Seconda lettera ai Corinti. Commento ai capp. 8-13 [2] 9788839407580

Il libro in pillole: - Il commento più esauriente alla seconda lettera ai Corinti. - Gli avversari di Paolo a Corinto e

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Seconda lettera ai Corinti. Commento ai capp. 8-13 [2]
 9788839407580

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Arricchito di due estese appendici - dedicate l'una di Paolo a Corinto, l'altra a Paolo apostolos, con volume il commento di Margaret Thrall alla ai Corinti giunge a conclusione. Come già nel al centro dell'esegesi di questa tra le maggiori sta sia il pensiero cristologico sia la figura di o.. ,,. • .,• . , «apostolo di Gesù Cristo» (per riprendere le

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si presenta nelle due epistole ai Corinti): il del vangelo di Cristo risorto - di cui egli stesso e modello supremo del ministero cristiano. Margareth E. Thrall, docente di Studi Biblici a Bangor, è autrice di un celebre studio sulle nel Nuovo Testamento. Alla seconda ai a questo commento.

ISBN 978 88 39407580

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SECONDA LETTERA AI CORINTI Margaret

E.

Thrall

Edizione italiana a cura di Donatella Zoroddu Volume 2

Commento ai capp. 8-13

PAIDEIA EDITRICE

Titolo originale dell'opera: A Criticai and Exegetical Commentary on The Second Epistle to the Corinthians

by Margaret E. Thrall Volume II Commentary on II Corinthians VIII-XIII (The lnternational Criticai Commentary, Edinburgh) Traduzione italiana di Paolo Bernardini Revisione di Donatella Zoroddu ©T. & T. Clark, Edinburgh 2000 © Paideia Editrice, Brescia 2009

AI MIEI COLLEGHI DI IERI E DI OGGI DOCENTI E SEGRETARI DEL DIPARTIMENTO DI STUDI RELIGIOSI E DELLA SCUOLA DI TEOLOGIA PRESSO L'UNIVERS ITY COLLEGE OF NORTH WALES DI BANGOR CON RICONOSCENZA PER IL LORO SOSTEGNO E INCORAGGIAMENTO

PREMESSA

Desidero esprimere sincera gratitudine a tutti gli autori le cui opere mi sono state d'aiuto nella preparazione del secondo volume di questo com­ mento, e voglio ribadire la riconoscenza agli altri colleghi e amici ricor­ dati nella premessa al primo volume. Ancora una volta in particolare i miei ringraziamenti più calorosi vanno al prof. Charles Cranfield per i saggi consigli e l'interessamento costante. Sono inoltre veramente grata a Kevin Stuart-Banks, dottorando presso la School of Theology dell'Uni­ versità di Wales, a Bangor, che ha digitato il testo di questo volume con grande cura e sollecitudine. Sono molto riconoscente alla signora Beti Llewellyn, segretaria della School of Theology and Religious Studies del­ l'Università di W ales, che ha gentilmente digitato gli indici. Mi sento in­ fine assai obbligata nei confronti degli editori dell'lnternational Criticai Commentary per avermi all'inizio invitato a contribuirvi e per la pazien­ za con cui hanno atteso il completamento del mio lavoro. Margaret E. Thrall

INDICE DEL VOLUME

529 533 533 534 536 539 545 548 550 550 573

Premessa v.

592 592 624 626 626 664

683 6 85 737 73 8 751 8oi 86I 886 886

VI.

I capitoli della colletta ( 8 , I -9,I 5 ) I . Introduzione I. Rapporto con la conferenza di Gerusalemme II. I destinatari m. Scopo e valore IV. Successo o fallimento ? v. La colletta e i rapporti di Paolo con i corinti 2. La colletta nel capitolo 8 I. Lo zelo dei macedoni. Nuovo incoraggiamento ( 8 , I - I 5 ) II. La missione e la raccomandazione di Tito e di due colleghi ( 8 , I 6-24 ) 3 · La colletta nel capitolo 9 Apprensione per l'andamento della colletta a Corinto e appello alla generosità (9, I - I 5 ) L'ultima lettera a Corinto ( I o, I - I 3 , I 3 ) 1. Paolo e gli avversari nel capitolo I O I. La risposta di Paolo alle critiche sulla sua persona ( I O, I - I I ) II. Paolo e i missionari rivali ( I O, I 2- I 8 ) 2. Paolo lo stolto nei capitoli 1 1 - 1 2 ( 1 1 , I - 1 2, I 8 ) I. Paolo chiede tolleranza e fustiga i missionari rivali ( li, I - I 5 ) II. Presentazione delle credenziali apostoliche ( 1 1 , I 6- 1 2, I 8) a) Paolo chiede ancora di tollerare la sua stoltezza ( 1 1 , I 6-2 1 ) b) Confronto con i rivali, elenco di tribolazioni, passo di transizione, fuga da Damasco ( 1 1 ,22-3 3 ) c) Debolezza e vanto. Ascesa al cielo e inflizione della > ( 1 2, I - I O) d) Conclusione del discorso dello stolto. La futura visita a Corinto ( 1 2,1 1 - I 8 ) 3 · Conclusione della lettera ( 1 2, I 9- I 3 , I 3 ) I. Ansia per la situazione morale dei Corinti ( 1 2,I9-2 1 )

INDICE DEL VOLUME

532 898 928 928 930 932

Minaccia di punizione all'arrivo di Paolo. Esortazione a emendare la condotta (I 3, I-Io) m. La chiusa della lettera (I3 , 1 1 -I3 ) a) Il contesto originario di I3 , 1 1-I3 b) L'estensione della chiusa epistolare c ) Traduzione e d esegesi n.

Appendici 953 973

1 . Gli avversari di Paolo a Corinto. La testimonianza della seconda lettera ai Corinti 2. Paolo l'apostolo Excursus

5 86 69 5 700 707 728 769 78 5 838 950

8. Gli ciòe:ì..cp ot di 8,I6-24 9· Un altro Gesù, un altro spirito, un altro evangelo ( 1 1 ,4 ) IO. Gli Ù7tEpÀta.v CÌ7toa'toÀm I 1 . Lo sfondo culturale di 1 1 ,6 I2. Paolo e il mantenimento degli apostoli I3 . La punizione di Paolo e la legge romana ( 1 1 ,25 ) 14· Lo sfondo culturale dell'elenco di tribolazioni in 1 1 ,2 3 b-29 e la questione della parodia I 5 . Che cos'era l a «spina >> ? ( I 2,7) I 6. 2 Cor. I O-I3 . Prospettive retoriche Indici

99 3 998 999 Iooo

Indice analitico Indice dei passi discussi Indice degli autori classici ed ellenistici Indice degli autori moderni

v I CAPITOLI DELLA COLLETTA

( 8 , I -9, 1 5 )

l INTRODUZIONE

All'inizio di questa trattazione sarà utile richiamare gli esiti critici rag­ giunti nel 1 volume che possono avere qualche riflesso sull'interpretazio­ ne del successo o insuccesso del progetto paolino della colletta. Si è so­ stenuto che il cap. 8 appartiene alla medesima lettera dei ca pp. I -7, i qua­ li costituiscono anch'essi un insieme unitario. 1 I ca pp. I-8 formano quin­ di un'unica lettera che consideriamo la seconda lettera superstite scritta da Paolo ai corinti. Il cap. 9 è, a parer nostro, una lettera separata, suc­ cessiva a quella dei capp. I-8,'" e la lettera dei capp. I O- I 3 è la lettera fi­ nale della serie) Se questa è la sequenza giusta, l'ultima immagine espli­ cita che resta dei rapporti di Paolo con i corinti è conflittuale. E ciò po­ trebbe far pensare a sua volta che, sebbene Corinto avesse fornito un con­ tributo alla colletta (Rom. I 5,26), esso non fosse sostanzioso come Pao­ lo inizialmente avrebbe potuto sperare. Anche se gli aiuti potrebbero essere ripresi durante il suo ultimo soggiorno in città, forse non erano ba­ stati a compensare la perdita iniziale di contributi da parte di quei mem­ bri della comunità che guadagnavano solo un salario settimanale o gior­ naliero (che con ogni probabilità spendevano) e che nel periodo del con­ flitto avevano smesso di risparmiare. È pure possibile che i contenuti del­ la lettera dei capp. I O- I 3 abbiano avuto una diffusione maggiore e ab­ biano influito sull'atteggiamento della chiesa di Gerusalemme verso il dono delle chiese paoline. Questo scenario cambierebbe alquanto qualora si dovesse accettare la differente successione di eventi proposta da Verlyn Verbrugge,4 per il quale sono i capp. I-8 a costituire l'ultima lettera superstite di Paolo ai corinti: i capp. I O- I 3 vanno identificati con la precedente lettera delle la­ crime e il cap. 9 è una comunicazione distinta, scritta immediatamente prima di quella dei capp. I-8.5 Il periodo di conflitto risalirebbe quindi ancor più addietro, ed è possibile che, prima dell'arrivo di Paolo a CoVol.

I,

3 Vol.

I

I,

5 5-72. 109 40-5 5· 109

s.

:z.

s.

4 Verbrugge,

Vol.

I,

72-77. 109 s. Collection, 1 1 5 - 1 1 8 .

5

Op. cit. , 97-104.

I CAPITOLI DELLA COLLEITA

534

rinto, si fosse giunti in qualche misura a una riconciliazione e a un cer­ to sostegno per la colletta, con un conseguente aumento dei contributi. Ritengo tuttavia difficile accettare l'identificazione dei capp. ro- 1 3 con la lettera delle lacrime per le motivazioni già addotte, I e preferisco consi­ derare questa lettera l'ultima della serie. Per contenuto i ca pp. 8 e 9 sono strettamente uniti, sicché, prima di af­ frontare l'esegesi particolareggiata, prenderò le mosse da un esame ge­ nerale, che riguarda entrambi i capitoli, delle varie questioni relative al progetto di Paolo. Anzitutto, quale collegamento c'è (ammesso che ve ne sia uno) fra il progetto come emerge nelle lettere ai Corinti ( r Cor. I 6, I 4 ; 2 Cor. 8 ; 9 ) e in quella ai Romani (Rom. I 5,25-28) e la richiesta avan­ zata nella conferenza di Gerusalemme dagli apostoli «colonne» che Bar­ naba e Paolo «si ricordassero dei poveri » ( Gal. 2 , 1 o ) ? In secondo luo­ go, quali dovevano essere esattamente all'interno della chiesa di Geru­ salemme i destinatari del denaro raccolto ? In terzo luogo, qual era per Paolo lo scopo e il significato del progetto? In quarto luogo, fu un suc­ cesso o un fallimento ? Infine, quali informazioni forniscono questi capi­ toli sui rapporti fra Paolo e i corinti?

I. RAPPORTO CON LA CONFERENZA DI GERUSALEMME Spesso si è dato per scontato che la colletta di Paolo fosse la conseguen­ za diretta dell'accordo di Gerusalemme. Furnish, ad esempio, pur rico­ noscendo che l'accordo non viene menzionato specificamente né nelle lettere ai Corinti né in quella ai Romani, vi scorge nondimeno l' « origi­ ne storica >> del progetto della colletta, che gli è «direttamente connes­ so>> .2 Altri tuttavia negano qualsiasi identificazione immediata fra il progetto di Paolo e l'accordo di cui parla in Gal. 2 , 1 0 . Secondo Georgi, Paolo inizialmente sostenne con entusiasmo l'attuazione dell'accordo di Gerusalemme, ma in seguito all'incidente di Antiochia ( Gal. 2,I I -J4 ), prese le distanze da Gerusalemme e perse l'entusiasmo di un tempo intra­ prendendo una missione del tutto indipendente. Circa quattro o cinque anni dopo riprese l'iniziativa (v. r Cor. I 6, r ), ma non perché fosse mu­ tato il suo atteggiamento verso la chiesa di Gerusalemme, quanto piutto­ sto nell'intento di arrecare benefici spirituali ai corinti. Essi mostravano I Vol.

1,

48-53.

:�.Furnish, 4 1 0. V. anche Carrez, 1 79; Martin, 2 5 1 ; Bruce, 1 5 7 s.; in modo più sfumato Barrett, 26. 2 1 7. Nickle, Collection, 59-62, se fornisce un'analisi piuttosto articolata del­ la situazione, ravvisa altresì una continuità di fondo tra Gal. 2, 10 e il progetto menzio­ nato nella prima lettera ai Corinti e in Romani e di cui si parla a lungo in 2 Cor. 8-9.

2 COR. 8 , 1 -9, 1 5

535

tendenze all'individualismo e consideravano l'esistenza cristiana costi­ tuita da un'identità esperienziale mistica' con il Cristo risorto, qui e ora. Paolo mira a contrastare queste propensioni. In I Cor. 1 5, 5 -7 rivolge l'attenzione ai primi testimoni della risurrezione di Gesù, appartenenti in massima parte alla chiesa di Gerusalemme, e in 1 6,1-3 presenta la col­ letta come l'espressione esteriore di questo legame essenziale con la prima comunità cristiana. 1 È uno scenario ingegnoso, ma assai poco pro­ babile. Quali che siano state le tendenze religiose dei corinti, non è mol­ to verisimile che un'iniziativa tanto complessa (che comportava sposta­ menti considerevoli per diverse persone) fosse stata riavviata esclusiva­ mente per la loro correzione spirituale. Georgi è probabilmente nel giu­ sto, tuttavia, quando sostiene che lo scontro di Paolo con Pietro ad An­ tiochia ( Gal. 2, 1 1 -14) e la sua partenza successiva per un'impresa missio­ naria indipendente,:r. determinarono quantomeno una battuta d'arresto nell'impegno che aveva inizialmente profuso nel raccogliere fondi per Gerusalemme. È a ogni modo improbabile che egli sollecitasse aiuti eco­ nomici per la chiesa di Gerusalemme prima che le sue nuove comunità gentili nella Galazia del nord, in Macedonia e in Acaia fossero ben con­ solidate. È però verisimile che ci fossero anche altri elementi da mettere in conto. L'incidente di Antiochia può aver indotto Paolo a considerare sospeso l'accordo di Gerusalemme, poiché poteva sembrare, dal suo pun­ to di vista, che la controparte lo avesse violato.3 È invero probabile che questo avvenimento abbia determinato una frattura ancor più radicale tra l'accordo originario e la colletta paolina di cui trattano i capitoli 8 e 9 della seconda lettera ai Corinti. Taylor sostiene che l'accordo era un patto fra le due chiese - quella di Gerusalemme e quella di Antiochia. Paolo era intervenuto alla conferenza (come collega di grado inferiore a Barnaba) solo quale rappresentante della chiesa antiochena. Di conse­ guenza, quando lasciò Antiochia dopo lo scontro con Pietro e i suoi so­ stenitori, non era più vincolato all'accordo originario. Non era più im­ pegnato quindi nella colletta che esprimeva il riconoscimento degli ohr Georgi, 2

Kollekte, 30-40.

Liidemann, Pau/, Apostle to the Genti/es, 7 5 -77, propone uno schema cronologico dif­ ferente. L'inizio della missione europea precedette lo scontro di Antiochia, che a sua volta fu anteriore alla conferenza di Gerusalemme. Anche per Jewett, Dating Paul's Life (sche­ ma conclusivo), la missione in Europa iniziò prima della conferenza apostolica. Ciò non è probabile. Paolo prende parte alla conferenza insieme al collega antiocheno Barnaba; la sua preoccupazione per l'incidente di Antiochia è più comprensibile se egli andò a Ge­ rusalemme come rappresentante di quella chiesa, e l'incidente stesso offre un motivo plau­ sibile per la sua decisione di inaugurare una missione indipendente. V. Taylor, Pau/, Ant­ ioch and ]erusalem, 98. 13 8 s., il quale sostiene pure ( 54 ) che in Gal. 2 Paolo deve avere conservato la cronologia reale. 3 V. Wedderburn, Reasons for Romans, 3 8 s.

I CAPITOLI DELLA COLLETTA blighi di Antiochia verso la chiesa di Gerusalemme e consolidava la xot­ vwvt(l. fra le due comunità. I Wedderburn 2 e Taylor 3 attirano entrambi l'attenzione su Gal. 2, 1o, o X(l.l. Èa1tOtJO(l.O'(l. (l.Ù'tÒ 'tOu'to ( ricordarsi dei pove­ ri) 1totlja(l.t: il tempo aoristo di Èa1tOtJO(l.O'(l.lascia pensare che lo zelo origi­ nario di Paolo si fosse indebolito, 4 o addirittura che ora egli non si sentis­ se affatto vincolato al progetto iniziale della colletta. s La colletta di Paolo, quindi, è un nuovo inizio. Poiché tuttavia è una colletta per Gerusalemme, è difficile supporre che non vi fossero rappor­ ti di sorta fra questo progetto e quello precedente. Quando si prenderà in considerazione lo scopo dell'iniziativa di Paolo, si vedrà quale colle­ gamento possa esservi stato.

II. I DESTINATARI In Gal. 2, 10, parlando dei beneficiari dell'azione promessa per conto di Antiochia, Paolo li definisce ol 1t'twx.oL I destinatari della sua colletta sono tuttavia chiamati ol aytot in sei delle sette occorrenze (I Cor. 1 6, 1 ; 2 Cor. 8,4; 9, 1 . 1 2; Rom. 1 5, 2 5 . 3 1 ) . Soltanto i n Rom. 1 5 ,26 ricorre di nuovo o! 1t'twx.of, stavolta con o! aytot e con menzione specifica di Geru­ salemme: 'toÙç 1t'twx.oùc; 'twv tiytwv 'twv Èv 'lEpoua(l.À�IL· Se questa espres­ sione fosse l'unica definizione dei destinatari, la questione sarebbe mol­ to semplice. Essi sono i membri materialmente poveri tra i cristiani di Ge­ rusalemme, che vengono chiamati &ywt esattamente come Paolo appli­ ca il termine a tutti i cristiani. Ma le altre occorrenze, in cui ol 1t'twx.oi e o! &ywt si trovano privi di specificazione, fanno sorgere la domanda se i due termini siano titoli che non necessitano di spiegazioni usati per de­ signare i membri della chiesa di Gerusalemme, e tutti i membri ( di qual­ siasi condizione economica). Giacché si è affermato che la colletta di Paolo va distinta dal «ricor­ darsi dei poveri » cui egli aveva aderito quale rappresentante della chie­ sa di Antiochia, occorre esaminare il significato di o! 1t'twx.of in Gal. 2,10 a prescindere da Rom. 1 5 ,26. Dal contesto si evince che costoro sono Pau/, Antloch and Jerusalem, 102 s. 1 1 5- 122, e il cap. 4 nel suo complesso, 137- 139· 2. Wedderburn, Reasons for Romans, 39· 3 Taylor, Paul, Antioch and ]erusalem, 198. 4 Wedderburn, Reasons for Romans, 39· 5 Taylor, loc. cit. D.R. Hall, St Pau/ and Famine Relief. A Study in Galatians z,ro: ET 82 ( 1 970- 1 97 1 ) 309-3 1 1, sostiene che Paolo allude qui al piano di aiuti per la carestia di Atti 1 1 ,27·30, precedente all'accordo di Gerusalemme: riferire Ea7toUòctact a un'attività successiva alla conferenza equivarrebbe a professare obbedienza a Gerusalemme, infir­ mando così la difesa della propria indipendenza che Paolo conduce. Ma nel prosieguo egli sottolinea di essersi opposto energicamente a Cefa. E se i vv. 10 s. sono considerati insie­ me, vi si puntualizza chiaramente che al contrario di Cefa egli mantenne fede al patto. I Taylor,

2 COR. 8 , 1 -9, 1 5

537

membri della chiesa di Gerusalemme. 1 Ma sono soltanto alcuni membri, ad esempio quelli materialmente svantaggiati ? Oppure con «i poveri » si deve intendere un titolo che designa tutti i cristiani di Gerusalemme? La seconda alternativa è sostenuta da Holl e da Georgi, in quanto il ter­ mine è utilizzato assolutamente.� Georgi reputa che l'uso come titolo sia prefigurato nell'A.T., in particolare nei Salmi, e asserisce che, quan­ do nel giudaismo posteriore il termine 7t"t'W'X.� divenne sinonimo di «pio>> e «giusto >> , i gruppi che adottavano questi titoli si consideravano il ve­ ro Israele, il resto santo,3 coloro che avrebbero partecipato della sovra­ nità di Dio nell'era avvenire.4 Questo concetto fu fatto proprio dalla chiesa di Gerusalemme, i cui membri erano persuasi di costituire il po­ polo escatologico di Dio nella città santa.5 Essi condividevano con gli altri giudei l'aspettativa secondo cui Dio si sarebbe manifestato in Sion, ma per loro ciò significava che sarebbe stato Gerusalemme il luogo del­ la parusia. Erano loro le sentinelle cui spettava il compito di attendere e proclamare l'avvento di Cristo.6 Per Georgi, quindi, « i poveri >> era un titolo e al tempo stesso l'indicazione di una funzione. È difficile valutare questa interpretazione. Tenuto conto del retroter­ ra giudaico non è affatto impossibile che 7t"t'w"X,oi 7 sia stato un titolo per designare la chiesa di Gerusalemme, i cui membri si consideravano co­ me Georgi afferma. Paolo in Gal. 2,10 cita in effetti la richiesta dei lo­ ro capi ai rappresentanti antiocheni. Al tempo stesso, tuttavia, se egli avesse voluto indicare solo chi era povero economicamente, avrebbe utilizzato esattamente il medesimo termine. 8 E potrebbe essere signifi­ cativo che 7t"t'W'X,O� non ricorra mai negli Atti, sebbene l'autore conosca diversi vocaboli per denominare i primi cristiani e benché questo termi­ ne fosse appropriato al quadro lucano della chiesa delle origini, in cui i benestanti rinunciavano ai loro averi a beneficio della comunità nel suo 1 La conferenza di Gerusalemme si era occupata dei rapporti tra le due chiese di Gerusa­ lemme e Antiochia e delle eventuali richieste di una delle due parti all'altra per mante­ nerli e consolidarli (v. Taylor, Pau/, Antioch and ]erusalem, 106-uo). Se ai delegati di Antiochia era stato richiesto, come loro parte dell'accordo, di «ricordarsi dei poveri » , non s i intende una carità generica bensì un obbligo assunto a favore d i Gerusalemme. 2

Holl, Gesammelte Aufsatze n, s S-61, che tratta anche di OL ayw�; Georgi, Kollekte, 23.

Kollekte, 23, che rimanda (n. 53) a Ps. Sal. 10; 15; 1 8,1-5; 1 QpHab 1 2,3.6.10; 1 4,7; 1QM 1 1 ,9. 1 3 ; 1 3 ,14; 1 QH 5 , 1 3 . 14. 1 6.22.

3 Georgi, 4

Georgi, Kollekte, 23 n. 54· Kollekte, 26 s.

6 Georgi,

5 Georgi,

Kollekte, 23 s.

7 O meglio, il suo equivalente aramaico o ebraico.

8 È utilizzato in senso letterale in 2 Cor. 6, 1 0 e probabilmente anche in Rom. 1 5 ,26, do­ ve «i poveri» sono un gruppo più ristretto all'interno di quello costituito dall'intera co­ munità cristiana di Gerusalemme.

I CAPITOLI DELLA COLLETTA complesso. 1 Sembra perciò improbabile che nell'ambito della missione paolina ol 1t'tW'X,Ot fosse un titolo per designare i cristiani di Gerusalem­ me, e poiché non vi sono neppure attestazioni che Luca lo conoscesse co­ me tale, il significato del termine in Gal. 2, I O rimane ambiguo. Che cosa dire poi di ol &ytot? È usato con funzione di titolo ? È sen­ z'altro probabile che la definizione «i santi» abbia avuto origine a Ge­ rusalemme quale designazione che i cristiani di quella città si diedero e come segno della loro condizione privilegiata di comunità escatologica eletta.2. Ciò d'altronde non vuol dire affatto che esso sia divenuto il ti­ tolo della chiesa di Gerusalemme, utilizzato da altri cristiani con questo referente manifesto. Di certo il termine non viene ulteriormente definito nelle occorrenze delle lettere ai Corinti ( I Cor. 1 6,1; 2 Cor. 8,4; 9 , 1 . 1 2). Se non è un titolo, come fanno i corrispondenti d i Paolo a sapere chi ha in mente? D'altro canto, poiché egli in generale ne ha esteso l'uso fino ad applicarlo a ogni e qualsiasi credente/ in ogni e qualsiasi luo­ go, come potrebbe servirsene ora nel senso stretto di titolo? Windisch, commentando 2 Cor. 8,4, risponde alla prima di queste domande affer­ mando che Elç -toÙ> , Questo tipo di sostegno, inoltre, poteva determinare un effetto unifican­ te laddove prima regnava la discordia. 1 L'intento di Paolo nell'intraprendere la colletta rimane nel campo del­ le congetture. Sembra tuttavia probabile che egli vedesse nel piano sia un atto di carità (v. sopra, punto 1 ) sia un mezzo per creare un legame soddisfacente fra la chiesa di Gerusalemme e le proprie chiese gentili e per promuovere così l'unità dei cristiani (v. sopra, punto 5 ).

IV. SUCCESSO O FALLIMENTO? Sorgono a questo punto due domande. La prima: quale riuscita ebbe la colletta nelle chiese che partecipavano al progetto ? La seconda: dato per scontato un certo successo, essa fu accolta favorevolmente a Gerusa­ lemme? a) Quale riuscita ebbe la colletta a Corinto ? Qui le testimonianze so­ no incerte. Quanto Paolo dice in 2 Cor. 8 dimostra che i corinti, inizial­ mente pieni d'entusiasmo, avevano poi perso quello slancio. Egli sente l'esigenza di ravvivarne l'interesse e l'attività, ma può darsi che i suoi sforzi non abbiano ottenuto un pieno successo. La situazione generale della chiesa era peggiorata (dal punto di vista di Paolo) dopo l'invio della lettera di 2 Cor. 1-8, a causa dell'influenza dei missionari itineran1 L'attestazione che essi lo accompagnarono a Gerusalemme proviene, naturalmente, non da Paolo stesso, come ha osservato Verbrugge, ma da Atti 20,4. Non vi sono peraltro motivi per respingerne la storicità. 1. Verbrugge, Collection, 1 8 3 .

I CAPITOLI DELLA COLLETTA ti duramente stigmatizzati nei capp. IO- I}/ i quali, per di più, riceve­ vano aiuti economici dalla comunità, riducendo così l'importo da accan­ tonare per la colletta. Vennero inoltre sollevati dubbi sull'integrità di Paolo in materia finanziaria (2 Cor. n, I 6) . E infine in Atti 20,4 egli non menziona persone di Corinto nell'elenco dei compagni di viaggio. Ciononostante da Rom. I 5 ,26 si viene a sapere che l'Acaia, al pari del­ la Macedonia, ha contribuito alla colletta. Poiché con ogni probabilità la lettera ai Romani venne scritta da Corinto, doveva essere noto che i corinti avevano dato un qualche contributo. z. Resta possibile, come già si è detto, che non fosse così abbondante come Paolo aveva inizialmen­ te sperato.3 Si può presumere che i macedoni abbiano invece contribui­ to generosamente in rapporto alle loro capacità economiche ( 2 Cor. S, I 4 ) , ma essi partivano d a una situazione d i indigenza. È più incerto che il progetto avesse alla fine ottenuto qualche succes­ so nelle chiese della Galazia, che non sono menzionate né in 2 Cor. 8-9 né in Rom. I 5,26. Secondo Nickle, in Atti 20,4 si fa cenno a rappresen­ tanti galati, ossia Gaio di Derbe e Timoteo (connesso a Listra in Atti I 6, I ).4 Nel primo caso tuttavia vi sono problemi testuali, e Timoteo è il collaboratore personale di Paolo, non il rappresentante di una chiesa. Il silenzio della lettera ai Romani e della seconda ai Corinti può non es­ sere, com'è ovvio, particolarmente significativo. In 2 Cor. 8-9 è natura­ le che Paolo parli dei macedoni, poiché scrive dalla Macedonia e ne co­ nosce la situazione, mentre poteva non essergli nota quella della Gala­ zia. È altrettanto naturale che nella lettera ai Romani, scritta da Corin­ to, egli menzioni pure l' Acaia, ma forse non è ancora al corrente della situazione in Galazia. È del pari possibile, tuttavia, che i problemi che suscitarono la lettera di Paolo abbiano posto termine al progetto. An­ cor meno si può dire di altre chiese che vi partecipavano. Secondo Atti 20,4, Tichico e Trofimo della provincia d'Asia, presumibilmente di Efe­ so, erano tra i compagni di Paolo nel viaggio di consegna, e ciò farebbe pensare a un contributo di quella provincia. Tenuto conto che Paolo ave­ va soggiornato a lungo a Efeso, sarebbe strano che non avesse cercato di organizzarvi una colletta, ma non è dato saperlo con certezza. r

Per questa ricostruzione della sequenza degli avvenimenti v. vol. 1, 109 s.

z.

Questa interpretazione è messa in dubbio da Buck, Collection, 10, il quale respinge l'opinione che la lettera ai Romani sia stata scritta da Corinto e la colletta della Mace­ donia e dell' Acaia fosse completa al momento della sua stesura. È possibile che la lettera ai Romani sia stata scritta dalla Macedonia, «in un periodo in cui Paolo sperava ancora che la colletta in Acaia avrebbe avuto successo » . Ma v. Cranfìeld, Romans, 1 2, per l'ar­ gomentazione a favore della stesura a Corinto. 3

V. sopra.

4 Nickle,

Collection, 68.

2

COR. 8 , 1 -9, 1 5

5 47

b) La colletta fu accettata dalla chiesa di Gerusalemme? Paolo non fornisce informazioni. Negli Atti l'unica possibile notizia è un oscuro cenno di Paolo che, parlando davanti a Felice ( 24,17), dice di essere ve­ nuto a portare elemosine e offerte cultuali alla sua nazione. A un letto­ re che non conoscesse le epistole paoline questa sua affermazione non susciterebbe affatto l'idea del progetto della colletta. Sembrerebbero es­ servi soltanto due possibili ragioni perché l'autore degli Atti non faces­ se parola dell'accoglienza della colletta. O realmente la ignorava, perché disponeva soltanto di alcuni frammenti insufficienti della tradizione che riproduce in 24, 1 7, oppure era informato della colletta e sapeva che era stata completamente respinta o non era stata accettata in modo tale da soddisfare gli intenti di Paolo nell'organizzarla. Ignorava quindi com­ pletamente quanto era successo a Gerusalemme? Sembra improbabile. Liidemann sostiene che Luca in Atti 2 1 , ove parla dell'incontro di Pao­ lo con Giacomo e gli anziani, rielabora una fonte storicamente attendi­ bile che deve aver contenuto le informazioni necessarie sulla colletta. 1 Può darsi inoltre che egli in 24, 1 7 voglia effettivamente fornire un'allu­ sione indiretta. Forse non è una pura coincidenza che la ragione addot­ ta da Paolo per fare visita a Gerusalemme sia di natura economica. Se quindi Luca sapeva della colletta e conosceva la reazione dei capi di Gerusalemme all'offerta di Paolo, che cosa si può dedurre dal suo silen­ zio ? Nickle ritiene che la colletta fu di fatto accettata, e Luca non ne parla perché gli preme presentare il cristianesimo alle autorità romane sotto una luce favorevole. Al tempo della composizione dell'opera era divenuto evidente che il cristianesimo era separato dal giudaismo, e que­ sto significava che la colletta di Paolo sarebbe stata considerata illegale, non essendo più contemplata nelle concessioni speciali accordate da Ro­ ma ai giudei. 2 Non è sicuro d'altronde che la donazione di elemosine e offerte fosse illegale 3 (in questo caso non sarebbe stata menzionata). E se la colletta fosse stata accolta bene, Luca avrebbe senz'altro potuto presentare la circostanza come dono di elargizioni e offerte caritatevoli e riconoscente accettazione di esso. È più verisimile che non fosse così. Dunn crede che i cristiani di Gerusalemme fossero poco propensi ad ac­ cettare subito e senza riserve il dono, perché così facendo avrebbero dato segno di approvare la missione di Paolo affrancata dalla legge, e ciò avrebbe compromesso la loro posizione verso gli altri giudei, per giunta in un momento di fervore nazionalistico. Può darsi che non in­ tendessero esprimere un rifiuto categorico. Se Paolo avesse potuto dir 2.

Liidemann, Heidenapostel n, 84-98, spec. 94-98. Nickle, Collection, 148-1 5 1 . 3 Nickle non lo dice.

I CAPITO LI DELLA COLLETTA mostrare di essere un buon giudeo, il dono poteva in seguito diventare gradito. Giacché però le cose andarono male, il rifiuto rimase tale. 1 O forse, come pensa Georgi, la colletta fu accettata, ma solo in privato, e dopo che Paolo aveva acconsentito a pagare le spese del voto di nazirea­ to, per discolpare se stesso e i cristiani di Gerusalemme dall'accusa di op­ posizione alla legge (mosaica).'" Quale che sia tra queste l'ipotesi fon­ data, si deve concludere che la colletta di Paolo non raggiunse gli scopi prefissati. Se fosse stata ricevuta soltanto con riserva o non ricevuta af­ fatto, avrebbe fallito l'obiettivo espresso in 2 Cor. 9, 1 2- 1 4. I cristiani di Gerusalemme difficilmente avrebbero glorificato Dio per un dono che avrebbe potuto mettere in pericolo la loro comunità. Ancor meno avreb­ bero reso grazie per la colletta in quanto simbolo di comunione con le comunità gentili di Paolo libere dalla legge né l'avrebbero accettata co­ me mezzo per stringere una forma di relazione regolare con esse. La loro posizione era troppo vulnerabile. Inoltre, come si è già rilevato, l'aspra critica rivolta da Paolo ai missionari rivali sarebbe potuta diventare di pubblico dominio. Intendo sostenere che costoro rappresentano la mis­ sione petrina e mantengono quindi stretti rapporti con Gerusalemme. Il duro trattamento riservato loro da Paolo non avrebbe raccomandato la sua offerta agli occhi della chiesa di Gerusalemme, anche se le condizio­ ni generali della chiesa fossero state più favorevoli. A ogni modo, entro un decennio circa l'obiettivo di Paolo avrebbe perduto di senso, a moti­ vo della caduta di Gerusalemme e della dispersione della sua chiesa.

V. LA COLLETTA E I RAPPORTI DI PAOLO CON I CORINTI Uno studio conclusivo dei rapporti dell'apostolo con la chiesa di Corin­ to deve attendere che sia stata completata l'esegesi dei capitoli rimanen­ ti. Qui ci si limiterà a prendere in esame quali informazioni si possano ri­ cavare dai capitoli della colletta, in primo luogo dal cap. 8 . Verbrugge pone a confronto l a maniera di esprimersi d i Paolo in I Cor. 1 6, 1 s. e in 2 Cor. 8-9. Nel primo accenno noto alla colletta, I Cor. 1 6, 1 s., si trovano due imperativi espliciti.3 L'apostolo in effetti dà or­ dini ai lettori: ,,fate (1tot�aa't'e:) » come ha indicato alle chiese galate, e «ciascuno di voi metta da parte qualcosa ('t't-8É't'w) » ogni domenica co­ me contributo. Ciò, a parere di Verbrugge, corrisponde allo stile di una forma epistolare che si può definire > : > da parte di Paolo/ in contrasto con la fiducia manifestata in I Cor. 1 6, 1 s. Come spiegare il mutato atteggiamento ? Verbrugge osserva che l'in­ tervallo fra la prima lettera ai Corinti e 2 Cor. 8-9 coincise con il perio­ do di tensione che condusse alla stesura della lettera delle lacrime, la qua­ le va identificata, a suo dire, con 2 Cor. 1 0- 1 3 . In questo periodo il de­ naro fu una delle cause principali di conflitto. Di qui il cambiamento di stile, da una «lettera di comando >> a «lettere di richiesta retoricamente atteggiate >> . 8 L'autorità di Paolo era stata indebolita e, per convincere i corinti a perseverare nella colletta, egli « doveva servirsi di mezzi più sot­ tili per motivarli>> .9 Anche se non posso concordare appieno con que­ sto scenario, avendo respinto l'identificazione della lettera delle lacrime con 2 Cor. 1 0- 1 3 , questo punto non è essenziale all'argomentazione di Verbrugge. Il nucleo centrale regge: può darsi benissimo che i problemi che suscitarono la lettera delle lacrime abbiano spinto Paolo ad adotta­ re un atteggiamento meno autoritario riguardo alla colletta, specie se (come si è ipotizzato) Io l'offesa che aveva determinato la lettera era an­ ch'essa in qualche modo in relazione con quella. I Verbrugge, z.

Collection, 25-67. 69,

spec. 69.

Verbrugge, Collection, 69. 3 Verbrugge, Collection, 1 96. 209 s. 4 V. sotto, ad loc. 5 Verbrugge, Collection, 2 5 2-254. 7 Verbrugge, Collection, 259. 6 Verbrugge, Collection, 254. 9 Verbrugge, Collection, 3 67. x o Vol. 1, 101 s. Verbrugge, Collection, 294· 8

2 LA COLLETIA NEL CAPITOLO 8

I. LO ZELO DEI MACEDONI. NUOVO INCORAGGIAMENTO (8,r-r s ) I Abbiamo poi informazioni per voi, fratelli, sulla grazia di Dio che è stata concessa fra le comunità della Macedonia: 2 ossia che in una grande prova di afflizione 1 la loro abbondanza di gioia e la loro povertà estrema hanno prodotto in abbondanza la loro ricchezza di generosità. 3 Poiché, in base ai loro mezzi, lo attesto, e al di là dei loro mezzi, essi hanno dato spontanea­ mente, 4 chiedendoci con numerose istanze il favore di partecipare al ser­ vizio caritatevole per i santi, 5 e non soltanto come speravamo, ma hanno dato se stessi in primo luogo al Signore e a noi per volontà di Dio; 6 sicché abbiamo sollecitato Tito che, come l'aveva precedentemente intrapresa, così portasse anche a termine per voi pure questa opera di grazia. 7 Ordunque, come siete prosperi in tutto - fede e parola e conoscenza e ogni zelo e nel­ l'amore che proviene da noi e presente in voi - diventate prosperi anche in questa opera di grazia. 8 Non parlo in termini prescrittivi, ma per mettere alla prova, mediante lo zelo di altri, anche l'autenticità del vostro amore. 9 Voi, infatti, conoscete la grazia del nostro Signore Gesù Cristo, il quale, da ricco che era, per amor vostro divenne totalmente povero, affinché per mezzo della sua povertà voi diventaste ricchi. Io Ed esprimo la mia opinio­ ne a questo riguardo perché ciò reca giovamento a voi, che avete preceden­ temente iniziato un anno fa non solo ad agire ma anche a dimostrarne la volontà. 1 1 Ora, quindi, portate a compimento pure l'agire, affinché il suo compimento corrisponda alla vostra solerte volontà - compimento in base a ciò che si ha. I 2 Se infatti è presente la solerzia, il dono è benaccetto in ba­ se a ciò che si ha, non in base a ciò che non si ha. I 3 Perché lo scopo non è sollievo per altri, sofferenza per voi, ma un'azione sulla base dell'uguaglian­ za. I4 Nel momento attuale la vostra abbondanza farà fronte alla loro in­ digenza, affinché altresì la loro abbondanza faccia fronte alla vostra indigen­ za, perché vi sia uguaglianza. I 5 Come sta scritto, «chi raccolse molto non ebbe in sovrappiù e chi raccolse -poco non ebbe troppo poco >> .

Paolo torna sull'ultimo argomento trattato nella lettera contenuta nei capp. r -8.:z. L'entusiasmo spontaneo per la colletta mostrato dai mace•

Per questa locuzione v. BAGD, s.v. òoxt!J-�, 2.

:z. òÉ ha esclusivamente funzione connettiva, come, per es., in r Cor. 7, 1 ; 8 , 1 . s.v. ÒÉ, 2.

V. BAGD,

2

COR. 8 , 1 - 1 5

doni lo ha indotto a sollecitare Tito a recarsi a Corinto per completarvi la raccolta. Dal canto suo cerca d'incoraggiare i corinti a rinnovare i lo­ ro sforzi, sia riportando lo zelo dei macedoni sia citando l'esempio su­ premo di Cristo fattosi povero per arricchire l'umanità. Sottolinea, inol­ tre, che egli chiede solo l'uguaglianza tra quanti contribuiscono alla col­ letta e i suoi destinatari. I. rvwpt�O!J-EV ÒÈ UtJ.tV, àoe:À�ol, 't�V xciptv 'tOU -8e:ou 't�V Òe:ÒotJ.ÉVTjV Èv 'ttxtc; ÈxxÀT)O"tcxtc; -.ljc; Mcxxe:òovlcxc;. Si arriva infine I a trattare un argomen­ to, la colletta, meno direttamente connesso ai temi principali della let­ tera in esame, che finora si è occupata del ministero apostolico di Paolo e dei suoi rapporti personali con la chiesa corinzia. Il progetto della colletta ha evidentemente un ruolo nella sua strategia missionaria gene­ rale, e in 7,2 sono adombrate critiche mosse da diffidenza sulla sua in­ tegrità finanziaria riguardo a questa iniziativa,� ma nelle sue linee por­ tanti la difesa condotta nei capitoli precedenti non affronta tali questio­ ni. Vi sono tuttavia due punti di raccordo con il cap. 7: in entrambi i capitoli Paolo menziona la situazione in Macedonia, in entrambi parla di visite di Tito a Corinto (una trascorsa, l'altra futura ). Nelle chiese ma­ cedoni entusiastica è l'adesione alla colletta, vista come una manifesta­ zione di grazia divina.3 I partecipanti possono essere di Filippi o Tessa­ Ionica o Berea oppure di tutte queste città,4 che sono centri «romaniz­ zati». Filippi era una colonia romana e le altre due godevano dello sta­ tus di municipia.5 La provincia romana di Macedonia, in cui sono si­ tuate le tre città, è in Grecia settentrionale, al confine settentrionale del­ l'Acaia. 2. o'tt Èv 1toÀÀ ii òoxttJ.ii -8ì.. i�e:wc; � 7te:ptaadcx 'tljc; x.cxpac; cxù-.wv xcxì � xcx­ 't!Ì �ct-8ouc; 1t'tW'X,EtCX CXÙ'tWV È1tEptaae:uae:v ELc; 'tÒ 1tÀoU'toc; 'tlJc; a7tÀ6'tYJ'tOc; cx!Ì­ 'tWV. Questo versetto spiega perché Paolo ha parlato della grazia divina

manifestatasi nelle comunità macedoni,6 oppure (più probabilmente) fornisce il contenuto ulteriore delle informazioni che egli dà ai lettori corinzi su ciò che sta avvenendo là.7 Il senso cambia poco. Quel che I V. nota precedente.

:z.

V. vol.

I, 496.

3 Forse è solo l'impulso alla generosità a essere concesso in questa forma: cf. Windisch,

243 . Ma forse Paolo pensa anche alla capacità di tradurre in pratica quell'impulso: v. Barrett, 2. 1 8 . 4 Barrett, 2.1 8 . V. Atti 1 7, 1 0- 1 2. per i contatti di Paolo con Berea. s Betz, 50, e 49- 5 3 sulla Macedonia in generale. 6 Furnish, 398; 8'tt •perché » . 7 Barrett, 2. 1 6; Martin, 2.4 8. 2. 5 3 · Secondo questa lettura del versetto, 8'tt vale •che» e la frase è apposizione di xaptv. Alcuni commentatori immaginano qui due proposizioni, sot­ tintendendo un verbo dopo rijc; x� aÙ'twv ( Meyer, 3 4 1 , propone ta'tt, mentre Osiander,

552

LO ZELO DEI MACEDONI

più conta è che questa grazia ha operato mentre i macedoni pativano del Signore Gesù Cristo 3 stesso, espresso qui nel linguaggio del farsi povero. Il concetto è sottolineato da òt' ùtJ.ac;: 4 i co­ rinti beneficiano anch'essi di questo farsi povero. In quale senso Paolo presumeva che Gesù Cristo fosse diventato po­ vero ? abbracciando volontariamente la povertà materiale dell'uomo ? identificandosi, durante la sua vita storica, con la povertà spirituale del­ l'umanità decaduta ? oppure con l'evento dell'incarnazione nella sua in­ terezza? Si è schierato per la prima di queste opzioni G.W. Buchanan, il quale fa notare che per Paolo intercorreva una relazione piena tra beni materiali e spirituali ( Gal. 6,6; I Cor. 9,I I ; Rom. 1 5 ,27). Nella logica dell'apostolo potrebbe quindi trovare posto l'idea che l'impoverimento economico di Gesù avesse prodotto ricchezza spirituale per i corinti. In realtà - sostiene Buchanan - può darsi che Gesù appartenesse a una clas­ se sociale più elevata di quanto si creda solitamente: molte delle sue pa­ rabole mettono in scena personaggi delle classi alte, ed egli stesso fre­ quentò individui altolocati. Altri giudei di quel tempo rinunciarono ai loro beni per entrare a far parte di gruppi come gli esseni. Gesù può aver agito in modo analogo.5 Ma questa ipotesi in definitiva non convince. Se a Paolo fosse stato noto un simile comportamento da parte di Gesù, è difficile credere che se ne fosse persa del tutto la memoria nelle altre tra­ dizioni su Gesù. 6 Certo è che durante la sua attività pubblica egli conl

Hughes, loc. cit.; cf. Osiander, loc. cit. :z. Hughes, loc. cit. B sa. Considerata la tendenza dei copisti ad ampliare i nomi divini, questa lezione non può essere scartata del tutto. Potrebbe tuttavia essere dovuta a una omissione accidentale, per omeoteleuto, dopo 'I 11aou. 4 In qualche testimone (C K 6 3 2 3 6 1 4 al; Eus Did Epiph) si legge �!J-> consistesse nel senso di abbandono da parte di Dio che egli provò durante la sua ese­ cuzione (Mc. 1 5,34).2 Pare improbabile. C'è da dubitare che Paolo fos­ se interessato all'esperienza religiosa umana di Gesù abbastanza da trac­ ciare una contrapposizione siffatta. Anche se conosceva la tradizione del grido di abbandono, dal suo punto di vista Gesù morì come figlio di Dio. Stando all'altra ipotesi, a fornire la chiave esegetica è la cristologia adamitica di Paolo. Si poteva considerare l'Adamo non decadu­ to, mentre l'Adamo decaduto sarebbe > , perché privato della sua gloria e immortalità. Gesù scelse liberamente di identificarsi con l'Ada­ mo decaduto e peccatore fino alla morte. Questa morte può essere rite­ nuta un È senz'altro possi­ bile che si intenda ((gradito a Dio » . Il termine eù1tpoaòex'toc; è usato con connotazioni sacrificati in Rom. 1 5, 1 6.4 Per quanto concerne l'idea della proporzionalità, è probabile che sia necessaria una precisazione. Se si dovesse prendere alla lettera la proposizione conclusiva où xa-Bò oùx E'X,Et, essa implicherebbe, a rigore, che un dono superiore a quanto giu­ stificherebbero le disponibilità di una persona non sarebbe gradito. 5 È tuttavia difficile che Paolo voglia dire questo, avendo elogiato i mace­ doni per aver donato 1tapà òuva(J.LV (v. 3 ), ((al di sopra dei loro mezzi» . I l senso dev'essere che l a pietà non richiede d i andare a l d i l à di ciò che è proporzionato alle proprie risorse, non che a Dio sarebbe sgradito se si travalicasse questo limite. Ai corinti si chiede che i loro doni corri­ spondano ai loro mezzi. Forse Paolo ha in mente il consiglio che ha dato in I Cor. 1 6,2: ciascuno metta da parte ogni settimana «tutto ciò che riesce a guadagnare » ,6 in modo da avere qualcosa per la colletta. Era già implicito che il dono deve semplicemente essere proporzionato ai propri mezzi. Nel riprendere l'argomento, Paolo si sarà necessariamen­ te preoccupato di non aver dato l'impressione di fare richieste ulteriori.

1 Così NRSV, ed è forse preferibile.

Barrett, 2 1 6, e Fumish, 399, traducono «ciò che uno ha »; Martin, 259, «ciò che una persona ha». 3 Si trova un parallelo in Tob. 4 , 8 , segnalato, ad es., da Plummer, 244; Fumish, 407; Betz, 66 n. 2 1 5 . È più facile capire la sintassi dell'affermazione di Paolo se si considera xa& iliv equivalente a xa�'o �v, che dà luogo a una proposizione relativa indefinita: «Secon· do ciò che (uno eventualmente possiedaj » . In ogni caso qui èliv deve stare per l'indefìni· to �v, giacché il condizionale iliv non avrebbe senso. Il secondo xa& si può dividere allo stesso modo. 4 Windisch, 2 5 7; cf. Betz, 66; Martin, 265 . 5 Windisch, 2 5 6, sottende questa interpretazione quando dice che nel versetto si potreb· be leggere un velato rimprovero ai macedoni. 6 Barrett, First Corinthians, 3 8 5 . 7 Alcuni testimoni (�1 D F G 'P' > .3 Ma Paolo non ricorre all'idea del­ la chiesa come corpo di Cristo nell'appello per la colletta. La citazione intende solo convalidare il principio di uguaglianza.

II. LA MISSIONE E LA RACCOMANDAZIONE DI TITO E DI DUE COLLEGHI ( 8 , 1 6-24 ) r 6 E siano rese grazie a Dio, colui che infonde lo stesso zelo per voi nel cuo­ re di Tito. 17 Egli, infatti, ha accolto la nostra richiesta, ma essendo anco­ ra più zelante, di sua iniziativa è venuto da voi. 1 8 E con lui abbiamo man­ dato il fratello il cui elogio nell'ambito dell'evangelo è diffuso in tutte le chiese. 19 E non solo questo, ma egli è stato pure eletto dalle chiese come nostro compagno di viaggio con questa beneficenza, che è in corso di orga­ nizzazione da parte nostra e ha per esito la gloria del Signore stesso e il no­ stro entusiasmo. 20 Facciamo questi preparativi perché nessuno ci biasimi riguardo a questo generoso dono organizzato da noi. 2 1 Ci diamo infatti pensiero di ciò che è moralmente buono non solo al cospetto del Signore ma anche al cospetto degli uomini. 22 E abbiamo mandato con loro il no­ stro fratello di cui sotto molti aspetti e in molte circostanze abbiamo speri­ mentato lo zelo, ma che ora è molto più zelante a motivo della grande fi­ ducia che ha in voi. 23 Se uno chiedesse informazioni sul conto di Tito, egli è mio compagno e riguardo a voi mio collaboratore; se ne chiedesse sul con­ to dei nostri fratelli, essi sono delegati delle chiese, gloria di Cristo. 24 Mo­ strate quindi loro, di fronte alle chiese, la prova del vostro amore e del no­ stro vanto per voi.

Paolo pone l'accento sullo zelo di Tito per questa missione intesa a por­ tare a termine la colletta a Corinto, e lo definisce suo compagno. La pe­ ricope però si incentra principalmente sulla presentazione e raccoman1

3

Plummer, 24 5 . 2. Windisch, 2 5 9 . R.P.C. Hanson, The Second Epistle to the Corinthians, London 1 9 5 4 , 7 1 .

5 74

LA MISSIONE E

LA

RACCOMANDAZIONE DI TITO

dazione dei due colleghi che viaggeranno con lui e lo aiuteranno. Il pri­ mo, ben noto per la sua attività cristiana, forse di evangelizzatore, è stato specificamente nominato da un gruppo di chiese. Il secondo sembra far parte dello staff di Paolo, sebbene agisca anch'egli per conto delle chie­ se che contribuivano alla colletta. Queste nomine intendono garantire la integrità di Paolo stesso in materia economica. 16. Xtipt� ÒÈ: 't!fl -BE!fl 't!fl òOnt 1 't�V aÙ't�V a1toUÒ�v tmÈ:p Ù(.LWV Èv 'tfl xap­ òiq. Tt'tou. L'espressione di rendimento di grazie con cui si apre questa pericope non necessita probabilmente di spiegazioni ulteriori oltre al­ l'osservazione che Paolo considera dovuto alla grazia divina ogni aspet­ to della colletta, compreso lo zelo di Tito per i corinti. :r. Nel contesto que­ sto zelo deve concernere i benefici che deriveranno loro dalla partecipa­ zione alla colletta.3 Ma è anche definito « il medesimo » ardore. Allo ze­ lo di chi viene paragonato l'entusiasmo di Tito ? a quello dei corinti ? Nel v. 7 si dice che abbondano di zelo.4 O a quello dei macedoni, che Pao­ lo ha menzionato nel v. 8 ? 5 Entrambe le ipotesi si scontrano con la dif­ ficoltà che la locuzione 't�v aÙ't�v a1touò�v pare collegata strettamente con tmÈ:p Ù(.Lwv successivo: lo zelo è per i corinti. Ciò invalida la prima ipotesi ed esclude anche la seconda, giacché l'entusiasmo dei macedoni non mirava al benessere dei corinti ma della chiesa di Gerusalemme. Il paragone dev'essere quindi con lo zelo di Paolo per il benessere dei let­ tori, anche se non viene menzionato esplicitamente. 6 Betz osserva che 1 Si ha qui una variante testuale. In alcuni testimoni (1}46 D F G L 6 3 23 3 26 1 24 1 249 5 al lat bo; Ambst) si legge òov'tl, accolto nel testo di Nestle-Aland e preferito da Furnish, 4 2 1 . Altri (� B C JVi d lf 024 3 '1ll sa) hanno il participio presente Ò1Òov't1, per il quale op· tano, ad es., Meyer, 340; Windisch, 261; Priimm, 5 2 5 ; Martin, 27 1 ; Wolff, 1 74 n. 76. Il participio presente è la lezione più difficile (Priimm, Windisch, Wolff), giacché il suo ri­ sultato è espresso (nel v. 1 7 ) dai due aoristi ÈÒÉ�Gt'tO ed È�ljÀ-Iìtv (Windisch). L'aoristo ò6v­ "' può perciò essere spiegato facilmente come correzione del copista rivolta a emendare questa sequenza singolare di tempi (Windisch; cf. Wolff). In alternativa esso potrebbe essere nato dall'errore di uno scriba il cui occhio è saltato dalla prima alla seconda Il. di ll.Ill.ONTI . Il passaggio inverso, da òov'tl a Ò1oov't1, è meno facile da giustificare. 2. Malgrado Windisch, 26o s., secondo cui lo zelo di Tito fu una sorpresa per Paolo, il quale concluse che esso poteva essere dovuto solo alla grazia divina. Windisch ritiene che, in occasione della visita di Tito a Corinto narrata nel cap. 7, non vi era stato molto entusiasmo per la colletta, e che egli poteva essere restio a tornare per essa.

3 V. sopra, a 8,14.

4 È la risposta prospettata da Betz, 70. s Anche questa interpretazione è proposta da Betz, loc. cit.; la condivide Windisch, 2 6 1 . 6 Questa è l'opinione prevalente: v . per es. Riickert, 2 5 6; Meyer, 3 5 9; Bachmann, 3 2 1 ; Plummer, 247; Lietzmann, 1 3 5 ; Barrett, 227; Wolff, 1 76; Martin, 273 · Pure Furnish, 4 2 1 ,

l a appoggia, anche s e riconosce che Paolo potrebbe riferirsi a i macedoni e ravvisa altresì un confronto con lo zelo dei corinti per Paolo stesso.

2 COR. 8 , 1 6-2 4

. 575

cmouò� oç, ma non è elogiato per il suo libro, poiché a quel tempo non era ancora pubblicato. Denney, 276, fa la stessa osservazione. V. anche Estius, 6 1 6. Paolo parla di un evangelo predicato. Inoltre non è sicuro che il vangelo di Luca fosse stato scritto prima di 2 Corinti, visto che gli Atti (composti solo dopo il soggiorno bien­ nale di Paolo a Rdma) sembrano immediatamente successivi al vangelo come secondo volume. Wordsworth, 1 70, è costretto a proporre una datazione anteriore per gli Ani {non oltre il 63 d.C. ). È difficile - sostiene a p. 1 69 - che l'elogio di questo fratello si fos­ se potuto diffondere in tutte le chiese esclusivamente a seguito del suo insegnamento ora­ le. L'argomento sottende tuttavia una concezione moderna della rapidità di circolazione delle opere pubblicate. 8 V. BAGD, s. v. EÙcx-y-yi'ì.wv, 3 e 4· Il significato di > .6 C'è un ver­ setto di Malachia in cui i due verbi sono paralleli: xa.t éòwxa. a.ù'tcj) Èv cpO­ �> ) . 1 0 L'aggiunta di où �J-ovov • . •

I

Héring, 7 1 ; Martin, 276; Furnish, 4 2 3 ; Rengstorf, su a-tÉÀÀw, 590. 3 MT, 54-56. LSJ, s.v. a-tÉÀÀw, 1. 1 . Lo cita Rengstorf, s.v. a-tÉÀÀw, 5 89. V. anche Sap. 7,14, dove Rengstorf, /oc. cit., scor4 ge un esempio ulteriore dell'accezione «preparare » . 5 Betz, 76. Cf. Windisch, 265. Ritengo che questi versetti riguardino la prima visita di Tito a Co6 rinto: v. sotto, a 1 2, 1 8 . 7 Hughes, 3 1 8 s. n. 47· 8 La lezione 1tpovooU(J.e:v ycip (1)46 l'l; B D F G P 0243 6 630 1 1 75 1739 1 8 8 1 pc latt) è quella originaria. La lezione secondaria 1tpovoo�e:vot ycip (C 02.25 3 3 8 1 3 26 3 6 5 2495 pc) è probabilmente un'assimilazione al participio con cui inizia il v. 20 e avrà dato poi luogo in altri testimoni (V 1ll ) all'omissione di ycip, ritenuto superfluo. 9 Alcuni testimoni (1)46 (pc) lat sy P; Ambst) danno -tou -8tou invece di xupiou, forse perché ·9eoç sembrava il termine complementare più ovvio per iiv-8pw1tot. Io Cf. Rom. 1 2.,17. :z.

