Le Lettere ai Corinti 9788839401601

La prima lettera è la grande testimonianza del servizio svolto dall'Apostolo per edificare la comunità e presenta l

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Le Lettere ai Corinti
 9788839401601

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NUOVO TESTAMENTO COLLABORATORI

Paul Althaus t, Hermann Wolfgang Beyer t, Hans Conzelmann, Joachim Jeremias, Eduard Lohse, Albrecht Oepke t, Karl Heinrich Rengstorf, Johannes Schneider, Julius Schniewind t, Eduard Schweizer, Gustav Stlihlin, Hermann Strathmann t e Heinz-Dietrich Wendland a cura di

GERHARD FRIEDRICH

VOLUME 7

LE LETTERE AI CORINTI

l>AIDEIA EDITRICE BRESCIA

LE LETTERE AI CORINTI

Commento di HEINZ-DIETRICH WENDLAND Traduzione italiana di GIANFRANCO FoRZA Edizione italiana a cura di FRANCO RoNCHI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell'opera:

Die Briefe an die Korinther 'Obersetzt und erklart von HErNz-DrETRICH WENDLAND Traduzione italiana di Gianfranco Forza Edizione italiana e traduzione del testo biblico a cura di Franco Ronchi © Vandenhoeck & Ruprecht, GOttingen 1968 © Paideia Editrice, Brescia 1976 � severamente vietata la riproduzione della traduzione del testo biblico, la quale è di esclusiva proprietà della Casa Paideia.

NUOVO TESTAMENTO PIANO DELL'OPERA in II volumi I. Eduard Schweizer Il Vangelo secondo Marco 2. Julius

Schniewind Il Vangelo secondo Matteo

3. Karl

Heinrich Rengstorf Il Vangelo secondo Luca

4· Hermann

Strathmann Il Vangelo secondo Giovanni

5. Gustav

Stahlin Gli Atti degli Apostoli

6.

Paul Althaus La Lettera ai Romani

7.

Heinz-Dietrich Wendland Le Lettere ai Corinti

8. Beyer, Althaus, Conzelmann, Friedrich, Oepke Le Lettere minori dell'apostolo Paolo 9· Joachim

Jeremias- Hermann Strathmann Le Lettere a Timoteo e a Tito; La Lettera agli Ebrei

Io. Horst Balze Wo1fgang Schrage Le Lettere cattoliche I I. Eduard Lohse L'Apocalisse di Giovanni

INTRODUZIONE

Nelle due lettere di Paolo ai Corinti l'annuncio e la teolo­ gia dell'Apostolo sono profondamente legati ad una situa­ zione storica concreta che purtroppo ci sfugge nei partico­ lari. A noi è dato di gettare solo un breve sguardo sui pro­ blemi e sulle difficoltà di una comunità paolina; cogliamo il rapporto fra l'Apostolo e la comunità, rapporto comples­ so e carico di tensioni, e la veemente lotta di Paolo in difesa dell'opera svolta. La sua polemica, però, rimane sempre il­ luminata dal contenuto dell'evangelo del quale egli è mini­ stro. La prima lettera è la grande testimonianza del servizio svolto dall'Apostolo per edificare la comunità e presenta l'u­ nità perfetta della sua autorità e della sua attività di apo­ stolo, teologo, pastore, padre spirituale e guida. Nella se­ conda lettera Paolo invece giustifica la propria posizione nei confronti degli avversari e precisa il fondamento del suo mi­ nistero apostolico. Tuttavia, nonostante questa diversità di situazione e d'atteggiamento, le due lettere sono una procla­ mazione dell'unico evangelo alla comunità, una proclama­ zione che è insieme risposta, confessione, insegnamento ed esortazione. Ambedue le lettere ci presentano « l'apostolo per vocazione» che al di sopra di tutto, si tratti di questioni sostanziali o personali, parla «in Cristo» .

Corinto Corinto è, insieme con Efeso, il punto centrale dell'attivi­ tà di Paolo. È sintomatico della natura del suo lavoro mis­ sionario che Paolo si rechi nella metropoli, nella città por­ tuale di Corinto, scalo commerciale tra oriente e occidente,

IO

Introduzione

paragonata da alcuni a Cartagine e a Capua, dove si svolge un'intensa attività economica, culturale e religiosa, luogo di incontro e di compenetrazione tra pensiero greco e orienta­ le. Paolo è stato tre volte a Corinto e le due Lettere che ci sono rimaste (cosi come ce le presenta il canone del Nuovo Testamento) non rappresentano l'intera corrispondenza tra l'Apostolo e la comunità. In I Cor. 5 ,9 ss. e in 2 Cor. �,3 ss. 7,8 ss . vengono menzionate altre due Lettere ai Corinti. Di queste, la prima è anteriore alla I Cor., mentre la seconda è stata scritta tra la I Cor. e la 2 Cor. Paolo è il fondatore e «padre» (I Cor. 4 , 1 5 ) della comunità. Egli vi giunse duran­ te quello che è chiamato il secondo dei suoi viaggi missio­ nari, dalla Macedonia ad Atene, probabilmente l'anno 5 1 e, secondo Act. 1 8 , 1 1 , vi si fermò un anno e mezzo. Dalle fati­ che dell'Apostolo nacque una comunità non piccola, esube­ rante di vita e ricca di varie tendenze, i cui componenti pro­ venivano per la maggior parte dalle classi più povere e più umili (I Cor. 1 ,2 6 ss. ), inclusi anche alcuni schiavi (I Cor. 7,2 1 ; I2 ,IJ). In prevalenza era costituita da pagani conver­ titi" (I Cor. 1 2 , 2 ); tuttavia gli esempi di Aquila e Priscilla e del capo della sinagoga, Crispo, indicano che alcuni compo­ nenti erano di origine ebraica (I Cor. 1 6 , 1 9 ; Act. 1 8 ,2 ss. 8). Anche a Corinto l'attività dell'Apostolo prese l'avvio dalla sinagoga ebraica. Pertanto il nucleo più antico della comu­ nità era costituito da giudei e da proseliti . È comprensibile quindi che quella parte di giudei che rifiutò il messaggio di Paolo cercò di creargli difficoltà accusandolo presso il pro­ curatore Gallione il quale tuttavia cacciò i giudei dal tribu­ nale (Act. 1 8 , 1 2 ss. ). Dopo Paolo, a Corinto svolse la sua attività Apollo, un giudeo alessandrino che gli Atti degli Apo­ stoli descrivono come una persona eloquente e versata nella Scrittura (Act. 1 8 ,24- 1 9 ,I). Come ci mostra I Cor. 1 6 , 1 2 , in seguito Apollo si trova a Efeso a fianco di Paolo. Nel pri­ mo periodo di attività dell'Apostolo a Corinto hanno avuto origine inoltre le due Lettere alla comunità di Tessalonica.

II

Corinto

Della corrispondenza, evidentemente più vasta, tra Paolo e la comunità di Corinto, nel canone ci sono state conserva­ te solo due Lettere. La prima è stata scritta verso la fine del pluriennale soggiorno di Paolo a Efeso (I Cor. 16,8 ; cfr. Act. 19,1 ss .), cioè verso la metà degli anni 50, la primavera del 5 5 o del 5 6 . La seconda è stata inviata dalla Macedonia, probabilmente l'autunno dello stesso anno. Tra le due s1 col­ loca un'infausta visita di Paolo a Corinto ( 2 Cor. 2 ,1 ss . ) e la cosiddetta «Lettera intermedia» o «Lettera delle lacrime» ( 2 C or. 2,4; 7,8 . 1 2 ), che conosciamo solo per alcune allusio­ ni e reminiscenze che si trovano nella 2 Cor. , a meno che non sia stata inglobata nella 2 Cor. (cfr. l'esegesi). L'occasio­ ne della prima Lettera traspare con evidenza dallo scritto stesso. Paolo ha avuto notizia delle fazioni e di altri abusi verifìcatisi nella comunità ( I,II; 5 , 1 ) . Soprattutto, però, i Corinti gli hanno inviato una Lettera con una serie di inter­ rogativi riguardanti l'atteggiamento morale e lo svolgimento delle riunioni di culto della comunità. Questa Lettera della comunità viene menzionata da Paolo in 7 ,I. Possiamo sup­ porre che le formule introduttive con cui Paolo introduce via via i nuovi argomenti ( 8 ,1; 1 2 , 1 e 16,1; anche 11,2 ) si riferiscano anche a questa Lettera. La prima Lettera ai Co­ tinti è importante innanzitutto perché ci permette di coglie­ re di prima mano la situazione e le difficoltà interne di una comunità giovane, sostanzialmente etnico-cristiana, e di ve­ dere quale fosse il suo rapporto con il mondo pagano circo­ stante, quali problemi ne derivassero, quali fossero le sue miserie morali e la sua vita liturgica. Potremo considerare Corinto come il principale esempio delle condizioni e della vita delle comunità etnico-cristiane in genere (J. Weiss ) In secondo luogo I C or. è la Lettera che ci permette di ricono­ scere in modo più ricco e profondo il modo in cui Paolo edi­ fichi e guidi una comunità, come tutte le sue esortazioni e istruzioni mirino alla «edificazione» ( oikodomé ) della co­ munità nel suo complesso. Volendo riassumere questi due .

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Introduzione

punti, I Cor. è il classico esempio della situazione e del com­ pito della chiesa nel mondo, nel quale essa si trova quale co­ munità di Dio, schiera dei santi e degli eletti dal mondo ( I ,2 ), verso il quale deve delimitarsi e dal quale deve distin­ guersi. Tutti gli altri uomini le stanno di fronte, fuori di es­ sa, quali increduli ( 5 , I 2 ; 6,6; I 0, 2 7 ) . Dato però che la chie­ sa vive nel mondo, non si può allontanare da esso ( 5, I o ) e lo spirito e l'atteggiamento del mondo riescono cosl a pene­ trare nella comunità . Paolo le mostra perché deve rimanere la chiesa di Dio e comunità di Cristo rispetto al mondo, se­ parata da esso, ·e come può realizzare questo suo impegno nell'obbedienza a ciò per cui Dio l'ha fatta ( I ,4 ss . ). Paolo sa sviscerare tutte le difficoltà e i problemi che sono sorti nella comunità e trovare una risposta nell'evangelo. Da que­ sta Lettera c'è da imparare cosa significhi predicare l'evange­ lo nella realtà concreta . Ma se la I Cor. presenta una dovizia di insegnamenti e di esortazioni, se al confronto con Rom. sembra «pratica» , ciò non significa che sia priva di teologia, priva di dottrina ; anzi, l'intero capitolo I 5 sulla risurrezione dei morti è un notevole esempio di dotrina paolina e ci in­ troduce nel cuore della sua teologia. Lo stesso vale per le affermazioni riguardanti lo spirito e l'amore (capp . I 2- I 4 ) o per la polemica contro la « sapienza di questo mondo» (capp . I ss . ) che fissa per sempre, e in modo normativa per tutta la teologia cristiana, i limiti invalicabili che salvaguardano il messaggio della croce da qualsiasi contaminazione con la sa­ pienza umana. Non si deve tuttavia credere che i capitoli teologici si possano separare da quelli non teologici, perché le disposizioni pratiche e le esortazioni e le norme date dal­ l'Apostolo (per es . nei capp . 5-7 ; 8 e I O ) si fondano sempre sul suo modo di intendere la chiesa e il mondo, Io spirito e la carne, la « nuova creazione» nella quale Cristo trasforma il credente facendo partecipare alla sua morte e alla sua ri­ surrezione la comunità che gli appartiene (cfr. l'excursus sull'etica paolina, pp . I 62 ss . ) . La concretezza storica delle

Corinto

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Lettere ai Corinti ne mette in risalto anche l'importanza teo­ logica, in quanto il loro messaggio ci permette di cogliere il secondo fronte su cui l'Apostolo si trovò impegnato a lotta­ re: in entrambe, ma soprattutto nella prima, Paolo dialoga con la religiosità entusiastica, «esaltata» della gnosi, mentre la Lettera ai Romani e quella ai Galati sono volte a combat­ tere la dottrina giudaica della legge e della giustificazione e a trattare il problema del destino d'Israele. Alla peculiarità di questa gnosi, che a Corinto si amalgama coll'annuncio di Cristo ed esercita i suoi primi effetti sia sul modo di intende­ re l'evangelo sia sulla vita concreta della comunità, corri­ sponde il modo con cui la fede e la teologia di Paolo nelle Lettere ai Corinti, soprattutto nella prima, si presentano in una puntualizzazione, in una struttura e con una forza di at­ tacco diverse dalla polemica dell'Apostolo contro il giudai­ smo di matrice farisaica. Cosl, per es., la terminologia speci­ fica della dottrina della legge e della giustificazione in senso stretto passa decisamente in secondo piano (prescindendo dalle poche eccezioni : r Cor. 1 5 ,56 oltre a r ,3 6 e 6 , r r ), con una differenza notevole rispetto alla Lettera ai Romani . D'al­ tro canto risaltano invece in tutta la loro pregnanza le sue affermazioni cristologiche (croce e risurrezione del Kyrios ), cosl come il messaggio «escatologico» della risurrezione dei morti e della vittoria finale di Cristo determinano l'orizzon­ te entro cui si trovano il cosmo e gli uomini e all'interno del quale la parola della grazia e il comandamento della san­ tificazione trovano il loro significato e la loro collocazione . Il linguaggio teologico dell'Apostolo è del tutto privo di for­ mule fisse e unilaterali e di schemi stereotipati. Egli si serve della dottrina rabbinica della giustificazione e della legge, come pure dell'apocalittica, della gnosi e della mistica elle­ nistica, per esprimere con somma libertà l'unico evangelo, e cosi facendo, per cosi dire, > e pos­ sono superare le brame della carne peccatrice. Sul fonda­ mento della realtà attuale della presenza dello Spirito divi­ no, l'esortazione e l'imperativo suonano : «Se dallo Spirito abbiamo la nostra vita, conformiamoci anche allo Spirito » ( Gal. 5 , 2 5 ; cfr. 5 , 1 6 ; Eph. 4,3 0 ) . Questa è la motivazione pneumatologica dell'esortazione etica. L'imperativo però mo· stra esplicitamente che i cristiani si trovano ancora nella fase della lotta dello Spirito contro la carne : tentati e com· battuti in questo secolo, hanno bisogno dell'indicazione spi­ rituale che richiami e rammenti loro ciò che è stato donato con il battesimo e nello Spirito santo. Si può così parlare di un'etica della memoria di Cristo o anche dell'etica della grazia, senza che si possano però attenuare o eliminare l'im­ perativo, la rigorosità· e la serietà della norma. Lo si deduce già dal fatto che ai cristiani che cadono nuovamente nel peccato, che vivono e agiscono in modo non santo, che non obbediscono, Paolo ricordi il futuro giudizio di Dio davanti al quale dovranno rendere conto del loro comportamento : gli ingiusti, i non santi, non erediteranno il regno di Dio ( I Cor. 6,9- 1 0 ; cfr. Gal. 5 , 1 9-2 1 ; Eph. 5 ,5 ; 2 Cor. 5 , 1 0 ) . È il giudice divino che vuole la santificazione ( I Thess . 4 , 3 ss . ). Questa motivazione escatologica dell'etica diviene molto chiara, in un'altra prospettiva, in I C or. 7,29 ss . Poiché la figura di questo mondo sta già tramontando, i cristiani usa­ no gli oggetti di questo mondo come se non ne usassero. La fine ventura li rende già ora liberi dal mondo, e questo in modo positivo : liberi per una piena donazione a Cristo, il Signore, al quale i cristiani appartengono e al quale van­ no incontro ( Rom. 1 4 , 7 ss . ; I Cor. 6, 1 5 ; 2 Cor. 4, 1 4 ) . Il du-

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ro lavoro di Paolo è quello di condurre a Cristo una comu­ nità pura e santa ( 2 Cor. I I , 2 ; cfr. Phil. I , I o s . ; I Thess. 3 , I 3 ; I Cor. I ,8 ) . E quando esprime la certezza che la comu­ nità confermata e santa supererà la grande prova del giu­ dizio, Paolo si fonda sulla misericordia e sulla fedeltà di Dio che ha iniziato nei cristiani l'opera buona (Phil. I ,6 ; I Cor. I ,8 ) . La peculiarità dell'etica paolina consiste dunque nel fat­ to che viene motivata sotto il profilo cristologico, sacramen­ tale, pneumatologico ed escatologico e che ciascuna di que­ ste motivazioni determina a suo modo questa «etica» come «parenesi », cioè quale interpretazione e applicazione pra­ tica dell'evangelo, come etica della grazia che però include in sé il comandamento, di modo che si può anche parlare di « imperativi della grazia» . Il comandamento ha assunto il carattere di pastorale spirituale, è tanto imperativo di Dio quanto aiuto sollecito dello Spirito per i cristiani e le co­ munità in pericolo. Da questa ampia base degli insegnamenti e delle direttive di Paolo deriva in definitiva lo stupore che può causare in noi, a prima vista, l'atteggiamento dell'Apostolo nei confron­ ti degli ordinamenti storici e delle istituzioni sociali, per es . quella della schiavitù . Paolo infatti pon propone mai norme e indicazioni morali e sociali che potrebbero mirare a una trasformazione della società esistente per via di riforme o di rivoluzione . È dalla venuta del regno di Dio che egli si at­ tende la grande trasformazione che sana ogni dolore del mondo. Questo mondo passa, il tempo è breve ( 7 ,29 ss . ). Perciò lo schiavo rimanga ciò che è ( 7 , I 7 ss . ) 29 ; ciascuno può e deve conservare nel suo posto e nel suo stato la libertà dal mondo che gli è stata donata in Cristo e l'amore che è servizio. D'altro canto Paolo è nettamente staccato dall'an­ tica religione pol.itica che dichiarava assoluti e santi gli or29.

[Cfr. però la

n.

r8].

L'etica di Paolo

dinamenti sociali esistenti . Lo stato e il matrimonio, benché disposizioni di Dio, passano con questo secolo ( Rom. 1 3 , 1 -7 è determinato e delimitato esplicitamente da 1 3 ;8 ss . e 1 r ss . ) e la critica sobrietà di Paolo rispetto a tutti i problemi riguardanti il matrimonio ( I Cor. 7 ) mostra chiaramente co­ me per il cristiano permeato dallo Spirito santo egli cono­ sca un'altra possibilità di vivere, una forma diversa di ser­ vire Cristo, ritenendola anzi migliore in vista della fine ven­ tura, ossia la rinuncia e la continenza, nella forma del celi­ bato ( 7,7-8 . 2 7 ss. 3 2 ss . 3 8 ). Tutta l'etica paolina è incentra­ ta sulla norma di Rom. r 2 ,2 : «Non . conformatevi a questo­ secolo» . L'azione cristiana si concretizza nel sacrificio, nella rinuncia concreta al mondo e ai suoi beni. Per Paolo non v'è stata una libertà cristiana che rimanesse esclusivamente «interiore» . Ciò non significa che egli imponesse legalistica­ mente a tutta la comunità determinate forme di rinuncia, egli non la trasforma in un gruppo di asceti votati al celiba­ to. Nella comunità di Cristo hanno spazio e diritto di vive­ re sia coloro che vivono nel matrimonio sia i celibi. La con­ tinenza non crea un particolare merito presso Dio e non è un mezzo con cui il cristiano si possa procurare la reden­ zione da parte di Dio . Essa invece ha il proprio diritto qua­ le espressione concreta della libertà dal mondo e dell'ob­ bedienza al Signore della comunità. In questo atteggiamento Paolo concorda con Gesù il quale parla di uomini che si sono « castrati>> per il regno dei cieli (Mt. 1 9 , 1 2 ) e ha an­ teposto a qualsiasi altra cosa, in modo radicale, la decisio­ ne per il regno di Dio e per la sequela, dichiarando!� supe­ riore a tutti gli altri legami, anche ai più sacri di questo mondo ( cfr. per es . , Mt. 6 , 1 9 ss . 3 3 ; Le. 9,57 ss. ; Mc. 8 ,34 ss. ; I O , I 7 ss. par . ) . Il cristiano agisce, come Paolo stesso, come uno che sta «nella legge di Cristo» ( I Cor. 9 , 2 ·1 ), me­ diante l'amore e compie la legge di Cristo portando i pesi dei fratelli ( Gal. 6,2 ). L'amore decide quando, dove e come egli debba sacrificarsi e rinunciare ; l'amore rende liberi di

I presupposti antropologici dell'etica paolina

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rinunciare per il fratello a qualcosa che al cristiano potrebbe piacere ed essere lecita ( I Cor. 8 e 1 0 ; cfr. Rom 1 4 , 1 - 1 5 , 3 ) perché è stata fatta dal creatore ( 1 0 , 2 6 ) e perché tutto il mondo appartiene alla comunità ( 3 ,2·2 ). Le opere dell'amo­ re sono l'accettazione del potere di Cristo sulla comunità e sul mondo . Esse però presuppongono sempre la rinuncia a ogni peccato e a ogni malvagità. Mediante questa rinuncia la chiesa si conserva pura e santa, quale corpo di Cristo, a contatto con il mondo, ma libera dal mondo ( 5 , 6 ss . ; 7,29 ss . ) . La vita dei cristiani nel mondo non può quindi consi­ stere solo nell'osservanza di ciò che nella società e nello sta­ to è stabilito dal diritto, dal costume e dall'etica, poiché es­ si sanno cos'è peccato e soprattutto perché il loro rapporto con il prossimo è cambiato. Ciò che fanno, lo fanno nel­ l'amore ( 1 6 , 1 4 ), «per il Signore e non per gli uomini» (Col. 3 ,2 3 ). Paolo si mostra influenzato dalla tradizione etica cri­ stiana perché accoglie la tradizione del discorso della mon­ tagna e interpreta spesso il comandamento dell'amore (per es . Rom 1 2 , 1 3 ss . ) e perché, inoltre, nel codice domestico di Col. 3 , 1 8 ss . concretizza il comandamento dell'amore nei rapporti personali tra coloro che vivono nella stessa casa : coniugi, genitori e figli, schiavi e padroni. Ora costoro sono tutti legati al nuovo Signore Cristo e sono liberi dall' egemo­ nia delle potestà profane cosmico-politiche. Così pure in Rom 1 3 , 1 -7 l'inserimento del cristiano nello stato viene in­ terpretato dal punto di vista dell'amore ( Rom. 1 3 ,8- r o ). .

