Le beatitudini. III. Gli evangelisti [Vol. 2]

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JACQUES DUPONT

II

LE BEATITUDINI GLI EVANGELISTI

EDIZIONI PAOLINE

Titolo originale dell'opera:

Les Blatitudu Tome III. Les refondue.

Évangélistes.

Nouvelle édition entièrement

O by J. Gabalda et Cie. Editeurs, Parigi,

Versione integrale dal francese di CAilLO DANNA

O by Edizioni Paoline,

I 977

:l ed.,

19n

OPERE DELLO STESSO AUTORE

». La çonnaissarue religieuse tians /es Épllres de saint Pa11/ (Univ. Cath. Lovaniensis, Diss. ad gradum magistri in Fac. Theol., ser. II, t. 40), Louvain-Paris, I 949; 2. ed., 1 960. Essais sur la Christologie de saint ]ean. u Christ, Parole, Lllmiìre el Vie. La gioire du Christ, Bruges, I 9P· :Eùv XPLGT(j). L'Uflion avec le Chrisl suivanl saint Pau/, l. « Avu le Chrisl >> tians la vi8 future, Bruges-Louvain, I 9' 2.. La Réçonçilialion tians la théologie de saint Pa11/ (Analecta Lova­ niensia Biblica et Orientalia, ser. II, fase. '2.), Louvain­ Bruges, I 9n· Les Açtes des Apolres, Tradl«lion el notes. Introduction de L. CERFAux (La Sainte Bible... de Jérusalem), Paris, I 9B. ' ed., 1 964. Le nom d' apolres: a-t-il Ili donné aux Dollte par ]1111!, Brugcs­ Louvain, 1 9 , 6. Mariage el Divorn tians I'É vangil1 (Matthi111 I9,J-r 2 11 parai/Jks), Bruges, I 9 5 9· Les sourçes du Livre des Ad1s. Élal tÙ la tpuslion, Bruges, I 960. Tradotto in inglese. Le Disçours de Milei, leslamenl pastora/ tÙ saint Pa11/ (Açtes 20, r8-J6). (Leccio divina, '2.), Paris, I 962.. Traduzione italiana: Il testamento paslora/4 di S. Paolo, Edizioni Paoline, Milano, �� Gnosis

1967.

Éludes sur /es Açtes des Ap8tres (Lectio divina, 45). Paris, I 967. Traduzione italiana: S tlldi s11gli Alli thgli Apostoli, Ediziorj Paoline, Roma, I 97 I . us Tentalions de jésus au déserl (Studia Neotestamentica, Studia, 4), Bruges, I 968. Traduzione italiana: Le lmlat.ioni di Gwì, Paideia, Brescia, 1 970. us Béatitlldes. u problème litléraire, /1 message doçlrinal. Nouvelle édition entièrement refondue: T. l. us Béalitlllies, u pro­ blìme littéraire, Brouges-Lovanio, I 95 8 ; ristampa, Parigi, 1 969. T. II. us Béalitlldes. La Bonne Nouvelle, Parigi, I 969. Traduzione italiana: u Bealillldini, Ed. Paoline, Roma, 197 I.

INTRODUZIONE

Le nostre ricerche sulle beatitudini, iniziate una ventina di anni fa, ci hanno condotto nel 1954 alla pubblicazione di una prima opera in un volume e, quindi, di un'opera più completa, di cui ecco il terzo ed ultimo volume (secondo e ultimo della edizione italiana). Forse l'orientamento iniziale è andato preci­ sandosi nel corso degli anni, ma non abbiamo l'impres­ sione che sia cambiato. Per questo non è forse cosa inutile ricordare come vedevamo il problema della esegesi dei vangeli sinottici una ventina di anni fa. Discepolo di L. Cerfaux a Lovanio, siamo stati formati da lui ai metodi di lavoro della Formgeschichte 1• Tali metodi avevano rinnovato l'esegesi, invitandola a esaminare da vicino la storia delle « forme » e a ritro­ vare il loro « Sitz im Leben ». Noi rimaniamo convinti che tale lavoro resta fecondo e indispensabile. Ma come la maggior parte degli esegeti di una ventina d'anni fa, anche noi siamo rimasti nello stesso tempo colpiti dai limiti inaccettabili entro cui i suoi corifei 1

Fra la enorme bibliografia dedicata al m etodo della Storia o ai lavori dei suoi principali rappresentanti ricor­ diam o an zitutto il grande libro di K. KocH, Was ist Form­ geschichte? Neue Wege der Bibelexegese, Neukirchen-Vluyn , 1 964, z ed., 1 967. All'estrem o opposto, l'essenziale viene detto da X. LÉoN-DUFOUR, Note brive sur l'Eco/e de la Formgeschichle, nella riedizione di J. HuBY, L' Evangile et /es Evangiles (VS Xl), Parigi, 1 9 5 4, 89-9 3 . Tra i due si colloca l'eccellente presen tazione di H. ZIMMERMANN, Nelllestamentliche Melhodenlehre. Darslel/ung der hislorisch-leritischen Methode, Stoccarda, z ed., 1 968, IZ8-zi 3· della forma

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l'avevano rinchiuso. Ricollocando tutto il materiale evangelico nello « Sitz im Leben >> delle prime comu­ nità cristiane, essi finivano per attribuire a tali comunità un potere creatore, che non teneva quasi più conto, da un lato, dell'apporto originario di Gesù, punto di partenza della tradizione e, dall'altro, del lavoro per­ sonale degli evangelisti, che non sono dei semplici compilatori. 1954: è l'anno in cui viene pubblicato lo studio di E. Kasemann, Il problema del Gesù storico 2• Questo ex discepolo di Bultmann, in rivolta contro il suo mae­ stro di Marburgo, dichiara necessaria una ricerca storica su Gesù e sul suo ministero, irrinunciabile punto di partenza di tutta la predicazione e di tutta la teologia cristiana. L'eco di questo manifesto fu considerevole e ha contribuito in larga misura a ri­ mettere in onore nell'esegesi le ricerche sul « Gesù della storia >>. Il 1954 vede anche la pubblicazione dell'opera di H. Conzelmann, Il centro del tempo: studi sulla teologia di Luca 3, prima manifestazione caratteristica del me­ todo a cuiW. Marxsen due anni più tardi darà il nome di Redaktionsgeschichte 4• Sempre nel 1954 G. Bornkamm pubblica un articolo su Matteo come interprete delle pa1 E. KXSEMANN, Das Prohlem ths hisloriuhen jesus, rela­ zione presentata il 20 ottobre 1 9H alla riunione degli ex-allievi di Marburgo, pubblicata in seguito come articolo nella ZTK 5 L ( 1 9 5 4) 1 2 5 - I H , riprodotta n ella raccolta Exegelische Ver­ mche und Besinnungen, I, Gottinga, 1 960 ( = 1 962) e tradotta in E. KXsEMANN, Essais exégéliques (Le Monde de la Bible), Neuchàtel, 1 972, 145-173· 1 H. CoNZELMANN, Die Mille der Zeil. Sludien zur Theo­ logie des Luleas (BHT q), Tuginga, 1 9 5 4; 5 ed., 1 964. 'W. MARXSEN, Der Evangelisl Marlu11. Studien zur Redalelins­ geschichle des Evangeliums (FRLANT 67), Gottinga, 1 9 5 6 ; 2 ed., 1 9 5 9. Come la Form!J8!chichte, cosl anche la Redaletionsgeschichte è stata applicata ai vangeli solo dopo essere stata prima utiliz­ zata dagli specialisti dall' AT (soprattutto da H. Gunkel nel primo caso, da G. von Rad nel secondo). Anche qui troviam o

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role del Signore 5, primo abbozzo di un'opera più impor­ tante pubblicata nel 19'6 6 e punto di partenza fe­ condo di ricerche sul lavoro redazionale svolto dal primo evangelista 7• un'opera fondamentale : J. RHODE, Die redoJ:tiotlsgeubiehtliebe Methotit. Einfiihrung unti Sichtung t/es Forschungstantits, Amburgo, I 966 : possiamo aggiungere il voi umetto di N . PERRIN, Whot is Redoction Criliti.rm? (Guides to Bibl. scholarship, NT Ser.), Filadelfia, I 969 ; 3 ed., I 97 I . Tra le molte presentazioni di que­ sto metodo ricordiamo in maniera particolare: X. L.ÉON-DU FOUR,

Bulletin d'exégèse tlu Nouveau Teslamenl: Formgeschithte unti Re­ doJ:tionsgeschichte des EtJongiles vnoptiques, RSR 46 ( 1 9 5 8) 2 3 7-269 ; P. CLAUDEL, La Formalion tits Synoptiques. Le fond tratlitionnel el l'apport t/es rédocteurs, in Où en soni /es études bibliques? Les grand prob/èmes actue/s de l'exégèse (L'Eglise en son temps, 14), Parigi, 1 968, 1 3 5-165 ; H. ZIMMERMANN, o.c., 214- 2 5 7 ; R. H. STEIN, What is RetlaJ:tionsgeschichte? ]BL 88 (1 969) 45-46. Ri ­

cordiamo infine le « Journées Bibliques de Louvain »: q uelle del 1 966, De Jésus oux Evangiles. Tratlition et Ridoction tlons /11 Evangi/es vnoptiques, sono state pubblicate con questo titolo (BETL XXV), Gembloux-Parigi, 1 967 ; delle sessioni tenute nel 1 968, 1 970 e I 97 1 , dedicate rispettivamente al vangelo di Luca, di Matteo e di Marco, finora sono state pubblicate solo le relazioni del 1970: L'Evangile sefon Motthieu. Rétlaction et tbéologie (BETL XXIX), Gembloux, 1 972. • G. BoRNKAMM, Motlhiius als lnterprel der HerreniPOrle, TLZ 79 (195 4) H 1 -H 6. • G. BoRNKAMM, Entitrwartung und Kirche im Mattbaus­ IIJongelium, in The BocJ:grountl of the New Testament antl ils Escba­ lology ... in bon. C. H. Dotltl, Cambridge, 1 9 5 6, 222-260, ripro­ dotto in G. BoRNKAMM-G. BARTH-H. J. HELD, Ueberliiferung und Auslegung im Matthiiusevangelium (WMANT 1), Neukirchen­ VIuyn , 1 96o; 5 ed., 1 968, 1 3-47. • Assieme allo studio di Bornkamm, l'opera indicata alla fine della nota precedente contiene anche i lavori di due suoi. alunni : G. BARTH, Das Gesetzesverstiindnis des Evongeli.rten Mat­ thiius; H. J. HELD, Matthiius als lnterpret der W undergeschithten. La redoJ:tionsgeschichtliche Methode applicata al primo vangelo ha prodotto soprattutto due opere notevoli : W. TRILLING, Dos 111ahre lsroe/. Studien zur Theologie tits Matthiiusevange/ium (Er­ furter theol. Studien, 7), Lipsia, I 9 5 9. 3 ed. (SANT X), Monaco, 1964 ; G. STRECKER, Der Weg titr Gerechtigkeit. Untersuchung r;ur Theo/ogie t/es Matthiills (FRLANT 82), Gottinga, 1 962 ; 3 ed., 1970.

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La preoccupazione di risalire fino a Gesù e la maggior attenzione accordata al lavoro redazionale degli evangelisti doveva naturalmente provocare un risveglio di interesse per la questione delle fonti uti­ lizzate dai tre vangeli sinottici 8• Ricordiamo semplice­ mente che L. Vaganay ha pubblicato il suo Problema sinottico 9 nel 1954 e diciamo subito che la lettura di quest'opera ci ha fatto rinunciare a impegnarci in una direzione simile : siamo andati in questo senso nel 195 4, siamo ritornati su posizioni meno avventurose nel 195 8 IO. Ecco così caratterizzati i tre centri di interesse del primo lavoro che abbiamo pubblicato sulle beatitudini e a cui abbiamo in seguito dedicato tre distinti volumi. In primo luogo il problema letterario sollevato dal com­ plesso di somiglianze e di differenze esistenti tra le due versioni. Il pensiero di Gesù, allorquando egli ha proclamato le beatitudini nel corso del suo ministero. • La Formguthkhle aveva precisamente cercato di uscire dal vicolo cieco in cui la QuellenJ:riliJ: sembrava rinchiusa. • L. V AGANAY, Le Problème syMplique. Une hypolhèse de lravail (Bibl. de Théologie, III. Théologie biblique, I), Tournai, 1954. L'articolo Mallhieu (Evangile se/on saint), DBS V /27, del me­ desimo autore, è stato pure pubblicato nel I9H· 10 Nessuna delle innumerevoli « teorie )) sinottiche ci pare pienamente convincente e non abbiamo alcun desiderio di ag­ giungerne un'altra a quelle già esistenti. Il nostro punto di vista è puramente empirico : il rapporto letterario da stabilire tra due testi affini ci sembra dover essere quello che permette di meglio comprendere uno dei due testi in rapporto all'altro o di com­ prenderli meglio ambedue in rapporto a una base comune. È questa considerazione che viene caratterizzata con il termine di « BrauthbarJ:eil )). L'ipotesi delle due fonti è troppo semplice p er rispondere a tutti i dati della tradizione sinottica; tuttavia tn linea generale essa dimostra di essere « brauchbar )) (illumi­ nante) per l'intelligenza dei testi ; non è una chiave apritutto, però apre molte porte e bisogna dunque servirsene. Segnaliamo a questo proposito un buono studio di J. A. FITZMYER, The Priorii.J of Mari: and the (Q) Sourre in Luke, in ]esus and Man's Hope, I, Pittsburgh, 1970, 1 3 1-qo.

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Infine l'intenzione che tradiscono le formulazioni par­ ticolari di ciascuna delle due versioni evangeliche. Altre piste di ricerca aperte nel frattempo 1 1 co­ noscono oggi un successo reale. In genere si pensa che il libro di E. Fuchs, Hermenmtik, esso pure pubblicato nel 1954, costituisca la prima manifestazione notevole di questa nuova corrente 12• Essa intende affrontare i testi con metodi diversi da quelli della critica storica utilizzati dalla esegesi tradizionale. Il modo in cui E. Floris definisce tali metodi ci è parso assai illuminante : « Intendo per "studio ermeneutico" una critica del discorso esercitata al livello della sua funzione inter­ pretativa, che si distingue così dalla analisi semantica ed esegetica. Queste tre analisi sono così caratterizzate : quella semantica cerca il significato tal quale esso ri­ sulta dalla opposizione delle cose significate nella ar­ ticolazione sintagmatica; quella esegetica mette in luce gli enunciati, in quanto essi presentano una in­ tenzionalità e si inserivano così nelle situazioni con­ crete dello spazio e del tempo; quella ermeneutica cerca di cogliere la relazione di riferimento. Per rag­ giungere il proprio scopo l'ermeneutica adopera un metodo che consiste nell'opporre le differenti figure, che entrano in gioco nella articolazione del discorso, al fine di mettere a nudo l'esistenza di varianti. Quando 11 Bisogna menzionare almeno i documenti di Qumran. Se il Manuale della disciplina è stato conosciuto già a partire dal I 9 5 I, grazie alla pubblicazione fattane da M. BuRRows, abbiamo dovuto attendere il 1 954 per avere l'insieme del ' Ofar ha­ Meglio/ ha-Genuzot, pubblicato da E. L. SuKENIK. 11 E. FucHs, Hermeneutile, Bad Cannstadt, 1954; 3 ed., 1 963. « La nuova ermeneutica, ufficialmente lanciata dalla Erme­ neutica di Fuchs nel 1 954, è passata da una comprensione della esistenza ispirata dalla interpretazione bultmanniana del primo Heidegger >> (]. M. RoB IN S ON, Les Paraboles come avènemenl de Dieu, in Entreliem du Haut-Pas. Parole el avènemenl de Dieu [Le Point théologique, 3], Parigi, 1971, 3 3-6z [41]).

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queste ultime non possono essere ridotte a strutture, possono presentare dei valori difFerenziali » 1a. Esistono dunque delle vie di investigazione dei testi, che sono parallele a quelle della critica storica. Esse possono svolgere un ruolo complementare in rapporto a queste ultime 14 e per questo non possono lascìare indifferente l'esegeta. Ma è chiaro ch'esse non possono sostituirsi all'esegesi, né sostituire i loro metodi a quelli propri di quest'ultima : il metodo sto­ rico-critico, osserva P. Ricoeur, « è insostituibile, anche se deve fare un po' di posto a considerazioni concorrenti >> 15• Aggiungiamo che queste considera11 E. FLORIS, L'apparition du Rususçité aux Aplitres. Etude herméneutique sur Luç 24, j6-49, in Lettre 1 6 3 - I 64 (marzo-aprile 1 972) 1 7-22 (p. 17, n. 1). " Un esempio eccellente d è stato fornito da J. DELORME, Luc v. I-II: Analyse structurale et hùtoire de la rédaction, NTS 18 (1971-1972) BI-3 � 0. 10 P. RICOEUR, Du conflit ò la convergençe de méthodes en exé­ gèse bibliqm, in R. BARTHEs-P . BEAUCHAMP ecc., Exégèse et Herméneutique (Parole de Dieu), Parigi, 1971, 3 �-5 3 (36). Ricoeur ritorna su questo soggetto nella medesima opera, p. 291s. Le considerazioni che egli fa per spiegare il carattere insostituibile del metodo storico-critico non sono tutte indiscutibili. Abbiamo l'impressione di trovarci su un terreno conosciuto, quando leg­ giamo: (( Potremmo riassumere nei termini seguenti il motivo fondamentale del metodo storico-critico : l'esegesi non è una riflessione sui codici che presiedono al testo, bensì una maniera per risalire attraverso i testi alle testimonianze che sono all'ori­ gine dei testi >>. Tuttavia noi non comprendiamo certamente queste righe nel senso inteso dal loro autore, poiché egli scrive anche: (( Perché il metodo storico critico non può essere sosti­ mito? Essenzialmente perché i testi che noi leggiamo non sono in ultima analisi dei testi riguardanti altri testi, bensì testi ri­ guardanti delle testimonianze, che si riferiscono a loro volta a degli avvenimenti >>. Sono veramente solo dei testi che riguar­ dano delle testimonianze? La parola viva fissata per scritto cessa automaticamente di essere una testimonianza? Sì, se uno tratta il testo come un oggetto da vetrina, esposto allo sguardo del lettore moderno ; no, se, come cerca di fare il metodo storico­ critico, uno cerca di leggere il testo nel rapporto che lo lega

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o w

zioni concorrenti non possono sconfinare nel campo esegetico come è stato ben definito da E. Floris IG; la confusione dei metodi non può produrre alcun risultato valido 17• Non abbiamo bisogno di presen­ tare qui una perorazione a favore della critica storica,

alla situazione concreta , in cui esso è nato. Temiamo che, come già una volta la benedizione di Isacco, anche quella che Ricoeur accorda al metodo storico-critico sbagli indirizzo. 10 Il termine > è preso in senso più largo per es. da F. BovoN, Strukluralismus und biblische Exegese, in Wismmhajt und Praxis in Kirche und Gesellschaft Go ( 1971) 1 6-zG Le structu­ ralisme franfaÌS et l'exégèse biblique, in R. BARTHEs-F. BovoN ecc., Analyse strutturale et exégèse biblique. Euai d'interprétation (Bibl. théol.), Neuchatel, 1 9 7 1 , 9-25 . Per lui l'esegesi contem­ poranea manifesta non soltanto una preoccupazione storica, ma « si esaurisce spesso in una analisi esistenziale, che ha il duplice difetto di essere antropocentrica e soggettiva >> ; per questo pensa che lo strutturalismo apporti « un correttivo utile alla nostra pratica attuale deli 'esegesi, poiché ridona al testo una realtà orizzontale, una verit à sincronica >> (p. 1 2). Di fronte a questo modo di parlare dell'« esegesi>> è difficile non ricordare l 'os­ servazione di M. Carrez : «C'è un aspetto del pensiero prote­ stante, che noi abbiamo trascurato fino ad oggi : si tratta di quello che viene detto «fondamentalismo )), che consiste in qualche modo in una riduzione della rivelazione alla parola scritta e che, dimenticando le situazioni, vuoi ridire oggi il fon­ damento così come esso è >> (La science et l'interprétation du depot de la foi. Un poinl de vue protutant, in Entretiens du Haut­ Pas. Parole et avènemenl de Dieu [Le point théologique, 3], Pa­ rigi, 1 972, 23-3 1 [z7]). Non crediamo che il« fondamentalismo )) sia un fenomeno specifico del protestantesimo. Esso contrad­ distingue il cammino di tutti coloro che, per comprendere la parola di Dio, credono di potersi dispensare dal battere la via della storia, di tener conto delle situazioni concrete in cui, in un altro tempo, tale parola è stata annunciata da un uomo molto preciso all'indirizzo di uditori ben determinati. La dialettica tra passato e presente sembra essenziale per l'« anamnesi >> cristiana, così come lo è stata per quella del giudaismo. 17 J. DELORME insiste con ragione su questo punto. Egli scrive per es. : « Sembra già che analisi strutturale e analisi cri­ tica delle fonti possano convergere, a condizione che non le si confonda e che l 'una non sconfini nell'altra >> (a.c., 347). =

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messa in causa in nome di certi postulati filosofici ; ci accontenteremo di dimostrare il moto camminando 18• La nostra opera potrà sembrare deludente in rap­ porto alle richieste specifiche della Formgeschichte. Dobbiamo attribuire la sua riservatezza al fatto ch'essa è stata concepita in un periodo, in cui si sentiva viva­ mente la necessità di far esplodere i quadri troppo stretti, in cui l'esegesi del periodo che va dalla prima alla seconda guerra mondiale tendeva a rinchiudersi ? La nostra opera non dice pressoché niente sullo Sitz im Leben comunitario, in cui la tradizione delle beati­ tudini è vissuta prima di essere fissata per scritto. Dopo aver consacrato un volume a ricollocare le beatitudini nel contesto concreto del ministero di Gesù, prima di dedicarne un altro a chiarire le due versioni pervenute sino a noi attraverso lo studio delle preoc­ cupazioni particolari di ciascun evangelista, sarebbe stato logico riservare un volume allo studio della tra­ smissione delle beatitudini nella comunità cristiana dopo Pasqua. Se non l'abbiamo fatto, ciò non si deve a mancanza di interesse per la cosa, ma alla insufficienza degli in­ dizi scoperti, insufficienza che non permette di arri­ vare a conclusioni valide. Altri si son dimostrati più coraggiosi. Pensiamo specialmente a G. Braumann, il quale, stabilendo una serie di riferimenti tra la ver­ sione matteana delle beatitudini e vari passi della prima lettera di Pietro, crede di poter congetturare che Mat­ teo dipenda da una tradizione radicata nella celebra­ zione del battesimo e nella teologia battesimale della comunità primitiva 19• Lavoro ingegnoso, ma poco convincente ; infatti non ha convinto K. Koch, il 18 Abbiamo proposto altrove alcune riflessioni sul metodo della interpretazione dei testi evangelici: Comprendre l' E11angile, in Paroisse el Liturgie 51 (I969) 428-446. 19 G . BRAUMANN, Zum traditionsgeschichtlichen Problem der Se/igpreisungen MT V J-12, NT 4 (I 96o) 25 3 -260.

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quale pensa piuttosto a una liturgia della parola (Predigtgottesdienst) , in cui il testo delle beatitudini sarebbe servito da punto di partenza per una predi­ cazione 20• Ma anche qui si tratta di una pura _ con­ gettura ! Non abbiamo voluto avventurarci su un terreno che non ci offriva alcun punto di appoggio. Lo storico deve accettare i limiti della propria documentazione. Nelle due versioni delle beatitudini ci siamo dunque accontentati di distinguere un fondo comune e degli elementi propri a ciascuna versione. Per rendere conto del fondo comune ci siamo interrogati sullo Sitz im Leben ch'esso può trovare nel ministero di Gesù. Ora cercheremo di spiegare i tratti particolari in funzione delle preoccufazioni che ognuno dei òue evangelisti testimonia ne suo lavoro di redazione. L'opzione per cui ci siamo così decisi non è che una ipotesi di lavoro e noi non lo dimenticheremo neppure per un istante. Sappiamo che l'ipotesi va vagliata con lo studio dei testi. È così che nel nostro lavoro sul fondo comune siamo arrivati alla conclu­ sione che la precisazione cristologica, da cui l'ultima beatitudine trae il proprio significato specifico, ·va attribuita a una reinterpretazione cristiana; essa non deriva dallo Sitz im Leben del ministero di Gesù, ma da quello della comunità postpasquale 21• Similmente possiamo aspettarci che certi elementi propri di cia­ scuna delle due versioni non trovino una spiegazione valida al livello delle intenzioni del redattore evange­ lico ; ciò indurrà a supporre che essi risalgano a uno stadio anteriore della redazione e bisognerà renderne conto per mezzo di questo livello pre-redazionale. 1° K. KocH, War ili Formgerchichle, 36s. Oltre alla s piegazione di G. Braumann questo autore ricorda quella di T. AavEDSON, Dar Myrterium Chrirli. Bine Sludie zu MI XI, 2J-JO (ASNU VII), Up psala, I 9 3 7, 95s., che ricerca dei punti di aggancio delle beatitud ini nei macarismi cultuali dei misteri ellenistici. 01 Vol. I, 9 5 2ss della edizione italiana.

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La nostra ipotesi di lavoro potrà benissimo essere. soggetta a revisione, noi però non ci nascondiamo ch'essa accorda una presupposizione di favore alla spiegazione redazionale dei testi. Questa ottica si oppone chiaramente a una tendenza attuale, che vuole ridurre al minimo l'intervento personale degli evan­ gelisti, sia facendo di questi ultimi dei semplici por­ taparola di una tradizione comunitaria o di una scuo­ la 22, sia attribuendo alla loro documentazione parti­ colare (QMt, QL> non può essere interpretata indipendentemente dalla omissione fatta nel v r 8: dopo la moltiplicazione dei pani Luca non menziona il congedo della folla (Mc 6,45-46). Cf W. GRUNDMANN, Das Ev. nach Lukas, I 90. II carattere redazionale di Le I 2,4I (cf Mc I 3,37) sembra innegabile: cf R. BuLTMANN, Die Geschichte der synoptischen Tradition (FRLANT 29), 4 ed., Gottinga, I97I, 361; ]. ScHMID, Das Evangelium nach Lukas (RNT 3), 4 ed., Ratisbona, I96o, 223 ; W. Orr, Gebet und Heil. Die Bedeutung der Gebetspariinese in der lukanischen Theo/ogie (SANT XII), Mo-

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I DESTINATARI

trionfale in Gerusalemme, Luca mostra « tutta la moltitudine dei discepoli » che acclama Gesù (19,37, diversamente da Mc n ,9 e Mt 2 1 ,9) 12, cui segue la protesta dei farisei : « Maestro, riprendi i tuoi disce­ poli » (1 9,39, diversamente da Mt 2 1 , q -1 6). La mol­ titudine, nel momento in cui acclama Gesù, può ri­ cevere il nome di discepoli. Per rendersi conto del modo in cui Luca intende l'appellativo di « discepoli » e del rapporto che egli stabilisce tra i « discepoli >> e la folla, può essere in­ teressante notare che l'espressione « la moltitudine dei discepoli >> ritorna in At 6,2 e che, negli Atti, Luca ama parlare dei primi cristiani come di una « molti­ tudine )) (4, 3 2 ; 5 , 14; 6,s ; 1 4,1 ; 1 5 , 1 2 ; 1 7,4 ; cf 6,1 .7 ; 9,3 1 ) e di una « folla » ( 1,q ; 6,7 ; 1 1 ,24. 26 ; 1 9,26). Questa moltitudine dei credenti all'origine della Chiesa sembra trovare la sua prefigurazione nella folla che circondava Gesù nel corso del suo ministero : la folla dei discepoli, o quella che amplia il cerchio dei disce­ poli, rappresenta per anticipazione le moltitudini che compongono la comunità cristiana 13• naco, I 96 � , 36s. Potremmo tener conto anche di Le I 4,2.�-3 � , dove degli insegnamenti, che sembra siano stati primitivamente riservati ai discepoli, sono presentati come se fossero stati in­ dirizzati alla folla : cf il nostro articolo in NRT del I 97 I . Cf ancora Le 7,9 con Mt 8,Io. 1 1 Anche qui ci troviamo in disaccordo con T. ScHRAMM, o.ç., I 4 � - I 49 : « &1't'cxv -rò 1't'Àlj6oç Twv fLCX6'1)TWV è lucanamente del tutto possibile, però di fronte al contesto non lucano va consi­ derato sicuramente come preesistente >> ( I47). Sembra arbitrario far appello a una fonte particolare per spiegare una espressione di cui si riconosce il carattere lucano. 13 Questa spiegazione non è nuova. Essa riecheggia più precisamente le osservazioni di H. ScHii'RMANN, BZ, � 9 Traditionsg. Unters., 29 I-29 3 ; Das Lukasevangelium, I, 277s., 3 2os., 3 26-328, �40. Cf anche J. GNILKA, Die Verstoçkung lsraels. lsaias 6,9-10 in der Theologie der Synoptiker (SANT III), Monaco, I 96 1 , I 5 1 ; A. SCHULZ, Naçhfolgen und Naçhahmen. Studien iiber das Verhiiltnis der neuleslament/jçhen ]iingersçhaft zur =

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Nel pensiero di Luca il discorso tenuto nella pianura è indirizzato contemporaneamente alla > e alla > : Gesù rivolge il proprio insegnamento a tutta l l uesta gente > . Attraverso di loro la sua parola ha di mira le folle cristiane che rhrùtlichen Vorbildethik (SANT VI), Monaco, 1 96z, 48s. ; D. DAUBE, Responsibi!ities of Master and Disciples in the Gospels, N TS 1 9 ( 1 972-1 973) 1-1 5 (1o) ; J. ZMIJEWSKI, Die Euhatolo­ '�iereden des Lukas-Evangelium. Eine traditions- und redaktions­ '�'schichtliche Untersuchung zu Lk, 2I,J-J6 und Lk I?,20-J? (BBB .,o), Bonn, 1972, 424-427 ; ]. SEYNAEVE, Exigences de la condition cbrétienne (Le I 4,2 J-J J) , in Vingt-troisième dimanche ordinaire (AssA• 5 4), Parigi, 1 97 z , 64-75 (74). Notiamo che secondo W. GRUNDMANN il discorso tenuto nella pianura si divide in due l(randi parti : Le 6,zo-38 si indirizza alla comunità cristiana, rap­ presentata della grande folla dei discepoli (6,1 7), mentre 6,3949 riguarderebbe specificatamente i capi di questa comunità, rappresentati dagli apostoli (6, 1 2-16) : Die Bergpredigt nach der Lukasfassung, in Studia Evangelica ( r) . Papers ... Oxford I9 f1 (TU 73), Berlino, 1 9 5 9, 1 8o- 189 ( 1 8 I S.) ; Das Evangelium nach Lukas, 1 3 8,140, 1 5 z. L'interpretazione che stabilisce un raf­ fronto tra Le 6,17 e i dati degli Atti riguardanti la comunità cristiana non esclude del tutto un'altra spiegazione, che però ci sembra meno fondata : Luca vorrebbe mostrare che i disce­ poli di Gesù non formano una casta chiusa, o ancora che l'ap­ pellativo di « discepolo >> può essere dato a > (Le 8, z r ; 1 1 ,28) e nella misura in cui uno si mostra docile. Così soprattutto H. FLENDER, Heil und Geschkhte, 27-z9. Concordiamo con Schi.irmann nel rigettare l'interpretazione di H.-J. DEGENHARDT, Lukas Evangelisi der Armen, z 7- H , secon do il quale i « discepoli >> del vangelo di Luca non prefigurano l'insieme dei credenti della cristianità postpasquale, bensl i suoi dirigenti, coloro che vi svolgono un compito pastorale. Così pure non condividiamo il arere di H.-W. BARTSCH, il quale pensa che Le 6,17-19 allarghi uditorio del discorso tenuto nella pianura, per fare d'un esem­ pio di istruzione ai discepoli un esempio di predicazione mis­ eionaria ; l'impiego della seconda persona nelle beatitudini de­ riverebbe precisamente dallo stile kerygmatico : cf Feldrede und Bergpredigt. Redaktionsarbeit in Luk. 6, Theologische Zeitschrift 16 ( I 96o) 5 - 1 8 (?- I I ) ; Wachtet aber zu jeder Zeit! Entwurf einer Auslegung des Lukasevangelium., Amburgo-Bergstedt, 1 963, 67-69.

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DESTINATARI

Luca conosceva. Questa prospettiva spiega senza dubbio l'impiego della seconda persona nelle beatitu­ dini : Gesù dice « voi » rivolgendosi a tutti i suoi discepoli. 3 · Anche altri passi del terzo vangelo possono far luce sulla portata dell'impiego della seconda persona plurale nelle beatitudini. Ci limitiamo a citare qualche esempio significativo 14, A proposito del v I del capitolo I 1 abiamo già notato che Luca menziona la presenza della folla ac­ canto ai discepoli, soli destinatari della diffida contro il lievito dei farisei nella tradizione anteriore (Mc 8, I 5 ; Mt z 6,6). I vv 1-9 sono paralleli a Mt I o,16-3 3 . Tanto in Mt Io, 16-p quanto in Le 1 2,2-7 le raccomandazioni di Gesù sono redatte nella seconda persona plurale ; Luca però ha di proprio l'aggiunta redazionale del v 4 : « Dico ... a voi, che siete miei amici 15 » (M t Io,18 : u Abbiamo dato altre indicazioni nel vol. I, 404-41 r . Forse non sarà inutile menzionare il caso di Le 10,9. Il suo testo paral­ lelo ricorre in Mt 10, 7, che formula così la consegna data da Gesù ai missionari : xe:pòacxn ÀÉyovt� on �YYLXEV Tj �IXGLÀdOt -r&v oÒpOtv&v (senza parallelo in Marco). Luca spezza in due questa raccomandazione. In primo luogo parla di ciò che i missionari devono dire in una città, dove sono stati ben accolti : ÀÉye:n IXÒTOLç' �YYLXEV tep' ufl4ç lJ �Otar.ÀdOt TOU 6e:oii (v 9) ; poi di ciò che diranno alla città dove sono stati male accolti : TtÀ-Ijv -roii-ro -y\vW­ axe:-re:, 6-rL lyyLxtv Tj �a:aLÀef.ot -roii 6�:oii (v 1 1). Si noti come nel caso della città accogliente Luca non si accontenti della dichiarazione impersonale : >. Alla fine del passo aggiunge una sentenza, che ricorre solo in lui : « Non temere, piccolo gregge... >> ( 1 2 , 3 2). Gli uditori a cui Gesù dà del « voi » sono i suoi discepoli e i suoi amici, che formano il piccolo gregge a cui dà del « tu » 16• Nel v 34, Le non riprende il « tu » di Mt 6, 2 1 : « Là dov'è il tuo tesoro, ivi sarà pure il tuo cuo­ re », ma è chiaro che il « tu » ha qui un valore gnomico e che è indirizzato a qualsiasi persona in generale. Se­ condo Luca Gesù continua a parlare ai suoi discepoli, dando loro del « voi » : « Dov'è il vostro tesoro, lì sarà pure il vostro cuore ». Al v 36, nuova aggiunta redazionale per introdurre la parabola del portiere vi­ gilante : « E siate voi come uomini in attesa che il loro padrone ritorni dalle nozze » ; il confronto con Mc I 3,34 induce a pensare che la parabola parlava inizial­ mente del padrone e della raccomandazione ch'egli aveva fatto al proprio portiere prima di lasciare la casa 17• Luca ha posto davanti il « voi » : nel suo pen­ siero si tratta di un insegnamento che riguarda i di­ scepoli di Gesù e quindi i lettori cristiani del vangelo. «

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Su questo versetto, cfW. PESCH, Zur Formgeschichte und Exegese von Lk I2,J2, Bib 41 (1 960) 25-40 ; R. PESCH, «Sei getrost, leleine Herde » ( Lk 1 2,J2). Exegetische und ekklesiolo­ gische Erwiigungen, in K. FAERBER, Krise der Kirche - Chance des Glaubens. Die «Kieine Herde >> beute und morgen, Francoforte, 1 968, 8 5-1 1 8 . 17 Cf J. DuPONT, La parabole du maitre qui rentre dans la nuit (Mc IJ,J4-J6), in Mélange.r bibliques ... Béda Rigaux, Gem ­ bloux, 1 970, 89- 1 16 (t oz-105). ·

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Stando alla notizia del v 2 � , la seconda parte del capitolo I 4 è indirizzata alla folla numerosa che ac­ compagnava Gesù. Qui egli parla delle esigenze che si impongono ai suoi discepoli, La sezione si apre con alcune sentenze formulate in terza persona, il cui con­ fronto con Mt 10,37- 3 8 permette di ricostruirne la struttura nella tradizione anteriore alle due redazioni evangeliche 18 : « Colui che non odia suo padre e sua madre non può essere mio discepolo. Colui che non odia suo figlio e sua figlia non può essere mio disce­ polo. Colui che non porta la propria croce... non può essere mio discepolo )) (Le 14,z6-z7 ; Mt !0,37-3 8). Matteo ha cambiato la formula « non può essere mio discepolo )) in ( non è degno di me )). Però ha con­ servato la triplice ripetizione, mentre Luca in questo punto si accontenta di adoperarla due volte. La terza volta lo fa nella conclusione del passo, dove riassume a proprio modo l'insegnamento che bisogna ritenerne : « Cosi pure chiunque di voi non rinuncia a quanto possiede, non può essere mio discepolo )) (I 4, 33 ). Luca ha conservato la redazione in terza persona, però introduce la precisazione « di voi )), che trasforma que­ sta sentenza in un appello diretto agli uditori e a tutti i cristiani 19• Nel discorso escatologico del capitolo 2 I una sezione è dedicata alle persecuzioni che i cristiani do­ vranno sopportare : vv I 2- I 9 20• Si tratta infatti evi­ dentemente di cristiani, anche se Luca (vv � -7) non dice che Gesù si rivolga ai suoi discepoli. I cristiani saranno trascinati davanti ai magistrati. Marco precisa : « a rendere testimonianza davanti a loro )) ( I 3 ,9 ; Mt r o, 1 8 ; 24, 14). Luca corregge : « Ciò sarà per voi oc18 Per spiegazioni più dettagliate, cf il nostro articolo in NR T del I 97 1 , 5 6z-no. 10 lvi, nos. •• Cf il nostro articolo già cit., in AssA• 64.

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casione di rendermi testimonianza » (2 I I 3) 21• Marco annuncia : « Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio, e i figli si leveranno contro i geni­ tori e li uccideranno » (I 3 , I 3 ; Mt Io,21). Luca scrive in seconda persona : « Voi sarete traditi anche dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici ; parecchi di voi saranno uccisi » (v I 6), e aggiunge una promessa : « Ma non andrà perduto neppure un capello della vostra testa » (v I 8). Marco conclude : > (v 1 3). Luca non rinuncia alla seconda persona : « Con la vostra perseveranza salverete le anime vostre » (v I 9)· L'impiego costante del « voì » cambia in interpella­ zioni dirette certi insegnamenti che concernono i di­ scepoli di Gesù, cioè, nell'ottica dell'evangelista, i suoi lettori cristiani. Concludendo questa prima serie di osservazioni, possiamo renderei conto del cambiamento di orien­ tamento che l'uso della seconda persona plurale im­ prime alle beatitudini nella versione di Luca 22• Questa versione estende alle prime beatitudini la maniera in cui l'ultima si rivolgeva in seconda persona plurale ai cristiani esposti a tutti i sop rusi a motivo della loro fede nel Figlio dell'uomo. Qui le beatitudini pre,

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11 Seguiamo l'interpretazione proposta da L. HARTMAN, Tntimonium Linguae. Parliçipial Conrlruçtionr in the Synoptif Gorpelr. A Linguirlk Examinalion of Luke 2 1 , I J (Coniectanea Neotest., XIX), Lund-Copenag hen, 1963, n-n . Questo studio molto accurato ci dispensa dal discutere le considerazioni fatte recentemente da autori che l'ignorano : L. GASTON, No Stone on Anolher. Studier in the Signijuançe of the Fa/l of feruralem in lhe Synoptif Gospelr (SNT XXIII), Leida, 1 970, 1 9 ; J . ZMIJEWSKI, Die Esçhatologiereden des Lukas- Evangelium, 1 972, 1 3 3s., I 6 I - 169 . .. Ricordiamo che molti autori hanno sottolineato questo cambiamento di orientamento : cf quelli che abbiamo citato eopra, alla nota 1 . Ci sono anche delle voci discordanti, come quella di I. W. BATDORF, Interpreling the Beatiludes, Filadelfia, I 966, 4 7 : « Matteo indirizza le beatitudini solo ai discepoli, mentre Luca insiste che esse sono proclamate per tutto Israele >>.

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cedenti si indirizzano, esattamente come l'ultima, ai cristiani rappresentati dalla folla numerosa dei disce­ poli e dalla grande moltitudine di popolo, che prefi­ gurano la moltitudine dei credenti della Chiesa apo­ stolica. Pertanto, come l'ultima beatitudine non ri­ guardava semplicemente i perseguitati in quanto tali, chiunque subisce una persecuzione per qualsivoglia motivo, bensì unicamente i cristiani perseguitati a causa di Cristo, così anche le beatitudini precedenti non si indirizzano più agli infelici in generale e a motivo della loro sventura : ora si tratta dei discepoli di Gesù, che debbono sopportare le privazioni della povertà. Lo slittamento è considerevole in rapporto al si­ gnificato originale delle beatitudini. Gesù parlava dei poveri come tali, degli afflitti e degli affamati senza altra condizione : la loro semplice sventura era suf­ ficiente a farne dei privilegiati davanti a Dio. Luca ap­ plica tali promesse ai suoi lettori cristiani, col desi­ derio manifesto di incoraggiarli nelle situazioni pe­ nose della loro esistenza 23• Tale preoccupazione pa­ storale provoca una certa limitazione. Le beatitudini non si indirizzano più a qualsiasi povero, ma ai cri­ stiani che sono poveri. La felicità loro promessa com­ penserà meravigliosamente le loro privazioni attuali ; però in fondo dovranno tale felicità alla loro qualità di discepoli di Cristo .

Nei « vae ». « Guai a ». Queste sentenze vengono general­ mente chiamate col nome di « maledizioni >>. Si tratta di una designazione poco indovinata. Infatti esse non .2.

...

11 « Mentre le beatitudini fanno propriamente parte della proclamazione escatologica, la versione di Luca permette di gettare anche uno sguardo sulla condizione attuale e reale dei destinatari » (P. J. BERNAorcou, joy in the Gospel of Lulce [Pont Univ. Greg., Fac. Theol.], Roma, 1970, zr).

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si propongono di « maledire l> la gente a cui sono in­ dirizzate, ma a dichiararla piuttosto infelice e degna di compassione, come gente che fa pietà e che va com­ miserata 24 L'interiezione oùot( è stata adoperata dai Settanta per tradurre varie interiezioni ebraiche, soprattutto 'of e hof 25• Si tratta sempre di un grido di dolore 26• In greco non mancavano interiezioni di questo ge­ nere 27• Ci si può domandare perché mai i Settanta abbiano scelto un termine che non è greco. Dal mo­ mento che non si tratta di una semplice trascrizione dell'ebraico 28, la migliore spiegazione allo stato at­ tuale delle nostre conoscenze 29 è quella çhe si ri•

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•• Cf TOB, 2 1 �. nota s. •• Abbiamo fornito qualche precisazione nel vol. I, 448, n. 3 7 ; 466, n. 66. Cf anche le recente osseryazioni di J. Gu tLLET, Jésus devanl sa vie et sa mori (Intelligence de la foi), Parigi, 1 97 1 , 86, n . 5 , e quelle d i E . ScHWEIZER, Formgmhi&htliches zu den Seligpreisungen, NTS 1 9 (1 972-7�), 1 2 1 - 1 26. " W. )ANZEN pensa che un grido delle lamentazioni funerarie abbia ricevuto in seguito una nuova applicazione negli oracoli di maledizione dei profeti: Mourning Cry an Woe Oratie (Beih. ZAW 1 2 5); Berlino, 1 972. 17 In particolare a.òa:"L. Cf vol. l, 402, n. 56. •• J. J EREMIAS lo sottolinea con ragione (jesu Verheiuung fiir die Volker, Stoccarda, 1 9 5 6, 1 5 , n. 6 1 ) contro F. BLAss­ A. DEBRUNNER ( Grammatik des neuteslament/i&hen Griechiuh, 9 ed., Gottinga, 1 9 5 4, § 4, z a) . Ma per il NT (a proposito di Mt 2�, 1 5) crede di poter parlare di un aramaismo : oùa.L dovrebbe essere considerato come la trascrizione della interiezione ara­ maica wdy. Cf anche J. LAMBRECHT, Die Redaktion derMarkus­ Apokalypse. Literaristhe Analyse und Strukluruntersuthung (AB z8), Roma, 1 967, t 6o, n. t . Non sembra possibile ammettere una nuova creazione di questa parola da parte di autori che co­ noscevano la loro Bibbia greca. •• Al di fuori della Bibbia greca e della sua sfera di influenza, il termine compare nelle Dissertazioni di Epitteto ( � , 1 9 , 1 e �.22, � 2) e in un mimo, che ci è giunto attraverso un papiro di Ossirinco : B. P. GRENFELL-A. S. HuNT, The Oxyrhynchus Pa­ pyri, III, Londra, 1 90�, n. 4 1 3 , t 84s. Secondo gli editori il testo è stato indubbiamente scritto nel secondo secolo della nostra era (p. 41) e per il suo contenuto appartiene al periodo romano (p.

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chiama al latino vae : tale interiezione latina sarebbe stata adottata molto presto ad Alessandria, per accli­ matarsi poi nella koinè. Luca non ha certamente co­ scienza di aver di fronte un latinismo, che sarebbe per lui un barbarismo ; tutt'al più sa che l'interiezione fa parte del linguaggio biblico, dove il dolore che esprime è carico di minacce. Di fronte ai poveri e ai perseguitati, che vengono felicitati e dichiarati « beati » per la felicità che li at­ tende, Luca pone delle persone ricche e onorate ; queste sono disgraziate e vengono commiserate a motivo della catastrofe che le sorprenderà. Come già le beatitudini, così anche questi vae sono redatti nella seconda persona plurale. Dopo aver visto che il « voi » delle beatitudini è rivolto ai discepoli di Gesù, sem­ brerebbe naturale spiegare nel medesimo senso il « voi » degli infelici : il pronome si indirizzerebbe ai discepoli o almeno ad alcuni tra di loro. Sembra che Luca abbia voluto evitarci precisamente questo er­ rore inserendo i vae tra due raccordi, che li isolano dal loro contesto immediato 30• A dire il vero, solo il secondo raccordo, posto all'inizio del v z7, è veramente illuminante per la nostra questione; esso però acqui­ sta tutto il proprio senso solo in funzione del legame che lo unisce al 7tÀ�v avversativo collocato all'inizio del v 24. Soltanto insieme questi due raccordi testi­ moniano l'intenzione di separare nettamente i desti­ natari dei vae dall'uditorio a cui Gesù ha indirizzato le beatitudini e poi l'esortazione ad amare i propri ne44). Noi non vediamo su che cosa si basino J. H. MouLTON e G. MILLIGAN per scrivere che si tratta di « una farsa risalente a un periodo piuttosto anteriore al periodo romano » ( The Vocabu/ary of the Gree/e Testamenl illustra/ed from the Papyri and other non-literary Sources, Londra, 1 9�0, 464). J. )EREMIAS, /.c., riconosce che, nel caso di questi due testimoni « profani », oòcd va considerato come un latinismo. 30 Abbiamo già fatto qualche osservazione a proposito di questi due raccordi nel vol. I, 444-449. ·

> (vv ,8-9) ; in una città inospitale scuoteranno la polvere dai loro piedi e aggiungeranno : « Sappiate tuttavia che il regno di Dio è vicino >> (vv IO-I I). La costruzione simmetrica dei vv 8-9 e I o-I 1 , con le ripetizioni che essa comporta, può essere difficilmente attribuita all'evangelista, il quale tende piuttosto ad evitarla e che l'ha appena evitata nei vv s -6 (cf E. NORDEN, Agnostos Theos. Untersuchungen zur Formengeschichte religiiiser Rede, Lipsia, I 9 I 3 Stoccarda, I 9 5 6, 3 5 7-360 ; H. ]. CADBURY, Style and Literary Method of Luke, 83-89). Questa ipotesi non va però scartata a priori, perché Luca all'occorrenza è capacissimo di adottare il procedimento del parallelismo antitetico (cf P. HOF MANN , a. c., 44, n. 24). Nel punto preciso qui in questione il parallelismo delle dichiarazioni dei vv 9b e I I b va di pari passo con un contrasto, che si potrebbe ascrivere facilmente al­ l'evangelista. Nel v 9b i missionari dicono alla città ospitale : « È a l!oi vicino il regno di Dio >>. Abbiamo già attirato l'atten­ zione su questa precisazione, tq>' Ò(J.ii.ç (cf sopra, n. I4). Essa non ricorre nel passo parallelo di M t Io, 7 e ci si può domandare se non sia stata aggiunta in base a Le I I,2o Mt 1 2,28. Cf E. GaAESSER, Das Problem der Parusieverzogerung in den Synoptischen Evangelien und in der Apostelgeuhichte (BZNW 22), Berlino, 1 9 5 7, I40S. ; H. CoNZELMANN, Die Mille der Zeit. Studien zur Theo/ogie des Lukas (BHT 1 7), 3 ed., Tubinga, 1 960, 98. Forse non è a caso che la precisàzione non viene ripresa nella dichiarazione rivolta alla città inospitale : « Il regno di Dio è vicino » (v 1 1 ). La congiunzione ttÀ-Ijv avrebbe lo scopo di sottolineare il contrasto redazionale, accentuato nello stesso tempo dalla espressione TOUTO ytvwGXen, anch'essa probabilmente redazionale (cf Le 2 1 ,20 ; At 2,36), così come il suo equivalente yvwa-ròv �a-rw (At 2 , 1 4 ; 4, I o ; 1 3, 3 8 ; 28,28) : cf P. HoFFMANN, Lk I O,J-II, 42 : SCHULZ, 407. =

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in Le 1 I ,4I (diversamente da Mt 2. 3,36) 44, nonché del 7tÀ�v di Le 1 2. , 3 I (8t in M t 6,33) �5. Le 1 3 , 3 3 è fortemente caratterizzato dalla redazione di Luca 46• Non si può contestare il carattere secondario di Le I B,Bb e I9,2.7 in rapporto alle due parabole preceden­ ti 47 ; ma, se l'aggiunta di queste sentenze è anteriore alla redazione, sarebbe normale attribuire a Luca per­ lomeno l'inserzione del 7tÀ�v, il quale, cercando di stabilire un legame, ne sottolinea l'assenza. A questi sei esempi Ott avrebbe potuto benissimo aggiungere quello di Le 6,3 5 a, che è un riassunto redazionale dei versetti precedenti 48• Per quanto concerne Le 2.2., 2. 1 . 2.2., ci si può domandare se l'autore non si è la­ sciato troppo impressionare dalla ipotesi di Jeremias, il quale fa risalire questo passo a una fonte parti-

" Cf vol. I, 450-456. Cf H. ]. CADBURY, Style and Literary Method, 147. Abbiamo osservato (vol. I, 444, n. z8) che Matteo non prova alcuna dif­ ficoltà a usare nÀ�v : delle 5 volte che ricorre in lui, 4 possono essere attribuite alla sua redazione. •• Dettagli in OTT, 34· Cf. anche A. DENAUX, Het lucaanse reisverhaal (Le, 9,JI-I9,-f4), Coli. Brug. et Gandav. 14 (1 968) z 1 4-z4z ; 1 5 (1 969) 464-501 (487, 490, 495 ) : Le q , p - n costi­ tuisce l'introduzione redazionale del logion tradizionale riportato nei vv 34-3 5 . " Per Le 1 8,8b possiamo accontentarci d i rinviare alle spiegazioni di 0TT (che cita A. Julicher, E. Klostermann, R. Bultmann, W. L. Knox, E. Linnemann, nonché D. Buzy) ; per 1 9,27, cf il nostro studio La parabole des Talents (Mal 2J, 14-JO) ou du Mines (Le 19,12-27), R TP 3e série, 1 9 (1 969) 376-391 (377S.). •• Cf il vol. I, zz6 ss. e il nostro articolo L'appel à imiter Dieu en Matthieu J,48 et Luc 6,J6, in Rivista Biblica 1 4 (1 966) 1 3 7- 1 5 8 ( 1 5 5s.). Cf anche E. NEUHAUSLER, Anspruch und Ant­ u

wort Gottes. Zur Lehre von der synoptischen Jesusverkiindigung,

Dtisseldorf, 1 96z, 45 ; A. SCHULZ, Nachfolgen und Nachahmen, 45 ;W. C. VAN UNNIK, Die Motivierung der Feindesliebe in Lukas V! J2-JJ, NT 8 ( 1966) z84-300 (z98).

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colare 49; Schiirmann invece pensa che questi versetti si spieghino perfettamente a partire da Mc 14, 1 8-21 50• Ott non dice niente di Le 2 3 , 3 8, dove l'intervento re­ dazionale dell'evangelista sembra probabile 51 • In tal modo si arriverebbe a una decina di casi, in cui l'im­ piego di n:À-f'jv può essere attribuito a Luca con maggior o minor certezza. La facilità relativa con cui Luca introduce questa congiunzione in altri contesti può costituire una prima presunzione a favore della ipotesi della sua origine redazionale anche in 6,24. Questa spiegazione acqui­ sta maggior valore, se si tiene conto del rapporto che unisce tale congiunzione avversativa con la ripresa del v 27a : « Ma io dico a voi che mi ascoltate >>. Ritorne" J. } EREMIAS, Die Abendmahlworle ]esu, 3 ed., Gottinga, I 96o, 92. Cf anche F. REHKOPF, Die lukanisçhe Sonderquelle, 7-30, le cui spiegazioni sono condivise da C. COLPE, Traditions­ uberuhreitende Argumentalionen zu Aussagen Jesu uber sùh selbst, in Tradition und G/aube. Das friihe Chrislenlum in seiner Umwelt. Festgabe f. K. G. Kuhn, Gottinga, I97I, 230-24� (243). 1o H. ScHtiRMANN, L/e 22,r 9b-2o als ursprunglùhe Textiiber­ lieferung, Bib 3 2 (I95 J ) 364-392 e � 22- HI = Traditionsgmhiçht­ lùhe Untersuçhungen, I � 9- I 9 2 ( 1 7 5 , n. So) ; ]esu Absçhiedsrede, 3-2 1 . Cf anche G. ScHNEIDER, Verleugnung, Verspottung und Verhor ]esu naçh Luleas 22,J4-JI. Studien zur luleaniuhen Darstel­ lung der Passion (SANT X XII), Monaco, 1 969, I 4I - I 4 5 , I49S., I p, 1 79· OTT rinuncia a considerare redazionale anche il rrÀTj'll di Le 22,42 : la presenza di una fonte particolare sarebbe stata dimostrata da K. G. K uHN, ]esu in Gethsemane, EvTh I 2 ( 1 9 5 2-5 3), 26o-z8� (z7 1s.); così la tJensa anche G. ScHNEIDER, o. ç., 5 8, nonostante le precisazioni apportate da TH. LEscow, che imporrebbero un nuovo esame del punto qui in questione : Jesus in Gethsemane bei Lukas und im Hebriierbrief, ZNW 5 8 (I 967) 2 1 5 - 2 3 9 (2I6-223). La goffaggine stilistica dei due ID&: troppo ravvicinati in Mc 14, 3 6 spiegherebbe facilmente il fatto che Mt 26, 3 9 e Le 22,42 apportano la medesima correzione, sostituendo rrÀTj'll a uno degli &.ÀÀ> ; qui essa potrebbe derivare dalla formula : « S e uno vuoi venire dietro di me )), che appare in un contesto affine (Mc 8,34; Mt x6,24 ; Le 9,23). Cf J . DuPONT, NRT I 971, ,63.

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guarda gli uditori, egli sembra presupporre che le sen­ tenze precedenti non erano pronunciate al loro indi­ rizzo. Questa implicazione spiega l'uso di 1tÀ�v all'ini­ zio del v 24 : i vae non erano destinati alla gente che co­ stituiva l'uditorio di Gesù ; essi hanno di mira altre persone, diverse da quella cui si indirizzano le beatitu­ dini e il passo riguardante l'amore dei nemici 69• Se questa conclusione è esatta, è chiaro che il « voi » indirizzato a persone assenti qui non pos­ siede più il suo significato normale. Se Luca l'ha usato nonostante l'idea che si faceva dell'uditorio di Gesù, è perché un'altra ragione doveva imporgli questa for­ mulazione : forse i vae si presentavano così nella sua fonte 70, forse ha voluto dar vita a una corrispondenza esatta con le beatitudini 71, forse non ha giudicato necessario derogare alla legge generale dello stile dei vae, che vengono normalmente proferiti alla seconda •• Gli esegeti sono ampiamente d'accordo nel pensare che, nella prospettiva di Luca, i vae di 6,24-26 riguardano degli as­ senti. Cf per es. i commenti di J. M. Creed, W. Grundmann, F. Hauck, H. J. Holtzmann, E. Klostermann, M.- J. Lagrange, H. Schiirmann, A. Stoger, B. Weiss, J. Wellhausen, nonché R. BuLTMANN, Geschichte, I q ; E. PERCY, Botschaft Jesu, IO� ; H.-Th. WREGE, Ueberlieferungsgeschichte, 9 ; K. KOEHLER, Die urspriing/iche Form der se/igpreisungen, Theo/ogische Studien und Kritiken 9 1 ( 1 9 I 8) I 5 7- 1 92 (q6) ; O. HANSSEN, Zum Verstlindnis, der Bergpredigt. Bine missionstheo/ogische Studie zu Mt J,l?-18 in Der Ruf fesu und die Antwort der Gemeinde. Exegetische Unter­ suchungen f. jeremias, Gottinga, 1 970, 94-1 1 I (99). I fautori del­ l'opinione opposta sono molto meno numerosi : F. SPITT A, Die synoptische Grundschrift in ihrer Ueberlieferung durch das Lukas­ wangelium, Lipsia, I 9 I 2, 1 2 1 ; TH. ZAHN, Das Evangelium des Lukas (Kommentar zum NT, III), Lipsia, 1 9 1 ,, 18,s., 290 ; J. ScHMID, Matthlius und Lukas, 2 1 � , n. � · 7° CfW. GRUNDMANN, Das Ev. nach Lk., I4I e I44 ; H.-J. 0EGENHARDT, Lukas - Evange/ist der Armen, � I - � ' ; H. ScHiiR­ MANN, BZ 1 966, 76-78 = Trad. Unters., 'o�-,07; Lukasevan­ ge/ium, I, B9- 3 4 I ; H. -TH . WREGE, Ueberlieferungsgeschichte, 9s. 71 Cf L. MA RC H A L , Evangi/e se/on S. Luc (La Sainte Bible ... L. Pirot, X), Parigi, I 9 ' 5. 89. ·

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persona 72• Quest'ultima spiegazione ci sembra la più verosimile. Ad ogni modo, checché ne sia di questo punto, l'importante è di rendersi conto che, dopo le tndicazioni dei vv 24a e 2.7a, le « maledizioni » non sono indirizzate a coloro che sono venuti per ascol­ tare Gesù 73• Ora dobbiamo cercare di precisare la portata di questa osservazione. 3 . I veri destinatari dei vae non possono essere i ricchi e le persone circondate di considerazione che da queste sentenze vengono apostrofate : tali persone non sono là per ascoltarle. L'immaginazione di qualche commentatore ha un bell'introdurre surrettiziamente siffatti personaggi nella folla che circonda Gesù 74 ; essa però non può prevalere sulle indicazioni del testo : nel pensiero di Luca quelle persone sono assenti. Gli uditori presenti sono coloro che sono inter­ pellati, col pronome « voi », come oggetto delle bea­ titudini e a cui sono indirizzate le raccomandazioni sull'amore del prossimo : si tratta delle moltitudini numerose che Luca ha radunato attorno a Gesù, im71 Cf vol. I, 402, n. 5-6 ; W. GRUNDMANN, Ev. nach L/e., 141 ; G. BouwMAN, Das dritte Evangelium. Einubung in die Form­ pschichtliche Methode, Dusseldorf, 1 968, 3 3 ·

73 I l fatto che una apostrofe venga indirizzata a persone assenti non sembra creare difficol�à a Luca, almeno a giudicare da Le I 3,34-4 5 . Mentre M t 23,3 7-39, più preoccupato della logica, colloca l'apostrofe a Gerusalemme nel corso del sog­ giorno di Gesù nella città santa ( « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti . . . Ecco, la vostra casa vi sarà lasciata de­ serta ... »), Luca l'inserisce nel suo racconto del viaggio verso Gerusalemme (cf r z, z z ) . Cf J. ScHMID, Matthiius und Lukas, 2 1 5 , n. 5 · , . Pensiamo particolarmente a TH. ZAHN, Das Ev. des Lukas, z83s. Anche in L. MARCHAL, Evangile selon S. Lt!c, 89, leggiamo : (( La presenza delle maledizioni in questo testo di Luca fa supporre che qualche fariseo si fosse intrufolato tra gli uditori, assieme ai discepoli e alla folla simpatizzante ... )).

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magine e prefigurazione delle moltitudini cristiane dell'epoca in cui l'evangelista componeva la sua opera. Qualche esegeta si è chiesto se i vae non abbiano sem­ plicemente la funzione di mettere meglio in rilievo le promesse consolanti, che le beatitudini fanno ai cristiani nelle condizioni difficili della loro esistenza di poveri e di perseguitati : si tratterebbe in tal cas o di un procedimento letterario, che sottolineerebbe la dichia.razione positiva per mezzo della sua contropar­ tita negativa 75• Di conseguenza non ci sarebbe bi­ sogno di cercare di identificare le persone cui sono indirizzati i vae : non sarebbero altro che soggetti immaginari. Secondo altri autori l'enunciato dei vae im­ plicherebbe un avvertimento all'indirizzo dei cristiani : non lasciatevi tentare, non entrate nella condizione di spirito della gente ricca e circondata di onori : la pro­ cl amazione della promessa che incoraggia e consola sarebbe così accompagnata da una note parenetica 76• Queste spiegazioni hanno l'inconveniente di non tener sufficientemente conto dei dati del testo, cioè di quelli dell'ultima beatitudine e dell'ultimo vae. D'altra parte bisogna evitare di far dire loro più di quanto non dicano o una cosa diversa da quella che dicono. Basandosi sulla finale dell'ultima beatitudine : « Così, infatti, i loro padri trattarono i profeti », si è creduto di poter dedurre che, in corrispondenza ai profeti, i destinatari dovevano essere anch'essi ,. Cf H. J. HoLTZMANN, Hand-Commmlar zum Nluen Te­ slament, 3 ed., I, Tubinga, 1 90 I , 340; B. WEISS, Die Evangelien des Markus und Lukas (KEKNT I j2, 9 ed.), Gottinga, I 90 I , 371 ; F . X . PoHL-TH. INNITZER, Kommenlar zum Evangelium des heiligen Lukas (Kurzgefasster Kommentar zu den vier hei­ ligen Evangelien Ilj2, 3 ed.), Graz-Vienna, I 922, I S 7 ; H.-TH. WREGE, Ueberlieferungsgeschifhte, 9· 78 Cf A. LorsY, Les Evangi/es rynoptiques, I, Ceffonds, 1907, � 5 2-H4; L'Evangile se/on Luc, Parigi, 1 924, 202 ; C. G. MoNTEFIORE, The Synoptic Gospels, 2 ed., II, Londra, 1 927, 4 1 4.

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della gente incaricata di un ministero loro affidato, un ministero di predicazione, che non era appannaggio di tutti i credenti ma solo degli Apostoli e dei missio­ nari 77• E per contrasto, in corrispondenza ai falsi profeti, i destinatari dell'ultimo vae sono stati visti come dei predicatori cristiani che propagavano false dottrine 78• In realtà qui non abbiamo alcuna assi­ milazione ai profeti o ai falsi profeti : il paragone ri­ guarda esattamente l'atteggiamento che i padri hanno avuto riguardo ai profeti o ai falsi profeti e quello che i loro figli adottano nei riguardi dei discepoli o della gente in vista. Tutto ciò non dice alcunché circa una attività particolare dei destinat�ri di queste sentenze. L'espressione « i loro padri >>, ot 1t1X-répec; IXÙ-rwv, adoperata nel v 23 e 26 79, è forse più illuminante. A paragone di Mt 5 , 1 2 : « Cosi, infatti, essi hanno per­ seguitato i profeti che sono stati prima di voi (-roùc; 7tpÒ Uf:LWV) », la menzione dei « loro padri » costituisce una precisazione secondaria 80 : la sua inserzione per­ mette a Luca di rendere la frase più chiara, in quanto le conferisce un soggetto ; nel medesimo tempo essa richiama una espressione particolarmente cara al no­ stro evangelista, poiché, mentre Marco non parla mai di « padri » per indicare gli antenati giudei e, mentre Matteo adopera solo 2 volte questo termine,

Cf TH. Z4HN, Dos Ev. des Lukas, 5 90. '" Cf H. ScHtiRMANN, BZ 1 966, 74-76 Trod. Unters., 303-305 ; Lukasevangelium, I, 3 3 6-3 3 8 . •• Nel v 26 questi termini sono omessi d a P•• B 700 sy'. L'omissione si spiega abbastanza bene con la difficoltà procu­ rata dalla menzione dei « loro padri », mentre prima si parlava di « rutti gli uomini ». Contro B. WEISS, Die Evongelien des Mk und Lk, 3 72., nota. •• Cf vol. l, 464-468. n

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noi lo troviamo 6 volte nel terzo vangelo e z I volte negli Atti 81• Nell'ultima beatitudine l'espressione « i loro pa­ dri >> suppone che i discepoli saranno maltrattati dai figli di coloro che hanno perseguitato i profeti, vale a dire dai giudei increduli. Tale supposizione si ac­ corda perfettamente con quel che ci viene detto a pro­ posito della natura di tali maltrattamenti. L'ultimo vae rigu11rda delle persone, a cui i medesimi giudei rivolgonp delle parole piene di adulazione : dal mo­ mento che Luca pone tali persone al di fuori della comunità cristiana rappresentata dall'uditorio di Gesù, non è normale pensare che si tratti anche qui di giudei increduli, onorati dai loro simili ? Sembra chiaro che, parlando dei « loro padri », Luca si colloca nel con"' Cf D. R. A. RARE, The Theme of ]ewish Permutions of Chrislians in the Gospel according to SI Mallhew (Soc. for NT Studies, Monograph Series, 6), Cambridge, 1 967, 1 1 6, n. 3, e 1 20s. Non condividiamo l'opinione di H.-]. DEGENHARDT, Luleas - Evangelist der Armen, � 2 : questo autore pensa che Ttot't'ÉpEç nel senso di « antenati » non compaia mai in Luca nelle composizioni proprie dell'evangelista. Se facciamo astrazione dai cantici del preambolo (1 . � � . 7 2 ; Degenhardt aggiunge erronea­ mente 1 , 1 7), l'attività redazionale di Luca compare non solo in 6,2.3.2.6 (diversamente da Mt � . z), ma anche in 1 1 ,47-48. È vero che l'espressione « i vostri padri >> (o > (Le I 8,2.2. ; cf Mc I0,2. I ; Mt I 9,2.1). Il vangelo loda il pubblicano ricco di Gerico, che ha deciso di « donare ai poveri la metà dei suoi beni » (Le I9, 1 8), e Gesù raccomanda al fariseo che lo ospita di invitare alla propria tavola non i vicini ricchi, bensì i poveri e gli infermi, che non possono ricambiare la sua gentilezza : la ricom­ pensa gli sarà resa nel mondo futuro ( I 4, 1 2.-I4). La parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro de­ scrive eloquentemente l'estrema miseria di quel « po­ vero », che sarebbe stato ben felice di potersi saziare con quel che cadeva dalla tavola del ricco (x 6,2.o.2.2.). Il caso della « povera » vedova, che mette due spiccioli nel tesoro del Tempio, è un po' diverso. Mentre Marco la chiama semplicemente rçTW)(� ( 12. , 42. .43) in opposizione ai « ricchi », che vi gettavano molto denaro, Luca conserva questo termine nelle parole di Gesù (2.1,3 ) , ma la qualifica di rçe;v�x.poc nella • Il termine ricorre � volte in Mt e � volte in Mc ; Le l'a­ dopera r o volte nel vangelo, mai . negli Atti. Delle r o volte in cui Le lo adopera, 4 hanno un corrispondente in una tradizione parallela (6, 2o ; 7,22 ; r 8 ,zz ; 2 1 ,3) ,mentre 6 sono proprie di questo vangelo (4, 1 8 ; 14,1 3 . 2 1 ; 1 6,zo.zz ; 19,8). Ritroviamo =wx6ç 4 volte iD. Gv ( 1 2 , � .6.8 ; 1 3,29 : sempre applicato a co­ loro cui si fa l'elemosina), 4 volte in Paolo (in Rm I l ,26 e Gal 2,10 per indicare gli indigenti che bisogna soccorrere ; in base a questo senso anche 2 Cor 6, ro acquista tutto il proprio significato), 4 volte in Gc (2,z-6) e 2 volte nell'A p. Cf vol. I, � 24-5 29, nonché il nostro studio Les pauvres et la pauvreté dans In évangiles et /es Actes, in A. GEORGE-J. DuPONT ecc., La Pau­ vreté évangelique (Lire la Bible 27), Parigi, 1971, 37-63 (38-40 e 4�-� 3).

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introduzione che la presenta (z r ,z) : a differenza degli 7t'twxot, questa 7te:VLX,pli dispone di quel che è indispen­ sabile alla propria sussistenza e non attende soccorso da altri. Luca è sensibile alle sfumature del greco. In At 4,34, descrivendo la prima comunità cristiana, precisa che « tra di loro non vi era alcun èv8e:�ç » : nessuno si trovava « nel bisogno », in una situazione in cui manca l'indispensabile 5• Il termine non cambia di significato, quando Le 4,1 8- 1 9 cita l'oracolo di Is 6 r , r -z, in cui Gesù ri­ conosce la propria missione : « Annunciare la buona novella ai poveri, la liberazione ai prigionieri, il ricu­ pero della vista ai ciechi. .. ». I « poveri », associati ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi, sono chiamati così in quanto sono degli infelici privi del necessario. La risposta data da Gesù agli inviati di Giovanni Bat­ tista allude al medesimo oracolo di Isaia e include an­ che i « poveri » in una enumerazione di gente sfortu­ nata : « I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i leb­ brosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono e la buona novella è annunziata ai poveri >> (Le 7,zz ; Mt 1 1 .4- 5 ). Questa affinità si constata anche tra co­ loro che nella parabola del grande banchetto sono detti beneficiari del convito nel regno di Dio (Le 14, 1 5 ) : « I poveri, gli infermi, i ciechi e gli storpi >> (v Z I ) . Nel contesto del vocabolario di Luca, i « poveri >> a cui si indirizza la prima beatitudine (6,zo) non pos­ sono essere che degli indigenti, degli uomini che man­ cano del necessario. È a motivo della loro miseria ch'essi possono essere associati agli affamati, a coloro � Ricordiamo che l'espressione di At 4,34 fa eco alla racco­ mandazione di Dt I � ,4, probabilmente intesa nel senso di una promessa riguardante la fine dei tempi. Cf i nostri Etudes mr lts Actes des Apotres, �o9s. (vers. it., Roma, I 97I) ; L'union 1ntre /es premiers chrétiens dans /es Actes des Apotres, NRT 9 I ( I 969) 897-9I 5 (903) ; Les pauvres el la pauvreté, 44·

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che piangono, alle vittime dell'odio (vv z I-zz). Il medesimo significato risulta anche dalla antitesi che li oppone ai ricchi nel v 2.4. z. I « ricchi » (1tÀoucnot) 6• Le z I, I concorda con Mc I Z,4I nell'opporre i doni dei ricchi alle due mo­ netine della povera vedova, però omette di dire che quei ricchi donavano molto : si tratta di una reticenza significativa ! 7 Così pure è al seguito di Mc 1 0,2. 5 ch'egli riporta la dura sentenza di Gesù : « È più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli » (Le I 8, z 5 ) Le altre nove utilizzazioni di questo termine sono proprie del terzo vangelo. La dichiarazione di Le I 8,2. 5 è stata collegata al­ l'episodio dell'uomo che Gesù aveva invitato a distri­ buire tutti i suoi beni ai poveri e a seguirlo. Quell'uo­ mo si era tirato indietro di fronte al sacrificio, « per­ ché aveva molti beni >>, spiegano Mc 1 0, zz e Mt 19, 2.2. ; Luca precisa : « Perché era molto ricco » (I 8,z3). Il caso si oppone a quello di Zaccheo, « capo dei pub­ blicani e ricco » ( I 9,z) ; lui non ha esitato a donare ai poveri la metà della propria fortuna. Abbiamo già menzionato la raccomandazione di Gesù, che dice di invitare alla propria tavola non « i vicini ricchi » che ricambiano l'invito, bensl i po­ veri e gli infermi che non hanno di che contraccam.

8 Il termine viene usato 3 volte da Mt, 2 volte da Mc, I I volte da Le nel vangelo e mai negli Atti ; bisogna aggiungere nÀoù-roç, 1 volta in ciascun Sinottico, e nÀu-ré"', 2 volte in Le. No­ tiamo che delle I I volte, in cui 1'1:ÀOVO"Loç viene adoperato nel terzo vangelo, solo due hanno un parallelo (Le I 8,25 Mc 10,25 ; Le 2 I , I Mc 1 2,41). L'impiego in I 8,23 è frutto di un ritocco redazionale ; le altre 8 volte esso si presenta in materiali che non troviamo altrove (Le 6,24; 1 2, I 6 ; 14, 1 2 ; I6,1 . 1 9 . 2 I .22 ; I9,2). Su questo vocabolario cf F. HAUCK-W. KASCH, art. 1'1:Àoù-roç, TWNT VI ( I 9 l 9) p6-33o (Le : p 6). 7 Ritorneremo su questo passo a p. 8 5-86. =

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hiare (t4,1 2.- I 4). Il contrasto tra i ricchi e i poveri rag­ giunge l'apice nella parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro : l'estrema miseria del povero mette in risalto la vita insolentemente fastosa del ricco (16, 1 9 . z. 22). Si confrontino anche i progetti miopi del­ l'« uomo ricco », le cui terre avevano fruttato molto ( r z, 1 6). In opposizione ai poveri, che mancano del necessario, i « ricchi » sono coloro a cui non manca niente e che possono godere a piene mani delle gioie della vita. Il sostantivo 7tÀou't'oc;, « ricchezza », ricorre solo una volta nella spiegazione della parabola del semina­ toce. Il grano caduto tra le spine, che lo soffocano e gli impediscono di portare frutto, rappresenta gli uditori in cui la parola di Dio è soffocata dalle « sol­ lecitudini del mondo, dalle seduzioni delle ricchezze e dalle cupidigie di ogni altro genere >> (Mc 4, 19), dalle > (Mt 1 3 ,22), dalle > (Le 8 , 1 4). Parlando sem­ plicemente delle >, il testo di Luca è più duro 8• Sostituendo le > di Marco, che si possono riscontrare anche tra i poveri, con i >, egli sembra voler precisare un peri­ colo a cui i ricchi sono più specificamente esposti 9• Notiamo infine che Luca adopera due volte il verbo 7tÀU't'tw. La parabola del ricco insensato si con­ clude con questa riflessione : « Cosl avverrà pure di

8

Cf J. DuPONT, La parabole du Semeur dans la version de

Lu&, in Apophoreta. Feslrchrijl fiir E. Haençhen (BZNW 30), Berlino, I 964, 97- I o8 ( 1 0 5 ) . Può anche darsi che il termine

lin:ttTl) abbia creato difficoltà a Luca : H. J. CADBURY, The Maleing of Lulee-Aas, New York, I927 Londra, I 95 8, 1 79· • Così L. E. KECK, The Poor among the Sainls in the New Testamenl, ZNW 5 6 ( I 965) I OO- I 29 (Io9, n. 34). =

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colui che accumula tesori per se stesso, ma non si cura di arricchire davanti a Dio » ( u , z I) 10. Questa conclusione riassume e anticipa quella che Luca for­ mula nella finale della sezione ( 1 2 , 3 3-34) 1 1 ; essa in­ troduce l'idea di ricchezza là dove era questione di « tesori >>. L'affinità è evidente : il ricco è precisamente 10

L'omissione di questo v 2 1 in D e· in due manoscnttr della vetus latina non mette seriamente in dubbio la sua auten­ ticità. L'espressione dç EIEòv 7t"Àou-r&v è difficile e si presta a pa­ recchi spiegazioni differenti. Essa sta in antitesi a 6 Ell)aClup(�wv 11Ò-r&, « colui che tesaurizza per se stesso >>. Possiamo dunque supporre che i due verbi abbiano grosso modo lo stesso signi­ ficato : « accumulare delle ricchezze >> (cf A. JuucHER, Die Glei&hnisreden jem, II, z ed., Tubinga, 1 9 1 0, 6 r 4 ; J. )EREMIAS, Die Gleichnisse ]uu, 105, n. 4 ; H.-J. DEGENHARDT, Lu/eos Evongelisl der Armen, 79, n. 5 2). E facile capire il cambiamento di costruzione : all'idea di accumulare delle ricchezze a proprio vantaggio, Luca non intende opporre l'idea di accumularle a profitto di Dio (cf A. PLUMMER, Critica/ and Exegeli&ol Com­ menlory on lhe Gospel occording lo S. Lu/ee. Inter. Crit. Comm., 5 ed., Edimburgo, 1 922 = 1 9 5 6, 325). Il pensiero non è indub­ biamente molto diverso da quello che nel v 3 3 fa parlare di un « tesoro indefettibile nei cieli >>. La preposizione dç avrebbe dunque un senso locale, poco diverso da quello che abbiamo con l:v seguito dal dativo. Cf S. ANTONIAD1S, L'Evongile de Luc. Esquisse de grommoire el de style (Coli. de l'Institut Néo­ hellénique 7), Parigi, 19 30, 2 1 6s. ; J. ]EREM1AS, o. c. ; DEGEN­ HARDT, 79, n. H· 11 W. PESCH, Zur Exegue von Mt 6,19-21 unti Lk 12,JJ-J4, Bib 41 (1 96o) 3 5 6-378 (373) ha dimostrato bene che Le u,1 3-34 costituisce una unica sezione divisa in due parti, le cui conclu­ sioni ricorrono nel v 2 1 e nei vv ·n-34· Gli esegeti sono pres­ soché unanimi nel riconoscere che il v 2 r costituisce una appli­ cazione provvisoria della parabola del ricco stolto (vv r 6-2o) : la lezione ch'essa intende trarre non trova la sua giustificazione nel racconto. Generalmente si ammette che questo v 2 1 è stato collocato qui dall'evangelista, sia nel caso che l'abbia composto lui stesso, sia che abbia utilizzato un logion trovato altrove. Tut­ tavia H. Schiirmann pensa che il versetto, almeno nella sua prima parte, fosse già collegato alla parabola nella fonte utilizzata da Luca : articoli in NTS 1 9 5 9-1 960 (p. 203) e in BZ 1963 (p. 241s), riprodotti in Troditionsgeschi&htliche Unlersuchungen, 109s. e 232. Non ci pare molto utile discutere dettagliatamente le

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colui che dispone di un « tesoro >> e che si crede cosl al riparo dal bisogno. L'altro passo in cui utilizza questo verbo ricorre nel Magnificai. Maria esalta il Signore, che « ha saziato di beni gli affamati e riman­ dato a mani vuote i ricchi >> (1,5 3). Qui i ricchi ven­ gono opposti non ai poveri, ma agli affamati : i ricchi, a motivo dei beni che possiedono, si credono al riallusioni a Le u, q-2 1 , che l'autore pretende di scoprire in Mt 6,25-�4 (non ci sembra che il ricco della parabola abbia cer­ cato di prolungare la propria vita, e quando egli si propone di « mangiare », il verbo non ha esattamente lo stesso senso che ha quando i discepoli si domandano che cosa (( mangeranno ») né le ragioni per cui cerca di giustificare l'omissione della pa­ rabola in Matteo. Per quel che concerne il v 2 1 a egli ci propone un argomento più preciso : il verbo 6l)>, vale a dire di quella gioia che un banchetto procura a quanti vi •• « Saziarsi >>, esattamente come in I6, z i , è la lezione più fortemente attestata e preferita dal Greele New Testament, zz 7 (cf B. M. METZGER, A TextUA! Commentary, I 64), contro la lezione concorrente di « riempirsi il ventre ». •• Il nutrimento riguarda l'« anima », così come il vestito riguarda il « corpo ». E chiaro che il termine « anima », ado­ perato per indicare il principio della vita fisica, ha un senso di­ verso da quello che ci è familiare. Cf G. DAUTZENBERG, Sein Leben bewahren. 'Yux-IJ in den Herrenworten der Evange/ien (SANT X IV), Monaco, I 966, 83-97.

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partecipano. Es 3 2,6 ricorda che, dopo aver fatto un sacrificio al vitello d'oro, « il popolo si sedette a mangiare e a bere ; e infine si alzò per divertirsi » ; Luca riassume la cosa a suo modo : « Offrirono sa­ crifici a un idolo e si rallegrarono dell'opera delle proprie mani » (At 7,41). Questo « rallegramento » (e:ùcppa.(vofLot�) è naturalmente quello di un banchetto. Ritorniamo ai ricchi. A proposito di Giovanni Battista, Gesù domanda alla gente perché è andata nel deserto : forse per vedere un uomo vestito di abiti morbidi ? Evidentemente no, poiché « quelli che por­ tano morbide vesti stanno nei palazzi dei re (Mt I 1 ,8). Luca precisa : « Quelli che sono vestiti >> di splen­ dide vesti e vivono in mezzo alle delizie stanno nei palazzi dei re » (7, 2 � ) . Modificazione tanto più sor­ prendente, in quanto il nostro evangelista non aveva detto niente a proposito del vestito singolare indossato da Giovanni, così come non aveva detto niente del fatto ch'egli si nutriva 'di locuste e di miele selvatico (Mt 3.4; Mc 1 ,6). I suoi ritocchi acquistano tutto il loro significato, quando vengono messi a confronto con la descrizione contenuta nei racconti paralleli. Alla evocazione indiretta del vestito di Giovanni, Luca ha voluto aggiungere un accenno al suo nutri­ mento, apponendovi le « delizie » (-rpucp�) di coloro che vivono nei palazzi dei re. Egli sembra supporre così che quel termine indurrà a pensare anzitutto ai pia­ ceri della tavola 21• ., R. C. TRENCH, Synonymes Ju Nouveau Teslamenl, Bru­ xelles-Parigi, 1 869, 22.6, conclude il suo studio su -rpucpliw e i suoi sinonimi, osservando che -rpucpciw può essere applicato al­ l'uomo ricco, che si tratta splendidamente tutti i giorni (Le I 6, 1 9). Il sostantivo -rpucp� ritorna un'altra volta nel NT in z. Pt z., 1 3, dove si accompagna a tv"rpucpciw e a cruv,;uw;x:éofL O:�, «fare insieme buon viso » : « Essi ritengono come piacere le delizie in (pieno) giorno : corrotti e immondi, si deliziano nell'ingannarvi facendovi buon viso ». Associazione analoga in Gc 5,5, unico passo del NT in cui ricorre-rpucpliw ; Giacomo dice ai ricchi :«Voi siete vissuti sopra la terra in mezzo ai piaceri e alle delizie e

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Abbiamo già notato il modo in cui Luca parla del grano caduto tra le spine nella spiegazione della parabola del seminatore : « Sono coloro che hanno ascoltato, ma poi, a poco a poco, si lasciano sopraf­ fare dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita » (8, 1 4). Alle « seduzioni delle ricchezze » (Mc 4, 1 9) egli sostituisce « le ricchezze », alle « cupi­ digie di ogni altro genere » ( èm6u!J.(o:L ), i « piaceri della vita (�8ovo:t -roù f3Lou)», quei piaceri procurati dalla ricchezza 28• Non sembra cosa temeraria avvicinare l'avvertimento implicito in questo testo a quello con cui Luca chiude il discorso escatologico : « Perciò attendete a voi stessi, affinché i vostri cuori non siano aggravati dalla crapula 29, dall'ubriachezza e dalle avete saziato i vostri cuori nel giorno del massacro ». L'imma­ gine dell'ingrassamento si accor d a meglio con quella evocata dal verbo -rp liw che non con quella evocata da mcat-r (z,q ) . La redazione è cosl malde­ stra, che viene da domandarsi se il pasto ha luogo nella casa di Levi o in quella di Gesù 34• Luca non si ac­ contenta di correggere lo stile : « Poi Levi fece un grande convito in casa sua. Vi presero parte con essi numerosi pubblicani e altre persone » (5 ,2.9). Il pasto familiare è diventato un grande banchetto - letteral­ mente un grande « ricevimento », 8ox.i), termine che 11

Cf J. DELOBEL, ari. cii., 467-469.

11 A proposito del carattere redazionale di

cf H.-J. DEGENHARDT, Luleas "' Cf vol. I, 8 5 5s.

-

Le 1 1 ,3 7-39

Evangelist Jn Armen, H·

78

I DESTINATARI

solo Luca adopera nel Nuovo Testamento : egli lo ripete in I 4, I ; a proposito di coloro che bisogna invitare, quando uno dà un « ricevimento ». Il seguito del racconto parlerà ancora della commensalità di Gesù con i pubblicani e con i peccatori in 7,34 ( Mt 1 1 , 1 9) e in q , I - 2. (avvertenza redazionale) 35• Potrem­ mo ricordare anche il modo in cui Gesù ha voluto pren­ dere alloggio presso il pubblicano Zaccheo (19,1-Io). TI racconto dell'ultima cena consumata da Gesù con i discepoli è molto più sviluppato in Luca ( u , 1 4-; 8) che nei testi paralleli (Mc I4, 1 7-2.5 ; Mt z6, 2.9- ; o). Esso viene introdotto da una dichiarazione di Gesù : « Ho ardentemente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire, poiché vi dico che non la mangerò più, finché non sia compiuta nel regno di Dio » (zz, 1 5 - 1 6). Vi si trova un insegna­ mento sulla vera grandezza : « Chi è più grande, chi siede a mensa o colui che serve ? Non è forse colui che siede a mensa ? Eppure io sono in mezzo a voi come uno che serve » (v 2.7). Vi rileviamo anche questa promessa, sempre ben adattata alla situazione in cui è collocata : « Ed io preparo per voi un regno, come il Padre mio ha preparato un regno per me, affinché voi mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno >> (vv 2.9-;o). Questi discorsi, che costellano il racconto dell'ultima cena, sono specifici di Luca. Non ci soffermiamo sull'episodio di Marta e di Maria, che si limita a parlare dei preparativi del pasto ( I o, ; 8-4z), e preferiamo ricordare quello dei pelle­ grini di Emmaus, in cui, quando tutti si sono seduti a tavola, Gesù si fa riconoscere spezzando il pane (z4, ; o-; 1 . ; 5 ). Nom.mo in questo episodio la maniera esemplare in cui i pellegrini « costringono » il viag­ giatore sconosciuto ad accettare la loro ospitalità =

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(14,19) : segno di una considerevole cortesia, che Luca menziona volentieri. A Filippi, Lidia non ha agito in maniera diversa nei riguardi di Paolo e dei suoi compagni (At 1 6, 1 5), e il padrone della parabola vuole che i suoi servitori si comportino nello stesso modo con gli sventurati ch'egli intende beneficare (Le 14,13). E tale sembra essere anche il senso di Le 1 6, 1 6 : « Da allora viene annunziato il regno di Dio e ognuno è costretto ad entrarvi )) 3&. Non possiamo parlare di un pasto del Risuscitato a Emmaus, poiché egli scompare nel momento in cui stanno per cominciare a mangiare. Luca si spinge un passo più avanti in 14.41-43, dove mostra Gesù che mangia un pezzo di pesce arrostito davanti ai suoi discepoli. È probabile che in At 1 .4 ; nel secondo : « Ognuno usa violenza per entrarvi ». Questa seconda interpretazione ri­ mane quella preferita dalla maggioranza degli esegeti. L'inter­ pretazione passiva porterebbe a questo significato : « Ognuno sarebbe costretto (violentemente) a entrarvi ». Benché si rico­ nosca che essa si accorda bene con il punto di vista di Luca, come è espresso particolarmente in Le r4,z3, si obietta che un simile impiego del verbo non è attestato in greco (G. ScHRENK, TWNT I [ 1 9 3 3] 6 u ). L'interpretazione ha tuttavia avuto i suoi sostenitori (H. ]. Holtzmann, A. Harnack, J. Wellhausen, H. Conzelmann, E. Kasemann) ed è stata recentemente difesa in maniera convincente da Ph.-H. M ENOUD, Le sens du verbe �L&­ I:ETa:L in Le r6, r 6, in Mélanges Bibliques... B. Rigaux, Gembloux, 1970, zo7-z r z ; cf anche P. HoFFMANN, Studien zur Theo/ogie der Logienque/le, p. È probabilmente per distrazione che H. SCHÙRMANN opta per la forma media, pur interpretando il verbo nel senso di 14, z 3 : BZ 1 960, z47, n. 4z Tradii. Unters., 1 3 3, n. 4z. =

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luda a un pasto consumato da Gesù con i discepoli 37. In ogni caso il suo pensiero non lascia posto ad alcuna ambiguità nella dichiarazione che mette in bocca a Pietro in At 1 0,41 : Gesù, risuscitato il terzo giorno, si è manifestato « a noi, che abbiamo mangiato e be­ vuto con lui, dopo che fu risuscitato dai morti ». Luca è il solo a menzionare dei pasti consumati dal Risuscitato con i suoi Apostoli. È in lui che troviamo queste raccomandazioni fatte da Gesù ai discepoli inviati in missione : « Dimo­ rate in quella casa, mangiando e bevendo quel che vi sarà servito... Non passate di casa in casa. Se entrate in una città e siete ben accolti, mangiate ciò che vi sarà presentato » (Le I o, 7-8) 38. Sempre in lui troviamo 1 7 Su questo participio, cf una buona esposizione dello stato della questione nel uxicon di w. BAUER-W. F. ARNDT-F.W. GINGIUCH, 19n, 791 ; cf anche l'esposizione di K. LAKE­ H. J. C.mBURY, nel vol. IV di F. ]. FoAKES ]ACKSON-K. LAKE, The BeJ!.innings of Chrislianity, Londra, 1 9 3 3 , 4-6. L'interpreta­ zione da noi condivisa è quella che è stata segnatamente difesa da TH. ZAHN, Die Apostelgeschichte du Lucas, I (Kommentar zum NT, V /r), Lipsia, 1 9 1 9, z3-z7 ; P. BENOIT, L'Ascension, RB � 6 (1 949) 16 1-zo3 (191, n. 3) Exégèse el Théologie, I, Pa­ rigi, 1 96 1 , 363-4I I (398, n. 1) ; nei commenti di E. HAENCHEN, s ed., 1 96s, I Io e di G. STAEHLIN, 196z, I �s. ; da A. B. ou TOIT, Der Aspd:t d�r Freude im urchristlichm Abendmahl, 196s, I I 9 e I Z I , n. 8 3 . M.WILCOX cerca di basarla sulla ipotesi di uno sfondo semitico : The Semitisms of Acts, Oxford, 1 96 s , to6-1o 9 ; le sue spiegazioni hanno convinto E. RAs co, Aclus Apostolo­ rum. Introductio el exempla exegetica, Pont. Univ. Greg., I, Roma, 1 967, 96. •• Per quanto riguarda questi due versetti, è sufficiente ricordare lo studio recente di P. HoFFMANN, Llr: ro,J-11 in dtr Instrulr:tionsrede de,-ùgienque//e, 1 97 1 , già menzionato a propo­ sito del rcÀ�v di Le 1o, u . L'invito a rimanere nella medesima casa, posto all'inizio del v 7, ricorre nella tradizione parallela di Mc 6, 1 0 Le 9,4 (cf Mt I O, I I ) ; Luca lo desume indubbia­ mente dalla sua fonte. Invece la finale del versetto : « Non pas­ sate di casa in casa 11 non compare altrove e costituisce un sovrappiù ; ci si può domandare se l'insistenza, che essa testi­ monia, non vada ascritta a Luca. Sempre nel v 7, la raccomanda=

=

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questa immagine sorprendente : « Beati quei servi che il padrone, al suo ritorno, troverà vigilanti ! Io vi dico, in verità, che egli si cingerà, li farà sedere a tavola e si presenterà per servirli >> ( 1 2, 3 7) 39• Compren­ diamo più facilmente la condotta del padrone de­ scritta in 1 7,7-8 : « Chi di voi, avendo un servitore ad arare o a pascolare il gregge, quando è di ritorno gli dice : "Vieni subito a metterti a tavola" ? Non gli dirà piuttosto : "Preparami da desinare e sii pronto a servirmi, finché io abbia mangiato e bevuto, poi anche tu mangerai e berrai" ? >> Luca conosce troppo bene la condizione umana per scrivere che Giovanni « non mangia e non beve >> (Mt 1 1 , 1 8) ; perciò, con maggior precisione, preferisce dire : Giovanni « non mangiava pane e non beveva vino >> (Le 7, 3 3) 40• Così pure è lui che osserva : « Nessuno che beve vino vecchio vuozione di « mangiare e di bere quello che vi sarà servito » non si trova nei testi paralleli ; può però darsi che Mt IO, IO ne abbia tenuto conto, quando precisa: > (Le zo,46-47). Luca riprende qui un .testo di Marco (1 z,3 8-4o) 49• Come Marco (1 2.,41-44), anche egli lo accosta all'episodio della povera vedova (Le

.. Cf per es. Is 3,14- 1 5 ; j , 8 ; Ger 5 , 26-28 ; Ez 22, 24-2.9 ; Am 4, 1-3 ; s .7- 1 z ; 6,1-14 ; 8,4-14; Mie 2,1-1 1 ; 3,1-4 ; Gb 3 1 ,z4 ; Sal 49,7-8 ; Ecli 1 1 , 16-1 9 ; 40, 1 3 ; Enoc 94,6-9; 97,7-1 0 ; 99, 1 3 ; Gc s , 1-6 e i commenti a quest'ultimo passo : F. MusSNER, Der Jakobusbrief (H TKNT XIII /I), Friburgo i. Br., 1 964, 193-199 ; J. CoRBON, Lt sori des riches à l'avènemenl du fuste (]c f,I-6), in Vingl-sixième dimanche ordinaire (AssS• 5 7), Parigi, 1971, 48-s z. Cf anche O. KNOCH, Riche.r el pauvres dans I'Eglise (]c 2,1-J), in Vingl-lroisième dimanche orilinaire (AssS' 5 4), Pa­ rigi, 1972., z8-p. •• Un buono studio di questo passo : P. TERNANT, La di­ JIOiion contrefaile el /'authentique générosité (Mc I2,J8-u), in Tr�nl�­ deuxième dimanche ordinaire (AssS• 63), Parigi, 1971, 5 3-6 3. Tra le varie sfumature che può rivestire l'accusa di « divorare le case delle vedove >> (cf ivi, 5 9), noi preferiamo quella che si riallaccia alla funzione di giudici esercitata dagli scribi : essi ne abusano per arricchirsi a spese dei deboli. Cf specialmente ls 1 0,2 ; A.rs. Mo.r., 7,5-8 ; Salmi di Salomone, 4, 1 1 - 1 3 . Ricordiamo ancora l'articolo che J. D. M. DERRET ha dedicato al termine Tpoq�&:a&L, ricorrente in questo versetto, e che termina nella se­ suente parafrasi : (( ...coloro che "divorano" i beni delle ve­ d ove, e, con questo scopo in mente, si dedicano a lunghe pre­ Shiere » ( « Eating up the Houses of Widows >> : Je.rus's Commenl 1111 Law yers ? NT 14 [ 1972.] 1-9 [8]).

