essere sconvolto»), àÙTJJ.LOVeiv («angosciarsi», «preoccuparsi», «tormentarsi», «straziarsi», «amareggiarsi», «avvilirsi» 1 1). Luca testimonia che Gesù era Èv àyrovi� «nella lotta» (agonia). Lo stesso Gesù dice di sé: «La mia anima è triste fino alla morte» (1tBpiÀmt6ç Ècrnv lÌ \jiUxft J.l.OU eroe; eavcitou ). La sua angoscia e paura sono tanto grandi da ripercuotersi sul suo corpo, che stil­ la abbondante sudore. L' espressione di Luca «e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra» può essere intesa alla lettera (il cor-

6 Gru sTINO IL FILOSOFO, Dialogo con Trifone l 03 (PG 6, 7 1 7 -720). Questo testo è considerato la più antica menzione del sudore di sangue di Gesù al di fuori del corpus del Nuovo Testamento. 7 I RENEO DJ LIONE, Contro le eresie 3, 22, 2 (SC 2 1 1 , 436); « . . Non avrebbe pianto su Lazzaro; né avrebbe sudato gocce di sangue, né avrebbe detto: "l ' anima mia è tri­ ste"»; tr. it. p. 289. M J.A. FrrzMYER, The Gospel according to Luke (X-XXIV) , p. 1 443. 9 Cfr. : V. TAYLOR, The Text ofthe New Testament, p. 93. 10 Cfr. : R.E. BROWN, The Death ofthe Messiah, vol. l , p. 1 84. 11 Cfr. : L. Rocc1, Vocabolario Greco-ltaliano, p. 22. .

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po di Gesù stillò sudore di sangue12), oppure in senso figurato (il sudore era tanto copioso da assomigliare a rivoli di sangue): ma la tradizione patristica fin dai primi secoli recepì queste parole alla lettera. Giustino il Filosofo dice: «Nelle memorie . . . compo­ ste dagli apostoli e dai loro discepoli, è scritto che lo copriva un sudore come di gocce di sangue mentre pregava dicendo: "Se possibile si allontani questo calice". Evidentemente il suo cuore era tutto tremante, e così pure le sue ossa; il cuore era diventato come cera fusa nel le viscere» 1 3 • I n questa citazione - l a più antica fra le menzioni del sudore di sangue di Gesù che ci sono note al di fuori del corpus del Nuo­ vo Testamento - il suo stato d'animo viene paragonato a quello descritto dal Salmo 22: lo sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere. Arido come un coccio è il mio vigore, la mia l ingua si è incollata al palato, mi deponi su polvere di morte. Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi . Posso contare tutte le mie ossa. Essi stanno a guardare e mi osservano: si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Libera dalla spada la mia vita, dalle zampe del cane l' unico mio bene. (Sal 22, 1 5-2 1 ) 12 I n questo caso il Vangelo d i Luca descrive l a cosiddetta ematidrosi (lat. haemati­ drosis), una patologia in cui il sudore si mischia con il sangue e trasuda dalla pelle con l'aspetto di un liquido rosa o rosso. Questo fenomeno si osserva in alcuni individui sot­ toposti a forti tensioni psichiche o paure. Il GIUSTINO IL FILOSOFO, Dialogo con Trifone 1 03 (PG 6, 7 1 7-720) ; tr. it. p. 308.

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MORTE E RESURREZIONE

Già ai tempi di Giustino questo salmo veniva inteso come una delle più intense prefigurazioni veterotestamentarie del Messia sofferente. Molti elementi della storia della passione descrittaci dagli evangel isti corrispondono a questo salmo : tra essi la pre­ ghiera di Gesù nel giardino del Getsemani, il processo, gli scher­ ni, la crocifissione, la sorte gettata sulle sue vesti. La condizione fisica, psicologica ed emotiva di Gesù ci viene descritta dai Vangeli sinottici con un realismo atipico rispetto agli altri episodi del racconto evangelico. Ci si potrebbe chiede­ re: come facevano a sapere tutto questo, se essi stessi dicono che in quel momento i discepoli dormivano? Tuttavia, in primo luo­ go, non tutti e tre i discepoli dovettero necessariamente dormire per tutto il tempo in cui Gesù pregò (e a giudicare dallo svolger­ si d eli' episodio, la preghiera di Gesù durò a lungo); uno avreb­ be potuto vegliare in un dato momento, uno in un altro. In se­ condo luogo, Gesù si allontanò per tre volte e per tre volte tornò da loro, svegliando li ogni volta. Anche con gli occhi appesanti­ ti, essi non potevano non vedere quello che gli stava capitando. In terzo luogo, Egli si allontanò molto poco da loro, alla distan­ za di un tiro di sasso, e quindi riuscivano a vederlo. Probabil­ mente pregava a voce alta; forse gridò addirittura a gran voce a Dio, come avrebbe gridato sulla croce (Mt 27 ,46; Mc 1 5,34 ). Una conferma indiretta di questo potrebbero venire dalla let­ tera agli Ebrei, attribuita a san Paolo: «Nei giorni della sua vi­ ta terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e l a­ crime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (Eh 5, 7). Queste parole non mostrano un 'affinità testuale con i racconti evangelici sull'a­ gonia nel Getsemani e potrebbero anche non riferirv isi diretta­ mente. Forse costituiscono un' indicazione complessiva del ruo­ lo di Gesù come intercessore e sommo sacerdote, di cui si par­ la, propriamente, nella lettera agli Ebrei . Gli evangelisti, nar­ rando l ' agonia nel Getsemani, non dicono nu1 Ia di forti grida e lacrime di Gesù. D' altro canto, è fondato ritenere che Paolo, basandosi su altre fonti rispetto a quelle impiegate nei Vangeli di Marco e Luca, 234

6. IL GETSEMANI

parlasse proprio dell'agonia nel GetsemanP4, completando così il quadro delineato dagli evangelisti . Un parallelo alle parole sul fatto che Gesù «venne esaudito» può essere costituito dal rac­ conto di Luca sull 'angelo inviatogli a confortarlo15 • L a preghiera di Gesù è riportata dai sinottici, come abbiamo visto, in quattro diverse varianti : «Abbà! Padre ! Tutto è possibi­ le a te: allontana da me questo calice ! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 1 4,36); «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice ! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua vo­ lontà» (Le 22,42); «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice ! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! » (Mt 26,39); «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà>> (Mt 26,42). La forma più risoluta di preghiera è quella esposta da Marco: qui Gesù in­ siste sul fatto che a Dio tutto è possibile, e chiede che il calice si allontani da Lui. In Luca la stessa preghiera viene espressa in forma più mitigata: «se vuoi . . . » . Infine, in Matteo il contenuto della preghiera viene attenuato dalla prima alla seconda invoca­ zione: la prima volta Gesù dice «se è possibile», mentre la se­ conda variante di preghiera non contiene . alcuna richiesta che il calice si allontani, e pone l 'accento esclusivamente sulla volon­ tà di Dio. A queste varianti si può aggiungere anche il riferimento di Marco alla medesima preghiera in forma indiretta: « . . . pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora» (Mc 1 4,3 5). In tutte e quattro le varianti di discorso diretto di Gesù si parla di calice, che è da intendersi come il calice dei patimenti e della morte. Quando si parla della preghiera nel discorso indiretto il calice viene sostituito dall' «ora», una parola chiave che nel di­ scorso diretto di Gesù indica ciò per cui è venuto e verso cui sta andando irrevocabilmente. Osserviamo che, traducendo il di­ scorso diretto in indiretto, Marco si fa interprete del suo signifi14

Cfr. : R.E. BROWN, The Death ofthe Messiah, vol . l , p. 23 1 . Al cuni studiosi vedono in Eb 5,7 una possibile allusione al grido di Gesù in croce (Mt 27,46; Mc 1 5,34), ma tale interpretazione è meno fondata, perché questo grido non può essere certo inteso come «preghiere e suppliche». 15

235

MORTE E RES URREZIONE

cato (il discorso indiretto si riferisce alla stessa preghiera ripor­ tata nel discorso diretto). Non è un caso che ci siamo soffermati tanto dettagliatamente sulle diverse varianti di preghiera. È difficile spiegarle esclusi­ vamente attraverso il lavoro dei redattori. Parlando della pre­ ghiera di Gesù al Padre, dobbiamo immaginarci una preghiera lunga, che probabilmente non si riduceva a tre frasi. Ma possia­ mo supporre che, man mano che Gesù pregava, la sua anima si placasse e alla paura e al desiderio di sfuggire la morte suben­ trasse gradualmente un 'umile sottomissione alla volontà di Dio. Il paragone fra la prima e la seconda variante di preghiera ripor­ tata da Matteo conferma questa supposizione. Solo Matteo e Marco ricordano che Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, gli stessi discepoli che erano stati con Lui sul monte della trasfigurazione (Mt 1 7, 1 ; Mc 9,2; Le 9,28). Al­ lora i discepoli l'avevano visto nella gloria, raggiante e trasfigu­ rato, con il volto splendente come il sole, e le vesti bianche co­ me la luce; accanto a Lui c' erano Mosè ed Elia, i due personag­ gi principali dell'Antico Testamento. Ma ora accanto a Lui non c'erano né Mosè né Elia; le sue vesti non sfolgoravano e il suo volto non splendeva; il suo corpo stillava sudore di sangue, ed Egli aveva bisogno della compassione dei discepoli e del con­ forto di un angelo. Ricordiamo che al momento della trasfigurazione Pietro e co­ loro che erano con Lui, secondo la testimonianza di Luca, «era­ no oppressi dal sonno» (Le 9,32). Descrivendo lo stato d'animo dei discepoli al Getsemani, solo Luca parla della causa del loro sonno: Gesù li trovò che «dormivano per la tristezza>> . L'appello di Gesù ai discepoli, a pregare «per non cadere in tentazione», ricorda la supplica conclusiva della preghiera del «Padre nostro» (Mt 6, 1 3). E le parole «lo spirito è forte, ma la carne è debole» riecheggiano alcuni detti di Gesù nel Vangelo di Giovanni, in particolare la contrapposizione della carne allo spi­ rito nel colloquio con Nicodemo: «Quello che è nato dal la carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito» (Gv 3 ,6). In un dialogo con i giudei Gesù aveva detto: « È lo Spirito che dà 236

6. IL GETSEMANi

la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto so­ no

spirito e sono vita» (Gv 6,63 ). In questo caso, le parole sul

fatto che la carne è debole possono descrivere la condizione dei discepoli, appesantiti dal sonno. Gesù li esorta a superare la de­ bolezza della carne e a vigilare nello spirito, per non cadere in tentazione. Fin dal II secolo il racconto dell'agonia nel Getsemani diven­ ne uno degli episodi principali impugnati dai teologi cristiani contro il docetismo, un 'eresia che affermava che la carne di Cri­ sto era una forma apparente, e le sue sofferenze solo un ' illusio­ ne. La Chiesa si oppose energicamente a questa eresia, contrap­ ponendole le testimonianze evangel iche sul la realtà delle sue sofferenze, sul fatto che Egli possedesse un vero corpo, che po­ tesse vivere profonde emozioni. Echi del docetismo si avvertono nelle concezioni di Celso, au­ tore pagano del III secolo, che criticò il cristianesimo, chieden­ do, ad esempio, a proposito delle sofferenze di Cristo: « Se Egli aveva deciso questo ed è stato punito perché obbediva al Padre, è chiaro che per Lui che era Dio e lo desiderava, ciò che gli ac­ cadeva secondo la sua volontà non era né doloroso né spiacevo­ le» . Rispondendo a Celso, Origene insiste sul fatto che, assu­ mendo un corpo attraverso la nascita, Gesù «ne assunse uno sog­ getto ai dolori ed alle pene che accadono ai corpi». Prese un cor­ po che per natura non si differenziava dalla carne umana, e in­ sieme al corpo prese su di sé anche le sue sofferenze16• Nella preghiera di Gesù nel Getsemani Celso vede un poten­ te argomento contro la sua divinità: «Pertanto, per quale motivo geme, si lamenta e prega di sfuggire al timore della morte, di­ cendo press'a poco così : "O Padre, se questo calice potesse al­ lontanarsi"?>> . Nella sua risposta Origene ri leva l ' amore per la verità degli evangelisti, che, se avessero voluto, avrebbero po­ tuto passare sotto silenzio ciò che era accaduto nel giardino del Getsemani, eppure non lo fecero. Inoltre, g1i evangelisti non di16

0RIGENE,

Contro Celso 2, 23 (GCS 2, 1 52); tr. it. p. 1 83 .

237

MORTE E RESURREZIONE

cono affatto che Gesù «geme>> . Al contrario, la preghiera da Lui pronunciata «rivela la sua devozione verso il Padre e la sua gran­ dezza d'animm>, mostrando « la sua obbedienza dinanzi alla vo­ lontà del Padre, riguardo alle cose che era stato condannato a soffrire>> . La preghiera di Gesù, continua Origene, mostra la de­ bolezza della carne, ma anche la grandezza dello spirito: la pri­ ma si manifesta nella parte iniziale della preghiera («Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice b> ), la seconda, nel­ la parte finale («Però non come voglio io, ma come vuoi tu! >> Y 7• Nei commenti di alcuni esegeti cristiani si rileva la tendenza a vedere nel le azioni di Gesù innanzitutto l 'aspetto pedagogico. Crisostomo scrive: Egli prega intensamente perché non sembrasse che si trattava di simulazione, e per lo stesso motivo gli scorre il sudore, perché gli eretici non dicessero che fingeva quello stato di angoscia. Perciò il sudore diventò inoltre come gocce di sangue e un angelo gli appar­ ve a confortarlo, e innumerevoli erano le prove della sua paura, per­ ché nessuno dicesse che le sue parole erano finte. Perciò prega. Di­ cendo: «Se è possibile, passi» , ha mostrato la sua umanità; dicendo: «però non come voglio io, ma come vuoi tu», ha indicato la sua vir­ tù e sapienza, insegnando a seguire Dio anche se la natura spinge in senso contrario. Poiché per gli insensati non era sufficiente mostra­ re soltanto il volto, aggiunge anche le parole. D' altra parte, non ba­ stavano solo le parole, ma occorrevano anche i fatti. Unisce alle pa­ role anche questi, perché perfino i più ostinati credessero che si era fatto uomo ed era morto 18 •

A Crisostomo fa eco Teofilatto di Bulgaria, che vede anch'e­ gli in primo luogo una pedagogia nelle azioni e nelle parole di Cristo nel giardino del Getsemani: Poiché s i trova nella lotta e prega, affinché ciò non sembrasse un indice di viltà, Egli prende coloro che avevano visto la sua gloria 17 /bid. 2, 24-25 (GCS 2, 1 5 3- 1 5 5); tr. it. p. 1 84. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 83, l (PG 57, 745 -746) ; tr. it. vol. 3 , p. 298. 18

23 8

6. IL GETSEMANI

divina e avevano udito la testimonianza dal cielo, cosicché, veden­ dolo nella lotta, la ritenessero opera della natura umana. Giacché, per confennare che era veramente Uomo, Egli consentì a questa na­ tura di agire secondo le proprie leggi. Come Uomo, Egli desidera vivere e prega affinché passi da Lui il calice, poiché l ' uomo è attac­ cato alla vita; e così facendo egli confuta le eresie, secondo le cui parole Egli si sarebbe incarnato solo in apparenza19•

Qui tutte le azioni e le parole di Gesù, la sua condizione psi­ cologica e fisica sono descritte come se Egli le controllasse pie­ namente, pensando al giovamento che avrebbero potuto trame le successive generazioni di lettori della storia evangelica. For­ se, per gli esegeti era semplicemente un artificio retorico, ed es­ si non avevano l ' intenzione di negare che Gesù ebbe bisogno del conforto dell ' angelo, che ebbe bisogno di pregare il Padre, che ebbe paura della morte. Tuttavia, i loro commenti inducono que­ sta impressione. Molto più importante è un altro tema presente nei commenti patristici sull'agonia nel Getsemani: il fatto che vi si parla del­ l'unione in Gesù delle due nature, divina e umana. Nel IV seco­ lo gli ariani usarono il racconto dell'agonia nel Getsemani per dimostrare che Cristo non era Dio: poteva forse, come Dio, mo­ strare passioni umane così infime come la paura e la tristezza? A questo la Chiesa ri spose con la dottrina sulla presenza in Ge­ sù delle cosiddette «passioni non riprovevoli», cioè di qualità presenti nell'uomo comune che non comportano peccato. Le sof­ ferenze di Gesù, descritte dagli evangelisti nel racconto sull 'a­ gonia nel Getsemani testimoniano che era un uomo vero, in gra­ do di rattristarsi, angosciarsi, spaventarsi e inorridire davanti al­ la morte. Ma la presenza in Lui di queste qualità umane non smi­ nuisce la sua natura divina. Nel V secolo si discuteva su come in Gesù Cristo la natura di­ vina e quella umana si congiungessero. Alcuni (i monofisiti) ri­ tenevano che la natura umana fosse completamente fagocitata 19 TEOFILAJTO m BuLGARIA, Enarratio in Evange/ia: In Lucam 22 (PG 1 23, 1 080- 108 1 ).

239

MORTE E RE SURREZIONE

da quella divina. La Chiesa rispose attraverso la voce di papa Leone Magno, che al IV Concilio ecumenico espose la dottrina su come due nature distinte e reali si unissero nell' unica perso­ na del Dio-uomo. Commentando la preghiera di Gesù nel giar­ dino del Getsemani secondo la versione di Matteo («Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice ! Però non come vo­ glio io, ma come vuoi tu !»), Leone Magno dice: La prima richiesta è della debolezza, la seconda è della potenza; la prima espresse un desiderio come uno di noi, la seconda operò la scelta da parte sua: il Figlio uguale al Padre non ignorava che a Dio tutto è possibile, né era disceso in questo m ondo a prendere la cro­ ce senza la sua volontà [umana] cosi da avere la ragione in qualche modo turbata e soffrire questo conflitto di sentimenti . Ma piuttosto, perché fosse manifesta la distinzione tra la natura di colui che assu­ me e la natura assunta, ciò che era dell' uomo desiderò la potenza divina, e ciò che era di Dio guardò alla causa umana. La volontà in­ feriore cedette alla superiore . . . 20

Sul problema delle due volontà esistenti in Cristo, nel VII se­ colo sorse un'altra eresia, secondo cui la sua volontà umana era completamente soggiogata da quella divina (monotelismo). A riprova di ciò si rimandava ancora una volta alla preghiera nel giardino del Getsemani. Tuttavia, la Chiesa vide nel monoteli­ smo una riduzione della vera natura umana di Cristo. Fu propo­ sto di guardare alla preghiera nel giardino del Getsemani come a una testimonianza della presenza in Gesù di una volontà uma­ na vera, che si esprime appieno nelle parole: «se è possibile, pas­ si via da me questo calice ! » . Ma questa volontà umana non era in contraddizione o in conflitto con la volontà divina. Massimo il Confessore, il più grande avversario del monotelismo, distin­ gue tra la volontà naturale - che era propria del l' uomo all' atto della sua creazione - e la volontà «selettiva», oscillante, che ap­ pare in lui dopo il peccato. La volontà naturale di Adamo subito 20

LEONE MAGNO, Sermoni 43, 2 (CCSL 1 38A, 56); tr. it. p. 167.

240

6. IL GETSEMANI

dopo la creazione non era in contrasto con la volontà di Dio ed era una cosa sola con essa, mentre la volontà di Adamo dopo il peccato può entrare in conflitto con Dio. L'oscillare tra bene e male, proprio dell ' uomo peccatore, non era proprio di Cristo, la cui natura umana era interamente deificata2 1 • Le dispute dogmatiche dei secoli passati possono sembrare lontane dalla problematica che interessa il lettore contempora­ neo del Vangelo. Esse conservano tuttavia il proprio valore non solo per la Chiesa, che rispose alle domande poste nel corso di tal i dispute con precise definizioni dogmatiche, ma anche per chiunque voglia comprendere più a fondo la storia evangelica. Gli evangelisti delineano la figura di un uomo tanto inusuale da non poter rientrare negli schemi universali di eroe positivo, in grado di «sottomettere le passioni all' intelletto»22• In Gesù non esisteva ciò che nel linguaggio contemporaneo si direbbe eroismo. Non era uno di coloro che non temono le sofferenze, sanno sopportare il dolore fisico stringendo i denti, senza emet­ tere un gemito, che accolgono una sentenza di morte con calma e sangue freddo, salgono al patibolo orgogliosamente, a testa al­ ta. Gli evangelisti delineano una figura completamente diversa: non un superuomo, ma un uomo, non un eroe impavido, ma un individuo che si affligge, soffre, ha paura, ha bisogno di com­ passione e di aiuto. Se Gesù negli ultimi istanti prima dell'arresto pregò il Padre, è perché aveva bisogno di un aiuto dall 'alto. Se chiese al Padre se era possibile che il calice della sofferenza si allontanasse da lui, significa che Egli realmente, umanamente, si augurava un altro finale23 • Se il Padre gli inviò un angelo a confortarlo, signi­ fica che aveva bisogno di tale sostegno. Se il suo corpo stillava sudore di sangue, significa che le sue sofferenze interiori erano realmente forti . 21

Cfr. : J. MEYENDORFF, Christ in Eastern Christian Tradition, pp. 1 3 6-1 37, 1 46- 1 49. N.A. NEKRASOV, «Pamjati Dobroljubova» (In memoria di Dobroljubov), p. 1 2. 23 W. H. KELBER, «The Hour of the Son of Man and the Temptation of the Disci­ ples>>, p. 43 : «La preghiera affi nché l'ora passasse e il calice si allontanasse ha tutti gli indizi del desiderio di sfuggire alla croce». 22

24 1

MORTE E RESURREZIONE

Eppure vediamo in Lui un 'assoluta obbedienza alla volontà divina: conclude la sua preghiera con le parole «Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» . Vediamo che non è intera­ mente concentrato su di sé e sulle proprie sofferenze: ritorna più volte dai discepoli, esortandoli a vegliare e a pregare per non cadere in tentazione . Vediamo che, pur avendo paura del­ la morte, non fugge, non si nasconde da coloro che dovevano venire a prenderlo. Con tremore e paura, ma anche con piena um iltà e disponibilità ad accettare la volontà di Dio, Egli atten­ de l ' «ora» per la quale era venuto sulla terra e che sapeva es­ sere inevitabile.

2. L'arresto

L'arresto di Gesù viene descritto da tutti e quattro gli evange­ listi, e le loro versioni si completano a vicenda. Riportiamo inizialmente le versioni di Matteo e Marco : Mentre ancora egli parlava, ecco ar­

E subito, mentre ancora egli parla­

rivare Giuda, uno dei Dodici, e con

va, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e

lui una grande folla con spade e ba­

con lui una folla con spade e basto­

stoni, mandata dai capi dei sacerdo­

ni, mandata dai capi dei sacerdoti,

ti e dagli anziani del popolo. Il tra­ ditore aveva dato loro un segno, di­

dagli scribi e dagli anziani. Il tradi­ tore aveva dato loro un segno con�

è lui; ar­

venuto, dicendo: «Quello che bace­

restatelo ! » . Subito si avvicinò a Ge­

rò, è lui; arrestatelo e conducetelo

cendo: «Quello che bacerò,

sù e disse: «Salve, Rabbi ! » . E lo ba­

via sotto buona scorta». Appena

ciò. E Gesù gli disse: «Amico, per

giu nto, g l i si avv i c i n ò e d i s s e :

questo sei qui ! » . A l l ora si fecero

«Rabbi» e lo baciò. Quel li gli mi­

avanti, m i sero le man i addosso a

sero le mani addosso e lo arresta­

Gesù e lo arrestarono.

rono.

Ed ecco, uno di quelli che erano

Uno dei presenti estrasse la spada,

con Gesù impugnò la spada, la

percosse i l servo del sommo sa­

estrasse e colpi il servo del sommo

cerdote e g l i staccò l ' o recchio

sacerdote, staccandogli un orecchio

(Mc 1 4,43-47).

(Mt 26 ,47-5 1 ).

242

6. IL GETSEMANI

Come vediamo, le differenze tra le due versioni sono irrile­ vanti. Il racconto di Marco comincia con il «e subito» che gli è caratteristico, e con l'ausilio del quale spesso introduce un nuo­ vo soggetto. Fra i mandanti dell'arresto di Gesù Marco compren­ de anche gli scribi, aggiungendoli ai sacerdoti e agli anziani. Nel­ la replica di Giuda Marco inserisce un altro elemento, le parole «conducetelo via sotto buona scorta», mentre nel suo testo man­ ca la risposta di Gesù a Giuda: «Amico, per questo sei qui ! » . Successivamente, in Matteo segue un passo che manca in Marco : Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, per­ ché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O cre­ di che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici le g i on i di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali cosi deve avven i­ re?» (Mt 26,52-54 ) .

Quindi i due evangelisti proseguono insieme: In quello stesso momento Gesù dis-

Allora Gesù disse loro : «Come se

se alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prenderm i con

dermi con spade e bastoni. Ogni

spade e bastoni. Ogni giorno sede-

giorno ero in mezzo a voi nel tem­

fossi un ladro siete venuti a pren­

vo nel tempio a insegnare, e non mi

pio a insegnare, e non m i avete ar­

avete arrestato . Ma tutto questo è

restato . Si compiano dunque l e

avvenuto perché si compissero le

Scritture ! » . A l lora tutti lo abban­

Scritture dei profeti». Allora tutti i

donarono e fuggirono

discepo li lo abbandonarono

e fug-

(Mc 1 4,4 8 - 50) .

girano (Mt 26,55-56).

Poi Marco aggiunge un episodio che non troviamo in Matteo: Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un len­ zuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo (Mc 1 4,5 1 -52).

243

MORTE E RES URREZIONE

La versione di Luca è notevolmente più breve, tuttavia ripor­ ta alcuni particolari che mancano in Matteo e Marco: Mentre ancora egli parlava, ecco giu,ngere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «G iuda, con un bacio tu tradisci il Fi­ glio dell' uomo?» . Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spa­ da?» . E uno di loro colpi il servo del sommo sacerdote e gli staccò l' orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: « Lasciate ! Basta cosi ! » . E, toccandogli l' orecchio, lo guatì . Poi Gesù disse a coloro che erano venuti contro di lui, capi dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Come se fossi un ladro siete venuti con spade e bastoni. Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai messo le mani su di me; ma questa è l ' o­ ra vostra e il potere delle tenebre» (Le 22,47-53).

Nella narrazione di Luca coloro che vengono ad arrestare Ge­ sù sono dapprima chiamati con il nome collettivo di «folla» (oxwç), poi vengono designati come capi dei sacerdoti, capi del­ le guardie del tempio e anziani. Solo Luca conserva le parole di Gesù: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell'uomo?» . E solo in Luca i discepoli dicono: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?» . Ricordiamo l ' invito di Gesù ad acquistare una spa­ da e la risposta dei discepoli, che ne avevano due (Le 22,36.3 8). Luca è l'unico degli evangelisti a dire che Gesù risanò l' orec­ chio del servo del sommo sacerdote. Le parole rivolte da Gesù a coloro che erano venuti ad arrestarlo sono identiche a quelle che leggiamo in Matteo e Marco, ma qui si aggiunge: «ma que­ sta è l'ora vostra e il potere delle tenebre» . La versione di Giovanni si differenzia notevolmente dalle tre versioni riportate, offrendo ulteriori informazioni sui partecipan­ ti agli avvenimenti e riferendo, in particolare, i nomi di alcuni personaggi rimasti anonimi negli altri evangelisti : Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e al­ cune guardie fomite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanter244

6. IL GETSEMANI

ne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?» . Gli rispose­ ro: «Gesù, il Nazarenm> . Disse loro Gesù: «Sono iob> . Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indie­ treggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cerca­ te?» . Risposero: «Gesù, il Nazareno» . Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano» , perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato» . Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpi il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel ser­ vo si chiamava Maleo. Gesù allora disse a Pietro : «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?». Al­ lora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturaro­ no Gesù, lo legarono . . . (Gv 1 8,3- 1 2).

Quanti sono giunti ad arrestare Gesù vengono presentati da Giovanni come un «gruppo di soldati e alcune guardie fomite dai capi dei sacerdoti e dai farisei» . A capo di entrambi i gruppi c'è Giuda, che li prende con sé. Con essi Gesù intrattiene un dia­ logo che non ha paralleli negli altri evangelisti. Solo Giovanni riferisce che coloro che erano venuti a catturare Gesù, udendo le parole «Sono io! », indietreggiano e cadono a terra. E solo in Gio­ vanni Gesù chiede che i discepoli siano lasciati andare. Inoltre, nessuno degli evangelisti dice che il discepolo che colpì il servo del sommo sacerdote fosse Pietro, e nessuno men­ ziona il nome del servo. In essi mancano anche le parole di Ge­ sù sul calice che deve bere. Possiamo ricordare che, sebbene Giovanni, secondo i sinottici, fosse nel giardino del Getsemani, nel suo Vangelo non si menziona la preghiera in cui Gesù chie­ deva che il calice, se possibile, si allontanasse da Lui. Il cal ice compare solo nella scena dell' arresto, nelle parole di Gesù a Pie­ tro. In tal modo, oltre a completare i racconti dei tre evangelisti, Giovanni vi introduce un diverso accento. Come in scene cinematografiche girate con quattro telecame­ re, ognuna delle quali mostra l'avvenimento secondo la propria angolatura, la storia della cattura di Gesù viene ricostruita sulla 245

MORTE E RE SURREZIONE

base dei quattro racconti evangelici in tutti i particolari. Si deli­ nea il quadro seguente. Quando Gesù torna dai discepoli per la terza volta, Egli vede Giuda, sveglia i tre discepoli (ricordiamo che gli altri otto in que­ sto momento erano altrove), e dice che chi l'ha tradito è vicino. Giuda lo saluta con le parole «Salve, Rabbi ! » e un bacio sulla guancia, che probabilmente era un saluto abituale nella comuni­ tà dei discepoli di Gesù. Gesù, nella versione di Matteo, rispon­ de: «Amico, per questo sei qui ! » ; oppure, nella versione di Lu­ ca: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell'uomo?». Que­ sta è la prima scena. Si svolge alla presenza della folla che Giu­ da ha preso con sé, o inizialmente Giuda si avvicina a Gesù e poi compare la folla? Solitamente, nel la saggistica e nel l'iconografia Giuda viene rappresentato accanto a Gesù insieme alla folla. Il suo bacio e il suo saluto hanno fin dall ' inizio un significato evidente per il let­ tore, che si riflette nella domanda posta da Gesù nella versione di Luca: si può essere così ipocriti da salutare con un bacio l 'uo­ mo che si è tradito, e farlo sotto gli occhi della folla sopraggiun­ ta? Crisostomo esclama, a questo proposito: «Ahimè! Quanta malvagità ha accolto l'anima del traditore ! Con quali occhi guar­ dava allora il Maestro? Con quale bocca lo baciava? Che animo scellerato ! Che cosa ha tramato? Che cosa ha osato? Quale se­ gno del tradimento ha dato?»24• E nei testi liturgici il bacio di Giuda viene detto «bacio fraudolento»25• Ma si può vedere la scena anche in maniera diversa. Giuda arriva inizialmente da solo, e la folla attende dietro gli alberi . Saluta il Maestro, e Gesù si rivolge a lui come se non conosces­ se le sue intenzioni: «Amico, per questo sei qui ! » . Questo svi­ luppo degli eventi avrebbe potuto aver luogo nel caso in cui Giu­ da avesse voluto celare il proprio tradimento. Non a caso in pre24 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 83, 2 (PG 57, 747); tr. it. vol. 3, p. 30 1 . 15 Cfr., ad es. : Triodion quaresimale. Venerdl santo, mattutino, antifona 5 : «I l disce­ polo concordò il prezzo del Maestro e per trenta denari d' argento vendette il Signore, con un bacio fraudolento lo consegnò agli iniqui perché lo mettessero a morte».

246

6. IL GETSEMANI

cedenza si era accordato con il gruppo dei soldati e le guardie dicendo che avrebbe salutato Gesù con un semplice bacio, e que­ sto sarebbe stato il segno per capire chi dei dodici dovevano ar­ restare (Giuda non sapeva che Gesù aveva preso con sé tre di­ scepoli, e non undici). Questa interpretazione non viene esclusa dalla versione di Matteo (inizialmente si avvicina Giuda, e poi la folla), e di Marco (inizialmente «arriva» Giuda, poi, «dopo essere giunto, si avvicina», quindi la folla mette le mani addos­ so a Gesù). Ma si accorda male con la versione di Luca e non si accorda affatto con la versione di Giovanni (in cui la scena del bacio di Giuda manca completamente). È difficile accettare il parere di Origene, secondo cui Giuda serbava nei confronti di Gesù «una certa riverenza» ; «se infatti non l'avesse conservata, egli lo avrebbe tradito apertamente, sen­ za la finzione del bacio»26• Tuttavia non si può escludere che Giuda volesse celare il fatto del tradimento da lui perpetrato a Gesù e ai discepoli, salutare il Maestro e unirsi al gruppo, per poi fingere di meravigliarsi all'arrivo del gruppo dei soldati. Le parole «conducetelo via sotto buona scorta», che Marco mette in bocca a Giuda, possono essere intese nel senso che l'o­ perazione doveva essere condotta senza eccessivo rumore, affin­ ché il popolo, udito dell' arresto di Gesù, non insorgesse in sua difesa. Difficilmente Giuda, una volta deciso di tradire il Mae­ stro, si sarebbe preoccupato della sua sicurezza. Nelle parole di Gesù: «Amico, per questo sei qui ! » si vede so­ vente un'amara ironia: chi doveva essere amico compie un ge­ sto di amicizia in cui si cela in realtà il tradimento27• D'altro can­ to, queste parole possono essere intese come l 'ultimo tentativo di Gesù di indurre Giuda a riconoscere il proprio peccato e a pen­ tirsi. L' intonazione di rimprovero è più marcata nella versione di Luca: «G iuda, con un bacio tu tradisci il Figlio deJI 'uomo?» . La seconda scena appare solo in Giovanni : qui Gesù non si rivolge a Giuda, ma subito alla folla: «Chi cercate?» (riva çllteìn:). 26 ORIGENE, Contro Celso 2, I l (GCS 2, 139); tr. 27 L . MoRRIS, The Gospel according to Matthew,

247

it. p. 1 70. p. 674.

MORTE E RESURREZIONE

Questa domanda ricorda le parole rivolte aW inizio della storia evangelica ai due discepoli di Giovanni B attista che l ' avevano seguito: «Che cosa cercate?» (ti çTttdte) (Gv 1 ,3 8). Essa ri­ corda anche le parole che Gesù risorto rivolgerà a Maria Mad­ dalena: « Donna, perché piang i? Chi cerchi?» (tiva. çTttciç) (Gv 20, 1 5). D' altra parte, la domanda di Gesù ha un nesso con le svariate menzioni dell'evangelista Giovanni al fatto che i giu­ dei «cercavano» di uccidere Gesù (Gv 5, 1 8; 7, 1 . 1 9-20.25 . 3 0; 8,3 7 .40; l 0,3 9)28• L'evangelista sottolinea che Gesù, facendo la domanda «Chi cercate?», sapeva che cosa lo aspettava e non nutriva il lusioni sullo scopo per cui erano venuti a prenderlo. Ricevuta la rispo­ sta: «Gesù, il Nazareno», risponde: «Sono io ! » . E qui avviene qualcosa di inaspettato: i soldati e le guardie indietreggiano e ca­ dono a terra. Come spiegarlo? I commentatori solitamente si li­ m itano a indicare l ' effetto dell ' energia di Gesù: «Questo fece Gesù per mostrare che senza la sua condiscendenza essi non so­ lo non avrebbero potuto catturarlo, ma neppure vederlo, sebbe­ ne Egli si trovasse in mezzo a loro»29• Oppure indicano l'ener­ gia racchiusa nella sua parola: «Per dimostrare che, di fronte al­ la ineffabile e divina potenza, non valevano a nulla la schiera dei soldati e le forze di tutti gli uomini, rivolgendo loro una parola mite e benigna, rovescia a terra la moltitudine di chi lo cercava . . . »30• Osservano che insieme ai soldati e alle guardia dovette ca­ dere a terra anche Giuda31 • I commentatori contemporanei richiamano l ' attenzione sulla formula «Sono io ! » come possibile chiave per sciogliere l'enig­ ma del significato di questo episodio. Come abbiamo già osser­ vato nella nostra ricerca32, le parole di Gesù traducibili con l ' e28

RE. BROWN, The Death of the Messiah, vol . l, p. 260. GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae in Ioannem 83, l (PG 59, 448). 3° CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni I l , 12 (PG 74, 5 84 ); tr. it. vol . 3, p. 386. 3 1 GIOVANNI CRISOSTOMO, Homi/iae in /oannem 83, l (PG 59, 448). 3 2 ILARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. III: l miracoli di Gesù, pp. 4 1 0-4 1 1 ; vol . V: L 'Agnello di Dio, p. 1 98 . 29

248

6. IL GETSEMANI

spressione greca èyro eÌJ.Lt (lett. «lo sono») nella lingua in cui par­ lava Gesù potevano suonare come il nome di Dio 010' Yahwe, il cui significato letterale è «lo sono», oppure «JlVÒç («nudo») non necessaria­ mente significa una completa nudità: può anche indicare che la persona portasse una fascia sui lombi. Il ragazzo, però, avrebbe potuto anche non averla. Come osserva uno studioso, «si avvol­ geva il drappo intorno al corpo senza cinture o fibbie di sorta; di conseguenza, anche nella vita quotidiana bastava poco perché una simile veste scivolasse via nel movimento. Nel corso di atti violenti, in cui venivano usati mani o piedi, tale veste era prati­ camente condannata a cadere»42• Lo conferma l'episodio bibli­ co in cui Giuseppe lascia la veste nelle mani della moglie del fa­ raone, quando cerca di indurlo a giacere con lei (Gen 39, 1 2). È stata ripetutamente avanzata l' ipotesi che il giovane descrit­ to nel Vangelo di Marco non sia altri che lo stesso evangelista43 • Questo corrisponderebbe pienamente alla maniera degli antichi autori di celarsi dietro personaggi anonimi. Sarebbe indiretta.. mente confermato dal fatto che Giovanni Marco, identificabile con l' autore del secondo Vangelo, era di Gerusalemme: la casa 42 H.M. JACKSON, «Why the Youth Shed His Cloak and Fled Naked», p. 280. " Cfr. su questo: R. BAUCKHAM, Jesus and the Eywitnesses, pp. 1 98-20 l . 254

6. IL GETS EMANI

di sua madre, dopo la resurrezione di Cristo, sarebbe stata uno dei luoghi in cui i cristiani si riunivano regolarmente per la pre­ ghiera comune (At 1 2, 1 2). In base ad altre ipotesi, il giovane nudo sarebbe Giovanni44, oppure Giacomo45, oppure ancora Lazzaro4 6 • Se si parte dal fat­ to che con Gesù in quel momento c'erano solo tre discepoli, an­ che le ipotesi di Giovanni o Giacomo sono abbastanza verosi­ mili. Tuttavia, solo l ' ipotesi che l 'evangelista Marco raffigurasse nel giovane nudo se stesso spiega perché questo episodio, che sembrerebbe non avere un particolare significato, venne inseri­ to nel suo racconto e non è invece menzionato in nessun altro Vangelo. ***

Nel corso d i tutta la precedente narrazione evangelica abbia­ mo visto Gesù circondato dai discepoli : solo in rari momenti, quando voleva ritirarsi a pregare, li lasciava. Ora sono loro a !a­ sciarlo. Il tentativo di Pietro di intervenire in difesa di Gesù non ha avuto successo. Per di più, il Maestro non l'ha lodato affatto per il suo gesto arrischiato. Nel libro L 'inizio del Vangelo abbiamo detto che le relazioni tra Gesù e i discepoli, descritte nelle pagine del Vangelo, non erano affatto rosee e senza nubi47• Non di rado le reazioni alle sue parole e atti erano di stupore, incomprensione, sconcerto, in­ credulità, paura, protesta. I discepoli non capivano il significato delle parabole di Gesù e di molte sue affermazioni. Suscitavano l 'incomprensione dei discepoli le numerose allusioni e le dirette predizioni di Gesù circa la propria morte. Essi udivano tali pre44 J.A. GRASSI, The Secret Identity ofthe Beloved Disciple, p. I l i . 45 EuTIMIO ZIGABENO, Commentarium in Matthaeum 26, 5 6 (PG 129, 693): «Gli uni dicono che il ragazzo fosse della casa in cui Gesù Cristo aveva celebrato la Pasqua, e al­ tri che fosse Giacomo, il fratello del Signore, che per tutta la vita usò una sola veste>>. 46 M.J. HAREN, «The Naked Young Man>>, pp. 525-53 1 . 47 ILARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento; vol. I : L 'inizio del Vangelo, pp. 538-539.