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I presupposti antropologici dell'etica paolina. Diamo una

breve sintesi dei presupposti antropologici dell'etica paolina. Ovviamente da Paolo non ci dobbiamo attendere una tratta­ zione scientifica o filosofica sull'uomo. La sua antropologia è inserita nel messaggio della salvezza, nella sua cristologia ed escatologia, e pertanto va considerata in questa prospet­ tiva. L'uomo precristiano, l'uomo prima del battesimo, vie­ ne preso in considerazione dall'Apostolo solo in quanto l'an-

I presupposti antropologici dell'etica paolina

nuncio missionario dell'evangelo lo chiama alla conversione e alla fede ( atto storico-salvifìco della chiamata). Paolo sa che l'uomo prima del battesimo è l'uomo creato da Dio e divenuto succube del peccato e della morte . Tutta l'umani­ tà, giudei e pagani, si trova sotto il giudizio di Dio (Rom. I , I 8-3 , 2 0 ) . Tutti gli uomini sono privi della gloria (d6xa) che dovrebbero avere davanti a Dio ( Rom. 3 , 2 3 ) ; essi in­ fatti sono peccatori e non giusti, non si possono giustificare o redimere per forza propria. Nemmeno l'uomo al quale è stata manifestata la legge di Dio (Rom. 7,7 ss . ) lo può. La legge porta solo alla conoscenza del peccato ( Rom. 3 , 2 0 ), ma non al suo superamento ,in quanto contrappone il peccato al comandamento di Dio, mettendo anzi con ciò il pecca­ tore nella condizione di contravvenire al comandamento di Dio (Rom. 7 , 8-9 ) . La legge di Dio può soltanto svelare e condannare i peccati. La fatalità del peccato e della morte non lascia all'uomo nessuna via d'uscita se non per mezzo di Cristo. Perciò Paolo, dopo aver presentato in modo dra­ stico il conflitto nell'uomo, prorompe nell'esclamazione : «Misero me uomo ! chi mi salverà dal corpo di questa mor­ te ? » (Rom. 7,24). Cristo opera questa liberazione con la sua morte e la sua risurrezione (Rom. 3 ,2 I ss . ; 8 , r ss . ; I Cor. r 5 , I 2 ss . ) . Medi an te il battesimo partecipiamo alla morte e risurrezione di Cristo (Rom. 6,3 ss . ) e siamo cosl resi una creazione «nuova», ossia escatologica ( 2 Cor. 5 , I 7 ), oppure siamo accolti nella nuova umanità dei « celesti» ( I Cor. 1 5 ,45 ss . ) . Cristo è la nostra giustizia, la nostra santi­ ficazione e redenzione ( I C or. I , 3 o ; cfr. 6, I r ) . Qui, in que­ sto indicativo storico salvifìco, affonda le radici, come ab­ biamo visto in precedenza, l' «etica» di Paolo con i suoi im­ perativi della grazia. Poiché siamo battezzati in Cristo dob­ biamo e possiamo porre a servizio di Dio il corpo e la vita quali strumenti della giustizia e quindi agire come uomini giusti, tendere alla santifìcazione (Rom. 6 , I r -2 3 ). In quanto uomini mossi e permeati dallo Spirito di Dio possiamo con-

I presupposti antropologici dell'etica paolina

durre la nostra vita secondo la norma dello Spirito ( Gal. 5 , 1 3 ss . r 6 ss . ). La lotta tra Spirito e carne continua fino al momento in cui si entrerà nella redenzione escatologica ( Gal. 5 , 1 6 ss. ), ma viene decisa nel segno della speranza fondata sulla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte ( I C or. I 5 , 5 5 ss . ) . I n quanto persona che crede e spera, l'uomo può riw conoscere e soprattutto compiere la volontà di Dio . Dalw l'azione sacrifìcale di Cristo e dalla sua presenza nello Spiw rito santo i cristiani sono liberati e hanno ricevuto la forza per amare il fratello e il prossimo ( I Cor. 8 e r o ; 1 3 ). L'etiw ca di Paolo quindi è un' « etica» per battezzati, per uomini in Cristo, per la comunità di Cristo. Partendo da queste premesse l'Apostolo prende quindi posizione nei confronti dei problemi posti dalla vita nel mondo e in mezzo al paw ganesimo che gli vengono proposti dalla comunità di Co­ rinto. Paolo non offre quindi una trattazione sistematica completa, ma affronta gli interrogativi che sorgono dalla situazione storica . Cosi per Paolo dall'abuso della libertà perpetrato dagli gnostici a Corinto deriva l'ordine perenw torio ai cristiani di cessare ogni rapporto con le prostitute, rapportq che quelli consideravano lecito ( I Cor. 6 , 1 5 ss . ) . Pertanto in Paolo abbiamo un'antropologia solo come proclamazione dell'evangelo di Cristo. Essa si compie nella speranza della risurrezione da morte ; solo la risurrezione dei morti dà significato all'esistenza cristiana ( I Cor. 1 5 , 1 4 ss. ). Solo la vittoria finale di Cristo sulle potestà demonia­ che ( I Cor. 1 5 , 2 5 ss. ) porta il compimento dell'uomo me­ diante lo Spirito creatore di Cristo ( I Cor. 1 5 ,45 ss. ). Solo in questa prospettiva escatologica si colgono in pieno il télos e la verità dell'essere umano, il destino dell'uomo e dell'umanità 30• _30. Bibliografia per gli excursus sull'etica paolina : E. Dinkler, Zum Problem der Ethik bei Paulus (-+ bibl.); R. Bultmann, Theologie des N,T. ( 195.3 ) 327 ss.; H. v. Soden, Sakrament und Ethik bei Paulus (-+ bibl.); H.-D. Wendland, Gesetz und Geist (-+ bibl.); H.-D. Wendland, Vom Menschenbild des N.T. in :

I presupposti antropologici dell'etica paolina

Dienst unter dem Wort, Festschrift H. Schreiner ( 1953 ) 306 ss . ; H.-D. Wend­ land, Gibt es Sozialethik im N.T.? in : Botschaft an die soziale Welt ( 1959 ); W. Schrage, Die konkreten Einzelgebote in der paulinischen Pariinese ( 1961 ) ; H . Fr. von Campenhausen, Die Christen und das burgerliche Leben nach den Aussagen des N.T. in : Tradition und Leben ( 1960 ); [Ch. Fr. D. Moule, Le origini del N.T. ( 1971 ) passim ; C. Romaniuk, Il timore di Dio nella teologia di S. Paolo ( 1967); Ch. H. Dodd, Attualità di S. Paolo ( 1970); E. Kiisemann, Prospettive paoline ( 1972 ) 1 1-53 ; A.M. Hunter, L'evangelo secondo Paolo ( 1966 ) 48 ss. 128 ss.; H. Conzelmann, Teologia del N.T. ( 1972 ) 338 ss . ; H. Schlier, Riflessioni sul N.T. (21976) diversi saggi; H. Schlier, La fine del tempo ( 1 974) capp. XI-xv; P. Rossano, Morale ellenistica e morale paolina, in : Fondamenti biblici della teologia morale, Atti della XXII Settimana Biblica ( 1973 ) 173-185; P. Dacquino, La vita morale e l'azione dello Spirito secondo S. Paolo, ibidem 357-373 ; H.-D. Wendland, Etica del N.T. ( 1975 ) ] .

PARTE QUARTA DISPOSIZIONI PER LE ASSEMBLEE DELLA COMUNITÀ ( I I ,2·I 4 , 4 0 )

I . Il vdo delle donne ( I I ,2·I6) a) La norma di giudizio e il comandamento ( n ,2-6) 2 Vi lodo perché vi ricordate sempre di me e conservate le tradizioni come ve le ho trasmesse. 3 Voglio però che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, il capo della donna è l'uomo e il capo di Cristo è Dio. 4 Ogni uomo che prega o profeta a capo coperto, disonora il suo capo . 5 Ogni donna invece che prega o profeta a capo scoperto diso­ nora il suo capo, giacché è proprio lo stesso che se fosse rapata. 6 Se la donna non si copre il capo, può anche farsi tagliare i capelli. Ma se è vergogna per una donna farsi tagliare i capelli o radersi il capo, al­ lora si copra.

La nuova parte, alla quale Paolo passa senza una par­ ticolare introduzione, tratta alcune irregolarità verificatesi nelle assemblee liturgiche della comunità. La lode che egli rende alla comunità non contraddice le osservazioni che egli ha da fare sul suo conto, poiché è dovuta all'atteggiamento della comunità che si attiene agli ordini e alle disposizioni che Paolo ha date per ordinarne la vita ( cfr. 4, 1 7 ), ma non esclude che sorgano nuove difficoltà e problemi. Ancora una volta Paolo appare con naturalezza colui che ha l'autorità di dare tali disposizioni. Una « tradizioJ?.e» è, per es . , il rac­ conto dell'istituzione della cena eucaristica ( 1 1 ,2 3 ss . ) op­ pure la professione di fede, che Paolo a sua volta ha rice­ vuta ( 1 5 ,3 ss.), oppure la «dottrina » (Rom. 6 , 1 7 ; cfr. 2 Thess. 2 , 1 5 ) o le disposizioni per la condotta di vita ( 2 Thess. 3 ,6 ) . La prima norma data da Paolo non riguarda an­ cora le assemblee liturgiche in senso stretto, ma si tiene più 2-6.

1 73

sulle generali e riguarda l 'usanza cui la donna che possiede lo Spirito deve attenersi in genere quando prega e profeta. Più tardi vi saranno altre disposizioni che completeranno le norme per il comportamento delle donne nelle assemblee liturgiche ( 1 4,3 3 b 3 6 ) Prima di entrare nel vivo del pro­ blema che poi tratterà, egli antepone nuovamente il criterio di giudizio. Egli stabilisce una progressione : Dio-Cristo-uo­ mo-donna. Ciascun elemento di questa serie è superiore a quello che lo segue. Il termine tecnico «capo» indica ciò che è eminente, superiore, particolarmente il capo di una comunità ( Schlier, Kiimmel) 3 1• Secondo Paolo, dunque, la distinzione essenziale fra uomo e donna è fondata sulla vo­ lontà del creatore. Alcuni esegeti sostengono, ma la cosa è incerta, che questa serie decrescente che da Dio arriva fi­ no alla donna sia dovuta all'influenza dell'emanatismo gno­ stico. Secondo questa dottrina da una suprema essenza ce­ leste sarebbero derivate per «emanazione» una serie di po­ testà e persino realtà demoniache. Se accettiamo la tesi di un'influenza gnostica, deve trattarsi di una forma di gnosi giudaica che ha interpretato il racconto della creazione di Gen. 1 in senso emanatistico. Paolo infatti non parla di es­ senze · metafìsiche, atemporali, come fa la gnosi, ma parla di Dio creatore, di uomo e donna, nel senso della fede vetero­ testamentaria e del Cristo storico e tutto ciò è quanto mai lontano dalla gnosi. È vero, però, che concetti quali « capo» e «riflesso» (d6xa), che determinano in modo sostanziale i vv. 7 ss . possono essere di provenienza gnostica. Essi vengono pe-

.

3 1. [ Non va passato sotto silenzio, a nostro avviso, né il gioco di parole, ri­ levabile anche nella traduzione (la parola «capo» usata in due accezioni, come il termine kephalé dell'originale greco ), né l'allusione all'uso linguistico elleni­ stico-gnostico di kephalé. Questo doppio gioco di parole non è però tanto un preziosismo stilistico, quanto piuttosto esso stesso parte dell'argomentazione nel senso che Paolo intende conferire al suo argomento coerenza e forza co­ gente proprio usando sempre lo stesso vocabolo (kephalé) e cercando cosi di far passare la norma sull'abbigliamento delle donne carismatiche tra le pieghe dell'assioma del primato e della primigenietà di Cristo. Per I Cor. I I ,J ss. dr. GLNT v, coli. 379 ss. ] .

La norma di giudizio e il comandamento

1 74

rò collegati da Paolo alla sua cristologia ed ecclesiologia sto· rico·salvifica ( cfr. v. I I ) . In questo contesto, tuttavia, l'Apo· stola fa ricorso pure a numerosi altri argomenti che destano una certa meraviglia, ossia : I . all'idea della presenza di ange· li demoniaci al servizio di Dio (v. I o ) ; 2 . ali' ordine na turaie (v. I 4 ); 3 · alla prassi comune delle comunità paoline (v. I 6 ; E. Kasemann). Questo succedersi di argomenti molto diversi più che convincere rende la presentazione di I I ,3 · I 6 ancor più confusa. Evidentemente Paolo trova difficile motivar� teologicamente l'usanza che le donne portino il velo, un'ahi· tudine ripresa dalla tradizione giudaica. Il problema che ora tratta è quello di come si debba vestire la donna che prega o profeta (Act. 2 I 9 ) se possa presentarsi a capo scoperto o meno . Secondo l'usanza giudaica la donna in pubblico por· tava il velo e lo stesso costume valeva nei culti orientali ; l'uso greco, invece, variava. In ogni caso vi sono raffigura· zioni di donne che presenziano a cerimonie religiose a capo scoperto (cfr. la documentazione in Kiimmel a I C or. I I ,2r 6 ). Paolo considera giusta l'usanza giudaica e richiede quin­ di che la donna porti il velo quando prega o profeta. Anche quando serve la comunità coi suoi carismi la donna cri· stiana deve accettare la differenza che Dio ha stabilita tra uomo e donna ( cfr. vv. 7 ss. ). Se la donna si comporta di­ versamente, si faccia pure rasare il capo, dice Paolo, per· ché si pone sullo stesso piano della etera o della prostitu­ ta. Evidentemente vi sono state nella comunità donne cari· smatiche che hanno abbandonato l'uso del velo, qu�ndo pre­ gavano o parlavano alla comunità. Anche qui dobbiamo for­ se vedere una conseguenza della coscienza di libertà e di conoscenza dei forti, anche se sarà bene non credere affret· tatamente che a Corinto si fosse sviluppato un movimento di emancipazione femminista, tanto più che il parlare in pub­ blico senza velo era conforme all'usanza greca. Paolo invece esige che si conservi l'uso di portare il velo non per la tra­ dizione esterna in quanto tale, ma perché essa per lui ha ,

,

un determinato significato. L'uomo e la donna devono di� stinguersi nel vestito e nel comportamento perché per di� sposizione divina sono diversi. Senza dubbio qui Paolo fa ricorso a un'interpretazione tradizionale della storia della creazione ( Gen. 2 , 1 8 ss. : Eva viene creata dopo Adamo ) che concorda con la consuetudine predominante nel mondo an� tico e secondo cui, sotto il profilo cultuale e giuridico, la donna si trovava in una situazione di subordinazione conM creta e totale. La parola dell'Apostolo si indirizza quindi a uomini che vivono in un ordine sociale ben determinato. Tanta più importante è quindi notare che egli presupponga come fatto assolutamente pacifico che nella comunità vi sia� no donne che posseggano lo Spirito, anzi profetesse ( e co� sì si infrange l'inferiorità cultuale femminile altrimenti uni� versalmente valida) e che egli, in secondo luogo, abbia col� locato Cristo nella gerarchia e nella scala di valori del v. 3 . Ciò gli permette in seguito (v. I 1 ) di mostrare che nella comunità vi è una nuova comunione tra uomo e donna, ossia «nel Signore». Naturalmente questo nuovo rapporto non significa che nella · comunità dello Spirito si possa preM scindere dalla collocazione che Dio creatore ha stabilita per l'uomo e la donna. L'ordine del creatore, però, viene inM taccato e modificato per il fatto che ora per mezzo di Cri­ sto uomo e donna sono stati chiamati nella nuova società escatologica della chiesa quale comunità dello Spirito. Se­ condo la promessa del profeta Gioele ( 3 , 1 ss. ; cfr. Act. 2 , 1 7 ss . ) lo Spirito santo è stato effuso su tutto il popolo di Dio, anche sulle :figlie di Dio. Così in questo passo non si nega l'affermazione di Gal. 3 2 8 circa l'unione dell'uomo e della donna in Cristo, poiché neanche là si mette in questione la diversità dei sessi secondo la disposizione del creatore. ,

b) Ragioni per cui la donna deve essere velata ( 1 1 ,7· 16) 7 L 'uomo infatti non ha bisogno di coprirsi il capo perché è immagi­ ne e riflesso di Dio . La donna, invece, è riflesso dell'uomo. 8 Infatti

Ragioni per cui la donna deve essere velata

non è l'uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo. 9 Inoltre non fu l'uomo a essere creato per la donna, ma la donna per l'uomo . 10 Perciò la donna ha il dovere di portare sul capo una protezione a motivo degli angeli. 11 Ad ogni modo nel Signore non si considera la donna indipendentemente dall'uomo né l'uomo indipendentemente dalla donna. 12 Perché come la donna fu tratta dall'uomo, cosi l'uomo nasce dalla donna, ma tutto proviene da Dio. 13 Giudicate voi stessi : è decoroso che una donna preghi Dio a capo scoperto ? 14 Non vi in­ segna la natura stessa che i capelli lunghi sono un disonore per l'uo­ mo, 15 mentre se la donna ha una lunga chioma, questo è per lei un pregio ? I capelli, infatti, le sono dati quale scialle. Hi Se poi qualcuno insiste e vuole proprio essere litigioso, allora sappia che né noi né le comunità di Dio abbiamo quest'usanza . v.

7 : Gen. 1 ,27;

vv.

8 s . : Gen 2,21 ss. .

7- 1 6 . Queste

riflessioni di Paolo vanno viste alla luce della narrazione mosaica della creazione. La donna è stata creata dall'uomo e in funzione di lui ( cfr. Gen. 2 , r 8 .22-23 ; I Tim. 2 , 1 3 ), non viceversa; quindi, secondo il procedimento della creazione, v'è una superiorità dell'uomo. Solo l'uomo, non la donna, viene definito immagine di Dio 32 • Tuttavia Paolo completa questo dato di fatto con l'altra osservazione che l'uomo è generato dalla donna. Anche questa realtà di fatto è disposizione del creatore e cosi entrambi, uomo e donna, provengono da Dio . Quello che più conta, però, è che am­ bedue sono nella comunione con il Signore; nella comunità sono reciprocamente uniti in maniera indissolubile. «Nel Signore» , nell'ambito del regno e del corpo di Cristo, v'è unità nella diversità tra uomo e donna. Ambedue hanno ora il medesimo Signore. Si realizza a questo modo la vera com­ plementarietà e sussidiarietà che determinano l'unione tra uomo e donna secondo la volontà del creatore ( cfr. Gen. 2 , r 8 e l'esegesi di G . von Rad ) 33 • Non si può affermare che il 32. Per il problema della possibile origine gnostica di tale concezione cfr. il commento al v. 3· 33· [G. von Rad, Genesi (Brescia 1969 ) 97 s . ] .

