Le lettere di el-Amarna: Le lettere dei "Grandi Re" [Vol. 2] 8839405666, 9788839405661

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Le lettere di el-Amarna: Le lettere dei "Grandi Re" [Vol. 2]
 8839405666,  9788839405661

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Section 2..............343

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Le lettere di el-Amarna 2. L lettere dei «Grandi R a cura di Mario Liv rani

Paideia Editrice

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La 'loria d I \ icino Orienl anlico può essere vista come un'all manza tra fasi di equilibrio, quando diver ·i r gni ·i fronleggiano da po izioni di anal ga polenza, e fasi di quilibrio quando una polenza a urne una e nlralilà e un ruolo di caratl r «imperial ». L'età di 1-Amarna nella ua accezion ampia ·o 'liluisce nza dubbio la più irnporlanl (per la durala il p o dei regni coinvolli) e la più nola (p r quanlità e qualità della do umenlazion •) d Ile fa i di quilibrio. All'interno d I «si tema regional » dei secoli x1v-x111 a.C. su · isle una pluralilà a ai pinta di enlilà·politiche di vario ordine e dim n ·ione, dall pi cole illà-stalo (come quelle iro-palesline i vi 'l nel primo volume) - alle quali. nella lerminologia dcli' poca, sovrinlendono i «piccoli re»-, ai grandi 'lati r gional i polenzialmenl «imp riali » dell 'Egi tto d lla Mesopolarnia dell'Anatolia hillila, dom inali da quelli che vengono defini ti «grandi re»: ono le I lL re di que li eh ra oglie il voi. 11 . e;ompl elam nto dell'opera, que lo e ondo volume ·i conciud co n indi i completi dei nomi propri: d i p rsonaggi- dei quali i forni scono I dive rs grafi e, il ignificalo d I nom , la bibliografia corri pondenle -. - d i loponimi - con relativa d finizion g ografica, ·orri ponci nza ·on il nom biblico moderno, bibliografia. Mario Liverani è profes ore di ·toria d I Vicino Oriente ali ' niver ·ilà di Roma «La apienza».

Testi del Vicino Oriente antico

2

Letterature mesopotamiche a cura di Luigi Cagni

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3 Le lettere di el-Amarna 2

Le lettere dei «Grandi Re»

Paideia

Le lettere di el-Amarna voi.

2

Le lettere dei «Grandi Re» a cura di

Mario Liverani

Paideia

Tutti i diritti sono riservati © Paideia Editrice, Brescia 1999

ISBN

88.394.0566.6

Introduzione

1.

L'età di el-Amarna

1. 1.

Il sistema regionale

La storia del Vicino Oriente antico può esser vista come un'alternanza tra fasi di equilibrio, quando diversi regni si fronteggiano da posizioni di analoga potenza, e fasi di squilibrio, quando una potenza assume una centralità e un ruolo di carattere «imperiale». L'età di el-Amarna nella sua accezione ampia costituisce senza dubbio la più importante (per la sua durata e per il peso dei regni coinvolti) e la più nota (per quantità e qualità della documentazione) delle fasi di equilibrio. Il «sistema regionale» dei secoli xrv-xm a.C. affonda le sue radici già in fasi precedenti, e specialmente in quella «età di Mari» (secoli XVIII-XVII a.C.) in cui erano già state poste in essere parti notevoli delle procedure diplomatiche e della terminologia politica e giuridica che ritroviamo pienamente mature nelle lettere di elAmarna. 1 Ma mentre il sistema regionale dell'età di Mari era sostanzialmente circoscritto alla Mesopotamia in senso lato (inclusiva della Siria ad ovest e dell'Elam ad est), quello dell'età amarniana si estende ad includere anche la Palestina e l'Egitto, l'Anatolia e il Mediterraneo orientale. L'ampliamento porta il segno dei grandi mutamenti avvenuti verso la metà del II millennio a.C.: fine della centralità politica e culturale di Babilonia, ingresso dei cosiddetti «popoli dei monti» nello scenario mesopotamico (Cassiti, Hurriti, Hittiti), spostamento verso ovest del baricentro del sistema regionale, coinvolgimento diretto dell'Egitto nel controllo del corridoio siro-palestinese. 1. V. in particolare J.M. Munn-Rankin, Diplomacy in Western Asia in the Ear/y Second Millennium B.C.: Iraq 18 (1956), pp.68-110; C. Zaccagnini, On Gift Exchange in the Old Babylonian Period, in Studi Pintore, Pavia 1983, pp. 189-253.

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L'ampliamento comporta dunque differenze non solo quantitative ma anche qualitative: nel senso che il sistema viene ad includere stati e popolazioni che non erano tradizionalmente partecipi della cultura mesopotamica, ma avevano loro proprie tradizioni, loro proprie abitudini di interazione coi vicini, e che erano tutt'altro che marginali rispetto a quella mesopotamica ma invece dotate di un «peso» altrettanto rilevante. Questo vale soprattutto per l'Egitto,1 ma vale anche in varia misura per l'Anatolia hittita, per lo stato di Mitanni a componente indo-iranica, per quel che si intravede del mondo mediterraneo (Alashiya-Cipro, e più lontano il mondo miceneo). I meccanismi di interazione diplomatica e commerciale diventano dunque più complessi; le possibilità di conflitto ideologico (relativo cioè ai principi stessi del rapporto) diventano più concrete e rasentano a volte la soglia del vero e proprio equivoco - anche per l'uso di una lingua di intermediazione (il babilonese) che non rende senza problemi le terminologie e gli schemi mentali tradizionali nelle varie culture locali. Ma questa complessità interna del sistema non compromette la sua delimitazione rispetto al mondo esterno: in buona sostanza il sistema regionale collegato dai rapporti diplomatici documentati dalle lettere di el-Amarna coincide col mondo statalizzato ed urbanizzato dell'epoca, il mondo «palatino» e dotato di scrittura al di là del quale restano popolazioni e culture di tutt'altro livello organizzativo e culturale, bacini di materie prime e prodotti esotici, genti barbariche, orizzonti malnoti ed insicuri. 1 .2.

