Seconda Lettera ai Corinti. Introduzione. Commento ai capp. 1-7 [Vol. 1] 9788839407344, 8839407340

Il libro in pillole: - Il commento più esauriente alla seconda lettera ai Corinti - Il punto di vista dei corinti attrav

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Seconda Lettera ai Corinti. Introduzione. Commento ai capp. 1-7 [Vol. 1]
 9788839407344, 8839407340

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Tra le lettere paoline maggiori la seconda epistola ai Corinti

è di particolare interesse perché è la prosecuzione di una corrispondenza già avviata, in parte accessibile nella prima ai Corinti. Questo scambio epistolare dimostra il rapporto straordinariamente vivace tra l'apostolo e una delle chiese da lui fondate, e le lettere superstiti aprono uno scorcio su atteggiamenti ed eventi all'interno di quella comunità e sulle reazioni di Paolo.

I convertiti non consideravano l'apostolo immune da critiche, e questi tentava di farvi fronte anche per affermare quella che riteneva l'autorità pastorale conferitagli da Dio su questa giovane comunità cristiana. L'esegesi puntuale e approfondita di Margaret Thrall mira a comprendere, accanto al punto di vista di Paolo, rh1f•lln>·" dei corinti, osservandolo attraverso il filtro della prospettiva 11a·vuua.c Dalle pagine del commento si rivela come l'importanza sostanziale della seconda ai Corinti stia nel ritratto di Paolo e nella luce che la lettera getta sul suo pensiero teologico: rivolgendosi ai Paolo illustra quello che a suo parere è il carattere fondamentale del ministero apostolico e così anche- poiché per lui la voca��lOJBe;;;'t\� apostolica era tutta la vita -la propria personalità. Margaret E. Thrall, docente di Studi Biblici all'Università del a Bangor, è autrice di un celebre studio sulle particelle greche nel Nuovo Testamento. Alla seconda ai Corinti e alle contr'OVièl di Paolo con i corinti ha dedicato numerosi studi Pl"€�pa:ra1:QrJt·.· a questo commento in due volumi.

ISBN 978 88 39407344

SECONDA LETTERA AI CORINTI Margaret E. Thrall Edizione italiana a cura di

Donatella Zoroddu Volume

1

Introduzione. Commento ai capp. r-7

PAIDEIA EDITRICE

ISBN

A

978 88 3 94 073 44

Titolo originale dell'opera: Critica/ and Exegetical Commentary on The Second Epistle to the Corinthians by Margaret E. Thrall Volume I Introducrion and Commentary on n Corinthians I-vn (The lnternational Criticai Commentary, Edinburgh) Traduzione italiana di Marco Nuzzo Revisione di Donatella Zoroddu ©T. & T. Clark, Edinburgh 1994 © Paideia Editrice, Brescia 2.007

AI MIEI COLLEGHI DI IERI E DI OGGI DOCENTI E SEGRETARI DEL DIPARTIMENTO DI STUDI RELIGIOSI E DELLA SCUOLA DI TEOLOGIA PRESSO L' UNIVERSITY COLLEGE OF NORTH WALES DI BANGOR CON RICONOSCENZA PER IL LORO SOSTEGNO E INCORAGGIAMENTO

PREMESSA

Numerosi sono i miei debiti, e desidero manifestarli con riconoscenza. Questo commento deve molto a tutte le opere dedicate alla seconda let­ tera ai Corinti e in generale agli studi paolini che sono menzionati nella bibliografia e nelle note. Mi spiace non aver potuto, per motivi di spazio, affrontare compiutamente le argomentazioni dei loro autori. Sono mol­ to grata a tutti coloro che mi hanno inviato copie dei loro libri ed estrat­ ti dei loro articoli, in particolare al dr. G.H. Boobyer, al prof. J.A. Fitz­ myer, al dr. M.J. Harris, al prof. J. Lambrecht, al prof. R.P. Martin, al prof. C.F.D. Moule, al prof. J. Murphy-O'Connor e al dr. C. Wolff. Mi hanno inoltre prestato la loro inestimabile assistenza il prof. Lambrecht, col personale e i ricercatori della Facoltà di Teologia dell'Università Cat­ tolica di Lovanio, il dr. Bruce Winter, col personale e i ricercatori della Tyndale House di Cambridge, il prof. Paul Coke dell'Episcopal The­ ological Seminary di Austin, Texas, e il dr. Paul Woodbridge dell'Oak Hill College di Londra . Un aiuto particolare mi è venuto, tra i miei col­ leghi di Bangor, dal dr. Gareth Lloyd Jones, dal rev. B.A. Mastin e dal­ la signora Catrin H. Williams, oltre al sostegno di altri amici, specie la dr. Elizabeth Howell Evans. Sono anche grata al personale della biblio­ teca. Vorrei ringraziare gli editori per l'incoraggiamento e la pazienza, e sono soprattutto riconoscente all'editore della collana neotestamenta­ ria, il prof. Charles Cranfield, che non mi ha fatto mai mancare il suo ap­ poggio nella lunga preparazione del commento, e nella sua revisione ha proposto una messe di osservazioni e spunti preziosi. Quella che viene presentata qui è una lettura possibile della seconda epistola ai Corinti. Vi sono certo altre interpretazioni plausibili e altri metodi per affrontare lo studio della lettera. La mia esegesi non vuol es­ sere che un contributo al dibattito incessante attorno a questo testo tan­ to complesso. Margaret E. Thrall

INDICE DEL VOLUME

Prennessa

9 I3

Bibliografia

32

Abbreviazioni e sigle

37 38 39 40 55 60 70 72 77

Introduzione I. Autenticità I I . Unitarietà A. I capitoli IO- I 3 B. 2,14-7,4 (eccetto 6,q-7,r) C. 6, 1 4-7,I D. Il capitolo 8 E. Il capitolo 9 F. Considerazioni ulteriori. Prove esterne e processo di connpilazione III. Gli avveninnenti internnedi A. La seconda visita B. La lettera internnedia (lettera delle lacrinne) C. L'offensore e l'offesa D. I progetti di viaggio IV. Cronologia

83 83 90 94 I02 IO?

SECONDA LEITERA AI CORINTI

III I58 I58 I92 2I6 2I6 218 262 3 19

I.

11.

III.

Prescritto e benedizione introduttiva (r,r-rr) Autodifesa (r, I 2-2, I 3 ) r. La nnancata visita di Paolo ( I ,r2-24 ) 2. La lettera delle lacrinne e le sue conseguenze (2,I-I 3 ) Difesa del nninistero apostolico (2,1 4-7,4 ) r. Il nninistero del nuovo patto e la sua gloria (2,1 4-4,6) I. Introduzione. Il nninistero di Paolo per i corinti (2,14-3 ,6) II. Il nninistero di Paolo e il nninistero di Mosè ( 3 ,7-I8) III. Nuova difesa personale del nninistero. Il contenuto dell'evangelo (4,r-6 )

12 342 342 3 67 3 76 418 418 465 465 486 500

INDICE DEL VOLUME 2. Sofferenza presente e gloria futura (4,7-5, 10) I . Lo stile di vita inglorioso di Paolo (4,7- 15) II. Il nesso tra presente e futuro (4, 1 6-18) m. Il futuro oltre la morte (5, 1 - 1 0 ) 3 · I l ministero d i Paolo. Considerazioni ulteriori (5,I I-7,4 ) I. Motivazione e carattere: il fondamento nell'evento Cristo (5, I I -2r) II. Il ministero per i lettori (6,1 -7,4 ) a) Inizio dell'appello diretto e nuova difesa della condotta apostolica (6, 1 - 1 3 ) b) Esortazione etica e conclusione dell'appello diretto ( 6, 14-7 ,4 ) IV.

Conclusione dell'autodifesa. Esiti positivi della lettera delle lacrime (7,5- 1 6)

Excursus 121 r3 6 301 312 339 3 50 461

r . ÈxxÀl)atCL 't'ou .Sr.ou in Paolo ( 1 , 1 ) 2. I plurali letterari 3 · O ÒÈ: xuptoc; 't'Ò 1tVEU!J.cX Èa·m ( 3 , 1 7a) 4 · Visione speculare e trasformazione ( 3 , 18) 5· La cristofania (4,4.6) 6. Sfondo concettuale e significato delle antitesi (4,8-9) 7· Tradizione prepaolina in 5, 18-2 1 ?

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PRESCRITIO E BENEDIZIONE

N.T. « Cristo Gesù » ricorre solo negli Atti e nelle epistole deuteropaoline.1 Ci sono due o tre motivazioni possibili per l'adozione di Xpta'tÒc; 'IYJaoùc;. 1. L'ordine può essere mirato a evitare l'ambiguità grammaticale. La for­ ma 'I lJO"Ou è genitivo e dativo, ma se viene preceduta da Xpta'tou o da Xpt­ a't l'ambiguità cade.2. Questa spiegazione ha tuttavia i suoi inconvenienti: non giustifica Xpta'tÒv 'I lJaouv all'accusativo né l'ordine Èv Xptcr't 'Illaou, in quanto la preposizione Èv regge esclusivamente il dativo.3 Ciò significa che in 3 0 dei 3 7 esempi paolini di « Cristo GesÙ >> la successione non è do­ vuta all'ambiguità grammaticale. La spiegazione grammaticale è in ogni ca­ so piuttosto improbabile. I due nomi venivano sicuramente pronunciati, per così dire, tutto d'un fiato quando Paolo dettava le proprie lettere e allorché queste erano lette ad alta voce alle sue chiese, e Xpta'tou o Xpta't subito do­ po 'I llaou chiarivano quale caso s'intendeva. n. L'ordine « Cristo Gesù » può in parte essere dovuto all'interpretazione di « Cristo » come appellativo, «messia >> , nel qual caso esso potrebbe indif­ ferentemente precedere o seguire il nome che qualifica: si confronti « Erode il re » in Mt. 2,1 e «il re Erode >> in 2,3 , e si noti la diversa posizione di « Ce­ sare >> in Le. 2, 1 e 3 , 1 .4 Può quindi essere stata la consapevolezza di Paolo che > non era nome proprio a consentirgli di ricorrere piuttosto spes­ so alla sequenza > , che sta perciò naturalmente in prima posizione. C'è forse nella mente di Paolo qualche nesso con l'idea del battesimo « in Cristo >> ( Gal. 3,27). Delle altre espres­ sioni con > a proposito dei membri della setta, che si riteneva la comunità eletta della fine dei tempi: 1 QH 4,2 5 ; 1 QM 3 , 5; I O, I O s.8 I cristiani di Gerusalemme, di conseguenza, adottando a loro volta il termine, mostrerebbero il convincimento di costituire essi stessi questa comunità escatologica eletta che avrebbe ereditato il regno messianico. Paolo amplia l'orizzonte di o{ &ytot così da comprendervi i V. sotto, pp. 1 2.3 s. 2 V. sotto, pp. 1 14 s. 3 V. Barrett, Romans, 178 s.; Carrez, 46. Evans, Saints, 3 x. 5 Ridderbos, Paul, 3 3 x . 6 V. Dan. 7, 1 8 (xaì 7tapaÀ�Ijiov'tat 't'Tj v (311a tÀtiav &ytot ù�Jiia'tou); cf. 7,22. Sulla questione generale v. Evans, Saints, 27, e 1 8-23 per una difesa di quest'interpretazione di «santi dell'Altissimo» in Dan. 7,1 8. 7 V. Ps. Sal. 17,3 2 (o'tt 7tavnç &ytot, xaì (311atÀtÙ ), ma le attestazioni (pro­ dotte) di questa forma di esordio epistolare sono scarne.5 elp�vl), al con­ trario, deriva chiaramente dall'uso giudaico. Oltre a Dan. 4,1 e 2 Bar. 78,2, v. 2 Macc. 1 , 1 . cc Pace>> ricorre anche nei saluti all'inizio delle let­ tere aramaiche. 6 Nonostante le sue caratteristiche giudaiche, d'altra par­ te, il saluto di Paolo, col duplice augurio di grazia e pace, trova una sor­ ta di parallelo, quanto alla duplicità, in qualche lettera greca, in cui l'au­ gurio di salute che di solito segue il saluto è incorporato in esso, sicché Si trovano le espressioni 'X,!XipELV X!Xt U"'(L!XiVELV 7 e 'X,!XtpELV X!Xt Èppwa.SaL. 8 Il prescritto paolino fin qui sembra una fusione armoniosa di forme epistolari greche e giudaiche.!' È facile comprendere l'aggiunta di ccgra­ zia >> a cc pace» nell'augurio di benessere ai destinatari, poiché ce la grazia » per Paolo è la benedizione divina suprema ( non è escluso, peraltro, che vi si possa scorgere un'eco del più comune xaipetv). Non ha però paral­ leli evidenti l'ampliamento finale à:7tÒ .Seou 7t!X'tpÒ> di Paolo potrebbe essere dunque un riflesso e una combinazione di queste tradi­ zioni antiche (sembra questa la linea argomentativa seguita da Friedrich, Lohmeyers These, 346). 3 Berger, Apostelbrief, I 9 8 s. 4 V. sopra, p. 1 26. 5 V. Berger, Apostelbrief, I 9 I nn. 9· IO. Alla n. 9 si rinvia solo a 2 Bar. 78,2, alla n. IO si cita un esempio samaritano (v. n. 46) in cui però si augura > non è che l'intermediario di questi benefici divini, il portavoce di Dio. 2 È concettualmente parallelo il discorso profetico, talora espresso in forma epistolare: nei LXX v. Ger. 3 6,1-23; lettera di Geremia; 2 Cron. 2 1 , 1 2- 1 5 . 3 Il saluto iniziale « grazia e pace da Dio nostro Padre . . . >> mo­ stra dunque che non si deve assegnare quanto segue al mero genere epi­ stolare. Quest'interpretazione non convince appieno. L'ipotesi generale non spiega le sezioni più personali delle lettere, come quelle che danno informazioni sull'arrivo di Paolo o dei suoi inviati o che affrontano que­ stioni di natura economica. 4 La prima parte del prescritto paolina è chia­ ramente epistolare, come pure «pace » nella seconda, mentre non c'è mo­ tivo di ridurre il significato di x.ciptc; al senso che si trova ad avere nella let­ teratura apocalittica giudaica . Le lettere , 8 la sua 1

Berger, Apostelbrief, 192.- 1 94. :z.o:z.. Berger, Apostelbrief, :z.o:z.. 2. 1 9 . 3 Berger, Apostelbrief, 2. 1 3 . 5 Come afferma Berger, Apostelbrief, :z.o 1 . 4 Schnider-Stenger, Briefformular, 2.7. 6 Merita osservare che manca in 1 Tess. r , r , i n cui l a prima parte del prescritto è breve. 7 V. BAGD, s.v. 'X,clpl�, :z..a. 8 Cranfìeld, Romans, 7 1 . 2.

2 COR. I , I - I I

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azione salvifica vissuta come dono, 1 prima di ogni azione da parte del­ l'uomo. 1 L'invocazione complementare dell' elp�vlJ pone l'accento sugli effetti della concessione della x.apLc;.3 Nell'A.T. «pace» indica fondamen­ talmente il benessere e lo si può ritenere un dono di Jahvé,4 e nei LXX Elp�vlJ assume lo stesso signifìcato. 5 Nel N.T. questo dono divino può essere letto in senso ultimo, col valore di salvezza escatologica. 6 Men­ tre negli scritti rabbinici e nelle lettere aramaiche ol, ha la veste di un'espressione di rivelazio­ ne che ci si aspetterebbe in apertura del corpo della lettera," mentre il versetto I 2 non contiene nessuna delle formule che assolvono tale fun­ zione. Ancora: nel v. 7 si potrebbe scorgere il motivo escatologico ricor­ rente a conclusione dei rendimenti di grazie.3 Ciononostante, solo do­ po il v. I I c'è una pausa naturale,4 e può essere significativo l'impiego di Eùxapta-tÉw in questo stesso versetto. La sua sintassi è involuta, e fu solo forse « il rigido modello della forma epistolare » di Paolo a indurlo a inserire in qualche modo una frase con Eùxapta-tw. 5 Se l'osservazione è valida, costituirebbe un argomento per includere il v. I I nella perico­ pe introduttiva, poiché a essa appartiene la formula con Eùxapta-tw. Se inoltre si cerca una notazione escatologica verso la conclusione della pericope,6 la si individua molto più chiaramente nei vv. 9-Io, e poiché i vv. 8-Io anticipano i temi della morte e della vita sviluppati in 4,7- 14, sarebbe più appropriato che facciano parte dell'introduzione. Nella let­ tera greca, infine, il motivo della salvezza dal pericolo, ossia quello di 2 Cor. I,8-Io, compare come ragione esplicita del rendimento di grazie/ e figurerebbe bene come parte della benedizione che qui sostituisce il ren­ dimento di grazie. L'unico argomento di peso contro l'estensione della pericope introduttiva fino al v. I I è la formula di rivelazione del v. 8. Espressioni simili, d'altra parte, ricorrono altrove e non solo nell'esor­ dio del corpo della lettera: 8 v. Rom. I , I 3 , in cui où -8ÉÀw òè: U[J.Iic; &:yvoEi'v, 1

O'Brien, Introductory Thanksgivings, 2.39. 2.57. White, Introductory Formulae, 94· 3 White, New Testament Epistolary Literature, I742. n. 3 1 . 4 Windisch, 44· 5 Schubert, Pauline Thanksgivings, 46-so, il quale osserva che la formula con e:òx.CLpla'tw delle altre lettere è qui invertita per vari aspetti (la citazione è a p. so). È interessante che in 2 Macc. I , IO- I 7 si trovi la struttura inversa, con un periodo introdotto da e:Òl,CLpla'tw nel v. I I e una formula con e:ÙÀO"(l'l-t6.; nel v. I7. 6 V. Schubert, Pauline Thanksgivings, 4· 7 Schubert, Pauline Thanksgivings, I 64. I 67 s. 172.. 8 Furnish, 1 2.2.. �

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PRESCRITTO E BENEDIZIONE

&:òe:Àcpot si trova nella pericope introduttiva. In Rom. I , I 6, poi, il corpo della lettera viene aperto da yap, proprio come sarebbe in 2 Cor. r , u, se il v. I I concludesse la sezione introduttiva. ' È dunque preferibile ri­ tenere che la benedizione si estenda fino al v. I I . 1 3 . EùÀOYlJ'tÒ� b -8e:ò� XIXL 1tiX't�p -tou xuptou lJ(J.WV 'I l)aou Xpta-tou. Paolo esprime un augurio o enuncia un'affermazione? Il verbo è da integrare: si deve sottintendere e:tl), « Dio sia benedetto! » , oppure Èa-ttv, « Dio è be­ nedetto» ? 3 A favore della prima possibilità si fa osservare che la frase è nella posizione in cui di solito si trova una preghiera di ringraziamen­ to;t e sembra invitare i lettori a unirsi al tributo di lode.S D'altro canto la più consueta pericope con e:Ù'X,!Xpta-tw non è, in senso stretto, una pre­ ghiera, ma il resoconto di una preghiera. 6 A sostegno della seconda pos­ sibilità vengono due frasi paoline introdotte da e:ÙÀoyl)-to . Le occorrenze paoline di 7tcxpaxÀl]atc; si trovano perlopiù in 2 Corinti ( I r esempi contro i 7 complessivi nelle altre lettere comune­ mente ritenute autentiche), e al suo interno solo nei capp. r-8, ove si con­ centrano in 1,3-7 (6 casi) e 7, 5 - 1 6 ( 3 casi), col significato di «consola­ zione » ; diversa l'accezione in 8,4. 1 7 . Il verbo corradicale 7tcxpcxxcxÀÉw nel senso di «consolare » ricorre del pari soprattutto in questa pericope e nel cap. 7 (ce n'è anche un esempio in I Tess. 3 ,7, e cf. Col. 2,2; 4,8). In tutti questi contesti è senza dubbio appropriato il valore generale di «consolazione, incoraggiamento>> , ma i termini potrebbero avere una connotazione ulteriore in 2 Cor. r , J -7· L'uso relativamente frequente di 7tcxpcxxcxÀÉw col significato di « consolazione » nel N.T. può essere do­ vuto alla sua occorrenza nei LXX come traduzione dell'ebraico na�am.J Nel Deutero-Isaia (ad es. Is. 4o, I ; 5 1, 1 2) il verbo ebraico (reso con 1tcx­ pcxxcxÀÉw dai LXX) viene utilizzato dove è annunciato il sorgere del tempo della salvezza, allorché Dio stesso «consolerà » il suo popolo.4 Nel giudaismo questi passi della Scrittura indussero a utilizzare « conso­ lazione» per indiCare tale tempo di salvezza. 5 È quindi possibile che il les­ sico della ((consolazione » nel N.T. alluda, ove il contesto lo consente, al compiersi della speranza messianica. Può darsi che in questo brano Pao­ lo guardi alla propria esperienza ((come parte della totale consolazione e liberazione messianica >> .6 1 Il primo genitivo, -rwv o!x-rtp(J-wv, potrebbe essere aggettivale, « il Padre misericordioso• (così Bachmann, :z.6 s.; Plummer, 8). Ma poiché il secondo, 'ltaal)c; 'lta:pa:xÀ�aEwc;, è un ge­ nitivo di effetto (cf. Rom. 1 5,5, citato da Plummer, 9, come parallelo), è meglio interpre­ tare allo stesso modo -rwv oÌx"ttp(J-wv (la definizione •genitivo di effetto» è tratta da Win­ disch, 3 8 ) . La forma plurale o!X"ttp(J-Ot deriva dall'ebraico ral;iimlm attraverso i LXX (v. :z. Bila. 2.4, 14; Sal. 2.4,6; ls. 6 3 , 1 5 ; citato in BAGD, s.v. oÌx"ttp(J-oc;). L'uso di o!x-rtp(J-oc; in contesto positivo ricorre nel N.T. solo nelle lettere paoline (Rom. 1 2., 1 ; 2 Cor. 1,3; Fil. :Z.,I; Col. 3 , 12.); l'aggettivo o!x-rtp(J-WV compare tuttavia in Le. 6 ,3 6 ; Giac. 5·, I I . 1 V . A. Marmorstein, The Old Rabbinic Doctrine of God, Oxford 192.7, 56. S o s., per il possibile impiego di «Padre di misericordia » ed esempi di «Signore di misericordia », d. Furnish, 109. Il titolo «Dio di misericordie» si trova negli inni di Qumran: v. O'Brien, lntroductory Thanksgivings, 2.4 1 n. 5 5 , che cita 1QH 10,14; n,:z.9. 3 O. Schmitz, s.v. 'lt!Xpi1XO:ÀÉw, in TWNT v, 775· 4 O. Schmitz - G. Stiihlin, s.v. '1t1Xpax1XÀÉw, in TWNT v, 787. 5 Schmitz-Stiihlin, in TWNT v , 790 . 6 Barrett, 6o.

2 COR. 1 , 1 - 1 1

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4· o 7tcxpcxxcxÀwv "ÌJtJ.tic; bti 1taaTl 'tfl ·r9ÀL�EL "ÌJtJ.wv. Nello stile delle eulo­ gie bibliche, l'espressione di benedizione del v. 3 è ora seguita da una pro­ posizione che ne fornisce i motivi.' Dio è benedetto perché è colui che «ci» consola in ogni > difficoltà . Chi comprendono i pronomi personali? Paolo potrebbe parlare solo di se stesso," ma non è impossi­ bile che abbia in mente anche qualche suo collaboratore nel ministero.3 È meno probabile che, dato «il tenore liturgico del linguaggio >> , debba­ no essere inclusi anche i destinatari della lettera:' Nel versetto si distin­ gue tra coloro che ricevono consolazione da Dio e coloro cui poi essa è trasmessa, e nel v. 6 i lettori rientrano in questo secondo gruppo. La be­ nedizione, inoltre, non è « liturgica >> in senso stretto. 5 Alla consolazione si può attingere in qualunque situazione di afflizione. La parola -8Ài:�tc; trova largo impiego nei LXX per ogni genere di angoscia, difficoltà e op­ pressione, sia esterne sia interne, segnatamente per l'oppressione d'Israele e anche per la sofferenza dei giusti, talché diviene un concetto religioso significativo.6 Nel Nuovo Testamento, com'è naturale, indica spesso le afflizioni dei credenti (ad es. Mt. 1 3 ,21; 24,9; Atti I I ,I9; 14,22; I Tess. 1,6; 3,3 ) e può avere connotazione escatologica se le tribolazioni sono quelle del tempo ultimo prima della fine (Mt. 24,21 . 29; I Cor. 7, 28).? Più specificamente, l'afflizione segna la vita dell'apostolo (oltre al passo in esame v. Fil. 1 , 1 7; 4,14; I Tess. 3 ,7). 8 Qui Paolo avrà in mente in particolare il pericolo in cui si era imbattuto in Asia ( 1 ,8 s.) e la conso­ lazione che consistette nello scampare da una morte che era apparsa cer­ ta ( I ,IO). Fu come una > e prefigurava perciò la salvezza fi­ nale. Sia la consolazione sia l'afflizione avevano quindi carattere escato­ logico.

dc; 'tÒ Ò!Jvcxa-811t lJ(J.ti . Il nome di un altro mitten­ te non dimostra che i plurali sono plurali effettivi. Non si deve, d'altra parte, precipitare la conclusione opposta, afferman­ do che tutte le prime persone plurali sono plurali letterari. In r,r9 non lo è Y}(J.wv, visto che Paolo nel prosieguo specifica di chi sta parlando, ossia di Silvano e Timoteo oltre che di sé, e forse Y}(J.wv seguente in I ,2o si riferisce allo stesso gruppo di ministri. C'è anche il problema delle prime plurali nei ca pp. 3 -6, in cui Paolo definisce la natura del ministero apostolico con un ta­ glio più generale. Senza dubbio sta pensando anzitutto a se stesso ed espo­ ne la propria concezione ed esperienza dell'apostolato/ ma poiché si con­ sidera membro dell'intero gruppo apostolico ( I Cor. r s ,8- n ; anche 9, r5), potrebbe ritenere di parlare anche a nome di tutti loro,3 che sarebbero in un certo senso compresi nelle prime persone plurali. 4 A volte è possibile che abbia in mente un gruppo più esteso di ministri, che include Timoteo, il quale aveva partecipato all'evangelizzazione di Corinto e presumibilmen­ te avrà condiviso il genere di vita di Paolo in questo periodo, come pure in altre occasioni. Per riassumere, risulta chiaro che Paolo applica la convenzione del plu­ rale letterario; d'altro canto alcune prime persone plurali sono veri e pro­ pri plurali, o può essere che almeno implicitamente comprendano altri. Ogni caso va considerato a sé, in relazione al contesto in cui ricorre.

5· O'tt xoc.Swc; 7tEptaae:ue:t 'tà. 1tet.S�[J.a'ta 'tou Xpta'tou dc; l](J.tic;, oihwc; òtà 'tou Xpta'tou 7tEptaae:ue:t xoci l] 7tapcixÀl)atc; lJ(J.WV. Il nesso logico tra questo versetto e il v. 4 pone l'accento sulla sua seconda metà. Paolo può con­ solare gli afflitti perché (o'tt) egli stesso ha avuto abbondante consola­ zione. Ma il nodo esegetico principale sta nella prima metà: per quale motivo le sue sofferenze sono qualificate come sofferenze di Cristo? Le ipotesi sono tante (e non tutte si escludono a vicenda) . 1 . Dalla struttUia parallela delle due parti del versetto emerge che 'tou Xpta'tOU di sa equivale a òtà. 'tOU Xpta'tOU di s b . Il genitivo di s a è un ger Dick, Plural, 88. 90. 92. s. V. anche Cranfìeld, Changes of Person, 2.87, sull'alternanza tra singolare e plurale in 7,5·7; 7,12.-8,8. 2 Collange, 2.5. 3 Collange, 2.6. 4 Cf. Windisch, 34·

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nitivo auctoris: la sofferenza, come la consolazione, è dovuta all'azione di Cristo. I Ma sarebbe un impiego insolito del genitivo in questo con­ testo specifico, per nulla perspicuo per i lettori. 2 n. C'è qualche affinità col «dolore del messia » di matrice giudaica ? L'espressione denotava non le sofferenze subite dal messia stesso, bensì le doglie del parto da cui sarebbe nata l'età messianica, secondo passi dell'A.T. quali Is. 26, 1 7; 66,8; Ger. 22,23; Os. 1 3 , 1 3 ; Mich. 4,9 s. L'idea forse circolava nel I sec. d.C.,3 e Paolo potrebbe esserne stato influenza­ to. A differenza che nel pensiero giudaico, Cristo stesso, secondo Paolo, aveva patito queste tribolazioni, che tuttavia dovevano patire anche i suoi seguaci. 4 Ci sono però un paio di considerazioni che raccomanda­ no cautela: l'idea ha subito modifiche profonde,s e nei testi veterotesta­ mentari il termine corrente dei LXX non è 7ta.SlJ(lCX, bensì wòiv oppure

wòtvw.

m. L'espressione significa > sia in sostanza l'equivalente della consapevolezza at­ tuale 3 (ricavando Èa'te: dalla proposizione precedente), che ora essi rice­ vono consolazione (NEB/REB; Barrett, 5 7; Furnish, 108; cf. Martin, 6)? Forse è preferibile la seconda alternativa, dato il parallelismo delle frasi introdotte da wc; / o{j1:wc; x11L Paolo afferma, in ogni caso, di sapere che i lettori stanno ora, nel presente, soffrendo, e si è visto che questo è 4 un problema. Se Tito avesse riportato informazioni di questo tenore, I Kleinknecht, Der leidende Gerechtfertigte, 2.47, scorge un nesso tra questo versetto e i casi nei Salmi (v. ad es. Sal. 69,30-3 3 ) in cui si loda, in quanto motivo di speranza per altri poveri e oppressi, il volgersi di Dio al giusto sofferente. 2. La presenza o meno anche di un rinvio all'azione divina che opera nell'intero processo dipende dall'interpretazione del participio ive:pyo1J!1-ÉVTj1CWV in apertura della frase probabilmente non per­ tiene al rendimento di grazie bensì all'intercessione, e Paolo non si av­ vale del simbolismo della luce in relazione alla preghiera e al rendimen­ to di grazie. I 1

Boobyer, «Thanksgiving» , passim; spec. 70 per la frase citata e So s. sul versetto. Schubert, Pauline Thanksgivings, 47·

II AUTODIFESA

( I , I 2-2, 1 3 )

1 LA MANCATA VISITA DI PAOLO

( I , I 2-2 4 ) 12 Perché questo è il nostro vanto, la testimonianza della nostra coscienza che ci siamo comportati nel mondo con santità 1 e sincerità divina, mossi non dalla sapienza terrena ma dalla grazia di Dio, e specialmente nel no­ stro rapporto con voi. 1 3 a Perché non vi scriviamo niente di diverso da ciò che leggete, niente di diverso da ciò che voi riconoscete. 1 3 b- 1 4 E spero che riconoscerete fino in fondo (come in parte ci avete accordato il vostro riconoscimento) che siamo vostro motivo d'orgoglio, come anche voi siete il nostro nel giorno del Signore nostro Gesù. 15 E in questa fiducia in precedenza intendevo farvi visita affinché rice­ veste una seconda grazia, 1 6 e col vostro aiuto recarmi in Macedonia e tornare di nuovo presso di voi dalla Macedonia ed essere inviato da voi in Giudea. 17 Nel formulare questo proposito, dunque, agii (certamente no!) con la mia «leggerezza >> ? Oppure (certamente no ! ) decido ciò che decido secondo criteri terreni sicché nel mio caso c'è (contemporaneamente) 2 il «sì, sì » e il > bensì semplicemente «consa­ pevolezza » . 3 Può darsi, ma sarebbe preferibile trovare una definizione che allinei questa occorrenza agli altri casi (v. per es. I Cor. 8l.7 . I 0. 1 2; 1 0,25. 2 7-29 ) in cui si pensa chiaramente alla . E quanto si cerca di fare con l'interpretazione che segue. Il termine auvdòl}at.;, si afferma, de­ nota un'intima facoltà di giudizio neutrale, propria di ogni uomo, che va­ luta obiettivamente la condotta secondo norme date e riconosciute. Per i credenti cristiani questi criteri saranno cristiani. In 2 Cor. 1 , 1 2 le norme sono quelle dell'integrità (o purezza morale) e della sincerità. Funzione del­ la coscienza non è fornire queste norme, bensì giudicare se il comportamen­ to di Paolo è conforme o meno a esse. 4 Questa interpretazione, come si ve­ drà, spiega l'uso del termine in 4,2 e 5 , 1 1 , come pure in 1 , 1 2, ed è altresì ab­ bastanza estesa da dar conto dei casi più frequenti in cui la coscienza accu­ sa, provoca sofferenza e simili. Anche la principale variante testuale richiede attenzione ulteriore. Si è già rilevata l'adeguatezza al contesto sia di Ct')'tO't'l}'t't sia di a7tÀé't'l}'t't, ma sono pertinenti anche altre considerazioni a favore dell'una o dell'altra le­ zione. Ecco le attestazioni manoscritte: à')'LO't'l}'t'L 1)46 �· A B c K p lJI' 0 1 2. I a 0 2.4 3 3 3 8 1 3 6 5 6 3 0 I I 7 5 1 73 9 1 8 8 1 2.4 64 pc r co; Cl; a7tÀé't'l}'t't �1 D F G 7tpÒc; Bo�Clv BL' lJ!J-WV. Paolo non parla spesso al plurale delle pro­

messe di Dio e col referente affatto generale che è evidente qui,l ma poi­ ché il suo scopo è sottolineare l'affidabilità totale di Cristo, è altrettan­ to evidente il motivo del referente generale. La. forma espressiva è ellit­ tica (nessuna delle due parti del versetto contiene un verbo), specie nel­ l'enunciato iniziale, 4 ma il senso è chiaro. Nella persona e nell'opera di Cristo c'è il « sÌ» a tutte le promesse divine, che sono affermate median­ te il loro compimento. Il loro contenuto è la salvezza messianica prean-

dimostrò» . Il perfetto yÉyovtv può essere invece significativo, in quanto indica il perma­ nere della nuova situazione di promessa compiuta inaugurata da Cristo. 1 Bultmann, 44· 1 Thiising, Per Christum, 1 79, osserva che il nesso tra l'affidabilità dell'apostolo e quella di Cristo si fonda sul presupposto che Cristo stesso parla attiaverso l'apostolo. Nel prosieguo ( 1 79 s.) egli interpreta questo versetto e il seguente in base al concetto Év Xpt­ crtqi, la cui applicazione a iv cxirtqi del v. 19 è tuttavia dubbia, poiché la creazione della chiesa consegue al fondamentale evento Cristo (vita, morte e risurrezione di Gesù) in cui le promesse furono compiute nella sostanza. 3 ll termine Én:cxyyeÀtcx ricorre al plurale in Rom. 9,4; 1 5,8; 2 Cor. 1 ,2.o; 7, 1; Gal. 3,16. : u . Di questi casi solo i primi tre sono totalmente generali: v. Furnish, 1 3 6. 4 La proposizione introdotta da oacxt non ha un rapporto grammaticale esplicito con quella che segue. Ci si aspetterebbe che oacxt sia ripreso nella proposizione correlata o da un pronome nello stesso caso come ad es. in Rom. 8,14 (oaot yàp n:vtÙ(Ltx'tt -IJ.eou liyov­ �cu, o�'t o t u!ol -IJ.tou datv) o da un pronome (in qualsiasi caso) cui si riallaccia, come in Gal. 6, 1 6 (xcxì o a o t 'tqJ xcxv6vt 'tOU't!f! a'totx�aouatv, t!p�VlJ in:' cxÙ'touc;). Ma tale snodo connettivo non c'è, sicché si devono integrare non solo i verbi di entrambe le proposi­ zioni ma anche lo snodo richiesto che è omesso, presumibilmente cxÙ'tcxic;; quindi: oacxt ycip t!atv Én:cxyytÀtcxt &ou, Év cxÙ't> fosse termine tecnico per indicare il battesimo. Esso ri­ corre tuttavia come designazione del battesimo negli Atti di Paolo e Tec/a apocrifi, in cui ( 2 5 ) Tecla domanda « il sigillo in Cristo>> e Paolo le rispon­ de che se è paziente « riceverà l'acqua >> .4 Ma è trascorso circa un secolo da Paolo ( 1 60 d.C. circa ). . . •