5 82

LA MISSIONE E

LA

RACCOMANDAZIONE DI TITO

xat sottolinea, per ovvie ragioni, l'esigenza che la condotta sia con­ siderata onorevole sia dagli altri uomini e donne sia dal Signore. I Le di­ sposizioni per la colletta assicureranno che nel caso di Paolo è così. à;).).èt

22. auvE7tÉ!J-o.jiiX!J-EV ÒÈ aù..otç ..òv àÒEÀcpÒv lJ!J-WV ov ÈÒOXt!J-tX> , 1 Inoltre, visto che era co­ nosciuto per nome dai corinti (I Cor. 9,6), perché Paolo ne avrebbe parla­ to senza farne il nome? " Questo > ap­ partiene a questo gruppo,4 e da Atti 2 1 , 1 5 . 1 7 emerge che egli raggiunse Gerusalemme con Paolo. 5 La concatenazione dei dati è logica, ma ha basi piuttosto fragili. L'utilizzo della prima persona plurale negli Atti può esse­ re una convenzione letteraria più che un'indicazione di paternità, e l'identi­ ficazione dell'autore con il Luca di Col. 4,14 è ancora una volta ipotetica. d) Può essere legittimo supporre che i nomi di entrambi i delegati siano ' da individuare nell'elenco di Atti 20,4 . Essi sono: Sopatro di Berea in Macedonia Aristarco di Tessalonica in Macedonia Secondo di Tessalonica in Macedonia Gaio di Derbe in Galazia, o appena oltre la frontiera con la Commagene 6 (Timoteo, collaboratore personale di Paolo) Tichico d'Asia Trofimo d'Asia. Se si concordasse con gli esegeti sopraccitati/ per i quali gli inviati non pos­ sono essere macedoni, si dovrebbero eliminare i primi tre. Rimarrebbero gli asiatici, Tichico e Trofimo, e Gaio. Altrimenti gli àòeÀcpo( si potrebbero identificare in due qualsiasi del gruppo, tranne Timoteo. Non è dato giun­ gere a una conclusione certa. 1 Riicken, 2 5 8 ; Meyer, 3 6o; Hughes, 3 1 3 . Estius, 6 1 6, osserva che Barnaba, data la sua posizione di apostolo, non sarebbe stato « mandato>> da Paolo. 2 O in alternativa: se i nomi dei delegati fossero stati cancellati successivamente, ci si at­ tenderebbe che anche in 1 Cor. 9,6 il nome di Barnaba fosse soppresso. 3 Chrys. Hom. in 2 Cor. 1 8, 1 (PG 6 1 , 5 2 3 ; NPNF xn, 3 6 3 ) osserva che alcuni aderisco­ no a questa opinione, e Hughes, 3 1 2, rinvia a Origene, Gerolamo e ad altri autori patri­ stici che la condividono. Grozio, 490, la ritiene una possibilità. Tra i commentatori mo­ derni si possono citare Bachmann, 3 2 5 s.; Plummer, 24 8, e Hughes, 3 I 3 · 4 Tasker, 1 2.0. 5 Hughes, 3 I 3 · 6 Sull'ubicazione di Derbe v. Bruce, Galatians, 5 · 7 V. sopra, pp. 589 s.

3 LA COLLETIA NEL CAPITOLO 9

APPRENSIONE PER L'ANDAMENTO DELLA COLLETTA A CORINTO E APPELLO ALLA GENEROSITÀ I Del servizio caritatevole a favore dei santi è infatti superfluo che io vi scriva. 2 Conosco infatti la vostra buona volontà, di cui mi vanto per voi presso i macedoni, vale a dire che l'Acaia era preparata dall'anno scorso, e il vostro zelo è stato di stimolo alla maggior parte di loro. 3 Ma ho man­ dato i fratelli affinché il vanto che meniamo per voi al riguardo non risulti vano, affinché, come sostenevo, siate preparati; 4 non sia che magari, qua­ lora alcuni macedoni venissero con me e vi trovassero impreparati, abbia­ mo a vergognarci noi - per non dire di voi' - riguardo a questo progetto. 5 Ho quindi ritenuto necessario chiedere ai fratelli di recarsi presso di voi prima e di organizzare in anticipo il vostro dono generoso, promesso in pre­ cedenza, di modo che esso sia pronto così da essere (davvero) un dono ge­ neroso, e non un riflesso della (vostra) cupidigia. 1 6 Il punto è questo. Chi semina con avarizia raccoglierà anche con ava­ rizia, e chi semina con abbondanza raccoglierà anche con abbondanza. 7 Ciascuno faccia come ha prestabilito in cuor suo,3 non con rammarico o sotto costrizione, perché «Dio ama il donatore gioioso>> . 8 E Dio può do­ tarvi in abbondanza di ogni grazia, affinché, avendo sempre e sotto ogni aspetto tutto ciò che vi occorre, siate prosperi in ogni opera buona, 9 co­ me sta scritto: Egli profuse, diede ai poveri, la sua giustizia dura per sempre. IO E colui che fornisce la semente al seminatore e il pane per il nutrimento fornirà e moltiplicherà la vostra semente, e accrescerà i frutti della vostra giustizia, I I mentre è in corso il vostro arricchimento sotto ogni punto di vista per tutta la generosità che con la nostra mediazione produce rendi­ mento di grazie a Dio; I 2 perché l'amministrazione di questo servizio non solo colma le necessità dei santi ma è anche abbondantemente feconda tra­ mite numerosi rendimenti di grazie a Dio. 1 3 Attraverso la prova fornita da questo atto di servizio, essi glorificheranno Dio per l'obbedienza che consi­ ste nella vostra confessione dell'evangelo di Cristo, e per l'autenticità del voCf. Furnish, 4 2 1 , che traduce l'espressione: «per non dire nulla di voi stessi » . W (JB) . Qui sembra natu­ rale rendere u7tocr-ttXcrtç con « speranza >>, ma secondo Koster esprime « la realtà che dà una solida garanzia >> .4 Anche in Ebr. 3 , I 4 e u , I il signi­ ficato di u7tocr-ttXcrtç è «realtà » . 5 Egli segnala inoltre che nel greco elleni­ stico emerge l'accezione di «piano >> o « disegno » .6 Polibio utilizza il ter­ mine per indicare il > o «progetto>> da­ rebbe un esito soddisfacente anche in 2 Cor. 9,4. Se la colletta subisce ritardi perché i corinti non sono pronti, l'intero progetto di Paolo sarà gettato nel caos. Anche i suoi lettori ne saranno colpiti, poiché essi stes­ si vi hanno aderito fino in fondo.9 L'argomentazione di Koster non è forse inattaccabile come può sem­ brare. Va detto che la sua interpretazione dei passi dei LXX è piuttosto forzata, poiché richiede un notevole apporto di spiegazioni e parafrasi, e ciò vale anche per l'occorrenza di Ebr. 3 , I 4, che a suo parere indica «la realtà su cui si fonda l'esistenza della comunità >> . r o Non è del tutto impossibile che Paolo abbia attribuito a u7toa-ttXatç il significato di « speI V. ad es. KJV, RSV, NEB, REB, BCN; Calvino, 1 20; Meyer, 3 72; Bachmann, 3 28; Lietz­ mann, 1 3 7; Plummer, 2 5 5 ; Allo, 23 1 ; Witt, 'r1toa-ra:cnç, 3 3 0. z. Windisch, 273 · 3 H. Koster, s.v. \moa-ra:cnç, in TWNT vm, 5 7 1 - 5 8 8 . 4 Koster, s.v. Ùltoa-ra:atç, 5 80. O. la sua esegesi d i Ez. 1 9 , 5 e Sal. 3 8 ,8 (LXX), 5 80 s. 5 Koster, s.v. Ùltoa-ra:atç, 5 84-586. 6 Koster, s.v. Ùltoa-ra:atç, 577; v. anche LSJ, s.v. Ùltoa-ra:atç, B.11.3: «piano, disegno» . 7 Polyb. 4,2, 1 , citato da Koster, loc. cit. 8 Diod. Sic. 1 ,3,2 (LCL), citato da Koster, loc. cit. 9 Koster, s.v. Ùltoa-ra:atç, 5 8 2 s. a. Furnish, 4 2 7 s. 4 3 9 ; Betz, 9 5 , concorda con Koster. Io Koster, s.v. Ùltoa-ra:at> . Emerge inol­ tre un elemento di carattere più negativo a favore di Koster quando si esaminano alcuni luoghi citati in BAG che vengono addotti per conva­ lidare la resa tradizionale come «fiducia >> . Due di questi, ossia Polyb. 4,5o, I o e 6, 5 5 ,2 sono indubbiamente elencati in LSJ, s.v. \moa't'aatç, sotto l'accezione B.11.4, «fiducia, coraggio, risolutezza, fermezza >> , ma con l'aggiunta significativa «di soldati >> . Il primo ha a che fare piutto­ sto genericamente con la resistenza in una situazione bellica: o! ò& 'PO­ Òtot -Be:wpoune:ç 't'"Ì)v 't'wv Bu�aniwv u1toa't'aatv «gli abitanti di Rodi ve­ dendo che i bizantini resistevano » (LCL). Il secondo parla della fermez­ za di Orazio nel difendere il ponte contro l'assalto nemico: oùx o[hwç 't'�V Ò!JVCl(J.tV wç 't'TJV U1tOO"'rClO"tV ClÙ't'OÙ XClt 't'OÀ(J.ClV « [sorpreso] non tanto dalla sua forza fisica quanto dalla resistenza e dal coraggio >> (LCL). Ana­ logamente in Ios. Ant. 1 8,24, pure citato in BAG, s.v., 2, \moa't'aatç in­ dica «risolutezza » , riguardo all'indifferenza alla sofferenza, alla sotto­ missione alla morte e simili. È del tutto evidente che in questi contesti, se \moa't'aatç si dovesse rendere con «fiducia » , avrebbe come sinonimi «fermezza >> , «risolutezza >> e simili. In 2 Cor. 9,4 il sinonimo richiesto sa­ rebbe tuttavia qualcosa come . Ne consegue che i passi e:xtrabiblici invocati a sostegno di «fiducia» di fatto non colgono nel segno. Condivido quindi l'interpretazione di u1toa't'aatç in 2 Cor. 9,4 proposta da Koster. S · à.vayxa'tov oòv "Ì!YlJO"cl(J.lJV 7tapaxaÀÉaat 't'OÙç à.Òe:À o . Gli oblatori preferirebbero in realtà tenersi i loro soldi.3 Corrobora questa interpretazione il fatto che i co­ rinti sono chiaramente il soggetto dell'azione implicita nel precedente wc; e:ùì.oyia.v. Poiché inoltre wç 7tÀe:ove:�ia.v è da ritenere l'equivalente di tpe:tÒo(J-Évwç del v. 6, deve chiamare in causa l'atteggiamento di chi offre il dono: È7t' e:ùÀoylcxtç del v. 6 può considerarsi l'equivalente di wç e:ÙÀo­ yicxv del v. 5, il che mostra il grado di parallelismo fra i due versetti.4 Nonostante il sostegno di BAGD, questa esegesi non è però agevole da accogliere, perché sembra travisare il significato naturale di 7tÀe:ove:�icx.5 n . L'avarizia ipotetica è quella di Paolo. Se deve sollecitare i corinti a dare, sembrerà che esiga il denaro animato da avidità.6 Si potrebbe ar­ gomentare che la presenza del verbo corradicale 7tÀe:ove:x-rÉw in 1 2, 1 7 s. sia la prova decisiva a favore di questa interpretazione: Paolo è stato ac­ cusato di estorcere denaro ai corinti con il pretesto di raccogliere fondi per la colletta/ E ciò spiega meglio la sua preoccupazione che il contri­ buto dei corinti sia pronto. Se lo è, allora i macedoni capiranno che es­ so è motivato dall'amore, ma in caso contrario, Paolo dovrà richiederlo con insistenza e questa sembrerà . Sarà «denaro ottenuto con mezzi inopportuni da persone che contribuiscono controvoglia >> . 8 A ciò si aggiunga che questa interpretazione attribuisce a 7tÀe:ove:�ia. un si­ gnificato più naturale. I suoi svantaggi sono speculari ai vantaggi della prima. Il soggetto dell'azione implicita in 7tÀe:ove:�ia. è differente da quello dell'azione presupposta in e:ÙÀoyla., e il parallelo con il v. 6 è meno comnuina, alla luce della struttura linguistica analoga di Col. 3 ,2, ma vi sono altri versetti nel­ la stessa 2 Corinti (4,7; 5 , 1 2 ) che indurrebbero a ritenere Kai originario. I Su JtÀe:oVE#a v. BAGD, s.v. 2. Come nelle domande precedenti. 3 Windisch, 275; v. anche Hughes, 3 27 s. 4 Plummer, 2 5 6. 5 Bachmann, 3 28. 6 Filson, 3 7 5 ; v. anche Bruce, 226, e Furnish, 439· 7 Barrett, 235, che traduce: «come dono e non come qualcosa di estorto a voi » ( 23 1 ) . 8 Furnish, 4 3 9 ·

602

LA MISSIONE E LA RACCOMANDAZIONE DI TITO

pleto. L'esegesi del v. 6 dimostrerà che esso riprende il v. 5, sicché una interpretazione del v. 5 che conservi il parallelismo sarebbe preferibile. Decidere fra le due alternative non è facile, ma poiché il vantaggio di mantenere per Wç 1tÀEOVE�tCXV lo SteSSO SOggettO di wç EÙÀoytCXV COStitui­ SCe, a mio avviso, un argomento pesante a favore della prima interpreta­ zione, è forse utile fornirne una versione un poco differente, che attenui la forza dell'obiezione secondo cui essa travisa il significato naturale di 1tÀEOVE�tCX. Non è impossibile che Paolo stesse ripensando a quanto aveva detto in 8, I 3 - I 5 nella lettera anteriore. Si sarà anche aspettato che i lettori fos­ sero in grado di cogliere un rinvio plausibile com'è questo: egli doveva presumere che la sua lettera dei capp. I-8 fosse ancora disponibile, e comunque non doveva essere passato molto tempo fra le due lettere. In 8, I 5 ha citato dall'episodio della manna Es. I 6, I 8, una cui parte recita: oùx È7tÀEovcxaEv b 'tÒ 7tOÀu. Il significato di 7tÀEovcit;w in questo contesto è «avere troppo » . ' Nel racconto si intende chiaramente che chi raccoglie­ va grandi quantità di manna «aveva troppo » nel senso di avere più di quel che gli occorreva. Il senso letterale di 7tÀEovE�tcx è «desiderio di ave­ re di più » .'" Nella mente di Paolo potrebbe dunque esservi un collega­ mento fra il racconto dell'Esodo come lo utilizza in 8, I 3 - I 5 e wç 7tÀEo­ vE�tcxv di 9,5. La seconda espressione potrebbe indicare un possibile at­ teggiamento dei corinti analogo a quello degli israeliti nell'Esodo. Che cosa significherebbe questo ? Nel racconto dell'Esodo il desiderio di al­ cuni israeliti di avere più del necessario venne frustrato dal miracolo divino della perequazione e Paolo si serve di questo elemento per dare un sostegno scritturistico al suo appello all'uguaglianza delle risorse eco­ nomiche tra i corinti e la chiesa di Gerusalemme. I corinti non devono (( avere troppo » rispetto ai cristiani di Gerusalemme, ossia ((avere più» di costoro. Se era questo il contenuto di 8, I 3 - I 5 , può far luce su p.� wç 7tÀEovE�tcxv di 9 , 5 . Il contributo dei corinti alla colletta non dev'essere espressione di un simile ((desiderio di avere di più » rispetto ai loro com­ pagni cristiani della chiesa madre. Per dirla altrimenti, non dev'essere un contributo avaro, ma wç EÙÀoylcxv, vale a dire (( un dono generoso » . 6 . Tou'to ÒÉ, b a7tEtpwv cpEtÒop.Évwç cpEtÒop.Évwç xcxi .SEptaEL, xcxi b a7tEtpwv È1t' EÙÀoytcxLç È7t'EùÀoylcxtç xcxi .SEptaEL. Paolo ha appena fatto implicita­ mente appello alla generosità. Ora intraprende un'esortazione più este­ sa alla liberalità corroborata da una serie di rinvii scritturistici. Esordi­ sce con l'ellittico 'tou'to ÒÉ,3 che da un lato collega il v. 6 al v. 5 e dall'alI 3

BAGD, s.v. 7tÀEova�w, 1 . b. 2 BAGD, s. v. 7tÀEoVE�tiX. V. BDR, § 4 8 1 . In questo caso si è proposto di sottintendere q:>l)!J.t (cf. I Cor. 7,2.9; 1 5,

2 COR. 9, 1 - 1 5 tro introduce ciò che segue. Significa quindi qualcosa come «il punto è questo» . I Di per sé, il concetto è esposto in termini molto generici, ricorrendo a un'immagine familiare sia alla cultura giudaica sia a quella greco-ro­ mana.1 Si «raccoglie» ciò che si «semina » . Qui, il «raccolto » è abbon­ dante o meno in proporzione alla quantità della « semina » :3 poiché l'im­ magine si deve applicare al contributo dei corinti alla colletta, non si tratta della qualità del « seme» seminato (che evidentemente sarà buo­ no) ma della sua quantità (copiosa o scarsa). I lettori di Paolo devono «seminare » con abbondanza, ossia offrire un contributo generoso. Se questo è ovvio, lo è meno il senso della seconda metà dell'immagine. Che cosa significa per i corinti il «raccolto>> ? Per alcuni commentatori rappresenta il giudizio ultimo alla fine del mondo.4 Le testimonianze a sostegno di questa interpretazione si troverebbero in Gal. 6,7 s.,5 dove la messe che una persona può raccogliere è cp.Sopci o �w� cdwvtoc;, e nella medesima immagine utilizzata in altri passi del N.T. (Mt. 1 3 ,39; 6 Apoc. 14,14-20 7 ) e in altri contesti escatologici (4 Esd. 4,26- 3 2; 8 3 Apoc. Bar. 1 5 ,2; 9 v. anche Gl. 4, 1 3 [LXX] I o ) . È da dire nondimeno che il contesto di 2 Cor. 9 non avvalora esplicitamente questa linea esegetica. Nulla di­ mostra qui che Paolo abbia in mente la ricompensa della vita eterna (che difficilmente poteva essere accordata su base quantitativa ) oppure bene­ dizioni particolari del mondo a venire. L'alternativa è supporre che le ricompense del «raccolto>> si abbiano in questa vita. Qui, secondo Georgi, si è di fronte semplicemente a un detto gnomico della tradizione sapienziale. n Di per sé il concetto è quin­ di generico: le conseguenze delle azioni di una persona sono conformi e 50). Si è osservato che il ricorso all'ellissi nelle lettere può essere dovuto all'imitazione del parlare comune. 1 Hughes, 3 28 n. 6 1 . V. anche Manin, 287: « per rafforzare il punto». Secondo Betz, 1 02, -roifto ÒÉ è una « formula di citazione » , col valore di «considera ciò che segue » . Ma l'uso paolino di xcd 'toV-ro, -roV-ro ÒÉ. qllJ!J-1, ÀÉ.yro ÒÈ: 'toV-ro e -roV-ro (ÒÈ:) ÀÉ.yro in altri passi (Rom. 1 3 , 1 1 ; I Cor. 7,29; 1 5 ,50; 1 , 1 2; 7,6. 3 5 ; Gal. 3 , 1 7 ) lascia pensare che -rou-ro sia tanto epanalettico quanto prolettico. z. Si vedano i rinvii forniti sotto. 3 Si osservi la formulazione chiastica in entrambe le metà del versetto, che mette in rilie­ vo le espressioni avverbiali «avaramente » e «abbondantemente» e la loro contrapposi­ zione. Per la locuzione È7t' e:ùÀoytGttc; v. sotto, p. 604 n. 4· 4 Meyer, 3 74 s.; Plummer, 258. 5 Citato da Plummer, loc. cit. 6 Citata da Plummer, loc. cit.; anche da Windisch, 276, che tuttavia non accoglie fino in fondo questa interpretazione. 7 Citato da Georgi, Kollekte, 68 n. 268, sebbene egli non accetti questa interpretazione nel versetto in esame. 8 Citato da Georgi, loc. cit. 9 Citato da Barrett, 236. ro Citato da Georgi, Kollekte, 68 n. 267. n Georgi, Kollekte, 68 s.

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LA MISSIONE E LA RACCOMANDAZIONE DI TITO

proporzionate alle azioni stesse. L'immagine compare in una grande va­ rietà di contesti! Per l'applicazione usuale alla morale v. Prov. 22, 8 : 2 o a7tetpwv cpauÀa -8eptaet xaxli ( «chi semina iniquità raccoglierà mali» ) . Nel contesto i n esame il «raccolto» cui pensa Paolo può essere ciò che promette ai lettori nei vv. 8-10, ossia che Dio provvederà in abbondan­ za alle loro necessità, insieme alle preghiere di ringraziamento che la chie­ sa di Gerusalemme innalzerà per loro e al desiderio affettuoso di veder­ li che essa proverà ( vv . 1 3 - 1 5 ) . 3 Così i lettori raccoglieranno generosa­ mente 4 i risultati della loro generosità. La selezione di esempi che segue illustrerà l'uso della metafora della semina e del raccolto. Aristot. Rhet. 3,3, 4 : aù òè: 'tau'ta aÌaXPwç !J.È:" Éa7tetpaç, xaxwç òè: i.SÉptaetç «tu hai seminato vergogna e raccolto sventura >> (LCL).5 Cic. Orat. 2,26 1 : ut sementem feceris, ita metes « Come seminerai, così mieterai >> (LCL).6 Philo Gonf. 1 p: à:òtxietv !J.È:" a7tetpav'te:ç, à:ai�e:tav òè: .Se:piaetv'te:ç «avendo seminato ingiustizia, essi raccolsero empietà » (LCL).7 Id. Mut. 269: à:ÀÀ� 'Y�P "'� a7te:Lpav'tt xai &pl�e:tv É.Soç «ma di solito chi semina raccoglie» (LCL).s V. anche Plat. Phaedr. 26ocd; Philo Con(. 21; Leg. Gai. 29 3 ; Test. Lev. 1 3 ,6. 9 7· Éxaa'toç xet-8wç 7tpoflpTJ't�Xt 'tll xapòtq., 11-� ix ÀU7tTjç � i� à.vliyx'ljc;, tÀa­ pòv yàp òO"Tl" ciya1t4 o .Seoç. Ciascuno dia Io come ha stabilito nel pro­ prio intimo. I I Georgi vi vedrebbe un'eco della riflessione stoica sulla li­ bertà di decisione, che si incontra, ad esempio, in Epitteto - ed egli ri­ manda a Diss. 1 , 1 7, 2 1 . 1 2 Il contesto in cui sorge il problema della li­ bertà della scelta morale è chiaramente molto diverso. In Epitteto il con-

Si vedano sotto alcuni esempi citati dai commentatori. Citato da Windisch, 276; Furnish, 440, e altri. 3 Theobald, Gnade, 293 , connette il raccolto a Gerusalemme. Secondo Furnish, 447, rappresenta le ulteriori risorse che Dio fornirà per consentire ulteriore generosità. 4 V. BAGD, s.v. È1tl, II.I .b.!;, per la locuzione È7t' e:ùÀoylatc;, che corrisponde a un avver­ bio col significato di •generosamente» . Betz, 1 0 3 , la traduce « abbondantemente» . s Citato d a Barrett, 2 3 6, e d a Georgi, Kollekte, 68 n . 266. 7 Citato da Georgi, lo c. cit. 6 Citato da Plummer, 25 8, e da Georgi, loc. cit. 8 Citato da Georgi, loc. cit. 9 Citato da Georgi, loc. cit. 10 Plummer, 259, rileva l'ellissi del verbo principale, che a suo parere rende la frase più efficace. 1 1 Al posto di 7tpo��rrrrtX t (� B C F G P 0243 6 3 3 104 3 6 5 1 1 7 5 1 7 3 9 1 8 8 1 pc lat co; Cyp) alcuni testimoni (D lf 048 'lJl) hanno 7tpotXtpEÌ'ttXt, che può essere un errore di trascrizione dovuto alla somiglianza della pronuncia. u Georgi, Kollekte, 69. I

2

2 COR. 9 , 1 - 1 5 cetto sostanziale è che lo stoico è intimamente libero da qualsiasi co­ strizione che possa impedirgli di aderire alla verità o imporgli di accet­ tare il falso. Paolo parla di libertà dall'imposizione di partecipare gene­ rosamente a un'opera buona. La sua terminologia presenta nondimeno qualche affinità con quella di Epitteto. Sebbene il verbo 1tp01XtpÉo[J.lXt non ricorra nella trattazione di 1 , 1 7,20-29, si incontrano i termini corradi­ cali 1tp01XLpYjatc; e 't'Ò 1tp01XtpE't'txov. 1 Ed È� à.vcl.yxYj , «mezzi di sussistenza adeguati » ; 2. > del v. 8, cui essa fornisce un aval­ lo scritturistico. Come interpretare quindi l'utilizzo della citazione ? Dalla trattazione emergono due opzioni esegetiche fondamentali. O Paolo dice che la giu­ stizia divina che fa fronte alle necessità dei poveri è eterna, oppure in­ tende convalidare con la Scrittura la sua asserzione nel v. 8 secondo cui i lettori saranno dotati sempre di mezzi economici sufficienti per le loro elemosine: anche la Scrittura parla dell'uomo la cui beneficenza per i poveri è perpetua. Questa seconda opzione si adatta al contesto e rap­ presenta al tempo stesso un uso più naturale del versetto del salmo, doI

:z. Hanson, Paul's Technique and Theology, 1 80. Allo, 23 5 . 5 Strachan, 1 4 3 ; Tasker, 1 27; v . anche Windisch, 278 s., e Lietzmann, 1 3 8, che rimanda a Mt. 6, 1 . 6 Annotazione di Plummer, 262.

Georgi, Kollekte, 72.

3 Bachmann, 3 3 2.

4

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LA

MISSIONE E LA RACCOMANDAZIONE DI TITO

ve il soggetto è l'uomo pio. òé: che introduce il v. Io, dove il soggetto del­ l'azione è Dio, potrebbe inoltre far pensare che si abbia qui un cambia­ mento di soggetto rispetto a quello del v. 9· Si aggiunga che tòwxe:v del­ la citazione rimanda senz'altro all' « oblatore» del v. 7, che è il modello del contributore corinzio alla colletta. L'unica difficoltà sta nell'affer­ mazione di alcuni commentatori per i quali Paolo non parlerebbe di ò,­ xt:twcruvlJ come di qualcosa ch e appaia posseduto e praticato dall'uomo. Questa è tuttavia una posizione troppo rigida. 1 Come che sia, questa giustizia, nel senso di benevolenza, non si è generata da sé, poiché il v. 8 dimostra che è prodotta dall'abbondanza dei doni della grazia divina. C'è inoltre il fatto manifesto che nel v. Io Paolo parli apertamente di «vostra giustizia » , ossia della ò'xt:ttoauvlJ dei suoi lettori.1 Si può con­ cludere che il tipico oblatore corinzio è il soggetto implicito di è:crxopm­ ae:v ed tòwxe:v, e il referente di t:tÙ'tou. IO. o òè: è:mx.oPlJ')'WV a7topov 't� a7tELpOV't' XtXÌ ap'tOV e:Ìc; �pwa'v XOPlJì' �­ ae:' xt:tÌ 7tÀlJ�uve:i -.òv a1topov U!J.WV xt:tÌ t:tù��ae:' -.à ye:v�!J.tX'tt:t -ti)c; ò'xt:twaU­ VlJ> .4 I cristiani di Gerusalemme glorificano Dio per la conversione dei gentili di cui vengono consegnati loro i doni. La colletta è la prova che anche questi gentili sono stati condotti all' > .7 Questa interpretazione esercita un certo fa­ scino. Nell'introduzione al cap. 8 si è ammesso che l'intento della col­ -

x V. Collins, Diakonia, 219. � Per bd nel senso di « a motivo di» v. BAGD, s. v . , 11.1 .b.g. 3 lust. Dia/. 47 (PG 6, 5 77), citato da Plummer, 266; v. anche Windisch, 2 8 3 . 4 Sul genitivo epesegetico v . MT, 2 1 4 s . Georgi, Kollekte, 7 6 n . 3 02, interpreta OIJ-oÀoy1rzç in questo senso; Furnish, 445, analogamente vi scorge )'« identificazione di ciò in cui con­ siste l'obbedienza » . 5 Per questa interpretazione generale del pensiero d i Paolo v . a d es. Barrett, 240 s.; Bruce , 228; Furnish, 4 5 1 · 6 Il genitivo OIJ-OÀoytrz ,"' questa interpretazione appare dubbia ove se ne consideri il nesso con tlc; 1til:v-ra.c;. Il contributo economico era destinato esclusivamente alla chiesa di Gerusalemme. Considerata la lentezza dei corinti nel raccogliere denaro per la sola Gerusalemme, sarebbe stata una mossa poco diplomatica e felice da parte di Paolo lasciar intendere implicitamente che si poteva chiedere loro un aiuto economico anche per altre chiese.3 La medesima obiezione si opporrebbe all'accezione 4, , se interpretata nel senso postulato dal­ la traduzione di Furnish: « la generosità della vostra condivisione con loro e con tutti >> .4 Gli altri due significati di xotvwvla. sono 1 , « associa­ zione, comunione, comunanza, rapporti stretti >> (a quanto sembra, il sen­ so più comune), e 2, «generosità, solidarietà, altruismo >> . 5 Il primo, in questo versetto, varrebbe «condizione di comunione>> , il secondo «sen­ timento di comunione » : le due accezioni tenderebbero a fondersi.6 Il termine precedente a7tÀ6'tlJ> o «au­ tenticità >> . In entrambi i casi non vi sarebbero problemi con t le; 1til:v-ra.c;. Si poteva facilmente presumere che la condizione o il sentimento di co­ munione dei corinti con la chiesa di Gerusalemme, attestati dalla collet­ ta, si estendessero a tutte le altre comunità cristiane.7 Forse Paolo vole­ va che la locuzione aggiuntiva fosse vista come espressione dell'elogio ai corinti per la loro prospettiva «ecumenica >> .8 In tal caso, « senso di co­ munione >> sarebbe la resa migliore di xotvwvta.. 1

Plummer, 257. 266 s.; v. anche Filson, 379·

2

V. sopra, a 8,2.

3 Plummer, 267, ritiene che Paolo avesse in mente l'idea della chiesa come corpo di Cri·

sto ( I Cor. 1 2,26): «un beneficio accordato ai fratelli di Gerusalemme è un beneficio per l'intero corpo dei cristiani » . Manca però qualsiasi altra traccia che questo concetto gio· casse un ruolo nel suo pensiero sulla colletta. Georgi, Kollekte, 77, crede ruttavia che Pao­ lo consideri la colletta un «manifestarsi del corpo di Cristo » . 5 Per 1 v . Windisch, 2 8 4 ; per 2 Lietzmann, 1 3 9; Tasker, 1 29 . 4 Furnish, 440. 6 Windisch, 2 8 4 s . , sembra oscillare fra l e due. 7 Lietzmann, 1 3 9. s Martin, 294, pensa che Paolo elogi i lettori per la generosità che mostrano nella collet­ ta e che mostreranno ovunque si renda necessario. A mio parere il fulcro del discorso non è la generosità economica, ma il rilievo generale sulla lode può essere valido. Martin ri­ chiama l'attenzione sull'opinione di J. Hainz, Koinonia. Kirche als Gemeinschaft bei Paulus (BU 1 6), Regensburg 1 9 8 2, 1 44, secondo cui d.; miv'tac; è inteso come una relati­ vizzazione dell'autorità di Gerusalemme.

2 COR. 9, 1 - 1 5

621

Qui dunque Paolo guarda con un certo ottimismo all'atteso momen­ to della ricezione della colletta a Gerusalemme. • I destinatari glorifiche­ ranno Dio sia per la conversione dei corinti sia per il loro senso di soli­ darietà con i cristiani di Gerusalemme e di altri luoghi. Per la prima volta Paolo rivela quale sia l'obiettivo della colletta sotto il profilo della politica ecclesiastica: egli intende garantire un riconoscimento formale delle sue chiese gentili da parte di Gerusalemme. 2 14· xai aù-.wv òe:�ae:t tmÈp Ù!l-wv È7mto.Souv-.wv Ù!l-liç òtà -.�v Ù7te:p�ci).).ou­ aav xciptv -.ou -8e:ou Ècp' ù11-iv. Paolo passa infine a prendere in esame la ri­ sposta più diretta dei destinatari agli oblatori, sotto forma di preghiera e vivo desiderio per loro.3 La sintassi del versetto è controversa. Si può unire xai aù-.wv òe:�ae:t al versetto precedente: òe:�ae:t fungerebbe da dativo strumentale,"' e il participio È1tmo-8ouv-.wv starebbe in apposizione ad aù-.wv. Ciò condur­ rebbe al significato espresso in KJV: > . 5 Altrimenti si ha qui un enunciato nuovo, senza nessi grammaticali con il versetto precedente: il participio È7tmo-8ouv-.wv sostituisce un verbo di modo finito ed è inoltre un esem­ pio dell'uso più libero del genitivo assoluto nel greco neotestamentario.6 Il dativo òe:�ae:t sarebbe strumentale, e indicherebbe dunque il mezzo con cui i cristiani di Gerusalemme esprimono il loro affetto, o modale,7 e indicherebbe circostanze concomitanti: «nella loro preghiera >> o > .6 Questo sarebbe in ogni caso ciò che Paolo intende comunicare: resta da vedere se lo faccia espli­ citamente o in modo figurato. A chi sono dunque attribuiti questi atteggiamenti arroganti, e qual è il significato dell'affermazione secondo cui essi sono rivolti contro la co­ noscenza di Dio ? Le persone di cui si parla devono essere in prima bat­ tuta i missionari rivali (lo stesso verbo È1tatpw è riferito a loro in I I,2o), ma possono essere compresi pure i loro sostenitori corinzi (come sottin­ tende il versetto 6). Ciò è più verisimile, giacché la yvwcrtc; era qualcosa di cui i corinti andavano orgogliosi (I Cor. 8 , I s.), e che, a quanto pa­ re, ora negano a Paolo ( I I,6).7 Se la definizione {mepÀtav &:1tocr'toÀot in I I,5 indica i missionari intrusi, da I I, 5 s. si desumerebbe che costoro asserivano di possedere una conoscenza superiore. Agli occhi di Paolo tutti questi atteggiamenti sarebbero contrari alla vera conoscenza di Dio e la annienterebbero, perché chi li adotta lo fa per contrapporsi a lui quale propagatore autentico della conoscenza divina ( 2,I4; cf. 4,6). Non è sicuro che qui il referente sia più esteso. Secondo Windisch, la locuzione yvwcrtc; 'tou -Beou fa parte di una terminologia missionaria (2, I4), e u�w!La ra ppresenta qualsiasi città in cui l'idolatria sia fiorente. Pao­ lo pensa sia all'ostilità degli increduli sia agli avversari cristiani a Co­ rinto. 8 Ma quanto è verisimile questa interpretazione in una lettera che si concentra tanto sulla sconfitta dei secondi ?

Plummer, 277. Furnish, 4 5 8, vi scorge l'idea di alte fortificazioni difensive. V. BAGD, s.v. �IJ.wl'tx, 2. 3 G. Bertram, s.v. l4> come tutti i cristiani, ossia «esse­ re cristiano >> ? 6 Paolo, in altri termini, deve rivendicare la propria posi­ zione come cristiano perché i suoi avversari, fiduciosi nella loro, gliela rifiutano ? Forse intendevano questo quando lo accusavano di vivere xe1pà alipxCl.7 O forse è la logica conseguenza di qualche altra critica. Se si ritiene che egli manchi di potere e autorità apostolica, vorrebbe dire che egli manca dello Spirito, cosa che dal punto di vista di Paolo stesso seminerebbe dubbi non solo sul suo apostolato ma sulla sua esistenza cristiana in quanto tale. 8 Questa interpretazione è però improba bile. Nei capp. I 0- 1 3 Paolo difende la propria autorità, non il proprio essere cristiano/ e non ci sono attestazioni specifiche che egli abbia ravvisato nell'attacco contro la propria autorità un conseguente attacco di tal fatta contro il proprio essere cristiano. Non è verisimile neppure che con Xpta'tou e:lvClt gli avversari intendessero «essere cristiano>> . Come osser­ va Barrett, questa sarebbe per loro una rivendicazione troppo banale e modesta. 10 E che senso avrebbe in una situazione in cui missionari che si sono dichiarati cristiani sono all'opera in una comunità cristiana già esistente ? n. C è qualche nesso con il gruppo di Cristo di I Cor. 1 , 1 2 ? Forse que1 Barrett, 256, che rimanda alla sua esegesi dei vv. 10 s. (260 s.). Da tutti e tre i versetti appare probabile che si pensi a «un capo dell'opposizione» . :t Furnish, 4 66, che rinvia a Rom. 8,9; I Cor. 3 , 1 2; Fil. 3,4. 3 La difficoltà insita in questa concessione è segnalata da Windisch, 3 00, e da Wolff, 200 s. 4 Windisch, 3 02, che rimanda a Rom. 2, 1 9 e a Fil. 3 ,4. 5 Windisch, loc. cit.; v. anche Wolff, :z.oo s. 6 Oostendorp, Another ]esus, 1 8 s. 7 Oostendorp, Another ]esus, 19. 8 Kasemann, Legitimitiit, 34-3 6. 9 Kiimmel, 208. V. anche Windisch, 3 0 1 s. 1 0 Barrett, 257·

LA RISPO STA DI PAO LO ALLE CRITICHE

sto gruppo originario ha fatto causa comune con i missionari rivali sic­ ché la locuzione Xpta'tou Etvat ha finito per essere associata anche a co­ storo. 1 Nelle sue linee fondamentali l'ipotesi è elaborata da Schmithals. Il gruppo di Cristo è composto di gnostici, i quali consideravano il loro io spirituale frammento del Cristo cosmico, che identificavano con lo Spirito. > 1 (presumibilmente nel successo apostolico), così da evangelizzare nuovi territori. Quando parla della fede dei corinti, può darsi che pensi apertamente alla crescita spirituale, o lasci intendere in­ direttamente che la loro tolleranza dei suoi rivali è dovuta all'inadegua­ tezza della loro fede attuale.'" È meno probabile che sia una riflessione sulla loro fiducia di aver «raggiunto un livello più elevato >> ,3 grazie al­ l'istruzione impartita da questi stessi maestri. Giacché Paolo non crede­ rebbe a niente di simile, starebbe parlando in senso ironico, ma la sua frase nel complesso va intesa senz'altro seriamente.4 Egli parla sul serio quando afferma che la sua crescita nell'adempimento del proprio com­ pito sarà determinata, o quantomeno facilitata, dai lettori corinzi.5 Una l

3 Nonostante Barrett, 268. BAGD, s. v. ruycxÀuvw, I . 1 Windisch, 3 I 2. Secondo un'ipotesi ulteriore, avanzata da Martin, 3 23 s., 7ttcr·nç qui significa forse > . Non spiega in che cosa consista fino ai vv. r 6- r 8 ma, qualun1 Sundermann, Kraft der Rede, 4 5. 2. Sundermann, Kraft der Rede, 8 2. n. I 5 . 3 Sundermann, Kraft der Rede, 77-79. 4 V. sopra, pp. 6 2. 7 s . 6 5 C'è confusione testuale i n questo punto. L a lezione 't t , solidamente attestata ( 1)4 � B D h 1f 0 1 2. 1 a 02.43 6 3 3 3 6 5 1739 1 8 8 1 al f t vg sy ), viene però omessa in altri testimoni (F G H 'lJl it; Lcf Ambst). Ma alcuni mss. di questo secondo gruppo e altri (F G 6 81 630 I I 75 pc) aggiungono 'tlJ� prima di CÌ!ppoaUvYj�, sebbene l'articolo manchi in un numero pre­ 6 ponderante di testimoni (1)4 vid � B D P 1f 02.43 3 3 1 73 9 1 8 8 1 pc). Una terza variazione è la sostituzione di 'tt CÌ!ppoauvYi� con 'tfl CÌ!ppoauv1l (H 'lJl). È possibile che un singolo errore di trascrizione stia alla base di questo disordine testuale. Forse un copista scrisse TH an­ ziché TI, determinando così la forma sgrammaticata 'tfl CÌ!ppocruvl)> , è da considerare complemento oggetto di à.vEt'X,Ecr.SE,3 e !J.OU, nonostante la po­ sizione che occupa, dev'essere unito ad à.cppocruv"Yjc;, «stoltezza da parte mia >>, piuttosto che al verbo, «tolleratemi >> .4 Può darsi che Paolo ripren­ da un'accusa mossagli dai missionari rivali. Le sue parole in I I , I 6, fA.� 'tLç tJ.E òO�TJ acppovcx dvcxt, potrebbero far pensare che, per un motiVO O per l'altro, lo definissero « insensato>> . 5 Se così fosse, egli - come sarà eviden­ te nel prosieguo - respinge l'accusa al mittente. Vi è una certa ambiguità nella seconda parte del versetto, giacché il r

V. ad es. BDR, S 3 59 . 1 ; MT, 9 1 ; Zerwick, Biblica/ Greek, 1 23 n. 1 5 ; Moule, 1 3 7· Zmijewski, Narrenrede, 77 s. 3 Così ad es. Windisch, 3 1 8; Bultmann, 20 1 ; Martin, 3 3 1 . Il verbo CÌvtXOIJ-Gu, se l'oggetto è una cosa, può reggere sia l'accusativo sia il genitivo, ma si costruisce solo col genitivo se l'oggetto è una persona; v. BAGD, s.v. iivi:xw. 4 Questa interpretazione alternativa è peraltro appoggiata da Bachmann, 3 62, in ragio­ ne della separazione di (J-OU da ii!ppocruvlJ�, e da Plummer, 29 3, che attira l'attenzione su à.vix•d)É (J-Ou del v. 1b. V. anche Barrett, 271, e Furnish, 4 8 5 . (J-txpov "' [CÌ!ppocruvlJ�l diven­ terebbe quindi o un accusativo di relazione (Piummer) o un secondo complemento ogget­ to del verbo (Bachmann). L'argomentazione che si fonda sull'ordine delle parole tutta­ via non è decisiva giacché, secondo Zmijewski, Narrenrede, 77 n. 4, i pronomi atoni ten­ dono a collocarsi vicino all'inizio della frase. E iivtxocr-BÉ (J-Ou del v. 1b si può considerare una versione abbreviata dell'espressione più lunga del v. Ia (in cui indubbiamente la fun­ zione grammaticale di (J-OU è cambiata ). La ripetizione completa sarebbe stata decisamen­ te pesante. s Lietzmann, 144. Sull'apparente conflitto con il v. 1 v. sotto al v. 16. 2

688

PAOLO CHIEDE TOLLERANZA

verbo àvf:x_&a-8& può essere indicativo o imperativo. Trova notevole con­ senso la prima di queste alternative grammaticali. Paolo ha appena for­ mulato il suo auspicio di tolleranza come se fosse irrealizzabile, e ora si corregge. L'indicativo, affermando che i suoi lettori lo sopportano, è una rettifica più incisiva rispetto a un imperativo. 1 à.ÀÌ..a introduttivo avrà il valore avversativo consueto e xai sottolineerà il verbo: «ma [de­ vo correggermi] voi in effetti mi tollerate » . Ci si deve chiedere tuttavia se il contenuto non indichi piuttosto che à.vÉx.&a-8& è imperativo. Se i vv. 2 e 3 sono uniti e insieme suffragano il v. I (tramite yap del v. 2), dal­ l'ansia espressa da Paolo nel v. 3 sarebbe più logico scaturisca un ap­ pello pressante che un'asserzione fiduciosa.2. Inoltre la lamentela nel v. 4 che i corinti sopportano (à.vÉx.&a-8&) un evangelo estraneo e altro lasce­ rebbe credere che il v. I contenga un appello ripetuto a tollerare Paolo. Infine, se si guarda al contesto meno immediato, si nota che in I I,I6 egli chiede ancora che l a sua « stoltezza » sia accettata: qui i l verbo òiça­ a-8& è chiaramente imperativo. È preferibile quindi intendere anche à.vÉ­ l&a-8& del v. I come imperativo.3 à.ÀÀa iniziale si può interpretare come rafforzamento del comando: >, una pa­ rentesi tra il v. 4 e il v. 6, per cui costoro sono distinti dagli avversari dei quali parlano i vv. 4.6. La struttura dei vv. 5 s. indica però che il v. 5 è in re­ altà strettamente unito al v. 6 e non può assolutamente essere considerato parentetico. Questa affermazione richiede di essere approfondita. Si trovano due passi della prima lettera ai Corinti strutturalmente analo­ ghi a 2 Cor. I I,5 s.:

'tOLc; ÒÈ 'YE'YIX{J.lJXOatv 7t1Xp1X'Y'YÉÀÀW , yuv!XLXIX li:1tÒ li:vÒpÒc; !J. � l,Wpta.SiJvtXt È!Ì.v Òè: XIXÌ. l,Wpta81J (7, I O S.) !J.� '1;-1)-te:t 'YUVIXLXIX. C!Ì.v ÒÈ XIXÌ. 'YIXJLlJO"Jlc; (7,27 S.) • • •

• • •

•••

In entrambi i casi si ha una negazione assoluta, che viene poi attenuata da una proposizione condizionale, introdotta dall'avversativo ÒÉ e contenente un xiXt rafforzativo, il quale sottolinea la possibilità che vi sia un'eccezione. In 2 Cor. I I , 5 s. si trova il medesimo schema:

Àoyt�O(LIXt yàp !J. ljÒè:v UO'UplJXÉVIXt 'tWV Ù7tEpÀtiXV li:7tOa'tOÀwv· Et òè: XIXÌ. tÒtW'tljc; 't� Àoy� • • •

Dagli esempi della prima lettera a i Corinti traspare chiaramente che i l con­ tenuto della proposizione condizionale è strettamente connesso per il senso al contenuto della frase precedente. Ci si aspetterebbe che sia lo stesso in 2 Cor. I I ,5 s. Paolo non formula quindi due enunciati scollegati, l'uno rela­ tivo alla sua posizione di fronte agli apostoli di Gerusalemme e l'altro sul pa­ ragone fra le sue qualità retoriche e quelle dei suoi rivali a Corinto, quanto piuttosto un'affermazione unitaria. Egli non è assolutamente inferiore agli Ù7tEpÀt1Xv &:7toa'toÀot, salvo che non può raggiungere il loro livello riguardo all'oratoria. I «superapostoli>> sono coloro che hanno impressionato la co­ munità corinzia con la loro retorica, cioè i missionari rivali. I Tutto sommato, pertanto, le argomentazioni favorevoli a questa secon­ da interpretazione sono più convincenti di quelli addotti per la prima. Resta il problema dell'apparente conflitto insito nell'affermazione di Paolo della propria uguaglianza con coloro che definirà falsi apostoli e agenti di I

V. Thrall, Super-Apostles, 45 s., per questa linea argomentativa; cf. Fumish, 504.

2 COR. I 1 , 1 - 1 5 Satana, ma la medesima difficoltà ricorre nel v. 23, dove questi stessi agen­ ti satanici dei vv. 1 3 - 1 5 sono designati òttixovm Xpta'tou. Il problema verrà esaminato più approfonditamente nell'esegesi di quei passi. Per ora ci si li­ mita a osservare che, poiché il dualismo dell'atteggiamento di Paolo verso i suoi rivali è esemplificato con chiarezza nella sezione successiva del cap. 1 1 , non si deve negarne l'esistenza nei vv. 5 s. e quindi neppure respingere l'iden­ tificazione degli tntEpÀtcxv cbtoa'toÀot con i missionari ospiti a Corinto. 6. El òè xcxì lòtw'tlJ, v. BDR, § 1 97; su Àéyo.; nel senso di «espressione, discorso» v. LSJ, s.v., IX. I . Per occor­ renze di !atw"rl)> .4 Ciò però è probabilmente eccessivo,5 giacché il contesto della negazione (vv. 5 . 6b.c) va senza dub­ bio preso sul serio, e non in senso ironico. È inoltre chiaro da IO, I O che i corinti consideravano Paolo in un certo senso incompetente sul piano dell'oratoria, e non avrebbero colto ironia alcuna in quel che egli dice qui. Nella trattazione di Io,Io si è rilevato che probabilmente le sue ca­ renze riguardano la retorica orale estemporanea, e sembra questa la so­ luzione più plausibile al problema posto da questo versetto.6 Nell'arte I V. sopra, p. 662. 2 V. sopra, pp. 624 s. 3 V. sopra, p. 624. DiCicco, Ethos, Pathos, and Logos, 23, sostiene che Paolo poteva senz'altro avere « familiarità con la teoria e la pratica retorica del suo tempo per essersi sottoposto all'istruzione retorica tradizionale nella sua formazione e aver assistito ai di­ scorsi dei suoi contemporanei . . . •• . 4 La definizione è tratta da judge, Paul's Boasting, 3 7, che segnala l'uso di lòtw-r� nel­ l'ambito di un asteismo in Dio Chrys. 42,3, dove lo scrittore parla della sua inesperienza oratoria in maniera ironica: '!"Ì)v cim:tpiav -r-1jv È(.laU'toù m:pì 11:av-ra (.1-Èv à11:À� (.lcXÀtcr-ra ÒÈ -r�v 71:EpÌ -roÙ> : nell'oratoria pubblica costui aveva « raggiunto il culmine dell'abilità retorica •• . I 2. Ci s i renderà subito conto che questo breve profilo storico lascia una la­ cuna cronologica di considerevole importanza. Qual era la situazione ai tempi di Paolo, nella prima metà del I sec. d.C. ? I sofisti erano ancora in attività o no ? Le attestazioni fornite da Betz sono piuttosto scarse. Per il I sec. d.C. egli segnala qualche caso in Giuseppe dove ricorre la parola aocpt­ a-r ljc;, 13 e alcuni passi in Filone in cui si trovano corradicali di aoq:�ta-r�c; in Betz, Tradition, 6o. 62 s. 66; v. Plat. Phaedr. 23 6d, citato da Betz, 63 n. 1 28. W.K.C. Guthrie, The Sophists, Cambridge I97I, 3 5 · 3 Guthrie, loc. cit.; G.B. Kerferd, The Sophistic Movement, Cambridge 1 9 8 1 , 2 5 . 4 S i veda l a trattazione d i Hafemann, Suffering and the Spirit, I 1 o- 1 1 3 . 5 Guthrie, Sophists, 44· 6 H.D. Rankin, Sophists, Socratics and Cynics, London-Canberra 1 9 8 3 , 14. 7 Rankin, Sophists, I 5. 24. 8 Kennedy, Art of Persuasion, 1 3 . 9 Hafemann, Suffering and the Spirit, 1 1 3 . I Kennedy, Art of Persuasion, 1 8- 2 1 . I o Kennedy, A rt of Persuasion, I 3-1 5. 1 1 2. G.W. Bowersock, Greek Sophists in the Roman Empire, Oxford 1969, I 3 s. 13 Betz, Tradition, 26 nn. 90-94; 37 n. I 7 5 · 1

2.