I

Cor. II,J-I 6

I ]]

v. I I cancelli quanto detto in precedenza; anzi, non fa che presentare in modo oggettivo il contenuto della trasforma­ zione che avviene « nel Signore», nella comunione salvifica escatologica tra uomo e donna (che ritroviamo anche in Gal. 3 , 2 8 ; cfr. Col. 3 , r 1 ) , senza cancellare la realtà creata e il suo modo di essere. Alla fine Paolo si rivolge al sentimento naturale che deve far comprendere ai Corinti che è un pri­ vilegio e un vanto della donna portare i capelli lunghi e ap­ punto per questo essa ha bisogno anche del velo. Raramen­ te Paolo parla, come qui , della «natura» (physis ) invece che della creazione e della creatura ( cfr. comunque Rom. I ,2 6 ; 2 , r 4 ) . Se la natura è in grado di «insegnare» qualcosa que­ sto avviene perché ha ricevuto da parte del creatore il suo ordinamento che si manifesta anche nel giudizio e nel pen­ siero dell'uomo. Paolo accoglie a questo punto un'idea della filosofia stoica (cfr. Cicerone : naturam sequi), ma vede la na­ tura come creazione e ordinamento del creatore. Egli è così divenuto precursore della successiva teologia che nella sua riflessione sullo stato e sulla società ha dato largo spazio al concetto di natura e al ( r o,6; cfr. 9,4 e r o ,5 ). .

Il segno dello Spirito di Dio

Per quanto riguarda infine lo svolgimento della celebra­ zione della cena del Signore, nelle comunità paoline l'azione istituita da Gesù era collegata a un vero banchetto ( I I ,20 ss. ) . Solo cosl va inteso il contesto di I I ,20 ss . e 27 ss. In seguito poi l'« eucaristia» (cena sacramentale) e l'« agape» (banchetto d'amore come più tardi si chiamò il banchetto comune) vennero distinte. Quest'ultima divenne una sem­ plice «forma di beneficenza» ( Lietzmann) e alla fine scom­ parve completamente. La vera celebrazione della cena del Signore è evidentemente il momento culminante e conclu­ sivo dell'assemblea della comunità di Corinto. Solo le parole dell'istituzione, che l'Apostolo presuppone note ai Corinti ( I I ,2 3 : «ciò che a mia volta vi ho trasmesso» ), distinguono il sacramento dal banchetto della comunità (agape). Dopo che la comunità si era radunata, la cena in comune iniziava con le preghiere sul pane e sul vino cui seguiva il vero pasto. L'azione sacramentale vera e propria costituiva a sua volta l'ultima parte della cena. Lo stesso ordine si trova anche nelle preghiere sui cibi della Didachè (Dottrina degli Apo­ stoli), dove dopo aver mangiato per saziare l'appetito e do­ po la preghiera di ringraziamento (Did. r o , I ss. ) inizia la ve­ ra liturgia eucaristica : in I o ,6 risuona il maranatha, «l'ac­ clamazione della comunità per il Signore che viene» (Di­ belius ). 3·

I doni dello Spirito ( u ,I-14,40)

a) Il segno dello Spirito di Dio ( u,x-3) 1 Per quanto riguarda però i doni dello Spirito, fratelli, non voglio che ignoriate il mio parere. 2 Sapete che quando eravate pagani era­ vate attratti dagl'idoli muti che vi hanno sempre forviati . 3 Perciò vi dichiaro che nessuno che parli nello Spirito di Dio può dire : «Male­ detto GesÙ}>, e nessuno può dire : «Gesù è Signore», se non nello Spirito santo. v. 1 : «doni dello Spirito» : si potrebbe tradurre anche «uomini spirituali»

r

Cor.

12, 1-3

I-3 . Con I 2, I

I 99

inizia un nuovo grande complesso in cui Pao­ lo tratta il valore e l'uso dei «doni dello Spirito» nelle as­ semblee di culto. Nei capitoli che seguono l'Apostolo si tro­ va a dover affrontare la medesima situazione e gli stessi pe­ ricoli della comunità di Corinto che già conosciamo dai ca­ pitoli precedenti. Abbiamo visto come la sopravvalutazione della «sapienza» e della «gnosi» provocasse nella comunità di Corinto gravi squilibri : nella questione degl'idolòtiti si mancava d'amore verso i deboli e nella celebrazione della cena si umiliavano i poveri, cosi che invece di « edificare» si di­ sprezzava la comunità di Dio. Similmente la «forza» gnosti­ ca doveva manifestarsi particolarmente nella valutazione dei carismi, cioè degli effetti dello Spirito, ossia sul terreno pe­ culiare degli gnostici di Corinto. Le prime parole del v. r favoriscono l'ipotesi che anche qui Paolo risponda ad una domanda postagli nella lettera inviata dai Corinti. È chiaro che il quesito riguardava il fenomeno della cosiddetta « glos­ solalia» , tenuta in grande considerazione a Corinto. In un primo momento Paolo non affronta però i singoli fenomeni ed effetti dello Spirito di Dio nei credenti, effetti che egli chiama «doni dello Spirito» o « doni della grazia» ( la secon­ da espressione mette in evidenza che si tratta sempre dello Spirito divino donato dall'alto, mai di quello umano, Spi­ rito che non si può accaparrare. con riti magici né con sforzi morali). Paolo comincia con un'ampia presentazione degli effetti dello Spirito Santo sulla comunità (capp. I 2 e I 3 ) per passare poi, una volta preparato il terreno, ad una retta col­ locazione della «glossolalia» (cap. 1 4 ) . Anztiutto tratta la fondamentale questione preliminare del segno di riconosci­ mento dello Spirito di Dio : come si può riconoscere con si­ curezza l'attività dello Spirito santo ? La questione era molto importante poiché vi sono anche effetti dello spirito demo­ niaco e gli stessi fenomeni di tipo estatico e profetico che si verificavano nella comunità di Corinto si trovavano in larga misura anche e proprio nella vivace religiosità pagana

200

Il segno dello Spirito di Dio

dell'ambiente in cui si trovava la comunità. Paolo risponde che per il culto il segno di riconoscimento va ricercato nel contenuto del discorso ispirato dallo Spirito, in ciò che esso comunica. Egli ricorda ai Corinti la loro precedente espe­ rienza, quando erano ancora pagani. Allora erano «trasci­ nati» ai « muti» idoli. Questa forte espressione allude al­ l'estasi. «Muti» sono chiamati gl'idoli pagani nella critica giudaica al paganesimo (cfr. Abac. 2 , r 8 s . ; Ps. r 1 5 ,4 ss . ). Ciò che avveniva allora, dunque, nell'azione dello spirito ( de­ moniaco) era confessione di appartenenza agli idoli e comu­ nione con loro. Dove invece ora agisce lo Spirito di Dio il contenuto della confessione è « Gesù è Signore» . Chi invece maledice Gesù non può parlare nello Spirito, poiché ol­ traggia la rivelazione storica di Dio. Intende forse Paolo riferirsi qui, a differenza del v. 2 che tratta dei pagani, al giudeo che pronuncia su Gesù l' « anatema» , la maledizione di scomunica? Si affermerebbe allora che anche il giudaismo non possiede lo Spirito di Dio. Certo è difficile immaginare la situazione in cui un giudeo non battezzato avrebbe ma­ ledetto Gesù nell'assemblea della comunità; assolutamente incomprensibile sarebbe poi che la comunità chiedesse al­ l' Apostolo se ciò potesse essere accaduto «nello Spirito» . Ma se allora rimane solo da supporre che sia stato un cri­ stiano a maledire Gesù, e per giunta durante il culto, sorge il difficile problema del senso di tale maledizione, poiché l'essere cristiano significa appunto confessare Gesù quale Signore, cosa che Paolo stesso afferma molto chiaramente. W. Schmithals ha formulato una suggestiva ipotesi : colui che maledice Gesù sarebbe uno gnostico che distingue net­ tamente l'uomo Gesù storico dallo Spirito celeste Cristo : lo gnostico confessa il Cristo, mentre disprezza Gesù perché non si può unire il Pneuma alla sarx ( carne). Questa cristo­ logia gnostica esclude in modo assoluto quella paolina che parla della croce e della passione e morte di Gesù . Lo gno­ stico nega inoltre, come gli eretici della I Io. 2 , 2 2 , che il re-

20!

Le formule omologiche in Paolo

dentore sia venuto nella carne ( I Io. 4,2 ). Il tentativo di spiegazione dello Schmithals, comunque, avvalora l'ipotesi che questa maledizione di Gesù sia stata pronunciata da un cristiano per confessare cosl la sua fede nel vero Cristo che può essere solo « Spirito». Se invece uno che parla «nello Spirito», un uomo pneumatico, confessa di credere nel Ge­ sù storico quale Signore, egli parla nello Spirito santo . Nel cristianesimo primitivo «Gesù è il Signore» è una delle più antiche ( cfr. 1 5 ,3 s . ) e sicuramente la più breve professione di fede ( cfr. Rom. 1 0,9 ) in colui che è il Risorto e il Glo­ rificato. Si può dire che kyrios ( Signore) sia il corrispon­ dente ellenistico del titolo ebraico Messia ( re salvatore escatologico), ma è necessario tener presente l'indispensa­ bile premessa che la fede pasquale nel Risorto ha reso pos­ sibile e caratterizza l'uso neotestamentario del titolo di ky­ rios. Con il titolo di « Signore», diffuso nella religiosità orientale-ellenistica dell'epoca, si sottolinea sia la dignità re­ gale sia la divinità di Gesù (cfr. 8,6, dove Paolo parla di alcuni «signori» noti al mondo pagano e che egli definisce dèmoni ). D'altro canto, in quanto Signore, Gesù è distinto da Dio Padre ( 8 ,5 ) ; cfr. il commento a Rom. 1 0,9- 1 0 . Con questa confessione di fede nell'uomo Gesù di Nazaret quale « Signore» la comunità cristiana è definita l'unico luogo do­ ve lo Spirito divino operi nel mondo. Dove c'è il Signore ivi è lo Spirito ( cfr. 2 Cor. 3 , 1 7 ) . =

. Le formule omologiche in Paolo. È vero che nel Nuovo Testamento e in Paolo non si può ancora parlare di confes­ sione ecclesiale di fede già saldamente fissata come invece è, per es. , il cosiddetto simbolo apostolico, di età più tarda, ma vi sono alcuni spunti per una formulazione che ha caratte­ re omologico. L'origine di queste formule omologiche è chia­ ramente la fede in Cristo e il loro contenuto è la confessio­ ne di fede in Cristo, il kyrios ( Signore), crocifisso e risorto, il salvatore (sotér ) del mondo. La formula più semplice e più

202

Le formule omologicbe in Paolo

breve s'incontra qui in I 2 ,3 : « Gesù è Signore» . Nel titolo di kyrios è necessario cogliere la grandezza, la magnificenza e la potenza divina del redentore. La formula s'incontra an­ che in 8 ,6 e in Rom. I o ,9 . In I Cor. 8 ,6 traspare chiara­ mente il carattere autentico della confessione : l'unico, vero e reale Signore Gesù Cristo viene contrapposto ai molti altri kyrioi cosmici che venivano venerati nei numerosi culti mi­ sterici come redentori, come divinità salvatrici che dona­ vano la vita eterna. Il contenuto della confessione del kyrios è quindi molto vasto e purtroppo il nostro termine « Signo­ re» non lo esaurisce per intero. La formula che si presenta in 8 ,6, a differenza di quella di I 2 , J , è strutturata in due elementi: l'unico vero Dio e Padre, il creatore dell'univer­ so, viene contrapposto insieme con Gesù, il Signore, ai se­ dicenti kyrioi e alle divinità presunte. Del resto non è detto che la formula più breve debba essere anche la più antica, anche se questo era uno dei postulati della scienza storica dall'inizio del sec. XIX in poi. I Cor. I 5 ,3 ss. ci presenta tut­ tavia un altro aspetto del problema in quanto Paolo ha ri­ cevuto questa confessione di fede dalla comunità ellenistica già sotto forma di tradizione, e le sue radici, in quanto con­ fessione di fede nel Signore risorto, dovrebbero risalire fino alla prima comunità di Gerusalemme . Quindi è perlomeno altrettanto antica della breve formula «Gesù è Signore» . I C or. I 5 , 3 ss . parla della morte, sepoltura, risurrezione di Cristo e delle principali apparizioni del Risorto che formano un tutt'uno con l'evento di Pasqua (la formula di confes­ sione arriva fino al v. I 5 , 5 compreso ; vedi l'esegesi del pas­ so). Abbiamo qui la prima configurazione o la forma primi­ tiva del successivo «secondo» articolo di fede del simbolo apostolico, che parla di Cristo, ma contiene più di quanto ci offra la formula di I C or. I 5 , 3 ss. poiché è arricchito e completato dal riferimento alla discesa agli inferi, all'ascen­ sione, ovvero all'esaltazione, e dalla confessione di fede nel ritorno del Signore per l'ultimo giudizio. Poiché secondo

Le formule omologiche in Paolo

2 03

Paolo la fede è discorsiva ( 2 Cor. 4,1 3 ), poiché l'annuncio missionario e la liturgia devono rendere conto del conte­ nuto e della verità della fede, l'annuncio porta alla crea­ zione di formule di confessioni quali concise espressioni del­ la fede che porta i cristiani alla salvezza e quindi, al tempo stesso, distingue nettamente e chiaramente la comunità cri­ stiana da pagani e giudei. Questa fede sgorga dall'evento di Pasqua; senza Pasqua non c'è fede né confessione. La struttura della confessione è la seguente: anzitutto c'è un'affermazione circa una · realtà divino-umana della storia della salvezza, per es . : Gesù è il kyrios divino, oppure : que­ sto Gesù è risorto; poi la confessione proclama al mondo il kyrios, annuncia la sua esaltazione, la sua intronizzazione ( cfr. Phil. 2 ,9 ss . ). In terzo luogo la confessione ha una strut­ tura «dossologica» (E. Schlink) ; essa infatti proclama la lo­ de e la gloria del kyrios è l'acclamazione e insieme l'invoca­ zione di Cristo quale eterno, divino Signore della chiesa e del mondo. Infine la stessa confessione può assumere ca­ rattere ionico, cosl come l'inno può avere carattere di con­ fessione. È questa, ad es. , la struttura del grande inno a Cristo, drammatico e commosso di Phil. 2 ,5 - 1 I che descrive i tre stadi della vita di Cristo, dall'esistenza anteriore al mondo, presso Dio, all'incarnazione, figura di servo e mor­ te, all'esaltazione a kyrios divino, inno e confessione a Cri­ sto insieme . Questo elemento innico manca naturalmente nelle brevi formule di confessione che Paolo ci ha traman­ date, ma ritorna in I Tim. 3 , 1 6, carme cristologico che pre­ senta la stessa struttura binaria caratteristica dei salmi. Da quanto esposto consegue che non si può sostenere la vecchia teoria secondo cui la confessione fosse nata con in­ tenti polemici. Più che polemici questi intenti possono esse­ re considerati dogmatici, ma solo nel senso di ciò che abbia­ mo appena detto circa la struttura della confessione. Le occa­ sioni in cui venivano pronunciate le confessioni di fede erano : I . il battesimo e il catecumenato; 2 . la liturgia e 3 . __

204

Nell'abbondanza dei doni opera un solo Spirito

la difesa contro gli eretici dentro e fuori dalla chiesa 41 • È na­ turale che una confessione di fede in Cristo breve e ricca di contenuto fosse utile ed efficace anche per la predicazione . . . mtsstonaria. b) Nell'abbondanza dei doni opera

un

solo Spirito (u,4-1 1 )

4

C'è diversità di carismi, ma lo Spirito è sempre lo stesso ; 5 e c'è di­ versità di servizi, ma il Signore è sempre quello ; 6 e c'è diversità di attività, ma è sempre lo stesso Dio che opera tutto in tutti. 7 A cia­ scuno viene però data la manifestazione dello Spirito per il bene di tutti. 8 A uno viene dato dallo Spirito il discorso di sapienza, all'altro il discorso di conoscenza, sempre dallo stesso Spirito ; 9 a un altro fede, con il medesimo Spirito ; 10 a un altro il dono di guarigioni, con lo stesso Spirito ; a un altro la capacità di fare prodigi, a un altro profezia, a un altro discernimento degli spiriti, a un altro lingue di­ verse, a un altro l'interpretazione delle lingue. 11 Tutto ciò compie lo stesso e unico Spirito che dà a ciascuno un dono particolare, secondo la sua decisione sovrana.

4- 1 1 . Tre sono le cose che Paolo ha da dire circa i doni del­ lo Spirito : ne descrive la diversità ( cfr. Rom. r 2 , 6 ) e l'ab­ bondanza con cui sono stati concessi alla comunità, l'origine comune da cui tutti provengono e infine la ripartizione dei doni secondo la volontà dello Spirito, di modo che ciascuno riceve un dono particolare. L'idea dell'abbondanza, la qua­ le pur proviene dall'unico Spirito, è a sua volta nuovamente strutturata in tre parti ( trinitariamente ) : ai numerosi doni dello Spirito corrisponde l'unico Spirito, ai servizi l'unico Signore, alle attività l'unico Dio . A questo modo lo Spirito divino è unito al Signore e a Dio in un'unità che contiene evidentemente in sé anche una progressione : Spirito Si­ gnore - Dio. Questa triade, che risale alla fede dei primis41. Cfr. O. Cullma nn, Le prime confessioni di fede cristiane (Roma 1948); E. Kiisemann , art. «Liturgische Formeln im N.T.» : RGG3 1 1 ( 1958 ) 993 ss. [ Cfr. inoltre O. Cullmann, Il culto nella chiesa primitiva ( Roma 1948 ) e H. Hahn, Il servizio liturgico nel cristianesimo primitivo (Brescia 1972 ) specialmente il cap. VII ] .

I

Cor.

I2,4-II

2 05

simi cristiani che credettero nella rivelazione di Dio, è il fondamento della forma ternaria del pensiero. L'epoca mes. sianica è l'epoca della diffusione e della pienezza dello Spi· rito in tutto il popolo di Dio (Act. 2 , 1 ss . 1 5 ss. ) il che a sua volta non significa altro che è l'epoca dell'azione salvifica di Dio ( cfr. pure il commento a 2 , 1 6 e l'excursus a 2 Cor. 1 3 , 1 3 , Le formule ternarie in Paolo ). La ricchezza della ri· velazione dello Spirito è opera di Cristo e in definitiva di Dio : questo è appunto il contenuto caratteristico della fede del primo cristianesimo nello Spirito. Probabilmente le tre espressioni per indicare i doni dello Spirito significano la stessa cosa, ma vista da tre diverse prospettive : il carisma proviene dallo Spirito che è la realtà della grazia inabitante nel singolo credente. I servizi sono tutti compiuti per l'uni· co Signore (J. Weiss; il riferimento alla comunità è messo esplicitamente in evidenza al v. 7 ), oppure il Signore è con· siderato l'artefice del servizio alla comunità ( il che corri· sponde meglio agli altri due membri). Le attività e i pro· digi sono frutto della potenza di Dio in tutti. Nella parola è risurre­ zione dei morti, nemmeno Cristo è risorto. 14 Ma se Cristo non è ri-

I

Cor.

IJ, I2-I9

sorto, vuota è la nostra predicazione e vuota anche la vostra fede. 15 Inoltre risultiamo anche falsi testimoni di Dio perché testimoniamo a sfavore di Dio dichiarando che avesse risuscitato Cristo, che lui invece non risuscitò, se è vero che i morti non risorgono. 16 Perché se i morti non risorgono, nemmeno Cristo è risorto. 17 Ma se Cristo non è risorto, la vostra fede è un'illusione e voi siete ancora nei vostri peccati. 18 Allora anche coloro che si sono addormentati in Cristo so­ no perdu ti . 19 Se abbiamo riposto in Cristo la nostra speranza solo per questa vita siamo i più disgraziati di tutti gli uomini.