Dio ha già dato un « acconto» , un &.ppcx�wv. La parola era divenuta ter­ mine tecnico giuridico e commerciale da Aristotele in poi e ricorre spes­ so nei papiri nel senso di « acconto, caparra » e simili. Chi lo paga è te­ nuto a concludere il contratto, versando il restante dovuto, ad esempio, del prezzo d'acquisto di beni, o d'un affitto, o d'un compenso, mentre il ben eficia rio è tenuto, dal canto suo, a vendere, o a dare in affitto ciò che è richiesto, o a svolgere il lavoro.5 L'&.ppcx�wv di Dio è il dono dello Spi­ rito, l'acconto di quanto s'impegna a dare ai credenti in conseguenza del­ l'evento Cristo. Il pagamento completo consisterà in qualcosa di più, la vita della risurrezione ( 5 ,4c- 5 ) . Così Fitzer, in TWNT VII, 9 5 2. 2. La segnalazione è di Fitzer, in TWNT VII, 9 5 2. 3 Secondo Bousset, Kyrios Christos, 296 s., il sigillo, in questa sezione di Erma, è anzitut­ to legato al nome del figlio di Dio. 4 James, Apocryphal, 277. Sulla definizione del battesimo come sigillo negli Atti apocrifi v. Fitzer, in TWNT VII, 9 5 3 , e Dinkler, Taufterminologie, 1 86. 5 V. LSJ, s.v. àppa�wv, 1 . 1 , col rinvio ad Aristot. Poi. 1 2. 59a, ove il termine è usato a pro­ posito di chi versa caparre (àppa�wvaç 3ta3ouvat) sull'affitto di torchi per le olive. V. an­ che BAGD, s.v., coi riscontri ivi forniti. In PFay 91 (99 d.C. ) il proprietario di un raccol­ to d'olive paga un appa�wv di 1 6 dracme d'argento a un trasportatore d'olive prima del trasporto, impegnandolo allo svolgimento del lavoro (Hunt-Edgar, Select Papyri 1, nr. 17). V. anche PLond 3 3 4 ( 1 66 d.C.), relativo al pagamento dell'acconto sulla quota di una casa, con la definizione degli obblighi contrattuali di entrambe le parti (Hunt-Edgar, op. cit., nr. 76). r

2 COR. 1 , 1 2-2 4 I punti fondamentali in 2 1 b-22 sono dunque questi: Paolo assicura ai lettori che Dio li ha «unti >> (insieme a lui e ai suoi compagni) come mem­ bri della comunità messianica destinata a regnare con Cristo, e che li ha « sigillati » come appartenenti al popolo da lui scelto. Sono pertanto eredi, tutti loro, delle promesse divine che trovano la loro attuazione in Cristo (v. 20). Col dono dello Spirito, inoltre, hanno ricevuto l'acconto della salvezza promessa che sarà completata nella parusia. Forse questa prospettiva escatologica fornisce un indizio del significa­ to di �e�txtwv nel v. 21a. Il verbo compare in I Cor. 1,8 s. in relazione alla parusia: Paolo garantisce ai corinti che Cristo li custodirà saldi ( �e­ �rxtwrm Ò[J.Iic;) sino alla fine. Parla poi della fedeltà di Dio, grazie al qua­ le furono chiamati alla comunione (Elc; xotvwvirxv) col suo figlio Gesù Cri­ sto. È implicito che Dio e Cristo custodiranno e confermeranno costan­ temente questa condizione di comunione a cui quelli sono stati chiama­ ti. È possibile che in 2 Cor. 1,21a Paolo abbia in mente questo stesso complesso concettuale e lo abbia compendiato nell'ellittico �E�txtwv elc; Xpta't'ov. Sebbene il concetto non sia troppo distante da quello di incor­ porazione nel corpo di Cristo, non è identico e non ne ha tutte le con­ notazioni. In questo contesto esso s'accorderebbe molto bene con quan­ to segue, l'idea dell'appartenenza alla comunità messianica. Che il mo­ mento d'ingresso nella comunione con Cristo fosse il battesimo potreb­ be aiutare a spiegare meglio l'espressione elc; Xpta't'ov, ma l'idea princi­ pale non è l'incorporazione in Cristo nel battesimo, e non ha un ruolo ve­ ramente sostanziale il concetto dell'assicurare la proprietà di Cristo. Alla luce delle connotazioni giuridiche di cipptx�wv (v. 22), d'altra parte, �E�rxtwv può avere una sfumatura giuridica siffatta, che rafforza la cer­ tezza obiettiva dell'azione di Dio. Se quest'interpretazione regge, Paolo qui non sta ricorrendo a un argomento ad hominem per dimostrare la propria affidabilità, anzi, l)[J.Iic; aùv Ò[J.i'v sembra anticipare la comunan­ za fra lui e i suoi lettori nel giorno del Signore ( x ,q; 4, 14). Il concetto, quindi, non coincide precisamente o esclusivamente con una delle opzio­ ni esaminate sopra,' sebbene possa essere potenziato dalla credenza nel battesimo in Cristo e dalle connotazioni giuridiche di �e�txt6w. 23.

'Eyw òÈ [J.ap't'uptx 't'Òv -Beòv È7ttxtxÀou[J.txt È7tt 't'�v È[J. �v l.jlux.�v, o't't cpet­ òO[J.evoc; U[J.WV oùxÉ't't �À-Bov elc; K6ptv-8ov. Èyw ÒÉ segna il ritorno di Paolo

alla sua specifica situazione personale ... C'è una leggera antitesi con ciò che ha appena detto a proposito dell'attività di Dio,3 ma non significa che quel che sta per dire non sia importante. Quanto conti per lui la spie1

V. sopra, a 1 , 2 1 .

2. Bachmann, 82.

3

Klopper, 148.

188

LA MANCATA VISITA D I PAOLO

gazione della sua condotta passata emerge dal giuramento con cui asse­ vera la verità delle proprie parole e nel quale invoca una punizione divi­ na su di sé nel caso in cui dovesse dire il falso. 1 Questa punizione potreb­ be consistere nella perdita della salvezza dell'anima 2. ma è più probabi­ le che sia la perdita della vita terrena,3 poiché egli non parla altrove del­ la salvezza dell' « anima » .4 Comunque sia, è un'imprecazione su di sé di portata generale. S Può darsi che la gravità del giuramento riveli come a Corinto si discutesse ancora animatamente sul motivo per cui Paolo con­ tinua va a essere assente. 6 Con questo giuramento afferma 7 che fu nel­ l'intento di risparmiare 8 i corinti che non ritornò più in città.9 Vuole dire che desiderava risparmiarli da una punizione ? I o In I 3 , 2 si serve del­ lo stesso verbo per lanciare un duro monito a coloro che considera pec­ catori, e le sue parole di I Cor. 4,21 (Èv pa�ÒCJl tÀ-IJ.w 7tpÒc; Ò!J.Iic; . . . ;) com­ portano che egli si supponesse dotato del potere di punire. Ma come si potrebbe conciliare questa posizione con la smentita all'inizio del v. 24 ? Presumere che egli abbia evitato di presentarsi a esercitare il proprio diritto di punire gli offensori indurrebbe in definitiva a credere che ab­ bia un controllo autoritario sulla vita dei lettori. u Forse desiderava ri­ sparmiare loro il dolore (cf. 2,2), ma ciò non risolve del tutto la que­ stione, poiché il dolore avrebbe avuto a che fare col caso dell'offensore di cui si tratta in 2, 5 - I I e, quindi, con l'intervento disciplinare (e dunque autorevole) dell'apostolo. I La formula di giuramento diverge qui nella struttura da altre in cui Paolo chiama Dio a testimone, poiché in questi altri esempi (Rom. I ,9; Fil. I,8; z Tess. 2, Io ) , Dio, in quan· to testimone, è al nominativo come soggetto di ta'tlv espresso o sottinteso (!J-> si esacerbe­ rebbe e produrrebbe una tristezza propria del mondo (7,10). Come che sia, costui potrebbe essere tentato di troncare ogni relazione con i suoi compagni cristiani e abbandonare così di fatto il proprio impegno cri­ stiano.5 Questo versetto è una testimonianza forte a favore dell'ipotesi secon­ do cui l'offensore era un membro della comunità corinzia. Per quale mo­ tivo un ospite di passaggio o i primi rappresentanti dei missionari in visita che compaiono nei capp. 1 0- 1 3 si sarebbero dovuti affliggere così profondamente per una punizione imposta dai corinti, quand'anche avessero ritenuto prudente o conveniente sottomettervisi ? 6 Più specifi­ camente: perché Paolo stesso dovrebbe provare un'ansia pastorale così profonda per una persona siffatta ? 8. òtò 7tcxpcxxcxÀw Ò(J.!ic; xupwacxt e:lc; cxÙ'tÒv à.ya7tYJV. Paolo molto proba­ bilmente pensa all'approvazione di una risoluzione formale della comur TI concetto è sottolineato da 't'oùva.v't'tov (J.Y!LÉV"ffç è perfetto), ma in questo periodo Paolo non ebbe pace per il suo spirito (anche eax."ffxcx è perfetto e indica il perdurare della sua ansia).3 Il termine 1tveijp.cx qui denota lo spirito umano di Paolo, come sinonimo dell'io o di persona, e corrisponde di fatto al pronome perso­ nale.4 È improbabile che s'intenda lo spirito divino distribuito ai creden­ ti così da diventare in certo senso loro.5 Lo chiarisce il parallelo in 7, 5 : OÙÒEp.tcxv Ea'X."ff XEV aveatv TJ aàp� -fJp.wv. 6 S i tratta delle stesse circostanze, e se l'uso di alip� al posto di 1tveup.cx potrebbe porre l'accento sulla ten­ sione sia esteriore sia interiore, il parallelo basta a mostrare che i due termini sono in sostanza semanticamente equivalenti, il che è possibile soltanto perché entrambi sostituiscono il pronome personale. E poiché «carne» è proprio dell'umanità in genere, anche « spirito» rimanderà in senso neutro all'individuo umano e non al dono dello spirito di Dio ai credenti. Lo spirito dell'apostolo era angosciato, come spiega nel prosieguo, perché 7 non riuscì a trov.are Tito a Troade (o in qualunque altro luogo in Troade si aspettasse di trovarlo) . Sembra che presumesse che Tito fosse arrivato prima di lui. Sebbene debba aver atteso a Troade (in Troade) per un certo tempo, come fanno pensare i perfetti &:vECf>Y!LÉV"ffç ed eax."ffxcx, 1 V. BAGD, s.v. Tpqxi.;, che fornisce sostanziose attestazioni in tal senso, laddove in BAG, s. v. , il nome è collegato solo alla città. 1 Citato da BAGD, s.v. Tp(flaç. 3 Molti ritengono che Écry_Y)XIX non sia un vero perfetto ma sia da considerare perfetto nar­ rativo o aoristico, che indica semplicemente qualcosa che è accaduto (o che non è acca­ duto) in un certo momento del passato. V. ad es. Moulton, 145; MT, 69 s.; BDR, § 343.2; Moule, 14; Bachmann, 1 2 5; Barrett, 94; Bultmann, 5 5 ; Fumish, 1 69; Carrez, 7 1 . Depo­ ne per quest'interpretazione l'antitesi strutturale fra ta"X.Y)XIX e l'aoristo successivo &ç'ijÀ­ &v (Bachmann, 1 2 5 ). Ma è più probabile che sia un perfetto vero e proprio, a sottolinea­ re la profondità del disagio di Paolo: non era una semplice reazione del momento (cf. Windisch, 9 5 ) . Si può inoltre sostenere che l'antitesi oux éax7Jxl:t CÌÀÀIÌ . . . É�'ijÀ.Sov venga intensificata, poiché gli aoristi CÌ7tOTIX�a!Uvo , ci si aspetterebbe almeno àp-x.o�J.&.Sa lJ(J.&t> .8 Ma anche questa inter' Il passo di Giuseppe (Ant. 3 , 2 1 2 s.) cui Georgi rimanda ( Opponents, 256 s.), inoltre, non fa parola del velo e dice che Mosè indossava abiti comuni. 2. Meyer, 206; cf. Riickert, 90 s.; Osiander, 1 28. 3 Heinrici, Das zweite Sendschreiben, I 79· 4 De Wette, 178; cf. Priimm, 1 34, il quale, d'altra parte, riconosce che l'intenzione di Mo· sè deve avere una sua parte. 5 Hughes, 1o8- 1 1o. 5 Oostendorp, Another Jesus, 39 s. 7 Collange, 9 1 . 9 5 -97, seguito in parte da Martin, 68. 8 Hickling, Sequence o( Thought, 390 s.

2 COR. 3 ,7- 1 8 pretazione, che attribuisce una motivazione lodevole a Mosè, suonerebbe fuori luogo rispetto al resto del versetto. VI. Si ritiene, seguendo una linea piuttosto diversa, che il volto velato del legislatore venga utilizzato da Paolo per ammonire i lettori a non lasciarsi ingannare dai suoi avversari. Costoro, come Mosè, si comportano inganne­ volmente. 1 Ma c'erano davvero questi avversari (cristiani) ? Si è visto che le prove della loro presenza sullo sfondo di 3 ,7- 1 1 non convincono, ed è pro­ babile che in 3 , 1 3 - 1 6 si pensi a giudei increduli.1 vn. Si suppone, infine, che, sebbene per Paolo Mosè illuda deliberata­ mente gli israeliti lasciando credere che quanto è solo provvisorio sia per­ manente, questo sia un mezzo con cui Mosè preannuncia Cristo, poiché è solo con la venuta di Cristo che si dissipa l'illusione.3 Questa ipotesi ha qual­ cosa in comune con la prima, secondo cui Paolo credeva che il velo avesse un intento pedagogico. In entrambi i casi, resta un elemento di inganno, ma la sua gravità si attenua, poiché così Mosè coopererebbe anche al disegno divino. È possibile che Paolo abbia in mente tanto la prima quanto l'ultima interpretazione. 4

Israeliti (giudei) e cristiani (vv. I4-I8) Paolo si volge qui al fenomeno dell'incredulità, degli israeliti in passato e dei suoi contemporanei giudei nel presente. Il tema è però ancora cor­ relato alla difesa della propria Òtaxovia. La mancata risposta dei giudei all'evangelo di Cristo, e soprattutto, a Corinto, alla predicazione che ne fa Paolo, aveva forse iniziato a preoccupare alcuni cristiani del luogo.s Se l'evangelo di Paolo proclamava il nuovo patto profetizzato da Gere­ mia, era in effetti strano che i seguaci dell'antico patto non dessero se­ gni significativi di adesione. Forse, in definitiva, la sua asserzione di es­ sere òtrixovoç di questo nuovo patto non era valida, e il suo ministero non era autentico. Egli spiega che questa incredulità era prefigurata nel­ la Scrittura, nell'ostinazione degli israeliti al tempo di Mosè, ma che la storia di Mosè prefigura altresì la conversione alla fede. Paolo non è re­ sponsabile della situazione, né essa è immutabile. E tutti coloro che so­ no stati convertiti stanno passando a una condizione di gloria, segno ul­ teriore che il suo ministero, cui si devono alcune di queste conversioni, è accompagnato da gloria. 1

Ulonska, Doxa, 3 8 8. V. sotto il commento. 3 Theobald, Gnade, 195-197. 4 V. sopra, pp. 282 s., per l'esegesi secondo questi indirizzi. s Chrys. Hom. in 2 Cor. 7,2 (PG 61, 445; NPNF xn, 3 1 1 ). Cf. Hickling, Sequence of Thought, 3 9 3 ; Provence, « Who is Suffìcient?» , 56. 1