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I DESTINATARI

z i , I -4). Ma tale accostamento va di pari passo con dei ritocchi, che forse hanno un qualche significato per la nostra questione. In Marco l'accostamento della critica agli scribi e dell'esempio della povera vedova non è sicuramente fortuito. Ciononostante però le due pericopi riman­ gono nettamente distinte ; esse sono separate da un cambiamento di scena (12.,4 I ) e da un cambiamento di uditorio : la folla numerosa (v 37b), i discepoli (v 4 3 ) . In Luca non c'è più alcun cambiamento, né di scena, né di uditorio : Gesù parla ai discepoli in presenza di tutto il popolo ( zo,4 5 ) e non si muove dal luogo in cui si trova ( 2 1 , 1 ) Il concatenamento delle pericopi è perciò molto più stretto 50 e l'antitesi che oppone la povera vedova agli scribi, « che divorano le case delle vedove », si fa più dura. Nel racconto di Marco vediamo passare davanti al tesoro dapprima la folla, che vi getta del denaro, poi i ricchi, che ve ne gettano molto, infine la vedova, che vi getta solo due spiccioli (12.,4I -42.). In Luca la folla scompare e rimangono solo i ricchi e la povera vedova. Il contrasto ne guadagna 51• Nel medesimo tempo però ci accorgiamo che Luca lo attenua, omettendo di dire che i ricchi vi gettavano « molto >> denaro (noÀÀ« : Mc 12.,4I). Perché non parla della consistenza dei doni offerti dai ricchi ? Se preferisce tacere la loro generosità, lo fa forse perché, nella sua presentazione, questi ric­ chi di z i , I sono collegati con gli scribi di zo,46-47, che « divorano le case delle vedove » ? Sembra che esista un rapporto tra i ricchi, che in z I , I -4 vengono opposti alla povera vedova, e gli scribi, che in zo, .

-

�·

•• Questo procedimento è frequente in Luca: W. GauND­ MANN, Das Evangelium nach Luluu, 377· J. ZMIJEWSKI sotto­ linea l'unità che 19,8-2 1 . 3 8 costituisce nel pensiero dell'evange­ lista : Die Eschatologiereden, 48- 5 0 ; cf anche 74· 61 Cf J. SCHMID, Das Evangelium nach Luleas, 301 .

. POVERI

B

AFFAMATI, RICCHI E SAZI

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46-4 7 ci vengono presentati come se si arricchissero con le loro esazioni 52• z.. Il contrasto tra il ricco notabile di Le I 8, I 8-2.7 e ricco Zaccheo, capo dei pubblicani di Gerico (I9,I­ Io), è innegabile : il primo illustra l'impossibilità, uma­ namente parlando, per un ricco di salvarsi (I8 ,z.41.7) ; il secondo mostra che « il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era perduto » (I9,Io). Non è però su questo contrasto che Luca at­ tira l'attenzione. Una serie di ritocchi minori gli per­ mette di dare alla sua redazione di I 8, 1 8-�o una fi­ sionomia particolare 53• In Marco l'episodio dell'uomo ricco termina con la dipartita dell'interessato (Io, 1 7-z.z.) ; allora ha inizio una istruzione destinata ai discepoli : pericolo della ricchezza (1o,2.�-z.7), promessa per coloro che avranno abbandonato i loro beni (Io, z.8-p). In Luca l'uomo ricco non abbandona la scena prima della istruzione sul pericolo della ricchezza ; Istruzione non più destinata ai discepoli, ma ancora il

•• H.-J. DEGENHARDT, Lukas - Evangelist der Armen, 93-97 ap lica a Le zo,45-2.I,4 la sua interpretazione molto particolare de termine f1.ct6l)Ti)c; in Luca : il testo raccomanda ai discepoli, in quanto sono incaricati di un ministero nella comunità, di non imitare certi scribi quanto al modo in cui questi adempiono il loro ufficio, e propone una povera vedova come esempio di donazione totale dJ sé. In questa esegesi vi è un punto giusto : ai è visto bene che 2.0,4 5-47 e z I , I -4 sono uniti da un rapporto autentico e stretto. 6 8 Cf H.-J. DEGENHARDT, Lukas - Evangelist tkr Armen, 136-I 5 9, e soprattutto S. LÉGASSE, L'appel du rich1 (Mare

r

ID, I7-JI et parallèlu) . Contribution à l'étude de fondemenls scriptu­ raires de l'étal religieux (Verbum salutis, Coli. annexe, I ), Parigi, 1966, 97-uo. Più sommariamente : L'appel du riche, in A. GEORGE-J. DUPONT, ecc., La paHVrelé évangélique (Lire la Bible, 2.7), Parigi, I97I, 65-9I {78-81). Noi citiamo il primo studio. Cf anche W. TRILLING, Christusverkiindigung in den synoplischen Evangelien. Beispiele gattungsgemiJsser Auslegung, Upsia, 1968,

IZ 3-I4S (u6-u8).

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I

DESTINATARI

a quest'uomo e ad altri uditori, minacciati dal mede­ simo pericolo (18, 24-27) 54 ; il testo passa a parlare ai discepoli solo con il caso di coloro che hanno ab­ bandonato i loro beni ( 1 8 , 2 8-3o). Questa presentazione tende a stabilire un contrasto tra il ricco che non ha avuto il coraggio di rinunciare ai suoi beni, e a cui sono associati degli uditori per i quali la ricchezza costituisce un problema, da un lato, e Pietro e tutti coloro che hanno abbandonato i loro beni per seguire Gesù, dall'altro. Forse la nuova divisione della pericope permette di dare un senso a un dettaglio enigmatico : Luca ha fatto dell'uomo ricco un !Xpx.wv, un « capo », un de­ tentore dell'autorità ( 1 8 , I B) 55• È forse come tale ch'egli diventa il rappresentante degli « uditori » anonimi (v z6) , spaventati dalle esigenze di Gesù, in contrap­ posizione a Pietro, portavoce dei discepoli (v zB) ? Il titolo è significativo. Al di fuori del caso di Giairo, « capo della sinagoga » (Mt 9,1B.z3 ; Le 8,41), Luca è il solo tra i Sinottici a parlare di un « capo dei fa­ risei )) (I 4, I ) e ad addossare agli &px.ovnc; giudei la •• Cf S. LÉGASSE, 98 e 103 ; W. TaiLLING, 1 27. •• S. Légasse, non riscontrando alcuna intenzione parti­ colare dell'evangelista in questo titolo, conclude ch'esso rimonta indubbiamente a un ricordo storico (p. 99s.). Più spesso si sup­ pone che la precisazione sia il risultato di una inferenza : un uomo molto ricco occupa naturalmente una posizione influente. Cf H. J. HoLTZMANN, Hand-Com,;tenlar, I, 397 ; A. LoiSY, Les évangiles syfiQptiques, II, Cellonds, 1 908, 208 ; L' Evangile selon Luc, 446 ; J. M. CaEED, The Gospel according lo St. Lul:e, 22� ; E. HAENCHEN, Der Weg ]esu. Bine Erl:liir1111g duMarl:us-Evange­ liums unti der l:aiòni:rçhen Para//elen (Sammlung Topelmann, Il, 6), Berlino, 1966, 35 rs. Questa spiegazione non spiega niente. Non seguiremo gli autori troppo ben informati sulla natura della autorità esercitata da questo ricco : Sinedrita? (No, ri­ sponde Knabenbauer : egli era troppo giovane l) Capo della sinagoga? E. E. ELLIS si accontenta di parlare di lui come di un churchman, un uomo di Chiesa : The Gospel of Luke (The Century Bible), Londra-Edimburgo, 1966, 2 1 7.

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responsabilità della passione del Signore (2 3 , I 3 56• 3 � ; 24,20 ; At 3 , 1 7 ; 1 3 ,27) e della persecuzione contro gli Apostoli (At 4,� .8) 57• La stessa maniera di espri11

Le 2 3 , 1 3 solleva una difficoltà particolare. Mentre nel racconto della passione Luca distingue accuratamente l'atteg­ giamento del « popolo », che è ben disposto, da quello dei capi, il testo corrente di questo versetto li unisce in una espressione un po' insolita : Pilato convoca « i grandi sacerdoti, i capi e il popolo ll. Ci si chiede perciò se non occorra leggere - con un certo numero di testimoni c conformemente alla espressione lucana (At 4,8 ; 2 3 , 5 ) - : « i grandi sacerdoti e i capi del popolo ll . Cf P. WINTER, On the Trio/ of Jesus (Studia Judaica, 1), Berlino,

1961, 201, n. 23 ; G. RAu, Das Volk in der /ukanischen Pauions­ gmhichle. Eine Konjeklur zu Lk 2J,IJ, ZNW 56 (1965) 41-p ; A. GEORGE lsrae/ dans /'oeuvre di Luc, RB 75 (1 968) 481-5 25 (5o3s). Punto di vista un po' diverso in J. KaDELL, che si in­ ,

teressa soprattutto al modo in cui Luca presenta la responsa­ bilità di Israele: Luke's use of Laos, " People ", especia/ly in the

Jerusalem Narrative ( Lç I9,28-2 4,JJ). CBQ 3 1 (1 969) 3 27-343 . ., Il termine &pxwv è adoperato 1 volta da Mc, j volte da Mt, 8 volte da Le nel vangelo e 1 1 volte negli Atti. Delle 8 volte che Luca lo adopera nel vangelo, 6 sono sue proprie. Il

termine viene usato per indicare il >. Cf D. Buzy, Les Paraboles (Verbum salutis, VI), 5 ed., Parigi, 19 3 2, 3 9 3 s. ; ] . BERTRAND, Lazarus en de Rijke vreH {Luças r6,I9-JI) , in 't H. Land 6 ( 1 9 5 3) 49-5 1 (5o). ; R. KocH, Die Wertung des Bssitzes im Lukasevangelium, Bib 3 8 (1957) x p - 1 69 (162) ; W. GRUNDMANN, Die Bergpredigt naçh der Lukasfassung, 1 84s. ; H. KAHLEFELD, Gleichnisse unti Lehrstìiçke im Evangelium, II, Francoforte, 1 963, 94 Paraboles el lefons dans i'Evangile, II (LD 5 6), Parigi, 1970, 76 ; C. F. EvANS, Un&omfortables Words, V. « lf they do noi bear Moses and the pro­ phets. .. » ( Lk r6,JI), ET 8 x (1969-1 970) 228-23 1 (229); A. GEORGE, La parabole du riçhe el Je Lazare, 87. Noi non ci rasse­ gniamo alla rinuncia, che ci consiglia P. Bonnard nella recen­ sione della prima edizione di quest'opera : > (RTP 1 9 5 4, 295). Il fatto che il senso della parabola nel pensiero di Luca crei difficoltà a qualcuno, dipende forse da motivi puramente esegetici? 1°

n

=

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I DESTINATARI

parabola corrisponde esattamente alle indicazioni dei due primi vae, ma più precisamente ancora i termini della prima maledizione trovano una eco amplificata nella dichiarazione che Abramo fa al ricco in 1 6,2 5 : « Figliuolo, ricorda che tu, durante la tua vita, hai ricevuto la tua parte di beni, e Lazzaro, a sua volta, la sua parte di mali ; ora egli è qui consolato, mentre tu sei tormentato ». L'intervento redazionale di Luca in questo versetto è considerevole : indipendentemente dalla introduzione d1te:v 8é: 62, vi troviamo l' invito a (( ricordare )) (f:L\I�0"61J·n o·n) 83, il neutro plurale (( i tuoi beni » ('rli &.yoc6oc aou) 8�, il termine �w� adoperato per indicare la vita presente 65, l'avverbio (( similmente »,

" Mai in Mc e in Mt, ' 9 volte in Le, I I volte negli At. Cf J. C. HAWKINS, Horae Synopticae, 1 7 e 39· J. Jeremias è d'accordo nel vedervi una caratteristica lucana : ZNW I 97I, 1 80.

•• fLLfLvf}aKofLa:L : Mt 3 volte, Mc o volte, Le 6 volte, At 2 volte (HAWKINS, zo). Si noti che nessuno dei passi in cui Luca lo adopera ba dei paralleli (Le I , , 4.7 Z ; I 6, 2 , ; 23,42; 24,6.8). La costruzione di I 6,2 5. fLvf}G6lJTL OTL, va accostata a quella di 24,6, fLvf}a6l)n wç : A. JOLICHBR, Die Gleichnisreden Juu, II, 627. Segnaliamo anche fLVlJfLOVeuw (Le q, p ; At zo, p . 3 , ) ; il suo im­ piego in Le 1 7, 3 2 sembra attribuibile all'evangelista : cf A.

S TROBBL, In diner Nachl (Lule I 7,!4). Zu einer iilteren Form der Erwarlung in Lle IJ,Z O-Jl, ZTK ' 8 (I961) 1 6-29 (I8) ; R., SCHNACKBNBURG, Der esehatologisehe Absehnitl Lle I J,ZO-Jl in Mélanges Bibliques ... B. Rigaux, Gembloux, I970, 2 I 3-234 (224,230) ; B. RIGAUX, La petite apoealypse de Le (XV/l, 22-37) , in Eeclesia a Spiritu Sane/o edoeta. Mélanges théo!ogiques... G. Phi­ lips (BETL XXVI!), Gembloux, I 970, 407-4 3 8 (424) ; J. ZMI­ JEWSKI, Die Esthatologiererhn, 4 78. •• La stessa espressione che ricorre in Le 12, I 8; cf I , B ; 1 2, I 9 ; I 8,27 (diversamente da Mc I0,27). •• �w� viene normalmente adoperato per parlare della vita eterna : Mt 7 volte, Mc 4 volte, Le 3 volte, At 6 volte. Nel van­ gelo viene usato per indicare la vita presente solo in Le 1 2, I ' , in un versetto redazionale. Cf G. DAUTZENBBRG, Sein Leben

bewahrm, 74, 8 3 , 88, 9 1 .

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> (6!Lo(wç) 66, nonché quello temporale ia necessario mantenere il verbo composto con l'insieme della tradizione manoscritta e con il Greek New Teslament (K. ALANO­ M. BLACK-B. M. METZGER-A. WIKGREN). Come il verbo &.1t&xw in Le 6,24, così &.7toÀotfL� (]. DELOBEL, ETL I 966, 434). Né vediamo come il fatto di isolare 6,34 e I �,2.7 permetta di risalire a una Sonder-

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l

DESTINATARI

dell'evangelista, quando nel primo vae incontriamo il vero corrispondente &1ttx_w, « avere ciò che spetta )), « essere in possesso della propria parte )) 69 : « Guai a voi, o ricchi, perché avete già ricevuto (&7téxe:n) la vostra consolazione )). Quest'ultimo termine, « con­ solazione >> (7tatpcixÀlJ 70 ; ne ritroviamo l'eco in Le 16,2.5 : Lazzaro « è consolato >> 71• In questo v 2. 5 la rassomiglianza generale della para­ bola con la sezione delle beatitudini diventa perciò molto precisa, al punto che questo versetto può es­ sere considerato come una parafrasi lucana della prima « maledizione >>. quelle. Tenuto conto dell'insieme degli usi del verbo, il suo ca­ rattere lucano viene riconosciuto anche da H. ScHiiRMANN, BZ 1966, 77, n. 74 Traditionsgeschichtliche Untersuchungen, 306, n. 74 ; Das Lulcasel!ange/ium, l, 340, n. I I I . •• In questo senso il verbo ricorre solo in Mt 6,2.. 5 . 1 6 : non bisogna concludere troppo facilmente che Luca dipende dal passo trasmesso da Matteo (cf vol. I, 2.37, n. 8o ; 3 84, n. 9 ; 439s. ; 449), tanto più che sarebbe difficile contestare la prefe­ renza che l'evangelista dimostra per il verbo affine �7tOÀct(.L� Wo Jand Mallhiiw das Logion Mt J,I9 ? ( BZ 4 [I 96o] 2.38-z.�o Traditionsgeschicht­ liche Untersuchungen, 1 26-1 36). L'autore crede di trovare in Le 1 6, 1 4- 1 8 una testimonianza a proposito della fonte utilizzata da Matteo in � , 1 7-2.0.3 2. ; i cinque versetti di Luca riprodurreb­ bero quindi una composizione anteriore alla redazione. In effetti il v 14 non viene chiamato in causa nel confronto con Mt ; Schiirmann però non intende separarlo dal v 1 � (che corrispon­ derebbe a Mt � .z.o). che non ha potuto essere trasmesso senza una introduzione. Egli non esclude evidentemente la presenza di ritocchi redazionali nel I 4· Però non presta alcuna attenzione al fatto che il rimprovero formulato nel v 14 non si accorda né con la critica espressa nel v 1 s , né con il tema della legge, a cui si rifanno i vv 16- I 8 . Noi non ci sogniamo di negare che la redazione di 16,14 abbia utilizzato un dato anteriore; ci basta constatare che, nel suo stato attuale, questo versetto non p er­ mette di risalire oltre: l'impronta di Luca segna troppo profon­ damente il testo e l'intervento dell'evangelista si spiega troppo naturalmente con la funzione assegnata qui a q uesto versetto, che è quella di assicurare una transizione dalla sezione 1 6, 1 - 1 3 alla parabola di I 6 , 1 9-3 I . =

I DESTINATARI

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prima di riportare una parabola 73 ; nel caso presente il v 14 serve sicuramente da transizione tra la sezione dedicata all'amministratore previdente (r6,r-r3) e quella dedicata all'uomo ricco. Dal punto di vista del vocabolario, l'aggettivo tpr.Àocpyupoc; è affine ai composti di tpLÀ-, per i quali Luca mostra una predilezione 74 ; l'impiego del participio Ù7tocpxov-rEc; caratterizza la sua maniera di scrivere 75 ; inoltre egli ha reintrodotto il verbo raro ÈX!J.UX't'Y)p(�w, « burlarsi », in Le z. 3 ,z � 78• Pertanto nel suo pensiero la parabola è indirizzata ai farisei 77, intende rispondere ai loro scherni, provo71

Cf I4,7·25 ; I 5 ,I-3 ; I 7 . 5 . I I . .ZO ; I8,I.9; I 9, 1 l . " Cf Le 22,24 ; At q, I B ; 27,3 ; 28,2.7. Aggiungere lo stesso termine qll>..o �;: Mt 1 volta, Mc mai, Le 15 volte, At 3 volte. Cf HAWKINS, 23 ; MORGENTHALER, I B I . 76 uTtcipx.w : 3 volte in M t, o volte in Mc, 1 5 volte in Le, 25 volte negli Atti. Cf HAWKINS e MoRGENTHALER, /. c. Nor­ malmente viene usato al participio (1 eccezione in Le, Io in At). " Differenziandosi cosl da Mc I S , 3 J ; Mt 27,41 . Il verbo non compare altrove nel NT, ma viene usato dal Sal 2 I ,8 LXX : Ttcivnç o! 6ewpoilmç fLE t/;;EfLUKTi)pLa.Xv fLE· Le 2 3, 3 5 distingue : dntanto il popolo stava là a guardare (6twpwv), mentre i capi (lip)(OV'L'eç) deridevano Gesù ». L'ipotesi di una allusione al salmo non fa che mettere ancor più in rilievo l'opposizione creata da Luca tra l'atteggiamento del popolo, che è ben disposto, e quello dei « capi », che si comportano sempre come avversari e sono responsabili della separazione prodotta in seguito tra la Sinagoga e la Chiesa. Cf J. GNILKA, Di1 .Verstockung lsraels, lp.

77 Questo punto viene messo bene in luce da J . ZMIJEWSKI, Die Eschatologiereden, H6s. - Basandosi su Le I6,I e 17,1 W. HARRINGTON afferma molto curiosamente che nel pensiero di Luca la parabola riguarda i discepoli : Il parlait en paraboles

(Lire la Bible, Io), Parigi, 1 967, 87. Non è però possibile igno­ rare l'indicazione del v 14. - Secondo H.-J. DEGENHARDT, Lukas - Evangeli!/ der Armen, I 3 5 , Luca penserebbe indubbia­ mente ai farisei avversari di Gesù, ma penserebbe contempora­ neamente anche agli avversari della Chiesa del suo tempo : con l'aiuto di una serie di tratti desunti da I6,14- 3 1 , l'autore tenta di delineare un quadro-robot di tali avversari : si tratte­ rebbe di libertini, forse gnostici. Tutto ciò ci sembra un po' fantasioso.

POVERI E AFFAMATI, RICCHI E SAZI

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cati dal modo in cui Gesù concepisce l'uso del denaro, e mira a far loro comprendere il pericolo a cui li espone la loro qnÀotpyup(ot. È l'immagine della loro con­ dotta che essi devono riconoscere in quella dell'uomo . riCCO.

La seconda parte della parabola acquista allora tutto il suo significato (1 6,27-3 1). Gesù si indirizza a interlocutori che conoscono « Mosè e i profeti >> (vv 29. 3 1) 78• Se li ascoltassero, saprebbero che cosa devono fare per evitare la terribile sorte riservata al ricco 79• Se non li ascoltano, non sarà la risurrezione di un morto che li convincerà 80• Sembra evidente che Luca scriva queste parole finali pensando alla resurre­ zione di Gesù, che ha avuto un effetto tanto scarso sui farisei e su Israele 81• Questa risurrezione può convincere solo coloro che ascoltano « Mosè e i pro­ feti ». Non solo quel che l'Antico Testamento dice dei doveri verso i poveri 82, ma anche la testimonianza 78 . Questa interpretazione stenta ad evitare che tale riso trionfante non abbia la risonanza di un riso sarcastico c vendicativo. Que­ sta sfumatura sembra molto estranea al testo. Si noti semplice­ mente il modo in cui" l'ultimo vae evita di prendcrsela contro i persecutori dell'ultima beatitudine.

I DESTINATARI

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stra miseria, piangete e mandate lamenti >> ('t"IXÀomtw­ pljaCtn KIXL 7t&v6ljaoc't"e: xCtt l> (v 41). Questo ver­ -;etto fa troppo evidentemente parte del complesso delle notizie redazionali, per mezzo delle quali Luca ha presentato la parte centrale del suo vangelo come una salita verso Gerusalemme 26, e il suo vocabolario porta

•• Cf per es. i commenti a Luca di E. KLOSTERMANN, 9 I , F. HAUCK, Ioo, H. ScHiiRMANN, 424, n . I I 5 , o ancora P . HoPF­ MANN, Studien zur Theologie der Logienquelle, I 97· Nel medesimo senso J. jEREMIAS, Die Gleiehnisse ]esu, zzs. (Les Paraboles tk jésus, 3 3) ; ma la medesima opera avanza l'ipotesi di due tra­ duzioni differenti del medesimo testo aramaico: p. I6o, n. I (omessa nella edizione francese). Cf anche ScHULZ, 379· • • Cf J. D ELOB EL ETL I 966, 430. •• Il n'en sera pas laiul pierre sur pierre (Mare IJ,2," Lue 19,u), Bib 5 2 ( I 97 I ) 301-320 (cf 3 1 0- 3 1 4). •• Le 9,5 1-5 3 ; 1 3,22. 3 3 ; 1 7 , 1 1 ; 1 9, I I .z8.41, per finire con l'entrata nel Tempio in 1 9.45 ; tener conto anche delle indica­ zioni più generiche (9, 5 6. 5 7 ; 1 0,1 . 3 8 ; I 3 ,2 1 ; 14,25 ; 1 9,36), di quelle che riguardano più precisamente le ultime tappe del viag­ gio (1 8,3 5 ; 19,1.29·37) e la dichiarazione di 1 8, 3 1 . Il carattere redazionale dell'insieme di queste indicazioni e della costruzione del viaggio verso Gerusalemme che ne risulta è stato riconosciuto già da molto tempo. Pensiamo soprattutto a K. L. ScHMIDT, ,

Der Rahmen der Geuhiehle ]esu. Literarltritiuhe Unlersuehungen zur iilteslen ]esusiiberlieferung, Berlino, 1 9 1 9 Darmstadt I 964, 246-27 1 ; cf anche le indicazioni fornite da A. GEORGE, Tra­ dilion el rédaclion chez Le. La conslruclion du lroisième évangi/e, ETL 43 (1 967) 1 00- 1 29 (1o9s.), ripreso in De Jésus aux Evangiles. Tradilion el Rédaclion dans /es Evangiles synopliques. Mélanges ]. Coppens, II (BETL XXV), Gembloux-Parigi, 1 967, 1 00- 129 (1o9s.). La necessità di estendere la sezione del viaggio fino a 19.44 ci sembra risultare dallo studio di A. DENAUX, Het lucaanse =

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troppo manifestamente l'impronta dell'evangelista 27. perché si possa esitare ad attribuirne a lui la redazione Ecco dunque un caso in cui Luca ha probabilmente adoperato di sua iniziativa il verbo XÀotlw. Il caso di Le 23,27-3 r non è molto diverso da quello di Le 1 9,41 -44. Anche per quanto riguarda questo passo, crediamo d'aver dimostrato l'esistenza di una fonte più antica sotto i vv 29-3 1 , nuovo an­ nuncio di una sventura per Gerusalemme 28• Vice­ versa la mano dell'evangelista è assai visibile nei vv 27-2 8 : « Lo seguiva una grande moltitudine 29 di po­ polo 30 e di donne che si battevano il petto e si lamen­ tavano su di lui. Voltosi verso di esse 31 Gesù disse: rtisverhaal (II), Col/. Brug. et Gandav. I 5 ( I969) 468-475 . Cf anche D. GILL, ObservaJions on the Lukan Travel Narrative and Some Related Pauages, HTR 6 3 (I 970) I 99-2.2.I (zoo, n. z). 27 Cf il nostro articolo in Bib I 97 I, 3 I I, n. I. Si noti so­ prattutto l'impiego di wç nel senso di (( quando )) (M t o, Mc I volta, Le I9 volte, At 2.9 volte), il verbo �yyl�w (M t 7 volte, Mc � volte, Le I 8 volte, At 6 volte), il sostantivo n6ÀLç (M t z6 volte, Mc 8 volte, Le 3 9 volte, At 42. volte) e il ricorso al participio l!wv per una miglior costruzione della frase (Cf Le 8 , 3 4 con Mc 5 , I 4 ; Le r 8 , I 5 .24 con Mc 10, I 3.23 ecc.). •• Bib I97I, 3 1 4-3 I9. • • nÀ'ij6oç : Mt o volte, Mc z volte, Le 8 volte, At r6 volte. Cf ]. C. HAWKINS, Horae Synoptitae, 2 1 . Notiamo che Marco adopera il termine due volte nel medesimo passo (3,7.8) ; Luca lo ha ripreso solo una volta (6, 1 7), di modo che le altre 7 volte in cui l'adopera nel terzo vangelo sono sue proprie. 80 À!r.6� : Mt I4 volte, Mc 2, Le 36, At 48 (HAWKINS, zo ; MoRGENTHALER, Statùtik, I 8 I). L'espressione nÀ'ij6o� TOÙ Àa:où, propria di Luca, ritorna in Le I , I o ; 6, 1 7 e At 21 ,36. 81 aTpa:cpdç : Mt 3 volte, Mc o, Le 7 volte (HAWKINS, 46). Da notare che i tro- casi in cui Matteo lo adopera sono propri del suo vangelo (Mt 7,6 ; 9,zz ; r6,23), così come i 7 casi in cui lo adopera Luca sono suoi particolari. L'intervento redazionale deli' evangelista si manifesta chiaramente nella notizia della in­ troduzione di Le 14,25 , in quella di I 0,23 (diversamente da Mt I6,r6), nel ritocco apportato in 9,7 (diversamente da Mt 8,ro ) . Cf anche 7,44 ; 9,5 5 ; z z ,6 r . Il complemento introdotto da np6ç si riallaccia a aTpa:cpe!ç piuttosto che a e:!ne:v in Le 23,28 e

COLORO CHE PIANGONO E COLORO CHE RIDONO

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Figlie di Gerusalemme 32, non piangete su di me, ma piangete piuttosto 33 su voi stesse e sui vostri figli >>. R iconosciamo qui la costruzione xì.odw bd, « pian­ �cre su >>, adoperata già in 19,41 e che non ricompare altrove nei vangeli. Contemporaneamente ritroviamo l'imperativo negativo « Non piangete », già riscon­ trato in Le 8, 5 2., dove sostituisce il « Perché piangete ? » di Mc 5 , 39· Non è possibile risalire al di là della re­ dazione di Luca per la formulazione di questa sen­ tenza, che adopera due volte il verbo « piangere » 34. L'osservazione che abbiamo fatto sull'imperativo cc Non piangete >> di 8 , 5 2. e 2. 3 , 2. 8 non può non solle­ vare la questione di sapere se bisogna necessariamente richiamarsi a una fonte, quando Gesù ha cominciato col dire « Non piangere >> alla vedova di Nain prima di risuscitarne il figlio (7, 1 3) 35• Le 7,3 8 descrive l'at­ teggiamento della peccatrice cosi : « Si pose piangendo ai piedi di Gesù ». Il participio xÀodoumx è strettamente legato alla espressione 7totp!Ì. -roùç 7t68otç, che è tipicaIn Le 10,23, contrariamente a quanto avviene in I4,2� ; è chiaro che il gesto di > non è separabile dall'idea di « indirizzarsi a », idea che nel linguaggio di Luca viene espressa in modo caratteristico con l'uso del np6ç (HAwKINs, 4� s.). •• Luca serive (9, 39). Paolo domanda ai suoi compagni, spaventati al pensiero dei pericoli cui egli si espone andando a Gerusalemme : > (2 1 , 1 3). Afflizione degli anziani di Efeso alla notizia ch'essi non vedranno più il fondatore della loro Chiesa : « E tutti scoppiarono in lacrime >> (2.o,37) 39• •• Non ricorre in Marco ; Matteo la usa 1 volta in q ,3o; Luca in 8, 3 5 .41 (diversamente da Mc 5 , 1 5 .22). Con Le 1 7,16 abbiamo 4 casi in cui Luca l'adopera e ad essi bisogna aggiungere i 5 casi degli At : 4.3 H 7 ; 5,2 ; 7. ! 8 ; 22,3 (cf HAWKINS, 45)­ j. DELOBEL, ETL 1966, 426s. pensa di poter aggiungere Le 10,39, dove la variante 7tctpti (invece di 7tp6ç) merita di essere presa in considerazione. 17 La questione è legata a quella del rapporto che bisogna stabilire tra l'unzione fatta dalla peccatrice nella casa di Simone il fariseo e l'unzione fatta a Betania nella casa di Simone il leb­ broso (Mc 14,3-9 ; Mt 26,6- 1 3 ; Gv 1 2, 1-8) : a Betania non ven­ gono menzionati i > (M t z8, 1 2 ; M c 1 0,46 ; Le 7,I Z ; 8,27.p ; zo. 9 ; 23,8.9 ; sempre negli At, a parte il caso speciale di 1 7,9). Cf H. J. CADBURY, Stylr anJ I.ilrrm:y Mrthod of Lulee, 1 9(,.

COLORO CHE PIANGONO E COLORO CHE RIDONO

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Qui la cosa importante non è tanto quella di sa­ pere se è stato Luca a introdurre ogni volta il termine nel suo racconto e se non lo deve a una fonte ante­ riore 40, ma di rendersi conto del fatto ch'egli fa pian­ gere facilmente i suoi personaggi. L'interpretazione della felicità promessa a coloro che piangono e dei pianti che attendono coloro che ridono deve basarsi perlomeno in partenza sull'uso abbondante che Luca fa di questo verbo. Dopo aver rilevato i testi 41, dobbiamo ora vedere in che misura essi possono far luce sulla terza beatitu­ dine e sul vae corrispondente. z..

Signiftcato dei pianti.

La beatitudine, indirizzandosi a coloro che « pian­ gono », adopera un verbo che si riscontra soprattutto nel contesto di un lutto. Piangendo si esprime il do•• F. REH KOP F, Die lukanische Sontlerquelle, 95 assegna

ICÀo:(w al vocabolario prelucano. Critica sommaria in H. ScHOR­

MANN, BZ I 96 I , 282 Traditionsgeschichtliche Untersuchungen, 124 : l'impiego del verbo potrebbe essere attribuito a una Sonderquel/e in certi casi, ma non bisognerebbe escludere né l'influenza della Logienquelle né degli interventi redazionali di Luca. L'esame di J . DELOBEL, ETL I966, 428-430 è più ap­ =

profondito e si impegna di più nel senso redazionale; esso non tiene conto di Le I 9,4 1 . n I sinonimi non apportano un grande contributo. Rile­ viamo il sostantivo lìo:xpu, proprio di Luca; Le 7,38.44 ; At 20, 19.3 I . Il verbo X01t"t"OIJ41, che Luca sembra abbia evitato in 7,32 (Mt 1 I , I 7), viene da lui introdotto in 8,p (diversamente da Mc 5,38) e ritorna in 23,27 ; Matteo lo introduce in 24,30 in una allusione a Zc I Z, I o- 1 4 : cf K. STENDAHL, The School of St. Matthew antl ils Use of 0/d Testamenl (Acta Seminari i Neo­ test. Upsal., X X), Uppsala, 1954, z i Z-214; L. HARTMAN, Prophery Interpreted, The Formation of Some ]ewish Apocalyptic Tex/s and of lhe Eschato/ogical Discourse Marie 1 J Par. (Coniecta­ nca Biblica, N.T. Ser., I }, Lund, 1 966, 1 6 5s. Luca adopera il lostantivo xo7te-r6ç in At 8,2. rrevOtw (Le 6, 2 5 ; cf Mt 5 , 5 ) ricom­ pare solo in Mt 9, 1 5. Abbiamo ancora ÀU7t1) (Le 22,45) e i suoi

derivati.

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lore provocato dalla morte di una persona cara. A Nain è la vedova che piange il figlio perduto (Le 7,1 3) ; nella casa di Giairo si piange la morte della fanciulla (S, p), a Joppe la morte di Tabita (At 9, 3 9). I ragazzi sanno che i pianti accompagnano nor­ malmente un canto funebre (Le 7,p). Rimaniamo nel medesimo contesto quando vediamo le donne di Ge­ rusalemme piangere su Gesù condotto al patibolo (z 3, z8a), o quando vediamo i compagni di Paolo piangere di fronte alle tristi previsioni che si aprono con il suo viaggio a Gerusalemme (At 2 1 , 1 3). La si­ tuazione non è molto diversa a Mileto, dove l'an­ nuncio di una separazione definitiva provoca le la­ crime (zo,3 7). Restiamo ancora nella medesima linea, quando Gesù invita le « figlie di Gerusalemme >> a piangere su se stesse e sui loro figli, al pensiero della catastrofe che si abbatterà su di loro (Le 2 3 , z 8b) e quando egli stesso piange pensandovi ( 1 9,4 1). La perdita di un essere caro costituisce l'occasione prin­ cipale in cui si piange. Si piange anche per la desolazione in cui uno viene a trovarsi, dopo aver commesso una grave infedeltà. La peccatrice che piange ai piedi di Gesù (Le 7,38) esprime il dolore che prova per la propria abiezione. Luca ci dice esplicitamente che Pietro, dopo aver rin­ negato il Maestro, (( pianse amaramente >> (zz ,6z). L'av­ verbio mostra sufficientemente bene che non bisogna cercare in queste lacrime (( l'accettazione di una dipen­ denza nei riguardi di Dio » (Rengstorf) 42 ; esse tra­ ducono semplicemente la coscienza che Pietro ha acquisito della disgrazia in cui è caduto. Niente perìnètte di supporre che la beatitudine di coloro che piangono sia indirizzata a dei peccatori, che si affliggono per la loro propria abiezione : sa­ rebbe manifestamente una cosa arbitraria introdurre •• TWNT III, 723.

COLORO CHE PIANGONO E COLORO CHE RIDONO

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una idea simile in un contesto che parla di poveri, di affamati e di perseguitati e che quindi si situa in una prospettiva completamente diversa. Questo contesto mostra nel medesimo tempo che non possiamo limitare la causa della tristezza di coloro che piangono al caso della perdita di una persona cara. Il lutto è una delle occasioni tipiche in cui si piange, ma ve ne sono anche altre. Il contesto, ricordando le privazioni della po­ vertà e le sofferenze provocate dalla persecuzione, indica la direzione in cui dobbiamo cercare qui la causa delle lacrime e invita a intenderla in un senso sufficientemente largo, nel senso cioè in cui Paolo esorta i cristiani a « gioire con chi gioisce e a piangere con chi piange )) (Rm I z, I � ) 43, o raccomanda (( a coloro che piangono di essere come se non pian­ gessero, e a quelli che sono contenti di essere come se non lo fossero )) (t Cor 7,30). Come il riso del terzo vae esprime la felicità soddisfatta di coloro che sono felici in questo mondo, così i pianti di cui parla la terza beatitudine sono l'espressione concreta della miseria di coloro che, in questo mondo, conoscono solo sofferenze e privazioni. Questi pianti prorom­ pono dalle condizioni penose e dolorose della loro esistenza. La beatitudine è indirizzata a gente infelice, curva sotto una sorte che la schiaccia. 3 · Pianti escatologifi. (( Sarete nel dolore e nel pianto )> (m:vltf)ae:-re: xoti XÀotuae:-re:) : questo modo di de­ scrivere la sorte che nell'altro mondo attende coloro che > ( z 3 ,28-3 I). Se bisogna piangere, non lo si faccia su Gesù che va a morire ma sulla popolazione di Gerusalemme : i pianti delle donne devono anticipare le lacrime che verseranno le vittime del disastro, nel momento in cui il castigo colpirà la città 51• In I 9,4 1-44 e in 23 ,28-3 1 il castigo divino assume la forma concreta della distruzione di Gerusalemme, mentre in I 3 ,24-30 si presenta sotto la forma di una sentenza di esclusione inflitta ai compatrioti di Gesù, •• Cf il nostro articolo Lu épreuves de chrUiens avanl la fin du monde (Le 2I,J-I9), in Trente-troisième dimanche ordinaire (AssS• 64), Parigi, 1 969, 77-86 (78). 6 0 Sulla parentela esistente tra le due predizioni di sventura collocate nel momento in cui Gesù arriva a Gerusalemme e nel momento in cui esce dalla città, cf il nostro articolo in Bib 197 1 , 3 1 4ss. ; più recentemente J. ZMIJEWSKI, Die Euhatolo­ .�iereden des Luleasevangeliums, 206s . ., Non ci sembra molto proficuo soffermarci a discutere 1 utto quel che K.H. RENGSTORF (TWNT III, 724) pretende di trovare nell'uso che in questo passo si fa del verbo « piangere ».

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sostitmtt dai pagani nel banchetto del regno. In un modo o nell'altro i pianti caratterizzano la miseria dei figli di Israele, condannati dal giudizio divino 52• Possiamo domandarci se questi tre passi gettano un po' di luce non solo sui pianti che il terzo vae minaccia a coloro che ridono, ma anche sulla identità di questi ultimi. Non si tratterebbe anche qui di giudei incre­ duli, in opposizione ai cristiani e alla loro penosa condizione attuale? Non pretendiamo di imporre questa interpretazione indipendentemente da àltre in­ dicazioni, che vanno nel medesimo senso. Bisogna però almeno riconoscere che essa garantisce la coe­ renza dei testi in cui Luca parla di « pianti » nella pro­ spettiva di un futuro capovolgimento delle situazioni. Essa inoltre si accorda bene con l'ipotesi secondo la quale, nella antitesi che oppone le beatitudini ai vae, ai vae, si può vedere un riflesso del conflitto che op­ pone la Chiesa alla Sinagoga. § IV. I REIETTI E GLI ELOGIATI

H. Schiirmann sottolinea giustamente l'importanza dell'ultima beatitudine per l'interpretazione delle tre precedenti 1• In una serie, l'accento viene normal­ mente posto sul termine che sta alla fine e come al vertice della enumerazione ; è là che possiamo atten­ derci di trovare l'intenzione espressa nel modo più 11 Gdt I6,17 fornisce un esempio eccellente di questo pianto escatologico : > ( z I , I z) , prima che co­ mincino a verificarsi gli avvenimenti premonitori della vicina fine del tempo. L'odio di cui i cristiani do­ vranno soffrire sarà la loro sorte normale in questo mondo ; tale odio non è limitato soltanto al periodo che precederà immediatamente la fine del mondo 7• l .'atteggiamento cristiano di fronte a questa prova viene indicato in 6,2. 7 : « Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano ». Ritorneremo presto su questo versetto. Per il momento accontentiamoci di rilevare che il verbo f.Lto-éw viene usato in misura li­ mitata da Luca 8 ; in particolare egli non lo usa negli Atti per caratterizzare l'atteggiamento degli avversari della Chiesa. « Vi escluderanno ». Il verbo &cpopl�w ritorna due volte negli Atti, ma in un senso completamente dif­ ferente : « Mettere a parte » ( I 3 ,z), « separare » ( I 9,9). L'uso che Luca ne fa qui è unico nel Nuovo Testa­ mento 9• Ci siamo chiesti 10 se nella tradizione ante·

• Cf Mt Io, z z ; 2.4,9·

' Cf il nostro articolo Les épreuves des çhrétiens avanl la fin du moruk, 83 ; F. ScHtiTZ, Der leidende Christus. Die angefoçhtene Gemeinde und das Chrislusleerygma der luleanisçhen Jçhriften (BWANT 89), Stoccarda, I 969, ns. ; J. ZMIJEWSKI, o. f., 1 74s. e 1 78. (L'a. introduce una idea di « segno » , che il testo non richiede). 8 Al di fuori di Le 6,zz.z7 e Z I , I 7 lo ritroviamo in I,7I (Benediçtus) ; I4,z6 (secondo una fonte che Mt 1 0,37 attenua) ; I6, I 3 ( = Mt 6,2.4) ; I9, I 4 (proprio). Non compare negli Atti. • In Mt I 3 ,49 e Z j , p viene applicato a indicare la « separa­ zione » tra buoni e cattivi, che verrà effettuata nel giudizio fi­ nale. In Rm I , I e Gal I , I j Paolo è stato « messo a parte >> per Dio ; in Gal z, I z egli rimprovera Pietro di « appartarsi » dai fratelli che non hanno ricevuto la circoncisione, e in z Cor 6, I 7 (Is j z, I I) invita i cristiani a « separarsi » dai peccatori.

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riore all'evangelista esso indicava una esclusione in forma giuridica, una specie di scomunica, o una esclusione semplicemente sociale, con cui uno rifiuta ogni relazione con persone di cui disapprova la con­ dotta e che disprezza. Luca non menziona mai pro­ cedimenti di scomunica contro i cristiani da parte delle autorità giudaiche ; perciò è il secondo senso quello che si accorda meglio col suo modo di descrivere l'atteggiamento dei giudei nei confronti degli adepti della nuova fede 1 1• L'ambiente rimane quello del conflitto che oppone la Sinagoga alla Chiesa ed è le­ gato a una terminologia che non è abituale nel nostro evangelista 12• « Vi oltraggeranno >>. È l'unica volta che Luca adopera il verbo òvet8l�w, che deve evidentemente alla propria fonte 13 : su questo punto egli concorda con la beatitudine parallela di M t � , I I ((( quando vi Aggiungiamo che il verbo semplice 6p!�w caratterizza il vocabo­ lario di Luca (Le 2 2 ,22 ; At 2,23 ; I0,42 ; I I , 2 9 ; 1 7,26. 3 I ) ; cf anche Ttpoop!çw (At 4,28} e 6po6a:a!a (A t 1 7,z6). lo Cf Vol. I, 96os. 11 In accordo con D. R. A. H ARE , The Theme of Jewish Per­ secutions of Christians, � 3 , ma in disaccordo con H. SCHURMANN, Lukasevangelium, I, 33 3, n. 5 I, che non distingue tra il senso che il verbo ha nella fonte e quello che gli viene attribuito da Luca. 1 0 F. ScHtiTZ, Der leidende Christus, us., pensa che Mt 5 , 1 I , con il suo uso di 8L�xw, rappresenti una situazione meno cri­ tica per i cristiani e quindi anteri.ore a quella supposta da una procedura di scomunica, a cui Luca avrebbe voluto alludere Introducendo il verbo &:cpop!çw. Si troveranno delle spiegazioni meglio motivate nello studio di G. STRECKER, Die Makarismen tkr Bergpredigt, l:fTS q ( I 97o-1 9 7 1 ) 2 � � -zn (268, n. 6) Les macarismes du discotlrs sur la montagne, in L' Evangile selon Mat­ lhieu. Rédaction et Théologie (BETL XXIX), Gembloux, 1 972 , 1 8 � -zo8 (zoz, n. 5 0) : la fonte utilizzata dagli evangelisti parlava di misure disciplinari prese contro i cristiani ; questa situazione è superata nel momento in cui Luca e Matteo compongono le loro opere, e le loro redazioni non vi fanno più riferimento. 18 Non è il caso di soffermarsi a discutere la congettura ar­ bitraria, secondo la quale il verbo sarebbe stato aggiunto sue=

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oltraggeranno e perseguiteranno, e falsamente di­ ranno di voi ogni male per cagion mia »). I nemici dei cristiani cercheranno di disonorarli. Luca conosce bene questa situazione e la descrive varie volte negli Atti, ricorrendo però a un altro vocabolario. « Proscriveranno il vostro nome come infame ». È qui e solo qui che possiamo parlare a colpo sicuro di un ritocco redazionale di Luca. Non è effettiva­ mente possibile dubitare che l'6lç, « come », vada at­ tribuito a lui u. Il senso della espressione cambia completamente. Andando contro una interpretazione assai diffusa, che vuoi trovare qui la scomunica for­ male e la radiazione del nome del colpevole dalla lista dei membri della comunità sinagogale 15, noi abbiamo ammesso che la fonte utilizzata da Luca par­ lava letteralmente di un « far uscire un nome mal­ vagio contro >> i cristiani, nel senso che uno lancia delle accuse contro di loro e attenta alla loro reputa­ zione 16• Con l'aggiunta di 6lç il nome non può più essere quello lanciato dagli accusatori : è il vero nome degli accusati, la loro persona o la loro qualità di cessivamente nel testo di Luca, al seguito di quello di Matteo : cosi E. LoHMEYER, Das Evangelium dn Matthiius (KEKNT Sonderband), Gottinga, 19 � 6, 9 � ; W. GRUNDMANN, Das Evan­ gelium nach Lukas, I 4 3 · .. a vol. l , H4. n . 7 3 · Cf anche G. STRECKER, l. (. 16 Elenco dei fautori di questa interpretazione nel vol. l, 3 3 3, n. 7 1 ; altri autori sono citati ivi, 969, n. 30. Si continua a ripetere la medesima spiegazione, come se fosse evidente : cf G. ScHNEIDER, BotschafJ der Bergpredigl, 1 969, 3 8 ; F. SCHÙTZ, Der leidende Christus, 1 2 ; G. MIEGGE, Il sermone sul monte. Com­ mentario esegetico (Collana della Facoltà Valdese di Teologia, 1 0), Torino, 1 970, � 9 ; G. STRECKER, NST 1 970-71 , z68, n. 6 L'Evangile selon Matthieu, 202, n. � o ; H. FRANKEMOELLE, BZ 1971, �4. n. 9 · 16 Cf vol. l, 967s. =

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l

DESTINATARI

cristiani 17 che viene denunciata come infame 18• Nel medesimo tempo ix�> riguardante la scelta dei posti a tavola ; l'evangelista ha manifestamente inserito qual­ cosa di suo in questo passo : « Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti �l primo posto, ché forse non sia invitato da lui uno più degno (�v·nfL6·n:poç) di te, e chi ha invitato te e lui non venga a dirti : Cedi a questo il posto, e allora tu dovrai, non senza vergogna (fLE't"IÌ: otlax_uv'Y)ç), occupare l'ultimo posto. Ma quando sei invitato, va a metterti nell'ultimo posto, affinché, venendo chi ti ha invitato, ti dica : Amico, vieni più in su ; sarà allora per te un onore (86�oc) davanti a tutti i convi­ tati >> (Le I 4,1k 19). Poco sopra abbiamo rilevato l'uso singolare di 3o�ci�(J) in Le 4, 1 � ; la presenza del termine 86�oc nel passo appena citato costituisce un caso unico nel •• Cf ancora At 6,3 riguardo ai Sette; I6,z riguardo a Timoteo.

I REIETTI E GLI ELOGIATI

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Nuovo Testamento al di fuori delle lettere paoline 54. Il termine viene utilizzato nel suo significato specifi­ catamente greco per qualificare la situazione di colui che viene onorato ; si tratta di una « gloria >> che è frutto della stima che la gente nutre per un determi­ nato individuo e che viene resa a una persona « ono­ rabile » 65• Essa assume qui la forma di un posto d'o­ nore a tavola e contrasta con la « confusione », con la (( vergogna » (odax.uvlJ) 56 dell'invitato che, obbli­ gato a cedere quel posto, perde la faccia davanti a tutti. Dobbiamo citare anche la parabola dell'ammini­ stratore disonesto. Licenziato, egli si domanda che cosa farà : (( Zappare la terra? Non ho forza. Men­ dicare ? Mi vergogno (oclcrx,uvo!Lat�) » ( I 6,3). Ecco quel che spaventa effettivamente un greco : la vergogna che proverebbe nel mendicare. Piuttosto di esporvisi, preferisce rubare ! - La parabola dell'uomo che vuole costruire una torre non è meno istruttiva. Egli cal­ cola la spesa, (( per paura che, se non riesce a finirla dopo aver gettato le basi, tutti (7tliv-re:ç) quelli che se ne accorgono si mettano a deriderlo (è!L7tOtt�e:�v) » •• Cf (G. VON RAo)-G. KITTEL, art. Boxéw, TWNT II (I93 1) 131-21 8 (240). È pure in Luca che troviamo l'unico uso neo­ testamentario del termine n�IIBo�oç : Le 1 ,26 (cf ivi, 21 8). •• L'aggettivo �IITL(.I.O� di Le I4,8 può essere accostato a TI(.I.LOç di At 5 , 3 1 . Not��re in r Cor I I , I 4-1 5 l'antitesi che oppone �TL(.I.f.a a 86�et. Le 4,14 adopera BExT6ç là dove il racconto di Mc 6,4 ha > (5 , 3 6). Come è possibile mettere ancora un abito del genere, senza esporsi al ridicolo? Un uomo che ha ricevuto una educazione greca ci tiene al pro­ prio abbigliamento. Gesù domanda agli uditori a proposito di Giovanni Battista : « Che cosa siete andati a vedere nel de­ serto ? Una canna agitata dal vento ? Ma che cosa siete andati a vedere ? Un uomo vestito di morbide vesti ? Ecco, quelli che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re >> (Mt 1 1 , 8). In contrasto con il vestito austero di Giovanni (Mc 1 ,6 ; Mt 3,4) la domanda parla di abiti morbidi (fLotÀotKii), delicati, piacevoli da portarsi. Non è questo il punto che interessa Luca : « Che cosa siete andati a vedere nel deserto ? ... Un uomo vestito di morbide vesti ? Ecco, quelli che sono vestiti di splendide (Èv86;c,>) vesti 62 e vivono in mezzo 80 Studio più recente : F. HAHN, Die Bildworte vom neuen FliG!een und vom jungen Wein (Mie. 2,zr f parr), EvTh 3 1 (I971) 3H-375 (cf 3 6o) . 81 Il verbo ricompare in A t 5,9; I 5, I 5 . 01 ![UL-rtaiJ.6ç : il termine, che ricorre anche in Le 9,29 e At 20,32, indica un abito da cerimonia. Cf R. C. TRENCH, Syfl()nymes du NT, zo6 ; J. DuPONT, Les Disçours de Mi/et, te­ slament pasloral de saint Pau/ ( Açles 2o,z8-J6) (LD p), Parigi, 1962., 297, n. 1 . Lavoro redazionale di Luca in questo passo: cf P. HoFFMANN, Studien zur Theologie der Logienque/le, 1 972, I 93s. ; ScHULZ, 229.

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alle delizie, stanno nei palazzi dei re » (7,z5). Egli, più che al piacere di un vestito morbido, pensa alla considerazione che un abito sontuoso procura a co­ lui che lo porta. Osserviamo inoltre che in lui la do­ manda non implica più una antitesi con il vestito vero di Giovanni : egli infatti ha omesso (in 3 ,6) quel che la sua fonte riferiva a proposito dei peli di cammello e della cintura di cuoio ai fianchi portati dal Precur­ sore 63. Indubbiamente Luca non amava presentare Giovanni in un abbigliamento che, ai suoi occhi, non contribuiva affatto a ispirare rispetto per la persona del più grande dei profeti. Il padre del figlio prodigo, dopo averlo riabbrac­ dice per prima cosa : « Portate subito la veste più bella (lett. la prima) 64 e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi >> ( 1 5 ,zz). Questo abbiglia­ mento di lusso esprime la dignità ritrovata dopo la caduta ; solo più tardi si va a tavola a banchettare. Per caratterizzare l'uomo ricco, Luca parla anzitutto del suo vestito : « Egli vestiva di porpora e di bisso ogni giorno » (16,19) e poi dei suoi banchetti ; e nel pensiero dell'evangelista il mantello di porpora non è semplicemente costoso 85, ma è anzitutto fv8o�oç (cf 7, z 5 ) : esso assicura considerazione a chi lo indos­ sa 66• In A t I Z,z 1 non si omette di ricordare che Erode •• Mc 1,6; Mt 3,4. •• La aTOÀlJ è un abito lungo

e lussuoso ; iL termine indica « qualsiasi vestito che denota una certa dignità, ricchezza e lusso » (R. C. TRENCH, Synonymes du NT, zo8). L'espressione aTOÀlJ 7tpWT'I), piuttosto rara, ricorre nel romanzo ebraico Giu­ seppe e A senet l � , ro e' t 8, 3. a a questo riguardo c. BURCHARD, Fùssnoten zum neutestament/ichen Griechi.rth, ZNW 61 (1 970) l H- 1 7 1 ( 160). •• Nel Lezionario francese « vestiva di porpora >> diventa : « Portava degli abiti lussuosi ». 00 È p recisamente per questo che, al momento della mis­ sione definitiva nella comunità - stando a GIUSEPPE, Bel/. II 140 -, un esseno si impegnava con giuramento « a non abusare

I REIBTTI E GLI ELOGIATI

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era vestito con « l'abito regale », anche se questo par­ ticolare non gioca alcun ruolo nel racconto 67• Cosl pure l'autore si freoccupa di precisare lo splendore cc folgorante » de vestito di Gesù al momento della· trasfigurazione (Le 9,2.9) e del vestito degli angeli che vegliano sulla tomba (2.4,4) 68• In 2. 3 , 1 1 si parla della >, con cui Erode ha rivestito Gesù 69• Per caratterizzare lo stato di selva­ tichezza in cui è caduto l'indemoniato di Gerasa, Luca non si limita a dire che abitava nelle tombe 70, ma precisa : « Da lungo tempo egli non portava più vesti e aveva la sua dimora non in una casa, ma fra le tombe >> (8,2.7) 71• Di fronte alla raccomandazione mai della propria autorità, qualora fosse stato investito del comando, e a non distinguersi dai suoi subordinati né per l'a­ bito né per qualche ornamento supplementare >>. In contrasto con il mantello di porpora, destinato ad attirare la « gloria » degli uomini, la miseria del mendicante, che non può nascon­ dere le piaghe, è considerata come una causa di « vergogna » : cf I 6,3.

"' GIUSEPPE, Ani. XIX, 344-346 dà una versione in cui l'abito portato da Erode in quel giorno gioca un ruolo capitale. Il re aveva indossato un vestito intessuto d'argento ; ai primi raggi del sole esso aveva cominciato a sfavillare, provocando delle adulazioni sacrileghe, che il re non respinse affatto. In At 1 2,21-22 le adulazioni sacrileghe sono provocate dall'ar­ ringa del re e non hanno alcun rapporto con il suo vestito. Si confronti questo caso con quello del segno dato dall'angelo ai pastori di Betlemme: « Trover•te un neonato avvolto in panni e adagiato in una mangiatoia » (Le 2 , 1 2). I pastori riconoscono effettivamente il bambino dal fatto ch'egli è adagiato in una mangiatoia (v I 6), senza che si veda l'utilità del primo segno : > (zz,6;); e aggiunge di sua propria iniziativa 75 : (( E proferivano contro di lui molte altre ingiurie >> (v 6 5 ) . Presso Erode scena che è sua particolare - mostra il re che tratta Gesù con disprezzo, mentre i soldati lo scherniscono ( z. ; , 1 1 ) . Sul Calvario segnala che i capi deridevano Gesù (��t!Lux-rljp��ov : z. ; , 3 5). Il gesto dei soldati che gli porgono dell'aceto sembra ispirato dalla compas­ sione nei racconti paralleli; Luca ricorda solo l'inten­ zione di schernire Gesù (z.;,;6). È evidente : Luca, che ci è sembrato così sensibile agli elogi e alle parole adulatorie, non nasconde affatto, anzi accentua gli oltraggi e le parole ingiuriose, con cui Gesù è stato umiliato durante la passione. Così pure Luca non tace i maltrattamenti e gli oltraggi inflitti ai discepoli di Gesù. È inutile ripetere qui ciò che abbiamo già detto nella prima parte di questo paragrafo. Ricordiamo tuttavia il capovolgi­ mento paradossale, a cui il nostro autore fa ricorso in maniera rivelatrice in At 5 ,41 : gli Apostoli, dopo essere stati battuti con le verghe, (( partirono dalla •• Almeno nel pass ò corrispondente (Mc 14,6� ; Mt 26,67), poiché lo si trova nell'episodio degli scherni inflitrigli dai sol­ dati romani in M c q,2o e M t 27,29.3 1 . Così pure Io ritroviamo sul Calvario, per indicare gli scherni delle autorità giudaiche (Mc 1 5 ;3 1 ; Mt 27,41) o dei soldati romani (Le 23,36). Cf P. ÈI BNOIT, us outrages à ]esus prophile (Mç xiv 6f par.) , in Neo­ llllamentjça et Patrislita . . . O. Cu/lmann (Suppl. NT VI), Leida, 1 962, 92-I Io (93 , n. 3) Exégèse el Théologie III (Cogitatio Fidei, 30), Parigi, 1 968, 2 � 2, n. 3 ; G. ScHNEIDI!R, Verleugnung, =

Verspottung und Verhor ]esu, 99 ; D. L. MILLER, 'EfLTtct(��Lv : Playing lhe Mode Game (Luke 22: 6J-64), JBL 90 (1971) 309-3 1 3· •• Carattere redazionale di questo v�rsetto : G. ScHNI!1DER, '· t., 1036.

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I DESTINATARI

presenza del Sinedrio contenti di essere stati giudi­ cati degni (da Dio) di patire oltraggi (!X-rtfLIXaO�vou) per il Nome ». Una umiliazione disonorante agli occhi degli uomini, e che avrebbe costituito la vergogna di un greco, diventa un titolo di fierezza e una causa di gioia per i discepoli di Gesù ; essi l'attribuiscono a una iniziativa divina, che onora colui che ne è il benefi­ ciario. L'oltraggio diventa un privilegio per l'uomo che Dio giudica degno di riceverlo : quale capovolgi­ mento nella mentalità dell'evangelista greco ! La con­ seguenza tratta dall'ultimo vae non stupisce più : « Guai a voi, quando tutti gli uomini vi diranno delle belle parole ! » Tra l'educazione greca di Luca e il giudizio ch'egli dà sulle parole adulatorie, la passione di Cristo ha operato un capovolgimento nella scala dei valori. Ora ci rendiamo conto della difficoltà cui an­ dremmo incontro a supporre che nel pensiero dell'e­ vangelista i discorsi adulatori, di cui si parla nell'ul­ timo vae, siano indirizzati ai discepoli di Gesù. Tale supposizione non è concepibile. Non solo perché si tratta di discorsi fatti dai giudei, i quali imitano in ciò la condotta dei « loro padri >> nei riguardi dei falsi profeti, ma anche perché questi omaggi da parte degli uomini sembrano radicalmente incompatibili con la condizione cristiana. CONCLUSIONE I . Gesù aveva proclamato la beatitudine dei po­ veri, degli infel.U:i e di tutti coloro che soffrono : l'av­ vento del regno di Dio significava la fine delle loro miserie in ragione stessa del modo in cui Dio conce­ pisce l'esercizio della sua giustizia regale. A queste beatitudini la tradizione cristiana primitiva ne aveva aggiunta un'altra, che si indirizzava ai discepoli di Gesù, condannati a sopportare la persecuzione a mo-

CONCLUSIONE

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tivo della loro fede. Tale beatitudine era loro rivolta non più semplicemente perché soffrivano, ma più precisamente per il motivo specifico per cui soffri­ vano : essi erano perseguitati a causa di Cristo. La versione delle beatitudini contenuta nel van­ gelo di Luca prolunga il movimento che era stato abbozzato anteriormente dall'ultima beatitudine. Il punto di vista della beatitudine dei perseguitati a causa di Cristo viene esteso alle beatitudini precedenti, che vengono così a essere rivolte direttamente ai let­ tori cristiani : sono questi gli affamati, gli afflitti, i poveri a cui è indirizzata la promessa. I disagi della povertà e le sofferenze di ogni genere, di cui parlano le prime beatitudini, non sono separati dalla situazione di persecuzione a cui fa riferimento l'ultima beatitu­ dine. A questo livello le prime beatitudini non riguar­ dano più i poveri come tali e coloro che soffrono sem­ plicemente a motivo della loro sofferenza, offensiva per la giustizia di Dio. Esse perdono la loro estensione generale e vengono applicate ai cristiani nelle condi­ zioni penose che la persecuzione comporta per loro. Tale restringimento sembra innegabile e testimonia un certo ripiegamento su se stessi. Però dobbiamo anche sapervi riconoscere un modo valido di affron­ tare pastoralmente una situazione di crisi. Nella cate­ chesi di Luca le beatitudini diventano un mezzo per incoraggiare i credenti in mezzo alle difficoltà, con cui sono alle prese 76• Nella loro miseria le vittime della persecuzione avevano sicuramente il diritto di appli­ care a se stesse le promesse consolanti delle beatitu­ dini.

70 La preoccupazione di incoraggiare i cristiani persegui­ tati si manifesta in maniera molto chiara nei ritocchi apportati dall'evangelista in Le Z I , I Z- 1 9 : cf AssS• 64, 83-B s .

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I DESTINATARI

.2.. Abbiamo cercato di precisare la situazione in i cristiani si appropriano delle beatitudini. Anche qui l'ultima orienta l'interpretazione delle altre. La persecuzione viene attribuita ai giudei increduli, la cui condotta segue l'esempio dato dai « loro padri ». Il medesimo sfondo permette di meglio cogliere certe risonanze minacciose nelle maledizioni indirizzate a persone ricche e sazie o nei « pianti » dell'altro mondo. Sotto l'antitesi che oppone cristiani poveri e perse­ guitati a gente ricca e onorata, noi abbiamo creduto di poter riconoscere a più riprese una eco discreta del conflitto che opponeva la Chiesa alla Sinagoga, non­ ché una eco def problema sollevato dalla incredulità di Israele, vivamente sentito da Luca. Non è un caso che i racconti degli Atti forniscano tanti dati capaci di illuminare la versione lucana delle beatitudini e dei vae. Tuttavia pensiamo che non sarebbe prudente inoltrarsi troppo per questa via, identificanao pura­ mente e semplicemente le persone ricche e onorate, a cui sono indirizzati i vae, con i giudei increduli, e cercando solo in questa incredulità la vera ragione della loro condanna. Le cose sono molto meno sem­ plici. Nel capitolo terzo vedremo che il problema della ricchezza ha preoccupato seriamente Luca. Non pos­ siamo non tenerne conto nella interpretazione dei vae. Ciò però non esclude affatto il chiarimento forni­ toci dall'antitesi, cui abbiamo dedicato la nostra at­ tenzione in questo primo capitolo : una antitesi che colloca di fronte ai cristiani poveri e perseguitati un gruppo di uomini ricchi e onorati, di cui più di un tratto ci induce a pensare ai rappresentanti del giu­ daismo, nemico del messaggio evangelico.

cui

CAPITOLO

II

I L PRES ENTE E L'AVVENIRE Uno dei tratti più caratteristici della predicazione di Gesù è costituito dallo stretto legame ch'egli sta­ bilisce tra il momento presente e l'avvento imminente del regno di Dio. Con la missione di Gesù il regno si è fatto vicino, e vicino in un senso temporale : la sua manifestazione gloriosa non può più tardare. Il mi­ nistero di Gesù inaugura l'ultima tappa della storia della salvezza. Tale è la prospettiva in cui le beatitu­ dini ricevono il loro significato originale : i poveri e i diseredati sono beati, perché l'instaurazione imminente del regno di Dio metterà fine alle loro sofferenze e porterà loro la felicità di cui sono stati privati fino ad allora. Luca si rende perfettamente conto della necessità di una dissociazione. Certo, la missione di Gesù ri­ ceve il proprio sensò dalle promesse, di cui essa co­ stituisce l'adempimento; lo si vede per esempio nella dichiarazione fatta a Nazareth : « Oggi si è compiuta questa Scrittura alle vostre orecchie )) (4,u). Di qui però non si può concludere che « la manifestazione del regno di Dio sia imminente )) ( I 9, I I ) 1• Egli mette in 1 Cf J. DuPONT, La parabole de Talenls (MI 2J : I4-JO) ou

du Mines (Luç I9 : I2-21). R TP, 3 serie, XIX ( 1 969) n6-39I

(382.9.).

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IL PRESENTE E L'AVVENIRE

guardia contro l'illusione degli impostori, che pro­ clamano : « Il tempo si avvicina » (z r ,S) 2• La fine del mondo presente non avverrà così presto (zr ,9), non prima « che siano compiuti i tempi delle nazioni pagane » (z r ,z4). Il tempo in cui viviamo, il tempo della Chiesa, acquista così una sua propria consistenza, mentre il momento del grande sconvolgimento esca­ tologico viene sospinto in un avvenire indeterminato. Questo cambiamento di prospettiva non è senza conseguenze per l'interpretazione delle beatitudini. Cercheremo di mostrarlo nel corso di questo capitolo, soffermandoci anzitutto sui tratti che manifestano l'attenzione prestata dall'evangelista al momento pre­ sente, e poi interrogandoci sull'avvenire, a cui si ri­ feriscono le promesse deHe beatitudini e le minacce proferite nei vae. § I. « ORA »

Cominceremo col rilevare nel testo gli indizi del­ l'interesse che l'evangelista riserva al momento pre­ sente, poi ne determineremo il significato. 1 Sul significato di questa precisazione, cf il nostro studio

Les épreuves des chrlliens avanl la fin du monde (Le zr,J-19), in Trente-troisième dimanche ordinaire ( AssS' 64), Parigi, 1 969, 77-86 (8os.). Per maggiori dettagli ora è sufficiente rinviare al­ l'opera monumentale di J. ZMIJEWSKI, Die Bschato/ogiereden du Lukasevange/ium. Bine tradilions- und redaktionsgeschichtliche Untersuchung zu Lk ZI,J-J6 und Lk I7,ZO-J7 (BBB 40), Bonn, I972, 99-I02 e �I 1;I I 8 . Notiamo che T. SCHRAMM ammette

che il v Sb costituisce una aggiunta di Luca, che richiama Le 1 7,2.3 : Der Markusstoff bei Lukas. Bine lilerarkritische und re­ daktionsgeschicht/iche Unlersuchung (Soc. NTS, Monogr. Ser., 19), Cambridge, 1 9 7 1 , 1 74. Su questo richiamo contenuto nelle ultime parole del versetto, cf un'opera che è sfuggita a ZMI­ JEWSKI : M. HENGEL, Nachfo/ge und Charisma. Bine exegelisch­

religionsgeschicht/iche Studie su M t 8,zrs. und ]esu lùif in die Nach­ folge (BZNW 34), Berlino, 1 968, 24s.

1 63

(( ORA »

r.

Insistenza sul momento presente.

1 . Nella sefonda e nella terza beatitudine, e nei vae corrispondenti, Luca ripete con insistenza l'avverbio vuv, « ora )) : Beati voi, che ora avete farne, perché sarete sa­ ziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Guai a voi, che ora siete sazi, perché patirete la fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e nel pianto. È chiaro che questa quadruplice ripetizione co­ stituisce uno dei tratti più caratteristici della versione lucana delle beatitudini. L'avverbio non figura nelle beatitudini di Matteo, e se fosse stato presente nella fonte utilizzata da questo evangelista, nessun motivo plausibile ne spiegherebbe l'omissione 3• Viceversa sappiamo che Luca adopera volentieri vuv 4 e che la sua presenza in molti altri punti del vangelo è attri­ buibile al lavoro redazionale dell'evangelista 5• È dunque al livello della redazione lucana che conviene cercare una spiegazione, chiedendosi quale sia il mo­ tivo che Luca può avere per sottolineare con tanta insistenza questo « ora )) della sofferenza degli uni e della gioia degli altri. ·

2.. La prima beatitudine e il primo vae non conten­ gono questo avverbio, tuttavia la loro prospettiva non è meno centrata sul presente. Di per sé il caso della prima beatitudine non sa­ rebbe ancora molto illuminante. Scrivendo : « Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio )>, Luca

1 Cf vol. I, 380, n .

I.

• Precisazioni nel vol. I, 3 8os.

1 Cf vol. I, 380,

n.

I.

1 54

IL PRESENTE E L'AVVENIRE

si conforma alla sua fonte (cf Mt : « vostro è il regno dei cieli ») , dove la promessa era formulata al presente, Ècr-r(v, e non al futuro, che ci si sarebbe atteso a motivo della nozione del regno di Dio. Si tratta evidentemente del regno glorioso, il cui futuro avvento metterà fine alle sofferenze dei poveri, sazierà gli affamati e porterà il riso a coloro che piangono. Fin da ora questo regno (( è » dei poveri, che ne devono essere i beneficiari ; ciò non significa però ch'essi usufruiscono già dei suoi vantaggi 8• La formulazione del primo vae è più caratteristica : « Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione >>. La sentenza non supera il mo­ mento presente per sfociare in una prospettiva futura. Non dice quel che accadrà ulteriormente ai ricchi, ma li avverte semplicemente che essi sono già in possesso (ci7tÉXe:-re:) di quel che era loro dovuto in materia di consolazione. Ciò che essa sottintende è abbastanza evidente : siccome i ricchi hanno già ricevuto tutto, non devono più sperare di ricevere qualche altra cosa in futuro. Ma questa è soltanto una delle cose sottin­ tese. La sentenza è circoscritta al presente, il che è tanto più sorprendente, in quanto il quadro di tutte queste proposizioni sembra evocare una opposizione tra il momento presente e l'avvenire. Il vae dovrebbe dire in linea normale : « G'!-ai a voi, ricchi : per voi non ci sarà più consolazione ». Invece si limita a fare una dichiarazione sulla situazione attuale.

• Meno ancora si può opporre la prima beatitudine, senza wv, alle due seguenti, che hanno il wv, dicendo che gli infelici non avranno più fame e non piangeranno più nell'eternità, lllentre resteranno « poveri » (in un senso spirituale l) : Th. ZAHN, Da.r E11angelium t/es Luças, 191�, 186.

(( ORA >>

1 55

3· L'ultima beatitudine annuncia ai cristiani le dif­ ficoltà che essi dovranno sopportare per la loro fede : « Beati siete voi 7, quando gli uomini vi odieranno, quando vi espelleranno ... ». Ecco il futuro, ma il fu­ turo dell'esistenza terrestre. Siccome questi 111altratta­ menti non sono ancora attuali nel momento in cui Gesù parla, Luca qui non può aggiungere il vGv delle due beatitudini precedenti. Per questo è tanto più sor­ prendente constatare come egli sia riuscito a introdurre la medesima prospettiva con un altro mezzo. Nella seconda parte della beatitudine egli scrive : « Rallegra­ tevi in quel giorno ed esultate ». La precisazione « in 'luel giorno » (�v �xdvn 't"(j �fLtpC):), senza parallelo nella versione di Matteo, attira di nu.ova l'attenzione nel momento della sofferenza 8• Questa insistenza non 7 Ci si perdoni questa traduzione troppo letterale ; è chiaro che in italiano la concordanza dei tempi richiede il futuro : « Beati sarete ». Precisiamo che le due proposizioni dipendenti introdotte da IITa:v « quando », non sono delle semplici propo­ sizioni eventuali (>) . L'uso del congiuntivo non significa che si possa dubitare dell'odio e dei maltrattamenti, di cui i discepoli saranno vittime ; il dubbio riguarda solo >. Segnaliamo anche che non condivi­ diamo una congettura di G. STRECKER, Die Malearùmen der Bergpredigl, NTS I 7 (1970-71) z.� �-:z7� (z.68, n. 6) Les ma­ tDriimls du distours sur la moniDgne, in L' Evangile selon Mallhieu. Ridatlion 11 Thlologie (BETL XXIX), Gembloux, 1972., 1 8 � -:zo8 (z.o:z, n. �o). Sullo sfondo dei maltrattamenti menzionati in Le 6,2.2 questo autore propone di vedere una azione unica, cioè quella con cui b. Sinagoga decreta la scomunica dei cristiani. L'espressione èxcCvn T/i TJfLÉpq< indicherebbe il giorno preciso in cui fu presa quella misura. Questa ipotesi non tiene conto del fatto che la glossa « in quel giorno >> deriva dal medesimo livello letterario dell'impiego dell'avverbio « ora >>, né della necessità di chiarire queste aggiunte una per mezzo dell'altra, H. FRANKEMOELLE, Di1 Mt�learùmen (MI J, I-IZ ; Lt 6,20-JO) . Molive 1111d Umjang d1r redalelionellm Komposilion, BZ 1 � (1971) s z.-7� (H) . =

« ORA

))

1 57

ricompensa nei cieli )). La maledizione, invece di pro­ spettare una contropartita nel mondo futuro, conserva solo un riferimento al passato, per far comprendere la situazione in cui si trovano le persone cui si tengono discorsi adulatori. L'attenzione si arresta al presente, come nel primo vae. Possediamo così una serie di indicazioni, che for­ mano un tutto coerente. Nella versione di Luca le beatitudini e i vae si interessano alla sorte attuale dei discepoli e degli altri, piuttosto che a quella che li at­ tende nel mondo futuro. Tale orientamento appare anzitutto nell'aggiunta dei quattro avverbi « ora )) 9, ma si manifesta pure nelle sentenze in cui tale aggiunta non è stata fatta. Dopo aver constatato il fatto, ci rimane da preci­ sarne il significato e da determinare l'intenzione, che ispira questa presentazione particolare della presente pericope. 2.

Il punto di vista di Luca.

1 . L'esegeta può procedere in due direzioni per spie­ gare questa insistenza sul momento presente. Qualche autore crede di potervi riconoscere la ma­ niera con cui Luca si compiace di sottolineare l'impor­ tanza decisiva della missione di Gesù 10• Il suo punto 1 J. N AVONE riconosce in questo avverbio uno « sposta­ mento del centro di interesse dalla seconda venuta di Cristo alla vita cristiana contemporanea )) ; Themes of St. Luke, Roma, 1970, I 84. 10 R. BuLTMANN si impegna in questa direzione, quando parafrasa la versione di Luca in questi termini ; « Ora soprag­ �o:iunge il tempo sospirato ; perciò ; Viva le persone pie che l'hanno tanto desiderato l )) ( Die Geuhichte der syfWplischm Tra­ dition, I 3 3). Ricordiamo anzitutto B. PRETE, Prospellive messia­ nkhe M/l'espressione sémeron del Vangelo di Luca, in Il Meuianismo (Associazione Biblica Italiana. Atti della XVIII Settimana Bi­ blica), Brescia, I 966, 269- z84. A proposito del .,u..,, ricorrente _

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di vista nella presentazione delle beatitudini e dei vae corrisponderebbe a quello della dichiarazione fatta da Gesù a Nazareth : « Oggi si è compiuta questa Scrit­ tura alle vostre orecchie >> (4,2 1 ) o a quello espresso nella lamentazione su Gerusalemme, la quale non ha saputo riconoscere il tempo in cui era stata visitata : « Oh, se in questo giorno avessi compreso dove era la pace ! » (1 9,42). Il momento presente (« oggi », « ora ») è quello della salvezza offerta a chiunque ac­ coglie il messaggio di Gesù, ma anche quello della salvezza irrimediabilmente perduta per coloro che l'a­ vranno rifiutato. Il presente su cui Luca richiama l'at­ tenzione si identifica dunque con il tempo del ministero di Gesù, periodo privilegiato, anno di grazia (cf 4, 1 9) 11 • Per conseguenza, beati coloro che soffrono precisamente in questo momento di salvezza, in cui le promesse vengono adempiute. Ma, d'altra parte, guai a coloro che non sono pronti ad accogliere la salvezza, perché questo momento decisivo sarà per loro quello della condanna. ,

nel passo di cu1 cl stiamo occupando, l'autore scrive : « Con questa formulazione delle beatitudini e delle rispondenti male­ dizioni l'evangelista intende segnalare in modo esplicito la presenza operante della salvezza, la quale trasfigura le realtà umane, facendo conoscere a coloro che accolgono il messaggio di Cristo una sazietà nella fame, una gioia nel pianto e, per contrapposizione, una fame nella �azietà, un pianto nella gioia >> (p. 283). Considerazioni del genere non hanno più niente a che fare con l'esegesi. Ricordiamo anche G. MrEGGE, TI sermone sul Monte, Torino, I 9 70, 63 : (( Per le beatitudini di Luca l'av­ verbio vù�... sottolipea l'urgenza della decisione, il valore in­ comparabile del !"oéa in cui Gesù appare e annuncia l'Evangelo del Regno, la recisa contrapposizione dell'eone che passa e di quello che viene ». Possiamo pure segnalare nel medesimo senso H. ]. CADBURY, The Maleing of Lulee-Acls, New York, 1 927 = Londra, 1 9 5 8, 2 1 7. 11 Il tempo dell'adempimento della promessa comincia anche prima dell'entrata del Figlio di Dio in questo mondo : Le 1 ,48 ; 2,29.

« ORA ))

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L'altra direzione, comunemente molto più seguita, vede nella insistenza di Luca il desiderio di accen­ tuare il contrasto tra il tempo presente, tempo di sof­ ferenza e di miseria, e il tempo della salvezza, che ri­ mane ancora interamente futuro 12• Le prove attuali sono normali ; non si può sperare di sfuggirvi ; l'unica cosa da fare è quella di mettere tutta la propria spe­ ranza nella salvezza che verrà in seguito 13• In fin dei conti il problema di interpretazione che abbiamo di fronte si riduce alla questione di sapere se l ' « ora » delle beatitudini e dei vae va intesa in rapporto al passato o in rapporto al futuro. Bisogna forse in­ tendere così : ora che il tempo della salvezza è final­ mente arrivato, in opposizione al tempo della pro­ messa? Oppure : ora, in questo tempo che è il tempo 11 Cf K. H. RENGSTORF, Das Evangelium nach Lul:as (NTD 3), 6 ed., Gottinga, 1 9 � :, 89; H. CoNZELMANN, Zur Lukas­ analyse, ZTK 49 ( 1 9 5 2) 1 6- 3 3 (21 ) ; E. GRAESSER, Das Problem der Parusieverziigerung in den synoptischen Evangelien und in der Apostelgeschithte (BZNW 22), Berlino, 1 9 n, 1 9 1 ; A. HASTINGS, Prophet and Witness in Jmualem. A Study of the Teaching of Saint Luk e, Londra, 1 9 � 8, 1 70-1 72; G. BRAUMANN, Das Mittel der Zeit. Erwiigungen zur Theo/ogie des Lul:asevangeliums, ZNW H (1963) 1 1 7-145 ( 1 29) ; A. GEORGE, art. Pauvre, DBS 1 ( 1 96 � ) 387-406 (401); K . KocH, Was ist Formgeschichte ? Neue Wege der Bibelexegese, 2 ed., Neukirchen, 1 967, 77 ; H. ScHiiRMANN, Das Lukasevangelium, I, 1 969, 3 3 0 ; F. ScHiiTz, Der leidet'Uk Christus. Die angefochtene Gemeinde und das Chrisluskerygma der lul:anischen Schriften (BWANT 89), Stoccarda, 1 969, 1 2 ; P. E. ]ACQUEMIN, Les Béatitudes selon saint Luc (Lc 6,IJ.20-26), in .\'ixième dimanche ordinaire ( AssS• 37), Parigi, 1971, 80-91 (84s.). 13 Bisogna catalogare a parte l'anicolo wv scritto da G. STAEHLIN nel TWNT IV (1 942) 1 099-1 1 17. L'autore immagina una vasta sintesi, in cui il wv si applica al tempo che comincia con la venuta di Cristo per terminare con la parusia (p. I I 09). wv caratterizza cosi il periodo intermedio, il tempo della Chiesa. Questa spiegazione è il risultato di un raggruppamento artifi­ cioso di testi disparati. Non possiamo più parlare di sintesi, d'accordo con l'estratto molto approfondito di E. NEuH.,USLER, Der entscheitkt'Uk Augenblick im Zeugnis des Neuen Testaments ( >

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condividere l'interpretazione sembrano non averne preso coscienza. La loro spiegazione è basata sulla confusione dei due livelli di significato. Gesù avrebbe potuto benissimo aggiungere l'av­ verbio « ora >> nelle beatitudini, senza con questo mo­ dificare minimamente il significato che intendeva dar loro. Dal momento che nei suo pensiero le beatitudini sono l'illustrazione della sua proclamazione del pros­ simo avvento del regno di Dio, l'« ora >> avrebbe do­ vuto essere necessariamente collocato nel secondo membro delle sentenze : i poveri, gli afflitti, gli affa­ mati sono beati, perché ora è arrivato il tempo della loro consolazione. Con il ministero di Gesù il regno si è fatto talmente vicino, che si può parlare come di un « ora >> o di un > (Le 4,2 1 ) u. Luca invece non dice cosi. Egli inserisce l'« ora >> nel primo membro e non nel secondo : « Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati (un giorno, più tardi). Beati voi, che ora piangete, perché ride­ rete )). « Riderete >> più tardi, nel giorno della salvezza, e precisamente perché tale giorno salvifico non è ancora giunto. Cosl, nel pensiero di Gesù, « ora >> si sarebbe op­ posto alla situazione precedente : finora voi avete sof" Contestando la presenza di questo punto di vista nelle beatitudini, non intendiàmo misconoscere la sua importanza nella teologia di Luca, di cui Le 4,z I dà una buona idea. Su que­ sto aspetto del pensiero dell'evangelista, che qui non ci interessa direttamente, possiamo accontentarci di segnalare H. J. CAD­ BURY, The lvlaking of Luke-Acts, 2 1 7 ; E. FucHs, art. aiJf.Lcpov, TWNT VII (1 964) z69-274; B. PRETE, a. c. ; S. LÉGASSE, ]ésus el l'enfanl. « Enfanls >> , « petils >> et « simples >> dans la lradition syMplique (EB), Parigi, 1 969, 1 9 � - 1 98 ; E. SAMAIN, Le discours­ programme de Jésus à la synagogue de Nazareth (Le 4, x6-3o), in Foi el Vie, Cahiers Bibliques 10 ( 1 971) z�-43 (3 zs.) ;W.ELTF.STER, lsrael im lukanischen Werk und die Nazarethperikope, in E. GRAES­ SER-A. STROBEL ecc., ]esus in Nazarelh (BZNW 40), Berlino, 1 972, 76-147 ( 1 3 7• 1 40).

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ferto la fame, la povertà e ogni sorta di afflizione, ma il regno di Dio è vicino e con esso tutte le vostre mi­ serie finiranno. Il tempo della salvezza è arrivato « ora ». Invece, nella prospettiva di Luca, l'« ora >> si oppone a una situazione futura, a un « in seguito >> : ora siete poveri e piangete, ma verrà un giorno in cui sarete pienamente consolati. G. Stahlin lo ha detto molto bene 15 : l'« ora >> di Gesù è un già-ora, quello della presenza attuale della salvezza ; l'« ora >> di Luca è un ora-ancora, quello del tempo della prova che si prolunga, perché il tempo della salvezza non è an­ cora giunto. Il momento presente, di cui Luca si preoccupa re­ digendo le beatitudini, rimane dunque per i cristiani un tempo segnato dalla sofferenza e dalle prove 16• È in quanto tale che esso riceve la promessa di una salvezza prevista per il futuro, salvezza che sarà ri­ fiutata ai beati di questo mondo. 4· Una certa concezione dell'esistenza cristiana ha tro­ vato la sua traduzione nella aggiunta del vuv e negli altri tratti, che richiamano l'attenzione sul momento presente come tempo di sofferenza per i cristiani. Per mostrare che tale è il pensiero di Luca sulla condizione del cristiano, ci accontenteremo di citare tre passi, che riflettono il medesimo modo di vedere le cose. Le z 1 , 1 2- I 9 : il passo sulla persecuzione nel di­ scorso escatologico 17• In Marco la struttura del di­ scorso sembra guidata da una progressione : esso parla

TWNT D/,.·1 107 e 1 109. Cf H. CoNZELMANN, ZTK I 9F, 2.1 e 3 1-3 3 ; G. BRAU­ MANN, ZNW I 963, 1 2.9 ; K. KocH, Was isl Formgeschichte ?, 7 7 ; G. BouWMAN, Das drille Evangelium. Einiibung in die form­ geschkhlliche Methode (Patmos Paperback), Dusseldorf, I 968, 4 2. . 17 Cf il nostro studio in AuS• 64, 8 3-86 ; F. ScHi.iTz, Der leidende Chrislus, I 4 ; ]. ZMIJEWSKI, Die Eschalologiereden des Lule.asevangeliums, 1 1.8-I 79· u

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ORA

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anzitutto dei segni remoti della fine ( 1 3 , 7-8), poi del segno decisivo (1 3 , 14-20) e finalmente della fine pro­ priamente detta ( 1 3 ,24-27). Tra i_ segni remoti e il se­ gno prossimo troviamo un avvertimento a proposito delle persecuzioni che i cristiani dovranno subire ( 1 3 ,91 3). Si tratta di una tappa intermedia nello svolgimento degli avvenimenti che conducono alla fine ? Noi non pensiamo che Marco l'abbia inteso in questo senso 18• Uno però potrebbe rimanerne ingannato, e sembra che Matteo lo sia stato (Mt 24,9 : T6..e: 19) . Checché ne sia, Luca ha aggiustato le cose in maniera tale da evitare ogni ambiguità. Egli sopprime l'idea che ci saranno dei segni remoti della fine e conserva solo quella dei segni prossimi, caratterizzati soprattutto da catastrofi cosmiche (2 I , I O- I 1 .2 5 -26). « Prima >> di questi segni (v u) c'è lo svolgimento della storia, in cui si collocano degli avvenimenti che non hanno alcun rapporto con la fine del mondo : la persecuzione contro i cristiani ( 2 1 , 1 2-I 9) e la distruzione di Gerusalemme (vv 20-24). La persecuzione, spogliata di ogni significato escato­ logico, viene cosl presentata come la condizione nor11 Il procedimento di Marco nel c 1 3 viene interpretato in modo estremamente vario. Qui accontentiamoci di precisare che, per quanto riguarda l'essenziale, a noi pare che il discorso eia costituito da tre frammenti apocalittici (1 3,7-8.1 4-20.23b-27), inquadrati da tre avvert_imenti perenetici (vv 5 -6. 9-1 3 . 2 1 -23a). Questa alternanza di predizioni e di esortazioni è una caratteristica del genere letterario del discorso di addio. . 18 In Matteo bisogna anzitutto osservare che i c 24-25 co­ stituiscono il secondo pannello di un insieme più ampio, in cui il c 23 costituisce il primo pannello. Nei c 24-25 non notiamo più alcuna alternanza di rivelazioni apocalittiche e di esortazioni parenetiche come in Marco. I due punti di vista vengono svi­ luppati successivamente. Troviamo anzitutto le rivelazioni rela­ tive alla successione degli avvenimenti finali : l'inizio dei dolori (24,4-8), le persecuzioni (vv 9-I4), la grande tribolazione (vv I 5-28), la parusia (vv 29-3 I), tutte cose che dovranno avvenire in uno spazio di tempo piuttosto breve (vv p-42). Poi l'evan­ gelista passa alla parte parenetica (24,43-25,30).