I .2 .

In primo luogo Paolo ha fissato il punto di partenza dal quale muove la sua argomentazione. Anche la comunità di Corinto deve tornare a riflettere sull'evento di Pasqua, riat­ tualizzarne il significato e trarne le dovute conseguenze. Ora l'Apostolo prende in considerazione la tesi degli avversari che non esiste risurrezione dei morti. Conosciamo dunque solo l'aspetto negativo della concezione di questi Corinti. Hanno forse sostenuto la loro affermazione con la convin­ zione greca dell'immortalità dell'anima cosl ostile alla cor­ poreità dell'uomo? Non abbiamo tuttavia potuto accertare l'esistenza a Corinto di correnti filosofiche di matrice _greca come, ad es . , il dualismo dei mondi (il mondo celeste delle idee da un lato, il mondo terreno dei fenomeni dall'altro ) che pure è il fondamento della credenza nell'immortalità dell'anima. Oppure queste persone credevano che l'eterni­ tà fosse offerta solo a: coloro che avrebbero vissuto la ve­ nuta escatologica del Signore? Oppure sostenevano che la risurrezione fosse già avvenuta (cfr. l'eresia denunciata in 2 Tim. 2 , 1 8 ) e precisamente con il dono dello Spirito di­ vino? In quest'ultimo caso avrebbero pure negato il carat­ tere corporale ed escatologico-futuro della risurrezione (cioè ciò che secondo Paolo era appunto determinante) e sareb­ bero ancora una volta identificati come «gnostici» , ossia sostenitori di una religiosità entusiastica (H. v. Soden; Schniewind). Questa interpretazione meglio s'adatterebbe all'immagine che finora d siamo fatti della comunità di Corinto.

272

1 3 · 1 8 . Cosa

Risurrezione di Cristo e risurrezione dei morti

risponde Paolo a queste persone? Negando la risurrezione dei morti negate pure la risurrezione di Cristo, demolite il fondamento della comunità e di tutto l'evange­ lo. Infatti risurrezione di Cristo e risurrezione dei morti so­ no indissolubilmente unite (Act. 4,2 ; Io . r r ,25-2 6 ) ; se non c'è la seconda viene a cadere anche la prima. La risurrezio­ ne dei morti non è che la conseguenza della risurrezione di Gesù, fa parte del significato e della effettività dell'ultima. La risurrezione di Cristo non è un avvenimento singolo, a se stante, non è un miracolo isolato accaduto a un certo in­ dividuo, ma l'inizio e il prorompere di quell'evento esca­ tologico e universale che è la risurrezione, un intervento di Dio su colui che egli aveva eletto come tramite e portatore del suo regno ( cfr. vv. 24-2 6 ). Chi nega la risurrezione dei morti ne rifiuta pure il momento iniziale determinante. Si può dunque credere solo l'uno e l'altro evento, l'uno nel­ l'altro. Paolo illustra poi ai Corinti il significato concreto della loro negazione portandola alle sue conseguenze ulti­ me. Se vien meno la risurrezione di Cristo, la predica­ zione e la fede rimangono prive del loro contenuto. Cos'è in­ fatti l'evangelo se non l'annuncio dell'inizio dell'epoca sal­ vifica (Mc. r , r 5 par . ; Le. 4, r 8 ss. ) ? Quali sono le conseguen­ ze per coloro che proclamano l'evangelo ? Verrebbero sma­ scherati come bugiardi che attestano un'opera che Dio non avrebbe compiuto . Affermando che non c'è risurrezione dei morti i Corinti collocano Paolo nel novero di questi falsi testimoni. Inoltre se Cristo non è risorto non c'è nuova vita, non c'è liberazione dai peccati e la comunità . vive ancora nella condizione di peccato del vecchio mondo. Risurrezione di Cristo e liberazione dai peccati sono dunque una sola cosa in quanto la seconda è una conseguenza della prima (cfr. Rom. 6 , 3 ss. 8 ,3 s. r 2 s . ; 7 , 5 s . ; Col. 2 , 1 2 ss . ) . Solo ed esclusivamente perché Cristo è stato risuscitato, la sua è una morte per i nostri peccati ( Rom. 4,24-2 5 ) . Solo la risurre­ zione è il sl di Dio all'opera di Gesù ( al fatto che egli per-

I Cor. Ij1I2-29

2 73

donò peccati) come pure alla sua morte. Senza l'accettazio­ ne di Dio tutto ciò sarebbe vano e assurdo. La nuova vita è resa possibile solo dalla risurrezione di Cristo. E, infine, coloro che si sono addormentati in Cristo avrebbero credu­ to invano e non avrebbero ricevuto la fede; solo col Cristo risorto esiste l'essere-in-Cristo, la salvezza ultima, definitiva. 1 9 . Il

versetto conclusivo offre una poderosa sintesi di que­ sta serie di argomentazioni. Sperare in Cristo solo e soltanto per questa vita, limitatamente a questa esistenza, significhe­ rebbe che la vita cristiana è un assurdo, che i cristiani che credettero a una tale assurdità sarebbero da commiserare più degli uomini che non conobbero affatto Cristo. Figurarsi la fede cristiana solo come una speranza per questa vita sareb­ be peggiore di qualsiasi miseria umana. Solo la risurrezione futura dà una vera speranza in quanto soltanto essa offre realmente la redenzione dalla morte e dalla caducità; la po­ tenza della risurrezione di Cristo trascende invece di gran lunga questa vita e questo secolo, è essa stessa l'inizio del nuovo eone. Solo la certezza della risurrezione dà pertanto significato alla vita cristiana. Se non ci fosse questa sicurez­ za sarebbe meglio vivere e pensare come i figli di questo mondo (K. Barth). L'argomento dunque si fonda sulla risurrezione di Cri­ sto, poiché ad essa credono anche i Corinti, e Paolo dimo­ stra loro quanto sia stolto non credere alla risurrezione dei morti se si crede alla risurrezione di Cristo. Questa infatti non è che l'inizio di quella, e qualora si neghi che i morti risorgono, in realtà si rifiuta la risurrezione del Signore e si svuota il messaggio e tutta l'esistenza cristiana. Pare quin­ di che uno degli elementi della gnosi di Corinto sia stato un atteggiamento di relativizzazione della morte: se è già av­ venuta la trasformazione mediante lo Spirito, se la gnosi co­ stituisce la redenzione, se già ora e qui siamo «uomini spi­ rituali» , allora la morte ha un'importanza secondaria, non

2 74

Lo scopo divino della risurrezione

c'è bisogno di risurrezione dei morti. Forse questi Corinti hanno pure condiviso la concezione gnostica secondo cui con la morte il Pneuma viene liberato dal carcere del corpo e può salire al mondo celeste (cfr. l'excursus sul rapimento dell'anima in cielo, pp. 450 ss. ). 3•

Lo scopo divino della risurrezione ( Ij,20·28)

20 Ora invece Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che dormo­ no. 21 Poiché, infatti, la morte venne mediante un uomo, cosi anche per mezzo di un uomo viene la risurrezione dei morti. 22 Come infat­ ti in Adamo tutti muoiono, cosl anche in Cristo tutti verranno vivi­ ficati. 23 Ciascuno però a suo turno : prima Cristo, che è la primizia ; poi coloro che appartengono a Cristo, alla sua venuta ; viene quindi 24 la fine, quando consegna il regno al Dio e Padre, dopo aver esauto· rato ogni altra signoria e ogni potestà e potenza . 25 Perché egli deve regnare finché non ponga tutti i nemici sotto i suoi piedi. 16 Quale ultimo nemico sarà eliminata la morte. 27 Infatti tutto egli pose sotto i suoi piedi. Ora, quando si dice che tutto gli è stato sottoposto, evi· dentemente è escluso chi gli sottopose tutto. 28 Quando tutto gli sia però sottomesso, allora lui stesso, che è il Figlio, si sottometterà a colui che gli sottopose ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti. v.

2,5 : Ps. n :o,1 ;

v. 2 7 :

2 0-2 3 . Paolo

Ps. 8,7.

ora sviluppa il corso degli avvenimenti esca· tologici, della storia finale, partendo dalla risurrezione di Cristo, fondamento incrollabile di tutti i novissimi. Egli di­ mostra in questo passo di essere un « apocalittico cristia­ no» perché in armonia con l'apocalittica giudaica crede al nuovo eone futuro, alla risurrezione dei morti, alla nuova vita in un mondo futuro. Tuttavia la risurrezione di Cristo ha dato a questo quadro dèl futuro una luce completamente nuova e determinante : Cristo è l'inizio del nuovo eone; con la sua risurrezione è iniziata la risurrezione dei morti . In Paolo non predomina né il puro presente degli gnostici ( la risurrezione è già avvenuta) né la pura futuralità dell'apo­ calittica. Ma perché descrive qui il corso degli ultimi av-

z

Cor. I),.2o-.28

2 75

venimenti nei suoi diversi atti? Perché mostra tanto in­ teresse per l'ordine stabilito (tagma ciò che è ordinato; classe, schiera, gruppo; nel linguaggio militare : picchetto, re­ parto; distaccamento) dell'eve�to escatologico? Anche que­ sta esposizione è provocata dall'entusiasmo degli gnostici di Corinto che negano la risurrezione. Per loro non c'è più distinzione tra il giorno di Cristo, iniziato già ora (Rom. 1 3 , I I ss . ; 2 Cor. 6,2 ), e la risurrezione e la piena realizzazione futura; non distinguono quindi gli «ordini >>, i « turni». Per Paolo è invece di capitale importanza distinguere i mo­ menti e l'ordine degli eventi : esistono un «prima» e un «poi» . Tra la risurrezione di Cristo e quella dei morti c'è ancora l'epoca del mondo e quindi la miseria del mondo, il peccato, il potere della morte e delle potestà demoniache (vv. 2 4-2 6 ). È necessario prestare attenzione e distinguere i « tempi», un kair6s dall'altro. L'entusiasmo che rinuncia a tale distinzione finisce nell'illusione, nel nulla . Cristo è chia­ mato «primizia di coloro che dormono» (Col. 1 , I 8 ; Act. 2 6 , 2 3 ) perché con lui inizia la risurrezione di tutti ( cfr. Rom. 8 , 2 9 ). Cristo per i Corinti non significa altro che l'inizio del­ la loro risurrezione. Per motivare questo principio Paolo si rifà alla sua «teologia della storia», alla contrapposizione tra Adamo e Cristo ( cfr. vv. 45 ss . e Rom. 5 , 1 2 ss . ) . Adamo è il rappresentante della vecchia umanità, in quanto per mezzo suo sono entrati nel mondo la morte e il peccato ( cfr. Rom. 5 , 1 2 ) ; Cristo invece rappresenta l'umanità nuova in quanto è colui che dà inizio alla risurrezione e all a vita . Co­ me il destino di morte in Adamo cosl la vita in Cristo ab­ braccia e determina l'intera umanità 57• Qui Paolo non in­ tende discutere la questione se tutti gli uomini otterranno la vita futura. Cristo e Adamo, quindi, «in quanto persona­ lità universali, cosmico-escatologiche» (Kiimmel), compren­ dono entrambi una totalità, un mondo o una sfera di uomi=

57· Cfr. P. Althaus, La Lettera ai Romani ( 1970) 105 ss., excursus 12-21 : Adamo e Cristo: la storia in Paolo.

a

Rom. 5,

Lo scopo divino della risurrezione

ni, di cui determinano tutta la storia. Pertanto il secondo «tutti» (v. 2 2 b ) non va riferito alla risurrezione di tutti gli uomini e nemmeno soltanto alla validità universale di ciò che è avvenuto per l'umanità intera con la risurrezione di Cristo, ma è rapportato concretamente alle membra del cor­ po di Cristo. La risurrezione di costoro è fondata sulla ri­ surrezione di Cristo, deve seguirne e ne seguirà. 2 4-2 7 . I

tre versetti che seguono (vv. 24-2 6 ) ci fanno com­ prendere che Paolo con le sue affermazioni non ha inteso negare il giudizio di Cristo sul mondo. I nemici del regno di Dio saranno annientati ( cfr. 1 , 1 8 ; 2 Cor. 2 , 1 5 . 1 6 ; 4,3 s. a proposito dei «perduti»). Paolo vede dunque un ordine nell'evento escatologico che si compie in tre momenti. A questo riguardo non gli interessa indagare o rivelare avve­ nimenti futuri prodigiosi, vuole soltanto che anche presso i Corinti l'evangelo rimanga tale, ossia annuncio della vit­ toria futura del regno di Dio (v. 2 8 ) e del crollo di tutte le potestà ostili a Dio. Solo partendo da questo télos, infat­ ti, si può intendere rettamente, da un lato, il significato della risurrezione di Cristo e della situazione della comuni­ tà cristiana e, dall'altro, la realtà del mondo e dell'uomo in questo eone che gli gnostici misconoscono. Anche per que­ sto aspetto Paolo rimane pertanto fedele all'impegno concre­ to e storico di portare l'evangelo ai Corinti. Per primo sarà restituito alla vita Cristo; al primogenito tengono dietro nu­ merosi fratelli : i cristiani che ,gli appartengono e che saran­ no risuscitati il giorno del suo ritorno; da ultimo segue la fine che viene caratterizzata come la realizzazione piena del suo compito messianico. A questo punto lo sguardo di Pao­ lo si protende verso il momento in cui il vecchio mondo con le sue potestà demoniache viene completamente scon­ fitto di modo che la sua riflessione su Cristo e sulle comu­ nità si protende verso un contesto universalistico . La ri­ surrezione è un potente avvenimento che sembra quasi al-

I

Cor. IJ,2D-28

277

largarsi sempre più per terminare nel trionfo di Cristo che sconfigge tutti i nemici di Dio, assoggetta a lui tutti i regni del mondo e ritorna a Dio in veste di trionfatore per de­ porre ai suoi piedi tutte le vittorie conseguite e le conqui­ ste effettuate nella forza e per ordine di Dio. ( Come questa vittoria di Cristo inizi già con la sua risurrezione ce lo mo­ strano Rom . 8,34 ss . ; Eph. r ,2 r e Col. 2 , 1'5 ) . È probabile che dicendo «ciascuno nel suo ordine» o «a suo turno» (v. 2 3 ) Paolo abbia inteso anche la «fine» come terzo momento, quello conclusivo. Forse in questa visione globale della spe­ ranza cristiana che abbraccia la fine del vecchio mondo con il suo ordine di cose, di questo eone del peccato e della morte, potrebbe essere inclusa anche l'idea che tutta l'uma­ nità risorgerà per ricevere la condanna o la vita eterna. Poi­ ché si parla in primo luogo di Cristo, poi della comunità cristiana e infine (v. 24 h ) della sconfitta delle potestà avver­ se a Dio, si dovrebbe in terzo luogo (così argomentano al­ cuni) parlare anche del destino di coloro che non sono cri­ stiani. Una tale ipotesi _non è però necessaria . Poiché Paolo si preparava già ad affermare che le potestà cosmiche sareb­ bero finite e che Cristo avrebbe vinto, ha scelto il termine «fine» che indica la completa conclusione dell'evento esca­ tologico (come in r ,8 ; r o, r r ; cfr. Mt. 24, I 3 . 1 4 ) 58 • 2 8 . All 'annientamento

delle potestà demoniache si associa l'esito positivo dell'evento escatologico : la consegna del re­ gno al Padre. Con questa consegna termina la vocazione mes­ sianica di Cristo. Se qui vi è un'eco dell'idea dell'interregno messianico che inizia col ritorno di Cristo e termina con la consegna del regno a Dio, tipicamente paolino è comunque _58. Invece di «viene quindi la fine� altri traducono «e infine il resto», inten­ dendo per «testo» i non cristiani che sono morti. Con buona pace di quanti adducono esempi dal greco profano, télos non significa qui «resto�: vi si oppongono sia l'intenzione dell'argomentazione paolina che l'uso linguistico del N.T. dove télos significa sempre «conclusione», «fine». Cfr. inoltre Mt. ro, 22; Mc. 13,7; Le. 2 1 ,9 ; Rom. 6,22; Phil. 3,19; I Petr. 4,7; Apoc. 2 r ,6; 22,13.

Lo scopo divino della risu"ezione

il risalto unico dato alla sola attività di Cristo. Inoltre, a differenza dell'escatologia tardo-giudaica ( cfr. 4 Esdr. 7 , 2 8 s) o dell'Apocalisse di Giovanni ( 2 0,4), Paolo non pone al­ cun termine di tempo : tutto l'evento finale tende, per cosl dire, senza interruzione verso la sua meta ultima, Dio tutto in tutti (v. 2 8 ) . Ma perché Paolo sviluppa per i Corinti que­ sta successione di avvenimenti dalla risurrezione al compi­ mento finale? Perché essi non hanno compreso la distanza e insieme il legame esistente fra risurrezione di Cristo e con­ sumazione finale; perché nella loro presunzione gnostica di possedere la perfezione non sanno vedere come la prima tenda alla seconda. Poiché ora i nemici di Dio hanno an­ cora potere ( principati, potestà, virtù : v. 2 4 ), il compimen­ to definitivo ( télos ) non s'è ancora realizzato, quindi anche la lotta della comunità contro il peccato non è fittizia . In­ vece gli gnostici di Corinto, illudendosi circa la vera situa­ zione escatologica, rendono questa lotta una finzione quan­ do dichiarano che le potestà di questo eone sono un nulla e credono erroneamente di trovarsi già nel regno di Dio ( r o , I 9 s . ; 4,8 ) . Secondo Paolo, invece, le scelte ultime non so­ no ancora avvenute . Pertanto l'Apostolo sottolinea che Cri­ sto e i cristiani si trovano in un ordine particolare; ora tut­ to si trova in una situazione di piena transitorietà, di con­ flitto. Chi nega la risurrezione nega anche la vittoria esca­ tologica di Cristo . Chi rinnega questo futuro rende assurdo il presente della comunità e della fede ( cfr. vv. I 4- I 9 ) Per­ tanto è necessario, in altri termini, distinguere nettamente fra la risurrezione di Cristo e la sua «venuta» escatologica (paroysia) sia sotto il profilo contenutistico che temporale. A sua volta questa distinzione non elimina il saldo nesso che esiste fra Cristo e i cristiani : se essi, grazie alla sua risur­ rezione, sono «in Cristo» già ora, in questo tempo, anche nella sua «parusia» parteciperanno alla sua vita e alla sua vittoria sulla morte. Già nella Scrittura Paolo trova la prova che Cristo qepba .

z

2 79

Cor. I5,20-28

dominare come re fino alla sottomissione di tutti i nemici (Ps. I I O venne interpretato in chiave messianica; vedi an­ che Mt. 2 2 ,44 ; Le. 1 9 ,27 ). L'ultimo e più potente di questi nemici, nel quale si compendia il destino di questo vecchio mondo, è la morte. Vita e risurrezione, in quanto opera di Cristo, presuppongono appunto la sconfitta della morte ( dr. Apoc. 2 0, 1 4 ; 2 1 ,4 ; 2 Tim. 1 , 1 o ) . Nel nostro passo Paolo non parla di peccato, tuttavia egli ha considerato la morte indissolubilmente unita al peccato (Rom. 5 , I 2 . 2 I ) . Solo co­ lui che libera dalla schiavitù del peccato (6 , 1 I ; Rom. 5 , 1 5 ss . ; 6 , 3 ss . ; 8 ,2 ss. ) ha il potere di sconfiggere la morte . Poi­ ché Cristo è colui che con la sua morte per i nostri peccati ci ha riconciliati con Dio, è anche il primogenito di una nuova creazione (v. 2 3 ) Per questa vittoria ultima e de­ finitiva di Cristo trova un'ulteriore prova scritturistica in Ps. 8 ,7 . Tuttavia la sottomissione dell'universo a Cristo è ope­ ra del potere e della volontà di Dio. Il messia regna in virtù dell'ufficio conferitogli da Dio . Per volontà di Dio egli re­ gna sull'universo che gli è sottomesso ; tuttavia Dio è e ri­ mane al di sopra del messia, artefice e meta ultima dell'even­ to escatologico. Solo Dio è Dio e Padre : « Cristo non è un Dio accanto a Dio, bensì vive e regna perché . . . il nome di Dio venga santificato, il suo regno si realizzi completamente e la volontà ·di Dio si compia, come finora in cielo, così, alla fine, anche in terra » (K. Fezer) . La signoria di Dio che tut­ to permea è la parola ultima della speranza del compi­ mento. «Dio tutto in tutti » : con queste parole l'Apostolo non pensa ad una mistica dissoluzione e scomparsa del mon­ do, dell'umanità e di Cristo in Dio, bensì alla comunità di Dio trasfigurata e perfetta e al nuovo mondo di Dio nel quale regna sovrana soltanto la sua santa volontà e tutto ciò che esiste vive di Dio e per Dio, puro e incontaminato dal peccato e dalla morte, nella vita di Dio (Apoc. 2 X , I -2 2 ,5 ), Per comprendere questa riflessione escatologica si devo­ no tener presenti due cose . I . Paolo non vaneggia né fan.