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IL MINI STERO D I PAOLO E I L MINI STERO DI M O S È

qa. lÌ:ÀÀCÌ è1twpw-8"fl 't'CÌ vo�f11X't'1X aù't'wv. Si ha una naturale transizione concettuale dall'azione di Mosè alla reazione degli israeliti. L'indurimen­ to dei loro pensieri è tuttavia un innesto estraneo al racconto di Es. 3 4, nel quale però Paolo riteneva forse di trovare un sostegno scritturistico, sia pure piuttosto indiretto. Il gesto di Mosè di coprirsi il volto con un velo può aver richiamato alla memoria Is. 29, r o, in cui il velare il capo dei veggenti è collegato all'indurimento di Israele da parte di Dio. In Rom. I r,8 Paolo cita segnatamente il testo di Isaia in un contesto in cui sta parlando dell'indurimento di Israele, e usa per questo il verbo 1twpow. In 2 Cor. 3 , qb, inoltre, l'espressione 1X"X.Pt 't'lJ�­ ana.t.5 Ma è dubbio che pensi a « Israele» nel suo complesso, perché la conversione collettiva del popolo giudaico è posta nel futuro (Rom. I I , 25-3 2), e non è concepita come il processo iterativo progressivo indica­ to da i}vtxa. M.v 6 in questo versetto. 7 c) Forse si deve semplicemente sottintendere l'indefinito -rtc; «qualcu­ no, uno » . 8 È possibile che Paolo pensasse a E'tE 7tpÒ 7tpoaw7tCf> -r�v ò6�av xuplou xa'to1t­ 'tpt'ço!J-evot 't�v aù-r�v dxova !J-E'rlX!J-Op!pOU!J-e-8-a &:7tÒ òo�lJc; elc; ò6�av xa-8ci7tep &:7tÒ xuplou 7tVEU!J-lX'rOc;. Dopo aver parlato nel v. 1 7b della libertà di

cui godono coloro che sono figli di Dio e sono guidati dallo Spirito,4 Paolo passa ora a un ulteriore aspetto della vita nell'ambito del nuovo patto: la progressiva trasformazione in una condizione di gloria. Ma di chi sta parlando ? Chi sono gli 1J!J-etc; 1tanec;? In tutto il capitolo l'atten­ zione si è affissata principalmente sul suo mandato apostolico e il «vol­ to senza velo» potrebbe sembrare un richiamo a quanto egli ha detto sul proprio ministero nel v. 1 2. Alcuni esegeti ritengono quindi che seb­ bene 1tavnc; 5 debba, com'è ovvio, comprendere altri insieme a Paolo, sia però circoscritto ad altri apostoli e missionari.6 Ma in 3 ,7- 1 8 nulla lascia pensare che egli abbia in mente altri ministri dell'evangelo. Per­ ché, inoltre, la trasformazione dovrebbe essere considerata prerogativa degli apostoli ? 7 Il senso è > , colui che produce la trasformazione, è preferibile rendere: >; 9 v. a.la"X,UVlJc; come genitivo di appartenen­ za Io col significato di « disonore» porta a tradurre: «le pratiche nascoste che appartengono alla categoria della condotta disonorevole>> . Fra que­ ste cinque opzioni sono da preferire quelle che traducono a.la"X,UVlJ con «disonore » per il motivo già esposto, n sicché resta da decidere fra la pri­ ma e la quinta. Sebbene la prima interpretazione produca una resa più scorrevole, non spiega la presenza dell'articolo determinativo né, forse, dà abbastanza peso a 'tlJc; a.laxuvlJc;. La soluzione migliore è quindi la quinta per il senso e la grammatica, benché si debba ammettere che lascia con una traduzione indefinita come il greco di Paolo e meno idiomatica. 3· EL ÒÈ xa.i ta'ttv XEXCXÀU(Jo(J.Évov 'tÒ EÙa.yyÉÀtov "ij(JowV, Èv 'totc; cÌ1toÀÀu(lÉ­ votc; Èa'tiv xExa.ÀU!Jo!J-Évov. Dopo aver detto che la sua predicazione è riveI

Così Eckstein, Syneidesis, 2I4; cf. Klauck, Erleuchtung, 276. BAGD, s.v. llÌa'X,UVl), I ; 2. 3 BDR, § I 65 . 4 Cf. RSV: «subdoli comportamenti disonorevoli». s Cf. Plummer, I I 1 . 6 BDR, S I8J. 7 Cf. REB: «le azioni che la gente nasconde per grande vergogna » ; Barrett, I 27, ha: «comportamento che la vergogna nasconde» . V. anche Meyer, 225; Lietzmann, 1 1 5 . 8 BDR, § I 67. 9 Cf. Bultmann, IOJ. Io BDR, S I62 (il termine tedesco è «Zugehorigkeit» ); BDF, S I 62, ha «relationship». II V. sopra, p. 3 22. 2.

NUOVA DIFESA PERSONALE DEL MINISTERO

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!azione della verità, Paolo deve ora riconoscere che per qualcuno non è affatto rivelazione. I Con ogni probabilità egli risponde a critiche di qualche tenore, talché occorre chiedersi su che cosa esse si appuntasse­ ro e da chi provenissero, e altresì se siano stati i suoi critici a servirsi proprio del termine xExczÀUfL(LÉvov. È possibile che fossero semplicemen­ te vari membri della comunità di Corinto a lamentarsi, e potevano ave­ re di mira diversi aspetti della predicazione di Paolo. Per molti - così almeno pareva - il suo annuncio era oscuro. � Ne era prova la constata­ zione che la sua capacità di convertire si manifestava tanto spesso inef­ fìcace,3 e soprattutto nel caso dei giudei, il popolo di Dio. 4 Forse si era detto inoltre che questa presentazione dell'evangelo ne nascondeva la vera gloria, poiché egli parlava soprattutto del Cristo crocifisso ( I Cor. 2,2), piuttosto che della gloria di Cristo risorto ed esaltato. 5 Questo ta­ glio nella predicazione potrebbe invero spiegare perché essa non otte­ nesse risposta. L'uso di xExczÀU!J.!J.Évov per significare questo genere di cri­ tiche può essere dovuto a Paolo stesso, che avrebbe riformulato altre espressioni sulla scia del precedente impiego della simbologia del velo. Oppure i corinti che lo criticavano potrebbero aver utilizzato la parola prescindendo dal racconto su Mosè, in senso affatto generico, come in Mt. I0,26. 6 Gli esegeti che vedono sullo sfondo un gruppo di oppositori (non co­ cinti) con una propria teologia mosaica forniscono una spiegazione di­ versa. Sono questi avversari ad aver introdotto il motivo del velo, e con un richiamo preciso a Mosè che si vela. Da questa base scaturiscono due interpretazioni diametralmente opposte del v. 3. Secondo Georgi, costo­ ro ritenevano il velo « un segno fondamentale del ministero mosaico»; era > orientano decisamente verso Satana, e l'idea che costui domini l'ordine presente del mondo troverebbe appoggio in altri luoghi neotestamentari, segnatamente nella versione lucana del rac­ conto delle tentazioni (Le. 4, 5 -7; cf. I Gv. 5,19; Gv. 12,3 1; 1 6, u ). Ma come poteva Paolo attribuire a Satana il titolo ò .SEÒc;? Sono state proposte tre soluzioni per evitare questa conclusione. I. In epoca patristica si è tentato di separare l'espressione -.où alwvoc; -.ou-.ou da ò .SE6c;, che si potrebbe dunque intendere nel senso consueto di «Dio>>, eliminando così dal testo il concetto problematico dell'esistenza di un altro «dio>> . Ciò era di particolare rilevanza alla luce dell'uso che Mar­ cione aveva fatto di questo luogo come prova che Paolo distingueva tra un dio creatore inferiore e il Dio supremo. 1 Si pensò, quindi, che -.où alW­ voc; -.ou-.ou doveva essere unito a 'trov li7tta'twv, sicché Paolo diceva che Dio aveva « accecato i pensieri degli increduli di questa età » .:z. In epoca moderna questa lettura è stata corroborata con argomenti linguistici adducendo altri versetti del N.T. in cui un sostantivo dal quale dipende un sostantivo anch'esso in genitivo è posposto al genitivo dipendente: co­ sì aapxòc; . . . pu7tOU « Sozzura della carne» in I Pt. 3,21; �wljc; . . . uÒ!i'tWV «ac­ que della vita >> in Apoc. 7, I 7, e -.wv i.'7t7twv . . -.à a'tOIJ.IX'tiX « le bocche dei cavalli » in Giac. 3,3. 1 Queste espressioni sarebbero analoghe a -.où cxlW­ voc; -.ou-.ou ... -.rov li7tta'twv di 2 Cor. 4,4. Non sono però veri paralleli, poiché in nessuna di esse c'è la possibilità di unire il genitivo dipenden­ te a un altro sostantivo che lo precede. In questo versetto ritenere -toù cxlrovoc; -.ou-.ou dipendente da qualcosa di diverso da ò .SEoc; significa for­ zare la plausibilità linguistica. E Paolo non avrebbe avuto alcun motivo per legare questa espressione a -.rov li7tta'twv.4 n. Paolo potrebbe presentare Dio stesso come «il Dio di questa età >>. Ogni altro significato di ò .SEoc; non avrebbe paralleli nelle sue lettere. L'attribuzione moderna della definizione a Satana può essere dovuta al­ la difficoltà che si avverte nell'immaginare che un Dio amoroso abbia deliberatamente accecato i pensieri degli uomini. 5 Ma il primo di que­ sti argomenti non è del tutto fondato, come si vedrà sotto (m), e il se­ condo è da soppesare considerando che mentre l'esegesi più antica ri­ solve un problema, questo argomento ne pone al suo posto uno mag.

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Tertullian. Mare. 5,I I (PL 2, 499) ('citato da MacRae, Anti-Dualist Polemic, 420). :z. Così Chrys. Horn in 2 Cor. 8,2 (PG 61, 4 5 5; NPNF XII, 3 x 8 ): oU..wc; à:vctyvWO"'tÉov, O'tt 'tWV IÌ7tLa'tWV 'tOU ct!wvoc; 'tOUtOU È'tlJqiÀWatV o 8!Òc; 'tiÌ vo.Jj!J-11't11 «è da leggere COSÌ: 'Dio ha accecato i pensieri degli increduli di questo mondo'»; cf. anche Tertullian. Mare. s,u (PL 2, 499 s.), che pone una pausa dopo Deus, e ritiene che il senso sia infidelium huius aevi excaecat cor. 3 Miillensiefen, Satan, 29 6-29 8. Estius, 564. 5 Young-Ford, Meaning and Truth, I I S-I I7. 4

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giore. Né si spiega perché Dio debba essere definito così: Dio nel pen­ siero giudeocristiano è certamente il Dio di tutti i tempi. m. L'espressione più vicina a ò -8e:òe; 'tou a.lwvoe; 'tmhou si trova in Fil. 3,19, in cui Paolo dice dei suoi avversari wv ò -8e:òe; i} xotÀta.. Anche i con­ testi - così si afferma - sono paralleli, perché pure in 2 Cor. 4,4 si allu­ de agli avversari dell'apostolo. Egli dice dunque che il loro dio è questa età, ossia che si preoccupano dei privilegi terreni. 1 Non è vero tuttavia che qui si hanno di mira avversari cristiani," e inoltre il presunto paral­ lelo verbale non è preciso: l'interpretazione proposta richiederebbe wv ò -9e:òe; ò a.lwv o&.oc;. L'uso di ò -8e:oe; in Fil. 3 , 19 mostra peraltro che Paolo può in certi casi utilizzare il termine -8e:oc; al singolare per entità diverse da Dio. Concludiamo, quindi, che è Satana « il dio di questa età », nonostante una tale designazione sembri non avere paralleli.3 È Satana che impe­ disce di vedere la verità dell'evangelo. Altrove è Dio che impedisce di vedere ( 3 ,14; Rom. I I ,8),4 ma in considerazione di quanto Paolo dirà nel v. 6 a proposito di Dio che accorda l'illuminazione interiore, attri­ buirgli anche l'accecamento sarebbe potuto apparire troppo contrad­ dittorio. Può darsi che per Paolo le cause ultime dell'incredulità restas­ sero un enigma irrisolto.5 Forse qui mette in campo l'azione satanica per impedire a chi lo criticava di concludere che l'errore stava nella sua pre­ sentazione dell'evangelo. 6 L'accecamento di Satana conduce coloro che ne sono colpiti a non ve­ dere 7 « la luce che emana dall'evangelo» . 8 Il concetto è quello di illu­ minazione spirituale, poiché sono le menti degli increduli a essere state accecate, ma il simbolismo è senza dubbio dovuto alla circostanza che il contenuto 9 dell'evangelo sia definito òo�a. di Cristo, e òo�a., in certi con­ testi, indica un vero e proprio splendore. La proposizione relativa se­ guente spiega che cosa si intende per gloria di Cristo, ma quale che sia il suo significato, come indicazione del contenuto dell'evangelo di Paolo è profondamente diversa dalla definizione della sostanza del suo annun­ cio in I Cor. I , I 8 . 2 3 ; 2,2. Nella lettera precedente a Corinto egli pro­ clama Cristo crocifisso/ 0 Ha cambiato idea ? È fondamentalmente inr

Collange, 1 3 3 . 2. V. sopra, pp. p .6 s. Bulnnann, ro6 s., ìpotizza un retroterra gnostico demitologizzato da Paolo, ma l'espres­ sione non ricorre, a quanto sembra, in nessuna fonte gnostica (v. MacRae, Anti-Dualist Polemic, 427), ed è probabile che per Paolo Satana fosse un'entità personale più di quanto Bulnnann riconosca. 4 Miillensiefen, Satan, 296. 5 Cf. Klauck, Erleuchtung, 279. 6 Furnish, 247. 7 V. sotto, pp. 3 3 2 s. 8 BDF, S r 68.2; cf. BDR, S r 68.2; il genitivo EtJa'Y"fEÀtou indica origine. 9 Sul genitivo del contenuto v. BDR, S 1 67. 1 . r o Windisch, 1 3 6 s.; cf. Meyer, 2.29; Plummer, I I 7. 3

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coerente ? È vero che in I Cor. 2,8 qualifica la morte di Cristo come cro­ cifissione del Signore della gloria. È possibile, allora, che la sua nozione di gloria sia un paradosso, che si manifesta alla fine in 4,7- 12.1 Secon­ do Fil. 3 ,21, tuttavia, è caratterizzato dalla gloria il corpo del Cristo ri­ sorto, e anche in I Cor. 2, 8 non è la sua morte come tale a essere rite­ nuta gloriosa!" In 2 Cor. 4,7- 1 2 è possibile che sia la potenza e la vita divina rivelata nel ministero di Paolo a mostrare la gloria dell'evangelo piuttosto che la debolezza umana che riproduce la debolezza ( 1 3 ,4) della morte di Gesù. Se tuttavia ci si volge alla definizione di base già proposta per oo�cz 3 - «manifestazione della natura divina » - può darsi che non ci sia in ultima analisi una contraddizione (o anche un para­ dosso) in quelle che sembrano essere due definizioni diverse dell'evan­ gelo paolino. Secondo Rom. 5 ,8, infatti, la morte di Cristo è dimostra­ zione del carattere divino quanto la sua risurrezione: un evento rivela l'amore di Dio, l'altro (2 Cor. 1 3,4 ) la sua potenza. Entrambi quindi ri­ velano la sua gloria, nella persona di Cristo. Si è qui anticipata in parte l'affermazione successiva di 4,6. In 4,4 Paolo parla della gloria di Cristo e, spiegando, definisce Cristo &lxwv -toù -tJ&ou. Quale potrebbe essere l'origine di questo concetto? Le varie possi­ bilità sono elencate di seguito. 1. L'idea di Cristo quale Elxwv di Dio esisteva già nella tradizione li­ turgica della chiesa antica, come mostra la sua presenza nell'inno a Cri­ sto di Col. 1 , 1 5 -20.4 Che in 2 Cor. 4,4 sia usata come un concetto di per sé evidente può per ciò stesso indicare che nel cristianesimo elleni­ stico esso era già stato applicato a Cristo.5 Ma questa presunta prova non è cogente. Paolo è il solo autore neotestamentario che attribuisce il termine &lxwv a Cristo, a meno che la lettera ai Colossesi sia non paoli­ na. Nel qual caso peraltro dev'essere anche postpaolina, e non può va­ lere come attestazione di idee precedenti da cui Paolo sia stato influen­ zato. Se l'inno a Cristo era in origine un'unità liturgica distinta, fu com­ posto con ogni probabilità in una delle chiese paoline, dato che venne in­ serito in una lettera attribuita a Paolo. I motivi in esso presenti possono dunque risentire dell'influsso teologico di Paolo stesso. Se in 2 Cor. 4,4 il concetto non sembra necessitare di spiegazioni può essere o perché è in definitiva di per sé in qualche misura evidente, oppure perché è un'idea che Paolo aveva già espresso a Corinto. r

Bultmann, 108; Furnish, 248. Barrett, First Corinthians, 72, commenta: « Gesù è glorioso perché appartiene al do celeste e condivide l'essere di Dio». 3 V. sopra, a 3,8. 4 Furnish, 24 8. 5 Eltester, Eikon, 1 3 6. :z.