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MORTE E RESU RREZIONE

dizioni, non le intendevano, «e avevano timore di interrogarlo» (Mc 9,3 2). Tra i discepoli divampavano periodicamente dispute sul pri­ mato, e Gesù doveva intervenire in esse (una tale discussione sorse quasi al momento dell'Ultima cena, se si segue letteral­ mente il filo del racconto di Luca). Sentendo parlare Gesù del regno di Dio, i discepoli si rappre­ sentavano vagamente questo regno e cercavano di capire che po­ sto fosse loro riservato. Una volta i due fratelli Giacomo e Gio­ vanni, gli stessi che poi Gesù avrebbe preso con sé nel giardino del Getsemani, gli si avvicinarono per chiedergli: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sini­ stra». La risposta di Gesù, forse, li deluse: «Voi non sapete quel­ lo che chiedete» . E sebbene essi assicurassero che potevano be­ re il calice che Egli avrebbe bevuto, ed essere battezzati nel bat­ tesimo in cui sarebbe stato battezzato, non avevano alcuna idea di che cosa fossero questo calice e questo battesimo. E non po­ tevano probabilmente rallegrarli le parole: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (Mc 1 0,3 7-40). Ma che sovrano sei dunque, se non puoi far sedere accanto a te i tuoi più prossimi discepoli? Nel lo stesso libro abbiamo osservato che praticamente non si incontrano nei Vangeli episodi in cui i discepoli dimostrino vi­ sibilmente il proprio sostegno al Maestro oppure gli esprimano semplicemente approvazione per le sue azioni, gioia, amm ira­ zione. Nella maggior parte dei casi gli fanno domande, e talvol­ ta esprimono apertamente il proprio sconcerto per ciò che Egl i dice o fa. La sua reazione al comportamento dei discepoli è spes­ so emotiva: può rispondere con un ' altra domanda alle loro do­ mande, e può anche rimproverarli per la loro incomprensione, incredulità, durezza di cuore. Essi lo amano, ma hanno timore di fargli una domanda di troppo, per non incorrere nella sua col­ lera. Nella storia del la passione questa crisi relazionale raggiun­ ge il culmine. 256

6. IL GETSEMANI

Gesù viveva a un altro livello spirituale rispetto ai suoi disce­ poli. Cercava di elevare anche loro a questo livello, spiegava pa­ zientemente il senso del proprio insegnamento, li rendeva par­ tecipi dei propri pensieri e delle proprie idee. Ma essi faticavano a comprendere. Il suo annuncio del Regno dei cieli si scontrava continuamente con le loro aspettative, legate alla restaurazione del regno terreno di Israele con a capo Gesù in qual ità di poten­ te leader politico. Anche dopo la sua resurrezione, avrebbero continuato a chiedergli: « Signore, è questo il tempo nel quale ri­ costituirai il regno per Israele?» (At 1 ,6). E ora, quando Egli aveva fatto gloriosamente ingresso in Ge­ rusalemme, ma poi non era seguito ciò che essi segretamente speravano, erano pieni di turbamento, sconcerto e delusione. Per uno di essi questo divenne motivo di tradimento. Gli altri resi­ stettero fino ali 'ultimo istante, ma quando Gesù fu catturato ca­ pirono che non c' era da aspettarsi più nulla. Nel successivo rac­ conto della passione di Cristo essi praticamente escono di scena, a eccezione di Pietro, menzionato da tutti gli evangelisti, e del­ l'«altro discepolo», menzionato da Giovanni48• Ma anche Pie­ tro, come vedremo, non dimostrerà grande valore.

48 A. Pum

1

TÀRRECH, Jesus, p. 538. 257

Capitolo 7 GES Ù DAVANTI AI CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

Secondo i Vangeli sinottici, dal Getsemani Gesù fu condotto dal sommo sacerdote Caifa, il cui interrogatorio è descritto nei particolari dai tre evangelisti . Giovanni invece dice che inizial­ mente Gesù fu condotto da un altro sommo sacerdote, Anna, suo­ cero di Caifa. Per contenuto l' interrogatorio da Anna, descritto nel quarto Vangelo, non coincide con l ' interrogatorio da Caifa, riportato nella testimonianza dei sinottici. Si può quindi parlare di due interrogatori che si susseguirono. Questi interrogatori si svolsero probabilmente in locali diversi, ma nello stesso edifi­ cio, giacché Pietro, che era in cortile e si scaldava al fuoco, è pre­ sente sullo sfondo in entrambi i casi. In questo capitolo inizialmente prenderemo in esame la testi­ monianza di Giovanni sull ' interrogatorio da Anna, e poi la testi­ monianza dei sinottici sul processo da Caifa. In seguito esami­ neremo la storia del rinnegamento di Pietro, descritta da tutti i quattro evangelisti.

l. L'interrogatorio da Anna

Il sommo sacerdote in carica al tempo del ministero terreno di Gesù era Caifa, ma suo suocero Anna, in precedenza sommo sacerdote, continuava a svolgere un ruolo essenziale nelle que­ stioni religiose e sociali. Anna è l'abbreviazione del nome Ana­ nia. Un 'altra abbreviazione di questo nome è Anano, usata da Giuseppe Flavio, da cui apprendiamo che i sommi sacerdoti cam259

MORTE E RESURREZIONE

biavano spesso per volontà delle autorità romane. Come dice lo storico, «essendo il sommo sacerdote Joazar sopraffatto da una sedizione popolare, Quirino gli tolse la dignità del suo ufficio e costituì sommo sacerdote Anano, figlio di Seth» . In seguito, quando divenne imperatore Tiberio, in Giudea fu inviato come procuratore Valerio Grato, che «depose Anano dal suo sacro uf­ ficio e proclamò sommo sacerdote Ismaele, figlio di Fabi; dopo un anno lo depose e, in sua vece, designò Eleazaro, figlio del sommo sacerdote Anano. Dopo un anno depose anche lui e all'uf­ ficio di sommo sacerdote designò Simone, figlio di Camitho . L' ultimo menzionato tenne questa funzione per non più di un an­ no e gli successe Giuseppe, che fu chiamato Caifa. Dopo questi atti Grato si ritirò a Roma dopo essere stato in Giudea per undi­ ci anni. Venne come suo successore Ponzio Pilato»' . Valerio Grato fu prefetto della Giudea dall'anno 1 5 al 26. Dal racconto di Giuseppe Flavio si evince che Anano fu sostituito durante il suo governo, e -poi nella funzione di sommo sacerdo­ te si susseguirono Ismaele, Eleazaro, Simone e Caifa. Uno di co­ storo era figlio di Anano. Tuttavia, in un altro punto Giuseppe Flavio ricorda che Anano aveva cinque figli maschi, «e tutti, do­ po di lui, godettero di quell 'ufficio per un lungo periodo, dive­ nendo sommi sacerdoti di Dio»2• «Un fatto che non accadde mai ad alcuno dei nostri sommi sacerdoti», osserva lo storico3 • Il ministero del sommo sacerdote, secondo la legge di Mo­ sè, doveva essere a vita (Nm 3 5 ,25), e il continuo susseguirsi di sommi sacerdoti sotto la dominazione romana andava con­ tro la tradizione consacrata da secoli. Forse, proprio il fatto che i sommi sacerdoti prima di Caifa cambiassero praticamente ogn i anno è il motivo della triplice sottolineatura, nel Vangelo

1

GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 1 8, 2, 1 -2; tr. it. vol. 2, pp. I l 09- 1 1 1 1 . Quattro dei figli di Anna furono sommi sacerdoti dopo Caifa. Sono tutti menziona­ ti da Giuseppe Flavio: Gionata (Antichità giudaiche 1 8, 4, 3; tr. it. vol . 2, p. 1 1 22; Guer­ ra giudaica 2, 1 2, 5-6; 2, 1 3 , 3), Teofilo (Antichità giudaiche 1 8, 5, 3 ; tr. it. vol . 2, p. 1 1 27), Mattia (Antichità giudaiche 1 9, 6, 4; tr. it. vol . 2, p. 1208), Anano (Antichità giu­ daiche 20, 9, l ; tr. it. vol. 2, p. 1 247; Guerra giudaica 4, 3, 7; 4, 3, 9-14; 4, 5, 2). 3 GmsEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 20, 9, l ; tr. it. vol . 2, p. 1 247. 2

260

7. GESÙ DAVANTI Al CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

d i Giovanni, che Caifa era «sommo sacerdote quell'anno» (Gv 1 1 ,49.5 1 ; 1 8, 1 3 ). L'élite giudaica circondava gli ex sommi sacerdoti di grande ri spetto e conservava loro il titolo. Lo testimonia, in particolare, il fatto che Giuseppe Flavio, parlando di uno dei precedenti som­ mi sacerdoti, lo chiami con questo titolo, sebbene fosse stato so­ stituito da quindici anni4• Nel Vangelo di Luca, Anna è ricordato accanto a Caifa in qualità di sommo sacerdote, sebbene in quel momento non fosse tale (Le 3,2). Anna e Caifa sono menziona­ ti anche negli Atti (At 4,5-6). Al mantenimento del titolo e di alcuni privilegi agli ex som­ m i sacerdoti contribuiva anche l'ampia rete di legami familiari esistenti tra essi e le persone che occupavano la carica di som­ mo sacerdote. Che Anna fosse suocero di Caifa lo sappiamo so­ lo dal Vangelo di Giovanni, ma in questo non c'era niente di stra­ no: oltre ai cinque figli già ricordati, Anna avrebbe potuto avere anche una figl ia, con cui era sposato Caifa. Sia Anna che Caifa, secondo le testimonianze in nostro pos­ sesso, erano del partito dei sadducei 5 • L'espressione «capi dei sacerdoti e farisei», che si incontra in Matteo e Giovanni (Mt 2 1 ,45; 27,62; Gv 7,45; 1 1 ,47), può essere intesa come un' indi­ cazione del fatto che i sommi sacerdoti non appartenevano al partito dei farisei. Sebbene tra farisei e sadducei vi fossero serie differenze dottrinali, neJle questioni politiche essi spesso si alle­ avano (possiamo ricordare l'osservazione di Giuseppe Flavio: «Allorché assumono un ufficio . . . i Sadducei lo sottopongono, loro malgrado, ai Farisei; perché in altra maniera non sarebbero tollerati dal popolo»6). Nell'atteggiamento violentemente nega­ tivo nei confronti di Gesù e nel desiderio di eliminarlo sadducei e farisei erano unanimi. L' interrogatorio da Anna, descritto nel Vangelo di Giovanni, si differenzia diametralmente da ciò che leggiamo nei sinottici

6. J.P. MEIER, A Margina/ Jew, vol. III, pp. 396-399. 6 GIUSEPPE fLAVIO, Antichità giudaiche 1 8, l , 4; tr. it. vol. 2, p. I l 07.

4 lo . , Guerra giudaica 2 , 1 2, 5

26 1

MORTE E RESURREZIONE

in merito all ' interrogatorio da Caifa: «Qui non sono riuniti né capi dei sacerdoti e scribi, né falsi testimoni, né vi sono accuse e condanna. Giovanni presenta invece una scena pacata, in cui Gesù si trova davanti al sommo sacerdote in presenza soltanto di una piccola guardia»7• I l carattere privato del dialogo corrisponde pienamente alla situazione di Anna di ex sommo sacerdote senza alcuna autorità giudiziaria ufficiale. Tuttavia, il fatto che Gesù fosse condotto inizialmente da lui, e non da Caifa, testimonia l'influsso che ave­ va mantenuto. Questo fatto può essere anche una testimonianza indiretta che proprio Anna, e non Caifa, avesse preso l' iniziati­ va di arrestare Gesù e avesse mandato la folla al giardino del Getsemani. Forse, lo stesso Giuda era in combutta proprio con lui o con qualcuno della sua cerchia. N o n sappiamo se Anna vivesse in un 'altra casa rispetto a Caifa, oppure occupasse una del le ali del palazzo del sommo sacerdote, o se vi si fosse recato per questa occasione. Se An­ na occupava dei locali nel palazzo di Caifa, potevano avere in comune il cortile. È importante rilevarlo, perché il «cortile del sommo sacerdote» menzionato da Giovanni, dove secondo l 'e­ vangelista avvenne il rinnegamento di Pietro, poteva essere sia il cortile di Anna che di Caifa, o forse il cortile di entrambi, co­ sa che meglio si accorda con la testimonianza dei sinottici8• Del resto, anche se Anna e Caifa vivevano separatamente, il rac­ conto dell'evangelista non va necessariamente inteso nel sen­ so che Gesù fosse condotto a casa di Anna: l ' incontro avrebbe potuto svolgersi in una delle sale della residenza ufficiale del sommo sacerdote Caifa, dove Anna era giunto appositamente per incontrare Gesù. Esaminiamo il racconto di Giovanni sull ' interrogatorio di Ge7

H.K. BoNo, «Politica! Authorities», p. 243 . Dal IV secolo a Gerusalemme si conosce una località identificata come il punto in cui sorgeva il palazzo di Caifa, ma tale identificazione è abbastanza convenzionale. Vi sono ancor meno fondamenti per local izzare il palazzo di Anna, di cui si ha notizia dal X I I I secolo. Cfr: R. E. BROWN, The Gospel according to John (Xlli-XXI), p. 823. •

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7 . GESÙ DAVANTI AI CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

sù da Anna, tralasciando la parte riguardante il rinnegamento di Pietro, che considereremo a parte: Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, cat­ turarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli in­ fatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno. Cai­ fa era quello che aveva consigliato ai Giudei: « È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo» . . . Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi di­ scepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «lo ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tem­ pio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di na­ scosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto» . Appena det­ to questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, di­ cendo: «Cosi rispondi al sommo sacerdote?» . Gli rispose Gesù: « Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» . Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote (Gv 1 8 , 1 2- 1 4 . 1 9-24).

Menzionando Caifa, Giovanni si rifa a un episodio da lui nar­ rato in precedenza, subito dopo la storia della resurrezione di Lazzaro. In esso si parlava del sinedrio riunito dai capi dei sa­ cerdoti e dai farisei per decidere che cosa fare di Gesù. In que­ sto sinedrio Caifa aveva detto: «Voi non capite nulla! Non vi ren­ dete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Nelle pa­ role del sommo sacerdote l' evangelista vede la predizione del fatto «che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» . Proprio da quel giorno, secondo la testimonianza del­ l'evangelista, i capi dei sacerdoti e i farisei «decisero di uccider­ lo» (Gv 1 1 ,47-53). Non è un caso che Giovanni menzioni questa predizione. In tal modo mostra che gli avvenimenti descritti sono le tappe del cammino verso lo scopo che Gesù si era prefissato: morire per la nazione. Da questo cammino Egli non devierà mai. Per que263

MORTE E RESURREZIONE

sto non cerca di giustificarsi davanti ad Anna e, fondamental­ mente, si sottrae al dialogo con lui, proponendogli invece di in­ terrogare dei testimoni. La risposta di Gesù all'ex sommo sacer­ dote sembra così provocatoria a una delle guardie da indurla a schiaffeggiarlo. In verità, come osserva un commentatore, «que­ ste sono le parole non di un uomo arrogante e ostinato, ma piut­ tosto fermamente certo della verità deJle sue parole . . . Infatti, poiché il sommo sacerdote gli aveva chiesto dei suoi discepoli in quanto discepoli, Egli risponde: chiedi a me dei miei? Chiedi piuttosto ai nem ici, ai calunniatori, a coloro che mi hanno lega­ to: siano essi a parlare. Poiché la testimonianza più indubitabile che si possa rendere alla verità è il chiamare i nemici a testimo­ ni delle proprie parole»9• Osserviamo che Anna non fa domande sui gesti compiuti da Gesù, ad esempio sulla cacciata dei mercanti dal tempio o sulle guarigioni. Chiede in merito ai «suoi discepoli e al suo insegna­ mento» . Perché avrebbero dovuto interessargli i discepoli di Ge­ sù? Evidentemente, temeva che Gesù avesse molti discepoli. Lo stesso timore era stato espresso a suo tempo al sinedrio dei capi dei sacerdoti e dei farisei: «Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione» (Gv 1 1 ,48). Quanto all ' insegnamen­ to di Gesù, l ' interesse di Anna è spiegabile: di Gesù si sapeva da tempo che «non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» (Gv 5, 1 8). Già questo sarebbe bastato per accusarlo di bestemmia. Nella risposta di Gesù al sommo sacerdote («lo ho parlato al mondo apertamente . . . e non ho mai detto nulla di nascosto») al­ cuni studiosi vedono una reminiscenza delle parole del profeta I saia: «Poiché così dice il Signore . . . Io non ho parlato in segre­ to, in un angolo tenebroso della terra . . . » (Is 45, 1 8- 1 9)10• Altri vi ravvisano un ' allusione alla differenza di Gesù rispetto ai mae­ stri e ai rabbini del tempo, che insegnavano dottrine segrete, eso9 10

GIOVANNI CRISOSTOMO, Homi/iae in loannem 83, 3 (PG 59, 450). W. W EREN, Windows on Jesus, p. 209.

264

7 . GESÙ DAVANT I AI CAPI DEI SACERDOTI G I U DEI

teriche, in privato a piccoli gruppi di seguacP 1 • Sia all ' inizio che alla fine del racconto l'evangelista ricorda che Gesù era legato. Forse questa circostanza, come pure la stanchezza dopo una not­ te insonne, una notte di preghiera e di sofferenze che l'avevano fatto sudare sangue, spiega la ricusa di Gesù a rispondere alla domanda dell'ex sommo sacerdote. Forse, Egli capiva l'assur­ dità e l ' inutilità di parlare con un uomo che non aveva alcun po­ tere decisionale. Ma al di sopra di tutte queste circostanze concomitanti c ' è la ferma decisione di Gesù di non giustificarsi: vuol essere condan­ nato, perché il suo scopo non è salvarsi la vita, ma andare a mo­ rire. In quella lunga notte c 'erano stati degli istanti in cui aveva pensato alla possibilità di evitare il calice della sofferenza, ave­ va pregato per questo, ma adesso era fermo e incrollabile nella sua decisione di andare fino in fondo e adempiere la volontà del Padre . Perché la guardia schiaffeggiò Gesù? Cirillo di Alessandria ipotizza che colui che lo colpì fosse una delle guardie che «era­ no cadute in disgrazia dei capi», quando invece di condurre Ge­ sù legato erano tornate con parole di stupore: «Mai un uomo ha parlato così ! » . l capi dei sacerdoti allora avevano risposto loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? . . . Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta! » (Gv 7,45-49). Ora, invece, una di tali guardie accusate dai capi dei sacerdoti di stimare Ge­ sù, «per non essere creduta favorevole a lui . . . gli chiude la boc­ ca con uno schiaffo» 1 2 • Mentre non aveva voluto rispondere alt' e x sommo sacerdote, Gesù non lascia senza risposta le parole della guardia. In questo fatto alcuni commentatori vedono una contraddizione rispetto a ciò che Gesù aveva detto nel Discorso della montagna e nel Di­ scorso della pianura, in cui aveva invitato a offrire anche la guan­ cia destra a chi colpiva la sinistra (Mt 5,39; Le 6,29): «Nel rac-

tr.

11 C . S . KEENER, The Gospel ofJohn, vol . I I , p. l 094. 12 C iRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni it. vol. 3, p. 402 .

265

I l , 12 (PG 78, 604 );

MORTE E RESURREZIONE

conto di Giovanni, anziché tacere Gesù si difende, e quando una guardia dei giudei troppo zelante lo schiaffeggia per aver man­ cato di rispetto ad Anna, invece di porgere l' altra guancia Egli risponde dignitosamente» 1 3 • Tuttavia, il raffronto tra l'episodio i n esame e l e parole dei Di­ scorsi della montagna e della pianura è artificioso. L' immagine della guancia nei due discorsi non va intesa alla lettera: è usata in senso metaforico al fine di illustrare il principio fondamenta­ le della non resistenza al male con la violenza, del non rendere male per male, della rinuncia alla legge della giusta vendetta principio a cui Gesù esorta ad attenersi. Proprio questo è il prin­ cipio che Gesù applicò coerentemente nella propria vita, e il fat­ to di essere in piedi davanti al sommo sacerdote con le mani le­ gate ne è una chiara conferma. Al tempo stesso, Gesù esortava a «giudicare con giusto giu­ dizio» (Gv 7,24), definiva beati «quelli che hanno fame e sete della giustizia» (Mt 5 ,6), insi steva sul proprio diritto di dire agli uomini «la verità udita da Dio» (Gv 8,40). I l Vangelo di Giovanni riporta vari casi in cui Gesù non lascia senza rispo­ sta gli attacchi dei giudei che Egli riteneva ingiusti . Anche ora risponde alla guardia mostrando l' ingiustizia del suo gesto. In definitiva, «quanto dice alla guardia solo esteriormente suona come una reazione a un gesto ingiusto, mentre il suo significa­ to reale sta nel fatto che nel dramma del processo Gesù si com­ porta contemporaneamente come v ittima innocente e come trionfatore» 14• Gli antichi esegeti vedevano nella risposta di Gesù alla guar­ dia del sommo sacerdote, in primo luogo, un modello di man­ suetudine e di pazienza, che i cristiani sono chiamati a imitare: . . . Cerca di placare l ' animo della guardia con un mite discorso, dicendo che non si deve colpire chi non ha fatto nulla di male, e . . . con conveniente ragionamento persuade il servo dell' arroganza giu-

1 3 G. VERMES, Jesus. Nativity - Passion - Resurrection, p. 2 1 1 . 1 4 J . ScHNACKENBURG, The Gospel according to St. John, vol . 3 , p.

266

239.

7. G E S Ù DAVANTI AI CAPI DEI SACERDOTI G I U D E I

daica a recedere da quella sconsideratezza, giacché egli riceve ma­ le per bene, come è scritto, e dà ai suoi nemici bene per male. Ma nostro Signore Gesù Cristo, anche quando viene schiaffeggiato, lo sopporta pazientemente, sebbene sia vero Dio e Signore del la terra e del cielo. Noi, invece, che siamo terra e polvere, che siamo picco­ li e gretti, che siamo simili alla pianta dei legumi . . . se qualche vol­ ta qualcuno dei fratelli ha sbagliato in qualche parola, e ci ha detto qualcosa di sgradevole, ci avventiamo disperatamente, a guisa di serpenti, contro di lui, e non ci stanchiamo di ricambiargli mille in­ sulti per uno, né moderiamo la grettezza dell'animo nostro, né, con­ siderando la comune debolezza della natura, copriamo l ' ira con l ' amore scambievole, né « leviamo lo sguardo all ' autore e perfezio­ natore della nostra fede)) (Eh 12,2), ma desideriamo soprattutto ven­ dicarci, e pesantemente . . J s .

L' interrogatorio d i Gesù d a Anna fu probabilmente breve, e l'ex sacerdote, per non perdere tempo, mandò Gesù legato dal genero, il sommo sacerdote in carica. Qui dovevano aver luogo le udienze principali, si era già riunito il sinedrio, e si accalca­ vano anche numerosi falsi testimoni.

2. L'interrogatorio da Caifa

Caifa, a differenza dei suoi precedecessori e successori, occu­ pò la carica di sommo sacerdote per un periodo abbastanza lun­ go: dall 'anno 1 8 al 3 6 o 3 716• G iuseppe Flavio lo menziona solo due volte, in relazione alla sua nomina e al suo congedo17• Lo storico non ci offre nessun 'altra notizia sul suo operato. Dal mo­ mento che Pilato, nominato prefetto della Giudea nel 26, non de­ pose Caifa dalla carica di sommo sacerdote nei dieci anni del 1 5 CIRILLO m ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni I l , 12 (PG 74, 605608); tr. it. vol. 3, pp. 403-404. 1 6 A. REINHARTZ, Caiaphas the High Priest, pp. 1 2 - 1 4 . 17 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche, 1 8, 2, 2 (cit. riportata sopra); 1 8 , 4 , 3; tr . it. vol. 2, p. 1 1 22 : «Quindi [Vitell io] rimosse dal suo sacro ufficio il sommo sacerdote Giu­

seppe, soprann o minato Caifa, figlio del sommo sacerdote A nano».

267

MORTE E RESURREZIONE

suo governo, egli era probabilmente riuscito a instaurare con lui delle buone relazioni . Caifa era capo di una grande famiglia. Lo attestano i dati ri­ cavati nel 1 990 in seguito a opere edilizie realizzate alla perife­ ria sud di Gerusalemme, nel corso delle quali venne ritrovata una tomba del I secolo. Al suo interno furono rinvenuti degli ossua­ ri, uno dei qual i portava la scritta «losif figlio di Caifa» . Questo ossuario conteneva i resti di un uomo di circa 60 anni, di una donna e di alcuni bambini e adolescenti . Nel 20 I l è stato rinve­ nuto l'ossuario di una donna con la scritta: «Miriam, figlia di Ieshua (Gesù), figlio di Caifa, sacerdoti di Maazia provenienti da Bet-Imri»18• Da questa scritta apprendiamo che uno dei figli di Caifa si chiamava come Gesù. Nel Nuovo Testamento il nome di Caifa viene menzionato complessivamente nove volte, e nel racconto dei sinottici sul processo di Gesù egli svolge un ruolo decisivo. Esaminiamo que­ sti racconti, a cominciare da Marco: Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i ca­ pi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lon­ tano, fm dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. I capi dei sacerdoti e tut­ to il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si al­ zarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Lo abbiamo udi­ to mentre diceva: "lo distruggerò questo tempio, fatto da mani d'uo­ mo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d'uomo"» . Ma nemmeno cosi la loro testimonianza era concorde. Il sommo sa­ cerdote, alzatosi in mezzo all ' assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?» . Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: « Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?» . Gesù rispose: « lo lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla

18 J A.

CECHANOVEC, «Kajafa. Archeologi�eskie svidetel 'stva>> (Caifa. Testimonianze 374-375.

archeologiche), pp.

268

7. GESÙ DAVANTI AI CAPI DEI SACERDOT I GIUDEI

destra della Potenza e venire con le nubi del cielo» . Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo anco­ ra di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sen­ tenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: « Fa' il profeta! » . E i ser­ vi lo schiaffeggiavano (Mc 1 4,53-65).

Osserviamo che Marco non riporta il nome del sommo sacer­ dote. Lo riporta invece il racconto di Matteo, che inizia con le parole: «Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani». Come Marco, anche Matteo ricorda che Pietro aveva seguito da lontano Gesù fino al cortile del sommo sacer­ dote, ed «entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sareb­ be andata a finire». Le parole dei due falsi testimoni sono ripor­ tate in forma più breve rispetto a Marco: «Costui ha dichiarato: "Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni"» . Dopo aver riferito la prima domanda del sommo sacerdote e ri­ levato il silenzio di Gesù, Matteo riporta la seconda domanda in questa versione: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio» . La risposta di Gesù e i successivi gesti e parole del sommo sacerdote coincidono quasi completa­ mente con il racconto di Marco, anche se la risposta dei membri del sinedrio viene riportata in forma di discorso diretto: «È reo di morte ! » . La conclusione del racconto è riferita in questa re­ dazione: «Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo : "Fa' il profeta per noi, Cristo ! Chi è che ti ha colpito?"» (Mt 26,5 7-68). In Luca la sequenza degli eventi è un po ' diversa. Il racconto incomincia con le parole : «Dopo averlo catturato, lo condusse­ ro via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano» (Le 22,54 ). Segue la storia del rinnega­ mento di Pietro, che in Matteo e in Marco viene riportata dopo il racconto del processo del sinedrio contro Gesù. Luca non men­ ziona i falsi testimoni, e Gesù è fatto segno di oltraggi prima di essere formalmente interrogato dal sinedrio: 269

MORTE E RE SURREZIONE

Gli uomini che avevano in custodia Gesù lo deridevano e lo pic­ chiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: « Fa' il profeta! Chi è che ti ha colpito?» . E molte altre cose dicevano contro di lui, insultando lo. Appena fu giorno, si riuni il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro sinedrio e gli dissero: « Se tu sei il Cristo, dillo a noi». Rispo­ se loro: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d' ora in poi il Figlio dell ' uomo siederà alla de­ stra della potenza di Dio» . Allora tutti dissero : «Tu dunque sei il Fi­ glio di Dio?>> . Ed egli rispose loro: «Voi stessi dite che io lo sono» . E quelli dissero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L' abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca» (Le 22,63-7 1 ).

In tutti e tre i racconti ricorre la parola «sinedrio» (greco: cruvéoptov, da cmv, «insieme» e eopa, «sedere»). Questo term i­ ne designava il supremo consigl io politico-religioso dei giudei a Gerusalemme, che aveva tra le sue funzioni principali quella di amministrare la giustizia. Presidente del sinedrio era il som­ mo sacerdote. Tra i settanta membri si delineavano tre gruppi : i capi dei sacerdoti (con questa parola i l Nuovo Testamento può designare sia il sommo sacerdote in carica, sia gli ex sommi sacerdoti, ma anche altri esponenti deli' alto clero), gli scribi (gli esperti della legge), e gli anziani (esponenti dei casati di alto lignaggio). Il numero dei membri del sinedrio risale al nu­ mero dei membri del consiglio degli anziani convocato da Mo­ sè per comando del Signore (Nm 1 1 , 1 6), ma il sinedrio di cui si parla nel Nuovo Testamento affonda le radici nell 'epoca di Esdra e di Neemia, cioè nel VI secolo a.C ., quando gli ebrei ri­ tornarono dalla cattività babilonese e restaurarono le proprie strutture giudiziarie19• La riunione descritta fu un processo formale, a cui partecipò l ' intero sinedrio, oppure una riunione informate di alcuni mem­ bri del sinedrio presieduta da Caifa? I l confronto del testo evan­ gelico con fonti rabbiniche successive (la Mishnah e la Tosefta), che descrivono la procedura giudiziaria, fa propendere per la se19

Slovar ' Novogo Zaveta (Dizionario

del Nuovo Testamento), vol. l , pp.

270

5 79-5 80.

7. GESÙ DAVANTI Al CAPI D E I SACERDOTI GIUDEI

conda ipotesi. Ad esempio, le regole prescrivevano di svolgere la disamina delle cause penali di giorno e di concluderle pure di giorno, emettendo però la sentenza il giorno dopo; per questo il tribunale non si riuniva né la vigilia del sabato né la vigilia del­ le feste. Tuttavia, non esiste nessuna certezza che la procedura descritta fosse in vigore già ai tempi di Gesù, e non venisse in­ trodotta più tardi. Se anche la si applicava, l 'ardente desiderio dei membri del sinedrio di farla finita al più presto con Gesù po­ teva far chiudere un occhio sulla violazione delle formalità pro­ cedurali20. D 'altro canto, il fatto che gli evangelisti dicano che Caifa riu­ nì «tutto il sinedrio», che vennero interrogati molti testimoni, che l ' assemblea si concluse con un verdetto giudiziario, tutto questo fa pensare che l 'assemblea fosse ufficiale e che fossero presenti tutti i membri del sinedrio. Caifa riunì appositamente il sinedrio subito dopo l'arresto di Gesù, senza aspettare l'alba, per concludere l' intera procedura, compresa l'emissione del verdet­ to, prima del riposo del sabato. Come osserva Crisostomo, Cai­ fa aveva già riunito anticipatamente tutto il sinedrio: «Caifa era allora sommo sacerdote; tutti lo stavano aspettando là e così pas­ savano la notte e vegliavano a tale scopo»2 1 • Sul tempo dello svolgimento dell' assemblea le testimonianze degli evangelisti sono discordi. Secondo Matteo, il terzo rinne­ gamento di Pietro, che coincide con il momento del canto del gallo, avvenne allorché il sinedrio presieduto da Caifa aveva già deliberato (Mt 26,74). In Marco, Pietro rinnega per la terza vol­ ta al secondo canto del gallo, cioè all'alba (Mc 1 4, 72). Dal suo racconto è difficile evincere se il processo contro Gesù fosse an­ cora in corso o se si fosse già concluso. Tuttavia, in seguito egli dice che «subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, m isero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato» (Mc 10

In particolare, cfr. : R.E. BROWN, The Death ofthe Messiah, vol. l, pp. 3 58-363. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 84, 2 (PG 5 8, 754); tr. it. vol . 3, p. 3 1 2. 21

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MORTE E RESURREZIONE

1 5 , l ). Non è del tutto chiaro se si trattasse di un nuovo consiglio o della continuazione del precedente. Luca, dal canto suo, scrive: «Appena fu giorno, si riunì il con­ siglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli seri­ bi; lo condussero davanti al loro sinedrìo . . . » (Le 22,66). Questo potrebbe sembrare in contraddizione con la testimonianza di Mat­ teo e Marco, secondo cui il processo contro Gesù si svolse pri­ ma dell' alba. Tuttavia, in Luca il racconto del procedimento giu­ diziario formale è preceduto dalle parole su come «gli uomini che avevano in custodia Gesù lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: "Fa' il profeta! Chi è che ti ha colpito?" . E molte altre cose dicevano contro di lui, insul­ tando lo». Forse, parlando del consiglio che ebbe luogo «al mat­ tino», Luca si riferi�ce alla parte conclusiva della riunione del sinedro, durante la quale venne emesso il verdetto. Il consiglio poteva essere iniziato prima dell'alba, e concludersi dopo. Può sorgere la domanda: per quale motivo i capi dei sacer­ doti e gli anziani ritennero necessario svolgere un processo giu­ diziario formale, sia pur infrangendo molte formal ità? Perché non potevano semplicemente eliminare senza far rumore un uomo che a parer loro turbava la quiete e bestemmiava? Per­ ché non avrebbero potuto, ad esempio, fargli la posta nello stes­ so giardino del Getsemani o mandare dei sicari in un altro luo­ go? C ' erano già stati tentativi di linciaggio nei suoi confronti: avevano cercato di gettarlo giù da un monte (Le 4,29), di lapi­ dario (Gv 8,59). Il desiderio di uccidere Gesù era maturato da tempo nei leader religiosi del popolo di Israele (Mt 1 2, 1 4; Gv 5 , 1 6. 1 8), e non faceva che aumentare (Gv 7, 1 .25; 1 1 ,5 3 ) Ma perfino al consiglio da Caifa che precedette il suo arresto, i ca­ pi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani decisero di «catturare Gesù con un inganno e farlo morire» (Mt 26,3 4). Non si par­ la né delle modal ità dell 'uccisione, né di procedimento giudi­ ztano. Probabilmente, il processo era necessario per conferire all' uc­ cisione una parvenza di legalità. Inoltre, per i capi dei sacerdoti era importante che il processo, il verdetto e l 'esecuzione fosse.

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7. G E S Ù DAVANTI AI CAPI D E I SACERDOTI GIUDEI

ro pubblici. Gesù aveva pubblicamente accusato scribi e farisei

di ipocrisia e bigottismo, di non osservare la legge di Mosè e di interpretarla erroneamente, di formalismo e immoralità, chia­ mandoli razza di vipere, ipocriti, ciechi e guide di ciechi. Aveva cacciato dal tempio i mercanti sotto gli occhi di tutti, violando un ordine stabilito da secoli. E i capi dei sacerdoti insieme ai fa­ risei e agli scribi dovevano condannarlo altrettanto pubblicamen­ te, sotto gli occhi di tutti, affinché nessun altro si azzardasse ad attentare a ciò che essi consideravano intoccabile e sacro. Molte false testimonianze, come narrano Matteo e Marco, fu­ rono accampate contro Gesù, ma erano tutte insufficienti per condannarlo alla pena di morte. E Caifa e i membri del sinedrio non vedevano altra soluzione : non si sarebbero accontentati di una multa, né di una detenzione in carcere o di una flagellazio­ ne, a cui sarebbe seguita la rimessa in libertà di Gesù. Per que­ sto si rendevano necessarie delle deposizioni che li aiutassero a raggiungere lo scopo desiderato. E le trovarono. Gli evangelisti sinottici non riferiscono mai che Gesù propo­ nesse di distruggere il tempio e di edificarlo in tre giorni. Come abbiamo osservato nel volume L 'Agnello di Dio, se non fosse per il Vangelo di Giovanni si potrebbe pensare che Gesù non avesse mai pronunciato una frase del genere22• Tuttavia, questo Vangelo testimonia che, dopo che Gesù ebbe cacciato i mercan­ ti dal tempio, i giudei gli chiesero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». E Gesù rispose: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Al che i giudei gli dissero: «Que­ sto tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». L'evangelista chiarisce che «egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero al­ la Scrittura e alla parola detta da Gesù (Gv 2, 1 8-22). In che cosa consisteva dunque la falsa testimonianza di colo­ ro che rammentarono questo episodio? Se non altro, nel fatto che

p.

22 ILARIO N (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol . V: L 'Agnello di Dio, 1 09.

273

MORTE E RESURREZION E

essi riferirono in maniera inesatta le parole di Gesù. Le parole riportate da Giovanni «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» hanno questo significato: «mi ucciderete, e io il terzo giorno risorgerò». Qui non c'è alcun appello a distrug­ gere il tempio, né promessa di distruggerlo. Invece, al processo gli vengono attribuite le parole: «Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni» . Nella versione di Marco si par­ la della sostituzione del tempio fatto da mani d'uomo con un al­ tro non fatto da mani d ' uomo. Non si può, del resto, escludere che la gente riferisse le parole di Gesù come le ricordava, senza l 'esplicita intenzione di alterarle. Se Gesù aveva effettivamente parlato della sostituzione del tempio fatto da mani d'uomo con un altro non fatto da mani d'uo­ mo, a che cosa si riferiva? Alcuni studiosi vedono qui un' allu­ sione alla Ch iesa: il tempio di Gerusalemme costruito da mani umane sarà distrutto, e al suo posto sarà edificata la Chiesa, che unisce i seguaci di Cristo in tutto l'universo. Altri propongono di identificare il tempio non fatto da mani d'uomo con il tempio escatologico descritto nel libro del profeta Ezechiele (Ez 40-44). Altri ancora avanzano l' ipotesi che si parli del corpo risorto di Cristo23 • Dal nostro punto di vista, la prima interpretazione è le­ gittima, ma è da preferirsi la terza, perché corrisponde maggior­ mente a ciò che sappiamo del significato dell' affermazione di Gesù attraverso il Vangelo di Giovanni. Gesù non risponde a nessuna del le accuse. Tace. Questo si­ lenzio viene interpretato variamente. Secondo alcuni esegeti, è perché «inutile sarebbe stata la difesa, se nessuno asco ltava. Di­ fatti questa era soltanto una parvenza di tribunale, ma in realtà si trattava di un assalto di briganti , come quelli che attaccano senza motivo in un antro e lungo la via. Perciò Gesù taceva»24• A ltri vedono nel silenzio di Gesù una conferma della sua inno23 Per la rassegna di tali posizioni, cfr. : R.E. BROWN, vol. l , pp. 440-443 . 24

vol.

The Death of the Messiah,

GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 8 4 , 2 ( PG 5 8 , 754); tr. it.

3 , p. 3 1 3 . 274

7 . GESÙ DAVANTI Al CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

cenza25• Infine, nel silenzio di Gesù si vede la testimonianza del­ la sua vittoria morale: Altri riportano la vittoria difendendo se stessi, ma i1 nostro Si­ gnore riportò la vittoria con il silenzio, perché ricompensa per il suo divino silenzio fu la vittoria del1a vera dottrina. Egli parlava quan­ do ammaestrava, ma al processo tacque . . . Le parole dei calunnia­ tori, come una corona sul capo, furono la fonte della redenzione. Ta­ ceva, affmché davanti al suo silenzio essi gridassero ancora più for­ te, e a tutte queste grida la sua corona diventava ancor più splenden­ te. Se Egli avesse parlato, con la sua verità avrebbe messo a tacere quell' assembramento che si dava da fare per preparargli la corona. Lo condannarono perché diceva la verità, ma Egli non fu condan­ nato, giacché la condanna divenne la sua vittoria. Quindi, niente lo costrinse a rispondere loro per convincerli. Egli stesso voleva mo­ rire, e le risposte sarebbero state un impedimento alla sua morte26•

L'ultimo punto ci sembra il più importante: Gesù rimase in si­ lenzio perché non voleva che il processo si concludesse altri­ menti che con la sua condanna a morte. E solo quando gli fu ri­ volta la domanda cruciale, dalla cui risposta dipendeva l' esito, Egli rispose. Questa risposta è riportata da Matteo e Marco in due versio­ ni. La versione di Marco è laconica: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?» . In Matteo la domanda è formulata con più en­ fasi: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il F iglio di Dio» . La versione di Luca contiene elementi di en­ trambe: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi» . L' espressione «Figlio del Benedetto» nel testo greco del Vangelo di Marco può essere un tentativo di rendere un 'espressione ebraica che rispecchia la consuetudine di non pronunciare il nome di Dio, sostituendolo con eufemism i (Altissimo, Benedetto). Alla stessa consuetudine può riferirsi l'espressione «alla destra della Potenza», contenuta 25 AGOSTINO, In Ioannis Evangelium tractatus (CCSL 36, 648). 26 EFREM IL SIRO, Commentaire de l 'Évangile concordant: Texte syriaque 20, 1 6 ; cit. dall a tr. russa, eseguita sulla versione armena del testo, perché l 'originale siriaco del ca­ pitolo 20 non si è conservato, pp. 299-300.

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MORTE E RESURREZIONE

nella risposta di Gesù secondo la versione di Matteo e Marco : per «Potenza» qui è da intendersi Dio. La differenza nel riferire l ' inizio della risposta - «lo lo sono» (èyro SÌJ.Lt) in Marco, «tu l ' hai detto» (cri> EI1taç) in Matteo - può spiegarsi con i diversi modi di rendere la risposta affermativa nella traduzione greca. D'altro canto, l 'espressione èyro EÌJ.!t, co­ me abbiamo già detto, può tradurre una delle varianti del nome veterotestamentario di Dio. Se anche qui, come al momento del­ l'arresto (nella versione di Giovanni), Gesù chiamò se stesso con il sacro nome di Dio, questo bastava ad accusarlo di bestemmia. Dunque, solennemente e davanti a tutti Gesù si dichiara il Fi­ glio di Dio e preannuncia la sua seconda venuta. Che la sua ri­ sposta vada intesa proprio in questo senso27, lo testimonia un pa­ rallelo diretto esistente nel Vangelo di Matteo, laddove Gesù par­ la della sua seconda venuta: «Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell' uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell' uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria)) (Mt 24,3 0). Il comportamento di Gesù è in stridente contrasto con il modo in cui si comportano solitamente gli imputati . Così parla del sine­ drio Giuseppe Flavio: «Qualsiasi, infatti, fosse la causa della com­ parizione in giudizio davanti al sinedrio, ognuno è sempre com­ parso in umile atteggiamento, e con l'aspetto timoroso di colui che domanda a voi pietà; con i capelli lunghi e scarmigliati, indossan­ do una veste nem)28• In Gesù non si vede né turbamento né timi­ dezza né desiderio di suscitare pietà. Non solo resta se stesso tra gli accusatori che smaniano furibondi, ma non si avvale in alcun modo della possibilità di dire una parola in propria difesa. Apre la bocca solo nel momento in cui si presenta la possibilità di dire ciò per cui verrà senza dubbio condannato a morte, e lo dice in ma­ niera tale da non lasciarsi nessuna chance. La scena descritta da Luca si differenzia in maniera abbastan­ za sostanziale da quella delineata da Matteo e Marco. In Luca man27 18

Cfr. : N. PERRIN, «The High Priest's Question and Jesus ' Answer», p . 94 . fLAVIO, Antichità giudaiche 1 4, 9, 4; tr. it. vol . 2, p. 864.