280

Ulteriori esempi

tastica sulla condizione delle creature nel nuovo regno di Dio. Egli non descrive, come fa per es. l'apocalittica tardo­ giudaica, la favolosa fertilità della nuova terra. Egli ha da dire una cosa sola, essenziale : la vittoria di Dio è la vitto­ ria della vita per tutti coloro che appartengono a Cristo. L'Apostolo prende in considerazione solo l'opera di Cristo e di Dio che realizza questo scopo. La fede escatologica di Paolo si condensa tutta attorno alla persona di Cristo. 2 . Paolo non parla né di fatti « storici » né di fatti « sovrasto­ rici» nel senso moderno del termine (poiché appunto questa distinzione è estranea al suo pensiero come pure a ogni pen­ siero escatologico ), ma della «fine» del vecchio mondo ope­ rata da Dio. Il compimento escatologico che inizia con la risurrezione di Cristo ha il suo senso appunto nel supera­ mento della frattura esistente fra tempo ed eternità, storia e sovrastoria, mondo e regno di Dio. 4· Ulteriori esempi dell'assurdità dell'esistenza cristiana senza risurrezione dei morti ( 1,5,29-34) 29

Che farebbero altrimenti coloro che si fanno battezzare per i mor, ti ? Se i morti non risorgono affatto, perché si fanno battezzare per loro? 30 E perché allora ci esporremmo continuamente ai pericoli? 31 Ogni giorno muoio. Proprio cosi, fratelli : ve lo giuro per l'orgoglio che provo per voi in Cristo Gesù, nostro Signore. 32 Se a Efeso ho combattuto con le belve per motivi puramente umani, a che mi giova? Se i morti non risorgono, allora mangiamo e beviamo, perché domani moriamo. 33 Non ingannatevi : le cattive compagnie corrompono i buo­ ni costumi. 34 Tornate in voi, come si conviene e non peccate. Pur­ troppo alcuni non hanno nessuna idea di Dio : lo dico a vostra ver­ gogna. v.

3 2 : Is. 22, 1 3 ; v. 3 3 : Menandro, Thais, fr. 2 1 8 .

29-3 4 . Paolo torna all'argomentazione dei vv. 14 ss . e la

completa con altri due esempi. Anzitutto parla dell'usanza diffus a a Corinto di farsi battezzare in rappresentanza dei

I

Cor.

IJ,29-34

28 I

morti, «probabilmente, però, nel momento del proprio bat­ tesimo» ( Schniewind ). Questo cosiddetto battesimo vicario intende far partecipare alla grazia del sacramento anche per­ sone otmai defunte (principalmente parenti). Questa consue­ tudine s'è conservata a lungo in numerose sette della chiesa antica ( marcioniti, montanisti ); anche nei misteri dionisianici esisteva un'iniziazione vicaria per coloro che erano morti senza averla ricevuta. Nel nostro passo Paolo non intende né mettere questa usanza sotto accusa né darne una valu­ tazione positiva, ma soltanto usarla come un esempio . Essa infatti ha un significato soltanto se c'è una risurrezione dei morti, se cioè il battesimo pone il defunto sullo stesso pia­ no di coloro che risorgono come cristiani battezzati. Eviden­ temente questa prassi era seguita solo da alcuni componenti della comunità, probabilmente coloro stessi che negavano la risurrezione, sicché le parole di Paolo ne rivelano l' atteg­ giamento contradditorio. È strano che gli gnostici, che ne­ gavano la risurrezione, abbiano potuto servirsi di una sif­ fatta azione «magica» , ma va ricordato che Pneuma e gnosi individuale non hanno potere salvifico per altre persone; pertanto costoro hanno cercato di far partecipare i parenti defunti alla redenzione ricorrendo al mezzo estremo del bat­ tesimo vicario, sperando che il rito potesse essere utile in qualche modo. Ed ora un secondo esempio. Anche la vita che l'Apostolo stesso conduce a continuo contatto con la morte ( 2 Cor. 4 , I o s . ; 6 ,4 ss. ; I I , 2 3 ss . ) non ha senso se non c'è una risurrezione dei morti . Se non ci fosse, si potrebbe vivere più comodamente. Invece il senso della sofferenza apostolica, dalla quale gli gnostici che si considerano forti si guardano con attenzione, è la risurrezione. Paolo non vuoi lodare se stesso. Il suo vero vanto è la comunità, come si manifesterà nel giudizio universale ( I Thess. 2 , I 9 ; 2 Cor. I , I 4 ; Phil. 2 , 1 6 ). Non è chiaro se Paolo parli in senso :figurato o reale quando dice di aver lottato con le belve a Efeso. Se parla figuratamente, la frase significa all'incirca « aver lotta-

Ulteriori esempi

to per la propria vita» . Contro un'interpretazione letterale c'è il fatto che né gli Atti né Paolo stesso ( 2 Cor. r r ,2 3 ss . , dove parla delle sue sofferenze) fanno accenno a una lotta contro le belve. C'è poi da aggiungere che un cittadino ro� mano poteva essere condannato alle fiere solo dopo esser stato privato della sua cittadinanza. Vi sarebbe una terza possibilità e cioè quella di intendere queste parole come un periodo ipotetico dell'irrealtà ( « se a Efeso avessi combattuM to contro le belve» ) che si riferisse a un serio pericolo mor� tale corso dall'Apostolo, per es. durante la sommossa di Efe­ so narrata in Act. 1 9 ,23 ss. (oppure cfr. l'esperienza citata in Rom. 1 6 ,4 ). La più vicina al vero è l'interpretazione fi­ gurata, tanto più che si trova anche presso altri autori 59 • Inoltre il periodo ipotetico irreale male s'adatta al contesto ( i vv. 29-3 r parlano di fatti reali ). La domanda «a che mi giova» ? significa : che frutto e che significato ha la mia vita quotidiana se non giungo alla risurrezione dei morti? Cfr. Phil. 3 , I O- I I . In definitiva Paolo conosce una sola alternativa : credere nella risurrezione oppure ricadere nella vita puramente na­ turale, qualora la morte fosse la fine. Egli fa notare ai Corinti che questa seconda possibilità è la conseguenza ultima della negazione della risurrezione dei morti. Non hanno detto i Corinti stessi che «i cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi» ( 6 , r 3 )? Non hanno disonorato la celebrazione euca­ ristica e partecipato a banchetti cultuali dei pagani ( Schnie­ wind)? Cosl col «mangiare e bere» erano già in comunione con gl'idoli e praticamente rinunciavano alla confessione «Gesù è il Signore» (cfr. r r ,2 r ; 1 0 , 1 9 ss. � 8 ) . Per questo motivo verso la fine dell'argomentazione Paolo pone un se­ vero monito ricordando una massima, allora ormai prover� biale, presa dalla Taide di Menandro, un autore molto letto '9· Ign., Rom. ,,I : [ «Dalla Siria fino a Roma sto lottando con le fiere, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato ai dieci leopardi della mia scorta militare» l .

I Cor. IJ,J5·J8

a quell'epoca 60, I contatti frequenti con coloro che negavano la risurrezione creava un grave pericolo morale. Accanto al­ l'ammonizione vi è poi un'esortazione singolare · che rivela ancora una volta come Paolo non sia per nulla un «entusia­ sta» : nel momento in cui i Corinti negano la risurrezione dei morti si trovano, secondo Paolo, in una condizione di ebbrezza religiosa, mentre la certezza della risurrezione è la sobrietà autentica 61 (perché non ha quel sentimento di per­ fezione religiosa privo di tensione che è proprio dei Co­ rinti e guarda alla piena realizzazione futura). Proprio per­ ché si vantano di possedere la conoscenza spirituale Paolo dice loro con tanta severità che non hanno alcuna idea di Dio, come prova il fatto che neghino la risurrezione. Ma Dio è il Dio della risurrezione, dei vivi, e non dei morti ( 2 Cor. 1 ,9 ; Mc. 1 2 ,2 7 par.). Le ultime affermazioni portano Paolo a fare un notevole passo in avanti rispetto ai vv. 1 2r 9 : chi nega la risurrezione dei morti mostra di non aver ancora compreso chi è Dio e come egli agisca. Dio esiste solo in quanto Dio che dà la vita ai morti, nuovo creatore che chiama l'essere dal non essere, la vita dalla morte (Rom. 4, 1 7 ). Non ci si può vantare di conoscere le profondità di Dio (cfr. 2 , r o ) e insieme negare la risurrezione dei morti. 5· La risurrezione: la creazione parabola della risurrezione e la nuova corporeità ( 1 5 ,35-58) a) L'immagine del

seme

( 15>35·38)

35 Ma qualcuno dirà : «Come risorgono i morti? Con quale corpo si presentano ? » 36 Stolto ! Ciò che tu semini non è reso vivo se prima 6o. [ Menandro, commediografo ateniese (circa 342-290 a.C. ), fu testo scola­ stico molto diffuso e non è escluso che Paolo conoscesse questo autore, e quin­ di lo citasse, da un florilegio in uso nelle scuole giudaiche. Per la questione cfr. R. Cantarella, Scritti minori sul teatro greco (Brescia 1970) 397 ss., in par­ ticolare 398 n. 2, con bibliografia] . 6r. [ Questa considerazione presuppone una traduzione leggermente diversa del v. 34· Il Wendland traduce infàtti «diventate sobri, come si conviene»].

L'immagine del seme non muore : 37 e ciò che semini non è la pianta sviluppata, ma un nu­ do chicco, per esempio di frumento o di un'altra pianta . 38 È Dio poi che gli dà il corpo prestabilito, cioè a ciascun genere di semente il suo corpo particolare. v.

37: «la pianta sviluppata» : Iett. «il corpo futuro (della pianta)».

3;-3 8 . Finora

s'era trattato del «fatto» della risurrezione . Ora invece si affronta il «modo» in cui avverrà. Vengono alla luce gli interrogativi coi quali coloro che a Corinto ne­ gavano la risurrezione dei morti motivavano il loro atteg­ giamento : la risurrezione è inconcepibile e impossibile per­ ché è risurrezione corporale. Perciò all'inizio della pericope seguente abbiamo l'annuncio che i risorti ricevono un corpo spirituale (v. le affermazioni decisive ai vv. 42-44 ) . Con mol­ ta energia Paolo definisce stolta la derisione degli gnostici verso la nuova corporeità perché non sanno conoscere il vero mistero della morte e della vita che si è manifestato sl nella morte e risurrezione di Gesù, ma che è già pre­ sente nella creazione in una pre-figurazione da intendere in senso tipologico: dalla morte Dio crea nuovi «corpi>> ( vv. 3 7 ss. ). Gli gnostici badano solo a rifiutare il corpo terreno perché appartiene al mondo materiale, estraneo a Dio, dal quale l'io spirituale va liberato. Paolo non risponde diretta­ mente dimostrando la possibilità logica dell'esistenza del corpo risorto, poiché anche la fede non conosce la realtà della vita risorta per conoscenza diretta (cfr. I 3 , I 2 ) ; re­ plica invece in modo indiretto, con un paragone destmto dal mondo della creazione. La risurrezione si attua allo stes­ so modo con cui la nuova pianta proviene dal seme. L'uo­ mo terreno che deve morire è come il chicco che viene se­ minato. In ambedue i casi prima della nuova vita c'è la morte. Infatti «c'è una morte che è premessa di vita» ( Schlat­ ter ). La nuova pianta non è quindi la stessa cosa del seme. Anche qui la realtà traspare attraverso un'immagine, quan­ do Paolo dice che non il corpo futuro [ cioè la pianta svi-

I

Cor. IJ,39-44

luppata ] «viene seminato», ma quello terreno. In ambedue i casi abbiamo un miracolo della potenza creatrice di Dio che dalla morte crea la nuova forma di vita. Completamente estranea invece all'immagine paolina è l'idea moderna di evoluzione. La nuova vita nella risurrezione non si evolve da quella terrena né significa solo un ritorno alla forma ter­ rena di vita, come spesso insegnava la dottrina giudaica del­ la risurrezione (cfr. Mc. 1 2 ,2 5 ) . L'uomo terreno infatti muo­ re. Il corpo che muore e viene sepolto e il corpo risorto non sono affatto identici; sono contrapposti come carne e spirito, questa epoca e il regno di Dio, il peccatore e «l'uomo celeste» cui è stata comunicata la pienezza della redenzione (cfr. vv. 42 ss. 48 ss . ) . Comunque sia, è però vero che in am­ bedue i casi abbiamo un corpo. La vita eterna non è assen­ za di corpo, non è separazione dell'anima dal corpo. Paolo afferma esplicitamente : è opera di Dio che dona a ciascun seme il corpo nuovo che gli spetta. Egli è il creatore che dona una pienezza di vita e come il seme sembra quasi sen­ za figura nei confronti della nuova forma di vita della pianta, così anche l'uomo nella tnorte viene spogliato del suo corpo terreno e riceve poi il nuovo corpo nella risurrezione. Già i rabbini dicevano che il seme di frumento viene sepolto «nu­ do » . Il nuovo corpo risorto viene dunque paragonato a un vestito e Paolo accetta questa concezione. Come Paolo an­ che Lutero e Calvino hanno inteso la vita della creazione come accenno e preludio della futura vita della risurrezione ( praeludium resurrectionis ). b ) La molteplicità dei corpi ( Ij,J9·44) 39 Non ogni carne è la stessa carne, ma altra è quella degli uomini e altra quella delle bestie, altra quella degli uccelli e altra quella dei pesci . 40 Vi sono inoltre corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro lo splendore di quelli terrestri. 41 Al­ tro lo splendore del sole e altro quello della luna e altro quello delle stelle; una stella si distingue infatti dall'altra per lo splendore. 42 Co-

La molteplicità dei corpi

286

sì è anche la risurrezione dei morti. Si semina qualcosa di mortale e viene risuscitato immortale ; 43 si semina spregevole e risorge glorioso ; s i semina debole e viene risuscitato potente; 44 s i semina un corpo psichico, risorge un corpo spirituale. Se esiste un corpo psichico ne esiste anche uno spirituale.

3 9-4 2a. Esiste quindi un gran numero di forme di vita e di

corpi dei quali Dio dispone : le sue possibilità di creare so­ no infinite e illimitate. Questa infinita potenza creatrice di Dio comprende anche il nostro futuro come il futuro di tut­ to il mondo . Nel momento in cui crea la vita della risurre­ zione egli agisce come colui che crea la realtà nuova, colui che può chiamare l'essere dal non essere (Rom. 4 , 1 7 ). Così Paolo spiega la possibilità logica del nuovo corpo risorto. Ogni vita è vita corporea ( qui Paolo la chiama «carne», ter­ mine che nel nostro passo non sta a indicare l'esistenza del­ l'uomo peccàtore, separato da Dio, :p.on riconciliato, ma ogni forma di vita ( terrena ). Solo nei vv. 42 ss. è chiaro che Pneu­ ma e corpo non sono per Paolo opposti che si escludono, per quanto la corporeità terrena ( carne e sangue, v. 5 0 ) sia destinata a venir meno e morire. L'espressione «carne » indi­ ca la forma completamente terrena dell'essere vivente in que­ stione, considerata come predeterminata dalla volontà del creatore. Tutte queste forme di vita sono diverse tra loro . Dai corpi terreni però si devono distinguere quelli celesti e preci­ samente in ,base alla loro « luminosità», allo « splendore» che essi emanano. Il pensiero è oscuro, ma Paolo intende proba­ bilmente dire che i corpi terreni; a differenza di quelli cele­ sti, non possiedono luminosità. I «corpi celesti» sono per Paolo, secondo la cosmologia dell'epoca, gli astri che erano immaginati come esseri viventi con una veste luminosa. An­ che questi corpi celesti sono a loro volta diversi secondo il genere del loro splendore. Da questa pluralità di corpi Pao­ lo passa a parlare della risurrezione. Egli tuttavia non dedu­ ce con rigorosa logica ciò che segue da ciò che precede, ma si limita a indicare l'abbondanza dei corpi e la differenza fra =

1

Cor. 15,39-44

quelli terreni e quelli celesti come un paragone per far com­ prendere ai Corinti il modo con cui avverrà la risurrezione. Questo termine di paragone non è però un'invenzione, un parto della fantasia, ma è la potenza creatrice divina divenu­ ta vita e forma nella creazione. Questa realtà creata è para­ bola e preludio della realtà della redenzione. La potenza del Dio della redenzione non è minore di quella del Dio della creazione . Poiché i corpi della creazione non sono che il pro­ digio e il mistero del Dio creatore, la vita della prima crea­ zione può diventare termine di paragone della nuova vita della risurrezione. Al corpo terreno seguirà un nuovo corpo spirituale. In questo passo lo spirito non è considerato una sostanza o una materia celeste, ma la potenza vitale divina che crea e determina il nuovo corpo. 42h-44 . Questa pericope va considerata un inno al miste­ ro della risurrezione. Il paragone della creazione indica la profonda differenza che separa il mondo presente da quel­ lo futuro. La prima creazione contiene in sé la caducità. L'op­ posizione tra affimero e perenne è radicale. Quando Paolo parla di un corpo «seminato» in spregevolezza, transitorietà e debolezza, è necessario ricordare le locuzioni «corpo di peccato» ( Rom. 6,6 ), «corpi mortali» (Rom. 8 , I I ; cfr. 8 , 1 3 e 2 Cor. 4 , 1 I : «carne mortale» ), come pure si deve tener pre­ sente che il peccatore è privo della d6xa (gloria) divina ( Rom. 3 ,2 3 ) ; si tratta del «corpo di questa morte» (Rom. 7,24 ) da cui si deve essere liberati ( Rom. 8,23 ). In questi concetti non esiste l'idea di passaggio, non c'è evoluzione. La nuova vita è qualcosa di sostanzialmente diverso da quella vecchia (Mc. 1 2 ,25 ). In sé queste contrapposizioni dualistiche corrispon­ dono senz'altro al pensiero ellenistico-gnostico, da cui deri­ va certamente il concetto di «corpo psichico» . Ma l'Apostolo modifica queste antitesi perché associa soma ( corpo) alla pe­ rennità, alla gloria e alla forza divina, la cui rivelazione ( esca­ tologica) avverrà solo con la parusia di Cristo (vv. 5 1 ss. ) .

288

La molteplicità dei corpi

Per questo motivo non esiste al presente una divinizzazione ( come credono gli gnostici), per questo motivo la redenzione non è separazione del corpo dal pneuma. Poiché la prima creazione e la nuova creazione sono strettamente legate, per­ ché entrambe provengono dalla stessa potenza dell'unico creatore e Signore, Paolo può collocare la realtà « corpo» in tutti e due gli estremi della contrapposizione (mortalità - im­ mortalità ecc.). Pertanto esiste pure una mutua corrispon­ denza positiva tra il corpo terreno e quello risorto. Paolo fa culminare la contrapposizione e 1a corrispondenza nel bino­ mio : corpo psichico-corpo spirituale (pneymatik6n ). Come in 2 , 1 4 l'uomo terreno era chiamato «psichico» ed era con­ trapposto a quello spirituale, così qui il corpo psichico ( terreno ) è distinto da quello spirituale, cioè dal corpo della vita della risurrezione. L'anima è solo vita terrena . Lo spiri­ to divino sta sì in contrapposizione con la corporeità terrena, peccaminosa e caduca, ma non con la corporeità in quanto tale. Esiste invece una corporeità spirituale celeste, una san­ ta corporeità della vita eterna, ciò che appunto è indicato qui con il termine « spirituale » (pneymatik6n ). Il corpo terreno deve morire perché possa risorgere quello spirituale. Il fatto però che risorga è prodigio operato dal Dio che dà la risur­ rezione. Abbiamo qui l'espressione più radicale della diffe­ renza tra la fede del primo cristianesimo nella risurrezione e la concezione greca della «immortalità dell'anima» 62, e so­ prattutto la più nètta opposizione alla gnosi e alla mistica el­ lenistica, che credono di possedere l'eternità già nel presente mediante la visione spirituale o la divinizzazione culturale. Per Paolo sono invece verità decisive e irrinunciabili sia la corporeità che la futuralità del compimento (risurrezione). Egli si riferisce alla futura nuova creazione di Dio. Poiché per Paolo il Dio redentore rimane il Dio creatore, poiché con l'Antico Testamento egli vede nel mondo intero il pro=

62. [Per la questione dr. O. Cullmann, Immortalità dell'anima o risu"e:done dei morti? (Brescia 1967 ) ] .