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n. La cornice formale del pensiero di Paolo può essere stata fornita dal concetto di Eikon nello gnosticismo, in cui l' Anthropos celeste è l' Ei­ kon perché il Dio altissimo abita in lui. 1 Forse tale concezione era dif­ fusa a Corinto, ed era collegata a Cristo in un modo che Paolo intende­ va contrastare. 2. Ma non c'è indizio che il concetto di tlxwv fosse un pun­ to controverso a Corinto, e forse non è necessario ricorrere all'influsso dello gnosticismo per spiegarne l'uso.3 m. Può darsi che Paolo sia stato influenzato dalla speculazione sulla Sapienza propria del giudaismo ellenistico. 4 Nella Sapienza di Salomo­ ne e in Filone, Sophia è presentata quale essere celeste designato come «immagine» . In Sap. 7,26 essa è l' Elxwv della divinità di Dio, e Filone la chiama dxwv e 8pacnc; 8tou. 5 In quanto immagine di Dio la Sapienza è tramite della conoscenza di Dio. 6 E assai probabile che qui si trovi una fonte del concetto paolino di Elxwv, e che in 2 Cor. 4,4 egli voglia signi­ ficare che Cristo come tlxwv di Dio rivela la natura di Dio.? IV. È altresì possibile del resto che Paolo abbia in mente un'ulteriore applicazione piuttosto diversa del concetto di tlxwv. Nel primo capitolo della Genesi (vv. 26 s.) si legge della creazione dell'uomo a immagine di Dio. Riguardo a ciò è interessante che in 2 Cor. 4,6 la gloria divina sia rivelata nel volto di Cristo, perché potrebbe esservi un'allusione alla con­ vinzione rabbinica che il volto di Adamo fosse così fulgido da oscurare il sole. In tal caso Paolo dice che in Cristo, secondo Adamo, questa gloria originaria è stata ristabilita. Cristo Elxwv -rou -Btou è Cristo vero uomo. 8 È assai probabile pertanto che nel presentare Cristo come immagine di Dio, Paolo pensi a lui sia come incarnazione della figura della Sa­ pienza sia come prototipo della nuova umanità. Per entrambi gli aspetti egli riflette la gloria di Dio (Sap. 7,25 s.; la convinzione di Paolo che l'Adamo originario condivida la gloria divina prima della caduta nel pec­ cato è attestata in Rom. 3,23 ).9 Questo è il contenuto della sua gloria. E il contenuto dell'evangelo di Paolo è la gloria di Dio riflessa che è re­ sa manifesta in Cristo. Tutto ciò doveva essere ai suoi occhi segno ulter

2. MacRae, Anti-Dualist Polemic, 4 2 6 s. Jervell, Imago Dei, 1 3 6-qo. 21 5 · Cf. Barrett, 1 3 3 , il quale ammette che Paolo possa aver avuto familiarità con «materia­ le gnostico >> , ma sostiene che è soprattutto il materiale biblico a influenzarlo» . 4 Eltester, Eikon, 1 3 3 - 1 3 6. 5 Philo Ali. 1,43: « 'immagine' e 'visione di Dio' » (LCL). V. Eltester, Eikon, 1 3 3 . 1 14. 6 Eltester, Eikon, 1 3 5 . 7 Klauck, Erleuchtung, 286. 8 Scroggs, Last Adam, 96-102. 9 V. Cranfield, Romans, 2.04 e n. 4; anche Scroggs, Last Adam, 26. 35 s., per la diffusio­ ne generale di questa convinzione nel giudaismo. Entrambi citano (insieme ad altri rinvii ) Apoc. Mos. 2.1 ,6, i n cui Adamo rimprovera Eva d i averlo privato della gloria di Dio. 3

>, ma potrebbe anche significare «risplen­ dere >> , 1 e se si dovesse accogliere la seconda resa la struttura grammati­ cale della frase in cui si trova deve essere intesa diversamente. Se si pre­ ferisce il primo significato, il soggetto di a.ùytiaa.t è un a.ù-ro� sottinteso (riferito ad .:Xma-rot della proposizione precedente), e 'tÒv cpw'tLO"(.LOV il com­ plemento oggetto: > Ma se si adotta il se­ condo significato, il soggetto di a.ùyliaa.L è 'tÒv cpw'tta(.Lov, e si deve sottin­ tendere il complemento indiretto a.Ù'toic;: « affinché la luce . . . non risplen­ da loro>> . A sostegno della prima soluzione si potrebbe addurre il con­ testo: la proposizione ha un parallelo in 3 , 1 3 , e il verbo può essere rite­ nuto equivalente ad linvlaa.t; 1 inoltre è richiesto il significato perché la proposizione espone la conseguenza dell'accecamento.3 Seb­ bene, inoltre, questa accezione del verbo ricorra soprattutto in poesia, c'è un esempio in prosa in Filone.4 A favore della seconda alternativa si può affermare che nelle poche occorrenze nei LXX (Lev. 1 3 , 24 ss.; 14, 56) il verbo significa . 5 Paolo, inoltre, nella scelta della parola, potrebbe aver subito l'influsso della definizione della Sapienza come 1i1ta.uya.a(.La. ( «splendore, fulgore>> ) della luce eterna (Sap. 7,26). 6 L'aggiunta di a.Ù'toic; dopo a.ùyliaa.t in alcuni testimoni mostra infine che spesso lo si intendeva nel senso di «risplendere» .7 Il primo argomento non è pertinente, perché il contesto del Levitico (norme per il trattamen­ to delle malattie della pelle) è del tutto estraneo al tema affrontato da Paolo, ma forse gli altri hanno una certa rilevanza. La difficoltà di giun­ gere a una decisione è evidente nella divergenza di opinione fra i tradut­ tori (RSV e JB, ad esempio, hanno « vedere>> , laddove NEB e REB han­ no «illuminare » ) . L'interpretazione più naturale del testo greco, tutta­ via, è ritenere il precedente li7tta'twv soggetto non espresso di a.ùyliacxt e 1

V. BAGD, s.v. cxùylit;w, per i due significati. Windisch, 1 3 6; Allo, 100; Bultmann, 109; Feuillet, Sagesse, 148. 3 Bultmann, 108 s.; Martin, 79· 4 Philo Vit. Mos. 2.,1 39: lvcx xcxl cxù- proponendosi come modello per i propri convertiti ( r Cor. 4, r 6; 7,6 s.; 1 1 ,r ).4 È possibile, ma il contesto riguarda più la predicazione iniziale dell'evangelo che la guida pastorale successiva. m. Paolo risponde alle affermazioni di oppositori giudaizzanti per i quali il suo evangelo era una sua creazione, poiché il Cristo che procla­ mava non era il Cristo che aveva osservato la legge di Mosè e aveva in­ segnato ai suoi seguaci a osservarla.s Paolo però non conduce un'argo­ mentazione rivolta contro cristiani giudaizzanti. IV. Egli risponde a giudaizzanti i quali lo accusavano di predicare la propria visione sulla via di Damasco, che altro non era se non un parto della sua immaginazione. 6 Ancora una volta però non si scorgono giu­ daizzanti sullo sfondo. Questo genere di accusa potrebbe nondimeno es­ sere in effetti venuto da altri critici. v. Paolo respinge l'accusa che la sua attività di evangelizzazione sia 1 Chrys. Hom in 2 Cor. 8,3 (PG 6 1 , 4 5 6; NPNF xn, 3 19 ) lo ritiene possibile. V. anche Bachmann, 1 89; Belser, 1 3 7; Collange, 1 3 6. 2. Georgi, Opponents, 2.73 s. 4 Furnish, 2.49; cf. Klopper, 2.2.9. 3 Windisch, 1 3 8 . 6 Strachan, 92.; cf. Bousset, 1 80. s Klopper, :z.:z.8 s.

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motivata dall'interesse egoistico di acquisire potere sulla gente ( 1 ,24; Io, 8),' o di farsi una reputazione e così ricavare profitti economici ... L'af­ fermazione di considerarsi servo dei suoi lettori avallerebbe la prima di queste possibilità. D'altro canto il contesto si occupa anche dell'effetti­ vo contenuto della predicazione di Paolo. La soluzione migliore parrebbe quella di combinare la quarta e la quinta ipotesi. È verisimile che nella sua prima predicazione a Corinto Paolo avesse raccontato la propria esperienza di cristofania. In I Cor. 9,1 accenna alla sua visione del Signore come se i lettori ne fossero al corrente, e in I Cor. 1 5 ,8 si annovera per ultimo nell'elenco dei desti­ natari delle apparizioni successive alla resurrezione, aggiungendo così se stesso al contenuto del proprio evangelo. Forse qualcuno dei corinti aveva iniziato a dubitare della legittimità di esso. Dopo tutto era con­ vinzione religiosa riconosciuta che una visione divina trasformasse il veggente stesso, in un certo senso deificandolo,3 ma non c'era alcun se­ gno di tale trasformazione nel caso di Paolo. Egli invero, come possono aver sottolineato i critici giudei, non faceva buona mostra di sé rispetto alla rappresentazione tradizionale di Mosè. Forse, quindi, la sua visione era ingannevole.4 Se non ne era consapevole, egli predicava, sia pure in buona fede, una propria fantasia, ma se ne era conscio, allora tutta la sua attività di evangelizzazione doveva essere ispirata a intenti unica­ mente egoistici. In risposta Paolo si sofferma nel v. 6 sull'origine divina della rivela­ zione della gloria di Dio in Cristo, e nei vv. 7- I I spiega la necessità del proprio aspetto inglorioso. Qui sta affrontando l'accusa implicita di perseguire un interesse personale. Egli non mira a promuovere il pro­ prio potere e la propria reputazione, bensì predica Gesù Cristo, 5 e lo predica quale Signore. 6 Sebbene la proclamazione di Gesù come xupto� r

Bultmann, 109 s. 2. Cf. Windisch, 1 3 7, che rileva la diffusione di questo tipo di accusa nelle polemiche dei filosofi contro i solisti. Egli cita, 1 3 7 n. 3, Dio Chrys. 1 3 , 1 1 : o! (Ùv yàp 7toÀÀoÌ 'twv XII­ Àou!J.Évwv qliÀOOOqlWV alJ'to� àvaXlJpU't'tOOOtV wa7tEp Ot '0ÀU!J-1t1aat x�puxEç «la grande mag­ gioranza di quelli che sono chiamati filosofi si proclamano tali, come gli araldi nelle Olim­ piadi proclamano i vincitori» (LCL). Nel contesto non è questo il punto principale, ma può rispecchiare i discorsi che si facevano generalmente. 3 Bousset, Kyrios Christos, 2.2.7 n. 68. 4 Thrall, Christ Crucified, 148 s. 5 L'ordine 'llJaouv Xpta'tov (1)46 � A C D (F G, P) H 81 3 2.6 62.9 2.49 5 pc lat sy h ; Ambst) è da preferire a Xpta'tÒV 'llJaOUV (B lF 02.09 02.2.4 02.43 cm a h syP; Epiph Pel). È l'ordine più comune in Paolo (v. sopra, a 1 , 1 ) e corrisponde a quello della formula di confessio­ ne di Fil. 2., n e Atti n , 1 7. 6 Il termine xl)ptov è predicativo, come emerge poi da éau-.o� 8!: 8ouÀouç. V. ad es. Allo, 101; Bultmann, 109.

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fosse tradizionale (Rom. ro,9; Atti 2,3 6; r r ,r 7.2o; r 6,3 r ), e nonostan­ te la possibilità che si voglia adombrare pure che Cristo aveva ottenuto pieni poteri sul «dio di questa età » , ' il punto centrale è verisimilmente che Paolo promuove gli interessi di Cristo, e che Cristo, non Paolo (cf. 1,24), esercita l'autorità sui credenti e come tale viene predicato da Pao­ lo. Egli, per parte sua, si presenta come « servo», o meglio ,3 e condotto con i suoi convertiti alla presenza divina. Il senso è soddisfacente, ma occor­ re risolvere alcune difficoltà. 14•

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Dautzenberg, «Glaube» oder «Hoffnung» , 8o-82. Collange, 163; cf. Barrett, 143; Bultmann, 1 23; Furnish, 2 5 8 . 3 Sia l a lezione breve 't'Òv 'll'j « [l']uomo nell'uomo» . 7 In EpitI Sul verbo iyxctxÉw v. sopra, pp. 3 2.0 s. Come in 4,1, c'è una variante testuale. La lezio­ ne ÉyXCIXOÙfJ.It'\1 (1)'46 � B n• F G 6 8 1 3 2.6 2.464 pc co) è meglio attestata di èxxctxoUp.Ev (C n• 'l" 02.4 3 'lll ) ed è anche la lezione più difficile, poiché a molti scribi il senso richie­ sto potrebbe essere parso «scoraggiarsi, stancarsi» , che è quello espresso da ÉxxctxoUp.Ev. Quindi è da preferire èyxctxoùp.tv. . 2. La locuzione i}(J-É� xctÌ l](J-Épq. è reputata un ebraismo in BDR, § :z.oo. r . Ma Barrett, 145, nota che l'espressione idiomatica ebraica manca solitamente dell'equivalente di xcti, ed è soltanto jom jom, mentre in Est. 3 ,4, in cui si trova j6m wiijom, i LXX non hanno l](J-É� XCIÌ l](J-Épq.. È quindi improbabile che l'espressione sia un ebraismo. 3 La costruzione où. . . àÀÀci fa pensare a una contrapposizione diretta tra i due concetti posti in correlazione, ma se la lezione originaria nel v. r 6a è èyXC�xou(J-t'll è difficile che l'antitesi sia del tutto puntuale: il rinnovamento interiore non è l'esatto opposto della ri­ luttanza a compiere il proprio dovere. L'antitesi sarà più generale e consisterà nella con­ trapposizione tra una condizione interiore indesiderabile e una desiderabile. 4 Nella maggior parte dei testimoni si legge Éaw l](J-wv, ma alcuni hanno Éaw&v (K L 'l" 62.9 1 2.41 pm), altri (D' 2.49 5 pc) Éaw&v lJ(J-WV, e altri solo Éaw (P 3 2.3 945 pc). L'occorrenza di Éaw con liv-8pwn:oc;, senza varianti in Rom. 7,:z.:z. (anche Ef. 3 , 1 6), induce a riconoscere in è:aw, più che in Éaw&v, la lezione genuina. È anche molto probabile che sia originaria la presenza di l](J-wv, poiché uno scriba che avesse voluto creare un parallelo più preciso con É�w lJ(J-WV liv-8pwn:oc; precedente avrebbe sicuramente aggiunto anche liv-8pwn:oc;. 5 Jewett, Anthropological Terms, 392.. 397· 6 Plat. Resp. 9,5 89a; 4,439d, citato da J. Jeremias, av-8pwn:oc;, in TWNT 1, 3 66. 7 Philo Congr. 97: [la mente) 0c; xupiwc; dm:iv av-8pwn:6c; èCTttv iv à'll-8pW'"IJ «che si può pro-

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teto e nella letteratura ermetica si incontra del pari questo concetto di io interiore. Per Epitteto l'uomo ha in sé una pane di Dio, ed è quindi egli stesso «un frammento di Dio » : Dio stesso è presente dentro (-tou .Se:ou 1tcxpov-.o� eaw-8e:v)! Nella letteratura ermetica l'essere umano è du­ plice (ÒmÀo�), monale a causa del corpo, immortale a causa dell' «uo­ rno sostanziale» (o oùatWÒlJc; av-8pw7toc;)." Il secondo può essere definito anche « l'uomo interiore» (o Èvòta'l9e:'toc; av-8pw1toc;).3 L'espressione eaw­ .Se:v &v-8pw7toc; può inoltre rimandare alla natura divina che si credeva fos­ se donata nei misteri.4 In tutti questi esempi c'è un'antitesi dichiarata o implicita con l'io esteriore, corporale. La distinzione di Paolo suona as­ sai simile, ed è stata interpretata come contrapposizione tra corpo e ani­ rna,5 tra aspetto fisico dell'uomo e vita superiore della mente o dello spi­ rito/ e simili. L'obiezione principale a questo tipo di esegesi consiste nell'asserto che l'antropologia paolina non è dualistica/ che tuttavia di­ pende in pane da quali versetti si assumono come chiave per l'interpre­ tazione degli altri passi. Ci sono casi in cui di fatto l'interpretazione più ovvia potrebbe essere genericamente «dualistica » : Rom. 7,2.2.-2.5; I Cor. 5,5; 7,34; 2 Cor. 7, 1 . Pare probabile, se non altro, che Paolo abbia a vol­ te tracciato fra corpo e spirito una distinzione più profonda di quanto talora si voglia riconoscere. Secondo Jewett, nel caso in esame lo fa con intenti polemici. Di contro agli avversari che sottolineavano il loro splen­ dore fisico esteriore e il possesso visibile della potenza spirituale, egli cer­ ca il sostegno degli gnostici di Corinto sulla base della convinzione co­ mune che non contino le qualità esteriori, ma il «nucleo spirituale » in­ teriore della persona. 8 Anche se non condividiamo questa rappresenta­ zione specifica degli avversari, è comunque vero che Paolo doveva dipriamente chiamare l'uomo nell'uomo» (LCL); cf. Plant. 42.; Det. uf; questi esempi so­ no citati da Jeremias, in TWNT I, 3 66. 1 Epict. Diss. 2.,8, 1 1 . 14, citato da Windisch, 1 5 2.. :. Corp. Herm. x , x s ; cf. Jeremias, in TWNT I, 3 66. 3 Corp. Herm. 1 3 ,7, citato da Jeremias, in TWNT I, 3 66. 4 Reitzenstein, Mystery-Religions, 4 5 1 . 5 Secondo Chrys. Hom in 2 Cor. 9,2. (PG 6 x , 461; NPNF xn, 3 2.2.), l a contrapposizione è tra aCÌitJ.a: e �"X.�· Anche Teodoreto, Interpr. 2 Cor. 4,16 (PG 8 2., 405), presuppone che l' taw&v av8pco1toç sia la �"X.�• mentre Teofilatto, Exp. in II Cor. 4, 1 6 (PG 1 2.4, 845 ), ritiene questa entità 'tÒ 1t'IEijp.a xal lj ojlu-x,� (questi rinvii patristici sono segnalati da Bau­ mert, Tiiglich Sterben, 1 1 8 ) . V. anche Grozio, 473; Bachmann, 2.08-2. 10; Plummer, 1 3 6. 6 Riickert, 1 3 3 s., con rinvio a Rom. 7 ,2.2. s., dove l' Éaw av-8pco1toç è identificato col vo�. 7 V. ad es. Hughes, 1 54; Barrett, 146; Robinson, The Body, I l . 14. 2.8, e passim. 8 Jewett, Anthropological Terms, 396-399 (l'espressione citata è a p. 399). Egli si schie­ ra con Georgi sull'identità degli avversari.