LO SFONDO CULTURALE DI I 1 , 6 luoghi i n cui s i contrappone l a vera filosofia alla falsa. • Ma l a sola occor­ renza in Giuseppe che abbia un nesso sia pure remoto con il genere di con­ flitto che Betz postula come sfondo della situazione corinzia è quella che si può incontrare in Ap. 2,23 6, dove si accenna ad &.òoxt!J.ot aoqwr'tat, !J.Etpa­ xiwv &.1tanwve:ç > (LCL). Anche qui, inoltre, motivo delle rimostranze sono gli attacchi mossi da costoro contro i giudei più che il conflitto con i filosofi. Un passo rilevato in Filone tutta­ via è un po' più pertinente. In Post. 101, dopo avere dichiarato che la via regale è quella della filosofia, Filone continua: oùx. �v !J.Éntatv o vuv &.v-8pw-

7twv aocpta'ttxÒç O!J.tÀoç, Àoywv yà.p oÒ'tot 'tÉx.vaç !J.EÀn�aavnç xa'tà. 'tijç &.ÀlJ­ -8e:iaç 'tlJV 1tavoupyiav aorpiav ÈxaÀe:aav era utilizzato per gli oratori insignì che riuscivano sia ad attirare studenti sia a richiama­ re pubblico nelle loro esibizioni. Cita l'osservazione di Filone secondo cui questi sofisti, che operavano in una città dopo l'altra, si guadagnavano pre­ stigio universale, :z. e segnala le indubbie testimonianze della loro presenza e attività nell'Alessandria del I secolo: in un'orazione alessandrina di Dione Crisostomo,3 in POxy 2190,4 e in numerosi passi di Filone,5 che presup­ pone che essi siano noti ai suoi lettori. 6 Sembra anche che Alessandria non fosse un caso atipico, poiché Dione attesta l'esistenza del movimento sofi­ stico a Corinto/ e parrebbe che i corinti ne fossero entusiasti. 8 Winter so­ stiene inoltre che in diversi passi della prima lettera ai Corinti è possibi­ le scorgere «una deliberata posizione antisofistica >> da parte di Paolo.9 In I Cor. 2, 1-5, per esempio, l'apostolo mostra di avere respinto le convenzioni che regolavano la prima visita di un sofista a una città, nella quale doveva «affermare la propria reputazione di oratore» . '0 È assai probabile perciò r

Betz, Tradition, 1 09 s. :z. Winter, Sophists, 3 s., che cita Agr. 143. Winter, Sophists, 48-54: Dio Chrys. 3 2; in 11 e 3 9 ricorre il termine preciso, utilizzato in senso peggiorativo; in 10 Dione accenna a quanti declamano «discorsi epidittici >> (È1tt­ ÒEtX'ttxoÙ> contro la comunità. C'è naturalmente un nesso generi­ co, in quanto in tutto il passo egli si difende dalle critiche. Paolo ha rifiutato il loro appoggio economico e chiede con una do­ manda retorica se abbia, così facendo, commesso un peccato) La for­ ma dell'interrogativa sta a significare che egli si aspetta una risposta ne­ gativa.4 I suoi critici avevano sostenuto che il suo rifiuto era effettiva­ mente peccaminoso, oppure egli indulge a un'esagerazione ironica ? Betz è per la seconda ipotesi,5 ma c'è qualche argomento che depone per l'al7· .H

-.ò

I

V. sopra, p. 686. 2. Zmijewski, Narrenrede, 1 24 s. Per quanto concerne la costruzione del periodo, Zmijewski osserva che la breve propo­ sizione principale è ampliata dapprima per mezzo di una costruzione participiale, che egli considera esplicativa, vale a dire volta a definire l' tX!J-ap·rta, e poi con una proposi­ zione introdotta da B·n che fornisce il motivo della domanda (Narrenrede, 1 22 s.). La distinzione è tuttavia piuttosto sottile, ed egli annota che Lietzmann, 1 46, e Bultmann, 207, considerano entrambe le proposizioni esplicative. Questa soluzione è più semplice. La proposizione con o·n offre il contenuto fattuale del presunto «peccato » , mentre la pro­ posizione participiale ne illustra l'intenzione soggettiva da parte di Paolo (l' «esaltazio­ ne» dei corinti) insieme al costo personale (ÈtJ.au-tÒv 't!l7tEtvwv), che, nell'ottica dei corinti, poteva paradossalmente essere considerato un aspetto dell' atJ.Ilp'tla. 4 Si vedano questi esempi di altre interrogative retoriche introdotte da �: Rom. 6,3; 7, I ; 1 1 ,2; I Cor. 6,9 . I 9 . L'alternativa così introdotta è inaccettabile (Plummer, 302), perciò ci si attende una risposta chiaramente negativa (v. Zmijewski, Narrenrede, I 2J ) . s Betz, Tradition, 1 0 1 ; cf. Wolff, 2 20. 3

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PAOLO CHIEDE TOLLERANZA

tra. Anche se «peccato » può essere comunque un termine un po' trop­ po forte, nella società greco-romana il rifiuto di un'offerta di beneficen­ za sarebbe stato nondimeno considerato un'offesa verso il benefattore o i benefattori e causa probabile di ostilità. ' I corinti lo avranno visto co­ me un rifiuto «della loro condizione di comunità patrona>> ... Dal punto di vista specificamente cristiano, poteva essere ritenuto anche un rifiuto della loro importanza ai fini del progresso della missione, poiché accet­ tare la remunerazione avrebbe facilitato una più estesa attività missio­ naria nella città.3 È meno probabile, malgrado Theissen, che il presun­ to fosse la trasgressione da parte di Paolo della norma apo­ stolica di povertà carismatica.4 Alla luce del v. I I , sembra essere in cau­ sa un'offesa più personale. Da ultimo, è altresì improbabile che i corin­ ti, indotti dai missionari rivali, lamentassero che Paolo, rifiutando il lo­ ro aiuto, li escludeva dalla partecipazione al regno venturo di Dio. La proposta viene da Oostendorp,5 secondo il quale i missionari rivali so­ stenevano, basandosi su svariati passi scritturistici ( Ger. I 2, I 5 - I 7; Zacc. 2, u; 8,23; Is. 6I,6), che i gentili dovevano legarsi a israeliti (come que­ sti missionari ospiti) e dare prova del loro legame con aiuti materiali, se volevano avere un posto nel regno. È vero che questo spiegherebbe per­ ché i corinti si lamentassero che Paolo non li amava, ma egli è stato repu­ tato carente sotto altri aspetti ( I o, I o; I I ,6) in base a criteri greco-ro­ mani, e sembra molto più probabile che anche il suo rifiuto del mante­ nimento sia stato criticato sulla loro scorta. Dal proprio punto di vista Paolo spiega la linea di condotta che i co­ cinti hanno disapprovato come umiliazione di sé 6 a loro beneficio. Ri­ fiutando il sostegno economico, egli ha rinunciato umilmente ad avva­ lersi dei suoi diritti di apostolo/ e ha accettato privazioni e la necessità di un lavoro manuale. 8 Questa umiliazione di sé era a vantaggio dei suoi V. sotto, pp. 7 3 3 s.; anche Furnish, 508. Furnish, loc. cit. 3 Georgi, Opponents, 2 3 6. 4 Theissen, Social Setting, 42-46. Secondo il mandato missionario dei sinottici, i missio­ nari sono tenuti a non provvedere a se stessi ma a confidare nella grazia di Dio per sod­ disfare le loro necessità. Hanno quindi una > in termini chiari: aveva predi­ cato loro l'evangelo di Dio senza avanzare nessuna richiesta economica (o senza accettare alcun aiuto economico da loro).s 8 . aÀÀac:; ÈxxÀ l)O'tctc:; ÈauÀ lJO'I:t Àct�W\1 ò..jlwvto\1 1tpÒc:; 't�\1 U(J-W\1 ÒtctXO\Itct\1. La domanda retorica precedente ha condotto a una risposta negativa: Paolo non ha evidentemente commesso alcun > , non ha dato motivi di offesa ai lettori. In realtà (prosegue ora) se aveva accettato aiu­ ti dalle altre chiese, cosa che poteva sembrare un disonore per i corinti di cui aveva rifiutato il sostegno, 6 lo aveva fatto interamente a loro be­ neficio.7 Il modo in cui Paolo si esprime qui, a giudizio di Furnish, mira forse a dissipare il sospetto che, avendo respinto gli aspiranti benefattori di Corinto, egli fosse diventato di buon grado cliente di altri cristiani. Il verbo ÈauÀ lJ , ed è l'opposto del ri­ cevere qualcosa in beneficenza. 8 L'immagine è forse militare, se si conl

V. sopra, p. 7 1 2, e sotto, pp. 7 3 1 s. 2. Bultmann, 207. Così la maggior parte dei commentatori. V. ad es. Meyer, 430; Plummer, 303; Windisch, 3 34· 4 Barrett, 282. 5 V. sotto, pp. 72.9 ss. 6 V. sotto, pp. 73 I s. 7 Come traspare chiaramente dalle righe seguenti, Paolo si propone di persuadere i let­ tori ad accettare la propria linea di condotta a Corinto come segno del suo affetto. È del tutto erroneo supporre, con Crisostomo, Hom. in 2 Cor. 23,4 (PG 6 1 , 5 5 8; NPNF xn, 3 86), Meyer, 430, e Allo, 283, che egli miri a far vergognare i corinti relativamente agia­ ti per aver lasciato che egli, pur lavorando al loro servizio, fosse pagato da altri, probabilmente meno fortunati. 8 Fumish, 484. 492. so8. 3

PAOLO CHIEDE TOLLERANZA sidera èauÀl)CTIX unitamente a ò4wvwv successivo, che può denotare la pa­ ga dei soldati. r Quali sono, allora, queste «altre chiese» che Paolo «ha saccheggiato » ? E in che cosa consistette il pciaaw, r . b. 2. BAGD, s.v. q>pciaaw, 2. 3 BAGD, s.v. q>pciaaw, 2. 4 Chrys. Hom. in 2 Cor. 23,4 (PG 6 1 , 5 5 9; NPNF xn, 3 8 7); v. anche Allo, 2 84; Zmi· jewski, Narrenrede, 1 3 9. Plummer, 3 06, sebbene personalmente non interpreti Paolo in tal senso, richiama l'attenzione su due usi analoghi di q>pciaaw in Prov . 2 5 ,26 (wam:p d 'ttç 5 Meyer, 433· 7tlJr�v q>pciaaot) e Gdt. 1 6,3 ('tÒ 1tì.. lj-8o.; aù-rwv ivéq>pa!;Ev 'X_EtjJ-cippo u.; ). 6 Plummer, 306, che rimanda a Os. 2,8 (LXX) (q>pciaaw �v bòòv aù-rij.; iv axoì..olj.tv) e Lam. 3 ,9 (ÈvÉq>pct!;ev -rpi�ou.; jJ-Ou). 7 È la più appropriata a dc; ÈjJ-É, benché siano possibili anche altre interpretazioni del· l'espressione (e!c; potrebbe equivalere a iv [« messo a tacere in me>> ] - v. BAGD, s.v. dç, 9 , oppure può avere il significato generico di «per» - v. BAGD, s. v. dc;, 4 .g [ messo a tacere per me, bloccato per me " ) ) . 8 V. sotto, pp. 73 5-73 7 · 9 Plummer, 306. O forse h a i n mente • i santi i n tutta l'Acaia » d i cui parlava i n 1 , 1 nella lettera anteriore dei capp. 1-8, ossia membri della chiesa di Cenere e forse gruppi più piccoli sotto l'influenza della chiesa corinzia (vol. 1, 1 20 s.). Può darsi che voglia raffor­ zare la sua asserzione sottolineandone la portata globale. •.•

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•...

2 COR. I I , I - 1 5 1 1 . òtà ·d; o·n oùx &:ycurw ufLa> (Furnish) di 1 1 , 3 1 : o -Beò . 2. Si propongo­ no dunque di abolire il criterio stesso come lo incarna Paolo. Anche in questo caso ci sono difficoltà, perché questa interpretazione presuppo­ ne che i corinti avessero già accettato la concezione paolina dell'apo­ stolato e che di fatto fossero i suoi rivali a essere sotto pressione per di­ fendere la loro consuetudine di accettare il mantenimento in quanto compatibile con la rivendicazione di essere apostoli. Ma è Paolo a stare sulla difensiva, e proprio riguardo alla questione del sostegno economi­ co. Per di più, comunque interpretasse la propria chiamata e l'apostoli­ cità in generale, egli non considerava il rifiuto del mantenimento una condizione sine qua non della vocazione apostolica ( I Cor. 9,4- 14), né avrebbe potuto farlo.3 m. I missionari rivali intendono conservare la propria forma di apo­ stolato esercitando pressioni su Paolo perché vi si adegui. Theissen li considera « carismatici itineranti >> , i quali, allorché chiesero per la pri­ ma volta sostegno materiale dalla chiesa corinzia, appresero che Paolo non lo aveva richiesto. Oltre a citare Gesù (I Cor. 9,14) a loro difesa, cer­ cavano quindi di convertire Paolo al loro modo di vivere. Era in gioco la continuazione dell' « istituzione protocristiana del carismatico itineran­ te», perché ricavare di che vivere dalla predicazione dell'evangelo era fondamentale per questa tradizione.4 Questa interpretazione tuttavia falsa la prospettiva del corso degli eventi a Corinto. Nel periodo in cui Paolo scrive questa lettera parrebbe che la concezione dello stile di vita apostolico sostenuta dagli avversari sia divenuta dominante e quella di Paolo sia minacciata.5 IV. Secondo Martin, l'intenzione degli avversari era di acquisire Co­ rinto come loro territorio missionario e ciò di cui si vantavano erano i loro diritti specificamente a Corinto. Le loro iniziative saranno però te­ nute a freno e il disegno di sostituire Paolo frustrato, finché egli conti­ nua a predicare «un Gesù crocifisso » e offre l'evangelo gratuitamente.6 È probabile che Martin sia nel giusto quando immagina che il vanto de­ gli avversari riguardi la loro pretesa di patrocinio apostolico su Corinto. Ciò spiega inoltre la formulazione della seconda proposizione introdot­ ta da t'va: essi aspirerebbero a elevare la propria condizione fino a rag­ giungere l'uguaglianza con Paolo. Non viene però realmente chiarito co­ me Paolo abbia potuto presumere che continuando nel suo modo di pre1

Barrett, 284 s. 2. Furnish, 509. Barrett, 285, riconosce l'esistenza del problema. 4 Theissen, Social Setting, 5 3 · 5 E c'è da ribadire che Paolo non dice che essi mirano a d assimilare l a sua condizione alla loro, ma l'opposto. V. sopra, al punto 1. 6 Martin, 348 s. 3

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dicare e di vivere avrebbe vanificato una simile manovra dei suoi rivali. Tutti i missionari apostolici predicavano la morte di Gesù ( I Cor. 1 5,3 s.), e questo annuncio non comportava necessariamente il rifiuto del so­ stegno materiale. Cefa aveva accettato gli aiuti ( I Cor. 9 , 5 ), ed è altresì annoverato fra quanti, come dice Paolo ( I Cor. r s, s . r r ), predicano il medesimo evangelo che predica lui. Per finire, come si può pensare che il rifiuto del mantenimento da par­ te di Paolo servisse, quantomeno dal suo punto di vista, a porre la sua autorità a Corinto al di sopra di quella dei suoi rivali ? Egli stesso dà una risposta in 1 2,14. Rifiutando l'aiuto materiale mostra di essere il geni­ tore, il padre fondatore, della comunità cristiana della città, e in quan­ to padre della chiesa, come afferma in I Cor. 4,14- 1 6, esercita un'auto­ rità superiore a q uella di chi opererà successivamente come missionario nella comunità. E da presumere che quando scriveva questa lettera egli sperasse che i lettori corinzi ricordassero ciò che aveva detto in prece­ denza e traessero la giusta conclusione. Può esserci una risposta ulterio­ re (in aggiunta più che in alternativa) . Theissen osserva che nella corri­ spondenza con i corinti si incontrano « due tipi di missionari . . . , tipi che si possono distinguere in base alla posizione che assumono sulla que­ stione del diritto di sostentamento » . ' Se Cefa sembra rappresentare il tipo non paolino ( I Cor. 9,5), parrebbe che la missione petrina ai giu­ dei si caratterizzasse anzitutto perché i suoi membri accettavano il man­ tenimento. Poiché le notizie di Atti r 8 fanno pensare che possa esservi stata una considerevole presenza giudaica a Corinto, forse gli avversari di Paolo erano giunti inizialmente nella città per favorire la missione petrina. 2 In ogni caso accettando il sostegno economico si devono esse­ re conformati alle posizioni di quella missione nell'opinione dei corinti che ne conoscevano l'ethos.3 Ma se Paolo modifica la sua prassi, pure lui si schiererà con la missione petrina e riconoscerà, simbolicamente, che Corinto è territorio petrino. In tal caso, se i missionari rivali fanno par­ te di questa missione alternativa, la loro autorità a Corinto eguaglierà quella di Paolo, cosa che egli è deciso a impedire. I J • ot yàp 'tOtoU'tOL �e:uÒa7toa'toÀOL, Èpychat ÒoÀtot, (J.E:'t , sebbene si presti in teoria a un'interpretazione r Theissen, Social Setting, 4 1 . :z. V. sopra, a I 0,1 5a. 3 In r Cor. 9,5 Paolo presuppone una certa conoscenza al riguardo.

2 COR. I I , I - 1 5

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generalizzante, «persone come queste », 1 è quasi certamente specifico, e ha il suo referente ben definito nel soggetto dei precedenti xcxuxwv'tcxt ed tupt-8watv. 2. Paolo non è impegnato in un esame obiettivo dei criteri del­ l'apostolato o delle rivendicazioni a questo titolo avanzate dai suoi ri­ vali. Sostiene piuttosto con fermezza che queste persone specifiche sono pseudoapostoli. Il termine 4tuÒcx7toa-.oÀoç può essere stato coniato da lui,3 forse, per analogia, con 4Euòo7tpocp�'tTJ .6 Se ne potrebbe desumere che nel coniare il termine 4e:uÒcx7toa-.oÀoc; egli rispondesse all'uso di 4tuÒo7tpocp�'tl]> è variamente interpretato: 1. Il genitivo Òtxa.wcruvlJc; è considerato equivalente a un aggettivo: i missionari rivali si presentano come «probi servi di Cristo» . 8 Il paralle­ lo implicito con gli à1tocr-toÀouç Xptcr-tou del v. 1 3 e la contrapposizione ai òttixovot a.ù-tou di questo versetto rendono però improbabile che Òtxa.w­ crtNl}t; sia meramente qualificativo. II. Anche i rivali di Paolo promuovevano il suo evangelo di giustizia mediante la fede, presumibilmente in competizione con lui, e per i pro­ pri scopi ingannevoli. L'interpretazione trova appoggio in 3 ,9, dove an•

Plummer, 3 09; v. anche Allo, 287; Tasker, 1 5 3 ; Hughes, 393 s. n. 57· 2 Windisch, 342. Per Furnish, 495, che rinvia a Moule, 175, il genitivo �w't'o> .3 DiCicco rileva il valore della triplice occorrenza del ver­ bo !J.E'ttxa"X,Tj!J.tx"d�w in I I , I 3 - I 5 : « il verbo ha evidenti connotazioni ne­ gative con le sue implicazioni di doppiezza e falsità » ,4 e funge altresì da rimprovero indiretto ai corinti per essersi fatti imbrogliare da questi individui e avere offeso la dignità di Paolo, considerandone spregevole l'aspetto esteriore, il suo a-x.l]!J.cx.s Nello stesso tempo egli è ansioso di mostrare ai lettori che li ama e desidera essere contraccambiato; «li ha esaltati a spese proprie e di altre chiese ( u ,7); li ha amati come Dio gli è testimone ( I I , I I ) » . Così, «Paolo esprime chiaramente questi senti­ menti di amore profondo per i corinti allo scopo di persuaderli che ha a cuore soltanto i loro interessi, ed è il fedele amico che ha sempre agito con amore altruista nei loro confronti » .6 Questi esempi dell'utilizzo del 1tci8oç appaiono convincenti.

EXCURSUS 1 2 PAOLO E IL MANTENIMENTO DEGLI APOSTOLI

I mezzi di sostentamento economico di Paolo erano diventati quasi subito materia di controversia fra la comunità corinzia e l'apostolo. Si prenderà anzitutto in esame di quale genere preciso di sostegno si trattasse, quindi la testimonianza di I Cor. 9, poi quella della lettera di 2 Cor. I O- I 3 , e infine la questione della coerenza piena della condotta di Paolo. 1. Tipi di sostegno economico e atteggiamento relativo di Paolo

Le convenzioni nel mondo greco-romano riguardo al sostegno economico a favore di chi si trovava in situazioni analoghe a quelle di Paolo si posso­ no classificare grosso modo in due categorie. C'è da una parte l'usanza del­ l'ospitalità a breve termine. Prevedeva il sostentamento per una durata non superiore a una settimana, e probabilmente a tre giorni, e comprendeva «bagno, vitto e alloggio» , oltre al minimo indispensabile per la tappa suc­ cessiva del viaggio.7 Può darsi che Paolo abbia talora usufruito di questa forma di ospitalità, e a ogni modo si ricava chiaramente dall'uso del verbo 1

5

Loc. cit. Op. cit. , 1 7 3 .

2.

Op. cit., 1 7 1 . 3 Op. cit., 1 72. 6 Op. cit., 1 8 2 s . , spec. 1 8 3 .

7

4 Loc. cit. Hock, Social Context, 29.

PAOLO E IL MANTENIMENTO DEGLI APOSTOLI

7 29

7tpo1tÉ(L1tW (Rom. I 5,24; I Cor. I 6,6; 2 Cor. I , I 6), che era disposto ad ac­ cettare, e anzi si aspettava, l'assistenza per il viaggio in una forma o nel­ l'altra 1 dai cristiani del paese o della città che lasciava. Non era questa la materia del contendere tra lui e i corinti. Dall'altra parte c'era il problema del sostentamento a lungo termine. Come facevano i cittadini liberi che man­ cavano di mezzi propri, ma non appartenevano essenzialmente alle classi dei lavoratori o dei commercianti, a procurarsi i mezzi di sussistenza ? Co­ me potevano i filosofi, per citare un caso di primo piano, assicurarsi i mez­ zi per soddisfare le loro necessità ? Le risposte erano varie: chiedendo l'ele­ mosina, esigendo un onorario, entrando a far parte della famiglia di un pa­ trono, ricorrendo a un lavoro manuale.� C'era nelle comunità cristiane un equivalente approssimativo all'esigenza di sostegno a lungo termine nel ca­ so degli apostoli missionari. Come i filosofi, essi erano in un certo senso in­ segnanti, e quando fondavano una nuova comunità soggiornavano in un luogo per un certo periodo di tempo. È evidente da I Cor. 9,3 -7 che in que­ ste circostanze essi potevano aspettarsi, anzi, avevano il diritto di ricevere, aiuti economici dai loro convertiti. È di fatto qualcosa di simile all'accetta­ re un patronato. Questa è la forma di aiuto che Paolo rifiutava, e questo ri­ fiuto gli causò problemi a Corinto, ulteriormente aggravati dalla circostan­ za che egli accettava un terzo tipo di assistenza, a quanto pare suo peculia­ re, vale a dire il sostegno economico di una comunità esistente per l'attività missionaria in un'altra città o regione.3

n. La testimonianza di I Cor. 9 Qui si trova una testimonianza della linea di condotta tenuta da Paolo ri­ guardo al suo sostentamento economico durante la visita di fondazione a Corinto, e implicitamente della reazione sfavorevole che aveva causato. Egli fornisce anche qualche spiegazione della sua decisione. Sembra eviden­ te che fin dall'inizio egli aveva rifiutato di accettare aiuti economici: rifiuto che, a suo parere, era ben motivato. È probabile inoltre che la sua esperien­ za durante il soggiorno prolungato in città (Atti I 8 ,n ) avesse rafforzato in lui la decisione di mantenere la propria indipendenza economica. a) In I Cor. 9, I 2 Paolo enuncia il motivo di fondo per cui rifiuta il manteni­ mento: non vuole porre ostacoli di sorta sulla via del progresso dell'evan1 V. BAGD, s.v. 7tpo7tÉ!Jo7tW, 2; anche vol. 1, 106. V. pure Holmberg, Pau/ and Power, 89. Pratscher, Verzicht, 289, sembra dubitare che Paolo avesse ricevuto un aiuto di questo tipo, ma non considera le implicazioni di 1 Cor. 1 6,6 o di 2 Cor. 1 , 1 6. 1 Hock, Social Context, 5 2-59. 3 V. Peterman, Paul's Gift, 1 63-1 67, per una distinzione chiara fra queste tre forme di so­ stegno: mantenimento mentre si trovava presso una comunità, che Paolo rifiutava; spese di viaggio e simili, che accetta; aiuto per missioni in altri luoghi, che accetta (v. Fil. 4,16; 2 Cor. 1 1 ,9 ).

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EXCURSUS 1 2

gelo. Questa intenzione deve aver guidato la sua condotta fin dall'inizio. Ma per quale motivo specifico avrebbe dovuto pensare che accettare un so­ stegno economico sarebbe risultato nocivo alla sua missione ? I commenta­ tori avanzano diverse ipotesi. 1 . Forse si rischiava di dissuadere potenziali convertiti dall'entrare a far parte della chiesa se fosse parso che l'esserne membri comportava un im­ pegno economico. I È una possibilità. 2. Paolo non voleva essere considerato un sofista che si faceva pagare,1 poiché vi era una , che avrebbe ostacolato l'accettazione del suo annuncio.3 Questa ipotesi è un po' più problematica. È forse vero che Paolo non voleva essere considerato un sofista, giacché aveva ripudiato la retorica sofistica quale mezzo di co­ municazione con cui presentare inizialmente l'evangelo cristiano ( 1 Cor. 2, 1 .4 ). Ma accettando una ricompensa economica (o un suo equivalente) non sarebbe stato necessariamente identificato come sofista. Anche qualche fi­ losofo chiedeva un onorario,4 ma non era criticato per questa pratica in sé, bensì soltanto se essa degenerava in avidità e cominciava a condizionare la natura del suo insegnamento. 5 Non è probabile inoltre che i corinti diffi­ dassero dei sofisti, considerando che in seguito avrebbero accolto favorevol­ mente i missionari rivali con le loro doti retoriche. 3 · Forse è preferibile supporre più semplicemente che Paolo desiderasse evitare il sospetto di essere mosso da convenienza personale, ossia il sospet­ to che la sua attività missionaria non fosse altro che un mezzo per vivere a spese altrui. 6 4· Su un piano più profondo, Paolo credeva che lo stile di vita apostolico dovesse rispecchiare l'essenza dell'evangelo apostolico. Esso è basato sul sa­ crificio del Cristo che impoverì se stesso per arricchire spiritualmente gli al­ tri (2 Cor. 8,9), dunque un impoverimento analogo è richiesto all'apostolo di Cristo. 7 Una forte motivazione interiore rafforzerebbe dunque le consi­ derazioni di ordine più pratico menzionate ai punti 1 e 3 . 8 Barrett, First Corinthians, 207; cf. Holmberg, Paul and Power, 92. Goudge, 106 (citato da Barrett, 28 1 ); v. anche Winter, Sophists, 1 6 3 - 1 66. 3 Holmberg, Pau/ and Power, 9 3 · 4 Per Hock, Social Context, 5 2, sebbene l a prassi fosse stata rifiutata d a Socrate, fu ripre­ sa poi da vari filosofi, «in particolare dagli stoici, ma anche da platonici e aristotelici». 5 Georgi, Opponents, 2 3 8 . 6 Cf. Theissen, Social Setting, S I , che richiama l'attenzione s u I Tess. 2, 5 , dove Paolo ri­ badisce che la sua predicazione non è da considerare « un pretesto per cercare di fare de­ naro » UB). V. anche Plummer, 305: Paolo voleva evitare il sosperto che la sua predica­ zione fosse condizionata dalla necessità di dire «ciò che avrebbe compiaciuto chi l'ospitava e gli dava da mangiare » . 7 Barrert, 282. 8 V. anche Horrell, Social Ethos, 2 1 5 s., secondo cui, nell'adottare questo stile di vita, Paolo mirava a eliminare ogni ostacolo per gli individui (socialmente) «deboli ,., che egli cercava di conquistare. « Egli si umilia al fine di conquistare chi aveva uno status ancora più umile» (216). I 2.

PAOLO E IL MANTENIMENTO DEGLI APOSTOLI

73 I

b) Paolo tratta essenzialmente della propria prassi, ma sembra che Barna­ ba si comportasse allo stesso modo (r Cor. 9,6). Vi era quindi una sorta di linea di condotta apostolica cui si attenevano entrambi ? In r Cor. 9,14 Paolo cita il detto di Gesù che sancisce, anzi prescrive, di accettare il man­ tenimento economico (v. Mt. 10,10).1 Forse c'era però una norma diversa e alternativa ? Commentando r Cor. 9, 1 6-18, V.P. Furnish sostiene che sul­ lo sfondo di questi versetti vi è una « regola missionaria» secondo la quale l'evangelo doveva essere predicato . 1 Nella tradizione sinottica troverebbe espressione in Mt. 1 0,8: òwpe:àv ÈÀa[3e:n, òw­ pe:àv ò6'te:.3

c) È possibile che, con l'evolversi della situazione a Corinto, siano emerse

ulteriori ragioni per perseverare nella linea iniziale di rifiuto del sostegno economico che Paolo aveva assunto. 1 . È evidente dalla prima lettera ai Corinti ( 1 , 1 2; 3 , 3 s.) che i corinti era­ no inclini alla faziosità. Sebbene in questa fase i diversi gruppi dichiarasse­ ro fedeltà agli apostoli che avevano avuto contatti con la comunità dopo la prima visita di Paolo alla città, è possibile che la tendenza generale si sia affacciata piuttosto presto durante il suo soggiorno a Corinto. Peterman cre­ de che possano esserci state > (1 1,7) e un indice della sua mancanza di amore ( 1 1,1 1 ) . Questo linguaggio si spiega al meglio sulla scorta delle consuetudini greco-romane relative al dare e ricevere doni. Era consuetudine accettare l'offerta di doni e benefici, e rifiutarli generava ostilità, e poiché inoltre colui che conferiva il beneficio era considerato superiore a chi lo riceveva (almeno finché costui non aves­ se ricambiato), il rifiuto poteva essere visto non solo come ripudio dell'ami­ cizia ma anche come offesa al prestigio dell'aspirante donatore. A Corinto è probabile che ad avanzare un'offerta di aiuto economico a Paolo fossero stati membri della comunità con una certa posizione sociale, i quali si sa­ rebbero risentiti per il suo rifiuto.2 La loro sensazione di torto subito sa­ rebbe stata peraltro accresciuta dal fatto che, mentre lavorava a Corinto, Paolo aveva accettato l'aiuto delle chiese macedoni ( I I ,8 s.). Sarà stata que­ sta la causa principale dell'offesa: il rifiuto dell'aiuto di Corinto e d'altro canto l'accettazione dell'assistenza da altre chiese.3 Se ne sarebbe desunto che egli reputasse i corinti inferiori a queste altre comunità cristiane. 4 Può darsi che reazioni simili siano state latenti fin dall'inizio, e presenti, Barrett, First Corinthians, 200 s., spec. 20 1 . Marshall, Enmity in Corinth, 8-17. 1 7 4 . 2.2.1-2.32. 3 P. Marshall, Enmity in Corinth, 1 7 5 . 4 P . Marshall, Enmity in Corinth, 1 77, che commenta l'uso d i ljcrcrciol'-cz' i n 1 2., 1 3 . 1

1 P.

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EXCURSUS 1 2

anche se non espresse apertamente, quando Paolo era stato informato delle critiche cui risponde in I Cor. 9· Ma al tempo in cui scrive 2 Cor. I O- I 3 si saranno inasprite per l'arrivo a Corinto di altri missionari che accettavano aiuti economici ( I I , I 2) 1 e che intendevano screditare Paolo. Forse essi ri­ chiamarono l'attenzione specificamente sulla sua incoerenza nell'accettare o rifiutare l'aiuto proveniente da chiese differenti. Poiché la coerenza di ca­ rattere e condotta era una virtù fondamentale agli occhi dei greci, ciò do­ veva militare in special modo a suo sfavore.2 b) Paolo è costretto pertanto a difendere ancora la sua condotta riguar­ do al mantenimento economico nella lettera dei capp. IO- I 3 , e adduce altri due motivi del rifiuto di accettare l'offerta che gli era stata fatta: egli non ha voluto e non vuole imporre un peso ai corinti ( n ,9; I 2, I 3 - I 4a), e i suoi rapporti con loro sono parentali ( I 2, 1 4 ) . C'è ancora un terzo motivo, emer­ so da quando i missionari rivali si sono stabiliti a Corinto: il rifiuto da par­ te di Paolo del mantenimento lo distingue da questi altri ( I I , I 2). r . L'accettazione di doni poteva essere causa di privazioni per i benefat­ tori. In queste circostanze le convenzioni ammettevano il rifiuto.3 Se Paolo credeva che l'offerta di sostentamento sarebbe stata economicamente gra­ vosa per i corinti, si poteva aspettare che il rifiuto fosse interpretato come segno di affetto ( I I , I I ). I corinti dal canto loro si aspettavano forse che egli dimostrasse il suo affetto accettando. 4 Può darsi però che la situazione fosse ancora più complessa riguardo alle motivazioni di Paolo. Peterman richiama l'attenzione sull'uso greco e romano del linguaggio del « peso >> in relazione sia a obblighi sociali sia a responsabilità economiche e ne consta­ ta la stretta connessione. Seneca, ad esempio, può utilizzare onus per indi­ care chi dipende da lui sia economicamente sia socialmente,5 talché sotto entrambi i punti di vista costui è « un peso » per lui. Nella società greco-ro­ mana > (Èm�apijacu) a nessuno di loro, e in 4,1 1 s. esorta i lettori a fare altrettanto, per non dipendere da nessuno. La combi­ nazione di questi due passi mostra che > . 10 L'opzione migliore tuttavia è forse «piano, programma, intenzione >> . u Ho seguito Koster nell'adottare questa traduzione in 9,4, osservando che appare adeguata anche in questo caso. r:1. I

Barrett, 2.90. :1. Heckel, Schwachheit, 1 9 4 s . 2.02. s. Zmijewski, Na"enrede, 1 99 , per un elenco delle varie interpretazioni proposte. 4 Così ad es. Meyer, 44 1 ; Plummer, 3 1 4; Witt, 'Tm)cr'tacrL�, 3 30. 5 Barrett, 2.88; v. anche Savage, Power through Weakness, 5 7; Barnett, 5 30. 6 V. sopra, a 9,4. 7 Riickert, 3 4 3 ; Windisch, 3 46, e Allo, 2.89 s., lo ritengono possibile; Furnish, 496, si pro­ nuncia per questa resa o per «progetto » . 8 Koster, s.v. imoa'taaLç, i n TWNT vm, 5 8 3 n . 1 20. 9 BAGD, s. v. Ù1toa'taa1ç, 2.. Io BAGD, loc. cit., che cita 2 Cor. 9,4; 1 1 , 1 7; Ios. Ant. 1 8,2.4. 1 1 Bachmann, 3 79, che rimanda a Diod. Sic. 1 6, 3 2,3; Zmijewski, Na"enrede, 1 99 ; Fur­ nish, 496, segnala « progetto • in alternativa a «materia » . I l V. sopra, a 9,4. è v che introduce l'espressione può avere valore causale, in connessio­ ne col precedente È:v àqlpocruvn. 3 V.

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PAOLO CHIEDE DI TOLLERARE LA SUA STOLTEZZA

1 8. bte:i 1tO ÀÀot xa.uxwna.t xa.'tà I aapxa. , xà:yw xa.ux�O"O[.La.t. Vantarsi può essere insensato, ma Paolo vi è costretto perché i suoi rivali lo fan­ no. Qui essi sono detti 1tOÀÀot, col possibile intento di indicarne il nu­ mero oppure di segnalare la gravità del pericolo che essi (a giudizio di Paolo) costituivano/ ma più probabilmente la parola è usata come una sorta di appellativo sprezzante, allo scopo di screditare le persone così designate.3 Essi si vantano xa.'tà aapxa.. Qualche esegeta vi scorge un rinvio al contenuto del vanto degli avversari: privilegi esteriori come ric­ chezza, nascita, o discendenza; 4 successi umani s o «manifestazioni esterne » e dimostrazioni carismatiche.6 Secondo altri l'espressione indi­ ca il modo di vantarsi, e sta in contrapposizione a xa.'tà xuptov del v. 1 7 e perciò in parallelo con i.v à:cppoauvYl di quel versetto. 7 Zmijewski rileva che privilegi esteriori come la discendenza sono menzionati solo all'ini­ zio del discorso vanaglorioso che segue. Se la locuzione riguarda il mo­ do di vantarsi, denoterà un atteggiamento egocentrico che porta all'elo­ gio di sé, cosicché il vanto in sé può avere contenuti diversi, come privi­ legi sia «spirituali » sia materiali.8 Per motivi linguistici è preferibile la seconda alternativa/ ma non c'è grande differenza, poiché di fatto l'una implica l'altra. '0 1 9. i)ÒÉwc; yàp à.véxea.fJe 'twv à.cppovwv cppovt(.Lot ov'te> .4 Può darsi però che chi ascoltò la lettura della lettera non abbia colto appieno l'ironia finché non sentì il seguito. 20. civÉxe:a-8e: yà.p e:r -tLc; U[J.Iic; xcncxòouÀoi, e:t -tLc; xcx-te:a-8te:L, e:t -ttc; Àcx[J.�a­ ve:L, e:t -tLc; in:cxipe:-tcxL, e:r ·ne; e:lc; n:poawn:ov U(J.a.c; òÉpe:L. «Savi» come sono, es­ si «tollerano» forme di comportamento che persone ragionevoli consi­ dererebbero intollerabili.S Enumerandone i singoli modi in un linguag­ gio forte, Paolo rivela l'ironia contenuta nella precedente definizione dei lettori come tppOVL[J.OL. Non v'è dubbio che a comportarsi così deplorevol­ mente siano i missionari rivali.6 Essi metaforicamente «rendono schia­ va » la comunità corinzia, imponendo la propria autorità sulla chiesa.7 Agiscono così in netto contrasto con il comportamento di Paolo (alme­ no per come lo vede lui) presentato in 1 ,24 e 4,5. 8 E «divorano » i co­ rinti, « se li mangiano completamente » . Si allude forse all'accettazione del mantenimento da parte degli avversari. Barrett traduce: «vi divora le sostanze » .9 Oppure potrebbe indicare semplicemente un comporta1 Il verbo à:vÉxEa.SE è da considerare indicativo, con Zmijewski, loc. cit., e con la mag­ gior parte dei commentatori. Bachmann, 3 80, lo ritiene imperativo, ma così ycip intro­ duttivo ha poco o nessun senso. Il participio ovnç è probabilmente causale: v. Zmijewski, Narrenrede, 208; cf. Plummer, 3 I 5 . 1 Plummer, loc. cit., individua i n > una persona se «è presuntuosa >> , > (È7t1Xtpe:­ T1Xt),9 ma l'ultimo punto richiede una disamina più approfondita. Se era difficile che i missionari rivali potessero i corinti in senso giuridico, potevano in senso proprio «colpirli al volto >> . Paolo intende dire che succedeva ? O parla in senso. figurato ? È difficile dirlo. Crisostomo propende per un'interpretazione figurata: Paolo si limita ad affermare che i suoi avversari disonoravano i corinti. '0 Allo stesso mo­ do, quando, in I Cor. 4,2 1 , chiede ai lettori se gradirebbero che egli arI Barrett, 29 1 , la accoglie come alternativa. 2 Furnish, 497, lo ritiene possibile. 3 Allo, 290. 4 C. Lattey, ÀrL!L�VEtv in 2 Cor. x1.20: JTS 44 ( 1 943 ) q8. 5 V. LSJ, s.v. ÀrL!L�vw, 1 . x .b: «prendere con violenza » . 6 Barrett, 288. 7 BAGD, s.v. ÀrL!L�vw, x .c. Questo è il significato fornito per l'occorrenza del verbo nel versetto in esame. 8 Per Plummer, 3 1 6, e Hughes, 400, l'idea è quella di catturare o intrappolare. E in BAGD, s.v. , x .c, l'accezione fornita per il verbo in 1 2, 1 6 è «catturare qualcuno con un inganno» . 9 V. BAGD, s.v. È7trLtpw, 2 . b � IO Chrys. Hom. in 2 Cor. 24,2 (PG 6 1 , s 66; NPNF XII, 3 92). .

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2 COR. 1 1 , 1 6-21

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rivasse Èv pci�òcp, «con un bastone » , non intenderà certo dire che inflig­ gerebbe loro una punizione corporale. I Altri commentatori ritengono nondimeno probabile che abbia in mente una vera e propria violenza fisica. Forse i missionari rivali colpiscono i corinti come colpirebbero uno schiavo. z. Può darsi che non fosse insolito che persone investite di auto­ rità ecclesiastica colpissero sulla bocca chi pronunciava espressioni em­ pie. Si pensi ad Atti 23 ,2, e si confrontino I Tim. 3,3 e Tit. 1 ,7.3 Cio­ nonostante, alla luce dell'amor proprio che animava profondamente i corinti ( I Cor. 4,6- 1o), sembra improbabile che essi avrebbero realmen­ te tollerato un comportamento simile. Si deve inoltre verisimilmente riconoscere che Paolo propone una sorta di parodia esagerata della con­ dotta dei suoi rivali. 4 Di conseguenza, anche se voleva lasciar balenare il senso letterale quando parlava di colpire al volto, è improbabile che pensasse davvero che i suoi rivali si comportassero così. 2 I a. XGt'ttX à:'tt(J.tGtV ÀÉyw, w dei suoi lettori nel «tollerare>> il com­ portamento prepotente dei missionari rivali, Paolo ritorna alla propria difesa personale, con una nota di biasimo che contiene essa stessa con ogni probabilità una punta di ulteriore ironia, la cui natura ed entità non è peraltro affatto facile da determinare. Vi sono tre questioni da con­ siderare: 1. all' lÌ'tt(J.tct di chi rinvia Paolo ? 1 1 . qual è il valore di wç o-tt, e come si collega con ÀÉyw che precede? m. quali sono le connotazioni di �a-8ev�xa(J.ev ? e il verbo esprime l'opinione dei corinti o la sua opinione di sé? I Windisch, 347, segnala questo parallelo e la sua possibile importanza per l'esegesi di questo versetto. Tra gli altri sostenitori di un senso figurato vi sono Tasker, 1 5 8; Bult­ mann, 2. 1 3 ; Zmijewski, Narrenrede, 2 1 2; Furnish, 497, e Wolff, 228. 1 Allo, 290 s. 3 Hughes, 400. Analogamente Manin, 3 6 5 , giudica quasi ceno che si intenda un vero e proprio colpire in senso fisico. Riconosce tuttavia che Paolo potrebbe utilizzare un'im­ magine vivida per indicare > . è

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CONFRONTO CON I RIVALI

te fui battuto con le verghe; una volta fui lapidato; tre volte feci naufragio - ho trascorso un giorno e una notte nell'abisso; 26 sovente nei viaggi, in mezzo a pericoli di fiumi, pericoli di banditi, pericoli dalla mia stirpe, pericoli dai gentili, pericoli in città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli tra gli pseudocristiani, 27 con lavoro e fatica, con frequenti notti insonni, in condizioni di fame e sete, di frequente a digiuno, al freddo e in nudità . 28 A parte il resto c'è la pressione quotidiana su di me imposta dalla mia sollecitudine ansiosa per tutte le chiese. 29 Chi è debole e io non lo sono ? Chi è indotto al peccato e io non ardo d'indignazione? 30 Se van­ tarsi è necessario, mi vanterò delle manifestazioni della mia debolezza. 3 1 Il Dio e Padre del Signore Gesù, che è benedetto per sempre, sa che non mento. 3 2 A Damasco l'etnarca del re Areta sorvegliava. la città dei damasceni per catturarmi. 3 3 E fui calato attraverso una finestra dentro una cesta lungo il muro e sfuggii alle sue mani.

Quali che siano i criteri di confronto adottati, Paolo può dimostrare di essere alla pari con i missionari rivali - anzi di essere loro superiore. Pari a loro per stirpe e discendenza, egli è incomparabilmente superiore come agente di Cristo. La sue fatiche per diffondere l'evangelo sono state più numerose. Durante la sua opera missionaria, inoltre, ha subito più spesso persecuzioni di più tipi, ha affrontato molti più pericoli po­ tenzialmente fatali. In aggiunta è oppresso senza sosta dalla preoccupa­ zione per le chiese che ha fondato. Il cenno all'ansia per le debolezze dei suoi convertiti lo conduce poi a pensare alla propria debolezza e .a richia­ mare un episodio specifico, lo scampato pericolo a Damasco. r r,22-23a come propositio. 1 Confronto con i rivali La breve sequenza di domande e risposte raggiunge il culmine n ell ' affer­ mazione di Paolo di essere superiore agli avversari come agente di Cri­ sto. Essa è il fondamento dell'argomentazione successiva. 22. 'E�paiot Elatv; xàyw. 'IapalJÀt't'at e:latv; xàyw. a7tÉp(J.a 'A�pali(J. e:l­ atv; xàyw. Paolo passa a specificare le affermazioni baldanzose dei suoi rivali, che egli stesso può fare (per stolto che sia il metodo), e si serve a questo scopo di una serie di domande retoriche che potenziano l'effetto drammatico del dissidio con gli avversari. 2 È evidente come la sequenr

Sundermann, Kraft der Rede, I 3 I- I 3 3 . Zmijewski, Narrenrede, 236. Plummer, 3 1 9, osserva che secondo qualche traduzione inglese anteriore alla KJV (come il N.T. di Wycliffe) Paolo fa semplici affermazioni ( « Essi sono ebrei. Anch'io•, e così via). Anche Prii mm, 640, interpreta così il versetto. Non ci sono ostacoli concreti a questa resa, ma dato il tono vibrato con cui Paolo si esprime per tutto il discorso dello stolto, è molto più probabile che l'interpretazione prevalente del 2.

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za di designazioni che costituiscono le rivendicazioni metta in risalto il dato di fatto che sia i missionari rivali sia Paolo stesso sono giudei, ma può darsi anche che ogni termine distinto abbia connotazioni particola­ ri che forniscano qualche informazione ulteriore sugli avversari dell'apo­ stolo e sulla loro concezione di sé. Nel caso di 'E�patot si sono ravvisate quattro possibili sfumature se­ mantiche. 1 . Questa designazione spetta ai giudei di nascita, distinti dai proseli­ ti.' Nell'A. T. «ebreo» è utilizzato per distinguere le persone di cui si par­ la da quelle di diversa nazionalità: si vedano, ad es., Gen. 40, 1 5 ; 4 1 , 1 2; 43,3 2.2. E l'accezione «giudeo di sangue puro» è attestata in Fil. 3 , 5 .3 Forse gli avversari di Paolo insinuavano dubbi sulla sua affermazione di essere giudeo, visto che era nato a Tarso.4 È l'interpretazione più sem­ plice, che tuttavia presenta qualche difficoltà. In alcuni contesti vetero­ testamentari la parola non ha un senso di orgoglio nazionale, ma può invece essere utilizzata con valore peggiorativo: così ad es. in Gen. 39,14· 1 7; Es. 1 , 1 6; 2,6.s Questo non è tuttavia un problema sostanziale, giac­ ché nella letteratura tarda 'E�pai'oç può per contro diventare un termine onorifico, come quando, ad esempio, è applicata ai martiri in 4 Macca­ bei: cf. 5 ,2; 8,2; 9,6. 1 8 .6 Vi sono però altre due difficoltà forse di mag­ gior peso. La prima è che un valore etnico di 'E�pai'oc; può non essere ap­ propriato all'uso del termine in Atti 6, 1 , in quanto è probabile che la maggioranza degli «ellenisti » (contrapposti agli 'E�pai'ot) fossero giudei in senso etnico tanto quanto lo erano gli «ebrei» . Che in 6,5 Nicola sia espressamente definito proselito sta a significare che nel gruppo dei set­ te gli altri non lo erano/ per cui è probabile che anche gli altri «elleni­ sti >> non fossero proseliti, bensì giudei della diaspora.8 La seconda diffi­ coltà si incontra in un passo in cui Filone, indubbiamente giudeo di na­ scita, sembra distinguersi da un gruppo che definisce 'E�pai'ot.9 versetto come successione di interrogative colga nel segno. Bultmann, Stil, 1 6. 70, se­ gnala che vi sono sequenze analoghe di domande e risposte in Epitteto e osserva, 23. 77, che, in particolare, sia Paolo (qui) sia Epitteto, Diss. 2,8,2, propongono una serie di do­ mande parallele con la stessa risposta: xtiyw in Paolo, !J."Ìj yÉvot-ro in Epittero. ' Tra i commentatori che reputano che sia almeno una parte del significato della parola vanno annoverati, ad es., Plummer, 3 1 9; Windisch, 3 50 s.; Furnish, 5 14; Martin, 374· 2 Plummer, 3 1 9. 3 Barrert, 29 3 , lo considera il valore fondamentale. 4 Hughes, 403 . V. anche Windisch, 3 5 2. 5 G. von Rad, « Hebraer» , in TWNT m, 3 59 · 6 K.G. Kuhn, s.v. 'E�pai�, i n TWNT m, 3 66-3 70, spec. 3 69. 7 Haenchen, Apostelgeschichte, 2 1 7. 8

Haenchen, Apostelgeschichte, 2 1 9 s.

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Si veda la prima citazione del punto 2.

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CONFRONTO CON I RIVALI

2. Coloro che si definiscono 'E�paim indicano così di parlare l'ebrai­ co o l'aramaico o entrambe le lingue. Si può sostenere che in altri passi neotestamentari la parola 'E�paioc; e i suoi corradicali sembrano impli­ care l'uso dell'aramaico. Che Paolo stesso, il quale si dice 'E�pai:oc; (Fil. 3 , 5 ), parlasse aramaico è attestato in Atti 2 1,40; 22,2; v. anche Atti 6,r; Gv. 5,2; I9,I 3 · I 7·2o; 20, 1 6. 1 Al di fuori del N.T. vi sono due occor­ renze in Filone ove gli «ebrei » sono contrapposti dal punto di vista lin­ guistico ad altri: wc; p.Èv 'E�patOt ÀÉ"(OUCrt fll avou�À, wc; ÒÈ ljp.e:tc; tÌ1tOcr"t'potp� .Se:ou «come dicono gli ebrei, 'Fanuel', come (diciamo) noi 'volgersi da Dio, )) ; 2. wc; p.Èv 'E�paiot e:t'ltOte:v &.v , A�pacip., wc; ò' &.v "EÀÀ l]Ve:c;, 'ltlX't'Épa Èx­ Àe:x't'ÒV iJxoUc; «come direbbero gli ebrei, 'Abramo', ma come (direbbe­ ro) i greci 'Padre eletto del suono' » ( LCL) .3 Si ha anche una pezza d'ap­ poggio epigrafica. Come segnalano vari commentatori, su un edificio a Corinto vi è un'iscrizione che con tutta probabilità originariamente reci­ tava cruvarwr� 'E�patwv. Può darsi che indicasse una sinagoga in cui le lingue utilizzate erano ebraico e aramaico, non greco. 4 Anche questa testimonianza non è decisiva. Che Paolo parlasse sia «ebraico» sia aramaico non dimostra che 'E�paioc; denoti di per sé un membro di un gruppo linguistico particolare. Negli Atti inoltre, fuor­ ché in 6, r, non è utilizzata la parola 'E�paioc; bensì la locuzione 't' 1J 'E�pat­ Òt ÒtaÀÉX't'> , quantomeno per le loro abilità retoriche. I

Lietzmann, 1 50; Barrett, 29 3 · Gutbrod, loc. cit. Tra i sostenitori di questo punto di vista generale Wendland, 24 1; Bultmann, 2 1 5 . 3 Gutbrod, s.v. 'E�paioc; (negli autori pagani ), in TWNT m, 3 74 s., spec. 3 74· In Pausa­ nia v. 5,7,4: Èv "ll Tll· · · -çj) 'Efjpaiwv, e 8,1 6,4 : Èv 'tj) 'E�atwv. 4 Gutbrod, 'E�aioc; (nel N.T. ), 3 9 2 s. 5 Bruce, 240 s. Egli dipende qui da W.C. van Unnik, Tarsus or ]erusalem. The City of Paul's Youth, London 1 962, 44 s. 5 2- 5 8 . Rinvia anche a Gerolamo, che nel commento su Filemone (v. 23 ) cita una tradizione (aiunt) secondo cui i genitori di Paolo proveniva­ no da Giscala in Giudea (così Gerolamo, ma Bruce colloca la località in Galilea), dopo che la regione era stata devastata dai romani. V. Hier. In Phlmn. 23 (PL 26, 65 3 ). È tut­ tavia dubbio, secondo Bruce, che si debba dare molto credito a questa informazione. 6 Gutbrod, 'E�paioc; (nel N.T. ), 3 9 3 · V. J.B. Lightfoot, Epistle to the Philippians, London 1 9 1 3 (rist. 1 9 6 1 ), 1 4 6 s. 7 Furnish, 5 14; Manin, 3 74· 2

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4· Giacché la parola greca con cui di solito si designavano i giudei co­ me gruppo etnico è 'louòaioc;, il termine 'E�paioc; deve esprimere la pecu­ liarità del popolo giudaico. Così afferma Georgi, 1 per il quale lo sfon­ do è da individuare nell'apologetica del giudaismo ellenistico, tesa a ren­ dere la specificità del giudaismo comprensibile ai non giudei e a presen­ tare la fede giudaica come universalmente valida. L'aggettivo 'E�paioc;, utilizzato per la lingua e la scrittura caratteristici dei giudei palestinesi, 2 finì per essere applicato più in generale alle loro peculiarità distintive geografiche e culturali,l come il passato storico della nazione 4 e l'inte­ ro stile di vita giudaico.5 Quando i missionari rivali a Corinto afferma­ no di essere «ebrei » , segnalano perciò di avere relazioni recenti con la Pa­ lestina e di conoscere l'ebraico o l'aramaico, e inducono anche ad aspet­ tarsi da loro qualcosa di particolare, sulla base della cultura e storia che rappresentano. 6 Queste osservazioni sono interessanti, ma sollevano vari interrogati­ vi: fino a che punto 'E�paioc; era diventato un termine composito, capa­ ce di possedere, in un singolo contesto, tutte le diverse connotazioni che si possono illustrare separatamente in fonti letterarie differenti ? Sembra che l'ipotesi esiga questa conclusione, che tuttavia non è suffragata con chiarezza. Anche se si dovesse dare una risposta soddisfacente al primo interrogativo, ci si dovrebbe ancora chiedere se i cristiani corinzi, se era­ no in gran parte gentili, avessero sufficiente familiarità con l'apologeti­ ca del giudaismo alessandrino per cogliere tutte queste sfumature seman­ tiche. In terzo luogo, ammesso che ne capissero alcune, quanto positiva­ mente saranno stati impressionati dalle rivendicazioni che ne scaturiva­ no? Ad esempio, non è detto che la padronanza di una lingua non gre­ ca come l'ebraico o l'aramaico sarebbe stata considerata una qualità da greci, che potevano definire �tip�apot chi parlava altre lingue. Questi in­ terrogativi non provano che l'ipotesi di Georgi sia errata, ma mostrano che è necessario un esame ulteriore. Per il momento rimandiamo una decisione definitiva sul senso miglio­ re da attribuire a 'E�paioc; in questo versetto/ È invece più agevole determinare il significato di 'IcrpalJÀt'tat. Può ave­ re una connotazione etnica, come in passi in cui è connesso all'idea del: Georgi, Opponents, 4 1 -46. Georgi, Opponents, 42, il quale osserva come l'Epistola di Aristea mostri che la scrit­ tura ebraica dava ai testi sacri del giudaismo un carattere eccezionale (Ep. Arist. 3,I I,JO, cf. 1 7 6) . 3 Georgi, loc. cit. 4 Georgi, Opponents, 43, segnala che secondo Artapano i giudei si definirono «ebrei » dall'epoca di Abramo in poi. 5 Georgi, loc. cit., rinvia a Philo Ios. 42; Abr. 2 5 1 . 7 V. sotto, pp. 759 s. 6 Georgi, Opponents, 4 5 · r

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la discendenza autentica da Abramo, ' ma denota soprattutto i membri del popolo santo di Dio, con tutti i privilegi religiosi che ciò compor­ ta . ._ Come osserva Gutbrod, questo traspare chiaramente in Rom. I I,I, dove alla domanda «Può Dio aver ripudiato il suo popolo? » Paolo re­ plica: « No di certo ! Anch'io infatti sono israelita >> .3 Più disparate sono d'altro canto le opinioni sul significato del terzo termine, cr1tÉp[.La. 'A�paa[.L. Si possono distinguere tre posizioni. I . Si parla di coloro che sono eredi delle promesse fatte da Dio ad Abramo.4 Se però ci si chiede di quali promesse precise si tratti, la rispo­ sta non è così ovvia. Plummer parla di promesse relative al messia, ma non produce rinvii specifici.5 In realtà nessun passo dell'A.T. che ripor­ ti una promessa divina ad Abramo dice alcunché su una figura messia­ nica ventura. Altri commentatori rimandano a diversi passi paolini che accennano a promesse abramitiche (Rom. 4, I 3 - I 8; 9,6-8; Gal. 3 , I 6r 8 ), 6 ma in questo contesto il titolo cr1tÉp[.La. 'A�paa[.L è anzitutto una de­ finizione che si arrogano gli avversari di Paolo, sicché non è il caso di ricorrere a passi fortemente impregnati della concezione teologica pro­ pria di Paolo per determinarne il significato. Si poteva ritenere che le promesse veterotestamentarie concernenti una discendenza numerosa fossero adempiute nella crescita numerica dei giudei nella diaspora, ma ciò non distinguerebbe i missionari rivali in modo speciale, e la promes­ sa della terra, di fronte all'occupazione romana della Palestina, non ave­ va raggiunto un compimento privo di ambiguità né riguardava diretta­ mente Corinto. Può darsi tuttavia che la promessa di un patto eterno fra Abramo e i suoi discendenti ( Gen. I 7,7) sia in qualche modo in re­ lazione con questa particolare designazione che i rivali di Paolo si attri­ buivano. Essi tentavano in definitiva di soppiantare a Corinto l'influen­ za dell'apostolo che sosteneva di essere il mediatore di un nuovo patto. L'affermazione di essere partecipi di un patto divino che risaliva diret­ tamente ai tempi dei patriarchi, per vago che fosse il modo di intendere questa partecipazione, si sarebbe potuta dimostrare un utile contrappe­ so all'autorità di Paolo. 2. Questa definizione serve a istituire una relazione fra i missionari rivali e l'impegno missionario del giudaismo ellenistico. In questo oriz' Windisch, 3 5 1 , segnala Rom. 1 1 , 1 ; 4 Macc. 1 8, 1 (fu 'twv 'A�pot(J-totiwv 0"1tEp(J-(hwv (Ì7toyo­ v. anche Furnish, 5 1 4· 2 V. ad es. Plummer, 3 20; Barrett, 293; Fumish, 5 1 4· 3 W. Gutbrod, s.v. 'lapotl]Ài'tlJ> presentano co­ me loro garanti. Questa spiegazione risolverebbe senza dubbio il pro­ blema in esame, ma è intrinsecamente improbabile. Come si è visto, il v. 2 1 si riaggancia in modo del tutto naturale ai vv. 1 8-20, che riguar­ dano i missionari rivali, ed è evidente che i vv. 22 s. seguono senza cesu­ re il v. 2 1 b.4 r Per Betz, Tradition, 97, Paolo parodia qui il motivo dell'encomio r.tpt tùyt-,d(Xc;. Ma per Wolff, 230 n. 240, questa interpretazione non tiene conto del profondo significato che aveva per Paolo essere giudeo (v. Rom. 9,1-5). Inoltre «parodistisch ware es, wenn Paulus sich einer niedrigen Herkunft riihmen wiirde » . Che una vera parodia di questo genere avrebbe richiesto che Paolo si vantasse di origini umili è di fatto attestato da Betz stesso (loc. cit. ), quando porta a esempio l'affermazione di Bione che il padre era pesci­ vendolo e la madre prostituta. V. anche J. Sanchez Bosch, L''Apologie Apostolique', in Lohse, Verteidigung, 43-63, spec. 5 2 s. 2 Su ÒLaxovoc; v. vol. 1, 2 5 6-258 e spec. 2 5 7 nn. 4-5, 2 5 8 n. 1 . Nell'uso sia religioso sia profano il senso fondamentale è «interpositore » . Paolo si considera un intermediario tra Dio e l'umanità, incaricato di trasmettere un messaggio da Dio. 3 V. sopra, pp. 750 s. n. 4· 4 In realtà Barrett stesso appare incoerente. Nell'introduzione (p. 30), dove parla dei «fal­ si apostoli », dice che costoro «devono essere stati giudei, e giudei che insistevano sulla

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1 1 . Forse Paolo cita la rivendicazione dei suoi rivali senza sottoscri­ verla (interamente): « in via d'ipotesi è disposto a riconoscere che in un certo senso essi siano ciò che sostengono di essere » . ' Questa è però una lettura piuttosto innaturale del v. 23 in relazione al v. 22. La domanda òtcixovot Xpta-toù e:latv; è un parallelo puntuale alle tre domande prece­ denti del v. 22, dove Paolo non nega che i suoi avversari siano autenti­ camente ebrei, israeliti e discendenti di Abramo, né si limita ad accettare che lo siano in via d'ipotesi. m . È affatto possibile che le due categorie 1 «fatica e lavoro » in apertura, è considerato da al­ cuni esegeti l'intestazione di quanto segue.� Non v'è dubbio che sia strut­ turalmente autonomo, separato per la mancanza di preposizione dalle espressioni successive, ma non funge da sommario di queste, che sem­ brano riguardare le circostanze in cui il lavoro avviene e che esso com­ porta, non i diversi aspetti del lavoro stesso. Ciò significa tuttavia che sussiste ugualmente un nesso logico, e che si può utilizzare il termine «in­ testazione » in senso un po' lato. La disposizione strutturale del versetto più plausibile è pertanto quella proposta da Windisch: X07t[JJ Xtxt (J-O'X,'l9[JJ iv à:ypu7tviatc; 7toÀÀaxtc;, iv Àt!J-> come consuetudine religiosa. Nono­ stante l'attribuzione di questa occorrenza al primo gruppo, è improba­ bile che Paolo parli di una mancanza di cibo totalmente involontaria, anzitutto perché l'espressione diventerebbe in tal caso una rnera ripeti­ zione di iv Àt !l �/ e poi perché in altri passi del N.T. il sostantivo Vl)a'tetcx e il verbo Vl)a'teuw sono utilizzati per il digiuno quale rito religioso vo­ lontario. 8 A detta di Allo, questo è il significato di Vl)antcx qui.9 Si po­ trebbe obiettare che sembra improbabile che la disciplina del digiuno compaia in un elenco di tribolazioni di un apostolo. Io È forse preferibi­ le adottare un'interpretazione intermedia . Paolo pensa a occasioni in cui restò volontariamente senza mangiare per dedicare più tempo al lavoro manuale o all'attività di evangelizzazione. I I L'astensione nel primo ca­ so sarebbe determinata dalla sua decisione di non prendere denaro dai corinti. 1 2 È quindi volontaria, e non è una manifestazione di ascetismo privato. Patire il freddo e non avere un abbigliamento adeguato, infine, r

Ebner, Leidenslisten, 1 4 2 s. Ebner, Leidenslisten, 1 4 3 , che rimanda a Epict. Diss. 1 ,7,30; J , 1 5 , I I . � 3 Ebner, loc. cit., con rinvio a Epict. Diss. 3 ,22,9 5 · 4 Ebner, /oc. cit. V. anche sotto, excursus 14, p . 7 8 5 . 5 Martin, 3 80; cf. Héring, 90. 6 Qui l'idea di Furnish che Paolo parli delle sue difficoltà come artigiano sarebbe valida. 7 Plummer, 3 28; cf. Meyer, 4 5 1 , e Barrett, 3 00. 8 V. vol. I, 474· 9 Allo, 298. I O Plummer, 3 28; Héring, 90; Zmijewski, Narrenrede, 263 . 1 1 Plummer, 3 28. I 2 Barrett, 300.