Il «club» delle grandi potenze

All'interno del sistema regionale così definito sussiste una pluralità assai spinta di entità politiche di vario ordine e dimensione, dalle piccole città-stato (come quelle siro-palestinesi viste nel primo volume) ai grandi stati regionali e potenzialmente «imperiali» dell'Egitto, della Mesopotamia, dcli' Anatolia hittita. Questa pluralità viene organizzata secondo una netta bipartizione tra quelli che 2. Sulla concezione egiziana del mondo extra-egiziano cf. sommariamente D. Valbcllc, Les neuf arcs, Paris 1990.

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nella terminologia dell'epoca sono definiti «grandi re», e quelli che (con espressione meno frequente) sono definiti «piccoli re». L~ bipartizione ha una chiarissima valenza gerarchica. I grandi re sono indipendenti, e sono «signori» dei piccoli re loro «servi». Abbiamo già visto nell'introduzione al primo volume i criteri del rapporto tra grandi e piccoli re, ed anche la diversità di impostazione di tale rapporto tra tradizione egiziana e tradizione asiatica. Per quanto riguarda invece i rapporti tra grandi re, i criteri di appartenenza a quello che è stato definito il «club» delle grandi potenze,3 possiamo segnalare i seguenti. 1. Il principio della reciprocità, del rispecchiamento speculare del comportamento dell'un partner rispetto all'altro; questo principio è ripetuto spessissimo, in forme quasi ossessive, nei testi dell'epoca (comprese le lettere amarniane). 2. L'implicito mantenimento dello status quo, col riconoscimento della sovranità e conseguentemente della responsabilità di ciascuno sulla propria zona di dominio. 3. Il clima festoso, amichevole, di scambio di favori in cui ciascuno cerca di rallegrare e mai rattristare il partner. 4. Il rispetto della tradizione, dei precedenti comportamenti e dei vecchi legami, spesso citati a «fondare» i nuovi o almeno a rafforzarli. Il numero dei grandi re membri del «club» è ovviamente «chiuso», e il riconoscimento del rango e del titolo è formale. Il periodo coperto dall'archivio di el-Amarna inizia con i seguenti partners: Egitto, Babilonia, Mitanni, Hatti, Alashiya. In corso di tempo (verso la fine del regno di Amenophi rv) si assiste al crollo di Mitanni sotto l'attacco hittita, al suo declassamento da grande a piccolo regno, e all'emergere dell'Assiria che va ad occuparne il posto resosi vacante. All'interno del gruppo, se le manifestazioni formali (titolature, indirizzi e saluti) sono strettamente paritetiche, nella sostanza però si nota una malcelata insofferenza da parte egiziana ad accettare per effettivi pari dei re considerati non all'altezza per potenza, per disponibilità economiche, e per comportamento. I «membri del club», re di paesi lontani (almeno per la tecnolo3. L'espressione risale a H. Tadmor, The Decline of Empires in Wesrern Asia ca. B.C.E., in F.M. Cross (ed.), Symposia Celebrating the 75th Anniversary of che ASOR, Cambridge, Mass. 1979, p. 3. 1200

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gia dei trasporti dell'epoca, cf. più avanti, § 2.2), non ebbero mai la possibilità di vedersi di persona, ma istaurarono una rete di rapporti piuttosto serrata, che riguardava sostanzialmente tre aspetti: a) lo scambio di messaggi formali, e soprattutto di saluti reciproci (su/ma ia'alu «chiedere (notizie sul)la salute» è l'espressione corrente; cf. più avanti al§ 5-2); b) lo scambio di doni, momento cerimoniale di un commercio che si svolgeva anche in forma più utilitaristica da parte di mercanti professionali; e) lo scambio matrimoniale, che portò ad un diffuso imparentamento tra varie case regnanti, sia pure con le riserve di rango e di reciprocità che vedremo più avanti (§ 4.2). Si tratta dei tre settori in cui si articola lo scambio anche nelle società di livello etnografico, secondo una famosa definizione di Lévi-Strauss: scambi di beni, di donne, di messaggi. Ovviamente non si tratta di settori separati, ma di una terna in sé coerente: i messaggi hanno di norma per contenuto lo scambio di beni e di donne; il dono accompagna la lettera di saluto ed ha gran parte nelle trattative matrimoniali; il matrimonio interdinastico è in qualche modo il culmine dell'intero sistema, ma a sua volta produce ricadute ulteriori in termini di messaggi e doni augurali. 1. 3.