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male dei cristiani nel mondo presente. In questa ottica, Luca si preoccupa di incoraggiare i suoi lettori, di ispirar loro fiducia 20, di incitarli a tener duro 21• La sorte riservata in questo mondo ai credenti sarà estre­ mamente penosa. Le 9,z3 : « Se uno vuoi venire dietro di me, rin­ neghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua ». Alla sentenza riportata in Mc 8,34, Luca si è accontentato di aggiungere due parole : x�X6' i)(.Ltp�Xv, « ogni giorno >> 22• Nel suo pensiero, la croce non è un accidente che possa sopravvenire un giorno o l'altro, ma costituisce la trama quotidiana della vita cristiana. Il punto di vista che ha provocato l'inserzione della espressione « ogni giorno » non è privo di ana­ logia con quello che gli ha fatto aggiungere l'« ora » nelle beatitudini. At 1 4,zz. Al termine del primo viaggio missionario, Paolo e Barnaba « fortificarono l'animo dei discepoli, 10 Nel v 1 3 : « in testimonianza per voi », invece di « in testimonianza per (contro) essi ». Nel v 14 l'invito insistente : « Ricordatevi dunque bene » (cf Le 1 ,66 ; 9,44 ; At 5,4; 1 9,21). Nel v 15 la promessa: attenua una affermazione più generale. Nel v 1 8, > (Le z.4,z6) 25• Il termine « tribolazione >> ha perso le sue risonanze escatologiche 26, per designare

u Procedimento letterario usato nel passaggio dallo stile indiretto a quello diretto, come in Le � , 1 4 (diversamente da Mc 1 ,44; Mt 8,4) ; At 1 ,4 ; I 7,3 ; :1.3,zz ; z � . � · Cf E. HAENCHEN, Die Apostelgeschichle, � ed., (KEKNT III, 14 ed.), Gottinga, I96�. 3 77· Questa finezza di stile va naturalmente attribuita alla redazione di Luca. •• Verbo adoperato 8 volte in Mt, 6 volte in Mc, I 8 volte in Le, :1.:1. volte negli At (senza contare At I o,6 ; I 8,zi ; z 1 , n). La facilità con cui Luca ne fa uso deriva dalla sua cultura elle­ nistica. Il verbo viene usato in accezioni molto varie, che non è il caso di ridurre artificiosamente a unità. Su questo argomento i due studi fondamentali rimangono quelli di W. GRUNDMANN, art. 8ti, TWNT II ( 1 9 3 � ) :1.1-2� e di E. FASCHER, Theologische Beobachtungen zu Ber, in Neuleslamentliche Studien fiir R. Bullmann (BZNW 21), Berlino, I954, 228-2�4· Ricordiamo ancora J. ZMIJEWSKI, o. c., 406, n. 41. •• Cf Le 9,:1.:1. ( Mc 8,3 1 ; M t 16, : u ) ; 24,7.44-46 ; At 1 7,3 . La somiglianza esistente tra At 1 4,:1.:1. e Mt 7, I 4 viene sottolineata da S. BaoWN, Aposla.ry and Perseverante in tbe Theology of Luke (AB 36), Roma, I 969, I 3 9 ; tuttavia non bisognerebbe trascurare il versetto parallelo di Le 1 3,:1.4, che ripete precisamente a due riprese il verbo « entrare >>. L'espressione « entrare nel regno di Dio >> ritorna in Le I 8, I 7 e soprattutto in I 8,z�. che tratta della impossibilità per un ricco « di entrare nel regno di Dio >>. •• Nella tradizione sinottica 8Ài>. La prima parte del versetto trae la lezione che bisogna ritenere dall'episodio dell'erede scontento ( 1 2 , 1 3 -14), mentre la seconda riassume bene la parabola seguente : la ricchez­ za non ha impedito la morte del proprietario terriero. Il punto di vista personale di Luca va dunque ri­ cercato nella applicazione avventizia, che egli aggiunge al v 2 1 19 : « Cosl avverrà di colui che accumula tesori per se stesso e non arricchisce davanti a Dio ». Tutti sono d'accordo nel ritenere che questa conclusione è avventizia. Non è difficile rendersi conto ch'essa cor­ risponde male al racconto, dove niente giustifica la lezione che questo versetto pretende trame 20• Si pensa perciò che l'aggiunta di questa sentenza vada attribuita a Luca, il quale l'avrebbe composta oy pure avrebbe utilizzato un logion trovato altrove. Questa spiegazione viene contestata da H. Schi.irmann 21 ; le . Luca l'ha riprodotta alla sua maniera in I Z,H : « Vendete i vostri beni e dateli in elemosina. Fatevi delle borse che non si esauriscono, un tesoro indefettibile nei cieli, do­ ve nessun ladro si avvicina e non c'è tignola che roda ». Da tutto questo risulta che Luca ha interpretato la « stoltezza » del proprietario arricchito alla luce della sentenza che costituiva la conclusione di tutta questa l'l L'avverbio o6-rwç, che introduce l'applicazione fatta nel v z. t , è degno di attenzione. Se la statistica non è molto eloquente (Mt 32. volte, Mc 1 0 volte, Le 2. 1 volte, At 27 volte), c'è però da notare che Luca adopera il medesimo termine per introdurre la parabola della pecorella smarrita, attribuibile alla sua reda­ zione (Le � �.7. diversamente da Mt 1 8, 1 3b). Lo ritroviamo per introdurre l'applicazione di una parabola in I4, 3 3 ; I � , 1 o ; 1 7, 1 0 ; in altri contesti : 9, 1 � (diversamente da M c 6,40 ; Mt 1 4 , I 9) ; 1 9, 3 1 diversamente da Mc 1 1 ,3 ; Mt 2 1 , 3). La pre­ senza dell'avverbio in 1 2.,2.1 si accorda bene con l'ipotesi dell'origine reQv.ionale del versetto. Alle espressioni anti­ tetiche « arricchire per sé >.· « arricchire davanti a Dio >> (clç 6c6" viene sostituito al dativo, per evitare che lo si intenda nel senso di « a profitto di Dio ))), si potrebbe accostare l'ag­ giunta fatta da Luca in 20, 3 8 : n&.'ì't'cç yà.p a.&rii> Cwcnv. W. PI!SCH, Bib (I 960) 3 � 9s. e 37 3s., pur senza osare di pronunciarsi espli­ citamente sul carattere redazionale di Le 1 2,2 I , cerca soprattutto di sottolineare lo stretto parallelismo che unisce questo versetto ai vv 3 3-34, conclusione generale di tutta la trattazione. -

LA SORTE NBLL'ALDILA'

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sezione ( I Z,H-H)· Quest'uomo ha pensato solo a « accumulare tesori sulla terra per se stesso » (Mt 6, I 9) e non ha pensato a costituirsi « un tesoro indefettibile nei cieli » (Le I 2. , 3 3), ad « arricchire davanti a Dio >> (v z i ) . A questo scopo egli avrebbe dovuto distribuire i suoi beni in elemosina (v 3 3). La storia del ricco stolto colloca evidentemente questo avvertimento nella prospettiva della morte in­ dividuale 25• Bisogna disporre di un tesoro in cielo per il momento in cui Dio « richiederà l'anima >> (v zo) . Tale prospettiva non domina solo i vv q - z i , ma do­ mina tutto l'insieme dei vv I 3-34, ed è pure alla sua luce che conviene interpretare l'invito del v 3 3 a pre­ pararsi un « tesoro indefettibile nei cieli >> praticando l'elemosina 211• 2.. La parabola dell'amministratore avveduto ( 1 6, I -7) costituisce la perfetta antitesi della storia del ricco stolto, specie se si tiene conto della dichiarazione fi­ nale, dove l'elogio del padrone : « egli ha agito con astuzia (rppovl(.Lwç) » (v Sa), contrasta con il rimprovero di Dio in 12.,zo : « Stolto ! (> : A. DESCAMPS, Le détachement des rkhesses tlans /es Synopliques, in Revue dio&. de Tournai 7 (19p) 3 3 1- 3 3 7 (3 36, n . 2). Cf anche F . MusSNER, L'enseignement de Jésus sur la �ie future d'après /es Synoptiques, in CotUilium Go (1970) 43-50 (44). •• Se è vero che 1 2,21 si ispira a 1 2 , 3 3 , non è però meno vero che 1 2, 3 3 non può essere interpretato indipendentemente dallo svolgimento a cui esso serve da conclusione. W. PESCH osserva giustamente : « In questo contesto Le 1 2, (3 3)-34 non può più essere interpretato escatologicamente, nel senso di un riferimento alla parusia e al giudizio finale ; Luca pensa piut­ tosto individualisticamente alla morte del singolo &ristiano » (Bib 1 96o, 374).

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chiamando il modo in cui Le 1 2.,3 3 parla di un « ri­ soro indefettibile (&v&xÀe:m't"ov) >> 27• La parabola dell'amministratore avveduto solleva molti problemi, che non è questo il luogo per discu­ tere 28• Qualunque sia il giudizio dato a proposito della appartenenza del v Ba alla forma primitiva della pa­ rabola, dal racconto dei vv 1-7 risulta con sufficiente chiarezza che la condotta dell'amministratore è pre­ sentata come abile : quest'uomo, posto in una situazione critica, ha saputo dar prova di preveggenza e assicu­ rarsi l'avvenire. Nel quadro dell'annuncio del prossimo avvento del regno di Dio, l'immagine sembra essere un invito ad approfittare dell'ultimo momento di pausa per assicurarsi un posto nel regno e per evitare il di­ sastro costituito dal fatto di esserne esclusi 29• Il senso sarebbe assai simile, per esempio, a quello della para­ bola dei due litiganti (Le 1 2., � 8- � 9 ; cf Mt � .2. � -2.6) 30• L'avvenire che l'amministratore disonesto si assicura corrisponde, sul piano dell'applicazione, all'avvenire escatologico, a quello che la venuta del regno inau­ gurerà. Ma è perfettamente chiaro che questa prospettiva " Secondo R. H. GuNDRY, 1 Pt 1 ,4 sarebbe « un adatta­ mento della sentenza conservata in Le 12,33 » : > (Mc 10, 1 7 ; Le I 8 , I 8) 52• Egli si tira in­ dietro di fronte alle esigenze di Gesù, provocando le dure riflessioni sulla difficoltà per i ricchi « di entrare nel regno di Dio » (Mc zo,z ; . z4. z 5 ; Mt 19,z;-z4; Le I 8,z4. z 5 )· Gli uditori si chiedono spaventati : « Chi dunque si può salvare ? » (Mc 1o,z6; Mt I 9,z 5 ; Le I 8,z6). Ma a quelli che avranno abbandonato i propri beni per lui, Gesù promette che riceveranno « la vita eterna nel mondo futuro » (Mc I o,;o ; Le 1 8,;o) 53, L'entrata nel regno appartiene al « mondo futuro » (Èv T oclc7m T(il kpxofLévcp), esattamente come l'atteni­ mento della vita eterna. « Entrare nel regno » (Mt 5 , 2o ; 7,z i ; IJ,!.- par.) non ha un significato diverso 1 1 Cf sopra, 1 64-166. •• Mt 1 9,16 scrive : >, ma che non parlano mai della sua « venuta >> : non è il regno che « viene », ma sono i cristiani che vi « vanno » seguendo il cammino della salvezza. Da parte sua H. Conzelmann nota che in Luca la nozione ·

11 Cf anche 1 Ts z, u ; z Ts 1 , 5 ; Ef 5 , 5 ; Gc z ,5 . Notiamo ancora che l'espressione « entrare nella vita >> in Mc 9,43.45 ·47 e M t 1 8,8.9 ha come antitesi quella di « essere gettato nella gehenna >> in M t 5 ,29·30. •• Ecco qualche riferimento a titolo di esempio: K. LAKEH. J. CADBURY, in F. J. FoAKES }ACKSON-K. LAKE, The Begin­ ningr of Chrùtianily, I. The Atls of the Apost/es, IV, Londra, 19 3 3, 1 68 ; B. NoACK, Das Gotlesrei&h bei Lukos. Bine Studie zu Luk 17,20-24 (Symbolae Bibl. Upsal., 1o), Uppsala, 1 948, 46 ; A. WIKENHAUSER, Die Apostelgmhithle (RNT 5), 3 ed., Ratisbona, 1 9 5 6, 1 6 7 ; G. H. C. MACGREGOR, The Atls of the Apostles, in The Interpreler's Bible, IX, New York-Nashville, 1954, 1 9 2 ; R. SCHNAèKI!NBURG, Règne el Royaume de Dieu. Essai de lhéo/ogie biblique (Etudes théologiques, 2), Parigi, 1965, 222 ; G. W. H. LAMPE, Atls, in M. BLACK-H. H. RowLEY, Peoke's Commenlory on the Bib/e, Londra, 1 962, 9o6 ; G. STAE HLIN, Die Apostelgmhùhte (NTD 5), Gottinga, 1 962, 1 96 ; W. G. KiiMMEL, Ein/eilung in das NT, 1 39s. ; W. C. RoB INSON, Der Weg des Herrn. Studien zur Geuhùhte und Euhato/ogie im Lukas­ Evangelium. Ein Gesprii&h mil Hans Conzelmann (Theologische Forschung, z6), Amburgo-Bergstedt, 1 964, 63 ; F. S cHiiTZ, Der leidende Chrùtus. Die angefothlene Gemeinde und das Chrùlus­ kerygma der /ukanùthen Sthriften (BWANT 89), Stoccarda, 1 969, .zo. •• E. GaAESSER, Dar Problem der Parusieverziiger��t�g, 2 1 2s.

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di regno tende a confondersi con quella di salvezza, intesa da un punto di vista individuale 57• In Le 1 8 ,2.4 l'evangelista ha sostituito l'espressione abituale « en­ trare nel regno di Dio » (Mc 10,2.3) con « penetrare (da7toptÒOfL1X�) nel regno di Dio », e S. Légasse osserva a questo proposito che il testo di Luca si comprende meglio nella prospettiva della escatologia individuale, cioé di quella della morte e delle sue conseguenze immediate 58• At 14,2.2. contiene un altro termine, 6ì..i:lji�c;. « tri­ bolazione », le cui risonanze sono normalmente esca­ tologiche. Tuttavia noi abbiamo visto, in ciò d'accordo con Conzelmann, che qui non si designa più la grande prova che precederà la fine, ma semplicemente le dif­ ficoltà di ogni genere cui l'esistenza cristiana va in­ contro in mezzo a un mondo ostile 59• Se questo ter­ mine ha perso il suo riferimento alla fine dei tempi, la medesima cosa può essere successa per l'espressione « entrare nel regno ». Inoltre noi abbiamo notato che la dichiarazione di At 14,2.2. va accostata a quella di Le 2.4,2.6 : « Non era necessario forse che il Cristo pa­ tisse tutto questo ed entrasse così nella sua gloria ? » At 1 4,2.2. dà l'impressione di trasferire sui cristiani una necessità (8ti:) della sofferenza, che riguardava anzi­ tutto Cristo. I termini di Le 2.4,2.6, « entrare nella gloria >>, potrebbero essere legittimamente considerati come un equivalente lucano della formula tradizionale « entrare nel regno » . . Tutte queste considerazioni non costituiscono una prova apodittica. Tuttavia, pur senza condurre a una certezza assoluta - cosa che non si può pretendere in una materia 'come questa -, esse mostrano perlo11 H. CoNZELMANN, Die Mille Jer Zeil, 1o8, n. 2. L'autore fa questa osservazione a proposito di Le 1 2., 3 2, ma la estende anche ad altri passi, tra cui quello di At 14,zz. •• S. LÉGASSE, L'appel Ju riche, 1 09s. •• Cf sopra, 1 64-1 66.

1 95

LA SORTE NELL' ALDILA'

meno che l'interpretazione proposta da E. Haen­ chen 60 e H. Conzelmann 61 e suggerita pure da W. Pesch 62 e da R. Pesch 63 non è priva di fondamento : sembra che Luca abbia inteso dire che l'« entrata nel regno », a cui le tribolazioni :preparano i cristiani, si realizza nel momento della morte individuale, nel momento del passaggio nell'aldilà. La speranza di en­ trare nel regno della fine dei tempi possedeva tutta la sua forza solo nella prospettiva di una venuta immi­ nente di questo regno. Luca considera l'affermazione cc il tempo è vicino >> come un grave errore (Le 2 1 ,8). Non fa quindi meraviglia che egli incentri la speranza cristiana sulla salvezza individuale, realizzata nel mo­ mento in cui termina l'esistenza presente 6�. 3· At 20,32 non è privo di rapporti con 1 4,22. Come il discorso di Listri in 14, I j - I 7 dà una prima idea del grande discorso di Atene (! 7,22-3 1 ), cosl l'addio dato da Paolo e da Barnaba in 14,zz-23 alle prime comunità da loro fondate annuncia già i temi più caratteristici del grande discorso di addio, che se­ gnerà la conclusione della carriera missionaria di Paolo (20, 1 7-38) 65. È così che quanto si afferma in 14,23 a proposito della istituzione dei presbiteri, trova il suo •• E. HAENCHEN, J:!ie Apostelgeschichte (KEKNT III, 14 ed.), Gottinga, 1 96 5 , 3 77· 01 H. CoNZELMANN, Dìe Aposte/geschichte (HNT 7), Tuginba, 196 3 , B r .

.. w . PEseH , Bib r 96o, n. •• R. PESCH, in Krise der Kirche - Chance des Glaubens, I I '' n. 90. .. Cf s. LÉGASSE, /. '· u Il rapporto esistente tra i due passi è stato sottolineato da H. ScRURMANN, Das Testamenl der Pault11 fiir die Kìrche. Apg 2o,r8-JJ, in Unio Christianorum. Festschrift fiir Erzbischof ]osef fiiger, Paderborn, 1 962, ro8- r 46 (1 3 3 ) Trad. Unters., 3 10-340 (3 30). Cf anche E. HAENCHEN, Die Aposte/geschichte, p6. =

IL PllBSENTE E L'AVVENIRE

1 96

complem�nto nella importante dichiarazione di 2.0,2.8. Le difficoltà future, in vista delle quali i missionari esortano i novelli convertiti in I 2.,2.2.a, trovano una eco amplificata in 2.0,2. 8-p . Nei due casi i fondatori delle comunità compiono il medesimo gesto per « raccomandare al Signore » coloro che hanno accolto il messaggio della fede (I4,2. 3b ; 2.0, 3 2.a). Questi punti di contatto permettono di parlare di un parallelismo delle espressioni, che evocano la salvezza attesa : « entrare nel regno di Dio » in I 4,2.2., ottenere l'« ere­ dità in mezzo ai santificati )) in 2.0,3 2.. Bisogna dunque pensare che l'entrata nel regno di Dio e l'ottenimento della eredità hanno luogo nel momento in cui il cri­ stiano, attraverso la morte, passa a un'altra vita ? La questione merita di essere esaminata. Ci troviamo di fronte a una separazione definitiva: « Io so che voi tutti, in mezzo ai quali sono passato predicando il regno di Dio, non vedrete più la mia faccia >> (2.0,2 5). Paolo ha fatto tutto quel che era in suo potere per il bene dei suoi interlocutori : « Ricor­ datevi che per tre anni non ho mai cessato, notte e giorno, di riprendere con lacrime ciascuno di voi » (v 3 I ) . Poiché d'ora in poi non potrà più esercitare le sue responsabilità, li affida a Dio. È la parola di Dio che dovrà prendersi cura degli anziani di Efeso : « Ed ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha il potere di edificare e di dare la sua eredità in mezzo ai santificati >> (v p ) . Paolq « affida >> i suoi uditori a Dio, così come si « affida >> (7tocpocTl6e:(.Lott) 66 un de­ posito a qualcuno per metterlo al sicuro. Ma egli non si attende solo che la parola di Dio conservi intatto �

.l'

•• Negli Atti il verbo viene adoperato in tal senso solo in questi due versetti : 1 4, 2 3 e 20, 32. Lo ritroviamo in Le 1 2,48 e 23,46. Cf a questo riguardo la nostra opera su Le Distours Je Mi/et, testament pastoral de saint Pau/ (Actes 2o,r8-J6) (LD p.), Parigi, 1 962, 236-242.

LA

SOJ.TE NELL'ALDILA '

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quel che egli ha posto sotto la sua protezione ; essa dovrà continuare il ministero che Paolo ha ricordato nel versetto precedente : « riprendere » o « rimprove­ rare » (vou6E..&v) costantemente « ciascuno >> (�vll lxll­ aTov) di questi cristiani. È cosi che essa prima « edi..: ficherà », per poi > designa tradizionalmente i membri del popolo di Dio che vivono sulla terra 72• Bisogna dunque pensare che l'espressione finale del v 3 2 affermi che la parola di Dio ha il potere di aggregare nuovi membri alla comunità cristiana? 73 Questa spiegazione ha l'in­ conveniente di non render conto del movimento della frase : alla « edificazione >> operata dalla parola di Dio segue normalmente l'ottenimento della salvezza. L'uso del termine « eredità >> raccomanda questa interpreta­ zione, in quanto richiama l'espressione « ereditare la vita eterna >> (Le r o, z 5 ; r 8, r 8). Ma allora il punto di vista individuale dei vv 3 1 - 3 2 invita a non tramandare l'ottenimento della « eredità in mezzo ai santificati >> fino alla fine del mondo. La parola di Dio, dopo aver manifestato la sua efficacia produttrice di vita cristiana, procurerà a ogni cristiano al momento della morte la felicità tra gli eletti ? 74

71 Espressione equivalente in At 26, I 8 : Cristo ha inviato Paolo ai gentili, > nelle apocalissi :

K. HRUBY, L'influente des apora/ypus sur l'esrhatologie judeo-rhré­ in L'Orienl Syrien 1 1 (1 966) 291-320 (304). Illustrazione

liume,

di un punto -che tocca da vicino il nostro argomento : « Per > (p. 307).

222

IL PRESENTE E L'AVVENIRE

Il Libro di Enoc fornisce dei buoni esempi di questa maniera di vedere 12s • Nel capitolo z z , Enoc arriva davanti a un'alta montagna, in cui si trovano quattro caverne profonde : « Tre di esse sono tenebrose e una luminosa, con una sorgente d'acqua al centro >> (v z.) . L'angelo Raffaele spiega : « Questi luoghi, queste caverne (sono fatte) per radunarvi gli spiriti delle anime dei morti. È pre­ cisamente per questo che sono state create, perché vi siano adunate tutte le anime degli uomini. E questi luoghi sono stati fatti per contenerle fino al giorno del loro giudizio e fino al tempo fissato, in cui su di loro avrà luogo il grande giudizio >> (vv 3-4). Poi il testo fornisce alcune precisazioni sulla destinazione delle quattro caverne : le indicazioni non sono molto chiare e sono state interpretate in maniera divergente dalla versione greca e da quella etiopica. Ma il pensiero direttivo non lascia posto ad alcun dubbio : le anime dei giusti e dei peccatori sono separate e conoscono una sorte diversa fin dalla morte, in attesa del « grande giudizio >> della fine dei tempi 129• Il capitolo 103 testimonia una concezione analoga. Enoc ha letto sulle tavolette del cielo che > o En. I passi cw f?.cciarno qui riferimento sono citati secondo l'edizione di M. BLACK, Apoçalypsis Henoçhi Graeçe (Pseudepi­ grapha Veteris Testamenti Graece, III), Leida, 1 970, 1 -44. 100 Così per esempio P. GRELOT, Rev. th Qumran 1 9 5 8- 5 9, u 8 ; W. J. P. BoYD, Studia Evangeliça, V, 46 ; P. HoFFMANN, Die Toten in Christus, u o ; C. LARCHER, Etudes sur le Livre de la Sagesse, p 3 , n. 4· 18° Cf P. GRELOT, •l t. e L'esçhatologie de la Sageue, 173 1 95) . ( r

LA SORTE NELL' ALDILA'

223

anime saranno precipitate nell'Ade; esse rimarranno là in grande miseria, nelle tenebre, nella rete e nella fiamma bruciante, e andranno al grande giudizio, le vostre anime, in tutte le generazioni del mondo. Guai a voi, perché per voi non c'è (motivo) di rallegrarsi ! » (vv 7-8). Benché il testo non sia perfettamente chiaro, sembra che si possano riconoscere due tappe nel ca­ stigo ch'esso annuncia ai peccatori, dopo la felicità goduta sulla terra : subito dopo la morte, la loro anima viene precipitata nei tormenti dell'Ade, dove attende il « grande giudizio », che avrà luogo più tardi 131• Il Libro della Sapienza, nell'intento di non aggre­ dire di petto le concezioni ellenistiche, adopera un linguaggio allusivo, in cui occorre saper riconoscere un fondo di pensiero giudaico molto tradizionale. È facile esserne tratti in inganno. Alcuni esegeti hanno l'impressione che l'autore non stabilisca alcun rap­ porto tra la dottrina della immortalità e l'idea del giu­ dizio escatologico 132 ; i due temi sarebbero sviluppati parallelamente e indipendentemente uno dall'altro. Se si guarda meglio, si constata che la sorte diversa dei giusti e dei peccatori dopo la loro morte rimane prov­ visoria, in attesa del « giorno della visita )) di Dio, che la fisserà definitivamente 133• Ciò risulta in maniera particolare in 3 , 1-8 13�. Agli occhi degli stolti la morte dei giusti, che chiude una vita di tribolazioni, passa 111 Aff ermazioni analoghe in En 100,4- � - Cf GRELOT, nei due punti citati nella nota precedente, e S. AALEN, NTS 1 96667, 19. Diversa interpretazione in P. HoFFMANN, Die Toten in Chrislus, 1 2 � , ma sulla base di una traduzione erronea. , .. P. HoFFMANN, o. c., 8 � , che segue H. BuECKERS, Die Unsterb/ichkeitslehre des Weisheitsbuch. !br Ursprung und ibre Be­ tkutung (Aittestamentliche Abhandlungen, XIII, 4), Milnster, 1 9 3 8, 3 8-42. 188 Cf P. GRELOT, L'eschatologie de la Sagesse, qzs. e q6 (1 94s. e 1 98) ; C. LARCHER, Etudes .rur le Livre tk la Sageue, 301-pi. '"' Cf P. GRELOT, a . c., 169s. ( 1 9 1 s.).

224

IL

PRESENTE E L'AVVENIRE

per una disgrazia e un disastro (vv 2.-6). Invece fin da ora la loro sorte è invidiabile, « le loro anime sono nelle mani di Dio >> (v 1 ), « essi sono nella pace >> (v 3) e « la loro speranza è piena di immortalità >> (v 4). Ecco quel che concerne la loro condizione at­ tuale. La felicità di cui godono rimane piuttosto pal­ lida, in quanto essa realizza solo in maniera molto im­ perfetta una felicità riservata al momento dell'inter­ vento escatologico di Dio. È allora che, « per una sof­ ferenza leggera, essi riceveranno dei grandi benefici >> (v 5 ) ; « nel giorno della visita di Dio essi risplende­ ranno. .. Comanderanno alle nazioni e domineranno i popoli e il Signore regnerà su di loro per sempre >> (vv 7-8). Dati gli agganci giudaici della escatologia di Luca, non desta meraviglia che qualcuno sia stato tentato di attribuire all'evangelista una concezione del mede­ simo genere. Si suppone per esempio che la felicità del povero Lazzaro nel seno di Abramo e i tormenti del ricco nelle fiamme dell'Ade (Le 1 6,z. z.-24) rappresen­ tino per questi due uomini solo uno stato provvisorio, in attesa del giudizio definitivo 135, o che la felicità promessa al buon )adrone in Paradiso (23.43) debba semplicemente permettergli di attendere in pace la salvezza definitiva, che gli sarà accordata alla fine dei tempi 136• Tuttavia né questi testi né altri simili ( I 2,45 . I 5 -2 1 . 3 3 ; I 6,9 ecc.) presentano indizi che permettano di supporre che la condizione dei defunti sia provvi'"" Così S. AALEN, NTS 1 966-67, 8-1o; P. GRELOT, « Au· jourd'hui tu seral-fJv• moi tians le Paradin> , RB 1 967, 1 99-204 De la mori à la vie iternelle, 206-2 1 2 ; A. GEORGE, La parabole du rirhe et de Lazare, AssS• n, 90. =

'"' L'articolo di P. Grelot, citato nella nota precedente, si propone precisamente di interpretare la promessa di Gesù alla luce delle idee escatologiche delle apocalissi, senza neppure domandarsi se l'evangelista che la riferisce abbia anche lui qualche idea. Medesimo punto di vista in A. Aalen e A. George nei passi citati sopra.

LA SORTE NELL'ALDILA '

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soria e che autorizzino a subordinarla a un giudizio collettivo, di cui si parla in altri contesti. Non è un metodo buono quello di imporre a Luca una sintesi escatologica ch'egli non ha fatto e che forse non ha voluto fare. Dobbiamo allora accontentarci di una constata­ zione puramente negativa, che prenda atto della as­ senza in Luca di ogni rapporto tra ciò ch'egli dice della sorte dopo la morte e quel ch'egli riferisce al­ trove a proposito degli avvenimenti della fine dei tempi e del giudizio finale ? 137 Ci sembra che si possa andare un po' più avanti. La condizione dell'uomo dopo la morte non si presenta come uno stato intermedio e viene pertanto ad acquisire una certa autonomia. La credenza nella retribuzione posi mortem diventa cosi una risposta che, senza essere né completa né esclusiva, fornisce tuttavia una spiegazione del destino umano capace di bastare da sola. L'escatologia indi­ viduale si emancipa dalla tutela che, nella tradizione giudaica, l'escatofogia generale faceva pesare su di essa, e in tal modo acquista una certa qual parentela con il punto di vista greco. Certo, l'escatologia di Luca attinge tutto il proprio materiale dalle concezioni del giudaismo e del cristia­ nesimo primitivo ; quanto a questo, essa non deve niente alle idee dell'ellenismo. Però vi è forse qualcosa di greco nell'interesse che Luca mostra per la sorte individuale, considerata indipendentemente dagli avve­ nimenti che alla fine dei tempi fisseranno la sorte col­ lettiva dell'umanità. Possiamo pensare che la sua cul­ tura greca abbia influito in qualche modo sulla atten117

Non è il caso di sottolineare che l'attesa escatologica in senso stretto non è stata affatto eliminata da Luca. Sul giudizio universale che avrà luogo alla fine dei tempi, cf Le 6,3 7 ; 9,:1.6; 1 0, 1 4 ; 1 1 , 3 1 .3 :1. ; 1 3, 1 7 ; 1 8, 7 ; 1 9,:1.:1.; zo,47; zz,3o; At 10,4 :1. ; 1 7,3 1 ; :1.4,:1.1. Sulla risurrezione dei morti nel medesimo mo­ mento, cf Le 1 1 , 3 1 . p ; 1 4, 1 4 ; :1.0,:1.7-36 ; At :1.3,6 ; :1.4,z 1 ecc.

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IL PRESENTI!

l!

L'AVVENIRE

zione privilegiata ch'egli riserva al capovolgimento delle condizioni, che si attua al momento della morte. Non ci sarebbe quindi da meravigliarsi se ritrovassimo tale condizione di spirito anche nella sua interpreta­ zione delle beatitudini. CONCLUSIONE

Per quanto riguarda il punto di vista temporale delle beatitudini originali, la versione di Luca te­ stimonia un importante spostamento di prospettiva. Noi l'abbiamo constatato in due punti : I . Il momento presente, di cui Gesù parlava ai suoi uditori, era quello del suo ministero ; per i lettori cristiani di Luca esso è diventato il tempo in cui essi vivono, il tempo della Chiesa. Il tempo di Gesù era il tempo di una possibilità meravigliosa, offerta agli uomini che ascoftavano la Buona Novella : le promesse di felicità e di salvezza fatte in altri tempi dai profeti vengono adempiute ora, oggi. Luca vede il presente sotto una luce meno rosea : esso è l'(( ora-ancora )) della prova che si pro­ lunga. La condizione del cristiano nel mondo è posta sotto il segno della necessità della sofferenza, la sola via che conduca alla salvezza. futura. Guai pertanto ai beati di questo mondo, la cui miserabile felicità non può che finire in un disastro. z. Agli oed'li- di Luca, l'avvenire che deve ricon­ fortare i cristiani in mezzo alle loro tribolazioni non è più tanto quello dell'avvento del regno di Dio, che capovolgerà le situazioni attuali ; Luca, prospettando questo capovolgimento dal punto di vista dell'indi­ viduo, lo colloca al momento della morte. È allora che le sofferenze dei cristiani poveri e perseguitati riceveranno la loro ricompensa, ma è anche allora che

CONCLUSIONI!.

227

la felicità della gente ricca e onorata s1 cambierà in dolore. Luca, per incoraggiare i fedeli a perseverare nella prova, rifiuta l'illusione pericolosa di coloro che an­ nunciano l'imminenza della fine 138• Si rende conto che la fine del mondo forse non è cosi prossima e che lo svolgimento della storia potrebbe prolungarsi 139• D'altra parte non è affatto disposto a sacrificare la speranza in un avvenire migliore, che dona alla fede cristiana il suo dinamismo. Trasponendola sul piano individuale, egli la rende nel medesimo tempo più accessibile alla mentalità individualistica del mondo el­ lenista. Tale speranza non sarà centrata tanto sugli av­ venimenti che metteranno fine alla storia e inaugure­ ranno il regno di Dio, quanto piuttosto sull'avveni­ mento decisivo per ogni individuo : quello della sua morte e del suo passaggio in un altro mondo 140• Tale è la prospettiva su cui Luca crede di poter far leva al fine di stimolare la perseveranza dei cristiani nell'adem­ pimento dei loro doveri immediati. In fondo il suo pensiero non pare molto diverso da quello di Paolo, quando scrive : « Se noi riponiamo la nostra speranza in Cristo soltanto w in questa vita, siamo i più mi­ serabili di tutti gli uomini » (1 Cor q , 1 9). Questo slittamento dalla escatologia collettiva verso l'escatologia individuale non è privo di interesse per 111 Lo abbiamo sottolineato parlando di Le 21 ,8. 100 Possiamo pensare alla aggiunta caratteristica di 2 I ,24, che colloca « i tempi dei gentili )) (i tempi del dominio lasciati in mano ai nemici di Israele) tra la rovina di Gerusalemme e gli avvenimenti che precedono la fine del mondo. uo A. HAs TINGS scrive molto bene : . Cf R. ScHNACKENBURG, Der euhatologiuhe Abuhnilt Lç IJ,ZO-JJ, 2 1 8, che segue A. RuESTOV, 'E.,.,.òç ÙfLWV

wnv, ZNW p (1 96o) 1 97-22.4. •n Le abbiamo riprese e precisate meglio in Die individuelfe Erçhato/ogie im Lukar-Evange/ium und in der Aposlelgeuhiçhle, destinato all'opera Orienlierung an ]esus. Zur Theo/ogie der Sy­ ·

Mpliker. Fiir ]osef Jçhmid, Friburgo in Br., 1 973· n-47·

CAPITOLO

III

I L PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

In mezzo alle privazioni della povertà, alle pene dell'esistenza, alle sofferenze e alle umiliazioni inflitte loro dall'odio degli uomini, i cristiani devono farsi coraggio pensando alla magnifica ricompensa che è loro riservata nell'altra vita. A prima vista la promessa delle beatitudini è unicamente legata alle prove che caratterizzano la condizione del cristiano in questo mondo. Possiamo pensare ch'essa supponga la perse­ veranza e la fedeltà, ma niente richiama l'attenzione su q,uesta esigenza. Le beatitudini di Luca parlano di una Situazione esteriore e sembrano far astrazione dalle disposizioni intime di coloro a cui sono indirizzate. Questo modo di vedere è più sorprendente ancora nei vae. Essi non rivolgono alcun rimprovero di ordine morale ai ricchi, che godono dei beni della vita e della considerazione degli uomini. La causa della loro infe­ licità futura sembra vada ricercata unicamente nella loro felicità presente. Il primo vae lo dice chiaramente : « Guai a voi, o ricchi, perché avete già avuto la vostra consolazione » (Le 6,24). Questa affermazione viene ripresa sotto una forma più esplicita nelle parole che Abramo rivolge all'uomo ricco : « Figliuolo, ricorda che tu, durante la tua vita, hai ricevuto la tua parte di beni e Lazzaro, a sua volta, la sua parte di mali ; ora

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

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egli è qui consolato, mentre tu sei tormentato >> (I 6,z 5 ) Il fatto che i ricchi abbiano ricevuto la loro parte di felicità in questa vita costituisce dunque la spiegazione della loro dannazione eterna ? Numerosi altri passi dell'opera di Luca mostrano che non è possibile evitare questa questione. All'ini­ zio del vangelo, Maria magnifica il Signore, « che ha saziato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi » (I , 5 3). In I z, I 5 - 2. 1 il ricco stolto è giudicato molto severamente, se l'unico rimprovero che gli si può rivolgere è quello di non aver rrevisto la sua morte imminente ; a meglio guardare, i rimprovero sembra avere una motivazione più remota : egli ha voluto conservare i beni per se stesso, mentre avrebbe do­ vuto distribuirli in elemosina 1• Ciò ci porta al radica­ lismo delle esigenze di Luca in materia di possesso dei beni terreni. La sua espressione più categorica ri­ corre in I 4, 3 3 : « Chiunque di voi non rinuncia a quanto possiede, non può essere mio discepolo ». La sua applicazione concreta si ha nel racconto della vocazione dei primi discepoli, che « abbandonano tutto » per seguire Gesù ( 5 , 1 1 .z8) 2• I racconti paral­ leli non parlano di « tutto ». Questa precisazione ri­ compare nei sommari riguardanti la prima comunità di Gerusalemme, dove Luca non teme di generaliz­ zare 3 : « Tutti i credenti stavano insieme e avevano .

1 È quanto risulta dalla a plicazione proposta nel v z I , dove noi abbiamo creduto d i poter riconoscere una anticipazione redazionale del v B· Cf sopra, q�- 1 8 I . 1 La reci11a2:U,ne « tutto >> non si trova nelle versioni pa­ rallele. C anche Le I 8,zz. 1 > e « Lo sterco del Demonio ») . Su questa ipotesi « ebionita », che ha conosciuto il suo momento di successo, che è stata re­ futata cento volte (ad esempio di A. JùLICHER, Einleilung in das Neue Testament, 1 894, 206 ; A. PLUMMER, The Gospel au. lo St. LuJ:e, Edimburgo,. 1 896, , ed. 1 922, XXVs. ; P.WERNLE, Die synoptische Froge, Friburgo i. Br., 1 8 99, 84-88), ma di cui non ci si è mai completamente sbarazzati, cf una esposizione dello Stato della questione in H. J. HoLTZMANN, Lehrbuch der t�eutestamentlichen Theologie, 2 ed. (a cura di A. JùLICHER e W. BAuER), I, Tubinga, 1 9 1 1 , s zs - s 29 ; L. DE GRANDMAISON, Jésus-Christ, sa personne, son meuage, ses preuves, l, r o ed. Parigi, 1 929, 86s. Nella posizione di Luca circa la ricchezza e la povertà ai pensa di poter scoprire un certo cattivo odore di ebionismo, «. seco'? do cui la ricchezza sarebbe riprovevole in sé, f'?entre la rinuncia al possesso e la povertà sarebbero buone d1 per se ltesse » : (P. FEINE·)J. BEHM, Ein1eilung in das Neue Tutamml, 9 ed., Lipsia, 1 9s o. A questo proposito si ricorda volentieri la formula delle Omelie Pseudoclementine, xv.9 : -rei x't'ijfUXT« d:!J4PT'i)· f.LO> e « pieni di stupore » (Mc r o,z.4.z.6), cui Gesù si in­ dirizza dicendo loro « Figl�uoli » (Mc 1 o,z.4) 6• In Luca Gesù parla agli « uditori » (ot «xooacr;v-re:ç : I 8,z.6)

1 Il fatto chcJ.»> abbia già adoperato questa sentenza in I 3, 3 o non costituisce una spiegazione sufficiente della sua omis­ sione in 1 8,3o. Egli non esita a ripetere in 18, 1 4b la sentenza che ha già riportato in 1 4, I I , o in 17,33 quella che ha già ci­ tato in 9,24. Egli elimina Mc 10,31, perch� questo versetto stona in questo punto. • Abbiamo già osservato un modo di procedere analogo in Le Z I , j -7, dove l'evangelista elimina la menzione dei disce­ poli (Mc 1 3, 1 -4) e fa del discorso escatologico un insegnamento pubblico.

IL RICCO NOTABILE E IL RICCO PUBBLICANO

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senza altra precisazione : gente anonima, che si trova là accanto al ricco notabile. I discepoli entrano in scena solo con la domanda rivolta, a nome loro, da Pietro nel v 2. 8. L'insegnamento sulla disgrazia dei ricchi non sem­ bra dunque riguardare i discepoli e non deve inquie­ tarli : essi non hanno forse abbandonato tutti i loro beni per seguire Gesù? (v 2.8). Unendo più stretta­ mente di quanto non faccia Marco il comportamento del ricco e l'insegnamento sulla sventura dei suoi pari, Luca dà vita a un contrasto più netto tra il caso dei ricchi e quello dei discepoli, e accentua la parentela di questo passo con quello delle beatitudini e dei vae.

3· Qllllkhe rifoçço di dettaglio merita di essere preso in considerazione. Non ritorneremo più sul fatto che la versione di Luca si distingue da quelle parallele in quanto fa dell'uomo che avvicina Gesù un &px:wv, un detentore dell'autorità (v 1 8) 7, e lo designa espli­ citamente come un « ricco )), « estremamente ricco >> (v 2.3). La reverenza per la persona di Gesù gli im­ pedisce di parlare dell'affetto di questi per il ricco (Mc Io,z i) 8, mentre accentua la profonda tristezza (m:ptÀu7toc; �ye:v�l:ll) : v 2.3) 9 di colui che non ha avuto il coraggio di rispondere alle esigenze prospettategli

7 Cf sopra, 9 1 s. • Il verbo ciya�ciw non indica un « semplice impulso inte­ riore )), dei « sentimenti intimi )), ma « esprime sempre una manifestazione di affetto >> : C. SPICQ, Agapè dan.r le Nouveau Teslam6nl. Analyse des lexles, I (RB), Parigi, 1 9 5 8, 8zs. Luca, omettendo questo tratto, cosl come ha omesso il gesto di Gesù che prende in braccio i bambini (Mc ro, r 6), evita di mostrare il Signore commosso da sentimenti che possono sembrare troppo umani ; egli però ha un motivo speciale di agire così in questa circostanza, in cui l'offerta che Gesù fa della propria amicizia incontra un insuccesso. • Cf R. BuLTMANN, art . �cpLÀuTtoç, TWNT IV (1 942) 325.

240

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

da Gesù lo. Ma i tratti di questo genere non modifi­ cano il significato del racconto. Senza dubbio più significativo è il modo in cui l'evangelista insiste su quelle esigenze di Gesù. Marco scriveva già: « Vendi tutto quello che hai », liaor. �x.etç 'ltWÀlJaov (zo,2 1 ) ; Luca rincara la dose : 'lttXVTIX liaor. �x.etç 'ltWÀlJaov (z 8,zz). Aggiungendo 'lttXvTor. a liaor. 11, egli ci ricorda il 'lttXVTIX che ha aggiunto in 5 , 1 1 . 28, parlando dei primi discepoli che hanno lasciato (( tutto >> per seguire Gesù, quel (( tutto >> con cui egli caratterizza la totale comunità di beni tra i primi cristiani (At z,44 ; 4,32) e che adopera per riassumere a proprio modo 12 l'obbligo imposto a ogni cristiano : (( Chiunque di voi non rinuncia a quanto possiede, non può es­ sere mio discepolo >> (Le 14,33). L'insistenza testi­ moniata dalla aggiunta di 'lttXVTIX in I 8,22. è tipicamente lucana 13• 10 La sostituzione di fv ot uanpEi (Mc I o,u) con fTt fv crot ÀEbttt non cambia niente quanto al senso, però è più cor­ retta. Sulla difficoltà che presenta l'espressione di Marco, cf i

commenti (H. B. Swete, V. Taylor, E. Lohmeyer) e S. LÉ­ GASSE, L'appe/ du ri&ht, p, n. a8. 1 1 lloo� significa « quanto uno ha >> e viene adoperato nel senso di (( tutto » : W. BAUER-W. F. ARNDT-F. W. GINGRICH,

A GreeJ:-Englùh LtxiJ:on of the Ne111 Tertamenl and other Ear/y Christian Literalure, Cambridge-Chicago, 1 9n. 5 90. Quando

Luca incontra Tt>. E siccome il tema in questione era quello dei prestiti, egli prosegue (senza testi paralleli) : « Anche i peccatori dànno in prestito ai peccatori per avere altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene, prestate aenza sperar niente >> (6,34-35). Sappiamo pure che in lui l'invito a rinunciare ai propri beni e ai propri parenti si estende fino ad includere la moglie: in I 8,29 (diversamente da Mc I0,2.9), In 14,2.6 (diversamente da Mt 10,37) e probabilmente bisogna aggiungere anche 14,2.0 (diversamente da Mt 22,5). Cf vol. l, 925, n. t 8o. " Secondo i calcoli di A. HARNACK, « Luca ha all'incirca un 66% di verbi composti in più di Mt, le cui proporzioni sono pressoché esattamente le stesse di Marco >> : The S4yings of ]esus. The Secomi Souree of St. Matthew an St. Lulee (N. T. Studies, II), Londra-New York, I 9o8, I s o ; cf anche 38. Forse Harnack ha esagerato la qualità letteraria dell'uso dei composti : J. H. MouLTON-W. F. HoWARJ? A Grommar of New Teslamenl Gree/e, II, Edimburgo, I 9 I 9, I I . Rimane comunque il fatto che Luca manifesta una preferenza pronunciata per i verbi composti, ma che non li adopera senza discernimento : cf H. J. CADBURY, The Sty/e aflli Literary Method of Lulee (Harvard Theol. Studies, VI), Cambridge Mass., I 92o New York, 1 969, I 66-I68. Secondo un calcolo approssimativo, nel terzo vangelo ci sono oltre 900 verbi diversi, di cui 370 semplici e no composti. ,. Al di fuori di Le I 8,22 e di At 4,3 5 , 8!48(!l(o)fLL nel NT ri­ corre solo in Gv 6, 1 I (lezione ben attestata) e in Le 1 1 , 22. In q uest'ultimo caso il suo impiego sembra legato a un complesso di cambiamenti, su cui S. LÉGASSE ha attirato l'attenzione : L' « Homme fort >> de Luc xi 2 1-22, NT 5 (I 96z.), s -9· Nella tradizione rappresentata da Mt 1 2,2.9 e Mc 3,27, Gesù spiega che, per impadronirsi dei beni di un uomo forte, bisogna co,

=

242

IL PROBLI!MA DELLA RICCHEZZA

del racconto tradisce un altro contatto con il mede­ simo sommario della vita della Chiesa nascente. Nel v z8, rirortando l'intervento di Pietro, Luca ha sop­ presso i 7ttXVTIX attestato qui da Marco : « Noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito » (Mc I o,z8), ma lo fa per sostituirvi TOC t8L) . Possiamo perciò domandarci se Luca, ripro­ ducendo questo passo, non abbia pensato all'ideale che la prassi dei primi cristiani rappresentava ai suoi occhi 16• Dei tre ritocchi che abbiamo sottolineato : aggiunta di 7ttXVTIX, uso del verbo 8L> da innestare di nuovo i rami naturali sul loro proprio olivo. E Mc I 4, 3 6 : « Padre, tutto ti è possibile >>• .. Cf s. LÉGASSE, o. c. , 103 .

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IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

> 24• Vi è dunque incompatibilità tra possesso della ric­ chezza e ottenimento del regno o della vita eterna. Luca però, sottolineando questa impossibilità, non dice niente di nuovo rispetto a Marco, e tutto induce a pensare che questo insegnamento risalga a Gesù. Se si potesse parlare di « ebionismo >>, Percy avrebbe ragione nel dire che il vero responsabile di tale ebio­ nismo è Gesù stesso e non Luca z.�. In effetti la que­ stione ha bisogno di essere precisata : il vero punto da chiarire è quello di sapere se questa incompatibilità è connessa con la ricchezza in quanto tale opfure se passa attraverso le disposizioni del cuore de ricco. Per vederci chiaro - in ogni caso al livello della redazione evangelica - non possiamo isolare i vv 24-27 dal loro contesto. Questi versetti tirano la le­ zione che risulta dalla condotta dell'uomo ricco (vv 1 8-2 3 ) : la sua ricchezza non gli ha impedito di perce­ pire la chiamata di Gesù, ma lo ha reso incapace di rispondervi. Di fronte alla opzione che gli veniva offerta, egli non ha saputo risolversi a sacrificare i pro­ pri beni terreni per farsi > (v 22) e assicurarsi l'entrata nel regno. L'ostacolo che gli impedisce si trova nella sua ricchezza, ma non indi­ pendentemente dal suo attaccamento ai propri beni. Inoltre bisogna tener conto anche dello stretto legame stabilito da Luca tra l'episodio del ricco no­ tabile e quello_d9 bambini ( 1 8, q-q). Tutta la trat­ tazione dei vv I 5-30 riguarda il medesimo problema e cioè quello delle condizioni da adempiere per entrare

"' Luca evita normalmente un parallelismo troppo stretto le ripetizioni ch'esso comporta. Tuttavia qui il parallelismo è più rigoroso che in Mc (e in Mt), perché la sentenza adopera due volte il medesimo verbo « entrare >>. •• E. PERCY, Die Bolsçhaft ]1su, 1 06.

e

IL RICCO NOTABILI!

B

IL RICCO PUBBLICANO

247

nel regno di Dio. A questo scopo bisogna accoglierlo come un fanciullo (v 1 7) : si tratta evidentemente di una disposizione di animo richiesta ai cristiani 241• Quando poi il racconto spiega che è patircamente impossibile a un ricco entrarvi, si può pensare che la sua ricchezza non sia la sola in causa ; l'impedimento consiste piuttosto in una specie di paralisi, che lo col­ pisce di fronte a una opzione necessaria : egli non ha più la forza di preferire i beni eterni ai propri beni temporali. Le pagine che seguono mostreranno che questa interpretazione è quella che meglio si accorda con il punto di vista abituale di Luca. 2.

Il ricco pubblicano (Le I9, r-ro) .

r . Il contesto dell'episodio di Zaccheo richiede due osservazioni. Anzitutto bisogna notare che uno stretto legame unisce questa pericope a quella precedente della guarigione del cieco di Gerico (1 8,� � -4�) 27• I due episodi si verificano a Gerico. Medesima scena : Gesù avanza circondato dalla folla, cosa che rende diffi­ cile avvicinarglisi. Egli si interessa al cieco che grida e al pubblicano salito su un sicomoro, mentre la gente, che si dimostra poco benevola, vuoi imporre silenzio al cieco e mormora vedendo che Gesù si reca in casa di un peccatore. Gesù dichiara al dieco : « La tua fede ti ha salvato », e a Zaccheo : « Oggi è venuta la sal­ vezza in questa casa >>. I punti di contatto sono suffi­ cientemente .numerosi per far pensare che, nella mente dell'evangelista, i due episodi non sono separabili.

•• Cf vol. l, 737· 17 Il rapporto tra le due pericopi è stato messo in luce da A. PAuL, La guérùon de /'fllllug/e (des aveug/es) de ]eriçho, in Poi el Vie, Cahiers Bib/iques, n. 9 ( 1970) 44-69 (57-59). L'autore accentua un po' troppo la loro rassomiglianza, ma le sue os­ servazioni sono sostanzialmente valide.

248

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

In secondo luogo bisogna notare che queste due pericopi fanno parte di una unità più larga, che va da z 8, z s a 1 9,2.7 e che precede l'arrivo a Gerusalemme (1 9,z8). Vi riconosciamo due episodi (i bambini e il ricco notabile), seguiti dalla terza predizione della passione (1 8,3 1-34), poi di nuovo due fatti (il cieco di Gerico e il pubblicano Zaccheo), seguiti dalla pa­ rabola delle mine (z9, 1 I-z7 : contro una falsa inter­ pretazione dell'arrivo a Gerusalemme). All'interno di questa sezione gli episodi riguardanti due personaggi qualificati come « ricchi » occupano una posizione parallela, nel medesimo tempo che contrastano l'uno con l'altro. Da un lato il ricco notabile, che Gesù chiama a seguirlo, non ha il coraggio di abbandonare i propri beni, e il suo atteggiamento induce a doman­ darsi se è mai possibile che un ricco si salvi. Dall'altro, il ricco pubblicano, presso cui Gesù si autoinvita, decide di dare ai poveri la metà dei propri beni e di rendere il quadruplo di quanto ha estorto : e Gesù dichiara che la salvezza è entrata in quella casa. Non . occorre altro per indurre a pensare che la storia di Zaccheo non si collega solo con quella di Bartimeo, il cieco di Gerico, ma anche con quella del ricco notabile, di cui costituisce come un complemento. 2. La storia di Zaccheo si divide facilmente in due parti 28• La prima (19,1-6) racconta del desiderio che Zaccheo ha di vedere Gesù, dello stratagemma cui ricorre per soddisfare la sua curiosità e della risposta data da Gesù � .,questa dimostrazione di interesse:

•• Cf K. LoENING, Ei11 P/atz fiir die Verlore11e11. Zum Form­ lr:ritile zweier neuleslamelltlicher Legelldell (L/e 7,}6-J O .. 19,1-1 o).

12 (1971) 1 98-208 (2o1s.). Questo autore scopre uno stretto parallelismo tra la storia di Zaccheo e quella della peccatrice perdonata. In tale occasione egli compie una buona analisi della pericope che stiamo studiando.

BL

II.

lliCCO NOTABILE

l!

IL lliCCO PUBBLICANO

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autoinvitandosi a casa sua, Gesù concede a Zaccheo molto più di quanto questi avesse sperato. La seconda parte è assai semplice, presupposto che per il momento astraiamo dal v 8 (e 9a). Tutti mor­ morano vedendo che Gesù va ad alloggiare da un peccatore (v 7). Egli deve dunque giustificare la sua condotta di fronte a coloro che lo criticano e lo fa per mezzo di due considerazioni : si tratta di un figlio di Abramo (v 9b) 29, inoltre « il Figlio dell'uomo è ve­ nuto a cercare e a salvare quel che era perduto » (v Io). Questo v I O riferisce al Figlio dell'uomo quel che Dio diceva riguardo al proprio intervento esca­ tologico in Ez 34, q - r 6, annunciando che si sarebbe preso personalmente cura delle proprie pecore. Le due considerazioni non sono certamente indipendenti l'una dall'altra. Si tratta di due elementi di un'unica risposta, che dice secondo la formula matteana : « Sono stato inviato alle pecorelle perdute della casa di Israele »» (Mt I 5 ,24 ; cf Io,6) 30• In questa seconda parte il v 8 (e 9a) ha l'apparenza di un dato eterogeneo. Abbiamo già osservato ch'esso interrompe lo svolgimento naturale del racconto : le mormorazioni menzionate nel v 7 preparano la spiegazione fornita da Gesù in 9b-Io, spiegazione che non tiene conto della dichiarazione fatta da Zaccheo nel v 8 31• Abbiamo anche osservato che questo v 8 porta l'impronta redazionale di Luca in misura tale che qui non si può pensare a risalire a una fonte 32• Esso è lucano non soltanto per la sua formulazione, ma anche per l'importanza che annette a una conver11 Medesima considerazione in Le 1 3, I 6 ; cf anche At 1 3 26 . Cf N. A. DAHL, The Story of Ahraham in Luke-A&Is, in (L. E. KECK-}. L. MARTIN), SJudies in Luke-Aels. . . in honor of P. Sehuberl, Nashville-New York, 1 966, 1 39-1 5 8 ( 1 5 0). •• Su tutto questo, cf vol. I, 901-904. 3 1 Vol. I, 898. 11 Vol. I, 899, n. I H ; 900, n. 1 1 9. ,

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IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

sione autentica, quale quella che si esprime nella di­ stribuzione dei beni di cui uno dispone. È dunque in questo versetto, inseparabile dalla prima parte del v 9, che bisogna cercare il pensiero più personale del­ l'evangelista, il tratto che, ai suoi occhi, conferisce tutto il suo senso all'episodio. L'atteggiamento di Gesù di fronte ai pubblicani era stato criticato all'inizio del vangelo, in occasione del banchetto di Levi 33• Gesù aveva risposto ai mor: moratori : « Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori >> (Mc z, 1 7 ; Mt 9, 1 3) 34 ; gia allora Luca aveva creduto necessario aggiungere : « Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla con­ versione (dc; f:U:Tclvotctv) » (5 ,3z). Questo ritocco chia­ risce le precisazioni di 1 9,8-9a 35• Mentre i vv 9b-1o parlano della missione del Figlio dell'uomo nei ri­ guardi dei peccatori, i vv 8-9a sottolineano il fatto che, per ricevere effettivamente la salvezza, il peccatore deve fare opera di conversione. Non basta che Gesù sia entrato in casa di Zaccheo, perché costui sia sal­ vato. La salvezza va accolta e la risposta da parte del ricco consiste precisamente nel dono, se non della totalità, almeno della maggior parte dei propri beni di fortuna. Per comprendere bene il gesto di Zaccheo nella prospettiva di Luca, bisogna vedervi l'espressione di una conversione sincera; il suo presupposto non va cercato nella idea che la ricchezza sarebbe intrinseca­ mente cattiva come tale. L'atteggiamento di Gesù di fronte a Zacc�o..t il pubblicano, ha fatto scoprire a costui un ordine di valori che non è compatibile con l'attaccamento al denaro. Il gesto che un ricco notabile 11

Accostamento tra Le 19,10 e h 3 2 : cf H. E. ToimT, Giitcrsloh,

Der Mens&hensohn in Jer .ryfl()ptischen Ueber/iiferung, 1 91 9· 1 245. •• Cf vol. I, 8 5 8-86o e 864-870." 11 Cf anche Le 1 5 ,7 e vol. I, 892, n. 98.

L 'UOMO RICCO

B IL

POVBRO LAZZARO

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non aveva avuto il coraggio di fare per divenire di­ scepolo di Gesù e assicurarsi la vita eterna, è stato compiuto da un altro ricco, dal pubblicano Zaccheo : 7t6ç 't"Lç : usata 1 sola volta nel primo van­ gelo in M t 1 8 , 1 2, essa ha il suo parallelo in Le 1 5 ,4, dove la

L ' UOMO RICCO E IL POVERO LAZZARO

269

parla del vestito fatto di porpora e bisso, testimonianza questa tra molte altre della attenzione che l'evangelista riserva all'abbigliamento, che circonda di prestigio colui che lo porta 48 ; nella subordinata EÒqlp!XtVO(.LEVoç x116' l)(.Lép1Xv ÀIX(.L7tpwç, tutti i termini sono lucani 49 e costruzione è differente : 't"!ç !v6pwnoç è!; ÒfLwv. Essa viene adopera­ ta 8 volte in Le, sempre in passi propri di questo vangelo (10,30 ; 1 2, 1 6 ; 14,2. 1 6 ; q , u ; I 6,1 . 1 9 ; 1 9, 1 2) e compare solo una volta negli Atti (9, 3 3). Jeremias pensa che Luca, lasciato a se stesso, avrebbe scritto à:vljp 't"tç,, come fa in Le 8,27 (unico caso nel vangelo, diversamente da Mc 5 ,2) e 7 volte negli Atti. La sua predilezione per à:vljp è evidente, però essa non gli impedisce di adoperare molto anche &v6pwno� (M t 1 1 2 volte, Mc 5 6 volte, Le 95 volte, At 46 volte). Jeremias osserva inoltre che Luca riprende 4 volte &v6pwnoç da Marco senza aggiungervi 't"lç (Le 4,3 3 ; 6,6 ; 9,25 ; 20,9). Ciò prova che egli non aggiunge automa­ ticamente 't"lç ad !v6pw7toç ·� che usa il pronome solo sciente­ mente. L'errore di Rehkopf'.e di Jeremias consiste nell'isolare l'espressione !v6pwn6ç -ctç da tutto l'insieme dei 101 casi, in cui Luca unisce 't"lç a un sostantivo : è questa costruzione in quanto tale che costituisce un suo tratto distintivo, non il fatto che essa venga utilizzata in maniera particolare con &v6pwnoç. In un caso Luca la deve a Marco : Le 23,26 ; Mc q , 2 1 . Il procedimento re­ dazionale di Luca è facilmente riconoscibile in rapporto a Marco in Le 9,8 diversamente da Mc 6,1 5 ; Le 9,1 9 diversamente da Mc 8,28 ; Le 1 8, 1 8 diversamente da Mc 1 0, 1 7 ; Le 1 8, 3 5 diver­ samente da Mc 1 0,47 ; Le 2 1 ,2 diversamente da Marco 1 2,42 ; Le 22, 5 6 diversamente da Mc 14,66 ; Le 2 3 , 1 9 diversamente da Mc 1 5 ,7. '" a cap. I, 142- 1 46. u EÒqlptt!VOIJ.CU : Mt o volte, Mc o volte, Le 6 volte, At 2 volte. F. REHKOPF l'attribuisce al vocabolario della Sonderquelle , l. t., 94· ]. ]EREMIAS precisa l'argomento : Nel NT questo verbo passivo non viene adoperato per indicare il piacere di banchet­ tare se non in materiali propri di Luca : Le 1 2, 1 9 ; 1 5 , 2 3 . 24.29. 3 2 ; 1 6, 1 9. Sfortunatamente egli trascura di segnalare che i l sostan­ tivo corrispondente, EÙcppoaUVYJ, compare due volte negli Atti (2,28 ; 14,1 7) e che là il secondo caso corrisponde esattamente al senso dato al verbo in Le. È chiaro che At 14,17 non deriva dalla fonte che ha fornito le parabole del vangelo. - L'espres­ sione xtt6' -/)fLtpttv ricorre 1 volta nella triplice tradizione (Mc 14, 1 9 ; Mt 26,5 5 ; Le 22,53). Luca l'adopera in 4 altri passi del suo vangelo : 9,23 (attraverso un ritocco redazionale di Mc 8,34) ; u , 3 (diversamente da Mt 6, u ) ; 1 6,9 (proprio) ; 1 9,47

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IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

manifestano nel medesimo tempo l'interesse di Luca per i pasti festosi 50• La ricchezza del personaggio si manifesta nel suo lusso : il suo vestito gli procura gloria e onore, i suoi magnifici banchetti gli permet­ tono di godere in larga misura della vita. Tuttavia niente giustifica i qualificativi che spesso gli vengono affibbiati : « il ricco cattivo » o « il ricco debosciato ». Il versetto descrive semplicemente la sua ricchezza e non fa parola della sua moralità. La descrizione del povero (vv zo-z i ) contrasta con quel che è stato detto del ricco : alla porpora e al bisso fanno da contrasto le ulcere di cui l'infelice è coperto ; agli splendidi banchetti fa riscontro la fame che gli fa bramare le briciole che cadono dalla tavola. Un ultimo tratto completa il quadro : i cani gli lec­ cano le ulcere. Anche qui la parte redazionale è im­ portante : bisogna attribuire a Luca l'espressione 1t't"WXÒ> ,

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IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

Il v 24 avvia il dialogo tra il ricco e Abramo. Il ricco chiede ad Abramo di inviargli Lazzaro con una goccia d'acqua a rinfrescargli la lingua. Le prime parole del versetto sono un lucanismo caratteristico 62 ; i verbi « inviare >> 63, « rinfrescare >> 84, « tormentare >> &s derivano in maniera particolare dal vocabolario del­ l'evangelista. Dal punto di vista del racconto, la fun­ zione di questo versetto è duplice : rendere più con­ creta la sofferenza del ricco in contrasto con i suoi banchetti sontuosi di una volta 66 e permettere la ri­ sposta di Abramo. Invece di una risposta ne abbiamo due. Il v 2 5 vuoi far capire al ricco che quanto gli è successo è (At I O,z.7) gioca un ruolo analogo, e cioè quello di introdurre una indicazione su ciò che costituisce l'oggetto della visione (così come « egli dice >> introduce una parola), conferendo mag­ gior vivacità al racconto. Sarebbe perciò temerario parlare qui di una negligenza di Luca, che avrebbe dimenticato di correg­ gere la propria fonte. 01 Luca adopera spesso il pronome personale, quando non ha motivo di sottolineare in maniera particolare il soggetto in questione ( « e lui stesso »), a rischio di creare una certa ambi­ guità (non si capisce immediatamente chi sia questo « lui ») . Troviamo questo caso 4 volte in Mt, 5 volte in Mc, 4 1 volte in I..c , 8 volte in At. Cf HAWKINS, Horae Synopticae, 41s. ; M. ZERWICK, Graecitas Biblica exefllplis illustra/w (Scripta Pont. Inst. Bibl.), z. ed., Roma, 1 949, n. 1 5 0. •• 7ttfL7tW : Mc 5 , 1 2 ; Mt z.,8 .(proprio) ; I I ,z. ( Le 7,19) ; 1 4, 1 0 (diversamente da Mc 6,z.7) ; 2.2,7 (red.) ; Le 4,2.6 (pro­ prio) ; 7,6.1o (diversamente da Mt 8,8. 1 3) ; 1 5 , 1 5 (proprio) ; 16,z.4.27 (proprio) ; z.o, I I . I 2. I 3 (diversamente da Mc 1 2,4·5·6). Sui 10 casi in Cl.li JISSO viene adoperato nel terzo vangelo, solo 1 (7,29) risale sicuramente a una tradizione anteriore. Negli Atti viene adoperato I I volte. Cf HAWKINS, 2. 1 . •• Kc:t�c:t>. Questa tradu­ zione sembra un po' arrangiata in un determinato senso. Ecco il testo vero : dei peccatori 82• Questa di fare F. REHKOPF, Die luleanische Sonderqmlle, 96, ia cui opi· nione su questo punto viene criticata da H. ScHtiRMANN, BZ 1961, 2. 8 3s. Traditionsgeschichtliche Untersuchungen, 2.2.5s. 11 Mt 2.9 volte, Mc o volte (però 3 volte nella finale), Le. ' 1 volte, At 3 7 volte. Malgrado il fatto che anche M t adoperi spesso questo verbo, i punti di incontro tra i due evangelisti sono rari : Le 7,8 (Mt 8,9) ; 7,2.2. (Mt I I ,4) ; r r,z6 (Mt 1 2.,45 ) ; 1 5 ,4 (M t 1 8,2.). Essi adoperano indipendentemente uno dall'al­ tro la costruzione n:opEÒO!J.ott n:p6t; : M t 10,6 ; 2. 5 , 9 ; 26, 1 4 ; Le I I ,5 ; 1 , , 1 8 ; x 6,3o ; At 2.7,3 ; z. 8, 2. 6. 7 8 Mt o volte, Mc o volte, Le 9 volte ( I I , I 5 · 27· H; 1 2., 1 3 ; 16,3o .p ; 19,39; 2.2.,50; 24,22.) ; At 3 volte (I I ,z. o ; 1 5 ,24; 1 7,4) o 1 1 volte, contando le formule piv esplicite (6,9 ; 1 0,23 ; 1 5,z.. 5 ; 2. 1 , 1 0 ; 24, 1 8 ; 27,44). 70 C. F. EvANS insiste su questo punto e vi scorge una ma­ nifestazione della esperienza missionaria della Chiesa primitiva, che constata l'inauqaesso dei suoi sforzi a convertire gli ebrei : Uncomfortable Words, V. « lf they do not hear !vloses and the pro­ phets ... >> ( Lk r6,JI ) , ET 8 1 (1 969-70) 2.28-2 3 1 (z. 3 os.) . Su que­ sto versetto cf anche sopra, 97, n. 78. •• Cf sopra, 96, n. 77· 11 Cf sopra, 96, n. 76. Cf anche ]EREMIAS, ZNW 1 97 1 , 1 84 ; SCHULZ, 3 89. 82 Cf A. GEORGE, a. c., 811s., che rinvia agli studi di H. Conzelmann, J. Dupont, R. Michiels. Cf anche J. NAVONE, Themes of St. Luke, Roma, 1 970, 38-46. =

L'UOMO RICCO

l!

IL POVERO LAZZARO

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idea di conversione introduce nel racconto un ele­ mento del tutto nuovo, che niente aveva preparato fino allora. Bisogna attribuirlo a Luca ? Non ne siamo sicuri. L'idea gli è particolarmente cara, però essa ha un ruolo importante anche nella tradizione e ha occu­ pato un posto di rilievo pure nella predicazione di Gesù. Non ci sono grandi inconvenienti a lasciare aperta la questione della provenienza di (.LE't'cxvoéw nel v 3 0 ; pos­ siamo accontentarci di osservare che in ogni caso tale verbo è molto importante agli occhi di Luca. Ad esso e al suo equivalente 7te:l8o(.L«L del v 3 1 83 bisogna ac­ cordare una portata decisiva nel significato che l'evan­ gelista attribuisce alla parabola. Se ci si limitasse al v z 5 , si potrebbe credere che il ricco soffra i supplizi dell'inferno unicamente per compensare la felicità di cui ha goduto durante la vita 84• Ma gli ultimi versetti mostrano che bisogna 11 L'uso di due verbi diversi testimonia semplicemente la cura che Luca mette nel variare le espressioni, per evitare di ripetersi. Cf H. ] . CADBURY, Tbe Style and Literary Method of LN/ee, 84s. •• « La parabola del ricco e di Lazzaro non mira principal­ mente a darci una lezione di carità. TI punto principale del rac­ conto si trova in effetti in questi versetti : ... (v 2 5 ). Come si vede, queste parole non fanno alcuna allusione a mancanze di carità ; esse esprimono piutto�to la dottrina tradizionale della retribu­ zione e il principio tutto sapienziale della compensazione : dal momento che ogni uomo deve avere la sua parte di felicità e di infelicità - e le parti sono uguali - colui che è stato favorito quaggiù dai beni di questo mondo, ne sarà privato nell'aldilà, e colui che ne ·è stato privato sulla terra, li ritroverà nell'altra vita. La parabola è indirizzata anzitutto agli infelici per inco­ raggiarli con la promessa di una compensazione celeste >' : A.

fustice el charité dans /es évangiles synoptiques, Rev. dioc. de Tournai 7 ( 1 95 2) 23 9-245 (244). L'ultima frase va attri­ DESCAMI'S,

buita a una distrazione dell'autore. Non c'è dubbio che i de­ stinatari di una parabola vanno determinati in funzione del personaggio (o dei personaggi) a cui è indirizzata la dichiara­ zione decisiva (per esempio Mt 2o, I o-q ; Le q,z6-32.). Quel che Abramo dichiara al ricco ha di mira delle persone che si

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IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

tener conto di un'altra cosa. La dannazione dei ricchi non è inevitabile. Per sfuggirvi essi hanno semplice­ mente da convertirsi, cosi come già Mosè e i profeti li hanno esortati a fare e come la risurrezione di Gesù dovrebbe incitarli a fare. Ma in che consiste la con­ versiono loro richiesta? Il racconto parabolico non lo dice e non c'è motivo di seguire gli esegeti che vo­ gliono trovare nella menzione della (( legge e dei pro­ feti )) un riferimento ai passi della Bibbia che parlano dei doveri dei ricchi. L'espressione si presta male a una limitazione del genere. Bisogna !asciarle tutta la sua ampiezza e vedervi una designazione del messaggio rivelato nel suo complesso 85, del messaggio della salvezza portato a compimento dalla risurrezione di Gesù. Per rendersi conto del modo in cui Luca ha inteso la conversione richiesta ai ricchi, sembra sia indispensabile richiamarsi, se non all'insieme del vangelo - cosa che ci porterebbe troppo lontano -, almeno al quadro in cui egli ha collocato la parabola. Secondo la notizia del v 14, questa si presenta come un avvertimento contro la cp�ÀOtpyupLIX dei farisei. Essa ha di mira non il possesso del denaro, ma l'a­ more per il denaro, il che non è semplicemente la stessa cosa. La natura di questa cp�ÀIXpyupLIX ci appare concretamente nella reazione dei farisei di fronte altrovano in una situazione analoga alla sua ; non per nulla Laz­ zaro non interviene nel dialogo, così come il figlio prodigo non interviene nella parabola del cap. 1 5 (dove il padre non gli ri­ volge neppure uaa parola). Ed è senz'altro così che l'evange­ lista l'ha concepita, poiché precisa che queste due parabole sono risposte date da Gesù all'indirizzo dei farisei (q ,z.-3 ; 1 6, 1 4) · Inoltre noi vogliamo dimostrare che non si ha il diritto di in­ terpretare la parabola unicamente in funzione del v 2 5, come se quel che viene dopo non esistesse. •• Cf A. G E OR GE, a. c., 87s. ; inoltre W. PESCH, Lk 16,19-JI, in (H. KAHLEFELD-0. KNO(;H ) , Dù Episteln unti Evangelien der Sonn- unti Festtage, fase. 1 2, Francoforte-Stoccarda, 1971, �62-�65 (�65).

L ' UOMO RICCO E IL POVERO LAZZARO

281

l'insegnamento dato nella prima parte del capitolo (vv 1 - 1 3). Essi se ne fanno beffe e lo giudicano ridicolo. Se l'ammonizione della seconda parte del capitolo non precisa positivamente la condott� che tradurrebbe in pratica una conversione, lo si deve al fatto che questo insegnamento positivo è già stato dato nella prima parte. Nello stato attuale del testo, il v 9 rappresenta la conclusione della parabola dell'amministratore avve­ duto. Quando si ha del denaro a disposizione, la mi­ glior cosa da fare è quella di farsi degli amici, che ci ricevano nei tabernacoli eterni. In altre parole, bisogna distribuirlo ai poveri e trasformarlo cosi in pegno di felicità eterna. Ecco il saggio consiglio che provoca ii sarcasmo di coloro che amano il denaro. Esso spiega nel medesimo tempo la stoltezza del ricco, che ha usato il proprio denaro solo per la sua soddisfazione imme­ diata, e dà una idea della condotta che dovrebbe se­ guire un ricco attento agli insegnamenti di Mosè e dei profeti. L'accento viene posto sulla preveggenza, una preveggenza che si spinge oltre la vita presente e si preoccupa della vita eterna. Ciò è precisamente quanto è mancato all'uomo ricco della parabola. Con­ trariamente all'amministratore avveduto, quest'uomo appare anzitutto come uno stupido. La vera preveggenza non consiste semplicemente nello sbarazzarsi dei propri beni, come se fossero in­ trinsecamente cattivi o per un motivo ascetico, quale potrebbe essere quello di accedere alla liberazione am­ bita da un saggio stoico. I beni vanno distribuiti ai poveri. La saggezza che prepara il futuro eterno non si distingue dunque in pratica dalla carità, che cerca di alleviare la miseria dei poveri. La parabola non rim­ provera esplicitamente al ricco di non aver fatto niente per Lazzaro seduto davanti alla sua porta, però de­ scrive la situazione in maniera tale da far risaltare la gravità della omissione, di cui il ricco è colpevole.

282

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

Bisogna che quest'uomo si trovi nelle fiamme dell'Ade per rendersi conto della propria stoltezza. Come mai non ha piuttosto pensato ad aiutare colui che avrebbe potuto aiutarlo a sua volta ? Il v 9 ce lo fa compren­ dere : egli poteva e doveva farsi amico Lazzaro, che lo avrebbe introdotto nella patria della felicità. In fondo la glossa introdotta nel v 2. 1, et nemo il/i dabat, non sembra affatto fuori posto. Dobbiamo prendere in considerazione anche il v 1 3 : « Nessun servo può servire a due padroni . . . Non potete servire a Dio e a Mammona » . Esso costi­ tuisce la conclusione della prima parte del capitolo, a cui si riallaccia direttamente la seconda, e sembra invitarci così a vedere nel ricco l'esempio di un servo di Mammona. Egli non è un avaro, che cerca di accu­ mulare dei beni. Egli è attaccato alla propria fortuna a motivo del tenore di vita fastoso ch'essa gli permette, ma vi è attaccato con un attaccamento che Dio ri­ vendica per sé solo. Sotto questo punto di vista egli non è solo un insensato, che dimentica che per l'uomo non tutto finisce con la morte, ma è anche un empio che attenta ai diritti di Dio. Votato al servizio di Mam­ mona, egli adotta nei confronti di questo idolo un at­ teggiamento che misconosce la signoria esclusiva di Dio. Come potrebbe non aver bisogno di una conver­ sione radicale per salvarsi ? Gli ultimi versetti della ·storia dell'uomo ricco e del povero Lazzaro, chiariti dalla notizia del v 14 e dagli insegnamenti dati nella prima parte del capitolo, apportano un eomplemento capitale, che non possiamo ignorare nella interpretazione della parabola 86• Si vede •• Si tratta della parabola nel suo stato attuale, il solo di eu i ci dobbiamo occupare per cogliere il pensiero di Luca. La ne­

cessità di tener conto di questa finale si imporrebbe ancor di più, qualora fosse vero che Luca stesso ha aggiunto il comple­ mento. Questa ipotesi ha i suoi sostenitori : cf soprattutto P.

L'UOMO RICCO

l!

IL POVERO LAZZARO

283

quale errore si commetterebbe, se ci si limitasse alla dichiarazione di Abramo del v 2 5 e si cercasse soltanto là la spiegazione della sorte toccata al ricco nell'aldilà. Le sofferenze puniscono il ricco non a motivo della sua ricchezza in quanto tale, ma per il fatto che egli, sordo all'insegnamento di Mosè e dei profeti, non ha capito l'urgenza della conversione. Interamente preso dai piaceri dell'esistenza, ha dimenticato la vita futura, ha trascurato il povero giacente davanti alla sua porta e ha misconosciuto lo stesso Dio. Ecco ciò che vien punito dal giusto cambiamento di destino e di cui il ricco deve subire le conseguenze. La parabola del ricco stolto ci mostrerà ora che non abbiamo richiesto troppo a questo testo e che è senz'altro così che Luca vede le cose.

FEINI!, Bine vorleanoniùhe Utberliefertmg des Lukas in Evange­ lium und Aposte/geschiçhte, Gotha, 1 891, 83-89 ; H. J. HoLTZMANN, Hand-Commentar zum Neum Testament, I, 3 ed., Tubinga-Lipsia, 1901, 390; .A. LoiSY, Les Evangiles synoptiques, II, Ceffonds, 1 908, 168-1 7 8 ; L'Evangi/e se/on Luc, Parigi, 1924, 414-42 1 ; .A. JO­ LICHER, Die Gleichnisreden jesu, Il, 2 ed., Tubinga, 1 910, 6 3 8 ; R . BuLTMANN, Die Geschichte der synoptischen Tradition, 1 9 3 ; C. G. MoNTEFIORE, The Synoptic Gospels, II, 2 ed., Londra, 1 927, � 3 7-540; ]. M. CREI!D, The Gospel according lo St. Luke, Londra, 1930 (= 195 3), 209 ; E. HIRSCH, Fruhgeschichte des Evangeliums, II, Tubinga, 1941, 224-227 ; E. HAENCHI!N, Goti und Mensch. Gesammelte Aufsiitze, Tubinga, 1 96 � , 8. Ma tale

punto di vista è contestato dalla quasi totalità degli esegeti e ci sembra privo di un serio fondamento.

284

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA § III. LA PARABO LA DEL RICCO STOLTO r.

Il contesto.

L'inizio del capitolo I 2 comporta un cambiamento

di scena. Dopo un pranzo consumato in casa di un

fariseo, durante il quale Gesù s'è lasciato andare a un violento attacco contro i farisei e i dottori della legge (1 1 ,37-54), ritroviamo lo stesso Gesù in mezzo a una folla di migliaia di persone ( I Z, I). Egli parla, ma lo fa anzitutto indirizzandosi ai suoi discepoli (ivi). Possiamo riassumere i vv 2- I Z come un invito a non temere l'ostilità degli uomini. Il v 1 3 registra un episodio : « un tale di mezzo alla folla >> chiede a Gesù di intervenire in una questione di eredità, e fornisce così l'occasione per una serie di insegnamenti riguardanti i beni terreni : anzitutto una diffida contro la 7tÀe:ove#IX, la cupidigia (v I 5 ), poi la parabola del ricco stolto (I6-u). Questo insegnamento ancora ne­ gativo è seguito da una istruzione rivolta ai discepoli, che ha per oggetto la preoccupazione per quanto ri­ guarda il necessario per vivere, preoccupazione che deve cedere il posto a una fiducia totale in Dio : questi può ben fare in modo che i discepoli non manchino di niente (vv 22-32). I vv H-H forma•to la conclu­ sione della sezione cominciata nel v I 3 : invito alla pratica dell'elemosina, per cqstituirsi un tesoro inde­ fettibile nei cieli. Il v 3 5 affronta un nuovo tema, quello della vigilanza (3 5 -48) 1• L'unità dei vv I 3-34 nel pensiero di Luca 2 risulta --

...:.-

1 W. GRUNDMANN, Das Evange/ium narh Lukas, 2p, inti­ tola Le 12,I- H : « La situazione della comunità dei discepoli nel mondo >>. Cf F. MussNER, Lr 1 2, 1J-21 in (H. KAHLEFEl.D-

0. KNOCH), Die Episteln und Evangelien der Sonn- und Fesllage, fase. I Z, Francoforte-Stoccarda, I97I, 303-305 (303). 1 Cf le spiegazioni che abbiamo già dato nel cap. Il, 173- 1 8 I ; l'unità di Le I Z, I 3-34 è stata messa bene in luce soprattutto dai due articoli di W. PESCH, Bib 4I ( 1 96o) 25 -40 e 3 56-ns.

LA PARABOLA DI!L RICCO STOLTO

285

in modo particolare dal fatto che egli ha posto nella finale della parabola una conclusione (v 2 1 ) che rias­ sume in anticipo la conclusione di tutto il passo (vv 3 3 - 34). Invece di tesaurizzare per se stessi (v z 1 ) per cupidigia (v 1 5 ), i discepoli vengono invitati ad ar­ ricchirsi davanti a Dio (v z I), distribuendo in elemo.­ sina i loro beni (v H ) · È chiaro che non è possibile esaminare il significato della parabola al livello della redazione evangelica senza tener conto di tutto lo svi­ luppo di cui essa fa parte. 2. La parabola.

Il racconto parabolico riecheggia un tema sapien­ ziale molto tradizionale : i beni terreni che un ricco può aver accumulato non gli sono di alcuna utilità di fronte alla morte a. Ma questa storia è stata senza dubbio raccontata in vista di una applicazione più precisa. Possiamo pensare che, nel quadro della pre­ dicazione di Gesù, la morte del ricco sia stata sempli­ cemente una immagine e un avvertimento : gli ascol­ tatori del Maestro vanno incontro a un disastro, se non si preparano all'imminente avvento del regno di Dio 4• Il punto di vi.sta di Luca è certamente assai di­ verso ed è appunto quello che dobbiamo cercare di mettere in luce. Nella storia del proprietario arricchito (vv 1 6-zo) l'intervento redazionale di Luca rimane assai discreto. A parte il raccordo iniziale dne:v 8è notpot[3o>.Yjv 7tpÒç

Cf cap. Il, 1708. ' Cf ivi. 1

286

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

orlo�Touç 5, l'espressione civ6p�7tou TLv6ç posta all'inizio 6, forse anche l'aggettivo 7tÀoualou 7 nel v 1 6, il sostan­ tivo �TIJ 8 e il verbo e:ÙqlpoclvofLilL 9 nel v I 9, il raccordo e:!7te:v 8É 10 e la costruzione TLVL �aTilL n nel v 20, que­

sto racconto non tradisce la mano di Luca e le ecce­ zioni che abbiamo rilevato rimangono puramente marginali. Inoltre possiamo osservare che il dialogo del ricco con la sua anima (v I9) e la maniera con cui Dio apostrofa quest'uomo nel v 20 si collocano per­ fettamente nella linea della tradizione biblica 1 2• Mentre questa storia rimprovera semplicemente al proprietario di fare progetti di una vita felice senza tener alcun conto defla eventualità della morte, i rim­ proveri che Luca gli rivolge sono molto più precisi. Secondo il v I 5 , che introduce la parabola e di cui abbiamo riconosciuto il carattere redazionale, la con­ dotta dell'uomo ricco illustra qui il pericolo a cui e­ spone la 7tÀe:ove:�lll, vale a dire, etimologicamente, il desiderio di « avere di più )), la « cupidigia )) 13• Ma 1 E!1tcv 81: : Mt o volte, Mc o volte, Le 59 volte, A t q volte a. c. HAWKINS, Horae Synoptitae, 1 7 e 39) ; &:I7tev 7trLf>!Z�o>.i)v : Mt o volte, Mc 1 volta, Le 7 volte, At o volte (HAWKINS, i11i) ; 7t'p6.; dopo un verbum dicendi: Mt o volte, Mc 5 volte, Le 99 volte, At p volte (HAWKINS, 21 e 45). Su tutto questo complesso cf J. jEREMIAS, ZNW 1971, 1 87. • Cf sopra, 268, n. 47· 7 7tÀouaLo: del NT: va acco­

stato ai composti con tò-, soprattutto in Luca. 8 Mt 1 volta, Mc 2 volte, Le 1 5 volte, At I I volte (HAw- .:: KINS, 1 9 ). • Cf sopra, 7 I , n. 23. 1° Come nel v x6. 11 dfLt seguito da un dativo : Mt 3 volte, Mc 2 volte, Le I S volte, At xo volte (HAWKINS, 1 7 e 3 8, dove ci sono delle precisazioni necessarie). 10

Cf G. DAUTZENBBRG, Sein Leben be111ahren. 'l'"uxi) in dm Herren111orten der Evangelien (SANT XIV), Monaco, 1966, 84-87. 18 Su questo termine, cf R. C. TRENCH, Synonymes du Nou­ Htm Testament, Bruxelles-Parigi, 1 869, 93-96; P. RossANO, De

LA PARABOLA DEL RICCO STOLTO

287

2 I , conclusione della parabola, che Luca e­ sprime tutto il suo pensiero : « Così avverrà pure di colui che accumula tesori per se stesso, ma non si cura di arricchire davanti a Dio ». Abbiamo visto 14 che bisogna considerare questo versetto come una composizione di Luca sulla base del v 3 3 , o meglio della sentenza conservata in Mt 6 , 1 9-zo, in rapporto alla quale Le 1 2,3 3 rappresenta una formulazione se­ condaria. Il ricco, invece di ammassare tesori sulla terra per goderne durante la sua esistenza, avrebbe dovuto pensare « ad arricchirsi davanti a Dio », vale a dire a costituirsi « un tesoro indefettibile nei cieli » (v 3 3). Insensato colui che ha solo pensato a costruire dei granai per ammucchiarvi di che mangiare, bere e godere quaggiù ; un uomo veramente previdente a­ vrebbe « venduto i suoi beni e li avrebbe dati in ele­ mosina » (v 3 3 ) : allora non avrebbe perduto tutto morendo. Agli occhi di Luca l'errore del ricco consiste quindi positivamente nel non aver pensato che alla sua > (r z,H)· La fortuna del proprietario arricchito da un bel raccolto non ci viene presentata come mal acquisita ; i progetti che egli concepisce per godere dei suoi van­ taggi non sono immorali. Il suo errore fatale consiste nell'aver tenuto conto solo della vita presente. La sua dimenticanza dell'aldilà non gli ha permesso di prender coscienza della maniera in cui avrebbe dovuto utiliz­ zare la sua fortuna a beneficio dei poveri. È in questo che Luca lo considera colpevole ; il suo caso non è diverso da quello dell'uomo ricco di I 6, I 9-3 1 . La sua colpa comporta tre aspetti inseparabili : dimenticanza di Dio, della vita eterna e dei propri doveri attuali nei confronti dei poveri. Veramente « stolto », perché non ha saputo utilizzare saggiamente la fortuna di cui disponeva.

NOTA CO'X1PLEMENTARE SUL MAGNIFICAT . Alla forma particolare che la versione di Luca dà alle beatitudini, e ai vae che fanno loro da contrasto, si accosta abitualmente non solo la parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro, ma anche il Magnificai. La rassomiglianza è particolarmente sorprendente per

LA PARABOLA DEL RICCO STOLTO

289

quanto riguarda Le I , 5 3 , ma tale versetto non va separato dai due che lo precedono. Maria celebra l'Onnipotente : Ha mostrato la potenza del suo braccio, ha disperso gli uomini dal cuore superbo. Ha rovesciato i potenti dai loro troni e ha esaltato gli umili. Ha saziato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi.

C. H. Dodd, basandosi su questo testo e sulla parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro, ha pensato di poter affermare che in Luca l'associazione delle beatitudini e dei vae è stata concepita nel quadro della idea di 7te:p�7té't'e:�cx, che era allora familiare nel mondo ellenistico 15• Nel mezzo di una società in via 11 C. H. Dono, The Bealiludes, in Mé/anges Bib/iques... A. Roberl (Travaux de l'Institut Cath. de Paris, 4), Parigi, I 9 H, 404-4I 0 = More New Teslamenl Studin, Manchester, 1 968, I-Io. L'autore parla della TtEptnéntl1 seguendo A. ToYNBEE, A Study of Hislory, IV, 24�-26 I ; conosciamo quest'opera solo attraverso l'edizione ridotta pubblicata da D. C. SoMERVELL sotto il medesimo titolo, New Y ork-Londra, I947, 307-309, paragrafo intitolato The Reversa/ of Ro/es e raggruppante dati assai disparati. A proposito del Magnifiçat, già A. GELIN aveva fatto qualche accostamento suggestivo in Les Pauvres de Yahvé (Témoins de Dieu, I4) Parigi, I 9 5 3 , I 30 Les pauvres que Dieu aime (Foi vivante, 4I), Parigi, I 967, uz.s. In particolare aveva rilevato questo passo di Esrono, Le opere e i giorni, �-8 : > (Coli. des Uni­ versit6s de France, Parigi, I 9z8, 86), nonché quest'altro di DIOGENE LAERZIO, che racconta come Esopo, interrogato a proposito di quel che fa Zeus, rispondesse : n, « per­ ché >> , indicano il motivo personale per cui Maria vuoi benedire Dio, cioè quanto egli ha fatto a suo favore. Il v 50 si riferisce a ciò che precede 21, ma amplia il pensiero. Maria non pensa più solo al bene­ ficio che le è stato accordato, ma ringrazia Dio per la sua condotta di sempre in favore di quanti lo te­ mono. Questo ampliamento rappresenta molto natu­ ralmente la finale della prima parte.

10

I sostenitori di questa suddivisione credono spesso di poter ripartire il testo in 4 strofe comprendenti ciascuna due distici. Questo modo di vedere è stato molto diffuso nell'ulti­ mo secolo e ha trovato la sua espressione pressoché ufficiale nel Nuovo Testamento greco di B. F. WESCOTT e F. J. A. HoRT. H. ScHiiRMANN, o. c., 70, n. zoo, la segnala in P. Feine, P. Schranz, A. Plummer, H. J. Holtzmann, E. Klostermann ; accontentia­ moci di aggiungere i commenti di B. Weiss-J. Weiss, Th. In­ nitzer, A. Stoger. Anche qui riscontriamo delle varianti. Se­ condo F. ZoRELL, « Magnificai », VD z (1 9zz) 1 94-198, le quattro strofe andrebbero ripartite come segue: vv 46-47. 48-s o.p-n.H- S S · Medesima suddivisione in P. G AEC HTER , Maria in Erdenleben. Neulerlamenlliche Marienstudien, 3 ed., lnnsbruck, I 9 S S . 1 2.7- 1:1.9, cui possiamo aggiungere R. ScHNAC­

KENBURG, Das Mat,��ijical, seine Jpiritualilal und Theologie, Geisl und Leben 3 8 (1�ù 342.- 3 5 7 (344-349) Schriften zum Neuen Testamenl. Exegese in Forlschrill und Wandel, Monaco, 1 9 7 1 , 2.03-2.09· •• Vv 46-47·48-49· s o- p . s z-n.s4-s s : M.-J. LAGRANGE, E­ flangile selon saint Luc (EB) Parigi, 192.1, s 2., seguito da L. MAR­ CHAL, Evangile selon saint Luc, z ed. (La Sainte Bible . . . L. PiratA. Clamer, X), Parigi, 1950, 3 3s. 11 Il v so continua la frase e si presenta come una specie di duplicato del v 49b . Bisogna scartare tutte le spiegazioni che pongono una cesura tra il v 49 e il v so. =

LA PARABOLA DBL RICCO STOLTO

293

Il cantico riprende nel v � I senza alcun legame grammaticale con quanto precede 22• I vv � I -� 3 de­ scrivono la maniera in cui Dio interviene nella storia, provocando il capovolgimento delle situazioni umane. I vv � 4-5 � si presentano come una conclusione e ap­ plicano a Israele quel che è stato detto del modo costante in cui Dio agisce. Si ritorna cosi alla prospet­ tiva della storia della salvezza. Siamo pertanto d'accordo con H. Schurmann per una divisione bipartita : i vv 46- � o sono un rendi­ mento di grazie personale 23, con un ampliamento finale ; i vv � 1 -� � descrivono l'intervento onnipotente di Dio nel destino degli uomini, con una applicazione finale a Israele. Aggiungiamo che questa divisione non deve indurre a trascurare l'unità delle due parti. Un medesimo tema si sviluppa da un capo all'altro, e il v � o sembra non soltanto estendere il punto di vista personale dei primi versetti, ma fungere anche da transizione e preparare il secondo svolgimento. Per quanto concerne l'interpretazione del v � 3 , è chiaro che tale versetto è inseparabile dai vv p-S z 24• I 7tÀou-roune:c; del v � 3 non sono nettamente distinti dagli l�me:p�>. Alle < > Luca sostituisce (zo, 3 5 ) n. Paolo non era precisamente un ricco e ha dato quel che aveva: il suo lavoro, perché bisogna « soccorrere i deboli ». I vae del discorso tenuto nella pianura e indirizzato ai ricchi hanno in comune con la parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro il fatto di non contenere alcun rimprovero esplicito, per esempio riguardante l'egoismo. Tuttavia abbiamo visto che, nel caso della parabola, il contesto permette di affermare che il rim­ provero non è assente ed è più o meno implicito nel contrasto che oppone la vita fastosa del ricco alla estrema miseria di Lazzaro. I contrasto viene meno fortemente sottolineato, ma è presente anche nella antitesi che oppone i vae alle beatitudini. Ora questa stessa op osizione non contiene forse una implicita accusa? I contesto ci aiuta a scoprirla. Naturalmente qui si tratta di un contesto susseguente, in quanto la questione sta appunto nel vedere se sia possibile scor­ gere un legame tra la presenza dei vae all 'inizio del di­ scorso tenuto nella pianura e il contenuto di tale di­ scorso. Nella versione parallela di Matteo, questo discorso si presenta come una esposizione sulla giustizia cri­ stiana; in Luca esso sviluppa solo un tema, e cioè quello dell'amore del prossimo 12• Luca insiste parti­ colarmente sull'obbligo di dare. Matteo parla di una circostanza prç.€:isa: « Dà (Mc;: una volta) a chi ti chiede e non voltar le spalle a colui che desidera da te un prestito » (5 ,42) ; tale raccomandazione assume un tono molto più generale in Le 6,3 0 : « Dà (8l8ou:

r

11 Cf il nostro Diuo��rs de .IIJi/et, leslamenl pasloral de sainl Poul, 30,-340. 11 a vol . I,. �81-2 92.

LA SVENTURA DEI RICCHI

311

sempre) a chiunque ti chiede ; anzi, a chi ti toglie il tuo, non lo richiedere ». La seconda raccomandazione di M t � ,4z viene formulata da Luca in maniera più radicale : « E se prestate a coloro dai quali sperate di ricevere, quale merito ne avete? Anche i peccatori danno in prestito ai peccatori per avere altrettanto. Invece... prestate senza spetar niente » (Le 6,34-3 � ) . Accordare un prestito senza speranza di ritorno si­ gnifica dare senza farsene accorgere. Nel v 38 Luca aggiunge ancora (a Mt 7,z.) : « Date (sempre: 8[8on) e vi sarà dato ; vi sarà versata in seno una buona mi­ sura, pigiata, scossa e traboccante ». Questo discorso, che sottolinea con tanta forza il dovere di mostrarsi generosi, è "introdotto da alcuni vae rivolti a persone ricche e sazie. Non è forse il caso di supporre l'esistenza di un legame tra l'esordio e le raccomandazioni che lo seguono? I vae non accusano i ricchi di egoismo e di mancanza di generosità ; ma tale accusa non risulta forse dal seguito del discorso? Sa­ rebbe temerario affermarlo con troppa sicurezza ; però il caso parallelo dell'uomo ricco di 16,19-31 invita a non scartare con troppa facilità questa ipotesi. Nel pensiero di Luca il ricco condannato è quello che ac­ cumula ricchezze per se stesso ( IZ,Z I ) e per la propria soddisfazione immediata, invece di vendere i propri beni e di darli in elemosina (rz,H)· Il ricco che suddi­ videsse i propri beni tra i poveri, meriterebbe di es­ sere chiamato beato e non sventurato (14,14). Nel con­ testo del terzo vangelo non è affatto possibile capire il « Guai a vqi, ricchi » senza ricordarsi che la pratica della elemosina eviterebbe loro questa maledizione : la loro sventura non sembra dissociabile da un at­ teggiamento egoista di fronte alla miseria dei poveri. )·

Dio o Mammona.