GIUSEPPE

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7. GE S Ù DAVANTI Al CAPI D E I SACERDOTI GIUDEI

ca praticamente il dialogo tra Gesù e Caifa: la domanda cruciale è formulata a Gesù dal gruppo dei capi dei sacerdoti e degli seri­ bi. Alla domanda se sia il Cristo, Gesù, secondo Luca, non rispon­ de immediatamente. Inizialmente sembra schermirsi dalla rispo­ sta: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete [e non mi lascerete andare] . Ma d'ora in poi il Fi­ glio dell'uomo siederà alla destra della potenza di Dio». E solo dopo la seconda, insistente interrogazione: «Tu dunque sei il Fi­ glio di Dio?», Egli risponde: «Voi stessi dite che io lo sono». Come mai questa differenza? Innanzitutto, bisogna osservare che le parole «e non mi lascerete andare» mancano nei mano­ scritti antichi più autorevoli, in particolare nei codici Sinaita e Vaticano, anche se ci sono nel Codice Alessandrino e nel Codex Bezae. Mancano anche nelle edizioni critiche contemporanee del Nuovo Testamento29• Dal punto di vista della forma esteriore queste parole possono suonare come un'aggiunta, perché infran­ gono il paral lelismo all ' interno della frase, che è tipico dei di­ scors i di Gesù («se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete»). Dal punto di vista del contenuto sembra­ no dissonanti rispetto alla ricusa di Gesù, chiaramente espressa dagli altri racconti evangelici, a ottenere una condanna assolu­ toria. Per quanto concerne complessivamente la prima risposta di Gesù ai capi dei sacerdoti nella versione di Luca, essa ricorda le parole del profeta Gerem ia al re Sedecia: «Se te la dico, non mi farai forse morire? E se ti do un consiglio, non mi darai ascolto» (Ger 3 8, 1 5). Si possono anche ricordare alcuni casi in cui Gesù rifugge dall'offrire una risposta diretta: ad esempio, quando lo interrogano sulla natura della sua autorità. Senza rispondere di­ rettamente, Egli fa a sua volta una domanda sul battesimo di Gio­ vanni, e quando i suoi interlocutori si esimono dal rispondere, dice: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose)) (Mc 1 1 ,27-3 3 ; Mt 2 1 ,23-27; Le 20, 1 -8). In tutti e tre i casi Gesù si chiama Figlio dell'uomo: è l'appel29

Novum Testamentum Graece, p. 22 1 .

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MORTE E RES URREZIONE

i

lativo più caratteristico a cui ricorre per sé. Nella traduzione dall'ebraico «figlio dell'uomo» non significa altro che, sempli­ cemente, «uomo» . Tuttavia questa espressione ricorda anche la figura messianica del Figlio dell' uomo, a cui «furono dati pote­ re, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7, 1 4 ). La descrizione del Figlio del­ l'uomo, che viene sulle nubi «alla destra della Potenza», è con­ sonante alla figura del libro del profeta Daniele. Questa figura è in stridente contrasto con quella che i membri del sinedrio potevano vedere davanti a sé : la figura di un uomo umiliato, coperto di sputi, taciturno, contro il quale si levano una serie di accuse e che non risponde nulla. Se i capi dei sacerdoti e gli scribi avessero potuto ricordare un passo dell'Antico Testa­ mento, probabilmente le parole più calzanti sarebbero state quel­ le del profeta Isaia: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterei piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima» (ls 53 ,2-3 ). Ma nella tradizio­ ne giudaica questa figura non era intesa come un' allusione al Messia, e le pretese messianiche dell'arrestato suscitavano indi­ gnazione nei membri del sinedrio. La testimonianza complessiva dei sinottici consente di con­ cludere che Gesù non rispose subito alla domanda diretta se Egli fosse il Figlio di Dio. Quando poi rispose, suscitò una burrasco­ sa reazione. Il sommo sacerdote si stracciò le vesti, un gesto che voleva significare il suo profondissimo sdegno. Nella tradizione ebraica questo gesto è attestato fin dalla remota antichità come l'espressione del grado estremo di dolore e disperazione (Gen 3 7,34; Gs 7,6; 2Sam l , l i ; 2Re 2, 1 2; 1 9, 1 ). ln questo caso, però, è un gesto piuttosto teatrale, volto a dimostrare l' indignazione per quanto era stato proferito. Difficile credere che il sommo sa­ cerdote, che aveva fatto di tutto per arrivare a un tale esito del processo, fosse realmente addolorato: aveva sentito ciò che vo­ leva sentire. 278

7. G E S Ù DAVANTI AI CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

L' accusa di bestemmia era la più tremenda che il tribunale ebraico potesse muovere a un uomo. Per la bestemmia la legge prescriveva la pena di morte: «Chi bestemmia il nome del S i­ gnore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà la­ pidare» (Lev 24, 1 6). Questa accusa era già stata mossa più vol­ te a Gesù anche in precedenza. Quando un giorno i giudei ave­ vano preso delle pietre per lapidario, ed Egl i aveva chiesto per quale motivo volessero ucciderlo, avevano risposto: «Per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» . Quella volta Egl i aveva detto: «A colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: "Tu bestemmi", perché ho detto: "Sono Fi­ glio di Dio"?» (Gv l 0,32-33 .36). Ma questa volta Egli tace e non risponde ali ' accusa. La scena del processo contro Gesù si conc1ude in Matteo e Marco con gli schemi a cui Gesù fu sottoposto subito dopo la sentenza (in Luca questo episodio precede il racconto del tradi­ mento di Pietro e della condanna del sinedrio ). La discussione degl i studiosi intorno a questo fatto verte fondamentalmente sul­ la questione se i Vangeli descrivano gli avvenimenti effettivi, oppure gli evangelisti traspongano nella scena del processo con­ tro Gesù dei frammenti di un altro episodio, cioè gli analoghi scherni dei soldati romani dopo il verdetto di Pilato. Alcuni stu­ diosi negano la storicità di entrambi gli episodi. È tuttavia necessario ricordare che farsi beffe di un prigionie­ ro dopo la sentenza di morte era una pratica abituale presso mol­ te società. Nel mondo antico non esisteva l' idea che si potesse avere un atteggiamento umano nei confronti di detenuti, prigio­ nieri, tanto più se accusati di gravi delitti e condannati a morte. Deridere e percuotere questi uomini era uno dei modi più diffu­ si di esprimere il malcontento e l' indignazione che suscitavano. Giuseppe Flavio ricorda un certo Ieshua, figlio di Anano, che poco prima della conquista di Gerusalemme da parte dei roma­ ni nel 70 aveva predetto questo avvenimento e la distruzione del tempio. Gli abitanti della città l' avevano catturato e sottoposto a un feroce pestaggio, che egli subì in silenzio. «Fino allo scop­ pio della guerra egli non si avvicinò ad alcun cittadino né fu vi279

MORTE E RESU RREZIONE

sto parlare con alcuno, ma ogni giorno, come uno che si eserci­ tasse a pregare, ripeteva il suo lugubre ritornello: "Povera Geru­ salemme !". Né imprecava contro quelli che, un giorno l ' uno un giorno l 'altro, lo percuotevano» osserva lo storico30• Dalle testimonianze dei sinottici si evince che ai maltratta­ menti di Gesù parteciparono principalmente i servi. Matteo usa una forma impersonale: «Allora gli sputarono in faccia e lo per­ cossero; altri lo schiaffeggiarono . . » (Mt 26,67). Marco accen­ na ad «alcuni» e ai «servi» (Mc 1 4,65). Luca designa coloro che schernirono Gesù come «gli uomini che avevano in custodia Ge­ sù» (Le 1 4,63 ). Evidentemente, si tratta dello stesso gruppo di uomini che era stato mandato ad arrestarlo: questo gruppo (o una sua parte) l ' aveva condotto al sinedrio; comprendeva le guardie dei capi dei sacerdoti e, forse, dei soldati romani. Vengono descritte queste forme di oltraggio: gli sputarono addosso (secondo Marco), o gli sputarono in volto (secondo Matteo ); lo schiaffeggiarono (riferisce Matteo ); lo percossero (asseriscono Matteo, Marco e Luca), dicendogli: «Fa' il profe­ ta! » (Marco), oppure «Fa' il profeta per noi, Cristo ! Chi è che ti ha colpito?» (Matteo), oppure «Fa' il profeta! Chi è che ti ha colpito?» (Luca); e gli rivolsero altri insulti (Luca). L'espres­ sione «si misero a bendargli il volto» in Marco - e «gli benda­ vano gli occhi» in Luca - viene così intesa da Giovanni Cri so­ stomo: .

Perché lo facevano, dal momento che stavano per ucciderlo? Che necessità c'era di questa commedia? . . . Ammira la filosofia dei disce­ poli, con quanta cura espongono questi fatti. Di qui si evince la loro indole improntata all' amore per la verità, in quanto raccontano in tut­ ta sincerità ciò che sembrava essere obbrobrioso, senza nascondere nulla, senza vergognarsi di nulla, ma anzi ritenendo, come in effetti era, che fosse grandissima gloria che il Signore del mondo sopportas­ se di soffrire tali mali per noi . . . Gli davano colpi più oltraggiosi di tutti, schiaffeggiandolo, prendendolo a pugni e aggiungevano a que-

30

GIUSEPPE FLAVIO, Guerra giudaica 6, 5, 3; tr.

280

it. p.

44 1 .

7. GESÙ DAVANTI AI CAPI DEI S A CERDOTI GIUDEI

sti colpi l' ingiuria dello sputo . E ancora pronunciavano parole pie­ ne di grande scherno, dicendo: «Indovina, Cristo; chi è che ti ha per­ cosso?», perché la moltitudine diceva che era un profeta. Un altro evangelista dice che gli misero attorno al volto un drappo . . . 3 1 . .

3. I l rinnegamento di Pietro

Pietro vide tutto l 'accaduto? Probabilmente no, perché men­ tre Gesù veniva interrogato dal sinedrio egli si trovava fuori, nel cortile del sommo sacerdote. Come vi fosse giunto, lo racconta l'evangelista Giovanni: Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepo­ lo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quel l' altro discepolo, noto al som­ mo sacerdote, tornò fuori, parlò al la portinaia e fece entrare Pietro (Gv 1 8 , 1 5- 1 6). In Giovanni segue poi il racconto sul l'interrogatorio di Gesù

da parte dell 'ex sommo sacerdote Anna, da dove Gesù fu poi condotto da Caifa. Si può quindi supporre che per cortile del sommo sacerdote in questo caso si intenda il cortile di Caifa. Tuttavia, come abbiamo detto, è più che verosimile che Anna e Caifa in quel momento si trovassero nello stesso edificio, e quin­ di che il cortile fosse lo stesso. Proprio in questo cortile, secon­ do Giovanni, ha luogo il rinnegamento di Pietro. Il discepolo rimasto anonimo, che viene più volte. menziona­ to nel Vangelo di Giovanni (Gv 1 ,3 5 .40; 1 3 ,23 ; 1 8, 1 5 ; 1 9,2627.3 5 ; Gv 20,2; 2 1 ,7:20-2 1 .24), è da intendersi come lo stesso evangelista. Che «l' altro discepolo», cioè «il discepolo che Ge­ sù amava» sia lo stesso Giovanni, lo testimoniano sia i dati pre­ sentati dal quarto Vangelo sia la secolare tradizione della Chie11 GIOVA NNI CRISOSTOMO, 3, pp. 3 1 9-320.

Omelie sul Vangelo di Matteo 85, l (PG 58, 757); tr. it. voi

28 1

MORTE E RES URREZIONE

sa, e la scienza contemporanea non ha trovato argomenti con­ vincenti per confutare tale attribuzione32• Come mai, tuttavia, conoscesse il sommo sacerdote, resta un enigma33• Giovanni Cri­ sostomo vede nell' «altro discepolo» il testimone che rese nota la storia del rinnegamento di Pietro34• Esaminiamo questa storia attraverso le testimonianze dei quat­ tro evangelisti, a cominciare da Matteo: Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileob> . Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici» . Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un' altra serva e disse ai presen­ ti: «Costui era con Gesù, il Nazareno» . Ma egli negò di nuovo, giu­ rando : «Non conosco quell'uomo ! » . Dopo un poco, i presenti si av­ vicinarono e dissero a Pietro: « È vero, anche tu sei uno di loro: in­ fatti il tuo accento ti tradisce ! » . Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo ! » . E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte» . E, uscito fuori, pianse amaramente (Mt 26,69-75).

Il primo rinnegamento, secondo Matteo, avviene nel cortile del sommo sacerdote, dove Pietro, come si è detto prima, era en­ trato «e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire» (Mt 26,58). Egli si trovava dunque al l' interno del com­ plesso del palazzo, ma fuori della sala in cui si svolgeva il pro­ cesso contro Gesù. Il secondo rinnegamento si svolge al l'uscita verso l'atrio. Descrivendo il terzo rinnegamento si menzionano «i presenti» : questo significa che Pietro, in ogni caso, non si era al lontanato di molto. Nel racconto di Marco gli eventi vengono descritti nella stes­ sa successione, ma si menzionano due cortili e una sola serva. La prima volta essa si rivolge a Pietro, la seconda agli astanti: ·' 2 Cfr. : lLARION (ALFEEV), 1 66- 1 89.

Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol .

I : L 'inizio del

gelo, pp.

Cfr. : R. SCHNACKENBURG, The Gospel according to St. John, vol . ·14 GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae in Joannem 83, 2 (PG 59, 449).

31

282

3,

p.

235 .

Van­

7 . GES Ù DAVANTI AI CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guar­ dò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù» . Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici» . Poi uscì fuori verso l ' ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di lorm) . Ma egli di nuo­ vo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: « È ve­ ro, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galilem) . Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest'uomo di cui parlate)) . E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò del­ la parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo can­ ti, tre volte mi rinnegherah) . E scoppiò in pianto (Mc 14,66-72).

Che Pietro «se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuo­ co», era già stato detto prima (Mc 1 4,54). L'espressione «giù nel cortile)) può indicare che il consiglio del sinedrio si svolgeva a uno dei piani alti d eli' edificio, mentre Pietro si trovava nel cor­ tile interno. Per «ingresso» si può intendere il passaggio verso il cortile esterno dell ' edificio, dove pure si trovava gente. Pietro viene riconosciuto dal suo accento: per gli abitanti di Gerusa­ lemme non era difficile riconoscere un galileo. La differenza principale rispetto al racconto di Matteo (a cui abbiamo già ac­ cennato) è che in Marco il gallo canta due volte; quindi, tra il primo e il secondo rinnegamento passa un certo lasso di tempo. La narrazione di Luca si differenzia notevolmente. Solo metà delle parole usate da Luca trova dei paralleli nei racconti degli altri due sinotticP5 (le coincidenze lessicali tra Matteo e Marco sono notevolmente più numerose). Il rinnegamento di Pietro in Luca non avviene durante i l consiglio del sinedrio, ma prima. Matteo e Marco descrivono gli avvenimenti in quest'ordine : as­ semblea del sinedrio e verdetto, schemi di Gesù, rinnegamento di Pietro . Luca descrive gli avvenimenti nel l' ordine opposto : schemi di Gesù, rinnegamento di Pietro, assemblea del sinedrio. Come Marco, anche Luca menziona il fuoco acceso in mezzo al cortile ma, a differenza di Marco, parla di un solo canto del 35 V.

TAYLOR, The Passion Narrative ofSt. Luke, p. 77.

283

MORTE E RESURREZIONE

gallo. La prima volta a Pietro si avvicina una serva, la seconda volta «un altro». Quindi passa «circa un 'ora», e «un altro insi­ steva: "In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo"» . Al momento del terzo rinnegamento, «in quell ' i stante, mentre an­ cora parlava», un gallo cantò. E qui compare la differenza prin­ cipale rispetto alle altre due versioni: «Allora il Signore si vol­ tò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gal lo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E, uscito fuori, pianse amaramente» (Le 22,55-62). Solo in Luca Gesù volge lo sguardo su Pietro nell'istante del terzo tradimento, e proprio questo sguardo, e non il canto del gallo, gli riporta alla memoria la predizione di Gesù. In che mo­ do Gesù poteva vedere Pietro, se il consiglio del sinedrio si svol­ geva ali ' interno e Pietro era fuori? N el Vangelo di Luca non tro­ viamo una risposta, ma qui questi due avvenimenti sono separa­ ti nel tempo . Gesù poteva notare Pietro e volgere su di lui lo sguardo entrando nel l'edificio oppure uscendone. Agostino in­ tende tuttavia questo passo in senso figurato : A questo punto è doveroso esaminare molto accuratamente in che senso si debbano prendere le parole di Luca quando afferma che il Signore voltatosi guardò Pietro. In effetti . . . Marco ci fa concludere che quanto narrato in riferimento a Gesù accadde non solo all ' inter­ no della casa ma addirittura nei piani superiori. In tale ipotesi come poté il Signore rivolgere a Pietro lo sguardo con gli occhi del cor­ po? Sono pertanto dell' avviso che quello sguardo è da prendersi co­ me un intervento divino, mediante il quale tornò in mente a Pietro quante volte aveva rinnegato il Signore e come il fatto gli era stato da lui predetto. In conseguenza di ciò, sempre sotto l' azione di co­ lui che lo guardava con occhio di misericordia, egli si penti e scop­ piò in un pianto salutare36•

In Matteo i personaggi sono due serve e il gruppo di persone intorno; in Marco una serva e il gruppo; in Luca la serva, un ta36

AGOSTINO, Il consenso

degli evangelisti 3, 26 (PL 34, 1 1 72).

284

7. G E S Ù DAVANTI Al CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

le (uomo) e qualcun altro (pure uomo). Anche nel racconto di Giovanni compaiono una donna e due uomini: Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell ' altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro : «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest'uomo?» . Egl i rispose: «Non lo sonO>} . Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scal­ dava (Gv 1 8, 1 6- 1 8) .

Quindi il racconto del rinnegamento di Pietro si interrompe per far spazio alla narrazione dell ' interrogatorio di Gesù da An­ na. Dopo che Anna ha rimandato Gesù da Caifa, l ' evangelista torna al soggetto lasciato in sospeso: Intanto Simon Pietro stava H a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?}} , Egli lo negò e disse: «Non lo so­ fiO>} . Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l' orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?» . Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò (Gv 1 8,25-27).

Come vediamo, la versione di Giovanni è più breve rispetto alle altre tre. Giovanni non dice nulla del pianto di Pietro, si li­ mita a riferire l'adempiersi della predizione di Gesù. Le domande fatte a Pietro, riferite in diverse varianti, sono tutte riconducibili all'accusa di essere un discepolo di Gesù: è stato visto con Lui, e poi ha l'accento della Galilea. L' evangeli­ sta Giovanni offre la versione più concisa delle risposte di Pie­ tro : «Non lo sono» (oùx: d�ti) nei prim i due casi, mentre nel ter­ zo caso viene usato il discorso indiretto: «negò di nuovo» . An­ che Luca riporta le negazioni in forma breve: «Non lo conosco ! non lo sono! non so quello che dici» . In Matteo, nel primo caso Pietro rispose: «Non capisco che cosa dici»; nel secondo caso, «negò di nuovo, giurando: ''Non conosco quell'uomo! "» ; nel ter­ zo, «cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell' uo285

MORTE E RESURREZIONE

mo! "» . Infine, la versione più lunga del primo rinnegamento si trova nel Vangelo di Marco: «Non so e non capisco che cosa di­ ci» . All' insistenza della serva Pietro si limitò semplicemente a «negare», ma dopo che i presenti gli ebbero rinfacciato il suo ac­ cento galileo, «cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quest' uomo di cui parlate"». Nonostante le differenze indicate, sui punti fondamentali del racconto i quattro evangelisti concordano. Sono tutti unanimi sul fatto che : 1 ) Gesù aveva predetto che Pietro avrebbe rinnegato tre volte prima del canto del gallo; 2) la predizione si è avvera­ ta; 3 ) i rinnegamenti sono tre; 4) a interrogare per prima Pietro era stata una serva; 5) dopo il terzo tradimento un gallo aveva cantato . C i troviamo di nuovo davanti a una scena filmata da quattro telecamere. Tuttavia alcune differenzt: sembrano com­ plementari fra loro, altre sembrano escludersi vicendevolmente. Perché gli evangelisti narrano così dettagliatamente come Ge­ sù predisse che Pietro l' avrebbe rinnegato, e poi descrivono al­ trettanto dettagliatamente il rinnegamento? Viene da pensare che le cause siano molteplici. Innanzitutto, dopo la morte e resurrezione di Gesù, Pietro di­ venne il capo effettivo della comunità apostolica. Le storie lega­ te alla sua vita, comportamento e detti erano ampiamente diffu­ se, ed era semplicemente impossibile passarle sotto silenzio, can­ cellarle dalla memoria della Chiesa. Ma la Chiesa non fece al­ cun tentativo in questo senso, perché il rinnegamento di Pietro era parte inscindibile della storia evangelica. Ciascun evangeli­ sta dipinge la figura di Pietro a modo suo, ma in tutti i casi ci viene presentata la figura di un uomo integro, da un lato, asso­ lutamente devoto a Gesù, pronto a dare la vita per Lui (come, in definitiva, avvenne) e, dall'altro, impulsivo, che sopravvaluta le proprie forze e possibilità. Così era Pietro, e così lo rappresen­ tano gli evangelisti. In secondo luogo, la storia di Pietro testimonia che ogni uo­ mo può sbagliare, inciampare, cadere, ma può anche riscattare il proprio peccato, piangendo lacrime di pentimento e contrap­ ponendovi la certezza della fede. Tutti e quattro gli evangelisti 286

7. GESÙ DAVANTI AI CAPI D E I SACERDOTI G IUDEI

narrano il rinnegamento di Pietro, ma Giovanni successivamen­ te narra come Gesù reintegrerà Pietro nella sua dignità apostoli­ ca (Gv 21 , 1 5- 1 9). E Luca, l'abbiamo visto sopra, non trascura di riportare la predizione di Gesù sul fatto che Pietro si sarebbe convertito e avrebbe confermato i suoi fratelli (Le 22,32). Il par­ ticipio 8ma-rpé\jfaç (51 • Naturalmente, per ciascuna delle argomentazioni riportate gli studi neotestamentari hanno a disposizione anche delle serie con­ futazioni. E la principale è la seguente: la tradizione cristiana ha una storia ininterrotta dal momento in cui Gesù Cristo, all ' inizio del suo ministero, chiamò i primi discepoli. Proprio questi di51

E.P. SANDERS, Jesus and Judaism, pp. 297-299.

297

MORTE E RESURREZIONE

scepoli divennero attori e testimoni del dramma evangelico, e proprio sulle loro deposizioni si basa la storia descritta da tutti e quattro i Vangeli. Fonti alternative sul processo giudiziario con­ tro Gesù non esistono, né nella tradizione giudaica né in altre. Le testimonianze su cui si basano i Vangeli sono unitarie e coerenti. Le differenze tra gli evangelisti riguardano i dettagli, ma non la sostanza delle cose. Nessuno dei Vangeli addossa la colpa per la condanna a morte di Gesù al potere romano: in tut­ ti e quattro i Vangeli questa responsabilità è attribuita ai leader politico-religiosi del popolo israelita. Il potere romano ebbe uni­ camente la funzione di strumento esecutivo della condanna emes­ sa dal sinedrio ebraico. L' idea che la responsabilità principale della morte di Gesù ap­ partenga ai romani è un tipico mito scientifico, sorto sotto l' infl us­ so di una certa ideologia e sostenuto da finalità concrete (per quan­ to nobilissime). Essa ha preso il proprio posto nella scienza neote­ stamentaria contemporanea, accanto ad altri miti, tra cui l'esisten­ za di una fonte Q, da cui sarebbe nato in origine il cristianesimo. Un' autentica riconciliazione tra gruppi religiosi ed etnici vis­ suti in passato in situazioni di antagonismo non può essere rag­ giunta riscrivendo la storia, travisando i fatti storici, sottacendo questioni ardue e dolorose o tentando di risolverle «gettando pol­ vere negli occhi» . Per risanare la memoria storica è molto più importante volgersi alle fonti, approfondirle, riflettere su come si svilupparono gli eventi, cercarne le vere cause. E parlando del­ la storia del processo contro Gesù, solo i racconti dei Vangeli consentono di farsene un' idea reale e non fantasiosa. Ogn i ten­ tativo di trovare un' alternativa pone inevitabilmente il ricerca­ tore sull' instabile terreno di enigmi e ipotesi che non trovano conferme nelle fonti. Il popolo ebraico ha donato al mondo moltissimi grandi uo­ mini, la cui vita e insegnamento hanno esercitato e continuano ad esercitare un influsso colossale su mi lioni di persone non ap­ partenenti alla nazione ebraica. Il contributo del popolo di Israe­ le alla formazione del cristianesimo è stato decisivo. Per convin­ cersene, basta entrare in una chiesa ortodossa che abbia un' ico298

7. GESÙ DAVANTI Al CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

nostasi a più registri. Nel registro inferiore il posto centrale è oc­ cupato dalle immagini di Gesù Cristo e della Madre di Dio. Il registro successivo comprende le raffigurazioni dei dodici apo­ stoli, a cominciare da Pietro e Paolo. Poi c'è il registro profeti­ co, con le raffigurazioni di dodici profeti dell'Antico Testamen­ to. Tutti questi personaggi sono di sangue ebreo. Un altro regi­ stro, la serie delle feste, rappresenta prevalentemente avveni­ menti della storia ebraica. Gesù Cristo è il più celebre esponente del popolo ebraico, e non rinnegò mai la sua identità nazionale ed etnica. Alla sama­ ritana disse: «Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei» (Gv 4,22), identificando così se stesso con il popolo giudaico. San Paolo dice di sé: «lo sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell'os­ servanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio» (At 22,3). Paragonandosi agli altri apostoli, Paolo scrive: «Sono Ebrei? Anch ' io ! Sono Israeliti? Anch ' io ! Sono stirpe di Abra­ mo? Anch ' i o ! » (2Cor 1 1 ,22). La storia del cristianesimo e la storia del popolo ebraico sono così strettamente intrecciate che non esiste alcuna possibilità di separarle. La liturgia sia cristiana che ebraica si basa fino a oggi sullo stesso libro, il Salterio. L'Antico Testamento è parte inte­ grante della Bibbia cristiana. Dalla storia del popolo ebraico non si possono cancellare né Gesù Cristo né san Paolo né gli altri suoi illustri esponenti . Proprio questo può diventare un solido fondamento per il dialogo tra cristianesimo e giudaismo, e non i tentativi di reinterpretare il testo evangelico in modo tale da non !asciarne «pietra su pietra» . Rispondendo alla prima domanda posta all ' inizio di questa sezione, dobbiamo riconoscere che, dal punto di vista del cristia­ nesimo, così come esso si rispecchia nel Nuovo Testamento, nei trattati teologici, nella poesia liturgica, la responsabilità princi­ pale per la morte di Gesù Cristo appartiene agli ebrei, e non ai romam . 299

MORTE E RESU RREZIONE

Il riconoscimento di questo fatto, tuttavia, non può costituire un pretesto per muovere accuse indiscriminate al popolo ebrai­ co, come avvenne nel passato, perché la responsabilità del l ' ac­ caduto non grava su tutto il popolo ma sui suoi esponenti che in quel momento detenevano il potere. Furono essi i promotori del­ la sentenza capitale, e aizzarono la folla che pretese dal procu­ ratore romano che Gesù fosse crocifisso. Questa folla, che gri­ dava: «il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» (Mt 27,25), probabilmente non contava più di qualche decina o centinaio di uomini. Gli altri rappresentanti del popolo di Israele in quel mo­ mento vivevano la loro pacifica vita quotidiana. Né ad essi né ai loro discendenti può essere addossata la responsabilità della pe­ na capitale di Gesù Cristo.

6. La fine di Giuda

Nei racconti di Marco, Luca e Giovanni, Giuda esce di scena dopo l'arresto di Gesù . Solo Matteo narra di come si concluse la sua vita. Ne parla dopo aver detto che Gesù venne messo in ca­ tene e condotto da P ilato: Allora Giuda - colui che lo tradi -, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d' argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente» . Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu! » . Egli allora, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le mo­ nete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue» . Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaiO>} per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel.campo fu chia­ mato «Campo di sangue}} fino al giorno d'oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: E presero trenta monete d'argento, il prezzo di colui che a tal prezzofu valu­ tato dai figli d'Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore (Mt 27,3 - 1 0).

300

7. GESÙ DAVANTI Al CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

Il testo riportato da Matteo appartiene effettivamente al pro­ feta Zaccaria: «Ma il Signore mi disse: "Porta al fonditore que­ sta grandiosa somma, con cui sono stato da loro valutato ! " . Io presi i trenta sicli d' argento e li portai al fonditore della casa del Signore» (Zc 1 1 , 1 3 ). D'altro canto, il profeta Geremia descrive l'acquisto di un campo per diciassette si cii d 'argento (Ger 32,69), menziona la bottega del vasaio, la brocca di terracotta, il san­ gue innocente (Ger 1 8,2-4; 1 9, 1 -4 ) . Forse, Matteo si riferiva al­ le immagini di questo libro, oppure stava usando una fonte che non ci è pervenuta. San Girolamo scrive: «Ho letto poco tempo fa in un libro che mi è stato portato da un ebreo della setta dei nazareni - è un libro apocrifo di Geremia - queste parole testual­ mente riportate» 52• La morte di Giuda è ricordata anche da Luca ma non nel Van­ gelo, bensì nella sua continuazione, il libro degli Atti. Qui si nar­ ra come dopo la resurrezione di Gesù tutti i discepoli «erano per­ severanti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At 1,14), e come in presenza di circa centoventi persone Pietro propose di eleggere un apostolo al posto di Giuda. Questa elezione divenne il primo ge­ sto autonomo della comunità ecclesiale. Il discorso di Pietro con­ tiene queste informazioni sulla fine della vita di Giuda: In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli - il numero delle persone radunate era di circa centoventi - e disse: «Fratelli, era ne­ cessario che si compisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spi­ rito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono Gesù. Egli infatti era stato del nostro nu­ mero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Giuda dun­ que comprò un campo con il prezzo del suo delitto e poi, precipi­ tando, si squarciò e si sparsero tutte le sue viscere. La cosa è dive­ nuta nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e cosi quel campo, nel­ la loro lingua, è stato chiamato Akeldamà, cioè "Campo del sangue" . Sta scritto infatti nel libro dei Salmi : La sua dimora diventi deserta e nessuno vi abiti, e i l suo incarico lo prenda un altro» (A t 1 ,15-20). 52 GIROLAMO,

Commento al Vangelo di Matteo 4, 27, l O (CCSL 77, 265); tr.

301

it.

p. 290.

MORTE E RESURREZIONE

Queste parole non descrivono semplicemente la morte di Giu­ da53, ma offrono un giudizio morale sul suo gesto. La sua morte, come si evince dalle parole di Pietro, non suscitava alcuna com­ passione negl i apostoli, tanto ributtante pareva loro il suo gesto. L'orribile morte di Giuda viene recepita come la giusta e meri­ tata punizione, e si elegge un 'altra persona a occupare il posto rimasto vacante. Nei successivi testi cristiani questo atteggiamento nei con­ fronti di Giuda si mantiene: viene raffigurato esclusivamente co­ me un personaggio negativo. Una delle poche eccezioni è O ri gene, che vide nel pentimento e nel suicidio di Giuda alcune trac­ ce dell' influsso esercitato su di lui dall ' insegnamento morale di Gesù: ­

Ordunque, questo fatto non dovrebbe persuadere tutti, riguardo alla determinazione di Giuda, che egli, insieme all' avidità e alla mal­ vagia determinazione di tradire il suo maestro, aveva nell ' anima qualcos' altro, che era stato generato in lui dalle parole di Gesù ed aveva la parvenza di un residuo, per cosi dire, di bontà? . . . Ma se G iuda, che era avido e rubava i denari gettati nella borsa per i po­ veri, preso dal rimorso, riportò i trenta denari d' argento ai somm i sacerdoti e agli anziani, è chiaro che gli insegnamenti di Gesù ave­ vano potuto produrre in lui un certo rimorso ed essi non furono com­ pletamente disprezzati e rigettati dal traditore. Inoltre, le parole: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente>> erano le parole di un uomo che confessa il peccato commesso. Osserva poi quanto arden­ te e impetuoso sia stato in lui il dolore, proveniente dal pentimento per i peccati commessi, al punto che egli non sopportò più di vive­ re, ma, dopo aver scagliato nel tempio le monete d' argento, si allon­ tanò e andò a impiccarsi. Egli infatti condannò se stesso, dimostran­ do quanto potente fosse l'insegnamento di Gesù anche nel peccato­ re Giuda, ladro e traditore, che non aveva potuto disprezzare com­ pletamente le cose che aveva appreso da Gesù54•

53 Probabilmente, il suo corpo si staccò dall'alto albero a cui si era impiccato, e cad­ de sulle pietre provocando la fuoriuscita dei visceri dall'addome. Cfr. C. S. KEENER, Acts, vol . l, pp. 762-763 . 54 0RIGENE, Contro Celso 2, 1 1 (GCS 2, 1 39); tr. it. pp. 1 70-17 1 .

3 02

7. GESÙ DAVANTI Al CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

Possiamo chiederci: perché l 'evangelista Matteo ritenne ne­ cessario inserire l' informazione sul suicidio di Giuda nel raccon­ to della passione? Probabilmente perché questo episodio rac­ chiude un' intera serie di lezioni morali che dovevano restare per le future generazioni. E la storia di Giuda si è incisa in maniera indelebile nella memoria della Chiesa. Ogni volta che si celebra la Settimana santa e la Chiesa attraverso la liturgia accompagna passo passo il cammino di Gesù verso il Calvario, essa fa me­ moria anche di Giuda. La prima lezione contenuta nella storia di Giuda è che il pec­ cato non può restare impunito. Se Dio non ferma l'uomo nel mo­ mento in cui commette il peccato, questo non significa che il peccato rimarrà senza conseguenze. La seconda, non meno importante lezione, è che il pentimen­ to può restare inutile se non vi fa seguito un cambiamento di vi­ ta, il rifiuto di vivere nel peccato, la decisione di fare opere buo­ ne. Scrive Giovanni Crisostomo: Considera quando Giuda si pente, quando il peccato è stato com­ piuto e portato a termine. Cosi è il diavolo: non consente che colo­ ro che non vigilano vedano prima il male, perché chi ne è conqui­ stato non si penta. Pur dicendo Gesù tante cose, non si lasciò piega­ re; dopo che la colpa fu compiuta, allora subentrò in lui il pentimen­ to, ma senza alcuna utilità. Difatti condannare se stesso, gettare le monete d' argento e non avere riguardi per il popolo giudaico, furo­ no tutti atteggiamenti accettabili ; impiccarsi, invece, fu di nuovo un gesto imperdonabile e opera di un malvagio demonio. Lo sviò dalla penitenza perché non ne traesse alcun vantaggio; lo fa perire con una morte vergognosissima e a tutti manifesta, persuadendolo ad uccidersi . . . Non sopportò la coscienza che lo tormentava55•

Terza lezione : il denaro non ha un valore assoluto . Anche se una somma sembra al lettante, essa può rivelarsi insignificante rispetto ad altro . Il denaro perde valore davanti all ' amore, alla 55 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 85, 2 (PG 58, 759); tr. it. vol. 3 , p. 323.

303

MORTE E RESURREZIONE

fedeltà, all ' amicizia, alla vita stessa. Se un uomo perde la ra­ gione d i vivere o si trova davanti alla morte i soldi non conta­ no più nulla. Nel film Titanic del regista Cameron c'è una sce­ na in cui uno dei passeggeri offre un pacco di dollari a un mem­ bro dell ' equipaggio del transatlantico che sta affondando, e quello l i prende e li butta in mare. A che cosa servono i soldi a un uomo che tra qualche istante colerà a picco? Esattamente così a un tratto i denari persero ogni valore per Giuda, quando comprese che la sua vita non aveva più senso . Quarta lezione: il denaro non può grondare sangue. Questo lo capivano perfino i capi dei sacerdoti e gli anziani, che non si ri­ solsero a depositare le monete d'argento restituite da Giuda nel tesoro del tempio, ma le impiegarono diversamente. Le offerte al tempio dovevano essere pure. Per un uomo che ha guadagna­ to del denaro a prezzo di tradimento o di sangue altrui, poi, que­ sto denaro cela in sé una potenziale minaccia. La quinta lezione riguarda il tema del suicidio. Per molti aspet­ ti proprio la storia di Giuda ha generato nel la Chiesa un atteg­ giamento di condanna verso il suicidio. L'atteggiamento nei confronti del suicidio variava presso i po­ poli del mondo antico. In alcune civi ltà il suicidio era conside­ rato un modo nobile e addirittura eroico di porre fine alla vita. L'esempio classico e più noto è la morte di Socrate, descritta da Platone. Un altro caso noto è la morte di Seneca e di sua moglie (per·la verità, in entrambi i casi si trattò di un suicidio forzato). La tradizione cristiana considera il suicidio un peccato mor­ tale, equiparandolo all 'om icidio. Inoltre, è l 'unico peccato di cui l ' uomo non può pentirsi. A eccezione dei casi in cui la persona si uccide mentre è «fuori di sé», cioè in una condizione di distur­ bo psichico, le norme canoniche vietano di celebrare il funerale rel igioso ai suicidi; secondo le stesse regole, essi non vanno se­ polti in terra benedetta. Proprio il suicidio fu il punto di non ritorno nella sorte di Giu­ da. Secondo gli esegeti cristiani, Giuda avrebbe potuto pentirsi e ottenere il perdono da D io:

304

7. GESÙ DAVANTI Al CAPI DEl SACERDOTI GIUDEI

G iuda si penti: «Ho peccato, - dice -·perché ho tradito sangue innocente>> (Mt 27,4). Il diavolo udl queste parole; comprese che Giuda stava incamminandosi sulla via del cambiamento e della sal­ vezza ed ebbe paura di questo mutamento . . . Che fece, allora? Con­ fuse Giuda, lo ottenebrò con un' eccessiva tristezza, lo incalzò, lo perseguitò fmché non lo condusse fino al cappio, finché non lo sot­ trasse alla vita presente e lo privò della possibilità di pentirsi. E che G iuda si sarebbe salvato se fosse rimasto in vita, lo si vede dall ' e­ sempio dei crocifissori. Se il S ignore salvò coloro che l' avevano in­ nalzato sulla croce, e dalla croce implorò il Padre e chiese per essi perdono dal peccato, è chiaro che con ogni benevolenza avrebbe ac­ colto anche il traditore, se questi avesse mostrato il dovuto penti­ mento; ma egli non era in grado di usare questo medicamento, es­ sendo assorbito da un' eccessiva tristezza56•

Qui il pentimento di Giuda è interpretato come l ' inizio del cammino di salvezza. Ma se Giuda avesse voluto pentirsi since­ ramente, avrebbe dovuto rivolgersi non ai capi dei sacerdoti e agl i anziani, ma a Colui che diceva che «vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali no n hanno bisogno di conversione>> (Le 1 5 ,7). Se al ladrone pentitosi sulla croce Gesù disse: «Oggi con me sarai nel paradiso» (Le 23 ,43 ), indubbiamente avrebbe perdonato an­ che Giuda. Ma Giuda non poteva più tornare né da Gesù né dal­ la comunità degli apostoli: a impedirglielo erano la vergogna, la disperazione, il demonio che aveva deciso di condurlo alla per­ dizione. Nel corso dei secoli, a partire dai testi degli gnostici57 e fino a opere contemporanee letterarie58 e scientifiche59, si è tentato di giustificare G iuda, di conferire nobiltà al suo gesto, di presenta­ re i l suo tradimento come parte del disegno divino. Tuttavia, la tradizione della Chiesa serba un atteggiamento inequivocabil5 6 GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae 9 , de poenitentia l , 3 (PG 49, 282). 57 Ad esempio Il Vangelo di Giuda, rinvenuto nel 2006, che ha sollevato

more.

molto cla­

58 Cfr., ad esempio, il racconto Giuda Jscariota di L. Andreev. 59 Cfr., ad esempio: W. KLASSEN, Judas: Betrayer or Friend ofJesus, pp. 202-204 .