Le metafore familiari

I grandi re, abituati ad una prassi politica interna fortemente centralizzata, ad una terminologia di rapporti politico-amministrativi basata sulla subordinazione, persino ad una «mappa mentale» assolutamente etnocentrica o potremmo dire egocentrica (è soprattutto il caso dell'Egitto), dovettero riutilizzare a livello diplomatico l'apparato terminologico e concettuale proprio dei rapporti interpersonali, basati - essi sì - sulla parità e la reciprocità. Adottarono dunque un linguaggio metaforico di carattere familiare, e un apparato concettuale che potremmo definire da «villaggio allargato». 4 Il termine chiave è quello di «fratellanza» (ahhutu): i grandi re si considerano fratelli e con tale termine si rivolgono l'uno all'al4· Cf. anche R. Cohen, Ali in the Family: Ancient Near Eastern Diplomacy: International Negotiation 1 (1996), pp. 11-28.

tro, con un'insistenza che talvolta ci sembra stucchevole. È da notare che la pratica del matrimonio interdinastico rendeva questo termine qualcosa di più che pura metafora: se non proprio fratelli, i re erano spesso cognati o suoceri dell'interlocutore. E però questi rapporti di effettivo imparentamento non sussistevano sempre, e al caso venivano sottolineati a parte. E viceversa la metafora della «fratellanza» viene sviluppata anche in altri testi dell'epoca (specialmente siriani ed hittiti) ben al di là del semplice impiego terminologico: per smontarla e ridicolizzarla quando si vuol negare al1'interlocutore parità ed alleanza, ovvero assicurandone una verità letterale, genetica (che sappiamo inesistente) quando si vuole sottolineare la saldezza del vincolo d'amicizia. 1 Naturalmente fratellanza non vuol dire sempre perfetto accordo: anche i fratelli, si sa, possono litigare. E nel Vicino Oriente del tardo bronzo litigavano spesso, e in termini istituzionali, la società essendo passata da poco da un meccanismo di trasmissione automatica (al primogenito) della conduzione familiare, ad un meccanismo più aperto e meritocratico che aveva innescato rivalità e competizioni. La «fratellanza» è dunque un'ottima metafora per sintetizzare quel misto di amicizia e rivalità, di cordialità e litigio, che caratterizza il clima della corrispondenza amarniana tra grandi re. Ma si tratta di una rivalità interna, di un conflitto nell'ambito di quella «famiglia allargata» che stabilisce comunque una ben più netta barriera rispetto ad estranei inadeguati per rango, origine, o comportamento. Altra metafora ricorrente, ricavata dal linguaggio dei rapporti interpersonali, è quella della «amicizia» o «amore» (ra 'amutu), particolarmente impiegata dal re di Mitanni e strettamente connessa al rapporto matrimoniale. Alla stessa sfera concettuale si riferiscono le espressioni «rallegrare il cuore» (libba huddu) o «non amareggiare il cuore» (libba la sumru~u) che illustrano l'ideale comportamento tra amici. 6 Più propriamente politico è il termine di «alleanza» (!abutu), ma anch'esso deriva dal linguaggio corrente, significando semplicemente «bontà (di rapporti)». Più raro (una sola attestazione amarniana) e di ignota etimologia è atterutu, che 5. Citazione dei testi e maggiori dettagli in GO, pp. 178-182. 6. Cf. in dettaglio Zaccagnini, SO, pp. 114-115.

anche si suol tradurre «alleanza». E infine si usa salimu (connesso con sulmu «buona salute») per indicare il rapporto di «pace», di assenza di conflitto. 7 Immersi in questa terminologia di sfera familiare, i re amarniani sembrano più volte perder quasi il senso delle distanze che li separano e del tempo che passa (la controversia di LA 281 sull'effettiva lontananza di Egitto e Babilonia è indicativa), per assumere comportamenti più appropriati ad un ambito di vicinato: si invitano alle feste, ammalati si aspettano auguri e consolazioni, temono le ironie dei re vicini se il dono ricevuto è troppo piccolo o se la principessa andrà sposa accompagnata da un corteo troppo piccolo. Par quasi di vedere i re «vicini» affacciati alle finestre a commentare il corteo nuziale, anziché distanti migliaia di chilometri. I .4.

Prestigio e interesse

Il meccanismo del tenersi in contatto, tra paesi così lontani, era indubbiamente dispendioso, ed è legittimo chiedersi quale ne fosse il fine ultimo. A questo proposito la lettura della corrispondenza amarniana fornisce un'impressione duplice. Da un lato è evidente un intento pratico, di acquisizione di beni (specie da parte asiatica) o di donne (specie da parte egiziana); e a questo intento pratico si collegano i solleciti (soprattutto evidenti nelle lettere di Alashiya e di Assiria) ad un rapporto funzionale, a ritmi rapidi, a conclusioni positive dei negoziati, che altrimenti (per usare le parole di Ashur-uballit) «non coprono neanche i costi del viaggio avanti e indietro dei messaggeri» (LA 288). D'altro lato è ancor più vistoso un intento cerimoniale o di prestigio, che conferisce al rapporto tra re un valore fine a se stesso; e a questo intento cerimoniale si collegano le lungaggini esasperate, le richieste reiterate «sette volte» prima di essere esaudite, i messaggeri trattenuti per anni, le promesse matrimoniali ereditate di padre in figlio, le mosse studiate come in una partita a scacchi, gli improvvisi stalli e gli altrettanto improvvisi scatti di nervi. 7. Sulla terminologia dell'alleanza cf. H. Tadmor, Alleanza e dipendenza nell'antica Mesopotamia e in Israele: terminologia e prassi, in/ trattati nel mondo antico, Roma 1990, pp. 17-36.