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sono anch'essi da ricondurre, secondo Furnish,' alla pratica del lavoro manuale: l'espressione può indicare il vestiario insufficiente che toccava in sorte agli artigiani. 1 Paolo forse ha in mente questo, ma potrebbe an­ che pensare a condizioni climatiche di viaggio sfavorevoli, per le quali mancava di abiti adatti che tenessero caldo.3 Furnish rileva infine che alcune di queste tribolazioni dell'elenco di Paolo, ossia freddo, fame e se­ te, sono considerate da Dione Crisostomo difficoltà che il «nobiluomo >>4 affronta. Se ne deve tener conto quando si considera l'interpretazione di questa sezione nella sua globalità. 28. 'X,Wptc; -.wv 7ta.pe:x-.òc; i) È1ttcna.atc; 5 !J.Ot 6 i) x.a.-8' lJ!J.Épa.v, i) !J.Épt(L va. 1ta.­ awv 'tWV ÈXXÀTjatwv. Dalle tribolazioni fisiche Paolo passa agli affanni che patisce come fondatore di chiese. Il senso generale è chiaro, ma vari punti specifici necessitano di approfondimento. Il primo è se xwptc; -.wv 7tape:x-.oc; sia da unire a ciò che precede o a ciò che segue. 7 Ritengo, con la maggioranza dei commentatori, che graviti sul prosieguo. Ma che co­ sa significa esattamente -.wv 7ta.pe:x-.oc;? Secondo BAGD, la parola 7ta.pe:x­ t6c;, se utilizzata come avverbio, significa: 1. «inoltre » , o n. «fuori» . In questo versetto dunque l'espressione vorrebbe dire «ciò che non men­ ziono » o «ciò che è esterno » . L'interpretazione di 7ta.pe:x-.oc; nella secon­ da accezione gode di qualche sostegno: così KJV ha / ma Plummer ha probabilmente ragione a sottolineare che esso sarebbe pos­ sibile soltanto se al posto di (1-0t si accettasse la lezione (1-0u, 6 altrimenti l'espressione vorrebbe dire « l'attenzione prestata a me •• (non « la mia attenzione per qualcun altro>• , che è senza dubbio il senso richiesto)/ Potrebbe esservi una difficoltà analoga con l'accezione « sorveglianza••, mentre «intralcio •• ha probabilmente un senso troppo ristretto. Con la maggioranza dei commentatori opto per la resa «pressione >> . 8 Questa pressione quotidiana della responsabilità viene poi definita ul­ teriormente come Tj (1-Épt(l-vct 7tctawv 'twv ÈxxÀ YJO'twv.9 Il termine (1-Épt(l-vct ha I Questa interpretazione è sostenuta, per es., da Windisch, 3 6o; Allo, 298; Héring, 90; Bultmann, 2 1 8; Furnish, 5 1 2. s.; Martin, 3 67; v. anche RSV, NRSV, BCN. 2 Allo, 298; cf. Héring, 90, e Filson, 402. 3 Zmijewski, Narrenrede, 268 s.; per la definizione v. BDF, § 495; un uso analogo di que­ sto accorgimento stilistico si trova in 9,4 (v. sopra, p. 597 n. 5 ). Furnish, 5 1 9 , segue Zmi­ jewski. 4 Zmijewski, Narrenrede, 269. 5 Meyer, 4 5 1 . 6 Plummer, 3 2.9. 7 Il sostantivo bda-riXal> nel primo senso a condurre alla domanda della seconda metà del versetto. In I Cor. 8 Pao­ lo prospetta la possibilità che il «debole» cada nel peccato grave seguen­ do l'esempio della persona «esperta >> ( I Cor. 8,Io s.) e afferma che egli non mangerà mai carne se così facendo potrebbe indurre il fratello a pec­ care: Òto7te:p e:l �pw!J-a axavÒaÀt�e:t -.òv tiòe:Àrpov 2 !J-Ou, où !J-� rptiyw xpÉa e:lç tÒv alwva ( I Cor. 8,I 3 ) . La possibilità che un credente sia spinto al pec­ cato 3 è certo più generale rispetto alla situazione specifica contemplata in 1 Cor. 8, e in questo contesto includerebbe il tipo di seduzione di cui Paolo tratta nella prima parte del capitolo (vv. I -4). Se accade un fatto simile, egli «arde» dall'emozione.4 Nella fattispecie si tratta molto prol

V. Furnish, 5 3 8. 2. V. BAGD, s.v. crxctvòctì.. tl;w, x .a: .5 Ma che cosa significa ciò nella situazione corinzia ? Paolo è impegnato in una competizione con i suoi avversari riguardo alla leadership. Per lui, che rovescia gli ideali della classe elevata, il leader autentico è uno ((il cui status debole deriva da una sottomissione alle difficoltà» .6 Nel suo caso egli si dimostra vile sfuggendo ad Areta. L'intero catalogo va inol­ tre letto analogamente. Il modello di leadership che Paolo adotta è dun­ que quello del .? Questa ipotesi non convince. Lambrecht formula alcune critiche per' Si dovrebbe supporre che gli avversari li avessero informati di questo uso e di questo re­ ferente. Ma come si concilierebbe questo con quella che appare una citazione degli avversari in 1 0 ,1 0 (col senso peggiorativo usuale di à:o-..9Ev�ç) ? :z. Furnish, 5 1 9 s. 3 Too Weak, 270 n. 3 5 , dove rimanda a Theissen, Social Setting, 1 2 1 - 1 4 3 , sulle conno­ tazioni relative allo status dei derivati da à:o-&v-. 4 Qui c'è una variante che Andrews omette di citare. 5 Andrews, Too Weak, 27 1 . 6 Andrews, Too Weak, 274. 7 Andrews, Too Weak, 27 5 .

CONFRONTO CON I RIVALI tinenti. 1 Anzitutto I I ,29 non riguarda lo status ma dà piuttosto un esem­ pio specifico della pressione e dell'ansia menzionate nel v. 28. In secon­ do luogo l'interpretazione di 7tupou(J.a� è improbabile: Paolo parla del suo senso di indignazione. In terzo luogo - e quel che più conta - non vi è se­ gno che l'apostolo soccombesse remissivamente alle prove: , che senza dubbio egli utilizza. Qual è dunque l'oggetto di questa vigorosa asserzione della veridici­ tà di Paolo? Secondo un'ipotesi, egli garantisce che risponde al vero l'elenco di tribolazioni precedente.3 Ma se fosse questa la funzione del v. 3 1 , ci si aspetterebbe di trovarlo subito dopo il v. 29.4 È più proba­ bile che sottolinei la decisione di Paolo, espressa nel v. 30, di limitarsi al tipo paradossale di vanto che sfocerà nell'umiliazione di sé, il vantar­ si della debolezza. s Egli si distinguerà così dai missionari rivali. 6 Que­ sto tipo di vanto è tanto paradossale che sembra richiedere la conferma fornita dal v. 3 1 . 1 1,3 2

s. Fuga da Damasco

Con la maggioranza dei commentatori respingo l'ipotesi che questi ver­ setti siano interpolati. Fu avanzata da Schmiedel, secondo cui i lettori di Paolo non avrebbero riconosciuto nell'esperienza visionaria di 1 2,2-4 una dimostrazione della debolezza di cui parla nel v. 3 0. Egli suppose quindi che un interpolatore avesse aggiunto i vv. 3 2 s. per fornire quan­ tomeno un esempio di un' &a.fJÉve:tcx siffatta.7 Come rileva Windisch, que­ sti versetti non costituiscono d'altronde un esempio molto evidente, giac­ ché dopotutto la fuga riuscì. 8 È vero che Paolo pare utilizzare il raccon­ to in questo senso. Ma l'idea sarebbe venuta spontaneamente ad altri? 3 2 s. Èv Llcx�J-cxaxtfi b È.fJvapxTJç 'ApÉ"tcx "tou �cxatÀÉwç Ètppoupe:t "t�v 7toÀtv Lla­ fJ-110'xTJvwv 7ttaacxt !J.E/ xcxt òtà .fJupiòoç Èv acxpyavTl È"X,cxÀaa.fJYJv òtà "tou "te:i­ xouç Xl1t È�Étpuyov "tàç 'X,Etpcxç aÙ"tOU. Quattro sono i punti da trattare: I. l'in­ tento di Paolo nel narrare questo episodio; 1 1 . lo sfondo storico generale; m. la questione esegetica principale, vale a dire il significato di È.fJvapxr,.:; qui, e IV. il rapporto fra il racconto di Paolo e la narrazione parallela di Atti 9,23-25.

Barrett, 5 8 . Cranfield, Romans, 73 8 . 3 Windisch, 3 6 2 s.; Tasker, 1 67. 4 Meyer, 456. 5 Per Furnish, 540, il v. 30 è il referente primario; così anche Martin, 3 84. 6 Furnish, loc. cit. 7 Schmiedel, 29 1 . 8 Windisch, 3 64. 9 Una serie di testimoni (� D2 (F G) H lf 0 1 2 1 a 0243 '1Jl syh bo) reca fJÉÀwv dopo (J.E. È più probabile che in origine fosse assente (B o• sa.). fJÉÀwv può essere stato aggiunto per porre in rilievo che Areta non riuscì ad arrestare Paolo. 1

2

2 COR. 1 1 ,22-3 3

79 3

1. Il fatto stesso che sia stata postulata un'interpolazione richiede che chi accetta l'autenticità di questi versetti spieghi perché Paolo racconta qui questo episodio. Ci sono varie ipotesi. a) L'episodio era connesso da un punto di vista temporale al fatto nar­ rato in 1 2, 1 -4 . ' Paolo tuttavia non ha raccontato esperienze in successio­ ne cronologica, e inoltre tra la fuga dall'etnarca di Areta e la redazione di 2 Cor. 1 0- 1 3 erano trascorsi probabilmente più di quattordici anni.� b) Questi versetti costituiscono un supplemento dell'elenco precedente di pericoli mortali affrontati dall'apostolo. Egli menziona l'avvenimento perché fu la prima volta in cui nell'esercizio apostolico la sua vita era sta­ ta messa a repentaglio.3 L'ipotesi non convince del tutto. Si potrebbe obiettare che non si pone in risalto il pericolo corso da Paolo bensì la sua fuga." L'elenco di tribolazioni testimonia inoltre un'elaborazione accu­ rata e sarebbe perciò alquanto strano trovare dopo una sorta di postilla che tratti un punto omesso in precedenza. I due versetti non presentano peraltro lo stile dell'elenco, che consiste in una casistica succinta e gene­ rale di rischi, non in resoconti particolareggiati di episodi specifici. E infi­ ne li separa dall'elenco il v. 3 0 . c) L'episodio vuoi essere un esempio di debolezza, perché i mezzi di fu­ ga non furono quelli di una persona coraggiosa.5 Che il racconto segua i vv. 30 s. fa pensare che « sia una storia sull'umiliazione di Paolo, non sul suo eroismo» . 6 Questa interpreta� ione gode di notevole sostegno.7 Ma la fuga dell'apostolo non potrebbe invece essere giudicata un atto di co­ raggio ? 8 d) Paolo è costretto a menzionare l'evento perché era stato usato con­ tro di lui? Forse gli avversari dicevano che non si era trovato in un reale pericolo e che la fuga era dovuta a vigliaccheria.9 Egli mostra che invece vi fu di fatto un rischio serio. 10 Ma l'episodio, che ebbe luogo molto pre­ sto nella biografia cristiana di Paolo, era così notorio da essere utilizzato in questo senso ? Nulla nel modo di raccontare la vicenda lascia pensare che fosse stata sfruttata dai suoi critici. ' ' r Osiander, 44 7. 2 jewett, Dating Paul's Life, nella tavola conclusiva colloca il primo avvenimento nel 3 7 d.C. e il secondo negli anni 5 5-56. Liidemann, Pau/, Apostle to the Genti/es, 262 s., im­ magina un intervallo di 1 7 anni. 3 Wendland, 243 ; cf. Hughes, 422; Strachan, 28 s. 4 Furnish, 540. 5 Bachmann, 3 8 7 . 6 Furnish, 541 s., spec. 542. 7 V. ad es. Allo, 3 00 s.; Hughes, 422; Barrett, 304. 8 Windisch, 3 6 3 . 9 Bousset, 209; Plummer, 3 3 2 s. 1 0 Bousset, /oc. cit.; Plummer, 3 3 3 ; v. anche Strachan, 28. I I V. Bultmann, 220, su questa seconda obiezione; Furnish, 5 4 1 , concorda con lui.

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PRESENTAZIONE DELLE CREDENZIALI APOSTOLICHE

e) Egli riporta l'episodio qui, e non entro la cornice dell'elenco di tri­ bolazioni, per porlo in contrasto col racconto successivo della sua ascesa al terzo cielo ( 1 2,2-4). Il soggetto di questa esperienza ineffabile era la stessa persona che si era prestato a una poco onorevole discesa nel fuggi­ re da Damasco. Umanamente parlando, egli è debole. 1 Questa ipotesi non manca di attrattiva, ma ci si aspetterebbe che il rapporto antitetico fra «discesa » e « ascesa » fosse segnalato più apertamente.� f) Ci si trova qui di fronte a un rovesciamento del motivo della «co­ rona murale >> romana, la ricompensa assegnata a chi scalasse per primo le mura nell'assalto a una città.3 L'intento di Paolo potrebbe quindi es­ sere di ridicolizzare il vanto in generale 4 - presumibilmente con una sor­ ta di parodia del tipo d'impresa che di norma sarebbe stata considerata un soggetto adatto per l'ostentazione di sé. Ciò è senza dubbio possibile, anche se, pure in questo caso, non vi sono indicazioni chiare nel testo.5 g) Paolo ha forse in mente le parole di Prov. 2 1 ,22 sul sapiente che «sa dare la scalata a una cittadella di guerrieri>> (JB). Può darsi che egli inten­ da tracciare un'antitesi fra avversari che si consideravano sapienti (co­ me pure i corìnti - 1 1 , 1 9 ) e se stesso: «essi scalavano le mura della città dei potenti; egli riuscì soltanto a essere calato in una cesta da pesca >> . Si servirebbe del racconto per mostrare che fu Dio a sal vado. 6 Quando in precedenza ha utilizzato questo versetto dei Proverbi ( 10,4 s.), era però lui ad attaccare fortezze.! Senza una indicazione specifica, è difficile ca­ pire come ci si potesse aspettare che i lettori cambiassero ora prospetti­ va così da applicare la stessa immagine a un referente diverso. h ) Questi versetti possono assolvere una funzione particolare nel com­ plesso del discorso. Posti dopo quello che può essere ritenuto il principio formale che lo governa interamente (vv. 30 s.), essi costituiscono l'ele­ mento di connessione fra la prima e la seconda grande sezione, perché da una parte riprendono il contenuto dell'elenco di tribolazioni, presentan­ do un esempio particolarmente significativo, dall'altra la forma narrati­ va serve da transizione a quanto segue. 8 Ma se, come si è qui sostenuto, il v. 30 costituisce il punto di transizione dalla prima alla seconda sezio­ r

Hughes, 422. Cf. Fumish, 540: «Ci si aspetterebbe una notazione di raccordo sostanzialmente diver­ sa da quella fornita in 1 2, 1 » . 3 L'ipotesi è segnalata da Furnish, 542, e d a Martin, 3 84, i quali rinviano entrambi a E.A. Judg�, The Conflict of Educational Aims in New Testament Thought: Journal of Chris­ tian Education 9 ( 1 9 66) 3 2-4 5, spec. 44 s., e a Travis, Paul's Boasting, 5 3 0. Si veda Furnish per maggiori particolari su questa usanza. 4 Martin, 3 84. 5 Furnish, loc. cit., rileva tuttavia che i corinti, vivendo in una colonia romana, avrebbero avuto dimestichezza con questa pratica. 6 Martin, 3 84 s., spec. 3 8 5 . 7 V. sopra, a 1 0,4a. 8 Zmijewski, Naffenrede, 2 8 8 s. 2

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79 5

ne del discorso (più che esprimere il principio applicabile a entrambe le parti), 1 è dubbio che in questi versetti successivi si possa scorgere sul pia­ no strutturale il nesso che le collega. Dalla varietà e dal numero di queste ipotesi risulta chiaro che non è fa­ cile decidere come i vv . 3 2 s. siano da mettere in relazione con l' argomen­ tazione complessiva di Paolo. Alcune spiegazioni sono tuttavia più plau­ sibili di altre. La più probabile, perché si inserisce meglio nel contesto im­ mediato, è la terza delle possibilità menzionate sopra: l'episodio è un esempio della debolezza di Paolo. Se con esso egli avesse voluto illustrare non la debolezza ma il coraggio, avrebbe certamente posto in risalto la sua iniziativa personale nel progettare la fuga, mentre ix.aJ..acr.STjv com­ porta che essa venne agevolata da altri cristiani della città. È possibile che egli abbia in mente anche l'elemento indicato come sesta possibilità: la sua fuga fu una parodia del conseguimento della «corona murale» , e quindi il suo racconto è una denigrazione implicita' del vanto terreno. 11. Può essere utile tratteggiare ora lo sfondo storico generale. Areta è Areta IV di Nabatea, il cui regno durò dal 9 a.C. a una data fra il 3 8 e il 4o d.C.,2 e il cui regno si estese fino ai dintorni di Damasco.3 La figlia era stata moglie di Erode Antipa, che aveva divorziato da lei per sposa­ re Erodiade. Di conseguenza Areta approfittò di una controversia sui confini per marciare contro le forze di Antipa e sconfiggerle. 4 Egli all'ini­ zio avrà temuto rappresaglie da parte di Roma, poiché i conflitti militari fra re clienti erano disapprovati, e in questa situazione doveva essere assai maldisposto verso i giudei, che erano all'origine, nella persona di Erode Antipa, delle preoccupazioni di Areta.5 I suoi sudditi ne avranno condiviso i sentimenti/ e sebbene l'apprensione possa essere diminuita con il passare del tempo, 7 può darsi che tracce residue di inquietudine e ira siano perdurate fino al periodo in cui Paolo arrivò a Damasco, visitò il territorio nabateo e ritornò in città. Areta ha avuto in qualche momento il dominio politico sulla città di Damasco? Può fasciarlo pensare ciò che dice il testo delle attività del suo etnarca . La città era però di Roma fin dai tempi di Pompeo nel 66 a.C. 8 Se Areta ne aveva ottenuto il dominio temporaneo, com'era accaduto? È r

V. sopra, a I I ,3o. >. Jewett, Dating Paul's Life, 30, opta per il 3 9 d.C., come Murphy-O'Connor, Paul, 5 · Furnish, 5 5 2., e Riesner, Friihzeit, 67, preferiscono il 4 o d.C. 3 Bruce, 2.44. 4 Taylor, Ethnarch, 72.7, e Murphy-O'Connor, Pau/, 8 2., .datano questo episodio al 2.9 d.C. Entrambi rinviano a C. Saulnier, Hérode Antipas et ]ean le Baptiste. Quelques re­ marques sur les confusions chronologiques de Flavius ]osèphe: RB 9 1 ( 1 9 84) 3 62.-376. 6 Murphy-O'Connor, Pau/, 84. 5 Murphy-O'Connor, Pau/, 83 s. 8 Bruce, Galatians, 96. 7 Murphy-O'Connor, Pau/, 90.

79 6

PRESENTAZIONE DELLE CREDENZIALI APOSTOLICHE

improbabile che l'avesse presa con la forza militare, tenuto conto della presenza deterrente delle legioni romane di stanza in Siria, e pure che il potere gli fosse stato conferito da Tiberio, che non vedeva di buon occhio i regni clienti. 1 Ma vi potrebbe essere stato un passaggio di potere nel 3 7 d.C. con l'ascesa al trono di Gaio," il quale all'inizio capovolse la politi­ ca di Tiberio e reinsediò i sovrani alleati nell'area orientale dell'impero.' Gaio inoltre aveva motivi per mostrarsi riconoscente ad Areta, il quale aveva aiutato suo padre Germanico.4 È forse significativo che a Dama­ sco siano state rinvenute monete romane coniate per i regni di Augusto e Tiberio e anche per quello di Nerone, ma nessuna per i regni di Gaio e Claudio, gli imperatori intermedi.s Potrebbe essere peraltro un puro ca­ so. 6 O si era forse reso necessario lo specifico passaggio di potere di cui si è detto ? Mommsen, il quale postula un sistema di doppia autorità che sarebbe stato in vigore prima che il potere romano si estendesse sulla Si­ ria, rileva che sotto gli ultimi seleucidi Damasco si sottomise al domi­ nio del re nabateo, e ipotizza che questo stato di cose sia perdurato. È quindi possibile che sotto l'autorità romana, il re nabateo, come «prin­ cipe vassallo », abbia continuato a godere di notevole autonomia.? Re­ sta tuttavia il fatto che le monete romane non recano attestazioni di un sistema di questo tipo. Nel caso di altri stati vassalli, a quel che sembra, sulle monete si alluderebbe al principe cliente. 8 Mancano prove esterne in un senso e nell'altro, e si è costretti a tornare al testo paolino. m. All'interno del testo il termine controverso e fondamentale è È-8vtip­ 'X.l'Jc;. Vi sono testimonianze esterne di vari usi del termine. Potrebbe indi­ care un capotribù.9 Durante l'età maccabaica, ad esempio, sotto il regi­ me siriaco, è riferito a Simone al governo dei giudei: egli dev'essere som­ mo sacerdote, comandante militare (a"t'piX"t'lJ")'Oc;) ed etnarca (È-8vtipX,lJc; "t'wv Jewen, Datig Pau/'s Life, 3 I s. Plummer, 3 3 3 ; Allo, 3 0 I ; Ogg, Chronology, 22; Jewen, Dating Pau/'s Life, 3 2. 3 Allo, loc. cit.; Furnish, 5 22; Jewen, loc. cit. 4 Murphy-O'Connor, Pau[, 7, che rimanda (n. 28) a Tac. Ann. 2,57; Taylor, Ethnarch, 726 n. 2 5 . 5 I l fano è segnalato d a Plummer, 3 3 3 , Martin, 3 8 5 , e d a altri commentatori. 6 Martin, loc. cit.; Lietzmann, I 5 2; Barren, 303. Riesner, Friihzeit, 72, rileva una penu­ ria di testimonianze numismatiche per i regni di Tiberio e Nerone, e un'assenza totale di monete nabatee fra il 3 7 e il 62/63 d.C. 7 Theodor Mommsen, The Provinces of the Roman Empire n, London 1909, 148 s. Co­ stituisce una difficoltà per la nostra disamina la tendenza degli storici romani a servirsi di questo testo proprio per dimostrare il dominio nabateo: v. Mommsen, loc. cit., e A.H.M. Jones, Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 1971, 290 s. 8 Ogg, Chronology, 2 1 . 9 Plummer, 3 3 4, e Windisch, 3 66, che rimandano a d attestazioni epigrafiche. r

2.

·

2

COR. I I ,2 2- 3 3

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'Iouòcxiwv)..' Ad Alessandria vi era inoltre un etnarca giudaico con com­ petenza sui numerosi giudei che vivevano nella città. 2 Quali sono dun­ que le possibilità di identificare l'etnarca di Areta ? a) Era l'etnarca giudeo di Damasco, equivalente all' è.SvcipxlJç di Ales­ sandria e a funzionari analoghi in altre città.3 È improbabile, perché dif­ ficilmente Paolo avrebbe designato una persona con questo incarico co­ me « l'etnarca di Areta » .4 b) Costui era un capo nabateo che operava fuori di Damasco e vigi­ lava sugli accessi alla città ? 5 Anche questa soluzione presta il fianco a obiezioni. Se gli uomini dell'etnarca erano all'esterno, Paolo sarebbe sta­ to più sicuro dentro.6 Per citare Jewett, «sarebbe assurdo calarsi oltre le mura per finire in mano a una forza che accerchiava la città e non avreb­ be potuto recare danno al suo interno » .? E il tentativo di fuga di Paolo sarebbe stato certamente scoperto. 8 È inoltre assai dubbio che i romani avrebbero tollerato la presenza di una forza consistente di arabi im­ mediatamente fuori delle mura della città e che controllava le strade di accesso/ Riesner per di più sottolinea che dal 2 a.C. i nabatei non era­ no più nomadi ma costituivano la classe dirigente ellenizzata del regno. L'etnarca non era il capo beduino che questa ipotesi tende a presuppor­ re. I o j. Taylor osserva che dicendo > . 1 0 1 Murphy-O'Connor, Pau/, 84, ipotizza un'opposizione a un nuovo tipo di giudaismo in relazione a una visita di Paolo in Arabia successiva al suo primo arrivo a Damasco, ma potrebbe valere anche per un periodo un po' più tardo. :1. Meyer, 4 5 8 ; Murphy-O'Connor, Pau/, 6. 3 Riesner, Fmhzeit, 78. 4 Riesner, Frnhzeit, 229-2 3 1 , respinge l'idea che Paolo fosse andato in Arabia per scopi mJssJonan. 5 Riesner, Frnhzeit, 76 s. 6 Murphy-O'Connor, loc. cit.; Ogg, Chronology, 19. 7 Plummer, 3 3 3 s.; Allo, 301; Martin, 3 8 5 ; Murphy-O'Connor, loc. cit. 8 Riesner, Frnhzeit, 74· 9 Taylor, Ethnarch, 723 s. ro Murphy-O'Connor, Pau/, 6; Meyer, 4 5 8, commenta: «Paolo non avrebbe avuto mo­ tivo alcuno per aggiungere 'ApÉ-r11 -roù [3aatÀÉw> aiutano Paolo a fuggire, mentre Paolo non lo dice, sebbene sia stato senza dubbio aiutato. Egli chiarisce come avvenne la sua fuga con l'espressione > (acxpyav'Yl in Paolo, a7tuplt; negli Atti). Negli Atti si an­ nota che la fuga avvenne «di notte>> , e si registra anche l'intensità della vigilanza: «giorno e notte>> . r

2

Murphy-O'Connor, Pau[, 89 s. V. Jewett, Dating Paul's Life, 3 1 , sulla posizione strategica di Damasco.

800

PRESENTAZIONE DELLE CREDENZIALI APOSTOLICHE

Come spiegare dunque il rapporto fra questi due passi ? Considerate le differenze, è improbabile che l'autore degli Atti citi dalla lettera pao­ lina. I La soluzione deve essere più complessa. Secondo Burchard, Luca attinse il suo resoconto da qualche fonte appartenente alla tradizione della missione paolina, che deve in definitiva risalire al passo della se­ conda lettera ai Corinti. Solo però ad Atti 9,24b-25 è sottesa una tradi­ zione già formulata. Il resto è composizione lucana, anche se dipende da alcuni dati supplementari tràditi. 1 Questa ipotesi parrebbe motivare adeguatamente le affinità e le differenze fra Paolo e gli Atti. Mette con­ to rilevare che la discrepanza più significativa, sull'identità dei persecu­ tori di Paolo, esula da quella che C. Burchard considera una tradizione formulata . La presenza in Luca dei giudei è allora dovuta interamen­ te alla sua redazione, o ha un fondamento nel fatto come è stato tràdito? Nel secondo caso è possibile armonizzare i due racconti ? Qualche com­ mentatore ci ha provato.3 È forse più probabile d'altro canto che sia stato Luca a interpretare la minaccia a Paolo come proveniente dai giu­ dei. Per citare Barrett, «Bisogna presumere che Paolo sapesse chi dove­ va temere. Probabilmente Luca non conosceva la fonte delle minacce che portarono alla fuga di Paolo ed era semplicemente troppo incline a imputare ai giudei ogni manifestazione di malanimo nei confronti dei cristiani» . Non è verisimile - commenta inoltre Barrett - che vi fosse stata una collusione tra giudei e nabatei.4 L'argomentazione può del re­ sto rivelarsi non del tutto inoppugnabile. Un etnarca nabateo che gover­ nava l'intera Damasco sarebbe stato costretto a tener conto delle prote­ ste giudaiche, quali che fossero le sue opinioni sui giudei,5 e l'appren­ sione per la reazione dei romani a disordini civici avrebbe di gran lunga prevalso su una tendenza a trascurare gli interessi giudaici. Non è del tut­ to inammissibile supporre che potesse esservi un elemento di verità nel­ la notizia lucana di un coinvolgimento dei giudei nelle minacce a Paolo.

C. Burchard, Der dreizehnte Zeuge (FRLANT 103), Gottingen 1970, 1 5 5 . Burchard, Zeuge, 1 5 J . 1 5 8. 3 V. Hughes, 424, che tuttavia si basa sull'ipotesi secondo cui l' è-Bvap"X,'fl , l'inizio del versetto va tradotto: « Conoscevo in Cristo, quat­ tordici anni fa, un uomo . . . >>, che è una resa meno naturale di quella con­ sueta « un uomo in Cristo >> . Se si deve rigettare l'opinione comune, l'uni­ ca alternativa plausibile sarebbe l'interpretazione proposta da Goulder: Paolo parla dell'esperienza di un amico cristiano.7 Questi sono gli argo­ menti fondamentali. L'interpretazione naturale dei vv. 5 s. comporta che la persona in questione sia qualcuno diverso da Paolo stesso, che viene identificato come cristiano con la locuzione Èv Xpta-r�. A quest'uomo, rapito al cielo, era stata concessa una visione, una Ò1t-raaia. Rinviando al v. 1 Goulder sostiene che le «visioni» sono da tenere distinte dalle «ri­ velazioni >> . L' òmaaia è l'esperienza più sublime, 1' &:7toxaÀuljJtc; è meno 1 Per Betz, Tradition, 84, per quanto la parodia miri a suscitare il riso, non è questo il suo vero scopo. Ma quando fornisce esempi (84 s.), parla di derisione. Cf. Wolff, 24 1, il quale dubita che Paolo includerebbe in una parodia la proclamazione della grazia divina del v. 9a, che era giunto a reputare fondamento della sua intera esistenza apostolica. 2 Chrys. Hom. in 2 Cor. 26,1 (PG 6 1 , s76; NPNF XII, 399). 3 Furnish, s 24. 4 L. Herrmann, Apollos: RSR so ( 1 976) 3 30-3 3 6. L'affinità consiste nell'apparente col­ locazione del paradiso nel terzo cielo in entrambe le opere. 5 Si veda l'introduzione di F.l. Andersen in OTP 1, 9S s. 6 L'ipotesi è proposta da Morton Smith, Ascent to the Heavens and the Beginning of Christianity: Eranos so ( 1 9 8 1 ) 403-429, spec. 42s-429. 7 Michael Goulder, Vision and Knowledge: JSNT s 6 ( 1 994) 5 3 -7 1 , spec. s 3 - s 8 .

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DEBO LEZZA E VANTO

potente. E quando Paolo parla chiaramente dei propri stati di estasi, ri­ corre « sempre » al termine IÌ:1toxciì.u'ftc;: così Gal. 1 , 1 2; cf. 1 , 1 6; 2,2. Que­ sto è il vocabolo che usa «per le comunicazioni divine, uditive o visive ( I Cor. 9,2; 1 5 ,8 ) » . 1 Il rapimento in cielo avrà comportato una visione del trono di Dio, per la quale il termine appropriato sarebbe Ò1t'tetcrta, che Paolo non utilizza riguardo a sé. Il visionario era pertanto una persona diversa dall'apostolo. Così Goulder. Ma la sua argomentazione lingui­ stica è tutt'altro che convincente, in quanto è inesatto affermare che Paolo si serve «sempre » di IÌ:1toxciì.u'ftc; per designare rivelazioni divine accordate a lui. In I Cor. 9,2 dice di aver «visto » , Mpaxa, il Signore, e in 1 5 ,8 che il Signore gli «apparve ,,, wc:p.SlJ. Queste parole nulla hanno a che fare con i termini derivati da tÌ:1toxaÀu1t-; al contrario, il verbo wc:p-8YJ può avere un nesso quantomeno indiretto con Ò1t'tetcrta, visto che funge da aoristo passivo di Ò1t'tclVO(J-ett/Ò1t'ta�o(J-ett, dei quali Ò1t'tetcrta è corradi­ cale. 2. Goulder stesso constata che in Atti 26, 1 6.20 [sic] l'apparizione del risorto a Paolo è descritta valendosi di questo lessico ( wc:p-8 l)V , Ò1t'tiX­ C'tet). Dato che Paolo utilizza wc:p.Sl), può darsi che Luca si serva di una terminologia notoriamente in uso negli ambienti paolini e forse risalen­ te in origine a Paolo stesso. L'argomento più forte consiste evidentemen­ te nel senso dei vv. 5 s. che appare naturale, ma accettarlo come prova decisiva contro l'opinione consolidata sul rapimento crea altri problemi. Anzitutto, se Paolo si vanta di un amico cristiano, perché lo considere­ rebbe un atto (v. r ) ? Altrove egli non ha scrupoli a vantarsi di altri: v. 2 Cor. 1 , 14; 7,4. 14; 8,24; 9,2 s.; I Tess. 2, 19. In se­ condo luogo, perché la descrizione del rapimento è così circostanziata, se era intesa come meramente preliminare ai vv. 5 s. ? Più in particolare, perché si sarebbe giudicata necessaria la notazione temporale (quattor­ dici anni fa ) ? Non ci sarebbe stato bisogno di sottolineare così la fat­ tualità dell'esperienza di un amico. Nel discorso dello stolto Paolo non difende un amico, bensì se stesso, nel qual caso poteva essere richiesta l'accentuazione. In terzo luogo, se si rifiuta il racconto del rapimento come narrazione di un'esperienza di Paolo, non rimane altro che la scar­ na e generica espressione -rjJ um:p�oÀ"iJ 'twv tÌ:1toxaì.uo.jJ&wv per dar conto dell'inflizione della sarebbe uno dei motivi per cui i corinti contestano il ran­ go apostolico di Paolo. In conclusione, l' civ-8pw1toc; è Paolo stesso, malgra­ do l'apparente difficoltà dello stile in terza persona nei vv. 2-4 e il proble­ ma dei vv. 5 s.3 I 3

Goulder, Vision, s 6. 2. v. BDR, § I O I ; LSJ, s.v. Ò7t'ttl�O(J-Clt. Per una critica a Goulder cf. Morray-Jones, Paradise Revisited, 272, il quale rileva che

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COR.

I 2, I - I O

Questo &v..9pw1to> , n In due passi forse rilevanti la parola è applicata metaforicamente ad altre nazioni che hanno rappresentato, o possono rappresentare, una prova dolorosa per Israele. In Num. 3 3 , 5 5 , ad esem­ pio, gli israeliti sono avvisati che, se non scacceranno gli abitanti di CaI Secondo Plummer, 3 47, il plurale potrebbe confermare l'opinione che nei vv. 2-4 si parli di due rapimenti distinti. Egli riconosce peraltro che gli Atti riferiscono altre esperienze vi­ sionarie di Paolo. La disamina effettuata ha portato alla conclusione che questi versetti rinviino a un'unica esperienza. 2 Sul significato di U7tEp(3oÀ� v. BAGD, s.v. Il senso può essere «eccesso» o «Carattere stra­ ordinario, straordinarietà » . La prima accezione consentirebbe l'idea di una frequenza nu­ merica quando la parola regge un sostantivo plurale. 3 V. KJV, « l'abbondanza delle rivelazioni» ; cf. RSV. 4 V. NEB e REB, > e gli avversari di Corinto come suoi servitori.3 Ora il suo pensiero si volge in particolare a uno di questi. Riguardo all'uso Mullins sostiene che i giudei avrebbero riconosciuto nell'espressione «spina nella carne» l'allu­ sione a un nemico sulla scorta del suo utilizzo in Num. 3 3,55 ed Ez. 28, 24.4 Se si dovrà convenire su questo punto, gli argomenti contestuali con­ vincono meno. Mullins stesso ammette che uno axoÀo� non personale po­ trebbe essere stato personificato.5 Questa «spina >> inoltre non poteva rinvia­ re in origine agli attuali avversari di Paolo a Corinto, poiché sembra sia stata inflitta in un momento del passato, probabilmente in connessione con il rapimento celeste di 1 2,2-4.6 In tale evenienza, e se il singolare di axoJ..o� e ayyeJ..oç è da prendere sul serio, se ne desumerebbe che Paolo era stato oppresso da un avversario di primo piano che aveva seguito costantemente le sue tracce per un considerevole lasso di tempo. Non è plausibile, giacché né nelle lettere né negli Atti compare un avversario singolo con queste ca­ ratteristiche. Bieder 7 e Thierry 8 analogamente correlano la «spina >> agli avversari dei capp. 1 0-13. Secondo Bieder essa consiste in tutte le umiliazioni che costo­ ro infliggono all'apostolo. Ma per lui questa umiliazione significa parteci­ pazione alle sofferenze di Cristo, e perciò, paradossalmente, gli avversari agevolano il progresso del suo evangelo. Il termine axoÀo� rinvia al proces­ so di crocifissione con Cristo, assegnato da Dio per salvaguardare Paolo dalla divinizzazione di sé.9 Ciò non è plausibile. Il «portarsi attorno» la morte di Gesù proprio dell'apostolo (4, 10) è un aspetto troppo sostanziale della vocazione di Paolo per essere collegato così specificamente alla situa­ zione particolare di 2 Cor. 1 0- 1 3 o per essergli stato imposto allo scopo di impedire l'esaltazione egocentrica prodotta da esperienze visionarie. E an­ cora una volta il fattore temporale depone a sfavore di questa concezione, ed è altresì di ostacolo all'ipotesi proposta da Thierry, che individua nella l'accusa ingiuriosa degli avversari per i quali Paolo stesso sarebbe > (accusa che egli rimanda al mittente in I I ,13-15). Mullins, Thom, J O I -J O J , spec. 302. 2. Mullins, Thom, 3 0 1 . Mullins, Thom, 302. 4 Loc. cit. V. sopra, a 1 2,7. 5 Mullins, Thom, 3 0 1 . 6 Cf. Martin, 4 1 5 . Questa obiezione vale anche per l'interpretazione analoga d i P . An­ driessen, L 'impuissance de Pau/ en (ace de l'ange de Satan: Nouvelle Revue Théologique 8 1 ( 19 5 9 ) 462-468. 7 W. Bieder, Paulus und seine Gegner in Korinth: TZ 1 7 ( 1 9 6 1 ) 3 1 9-3 3 3 . s j.j. Thierry, Der Dorn im Fleische: NovT 5 ( 1 962) 301-3 10. 9 V. anche H. Binder, Die angebliche Krankheit des Paulus: TZ 32 ( 1 976) 1 - 1 3 , che con­ corda in parte con Bieder. r

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Da ultimo si ha l'ipotesi formulata da Barré, 1 che pure identifica lo axO­ Ào� e l' &yyEÀoç aa:t(Xvti con gli avversari di Paolo, ma da una prospettiva piuttosto differente. Egli scorge un parallelo tra i vv. 7-9a e I QH 2,22, dove «Dio consente o addirittura istiga le attività ostili della 'comunità di Belial' contro l'autore per rivelare la propria potenza » ... Nel passo paolino l'obiettivo ultimo dell'inflizione della «spina» è la rivelazione della potenza di Dio. È dunque possibile che anche la prova dell'apostolo fosse una per­ secuzione degli avversari, e che egli vi ravvisasse un intento divino, come nel testo di Qumran. Barré osserva che I 2, 7 è racchiuso fra due elenchi di prove, sicché sarebbe da leggere sotto questa luce. L' &yyEÀoç a(X't"(XVti inol­ tre si intende nel modo più naturale come agente personale, e l'altra occor­ renza paolina di xoÀ(Xcptt;w ( 1 Cor. 4,1 1 ) comporta il trattamento violento per mano di un nemico. Di più: la «spina >> causa &a�ÉvEL(X, debolezza. A pro­ posito di I I ,29 3 Barré ha sostenuto che le parole derivate da tia�Ev- in que­ sti capitoli riconducono all'essere presi in trappola dagli agenti di Satana nella lotta escatologica. Anche l' tia�ÉvEL(X di I 2,9 deve avere questa conno­ tazione e di conseguenza la , ma efficacemente anche nel senso di « spi­ na >>.? Satana poteva essere ritenuto l'artefice della sofferenza fisica (Le. 1 3 , I6),8 e l'uso di xoÀ(Xcptt;w potrebbe indicare una « invalidità ricorrente ».9 Le ipotesi sono numerose. M.L. Barré, Qumran and the « Weakness» of Paul: CBQ 42 ( 1 9 80) 2 1 6-227. Barré, Qumran, 223 . 3 V. sopra, a n ,29. 4 V. sopra, a n ,29. 5 Furnish, 549 s. Dopo la pubblicazione del suo commentario l'identificazione in un «gruppo» è stata riproposta da J.W. McCant, Paul's Thorn of Rejected Apostleship: NTS 34 ( 19 8 8 ) 5 50-572: la «spina » è la chiesa di Corinto che nega la legittimità apo­ stolica di Paolo. Ma come rileva R. Penna in risposta a McCant, l'afflizione durava da tempo e non riguardava dunque la situazione di Corinto. V. La présence des adversaires de Pau/, in Lohse, Verteidigung, 7-4 1 , spec. 34 n. 78. 6 V. sotto, e p. 843 n. 1 . 7 Plummer, 3 49; cf. Furnish, 549· 8 Plummer, 3 5 2; Windisch, 3 8 5 ; Furnish, 549; Martin, 4 1 5 . Cf. Heckel, Schwachheit, 8 1 . 9 Bruce, 249. 1

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CHE COS'ERA LA «SPINA»?

a) Mal di testa. Questa è la tradizione antica riportata da Tertulliano: do­ lorem, ut aiunt, auriculae vel capitis! È menzionata da Gerolamo,'" e atte­ stata (anche se non accettata) da Crisostomo.3 Sarebbe una deduzione ra­ gionevole ricavata dal possibile significato di xoÀ1Xq>t�w «dare un ceffone ».4 E una forma di emicrania giustificherebbe il senso di dolore acuto che la me­ tafora comporta. 5 . b) Oftalmia. L'idea che la «spina >> fosse un'infiammazione acuta e ricor­ rente agli occhi si basa sulla controversa testimonianza della lettera ai Ga­ lati. In Gal. 4, I 5, dopo aver rilevato che egli predicò per la prima volta in Galazia a motivo di un'infermità corporea (4, I 3), Paolo osserva che l'acco­ glienza era stata tale che, se fosse stato possibile, i galati si sarebbero « cavati gli occhi» per darglieli. In 6, n Paolo accenna inoltre alle « lettere grandi» della propria grafia. Si è supposto che entrambi i versetti potessero presup­ porre una malattia agli occhi. 6 Ma il primo argomento nasce dal frainten­ dimento delle sottolineature nel v. I 5. Paolo non dice che i suoi lettori si erano mostrati disponibili a dare «i loro stessi occhi » al posto dei suoi: U!JoWV non è enfatico. Essi erano pronti, piuttosto, a dargli « i loro occhi»/ il loro bene più prezioso.8 E le «lettere grandi» delle osservazioni conclusive o esprimono la forza delle sue convinzioni,9 o vogliono evidenziare il concet­ to.10 È possibile che in 4, I 3 Paolo pensi alla «spina » di 2 Cor. 1 2,7 e che ciò deponga per la sua identificazione con un'indisposizione fisica, ma l'ulte­ riore identificazione con una malattia specifica trascende gli elementi di pro­ va. E vi è una forma di malattia oftalmica con sintomi tali da poter essere definiti schiaffi dati da un angelo di Satana ? 1 1 c) Epilessia. Secondo Krenkel, 1 2 questa interpretazione ebbe origine da Ziegler. '3 Krenkel stesso la adotta elaborandola, ed è a sua volta seguito da altri . . .4 Sulla scorta delle brevi informazioni fornite nel testo, egli sostiene che l' &.yye:Àoç è uno spirito maligno, e osserva che giudei, greci e romani at­ tribuivano l'epilessia a forze soprannaturali.'5 Il verbo xoÀ1Xq>t�w 1 6 poteva Tertullian. Pud. 1 3 (PL 2, 1004 ): ••dolore, come dicono, all'orecchio o alla testa »; il pas­ è segnalato da Lightfoot, Galatians, 1 8 6. 2 Hier. In Gal. 2,4 (PL 26, 407): nam tradunt eum gravissimum capitis dolorem saepe perpessum «narrano infatti che soffrisse spesso di fortissimi mal di testa» . 3 Chrys. Rom. in 2 Cor. 26,2 (PG 6 1 , 5 77; NPNF xu, 400). 4 Si veda K.L. Schmidt, s.v. KOÀCllj)tl;w, in TWNT m, 8 1 9. 5 Windisch, 387 s., considera possibile questa interpretazione. 6 Secondo Lightfoot, Galatians, 1 9 1 , che scrive a metà del XIX secolo, questa opinione ha raccolto un numero considerevole di adesioni. Egli risponde specificamente a J.T. Brown, St. Paul's Thorn in the Flesh, in J.T. Brown (ed.), Horae Subsecivae, Edinburgh 1 8 5 8 , replicando ai due punti segnalati sopra. 7 Lightfoot, Galatians, 1 9 1 n. 1 . s Lietzmann, 1 57; Barrett, 3 1 5 · 9 Lightfoot, Galatians, 22 1 . r o Bruce, Galatians, 26 8 . n Lietzmann, 1 5 7. 1 2 Krenkel, Beitrage, 6 6 s. 13 K.L. Ziegler, Theologische Abhandlungen 11, Gottingen 1 804, 12.8. 14 Schmiedel, 294; Bousset, 211 s. 1 5 Krenkel, Beitriige, 49 · 5 8 s. 1 6 V. sopra, p. 8 3 6 n. 9· r

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indicare colpi alla testa, I e Krenkel cita Galeno per mostrare che la malat­ tia può talora produrre sintomi simili. 2 Occorre tuttavia cercare ulteriori attestazioni altrove. Krenkel si volge a Gal. 4, 1 3 - 1 5 e rileva come Paolo ri­ conoscesse che i suoi lettori non lo disprezzarono: letteralmente « non spu­ taste », oUòÈ È�E7t't'ucrll't'e.3 Sputare era (o poteva essere) un gesto preventivo per evitare l'infezione allontanando gli spiriti maligni 4 ed era connesso in particolare all'epilessia.5 Questa identificazione sarebbe congruente con 2 Cor. 1 2, 1 , dove Paolo parla di «visioni e rivelazioni», giacché gli attacchi epilettici sono spesso accompagnati da esperienze visionarie. 6 Da ultimo, il suo improvviso cadere a terra nel momento della conversione in Atti 9,4 fa sospettare un attacco epilettico.? Se si chiedesse a Krenkel come tutta l'in­ faticabile attività apostolica di Paolo possa risultare compatibile con l'essere affetto da epilessia, replicherebbe che grandi uomini della storia come Giu­ lio Cesare e Napoleone erano stati colpiti anch'essi da questa malattia.8 L'ipotesi, pur argomentata in modo persuasivo, incontra tuttavia difficol­ tà. L'immagine dello crxoÀo\jl fa pensare a un dolore acuto cosciente, ma l'epi­ lettico che ha un attacco grave è incosciente.9 L'attestazione di Atti 9 ,4 non è una testimonianza di prima mano e può essere dovuta alla semplice incor­ porazione di un motivo convenzionale nei resoconti di visioni celesti. I o A detta del racconto di Paolo, inoltre, la «spina» gli fu inflitta a seguito delle esperienze visionarie: le visioni non erano parte integrante dell'esperienza della «spina» - come richiede l'ipotesi dell'epilessia. Sebbene oÙÒÈ È�E7t't'ooa­ 'te di Gal. 4, 1 4 sia certamente appropriato come reazione (inattesa) all'epi­ lessia, potrebbe anche significare solo che la malattia, di qualsiasi tipo fos­ se, poteva essere ritenuta opera di demoni, ed era quindi verisimile che su­ scitasse gesti apotropaici. I I d) Febbre. Si è prospettato che Paolo soffrisse di una febbre malarica ri­ corrente, che aveva di tanto in tanto effetti del tutto inabilitanti ed era ac­ compagnata da mal di testa estremamente forte. I2 L'ipotesi gode di un cer­ to appoggio IJ e va considerata plausibile, ancorché non si possa dire che ve ne siano prove evidenti. I4 Krenkel, Beitriige, 49 n. 3 · 64. Krenkel, Beitriige, 64 s., che rimanda a Gal. 8 , 1 7 3 . 3 Krenkel, Beitriige, 69-9 8, s i sofferma a lungo sul verbo. 4 Krenkel, loc. cit.; Bruce, Galatians, 209. 5 Krenkel, Beitriige, 98, osserva che Plauto, Capt. 5 5 0, chiama l'epilessia qui sputatur morbus « la malattia davanti alla quale si sputa » . 6 Krenkel, Beitriige, 1 0 3 . 7 Krenkel, Beitriige, I I I . 8 Krenkel, Beitriige, I I 7· I 249 Allo, 3 I 7 s. Io Il cadere a terra è considerata reazione naturale a una visione celeste: v. ad es. Ez. r , 2 8 ; 2 Macc. 3 ,27; Apoc. 1 , 1 7. I r Lietzmann, 1 5 6 s . r 2 L'ipotesi proviene d a W.M. Ramsay: v . The Church i n the Roman Empire, London 1 893, 101 897, 62-64, che rinvia a Gal. 4,1 3 . 1 3 V. ad es. Gouge, 1 2 1 ; Allo, 3 20 s.;. Priimm, 665. 1 4 Se KoÀaqli�w si riferisce al mal di testa, potrebbe semplicemente deporre a favore del­ l'emicrania. 1

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CHE COS'ERA LA « SPINA»?

e) Altre ipotesi. Taluni esegeti immaginano stati di depressione, 1 o di rea­ zioni nervose conseguenti a esperienze estatiche. 2 Ci sono pochi elementi a favore di questa idea. Se la metafora di Paolo riguarda un disturbo, è più probabile pensare a qualcosa che provocava dolori di carattere fisico più immediato. Per Barrett potrebbe trattarsi di un impedimento della parola, ciò che, a suo parere, spiegherebbe la paura espressa da Paolo in Gal. 4, 1 3 1 5 di dare una cattiva impressione iniziale, e troverebbe conferma anche in z Cor. 1 0, 1 .9 - 1 1 ; I I ,6. 3 Non è molto verisimile per almeno due ragioni: come si è già osservato, la metafora in 1 2,7 comporta che l'afflizione fosse fisicamente dolorosa; inoltre questo non è un disturbo che lo avrebbe col­ pito all'improvviso, nel mezzo della sua vicenda biografica.4 Sebbene alcune di queste proposte abbiano richiamato consenso più di al­ tre, è evidente che nessuna è universalmente accettata. Si deve dunque va­ lutare l'opinione che l'ipotesi dell'infermità o inabilità fisica sia errata nel suo complesso. L'argomento fondamentale è l'impressione generale pro­ dotta dalle lettere paoline e anche dagli Atti che Paolo fosse « un uomo di co­ stituzione straordinariamente forte e di notevoli capacità di resistenza fi­ 6 sica » .5 Se può esservi un cenno all'infermità in Gal. 4, 1 3 - 1 5 , visto che nel v. 1 3 manca un articolo determinativo davanti ad &a.SÉvetcxv, non necessa­ riamente si tratta di un disturbo specifico da cui Paolo era periodicamente afflitto.? Il passo non fornisce quindi prove evidenti per l'identificazione-_del problema ricorrente con una infermità fisica, quantunque non escluda o'V:: viamente la possibilità che sia così, e che qui Paolo vi si riferisca. A questo argomento centrale replicano Furnish, osservando che «una malattia cro­ nica non dev'essere di necessità debilitante, ma può essere solo esasperan­ te>>,8 e Martin, secondo il quale a Corinto «qualsiasi debolezza fisica sareb­ be apparsa una menomazione >> .9 Queste considerazioni tendono peraltro a postulare che il disturbo fosse dopotutto un problema piuttosto marginale, ma ciò non appare coerente con le ripetute preghiere di Paolo di esserne li­ berato. Se si conclude che la «spina » fosse di natura fisica, si deve optare per una forma di malattia con effetti pesanti nelle fasi acute ma che lascia periodi di remissione durante i quali il paziente può impegnarsi con enerLietzmann, 1 5 7; Windisch, 3 8 7. 2. Clavier, Santé, 77-82. Barrett, 3 1 5 , che rimanda a W.K.L. Clarke, New Testament Problems, London 1929, I J 6- 1 40. Sembra che Martin, 4 1 6, ne riconosca la possibilità. 4 Per varie ipotesi ulteriori v. Hughes, 446; Furnish, 549· s Tasker, 1 7 5 . V. anche Binder, Krankheit (citato sopra, p. 84 1 n. 9). Egli esamina l'uso paolino dei derivati da à0"-8e:v-, e sostiene che non riguardano la malattia (pp. 4 s.). I «de­ boli» di 1 Cor. I I , J O (dove à0"-8e:ve:ic; sembrerebbe con ogni evidenza attinente all'infer­ mità) sono semplicemente coloro la cui partecipazione «a Cristo» è minima: sono torpi­ di e occasionali (p. 4). È improbabile, perché gli altri termini del versetto indicano chia­ ramente una infermità fisica. 6 Così Tasker, loc. cit.; Binder, Krankheit, 5-7, respinge questa esegesi. 7 Tasker, loc. cit. 8 Furnish, 5 50. 9 Martin, 4 1 5 . r

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gia in un'attività. Tra le ipotesi sopra esaminate, l'emicrania o la febbre ri­ sponderebbero al meglio a questa descrizione. Tutte e tre queste categorie interpretative considerano il linguaggio di Paolo in qualche misura metaforico. Mette conto tuttavia prestare una cer­ ta attenzione anche all'ipotesi che intende &yye:Àoc; act'tctvti in senso più let­ terale. R.M. Price istituisce una relazione immediata fra la «spina >> di 1 2,7 e il rapimento in paradiso dei vv . 2-4, e li rinvia entrambi alla mistica giu­ daica della merkaba. Richiamandosi all'opera di Scholem, I osserva che il visionario soggetto a esperienze di questo tipo può trovarsi a subire attacchi da potenze angeliche o demoniache. In un caso si dice che gli angeli «gli colpiscono la testa>> . Così nel passo paolino l' &yye:ì..oc; act'tctv& è da intende­ re senz'altro alla lettera come > , 2 ci vorreb­ be una motivazione diversa o aggiuntiva. Non è da cercare lontano se, come si è qui sostenuto, lo crxoJ.. o4 era un'infermità fisica.3 Le tradizioni di Gesù lo presentano infatti come guaritore straordinario. Presupponen­ do che Paolo avesse una certa conoscenza di queste tradizioni, una pre­ ghiera rivolta specificamente a Cristo si può spiegare facilmente. Egli impiega in effetti un elemento lessicale che è compatibile con una sua conoscenza al riguardo. Plummer attira l'attenzione sull'uso paoli­ na di xapaxaÀÉw e sul ricorrere di questo verbo in diversi racconti evan­ gelici, come Mc. 1 ,40; 5,23; 6, 5 6; 7,3 2; 8,22. È verisimile, a giudizio di Plummer, che Paolo fosse influenzato da tali tradizioni.4 Nei passi cita­ ti le richieste sono suppliche di guarigione. Non è tuttavia da trascura­ re (malgrado Plummer) 5 la possibile influenza aggiuntiva dell'ambiente culturale greco-romano. La maggior parte degli esegeti menziona l'iscri­ zione, citata da Deissmann, in cui tale Marco Giulio Apella ricorda la propria guarigione presso il tempio di Asclepio a Epidauro e dice di uno dei suoi mali: xai yà.p 1tEpi '!Ou'!ou 7tapExaÀEcra '!Òv .f�Eov. 6 Betz, inoltre, commentando la proposizione tva &7tocr-rfl &1t' È!J.OÙ, osserva che la comu­ nicazione del contenuto della preghiera in discorso indiretto è tipica del­ le storie di guarigione non cristiane. 7

xal. Etpl)XÉ\1 !J.Ot, 'ApxEt ero t l] xaptç !J.OU, l] yà.p ÒUVIX!J.tC, èv &cr.fìEVEt� 'tEÀEi'!at. La risposta di Cristo è riportata per contro in discorso diretto. Ciò fa ritenere quantomeno che fu comunicata in un'esperienza rivela­ toria caratterizzata dall'udizione. Anche se non fece parte dell'esperien­ za riferita nei vv. 2-4, 8 vi sarebbe dunque una certa affinità fra l'una e l'altra. Inoltre il resoconto della preghiera si trasforma così nel resocon­ to di un dialogo, sottolineato dai pronomi personali, ciò che pone in ri­ salto la profondità del rapporto personale con Cristo che Paolo sentiva di avere.9 9a.