305

MORTE E R E S UR REZIONE

mente negativo verso Giuda, che si rifà in maniera diretta ai rac­ conti evangelici. Un teologo ortodosso contemporaneo vede in Giuda la figura de W umanità che non ha saputo apprezzare il do­ no dell ' intimità offertale da Dio e ha aperto l ' anima, e insieme ad essa tutta la propria natura umana, al diavolo: Di che profondità abissale è la tragedia di Giuda! Egli mise tutto se stesso nel suo tradimento a Cristo Dio-Uomo: tutta l ' anima, tut­ ta la mente, tutta la logica, tutto il cuore, tutte le forze. Annegò tut­ to il suo essere nel più puro demonismo. Tutto il male esistente nel­ le anime umane si raccolse nella sua anima; tutto il male esistente nelle menti umane si raccolse nella sua mente, e ne venne una per­ versione mentale senza precedenti ; esattamente così, tutto il male esistente nei cuori, nelle logiche, nelle volontà umane si raccolse nel suo cuore, nel la sua logica, nella sua volontà. Solo cosi, infatti, avrebbe potuto vendere il Dio-Uomo per trenta denari d' argento. li Dio-Uomo: il supremo e, in realtà, unico valore comune a tutto il genere umano, e a questo pianeta . . . La caduta di Giuda è unica . . . perché tradì consapevolmente Dio, lo vendette per trenta monete d'argento. Nessuno ha disprezzato Dio con tanta sfrontatezza e spa­ valderia. Non c ' è niente di più a buon mercato di Dio, in questo mondo . . . Giuda sembra aver dimenticato tutto il bene fatto dal Sal­ vatore, tutti i miracoli, perfmo quelli che aveva lui stesso compiuto in suo nome. Si, in questo consiste tutto il satanismo del tradimento perpetrato da Giuda nei confronti di Dio. Se nel genere umano c'è un uomo che coscientemente e volontariamente è diventato un uo­ mo-diavolo, questi è Giuda Iscariota60•

Nel la natura umana esiste un potenziale di «divinoumanità)) nel senso che, unendosi a Dio attraverso la fede e le opere buo­ ne, l'uomo può avvicinarsi a Dio fino a diventare simile a Lui . Ma nella nostra natura umana decaduta c'è anche u n potenziale di . Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito met­ tere a morte nessunm> . Cosi si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire (Gv 1 8 ,28-32).

Chi condusse Gesù da Pilato? Il predicato «condussero» non ha soggetto, tuttavia, dal momento che in precedenza si era par­ lato di un gruppo di soldati e alcune guardie (Gv 1 8,3), e poi dei sommi sacerdoti Anna e Caifa (Gv 1 8, 1 3 .24), si può ipotizzare che a condurre Gesù da Pilato fosse un gruppo eterogeneo, com­ posto di membri del sinedrio e dei loro servi, scortati da soldati i'omanP6• Che «essi» non entrassero nel pretorio indica che si trattava di giudei osservanti, cioè di coloro che avevano emesso il verdetto di colpevolezza nei confronti di Gesù. Ricordiamo che Giovanni, a differenza dei sinottici, non dice niente dei contenuti del giudizio del sinedrio, ma si limita a ri­ cordare che dopo Anna Gesù era stato condotto da Caifa, e da Caifa al pretorio (Gv 1 8,24.28). Questo silenzio si spiega solo con i1 fatto che Giovanni, conoscendo i Vangeli sinottici (o al­ meno uno di essi, oppure la fonte su cui si basavano), non vole­ va ripetere quanto già vi si diceva? Oppure si può spiegare con il fatto che egli non era presente nel palazzo di Caifa, e quindi decise di non descrivere quello che non aveva visto con i propri occhi? In questo caso, l' assenza nel suo testo del racconto sul giudizio del sinedrio può solo confermare che avrebbe potuto essere presente nel pretorio nel momento in cui condussero Ge­ sù ed essere testimone degli eventi che descrive in modo tanto dettagliato. La parola «pretorio», che incontriamo anche in Matteo (Mt 27 ,27), designa in questo caso la residenza del pretore o prefet­ to romano a Gerusalemme. La residenza principale del prefetto si trovava a Cesarea, ma per le grandi feste egli veniva a Geru16 R. ScHNACKENBURG, The

Gospel according to St. John, vol. 3, p. 243 .

317

MORTE E RESURREZIONE

salemme e si fermava in una residenza, la cui ubicazione preci­ sa continua a restare oggetto di discussioni. Attualmente le gui­ de turistiche di Gerusalemme indicano il palazzo di Erode come il luogo in cui si trovava la residenza del prefetto, che vi occu­ pava uno degli edifici 1 7• Secondo un ' altra ipotesi, il prefetto avrebbe potuto dimorare nella Torre Antonia che si trovava nei pressi, costruita da Erode il Grande intorno al 1 9 a.C. e così chia­ mata in onore dell ' imperatore Marco Antonio 1 8• Entrambe le co­ struzioni vengono menzionate da Giuseppe Flavio: L'Antonia sorgeva all' angolo in cui si congiungevano l'ala setten­ trionle e quella occidentale del portico che recingeva la parte esterna del tempio, costruita su una prominenza rocciosa dell'altezza di cin­ quanta cubiti e tutta dirupata all ' intorno. Era stata fabbricata dal re Erode, che vi aveva sfoggiato tutto il suo naturale trasporto per la son­ tuosità. Anzitutto infatti la roccia era stata ricoperta fin dalla base con lastre di pietra levigata, sia per ornamento, sia per far ruzzolare chiun­ que avesse tentato di dar la scalata o di discendere. Poi davanti alla torre correva un muro di recinzione dell' altezza di tre cubiti, e al ri­ paro di questo si elevava tutto il corpo dell'Antonia per un' altezza di quaranta cubiti. L' interno aveva l' ampiezza e la sistemazione di una reggia; infatti era suddiviso in appartamenti di ogni forma e destina­ zione, con portici, bagni e ampie caserme, si da sembrare una città per il fatto che era fornita di tutto il necessario, e una reggia per la sua magnificenza . . . sui due lati che toccavano i portici del tempio aveva delle scale per poterli raggiungere, che si usavano per farvi scendere gli uomini di guardia. Infatti al suo interno era sempre acquartierata una coorte romana, che nelle feste si schierava in armi sopra i portici per vigilare sul popolo e impedire qualche sommossa . . . La città ave­ va poi la propria rocca nel palazzo di Erode19•

Una testimonianza indiretta a favore del palazzo di Erode co­ me luogo in cui Pilato poteva trovarsi la notte prima che gli con­ ducessero Gesù è il racconto dello storico sull 'ultimo procura17 Cfr.,

18

19

ad es.: D.L. BRAKE, T. BoLEN, Jesus: A Visual History, p. 2 1 6.

R.E. BROWN, The Death ofthe Messiah, vol . l, pp. 707-7 1 0. GIUSEPPE

FLAVIO, Guerra giudaica 5, 5, 8;

318

tr.

it. pp. 366-367.

8. IL GIUDIZIO DI PILATO

tore della Giudea Gessio Floro. In questo racconto vi sono mol­ ti particolari che ricordano la storia del processo contro Gesù, come ci viene raccontato dal quarto Vangelo: Floro prese alloggio nella reggia e il giorno dopo, avendo innal­ zato n davanti il suo tribunale vi prese posto, mentre affluivano di­ nanzi a lui i sommi sacerdoti e i notabili e la parte più eletta della cittadinanza. A costoro Floro comandò di consegnargli chi lo aveva ingiuriato, minacciando che si sarebbe vendicato su di loro, se non ave ssero tradotto dinanzi a lui i colpevoli. Quelli risposero che il popolo era animato da sentimenti pacifici, e chiesero perdono per coloro che gli avevano rivolto espressioni irriguardose . A questi discorsi Floro s' infuriò ancora di più e diede ordine ai soldati di sac­ cheggiare la piazza detta superiore e di uccidere chiunque incontras­ sero . . . Furono presi anche molti dei moderati e condotti dinanzi a Floro, che dopo averli fatti flagellare li mise in croce . Il disastro fu aggravato dall' inconsueta ferocia dei romani: Floro infatti ebbe l' ardire di fare ciò che nessuno prima di lui aveva osato, ordinare che venissero fustigate dinanzi al suo tribunale e poi crocifisse per­ sone appartenenti ali' ordine equestre, che anche se erano giudei di nascita, per il loro rango sociale erano romanF0• .

.

. .

I l procedimento giudiziario descritto - o meglio, la sua paro­ dia - si svolge davanti al palazzo del re Erode; dinanzi al procu­ ratore vi sono coloro che gli evangelisti chiamano con un'espres­ sione collettiva «capi dei sacerdoti e anziani»; per due volte si menzionano la flagellazione e la crocifissione. Il tribunale di Gessio Floro ricorda molto il giudizio di Pilato descritto nei Van­ geli, con la sola differenza che nel secondo caso caso i capi dei sacerdoti e gli anziani pretendono per il prigioniero la condanna a morte, e il prefetto vi si oppone, mentre nel primo, al contra­ rio, essi cercano di intercedere per i colpevoli, e per questo mo­ tivo il procuratore si infuria ancor di più. Torniamo al racconto dell 'evangelista Giovanni. Come nel ca­ so di Gessi o Floro, i giudei non entrano nel pretorio, ma è il pre20

lbid. 2, 1 4, 8-9; tr.

it.

pp. 1 60- 1 62.

3 19

MORTE E RESURREZIONE

fetta a uscire loro incontro. Giovanni lo spiega dicendo che non volevano contaminarsi restando nello stesso ambiente con i pa­ gani, cosa che avrebbe reso loro impossibile mangiare l'agnello pasquale. L'amara ironia di questa osservazione dell'evangelista consiste nel fatto che i giudei non pensano di contaminarsi par­ tecipando in prima persona allo spargimento del sangue del giu­ sto. Per loro contaminarsi significa solo infrangere formalmente le prescrizioni del la legge di Mosè e le «tradizioni degli antichi» . Proprio questo formalismo era stato instancabilmente denuncia­ to da Gesù, mentre ancora si trovava in l ibertà, nei suoi discorsi contro i farisei e gli scribi. Pilato esige che venga formulata l'accusa. Colpisce l ' indeter­ minatezza della formulazione : «Se costui non fosse un malfat­ tore, non te l'avremmo consegnato» . L'accusa è talmente poco convincente per il prefetto, da fargli proporre di sottoporre nuo­ vamente la causa al sinedrio e di giudicare Gesù non secondo la legislazione penale romana, ma secondo la legge di Mosè. Egli parte, evidentemente, dal presupposto che la colpa non meriti la pena di morte. Per i giudei non aveva senso accusare Gesù davanti a Pilato di ciò che a parer loro costituiva la sua colpa principale, e cioè di bestemm ia. Per Pilato questo argomento non sarebbe stato convincente. Era necessario trovare un'altra accusa. L'espres­ sione KllKÒV 7tot&v («malfattore», lett. «colui che fa il male») doveva indicare un crim ine politico, ad esempio l 'organizzazio­ ne di una rivolta contro i romani. Un'accusa più concreta viene formulata nella versione di Lu­ ca: «E cominciarono ad accusarlo: "Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tri­ buti a Cesare e affermava di essere Cristo re"» (Le 23 ,2). Sant'A­ gostino a questo proposito afferma: «Queste accuse non sono ri­ ferite dagli altri due evangelisti, sebbene essi parl ino di accuse sollevate contro di lui. Luca invece è esplicito nel riferire le col­ pe che falsamente gli attribuivano»2 1 • 21

AGOSTINO, Il consenso degli evangelisti 3, 34 (PL 34, 1 1 78).

320

8. IL G I UDIZIO DI PILATO

L'espressione «metteva in agitazione il popolo» è generica, ma l ' allusione ai tributi a Cesare è molto concreta e rimanda, probabilmente, all'episodio raccontato dai tre sinottici, in cui a Cristo viene domandato se sia lecito pagare il tributo a Cesare (Mt 22, 1 5�22; Mc 1 2, 1 3 - 1 7; Le 20,20-26). Abbiamo già esami­ nato questo episodio e ricordiamo che Gesù non solo non aveva vietato di pagare il tributo a Cesare, ma al contrario aveva rispo­ sto: «Quello che è di Cesare rendete lo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio» . Tuttavia, davanti a Pilato Gesù viene accusato deli ' esatto contrario. Infine, l ' accusa principale: affenna di essere re. Proprio que­ sto doveva mettere in allanne il prefetto, il cui compito princi­ pale consisteva nell'assicurare stabilità al potere romano sulla ribelle Giudea. Garante di questa stabilità era il re, designato dall' imperatore romano. I tentativi, intrapresi più volte nel cor­ so del I secolo, di rovesciare o mettere in qualche modo a repen­ taglio l' autorità del re furono crudelmente repressi sia dallo stes­ so re che dai romani. A quanto sappiamo, ve ne furono diversi di questi tentativi. Due di essi sono ricordati negli Atti degli apostoli, nel discorso di Gamaliele al sinedrio: «Tempo fa sorse Tèuda, infatti, che pre­ tendeva di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattro­ cento uomini. Ma fu ucciso, e quelJ i che si erano lasciati persua­ dere da lui furono dissolti e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse gente a se­ guirlo, ma anche lui finì male, e quelli che si erano lasciati per­ suadere da lui si dispersero» (At 5,36-37). Entrambi i ribelli ci­ tati sono personaggi storici, anche se in realtà la rivolta di Giu� da il Galileo è precedente alla comparsa di Tèuda22• Giuda il Galileo era figlio del ribelle Ezechia (Hiskia), fatto uccidere da Erode il Grande mentre era governatore della Gali­ lea intorno all'anno 46. Dopo la morte di Erode, G iuda riunì una

22

Alcuni studiosi ritengono che il personaggio citato negl i Atti potrebbe forse esse­ The Book ojActs in the Setting of Hel­ lenistic History, pp. 162-163.

re un altro Tèuda. Cfr. : C.J. HEMER, C.H. GEMPF,

321

MORTE E RESURREZIONE

moltitudine di uomini e conquistò l'arsenale di armi del re a Sef­ fori. Parla di lui Giuseppe Flavio, menzionando lo accanto ad al­ tri ribelli: Simone, che riunì un gran numero di adepti che lo pro­ clamarono re e diede alle fiamme il palazzo reale di Gerico, e Atronge, che ebbe l 'ardire di attentare al potere regale. «La Giu­ dea era piena di brigantaggio» scrive lo storico. «Ognuno pote­ va farsi re, come capo di una banda di ribelli tra i quali capitava e in seguito avrebbe esercitato pressione per distruggere la co­ munità causando torbidi a un piccolo numero di Romani e, più raramente, ma provocando una grande carneficina, al suo po­ polo»23 . Flavio menziona anche la rivolta di Tèuda2\ che in ve­ rità - se dobbiamo attenerci alla sua testimonianza - avvenne ormai dopo la condanna di Gesù. l capi delle sommosse che periodicamente divampavano in Giudea e in Galilea di regola si proclamavano (o venivano pro­ clamati) re o profeti. Si ribellavano contemporaneamente all ' au­ torità del re e dei romani25, cosa che li rendeva popolari, ma pe­ ricolosi agli occhi dei rappresentanti di entrambe le autorità. Seb­ bene non vi siano notizie che si proclamassero messia, il loro apparire era consonante con le attese messianiche del popolino, a cui erano ugualmente odiosi il potere del re e quello dei roma­ m.

D a come l ' accusa viene formulata nel testo d i Luca e dalla prima domanda posta da Pilato a Gesù (questa domanda è ripor­ tata in tutti e quattro i Vangeli in un' unica versione) è evidente che i giudei avevano deciso di accusare Gesù di pretendere al trono regale, presentandolo a Pilato come il capo di una som­ mossa antigovemantiva. Esaminiamo i racconti dei quattro evangelisti sul l ' interroga­ torio di Pilato a Gesù. Matteo e Marco lo presentano con espres­ sioni identiche:

GrusEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 1 7, l O, 4-8; tr. it. vol. 2, p. l 092. lbid. 20, 5, l . 25 Cfr. : R.A. HoRSLEY, «"Messianic" Figures and Movements in F irst-Century Pa­ Iestine», p. 287. n

24

322

8. IL GIUDIZIO DI PILATO

Gesù intanto comparve davanti al

Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei

' governatore, e il governatore lo in-

Giudei?)) . Ed egli rispose : «Tu lo

terrogò dicendo : «Sei tu il re dei

dich). I capi dei sacerdoti lo accu­

«Tu lo di-

savano di molte cose. Pilato lo in­

ci » . E mentre i capi dei sacerdoti e

terrogò di nuovo dicendo : «Non ri­

gl i anziani lo accusavano, non ri-

spandi nulla? Vedi di quante cose

spose nulla. Allora Pilato gli disse:

ti accusano ! » . Ma Gesù non rispo­

«Non senti quante testimon ianze

se più nulla, tanto che Pilato rima­

portano contro di te?». Ma non gli

se stupito (Mc

G iudei?)}. Gesù rispose :

1 5,2-5).

rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito (Mt 27, 1 1 - 1 4).

Entrambi gli evangelisti insistono sul fatto che Gesù rispose solo a una domanda di Pilato, e poi, quando i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusarono, non proferì nessuna parola. La rispo­ sta alla prima domanda trova conferma nella testimonianza di Luca, la più concisa delle quattro: Pilato allora lo interrogò : « Sei tu il re dei Giudei?» . Ed egli ri­ spose: « Tu lo dici» . Pilato disse ai capi dei sacerdoti e aJ la folla: «Non trovo in quest' uomo alcun motivo di condanna» (Le 23,3-4).

G iovanni riferisce la stessa risposta di Gesù, ma in forma più ampia, inserendola nel dialogo fra Lui e Pilato. A questo dialogo i capi dei sacerdoti e gli anziani non sono presenti, poi­ ché esso si svolge all ' interno del pretorio dove si erano rifiu­ tati di entrare: Pilato allora rientrò nel pretori o, fece chiamare Gesù e gli disse: · « Sei tu il re dei Giudei?)). Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?» . Pilato disse: « Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?)) . Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mon­ do; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbe­ ro combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio re­ gno non è di quaggiù» . Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?» . Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per 323

MORTE E RESU RREZIONE

questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» . Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?>> . E, detto questo, usci di nuovo verso i Giudei e dis­ se loro: « lo non trovo in lui colpa alcuna>> (Gv 1 8,33-3 8).

Come spiegare la differènza tra la testimonianza di Matteo e Marco sul silenzio di Gesù e la deposizione di Giovanni, secon­ do cui Egli rispose alle domande del prefetto? La spiegazione più semplice è che Matteo, Marco e Luca riportino solo la parte dell' interrogatorio che si era svolta fuori del pretorio, alla pre­ senza dei giudei . Giovanni invece parla di quello che avvenne all ' interno e che gli accusatori di Gesù non potevano udire. Un'altra spiegazione potrebbe essere che i sinottici riportano so­ lo la sostanza della risposta di Gesù a Pilato, mentre Giovanni la riferisce parola per parola. In definitiva, la testimonianza di Giovanni conduce alla stessa risposta affermativa, «Tu lo dici», che troviamo negl i altri evangelisti. La coerenza di tutte e quat­ tro le testimonianze è indubbia. Gesù, secondo il Vangelo, risponde a Pilato nella sua manie­ ra caratteristica, rivolgendogli a sua volta una domanda. Anche Pi lato risponde con una domanda, dimostrando il proprio disprez­ zo per il popolo giudeo. Questo di sprezzo è testimoniato anche dalle altre fonti, tra cui i passi riportati sopra di Filone di Ales­ sandria e Giuseppe F lavio. Il colloquio successivo tra Gesù e Pi lato, fino alla risposta di­ retta: «Tu lo dici: io sono re», viene interpretato da alcuni stu­ diosi contemporanei come il frutto del l ' immaginazione del l ' e­ vangelista: nella fonte usata da Giovanni sarebbe esistita solo la risposta diretta, il resto sarebbe stato opera sua26• Si osserva che il dialogo tra Gesù e Pilato corrisponde allo sti le generale del Vangelo di Giovanni, che rispecchia tra l' altro motivi apologe­ tici della fine del I secolo, quando i cristiani erano costretti a pro­ vare la propria lealtà all ' imperatore. L'affermazione che il Re­ gno di Gesù «non è di questo mondo» corrisponderebbe al con16

Cfr., ad es. : R. ScHNACKENBURG, The Gospel according to St. John, vol . 3, p. 248 .

324

8. IL G I UDIZIO DI PILATO

testo reale della vita della Chiesa cristiana alla fine del I secolo, e non alla situazione in cui si trovava Gesù27• Tutti questi ragionamenti si basano sulla ferma certezza che nessuno potesse conoscere in nessun modo il contenuto del col­ loquio tra Pilato e Gesù all' interno del pretorio. Tuttavia, questa certezza non ha sufficienti motivazioni . Alla conversazione avrebbero potuto partecipare dei traduttori; essa avrebbe potuto essere verbalizzata, e i verbali avrebbero poi potuto essere ac­ cessibili alla comunità cristiana; avrebbero potuto essere presen­ ti testimoni casuali o non casuali. Non lo sappiamo ma non pos­ siamo escluderlo. Il dialogo, in ogni caso, non si svolge all ' in­ terno di un carcere, e il fatto che si tratti di un evento pubblico emerge con chiarezza da tutti e quattro i racconti evangelici . Un fattore ben più rilevante c i appare l a circostanza secondo cui nel colloquio con Pilato Gesù espone in forma sintetica la sua dottrina del Regno. Nel Vangelo di Giovanni il Regno di Dio fino a quel momento era stato menzionato solo due volte, en­ trambe nel colloquio con Nicodemo (Gv 3,3.5). Invece nei Van­ geli sinottici il Regno di Dio, o Regno dei cieli, è un concetto che ricorre continuamente nei discorsi di Gesù. «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino ! » (Mt 3 ,2) furono le parole con cui iniziò la sua predicazione. E successivamente, nelle sue pa­ rabole ed esortazioni, aveva paragonato il Regno dei cieli a vari oggetti e fenomeni della vita terrena (Mt 1 3 ,24 .3 1 .3 3 .44-48). Aveva parlato dei possibili ostacoli a entrare nel Regno di Dio, e di ciò che invece poteva favorirne l ' acquisizione. Ma non ave­ va mai sviluppato questo concetto in termini positivi. Nel colloquio con Pilato Egli non dà una definizione esaurien­ te del Regno: dice solo ciò che non è. Non è di questo mondo, cioè non ha niente a che vedere con il tipo di concezioni che avrebbero potuto essere oggetto di preoccupazione per il procu­ ratore romano. Questo Regno non esiste sul piano terreno, non ha nulla a che fare con il regime politico e il potere civile. Esi­ ste in un 'altra dimensione. Gesù lo spiega con un esempio: se 27 R. E. BROWN,

The Gospel according to John (Xlii-XXI), p. 860.

325

MORTE E RESURREZIONE

avesse avuto un potere politico o vi avesse aspirato, i suoi ser­ vitori avrebbero fatto di tutto perché non fosse consegnato nelle mani dei giudei. Sottol inea anche che si è consegnato loro vo­ lontariamente. Pilato era in grado di capire di che cosa stesse parlando Ge­ sù? Probabilmente era lontano da ogni problematica filosofica e non gli interessavano questioni di carattere religioso. Gli inte­ ressava una cosa sola: se Gesù avesse delle pretese sul potere re­ gale o no; era veramente un perturbatore della quiete pubblica, come lo presentavano i capi dei sacerdoti e gli anziani? Per que­ sto pone di nuovo una domanda diretta, che esigeva una rispo­ sta diretta: dunque tu sei re? Anche questa volta Gesù risponde affermativamente, anche se avrebbe potuto rispondere negativa­ mente. Sì, è re. Ma non nel l ' accezione in cui questo concetto viene usato per i re terreni. Come negli altri episodi del Vangelo di Giovanni, compresi i colloqui con Nicodemo (Gv 3 ) e la samaritana (Gv 4), per non parlare delle dispute con i farisei (Gv 5-7), il dialogo si svolge a diversi livelli: Gesù dice una cosa, gli interlocutori ne capisco­ no un'altra; Egli parla di cose celesti, gli interlocutori intendono cose terrene (Gv 3, 1 2). Nonostante l ' incomprensione, Gesù non abbassa mai il tiro: mantiene il discorso al proprio livello, senza tentare di scendere sul piano del l ' interlocutore. Dice sempre quello che vuole dire, e non quello che vorrebbe sentire da Lui l' interlocutore. Anche a Pilato - questo consumato cinico (a quanto ci dico­ no le fonti storiche) - Egli parla della verità. Possiamo ricorda­ re uno dei dialoghi con i farisei, che gli avevano detto: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera» . Ge­ sù aveva risposto: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la m ia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado». E poi aveva ricordato le regole del la procedura giu­ diziaria: «E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. Sono io che do testimonianza di me stes­ so, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me» (Gv 8, 1 3- 1 4 . 1 7- 1 8). ln un altro colloquio aveva detto ai giudei: 326

8. IL GIUDIZIO DJ PILATO

«Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; co­ noscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,3 1 -32). Anche con Pilato Gesù fonda il suo discorso sugli stessi temi e sulle stesse idee. E non fa sconti, sebbene Pilato possa non comprenderlo: espone semplicemente l ' essenza del proprio in­ segnamento. Non per giustificarsi davanti al procuratore roma­ no ed essere liberato, ma per amore della verità. Possiamo ricor­ dare le parole di san Paolo, che appaiono inaspettatamente nella sua prima lettera a Timoteo: «Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazio­ ne del Signore nostro Gesù Cristo» ( l Tm 6, 1 3- 1 4). A quale «bel­ la testimonianza» si riferisce l 'apostolo? Non si tratta forse del­ la testimonianza alla verità, rimasta incompresa? Avendo sentito parlare della verità, Pilato fa una domanda a cui - ne è sicuro - non c'è risposta: «Che cos 'è la verità?» . È evidente che Gesù e Pilato attribuiscono al concetto di «verità» significati diversi. Per capire che cosa i romani intendessero per verità ( veritas ) , possiamo rivolgerei alle opere di un contemporaneo di Pilato e di Gesù, il filosofo romano Seneca. La verità si identifica per Seneca con la capacità di giudicare rettamente l' uomo e il mondo: . La virtù è l' unico bene, non esiste nessun bene senza la virtù e la virtù risiede nella parte migliore di noi, quella razionale. Che cos' è, dunque, questa virtù? Una vera e salda capacità di giudizio28; ne pro­ vengono gli impulsi della mente ed essa darà chiarezza ad ogni im­ magine che suscita un impulso. Giudicare come beni e uguali tra lo­ ro tutti quelli che sono in rapporto con la virtù sarà conseguente a questa capacità di giudizio29•

28 Facendo riferimento a Socrate, nella stessa lettera Seneca asserisce che «virtù e verità coincidono» (SENECA, Lettere a Luci/io 7 1 , 1 6). 29 lbid 71, 32-3 3 .

327

MORTE E RESU RREZIONE

Il concetto di verità, secondo il fi losofo, è infuso in tutti gli uomini dal la natura: È facile spingere chi ascolta a desiderare il bene: in ogni uomo la natura ha gettato le fondamenta e il seme delle virtù. Siamo nati tutti per compiere il bene: se c'è uno che ci stimola, quei nobili istin­ ti come sopiti, si risvegliano. Non senti in teatro l' eco degli applau­ si quando risuonano quelle frasi che tutti riconosciamo, che all ' u­ nanim ità proclamiamo vere?30

La verità è conoscibile solo alle persone la cui anima sia pu­ rificata dai vizi : Bisogna giudicare le grandi cose con animo grande; altrimenti attribuiremo ad esse il difetto che invece è in noi. Cosi se guardia­ mo un pezzo di legno perfettamente diritto, immerso nell'acqua, ci sembra curvo e spezzato. Non ha importanza che cosa guardi, ma come guardi : la nostra mente si ottenebra nello scrutare la verità3 1 •

Un uomo che abbia conosciuto in che cos ' è insito i l vero be­ ne, accetta l' inevitabilità della morte: lo ti auguro, invece, di avere il possesso di te stesso in modo che la tua mente, travagliata da pensieri volubi1i, trovi riposo e certez­ ze, che sia soddisfatta di sé e, riconosciuti i beni veri, che si possie­ dono non appena si riconoscono, non desideri una vita più lunga32•

Tuttavia la verità per Seneca non è una grandezza assoluta, ma relativa. Per capire dov'è la verità, e dove invece non c'è, è neces­ sario studiare le opere degli antichi filosofi33• Sulla via della ricer­ ca del vero alcune persone vanno avanti, altre le seguono34• Ma in lO

fbid. 1 08, 8. lbid. 7 1 , 24. lbid. 32, 5 . H fb id. 94. 14 /hid. 33, 1 1 : «Quegl i uomini che hanno suscitato questi problemi prima di noi non Jl 12

sono i nostri padroni, ma le nostre guide . La verità è aperta a tutti; nessuno se n 'è anco­ ra impossessato; gran parte di essa è stata lasciata anche ai posteri» . l

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8. IL GIUDIZIO DI PILATO

ultima analisi, la via alla verità consiste nel giungere a conosce­ re ogni cosa con la propria testa, senza credere a ciò che dicono gli altrP5 • La verità è contenuta nelle opere di molti filosofi, ma ogni uomo deve trovare la propria36, per poter dire, alla fme: «Ciò che è vero è anche mio»37• Nella domanda di Pi lato echeggia la certezza che la verità as­ soluta non esiste, che tutte le verità sono relative. Ma per Gesù non è così. Per Lui la verità è un concetto carico di un contenu­ to concreto. È vero Dio stesso, e Gesù ne è l ' inviato (Gv 7,28; 8,26). Come Figlio di Dio, Lui stesso «è veritiero, e in lui non c'è ingiustizia» (Gv 7, 1 8). È la personificazione della verità sul­ la terra. Ai discepoli dice: «lo sono la via, la verità e la vita. Nes­ suno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 1 4,6). Gesù era di fronte a Pilato, da cui sembrava dipendesse per Lui vivere o morire. Ma Pilato era di fronte alla Verità incarnata, da cui dipendeva per lui entrare nella vita eterna o no. Se Gesù cercò di provare o dire qualcosa a Pilato, non era per salvare se stesso, ma per salvare l ' altro. Egli parlava con le persone sempre e solo a questo scopo. Ma ciascuna di esse reagiva in maniera diversa. Alcuni «ascoltavano la sua voce» : erano coloro che sono genera­ ti «dalla verità». Altri assumevano posizioni di attiva opposizio­ ne. Altri ancora, come Pilato, restavano indifferenti . In che lingua parlarono Pilato e Gesù? Vi sono tre varianti : in greco, latino o aramaico attraverso un traduttore. Se dobbiamo scegliere una delle tre lingue, è preferibile la prima variante38• È difficile che Pilato conoscesse l'aramaico, e anche se lo avesse ' 35

lbid 95. lbid 33, 7 : «Per un uomo maturo è una vergogna cercare di cogliere fiorell ini e puntellarsi con pochissime massime, le più famose, basandosi sulla memoria: deve or­ mai appoggiarsi su se stesso. Concetti del genere li esprima con parole sue e non stia a impararli a memoria . . . E tu? Fino a quando ti muoverai sotto la guida di un altro? Pren­ di il comando e pronuncia frasi che meritino di essere imparate a memoria, tira fuori an­ che qualcosa di tuO>>. 37 lbid 1 2, I l : «"Questo lo ha detto Epicuro - ribatti - che hai a che fare con un estra­ neo?". Ciò che è vero è anche mio. Continuerò a citarti Epicuro, perché coloro che giu­ rano sulle parole e non tengono conto del loro significato, ma della provenienza, sappia­ no che le cose migliori sono patrimonio comuQe». 38 Cfr. : A. PUIG 1 TÀRRECH, Jesus, p. 1 80. )6

329

MORTE E RES URREZ IONE

conosciuto, difficilmente lo avrebbe padroneggiato al punto da condurre in questa lingua un interrogatorio. I l latino non era in uso in G iudea, e difficilmente Gesù poteva conoscerlo. Il greco, al contrario, era largamente usato ed era la l ingua ufficiale di tut­ to P impero. In Giudea e in Galilea erano in molti a conoscerlo. Del resto, la possibilità che fosse usato un traduttore non è da escludersi, dato il carattere ufficiale del processo giudiziario. Dunque, dopo il primo round del colloquio, Pilato torna dai giudei constatando l ' innocenza di Gesù. Su questo punto con­ cordano le testimonianze di Giovanni e di Luca. Ma in seguito Luca narrerà ciò che invece gli altri evangelisti passano sotto si­ lenzio.

3. Gesù da Erode

Come abbiamo visto, secondo il Vangelo di Giovanni Pilato di­ mostra chiaramente di non voler giudicare Gesù, proponendo ai giudei di farlo loro stessi. In Luca egli trova un' altra soluzione: Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnan­ do per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui» . Udito ciò, Pilato domandò se quell'uomo era Galileo e, sapu­ to che stava sotto l' autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch 'egli a Gerusalemme (Le 23,5� 7).

Nella letteratura scientifica la storicità del l ' incontro di Gesù con Erode viene frequentemente messa in dubbio39• Tali dubbi vengono motivati, in particolare, dal fatto che per un incontro con Erode non c'era tempo sufficiente40• Tuttavia, se si tiene con­ to che probabi lmente Pilato si trovava nel palazzo di Erode, in questo episodio non c'è niente di inverosim ile: recarsi da Erode '9 Cfr., ad es. : A. LoiSY, L 'Évangile se/on Luc, pp. 544-545 ; J.M. CREED, The Gospel according to St. Luke p. 280. Per una rassegna delle posizioni degli studiosi su questo tema, cfr. : J.M. HARRINGTON, The Lukan Passion Narrative, pp. 69 1 -804. 40 H. COHN, The Trial and Death ofJesus, p. 1 8 1 . ,

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8. IL GIUDIZIO DI PILATO

e tornare da Pilato poteva richiedere non più di mezz'ora. La cir­ costanza secondo cui Erode con ogni probabilità si trovava a Ge­ rusalemme per la festa di Pasqua testimonia a favore della sto­ ricità de Il' episodio. Della partecipazione di Erode, oltre a Pilato, alla condanna di Gesù, l 'evangelista Luca parla anche nel libro degli Atti, ripor­ tando la preghiera della comunità cristiana: Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano, tu che, per mezzo dello Spirito Santo, dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide: Perché le nazioni si agitarono e i popoli tramarono cose van e? Si sollevarono i re della terra e i prìncipi si allearo no insieme contro il Signore e contro il suo Cristo; davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le na­ zioni e i popoli d'Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Ge­ sù, che tu hai consacrato, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano deciso che avvenisse (At 4,24-28).

Erode Antipa, tetrarca di Galilea, viene menzionato nel Van­ gelo di Luca in relazione al racconto sull'esordio della predica­ zione di G iovanni Battista (Le 3, l ), e poi alla reclusione di que­ st' ultimo in carcere (Le 3, 1 9-20). I tre sin ottici narrano che «al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani : "Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai mor­ ti e per questo ha il potere di fare prodigi ! "» (Mt 1 4, 1 -2; Mc 6, 1 4- 1 6; Le 9, 7-9). I Vangeli di Matteo e Marco riportano il rac­ conto deJI' uccisione di Giovanni per ordine di Erode (Mt 1 4,31 1 ; Mc 6, 1 7-28). Nel Vangelo di Marco il nome di Erode figura anche nell'ammonimento di Gesù ai discepol i: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal l ievito di Erode ! » (Mc 8, 1 5). Infine, il nome di Erode compare nel racconto sull'avver­ timento ricevuto da Gesù da parte dei farisei: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere» . In risposta Gesù ordinò loro di andare a riferire al tetrarca: «Andate a dire a quella vol­ pe: "Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e doma­ ni; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, 33 1

MORTE E RESURREZIONE

perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalem­ me"» (Le 1 3,3 1 -3 3 ). Figlio di Erode il Grande, Erode Antipa ereditò solo parte del regno, diviso dopo la morte del re fra i tre figli. Dopo che uno dei figli, Erode Archelao, fu mandato in esilio, in Giudea fu in­ trodotto il governo diretto dell' imperatore attraverso i prefetti, mentre in Galilea Erode Antipa conservò il potere. Nel l' epoca di cui ci stiamo occupando, quindi, Pilato governava di fatto la Giudea, ed Erode la Galilea. I l gesto di Pilato in questo contesto è perfettamente spiegabile. Alcuni studiosi ritengono il ruolo di Erode nella condanna di Gesù pressoché decisivo, perché pensano che proprio lui avesse promosso il processo contro Gesù, operando attraverso i capi dei sacerdoti e gli anziani. Questo è in parte confermato dal già ri­ cordato avvertimento che, secondo Luca, Gesù avrebbe ricevu­ to dai farisei mentre era in cammino verso Gerusalemme. D'al­ tro canto, nel racconto dei sinottici sulla congiura contro Gesù il ruolo di Erode non è contemplato in nessun modo . Una sua partecipazione personale al processo giudiziario contro Gesù, stando al racconto di Luca, non era affatto prevista: Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui . Lo interrogò, facendogli molte do­ mande, ma egl i non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nel l ' accusarlo. Allora anche Ero­ de, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli m ise addos­ so una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia (Le 23,8- 1 2).

Erode si interessava da tempo a Gesù e fu lieto della possi­ bi lità di interrogarlo personalmente. Gli propone di fare qual­ che m iracolo, ma Gesù si rifiuta, come si era rifiutato in prece­ denza, quando l ' avevano preteso da Lui (Mt 1 2,3 8-39; 1 6, 1 -4; Mc 8, 1 1 - 1 2). A tutte le domande oppone il silenzio. All' interro­ gatorio del sinedrio era stato laconico, non aveva risposto alJe 332

8. IL GIUDIZIO DI PILATO

accuse. All ' interrogatorio di Pi lato, secondo la testimonianza dei sinottici, aveva risposto a una sola domanda. Da Erode, secon­ do la testimonianza di Luca, tace completamente. Come si spie­ ga? Con la consapevolezza dell' inutilità e sterilità di qualunque parola pronunciata in tale situazione? Con l ' impotenza davanti alla malvagità umana? O, al contrario, con il desiderio che si compisse al pi ù presto la volontà del Padre? Il silenzio di Gesù nei racconti evangelici della passione ri­ corda al lettore le parole delle profezie sul Messia sofferente: «Maltrattato, si lasciò umiliare e non apri la sua bocca; era co­ me agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non apri la sua bocca» (ls 53, 7). L' interrogatorio da Erode si conclude con nuovi schemi nei confronti di Gesù, a cui il tetrarca prende personalmente parte. Quind i rimanda Gesù da Pilato, dopo averlo rivestito di una bella veste. Che significa questa veste? Difficilmente si può in­ tenderla come il simbolo dell' innocenza di Gesù o della sua di­ gnità regale4 1 • Più probabilmente era una forma di derisione, simile a quelle che attenderanno Gesù al term ine del giudizio di Pi lato. La notizia secondo cui Pi lato ed Erode erano reciprocamente ostili può avere un fondamento reale. In un altro passo Luca ri­ corda i galilei, «il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici» (Le 1 3 , l ). Evidentemente, questo in­ cidente era avvenuto a Gerusalemme (solo li si offrivano sacri­ fici), e un gruppo di galilei era stato vittima di un attacco dei sol­ dati di Pi lato. Questo tipo di incidenti poteva verosimilmente creare ostilità tra i due governanti. Alla luce di quanto detto la decisione di Pilato di mandare il prigioniero da Erode può non solo essere spiegata con il deside­ rio di scaricare la responsabilità sulle spal le di un altro: avrebbe potuto compiere questo gesto in segno di rispetto per quest'ulti­ mo, per accattivarsi la sua benevolenza. Almeno, così intende 41

R.E.

8ROWN, The Death ofthe Messiah, vol. l , p. 776.

333

MORTE E RESURREZIONE

quest'atto Giustino il Filosofo: «Erode (Antipa) dunque succes­ se ad Archelao prendendo la parte di potere che gli spettava, e fu a lui che Pilato, per compiacerlo, inviò Gesù in catene»42 •

4. Gesù o Barabba?

Quando Gesù ricomparve sulla soglia del pretorio, Pilato in­ terpretò il suo ritorno nel senso che Erode l'aveva riconosciuto innocente. In questo egli vide una conferma della propria posi­ ztone: Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse lo­ ro : «Mi avete portato quest'uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l 'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest'uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l ' ha rimandato . Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà» . [E infatti dove­ va rimettere in libertà un prigioniero per la festa] (Le 23 , 1 3- 1 7).

L'ultima frase manca in una serie di manoscritti, tra cui i co­ dici Alessandrino e Vaticano. Viene tralasciata nell'edizione cri­ tica del Nuovo Testamento43, perché considerata prodotto di una correzione introdotta nel testo di Luca per concordarlo con Mc 1 5 , 1 7 ed Mt 27, 1 544• D 'altro canto, la frase esiste nel Codice Si­ naitico e in molti altri manoscritti e antiche traduzioni, anche la­ tine e siriache. Così pure esiste in sant' Agostino45 e in altri au­ tori latini. Nel racconto di Luca, Pilato per tre volte dichiara l ' innocen­ za di Gesù. La prima volta, in seguito al primo interrogatorio, la seconda volta, al ritorno di Gesù da Erode. La terza volta, in ri­ sposta alle insistenti richieste dei giudei di crocifiggerlo: 42

GrusriNO IL FILOSOFO, Dialogo con Trifone l 03 (PG 6, 7 1 7); tr. it. p. 307. Novum Testamentum Graece, p. 222 . 44 Cfr. : J.A. FrrzMYER, The Gospel according to Luke (X-XXIV), pp. 1 485- 1 486. 45 AGOSTINO, Il consenso degli evangelisti 3, 34 (PL 34, 1 1 79). 43

334

8. IL GIUDIZIO DI PI LATO

Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui ! Rimettici in libertà Barabba! » . Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlava­ no : «Crocifiggilo! Crocifiggilo! » . Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà» . Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta ve� nisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigio� ne per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere (Le 23, 1 8�26).

Luca è l ' unico degli evangelisti a testimoniare il triplice rico� noscimento dell' innocenza di Gesì da parte di Pilato. Per questo, non di rado si conclude che nel terzo Vangelo P ilato è rappre� sentato con simpatia, quasi come un personaggio positivo46• Que� sto è parzialmente confermato dal discorso di Pietro al portico di Salomone : Il Dio di Abramo, il Dio di !sacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete con­ segnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l ' autore della vita, ma Dio l'ha risuscitato dai morti : noi ne siamo testimo­ ni . . . Ora, frate lli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha cosi compiuto ciò che aveva prean­ nunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire (A t 3, 1 3 - 1 5 . 1 7- 1 8).