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In un rapporto concepito come fine a se stesso, la funzionalità e il pregio delle comunicazioni non sta tanto nella conclusione rapida quanto nel flusso ininterrotto: se lo scopo era quello di tenersi in contatto, allora una trattativa lunga era effettivamente più efficace di una rapida, una richiesta rilanciata era più utile di una immediatamente esaudita. Si avverte una netta differenza (se non altro di stile) tra il negoziato cerimoniale ed il baratto mercantile, anch'esso ben attestato all'epoca, inteso a concludere rapidamente un affare senza lasciare squilibri in sospeso. Nel caso del negoziato cerimoniale, il voluto rinvio delle soluzioni, unito alla permanente litigiosità dei rapporti, portano a concludere che il «gioco» diplomatico valesse come una sorta di sublimazione di quella concorrenza e ostilità che altrimenti sarebbero sfociate in guerra: e la guerra ovviamente è ancor più costosa dell'andirivieni dei messaggeri, e di esito potenzialmente più drastico. Questa divaricazione tra prestigio e interesse riflette anche (e forse soprattutto) una divaricazione di prospettiva, da parte dei re autori delle lettere. 8 Da un lato c'è la prospettiva del pubblico interno, rispetto al quale il rapporto con re lontani e potenti, l'afflusso di prodotti esotici e di manufatti preziosi, la presenza di ospiti e di principesse straniere funge da moltiplicatore per il prestigio del capo. Dall'altro c'è la prospettiva dell'interlocutore esterno, col quale si è deciso di collocarsi su un piano di formale parità, rinunciando dunque (per quanto malvolentieri) a quella centralità che era abituale nel raggio del proprio regno, assoggettandosi persino ad umiliazioni e rifiuti pur di mantenere desto il rapporto e ricavarne qualche frutto concreto. Il divario tra la presentazione di uno stesso rapporto, o di uno stesso episodio, indirizzata (per lettera) all'interlocutore esterno oppure indirizzata (su un'iscrizione celebrativa) al pubblico interno è documentabile con tutta evidenza. E se le richieste d'oro o di altri beni pregiati rivolte dal re babilonese o da quello mitannico al Faraone, con la motivazione di un'opera intrapresa, potessero esser poi lette nell'iscrizione celebrativa di quella stessa opera, 8. Su questa duplice prospettiva è impostato il mio Guerra e diplomazia (il titolo dell'edizione originale inglese è infatti Prestige and lnterest), cui rinvio per maggiori dettagli.

vi troveremmo senza dubbio l'auto-esaltazione del re potente che è in grado di risucchiare tributi da tutto il mondo circostante. Le faticose trattative e le umilianti richieste sarebbero capovolte in trionfali vanti di onnipotenza. Quando avviene (come documenta la parte finale di LA 275) che la celebrazione propagandistica rivolta al pubblico interno venga risaputa dall'interlocutore esterno, e questi si rende improvvisamente conto che i rapporti paritetici e fraterni tanto decantati vengono poi strumentalizzati e presentati come sudditanza e tributo, altro non gli resta da fare che protestare, forse con la coscienza «sporca» di chi era abituato (o comunque disposto) a fare altrettanto. 2.

Le procedure diplomatiche

2. 1.

Messaggeri e ambasciatori

Il termine «messaggero» (mar sipri) copre una ampia gamma di funzioni e ranghi, in rapporto all'importanza della missiva. I messaggi di routine sono affidati a corrieri professionali, che viaggiano da soli e rapidamente (la frase idiomatica ana galle significa semplicemente «in tutta fretta», ma l'ho tradotta «(veloce) come una furia» per cercar di rendere il significato letterale di gallu «demonio» ), 9 evidentemente su carro veloce. In qualche caso è chiaro che il messaggero veloce precede un convoglio lento affinché il destinatario sia preavvertito dell'arrivo (ad esempio LA 285, Vo. 17-18). Questi messaggeri viaggiavano a quanto pare privi di scorta, ma dotati di un «lasciapassare», come quello mitannico (LA 299) che è l'unico che ci sia pervenuto, con sigillo regio e diffida dall'intercettare il latore. Si può calcolare che i convogli lenti percorressero circa 30 o 3 5 km al giorno, tappa standard ancora per gli eserciti assiri, e che i corrieri rapidi potessero dimezzare i tempi. Dunque un corriere impiegava un mese per recarsi da Amarna a Washukkanni, e un mese e mezzo per arrivare alle più lontane Hattusha e Babilonia; 9. L'espressione è controversa: il CAD separa la nostra espressione avverbiale mettendola alla voce kallu (CAD K, p. 84), che però non ha altre attestazioni; e alla voce gallu (CAD G, pp. 18-19) nota che il significato «demone• è secondario e il termine indicava inizialmente una specie di araldo.