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fendere la propria mancanza di splendore esteriore, e potrebbe certamen­ te averlo fatto in modo da far presa su chi tra i suoi lettori aveva orien­ tamenti gnostici. n. L'interpretazione alternativa è che con ciascuna delle due espres­ sioni si indichi l'essere umano nella sua globalità. L'ipotesi è stata svi­ luppata in varie direzioni. a) L' e�w &v.Spw7to� è l'intera persona come appare agli altri dall'ester­ no, mentre l' eaw &v.Spw7to� è la propria personalità che non si vede, vi­ sibile solo a Dio e (in parte) a se stessi. Qui, poiché questa persona inte­ riore è in corso di rinnovamento, è l'equivalente dell' « uomo nuovo» di E(. 4,24. 1 Non è ben chiaro in che modo intendere questo io interiore co­ me l'intera persona. b) La contrapposizione tra i due « uomini» è di carattere escatologi­ co, ed è da correlare alla contrapposizione tra l'uomo « vecchio» e il «nuovo» (Rom. 6,6; cf. Col. 3 ,9; Ef. 3 , 1 6; 4,22.24). Il primo, l' e�w &v­ .Spw7to�, appartiene a « questa età », il secondo, l' eaw &v.Spw7to�, all'«età ventura >> . Ma questa «persona interiore» esiste già, perché nella pro­ spettiva cristiana l' «età ventura » è in un certo senso già giunta. Pao­ lo ritiene dunque di esistere in entrambe le entità: in quanto parte del mondo vecchio, sta lasciando l'esistenza ed è soggetto a disfacimento; in quanto parte dell'umanità nuova, la sua esistenza è costituita da Cri­ sto (cf. Gal. 2,20) e viene rinnovata di continuo.1 Anche in questo caso ci sono difficoltà. È dubbio che l' «uomo esteriore>> di 2 Cor. 4, 1 6 sia da identificare con l' « uomo vecchio» di Rom. 6,6, qualificato come pecca­ tore.3 In questo contesto Paolo non tratta della propria indole pecca­ minosa, ma della debolezza che deriva dalle tribolazioni di apostolo.4 Non è nemmeno sicuro che la «persona interiore>> debba essere identifi­ cata con la > . Forse è meglio considerare l' eaw &v.Spw7to� in senso neutrale, esistente prima come > e poi, con l'avvento del nuovo ordine inaugurato da Cristo, come > . 5 È possibile che in questo versetto l' eaw &v.Spw7to� e la personalità r

Allo, 1 3 4- 1 3 7. Barrett, 146 s.; cf. Wendland, 1 9 1 s.; Lang, 283; Héring, 4 5 ; Carrez, 1 23; Young-Ford, Meaning and Truth, 1 3 1 s. V. anche Rissi, Studien, 65-68. 7 1 : l' e�w ìiv.SpwTC� è un uo­ mo che esiste nella storia, coinvolto in questa creazione e soggetto a dissoluzione, non­ ché peccatore; l' ecrw �v-BpwTCoç è il vero nucleo della personalità, che sperimenta il rinno­ vamento escatologico. Bultmann, 1 27 s., interpreta in modo simile !'«uomo esteriore•; l' ecrw �v.SpwTCoç si discosta dalla «persona esteriore» tramite la fede - fede in colui che egli sarà in futuro e in un ceno senso già è ( Gal. 2,20). 3 Cf. Furnish, 289. 4 Tribolazioni che si possono considerare quelle del giusto sofferente. 5 Rey, Créés dans le Christ fésus, 147- 1 56; v. anche Collange, 1 7 5 . In Rom. 7,2.2 s. l'« uo­ mo interiore » è identificato con il voùc;. Poiché il voùc; può essere sia à.6oXI!J-� (Rom. 1,2.8) 1

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nuova siano di fatto identici, poiché la persona interiore è in corso di rinnovamento, ma essi sono in linea di principio distinguibili.' c) Si è sostenuto che la distinzione tra E�W ed €aw av..9pw7toc; sia colle­ gata alla distanza da Dio e alla vicinanza a Dio. Entrambe le definizio­ ni indicano tutta la persona: l' €�w av..9pw7toc; è la persona non ancora tra­ sformata dallo Spirito né definitivamente unita a Dio, mentre l' €aw &v­ -8pw7toc; è questa stessa persona creata di nuovo, la cui esistenza proma­ na da Dio e che è plasmata e penetrata dallo Spirito di Dio. 1 Ma se co­ sì fosse, perché la dissoluzione progressiva dell' «uomo esteriore» è con­ siderata indesiderabile (come è evidentemente implicito in el xa.!, « seb­ bene, anche se» ) ? Questa seconda interpretazione,3 in una versione o nell'altra, gode di un certo sostegno, ma non è esente da difficoltà. La prima alternati­ va 4 non è estranea a Paolo come si afferma, ed è senza dubbio la più semplice. Inoltre è coerente col contesto. Egli sta tentando di mostrare che la sua presenza esteriore ingloriosa e la sua condizione di debolezza fisica non tornano a svantaggio della legittimità del suo mandato apo­ stolico. Ha già sottolineato (vv. 7-u) che questa condizione è presup­ posto necessario per la valutazione adeguata del suo annuncio come comunicazione colma della potenza divina. Ora mette in chiaro le cose dalla prospettiva della propria esistenza cristiana personale. Al livello più profondo, nel suo intimo io, egli è soggetto non a dissoluzione ben­ sì a rinnovamento. Che sia o meno «dualismo», il senso è soddisfacente e questa è l'interpretazione preferibile. Ciò che conta è il rinnovamento interiore, contrapposto al decadimen­ to esteriore, più che il suo carattere specifico. Alla luce del v. 17, d'altra parte, è possibile che Paolo pensi alla fase iniziale del processo che pro­ duce gloria eterna in misura immensa del quale si parla in quel verset­ to. Il rinnovamento, quindi, corrisponderebbe alla trasformazione gra­ duale in gloria di J , I 8. 5 Per un verso, naturalmente, ciò diverrebbe vi­ sibile esteriormente, nella manifestazione di un'indole simile a quella di Cristo. 6 Sussisterebbe ancora, tuttavia, la distinzione tra i due av..9pw7tOt. Nel contesto l' e�w av..9pw7toç è la persona esteriore di Paolo come appa­ re ai suoi critici a Corinto, che notano soltanto la mancanza dello splensia capace di rinnovamento (Rom. 1 2,2), si può sostenere che per Paolo il voùç è in linea di principio una facoltà umana moralmente neutra. I Pate, Adam Christology, I I I, definisce l' Éaw av-8pw1tcx; «l'immagine dell'ultimo Ada­ mo», generata nel «cuore del credente». Anche così si offusca la distinzione. E perché, se queste entità sono del tutto identiche, !' «uomo interiore » deve subire il rinnovamento? 3 Sopra, pp. 3 70 s. l Baumert, Tiiglich Sterben, I I 8 - 1 29. 4 Sopra, pp. 3 68-3 70. 5 Cf. Bultmann, 1 28. 6 V. sopra, p. 307.

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dore superficiale che si aspetterebbero di trovare nell'agente di un nuo­ vo patto superiore a quello di Mosè. Essi non riescono a guardare più in profondità, così da scoprire la manifestazione esteriore dell' Éaw av­ -8pwno� in corso di rinnovamento a somiglianza di Dio. 1 1 7. 'tÒ yàp 'ltCXflCXU'ttXCX ÈÀCXqìflÒV -rij� -8Àt�W� YJ!J.WV xcx-tJ' tme:p�OÀ�V Etc; une:p�oÀ�v cxlwvwv �cl:po� ò6�� xcxnpycl:�ncxt iJ�J.iv. Paolo motiva ( ycl:p) quel che ha appena detto. La gloria eterna che deriva dall'afflizione spiega la sua perseveranza nell'impegno apostolico, 1 ed è già anticipata, forse già sperimentata, nel rinnovamento dell Éaw av-8pwno�.3 In confronto l'affli­ zione è di natura lieve. 4 L'idea di fondo è facilmente comprensibile, ma solleva altri interrogativi. In primo luogo, Paolo come intende la relazione tra sofferenza e glo­ ria ? Si può in parte rispondere che condivideva la visione giudaica del martirio e la certezza della ricompensa per i martiri,s nonché la convin­ zione più generale che i giusti soffrono in questo mondo ma otterranno gloria nel mondo avvenire. 6 Nei suoi scritti il parallelo più palese è Rom. 8 , 1 8 . Forse egli riteneva che la gloria ripagasse la sofferenza/ a condi'

l È dubbio che nell'espressione «di giorno in giorno• si debba giungere a leggere una ri­ petizione costante del rinnovamento piuttosto che un processo progressivo. Furnish, 262. 290, opta per la prima possibilità, perché la notazione analoga sul rinnovamento in Rom. 1 2,2 (!U'ta:!J.Op> si obietta che la presenza in alcuni mano­ scritti di 7tpoaxatpov xat 5 dimostra che questo significato non è annesso di per sé a 7tapau-.ixa. 6 In tal caso il termine antitetico a tribolazione pre­ sente sarà presumibilmente gloria futura (non anche presente) . Ci sono tuttavia ragioni a sostegno precisamente di una tàle combinazione di una gloria nel presente con quella nel futuro. Paolo ha parlato in 3 , 1 8 di una trasformazione in gloria nel presente. xanpya�e:'tat è un presen­ te, e potrebbe riferirsi all'avvento effettivo della òO�a, come anche al tem­ po della tribolazione grazie al quale essa si produce. Il termine alwvtoc;, inoltre, non ha in origine nulla a che fare con il concetto dell'apocalitti­ ca giudaica delle due età, perché entra in uso con gli scrittori greci del IV sec. a.C. Il suo significato è « eterno >> . Sebbene l'età futura dell'apo­ calittica possa essere eterna (infinita ), non ne consegue logicamente che quanto è eterno debba essere interamente futuro: si può definire eterna anche una situazione generatasi nel presente, se la si ritiene di durata r

Cf. Collange, 1 77. 2 Bachmann, 2 1 3 . 3 Collange, 178. Notes, 183; cf. Bachmann, 2 1 2. Entrambi richiamano Thuc. 2,64: l] (Bè:) 1t�Xpau­ Àl1(.11tpo-r7J.; x11i É.; -rò €mt-r�X BO�a. « [ma] lo splendore del momento e la gloria successiva . . . (LCL). 5 V. sopra, p. 372 n. 4· 6 Collange, 1 76 n. 4·

4 Field, ·dxa. n

»

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infìnita. 1 Ne deriva altresì che il termine antitetico non è «presente» , in contrapposizione a «futuro» , bensì « transitorio» , in contrapposizione a «permanente», o « temporaneo>> , in contrapposizione a «eterno >> . In que­ sto versetto, quindi, 7ta.pa.u't'txa. vorrà dire «temporaneo, momentaneo>>, e simili. Laddove significa «presente >> è precisamente perché sta in oppo­ sizione a parole come Ém:t't'a.. :t Anche il termine quasi parallelo 7tp6axa.t­ pa. del v. 1 8 depone a favore di questa interpretazione.3 In tal caso, non si può concludere nulla a proposito della collocazione presente o inte­ ramente futura della gloria. Al carattere futuro della ò6ça. in Rom. 8,17 s., infine, si può opporre la glorificazione passata dei credenti in 8,30. Non ci sono quindi motivi decisivi per concludere che la produzione della gloria appartenga tutta al futuro. Data la chiara indicazione, che trapela in 3 , 1 8, di un'esperienza presente, è preferibile supporre che an­ che qui Paolo immagini una partecipazione preliminare alla gloria. Terzo interrogativo: in che cosa consiste, quindi, la gloria ? La sua ma­ nifestazione presente significa trasformazione in immagine divina ( 3 , 1 8). Il suo compimento futuro, qui indubbiamente in primo piano, consiste­ rà nel dono della risurrezione gloriosa del corpo ( I Cor. 1 5,43 ) - sul mo­ dello dell'esistenza dello stesso Cristo risorto (Fil. 3 , 2 1 ) - e dello splen­ dore eterno della vita nella risurrezione. L'intensità della gloria è sotto­ lineata sia dall'espressione �apoç ò6çlJ� « pienezza >> di gloria,4 sia dalla locuzione xa..S' tme:p�oÀ�v e:lc; tme:p�oÀ �v, che rafforza il verbo. I due sin­ tagmi preposizionali sono probabilmente da considerare uniti, con effet­ to di intensificazione retorica,5 e traducibili con espressioni quali « sem­ pre più incommensurabilmente>> ,6 «oltre ogni misura >> / «al di là di ogni confronto>> , 8 e simili. Secondo alcuni commentatori, tuttavia, andrebbe­ ro presi separatamente, sicché il primo indicherebbe la misura o la ma­ niera in cui la gloria si produce - « in grado, in modo straordinario» - e il secondo lo scopo e il risultato finale del processo - «per fornire una quantità straordinaria, in misura straordinaria >> .!' Ma questa interpretaCf. H. Sasse, c.t!wvtoc;, in TWNT 1, 208 s. Theobald, Gnade, 230 n. 3 3 0. V. anche Baumert, Tiiglich Sterben, 1 3 3 . 3 Furnish, 262. 4 BAGD, s.v. (j ax�ve:L. èv -tou-t� del v. 2 riprenderà quindi lo axijvoc; del v. r . 2 Il sospirare è accompagnato, o meglio provocato,3 dal desiderio del­ l' otxlJ't�pLov -tÒ è� oùpavou. Sostanzialmente tutti i commentatori inten­ dono questa « abitazione �� equivalente alla otxoÒo!J-� èx -8e:ou del v. r . 4 Noi la riteniamo quindi simbolo del aw(J.ct 1tVEU(J.ct'tLxov.s Paolo desidera la nuova forma spirituale dell'esistenza corporea concessa attraverso la risurrezione o attraverso la trasformazione nella parusia. A questo pun­ to però egli combina l'immagine dell'edificio con quella dell'abito,6 forse la più adatta a esprimere il suo pensiero. Egli aspira a « indossare» l'abitazione dai cieli, o, più precisamente, a vestirsi di essa come di una sopravveste. Il verbo È7te:vòUaaa-8ctL è un composto doppio che significa «indossare (inoltre) )) .? Ricorre nel N.T. solo qui e nel v. 4, anche se il sostantivo corradicale È7te:VÒu-tl'jc; « sopravveste, soprabito» si trova in Gv. 21 ,7. 8 Il problema esegetico è se il verbo abbia valore pregnante o sia mero equivalente del composto semplice èvòuo!J-ctL « indossare)) .9 Poi•

Collange, 20I s., che rimanda all'immagine del parto in Rom. 8,22. V. per es. Meyer, 254 s.; Windisch, I 6 I ; Allo, I 2J ; Collange, 2oo; Barrett, I 52; Mar­ tin, I 04. Denney, I75, d'altra parte, lo considera causale, •per questo motivo» , riferito al v. I, mentre Bultmann, I J 6, seguito da Fumish, 266, lo ritiene sì causale, ma con va­ lore prolettico. Una relazione causale con il v. I tuttavia sarebbe già espressa da xaì ylip e una relazione analoga all'interno del v. 2 dal participio in sé. 3 Plummer, I45; Windisch, I 6 r . 4 Non intendo continuare a sostenere l a distinzione tra le due entità che proposi in The First and Second Letters of Pau/ to the Corinthians, Cambridge I965, 146 s. Secondo Turner, Insights, ! 28-I J I , l' olxoBofL� del v. I •rappresenta tutto il processo di trasfor­ mazione a immagine di Cristo» (p. I J I ) , mentre l' olx7j't"�ptov è il corpo nella risurrezio­ ne. Ma come rileva Barrett, I SO s., nel v. I l' olxooofL� è sinonimo della olxla seguente, che non può indicare un processo. 5 Osei-Bonsu, Reception of the Resurrection Body, 8 5 , a sostegno dell'ipotesi secondo cui l' olxoBofL� del v. I è il corpo nella risurrezione, nota che in Rom. 8,23 (parallelo a 2 Cor. 5,2 per Poccorrenza di a't"Evli"l;o!J.EV) quelli che sospirano aspettano «la redenzione dei loro corpi » . 6 Sul retroterra dell'immagine v . sotto, p . 3 94· 7 BAGD, s.v. È7tEv8UofLat, che rimanda a Plut. Pelop. I I ,I; Ios. Ant. J,I 59· 8 BAGD, s.v . È7tEvBu'tYjç; sono registrate due occorrenze nei LXX: I Baa. I 8,4; 2 Baa. IJ,I8. 9 C'è nel greco ellenistico l a tendenza a utilizzare i composti doppi con intenti rafforza­ tivi: v. Harris, Interpretation, 88, che segnala la tendenza e l'opzione esegetica che ne con2.