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Windisch, 3 8 8; cf. Wolff, 24 8. >. V. sopra, p. 847. sopra, pp. 842-846. 4 Plummer, 3 5 3 s. 5 Plummer, 3 54· 6 Deissmann, Light, 3 1 1 e n. x, che rimanda a Syll. \ 804. V. anche BAGD, s. v. 'ltctpctxct­ ìlw, x .c, che rinvia a Sy//. 3, 1 1 70, e si osservi che il verbo ha un uso affatto generale per l'invocazione della (di una ) divinità (occorrenze in Tucidide, Platone, Senofonte, Epitte­ to e Giuseppe). 7 Betz, Aretalogie, 293 . 8 Nonostante R.M. Price: v. sopra, p. 846. 9 Heckel, Schwachheit, 87, che rimanda a Zmijewski, Narrenrede, 379· Secondo Heckel 3 V.

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DEBOLEZZA E VANTO

Quanto al contenuto, la risposta è un rifiuto dell'istanza specifica del­ l'apostolo. Il tempo perfetto di EtpYjxEv lascia inoltre pensare che un ul­ teriore rinnovo dell� medesima richiesta verrebbe ugualmente respinto. Ciò che Cristo ha detto in quell'occasione rimane valido per sempre: ' la sua grazia sufficiente renderà superflua la liberazione di Paolo dalla > , più che avvenimenti che suscitarono in lui un senso esi­ stenziale di insignificanza. Altri commentatori collegano l'asserzione di Paolo più direttamente alla situazione corinzia, o alla sua malattia, o a entrambe. Per Giittge9 La lezione 'te:Àe:i'tG" (�-�:• A B o • F G) è meglio attestata di 'tEÀEtOU't(!l (l'li' D' lf 02.43 :Dl) ed è da preferire: v. Metzger, Textual Commentary', 5 8 6. 1 Windisch, 3 9 1 . 2. Heckel, Schwachheit, 9 1 . 5 Bultmann, 2.28. 3 Zmijewski, Na"enrede, 3 8 2. s . 4 Zmijewski, op. cit., 3 8 3 .

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manns, Paolo replica agli gnostici corinzi, che avevano attribuito la sua infermità al suo coinvolgimento nella sfera terrena demoniaca della sarx. Non era questo l'ambito in cui lo gnostico raggiungeva la perfezione, giacché nel processo di nÀEiwatc; egli diventava interamente spirito e po­ tenza. Paolo, in antitesi a questo punto di vista, afferma che il perfezio­ namento avviene proprio nel campo della debolezza terrena, non nel­ l'ambito del pneuma celeste, sperimentato in visioni. Ciò ha un significa­ to solo su una base cristologica. Gesù fu reso perfetto e ottenne la poten­ za nella crocifissione, e la debolezza apostolica di Paolo è l'epifania di questa potenza divina del Cristo crocifisso. • Come esegesi dell'enuncia­ to specifico in esame è poco convincente. Contrariamente a Fil. 3 , 1 2, Paolo qui non parla, a prima vista, del perfezionamento di una persona (uno gnostico o lui stesso)/ bensì della situazione in cui la potenza di­ vina opera verso la perfezione. È fuorviante anche esprimersi - e Giitt­ gemanns sembra farlo - come se la debolezza fosse essa stessa l'epifa­ nia della potenza divina, poiché essa non è identica alla òuva(J.tc; ma è il contesto in cui questa si manifesta.3 Se l'asserzione che la potenza si perfeziona nella debolezza va in par­ te letta in relazione al retroterra ellenistico di Paolo e dei corinti, e se è giusto identificare la «spina >> con una malattia fisica, allora il materiale più pertinente verrà dalle narrazioni greche di guarigione con cui Betz pone in relazione il resoconto della preghiera dell'apostolo. Egli affer­ ma che òuva(J.tc; ('tou -8-e:ou) appartiene al lessico tecnico dell'aretalogia. In un papiro si trova l'affermazione: e:lc; 1tana yàp 't07tov òta7te:ipotnJxe:v i) 'tou .Se:ou òuva(J.tc; aw't�ptoc; 4 (il dio è Asclepio). Da questa prospettiva l' àa-8-É­ ve:ta cui l'aforisma apparentemente generale rinvia sarebbe l'infermità di Paolo, come sostiene fermamente Jervell, che tuttavia postula anche un'interpretazione più specifica di òuva(J.tc;. Non è solo la potenza divina di Cristo in senso generale, ma un'allusione ai doni carismatici esercita­ ti da Paolo stesso. Per i corinti - sostiene Jervell - era un'offesa e una con­ traddizione in termini che Paolo fosse un carismatico e nel contempo un r Giittgemanns, Der leidende Apostel, 1 64-1 69. � Paolo non parla nemmeno del «perfezionamento» di Cristo, che è certamente un tema della lettera agli Ebrei (2,10; 5,9; 7,28), ma non delle lettere paoline. 3 V. jervell, Charismatiker, 1 9 1 . 197 n. 63 . 4 «La potenza salvifica del dio si è infatti diffusa in ogni regione » : POxy I I , 1 3 8 1,215218, citato d a Windisch, 392. Nel contesto dell'argomentazione d i Betz v . Aretalogie, 300 n. 69. V. anche Furnish, 5 30. Betz, 3 0 1 , individua un ulteriore parallelo all'interpre­ tazione paolina di òUvct(.Ltc; in Ael. Arist. Or. 23,16, poiché, sebbene Aristide non respin­ ga l'idea di guarigione, per lui quel che conta è l'esperienza della potenza del suo dio (Asclepio), non l'alternativa fra malattia o salute.

DEBO LEZZA E VANTO

ammalato. I Perché non riusciva a guarire se stesso? Ma per Paolo que­ sta apparente contraddizione era indispensabile. La sua situazione pa­ radossale si cristallizza in questo versetto, dove parla di qualcosa di ov­ vio per tutti. La potenza divina è evidente nei carismi, mentre la debo­ lezza è visibile nella sua infermità. Egli presume pertanto che sia chiaro che non è stato lui a compiere i segni apostolici: la potenza divina ope­ rante in lui è manifestamente distinguibile in quanto tale. Egli perciò non parla qui dell'impotenza umana in generale, ma della propria situa­ zione individuale. 1 Su questo punto si può concordare, e si può conve­ nire anche che in tale contesto à.a�Éve:ta. indica le sue occasioni di debo­ lezza, perlomeno in prima istanza. Ma alla luce dell'elenco più esteso di debolezze del v. 10, questo referente primario non è da considerare esclu­ sivo. Analogamente non si limiterà ai carismi il contenuto di òuva.(J.Lc;, che si dovrebbe intendere piuttosto, sulla scorta di 4,7-9, come la potenza di­ vina operante in tutta l'attività apostolica di Paolo. 9b. "Hòta-ra. oòv (J.aÀÀov xa.ux�aO(J.IXL Èv 'ta.i.'c; à.a�e:ve:ta.Lc; [(J.ou) ,3 L'va. Èm­ axlJVWalJ È1t' È(J.È Yj òuva.(J.Lc; 'tou Xpta'tou. Dato questo modo di agire della potenza di Cristo, le debolezze sono motivo di vanto, 4 e Paolo si vante­ rà con molto piacere. 5 Il senso generale è chiaro, ma qual è il valore pre­ ciso dell'avverbio (J.aÀÀov ? Paolo intende dire che ora preferisce vantar­ si dei suoi momenti di debolezza piuttosto che pregare di esserne libera­ to ? 6 L'ordine delle parole potrebbe avvalorare questa interpretazione/ Il connettivo oòv inoltre lega l'intenzione di vantarsi al resoconto della preghiera dei vv. 8-9a. Ma in alternativa il significato può essere che egli si vanterà delle proprie debolezze anziché di qualsiasi altra cosa, 8 ad esempio delle rivelazioni a lui concesse.9 xa.ux�aO(J.IXL Èv 'ta.i.'c; à.a�e:ve:t­ a.tc; ricorda où xa.ux�aO(J.IXL e:l (J.� Èv 'ta.i.'c; à.a�lJVEta.tc; del v. 5 ,'0 che contra pCf. sopra, p. 8 1 3 n. 1. >. jervell, Charismatiker, passim, spec. 191-195· In vari testimoni (� A D F G \f CJJl latt syP) dopo àcr-8r:ve:ia.tc; si legge (.LOu, che è omesso in altri (B 6. 8 1 . 1 1 7 5 * . 1 7 3 9 pc sy h bo; lr). La stessa variante si trova in 1 2,5, dove si è sostenuto che l'omissione di (.LOU ha maggiori probabilità di essere genuina. Sarà così anche qui. Sebbene l'omissione accidentale sia sempre possibile, non vi sarebbe qui al­ cun motivo particolarmente evidente per invocarla. 4 Betz, Aretalogie, 303, riallaccia xa.ux1)cro(.La.t ai racconti greco-romani di guarigione qua­ le equivalente dell'obbligo per il risanato di proclamare le azioni benefiche del dio. 5 -ijòtcr'ta. è un superlativo elativo: v. Zmijewski, Narrenrede, 3 86. 6 Così Bachmann, 402; Plummer, 3 5 5 ; Zmijewski, Narrenrede, 3 87; Furnish, 5 3 1 ; Hek­ kel, Schwachheit, 101 s. 7 Plummer, 35 5· 8 Barrett, 3 1 7; Martin, 421 . 9 Martin, loc. cit. Io Come nota Windisch, 392, che pure propende per la prima alternativa. r

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pone il vanto a proposito di chi aveva sperimentato il rapimento a l van­ to riguardo a Paolo stesso. Decidere fra le due alternative è difficile. 1 C'è però nel v. 9a un accento evidente su àa-8Évtta. Di conseguenza la pre­ senza del termine nella prima metà del v. 9b gli conferisce un analogo ri­ salto, inducendo a ritenere che questo vocabolo funga da componente del confronto implicito nell'utilizzo di !J.cXÀÀ.ov. Opto dunque cautamen­ te per la seconda alternativa: debolezze piuttosto che, per esempio, rive­ lazioni. Il resto del versetto ripropone la correlazione tra debolezza e potenza divina succintamente espressa nel v. 9a, ma la forma sintattica di que­ sta proposizione crea un problema. Dall'uso della congiunzione tva, che la si consideri finale o consecutiva, si desume che il riconoscimento del­ la propria debolezza (il « vantarsi >> di essa) sia il requisito principale per ricevere la potenza di Cristo. 2. Paolo si vanta allo scopo di sperimentare la Òu'VlX!J.t�. Oppure solo in conseguenza del suo vanto è in grado di spe­ rimentare la potenza. Ciò crea difficoltà. Nulla si dice nel v. 9a di un requisito simile, e dal contesto emerge che la concessione della òuva!J.t� ha preceduto il vanto dell'apostolo al riguardo.3 Inoltre questa manife­ stazione della potenza divina è presentata come dovuta a pura grazia.4 Si può aggiungere che la sequenza logica implicita in t'Va sembrerebbe l'esatto contrario della sequenza del v. 10. Lì infatti o'tav ytip mostra che l'appagamento espresso in tùòoxw è l'effetto, non la causa o condizione dell'esperienza di forza nella debolezza. C'è modo di risolvere il proble­ ma? Paolo ha forse in mente un'esperienza simultanea di debolezza e po­ tenza ? 5 Potrebbe essere, ma non è il senso della congiunzione P.'va. Qua­ lunque sia il significato preciso, essa denota successione temporale piut­ tosto che simultaneità. Forse allora Paolo intende dire che la potenza divina ha bisogno di essere rinnovata costantemente e che la confessio­ ne della propria fragilità serve a questo scopo.6 Ma questa interpretazio­ ne non elimina l'apparente condizionalità che è la causa della difficoltà. La stessa obiezione sarebbe valida per l'idea analoga, affacciata da Hek­ kel, secondo cui la coscienza della propria debolezza « lascia spazio >> alr La difficoltà è esemplificata nelle considerazioni di Black, Astheneia, 1 5 6, che prima dice: «piuttosto che pregare per essere liberato dalle proprie infermità, Paolo si gloria di quelle cose che rivelano la sua debolezza » . Ma poi sembra passare all'opzione alternati­ va: «Paolo intende gloriarsi della debolezza più che della forza » . 1 Windisch, 3 9 2, richiama l'attenzione sul valore logico d i rva. 3 Zmijewski, Narrenrede, 3 9 2 s. 4 Heckel, Schwachheit, 1 04 s. 5 Heckel, Schwachheit, 104, ove cita G. G. O'Collins, Power niade Perfect in Weakness: z Cor n:9-10: CBQ 3 3 ( 1 97 1 ) 5 28-5 3 7 , spec. 5 3 6.

6 Windisch, 3 9 3 , e Bultmann, 230 (segnalato da Zmijewski, Narrenrede, 392

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DEBOLEZZA E VANTO

l'azione della grazia di Cristo. I Una soluzione diversa potrebbe consiste­ re nel conservare il carattere condizionale ma spostare l'individuazione implicita della condizione. Essa è invariabilmente considerata insita nel­ l'attività umana del vanto (xaul;1Jao�J.at ), ma forse il suo punto di riferi­ mento logico sta nelle « debolezze>> ("raiç cia-8tvttatç). Il senso potrebbe es­ sere allora: > (eine Mittel-zweck-Beziehung, 105 s.) differisca nella sostanza dalla condizionalità . .z. L'ipotesi è mia, ma riconosco che il nesso fra le due proposizioni richiederebbe sul pia­ no logico qualcosa come 01 ' lilv anziché i'v01. 3 Zmijewski, Narrenrede, 392. s. 4 Furnish, 5 3 1 · 5 Sulla s •kina v . M . McNamara, Targum and Testament, Shannon 1 972., 98- 1 0 1 . La pa­ rola significa «presenza » ed è in origine solo un modo reverenziale di parlare di Dio stes­ so. Nel targum palestinese è combinata con la gloria nella locuzione « la gloria della s '­ kina del Signore » . Questa gloria è rivelata sul Monte Sinai, cammina davanti agli israeli­ ti, e deve dimorare nel santuario. Nel targum su Isaia si dice che il profeta ha visto «la glo­ ria della s •kina del re dei tempi » . La connessione col verbo È1tLC"XlJv6w, secondo Hughes, 4 5 2. s., si avrebbe a) in quanto le parole bibliche derivate da axl]v- richiamano l'idea del­ la C"XlJV� di Es. :z.s,8 s. (che fu riempita dalla gloria del Signore, 40,34 s.), e b) perché i giudei bilingui pOSSOnO aver UtilizzatO C"Xl]V� per tradurre s •kma. V. op. cit. , n. J41, per i particolari di questa argomentazione e per i rinvii pertinenti agli studiosi sulla cui ope­ ra si fonda. I

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potenza che non è avvertita solo in lui stesso ma è accessibile alla per­ cezione degli altri,' e su cui il suo vantarsi della debolezza può parados­ salmente attirare l'attenzione. L'idea generale che Paolo abbia in mente il concetto della s ekina trova a ppoggio presso molti commentatori. 2. Fur­ nish d'altronde raccomanda prudenza. Il verbo ÈmaKlJVOw non è comu­ ne e in altri passi significa sempre « prendere dimora con » . 3 In realtà il nesso con la s ekina non è affatto così ovvio come può sembrare ad al­ cuni esegeti. Nei LXX il verbo utilizzato per denotare la dimora sulla terra di Dio o del suo nome divino è l'altro composto xa.Ta.axlJvow. 4 Am­ messo che Paolo avesse bisogno di una parola che facesse pensare al­ la presenza divina, e perciò di un derivato della radice aKlJV-, contenen­ te i radicali (SKN) del termine s ekina, si suppone che gli sarebbe sovvenu­ to più facilmente KIX"riXO'KlJVow. Forse però c'è una spiegazione plausibi­ le. Se Paolo pensava realmente al concetto della s ekina, potrebbe esser­ si ricordato del passo di Es. 40,34 s., dove la nube della gloria divina co­ pre la tenda cosicché Mosè non riesce a entrarvi, perché è.,.eaxfa.è;ev È1t' aÙ't'�v iJ ve�ÉÀlJ xa.i òo�lJ . L'unico vanto ammesso è quello relativo a ciò che il Signore ha fatto. I Egli tuttavia ha fatto quel che i corinti avrebbero dovuto fare per lui, e avevano ottimi motivi per farlo: in nessun modo z. si era dimostrato in­ feriore ai «superapostoli >> . L'asserzione di Paolo è più decisa rispetto a quella di I I,5 .3 L'indicativo aoristo ua-tÉpTjaCX trasforma l'affermazione precedente, più generica, in un rinvio specifico alle sue attività passate.4 Poiché inoltre esse avrebbero dovuto fornire ai corinti materiale per la sua raccomandazione, egli starà pensando alla sua opera a Corinto, 5 che comprende i segni apostolici menzionati nel versetto seguente. Sic­ come è sotteso altresì un elemento di confronto implicito, si presuppo­ ne che i corinti abbiano sperimentato direttamente anche l'attività dei «superapostoli>> , che vanno perciò identificati con i missionari rivali.6 Paolo è pari a loro, anche se - soggiunge - non è «niente » . Parla sul se­ rio o in senso ironico? E la risposta a questa domanda dipende dall'iden­ tificazione dei «superapostoli >> ? Di sicuro se, al contrario di come si è ar­ gomentato in precedenza, li si dovesse identificare con gli apostoli ori­ ginari, sarebbe più probabile che egli parli sul serio, e dica ciò che dice in I Cor. I 5,9 s.: egli è «l'ultimo fra gli apostoli » , ma per la grazia di Dio «ha lavorato più duramente di tutti loro » .? Se però, come si è qui sostenuto, gli u1ttpÀtcxv à1toa-toÀot sono i missionari rivali a Corinto, la ri­ sposta non è così ovvia, poiché Paolo potrebbe anche in questo caso af­ fermare seriamente lo stesso concetto, 8 ma è forse più probabile che parli in tono ironico. Il senso dell'ironia non è peraltro affatto facile da definire, e si può spiegare in tre modi. 1. Paolo non crede realmente di essere «niente>> , ma fa l'ironica conces­ sione per segnare a proprio favore un punto polemiCo contro i suoi av­ versari.9 Davvero minima deve essere la loro importanza, se uno che è «niente » è pari a loro! I o I Forbes, Comparison, 2 0 . 2. Su oÙÒÉv v. sopra, p. 700 n. 3, circa !' lJÒÉv in 1 1 ,5. 3 Windisch, 395; cf. Bultmann, 23 3 . 4 Bultmann, loc. cit. 5 V. ad es. Meyer, 4 8 3 ; Plummer, 3 5 8; Windisch, 3 9 5 ; Bultmann, 23 3 ; Furnish, 5 5 2. For· se pensa alla sua prima visita alla città e al soggiorno relativamente lungo. 6 I commentatori che identificano gli tntEpÀiav &:7tocr-coÀot con gli apostoli di Gerusalem· me sembrano ritenere necessario a questo punto inserire in qualche modo nel quadro anche i missionari rivali. Secondo Martin, 4 3 3 , Paolo attacca indirettamente costoro, che forse avevano rivendicato di prendere a loro modello gli apostoli di Gerusalemme. Per Barrett, 3 20, egli sostiene che, se non è in alcun modo inferiore agli apostoli più impor· tanti, •non è inferiore agli intrusi » . Queste ipotesi tuttavia sono inutilmente complicate e avrebbero valore solo se l'identificazione degli V7tEpÀiav a7tocr-coÀot con gli apostoli di Gerusalemme fosse sicura. 7 Bruce, 249 s. 8 Hughes, 4 5 5 ; cf. Furnish, 5 5 5 · 9 Windisch, 3 9 6 . Per i l concetto fondamentale d i ironia v . Forbes, Comparison, 10: •l'uso di parole o espressioni per significare il contrario di ciò che di norma significano».

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n . «Niente >> è ironico, perché Paolo sa che (( nella potenza di Cristo egli è di tutto e di più » . 1 Questa interpretazione è pressoché indistingui­ bile dalla tesi che l'asserzione sia intesa seriamente, pur con una differen­ za di accenti. m. oÙÒÉv Et(J.L va letto alla luce del retroterra concettuale classico ed el­ lenistico. Secondo Betz, l'espressione appartiene al dibattito tra filosofi e retori. Il Socrate della rappresentazione platonica, per esempio, parla della propria (mullità » : È1tEÌ È(J.É YE 'iÀa:8Ev i.mò -rijc; È(J.i}c; oÙÒEvicxc;. 2. L' oò­ Òtvicx diventa un principio filosofico, e corrispondentemente si indica nel­ l'ignoranza la sapienza autentica, in contrapposizione a quella presunta dei retori.3 L' oùòEvicx socratica, inoltre, è da ricollegare all'antico inse­ gnamento delfico sulla conoscenza di sé, che consente all'uomo di rico­ noscere la propria > che incarnavano la legge divina (il vo(J.oç E(J-4uxoç), la quale porta ordine nel cosmo, si identifica con la legge natu­ rale e tiene coesa la comunità. Continua Georgi: «Nella sua confutazio­ ne, Paolo sembra dire che la vera /ex naturae è il principio di comunità espresso in rapporti durevoli tra gli uomini, non la volontà del pneuma­ tico che confida in se stessa proiettata nel cosmo» . 5 Va detto che que­ sta esegesi sembra assai improbabile. Sebbene Paolo fondi la propria ar­ gomentazione su un principio di vita che poteva essere, ed era, conside­ rato una legge naturale, qui non si occupa di distinzioni semifilosofiche tra concezioni vere e false della legge naturale stessa. I vocaboli VO(J-Oç e cpuatç non ricorrono né da soli né in combinazione. 1 Queste difficoltà sono segnalate da Windisch, 399 s. 2. Bultmann, 2 3 6. 3 Sul mantenimento degli apostoli v. sopra, excursus I 4, pp. 7 3 2 s. 7 3 5 -737. 4 V. sopra, a I I , I 2. 5 Georgi, Opponents, 24 I .

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15. Èyw ÒÈ: �Òta'tCX ÒCX1tCXV�aW xcxÌ. ÈxÒCX1tCXVl).fJ�aO(LCXt tmÈ:p 'tWV �U'X,WV U(LWV. El 1 7tEptaao-tÉpwç U(Ltic; tiycx1tw[" ], �aaov tiycx7tW(Lcxt; Paolo intende affermare che la sua condotta andrebbe considerata un'espressione in­ dividuale rafforzata della regola generale che ha appena esposto. 1 Egli «molto volentieri » 3 «Spenderà e si spenderà (completamente) >> per i pro­ pri figli spirituali. La fraseologia è retorica. 4 Ciò significa che non c'è differenza semantica fra il verbo semplice Òcx1tcxv�aw e quello composto ÈxÒcx7tCXVlJ-8�ao(Lcxt, in altri termini, che il secondo si limita a intensificare il senso del primo? Oppure si deve ritenere che il composto abbia un contenuto ulteriore ? Windisch opta per la seconda possibilità. Il verbo semplice Òcx1tcxv�aw indica che Paolo si assumerà personalmente la re­ sponsabilità economica del proprio sostentamento. Il composto ÈxÒcx7tcx­ VlJ-8�ao(Lcxt riguarda più in generale la sua vita di abnegazione totale; cf. Fil. 2,17. 5 Secondo Barrett, tuttavia, il verbo semplice Òcx1tcxv�aw ha es­ so stesso un referente più esteso: indica sacrifici economici, ma anche il dispendio di «tempo, energia e amore >> .6 Il contenuto dei due verbi è quindi fondamentalmente identico, anche se Èx del verbo composto avrà un valore perfettivo/ in quanto l'abnegazione di Paolo continuerà fino al suo compimento. 8 Questa opzione è preferibile, perché dà conto sia della somiglianza sia della differenza fra un verbo e l'altro. A Paolo pre­ me il pieno benessere dei corinti e perciò parla in entrambi i casi dello spendersi nel senso più lato. Ciò ha indirettamente un aspetto economi­ co, ma egli si sforza di dotare i corinti innanzitutto di risorse spirituali.9 La questione economica nondimeno sta implicitamente in primo pia­ no nel prosieguo. Paolo vi aveva fatto cenno in precedenza a proposito del suo amore per i corinti ( I I ,?- I I ) e nel v. 1 5 ritorna sul punto in mo­ do più esplicito, ponendo una domanda retorica. 1 0 Il suo amore maggioV. sono, pp. 8 76-878, sulla complicata variante testuale che interessa sia l'inizio del v. 5b sia à:ycmw[v]. :r. É-y w è enfatico, in virtù sia della sua stessa presenza sia della sua posizione all'inizio del periodo. Se nel v. 14 si trovano riferimenti impliciti alla condizione e alla pratica diffe­ rente dei suoi avversari, È-y w può servire anche a segnare la contrapposizione, come crede Filson, 4 1 3 . 3 V. BDF, § 60. 2: �ò'a-"11 è un superlativo dativo, come nel v. 9· 4 Paolo adopera sostanzialmente lo stesso verbo in forme differenti, attiva e passiva. 5 Windisch, 400, seguito da Bultmann, 236. 6 Barren, 3 24, seguito da Martin, 4 4 3 · 7 Barren, loc. cit. 8 BDF, § J I 8 · 5 · 9 Ciò non significa tuttavia che il termine ljiux� nella locuzione tm:È:p "wv > , «manifestazioni di >> ogni vizio menzionato. Sul significato di Èpt-8da. occorre soffermarsi, ma gli altri ele­ menti sono chiari: -8u[J.oc; «ira>> ,3 xa.'ta.Àa.Àta «maldicenza>> ;• o,Jit-8upta[J.oc:; , «pettegolezzo (nascosto) >>,s cpuaiwatc; ••superbia >>,6 tixa.'ta.a'taaia, •• disordine» / Il termine Èpt-8eia ricorre sette volte nel N. T. ( Rom. 2,8; 2 Cor. n, 2o; Gal. 5,20; Fil. 1 , 1 7; 2,3 ; Giac. 3 , 14. 1 6) . Prima dell'epoca neotestamen­ taria si incontra solo in Aristotele, ••dove denota il perseguire egoistica­ mente incarichi politici con metodi sleali>> . 8 D significato nel N.T. è con­ troverso. 1. È sinonimo di Éptc;, come termine diverso per «contesa » ? Windisch pensa che il contesto deponga per questa accezione e richiama l'atten­ zione anche su un nesso filoniano: tiqaÀovetxoc; xat tivepL-8tU'toc;.9 Il pri­ mo aggettivo significa ••non amante della contesa » 1 0 e si può presumeinsieme sia intenzionalmente strutturato in quattro coppie. In Gal. 5,20 i primi quattro elementi di z Cor. 1 2,20 costituiscono il secondo, terzo, quarto e quinto in un gruppo di otto. V. Burton, Galatians, 304. In questo versetto inoltre non sembra molto appropria­ to accoppiare -8up.ol con èpt-8e:iott, né cpootWo-e:t� con cixot'tota'totatott. r BAGD, s. v. Épt�. Alcuni testimoni (B D F G 'Y � latt syh co) recano il plurale Éptt�, ma per Metzger, Textual Commentary', 5 87, esso è dovuto ad assimilazione ai plurali che se­ guono l;i]Ào�. Il singolare (1)46 � A 0243 3 3 3 26 94 5 1 7 3 9 1 8 8 1 249 5 al syP) è originario. h 1 BAGD, s. v. l;i]Ào�, 2. Come nel caso di Épt�, in alcuni testimoni (� D' 'Y 024 3 � latt sy co) si legge il plurale l;i]Àot. Anche qui il singolare (1)46 A B o• F G 3 3 3 26 pc syP boms) è la lezione genuina. 3 BAGD, s.v. -l1up.oç, 2, dove il plurale è inteso come «accessi d'ira » . 4 BAGD, s.v. xet 't'otÀ et Àta : l'unica altra occorrenza neotestamentaria (anch'essa al plurale) si trova in I Pt. 2., 1, ma l'aggettivo xot't'aÀcxÀoç è in Rom. 1,30, e il verbo xcx't'etÀcxÀÉw in Giac. 4,1 1 e I Pt. 2,1 2; 3 , 1 6. 5 BAGD, s.v. > , « spirito di parte» , che egli considera adeguato in al­ cuni esempi neotestamentari, fra cui 2 Cor. 1 2,20. 8 Di queste tre opzioni la prima va respinta per i motivi addotti. Fra le altre due è preferibile la terza. Se l'elenco dei vizi è utilizzato qui per di­ pingere la situazione creata (o forse esacerbata ) dall'arrivo dei missio­ nari rivali, «casi di spirito di parte>> sarebbe più direttamente pertinente che non il più generico «casi di ricerca del proprio tornaconto >> . I Windisch, 408 . In BAGD, s.v. tpt..9t11X, questa interpretazione è ritenuta possibile, seb­ bene non sia quella favorita. :z. V. Plummer, 3 69. Si noti che, poiché il genitivo di tptc; è tptooc;, i vocaboli in èpt� costi­ tuiscono un gruppo differente. V. LSJ, s.vv. tpt..9oc;, I . « lavoratore giornaliero» , «servito­ re a giornata » ; n. metaforico «servitore » ; Èpt&Uo(J-IXL, I : «Servire, lavorare a giornata » ; n.1 (di funzionari pubblici) «brigare, intrigare per una carica »; Èpt..9t11X, I . « lavorare per un salario » ; n. (v. sopra, p. 892 n. 8, e sotto); Burton, Galatians, 3 08, rileva che il ver­ bo si trova in Polyb. 10,25,9 col significato di «cercare la cooperazione politica di » , «attrarre nella propria fazione » . 3 LSJ, s.v. àvtpL..9e:tnoc;. 4 Segnala il problema BAGD, s.v. èpt..9dtX, con riguardo alle fonti (ipotetiche) da cui Pao­ lo può aver tratto i suoi elenchi di vizi, ma la medesima argomentazione è senz'altro va­ lida anche per il caso stesso di Paolo. 5 Burton, Galatians, 3 08; BAGD, s.v. Èpt..9dtX. Per Burton questo significato si ricavereb­ be da quello originario di « lavorare per un salario» . Cranfield, Romans, 148, commen­ tando Rom. 2.,8, osserva tuttavia che il senso generale di «egoismo» potrebbe essere con­ siderato un'estensione dell'uso aristotelico. 6 BAGD, s. v. èpt..9e:i.x (in aggiunta a « egoismo ,. ) . 7 Burton, Galatians, 308. 8 Loc. cit. Questa accezione - egli osserva - potrebbe derivare dal ( «è affine » al) signifi­ cato aristotelico di «aspirare a una carica » . In LSJ, s.v. Épt&iiX, n.2, le accezioni fornite sono «ambizione egoistica » o « faziosa » , con rinvii a Giac. 3 ,14 e Fil. 1 , 1 7, e al plurale •intrighi » , «litigi di parte » , con rinvio a Gal. 5,20 (anche se può sembrare che questa seconda accezione identifichi il significato di Èpt..9e:11X con quello di tptc;, la differenza sta­ rebbe nel rilievo attribuito in Èpt..9e:l.x all'idea di fazione).

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ANSIA PER LA SITUAZIONE MORALE DEI CORINTI

Paolo ricorre a elenchi di vizi in altri passi (Rom. 1,29-3 1; 1 3 , 1 3 ; I Cor. 5 , n ; 6,9 s.; Gal. 5 ,20 s.), secondo lo stile proprio della diatriba esemplificato in Epitteto.' Sebbene in tutti i casi essi siano rilevanti per la sua argomentazione, quelli della corrispondenza corinzia sono forse più decisivi per il benessere della chiesa destinataria. In questo esempio i versetti seguenti mostrano chiaramente che è così. 2 1. !J.� 7taÀtv ÈÀ-8ov't'oç !J.Ou 't'cx7te:tvwan !J.E ò .Se:oç !J.Ou 7tpÒç UjJ.aç, xcxl. m:v­ .fJ�aw 7tOÀÀoÙ . 6 Questo tipo di interpretazione però non convince del tutto. Da un lato gli aspetti positivi della mediazione paolina della potenza di Cristo sono poco congruenti con il monito conclusivo del v. 2 (e Paolo ha certamente già detto tutto quel che poteva dire nell'ambito dell'esor­ tazione etica e del richiamo alla penitenza ). D'altro canto, una mera di­ chiarazione, senza una dimostrazione pratica della propria efficacia, non servirebbe a convincere i corinti che Paolo è effettivamente il portavoce di Cristo. :>. Windisch, 4 1 7. 1 V. sotto. 3 Windisch prospetta questo nesso, senza tuttavia accettarlo. 5 Bulttnann, 244 s. 6 Barrett, 3 34 s. 4 V. Meyer, 503-505.

2

COR.

1 3,1-10

Questo Cristo infatti, nella loro esperienza, è essenzialmente potente. 1 La contrapposizione implicita con quanto credono di sapere dell'espe­ rienza paolina di Cristo è potenziata dalla struttura chiastica � della pro­ posizione relativa, che colloca i pronomi personali u[J.Ii.:; e u[LtV in posi­ zioni di evidenza all'inizio e alla fine della frase e quindi, nel caso di d.:; U[Lii.:;, crea un'antitesi visibile con Èv È[Lot precedente. Questa lettura del v. 3 b presuppone che Paolo citi le parole dei corinti stessi, ma prima di procedere oltre lungo questa linea, occorre rivolgere l'attenzione ad al­ tre interpretazioni. Paolo forse pensa, semplicemente e unicamente, alla potenza che prevede sarà esercitata da Cristo in senso negativo, per pu­ nire, quando egli arriverà di persona per la sua terza visita a Corinto.3 Ma il verbo òuva-re:t è al presente e non sarebbe naturale un simile riferi­ mento al futuro. Forse allora Paolo parla in senso positivo, seriamente, e di propria iniziativa, della potenza di Cristo che ha avuto per esito la fondazione della chiesa corinzia e la concessione di tanti doni spirituali ai suoi membri, e dei segni apostolici che egli stesso ha compiuto.4 Non è chiaro però come ciò si adatterebbe al contesto, dato che l'intero v. 3 dipende grammaticalmente dal v. 2, dove si parla dei peccatori a Corin­ to e li si avverte della punizione futura. È quindi preferibile ritornare all'opinione che il v. 3 b rispecchi quanto i corinti stessi dicevano, e che implicitamente essi istituivano un confronto sfavorevole a Paolo. Se le cose stanno così, la citazione di Paolo conterrà una sfumatura ironica.5 La potenza di Cristo che sostengono di possedere (cf. I Cor. 4,8 ) può sì essere esercitata in mezzo a loro (Èv u[J.Iv), ma non in un unico modo. Es­ si hanno in mente la loro esperienza passata e presente della potenza di Cristo, l'abbondanza dei loro x_apta[La-ra e simili, ma nell'idea di Paolo questa potenza, mediante la sua azione, può essere esercitata a loro sfa­ vore quando egli arriverà di persona a Corinto. 6 Essi chiedevano evidentemente a Paolo la prova che egli parlava per Cristo, e abbiamo sostenuto che questa òoxt[L � consisterebbe nel suo po­ tere di punire i peccatori. Ma parlavano sul serio? Da quanto ha detto r Sul verbo òuv�:�:-rÉw v. BAGD, s.v. È raro e, come nota Plummer, 374, peculiare di Paolo nel greco biblico. In Rom. 14,4 e 2 Cor. 9,8 (v. sopra, ad loc. ) equivale a ÒUVI:ttJ-I:tt (cf. LSJ, s.v. òuv�:�:-rÉw), ma qui significa «essere fone » (LSJ, s.v., 2 ) . Secondo BDF, S 108.2, «è re­ troformazione dal più antico liòuv�:�:-rttv » . � La struttura chiastica è segnalata, a d es., d a Plummer, cit. ; Furnish, 5 70; Martin, 4 5 6. 3 Meyer, 504; cf. Wendland, 25 5 s.; Héring, 1 0 1 . 4 Plummer, loc. cit. ; cf. Barrett, 3 3 5 · 5 Filson, 4 1 8 . v . anche Priimm, 7 1 5 , che richiama l'attenzione su I Cor. 4,1o, dove Pao­ lo cita ironicamente la rappresentazione che i corinti propongono di sé. 6 Furnish, 5 76.

9 10

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in 1 2,21 e 1 3 ,2, questi peccatori dovevano essere numerosi - perlome­ no ai suoi occhi. Di fatto è possibile che alcuni di loro, allontanatisi da Paolo a motivo delle sue precedenti critiche e pretese morali, fossero tra i primi a chiedere che egli desse prova della sua rivendicazione apostoli­ ca di parlare in nome di Cristo. Se è così, è difficile che potessero essi stes­ si temere una punizione. Quanto era seria la richiesta di una prova ? Si possono dare risposte diverse. Da parte di coloro che rimanevano anco­ ra fedeli a Paolo sarebbe una richiesta effettiva. Ma altri, fra cui quanti erano passibili di punizione, avevano forse appoggiato la richiesta aspet­ tandosi che non sarebbe stata soddisfatta (Paolo non sarebbe arrivato, o, se fosse arrivato, non avrebbe superato la prova) : la chiesa quindi si sarebbe infine liberata dei tentativi di supervisione dell'apostolo. Altri ancora, del resto, forse attendevano con impazienza la punizione ecla­ tante di qualche malfattore conclamato, confidando che i propri pecca­ ti meno evidenti non avrebbero attirato l'attenzione. Erano interessati a una dimostrazione di potenza apostolica miracolosa, piuttosto che allo sradicamento del peccato in quanto tale, e si consideravano più spetta­ tori che vittime. 4· XClL yàp I ÈO"'t'Clupw-81J È� àa--8e:ve:icxc;, à).. )..à �n Èx ÒuVa!J-EWc; -8e:ou. XClL yàp �!J-Etc; àa-.fJe:VOU!J-EV ÈV etÙ'tcj), à)..)..à � �O"OIJ-EV a-Ùv ClÙ't'cj) ÈX ÒuVa!J-EWç .fJe:ou e: !c; ÙIJ-tiç . Questo versetto nel suo insieme suffraga il v. 3 , che spiega a sua volta où cpe:ta-O!J-Clt alla fine del v. 2. Quando Paolo arriverà a Corinto non risparmierà i peccatori, poiché la comunità gli chiede la prova che egli parla con la potenza di Cristo. Essi la avranno. Ma poiché è considerato debole dai corinti, e invero ha sottolineato egli stesso la propria debo­ lezza (sia pure come contesto in cui è stato dotato di forza divina), deve affermarne la base cristologica con assoluta chiarezza. Il Cristo della cui potenza in Paolo i lettori chiedono la prova ha egli stesso patito la debolezza, ma ciononostante è colui che contiene la potenza divina. Ne consegue che la debolezza dell'apostolo non ostacola il suo esercizio del­ la potenza di Cristo. xcxi yap, «perché invero >> ,'" in apertura avrà quindi questa connotazione esplicativa generale. Fu «a motivo della debolezza >> , È� 3 àa--8e:vdcxç , che Cristo venne croci­ fisso. Heckel osserva che questa affermazione ha causato problemi fin I In alcuni testimoni (�1 A D' �· cm lat sy; Ambst) prima di Èa-rcxupw-81'j si legge Et, che è una lezione secondaria. Indebolisce il valore dell'asserzione della debolezza di Cristo tra­ sformandola in mera concessione: cf. Barrett, 3 27 n. x; Mattin, 4 5 2. L'omissione di el è ben attestata (1)46vid �· B o• F G K P 0243 3 3 8 1 104 3 6 5 1 24 1 • 1 7 3 9 al co; Eus) ed è da accogliere. � V. ad es. Lambrecht, Studies, 592. 3 V. BAGD, s.v. Èx, 3.f, dove si rinvia a questo passo.

2

COR.

13,1-IO

9II

dall'inizio della storia dell'esegesi, e che si è tentato di attenuarla in va­ ri modi, I che egli elenca. I . L'inserimento di El dopo xcxì. yap, 2. nell'intento di imprimere alla pu­ ra enunciazione di Paolo un senso condizionale o concessivo, «anche se » , «sebbene» . Il senso dell'argomentazione di Paolo in questo modo si per­ de. Per lui la debolezza che sfociò nella crocifissione è la chiave cristo­ logica della sua debolezza e ne costituisce la giustificazione più forte.3 n. Alcuni esegeti patristici intesero l' &:a-8Évetcx come la peccaminosità umana cui aveva posto rimedio la morte di Cristo:� Ma qui non è in vi­ sta il concetto di espiazione.5 m . Crisostomo, rinviando a I Cor. x , x 8-25, sostiene che Paolo espri­ me l'opinione degli increduli: la debolezza non è una realtà, ancorché secondo i criteri umani la crocifissione di Cristo appaia così. 6 Bruce se­ gue questa linea esegetica generale/ condivisa pure da Furnish, a pare­ re del quale Paolo dà l'impressione di vedere nella morte di Cristo «una dimostrazione di quella debolezza in cui e mediante cui la potenza di Dio opera per la salvezza », e cita come passo pertinente all'interpreta­ zione di questo versetto I Cor. x , 1 7-3 I . È� &:a-Bevetcxc; potrebbe a suo giu­ dizio significare « 'in conformità' alla 'debolezza' apparente di Dio » . Egli dubita che Paolo considerasse la morte di Cristo esito della sua debolez­ za. 8 Anche questa terza interpretazione non convince. Riguardo a Criso­ stomo, Heckel ribadisce il concetto espresso a proposito della prima ipo­ tesi: la debolezza (autentica) di Cristo sta alla base dell'argomentazione di Paolo.9 Nella seconda metà del v. 4 è messa in parallelo con quella di Cristo la debolezza dell'apostolo, la cui condizione di debolezza è senza dubbio reale. Il raffronto con I Cor. 1 , 1 7-3 I mi sembra fuorviante. In primo luogo, quel passo concerne soprattutto la sapienza. Le parole di Paolo su potenza e debolezza si possono inoltre facilmente considerare un'espressione fortemente condensata in cui l'evento Cristo in due fasi di 2 Cor. 1 3 ,4 è compendiato nel concetto singolo del Cristo crocifisso co­ me potenza di Dio (è forse più semplice interpretare I Cor. 1 , 1 7-3 I alla luce di 2 Cor. 1 3 ,4 che viceversa). IV. Si argomenta che Èx non ha valore causale. La locuzione, secondo Bultmann, significa semplicemente «come una persona debole >> ed è usa­ ta per creare una corrispondenza retorica con Èx òuva�J.ewc;. Io Heckel di Heckel, Schwachheit, 1 2 5 . 2. V. sopra, p. 9 1 0 n. 1. 3 Heckel, Schwachheit, 1 2 5 s. Schwachheit, 1 26, che menziona Ambrosiaster, Pelagio, Origene ed Epifanio (n. 34). 5 Heckel, Schwachheit, 1 27. 6 Chrys. Hom. in 2 Cor. 29,3 (PG 61, 5 99; NPNF X I I , 4 1 4 ) . 7 Bruce, 2 5 3 . 8 Furnish, 57 1 . 9 Heckel, Schwachheit, 1 26. 1 28. 10 Bultmann, 24 5 , citato da Heckel, Schwachheit, 128 s. 1

4 Heckel,

912

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contro rileva che proprio questa ripetizione della preposizione fa pensare a una corrispondenza di contenuto e quindi a una funzione causale di Éx. È costume di Paolo utilizzare preposizioni identiche in antitesi (così ad es. xa'tà acipxa, xa'tà 7tve:u(La), e qui lo fa nell'intento di acuire la contrap­ posizione fra debolezza umana e potenza divina. 1 Bultmann nega il valo­ re causale sulla base di Fil. 2,7 s.: il concetto sembra che, essendo la debo­ lezza di Cristo intrinseca al suo essere nato uomo (Fil. 2,7 ), non può es­ sere stata questa debolezza il motivo della sua crocifissione. 2. n ragiona­ mento non appare convincente. La morte di Cristo era anch'essa deter­ minata, o resa possibile, dalla sostanziale debolezza dell'esistenza terre­ na e corporea dell'umanità.3 Concludiamo quindi che Paolo parla della debolezza di Cristo non in via ipotetica né semplicemente nell'ottica degli increduli, ma come una realtà e come causa della sua morte. È la debolezza essenzialmente in­ trinseca all'esistenza umana mortale.4 Nel caso unico di Cristo, come rileva Barrett, la debolezza della sua morte per crocifissione fu dimostra­ zione della grazia per la quale egli divenne povero ( 8,9),5 ossia divenne uomo (Fil. 2,7). Per converso è a motivo della potenza di Dio che egli vive eternamen­ te.6 Dio fece risorgere Gesù dai morti (Rom. 8,u; I Cor. 6,14; 2 Cor. 4, 14 ) E questa vita risorta non è solo un modo di essere ma anche una forma di attività, come mostra òuva'te:t del v. 3 .? A giudizio di Windisch, l'antitesi «crocifisso per la debolezza / vivente grazie alla potenza di Dio» era una formula cristologica corrente che serviva a eliminare l'offesa del­ la croce per i credenti: si vedano I Cor. 1,23-25; Ebr. 2,9; lgn. Eph. 7,2 (7tpw'tov 7ta"I97J'tÒc; xat 'tO'te: tì.7ta-8�c;). 8 Le pezze d'appoggio prodotte sono però deboli, giacché sono spiccate le divergenze linguistiche tra le occor­ renze citate ed è improbabile che Paolo avrebbe utilizzato una formula volta a rimuovere l'offesa del Cristo crocifisso. Di seguito egli mette in relazione quanto ha detto su Cristo con la pro.



Heckel, Schwachheit, 1 29. z. Bultmann, 24 5 . V. Heckel, Schwachheit, 1 24 s . , per questa interpretazione d i à:a-BÉVEta. 4 Tutte le interpretazioni esaminate sopra, quali che siano le differenze, considerano à:a-BÉ­ VEta una condizione umana. Per Giittgemanns, invece, Paolo rimanda a uno slogan gno­ stico corinzio che vedeva in à:a-BÉvEta una potenza cosmica demoniaca; v. Der leidende Apostel, q8-1 5 1 . L'ipotesi è fortemente congetturale e inoltre difficilmente si può colle­ gare (come richiede l'argomentazione di Paolo) con à:a-8tvoi"J(J.Ev del v. 4b, che indica lo stato fisico e psicologico di Paolo. 5 Barrett, 3 3 5 s.; cf. Meyer, 505. 6 Windisch, 4 1 8. 7 Bultmann, loc. cit. Ciò resta valido, che Paolo menzioni o meno i corinti con una punta d'ironia. 8 Windisch, 4 1 8. 3

2

COR.

1 3 ,1-10

pria condizione di apostolo, e con l a frase conclusiva arriva finalmente all'asserzione che conferirà valore fondante alla minaccia di provvedi­ menti punitivi formulata alla fine del v. 2. I La linea basilare del ragionamento è abbastanza chiara, e tuttavia non risulta immediatamente evidente quale sia la funzione precisa del xai yap che apre il v. 4b. Prese alla lettera e in rapporto al v. 4a, le particel­ le combinate comporterebbero che l'esperienza di Paolo di debolezza e forza in unione con Cristo confermi la verità della forza nella debolez­ za per Cristo stesso. 2 Ma non è questo il punto in discussione, giacché i corinti non dubitano della potenza di Cristo, bensì della potenza di Pao­ lo (supporre, come sembra fare Windisch,3 che a Paolo prema confer­ mare la verità di un'enunciazione cristologica capovolge il senso della sua argomentazione) . Ci si aspetterebbe - osserva Bultmann - un'espres­ sione di conseguenza (come in Rom. 6,4): 4 «di conseguenza . . . anche noi 'vivremo' » . Ma è possibile che la volontà di Paolo di suffragare la sua promessa o minaccia che i corinti avranno la prova che cercano (vv. 2 s. ) lo abbia indotto a ripetere xai rap causale del v. 4a,5 forse ora nel­ l'accezione di « perché anche noi >> 6 invece di (( perché invero >> . La menzione della sua debolezza può essere affatto generale. Egli for­ se pensa alla persecuzione e alle sofferenze rispecchiare nella rappresen­ tazione della vita apostolica in 4,7-14, nonché in 1 2,9 s. e 1 1 ,23 -27.7 D'altro canto, insieme a queste esperienze sullo sfondo, può avere in mente più in particolare la (( spina >> di 1 2,7, e anche il suo proporsi ap­ parentemente (( debole >> a Corinto. Al riguardo egli penserebbe a come ai corinti fosse apparsa debole e dimessa la sua presenza personale ( 10, ro), 8 e anche a come in precedenza egli avesse risparmiato i trasgresso­ ri in mezzo a loro.9 Questo versetto, come è stato osservato, fornisce in definitiva il fondamento a où tpe:tcrotJ.at del v. 2, che indica implicitamente che finora egli non aveva personalmente inflitto punizioni a Corinto. Io I

Cf. Lambrecht, Studies, 5 9 1 ; Bachmann, 4 1 4. 2. Meyer, 505 s.; Plummer, 375· Non è affatto la stessa cosa (con buona pace di Bach­ mann, loc. cit. ) dire che la debolezza e la forza di Cristo si fondano su quelle di Paolo. 3 Windisch, loc. cit. 4 Bultmann, 246. 5 Per Bultmann, loc. cit. , x11l ycip del v. 4b è parallelo a quello del v. 4a e costituisce il fondamento del v. 3 · 6 V. Lambrecht, Studies, 592. 596. 7 Allo, 3 3 8; Chrys. Hom. in 2 Cor. 29,3 (PG 6 1 , 6oo; NPNF x n , 4 14); Windisch, 419. s Windisch, loc. cit. 9 Meyer, 506. IO Dal nesso logico con i vv. 2 s. si desume che il plurale ljp.Eic; ào--8Evo�v riguarda solo Paolo, malgrado Furnish, 5 7 1 , il quale ritiene possa estendersi ai suoi collaboratori. Si trova un passaggio altrettanto evidente dal singolare al plurale in 1 1 ,21a, dove si capi­ sce chiaramente dai vv. 2 1 b-23 che il v. 2 1 a parla solo di Paolo.

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Paolo è debole Èv aù't'!f>, 1 ossia Èv Xpta't'!f>. Qui probabilmente ciò signi­ ficherà grosso modo «partecipando » alla debolezza di Cristo, non per imitazione esteriore o somiglianza nella sorte, ma in virtù dell'unione interiore illustrata in Gal. 2,20 e Rom. 8,10. Questa è, per Paolo, una rappresentazione veritiera della sua esisten­ za apostolica, ma, per quanto veritiera, non costituisce l'elemento prin­ cipale del v. 4b/ espresso nella frase conclusiva: ciÀÀà 'ç�aop.Ev aùv aù­ 't'!f> 3 Èx òuvtip.Ew> per affron­ tare questo stato di cose.s Che cosa dire infine di aùv rzù-.ij>, che contri­ buisce all'impressione che Paolo abbia in mente la vita futura ? Qui è d'aiuto Priimm, il quale sostiene che si può accedere all'intenzione del­ l'apostolo osservando come utilizza auv in I Cor. 5 ,4, dove la comunità è (dev'essere) riunita, per condannare il peccatore del v. 1, aùv '"Tl òuva­ !J.Et -.où xuplou lJ[.LWV 'I lJaoù. 6 Si è prospettata sopra la possibilità che Pao­ lo fosse consapevole che i suoi lettori potevano pensare a questa occa­ sione precedente/ Se è così, e se egli richiama le proprie parole della pri­ ma lettera ai Corinti, può darsi che aùv rzù-.ij> di questo versetto sia una versione condensata della locuzione di I Cor. 5,4. In tal caso non con­ tiene rimandi alla vita futura dei credenti con Cristo nella risurrezione.