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mentre i convogli lenti impiegavano due o tre mesi rispettivamente. '0 Fra andata e ritorno, più la sosta, se ne andava l'intera stagione estiva (d'inverno si viaggiava solo eccezionalmente, con le strade rese impraticabili da pioggia e gelo), e dunque una cadenza annuale della corrispondenza era dettata dal fattore logistico, a prescindere da volontari rallentamenti sui quali torneremo. Alcuni re (specie quelli di Babilonia e di Alashiya) sembrano affidare di norma le loro lettere a mercanti che si recavano in Egitto per loro affari. Questa abitudine, che sottolinea gli aspetti commerciali sottostanti ai rapporti diplomatici, si espone a critiche (come quelle del Faraone in LA 275) sull'inadeguatezza degli inviati a trattare in maniera competente questioni più delicate e di valenza politica e personale insieme (come sono le trattative matrimoniali). Il fatto è che il messaggero non doveva solo consegnare la lettera, ma anche illustrarne il contenuto, aggiungere chiarimenti, rispondere ad obbiezioni, insomma fungere da vero e proprio «ambasciatore». Nelle trattative più impegnative emergono dunque personaggi come l'egiziano Mane o il mitannico Keliya, certamente appartenenti alla cerchia palatina, di alta condizione sociale, e in grado di negoziare efficacemente ed accortamente - fino a meritarsi, a trattativa conclusa, l'elogio del re (LA 292), e magari la richiesta di essere ancora inviati a condurre ulteriori negoziati. Anche da parte egiziana il «messaggero» (wpwty) è in realtà un capo-missione, con consistente seguito armato, delegato del Faraone a trattare in suo nome, e spesso destinato ad una carriera politico-militare di tutto rilievo. 11 2.2.

Negoziati e rotture

La sorte del messaggero, specie se di alto rango, era però tutt'altro che felice: a parte i rischi del viaggio, dei nomadi e dei briganti,'2 anche una volta arrivato a destinazione poteva trovarsi in 10. Per calcoli analoghi cf. Kiihne, AOAT 17, pp. 105-122. 11. Cf. la nota 136 nell'introduzione al primo volume. 12. Si veda il colorito quadro delle disavventure del messaggero egiziano in SiriaPalestina nel papiro Anastasi 1: LPAE, pp. 334-336.

difficoltà. Il re ospitante poteva trattenerlo senza concedergli il necessario consenso a tornare in patria (cf. in particolare la parte finale di LA 288), ovviamente per esercitare una pressione sull'interlocutore. Così, tra ricatti incrociati e tempi tecnici, il messaggero poteva rimanere in condizione di ostaggio per anni interi. 'l Tutti i re del «club» amarniano sono concordi nel proporre ritmi rapidi e nel sollecitare l'immediato rientro dei loro messaggeri; ma tutti sono poi altrettanto pronti ad esercitare il consueto ricatto sul messaggero altrui. Il messaggero gode senza dubbio di una sorta di «immunità diplomatica» e non ha nulla da temere per la sua vita. Più esattamente, egli è ospite del re destinatario, e gode di tutta la protezione che il mondo vicino-orientale ha sempre riservata agli ospiti. È alloggiato, nutrito e vestito a spese del palazzo, è invitato alle feste, ammesso alla presenza del re, riceve doni al momento di ripartire. Ma non è libero di ripartire senza l'autorizzazione del re. La conduzione delle trattative è spesso assai complessa, e alcune lettere di carattere interlocutorio, e al limite piuttosto «inutili», possono dare l'impressione che i re non si preoccupassero più che tanto dei tempi necessari. Abituati probabilmente a trattative sul posto, non rinunciavano a rilanciare continuamente le loro richieste per spuntare condizioni più favorevoli, considerando quasi una diminuzione del loro prestigio un accoglimento immediato e inalterato delle richieste dell'interlocutore. Ci manca poi la trattativa orale, tra re e messaggero-ambasciatore; ma da certi brani citati nelle lettere stesse è evidente che essa poteva avere un rilievo non indifferente. Come già accennato per le lettere dei piccoli re, il messaggero di ritorno funge anche da informatore su quel che ha visto (funzione espressamente definita in LA 287), e più volte si rinvia alla sua testimonianza fededegna per confermare la verità di quel che si afferma. E anche i messaggeri di altri re, durante la loro prolungata permanenza in una corte, sono spettatori e potremmo dire testimoni di trattative che non li riguardano, o di doni che arriva13. Da vari accenni (cf. LA 153,312, ecc.) sembra di capire che i messaggeri professionali, di basso rango, fossero di solito rilasciati subito in quanto non adeguati cornc ((ostaggi» politici.

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no da altre corti, e contribuiscono a formare una sorta di «opinione pubblica» di raggio interregionale.

2.3. Il contenzioso legale A parte lo scambio dei doni(§ 3) e le trattative matrimoniali(§ 4), che occupano gran parte della corrispondenza tra grandi re, l'unico altro argomento di rilievo, capace da solo di indurre a scrivere una lettera è la controversia legale. Questa ha origine o da aggressioni subite da mercanti e messaggeri, a scopo di rapina ma con conseguenze anche per le persone (sequestri, ferimenti, uccisioni), o anche da morti per cause naturali di mercanti all'estero. Nel primo caso (LA 28 r, 282) si tratta di individuare i colpevoli e punirli ovvero pagare una compensazione finanziaria (il «prezzo del sangue» per le vittime, e il rimborso dei beni rubati), nel secondo caso (LA 308) si tratta di rinviare in patria ai legittimi eredi i beni del defunto. La struttura stessa del rapporto politico internazionale, impostato sulla responsabilità del sovrano su tutta la zona di sua spettanza, fa sì che la causa legale debba seguire una duplice scala gerarchica: dalla base (i soci o parenti delle vittime) al vertice (il grande re loro sovrano), e poi dal vertice (il sovrano della zona dove è avvenuto il fatto) alla base (i responsabili, ovvero le loro istanze locali). 14 Il contatto avviene tra i due vertici, tra i due «grandi re», e la causa si svolge in loro presenza. C'è tutta una procedura di giuramenti che i rappresentanti delle vittime devono prestare alla presenza del sovrano della zona «colpevole», di testimonianze, di prove. Il tutto vale ad assicurare che l'andirivieni dei mercanti non venga bloccato dall'insicurezza dei percorsi o da requisizioni illegittime. Se la prassi sembra ben assodata (e altri testi dell'epoca, specialmente da Ugarit, ce lo confermano), 11 anche su questa materia si ravvisa un qualche rallentamento di carattere cerimoniale. Il so14. Cf. GD, pp. 81-91. 1 5. PRU IV, pp. 1 53-160, 169-174; d. H. Klengel, Mord und Bussleistung im spdtbronzezeitlichen Syrien, in B. Alster, Death in Mesopotamia, Copenhagen 1980, pp. I 89-197.