I

Cor. I5,45-49

digio delle opere divine, poiché anche nella risurrezione Dio agisce come il Signore della vita, è giusto e ragionevole con­ cludere che se esiste un corpo psichico ( terreno ) ne esiste an­ che uno spirituale, benché il corpo terreno in quanto tale non possieda in sé lo Spirito divino (che viene nel mondo con la rivelazione della salvezza in Cristo; cfr. vv . 45 ss. ), ma è caduco. Poiché è creato, l'uomo viene redento : tutto l'uomo, non solo un'«anima» . Perciò si parla di un corpo nuo­ vo, celeste. Il concetto di « redenzione» non basta certo ad esprimere tutta la concezione di Paolo poiché contiene una nota negativa e va quindi completato, per es., col concetto di 'nuova creazione'. c ) I l primo

e

il secondo uomo ( I.St4.S·49)

45 Così, come la Scrittura dice che il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente, l'ultimo Adamo sarà uno spirito vivificante. 46 Ma non c'è prima ciò che è spirituale, bensì ciò che è psichico ; prima viene questo e poi ciò che è spirituale. 47 Il primo uomo proviene dalla ter­ ra, è terreno, il secondo uomo dal cielo. 48 Gli uomini terreni sono come l'uomo della terra, gli uomini celesti come l'uomo del cielo. 49 Cioè, come portammo l'immagine dell'uomo terreno, così portere­ mo anche l'immagine dell'uomo celeste. v.

45 : Gen. 2,7.

45·49 · Segue ora una motivazione scritturistica della contrap­

posizione fra il corpo terreno e quello celeste. Questa prova si basa sulla contrapposizione e sulla corrispondenza fra Ada­ mo e Cristo (cfr. il commento a Rom. 5 , 1 2-2 1 ) e ha quindi carattere cristologico. La missione di Cristo, l'uomo 'nuovo' con cui si manifesta la nuova creazione di Dio, autorizza Paolo ad attendere la nuova vita nella forma del «corpo spi­ rituale» . Tuttavia da Gen. 2 ,7 è presa solo la prima parte della citazione del v. 45 ; ciò che Paolo aggiunge riguardo al­ l' «ultimo Adamo» è una sua deduzione dalla prima metà. Quest' «ultimo» Adamo, ossia l'Adamo escatologico che ini-

Il primo e il secondo uomo

zia l'epoca salvifica, è Cristo. Se il primo Adamo viene dalla terra e ha ricevuto l'anima vivente mediante il soffio divino, Cristo è colui che ha lo Spirito divino che crea nuova vita e proviene dal cielo. Essi sono quindi in opposizione e insieme in corrispondenza. Ciascuno dei due è rappresentazione e incarnazione di una umanità che loro appar'tiene, quella ter­ rena e quella celeste, di cui ciascuno è capo e signore. L'uma­ nità celeste è la comunità di Cristo, formata da tutti coloro che sono di Cristo. Peculiare è l'insistenza con cui Paolo pre­ cisa esplicitamente che prima viene l'uomo terrestre .e solo in seguito quello celeste, e pertanto anche prima «lo psichi­ co» e poi «lo spirituale» . Nelle due espressioni il soggetto sottinteso è > è detto «corpo della sua gloria» (del suo splendore celeste) . La tra­ sformazione in questa immagine è, come la risurrezione, un evento futuro. Purtuttavia i cristiani già ora possono essere chiamati «uomini celesti» perché partecipano a questo nuovo essere in quanto uniti a Cristo. d) La trasformazione nell'attimo del compimento futuro; conclusione (Ij,jO-j8) 50 Questo invece vi dico, fratelli, che carne e sangue non possono ere­ ditare il regno di Dio, né ciò che è mortale eredita l'immortalità. 51 Ecco, vi annuncio un mistero : non tutti ci addormenteremo, ma invece verremo tutti trasformati, 52 in un attimo, in un batter d'oc­ chio, allo squillo dell'ultima tromba . Giacché la tromba suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. 53 Perché è necessario che questo corpo corruttibile rivesta incorruttibilità e questo corpo mortale indossi immortalità. 54 Ma quando questo corpo corruttibile rivestirà incorruttibilità e questo corpo mortale immorta­ lità, allora si compirà la parola della Scrittura : La morte fu ingoiata

nella vittoria. 55 Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è o morte, il tuo pungiglione? 56 Il pungiglione della morte è però il peccato e la forza del peccato la legge. 57 Ma sia ringraziato Dio che ci dà la vittoria me­ diante il nostro Signore Gesù Cristo. 58 Perciò, miei diletti fratelli, siate saldi, irremovibili, sempre più attivi, in ogni circostanza, nel­ l'opera del Signore, poiché sapete che le vostre fatiche nel Signore non sono vane . v.

55 : Is. 25,8 e Os. IJ,I4.

I Cor. IJ,J0-58

2 93

50-5 8 . Prima della conclusione, Paolo affronta un ultimo pro­

blema, quello del destino di coloro che non sono morti pri­ ma della venuta del Signore. Prima ancora però vuole evitare che sorga un pericoloso equivoco che potrebbe nascere quan­ do si parla del corpo della risurrezione. Anche nel nostro passo il tema è dato dall'interrogativo posto al v. 3 5 , solo che Paolo fa sfociare la risposta (il mistero della trasformazione dei vv. 5 1 ss. ) nell'inno della vittoria della vita e della risur­ rezione sulla caducità e la morte (vv. 5 3 ss. ). La tesi sostenu­ ta dai Corinti, per es ., poteva essere che l'idea della risurre­ zione dei morti fosse inconcepibile perché siamo uomini spi­ rituali e perché pneuma e corpo non hanno nulla in comune : non si può infatti entrare nel regno di Dio con «carne e san­ gue» . Perciò probabilmente essi hanno confuso la posizione di Paolo con la concezione tardogiudaica secondo cui la ri­ surrezione significa il ripristino materiale del corpo terreno . Paolo rifiuta con decisione questa. speranza materialistica giu­ daica della risurrezione. In Mc. 1 2 , 1 8 ss., nella polemica con­ tro i sadducei, Gesù ha definito questa posizione una comple­ ta ignoranza della Scrittura e della potenza di Dio. Il corpo terreno è carne e sangue ( al v. 44 chiamato «corpo psichico» ; l e due espressioni significano la stessa cosa) che mai potrà entrare nel regno di Dio ( cfr. pure 6 , 1 3 e Io. 3 , 6 ) . La vita nel nuovo corpo celeste della resurrezione non è la continua­ zione lineare della vita terrena dopo la morte, ma vi si diffe­ renzia sostanzialmente. La morte di tutto ciò che è terreno è il presupposto inevitabile per entrare nel regno di Dio. In questo brano Paolo parla nei termini della predicazione di Gesù. Non c'è nulla nell'uomo che possa sfuggire a questa morte. La morte è veramente una fine e non una porta attra­ verso cui l 'anima entri nella vita eterna (K. Fezer). Solo la nuova azione creatrice di Dio genera incorruttibilità. Non v'è pertanto alcun rapporto diretto fra la vita terrena e quel­ la eterna né tantomeno uguaglianza. Questo asserto, deter­ minato con molta chiarezza, vale anche per gli uomini che

La trasformazione nell'attimo del compimento futuro

2 94

saranno colti dalla fine ancora in vita ( I Thess. 4 , 1 5 ). Per co­ storo in luogo della risurrezione c'è la trasformazione, poiché non possono entrare cosl come sono, con la loro umanità terrena, nel nuovo mondo del compimento, nel regno di Dio 63 • L'Apostolo si attende ancora di vivere egli stesso («noi» ) la parusia del Signore. Paolo descrive vivacemente la subitaneità, l'aspetto prodigioso e incomprensibile di que­ sto evento : si tratta di un mistero. Secondo lui il mistero sta evidentemente nella trasformazione nella nuova forma di vi­ ta del corpo spirituale . Lo squillo di tromba che risuona alla fine è una concezione ormai stereotipa dell'attesa apocalitti­ ca : è il segno dell'inizio della risurrezione dei morti ( cfr. I Thess. 4 , 1 6 ; Mt. 24,3 1 ). Dio stesso ha stabilito che la realtà effimera e mortale si rivesta di immortalità. Paolo torna a far uso dell'antica immagine del «rivestirsi» del corpo celeste, atto con cui viene distrutto il vecchio corpo terreno ( 2 Cor. 5 ,4 ) L'attesa apocalittica tardogiudaica parlava delle «vesti della gloria» o «della vita» (Hen. 6 2 , 1 5 ) colle quali i giusti vengono rivestiti dopo la risurrezione. La risurrezione dei morti e la trasformazione dei viventi sono quindi lo stesso prodigio. Questo pensiero passa poi al successivo salmo di ringraziamento per la distruzione della morte, atto nel quale Paolo vede realizzarsi una profezia (Is. 2 5 , 8 ; Os. 1 3 , 1 4 ). La vittoria divina annienta, ingoia la morte. Singolare è l'imma­ gine del «pungiglione» della morte. Forse Paolo pensa al pungolo dei pastori o al pungiglione mortale dello scorpione. Ciò che dà alla morte la sua efficacia letale è il peccato . Nel momento in cui esso è vinto, anche la morte non ha più ra­ gione di essere. Dio dà la. vittoria sul peccato attraverso Cri­ sto. L'idea della sconfitta della morte, però, ricorda a Paolo lo stretto rapporto che intercorre fra morte e peccato . Il pec­ cato è l'arma con la quale la morte colpisce l'uomo . Il pecca.

63. Alcuni manoscritti spostano il «non» del v. 51 e leggono « ...dunque ci ad­ dormenteremo, ma non saremo tutti trasformati». Questa lezione va rifiutata perché è un controsenso.

La speranza paolina della risurrezione

2 95

to a sua volta viene alla vita attraverso la legge : in essa sta la sua forza. Abbiamo a questo punto una sintesi incisiva di ciò che Paolo sviluppa in Rom. 7,7 ss. « � estremamente sor­ prendente che l'insegnamento antifarisaico sul n6mos venga presupposto in questa polemica contro lo gnosticismo; Pao­ lo ha dunque inculcato anche agli etnico-cristiani la sua dot­ trina della legge» ( Schniewind). Da tutte queste potestà (leg­ ge, peccato e morte) ci libera la .vittoria di Dio mediante Cri­ sto (Rom . 7 , 25 ; 8 , 1 ss . 3 7 ss . ), vittoria che viene resa nostra . Il messaggio paolina della grazia giustificante di Dio che Cri­ sto ci ottiene con la sua morte per i nostri peccati, è la pre­ messa del suo messaggio della vita : attraverso la giustizia al­ la vita ( Rom. 5 ,2 1 ; cfr. 5 , 2 7 ; 6,25 ) . Paolo conclude con l'e­ sortazione a rimanere incrollabilmente saldj nella fede in questa vittoria di Dio, nella risurrezione ventura. In essa ogni fatica ottiene ricompensa e frutto. Pertanto i Corinti devono crescere nell'«opera del Signore» . Con questa espres­ sione s'intende tutta l'opera cristiana dell'edificazione della chiesa (cfr. 1 6 , 1 o ; Rom. 1 4 , 2 0 . In 9 , 1 Paolo chiama la co­ munità sua «opera nel Signore» ). I cristiani, le comunità, so­ no chiamati a svolgere l'opera stessa del Signore, come suoi «collaboratori» ( 3 ,9 ) . Caratteristico del genio di Paolo è che a questo poderoso inno segua ancora la semplice esortazione. Ma il messaggio della risurrezione non è un pensiero ideale, bensl realtà che dà significato e forza alla vita quotidiana del­ la comunità. La comunità vive della vittoria, nella vittoria attuale di Cristo, ormai già ottenuta, e nello stesso tempo agisce nella speranza della seconda vittoria definitiva di Cri­ sto ( cfr. v. 57 con vv. 24-2 6 ) in modo da acquistare il «frutto dell'opera» (Phil. 1 , 2 2 ; Col. 1 ,2 3 ; cfr. Phil. 1 , 1 1 ). La speranza paolina della risurrezione. Per cogliere meglio la singolarità della speranza paolina della risurrezione è ne­ cessario distinguerla sia dalla speranza giudaica che dalla con­ cezione greco-ellenistica dell'eternità.

La speranza paolina della risurrezione

Paolo ha in comune con la fede giudaica l'attesa della fu­ tura fine del mondo, l'idea della risurrezione dei morti e la certezza di un'esistenza corporea nel mondo futuro. Tuttavia le premesse giudaiche del suo pensiero vengono rinnovate dalla fede in Cristo. In primo luogo, secondo lui, il messia è già apparso e risorto. Nella risurrezione di Cristo è già ini­ ziata la risurrezione dei morti : Cristo è la primizia dei morti cui terrà dietro tutto il raccolto. Negare la risurrezione dei morti significa cancellare anche la risurrezione di Cristo ( 1 5 , 2 1 ss. ). La speranza nel corpo celeste si fonda su Cristo, Spi� rito creatore di vita, uomo celeste ( 1 5 ,45 ss . ) . In secondo luogo Paolo distingue però la realtà caduca terrena dal regno di Dio con una tale accuratezza da far perdere ogni consisten­ za alla speranza giudaica della risurrezione di questo corpo terreno, cioè alla rozza visuale che considera la vita eterna come una continuazione di quella terrena. Il pensiero di Pao­ lo è conforme a quello di Gesù come risulta dalla sua pole� mica contro i sadducei (Mc. 1 2 , 1 8 ss.). La fede di Gesù e di Paolo è preparata da quelle voci dell'apocalittica tardogiu­ daica, ad es . l'apocalisse siriaca di Baruc (Bar. syr. 49-5 1 ), secondo cui i giusti saranno trasformati nello splendore del mondo celeste ( cfr. Dan. 1 2 ,3 ; Mt. 1 3 ,43 ). D'altro canto l'atteggiamento di Paolo è in netto contrasto con il concetto greco dell'eternità, del quale si devono però distinguere almeno quattro forme. L'idea filosofica di immor­ talità, con la quale Paolo non si scontra direttamente, viene implicitamente confutata dall'attesa della risurrezione dei morti e della vita spirituale. La mistica ellenistica parla del­ la perfetta compenetrazione dello spirito umano nella divini­ tà fino a sparire del tutto. Il dualismo escatologico dell'Apo­ stolo esclude questa mistica. Chi sostiene la teoria ellenisti­ ca afferma di non aver bisogno della risurrezione futura. I culti misterici promettono la trasformazione o la divinizza­ zione dell'uomo mediante consacrazioni cultuali, per es. col battesimo oppure col rito dell'indossamento di una veste;

La speranza paolina della risurrezione

2 97

colui che è trasformato è già redento e salvato dalla morte, quindi non ha più bisogno di una piena realizzazione escato­ logica. La gnosi è perfettamente coerente con il suo dualismo quando dice che l'uomo pneumatico possiede la gnosi e quin­ di la redenzione. Il destino del corpo e della materia gli è assolutamente indifferente, li abbandona alla corruzione in cui si trovano. Secondo Paolo, invece, anzitutto l'uomo va posto nella sua totalità sullo stesso piano del vecchio mondo governato dal peccato e dalla morte. Pertanto ha bisogno che intervenga il prodigio divino della distruzione della morte e della risurrezione. Paolo non conosce un'anima che sia parte del mondo eterno e sia prigioniera nel carcere del corpo. Re­ denzione non è per lui la liberazione dell'anima celeste dalla bassezza della materia terrena, bensl la risurrezione è la tra­ sformazione nel corpo celeste, nell'immagine di Cristo, cosl che anche il corpo dell'uomo partecipa al rinnovamento esca­ tologico ( 1 5 ,3 5 ss. 45 ss . ) . Con questa azione Dio prende a sé l'uomo strappandolo al potere della morte, ma attraverso la morte. È perciò grazie a questa opera di Dio che la persona risorta sia lo stesso io dell'uomo : un solo uomo nel corpo della morte e nel corpo della risurrezione, della vita. Inoltre la risurrezione è secondo Paolo opera della potenza e della grazia di Dio attraverso Cristo (vv. 2 0 ss. 45 ). Solo da questo intervento di Dio ci si deve attendere la nuova vita ( cosl co­ me Dio ha potere sulla molteplicità dei corpi ) e non da una divinità dell'anima o da un'iniziazione dagli effetti magici . La risurrezione è in terzo luogo per Paolo qualcosa di futuro e benché in Cristo il vecchio secolo sia terminato e inizi il tempo nuovo, divino, il secondo e il terzo atto della realizza­ zione, ossia la risurrezione di coloro che sono di Cristo e la fine di tutto il mondo, non sono ancora accaduti ( 1 5 ,20 ss . ) . Fra il primo atto, che fonda la loro speranza, e l'ultimo, vive la comunità. Questa tensione verso la fine, questo senso te­ leologico, questa visione « storica» del mondo che vive pro­ teso verso la sua meta ultima, verso il suo traguardo (cfr. 7 ,

La gnosi "di Corinto

3 r ) , è completamente estranea alla concezione greca dell'eter­ nità. Secondo l'Apostolo non esiste una· divinizzazione del­ l'uomo in questo mondo. È vero che nel dualismo ellenistico­ gnostico, che distingue l'eterno essenzialmente più elevato o qualitativamente affatto contrapposto alla transitorietà del mondo, della materia, del corpo, c'è un elemento analogo al­ la fede di Paolo. Ma la somiglianza è puramente superficiale, limitata all'aspetto esteriore . L'escatologia paolina, infatti, quale traspare chiaramente nei vv. 3 .5 ss . 4 .5 , non rinuncia al­ la fede nel creatore e alla creaturalità del mondo. A tutto il creato è rivolta la promessa della nuova creazione, della sconfitta della morte, della perennità e della gloria della sal­ vezza, della vita eterna, del regno di Dio ( cfr. Rom. 8 , r 8-2 3 ) . La speranza nel nuovo corpo celeste è radicalmente antigno­ stica. Per questo motivo il dualismo in Paolo, a differenza di quanto avviene per la gnosi, non è la realtà �tima. Realtà ultima è invece il nuovo mondo, l'unico mondo nel quale la volontà di Dio viva e regni in tutte le sue creature (v. 2 8 ; cfr. Apoc. 2 1 e 2 2 ) . L'opera pasquale di Dio, la risurrezione di Gesù, ha rivo­ luzionato le antiche attese giudaiche : la risurrezione dei morti è già iniziata e ha posto Paolo nella condizione di con­ trapporre alla gnosi l'annuncio del nuovo mondo e del nuo­ vo corpo, svelando così l'illusorietà dell'idea dell' «uomo di­ vino» . A questo modo, con logica stringente, Paolo mostra concretamente ai Corinti che cosa significhi credere alla risur­ rezione di Cristo. I Cor. r .5 è così diventata l'espressione più piena del pensiero di Paolo per quanto riguarda la gnosi . La grande polemica dell'Apostolo con i problemi e i peccati dei Corinti dovuti e legati alla gnosi poteva concludersi solo con l'annuncio della risurrezione. La gnosi di Corinto. Solo dopo aver dato uno sguardo pa­ noramico alla polemica conclusiva di Paolo con la gnosi ( cap . I .5 ) e dopo aver conosciuto la teologia paolina della risurre-