'Erzu-.oùc; 7te:tpa'çe:-.e: d Èa-.è: Èv '"Tl 7tta-.e:t, Érzu-.oÙç òoxt[.La'çe:-.e:· � oùx Èm­ ytvwaxe:-.e: Érzu-.oÙç éht 'I lJaoùç Xpta'tÒç Èv Ù[.Li.'v; e:! [.L �'tt ciòOxt[.LOt Èan. Pao­ lo ha risposto alla richiesta dei corinti di accreditarsi come portavoce au­ tentico di Cristo ammonendo che un'autenticazione siffatta poteva non risultare loro gradita. Ora, per ovviare all'esigenza di provvedimenti se5·

I EÌ>, v. BAGD, s.v. d significa sempli­ cemente vivere la vita cristiana, contrapposta alla vita dell'incredulo.5 Per Paolo la contrapposizione sarebbe netta. Martin commenta: «Paolo parla di una nuova situazione e di una nuova esistenza come cristiano ( 5 , 1 7 ) >> , In essa saranno comprese obbedienza e fiducia,6 ma in base a questa definizione la «fede >> avrà un orizzonte più largo. Ciò si accorde­ rebbe con un uso parimenti generale di 7tta'ttc; in 1,24/ Sembra questa l'opzione esegetica migliore. Che ciò di cui i corinti hanno bisogno (perlomeno nella loro situazio­ ne attuale) sia l'autenticazione è messo in risalto non solo dalla ripe­ tizione del pronome riflessivo in posizione rilevata ma anche dall'uso di òoxtf.La�w, che riprende òoxtf.L� del v. 3 , la richiesta di autenticazione che fanno a Paolo. La sua esortazione affinché si impegnino a valutare se stessi è in linea con la tradizione filosofica greca, 8 e forse, per alcuni Secondo Bultmann, Theol. of the NT 1 , 3 1 4-3 1 6. I 2 passi sono citati da Bultmann nel suo commentario, 2.47. 3 Loc. cit. 4 Bultmann, Theol. of the NT I, 3 1 7-3 I 9· 3 2.2. s. 5 Héring, 1 02.; Martin, 478. 6 Martin, loc. cit. 7 Come suppone Furnish, 577, l'apparente contraddizione tra la fiducia in I,2.4 e il tono interrogativo di questo versetto sarà dovuta al vacillare della fiducia di Paolo nell'inter­ vallo fra la lettera dei capp. 1-8 e quella dei capp. I O- I 3 . 8 V. Fumish, 5 72., che rimanda a H.D. Betz, Galatians (Hermeneia), Philadelphia 1979, 302. nn. 90-94, e anche a Windisch, 42.0 n. I, per la citazione di M: Aur. 10,37· Il con­ cetto formulato qui è che la valutazione delle azioni di un altro va preceduto dalla valur

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dei suoi lettori, ciò conferiva maggiore efficacia alle sue parole. Si noti inoltre che, secondo Betz, il ricorso al linguaggio della òoxt(.L � in questi versetti ( 3 . 5-7) mostra che Paolo ha condotto i corinti a un dialogo sul tema dell'autenticazione (applicata a Paolo, ai suoi avversari e ai corio­ ti stessi), e questo dialogo è il centro teologico della lettera. Gli impera­ tivi in questo versetto ne esprimono l'intento di fondo, giacché la que­ stione decisiva riguarda la posizione dei corinti. Nel corso della lettera essi, dopo aver iniziato dubitando di Paolo, diventano poi dubbiosi sul conto dei missionari rivali e quindi su se stessi. 1 Questo è certamente un taglio secondo cui leggere i capp. IO- I J , ma forse non rende suffi­ cientemente giustizia alla rilevanza in tutta la lettera dell'autodifesa di Paolo, che può apparire la questione preponderante. Il tema dell'autodifesa ritornerà nel v. 6, ma prima Paolo fa seguire alle sue esortazioni una domanda e un'apparente precisazione. Il senso della domanda non è del tutto facile da determinare. Non sanno - egli chiede - che Gesù Cristo 2. è «dentro » di loro ? 3 Lo si può intendere va­ riamente. 1. La domanda riguarda in realtà il giudizio dei corinti su Paolo stes­ so. Per Crisostomo egli fa notare ai corinti che, poiché sono in grado, esa­ minandosi, di verificare che Cristo è in loro, dev'essere senza dubbio tan­ to più vero che Cristo è in lui, in quanto loro maestro.4 Hughes segue la stessa linea, commentando che, se i corinti, ricevendo l'evangelo, hanno sperimentato la grazia divina, ciò offre una prova patente che Cristo in persona parla tramite Paolo, poiché tramite il suo ministero l'evangelo tazione delle proprie: /iplOU OÈ à.1tÒ aCtu'!Ou, KllL aau-rÒv 1tpWTOV È�É-ra'i:E « ma inizia da te stesso, esamina prima te stesso» (LCL). Furnish aggiunge che Dione Crisostomo si attie­ ne a questa tradizione quando loda il detto delfico sulla conoscenza di sé (4, 57). Il testo di Dione recita: oùOdç y!Ìp TWV IÌtppOVWV Kllt 1tOVlJPWV E1tta-ra-ral É:t�UTOV. où yiÌp av TOUTO 1tpw-rov 1tpoaÉTtiTTEV O 'A1toÀÀwv w> cui Paolo si sottopone.1 Furnish conviene che il v. 9a amplifichi la conclu­ sione del v. 7 e ritiene che la debolezza qui prospettata sia rappresenta­ ta, in parte, da situazioni in cui l'apostolo non era chiamato ad appli­ care provvedimenti punitivi, ma egli estenderebbe altresì il concetto co­ sì da comprendere tutte le forme di debolezza che servono come strumen­ ti per disvelare la potenza di Dio (4,7; 1 2,9 s.; 1 3 ,3 s.); il v. 9a è una estensione di 1 2,9.3 Pare probabile sotto vari profili che questa idea più ampia del significato di àa8e:vw(Le:v sia appropriata. In primo luogo, o't"cxv, «ogni qualvolta >> , rende generale l'enunciato; in secondo luogo, quando in precedenza nel v. 4 ha parlato della propria debolezza, Paolo ha con­ nesso questo stato con la sua unità con il Cristo crocifisso, ossia con una relazione che determina la sua intera esistenza apostolica, e non soltan­ to un aspetto di essa riguardante una chiesa particolare. Come, chiamando in causa la propria debolezza, Paolo rinvia i corri­ spondenti alle sue parole del v. 4, così, menzionando la loro forza, ricor­ da quanto ha detto nel v. 3 sull'essere potente di Cristo (òuvcx't"e:t) in mezzo a loro. Lì però, come si è rilevato, egli parla ironicamente quando cita la rappresentazione che i corinti propongono di sé, insinuando che l'espe­ rienza che faranno della potenza di Cristo potrebbe non essere di loro gradimento.4 Qui parlerà seriamente: davvero egli si rallegra qualora siano dotati di un'autentica forza spirituale. Alla luce del v. 7 il senso sa­ rà quello di «moralmente forte >> .5 Per questo Paolo prega. 't"Ou't"o è la forza morale e spirituale dei suoi corr Chrys. Hom. in 2 Cor. 2.9,4 (PG 6 1 , 602 s.; NPNF xn, 4 1 5 s.); Meyer, 5 n; 2. Barrett, 340. Plummer, 3 7 8 ; Hughes, 4 8 3 ; Bruce, 254. 5 Barrett, 340; Priimm, 727. 3 Furnish, 579 s. 4 V. sopra, a 1 3 , 3 .

v.

anche

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rispondenti nella quale egli spera, I e 't'�v ti(.Lwv xa't'ap't'taw conclusivo è una definizione generale per il raggiungimento di questa buona condizio­ ne morale. Per Plummer invece 't'Ou't'o è prolettico: la preghiera è in ag­ giunta a ciò che precede e, analogamente, la xa't'ap·natç deve avere un si­ gnificato aggiuntivo, vale a dire « perfezionamento » .1 Ma è improbabi­ le. Prescindendo del tutto dalla difficoltà di determinare il senso di xa't'ap­ 'ttatç, la formulazione della preghiera non consente questa interpretazio­ ne. Per indicare un contenuto ulteriore della preghiera occorrerebbe qual­ cosa come: tÙXO[Lt.Sa ÒÈ xat 't'Ou't'o «e preghiamo anche per questo >> . La parola xa't'ap'ttatç è hapax legomenon nel N.T., solo sporadicamen­ te attestata altrove,3 sicché gli esegeti prendono in considerazione i cor­ radicali per ricavarne indizi sul significato che il termine ha qui. In Ef 4, 12 compare il sostantivo xa't'ap'tta(.Loç (anch'esso hapax legomenon nel N.T. ), che sembra fosse in origine un termine medico, indicante la siste­ mazione di un osso fratturato, con l'accezione più generale di .4 Ma il senso attribuito alla sua occorrenza di Ef. 4, 1 2, in BAGD, è in un poscritto. 8 Forse allora Paolo potrebbe aver appreso di un muta1 Plummer, 3 79 s.; Weima, Endings, 2. 1 1 . 2. Plummer, 3 80. 3 Furnish, 5 8 5 ; Martin, 492.. 4 Richards, Secretary. s Richards, Secretary, 8 3 . 179 (dove si trova la citazione). 6 Richards, Secretary, 1 80 s. 7 Richards, Secretary, 83 s. 8 Richards, Secretary, 8 5 . Si tratta di Cic. Fam. 1 ,9,2.6, e la frase in questione, citata da

2

COR.

I3,I I-I3

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mento nella situazione corinzia dopo aver steso 2 Cor. 1-9 ma prima di spedire la lettera, e potrebbe quindi aver aggiunto un poscritto formato dai capp. 1 0- 1 3 . Ciò spiegherebbe il cambiamento di tono. Richards af­ ferma inoltre che «Paolo tende a essere più brusco o ruvido nei poscrit­ ti personali » . Si pensi a I Cor. 1 6,22-24; Film. 20-25, e forse a Gal. 6, 1 2- 1 8 . 1 Come valutare questa ipotesi ? Weima la considera « una proposta le­ gittima », ma rileva che manca di «riscontro esplicito nel testo» .� La cri­ tica è evidentemente fondata e merita forse una disamina puntuale. An­ zitutto nell'esempio fornito, in cui Cicerone aggiunge un poscritto per occuparsi delle nuove informazioni, egli indica apertamente la natura dell'aggiunta.3 È vero che Richards può citare un'altra lettera di Cice­ rone dove l'inserimento di un poscritto non viene specificamente dichia­ rato,4 ma, come Richards stesso osserva, il materiale aggiuntivo segue una delle formule di chiusura abituali di Cicerone,s talché il carattere di poscritto si può dedurre dalla sua collocazione. In entrambi i passi si trova quel «riscontro esplicito » per la presenza di un poscritto di cui Weima lamenta la mancanza in 2 Cor. 1 0- 1 3 . In secondo luogo, le pre­ sunte nuove informazioni che avrebbero indotto a redigere un poscritto come questo avrebbero evidentemente significato un cambiamento nei rapporti personali di Paolo con i corinti. Non ne avrebbe fatto cenno esplicitamente, come in una situazione analoga (ma non identica ) riguar­ dante i galati ( Gal. 4, 14- 1 6 ) ? In altre parole, non avrebbe richiamato l'attenzione proprio in quei termini sul contrasto fra ciò che aveva sen­ tito prima riguardo all'affettuosa impazienza dei corinti di veder!o ( 7, 7.1 1 ) e ciò che sente ora, nel redigere la medesima lettera, delle rimo­ stranze sulla mancanza d'amore da pa.rte sua ( 1 1, 1 1 ) ? In terzo luogo, l'argomentazione ulteriore, secondo cui il cambiamento di tono di Pao­ lo nei capp. 10- 1 3 si può spiegare con l'atteggiamento più ruvido nei suoi poscritti personali, non convince del tutto. Va detto che tale atteggia­ mento è tutt'altro che evidente nella lettera a Filemone, che, se è palese in Gal. 6,1 1 - 1 8, lo è altrettanto nelle sezioni precedenti della lettera ( 1 ,6; 3 , 1 ; 5 , 1 - 1 2), e che, per quanto l'anatema di I Cor. 1 6,22 possa suonare severo, non è sostanzialmente più severo degli ammonimenti fatti altro­ ve, ad es. in 1 1 ,27-30. Un'altra considerazione, infine, potrebbe costitui­ re un punto a sfavore dell'ipotesi del poscritto. La lettera dei capp. 1-8 Richards, recita: Scripta iam epistola [epistolam d i Richards è u n refuso] superiore, ac· cepi tuas litteras de publicanis «Dopo che la lettera precedente era già stata scritta, ho ricevuto la tua comunicazione sui pubblicani» . r Richards, Secretary, 1 80 s . :z. Weima, Endings, 209. 3 V. sopra, pp. 930 n. 8. 5 Richards, loc. cit. 4 Richards, Secretary, 8 5 , che rimanda a Cic. Fam. 19 ,9,2.

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LA CHIUSA DELLA LETTERA

si conclude con la raccomandazione di Paolo a Tito e ai suoi due com­ pagni che devono mettersi in viaggio alla volta di Corinto perché aiuti­ no i corinti a completare il loro contributo per la colletta di Gerusalem­ me. Paolo è molto preoccupato che ciò avvenga senza ulteriori ritardi. Farebbe dunque aspettare questa delegazione mentre compone un'ag­ giunta così lunga alla sua lettera originaria ? Oppure se, alla luce delle nuove informazioni, ha deciso che sarebbe inutile inviarli a questo sco­ po a Corinto, perché non ha eliminato il cap. 8 (e forse gran parte del cap. 7 ) ? Si può accennare più in breve a un'ipotesi differente sull'estensione della chiusa epistolare. Secondo Schnider e Stenger ihizia in 1 2, 14· Con questo versetto comincia la «parusia apostolica » , che, a detta loro, ap­ partiene alla chiusa, poiché è strettamente connessa alla parenesi con­ clusiva: v. Rom. 1 5 , 14-29; I Cor. 1 6, 1 - 1 2. I Quest'argomentazione strut­ turale non tiene conto di come la natura della presenza e del comporta­ mento personale di Paolo a Corinto fosse essa stessa oggetto di critiche e dissidi. In altre p:;trole, la trattazione della sua , come suppone Furnish, ma implica an­ che una sostanziale parità di condizione. Se, mentre redigeva la prima lettera ai Corinti, Paolo nutriva una ragionevole fiducia che la sua auto­ rità pastorale fosse accettata nella chiesa corinzia, si doveva sentire an­ che libero di scrivere ai membri della comunità come a suoi fratelli cri­ stiani, vale a dire a coloro che, esattamente come lui, condividevano la condizione di figli di Dio (Rom. 8,q- 1 7). Ma eventi successivi (l'incir Weima, Endings, 208. V. anche I46, dove Weima fornisce un elenco di questi passi e in­ dica in particolare la parola o locuzione introduttiva di ciascuno: Rom. 16,17 s. 1 9b: &.oe:À­ ipol; I Cor. I 6, 1 3 - 1 6.22: &.òe:ÀI(ol; z Cor. 1 3 ,na: Àomév, &.oe:Àipol; Gal. 6, 17: 't"ou Àotltou; Fil. 4,8-9a: "L"Ò Àomév, &.oe:Àipol; I Tess. 5 ,2 5 . 27: &.oe:Àipol; Film. 20-22: v11Ì &.oe:ÀipÉ. 1 Weima, Endings, 147· Per i particolari si veda l'esegesi seguente. Sul passo della lette­ ra ai Romani rileva, 148: « L'ammonimento autografo di Paolo in 1 6, 1 7-20 contro quan­ ti creano dissensi e divisioni richiama gli appelli precedenti contro la disunione nella co­ munità romana che scaturiva dalle tensioni tra i 'deboli' e i 'forti' » . 3 BAGD, s.v. Àoméç, 3 .b. V. anche a d es. Plummer, 3 80; Barrett; 3 4 1 ; Furnish, 5 8 1 ; Mar­ tin, 490. Sull'utilizzo di ('t"Ò) Àomév v. inoltre: Roller, Formular, 66 e n. 308, nonché 67, dove Roller fa notare che questa è l'unica occasione in cui nelle lettere di Paolo si ha qual­ cosa di simile a -rei ò' aÀÀI1 delle lettere profane; Thrall, Particles, 30. 4 Furnish, 5 8 1 . 5 Weima, Endings, 2 1 0. 6 Plummer, 3 So, constata la frequenza dell'allocutivo in 1 Corinti e la sua rarità in que­ ste due sezioni di 2 Corinti.

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LA CHIUSA DELLA LETTERA

dente durante la visita intermedia, la lettera delle lacrime e l'arrivo in forze dei missionari rivali) avevano intaccato questa fiducia e libertà. Così solo alla fine di questa lettera in difesa della propria autorità, Pao­ lo ritorna alla sua forma originaria di allocuzione, come gesto di conci­ liazione e nella speranza di potere ora essere compreso. 'X.atpe'te è anch'esso inteso quale gesto conciliatorio? Se ha il significa­ to abituale di «rallegrarsi » , potrebbe forse essere cosÌ.1 Diverse tradu­ zioni però lo interpretano nel senso di « addio>> . >. Secondo BAGD po­ trebbe avere questo significato in Fil. 3 , 1 e 4,4.3 Si pronuncia a suo fa­ vore per questa occorrenza Plummer, secondo il quale l'accezione «ral­ legrarsi >> sarebbe piuttosto incongruo dopo la minaccia di duri provve­ dimenti nel v. 2.4 Questa appare indubbiamente una difficoltà. La mag­ gior parte dei commentatori tuttavia interpreta 'X.tXLpe'te nel senso di «ral­ legrarsi », per diverse ragioni. Anzitutto perché il verbo si trova in testa a un elenco di quattro imperativi alla seconda persona plurale.5 Inoltre in un passo analogo di r Tess. 5 , 1 6, dove 'X.atpe'te è seguito da una serie di imperativi, «rallegrarsi » è l'unico significato possibile.6 In terzo luogo, nel v. 9 il verbo significa «rallegrarsi » .? Che cosa dire degli imperativi seguenti? Il primo, xa'tap'tt'çea-Be, è am­ biguo sotto due aspetti. Qui xa'tap'tt'çw ha il senso di «recuperare, met­ tere a posto» o significa «completare» ? 8 Qualche commentatore opta per la seconda accezione, scorgendo l'idea del raggiungimento della per­ fezione,9 ma i più preferiscono la prima, 1 0 e poiché nel trattare il so­ stantivo corradicale xa'tcip'tunc; del v. 9 si è propeso per questo signifi­ cato, n lo si adotterà qui. L'altro elemento di ambiguità concerne la dia­ tesi di xcnap'tt-çea-Be, che per forma potrebbe essere sia passiva sia me­ dia con valore riflessivo. La possibilità linguistica della seconda alterna­ tiva è attestata in Mt. 2 1 , 1 6 in una citazione di Sal. 8,3 (LXX): xa't' l]p­ 'ttaw alvov «hai preparato una lode per te stesso >> (NRSV) .12. Barrett lo intende così e traduce: «riacquistate il controllo di voi stessi >> .'3 Martin analogamente ha: «mirate al ristabilimento >> .14 Egli fa notare che Paolo «allevierebbe il carico sui corinti >> , se avesse inteso l'imperativo come passivo: ciò non è verisimile, poiché egli spera ardentemente che essi V. sotto. 2. RSV, NRSV, NEB, REB, BCN; Barrett, 3 4 1 . 3 BAGD, s.v. "X.1X(pw, 2.a. 4 Plummer, 3 80. 5 Bultmann, 25 2; Furnish, 5 8 1 ; Weima, Endings, 210 n. 2.. 6 Furnish, 58 1 ; Weima, loc. cit. 7 Furnish, loc. cit.; Martin, 498; Weima, loc. cit. 8 V. BAGD, s.v. XIX't"IXp't('çw, per questi significati. 9 Plummer, 3 80; Filson, 423. Io V. ad es. Tasker, 1 90; Furnish, 5 8 1 ; Barrett, 34 1 s.; Martin, 490. n V. sopra, p. 926. 12. BAGD, s.v. XIX'tiX@'tt'çw, 2..b. 13 Barrett, 3 4 1 . 1 4 Martin, loc. cit. I

2

COR.

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prendano provvedimenti prima che egli arrivi di persona. I Furnish tut­ tavia considera xa'tap·d�e:a-8e: passivo, «siate ristabiliti », in quanto è in relazione con la preghiera per il ristabilimento dei corinti nel v. 9· 1 Se, viste queste interpretazioni diverse, si ricorre a BAGD per poter dispor­ re di una guida, la nota sul versetto sembra di primo acchito tutt'altro che utile, giacché l'imperativo è classificato come passivo, ma tradotto «correggete i vostri comportamenti >> . 3 In realtà questa voce del dizio­ nario addita forse la soluzione della difficoltà. La forma dell'imperativo può essere passiva, ma un imperativo passivo, nella natura logica delle cose, deve avere una sfumatura di tipo riflessivo, poiché richiede una rea­ zione alla persona cui si rivolge. In questo caso i corinti saranno rista­ biliti da Dio in risposta alla preghiera, ma al tempo stesso occorre la lo­ ro cooperazione.4 Lo stesso problema della diatesi sorge nel caso del successivo 7tapaxa­ Àe:ia-8e:, che può essere medio o passivo. Per Barrett è medio, «esortatevi l'un l'altro >>,5 e Martin analogamente traduce «incoraggiatevi l'un l'al­ tro» 6 ma, come fa notare Meyer, un comandamento di questo tipo _sa­ rebbe stato formulato come 7tapaxaÀe:i'te: ciì.. À�Àouç (cf. I Tess. 4, 1 8 ; 5, 1 1 ), o 7tapaxaÀe:in Éau'toV> si rifarà a questo ammonimento precedente.13 Criso­ stomo immagina una distinzione fra e:tpl)ve:ue:n e 'tÒ aÙ'tÒ q:�pove:i'n: si può «essere concordi>> riguardo alla dottrina ma trovarsi in disaccordo sul piano personale. ' 4 È dubbio tuttavia che Paolo avesse in mente questa distinzione. Il nesso più verisimile fra le due esortazioni sarebbe quello di causa ed effetto, come crede Barrett, che rimanda a Calvino: e:lplJve:ue:n «esprime il risultato dell'essere concordi >> , ' 5 Con questo s i conclude la serie d i imperativi, i l cui accumulo fa pen3 BAGD, s.v. xct't"ctp·d�w, x .a. Martin, 499· 2. F urnish, 5 8 1 . Cranfield, Romans, 607, per un'interpretazione analoga di !J.E't"Gt!J.Opcpoixn9E in Rom. 1 2. , 2. . 5 Barrett, 3 4 1 . 6 Martin, 490. 7 Meyer, 5 1 3 , con rinvio a De Wette, 2.6 1 , che rende il verbo «esortatevi reciprocamente » ( «ermahnet euch unter einander» ) 8 Hughes, 487. 9 Plummer, 3 80. IO Hughes, 487; v. anche Priimm, 72.8, e Furnish, s 8 r s. I l Furnish, s 8 x . 1 2. Windisch, 42.6. 1 3 Windisch, loc. cit.; Furnish, 5 8 5 · 14 Chrys. Hom. in 2 Cor. :z.o,1 ( P G 6 1 , 6o6; NPNF xn, 4 1 8). r s Barrett, 3 4 :2.; Calvino, 1 76. I

4 V.

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sare a Martin «che Paolo incoraggi con insistenza (e passione ? ) i corinti a porre rimedio alla situazione della chiesa prima del suo arrivo >> . I Forse è così, ma in I Tess. s , r 6-22 (che precede immediatamente, come in 2 Cor. I J , I I , la benedizione di pace) si trova una serie di imperativi ancor più lunga, rivolta a una chiesa che non aveva creato a Paolo i gravi pro­ blemi incontrati a Corinto. 1 rh. xa.t o .SEÒc; -rijc; ciya7tlJc; xa.t Elp�vlJc; Éa-ra.t !J-E-8' UIJ-WV. Si ha qui la con­ venzione epistolare paolina che Weima definisce « benedizione di pace>>, elemento che si incontra in tutte le epistole riconosciute fuorché nella prima lettera ai Corinti e in quella a Filemone. � Nella forma consueta tuttavia Dio è designato come o .SEÒc; -rljc; dp�vl)c;: soltanto qui è aggiun­ to -rljc; ciya7tlJc;.3 Ma anche la forma consueta è inconsueta, se conside­ rata in un contesto più vasto. Furnish rileva che c'è un solo esempio giu­ daico della locuzione « Dio di pace>> , in Test. Dan 5,2.4 È tuttavia legit­ timo chiedersi se, in senso più generale, Paolo sia per qualche aspetto debitore della tradizione giudaica. La sua formula deriva forse in qual­ che modo dalla prassi liturgica ? Weima osserva che una richiesta di pa­ ce concludeva talora un servizio cultuale e, in particolare, che la bene­ dizione di Num. 6,24-26, in cui l'elemento finale è una benedizione di pace, era regolarmente utilizzata così.5 Ritiene però che « un'analogia più stretta » si trovi nelle lettere semitiche dei primi decenni del n seco­ lo,6 nelle quali «la formula di chiusura più comune era l'augurio di com­ miato, che nelle lettere ebraiche e aramaiche prendeva la forma di un augurio di 'pace' >> .7 Ma la presenza di un augurio di commiato può a sua volta derivare dalla prassi epistolare ellenistica, 8 e poiché di questa Paolo è debitore per altri aspetti, è più probabile che la fonte diretta I

Martin, 493· Endings, 87; si veda la tavola a p. 89. La benedizione è composta da questi ele· menti: a) una particella introdurtiva (oÉ o xal ); b) la menzione della fonte divina di be­ nedizione; c) l'augurio (variamente espresso - col verbo ì::a-retL in Fil. 4,9b come qui in 2 Cor. 1 3 , 1 1 ); d) la menzione del destinatario. Così nell'analisi in Endings, 88 s. Si può di­ scutere se i termini « benedizione» e « augurio» siano rigorosamente appropriati (v. sorto). 3 Plummer, 3 8 1 , e Furnish, 5 8 2., osservano che la locuzione o Beò� ori]� à:ycixl'}> , e ne considera il contenu­ to un «augurio>> . 5 Il verbo ecr'tat però è all'indicativo futuro. Si può uti­ lizzare questo tempo e modo per esprimere un augurio? Ci si aspette­ rebbe l'ottativo etl). Se poi si dovesse ipotizzare che il v. I I b sia una me­ ra asserzione, ci si dovrebbe chiedere quale sia il suo rapporto logico con il v. I I a. Tanto per incominciare, che cosa giustifica la considerazione del v. nb come «augurio >> o « benedizione>> ? Si può qui rinviare all'opera di Wiles 6 che, nell'indagine sulle preghiere di Paolo, si domanda se vi sia­ no « preghiere di augurio >> con il verbo all'indicativo futuro invece che all'ottativo, oppure (rovesciando i termini della questione), se vi siano apparenti «dichiarazioni >> all'indicativo futuro che possano o debbano essere intese come preghiere di augurio. I testi presi in esame sono: Rom. r6,2oa; I Cor. r,8; 2 Cor. I 3 , 1 1 b; Fil. 4,7.9b. r9; I Tess. 5 ,24b. Wiles fa notare che in qualche caso (Rom. r 6,2oa; Fil. 4,19; I Tess. 5 ,24b) la tra­ dizione testuale oscilla fra l'indicativo futuro e l'ottativo,7 il che potreb­ be indicare che i copisti lessero l'indicativo futuro come espressione di un augurio e gli sostituirono l'ottativo, semplicemente perché «nella pre­ ghiera di petizione era possibile un uso intercambiabile delle due for­ me >> . 8 A riprova dell'intercambiabilità Wiles adduce i versetti di Sal. 20,9- I I (LXX), in cui si alternano ottativo e indicativo futuro laddove il testo ebraico ha forme di imperfetto iussivo, «che esprimevano impli­ citamente un augurio >> .9 Esaminati singolarmente i testi paolini, egli I

Furnish, s 86. Weima, Endings, 92 s. 4 Furnish, 5 82. 5 8 6. 3 Cf. Barrett, 3 43 · 5 Weima, Endings, 88 e passim. 6 Wiles, lntercessory Prayers. 8 Loc. cit. 9 Op. cit., 3 3 s. 7 Wiles, lntercessory Prayers, 3 3 · 2

LA CHIUSA DELLA LEITERA

conclude quindi che Rom. 1 6,20 è una preghiera di augurio, che I Tess. 5,24b è una dichiarazione/ e che 2 Cor. 1 3 , 1 1 b e due testi della lettera ai Filippesi sono primariamente enunciazioni, ma potrebbero altresì considerarsi «succedanei di benedizioni o preghiere di pace in prossimi­ tà della chiusa della lettera » ... Nel caso di 2 Cor. 1 3 , n b Wiles fa nota­ re inoltre che la collocazione «lasciq pensare che sia succedaneo di una preghiera di pace nella struttura liturgica conclusiva, in preparazione al bacio santo >>.3 Questa affermazione è di dubbio valore, poiché Wiles di­ pende qui da un articolo, anch'esso criticato, di j.A.T. Robinson,4 quan­ tunque si mostri cauto nelle sue conclusioni. Weima e Furnish appaio­ no più sicuri che il v. n b sia una benedizione, sebbene Furnish utilizzi anche il termine «promessa>> , che forse introduce una certa confusione.5 A favore dell'opinione che il v. nb costituisca un augurio, si potrebbe chiamare in causa la possibilità che Paolo sia stato influenzato dall'uso semitico dell'augurio di pace come congedo epistolare. 6 Contro questa interpretazione milita tuttavia ancora l'ambiguità del verbo all'indicati­ vo, e il dato di fatto che la cosiddetta « benedizione di pace >> non si attie­ ne nemmeno al modello delle benedizioni di grazia di Paolo. Una bene­ dizione di pace comparabile suonerebbe: o -8eò� 't"Ì}� (à.ycbtYj� xcti) r.ìp�vlJç (J.t-8' U[J.WV. L'interpretazione alternativa del v. n b va quindi presa senza dubbio in considerazione. A prima vista il semiversetto sembra solo la formula­ zione di una promessa, come del resto indica la sua forma: un'enuncia­ zione. Qual è il motivo dell'elaborata argomentazione tesa a presentar­ la come una benedizione ? Come si è brevemente segnalato sopra, è il rapporto logico di n b con na a essere problematico. Sebbene la con­ giunzione sia un semplice xa.t, relativamente neutro, ciò di per sé lascia spazio a congetture riguardo all'esistenza di un nesso logico più specifi­ co nella mente di Paolo. La relazione è condizionale ? Per Windisch il v. n b vuole assicurare 1 Op. cit. , 3 5 · L'individuazione è del tutto evidente, perché un augurio non sarebbe in­ trodotto da un pronome relativo, e ciò vale anche nel caso di I Cor. 1,8, sebbene Wiles, 3 5 , ritenga questo versetto una preghiera di augurio. 2. Wiles, Intercessory Prayers, 3 6, che rimanda a Fi/. 4,7.9b; Fil. 4,19 è «primariamente dichiarativo >> . 3 Wiles, Intercessory Prayers, 107 n. z.. Cf. Wiles, Intercessory Prayers, 66 n. 1, per il rimando a J.A.T. Robinson, Traces of a 4 Liturgica/ Sequence in I Cor. XVI: 20-24: JTS n.s. 4 ( 1 9 5 3 ) 3 8-4 1 . Per le critiche v. C.F.D. Moule, Essays in New Testament Interpretation, Cambridge 1982, 222-226: «A Reconsideration of the Context of Maranatha» . Altri sostenitori di questa posizione nel· la sostanza sono enumerati in Fee, First Corinthians, 8 3 4 n. 6. 5 Fumish, 5 86. 6 V. sopra.

2

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13,1 1-13

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che Dio sarà con i corinti, purché prestino orecchio alle esortazioni del v. na. Questi imperativi fungono sul piano logico da protasi di un concetto condizionale che ha per apodosi il v. n h. La nozione è «pela­ giana » . ' Non c'è evidentemente alcuna prova sintattica esplicita a so­ stegno di questa interpretazione, che tuttavia viene respinta probabil­ mente più per le sue implicazioni teologiche che per carenze sintattiche: la presenza di Dio è (non un fatto di grazia bensì) qualcosa da guada­ gnare o meritare mediante l'emendamento della condotta e degli atteg­ giamenti? Secondo un'altra interpretazione del versetto, della quale so­ no fautori Barrett e Furnish, il v. n h fornisce il fondamento del v. na. Che Dio sia colui che dà amore e pace consentirà ai corinti di mettere in pratica le esortazioni di Paolo. 2. Questo concetto però richiederebbe senza dubbio qualcosa come o yàp -8Eoc; O forse Paolo si limita a giu­ stapporre elementi sintattici distinti, una serie di imperativi seguiti dal­ l'asserzione di una promessa, senza voler prospettare un rapporto orga­ nico tra loro.3 Questa è la soluzione più semplice. È evidentemente pos­ sibile promettere, implicitamente, la presenza di Dio in aiuto e sostegno dei corinti quando si sforzano di rispondere alle esortazioni di Paolo sen­ za far sì che il sostegno dipenda dallo sforzo quale sua condizione. 4 È difficile raggiungere una conclusione netta ma, tutto sommato, pre­ ferisco interpretare il v. n h come una promessa, che ha con il v. na il nesso concettuale piuttosto vago che si è esposto per ultimo. Che la be­ nedizione di grazia del v. I 3 menzioni Dio oltre a Cristo (e allo Spirito) potrebbe anche deporre contro l'interpretazione del v. n h come bene­ dizione. . . •

I 2 . , Acr1tacrrxcr-8E aÀÀ �Àouç Èv aytlfl cptÀ �[..Ltx 'rt. , Acr1tcZ�OV'rtxt U[..La> . L'usanza generale di scambiarsi baci era diffusa Windisch, 426. 2. Barrett, 343; Furnish, 5 8 6, che rimanda a Barrett. Barrett, 3 4 2, ritiene anche questo possibile. 4 Si veda il commento per ceni versi simile di Bultmann, 25 2 s., secondo il quale il pen­ siero non è pelagiano: «Il concetto che Dio in quanto Dio dell'amore e della pace dimori unicamente presso coloro che operano amore e pace non compona di necessità l'idea di merito» ( 2 5 3 ). 5 V. Weima, Endings, 3 9-4 5 . 105 . 6 V. anche I Pt. 5 , 1 4; !Ìa1tli.aaa-8e: !ÌÀÀ�Àouç Èv qaÀ�fl-a'tl !iya7tl)c;. r

3

94 0

LA CHIUSA DELLA LETTERA

nel mondo antico in vari contesti e con intenti disparati. I Parenti e ami­ ci si baciavano, e un bacio poteva anche fungere da segno di rispetto. 2 Ci si scambiava baci nei saluti e nei congedi, nel mondo antico in gene­ rale 3 come pure nel giudaismo. 4 Il bacio poteva essere un segno di ricon­ ciliazione. 5 Secondo Stiihlin poteva anche avere la funzione, in un con­ testo religioso, di «segno di fratellanza » se era dato a coloro che veni­ vano accolti in un gruppo chiuso: «coloro che erano accolti col bacio in una fraternità religiosa - egli osserva - si chiamavano ol ÈnÒc; 'toi:i (jlLÀ�­ (J.l1'tOç» .6 Sembra tuttavia che Paolo abbia introdotto una novità defi­ nendo «santo» il bacio/ Qual è la valenza dell'attributo ? Per Weima po­ trebbe indicare l'esigenza di «motivazioni appropriate e sante » . Questo aspetto fu in seguito oggetto di attenzione presso i Padri. 8 Il termine però serviva essenzialmente a distinguere il bacio di saluto dei credenti dai saluti dei non credenti. Questi saluti erano senza dubbio un simbolo di «amicizia e benevolenza », ma il primo era ( anche) un simbolo di unità all'interno della chiesa.9 Nell'utilizzo che ne fa Paolo il bacio sollecita i lettori a eliminare ogni ostilità reciproca eventualmente rimasta fra lo­ ro. 10 La comunione della chiesa è inoltre fondata sulla presenza dello Spirito santo, e questa presenza è valida anche per lo scambio del ba­ cio, n che è il segno esteriore della comunione degli &ytol. I 2 Queste diverse considerazioni sembrano spiegare in modo soddisfa­ cente la menzione del bacio santo, ma si è formulata l'ipotesi ulteriore che esso rispecchi un elemento fisso nell'ambito delle liturgie in embrio­ ne delle chiese paoline. Secondo Lietzmann, la lettera paolina verrebbe letta nell'assemblea, quindi seguirebbe il bacio di pace e poi la cena del Signore, introdotta dal saluto triadico di 2 Cor. I J , I J . I 3 Stiihlin, in re­ lazione alla chiusa della prima lettera ai Corinti, ritiene che il saluto con I V. G. Stiihlin, s.v. (jltÀÉw, in TWNT IX, I I 2.- I 69; sul bacio u 8 - u:z.. 1 2.4-I 2.6. I J 6-I44· 2. Stahlin, s. v. (jltÀÉw, I I 8 s. 12. 4 . 3 Stahlin, s. v. (jltÀÉw, no. 4 Stahlin, s.v. tÀÉw, uo. 12. 5 . 6 Stiihlin, s . v. > , in I Cor. 1 6, 1 9 delle «chiese d'Asia » e in 1 6,20 di «tutti i fratelli » , e di «tutti i santi » in Fil. 4,22.3 Weima ravvisa in questo secondo saluto del v. 1 2 una velata al­ lusione all'autorità apostolica di Paolo, poiché il saluto è di carattere co­ sì generale, e vi scorge anche un monito che ricordi ai corinti che sono tenuti a render conto alla chiesa in generale, non solo a loro stessi. 4 Furnish osserva che in alcune versioni inglesi (KJV, RV, NEB [anche REB] ) il v. ub è numerato come 1 3 e la grazia conclusiva come v. 14, numerazione che sembra risalire alla seconda edizione in folio della Bishop's Bible del 1 5 72.5

'H xlipt-, 5 1 9· La forma originaria è 7tpÒc; Kopm9iouc; � (1)4 6 �* A B * 3 3 ) Testimoni seri ori aggiungono la notizia che la lette­ ra fu scritta da Filippi (Be K L P 20 1 205 209 3 28 3 3 7 642), e che i co­ pisti furono Tito e Luca (K L), cui alcuni mss. aggiungono Barnaba ( 201 205 209 3 28 3 3 7 ) . Che la lettera sia stata scritta da Filippi sarà stata una congettura intelligente che si basa sui cenni alla Macedonia nei ca­ pitoli 2 e 8-9, e sul presupposto dell'unitarietà dell'epistola canonica. Che Tito sia stato uno degli amanuensi si sarà ricavato dalle menzioni nei capp. 7-8, e che Luca fosse l'altro dev'essere stato desunto da Atti 20,6, mentre l'aggiunta di Barnaba può derivare da I Cor. 9, ma non tiene conto della separazione narrata in Atti I 5,3 6-4 I . ' .

1 Il termine «sottoscrizione» è utilizzato qui, come in entrambe le edizioni del Textual Commentary di Metzger, nel senso che egli gli attribuisce in The Text of the New Testa-

EXCURSUS

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2 COR. 1 0- 1 3 . PROSPETTIVE RETORICHE Come si è visto, dal rinnovato interesse per le caratteristiche retoriche delle lettere paoline sono nati diversi studi su questi capitoli. Può essere interes­ sante esprimere una valutazione delle due monografie più recenti richiama­ te nell'esegesi, e considerarne le possibili implicazioni qualora le loro argo­ mentazioni si dimostrassero condivisibili. Sundermann, come si è osservato, analizza la struttura della lettera nei particolari, trovandovi un complesso di unità distinte che corrispondono alle partizioni classiche del discorso, insieme a una certa libertà di organiz­ zazione. 1 Nel corso dell'esegesi si è riscontrato che l'analisi in generale ri­ sulta plausibile e non ha modificato in nulla le decisioni esegetiche. Ha non­ dimeno aperto una prospettiva interessante sulla struttura dei capp. 10-13, e ha inoltre corroborato il convincimento che questi capitoli contengano una lettera distinta di Paolo a Corinto. 1 DiCicco adotta un'impostazione diversa, dimostrando che Paolo utilizzava i tre metodi di persuasione: la prova del carattere morale dell'oratore, il suscitare emozioni appropriate e l'argomentazione logica.3 Questa è, a nostro parere, una prospettiva utile da cui considerare il testo, che viene però respinta da Winter, secondo il quale «se è vero che Paolo ripudia queste tecniche persuasive nella sua atti­ vità di evangelizzazione a Corinto (I Cor. 2., 1 -5), come si è sostenuto qui, non si spiega come avrebbe potuto farne un uso così massiccio in una lette­ ra successiva ai corinti senza mettere di nuovo in dubbio la propria integri­ tà».4 Questa obiezione potrebbe valere anche, mutatis mutandis, per l'ana­ lisi retorica proposta da Sundermann, ma di fronte all'argomentazione cir­ costanziata addotta da entrambi gli studiosi a sostegno delle loro ipotesi re­ toriche, è difficile accoglierla senza riserve, a meno che non sia sorretta da considerazioni altrettanto circostanziate. Si possono aggiungere tre ulterio­ ri elementi. Anzitutto, sostenendo di parlare «da stolto» in I I , 1 - 1 2., 1 8, Paoment (Oxford I968), 205 s., di «aggiunte dei copisti . . . apposte alle lettere paoline, che forniscono informazioni sul luogo tradizionale da cui ciascuna era stata inviata, nonché, in qualche caso, su quello che era ritenuto il nome dell'amanuense o del messaggero che doveva recapitare la lettera » . Altri applicano il medesimo termine a poscritti che erano sempre parte della lettera originale e ne compendiavano i contenuti; v. ad es. Richards, Secretary, 8 I -83, e i suoi rimandi all'opera di G.J. Bahr. Roller, Formular, 73 -77, con subscriptio designa, in un senso ancora diverso, il saluto finale scritto da una mano dif­ ferente. In una lettera inviata dall'imperatore Giustiniano s'incontra il termine preciso: divina subscriptio. Essa precede l'augurio di commiato e indica l'imperatore come mit­ tente. Cranfield, Romans, 803 s., si attiene all'uso di Roller. Nella conclusione della let· tera il saluto di I 6,2ob, Tj l,clptc; 'tou xuptou lJfJ.WV 'I lJO"Ou fJ.E-8 U(J.wv, funge da sottoscrizione di Paolo. 1 Sundermann, Kraft der Rede, passim. z. V. sopra, pp. 624 s., e passim. 3 DiCicco, Ethos, Pathos, and Logos; v. sopra, pp. 727 s. (7tci-8oc:;), pp. 73 5 s. 826 s. (�.Soc;) 4 Winter, Sophists, 229 n. 1 14. e p. 83 I (ì..oyoc;). '



2

COR.

1 0- I J .

PROS PETIIVE RETORICHE

95 1

lo si è tutelato in qualche misura contro una possibile accusa di mancanza di integrità. In secondo luogo, nella stessa prima lettera ai Corinti si può ritenere che Paolo mostri un duplice atteggiamento sullo stile appropriato di evangelizzazione: esso deve rispecchiare appieno il contenuto dell'evan­ gelo ( I Cor. 2, 1 - 5 ) ? o egli deve adattare la propria impostazione ai vari ti­ pi di uditorio (I Cor. 9,20-22) ? Infine, nella corrispondenza con i corinti in ogni caso Paolo non si occupava dell'evangelizzazione primaria dell'uno o dell'altro tipo. Il passo citato da Winter è di dubbia pertinenza. Se quindi questi capitoli mostrano che Paolo si serve della tecnica retori­ ca, quali sono le conseguenze? Con tutta evidenza doveva dare l'impressio­ ne di possedere una formazione retorica ragguardevole, giacché conosce e può utilizzare le partizioni convenzionali del discorso. Appare abbastanza sicuro di sé, secondo l'analisi di H.-G. Sundermann, da inserire unità mino­ ri, ognuna con una propria struttura distinta, nella struttura generale, e da capovolgere l'ordine più comune di dimostrazione e confutazione. 1 Riesce a tenere le fila di tutte queste trame complesse. Per di più, poiché la lettera costituisce la risposta a una situazione critica, deve essere stata composta con una certa fretta. Sundermann si dice peraltro indifferente alla questio­ ne dell'educazione retorica di Paolo, giacché l'uso della retorica come stru­ mento di analisi è indipendente dalla circostanza che l'autore nel produrre il testo sia o meno consapevolmente guidato da regole formulate metodica­ mente sulla base del sistema retorico. Sundermann si occupa dell'impronta retorica del testo paolino, sia essa consapevole o inconsapevole, deliberata o non intenzionale. 2 È possibile che un autore scriva in conformità alla teo­ ria senza conoscerla.3 L'affermazione può essere vera in generale, ma non ne vengono fornite dimostrazioni solide. Né Sundermann né Classen, cui egli rimanda, adducono un esempio specifico di testo antico il cui autore sia noto per l'assoluta mancanza di formazione retorica ma che abbia nondi­ meno prodotto un'opera conforme in alcuni aspetti alle regole della retori­ ca. Nel caso delle epistole paoline è certamente necessaria qualche precisa­ zione. Come rileva Classen, la padronanza del greco consentiva a Paolo di accedere alla letteratura greca, che era essa stessa pervasa delle convenzio­ ni retoriche;4 Ed egli, durante la sua formazione tradizionale o nel corso dei viaggi nel mondo mediterraneo, non aveva mai sentito discorsi che si conformassero a queste convenzioni? Si può rammentare che ascoltare di­ scorsi era di per sé un modo di imparare a parlare (o scrivere) secondo la retorica.5 Sembra quindi improbabile che Paolo fosse del tutto sprovvisto 1 Secondo Sundermann (Kraft der Rede, 45 ), la confutazione precede la dimostrazione. Nel trattare le parti del discorso Cicerone propone l'ordine inverso: v. Inv. 1 , 14, 19; Part. 9,3 3 . Questa, naturalmente, potrebbe essere considerata un'obiezione forte contro l'ipotesi proposta. 2. Sundermann, Kraft der Rede, 1 3 . 3 Op. cit., 1 3 n . 1 8 , con rinvio a C.J. Classen, Paulus und die antike Rhetorik: ZNW 82. ( 1 99 1 ) 1-3 3 , spec. 3 1 . 4 Classen, Rhetorik, 3 s.

5 Winter, Sophists, 30 s. 33 s.

952

EXCURSUS

r6

di preparazione retorica. Surtdermann si dichiara neutrale sull'argomento, ma non lo si può considerare ininfluente se si vogliono capire le relazioni di Paolo con i corinti, che nutrivano scarsa stima per la sua abilità oratoria

( I O, I I ; I I ,6).

Non è qui possibile esaminare a fondo la questione, ma si può conclude­ re segnalando due prese di posizione recenti. Murphy-O'Connor sostiene con forza che Paolo deve certamente aver avuto una formazione retorica. Dopotutto i corinti non potevano non riconoscere che le sue lettere erano incisive, malgrado la sua presenza modesta come oratore. È inoltre signifi­ cativo che egli presenti il suo stile di predicazione come « un fatto di scel­ ta». Egli avrebbe potuto, realisticamente, optare per l'altra alternativa.' Le sue lettere, secondo Forbes, manifestano la padronanza della retorica che deriva da una «lunga pratica e forse anche da lunghi studi».'- In netta con­ trapposizione, il secondo autore, R. Dean Anderson, ritiene improbabile che Paolo avesse ricevuto una formazione retorica tradizionale, richiamandosi a 2 Cor. IO, IO e u ,6, e a quanto Paolo dice in Fil. 3 , 5 sulla sua educazio­ ne giudaica.3 L'opinione di Anderson si basa però fondamentalmente sul­ l'esame di Rom. I - I I ; Gal. 1 - 5 , 1 2 e della prima lettera ai Corinti. Le se­ zioni considerate non sono conformi né ai generi retorici convenzionali né a uno schema retorico delle parti in cui si può dividere un'orazione. A suo giudizio, qualsiasi collegamento riscontrabile può dipendere semplicemente dal «fatto che le produzioni letterarie hanno perlopiù un inizio, una parte centrale, e una fine».4 Poiché tuttavia non si occupa di 2 Cor. 1 0- 1 3 (o di qualsiasi altra parte dell'epistola), non si sa se da uno studio analogo di que­ sti quattro capitoli si ricaverebbero le medesime conclusioni. Se così fosse, esse sembrerebbe cozzare da un lato con l'analisi specifica e circostanziata di Sundermann, dall'altro con l'idea di Murphy-O'Connor sull'educazione di Paolo. Le tre opere hanno in comune il 1996 come anno di pubblicazio­ ne, sicché nessuno degli autori può in esse replicare all'altro o agli altri due. Le questioni sollevate rimangono aperte. 1 Murphy-O'Connor, Pau/, 50 s., che rimanda, n. 1 29, a P. Marshall, Enmity in Cor­ inth, 390. 1. Forbes, Comparison, 23, citato da Murphy-O'Connor, Pau/, 5 1 n. 1 3 1 . 3 R . Dean Anderson Jr., Ancient Rhetorical Theory and Pau/ (Contributions to Biblical Exegesis and Theology 1 7), Kampen 1 996, 249 s. 4 Anderson, Ancient Rhetorical Theory and Pau/, 25 1 s., spec. 2 5 2. Su una linea piutto­ sto simile, il professar Cranfìeld, in una annotazione relativa a 2 Cor. I O, I - I I , mi fa os­ servare che l'utilizzo di un'insinuatio per suscitare interesse e ottenere consenso è un mo­ do naturale di rivolgersi al proprio uditorio, come pure lo è una probatio, e che si ricor­ rerebbe a simili strategie anche senza il sussidio della teoria retorica. È possibile che i re­ tori non facciano altro che formalizzare la prassi concreta.

Appendice

r

GLI AVVERSARI DI PAOLO A CORINTO . LA TESTIMONIANZA DELLA SECONDA LETIERA AI CORINTI

Un'esposizione completa e critica delle numerose ipotesi sull'identità de­ gli avversari di Paolo a Corinto richiederebbe una monografia a sé. Tut­ to ciò che si può fare qui è 1. ricapitolare ed esaminare le principali li­ nee di impostazione del problema, e n. chiedersi quale luce possa getta­ re sulla questione l'esegesi condotta in questo commentario. L'obiettivo è identificare in qualche modo i rivali e detrattori di Paolo la cui presen­ za emerge in 2 Cor. 1 0- 1 3 e ai quali sembra si accenni già in preceden­ za in 2, I ]-3 , 1 . È chiaro che costoro sono giunti a Corinto da altre loca­ lità: nei capp. 10- 1 3 se ne parla alla terza persona, mentre Paolo si rivol­ ge alla chiesa, nella sua globalità, alla seconda persona; 1 in r o, r 2- 1 8 egli rinvia a certuni che si introducono nel suo territorio missionario; :z. l'espressione b Èp'X,O[J.Evoc;; ( 1 1 ,4) va nella stessa direzione; 3 infine, questi avversari sostengono di essere ci1toa'toÀot ( 1 1 , 1 3 ), vale a dire missiona­ ri,4 o rappresentanti amministrativi,5 e perciò sono mandati a Corinto da un altro centro cristiano. Ciò segna una differenza tra la seconda lettera ai. Corinti e la prima epistola canonica. Nulla nella prima lettera ai Corinti mostra che i cri­ tici di Paolo a Corinto fossero in alcun modo persone diverse dai mem­ bri locali della chiesa corinzia. Si può escludere quindi, in via prelimi­ nare, l'ipotesi proposta da Baur, nella quale la testimonianza fornita dal­ la prima lettera ai Corinti è utilizzata per delineare un quadro composi­ to. Baur prendeva avvio dalla rappresentazione in L Cor. r , r r s. dei partiti rivali (così li considerava ) nella chiesa e postulava l'esistenza di una fazione petrina, contrapposta ai seguaci di Paolo, che era legata al gruppo di Cristo e perciò agli avversari di 2 Cor. 10- 1 3 , i quali sostene­ vano ( r o,7) di essere «di Cristo>> . I fondatori della fazione petrina era­ no estranei, vale a dire giudeocristiani, giudaizzanti di tipo galata, che erano penetrati nella comunità corinzia. 6 È da rigettare pure l'ipotesi di Schmithals, secondo cui, poiché in tutte le lettere ai corinti gli avversari sono identici, i rivali di Paolo devono essere identificati con gnostici giu1 A questo proposito v. anche Barrett, 2 5 3 s., su 10,6. :z. Cf. Plummer, 289. Windisch, 3 26. 4 Barrett, Signs, 70. 5 Barrett, Shaliah, 1 00. 6 Baur, Paulus 1, 287-34 3 , sulle epistole ai corinti; v. spec. 28 8-290. 294 s. 297. 300. 309. 3 13· 3 1 8. 3

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APPENDICE

I

deocristiani che erano attivi come apostoli missionari. Una parte piut­ tosto consistente delle attestazioni a favore dell'elemento gnostico è ri­ cavata dalla prima lettera ai Corinti nell'interpretazione datane da Schmithals. Egli sostiene che l'affermazione degli avversari di essere > in 2 Cor. IO,? rispecchi I Cor. I , I 2, che esprime la rivendica­ zione gnostica di essere parte del Cristo cosmico. La menzione in 2 Cor. I I ,4 di un > è del pari considerata gnostica e interpretata secondo I Cor. 1 2,I-3, che parla di estatici cristiani, i quali, in stato di ispirazione, maledirebbero Gesù. A Corinto - afferma Schmithals - aÀ­ Àoc; 'I lJO'OÙ elevata. Vi sono inol­ tre alcune ipotesi che combinano questi due punti di vista.

I.

AVVERSARI GIUDAIZZANTI

Sebbene l'interpretazione specificamente giudaizzante proposta da Baur sia in seguito andata incontro a critiche,3 l'idea di fondo che gli avverz. Vol. 1, 40-5 5 · 1 Schmithals, Gnosticism, 1 97-1 99· 1 24- 1 3 5 · 3 Georgi, Opponents, 3 , rileva che i critici d i Baur poterono accantonare i l suo studio sul­ la storia della chiesa delle origini accusandolo di « dogmatismo » di tipo hegeliano. Esito indubbio di questo atteggiamento fu che Plummer, 298, poté sostenere che l'ipotesi del «conflitto fra tendenze petrine e paoline » ai suoi tempi ( 1 9 1 5 ) era stata abbandonata.

GLI AVVERSARI DI PAOLO A CORINTO

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sari a Corinto promuovessero le linee di condotta e gli interessi del giu­ deocristianesimo fu successivamente sviluppata in vario modo. Si ripor­ tano qui alcuni esempi rappresentativi. 1. Plummer: gli avversari propugnano l'importanza della legge. Essi so­ stenevano di essere «ministri di giustizia >> ( 1 1 , 1 5 ), impegnati a conser­ vare la legge di Mosè. Quando giunsero a Corinto, trovarono alcuni con­ vertiti gentili di Paolo che praticavano ancora vizi pagani ( 1 2,21 ), una situazione che suscitò o intensificò la loro opposizione a Paolo stesso. In quanto «ministri di Cristo» ( 1 1,23 ), « affermavano che il loro insegna­ mento era molto più vicino a quello di Cristo, il quale aveva osservato la legge, di quanto lo fosse quello di san Paolo>> . I Plummer trova riscon­ tro a questa interpretazione nel cap. 3 , dove Paolo, a suo giudizio, con­ danna implicitamente l'insistenza dei giudaizzanti sull'osservanza della legge, mostrando l'« inferiorità della legge rispetto ali' evangelo >> . 1 Se la condanna è espressa solo indirettamente, è perché i corinti conoscevano già l'insegnamento di costoro.3 Può darsi che sia così, ma le argomen­ tazioni di Plummer sono deboli o infondate. Se la legge era l'interesse primario di questi avversari, è molto strano che proprio il termine vo�J-oc; non ricorra mai nella seconda lettera ai Corinti. 4 E nel caso della lette­ ra ai Galati il fatto che anche lì i corrispondenti di Paolo conoscessero ciò che i suoi avversari insegnavano non ha impedito affatto che egli par­ lasse esplicitamente degli argomenti in discussione. Ultima e più impor­ tante considerazione: l'argomentazione del cap. 3 , come si è visto nella esegesi,5 non intende dimostrare l'inferiorità della legge rispetto all'evan­ gelo, poiché tale inferiorità è data per scontata quale fondamento dell'af­ fermazione che il ministero del nuovo patto deve esso stesso possedere la gloria, una gloria maggiore di quella di Mosè.

Kiisemann: gli avversari attaccano l'autorità apostolica di Paolo. Gli avversari asseriscono di essere autorizzati da Gerusalemme e sostengo­ no che l'apostolicità di Paolo è discutibile perché egli manca di una tale autorizzazione. Le loro lettere di raccomandazione sono documenti uf­ ficiali provenienti dalla chiesa di Gerusalemme. Lettere prive di tale ga­ ranzia non avrebbero richiesto l'esposizione approfondita dell'ufficio apostolico nel cap. 3 , e solo l'autorità di Gerusalemme sarebbe arrivata a indebolire l'influenza di Paolo sulla sua comunità. Quando si parla de­ gli tmtpÀta.v CÌ:7toa'toÀot, non si parla degli avversari di Corinto (accusati di falsità satanica)/ ma degli apostoli di Gerusalemme, nonostante l'apn.

I 5

Plummer, xxxvn . V. vol. 1, 264 s.

6

2. Plummer, 89. 3 Plummer, XL s. 4 Martin, 3 3 6. Paolo non asserirebbe l'uguaglianza con gente di questa risma.

APPENDICE

I

parente sviluppo dell'argomentazione in I I ,4-6 (Paolo lotta su due fron­ ti, perciò si riferisce agli avversari nei vv. 4.6, ma agli apostoli di Ge­ rusalemme nel v. 5 ) . Egli deve cautamente asserire la propria uguaglian­ za rispetto ai capi di Gerusalemme. Un gruppo nella chiesa di Gerusalem­ me (v. Gal. 2,4 ) intende subordinare Paolo a quella chiesa e i missiona­ ri rivali sono gli emissari di costoro. Egli non risponde a quel criterio di apostolicità proprio degli apostoli originari (si veda l'enunciazione del suo criterio in IO, I 2- I 6 ) . Quelli erano stati incaricati da Gesù stesso ­ e compiono i «segni» apostolici; Paolo è carente al riguardo e, non aven­ do rapporti con gli apostoli originari, non li ha con Gesù. I Questa concezione degli avversari fu criticata da Bultmann. Kase­ mann ha frainteso il senso della trattazione del f.LÉ'tpov 'tou xcxvovo�, il cri­ terio di autorità apostolica a Corinto, in I O, I 2- I 6. Secondo Kasemann sono gli avversari ad accusare Paolo di non essere all'altezza di questo modello, ma non è così, poiché in realtà è Paolo ad accusarli implicita­ mente di affermare il falso, vale a dire di vantarsi della conformità a quel criterio. Le lettere di 3 , I , inoltre, non provengono necessariamente da Gerusalemme: sono equivalenti alle lettere che poteva fornire la chiesa corinzia (È� uf.Lwv). È inoltre del tutto possibile per Paolo sia definire gli avversari servitori di Satana sia asserire cionondimeno la propria ugua­ glianza rispetto a loro, poiché farlo è essenziale: i corinti devono capire che i suoi poteri sono uguali a quelli dei rivali. L'esegesi di 1 1,4-6 for­ nita da Kasemann non convince, perché se il v. 6 indica i missionari ri­ vali, allora così dev'essere del v. 5, visto che il v. 6 spiega più compiu­ tamente quello precedente. A ogni modo gli U7tEpÀtcxv à7toa'toÀoL di 12, I I devono essere i missionari ospiti, giacché qui si parla dei segni apo­ stolici compiuti a Corinto, dai «superapostoli » e da Paolo. 2. Bultmann ha ragione riguardo all'esegesi dei versetti pertinenti del testo. Se in effetti vi è la difficoltà di conciliare l'affermazione paolina di uguaglianza ri­ spetto agli avversari e la loro riprovazione quali servitori di Satana, si po­ ne un problema analogo in I I , I 8-23, dove Paolo starà parlando dei suoi rivali a Corinto, ma deve tuttavia ammettere che sono Òtaxovot Xpta'toù. m. Oostendorp: gli avversari asseriscono il primato di Israele. Gli av­ versari sono legati alla chiesa palestinese, e sono persuasi di vivere nel tempo della fine, quando le promesse della costituzione del regno di Dio in Sion dovranno avverarsi. Lo si deduce dalla menzione in I I ,4 del­ l' EÙcxyyÉÀtov E'tEpov, in cui si scorge un richiamo al messaggero evangeli­ co (EùcxyyEÀL'çOf.LEVoç) del regno di Dio in Is. 5 2,7, che gli avversari riferi­ I 2.

Klisemann, Legitimitat, spec. 41 s. 44-47. so s. 5 6 s. Bultmann, Probleme, 20-30.