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vrano della zona «colpevole», mentre tiene ad assicurare che si assume la responsabilità di quanto avvenuto nel suo territorio, sembra però voler prendere tempo. Inizialmente nega di essere al corrente della questione, chiede ulteriori chiarimenti, si stupisce che i suoi sudditi possano esser ritenuti capaci di simili crimini: 16 insomma non vuol dare soddisfazione immediata e meccanica, probabilmente vuol far pesare il suo ruolo e far «cadere dall'alto» il suo intervento di giustizia.

2-4- La «prima» diplomazia? Nel complesso - e come si vedrà più in dettaglio per lo scambio di doni e per i matrimoni interdinastici - non c'è dubbio che le lettere di el-Amarna documentino un vero e proprio «mondo diplomatico», un vero e proprio sistema di rapporti inter-statali con i suoi presupposti teorici (pariteticità e reciprocità), con le sue procedure formali, i suoi strumenti operativi, i suoi scopi. Questo aspetto fu evidente sin dalla prima scoperta delle tavolette, la cui prima presentazione al pubblico inglese portava il titolo significativo Orientai Diplomacy. 17 Mentre gli specialisti hanno continuato a dare per scontata questa costatazione, e per perfettamente legittimi i termini di «diplomazia» e di «rapporti internazionali», forte è stata (e in qualche misura ancora è) la resistenza da parte degli studiosi di storia della diplomazia e di rapporti internazionali. Trattandosi di discipline radicate nello studio del mondo moderno e contemporaneo, hanno a lungo perpetuato l'idea che la diplomazia risalga indietro al massimo ai rapporti degli ambasciatori veneziani a Costantinopoli, e che non si possa parlare di rapporti internazionali prima del Congresso di Vienna, oppure prima della fondazione della Società delle Nazioni. 18 16. Lo stesso espediente usato dal re di Alashiya in LA 308 è anche usato da Hattushili Ili in una lettera tradotta in G. Bcckman, Hittite Diplomatic Texts, Atlanta 1996, p. 136. 17. C. Bezold, Orientai Diplomacy, London 1893. 18. Per un'introduzione cf. G.R. Berridge, Diplomacy: Theory and Practice, London 199 s; sulla pertinenza del sistema amarniano sono in corso di pubblicazione gli atti del convegno The Origins of Diplomacy: the Amama Letters (Bellagio 1996).

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Le storie della diplomazia ignorano largamente la documentazione antico-orientale, e se si avventurano nell'antichità si tratta in sostanza di quella greco-romana. Se qualche accenno c'è alla diplomazia dell'Oriente antico, ' 9 il tono è quello della curiosità esotica e remota, ovvero il dispregio per una diplomazia «orientale» nel suo senso peggiore: dispotica e capricciosa, utilitaria e mercantile, ingannevole e furbesca. Quanto all'ammettere o meno la diplomazia antico-orientale (ad esempio amarniana) nel novero delle diplomazie di pieno diritto, si fa spesso riferimento a criteri (ambasciatori stabili, immunità diplomatica, ecc.) ricavati da un'analisi del fenomeno nel solo mondo moderno e dunque inadatti a formulazioni storiche più estensive. Sembra oggi chiaro che nell'età di el-Amarna era in funzione un vero e proprio «sistema» delle relazioni internazionali; ma che questo sistema rispondeva (ovviamente!) alle sue norme e non a quelle di secoli a venire. Il problema cioè non è di vedere se e quanto le consuetudini e le procedure della diplomazia amarniana rendano questa degna di essere ammessa in una lista delle Diplomazie con la D maiuscola. Il problema è di ricostruire queste consuetudini e queste procedure e di vedere quanto esse fossero funzionali ai bisogni dell'epoca, e indicative delle concezioni politiche dell'epoca. Un altro possibile equivoco è che l'età di el-Amarna venga considerata la «prima» epoca dotata di rapporti diplomatici. In un certo senso è la prima, ma solo nel senso che è stata la prima ad essere riscoperta e a far sensazione per la sua remota antichità. Ma poi si sono riscoperti tanti altri archivi e documenti di analogo tenore, disposti su tutto l'arco di tempo (tre millenni) della storia del Vicino Oriente preclassico. E dunque l'età di el-Amarna resta un caso particolarmente ben documentato ma tutt'altro che eccezionale, anzi del tutto «normale», di come i rapporti internazionali fossero intrattenuti tra le corti palatine dell'Oriente antico. Lo stesso vale anche per i «trattati internazionali», che paralle19. Cf. già R. Numelin, The Begirmings of Diplomacy, London-Copenhagen 19so; più di recente A. Wacson, The Evolution of lnternational Society, London 1992; A.B. Bozeman, Politics and Culture in lnternational Society: [rom the Ancient Near East to the Opening of the Modern Age, London 1994.