Ma non è tutto. Le applicazioni della parabola del­ l'amministratore avveduto non terminano con l'idea

312

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

che un buon uso del denaro consiste nell'utilizzarlo, non in vista di soddisfazioni immediate, ma per farsi degli amici, che potranno aiutarci nell'altro mondo (I 6,9). Dopo qualche precisazione complementare, la vera conclusione arriva con il v I 3 : « Nessun servo può servire a due padroni : infatti o odierà l'uno e amerà l'altro, o si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio e a Mammona » . Non si tratta più semplicemente di due modi di uti­ lizzare il denaro, ma della impossibilità di ogni com­ promesso tra il servizio di Dio e il servizio del denaro, quel denaro che i vv 9 e I I qualificano come « ingiu­ sto » e che, personificato sotto il nome di Mamomna, assume la figura di un idolo. Tuttavia Luca non parla di una ostilità tra Dio e Mammona, di un conflitto che li opporrebbe l'uno all'altro nel quadro di una concezione dualistica. Il conflitto si situa nel cuore dell'uomo, nella impossibilità psicologica in cui egli si trova di donarsi totalmente a due padroni, per i quali non basta darsi a metà. Tanto il servizio dell'uno come quello dell'altro non possono essere che esclu­ sivi. Bisogna scegliere. Situazione terribile quella del ricco : la sua fortuna lo lega a Mammona ; quanto gli riuscirà difficile liberarsene per porsi interamente al servizio di Dio l Dopo la dichiarazione di I 6, I 3 Luca, per introdurre la sezione dell'uomo ricco è del povero Lazzaro, re­ gistra la reazione dei farisei : essi, animati dalla loro cptÀotpyuplot, si burlano di Gesù e del suo insegnamento (v I4)· La repHca di Gesù dà l'impressione di collocarsi su un altro terreno : « Voi siete coloro che giustifi­ cano se stessi davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori ; poiché ciò che è in onore fra gli uomini, è abominazione davanti a Dio » (v 1 �). Mentre prima era questione della cupidigia dei farisei, questo versetto prende ora di mira il loro orgoglio. Forse questa cf!_ s­ sonanza non è priva > (I4,H)· Si tratta di tagliar corto con la tenta­ zione di cercare la propria sicurezza nei beni che si posseggono e, positivamente, di mettere i discepoli in una situazione che li porterà a cercare la sicurezza solo in Dio. Come è possibile confidare nei beni ter­ reni, senza scuotersi contemporaneamente di dosso il gioco della dipendenza totale nei confronti del Padre " H. DE MoNTHERLANT mette queste parole significative sulle labbra dell'amico, che cerca di tentare il cavaliere integro: « Voi non sapete come è bello aver molto denaro, quanta pace dona, come rende solidi, quanta fiducia in se stessi ispira!. >> (Le Ma/tre de Sanlia go, atto II, scena I). È precisamente questo �enere di pace, di sicurezza e di fiducia in se stessi che il vangelo, m specie quello di Luca, rifiuta al cristiano. Noi abbiamo il diritto di cercare sostegno e sicurezza solo in Dio. ..

LA

SVENTURA DEI RICCHI

315

celeste e senza riporre in Mammona una fiducia, che Dio reclama interamente per se? Is Il problema della ricchezza assume qui la sua di­ mensione propriamente religiosa. Siamo molto lon­

tani dal dualismo ebionita! Lontani anche dall'idea che i vae rivolti ai ricchi suppongano che la ricchezza

sia considerata come cattiva in se stessa, indipenden­

temente dalle disposizioni d'animo che essa ingenera nei ricchi. La ricchezza è una maledizione perché

rende indifferenti ai beni della vita futura e impedisce ai ricchi di rendersi conto dei loro doveri nei confronti

dei poveri, ma anche perché tende a sviluppare in essi un sentimento di sicurezza radicalmente incompatibile con la fiducia che bisogna avere solo in Dio. Il ricco,

trincerato nella sua ricchezza, si comporta come se Dio non esistesse e come se egli non dipendesse più da lui. Atteggiamento empio, che può finire solo nella catastrofe.

10 W. PESCH, Bib 1 960, 368, sottolinea a questo riguardo la differenza che separa il vangelo da Qumran. A Qumran si vuole liberare i membri della comunità da ogni preoccupazione per il denaro e da ogni ricerca dei beni terreni. A questo scopo ai domanda loro di rinun _ ciare a ogni proprietà personale e di mettere in comune tutto quel che hanno. Però vi è anche una contropartita: la sicurezza che non potranno attendersi dalla P.roprietà privata, la ritroveranno nella proprietà comunitaria. E la comunità che veglierà sui loro bisogni, è in essa che po­ tranno riporre la ·loro fiducia. Essi dispongono così di una si­ curezza sociale. Gesù si mostra molto più esigente. Al candidato che gli si presenta, egli non offre la sicurezza di una comunità che si prenderà cura di lui, bensì parla del Figlio dell'uomo, che non possiede una pietra su cui posare il capo: (( Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo )) (Le 9,5 R par.). Il discepolo di Gesù meno provvisto delle bestie selvatiche. Gesù rifiuta ai suoi di­ accpoli qualsiasi sicurezza terrena, qualsiasi sicurezza umana, perche' vuole che cerchino la sicurezza solo in Dio.

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IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA CONCLUSIONE DELLA PARTE PRIMA

La versione delle beatitudini in Luca è caratteriz­ zata da un orientamento parenetico. La situazione a cui essa corrisponde non è più quella del ministero di Gesù e della proclamazione della buona novella del regno di Dio, la cui venuta metterà fine alle soffe­ renze dei poveri e di tutti gli sventurati. Ora le beati­ tudini sono indirizzate a cristiani che vivono in una situazione difficile. L'opposizione che la loro fede in­ contra, li mette al bando della società in mezzo a cui vivono, e comporta per loro ogni specie di privazioni e di vessazioni. L'evangelista, per incoraggiarli a per­ severare, riprende al loro indirizzo le beatitudini di Gesù e le applica direttamente a loro. Essi devono sapere che queste sentenze li riguardano e intendono portare loro il conforto di cui han bisogno nelle loro prove. Questa reinterpretazione delle beatitudini di Gesù in funzione della situazione attuale dei cristiani non è solo opera dell'evangelista. Essa aveva avuto inizio già prima di lui, nella presentazione data alla beatitu­ dine di coloro che sono perseguitati a causa di Cristo : tanto in Matteo quanto in Luca, questa è formulata alla seconda persona plurale e interpella direttamente coloro che soffrono a moti'9"o della loro fede. La ver­ sione di Luca non fa che estendere la medesima forma diretta alle beatitudini precedenti. In tal modo il testo si indirizza tYtto ai cristiani, che si trovano in penose conàizioni di esistenza. Essi devono considerarsi beati non solo a motivo dei maltrattamenti che sop­ portano per la loro fede, ma anche a motivo delle pri­ vazioni connesse con la povertà e delle afflizioni di ogni genere. Non devono stupirsi per tali tribolazioni, poiché non ignorano che bisogna passare per quella via al fine di entrare nel regno di Dio (At 14,zz).

LA SVENTURA DEI RICCHI

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La promessa, destinata a consolare i poveri a cui Gesù si indirizzava, era quella dell'avvento imminente del regno di Dio. Luca non è più tanto sicuro della imminenza di questa manifestazione gloriosa e teme che certe illusioni al riguardo forniscano alla speranza cristiana una base pericolosa (cf Le z I ,8). Perciò non è più nella prospettiva della parusia e degli sconvolgi­ menti cosmici della fine del mondo che l'evangelista cerca un conforto per i cristiani in difficoltà; egli tende piuttosto a fissare la loro speranza sulla entrata nella eternità, che ha luogo per ciascuno al momento della morte. I passi che testimoniano questo cambia­ mento del punto di vista, illuminano la promessa delle beatitudini e permettono di cogliere la risonanza con­ creta conferitale dalla reinterpretazione di Luca. Il momento del passaggio nell'afdilà sarà per i cristiani il momento del capovolgimento delle situazioni, che compenserà le sofferenze dell'esistenza presente. Alle beatitudini indirizzate ai cristiani la versione di Luca oppone i vae, annunci della sventura che mi­ naccia i ricchi, i beati in questo mondo, le persone acclamate. La condizione di queste persone soddisfatte è talmente diversa dalla condizione normale dei cri­ stiani, che l'evangelista non prende in considerazione la possibilità che tra di esse possano trovarsi dei cri­ stiani. Nel suo pensiero si tratta dunque di gente posta al di fuori del cristianesimo ; forse egli pensa più pre­ cisamente ai giudei increduli, ma tale identificazione rimane accessoria rispetto al problema più generale che, ai suoi occhi, viene sollevato dal caso dei ricchi. Il possesso della riccheZza gli sembra incompatibile con l'ottenimento dei beni eterni. Tale incompatibilità non ha niente a che vedere con le concezioni dualiste che si attribuiscono agli ebioniti. Per Luca essa risulta dalla condizione di spirito che la ricchezza ingenera fatalmente in coloro che la possiedono, rendendoli in­ capaci di preoccuparsi seriamente del loro avvenire

318

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA

eterno, di rendersi conto dei loro doveri nei riguardi dei poveri e di accettare praticamente la loro dipen­ denza da Dio. La minaccia che i vae fanno pesare sui ricchi non è perciò arbitraria: non se ne indica il motivo, ma l'evangelista s'è spiegato in misura suffi­ ciente su questo punto in altri passi, che non possiamo ignorare. « Dov'è il vostro tesoro, là sarà pure il vo­ stro cuore » (u,34). Quelli che hanno speranza solo per questa vita sono i più miserabili di tutti gli uomini (cf 1 Cor q,19). Affermare la sventura dei ricchi si­ gnifica esprimere nello stesso tempo la beatitudine di coloro che mettono la loro speranza in Cristo, in vista di un'altra vita.

PARTE SECONDA

LA VERSIONE DI MATTEO

Tre caratteristiche distinguono a prima vista le beatitudini di Matteo da quelle che abbiamo studiato in Luca. Anzitutto il numero, che passa da quattro a nove. Dovremo esaminare questo ampliamento ; co­ munque possiamo dire fin d'ora ch'esso risulta dallo sdoppiamento della prima e dell'ultima beatitudine della serie comune e dalla aggiunta di tre beatitudini nuove. Più importante è il cambiamento di tono. È facile rendersi conto che « i poveri in spirito » non sono più i « poveri » di cui ci siamo occupati fin qui, e che gli « affamati e assetati di giustizia >> son tutt'altra cosa degli « affamati » puri e semplici. Le beatitudini di Matteo non sono più rivolte a infelici nelle loro soffe­ renze, ma a cristiani animati da certe disposizioni spi­ rituali, e diventano cosi l'espressione delle esigenze di una vita conforme agli insegnamenti di Cristo. Il vangelo non è una buona novella, che possiamo accon­ tentarci di ascoltare, ma è destinato a trasformare il cuore e la condotta-dei credenti. Grazie a questo nuovo orientamento le beatitu­ dini matteane si accordano molto meglio con l'insieme del discorso della montagna, di cui costituiscono l'e­ sordio, unitaniente ai quattro versetti che fan loro seguito (Mt 5,1�-16). Mentre in Luca il tema gene­ rale del discorso tenuto nella pianura è quello della carità, nel caso del discorso della montagna è più precisamente quello della « giustizia »: il discorso tratta anzitutto delle esigenze della giustizia cristiana, che sono più ampie di quelle della giustizia degli scribi e dei farisei.

322

LA GIUSTIZIA CRISTIANA

Noi pensiamo perciò che non sarebbe cosa saggia interpretare le beatitudini della versione di Matteo astraendo dal fatto ch'esse costituiscono l'introduzione di un discorso, di cui preparano il tema fondamentale. In pratica il nesso tra le beatitudini e il seguito del discorso è garantito principalmente dalla presenza del termine « giustizia » nella quarta e nella ottava beati­ tudine . È da questo lato che noi affronteremo l'insieme del discorso, che d'altra parte non potrà essere isolato dal contesto più ampio fornitoci dagli altri passi del primo vangelo, in cui ricorre questo medesimo ter­ mine . L'abbondanza del materiale ci ha obbligati a dividere in due l'unico capitolo che avevamo inten­ zione di dedicare alla « giustizia » matteana: esamine­ remo anzitutto il senso che l'evangelista dà al termine negli altri passi, poi studieremo le due beatitudini caratterizzate da tale « giustizia ». Il capitolo successivo ha subito la medesima di­ savventura. Dopo lo studio delle due beatitudini della tradizione comune, in cui Matteo ha introdotto l'idea di « giustizia )), bisognava passare alle altre due bea­ titudini attestate anche nella versione di Luca, vale a dire a quelle dei poveri e degli afflitti. Gli afflitti non sono cambiati, ma invece dei poveri abbiamo ora a che fare con i « poveri in spirito )) e con i « miti )). La prima espressione solleva tante di quelle discussioni, che non abbiamo creduto c;li eccedere nel dedicarle tutto un capitolo, distinto da quello che sarà poi de­ dicato ai miti e agli afflitti. L'ultimo capitolo si occuperà delle tre beatitudini realmente nuoVi della versione di Matteo: quelle dei misericordiosi, dei puri di cuore e degli artefici di pace .

CAPITOW IV

LA GIUSTIZIA CRISTIANA Il duplice inserimento del termine « giustiZia » costituisce uno dei tratti più caratteristici della reda­ zione delle beatitudini di Matteo 1• Il senso di tale termine continua a essere oggetto di discussione tra gli esegeti, e parecchi di loro gli attribuiscono un si­ gnificato del tutto diverso, a seconda che si tratta della giustizia di cui uno ha fame e sete (Mt s,6) o di quella per la quale uno viene perseguitato (v 10) 2• Sembra tanto più necessario ampliare il problema, in quanto questo termine caratterizza il vocabolario del primo vangelo e l'idea stessa che Matteo si fa del cristiane­ simo. Marco non lo adopera; il vangelo di Luca ne fa uso una sola volta nel Benedictus (1,75), dove si de1 Nel vol. I, 31 1-325 abbiamo riconosciuto il carattere reda­ zionale di questo termine nelle beatitudini di Matteo. 2 Buon esempio di distinzione molto netta in A. FEUILLET, Morale amienne el morale cbrélienne d'après l'vii v. 17-20; Compa­ raison aveç la doclrine de I'Epitre aux Rof!!ains, NTS 17 (1970-71)

12.3-137 (1ps.): in Mt 5,6 la giustizia è concepita come un bene spirituale, che Dio solo può donare (medesimo senso in 6, 33) ; in 5 1 o il termine designa la perfezione morale che gli uomini debbono acquisire (medesimo senso in 5 2. , 0 e61 , ; cf anche 3, 15 ). Secondo P. BLAESER giustizia della vita e dono di Dio sono semplicemente due aspetti di una medesima idea : Gtruhlig/t:eil im Neuen Ttslamenl, BTW, 5 14-5 2.6 (5 1 5 ). ,

324

LA GIUSTIZIA CRISTIANA

finisce un ideale religioso tipicamente giudaico 3• Certo, Paolo parla molto di « giustizia » (il termine ricorre 3 3 volte in Rm), ma lo fa in funzione di concezioni teologiche molto personali, talché sarebbe cosa assai imprudente interpretare alla loro luce il pensiero del nostro evangelista. In Matteo il termine colora in maniera tutta spe­ ciale il discorso della montagna. Oltre ai due casi in cui viene adoperato nelle beatitudini, esso ricompare altre tre volte: in 5 ,20, dove domina tutta l'esposizione che si estende fino a 5 ,48 ; in 6, I , dove gioca un ruolo analogo in rapporto a 6,I-I8; in 6,33, dove serve a formulare la conclusione positiva di tutta l'istruzione, che occupa la seconda parte del capitolo (6,I 9-34). L'insieme del discorso si muove quindi alle sue di­ pendenze. A noi pare che non sia possibile spiegarlo nelle beatitudini, senza tener conto del senso che l'evan­ gelista gli dà nel seguito del discorso, dove il ruolo assegnatogli e un contesto più ampio permettono di porre in luce con maggior sicurezza il suo significato. Il vero contesto delle beatitudini va ricercato nel di­ scorso da esse introdotto e preparato, e che a sua volta precisa il loro pensiero. Riservare tutto un capitolo alla nozione di « giustizia >> cristiana nel discorso della montagna, per studiarla in seguito nelle beatitu­ dini, non equivale quindi affatto a deviare dal nostro argomento. Ma possiamo limitarci al iliscorso della montagna? n primo vangelo adopera altre due volte il termine « giustizia ». In 3, I 5 esso ricorre nella prima dichia­ razione attribaita- a Gesù dall'evangelista e vi riveste 1 Il termine « giustizia )), assente nelle tradizioni relative al ' ministero di Gesù, viene adoperato 4 volte negli Atti: 10,3�; 13, 10; 17,31; 24,2�. Si noti che nei primi 3 casi esso viene posto sulle labbra di Paolo. Il vangelo di Giovanni lo adopera in 16,8.10, in un contesto giudiziario di cui non dobbiamo qui occuparci.

LA GIUSTIZIA DI GIOVANNI

l!

QUELLA DI GI!SU'

325

un valore programmatico. Poi lo ritroviamo in ZI,p, dove Gesù se ne serve per caratterizzare il ministero di Giovanni, che è « venuto nella via della giustizia >>. Al di là del discorso della montagna, questi due passi permettono di collegare la (( giustizia >> delle beatitu­ oini al modo personale in cui Matteo vede la missione di Giovanni e quella dello stesso Gesù. Noi comince­ remo di là, per poi passare a considerare il discorso della montagna. In tal modo speriamo di garantirci una solida base di partenza per la interpretazione delle beatitudini, di cui ci occuperemo nei capitoli succes­ sivi 4• ' Per il momento basta qualche indicazione bibliografica. Ricordiamo anzitutto l'articolo di G. QuELL e G. ScHRI!NK, 8lx1J (ecc.), TWN T II (1935) 1 76-229 (2oos) e i lavori di A. DESCAMPS, Le christianisme comme justice dans le premier ivangile, ETL 22 (I946) 5-33; fustice et fustification, Il. Le Nouveau Testament, I. La prldication de Jésus, DBS IV (I949) I460- 1471 (bibliografia : 1 p o) ; Les fustes et la fustice dans /es ivangiles el le christianisms primitij, hormis la dottrine propremenl paulinienne (Univ. cath. Lov., Diss. II, 43), Lovanio-Gembloux, 1 950. Conosciamo una dissertazione presentata a Halle-Wittemberg nel 1957 solo attraverso il riassunto fattone dall'autore: M. ] . FII!DLER, Der Begriff BLxotLoaUVYJ im Matthaus-Evangelium, TLZ 83 (I958) 591s., e attraverso una analisi di J. RonDE, Die re­ daJ:tionsgmhichtliche Melhotk. Einfiihrung und Sichtung des For­ schungsslandes, Amburgo, I 966, 79s. ; ne è stato pubblicato solo un capitolo: .1LKotLOaUV1) in der diaspora-jiidischen und inlerleJ/amen­ larische Literalur, infouriuJ/ for Study of fudaism 1 (197I) 1 20-143· Veloce panoramica in M. L ACON I, La Nuova Giustizia del di­ scepolo di Gesrì nel Discorso della Montagna di S. Malleo, in Parole di Vita 1 7 (1 972) 2I 8-225; notare anche nel medesimo fasci­ colo, I 75-I 86; A MIGLIO, Beni /e"eni e Regno dei Cieli (soprat­ tutto I 77, n. 4). - La linea attuale delle ricerche trova il suo punto di partenza nell'articolo di G. BoRNKAMM, EnderfiJartung und Kirche im Matthausevangelium, pubblicato dapprima in The Background of lhe Ne11J Teslament and its Eschato/IJgy... in hon. C. H. DoDD, Cambridge, I 956, 222-260 (23 2-241 : «La giu­ stizia migliore »), e riprodotto poi in G. BoRNKAMM-G. BARTH­ H. J. HELD, Ueber/ieferung und Aus/egung im Matthausevangelium (WMANT 1), Neukirchen, I 96o, I 3-47 (21-29). Fra la miglior produzione, una importante monografia con la dissertazione ..

LA GIUSTIZIA CRISTIANA

326

§I. LA GIUSTIZIA DI GIOVANNI E QUELLA DI GESU' r.

La via della giustizia.

La breve parabola dei due figli dissimili (z. x ,z.S-31), che possiede una sua propria conclusione (v pb), viene prolungata da una applicazione secondaria : « Perché Giovanni è venuto a voi nella via della giu­ stizia e non gli avete creduto ; ma i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto ; e voi, nemmeno dopo aver veduto ciò, vi siete pentiti e avete creduto a lui » (v 32.) 5• Non sembra ci siano dubbi che l'espressione �À6e:v... �v ò8(j) 8�x1XWGUV'IJ> 6• Checché ne sia dell'interesse oggi riservato al pluralismo, non è il caso di introdurlo indebitamente nella tradizione evangelica; l'espressione usata a pro­ posito di Giovanni non suppone l'esistenza né di mol­ teplici vie né di. molteplici giustizie 7• Per cogliere la portata di quanto viene detto di Giovanni in questa sentenza daremo anzitutto uno sguardo al suo con­ testo. Poi paragoneremo la sua formulazione a quella che troviamo nella versione parallela di Le 7,z9-�o, dopo di che potremo chiederci quale sia il senso pre­ ciso delle parole « venire nella via della giustizia » e quali siano le risonanze del termine « giustizia » in questa formula. r. Il contesto. Marco caratterizza il ministero svolto da Gesù a Gerusalemme con una serie di controversie (u,z7-IZ,;7 ), così come aveva già fatto per quello

• TOB : « Giovanni è venuto a voi nella via della giusti­ zia ». Tuttavia J. RADERMAKERS scrive : « Giovanni è venuto dietro a voi in una via di giustizia » : Au fil de l' évangile selon saint Matthieu, l. Texte, Heverlee-Lovanio, I972, 69. L'autore avverte però che egli intende dare « non tanto una traduzione, quanto piuttosto una trasposizione, destinata in particolare al lettore che non conosce il greco » (p. � ) e il suo commento si domanda quale sia « la vera via della giustizia » : t. II. Luture tontinlle, 27�. Una trasposizione che non si propone di rendere il senso, non va confusa con una traduzione. 7 L'evangelista, che conosce la sua lingua greca, aveva due motivi per non usare articoli: la presenza di una preposizione e l'uso di un complemento determinativo : cf A. T. ROBERTSON, A Grammar of tht Gree/e New Testament in the Light of Historkal Researçb, 3 ed., New York, 1919, 792s. ; M. ZERWICK, Graeçitas biblka exemplis illustratur (Scripta Pont. Inst. Bibl.), 2 ed., Roma, 1949, §§ 136s.; (J. H. MouLTON-)N. T URNER, A Grammar of New Testament Greek, III, Edimburgo, 1963, 179s. Buona oc­ casione per ricordare che le regole dell'uso dell'articolo non sono le medesime in greco e in francese o in italiano ; non basta per esempio che il termine Xp�a.-6ç non sia provvisto di articolo, per avere il diritto di farne un nome proprio, « Cristo », invece che un appellativo onorifico, « il Cristo ». ,

328

LA GIUSTIZIA CRISTIANA

svolto in Galilea (Mc 2.,1-3,6). La prima riguarda l'au­ torità di cui Gesù dà prova (11,2.7-H). Matteo adotta il medesimo schema, ma vi inserisce diversi comple­ menti. Cosi vediamo che in lui la prima controversia (z.1,2.3-2.7) è seguita da tre parabole, anziché da una: i due figli dissimili (2.1,z.B-3z.), i vignaiuoli omicidi (2.1,33-46) e gli invitati omicidi (z.z.,I-14). È chiaro che le due parabole supplementari sono state inserite in questo punto, perché l'evangelista attribuisce loro un significato simile a quello dei vignaiuoli omicidi: esse devono illustrare la condanna, che i detentori del­ l'autorità religiosa si attirano con la loro opposizione al vangelo 8• Inoltre la parabola dei figli dissimili in­ tende prolungare e concludere la discussione sulla autorità di Gesù 9 e a questo scopo l'evangelista vi ·aggiunge il v 3 z.. Gesù, entrato nel Tempio, si trova di fronte ai grandi sacerdoti e agli anziani del popolo : « Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato tale autori­ tà?>> (z.1,z.3). Gesù non intende dar loro alcuna spie­ gazione, se prima essi non risponderanno a una sua domanda: «Il battesimo di Giovanni donde era? dal cielo o dagli uomini?>> (v z.�). I dignitari subodo1 Vol. l, 91t-9I9. 1 La parabola dei due figli, strettamente legata all'episodio precedente e alla parabola seguente, costituisce un brano di transizione. Cf W. TRILLING, Die Taufertradition bei Matthaus, BZ 3 (I9�9) 2.71-2.89 (2.84); H. KAHLEFELD, G/ei&hniue und Lehr­ stikke im Evange/ium, II, Francoforte, 1 963, 1 8s. Paraboles el leçons dans /' liWa��t,ile, II (LD �6), Parigi, 1970, 14; R. HuM­ MEL, Die Auseinanderselzung zwùchen Kirche und ]udentum im Mallhiiusevange/ium (BevTh 3 3), Monaco, 1 96 3 , 2.3-z�; O. H. =

STECK, /srae/ und das gewaltsame Geschick der Propheten. Unter­ suchungen zur Ueberlieferungen des deuteronomùchen Geschichtsbi/des im Alten Testamenl, Spatjudentum und Urchrùtenlum (WM.AN T 2.3), Neukirchen-VIuyn, 1967, 3oz ; R. WALKER, Die Heils­ geschifhu im ersten Evange/ium (FRLANT 91), Gottinga, 1 967, 6s-68; W. WINK, fohn the Baptùl in the Gospel Tradition (Soc NTS Monogr. Ser., 7), Cambridge, 1 968, 348· .

LA GIUSTIZIA DI GIOVANNI E QUELLA DI GESU '

329

rano il tranello e cercano di scansarlo, così anche la loro domanda rimane senza risposta (vv 25h-z7). In .\f arco l'episodio finisce così. Matteo invece non vuoi lasciare i suoi lettori nell'incertezza 10• Dal momento che gli avversari non hanno voluto riconoscere che il battesimo di Giovanni veniva dal cielo, per paura di sentirsi domandare : « Perché, dunque, non gli avete creduto? )) (v z 5 ), Gesù dichiara loro sotto forma di accusa : « Giovanni è venuto a voi nella via della giustizia e non gli avete creduto... )) (v � z) . Con il loro rifiuto di credere a Giovanni essi assomigliano al fi­ glio che, nella parabola, aveva detto di no a suo padre, però, a differenza di lui, non si sono poi ravveduti : « I pubblicani e le meretrici gli (a Giovanni) hanno creduto, e voi, nemmeno dopo aver veduto ciò, vi siete pentiti e avete creduto a lui )). E chiaro che l'applicazione proposta dal v F lega male col racconto parabolico u. Né meglio si collega alla lezioné già tirata nel v � r b : « In verità vi dico : 10 Esempi tipici del suo modo di fare in I Z,4 5 b ; 1 6, I Z ; 17, 1 3 . 1 1 Contrariamente al racconto, coloro che dicono d i no, rifiu­ tano- di cambiar idea. La dissonanza viene sottolineata bene da J . SCHMID, Das Evangelium nach Mallhiius (RNT r), 4 ed., Ra­ tisbona, 1 9 5 9, 303s. Gli esegeti sono pressoché unanimi nel considerare il v 3 2 come un brano attinto e riportato da un altro contesto. Così i commenti al vangelo di D. Buzy, W. Grund­ mann, E. Haenchen, E. Klostermann, E. Lohmeyer, A. Loisy, A. H. Mc Neile, C. G. Montefiore, J. Schmid, J. Wellhausen, e i commenti alle parabole di L. Algisi, D. Buzy, J. Jeremias, A. Julicher, H. Kahlefeld, W. Michaelis, W. O. E. Oesterly. Ricordiamo ancora i nomi di G. Bornkamm, R. Bultmann, A. Harnack, R. Hummel, E. ]tinge!, E. Neuhii.usler, N. Perrin, W. Pesch, H. Schtirmann, G. Strecker, W. Trilling, R. Walker. J . jEREMIAS, pur affermando il carattere avventizio del v 3 2, ai domanda se la sua llggiunta non risalga a una tradizione an­ teriore a Matteo piu'ttosto. che allo stesso evangelista : Die Gleichnisse jesu, 6 ed., Gottinga, I 962, 78 Les Parabo/n Je Jisus, Le Puy-Lyon, 1 966, 8 6 ; questa ipotesi viene criticata da G. BoRNKAMM, En.Jerwartung unJ Kirche, 236, n. 2 (25. n. 5 ). Un certo numero di autori ignora la questione, ma rari, almeno =

JJO

LA GIUSTIZIA CRISTIANA

i pubblicani e le meretrici vi precederanno nel regno di Dio ». Se quel genere di persone entra nel regno di Dio, ciò dipende dal fatto che esse, dopo aver detto di no come il figlio, fanno tuttavia quanto Dio do­ manda loro e accolgono il messaggio del regno, re­ spinto dai professionisti del « sì ». E il messaggio che provoca questa divisione non può essere che quello dello stesso Gesù 12• L'evangelista, ritornando a Gio­ vanni nel v 3 2, sposta la prospettiva in cui si muoveva la parabola 13, ma noi sappiamo il perché : egli non ha voluto lasciare in sospeso la questione posta da Gesù nel v 2 5 . L'idea che Giovanni «è venuto nella via della giustizia » risponde almeno indirettamente alla domanda che chiedeva se il suo battesimo provenisse dal cielo 14• Confronto con Luca. Il fatto di ritrovare il logion 2 1 , 3 2 in un contesto del tutto diverso in Le 7,29-30 conferma l'impressione ch'esso abbia una esi­ stenza indipendente da quella della parabola dei due figli dissimili, a cui Matteo lo collega. La sua collo­ cazione in Luca non ci offre maggiori possibilità di .risalire a una tradizione antica 15 : qui esso è stato in2.

di Mt

per quanto conosciamo noi, sono coloro che si schierano a fa­ vore dell'appartenenza _del v 3 2 alla parabola, come fa il com­ mento a Matteo di M.-]. Lagrange. 11 Cf il nostro articolo Les. deux ft/s diuemb/ables, 24- z6 . 18 Tale spostamento risulta tanto più facile, in quanto Mat­ teo tende a stringere i legami, che uniscono Giovanni a Gesù. Cf W. TRILLING, Die Taufertradition, z8z-z86 ; G. STRECKER, Der Weg der GGcl!}igleeit, r 86s . ; R. WALKER, Die Heilsgeschichte, 66s . ; ]. DuPONT, Lu deux ftls diuemblables, 30s. " Cf P. BoNNARD, L'Evangile selon saint Matlhieu (CNT x), Neuchatel, 1 963, 3 us. ,. Secondo ] . DELOBEL bisognerebbe attribuire a Luca anche l'inserzione della sentenza in questo contesto : L' onclion par la péchereue. La composition iilléraire de Le VII, ]6-Jo, ETL 4z (1 966) 4 1 � -475 (4�0). Secondo H. SCHURMANN egli lo avrebbe trovato in questo punto già nella sua fonte : Das Luleas-evan­ ge/ium, l (HTKNT Ill,x), Friburgo i. Br., 1 969, 4zz.

LA GIUSTIZIA DI GIOVANNI E QUELLA

DI

331

GESU'

serito in un gruppo di sentenze, che hanno più o meno attinenza con Giovanni Battista (7,24-3 5 ) e di cui tro­ viamo l'equivalente in Mt 11,7-1 9 16• Questo logion errante non è solo privo di un con­ testo tradizionale, ma ci è anche pervenuto sotto due forme assai diverse. Abbiamo già visto quella di Mat­ teo; ecco ora quella di Luca : « Tutto il popolo che l'ha ascoltato, anche i pubblicani, hanno giustificato Dio, facendosi battezzare con il battesimo di Giovanni ; ma i farisei e i dottori della legge, non facendosi bat­ tezzare da lui, hanno reso inutile verso se stessi il di­ segno di Dio ». L'identificazione dei ritocchi redazio­ nali può ridurre le divergenze fino a un certo punto 17. Per quanto concerne Luca, il raccordo iniziale xod 1téiç ò ÀotÒç IÌxouaotç va attribuito alla sua redazione 18; la 10 Nel punto che corrisponde a Le 7,29·30, Matteo riporta altro logion supplementare : 1 1 , 1 2- 1 3 ( Le 16,16). 1 7 Cf A. HARNACK, The Sa yings of Jesus. The Second Source of St. Matthew and St. Luke (NTS II), Londra-New York, 1 908, 1 1 8s. Per Matteo solamente : G. STRECKER, Der Weg

un

=

der Gerechligkeit, I B. 18

·

Àa6ç ; Mt 14 volte, Mc z volte, Le 36 volte, At 48 volte ; viene catalogato tra i termini caratteristici del vocabolario di Luca : J. C. HAWKINS, Horae Synopticae. Contributions lo the Jtudy of the Synoptic Problem, 2. ed., Oxford, I 909, zo ; R. Moa­ GENTHALER, Statisti/c des neuteslamentlichen Wortschatzes, Zurigo, I 95 8, I 8 I . Ma è soprattutto l'espressione Tt"liç (> e gli altri nelle « vie delle tenebre >> (I QS 3, 20-2 1). Lo Spirito di verità ha il ruolo di « il­ luminare il cuore dell'uomo, di spianare davanti al­ l'uomo tutte le vie della vera giustizia (/ewl drky çdq 'mt), di mettere nel suo cuore il timore dei coman­ damenti di Dio >> (4,2). Invéce lo Spirito di perversità provoca « la cupidigia e il rilassamento nel servizio della giustizia >> (4,9). Nessuna intesa è possibile tra coloro che seguono 1'< ttitte le vie della verità >> (4,I 7) e coloro che si trovano nelle « vie dell'empietà >> (4, 1 9). Ci sarà salvezza solo per « i perfetti di via >> (4,22) 37• 87 La pagina successiva tratta di colui che vuole aggregarsi alla comunità di 3LXIXt0>.

è

'" Gli esegeti sono praticamente unanimi nel considerare il dialogo dei vv 1 4-1 � come un elemento avventizio inserito in un racconto più antico e, in genere, vi riconoscono la eco di una riflessione cristiana posteriore. Così tra molti altri A. VoEGTLE, ExegétiJche Erwiigungen iiber das Wiuen und Se/bstbewuutsein fesu, in Goti und Welt. Festgabe fiir Kar/ Rahner, Friburgo in Br., 1964, 6o8-667 (6 3 1 , n. 62 e p. 634), riprodotto in Das Evan­ gllium und die Evangelien. Beitriige zur Evange/ienforschung (K BANT), Diisseldorf, 1 97 1 , p � , n. 62 e p. 3 1 7, tradotto in R. ScHNAC KENBURG-A. VoEGTLE ecc., Le Meuage de fésus et l'in­ lerprétation moderne. Milanges Kar/ Rahner (Cogitatio fidei, 3 7), Parigi, 1 969, n. 6 2 e p. 72 (con altri riferimenti). Notiamo anche E. P. SANDERS, The Tendencies of the Synoptic Tradilion (Soc. NTS, Monogr. Ser., 9). Cambridge, 1 969, 76. Si discute solo sulla provenienza di questi versetti : esistevano già sotto questa forma in una tradizione anteriore? Quale parte bisogna attri­ buire qui alla redazione dell'evangelista ? Le eccezioni al con­ smsus che segnaliamo sono ancor più rare. Eccone una : P. PARKER, The Gospel Before Marie, Chicago, 1 9� 3, 9� e 1 90. Secondo' questo autore il dialogo apparteneva già a K ( Mat­ teo aramaico), eccettuate le parole « sono io che devo essere bat­ tezzato da te )), in cui bisognerebbe riconoscere una precisa­ zione redazionale dell'evangelista. •• T6Tc : Mt 90 volte, Mc 6 volte, Le 1 4 volte ; nelle parti narrative : Mt 6o volte, Mc o volte, Le 2 volte. Cf J. C. HAw­ KINS, Horae Synopticae, 8 . • • 7ta:pa:y!ve:Ta:L : verbo identico a quello del v 1 ; i l paralle­ lismo sembra intenzionale. Mt Io adopera anche in 2, 1 . Lo si riscontra 1 volta sola in Mc, precisamente in 1 4,43, per segna­ lare l'arrivo di Giuda al Getsemani; Mt z6,47 non lo riprende. =

350

LA GIUSTIZIA CRISTIANA

Marco scriveva che « Gesù venne da Nazaret 8 1 di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni » ( 1 ,9). Il racconto, senza soffermarsi sul battesimo vero e proprio, mirava dritto all'avvenimento che si era verificato in quella occasione. In Matteo il battesimo acquista un significato autonomo : Gesù viene delibe­ ratamente « verso Giovanni » con l'intenzione espli­ cita di « farsi battezzare da lui » (-c-où �IX7t-c-La6'ijvatL : costruzione matteana) 62 • I rimaneggiamenti del v r 3 cercano di preparare il problema formulato nella obie­ zione di Giovanni del v 1 4 : come può Gesù chiedere a Giovanni di battezzarlo ? Dopo il dialogo si tratta di riprendere il filo del racconto. Marco, dopo aver detto che Gesù « fu bat­ tezzato nel Giordano da Giovanni », proseguiva così :

" Matteo omette la precisazione « da Nazaret )), inutile dopo la menzione di questo villaggio in 2,2 3. Cf G. STRECKER, Der Weg der Gertchtigkeit, I 5 0. •• Abbiamo già parlato della costruzione Tou seguito dal­ l'infinito a proposito di 2 I , 32. G. STRECKER, o. c., I 79, mette in discussione il suo valore finale e preferisce accontentarsi di un semplice senso consecutivo. Questa spiegazione ha l'incon­ veniente di non tener sufficientemente conto del significato di questa costruzione in Matteo e, soprattutto, di trascurare il ruolo assegnato alle ultime parole del v I 3 come preparazione letteraria del dialogo successivo. Oltre ai commenti, cf. M. GoGUEL, Au seui/ de /' Evangile. Jean Baptiste (Bibl. hist. Payot), Parigi, I 928, I46 ; T. W. MANSON ; The Sayings of]esus as Rtcorded in the Gospel according to St. Matthew and St. Luke, Londra, 1 949 (= I 9 5 4), I49 ; G. BARTH, Das Gesetzesverstiindnis des Evange­ /isten Matthiius, in G. BoRNKAMM-G. BARTH-H. J. HELD, Ue­ berlieferung und A.tfrlegung im Matthiiusevangelium (WMANT 1 ), Neukirchen, I 96o, 5 4- I 5 4 ( I Z9) ; H. ScHLIER, La présentation du baptéme de Jésus dans /es évangiles, in Euais sur le Nouveau Testament (LD 46), Parigi, I 968, 247-254 (249) ; E . ]ACQUEMIN, a. c., 5 5 ; C. PAYOT, a. c., 8. F. LENTZEN-DEIS precisa : « La parte conclusiva del v I 3 non fa alcuna considerazione psicologiz­ zante, ma costituisce l'introduzione al dialogo successivo. L"'atteggiamento" e la manifesta "intenzione" di Gesù de­ terminano tutto il racconto del battesimo >> (o. c., 34 ; cf 282).

LA GIUSTIZIA DI GIOVANNI E QUELLA DI GESU'

351

E subito, uscendo dall'acqua, vide i cieli aprirsi >> Matteo comincia il v I 6 cosi : « Dopo esser stato battezzato, Gesù uscì subito dall'acqua. Ed ecco che i cieli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio ». II v I 3 aveva parlato del proposito di Gesù, i vv 14-I 5 avevano esposto la difficoltà sollevata da Giovanni ; persino dopo l'annotazione « Allora egli lo lasciò fare », Matteo ci tiene a precisare che il battesimo fu effettivamente amministrato e lo fa alla sua maniera, con un raccordo che ha la forma di proposizione par­ ticipiale 63• Ciò fatto, egli non può più adoperare un participio, come faceva Marco, per indicare l'uscita dall'acqua ; perciò lo sostituisce con un indicativo e spezza la frase in due 64• Sfortunatamente vi è l'av­ verbio e:ò6oc;, « subito », che è una mania di Marco 65• Matteo lo conserva, ma, pur !asciandolo nel mede : Das Mallhiiusevangelium (HNT 4), 2 ed., Tubinga, I 927, IO. Cf anche J. )EREMIAS, Die G/eich­ "isse Jesu, 6 ed., Gottinga, I 96 2, 8 I , n. 2 = Les parabo/es de Jésus, Le Puy-Lyon, 1 9 6 6, 88, n. 3 9 · •• La seconda parte della frase è introdotta dalla espressione xa:t t!lou. Tale espressione non si riscontra in Mc, mentre ricorre 28 volte in Mt, 2 5 volte in Le e 8 volte negli At. Matteo e Luca l'usano perciò volentieri, ma è relativamente raro che lo facciano nel medesimo punto. Essi si trovano d'accordo in un passo Q in Mt 1 2,4I-42 Le I I , p - p ; d'accordo contro Mc in Mt 8,2 ( Le 5 , 1 2, diversamente da Mc I ,4o) ; 9,2 ( Le 5 , I 8, diversamente da Mc 2,3) e 17,3 ( Le 9,30, diversamente da Mc 9.4). Negli altri 2 3 casi M t è solo : 2,1 3 ; 3 , I 6. q ; 4, I I ; 7,4 ; 8,24.29· 32·34; 9,3 -. I 0.20 ; I 2, I O ; I 5,22 ; J 7, 5 ; I 9, I 6 ; 20,30; 2.6,5 1 ; 2.7, 5 I ; 28,2.7·9·20. •• Questo avverbio ricorre 6 volte in Mt (7 volte contando 2.6, 74), I volta in Le, I volta in At e 42 volte in Mc, di cui I I volte nel solo capitolo 1 . Strana spiegazione di G. STRECKER, o. c., 15 o, che cerca nella posizione maldestra di questo avverbio un indizio dell'impiego di una fonte distinta da Mc e lascia in­ tendere che questa congettura sarebbe già stata fatta da E. Lohmeyer (il quale dice invece esplicitamente che il testo di Mt si spiega in base a quello di Mc). =

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LA GIUSTIZIA CRISTIANA

simo punto, lo collega con il verbo « uscire »; mentre Marco lo metteva in rapporto alla visione di Gesù. Il nostro evangelista non si è accorto della incon­ gruenza di questa uscita precipitosa dall'acqua 66, ri­ sultato inatteso di una piccola goffaggine letteraria compiuta nel rimaneggiamento del testo di Marco. Essa però costituisce un errore prezioso agli occhi del critico, che vi riconosce la conseguenza del cambia­ mento di costruzione richiesto d� raccordo che inizia il v 1 6, raccordo reso a sua volta necessario dalla in­ serzione dei vv 1 4- q . Noi troviamo là un indizio, che permette di pensare che questi vv 1 4-1 � sono stati aggiunti in questo punto dallo stesso Matteo. L'obiezione avanzata da Giovanni nel v 14 sor­ prende il lettore che cercasse di comprenderla da un punto di vista puramente storico. Egli infatti si do­ manda come Giovanni potesse sapere con chi aveva a che fare, prima che si verificasse la rivelazione cele­ ste. Inoltre rimane soprattutto sorpreso dal desiderio di Giovanni : essere battezzato da Gesù. Non si tratta dunque più del battesimo « di Spirito Santo e di fuo­ co », di cui egli ha appena parlato (v 1 I), un « batte­ simo » escatologico terribile, che getta nel fuoco tutti gli alberi che non producono buon frutto (v Io) e che consuma la paglia in un fuoco inestinguibile (v u) ? 67 " Questa stranezza ha sorpreso molto gli antichi e ha spinto parecchi moderni (]. Wellhausen, F. Blass, J. Weiss) a sopprimere arbitrariamente l'avverbio : cf E. LOHMEYER, Das Evangelium des Mallhiius (KEKNT Sonderband), Gottinga, 1 9 � 6, � I, n. I r- .J: ., Pensiamo alla interpretazione sostenuta da P. VAN IMSCHOOT, Bapleme d'eau el bapleme d'Esprit-Saint, ETL 1 3 ( 1 936) 6 5 3-666 ; l'immagine evocherebbe la sorte di Sodoma e di Gomorra. Questo studio non è sfuggito a J. D. G. DuNN, Spirit-and-Fire-Baptism, NT 14 (1972) 81-92., il quale fa risalire la medesima interpretazione a A. B. Bruce (1 897) e la rileva in C. K. Barrett, C. H. Kraeling, E. Schweizer, M.-A. Chevallier, E. Best, W. Grundmann, W. Bieder (8z, n. �). L'interpretazione che Dunn vi oppone da parte sua non ci sembra convincente.

LA GIUSTIZIA DI GIOVANNI E QUELLA DI GESU'

353

I4 non parla più di questo « batte­ simo » di giudizio, ma semplicemente del battesimo cristiano per la remissione dei peccati. Forse è utile osservare che l'antitesi essenziale di questo versetto non è quella che oppone il battesimo di Giovanni al battesimo messianico, ma quella che si situa nel con­ trasto tra le due persone, fortemente sottolineato dai pronomi : « Son io che devo essere battezzato da te, e tu vieni a me l )) 68• Il punto di vista sembra essere precisamente quello secondo cui Matteo ha ricompo­ sto il v I I per far annunciare a Giovanni non la venuta di uno più forte di lui, ma più esattamente che colui che sarebbe venuto dopo di lui sarebbe stato più .forte di lui. Matteo fa cadere l'accento sulla superio­ rità di Gesù, il Messia, nei confronti di Giovanni. Le parole dette da Giovanni nel v 14 ri mangono in linea con il suo messaggio, tal quale Matteo l'ha formulato nel v I I 69• È chiaro che il v

•• Cf W. TRILLING, a. &., 286s. ; A. VoEGTLB, in Gol/ in Welt, 6H Das Evange/ium una dii Evangeli1n, 3 1 7 Le Mes­ sage de Jésus et l'interprélalion moderne, 7 2 ; W. WINK, o. &., 3 6 ; F. LI!NTZEN-DBIS, o. &., 2 8 2 ; E . ) ACQUEMIN, a. &., �6. •• Il vocabolario e lo stile di questo versetto non presen­ tano tratti che manifestino chiaramente la mano di Matteo. Si noti tuttavia il participio >.éywv : A. SCHLATTER fa dei con­ fronti minuziosi per mostrare che si tratta qui di un tratto di­ etintivo dello stile di Mattco, di un elemento del suo vocabolario particolare : Der EtJangè/ist Matthiius. Seine Spraçhe, sein Zie/, 11ine Se/bstilndigkeil, Stoccarda, 1 929 = 4 ed., 1 9p, 1 6s. ; G . BARTH lo conta 1 1 2 volte in M t : Das Gesetzelllersliindnis, 1 29, n. 2. - G. D. KILPATRICK presenta l'espressione xpe!Gtv l!xw come un mattcismo: The Origins of the Gospel aççording lo St. Mallhew, Oxford, 1 946, � o. In realtà M t lo adopera 6 volte : 3 volte in dipendenza da Mc (Mt 9, 1 2 = Mc 2,q ; Mt 2 1 ,3 = Mc 1 1 , 3 ; Mt 26,6� = Mc 14,6 3) ; lo introduce in una preci­ eazione redazionale in 1 4,16 (diversamente da Mc 6,37) c forse anche nella formulazione di 6,8, se vi vediamo una variante eccondaria del logion conservato in 6,3 2 ( Le 1 2,3o). Se è vero che non bisogna parlare troppo precipitosamente di mat­ teismo, pensiamo pure che non bisogna dichiarare troppo fa­ cilmente « non-matteano » l'uso di 314Xw>.òw, che è un hapax =

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354

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La dichiarazione di Gesù riportata nel v 1 , non si presenta come la semplice riproduzione di un testo anteriore. L'intervento redazionale dell'evangelista è riconoscibile non solo nella formula introduttiva li7toxpL6dç 8è: ò 'IEaoùç d7tEv 70, ma anche nell'uso delle particelle !lp-n 71, oG-rwç 72 yocp 73, -r6n 74, cui potremmo aggiungere il verbo &(fl"ljf.LL 75• L'espressione 7tpé7tov la-rlv è unica nel Nuovo Testamento, però è affine ad altre esrressioni familiari a Matteo 76• Il verbo 7tÀ'Y)­ p6w e i sostantivo 8Lxl:t.LOaUV7J fanno parte delle caratnel NT, come fa G. STRECKER, o. c., I �o, il quale cerca là un indizio dell'uso di una fonte. J . C. HAWKINS, Horae Synopticae, I 98-2oo fa una lista di I I 2 termini particolari di Matteo : essa testimonia il grado di ricchezza del vocabolario dell'evangelista piuttosto che la varietà delle sue fonti. A proposito dell'imper­ fetto 8LEXw)m:v, leggiamo con stupore la sfumatura che gli attribuisce W. GauNoMANN : « energisch » (= energicamente) : Das Evange/ium nach Mallhiius (THKNT r), Berlino, 1968, 96. Si tratta senza dubbio di un imperfetto de conatu: (( egli voleva impedirglielo >>. Cf A. T. ROBERTSON, A Grommar of the Greek NT, 88� ; F. BLAss-A. BEBRUNNER, Grammalik des neulesla­ mentlkhm Griechiuh, 1 2 ed., Gottinga, 196s, § 3 26 ; J . H. MouL­ TON, A Grommar of Nell' Tulamenl Greek, I, z ed., Edimburgo, I 906, 1 2 9. 70 Espressione cara a M t (44 volte) e a Le (30 volte) ; la ri­ troviamo IO volte in Mc e mai in Gv : cf J. )EREMIAS, Die Gleich­ nisse ]esu, 82, n. 1 (omessa nella edizione francese). 7 1 Mt 7 volte, Mc o volte, Le o volte, At o volte : J. C. HAWKINS, Horae Synopticae, 4· 71 Mt 32 volte, Mc 1 0 volte, Le Z I volte, At 27 volte : R. MORGENTHALER, Stalistik des neuteslamentlichen Worlschalzes, I B I . 78 Mt 1 24 volte, Mc 6 4 volte, Le 97 volte, At B o volte : MoaGENTHALEJL fii. 7• Mt 90 volte, Mc 6 volte, Le 14 volte, At 2 I volte : ivi. 71 Delle 47 volte che questo verbo viene adoperato in Mt, I9 non hanno un corrispondente in Mc o in Le; parecchi casi sono chiaramente attribuibili alla sua redazione : M t 1 3,36 ; I S, I 4 ; 22,2 2 ; 26,44. · 71 L'espressione, unica nel NT, non è biblica : ricorre solo in I Mac I 2, I 1 . Essa corrisponde ad analoghe annotazioni cl;le caratterizzano la redazione del primo vangelo : Matteo precisa volentieri che la tal linea di condotta è (( vantaggiosa » : •

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LA GIUSTIZIA DI GIOVANNI E QUELLA DI GESU'

teristiche del vocabolario matteano 77• Ciò dicendo non intendiamo escludere l'uso di una tradizione anteriore, ma notiamo semplicemente che l'impronta dell'evan­ gelista è troppo forte per permettere di ricostruire un testo che gli avrebbe servito da fonte 78• Ci troviamo CN!J.cpÉpe:L, proprio di Mt, in s ,19 . �o (diversamente da Mt 1 8,8.9 Mc 9,4 3 -47) ; 1 8,6 (diversamente da Mc 9,42 e Le 1 7 , 1 ) ; 19, 1 0 ; ch'essa è > delle Scritture : M t 1 1 volte, Mc 1 volta, Le 2 volte ; è evidentemente questa accezione quella che caratterizza Mt (cf HAWKINS, p). Abbiamo già notato che nei Sinottici 8LxatLocru�7J. al di fuori dei casi in cui ri­ corre in Mt, ricompare solo in Le 1 , 7 S · 7 ° Ci si perdoni questa formulazione, che sembra destinata ad accontentare tutti l Se è vero che ci si trova facilmente d'ac­ cordo nel considerare i vv 14- 1 5 come un brano avventizio nella storia del battesimo, è pure vero che si dànno molte sfumature nel giudicare la parte da attribuire alla tradizione e alla redazione. Alcuni autori pensano cile sia necessario richiamarsi a una tra­ dizione anteriore, ma, per rispettare la parte svolta da Matteo nella formulazione, preferiscono supporre che tale tradizione gli sia pervenuta sotto forma orale. Così per esempio A. LmsY, Lu Evangiles synoptiques, I, Ceffonds, 1 907, 4o6s., T. W. MANSON, The Sayings of jesu1, I49 ; G. STRECKER, Der Weg der Geruhtig­ J:eil, 1 so. Altri hanno voluto fare un passo più avanti e hanno supposto che le parole di Gesù riportate nel v I s sarebbero state attinte dall'evangelista da un altro contesto e che esse rappresenterebbero un insegnamento dato ulteriormente dal Signore. Tale è l'atteggiamento assunto da F. J. LEENHARDT, L4 Bapteme chrétien, son origine, sa signijitalion (Cahiers théol. de l'actualité protestante, 4), Neuchàtel-Parigi, 1 946, 11, n Z I , e da A . DESCAMPS, Le chrislianisme comme juslite, 26-28 ; LB fuste el la ]ustite, I I 8s. J. ScHMID , Das Evangelium nath Mal=

.

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eertanto su un terreno solido, quando cerchiamo là

il suo pensiero : è a Matteo che dobbiamo attribuire

l'inserzione dei vv 14-1 � nel punto dove li leggiamo e, almeno in una misura molto ampia, la loro stessa for­ mulazione 79• 2. Interpretazioni. Cominciamo col confessare la difficoltà che proviamo a catalogare le spiegazioni con cui gli esegeti cercano di dilucidare l'espressione « adempiere ogni giustizia ». Capita infatti spesso che

lhiius, 6 1 , ha criticato severamente questa ipotesi e ne ha mo­ strato l'inverosimiglianza : le parole attribuite a Gesù rispon­ dono a una difficoltà, che è potuta sorgere nella comunità cristiana solo in un'epoca relativamente recente. Tale è l'opi­ nione generale, condivisa anche da P. DuTHI!IL, che cerca di ri­ costituire le tappe della formazione di questa tradizione : Le Baptéme de féJus. Ellmenls d'inlerprétalion, In Studii Biblifi Fran­ tiuani Liber Annuus 6 (19� �-�6) 8 � - 1 14 (uo-uz). Tuttavia gli esegeti concentrano le loro attenzione soprattutto sulla parte dell'evangelista in questi due versetti ; parte troppo importante per permettere di supporre ch'egli abbia utilizzato una seconda fonte scritta accanto a Mc. Cf per esempio V. TAYLOR, The Formalion oj tbe Gospel Tradition, z ed., Londra, 1 9 3 � ( 1 9 49), I � zs. ; G.D. KILPATRICK, Tbe Origins of the Gospel Tradition, Londra, 1 947 (= 1 9�4), 3 4 ; D. R. GaiPPITHS, SI Mattbew iii, IJ, ET 6z (1910-p) I 5 f- I 5 7 ; J. SCHMID, o. &., 6os. ; A. LB­ GAULT, Le baptéme de Jlsus el la do&triM du Servileur souf!ranl, in S&iençe Eçç/ésiasliqt#S 1 3 (1961) 147-166 ( 1 1 os.) ; M. SABBB, Le Baptéme de jéJUJ, 1 84s. ; E. }ACQUI!MIN, Le baptime du Cbrist, 1 � - 5 7 ; 0RTENSIO DA SPINI!TOLI, Malleo. Commento al (( Vangelo tk/la Chiesa 11, Assisi, 1971, 71S. •• H.- TH. WREGE, lasciando da parte le sfumature, di­ chiara senza amàagt: (< Siccome la "giustizia" del v 1 � è chia­ ramente di origine matteana, bisogna determinare il suo senso in stretto rapporto con il verbo "adempiere", esso pure di ori­ gine matteana 11 : Die Ueberlieferungsges&hi&hte der Bergpredigt (WUNT 9), Tubinga, 1 968, 46, n. 4· La probabilità della origine matteana della espressione « adempiere ogni giustizia 11 non ci pare una certezza capace di escludere ogni possibilità di dubbio. Però siamo d'accordo con Wrege nel pensare che, in base a un buon metodo, questa espressione vada interpretata al livello dèlla redazione matteana. =

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l'esposizione di un autore, dopo essersi impegnata in una direzione, si biforchi e si orienti in un senso com­ pletamente diverso. Uno dei motivi di tale comples­ sità sta senz'altro nel fatto che qui abbiamo a che fare con una espressione contenente due poli : l'attenzione può soffermarsi ora sull'uno, cioé sul verbo « adem­ piere », ora sull'altro, cioè sul sostantivo > (v 1.7). J . Weiss pensa che questa spiegazione abbia il medesimo valore pratico della dichiarazione con cui Gesù afferma di voler in funzione della idea paolina di « rivelazione » della giustizia di Dio 91 o attribuirlo cosi esclusivamente a Cristo, al 80 Non conosciamo alcun altro autore che condivida questa interpretazione. •• Ljungman interpreta questa antitesi in funzione degli ultimi capitoli del libro di Isaia. Il profeta annunciava che alla :6.ne dei tempi la collera divina si sarebbe riversata sugli empi e li avrebbe distrutti col fuoco. Ma il grande giudizio escatologico sarebbe coinciso con la manifestazione della misericordia di Dio per il suo popolo, con la rivelazione piena della sua « giu­ stizia » (cf Is 6o,zo-z.z ; 6 I , I-4; 63, I - I o ; 66, I 4-24). L'inno di ringraziamento di Is 63,7 è particolarmente interessante : « Vo­ glio celebrare le bontà di Jahvè, le lodi di Jahvè, per tutto quello di cui egli ci ha colmati (gemiildnli, �f.LLV aVTotno8l8wcm) e per la grande benevolenza di cui ha colmato la casa di Israele, secondo la compassione e secondo la grandezza della sua bontà ». L'ul­ tima espressione è tradotta così nei LXX : xa'tà: 't"Ò nÀlj6oç njç 8LXatocruv"lç IIXÙ'toil. Gesù caratterizza il momento presente con que­ sta manifestazione piena della giustizia divina, mentre Giovanni p rospetta solo una manifestazione -imminente della collera. Tale Interpretazione è frutto di un semplice accostamento dei testi e non tiene conto, per quanto riguarda il vangelo, né delle que­ stioni di critica letteraria né di quelle relative alle vere fonti di - .,;: ispirazione. 11 Gesù si �nificherebbe (( desiderare seriamente la vendetta di Dio e la liberazione da parte di Dio ». Coggan ap­ P.Iica a 3 , 1 � questo senso del termine (( giustizia » e afferma che 11 battesimo di Gesù fa parte dell'intervento escatologico, con cui Dio realizza la salvezza degli uomini. La missione di Gesù consiste nell'adempiere la giustizia, vale a dire nel realizzare la salvezza promessa per la fine dei tempi. M t 3,1 � viene cosi ad essere come una definizione dello scopo dell'Incarnazione. Tale scopo sarà raggiunto solo sul Calvario, ma il battesimo contiene già simbolicamente la morte del Salvatore. Queste spiegazioni hanno giustamente provocato la critica di D. R. G RIFFITHS, che chiede maggior attenzione ai punti di vista dell'evangelista : ET 1 9 � 0-� 1 , 1 5 � - 1 n. •• G. BARTH, Das Gesel':{_esversliindnis des Evangelislen Mat­ tbiius, 1 29-1 p .

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365

(�tpt7tov �CTt"!v), che si impone tanto a Giovanni quanto

a lui. Tale dovere riguarda l'adempimento della « giu­ stizia >> : in Matteo questo termine indica sempre la giusta condotta dell'uomo che si conforma alla volontà di Dio e che è a lui gradito. Questa giustizia, che Dio vuole perfetta (1tiia1Xv), è nel medesimo tempo presen­ tata come dono escatologico (Mt 5 ,6 ; 6,3 3). Gesù « adempie ogni giustizia >> in quanto, prima con il battesimo e poi con la morte in croce, si inserisce nella serie dei peccatori e realizza al loro posto tutta la vo­ lontà di Dio. La salvezza ch'egli procura appare così come il ristabilimento della giustizia e del diritto di Dio. C'è forse bisogno di sottolineare che questa teoria di un adempimento sostitutivo deriva da Paolo e non da Matteo ? e che 1tcxa1Xv 8LxiXLOaUVlJV non può essere tradotto con « eine vollige Gerechtigkeit » ( una giustizia piena, perfetta) ? Non è il caso di lasciarsi impressionare dall'agget­ tivo « banale », con cui A. Descamps qualifica l'in­ terpretazione corrente. L'unica cosa che conta sono gli argomenti, che lo inducono ad attribuire ai termini un nuovo significato specificamente cristiano : il ri­ schio di interpretarli in funzione di punti di vista teo­ logici preconcetti, piuttosto che in funzione del testo, è grande. Descamps ha in ogni caso il merito di pren­ dere in considerazione tutti gli elementi della dichia­ razione di Gesù 96•• Gesù afferma la sua volontà di « adempiere >> : in Matteo questo verbo non significa solo (( osservare », (( mettere in pratica », bensl con­ durre a un compimento che è nel medesimo tempo un superamento. L'oggetto di questo perfezionamento è ( tutta la giustizia » : l'insieme dei comandamenti che caratterizzano la giustizia giudaica e che, una volta (( adempiuti », trapassano nella giustizia cristiana. =

(

•• A. DESCAMPS, Le çhrisliafiÌStnl çomm1 ju.rtire, fuste et la ]u.rtire, 1 u- I I 8.

7- 1 2 ;

Le

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Questo adempimento non può essere realizzato solo con il battesimo. Perciò bisogna tradurre l'avverbio ou-rwc; non (( così », (( in questa maniera », bensì (( in una maniera simile >> : la recezione del battesimo è solo un esempio dell'atteggiamento che Gesù assu­ merà in ogni occasione, rimanendo fedele alla giustizia antica, ma per condurla a una nuova perfezione: Que­ sta esegesi pone qualche punto interrogativo : dobbia­ mo accettare il senso ch'essa attribuisce al verbo « a­ dempiere » 97, il modo in cui traduce 7tiicrotv 8LxotLo­ crUVY)v98, l'ampliamento di significato che fa subire al­ l'avverbio ouTwc; 99 ? M. Sabbe 100 pensa che sia possibile conservare qui il senso che il verbo « adempiere » riveste abitual­ mente in Matteo a proposito dell'adempimento delle profezie messianiche IOI. « Adempiere ogni giustizia » Contestato da LJUNGMAN, Ioo. •• « Letteralmente significa omnù, in fondo significa lola, poiché se ogni comandamento è una giustizia, l'insieme dci comandamenti forma la giustizia : cf Act. XIII, I o ; I Tim., II, 2 » (Les justes el la juslice, 1 14, n. 1). Dobbiamo perlomeno dire che i due paralleli indicati non favoriscono il passaggio da omnis a lola. •• Anche Ljungman trova il procedimento un po' esage­ rato (too, n. 1). Sul senso dell'avverbio in questo contesto, cf R. THIBAUT, Le sens des paro/es du Chrùl (Museum Lessia­ num, sect. théol., 36), Bruxelles-Parigi, 1940, 5 5s. ; P. GAECHTER, Das Mallhiius Evangelium, Innsbrl!ck, 1 963, 1 00. 100 M. SABBE, Hel verhaal van Jezus' doopsel, in Collaliones Brugenses el Gandavenses 8 (1 962) 45 6-474 ; 9 (1 963) 2 I 1-230 e 3 3 3-365 queste ultime pagine stampate a parte con impagina­ zione propria (H. PR·) ; versione riveduta: Le bapléme de fésus. Etude sur /es origins lilléraires du récil des évangiles synoptiques, in De jésus aux Evangiles, 1 9 (7tÀl)-

profezia di Isaia, che dice >> (1h14) e alcune formule, che non esplicitano l'idea di adempimento (z,5 ; 3,3 ... ). Tra i numerosi lavori dedicati a questo tratto caratteristico del primo vangelo, segnaliamo W. RoTHFUCHS, Die Erfiillungzilate des Matthaus­ BIIangeliums. Bine bibliuh-theologische Untersuchung (BWANT 88), Stoccarda, 1969. Aggiungiamo quest'opera dimenticata : L. VAGANAY, Le Problème .r;ynoplique. Une hypothèse de lral!ail (Bibl. de Théol., III, Théol. bibl., I), Tournai, 19l4, zn-z4o. 118 Mt 23,32 può essere considerato come una transizione redazionale, che il v 3 3 amplifica per mezzo di parole attinte dalla predicazione di Giovanni Battista (M t 3,7) : cf vol. I, 98 3 , n. 8 1 . 11 0 Mt 23,32-B· trova i l suo miglior passo parallelo i n 1 Ts 2,16, dove l'idea di « colmare la misura » dei padri è resa in maniera p iù esplicita per mezzo di una formula che echeggia Gn 1 5,16 ( « i peccati degli Amorrei non avevano ancora rag­ giunto il loro culmine ») : dç TÒ civotltÀ1)pwacu etÒTwv TÒ:ç d:fLetp"tf.etç ltocv-ron, « in ogni tempo essi colmano i loro peccati ». Questa formula costituisce l'antitesi evidente di quella di Mt 3 , 1 5 , che potremmo tradurre così : una ci8nda. In Dn 8,23 l'espressione 7tÀJ)pou�­ V6)Y TWY cZIJ4PTIWV a.ÒTWY non rimprovera ai giudei solo di pra­ ticare il peccato : essi lo portano al culmine, gli conferiscono la sua piena misura. Cf jlllche Dn 4, 3 4 LXX ; 2 Mac 6, 1 4· m Questa sentenza forma la conclusione della pericope riguardante il comandamento più grande ; essa non ha un pa­ rallelo in Marco e Luca e ha tutte le probabilità di essere una composizione redazionale. Cf a questo proposito G. Bo aNK AMM, Dos Doppelgebol dtr Liebe, in Neuleslomenl/iche Sludien fiir R. Bu/tmonn (BZNW 2 1 ), Berlino, I 9 � 4. 8 5-93 (93) = Geschichle und Gloube, I (BevTh 48), Monaco, I 968, 37-45 (45 ) ; G. BART H , Dos Geselzesversliindnis des EtJongelisten Mollhiius, 71 -73 ; G. STREC­ K:ER, Der Weg der Geruhligl:eil, I 3 5s. ; W. TRILLING, Dos wohre lsru/, 1 7 3s. e 2o6s. ; C. BuaCHARD, Dos doppelle Liebesgebol in thr friihen ehristlichen Ueber/ieferung, in Der Ruf ]esu und die Anl­ worl der Gemeinde. Exegelische Untersuçhungen ]. Jeremios, Got­ tinga, 1 970, 39-62 (6o) ; segnaliamo anche T. VAN DEN ENDE, La Loi el le Prophites (Mt 22,J4--#0) , in Trenliìme dimonçhe or••

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che ) (�,48) e del­ l'osservanza dei comandamenti (19,ZI ) . L'inserimento di questo aggettivo e l'uso del verbo in questione corrispondono a un medesimo atteggiamento di spirito dell'evangelista.

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giusti, perché conforme alla volontà divina » 129• Agli occhi di Matteo esso caratterizza anche molto bene il modo di agire di Gesù e di Giovanni : l'uno e l'altro si sottomettono senza restrizione a tutto ciò che viene loro prescritto da Dio, a tutte le esigenze della loro missione 130• È così che essi sono interamente giusti davanti a Dio e mostrano la via su cui, nel pensiero dell'evangelista, i cristiani devono a loro volta impe­ gnarsi. Le prime parole di Gesù, che parlano di « a­ dempiere ogni giustizia )), testimoniano una parentela profonda con l'ultima raccomandazione da lui rivolta agli Undici : « Insegnate a osservare tutto ciò che vi ho comandato )) (z8,zo) 131 .

110 P. BENOIT, L' Evangile selon saint Matthieu (La Saint Bible ... de Jérusalem), 3 ed., Parigi, 1 96 1 , 49, nota e. 1 80 Eccoci molto lontani dalla interpretazione di certi com­ mentatori, che credono di trovare in Mt 3 , 1 5 l'idea che Gesù si è sottomesso al battesimo di Giovanni per semplice spirito di accomodamento (per esempio E. KLOSTERMANN, Das Matthaus­ tvangelium, 2.5), attirando così sull'evangelista le critiche di W. E. BuNDY, che gli rimprovera di aver compromesso il carattere di Gesù : The Meaning offesus' Baptism, in Tbe ]ournal of Religion 7 ( 1 9 2. 7) 5 6-71 (57-59). m La promessa del v zob : (( Io sono con voi... » è facil­ mente spiegabile come una variante e una correzione della notizia finale del discorso, dove è questione della partenza di Gesù (cf 1 1 , 1 ; 1 3 , 5 3 ; 1 6,4 ; 1 9,1). Matteo, invece di dire che Gesù se ne va, precisa ch'egli resta con i suoi discepoli. La rac­ comandazione del v 2.oa conclude le istruzioni di Gesù e sembra esprimere nel medesimo tempo il disegno, che l'evangelista s'è sforzato di realipare scrivendo il suo libro. Cf a proposito di questa raccomaltdazione: G. BORNKAMM, Der Auferstandene und der /rdis&he. Mt z 8,r6-zo, in Ztit und Ges&hi&hte. Danleesgabe an R. Bultmann, 1'ubinga, 1 964, 1 7 1 - 1 9 1 (1 86s.) ; W. TRILLING, Das wahre Israel, 36-40. Trilling ha ripreso in forma più breve la sua spiegazione in due articoli pubblicati in francese : Les traits euentiels de l' Eg/ise du Christ (Mt z8,r 8-zo), in Féte de la Sainte Trinité (AssS• 5 3), Bruges, 1 964, 2.0- p . (z7s.) ; « De toutes /es nations faites des dis&iplu )) (Mt z8,r6-zo), in Féte de l'As&ension (AssS2 z8), Parigi, 1 969, 2.4-37 (ps.).

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Non c'è da meravigliarsi che le due sentenze stu­ diate in questo paragrafo presentino qualche difficoltà : la prima è un inizio, la seconda l'eco di un insegnamento che ci viene dato ex professo nel discorso della montagna. Non è un caso che il termine « giustizia >> ritorni cinque volte in tale discorso. § II. LA GIUSTIZIA CHE IMMETTE NEL REGNO

Cominceremo con due versetti del discorso della montagna, che presentano una evidente affinità : 5 ,zo e 6, I . Essi costituiscono i titoli di due parti importanti del discorso e formulano come la tesi generale, che viene poi illustrata con vari casi in cui essa trova la propria applicazione 1• Tale è il caso del v 5 ,zo in rapporto :ille sei antitesi di 5 ,z 1-48 : « Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non è più abbondante di quolla degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli >>. La stessa cosa va detta di 6, I in rapporto ai tre esempi di 6,z- I 8 : « Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere visti da loro, altrimenti non avrete alcuna ricompensa dal Padre vostro che è nei cieli >>. Queste due sentenze adoperano l'espressione « vostra giustizia », dove il ternùne « giustizia >> è qualificato dal possessivo « vo­ stra >> ; inoltre il ruolò loro assegnato nel discorso in­ duce a supporre che, in ambedue i casi, il seguito im­ mediato illustri il senso dato al termine « giustizia >>. C'è pertanto poco spazio per le divergenze di inter­ pretazione, e questi due versetti ci forniscono un punto di partenza su cui è facile trovare una intesa 2• 1 In compenso 5 , 1 7 trova la sua replica in 7, u. Si tratta di un principio più generale ancora, che si applica a tutti gli inse­ gnamenti che precedono la parenesi finale (7, 1 3-2.7). l Così G. STRECKER, Der Weg der Geruhligkeil, r ns. Segnaliamo a titolo di informazione un articolo, che deriva più

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Una giustizia più abbondante.

I. I termini adoperati in Mt 5 ,zo richiedono anzi­ tutto qualche osservazione. Un pronome possessivo, Ù!J.WV, determina la giustizia che il versetto raccomanda ai discepoli di Gesù : « Se la vostra giustizia ... ,,, Il medesimo pronome ritorna in 6,1: « Guardatevi dal praticare la vostra giustizia... )), Questo accostamento permette già di parafrasare : la « vostra giustizia ,,, cioé la giustizia che voi fate, che voi praticate, quella che caratterizza la condotta con cui voi vi mostrate giusti 3• È interessante notare che questo modo di de­ terminare la giustizia per mezzo di un pronome, che ne fa la proprietà del giusto, ritorna solo in un altro passo del Nuovo Testamento 4, e cioé in z Cor 9,8- x o : > la legge e i profeti, donando il loro significato completo alle norme di vita che la Scrittura propone agli uomini, aumenta le loro esigenze. È in questo modo che la giustizia da lui ri­ chiesta supera quella di cui si accontentava l'esegesi degli scribi e dei farisei. Bisogna fare di più per essere (( perfetti ». - �

Questi tre aggettivi greci traducono lOm/n, lOm e thalém. 10 Non si dimentichi Gc 1 ,4, che è quasi una definizione : "fJ 3i: U1t0f.L011-/j lp yo\1 -rtÀ&L0\1 i:xt-rw, t..a: fi-n: TtÀ&LOL xa:l oì..61 in questo v 48 21• Commentando il v 20, abbiamo già detto che l'espressione « gli scribi e i farisei >> è probabilmente redazionale; anche l'e­ spressione « la legge e i profeti >> del v I 7 ha qualche probabilità di essere redazionale, a giudicare dal modo in cui Matteo l'ha introdotta in 7, I 2 (diversamente da Le 6 , 3 1 ) e in zz,4o (diversamente da Mc 1 2,3 1 ) 22• Come il verbo 7tÀlJpwcrcxt ha un suono matteano nel v I 7, così l'espressione 7tEptacreua-n 7tÀei:ov del v 20 si spiega meglio al livello della redazione, in cui il verbo è stato aggiunto in Mt q , u e 2 5 ,29, e l'aggettivo 7teptcrcr6ç in 5 , 3 7 e 5 .47. Già diventa difficile supporre che il termine « giustizia >> risalga a uno stadio anteriore a quello della redazione, da cui derivano gli altri usi di questo termine nd primo vangelo, e più particolar­ mente l'espressione « la vostra giustizia », che ritro-

Le espressioni « il Padre vostro celeste >> (Mt 5,48 ; 6, 14 diversamente da Mc 1 1 ,25 ; 6,26 . 3 2 diversamente da Le 1 2,24. 3 0 ; 23,9) e « il Padre mio celeste >> (Mt 1 5 , 1 3 ; 1 8,35) ricorrono solo in Mt. Cf J . C. HAWKINS, Horae Synop ticae, 3 2 ; B. M . F. VAN lERSEL, > in den synopli.rchen jerusworten. Chrislus­ bezeichnung der Gemeinde oder Selbstbezeichnung Jesu ? 2 ed. (SNT TI!), Leida, 1964, 97•• Cf R. HuMMEL, Die AuseinaNkrsetzung, 66 ; cf anche G. S·raECKER, Der Weg der Gerechligkeil, 1 3 5 ; W. TRILLING, Das lllahre lsrael, 172-1 74. 11

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veremo in 6,1 23• L'intervento di Matteo nella reda­ zione dei versetti-chiave, che inquadrano le antitesi 11 Dopo la analisi letteraria di Mt 5 , 1 7-20, che abbiamo condotto nel vol. I, 1 90-2 1 1 , troppi autori son ritornati sull'ar­ gomento, per permetterei di restare in pacifico possesso delle conclusioni che avevamo raggiunto nel 1 9 57· Ecco una sele­ zione delle posizioni sostenute : (1) Secondo J. ScHMID, si tratta di quattro sentenze isolate, derivanti da contesti diffe­ renti, ra ggruppate e collocate qui dall'evangelista per servire da introduzione alle antitesi, ma senza un rapporto reale con esse : Matthiius 111111 Luleas. Bine Unters�J&hung des Verhiiltnisses ibrer EPangelien (Bibl. Studien, XXIII, 2-4), Friburgo i. Br., 1 9 �0, 22os. ; Das Evangelium nach Matthiius, B ss. ( 2) Secondo A . DESCAMPS, Les ]ustes et la Justice, 1 20- 1 2 3 e 1 8o- 1 8 3 , il v 20 costituiva l'introduzione primitiva delle antitesi; i vv 1 7- 1 9, attinti altrove, sarebbero stati aggiunti qui da Matteo. (3) Noi, correggendo questa spiegazione in funzione delle osservazioni di D. Daube, abbiamo difeso l'idea che i vv 1 7 e 20 costitui­ vano l'introduzione tradizionale delle antitesi, mentre i vv I 8 - 1 9 costituivano un frammento intercalato. Questa ipotesi continua a essere sostenuta da un certo numero di autori : W. D. Davies, L. Deiss, D. Hill, E. Neuhii.usler, ] . Seynaeve. (4) Secondo M.-E. BoiSMARD, il v 17 figurava già in questo punto in Q, ma sotto una forma più breve ; la citazione che ne i:là Marcione fa supporre ch'esso si trovasse anche nel proto­ Luca. Il v I 8 ( Le 1 6, 1 7) si trovava in Q, ma in un altro punto ; Matteo l'ha aggiunto qui completandolo. Egli ha trovato al­ trove anche il v I 9, che nella sua forma attuale è giudeo-cristiano. Infine il v 20, come pure 6, I , va attribuito all'ultimo redattore matteano. Cf P. BENOIT-M.-E. BOI SMA R D, Synopse tks quatre l11angilu "' franrais, t. I I, Parigi, I 97Z, 1 3 7s. (5) R. BuLTMANN vede nei vv 1 7- 1 9 un frammento'tradizionale, derivante da una comunità conservatrice ; il v zo sarebbe il titolo redazionale aggiunto da Matteo per introdurre le antitesi: Die Geschichte tkr synoptisçben !._radition, I 46s. Questa ��iegazione viene segna­ _ _ _tamente rtpresa di' H. BRAUN, Spiii]Udiscb-haretucher und frtih­ cbristlùher Radilealismus. ]esus von Nazareth und die essenische Qumranselete (BHT 24), II, Tubinga, I 9 57, 8-1 1 ; A. DESCAMPS, Essai d'interpritation de Mt J, IJ-48 ( I 9 5 9) I 6 I - I 6 4 ; S. LÉGASSE, ]lsus el l' Enfant. « Enfants », « petils >> et >. La costruzione tipica dell'enunciato di Mt � ,zo ritorna in un'altra sentenza sinottica, la sola in cui ricompare : Mt 1 8,3 50. Mc 1o,q (= Le 1 8, 1 7) si espri­ meva alla terza persona e dava all'enunciato un signi­ ficato generale : « In verità vi dico, chi non riceve (&ç &v fLlJ 8é�'f)T1XL) il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà (où fLlJ e:tcréÀ61J dç IXÙ-rljv) ». Il testo di Matteo è più preciso e si esprime alla seconda persona plurale : « In verità vi dico, se non (Mv fL�) cambiate e non di­ ventate come i bambini, non entrerete (où fL1J e:tcréÀ6'f)TE) nel regno dei cieli » 51 • Matteo ha ritoccato senza dub­ bio il suo modello per il semplice desiderio di essere più concreto. Per questo è tanto più sorprendente notare ch'egli ritrova cosi contemporaneamente la formulazione giuridica, che aveva adoperato in � ,zo e che caratterizza lo stile dei mishpatim nel diritto ca­ suistico tradizionale 52• L'espressione adoperata da .

10 Abbiamo studiato questo /ogion nel vol. I, 761-768 e nel­ l'articolo Matthieu I8,J: tàv IJ-1! a-rpClopiju: XCl! ytvl)a6E wç Tà: 7tClL8[a;, pubblicato in Neotestamentica et Semilira. Studies in hon. of M. Biade, Edimburgo, 1969, 5o-6o. L'opera di S. LÉGASSE è stata pubblicata più o meno nel·medesimo tempo : la sua spie­ gazione del rapporto letterario tra Mt 1 8,3 e Mc 1 0, 1 4 diffe­ risce dalla nostra, mentre concorda per quanto riguarda il modo di interpretare M t 1 8,3 (cf 3 3- 3 5 e 2 17-22 1). 61 U n /ogiotrafHne viene trasmesso in Gv 3 ,(3) 5 . Quanto alla forma letteraria, esso rappresenta una via di mezzo tra la formulazione di Marco e quella di Matteo : « In verità, in verità ti dico : se uno non nasce ( tètv IJ.TJ TLç ycvv lJ&n ) dall'acqua e dallo Spirito, non può (où 8Uvo:To:L) entrare nel regno di Dio ». La sentenza si esprime alla terza persona come in Marco, però comincia con là:v IJ.TJ come in Matteo ; l'apodosi (où 8UVClTClL) rappresenta evidentemente una forma secondaria in confronto alla duplice negazione dei Sinottici. 11 Cf vol. I, zq, n. 46.

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Marco : « accogliere il regno come un bambino », non era chiara ; Matteo esplicita perciò che, per poter entrare nel regno, bisogna convertirsi e diventare si­ mili ai bambini. L'entrata nel regno suppone una con­ versione interiore, è legata all'adempimento di una condizione morale. L'identità della forma letteraria riscontrabile in 5 ,zo e I 8 , 3 induce a supporre una parentela più pro­ fonda tra le due dichiarazioni riguardanti la condizione da adempiere per essere ammessi nel regno. Tale pa­ rentela non può essere trovata che nel carattere morale della condizione richiesta : come la conversione di cui parla I 8 , 3 , cosi anche la giustizia più abbondante ri­ chiesta da 5 ,zo deve essere attuata nella condotta del cristiano. Rimaniamo così nella medesima linea di pensiero indicata da 7, z I e dagli altri passi, che evo­ cano le condizioni per entrare nel regno 53• Possiamo verosimilmente confermare questa con­ clusione osservando che la formula letteraria di 5 ,zo sembra avere degli addentellati con una formula tra­ dizionale, legata in maniera particolare alla liturgia del Tempio. La giustizia che Matteo considera come la condizione per entrare nel regno, evoca quella che la tradizione biblica poneva come condizione di accesso al Tempio e di artecipazione al culto. Tale è, ad esem­ pio, il caso de cantico della apocalisse di Isaia, che, dopo la grande vittoria escatologica, descrive l'arrivo al Tempio del grande corteo trionfale : « Aprite le porte ! Entri (e:tcn:Àtl!i't'w) il popolo che osserva la giu­ stizia (8LxotLOaUVYJv), che osserva la fedeltà l » (ls z6,z) ; o ancora del Sal I I 8 : « Apritemi le porte di giustizia (8LxotLOaUVYJv Èv otÒ't'oti:ç) e renderò grazie al Signore. Qui è la porta del Signore,

f

•• H. BRAUN scorge in Mt j , I 9.zo; 7,2I ; Z I ,4� l'idea che > un senso che mal si accorda con gli altri casi del discorso della montagna e del primo vangelo, in cui esso viene usato. La « giustizia >> di cui qui si tratta non è soltanto quella che si pratica facendo l'elemosina, ma abbraccia pure la pratica della preghiera (vv 5-6) e del digiuno (vv J 6,I 8). Il v I viene illustrato dai tre esempi che, malgrado la digres-

7 1 Con l'insieme della tradizione manoscritta bizantina, il lexlus receptus sostituisce il termine Suctt�OaUV'I)V con �ÀE'I)fLOaUV'I)V. Si tratta di una lezione manifestamente secondaria, eliminata dalle edizioni critiche e respinta dagli esegeti. Essa è indubbia­ mente frutto di un adattamento del v I ai vv 2-4, ma corri­ sponde contemporaneamente a una tradizione giudaica testi­ moniata nella Bibbia greca, dove feddqdh è reso non solo con IIIJ(tt�oa>Jv'l), ma ,_Dt!he con �À&:'I)fLOaUV'I). In aramaico zdleu pre­ senta la medesima ambiguità. Non fa perciò meraviglia che certi esegeti, pur conservando il termine S�Ktt�oaUV'I), abbiano pen­ sato di poter vedere nel v I una raccomandazione concernente la pratica dell'elemosina. •• Inutile citare dei nomi : per quel che conosciamo, tuili i commentatori recenti sono d'accordo su questo punto. Bi­ sogna fare una eccezione per C. H. Dooo, The Bible and the Gretles, Londra, 1 9, 5 , 46, n. 1 ?

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sione dei vv 7-1 5 73, sono chiaramente scanditi dal loro incipit: "0-rotv oùv (v 2), Kcxt 6nv (v 5), "0-rotv 8é (v 1 6). Alla luce di questi esempi, la « giustizia >> di cui parla il v 1 si distingue in due punti da quella trattata in 5 , 20. Mentre in quest'ultimo caso la giustizia cri­ stiana era definita in rapporto alla legge, di cui costi­ tuiva un adempimento che andava più lontano della osservanza farisaica, nel capitolo 6 essa viene defi­ nita in rapporto alle pratiche tradizionali della pietà giudaica; qui però non viene richiesto di fare di più, ma di agire diversamente dagli « ipocriti ». Aggiun­ giamo che, conformemente alle idee giudaiche, la pratica delle buone opere non è vista nella prospettiva della entrata nel regno dei cieli, bensì in quella di una ricompensa particolare (fLta66ç) 74• •• Esiste un accordo assai vasto nel considerare 6, 7-1 l come un elemento estraneo allo svolgimento di 6,1- 1 8 : l'evan­ gelista avrebbe approfittato della occasione offertagli da una raccomandazione concernente la preghiera per inserire altri insegnamenti relativi al medesimo argomento, ma derivanti da una prospettiva del tutto diversa. Ricordiamo semplice­ mente a questo riguardo F. V. FILSON, Broken Patterns in the Gospel of Matlhew, ]BL 7l (1 956) 22.7-2 3 1 (2.30). Dobbiamo Dobbiamo tuttavia segnalare l'opinione discordante di E. ScHWEIZER, Matth. J, 17-20. Anmerkungen zum Gesetzesversliindnir ties Matthiius, TLZ 77 ç1 9 5 2) 479-484 (482, n. 9), riprodotto in Neotestamenlifa, Zurigo, 1 963, 403, n. 2 1 . Questo autore parte dalla ipotesi di R. BuLTMANN, Die Gesthifhte der synopt. Tradition, 1 4 1 , il quale propone di vedere nei vv 7-8 una com­ posizione redazionale di Matteo, destinata a introdurre il fram­ mento dei vv 9-1 l e formulata sul modello delle antitesi di 6,24,5-6. 1 6- 1 8 . Schweizer capovolge l'ipotesi : i v v 7-8 rappresen­ terebbero una tradizione antica, in base alla quale Matteo avrebbe composto le tre antitesi di cui ci stiamo occupando. Contentia­ moci di osservare che, pur senza misconoscere un qualche in­ tervento redazionale di Matteo nelle antitesi, gli argomenti proposti da Schweizer in favore della sua spiegazione ci sem­ brano assai fragili. 74 Sul passo che stiamo studiando è stato pubblicato uno studio : B. GERHARDSSON, Geistiger Opfertiiensl natb Mattb.

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Un primo tratto comune alla elemosina, alla pre­ ghiera e al digiuno è che queste pratiche in quanto tali non sono oggetto di alcuna prescrizione della legge 75• Non è perciò semplicemente il desiderio di confor­ marsi ai comandamenti divini, che ha indotto ad at­ tribuire loro una grande importanza nella religione del giudaismo : su questo punta la (( giustizia >> degli scribi e dei farisei si mostra (( più abbondante » di quella che Mosè prescrive come un obbligo a Israele. Il raggruppamento di queste tre opere buone non è 6,r-6.r6-zr, in Neues Testammt Ulffl Gesrbi&bte. Historisrbes Gesrhehen und Deutung im Neuen Testament. O. Cullmann zum 70. Geburtstag, Zurigo-Tubinga, I 97Z, 69-77. L'autore pensa che la triplice raccomandazione del vangelo debba la sua struttura alla formula dello Shema : « Ascolta, Israele . . . Amerai il Signore, Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze » (Dt 6,4-� ). Di fatto la preghiera riguarda il cuore, il digiuno affligge l'anima, mentre l'elemosina vien fatta con quel che uno ha a disposizione. Nel vangelo l'ordine sa­ rebbe stato modificato, per ottenere una miglior gradazione. Gerhardsson non dubita che il v I abbia fatto parte della com­ posizione prematteana, ma la sua ipotesi non lo porta a occu­ parsi della questione che qui ci interessa. Abbiamo già segna­ lato l'articolo di H. GuENTHER, Dit Gerechtigkeit des Himme/­ reiches in der Bergpredigt, in Kerygma und Dogma 1 7 (I 97 I) I I 3u6 ; il suo breve saggio Zum Verstiindnis von Mt 6, r-r 8, p. I zos., non apporta niente di nuovo. L'articolo di L. E. KECK, The Sermon on the Mounl, in Jesus and Man's Hope, II, Pittsburgh, I97I, 3 I I - 3 z z riferisce di un « seminarium », in cui le discussioni si sono mantenute su una linea molto generale (su Mt 6,I-I 8 : p. p 6- p 8). 71 Limitiamoci a osservare che il termine �ÀElJf:LOaUVlJ com­ pare solo 3 volte J)Cl Pentateuco : Gn 47,2.9 (bèsèd) ; Dt 6,z� ; z4, I 3 (ftddqdh) e che non significa mai « elemosina ». Il sostan­ tivo Ttpoatu)(� non ricorre mai nel Pentateuco ; il verbo Ttpo­ acU)(O(,LctL vi compare 3 volte per indicare una preghiera di in­ tercessione : Gn zo, 7.17 (preghiera di Abramo in favore di Abimelec) ; Es Io, 1 7 (preghiera di Mosè in favore del Faraone). Il sostantivo VlJcrTdct non compare nel Pentateuco, così come non vi compaiono né fOm né çum ; il verbo VlJcrTeuw ricorre in Es 38,z.6 (cb. 3 8,8) in seguito a un errore di lettura e senza che si tratti di una prescrizione.

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frequente 78• La lezione di Tb u,8 non è sicura : « È meglio la preghiera col digiuno e l'elemosina con giu­ stizia, che la ricchezza con iniquità » 77• Però si as­ �ocia volentieri l'elemosina e la preghiera, come fa Luca vantando i meriti del centurione Cornelio : « Egli faceva abbondanti elemosine al popolo e pregava Dio costantemente » (At 10,2 ; cf 10,4. 3 1 ; 24, 1 7 ; Ecli 7, 1 o ; Tb 14,2. 1 0). Similmente si associa la preghiera e il digiuno : Le 2 , 3 7 ; 5 , 3 3 (diversamente da Mc 2,1 8) ; At 1 3 ,2-3 ; 14,23 ; cf Ecli p , 3 1 (o 34,26). Nella para­ bola del fariseo e del pubblicano (Le 1 8 ,9-14) troviamo una illustrazione concreta delle tre pratiche di pietà 78 : il fariseo sale al tempio per pregare (v 10) e là ringrazia Dio non solo per aver osservato i comandamenti (v 1 1 ), ma anche perché digiuna due volte la settimana e })aga la decima di tutto quello che acquisisce (v 1 2). Questo uomo pio non si contenta dunque di fare quel che la legge prescrive, ma va oltre : pregando, digiu­ nando e facendo elargizioni che non era tenuto a fare. Ma se la « giustizia >> riguarda ciò che è comandato, possiamo ancora adopérare questo termine a propo•• Nonostante quanto potrebbe far pensare la lettura di

W. D. DAVIES, The Setling of the Sermon on the Mo1111t, 305 -308.

•• Cf R. PAUTREL, Tobie (La Sainte Bible ... de Jérusalem) .