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ché il composto doppio è insolito, si potrebbe sostenere che sia inten­ zionalmente usato nel suo senso preciso, 1 ma altre osservazioni potreb­ bero orientare verso l'interpretazione alternativa. Se si assegna a È1ttvòUacxa-8cxt il suo valore pregnante, e se (come si è qui provvisoriamente affermato) per dimora celeste si intende il corpo nella risurrezione, Paolo esprime il desiderio di sopravvivere fino alla parusia per sperimentare la trasformazione di cui parla in I Cor. I 5, 5 2. Desidera «rivestire» il aW!J.CX ljiux.txov (ancora esistente) col aw!Lcx 7tvtu�J.cx­ 'ttxov, e conseguentemente evitare la morte. 1 Ma se è così, e se inoltre xcxt yap in apertura lega il v. 2 al v. I , si dovrebbe respingere l'interpre­ tazione del v. I proposta sopra, vale a dire che esso riguardi la ricezio­ ne del corpo nella risurrezione al momento della morte precedente alla parusia. Il pensiero infatti si svilupperebbe così: «sappiamo che avremo una dimora eterna celeste. Perché invero desideriamo essere rivestiti di essa nella parusia» . Il problema verrebbe meno se È1ttvòuacxa-8cxt corri­ spondesse senz'altro a Èvòuacxa-8cxt, poiché non vi sarebbe un riferimento necessario alla parusia.3 Ma questa soluzione non soddisfa appieno. È dato sciogliere altrimenti il dilemma ? Forse sì, se si riconsidera il nesso logico tra il v. 2 e il versetto o i ver­ setti che precedono. Ci sono vari modi di intendere xcxt yap del v. 2. Il più ovvio è assegnargli valore causale: «perché di fatto, perché invero•• , o «perché anche» .4 In tal caso potrebbe riagganciarsi a oLÒCX!J.EV del v. I : Paolo sa che possederà una dimora celeste perché l a desidera. 5 S e fosse così, É'X,O!J.EV del v. I avrebbe lo stesso punto di riferimento di È1ttvòUacx­ a-8cxt nel v. 2, ossia il momento della parusia, e si torna al problema di segue; cf. Mundle, Problem des Zwischenzustandes, 103 . Il verbo semplice è 8uw, IXVEpOW in questo contesto in I Corinti mostra che in 2 Cor. 5 , 1 0 non ha necessariamente una connotazione polemica in relazione ai «falsi apostoli» , che si dichiaravano tramiti della vera rivelazione. Non ci sono individui siffatti sullo sfondo di r Cor. 4,5. 7 Il verbo xo�J-t"w nel medio significa «prendere per sé, ricevere » (BAGD, s.v., 2.a). Qui, ciò che è «ricevuto (indietro)» è la propria attività terrena. Poiché però così si ricava

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se, senza valore. È possibile che Paolo preferisca tpauÀoc; a xaxoc; nella se­ conda alternativa per significare « di qualità morale inferiore» anziché «malvagio» . Il concetto sarebbe simile a quello di I Cor. 3 , I 5 , dove egli parla dell'opera cristiana che può rivelarsi senza valore ma non annulla la prospettiva di salvezza del credente. 1 In sostanza però xaxoc; e tpaiJ... Àoc; coincidono completamente nel loro spettro semantico, .. e nell'unica altra occorrenza paolina in Rom. 9,1 I tpauÀoc; vuol dire semplicemente «Cattivo, malvagio », contrapposto a « buono » . In I Cor. 3 , I 2- I 7, inol­ tre, il brano si conclude con il monito (vv. I 6 s.) che la fine di alcuni che operano nella chiesa può essere la distruzione a causa del carattere distruttivo della loro attività. È probabile quindi che nel versetto in esame tpauÀoc; significhi «cattivo•• piuttosto che «moralmente inferiore •• , e che non sia da escludere la possibilità che Paolo immaginasse per i cristiani peccatori una retribuzione negativa e punitiva che ne potrebbe compromettere la salvezza. La salvezza è un fatto di grazia, non è assi­ curata dalle opere buone, ma la grazia si può ricevere invano ( 6, I ) . Resta l a questione del momento in cui questo giudizio avrebbe luo­ go. Se nel v. I Paolo ha in mente la possibilità di ricevere il aw(J.a 7tvev­ (J.!X"ttxov con la morte, o se, a ogni modo, ritiene che dopo la morte ini­ zierà il processo della sua creazione per il singolo credente che deve an­ dare a stare a casa col Signore, egli pensa forse che ci sarà anche un giu­ dizio del credente al momento della morte? Si potrebbe sostenere che es­ so sarebbe necessario se tale credente deve essere ammesso alla presen­ za diretta di Cristo.3 In I Cor. 4,5 il giudizio avviene certamente alla pa­ rusia, ma secondo I Cor. I 5 , 5 2 si riceve allora anche il corpo della ri­ surrezione. Se nel periodo intercorso tra I Corinti e 2 Cor. I-8 Paolo ha modificato la propria visione escatologica su un punto, è possibile che l'abbia fatto anche sull'altro. Allo stesso tempo ci si dovrebbe guardare dall'imporgli uno schema temporale troppo preciso e logico. Può sem­ brare ovvio che il giudizio debba precedere il dono del nuovo corpo, ma non se ne parla affatto in I Cor. I 5, 5 I - 5 5 , ove il passaggio dalla con­ dizione di morte a quella di risurrezione sembra istantaneo e completo. solo un senso oscuro, il significato del verbo deve essere un po' esteso: «ricevere (qual­ cosa) in cambio» (dell'attività terrena ), « ricevere una retribuzione» (BAGD, loc. cit. ; cf. Plummer, 1 24; Barrett, 149; Martin, 96). Baumert, Tiiglich Sterben, 250. 4 1 0-429, af­ ferma che il significato è può voler dire non solo che egli è «morto con Cristo>> (Rom. 6,8 ) ma anche che Cristo sarà presente alla sua morte effettiva, sicché non sarà interrotta l'unione personale ma piuttosto, dopo la morte, si intensificherà in una relazione « faccia a faccia >> col Signore. c) La trasformazione nel aw(J.a. 7t"EU(J.IX'ttx6" inizia dopo la morte, non viene rimandata fino alla parusia come in I Cor. I 5 , 5 2. Forse l'ulterio­ re riflessione sulla prospettiva della morte ha condotto Paolo a un'evo­ luzione del suo pensiero sull'era avvenire. Nel giudaismo, benché essa esista eternamente nei cieli e le anime dei giusti vi entrino al momento della morte, non si attua appieno fino a che non sia avvenuta la risurre­ zione generale a conclusione dell'era messianica: le anime dei giusti re­ stano senza corpo fino a questo evento. Paolo sembra credere però che con la risurrezione di Gesù questa fase finale dell'era avvenire fosse già stata inaugurata. I cristiani, inoltre, sono morti e risorti con Cristo. Pos­ sono quindi essere certi che avranno il corpo celeste al momento della morte.3 Questa spiegazione potrebbe essere valida, sebbene ci si possa chiedere come mai, dacché sostanzialmente si attribuisce a Paolo una costruzione teologica nuova, il concetto non sia già presente in I Cor. I 5 : tutti gli elementi erano già disponibili, e in quel capitolo la risurre­ zione dei credenti è chiaramente e specificamente associata a quella di Cristo ( I Cor. I 5 ,22 s.). Un'altra ipotesi è che Paolo ora scorga le ulte­ riori conseguenze di quanto ha detto in I Cor. I 5, 5 0, che « la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio » . Nell'affermare ciò, ha ab­ bandonato implicitamente la convinzione giudaica della stretta conti­ nuità materiale tra questo corpo e il corpo della risurrezione, e questo vuoi dire che la risurrezione dell'individuo non deve più attendere la trasformazione di tutto il cosmo fisico alla fine del tempo. Il aW(J.IX 7t"e:u­ (J.IX'ttxo" può essere concesso al momento della morte. 4 Anche tale aspet' V. sopra, pp. 408 s. e n. 1 . V. sopra, pp. 377· 3 9 3 , e a 5,6. 3 Davies, Rabbinic judaism, 3 1 4-3 19. 4 Hettlinger, 2 Corinthians J . I - r o , 1 87. Si dovrebbe sottolineare la precisazione « impli­ citamente» . Come rilevano Robenson e Plummer, First Corinthians, 3 7 5 s., la questione 2.

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to potrebbe aver svolto un ruolo nel far cambiare idea a Paolo. La nostra spiegazione, infine, è che questo particolare cambiamento di opinione dipenda dall'evoluzione della convinzione precedente che la morte non possa spezzare la sua unione personale e consapevole con Cristo, ma piuttosto che nella condizione oltre la morte egli sarà ammesso alla pre­ senza diretta del Signore. Alla presenza di Cristo il processo di trasfor­ mazione attraverso la visione porterà alla creazione e allo sviluppo della forma di esistenza personale propria della vita della risurrezione. La convinzione precedente di un'unione inscindibile con Cristo può es­ sere stata approfondita e rafforzata in seguito alle tribolazioni e alla sofferenza che Paolo ha attraversato nel lasso di tempo tra 1 Corinti e 2 Cor. 1 - 8 . di fondo i n I Cor. 1 5 ,50 è la necessità assoluta della trasformazione radicale, sia per i viventi, « la carne e il sangue,. , sia per i morti, «ciò che è corruttibile,. , V. anche J. Jere­ mias, «Flesh and Blood cannot inherit the Kingdom of God» (l Cor. XV. 50): NTS :z. (195 5 - 1 9 5 6) 1 5 1-1 59, spec. 1 5 2.. 1 5 8 . Ma l'idea di trasformazione radicale, insieme al­ l'affermazione di I Cor. 1 5, 3 8 che il nuovo corpo è dato da Dio, può lasciar pensare che Paolo abbia di fatto abbandonato il concetto di continuità materiale tra una forma di esistenza e l'altra.

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IL MINISTERO DI PAOLO. CONSIDERAZIONI ULTERIORI ( 5 , 1 1 - 7,4 )

I. MOTIVAZIONE E CARATIERE: IL FONDAMENTO NELL'EVENTO CRISTO ( 5 , 1 1 -2 1 ) I I Conoscendo quindi il timore del Signore, gli uomm1, ma siamo aperti all'esame di Dio. E spero che siamo aperti anche all'esame delle vostre coscienze. 1 2 Non ci raccomandiamo di nuovo a voi, ma vi forniamo un'occasione di vantarvi di noi, affinché abbiate modo di ri­ spondere a coloro che si vantano dell'aspetto esteriore e non del cuore. 1 3 Perché se fummo in estasi, ciò riguardava Dio; se siamo in senno, riguar­ da voi. I4 L'amore di Cristo infatti ci domina, perché ci siamo formati questo giudizio, che uno morì per tutti, quindi tutti morirono. I 5 E morì per tutti affinché coloro che vivono non vivano più per se stessi, ma per co­ lui che per loro morì e fu risuscitato. I 6 Di conseguenza, d'ora in poi noi non conosciamo nessuno in modo puramente umano. Sebbene (un tempo) abbiamo conosciuto Cristo in modo puramente umano, ora però non lo conosciamo più così. I7 Di conseguenza, se uno è in Cristo, è una creatura nuova: il vecchio è passato, ecco è nato il nuovo. I 8 E tutto ciò è da Dio, che ci riconciliò a sé attraverso Cristo e ci assegnò il ministero della ricon­ ciliazione. I9 Similmente: Dio, in Cristo, riconciliava il mondo a sé, senza calcolare a loro svantaggio le loro trasgressioni, e ci ha affidato l'annuncio della riconciliazione. 20 Siamo, dunque, ambasciatori per Cristo, convinti che Dio faccia il suo appello per mezzo nostro; in nome di Cristo vi suppli­ chiamo, siate riconciliati con Dio. 2 1 Colui che non conobbe peccato, egli lo fece peccato per noi, affinché noi divenissimo giustizia di Dio in lui. Il pensiero del giudizio sulle azioni terrene riconduce Paolo al tema del suo ministero. Egli spiega che le proprie parole a questo proposito sono nell'interesse dei lettori, per dar loro modo di difenderlo dalle critiche, e precisa che ciò che conta in questa difesa è poi la sobrietà della sua con­ dotta nella relazione con loro. Lo sollecita, inoltre, e lo spinge a vivere per Cristo l'amore da lui mostrato nella sua morte. Paolo approfondi­ sce quindi le conseguenze dell'evento Cristo. I vecchi metri di giudizio sono stati abo liti , e il credente diviene un essere nuovo mediante l'incor­ porazione in Cristo. Dio ha riconciliato a sé l'umanità estraniata e ren­ de noto l'atto di riconciliazione attraverso l'annuncio apostolico_ Quel­ l'atto fu compiuto mediante l'identificazione di Cristo con l'umanità pec-

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catrice, che consentì agli esseri umani peccatori d i identificarsi per parte loro con Cristo e di condividere la sua relazione giusta con Dio. n. Elòonc; oòv 'tÒv cp6�ov 'tou xuplou àv-Bpfimouc; xe:Wo�J.e:v,' -Be:éil òè xe:­ cpave:pw!J.e:-8a· &ì.xl�w òè xaì. èv 'taLe; cruve:tò�ae:atv U!J.W" m:cpave:pwa-8at. Poi­ ché crede nella prospettiva del giudizio (v. ro), Paolo compie la sua mis­ sione conoscendo il timore del Signore. In questo luogo il verbo olòa si­ gnifica «sapere su» o « avere esperienza pratica di» ? La seconda accezio­ ne qui sarebbe assai appropriata. 1 Il problema è che pare sostanzialmen­ te non attestata.3 Forse la resa «sapendo che cosa sia il timore del Signo­ re » 4 combinerebbe la prima accezione con l'idea accennata di un'espe­ rienza soggiacente. Lo stesso cp6�oc;, con ogni probabilità, è un «sentimen­ to di timore, riverenza, soggezione» , 5 con 'tou xuplou come genitivo og­ gettivo: « timore del Signore, riverenza per il Signore» . È vero che il vo­ cabolo può anche denotare «ciò che suscita timore»,6 e che è utilizzato da Paolo stesso in questo senso in Rom. 1 3 , 3 / Potrebbe quindi signifi­ care > fosse in origine uno slogan prepaolino che rimandava a una situazione di pace cosmica in cui il cielo era unito alla terra,S né che siano presenti simili connota­ zioni «cosmiche» in questo senso più lato.6 Il x6a11-ov del v. 19a è ulte­ riormente definito da tXÙ't'ot> . Si è sostenuto che le sue pa­ role vadano intese nel contesto dei rapporti difficili con i lettori, che af­ fiorano in qualche misura nella sezione 2, 1 7-7,4· Egli cerca la riconcilia­ zione con loro, ma a condizione che riconoscano che il ministero della riconciliazione gli è dato da Dio e che la sua predicazione rappresenta Cristo e Dio. La riconciliazione con lui e la riconciliazione con Dio so­ no un tutt'uno. 9 Paolo però non dice questo. E nei vv. 1 8, 19 e 21 par­ la del fondamentale evento Cristo e dell'annuncio che egli ne dà. Va detto che respingere l'idea che Paolo inviti implicitamente alla ri­ conciliazione con lui esclude una delle risposte alla domanda sul perché qui tratti della riconciliazione con tanto risalto. I o Egli la ritiene eviden1 Bachmann, 2.72.; Lietzmann, 1 2.7; Biichsel, in TWNT I, 2. 5 6. Barrett, 178. Così Riickert, 1 84; Dupont, Réconeiliation, 1 7; Lambrecht, «Reconcile yourselves», 188 s. 4 Lambrecht, «Reconcile yourselves», 1 89. 5 Bultmann, 1 6 5 . 6 Windisch, 196; Hughes, 2. 1 1 ; Bruce, 2.10. 7 Bultmann, 165 s. 8 V. sotto, ad l.; cf. Wolff, 1 3 1 n. 44 1 . 9 Collange, 2.69. 2.73-2.7 5 . 2.80. Io V. Collange, loc. cit.; anche per Furnish, 33 5 , la riconciliazione con Paolo è la preoc­ cupazione principale di questi versetti; v. anche Beale, Reconciliation, 5 5 6 s., secondo cui il punto in questione è !'«allontanamento tra Paolo e i suoi lettori ». I

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temente scopo e conseguenza della morte sacrificate di Cristo, di cui ha parlato nel v. 14. Ha forse in mente, inoltre, le critiche mosse dai giudei ai membri giudeocristiani della chiesa, che però turbavano anche la co­ munità in generale. Che bisogno c'era di questo presunto nuovo patto? Tanto per i giudei di nascita quanto per i proseliti il patto mosaico esi­ stente forniva i mezzi per l'espiazione del peccato e il conseguente ripri­ stino della relazione tra Dio e l'uomo, segnatamente nel giorno dell'espia­ zione. L'annuncio e l'azione missionaria di Paolo erano ridondanti. In risposta egli insiste su tre punti: primo, è attraverso Cristo che Dio ha deciso di rendere possibile la riconciliazione (il termine Xpta"t'oc; ricorre quattro volte in tre versetti); secondo, questa riconciliazione ha per tra­ mite il suo ministero apostolico, e terzo (v. 21 ), il suo fondamento è (non il rituale del giorno dell'espiazione bensì) la morte di Cristo che si è fatto peccato per l'umanità. 2 I . "t'ÒV (.l'Ì) yvoV"t'r:J. tX(.lr:J.p"t'tr:J.V tntÈp lJ(J.WV tX(.lr:J.p"t'tr:J.V È1tOtl)C'EV, tVr:J. lJ(J.Etc; ye:vw(.lt-Ba òtxawauvl) -Be:ou Èv aù"t'�. Si ha qui un ampliamento del v. 19ab che spiega come fu reso possibile « non computare)) i peccati e lega il te­ ma della riconciliazione a quello della giustificazione. 1 « Colui che non conobbe peccato )) è chiaramente Cristo, poiché è at­ traverso Cristo (v. 1 8 ) che Dio (il soggetto di È1tOtl)atv) ha attuato la ri­ conciliazione. Il « (non) conoscere peccato)) attiene con ogni probabilità alla conoscenza personale ed esperienziale,.. come è illustrata in Rom. 7,7- n : nell'esperienza di Gesù non vi fu questa peccaminosità «prati­ ca)) ) Paolo pensa all'esistenza storica di Gesù, non all'assenza di peccato del Cristo preesistente. 4 Poiché era il peccato umano a esigere un rime­ dio, era significativa la condizione senza peccato di Cristo in quanto uo­ mo. 5 Questo divenne presto articolo di fede. 6 La questione esegetica più rilevante riguarda il significato della pro­ posizione principale tntÈp lJ[J.WV tX[J.ap"t'tav È1tOtl)atv. In che senso Dio fece 1 Furnish, 348, il quale afferma che il v. :z.o apre una nuova grande sezione della lettera, è costretto a considerare il v. :z.r �una conclusione posticipata di 5,17- 1 9 » ; v. op. cit., 3 5 1 , in cui cita, a sostegno della propria opinione, Dahl, Studies, 66 n. 10. Questo espediente tende innegabilmente a mettere in dubbio l'ipotesi strutturale che ha fatto sorgere il problema. 2. V. ad es. Meyer, 2.9 5; Osiander, :z.:z.S; Furnish, 3 3 9· 3 Bachmann, :z.7:z.; Windisch, 197; Collange, 2.76; Bultmann, 1 66. 4 Windisch, 197 s., esamina la possibilità che si pensi al Cristo preesistente senza peccato. s Cf. Hughes, :z. r :z., che presenta questi elementi in chiave più «dogmatica » . 6 V . Barrett, 1 79 s., che segnala l'imbarazzo causato dal battesimo d i Gesù (Mt. 3, 14); v . anche Furnish, 3 5 1 · il quale rinvia a Ebr. 4·1 5; 5 .7-9; I Pt. I , I 9; 3 , 1 8 .