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lamente alle lettere sono l'altra grande categoria testuale cui sono consegnati i rapporti «diplomatici» dell'Oriente antico.1° I trattati vicino-orientali sono documenti internazionali veri e propri, sono redatti certamente in forme che non sono le nostre, ma sono perfettamente rispondenti alle norme giuridiche dell'epoca e ai bisogni politici dell'epoca. I trattati di età amarniana in senso lato (xvxm secolo) sono i più numerosi e complessi, ma non sono affatto i primi: conosciamo oggi trattati che risalgono all'età di Ebla 11 e all'età di Mari,' 2 e che già mettono in opera concetti e formulazioni che si ritrovano poi più sviluppati in età amarniana. Rappresentativa di una prassi che ha già alle sue spalle almeno un millennio di maturazione, la diplomazia amarniana è comunque frutto ed espressione di rapporti particolarmente estesi ed intensi, di un'epoca di prolungato equilibrio(§ 1.1) e di un confronto tra culture diverse. Nella prassi dei contatti (quale risulta dalle lettere) essa si esprime soprattutto mediante metafore familiari, mediante concezioni di «villaggio allargato», e mediante contrattazioni tipiche del rapporto personale; ma alla conclusione delle trattative essa è in grado di attingere formulazioni di stretto rigore giuridico, ovviamente nelle forme in uso all'epoca, che assicurano una base di validità legale agli ulteriori contatti e agli eventuali conflitti.

3. Lo scambio dei doni

3. 1. Gli aspetti economici Lo scambio di doni è pratica che pervade l'intera corrispondenza amarniana. 2 l Non si può mandare un messaggio che non sia 20. Si veda la raccolta di studi / trattati nel mondo antico: forma, ideologia, f unzione, Roma 1990, da cui si può ricavare una ricca bibliografia. 21. Il famoso trattato tra Ebla e Abarsal è stato pubblicato da E. Sollberger, The SoCalled Treaty between Ebla and 'Ashur': Studi Eblaiti 111/9-10 (1980), pp. 12915 5; cf. da ultimo O.O. Edzard, Der Vertrag von Ebla mit A-bar-QA, in P. Fronzaroli {ed.), Literature and Literary Language at Ebla, Firenze 1992, pp. 187-217. 22. J. Eidem, An O/d Assyrian Treaty from Teli Leilan, in Etudes offertes à P. Garelli, Paris 1991, pp. 185-208. 23. Sul tema d. l'ampia trattazione di C. Zaccagnini, SD, che sarà frequentemente citata a proposito delle singole lettere.

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accompagnato da doni augurali, come non si può mandare un dono che non sia accompagnato da messaggio augurale. E però gli aspetti propriamente economici sono tutt'altro che assenti. Se i doni «di accompagnamento» o di augurio sono relativamente modesti, i doni connessi alla conclusione delle trattative sono di tutto rilievo. Gli invii di rame cipriota o quelli di oro egiziano raggiungono quantitativi molto sostanziosi: si è calcolato ad esempio che i lingotti di rame inviati dal re di Alashiya al Faraone lungo tutto l'arco dell'archivio amarniano (25 anni) ammontino a circa 900 talenti ovvero 22 tonnellate e mezzo. 24 Siamo al livello di un vero e proprio commercio internazionale, condotto sotto l'aspetto formale dello scambio di doni.' 1 Gli inventari dei doni inviati a titolo di dote o di contro-dote alla conclusione delle trattative matrimoniali - inventari qui non tradotti sia perché di forma non epistolare, sia perché troppo «noiosi» nelle loro elencazioni ripetitive e nella terminologia spesso intraducibile - configurano arredi che non hanno nulla da invidiare a quello famoso della tomba di Tutankhamon: mobilia d'ebano e d'avorio placcata d'oro, stoffe e vesti pregiate, vasellame d'oro e d'argento, oli profumati, gioielli di pietre preziose e semi-preziose, il tutto in gran profusione. Questi invii seguono senza dubbio una logica di carattere merceologico, ogni paese esportando i suoi prodotti caratteristici e spesso esclusivi, e richiedendo i prodotti non reperibili internamente. Così l'Egitto esporta soprattutto l'oro che ricava dallo sfruttamento delle miniere nubiane e dal «tributo» (o commercio che sia) dei paesi del Sudan e del Corno d'Africa; 26 e le richieste d'oro avanzate dai re di Mi tanni e di Babilonia assumono toni dav24. A.B. Knapp,Alashiya, Caphtor/Keftiu:]ournal of Field Archacology 12 ( 198 s), pp. 237-238. 2 s. Per quanto riguarda il commercio vero e proprio, la nave naufragata ad Ulu Burun trasportava qualcosa come 60 tonnellate di rame; cf. G.T. Bass: AJA 90 (1986), pp. 269-296; 92 (1988), pp. 1-37; 93 (1989) 1-29; Idem, Evidence ofTrade from Bronze Age Shipwrecks, in N.H. Gaie, Bronze Age Trade in the Mediterrane,,n, Gotcborg 1991, pp. 69-82. 26. Si vedaJ. Vercoutter, The Gold of Kush: Kush 7 (19s9}, pp. 120-1 S3; per la diffusione dell'oro egiziano in Mesopotamia in età amarniana cf. D.O. Edzard, Die /Jeziehungen Babyloniens und Agyptens in der mittelbabylonischer Zeit und das Go/d:JESHO 3 (1960), pp. 38-ss.