2 ed., Parigi, I 9 5 7, � 2. Il codice S propone questo testo : « E

meglio la preghiera con la verità e l'elemosina con la giustizia ». I codici A e B : « È meglio la preghiera con il digiuno e l'ele­ mosina con la giustizia ». La Vetus Latina, che concorda con A e B quanto al termine « digiuno >>, permette di correggere S. •• Cf K. BoRNHAUSER, Die Bergpredigt. Versuch einer Zeit­ geniissischer Aus/eg1111g (BFCT 2,7), 2 ed., Giitersloh, I 927, I 3 3 s. Tra i commenti alla parabola ricordiamo soprattutto per il punto che ci interessa : J. ]EREMIAS, Die G/eichnisse ]esu, 6 ed., Gottinga, I 962, 1 39-I42 Les Parabo/es de Jisus, Le Puy­ Lyon, I 966, I44-I46 ; E. LINNEMANN, G/eichnisse ]esu. Einfiih­ rung und Aus/egung, Gottinga, I 96 I , 64-68 ; H. KAHLEFELD, G/eichnisse 1111d Lehrstiicke im Evangelium, II, Francoforte, I 96 3, Parabo/es el lefons dans /' E�angile, II (LD � 6), Parigi, S 6-6o 1 970, 44-48. =

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sito delle pratiche di pietà menzionate qui ? Il giudai­ smo rabbinico è arrivato a distinguere chiaramente tra il çddiq, « giusto », e lo hasid, a > e aggiunge la precisazione « davanti a lui >> al termine « giustizia » (come in Le I,6 ; At 4,I 9 ; cf anche Le I 6, I 5 ) . Questa precisazione è interessante ; essa metteva in guardia il lettore greco contro il significato ch'egli attribuiva spontaneamente ai due termini associati : « santità » in riferi­ mento a Dio, « giustizia » in rapporto agli uomini. Cf R. C. TRENCH, Synonymes du Nouveau Testament, Bruxelles-Parigi, 1 869, 364s. Luca previene pertanto un malinteso, che potrebbe portare a fraintendere il senso da dare al termine « giustizia » : « giustizia �>, cQ§Ì 5Pme « san�ità », va int�sa i� rappor�o a Dio. I due term1n1_ vengono tuttavia conservati cos1 come SI trovano in Sap 9,3 (l'uomo è stato creato da Dio per « governare il mondo in santità e giustizia » ; i LXX dicono che anche Dio è 8!x«Loç x«l omoç : Dt 3 2.,4; Sal I45, 1 7). 1 due termini, contri­ buendo a esprimere la medesima idea di conformità alla volontà divina, ne traducono indubbiamente due aspetti. Cf su questo argomento F. HAUCK, art. ocrLoç, TWNT V (I 9H) 488-492 ; B. RIG AUX, Les Epitres aux Thessa/oniciens, 42.6s . •• Cf anche I Ts z, I o ; Tit 1,8 ; r C/em I 4, 1 ; 2 Clem 5 ,6.

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« giustizia >> là dove sarebbe stato più esatto parlare di « santità >> (oat6"t'l)ç). Probabilmente una questione di questo genere avrebbe stupito il nostro evangelista. « Giustizia >> e « santità >> sono due aspetti di una medesima realtà. Il « giusto » è colui che agisce in modo da piacere a Dio, sia che debba osservare un comandamento o adempiere un'opera buona. Il discorso della montagna si propone precisamente di mostrare come il discepolo di Gesù deve comportarsi per piacere a Dio, vale a dire in che consiste la giustizia evangelica. La divi­ sione tra il capitolo 5 e il capitolo 6 tiene conto delle diverse maniere in cui la volontà divina ci si manife­ sta, ma tale diversità è meno importante del fatto di tale volontà divina, in rapporto alla quale si definisce la giustizia dell'uomo (« la vostra giustizia »). È chiaro che se il cristiano può fare di più di quel che è espres­ samente comandato, non può però andare al di là di quel che Dio si attende da lui. Il versetto che precede immediatamente quello di cui ci stiamo occupando invitava infatti i cristiani a essere « perfetti >> (5 ,48). Una giustizia perfetta 83 include evidentemente la pratica delle buone opere, poiché anche queste sono un mezzo che l'uomo ha a disposizione per conformarsi alla volontà di Dio e riuscirgli gradito. Precisando la nozione di giustizia, che permette di collocare sotto il medesimo termine lo svolgimento di 5 ,zo-48 e quello di 6, 1 - 1 8 , noi tocchiamo contempo­ raneamente il presupposto del passo che stiamo esa­ minando. Matteo non concepisce la giustizia come una cosa in sé; essa esiste solo in una relazione tra Dio e l'uomo : atteggiamento dell'uomo che cerca di pia­ cere a Dio, approvazione da parte di Dio dell'uomo la cui condotta gli è gradita. Di qui la triplice avvertenza 81

L'espressione (( giusto perfetto >> è applicata a Noè da

Beli 44, I 7 .

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contro una pratica delle buone opere che avesse per scopo di piacere non a Dio ma agli uomini. In questo caso rimarrebbe soltanto il lato esterno della giustizia, senza la sua realtà essenziale, che consiste nell'atteg­ giamento religioso verso Dio e nella approvazione da parte di Lui a una condotta che vuole riuscirgli gradita. Gli « ipocriti » (vv z., 5 , 1 6) sono precisamente coloro che salvaguardano l'apparenza svuotata del suo contenuto. L'ipocrisia appare cosi come la con­ traffazione della giustizia. J· Il rimprovero di ipocrisia dà luogo a tutta una gamma di interpretazioni 84• J. Schniewind 85, in rea­ zione contro tutte le spiegazioni psicologizzanti, vede nella ipocrisia solo la contraddizione oggettiva del­ l'uomo con se stesso : contraddizione tra quel che egli dice e quel ch'egli fa, contraddizione tra quel che pre­ tende di fare e quel che fa in realtà. Non sembra però possibile fare astrazione dalla condizione di spirito dell'ipocrita. Si tratta di un individuo che dissimula e, in tal caso, è necessario ch'egli abbia coscienza di condurre un doppio gioco ? Possiamo pensare con E. Schweizer 86 che l'ipocrisia consista semplicemente nel 16 La bibliografia su questo argomento è considerevole e dispersa qua e là. Per un primo orientamento, cf W. BEILNER, Heuchler, BTW 7I6-7 I 9 ; U. ·WILCKENS, art. ÙTtOxplvofl4t, TWNT VIII (I969) s s 8- 5 7 I ; c. SPICQ, Thlologie Morale Ju Nouveau Testamenl (EB), I, 4 ed., Parigi, I 970, 288-29 I . Oltre a quello di Wilckens, ci sembra che gli studi più validi al di fuori dei commenii siano quelli di A. DESCAMPS, Les ]usles el la ]ustice, I 99-2o6 ; G. BARTH, Das Gesetzesverstiindnis, n ; G. STRECKER, Der Weg der Gertchtigkeil, I 3 8-14I ; W. TRILLING, Das wahre lsrael, I 98-203 . u J . SCHNIEWIND, Das Evangelium nach Mallhllus (NTD z), 5 ed., Gottinga, I 95 0, 2 3 1 . •• E. ScHWEIZER, TLZ I 9 5 2, 48 2 Neoleslamentica, 403 . Cf anche E. HAENCHEN, Mattbiius 23, ZTK 48 ( I 9 5 I ) 38-63 (46) Goti und Menscb, 3 7· =

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cercare il giudizio degli uomini piuttosto che quello di Dio o, come vuole U. Wilkens 87 nel preoccuparsi della posizione che uno occupa tra gli uomini piut­ tosto che pensare a quella che occupa davanti a Dio ? Dobbiamo introdurre qualche distinzione, per esem­ pio nel senso proposto da P. Bonnard, secondo il quale Matteo conosce due specie di ipocriti : coloro che fingono di essere pii, senza esserlo veramente, e gli « ipocriti sinceri » che, presi dal gioco della loro va­ nità religiosa, non hanno più coscienza di dissimu­ lare ? 88 Matteo stesso spiega ciò ch'egli intende per ipo­ crisia 89 : c'è ipocrisia quando l'aprarenza esteriore contrasta con la realtà interiore 90• I testo più chiaro .. u. WILCKENS, TWNT VIII, 5 67. 08 P. BoNNARD, L' Evangile selon saint Matthieu, 79; cf anche 3 3 8 . In un senso analogo cf A. GEORGE, La Ju;tire .:i

faire dans le secrel, 5958. ( 27s.). •• L'aggettivo Ò7tOKpL-rljç ricorre I 3 volte in Mt, I volta in Mc, 3 volte in Le, mai in altri passi del NT. Il sostantivo �m6KpLaLç ricorre 1 volta in ciascuno dei Sinottici e 3 volte nelle epistole. L'uso del sostantivo in Mc 1 2, 1 5 non è manife­ stamente piaciuto agli altri due evangelisti : Mt 22, I 8 vi sosti­ tuisce 1t'0'11 1J p(a:, Le 20,23 7ta:voupyl> promessa ai perseguitati (Mt 5 , 1 1 ; Le 6,z3) non viene misurata in rapporto a una ricompensa meno grande, bensì in rapporto alle soffe­ renze soppomte. Dal punto di vista della redazione di Matteo sembra significativo il fatto che l'evangelista, volendo sdoppiare questa beatitudine, promette ai perseguitati per causa della giustizia non più una grande ricompensa, ma più semplicemente il regno dei cieli 88 Vol. I, 105 3-1063.

•• Vol. l, Io6o-Io6z.

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( 5 , 10). Del resto è nel primo vangelo che gli operai della vigna ricevono tutti il medesimo salario, qua­ lunque sia il lavoro da essi svolto (zo, r-q), e che, contrariamente alla versione di Luca (19, I I -z7), i servi che han fatto fruttificare i loro talenti ricevono la medesima ricompensa, qualunque sia il risultato da loro ottenuto (z5 ,zo-z 3). Calcolare le ricompense in proporzione esatta dei meriti non costituisce una preoccupazione caratteristica di Matteo. Per lui « ere­ ditare la vita eterna » ( r 9,z9) rimane la ricompensa più alta 100• Abbiamo perciò l'impressione che, come la giu­ stizia di 6,1 non è adeguatamente distinta da quella di 5 ,zo, cosl non sia il caso di distinguere troppo chiara­ mente tra l'entrata nel regno di 5 ,zo e la ricompensa di 6, 1 . L'importante è sapere che Dio « renderà >> quel che è stato fatto per lui : &.7to8watt aot (vv 4,6, r 8) 101 , · Semplifichiamo un poco una realtà che è più complessa. In Mt 19,:1.7 (diversamente da Mc 1o,z 8 ; Le 1 8,z8) l'evangelista pone sulle labbra di Pietro la domanda esplicita: -rL !pot �aTott 'iJfLLV. Si tratta del problema del fLta66ç. Là dove Marco di­ stingue una retribuzione attuale e una retribuzione per il mondo futuro ( « la vita eterna »), Matteo elimina ogni promessa ri­ guardante il mondo attuale e distingue tra una ricompensa particolare per i Dodici - il giudizio delle dodici tribù di Israele (19,28) - e una ricompensa per « chiunque )) avrà abbandonato i propri beni per il nome di Cristo : egli « riceverà il centuplo e avrà in eredità la vita eterna )) (v :1.9). Il v 30 continua : « Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi » ( Mc 1 0, 3 1 ), sentenza di cui la parabola degli operai della vigna (Mt zo, I - 1 6) fornisce l'illustrazione, nel medesimo tempo che completa la risposta data da Gesù alla domanda di Pietro a proposito della ricompensa. Cf S. LÉGASSE, L'appel Ju riche, :1.09-ZI I . 10 1 L'uso del verbo &;=SL�WfLI è inseparabile dall'uso del sostantivo fLta66ç : cf K. BoRNHAUSER, Die Bergpredigt, 1 3 71 3 9; H. BRAUN, Spiitjiidisch-hiiretischer und friihchristlicher Ra­ Jikalismus, Il, 5 4, n. 1 (p. 5 6). Notiamo che Matteo è il solo evangelista ad adoperare li7to8L8wfLt a proposito della retribu­ zione escatologica : al di fuori di 6,4.6. 1 8, il verbo ritorna nei vangeli solo nel ritocco redazionale di Mt 16,:1.7 (diversamente 100

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e non tanto l'essere messi al corrente delle modalità di tale retribuzione 102.

Conclusione I due versetti � ,zo e 6,1, collocati in testa a due se­ zioni fondamentali del discorso della montagna, de­ finiscono due aspetti essenziali della giustizia evange­ lica. In rapporto alla giustizia degli scribi e dei farisei, concepita come osservanza esatta dei comandamenti, quella che viene richiesta ai discepoli deve spingersi molto più lontano ; la loro sottomissione alla volontà divina deve andare al di là della lettera e spingersi fino alle intenzioni profonde di Dio, che hanno tro­ vato solo una espressione inadeguata nella legge an­ tica. Il versetto 6,1 passa a considerare l'intenzione di colui che compie degli atti di giustizia. Gli esempi non sono più attinti da azioni prescritte dalla legge, ma da certe pratiche di pietà che sembrano testimoniare di per se stesse uno zelo religioso eccezionale. È chiaro che quanto viene detto di tali pratiche si applica pure agli atteggiamenti e agli atti formalmente prescritti, a cominciare dal precetto dell'amore dei nemici. Ed ecco quanto viene detto a loro riguardo : tali atti, in­ trinsecamente religiosi, hanno valore agli occhi di Dio solo se vengono compiuti con spirito religioso, in vista di essere a lui graditi._ Compierli per attirarsi la stima degli uomini significa simulare una religione che non si ha e dar prova di ipocrisia. Un condotta este­ riormente religiosa che non proceda da un atteggia­ mento religiòs!5 interiore dell'anima, non può proda Mc 8,38), citazione implicita del Sal 6 r I 3 (cf Rm 2.,6). Però troviamo il composto > di cui parlano questi due versetti di Matteo, definita in funzione delle intenzioni reali di Dio e della intenzione reale dell'uomo che agisce, riguarda evidentemente il modo in cui si comportano coloro a cui tale giustizia viene attribuita (« la vostra giustizia »). Essa qualifica un comportamento conforme alla volontà divina ed enuncia nel medesimo tempo la condizione in base alla quale uno sarà ammesso a go­ dere della felicità del regno di Dio. § III. CERCARE IL REGNO E LA GIUSTIZIA

Lo studio del termine « giustizia » in s ,zo ci ha indotti a tener conto di un contesto, che va dal v 17 al v 48, e di una sentenza parallela, 7,u, che abbiamo dovuto considerare nel suo proprio contesto, 7, 1 3-Z7. L'uso del termine in 6,1 ci ha portati a prendere in considerazione tutto lo svolgimento di 6, 1-18. Or­ bene, è ancora tutta una sezione del discorso, 6,19-34, che viene messa in causa dalla menzione della giustizia in 6,3 3 : « Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date per giunta ». Esamineremo anzitutto il versetto nel suo contesto e poi cercheremo di elucidare le espressioni « cercare il regno » e (( cercare la giustizia di Dio ». I.

Mt 6,JJ nel sM contesto.

I. Mt 6, I9-J 4 raggruppa una serie di brani di diversa origine 1 • Quasi tutti hanno un parallelo nel terzo vangelo. I due frammenti principali, Mt 6, 1 9-.ti 1 Quc8ti insegnamenti sono stati presi in esame nel vol. I : Mt 6,19-21.2S-33 a p . 1 10-1 2 1 ; Mt 6,22-23 a p. 12. 1-12.9 e Mt 6,24 a p. I S 8-t66. Là si trattava essenzialmente di mostrare

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e z. 5- H, sono già accostati anche là 2, anche se in un ordine inverso : i versetti presentati da Matteo nella introduzione (6, 19-z. I) costituiscono in Luca la con­ clusione (Iz.,33-34) dello svolgimento di u,z.z.-3 1 ( 6,z. 5 -3 3). Tra l'introduzione e lo svolgimento prin­ cipale Matteo inserisce due fogia (6,z.z.-z.3 e 2.4), che Luca ha conservato in altri contesti (1 1 ,34-3 6 e 16,q). Solo il versetto finale, Mt 6,34 3, non ha un corrispon­ dente in Luca, che tuttavia colloca nel medesimo punto una sentenza che gli è propria ( 1 2. , 3 2.). Il raggruppamento di questi frammenti di diversa provenienza risponde a una intenzione precisa, che non è difficile riconoscere. La sezione precedente (6,1I 8) inculcava ai discepoli la necessità di « fare la giu­ stizia >> preoccupandosi solo di Dio e non della stima degli uomini. Adesso viene loro spiegato che il pen­ siero di Dio provvidente deve ispirare il loro atteggia­ mento nei confronti dei beni terreni: distacco dalla ricchezza, assenza di inquietudine per quanto concerne i mezzi per fare fronte ai loro bisogni più elementari 4• =

che nessuno di tali resti faceva parre della fonte che ha fornito il discorso della montagna, e che il loro inserimento nel discorso è attribuibile all'evangelista. • Questo accostamento costituisce un accordo fra Mt e Le, che non manca di creare qualche difficoltà contro l'ipotesi di W. PsscH, il quale attribuisce a Luca l'idea di aggiungere I Z,H-34 a 12,22- 3 1 , dal momento che i due frammenti non si trovavano insieme nella sua fonte : Zur Exegese von MI 6,r9-2I unti L/e r2,JJ-J4, Bib 41 (r 96o) 3 � 6-378 (36os.). 1 Anche l'it���eùmento di questo versetto nel discorso è attribuibile all'evangelista : vol. I, 1 72. È stata fatta notare la sua aria di parentela con la quarta domanda del Paler (6, I I ), che si limita a chiedere il pane quotidiano : cf G. SCHNBIDER, Bol.schajl der Bergpredigl, 86. Il v 3 3 permetterà altri accostamenti al Padre Nostro. • L'unità di pensiero di questa sezione è largamente rico­ nosciuta. Cf per esempio i commenti a Matteo di LAGRANGB, 1 34, M'NElLE, 83, ScHMID, 1 36, FrLsoN, 98s., GauNDMANN, 2o8s.; i commenti al discorso della montagna di ]. W. Bow-

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Il pensiero viene sviluppato in due tappe. La prima è caratterizzata dall'invito iniziale « Non accumulate tesori » (v 19) e si prolunga fino al v 24 5• La seconda comincia col v 2 5 e ha come leit-motiv l'esortazione a non inquietarsi, !L1J (.LE:pL(.LVéin, verbo che ritorna 6 volte nei versetti 25-34. Come già nella sezione pre­ cedente, il punto di vista è anzitutto quello di un av­ vertimento, però le ammonizioni negative sfociano in raccomandazioni positive : se bisogna guardarsi dal­ l'accumulare tesori sulla terra, bisogna farlo per pre­ pararsi un tesoro nel cielo (vv 1 9-20) ; se occorre evi­ tare l'inquietudine riguardo ai mezzi di sussistenza, oc­ corre farlo per dedicarsi interamente alla ricerca del regno e della giustizia di Dio (vv 2 5 -3 3). In rapporto a questo secondo svolgimento il v 34 aggiunge una considerazione supplementare, la cui prospettiva è assai diversa da quella dei versetti precedenti 6• Sembra che l'evangelista abbia introdotto in appendice una sentenza, che si riallaccia più o meno al tema, ma la cui presenza non compromette la importanza del v 3 3 , vera conclusione dello svolgimento e dell'in­ sieme di tutta la sezione 7• Nelle due sezioni precedenti il termine « giustizia )) occupava una posizione chiave : posto come titolo della sezione, esso indicava il tema generale e ne reggeva lo svolgimento (5,20-48 e 6, 1 - 1 8). Il suo rilievo è MAN-R. W. TAPP, 1 3 1s. ; H. HuBER, 1 3z, H. N. RIDDERBOS, 6 1s., A. M. BROUWER, 3 3 1 , G. E1CHHOLZ, 1 3 S-1 37, G. ScHNEI­ DER, 77, G. MIEGGE, ZZ7 ecc. • L'inserimento dei vv 2 2-23 in questo contesto suppone una interpretazione molto particolare : cf vol. I, 1 2 7s., e, tra le opere più recenti, il commento A Matteo di GRUNDMANN, 2 1 2s., nonché quelli al discorso della montagna di G. EICHHOLZ, 14os., W. KN (1tpw'Tov) ; tale ri­ cerca riguarda non solo il regno di Dio, ma anche « la sua giustizia » (xotl 't"l)v 8�xotwauv1Jv otÙ'Tou) ; allora uno riceverà per giunta « tutte » le cose (1tciv"''ot) di cui ha bisogno. Cominciamo con una osservazione generale : già nei versetti precedenti Matteo manifesta visibilmente

1 Cf A. DesCAMPS, Les Justes et la fustice, I 76. 1 In accordo con la stragrande maggioranza dei critici, noi adottiamo il..tc;ato difficile (S ecc.), in cui il possessivo ma­ schile si riferisce a un antecedente già lontano ( « il Padre vostro celeste )), v p .) e determina due accusativi accompagnati o­ gnuno dal suo proprio articolo. Tutte le varianti che propon­ gono un testo più facile sono sospette, a cominciare da quella d el text11s recept11s, che aggiunge -rou 6cou dopo f)ttaLÀI:latv. Cf l'apparato del Gretk New Testamenl. S. LÉGASSB nota : > (Le 1 2,24) n, dice : « gli uccelli del cielo >> (6,26) ; sostituisce « i gigli >> (Le 1 2,27) con « i gigli dei campi >> (6,28) e chiama « Dio >> (Le 1 2,24) o « il Padre vostro >> (Le 1 2,;o) più solennemente con l'appellativo « il Padre vostro celeste >> (6,26. 3 2). Si capisce facilmente che il suo desiderio di dare maggior importanza al v 3 3 , che costituisce per lui la conclu­ sione, l'abbia portato ad allungare il testo. La presenza di 1tocv-roc non modifica il senso e si spiega facilmente con un intervento redazionale di Matteo 12• Questi aggiunge volentieri e un po' ovun­ que il termine « tutto )), là dove i passi paralleli non ce l'hanno ancora 13• È senza dubbio a lui che bisogna attribuirlo anche nella finale del v 3 2 , là dove diffe­ risce da Le u,;o, « Il Padre vostro sa che avete bi­ sogno di queste cose )), e scrive precisando : « Or il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose >>. Se l'aggiunta dell'aggettivo corrisponde allo stile di Matteo, risulta d'altra parte molto più dif10 Cf G . DAUTZENBERG, Sein uben bewahren. 'Yux.i) in tkn He"enworlen der E11angeiien (SANT XIV), Monaco, 1 966, 92. 11 Su questi corvi, cf vol. I, 1 1 3, 36. 11 Cosi C. W. VoTAw, Sermon on the Mounl, in J. HASTINGS, Diçtionary ofthe Bible, Extra-Volume, Edimburgo, 1 904 ( 1 947), 1-45 (39) ; ]. ScHMID, Matthiiu.r und Lukas, 236 ; T. W. MAN­ SON, The Sayings ofjesus, Londra, 1949 ( 1 954), 1 1 3 ; P. G AEC H­ TER, Das Matthiiusevangeiium, Innsbruck, 1 962, 230. 18 Così Mt 8,3 2-3 4 : tutto il branco si precipitò in mare dall'alto della scogliera e perì nei flutti. Coloro che li videro fuggirono, ritornarono in città e raccontarono tutto, _i vi com­ presa la storia degli indemoniati. Allora tutta la città usci . .. - I passi paralleli non contengono alcun « tutto » : Mc 5, I 3-1 5 e Le 8,3 3-3 5 · Similmente Mt 24, 3 3 : « Quando vedrete tutte queste cose », diversamente da Mc 1 3 ,29 e Le 21,3 1 : « Quando vedrete arrivare queste cose ». Cf ancora Mt 1 3, 1 9.34 con Mc 4, 1 5 · 3 3 ; Mt 1 3,56 con Mc 6,3 ; Mt 22,28 con Mc 1 2, 3 3 e Le 20,3 3 ; Mt 24,2 con Mc 1 3,2 e Le 21,6; Mt 24,8 con Mc 1 3 ,8 ecc. =

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fi.cile spiegare la sua omissione al livello della reda­ zione di Luca : questi adopera molto volentieri il ter­ mine « tutto », lo fa anch e più spesso di Matteo 14 e la sua tendenza lo porterebbe ad aggiungerlo piut­ tosto che ad eliminarlo rs. Dopo il v 2 5 Gesù insiste sulla idea che i suoi di­ scepoli non devono preoccuparsi per quel che con­ cerne il nutrimento e il vestito, e tutta l'argomenta­ zione mira a convincerli che non devono affatto inquie­ tarsi per questo. In termini positivi ciò significa che devono preoccuparsi esdusitJamente del regno, cosl come afferma anche Le 1 2, 3 0. Matteo si contenta di scrivere che devono preoccuparsene « prima di tutto », 7tpw-rov. I commentatori hanno certamente ragione, quando spiegano che in questo contesto l'avverbio « anzitutto », « prima di tutto » non autorizza a paru La Statisti/c di MORGENTHALER dà questi dati riguardo a trii> non significasse esattamente la medesima cosa de « il regno di Dio >> o « il regno dei cieli >>. La ma­ niera in cui Dio viene qui designato non è legata all'idea che l'evangelista si fa del regno, ma all'aspetto sotto cui lo considera nel contesto, che qui è quello di un Padre pieno di sollecitudine per i suoi figli. La ricerca del regno si oppone alla inquietudine nei confronti del nutrimento e del vestito. La tradi­ zioné evangelica l'aveva accostata alla cura che uno deve mettere nel costituirsi un tesoro in cielo e non sulla terra (Mt 6, 1 9-1 1 ; Le I Z,H- H)· Il regno appare 2.

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Dissentiamo dalla interpretazione di Bomhauser e di Jeremias, mentre concordiamo con l'insieme degli altri esegeti c anzitutto con l'eccellente articolo di Bu LTMANN, TWNT IV, 5 9 3ss., colr �i autori che criticano esplicitamente l'opi­ nione di Bornhauser (come G. MIEGGE, Il sermone sul monte, 2 3 6) o quella di Jeremias (come E. NEUHAUSLER, Anspruch 11nd Antworl Gol/es, 5 3) e con tutti coloro che si attengono semplicemente alla opinione comune : tra i più recenti ricor­ diamo E. }ACQUEMIN, Les oplions du chrélien, 31-40 ; G. EICH­ HOLZ, Auslegung der Bergpreàigl, I43-145 ; G. SCHNEIDER, Bot­ schaft der Bergpredigl, 83-85. •• Cf S. LÉGASSE, L'appel du riche, q6. Medesima associa­ zione in Mt 6,10 = Le 1 1, 2 ; Mt I 3 ,4 3 ; 26,z9; Le 1 2,3z; zz,z9.

Cl!RCARJ! IL REGNO l! LA GIUSTIZIA

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cosi come un bene superiore, celeste, che si oppone a tutti i beni terreni, ivi compresi i più necessari alla sussistenza. Il contesto permette di precisare che il regno in questione è un bene di cui i discepoli potranno prender possesso solo nell'altro mondo, un campo in cui sarà loro dato di entrare solo al momento del giudizio uni­ versale 57• Ciò risulta dall'insieme degli insegnamenti raggruppati in Le 1 2, supposto naturalmente che astraiamo dalla prospettiva individuale in funzione della quale Luca tende a reinterpretare gli insegnamenti escatologici tradizionali (cf Le 1 2,4-1o. p . 3 5-48). Ciò risulta pure dal primo vangelo, dove il messaggio del regno (4, 2 3 ) 58 è nel medesimo tempo invito alla 07 Cf. W. G. KiiMMl!L, Verheimmg und Erfii/lung. Unler­ n«hungen zur mhalo/ogisehen Verleiindigung ]esu (ATANT 6), 3 ed., Zurigo, 195 6, I I 8 ; R. ScHNACKl!NBURG, Rigne '' Royaume de Dieu. Essai de thlologie biblique (Etudes théol., 2), Parigi, 1 965, 90s. e I 3 5 - 1 3 7 · •• In Mt 4,23 cominciamo col notare l'espressione matteana : 'rÒ e:ùocyyÉÀtov njç �ocatÀdocç. Mentre Marco adopera il ter­ mine « vangelo » in maniera assoluta ( I , q ; 8,3 5 ; I 0, 29 ; I 3, I o ; 14,9), Matteo aggiunge sempre una determinazione : (( il van­ gelo del regno » (4,23 ; 9,3 5 ), « questo vangelo del regno 11 (.z4, I4), (( questo vangelo 11 (26, 1 3). Il ritocco acquista tutto il suo rilievo nei sommari di 4,23 e 9,3 5 , se uno vi riconosce l'eco del sommario di Mc I ,I 4- I 5 . Cf a questo riguardo lo stu­ dio di P. STUHLMACHER, Das Paulinisçhe Evangelium, I, 23 8-243. Aggiungiamo che il sommario di Mt 4,2 3 o 4,23-25 fa parte di una unità più ampia, costituita da 4, 1 2-2 5 . Questo punto è stato messo bene in luce da A. DuPREZ, Le programme du jlsus matthéen (MI -/,I2-2J) , in Troisiime dimançhe ordinaire (AssS1 34), Parigi, 1973. Sembra così che 4,23a riprenda 4, 1 2 e che 4,23b sviluppi 4, 17. Inoltre bisogna accostare l'introduzione del ministero di Giovanni Battista (3,1-6) a quella del ministero di Gesù (4, 1 2-2 5 ), il modo in cui Matteo definisce il messaggio di Giovanni (3,2) a quello in cui presenta il messaggio di Gesù (4,1 7·23). Infine occorrerebbe mettere a confronto la composi­ zione matteana con quella di Marco, in maniera da riconoscere l'influenza esercitata da Mc I ,1 4- 1 5 sulle formule di M t 3,2 ; 4, 17.23, che non possono essere spiegate indipendentemente l'una dall'altra.

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!J.ETcivotct 59, perché la venuta del regno coinciderà con il giudizio. Il regno dei cieli, promesso ai poveri in spirito e ai perseguitati per causa della giustizia ( 1 , 3 · 1 o) 60, è quello di cui il Padre Nostro domanda l'avvento glorioso (6 , 1 0) 81, dove entreranno solo coloro che fanno la volontà del Padre celeste (7, .Z I -23) e praticano una giustizia più abbondante di quella degli scribi e dei farisei ( 1 ,zo), e in cui, a seconda della misura di tale giustizia, gli uni saranno più grandi e gli altri più piccoli ( p 9) . Si tratta del regno di cui 8 , 1 1 - 1 2 parla come di un banchetto, dove i convitati prenderanno posto con Abramo, !sacco e Giacobbe. 11 �TatVO�(o) (Mt 3,2 ; 4,1 7 ; I I,20.21 ; 12,41), !J.ncivOICt (3, B. u). Mentre Luca adopera molto questi termini sia a pro­

sito della prima conversione che a proposito del pentimento dopo la colpa, Matteo sembra prenderli in un senso più pre­ ciso e riservarli alla prima conversione, vale a dire al momento in cui l'uomo tira per se stesso le conseguenze dell'annuncio del giudizio imminente; non fa meraviglia che si stabilisca un legame tra l'impegno di un certo modo di vivere che allora ci si assume e il rito battesimale. La prospettiva escatologica � sempre determinante. Cf su questo G. BAilTH, Das Gesetzes­ Hrsliindni.r, 109s. e soprattutto G. ST!lECKEil, Der Weg der Gerechtigkeit, 226-228. •• Cf. vol. I, 674-686. 01 Notare l'impiego dell'aoristo (imperativo) : « Negli altri modi diversi dall'indicativo ... l'aoristo si oppone al presente non come il passato al presente, _ma come l'istantaneo alla du­ rata ... Negli ordini positivi l'aoristo viene generalmente usato quando si tratta di una circostanza particolare e di un atto che non comporta l'idea di durata )) (B. BoTTE, Grammaire grecque du Nouvr2uJestamenl, Parigi, 1 9 3 3 , n). La seconda do­ manda del Poter concerne non una realizzazione progressiva del regno di Dio sulla terra, ma l'avvenimento unico costituito dalla sua venuta definitiva. Cf P. BoNNAilD, L'Evangile selon saint Matthieu, 83s. ; J . DuPONT-P. BoNNAilD, Le Notre Fire, Notes exégètiqut.r, in La Mai.ron-Dieu, n. 8� (1 966) 7-3 � (1 3-16), o in Foie et Vie. Cahiers Bibliques, n. 4 (1 966) p-79 (n-6o), oppure in P. BoNNA il D-J. DuPONT-F. REFOULÉ, Notre Fire fJUÌ es aux cieux. La prière oecuménifjUe (Cahiers de la traduction occuménique de la Bible, 3), Parigi, 1968, 79- I I � (8�-89).

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Non è questo il luogo per studiare tutto il tema del regno e le sfumature ch'esso può assumere in altri contesti. Basta osservare che il contesto, in cui si col­ loca la sentenza in questione, invita ad intendere il termine nella sua accezione rigorosamente escatologica. ll regno non si oppone ai beni terreni solo come un bene spirituale si oppone a beni materiali, ma come la bea­ titudine del mondo futuro alle realtà del mondo pre­ sente. Ci resta da domandarci se questo senso normale del termine nel contesto in cui lo leggiamo si accorda con l'uso del verbo « cercare ». J· La ricerca che ha per oggetto il regno di Dio è necessariamente qualificata da tale oggetto. A questo essa deve anche la p ropria originalità. Né nell'Antico Testamento né nella tradizione giudaica troviamo qualche espressione analoga a quella che parla di « cercare il regno di Dio >>. Evidentemente tale espres­ sione è stata indotta dal contesto : occorreva una for­ mula che servisse da antitesi alla inquietudine per i beni della vita. Al contesto perciò dobbiamo chiedere in primo luogo quale sia il senso preciso che qui riveste il verbo « cercare >>. Poi potremo fare alcuni accosta­ menti illuminanti con qualche passo del Nuovo Te­ stamento, che adope.ra il verbo in un senso simile. Guardandoci dall'imporre alla nostra sentenza una accezione più tradizionale del verbo �7)-rÉw, ci pre­ pariamo a meglio comprendere il cammino particolare percorso da Matteo : aggiungendo la « giustizia >> al « regno », egli mostra precisamente che ha restituito al verbo « cercare >> il suo significato biblico abituale, però a detrimento di quello che costituiva la sua ori­ ginalità nella sentenza che gli era pervenuta. Nel contesto immediato l'invito a « cercare il re­ gno >> si presenta come la contropartita positiva del­ l'avvertimento : « Non inquietatevi >> (Mt 6,2. 5 · 3 1 · 3 4 ;

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u,2�), allo stesso modo in cui un po' più sopra l'imperativo « accumulate tesori » nel cielo corrisponde a « non accumulate tesori » sulla terra (6, I 9-2o). È facile capire il cambiamento di verbo : l'inquietudine che caratterizza gli interrogativi ansiosi dei vv 2 5 e 3 I è fuori posto nella preoccupazione che bisogna avere nei confronti del regno. La scelta di �71-rtw sembra perciò voler escludere l'ansietà supposta dal verbo fLe:ptfLv!X.w. Non è possibile immaginare un vero credente tormentato dalla questione di sapere se avrà parte al regno 82 : ciò sarebbe evidentemente contrario allo spirito del vangelo e alla fiducia che dob­ biamo avere nell'amore del Padre celeste. Accanto a questo primo motivo, ancora negativo, della scelta di �71-réw, dobbiamo ricordare un secondo motivo, che è quello di sottolineare di più la nota attiva dell'atteggiamento che dobbiamo assumere nei riguardi del regno : sarebbe insufficiente preoccupar­ sene, se tale preoccupazione non determinasse tutta la condotta del credente, ispirandogli uno zelo che passa all'azione. Tali sono effettivamente le risonanze bibliche del verbo e quelle che danno il suo signi­ ficato alla versione di Matteo. Niente invece ci sem­ bra che inviti a introdurle nella versione di Luca, né nella forma della sentenza anteriore alla redazione del primo vangelo. L'uso di �71-réw in Mt G,3 3 è preparato da quello di tm�7J-réw nel v 3 2 (Le 1 2,3o) : « Di tutte queste cose infatti si dànno premura (t7tt�7JToucrtv) i pa­ �ani >>. Questa osservazione non è separabile dagli mterrogativi -in"quieti riportati nel versetto prece­ dente : « Che cosa mangeremo ? che cosa berremo ? di che ci vestiremo ? » (Mc 6,3 I ; cf Le I 2,29). Il punto di vista rimane quello di un atteggiamento di spirito, non quello di una ricerca laboriosa. Le

11 Si pensi alle forme che tale problema ha assunto nelle speculazioni sulla predestinazione.

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Invete la versione di Luca introduce il verbo �l)­ -r&w fin dal v 2.9. Mentre Mt 6,3 1 scrive : « Non in­ quietatevi dunque dicendo : Che cosa mangeremo? ... , in Luca leggiamo : « E voi non cercate che cosa man­ gerete. . . ». È significativo che questa vers_ione aggiunga un secondo verbo, apparentemente destinato a col­ mare la distanza, che separa �l)'t&w da fLEpt(.Lvliw : « e non agitatevi l'animo », « non siate ansiosi », xod (.L-l] fLETtwp(�e:a6e 63• Questa nota di ansietà 64 è precisamente quella che distingue fLEpt(.Lvliw in rap­ porto a �l)-réw. La versione di Luca, esplicitando nel v 2.9 la « ricerca >> del regno, mostra in che cosa dif11 Dal punto di vista da cui ci poniamo qui, potremmo far astrazione dalla questione del rapporto letterario da stabilire tra le due versioni. Due considerazioni inducono a far pensare che Luca abbia ritoccato il suo testo. Dopo aver ripetuto tre volte fLtptfLV�w. egli può aver cercato un altro verbo, perché non ama ripetere il medesimo termine (cf H. J . CADBURY, The Style and Literary Method of Luke, 83-8�). Dopo aver so­ stituito fLEptfL�W con C'l)-riw, si rende conto che questo verbo non rende tutto il senso del primo e vi supplisce aggiungendo il verbo JU-rtwp(Co!J4t, che tradisce il suo gusto per il linguag­ gio forbito : M. DIBELius, Die Bergpredigt, in Botschaft tmd Ge­ schichte. Guamme/Je AufsiJJ�e, I, Tubinga, 1 9 5 3 , 79-174 ( I o9). Aggiungiamo che Luca adopera volentieri C'l)'ri>, che nel testo critico : « Cercate prima di tutto il regno e la giustizia di lui (cioè _del Padre) » ; il senso non è pro­ babilmente diverso nella variante isolata del Valica­ nus: « Cercate prima di tutto la giustizia e il regno di lui » 75• Le difficoltà sollevate da questo pronome non autorizzano a eliminarlo, come suggerisce J. Well-

•• Pensiamo in modo particolare a F. W. GROSHEIDE, Hel h1ilig evang1/ie volgens Matlheus (Kommentaar of het NT, I), 1 ed., Amsterdam, 1 954, 109s., e a D. HILL, GreeJ: Wortl.r and Hebrew Meanings, 1 29 . •• Abbiamo già detto qualcosa sul problema testuale : cf sopra 414, n. 9·

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hausen 18, o a sostituirgli un pronome femminile, otÙ't'Yjç, che permetterebbe di parlare della giustizia della (3otaLÀetot, come propone di fare W.H.P. Hatch 77• Nel medesimo tempo bisogna rigettare come erronea la traduzione : (( Cercate rrima di tutto il regno e la sua giustizia >> 78, dove i possessivo (( sua >> può ri­ ferirsi solo al regno 79• Non dovrebbe essere neces­ sario insistere sul fatto che l'antecedente grammaticale � il (( Padre », menzionato nel v p. L'accordo può essere fatto ad sensum. La giustizia di cui i cristiani •• J . WELLHAUSBN, Das E11ange/ium Matthaei, 30. Anche l'autore riconosce che si tratta di una soluzione disperata . 77 W. H. P. HATCH, A Note on Matthe111 6:JJ, HTR 3 8 ( 1 94') 270-272. L'autore espone bene lo stato della questione. Di fronte alle difficoltà presentate dal pronome o:ÒTou, egli cerca una soluzione attraverso una retroversione aramaica. Il pronome diventa allora un semplice suffisso, èh, che si distingue dalla forma femminile ab solo per la vocalizzazione, mentre la scrittura rimane la stessa. Il traduttore greco avrebbe fatto un errore di lettura, poich� avrebbe dovuto intendere il pronome nel senso di o:��. Il testo aramaico parlava perciò della giu­ stizia del regno, della giustizia che caratterizza il regno. Questa ipotesi è stata ripresa da S. E. joHNSON, in Tbe Intwpreler's Bibu, · VII , New York-Nashvillc, 19p, 3 2 3 . Essa presenta l'inconveniente di non tener alcun conto della critica letteraria: non è possibile risalire a un origine aramaico facendo astrazione dalla testimonianza parallela fornita da Luca. È il confronto dci due testi evangelici, che permette di pensare che la menzione della giustizia è stata introdotta· nel versetto dall'evangelista greco. •• è precisamente la traduzione proposta dalla Bib/e tk Ji­ rusalem (P. BBNOIT), dal Nouveau Testamenl di E. Osrr c di J. TRINQUET e daH..ionario francese. Prima della revisione del 195 5 , le edizioni del Nouveau Te.stamenl di E. Osty proponevano : « il suo regno e la sua giustizia )), che evita l'errore ; ritroviamo questa formulazione per esempio nelle SyMpses di L. DEISS e di P. BENoiT-E. BOISMARD. Alcune traduzioni esplicitano in maniera valida : « il regno e la giustizia di Dio >> (Bibbia di L. Segond ; M. Gogucl nella Bible du Centenaire) . .. a E. jACQUEMIN, Ler oplions du çbrltien, 42, n. 4; s. LÉ­ GASSE, L'appe/ du riçhe, q6, n. 102.

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devono preoccuparsi è quella di Dio, esattamente come la �ot> 83 e vuoi significare non quelle che Dio compie, ma quelle che egli prescrive, che (( dà da fare » (1 7,4) 84• Paolo 81 A q uesto influsso semitico bisogna attribuire in parti­ colare la facilità con cui il NT adopera il genitivo di qualità : B. BoTTE, Grommoire gruque du NT, 3 0 . J. Weiss osserva che tal volta i LXX facilitano la comprensione, sostituendo il ge­ nitivo con un dativo. Così nel Sal 5 , 1 9 i « sacrifici di Dio » diventano 6ucrf.cx •iii 6t(jl : non si tratta evidentemente di sacrifici di cui Dio sarebbe l'autore. Weiss pensa che -r-ljv a�)(Ot�OmJV'I)V 'fOU S.:ou potrebbe essere validamente reso con -r-ljv 8�Kat�oaUV'I)V 'rijl 6c(j) 11 Cf Nm 8,u ; Ger 3 1 , 1 0 ; I Cor I 5 , 5 8 ; I 6 , 1 o ; Fil 2,30; Ap 2,26. In Giovanni la medesima espressione ritorna con un senso .analogo in 9,3.4 e in Io,37. •• « Nel pensiero dei giudei le opere di Dio (lo erga lou Tb1ou) sono le opere esteriori cerimoniali e di altro genere, che Dio richiede dai suoi adoratori. Gesù non parla che di una opera (lo ergon} , un'opera sola : credere in colui che Dio ha mandato » : F.-M. BRA UN , L'oelll!f'e de Dieu (]n 6,24-JJ), in Dix-huiliime dimonthe ordiNJire (AssS• 49), Parigi, I 97 1 , 48-5 8 (5 1). Cf R. BULTMANN, Dar Evangelium der Johonner (KEKNT II, I I ed.), Gottinga, 1 9 50, 164, n. 4· A proposito di Gv 9,4, « Bisogna che llQi JlOmpiamo (lett. lavoriamo) le opere di Colui che mi ha mandato », F. SMYTH-FLORENT1N spiega : > viene citata questa sentenza relativa a Gad : « Egli è venuto come capo del popolo, ha adempiuto la giustizia di Jahvè e le sue sentenze su Israele >>. Quanto al senso originale di questa sentenza, sembra che si possa dar ragione a H. H. SCHMID, Gereçhtigluil als We/tordn1111g. Hinl,.grlllld tmtl Guchichle du alteslamenllichen G,.BChligkeilsbegriflts (BHT 40), Tubinga, I 968, 1 9s. Il detto si riferisce alla partecipazione dei Gaditi alla conquista. In questo contesto la « giustizia di Jahvè 11, così come le « giustizie di Jahvè >> in Gdc 5 , 1 1 , assume una ri­ sonanza guerriera : si tratta dell'intervento salvifico di Jahvè, della sua sortita in favore del suo popolo, della vittoria ch'egli ha riportato per mano dei combattenti. Ma all'epoca giudaica tale espressione non viene più compresa in questo senso. I LXX rimangono ancora vicini al senso primitivo, anche se cambiano il soggetto : !lll«tiOGUV7)V KUpiO� tno(7)CJEV l«tÌ xp(CJIV liu-roii fLETCÌ: 'lapot-1]>.. Invece il Targum Onkelos conserva il soggetto « Gad », per9 intende il termine « giustizia >> nella sua accezione abituale e precisa : Gad « ha adempiuto le sue azioni giuste davanti al Signore (zakwdn qoddm Adonay) 11. La « giustizia di Jahvè >> è così diventata « giustizia davanti al Signore ». Cf su questo punto G. DALMAN, Jmu-]eschw. Die tlrei Sprachen Jesu. fesus in der Synagoge, auf tlem Berge, beim Pas­ sahmahl, am Kreuz, Lipsia, 1 922., 63s. Aggiungiamo che il

Targum di Jonathan propone la medesima interpretazione, men­ tre il Targum palestinese frammentario non aggiunge « da­ vanti al Signore >>. - Potremmo ancora accostare l'espressione >. Quest'ultima non designa necessariamente il modo in cui Dio si comporta. È chiaro che in Mt 22, 1 6 par. essa indica la via che Dio prescrive agli uomini, affinché essi la seguano (cf w. MICHAELIS, TWNT v, 91).

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che appartiene propriamente ed esclusivamente a lui ? Questa considerazione non sembra più concludente della prima. La formulazione è in ogni caso difficile e lo stato della tradizione testuale mostra che i moderni non sono stati i primi ad accorgersene . Noi sappiamo che tale difficoltà risulta dal modo in cui il testo è stato ritoccato dall'evangelista. Benché in lui il ter­ mine �otO"LÀdot non abbia bisogno di determinati­ vo 91, egli ha conservato quello che gli forniva la sua fonte. Ma dal momento che gli fa determinare anche 't'l)v 3LxotLOaOV7JV 92, come è possibile sapere se attribuisce al genitivo un senso molto preciso o se si accontenta di prenderlo in un senso largo, che stabilisce semplicemente una relazione tra l'oggetto determinato e il suo complemento determinativo ? Il solo modo per saperlo è quello di definire ciò che Matteo intende rer « giustizia >> e la maniera in cui egli concepisce i rapporto che unisce tale giustizia a Dio 93• Noi pensiamo pertanto che la presenza di questo complemento determinativo non ci dispensi da uno studio attento della idea che Matteo si fa della giustizia. Non è il pronome otò-rou che può illuminarci sulla " Mt 4,z3 ; 8, u ; 9.3 � ; 1 3, 1 9. 3 8 ; z4,14; cf anche Le u,3 2 ; :u,z9 ; At zo, 3 � · P . Billerbeck cita a questo proposito una sen­ tenza di Aqiba, dove si dice che l'uomo è stato creato > (q , 1 2 ; 2. 5 , 29). La prospettiva non è più la stessa : non si dice più che Dio darà oltre la giusta misura, ma semplicemente che colui che avrà =

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« Chi di voi, per quanto si preoccupi, può aggiungere (7tpoa6e:i:vor:L) un solo cubito alla sua �ÀLxliX ? >> È chiJ.ro che qui 7tpoaTl61JfLL significa « aggiungere a quello che uno ha » l�. Ancora una volta la cosa importante non è tanto quella di prendere posizione tra due opinioni, quanto piuttosto quella di domandarsi se il problema è posto bene. Dobbiamo lasciare al verbo il suo significato naturale, che è quello di « aggiungere » 106, e chiederci in rapporto a che cosa tale aggiunta viene fatta. Il v H, in questo contesto di avvertimento contro la fLÉpLfLVIX, invita a preoccuparsi solo del regno e della giustizia di Dio, senza inquietarsi per i beni dell'esi­ stenza. Questi saranno concessi come un sovrappiù, non in rapporto al regno e alla giustizia, ma in rap­ porto a quel che uno cerca ; non in rapporto a quel che uno ha o a quel che uno riceve da un'altra parte, ma in rapporto a quello di cui uno si preoccupa. A. Loisy ha detto molto bene che le cose necessarie sono un sovrappiù per i discepoli, perché essi non se ne dànno pensiero 107• Di qui non si può trarre alcuna concluricevuto si troverà nell'abbondanza. Il procedimento di Matteo fa supporre ch'egli prenda sul serio il valore del prefisso di npoa·d67)iJ.L. 10 5 In compenso il verbo non dice niente sul modo in cui uno è entrato in possesso di quella. che ha. In Mt 6,2.7 esso non suppone che colui che cerca di prolungare la durata della propria vita si sia procurato da solo quel che già ha. Così possiamo pen­ sare che la promessa, in base alla quale Dio « aggiungerà >> quel che è nec�a�o all'esistenza, non dica niente circa il mezzo attraverso cui i discepoli si troveranno in possesso del regno o della giustizia. ••• Cf il Lexifon di W. BAUER-W. F. ARNDT-F. W. GIN­

GRICH, p6.

'0' « Il regno è un bene che va cercato ; non si può dire ch'esso sia già presente (B. Weiss), e le cose necessarie per vi­ vere non sono date con il regno, ma sono date agli uomini che cercano il regno ; esse sono un sovrappiù per loro, perché �on se ne preoccupano >> : uJ EvangileJ synoptiquu, I, 619.

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sione sul modo in cui essi possono trovarsi in pos­ sesso del regno o della giustizia1 se attraverso un dono di Dio o in altra maniera. 4· La ricerca espressa dal verbo �lJ't"Éw indica atteggiamento o un comportamento religioso, su cui gli altri passi dei vangeli sinottici, ove tale verbo viene adoperato, non possono affatto illuminarci 108. Per precisare la sua portata, sembra necessario ren­ dersi conto delle sue risonanze nel linguaggio della Bibbia. La difficoltà è considerevole, poiché ci tro­ viamo in presenza di una enorme quantità di testi : �l)'t"tw e i suoi composti èx�lJ't"tw e È'ltL�lJ't"Éw sono molto frequenti nei LXX 109 e vengono usati in ac­ cezioni molto varie. Quasi la stessa cosa va detta del loro sostrato normale in ebraico : biqqésh 110, a cui bisogna aggiungere soprattutto darash m. Posun

••• Tuttavia dobbiamo menzionare Mt 7,7-8 (= Le I I ,9I o) : « Chiedete e vi sarà dato ; cercate e troverete ; picchiate e

vi sarà aperto. Poiché chiunque chiede, riceve ; chi cerca, trova ; e a chi bussa sarà aperto ll. Si tratta della preghiera ; essa viene espressa con un verbo preso nel senso proprio e con due verbi che servono da immagine : « cercare )), « picchiare ll. I tre casi cercano di descrivere l'atteggiamento di colui che si indirizza a Dio e lo deve fare con la fiducia di essere esaudito. 10 ° Contiamo !:l)-réw all'incirca 340 volte, �x!:l)-réw 149 volte, h1!:1)Tiw 21 volte. 1 10 Secondo G. TuuESSI ricorre 220 volte : Quauer1 Deum. Il tema della significa anzitutto cercare informazioni presso di lui, consul­ tarlo, chiedergli un oracolo che chiarirà un problema o indicherà la condotta da seguire in una situazione imbarazzante ; significa cioè indirizzarsi a Dio per interrogarlo 113• (z) Si�nifica anche cercare soccorso e protezione presso di lui, riporre in lui la propria fiducia, appoggiarsi a lui, cercare questo sostegno con la preghiera e con il culto che gli si rende 114. 111 Lo studio più utile è quello di G. TuRBESSI, già citato ; segnaliamo anche : Io., Quaerere Deum. Il tema della « rirerta di Dio >> nell' ambimle ellenistico e giudaico contemporaneo al NT, in Studiorum Paulinorum CongruSUJ lnternationalis Calholitus 196 1 , II (AB I 8), Roma, 1 96 3 , 3 8 3-398 ; « Quaerere Deum » (La « riterta di Dio » in antithi testi cristiani), in Rivista di Aste­ tito e Mistica 9 (1 964) :1.4I - :1. � � ; Quaerere Deum. Il tema della « rittrta di Dio ,, nella gnosi e nelkJ gnosticismo, in Benedittina 1 8 (197I) I - 3 1 . L'articolo l:lJTÉw d i H. GREEVEN in TWNT II, 894-898, non contiene praticamente nulla ; una nota aggiunta da G. BERTRAM (p. 89�. n. � ) sottolinea la lacuna, più che ri­ IJlediarvi. Cf anche : B. GAERTNER, The Areopagus Speuh and Natura/ Revelation (Acta Seminarii Neotestamentici Upsaliensis, XXI), Uppsala, I 9 H , 1 p-I � 8 ; M. PRAGER, Goltsuthen in der Heiligen Sthrijl, in Erbe und Aujtrag 3 � ( I 9 � 9) 444- 4� :1. ; lo., Go/lsuthen, in Bibeltheo/ogis&hes WOT"terbuth, I, 3 ed., Graz, 1 967, 634-639. Non si dimentichi W. GESENIUS (sic i)-F. BuuL, Hebriii­ sthe.r und AramiiiHIJeg/fandworterhuth iiher das Alte T11tament, 7 ed., Lipsia, I 9Z I , I 1:1. e 169s. Segnaliamo infine C. WESTERMANN, Die Begriffe fiir Fragm und Suchm im A/ten Tes/ameni, in Kerygma tmti Dogma 6 ( I96o) :1.-30 : questo articolo si interessa soprattutto del vocabolario relativo al « domandare )). 111 Cf Es I8,I � ; 3 3,7; 1 Sam z i , I ; 1 Cron Z I , 3 o ; :1. Cron I 8,4.7 ; H,z i .z6. 1 1 0 Cf Dt 4,:1.9 ; 1 Cron t6,Io. u ; :1. Cron 1 6, 1 :1. ; :zo,4; :z, , q ; Os � . I � ; Ger :1. 9, I 3 ; Is 34 1 ; Sal 9,I I ; :1. 7,8 ; 40, I 7 ; 69,7; I O � ,3-4. ,

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In questo senso « cercare Jahvè )) viene spesso op­ posto alla « ricerca )) degli altri dèi. Il Dio di Israele non ammette spartizioni ; non è possibile « cercare )) lui e tentare nel medesimo tempo di conciliarsi il favore degli altri dèi. « Cercare il Signore )) diventa così espressione di fedeltà al monoteismo. ( 3) Ma le esigenze di Jahvè non si limitano al suo esclusivismo cultuale ; le clausole dell'alleanza ch'egli ha concluso con il suo popolo abbracciano tutti gli aspetti della vita. Non è possibile « cercarlo )) ed essergli gradito senza applicarsi fedelmente alla osservanza delle pre­ scrizioni dell'alleanza. La « ricerca del Signore )) si fa con la cura che si mette nel conformarsi alle sue pre­ scrizioni, con la docilità che si dimostra nell'obbedire alla sua volontà. La vera « ricerca )) di Dio, che va attuata « con tutto il cuore e con tutta l'anima )) us, implica necessariamente la pratica dei comandamenti e va di pari passo con la preoccupazione per la « giu­ stizia )), Qualche esempio tratto da quest'ultimo gruppo otrà riuscire utile. Il Cronista non ha che elogi per P. 11 re Asa, il quale ha soppresso i santuari idolatri e ha detto « a quelli di Giuda di cercare il Signore, il Dio dei loro padri, e di osservare la sua legge e i suoi comandamenti )) ( z Cron 1 4, 3 ) 116• Nel capitolo 5 di Amos si badi alla su�cessione degli inviti : « Cercatemi e vivrete... Cercate il Signore e vivrete... Cercate il bene e non il male, se volete vivere. E cos} il Signore, Dio degli eserciti, sarà con voi, come andate dicendo )) (5 ,4.6. 14). Negli· ultimi capitoli del libro di Isaia : 1 11 Dt 4,29 ; 1 Cron 22, 1 9 ; 2 Cron 1 s , a ; cf r Cron 16,ro ; Cron n , r 6 ; 1 2,14; 22,9 ; Ger 29, 1 3 ; Sal I 1 9,2.ro; CD r,ro. La si accosti al comandamento di amare Dio « con tutto il pro­ prio cuore e con tutta la propria anima )) : Dt 6,6 (Mt 2.2,37 2.

par.). rs

11° Cf 1 Cron 22, 1 9 ; z8,9; 2 Cron 7,1 4 ; u , r 6 ; 14,6 ; r s , r z. ; 22,9 ; 2.6, s ; 34.3·

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LA GIUSTIZIA Cll!STIANA

> (p, I); >. Anzitutto in Sofonia : « Cercate il Signore voi tutti, o umili della terra, che praticate i suoi precetti. Cercate la giustizia, cercate l'umiltà 120 ; forse potrete mettervi al sicuro nel giorno della collera del Signore >> (z,3). Questa rac­ comandazione non può essere separata dalle minacce indirizzate agli idolatri, « che si allontanano dal Si­ gnore, che non lo cercano, né si danno pensiero di lui >> ( r ,6), e alla città ribelle e peccatrice, che « non ascolta l'appello, non accetta gli avvertimenti, non pone la sua fiducia nel Signore e non si avvicina al suo Dio >> (3,z). Infine il richiamo trova la propria eco nella promessa : « Io lascerò in mezzo a te un po­ polo povero e modesto, che spererà nel nome del Si­ gnore. Il resto di Israele non commetterà iniquità e non dirà menzogne . .. >> (3 , 1 Z- 1 3). « Cercare la giu­ stizia >> non è cosa diversa dal « cercare il Signore >>, mettendo fedelmente in pratica la sua volontà. L'altro passo si trova nel primo libro dei Maccabei. Di fronte al pericolo che nasce dalla persecuzione, Mattatia lancia un appello « a chiunque ha zelo per la legge e osserva l'alleanza » (z,z.7). Subito « molti 110 Medesimo punto di vista nella serie di beatitudini pro­ venienti dalla grotta 4 (cf vol. l, 394, n. 3 8). Esse proclamano beati coloro che seguono i comandamenti di Dio, ripongono in lui la loro gioia, lo cercano (Jarash) con mani pure e non lo ricercano (shabar) con un cuore ingannevole ; beato ancora l'uomo che cammina nelle vie dell'Altissimo. 110 Traduciamo dall'ebraico, da cui i LXX si discostano sensibilmente: « Cercate il Signore, (voi) tutti umili della terra ; praticate il diritto, cercate la giustizia e rispondete ad essa )). Rimangono solo due �lJ't"fJaotn al posto dei tre baqqeshli. Notiamo Gcr 5 , 1 , che adopera un vocabolario un po' diverso : « Cer­ cate rer le piazze di Gerusalemme se trovate un uomo che pra-. tica i diritto e cerca la verità (mebaqqésb 'emfìruih, �"'T6iv n(a-.Lv) ));

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LA GIUSTIZIA CRISTIANA

che cercavano la giustizia e la legge andarono nel de­ serto » al suo seguito (v 19). Là troviamo « tutti quelli che avevano devozione per la legge » (v 41) e Mat­ tatia li invita a guadagnare alla loro causa > (v 67). « Osservare l'allean­ za », « cercare la giustizia >> e praticare la legge sono la medesima cosa 1'21. Alla espressione « cercare la giustizia >> dobbiamo accostare quella che, in maniera più espressiva ancora, parla di « perseguire (radaph, 8twxw) 1 21 la giusti­ zia >> o « ciò che è giusto >>. Abbiamo già riscontrato questa formulazione in Is s 1 , 1 : « Ascoltatemi, voi che perseguite quel che è giusto e cercate il Signore >>. In Dt 1 6,1o l'espressione viene presa in un senso più ristretto : il dovere di « perseguire ciò che è giusto » incombe in maniera particolare a colui che è incari­ cato di amministrare la giustizia. Si riferisce invece agli obblighi della vita religiosa in generale in Ecli 17,8 : « Se persegui ciò che è giusto, l'otterrai », e in Pro 1 s ,9 : « Le vie dell'empio sono abominazione per il Signore, mentre egli ama coloro che perseguono la giustizia >>. Paolo mette questa espressione al servizio della propria teologia : « I gentili, i quali non perseguivano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, quella che proviene dalla fede. Israele invece, che perseguiva una legge di giustizia, non è giunto a praticare la legge >> (Rm 9,3o-p). Poi l'apostolo ritorna a usare 111 Alla « ricerca della giustiZia >> questo passo accosta lo « zelo per la legge >>. A tale proposito cf il nostro studio Lo convtrsion de Pau/ et son influence sur la conception Ju salut par la foi, in Foi et Salut selon S. Pau/ ( Epitre aux Romains r,r6) (AB 42), Roma, 1 970, 67-100 (7 5-8o) = The Conversion of Pau/ and its lnfluence on bis Understanding of Salvation by Faith, Apo­ slolic History and the Gospel. Biblica/ and Historica/ Essays... F. F. Bruce, Exeter, 1 970, 1 76-194 (183- 1 87). m Cf A. 0EPKE, TWNT Il (1935) 2 3 2s.

Cl!llCAill! IL !lEGNO l! LA GIUSTIZIA

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il verbo « cercare >> : « Non volendo riconoscere la giust1z1a di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio >> (zo,3). Questo passo termina con una citazione di Is 6 5 , 1 : > (Rm 1 o,2o). Cosi coloro che > non > ( 1 Tm 6,1 1 ), « Fuggi le passioni della gioventù, persegui la giustizia, la fede, fa carità, la pace >> (2 Tm 2,22) 124. Ecco dove ci conduce tutto questo contesto tra­ dizionale. L'espressione « cercare la giustizia », ana­ loga a quella che parla di > presenta il vantaggio di una allitterazione, assente invece dall'espressione in senso più biblico di quello proposto dall'autore. C:f Saint Pau/, Les Epltres Pastorales (EB), 4 ed., Parigi, 1 969, I l , 764. .

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LA GIUSTIZIA CRISTIANA

cosi una sfumatura attiva, che non avevamo scoperto in esso quando lo abbiamo esaminato al livello della tradizione anteriore a Matteo, allorquando esso ser­ viva a opporre il desiderio del regno di Dio alla in­ quietudine nei confronti dei beni necessari alla vita. Non dobbiamo perciò meravigliarci che, nel suo stato attuale, Mt 6,H introduca un punto di vista attivo che non corrisponde esattamente alla prospettiva del suo contesto immediato 125• Matteo, aggiungendo >, già adoperato nella quarta beatitudine, e soprattutto con la promessa del « regno dei cieli >�, già fatta ai poveri in spirito nella pfima, l'ottava beatitudine si presenta come la finale di una serie. Essa anticipa la nona, ma nello stesso tempo la distacca dalla serie, in quanto •• M.-J. LAGRANGE, Evangi/e s1/on saint Matthieu, 8�. Cf vol. I, 363-368. ao Cf vol. I, � I 9-32 5 .

L'ESORDIO DEL DISCORSO DELLA MONTAGNA

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di forma molto diversa, sia per la sua ampiezza che per la sua formulazione alla seconda persona plurale. La nona non fa più parte della serie e la ottava ha preso il suo posto. La sua situazione potrebbe essere paragonata a quella della raccomandazione sull'amore fraterno di 6,14-I � : svolgimento della quinta domanda del Pater, ma senza far parte della preghiera insegnata dal Signore. Dobbiamo dunque fare di � , 1 I - u una terza strofa e sforzarci di allinearla bene o male alle due strofe formate dai vv 3-6 e 7- Io? 31 È chiaro che lo stile di questi due versetti non si presta a un simile trattamento, che trascura del resto la funzione letteraria attribuita al v I o. Nella economia del discorso matteano, i vv n-1 2. appaiono come un brano di transizione 311• 31 Cf per esempio M. JoussE, /. c. •• Il ruolo di transizione assegnato ai vv I I - 1 1 nella com­ posizione rnatteana viene pqsto in rilievo da C. H. DODD, The Beatitudes, in Mélanges Bibliques rMigés en l'honMur de A. Robert (Travaux de l'Institut Catholique de Paris, 4), Parigi, I9H, 404-4I 0 (40 5 ) ; E. NEUHAUSLER, Anspruch U1ld Ani11Jorl Gottes, I 43 ; W. D. DAVIES, The Setling of lhe Sermon on the Mount: Cambridge, I 964, 290 ; W. GauNDMANN, Das Evange/ium nach Mallhiius, I 3 3 ; W. TR1LLING, Christusverldindigung in den synopli­ schen Evange/ien, Beispie/e galtungsgemiisser Aus/egung, Lipsia, I 968, 82s. L'annonce du Ch.risl dans /es évangi/es synoptiques (LD 69), Parigi, 1 97 1 , 79s. ; N.- WALTER, Die Bearbeilung der Se/igprei­ lllngen durch Matthiius, 2 5 3 ; G. STRECKER, Die Mai:JJrismen der Bergpredigl, 2 56 = Les macarismes du discours .rur la montagne, 187. C'è stato anche chi ha pensato di poter ripartire Mt 5 , 1 1 1 6 in tre strofe ( n - 1 2 . 1 3 .14-I 6) : J. W . BowAN-R. W. TAPP, The Gos;elfrom the Mount, 44-54. E. LoHMEYER cerca una nuova triade tn 5 , I 3-16, aggiunta alle tre triadi delle beatitudini : Das Evange/ium des Matthiius, 97· Più spesso si sottolinea che i vv 1 3-16 si situano nel prolungamento immediato dei vv 1 1 1 2 : così G. BARTH, Das Gesetzesverstiindnis des Evange/isten Mal­ lhiius, 95, n. 1 ; R. ScHNACKENBURG, « /br seid das Salz der Erde, das Lùhl der We!t ». Zu Mt J,IJ-16, in Mélanges Cardinal E. Tisseranl, I, Roma, 1 964, 365-3 87, o in (J. B . BAUER), Evange­ /ienforschung, Graz, I 968, I 1 9-I46, o ancora in R. ScHNACKEN­ B URG, Schriften zum Neuen Teslament. Exegese in Forlschrill unJ =

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LE

BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

Si tratta di una beatitudine che come tale prolunga la serie precedente, ma che nel medesimo tempo apo­ strofa in maniera diretta i cristiani, Motx.&pto( Ècrn, con una formula che, in quanto tale, fa corpo con i versetti seguenti : 'i(.Ldc; �crn . . . , 'l(J.Ei:c; Ècrn... (vv 1 3 . 14). Beatitudine in soprannumero, essa forma così il primo membro della seconda parte dell'esordio del discorso della montagna : i discepoli, dopo essere stati messi al corrente delle persecuzioni che dovranno sof­ frire da parte degli uomini, vengono avvertiti che do­ vranno svolgere nei riguardi di costoro un ruolo pa­ ragonabile a quello del sale (v 1 3) e a quello della luce (vv 1 4-16). ·

Possiamo concludere osservando anzitutto che la considerazione del modo in cui si è formata la serie delle beatitudini coincide con il risultato di un esame letterario : le otto prime beatitudini si dividono natu­ ralmente in due gruppi di quattro ; la menzione della giustizia nella quarta e nella ottava contribuisce a questa divisione e acquista in tal modo un accento, che sembra essenziale per la questione di cui ci stiamo occupando, cioè per la determinazione del nuovo orien­ tamento conferito all'insieme della serie dalla redazione matteana. Non sbagliamo perciò strada, quando at­ tribuiamo molta importanza a questa nozione. Quel che abbiamo detto a proposito del ruolo as­ segnato alla nona beatitudine comporta un'altra conWande/, Monaco;"'' ,.,I, I77-200 (q7s.) ; O. H. STECK, !trae/ unti das gewa/lasame Geschi&k der Propheten. Untersuchungen '(_Ur Ueber­ lieferung des deuteronomischen Geschi&htsbildes im Alten Testament, Spii.tjudentum und Urchristentum (W MANT 23), Neukirchen­ Vluyn, I967, 3 I � , n. 6 ; H.-TH. WREGE, Die Ueberlieferungs­ geschi&hle der Bergpredigl (WUNT 9), Tubinga, I 968, 27 e 34· Qualcuno parla anche dei v v I 3- I 6 come di una transizione tra le beatitudini e la se2ione delle antitesi ; così J. B. Souc EK, Zur Exegese von Mal/h. J,I j-I6, in Theologische Zeitschrift I9 (1963) I69-I 79·

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seguenza importante : lo studio delle beatitudini mat­ teane non può arrestarsi al v 1 2 a.1, ma deve proseguire fino al v 1 6. Nel pensiero dell'evangelista l'esordio del discorso della montagna forma un sol tutto e la nona beatitudine, fungendo da transizione tra le bea­ titudini precedenti e le dichiarazioni : « Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo ... », ha precisamente lo scopo di assicurare tale unità. Possiamo arrestarci qui ? Non basta osservare che la pericope delle beatitudini trova il suo prolungamento immediato nei vv 1 3- 16. Dal momento che essa co­ stituisce l'introduzione del discorso della montagna, non possiamo evitare di chiederci quale sia il suo rap­ porto con l'insieme del discorso. Abbiamo affrontato questa questione sotto un punto di vista preciso, in­ teressandoci della nozione matteana di giustizia, cosa che ci ha fatto andare al di là dei limiti del discorso. Non sarà inutile aggiungere qualche osservazione com­ plementare. Cominceremo di là, per poi ritornare ai vv 1 3-16 del capitolo � · 2.

Le

beatitudini e l'insieme del discorso.

Talvolta si è cercato nelle beatitudini un conden­ sato del seguito de) discorso ; ogni beatitudine rappre­ senterebbe uno dei punti trattati successivamente. In tal modo F. Grawert ha creduto di scoprire una cor­ rispondenza tra Mt 5 , 1 0 e � ,u - 1 6 ; tra �,9 e 5 , 1 7-z6; tra � ,8 e � ,z j- 3 7 ; tra � ,7 e 5 , � 8-48 ; tra 5 ,6 e 6,1-34; •• Noi non sottoscriveremmo le affermazioni di R. KIEPPER a proposito dello studio dellè beatitudini: « Può dunque es­ sere metodologicamente legittimo far in parte astrazione dal quadro e prendere in considerazione solo i vv 3 - I Z >> : Essai de méthoJologie fllotestamentaire (Coniectanea Biblica, NT Series, 4), Lund, 1 972, 27.

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

tra � . � e 7,1-2 ; tra � .4 e 7,3-� (6) ; tra � .3 e 7,7- 1 1 34• Non abbiamo intenzione di soffermarci su giochi del genere 35• Il rapporto tra le beatitudi� e il �esto �el _ una maruera pm . amp1a. discorso va prospettato m Noteremo anzitutto la differenza di tono e poi cer­ cheremo di caratterizzare una continuità profonda. r. Un çontrasto. Le beatitudini enumerano varie categorie di individui e dichiarano ogni volta a loro riguardo : sono beati. Non dicono che « saranno )) beati, al futuro, ma che lo sono. Le beatitudini pren­ dono atto della loro felicità e la proclamano 36• Non si tratta di desideri o di promesse; le dichiarazioni non sono accompagnate da alcuna clausola condizionale.

•• F. GRAWERT, Dit B,-gpredigt naçh Mollhiiu.r ouf ihrt iJu.r.rtrt und innert Einheil ... unler.ruçht, Marburgo, 1 900, 66ss. Su questa ipotesi, cf TH. SoiR.ON, Die Btrgpredigt Jesu. Form­ geubiçbt/içbe, txtgttiuhe und thtologiubt Erlt:liirung, Friburgo, 1 94 1 , 1 oo. Ivi si trovano anche indicazioni sulla spiegazione più complicata proposta da A. ScHENZ, Dit B,-gpredigt in ihrer urspriing/içhm Schiinhtit, Augusta 1 9:1.9, 9�ss. Secondo questo autore Mt � . 3 corrisponde a � , 1 1 e a 6, 1 9-z.I ; Mt 5 ,4 (i miti) a � , 1 3 ; .Mt � . 5 a � . 1 4-16 e a 6,z .z- z. 3 ; Mt � . 6 a � ,38-4 :1. ; Mt � .7 a f,ZI-z6 e a 7,1-� ; Mt �.8 a f , Z.7-37 e a 7,6-1 1 ; Mt � . 9 a � .384 :1. ; Mt � , 1 0 a � .43-47 e a 7, 1:1. . •• Né di soffermarci su ipotesi del tipo di quella avanzata da A. FARRER, St. Motthtw ond St. Mori: (The E. Cadbury Lectures 1 9 5 3- � 4), Westminster, 1954, qo, che stabilisce un parallelo tra le beatitudini e le domande del Poter. •• Tale sembra essere il senso fondamentale del macarismo in Israele: cf vol. I, Iop-1036. Nel medesimo senso cf E. L1PINSKI, MoçoriUfl'* ti p.roumt.r de çongrotulotion, RB 7� (1 968) 3Z I-367 : a differenza della benedizione, la beatitudine è « una forma di felicitazione e suppone perciò la constatazione di una felicità già realizzata o, perlomeno, in via di realizzazione » (p. p 1 ) ; W. KAESER, Beobochlungen '{U111 oltte.rtomentlichen Mo­ kori.rmu.r, ZA W 8z. (1970) 2 2 � - 2 � 0 ; H. CAZELLES, 'Ashrly, Thtol. Wiirt,-b. zum A T I ( 1 971) 48 I -48 � . In disaccordo con R. KIEPPER, Vish81 och viil.rignel.re .rom grundmotiv i .roligpri.rningorna hos Motttu.r och Lul:as, in Sven.rk Extgetisk Aor.rbok 34 ( 1969) 1 07- 1 2 I .

L'ESORDIO DEL DISCORSO DELLA MONTAGNA

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Abbiamo a che fare con una formula di felicitazione, che si congratula con persone attualmente felici 37• I vv I 3-I6 continuano sul medesimo tono. Certo, l'orientamento parenetico vi è più spiccato, e quel che il v I 3 dice del sale che ha perso il suo sapore, suona come una minaccia. Ma il tono viene dato dalle due affermazioni iniziali : « Voi siete il sale della terra ... Voi siete la luce del mondo ». Il tono cambia a partire dal v I 7. Se è vero che vi sono ancora delle dichiarazioni positive nel discorso, bisogna però riconoscere che la nota dell'avvertimento o della diffida vi domina in larga misura. L'uso delle espressioni negative è caratteristico a questo riguardo. Dopo l'introduzione di 5 , I 7 : « Non crediate che.. . », il v zo indica il tema del lungo sv0lgimento delle an­ titesi : « Se la vostra giustizia non è più abbondante di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli ». Le cinque prime antitesi dicono quel che non bisogna fare ; la sesta è più positiva. Il secondo grande svolgimento si presenta ancora come un avvertimento : (( Guardatevi dal fare la vostra giustizia davanti agli uomini... altrimenti non avrete ricompensa... )) (6, I ) ; il triplice insegnamento sulla elemosina, sulla preghiera e sul digiuno rimane su questa linea (6,z-I 8). Lo svol­ gimento seguente comincia con la raccomandazione negativa : (( Non accumulate tesori sulla terra... )) (6,I9), continua con la spiegazione : (( Nessuno può servire a due padroni... )) (6, z4) ed è caratterizzato dalla ripe­ tizione insistente : (( Non inquietatevi... )) (vv z 5 , 3 I, 34). Il capitolo 7 riprende : (( Non giudicate .. . )) (v I ) e pro­ segue : (( Non date ai cani ... )) (v 6), (( Non chiunque mi dice Signore, Signore !... )) (v z i ) . Nella parabola finale (7,14-17) tutto l'accento viene posto sulla se17 Nella nona, i perseguitati saranno beati nel momento stesso in cui dovranno subire dei maltrattamenti, senza atten­ dere il momento della ricompensa.

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conda parte 38, sulla catastrofe che minaccia quanti non mettono in pratica l'insegnamento dato da Gesù. Non pretendiamo dire che il discorso della mon­ tagna sia solo una serie di avvertimenti e di minacce ; è chiaro ch'esso contiene delle raccomandazioni po­ sitive e, soprattutto, che il suo scopo è essenzialmente positivo. Tuttavia non è meno vero che il suo tono è principalmente negativo. Il carattere nettamente affer­ mativo dell'esordio acquista cosl maggior rilievo. L'accento rimane quello della gioiosa proclamazione della buona novella. 2. Una continuità. La felicità che le beatitudini attribuiscono ai poveri in spirito, ai miti e ai loro com­ pagni è di un tipo un po' particolare. Da una parte è legata a una promessa, la cui realizzazione deve an­ cora verificarsi ; essa può coesistere con la sofferenza, come risulta evidente nel caso dei perseguitati. Si tratta di una felicità delia speranza, che anticipa quella che verrà accordata al momento dell'avvento del regno di Dio. Se questi individui sono beati fin d'ora, lo sono a motivo della gioiosa sicurezza che hanno di veder . realizzata una speranza certa. Le promesse che accompagnano ciascuna delle beatitudini si collocano in una prospettiva nettamente escatologica. Ma questa felicità non è solo sostenuta dalla spe­ ranza in un avvenimento fururo. Essa è inseparabile dalla realtà vissuta, dalle disposizioni spirituali e dagli atteggiamenti concreti, a CU1 sono legate le promesse.

- .J! 18 Questa parabola fornisce un buon caso di applicazione di quella che è stata chiamata « la legge dell' Ach/ergewichl », in virtù della quale l'elemento più importante di un racconto pa­ rabolico arriva solo alla fine. Cf per esempio M. DIBELIUS, Die Formgeschich/e des Evangeliums, 4 ed., Tubinga, 1961, 2 � 1 , n. 2 ; R . BuLTMANN, Die Geschùhte der synoptùchen Tradition (FRLANT 29), 4 ed., Gottinga, 1971, 207 ; E. LINNEMANN, Gleichniue ]esu. Einfiihrung und Auslegung, Gottinga, 1 96 1 , 24.

L'ESORDIO DEL DISCORSO DELLA MONTAGNA

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uomini qui felicitati sono beati perché adempiono le condizioni necessarie per aver parte alla promessa. La formula può certamente essere incondizionata, ma il modo in cui il primo membro di ogni beatitu­ dine descrive il beneficiario della promessa tende manifestamente a presentare il tratto che lo caratte­ rizza come una condizione da adempiere per garantirsi il beneficio. Ciò è tanto chiaro che le beatitudini, sotto la loro forma puramente dichiarativa, implicano un appello a mettersi nelle disposizioni richieste per ri­ cevere la promessa e sono capaci di autorizzare la gioiosa speranza di vederla realizzata. Non è difficile rendersi conto che le due compo­ nenti 39 della felicità, di cui parlano le beatitudini, si ritrovano lungo tutto il discorso della montagna. Anzi­ tutto il discorso si pone, da un capo all'altro, nella Gli

11 Dobbiamo perlomeno ricordare una terza componente : l'avvento della salvezza costituito dalla missione di Gesù, la situazione nuova che questa missione crea nella storia della salvezza. Al livello della predicazione di Gesù, questa consi­ derazione sta in primissimo piano : la ragione immediata e decisiva, in forza della quale i poveri sono beati, sta nella pre­ senza dell'Inviato di Dio, che inaugura gli ultimi tempi. Questa prospettiva non scompare completamente in Matteo, in cui il discorso della montagna si presenta come una espressione del (( vangelo del regno >> (4, 23), come la promulgazione della legge messianica per gli ultimi tempi. Questa legge non può essere compresa indipendentemente dalla persona di colui che la formula. Ogni beatitudine va pertanto intesa non come l'e­ spressione di un ideale religioso astratto, ma in riferimento alla persona di Gesù, in cui la volontà di Dio si manifesta pie­ namente. Ciò risulta particolarmente sorprendente nel caso della beatitudine dei poveri in spirito e di quella dei miti : esse tro­ vano la loro eco nella dichiarazione che Gesù fa su se stesso in Mt I I ,29 ; cf anche la citazione di Zc 9,9 in Mt 2 1 , � e quella di Is 42,1-4 in Mt I 2, I 8-2I. Bisogna tuttavia ,convenire che questo aspetto del messaggio, assai chiaro al livello della for­ mulazione primitiva delle beatitudini, è molto più difficile da scoprire nella redazione matteana di queste ultime e del discorso della montagna. Per il momento non ci sembra necessario at­ tardarci su questo punto.

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prospettiva dell'avvenimento escatologico. Tale è il punto di vista di � ,zo, che formula condizione da sod­ disfare per « entrare nel regno dei cieli ». Le due prime antitesi la riprendono sotto la forma di una minaccia, che evoca il giudizio di Dio e la condanna della ge­ henna ( � ,Z I -30). Essa ritorna nella istruzione sulle buone opere : queste non saranno ricompensate, se non saranno state fatte per piacere a Dio (6,1 - 1 8) ; negli avvertimenti contro la preoccupazione per le cose della terra : bisogna accumulare tesori in cielo (6,zo) e cercare prima di tutto il regno e la giustizia di Dio (6,33); nell'invito : « Non giudicate per non esser giudicati » (7,1), « Entrate per la porta stretta... » (7, I 3 ). Infine, è ancora il giudizio che viene evocato dalla parabola finale delle due case (7,24-27). La scadenza escatologica non viene descritta per se stessa. Quella interessa solo nella misura in cui qua­ lifica il momento presente e in cui dona un senso alla esistenza terrena. La vita sarà una riuscita o un insuc­ cesso, a seconda del giudizio che Dio ne darà. La condotta del discepolo di Gesù deve quindi essere completamente determinata dal pensiero di tale giu­ dizio, -che ammetterà gli uni nella felicità del regno e rigetterà gli altri nei tormenti della gehenna. Nessuna preoccupazione dovrebbe prendere il sopravvento su quella di adempiere le condizioni, a cui è subordinata l'entrata nel regno. Le beatitudini pongono naturalmente l'accento sulla promessa fatta a certe categorie di uomini, in ragione della qutde essi meritano di essere felicitati e chiamati beati. Ma tale presentazione implica un invito a realizzare le condizioni a cui la promessa è legata. Il seguito del discorso invita a riconoscere tutto il suo peso a tale implicazione e alla portata parenetica che essa conferisce alle beatitudini. Queste non si limitano a proclamare la beatitudine dei poveri e degli altri, ma vogliono esortare i cristiani a mettersi nelle stesse

L'ESORDIO DEL DISCORSO DELLA MONTAGNA

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disposizioni che permetteranno loro di aver parte al regno. Tale esortazione, implicita nelle beatitudini, di­ venta esplicita nei vv I 3-I6, che l'evangelista ha loro unito. J·

Ii sale deiia te"a e la luce dei mondo.

L'esame dell'ordinamento delle beatitudini ci ha portato a riscontrare che la serie delle otto prime bea­ titudini non è soltanto seguita da un'ultima beatitu­ dine più lunga delle altre, ma da tutto un gruppo di sentenze, in cui Gesù interpella direttamente i suoi discepoli. I vv I 3-I6, strettamente associati alle bea­ titudini e destinati senza dubbio a garantire una mi­ glior transizione verso il seguito del discorso, non possono !asciarci iildifferenti. Anche se qui non dob­ biamo studiarli sotto tutti gli aspetti, dobbiamo tut­ tavia fare alcune osservazioni in proposito, che ci saranno utili per l'interpretazione delle beatitudini, specialmente di quelle che menzionano la « giustizia )). Ci occuperemo in primo luogo di questi versetti in se stessi, poi ci domanderemo quale sia il loro rap­ porto con il contesto in cui sono stati inseriti. r. I vv IJ-I 6 te�timoniano anzitutto un notevole lavoro reda2:ionale da parte dell'evangelista, come ab­ biamo osservato nel primo volume di quest'opera 40• Gii studi che sono stati frattanto pubblicati confermano le conclusioni che avevamo tratto allora. Ricordia­ mole brevemente : esse riguardavano principalmente la provenienza di questi versetti : noi pensiamo ch'essi non si trovassero nella fonte che ha fornito a Matteo e a Luca le beatitudini e il seguito del discorso ; i materiali tradizionali, in base ai quali è stato composto

'° Cf vol. I, 1 24-1 38.

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questo passo, sono stati tratti da altri contesti ed è stato Matteo a collocare tali sentenze in questo punto 41• Nel medesimo tempo abbiamo notato che l'inse­ rimento di questi materiali nel discorso della montagna ha richiesto qualche adattamento. Il logion sul sale ( 5 , 1 3), che si ritrova sotto altre forme in Mc 9, 5 0 e in Le 14,34-3 5 , è stato qui introdotto per mezzo della formula : « Voi siete il sale della terra », che costituisce un raccordo redazionale 42• Matteo non solo ha asso­ ciato il paragone della città situata su un monte (5, 14b) al logion della lucerna (5 . 1 5 ), che ritorna in Mc 4,z r ; Le 8,16 e I I , H , ma ha composto anche il rac­ cordo : « Voi siete la luce del mondo » ( 5 ,14a) sullo Stesso modello di 5 , 1 3a 43• Infine la conclusione pareu Tale è anche l'opinione della totalità degli esegeti. Limi­ tiamoci a citare un autore che sembra non conosca la nostra opera : G. ScHNEIDER, Botschaft der Bergpredigt (Der Christ in der Welt, VI, Sa), Aschaffenburg 1 969, 39-42 ; Das Bildwort 11011 der Lampe. ZIIT' Tradilionsguchichte eines jesus- Wortes, ZNW 61 (1970) 1 8 3 -209 (1 99-202). Questa opinione è stata contestata da H.-TH. WREGE, Die Ueberlieferungsgeuhichte der Bergpredigt 27-34 : secondo questo autore il raggruppamento delle sentenze risalirebbe a una 11 catechesi della comunità >> . Abbiamo espresso altrove le nostre riserve sul metodo seguito da WaEGE, per quanto concerne sia la critica delle fonti, sia la determinazione dei tratti che caratterizzano la redazione : Rivista di Sloria e Letterali/T'a Religiosa 4 (1968) 5 5 8-560. •• Oltre agli autori citati nel VQl, I, 1 3 5 , n. 77, cf G. BARTH, Das Gesetzesverstiindnis des Evangelisten Matthiius, 9 5 , n. 1 ; R. ScHNACKENBURG, in Schriften zum NT, 177 ; o. H. STECK, lsraBI und das gewaltsame Geschicle der Propheten, 3 1 5 , n. 6 ; G. ScHNEIDER, B�dJiljt, 3 9 ; Das Bildwort von der Lampe, 201 ; W. G. THOMPSON, Matthew's Advice lo a Divided Community. Mt I7,22-18,JJ (AB 44), Roma, 1 970, 144 ; ScHuLz, 470. 4 8 Cosi gli autori citati nel vol. I, 1 26, n. 6 1 , e quelli che abbiamo menzionato nella nota precedente. - Segnaliamo a titolo di informazione lo studio di G. ScHWARZ, Matthiius v. 1 Ja und I 4a. Emendation und Riicleiibersetzung, NTS 1 7 ( 1970-71 ). L'autore, facendo leva su ragioni piuttosto sconcertanti (se­ gnatamente yij tradotto con 11 Land >> ( = paese) invece che con 11 Erde >> ( terra), parte dall'idea che le due affermazioni =

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L'ESORDIO DEL DISCORSO DELLA MONTAGNA

netica tratta nel v x 6 non permette di risalire oltre la redazione di Matteo, di cui porta l'impronta caratte­ ristica 44• non hanno senso : « irrelevant und also inakzeptabel » ( irti­ levanti e quindi inaccettabili). Dal momento che sono assai simili, egli propone di unirle in una unica sentenza, fatta di due membri paralleli. Questa sentenza viene tradotta in aramaico c subisce una prima correzione : il « sale >> (milh'a) diventa una « lucerna » (nir'a) a maggior profitto del parallelismo. Per pas­ sare alla tappa successiva c'è bisogno di un altro testo, Is 42., 6b : > ; questo testo, sottoposto al medesimo trattamento, diventa : > L'ar­ ticolo di W. Grundmann, meno indifferente nei riguardi dei testi, viene giudicato « piuttosto insoddisfacente >> da W. C. VAN UNNIK, The Teaching of Good Works in I Peter, NTS 1 (19�4-5 s), 92- 1 1 0 (94). Occorre rifarsi a studi particolari (so­ prattutto sulla 1 Pt) e a una buona classificazione dei dati nel Lexicon di W. BAUER-W. F. ARNDT-F. W. GINGRICH, 3 0 7 s . , c in J. A. KLEIST, « Ergon » in tht Gospels, CBQ 6 (1 964) 61-68.

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

largo dell'espressione e caratterizzano una condotta interamente conforme alla volontà divina espressa nella legge e nei profeti. La prospettiva in cui Mt 5 , 1 6 considera le « opere buone » come una testimonianza resa al vangelo, ca­ ratterizza tutta una corrente della catechesi del cri­ stianesimo primitivo. È presente in Fil z, 14-1 5 59 : « Fate tutto . senza mormorare e senza contestazioni, per mostrarvi irreprensibili e puri, figli di Dio senza macchia in mezzo a una generazione ribelle e per­ versa 60, fra cui voi risplendete come fari di luce nel mondo ». Viene sviluppata con insistenza nella Prima Petri, dove dobbiamo ricordare soprattutto z, I Z : « Mantenete in mezzo ai pagani una buona condotta (-ri)v tivotaTpotpljv OfL&v... �x.ovTe:ç xotÀ�v), affinché, pur mentre vi calunniano come se foste dei malfattori, la vista delle vostre opere buone (Èx Tiilv xiXÀiilv �pywv) li induca a glorificare Dio nel giorno della visita » 61• La ritroviamo anche nelle Pastorali : >. Cf anche 3,16- q ; 4, 1 , : « Che nes­ suno di voi abbia a soffrire come omicida, ladro, malfattore o come delatore >>. La parentela di 2, u con Mt ' , 16 viene sotto­ lineata da K. H. SCHELKLE, Di1 Pelrusbriefe. Der Judasbrief (HTKNT XIII/2), Friburgo i. Br., 196 I , 7 1 . Ma secondo que­ sto autore tale parentela va di pari passo con un contrasto : « Tuttavia qui Gesù pensa a quelle opere dell'amore, che il

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sorta i giovani ad essere moderati : mostra te stesso in tutto e- per tutto come modello di opere buone (x«Àwv lpywv) : integrità nella dottrina, rugnità, pa­ rola sana, irreprensibile, affinché l'avversario, non po­ tendo dir niente di male contro di noi, venga coperto di confusione » (Tit z,6- 8) 62. Per quanto riguarda lo stesso Matteo, abbiamo già avuto occasione 63 di parlare del raccordo redazio­ nale di z�, 5 a, che dice degli scribi e dei farisei : « Fanno tutte le loro azioni (ntiv-r« 8è -rà: �py« «Ù-rwv) per essere veduti dagli uomini » ; ivi abbiamo riconosciuto una eco di 6, I : « Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere veduti da loro ». Gli esegeti hanno spesso accostato questo av­ vertimento alla raccomandazione di 5 , I 6 : « Cosl ri­ splenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone . . . » e ne hanno sotto­ lineato il contrasto 64• Ma bisognerebbe anche sotto­ lineare l'uso del medesimo linguaggio a proposito di due aspetti che può assumere una medesima situagiudaismo conosceva e praticava come opere di misericordia. Il concetto perciò è molto più ristretto che in 1 Pt 2 , 1 2 )). Tale opposizione suppone acquisita l'interpretazione che W. Grundmann dà di Mt j , I 6 e che a noi sembra contestabile. Il testo di Pietro fornisce precisamente un motivo per pensare che il punto di vista di _çiesù non è così ristretto come si pre­ tende sia. Per l'interpretazione di 1 Pt z, 1 2, cf ancora W. C. VAN UNNIK, a. &., 103-106 ; W. BRANDT, Waru/41 als Zeugni.r IIIJ&h dem I. Pllrwbrùf, in VtrbNm Dei manel in aeternum. Fest­ stbrift fiir O. Sthmilz, Witten, 1 9l( • I0-2 j ; J. H. ELLIOT, The Elul and lhe Holy. An Exegetùa Examinalion of I Peltr 2 l �-IO and lhe Pbrase �IXOIÀE�ov lE:ptinUfLIX (SNT XII), Leida, 1 966, 179· 1 8 3 . 11 Cf Tit 3, 8-9, dove il significato ampio dell'espressione è ugualmente manifesto, ma dove la testimonianza nei confronti di quelli di fuori non compare, così come non compare negli altri passi delle Pastorali che trattano delle > o (( �ioni » di cui parla z 3, ' 85 non possono essere qualificate come (( buone » nel momento stesso in cui vengono dichiarate radical­ mente viziate. Non c'è però dubbio che il termine si riferisce alle opere di giustizia, di cui 6, I -I 8 propone tre esempi : l'elemosina, la preghiera e il digiuno. In 5 , I 6 l'espressione (( le opere buone » non può avere un senso diverso e la testimonianza di z 3 , 5 invita a pensare che l'evangelista avrebbe potuto benissimo scrivere in 6, I : (( Guardatevi dal fare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere visti da loro », e in 5 , I 6 : (( Cosi risplenda fa vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano la vostra giustizia... ». Il senso dell'espressione (( opere buone » può es­ sere chiarito anche con l'aiuto della immagine fami­ liare dei >, senza le quali i discepoli di Gesù non meri­ terebbero più il loro nome. I vv I 3- I 6, mentre annunciano e pr�parano il seguito, rimangono legati alle beatitudini. E precisa­ mente questo Ioro duplice rapporto con quanto pre­ cede e con quanto -segue, che permette di parlare di essi come di una transizione. Forse il loro legame con

il

11 Così, a proposito di I Pt z, I Z, D . DAUBE, jewùh Mù­ sionary Maxims in Pau/, StTh I (I 947) q 8-I69 (r6o) ; cf anche E. LoHSE, Pariinue unti Kerygma im r. Pttrusbriej, ZNW 4� ( 1 9 � 4) 68-79 (73 ) ; E. G. SELWYN, The First Epùtle of SI. Peter, 2 ed., Londra, I 947 ( 1949), qo. In Mt � , 1 3-16 si sottolinea anche l'universalismo di Matteo ; W. TRILLING, Das wahre lsrael. Studien zur Theologie des Matthiius-Evangeliums, 3 ed. (SANT X), Monaco, I 964, I4I ; G. ScHNEIDER, Das Bildworl vnn der Lampe, zoz. =

51 0

LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

i vv 3 - I z. non risulta subito a prima vista, eppure esso interessa direttamente il nostro studio e richiede perciò tutta la nostra attenzione. Cominciamo con i vv I I - I z.. Studiando l'ordina­ mento delle beatitudini abbiamo osservato che la nona si stacca daUa serie delle prime otto, dove è sostituita da una beatitudine del medesimo tipo delle altre, cioè da quella dei perseguitati a causa della giu­ stizia ; contemporaneamente abbiamo osservato che l'ultima, in soprannumero in rapporto alle beatitudini antecedenti, si riallaccia in maniera naturale alle sen­ tenze dei vv I 3 -I6, soprattutto per il fatto che tutto questo passo si rivolge direttamente ai discepoli, in seconda persona plurale. Tale unità di stile, che è at­ tribuibile al lavoro redazionale dell'evangelista, ri­ mane ancora assai superficiale e non permetterebbe di parlare di un pensiero unico e di considerare il v I 6 come la conclusione non solo dei vv I 3 - 1 5 , ma anche di I I - 1 2.. Ma c'è un altro indizio che ci porta in questa di­ rezione, cioè il ritocco che Matteo ha operato nel v I I, aggiungendovi il participio �tu86 (.Lt\IOL 68• Agli occhi di Matteo non basta che la gente dica ogni sorta di male contro i cristiani a causa di Cristo, perché questi siano beati. Bisogna che quei discorsi offensivi siano « falsi >>. Era precisamente ciò che il testo supponeva, ed è significativo che l'ev3Jlgelista abbia voluto espli­ citarlo, ricollegandosi così alla insistenza della cate­ chesi cristiana sulla pratica delle « opere buone ». Contro i cr�ti�ni vengono portate in campo accuse di ogni genere ; éssi, !ungi dal darvi appiglio, devono refutarle con una condotta irreprensibile. Ricordiamo semplicemente I Pt 2, I 2 : « Mantenete in mezzo ai pagani una buona condotta, affinché, pur mentre vi calunniano come se foste dei malfattori, la vista delle " Ritorneremo su questo punto nel § II.