Qui la colpa per l 'uccisione di Gesù viene attribuita al popo­ lo di Israele e si constata il desiderio di Pilato di liberarlo. Tut­ tavia, nella preghiera della comunità cristiana delle origini ripor­ tata sopra, colpevoli della morte di Gesù sono detti «Erode e 46 Cfr. : H. CONZELMANN, The Theology ofSt. Luke, ofJesus Continues, pp. 52-53.

335

pp. 86-87; R.

PESCH, The Trial

MORTE E RESURREZIONE

Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d'Israele» (At 4,27). La colpa di Pilato non viene dunque annullata, e in ultima analisi egli diventa corresponsabile dell'illegale uccisione. Come osser­ va uno studioso, «l' accento posto da Luca sulle dichiarazioni di Pilato circa l ' innocenza di Gesù non conduce automaticamente alla conclusione che Luca veda in Pilato un personaggio positi­ vo. Il ruolo di Pilato nel proclamare ufficialmente l' innocenza di Gesù serve sempl icemente a sottolineare l ' idea principale di Luca: della morte di Gesù erano colpevoli i giudei, e soprattutto i capi dei sommi sacerdoti'»47• Il ritratto di Pi lato che si delinea dal Vangelo di Luca è spie­ gato non di rado con un particolare interesse di Luca a dimostra­ re l ' innocenza di Gesù dal punto di vista del diritto romano, per­ ché nella comunità per cui scriveva c' erano cittadini romani e persone a cui bisognava assicurare che Gesù non era nemico di Roma. Proprio per questo motivo egli avrebbe «accuratamente raccolto le accuse contro Gesù e mostrato senza ombra di dub­ bio che le autorità politiche romane del tempo avrebbero rila­ sciato Gesù» 48• Non c'è tuttavia nessuna necessità di cercare i motivi per cui Luca avrebbe presentato Pilato così, e non altrimenti, in un ' ipo­ tetica «comunità di Luca» . Di questa comunità non si sa assolu­ tamente nulla, ed essa stessa non è altro che il frutto di specula­ zioni e fantasie di studiosi. Non v'è dubbio che Luca, come gli altri evangelisti, appartenesse a una comunità ecclesiale. Ma non vi sono motivi per cercare spiegazioni delle particolarità del suo Vangelo nelle particolarità della comunità per la quale avrebbe scritto. Il raffronto tra il racconto di Luca e quelli degli altri evange­ listi mostra che anch'essi sottolineano che Pilato si adoperò per non mandare a morte Gesù. Esaminiamo dapprima i racconti d i Matteo e Marco. Essi chiariscono ciò che dalla narrazione di Lu­ ca non è del tutto comprensibile: perché Pi lato doveva liberare ·

47 4a

K. YAMAZAKI-RANSOM, The Roman Empire in Luke s Narrative, p. 1 1 1 . BoNo, «Politica! Authorities», p. 242.

H.

336

8. IL GIUDIZIO DI PILATO

un prigioniero. Secondo la loro testimonianza, era una sorta di regalo che il prefetto concedeva tradizionalmente in occasione della festa. Matteo narra più sinteticamente di Marco: A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un car­ cerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radu­ nata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Ba­ rabba o Gesù, chiamato Cristo?»» . Sapeva bene infatti che glielo ave­ vano consegnato per invidia (Mt 27, 1 5 - 1 8).

Per Matteo è lo stesso governatore a ricordare ai giudei la tra­ dizione di rilasciare uno dei prigionieri per la Pasqua. In Marco, invece, è il popolo a ricordarglielo : A ogni festa, egli era sol ito rimettere in libertà per loro un carce­ rato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in car­ cere insieme ai ribelli che neJla rivolta avevano commesso un omi­ cidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?»> . Sapeva infatti che i capi dei sacer­ doti glielo avevano consegnato per invidia (Mc 1 5 ,6- 1 0).

Pi lato cerca di mediare tra i l popolo e i capi dei sacerdoti, comprendendo che le richieste di crocifiggere Gesù esprimono non tanto la voce del popolo, quanto la volontà dei capi dei sa­ cerdoti. Osserviamo che la testimonianza di Marco sul crimine di Barabba concorda con la testimonianza di Luca («Rimise in l ibertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omi­ cidio»). Il nome «Barabba» non è un nome proprio, bensì un sopran­ nome: nella traduzione dall 'ebraico significa «figlio del padre» . Può inoltre significare «figlio di Abba», se per Abba si intende un nome proprio. Questo impiego della parola «Abba» è fissato da fonti rabbiniche più tarde49• 49

Talmud Babilonese. Berakhot, f. 1 8b; 48ab.

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MORTE E RESURREZIONE

In alcuni codici del Vangelo di Matteo il brigante v iene chia­ mato per due volte «Gesù Barabba» (versetti 1 6 e 1 7 del cap . 27). Nelle edizioni critiche del N uovo Testamento il nome « Ge­ sù» viene messo in nota50, oppure all' interno del testo fra paren­ tesi quadre51 • Secondo Origene, «in molti codici non si dice che Barabba si chiama anche Gesù, e questo, forse, è giusto: con il nome di Gesù non deve chiamarsi nessun malfattore» . Origene riteneva che il nome «Gesù» usato per indicare Barabba nel te­ sto del Vangelo di Matteo fosse stato inserito da eretici52 • La testimonianza di Origene è una conferma indiretta del fat­ to che nella sua epoca questa aggiunta fosse presente in molti codici. Una serie di studiosi ritiene che nel testo iniziale del Van­ gelo (o nella fonte di cui si avvalse Matteo), essa ci fosse, ma che poi fosse stava espunta per non confondere i due Gesù o per non associare il nome di Cristo al soprannome di un brigante53 • Questa epurazione avvenne (forse, sotto l ' influsso di Origene54) in una fase abbastanza antica dell'evoluzione della tradizione dei codici: gli autori del IV secolo già non la conoscono. Se Cristo e Barabba avevano lo stesso nome proprio, questo può spiegare perché i giudei chiedessero di liberare proprio que­ sto prigioniero e non un altro (evidentemente, Barabba non era l 'unico ad essere recluso in quel momento). Inoltre, questo spie­ ga indirettamente perché Pilato, nella versione di Matteo, chie­ da: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Qual era il crimine commesso da Barabba? Matteo lo chiama un «carcerato famoso», Marco dice che, insieme ad altri ribelli, «nella rivolta aveva commesso un omicidio», e secondo Luca era stato «messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio» . Sia Marco che Luca usano la parola crtacrtç («rivolta», «sommossa»). Tenendo conto del fatto che rivolte e sommosse contro le autorità romane scoppiavano continuamente in Giudea 50

Novum Testamentum Graece, p. 78. K. ALANO, Synopsis quattuor Evangeliorum, p. 474. 52 ORIGENE, Commento al Vangelo di Matteo 27, 1 6- 1 8 (GCS 38, 255-256). 53 H. MAccOBY, Revolution in Judaea, p. 1 59. 54 R.E. BROWN, The Death ofthe Messiah, vol . l, p. 798. 51

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8. IL G I U D IZIO DI PILATO

(come testimonia con chiarezza Giuseppe Flavio), si può suppor­ re che Barabba fosse uno dei capi della ribellione antiromana. Fa propendere per questo anche la menzione di Marco circa i ribelli che lo seguivano. Il fatto che il popolo chiedesse a Pilato di libe­ rare lui, testimonia che godeva di una certa popolarità. L'opinione che Barabba non fosse semplicemente un brigan­ te ma un combattente contro il potere di Roma viene sostenuta da alcuni esponenti dell' odierna disciplina neotestamentaria: . . . La parola greca per «brigante», nella s ituazione politica di quel tempo, in Palestina poteva assumere un significato specifico. In quel caso voleva dire qualcosa come «combattente della resisten­ za» . . . Quando Matteo dice che Barabba era un «prigioniero famo­ sm> (Mt 27, 1 6), ciò indica che egli era stato uno dei combattenti più in vista della resistenza, probabilmente il vero capo di quella rivol­ ta. In altre parole, Barabba era una figura messianica . . . Si pone co­ me una sorta di alter ego di Gesù, rivendica la stessa pretesa, in mo­ do però completamente diverso. La scelta è quindi tra un Messia che capeggia una lotta, che promette libertà e il suo proprio regno, e que­ sto misterioso Gesù, che annuncia come via alla vita il perdere se stessi . Quale meraviglia che le masse abbiano preferito Barabba?55

L' usanza di rilasciare in occasione della Pasqua un prigioniero è stata sovente messa in dubbio dagli studiosi, perché a eccezione del Nuovo Testamento tale consuetudine non trova conferme nel mondo giudaico. D' altro canto, nelle fonti che parlano dell' Impe­ ro romano d'Oriente esistono vari esempi del fatto che, sulla base di una decisione popolare, gli arrestati potessero venir rilasciati durante feste pagane56• Quindi, non c'è motivo di ritenere che una tale usanza non potesse esistere anche in Giudea. La testimonian­ za resa da tutti e quattro i Vangeli, che Pilato propose ai giudei di scegliere tra Gesù e Barabba (anche Giovanni lo riferisce breve­ mente), fa propendere per l'esistenza di tale usanza. 55

BENEDETTO XVI (J. RATZINGER), Gesù di Nazaret, vol. 2, pp. 63 -64 . Cfr. : R.L. MERRITI, «Jesus Barabbas and the Paschal Pardom>, pp. 5 7-68 ; J. Co­ LIN , Les vil/es /ibres de l 'Orient gréco-romain et l 'envoi au supplice par acclamations populaires, pp. 1 09- 1 52. 56

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MORTE E RESURREZIONE

In relazione a questo episodio (nella versione narrata da Mat­ teo ), Giovanni Crisostomo osserva: Era consuetudine rilasciare ad essi un condannato e in questo mo­ do Pilato cercò di liberarlo. Se non volete, intende dire, rilasciarlo come innocente, concedetegli almeno la grazia come colpevole a motivo della festa. Hai visto che l' ordine è stato rovesciato? Era consuetudine che la richiesta in favore dei condann ati fosse fatta dal popolo, mentre la grazia spettava al governatore; ora invece accade il contrario : il governatore chiede al popolo e nemmeno cosi si am­ mansiscono, ma si inferociscono maggiormente e sono avidi di san­ gue, sconvolti dalla passione del l ' invidia. Non avevano di che ac­ cusarlo, benché tacesse, ma venivano smascherati e cosi, per la sua immensa rettitudine, anche tacendo vinceva quelli che dicevano in­ numerevoli cose e infuriavano contro di lui57•

Il Vangelo di Matteo riporta un particolare mancante negli al­ tri evangelisti : Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua» (Mt 27,19).

Il senso di questo passo è che la moglie di Pilato aveva visto in sogno Gesù. Perché lo fece sapere al marito durante il proces­ so e non prima che iniziasse? Non dimentichiamo che la causa si svolse di mattina, e la moglie poteva essersi appena svegliata. Come fece a saperlo l'evangelista? Forse, in seguito, essa si con­ vertì al cristianesimo. Di questo parlano alcuni autori ecclesia­ li58, e anche fonti apocrife. In alcune Chiese cristiane orientali essa è annoverata tra le schiere dei santi con il nome di Claudia Procula (o Procla)59• 57 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 86, l (PG 58, 764); tr. it. vol. 3, pp. 332-333. 5 K ORIGENE, Commento al Vangelo di Matteo 27, 19 (GCS 38, 25 7-258). 59 In particolare, nelle Chiese ortodosse di Costantinopoli e della Grecia, come pure nelle Chiese copta ed etiope. N el calendario della Chiesa russa il suo nome manca. Nel­ la Chiesa etiope si venera come santo anche Ponzio Pilato.

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8. IL GIUDIZIO DI PILATO

Ricordiamo che Matteo è l ' un ico degli evangelisti a menzio­ nare rivelazioni avute in sogno60• All' inizio del suo Vangelo Giu­ seppe per ben quattro volte riceve simili rivelazioni: dapprima gli appare in sogno un angelo e gli annuncia che Maria partorirà per opera dello Spirito Santo (Mt 1 ,20-24); poi un angelo gli ap­ pare in sogno ordinandogl i di fuggire in Egitto insieme a Maria e al Bambino (Mt 2, 1 3); alla morte di Erode l' angelo gli appare nuovamente in sogno e gli ordina di tornare nella terra di Israe­ le (Mt 2, 1 9), e giunto nella terra di Israele gli viene rivelato che deve stabilirsi in Gali lea (Mt 2,23 ). I magi ricevono in sogno la rivelazione di non tornare da Erode (Mt 2, 1 2). Il racconto del sogno della moglie di Pilato segue la stessa linea, ricordando che Dio può agire sull'uomo attraverso i sogni61 • Che cosa significano le parole «in sogno, sono stata molto tur­ bata»? Significa, come pensano alcuni studiosi62, che la moglie di Pilato aveva avuto un incubo e si era svegliata sudando freddo? Oppure, come ritengono altri63, che si era svegliata piena di preoc­ cupazione per il marito? Spiegazioni di questo genere si incontra­ no nei testi scientifici, ma ci sembra più convincente l ' interpreta­ zione di Giovanni Crisostomo: la moglie di Pilato ha in sogno una rivelazione, e «non ha sempl icemente la visione, ma rimane an­ che molto turbata, affinché suo marito, per compassione verso la moglie, fosse più esitante nei confronti di quell' assassinio»64• Poi i racconti di Matteo e Marco riprendono in parallelo. Mar­ co scnve: Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in l ibertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo : «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?» . Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo ! » . Pila60

lLARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol . l: L 'inizio del Vangelo,

p. 300. 61 D.S. Dooso N , 62

Reading Dreams, p. 1 62.

Cfr. : M. FRENSCHKOWSKI, «Traum and Traumdeutung in Matth!lusevangelium», p. 34 . 63 Cfr. : J. GNILKA, Das Matthausevangelium, vol . II, p. 456. 64 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 86, l (PG 58, 764); tr. it. vol . 3, p . 3 3 3 .

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MORTE E RE SURREZIONE

to diceva loro: «Che male ha fatto?>> . Ma essi gridarono più forte : «Crocifiggilo ! » (Mc 1 5 , 1 1 - 1 4).

Il racconto di Matteo è un po' più lungo e aggiunge alcuni par­ ticolari: Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiede­ re Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò lo­ ro : «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?» . Quelli risposero: «Barabba ! » . Chiese loro Pilato: «Ma al lora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?» . Tutti risposero: «Sia crocifisso ! » . E d egli disse: « M a che male ha fatto?» . Essi allora gridavano più forte: « Sia crocifisso ! » (Mt 27,20-23).

Possiamo notare che la differenza tra i due racconti consiste innanzitutto nell' aggiunta, nel testo di Matteo, di un ' ulteriore domanda e risposta tra Pilato e i giudei. In maniera diversa è for­ mulata la seguente questione: in Marco Pilato afferma che i giu­ dei chiamano Gesù «re dei Giudei», sebbene, naturalmente, essi non lo chiamassero così, ma piuttosto lo accusassero di farsi pas­ sare per re dei giudei. Anche la richiesta del popolo è espressa in due forme diverse: « S ia crocifisso ! » ( crtcwpro811 tro) e «Cro­ cifiggilo ! » (crtauprocrov aùt6v). Nel testo di Luca il popolo gri­ da: «Crocifiggilo ! Crocifiggilo ! » (crtaupou, crtaupou aùt6v). In Marco il racconto sul giudizio di Pilato si conclude con le parole: Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso (Mc 1 5 , 1 5).

Matteo, invece, aggiunge ancora alcuni espressiv i dettagli; Pi­ lato si lava le mani, si rivolge per l'ultima volta al popolo e que­ sti dà la sua risposta definitiva: Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumen­ tava, prese dell' acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: 342

8. IL GIUDIZIO DI PILATO

«Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi ! » . E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» . Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagella­ re Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso (Mt 27,24-26).

Lavarsi le mani in segno di innocenza o di purificazione dal sangue era un gesto ampiamente diffuso nell' antichità. Nel Sal­ terio si dice : «Lavo nel l ' innocenza le mie mani» (Sal 26,6); «Invano dunque ho conservato puro il m io cuore, e ho lavato nel l ' innocenza le mie man i ! » (Sal 73, 1 3 ). Virgilio ricorda l ' a­ bluzione delle mani dopo la battaglia in segno di purificazione dal sangue versato65 • Erodoto riferisce un rito di purificazione, diffuso tra lidii e greci, per le persone che si erano macchiate di sangue66• Gli studiosi menzionano anche una serie di altri paralleli67• Il gesto di Pilato può essere paragonato al gesto di Giuda, che restituì i denari ai capi dei sacerdoti con le parole: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente» . Giuda, secondo la testimo­ nianza di Matteo, getta il denaro nel tempio (Mt 27,3-5), mentre Pilato, secondo la testimonianza dello stesso evangelista, si lava le mani davanti al popolo, accompagnando il gesto con la dichia­ razione di non essere responsabile del sangue del giusto. Il pa­ rallelismo delle due scene è evidente. Ma può un gesto a effetto sottrarre alla responsabilità di un tradimento o di una decisione iniqua? Può un uomo sottrarsi al­ la propria responsabilità semplicemente dichiarandosi innocen­ te o non colpevole rispetto a colui che ha condannato? Pilato, come testimoniano tutti e quattro i Vangeli, aveva in­ trapreso molti tentativi di liberare Gesù, dichiarando più volte la sua innocenza, rimandandolo al giudizio di Erode, proponendo

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VIRGILIO, Eneide 2, 7 1 8-720. ERODOTO, Storie l, 35. Il rito non consisteva nell ' abluzione delle mani con acqua, ma nel l avarie con sangue di animali; poi le mani venivano asciugate in segno di libera­ zione dal peccato commesso, e quindi si offrivano sacrifici e preghiere. Cfr. V. V. LA1YSEV, Oéerk greéeskich drevnostej (Saggio sull'antichità greca), parte Il, p. 78. 6 7 I . BROER, «Der ProzeB gegen Jesus nach Matthaus», p. 1 06. 66

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MORTE E R E S URREZIONE

di rilasciarlo nonostante le richieste della folla, facendogli delle domande rispondendo alle quali Egli avrebbe potuto essere libe­ rato. Ma alla fme Pilato cede alle pressioni dei capi dei sacerdo­ ti e al le richieste del popolo: pur dichiarando che Gesù è inno­ cente, dà ordine di mandarlo a morte. Meritano un commento a parte le parole del Vangelo di Mat­ teo : «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». L'espres­ sione « il suo sangue ricada su qualcuno» (o «sulla testa di qual­ cuno») nell'Antico Testamento indica la colpa di qualcuno per lo spargimento di sangue altrui (Dt 1 9, 1 0; Gs 2, 1 9; 2Sam l , 1 6; Ez 1 8, 1 3 ; 3 3 ,4 .6), cioè per un omicidio. Se usata in senso meta­ forico, indica la responsabilità per aver maledetto un' altra per­ sona (Lev 20,9). In questo caso, le parole proferite da «tutto· il popolo» testimoniano la sua disponibilità non solo ad assumersi la responsabilità, la colpa e la punizione per la morte di Gesù68, ma anche a farla ricadere sui propri figli. Osserviamo che l 'espressione «e sui nostri figli» non d i ra­ do nel corso della storia è stata intesa in senso lato, a indicare tutti i discendenti di coloro che si resero colpevoli della morte di Gesù, cioè l ' intero popolo ebraico . Tuttavia, il testo evange­ lico non giustifica tale interpretazione. I figli sono la prima ge­ nerazione di discendenti : la stessa che sarà testimone della di­ struzione di Gerusalemme a opera dei romani nel 7069• Indi­ pendentemente dal fatto che il Vangelo di Matteo sia stato scrit­ to prima o dopo questo evento, è indubbio che l ' evangel i sta collegh i le predizioni fatte da Gesù a questo proposito con la condanna a morte di Gesù (M t 24,24; Mc 1 3 ,2; Le 2 1 ,6). Lo stesso collegamento diretto tra i due avvenimenti lo riscontria­ mo in Luca (Le 1 9,4 1 -44 ) Come osserva Giovanni Crisostomo, le parole pronunciate dal popolo non possono essere estese al popolo ebraico nel la sua interezza, né ai discendenti di coloro che chiesero la mor.

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CH.H. TALBERT, Matthew, p. 302. 69 J.R. CouSLAND, The Crowds in the

Gospel of Matthew, p. 237.

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8. IL GI UDIZIO DI PILATO

te di Gesù, né agli stessi che la chiesero, se qualcuno di essi si pentì: Considera anche qui la loro grande follia. Tale era il loro impeto e il loro perverso desiderio; non permettono che si rendano conto di nulla di quello di cui avrebbero dovuto rendersi conto. Sia pure che lanciate la maledizione contro voi stessi; perché l ' attirate anche sui figli? Ma tuttavia, Colui che è buono, benché essi fossero così folli, sia contro se stessi, sia contro i figli, non solo non confermò la sen­ tenza nei confronti dei figli, ma neppure verso di loro, anzi accolse quanti fra quelli e questi si pentirono e li ritenne degni di innume­ revoli beni. Tra quelli c'era Paolo, tra questi c' erano le migliaia di coloro che a Gerusalemme erano venuti alla fede; «Vedi - dice in­ fatti - o frate11o, quante migliaia di giudei sono venuti alla fede>> . Se alcuni hanno persistito, imputino il castigo a se stessF0•

5. La flagellazione

Il participio cppaysìJ..roaaç («fatto flagellare») nei racconti di Matteo e di Marco indica che ebbe luogo la flagellazione; il ver� bo cppo.ysÀ.À.6ro («flagel lare») deriva dalla parola latinajlagellum («flagello»). Giovanni, dicendo: «Allora Pilato fece prendere Ge­ sù e lo fece flagellare» (Gv 1 9, l ), usa un altro verbo: ÈJ..Wcrtiyroasv (passato di J..WCJtty6ro, lett. «flagellare>>, «frustare»). Alcuni com­ mentatori ipotizzano che Giovanni parli di un' altra flagellazio­ ne, perché è situata non al la fine del racconto, dopo la sentenza di morte, ma a metà. Perché Pi lato ordinò di flagel lare Gesù, se nel corso di tutto il processo aveva attestato la sua innocenza e aveva acconsenti­ to a crocifiggerlo quasi contro la propria volontà? Che necessità c'era di questo ulteriore supplizio? Alcuni esegeti ritengono che lo fece per «placare e ammansire l ' ira» dei giudei: vedendo l 'ol­ traggio a cui veniva sottoposto, avrebbero dovuto placarsi e ces70

GroVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 86, 2 (PG 58, 766); tr. it.

vol . 3 , p. 336.

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MORTE E R E S URREZIONE

sare di esigere la sua morte7 1 • Secondo un' altra interpretazione, Pilato voleva che l'aspetto stremato di Gesù impietosisse i giu­ dei e questi acconsentissero a rilasciarlo72• Che Pilato proponesse la flagellazione al posto della crocifis­ sione sembra essere indicato dalle parole riportate da Luca: «Per­ ciò; dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà» (Le 23 , 1 6) . I l verbo 1tatòci>ro («punire») qui usato, come osserva uno studioso, indica una punizione corporale che ha un carattere pedagogico e non comporta la morte del condannato73 • Tuttav ia, dalla narra­ zione di Luca non è chiaro se per punizione egli intendesse la flagellazione. Luca è l ' unico degli evangelisti a non menziona­ re che Gesù fu sottoposto alla flagellazione. Tutte queste ipotesi, tuttavia, non sono abbastanza convincen­ ti. Di gran lunga più convincente è la versione basata sulle noti­ zie che nell' impero romano la flagellazione era una procedura d'obbligo prima dell'esecuzione della condanna capitale. Lo te­ stimoniano sia storici romani che autori ebraici del I secolo. Ti­ to Livio, in particolare, usa l'espressione «tra la fustigazione e la forca» per un condannato a morte74• Dionigi di Alicarnasso dipinge la seguente spaventosa scena: Un romano non del tutto sconosciuto aveva consegnato un suo schiavo ad altri schiavi perché lo mettessero a morte e, perché la pu­ nizione facesse clamore, diede ordine che fosse trascinato, mentre ve­ niva frustato, per il foro e per qualsiasi angolo della città che fosse af­ follato . . . Gli uomini che trascinavano lo schiavo al supplizio, dopo che gli ebbero disteso le braccia e legate a una trave, che dal petto e le spalle scendeva fino ai polsi, lo scortavano frustando il suo corpo nudo. Costui, costretto a questo tormento, gridava parole blasfeme75 •

Giuseppe Flavio narra di come i soldati romani trascinassero pacifici cittadini dal prefetto Floro : quest'ultimo «dopo averl i TEOFIL.(IT() DI BULGARIA, Enarratio in Evange/ia: In Joannem 1 9 (PG 1 24, 264) R.E. B ROWN, The Death ojthe Messiah, vol. l , p. 852. 73 J. B . GREEN, The Gospel ofLuke, p. 809. 74 Tnu Lrv1o, Storia di Roma l , 26. 75 DIONIGI DI ALICARNASSO, Antichità romane 7, 69 ; tr. it. p. 499. 71

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8. IL G IUDIZIO DI PILATO

fatti flagellare li mise in croce»76• In un altro passo Flavio rife­ risce di come Tito punisse i giudei che opposero resistenza ai ro­ mani durante la presa di Gerusalemme: «Venivano flagellati e, dopo aver subito ogni sorta di supplizi prima di morire, erano crocifissi» 77• In un terzo caso, narrando la presa della fortezza di Macheronte (la medesima dove, secondo la sua testimonianza, fu ucciso Giovanni Battista), dice che «tra gli assediati v 'era un giovane di grande coraggio e assai valoroso, di nome Eleazar» . Questo giovane fu preso prigioniero con l'astuzia, quindi il co­ mandante romano diede «l'ordine di denudarlo e, portatolo nel luogo meglio visibile da quelli che stavano nella città, di inflig­ gergli la flagellazione; i giudei furono profondamente turbati dalla triste sorte del giovane e tutta la città proruppe in lamenti e in gemiti sproporzionati alla disgrazia di una persona sola» . Poi il comandante «ordinò di piantare una croce come se voles­ se immediatamente appendervi Eleazar, e a tale spettacolo quel­ li della fortezza furono presi da un'angoscia ancora più grande, gridando fra alti gemiti che quella era una disgrazia intollerabi­ le» . A questo punto lo stesso giovane cominciò a implorare la salvezza. Alla fine gli assediati si accordarono per consegnare la fortezza in cambio del giovane78• Anche Filone di Alessandria cita la flagellazione tra i suppli­ zi che precedevano la crocifissione. Narrando di un pogrom con­ tro gli ebrei ad Alessandria, ordito dal prefetto d'Egitto Flacco79, scrive: «Gli assassini si facevano passare per vittime, e intanto parenti e amici delle reali vittime, solo per aver manifestato com­ passione nei confronti dei propri cari venivano catturati, flagel­ lati, sottoposti al supplizio della ruota, e dopo tutte le torture im­ maginabili a cui poteva venir sottoposta una persona, li attende­ va la condanna a morte in croce»80• Nonostante la diffusa prassi di restituire i corpi di coloro che erano morti in croce ai parenti, 76

GIUSEPPE fLAVIO, Guerra giudaica 2, 14, 9; tr. it. p. 1 6 1 . !bid. 5 , I I , 1 ; tr. it. p . 392. 78 Ibid. 7, 6, 4; tr. it. pp. 476-477. 7 9 Aulo Avilio Fiacco fu prefetto in Egitto dal 32 al 39. 8 ° F ILON E m ALESSANDRIA, In Flaccum 9. 77

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Fiacco «non solo non ordinò di togliere dalla croce i morti, ma ordinò di crocifiggere i vivi, ai quali in quegli stessi giorni era stato concesso il perdono - non per sempre ma temporaneamen­ te, non una completa abolizione della pena ma una sua dilazio­ ne. E lo fece dopo averli fatti oltraggiosamente fustigare nel te­ atro, dopo averli sottoposti al supplizio del fuoco e del ferro»8 1 • Nell' impero romano la flagellazione era una punizione riserva­ ta ai plebei82• La si attuava con estrema ferocia. Il condannato ve­ niva legato a un palo, oppure gettato a terra. Lo si frustava sulla schiena e sulle altre membra del corpo. Per l 'esecuzione si usava­ no particolari flagelli, realizzati con nerbi di bue fissati a un ma­ nico, che avevano alle estremità frammenti d'osso di animale83 o piccoli pesi di metallo appuntiti. Non si flagellava semplicemente a sangue: colpendo con forza una persona con simili flagelli, si poteva levarle di dosso la pelle fino all'osso84• Non di rado la fla­ gellazione si concludeva con la morte del condannato85• Come mai Luca non menzionò la flagellazione? Forse, per non sconvolgere il lettore. Per altro, ancora sulla via per Gerusalem­ me nel testo di Luca Gesù predice che il Figlio dell'uomo «verrà consegnato ai pagani», «verrà deriso e insultato, lo copriranno di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno ri­ sorgerà» (Le 1 8,32-3 3). Nell' espressione Ka.ì J.La.onyrooa.vn:ç Ù1tOK:tcvoùmv a.utòv, «e, dopo averlo flagellato, lo uccideran­ no», viene usato il participio dello stesso verbo J.La.ottyòro («fla­ gellare») impiegato nel Vangelo di Giovanni. Gli evangelisti non precisano quanto tempo durasse la fla­ gellazione, quanti colpi subisse Gesù, su qual i membra venis­ se colpito. La legge di Mosè non consentiva di infl iggere a un · condannato più di quaranta colpi di frusta (Dt 25,3). Di fatto, per non sbagliare, ci si fermava a trentanove colpi. San Paolo 8 1 lh id l O. 82 Trro LIVIO, Storia di Roma 2, 3 5 . 8 3 Cfr. : APULEIO, Le metamorfosi 8 , 3 0 : «staffile, tutto nodi e ossicini d i montone» . 84 Cfr. : GIUSEPPE FLAVIO, Guerra giudaica 6, 5, 3 ; tr. it. p. 44 1 : «flagellato fino a met-

tere allo scoperto le ossa». 85 Cfr. : CICERONE, In Verrem XXX I X (85): > . Non è il suo popolo e non sono problemi suoi: tutta questa 99 10"

GIUSTINO IL FILOSOFO, Apologia prima l , 35 (PG 6, 384); tr. it. p. 245 . Ad es. : F. MARTIN, W.M. WRIGHT, The Gospel ojJohn, p. 3 1 4.

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storia, in ultima analisi, non è che una resa di conti interna, in cui egli è solo indirettamente coinvolto. Ma, come nelle affermazioni di Caifa l'evangelista Giovann i aveva visto una profezia del significato redentivo della morte di Gesù (Gv 1 9, 1 5 ), così vede un significato recondito anche nelle battute di Pilato. Al livello teologico più profondo Gesù è sem­ pre stato e continua ad essere re, anche nella sua estrema umi­ liazione e spoliazione. Questa dignità regale di Gesù viene con­ fermata dalle parole rivolte da Pilato ai giudei. Verrà anche con­ fermata dal la scritta che Pilato ordinerà di affiggere alla croce sopra la testa del Crocifisso (Mt 27,3 7 ; Mc 1 5 ,26; Le 2 3 , 3 8 ; Gv 1 9, 1 9). Per l' evangelista è importante osservare il luogo, il giorno e l ' ora in cui viene emessa la condanna: il Litostroto, il venerdì prima della Pasqua, l'ora sesta (secondo i l nostro computo, cir­ ca mezzogiorno). Come si spiega questa esattezza? Evidente­ mente con il fatto che proprio il momento del verdetto defin iti­ vo di Pilato divenne il punto di non ritorno nella storia del pro­ cesso contro Gesù.

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Capitolo 9 LA C ROCI F I S SION E

«Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» ( l Cor 1 ,22-23). Queste parole dell' apo­ stolo Paolo costituiscono uno dei primi manifesti della fede cri­ stiana. Lo «scandalo della croce», di cui Paolo parla in un altro passo (Gal 5, 1 1 ), era la pietra d' inciampo su cui si infrangevano i tentativi della Chiesa delle origini di convertire al cristianesi­ mo i giudei. Ma neppure per i pagani la croce - strumento di una morte infame - era certo un simbolo incoraggiante. La conversione in massa dei pagani al cristianesimo comin­ ciò dopo che il futuro imperatore Costantino nel 3 1 2, apprestan­ dosi a combattere contro Massenzio, che governava in Italia, vi­ de in sogno «un trofeo luminoso a forma di croce che sovrasta­ va il sole, e accanto ad esso una scritta che diceva: "vinci con questo ! "» . Costantino ordinò di raffigurare la croce sulle inse­ gne dei suoi soldati e, nonostante la supremazia numerica del nem ico, riportò la vittoria' . L' anno successivo Costantino ema­ nò il celebre editto di Milano, in base al quale il cristianesimo otteneva la libertà, e da questo momento iniziò la marcia trion­ fale della Chiesa in tutta l'ecumene del tempo. I l simbolo prin­ cipale del cristianesimo, la croce, divenne anche il simbolo del rinato impero. Proprio da questo momento cominciarono a diffondersi raffi­ gurazioni artistiche della croce, con Gesù crocifisso o senza. S i 1 EuSEBIO m CESAREA, Vìta di Costantino l , 2 8 (SC 559, 2 1 8-220); tr. it. pp. 1 1 9- 1 2 1 .

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forgiavano croci in oro, argento e altri metalli pregiati, si orna­ vano con pietre preziose. Oggi vediamo croci sulle cupole delle chiese, all' interno delle chiese alle pareti e sulle volte, sul petto dei vescovi e dei sacerdoti. Grazie a una così ampia diffusione. di croci nobil itate con l'ausilio della pittura, dell' intarsio e di al­ tri procedimenti artistici, dalla memoria visiva dell' umanità è praticamente scomparso il prototipo originario, la croce di legno a cui veniva inchiodato un uomo ancora vivo, spogliato, in mo­ do da rendere la sua morte oltraggiosa, lunga e straziante. L' uomo contemporaneo, uscendo di città, non vede croci da cui pendono cadaveri . Le spaventose fotografie di un secolo fa che immortalano donne crocifisse - vittime del genocidio degli anneni - non sono certo note a tutti (e lo stesso genocidio con­ tinua ad essere negato dai discendenti di coloro che lo scatena­ rono). In molti paesi la pena di morte è vietata e, laddove è per­ messa, di regola non viene eseguita pubblicamente. Nell'antich ità le cose stavano diversamente, e la crocifi ssio­ ne era un tipo di condanna ampiamente diffusa, applicata ai de­ litti particolarmente grav i . Ne parlano molte fonti letterarie, come pure reperti conservatis i. Un'antologia di passi di autori antichi sul tema della crocifissione, pubblicata nel 20 1 5 , ripor­ ta 34 1 citazioni d i fonti greche, romane, giudaiche e altre an­ cora2.

l . La crocifissione nel mondo antico

La crocifissione è menzionata da poeti, filosofi e storici greci di diverse epoche, compresi i periodi ellenistico e romano3 • Nel­ l ' antica Grecia la crocifissione era ritenuta una barbara inven­ zione forestiera4• Erodoto narra di come il re persiano Dario, do­ po aver conquistato Babilonia, «ordinasse di crocifiggere circa 2 D. W. CHAPMAN, E.J ScHNABEL, The Trial and Crucifixion ofJesus, pp. 304-754. G. SAMUELSSON, CrucifiXion in Antiquity. pp. 3 7- 1 50. 4 M. HENGEL, CrucifiXion, pp. 22-24. J Per una rassegn;t delle fonti greche, cfr. :

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9. LA CROCIFIS S I ONE

tremila fra i cittadini più illustri»5• Secondo la testimonianza del­ lo storico, la crocifissione e l ' impalamento, come modalità di esecuzione capitale, erano impiegati da molti governanti persia­ ni6. Tuttavia, neppure i governanti greci disdegnavano tali me­ todi barbari. Secondo lo storico romano Rufo, dopo la conquista di Tiro, Alessandro il Macedone espresse la propria ira ordinan­ do che «duemila uomini, che il furore dei nemici aveva rispar­ miato, fossero appesi alle croci ed esposti lungo tutto il lido»7• La crocifissione raggiunse la massima diffusione nell'antica Roma8• I romani usavano questo tipo di condanna capitale per gli schiavi : Cicerone la definisce «il supplizio estremo e supre­ mo, destinato agli schiavi» (servitutis extremum summumque supp/icium)9• Il caso più noto di esecuzione di massa di schiavi mediante crocifissione si verificò in relazione alla rivolta di Spar­ taco: domata la rivolta, seimila schiavi furono crocifissi lungo la via Appia1 0• I cittadini liberi venivano giustiziati con modali­ tà più umane, sebbene a questa regola vi fossero eccezioni (ad esempio, Cicerone rampognava Verre per aver fatto crocifigge­ re un cittadino romano)1 1 • Nei periodi di guerra la crocifissione veniva usata come mezzo per sollevare il morale dei soldati ro­ mani e atterrire i nemicP2• Nelle opere di Giuseppe Flavio il supplizio della croce viene menzionato complessivamente 1 9 volte13• Egli narra l'esecuzio­ ne capitale di duem ila giudei fatti inchiodare in croce dal gene­ rale Publio Quintilio Varo che, nell'anno 4 a.C., conquistò Ge-

Eaoooro, Storie 3, 1 59. 6 lbid., 3 , 1 3 2; 4, 43 ; 6, 30; 7, 33; 7, 1 94; 9, 1 20, 1 22. 7 QuiNro CuRzio RuFo, Storie di A lessandro 4 , 4, 1 7; tr. it. vol . l, p. l 07. 8 Per una rassegna delle fonti latine, cfr. : G . SAMUELSSON, Crucifvcion in Antiquity, pp. 1 5 1 -208. 9 CICERONE, In f'érrem. De supp/iciis 66, 1 69. 10 APPIANO, Storia romana 2, 1 3 , 1 20. 1 1 CICERONE, In Verrem. De signis 1 0, 23; l l , 26; Io., In Verrem. De supp/iciis 28, 73 ; 70, 1 79. 11 G. O'CoLLINS, «Crucifixiom>, pp. 1 207- 1 208. 1 1 D. W. CHAPMAN, Ancient Jewish and Christian Perceptions on Cruci.fixion, p. l (laddove si parla del medesimo episodio, citato sia in Guerra giudaica che in Antichità giudaiche, esso viene contato una sola volta). 5

361

MORTE E RESURREZIONE

rusalemme dopo la morte di Erode il Grande14• In un altro passo Flavio riferisce di come Alessandro lanneo, sovrano giudeo del­ la dinastia degli Asmodei, nel1'88 a.C ., dopo aver conquistato la città di Bethroma, condusse a Gerusalemme i giudei fatti prigio­ nieri e «qui compì un'azione di una crudeltà senza pari: mentre egli se ne stava banchettando in luogo aperto con le sue concu­ bine, ordinò che fossero crocifissi circa ottocento Giudei e, men­ tre quegli infelici erano ancora vivi, davanti ai loro occhi fece trucidare i figli e le mogli» 1 5• Non solo i governanti pagani, dun­ que, ma anche i sovrani giudei non disdegnavano giustiziare i propri sudditi mediante la crocifissione. Da crocifissioni di massa fu accompagnata la presa di Geru­ salemme da parte delle truppe di Tito nell 'anno 7 0. Narrando di giudei crocifissi dopo flagellazioni e torture, Giuseppe Flavio scrive·: Tito provava compassione per la loro sorte, poiché ogni giorno erano cinquecento, e talvolta anche di più, quelli che venivano cat­ turati, ma d' altro canto capiva che era un pericolo lasciar liberi i ne­ mici caduti prigionieri, e che sorvegliare tanti prigionieri significa­ va immobilizzare altrettanti custodi; comunque la ragione principa­ le per cui non faceva cessare le crocifissioni era la speranza che a quello spettacolo i giudei si decidessero ad arrendersi, temendo di subire la stessa sorte se non si fossero sottomessi. . . Tale era il nu­ mero dei crocifissi che mancavano lo spazio per le croci e le croci per le vittime16•

Sulla crocifissione come prassi ampiamente diffusa in Giudea ai tempi del dominio romano esistono fonti giudaiche anche più tarde, in particolare la letteratura rabbinica1 7• 1 4 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 1 7, l O , 1 5 Ibid. 1 3 , 1 4, 2; tr. i t. vol . 2, p. 828. 16 lo., Guerra giudaica 5, 1 1 , l ; tr. it. p. 392.

1 0.

1 7 Cfr. : M. HENGEL, Cruc ifixion, pp. 84-85 . Più dettagliatamente in: D . W. CHAPMAN, Ancient Jewish and Christian Perceptions on CruciflXion, pp. 4 1 -2 1 9 (l' autore analizza le notizie riferite sulla crocifissione da Giuseppe Flavio, Filone di Alessandria, nelle in­ terpretazioni rabbiniche dei testi biblici, in numerose altre fonti ebraiche). Cfr. anche: G. SAMUELSSON, Crucifìxion in Antiquity, pp. 209-236.