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vero ossessivi. L'Egitto esporta anche mobilia d'ebano, spesso placcata d'avorio intagliato, nonché altri prodotti africani, e gli intagli d'avorio (con soggetti vegetali e animali «che sembrino vivi») sono espressamente richiesti (LA 278, 284-285) con grande insistenza.17 Cipro esporta soprattutto rame in lingotti (come abbiamo già visto), 28 ed anche legname specie per costruzioni navali. Assiria, Babilonia e Hatti convogliano verso l'Egitto il lapislazzuli di origine afgana e l'agata anch'essa iranica. 29 L'argento viene soprattutto da Hatti. Mitanni invia specialmente carri leggeri e cavalli Jo (la sua specialità), armi (archi soprattutto) e vesti di lana, e la stessa gamma di prodotti è inviata anche da Assiria e Babilonia. L'analisi merceologica contribuisce anche a spiegare come mai l'iniziativa e i solleciti partano per lo più dai re asiatici, mentre il Faraone sembra assai meno interessato allo scambio. Il fatto è che per i re asiatici gli scambi con l'Egitto erano l'unico modo di accedere a prodotti africani (l'oro innanzi tutto, ma anche ebano e prodotti tropicali), mentre il Faraone aveva facile disponibilità di prodotti asiatici (soprattutto carri e cavalli) nella zona siro-palestinese sua tributaria. Lo scambio dei doni assolve dunque ad una funzione strettamente economica, nel dislocare materie prime e lavorate dalle zone di produzione alle zone che ne sono prive, massimizzando la valutazione di «prezzo» dei beni inviati. La sorte di statue placcate d'oro, o di oggetti d'oro lavorato, che il Faraone invia ai re asiatici e che questi si affrettano a fondere per valutare il contenuto effettivo del metallo, la dicono lunga sull'aspetto utilitaristico del . . commercio amarmano. 27. Sul commercio e la lavorazione dell'avorio nell'Oriente antico cf. P.R.S. Moorey, Ancient Mesopotamian Materia/s and !ndustries, Oxford 1994, pp. 115-127. 28. Cf. Moorcy, op. cit., pp. 242-277; J. Muhly, Copper and Tin, New Havcn 1973; e gli scudi citati a p. 414 nota 4. 29. Lapislazzuli: G. Hermann, Lapis Lazuli: the Early Phases of its Trade: Iraq 30 ( 1968), pp. 21-57; M. Tosi, The Lapis Lazuli Trade across the lranian Plateau in the Third Millennium B.C., in Studi in onore di G. Tucci, Napoli 1974, pp. 3-22; più in generale sulle pietre dure usate nell'Oriente antico e la loro provenienza si veda ora Moorcy, op. cit., pp. 74- 103. 30. Cf. M.A. Littauer - J. Crouwel, Wheeled Vehicles and Ridden Animals in the Anczent Near East, Leidcn 1979.

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3.2. Gli aspetti cerimoniali Esiste però anche un altro aspetto, altrettanto se non più rilevante, che è quello cerimoniale, già evidente nel termine stesso usato per «dono (augurale)», su/manu, che è lo stesso che vale anche «augurio (verbale)». La cerimonialità influisce specialmente sulla scelta dell'oggetto da inviare in dono e dell'occasione per mandarlo o per sollecitarlo. I doni devono essere innanzi tutto personalizzati:J' così ad un uomo si manderanno soprattutto carri e cavalli ed armi, ad una donna gioielli, vesti e fiale d'olio profumato. La personalizzazione riguarda anche il mittente: la principessa babilonese di LA 286 manda stoffe che si presume abbia confezionato essa stessa; e il re d'Assiria manda carri e cavalli che ha aggiogato personalmente (LA 288), doni che dall'essere (diremmo noi) già usati acquistano pregio aggiuntivo. In generale esistono due livelli di scambio sovrapposti: c'è un livello più materiale, non personalizzato e poco cerimoniale, che riguarda le materie prime, riguardo alle quali non è squalificante eseguire conteggi precisi e chiedere esplicitamente un «prezzo»; e c'è un livello propriamente cerimoniale che riguarda oggetti lavorati e personalizzati, che sarebbe squalificante vendere ed è invece prestigioso donare.P I doni si mandano e si chiedono per occasioni specifiche:H il Faraone manda attrezzature domestiche a Kadashman-Enlil per l'inaugurazione di una nuova casa (LA 279), Tushratta chiede oro per la costruzione di un mausoleo per i suoi avi, il re di Babilonia per un nuovo palazzo che sta costruendo, e il re d'Assiria fa lo stesso. L'implicazione è che il richiedente non intende semplicemente arricchirsi a spese dell'interlocutore, e non chiederebbe nulla se non avesse una specifica motivazione per farlo. Una richiesta senza occasione sarebbe socialmente squalificante, e Burna-Buriash minaccia (si fa per dire) di rimandare indietro l'oro egiziano se questo non dovesse arrivare in tempo per l'occasione addotta (LA 278). 3 1. Zaccagnini, SO, pp. 179-189. 3 2. Sulla sovrapposizione dei due livelli cf. il mio studio in OA 11 ( 1972), pp. 30533. SO, pp. 9-58. 3 16; seguito