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vostre opere buone li induca a glorificare Dio nel giorno della visita ». L'insistenza di Pietro o quella delle Pa­ storali permette di cogliere l'intenzione dello ljle:u­ Xr', fLe:vot matteano, che rivela nel medesimo tempo il legame profondo cosi stabilito tra il v I I e la racco­ mandazione del v I 6. È in un ambiente ostile, dove la loro condotta è fatta oggetto di calunnie, che i cri­ stiani devono svolgere il ruolo di « luce del mondo » per mezzo delle loro opere buone. E. Neuhausler non ha perciò torto di parlare del v I 6 come della parola finale riassuntiva �> di quanto viene detto ai discepoli nei vv I I - I � , ad un tempo sintesi e chiave dell'insegnamento che Matteo intende dare ai suoi lettori in questi cinque versetti 69• Sembra però che non possiamo arrestarci qui. La preoccupazione, cui risponde lo ljle:u86fLe:vot inserito nel v I I , non è diversa da quella che fa indirizzare l'ottava beatitudine non ai perseguitati in generale, ma più precisamente a coloro che sono perseguitati fve:xe:v 8txiXtOaU\Il)ç, « a causa della giustizia ��. Que­ sto complemento, chiarito dal ritocco del v I I , parla di una « giustizia » della vita, che trova la sua espres­ sione nella condotta dei perseguitati : una giustizia tradotta in atti o, come dice il v I 6, in opere buone. Se è esatto che. bisogna stabilire una relazione tra la menzione della giustizia nel v x o e l'invito a com­ piere le « opere buone » nel v x 6, non possiamo fare a meno di domandarci se non sia il caso di interpretare nella medesima prospettiva la « giustizia » di cui è questione nella quarta beatitudine, riguardante coloro che hanno « fame e sete della giustizia » (v 6). Il senso «

.. E. NEUHAUSLER, Anspru&h una Antwort Gottes, 1 43 : >.

70 Nel medesimo senso, ef A. J iiLICHER, Di1 Gkichnis­ rltkn fesu, Il, 2. ed., Tubinga, I 9 I O, 8 5 ; W. TRILLING, Christus­ lllrleiindigung, 8 3 = L' annonce du Christ, So. Nel suo articolo Zum traditionsgeschicht/ichen Problem der Se/igpreisungen Mt V J-12 (NT 4, '"i 9to, z.n-z.6o), G. Braumann rileva una serie di punti di contatto fra i tratti particolari della versione matteana delle beatitudini e i temi della Prima Petri; egli ritiene che Mat­ teo e Pietro dipendano da una medesima tradizione (battesi­ male), di cui Pietro rappresenterebbe uno stadio più antico. È strano che l'autore non abbia creduto di dover tener conto anche dei versetti che seguono immediatamente le beatitudini e che sono a queste legati quasi altrettanto strettamente quanto lo sono i 11a1 in Luca.

I PERSEGUITATI A CAUSA DELLA GIUSTIZIA

61 3

§ Il. I PERSEGUITATI A CAUSA DELLA GIUSTIZIA

Tre sono i tratti principali, che --caratterizzano la versione di Matteo in confronto a quella dell'ultima beatitudine di Luca. Anzitutto vi troviamo tre volte il verbo 8twxw, « perseguitare )), a qualificare l'a­ zione intrapresa contro i cristiani dai loro avversari ; poi osserviamo che Matteo non si contenta di parlare dei discorsi malevoli tenuti contro i cristiani, ma rende in maniera più intelligibile l'espressione di Le 6,z.z. e ci tiene a precisare che gli autori di queste accuse si comportano come « mentitori >>, ljle:u861J.e:vot (Mt l , I I) ; tale precisazione merita tanta più attenzione, in quanto non sembra estranea alla preoccupazione che spiega la presenza di una beatitudine particolare indirizzata a coloro che sono perseguitati « a causa della giustizia », �ve:xe:v 8txoctocruvlJç (v 1 0) . Prende­ remo successivamente in considerazione questi tre tratti. I.

La persecuzione.

I. Il senso del verbo non crea difficoltà 1. 8twxw, nelle sue accezioni più comuni, possiede le medesime risonanze dell'ebraico radaph. Questi verbi possono essere presi in senso buono o cattivo. In senso buono significano seguire_ qualcuno, seguirlo assiduamente, attaccarsi a lui ; se si tratta di una cosa, significano cercare di ottenerla, moltiplicare gli sforzi per im1 Cf A. 0EPKE, art. 3LwKW, TWNT II (193�) z3zs. ; C. BIBER, Persémter, in J . - J. VON ALLMEN, Vocabulaire Biblique, Neuchatel­ Parigi, 19�4. zz45. ; R. DEVILLE, Persécution, in X. LÉON-DUFOUR, Vocabulaire de Thlologie Biblique, z ed., Parigi, 1 970, 974-979 ; W. BEILNER, Verfolgung, BTW, 1 375-1 378 e i lessici usuali : W. GEsENms-F. BuHL per la Bibbia ebraica, W. BAuER per il NT. Cf anche : A. DESCAMPS, Les jus/es el la ]ustice dans /es lvangiles et le thrislianisme primilif hormis la doctrine propremenl paulinienne (Univ. Cath. Lov., Diss. Il/43), Lovanio-Gembloux, 19�0, q B.

51 4

LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

padronirsene. La nota ostile è frequente : si > o una glossa interpolata nel testo dell'evangelista. Questa congettura è priva di fondamento, come mostra D. R. A. HAR E o. ' · • 88-9z. Secondo questo autore la menzione delle flagellazioni nelle sinagoghe è stata aggiunta da Matteo (cf I o, 1 7) ; però gli sembra impossibile ammettere che Matteo abbia parlato anche di crocifissioni; tale precisazione costituirebbe dunque una glossa antica. Bell'esempio di un modo di procedere, volto a eliminare un dato che non quadra con la tesi prestabilita dall'esegeta. " H. ScHURMANN ha l'impressione che la presenza di 8u:ll> 32 non ci sono di aiuto, ma è chiaro che la « pseudotesti­ monianza », > (2 Cltm I �,I-�).

Le opere buoae sono il mezzo con cui i fedeli porteranno « quelli di fuori » a glorificare Dio (Mt Cf W. C. ·vAN UNNIK, a.t., 2.2.7s. Cf W. C. VANN UNNIK, a.t., 2.2.8 ; E. LOHSE, Die Brit/1 an die Kolosser und an Philemon (KEKNT IX /z, 1 4 ed.), Gottinga, I968, 2�7. Bisogna accostare Col 4,� a Ef � . I � . 11 Cf W . C. VAN UNNIK, a.>., 2.z8s. •• Questo testo viene studiato da W. C. VAN UNNIK, a. t., z2.I-zz7. In questo articolo si troveranno molti altri riferimenti. •• Is � z. � , citato anche in Rm z,z4. Cf H. W. BEYER, art. �À> qui in questione non sia realmente di­ stinta dal regno di Dio. I perseguitati a causa della giustizia, spiega Th. Soiron, « sono coloro che sof­ frono persecuzione a causa del regno di Dio, in quanto questo s'è già realizzato in essi ed è divenuto cosl giustizia » ; il senso sarebbe uguale a quello del v 6, dove non si tratta di una giustizia risultante da quel che uno fa, bensl della « giustizia che è puro dono della grazia divina, la cui venuta coincide cosl con quella del regno di Dio e che penetra nell'anima uni­ tamente a quest'ultimo » 51 • Secondo A. Lemonnyer S cHMI D, Dar Evangelium nach Matthii111 (RNT I ), 3 ed., Ra­ tisbona, I 95 6, 8 2 ; C. H. DoDD, The Beatitutles, in Mllanges Bibliques. . . A. Robert (Travaux de l'lnst. Cath. de Paris, 4}, Parigi, I 9 5 7. 404-4I 0 (409) ; G. STRECKER, Der Weg der Ge­ rechiiglreit, I 54; Die Malrarismen, 268 Les macarismes, 201 ; P. BoNNARD, L' Evangile selon saint Matthieu, 5 8 ; I. GOMA CIVIT, El Evangelio segtm San Maleo ( 1 - 1 3) (Comm al NT, III), Madrid, 1 966, 2 3 9 ; D. HrLL, Greelr Words and Hebre'IP Meanings. Stutlies in lhe Semantics of Soteriological Terms (Soc. NTS Monogr. Ser., 5), Cambridge, I 967, 1 28 ; D. :R. A . HARE, The Theme of jePish Perseculions in the Gospel according lo St Matth#pl, 1 3 1 ; W. TRIL­ LING, Christuverlriindigung in dm synoptischen Evangelitn, 72s. = L'annonce du Chrul dans /es évangihs synopliques, 69 ; P. HoFFMANN, « Selig sind die Armtn... », I 20; 0RTENSIO DA SPINETOLI, Ma/leo. Commento al « Vangelo del/a Chiesa », Assisi, I 97 I , 1 1 8, ecc. •• E. LOHMEYER, Das Evangelium t/es Matthiius (KEKNT Sonderband), Gottinga, I 9 5 6, 94: >. 5 1 TH. SorRON, Die Bergpredigt ]esu. Formgeschichtliche, exegetische unti theologische Erlrliirung, Friburgo in Br., I 94 I , =

,

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la giustizia a causa della quale certuni non temono di esporsi alla persecuzione è quella che può fiorire e portare i suoi frutti solo nel regno di Dio e del suo Cristo 92• A. M. Hunter l'identifica con il trionfo della causa di Dio, che è nel medesimo tempo quella del Messia 53• H. Gunther ritiene che soffrire « a causa della giustizia » equivalga a soffrire « a causa di Cri­ sto )) 54•

1 69s. L'autore ammette che il termine "giustizia" indica il « comportamento rettO )) in Mt 3 . 1 s ; s,zo; 6,1 e Z I ,3 Z, però ritiene che in s,6. I o e in 6,3 3 designi un puro dono di Dio, la giustizia giustificante. Si ponga questa interpretazione a con­ fronto con quella di H. N. RIDDERBOS, De slrelclting tl,. Bergretle naar Mattheiis, Kampen, I 9 36, 94 e I I6 ; De lcomsl 11an het Ko­ ninltrijJ:. ]esut' pretlilting 11olgens tle syMplisthen evangeliln, Kampen, I9SO, z46s. Anche per questo autore « giustizia )) e « regno )) rappresentano all'incirca la medesima cosa: il regno è giustizia c la giustizia manifesta il regno. Ma mentre Ridderbos definisce la giustizia in funzione delle esigenze divine nei confronti dei candidati al regno, Soiron oppone la giustizia del re$no a una giustizia che viene definita come una condotta retta. Ricordiamo anche J. Knabenbauer, per il quale la giustizia a causa della quale uno viene perseguitato è « summum illud bonum quod regno messiano nobis aHertur et in quo ratio quasi eius prae­ cipua continetur )) ; J . KNABENBAUER-A. MERK, Commentariru in Evangelium setundum Mallhaeum (Cursus Scripturae Sacrae, III/I /I), 3 ed., Parigi, 19zz, Z4S· 1 1 A. LBMONNYER, -LI Messianisme dts > 58• Questa formula ha avuto successo e la ritroviamo in G. Eichholz 58, D. R. A. Hare 60, G. Strecker 81• Quest'ultimo autore pensa anche di poterne dedurre che la persecuzione è pro­ vocata da una azione giusta particolare 6 2. Ecco dunque una considerazione strettamente fi­ lologica per definire il senso del termine « giustizia >>. Ma che valore ha? Già F. Blass aveva osservato che

67 B. WEISS, Das -Mattbiius-BIIt»>gelium, 96. Cf anche P. ScHANZ, Commentar, 169; A. H. M'NElLE, The Gospel ace. lo St. Mattbew, � 3 ; TH. ZAHN, Dos E11onge/ìum des Motthiius, 1 90. 11 A. ScHLATTER, Der Evongelist Motthiius, 140 : cc wegen eines Verhaltens, das Gerechtigkeit war». 11 G. EICHHOLZ, Auslegung tkr Bergpredigt (Bibl. Studien, 46), Neukirchen-VIuyn, 1 96�, p .. 10 D . R. A. HAR.E, Tbe Theme of Jewish Persemlions, 1 30. 1 1 G. STR.ECKI!R., Der Weg der GerechtigJ:eit, 1 54; Die Ma­ ltutrismm, z68 = Les mocarismes, zo 1 . 11 cc È significativo che la promessa della salvezza non venga fatta ai perseguitati a motivo dello giustizia, bensì a coloro che sono stati perseguitati a causa di uno giustizia. Di qui ne deriva che il motivo della persecuzione sta nel singolo atto giusto » ( Du Moltutrismm, z68).

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

l'uso greco, dove generalmente non si adopera l'arti­ colo davanti a un nome astratto; è l'opposto dell'uso tedesco che adopera l'articolo in questo caso ; ciò che costituisce allora un problema in greco non è l'assenza dell'articolo, bensi la sua presenza 83• A. T. Robertson osserva che su questo punto l'uso inglese si oppone a quello tedesco : in inglese è la presenza dell'articolo con nomi astratti e non la sua assenza che necessita di una spiegazione 64• L'inglese concorderebbe per­ tanto con il greco nell'omettere l'articolo davanti ai nomi astratti, mentre in tedesco (cosi come in fran­ cese) tale articolo è di rigore. Il termine astratto 3L­ xouoaUVYJ viene normalmente adoperato senza arti­ colo 85• Se in 5 ,6.2.o ; 6,1 . 3 3 è accompagnato dall'arti­ colo, lo è per ragioni puramente stilistiche e senza che ciò abbia niente a che vedere con il senso del termine 66• " F. 8LAss-A. DEBRUNNER, Grammalil: dn neululammllichen Griethirth, 1 2 ed., Gottinga, 1 96 5 , § 2 5 8 . " A . T. RoBERTSON, A Gramrnar of the Greelc New Tlsta­ mmt, 7 ' 8 e 794· •• a anche B. BoTTE, GrtZ11111a1 ire gruque 011 NT, 2 7 ; M. ZERWICK, Graecitas bib/iça exemplis illllltralllf', §§ 1 27 e 1 3 1 -1 H· Si · tenga anche conto ddle osservazioni di C. F. D. MouLE, A11 /Jiom Boolc of New Tutamenl Greelc, Cambridge, 1 9 5 3 , 1 1 1 - 1 I4, e di J . W. ROBERTS, Exegetùal Helpr: The Grtelc Noun with and •ithout the Artide, in Rutoration Qll4rter/y I 4 ( 1 97 I ) 28-44. L'articolo greco è una aiuola delicata, dove non bisogna

avventurarsi con zampe da elefante. Notiamo che Luca adopera sempre a,KrL,OaUVl) senza articolo : Le 1 ,7 5 ; At 10,3 5 ; I 3 , 1 o ; 1 7,3 1 ; 24, 2 5 . Le epistole paoline l'adoperano 34 volte senza articolo e 22 volte con l'articolo ; non è possibile basarsi su questa particolirità per distinguere due significati diversi del termine. Nella Lettera agli Ebrei, nelle epistole cattoliche e nella Apocalisse : I 5 volte senza articolo, 5 volte con l'articolo. •• In M t 5 ,6 il soggetto del verbo possiede l'articolo ; era perciò narurale munire di articolo anche il complemento diretto. In Mt 5,20 e 6,1 la giustizia dei discepoli è opposta a quella degli scribi e dei farisei; la giustizia particolare, che viene di­ stinta da un altro tipo di giustizia, deve evidentemente avere l'articolo determinativo. In 6,3 3 (( il regno » ha l'articolo e, di conseguenza, bisognava apporlo anche al termine (( giustizia ».

l

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Queste ragioni non entrano in gioco in 5 , 1 0 t7 e bisogna perciò concluderne che l'evangelista si è attenuto alla regola generale, cosi come in 3, 1 1 e u,32. La difficoltà incontrata da certi esegeti proviene 1emplicemente dal fatto che essi non si rendono conto che le regole della lingua greca non sono quelle della loro propria lingua. La seconda questione posta dalla nostra espres­ sione è quella del senso esatto della preposizione lvex.ev. Gli esegeti non sembrano avervi riscontrato grandi difficoltà fino allo studio recente di D. R. A. Hare 68• Questo autore pensa di poter attribuire alla preposizione un senso descrittivo e intende ivex.ev a txiXt011Ò Vl'jç come una precisazione destinata a iden­ tificare i perseguitati : beati i perseguitati, quelli che sono giusti. In concreto : beati quelli che sono perse­ guitati nella loro qualità di cristiani. Questo senso descrittivo gli sembra preferibile ai tre significati cau­ sali, che si potrebbero attribuire alla preposizione : la beatitudine concerne degli uomini che sono persegui­ tati o perché sono giusti, a o motivo del loro attac­ camento a Gesù, oppure ancora a motivo della loro fedeltà alla legge interpretata alla maniera cristiana. In una precisazione supplementare 8•, che mal s'ac­ corda con le spiegazioni precedenti, l'autore suppone che l'espressione abbia un carattere causale nel senso che indicherebbe il motivo per cui i cristiani si trovano coinvolti in una persecuzione, ma non il motivo di coloro che li perseguitano. ·

Queste spiegazioni non risultano valide a un esame serio. Quel che esse dicono a proposito di un senso 17 Il codex C introduce l'articolo. 11 D. R. A. HAKE, Th1 Them1 of jewish Ptrs1r111ions, 1 3o- 1 3 z. 11 P. 1 33 , n. 3 : quando l'espressione causale viene adoperata con un verbo passivo, indica la motivazione dei cristiani, non quella dei loro persecutori.

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descrittivo di fvEXe:v, è privo di ogni fondamento 70• Il senso della preposizione nel v I o non può essere diverso da quello che essa ha nel v 1 x , « per cagion mia » ; nel medesimo tempo dobbiamo tener presente l'equivalente 8tli 8txiXtoaUvl)v di 1 Pt 3 , I 4 71• Inoltre il rapporto con il v 1 1 mostra che si tratta senz'altro del motivo dei persecutori 72• Non solo essi se la prendono ingiustamente (tX.8lxwç) 73 con i cristiani, ma è la giustizia delle loro vittime che eccita la loro animosità. Tale è il senso naturale dell'espressione. 2. La prima lettera di Pietro ci ha già illuminato la strada per interpretare l'esortazione a compiere le « opere buone » di Mt 1 , 1 6 e per cogliere la portata del participio ljle:u86(.Le:vot aggiunto nel v I I . Non fa perciò meraviglia ritrovarla ancora una volta a pro­ posito del v xo. Tra la redazione matteana delle beati­ tudini e le preoccupazioni parenetiche di questa epi­ stola esiste una stretta parentela. È in quest'ultima che la ottava beatitudine trova il suo miglior passo parallelo : « Ma se dovete soffrire per la giustizia (8tli: S tx!Xtoauvl)v), beati voi ! » (1 Pt 3 , 1 4a) 74• Il senso in

'0 Hare non tenta di giustificare questa accezione, che è ignorata da tutti i dizionari e da tutte le grammatiche che ab­ biamo potuto consultare. 7 1 Medesimo scambio tra fvotEV e a.a. in Le 2 I , I 2 (cf Mt 1 9,29), da una parte, c Le 2 1 , 1 7 ( Mc 13, I 3 ; Mt Io,22 ; . 24,9), dall'altra. " L'osservazione sembra valida anche per gli altri usi del verbo al passivo : Mt IO,I 8.2z ; 24,9. 71 A. DESCAMPS , Les Justes et la fustice, q 9, prospetta l'i­ potesi secon> 91 (z,ziS.). Dio è interve_

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Usando un altro vocabolario, oggi si parlerebbe di per­ secuzioni contro l'« ideologia » cristiana. •• Utilizziamo l'edizione di E. L. SuKP.NIK, 'Ofar ha-1111gil/ol IHJ-getiNzot, Gerusalemme, 1 9 � � . tav. 36. Il b/11111/ty 1 bbrytkh.

I PERSEGUITATI A CAUSA DELLA GIUSTIZIA

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nuto : « Tu hai riscattato l'anima del povero, ch'essi progettavano di sopprimere versando il tuo sangue a motivo del Tuo servizio 9• Tu hai riscattato la mia anima dalla mano dei potenti e non mi hai fatto temere le loro ingiurie fino al punto da abbandonare il Tuo servizio ... » (z,ps . � , s.). L'autore di questi inni è dunque stato perseguitato a motivo della sua fedeltà alla Alleanza e al servizio di Dio (denominato « servizio della giustizia » 93 in 6,19 ). La sua situazione non differisce affatto da quella dei « perseguitati a causa della giustizia », di cui parla l'ottava beatitu­ dine, e le espressioni che adopera illustrano molto bene la portata del termine « giustizia » ricorrente in questa beatitudine. Il primo libro dei Maccabei riferisce che sotto la persecuzione di Antioco Epifane molti israeliti ab­ bandonarono la ·legge, mentre i giudei fedeli erano obbligati a nascondersi (I,F-H)· Mattatia e i suoi si rifiutarono di abbandonare la legge e le prescrizioni ( 2,21 ) e si rifugiarono nel deserto, seguiti da un gran numero di persone, che « cercavano la giustizia e il diritto » (z,z9). Essi preferivano morire piuttosto che profanare l'Alleanza (1,6�). È chiaro che queste persone soffrivano a causa del loro attaccamento alla giustizia, a causa della loro volontà di rimanere fedeli alle prescrizioni divine. Possiamo illustrare con la loro situazione quella dei « perseguitati a causa della giustizia » di Mt , , Io. Cosl pure possiamo pensare che l'espressione di 1 Mac z,z9, « cercare la giustizia », che trova il suo parallelo in Mt 6,3 3, inviti a esplicitare la formula « perseguitati a causa della giustizia >> nel senso di « perseguitati perché cercano la giustizia », piuttosto che nel senso di « perseguitati perché sono •••

•• 'l 'bwdtkh.

•• b'bwdt çdq. In 4,8-Io egli si lamenta dei soprusi che ha subito da parte di persone che avevano abbandonato > a una semplice aspira­ zione, ma di vedervi una applicazione attiva che ispira tutta la condotta &4. La persecuzione sanguinosa scatenata da Antioco Epifane costituisce un fatto nuovo nella storia di Israele ; tuttavia la situazione che essa crea ha molte somiglianze con quella già lamentata, nell'Antico Te­ stamento, da tanti uomini pii, i quali, fedeli a Dio e alla sua legge, si sentivano esposti ai sarcasmi e ai maltrattamenti degli empi. A questo riguardo il sal­ mista di Qumran è appena un poco più esplicito degli autori del salterio canonico. Il salmo I 1 9 fornisce un esempio eccellente di questo atteggiamento dei « per­ seguitati a causa della giustizia », che invocano l'aiuto di, Dio contro i nemici, chiamando in causa ad un tempo il loro proprio attaccamento alla legge e l'em­ pietà di coloro che li perseguitano 96• " Gli scritti rabbinici hanno conservato il ricordo delle discussioni svoltesi in occasione della persecuzione di Adriano : cf H. L. STRACK-P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testa­ ment dus Ta/mud und Midrasch, 1, Monaco, 1 9z6 ( = 1 969), zz1zz6. Ci si chiedeva in che misura l'osservanza della legge rimane obbligatoria, quando è in pericolo la vita. I dottori sono stati così indotti a distinguere i comandamenti più importanti, che non possono essere trasgrediti neppure per sfuggire alla morte, e quelli da cui si è scusati in casa di pericolo grave. Anche qui vediamo il caso concreto di una persecuzione a cui i giudei si espongono per rimanere fedeli alla legge. Parlando delle vit­ time di questa persecuzione, si dà loro facilmente il titolo di « giusti )) : cf Mid� Ps 9, § 1 3,44b-45a (ivi, 2.2.6). Cf anche i Tutamenti dà Patriarchi, dove Levi mette in guardia i suoi di­ scendenti : > e ne fa risaltare meglio l'anomalia. È cosa nor­ male espiare il male commesso, dover soffrire a causa delle proprie ingiustizie. Ma come può Dio permet­ tere che i suoi fedeli soffrano « a causa della giusti­ zia » ? Il contrasto con le concezioni correnti suppone naturalmente che il termine « giustizia » indichi qui una condotta conforme alla volontà di Dio e che do­ vrebbe attirare il favore divino. Ecco quanto basta per rendersi conto delle riso­ nanze che l'espressione > in funzione dell'ultima beatitudine. Una congettura di questo genere non potrebbe che confermare la nostra interpretazione del termine « giusti­ zia », ma l'argomento sarebbe troppo aleatorio. =

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

desimo senso e invitano a prendere il termine « giu­ stlzla » nella sua accezione religiosa e come qualifi­ cazione di un atteggiamento di vita. Non si tratta sem­ plicemente di una persecuzione « ingiusta », ma di una persecuzione provocata dalla fedeltà alla volontà di Dio. Dopo aver esaminato il contesto remoto, dobbia­ mo ritornare al contesto immediato, in cui l'espres­ sione ci si presenta nel vangelo di Matteo. 4· Il contesto immediato, in funzione del quale bi­ sogna comprendere la menzione della « giustizia » nella ottava beatitudine, è anzitutto il discorso della montagna. Abbiamo visto il posto che vi occupa la nozione di giustizia : in 5 ,z o e 6,1 essa comanda i due svolgimenti più importanti del discorso, in 6, 3 3 adatta l'avvertimento contro l'inquietudine all'orientamento generale del discorso. Essa viene messa in rapporto con il « regno dei cieli >> : molto esplicitamente in 5 ,zo, dove si tratta della condizione da adempiere per entrare nel regno ; in maniera più ellittica in 6, 3 3 , dove la ricerca del regno di Dio va praticamente effettuata attraverso la ricerca della giustizia; indirettamente in 6, 1 , dove la pratica della giustizia è prospettata dal punto di vista della ricompensa che uno riceverà dal Padre che è nei cieli. L'ottava beatitudine, promet­ tendo il regno dei cieli a coloro che soffrono a causa della giustizia, si armonizza perfettamente con questo insieme. Comprendiamo subito che la promessa del regno non è-taato collegata alla persecuzione come tale, quanto piuttosto alla giustizia, che è precisa­ mente la condizione per entrare nel regno, quella giustizia a proposito della quale ci verrà detto che deve superare quella degli scribi e dei farisei e che deve essere praticata unicamente per piacere a Dio. Il contesto di Mt 5 , 1 0 è costituito più immediata­ mente dall'esordio del discorso della montagna. L'ot-

l PERSEGUITATI A CAUSA DELLA GIUSTIZIA

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tava beatitudine chiude la prima parte di tale esordio e sembra avere un rapporto particolare con la conclu­ sione della seconda parte, cioè con l'invito che il v I6 indirizza ai discepoli, affinché adempiano con le loro opere buone il ruolo di luce loro assegnato nei con­ fronti del mondo. La relazione tra i due versetti ri­ sulta tanto più chiara, quanto più ci si rende conto ch'essi hanno degli addentellati. nel medesimo tema della catechesi della Chiesa primitiva, attestato prin­ cipalmente dalla Prima Petri. La « giustizia » di cui parla il v I o viene così ad essere collegata alle « opere buone » del v I6. Coloro che soffrono persecuzione sono beati solo se tale persecuzione è provocata non dai misfatti che essi hanno commesso, bensì da una condotta conforme alla volontà di Dio e alle esigenze del vangelo. Ma è soprattutto in base al v I I che il v 10 ac­ quista tutto il suo senso. La nona beatitudine, nella forma in cui è pervenuta a Matteo, si riferiva alla per­ secuzione sopportata a causa di Cristo : �ve:xe:v ÉfLo\i. La beatitudine era precisamente legata al fatto di sof­ frire a causa di Cristo. Matteo ha giudicato che oc­ correva fare una precisazione. La sua preoccupazione è quella che egli esprime in 7,2. 1 sotto questa forma : « Non chiunque mi dice : Signore, Signore ! entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli >>. Ai suoi occhi, soffrire a motivo della propria adesione a Cristo può essere una garanzia di beatitudine solo se tale adesionP. è effettivamente vissuta e tradotta in atti.. Non basta che si dica ogni male contro i cristiani, perché questi siano beati ; la cosa essenziale è che la foro condotta non dia alcun appiglio a tali accuse e che queste si rivelino pertanto false : ljie:u86fLEVOL. Il v I O traduce la medesima preoccupa7.ione. Al­ cuni esegeti, rendendosi conto che la clausola lve:xe:v 8LxctLOaUV7J ç va interpretata a partire da �ve:xe:v ÉfLoiJ

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LE BEA. TITUDINI DELLA. GIUSTIZIA

del v 1 1 , hanno creduto di poter considerare le due espressioni come equivalenti 98• Come se per Matteo bastasse essere discepoli di Cristo per essere giusti ! 99 Noi pensiamo che lo �ve:xe:v a�xot�OaUVljc; del v IO, lungi dall'essere un doppione di �ve:xe:v é!J.ou del v 1 1 , svolga un ruolo correttivo analogo a quello dello tjle:uM!J.e:vo� del v 1 1 . Matteo non concepisce che uno possa ottenere il regno senza la pratica della giusti­ zia ; tale condizione non può essere sostituita da altro, neppure dalle sofferenze che potrebbero essere provo­ cate dalla appartenenza alla comunità cristiana e da un riconoscimento puramente verbale della signoria di Gesù. Non c'è salvezza che nell'adempimento della volontà del Padre celeste. Ecco quanto egli vuoi dire, quando parla di « giustizia )).

Conclusione : il punto di vista di Matteo. Le beatitudini, nel loro tenore originale, erano indirizzate a gente sventurata : la loro miseria costi­ tuiva una offesa alla giustizia e alla misericordia di Dio ; l'avvento del regno avrebbe compensato mera­ vigliosamente le loro sofferenze presenti. Nella tappa successiva i cristiani si sono riconosciuti nei destina­ tari delle beatitudini : queste si applicavano in maniera speciale a loro nelle situazioni talvolta tragiche in cui venivano a trovarsi, in seguito alle persecuzioni scaIl (( L o f...cxcv a.)(aLOaUVlJ> coincide cosl con quello del verbo �Y)'t'éw in Mt 6, 3 3 38• Ricordiamo ancora W. Trilling 30• La fame e la sete corporale diventano qui la figura di una aspira­ zione spirituale. Il suo oggetto è quello di essere tal quali Dio ci ha creati e vuole che siamo. La , BL I 969, I I 9 ; G. ScHNEIDER, Botschaft d4r Bergpredigt, Aschaffenburg, I 969, H : M.-E. Bms­ MARD, Synop.re, II, I 972, 1 28 e I 3o. Senza attardarci a conside­ rare le spiegazioni > di W. GauNDMANN, Das E­ vangelium nath Mallhiiu.r, u6s. e di G. MIEGGE, Il sermone sul monte, 44-47, segnaliamo la curiosa variante presentata da P. GAECHTER, Das Mallhiiusevangelium, 1 963, 1 49s. : la beatitudine � indirizzata a persone le quali non hanno di che sfamarsi, che ciononostante non dimenticano la « giustizia >>, vale a dire che la condotta di Dio le ha poste in quella situazione, e che per conformarsi alla volontà divina devono sopportare la loro sof­ ferenza finché ciò sarà necessario. L'aspirazione alla giustizia diventa cosl rassegnazione davanti all'ingiustizia l •• W. TRILLING, Das Evangelium nach Mallhiius, I, 3 ed., Diisseldorf, 1965, 94s. La medesima interpretazione viene pro­ posta in maniera più sommaria in Christu.rverkiindigung in den synoptischen Evangelien, I 969, 68 L'annonce du Chrisl dans le.r lvangiles synoptiquu, I 97 I, 6 5 . ,

=

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

quale sia il mezzo con cui tale aspirazione sarà realiz­ zata ; ciò ce lo dirà altrove. La promessa mostra in­ fine che le aspirazioni più profonde dell'uomo trove­ ranno la loro soddisfazione solo nel mondo futuw. L'esegesi corrente basa essenzialmente la sua in­ terpretazione della quarta beatitudine sulle preoccu­ pazioni moraleggianti che guida l'evangelista nella redazione delle beatitudini, e soprattutto sul senso che questi attribuisce al termine « giustizia » nel seguito del discorso della montagna. Trattandosi di una giu­ stizia che riguarda la condotta cristiana della vita, si pone quindi la seguente questione : la metafora della fame e della sete indica che tale giustizia viene rice­ vuta come un dono gratuito da Dio, oppure suppone un atteggiamento attivo volto ad acquisirla, oppure ancora non permette di dedurre alcunché a favore dell'una o dell'altra di queste spiegazioni ? Per quanto concerne la promessa della beatitudine, gli autori di­ cono il più delle volte che essa ha per oggetto la sa­ zietà della giustizia di cui si ha fame e sete ; dobbiamo aggiungere che vi sono delle voci discordanti, le quali dicono che tale sazietà evoca qui la felicità del banchetto messianico garantito alle anime avvinte dall'ideale insegnato da Cristo : non è il caso di pensare a una giustizia presentata come un dono escatologico 40• Ci sembra che il cammino da seguire non sia quello di una discussione delle varie interpretazioni avan­ zate 41, bensì quello di un riesame delle indicazioni •• La maniwun cui ci esprimiamo echeggia intenzional­ mente i termini di E. ]ACQUEMIN, Lu Béatitudes (Mt 5 , 1 - 1 2), in Féte de la Toussaint (AssS 89), Bruges, 1 96 3 , 34-5 3 (45 ) : questo autore rifiuta di vedere nella promessa della sazierà qualcosa di diverso da una immagine della felicità del regno ; però non ha difficoltà a riconoscere, nella esigenza della « giu­ stizia » formulata nella prima parte della beatitudine, l'ideale della perfezione richiesta per poter entrare nel regno . ., Modo di procedere seguito nella prima edizione di quest'opera (p. 25 7-263).

COLORO CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA 571

fornite dal testo. In pratica dobbiamo proporci tre questioni. Anzitutto quella di sapere in che misura la metafor:1 della fame e della sete può chiat:ire la natura della giustizia che ne forma l'oggetto. Poi quella di sapere se nella seconda parte della beatitu­ dine la promessa di sazietà può aiutarci a precisare di quale giustizia si tratta nella prima parte. Infine do­ vremo tener conto del contesto. r.

Aver fame e sete della giustizia.

I . In primo luogo dobbiamo soffermarci a con­ siderare un momento la trasposizione, in forza della quale la fame e la sete diventano l'immagine di una aspirazione puramente spirituale. In effetti troviamo subito un gruppo di esegeti pronti a sbarrarci la strada : secondo loro la beatitudine riguarderebbe uomini che soffrono la fame e la sete nel senso ordi­ nario di questi termini. L'esegesi di J. Maldonado, proposta alla soglia dei tempi moderni, rimane interessante 92• Questo ese­ geta riconosce che Matteo ha aggiunto il termine (( giustizia >> nella quarta beatitudine e che tutti gli interpreti antichi hanno preso di qui lo spunto per spiegare che la sentenza si riferisce a quanti hanno un desiderio ardente di ottenere la giustizia 43• Egli consi­ dera come cosa più probabile che Cristo (( non de meta­ phorica, sed de vera fame sitique loqui >>. Infatti la Scrit­ tura non parla mai di fame in senso metaforico 44 e n J. MALDONATI Comm1ntarii in quatuor Evange/istas. La prima edizione è stata pubblicata a Pont-à-Mousson nel 1 5 96, dopo la morte dell'autore ; noi utilizziamo l'edizione di Ma­ gonza ().M. RAICH), 1 8 74 (vol. l, 99s.). •• Maldonado cita Ambrogio, Girolamo, Criwstomo, I'Opus imperfutum, Agostino, Ilario, Leone, Gregorio di Nissa, Cesario di Arles, Bernardo, Eutimio, Teofilatto. •• Cf tuttavia Am 8,1 1 ; Ecli 24, 2 1 ; Gv 6,, 5 .

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

l'interpretazione comune mal si accorda con il ca­ rattere paradossale delle altre beatitudini H. Ma la ragione decisiva sembra stia nel significato evidente della beatitudine corrispondente e della maledizione dei sazi nella versione di Luca. Maldonado, per met­ tere d'accordo i due evangelisti, propone di interpre­ tare Matteo così : « beati coloro che hanno fame e sete a causa (8tl%) della giustizia )), nel senso che si potrebbe anche dire « a causa del regno dei cieli )). Per aver parte alla beatitudine non basta soffrire la fame e la sete : l'elemento imponante è il motivo per cui uno soffre. La spiegazione che Maldona.do presenta come una innovazione non è più tanto rara nelfa esegesi moderna. Secondo D. Buzy, per esempio, la quatta beatitudine si riferisce a persone che soffrono la fame e la sete e che, sottomettendosi con pazienza alla volontà di Dio che impone loro questa prova, cercano di realizzare così l'ordine della provvidenza e della giustizia di­ vina �6• Secondo A. Romeo, l'aggiunta del termine « giustizia )) non cambia il senso in cui il testo parla di fame e di sete, ma si limita ad approfondirlo, rico­ noscendo negli indigenti una aspirazione all'ordine morale H. E. Lohmeyer spiega che « la fame e la sete acquistano un significato profondo, divenendo dei presagi oscuri e tuttavia felici del fatto che nella massima miseria corporale si nasconde la massima pienezza della giustizia escatologica di Dio. In tal •• Più precisam.ente .\Ialdonado afferma anzitutto che le beatitudini nel lo ro complesso raccomandano virtù particolari : l'aspirazione alla « giustizia )), virtù generale, non si accorde· rebbe con questo contesto. Inoltre le beatitudini lodano para­ dossalmente quelli che il mondo disprezza ; ora il mondo stima la giustizia, mentre considera come una follia il sopportare la fame e la sete. u D. BvzY, Evangile selon saint Mallhim (La Sainte Bible ... L. Pirot, IX / I ), Parigi, 1 93 5 , 5 6 . ., A. RoMEO, Beatitudini evangtli&he, En(. Cali., 1 1 0 3 .

COLORO CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA 573

modo l'aggiunta di Mattco non è una trasposizione dal piano della miseria esteriore a quello dell'atteg­ giamento interiore, ma esplicita la pienezza escatolo­ gica del regno dei cieli, che è avvenimento esteriore nello stesso tempo che perfezionamento divino » 48• Ancora · ultimamente W. Grundmann dichiara : « Con l'aggiunta della giustizia la fame e la sete ac­ quistano un senso che va al di là della mancanza cor­ porale, ma che include anche la mancanza corporale >> 49• Coloro che soffrono la fame e la sete sono vittime della ingiustizia degli uomini, e la loro sofferenza diventa cosi fame e sete della giustizia di Dio 50• Dal canto suo G. Miegge spiega : come la povertà della prima beati­ tudine, cosi la fame acquista un senso e un valore spirituali, che non escludono il significato primo dei termini, ma vi aggiungono una nuova profondità ; Matteo, inserendo · il termine « giustizia », ha voluto prevenire una interpretazione puramente materiale 51• G. Schneider scrive nel medesimo senso che, grazie alle precisazioni introdotte da Matteo, « la beatitu­ dine non si riferisce più unicamente a coloro che hanno fame corporalmente >> 52• Pertanto essa si ri­ ferisce ancora ad essi. I nomi che abbiamo citato non devono trarci in inganno : essi rappresentano un'infima minoranza di fronte alla grande massa degli esegeti, per i quali la trasposizione operata dal complemento 't"Ìjv 8txouo­ aU'II"I)'II obbliga a interpretare « aver fame >> e (( aver sete >> in un senso puramente metaforico, come due •• E. LOHMEYER, Das Evangelium du Matthiius, 88. " W. GRUNDMANN, Das Evangelium naçh Matlhiius, I 2.6. 10 l vi, 1 27. 11 G. MIEGGE, // Sermone sul monte, 44· •• G. ScHNEIDER, Botsçhaft der Bergpredigt, B · Le spiega­ zioni successive dell'autore sembrano tuttavia supporre una spirituali:zzazione completa.

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immagtm che esprimono una aspirazione dell'anima, una disposizione del cuore e dello spirito 53• La cosa sembra così evidente, che in genere non ci si dà la pena di giustificare questa interpretazione figurata ; a questo proposito la discussione della spiegazione di Maldonado da parte di J. M. Bover (1 942) costituisce una eccezione 54• D'altronde questo autore non può far altro che limitarsi a denunciare il modo arbitrario con cui la spiegazione di Maldonado, col pretesto di far concordare la versione di Matteo con quella •• Solo qualche nome a titolo indicativo : G. Barth, J. Behm, J. M. Bover, J . Coste, L. Goppelt, P. Hoffmann, E. Neuhiiusler, E. Percy, J. Schmid, G. Strecker, W. Trilling, B. Weiss, H.-Th. Wrege. •• J. M. BovER, Beati qui emriunt el sitiunt juJiitiam (Mt., J,6), in Estudios Eclesidsticos I6 (I 94z) 9-z6. Il modo in cui > (J. STBIN­ MANN-P. AuvRAY). Si tratta senz'altro di « avvicinarsi a Dio », come nel Sal 73,2.8 (trad. R. TouRNAY), con le risonanze cul­ tuali connesse con questa espressione : cf E. PoDBCHARD, Le PsauJitr. Not1s criJiquu (Bibl. de la Fac. Cath. de Théol. Lyon, 4), Lione, I 949, 2.94s. Ancora una volta il > non co­ noscono né felicità · né riposo, precisamente perché non la conoscono e non la praticano (5 I ,23-3o). All'atteggiamento generoso del Siracide, solerte nel condividere la sapienza che ha acquisito, si oppone quello degli « interpreti di menzogna », denunciato dall'autore degli Inni di Qumran : queste persone, dice egli a Dio, « che barattano la tua legge, da te scolpita nel mio cuore, con le parole piene di adulazione (che essi indirizzano) al tuo popolo. Essi hanno impedito agli assetati (di bere) la bevanda della conoscenza e nella loro sete hailno fatto bere loro dell'aceto, finché si è potuto vedere il loro traviamento » ( x QH 4,Io-1 2). Le acque della conoscenza sono quelle che scaturi­ scono dalla legge. I cattivi pastori impediscono agli israeliti assetati di avvicinarvisi e offrono loro delle bevande svianti, che non dissetano. Il desiderio spinge gli assetati verso la legge divina ; la conoscenza di cui essi hanno sete è nel medesimo tempo la giustizia, che dobbiamo chiedere alla legge. Anche qui la meta­ fora della sete no� indica un atteggiamento pura­ mente passivo. L'espressione che più assomiglia a quella della quarta beatitudine è quella adoperata da Filone nel suo commento del miracolo della manna (Fug I 3 9). Le prime parole di Es x 6, I 6 - « Ecco la parola che il Signore ha prescritto » - forniscono il punto di partenza della spiegazione allegorica. La manna è dunque figura del precetto divino. Come la manna era bianca (Es I 6,I4), cosi il precetto divino irraggia lo splendore della verità e riempie con la sua luce l'anima che vede. Come la manna aveva il gusto del

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miele (Es 16,p), cosi il precetto divino riempie l'a­ nima di dolcezza, persuadendo « coloro che sono as­ setati e affamati di bellezza morale )) 't'OÙç 8�1ji&v-rcxc; xcxl 1te:�v&v-rcxc; xotÀoxcxycx6(cxç. Il termine xotÀoxcxycx6(cx � tanto specificatamente greco se, quanto sono estranee allo spirito greco le risonanze religiose del termine « giustizia )) nella Bibbia. Se teniamo conto di questa trasposizione da un mondo culturale all'altro, la formula di Filone appare realmente molto vicina a quella di Matteo, che conserva i suoi addentellati con il linguaggio della Bibbia. La metafora della sete dei beni spirituali è fre­ quente in Filone. Rileviamo in maniera particolare Virt 79 : « Le fonti delle grazie di Dio sono inesauri­ bili, ma sono accessibili solo ai supplicanti. Per sup­ plicanti bisogna intendere gli amanti della bellezza morale (o t xcxì.oxcxycx6lcxc; �p&v-re:ç) : è a questi as­ setati di sapienza (8�1ji&cn O"otplcxc;) che è permesso attingere alle fonti sacre )). Notiamo l'equivalenza con­ creta che questa spiegazione stabilisce tra il desiderio ardente di lealoleagathia 59 e la sete di sapienza eo. Un altro parallelismo ci viene fornito da Somn I, 5 o : « Beati coloro che sono arrivati a godere delle attrattive della sapienza, ad aver parte al banchetto delle sue con­ templazioni e dei suoi decreti e, dopo queste delizie, ad esserne ancora assetati (f-r� a�ljlijv), trasportati dal desiderio appassionato della- scienza (t�J.Epov È7t�O'-r-Tj­ ILYJt;), che niente può colmare o saziare )). Filone fa volentieri uso di queste espressioni : sete di scienza 61, ,

- � 18 Luca non ha avuto paura di introdurre questa nozione nel suo vangelo : 8, I 5 ; cf il nostro studio Lo parabole du Semellt' tlans la version de Luc, in Apophorela. Fertschrijl fiir E. Haenchen (BZNW 30), Berlino, I964, 9 7-Io8 (1 o7). •• La stessa cosa si ripete in Ebr 1 u. 1° Cf anche Posi I 3 6 : T-ljv cppovljatw� 8Lijic';laOtv 8LiivoLOtV. 11 Rer div baer I OO ; cf Quoti del I I 3 s.

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di istruzione 62, di formazione 63, di virtù 64, di bene 86 ; si tratta sempre di un desiderio ardente di conoscere e di divenire migliore. Aggiungiamo che se il verbo 'ltEtv�w, « aver fame )), viene usato meno frequente­ mente per indicare questo desiderio ardente delle cose dello spirito, ciò dipende forse dal fatto ch'esso cede il posto al termine più forte ÀtfJ-6.:;, carestia. Filone dirà per esempio Àt(J.Òc; > (6 s,1 3). « Donerò l'abbondanza a ogni anima assetata, la profusione a ogni anima che langue » (Ger 3 8,zs LXX) 70• Risulta subito chiaro che questo tema getta luce sulla beatitudine degli affamati e che permette di co­ glierne il significato originario 71• Ma sembra molto più problematico che si possa ricorrere ad esso per spiegare la trasformazione che questa beatitudine ha subito nella versione di Matteo. Le promesse fatte a quanti hanno fame e sete, nella prospettiva di un nuovo esodo, non sono mai indirizzate a persone che hanno fame e sete di giustizia 72, e se il collegamento tra le beatitudini originarie e la seconda parte del Libro di Isaia è incontestabile, i ritocchi apportati dall'evangelista testimoniano una preoccupazione di­ versa da quella di un nuovo richiamo a questi mede­ simi oracoli. Ci possiamo perciò domandare se il ri-

•• Il Sal I 46,6-7 parla del nutrimento che il Signore dona agli affamati : il punto di vista non è quello escatologico, bensì quello dei benefici della Provvidenza (cf At I4,q). Altra pro­ spettiva nella preghiera degli esiliati, Bar z, I 8 : « L'anima piena di affiizione, che va curva e debole, con gli occhi abbattuti e l'anima affamata, ecco quelle . che ti renderanno gloria e giu­ stizia, Signore ». Secondo A. DESCAMPS, Les Juslu el la Juslite, 168, « questo passo di Baruch anticipa in parte la fame e la sete di giustizia secondo Matteo »: il testo prometterebbe dei beni spirituali a coloro che li desiderano ardentemente. Noi vi vediamo piuttosto una descrizione commovente della situazione deplorevole dei prigionieri; essi sperano che l'intervento di Dio li libererà e-allora gli potranno rendere gloria e giustizia. Tuttavia gli esiliati non fanno appello alla giustizia di Dio; riconoscono umilmente che i peccati han meritato loro il castigo che li schiaccia e invocano la misericordiosa pietà del Signore (3, I ss.). Segnaliamo ancora Is 2 5 ,4-5, dove nella versione greca il Signore si fa protettore degli assetati e degli affamati, che sono nel medesimo tempo degli oppressi. n Cf vol. l, 673. 11 Intervenendo in loro favore, Dio manifesta la sua « mi­ sericordia » : la 49, I o ; Sal I 07, I .8. I 5 .

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corso a queste promesse non sia frutto di una confu­ sione dei piani, cioè del piano della formulazione ori­ ginaria e di quello della redazione matteana. Nessuna spiegazione esegetica seria può fare a meno di un mi­ nimo di critica letteraria. (b) Il tema cultuale richiamerà la nostra attenzione quando arriveremo alla sesta beatitudine : « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 5 ,8). Tale beatitudine rropria di Matteo ha degli addentellati nel Salterio (Sa 24,3-4). Ora, precisamente in esso, « ve­ dere Dio » costituisce l'oggetto di un desiderio ar­ dente, che il salmista descrive come una « sete >> di Dio : « Come anela la cerva ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio mio. La mia anima ha sete (é8lljl1)atv) del Dio vivente : quando andrò a vedere il volto di ·Dio? 73 >> (Sal 42 2-3). « O Dio, Dio mio, dall'aurora io ti cerco, la mia anima ha sete (é8lljl'l)atv) di te. Lontano da te la mia carne è in una terra deserta, arida e senza acqua. Così dunque, che io ti veda 74 nel tuo santuario, contempli la tua potenza e la tua gloria >> (Sal 63,2-3 ; cf 84, 2 - 3). Per calmare la sete bruciante il salmista ha bisogno di com­ parire davanti a Dio e di prender parte al culto del . Temp10. La sete di Dio non è ancora sete di giustizia, però il salmista sa che la giustizia gli è necessaria per pre­ sentarsi davanti a Dio e farsi ascoltare da lui. Il Sal I 7 comincia con una invocazione : « Esaudisci, Si­ gnore, la mia giustizia, presta attenzione alla mia sup­ plica >> (v 1 ) , e termina con una parola di fiducia : « Nella giustizia (év 8Lxocwcrovn) vedrò la tua faccia, sarò saziato (xop't'oca6ljcrofL1XL) vedendo la tua glo' 8 Il traduttore greco sostituisce l'espressione « vedere volto di Dio » con « essere visto davanti alla faccia di Dio vale a dire presentarsi davanti a lui. ,. Medesima correzione teologica nei LXX.

il

»,

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

ria » (v 1 ' ) 75, Se la giustizia è indispensabile in colui che prende parte al culto, non è normale che la sete di veder Dio sia anche sete della giustizia, che dà ac­ cesso a Dio? (c) Il tema sapienziale ci si è già presentato nel discorso che Ecli 24, 1 9-22 mette in bocca alla sapienza : « Venite a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei prodotti... Coloro che mi mangiano avranno an­ vora fame e coloro che mi bevono avranno ancora sete . .. », e lo ritroviamo in p ,23-3o : « Avvicinatevi a me, ignoranti, mettetevi alla mia scuola. Perché dire che siete sprovvisti e perché le vostre anime sono tanto assetate?.. . 11. Lo riconosciamo pure nel discorso della sapienza in Pro 9 : « Venite, mangiate del mio pane, bevete del vino che vi ho preparato l Fuggite la stoltezza e vivrete, camminate diritto nella via della intelligenza 11 (vv 5-6) . Anche l'esortazione di Is 5 5 , 1 - 3 vi si ricollega : « Voi che siete assetati, venite al71 Il salmista sa che per > nel secondo caso ; la sua presenza, che compromette l'equilibrio della frase, viene messa in discussione per l'ebraico : cf R. KITTEL-P. KAHLE­ A. ALT-O. EISSFELDT, Biblia Htbraica, 9 -cd., Stoccarda, I954, =

COLORO CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA 591

stizia che uno troverà, che si rivelerà, non è quella che siamo invitati a perseguire e a mettere in pratica. Se c'è qualche sottigliezza di troppo in un simile gioco con le diverse accezioni eli un medesimo termine, non è il caso di farne un rimprovero a Matteo, poiché egli non riprende il termine nella seconda parte del versetto. Pertanto, pur supponendo che la promessa della quarta beatitudine riguardi una sazietà eli « giustizia )), ciò non proverebbe ancora che la fame e la sete di cui parla il primo membro abbiano per oggetto questa medesima giustizia, che dovrà essere donata agli eletti nel mondo futuro. Anche in questo caso la giustizia eli cui bisogna aver fame e sete può benissimo restare quella che caratterizza una condotta gradita a Dio e sollecita della perlezione cristiana (5 4 8) ,

.

2. Saziati di felicità. La considerazione logica, che spinge la maggior parte degli autori a supplire il ter­ mine « giustizia )) nella seconda parte della beatitu­ dine, non sembra a tutti convincente. Possiamo infatti domandarci se l'immagine della sazietà non vada presa semplicemente come l'espressione della felicità promessa nell'altro mondo agli affamati e agli assetati eli giustizia. È inutile supporre che costoro saranno saziati eli �iustizia, spiega E. Jacquemin: anzitutto perché ci s1 può domandare se la giustizia si presenti come un dono escatologico, con cui uno potrebbe saziarsi ; poi perché il « pensiero eli Matteo non si orienta affatto in questa direzione )). In breve, « la promessa riguarda sempre il banchetto del regno e la felicità messianica per le anime conquise dall'ideale

J I 8o. Il senso che il termine assume qui non sarebbe tuttavia diverso da quello che esso ha in 8,I 8. Cf A. RoBERT, Les ai­ Ja&hes lilliraires bibliques de Proli I-IX, RB 43 (1 934) 190; A. DESCAMPS, DBS IV, 143 2 ; A. BARUCQ, Le Livre dls Proverbes (Sources Bibliques ), Parigi, 1 964, 90 e 1 64.

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

insegnato da Cristo )) 82• Se questa spiegazione è esat­ ta, è chiaro che non è possibile dedurre alcunché da una promessa di « giustizia )> futura, per definire la « giustizia >) a cui aspirano i destinatari della beatitu­ di�. . Cominciamo con l'osservare che il verbo x.op-r!X­ �O(.LI1� può essere benissimo adoperato in maniera as­ soluta per esprimere una contentezza perfetta. Tale sembra essere il caso del Sal 1 7, 1 5 , che abbiamo già citato : « Nella giustizia vedrò la tua faccia; sarò sa­ ziato vedendo la tua gloria )>. Rileviamo anche questa sentenza nel Talmud : « R. Tanhum bar Hanilai (verso il 2 , o) ha detto : chiunque si espone alla fame in questo mondo a causa delle parole della legge, il Santo sia egli benedetto ! - lo sazierà (msby 'w) nel mondo futuro. Infatti è detto (Sal 3 6,9) : Essi si inebriano del grasso della tua casa e al torrente delle tue delizie tu li disseti >) 83• Possiamo pensare che la sazietà prospet11 E. ]ACQUEMIN, Lu Blalitlllks, 41· Orientamento analogo in E. KLosTERMANN, Das Matthiiusevangeli11111, 3 7 ; G. MIEGGE, Il urmoM s11/ monte, 47, e forse anche in W. PESCH, Der Lohn­ gedanJ:e in der uhre }tsll, IJtrglirhm mit der religiliun Lohnlehre dts Spatjlllkntums (Mtinchener t heol. St., l /7), Monaco, I 9 J J , 79; P. BONNARD, L'eiJangile seion saint Matlhieu, n; P. GAECHTER, Das Matlhiius-Evangelium, 1 so. Potremmo citare anche la for­ mula di M.-J . LAGRANGE : « La fame della giustizia sarà pla­ cata con il possesso di Dio >> (EtJangile selon saint Mallhieu, 84). 81 Talmud di Babilonia, Sanhedrin 1ooa: cf H.L. STRACKP. BILLERBECK, Kommentar zum Nemn Ttstament aus Talmlld und Midrasrh, I, 201 . Facile presentuione del testo ebraico in P. FIEBIG, }ISII Bergpredigl. Rabbinisrhe Texle zum Versliint:lnis der Bergpredigl, ins Deutsrhe iibersetzt, in ihren Ursprarhen darge­ boten una mit Erhluhlungen und usarten versehen (FRLANT 3 7), Gottinga, 1924, 2 parte, 3 (traduzione e note, 1 parte, 6). Fiebig e Billerbeck hanno ragione di osservare che la > (BA : « coloro che fanno delle elemosine e delle giustizie abbonderanno di vita »). Potremmo anche dire che essi saranno « saziati di giorni » (Gb 42, 1 7). In queste e­ spressioni il verbo « saziare » viene adoperato con un comple­ mento, ma tale complemento presenta un ampliamento del senso che allontana dal significato primitivo. Si potrebbe anche pensare alla trasposizione che ha luogo in un testo come Is J 5 ,1-3, dove si passa dalla idea di un nutrimento corporale a quella di una soddisfazione tutta spirituale. 86 A. DESCAMPS, Le chri.rtianisme comme justice, 1 3 ; ]ustice 11 ]ustiftcation, 1464.

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LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

ad essi era formulata in funzione della loro miseria presente. In Matteo la fame e la sete sono solo più una espressione figurata per esprimere un atteggia­ mento religioso, vale a dire un desiderio ardente di giustizia. Questa trasposizione spirituale testimonia una preoccupazione parenetica evidente : l'evangelista vuole esortare i cristiani a mostrarsi animati da questo de­ siderio di giustizia. Supplendo il termine > nella seconda parte, si attribuisce al redattore una preoccupazione nuova, cioè quella di definire la na­ tura della felicità promessa nel mondo futuro 86• Tale preoccupazione sembra molto estranea a lui, poiché non compare né nelle altre beatitudini né altrove nel primo vangelo. Il punto di vista non sembra diverso da quello che ha provocato l'inserimento del termine « giustizia >> in 6,3 3 : l'evangelista non vuole definire che il regno sarà giustizia, bensl. ricordare che la giu­ stizia è la condizione per essere ammessi nel regno. Ciò dovrebbe esser sufficiente a mostrare perché mai non crediamo prudente spiegare il senso del ter­ mine « giustizia )), nella prima parte del v 6, in fun­ zione del sottinteso discutibile con cui lo si vuole spesso introdurre nella seconda parte del versetto. La promessa « saranno saziati >> non richiama affatto il complemento « di giustizia >>. E pur nel caso che uno aggiungesse tale complemento, non avrebbe ancora il diritto di concludere dal senso del termine nella promessa a quello che esso ha nella condizione da cui tale promessa dipende, condizione che suona cosi. : aver fa.!Pe. e sete di giustizia. Abbiamo séguito due vie senza uscita, percorse da coloro che tentano di definire la « giustizia >> di cui si parla nella quarta beatitudine partendo dalle espres•• La natura della beatitudine promessa o anche la causa che produrrà tale beatitudine : ciò sarebbe vero, se si trattasse della giustizia che Dio realizzer à con il suo intervento escatologico.

COLORO CHE HANNO PAME E SETE DELLA GIUSTIZIA 595

sioni « aver fame e sete » ed « essere saziati >>. Ci ri­ mane da percorrere un terzo cammino, quello che conduce la maggioranza degli esegeti a pensare che si tratta della giustizia che deve caratterizzare una condotta di vita autenticamente cristiana. Affrontiamo tale cammino nella nostra ultima considerazione a proposito della interpretazione della promessa di que­ sta beatitudine ; esso passa attraverso il punto di vista dell'evangelista così come risulta dal contesto imme­ diato. J·

Il punto di vista dell'evangelista.

Prima di parlare del contesto dobbiamo chiarire una questione di grammatica. Matteo, nel designare « coloro che hanno fame e sete della giustizia », mette il complemento all'accusativo : -rljv 8LxocLocrÒvYJV Non avrebbe forse dovuto usare il genitivo ? P. Gaech­ ter si crede autorizzato a correggere il testo proprio a motivo di questo accusativo : inizialmente si trattava di coloro che « hanno fame e sete secondo la giusti­ zia >> 87• E. Lohmeyer ritiene che la « giustizia >> non sia presentata direttamente come l'oggetto della fame c della sete, ma come « la potenza e l'azione capace di soddisfarle >> 88• G. Strecker, riprendendo da parte sua una sf.iegazione di B. Weiss 89, trova in questo ac­ cusativo 'idea che si tratti di una giustizia non par­ ziale, ma totale; la presenza dell'articolo determinativo gli sembra confermare tale interpretazione 90• • .

11 P . GAECHTER, Dos Mollhiius-Evangelium, I49· Ritroviamo così una esegesi molto vicina a quella che abbiamo incontrato in J . Maldonado, ma sulla base di una retroversione in ebraico. 88 E. LoHMEYER, Dos Evangelium des Motthiius, 87. Cf anche G. MIEGGE, Il sermone sul monte, 44s. 80 B. WEiss, Das Motthiius-Evongelium, nota a p. 93, che li basa a sua volta sulla grammatica di G. B. Winer. 10 G. STRECKER, Der Weg der Gere&htigkeit, 1 5 7 ; Die Mo­ karismen der Bergpredigt, :1.65 Les ma&arismes du dis&ours sur lo montagne, I 98. =

596

LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA

Non spendiamo molte parole a proposito dell'ar­ ticolo. Parlando della ottava beatitudine abbiamo già visto che l'articolo viene normalmente omesso davanti a un nome astratto. Quando se ne fa uso, lo si fa per ragioni di stile ; qui i participi hanno l'articolo (ot 1te:wwv-re:ç xcc� 8Ltjlwvnç) ed era quindi cosa normale adoperarlo anche per il complemento diretto. Ciò non modifica il senso del termine « giustizia » e Strecker sbaglia nel giudicare l'uso greco partendo da quello della lingua tedesca 91• Nel greco classico i verbi di desiderio sono co­ struiti con il genitivo. Forse originariamente si trat­ tava di un genitivo partitivo; in ogni caso lo si era dimenticato da lungo tempo 92• Non c'è perciò da meravigliarsi nel riscontrare nella koinè una tendenza a sostituire l'accusativo a questo genitivo un po' strano 93• L'evangelista, parlando qualche riga più avanti (Mt � ,z8) di « desiderare una donna », adopera l'accusativo cosi come faceva Es zo, 1 7 84• L'esempio 11 Osservazione di A. T. RoBERTSON, A Gramar of th1 Gr�e.i NT, n 8 e 794· •• Cf per esempio SENOFONTE, Cyrop., III, I , I o : ÉÀEU­ Ocp!aC; ÉmW!J.Ouv, « aspiravano alla li b ertà 11, e i genitivi di 1 Tm 3,1 : rimane nella linea della tradizione che il giudaismo ha eredi­ tato dall'Antico Testamento. Esso propone un ideale di vita più esigente, ma non essenzialmente diverso da quello che Luca per esemp�o, incarna nella persona dei genitori di Giovanni Battista : « Erano tutti e due giusti (8lxcttoL) davanti a Dio e camminavano irreprensibili (�lLEfL7tTOL) in tutti i comandamenti e le disposiz!on! del Signore » (1 ,6). Non possiamo fare a meno di pensare al modo in cui Paolo descrive il suo passato di fariseo, allorquando egli era « irre�

•• Questa dottrina viene fortemente inculcata a Qumran : cf I QH 4, 30-p! I QS 4, z ; cf anche I QS IO, I I-I Z ; I I,Z- 1 5 ; I QH I , zo-Z I ; 9, 14- 1 8 ; 1 3, 1 6- 1 7 ; 16,9-14; 1 7,zo-z4 ; I 8 , I 9ZO.Z7-Z8.

COLORO CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA 601

prensibile quanto alla giustizia che viene dalla legge » (xot"t'tX 8�xot�OaOVlJV �v tv v6(J.cp y�6(-LivOç OC(J.t(J.1t't'Oç : Fil 3,6) 97• Paolo teologo ha rifiutato questa giustiZla proveniente dalla legge e che apparterrebbe in proprio all'uomo : egli non vuole più altra giustizia se non quella che viene da Cristo (v 9). Ciò però non impedisce af­ fatto a Paolo pastore di esortare incessantemente i cristiani a mostrarsi « irreprensibili » davanti a Dio e davanti agli uomini 98• È precisamente in questa pro­ spettiva pastorale che Matteo non esita a riprendere il termine > o « di spirito >>. Il Sal 3 3 (ebr. 34), 1 9 dichiara : « Il Signore è vicino a coloro che hanno il cuore spezzato, egli salverà gli abbassati di spirito (-roòc; -rot7te:woòc; -rij'l 7tVEU!J.ot-rt) > >. Ec 7,8 ado­ pera l'immagine opposta : « Un (uomo) paziente val meglio che un elevato di spirito (uo/t)>.òv 7tVEU!J.oc-rt) >>. In senso proprio i due aggettivi si applicano l'uno a ciò che è « basso », privo di elevazione, l'altro a ciò che è « alto », « elevato > >. Il complemento « di spi-

Lyon, 8), Le Puy, I 96 I , 26�-272 ; Lu Tt'T(o))(Ol Tij) TtVt:ÒIJ4TI dt Matthitu J ,J t t ler 'af!.w& ruah dt Qumran, in Ntulutamentlith' AufsiJI'{t. Festschrift fiir f. Schmidl, Ratisbona, I 963, B-64. 1 Troviamo accostamenti di questo genere per esempio in P. VANNUTELLI, Dt Evangelio Talmudicù el Midrastitù librù illustralo, in La Scuola Cattolica 5 7 (I 929) 273-286.H8-37o. 43 I-439 (360- 36�); J. RESEWSKI, Die Makarismen bei Mt. unJ

Lle., ihr Verhiiltnù nto anche dei passi paralleli, cioè Il a c. H. HUNZINGER, Fragmenlt tintr iilleren Fassung des B�«hes Milhama aus Ho'hle 4, ZA W 69 ( 1957) 13 1-1p (13�). Questo testo corrisponde a 1 QM 14,3- 16, ma in una redazione più breve. 11 In 'wl la lettura dello ain iniziale non è sicura; noi ve­ diamo in questo verbo un infinito pi'e/, che doveva essere pre­ ceduto dal lamed ( « per piegare ») Notare che queste quattro lettere suggerite da 4 QMa non bastano per colmare la lacuna di 1 QM 14,7, dove mancano 10 o I Z lettere. Si sono fatte congetture di ogni specie, ma nessuna può essere considerata come veramente convincente. .

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l POVERI IN SPIRITO

della testimonianza che altri passi ci forniscono a pro­ posito del vocabolario in uso a Qumran za. Notiamo anzitutto che la Regola adopera due volte l'espressione tnversa, ruah 'anawah, (( spirito di umiltà )) (non possiamo evidentemente tradurre « spirito di povertà ))) : « Per lo spirito di rettitudine e di umiltà sarà espiato il suo peccato, e per l'umiltà della sua a­ nima nei confronti di tutti i precetti di Dio sarà puri­ ficata la sua carne )) ( I QS �.8); è compito dello Spirito della luce « illuminare il cuore dell'uomo, e spianare davanti all'uomo tutte le vie della giustizia vera, e infondere nel suo cuore il timore dei giudizi di Dio e uno spirito di umiltà e di pazienza e una abbondante compassione... )) (4,2-3). La riiah 'anawah si presenta naturalmente come il tratto distintivo degli 'anwéy riiah, degli « umili di spirito )), Aggiungiamo che il termine riiah non è indispensabile ; è chiaro per esem­ pio che in I QS I I, I la 'anawah indica l'« umiltà )) e non la « povertà )) : (( Per rispondere (con) umiltà davanti agli elevati di spirito, e in uno spirito spez­ zato agli uomini di giogo ( agli oppressori) )), L'at­ teggiamento di 'anawah, che si conviene di fronte agli orgogliosi (rm_y rwh), caratterizza precisamente gli umili; gli 'anwéy ruah. Terminiamo con un testo assai mutilo e dalla lezione incerta; si tratta delle prime righe della co­ lonna I 4 degli Hodayot: =

[.. . nel tuo popolo e.. . ... uomini di verità e.. . ... [coloro .Ps,:. a]mano la compassione e gli 'n-:y rwh, [purificati da... ... [che si do]minano fino [al giorno] dei tuoi giudizi.. . ... e tu fortificherai i tuoi precetti [in loro] per fare ... 18 J. CARMlGNAC scrive a questo proposito: « Lo studio at­ tento del vocabolario, dello stile, delle citazioni bibliche e di certi temi comuni indica una curiosa parentela tra la Gue"a

IN

SPIRITO

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Noi abbiamo scritto 'nwy rwh, « i poveri in spirito », là dove Sukenik legge 'w�y rwh, « i robusti di spirito ». Questa lezione è contestata e la fotografia pubblicata dall'editore non permette di pronunciarsi. L'aggettivo 'oz sarebbe eccezionale nei testi di Qumran 24, mentre la menzione degli 'anwéy rliah si accorderebbe bene con la vicinanza della idea di « compassione », rhmym, a giudicare da I QS 4,3 e I QH I 8, I4. Comprendiamo perciò la preferenza che, per esempio, K. G. Kuhn 25 accorda a questa lezione. Comunque il dubbio qui sussistente non ha molta importanza per noi, in quanto il passo è troppo lacunoso per poter risultare utile. 2.

Espressioni equivalenti.

I . Anche il termine « cuore >> permette di trasporre sul piano delle disposizioni interiori un aggettivo, che riguarda normalmente l'ordine corporale. Le beatitu­ dini ne forniscono un esempio eccellente, quando parlano di coloro che sono « puri di cuore », ot x«6txpot -iii xtxpSl� (Mt �.8), usando una espressione che ricorre già nel Salterio �reco (Sal z3 [ebr. z4],4). La prima beatitudine, costrwta sul medesimo modello della sesta, va di norma spiegata nello stesso modo. Sempre in Matteo sentiamo Gesù definire se stesso « mite e umile di cuore », np«uc; x«t -r«m:Lvòc; -iii xtxpSl� (I I ,z9). L'e.spressione « abbassato » o « umile di cuore » si riscontra in Dn 3,87 ; non pare che essa abbia un senso diverso da quello che ha l'espressione -rtxneLvol. -r(i) nvEOfi.«TL del Sal H (ebr. 34), I9. In e la Regolo della Comunità... e più ancora tra la Guerro e gli ltmi » (o. c., xm). È dunque bene chiarire questi scritti uno per mezzo dell'altro. "' La sua presenza in I QH 2, 2 è dubbia. 11 K. G. KuHN, Konkordanz zu den Qumronlexlen, Gottinga, I96o, I6I, n. IO e I67, n. 3· Anche questo autore presenta la lezione 'zy r111h, che avrebbe il medesimo senso della lezione di Sukenik.

814

I POVERI I N SPIRITO

Le 24,2 � l'espressione « tardi di cuore » ((3p«8ei:c; -r1j x«p8lq;) suona forse meno bene in greco che non il (3«puxcip8LoL del Sal 4,3 26• Ma c'è un altro esem­ pio di questa costruzione che ci interessa. Esso ricorre nella apostrofe di Stefano, che riprende un tema pro­ fetico tradizionale (Ger 9,2�; Ez 44,7.9) per qualifi­ care i suoi avversari come « incirconcisi di cuore » (At 7,5 I). Sembra chiaro che anche qui il greco rifletta un linguaggio semitico. L'ebraico, come parla di « spez­ zati di spirito », cosl parla di « spezzati di cuore » : nishberéy-léb (Is 6I,I; Sal H,19 ; cf p,I9), shebtlréy-léb (Sal 147,3), nile'éh lébab (Sal 109,I6). Le persone spa­ ventate vengono definite « precipitate di cuore », nimharéy-léb (Is 3 � ,4; I QH 2,9 ; I QS I 0,26), o « li­ quefatte di cuore », msy lbb ( IQM 1o,6) 27; nel mede­ simo senso si parla di un ralelébdb, un « ammollito di cuore » (2 Cron 13 ,7 ; Dt 2o,8). In senso opposto tro­ viamo gli 'abbiré léb, i « forti di cuore)) (Sal 76,6 ; Is 46,1 2). Agli « erranti di spirito)) di Is 29,24 corri11 _n paragone riguarda il fatto che il traduttore greco del salmo ha adoperato un composto. Ma l'immagine non è esat­ tamente la stessa: il salmo dice « pesanti di cuore », supponendo senza dubbio kibdéy llb (cf Es 7, I 4; Ecli 3,26). Contrariamente al nostro linguaggio, in cui il ((cuore pesante» evoca l'idea di tristezza, l'espressione del salmo, così come quella di Le 24,2 �, indica la mancanza di intelligenza. Possiamo accostarla a Es ...,Io, dove Mosè si dice «pesante di bocca e pesante di lingua)). L'ebraico non ha un aggettivo che corrisponda a (( lento»; questa idea viene espressa soprattutto con l'aggettivo ((lungo», che abbiamo gli rtscontrato nella espressione (Sal 7,1 1 ; I I ,2 ; 3 2, 1 1 ; 36,1 1 ; 64, 1 1 ; 94, I 5 ; 97, 1 1 ; 2 Cron 29,34), a loro volta fratelli dei « puri di cuore >> (ba­ r4J lébab : Sal 7 3 , I ; 24,4). Il termine « cuore >> può essere aggiunto ad ag­ gettivi che indicano già di per se stessi una disposi­ zione intima o una qualità morale ; in tal modo si sottolinea allora semplicemente l'interiorità, senza che il complemento inviti a fare una trasposizione. Tale è per esempio il èaso della espressione corrente, che parla dei « sapienti di cuore >> (Es 28,3 ; 3 1 ,6 ; 3 5 , 1 0. 2 5 ; 36,1 .z.8 ; Gb 9,4; 37,z4 ; Pro Io,8 ; 1 1 ,z9 ; I 6,zi), a cui possiamo opporre gli « insensati di cuore >> (I QH I , 3 7). Un'altra espressione significativa parla del nedib léb, del « generoso di cuore >> (Es 3 5 ,2 2 ; z Cron Z9, 3 1 ; I QM I0, 5 ; cf Es 2 5 , 2 ; 3 5 .5 )30• z. Anche il termine « anima >> può svolgere il me­ desimo ruolo. Cosi 3 Mac 2,20 pone gli « spezzati di anima » (auvn-rpLfl.f.Lévwv -rocç ljiux&.ç) accanto agli « spezzati di spirito >> e agli « spezzati di cuore >>. Accanto agli « spaziosi di cuore >> (rehab léb) vengono menzionati gli « spaziosi di anima >> (rehab nèfèsh), l'uomo avido (Pro 28,z5). Nel medesimo senso Is •• Ecli I9, 4 gr. (l'ebraico non ci è stato conservato) parla del «leggero di cuore » per qualificare l'imprudente. •• In I Re s ,9 la «larghezza di cuore », rohab léb, donata da Dio a Salomone, esprime la capacità della sua intelligenza. •• Cf su questa espressione le spiegazioni di S. LÉGASSE, NTS I96I-62, H8S.

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56,11, paragonando i capi di Gerusalemme a cani vo­ raci, li qualifica come 'zzéynifèsh, « forti » o « duri di di anima >> 31• Abbiarp.o riscontrato l'espressione >: Le.r quatre évangiles nou­ flelkmenl traduit.r el annotl.r, Parigi, 1943, 26. n Cf E. C. AcHELIS, Die Bergpredigt nath Matthaus und Lulcas, Bielefeld, 1875, 5; cf anche K. F. KEIL, Commentar iib" das Evangelium des Matthliu.r, Lipsia, 1877; questa medesima sp iegazione viene esposta e poi scartata da C. F. G. HEINRICI, B1itrlig1 !(_ur Gmhùhte und ErJ:/iirung dt.r Neuen Testaments, UI, Lipsia, 1905, 20. '1 H. LEISEGANG, Die er.rll Seligpreisung, in Pneuma Hagion. D1r Ur.rprung dt.r Gei.rlubegrif!.r der synoptisrhen Evangelien au.r der gri1thisth1n Mystik (V eroffentlichungen des Forschungsinstituts fiir vergleichende Religionsgeschichte an der Universitat Leipzig, 4), Lipsia, 1922, 134-140. L'autore si colloca dal punto di vista del lettore ellenistico, il cui ideale è q uello di essere �).oua�oç -rijl mcUfUlT� (Barn 19,2.), convinto che la pienezza dello Spirito gli assicurerà gioia, felicità e pace (cf 1 Pt 4, 14); Rm 14,17). Questo lettore non {?UÒ che rimanere scosso nel sentire la prima beatitudine. Di qut la reazione di Luca, il quale, sopprimendo ( ( in Sp irito)), beatifica la povertà e accorda così il testo con un'altra forma dell'ideale ellenistico: lo spogliamento totale dei cinici. Il riassunto che ce ne dà C. K . BARRETT sem­ bra tuttavia un -po" troppo sbrigativo: (( Secondo Leisegang, Tij) mcUfUlT� nella prima beatitu d ine si riferisce allo Spirito Santo: Beati coloro che sono poveramente dotati di Spirito Santo)); The Ho/y Spiri/ and lhe Gospel Tradilion, Londra, 1947, 134. Questo senso, sviluppato nelle p. 134-13 5 dello studio di Leisegang, è quello che il lettore ellenistico percepisce nel testo. Ma le spiegazioni della p. 136 hanno un altro suono: il ( ( povero in spirito >> è un individuo che si sente interiormente povero e umiliato, secondo il p ensiero dell'autore, tale è senza dubbio il senso primitivo della beatitudine.

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una spiegazione, che restringe la prima beatitudine ai poveri che hanno ricevuto il dono nello Spirito di Dio 43• Nessuna di queste spiegazioni è filologica­ mente sostenibile. Per lo stesso motivo sembra che non sia il caso di indugiare a scartare quelle interpretazioni secondo cui il dativo -rcj) m�e:Ò(.Lot't't indicherebbe ciò di cui i « poveri in spirito » sono privi 44• L'espressione non è adatta a indicare una privazione dello Spirito Santo, cosl come non è adatta a indicare una privazione di spirito umano. La beatitudine non si indirizza né a

'" D. FLUSSER, « Blesutl are the Poor in Spiri/. . . 11, in lsr. Explor. Journ. 10 (1960) 1-1 3 . Abbiamo riassunto la tesi del­ l'autore nel vol. I, 646,22. Quanto al punto che ci interessa, l'autore finisce con l'identificare i «poveri in spirito 11 con tt i miti ('mrym), i poveri ('nyym), dotati del dono supremo della divina beatitudine, cioè dello Spirito Santo 11 (p. 6). La mede­ sima interpretazione viene ripresa nell'opera fisus, Parigi, I970, 8�s. : tt Si tratta dei poveri che hanno ricevuto il dono dello Spirito Santo 11. Orientamento analogo in J. SMIT SIBINGA, tt Za/ig t/e armen van geest 11, in Vox Theologica 30 (19�9-60) �-1 �: nella loro forma matteana le beatitudini rappresenterebbero una catechesi battesimale e si collocherebbero più precisamente nel momento in cui i neofiti ricevono il dono dello Spirito. 64 Il greco adopera normalmente il genitivo per indicare i beni di cui un povero è privo o quelli di cui un ricco fruisce in abbondanza. Cosi EuRIPIDE parla delle persone tt povere di beni 11, J(Pll!·UXTWV mvl)Ttç (E/l/tra, 37s.) ; PLATONE di colui che è (( povero di uomini amici e fedeli )), mvl)ç liv8pwv cp!.>.wv xatl ma-rwv (Ep. 7, 3 32. c). èv8d)� viene usato spesso con il genitivo: cf Gb 30,4; Pro 7,7; 9,4.1 3.16; I I ,IZ; 12,11; 15,21; 18,z ; 24. 30; z8,16 ; Ez 4,1 7 ; cf anche Barn 1, 3 . Cf TH. ZAHN, Das Ev. tlu Matlhiius, 181, n. u. Riscontriamo anche il dativo introdotto da èv: cosi Ef z,4. Il dativo semplice sarebbe anor­ male. Tuttavia cf Gn 13,z (con 7rÀouatoç); ma è a torto che il Lexicon di W. BAUER-W. F. ARNDT-F. W. GrNGRICH, p. 679, traduce Barn 19,z tt ricco in Spirito 11 nel rendere l'espressione il71"ÀOU� Tji xctp/llcf xctl 71"À0Ual0t; Tijl TrVCU(UtTI.

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uomini privi dt intelligenza o di istruzione 45, né a coloro che mancherebbero di energia o di coraggio 48, a seconda del senso che si vorrebbe attribuire al ter­ mine 1tVE:UfL«· Il1tVe:UfL« non è ciò di cui uno è povero. Altrettanto inutile è soffermarsi a considerare una variante proposta da F. Zorell, che parla di un « dativus causae impellentis >> e vede nel 1tVE:UfL« l'« animus ut sedes vitae supernaturalis, animi pars superior, animus Spiritus Sancti directioni substans atque oboediens », di modo che i « poveri in spirito » sarebbero « ii qui sunt pauperes quia ad pauperem vitam eos impellit suus animus divinitus roboratus et edoctus » 47• '" Cf TH. ZAHN, o. G., I8I, n. I4, che ricorda la battuta di Origene sul nome che si davano gli ebioniti: o! =wxot -rfi 8ta:vo!qt 'E�twva:iot, 'tijç =wxijç 8ta:vo!a:� rnww;LOt.. Uno degli ultimi sostenitori di questa interpretazione della prima beatitudine è C. F. A. FRITZSCHE, Qua/ll(}r evangelia recensuil el çum çommenlariis perpetuis edidit, l, Lipsia, I 82.6. Secondo questo autore « Nemo Téj) 7t'o�CU!J.IX'>. I poveri in spirito sarebbero perciò « homines ingenio et eruditione parum florentes ». •• È la spiegazione di E. BEST, Mallhew v. J, NTS 7 (I96o-6I) z��-2.�8; cf anche J. SMIT SIB1NGA, in Vox Theologifa 19591960, 6, n. z. E. Best fonda la propria esegesi su una ricostru­ ZIOne avventata del testo lacunoso di I QM 14,7. contraddetta dal frammento di 4 QMa, di cui egli non conosce l'esistenza (benché fosse stato pubblicato già nel I957). Indipendente­ mente da questo frammento, che·neppure lui conosce, S. Lt­ GASSE ha criticato molto giustamente la nota di Best in NTS 1960-61, 340. " F. ZoRELL, uxiçon Graemm Novi Tlslamenli (Cursus Scripturae Sacr!!e I--7VII), 2. ed., Parigi, 193 I , 1084. Queste. spiegazioni si sforzano di giustificare l'esegesi di J. KNABEN­ BAUER-A. MERK, Commenlarius in Evangelium secundum Mallhaeum (Cursus Scripturae Sacrae 111/I/I), I, 3 ed., Parigi, 192.2., 2.32. Possiamo osservare che in Matteo il dativo causale sarebbe normalmente costruito con èv: cosi Mt 22.,43. Cf. TH. ZAHN, Das Ev. des Mallhiius, I81, n. 14; M.-J. LAGRANGE, Evangile se/on saint Mallhieu (EB), 3 ed., Parigi, 192.7, XCIX e cxv; F. BLASS-A. DEBRUNNEll, Grammalile, § 2.19,2; F.-M. ABEL, Grammaire du gm biblique (EB), Parigi, 192.7, § 47e.

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Lo spirito non è né la causa per la quale uno è povero, né l'oggetto di cui uno è privo, ma definisce un modo particolare di essere povero e costituisce la sede di una povertà interiorizzata. 3 · Il vero problema consiste nella trasposizione ri­ chiesta dal complemento : si tratta cioè di sapere in che senso l'aggettivo vada trasposto. In Pro 1 7,27 abbiamo incontrato l'espressione qar-ruah, « freddo di spirito » ; il parallelismo della sentenza ci lascia ca­ pire che si tratta di un individuo circospetto. Ma è chiaro che l'espressione corrispondente qorat rliah, let­ teralmente « freddezza di spirito », viene presa nel senso di « refrigerazione di spirito », vale a dire di felicità nelle sentenze seguenti : « Una sola ora di qorat rliah nel mondo futuro è meglio di tutta una vita nel mondo presente » 48 ; « Un uomo non trova qorat ruah che con la sua prima donna » 49• Potremmo discutere a lungo sulla. questione di sapere se i LXX, traducendo nel Sal 34, 19 dalele'éy-rliah, « infranti di spirito », con -roùc; TIX7te:tvoùc; -rij) 7tVE:UfLIX't"t, abbiano ancora pensato a gente psicologicamente abbattuta e scoraggiata 50, o se abbiano di mira degli uomini moralmente umili. E noi non prenderemmo di certo spontaneamente l'espressione « lento di spirito » nel senso elogiativo che le conferisce Ec 7,8, quando parla di un uomo paziente. L'espressione (( poveri in spirito » presenta di­ verse difficoltà. Quella consistente nel precisare la nozione che deve servire da base alla trasposizione, non è la più grave. Non dovrebbe essere molto diffiSentenza di R. Jacob (verso il qo) in Abot 4, 1 7. Talmud di Babilonia: Yebamot 63b. •• Così per esempio S. REHRL, Das Problem der Demut in der profangriechischen Literatur, im Vergleich zu Septuaginla und Neuen Testament (Aevum Christianum, 4), Miinster, r 96 I , I49 e I p ; W. GauNDMANN, art. TWNT VIII (I 969) I-27 (8 e Io) ; R. LEIVESTAD, NT I 966, 445 · 48

'"

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cile rendersi anzitutto conto che le risonanze quanti­ tative che questo termine ha per noi (povero = colui che ha poco) 51 non sono quelle né del greco né del­ l'ebraico né dell'aramaico. Il greco 7tTwx.6c; corri­ sponde di preferenza a « indigente > > e indica colui al quale si deve fare l'elemosina ; tale è il suo senso abi­ tuale nei vangeli. Potrebbe però sovraccaricarsi del significato derivante da un sostrato semitico, che evo­ cherebbe piuttosto l'immagine di un uomo « curvato », di colui che è incapace di tener testa 52• La difficoltà essenziale sta nel sapere come sia possibile trasporre interiormente l'idea di povertà. E forse significativo il fatto che un ellenista come A. Pallis giudichi l'espressione 7tTwx.ol Tijl 7tVtU(J. della povertà 57, poiché il termine è effettivamente ambiguo. Deve essere perlomeno chiaro che la no­ zione di povertà, i cui addentellati sembrano anzitutto sociologici, serve qui a qualificare uno stato, un at­ teggiamento e un comportamento dello « spirito » dell'uomo. Ma come realizzare la trasposizione ne­ cessaria ? Qui sta H -problema. Tale problema non è nuovo. Esso si è posto fin dall'antichità e noi pensiamo che la risposta data dai Padri non abbia perduto ogni interesse. 11

0 RTENS!O DA SPINETOLI, Matteo, 107 L'autore si ispira segnatamente alle osservazioni di G. Feuillet, su cui ritorneremo. 17 P. 1 07S. La riflessione va di p ari passo con una modifi­ cazione che fa passare dall'idea « di essere povero >> a quella di > nel senso di « poveri volontariamente », vale a dire « umili ». Non è dunque il caso di opporre quel che egli dice di una r overtà volontaria a quel che aveva detto sull'umiltà. I commento termina con una citazione di Is 6 I , I , che sembra sostitu1rs1 alla cita­ zione di Is 66,2, più tradizionale in questo contesto. J. Gregorio di Nissa non ha la preoccupazione della concisione 12• Ragione di più per rilevare questo rias­ sunto ch'egli fa del suo proprio pensiero : « Mi sembra che il Verba chiami povertà di spirito l'umiltà vo­ lontaria » 13• Lo stesso Verbo ce ne ha dato l'esem­ pio, stando alle parole dell'Apostolo in 2 Cor 8,9. È dunque con l'umiltà che noi possiamo imitare Dio. A questo scopo dobbiamo sbarazzarci dell'orgoglio, principio di tutti i vizi. La prima beatitudine ci invita a farlo. Essa ci chiama a rassomigliare al Re dell'u­ niverso, che ha annientato se stesso prendendo la forma di uno schiavo (Fil z,5 -7) e rendendosi partecipe della nostra natura miserabile. Vetamente beato l'uomo che, guardando a colui che si è fatto volontariamente po11

- .l!

De oçto sententiis beatitudinum ex evangelio, 2, in Jançti Augustini sermones posi Maurinos reperti, ed. G. MoRrN, Mi­ sçel/anea Agostiniana, I, Roma, 1 9 3 0, 627. 11 ..6yo>-Scbriften (TU 5 5 /I), Lipsia. L'autore proponeva di at­

tribuire le omelie a Simeone di Mesopotamia, uno dei primi capi dei messaliani. La sua brillante dimostrazione ha fatto impressione : cf per esempio J. LEBON in Rev. J'Hist. Ecclés. 38 (I 942) 1 7 5 - 1 77. Nuova ripresa della questione con W. jAEGER, che, dopo aver pubblicato nel I 9 5 Z il testo De lnsti­ lulo Christiano di Gregorio di Nissa, pubblica nel 1 95 4 il testo

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sia possibile rimanere poveri in spirito, allorquando uno ha coscienza dei propri progressi spirituali 17. Sì, risponde egli, poiché la grazia che ci fa progredire ci fa precisamente conoscere che siamo niente e che non abbiamo niente. Per questo Abramo chiama se stesso terra e cenere e Davide dichiara : « Sono un verme e non un uomo, l'obbrobrio degli uomini e il rifiuto del popolo » (Sal zz,6). Altro passo caratte­ ristico 18 : « Il fondamento della via che conduce a Dio consiste nel percorrere il cammino della vita in una grande pazienza, nella speranza, nell'umiltà, nella povertà in spirito, nella mitezza ; è cosi che ci si può Erpcurare la giustizia, quella giustizia che è lo stesso Signore. I comandamenti che ci ingiungono queste cose sono posti come pietre miliari e segnali sulla via regale, che conduce alla città celeste. E stato infatti detto : Beati i poveri in spirito, beati i miti, beati i misericordiosi, beati i pacifici. Ecco il cristianedi una Grtmde ullera, il cui autore è identico a q_uello delle Omelie trasmesse sotto il nome di Macario e di cui jaeger pre­ tende di dimostrare la dipendenza nei confronti del De ln!li­ hlto di- Gregorio : TD!o Rediscovered Works of Ancient Christian Literature : Gregory of Nyssa and Macarius, Leida, I 9 H · Questa tesi obbligherebbe a riportare indietro la datazione dello Pseudo­ Macario e a rivedere la questione del suo messalianesimo. Ma non pare che vada imponendos i ; gli autori che hanno ripreso la questione ritengono che occorra invertire il rapporto di dipendenza : è Gregorio che dipende dallo Pseudo-Macario. Cf già la messa a punto di W. DoERRIES, Christlicher Huma­ ni1111UJ und mijnchische Geùt-Ethik, TLZ 79 (1954) 643-656, poi le prese di posizil:m�di J . GRIBOMONT, Le De Instituto Chrùtiano el le Messalianisme tk Grégoire de Nysse, in Studia Palristica, V (TU 8o), Berlino, 1 96z, p z- 3 z z ; R. STAATS, Der Traktat Gregors von Nyssa > 19• Rispo­ sta : « Coloro che sono umili e contriti di pensiero 20. Infatti "spirito" indica qui l'anima e la volontà. Vi sono molti umili che sono tali non spontaneamente, ma perché costrettivi dalla forza delle cose ; Cristo non si indirizza a loro, poiché la loro situazione non ha niente di lodevole. Egli chiama beati in primo luogo coloro che si umiliano e si abbassano volontariamente ». Ma allora perché non chiamarli « umili » piuttosto che « poveri » ? « Petché quest'ultimo termine dice di più : si tratta di coloro che si spaventano e tremano di fronte ai comandamenti di Dio 21 ; sono precisamente quelli che il profeta Isaia dichiara graditi in modo par­ ticolare a Dio : Su chi abbasserò il mio sguardo, se non su colui che è umile e tranquillo e che trema alle mie parole ? (Is 66,z) ». Altri testi menzionano già questa umiltà, che Cristo dichiara beata. Cosi il Sal p , 1 9 : « Il sacrificio gradito a Dio è uno spirito con­ trito; Dio non disprezza un cuore contrito e umiliato », o Dn 3 , 3 9 : « Che possiamo essere accolti in un animo contrito e in uno spirito umiliato ». Come l'orgoglio sta all'origine di tutti i mali, così nessun bene è pos­ sibile senza l'umiltà. - « Poveri in spirito », « umili in spirito », « Contriti di spirito >> o (( di cuore » sono 11 In Mallhasum, Homil. XV, 1-2.: PG 5 7, 22.4s •• Ot -rotru:,vol Xotl mJV't"t"t"plfLfl.évol -ri]v 8Llj > 23• Cirillo sviluppa il proprio pensiero fa­ cendo ricorso a Is 66,2 e al Sal 5 1 , 1 9, come aveva fatto il Crisostomo 24, però aggiunge un testo nuovo, quello di Mt u , 29 : « Imparate da me, che sono mite e u­ mile di cuore » 25. 11 PG 72., 5 89. Le omelie di Cirillo su Luca sono state par­ zialmente conservate in siriaco : testi pubblicati da J .-B. CHABOT in CSCO 70 (Syr 2.7), Lovanio, 1 9 1 2. (cf p. 36s.), traduzione la­ tina di R. M. TONNEAU, esco 140 (Syr 70), Lovanio, 1 9H (p. 22).