La gnosi di Corinto

299

zione possiamo cercare di sintetizzare e definire la caratteri­ stica della gnosi di Corinto. Abbiamo visto che la lotta con­ tro la gnosi riempie e percorre tutta la r Cor. Purtroppo non siamo in grado di dire da dove la gnosi sia penetrata nella comunità. Può darsi che alcuni membri della chiesa avessero aderito a tale corrente già prima del loro battesimo. C'è inol­ tre da rìcordare che, visti dall'esterno, gnosi e cristianesimo possono essere scambiati facilmente. Anche la gnosi, infatti, è una religione di salvezza e il giudizio sul mondo a prima vista può sembrare identico . È impossibile sostenere l'opi­ nione secondo cui gli gnostici di Corinto fossero discepoli radicali di Paolo che avrebbero dedotto dalla sua dottrina della grazia e dal concetto di libertà di Paolo la condanna ra­ dicale del mondo e di tutti. coloro che non fossero «pneuma­ tici» ( cioè degli «psichici » ) come pure il principio « tutto mi è lecito» . Paolo, infatti, non sostiene affatto, come abbiamo visto, il dualismo assoluto della gnosi, essendone impedito sia dalla sua fede nel creatore ; desunta dall'Antico Testa­ mento, sia dalla sua escatologia, sia soprattutto dalla sua fe­ de nella risurrezione fUtura e corporea dei morti. Contro l'entusiasmo gnostico che si illude di essere già in possesso del regno di Dio (4,8 ) Paolo sottolinea energicamente l'esca­ tologico « non ancora », cioè la futuralità della perfezione, del compimento, che può avvenire solo mediante la definitiva vittoria di Cristo sulla morte ( r 5 ,24 ss . ) . Tre concetti fondamentali caratterizzano la gnosi di Co­ rinto : pneuma, gnosi, sofia. Scegliamo questo ordine dei con­ cetti perché il possesso del pneuma divino dona la conoscen­ za redentrice. Mediante la gnosi viene comunicata però la sofia che rivela allo gnostico le profondità della divinità ( 2 , I o ), lo eleva al di sopra di tutti coloro che sono soltanto «psichici» e lo pone nella condizione di assoluta libertà ( « tutto mi è lecito» 6 , r 2 ; 1 0,2 3 ). Sofia e gnosi sono già es­ se la redenzione e lo gnostico non ha quindi bisogno di altre promesse o che si realizzino altre salvezze. Perciò egli è per-

300

La gnosi di Corinto

fetta ( 2 ,6 ; 3 , 1 ss . ) e questa consapevolezza lo eleva al di so­ pra del mondo intero per il quale non c'è una redenzione un_i­ versale, ma rimane in potere delle potestà demoniache . An­ che a Corinto, evidentemente, vi era una corrente di gnostici che propugnava norme ascetiche e quindi rifiutava il matri­ monio in quanto profano e non cristiano ( 7 , 1 ss . ). Le pur di­ verse norme etiche sono conseguenza della stessa antropolo­ gia dualistica : nell'uomo invischiato nel mondo e nella ma­ teria vive la scintilla uscita dalla luce divina, dal Pneuma, che indica qual è la patria dell'uomo secondo la sua intima natura, e questa scintilla garantisce e opera la redenzione. La gnosi non ha bisogno di un redentore incarnato. Anche quei «sistemi» gnostici che parlano di un redentore non co­ noscono, ed è tipico, una sua vera incarnazione ; egli rimane sempre una figura mitica e astorica . Dove la gnosi si avvicinò al cristianesimo primitivo dovette pertanto parlare di una ap­ parente morte di Cristo e negare la realtà della croce : il Cri­ sto spirituale-divino naturalmente non può morire. Proble­ matico è l'atteggiamento dello gnostico nei confronti degli altri membri della comunità; egli infatti si allontana dagli al­ tri «deboli» senza tenerne debito conto (capp. 8 e r o ). per godere della propria libertà che gli permette di partecipare ai banchetti cultuali pagani. Paolo attacca duramente questa mancanza d'amore. Secondo l'Apostolo, che pure possiede i diversi carismi, solo l'amore, l'agape divina, rende infatti si­ gnificativi, fecondi per la comunità e perfetti tutti i doni del­ lo Spirito (cap. r 3 ) Riguardo alla cristologia degli gnostici di Corinto non sap­ piamo null a o, meglio, ne conosciamo solo l'aspetto negati­ vo. Essi non accettavano la croce di Cristo ( r , r 8 ss . ) e di con­ seguenza dovevano necessariamente sostenere una cristolo­ gia dualistico-spirituale. Secondo loro Gesù di Nazaret pote­ va essere soltanto un uomo (cfr. la nostra esegesi a 1 2 ,3 ) . La critica dell'Apostolo parte proprio da questo punto centrale e contrappone alla sofia e alla gnosi degli entusiasti .

La gnosi di Corinto

30!

il messaggio della croce che smaschera come «mondo» ogni sapienza degli uomini, sia giudaica che pagana, inclusa la sa­ pienza religiosa degli gnostici . Essi non comprendono che la sapienza e la potenza di Dio si rivelano appunto nella morte del servo di Dio, Gesù sofferente e umiliato, in contrasto con la «sapienza di questo mondo» ( I , I 8 ss . ) e che attraverso la croce, considerata realtà salvifica, l'intera sapienza del mon­ do cade sotto il giudizio . Non la gnosi e la sofia salvano, ma solo la sapienza di Dio che si rivela nella croce di Gesù Cri­ sto e non nella rivelazione di particolari misteri né in straor­ dinari rapimenti ed estasi (glossolalia; cfr. cap . I 4 ) . Il secon­ do principio della critica paolina è il messaggio della risurre­ zione ( cap. I .5 ). Coloro che negano la risurrezione dei morti e sono presentati in I .5 , I 2 ss. non hanno alcuna idea della reale potenza creatrice e redentrice di Dio il quale crea vita dalla morte ( I .5 , 3 4 ) . Abbiamo chiamato Paolo un « apocalit­ tico cristiano» perché dà un'importanza determinante al « non-ancora» che attualmente separa i Corinti dalla risurre­ zione dei morti (per questo motivo si distinguono in I .5 ,20 ss. i tre tagmata ). D'altronde l'Apostolo contribuisce a un radicale cambiamento dell'apocalittica in quanto annuncia che la risurrezione di Cristo dai morti è già avvenuta stori­ camente ( 1 .5 ,3 ss . ) . Con essa si è già attuato il primo inizio dell'universale risurrezione dei morti su cui si basa la speran­ za dei credenti . Così la posizione paolina si àncora in primo luogo alla croce e alla risurrezione di Cristo, ma in secondo luogo anche al compimento futuro cui solo la futura risurre­ zione dei morti può introdurre. Tuttavia, poiché anche que­ st'ultima viene realizzata esclusivamente attraverso la vitto­ ria finale di Cristo sulle potestà avverse a Dio, possiamo di­ re che, in definitiva, Paolo argomenti contro la gnosi in chia­ ve decisamente cristologica. Da questo fatto si può dedurre abbastanza sicuramente che a Corinto gli gnostici propugnas­ sero una cristologia opposta a quella di Paolo la quale non aveva il suo centro di gravità nella passione e croce di Gesù,

3 02

La gnosi di Corinto

ma probabilmente conosceva solo un Pneuma-Cristo celeste . In questo caso gli gnostici di Corinto sarebbero i precursori della successiva gnosi cristiana combattuta dai Padri della chiesa. Il terzo punto sul quale Paolo attacca la gnosi è l'agape. Egli combatte contro il disprezzo del fratello come pure con­ tro l'isolamento in cui si chiude chi possiede la glossolalia tanto da non essere in grado di edificare la comunità perché parla solo per Dio ( r 4 , r ss . I 2 ss . ) . Quello che conta, invece, è che i forti tengano conto dei dubbi di coscienza dei fratelli deboli e non mangino idolòtiti se ciò possa scandalizzare un fratello. Nel cap . r 3 l'Apostolo afferma che solo l'agape pos­ siede la perfezione divina e l'eternità, così che tutti i carismi e tutti i carismatici hanno bisogno dell'agape. Paolo collega ciò che dice dell'agape sia col messaggio della croce ( poiché questo amore è rivelato nella passione e nella morte in cro­ ce di Gesù e dà prova di sé nei dolori che il cristiano, soprat­ tutto l'Apostolo, sopporta insieme con Cristo) sia col suo an­ nuncio riguardante il futuro, in quanto solo l'agape, a diffe­ renza di tutti gli altri carismi caduchi ( r 2 ,8 ss. ), ha in sé e per sé l'eternità divina. Pertanto solo essa « rimane» mentre anche fede e speranza sono costrette a perdere la loro figura storica, mondana. Infine, così possiamo concludere, questi sono i tre principali argomenti dell'Apostolo contro la gno­ si : la croce, la risurrezione dei morti e l'amore, riunificati nel suo messaggio del trionfo dell'amore di Dio in Cristo; in questa direzione procede coerentemente l'argomentazione dell'Apostolo in 1 5 ,5 5 ss. Uno sguardo ai nostri giorni mostra del resto che nell'an­ tropos6fia ( si osservi il nome! ) e nella Christengemeinschaft 64 64. [Christengemeinschaft ( = Comunione di cristiani) si chiama la setta re­ ligiosa fondata nel 192 1-22 dal pastore luterano F. Rittelmeyer ( r 872-1938) in­ sieme con altri teologi influenzati dalle idee di R. Steiner, padre dell'antro­

posofia. Questa setta conta circa 2o .ooo membri e ha in Germania non meno di 100 comunità. Dopo un profondo studio e lunghi contatti la Chiesa Evan-

La gnosi di Corinto

303

che ne è la :filiazione spirituale, si ripropongono motivi forte­ mente gnostici, soprattutto il tema fondamentale del potere redentivo della «conoscenza di mondi superiori» . Infine abbiamo visto che l'Apostolo s a anche ricuperare in senso nuovo, diverso e positivo, concetti gnostici quali so­ fia e gnosi per esprimere per mezzo loro la sua pneumatologia e la sua cristologia. Cosl in 8,r ss. traspone il concetto di gno­ si in una nuova luce, perché lo collega con l'agape, salva­ guardando cosl il concetto di gnosi dal suo pervertimento. Cosl in I ,24, dove la sofia viene resa sofia di Dio, rivelata nella croce di Cristo, e in 2 ,6 ss. dove vengono assunte le espressioni téleios (perfetto, riferito al pneumatico ) e psykhi­ k6s ( l'uomo terreno ). Perfetto è colui che è addentro al mi­ sterioso disegno salvifico di Dio e lo proclama nella forza dello Spirito santo che rivela le profondità di Dio. L'uomo «psichico» invece non è in grado di accogliere e comprende­ re ciò che proviene dallo Spirito di Dio ( 2 , 1 4 ). La reinter­ pretazione dei concetti gnostici dà a Paolo la possibilità di accettare gli elementi di verità della gnosi e cioè che la rive­ lazione di Dio ha carattere spirituale e comunica la piena co­ noscenza di Dio, mentre però solo la croce di Cristo fonda e dona la vera sapienza. Inoltre gli uomini spirituali possiedo­ no la vera conoscenza di Dio mentre coloro che non credono rimangono fuori della rivelazione della salvezza perché essa può essere comunicata solo mediante lo Spirito. Con questa affermazione Paolo non intende però designare, come gli gno­ stici, una aristocrazia spirituale all'interno della comunità, bensl indicare ciò che distingue i cristiani dai non cristiani, poiché tutti i cristiani possiedono lo Spirito. Questa posizio­ ne permette pure all'Apostolo di criticare l'atteggiamento de­ gli gnostici che si dimostrano carnali e privi d'amore ( 3 , 1 ss. ; 8 , r ss. ; r o,23 ss . ) . Paolo riconosce con franchezza la ricchezgelica tedesca condannò la setta nel 195o-51 proprio per il suo carattere fon­ damentalmente gnostico. Cfr. l'art. «Antroposofia» in: Enciclopedia delle Re­ ligioni I (1970 ) 491 -494].

La gnosi di Corinto

za di doni dello Spirito della comunità e desidera che venga� no utilizzati; ma questi particolari carismi non sminuiscono il fatto che tutti i cristiani possiedano lo Spirito. Certo esso va guidato e delimitato dall'amore, che è il solo a poter portare i doni dello Spirito alla piena attuazione.

CONCLUSIONE QUESTIONI PRATICHE E CONSIGLI PERSONALI (r6,r-24)

r. La colletta per Gerusalemme (r6,1-4)

1 Per ciò che riguarda la colletta per i santi, fate anche voi come di­ sposi per le comunità della Galazia. 2 Ogni primo giorno della setti­ mana ciascuno di voi metta da parte qualcosa, risparmiando secondo le sue possibilità, affinché non si debbano fare le collette proprio quando vengo. 3 Quando poi verrò, darò a coloro che voi abbiate re­ putati degni di fiducia delle lettere di accompagnamento e incariche­ rò costoro di portare il vostro dono a Gerusalemme. 4 E se valesse la pena che vada anch'io, viaggeranno con me. I.

All'Apostolo non rimane che regolare con la comunità al­ cune questioni «esterne » . Per lui si tratta però sempre del retto ordinamento del corpo di Cristo che a Corinto deve assumere forma, si tratta del giusto servizio che va reso, non importa se per mezzo suo o di altri (vv. 5 ss. ), alla comuni­ tà. Ogni sua disposizione è determinata da fede, carità e spe­ ranza, che sono le forze di Cristo delle quali la comunità può e deve vivere ( vv . 1 3. 1 4 .2 2 ) . La colletta per i santi è una raccolta di denaro per la comunità di Gerusalemme (cfr. il commento a Rom. 1 5 ,2 5 ss . ; 2 Cor. 8-9 ; Gal. 2 , 1 0 ) . « San­ ti » è qui ormai un'espressione fissa per intendere la comu­ nità di Gerusalemme, come in Rom. 1 5 ,2 5 . 3 1 ; 2 Cor. 8 ,4 ; 9 ,12 e attribuisce un particolare rilievo alla prima comuni­ tà, il luogo di origine della chiesa, secondo la «coscienza ec­ clesiale » della comunità primitiva che con questo termine voleva confessare di essere il vero Israele e la comunità mes­ sianica dell'epoca salvifìca . La volontà dell'Apostolo non è solo che una comunità aiuti un'altra che si trova in diffi-

Programmi di viaggio

coltà; nella sua sollecitudine per la chiesa primitiva si espri­ me pure il dovere della riconoscenza, perché da Gerusalem­ me l'evangelo giunse alle comunità etnico-cristiane e perché in essa si trova la sorgente da cui è uscita la chiesa e ad essa sono unite tutte le comunità (Rom. I 5 , 2 7 ; 2 Cor. 8 , I 3 ss . ; 9 , I 3 ss . ). Pertanto questa colletta non è solo una «tassa ec­ clesiastica» né solo un atto di amore verso chi è nell'indigen­ za, ma, essendo e l'una e l'altro, costituisce soprattutto un'af­ fermazione dell'unità della chiesa, corpo di Cristo . 2-4. Paolo enumera i giorni secondo la settimana giudaica, quindi «il primo giorno della settimana» è la nostra Dome­ nica. Negli scritti di Paolo non si trova ancora l'espres­ sione più recente «giorno del Signore » (cfr. anche Act. 20, 7 ), che appare verso la fine del 1 secolo d.C. nell'Apocalis­ se (I, I o ) e nella Didaché ( I 4, I ) dove indica il giorno di Cristo e della sua risurrezione. La scelta di questo giorno evidenzia la notevole antichità della separazione della co­ munità cristiana dalle strutture cultuali del giudaismo. Dato che ciascuno deve mettere in disparte «per proprio conto » qualcosa, è evidente che a quell'epoca la colletta non era ancora entrata a far parte della liturgia domenicale. Paolo ritiene importante che la somma raccolta venga portata a Gerusalenune da inviati della comunità di Corinto. Solo se si tratterà di un importo sufficientemente alto partirà an­ ch'egli con loro. 2.

Programmi di viaggio e notizie di Timoteo e Apollo (16,,;-u)

5 Verrò da voi dopo esser passato per la Macedonia . Per la Macedo­ nia intendo infatti soltanto passare, 6 ma da voi, se possibile, mi fer­ merò più a lungo o passerò tutto l'inverno, affinché poi mi possiate aiutare a proseguire il viaggio, dovunque decida di andare. 7 Infatti non voglio vedervi solo di passaggio, ma spero di rimanere un po' di tempo presso di voi, se il Signore lo permetterà. 8 Mi fermerò qui a Efeso fino a Pentecoste, 9 perché mi si è aperta una grande porta per

I

Cor. z6,5-12

il mio lavoro e ci sono molti avversari. 10 Quando poi verrà Timoteo, fate che si trovi a proprio agio in mezzo a voi. Egli infatti lavora per il Signore proprio come me. 11 Nessuno dunque gli manchi di rispetto.

Aiutatelo a proseguire il viaggio in pace, perché venga da me, giacché lo attendo coi fratelli. 12 Per quanto riguarda il fratello Apollo, l'ho pregato molte volte di venire da voi insieme con i fratelli, ma non è voluto assolutamente venire ora. Verrà, però, non appena gli si pre­ senti l'occasione.

5-9. Paolo intende andare a Corinto (4, 1 8 s.;

I I

, 3 4 ) dove pensa di trattenersi a lungo, forse per tutto l'inverno, pas­ sando per la Macedonia . È però trattenuto ancora a Efeso per qualche tempo, forse fino a Pentecoste, dal grande la­ voro. La nostra Lettera è stata dunque spedita da questa città dell'Asia Minore, forse all'inizio dell'anno. Deve trat­ tarsi del soggiorno dell'Apostolo a Efeso descritto in Act. 1 9 . Le sue decisioni dipendono però dal Signore . L'immagi­ ne della porta, riferita alla possibilità di agire si trova pure in 2 Cor. 2 , 1 2 (cfr. Col. 4,3 ; Apoc. 3 , 8 ) . Dove però si pre­ dica l'evangelo con successo sorgono molti avversari . 10-12. Segue un'esortazione perché la comunità non osta­

coli il lavoro di Timoteo che le è stato inviato . Secondo 4, 1 7, Timoteo è già in viaggio. Paolo pone i suoi collabo­ ratori sul suo stesso piano : svolgono tutti un'unica opera (3 ,8-9 ). Egli così corrobora l'autorità del suo collaboratore per preparargli a Corinto la giusta accoglienza . Insieme con altri fratelli Paolo aspetta che Timoteo torni da lui dopo questo viaggio . Infine l'Apostolo comunica- ai Corinti che nonostante le sue preghiere Apollo (che si trova anche lui a Efeso) non aveva voluto recarsi adesso da loro . A quanto pare la comunità aveva espresso questo desiderio. Paolo non ci dice però le ragioni del rifiuto di Apollo. Se Paolo invita Apollo a recarsi a Corinto ciò significa che i due erano in ottimi rapporti. L'epistolario paolina contiene frequenti no­ tizie riguardanti viaggi di Paolo compiuti o programmati.

Esortazioni finali

Proprio tale frequenza mostra quale importanza avessero il rapporto personale e i contatti diretti fra le comunità e le visite dell'Apostolo e dei suoi collaboratori. Anche questi contatti e queste visite sono funzioni ecclesiali nel senso più profondo di questo termine, cioè nel senso di un servi­ zio per !'«edificazione» del corpo di Cristo (cfr. cap . 1 2 ) . 3· Esortazioni

(r6,IJ·24)

6nali, raccomandazioni personali, saluti

e

benedizioni

13

Vigilate, siate saldi nella fede, non perdetevi d'animo, siate forti! Tutte le vostre cose si compiano nell'amore. 15 Vi prego ancora di una cosa, fratelli. Conoscete la famiglia di Stefanà. Sapete che sono la primizia dell'Acaia e che si misero al servizio dei santi . 16 Vi prego dunque, affinché anche voi accettiate di obbedire a costoro e a chiun­ que lavori e s'affatichi con loro. 17 Mi rallegro della venuta di Stefa­ nà, Fortunato e Acaio, perché hanno supplito alla vostra assenza. 18 Essi infatti calmarono il mio e il vostro spirito. Apprezzate dunque tali persone. 19 Vi salutano le comunità d'Asia. Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca con la comunità che si raduna a casa loro. 20 Vi salutano tutti i fratelli . Salutatevi a vicenda col santo bacio . 21 Questo saluto è di mio pugno, di Paolo. 22 Se qualcuno non ama il Signore, sia anatema. Maranatha. 23 La grazia del Signore Gesù sia con voi . 24 Il mio amore sia con tutti voi in Cristo Gesù. 14

I 3-20. Dopo alcune brevi esortazioni alla vigilanza, alla fe­ de incrollabile e all'amore (cfr. 1 5 ,5 8 ) Paolo raccomanda cal­ damente alla comunità un suo membro eminente a motivo della sua attività a favore di questa : Stefanà e la sua casa. Al presente egli si trova presso Paolo insieme con altri due fratelli quale inviato della comunità. Ciò che vale per Ti­ moteo (v. I o ) vale anche per altri servitori della comunità che appartengono alla stessa. Osserviamo a questo punto co­ me dal servizio spontaneo per la comunità derivino l'auto­ rità e il ministero di guida della chiesa senza che si possa parlare per questo già di cariche ecclesiastiche. Anche la co­ munità cristiana non può essere ordinata senza l'obbedien­ za che però è subordinata al comandamento dell'amore (cfr.