3 62

9. LA CROC I F I S SIONE

Si sono conservate testimonianze di antichi autori sulle diver­ se fonne di croce e sulle diverse posizioni in cui si giustiziava­ no i condannati. Giuseppe Flavio dice che, «spinti dall'odio e dal furore, i soldati si divertivano a crocifiggere i prigionieri in varie posizioni» 1 8 • Seneca scrive: Vedo qui delle croci non fabbricate allo stesso modo, ma in mo­ di diversi a seconda dei costruttori : alcuni vi appendono i condan­ nati a testa in giù, altri li impalano, altri ancora ne distendono le braccia sul patibolo. Vedo corde, vedo fruste e singoli strumenti di tortura per ciascuna delle membra e delle giunture1 9 •

Le testimonianze degli autori antichi sui tipi e i modi di cro­ cifissione furono sistematizzate per la prima volta nel l 5 94 dal­ l ' umanista fiamm ingo Giusto Lipsio nel trattato De cruce. Se­ condo questo autore, per la crocifissione si poteva usare un semplice palo verticale (crux simplex), a cui il condannato ve­ niva legato sul dorso per poi essere lasciato morire di una mor­ te lunga e straziante. La croce poteva anche avere un forma a T (crux commissa): alla sommità del palo si fissava una traver­ sa a cui si inch iodavano o si legavano le braccia del condanna­ to . Si usavano anche croci a forma di X (crux decussata), su cui si crocifiggeva sia a testa in su che in giù. I nfine, molto dif­ fusa era la croce formata da due trav i perpendicolari, una ver­ t icale più lunga e una orizzontale più corta, fissata all 'altezza della testa del condannato. Proprio questa croce (crux immis­ sa) è raffigurata nelle icone canoniche della crocifissione di Gesù Cristo20• Il trattato di Lipsio esercitò un influsso su tutti i testi scientifici successivi dedicati alla crocifissione nel mon­ do antico. La crocifissione veniva eseguita pubblicamente ed era usata come strumento di intimidazione oltre che come punizione. TutGIUSEPPE FLAVIO, Guerra giudaica 5, l i , l ; tr. it. p. 392. SENECA, Consolazione per Marzia 20. I . Lws1, De cruce, pp. 1 8-27. La terminologia usata da Lipsio per designare i vari tipi di croci fu in gran parte ideata da lui stesso. IK

19 20

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MORTE E RES URREZIONE

te le fasi dell 'esecuzione capitale si svolgevano sotto gli occhi della gente. Dopo la flagel lazione il condannato, di regola, por­ tava lui stesso la propria croce tra le urla e i fischi della folla. In alcuni casi portava la traversa della croce (patibulum ), mentre il palo verticale era già stato infisso nel terreno sul luogo dell'ese­ cuzione. Quando la processione giungeva sul luogo designato, i l condannato veniva fatto coricare a terra e gli si si fissavano saldamente le braccia alla traversa; poi nelle palme del le mani si configgevano chiodi. S i issava la traversa sul palo, dov ' era stato preventivamente preparato un appoggio per i piedi (subpe­ daneum), necessario a far sì che il corpo non precipitasse sotto il proprio peso21 . Il condannato pendeva dalla croce, inchiodato ad essa e legato da funi . Giuseppe Flavio chiama la crocifissione «la morte più dolo­ rosa»22, e Cicerone « i l supplizio più crudele e abominevole» (crudelissimum taeterrimumque supplicium)23• A seconda del ti­ po di crocifissione e delle condizioni fisiche del condannato, il supplizio poteva protrarsi da alcune ore ad alcuni giorni. Più lun­ ghe erano le sofferenze per i condannati che non erano stati pre­ cedentemente sottoposti a torture e venivano legati alla croce con funi . La flagellazione, che causava copiosa perdita di san· gue, abbreviava considerevolmente il tempo delle sofferenze suc­ cessive24. Se le mani e i piedi del condannato venivano inchio­ dati, anche questo affrettava la morte. Oltre ad essere la condanna a morte più dolorosa fra quel le note al mondo antico, la crocifissione era anche la più infaman­ te25. I crocifissi erano sottoposti a molteplici umiliazioni. Una di esse era il venir spogliati delle vesti prima dell 'esecuzione. Nel 21

J . R. DONAHUE, «Crucifixiom>, p. 298. GIUSEPPE FLAVIO, Guerra giudaica 7, 6, 4; tr. it. p. 477. 23 CicERONE, In Verrem. De supp/iciis 64, 1 65 . 24 Oltre al la flagellazione, l a crocifissione poteva essere preceduta da altre fonne di punizione e tortura. Platone ricorda un uomo che, «una volta arrestato, viene torturato, mutilato, gl i vengono bruciati gl i occhi, e dopo aver patito altri tonnenti, in gran nume­ ro, strazianti e di ogni sorta, e dopo aver visto patire i figli e la sposa, alla fine viene im­ palato o cosparso di pece per essere bruciatm>. Cfr. : PLATONE, Gorgia 473. 25 ERODOTO, Storie 3, 125. 22

3 64

9. LA CROC I F I S S IONE

mondo antico la veste era concepita quasi come parte del corpo, era l ' anello di congiunzione fra il corpo della persona e il mon­ do circostante. La veste faceva comprendere lo status della per­ sona, la sua posizione sociale. Spogliare un uomo delle vesti si­ gnificava privarlo dell'onore e della dignità26• Nella letteratura scientifica è diffusa l'opinione che i crocifis­ si fossero appesi in croce denudatF7• Tale opinione è conferma­ ta da una serie di fonti antiche, che tuttavia non specificano se ai condannati fosse lasciata una fascia a cingere i lombi. In Giu­ dea, probabilmente, essa veniva lasciata28• Esistono opinioni diverse su quale fosse la causa fondamen­ tale della morte in croce. Lipsio riteneva che i condannati mo­ rissero non tanto di fame quanto di dolore29• Secondo la teoria del medico francese Barbet, la morte in croce subentrava per asfissia30• Altri studiosi che non concordano con questa teoria indicano fattori diversi: le conseguenze dei traumi subiti duran­ te la flagellazione, le emorragie e la disidratazione dell'organi­ smo31 . Nella maggior parte dei casi, a causare la morte era l ' in­ sieme dei fattori elencati. La morte poteva subentrare anche per infarto polmonare o cardiaco.

2. La via al Calvario

Se'condo il Vangelo di Giovanni, dopo che Pilato ebbe emes­ so la sentenza di morte, «presero Gesù ed egli, portando la cro­ ce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Golgota» (Gv 1 9, 1 6- 1 7). 26

Cfr. : N. WILKINSON DuRAN, The Power ofDisorder, pp. 90, 92. Cfr. : D. W. CHAPMAN, Ancient Jewish and Christian Perceptions on Crucifvcion, pp. 70, 1 43 , 1 46, 1 92, 2 1 8, 253; 0. SAMUELSSON, Crucifixion in Antiquity, pp. 7, 94, l l 8 , 1 78, 289. 28 W. L. LANE, The Gospel of Mark, p. 566. 29 I . LIPSI, De cruce, pp. 49-52. 30 P. BARBET, A Doctor at Calvary, pp. 68-80. 3 1 Cfr. : F.T. ZuomE, «Forensic and Clinical Knowledge ofthe Practice ofCrucitixion», pp. 253-256. 27

365

MORTE E RE SURREZIONE

Gli evangelisti Matteo e Marco descrivono più nel dettaglio il cammino di Gesù verso l 'esecuzione: Dopo averlo deriso, lo spogl iarono

Dopo essersi fatti beffe d i lui, lo

del mantello e gli rimi sero le sue

spogliarono della porpora e gli fe­

vesti, poi lo condussero via per cro­

cero indossare le sue vesti, poi lo

cifiggerlo. Mentre uscivano, incon­

condussero fuori per crocifiggerlo.

trarono un uomo di Cirene, chiama­

Costrinsero a portare la sua croce

to S imone, e lo costrinsero a porta­

un tale che passava, un certo Simo­

re la sua croce (Mt

27 ,3 1 -32).

ne di Cirene, che veniva dalla cam­ pagna, padre di Alessandro e di Ru­ fo (Mc 1 5,20-2 1 ) .

Anche Luca menziona Simone : «Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù» (Le 23 ,26). Cirene è una città libica, capitale della provincia romana del­ la Cirenaica. Situata sulle rive del Mediterraneo, la città era una colonia greca, di cui la comunità ebraica costituiva una parte si­ gnificativa32. A Gerusalemme i giudei della Cirenaica avevano una propria sinagoga (At 6,9) e parlavano una propria lingua (A t 2,8- 1 0; forse, si intende qui un dialetto dell' ebraico e dell ' ara­ maico). Alcuni antichi commentatori ritenevano che Simone di C ire­ ne fosse pagano33. S imone poteva essere uno dei giudei della Ci­ renaica giunti a Gerusalemme per la Pasqua, oppure vivere sta-

32 GIUSEPPE fLAVIO, Antichità giudaiche 14, 7, 2; tr. it. vol. 2, p. 855. Flavio cita Stra­ hone: «Nello Stato di Cirene vi sono quattro classi: la prima è formata dai cittadini; la seconda dagli agricoltori; la terza dai forestieri residenti (metici), la quarta dai Giudei. Questo popolo si è già sparso in ogni città e non è facile trovare nel l 'ecumene un luogo che non abbia accolto questa nazione e nel quale non abbia fatto sentire il suo potere. E avvenne che Cirene che ha gli stessi reggenti dell 'Egitto, lo abbia incitato sotto molti aspetti, in particolare incoraggiando e aiutando l'espansione di gruppi di Giudei orga­ nizzati che osservano le leggi nazionali giudaiche». 33 LEO NE MAGNO, Sermoni 46, 5 (PL 54, 340), tr. it. p. 209: «Mentre le turbe anda­ vano con Gesù verso il luogo dell 'esecuzione della condanna, si trovò un certo Simone di Cirene, al quale dal Signore potesse essere passato il legno del suppl izio; quest 'atto fu anche prefigurazione della fede delle genti . . . Non un ebreo, non un israelita, ma un forestiero si lasciava attrarre dal santissimo obbrobrio del Salvatore».

366

9. LA CROCI F I S S IONE

bilmente a Gerusalemme: il fatto che Marco e Luca dicano che stava tornando dai campi, indica che svolgeva un'attività agri­ cola. La precisazione di Marco, che Simone era padre di Ales­ sandro e Rufo, spesso viene interpretata come una prova del fat­ to che i figli di Simone erano noti alla comunità cristiana di Ro­ ma. Nella lettera ai Romani Paolo saluta un certo Rufo (Rm 1 6, 1 3): forse si tratta di uno dei figli di Simone. Nel 1 94 1 , a Ge­ rusalemme nel corso di scavi venne rinvenuta una grotta sepol­ crale intatta, appartenente a una famiglia di ebrei della Cirenai­ ca. Al suo interno c' era tra l' altro un ossuario, con l ' iscrizione: «Alessandro, figlio di Simone»34• Del resto, in entrambi i casi la coincidenza fra i nomi può essere casuale. Perché a Gesù fu necessario l 'aiuto di Simone? In precedenza aveva detto ai discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 1 6,24; Mc 8,34; Le 9,23). Tuttavia, non fu in grado di portare la propria croce. L' unico motivo doveva essere la sua condizione fisica: stremato dopo la notte insonne, gli estenuanti interrogatori e la crudele flagellazione, non era in grado di sollevare e portare la croce che gli era stata preparata. Forse, inizialmente la portò, ma poi cadde sotto il suo peso. Sant'Agostino, basandosi sul man­ cato riferimento a S imone nel Vangelo di Giovanni, ritiene che fino aJJa salita al Calvario Gesù portò lui stesso la croce, e S i­ mone fu cooptato solo per l ' ultimo tratto fino al luogo del pati­ bolo; « in tal modo riscontriamo che realmente accaddero tutt'e due le cose, e cioè sul principio quanto narrato da Giovanni, in seguito quello che riferiscono gli altri tre [ evangelisti]»35• Lo stesso pensa Crisostomo: «Quando uscirono dal pretorio, era Ge­ sù a portare la croce, e più avanti Simeone gli prese la croce e continuò a trascinarla»36• Nella tradizione del la Chiesa l'episodio di S imone viene in­ terpretato allegoricamente fin dai tempi antichi . Come dice Ori34 N . AviGAD, «A Depository oflnscribed Ossuaries in the Kidron 3 5 AGOSTINO, Il consenso degli evangelisti 3, 3 7 (PL 34, 1 1 82). ·16

Valley>>, pp. 1 - 1 2 .

GIOVANNI CRISOSTOMO, In paralyticum demissum per tectum (PG 5 1 , 53).

367

MORTE E RES URREZIONE

gene, «non era conven iente che solo il Salvatore prendesse la sua croce, bisognava che anche noi la portassimo E, pren­ dendo la sua croce, non gli abbiamo arrecato più aiuto di quan­ to noi stessi non traiamo giovamento dalla sua croce, poiché è Lui stesso a prenderla e portarla»37• La figura di S imone è im­ mortalata in molte raffigurazioni pittoriche, come pure nella poesia liturgica. L'evangelista Luca è l 'unico a menzionare le donne che ac­ compagnarono Gesù verso il luogo dell'esecuzione . Il suo rac­ conto integra in maniera sostanziale la narrazione degli altri tre evangelisti riguardo a ciò che avvenne sulla via del Calvario: . . .

·

Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltando­ si verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli . Ecco, verranno gior­ ni nei quali si dirà: "Beate le sterili, i grembi che non hanno gene­ rato e i seni che non hanno allattato". Allora com inceranno a dire ai monti : "Cadete su di noi !", e alle colline: "Copriteci! " . Perché, se si tratta cosl il legno verde, che avverrà del legno secco?» . Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfat­ tori (Le 23 ,27-32).

Nel testo greco del Vangelo di Luca l'espressione «si batteva­ no il petto e facevano lamenti su di lui ( 8K67ttovro Kaì 89pi)vouv aù't6v) si riferisce non solo alle donne, ma a tutta la moltitudine di popolo38• Il quadro delineato da Luca introduce dei correttivi alla narrazione degli altri evangelisti, da cui si potrebbe ricava­ re l' impressione che tutto il popolo fosse contro Gesù, e tutti i discepoli «lo abbandonarono e fuggirono» (Mt 26,56; Mc 1 4,50). Dalla narrazione di Luca si evince, al contrario, che tra il popo­ lo che accompagnò Gesù verso i l luogo dell ' esecuzione c 'erano parecchi che nutrivano sincera compassione per Lui, e fra queORIGENE, Commento al Vangelo di Matteo 1 26 (GCS 38/2, 263 ). Cfr. : R.L. BROWLEY, Luke-Acts and the Jews, p. 1 40 (lo studioso fa osservare che lo stesso articolo toù si riferisce a due sostantivi : À.>. Poi disse al discepolo: «Ecco tua ma­ dre ! >>. E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé (Gv 1 9,25-27).

Secondo i costumi giudaici del tempo, in punto di morte l' uo­ mo doveva dare disposizioni sullo stato giuridico delle proprie parentF6• Tali disposizioni erano indispensabili in una società in cui le sorti delle donne dipendevano interamente dalla volontà degli uomini. Una donna che perdeva il marito, una figlia che restava senza il padre, una madre a cui moriva il figlio si trova­ vano tutte in situazione analoga, passavano generalmente sotto la tutela di altri parenti maschi che si impegnavano a mantener­ le. Chi moriva poteva però dare disposizioni su questo, e in ge­ nere i parenti rispettavano la volontà del defunto e agivano se­ condo il suo testamento. Rivolgendosi dapprima alla madre, e poi al discepolo, Gesù sembra invitare i due a sostenersi vicendevolmente. Tuttavia, il contesto generale della scena e la sua conclusione («da quell 'ora 76

G . DALMAN, Jesus-Jeshua, p. 20 l .

391

MORTE E RES URREZIONE

il discepolo l'accolse con sé») ci induce a interpretarla non tan­ to in termini di reciprocità, quanto nel senso che Gesù indicò al­ la madre il discepolo che si sarebbe occupato di lei, e a lui la per­ sona di cui si sarebbe dovuto occupare77• Il fatto che Gesù affidi sua madre al discepolo, e non a qual­ cuno dei suoi «fratelli», è una conferma indiretta del fatto che essa non avesse altri figli: se fossero esistiti, non ci sarebbe sta­ to bisogno di affidarla al discepolo78• Il discepolo senza nome «che Gesù amava» viene ricordato più volte nelle pagine del quarto Vangelo, e la tradizione della Chiesa lo identifica con certezza con Giovanni. Non c'è alcun motivo per mettere in dubbio questa identificazione, tanto più che lo stesso autore alla fine del Vangelo si rivela attraverso le parole: «Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte» (Gv 2 1 ,24 ) L'episodio in esame è divenuto parte del quarto Vangelo proprio perché vi aveva preso direttamente par­ te il suo autore, mentre gli altri evangelisti non ne erano stati par­ tecipi e potevano non saperne nulla. Come a Cana di Galilea, Gesù si rivolge a sua madre con la parola «donna» (yuvat, in caso vocativo). In questo epiteto non bisogna scorgere un segho di mancanza di rispetto, di distanza o di freddezza. Cosi Gesù si rivolgeva anche alle altre donne (Mt 25,28; Le 1 3 , 1 2 ; Gv 4,2 1 ; 8, 1 0; 20, 1 3 ). Si può supporre che nel­ la lingua in cui parlava tale epiteto suonasse rispettoso. Gli antichi autori cristiani prestano grande attenzione a que­ sto episodio, vedendovi, in particolare, un segno che Gesù, uma­ namente spaventato dalla morte tanto da pregare il Padre affin­ ché il calice della sofferenza passasse da Lui, all 'approssimarsi della morte aveva ormai acquistato la pace interiore. Così affer­ ma Giovanni Crisostomo: .

. . . Osserva con quale pace interiore Cristo fece tutto allorché, crocifisso, pendeva dalla croce: con il discepolo parlò di sua Madre, 77

H. SCHURMANN, Ursprung und Gesta/t, p. 1 5 . (ALFEEv), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol .

7& Cfr. : lLARION gelo, pp. 33 5-337.

392

l:

L 'inizio de l

Van­

9. LA CROCIFI SSIONE

adempi le profezie, diede buone speranze al ladrone, mentre prima della crocifissione lo vediamo coperto di sudore, angosciato e im­ paurito. Che significa, dunque? Qui non c'è nulla di incomprensi­ bile, nulla di oscuro : là si faceva sentire la debolezza della natura, e qui si svelava la grandezza della forza79•

Cirillo di Alessandria ritiene che, affidando la propria madre al discepolo prediletto, Cristo adempisse il dovere filiale pre­ scritto dalla legge di Mosè. Tuttavia, a parere di Cirillo (e que­ sta posizione è un caso a sé nella tradizione patristica), il Salva­ tore non si limitò a preoccuparsi del suo benessere materiale, ma la affidò alla guida spirituale del suo saggio discepolo: . . . Il Signore dovette provvedere alla madre che si era scandaliz­ zata e aveva giudicato la passione in modo non corretto. Essendo vero Dio, e saggiando il profondo del cuore, come avrebbe potuto ignorare i pensieri dai quali allora era turbata per la veneranda cro­ ce? Conoscendo, dunque, i suoi intimi pensieri, l'affidò a un ottimo precettore, cioè al discepolo, il quale poteva esporre, in modo retto e idoneo, la sublimità del mistero. Era certamente sapiente e teolo­ go, e l ' accoglie e la conduce con sé con gioia, per compiere quello che il Salvatore gli aveva comandato di compiere per lei80•

Molti autori ecclesiastici si allontanano completamente dal con­ testo letterale originario del la storia (Gesù si preoccupa che sua madre non resti senza un sostegno), e lo interpretano in senso al­ legorico. In particolare, Efrem il Siro nella figura di Maria vede la Chiesa: «Andò sul mare e apparve nella nube e nella sua Chie­ sa rifiutò la circoncisione e Giovanni vergine pose come guida di­ v ina in luogo di Giosuè figlio di N un, e a lui consegnò Maria sua Chiesa, come Mosè aveva consegnato a Giosuè il suo gregge » 81 • Con il passare del tempo nell 'episodio in esame si com inciò a vedere un segno che, nella persona del discepolo prediletto, . . .

79 GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae in loannem 85, 2 (PG 59, 46 1 ). CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni 1 2 (PG 74, 665); tr. it. vol . 3, pp. 449-450. "1 EFREM IL SIRO, Commento al Dìatesseron 1 2; tr. it., p. 96. 110

393

MORTE E RESURREZIONE

Cristo affidava alla protezione della madre tutta l 'umanità. Pro­ prio tale interpretazione divenne dominante nel secondo millen­ nio sia in Occidente che in Oriente82• Essa affonda le radici nel­ la teologia di Origene, che vedeva in Giovanni una figura col­ lettiva di tutti i discepoli di Cristo, affiliati da sua madre: « . . . Da una parte i vangeli sono primizia di tutta la Scrittura, dall' altra primizia dei vangeli è quello secondo Giovanni, il cui senso pro­ fondo non può cogliere chi non abbia poggiato il capo sul petto di Gesù e non abbia ricevuto da lui Maria come sua propria madre»83 • Ambrogio riteneva che l 'appartenere alla Chiesa fos­ se inscindibile dall' adozione del fedele da parte della Madre di Dio: «Anche a te si rivolgano le parole pronunciate da Cristo dall' alto della croce : "Ecco tua Madre"; e anche per te venga detto alla Chiesa: "ecco tuo Figlio"»84• In base a tal i interpretazioni gli autori dei secoli successivi svilupparono il concetto secondo cui «Maria non è solo la Ma­ dre di D io, ma anche la Madre di tutti noi, poiché Essa ama tut­ ti gli uoimini e di tutti ha compassione . . . e tutti accoglie fra le sue braccia» . Queste parole appartendono a un poeta bizantino della seconda metà del X secolo, Giovanni Geometra, che chia­ ma la Vergine Maria «la nostra nuova comune Madre - Madre di noi tutti insieme e di ciascuno distintamente»85• Ruperto d i Deutz, vissuto nell'XI secolo, autore d i un vasto commento al Vangelo di Giovanni, dice: «Poiché qui . . . nella Passione dell 'U­ nigenito la Beata Vergine generò la salvezza di noi tutti, Essa è appunto Madre di tutti noi. Pertanto, ciò che Egli disse a propo­ sito di questo discepolo . . . a ragione avrebbe potuto essere detto per ogni altro discepolo, se fosse stato presente»86• Nella tradizione cattolica la dottrina sull ' affiliazione alla Ver­ gine Maria di tutta la Ch iesa nella persona di Giovanni è dive&2 Per gli autori occidentali, cfr. : R. ScHNACKENBURG, The Gospel according lo ,)'t. John, vol . 3, p. 459. 83 0RIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni l , 4, 23 (G C S 1 0, 8); tr. it. p. 1 23 . 8 4 AMBROGIO, Expositio Evangelii secundum Lucam 7 (PL 1 5 , 1 700). 85 GIOVANNI GEOMETRA, Inni alla Santissima Vergine 4 (PG 1 06, 865). 8 6 RuPERTO 01 DEUTZ, Commentaria in Evangelium S. Joannis (PL 1 69, 790).

394

9. LA CROCIF I S S IONE

nuta parte della dottrina ufficiale. Nell'enciclica Redemptoris Mater di papa Giovanni Paolo II si dice: Si può dire che la maternità «nell' ordine della grazia>> mantenga l'analogia con ciò che «nell' ordine della natura» caratterizza l' unio­ ne della madre col figlio. In questa luce diventa più comprensibile perché nel testamento di Cristo sur Golgota la nuova maternità di sua madre sia stata espressa al singolare, in riferimento ad un uomo: «Ecco il tuo figlio» . . . Non solo di Giovanni, che in quell' ora stava sotto la Croce insieme alla madre del suo Maestro, ma di ogni di­ scepolo di Cristo, di ogni cristiano . . . La maternità di Maria che di­ venta eredità dell'uomo è un dono: un dono che Cristo stesso fa per­ son�lmente ad ogni uomo . . . Ai piedi della croce ha inizio quello speciale affidamento dell 'uomo alla Madre di Cristo . 87 . .

Anche nella tradizione ortodossa questa interpretazione di­ venne predominante nel tempo. Come dice Filaret di Mosca, «non il solo discepolo suo Egl i le affida come figlio, affinché es­ sa fosse tranquillizzata dalla sua cura fi liale, ma tutti i suoi di­ scepoli, tutti i cristiani che serbano la retta fede Egli le affida co­ me figli e figlie, affinché anch 'essi godano dalla sua cura ma­ tema»88 . loano di Kronstadt scrive : Perché non dubitassimo del nostro diritto a chiamare nostra ma­ dre la Madre del Dio Altissimo, sovrana santissima, purissima, in­ finitamente beata, il suo divino Figlio eterno, il Signore Gesù Cri­ sto, ha esplicitamente permesso a tutti coloro che aspirano alla san­ tità di chiamarla loro madre: «Ecco tua madre» . Questa parola, nel­ la persona di san Giovanni il Teologo, è indirizzata anche a noi cri­ stiani. Si, Maria è veramente la più tenera, la più premurosa delle madri, colei che conduce noi, suoi figli, verso la santità89•

Nelle tradizioni liturgiche occidentale e orientale uno dei te­ mi principali dei riti del Venerdì santo, in cui si commemora la 87 GIOVANNI PAOLO I l , Redemptoris Mater 45. FILARET DI M o sc A, «Slovo v den' uspenija presvjatyj

88

la Donnizione della Santissima Madre di Dio), 1 845 . 89 lvAN D I CRONSTADT, La mia vita in Cristo, p . 1 1 7. 395

Bogorodicy)) (Sennone per

MORTE E RESU RREZ IONE

morte in croce di Gesù Cristo, è il tema del pianto della Madre di D io presso la croce di suo figlio. Nell'Oriente greco, nella seconda metà del X secolo, il noto an­ nalista e innografo Simeone Metafraste (conosciuto anche con il nome di Simeone Logoteta) scrisse il Canone del Pianto della Santissima Madre di Dio, che entrò a far parte della liturgia della Chiesa ortodossa e viene cantato alla compieta del Venerdì santo. Nel canone si dice: «Quando vide pendere dalla croce il Figlio e Signore suo la Pura Vergine, dilaniata dal dolore, pianse amara­ mente insieme alle altre donne e gemendo esclamò». Quindi si ri­ portano le parole pronunciate dalla santissima Vergine: Ti vedo ora, Figlio mio caro e amato, pendere dalla croce, e i l mio cuore n e è amaramente ferito, di' dunque una parola, o Buono, alla tua Serva. Ora sono privata - Figlio mio e Signore - della m ia speranza, gioia e allegrezza; ohimè, misera, sono afflitta nell' intimo. Dolori, tristezza, sospiri mi assalgono, ohimè, misera, quando ti vedo, Figlio mio amatissimo, ignudo, solo, cadavere unto di arom i ! Vedendoti morto, o Amico degli uomini, che hai risuscitato i mor­ ti e retto ogni cosa, m i affliggo nel profondo. Vorrei morire con Te, non ho le forze per contemplarti inane, morto ! M i stupisco, vedendoti, Dio pieno di benevolenza e Signore mi­ sericordiosissimo, senza gloria, senza respiro, e senza apparenza al­ cuna; e piango, tenendoti in grembo, poiché non pensavo, ohimè, misera, di vederti in maniera siffatta, Figlio mio e Dio ! Non profferirai dunque verbo alla tua Serva, o Verbo di Dio? Non avrai pietà di colei che ti ha generato, o Sovrano? Medito, o Sovrano, che più non udrò la dolce tua voce, e mai più la tua Serva vedrà come per l' innanzi la bellezza del tuo volto: in­ fatti te ne sei andato, Figlio mio, celandoti ai miei occhi. La gioia non mi si farà più vicina d' ora innanzi, giacché la Luce mia e la mia Gioia è scesa nel sepolcro; ma non lo lascerò solo, anch' io qui morrò e sarò sepolta con Lui !90

90 Triodion quaresimale. Venerdl santo, compieta, Canone del Pianto della santissi­ ma Madre di Dio.

396

9. LA CROCIFIS SIONE

Il poeta bizantino sottolinea che Gesù Cristo è il Dio incarna­ to, e la Madre di Dio, che sta accanto alla çroce, lo sa. Essa sof­ fre, ha il cuore straziato, ma si rivolge al proprio figlio come al Signore Iddio. L'opera più nota di poesia liturgica su questo tema è un compo­ nimento attribuito al poeta italiano del XIII secolo Jacopone da To­ di, lo Stabat Mater. Questa penetrante lirica nel corso dei secoli ha ispirato molti compositori91 • L'opera del poeta latino è più emoti­ vamente intensa del canone di Simeone Logoteta, ma anch'essa è permeata dalla profonda coscienza che Cristo crocifisso è il Figlio di Dio, che muore per il riscatto dei peccati umani: Stabat Mater dolorosa

La Madre addolorata stava

j uxta crucem lacrimosa,

in lacrime presso la croce

dum pendebat Filius.

mentre pendeva il Figlio.

Cuius animam gementem,

E il suo animo gemente,

contristatam et dolentem

contristato e dolente

pertransivit gladi us.

era trafitto da una spada.

O quam tristis et affiicta

Oh, quanto triste e afflitta

fuit illa benedicta

fu la benedetta

Mater Unigeniti !

Madre dell' Unigenito !

Quae moerebat et do lebat

Come si rattristava, si doleva

pia Mater dum videbat

la pia Madre vedendo

N ati poenas inclyti . . .

le pene del divino suo Figlio . . .

Pro peccatis suae gentis

A causa dei peccati del suo popolo

vidit Iesum in tormentis,

Ella vide Gesù nei tormenti,

et flagellis subditum .

sottoposto ai flagelli.

Vidit suum dulcem Natum

Vide i l suo dolce Figlio

moriendo desolatum,

che moriva abbandonato

dum emisit spiritum .

mentre esalava lo spirito .·

9 1 Tra gli autori che hann o musicato questo testo vi sono A Scarlatti, G.B. Pergole­ si, A Vivaldi, F. J . Haydn, F. Schubert, G. Rossini, A. Dvofak:, G. Verdi e molti altri, e tra i contemporanei K. Penderecki, A Part e K. Jenkins.

397

MORTE E RESURREZIONE

Eia, Mater, fons amoris

Oh, Madre, fonte d' amore,

me sentire vim doloris

fammi provare lo stesso dolore

fac, ut tecum lugeam .

perché possa piangere con te.

Fac, ut ardeat cor meum

Fa' che il mio cuore arda

in amando Christum Deum

nell' amare Cristo Dio

ut sibi complaceam . . .

per fare cosa a lui gradita . . .

Iuxta crucem tecum stare,

Accanto alla croce desidero stare con Te,

Te li benter sociare

in tua compagnia,

in planctu desidero . . .

nel compianto . . .

In flammatus et accensus,

Che io non sia bruciato dalle fiamme,

per Te, Virgo, sim defensus

che io sia, o Vergine, da Te difeso

in die iudici i.

nel giorno del giudizio.

Fac me cruce custodiri,

F a' che io sia protetto dal la Croce,

morte Christi praemuniri

che io sia fortificato dalla morte di Cristo,

confoveri gratia.

consolato dalla grazia.

Quando corpus morietur,

E quando il mio corpo morirà

fac, ut animae donetur

fa' che all ' anima sia donata

paradisi gloria.

la gloria del paradiso.

La presenza della Madre di Dio ai piedi della croce è un ele­ mento essenziale dell' iconografia della crocifissione nelle tradi­ zioni sia orientale che occidentale. Una delle tipologie iconogra­ fiche più diffuse nella tradizione ortodossa è la «crocifissione con astanti» : a sinistra della croce è raffigurata la Madre di Dio, a destra l ' apostolo Giovanni. Questo tipo iconografico è ampia­ mente diffuso anche nella tradizione cattolica e nella pittura me­ dievale e rinascimentale.

6. La morte di Gesù

Nei Vangeli troviamo tre versioni del racconto della morte d i Gesù Cristo. L a prima è quella d i Matteo e Marco. L a versione di Luca in parte la riecheggia, ma contiene anche delle differen398

9. LA CROCIFIS SIONE

ze sostanzial i . La versione di Giovanni si differenzia notevol­ mente da entrambe.

Testimonianza di Matteo e di Marco Gli autori dei primi due Vangeli mostrano un'affinità testuale nella descrizione della morte di Gesù (tale somiglianza si rileva in tutta la storia della passione): A mezzogiorno si fece buio su tutta

Quando fu m ezzogiorno, si fece

la terra, fino alle tre del pomeriggio.

buio su tutta la terra fino al le tre

Verso le tre, Gesù gridò a gran vo·

del pomeriggio. Alle tre, G esù gri­

ce: «Eli, Elì, lemà sabactàni?», che

dò a gran voce : «Eloi, Eloi, lemà

significa: «Dio mio, Dio mio, per­

sabactàni?», che significa: «Dio

ché mi hai abbandonato?». Udendo

mio, Dio mio, perché mi hai ab­

questo, alcuni dei presenti dicevano :

bandonato ?». Udendo questo, al·

«Costui chiama Elia». E subito uno

cuni dei presenti di cevano : «Ecco,

di loro corse a prendere una spugna,

chiama Elia! » . Uno corse a inzup­

la inzuppò di aceto, la fissò su una

pare di aceto una spugna, la fi ssò

canna e gli dava da bere. Gli altri di­

su una canna e gli dava da bere,

cevano: «Lascia! Vediamo se viene

dicendo : «Aspettate, vediamo se

Elia a salvarlo! ». Ma Gesù di nuovo

viene Elia a farlo scendere». Ma

gridò a gran voce ed emise lo spiri­

Gesù, dando un forte grido, spirò

to (Mt 27,45 -50).

(Mc 1 5 , 33

-

3 7).

Vediamo solo due sostanziali differenze tra i due racconti. Matteo riporta in ebraico l ' esclamazione di Gesù in croce, Mar­ co in aramaico. In Matteo uno degli astanti porge a Gesù una spugna imbevuta di aceto, mentre gli altri continuano a scher­ nirlo; in Marco a fare entrambe le cose è la stessa persona. Che cosa significa l 'oscurità calata a metà del giorno? Molti esegeti ritengono che si trattasse di un'eclissi solare, cosa in par­ te confermata dalle parole di Luca: «il sole si era eclissato» (Le 23,45). Forse, Matteo vede un collegamento tra quanto accadde alla morte di Gesù e ciò che, secondo le sue predizioni, deve av­ venire alla fine del mondo : «Subito dopo la tribo lazione di quei

399

MORTE E RESU RREZIONE

giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stel­ le cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saraiUlo sconvolte» (Mt 24,29). La descrizione del terremoto che seguì la morte di Gesù in croce rafforza l ' impressione generale di terrore: la stes­ sa natura sembra protestare contro l' iniquo giudizio emesso con­ tro il Figlio di Dio, reagisce così alla sua passione e morte. Secondo la testimonianza riportata dall' evangelista Marco, Gesù fu crocifisso alle nove del mattino (Mc 1 5,3 5). Né Matteo né Luca precisano l' ora della crocifissione, mentre secondo Gio­ vanni il verdetto di morte fu emesso da Pilato a mezzogiorno (Gv 1 9, 1 4). Se si segue la versione di Marco, le sofferenze di Gesù in croce durarono circa sei ore : forse si prolungarono an­ che di più, se tra il grido di Gesù e la sua morte trascorse ancora un po' di tempo . La versione di Giovanni può far pensare che Gesù rimase meno tempo in croce. D'altra parte, solo in Marco troviamo notizia del fatto che, quando Giuseppe di Arimatea si recò da Pilato per chiedere il corpo di Gesù, questi si meravigliò che fosse già morto (Mc 1 5 ,44). In ogni caso, Gesù morì prima dei due ladroni, a cui si dovettero spezzare le gambe per affret­ tarne la morte (Gv 1 9,3 1 -33). Tenendo presente che i crocifissi non di rado restavano sul pa­ tibolo per più giorni, si può avere l ' impressione che Gesù rima­ nesse in croce troppo poco tempo per poter morire. Di qui è na­ ta la teoria che la morte di Gesù fosse in realtà un sonno letargi­ co, e la resurrezione il ridestarsi da esso?2• Tuttavia, la relativa brevità del tempo della crocifissione si spiega con il fatto che il suo corpo era estenuato dalle precedenti torture, tra cui la cru­ dele (e forse ripetuta) flage11azione. Le abbondanti perdite di sangue e la disidratazione dell 'organismo, chiaramente indicata dalle parole «ho sete» (Gv 1 9,28), furono probabilmente la cau­ sa principale della rapida morte di Cristo in croce93 •

92 In particolare, D.F. Strauss attribuiva questa posizione a F. Schleiermacher. Cfr. : D.F. STRAUSS, La vita di Gesù. 93 R. E. BROWN, The Death ojJesus, p. l 092.

400

9. LA CROCI F I S S IONE

I testimoni dell 'evento sentivano Gesù invocare dalla croce, ma non riuscivano a distinguere le parole, forse perché, essendo ip agonia, egli parlava a fatica, oppure perché erano lontani. L' as­ sonanza tra la parola «Dio» (ebr. C';"J7 K 'elohim, aram . K;"J7 K 'iiliihii) e il nome «Elia» (1;'1'7 K 'eliyyiihu) diede loro un ultimo motivo di scherno. Probabilmente, essi ricordavano che alcuni ritenevano che Gesù fosse Elia (Mt 1 6, 1 4; Mc 8,28; Le 9, 1 9). La loro replica poteva riflettere anche le credenze diffuse tra il popolo, secondo cui prima della venuta del Messia avrebbe do­ vuto apparire Elia (M t 1 7, 1 O; Mc 9, 1 1 ) . Essendo sicuri che Ge­ sù non fosse il Messia, erano anche sicuri che Elia non sarebbe venuto a salvarlo. Il grido di Gesù in croce, riportato da entrambi gli evangeli­ sti, è l' inizio del salmo 22. Inchiodato alla croce, Egli innalza al Padre suo il gemito che un tempo era risuonato sulle labbra del profeta e salmista Davide. In questo grido si esprime in man iera parossistica la sofferenza causata n eli 'uomo dal sentimento dell ' abbandono di Dio. Il si lenzio di Dio, la sua apparente as­ senza è la prova più terribile che possa toccare in sorte all ' uo­ mo. In questa condizione, si può perdere completamente la vo­ lontà di vivere. Ed è proprio la volontà di vivere che aiuta a su­ perare il dolore fisico e morale. Dai Vangeli sappiamo che Gesù era continuamente in comu­ nione con Dio: lo si vede dai numerosi riferimenti dei sinottici alla sua preghiera, dalle sue parole sul Padre, riportate da Gio­ vanni . Qualche giorno prima dell 'arresto, Gesù si rivolge al Pa­ dre addirittura mentre sta parlando con il popolo: «Padre, glori­ fica il tuo nome» . E riceve immediatamente risposta: «L'ho glo­ rificato e lo glorificherò ancora!» (Gv 1 2,28). Ma ora, quando il Figl io di Dio è appeso alla croce, il Padre tace. Come spiegare questo silenzio di Dio? Se Gesù è il Figlio Uni­ genito di Dio, come poté il Padre abbandonarlo sia pure per un istante? La chiave di comprensione dell'enigma è racchiusa nel­ la dottrina sulle due nature, divina e umana, di Cristo. Come Dio Egli è sempre in unione con il proprio Padre; anche come uomo è inscindibilmente unito al Padre, ma ha assunto volontariamen40 1

MORTE E RE SURREZIONE

te il calice della sofferenza e deve berlo fino in fondo. E il fon­ do della sofferenza umana è l'abbandono di Dio. Forse, proprio in questo grido di Gesù in croce si svela in som­ mo grado la sua solidarietà con tutti i sofferenti, tra i quali colo­ ro che, soffrendo, dubitano della presenza di D io, si lamentano e mormorano nei suoi confronti, e si perdono d'animo. Gesù non si lamenta né mormora, non dubita né vacilla, ma l ' insopporta­ bile dolore da Lui provato è moltipl icato dalla tortura morale che Egli prova come uomo, a tu per tu con l 'orrore dell'agonia mor­ tale. Non è abbandonato da Dio, ma deve passare attraverso l'ab­ bandono di Dio per «rendersi in tutto simile ai fratelli» e diven­ tare per gli uomini un «sommo sacerdote misericordioso e de­ gno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo . . . proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eh 2, 1 7 - 1 8). L'esperienza dell ' abbandono di Dio è una delle componenti della vita religiosa. È indispensabile per raggiungere il più alto grado della perfezione spirituale: la deificazione. Di questo scri­ ve l'archimandrita Sofronij (Sacharov), teologo e asceta contem­ poraneo: Quanti non credono in Dio non sanno cosa significhi essere ab­ bandonati da lui . Sperimenta l' afflizione che proviene da tale ab­ bandono soltanto chi ha già conosciuto la bontà di Dio e lotta con tutte le forze per rimanere in lui e con lui. Quanto più intensamente l' uom o ha gustato la gioia dell' unione con Dio, tanto più profonda­ mente soffre per vedersi separato da lui . Come sappiamo dal Van­ gelo, il Signore stesso ha provato l' abbandono estremo. Dopo il su­ dore di sangue della preghiera al Getsemani, con la quale rimetteva tutto nelle mani del Padre, sulla croce «gridò a gran voce: " . . . Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" . . . Di nuovo, dopo aver gridato con gran voce, spirò» (Mt 27,46-50). Simile kenosi perfetta dell' «uomo Cristo Gesù» (cfr. l Tm 2,5) si è mutata in una deifica­ zione ugualmente perfetta della nostra natura, natura che egli aveva assunta con l' incarnazione . 94 . .

94 SOFRONIO (SACHAROV),

Vedremo Dio com 'è,

402

pp.

1 68- 1 69.

9. LA CROC IFIS SIONE

Testimonianza di Luca Secondo Matteo e Marco, Gesù gridò per due volte dalla cro­ ce. Essi non riferiscono ciò che proferì la seconda volta. Forse, il racconto di Luca può essere interpretato come un' integrazio­ ne alla loro narrazione: Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» . Detto questo, spirò (Le 23 ,44-46).