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GLI AVVERSARI DI PAO LO A CORINTO

scono a s e stessi, in quanto araldi del regno. I Si designano inoltre come 'lapalJÀi'-.at e a1tÉp(J.a 'A�pati(J., titoli questi che servono a distinguerli da­ gli etnicocristiani di Corinto, indicando la loro posizione superiore qua­ li membri della nazione d'Israele." Che accettino aiuti dai corinti è in sin­ tonia con questa concezione di sé, giacché, secondo le promesse vete­ rotestamentarie, le nazioni, unendosi a Israele, avrebbero avuto un po­ sto nel regno di Dio (Zacc. 2, I I ) e Israele avrebbe goduto della ricchez­ za delle nazioni. (Is. 6 1 ,6). Gli avversari di Paolo combinarono i due te­ mi. Il sostegno economico dei gentili ai missionari giudaici assicurava la loro unione a Israele. Ed è possibile che si ritenesse che Paolo, rifiutando l'aiuto, derubasse i corinti del loro posto nel regno.3 Gli avversari inoltre individuano nella legge il mezzo tramite il quale si riceve lo Spirito, e mentre nel cap. 3 Paolo distingue tra il patto della lettera, ossia la leg­ ge, e il patto dello Spirito, essi non farebbero altrettanto. Secondo Ez. 3 6, 26-37 il dono dello Spirito è associato all'osservanza delle norme scrit­ te. L'insistenza sull'osservanza della legge giudaica porta altresì alle cri­ tiche a Paolo per non essere riuscito a punire la peccaminosità e a estir­ parla. Gli manca il potere di farlo perché gli manca lo Spirito ( 1 0,2).4 Questo ritratto degli avversari è convincente ? Alcune componenti, an­ corché verisimili, non persuadono fino in fondo. La parola EÙayyÉÀwv è il termine con cui Paolo designa il proprio annuncio,S e in I 1,4 l'accen­ to non cade affatto su questa parola, bensì sulla sua qualificazione come é:-.Epov. Sebbene possa echeggiare in qualche modo le promesse veterote­ stamentarie, come crede Oostendorp, il vocabolo avrebbe queste riso­ nanze in ambienti cristiani più larghi e quindi non offrirebbe di per sé in­ formazioni specifiche che possano servire a caratterizzare con maggiore precisione gli avversari a Corinto. Il rifiuto dell'appoggio economico, inoltre, fu causa di disaffezione in città nei confronti di Paolo prima che arrivassero i missionari ospiti della seconda lettera ai Corinti, e per altri motivi. L'argomento più forte di Oostendorp potrebbe essere l'in­ sistenza degli avversari sulla loro giudaicità, in quanto israeliti, discen­ denti di Abramo ed ebrei. Perché era necessaria questa insistenza ? Ed era quindi necessaria anche per Paolo? L'ipotesi che essi sostenessero la su­ periorità di Israele dà una risposta alla domanda, ma non è l'unica ri­ sposta possibile. Nell'esegesi di I I ,22 si è prospettata una motivazione differente per queste affermazioni degli avversari di Paolo. Membri giu­ daici della comunità possono essere stati scherniti da altri giudei per la loro resa all'annuncio di un nuovo patto predicato da uno il cui giudaiI 3

Oostendorp, Another Jesus, 9 s., e v . sopra, pp. 695-697. :t Op. cit., Op. cit. , 77 s. 4 Op. cit. , 17 s. 3 5 s. So. s V. sopra, pp. 696 s.

12

s.

APPENDICE

I

smo era dubbio, e i nuovi arrivati potrebbero aver posto in evidenza le proprie credenziali giudaiche nell'intento di rassicurare questi giudeo­ cristiani di Corinto e accrescere la propria influenza nella chiesa. E for­ se alcuni di loro, in quanto oratori aramaici che avevano rapporti di pa­ rentela con la Palestina, avranno impressionato tutti i corinti per i lega­ mi verisimilmente più diretti con i discepoli originari. Ancora: se il mes­ saggio che annunciavano era il primato d'Israele, ci si potrebbe chiede­ re perché esso fosse evidentemente così congeniale sia ai membri gentili sia a quelli giudaici della chiesa corinzia. Il ritardo dei corinti nella col­ letta per Gerusalemme non lascerebbe pensare che un messaggio di que­ sto tenore sarebbe stato accolto con particolare favore. Barnett: la ripresa della concezione tradizionale. I missionari rivali vengono probabilmente dalla Giudea, poiché in I O, I 2- I 6 si accenna al­ l'accordo di Gerusalemme sugli ambiti dell'attività missionaria. Essi in­ tendono promuovere la giustizia « associata a Mosè e alla legge » ( I I , 1 5 ) . Vanno quindi considerati giudaizzanti nel senso tradizionale, che convincono gli etnicocristiani ad adottare lo stile di vita giudaico. Che il termine «giustizia » ricorra solo una volta nella prima lettera ai Co­ cinti ( 1 ,30) induce a ritenere che le questioni che esso pone non fossero state dibattute a Corinto prima della redazione della seconda lettera. Nell'epistola ai Romani, scritta dopo la conclusione della corrisponden­ za con i corinti e probabilmente a Corinto, l'argomento è diventato un tema centrale, sicché la lettera rispecchia forse lo scontro di Paolo con i rivali in quella città, e la giustizia basata sulla legge che egli attacca rap­ presenta forse il loro punto di vista . Per loro il patto mosaico rimane in vigore. Nella tradizione giudaica la gloria di Mosè è rimasta immutata e gli avversari di Paolo vi leggono « un segno della perdurante applicabi­ lità >> della legge mosaica. 1 Questa caratterizzazione degli avversari presta il fianco alla medesi­ ma critica di fondo rivolta contro l'ipotesi formulata da Plummer circa ottant'anni prima. Perché il termine VO[J-Oc; non ricorre mai nella secon­ da lettera ai Corinti, se la fedeltà alla legge mosaica era un lineamento es­ senziale del messaggio degli avversari? E la medesima difficoltà emerge per l'esegesi del cap. 3 , ora aggravata dall'ipotesi che le questioni dibat­ tute nella lettera ai Romani rispecchino i nuovi temi della controversia, che sono stati introdotti di recente a Corinto dai missionari rivali e quin­ di indicano la sostanza del loro messaggio. Nel commento al cap. 3 si è sostenuto che Paolo dà per scontato, presupponendone pertanto la coIV.

1 Barnett,

3 3 - 3 9 , spec . 3 5 · 3 7 ·

GLI AVVERSARI DI PAOLO A CORINTO

959

noscenza d a parte dei corinti, l'assunto secondo cui la legge mosaica è strumento di morte e condanna. In altri termini, deve aver già insegna­ to ai suoi convertiti una versione anteriore delle argomentazioni che svi­ lupperà appieno nei Romani. Egli non le ha elaborate in conflitto con i nuovi arrivati, e in tal caso non si può concludere che le posizioni da lui combattute nella lettera ai Romani riflettano le concezioni e gli indiriz­ zi dei missionari rivali di 2 Cor. 10- 1 3 . 2.

AVVER SARI DOTATI

DI UNO S PECIALE STATO « S P I R ITUALE >>

Si tratta di una categoria piuttosto amorfa. Si prenderà in esame qual­ che ipotesi che definisce gli avversari in un modo o nell'altro come > / b) Che cosa ha a che fare questo tipo di apologetica missionaria giu­ daica con gli avversari di Paolo a Corinto ? Georgi rintraccia prove di un collegamento in 2 Cor. 3 · Sebbene questo capitolo appartenga a una lettera distinta, anteriore a quella dei capp. 1 0- 1 3 , egli ritiene che in en­ trambe Paolo affronti lo stesso gruppo di avversari, cosicché si possono utilizzare testimonianze tratte dalla comunicazione precedente per chia­ rire quella successiva. 8 È evidente dal cap. 3 che gli avversari erano in­ teressati alla figura di Mosè, il rappresentante della legge, con la quale invero era identificato.9 Essi vedono il ministero di Mosè sotto una lu­ ce positiva, non come azione di morte bensì come rappresentazione del­ la potenza divina, il ministero di un -8-eioç à:v�p, come nell'apologetica del giudaismo ellenistico. I o Paolo contesta questa glorificazione di Mosè. Gli avversari inoltre, poiché la potenza divina di Mosè rimane insita nelI Si veda nel I volume l'esegesi di 3,7- 1 8 . 3 Op. cit. , 4 1 -6o. 4 Op. cit. , 84-89. 7 Op. cit. , 1 4 8 . 8 Op. cit., 229 s.

Opponents, 8 3 - 1 5 1 . Op. cit., 1 24. 1 26. 6 Op. cit., 1 3 7. IO Op. cit., 254. Op. cit., 250. 2

5

9

APPENDICE I

la legge, ritengono di essere essi stessi trasformati in «uomini divini >> grazie alla loro dedizione a essa. 1 Da I 2, I 2 si apprende che facevano miracoli, i quali saranno stati simili a quelli dei personaggi ellenistici e giudeo-ellenistici considerati «uomini divini » in virtù dei loro poteri miracolosi.:�. L'evangelo degli avversari avrà presentato Gesù, il tauma­ turgo, come il -8Eto> . È inoltre discutibile > di qualche tipo, da con­ testualizzare in un retroterra ellenistico. 5 Barrett risolve la contraddi­ zione immaginando che gli avversari appartenessero alla prima catego­ ria, ma che possano aver adottato alcune caratteristiche della seconda per impressionare i corinti, che si avvalevano di criteri ellenistici per di­ scernere gli apostoli veri da quelli falsi.6 I punti principali dell'argomen­ tazione sono i seguenti. a) Paolo chiama gli avversari �EUÒ111tOa'toÀot ( I I , 1 3 ), termine proprio dell'ambiente giudaico.? Vi sono altri vocaboli in �e:uòo- nel N. T. che ri­ mandano a un retroterra giudaico. In Gal. 2,4, ad esempio, gli �e:uòcXòe:À­ qlOt devono essere giudeocristiani. Per Barrett, Paolo stesso fu a sua vol­ ta considerato dai giudeocristiani uno �e:uÒI11tOa'toÀoç, e in discussione vi era la questione del compimento del giudaismo. 8 b) Il testo mostra la complessità della situazione corinzia e l'esistenza di due gruppi che Paolo doveva affrontare oltre ai corinti. Gli individui che egli riconosce come Òtaxovot Xpta'tou ( n ,23 ) devono senz'altro esse­ re differenti da quelli stigmatizzati come servi di Satana ( I I , I 3 - 1 5 ) . Ka­ semann è nel giusto quando afferma che questi «servi di Satana >> non pos-

1 V. vol. 1, 3 1 7-3 1 9, e l'esegesi di 3 ,7- 1 8 . 2. V. ad es. Atti 3 , 1 - 10; 9,3 2-4 2; 2,4 3 . 3 Opponents, 6o-86. 4 Pau/, 280-3 22. 5 Opponents, 78 s . 6 Op. cit. , S o . 7 Op. cit. , 6 5 . 8 Cf. 'F�uÒa7toa'!oÀot, 87-107.

APPENDICE I

sono coincidere con gli \mepÀtav cbtoa'toÀot ( I I , 5; 1 2, I I ), poiché Paolo parlando di questi dice semplicemente di non essere loro inferiore - no­ tazione «intollerabile >> se fossero identici ai precedenti. La difficoltà che emerge dallo stretto nesso fra I I ,5 e I I ,6, in cui il v. 5 riguarda gli um:p­ Àtav ànoa'toÀot e il v. 6 indirettamente i missionari rivali a Corinto, si su­ pera supponendo che il v. 6 non abbia concretamente questi avversari co­ me referente primario bensì i criteri di cui i corinti si sono serviti per va­ lutare la qualità dei missionari ospiti. I falsi apostoli vanno quindi distin­ ti dagli unepÀiav ànoa'toÀot. 1 c) Costoro sono con ogni probabilità gli apostoli di Gerusalemme. Il termine è moderatamente ironico, e in questo ricorda il modo in cui Paolo parla in Gal. 2 , 6 . 9 degli «apostoli colonne » : Giacomo, Cefa e Gio­ vanni. In I O, I 2- I 8, inoltre, la questione relativa a chi abbia diritti apo­ stolici a Corinto richiama la divisione del lavoro su cui Paolo ha riferi­ to in Gal. 2,7- 10 e che accusa gli avversari di aver violato. Ne consegue che coloro che essi sostengono di rappresentare siano le autorità con cui Paolo ha concluso l'accordo. :z. d) In I 2,6 quando Paolo parla del 't te; che potrebbe farsi un concetto troppo alto di lui sulla scorta delle sue esperienze visionarie, qualora egli volesse vantarsene di più, pensa al tipo di criteri che i corinti appliche­ rebbero nel valutare gli apostoli. Essi cercavano una manifestazione di potenza spirituale visibile, definita in senso ellenistico.3 Come giudicare questa ipotesi ? Se è convincente l'affermazione che gli avversari potrebbero essere in rapporto con la chiesa di Gerusalem­ me e che nel cap. IO è in qualche modo sullo sfondo l'accordo di Geru­ salemme sugli ambiti di attività missionaria, d'altro canto l'identifica­ zione degli unepÀtav ànoa'toÀot con gli apostoli di Gerusalemme è inso­ stenibile, come si è dimostrato nell'esegesi dei passi attinenti. I superapo­ stoli sono i missionari rivali presenti a Corinto. Si può tuttavia accetta­ re ugualmente la tesi di un legame con Gerusalemme proposta da Bar­ rett. Come si è visto, l'attività taumaturgica era tipica della chiesa di Ge­ rusalemme, e forse caratterizzava i suoi associati altrove.4 Di fatto la spiegazione che Barrett offre dell'elemento > . Ciò l'avrebbe privata della sua attrattiva per gli «spirituali >> , che si rite­ nevano innovatori.5 Murphy-O'Connor pensa che questa lettera sia an­ data a buon fine in quanto riuscì a sottrarre ai giudaizzanti la possibili­ tà di trasformare i 7tVEU!J.a'ttxol «in cristiani osservanti della legge» . Essi perciò ricorsero alle critiche malevole contro Paolo, che nella lettera di 2 Cor. 1 0- 1 3 risponde proprio a queste critiche.6 r Paul, 274-277. 3 Op. cit., 293 s. 2 Op. cit. , 280-282. 4 Op. cit., 302-304, spec. 303. 5 Op. cit., 309-3 1 1 . 6 Op. cit., 3 1 7-3 1 9·

APPENDICE

I

Come valutare questa interpretazione dell'opposizione? A suo favore si può dire che le ipotesi relative all'influenza di Apollo a Corinto sono senza dubbio plausibili. Può darsi che l'attrattiva del suo insegnamento abbia generato o accresciuto in alcuni membri della chiesa l'insoddisfa­ zione per l'insegnamento e le caratteristiche personali di Paolo. La diffi­ coltà sorge quando si considera l'attendibilità dell'ipotesi nella parte re­ lativa ai giudaizzanti. Sullo scenario proposto da Murphy-O'Connor si possono muovere diverse obiezioni. a) L'affermazione che siano stati i giudaizzanti intrusi a introdurre il tema del nuovo patto è certamente erronea, poiché in I Cor. r i, 2 5 Pao­ lo tratta la xrxtv� Òtrx.S�xlJ come parte di una tradizione anteriore che ha ricevuto e trasmesso ai corinti. b) In 2 Cor. 3 vi può essere, forse, una denigrazione di Mosè, ma essa non ha alcun rapporto diretto con gli avversari giudaizzanti di tipo ga­ lata. Come si è più volte fatto rilevare, in questo capitolo Paolo dà per scontato il consenso sugli aspetti negativi della legge mosaica, tanto che non li argomenta. La rappresentazione piuttosto sfavorevole di Mosè non costituisce in sé il punto principale, ma il fulcro dell'argomentazio­ ne è l'accento sulla gloria del ministero del nuovo patto malgrado le ap­ parenze di segno opposto. c) L'assenza totale di qualsiasi cenno alla circoncisione in tutta la se­ conda lettera ai Corinti rende assai problematica l'identificazione degli avversari con agitatori di tipo galata. Forse costoro erano penetrati a Filippi, ma nella reazione di Paolo a quella situazione la circoncisione è menzionata (Fil. 3,2 s. ). d) Sebbene in 2 Cor. IO- I 3 la presenza e l'influenza di avversari esterni traspaiano con estrema chiarezza, in questa rappresentazione sono pro­ dotte poche o nessuna attestazione ricavata da questi capitoli sulla cui base identificarli. II. RISU LTATI DELL'ESEGESI

Poiché nessuna delle ipotesi sopra esaminate è risultata del tutto soddi­ sfacente per spiegare l'identità degli avversari che Paolo contrasta nella lettera dei capp. IO- I J , può sembrare azzardato proporne una ulterio­ re. La nostra esegesi può nondimeno aver fornito alcuni indizi per iden­ tificarli, ed è forse utile raccoglierli. Mi limito a considerare gli ultimi quattro capitoli dell'epistola canonica. Come si è visto nella parte 1 di questa appendice, si ritiene perlopiù che anche il cap. 3 sia rilevante nel­ l'identificazione dei missionari rivali. Non condivido questa opinione, dacché ho sostenuto che la critica mossa a Paolo per aver affermato di

GLI AVVERSARI DI PAOLO A CORINTO

essere l'intermediario di un nuovo patto nasce inizialmente dalla sina­ goga, non da altri missionari cristiani. Se si lavora sulla base dei capp. 10- 1 3 , sembra che vi siano tre ambiti in cui l'esegesi può fare luce sul­ l'identità dei rivali di Paolo e sulla natura della loro missione: il loro at­ tribuirsi il diritto di operare a Corinto; il contenuto del loro messaggio, e le loro caratteristiche personali. 1 . In 10, 1 2- 1 8 Paolo contesta agli avversari il diritto di condurre una missione a Corinto, territorio che Dio ha assegnato a lui. Questi altri so­ no semplicemente subentrati in modo illecito, e si vantano del successo ottenuto in un'area in cui egli aveva gettato tutte le fondamenta. Sullo sfondo, con ogni probabilità, sta l'accordo sulla divisione delle compe­ tenze missionarie raggiunto con gli apostoli di Gerusalemme, che tutta­ via, come si è qui prospettato, lasciava probabilmente Corinto come ter­ ritorio ambiguo e quindi conteso. Se allora gli avversari reclamavano qualche diritto al riguardo, avranno fatto in qualche modo parte della missione petrina, e potevano ritenere che fosse stato Paolo a introdursi abusivamente nell'area loro riservata. Secondo Atti 1 8,4 aveva inizial­ mente predicato ai giudei corinzi, ed egli stesso accenna a questa predi­ cazione in I Cor. 9,20. 2. Paolo accusa implicitamente i rivali di predicare un altro Gesù e un evangelo differente. Nella nostra interpretazione il primo è una imma­ gine splendida della gloria dopo la risurrezione in contrapposizione al­ l'evangelo paolino del Cristo crocifisso, il secondo un annuncio che po­ ne in rilievo l'obbedienza all'insegnamento del Gesù terreno, con un cer­ to grado di osservanza della torà. Tenuto conto della gloria tradizional­ mente attribuita a Mosè, il legislatore originario, non è detto che questi due aspetti del messaggio degli avversari siano conflittuali. 3. Quanto alle caratteristiche personali, costoro insistono sulle pro­ prie piene credenziali giudaiche. Il termine 'E�paiot può inoltre indicare parentele palestinesi e la conoscenza dell'aramaico. Se ne potrebbe desu­ mere che essi rivendichino uno stretto legame con i discepoli originari di Gesù e con la tradizione originaria del suo insegnamento in aramai­ co. Essi asseriscono di avere un rango apostolico, compiono miracoli e molto probabilmente sono anche visionari che si vantano delle loro vi­ sioni. Come missionari, accettano per principio aiuti materiali dalle co­ munità in cui operano. Questa caratteristica, insieme alla probabile con­ nessione con gli apostoli di Gerusalemme che erano stati i primi seguaci di Gesù, lascia pensare che appartengano alla missione petrina ai giudei (cf. I Cor. 9, 5 ) . Alla luce delle tradizioni petrine rappresentate nei pri­ mi capitoli degli Atti, i loro miracoli e le loro visioni sarebbero abba­ stanza congruenti con questa ipotesi. Si è già constatato che l'appartenen-

APPENDICE

I

za alla missione petrina è una conclusione che si può ricavare da come paiono arrogarsi il diritto di operare a Corinto. C'è tuttavia una caratteristica che sembra opporsi a questa rappresen­ tazione dei rivali di Paolo: la loro apparente competenza nella retorica greca. Hanno impressionato i corinti, a quanto pare, con la loro eloquen­ za oratoria ( I I,6). Ciò è in linea con le loro parentele palestinesi e il pro­ babile legame con gli apostoli di Gerusalemme ? Barrett, che li conside­ ra «giudei di Gerusalemme », riconosce la necessità di spiegare l'elemen­ to ellenistico nel quadro degli avversari così delineato, e risolve il proble­ ma affermando che essi hanno accettato i criteri di apostolato dei corio­ ti e adottato «un certo grado di ellenizzazione» . Ma questo basta ? Non è affatto chiaro come, senza una formazione o preparazione precedente, si sarebbero potuti presentare con successo in questa veste ad hoc a un uditorio anche solo superficialmente esperto (come sarà stato qualsiasi uditorio greco) nel valutare criticamente chi parlava in pubblico. Questa difficoltà getta dubbi sul profilo qui abbozzato ? Non necessariamente, giacché la missione petrina, se doveva progredire con successo a occi­ dente fuori dalla Palestina, si deve essere certamente servita di qualche oratore ragionevolmente capace di parlare un buon greco, e i grecofoni nel mondo mediterraneo potevano avere l'opportunità di acquisire gra­ dualmente un certo stile e modo di presentarsi da sofisti, tenuto conto dell'onnipresenza di costoro, che è attestata da Filone. È inoltre impor­ tante rammentare che questi avversari vengono descritti come un grup­ po, per cui non sarebbe stato necessario che ciascuno dei membri fosse dotato in egual misura di tutti i requisiti che i corinti possono aver rite­ nuto desiderabili. Il grecofono capace di maneggiare uno stile retorica­ mente ornato poteva conoscere poco l'aramaico, e per converso all'ara­ meofono di nascita, apprezzato per la sua familiarità diretta con l'inse­ gnamento in aramaico di Gesù, poteva non essere richiesto un grado di bilinguismo sostanzialmente più elevato di quello posseduto dalla mag­ gior parte dei giudei nel mondo ellenistico. Il reclutamento di esponenti nella prima categoria, inoltre, sarebbe stato facilitato dalla sede del quar­ tier generale petrino a Gerusalemme. Tra i molti giudei della diaspora che giunsero in città alcuni saranno diventati seguaci di Cristo e qual­ cuno di loro poteva essere dotato di competenze retoriche. Da ultimo, nell'esaminare I I ,4 ho avanzato l'ipotesi che questo grup­ po missionario, in sostanza appartenente alla missione petrina ai giu­ dei, può rappresentare una prima forma dell'impresa di evangelizzazio­ ne che si profilerà successivamente nel mandato missionario dell'epilo­ go del vangelo matteano. Con questo non si vuole affatto dire che costo­ ro condividessero la teologia o, più in particolare, la cristologia di Mat-

GLI AVVERSARI DI PAOLO A CORINTO

teo nella sua versione pienamente elaborata, né insinuare che l'evange­ lista in seguito dipendesse direttamente da loro o da loro successori. Non è tuttavia impossibile che nei primi anni cinquanta vi fosse un terreno comune a questo gruppo missionario e a una cerchia protomatteana e che questa possa aver influito in qualche modo su quel gruppo. I I I . IL PUNTO DI VI STA DEI C ORINTI E QUELLO DI PAO LO

I.

IL PUNTO DI VI STA DEI CORINTI

Non v'è dubbio che Paolo sia in collera con i corinti perché hanno pron­ tamente accettato i missionari rivali, ma può darsi che i corinti dal can­ to loro li abbiano accolti in perfetta buona fede e avessero diversi argo­ menti da spendere in loro difesa. Anzitutto, se questi missionari rappresentano in qualche modo la chie­ sa di Gerusalemme, riceverli e lasciare loro libertà d'azione poteva non essere giudicato da Paolo un atto di slealtà. Egli stesso, nel promuovere con insistenza la colletta, aveva di sicuro riconosciuto la posizione spe­ ciale dei cristiani di Gerusalemme, e nella lettera contenente il cap. 8 aveva anzi lasciato intendere ( 8, 1 4 ) che questa chiesa poteva colmare al­ cune mancanze dei corinti. E in secondo luogo, in una lettera anteriore ( I Cor. 3 , 5-9) Paolo aveva consentito un «lavoro di gruppo >> nel caso di Apollo, che non operava sotto la sua direzione come suo assistente. Per­ ché la situazione dovrebbe essere differente con questi nuovi missiona­ ri? In terzo luogo, se il loro insegnamento non era identico a quello di Paolo, i loro ascoltatori avrebbero potuto considerarlo integrativo an­ ziché contrapposto al suo. A ogni modo, se il loro «altro Gesù» dava risalto esclusivo al Cristo glorioso, i corinti avrebbero potuto vedere in questa unilateralità un contrappeso necessario al concentrarsi di Paolo sul Gesù crocifisso. Inoltre, se i missionari rivali erano rappresentanti del­ la missione petrina, potevano sostenere che il loro evangelo si basava sul­ l'esperienza dell'apostolo cui per primo (come Paolo dice in I Cor. 1 5, 5 ) fu concessa una manifestazione del Cristo risorto. Costoro inoltre saran­ no considerati più vicini di Paolo all'insegnamento originario di Gesù. Quarto punto: i corinti avrebbero probabilmente considerato il ricor­ so alla retorica da parte degli avversari come un'utile tecnica di evange­ lizzazione, che nella loro città poteva ottenere risultati vantaggiosi nella diffusione dell'evangelo. Nella prima lettera ai Corinti Paolo aveva sen­ za dubbio spiegato ( I Cor. 2, 1-3 ) di avere deliberatamente respinto una impostazione in qualche modo sofistica nella sua prima visita a Corinto, ma non è chiaro come ciò si concili con la sua affermazione susseguen­ te ( I Cor. 9,23 ) di essersi > , per salvarne qualcuno

97 0

APPENDICE I

con qualunque mezzo possibile. Potevano i corinti non concludere che questo principio consentiva all'evangelizzatore di diventare sofista per i sofisti? Infine, da 2 Cor. I I ,7- 1 2 emerge chiaramente che il rifiuto del mante­ nimento da parte di Paolo era ancora un elemento di conflitto a Corin­ to. Può darsi che ad alcuni nella chiesa la sua condotta abbia continua­ to a suscitare dubbi sul suo rango apostolico, e dunque sulla loro stessa condizione di cristiani. Una legittimazione supplementare da parte dei rappresentanti della missione petrina poteva non risultare sgradita. È possibile che entrino in gioco anche considerazioni sociali. I corinti in­ fluenti avranno preferito quanti accettavano il loro patronato, confor­ mandosi così al loro sistema basato sulle classi. I Anche se non giunsero a considerare offensivo il rifiuto della loro offerta da parte di Paolo (ma per alcuni può esserlo stato), esso poneva di fatto una sorta di punto in­ terrogativo sul loro sistema sociale e i suoi valori. Eppure essi avranno fatto notare che la loro posizione sociale li abilitava a ospitare la cena del Signore, a contribuire generosamente alla colletta e forse a persua­ dere altri della loro classe ad aggregarsi al movimento cristiano. Costoro erano inoltre i naturali responsabili amministrativi della comunità. Po­ tevano non essersi sentiti sottovalutati, forse offesi ?

2.

IL PUNTO DI VI STA D I PAOLO

Esso è ovviamente espresso in tutto il corso della lettera costituita dai capp. 10- 1 3 , e l'argomento sarà ripreso nella seconda appendice. Qui si propone qualche considerazione generale. Anzitutto il tono aggressivo e l'autodifesa fermissima dei capp. 10-13 sono forse da attribuire in parte alla reazione negativa dei corinti alla lettera di Paolo dei capp. 1-8. È del tutto verisimile che egli provasse di­ spiacere e collera per l'apparente incapacità dei lettori di apprezzarne l'efficacia. Aveva spiegato approfonditamente il senso del suo stile di vita inglorioso (4,7- 1 1 ), della sua sofferenza ( 1,3-6) e del suo ministero apostolico ( s, n -6, Io), e tutto ciò, a quanto pare, o era stato ignorato o era caduto nell'incomprensione più totale. Quel che resta impresso nel­ la memoria dei corinti è la sua debole presenza personale e la sua ora­ toria spregevole. In secondo luogo, Paolo era preoccupato per questioni più generali ine­ renti all'evangelizzazione. Avrà considerato di vitale importanza che l'ac­ cordo di Gerusalemme sull'attività missionaria ( Gal. 2, 1-10) venisse riI

Horrell, Social Ethos, 220-:11 5 .

GLI AVVERSARI DI PAOLO A CORINTO

97 1

spettato, e dal canto suo - avrà sottolineato - lo aveva onorato: fondan­ do la chiesa corinzia in una grande città del mondo gentile egli aveva ot­ temperato all'accordo per la sua parte, Non era stato lui a sconfinare sul territorio degli altri apostoli, bensì i missionari rivali presenti in quel mo­ mento a Corinto. Costoro - come si è visto - potevano contestare que­ sta interpretazione del concordato di Gerusalemme, ma l'interpretazio­ ne di Paolo era sostenibile. Se esso era violato in una città importante come Corinto, c'era poco da sperare che fosse osservato altrove. Il caso di Corinto avrebbe probabilmente avuto influenza sia sull'ulteriore di­ vulgazione dell'annuncio cristiano sia sui contatti fra le chiese esistenti. In terzo luogo, è importante ricordare che questa non è la fine della vicenda dell'interazione fra Paolo e i corinti, sebbene sia l'ultimo episo­ dio di cui si abbia una documentazione ascrivibile direttamente a Pao­ lo. Può darsi che quando Paolo arrivò infine a Corinto nell'inverno del 5 6- 5 7 d.C. si sia raggiunta una migliore comprensione tra l'apostolo e la chiesa. Anche nell'era del fax, l'incontro personale diretto può rive­ larsi sovente il modo più efficace per appianare le divergenze. Ciò sarà stato tanto più vero in un tempo in cui opinioni e lettere venivano tra­ smesse su lunghe distanze, magari da persone che viaggiavano a piedi. È possibile che durante il soggiorno finale di Paolo a Corinto si sia arri­ vati a questa soluzione: dopotutto la maggior parte della sua corrispon­ denza fu conservata. Paolo, come ho ipotizzato, forse mitigò da parte sua la decisione di non accettare il mantenimento dalla chiesa. I Può dar­ si che abbia ottenuto qualche successo nel chiarire il suo atteggiamento sul tema dello status sociale. Al riguardo, per quanto si possa essere d'ac­ cordo con i corinti, sembra in effetti che l'impostazione di Paolo fosse più profonda, giacché si basava sull'esempio di Cristo ( 8,9), cui Paolo conformava la propria vita. Poscritto Che cosa era accaduto ai missionari rivali ? Presumibilmente si saranno trasferiti altrove, forse perché la lettera di Paolo dei capp. 10- 1 3 aveva modificato l'atteggiamento dei corinti nei loro confronti. Paolo sospet­ tò (o addirittura venne a sapere) che essi erano in viaggio per Roma ? In tal caso, ciò potrebbe aver dato ulteriore impulso alla sua intenzione di scrivere a quella chiesa e aver contribuito a condizionare il contenuto della lettera. Egli avrà voluto a ogni modo presentarsi in anticipo ai cri­ stiani di Roma, 2. e doveva avere in mente la natura di questa chiesa, una I

V. sopra, excursus 1 2, pp. 7 3 6 s.

2. Murphy-O'Connor, Pau/, 3 3 1 s.

97 2

APPENDICE

I

fondazione giudeocristiana, che allora era una comunità mista di giudei e gentili. Quale presentazione migliore per Paolo che esporre diffusamen­ te la propria interpretazione dell'evangelo cristiano nella sua essenza, e mostrare come esso riguardasse e fosse in relazione sia con i giudei sia con i gentili? Se egli sospettava che i suoi rivali a Corinto potessero es­ sersi spostati a Roma, una lettera di questo tipo sarebbe stata ancora più impellente. La loro sprezzante denigrazione di Paolo a Corinto e la capa­ cità di influenzare negativamente persino una chiesa fondata da lui sa­ rebbero state poco propizie alla sua accoglienza da parte dei cristiani ro­ mani. Può darsi che a indurlo a scrivere sia stato in parte il desiderio di scongiurare una simile eventualità.

Appendice

2

PAOLO L'APOSTOLO

I. QUADRO GENERALE

In questa sezi o ne si esamineranno l'origine e il significato del termine ci7tO­ a-roÀoc;, il suo impiego nel N.T., i possibili paralleli dell'istituzione cristia­ na e infine l'apostolato cristiano. Origine e significato di à1toa-roì..o c;. La parola ricorre 79 o So volte nel N.T. Si trova spesso al plurale, con l'articolo determinativo e senza ul­ teriori specificazioni, elementi da cui si desume che le persone indicate ricoprissero una carica o svolgessero una funzione particolare nota ai lettori (ad es. Atti 2,42; 9,27; Gal. 1 , 1 7; Ef. 2,20). Si ravvisa la medesi­ ma connotazione implicita quando il sostantivo privo di articolo funge da predicato (ad es. o ùx tt(lt ci1toa-roÀoc; ; I Cor. 9,1; cf. 1 2,29 ) . Chi ab­ bia familiarità con il N.T. potrebbe quindi dedurne che il termine ci7tO­ a-roÀoc;, detto di persona, fosse di uso corrente o nel greco biblico dei LXX o nell'uso profano, oppure in entrambi. Non è così. Se ne trova un uni­ co esempio nei LXX (iyw tt(l t ci1toa-roì.. oc; 7tpoc; at axÀYjp6c;, 3 Beta. 14,6) e uno in Simmaco (ls. 1 8,2).1 Pochi sono gli esempi nel greco non bibli­ co con il significato di «messaggero » , « ambasciatore» , «delegato» (ad es. ci1toa-roÀoç Èc; -r� v MtÀYj-rov, Hdt. 1 , 2 1 ; cf. 5, 3 8 ) . 2 Negli altri casi si ha un largo spettro di accezioni ( (( spedizione navale », ((colonia », (dicenza di esportazione» fra le altre).3 Si rende evidentemente necessaria una spie­ gazione che giustifichi l'uso neotestamentario frequente di ci1toa-roÀoc; per denotare una persona. Prima però di considerare le diverse ipotesi, sarà utile osservare la varietà di individui che gli autori del N.T. defini­ scono ci7toa-roÀot. Dal punto di vista cronologico sono le lettere paoline ad attestare l'uso più antico della parola nel N.T. Paolo parla di sé dicendosi ci1toa-roÀoc; (Rom. 1 , 1 ; I Cor. 9,1; Gal. 1 , 1 ) o ci1toa-roÀoç Xpta-rou 'lYjaou (I Cor. 1 , 1 ; 2 Cor. 1 , 1 ) . L'appellativo è connesso per lui con l a sua chiamata diret­ ta da parte di Dio ( Gal. 1 , 1 ), con Pincarico di predicare l'evangelo (Rom. 1 , 1 ) e con la rivelazione del Cristo risorto di cui egli aveva fatto espe1.

r

Barrett, Shalia/:J, 96.

2

LSJ,

s.v. , 1 . 1 .

3 LSJ,

s.v.,

II.

974

APPENDICE

2

rienza ( oùx Et(.LÌ à:7tOC''t"OÀoc;; oùx.ì 'I l)C'OUV 't"ÒV xupwv lJ(.LWV Mpctxct; I Cor. 9, 1 ) . Designa pure altri col termine à:7toa't"oÀot (o! Àot1toÌ à:7toa't"oÀot, I Cor. 9,5; 't"otc; à:7toa't"oÀotc; 7t&atv, I Cor. 1 5 ,7; 't"oùc; 7tpÒ È(.Lou à:7toa't"oÀouc;, Gal. 1,17). Chi sono costoro? Tenuto conto che Luca identifica i dodici con gli apostoli, è naturale supporre che siano gli undici discepoli originari di Gesù, insieme a Mattia come sostituto di Giuda Iscariota, a formare quantomeno il nucleo del gruppo di cui Paolo parla in I Cor. 9, 5 e Gal. 1 , 1 7. Che vi fossero anche altri si evince da I Cor. 1 5 ,7, poiché i dodici erano già stati menzionati separatamente nel v. 5 · 1 In Rom. 1 6,7 An­ dronico e Giunia (nome femminile o maschile) sono designati così/ e an­ che Barnaba, con tutta probabilità, andrebbe compreso nel gruppo apo­ stolico, giacché in I Cor. 9,6 Paolo lo associa a sé come detentore del di­ ritto apostolico al mantenimento.3 Infine, oltre a quelli di cui riconosce­ va il rango apostolico, Paolo indica anche persone che rivendicavano il titolo ma che egli riteneva impostori e stigmatizzava quindi come «falsi apostoli » (2 Cor. I I , I J ) . Barrett rileva che ciò corrobora le altre attesta­ zioni dell'esistenza di una categoria riconoscibile di «apostoli di Cristo », poiché, se vi sono apostoli fasulli, devono esserci quelli veri.4 Considerata la natura sostanziale di queste testimonianze paoline, si deve concludere quindi che l'uso di à:7toa't"oÀoc; come termine tecnico cri­ stiano fu creazione dello stesso Paolo? È improbabile. Se così fosse, veri­ similmente non avrebbe indicato le autorità di Gerusalemme come «quel­ li che erano apostoli prima di me» , né gli avversari sarebbero arrivati a Corinto sostenendo di essere anch'essi > .� Potreb­ be sembrare che il suo stile di vita inglorioso e precario consigli pruden­ za nell'accettare le sue affermazioni, ma egli sostiene che la discrepanza funge da : v. 4,1-14.3 Il modo in cui tratta la reazione finale dei corinti all'incidente dell'offensore mira a mo­ strare come il suo onore sia stato da ultimo ristabilito. 4 Richiamandosi a 5 , 1 3 -6, 1, Shaw sostiene che, mentre Paolo ritiene la propria vita gui­ data direttamente da Cristo, è persuaso che la guida esercitata da Crir �

V. sopra, pp. 870 s. Cost of Authority, 1 0 3 .

3 Op. cit. , 1 04.

4 Op. cit., 108-I IO.

APPENDICE

2

sto sui suoi convertiti richieda la sua mediazione. Ciò significa che Pao­ lo si sottomette a «un Cristo che è in gran parte creazione delle sue pro­ iezioni » , laddove il credente deve sottomettersi alla concreta volontà per­ sonale dell'apostolo. 1 Ulteriori prove di egocentrismo si trovano nei capp. I O- I J . In ro, I o si vede che i critici di Paolo rilevano un contrasto fra le sue lettere e la sua presenza personale. Se ne evince che « in gran parte l'affermazione di sé e la presunzione delle lettere è una compensa­ zione per un uomo il cui ascendente personale era mediocre» . l. E com­ mentando I I , I 2- 1 5, Shaw dice dell'apostolo: «l'esaltazione della sua a u­ torità personale è tale che egli non può tollerare fonti autonome di po­ tere nelle comunità da lui fondate » . 3 Da ultimo, egli sostiene che tutto ciò che Paolo ha detto sulla propria debolezza nei capp. 1 1- 1 2 è da leg­ gere semplicemente come «preparazione alla più aggressiva affermazio­ ne di potere » .4 Il concetto di 1 3 ,2-4 è che « Cristo è oggi reintegrato me­ diante la punizione dei corinti refrattari, come in passato lo fu mediante la risurrezione dai morti >> . s Come valutare questo ritratto di Paolo ? Per iniziare, è forse opportu­ no chiarire due aspetti generali. In primo luogo, Shaw scrive da una pro­ spettiva filosofica non teistica: « la sola realtà di Dio consiste nell'uso di questa parola da parte degli esseri umani » .6 Ne consegue anche che la sola realtà di Cristo, dopo la morte del Gesù uomo, consiste, nel caso di Paolo, in un'immagine prodotta dalla sua psiche. In nessuno dei due casi si rimanda ad alcuna realtà trascendente. L'apparente esperienza di contatto con l'essere divino è data semplicemente dal sé che parla al sé. In un certo senso ciò costituirebbe l'egocentrismo, sia pure non di tipo consapevole e colpevole. Ove però si ammetta la possibile validità del­ l'alternativa teistica, la materia diventa più complessa. Sebbene resti la possibilità che, in ogni singolo caso, l'apparente contatto con Dio o Cri­ sto sia un'illusione egocentrica, esiste la possibilità alternativa che l'espe­ rienza sia reale. Non si escluderebbe automaticamente che teofania o cri­ stofania si possano considerare manifestazioni divine autentiche, e l'ap­ prendimento profetico o apostolico del divino potrebbe contenere veri­ tà che la persona in questione sarebbe tenuta a comunicare. L'esistenza di un messaggio appreso da un profeta o apostolo particolare potrebbe dare l'impressione di egotismo da parte del messaggero, ma questa am­ biguità è intrinseca a una situazione siffatta. Paolo si credeva incaricato di un messaggio divino di eccezionale importanza e può darsi che i suoi sforzi per propagarlo e per guidare i suoi destinatari a trame le conse­ guenze lo abbiano portato a sembrare, e forse a essere realmente, egol Op. cit. , 1 1 4 s., spec. 1 1 5 . 2 Op. cit. , 1 1 9 s. 3 Op. cit., 1 2 1 . 4 Op. cit., 1 2 3 . 5 Loc. cit.

6

Op. cit. , 282.

PAOLO L'APOSTOLO

centrico. Ma è possibile che questo fosse il rischio inevitabile di una chia­ mata cui, nel complesso, egli si dedicò con grande abnegazione. Il secondo aspetto generale è che Shaw trascura di considerare il con­ testo storico di Paolo. L'intolleranza dell'apostolo a qualsiasi «fonte au­ tonoma di potere» aveva forse qualche giustificazione. Affermando la propria indipendenza da Gerusalemme egli proteggeva, o credeva di pro­ teggere, gli interessi della missione ai gentili contro una pretesa di con­ trollo che avrebbe potuto in definitiva ridurne l'orizzonte a un proseliti­ smo giudaico e diminuirne il successo. Un altro esempio di disattenzio­ ne, o più probabilmente di inconsapevolezza, riguardo al contesto sto­ rico di Paolo è dato da ciò che a un lettore moderno sembra talora il suo atteggiamento aggressivo o il trattamento duro riservato ai suoi corri­ spondenti, peculiarità che possono certamente dare l'impressione di ego­ tismo, ma che sono forse dovute all'esercizio della convenzione allora vigente del parlare franco, la 7ta.ppl]ata.. 1 Nel mondo greco-romano del­ la franchezza nel parlare si servivano amici o maestri quando volevano giovare a una persona o a un gruppo correggendone la condotta. 2. Poteva avere gradi diversi, dalla critica dura e pura alla correzione garbata mi­ sta all'elogio/ e l'uso del termine 7ttXpplJaLtX nelle lettere di Paolo rispec­ chia questa varietà. 4 Nella corrispondenza con i corinti la lettera con­ tenente i capp. 1-7 può collocarsi fra i due poli,S ma quella dei capp. 1 0- 1 3 si trova all'estremità più dura della scala, quella della critica pu­ ra. Essa contiene inoltre una dose considerevole di «potenziamento del­ l'ethos�> . Secondo la convenzione, il carattere di colui che teneva ad al­ tri un discorso schietto era importante. La debolezza di carattere risul­ tava inefficace. Paolo deve così insistere sulla sua coerenza ( 1 1,12) e amo­ re per i convertiti ( 1 1 , 1 1 ; 1 2, 1 5 . 1 9 ), e parla loro dello straordinario pri­ vilegio di essere stato rapito in cielo ( 1 2,2-4). Si rivolge con durezza ai lettori e parla di sé.6 Tutto ciò appare egocentrico, ma poteva essere ri­ tenuto accettabile (solo) all'interno delle convenzioni del tempo. Passando a questioni più specifiche, si potrebbe prendere in esame l'in­ terpretazione data da Shaw a 2,1 5 s. È da presumere che la sua obie­ zione principale verta sulla classificazione di quanti respingono la pre­ dicazione di Paolo come individui destinati alla distruzione e, in 4,3 s., accecati dal « dio di questo mondo » . Vi si scorge l'esaltazione dell'im­ magine che Paolo offre di sé, ma vi è una motivazione diversa, o quanr Devo le considerazioni che seguono a una relazione seminariale di J. !'aul Sampley, Frank Speech in the Pauline Correspondence, presentata all'incontro della SNTS di Birmingham nell'agosto 1 997. 2. Frank Speech, 1- 5 . 3 Frank Speech, 3 · 4 Il resto della relazione, 5-19, è dedicato all'uso paolino del vocabolo, riepilogato nella tavola a p. 16. 5 Frank Speech, I I s. 6 Frank Speech, 1 2-14. 1 6.

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tomeno ulteriore, di cui tenere conto. Paolo era profondamente preoc­ cupato per il rifiuto giudaico dell'annuncio cristiano (Rom. 9 , 1 - 5 ) - rifiu­ to di cui parla in 2 Cor. 3 , 1 4 s. Era necessaria una spiegazione, a pre­ scindere dalla presenza o assenza del suo egotismo in questo quadro. È in un certo senso un falso problema che la sua affermazione di dipendere da Dio sia egotistica, come anche Shaw sostiene. Poiché Paolo evidente­ mente credeva in Dio, non c'è una ragione a priori per considerare egoi­ stica l'affermazione di dipendenza. Nell'ottica del non teista, natural­ mente, è possibile che appaia una forma di celebrazione di sé velata o in­ consapevole, perché non potrebbe, ex hypothesi, essere niente di diver­ so. Quanto alle argomentazioni ulteriori di Shaw relative all'egocentri­ smo di Paolo, si può in parte concordare con una respingendo però le altre due menzionate sopra. Va riconosciuto un certo egotismo nel mo­ do in cui l'apostolo tratta la reazione finale dei corinti riguardo alla fac­ cenda dell'offensore. Sulla base principalmente delle supposizioni fatte parecchio tempo fa da Windisch, si è anche qui richiamata l'attenzione sugli elementi egocentrici in 2, 1 - 1 1 e 7, 5 - 1 6,' ma non condivido l'ipo­ tesi che l'affermazione epistolare di sé voglia compensare l'inefficacia personale. Benché ciò trovi qualche fondamento in 10, 1 0, considerarlo in generale personalmente inefficace rende incomprensibili i suoi successi missionari. E la tesi che tutto quel che si dice sulla debolezza nei capp. 1 1 - 1 2 sia una semplice preparazione di 1 3 ,2-4 non rende giustizia al con­ tenuto di questi capitoli. La presentazione di Shaw è con tutta evidenza decisamente a senso unico. Sembra tuttavia che nel carattere di Paolo vi sia un elemento che si potrebbe definire egocentrismo, ma ci si deve chiedere se ciò non pos­ sa essere il rovescio negativo di qualità positive assolutamente indispen­ sabili per mettere in pratica la sua chiamata di apostolo ai gentili. Egli viaggiò in lungo e in largo per il Mediterraneo orientale, talora solo, sen­ za i servizi di cui potevano disporre viaggiatori altolocati o in veste uf­ ficiale. Doveva essere un uomo di forte personalità e con uno spiccato senso d'identità, altrimenti non sarebbe sopravvissuto ai rischi dei viag­ gi, né avrebbe prodotto grandi effetti nei paesi e nelle città che visitava recando l'annuncio dell'evangelo. Murphy-O'Connor, che offre un qua­ dro vivace dei pericoli affrontati dai viaggiatori, ritiene inoltre che, seb­ bene l'ideale di Paolo fosse lo «stile di vita completamente dedito agli altri >> esemplificato da Gesù, i suoi problemi di viaggio ne avrebbero osta­ colato l'adozione. Egli si vedrebbe costretto a preoccuparsi della propria sicurezza e ad accertarsi, ad esempio, che i suoi strumenti di cuoiaio non I

V. vol.

I,

198. 5 IO.

PAOLO L'APOSTOLO

gli venissero rubati, se li depositava per la notte in una locanda. Le cir­ costanze lo costrinsero a considerare se stesso e lottare contro il perico­ lo dell'egotismo. I Non ebbe sempre la meglio, secondo Murphy-O'Con­ nor, che trova in Fil. 2 un esempio della preoccupazione dell'apostolo per i propri interessi, e di come egli li identifichi con quelli di Cristo.:�. Per alcuni aspetti Paolo potrebbe quindi essere considerato egocentri­ co, ma forse una definizione più adatta sarebbe «preso da sé» . Egli non perseguiva il proprio tornaconto nel senso di cercare la fama o il gua­ dagno personale. Le sue lettere non sono scritte come prodotti letterari da pubblicare, per impressionare un uditorio colto, ma Paolo è senza dubbio preso dalla propria chiamata individuale, forse sino a escludere di accettare gli altri come autenticamente altri. Il profondo convincimen­ to della vocazione e della conseguente autorità accordatagli avrà pro­ dotto una prospettiva mentale ed emotiva imperniata sulla propria in­ terpretazione dell'evangelo e sui propri metodi di guida pastorale. Ciò significa che, sebbene desideri che i suoi convertiti maturino nella fede e nella pratica, si aspetta che manifestino una maturità in sintonia con la sua interpretazione della verità e vita cristiana. Può pertanto diventare ansioso e autoritario (e forse in modo aggressivo) quando membri delle sue chiese si lasciano attirare da altri missionari. Eppure, nel caso della situazione rispecchiata in 2 Cor. 1 0- 1 3 , fu forse più lungimirante dei corrispondenti nel cogliere le conseguenze di un successo dei suoi rivali nel loro tentativo di assumere la guida dei corinti.3 Come che sia, l'im­ mersione nella sua interpretazione dell'evangelo può considerarsi il lato negativo delle qualità positive di convinzione e impegno essenziali per riuscire nella sua missione. Né è da dimenticare che la risposta di Paolo ai critici e rivali a Corinto ha tracciato per le generazioni future un qua­ dro del ministero cristiano dotato di considerevole profondità teologica e intelligenza spirituale. Ciò conduce all'argomento conclusivo. IV. La seconda lettera ai Corinti come testo canonico. Giudicare l'episto­ la preziosa per la chiesa per l'interpretazione che offre del ministero cri­ stiano non vuoi dire necessariamente spingersi a ritenerla canonica. Si possono leggere altre trattazioni simili che appaiono altrettanto prezio­ se e forse più adatte ai nostri giorni. Considerare la seconda lettera ai Co­ rinti canonica, ossia parte della Scrittura, significa attribuire all'epistola un grado di ispirazione e autorità più elevato di quello proprio di altra letteratura religiosa. Barnett la definisce «autorità domenicale », e la con­ nette al «posto unico » di Paolo come « apostolo ai gentili, autorizzato . . .

I

Murphy-O'Connor, Paul, 96- 1 0 1 .

:1.

Op. cit., 2 2 3 s.

3 V. sopra, pp. 970 s.

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a edificare le chiese ( 1 0,8; 1 2, 1 9; 1 3 , 1 0 ) » . 1 Il fondamento implicito di questa opinione è duplice: l'accoglimento dell'interpretazione che Paolo dà della sua esperienza cristofanica, e la complementare attribuzione di un'autorità speciale agli scritti neotestamentari, che si protrae nei secoli e arriva fino al presente. Per Barnett - a quanto sembra - tutto ciò è ac­ cettabile. Le parole di Paolo ai corinti si possono senza difficoltà consi­ derare applicabili alle chiese di oggi, e i lettori possono essere sollecitati a mettersi al posto dei destinatari originali. La questione tuttavia può non essere affatto così lineare. Cominciano ad affiorare complicazioni. Vi è anzitutto il ritratto del carattere perso­ nale dell'apostolo che si delinea nel suo interagire con la chiesa corin­ zia. In secondo luogo, si pone il problema se la canonicità della secon­ da lettera ai Corinti sia stata in qualche misura responsabile dell'anti­ giudaismo della chiesa cristiana postpaolina. 1. Paolo era un egocentrico autoritario? In tal caso, può essere consi­ derato un modello scritturistico autorevole per il ministero cristiano suc­ cessivo? Ho affermato che egli dà in effetti l'impressione di essere preso da sé e sembra incapace di immaginare la situazione dei corinti guardan­ dola dal loro punto di vista. Ho anche ipotizzato d'altro canto che questi aspetti del suo carattere possano risultare il lato oscuro delle qualità po­ sitive necessarie alla sua missione. E nonostante la durezza della lettera dei capp. 10- 1 3 può esserci stato un riavvicinamento finale.� Ma la pro­ babilità che entrambe le parti del conflitto precedente avessero appiana­ to le divergenze non significava necessariamente che i corinti ora vedes­ sero in Paolo colui che esemplificava l'ideale apostolico per eccellenza. Ciò accadrà con la canonicità e la conseguente tendenza a trascurare qualsiasi aspetto negativo del carattere di Paolo. Dopo Gesù, egli di­ venta il modello supremo del ministero cristiano. I suoi lettori - sostie­ ne Barnett - devono essere edificati dai passi in cui egli spiega «il carat­ tere non trionfalistico e da 'schiavo' del proprio ministero . . . (per es. 2, 14- 1 6; 4, 1 - 1 5 ; 6,3 - 1 3 ) » . Le sue visioni avrebbero potuto ingenerare or­ goglio, ma egli aveva imparato dall'esperienza della } Si deve integrare una let­ tera canonica con l'altra e tener conto che 2 Cor. 3 fu scritto in una si­ tuazione di conflitto, al contrario della lettera ai Romani. Almeno per un aspetto, quindi, la canonicità della seconda lettera ai Corinti poteva essere considerata un'eredità piuttosto ambigua per la chiesa dei secoli successivi. Si può nondimeno concludere con una nota più positiva, se si guarda alla rilevanza dell'epistola canonica per i temi Chrys. Hom. in 2 Cor. 7,2 s. (PG 6 1 , 445 ; NPNF xn, 3 1 1 ). G.A. Zinn, History and Interpretation, in J.H. Charlesworth (ed.), Jews and Chris· tians, New York 1990, 1 00- 1 26, spec. la pagina successiva alla 1 26. Si vedano le illu­ strazioni alle pagine seguenti non numerate. 3 Fraikin, The Rhetorical Function of the Jews in Romans, 104 s. V. tuttavia R. W. Wali, in The New Testament as Canon USNTSS 76), Sheffield 1992, 264. Egli osserva che le tensioni e la separazione fra la chiesa e la sinagoga « furono in larga parte il risultato della predicazione di Paolo e della sua missione ai gentili • . Ciò sembra lasciar pensare che l'idea popolare di Paolo «antigiudaico » potrebbe non essere del tutto errata. r

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teologici contemporanei. Nella seconda metà del xx secolo si è manife­ stata un'attenzione considerevole per la cristologia. In Gran Bretagna vi è stato un interesse popolare oltre che accademico, destato inizialmen­ te dalla pubblicazione di Honest to God di John Robinson nel 1963,' e accresciuto nel 1 977 dalla raccolta di saggi The Myth of God Incarnate. 1 Non è questo il luogo in cui affrontare un simile dibattito. Desidero sem­ plicemente porre in evidenza tre fatti per poi considerarne le implica­ zioni. Questi i fatti: la canonicità della seconda lettera ai Corinti ha con­ servato l'epistola alla nostra attenzione attuale; essa contiene varie in­ dicazioni sulle credenze cristologiche di Paolo; queste credenze, svilup­ pate assai presto nella storia del movimento cristiano, cominciano ad ad­ ditare in sostanza le definizioni dei credo seriori. Ciò può avere quindi una certa rilevanza nel valutare la verità delle asserzioni delle confes­ sioni di fede. Il primo fatto parla da solo, mentre il secondo richiede una dimostra­ zione. Se si guarda con cura, si vede che l'epistola contiene una serie di cenni agli elementi principali dell'evento Cristo, menzionati come se do­ vessero essere familiari ai lettori di Paolo. Cristo era ricco nel suo stato preesistente, ma diventò povero mediante l'incarnazione ( 8,9 ). Egli è l'immagine, e:lxwv, di Dio, l'incarnazione della sapienza divina, colui che rivela la gloria di Dio, la natura di Dio (4,4.6). Di per sé senza peccato, si identificò con l'umanità peccatrice e morì per essa ( 5 , 2 1 ), e per essa fu anche risuscitato dai morti ( 5 , 1 5 ) . Questo Cristo inoltre sente ed esau­ disce in proprio la preghiera e accorda la potenza divina a Paolo per con­ trastarne la debolezza ( 1 2,8 s.). Egli è figlio di Dio ( r , r9) e dispensato­ re della grazia divina ( I 3 , 1 3 ) . Il terzo fatto è quindi che in un lasso di tempo compreso fra i venti e i venticinque anni dopo la crocifissione di Gesù,3 Paolo aveva elaborato e insegnato una cristologia relativamente « alta » in cui la divinità e l'umanità di Cristo sono pienamente attesta­ te. Questo non è ancora il linguaggio del credo niceno, ma punta chia­ ramente in quella direzione. Se poi ci si chiede come Paolo sia giunto a formulare queste credenze, la risposta più verisimile sarebbe che la sua concezione di Cristo derivava in larga parte dall'esperienza personale. La cristofania che aveva determinato la sua conversione gli aveva mo­ strato Cristo come immagine di Dio, manifestazione della gloria di Dio. Questa percezione iniziale della natura di Cristo potrebbe essere stata 1 J.A.T. Robinson, Honest to God, London 1963. 2.]. Hick (ed.), The Myth of God Incarnate, London 1 977. 3 Jewett, Dating Paul's Life, tavola conclusiva, indica nel 33 d.C. la data più probabile della crocifissione e nel 30 d.C. quella meno probabile. Ho datato i contenuti della se­ conda lettera ai Corinti al s6 d.C.: v. vol. r, 109 s.