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Passo corrispondente della tradizione siriaca nella traduzione di R. M. Tonneau : « ..•pauperem spiritu, illum qui humiliter sapit et, ut ita dicam, collectam mentem habet et cor tractabile facileque ad se demittendum atque omnino liberum a superbia e culpa » . .. Non intendiamo dire che il passo di Cirillo dipenda da quello del Crisostomo. Quest'ultimo ci sembra piuttosto come il rappresentante di una tradizione esegetica che risale più indietro nel tempo. Noi consideriamo i testi citati come $li anelli di una catena e i testimoni -di una continuità, che mertta considerazione. 15 Cirillo non interpreta Mt 1 1 ,2.9 nel senso che gli esegeti gli dànno abitualmente oggi. - Il frammento siriaco, di cui abbiamo citato la t�Bduzione latina nella nota 2.3, è seguito da un altro frammento, che potrebbe dar l'impressione di una di­ versa interpretazione, cioè come se il patriarca di Alessandria, dopo aver identificato la povertà in spirito con l'umiltà, pro­ ponesse di riconoscervi la caratteristica di uomini distaccati dai beni terreni. Il frammento greco, più completo,. mostra che tale non è il suo pensiero. Dopo aver detto che in Matteo « poveri in spirito » significa umili, egli ritorna a Luca. Qui non troviamo la precisazione > sono degli umili e che egli si contenti di presentare in maniera suggestiva una esegesi, in cui non innova niente. Medesima interpretazione in una omelia sul van­ gelo delle beatitudini 38 : Esto pauper .rpiritu. .. Omnis -

11 Medesimo riferimento in Crisostomo e in Cirillo di Alessandria. " De Sermone Domini in monte, I, 1, � : PL 34, u� IS. 16 lvi, I, 3, I o : PL 34, I Z 3 � · 11 Sermo Ll/1, 1 : PL 38, 3 6 5 .

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I POVERI IN SPIIliTO

inftatus non est pauper spiritu; ergo humilis pauper est spiritu. Altum est regnum caelorum, sed : Qui se humiliat, exaltabitur (Le 14, 11) . Un'altra volta si tratta della sentenza secondo la quale è difficile per un ricco entrare nel regno (Mt 19,23) 37• Basta dunque esser poveri per potervi en­ trare ? Quid, si pauper es, et cupidus sù? quid, si premeris inopia, et ardes avaritia ? Sono i poveri in spirito che en­ treranno nel regno e un ricco può ben esserlo, id est, humilem, pium, innocentem, non blasphemantem, vo­ luntatem Dei sequentem. È meglio un ricco del genere che un povero mal disposto : Tu autem forte pauper es, et superbus. Quel che conta agli occhi di Dio è l'umiltà : Laudo divitem humilem : non laudo pauperem humilem. Pauper non habet unde inftetur, dives autem habet cum quo luctetur... !bi appare/ humilitas, si dives es et humilis. Il contesto doveva condurre Agostino a condannare la bramosia del povero e l'avarizia del ricco ; a motivo della beatitudine dei poveri in spirito, è sull'umiltà ch'egli pone l'accento. Un'altra occasione lo ricondure alla pericope delle beatitudini 38• In un frimo momento egli prende il termine (( poveri » ne suo significato corrente : Quid timetis esse pauperes? Cogitate divitias regni caelorum. Timetur paupertas: timeatur, sed iniquitas. Tuttavia il testo precisa : (( poveri in spirito ». Quid est, pauperes spiritu? Pauperes voluntatibus, ·non facultatibus. /Ile enim qui �P,iritu pauper est, hum_ilis est; et audit Deus gemitus humtltum, et non contemmt preces eorum (Sal Ioz,I 8) . .Inde coepit DfJIIIips commendare sermonem suum, ab hu­ militate, id est a paupertate. Un ricco umile è povero in •• In G. MolliN, Strmonu santli Auguslini posi Maurinos reperti, z6�-z71 (z68s.). 18 De otlo senlentiis bealitudinum ex evangelio : G. MoaiN, ;,; 6z7-6 � � · ,

INTERPRETAZIONI DELLA CHIESA ANTICA

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spmto, mentre un povero avido non lo è 39• Ideo Dominus Christus cum dixisset Beati pauperes, addidit spiritu. I poveri si guardino dunque dal desiderare la ricchezza e i ricchi si guardino dall'orgoglio, scoglio della ricchezza. È chiaro che per Agostino l'espres­ sione > nel suo si­ gnificato ordinario, oscillano tra queste due interpre­ tazioni. Comincia�o'"tuttavia col mettere da parte le Pseud!r

Clementine,

e

che adottano un punto di vista particolare non menzionano del resto la precisazione « in spi-

61 Ritroveremo in Afraate e in Severo di Antiochia i me­ desimi modelli di povertà in spirito . ., esco 77 (Syr 39) . 200S . ; 8 5 (S yr 40), I , os .

INTERPRETAZIONI DELLA CHIESA ANTICA

647

rito » 68• A chi chiede se i poveri saranno salvati anche se sono degli empi, Pietro risponde : « Niente affatto. L'indigenza dell'indigente non è buona se si brama quel che non conviene. Tra i poveri ve ne sono di quelli che sono ricchi con il desiderio ; essi saranno castigati per aver desiderato avidamente il guadagno. Del resto non basta essere indigenti per essere giusti ; colui che è povero di beni può bramarli o fare quel che è essenzialmente cattivo. . . Il nostro Maestro ha proclamato beati di poveri che sono fedeli (miTt'oÙç 'ltéVYJ't'otç) >> (Hom. XV, t o) 59• Medesima concezione in Ree. II,z8 : Initio praedicationù suae, utpote qui velit •..

omnei invitare et adducere ad salutem, ac patientiam la­ borum tentationumque habendam suaderet, pauperes beati­ ftcabat, eosque pro penuriae tolerantia adepturos esse polli­ cebatur regna caelorum, ut sub tanta spe aequanimiter pau­ pertatis pondus, spreta cupiditate portarent 60• Secondo queste spiegazioni la promessa del Signore è indiriz­ zata ai poveri, non in . ragione della loro povertà, qualunque sia il senso dato a questo termine, bensì in ragione della loro pazienza e della loro fedeltà ; l'autore non cerca di tirare in tal senso il complemento « in spirito >> 61 • . Occupiamoci dunque dei Padri che tengono conto

•• A proposito del rapporto che i due passi qui citati hanno con Mt 5,3, cf G. STRECKER, Das futknchrislenlum in tkn Pseu­ t/Q/e/emenlinen (TU 70), Berlino, 1 9 5 8, 1 2 3 . u Secondo l'edizione d i B. REHM, Die Pseudolelementinen, I (GCS 4z), Berlino, I 9 5 3 · Il testo della PG è sensibilmente di­ verso. 10 PG 1, u6z. 1 1 Né altro si può dedurre dalla citazione di POLICARPO, Fil z,3 ; « Beati i poveri e i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli >>. Dal momento che si sop­ prime la precisazione « in spirito », si tratta necessariamente di una povertà effettiva ; di qui però non si può concludere che i « poveri in spirito >> sono dei > (Mt 1 9,z7). Gregorio ritiene che la beatitudine risponda mirabilmente a questa domanda. Egli illustra pertanto l'espressione > accostandola ai testi evangelici che parlano di rinunciare ai propri beni per seguire Cristo. Il > appare così come > richiesta dal com­ plemento « in spirito ». L'esegesi patristica ci presenta tre tipi principali di soluzione. Il meno rappresentato è quello in cui il termine « poveri » conserva il suo senso normale e in cui la precisazione « in spirito » açgiunge solo una specificazione ulteriore : si tratta di coloro che sono poveri volontariamente, perché hanno liberamente scelto questa condizione o almeno perché l'accettano con generosità. Un po' più frequente è la spiegazione che parla di distacco interiore : qui la po­ vertà in spirito è indipendente dalla conèlizione eco­ nomi�, ma rimane definita in rapporto ai beni di for­ tuna. Nella interpretazione comune, che identifica i « poveri in spirito >> con gli umili, la povertà esteriore è soltanto una immagine di un atteggiamento interiore, che non ha più alcuna relazi.one con il possesso dei beni temporali o con la loro privazione : qui la tra­ sposizione è totale. Ritroverenw _questi medesimi tipi di spiegazione tra i moderni ; costoro ci forniranno nel medesimo tempo degli argomenti critici, di cui cercheremo di valutare la portata. Tra la prima interpretazione e le due successive inseriremo una spiegazione più spe­ cificamente moderna a motivo dell'interesse ch'essa manifesta per la Zeitgeschichte ( = storia del tempo, della cultura) e la psicologia.

POVERTA ' E SPIRITO

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§ III. POVERTÀ E SPIRITO

L'interpretazione di cui parliamo in primo luogo rara tra gli antichi, ma assai diffusa tra i moderni. Essa non ammette che la precisazione « in spirito » provochi una trasposizione reale. I « poveri in spi­ rito » rimangono dei « poveri > > nel senso normale del termine, ma dei poveri in cui l'indigenza materiale è legata a un atteggiamento dello spirito, a una disposi­ zione dell'anima. Quanto alla natura esatta di questa disposizione interiore, le spiegazioni possono variare molto, senza che ciò modifichi essenzialmente il prin­ cipio di una spiegazione, in cui i termini « in spirito » aggiungono qualcosa all'idea di povertà ma non la modificano. Gli autori che. si impegnano su questa via ricor­ rono a due specie di considerazioni : ritengono che la versione rarallela di Luca inviti a intendere anche in Matteo i termine « poveri » nel suo senso realista ; di conseguenza devono spiegare ciò che i termini « in spirito » aggiungono all'idea di povertà. Noi esamineremo successivamente queste due considera­ ;doni. �

r.

La

testimonianza di Luta. -

Nel 1 900 un professore di seminario riasswneva così le opinioni sulla prima beatitudine : « Molti la applicano a coloro che hanno l'animo dimesso, che sono veramente umili; in tal modo Cristo prenderebbe come punto di partenza l'umiltà, fondamento di ogni edificio spirituale. Altri non sono di questo avviso. Dal momento che Le 6,zo non contiene l'aggiunta T(j) 7tvEUfL«TL, bisogna concludere che quest'ultima non cambia la nozione di povertà e che si limita a determinane con maggior precisione i "poveri" a cui Le 6,2.4 oppone i "ricchi". Si tratterebbe quindi di

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povelii e di indigenti ; Cristo colpirebbe qui la cupidigia, radice di tutti i mali. La beatitudine si indirizza a co­ loro che scelgono volontariamente la povertà, o che la sopportano di buon animo, o ancora a coloro che conservano la loro anima disimpegnata e libera nei confronti dei beni terreni >> 1• Basta un solo argomento per decidere la questione : dal momento che i « poveri » di Luca, opposti ai « ricchi », sono evidentemente dei « poveri » nel senso ordinario del termine, bisogna concludere che la precisazione « in spirito », propria di Matteo, lascia al termine il medesimo significato 2• . Il commento di J. Knabenbauer e di A. Merk non ragiona altrimenti : « Dicit autem paupere.r .rpi­ ritu, -r m&UfLIXTt ; istud additum non legitur Luc. 6,20 ; ex quo concludi debet ea voce addita ipsam notionem pauperum non immutati quidem, at ac­ curatius determinari qui demum egeni et inopes beati

1 C. v AN ONGEV AL, Commentariu.r in Evange/ium suuntlum Matthaeum, Gand, 1900, 5 8 . • L'esegesi di J. MALDONADO rimane interessante (Com­ mentarii in quatuor Evangelistas, ed. J. M. RAICH, I, Magonza, I 8 74, 97). Questo autore considera anzitutto il termine 1'1"-rw x6ç, che va inteso nel senso di poveri veri : ( 1) di per se stesso e nel­ l'uso che ne fanno gli evangelisti, questo termine indica degli indigenti ; (z) non si tratta dell'umiltà, poiché a questa è riser­ vata una beatitudine, quella dei miti ; (3) la promessa del regno, ricchezza suprema, acquista maggior rilievo se si indirizza a veri poveri; (4) � > (p. 90, n. I). Non pensiamo che la teologia ne guadagni veramente a mescolarsi con la grammatica. -

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la sua osservazione iniziale : il complemento -r(i) nve:o­ !J.Om indica che la povertà in questione ha la sua sede nell'intimo dell'uomo, nel suo spirito o nel suo cuore. La sua spiegazione è filologicamente insostenibile. La sua proposta di vedere nella povertà in spirito un at­ teggiamento dell'anima nei confronti di una povertà esterna sembra altrettanto estranea alla intenzione del­ l'evangelista quanto quella che cerca nella fame della giustizia una fame corporale accompagnata dalla giu­ stizia. La spiegazione che fa dd « poveri in spirito » delle persone volontariamente povere 33 ha conosciuto una certa ripresa, quando sono stati pubblicati i primi do­ cumenti di Qumran. Nel 1 9 n . K. Schubert ritiene che i testi di cui si dispone permettano già di affermare che i 7tVEU!J.IX't"� non cambia la natura di tale povertà, ma vi aggiunge semplicemente una diesposiZione costituisce una specie di antologia delle ipotesi che noi cerchiamo di distinguere. Loisy si interessa in primo luogo del pensiero di Gesù: si tratterebbe di poveri realmente poveri; ma nel medesimo tempo animati da disposizioni reli­ giose, dal distacco, dall'umiltà, ecc. Però che cosa vuoi dire Matteo, quando aggiunge i termini « in spirito )) ? Loisy di­ rebbe ch'egli pensa senza dubbio a un distacco interiore, che può coesistere con il possesso di beni di fortuna. •• G. BoNACCORSI, Primi saggi di filologia neo/es/amen/aria, I, Torino, I9H. zs. 5 1 L. VAN PETEGHEM, Krisius' moraal in de bergrede, nell'o­ pera in collaborazione Christus onze Heer, Gand, I 9 5 5 , I I 5- I 3 8 ( 1 2 5 ) : d i per sé-la..1>overtà non è una perfezione ; tale però è la povertà in spirito, vale a dire , « di cuore >>, « di anima >> invita a intendere l'aggettivo in un senso esclusiva­ mente interiore. In particolare, tale sarà il caso della sesta beatitudine, dove sembra chiaro che l'appellativo « puri di cuore >> non conserva niente della realtà di una purezza esteriore. Inolt!!e il caso dei « poveri in spirito >> non può essere dissociato da quello degli « affamati e assetati della giustizia >> : come qui la « fame >> diventa una semplice metafora per signifi­ care una aspi:11azione dell'anima, cosi la « povertà >> della prima beatitudine sembra vada intesa in un senso puramente metaforico. La precisazione (( in spirito >> non ha solo lo scopo di aggiungere qualcosa all'idea di una povertà esteriore, ma richiede una ttasposizione totale. Non v'è alcuna ragione valida che permetta di rifiutare qui tale trasposizione, la cui necessità si impone in tutti i casi similari. La povertà in spirito non è una povertà materiale con l'aggiunta di un ele­ mento spirituale. § IV. I PARIA DEL GIUDAISMO

E LA LORO PSICOLOGIA

Un secondo tipo di interpretazione ci viene fotnito da quegli autori che cercano di identificare i (( poveri in spirito >> facendo ricotso a quanto sappiamo della società palestinese del primo secolo. In questa società essenzialmente religiosa c'è una élite, che si distingue per la sua osservanza minuziosa delle prescrizioni della legge e che è rappresentata grosso modo dai farisei. All'estremo opposto c'è la massa poco istruita e poco sollecita delle complicazioni della religione ufficiale, che viene designata con l'appellativo sprezzante di 'am-ha'arer, il (( popolo del paese ». È a questa gente

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che si riferirebbe l'espressione (( poveri in spmto ». La prima beatitudine adotterebbe così un punto di vista diametralmente opposto a quello dei farisei : il regno di Dio non è per i pii osservanti della legge, ma appartiene a questo rifiuto religioso del giudai­ smo, di cui (( i pubblicani e le prostitute » (Mt 2 I , p s.) costituiscono un caso limite e, come tale, rap­ presentativo. Questa spiegazione sociologica viene general­ mente accompagnata da considerazioni psicologiche, che approfondiscono la nota antifarisaica della beati­ tudine e che possono d'altra parte essere sviluppate indipendentemente da ogni riferimento allo 'am-ha'­ arer. Si precisa che, per aver parte alla promessa del regno, non basta trovarsi sociologicamente tra le persone che non si ricordano affatto della legge ; la vera ragione del privilegio di questi paria va ricer­ cata in un atteggiamento dell'anima, che si oppone alla orgogliosa sufficienza dei farisei. Questi (( poveri in spirito » sono beati, perché hanno coscienza della loro miseria spirituale e, come il pubblicano della pa­ rabola (Le I 8,9- 14), sanno di poter contare solo sulla misericordia di Dio. Forse può essere utile ricordat:e anzitutto somma­ riamente quel che si intende per 'am-ha'arer 1• Poi 1 Esposizione sommaria di quel che troviamo un po' dap­ pertutto, a cominciare dai commenti e dagli studi sulla prima beatitudine. Limitiamoci a segnalare : E. ScHUERER, Geschichle du jiidischen Vo/J:es im Zeilaller Jesu Chrisli, II, 3 ed., Lipsia, 1 898, 400, con'""l.' nnportante nota H ; W. GESENIUs-F. BuHL, Hebriiisches und aramiiiuhes Handworterbuch iiber das Alte Testa­ meni, I 6 ed., Lipsia, 1 9 2 I , 5 96s. ; G. D ALMAN, fesus-feschua. Die drei Sprachen fesu : ]es11s in der Synagoge, auf dem Berge, beim Pa!sahmahl, am Kreuz, Lipsia, 1 922, 29s. ; I. ABRAHAMS, 'Am ha-'Aref, in appendice a C. G. MoNTEFIORE, The Synoptic Gospels, II, 2 ed., Londra, 1927, 647-669 ; S. DAICHES, The Meaning oj 'm h'rF in lhe 0/d Teslamenl, JTS 30 (1 929) 245 -249 ; C. G. MoNTEFIORE, Rabbinic Literalure and Gospel Teachings,

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vedremo come questo sfondo sociologico fornisce a vari autori la base di una spiegazione della prima bea­ titudine. Infine ci occuperemo delle considerazioni psicologiche che, anche indipendentemente dal ricorso alla ipotesi dello 'am-ha'areç, prolungano nella mede­ sima linea l'interpretazione della espressione « poveri in spirito ».

Il popolo del paese. r . La Bibbia applica l'espressione 'am-ha'areç anzi­ tutto alla popolazione autoctona, in opposizione agli stranieri. Abramo va a trovare il « popolo del paese » a Ebron per chiedergli di vendergli la grotta, in cui seppellirà sua moglie (Gn 23,7. 1 2) 2• Al momento di entrare nella terra di Canaan, Giosué e Caleb esortano i lo11o compatrioti· a non temere il « popolo del pae­ se>> (Nm 14,9). Israele, una volta insediato in Pale­ stina, diventerà lui stesso « popolo del paese », che non ha il diritto di tollerare l'idolatria degli stranieri (Lv 20,2.4). A questa accezione etnica si sovrappone una ac­ cezione sociale, che prevale nella maggior parte dei passi in cui incontriamo l'espressione : questa indica

Londra, 1 930, 1 - 1 � (cr.itica della interpretazione che P. Biller­ beck dà della prima beatitudine) ; ] . Bo N SIRVEN, Le judaisme paleslinien au temps de jésus-Christ. Sa théologie (Bibl. de Théol. hist.), l, Parigi, 1 9 34, � 9-62 (cerca di restringere l'estensione del gruppo a cui si applica questo appellativo) ; H. STRATHMANN, n ell 'an . >.a:6ç, TWNT IV (1 942) 3 3s. (spiegazioni che ci sem­ brano contestabili) ; J. ] EREMIAS, jérusalem au lemps de Jésus. Recherches d'bisioire économique et so&if!le pour la période néo­ lestamentaire, Parigi, 1 967, H6s. e 3 � 6 ; In., Neutestamentliche Theologie, I, Giitersloh, 1971, no ; E. LOHSE, Umwelt des Neuen Testaments (NTD Erganzungsreihe 1), Gottinga, 1971, �6. Non abbiamo potuto consultare E. WuERTHWEIN, Der Amm haarez im Alten Testament, Stoccarda, 1 936, analizzato da A. G. BARROIS in RSPT 27 (1 938) u 8s. ' Cf anche Gn 42,6.

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allora la massa della popolazione in oppostzwne alla élite dirigente formata dal re, dai funzionari, dai sa­ cerdoti ecc. 3• L'espressione prende un nuovo senso al ritorno dall'esilio e nel contesto della riforma di Esdra e di Neemia. Nel complesso i rimpatriati formano una co­ munità fervente, il cui nazionalismo religioso è stato purificato e rassodato dalla prova. Essi trovano in Pa­ lestina una popolazione molto mista ; la religione jahvista vi è contaminata da elementi pagani e la gente è diventata molto indifferente nei confronti delle pre­ scrizioni della legge mosaica. Le divergenze religiose sono aggravate dai conflitti di interesse tra coloro che occupano il paese e gli emigrati, che pretendono di rientrare in possesso dei loro beni. L'espressione 'am-ha'aref viene applicata a questa popolazione imba­ stardita, da cui uscirà presto la comunità samaritana. La riforma del sec. v cercherà di tagliare i ponti tra i veri giudei e questo « popolo del paese » e prenderà di mira in modo particolare i matrimoni tra israeliti e 'amméy-ha'aref 4• • Dopo aver indicato come riscattare il peccato del prin­ cipe (Lv 4,22-26), viene indicato il procedimento da seguire, quando si tratta del peccato commesso dal popolo del paese (Lv 4,27). Medesima antitesi in Ez 4 5 , I 6-I7.22; 46,2-4.8-Io. In Geremia : > (9, 1-z). I colpevoli riconoscono il loro crimine : « Ab­ biamo tradito il nostro Dio sposando donne straniere prese tra gli 'amméy-hti'aref! >> (1o,z). Vengono prese delle misure dra­ coniane : « Adempite la volontà del Dio dei vostri padri, se­ parandovi dagli 'amméy-ha'aref e dalle donne straniere >> (1o, n). La comunità giudaica si impegna solennemente : > (Neem 1 0, 3 1 - 3 2). 6 In Enoc 1oo,6 ; roz, 3 ; cf 86, 6 ; 1 0 1 , 1 ; 105,1 troviamo la espressione « i figli della terra », o! u!ot 't'ijç yijç. Tale espres­ sione è stata accostata a quella che parla del > . Billerbeck ha arricchito il suggerimento di Lichtenstein aggiungendovi vari passi paralleli supplementari. In tal modo si è reso conto della difficoltà ch'esso sollevava : il complemento Tlj) nvEUfl.Gt't"L non può essere riferito all'oggetto di cui uno è povero (arm an Geill) ; per questo egli è ritornato alla interpretazione arm am Geill, senza troppo inquietarsi per una certa frizione esistente tra i paralleli che determinano la sua esegesi e il senso gramma­ ticale, ch'egli pensa di dover attribuire alla formula evangelica. Inoltre vi ha aggiunto una nota teologica, che aumenta ancora l'opposizione tra la sentenza di Gesù e l'opinione dei rabbini, ed è precisamente in questo modo ch'egli giunge a concordare con J . Weiss. C. G. MoNTEFIORE ha vivacemente criticato que­ sto intervento di carattere teologico, del quale denuncia l'ispi­ razione specificamente luterana (Rabbink Literalure and Go1pel Tearhing, 3-1 5 : cf soprattutto p. 5). Lutero, nel suo commento al discorso della montatna (1 5 3 2), aveva infatti spiegato la prima beatitudine come un rifiuto opposto da Gesù al legalismo fari­ saico : nella edizione di Erlangen, vol. 43, ns. ; cf K. BORN­ H AUSER, Die Bergpredigl, 28, n . 1 . È a questa interpretazione che J . Weiss e P. Billerbeck credono di poter dare una base, fa­ cendo appello alla espressione 'am-ha'aref: si tratta di dimostrare che la prima beatitudine si oppone direttamente alle concezioni farisaiche. La medesima tradizione teologica luterana ha con­ dotto Weiss e Billerbeck alla medesima esegesi antirabbinica.

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(1 894) 30, di R. Kabisch (1 896) 31, e notare l'influenza che essa ha esercitato su H. J. Holtzmann 32• Nella tappa successiva meritano di essere segnalati due au­ tori, che presentano una interpretazione vicina a quella di P. Billerbeck senza dipendere da lui : si tratta di K. Bornhauser e di J. Boehmer. K. Bornhauser, nella sua opera sul discorso della montagna 33, si col­ loca deliberatamente nella scia di Lutero 34 per spie­ gare la prima beatitudine in una prospettiva di oppo­ sizione ai farisei e ai dottori della legge. l farisei non avrebbero contestato che i « poveri » possano arrivare al regno, a condizione che facciano penitenza ; la punta antifarisaica della prima beatitudine sta nel fatto che il cammino della « povertà » e della penitenza è oramai il solo che dia accesso al regno. La « povertà » qui in questione e la ricchezza che Luca le oppone non hanno niente a che vedere con il denaro di cui si manche­ rebbe o si possederebbe in abbondanza. La ricchezza respinta da Gesù è quella di cui si fregia la scienza scrit­ turistica dei farisei; secondo Gesù la via che conduce al regno non è quella del merito, bensl quella della grazia che Dio concede a quanti sanno di non es­ serne ricchi. J. Boehmer conclude uno studio sulla ao A. KLOEPPER, Uebtr dm s;,, tmd die urspriingliche Form dir mten Seligpreisung der Bergpredigt bei Mt., in Zeitschrijl fiir flliss. Theol. 3 7 (1894) I 7 S - 1 9 1 . 9 1 R. KABISCH, Die trsle Seligpreisung, i n Theol. Studien unJ Krilileen 69 (1 896) 1 9 � -2. 1 � . n H. J . HoLTZMANN, Lehrbuch der neutestamentli&hen Theo­ logie, I, z ed., a cura di A. Ji.iLICHER e W. BAUER, Tubinga, 1 9 l l , 1 84-1 8 8 . •• K . BoRNHAUSER, Die Bergpredigt. Vtrsuch einer ttil­ glfliissischm Auslegung (BFCT z. /7), Gtitersloh, 1 92.7, z.8s. La prefazione alla seconda edizione precisa che l'opera è rimasta >. 17 E. KLOSTl!RMANN, Das Matthiilu111angelium, 2. ed., 1927, 34: i poveri in spirito sono « quella vasta categoria di gente minuta e di uomini disprezzati, a cui la letteratura rabbinica dà il nome di 'am-ha' areç >>. Non c'è da meravigliarsi che i rabbini non forniscano alcun parallelo per la prima beatitu­ dine, dal momento che questa esprime una c!'o ncezione religiosa diametralmente opposta alla loro. 88 P. FrEBIG, Jesu Bergpredigt, 1 924, 16. : come Lichtenstein e Billerbeck, egli spiega la prima beatitudine apponendola alla sentenza riporta4!8 .in B. Nedarim 41a: ; però si tratta nel medesimo tempo di individui che sono coscienti della loro miseria spirituale : >. Tutti gli uomini sono de g li accattoni : essendo dei peccatori, dipendono interamente dalla grazia di Dio per quanto concerne i beni della salvezza. La beatitudine dei > si applica a coloro che, coscienti della loro miseria, ad ottano l'atteggiamento che si conviene a questa situazione. 88 T H . ZAHN, Das Evangelium des Mallhiius, 4 ed., Lipsia­ Erlangen, 1 9zz, Ih- 1 86 ( 1a 1 ed. risale al 1 903).

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ticale, « poveri in spirito » indica degli uomini che sono poveri spiritualmente, uomini il cui spirito è povero, fa notare che il sostrato semitico invita a dare al termine « povero )) un significato che non cor­ risponde perfettamente a quanto esso evoca per noi o al senso normale di rç-r(l)x.6c:; in greco. Lo 'anaw o lo 'ani non è caratterizzato tanto dalla mancanza di denaro o di mezzi di sussistenza, quanto piuttosto dalla sua situazione deficiente dal punto di vista so­ ciale e giuridico : si tratta di un oppresso, incapace di difendersi e di ottenere giustizia. In seguito a un pro­ cesso di interiorizzazione, q,.li termini descrivono l'at­ teggiamento dell'uomo piò davanti a Dio : nell'an­ goscia del proprio cuore, egli riconosce di essere mi­ serabile e di aver bisogno d'essere soccorso con un intervento, che si attende solo da Dio. Lo 'ani dei Salmi è colui il quale sa di non poter presentare niente a Dio al di fuori del proprio bisogno di essere soccorso e di ottenere misericordia. Allora ci spieghiamo il motivo che ha fatto aggiungere -r>. 7 1 A. jONES, Tbe Gospel of jesus Chrilt aççording lo SI Mal­ lhew, in A Calholjç Commentary on Holy Sçripture, Londra, 1 9 5 2 86 I : « povero in spirito >> significa « modesto nella stima di sé ».

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l'esegesi eli Lagrange : « Avere uno spmto povero o indigente significa avere una coscienza viva della propria povertà, vale a dire essere persuaso della pro­ pria indigenza e della propria miseria ed essere di conseguenza pronto a ricevere tutto ciò che, divina­ mente autentico, verrà a colmarla. In generale gli 'lt't'wxol, se ci si riferisce al senso etimologico del termine, sono coloro che non possono più assicurarsi da soli la propria sussistenza e dipendono sotto questo punto eli vista dagli altri. I poveri in spirito beatificati da Gesù sono coloro che hanno la consapevolezza di dipendere non soltanto dal loro ambiente, bensì dal Padre celeste, che dona loro il pane necessario alla loro sussistenza. In fondo siamo tutti poveri davanti a Dio, ma possiamo anche non rendercene conto » 72• Ispirandosi a P. Schanz 73, l'autore aggiunge : (( La precisazione "in spirito" limita ed amplia nello stesso tempo la nozione eli povertà : la limita in rapporto a coloro che sono materialmente poveri, perché non tutti artivano a conoscere la propria miseria davanti a Dio, e la amplia in favore di coloro che sono provvisti di beni di fortuna : anche costoro sono beatificati da Cristf:?, se sono convinti della loro indigenza spirituale e del loro bisogno di redenzione >>. La beatitudine ri­ guarda perciò non solo una indigenza spirituale, che è la situazione di tutti gli uomini poiché tutti sono peccatori, ma il sentimento che se ne ha davanti a Dio 74• ,. G. FEUIL!:,_ET.A" l..a béalitude de la palll!t'elé, in Vie Spirilru//e 7 3 ( 1 94 5 ) 5 ! 1-5�7 ( 5 1 4). 73 P. ScHANZ, Commentar iibw das Evangelium tks heiligen Mallhaeus, Friburgo, 1 879, I 6 z . • • Cf anche V. MACCH10Ro, The Meaning of the Firsl Bea­ lilude, ]ournal of Religion 1 2. (19 32.) 40-49 ; M. MEINERTZ, Theo­ logie des Neuen Testaments (Die H eilige Schrift des NT, Erganz­ ungsband, 1), I, Bonn, 1 9 5 0, 98 ; K. STAAB, Das Evangelium M&h Matthiius (Echter-Bibel, NT, 1), Wiirzburg, 1 9 5 1 , 30; W. PESCH, Der Lohngedanke in d1r Lehre Juu, tJwgli&hen mil der re-

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Secondo H. Leisegang 75 la povertà in spirito con­ siste nel sentirsi interiormente poveri. J. Boehmer 76 ritiene che la povertà intesa dalla beatitudine non sa­ rebbe reale se non fosse sentita : è quanto intende pre­ cisamente sottolineare l'aggiunta -r> o con il popolo semplice, « che non conosce la legge » (Gv 7,49). Pietro è il 78 A. M. HuNTBR, Design for Life. An Exposition of the Sermon on the Mounl, its Maleing,. ils Exegesis and its Meaning, Londra, 1 9 5 3, 3 1 s . Secondo E. J . GooosPEED i poveri in spirito sono coloro che i< sentono la loro miseria spirituale >> : Problems of New Teslamenl Translation, Chicago, 1 945, e Matthew, Apostle and Evangelist, Ftiadelfia, 1 9 5 9 ; questa traduzione viene adottata da S. E. ]OHNSON, The Gospel AççorJing lo St. Matthew, in The Interpreler' s Bible, VII, New York-Nashville, I 95 I , 2 8 1 . Per D. M. STANLEY si tratta di « coloro che sono coscienti di aver bisogno dell'aiuto di Dio )) ; The Gospel of St. Matthew (NT Reading Guide, 4), 2 ed., Collegeville, 1963, 36 . 80 W. MICHAELIS, Das Evangelium naçh Matthiius (Prophe­ zei), I, Zurigo, I 948, 192-199. 8 1 « .. .lo spirito umano come sede della çonvinzione çhe uno i povero )) (p. 95 ; la sottolineatura è dell'autore).

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povero in spirito esemplare, quando dice a Gesù : « Allontanati da me, perché sono un uomo pecca­ tore » (Le 5 ,8). Secondo E. Bammel 82 il complemento Tijl 7tvEU­ fLOt't"L indica « la presa di coscienza della povertà del (proprio) spirito >> (das Sichbewusstwerden der Armut àes Geistes) . G. Barth 83 riprende la definizione di Zahn e di Klostermann : i poveri in spirito sono co­ loro che, « per quanto concerne la loro vita interiore, e quindi davanti a Dio, hanno il sentimento (Gejiihl) della propria incapacità ad aiutarsi da soli e si presen­ tano come dei mendicanti ». Secondo J. Jerernias, si tratta di « coloro che sono poveri davanti a Dio, che si ritengono come dei mendicanti davanti a lui ; essi hanno le mani vuote e sono coscienti della loro po­ vertà spirituale (ihrer geistlichen Armut bewusst) » 84• Anche W. F. Albtight e C. S. Mann parlano di « co­ scienza » 85; ad essa Ortensio da Spinetoli oppone l'incoscienza della propria povenà (« il non accorgersi della propria povertà ») 86. J. Radermakers nota 87 che « la povertà "in spirito" è una povertà in rapporto a Dio : l'uomo si trova completamente sprovvisto di fronte a lui e spesso ne prende coscienza attraverso 81 E. BAMME L, art. mwx6. Nonostante· questa messa a punto, Billerbeck continua tuttavia a considerare praticamente i « poveri in spirito >> come persone prive della conoscenza della legge. Uguale è l'atteggiamento di P. Fiebig. Essi hanno così distrutto il fondamento su cui si basava l'interpreta­ zione di Lichtenstein, ma hanno conservato la spiega­ zione che poggiava su tale fondamento. Quando L. de Grandmaison, al seguito di Billerbeck, dichiara che « i · poveri in spirito sono coloro la cui indigenza consiste nell'ignoranza delle finezze della casuistica legale >> 88, egli suppone una costruzione filologica­ mente insostenibile 89• Se l'espressione « poveri in spmto >> indica un atteggiamento dell'anima, a cui viene metaforicamente applicata l'idea di povertà, vediamo scomparire nel medesimo tempo la base della antitesi che permetteva di opporre l'ignoranza di questa gente alla scienza legale degli scribi e dei farisei 90 e di riconoscere cosi in essi gli 'amméy-ha'aref disprezzati dalla classe di­ rige�e di Israele. Non c'è perciò da meravigliarsi nel riscontrare che in tutto- ciò che la letteratura rab­ binica dice a proposito deg1i 'amméy-ha'aref non esiste alcuna espressione analoga a quella adoperata dalla ]ùus-Christ, I, 373, n. I . Abbiamo già citato la giusta critica che J. BoNSIRVEN muove a questa interpretazione : Les enseignements de jlrus-Chrisl, 1 66s. 80 Non abbiamo creduto utile discutere l'ipotesi di K. ScHUBERT, che cerca una punta anti-esseniana nella espressione « poveri in spirito » ; cf a questo proposito la critica di W. D, DAVIES, The Setting of the Sermon on the Mount, Cambridge. 1 964, 2p . 88 89

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prima beatitudine. E quando ritroviamo l'espressione m Qumran per indicare i membri della comunità, essa ha evidentemente un senso del tutto diverso da quello in cui gli esperti della legge parlavano degli 'amméy-ha'aref : gli 'anwéy rdah di 1 QM 14,7 sono nel medesimo tempo dei « perfetti di via » l I sostenitori della interpretazione che stiamo di­ scutendo ammettono generalmente che la precisa­ zione « in spirito » è attribuibile all'evangelista. Ma con quale intenzione Matteo ha aggiunto questo com­ plemento ? Essi ci spiegano che lo ha fatto per meglio mostrare che Gesù ha destinato la beatitudine non tanto a gente priva di denaro, quanto piuttosto alla massa spiritualmente diseredata, per la quale l'élite dei (( giusti » provava solo disprezzo. Ma come mai non pensano a chiedersi se le preoccupazioni di Mat­ teo andavano veramente in questa direzione ? Il suo lavoro redazionale nella introduzione del discorso della montagna (5 ,3- I 6) ci è parso ispirato anzitutto dalla preoccupazione catechetica di inculcare ai let­ tori le esigenze della loro vita cristiana. Se egli insiste sulla (( giustizia » (vv 6 e I o) e sulla pratica delle opere buone (v I 6), lo fa per far comprendere ai suoi letto!!i cristiani ciò che il vangelo reclama da parte loro, piuttosto che per metterli al corrente sulla composi­ zione dell'uditorio di Gesù, molto diverso da quello dei rabbini. In questo contesto la (( povertà in spi­ rito » rappresenta un atteggiamento dell'anima racco­ mandato ai cristiani e non solo un tratto destinato a identificare un_gry.ppo determinato tlill i contemporanei di Gesù. Noi pensiamo pertanto che l'ipotesi di una identi­ ficazione dei (( poveri in spirito )) con gli 'amméy­ ha' aref del giudaismo urti contro il senso della espres­ sione evangelica presa in se stessa e contro la preoc­ cupazione catechetica che ha ispirato il suo impiego nel vangelo.

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2. P!içologia e filologia. Il termine 7t-rwx6ç, inteso nel suo significato normale, indica la situazione eco­ nomica e sociale in cui si trova un indigente. Il com­ plemento « in spinito » invita a trasporre questa si­ tuazione sul piano delle disposizioni interiori. In Matteo la prima beatitudine niguarda perciò individui che sono spiritualmente poveri. Nella interpretazione che stiamo esaminando, si tratterebbe di persone che non sono soltanto spiritualmente povere (tutti gli uomini lo sono), ma che ne hanno anche il sentimento e la coscienza. Al privilegio di coloro che !ono inte­ riormente poveri la beatitudine sostituisce cosi il pri­ vigilegio di coloro che Ii !entono interiormente poveri. Gli autori che adottano questa interpretazione, in genere, non si dànno la pena di giustificare una si­ mile duplice trasposizione. Quando si afferma, come fa per esempio J. Boehmer 91, che "ltVEU(.Lct significa qui Gewiuen e Gefiihl, ciò permetterebbe di conclu­ dere che la beatitudine si indirizza a poveri che hanno preso coscienza della loro situazione socialmente ed economicamente deplorevole, però non siamo ancora arrivati a persone che sono coscienti della loro indi­ �enza spirituale. Si citano altre espressioni .analoghe, m particolare !pephal-rtlah. Ma là si tratta precisamente dell'�omo che è « basso di spirito », _vale a dire umile, o, se l si vuole, che è cosciente della propria bassezza ; non si tratta evidenlemente di un uomo che ha co­ scienza di essere umile, che si sente umile. .. Nel caso della sesta beatitudine, chi si sognerebbe mai di ve­ dere nei « puri di cuore » coloro che si sentono inte­ riormente puri? 92 Il fatto che tanti autori adottino

.. ]BL I 9Z6, Z99· 01 Facciamo eco a una critica, rivolta da G. FEUILLET agli

autori che spiegano > abbia una portata religiosa che la precisazione « in spirito >> vuole semplicemente esplicitare. Tale è in effetti il significato di questo complemento, quando accom­ pagna un aggettivo che indica già per se stesso una qualità spirituale 95• Ma allora non ci si guadagna niente a partire da un significato più profondo an­ nesso al termine « poveri » : anche in questo caso il complemento « in spirito )) non permette di aggiungere alla povertà religiosa il sentimento che se ne ha, la coscienza psicologica che ci si fa. La beatitudine dei poveri in spirito non si indirizza a coloro che ignorano la legge, cosi come non si indirizza ai virtuosi della introspezione morale.

una eco nella stima di cui i rabbini circondano l'uomo shephal­ �fiah. Se anche J. Lichtenstein, P. Billerbeck, P. Fiebig avessero orientato le loro ricerche in questo senso, senza limitarsi ai passi dove il termine « poveri » (in scienza, ecc.) assume un valore peggiorativo, ne avrebbero indubbiamente guadagnato : tale limitazione è stata loro imposta da una tradizione teologica (antifarisaica) piuttosto che da un sano metodo esegetico. •• Ne abbiamo preso atto e ne abbiamo dato qualche esem­ pio nel § I, parlando del complemento : Die drei alteren Evangelien, 4 ed., Bonn, I 93z, 93· Nel senso della spiegazione « distacco )), cf anche C. GoRE, The Sermon on the Mount, Londra, 1 8 96, z3-z6 ; A. WINTER­ STEIN, Die çhristliche Lehre vom Erdengut naçh den Evangelien unti t�postolisçhen Jçhriften, Magonza, I 898, 74· 1 A . LoxsY, Les Evangiles synoptiqtus, I, H6.

71 0

I POVERI IN SPIRITO

primltlva alle condizioni pratiche della vita >> 3• È dunque possibile, ma non certo, che l'aggiunta fatta da Matteo tenda a rendere la beatitudine applicabile a coloro che non sono materialmente poveri : « un ricco umile e distaccato » potrebbe cosl aver parte alla bea­ titudine dei poveri in spirito. Tale sembra essere anche il punto di vista di P. Benoit : « Benché la formula di Mt 5 , 3 sottolinei lo spirito di povertà tanto nel ricco come nel povero, quel che Cristo intende in linea ge­ ·nerale è una povertà effettiva » 4. Matteo non esige la povertà effettiva ; egli vuole soltanto lo spirito di povertà, tanto nel ricco come nel povero. Secondo L. Pirot i poveri in spirito « sono color che, poveri di fatto, umili, di condizione modesta, sono rassegnati alla loro sorte, perché mettono tutte le loro speranze in Dio ». L'autore tuttavia aggiunge : « Dato il ruolo preponderante delle disposizioni in­ teriori, essi sono anche coloro che, pur possedendo beni di fortuna, hanno nondimeno lo spirito di povertà, che libera dalla schiavitù delle ricchezze e ne fa evi­ tare i pericoli e le seduzioni. Questa beatitudine... non implica lo spogliamento effettivo, confondendo precetto e consiglio, ma chiede solo al povero l'ac­ cettazione rassegnata della · propria sotte e al ricco lo spirito di distacco » 5• A una esegesi di questo genere, N. Dayez e Th. Soiron rimproverano di priv�re la nozione di povertà di ogni supporto concreto. « Matteo pone l'accento 1 lvi. • In La Saint1 Bible traduite m français

JOUI la dirertion dt J'Eço/e biblique de firutalem, Parigi, I 9 5 6, I Z94, n. h. P. BENOIT è meno preciso in L' Evangi/e telon 1aint Matthi1u (La Sainte Bible ... de J érusalem), Parigi, I 9 5o, p = 3 ed., I 96 I , 54: si tratta di « coloro che, sia attraverso la privazione reale dei beni della terra, sia attraverso la purificazione interiore dei loro desideri, si distaccano dal mondo presente per contare solo su Dio e attendere il suo regno >>. 1 L. PrRoT, Blatitudu ivangiliqt141, DBS I (1 9.2.8) 93.2..

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711

su un atteggiamento interiore di rinuncia alle ricchezze, ma un atteggiamento che, lungi dal dispensare da uno spogliamento effettivo, lo suppone necessariamente >>. Tale necessità risulta dagli insegnamenti che si tro­ vano nel seguito del discorso della montagna : « Nes­ suno può servire a due padroni... » (6,z4), « Cerc�te anzitutto il regno e la sua giustizia » (6,H)· « Po­ tremmo dunque parafrasare la prima beatitudine in questi termini : beati coloro che sono veramente poveri, coloro per i quali la povertà non equivale a una costri­ zione subita contro volontà, ma che la vivono come un distacco dalle ricchezze liberamente scelto » 8• È vero che, di per se stessa, l'espressione « poveri in spirito » raccomanda il distacco interiore ; altri testi però dimostrano che tale distacco comporta uno spo­ gliamento effettivo. L'esegesi di Ortensio da Spinetoli è eclettica. Abbiamo citato questo autore parlando della inter­ pretazione psicologica, ma lo yossiamo citare anche qui : « Il povero in spirito è i povero perfetto, di­ staccato non solo dai beni di fortuna, i meno impor­ tanti, ma anche e soprattutto dai beni superiori della intelligenza e della volontà, delle proprie idee e dei propri sentimenti » 7• Egli non ci dice però se l'evan­ gelista abbia previsto queste conseguenze. 2.. I sostenitori-di questa esegesi sono soprattutto A. Durand e J. Bonsirven. Il primo spiega : « Tutti, poveri e ricchi, per diventare cristiani e rimanere tali, devono condurre la loro vita in uno spirito di di­ stacco, preoccupandosi in primo luogo del servizio di Dio. È per indicare espressamente questa anima di povertà che San Matteo pa:da di "poveri in spirito",

103

1 N. DAYEZ-TH. SNOY, L11 Béatitlllks se/on Matthi111, B VC (I972) Ss. 7 0RTENSIO DA SPINETOLI, Ma/110, I 97 I , Io8.

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71 2

cosl come parlerà di "puri di cuore". Dal punto di vista evangelico si è poveri an2itutto interiormente, con le disposizioni interiori. Ciononostante rimane vero che Gesù Cristo ha dichiarato privilegiati co­ loro che sono poveri in spirito e di fatto... Il ricco è venuto a sua volta, ma facendosi un'anima di povero... L'interpretazione più comunemente ammessa, la me­ glio fondata nel testo, è quella che abbiamo adottata. Essa distingue la povertà che è beatitudine dalla po­ vertà di consiglio. La prima è necessaria alla salvezza, mentre la seconda è lasciata alla libera scelta di coloro che vogliono essere perfetti, dal momento che questa compol!ta lo spogliamento reale dei beni temporali, mentre quella si limita alla accettazione sottomessa delle contrarietà della propria condizione. Benché la beatitudine cosl intesa abbia l:or sua piena espressione solo nel fatto visibile di una povertà reale, rimane pur sempre che il suo valore salvifico le deriva soprattutto da un distacco interiore. Ora "il ricco secondo Dio" 8 vive spiritualmente di questa anima di povertà >> 9• Dal momento che la povertà effettiva non è richiesta a tutti i cristiani, Matteo ·mette l'accento sull'« anima di povertà >>, sul distacco interiore, che può esistere anche nel « ricco buono >> 10. Cf Le I.Z02 1 ; Gc 1 , 10. 1 A. DuRAND, Evangile selon mini Mallhitu (VS l), Parigi, 1924 ; 1 9 ed., 1 929, 67s. 10 Durand, dopo aver sottolineato che Gesù non condanna la ricchezza, aggiunge che significherebbe > 1s. Riflessioni. Cominciamo col confessare che la nostra obiezione principale contro il ricorso a uno « spirito di povertà >> per spiegare l'espressione > deriva dal fatto che l'interpretazione che si riferisce all'umiltà ci sembra poggiaie su basi molto più solide. Gli argomenti che qui ci vengono proposti hanno ben poca consistenza. Il vero problema non viene affrontato seriamente ; intendiamo quello della natura della trasposizione richiesta dal complemento « in spirito ». Si parte dall'idea che la povertà è una nozione univoca e si concentra tutta la propria atten­ zione sulle modalità : povertà affettiva, povertà effet­ tiva. Dove ci porterebbe un metodo del genere ap­ plicato per esempio alla metafora della circoncisione del cuore ? In realtà ci troviamo di fronte a una tra­ sposizione incompiuta ; nopostante il progresso ch'essa fii registrare nei confronti delle interpretazioni esa­ minati? nel § III - quelle che si contentavano di ag­ giungere una dimensione spirituale alla povertà ef­ fettiva -, pliesta il fianco alle medesime critiche. Non ci soffermiamo sul vantaggio che i sostenitori di questa interpretazione trovano nel fatto che essa permette di distinguere la poverà in spirito, che è obbligatoria per tutti i cristiani, dalla povertà effet­ tiva, che è un consiglio dato a coloro che vogliono essere perfetti. Ai nostri occhi un vantaggio del ge- J

u G. LECLERCQ, La loi nouvelle, in Cinquième dimar�&he aprii

lo Pmlerole (AssA 5 9), Bruges, I966, 8 3-97 (9I). Cf nel mede­

simo senso M. I. GoBRY, Dieu ou Mammon, in Qualorzième di­ mafuhs aprèJ la Penle&ole (AssS 68), Bruges, 1 964, 73-82 (8os.), e J. M ARTY, Chrélien, où eli lon JréJor? ivi, 83-90 (88s .) . Quanto abbiamo potuto verificare nel caso di sacerdoti o di laici colti, porta al medesimo risultato : l'espressione « poveri in spirito )) ha, in varie lingue moderne, un senso che pochissimi esegeti son disposti a riconoscere nel testo evangelico.

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717

nere costituirebbe una obiezione decisiva, poiché non dubitiamo che per Matteo 18, cosi come per ogni sana teologia cristiana 17, la chiamata alla perfezione riguardi tutti i credenti e caratterizzi precisamente il messaggio evangelico nella sua opposizione alla legge antica (Mt � ,zo e 48 ; I 9, I 7- u ) . Rimangono alcune considerazioni generali. An­ zitutto quella che insiste sulla preoccupazione pastorale che induce Matteo ad attenuare certe esigenze troppo recise di Gesù e a renderle più accessibili ai cristiani del suo tempo. Questa tendenza dell'evangelista è innegabile e ne abbiamo trovato un esempio eccellente nel 7tp&"t'ov di 6,3 3 : « Cercate prima di tutto il re­ gno. . . » 18• Ciò però non prova ancora che Matteo, al fine di estendere a tutti i cristiani una beatitudine dei poveri, abbia conservato il senso proprio del ter­ mine « poveri », · . piuttosto che approfittare delle ri­ sonanze semitiche e bibliche che permettevano una trasposizione molto più naturale. Un altra considerazione generale sottolinea il fatto che Gesù ha certamente insegnato ai suoi di­ scepoli il distacco nei confronti dei beni terreni ; è quanto attestano in particolare le istruzioni raggrup-. pate in Mt 6,I9-34· Questo argomento presenta l'in­ conveniente di abbandonare il piano redazionale, da cui deriva la precisazione « in spirito », e di non pro­ vare che Matteo lia aggiunto questa precisazione per 18 Cf S. LÉGASSE, L'appel du rirhe (Mare 1 0,17-JI el parai­ /è/es) . Contribulion t:Ì l'ltude des fondements srripturaires de l'élal religieux (VS Coli. annexe, I), Parigi, I 966, 1 84-2 1 4. 17 Il Concilio Vaticano II lo ha ricordato con tutta chiarezza nel capitolo V della Costituzione dogmatica Lumen Gmtium. Cf il commento di M. LABOURDETTE in G. BARA UNA, L' Eglise J4 Valiean II. Etudes aulour de la Constitution eoneiliaire sur l'E­ glise, III (Unam Sanctam, pc), Parigi, I 966, I I05-I I 17· 18 L'esempio più famoso è costituito dalla clausola che ammette una eccezione nella sentenza con cui Gesù vieta il ripudio e il matrimonio successivo : 5 , 3 2 e I 9,9·

l POVERI

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IN SPIRITO

insistere sul distacco piuttosto che, per esempio, sull'umiltà, che è pure raccomandata da Gesù . . Da quest'ultima considerazione noi trarremo tut­ tavia una lezione di prudenza pastorale. Per un udi­ tore odierno, non iniziato agli arcani dell'esegesi, la beatitudine dei poveri in spirito contiene un invito al distacco interiore. Possiamo cercare di correggere questa interpretazione spontanea, ma senza dare l'im­ pressione che il vangelo non richieda il distacco. Po­ tremmo fare il paragone con un'altra formula, che possiede anch'essa un senso comune e manifesta­ mente erroneo : « Pace agli uomini di buona volontà » (Le 2,14) 19 ; nel coueggerla dobbiamo forse lasciar intendere che la pace è riservata a coloro che Dio fa­ vorisce arbitrariamente, senza che le disposizioni per­ sonali vi abbiano niente a che vedere ? Rimane il fatto che, dal punto di vista esegetico, il senso assunto naturalmente nella nostra lingua dalla espressione « poveri in spirito >> non può pretendere di essere quello inteso dall'evangelista : in ogni caso non abbiamo alcuna ragione valida per supporre che egli abbia voluto designare in questo modo delle per­ sone �teriormente distaccate dal denaro che posseg­ gono o di cui sono prive. 2.

L'umiltà.

Abbiamo visto che, nei primi secoli cnsttani, i Padri identificavano tradizionalmente i poveri in spi­ rito con gli umili, vale a dire con uomini il cui atteg­ giamento interiore è caratterizzato dall'umiltà. Con­ temporaneamente abbiamo osservato che questa in­ terpretazione abituale, ben difficilmente spiegabile a partire dal testo di cui questi autori disponevano (greco, latino o siriaco), non può essere basata su

u a vol. I, Bp.,

n.

2.78.

LA POVERTA' IN SPIRITO

719

considerazioni esegetiche. Ora vedremo che l'esegesi recente tende a ritornare a tale interpretazione e che a questo scopo si avvale di argomenti solidi. Cominciamo con l'osservare che i sostenitori delle interpretazioni già riferite accennano spesso anche all'umiltà. Tale è particolarmente il caso di H. N. Ridderbos, il quale, facendo ricorso al vocabolario biblico, vede nei poveri in spirito degli sventurati e degli oppressi, in cui la miseria esteriore va di pari passo con disposizioni di umiltà e di mitezza 20• E 10 H. N. R m oERBO S, De slrekking der Bergrede naar Mattheiis, Kampen, I 936, 90; De komst van het Koninkrijk, Kampen, I 9 5 0, 168-q i . L'autore comincia col ricordare le posizioni contrad­ dittorie di A. HARNACK e R. BuLTMANN. Secondo Harnack il cristianesimo è una morale religiosa, in cui tutto si riduce al dovere di un amore radicato nell'umiltà ; Gesù, caratteriz­ zando i suoi discepoli come poveri in spirito, fa dell'umiltà, espressione della nostra indigenza interiore, l'atteggiamento di un'anima aperta a Dio : Das Wesen des Christentums, Lipsia, I9oo, 46s. (identica impaginazione nelle riedizioni; noi utiliz­ ziamo quella del 1 908) L'essençe du çhristianisme, Parigi, I 907, 9 5 s. Di fronte a questa concezione liberale, R. BuLTMANN, fuus, I 926, I 86 fésus, Mythologie et démythologisation, Parigi, 1 968, I 76 riafferma la concezione luterana, secondo la quale i.l vangelo è un messaggio di salvezza indirizzato ai peccatori coscienti della loro miseria morale ; il carattere trascendente della salvezza apparirebbe precisamente nel fatto che i benefi­ ciari della salvezza sol)o dei poveri in spirito, vale a dire dei peccatori. Queste tesi non fanno che collegare le beatitudini a pregiudizi teologici. Ridderbos ritiene che un sano metodo ese­ getico deve collocare l'espressione « poveri in spirito )) nel contesto biblico a cui appartiene. Dal momento che nTwx6ç corrisponde normalmente a 'ani, l'espressione nTWXÒç Tcji 1tlleU ­ fl4T� rende assai bene il senso di 'andw, che può anche essere tradotto con « mite )), 'Ani esprime direttamente una miseria esteriore, ma connota facilmente le disposizioni umili con cui si sopporta questa situazione. Viceversa 'anaw indica anzitutto l e disposizioni di umiltà e di mitezza, ma senza fare astrazione dalle condizioni penose in cui queste disposizioni interiori tro­ vano da esercitarsi. Matteo formula le beatitudini in terza persona : ciò lo obbliga ad aggiungere la precisazione Tcji nv&U­ fi.OCT�, che non era necessaria in Luca, dove Gesù si indirizza =

=

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I POVERI IN SPIRITO

tale è anche il caso di numerosi autori, che si adden­ trano in considerazioni psicologiche sul sentimento che i poveri in spirito hanno della loro propria mi­ seria spirituale : senza troppa fatica potremmo trovare qui una trasformazione moderna della interpretazione antica. Le spiegazioni di Th. Zahn 21, per esempio, non sono molto lontane da quelle degli esegeti di cui ora esamineremo il pensiero. r. Gli esegeti recenti sono stati ricondotti alla in­ terpretazione antica anzitutto da una maggiore at­ tenzione alle risonanze del vocabolario della povertà nella Bibbia, poi dalla nuova indicazione che le sco­ perte di Qumran hanno loro fornito, presentando una espressione che corrisponde a quella della prima bea­ titudine ; infine vi sono stati indotti anche da una più

direttamente ai discepoli. Tra i due non c'è differenza di senso. « poveri >> qui in questione non sono solo persone di condi­ zione modesta, oppresse e incapaci di farsi render giustizia ; sono certamente tutto questo, ma inoltre sopportano con pa­ zienza le loro sofferenze, mettono la loro fiducia nel soccorso di Dio- e attendono la salvezza da lui. Il senso non è perciò né puramente sociale né puramente religioso, ma include ad un tempo le sofferenze della povertà e le disposizioni interiori, che sono riassunte nell'aggettivo « mite >> o, meglio ancora, (( umile >>. Questa interpretazione si riscontra in molti autori, generalmente meno preoccupati di Ridderbos di giustificare la propria opzione. Ricordiamo, per esempio, oltre ai com­ menti : A. LEMONNYER, RSPT 1922, n 8 s. ; L. DELMOTTE, A propos des Béatitudes, in Col/. Dioec. Tornaçensis 27 (193 I-p) 1 2- 1 8 ( 1 3 - 1 5 ) ; � �BRETON, La vie et /'enseignement de fésus­ Christ Notre-Seigneur (VS), I, Parigi, I 9 3 I , 1 79- 1 8 3 ; F. PRAT, ]isus-Christ, sa vie, sa doçlrine, son oeuvre, I, Parigi, I 9 B · 271 ; T.W. MANSON, The Sayings of fesus, 1937, Londra, I949 ( I 9 5 4), 47 ; M. KNEPPER, Die (< Armen >> der Bergpredigt fesu, in Bibe/ und Kirçhe 1 ( 1 9 1 3) I 9-27 ; G. BoRNKAMM, jesus von Nazareth (Urban-Biicher, 1 9), 2 ed., Stoccarda, 1 9 5 7, 1 84 ; J . DANIÉLou, Bienheureux /es Pauvres, in Etudes zz8 (1956) 3 2 1 - 3 3 8 (327-329). 2 1 Th. ZAHN, Das Evangelium des Matlhiius, I h-1 86. I

=

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721

seria attenzione per le preoccupazioni redazionali dell'evangelista. Nella formulazione originaria delle beatitudini i « poveri )) erano strettamente associati agli · afflitti e agli affamati ; come lo straniero, la vedova e l'orfano, essi apparivano degli individui senza difesa, incapaci di farsi rendere giustizia contro degli oppressori po­ tenti. L'avvento del regno di Dio avrebbe messo fine a questa situazione scandalosa : in virtù delle sue prerogative regali, Dio avrebbe assicurato il buon di­ ritto ai deboli. A questo livello, l'unica cosa che viene presa in considerazione è la miseria dei « poveri )) : essa è, come tale, una offesa alla giustizia di Dio ; è inutile far intervenire qui la colorazione religiosa che il termine ha assunto in ·certe correnti della pietà giu­ daica, dove il supplicante, per indurre Dio a portargli soccorso; presenta· se stesso come un « povero )) : non solo come un essere senza difesa, ma anche come un uomo fedele e umilmente sottomesso alla volontà divina, che ripone tutta la propria fiducia in Dio 22• Questo « povero )) non è più semplicemente un affamato, ma è un uomo profondamente pio, affa­ mato e assetato di giustizia. Questa immagine spiritua­ lizzata e interiorizzata del > 24• In funzione della medesima tradizione biblica, S. de Diétrich af­ ferma : « Poveri in spirito significa : coloro che hanno lo spirito di povertà, di umiltà » 25• Questa considerazione della evoluzione della no­ zione di povenà nel pensiero giudaico ci aveva con­ dotto alla medesima interpretazione nella nostra opera del 1 9 5 4, ma senza indurci a rigettare interamente l'interpretazione che riconosce nei « poveri in spirito » degli individui distaccati nei confronti dei beni tem­ porali 26• La pubblicazione dei testi di Qumran ci ha portati ad assumere una posizione più risoluta a partire dal 1 9 5 8 27• H.-J. Degenhardt si muove nella medesima direzione : come gli 'anwéy rdah di 1 QM •• M. OvERNAY, Evangi/e s�/on saint Matthieu, Friburgo in Sv., I 944. 2 3 . •• S . D E DIÉTRICH, Mais moi, je vous Jis. Commenlaire tk /' Evangile de Matthieu, Neuchatel, 1 965, 3 1 . •• Les Béatitudes, Bruges-Lovanio, 1954, 272-277. •• Gli articoli citati nella prima nota di questo capitolo riprendono i risultati principali di uno studio, che ci aveva permesso una redazione provvisoria del capitolo.

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IN

SPIRITO

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14,7, i « poveri in spirito » di Mt 5 ,3 vanno caratte­ rizzati per mezzo di un atteggiamento interiore, che è quello dell'umiltà 28• Da parte sua, H. Braun 29 ri­ prende il suggerimento di C.-H. Hunzinger 30, che oppone questi 'anwéy riiah agli raméy riiah, agli (( ele­ vati di spirito >>, « agli orgogliosi » di 1 QS 1 1 , 1 , e riconosce in essi, così come nei « poveri in spirito » di Mt 5 ,3, delle �� persone che hanno lo spirito di umiltà », secondo quel che J . Schmitt chiama « l'i­ deologia dualista del pietismo giudaico » 31• H.-Th. Wrege vede nella espressione (( povel'i in spirito » un titolo di cui i membri della comunità di Qumran andavano molto fieri, mostrando in tal modo la loro coscienza di costituite il gruppo esclu­ sivo degli uomini autenticamente pii ; è nel medesimo

28 Allo stesso modo di

I QM I4,7 e I QS 3,8 : « Matteo vede negli rrrw:x;ol -rij> TtVtÒj.l.a.Tt delle persone dai sentimenti umili )) : H.- J. D EGENHARDT, Luleor - Evongelist der Armen, Stoccarda, I 96 1 , 48s . ; cf anche 200. •• H. B RAUN , Qumron und dos Neue Testoment, Tubinga, I 966, l, I 3 ; cf anche II, 98 e Jesus, der Monn ous Nozoreth und 11ine Zeit (Themen der Theologie, I), 2 ed., Stoccarda, I 969, Io5. Da notare che questo autore non conosce i nostri lavori in materia. 80 C .-H. HUNZIGER, -ZA W I 9 5 7, I 3 I- I p (I43)· 11 J. S cHM ITT, Les /çrits du Nouveou Testomml et /es lextes th Qumron. Bilon der cinq onnéu de rechercbes, in Revue der Sciences Religieum 29 (I95 5) 3 8I-40 1 , e 30 (195 6) 5 5-74 e 26I-28z (269). Abbiamo citato questo passo nel vol. I, 306. - Secondo G. BRAU­ MANN, I QM I 4,7 invita a intendere Mt 5 , 3 nel senso di « Beati coloro che sono spiritualmente poveri >> e a ritrovame l'equi­ valente in I Pt 3,4 : >. Ma que­ sto senso dell'espressione presa in se stessa non coinciderebbe con quello che essa aveva nella intenzione dell'evangelista che l'ha adoperata : Matteo « si è un po' allontanato dal pensiero originario. Ora infatti si ha l'impressione che per lui conti solo l'aspetto religioso della povertà, al di sopra di qualsiasi aspetto soc1ale. È certamente così che il testo va inteso. Ma perché ha avuto bisogno di operare questo spostamento di accento ? Senza dubbio perché, nella sua situazione ecclesiale, era più importante metter l'accento sulla povertà religiosa che sulla promessa della salvezza a una classe sociale sfavorita >>. Sfortu­ natamente l'autore non spiega che cosa intende per « povertà religiosa >>. ., S. LÉGASSE, Les pauvres en esprit el /es , conforme­ mente alla etimologia di 'anaw, ed è p11ecj.samente per mezzo di essi che Dio intende « piegare >> coloro che hanno il cuore irrigidito. Comprendiamo allora il particolare rimprovero che 4 Q I 84, I , I 6 rivolge alla prostituta : ella >, vale a dire con la lentezza ad andare in collera : gli 'anwéy rliah sono persone pazienti. Quando i testi parlano dell'atteggiamento che i membri della comunità devono avere gli uni verso gli altri, la 'anawah è regolarmente accompagnata dalla carità af­ fettuosa (I QS 2,24; 4,3 ; � · 3 · 3 � ). Quando si tratta dell'atteggiamento nei confnonti di Dio, la 'anawah diventa docilità fedele alle prescrizioni ( I QS 3,8 ; I QH I7,2 2). Il quadro che abbiamo tracciato non è completo 45, u Da un lavoro sopra il vocabolario complessivo della « povertà >> a Qumran abbiamo attinto solo le indicazioni che interessavano più direttamente il nostro argomento. Sarebbe opportuno spigolare anche nella letteratura rabbinica. P. B IL­ LERBECK, pur non accettando questa interpretazione, non ignora che c'è stato chi ha visto nella prima beatitudine una racco­ mandazione riguardante l'umiltà e vi ha accostato numerose sentenze rabbiniche, che elogiano questa disposizione d'animo ; egli ricusa questi passi paralleli, P.oiché non si riferiscono a quella forma molto precisa di umdtà, che è la coscienza della propria incapacità di piacere a Dio e del bisogno che uno ha àclla sua grazia. Tuttavia accetta di citare una lunga serie di testi relativi all'umiltà presa in un senso più largo : o. &., I92.-I 94· Riportiamo questa sentenza, conservata in B. Aboda Zara zob, 3 I : « R. Pinehas ben Giair (verso il zoo) ha detto : La pietà (hasitMI) è quanto vi è di più gunde; guardate il Sal 89,20 : Allora tu parlerai attraverso la visione ai tuoi pii (hasidèka) . R. Giuseppe b. Levi (verso il 2�0) era di un altro avviso, poiché ha detto : L'umiltà è quanto vi è di più grande ; guardate Is 6 I , I : Jahvè mi ha unto r,er annunciare la buona novella agli umili ('anawlm) . Non dice ' i pii", ma "gli umili" ; ciò ti mostra che l'umiltà ('antiwah) è più grande di tutto 11. Questo rabbino vede pertanto negli 'antiwlm di Is 6 I , I non dei (( poveri >> nel senso che la forma primitiva della prima beatitudine dava a questo termine, asso­ ciandolo agli affamati, bensì delle persone caratterizzate dal loro atteggiamento spirituale di umiltà e di mitezza, dalla loro 'ant1wt1h. Tale è già il senso di questo termine nella Bibbia : Pro I �, 3 3 ; I 8, u ; 22,4 ; Sof 2, 3 ; Beli 3,17-20 ; 4,8. Due testi discussi lo adoperano parlando di Dio (della sua condiscendenza : Sal I 8,36) e del re messianico (Sal 4M)·

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tu ttavia i tratti posti in rilievo sono sufficienti a farsi una idea della fisionomia spirituale degli 'anwéy rliah. Viceversa non ci dicono niente a proposito della si­ tuazione economica di questi > è attribuibile al redattore che ha aggiunto i termini Tcj) 7tVEUfJ.om nella prima beatitudine. Il redattore che esige una trasposizione ,\el termine 'lt't"wxot è perciò anche quello che parla di 'ltpote:�c;. La relazione, che non è percettibile al livello del greco ordinario, salta agli occhi se teniamo conto del retroterra semitico : la beatitudine dei poveri si indirizza agli 'anawim di cui parla Is 6 I , I e quella dei miti agli 'anawim del Sal 3 7, I I . Non sembra dunque temerario supporre che Mat­ teo, leggendo il termine greco 'lt't"wxo( nella sua fonte, vi abbia riconosciuto gli 'anawim della Bibbia e ab­ bia voluto indicare la portata spirituale del termine, ricorrendo al procedimento che ha condotto la gente di Qumran a parlare degli 'anwéy rtlah. Anche i suoi 'lt't"wxot T(/l mtuf.!.ot't"� sono dei « piegati di sririto )), degli « umili di spirito >>. La condizione de porta­ foglio non ha niente a che vedere con questa designa­ zione, che mira a descrivere semplicemente un at­ teggiamento interiore nei confronti di Dio e del pros­ simo 49, quell'atteggiamento riassunto per noi nel termine di umiltà so. •• Molti autori ritengono che la povertà spirituale riguardi solo la relazione dell'uomo verso Dio e che sia pertanto solo umiltà davanti a lui. I testi di Qumran, che abbiamo passato in rassegna, mostrano bene che non esistono due atteggiamenti dell'anima, uno nei confronti di Dio e l'altro nei confronti del prossimo : bisogna mettere in atto la medesima 'anawah in ambedue i casi. •• Se Luca oppone alla beatitudine dei poveri un vae in­ dirizzato ai ricchi, la beatitudine dei poveri in spirito di Matteo troverebbe la sua antitesi in un va1 indirizzato a uomini dal cuore duro e dalla cervice rigida.

I POVERI IN SPIRITO

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J· Il punto di vista di Matteo nel momento in cui comincia il discorso della montagna è stato accostato a quello ch'egli adotta in I 8, I -4, all'inizio del discorso comunitario 51• La preoccupazione ch'egli manifesta in questo punto può effettivamente illustrare quella che viene tradotta dalla espressione « poveri in spirito ». Il lavoro redazionale compiuto da Matteo nei primi versetti del capitolo I 8 risulta da un confronto con il passo parallelo di Mc 9· B-37 52• Questo passo conte­ neva due episodi distinti : anzitutto una disputa sulla precedenza, cui risponde la sentenza : « Se qualcuno vuol essere il primo, dovrà essere l'ultimo di tutti >> (9, 3 3-3 � ) ; poi la scena del bambino, che Gesù prende in braccio prima di fare la dichiarazione che spiega questo gesto : « Chiunque riceve uno di questi fan­ ciulli in nome mio, riceve me >> (9, 36-na) 53• Mt 1 8 non parla più di una disputa sulla prece­ denza, ma di una questione dottrinale : « Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli ? >> (v I). Gesù, prima di rispondere, chiama un fanciullo. Una prima dichia­ razione non riguarda direttamente la domanda posta : ·

6 1 Abbiamo segnalato questo accostamento in G. Strecker, J . D. Kingsbury e soprattutto in S. Légasse. •• Riassumiamo qui le osservazioni che abbiamo fatto nel vol. I, 75 �-768, e nell'articolo Matthieu r 8,J : Mv fL-lj a-rpcxcpij-re: xcxl ytv7ja6E wç TIZ 7tott8!ot, pubblicato in Neolertamentica et Semitica. Studies in Honour oj M. Blacl:, Edimburgo, 1969, �o-6o. Utilizziamo nel medesimo tempo l'opera di S. LÉGASSE, Jé.ru.r et l'mfant, pubblicata nello stesso periodo ( 1 969) e che nel suo complesso �iJ,lnge alle medesime conclusioni (p. z3-z7, 3:1.-36, zq-z3I). Una analisi dettagliata di Mt 1 8 , 1 -4 ci viene fornita da W. G. THOMPSON, Matthew's Advice lo a Divided Community. Mt. 17,22-rS,JJ (AB 44), Roma, 1 970, 69-84 .e I B-1 39· •• Matteo riprende qui Mc 9,37b: « Colui che accoglie me, non accoglie me, bensì colui che mi ha mandato >>. Ne troviamo l'equivalente nel discorso missionario, dove sembra che la sentenza sia collocata in un contesto più consono (Mt Io,4o; cf Le Io, I 6 ; Gv 1 3,zo).

LA POVBRTA ' IN SPIRITO

733

« In verità vi dico, se voi non cambiate e non diven­ tate come i fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli )) (v 3) 54. Qui non si tl'atta del rango all'interno del re­ gno, bensì della possibilità di entrarvi ; il bambino che i discepoli hanno sotto gli occhi non è uno di quelli che bisogna accogliere, ma l'esempio su cui devono modellarsi. La risposta attesa viene data nel v 4 e presentata come la conseguenza del principio enunciato nel versetto precedente : « Perciò chiunque si abbasserà come questo fanciullo, egli sarà il più grande nel regno dei cieli )), La dichiarazione sulla accoglienza da riservare ai fanciulli viene conservata (v 5 ) , ma, privata del suo rapporto immediato con il v 1 , essa costituisce il punto di partenza dello svolgi­ mento sui doveri che abbiamo verso i > : Jésus et /' enfanl. « En­ fanls », "petils" Il "simples" dans la tradilion synoptique (EB), Parigi, I 969, 2.45 , e n. 4·

EREDITERANNO LA TERRA

743

trascura il fatto che « poveri in spirito » e « rrutl » rappresentano due sfumature inseparabili ma distinte del medesimo atteggiamento interiore, vale a dire della 'aniiwah 4• Cominceremo il nostro studio dalla promessa in­ dirizzata ai miti : « essi erediteranno la terra », e ci domanderemo se questa promessa chiarisce le dispo­ sizioni di coloro a cui è destinata. Poi riscontreremo che l'interpretazione del termine « miti » solleva pres­ sappoco g1i stessi problemi sollevati dalla interpreta­ zione della espressione « poveri in spirito » : si tràtta di una situazione sociologica, di una disposizione spi­ rituale o di ambedue insieme? Per rispondere alla d omanda ci chiederemo quale sia la colorazione che il retroterra semitico conferisce al termine, quale sia il ruolo che questo svolge nella parenesi cristiana e quale sia il suo · significato al livello della redazione di Matteo,. Ricordiamo che, nel nostro pensiero, questa indagine non mira solo a chiarire il senso del termine > 5• • E. NEuHA.USLER esprime molto bene l'intenzione di Mat­ teo : « Il suo T 1tVeUfULTL non è l'unica interpretazione della beatitudine dei poveri ; anche la beatitudine dei miti da lui in­ trodotta serve in fondo a chiarire quel che egli intende per povertà » (1. c.). E. BAMMEL nota da parte sua: « Forse alla base dei due versetti vi è un medesimo macarismo, l'elogio dei poveri, cui sono state fatte due aggiunte distinte, che gettano luce sulla ampiezza della pietà degli anawim . . . » : art. TI'Twx6ç, TWNT VI ( I 9 5 9) 88 5-9I 5 (904). • Ecco alcuni articoli dedicati in modo speciale alla beati­ tudine dei miti : W. K. LowTHER CLARKE, Bleued are the Meek (Tt'p1Xeìç) : for tbey sha/1 inherit the Earth. - St. Matt. v. J, in Theo­ logy 47 (I 944) I } I - I 3 3 ; G. P. BAKER, The Constant Meek. B/essed are the Meek : Jor They Sha/1 Inherit the Earth (Mtth. J,J), in lnterpretation 7 ( 1 9 5 3) 34-41 ; A. GoNZALES, Los « pobren> beredan, in Cultura Biblica 1 5 ( I 9 5 8) 1 62-1 7 7 ; G. VAN DEN VEL­ DEN, (( Zalig de :(,achtmoedigen, want zij zullen het Land bezitten », in Getuigenis 3 (1958-59) zn-z8 1 ; F. SPADAFORA, La seconda

744

I MITI E GLI AFFLITTI

Per completare il nostro studio della versione matteana delle beatitudini, che risalgono alla fonte da cui derivano anche le beatitudini di Luca, aggiunge­ remo un ultimo paragrafo sulla beatitudine degli « af­ flitti ». Questa, contrariamente alle altre beatitudini originali, sembra non aver subito alcun ritocco reda­ zionale; per parlare del suo significato nella intenzione di Matteo, occorrerà pertanto far leva sul contesto. § I. EREDITERANNO LA TERRA I.

Akune questioni.

I.

« Te"a » o « paese » ? In francese e in italiano, come del resto in greco, il termine « terra », yij, in­ dica naturalmente la terra intera, se non interviene qualche precisazione a limitarne il senso. Ma l'uso di una formula biblica tradizionale impone di domandarsi se non sia il caso di sottintendere la Terra (promessa), la Terra (d'Israele) e di dare così al termine un senso fistretto, che sarebbe reso in maniera più esatta con

(30 , 4- �). In rapporto al punto di partenza, la tradizione deuteronomistica conferisce alla idea di « eredità » una densità particolare : non si tratta più del solo possesso di una terra, ma anche dei vantaggi che de­ vono normalmente accompagnarlo come la tranquil­ lità e la prosperità, una vita lunga e una numerosa posterità. Possedere una terra in eredità diventa cosi il simbolo della pienezza della felicità. Nel medesimo tempo vediamo comparire due nuove componenti. Questa tradizione insiste fortemente anzitutto sul fatto che l'adempimento della promessa divina suppone la fedeltà all'alleanza in coloro che ne saranno i benefi­ ciari. Il possesso della eredità è quindi dipendente da una condizione, cioè dalla osservanza delle prescri­ zioni dell'alleanza. Ma tale clausola non rende la pro­ messa illusoria ? No, risponde il Deuteronomio ; essa ha semplicemente l'effetto di riservarne la realizzazione per l'avvenire e in favore di un > (57, 1 3 ) ; in una Gerusalemme trasfigurata « tutta la popolazione sarà composta di giusti ed essi avranno per sempre la terra in eredità ... ; il più piccolo diventerà migliaia, il più insignificante una nazione potente » (6o,z r - zz) ; « Farò uscire una posterità da Giacobbe e da Giuda ed essa erediterà il mio monte santo ; i miei eletti e i miei servi lo erediteranno e vi abiteranno » (6 5 ,9). La formula è influenzata da una concentrazione della speranza sulla nuova Gerusa­ lemme, la cui gloria supera le condizioni del mondo presente e la cui popolazione annovererà solo più dei giusti 18• Il libro di Tobia raccomanda il matrimonio endo­ gamico (all'interno del clan), come veniva praticato in passato dai patriarchi : « Tutti hanno preso moglie tra i loro fratelli e sono stati benedetti nei loro figli e la. loro discendenza erediterà la terra » (4,r z). L'ere­ dità deve ancora venire e si può supporre ch'essa si confonda con il destino meraviglioso di Gerusalemme, evocato nel capitolo r 3 . 1 8 Dobbiamo menzionare anche Is 61 ,7, che segue immedia­ tamente i versetti a cui si ispirano la beatitudine dei poveri e quella degli afflitti nella versione primitiva. Il testo massoretico è discusso e significherebbe all'incirca : « In luogo della vostra onta (voi avrete) il doppio ; in" luogo della loro confusione essi si rallegreranno ; per questo sulla terra erediteranno il doppio e una allegrezza eterna sopravverrà loro ». Nei LXX : (( Così per la seconda volta erediteranno la terra (èx 8e:u-rÉpa:ç :KÀ7Jpovo­ (LlJaouow -r-1)-.r yoif.i), e una gioia eterna (sarà) sul loro capo ». Questa idea di una nuova presa di possesso della terra non è priva di interesse. - Segnaliamo qui il modo in cui J . W. DoEVE spiega il concatenamento delle prime tre beatitudini in Matteo : Jewish Hermeneutics in the Synoptic Gospels and Acts (Van Gor­ cum's theol. bibliotheek, XXIV), Assen, 19n. q 6-1 5 8 . La prima beatitudine combinerebbe Is 6 1 , 1 con Is. 5 7, 1 5 e Dn 7, 1 8 ; quella degli afflitti riprende Is 6 1 , z ; quella dei miti com­ bina Is 61,7 con Is 5 7, 1 3 e Sal 3 7, 1 1 . Abbiamo già detto ciò che pensiamo del metodo di questo autore : vol. I, 2 1 3 , n. 41.

EREDITERANNO LA TERRA

757

Il libro di Enoc si apre con una evocazione del giu­ dizio : teofonia grandiosa, condanna terribile dei pec­ catori, ricompensa meravigliosa per i giusti : « E per i giusti vi sarà luce, grazia e pace, ed essi avranno la terra in eredità (xoct ocò-rot XÀY) povo [.LY}aoutnv TI)v yljv) ; ma per voi, empi, vi sarà maledizione. Allora la luce e la grazia saranno donate agli eletti ed essi avranno la terra in eredità 19• Allora la sapienza sarà data a tutti gli eletti e tutti vivranno ; non peccheranno più né per dimenticanza 20 né per orgoglio... ». Il giudizio deve dunque inaugurare un periodo di felicità in­ comparabile a favore degli eletti, la cui giustizia sarà d'ora in poi irreprensibile ; liberatisi dei peccatori, essi godranno sulla terra di una felicità che realizzerà alla fine la promessa dell'alleanza conclusa da Dio con Abramo : « essi erediteranno la terra >>. f. Allargamento dell'orizzonte. Paolo osserva in Rm 4, I 3 : « Non in forza della legge fu fatta ad A­ bramo e alla sua stirpe la prome_ssa che sarebbe stato l'erede del mondo ». Parfando così, Paolo non dà l'impressione di innovare ; egli non è il primo a com­ prendere la promessa fatta ad Abramo in funzione dell'eredità non solo della terra di Canaan, ma del mondo intero 21. Ben Sira, nel suo elogio di Abramo, sottolinea 10

grafia.

La ripetizione è senza dubbio il risultato di una ditta­

•• >. È così che essi appaiono nel Sal 3 7 : gli 'anawim non sono dei poveri o degli indigenti, così come non era stato povero Abramo ; essi sono persone umilmente sottomesse a Dio, le quali, iri:vece di irritarsi per la prosperità degli empi, rimangono pazienti e mettono in Dio la loro fiducia. Le pagine seguenti del nostro studio mostre­ ranno se è effettivamente in questo modo che bisogna intendere i « miti ».

che il cielo sia la r-esidenza di Dio, ma nel medesimo tempo si sa che il suo regno deve , bensì coloro che « non resistono a Dio >> : Sermo B,2 : PL � 8 , �6� ; Sermo de octo sententiis beatitudinum ex Evange/io, 7 : Miscellanea Agostiniano, I, 6� I , e ancora in un altro sermone edito ivi, z69. Possiamo domandarci se una interpretazione del medesimo genere non è già soggiacente a Did. � , 7 : « Figlio mio, non !a­ sciarti andare alle mormorazioni, poiché esse conducono alla bestemmia ; non essere insolente e malevolo, poiché tutto ciò ingenera delle bestemmie. Al contrario, sii mite, poiché i miti erediteranno la terra » (�,6-7). La mitezza si oppone a una scontentezza che provoca la bestemmia ; potremmo perciò pensare a un atteggiamento di umile sottomissione nei confronti di Dio. Ma il seguito immediato invita a mostrarsi prudenti : « Sii paziente, misericordioso, senza malizia, tranquillo e buo­ no; trema continuamente alle parole che hai inteso. Non ti esalterai, non aprjrai la tua anima alla presunzione; la tua a­ nima non si attaécherà ai superbi, ma frequenterai i giusti e gli umili >> (�,8-9). Il contesto sottolinea soprattutto l'atteggiamento che dobbiamo avere nei confronti degli altri, e le prime parole del v 8, « paziente, misericordioso, senza malizia, tranquillo e buono 11, prolungano in maniera naturale l'invito a mostrarsi miti. 7 Alcuni si contentano di giustapporre le due spiegazioni: cf A . LEMONNYER, Le Messianisme des « Béatitudes 11, RSPT I I (1 922) � 73-�89 (378s.); C. SPICQ, Bénignité, mansuélude, doumd, .

CHI SONO l MITI ?

765

senso di' Agostino 8, mentre altri, quasi altrettanto numerosi, si pronunciano a favore della mansuetudine che dobbiamo avere verso gli uomini 9 ; infine, al­ cuni ritengono che non sia il caso di fare una scelta, poiché la medesima disposizione d'animo concerne ad un tempo Dio e il prossimo Io. Noi non pensiamo che sia questo il problema da doversi affrontare per primo. Prima di chiederci se i miti vengano così qualificati in rapporto a Dio o in rapporto al prossimo, dobbiamo cercare di precisare la natura della loro mansuetudine. Pertanto dobbiamo chiederci quali siano le ragioni per cui certi autori si démence, RB H (1 947) 321-339 (3 24-33 :z) ; J. KEULERS, Het Evange/ie volgens Mattheiis (De boeken van het NT, 1), :z ed., Roermond-Maaseik, 1 950, 56. 8 Tra i commentatori del vangelo : W. C. Allen, H. J. Holtzmann, Th. lrinitzer, J. Knabenbauer, E. Lohmeyer, W. Michaelis, J. Schmid, W. Trilling, B. Weiss, J. Weiss ; del di­ scorso della montagna : A. M. Brouwer, A. M. Hunter, H. N. Ridderbos ; studi sulle beatitudini : A. Romeo, N. Walter ; sul termine 7tpotuc; : H. Cremer, F. Hauck-S. Schulz. Notiamo ancora F. PRAT, jésus-Christ, sa vie, sa doctrine, son oeuvre, I, Parigi, 1 9 3 3, 2 7 2 ; J. BrENECK, Sohn Gottes als Chrislusbezeich­ nung der Synopti/eer (ATANT 2 1), Zurigo, I 9 S J , 87 ; A. FEUILLET, Jésus el la Sagesse divine d'après ks Evangiles Synoptiques. Le « lo­ gion johanniqll4 >> el l'Ancienl Testamenl, RB 62 ( 1 9 5 5 ) 1 6 1-196 1 9 1 - 1 95). • Cf i commenti al vangelo di P. Billerbeck, A. Durand, M.-J. Lagrange, A. I:oisy, M. Ovemey, A. Schlatter, Th. Zahn ; quelli al discorso della montagna di K. Bomhiiuser, P. Fiebig; quelli alle beatitudini di G. Strecker, N. Dayez-Th. Snoy. L'interpretazione « dottorale » di Bornhiiuser si ritrova anche in C. CHARLIER, L' action de grtices de jésus : Luc 10,17-24 el Mal/h, 11,2}-J O, B VC 1 7 (r9 p ) 87-99 (95). 1° Cosi A. H. M'NElLE, The Gospel according lo St. Mal­ tbew, Londra, 1 9 1 3 ( 195 5), 5 1 ; ]. LEBRETON, La vie el l'en­ seignement de ]esus-Chrisl Notre-Seigneurs (VS), l, Parigi, 1 9 3 1 , 1 84 ; D . BuzY, Evangile selon saint Matthieu (La Sainte Bible ... L. Pirot, IX), Parigi, 1 9 3 5 , 5 5 ; Béatitudes, Dici. de Spirilualilé, l (1937) 1 298-1 3 1 0 (1 3oo) ; E. ]ACQUEMIN, Les Béatiludes (Mt },1-12), in File de la Toussaint (AssS 89), Bruges, 1 963, 34- 5 3 (41). •

=

I MITI E GLI AFFLITTI

766

richiamano a presupposti sociologici, mentre altri li ricusano e vedono nel termine « miti » una disposi­ zione puramente spirituale. r.

Interpretazione sociologica.

È raro trovare l'interpretazione sociologica allo stato puro, così come la riscontriamo per esempio nella spiegazione di G. Ricciotti : « I miti non sono i dolci di carattere, ma gli infimi della società, i te­ nuiores dei Romani, i "guitti" abietti e umiliati » 11 • P. Bonnard scrive nel medesimo senso : « Questi miti sono tali più per condizione e necessità che per in­ clinazione naturale ; essi non hanno nulla da dire, non hanno alcun mezzo per far trionfare i loro dirit­ ti » 12• Succede addirittura che i tedeschi traducano tranquillamente 7tpote:�ç con « Machtlosen » (- inermi, senza potere) 13• In genere ci si rende conto che la beatitudine si riferisce a una disposizione spirituale, però la maggior parte dei commentatori insiste sul condizionamento sociologico di questa disposizione del cuore. Tale int�rpretazione comune viene formulata bene da A. Bertrangs H : 11 G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Crùto, � cd., Milano-Roma. 1 94 1 , 3 8 I , n. 1 . 1 0 P. BoNNARD , L'Evangile selon saint Mallhieu (CNT 1), Neuchàtel, I963, 56. 11 K . KocH Was ùt Formgeschichte ? Neue Wege der Bibei­ IXegese, 2 ed. �ukirchen-Vluyn, 1 967, B · Anche se con qual­ che riserva, questa traduzione viene ripresa da G. EICHHOLZ, Auslegung der Bergpredigt (Bibl. St., 46), Neukirchen-Vluyn, 196 5 , 3 5 -38. Cf anche G. ScHNEIDER, Botschaft der Bergpredigt, 3 :1. ; H. FRANKEMOELLE, Die Malcarùmen (MI f,I-I2; Le 6, 20-2J) . Molive und Umfang der redalctionellen Komposition, BZ 1 5 ( I 97I) 5 2-75 (70). " A. BERTRANGS, Les Béatiti«Ùs (Etudcs Religieuscs, 75 3), Bruxelles-Parigi, 1962, 44· •

CHI SONO l MITI ?

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« Non v'è alcun dubbio che i m1t1 (tradotti talvolta con ·• umili") appartengano al medesimo ambiente dei poveri : am­ bedue si trovano nella medesima situazione materiale e nella medesima condizione sociale, cosa che comporta per ambedue le medesime sofferenze tanto sul piano materiale che su quello morale e religioso. Ma mentre il povero soffre per questa si­ tuazione, il mite la sopporta con rassegnazione ; il povero grida verso Dio, da cui si attende la salvezza, il mite si mostra piut­ tosto sottomesso a Dio, che tiene nelle proprie mani la sorte di ognuno. La mitezza dei miti non è la padronanza di sé di gente importante, ma la rassegnazione dei piccoli » 15•

I miti appaiono cosi come dei (( rassegnati » 18, degli individui sventurati e oppressi, che accettano la loro condizione umiliata fidando in Dio. Per giustificare il �enso che si dà al termine 7tp1Xe:Ì:ç, ci si appella al suo sostrato ebraico : dietro il termine greco bisogna riconoscere gli 'anawim, dei quali pa!!la il versetto del salmo a cui si ispira la beatitudine e dei quali l'uso biblico rivela il significato reale. Ora, si 15 Cf A. LEMONNYER, il quale, ispirandosi al Wiirterbuch di H. CREMER, insisteva nel suo articolo del 1 92.2. (p. nss.) sul fatto che nell'A T i miti e i poveri sono inseparabili; « La loro situazione materiale e la loro condizione sociale possono essere considerate come identiche. Tanto per gli uni come per gli altri esse comportano delle sofferenze non solo materiali, ma anche morali e religiose analoghe. Tuttavia, mentre il povero è in particolare colui che soffre per il suo stato, il mite è espressa­ mente colui che lo sopporta. Il povero grida verso Dio, da cui attende in misura principale il soccorso e la salvezza. Il mite si mantiene di più sottomesso a Dio, che, come egli ben sa, ha stabilito i destini ». Bertrangs non cita le proprie fonti, ma è difficile sottrarsi alla impressione che egli si contenti di ap­ plicare alla beatitudine evangelica quanto Lemonnyer scriveva a proposito dell'A T. 10 Traduzione di E. Reuss, ripresa da J. LEBRETON, /. c. Cf anche, per esempio, J. WErss, Di8 Schriften des Neuen Te­ staments, I, Gottinga, 1906, 2.40 ; A. ROMEO, Beatitudini et,ange­ liche, in Enci&/opedia Cattolica, II (1 949) I IOI-J io8 (1 103). -

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I MITI E GLI AFFLITTI

pensa, se è vero che il termine ebraico implica un at­ teggiamento dell'anima, è pure vero che esso indica anzitutto una condizione sociologica. Questa consi­ derazione, sviluppata più o meno a lungo dalla mag­ gior parte dei sostenitori della interpretazione che stiamo studiando 17, richiama in modo particolare l'attenzione di C. Spicq 18• Egli ricorda Gb 14,4, dove vediamo i 7tp1XE:�ç costretti a dissimularsi 19, e " Commenti al vangelo : W. C. Allen, P. Benoit, P. Bonnard, D. Buzy, P. Dausch, P. Gaechter, W. Grundmann, H. J. Holtzmann, Th. lnnitzer, J . Knabenbauer, A. H. M'Neile, W. Michaelis, Th. H. Robinson, E. Lohmeyer, A. Loisy, J. Schmid, J. Schniewind, W. Trilling, J. Weiss ; al discorso della montagna ; G. Eichholz, G. Schneider, J. Staudinger; studi sulle beatitudini : A. Bertrangs, A. Lemonnyer, L. Pirot, A. Romeo, nonché W. K. LoWTHER CLARKE, a. c., in Theology (1 944) 1 3 1 - 1 33. Similmente L. LEBRETON, /. c. ; F. PRAT, /. c. ; F. HAUCK-S. ScHULz, TWNT VI, 649s. Forse il caso di H. J. HoLTZMANN è significativo. Nella prima edizione del suo commento (1 889) egli spiegava sommariamente la beatitudine dei miti, mettendola in rapporto a Is 66,2. Poi gli è capitato di leggere A. RA HLF S, Ani unti Anaw in tkn Psalmen, Gottinga, 1 892, nonché A. KLOEPPER, Ueber den Sinn und die urspriingliche Form der ersten Seligpreisungen der Bergpredigl bei Matthiius, in Zeilschr. f wiss. Theol. n ( 1 894) 1 7 j - 1 9 1 (cf 1 8 2). Nella terza edizione (1901) egli sottolinea allora l'equivalenza radicale tra la beatitudine dei poveri e quella dei miti. Tuttavia tra le due esiste una sfumatura, in quanto « povero >> corrisponde ad 'ani, concetto sociale che indica una condizione infelice, mentre « mite » traduce 'anow e rappresenta una nozione propriamente religiosa: si tratta dell'atteggiamento di sottomissione totale e di umile fiducia che l'uomo pio adotta di fronte a Dio, di cui sa di essere il servo. È vero che nella prima beatitudine il com­ plemento « ill 10pirito >> ha già trasposto la povertà sul piano religioso, ciò però non impedisce che « mite >> rimanga una designazione più precisa delle persone che soffrono con pazienza e contano sul soccorso di Dio. J. Weiss, F. Prat, E. Lohmeyer presentano considerazioni molto simili. 18 RB 1 947, 3 24- B Z· 10 Spicq ha menzionato anzitutto Nm 1 2, 3 , il quale dice che Mosé era un uomo « estremamente mite » (LXX). Ciò non corrisponde esattamente all'idea che l'autore si fa del per­ sonaggio, che « è stato in realtà un violento e un feroce opposi-

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spiega: « Si tratta degli indigenti, che sono preda degli sfruttatori ; il lavoro di questi poveri diavoli ridonda solo a beneficio dei ricchi. Questo è un tratto talmente caratteristico di una certa classe di individui nell'An­ tico Testamento, che abbiamo il diritto di identifi­ care il 7tp1XÒ> 23• Più recentemente e più brevemente G. Schneider nota : « Nella beatitudine dei miti non dobbiamo far attenzione solo al loro atteggiamento interiore ; il termine 7tp«uç contiene anche la componente (og­ gettiva) del Machtlosen, oppresso e confinato nella miseria. Comprendiamo allora il carattere specifico della ricompensa promessa ai miti : Essi erediteranno il paese, saranno collocati in una Machtposition ( = po­ sizione di forza, di potere) >> 24. Le interpretazioni di questo genere sollevano una prima questione: Il retroterra ebraico del termine 1tp«e:�ç evoca necessariamente la condizione sociale inferiore di coloro che sono cosl designati ? I loro so­ stenitol!i affermano che esse hanno il vantaggio di dare ragione dello stretto legame che unisce i (( miti >> ai « poveri >> della prima beatitudine. Ciò pone il pro­ blema di sapere se tale vantaggio non si trasformi in un inconveniente, nella misura in cui si tiene conto del punto di vista dell'evangelista, che ha precisa­ mente riservato la prima beatitudine ai « poveri in spirito >> piuttosto che ai (( poveri >>. 2.