I Cor. z6,r3-24

Phil. 2 , 2 9 ; I Thess. 5 , 1 2 ; 2 Cor. 1 ,24). Paolo fa notare inol­ tre la sua gioia per la presenza dei tre inviati di Corinto che sostituiscono per lui la comunità dalla quale al momento è lontano ; inoltre lo hanno tranquillizzato con le notizie por­ tate da Corinto. La lontananza dalla comunità significa per Paolo preoccupazione e privazione. Evidentemente i tre in­ viati di Corinto hanno portato la lettera della comunità che conteneva tutte le domande alle quali Paolo ha risposto nella I Cor. Non è ben chiaro cosa intenda Paolo quando dice che essi hanno anche tranquillizzato la comunità. Forse pensa che anche per la comunità è motivo di serenità sapere che i suoi inviati hanno illustrato con chiarezza all'Apostolo la vita e la fede della chiesa. Seguono ora vari saluti. Aquila e Prisca ci sono noti da Rom. 1 6 ,3 e Act. 1 8 ,2 ss. 2 6 . Ri­ guardo al bacio quale segno della fratellanza cristiana cfr. anche Rom. 1 6 , 1 6 ; 2 Cor. 13 , 1 2 ; I Thess. 5 , 2 6 . Con ogni probabilità il bacio fraterno faceva parte della liturgia eu­ caristica . 21-24. Alla fine della lettera scritta sotto dettatura, Paolo

scrive un saluto di proprio pugno ( Gal. 6 , 1 I ; Col. 4 , 1 8 ; 2 Thess. 3 , 1 7 ; Philem . 1 9 ) . Aggiunge una maledizione per tut­ ti coloro che non amano il Signore. Essi sorto abbandonati alla corruzione, non possono far parte della comunità. For­ se intende colpire e mettere in guardia tutti coloro che tur­ bano la comunità e fanno sorgere dubbi riguardo alla fede . Probabilmente questa formula di maledizione fa parte del­ la liturgia eucaristica : vengono esclusi coloro che non con­ fessano di credere a Cristo. Un'analoga formula di anatema si trova in Did. 9 ,.5: solo coloro che sono battezzati nel no­ me del Signore possono mangiare e bere l'eucaristia della comunità . L'ultima parola però è un augurio di grazia e una testimonianza del suo amore . L'espressione aramaica mara­ natha può essere tradotta con «il nostro Signore è venuto (è presente)» oppure come una preghiera, «vieni, nostro Si-

3 IO

Esortazioni finali

gnore» (cfr. Apoc. 22 ,20 e Did. Io,6). Probabilmente il 'ma­ ranatha è stato conservato come formula liturgica stereoti­ pata nel linguaggio della comunità, cosl come amen e osan­ na. La formul:a può aver avuto origine solo nella primitiva comunità palestinese dove la lingua della liturgia era l'ara­ maico. Ciò significa che già essa pregava il Signore risorto chiamandolo «nostro Signore». Ed è questa l'origine del ti­ tolo di Signore(kyrios) che Paolo usa tanto spesso per espri­ mere la dignità divina di Cristo dominatore (cfr. pure a 8, 6). Secondo la prima delle traduzioni proposte maranatha è la confessione di fede nel Signore presente e glorificato nel culto, soprattutto nell'eucaristia; la seconda possibilità espri­ me invece il desiderio della comunità che attende con ansia la parusia, la venuta escatologica del Signore. Lo stesso ane� lito era espresso pure nella celebrazione eucaristica (I I ,26 ). Se ci ricolleghiamo al cap. 15, l'espressione aramaica deve essere intesa anche come preghiera per la venuta escatolo­ gica di Cristo. In questi due ultimi casi, con questa accla­ mazione Pao�o inserisce la lettura della Lettera, che avveni­ va nel corso dell'assemblea della comunità, nella celebrazio­ ne liturgica. Lo stesso dicasi anche per i vv. 2 I e 2 2: il bacio fraterno e l'anatema. Paolo vede davanti a sé la comunità radunata per l'eucaristia: in questa assemblea va letta la sua Lettera e perciò usa le formule della celebrazione eucari­ stica. La Lettera termina con il trinomio sul quale Paolo ve­ deva fondata la chiesa: fede, amore e speranza. Speranza nel Signore che vetrà e nel compimento divino, fede nella grazia di Gesù Cristo, amore in Cristo, che unisce indisso­ lubilmente apostolo e comunità.

LA SECONDA LETTERA AI CORINT-l

L'interpretazione della seconda Lettera ai Corinti si do­ vrà basare sul risultato dell'analisi dello scritto tracciata nel­ l'introduzione generale. Pertanto le varie sezioni principali che sono state raccolte a formare la presente Lettera non sono parti di un unico scritto, come era nel caso della I Cor. Esse si collocano in situazioni storiche molto diverse e in ,ba­ se a queste vanno comprese. Certo è necessario tenere ben presente che non siamo più in grado di cogliere i singoli par­ ticolari di tali situazioni e che non abbiamo alcuna altra fon­ te che ci aiuti a spiegare i testi presenti. Distinguiamo dunque (cfr. l'introduzione, pp. 19 ss.) le seguenti sezioni principali della nostra 2 Cor. I . La lettera di riconciliazione: 1 ,3-2 , 1 3 e 7,5- 1 6 . 2. La grande giustificazione e difesa del proprio -ministero apostolico: 2,1 4-6, 1 3 e 7 ,2-4. 3· L'appassionata polemica coi nuovi avversari, i falsi .apo­ stoli di Corinto: I O, I - I 3 , I O (in questa parte esamineremo fino a che punto si può sostenere la presenza a Corinto di nuovi avversari). 4· Due scritti che accompagnano alcune collette: 8,1-24 e 9,1-15. 5. Una breve parenesi caratterizzata da un linguaggio apo­ calittico: 6,14-7 ,r. Sotto il profilo teologico le sezioni 1 e 3 sono notev9l­

mente più importanti delle altre.

312

L'Apostolo ringrazia Dio

Saluto iniziale (r,r-:z) 1

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Ti­ moteo alla comunità di Dio che è a Corinto, con tutti i santi che si trovano in tutta l' Acaia: 2 grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

1-2. Intestazione e saluto sono formulati conformemente a quelli di I Cor. I , I ·J . Ancora una volta si fa menzione di un collaboratore che invia la Lettera insieme con l'Apostolo. Questa volta si tratta di Timoteo (cfr. Act. 1 6 ,1 ss . ; 1 7 , I 4 . 1 5 ; 1 8 ,5 ecc . ; I Cor. 4 , 1 7 ; I6, I o s . ) . La determinazione del­ la comunità è sostanzialmente più breve che all'inizio della r Cor. Anche qui il saluto si estende, oltre che alla comu­ nità, a tutti i cristiani della provincia romana dell'Acaia di cui Corinto è il capoluogo. Probabilmente la comunità di Corinto era il punto di riferimento dei cristiani che vivevano nell'intera provincia. La lettera di riconciliazione ( I ,J-2 , 1 3 e 7 ,5- 1 6 ) 1.

L'Apostolo ringrazia Dio per essere stato consolato nelle sofferenze ed essere stato salvato nel pericolo mortale (r,J·I I )

3 Sia benedetto Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, Padre di misericordia e Dio di ogni consolazione, 4 che ci consola in ogni no­ stra tribolazione affinché noi a nostra volta possiamo consolare tutti coloro che si trovano in ogni genere di tribolazione con la consolazio­ ne con cui noi stessi siamo consolati da Dio. 5 Poiché come le soffe­ renze di Cristo abbondano per noi, cosi mediante Cristo abbonda an­ che la nostra consolazione per gli altri. 6 Se siamo tribolati lo siamo p er la vostra consolazione e salvezza, e se siamo consolati lo siamo per la vostra consolazione che vi permette di sopportare le stesse sof­ ferenze che noi pure patiamo. 7 E la nostra speranza nei vostri riguar­ di è salda, perché sappiamo che come siete partecipi delle sofferenze, cosi lo siete anche della consolazione. 8 Non vogliamo infatti, fratelli , che ignoriate la tribolazione che ci ha colpiti in Asia, cioè che fummo gravati oltre misura, al di sopra delle nostre forze, tanto che dispe-

rammo persino della vita. 9 Ma abbiamo ricevuto proprio noi in noi stessi il responso di morte affinché non fossimo fiduciosi in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti. 10 Lui ci salvò da questo tremendo pericolo mortale e ci salverà . In lui abbiamo sperato e ci salverà an­ cora, 11 mentre anche voi potrete contribuire con le vostre preghiere ad aiutarci affinché da molte labbra si alzi, a favore nostro, la benedi­ zione di molti per il carisma donatoci. v.

9: altri traducono: «Sl, avevamo già pronunciato noi stessi la nostra sentenza di morte».

3-I I. La formulazione di questo ringraziamento si distingue

notevolmente da quella di I C or. r ,4 ss. perché non parla dell'abbondanza della grazia ricevuta dalla comunità, ma è dominata dalle dure esperienze attraverso le quali è passato l'Apostolo . Già questo inizio è caratteristico della seconda Lettera e ne rispecchia il contenuto . Lo scritto intende infatti asserire la legittimità e l'autorità dell'ufficio aposto­ lico di Paolo. Appunto le sofferenze dell'Apostolo, delle quali si parla in vari passi della Lettera ( 4 , 7 ss . ; 6 ,4 ss . ; I 1, 2 3 ss. ), sono la prova della sua dignità apostolica e l'atte­ stazione concreta della sua comunione con Cristo . Adesso Dio si è rivelato come padre del Signore Gesù Cristo ; in questi egli si è manifestato come il padre della misericordia e il Dio della consolazione, ossia come colui che crea e opera misericordia. Dio viene lodato per ciò che ha fatto per l'A­ posto. È questo il modo in cui un apostolo di Cristo parla di sé senza mettersi in primo piano. Questo è il modo nuo­ vo, cristiano, di parlare delle opere e delle esperienze di un uomo. Quando Paolo ringrazia Dio per la consolazione e la salvezza che gli è stata concessa quando ormai, da un punto di vista umano, non c'era più alcuna speranza, egli non tra­ lascia di includere anche la comunità. Anche in questa pro­ spettiva un apostolo non può assolutamente parlare solo di sé: egli viene consolato perché a sua volta sappia consolare. Se sopporta le sofferenze di Cristo (4 , 1 0 ; Col. 1 ,24 ) , da par­ te di Cristo viene ricolmato di consolazioni . Tutto ciò che

L'Apostolo ringrazia Dio

l'Apostolo prova, torna a vantaggio della sua comunita, tan­ to nelle tribolazioni che nelle consolazioni. Il rapporto di comunione esistente fra la sua persona e la comunità si rea­ lizza nella sofferenza e insieme nella consolazione. Cristo, infatti, non è solo colui che soffre, ma anche colui che, me­ diante la grazia di Dio, libera dalla tribolazione di questo mondo. Paolo considera i suoi patimenti come dolori di Cri­ sto. Anche l'Apostolo deve soffrire ciò che Cristo ha patito. Certo, ciò non va inteso nel senso che si voglia imitare uno stile di vita, poiché effettivamente si tratta dei dolori di Cri­ sto che passano nella vita del suo ministro. La passione del Signore continua nelle sofferenze dell'Apostolo (cfr. Phil. 3, ro: la «comunione dei suoi patimenti»; Rom. 8 ,17;· Col. I, 24; nella nostra Lettera 4,ro; 12,9.ro; 13,4). Quando si parla della «mistica della passione» di Paolo si coglie sl un aspetto reale della sua esperienza, cioè che l'Apostolo par­ tecipa alla passione di Cristo in u.n modo misterioso-reale, ma non si identifica colui che soffre con Cristo né si glori­ fica il dolore in quanto tale, come mostra chiaramente la contrapposizione· sofferenza-consolazione. Paolo parla di una sofferenza attuale della comunità, ma non sappiamo di che particolare tribolazione o difficoltà si trattasse. Secondo al­ cuni sarebbe una persecUzione da parte di elementi giudaici. Tuttavia, poiché la comunione di sofferenza fra l'Apostolo e la comunità (il dolore quindi non unisce solo l'Apostolo a Cristo, ma tutta la comunità partecipa alla croce e alla pas­ sione di Cristo) è anche comunione di consolazione, egli spera ardentemente che i Corinti anche in futuro sapranno sopportare le tribolazioni. Il motivo per cui egli nutre que­ sta speranza si fonda sopra un'esperienza vissuta in Asia (a Efeso?). Egli ci parla di un grave pericolo che ha mi­ nacciato la sua vita, tuttavia si mantiene cosi sulle gene­ rali da renderei impossibile cogliere da questo passo qual­ cosa di più preciso riguardo al luogo e al genere di pe­ ricolo. D'altro canto non troviamo più altri riferimenti a

2 Cot. I,I2-I4

questo fatto e se questo è l'unico accenno che ne fa ai Co­ rinti, l'episodio non si può identificare con quello menziona­ to in I Cor. 1 5 ,32. Alcuni sostengono che nella sollevazione provocata da Demetrio a Efeso (Act. 1 9,23 s.) Paolo possa aver corso seri pericoli. All'Apostolo non interessa riporta­ re il fatto in quanto tale, quanto piuttosto testimoniare co­ me Dio lo abbia salvato proprio quando ormai si poteva considerare perduto. Il pericolo fu cosi grave che egli per­ dette completamente la fiducia in sé e la sua unica speranza era ormai solo colui che risuscita i morti ( cfr. Rom. 4, 1 7 ), il Dio dell'illimitato potere miracoloso che è pure il Signore della morte. Questa fede ancorata solo a Dio non rimase de­ lusa e Paolo fu salvato . Questo episodio offre all'Apostolo motivo per sperare che Dio lo salverà anche in seguito. In questo atteggiamento include ancora una volta la comunità: col suo ringraziamento essa collaborerà alla futura salvezza di Paolo ( cfr. Rom 1 5,3 0 ; Phil. 1 , 1 9). Secondo l'Apostolo, dunque, la forza soccorritrice della preghiera è un fatto del tutto ovvio, ma si realizza in Cristo, nello Spirito, quando la comunità ringrazia e prega. Pertanto se il ringraziamento è in grado di aiutare Paolo ha carattere di intercessione . La salvezza viene qui chiamata «carisma» , «dono di grazia » . Il numero di coloro che pregano aumenta il ringraziamento e l'onore di Dio ( 4, I 5 ) . .

2.

La sincerità dell'Apostolo nelle sue lettere (1,12·14)

12

La. nostra gloria infatti è questa: la testimonianza della nostra co­ scienza che nel mondo, ma soprattutto verso di voi, siamo vissuti nel­ la semplicità e nella sincerità di Dio, non in sapienza di carne, ma nella grazia di Dio. 13 Perché non vi scriviamo se non quello che leg­ gete e comprendete; ma spero che arriverete a comprenderci comple­ tamente, 14 dato che ci comprendeste già parzialmente, cosi da essere il vostro vanto, come voi il nostro, nel giorno del nostro Signore Gesù. v. u:

«semplicità»: altri mss.leggono «santità».

La sincerità dell'Apostolo nelle sue lettere

12-14. Paolo passa immediatamente a difendersi dalle accu­

se che gli sono state fatte dai nemici a Corinto. La riconcilia­ zione definitiva con la comunità, che in questa parte della Lettera Paolo cerca con la massima apertura verso i Co­ tinti, presuppone l'eliminazione di tutti gli equivoci e le ac­ cuse che sono venuti a frapporsi fra l'Apostolo e la comu­ nità. La comunione esige sincerità e chiarezza perfetta. Poi­ ché non conosciamo i fatti accaduti a Corinto (ci mancano altre fonti) è difficile offrire un'interpretazione esauriente della parte della Lettera in cui Paolo affronta gli avversari . Anzitutto deve difendere la propria sincerità. La coscienza gli dice che la sua vita è santa e sincera. La « sincerità di Dio» può indicare un attributo di Dio oppure l'onestà che è in grado di sostenere il giudizio di Dio . La vita dell'Apo­ stolo non è costruita sulla sapienza della carne, ma «nella grazia» : qui l'antitesi tra sapienza umana e opera di Dio nella grazia, antitesi che conosciamo da I Cor. 1 , 1 7 ss. , vie­ ne trasposta sul piano morale . Paolo ha il coraggio di pro­ fessare che la grazia è una realtà che forma e determina la sua vita e il suo operare. La grazia non è rimasta quindi fuo­ ri della sua vita e del suo agire ; questo è il suo vanto, che però è un gloriarsi di Dio. Egli stesso vive secondo l'appel­ lo che ha rivolto ai Romani (Rom. 6 , 1 1 s. ) : rende il proprio corpo e la propria vita strumenti e servitori della giustizia di­ vina della grazia e questa sua opera gli procura il frutto del­ la santificazione benché egli sia «nel mondo» . Per l'uomo in Cristo è dunque possibile vivere nel mondo senza cadere vit­ tima della sapienza della carne. La santifìcazione non è quin­ di un ideale, un imperativo categorico, bensì, mediante la grazia, sotto la grazia, è una reale possibilità e un modo di vivere, così come è certo che Cristo ha liberato i suoi dal potere del peccato (Rom. 6 , r 4 . 1 8 . 2 o . 2 2 ; 7 , 6 ; Gal. 5 , 1 3 . I 6 ) . In armonia con la sua vita nella grazia anche le sue Lettere sono veritiere e non intendono dire null'altro che quello che significano le parole, cosa che invece evidentemente gli ve-

niva contestata. Forse l'occasione a questa critica è stata da­ ta dal cambiamento dei suoi programmi di viaggi (v. I 7 ). L'Apostolo spera tuttavia che i Corinti ancora una volta lo comprenderanno fino in fondo perché hanno già compreso che al ritorno del Signore la comunità si potrà vantare di Paolo come pure l'Apostolo di essa (cfr. anche 3 , 2 ; 7,4 ; I I , 2 ) In definitiva, secondo Paolo, ciò che costituisce l'unità tra lui e le sue comunità è il fatto che esse siano il suo «van­ to » , un vanto che significa l'approvazione della sua opera il giorno del giudizio (cfr. I Thess. 2 , I 9 ; Phil. 2 , I 6 ). Tuttavia, a motivo della reazione alla critica mossagli dai Corinti, il tono qui sta sulla prima parte, ossia sul fatto che Paolo sia il vanto della comunità. .



Il pt;ogramma di viaggio dell'Apostolo; si mette in rilievo la sua fidatezza (1,15·22)

15 Con questa certezza avevo deciso dapprima di venire da voi, pro­ ponendomi di farvi piacere due volte, 16 cioè di passare da voi andan­ do in Macedonia e dalla Macedonia di venire nuovamente da voi per essere aiutato da voi per il viaggio verso la Giudea. 17 Facendo questo piano mi sono forse comportato con leggerezza? Oppure ciò che de­ cido lo decido secondo la carne, di modo che il mio chiaro sl sia al tempo stesso un bel no? 18 Sa Dio che la nostra parola a voi non è in­ sieme un sl e un no. 19 Perché il figlio di Dio, Gesù Cristo, che fu predicato tra voi per mezzo nostro, cioè per mezzo di me, di Silvano e di Timoteo, non fu un sl e un no, bensl in lui è apparso il si. 20 Per­ ché per quante siano, le promesse di Dio hanno in lui il loro si. Per­ ciò anche per mezzo di lui risuona l'amen a Dio, per la sua gloria, me­ diante noi. 21 Ora colui che ci rende forti in Cristo insieme con voi e che ci elesse è Dio, 22 il quale ci ha anche impresso il suo sigillo e ha posto la caparra dello Spirito nei nostri cuori. v. 1 8: «sa Dio»: lett. «fidato è Dio»; v. 21: «eletti»: lett.