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poi rafforzata dall'esperienza del rapimento celeste, in cui vi fu forse una visione del Cristo glorificato intronizzato in cielo. Ed egli ha sperimen­ tato la potenza di Cristo, in risposta alla preghiera, esattamente come aveva sperimentato in Asia la potenza del Dio che risuscita i morti. Quale potrebbe essere allora il valore di questa cristologia paolina e della sua probabile origine per il dibattito contemporaneo ? Quando si esamina il contenuto cristologico dei credo, l'influenza scritturistica prin­ cipale, se non l'unica, sul loro sviluppo si fa risalire più sovente al van­ gelo di Giovanni. Ma se si è interessati alla verità nonché alla storia di questo sviluppo, la centralità del quarto vangelo ha due inconvenienti. Anzitutto, sebbene a prima vista sia Gesù in persona a parlare della sua piena divinità ( 1 0, 3 0; 1 4,9 s.), ciò contrasta nettamente con i detti e il tipo di discorso attribuito a Gesù nella tradizione sinottica, che è consi­ derata la più storica, nel senso ordinario del termine. In secondo luogo, una presentazione siffatta non fornisce alcun indizio su come sia sorta la cristologia giovannea, se non si può supporre che Gesù stesso parlas­ se così. La cristologia paolina che compare indirettamente nella secon­ da lettera ai Corinti (e in altre) non soffre di questi inconvenienti. Non appare esposta a smentite esplicite provenienti da nessun altro testo del N.T. E soprattutto si hanno indicazioni su come le credenze di Paolo pos­ sono essere nate ed essersi sviluppate. In che modo dunque queste testimonianze paoline sarebbero in rela­ zione con la questione della verità o meno della cristologia tradizionale? Si deve partire (sul piano logico, se non esperienziale) da dove Paolo stes­ so partì prima della sua esperienza di cristofania. Si parte cioè dalla cre­ denza nel Dio vivente della fede monoteistica. La maggioranza degli stu­ diosi impegnati nel dibattito cristologico in questi ultimi decenni ha ac­ cettato questa credenza, quale che fosse la loro interpretazione particola­ re. Posta questa accettazione, se ne possono allora considerare le conse­ guenze per la questione in esame. Questa fede fondamentale in Dio am­ mette la possibilità di un contatto autentico con l'essere divino, e am­ mette quindi che l'esperienza cristofanica di Paolo possa essere stata una occasione autentica di contatto di questo tipo e che conseguentemente l'interpretazione che egli ne dà sia vera. Ammette anche che egli possa aver conosciuto la concessione della concreta potenza divina in risposta alle sue preghiere a Cristo. Che fosse così può essere testimoniato dal suc­ cesso dei suoi sforzi missionari malgrado le debolezze umane che i corio­ ti reputavano avverse alla sua condizione di apostolo. Se la seconda epi­ stola ai Corinti contribuisce anche poco all'accettazione della credenza in Cristo come Dio figlio incarnato, questo può essere l'effetto più impor­ tante della sua conservazione quale parte della Scrittura canonica.

INDICE ANALill C O

Abramo, 757 ss., 761, 8 1 5, 9 5 7 Acaia, 39, 45, 7 4 ss., 1 I 8 ss., 2 1 0, 5 3 5 , 546, 594 s., 7 1 6 ss., 7 3 6 Adamo (primo e/o secondo), 3 3 1 , 3 39, 346 s., 3 8 5 s., 394. 396, 402, 427 s., 443 ss., 690 s., 8 2 1 s., 826 àÒEÀcpof , g)i, 5 86- 5 9 1 , 596, 599, 8 8 3 SS. àòtÀcpo.;, I', 8 8 2 s. afflizione, sofferenza, 90, 1 29 s., 13 5 s., 1 3 8-1 50, 198 s., 347 s., 3 67, 372 s., 472 ss., 498, 970, 9 8 2 &ytot, 1 I 8 s . , 5 3 6-5 39, 5 54, 593, 6 1 5 , 9 3 9 s . , 942 à11-1Jv, 1 77- 1 80 antigiudaismo, 989 s. Antiochia, 66, 434, 440, 5 3 4 ss., 5 3 9 s., 5 4 1 , 543 ss., 5 7 I , 589 s., 965, 9 8 I a'TCÀ O�lJ.;, I 59 s . , I 62, 5 5 3 s . , 6 I4, 6 I 7, 6 I 9 s . , 690 ss. Apollo, 964 ss., 969 apostolato, apostoli apostolato di Paolo, I I 2 s., 2 1 6-367 pas­ sim, 446 s., 4 5 2-4 5 5 , 465-4 8 5 , 650658, 664 s., 672-6 8 I , 6 8 5 , 7 5 2, 760769, 77I-782, 8 I o, 826 s., 86I, 973989 apostoli delle chiese, 58 3 s. apostoli di Gerusalemme, I I 3 , 583 s., 700 ss., 704, 9 5 5 s., 964, 967 s., 974 s., 980 s. «falsi apostoli» , 722 ss., 963 mantenimento degli apostoli, 685, 7 1 I ss., 7 I 9-722, 728-73 7. 870-878, 956958 origine dell'apostolato cristiano, 973978 segni apostolici o dell'apostolato, 703, 866-869 «superapostoli » , 700-705, 862 ss. Areta, 792 s., 79 5 -799

Asia, I I I , I 3 o, I45 ss., 2Io, 546, 589 ss. avversari, oppositori/opposizione, rivali, 2 3 8 s., 24� . 263, 27 1 ss., 283 ss., 290 s., 3 IO s., 3 I 7 s., 3 2 5 s., 3 3 3· 420-423, 424 s., 4 3 5 · 63 I-63 6, 64 I-646, 648-652, 6 5 8-673, 676-68o, 682, 693-700, 703 ss., 707, 7I9-728, 734-73 8, 743-748, 7 5 0-762, 773, 8oi s., 8Io, 8 1 6, 8628 66, 874 s., 878 ss., 9 5 3 -972 Barnaba, 5 3 4 s. battesimo, battesimale, 66, 69 s., x 8 I , I831 87, 353 s., 440, 442, 445 benedizione, 11 I, I 29- I 3 3 calendario giudaico, v. giudaismo casa (metaforica), 3 77-3 8 7, 3 89-392, 398 «a casa» , «lontano da casa » , 403 s., 407409 chiesa, chiese, 247. 578 s., 5 8 8 ss., 7 1 3 ss., 777-7 8 I , 8 69 ss. in Acaia, 45, 7 5 , I I 9 ss. ad Antiochia, 53 5 s. di Corinto, passim di Dio, I I I , I I 7 s., 1 2 1 - I 2 5 d i Gerusalemme, 4 4 s . , 24 5 ss., 5 3 3 - 548, 5 5 4 ss., 570 ss., 6 1 5-623, 962 ss., 967 ss., 974 s., 980 s. in Macedonia, 57 s., 70, 75 cielo, cieli, 807, 8 I 7 ss., 826 cinici, cinismo, 257, 477, 48I s., 6o8, 63 3 ss . , 66o, 8 5 I , 975 cittadinanza romana, v . Paolo colletta, 48, 59, 70, 73 -76, IOI s., I04 s., 2I4, 5 3 3 -623, 8 8 2, 884 s., 969 confronto, 664, 666-672 conoscenza, 2I9, 226 s., 3 3 5 , 3 3 8 s., 474 s., 55 8 S., 64 I S., 70 5 SS. consolazione, I 29 s., 1 3 4 ss., I 3 8 s., 1 4 1 , 14 3 S . , 204 S . , 50 I SS., 5 IO S. ·

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INDICE ANALITICO

corinti, passim corpo fisico, 3 5 2., 3 5 5 ss., 3 68 ss., 3 77-3 8 1 , 39 2. ss., 3 9 8 s., 403 ss., 409 s., 6 5 8, 66o, 807, 8 1 4 ss. della risurrezione, v. risurrezione spirituale, 363, 374, 3 8 1 ss., 3 8 5-392., 395 s., 4 1 6 s. coscienza, 1 59-1 62., 3 2.1-3 2.4, 419, 42. 1 Cratete, 2 1 2., 477, 482. credenti, 62., 64-67, 183 ss., 2.4 7, 3 26, 3 3 9 ss., 488 s. Cristo Cristo in, 9 1 5 , 9 1 8 ss. di Cristo, 64 7-6 5 2. i n Cristo (dc; XpLa'tov), 1 80 s. in Cristo (h XpLa'tcjl), 2.2.3 s., 2.42. s., 2.87 ss., 437, 44 1 -445, (di Dio) 448 -4 5 1 , 809 s., 8 8 8 amore di, 4 2. 5 s. Cristo Gesù, 1 1 2.- 1 1 4 evangelo di, 2.10 s . , 3 2.7, 3 29, 6 1 7 ss., 676 s. figlio di Dio, I 7 5 s. fragranza di, 2.2.6-2.29 Gesù Cristo, I75, 3 3 3 ss. (Gesù Cristo Signore) giudice, 4 1 1 -4I4, 4 2.0 gloria di, 3 2.9, 578, 5 84 s. grazia di, da, 12.8 s., 5 62., 849 ss., 942.946 immagine di Dio, 3 2.7, 3 3 0 ss. impoverito, 562 ss. lettera di, 2 5o s. mitezza e clemenza di, 62.8-6 3 1 morte di, 3 5 2-3 5 5 , 42.5-42.9, 4 5 6 ss., 460, 9IO ss. divenuto peccato, 4 5 5-4 5 8 potenza di, 849-8 5 4 risurrezione di, 362 ss., 429 servi di, 760 ss. Signore, I 29, I 3 3 , I 64 s., 2.94 ss., 30I ss., 333 ss., 403 ss., 407, 409 s., 4 I 9 s., 5 5 6, 5 62., 653 s., 6 8 1 s . , 742. s., 79I s., 803 s., 847 s., 942., 944 Signore Gesù Cristo, I 26-1 2.9, I 3 2, 562., sofferenze di, 1 3 8- 1 4 1 942. tribunale di, 4 1 1 s. volto di, 3 3 5, 337 ss. cristofania, 33 9 ss.

8Laxovla, &Laxovoc;, 266, 2.69, 2. 7 I ss., 3 I 9 s., 445, 448 s., 470 s., 5 5 4 ss., 5 9 3 , 6 I 5 , 6 I 7 s., 7 I 3 , 7 2. 5 s. Dio da Dio, 1 26, 254 s., 3 77, 3 8 2-3 87, 445 s. da parte di Dio, 1 3 5 s., 688 s. davanti a, al cospetto di Dio, 2.3 7, 2.42. s., 2.54 . 509 s. per Dio, 637 ss. secondo Dio, 505 ss. padre, 1 26 glorificato, 6 I 7 padre d i Cristo, 1 3 2 ss. testimone, 1 8 7 trinità, 9 4 2 s., 9 4 8 colui che conferma, I8o che consola, 502 s. che ha dato, I 84, I 8 6 che ha detto, 3 3 5 che porta in trionfo, 2 1 9-22.3 che ha riconciliato, 445-448 che risuscita, 148 s. che rivela, 2. I 9, 22.3-227 che ha sigillato, I 84 ss. che ha unto, I 8o, 1 8 2. s. ama, 604 amen a, 177 ss. amore di, 942., 944, 946 dell'amore e della pace, 936 s. ha assegnato, 673 benedetto, 79 I (cf. I 3 2) chiesa di, 1 1 7 s., ll.I -1 2. 5 conoscenza di, 64 1 s. ha consolato, 502 s. di consolazione, 102. evangelo di, 7 I I fedele, I 7 3 s. fiducia in, 148 figlio di, I 7 5 s. giustizia di, 4 5 5 , 4 5 8 ss. gloria di, 3 3 5 , 3 3 7-3 40, 342. s., 3 64 grazia di, 1 59 ss., 466 s., 5 5 1 , 62.1 ss. grazie a, 2. 1 9, 5 74, 6I4 s., 62.3 immagine di, 3 30 ss., 3 39 ss. era in Cristo, 448-4 5 I parola di, 2.37, 3 2.I ss. potenza di, 342., 474, 476, 9IO ss., 914 preghiera a, 92.1 promesse di, I77 s.

INDICE ANALITICO

[Dio] può, 6o6 timore di, 494 sa, 7 1 9, 79 1, 807, 8 1 9 servi di, 4 70 s. Spirito di, 250 s. tempio di, 489 s. (si teme che possa) umiliare, 894 volontà di, 1 1 2 s., 55 6 s. ebrei, 7 5 2-75 6, 759 s. Efeso, 84, 94, 98, xoi, I04- 1 09 e:lxwv, 304 s., 307, 3 27, 3 3o s., 3 3 9 ss. esseni, 68, 203 , 23 8, 488, 669 ��. 624, 684, 784 etnarca, 792 s., 796-8oo Eva, 690 s., 724, 8 I 8 fede, I 89, 3 5 8 ss., 405 ss., 5 5 8 s., 679 s., 9 1 5 ss. filosofi, filosofia, 239 s., 346 s., 3 50, 3 68 s., 393. 403 s., 408 s., 4 1 6, 470, 477. 4 8 1 s., 646, 707-7 10, 730, 74 1 , 776, 86s s., 965 franchezza, parlare franco, 279, 498 s., 985 Gerusalemme, v . apostolato, chiesa Gesù, 3 5 2-3 5 8, 3 62 ss., 3 79 s., 433 ss., 72I s., 732 (v. anche Cristo) giudaismo, giudei, 1 44, 273, 287, 289-298, 3 I 8, 3 26, 3 5 0 s., 372, 3 77. 3 8 6, 393 s., 396, 420, 423, 4 3 3 . 4 3 8 s., 45 s. 480 calendario giudaico, 107-1 IO giudeocristiani, 273, 29 I, 3 1 8, 420, 434, 455. 953 giudaizzanti, 24 5, 263 , 265 s., 3 3 3 , 434, 696 s., 726, 773. 9 5 3 -959. 963-966 giudizio, 4 1 1 -4 1 4, 908 giustificazione, 273 s., 4 5 6, 458 ss., 462 s., 726 giustizia, 273 s., 4 5 5 , 459 s., 462 s., 476 s., 486 ss., 609-6 I 3 , 725 s. gloria, I 79 s., 266-278, 28I-28 h 304-308, J i o-J I 7, 3 1 9. 3 29-3 3 2, 3 3 5· 3 3 7-34 I , 3 64-3 67, 372-575. 5 7 8 s. gnostici, gnosticismo, 3 3 I , 393 s., 396, 63 5 s., 6 5o, 66o, 697, 705 s., 8Io, 83 7, 9 I 2, 9 5 9 s. ..

immagine, 29 5 s., 308, 3 1 3 s. imprese, elenco di, 78 5 s.

99 5

increduli, 3 27 ss., 486 ss. Israele, israeliti, 263, 279 s., 282 s., 284287, 293 ss., 305, 3 1 8, 7 5 2 s., 756 s.

XIXVWV, 673 ss., 679-69 I lettere I Corinti, 83, 9I-94 2 Corinti come lettera composita, 39-83 benedizione, 1 29- I 57 chiusa, 928-949 corpo (di lettera composita), I 59-928 prescritto, I I I - I 29 lettera delle lacrime, 3 7, 90-94 lettera precedente, 6o, 62, 6 58 s. Àoyoc;, 624, 684, 86o macedoni, Macedonia, 45, 49 s., 57 ss., 70, 72, 74 ss., I 66- 1 69, I72, 2Io-2 1 3 , 215, 50I ss., 5 3 5 . 5 4 I , 546, 5 50-5 5 7. 5 60 s., 5 65, 5 67 s., 574, 579, 5 89 ss., 594-598, 6o i , 622, 7I4 ss., 733, 73 5 Marcione, 39, 3 2 8 Monumentum Ancyranum, 7 8 5 s . morte azione di morte, 256, 261, 265 s. escatologica, 506 s. metaforica, 496 s. odore di (metaforico), 230-234 pericolo di morte, 1 3 1 , 144- I 5 0, 763 s. reale (metaforicamente espressa), 377, 3 8 I s., 399 s., 403 ss., 407, 409 unione con la morte di Cristo, 426-429 Mosè, 263 s., 266 ss., 27o-275, 276-28 5 (v. anche patto) legge di, 259 s., 266 ministero di, 264 s., 272 ss . nudità, 392-398 (metaforica), 773, 776 s. nuova creazione, 4 3 7-44 5 offensore, offesa, 94-I02, I99-209, 500 s., 507 ss., 87I oppositori, opposizione, v. avversari Paolo 1. apostolato, v. apostolato di Paolo 11. esperienze chiamata, 3 3 7- 3 4 I , 978 ss. rapimento, 424, 801-827 «spina », 834-846

INDICE ANALITICO

[Paolo] [ 11. esperienze] tribolazioni e sofferenza, I 2.9 s., I 3 5 s., I 3 S-I4I, I44-I 50, I96- I99. 3 47-3 5S, 3 72 s., 472. ss., 4SO s., 763 -769, 77 I-7S 4, S 5 S ss., 9 S I ss. (v. anche tribolazioni, elenco di) m. caratteristiche personali cittadinanza romana, 769-77I credenziali giudaiche, 7 s:z.-760 debolezza, 65S, 66o s., 747-7 5 0, 7797S4, S:z.7, S49 - S6o, 9 I O s., 9 I 3 s., 925, 9S3, 9S6, 992. egotismo, 9S3-9S9 stile di vita, 342.-3 62, 466, 472.-4S:z., 763-7S I , s 5 s ss. IV. rapporti con la chiesa corinzia S3-1 10, I 5 S-:z. I 5, 466 S. , 49 5-5 I4, 53 3 s., 6:z.6, 63 1-63 6, 644 ss., 65 3 s., 65 6-664, 673, 676-6So, 6S5694, 705 ss., 71 1-72.2, 72.9-73 7. s :z.9 ss., s 5 :z. ss., S6I-9 1 o, 9 1 3 -9:z. s , 93 3 -9 3 6, 947 s., 969 ss., 9S4 ss. papiri, v. Indice dei passi discussi paradiso, S 1 9-_S:z.4, S:z.5, S46 parodia, 760, 7S6 ss., 794 s., So6 s. parusia, 149, 164, 197, :z.69 s., :z.7S, 3 5 6, 363 s., 3 S I , 3 S4 s., 3 S7-3 9 :Z., 3 9 5. 3 97 s., 400 ss ., 409 s., 4 1 3 -4 1 6, 6S9 7tcZ.8oc;, 6:z.4, 6S4, 72.7 s. patto antico, :z.5 S-:z.63, 2.77 , 2S1 s., 2S5, 2S7, 2.90 s., 96 I , 965 nuovo, 25 6-262, 277 ss., 2S5, 29 I, 3 1 S s., 961, 965 s. peccato, 4 5 5-460, 7 1 1 s. pettina, missione, 54S, 67S, 69 S-702, 722, 967-971. Pietro (Cefa), 5 3 5 s., 67S, 699 s., 704, 72:z., 73 2, 761, 964, 9SO 7thElOvtc;, 20 1-204, 365 S. plurali letterari, I 3 6 ss. 7t0hhOl, 2.3 6-2.4 1, 744 7t'tW'X,Ol, 5 34, 5 3 6-5 3 9 Qumran, testi di, v. Indice dei passi discussi rabbinici, testi, v. Indice dei passi discussi raccomandazione, 244 s., 3 2 I ss., 42.1, 470 ss., 507 s., 66S ss., 6 S I s., S62 ss.

rapimento, v. Paolo retorica, critica, 624-62S, 665 s., 6S4, 6S6, 710 s., 737 s., 7 5 :Z., 762 s., S 6 I s., SS6, S99, 949 ss. (v. anch e1j.9oc;, 7tcX.8oc;, h6-yoc; ) riconciliazione, 445-4 5 5 , 4 5 S ss., 462 s. risurrezione, 14S, 1 50, 3 62 ss., 4 29 corpo della, 3 S7 s., 3 9S, 400, 409, 4 1 3 , 4 1 5 s. (v. anche corpo) rivali, v. avversari sapiente, Sapienza, sapienziale, 225-229, 2 3 3 , 306, 3 1 1 , 3 14 s., 3 3 1 s., 3 3 9. 3 S O s., 6o3 , 63o, 64o, 69 1 , S6 s Satana, :z.o9, 3 1 9, 3 27 ss., 643 ss., 69 1, 724 s., 760 s., S34, S 3 6-S43 . S46, S49 . S95. 90S Silvano, 1 7 5 s., 9 S 1 sofferenza, v. afflizione sofisti, 640 s., 646 s., 66:z., 703, 707-710, 96S, 970 spirito santo, di Dio/Cristo, 1 S4, 1 S 6 s., 250 s., 2 5 3 s., 2.3 6, 259-262, 269 s., 297 . 299304, 308-3 1 1 , 3 5 S ss., 37 1 , 40I ss., 442, 44 5 · 474. 942-94S Spirito differente, 69 2.-699 umano, disposizione spirituale, 2. 1 3 , 3 5 S ss., 494, 5 10 s., S S 2-SS 4 stoici, stoicismo, 347 s., 3 50, 404, 470, 4S1 s., 6oS, S 5 1 s., S 5 9 stolto, discorso dello, 6 S 3 ss. auvet8l}atc;, v. coscienza Timoteo, S9, 92 s., 9S s., 1 14- 1 1 7, 175 ss., 1 90, 9S I Tito, 40, 42, 44, 4 8 , s o, 54-57, 9 1, IOI, 107, 109 s., 1 1 6, 213 ss., 501 ss., 5 105 14 . 5 5 1 , 5 5 7 s., 5 66, 573-5 76, 5 79, 5 s 1-5 s 4, 5 s s , 59o s., 5 9 6, S 99. s s 2- ss 5 trasformazione, 304, 3 07-3 17, 4 10, 4 1 6, 722, 7 24 s. tribolazioni, elenchi di, 346-3 5 2., 469-4S:z., 763-7SS, S 5 S trionfo, 2 1 9-223, 7S6 Troade, 57-59, 2.1 0- 2 1 3 unzione, I So, 1 S 2 ss., 1 S 7 uomo esteriore, 3 67-3 72. uomo interiore, 3 67-3 72

INDICE ANALITICO

vantarsi, vanto, 49 s., 5 2, I 5 9 s., 1 64 s., 421 ss., 498 s., s n s., s8s s., 594 ss., 6 5 2 s., 664 s., 671 ss., 677 s., 68o ss., 7 1 6 ss., 8o1 s., 827 ss., 854 ss. vasi di terracotta, 342-346 velo (metaforico), 279-294, 296, 304 s.

997

vestire (metaforico), 3 89-395, 399 ss. visite di Paolo a Corinto (effettive o pro­ messe), 83-90, 165-169, 1 87 s., 192 ss., 596 s., 6oo, 662 ss., 861, 864, 868, 871 s., 890 s., 894 s., 899 s., 903 ss., 909 s. , 927

INDICE DEI PASSI DISCUSSI

ANTICO TESTAMENTO

Esodo 1 6: 572 s., 6oo ss. 3 1 ,18: 2 5 2 3 4,29-3 5 = 263 , 267-27 1 , 27 5. 279 ss., 29 1 ss., 297. 303, 3 1 6 s. 40,34 s.: 8 5 7

Numeri 3 3 . 5 5 = 8 3 5 s., 84 1 Deuteronomio 1 9, 1 5 : 900-904 25,2 s.: 766

Geremia 3 1 ( 3 8 LXX),3 1-34: 26o 3 1,3 1 : 2 5 8 s. 3 1 ,3 3 : 2 5 2 Ezechiele 1 1 ,19: 2 5 2 s. 28,24: 8 3 6, 841 3 6,26 s.: 252

APOCRIFI

Sapienza di Salomone 7,22-26: 3 14 7,25 s.: 3 1 5, 3 3 1

7,26: 306, 3 3 1 s. 9,1 5 : 3 77 s., 3 80 s.

Siracide 24, 1 5 : 2 2 5 , 227 3 9, 1 3 s.: 227 s.

PSEUDEPI GRAFI

Apocalypsis Mosis ( Vita Adae et Evae graeca) -: 724, 8 1 8, 8 2 1

Iubilaeorum Liber -: 3 9 3 . 4 3 8 s.

2 , 3 Baruch -: 3 1 6, 428 s., 603 , 8 1 8 s.

Testamentum Abrahae -: 8 1 5 , 8 2 1 s.

I, 2 Henoch -= 43 8, 69 1 , 807, 8 1 5-822 Esdrae -: 393 s., 4 3 8 s., 603 , 821822

4

Testamentum lobi -: 5 5 5

Testamenta Patriarcharum Aser -: 8 3 6 Issachar -: 5 5 4 Levi -: 8 1 7, 82.2 XII

Vita Adae et Evae -: 7 24, 822 ALTRI TESTI

Papiri -: 1 1 2, 1 14 s., 1 26 s., 143. 200, 245

Scritti di Qumran -: '66 ss., 1 3 4. 203 , 261, 3 1 6, 378, 43 8, 468, 489492, 494. 842, 901 s.

Letteratura rabbinica -: 1 8 5, 2 3 3 , 3 4 2, 4 3 8 s., 689, 69 1 , 766 s.

INDICE DEGLI AUTORI CLASSICI ED ELLENISTICI

Appiano, l.l.5 Apuleio, I I9, 3 1 5 Aristide, 8 5 3 Aristotele, 7 1 , 100, x 8 6, 23 2, 5 6 5 , 604, 6 5 J , 74 1, 892 Arriano, 763 , 785 Cicerone, 7 1 , 344, 3 78, 6o4, 627, 665, 770 s., 776, 872, 930 s., 9 5 1 Demostene, 46 s., 73 , 593 Diodoro Siculo, 1 3 6, x 8o, 21 3 , 597 s., 743 Diogene Laerzio, 2 1 2, 4 8 2, 5 8 6, 879 Dione Cassio, 8 5 0, 93 0 Dione Crisostomo, 1 3 6, 3 3 4, 472, 705 s., 709, 777. 9 1 8 Dionigi di Alicarnasso, 1 50, 66o Epitteto, 1 3 6, 14 5 , 1 5 5 , 1 9 5 , 23 8, 257, 298, 343 . 346 s., 3 5 2, 3 69, 4 04 , 471 , 479. 490, 495 . 604 s . , 63 4, 6 59 s . , 67 2 s., 7 5 3 , 763 , 772, 776, 849, 8 5 1 , 878, 894 Erodiano, 225 Erodoto, 34 9 . 402, 8 24, 973 Esichio, 5 So Euripide, 225 , 497, 8 24 s., 847 Filone, 68, 100 s., 1 54, 23 8, 256, 267 s., 298, 3 I I , 3 1 3 SS., 3 22, 3 3 1 S., 3 44, 3 68, 377 s., 393 s., 3 98, 405, 424, 446, 4 5 3 · 4 82, 4 87, 490, 5 69, 5 84. 604, 6o6, 630, 640, 646, 689, 708 s., 724, 7 5 3 s., 75 6, 765, 8 x 5, 8 25, 859, 8 65, 8 73 , 879, 892 s., 89 7. 9 24, 965, 968 Filostrato, 1 3 6, 23 9 s., 4 82, 747, 850

Giuseppe, 1 1 7, 203 , 284, 372, 3 90, 393 , 405, 5 5 3 . 597 · 599. 669, 705 , 708 s., 743 . 768, 77 1 , 797, 849. 961 Isocrate, 25 3 , 705 s., 709 Livio, 5 5 2, 769 Luciano, 1 3 6, 1 50, 240, 3 22, 63 3 s., 66o s., 663 Marco Aurelio, 344, 446, 479, 9 1 7 Orazio, 497 Ovidio, 2 25 Pausania, 7 5 5 Platone, 1 9 5 , 23 9, 25 3 , 3 14, 346, 3 68, 375, 3 9 3 . 403 s., 4 08 s., 416, 424, 470, 567, 6o4, 6o8, 646, 703 , 708, 709, 724, 74 1 , 8 1 5 , 849, 865, 879, 924 Plauto, 84 4 Plutarco, 9 5 , 1 1 2, 225, 279, 3 14, 343 , 347, 390, 4 09, 5 8 3 , 630, 672, 74 1 , 763 , 776, 78 5 , 82 5, 863 , 876 Polibio, 1 3 6, 1 80, 1 88, 3 20 s., 597 ss., 893 Quintiliano, 7 1 Seneca, 1 3 6, 2 2 1 , 346, 3 50, 734, 776 Senofonte, 1 6 3 , 190, 19 5 , 402, 405, 63 2, 661, 663 , 821, 849, 921 Strabone, 2 1 2, 3 72, 797 Tucidide, 2 5 2, 373 , 663 , 849

INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

(dagli inizi del XVI secolo)

L'indice si propone la maggiore completezza possibile, ma con tre limitazioni. Non sono compresi gli autori delle voci del Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament (v. vol. r, 3 5 ). Benché l'indice contenga i nomi dei commentatori alle cui opere si è ricorso con gratitudine nella preparazione di questo commentario, le pagine delle loro occorren­ ze (spesso ingovernabilmente numerose) non sono specificate e sono sostituite da passim, che in questi casi include le citazioni di altre opere degli stessi autori. Talora si utilizza passim per altri autori che hanno scritto molto sull'epistola nel suo complesso o su se­ zioni estese di essa (di cui si indicano le pagine relative nel commentario), o la cui opera è stata menzionata di frequente per altri aspetti. Alford, H., passim Allmen, D. von, 1 8, 43 1 Allo, E.-B., passim Amstutz, J., 1 60, 5 5 2. ss., 69 1 Anderson, R.D., 9 5 2. Andrews, S.B., 782., 783 Andriessen, P., 84 1 Ascough, R.S., 567 Bachmann, P., passim Badenas, R., 2.8 1 s. Bahr, G.j., 4 5 , 950 Baird, W., 2.4 5, 2.51, 8os s., 8 1 2. Barnett, A .E., 3 8 s., 78 Barnett, P., 74 3 -988 passim Barré, M.L., 779, 782. s., 842. Barrett, C.K., passim Bates, W.H., 43, p , 8 3 Batey, R., 4 1 , 5 2., 8 2., 8 5 , 90, 689 Baumert, N., 2.2.3, 3 2. 1 , 3 5 8-4 1 3 passim Baumgarten, j., 8 1 o-8 1 2. Baur, F.C., 8 5 , 92., 9 5 , 97, 4 3 3 , 9 5 3 s. Beale, G.K., 62., 454, 468, 484, 492. s. Beet, J.A., passim Belleville, L.L., 2. 1 8, 2.68, 2.79, 2.83, 2.88, Belser, J.E., passim 2.9 1 , 2.9 5, 2.97 Bengel, J.A., passim Benz, E., 804, 8 2.0 Berger, K., 1 2.3 ss., 1 2.7 s., 5 3 9 s., 5 5 5 Berry, R., 396, 4 1 0

Best, E., 42.2., 442. Betz, H.D., 66, 71, 73 s., 76, 5 5 1 -9 1 8 pas­ sim Betz, 0., 761 Beyschlag, W., 42., 5 1 , 98 Bieder, W., 84 1 Bieringer, R., 448-4 5 1 , 8os Bietenhard, H., 3 44, 8 1 8, 82.2. Binder, H., 841, 845 Black, D.A., 66o, 780, 8 5 5 Black, M., 2.03 Bleek, F., 83 s., 91 s., 98, 1 67 Bonsirven, J., 2.64 Boobyer, G.H., 1 5 7, 1 79, 2.67, 3 6 5 , 6 1 6 s . Bornkamm, G., 3 8, 48, 5 2., 54, 5 6, 59, 72., 77' 79-82., 92.9 Bousset, W., passim Bouttier, M., 3 5 5 , 3 5 7 s., 3 64, 3 72. Bowersock, G.W., 708, 7 1 0 Bowker, J.W., 8 2.4 Braun, H., 2.03 Brown, J.T., 843 Bruce, F.F., passim Brun, L., 3 8 2., 400 Brunt, P.A. - Moore, J.M., 786 Buchanan, G.W., 562. Buck, C.H., p , 546 Buck, C.H. - Taylor, G., 8 1 3 s. Bultmann, R., passim Burchard, C., 8oo Burton, E. de W., 442., 62.8, 892. s.

INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

100 1

Cadbury, H.J., 769 Cadoux, C.J., 5 69 Calvino, G., passim Campbell, J.Y., I :Z.4 s. Caragounis, C., 7I4 Carmignac, J., 2.59 Carrez, M., passim Cerfaux, L., I I 8, I :Z.3 Chase, F.H., 6 I , 69 Clark, K.W., I43 Classen, C.J., 9 5 1 Clavier, H., 8 4 5 Clemen, C., 6o Clements, R., 2. 59 Cohen, B., :z.6o Cohn-Sherbok, D., :z.64, 4 68 Collange, J.-F., 5 8 , 60-64, I 3 8 s., :Z. I 6-499 passim Collins, J.N., 2. 5 7, :z.66, 5 5 5, 6 I 5 , 6 I 8 Comély, R., passim Cornford, F.M., 74 I Cranfìeld, C.E.B., passim

Ebeling, E., :z.6o Ebner, M., 763 , 77 I , 77 6, 785-7 8 8 Eckstein, H.-J., I 6:z., 3 2.3 s. Edgar, C.C., v. Hunt-Edgar Egan, R.B., :z.:z.I Ehrhardt, A., I 5 3 Ellis, E.E., I I ?, I 9o, 3 8 4 s., 394, 396 s., 404, 468, 492., 577, 5 8 3 , 69 I Eltester, F., 3 3 0 s. Emerling, C.A., passim Erasmo, D., passim Estius, G., passim Evans, O.E., I I 8 Ewald, H., passim Exler, F.X., I I :z., I I 5 , I :Z.7

Dahl, N.A., 6:z., I 3o, 4 5 5 Daniel, C., 2.3 8 Danker, F.W., 787 Daube, D., 5 8 5 Dautzenberg, G., :z.:z.3 , 2.30, 3 6:z., 3 96, 4 I I Davies, W.D., :z.6:z., 4 I 6 Deichgriiber, R., I 3 3 , I 3 5, :Z. I9, 6:z.3 Deissmann, A., I I 3 , I 8 :z., I 8 5 , I 88, 302., 4 5 3 . 75 4. 8 49. 9 I4 De Jonge, M., 8 I 7 Delcor, M., 9 0 I s. Delling, G., I :z.:z., I 3 :Z., 42.7 s., 4 5 8 Denney, J., passim Denniston, J.D., I 5 0, I 63 , I 9 5. :Z.87, 3 2.5 , 3 9 I s . , 43 2. s . , 5 5 8, 65 3 , 6 5 8 , 69 :z., 9o:z. Derrett, J.D.M., 4 87 DiCicco, M.M., 6:z.4 s., 647, 654, 684, 706, 72.7 s., 784, 8 :z.6 s., 86o, 9 5 0 Dick, K., I 3 6-I 3 8 Dinkler, E., I 8 I , I 8 3 s., I 8 6 Dittenberger, W., Sylloge, 849 s . Dockx, S., 8 5 Dodd, C.H., I 4 8, 3 5 8 Doty, W.G., I :z.6 Drescher, R., 4 I s., so, 8 :z., 89 s. Dugandiié, 1., I 04 , I 7 8

Fallon, F.T., passim Farrer, A.M., 2.3 7 Fee, G.D., 6 I , 63 ss., 69, 1 06, 1 67, 1 68, 4 87, 5 3 8, 64 8, 73 2., 9 3 8 Feuillet, A., 2.94, 2.97, 305 ss., 3 1 5, 3 3 2., 379. 3 8 0, 3 8 3 . 3 8 5, 394. 409 Field, F., 2. 19, :Z.:Z. I , :Z.89, 373 . 3 77 Filson, F.V., passim Findeis, H.-j., 43 8 s., 444 , 447 Findlay, G.G., :z.:z.o ' Fischer, K.M., v. Schenke-Fischer Fitzgerald , J.T., :z.:z. 3 , 346, 34 8, 3 5 3, 3 57, 47 I s., 480 Fitzmyer, J.A., 67 s., 1 2.7, 3 1 6, 463, 4 89, 49 1 s. Forbes, C., 472., 659, 67 1 s., 740, 863 ss., Ford, D.F., v. Young-Ford 9 5 2. Forster, W., 1 50 Fraikin, D., 99 0 Fraser, J.W., 430 , 434 Fridrichsen, A., 32.5, 347, 3 50, 470, 473 , 7 86 Friedrich, G., 1 2.6 s., 2.57, :z.63, 2.73, 467, Friesen, l. I., 2.4 7 9 59 s. Funk, R.W., 72. Furnish, V.P., passim

Dungan, D . , 73 1 , 73 5 Dunn, J.D.G., :z.9:z. s., 2.9 5, 2.97, 305, 4:z.8, 4 5 6, 547 s., 5 63 s., 696, 8 I I s. Dupont, J., :z.:z.6, 30 5, 3 I :Z. ss., 344, 3 77 s., 3 8 0, 3 8 3 , 3 89, 403 s., 40 8 s., 44 7 . 4 54. 8 :Z.3

1 002

INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

Gartner, D., 4S9 s. Georgi, D., passim Gilchrist, J.M., 90 Gillman, J., 3 96 Gnilka, j., 64, 67 s., 4SS, 494, 6S I Golia, E., S 5, SS Gottsberger, J., 2.So Goudge, H.L., passim Goulder, M., So 7 ss. Grasser, E., 2.3 6, 2.4 I, 2.43 s., 2.49 s., 2.63 , 2.65 Grozio, U., passim Gundry, R.H., 393 , 396 Guthrie, D., S6 Guthrie, W.K.C., 7oS Giittgemanns, E., I 3 9 s., 3 54 ss., S3 7, S 5 3 , 9 I 2. Haenchen, E., 7 5 3 s., 77 I Hafemann, S.J., 2.2.0-2.2.3 , 2.2.7, 2.3 6, 2.40 s., 2. 52. s., 70S Hagge, H., 70 Hagner, D.A., 7S s. Ha hn, F., I 73 , I 75, 4 I 2., 443 , 5 S4, 975 s. Hainz, J ., I 2.2., 62.0, 946 Hall, D.R., 53 6 Halmel, A., 5 5 , 72. s. Hammer, P.L., I S 3 Hanhart, K., 3 So, 3 S3 ss., 397, 399 Hanson, A.T., 3 S, I 79 s., 2.69, 2.S2., 2.93 , 2.9 5 ss., 302., 343 . 3 60 s., 46S, 47S, 480, 6IO s., 639 Hanson, R.P.C., 5 73 Hardy, E.G., 7S6 Hamack, A. von, 3 9 Harris, M.J., 54 s., 1 46, 1 99, 2.oS, j S 2. s., 3 S6 ss., 3 90, 395 s., 398, 402., 406, 4 1 04 I 2. Harrisville, R.A., 2. 5 S Hausrath, A., 4 I , 4S s., p , 6o, 8 2., 9 2.8 s. Heckel, U., 6p, 66I, 74 1 ss., 7S7, 803 , S I I , S I 9 s., 83 3 s., S3 6 s., S42., 84 S s., S 5 2., s s s s., sss ss., 907, 9 1 0-9 I 2., 9 I4 Heinrici, C.F.G., passim Hemer, C.J., I49, 2. 1 2. Hendry, G.S., 42.6 Hengel, M., I75 s., 770 s. Héring, J., passim Hermann, 1., 2.60, 2.92., 2.95, 3 01 ss.

Herrmann, L., So7 Hettlinger, R., 3 S4, 3 S9, 3 97, 3 99, 416 Hick, J., 9 9 I Hickling, C.J.A., 2.64, 284 s . Hilgenfeld, A . , 43 , 6o, S 3 , S 5 , SS, 9 I Hill, E . , I 7 S, 275 Himmelfarb, M., So 5 Hock, R.F., 66I, 71 5 , 728 ss., 73 2., 777 Hodge, C., 42, 3 S3 , 5 1 3 Hodgson, R., 4 70 Hoffmann, P., 3 9 3 -3 96, 409, 9 I 4 Hofius, 0., 4 5 2, 4 5 7 Hofmann, J.C.K., 2.0 I , 3 S3 , 6 I 7 Hofmann, K.-M., 940 Hoistad, R., 470, 472 H oli, K., I I 9, 5 3 7, 54 I Holladay, C.H., 69 7, 962 Holmberg, B., 207, 5 S 3 , 64 5 , 7 29 s., 73 5 s., 979 s. Holtzmann, H.J., 42, 8 3 , 8 5 , I02 s. Hooker, M.D., 264, 2 S I , 41?0 Horrell, D.G., 730, 73 5 s., 970 Horsley, H.R., 675 , 9 65 Hon, F.J.A., 300, 3 09, 504 Hoss, K., 105, 1 69 Hiibner, H., 72 Hug, J.L., 46 Hugedé, N., 3 1 3-3 1 6 Hughes, P.E., passim Hunt, A.S. - Edgar, C.C., I I 2., I S 6, 24 5 Huppenbauer, H.W., 488 Hurd, J.C., 6o Hyldahl, N., S3 , S 5 , 93 s., Io3, Io6, 904

4 IO,

772,

73 2,

200,

900,

James, M.R., I 8 6 Jannaris, A.N., 449 Jaubert, A., 261 Jeremias, J., 4 I 7 Jervell, J., 3 3 1 , 780, S I 3 , 8 5 3 s. Jewett, R., 65 , I07 s., I 62, I 8 S, 2 I 3 , 24S, 286, 290, 3 68 s., 5 3 5 . 63 5 , 63 7, 643, 793 , 79 5 ss., 799, 8 I 3 s., 8 1 6, 87 5 > 99I Jones, A.H.M., 7 96 Jones, P.R., 23 7, 3 3 6 ss. Jourdan, G. V., 946

INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

judge, E.A., 67 5 s., 706, ? I O, 794 Jiilicher, A., 78, 1 1 6 Kamlah, E., 260 s., 3 5 5, 3 5 7 s., 840 Kiisemann, E., 246, 2 5 5 , 2.60 s., 45 I , 459, 46I ss., 465, 649. 662, 667, 6? I , 674. 69 3 , 698, ?OI , 703 ss., 727, 8 I o, 823, 8 3 1 , 9 5 5 s., 9 5 9. 963 Keck, LE., 5 3 8 Kennedy, G.A., 46-48, ? I , 662, 706, 708 Kennedy, J.H., 4 I , 43 , 48-5 2, 77, 79, 8 2, I 6 3 , 204 Kerferd, G.B., 708 Keyes, C.W., 24 5 Kim, C.-H., 24 5 , 5 87 Kim, S., 3 3 9 Klauck, H.-J., 3 I 9 s., 3 23 ss., 3 29, 3 3 I s., 3 3 6 s., S I I , 8 I 4, 8 20, 8 8 3 Kleinknecht, K . , I 3 5 , 140, 1 4 3 , ISO, 345, 34 8 s., 3 5 I , 36I, 472, 477, 727 Klinzing, G., 67 s., 48 9 s. Klopper, A., passim Knox, W.L., 225, 25 6, 4 I 5 Koskenniemi, H., I 2 6 s. Kramer, W., 1 1 4, I 75 s., 3 6 2 Krenkel, M . , 4 I -44, 4 6 , 50 ss., 8 2, 8 5-88, 90 SS. , 97 S. , IOO, I03, 204, 843 S . Kiihl, K.E., 3 8 8 Kuhn, K.G., 6 6 s. Kiimmel, W.G., 43 , 55 s., 8 3 , 87, 89, 99, 9 29; v. anche Lietzmann-Kiimmel Lake, K., 48, 6o , 77, 82, 87, 9 I , IO?, 204, 769, 797 Lambrecht, J., passim Lampe, G.W.H., 9 5 , 1 8 3 Lang, F., passim Lang, F.G., 3 77 s., 3 82 ss., 3 8 6, 3 8 8 Lapide, C . a , 220, 8 3 8 Larsson, E., 3 I 6 s. Lattey, C., 746 Le Déaut, R., 29 3 Leivestad, R., 629 ss. Lentz, j.C., 770 Lewin, T., 797 Lidzbarski, M., 3 78, 3 94 Lietzmann, H., 940 s. Lietzmann, H. - Kiimmel, W.G., passim Lightfoot, j.B., 84, 628, 7 5 5, 8 3 8 ss., 843

1003

Lincoln, A.T., 3 27, 3 8 I s., 3 8 8, 3 97, 802 ss., 8o6, 8o9-8 I 2, 8 I 5-8I9, 821 s., 8248 26, 8 3 3 Locke, J , passim Lohmeyer, E., I 26, 225 Liidemann, G., 5 3 5 , 547, 79 3 Liihrmann, D., 22.7, 250 Liitgen, W., 3 25, 9 5 9 McCant, J.W., 842 McCasland, S., I I4 McDermott, M., 946 McDonald, ji.H., 220 McKelvey, R.j. 490 MacMullen, R., 7 3 2 McNamara, M., 267 s., 293 , 303, 3 98, 856 MacRae, G.W., 3 28 s., 3 3 I , 3 3 6 Malherbe, A.j., 477, 482, 640 s., 646, 9 80 Manson, T.W., 2I O, 233, 3 4 5 , 3 80 Marmorstein, A., 1 34 Marshall, I.H., I 23 s., 44 6-448, 4 5 1, 463 Marshall, P., I ? I, 22I, 24 I , 244, 633, 659 s., 670-673 , ? Io, 733-73 6, 744, 8 5 8, 952 Manin, R.P., passim Manyn, j.L., 422., 4 3 I Marxsen, W., 5 2, 5 9 , 8 2 Mattern, L., 4 I I Mealand, D.L., 4 8 2 Meli, U., 43 7-440, 444 Menoud, P.H., 83 9 s. Menzies, A., passim Metzger, B.M., passim Meyer, H.A.W., passim Michaelis, W., 87, 99 Mommsen, Th., 796 Moore, j.M., v. Brunt-Moore Morray-Jones, C.R.A., 8oS, 8 I 4 s., 8 I 9, 82.1 s., 8 24, 8 26, 846 Moule, C.F.D., I 2.9, I 5 6, 204, 2 I 3 , 263, 309, 3 6 5 , 374 . 40I s., 4 I 3 , 443 · 445 . 485, 5 8 5 , 6oo, 638, 65 6, 65 8, 687, 689, 7I 7, 72 5, 740, 869, 872., 8 78, 93 8, 942. Moulton, j.H., I48, I ?O, 2 I 3 , 229, 2.88, 293 . 347 . 3 95 . 449. 469, 656 s., 689, 748, 768, 88 o , 887 Miillensiefen, W., 3 28 s. Miiller, H., 26 5 Mullins, T.Y., 4 5 3 , 840 s., 942.

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IND ICE DEGLI AUTORI MODERNI

Munck, J., 5 5 , I I 3 , 5 I 4, 542., 906 Mundle, W., 3 8 2., 3 9 I , 3 97, 400, 409 Murphy-O'Connor, J., 3 7, 58, 68 s., 2.3 6, 2.46-2.5 I, 2.5 3 , 2. 5 5 , 2.57, 2.6 I S., 3 64, 404, 48 3 s., 487, 490 s., 697. 795 s., 798 s., 902., 9 5 2., 959. 963 -966, 97I, 9 8 I , 986 s. Neugebauer, F., 2. I 2., 2.2.4, 2.87, 442. s., 4 5 1 Newton, M., 6 5 Nickle, K.F., 5 34, 54 I-544, 54 6 s., 5 8 3 , 58 7-5 90, 6 I 3 Nisius, J.B., 303 O'Brien, P.T., I30 ss., I 3 4. I 5 2. s., I 56 O'Collins, G.G., 8 5 5, 86o Ogg, G., 796 ss. Oliveira, A. de, 2. 5 8, 2.6 I , 2.6 5, 2. 70, 2.92., 2.97. 306, 42.8 s. Ollrog, W.H., I 1 5 , 1 76, 1 90, 2. 14, 502., 5 1 4. 5 8 3 O'Neill, J.C., 43 6 s. Oostendorp, D.W., 2.65, 2.84, 2.95, 3 3 6, 649. 696 s., 702., 71 2., 758, 9 5 6 s. Osei-Bonsu, J., 3 8 3 , 390 Osiander, j.E., passim Osten-Sacken, P., 2.77 ·

Papazoglou, F., I I 9 Park, D.M., 8 3 5 Pate, C.M., 346, 3 7 1 , 3 77, 3 9 8 Peel, M.L., 3 9 3 s. Penna, R., 842. Perriman, A., 59 Peterman, G.W., 7 14, 7 I 6, 72.9, 73 I, 73 4 Pherigo, L.P., 4 2., 82. Pierce, C.A., I 6 I Plummer, A., passim, v. anche RobertsonPlummer Popkes, W., 3 5 7 Potterie, l. de la, x 84 Pratscher, W., 7 1 5, 72.9 Price, R.M., 846, 849 Proudfoot, C.M., qo, 142., 3 54 Provence, T.E., 2.3 4, 2.8 5 Priimm, K . , passim Ramsay, W.M., 8 44 Rankin, H.D., 708

Reitzenstein, R., 3 14 s., 3 69, 3 8 3 s., 6 3 6, 662., 705 Rendall, G.H., I 4 6 Rey, B., 3 70, 4 3 9 Richard, E., 248, 2.5 2 s., 2.65 Richards, E.R., 93 0 s., 950 Ridderbos, H., I I 8, 1 2.3 , 442 Riesner, R., 77 1, 79 5-798 Rissi, M., 57 s., 1 3 6, I 3 9, 247-409 passim Robertson, A.T., 27, 34, 202, 2.3 1, 3 88, 407, 449. 572., 597, 802., 8 3 6 Robertson, A. - Plummer, A., 1 2.0, 4 1 6 Robinson, J.A.T., 3 69, 3 84, 3 86, 3 9 5 , 3 98, 93 8, 94 1 , 99 1 Robinson, j.M., 1 30 Roetzel, C.J., 2.02. Rogerson, j.W., 442. Roller, 0., I I 2., I I4, I 2.I , 1 2.7, 93 3 , 9 50 Romaniuk, K., 428 Rowland, C., 804 s., 8 1 5 - 8 1 8, 820, 82.2. Rowley, H.H., 1 2.6 Riickert, L.J., passim Sabourin, L., 4 5 6-4 5 8 Saito, T., 2.63, 271 s., 2 8 3 , 29 1 , 2.96, 299 Sampley, J.P., 9 8 5 Sanchez Bosch, J . , 760 Sanders, E.P., 767 Saulnier, C., 79 5 Savage, T.B., 66o ss., 699, 73 2, 743 , 98 2 Schenke, H.M. - Fischer, K.M., 72, 8 2 Schlatter, A., passim Schmeller, T., 6 5 8 s. Schmiedel, P.W., passim Schmithals, w., s 6, 59. 8 1 , 300, 4 2.0, 436, 5 84, 650, 66o, 697, 809 s., 9 5 3 s., 959 s., 974 ss. Schnackenburg, R., 1 8 3 Schneider, B., 260, 297, 301 ss., 3 1 3 Schneider, j., qo, 3 5 3 Schnider, J. - Stenger, W., I I 2 , 1 28, I 3 2, 93 2 Scholem, G.G., 846 Schrage, W., 1 2.4 s., 3 4 8, 3 5 1 s., 3 5 6 Schreiber, S., 866 ss. Schreiner, J., 6 8 1 Schubert, P., 1 3 0 s . , 1 5 3 , 1 5 6 s . , 2 I 6 s., 219 Schulz, J.Ch.F., 83

INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

Schulz, S., 1 2.9, 2.63 , 2.7 1 , 2.73 , 2.76, 2.8 3 , 2.89 S. , 3 10 Schiitz, J.H., 63 8, 654 Schweitzer, A., 140, 3 5 3 , 82.6 Scott, C.A.A., 434 Scroggs, R., 3 3 I Seesemann, H., 94 5 ss. Segal, A.F., 8o9 Semler, J.S., passim Sevenster, J.N., 3 50, 3 9 3 Shaw, G., 98 3 -986 Sherwin-White, A.N., 769 Shires, H.M., 2.2.9 Siber, P., 3 63 s. Smith, M., 8o7 Snaith, N.H., 2. 1 2. Soucek, J.B., 43 0, 4 3 2., 434 Spicq, C., 2.39 s., 345, 348 ss., 403 , 409, 42.6, 63 0, 705 Spittler, R.P ., 8 1 o, 8 2. 5 Stlihlin, G . , 1 73 , 1 8 8, 4 9 7 , 7 1 6, 7 1 9 Stanley, C.D., 5 7 2., 6 8 I Stanton, -G.N., 6 3 0 Stegemann, W . , 770 Stelzen berger, J., I 62. Stenger, W., v. Schnider-Stenger Stephenson, A.M.G., 43 , 46, 83 Stockhausen, C.K., 2. 1 8, 2.65 Stone, M.E., 8o s Stowers, S.K., 72., 7 5 , 59 3 , 65 8 Strachan, R.H., passim Strelan, J.G., 7 I 6 Stuhlmacher, P., 43 8 s . , 443 , 4 5 9, 4 6 1 ss., 465 Suhl, A., 8 2. Sundermann, H.-G., 62.4-9 5 2. passim Swete, H.B., 3 87 Tabor, j.D., 8o6, 8 1 1 , 8 1 5 , 8 2.0, 82.2., 8 2.6 Tannehill, R.C., I40, 142., 3 54, 3 5 6, 42.8, 497 Tasker, R.V.G., passim Taylor, G., v. Buck-Taylor Taylor, ]., 79 5-79 8 Taylor, N., 5 3 5 ss., 5 3 9 s., 5 42, 544, 5 88 s. Taylor, V., 446 Theissen, G., 340, 63 5 , 63 8, 65 I s., 670, 697 > ? I l. , ?l. I s., 730, 78 3 Theobald, M., l. I 8 s., 2.42., 2.65 , 2.68, 2.70, 274 . 2 76, l. 8 I , 285, 3 5 I , 3 66 s., 372,

! 00 5

3 74, 5 5 8, 5 60, 5 69, 571 , 600, 604, 607 s., 614, 6 1 6, 82.9, 8 3 3 s. Thierry, ].]., 84 1 Thomas, D. W., I l.6 Thrall, M.E., 57 ss., 62. s., 82, 9 5 , xox, I 6l., 175, 2.17, 2I 9, 2.9 1 , 294, 3 25, 3 3 4, 390, 392, 3 94, 398 s., 434 > 496, 704, 761, 8os, 824, 826, 9 3 3 Thiising, W., 1 77 Travis, S.H., 786 s., 794 Trench, R.C., 258, 867 s. Turner, N., 74, 1 3 2., 29 5, 297, 3 00, 390, 3 99, 67o, 688, 769, 88o Ulonska, H., 2.65 , 2.8 5, 2.92., 2.94 Vanhoye, A., 265 , 2.67, 2.72., 2.76 Van Unnik, W.C., I ? I , I 74, 1 76, I 79, 2.6 1 , 2. 80, 286, 298, 307, 3 1 3 , 7 5 5 Van Vliet, H., 90I ss. Verbrugge, V.D., 5 3 3 , 54 1 , 543 ss., 548 s., 5 5 9 s., s 8 s s., 6I S Vielhauer, P., 5 2, 5 5 , 72., 78, 82, 87, IO?, I I 6, I46, 378, 3 94, s s 8, 7os Volter, D., 48 Vos, G., 409 Wagner, G., 3 8o, 3 84 s. Wall, R.W., 990 Watson, D.F., 787 Watson, F., 48, so, 5 2.-5 5 , 57, 8 2., 5 I l. , 88 2. Wedderburn, A.J.M., 5 3 5 s. Weima, ].A.D., 930-934, 93 6-942., 944, 947 s. Weiss,J., 5 5 s., 59, 70, 72., 8 1 , 99, 43 4, 465, 662 Wendland, H.-D., passim Wette, W.M.L., passim Wettstein, ].]., passim White, J.L., 72, 1 1 7, I 27, I 3 0 s., 1 3 7 White, N.J.D., 8 5 , 88 s. Whitelaw, R.A., 6o Whiteley, D.E.H., 302., 3 8 3 Wikgren, A., I 5 1 Wiles, G.P., I 3 2, I 5 2 s., 922, 9 3 7 s. Williamson, L., 22.0, 222 Windisch, H., passim Winter, B.W., 646, 66o, 662, 672, 709 s., 73 0, 879, 950 s.

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INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

Wiseman, J ., . I I 9 Witt, R.E. , 598, 743 Wobbe, J., I 67, 467 Wolff, C., passim Wolter, M., 45 2 Wong, E., 292, 306 Wordsworth, C., passim Young, F., I 70 ss. Young, F. - Ford, D.F., 4 6 s., 7I , 8 3 , 3 28, 370

Zahn , T., 4 5, 57, 84, 86, 92-9 5, 97, Ioo, I02 s., I I 5 , 20I, 8 I 3 Zerwick, M., 687 Ziesler, J.A., 442, 46o, 488, 6 I 2, 809 Zinn, G.A., 990 Zmijewski, J., 624, 65 3 -860 passim Zuntz, G., I 5 1 s.