Forse, proprio le parole riportate da Luca costituiscono il se­ condo grido di Gesù menzionato dagli altri due sinottici. Per con­ tenuto esso si differenzia nettamente dal primo, vi si avverte uno stato d'animo completamente diverso. Se nel primo dalle labbra di Gesù era uscito un urlo di disperazione, qui sentiamo l 'umile docilità alla volontà di Dio. Le due invocazioni di Gesù in croce, considerate nel loro in­ sieme, possono ricordare la sua supplica al Padre nel giardino del Getsemani. Là una preghiera ardente, accompagnata da su­ dore di sangue, affinché, se possibile, il Padre allontanasse da Lui il calice delle sofferenze, si concludeva con le parole: «Tut­ tavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Le 22,42). Qui le ultime parole di Gesù diventano una professione di fede nel Pa­ dre, nelle cui mani Egli, morendo, affida lo spirito. In nessuno dei due casi dal1e labbra di Gesù esce una parola di rimprovero . Tra Lui e il Padre non c ' è conflitto né contraddizione: la sua fe­ deltà, la sua sottomissione alla volontà del Padre resta assoluta e incrollabile. Val la pena di ricordare ·qui uno degli archetipi veterotesta­ mentari del sacrificio di Cristo in croce : il racconto di come Dio comandò ad Abramo di offrire in sacrificio il proprio figlio l sac­ co (Gen 22, 1 - 1 4) . Salendo sul monte su cui doveva essere offer­ ta in sacrificio la vittima, l sacco fa del1e domande ad Abramo, ma nel momento in cui Abramo leva su di lui il coltello, egli re403

MORTE E RESURREZIONE

sta silenzioso. Nella narrazione successiva del libro della Gene­ si non troviamo nessuna protesta di l sacco nei confronti del pa­ dre: gli resta totalmente dedito, fedele, sottomesso al suo volere. Anche il grido di Gesù in croce, riferito da Luca, è - come quello riportato da Matteo e Marco - una citazione pressoché letterale del Salterio. È preso dal salmo 3 1 , che ha come tema fondamentale la speranza in Dio nelle circostanze dure, dispe­ rate : In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; difendimi per la tua giustizia . . . Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia difesa. Alle tue mani affido il mio spirito; tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele . . . Abbi pietà di me, Signore, sono nell' affanno; per il pianto si consumano i miei occhi, la mia gola e le mie viscere . . . Sono i l rifiuto dei miei nemici e persino dei miei vicini, il terrore dei miei conoscenti; chi mi vede per strada mi sfugge. Sono come un morto, lontano dal cuore; sono come un coccio da gettare. Ascolto la calunnia di molti: «Terrore al l' intorno! » , quando insieme contro d i me congiurano, tramano per togli ermi la vita. Ma io confido in te, Signore; dico: «Tu sei il mio Dio» . (Sal 3 1 ,2.5-6. 1 0. 1 2- 1 5)

Pregare con le parole dei salm i era costume dei giudei, e Ge­ sù non faceva eccezione. Mentre si recano al luogo in cui sarà arrestato, Gesù e i discepol i cantano dei salmi (Mt 26,30; Mc 1 4,26). Nel Vangelo udiamo più volte come Egli prega con le proprie parole (Mt 1 1 ,25-26; 26,39-42; Mc 1 4,35-39; Le 1 0,2 1 ; 22,4 1 -42 ; 23,34; Gv 1 1 ,4 1 -42; 1 2,28; 1 7, 1 -26). Ma quando è 404

9. LA CROC I F I S S IONE

in agon ia le sue parole si estinguono, e gli vengono in aiuto quelle dei salmi . Queste parole non solo esprimono pienamen­ te il suo stato d'animo, ma, essendo parte della profezia mes­ sianica, sono in realtà le sue stesse parole udite e trascritte mol­ ti secoli prima dal re Davide. Perlomeno, proprio così furono recepite dalla tradizione cristiana: non come parole di Davide, ripetute da Gesù, ma come parole del Messia, profeticamente udite dal salmista. Il grido di Gesù riportato da Luca si differenzia dalle parole del salmista per l'appellativo «Padre ! » . Questo modo di rivol­ gersi a Dio non era caratteristico d el i' Antico Testamento, ma Gesù si rivolgeva a Dio proprio in questi tenn ini, e invitava i suoi discepoli a cominciare a pregare con le parole «Padre no­ stro» (Mt 6,9; Le 1 1 ,2). Il concetto della paternità divina viene abitualmente associato all ' idea della sua misericordia nei con­ fronti degli uomini, della sua cura paterna. Dio può anche esse­ re severo e implacabile nei confronti dei propri figli, può sotto­ porti a dure prove, ma essi non devono perdere la speranza in Lui, non devono smettere di considerarlo il proprio Padre. Per Gesù Dio resta Padre anche nel momento in cui tace. Subendo atroci supplizi fisici e morali, Egli non cessa di credere nella pre­ senza del Padre.

Testimonianza di Giovanni Dai racconti dei sinottici passiamo alla testimonianza di Gio­ vanni sulla morte in croce di Gesù: Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affin­ ché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete» . Vi era li un vaso pie­ no di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l' aceto, Gesù disse: « È compiuto ! » . E, chinato il capo, consegnò lo spirito (Gv 1 9,28-30).

405

MORTE E RESURREZIONE

L' unica cosa in cui il testo di Giovanni coincide con i sinotti­ ci è la menzione dell'aceto. Il term ine tradotto in italiano come «canna» (ucrcrro1toç) indica un arbusto dalle foglie aromatiche. Gli studiosi stanno esaminando il significato esatto del termine in questo contesto, mentre nel passo parallelo di Matteo e Mar­ co si parla di una semplice canna (KUÀa.Jloç). Si può ipotizzare che Giovanni si riferisca all' impiego di un ramo di issopo. Non è da escludersi un'analogia con il rito pasquale, in cui l ' i ssopo svolgeva un ruolo importante (Es 1 2,22)95• La sete provata da Gesù in croce è una conseguenza dell' estre­ mo sfinimento del suo organismo. Forse era in uno stato di se­ micoscienza quando pronuncia le parole «ho sete». Tuttavia, l ' e­ vangelista le legge alla luce dell'adempiersi delle profezie vete­ rotestamentarie. La formula «affinché si compisse la Scrittura» indica non solo le parole pronunciate da Gesù, ma anche ciò che segue: l'aceto che gli viene accostato alle labbra. Il riferimento è alle parole del salmo: «Mi hanno messo veleno nel cibo e quan­ do avevo sete m i hanno dato aceto» (Sal 69,22). Dall' inizio alla fine del suo Vangelo Giovanni sviluppa il con­ cetto che gli avvenimenti de lla vita di Gesù si svolgono per adempiere la Scrittura. Tuttavia, la formula consueta iva i] ypa è colui che testimonia in presa diretta, e non ripren­ dendo discorsi di altri, e questo conferisce importanza alle sue parole. Egli «vide» (eiogv) ciò di cui parla, e non è semplicemen­ te venuto a saperlo da altri. Non si può qui non ricordare l' inizio della prima lettera di Giovanni : «Quel lo che era da principio, 47 1

MORTE E RESURREZIONE

quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toc­ carono del Verbo della vita . . . quello che abbiamo veduto e udi­ to, noi lo annunciamo anche a voi» (l Gv l , 1 .3 ). Giovanni descrive nei particolari il cammino verso il sepol­ cro vuoto. Parte insieme a Pietro, ma corre più in fretta e arriva per primo. Poi si china sul sepolcro ma non vi entra. Pietro ar­ riva dopo, ma entra nel sepolcro prima di Giovanni. Forse, ol­ tre al senso letterale questa scena ne possiede anche uno sim­ bolico. Alcuni esegeti vedono nell'espressione «che lo seguiva» ( à.KoÀoue&v aùt cp) una recondita allusione alla superiorità di Giovanni rispetto a Pietro8, ma non è necessario intenderla in questo senso: si parla di una corsa, non di una competizione in cui uno risulti vincitore e l' altro vinto9• Il significato potrebbe essere piuttosto che i due discepoli hanno un 'unica vocazione, ma carismi diversi: entrambi corrono verso la stessa meta, e si superano a turno. Difficilmente qualcuno avrebbe messo in dubbio il primato di Pietro nella comunità delle origini. Nel contempo, la menzione di Pietro e deJl ' «altro discepolo» nel quarto Vangelo mostra che il suo autore occupava un posto speciale nella comunità dei disce­ poli di Gesù. All'Ultima cena è lui, e non Pietro, a posare la testa sul petto di Gesù, e Pietro è costretto a rivolgersi a Gesù non di­ rettamente, ma attraverso di lui (Gv 1 3 ,23-26). Nella scena con­ clusiva del Vangelo Pietro segue Gesù, e l'altro discepolo segue entrambi. Ma a Pietro Gesù predice una morte violenta, mentre su Giovanni dice delle parole enigmatiche: «Se voglio che egli ri­ manga finché io venga, a te che importa?» (Gv 2 1 , 1 8-22). Nell' episodio in esame i due discepoli - dapprima Giovanni, poi Pietro - vedono i te li posati a terra, ma solo di uno si dice: «vide e credette» (Kaì dòEV Kaì È1tiatsuaEV). In questo non bi­ sogna vedere un ' allusione al fatto che Pietro fosse uno dei di­ scepoli che dubitavano della resurrezione di Gesù (Mt 28, 1 7). 8 C.K. BARREIT, The Gospel according lo St. John, p. 563. 9 B.B. BLAINE, Peter in the Gospel ofJohn, p. 1 06.

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Più probabilmente, con queste parole Giovanni sottol inea il va­ lore della propria esperienza spirituale: a differenza di Maria Maddalena, che vedendo il sepolcro vuoto pensò che avessero portato via il corpo del Signore, per Giovanni la vista del sepol­ cro vuoto e dei teli posati a terra divenne una testimonianza in­ controvertibile del fatto che Cristo era risorto. Il tema della corrispondenza tra visione e fede ritorna nell'epi­ sodio di Tommaso, che dubita della resurrezione di Cristo . A lui Gesù dirà: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto ! » (Gv 20,29). Perché Giovanni mette l'accento sui teti e sul sudario avvol­ to in un luogo a parte? Innanzitutto perché proprio i tel i e il su­ dario sono per lui la testimonianza della resurrezione di Cristo. È evidente il nesso tra l ' episodio in esame e la resurrezione di Lazzaro. Là il morto era uscito dal sepolcro, «i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario»; per liberarlo dalle bende era stato necessario un aiuto esterno (Gv 1 1 ,44). Qui le bende e il sudario restano a terra nel sepolcro come elementi del rito della sepoltura ormai divenuti inutili: Gesù risorto se ne è l iberato da solo, senza l 'aiuto di nessuno. Oltre al motivo indicato, la menzione dei te li e del sudario può averne un altro : Giovanni potrebbe aver ritenuto necessario par­ lame perché sia gli uni che l 'altro venivano custoditi gelosamen­ te dalla comunità cristiana delle origini . Qui ritornano alla men­ te le storie dell 'Icona acheropita e della Sindone di Torino. Seb­ bene l 'evangelista non dica nulla della 'raffigurazione del volto di Cristo e del suo corpo sui te li, la menzione stessa di questi og­ getti poteva essere un segnale sufficiente per il lettore che cono­ sceva il loro aspetto . In questo caso, le parole «vide e credette» acquistano un ' ulteriore sfumatura: l'evangelista non vide sem­ plicemente i teli e il sudario, ma la raffigurazione di Gesù mor­ to su di essi, e fu proprio questa raffigurazione a convincerlo che Gesù era risorto. A quale testo della Scrittura fa riferimento l ' evangelista in questo passo? In tutti gli altri casi, quando G iovanni menziona la «Scrittura», rimanda a un testo concreto dell'Antico Testa473

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mento (Gv 2, 1 7-22; 7,38, 42; 1 0,34-3 5 ; 1 3, 1 8; 1 7, 1 2; 1 9,24 .28.363 7), sebbene non sempre gli studiosi siano concordi su quale sia. In questo caso la parola « Scrittura» può avere un senso lato, in­ dicando l ' intero corpus dei testi veterotestamentari �he nella tra­ dizione cristiana delle origini venivano considerati come profe­ zie della passione, morte e resurrezione del Messia. Fra tali testi c' erano indubbiamente i già citati salmo 22 e capitolo 53 del li­ bro del profeta I saia. Si possono citare anche altri testP0, in particolare quelli men­ zionati negli Atti degli apostoli : Sal I 6,8- 1 1 (At 2,25-28; 1 3 ,3 5); Sal 1 1 0, 1 (At 2,34-3 5); Sal 2,7 (At 1 3 ,3 3). Questi testi nel loro insieme venivano recepiti dalla Chiesa antica come una profezia delJa resurrezione. Non a caso l' autore degli Atti, al termine del suo Vangelo, così dice di Gesù: «Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno"» (Le 24,45-46). Tutti e quattro i Vangeli contengono dei rimandi alle Scrittu­ re e ravvisano negli avvenimenti della vita di Gesù l'adempiersi di alcune profezie dell ' Antico Testamento. Anche l 'evento cen­ trale della storia evangelica, la resurrezione di Cristo, era stato predetto nell 'Antico Testamento: di questo era profondamente convinta la Chiesa cristiana delle origini, che fondava la sua con­ vinzione sulle parole dello stesso Risorto . L'uso della parola od («deve») in Giovanni ricorda altri casi, in cui la stessa parola viene usata dagli evangelisti per indicare profezie che devono adempiersi nella vita del Figlio di Dio in­ carnato: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve veni­ re Elia?» (Mt 1 7, 1 0; Mc 9, 1 1 ); « . . . come sta scritto del Figlio dell' uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato» (Mc 9, 1 2); «Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che sta­ va per compiersi a Gerusalemme» (Le 9,3 0-3 1 ); «Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa ge­ nerazione» (Le 1 7,25 ). 1°

Cfr. : C. S. KEENER, The Gospel ofJohn, vol. 2, p. 1 1 84.

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Il quadro dipinto da Giovanni testimonia l'esitazione dei due discepoli tra incredulità e fede. Da un lato, di sé Giovanni di­ ce che aveva visto e creduto . Dall'altro, le parole «infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva ri­ sorgere dai morti» si riferiscono a entrambi i di scepoli. La cor­ sa comune di Pietro e Giovanni al sepolcro vuoto è il simbolo del loro passaggio dall ' incredulità alla fede. L'evangelista con­ ferisce lo stesso significato simbolico alla vicenda di Tomma­ so (Gv 20,24-29).

3 . I l «finale lunga>> del Vangelo di Marco

Prima di esaminare le testimonianze degli evangelisti sulle ap­ parizioni di Gesù risorto dobbiamo fare un excursus sulla proble­ matica legata al cosiddetto «finale lungo» del Vangelo di Marco. Questo finale (Mc 1 6,9-20) costituisce uno dei punti messi in di­ scussione dalla testologia neotestamentaria. In una serie di auto­ revoli antichi codici, tra cui il Sinaitico e il Vaticano, esso manca; in quelli che lo riportano, talvolta è contrassegnato da segni spe­ ciali che indicano, secondo gli studiosi, che i copisti lo ritenevano un'aggiunta al testo originario del Vangelo di Marco, che si con­ cluderebbe con il versetto: «Esse uscirono e fuggirono via dal se­ polcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 1 6,8). Il consenso scientifico su questa questione è così assodato che molti commen­ tatori contemporanei concludono le proprie esegesi del Vangelo di Marco a questo versetto, e al «finale lungo» dedicano sempli­ cemente un breve excursus 1 1 oppure una nota1 2• La mancanza del «finale lungo» nei codici S inaitico e Vatica­ no è ritenuta da molti studiosi un motivo sufficiente per decre-

11 Cfr. in particolare: J. MARcus, Mark 8-1 6, pp. l 088- 1 096; W. L. LANE, The Gospel ofMark, pp. 601 -605; R.T. FRANCE, The Gospel ofMark, pp. 685-688; E . ScHWEITZER, The Good News according to Mark, pp. 3 73-378. 12 C.C. BLACK, Mark, p. 16 {nota 1 3).

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tare che esso sia un 'aggiunta posteriore 1 3 • Tuttavia, entrambi i codici sono datati al IV secolo. Abbiamo dei dati su codici di epoca precedente? Sì. Basandosi sull'esame di questi dati lo stu­ dioso americano William R. Farmer giunge alla seguente con­ clusione : non v'è dubbio che nel II secolo avessero ampia circo­ lazione codici del Vangelo di Marco che riportavano il «finale lungo» ; quanto a codici che si concludono con le parole «perché erano impaurite», non abbiamo notizie della loro presenza nel II secolo14• Tutti i codici a noi noti in cui il «finale lungo» v iene omesso, sono datati al IV secolo e seguenti. Oltre alla tradizione testuale, a favore dell' appartenenza del «finale lungo» al testo originario del Vangelo di Marco parlano numerose testimonianze esterne. Nel II secolo questo finale era, evidentemente, noto a Giustino il Filosofo: parlando della «pa­ rola forte che i suoi apostoli, uscendo da Gerusalemme, procla­ marono dovunque», Giustino si rifà implicitamente a Mc 1 6,20 («Al lora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Si­ gnore agiva insieme con loro . . . »)l5• Troviamo un rimando espli­ cito al «finale lungo» in lreneo di Lione, il quale, confrontando l' inizio e il finale del Vangelo di Marco, scrive: Perciò anche Marco, interprete e compagno di Pietro, presenta cosl l' inizio della redazione scritta del Vangelo: «Inizio del Vange­ lo di Gesù Cristo, Figlio di Dio, come sta scritto nei profeti: Ecco mando il mio messaggero davanti a te, il quale ti preparerà la via. Voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, rad­ drizzate i sentieri davanti al nostro Dio» (Mc l , 1 -2), dicendo chia­ ramente che le voci dei santi profeti sono l' inizio del Vangelo e mo­ strando in precedenza che Colui che essi hanno riconosciuto come Signore e Dio è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo . . . I profeti non annunciavano ora un Dio e ora un altro, ma un solo e medesi­ mo Dio, sia pur con diverse designazioni e molti appellativi. . . Alla fine del Vangelo, Marco dice: «E in verità il Signore Gesù, dopo che

13 Cfr., ad es. : W. MARXSEN, Mark the Evangelist, p. 8 1 . 1 4 W. R. FARMER, The Last Twelve Verses of Mark, p . 74. 15 GrusriNo IL FILOSOFO, Apologia prima l, 45 (PG 6, 397); tr. it, p. 27 1 .

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ebbe parlato loro, fu assunto nei cieli e siede alla destra di Dim) (Mc 1 6, 1 9), confermando ciò che è stato detto dal profeta: « D isse il Si­ gnore al mio S ignore : Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedb) (Sal 1 09, 1 ). Cosi c'è un solo e medesimo Dio Padre, che è stato annunziato dai profeti ed è stato trasmesso dal Vangelo: il Dio che noi cristiani onoriamo ed amiamo con tutto il cuore, il Creatore del cielo e della terra e di tutte le cose che sono in essP6•

È evidente che Ireneo di Lione, vissuto nel II secolo, che ave­ va avuto modo di conoscere personalmente i discepoli degli apo­ stoli, non avesse alcun dubbio sull' autenticità del «finale lungo» del Vangelo di Marco. Nella tradizione patristica successiva (in particolare in Afraate, Eusebio di Cesarea, Giovanni Crisosto­ mo, Epifanio di Salamina, Ambrogio e Agostino), il «finale lun­ go» viene citato accanto agli altri testi del Vangelo di Marco17• A Gregorio di N issa sono note entrambe le varianti di finale. Nel­ la sua seconda omelia pasquale egli osserva: «Nelle varianti più esatte il Vangelo di Marco si conclude con le parole "perché era­ no impaurite". ln alcune poi viene aggiunto anche quanto segue : "Risorto al mattino, il primo giorno dopo i l sabato, Gesù appar­ ve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni">> . E in seguito commenta il «finale lungo» di Marco, confrontandolo con le testimon ianze di Matteo e di Luca18• Le antiche traduzioni e concordanze del testo evangelico te­ stimoniano a favore dell'autenticità del «finale lungo» di Mar­ co. Taziano (Il sec.) lo include nella sua silloge evangelica, il Diatessaron. Compare nella traduzione antica latina datata al 16 I RENEO DI LIONE, Contro le eresie 3, I O, 6 (SC 2 1 1 , 1 34- 1 3 8) ; tr. it. pp. 23 7-238. 17 W.R. FARMER, The Last Twe/ve Verses of Mark, pp. 33-35. Bisogna osservare che Eusebio di Cesarea, il quale conosceva il «finale lungo)) del Vangelo di Marco, parla del­ la sua assenza « in quasi tutti)) i codici (EusEBIO DI CESAREA, Questioni evangeliche a Marino; PG 22, 937). D'altro canto, il fatto stesso che Marino, interlocutore di Eusebio, ponesse il problema della corrispondenza tra Mc 1 6,9 ed Mt 28, l testimonia l' autorevo­ lezza del finale lungo almeno per alcune comunità ecclesiali di questo periodo. 18 GREGORIO 01 N ISSA, Omelia 2, sulla Resurrezione del Signore nostro Gesù Cristo (PG 44, 644-645).

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II-III secolo, nelle traduzioni del III secolo copta e siriaca (Peshit­ ta). Alla fine del IV secolo san Girolamo lo include nella sua tra­ duzione latina del Vangelo (Vulgata)19• Il «finale lungo» di Marco appartiene al novero degli undici passi evangelici che si leggono durante il mattutino della dome­ nica (e l 'ordine di queste letture si formò molto presto). Lo in­ seriscono tutti i lezionari bizantini e latini. Da tutti i dati a nostra disposizione il massimo specialista di testologia del Nuovo Testamento Bruce Metzger trae questa am­ bigua conclusione: «Sebbene le prove esterne e interne depon­ gano decisamente contro l'autenticità degl i ultimi dodici verset­ ti in quanto scritti dalla medesima penna del resto del vangelo, il passo va accettato come parte del testo canonico di Marco» 20• Possiamo essere d'accordo solo con l'ultima parte di questa af­ fermazione. Per quanto concerne l ' appartenenza di questo passo a un altro autore, si tratta solo di un' ipotesi di lavoro, discutibi­ le al pari di molte altre ipotesi di specialisti contemporanei nel campo del Nuovo Testamento. Chiediamoci: poteva un testo della lunghezza e del calibro del Vangelo di Marco concludersi con la parola yétp («perché»)? E invece proprio su questa parola, secondo l ' ipotesi degli avver­ satori del «finale lungo�> di Marco, si chiudeva i l suo Vangelo: ècpo�oùvro yap («perché erano impaurite»). È possibile che al racconto dell'apparizione del giovane, il quale annuncia alle don­ ne che Cristo risorto precede i discepoli in Gali lea, non seguisse il racconto de11 ' incontro stesso di Cristo con i discepoli? Nel ca­ so in cui non esistesse i l «finale lungo» e il testo si interrompes­ se all' enigmatico «perché», sarebbe evidente che il finale del te­ sto è andato perduto. Invece esso non solo non è andato perdu­ to, ma ne viene testimoniata l 'esistenza da numerosi codici, tra­ duzioni, rimandi nella letteratura patristica, e dalla secolare tra­ dizione liturgica. 1 " L'assenza del «finale lungo» nelle traduzioni armena e georgiana del Vangelo non può costituire un argomento contro la sua autenticità, perché queste traduzioni furono eseguite nel V secolo. 2° Cfr. : B. M. METZGER, Il canone del Nuovo Testamento, p. 234.

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Che cosa induce gli studiosi a ignorare questi dati e a ritene­ re il passo in questione un'aggiunta successiva al Vangelo, op­ pure a negare la sua appartenenza a Marco? Innanzitutto, il de­ siderio di provare che tutti i racconti delle apparizioni di Cristo alle donne e ai discepoli sono un 'aggiunta posteriore al nucleo iniziale del testo evangelico, che non avrebbe contenuto tali rac­ conti . Secondo gli studiosi, inizialmente la tradizione avrebbe compreso solo il racconto della passione, poi sarebbe stata in­ ventata la storia del sepolcro vuoto, arricchitasi a sua volta di miti e leggende sulle diverse apparizioni del Risorto21 • Un'altra variante della stessa ipotesi, meno radicale, vuole che inizialmente nel Vangelo di Marco questo finale non esistesse, ma in seguito (non prima del II secolo) sarebbe stato composto sulla base di episodi dei capitoli conc1usivi degli altri tre VangelF2• Al­ cuni studiosi affennano che inizialmente il Vangelo di Marco avreb­ be avuto un altro finale, che però andò perduto, e al suo posto ne venne scritto uno nuovo23 • Come alternativa al «finale lungo» tal­ volta viene preso in considerazione il cosjddetto «finale breve», inserito in alcuni codici abbastanza tardivi tra Mc 1 6,8 e il «fmale lungo»24• Secondo un'altra ipotesi ancora, Marco morì senza riu­ scire a terminare il suo Vangelo, che fu concluso da altrF5• 21 Per un 'esemplificazione di questo metodo, cfr. : R. BULTMANN, The History ofthe Synoptic Tradition, pp. 284-29 1 . 22 Cfr. , ad es. : M. HENGEL, Studies in the Gospel of Mark, pp. 1 67 - 1 69; R .T. fRAN­ CE, The Gospel ofMark, pp. 686-688. Burnett H. Streeter riteneva che gli ultimi dodici versetti di Marco fossero stati composti da un redattore successivo allo scòpo di concor­ dare le testimonianze contradditorie degli altri Vangeli sulla resurrezione di Gesù (B.H. STREETER, The Four Gospels, p. 359). 23 R.H. GuNDRY, Mark, pp. 1 009- 1 0 1 2 ; C.A. EVANS, Mark 8:27-1 6:20, p. 539. Per una panoramica delle posizioni, cfr. : J. MARcus, Mark 8- 1 6, pp. l 09 1 - 1 096. 24 Il testo di questo «finale breve» suona cosi: «Esse annunziarono brevemente ai compagni di Pietro quanto era stato loro detto. Dopo ciò lo stesso Gesù mandò avanti per mezzo di loro dall'oriente fino all 'occidente il messaggio sacro e incorruttibile del­ la salvezza eterna» (Novum Testamentum Graece, p. 1 3 7). Riguardo a questo versetto siamo propensi a condividere la posizione di Metzger, che rispecchia il consenso rag­ giunto in proposito dal consorzio scientifico: « . . . il linguaggio piuttosto magniloquente della chiusa dell'aggiunta (cosi diverso dal lessico e dallo stile piano di Marco) dà l' im­ pressione di un'origine apocrifa, posteriore all 'età apostolica» (B. METZGER, Il canone del Nuovo Testamento, p. 234). 25 M. CASEY, Jesus ofNazareth, p. 462.

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Nessuna di queste ipotesi ci sembra convincente, perché con­ tengono tutte delle forzature. Anche le indicazioni di differenze stili stiche che esisterebbero tra il « finale lungo» e il resto del Vangelo di Marco, a cui fanno riferimento alcuni studiosi, sono troppo soggettive perché si possano formulare sulla loro base delle solide conclusioni26• L'unica posizione che siamo disposti a condividere è quella espressa da uno dei commentatori contemporanei del Vangelo di Marco: le apparizioni di Cristo risorto sono così evidentemente parte integrante del l'annuncio cristiano fin dalle origini, che è impossibile pensare che Marco terminasse il suo Vangelo senza farvi alcun cenno. Un libro con un incipit tanto solenne (Mc l , l : «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio»), non poteva concludersi solo indicando il timore e tremore che invase le don­ ne alla vista del sepolcro vuoto. Se il Vangelo di Marco si con­ cludesse appunto così, andrebbe in senso opposto a tutta la tra­ dizione cristiana delle origini, compresi gli altri tre Vangeli, gli Atti degli apostoli e le lettere di Paolo27• La domanda non è, dunque, sui motivi per cui il «finale lun­ go» venne aggiunto �l Vangelo di Marco, ma, piuttosto, sui mo­ tivi per cui venne omesso in alcuni codici del IV secolo e suc­ cessivi. Sono state avanzate le ipotesi più disparate. È noto, ad esempio, che molti antichi manoscritti (sia rotoli che codici) pre­ sentano seri danni all ' inizio e alla fine del testo. Potrebbe essere accaduto che uno dei rotoli, sulla cui base venivano realizzate nuove copie, avesse subito dei danni all'estremità e il finale fos­ se andato perduto28, oppure, nel caso di un codice, che si fosse staccata l 'ultima pagina. Questo finale si è tuttavia conservato in altri manoscritti, come pure nella tradizione liturgica del la Chiesa e nelle opere letterarie del cristianesimo delle origini. 26 Una dettagliata analisi degli ultimi dodici versetti del Vangelo di Marco (W.R. FAR­ MER, The Last Twelve Verses ofMark, pp. 83-1 03) mostra che una sua considerevole par­ te coincide con il vocabolario degli altri capitoli di questo Vangt.'-lo. 17 R.H. STEIN, Mark, p. 735 . 28 Ctr. : N . T. WRIGHT, The Resurrection ofthe Son ofGod, p. 6 1 9.

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lO. LA RESURREZIONE

Il racconto di Marco sulle tre apparizioni del Risorto costitui­ sce una narrazione unitaria, tenuta insieme dalla triplice indica­ zione dell'incredulità dei discepoli. Inizialmente essi non cre­ dettero alle donne (Mc 1 6, 1 1 ); poi non credettero ai due disce­ poli che avevano incontrato Gesù mentre erano in cammino ver­ so la campagna (Mc 1 6, 1 3); infine, lo stesso Gesù, apparso loro, li rimprovera di non aver creduto ai testimoni della sua resurre­ zione, e poi parla della forza della fede (Mc 1 6, 1 4- 1 8). «Eviden­ temente, i discepoli rimasero allo stesso livello a cui erano pri­ ma della resurrezione, cioè sordi alle parole di Gesù, chiusi alla comprensione della sua persona e della verità soprannaturale che in Lui si rivelava», osserva un commentatore ortodosso contem­ poraneo29. Il tema dell'incredulità dei discepoli appare anche negli altri Vangeli: Matteo riferisce che alcuni dei discepoli si prostrarono davanti a Gesù, mentre gli altri dubitavano (Mt 28, 1 7); Luca nar­ ra di due discepoli che non riconobbero Gesù e che Egli rimpro­ verò per la loro incredulità (Le 24,25); Giovanni parla dell' in­ credulità di Tommaso (Gv 20,24-29). L' incredulità e il dubbio accompagnarono i discepoli (perlomeno alcuni) lungo tutto il periodo che va dalla Pasqua all'Ascensione, e solo l'avvenimen­ to del la Pentecoste, allorché su di essi discese lo Spirito Santo (At 2, 1 - 1 3 ), li confermò definitivamente nella fede nella resur­ rezione di Cristo.

4. La prima apparizione di Gesù risorto

Volgiamoci ora alle testimonianze della prima apparizione di Gesù risorto. La più breve appartiene a Marco : Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annu nciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in 29 D. TRAKATELLIS, Authority and Passion, p. 1 8 1 .

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lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero (Mc 1 6,9- 1 1 ) .

Osserviamo che questo è l ' unico testo evangelico in cui si di­ ce che Gesù aveva scacciato da Maria Maddalena sette demoni. Questo accenno è una prova indiretta contro l ' ipotesi che il «fi­ nale lungo» di Marco sia interamente scritto sulla base degli al­ tri tre Vangeli. È evidente che dietro questo accenno c'è una tra­ dizione a sé stante, di cui era esponente solo l 'autore del secon­ do Vangelo. Nel racconto di Matteo i personaggi sono Maria Maddalena e l'«altra Maria» che si erano recate al sepolcro, l ' avevano tro­ vato vuoto, avevano udito l ' annuncio della resurrezione dall'an­ gelo e ora, «con timore e gioia grande», stanno correndo ad an­ nunciare ai discepoli ciò che hanno visto e udito: Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi ! » . Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allo­ ra Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fra­ telli che vadano in Galilea: là mi vedranno» (Mt 28,9- 1 0).

La parola «salute» (xaipe'te; in slavo e in russo tradotta come «rallegratevi», ndt) è il comune saluto orientale, ma nel conte­ sto della prima apparizione di Gesù risorto ha un significato mol­ to particolare. Vuole che le donne impaurite sperimentino lo sta­ to d'animo che Gesù aveva promesso ai discepoli prima dell 'ar­ resto, paragonando l ' afflizione che li attendeva a quella di una donna che partorisce: «La donna, quando partorisce, è nel dolo­ re, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 1 6,2 1 -22). Ai piedi della cro­ ce del Maestro crocifisso le donne avevano provato i dolori del parto, ma ora la sua resurrezione rivela loro una gioia nuova, pri­ ma sconosciuta, che nessuno avrebbe potuto loro togliere. 482

I O . LA R E SURREZI ONE

Con la maggior dovizia di particolari l' apparizione di Cristo a Maria Maddalena è descritta da Giovanni : Maria invece stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bian­ che vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l' altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» . Rispose loro: «Hanno portato via il m io Signore e non so dove l'hanno posto» . Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, per­ ché piangi? Chi cerchi?» . Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlm> . Gesù le disse : «Mariab> . Ella si vol­ tò e gli disse in ebraico: «Rabbunl! >> - che significa: « Maestro b> . Gesù l e disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: "Salgo al Padre mio e Pa­ dre vostro, Dio mio e Dio vostro">> . Maria di Magdala andò ad an­ nunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore ! » e ciò che le aveva det­ to (Gv 20, 1 1 - 1 8).

Ricordiamo che in tutti e tre i Vangeli sinottici le donne ven­ gono a sapere della resurrezione di Cristo da uno o due angeli . I l racconto di Giovanni si differenzia dai sinottici perché la pri­ ma volta che si reca al sepolcro Maria Maddalena non vede nient' altro che la pietra rimossa. Lo riferisce a Pietro e all'altro discepolo; essi corrono al sepolcro, vedono i te li funerari e ritor­ nano a casa. Solo dopo tutto ciò Maria, nuovamente al sepolcro, vede gli angeli e non ode da loro l' annuncio della resurrezione, bensì la domanda: «Donna, perché piangi?» . La sua risposta al­ l ' angelo coincide quasi alla lettera con ciò che aveva detto a Pie­ tro : «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l 'hanno posto ! » (Gv 20,2). Il dialogo tra Maria e il Maestro risorto ricorda molti altri dia­ loghi del Vangelo di Giovanni, in cui gli interlocutori dimostra­ no un modo di pensare totalmente concentrato su oggetti e feno­ meni della vita terrena. Fra questi dialoghi vi sono la conversa­ zione di Gesù con Nicodemo (Gv 3 , 1 - 1 2) e con la samaritana 483

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(Gv 4,5-26). Non c'è alcun motivo di vedere in questi dialoghi solo il desiderio dell ' evangelista di mostrare la differenza tra il l ivello spirituale degli interlocutori di Gesù e il suo. Essi rispec­ chiano piuttosto la verità che in molteplici modi si svela nelle pagine di ciascuno dei Vangeli: in Gesù gli uomini e le donne di questo mondo incontrano qualcuno, le cui parole e azioni tra­ scendono il loro intendere; ciò che avviene in Lui e intorno a Lui non si lascia ridurre all'ambito della normalità. La resurrezione di Cristo è il culmine della storia evangel ica. E sebbene la prima apparizione del Risorto sia preceduta dall'an­ nuncio degli angeli, proprio questa prima apparizione diviene il momento di svolta, in cui il dolore più tremendo s i trasforma nella più grande gioia. E in questo momento al centro della nar­ razione non c'è Pietro, a cui era stata prestata tanta attenzione in tutti e quattro i Vangeli, né qualcun altro degl i apostoli, ma una donna che in precedenza non aveva svolto nessun ruolo es­ senziale nella storia evangelica. Essa per prima ha visto il se­ polcro vuoto e ora per prima vede Colui che è risorto dal sepol­ cro. Gli antichi commentatori vedevano nei racconti degli evan­ gelisti sulle donne che per prime avevano incontrato Gesù risor­ to un 'allusione al fatto che grazie a Cristo erano radicalmente mutate le relazioni tra i sessi. Come dice Ilario di Poitiers, «il fatto che sono delle semplici donne a vederlo per prime, a salu­ tarlo, a prostrarsi alle sue ginocchia, ad essere invitate a portare la notizia agli apostoli, indica il rovesciamento in senso contra­ rio della responsabilità originale . Nel senso che, come la morte era scaturita dal loro sesso, così questo riceveva per primo la gloria, la visione, il frutto e l ' annuncio del la risurrezione»30• Qui vediamo un 'allusione al peccato dei progenitori, commesso at­ traverso Eva (Gen 3 ,4-6). «Così grazie a queste donne si mutò la maledizione della donna Eva», dice san Girolamo3 1 • S i può inoltre osservare che i l ruolo delle donne nei racconti 30 ILARIO DI 31

PomERS, Commentario a Matteo 33, 9 (SC 258, 260); tr. it. pp. 304-305. GIROLAMO, Commento a l Vànge/o d i Matteo 4, 28 (CCSL 77, 28 1 ) ; tr. it. p. 3 06.

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sulle apparizioni di Gesù risorto anticipa il ruolo che esse avreb­ bero avuto nel la Chiesa cristiana, dove, come dice san Paolo, «non c'è maschio e femmina», perché tutti - uomini e donne ­ costituiscono un unico corpo in Cristo (Gal 3 ,28). Infine, possiamo ricordare un' altra affermazione di Paolo: «Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confon­ dere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scel­ to per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nul­ la le cose che sono» ( I Cor 1 ,27-28). La posizione sociale delle donne nella società giudaica dei tempi di Gesù non consentiva loro di avere alcun ruolo di rilievo nella sua cerchia. Ma la re­ surrezione di Cristo rivoluziona l ' ordine stabilito anche in que­ sto, facendo uscire le donne dall' ombra in cui erano rimaste per secoli. «Non vi sia testimonianza di donne, per la leggereZza e teme­ rarietà della loro natura» : il cronachista del popolo ebraico Giu­ seppe Flavio pone queste parole sulle labbra di Mosè32• Esse ri­ specchiano un'opinione diffusa negli ambienti giudaici, secon­ do cui le testimonianze femminili non erano credibili. Invece, sono proprio le donne a portare ai discepoli di Gesù la notizia della sua resurrezione. Il fatto che in tutti e quattro i Vangeli la testimonianza del le donne non solo venga presa in considerazio­ ne, ma in un certo senso svolga un ruolo cruciale, indica una vol­ ta di più il deciso mutamento di un paradigma culturale tradizio­ nale per il giudaismo nel cristianesimo. D ' ora in poi la donna sarà un testimone non meno credibile dell' uomo. Se si considera il comportamento delle donne e degli uomini, come ce lo mostrano gli ultimi capitoli della storia evangelica, sotto i l profi1o morale la superiorità delle donne è evidente. Quando Gesù fu arrestato tutti i discepoli maschi lo abbandona­ rono e fuggirono. Uno dei discepoli fu quello che lo tradì, un al­ tro lo rinnegò pubblicamente. Sotto la croce di Gesù vediamo solo uno dei dodici discepoli, al la sua sepoltura non c'è nessuno 32

GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 4, 8, 1 5 ; tr. it. vol . 485

l, p.

258.

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di loro. Invece le donne continuano a seguire Gesù, restano pres­ so la croce, sono presenti alla sua sepoltura e per prime, prece­ dendo gli uomini, si recano al sepolcro la domenica mattina. È quindi naturale che siano le prime a sapere della sua resurrezio­ ne: Egli appare loro, rivolge loro l ' invito a rallegrarsi, mentre la prima cosa che udranno da Lui gli undici discepoli sarà un rim­ provero per la loro incredulità (Mc 1 6, 1 4 ). Maria inizialmente scambia Gesù per un giardiniere (lcrJ1toup6ç). Alcuni commentatori lo spiegano dicendo che Gesù sarebbe ap­ parso nudo (o più esattamente, con la sola fascia sui lombi), per­ ché aveva lasciato i tel i funerarli nel sepolcro33 • Quest' ipotes i è tuttavia infondata. Nessuno dei Vangeli dice com ' era vestito Ge­ sù risorto quando apparve alla Maddalena e poi ai discepoli. Se non altro, quando i due discepoli lo incontrarono sulla via di Em­ maus (Le 24, 1 5- 1 6), difficilmente avrebbe potuto accompagnar­ si a loro solo con una fascia sui lombi. Inizialmente Gesù si rivolge a Maria nello stesso modo in cui si era rivolto a sua madre dalla croce: y6vat («donna»). E ripete la domanda che essa aveva appena sentito dagli angeli: «Donna, per­ ché piangi?» . L'aggiunta «Chi cerchi?» ha dei paralleli nelle pa­ role dell'angelo (angeli) nei Vangeli sinottici: «Cercate Gesù, il crocifisso» (Mt 28,5); «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso» (Mc 1 6,6); «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Le 24,5). I commentatori osservano che, secondo il Vangelo di Giovan­ ni, Maria si volse due volte verso Gesù: dapprima «si voltò in­ dietro (ecrtpa> discepoli (Le l O, l ), e la tradizione del­ la Chiesa inserisce lo stesso Luca in questo gruppo. Vi sono suf­ ficienti motivi per ritenere che i due discepoli di cui si parla in L e 24, 1 3 -3 5 appartenessero ai settanta, dato che non rientrava­ no nel gruppo degli undici. Nel suo Vangelo Luca non pretende il ruolo di testimone ocu­ lare: nel prologo dice apertamente che si basa sulla testimonian­ za di coloro che «furono testimoni oculari fin da principio e di­ vennero ministri della Parola», e tra i quali non si annovera (Le l ,2)5 1 • Eppure, avrebbe potuto essere lui stesso testimone ocula-

secondo Luca, quando Simone e Cleofa parlavano fra loro di tutto ciò che era accaduto loro, Gesù, pastosi accanto, camminò con loro»; «Nel Vangelo secondo Luca è stato scritto che, dopo la resurrezione, Gesù, preso il pane, pronunciò la benedizione, lo spez­ zò e lo distribul a Simone e Cleofa» . 49 Ottoeco. Stichirà della 5" lettura evangelica domenicale. Gli stichirà dei Vangeli domenical i sono attribuiti all 'imperatore bizantino Leone VI il Saggio (866-9 12). 50 Ottoeco. Exapostilarion della 5• lettura evangelica domenicale. Gli exapostilaria dei Vangeli domenicali sono attribuiti all ' imperatore bizantino Costantino Porfirogenito (905-959). 5 1 ILARIO N (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol . I : L 'inizio del Vangelo, pp. 1 5 1 - 1 65 .