IL FONDAMENTO NELL'EVENTO CRISTO Cristo « peccato » ? Può darsi che Paolo abbia in mente per certi aspetti il concetto che esprime in Rom. 8,3 : Dio mandò suo figlio « a somiglian­ za di carne peccatrice» . Inviato per vivere una vita umana in un mondo corrotto dal peccato, Cristo divenne egli stesso esposto alla tentazione e sentì l'attrazione del peccato. I Ma il culmine della sua vita umana fu la morte in croce, e l'asserzione di Paolo deve vertere anzitutto sulla sua morte. Dall'età patristica in poi l'esegesi ha seguito due strade principa­ li: secondo alcuni commentatori �etp•det qui significa « sacrificio espiato­ rio », mentre altri sostengono che Cristo subisce in qualche modo la sor­ te dei peccatori. 1. Base linguistica della prima interpretazione è l'uso dell'ebraico hat­ {ii't «peccato» nel senso di « sacrificio espiatorio» in alcuni versetti di Lev. 4, e la sua resa nei LXX con cX(Letp'tLCl. 2. Questa interpretazione di a(Letp-riet in 2 Cor. 5,21 trova riscontro nella patristica latina. Così, secon­ do un'annotazione di Ambrosiaster, si dice che Cristo è stato reso pec­ cato perché nella legge la vittima sacrificale è chiamata in tal modo.J Questa lettura, sulla scorta di motivazioni disparate, ha trovato soste­ gno anche in età moderna.• La possibilità che Paolo si attenga all'uso idiomatico ebraico, per il tramite dei LXX, è forse dimostrata da Rom. 8,3, ove 1ttpÌ cX(Letp'ttex> ) 5 di cui la prima, la seconda e la quarta sono quasi della stessa lunghezza mentre la terza è più breve: a) i vv. 4b-5, comprendenti tre triadi di locuzioni introdotte da Èv,6 re­ lativi alle tribolazioni; b) i vv . 6-7a, contenenti otto locuzioni introdotte da Èv che riguardano le qualità del carattere e altri elementi positivi che si accompagnano al ministero; c) i vv. 7b-8a, con tre locuzioni introdotte da ota, che dal punto di vista 1 L'interpretazione precisa dipende dal significato di Òtx�or;, che è nella forma un agget­ tivo verbale da ÒÉ'X.Of.LIXt, «ricevere, accogliere, accettare•. A sostegno del primo valore, «accettabile » , si può osservare che è il significato fondamentale dell'aggettivo verbale (v. BAGD, s. v. Òtx�&;, in cui il caso in questione è rtso con «favorevole» ), e che tutti gli al­ tri esempi neotestamentari sia di Òtx�&; sia di &Ù7cpacròe:x�or; (con la possibile eccezione di Le. 4,19) hanno tale senso; questo, inoltre, sembra l'unico significato di tÙTCpOaÒEx�O[J.E�, w� 7ta.tÒEuO(J.E�Ot xa.l (J. � -8a.�a.'tOU(J.E�Ot, IO W� ÀU7tOU(J.E�Ot cXEL ÒÈ: xa.tpO�'t€�, W� 7t'tWXOL 7tOÀÀO� ÒÈ: 7tÀOU'tt'çO�'t€�, wc; (J.lJÒÈ:� éxone� xa.l 7tcX�'ta. xa.'tÉxo�n�. Che la struttura formale in ciascu­ no di questi versetti sia quasi identica è evidente. Oltre alle componenti individuate sopra, 2. domina lo stile participiale. È tuttavia più comples­ so stabilire se si abbia anche un'identità di struttura logica. Ci sono va­ rie possibilità. I. Il primo termine di ogni antitesi rimanda all'aspetto esteriore, il secondo alla realtà interiore.3 Ma (J.� -8a.�a.'toutJ.e�ot della quarta antitesi è qualcosa di esteriormente visibile ed verificabile dall'esterno esatta­ mente COme W� 7ta.tÒEuO(J.E�Ot. 4 11. Nel primo membro di ciascuna antitesi si rispecchia la valutazione erronea che si forma chi giudica secondo criteri terreni, nel secondo «il giudizio vero di coloro che sono in Cristo» . s Ma Paolo a volte provò veramente dolore ( 2, r ), e fu anche realmente povero in senso letterale.6 m. Il primo termine, come nell'interpretazione appena proposta, ri­ manda al giudizio terreno sugli apostoli, il secondo al giudizio di Dio su di loro.7 Le difficoltà sono le stesse sollevate dall'ipotesi precedente. IV. Il primo membro di ogni coppia presenta l'opinione su Paolo, non importa se vera o falsa, ciò che si pensa egli sia. Il secondo mostra ciò che realmente è, a prescindere dalla possibilità di verifica dall'esterno.8 1 Non c'è grande differenza di senso; v. Barrett, I 8 8; Bultmann, I 7 5 · Secondo Bengel, 79 3, e Plummer, I99, d'altra parte, la prima espressione nel v. Sa mostra come Paolo è trattato quando è presente e la seconda che cosa si dice di lui in sua assenza. :>. V. sopra, p. 470. V. Bultmann, Stil, 76, su questi versetti come esempio dell'uso paolino del parallelismo antitetico. 3 Windisch, 2.07. 4 Allo, I 77. 5 Furnish, 35 7. 8 Allo, 1 77. 7 Bruce, 2. I 2.. 6 Hanson, Paradox, 66.

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Questa interpretazione ha il merito di corrispondere a tutte e sette le an­ titesi, ma forse al prezzo di attenuarne in qualche caso i contrasti. v. Se si lascia da parte la prima antitesi del v. 8b, si può dire che quel­ le dei vv . 9 s. esprimono in modo p aradossale verità complementari del­ l'esistenza apostolica di Paolo. I È legittimo ritenere il v. 8b di transi­ zione: a differenza delle altre antitesi non ha participi, e per il contenu­ to può riallacciarsi a iv ÀOYCfl liÀlJ'!9ttac; del v. 7a, anche se, data la strut­ tura antitetica, è legato a ciò che segue. Questa quinta interpretazione del passo è la più soddisfacente, malgrado il lieve problema posto dal v. Sb. Paolo era ritenuto mendace ... Perché? Per la visita a Corinto che an­ nullò ( 1 ,1 5-2,2) ? 3 Oppure perché accusato d'ambiguità nelle sue attivi­ tà economiche (cf. 1 2, 1 6 ) ? 4 In questo contesto è più probabile che l'ac­ cusa sia di carattere generale. Forse le sue rivendicazioni apostoliche in senso lato erano ritenute ingannevoli,5 o il suo annuncio erroneo (cf. v. 7a), o entrambe le cose. Può darsi pensi all'idea che avevano di lui gli altri giudei che non si erano convertiti al cristianesimo. 6 Di fronte a que­ st'atteggiamento, non può che affermare la sua sincerità. Egli è sconosciuto eppure ben noto.? Nella prima caratterizzazione si guarda al riconoscimento degli uomini. 8 Paolo e gli altri apostoli erano ignoti al mondo pubblico della cultura e della politica, e non erano ri­ cercati come i retori famosi.9 Più dubbio se nella definizione antitetica I Barrett, 1 89. Il parallelo citato da Windisch, 207 s., sembra avvalorare questa lettura. Epitteto, Diss. 2,1 9,24, ritrae così il vero stoico: 8e:i!;a:tÉ f.LOt -ttvll voaouv-tll xlll EÙ"t!J'X.oiiv­ -tll, Xtv8UVEUoV"tll Xlll EÙ"t!J'X.OÙV"tll, CÌ1to-8V�C"XOV"tll Xllt EÙ"t!J'X.OÙV"tll, 1tEqlU"(Il8EtJt1-ÉVOV Xllt EÙ"ttJ­ "J.OUV"tll, à8o�oùv-tll xlll e:ù-tux.ouV"tll «mostratemi un uomo che pur malato è felice, pur in pericolo è felice, pur moribondo è felice, pur condannato all'esilio è felice, pur in discre­ dito è felice» (LCL). 2 wç deve voler dire «come se » . La parola 1tÀavoç come aggettivo significa «che porta fuori strada, mendace» (BAGD, s.v., x ) e come sostantivo «ingannatore, impostore» (BAGD, s.v. , 2, con rinvio a questo passo). Poiché è in coppia con CÌÀYJ..9�ç, qui lo si con­ sidera aggettivo. 3 Fumish, 3 5 8. 5 Hughes, 2 3 3 . 6 Cf. Windisch, 208. 4 Barrett, 1 89. 7 Per questo significato di Èmytvwaxw v. BAGD, s.v., x .a, dove si segnala il caso in esame. 8 Malgrado Héring, 57, secondo cui Paolo si paragona al servo di Isaia (ls. 5 3 ,2 s.), quin­ di apparentemente misconosciuto da Dio. Non è tuttavia un parallelo lessicale. 9 Windisch, 208, che adduce paralleli stoici. Epitteto, Diss. 4,8, 3 5 , ammonisce l'aspiran­ te filosofo: ciyvoe:ia..91lt f.LEÀÉ-tl)aov 1tpw-tov, -tlç e:l «esercitati anzitutto a non far sapere chi sei » (LCL). Marco Aurelio, 7,67, osserva: Àtllv ycìp Èv8É"J.E"tllt &iov liv8p!l ye:vÉa.Silt xlll \mò fl-lJ8EVÒç yvwpta..9ijVIlt «è affatto possibile infatti essere un uomo simile agli dei eppure non essere riconosciuto da nessuno» (LCL). Con buona pace di Fumish, 3 5 8, non c'è biso­ gno di avere una corrispondenza concettuale completa per ravvisare una certa influenza su Paolo di motivi filosofici correnti. Barrett, x 89, pensa che egli si riferisca alla man­ canza di riconoscimento come apostolo da parte di altri cristiani, ma è dubbio che àyvo­ oU(uvot esprima questo concetto senza ulteriori spiegazioni.

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NUOVA DIFESA DELLA COND OTIA APO STOLICA

egli intenda il riconoscimento degli uomini o di Dio. La seconda interpre­ tazione, da una parte, darebbe senso e troverebbe conferma in I Cor. 1 3 , 1 2., in cui Èmytvwaxw è applicato alla conoscenza dell'uomo propria di Dio.' D'altro canto, in I Cor. 1 6, 1 8; 2 Cor. 1 , 1 3 s.; 1 3 , 5 è usato per il riconoscimento da parte degli uomini. Si potrebbe ritenere, inoltre, che l'antitesi esiga questa interpretazione: 1 il concetto sarebbe che l'aposto­ lo riceve riconoscimento in seno alla comunità cristiana sebbene il gran mondo lo ignori.3 Poiché tutta questa sezione (vv. 3-10) riguarda anzi­ tutto l'apostolo in relazione ad altri uomini e alle circostanze esterne, è verisimile che ÈmytvwaxO(LEVOL indichi il riconoscimento umano. In en­ trambi i casi l'antitesi esprime due aspetti diversi dell'esistenza di Pao­ lo, ambedue reali. Lo stesso vale per il successivo wc; !Ì7to-8v�axov-.Ec; xai lòoù 'çii>(LEV, ma su due piani differenti. A un primo livello, era evidente a qualsiasi osservatore che la sua vita era stata di quando in quando mi­ nacciata ( I Cor. 1 5,30; 2 Cor. 1,8 s.; n,2.3 -26), ma che i pericoli non erano risultati mortali. 4 A un livello più profondo, questi aspetti e gli altri affini della sua esistenza servono a rivelare la morte e la vita di Gesù (4,10 s. ) . 5 Nella formulazione può esservi una reminiscenza di Sal. I I 7, 17 (LXX): oÙx 1Ì1to-8avou(Lat, !Ì:ÀÀtÌ 'ç�aO(Lt:Xt.6 Si è generalmente concordi nel ravvisare nella terza antitesi del v. 9, wc; 1tt:XLÒEUO(LEVOL 7 Xt:Xt (L� -8ava'tOU(LEVOL, un'allusione al versetto seguente di questo SteSSO salmo: 1tt:XtÒEUWV È1tcxtÒEuaÉv (LE O XUptoc; XIXL 'tijl -8cxvtX't(fl OÙ 1tcxpÉÒwxÉv (LE «con un castigo il Signore mi castigò eppure non mi con­ segnò alla morte» . La punizione consisterà nelle varie forme di tribola­ zione e sofferenza che erano toccate in sorte all'apostolo. La questione controversa è se personalmente le reputasse strumenti della punizione divina oppure se riporti solo e soltanto l'idea che ne avevano i suoi cri­ tici e avversari. Nel secondo caso wc; significherebbe «come se (ma non in realtà) » . 8 Il rimando al salmo, d'altra parte, lascia pensare che Paolo voglia identificare la propria esperienza con quella del Salmista, per il quale il castigo proveniva realmente da Dio.9 Nel pensiero giudaico, inoltre, la punizione divina testimonia la sua «cura amorevole» , ' 0 e seI Hughes, 234; anche Barrett, 1 89, individua un rimando al riconoscimento da parte di Dio. V. inoltre Fitzgerald, Cracks, 196 s. 2. Bultmann, 1 7 5 . 3 Windisch, :z.o8; anche Plummer, 192, ritiene che i l participio indichi i l riconoscimento umano. 4 Martin, 1 8 1 . s Plummer, :z.oo; Barrett, 1 8 9 s.; Bultmann, 1 7 5 ; Fumish, 3 5 8 . 6 Cf. Fumish, 347· 7 Alcuni testimoni (D• F G it; Ambst) recano 7tEtpa�O!JoEVOI. Questa lezione sorse senza dub­ bio perché l'idea dell'apostolo punito suonava inaccettabile (Windisch, :z.o8 n. x ). 8 Furnish, 3 5 8 , sembra sostenere questa opinione. Io Martin, x 8 :z., che rimanda a Prov. 3 , I I s. 9 Cf. Hanson, Paradox, 68.

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condo I Cor. n , 3 2 essa viene rivolta a i cristiani per i l loro bene ulti­ mo. I È possibile che Paolo abbia guardato qualcuna delle sue sofferen­ ze sotto questa luce (cf. u,7 ). In tal caso anche questa antitesi riflette due aspetti reali della sua esperienza. È così anche per la prima contrapposizione del v. 10. Sono frequenti in 2 Corinti i cenni al dolore e al soffrire/ e in 2, 1 . 3 si parla del dolore reale o potenziale di Paolo stesso. Non si tratta mai di apparenza distin­ ta dalla realtà. Non c'è motivo dunque di supporre che Àu7t:oUp.e:vot sia da leggere in senso non reale. I commentatori fanno notare che Paolo ave­ va molti motivi di afflizione, tra cui l'atteggiamento e il comportamen­ to di alcuni corinti,3 e la persistente incredulità di Israele.4 Ma aveva al­ tresì ragioni di gioia: la fede e la speranza cristiana in generale; s la cre­ scita cristiana di molti dei credenti a cui scriveva; 6 si rallegrava per si­ tuazioni particolari di natura personale/ e infine, paradossalmente, vi era la gioia nelle sue sofferenze. 8 Sia il dolore sia la gioia erano esperien­ ze reali. Se l'antitesi successiva debba essere interpretata così, dipende dal significato di 7t:'tw-x,ol, a cui si contrappone l'arricchimento di molti. Se indica la povertà spirituale, è possibile che Paolo abbia di mira la criti­ ca di non avere ricchezze carismatiche quali esperienze estatiche e pote­ ri taumaturgici.9 Poiché la sua idea di ricchezza spirituale era piuttosto distante, il significato di wc; 7t:'tWX,OL sarebbe