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re di parte degli avvenimenti entrati a far parte della sua narra­ zione, e tra essi vi potrebbe essere la scena in esame. La ricchez­ za di particolari con cui la descrive, e il posto che occupa nel ca­ pitolo finale del suo Vangelo sono un solido argomento a favore del fatto che in questo caso abbiamo una testimonianza di prima mano. Nella bibliografia scientifica Emmaus viene identificata con Ammaus, menzionata da Giuseppe Flavio52 • Nel III secolo vi visse il noto scrittore cristiano Giulio Africano. In epoca bizan­ tina la città prese il nome di Nicopoli. Eusebio di Cesarea, sto­ rico della Chiesa del IV secolo, elencando i luoghi legati alla storia evangelica, cita «Emmaus, da cui veniva Cleopa, ricorda­ to nel Vangelo di Luca>> ; e aggiunge: «oggi è N icopoli, famosa città della Palestina» 53 • Emmaus-Nicopoli si trova a circa trenta chilometri a nord di Gerusalemme. Sono più degli undici chilometri menzionati da Luca. Tuttavia alcuni manoscritti, tra cui il Codice Sinaitico del IV secolo, parlano di una distanza corrispondente a quella tra Gerusalemme ed Emmaus-Nicopoli54• Non sappiamo a che scopo i due discepoli si recassero a Em­ maus. Inizialmente non sappiamo neppure di che cosa discorres­ sero. Il tema della conversazione si chiarisce dalla loro risposta al viandante che gli affianca a loro e che essi scambiano per uno dei pellegrini recati si a Gerusalemme per la Pasqua. Come mai non riconobbero Gesù? L'evangelista lo spiega dicendo che « i loro occhi erano impediti» . Tuttavia, è molto verosimile la spie­ gazione offerta da Teofilatto di Bulgaria, che l 'aspetto esteriore di Gesù dopo la resurrezione era mutato, e il suo corpo aveva acquisito caratteristiche particolari, soprannatural i. Dal Vangelo di Giovanni abbiamo appreso che Maria Mad­ dalena aveva scambiato Gesù per un giardiniere. Ora vediamo che i due discepoli non lo riconoscono. Un parallelismo tra le 52 53

GTIJSEPPE FLAVIO, Guerra giudaica 4, 8, l . EusEBIO DI CESAREA, Onomastikon (GCS I l , 90, 1 5- 1 7). 54 Novum Testamentum Graece, p. 226.

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due storie si ravvisa anche nel fatto che Gesù com incia il dialo­ go con una domanda. Là aveva chiesto a Maria: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20, 1 5 ). Qui chiede ai discepoli: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cam. ? mmo . ». l discepoli cominciano a raccontare a Gesù di Gesù, ed Egli ha la possibilità di sapere che cosa pensano di Lui. Non lo repu­ tano il Messia ma un «profeta potente in opere e in parole, da­ vanti a Dio e a tutto i l popolo» . Inoltre, esprimono un ' irreprimi­ bile delusione per le attese messianiche nei suoi confronti, che sembrano essere naufragate : «Noi speravamo ('JÌÀ1rlçoJ.1ZV) che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» . D' altro canto, è già giunta loro la notizia della tomba vuota vista dalle donne. Questo li stupisce, ma niente di più: sono ancora ben lontani dal credere che Egli sia potuto resuscitare dai morti. In risposta allo sconnesso racconto dei discepoli giunge il rim­ provero di Gesù: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti ! » . Questo ci ricorda analoghi rimproveri mossi ai discepoli in altri episodi del Vangelo: «Neanche voi sie­ te ancora capaci di comprendere?» (Mt 1 5, 1 6); «Gente di poca fede, perché andate dicendo tra voi . . . Non capite ancora e non ricordate?» (Mt 1 6,8-9); «Così neanche voi siete capaci di com­ prendere? Non capite?» (Mc 7, 1 8); «Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vede­ te, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate?» (Mc 8, 1 7 - 1 8). Dietro tutti questi rimproveri si profila il tema dell' incompren­ sione dei discepoli davanti alle parole e alle azioni del Maestro, l ' incredulità nella sua potenza divina. Incredulità e dubbio tra­ spaiono anche dal le parole dei due viandanti che si stanno recan­ do a Emmaus. Non sappiamo quanto tempo durò il cammino di Gesù e dei due discepoli che non l ' avevano riconosciuto, ma con ogni evi­ denza fu abbastanza lungo. Lo testimoniano le parole: «E, co­ m inciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si rifèriva a lui». Queste parole sintetizzano il contenuto di insegnamenti che dovevano comprendere l ' inter497

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pretazione dei passi messianici dell' Antico Testamento, a parti­ re dal Pentateuco di Mosè fino ai libri dei profeti . La Chiesa delle origini disponeva di un vasto arsenale di ci­ tazioni de li ' Antico Testamento, che venivano lette come profe­ zie dei patimenti, della morte e della resurrezione del Messia. Incontriamo molte di queste citazioni nelle pagine dei Vangeli, negli Atti degli apostoli e nelle lettere di san Paolo (fra esse vi sono il salmo 22 e il capitolo 53 del libro di Isaia). La tradizio­ ne della loro lettura in chiave profetica era stata iniziata dallo stesso Gesù: ancor prima della crocifissione, preannunciando la propria morte, aveva insegnato agli apostoli a pensare che tutto ciò che gli sarebl;>e accaduto sarebbe avvenuto «perché si com­ pisse la Scrittura» (Gv 1 3 , 1 8� 1 5 ,25 ; 1 7, 1 2). Ma se in preceden­ za si era rifatto a singoli passi della Scrittura per indicare singo­ li avvenimenti della sua v ita, ora sulla via di Emmaus Egli offre ai discepoli una sintesi completa delle profezie messianiche del­ l' Antico Testamento. Quando i viandanti si avvicinarono al villaggio, Gesù «fece come se dovesse andare più lontano» . Questo può ricordarci l'e­ pisodio, descritto da Marco, in cui camminò m iracolosamente sulle acque. Là Gesù, vedendo che i discepoli erano incappati nella bufera, «andò verso di loro, camminando sul mare, e vole­ va oltrepassarli» (Mc 6,48). L'evangelista non spiega perché vo­ lesse passare oltre; nei racconti paralleli (Mt 1 4,25 � Gv 6, 1 9) questo particolare manca. Anche qui non troviamo una spiega­ zione del motivo per cui Gesù fece mostra di andare oltre. Pos­ siamo solo supporre che fosse una caratteristica del suo modo di fare, che manifesta in due diversi casi. I discepoli persuadono il viandante a entrare con loro in casa e a condividere la loro mensa. E qui avviene l'inaspettato: inve­ ce di comportarsi come un ospite, assume il ruolo di padrone di casa. Non sono loro a spezzare il pane e a offrirglielo, ma è Lui a benedire il pane e a darlo ai discepoli. Le parole «prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» non possono non ricordare l'Ultima cena, in cui Ge­ sù, secondo Marco, «prese il pane e recitò la benedizione, lo 498

I O . LA RE SURREZI ONE

spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio cor­ po". Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti» (Mc 1 4,22-23 ; cfr. Mt 26,26-27; Le 22, 1 9-20). Alla cena in Emmaus manca il calice, ma lo spezzare del pane è descritto negli stessi termini in tutte le testimonianze dei sinottici sull'Ul­ tima cena. Simili espressioni erano state usate dagl i evangelisti anche per narrare i due casi di miracolose moltiplicazioni di pa­ ni (Mt 1 5 ,36; Mc 6,4 1 ; 8:6; Le 9, 1 6; Gv 6, 1 1 ). Nella Chiesa delle origini entrambi i miracoli della moltipli­ cazione dei pani venivano recepiti come archetipi d eli' eucare­ stia, in buona parte a motivo della terminologia scelta dagli evan­ gelisti per descriverli55• I termini «benedire», «rendere grazie» e « spezzare» ven ivano univocamente intesi come riferimenti all 'eucarestia, e il concetto dello «spezzare il pane» ne era un si­ nonimo (At 2,42 .46; 20,7). San Paolo chiedeva: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse co­ munione con il corpo di Cristo?» ( l Cor l O, 1 6). Anche nel racconto della cena in Emmaus viene usata l 'espres­ sione «spezzare il pane», e non è un caso che molti antichi com­ mentatori vedessero in questo episodio una seconda eucarestia celebrata da Gesù. Sant'Agostino scrive: In effetti a questi loro occhi dovette capitare un qualcosa per cui rimasero in quello stato finché egli non ebbe spezzato il pane. E per­ tanto questo suo mostrarsi in altra figura fu certamente per un mo­ tivo occulto e misterioso: egli non doveva essere riconosciuto da lo­ ro - come risulta dalla narrazione lucana - se non durante la frazio­ ne del pane . . . Se ne conclude che nessuno può presumere di cono­ scere perfettamente Cristo se non fa parte del suo corpo che è la Chiesa, la cui unità è inculcata dall'Apostolo come una derivazione del sacramento del pane quando dice: Uno è il pane, e cosi noi, pur essendo molti siamo una cosa sola ( l C or l O, 1 7). I loro occhi si sa­ rebbero aperti e lo avrebbero riconosciuto dopo che egli porse loro 55 Cfr. : ILARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol . III : I miracoli di Gesù, pp. 3 86, 391 -392.

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il pane benedetto : si sarebbero aperti, dico, alla comprensione di lui e sarebbe stato rimosso quell' impedimento che prima li bloccava sicché non riuscivano a conoscerlo . . . Con ogni verosimiglianza ri­ teniamo che l' ostacolo posto dinanzi agli occhi di quei discepoli per cui essi non riuscivano a riconoscere Gesù derivasse da satana. Cri­ sto lo permise soltanto, e questo finché non si giunse al sacramento del pane, per far comprendere che ogni ostacolo posto dal nemico per impedire il riconoscimento di Cristo lo si rimuove solo quando si partecipa dell 'unità del suo corpo56•

L'episodio narrato da Luca è l'unico caso dei quattro Vangeli in cui Gesù sparisce repentinamente alla vista. Giovanni narra dell' inattesa apparizione di Gesù a porte chiuse (Gv 20,26), ma solo in Luca leggiamo della sua altrettanto inattesa scomparsa. La tradizione della Chiesa spiega la capacità di Gesù risorto di apparire e sparire all' improvviso con le particolari caratteristi­ che acquisite dal suo corpo dopo la resurrezione. Giovanni Cri­ sostomo definisce il corpo di Cristo risorto «tanto sottile e leg­ gero da entrare attraverso le porte chiuse»; questo corpo era «pri­ vo della rozzezza materiale» (1t> . Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le m ie mani ; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente ! » . Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio ! » . Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quell i che non hanno visto e hanno creduto ! » (Gv 20, 1 9-29).

Vediamo che l' inizio della storia in entrambi gli evangel isti praticamente coincide : Gesù appare inaspettatamente e saluta i discepoli con le parole «Pace a voi ! » . In entrambi i Vangeli mo­ stra ai discepoli alcune membra del suo corpo : in Luca le mani e i piedi, in Giovanni le mani e il costato. Questo testimonia la realtà del corpo di Gesù risorto, che conserva i contrassegni del corpo materiale, pur avendo assunto la capacità di passare attra­ verso le porte chiuse (del resto, anche prima di risorgere Gesù era in grado di camminare sulle acque). Tuttavia, le differenze fra i due racconti sono rilevanti. Luca parla di una sola apparizione, Giovanni di due. In Luca sono pre­ senti gli undici discepoli e «gli altri che erano con loro», in Gio­ vanni gJi undici senza Tommaso. In Luca i discepoli scambiano Gesù per un fantasma, in G iovanni non si dice nulla a questo proposito. Nel testo di Luca Gesù mangia del pesce, in quello di Giovanni non si dice nulla di ciò (d' altro canto, in Gv 2 1 ,9- 1 3 vediamo Gesù offrire ai discepoli del pesce e del pane). In Luca Gesù apre le menti dei discepoli alla comprensione de fle Scrit­ ture, in Giovanni questo tema manca. Invece, solo nel testo di Giovanni Gesù invia i discepoli in missione, conferendo loro lo Spirito Santo e il potere di perdonare i peccati: questo tema man­ ca in Luca, e negli altri due sinottici è espresso diversamente e in un diverso contesto (Mt 28, 1 8-20; Mc 1 6, 1 5- 1 8). Infine, tut­ to l 'episodio di Tommaso è riportato solo da Giovanni. Il racconto di Luca sull'apparizione agli undici prosegue un tema che era già stato accennato nel racconto dell' episodio di Emmaus. Là Gesù aveva detto : «Non bisognava (ùd) che il Cri­ sto patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» . E, « cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le 504

l O . LA RE SURREZIONE

Scritture ciò che si riferiva a lui» . Qui Gesù dice: «Bisogna (òd) che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mo­ sè, nei Profeti e nei Salmi»; quindi apre le menti dei discepoli affinché comprendano le Scritture e dimostra che il Cristo deve (ÉÒEt) patire e risorgere dai morti il terzo giorno. In entrambi i casi il compiersi delle profezie sul Messia sofferente e risorto è al centro della narrazione. In Giovanni il fulcro della narrazione è il conferimento dello Spirito Santo agli apostoli . Durante l'Ultima cena, Gesù aveva detto che dopo la sua resurrezione avrebbe mandato ai discepoli un Consolatore (Gv 1 4, 1 6, 26; 1 5,26; 1 6,7). La tradizione della Chiesa ritiene che il compiersi di queste predizioni sia l'avveni­ mento della Pentecoste (At 2,4). Alcuni studiosi contemporanei ritengono possibile equiparare il racconto degli Atti degli aposto­ li suJla Pentecoste e la narrazione di Giovanni su come Gesù sof­ fiasse sui discepoli dicendo loro: «Ricevete lo Spirito Santo». Tut­ tavia, ci sono troppe divergenze perché si possano identificare tra loro questi avvenimenti59• Piuttosto, sommando gli elementi di Giovanni, Luca e degli Atti, potrebbe trattarsi di due fasi del con­ ferimento dello Spirito: durante la prima apparizione ai discepoli, Gesù comunica questo dono (Gv 20,22-23), ma poi gli ordina di restare a Gerusalemme finché non saranno rivestiti di potenza dall'alto (Le 24,49). La Pentecoste diventa l'avvenimento in cui l'azione dello Spirito Santo viene «attivata» nei discepoli attraver­ so la discesa su di essi di lingue di fuoco. I l verbo « soffiò» (èvsq>'Ò> (Le 24,46-49).

Luca non precisa chi sia «colui che il Padre mio ha promes­ so» . Tuttavia, poiché il suo Vangelo è la prima parte della dilo­ gia che proseguirà nel l ibro degli Atti, si può supporre che egl i si astenga deliberatamente da tale precisazione. I discepol i de524

I O . LA RES URREZIONE

vono restare a Gerusalemme fino al momento in cui si compirà la promessa del Maestro ed Egli invierà loro lo Spirito Santo . Questo avvenimento avrà luogo il giorno di Pentecoste, da cui ha inizio il nuovo mandato missionario degli apostoli. Osserviamo il tema del perdono dei peccati, che accomuna i racconti di Giovanni e di Luca. Prestiamo attenzione anche al le parole «com inciando da Gerusalemme» : esse indicano che Gerusalemme per un certo periodo continuerà a restare il cen­ tro da cui la missione degl i apostoli si allargherà per cerch i concentrici. Un tempo Gesù aveva detto ai discepoli: «Non an­ date fra i pagan i e non entrate nelle città dei Samaritani; rivol­ getevi piuttosto alle pecore perdute del la casa d ' I sraele» (Mt l 0,5-6). Ora sono posti davanti a un nuovo compito : predicare in tutto il mondo. Essi però non devono dimenticare la propria patria. Il compito di convertire a Cristo la casa di Israele non viene loro tolto . Il carattere universale della missione che attende gli apostol i è rispecchiato appieno dalle esortazioni che i discepoli ricevono dal Maestro ri sorto nel Vangelo di Matteo : Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi pe­ rò dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spiri­ to Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comanda­ to. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 1 6-20).

Con queste parole il Vangelo di Matteo si conclude, e questa apparizione di Gesù ne costituisce l'episodio finale. Nonostante la solennità di tale episodio, l'evangelista non reputa necessario passare sotto silenzio che non tutti i discepoli si prostrarono da­ vanti al Risorto. Alcuni continuano ad essere in preda al dubbio: è Lui o no? È risorto o no? È un uomo o un fantasma? 525

MORTE E RE S U RREZIONE

discepoli continuano ad essere in cammino dall' incredulità alla fede e continuano a restare più vicini al punto di partenza che non al punto di arrivo. Lo dice apertamente il Vangelo di Marco: l

Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuo­ ve, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariran­ nm> (Mc 1 6, 1 4- 1 8).

Il raffronto tra i due passi mostra che si tratta di due differen­ ti apparizioni . In Matteo l' avvenimento si svolge su un monte della Galilea, in Marco in un locale al chiuso, mentre i discepo­ li sono a mensa. Marco non precisa né il tempo né il luogo de li' e­ vento. Forse si riferiva al caso descritto da Giovanni, in cui Ge­ sù la sera del primo giorno della settimana apparve ai discepoli che si erano riuniti a porte chiuse (Gv 20, 1 9), oppure si tratta di un altro caso . Inoltre, se in Matteo siamo di fronte a un solo epi­ sodio (i discepoli salgono sul monte, Gesù si avvicina loro e li invia ad annunciare), il racconto di Marco può essere suddiviso in due episodi: dapprima Gesù appare agl i undici, e poi - in un'altra occasione - impartisce loro un'esortazione. Solo in Mat­ teo Gesù parla del potere che gli è stato dato in cielo e sulla ter­ ra, e del fatto che resterà con i discepoli fino alla fine del mon­ do. Solo in Marco parla dei segni che accompagneranno quelli che credono, e della condanna che attende chi non avrà creduto. La parola «Vangelo» c'è solo in Marco, e la formula trinitaria «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» solo in Matteo. Come vediamo, ci sono troppe differenze per poter ritenere che il continuatore di Marco che aveva composto il «finale lun526

l O . LA RE SURREZIONE

go» modellasse questa scena sull ' esempio di quella descritta da Matteo. Indubbiamente, il racconto di Marco si basa su una tra­ dizione a sé stante. Tuttavia, tematicamente i due racconti si ri­ chiamano in una serie di punti. In entrambi i casi Gesù appare agli undici. In entrambi gli episodi si parla dei dubbi dei disce­ poli (Matteo ), o della loro incredulità e durezza di cuore (Mar­ co). Sia nell'uno che nell 'altro episodio Gesù sottolinea il carat­ tere universale della m issione che attende i discepoli («tutti i po­ poli» in Matteo, «in tutto il mondo» in Marco). In entrambe le esortazioni si dice che la predicazione degli apostoli deve ac­ compagnarsi al battesimo dei credenti («battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santm> in Matteo; «chi cre­ derà e sarà battezzatO>> in Marco). Il tema del battesimo merita un commento a parte. Il battesi­ mo era una peculiarità caratteristica della predicazione di Gio­ vanni Battista, che si accompagnava all'appello alla conversio· ne (Mt 3, 1 - 1 2; Mc l ,4-8; Le 3, 1 - 1 8). Gesù riprende da Giovan­ ni l'appello alla conversione, ma solo il quarto Vangelo accenna al fatto che la sua predicazione fosse accompagnata dal battesi­ mo, con la precisazione che non era «Gesù in persona a battez­ zare, ma i suoi discepoli» (Gv 4, 1 -2). Questo accenno isolato consente di supporre che solo nella fase iniziale del suo ministe· ro Gesù riprendesse da Giovanni il rito del battesimo; in seguito non sentiamo mai parlare di battesimi di massa o individuali ce­ lebrati da Gesù o dai suoi discepoli92• A cavallo tra il Il e il III secolo Tertulliano dice che, se anche i discepoli di Gesù battezzavano, si trattava del battesimo di pe­ nitenza praticato da Giovanni il Precursore: il vero battesimo po­ teva esserci solo dopo la morte redentiva e la resurrezione di Cri­ sto93 . Proprio nel momento in cui Cristo risorto comandò ai di· scepoli non solo di predicare, ma anche di battezzare, la legge del battesimo entrò in vigore94. 92 Cfr. : ILARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol . I: gelo, pp. 380-3 8 1 , 443-445 . 93 TERTULLIANO, Il battesimo 1 1 (CCSL l , 286). 9 4 lbid. 13 (CCSL l, 289).

527

L 'inizio del

Van­

MORTE E R E S U RREZIONE

Da questo momento il battesimo diventa la porta attraverso cui chi crede entra nella Chiesa. Esso dev'essere celebrato «nel no­ me del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Nei Vangeli non troviamo nessun 'altra frase in cui vengano enumerati insieme il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Nel Vangelo di Giovanni Ge­ sù parla continuamente del Padre suo, ricorda più volte il Conso­ latore (Spirito Santo), ma la formula trinitaria che diventerà d' ob­ bligo in tutte le epoche future per la celebrazione del sacramento del battesimo nelle comunità cristiane esiste solo in Matteo. Gli studiosi fanno notare che negli Atti e nelle lettere di san Paolo si parla del battesimo «nel nome di Gesù Cristo» (At 2,3 8; 8, 1 6; l 0,48; 1 9,5), «invocando il suo nome» (At 22, 1 6), «in Cri­ sto Gesù» (Rm 6,3 ) o semplicemente « in Cristo» (Gal 3 ,27). Da ciò alcuni concludono che nella Chiesa delle origini il battesimo sarebbe stato celebrato nel nome di Gesù e solo in una fase po­ steriore, in seguito ali ' evolversi della dottrina trinitaria, sarebbe apparsa la formula «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spi­ rito Santo». Gli studiosi che condividono questa posizione ritengono che l 'autore di tale formula non sia Gesù Cristo, ma Matteo, che l ' a­ vrebbe desunta dalla prassi liturgica della sua comunità95. Si sup­ pone che il battesimo nel nome del Padre e del F iglio e dello Spi­ rito Santo esistesse nella Chiesa siriaca, a cui apparteneva Mat­ teo96. Altri, al contrario, ritengono che nelle parole del Vangelo di Matteo non si debba vedere una formula battesimale: esse de­ scrivono semplicemente ciò che avviene durante il battesimo97. In realtà, la formula trinitaria è fissata in quasi tutte le opere a noi note che rispecchiano la prassi battesimale nella Chiesa delle origini. La tradizione testuale del Vangelo di Matteo, a sua volta, non offre alcun sostegno alJ ' ipotesi che la formula trinita­ ria fosse aggiunta da qualcuno al testo originario del Vangelo : appare in tutti i codici a noi noti di questo Vangelo. Vi sono fonJ.P. MEIER, Matthew, pp. 3 7 1 -372. U . Luz, Matthew 21 -28, p. 632 97 W.F. ALBRIGHT, C. S. MANN, Matthew, 95

96

p.

528

363 .

I O . LA RESURREZIONE

date ragion i per credere che fin dagli inizi della Chiesa il batte­ simo si celebrasse, secondo il comandamento di Gesù, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Quanto alle menzioni del battesimo «nel nome del Signore Gesù» negli Atti, non sono da interpretarsi, appunto, nel senso di formule battesimali: questa espressione poteva significare l' in­ gresso fra i discepoli di Cristo attraverso il battesimo da Lui co­ mandato. Nel Vangelo di Matteo il battesimo è legato al l'adempimento dei precetti di Gesù. Nel discorso del l 'Ultima cena Gesù, secon­ do il Vangelo di Giovanni, disse ai discepoli: « Se mi amate, os­ serverete i miei comandamenti» (Gv 1 4, 1 5); «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch' io lo amerò e mi manifeste­ rò a lui» (Gv 1 4,2 1 ); «Se osserverete i miei comandamenti, ri­ marrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (Gv 1 5 , 1 0). Secondo Matteo, Gesù rammenta questi stessi precetti ai discepoli in re­ lazione al battesimo. Di che precetti si tratta? Ev identemente, di tutto l ' insieme della dottrina morale e spirituale contenuta nelle pagine del Vangelo. Se il battesimo non si accompagna a un cam­ biamento di vita e alla disponibilità della persona a adempiere i precetti di Cristo, esso rimane sterile. Nel Vangelo di Marco Gesù elenca i segn i che accompagne­ ranno coloro che avranno creduto: essi cacceranno i demoni, par­ leranno nuove lingue, resteranno incolumi al morso dei serpen­ ti e al veleno, guariranno i malati imponendo loro le mani. Cac­ ciare i demoni e guarire i malati (anche imponendo le mani) era stata parte inscindibile del ministero terreno di Gesù: la maggior parte dei miracoli da Lui compiuti appartiene a queste due cate­ gorie. Ora Gesù trasmette ai suoi discepoli queste sue capacità. Parlare in lingue era un fenomeno diffuso nella Chiesa delle origini . San Paolo lo include fra i «doni dello Spirito» che pos­ siedono alcuni cristiani. Tuttavia, egli pone il dono della profe­ zia al di sopra del dono delle lingue, verso cui mantiene un at­ teggiamento sobrio: chi parla in una lingua sconosciuta edifica ·

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MORTE E RESURREZIONE

se stesso, e non la Chiesa; il suo spirito prega, ma l' intelligenza rimane senza frutto; le lingue sono un segno per quelli che non credono, ma non per i credenti; chi ha il dono delle l ingue deve pregare per ottenere il dono di saperle interpretare; è meglio di­ re cinque parole con l' intelligenza, che una quantità di parole in una lingua sconosciuta (l Cor 1 4, 1 -22). Per quanto riguarda gli altri segni menzionati, essi sono sem­ pl icemente alcuni esempi delle proprietà prodigiose che pos­ siederà chi avrà creduto. Uno di tali segni è descritto neg l i At­ ti. Mentre san Paolo sull ' isola di Malta gettava ram i secchi sul falò, dal fuoco saltò fuori una vipera che gli morse la mano . Gli abitanti del luogo pensarono che i l morso del serpente avrebbe procurato a Paolo un' infiammazione o addirittura una morte repentina. Ma egli ributtò la vipera nel fuoco e rimase illeso (At 28, 1 -6). Il Vangelo di Matteo si conclude con la solenne promessa di Cristo di restare con i discepoli «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» . Corporalmente Egli li lascerà, ma nello spirito resterà con loro. Essi percepiranno la sua presenza nella Chiesa: riunen­ dosi nel giorno di domenica, allo «spezzare del pane» (At 2,42; 20,7) lo sentiranno vicino. Nell'esperienza della Chiesa fino alla fine dei tempi si realizzerà la promessa di Cristo: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 1 8,20).

11. L'ascensione

La serie di apparizioni di Gesù risorto ai discepoli si conclu­ de con la sua ascensione al cielo. Marco ne parla brevemente, senza indicare il luogo in cui si svolse: I l Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dap­ pertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano (Mc 1 6, 1 9-20).

530

I O . LA RESURREZIONE

Luca precisa che l' ascensione avvenne a Betania, un villag­ gio nei pressi di Gerusalemme, dove Gesù si recò più volte du­ rante la sua vita (Mt 2 1 , 1 7; 26,6; Mc 1 1 , 1 . 1 1 - 1 2; 1 4,3 ; Le 1 9,29; Gv 1 2, 1 ) e dove resuscitò Lazzaro (Gv 1 1 , 1 -44 ). In tal modo, se i Vangeli di Matteo e di Giovanni si concludono in Galilea, e quello di Marco in un luogo indefinito, l ' azione del Vangelo di Luca termina nei pressi di Gerusalemme: Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedis­ se. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusa­ lemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio (Le 24,50-53).

Le divergenze tra gli evangelisti circa il finale della storia da essi narrata si spiegano con il fatto che essi la concludono in di­ versi momenti temporali. In Matteo l ' u ltima scena è l ' incontro fra Gesù e i discepoli sul monte in Galilea (Mt 28, 1 6-20). In Gio­ vanni, Gesù e i due discepoli si allontanano verso una meta igno­ ta (Gv 2 1 , 1 9). E solo Marco e Luca giungono fino al punto con­ clusivo della storia, l 'ascensione. Osserviamo che Matteo inter­ rompe il racconto nel momento in cui alcuni discepoli si prostra­ no davanti a Gesù, mentre altri dubitano. Luca invece arriva fi­ no al momento in cui tutti i discepoli si prostrano davanti a Ge­ sù che ascende al cielo. Luca inizia il suo secondo libro con un prologo in cui dice che Gesù «si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte pro­ ve, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle co­ se riguardanti il regno di Dio» (At 1 ,3). Proprio da questo accen­ no sappiamo che l' ascensione avvenne quaranta giorni dopo la resurrezione. Il racconto dell 'ascensione negli Atti riporta ulte­ riori particolari rispetto al racconto del Vangelo di Luca: Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allonta­ narsi da Gerusalemme, ma di attendere l' adempimento della pro­ messa del Padre, «quella - disse - che voi avete udito da me: Gio-

53 1

MORTE E RESURREZIONE

vann i battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo» . Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» . Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito San­ to che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» . Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nu� be lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand' ecco due uomini in bianche vesti si pre­ sentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guar­ dare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cie­ lo, verrà allo stesso modo in cui l' avete visto andare in cielo» . Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli U livi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e G iovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui (At l ,4- 1 4).

In un certo senso proprio questo racconto, scandito in quattro segmenti tematici a sé stanti, potrebbe fungere da epilogo di tut­ ta la storia della vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Nel primo segmento Luca ritorna alle parole finali del discorso di Gesù ai discepoli, in cui dice che manderà loro colui che il Pa­ dre ha promesso (Le 24,49). Nel secondo segmento viene intro­ dotto un nuovo tema: i discepoli chiedono i «tempi e momenti» ; qui Gesù ripete la promessa e parla della missione che li atten­ de. Nel terzo segmento Gesù ascende al cielo. Nel quarto ci tro­ viamo di fronte i personaggi principali della storia evangel ica, che hanno il compito di continuare questa storia. Gesù raduna i discepoli, ed essi si riuniscono dietro suo coman­ do. La domanda che gli rivolgono rispecchia le attese messiani­ che che avevano nei suoi confronti. Sembrava che la sua crocifis532

I O . LA RE S U RREZIONE

sione e morte avessero posto fine per sempre a queste attese. Ma ora, dopo che era risorto ed era apparso più volte ai discepoli, do­ po che in loro erano svaniti i dubbi sulla sua identità, le vecchie speranze risorgono. E la domanda viene formulata proprio come c'era da attendersi: i discepoli lo interrogano in merito alla rico­ stituzione della potenza politica del regno di Israele. Durante tutto il suo m inistero terreno Gesù aveva parlato ai discepoli del Regno dei cieli e della vita eterna. Ne aveva parla­ to in numerose parabole, nel Discorso della montagna, nei dia­ loghi con singole persone, negli insegnamenti al popolo pronun­ ciati in presenza dei discepoli. Gesù aveva sempre respinto ogni pretesa di potere politico, a partire dalle tentazioni del diavolo nel deserto fino alla risposta alla domanda di Pilato, se realmen­ te Egli fosse il re dei giudei . Il carattere ultramondano del pote­ re di Gesù sarebbe dovuto apparire evidente ai discepoli, e la sua morte in croce avrebbe dovuto convincerl i che Egli non cercava il potere terreno. Eppure, essi esprimono la visione del signifi­ cato e del ruolo del Messia che doveva essere diffusa tra il po­ polo, che vedeva in Lui in primo luogo chi li avrebbe liberati dal potere romano. Rispondendo ai discepoli, Gesù non dice nulla del ricostituir­ si del potere regale in Israele. Invece, parla dei «tempi o momen­ ti che il Padre ha riservato al suo potere» (At l , 7), in riferimen­ to alla sua seconda venuta. Da questo momento i discepoli do­ vranno restare in attesa della sua venuta, ma il tempo di questo avvenimento sarà per loro sconosciuto. A dire che Gesù tornerà sono i due uom ini in bianche vesti che appaiono ai discepoli al momento del l'ascensione. La predicazione degli apostoli, cominciando da Gerusalem­ me, deve diffondersi in tutta la Giudea e la Samaria e giungere fino ai confini del mondo. Lo sguardo dei discepoli è inchioda­ to al «regno di I sraele», da tempo colonizzato dai romani, men­ tre Gesù allarga il loro orizzonte fino ai limiti estremi possibili. La sua missione non consisteva nello strappare Israele ai roma­ ni, ma nel conquistare con il proprio insegpamento tutto il mon­ do. Ma per conquistare il mondo si avvarrà dell'aiuto dei disce533

MORTE E RESURREZIONE

poli, che per far questo avranno bisogno della sua continua pre­ senza e dell ' ausilio dello Spirito Santo. L'elenco delle persone rimaste a Gerusalemme in attesa della discesa dello Spirito Santo è importante perché sono proprio lo­ ro a costituire la base della comunità ecclesiale delle origini, da cui comincerà a svilupparsi la Chiesa in tutto il mondo. Il suo nucleo sono gli undici apostoli. Essi sono perseveranti nella pre­ ghiera, « insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui». La madre e i fratelli di Gesù sono ricordati da Luca non a caso. Nei Vangeli sinottici erano stati menzionati l ' ultima vol­ ta nel l ' episodio in cui si trovavano alla porta della casa in cui Gesù predicava; invece che uscire loro incontro, Egl i aveva in­ dicato i discepoli dicendo: «Ecco mia madre e i miei fratelli ! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 1 2,46-50; Mc 3 ,3 1 -34). A questo episodio si possono aggiungere le notizie del Vange­ lo di Giovanni sull' incredulità dei fratelli di Gesù nei suoi con­ fronti (Gv 7, 1 -5 ), e quelle del Vangelo di Marco su come i pa­ renti volessero riportare Gesù in famiglia, pensando che fosse uscito di senno (Mc 3 ,2 1 ). Le testimonianze di Giovanni e Marco si riferiscono al perio­ do iniziale del ministero di Gesù. Proprio a questo periodo ri sa­ le i l confl itto tra Gesù e i suoi consanguinei98 • Non sappiamo quanto a lungo durò questo conflitto. Tuttavia, vediamo la Ma­ dre di Gesù accanto alla croce (Gv 1 9,25 ), e dei fratelli abbiamo notizia dagli Atti degli apostoli. Questo significa che a un certo punto - presto o tardi - i parenti di Gesù non solo si riconcilia­ rono con la sua scelta di vita, ma diventarono anche suoi segua­ ci. Uno dei suoi fratel li, Giacomo, rivestirà un ruolo cruciale nel formarsi della comunità ecclesiale di Gerusalemme (At 1 2, 1 7; 1 5 , 1 3 ; 2 1 , 1 8; 1 Cor 1 5 ,7; Gal l , 1 9). I l finale del Vangelo di Luca si fonde con l ' inizio del libro de98 Più in dettaglio, cfr. : I LARION (ALFEEV), Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. I : L 'inizio del Vangelo, pp. 45 8-464.

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I O . LA RESURREZIONE

gli Atti. L'evangelista mostra in questo modo che la storia del cristianesimo non si è conclusa né con la morte, né con la resur­ rezione, né con l' ascensione al cielo di Gesù Cristo. Questa sto­ ria è appena cominciata all ' atto dell' ascensione. Gesù è diven­ tato il chicco di frumento che, caduto nel terreno, muore per po­ ter portare molto frutto (Gv 1 2,24). E ora la testimonianza della sua resurrezione e l'annuncio della sua dottrina sono interamen­ te nelle mani degli apostoli.

12. Quante volte Gesù risorto apparve ai discepoli?

Come abbiamo visto, nel Vangelo di Matteo vengono men­ zionate due apparizioni di Gesù risorto: alle donne che stavano tornando dal sepolcro e ai discepoli sul monte in Galilea. Marco parla di tre apparizioni: a Maria Maddalena, ai due discepoli per via e agl i undici riuniti a cena. Luca descrive l 'apparizione ai due discepoli sulla via di Emmaus, menziona brevemente l ' ap­ parizione a Simone e poi narra dettagliatamente l ' apparizione agli , in Isaiah in the New Testament, edd . S . Moyise, M.J .J. Menken, T&T Clark, Lon­ dra-New York 2005 , pp. 1 0 1 - 1 1 6. A.l. WILSON, When Will These Things Happen? A Study ofJe­ sus as Judge in Matthew 21-25, Patemoster, Mi lton Keynes 2004 . P. WINTER, On the Trial ofJesus, 2a ed., de Gruyter, Berlino 1 974. B . WITHERINGTON, John s Wisdom. A Commentary on the Fourth Gospel, WJK, Louisville 1 995 . -, Women in the Ministry ofJesus. A Study ofJesus 'Attitudes to Women and Their Roles as Rejlected in His Earth/y Life, Cambridge University Press, Cambridge 1 987. N.T. WRIGHT, Jesus and the Victory ofGod, SPCK, Londra 1 996. - , The Resurrection ofthe San ofGod, SPCK, Londra 2003 . K. YAMAZAKI-RANSOM, The Roman Empire in Luke s Narrative, T&T Clark, Londra-New York 20 1 O . M. Z ELTOV, «Pravoslavnoe bogosluzenie Vel ikogo C etverga: proischozdenie i osobennosti» (La liturgia ortodossa del Gio­ vedì santo : origine e particolarità), Cerkov ' i vremja 76 (3/20 1 6) 1 69- 1 92 . F. T. ZuoiBE, «Forensic and Clinical Knowledge of the Practice of Crucifixion : A Forensi c Way of the Cross», in The Turin Shroud. Past, Present and Future. International Scientific Symposium (Turin, 2-5 March 2000), edd . S . Scannerini, P. Savarino, Effatà, Torino 2000, pp. 23 5-258.

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A B B REVIAZ ION I

CCSL = Corpus Christianorum, series latina (Turnhout). CSEL = Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum (Lou­ vain). CGS = Die griechischen christlichen Schrifsteller der ersten Jahrhunderte (Leipzig-Berli n). GNO = Gregorii Nysseni Opera (Ed. W. Jaeger, H. Langerbeck, l O voli ., Leiden 1 960- 1 996). PG Patrologiae cursus completus, series graeca (Ed J.-P. Mi­ gne, Paris ). PL = Patrologiae cursus completus, series latina (Ed. J.-P. Migne, Paris ). PTS = Patristische Texte und Studien (Berlin). SC = Sources Chrétiennes (Paris). TU = Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristli­ chen Literatur (Berlin). =

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IN DICE

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Prefazione

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l . «GERUSALEMME, TU CHE UCCIDI I PROFETI»

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Presentazione di Gianfranco Ravasi

1. di 2. 3.

«La salita a Gerusalemme» . Le predizioni Gesù sul la propria morte L'entrata in Gerusalemme Gesù piange su Gerusalemme

2. I DIALOGHI N EL TEMPIO DI GERU SALEMME l.

2. 3. 4. 5.

«Con quale autorità fai queste cose?» Dare a Cesare I l dialogo con i sadducei sulla resurrezione «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» «Il figlio di Davide»

3 . GERUSALEMME. GLI ULTIMI INSEGNAMENTI l . La denuncia nei confronti degli scribi e dei farisei 2. Le due monetine della vedova 585

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MORTE E RESURREZIONE

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l . Il complotto dei capi dei sacerdoti 2 . La cena a Betania 3 . Il tradimento di Giuda

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5 . L' ULTIMA CENA

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1 73 1 77 1 82 1 93 1 98 204 214 217

6 . IL GETSEMANI

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l . L' agonia nel Getsemani 2. L'arresto

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227 242

7. GES Ù DAVANTI AI CAPI DEI SACERDOTI GIUDEI

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259

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259 267 281 287 289 3 00

3 . La profezia sulla distruzione di Gerusalemme 4 . La predizione della seconda venuta 5 . Il Giudizio universale 4 . IL COMPLOTTO DEI CAPI DEI SACERDOTI, LA CENA A BETANIA E IL TRADIMENTO DI GIUDA

2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

l. 2. 3. 4. 5. 6.

Cronologia degli avvenimenti La preparazione dell 'Ultima cena La lavanda dei piedi La predizione del tradimento di Giuda L'Ultima cena fu una mensa pasquale? La benedizione del pane e del vino Giuda partecipò al l 'eucarestia? Verso il Getsemani

L' interrogatorio da Anna L' interrogatorio da C ai fa Il rinnegamento di Pietro « . . . l o condussero da Pilato» Chi è responsabile della morte di Gesù? La fine di Giuda 586

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INDICE

DI P ILATO

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3 09 3 13 330 334 345 350

9. L A CROC I F I S S I ONE

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359

l. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

La crocifissione nel mondo antico La via al Calvario La crocifissione di Gesù Gli insulti della folla. I ladroni crocifissi La Madre di Gesù presso la croce La morte di Gesù Il velo del tempio. Il terremoto Il centurione, i soldati e le donne La sepoltura l O. La Sindone 1 1 . l capi dei sacerdoti e i farisei da Pilato 12. Il significato redentivo della morte in croce di Gesù Cristo 1 3 . La nuova rivelazione di Dio

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360 3 65 3 72 3 82 3 89 398 415 418 424 429 435

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436 446

1 0 . LA RESU RREZ IONE

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8. I L G I UDIZIO l.

Notizie storiche su Pilato 2. «Sei tu il re dei Giudei?» 3 . Gesù da Erode 4. Gesù o Barabba? 5. La flagellazione 6. «Ecco l'uomo ! »

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l . Il sepolcro vuoto 2. Pietro e Giovanni al sepolcro 3. Il «finale lungo» del Vangelo di Marco 4. La prima apparizione di Gesù risorto 5 . La fal sa testimonianza delle guardie 6. L' apparizione ai due discepol i sulla via di Emmaus 7. L' apparizione agli undici

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MORTE E RESURREZIONE

8. L'apparizione in Galilea. La testimonianza di Giovanni 9 . Due finali del Vangelo di Giovanni l O. Il mandato missionario 1 1 . L' ascensione 12. Quante volte Gesù risorto apparve ai discepoli? 1 3 . I1 significato della resurrezione di Cristo per la Chiesa cristiana 1 4. Versioni alternative della resurrezione

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C ONCLUSION E

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Bibliografia

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Abbreviazioni

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Stampa: Elcograf SpA - Cles (TN)

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