Interpretazione spirituale.

L'interpretazione pr�cedente in genere non tra­ scurava la portata spirituale della beatitudine dei miti, però metteva l'accento sul condizionamento socio­ logico suppQII6to dall'atteggiamento spirituale di queste persone. C'è veramente bisogno di richiamarsi a un tal presupposto ? Gli autori di cui dobbiamo ora par­ lare lo mettono precisamente in discussione. •• Cf anche A. FEUILLET, RB 1 9 � � . 1 9 1 - 1 9 � .

•• G . ScHNEIDER, Botsrhaft der Bergpredigl, 3z.

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Th. Zahn patila della beatitudine dei miti nelle sue spiegazioni sulla prima beatitudine 25• Questa si ri­ ferisce a ciò che Is 6 I , I diceva della buona novella annunciata agli 'anawfm, mentre quella ripete la pro­ messa del Sal 37,1 1 indirizzata agli 'anawtm. Dal mo­ mento che Gesù non ha f otuto ripetere due volte il medesimo termine (e da momento che Zahn non pratica affatto la critica letteraria), dobbiamo supporre che nella prima beatitudine 'aniy_ytm è stato sostituito ad 'anawlm. Ma qual'è la differenza fra i due termini? Zahn rifiuta la spiegazione che vede negli 'an#yytm delle persone oppresse, mentre gli 'anawlm sarebbero coloro che si piegano sotto l'oppressione ; allo stesso modo rifiuta anche l'idea che il primo termine esprima una situazione sventurata nel mondo, mentre il se­ condo indicherebbe un atteggiamento umile davanti a Dio. Negli 'aniyyim bisogna vedere degli oppressi, incapaci di difendersi, che attendono il loro soccorso da Dio e che hanno coscienza di poter essere aiutati soltanto da lui. Il termine 'anawfm, più raro, indica coloro che si piegano volontariamente. Niente però permette di surporre ch'essi si pieghino soltanto da­ vanti a Dio. I Sal I8,36 adopera il sostantivo 'ana­ ll'ah per parlare della mite condiscendenza di Dio che �i volge verso gli umili. In Nm 1 2,3 l'aggettivo 'anaw qualifica Mosè, in un contesto dove si tratta non di umiltà davanti a Dio, ma della pazienza con cui egli sopporta le ingiurie : i LXX hanno ragione di tradurlo con 7tpotuç, perfettamente appropriato in questo passo. Nell'ebraico post-biblico, fe forme derivate da 'anaw indicano anzitutto la mitezza e la calma, in opposi" zione alla collera turbolenta 26• È sempre in questo •• TH. ZAHN, Das Evar�ge/ium der Matthiiur (K omm. zum NT, I), 4 ed., Lipsia-Erlangen, I 9ZZ, I 8 3-I 87. •• Zahn rinvia a J. LEVY, Neuhebriiiuhes und çha/diiiuhes Worterbuçh iiber die Ta/mudim ur�d Midraiçhim (I 876ss.), III, (,67s. Cf al presente M. JAsTaow, A Diçtionary of the Targumim,

772

l

MITI E GLI AFFLITTI

senso che il Sal 3 7, 1 1 parla degli 'anawim e anche qui i LXX hanno giustamente adoperato 7tpOte:i:c:;. P. Billerbeck 27 osserva che nel vocabolatio rab­ binico l'idea di « mitezza » è difficilmente distingui­ bile da quella di >. Con il termine 7tpateiç (v I I) i LXX accentuano > (v 7), riponendo in lui la propria fi­ ducia. L'atteggiamento raccomandato è pertanto quello di una sottomissione umile, paziente, fiduciosa, in contrasto con la ribellione dell'invidia (v 1 ), della collera e del furore (v 8). Questo contesto induce a

u Al di fuori del salterio 'andw viene tradotto con npocuç solo in due casi: Nm 1 2,3 e Ecli 3 , I 9. Invece abbiamo appena detto che npocuç traduce 5 volte 'ani. Il caso di Is 66,2 merite­ rebbe una considerazione particolare. Nei LXX il termine 'ani viene tradotto con '1"111t&Lv6ç: « Su chi poserò i miei oc­ chi, se non su colui che è umile e tranquillo e che trema alle mie parole? » Le prime generazioni cristiane conoscevano una traduzione che, come quella di Aquila, diceva « mite » in luogo di >. Così I Clem 1 3,4; Barn 1 9,4; . Did 3,8 ; cf anche r Pt 3,4, e possiamo aggiungere la testimonianza più indiretta di Erma, Mand. 5,2, 3 ; 5 ,2,6 ; 6,2, 3 ; I I ,8 ed eventual­ mente anche quella di Gc 1 , 2 r . 16 Cf sopra, n 3s.

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I MITI E GLI APPLITI'l

pensare che il traduttore greco non abbia torto nel rendere 'anawim con 7tpoce:i:ç. Il contesto immediato degli altri passi del salterio, dove figura il termine 7tpoce:1:ç, non induce a insistere in modo particolare sulla idea di « mitezza », ma piut­ tosto su quella di umile fiducia in Dio u;. Però bisogna tener conto anche del Sal 4 5 , 5 , che adopera il sostan­ tivo astratto e invita il re a prendere le armi « per la causa della verità, della 'anawah (7tpOCUT"I)'> ( 1 QS 2,24s.) ; « Prati­ cheranno insieme la verità e la 'anawah, la giustizia e il diritto e l'amore misericordioso e la sottomissione della condotta in tutte le loro vie 27, Nessuno cammini nella durezza del suo cu�re... >> (5 ,3s.) ; « Si ripren­ deranno l'un l'altro nella verità e nella 'anawah e nel­ l'amore misericordio so nei confronti di ciascuno >> (5 ,2 5 ) . Tali sono infatti le vie dello Spirito della luce : « spirito di 'anawah, di lentezza nell'adirarsi, di abbon­ danza di compassione e di bontà eterna >> (4, 3). Questa 'anawah, che caratterizza i rapporti con gli altri, vicina all' « amore misericordioso >> e alla « lentezza ad an­ dare in collera )), -sembra fatta di pazienza e di mitezza. L'autore della Regola si propone di insegnare « l'in­ telligenza agli sviati di spirito, di inculcare l'intendi­ mento a coloro che mormorano, a rispondere con 'anawah in faccia agli elevati di spirito e con uno spi­ rito contrito agli uomini del bastone, che puntano il 1 7 Formulazione ispirata da Mie 6,8 : « . . . praticare quel che è retto e l'amore misericordioso e la sottomissione di condotta con il tuo Dio ». Ci si perdoni una traduzione che cerca di ri­ flettere il testo ebraico.

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dito e dicono il male, e che acquistano dei beni » (1 1 , 1 -z). Tale compito suppone pazienza, umiltà e mitezza. Tale è anche il caso della condotta richiesta al membro della setta, che dovrà « abbandonare (agli empi) i suoi beni e il frutto del suo lavoro, come il servo nei confronti del suo padrone e l'oppresso ('anlìh) nei confronti di quegli che domina su di lui » (9,zz). Il monaco di Qumran non deve resistere al male. Nei confronti di Dio la 'anawah consiste essenzial­ mente nella umile sottomissione alla sua volontà (1 QS 3,8 ; 1 QH 1 7,zz). È quasi contraddittorio par­ lare di 'anawim che si ribellano contro Dio (4 Q 1 84, 1 , 1 6). Gli 'anwéy rlìah sono l'opposto degli uomini dal cuore indurito e dalla rigida cervice. Se in questi testi bisogna distinguere tra mitezza e umiltà, la prima riguarderà più naturalmente la con­ dotta da tenere nei confronti del prossimo, rimanendo ben inteso che essa è soltanto una forma concreta dell'umiltà, cosi come d'altra parte lo è la sottomis­ sione fedele dovuta alla volontà di Dio. Quest'ultimo senso è quello che il commentatore qumraniano del Sal 3 7 sembra scoprire nella menzione degli 'anawim del . v 1 1 28, a differenza dei LXX. Possiamo immagi­ nare che se egli avesse letto il v 1 1 nella versione greca, come ha fatto l'evangelista, avrebbe pensato piutto­ sto alla mitezza che bisogna avere nei rapporti con gli altri 29• •

18 4 Q I U,I;.l, col. 11,8-I 1 . •• Ci sia ancora permesso di citare un passo del romanzo giudaico Giuseppe e Asenet : M. PHILONENKO, ]oseph et Asl­ neth. Inlroduction, texte critique, lraduction et notes (Studia Post­ Biblica, XIII), Leida, 1 968, zozs. Giuseppe ha ottenuto Asenet in moglie, e il figlio del Faraone è assalito da una violenta gelosia. Per sbarazzarsi di Giuseppe, chiama Simeone e Levi e propone loro di uccidere il fratello. A queste parole Simeone si arrabbia e minaccia di uccidere l'impu dente. Levi interviene : « Perché ti adiri con lui? Non siamo forse i figli di un uomo

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SOSTRATO SEMITICO

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2. L'esempio di Hi/lel. All'epoca del ministero di Gesù, il fariseismo era diviso in due grandi scuole, le quali si richiamavano a maestri prestigiosi che ave­ vano insegnato per quasi cinquant'anni : Hillel, l'in­ dulgente, e Shammai, l'intransigente. Nella tradizione rabbinica, Hillel viene ricordato come un modello di mitezza. Gli aneddoti che illustrano questa disposi­ zione d'animo ce ne faranno comprendere meglio la natura 30• Il Talmud di Babilonia 3 1 racconta la storia di tre pagani, che erano venuti a esporre a Shammai la loro intenzione di passate al giudaismo ; essi però ponevano delle condizioni inammissibili e Shammai li respinse rudemente. Allora andarono a trovare Hillel, che si diede la pena di spiegare loro perché quelle condizioni non potevano essere accettate ; essi ne rimasero con­ vinti, rinunciarono alle loro pretese e si aggregarono al popolo eletto. Uno dei tre ringrazia 1-tillel in questi termini : « Mite ('inwetan) 32 Hillel, possano le bene­ dizioni riposare sul tuo capo, poiché tu mi hai fatto entrare sotto l'ala della Shèkina ». Poi i tre si dicono l'un l'altro : « Il furore (qaphdanut) di Shammai vo­ leva cacciarci dal mondo, la mitezza ('inwetanut) di Hillel ci ha fatti entrare sotto l'ala della Shekina >>. Esattamente come il suo collega irascibile, Hillel non ha ammesso le condizioni poste da questi pagani,

pio? Non è conveniente che un uomo pio renda male per male al suo prossimo >> (23,9). Poi si volta verso il figlio del Faraone e gli rivolge la parola con (( un cuore mite (1tpotE!� T!j Kotp81> (v 1 o). La mitezza del cuore, unita alla serenità del volto, contrasta con la collera manifestata da Si­ meone. •• Sono citate in H. L. STRACK-P. BILLERBECK, Kommenlar zum NT aus Talmud und Midrasch, I, 1 98s. Cf anche J. BoN­ SIRVEN, Textes rahbiniques des deux premiers siècles chritiens pour servir à /'intel/igence du Nouveau Teslamenl, Roma, I9H, 6p-634. 81 Baraila di Sabb. 3 Ia. •• La g rafia più esatta sarebbe 'inwewlan, aggettivo derivato da 'anawah.

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MITI E GLI Af'f'LITTI

però ha avuto la pazienza di dar loro am'abilmente le spiegazioni, che li hanno convinti. Tale mitezza pa­ ziente lo contraddistingue dalla impetuosità di Sham­ mai.

Un altro aneddoto mira a illustrare la raccomanda­ zione seguente : « L'uomo sia sempre mite ('inwetan) come Hillel e non impetuoso (qadhan) come Sham­ mai )) a.1• Un uomo aveva scommesso con un altro che sarebbe riuscito a far inquietare Hillel. A questo scopo gli fece delle visite intempestive e ripetute, per porgli le domande più strampalate. Hillel rispose a tutto con la più grande serietà e senza dare il minimo segno di impazienza e così l'importuno perdette la scommessa. Altra forma di mite pazienza. Ed ecco un'altra storia 34• Hillel aveva un ospite. Nel momento in cui sua moglie stava per servire il pasto, sopraggiunse un povero e ricevette da lei tutto quel che era stato preparato. La moglie preparò un'al­ tra cosa e, quando infine la servi, Hillel le chiese pla­ cidamente il motivo del ritardo ; la moglie gli spiegò quel che era successo ed egli l'approvò. Buon esempio per colui che tende a mostrarsi impaziente (qaphdan) a tavola. La mitezza di Hillel era divenuta proverbiale : quando un rabbino era « mite )) ('anaym) :1.5 , questo tratto era sufficiente a farlo chiamare discepolo di Hillel ; tale è il caso di Samuele il Giovane (verso il 1 0o) e di Jehuda b. Baba (messo a morte nel 1 3 5 ) 36• 11 L'antite&i.ttra questi due aggettivi viene sviluppata a lungo negli Abol di Rabbi Nathan 7 (STRACK-BILLERBECK, I, 1 97s.). Il passo a cui ci riferiamo è quello di una Baraita di Sabb. 30b. •• Derek Ereç Rabba, 1 · 11 Ortografia proposta in Qeré per Nm 1 2,3 e corrente nel­ l'ebraico rabbinico, dove la forma plurale rimane tuttavia 'andwlm. •• Sota 48 b. Cf P. FIEBIG, ]esu Bergpredigt, n. 1 1 .. Cf anche Sanh. I Ia. ·

IL SOSTRATO SEMITICO

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Per completare il quadro ricordiamo che, secondo P. Billerbeck 37, i rabbini che citano la promessa del Sal 3 7, I I la citano sempre fino in fondo : « I miti erediteranno la terra e godranno di una grande pace )). Questa promessa conviene in modo particolare alle persone pacifiche, o, come precisa il passo del Talmud, « a colui che ama la pace e persegue la pace, che ac­ coglie con un saluto di pace e che risponde al saluto di pace )) 38• Tale è l'atteggiamento che permette di aver parte alla promessa fatta ai miti. L'immagine che le tradizioni rabbiniche ci dànno della « mitezza )) di Hillel il Grande, conferiscono una forma concreta alle raccomandazioni che abbiamo trovato in Ben Sira e nei testi di Qumran. Abbiamo là una serie di indicazioni convergenti, che non pos­ siamo trascurare, quando ci interroghiamo, sul senso della « mitezza )); a cui Matteo ha consacrato una delle sue beatitudini. Piuttosto che all'umiltà nel senso pre­ ciso che noi diamo a questo termine, esse ci rinviano a quell'altro aspetto dell'umiltà nel pensiero semitico, vale a dire quello della mitezza umile e paziente, che si manifesta nei rapporti con gli altri. Tale mitezza, che (( tutto sopporta )) 39, contrasta con l'impetuosità di un carattere collerico e incline ad accendersi.

17

•• ••

Cf sopra, 77 2. . Derele. Ere( Zuta, I I . Cf I Cor I 3,7·

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I MITI E GLI AFFLITTI

§ IV. LA MITEZZA NELLA PARENESI CRISTIANA

A. von Harnack scriveva una cinquantina d'anni fa 1 : (( Accanto alla triade specificamente cristiana di n(cr·nc;, &ycimJ, �ÀnL:;, la Chiesa antica possiede anche la triade altrettanto specificamente cristiana di np1Xut"t)ç, èmdxELIX, -riXnELvorp pocrUVI) >>. In entrambi i casi, il più delle volte vengono menzionati due membri della triade anziché tutti e tre assieme, e l'ordine dei termini riveste poca importanza. Harnack aggiunge : (( La triade np1XuTI)ç, èmELXELIX, 'I'IXnEworppo!1UVI) ca­ ratterizza l'esigenza e la condotta della cristianità antica dal punto di vista etico, mentre n[cr·nç, &ylimJ, ÈÀn[ç esprimono l'atteggiamento religioso fonda­ mentale, nella misura in cui è possibile distinguere religione e morale ». Noi non sottoscriveremmo questa presentazione, che va molto al di là della testimonianza dei testi. La citiamo soltanto a motivo del rilievo ch'essa dà a un problema realmente sollevato dai testi. La mitezza occupa un posto relativamente importante nella pa­ renesi della Chiesa nascente, ma in genere essa vi è me-nzionata a fianco di altri atteggiamenti di spirito a cui è strettamente unita (o opposta) e che sono molto utili per precisare la sua natura esatta. Il termine fa parte di un insieme. Tale insieme forse non si con­ fonde con la triade menzionata da Harnack, però non rimane meno vero che il senso del termine va precisato in funzione di un gruppo di altri termini di cui esso fa parte e .QQ.S. solo attraverso un metodo puramente lessicografico 2• t A. VoN HARNACK, « San ftmul, Huld und Demul >> in der allen Kirehe, in Feslgabe fiir ]. Kaftan, 1 92.0, 1 1 3- 1 2.9 (12. 1s.). • Questo orientamento ben indicato da Harnack è anche quello che caratterizza gli studi sulle liste dei vizi e delle virtù : A. VoEGTLE, Die Tugend- und Lasterkataloge im Neuen Teslamenl (NtAb XVI, 4-�). Miinster, 1 93 6 ; J. DuPONT, Gnosis. La tOfl-

LA MITEZZA NELLA PARENESI CRISTIANA

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Le esortazioni con cui avremo a che fare non man­ cheranno di evocare quelle che abbiamo già incontrato nella Regola di Qumran. Forse facciamo cosa utile al lettore nel rimettergli sotto gli occhi i quattro passi, che permettono di stabilire dei confronti. Nel mezzo di una trattazione sulle « due vie » abbiamo anzitutto questa enumerazione di 1 QS 4,3 : « spirito di 'ana­ wah, lentezza ad andare in collera, abbondanza di compassione e bontà eterna >> 3• Poi le raccomanda­ zioni : « Saranno tutti in urùone vera, 'anawah bene­ volente, amore misericordioso e disegno di giustizia l'uno verso l'altro nella santa congregazione >> (2, 24s.) ; « Praticheranno insieme la verità e la 'anawah, la giustizia e il diritto e l'amore misericordioso e la sottomissione della condotta in tutte le loro vie >> (� ,3s.) ; « Si riprenderanno l'un l'altro nella verità e nella 'anawah e nell'amore misericordioso nei con­ fronti di ciascuno >> ( 5 ,2 5 ). I testi che richiamano la nostra attenzione sono troppo numerosi per poterli esaminare in maniera det­ tagliata nel quadro di quest'opera. Perciò ci limite­ remo a sottolineare due connessiorù particolarmente

naissançe religieure dans /es épitres de saint Pau/ (Univ. Cath. Lov. Diss. II,4o), Lovanio=Parigi, 1 949 ( = 1 96o), 3 79-4 1 7 ; S. WIB­ BING, Die Tugend- unti Lasterle.ataloge im Neuen Testament und ibre Traditionsgesçbiçbte unter besonderer Beriiç/e.siçb/igung der Qumran-Texte (BZNW 15), Berlino, I 9 5 9 ; E. K AMLAH, Die Form der le.atalogisrben Partinese im Neuen Testament (WUNT 7), Tubinga, 1 964, o ancora lo studio di E. G. SELWYN sui materiali catechetici utilizzati nelle epistole del NT: The First Epistle of St. Peter, 1 ed., Londra, 1 947 ( 1 949), 363-466. Ci troviamo in presenza di diversi complessi di termini, che dovrebbero essere studiati come tali, mentre i commenti e gli studi loro consacrati si accontentano il più delle volte di un metodo « a­ tomistico ». Com'è ovvio, qui possiamo indicare solo qualche punto di riferimento. • Si tratta dei primi termini di una enumerazione, che pro­ segue fino alla riga 6. Su questa lista cf S. W IBBING, o. c., 45-5 I . =

l MITI B

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GLI APFLITTI

importanti : quella. che accosta la mitezza all'umiltà e quella che la collega con la pazienza. r.

Umiltà e mitezza.

Questa connessione 4 ci interessa a un titolo spe­ ciale, poiché può illustrare ìl rapporto che nel pensiero di Matteo unisce la beatitudine dei miti a quella dei poveri in spirito. Umiltà e mitezza sono collocate l'una vicino al­ l'altra nella esortazione di Col 3,1 2 : « Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di senti­ menti di tenera compassione, di bontà, di umiltà, di mitezza (-roc7tEworppoa-UV1)v, 7tpOCUTI)Toc) , di pazienza, sopportandovi gli unì gli altri e perdonandovi mu­ tuamente » 5• Nel passo parallelo di Ef 4,z l'enumera­ zione è più breve e un legame più stretto unisce i due termini che ci interessano 8 : « Pertanto io, che sono prigioniero per il Signore, vi esorto a tenere una con­ dotta degna della vocazione a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e mitezza (fJ-ETIÌ 7tli!Tr)ç -roc7tEt\lorp po­ cruvl'jç xocl 7tpOCUTI)TOç), con pazienza, sopportandovi gli- uni gli altri >>. (( Umiltà e mitezza >> formano q ui una specie di endiadi e si presentano come una realtà unica, mitezza umile o umiltà mite. Questa formula duplice non ricompare più tale e quale nelle lettere del · Nuovo Testamento 7, però la ritroviamo in una forma molto simile nella esorta• Abbiarilb 'liffrontato l'argomento in LI Diltours de Mi/et, 4 3-46. • Cf il buon commento di E. LOHSE, Die Briife an die Kolosser und an Philemon (KEKNT IX, z, 1 4 ed.), Gottinga, 1 968, 2.1 0-2.12.. Ricordiamo anche le spiegazioni molto svilup­ pate (benché al servizio di una tesi che andrebbe discussa) di E. LARSSON, Christus als Vorbild, 2.1o-zzo. • Cf H. ScHLIER, Der Briif an die Epheser. Ein Kommentar, z ed., Diisseldorf, 1 9s 8, 1 8 1 - 1 84. • La ritrov�remo, nel prossimo paragrafo, in Mt I I ,2.9.

LA MITEZZA NELLA PARENESI CRISTIANA

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zione di Fil z,3 : « Non fate niente per spirito di di­ scussione (xot't'' �pt6dotv), né per vana gloria, ma ciascuno con umiltà consideri gli altri superiori a sé », o in quella di Gal 6, I : « Anche se uno viene sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali cor­ reggetelo con spirito di mitezza : e bada bene a te stesso, perché anche tu puoi essere tentato ». Nel primo caso l'avvertimento contro l'Èpt6dot avreb­ be trovato la sua continuazione naturale in un in­ vito alla mitezza 8, invece questa cede il posto all'u­ miltà ; nel secondo caso l'invito alla mitezza è subito completato con una considerazione che inculca l'u­ miltà. Potremmo fare una osservazione analoga a proposito del contesto in cui I Pt 3,8 menziona l'u­ miltà : « Siate tutti di un medesimo sentimento, (pieni) di compassione, di amore fraterno, di tenerezza, di umiltà, senza rendere male per male, né insulto per insulto >>. In mezzo a questa enumerazione ci saremmo atteso sentir parlare di mitezza piuttosto che di umiltà. Nel capitolo 3 0 della sua Lettera ai Corinti, Cle­ mente ricorda la sentenza : « Dio resiste ai superbi, ma dona il proprio favore agli umili » (v z = Pro 3,34 = Gc 4,6 ; 1 Pt 5 , 5). Di qui l'esortazione a « ri­ vestire 9 la concordia, l'umiltà, la padronanza di sé » (v 3) e a guardarsi dai peccati della lingua. In conclu­ sione : « Impudenza , presunzione, temerità per i ma­ ledetti da Dio ; benevolenza, umiltà, mitezza nei be­ nedetti da Dio » (v 8). Ignazio di Antiochia invita gli efesini a pregare per coloro che non sono ancora cristiani e a dar loro tra tp16c!a e mitezza in Gc 3 , I 3 .I4.I 6 ; tra e & ycht1) in Fi l r , r 6-q. Ef 4,2 2 ; R m • « Rivestire », come in Col 3,r z ; cf 3,10 r 3 , r z . r 4 ; i l verbo tv8uo!J.otl costituisce normalmente l 'antitesi di un inv ito a « svestirsi », a « sbarazzarsi » (&7to-rl6&(.1.ot1) dei vizi : Col 3,8.9 ; Ef 4,22. 2 5 ; Gc 1 ,2 1 ; Rm 1 3 , I Z. Clemente se­ para le due immag ini complementari : i l termine a cui si op­ pone 30,3 ricorre in 1 3, 1 . • Antitesi

Ép16e!ot

=

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I MITI E GLI AFFLITTI

il buon esempio : « Di fronte alle loro collere siate miti (7tpOtE:'Lc;) ; di fronte alle loro vanterie siate umili (1'«7tew6 cppovec;)... Mostriamoci loro fratelli per mezzo della benevolenza » (Ej Io,z.-3). Nella istruzione sulle due vie, la Didachè precisa : « Sii mite, poiché i miti erediteranno la terra. Sii paziente e misericordioso... Non esaltare te stesso e non abbandonare la tua anima all'impudenza ; la tua anima non si attacchi a coloro che sono in posizione elevata, ma vivi nella società dei giusti e degli umili » (3, 7-9). Lo schema « mitezza, pazienza, umiltà » sembra echeggiare, in ordine di­ verso, quello di Col 3 , 1 2. e Ef 4,2. : « umiltà, gùtezza, pazienza ». L'oracolo di Is 66,2. ha forse svolto un ruolo par­ ticolare nel modo in cui l'umiltà viene associata alla mitezza. Clemente invita i Corinti all'umiltà (T«7te�­ vocppovfjcrw!J.ev) e ricorda loro che il Signore Gesù ci ha insegnato la benevoleza e la pazienza, per poi esortarli a « camminare nell'obbedienza alle sue pa­ role sacre in (tutta) umiltà (Toc7tetvocppovouv-rec;), poiché ecco quel che dice la parola santa : Su chi po­ serò i miei occhi, se non su colui che è mite e tran­ quillo e che trema alle mie parole ? >> (I Cfem 1 3, 1 -4). Barn 19.4 allude al medesimo passo nella sua istru­ zione sulle due vie : « Sarai mite, sarai tranquillo, tremerai alle parole che hai inteso ». Lo riconosciamo anche in Did 3, 7-8 : « Sii' mite, poiché i miti eredite­ ranno la terra ; mostrati paziente, misericordioso, senza malizia, tranquillo, buono e continuamente tre­ mante all�p2role che hai inteso ». Ne ritroviamo la eco nel modo in cui Erma caratterizza il vero profeta, in opposizione a quello falso : « Colui che possiede lo Spirito dall'alto è mite, tranquillo -e umile (7tpocuc; �cr't'� xocl �cròx�oc; xocl 1'01:7tetv6cppwv) » (Mand 1 1 ,8). Dobbiamo indubbiamente attribuire la medesima ori­ gine alla associazione > ( 3 , 1 6). Sembra che il tel'mine « timore >> indichi pra­ r icamente l'umiltà di « colui che trema alle parole >> del Signore. Abbiamo già incontrato la menzione e­ splicita dell'umiltà in questo medesimo contesto : « Siate tutti di un medesimo sentimento, (pieni) di compassione, di amore fratetno, di tenerezza, di u­ miltà, senza rendere male per male, né insulto per in­ sulto » (3 .8-9) 10• « Spirito mite e tranquillo » (v 4), « umiltà » (v 8), « mitezza e timore » (v 1 6) : altret­ tanti termini per indicare un medesimo atteggiamento interiore nelle sue diverse manifestazioni, e precisa­ mente quello espresso da Is 66,2 11• Abbiamo visto che il passaggio dalla pr.ima beati­ tudine a quella dei miti si spiega molto facilmente al livello del sostrato semitico : in un caso come nell'altro si tratta dei medesimi 'anawfm. Tale passaggic si spiega altrettanto facilmente al livello della parenesi cristiana di lingua greca : qui essa ha conservato la coscienza che umiltà e mitezza sono unite da uno stretto legame. Tale legame non può provenire dall'elleni­ smo : l'ellenismo stima molto la mitezza, specialmente in coloro che detengono il potere, ma non avrebbe mai pensato a mettere questa qualità in relazione con l'umiltà. Il cristianesimo può aver derivato questa as1° Cf K. H. ScHI!LKE, Die Petrusbritft. D1r ]llllasbritf (HTKNT XIII,2), Friburgo i. Br., 1961, 93-95 · 11 Si potrebbe porre il problema di un influsso di Is 66,2 anche a proposito di Gc 1 , 2 1 .

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sociazione solo dalle sue origini giudaiche. In forza di tali origini esso conserva molto vivo il sentimento che una umiltà autentica comporta necessariamente la mitezza e che la vera mitezza è necessariamente radi­ cata nell'umiltà. Queste infatti sono semplicemente due espressioni inseparabili di una medesima disposi­ zione di spirito, la 'anawfzh. 2.

Mitezza e pazienza.

Il rapporto che unisce la mitezza all'umiltà non impedisce che le si possa distinguere fra loro. Altre associazioni permettono di èliscernere il canttere spe­ cifico della mitezza. Il Sal 3 7 ci ha fornito una indi­ cazione illuminante, quando ci ha suggerito una an­ titesi tra i « miti » e coloro che « si accendono » ; non è però in questo senso che ci orienta il vocabolario della parenesi cristiana. La direzione giusta ci viene indicata dalla enumerazione che in 1 QS 4, 3 caratte­ rizza la condotta degli uomini animati dallo Spirito di verità : « spirito di 'anawfzh, di lentezza nell'adirarsi, di abbondanza di compassione e di bontà eterna ». Al_la rdah 'anawfzh possiamo accostare lo 'orè/e 'appayim, la « lunghezza di narici », vale a dite la « lentezza ad adirarsi » ; nel greco biblico questa espressione viene tradotta con fLOtXpo6ufL(Ot 12, (( longanimità », (( pa­ zienza ». Ed è questa pa.zienza che la parenesi della Chiesa primitiva associa regolarmente alla mitezza. Abbiamo già incontrato questa associazione in Col 3 , 1 2 : (( Rivestitevi ... di tenera compassione, di bontà, di iimfità, di mitezza, di pazienza, sopportan­ dovi gli uni gli altri » 13, e in Ef 4,2 : (( Con ogni umiltà e mitezza, con pazienza, sopportandovi gli uni gli 11 Cf

l'articolo dedicato a questo termine da J. HoRST, TWNT IV (194z) 377-390. 13 Questo versetto sta in antitesi al v 8 : « Ma ora spogliatevi di tutto ciò : ira, sdegno, malvagità, ingiurie, turpiloquio >>.

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altri nella carità >>. La lista con cui Gal 5 , zz-2.3 de­ scrive il « frutto dello Spirito >> è meno caratteristica, poiché i termini in questione scompaiono in una enu­ merazione troppo abbondante : « Carità, gioia, pace, pazienza, bontà, benignità, fedeltà, mitezza, padronanza di sé >> 14• r Clem q , I -4 si presenta come una esortazione all'umiltà (vv I e 3). Essa mette in guardia non solo contro la iattanza e la vanità, ma anche contro la collera (v I). Clemente ricorda le parole del Signore Gesù, quando egli insegnava « la benevolenza e la pazienza » (v I ) , e termina citando Is 66,z : >, ha inviato il suo Figlio agli uomini, « al fine di salvarli con la persuasione e non con la violenza, poiché non vi è violenza in Dio » (7,4). La mitezza associata alla benevolenza, viene nel medesimo tempo opposta alla violenza. 1 0 Bisognerebbe ancora ricordare I Pt 3,8-I6. 11

Una diversa esegesi viene presentata da R. LEIVI!STAD, >. II Cor. X, I, NTS 1 2 (1965-66) q 6- r 64 : (2 1 , 5 ). Questa maniera di qualificare Gesù ci orienta non più verso la parenesi, bensì verso la cristologia mat­ teana. I due testi che dobbiamo esaminare vanno col­ locati in un contesto più ampio. Tra i diversi aspetti della figura di Cristo nel primo vangelo, il più mar­ cato è senza dubbio quello della sua maestà sovrana, il cui carattere ieratico fa presentire il Pantocrator dei mosaici bizantini 3• Un altro tratto assai attestato è la severità minacciosa di colui che dovrà esercitare le funzioni di giudice supremo e che ricorda costante­ mente ai suoi uditori i supplizi eterni a cui si espon­ gono, se non producono i frutti di una vera conver­ sione. Dante ha definito bene Luca come lo « scriba l I Cor 4,2I ; 2 Cor I O, I ; Gal S,23 ; 6,I ; Ef 4,2 ; Col 3,12; Tm 2,25 ; 'Mt �,2 ; Gc 1 , 2 I ; 3 , 1 3 ; I Pt 3, I 5 . • La sola statistica non basterebbe di certo a giustificare questa affermazione e ancor meno basterebbe nel caso dell'ag­ gettivo 'tÉÀa:Loç, adoperato solo due volte da Matteo (S ,48 e I 9,ZI). Bisogna perciò dimostrare che i termini di questo genere corrispondono a un'ottica particolare dell'evangelista, cosa che noi cercheremo di fare per quanto concerne l'aggettivo « mite >>. • Cf B. RIGAUX, Témoignage de l'lvangile de Matthieu (Pour une histoire de Jésus, 2), Bruges, 1 967, 25o-2S J .

2

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mansuetudinis Christi », il che non impedisce al terzo evangelista di insistere con forza sul rigore delle esigenze di Gesù. Allo stesso modo la grandezza so­ vrumana, che in Matteo rende Gesù un po' distante da noi, va di pari passo con una tenerezza misericor­ diosa, indicata precisamente - e in Matteo soltanto dell'aggettivo « mite >>. Se ci attenessimo a questo termine, dovremmo applicare al primo evangelista il titolo che Dante riserva Luca. Non è il ca.so di esa­ gerare l'importanza di questo aspetto nei confronti degli altri, però nello stesso tempo non possiamo far a meno di prestarvi tutta la nostra attenzione. Esso ci aiuterà a meglio capire chi sono i miti di cui parla la beatitudine che stiamo studiando. Cominciamo con farci una idea complessiva, rile­ vando una serie di testi in cui Matteo manifesta la mitezza di Gesù senza adoperare il termine, poi ci soffermeremo sui due passi, in cui Gesù viene detto esplicitamente « mite ». I.

Sguardo complessivo.

I. « Voglio la misericordia . . . ». Il termine ntoç, « misericordia », non si trova né in Marco né nelle tradizioni comuni a Matteo e Luca 4• Dei tre casi in cui ricorre nel primo vangelo, perlomeno due sono attribuibili alla reciazione 5• In tutti e tre i casi l'evan­ gelista cerca di mostrare che Gesù, nel conflitto che lo oppone al fariseismo, si mostra fedele alla religione dei profeti. Secondo la tradizione comune, Gesù ha dato una duplice risposta ai farisei scandalizzati di vederlo a

• Luca lo adopera 6 volte : r,50 ·H· 5 8.72.78 e ro, 3 7. Contrariamente a quanto abbiamo scritto nel vol. I, 368, n. 22, ci sembra difficile poter attribuire il termine alla redazione in Mt 23,23. Cf ScHULZ, roos. •

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I MITI E GLI AFFLITTI

tavola con pubblicani e peccatori : « Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati ... Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Mt 9, 1 2 . 1 3 h = Mc 2,1 7 ; Le 5 ,3 1-32) 6• Tra queste due sentenze, che spiegano l'atteggiamento di Gesù in funzione di una missione destinata propriamente ai peccatori, Matteo ne introduce una terza, il cui punto di vista è completamente diverso : « Andate dunque ad imparare che cosa significa : voglio la misericordia e non il sacrificio >> (9, 1 p). Le critiche indirizzate a Gesù dai farisei mostrano che essi non hanno capito le parole pronunciate da Dio in Os 6,6 : « Voglio la misericordia e non il sacrificio ». La citazione intro­ duce qui una punta polemica : gli avversari di Gesù misconoscono la volontà di Dio 7, ma nello stesso tempo chiarisce la condotta di Gesù e getta luce sulla priorità assoluta ch'egli annette alla �Àe:oç voluta da Dio 8• La medesima citazione di Os 6,6 ritorna nell'epi­ sodio delle spighe raccolte nei campi (Mt 1 2, 1 -8) 9, 1 Abbiamo studiato questo passo nel vol. I, 8 s o-87o. Re­ centemente esso è stato fatto oggetto di due studi da parte di R: PESCH: Dos Zollnergostmoh/ (MA: 2,IJ-I7) , in Mé/onges Bi­ bliques... B. Rigoux, Gembloux, I970, 63-87 ; Monifestolion de lo misiricorde de Dieu (Mt 9,9-1 J), in Dixième dimonche ordinoire (AssS• 4I), Parigi, I97I, I s-24. 7 Cf R. HuMMEL, Die .{!useinonthrsetzung zwischen Kirche und Judentum im Motthiiusevongelium (BevTh 3 3), Monaco, 1 963, 3 8s. ; B. M. F. VAN lERSEL, Lo vocolion de Lévi (Mc., Il, IJ·IJ, Mt., IX, 9-IJ, Le., V, 2J·J2) , in De jésus oux Evongiks. Tro­ dilion et Rédaction dons /es Evongi/es synopliques (BETL XXV), Gembloux-I'àrlfi, 1 967, 2 I 2-23 Z (228). • Cf R. PESCH, AssS• 4 I , p. 2 1 s. • Abbiamo trovato particolarmente importanti due studi per capire questo passo : P. BENOIT, Les épis o"ochés, in Studi Biblici Froncisconi Liber Annuus I 3 ( I 962-6 3) 76-92 Exé­ gèse el Théologie, III (Cogitatio Fidei, 30), Parigi, 1 968, 228-242, e E. NEUHAUSLER, ]esu Stellung zum Sobbol. Versuch einer ln­ lerpretotion, BL 1 2 (1971) 1 - 1 6 (x 3-1 s). Oltre ai commenti dobbiamo segnalare anche D. DAUBE, The New Testoment ond =

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che segue immediatamente il logion in cui Gesù si dichiara « mite e umile di cuore » (1 1,zS-3o). I farisei ritengono che i discepoli infrangano il precetto del sabato. Una prima risposta, in cui Mt 12, 3-4 concorda con Mc z,zj -2.6, ricorda che Davide e i suoi compagni hanno mangiato i pani di proposizione riservati ai sacerdoti. Si tratta semplicemente di affermare il ca­ rattere relativo della legislazione sabbatica ? Il pensiero di Matteo segue un'altra direzione, come mostra una seconda considerazione sua propria : nel Tempio i sacerdoti « p�ofanano » il sabato senza rendersi colpe­ voli ( 12., 5 ) ; l'applicazione è suggerita dal v 6 : « Or vi dico che qui c'è più che il Tempio >>. Il v 8 esplicita il senso della argomentazione : « Poiché il Figlio del­ l'uomo è padrone del sabato ». Il v 7, posto tra il v 6 e il v 8, risponde al rimprovero degli avversari : « Se aveste compreso· che cosa significa : Voglio la miseri­ cordia e non il sacrificio, non avreste condannato della gente che non è colpevole ». Se i sacerdoti non sono colpevoli nell'adempiere il loro ufficio, perché la san­ tità del Tempio li dispensa dal riposo sabbatico (noi possiamo aggiungere : se i compagni di Davide non si macchiavano di colpa nell'infrangere una prescri­ zione che non obbligava Davide), a più forte ragione

Rabbinic ]udaism, Londra, 1 9 � 6, 69-7 1 ; E. Lo HSE, Juu Worle iiber den Sabbat, in ]udlntum, Urchrislenlum, Kirche. Fulschrifl fiir f. ]eremias (BZNW 26), Berlino, 1 960 ( 2 ed., I 964), 79-89 (83, n. I6) ; lo., art. acif3[3>, -ra f3ocpun:pct -roù v6(.Lou 14• Vi riconosciamo la preoccupazione che lo ha portato ad aggiungere alla « regola d'oro » : « Ecco la legge e i profeti » ( 7, 12.), e alla discussione sul comandamento più grande : « Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti » (u,4o) 15• Dobbiamo perciò attri­ buire a Matteo non la triade in se stessa, bensl l'affer-

'" Cf soprattutto R. BuLTMANN, art. fÀEo�. TWNT II ( 1 9 3 � ) 474-483 (479), che cita Os 4, 1 ; 1 2,7; Mie 6,8 ; Zc 7,9 ; Ger 9,23 ; Sal I O I , I . Cf anche G. BoRNKAMM, Enderwartemg und Kirche im Matthiii4Sevangelium, in The Background of the New Testament and its Eschatology ... in hon. C. H. Dodd, Cambridge, 1 9�6, 222-260 (23 �) G. BoRNIC.AMM-G. BARTH-H. J. HELD, Ueberlieferemg und Aus/egung im Matthiium;angelium (WMANT 1), Neukirchen, 1 960, 23s. ; G. STRECKER, o. c., 1 36, n. 4; W. RoTHFUCHS, Die Erfiil/ungszitate tks Matthaus-Evangeliums. Bine biblisch-theologische Untersuçhemg (BWANT 88), Stoccarda, 1969, I IOS. u Cf soprattutto G. BARTH, Das Gesetzesverstiindnis des Evangelisten Matthiius, in G. BoRNKAMM-G. BARTH-H. ]. HELD, o. c., 74s. Ricordiamo anche H. BaAuN, Spiitjiidisch-hiiretiscber und friibcbristlicher Radikalismus. ]esus von Nazare/h und die es­ senische Qumransekte, II (BHT 24 /II), Tubinga, 1 9n, 90, n. 2 ; Schulz, 100. " Si osservi che in Matteo la questione non è quella di sapere « qual'è il primo di tutti i comandamenti » (Mc 1 2,28), bensì quella di sapere « qual è il (più) grande comandamento nella legge >> (Mt 22, 3 6 ; cf v 3 8). Matteo non menziona la risposta dello scriba, che provoca l'elogio di Gesù in Marco ; quest'uomo osserva infatti che la pratica del duplice precetto dell'amore > (Mc 1 2, 3 3). - Sul punto di vista di Matteo in questo passo si può ora consultare T. VAN DEN ENDE, La Loi et /es Proph8tes (Mt 22,J4-40), in Trentième dimanche ordinaire (AssS• 61), Parigi, 1 972, 1 8-27. =

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I MITI E GLI AFFLITTI

mazione che la definisce parte essenziale della legge. Come in 9,1 3 e in 1 2,7, cosi anche qui le prescrizioni cel!imoniali devono cedere il passo al dovere che ab­ biamo verso il prossimo, dovere che si riassume in tre termini, ma che Os 6,6 permetterebbe di ridurre alla sola EÀtaç. I tre passi che abbiamo rilevato concentrano sul punto della « misericordia » il conflitto che, agli occhi di Matteo, oppone Gesù ai farisei. Tale conflitto non è puramente teorico. L'importanza annessa da Gesù alla « misericordia » illustra il suo comportamento f.rima di tradursi in dichiarazioni. Nel pensiero del­ evangelista è la misericordia che ispira la condotta di Gesù ed è in questo che tale condotta differisce da quella dei suoi avversari. .

2. La compassione di Gesù. Matteo adopera 5 volte il ve11bo �mÀilYXvt�a!J.IlL, « essere preso da compas­ sione ». Nella parabola del servo spietato esso qualifica la pietà provata dal padrone di fronte alla miseria del servo che lo implora ( 1 8, 27) 18, prima della sua col­ lera (v 34) di fronte alla durezza di cuore di quest'uo­ mo. Negli altri casi si tratta di una compassione ma­ nifestata da Gesù : come già in Marco, tale compas­ sione è all'origine delle due moltiplicazioni dei pani (Mt 14, 1 4 ; 1 5 , p ; Mc 6 3 4 ; 8,2) e inoltre - ma que­ sta volta solo in Matteo (20,34) - della gual!igione dei ciechi di Gerico 17• L'uso più significativo si trova ,

10 Il verbo ricorre 3 volte in Luca : nella parabola del buon Samaritano ( I o,.j Ù. in quella del figlio prodigo ( I � ,2o) e viene riferito a Gesù ne lla storia della risurrezione di Nain (7, I 3). Il so­ stantivo corrispondente viene adoperato parlando di Dio in 1 ,78. 1 7 M t zo, 3 4 differisce da Mc I o,� 2, ma anche dalla versione riportata dallo stesso Matteo in 9,29. In Marco il verbo, oltre che in 6,34 e in 8,2, viene usato pure per descrivere il senti­ mento di compassione che spinge Gesù a compiere un mira­ colo : 1,41 (non molto sicuro dal punto di vista della critica testuale) e 9,22 (guarigione del ragazzo epilettico, raccontata in maniera più breve da Matteo e da Luca).

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in 9,36, dove Matteo spiega con la compassione di Gesù verso la folla la missione affidata ai Dodici 1s. questo versetto merita di essere preso in considera­ ZIOne. Esso fa parte di un passo dalla complessa situa­ zione sinottica 19• Accontentiamoci di osservare che Mt 9,3 5 , iniziando una nuova sezione, ripete grosso modo 4,23 (introduzione del discorso della montagna), ma con una precisazione supplementare 20, che si ri­ collega a Mc 6,6b. Il parallelo con Marco prosegue in Mt 10,1.9- I I . I 4 (Mc 6,7.8-1o. u ) . Matteo utilizza congiuntamente la tradizione che ci è pervenuta in Le 10,2. 5 -7, cui deve 9,37- 3 8 e 1o,u-q. Infine Mt 9,36 va messo in rapporto con Mc 6,34 e Mt 1 0,2-4 con Mc 3 , 1 3 - 1 9. Aggiungiamo che il lavoro redazio­ nale rimane considerevole in tutto il seguito del ca­ pitolo I o, i cui ·materiali sono attinti dai contesti più vari. Risulta chiaro che l'evangelista annette la più grande importanza alla missione affidata ai Dodici, in cui egli riconosce la vocazione missionaria della Oùesa. È per mettere in risalto la portata di questo episodio ch'egli ha raggruppato qui tanti elementi diversi, la cui coerenza imperfetta non ci deve perciò stupire, come nel caso della osservazione sul gregge 18 Cosi G. BoRNKAMM, Enderwarlung und Kirche, zz6 (= 1 5 ) ; W. GRUNDMANN, Dàs Evangelium nach MaJJhiius, 186. Segnaliamo in modo particolare due articoli di P. TERNANT, La Mission, fruii de la compassion du Maltre el de la prière des disciples (Mt 9,JJ-J8), in La propagation de la foi (AssS 98), Parigi, 1 967, 15-4 I ; L'envoi des Douze aux brebis dispersées (Mt 9,J6-ro,8), in Onziime dimanche ordinaire (AssS• 41), Parigi, I 970, 1 8-32. 10 Non sembra utile impegnarsi qui nell'esame approfon­ dito di questa questione ; attingiamo semplicemente qualche osservazione da F. NtrRYNCK , La rédaction maJJhéenne el la struc­ Jure du premier évangile, in De Jésus aux Evangiles. Tradition el Rédaction dans /es Evangiles synoptiques (Bibl. ETL XXV), Gem­ bloux-Parigi, 1967, 4 1 -73 (7os.). •• « Tutte le città e i villaggi )), invece che « tutta la Gali­ lea >> ; cf Mc 6,6b; « i villaggi )).

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disperso (9, 36), che prepara una dichiarazione a pro­ posito di messe (9,37- 3 8). Il significato ch'egli attri­ buisce alla missione dei Dodici gli impedisce di soffer­ marsi su questi dettagli 21. In Mc 6,6b l'episodio della missione in Galilea è introdotto dalla notizia : « Ed egli (Gesù) petcorreva i villaggi circostanti insegnando >>. Mt 9,3 � riprende questa introduzione, ma le dà la forma più ampia, che aveva già adottato prima del discorso della mon­ tagna (4,z3) : « E Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe e procla­ mando il vangelo del regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità ». Questo ministero di Gesù trova il suo prolungamento nella missione affidata ai di­ scepoli. La seconda fonte utilizzata da Matteo per com­ p orre la prima parte del discorso sulla missione en­ trava in argomento con una dichiarazione di Gesù, che diceva : « La messe è abbondante, ma gli operai sono scarsi ; pregate perciò il padrone della messe che mandi operai nella sua messe » (Mt 9,37-38 = Le

)

Io,z .

Tra la notizia della introduzione e questa prima dichiar;azione di Gesù non vi era evidentemente alcun rapporto. Occorreva una transizione per preparare questo esordio del discorso e fornire nel medesimo tempo la ragione della mis�ione dei Dodici. Per com­ porre tale transizione, Matteo si è ricordato della notizia che introduce il racconto della prima molti- .l! 11 Il fenomeno è noto : Matteo non « vede » le immagini che adopera ; per lui sono soltanto delle astrazioni che tra­ smettono un pensiero. Questa mancanza di immaginazione può avere effetti disastrosi, come nella storia dell'abito nuziale (:u, I I - 1 3) o in quella delle dieci vergini (2 5 , 1 - 1 3). Altri casi sono meno gravi, come quello del loglio, che si riconosce dai suoi frutti (non pensate all a pianta!) ( I 3,26), o quello di Gesù che cavalca due cavalcature contemporaneamente ( 2 1 ,7) .

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plicazione dei pani : « Uscito, vide la folla numerosa e fu preso da compassione nei suoi confronti, perché erano come pecore senza pastore » (Mc 6,34; cf Mt 14,14). Il paragone con le « pecore senza pastore » è molto significativo 22• Esso ricorda anzitutto la preghiera di Mosè, il quale, in previsione della sua morte, chiede a Dio di stabilire un capo sulla assemblea di Israele : « Un uomo che uscirà ed entrerà alla loro testa, che li farà uscire ed entrare, e l'assemblea del Signore non sarà come pecore senza pastore » (Nm 27, 1 7) ; questo pastore sarà Giosuè (z.7,I 8-z 3). Tale è anche l'espressione adoperata dal profeta Michea ben Jimla, quando annuncia il disastro in cui perirà il re Acab : (( Ho visto tutto Israele disperso sulle monta­ gne come un gregge senza pastore » (1 Re z z, 1 7 ; z. Cron 1 8, 1 6) 23. La compassione 'di cui Gesù dà prova nei riguardi della folla, prima istruendola (Mc 6,34) e poi dandole da mangiare (vv 3 5 -44), gli fa assumere il ruolo di pastore, vale a dire di capo del popolo ; non è del tutto senza ragione che H. Koster parla della portata (( messianica » dell'espressione 24• Mt 9,36 riprende Mc 6,34, ma facendovi una ag­ giunta significativa : (( Vedendo le turbe fu preso da •• I commentatori non mancano di sottolineare gli adden­ tellati di questa espressione nell'Antico Testamento. Così, per esempio, V. T-AYLOR, The Gfùpel auording lo St. Marie, Londra, I 9 P ·· 32.0, o E. ScHWEIZER, Das Evangelium nach Markus (NTD r, 1 1 ed.), Gottinga, 1 967, 78 ; cf anche A. SUHL, Die Funktion tkr alttestamenllichen Zitale und Anspielungen im Markusevangelium, Giitersloh, 196�, 14·� . n. z66, e soprat­ tutto R. H. GuNDRY, The Use of the 0/d Testament in St. Mal­ thew' s Gospel, with Special Reference lo lhe Messianic Hope (SNT XVIII), Leida, 1 967, 3 2 . •• Giuditta a Oloferne in Gdt I I , 1 9 : 11 Ti condurrò at­ traverso la Giudea, finché arriverai davanti a Gerusalemme ; collocherò il tuo seggio al centro della città e tu le guiderai come pecore che sono senza pastore ». Cf Zc 1 3,7 ( Mc 1 4, 2 7 ; M t 26, 3 1). •• H. KoESTER, art. omMy:x,vov, TWNT VIII (1964) 548-� S 9 ( � 5 4). =

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compassione a loro riguardo, perché erano mal ridotte e abliandonate come pecore senza pastore ». I due nuovi participi si applicano male a delle persone ; essi de­ scrivono la situazione delle pecore lasciate alla mercé delle bestie selvagge. Matteo non li ha trovati nell'An­ tico Testamento, però non fa indubbiamente che ren­ dere a suo modo l'immagine usata da Ezechiele nel­ l'oracolo contro i cattivi pastori 25 : « Non avete rin­ vigorito le pecore deboli, né curato l'inferma, né me­ dicato quella ferita.. . E le mie pecore si sono disperse per mancanza di pastore, sono preda di tutte le fiere dei campi ... Il mio gregge è stato esposto alle rapine, le mie pecore furono pasto di ogni fiera dei campi per mancanza di pastore » (Ez 34.4· 5 · 8). Le precisazioni aggiunte da Matteo accentuano quindi il carattere tra­ gico della situazione del gregge disperso e privo di pastore. Di conseguenza la menzione della compassione di Gesù all'inizio del versetto acquista maggior ri­ lievo. Matteo, drammatizzando le condizioni che pro­ vocano questa compassione, ne aumenta l'intensità e modifica nel medesimo tempo la colorazione mes­ sianica : Gesù, invece di prendere personalmente in carico il gregge abbandonato, lo affida alle cure dei suoi inviati 211. Dovremo ricordarci di 9,36 nella spiegazione di 1 1 ,28-30. Come in 9,36 i due participi supplementari conferiscono tutto il suo significato alla compassione di Gesù, cosl i due participi di I 1 ,28, « voi che siete affaticati e oppressi », non sono privi di rapporto con il modo in �1. Gesù si definisce nel v 29 : « mite e umile di cuore ». 11 Cf R. H. GuNDRY, o. c., 3 2s. ; L. HARTMAN, Scriptural Exeguil in the Gospel of St. Matthew and the Problem of Com­ munication, in L' Evangilt ulon Matihie11. Rédaction et thio/ogie (BETL XXIX), Gembloux, 1 972, 1 3 1 - 1 s z (147). 18 Il ruolo assunto da Gesù sarebbe piuttosto quello di Dio stesso : cf W. RoTHFUCHs, Die Erfii//ungszitate, 1 p .

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3· Il Servo di Dio. Si sa che le « citazioni di adem­ pimento >> costituiscono uno dei tratti più caratteri­ stici della redazione matteana 27• Ve ne sono cinque nel vangelo dell'infanzia 28• Noi ne conteremmo volen­ tieri altrettante nel ministero svolto in Galilea (cap. 4- 1 3) 29, poi la successiva s'incontra soltanto in 2. 1 ,4- 5 con l'entrata trionfale a Gerusalemme e per parlare della « mitezza » di Gesù : ma ritorneremo su di essa. Le due citazioni del capitolo 1 3 (vv 14- 1 5 e 34) mi­ rano a spiegare l'insuccesso di Gesù nei confronti dell'insieme del suo popolo e non è il caso che vi ci soffermiamo sopra 30• Rimangono le tre citazioni che caratterizzano veramente il ministero svolto in Ga­ lilea � 4,1 4-1 6 ; 8 , 1 7 ; u , q- z. r . Dal punto di vista da cui ci collochiamo, è l'ultima quella veramente signi­ ficativa, però non sarebbe cosa prudente isolarla dalle altre due. ·.

17 Queste citazioni sono state fatte oggetto di numerosi studi ( Reflexionszilale, formula quotations) ; abbiamo la fortuna di possedere un articolo recente, provvisto di un'ampia biblio­ grafia, che non ci è sembrato utile ripetere qui: F. VAN SEG­ BROECK, Les citations d'accomplirsemenl dans /' Evangile selon saint Mallhieu d'après trois ouvrages récenls, in L'Evangile selon Matthieu. Rédaction el théologie (BETL XXIX), Gembloux, 1 972, I 07-1 30. Questo articolo riassume in maniera critica le opere di R. H. Gundry e di W. Rothfuchs, che noi abbiamo già citato, e quella di R. S. McCoNNEL, Law and Prophscy in Matthew's Gospel. The Authority and Use of the Old Testamenl in the Gospel ofMat­ thew (Theol. Dissertationen, II), Basilea, I 969. Le informazioni che esso ci fornisce su quest'ultima opera ci sono tanto più utili, in quanto non abbiamo potuto prendere diretta visione della medesima. •• Mt 1 , 22-2 3 ; 2,�-6. r � . I 7-I8.23. Da notare che z.�-6 e z,z3 pongono dei problemi particolari. •• Si arriva a cinque contando anche Mt 1 3, 1 4- 1 5 , che pone esso pure dei problemi particolari. 3° Cf F. VAN SEGBROECK, Le scandale de /'incroyance. La si­ gniftcalion de Mt., Xlll,JJ, ETL 4I (I96�) 344-372; più breve­ mente : J . DuPONT, Le chapitre des paraboles, NRT 89 (1 967) 8oo-8zo (8r z-8 r 8).

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GLI

APFLITTI

In seguito all'arresto di Giovanni, Gesù si ritirò in Galilea, non a Nazaret, bensì « a Cafarnao, che è sulla riva del mare, ai confini di Zabulon e di Neftali » (4, u-q). Questa notizia permette di introdurre la citazione di Is 8,z3-9, 1 : « Affinché si adempisse quel che era stato annunziato dal profeta Isaia : Terra di Zabulon e terra di Neftali, via verso il mare, al di là del Giordano, Galilea dei gentili ; il popolo che sedeva nelle tenebre ha veduto una gran luce ; per coloro che sedevano nella regione e nell'ombra della morte si è levata una luce >> (4, 1 4- 1 6). Questo esordio solenne colloca sotto il segno dell'adempimento di una pro­ fezia non solo il fatto che Gesù si sia stabilito a Ca­ farnao, ma anche quello che il suo ministero abbia avuto inizio in Galilea 31 ; è questo ministero che ha costituito la luce meravigliosa promessa dal profeta alle genti della Galilea. I primi miracoli di Gesù seguono immediatamente il discorso della montagna. Un gruppo di tre guari­ gioni, concatenate l'una con l'altn (il lebbroso, il servo del centurione, la suocera di Pietro : 8,1-q), è seguito da un sommario che generalizza : « Venuta la sera �2, gli presentarono molti indemoniati ed egli con una parola cacciò gli spiriti e guarl tutti i malati >> (v 1 6). Questa notizia, più breve di quella di Mc 1 , 3z3 4, accentua nel medesimo tempo la onnipotenza so­ vrana di Gesù : egli guaris�e i malati « con una pa­ rola » (cf 8,8) e non ne guarisce solo « molti >> (Mc), ma « tutti ». Una citazione di adempimento mette in - .r 1 1 Cf B. LINDAilS, Ntw Ttslomml Apolog1lir. The DortriMI Signiftcancl of lhe 0/d Tulamenl Quotolions, Londra, 1 961, 1 96199 ; W. RoTHFUCHS, o. c., 1 0 3 . •• > che dell'invito « mette­ tevi alla mia scuola, poich6 sono mite e umile di cuopesanti (Le 1 I,46 ; M t 23,24). Questo accostamento fa pensare che sullo sfondo di Mt 1 1 ,28-30 sia verosimilmente presente una certa polemica. Oltre a S. LÉGASSE, jéJuJ et /'enfanl, I 34 e a G. STRECKER, Der_ Weg der GerechtigJ:eit, 173, cf K. W EI SS, art. q.op-rlov e q.op-rl�w, TWNT IX, 2 (I 970) 87-89. 71 Cf in questo medesimo senso le osservazioni di M. HEN­ GEL, Nachfolge und Chariuna. Eine exegetùch-religiofl!gnchichtliche Studie zu Mt 8,2If und ]nu Ruf in die Nachfolge (BZNW 34), Berlino, I 968, 5 6 : al di fuori di Mt 24,3 2 Mc I 3,28, fLetvOci­ vw ricorre in due passi di Matteo : 9, 1 3 e 1 1 ,29 ; in ambedue i casi esso sembra attribuibile alla redazione dell'evangelista, di cui caratterizza lo spirito di scriba giudeo-cristiano (cf I 3 , 5 2). 71 L'aggettivo è un hapax matteano ; è chiaro che non è possibile separare il suo impiego da quello del verbo corrispon­ dente nel ritocco redazionale di 1 8,4 . . 77 LÉGASSE, o. c., I 34· Per maggiori precisazioni su questo ultimo punto, cf A. WEISER , Die KnechtJgleichnim der J.Ynoptùchen E11angelien (SANT XXIX), Monaco, I97I, 1 0 1 . =

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MITI E GLI AFFLITTI

re )). Tali considerazioni formano un argomento cu­ mulativo che, pur senza ingenerare una vera certezza, creano tuttavia una presunzione. Se rimane qualche dubbio sulla parte redazionale di Matteo nell'uso di queste due formule, sembra che non ne rimanga alcuno per quanto riguarda l'interesse ch'egli prova per il modo in cui l'atteggiamento di Gesù si caratte­ rizza qui in rapporto a persone estenuate. 4· La promessa di (( riposo )), ripetuta due volte nel iogion, meriterebbe di essere presa in considerazione più a lungo di quanto non possiamo fare qui 78• Dal momento che studiamo una beatitudine che promette l' (( eredità )) della terra ai miti, non possiamo omettere di segnalare lo stretto legame che, nel linguaggio del­ l'alleanza, unisce la promessa del (( riposo )) a quella dell' (( eredità )). Ne sia prova questo passo tra molti altni : (( Non siete ancora giunti al riposo e alla eredità, che il Signore vostro Dio vi dona ; ma quando avrete passato il Giordano, quando abiterete la terra che il Signore vostro Dio vi darà in eredità e quando egli vi avrà dato i! riposo contro tutti i vostri nemici cir­ costanti e voi abiterete con sicurezza ... )) (Dt u,9-

•• Uno studio su questo argomento potrebbe partire dalla suggestiva esposizione di G . . DAUTZENBERG, Sein uben be­ wahren, I 34-I 37· L'autore distingue tre livelli di significato. In primo luogo vi è il « riposo >> della promessa profetica, che si identifica con la salvezza concessa da Dio al suo popolo in virtù dell'allQ&l1411l . Il « riposo >> di Ben Sira è semplicemente quello di una esistenza facile. Quello di cui parla Gesù si op­ pone al modo in cui il fariseismo concepisce l'osservanza della legge e si realizza nella instaurazione di una nuova relazione con Dio ; troviamo qui una specie di sintesi dei due significati precedenti. Cf anche S. LÉGASSE, Jésus el /'enfanl, 2 39-242 : nello stadio originale il logion doveva parlare del « riposo >> escatologico ; nella redazione di Matteo si tratta della condizione cristiana. Le indicazioni bibliografiche sono reperibili nella nota di J. B. BAUER, lùlhe, BTW, I I93-I I 96.

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10) 79. Non esiste per Israele vera « eredità >> della terra promessa, se non quando il possesso del paese è seguito dal « riposo >> che Dio procurerà al suo po­ polo, concedendogli la sicurezza contro i suoi nemici. È evidente che, se Israele si mostrerà infedele alle clausole dell'alleanza, tale « riposo >> non gli verrà concesso (Dt 28, 6 5 ; Sal 9 5 , 1 1). Il « riposo >> diventa così oggetto della speranza escatologica, esattamente come l'« eredità >> so. Il tema conosce anche altre applicazioni. Ciò forse non si verifica ancora nel caso del versetto in cui, tra rimproveri e minacce, Geremia dichiara : « Ponetevi sulle vie del passato, informatevi sui sentieri di allora e guardate qual'è la via buona ; seguitela e troverete riposo 81 per le anime vostre >> (Ger 6,16). Tuttavia tale invito può anche essere interpretato in un senso individuale ed è · precisamente in questa prospettiva che Ben Sira vi fa eco, quando invita il suo discepolo ad applicarsi alla sapienza : « Poni i tuoi piedi nei suoi ceppi e lega il tuo collo alla sua catena ; porgi la tua spalla al suo fardello e non essere impaziente dei suoi ••

22,9·

Cf Dt 3,2o; 5,33 ; 2 5 , 1 9 ; 2 Sam 7,1 1 ; I Re 8 , 5 6 ; I Cron

1° Cf ls I4, 3 ; 32., I 8 ; Ger 3 I , z ; 50,34. Rileviamo anche queste promesse, che adottano l'immagine senza il termine : « Quel giorno il suo (di Assur) fardello scivolerà dalla tua spalla, il suo giogo cesserà di pesare sulla tua cervice >> (Is Io,z7) ; « Il suo (di Assur) giogo scivolerà via da loro, il suo fardello cadrà dalle loro spalle >> ( I 4 25) . Sul tema del « riposo » nel NT dobbiamo segnalare la grande trattazione di Eb 3, 7-4, I 1 . In un periodo successivo, 2 Clem 5 , 5 scrive nella prospettiva di una escatologia individuale : « Voi sapete, o fratelli, che il sog­ giorno in questo mondo della carne è breve e di poca durata, ma che la promessa di Cristo è grande e meravigliosa, cosi come il riposo del regno futuro e della vita eterna >>. 81 « Il riposo >> : l'ebraico adopera un termine raro, che non è stato capito dai traduttori greci. Perciò, se Mt I I ,29 allude a questo testo di Geremia, non lo fa certo in base alla traduzione dei LXX. ,

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l MITI E GLI AFFLITTI

legami... poiché alla fine troverai riposo in lei e per te essa si cambierà in letizia �� (6,24-28). Egli propone se stesso come esempio : « Piegate il vostro collo al suo giogo, la vostra anima riceva i suoi ammaestra­ menti : essa è alla portata di quanti la cercano. Ve­ dete coi vostri occhi che poco ho faticato, eppure ho trovato tanto riposo �� ( p ,26-27). In questa medesima linea il « riposo » promesso da Gesù viene concepito in antitesi al lavoro e alla fatica che opprime coloro a cui egli si rivolge. Met­ tendosi alla sua scuola essi saranno s ollevati dal peso troppo opprimente che grava su di loro. Certo, Gesù non li libererà da tutti gli obblighi, pe�ò quelli che imporrà loro potranno essere adempiuti facilmente, in maniera che l'adempimento non sarà una fatica, bensl un ripcso. Deve essete chiaro che questo « ri­ poso », legato alla soddisfa:!:ione di doveri leggeri, non è quello della ricompensa che speriamo di otte­ nere nel mondo futuro 82, ma viene promesso ai di•• Tale è tuttavia - contro l'opinione comune - l'inter­ pretazione di J. B. BAUER, Das mi/de foçh und die Rube, Matlh. rr,z8-J o, in Theol. Zeitschr. 1 7 (1961) 99- 1 06 ; cf Rube, I I 9 S · Questo autore richiama giustamente l'attenzione su u n tema antico e interessante, vale a dire quello della immagine del gioco imposto a stranieri da un sovrano orientale. Accettare il giogo significa sottomettersi alla sovranità di un re. L'immagine viene applicata tranquillamente in campo religioso, come si vede in questa preghiera rivolta a lshtar : « Ho seguito il tuo cammino : possa la beatitudine essermi assicurata; ho affer­ rato la tua corda : possa ottenere la gioia del cuore ; ho portato il tuo gioco : procurami il riposo )) (secondo E. EBELING, Die ak/rmJisçhe Gqetperie "Handerhebung", 19n, 6o-6 3, righe 24:z6). Ma Bauer e troppo precipitoso nel trasporre direttamente questa prospettiva nel vangelo e nell'identificare il riposo pro­ messo da Gesù a quello del regno futuro (nel senso di z Clem 1 ,1). L'espressione f1.li6tn tln' tfLOU non è quella di un re, che offre la propria protezione a coloro che riconoscono la sua sovranità, ma quella di un maestro che presenta il suo in­ segnamento. L'immagine del (( giogo )) è perfettamente a suo posto in questo caso, come mostra per esempio G. LAMBERT, Mon joug esi aisé el mon fardeau Uger, NRT 77 (I9S s ) 963-969.

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scepoli di Gesù per la vita presente e caratterizza la. condizione cristiana. come tale.

L'invito di Gerù è indirizzato a persone che « fa­ ticano » attorno a un lavoro troppo duro per loro e (( sono oppresse )) da un fardeflo che le schiaccia. A questa. duplice indicazione del v z8 corrispondono le due immagini del v 3 0 : un giogo soave e un far­ dello leggero. Nello stesso tempo è chiaro che la si­ tuazione miseranda di questa gente conferisce tutto il suo significato al modo in cui Gesù si presenta ad essa come (( mite e umile di cuore )), Non è perciò inutile chiedersi quale sia l'identità di questi sventu­ rati e quale sia la natura della loro sofferenza. Ricor­ diamo che qui ci poniamo questo interrogativo al livello della redazione evangelica e che ci dobbiamo chiedere a che .cosa pensa Matteo, quando parla di K01tLWV'rtç xcti 1te:pop't'LGfLéVOL. G. Strecker osserva che oggi sono tutti d'a.ccmdo nel ritenere che questa espressione non indica né persone oppresse dalle fatiche della vita, né coloro che sono schiacciati dalla coscienza delle loro colpe 83• Noi conosciamo una sola eccezione a questo accordo che sia degna di essere menzionata : E. Percy 8� pensa che l'invito di Gesù sia indirizzato a uomini che sono costretti a un lavoro penoso 85, L'annuncio del regno di Dio deve procurar loro un sollievo, che li aiuterà a portare il peso dei loro compiti terreni. A questo J.

•• G. STRECKER, Der Weg der Gerechtigkeii, I73· Cf anche G. BARTH, Das Geset�pverstiindnis, I 3 9 · •• E. PERCY, Die Botschaft jesu. Eine traditionskritische und exegeliuhe Untersuchung (Lunds Univ. Aorsskrift, NF 1 , 49, � ). Lund, 1 9 5 3 , I I O. 86 Si pensa spontaneamente al vecchio tema egiziano della satira dei mestieri, di cui troviamo una eco in Ecli 38,24- 34; precisiamo comunque che Percy (p. 1 09) non crede agli adden­ tellati di Mt 28-30 con Ecli p , z 3-27 : il modello del testo evan­ gelico sarebbe costituito da Ger 6, 1 6.

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scopo essi vengono invitati non a liberarsi del fardello che li opprime, bensì paradossalmente a sottoporsi a un nuovo giogo e a un nuovo fardello : accogliendo il messaggio del regno e delle sue esigenze, essi tro­ veranno il riposo nel mezzo stesso delle loro fatiche. Come già nelle beatitudini, Gesù si rivolge anche qui ai poveri, agli affamati e agli afflitti. Non è difficile rendersi conto che questa esegesi sottile non corrisponde in ogni caso al pensiero del­ l'evangelista. Qui si tratta infatti di sostituire il giogo di Gesù, cioè gli obblighi che egli impone con il suo insegnamento (fi.> identicamente missionario di Matteo, bisogna cercare di capire il logion in funzione di uno « Sitz im Leben >> intra-ecclesiale. La spiegazione di Légasse presenta un altro in­ conveniente, e cioè quello di separare completamente i xomwv-re:c; xoct 7te:rpop-rLO'fLtvoL del v z.8 dai vf]moL del v z. 5 90• È chiaro che l'evangelista riserva tutta la propria sollecitudine a questi « piccoli », che hanno ricevuto la rivelazione cristiana per un effetto della benevolenza tutta gratuita di Dio; l'interesse che egli prova per loro è affine a quello di cui dà prova nei confronti dei fLLxpol di I 8 ,6-I4 91• Questi « piccoli >> credono in Cristo, però la loro perseveranza rimane fragile e bisogna aiutarli a rimanere nella via diritta. Aiutarli e, inoltre, incoraggiarli. Ma questo non è precisamente quanto in I I ,z.8-3o s'intende fare dopo l'inno di ringraziamento per il favore divino di cui essi hanno beneficiato ? Ora viene loro chiesto non più di credere in Cristo, ma di « osservare tutto ciò che egli ha comandato >> (z.8,z.o) 92 e di mostrarsi fedeli al suo insegnamento e alle sue esigenze. Essi non de00 « Non è perciò ai fedeli di Gesù che viene indirizzato l'invito, né si vede come in questo brano si possano identificare i viptLOL con gli oppressi della parte finale )) : Jéms el /'enfanl, 2.3 7· Scrivendo queste parole, Légasse critica non senza ragione l'interpretazione di C. CHARLIER, in BVC 1 7 (19n) 94, ma nello stesso tempo rivede la posizione che aveva difeso in antecedenza : non significa perciò altro che « Prendete su di voi il mio giogo » ; le due e­ spressioni formano una endiadi. Inoltre abbiamo visto che la precisazione complementare « Io sono mite e umile di cuore », che qualifica Gesù, è parallela al modo in cui il v 28 definisce coloro che sono invitati : « voi che siete affaticati e oppressi ». Tale precisa­ zione si riferisce evidentemente alle qualità del maestro e non al contenuto del suo insegnamento. In secondo luogo, dal punto di vista del senso, l'immagine del giogo evoca un insegnamento che ri­ guarda gli obblighi religiosi, i doveri che uno ha verso Dio 101• In rapporto a questo pensiero, l'idea di un insegnamento relativo alla persona e alle qua­ lità di Gesù introdurrebbe nel testo un elemento nuovo, per niente richiesto 102• È più naturale supporre che Gesù faccia leva sulle proprie disposizioni per­ sonali per garantire che il suo insegnamento sulla volontà divina non conterrà alcun rigore inutile 103• Non ci soffermiamo oltre su questo punto. Con la maggioranza degli esegeti, pensiamo che la mitezza e l'umiltà di Gesù vengano qui proposte come il motivo che deve incoraggiare le persone oppresse a mettersi alla scuola di lui e ad imparare quel che Dio richiede da parte loro. 1· La mitezza di Gesù. Le digressioni che abbiamo fatto non bastano certo per spiegare tutti gli interro­ gativi sollevati dal logion di Mt 1 1 ,28-30, ma sono sufficienti per affrontare il punto che ci interessa di-

- .�

101 Cf A. ScHLATTER, Der Evangelist Matthiius, � 1 6, se­ guito da A. FEUILLET, RB 1 9 5 5 , 1 92, n. 1 . 101 Cf P. ScHANZ, Commentar iiher das Evangelium des hei­ ligen Matthiius, Friburgo i. Br., 1 879, � q ; A. LoiSY, Les Evan­ gi/es synoptiques, I, Ceffonds, 1 907, 9 1 5 . 10 3 Pensiamo al modo in cui il decreto apostolico si esprime in At 1 5,28, al fine di tener conto delle parole di Pietro in I 5 , IO.

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rettamente, vale a dire quello di sapere in che senso Gesù viene detto « mite >> nella espressione « io sono mite e umile di cuore ». È chiaro che il metodo di affi!ontare una questione condiziona il punto eli arrivo della ricerca. Nel tenta­ tivo eli cogliere il senso dell'aggettivo « mite » al li­ vello della redazione di Matteo, noi ci siamo preoccu­ pati del contesto in funzione del quale esso assume il suo significato concreto. Non ignoriamo che esiste un'altra via per affrontare la questione, vale a dire quella che, secondo Ortensio da Spinetoli, porta a tradurre 6·n 7tpOtoç tL!J.L x«t 't"IX7tELvÒç Tij xOtp8lqt così : « perché anch'io sono povero e umile di cu�:r re » 104. Tale traduzione condensa una interpretazione che permette ad A. Feuillet la /arafrasi seguente : « Avendo un'anima eli "povero" e essendo entrato in comunione con· la miseria dell'umanità e con il suo totale spogliamento alla presenza di Dio, egli non ignora niente della nostra debolezza congenita » 105• Da parte sua R. North ritraduce in ebraico : 'Imi 'ani we-'anaw léb e spiega : « Discite a me, quza ego sum 10' « Ma Gesù ha ancora una rag ione più immediata da offrire; il suo esempio, la sua vita umile e povera, il modo con cui egli prima di loro ha portato il suo giogo. Egli non è solo "fig lio", ma anche -npa;uç )( di tutte le obbligazioni in una obbligazione essenziale e fondamentale, quella della carità (M t 7, 1 2 e 22,40 sono i testi più espliciti, ma ve ne sono anche altri : 5,21-z6 ; 6,14-1 5 ; 1 8,23-2 5 ; 24, 1 2 ; 2 5 , 3 1 -46 ecc.). Tutto si riduce ad amare : obbligazione esigente, ma che non è pe­ sante.

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infatti di un atteggiamento nei confronti degli altri 1 13 • Può essere che l'espressione > assegni un fondamento più profondo alla mitezza di Gesù, che verrebbe così a radicarsi nella sua umiltà davanti a Dio. In tal caso l'aggettivo « mite » conter­ rebbe soltanto la giustificazione richiesta dal senso del contesto. Comunque, tale contesto obbliga a inter­ pretare la mitezza di Gesù come un tratto che carat­ terizza il suo comportamento verso i discepoli. La necessità di mettere l'accento su questo aspetto delle disposizioni di Cristo spiega forse il fatto che l'ordine seguito in 1 1 ,2.9 sia diverso da quello delle beatitu­ dini, in cui la povertà in spirito, vale a dire l'umiltà, viene· menzionata prima della mitezza. In I I ,2.9 è l'idea della mitezza che viene completata da quella dell'umiltà. . Noi non pensiamo perciò che sia possibile op­ porre il senso in cui Matteo applica l'aggettivo 1tp1Xuç a Gesù, a quello che questo aggettivo ha normalmente in greco 1 14• La sollecitudine che Gesù mostra nei con­ fronti di quanti sono oppressi dal peso delle osser­ vanze farisaiche, trova la sua manifestazione nella cura ch'egli pone nel non impone alcun gravame pe­ noso ai suoi discepoli, e l'evangelista, per indicare lo stato d'animo da cui tale sollecitudine promana, si avvale giustamente del termine 1tpocuç. Nel medesimo senso Paolo supplica i corinti, « per la mitezza e la benevolenza di Cristo » (z. Cor Io,I), a non obbligarlo a mostrarsi severo nei loro confronti. Ed è sempre nel medesimo senso che leggiamo nel Testamento dei na A. FEUILLET scrive tuttavia : « Quando Gesù si definisce "mite e umile di cuore", lo fa anzitutto nei confronti di Dio. Egli si presenta come il primo degli anawim >> (/. c.). 11 ' >. .J·

Il re pieno di mitezza.

L'episodio della entrata di Gesù in Gerusalemme

in Mt ZI,I-17 è giustamente considerato uno di quelli

che meglio rivelano i procedimenti di composizione del primo evangelista. Dobbiamo occuparci della prima sezione di tale racconto (z 1,1-7 ), centrata sulla

Tesi. Don. 6,9 . . Traduciamo in base al testo greco di R. H. CHARLES, The Gre�k Versiom of lhe Teslam6nls of lhe Tw6/JJe Patriarcbs, Oxford, 1 908, 142, piuttosto che in base a quello di M. DE )ONGE, Teslamenla XII Palriarcharum, Ediled ar&ording lo Cambridg6 Uni11ersity Library Ms Fj 1,24 (Pseudepi­ grapha VT, 1), 2. ed., Leida, 1 970, p. Il manoscritto di Cam­ bridge, contrariamente agli altri testimoni del testo, legge « il Padre delle nazioni >> e « la legge di Dio >>. Al seguito di Charles, i critici sono concordi nel considerare questi testi (a partire da « affinché ))) come una interpolazione cristiana. Questa ipotesi è stata discussa da M. PHILONp;Ko, Les inlerpretations cbrltimnes des Tulammls tks Douze Patriarches el /es manuscrils de Qoumran (Cahiers de la RHPR 3 5 ), Parigi, 1 960, z8. Questo autore obietta che la congettura non trova alcun sostegno nella tradizione manoscritta ; ciò è vero, ma non prova molto. Egli aggiunge che, se si vUòlf parlare di interpolazione, bisogna ricorrere a due interpolatori : uno etnico-cristiano, che avrebbe aggiunto : « affinché il Salvatore delle nazioni vi accolga, poiché eg li è verace, paziente, mite e umile >> ; e un giudeo-cristiano, dal quale deriverebbe il séguito : >. Questa obiezione non è valida: l'espressione « la legge del Signore >> non testimonia una mano giudeo­ cristiana, poiché tutti i cristiani sanno che « la legge di Cristo >> o il suo « comandamento >> indica il precetto della carità (cf Gal 6,z ecc.). 1 11

LA MITEZZA D I CRISTO

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« citazione di adempimento » (vv 4-5 ), in cui compare l'aggettivo 7tp1Xuç. Il punto importante sta in questi due versetti ; la narrazione dell'avvenimento è di­ sposta in funzione della citazione che ne rivela la portata, e il testo citato è a sua volta ritoccato per meglio mettere in rilievo il significato dell'avveni­ mento. Prima di occuparci del senso che bisogna dare al termine 7tp1Xuç, faremo qualche osservazione sul contesto immediato : anzitutto sull'insieme del rac­ conto, poi sulla citazione scritturistica. I numei:osi studi dedicati all'argomento ci dispensano dal fornire spiegazioni troppo lunghe 1 16• 11 1 Segnaliamo anzitutto qualche monografia recente : W. TRILLING, Der Einzug in jerusalem (MI 21,1-17), in Neutesta­ mentlicbe Aufsiitze. Festschrift fiir Prof ]. Scbmid, Ratisbona, 1 963, 303-309 ; J. DuPONT, L'entrée messianique tk Jésus à ]erusa­ lem (Mt 21,1-17) , in Deuxième dimancbe de la Passion (Ass S 37), Bruges, 1 96 � , 46-62; S. L. }OHNSON, The Triumpbal Entry of Cbrist .( Mt 21,1-11), in Bibliotheca Sacra 49� (1 967) 2 1 8-229 ; P. ZARRELLA, L'entrata di Gesù in Gerusalemme nella redazione di Matteo (21,1-17), in La Scuola Cattolica 98 (1 970) 89-1 1 2 ; A. PAUL, L'entrée tk jésus à jérusalem (Mc 11,1-1 0; MI 21,1-11 ; Le 19,28-40 ; ]n 12,12-19), in Dimanche de la Pauion (AssS• 1 9), Parigi, 1 9 7 1 , 4-26. Ma bisogna rifarsi a numerosi altri la­ vori ; senza menzionare i commenti e gli articoli dei dizionari, ricordiamo soltanto : K. STENDAHL, The School of St. Matthew, 1 954, 1 1 8-uo e 2Qo; G. BARTH, Das Gelllzewersliindnis des Evangelisten Mallhiius, 1 960, I Z I S. ; F. F. BaucE, The Book of Zachariah and the Pauion Na"alive, in Bui!. of the ]. Rylands Li­ brary 43 (1961) 3 3 6-3 5 3 (339 e 347) ; G. STRECKER, Der Weg der GerechtigJ:eit, 1 962, 77:-76 e 1 73s. ; E. LoHSE, Die Gmhichte des Leindens und Sterbens ]esu Christi, Giitersloh, 1 964, 28-3o; R. PESCH, Eine alttestamentlicbe Ausfiihrungsformel im MallhìJUJ­ Bvangelium. Redaletionsgescbicht/icbe und exegeliscbe Beobaciungen, BZ 1 0 (1 9 66) zzo-24� ; 1 1 (1 967) 79-9� (cf soprattutto 1 966, 2 3 9-24� : lo studio più approfondito sui versetti che stiamo studiando : Mt 2 1 ,1-q) ; R. H. G UN DRY, Tbe Use of lhe O T in St. Malthew's Gospel, uos. e 1 97- 1 99 ; G. GAmE, Jérusalem, voici ton Roi. Commentaire de Zacharie 9-14 (LD 49), Parigi, 1 968, 1 74-176; S. LÉGASSE, jésus et l'enfant, 1 969, 246-2� 1 ; W. RoTH­ PUCHS, Die Erfiil!ungszitate des Malliius-Evangeliums, 1 969, Bo-83

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I MITI l! GLI APPLITTI

r. Il racconto, se lo confrontiamo con il passo parallelo di Mc 1 1 , 1 -7, si distingue anzitutto per lo scarso interesse che mostra nei confronti della pre­ scienza soprannaturale di Gesù 117• Marco pone l'ac­ cento su questo punto : ai due discepoli mandati in­ nanzi, Gesù predice il modo come si svolgeranno le cose ( x 1 ,2-�), e il racconto mostra poi che tutto si è effettivamente svolto come Gesù aveva annunciato (vv 4-6). Matteo riassume le consegne date da Gesù ai due discepoli (2 1 ,2-�) e poi si limita a segnalare senza altri dettagli che i discepoli hanno eseguito l'or­ dine ricevuto. Più avanti ritorna una situazione del tutto simile : in Mc I4, 1 2- 1 6, Gesù invia due disce­ poli, annuncia loro l'incontro che faranno e spiega come alla fine troveranno la sala dove poter prepa­ rare la pasqua ; in Matteo (26, 17-19) Gesù invia i suoi discepoli da un uomo indicato per nome e i discepoli fanno quel che è stato loro prescritto. In ambedue i casi il tratto che interessa Marco - Gesù sa in anti­ cipo come andranno le cose - non interessa Matteo. Questa mancanza di interesse nei confronti di una predizione di Gesù non è che la conseguenza di un interesse per un punto diverso : Matteo sottolinea volentieri l'autorità sovrana della parola di Gesù. R. Pesch ha mostrato bene, tanto nel caso di questa pericope quanto in quello di Mt 26, 1 7- 1 9 e x,x8-2 � ,

(male informato sulla bibliografia recente). Aggiungiamo J . D. CROSSAN, Redalr:tion and Citation in Marlr: 11 .·9-1 0.17 and 1� :27, in Soçiety of Biblk6f Literalllf't, 1 972 Proçeedings, I, 1 972, 1 7-6 1. 11 7 II rilievo viene fatto da G. BARTH, /. '·• viene messo in risalto da R. PESCH, a. '·• 2.4os ., e ripreso da S. LÉGASSE, o. '·• 247. Esso è contestato da J. D. CROSSAN, a. '·· z3s. Que­ sto autore crede di poter affermare che la fonte utilizzata da Marco conteneva la citazione di Zc 9,9 e che il suo racconto metteva in risalto l'interesse di Gesù per l'adempimento delle Scritture. Marco sopprime la citazione e ricompone n· rac­ conto per mettere in risalto non la prescienza di Gesù, bensl la fedeltà e l'obbedienza dei discepoli.

LA MITEZZA DI CRISTO

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la presenza di una « formula di esecuzione », che de­ termina la struttura del racconto e la conforma a uno schema tradizionale, di cui la Bibbia fornisce nume­ rosi esempi 1 18• La formula tipica si trova nel v 6 : « Essi fecero come Gesù aveva loro prescritto » (cf 26, 1 9 ; 1 ,24). Matteo, riassumendo le parole di Gesù nei vv 2-3, accentua il loro carattere di ingiunzione : i discepoli devono andare a prendete Wl'asina con il suo puledro ; il proprietario si inchinerà di fronte alla parola del Signore 119• La formula di esecuzione del 118 Già H. J. HELD, Mallhiius a/s lnt�rpret der Wund�rge­ sçhifhten, 1 960, 220, n. 6, aveva richiamato l'attenzione su questa formula. È stato merito di R. PESCH aver messo in risalto la sua importanza e il suo significato, che determinano l'interpre­ tazione di Mt 2 1 1 7-19, (a. ç., 234-239) ; Mt 2 1 ,1-7 (239-245 ); Mt 1 , 1 8-25 (79-91), e che chiariscono anche Mt 28,I I - 1 5 . Le spiegazioni di Pesch sono riprese da S. LÉGASSE, /. '· e da A. PAUL, a. &., q s. 1 10 L'ultimo membro del v 3, còW.; 3È �7to> e al dovere che Gesù si impone di « adempiere ogni giustiziai> -{3, I 5). 11 8 Come vuole STRECKEl't, o. e., 72.s. 180 La spiegazione che proponiamo è quella di G. BARTH; l. e. ; W. TRILLING, a. e., 303 ; R. PEse H, a. e., z4zs. ; R. H. G uNDl'tY, o. e., uo ; G. GAIDE, o. e. , 1 76 ; S. LÉGASSE, o. e., 2.48. 130 L'ebraico dice : >. Il termine '4ton, >, viene normalmente reso in greco con lSvoc; (z7 volte) ; viene tradotto con ù=�uyLov, >, solo una volta : Gdc 5,IO.

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mine greco ambiguo 15vov come un femminile, mentre l'ebraico hamor indica un asino di sesso maschile. 138• Gli esegeti non sembrano d'accordo nella interpreta­ zione di questi dati. Bisogna supporre che l'evangelista utilizzi una traduzione greca diversa da quella dei LXX ? 137 o che adatti la citazione all'idea ch'egli si fa della presenza di due animali ? 138 Questo problema non riveste alcuna importanza per il nostro argomento e possiamo !asciarlo aperto. Dal nostro punto di vista la cosa importante è di rendersi conto che l'episodio dell'arrivo di Gt!sù a Gerusalemme è centrato sulla citazione di Zc 9,9 in Mt 2 I , 5 139 : questo oracolo dona il suo significato proprio al racconto, che comincia con z i , I , e, andando al di là del v 7, si prolunga fino al v I O e I 1 . Le folle che acclamano il « figlio di Davide » avvertono Geru­ salemme della venuta del suo re. Anche la stessa cita­ zione è incentrata sull'aggettivo « mite », messo in rilievo grazie alla eliminazione degli altri qualificativi dell'oracolo ; tale aggettivo riassume la portata della scena in cui Gesù si presenta : « seduto sopra un'a­ sina e su un puledro, figlio di una bestia da soma ». J· La mitezza del Messia. Non esiste accordo tra gli esegeti sul senso da dare a 7tpor.uc; in Mt 2 I , 5 e quindi sulla natura della « mitezza » attribuita al re che fa il suo ingresso in Gerusalemme. Due sembrano essere le grandi linee di interpretazione, che possiamo tentare di caratterizzare. La prima linea è ben rappresentata da J. Schnie­ wind : « Il Messia di cui parla Zaccaria è "povero", ••• Su un centinaio di casi, nella Bibbia, ve n'è uno al femminile : 1 Sam 1 9,27. 1 87 Così per esempio G. STRECKER, o. ç,, 71s·. 188 Così per esemp io K. STENDAHL, o. ç,, zoo. ••• Questo punto viene sottolineato bene da R. PESCH,

o. ç,,

14 1 .

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I MITI E GLI AFFLITTI

umile, insignificante agli occhi degli uommt e intera­ mente abbandonato a Dio )), Su questo racconto aleg­ gia un mistero, « quello del re umile, che cammina verso la morte )) 140• Questa interptetazione, ripresa da O. Michel 141 e da G. Bornkamm 1 42, acquista tutto il suo rilievo con G. Barth ua. Questo autore mostra molto bene che in Matteo la citazione di Zaccaria con­ ferisce il suo senso a tutto l'episodio della entrata di Gesù in Gerusalemme e che in questa citazione il ter­ mine decisivo è l'aggettivo 7tp�uc;. Per lui non v'è alcun dubbio che la 7tp�Ò"!'l)c; di Gesù è la sua « Nie­ drigkeit », la sua piccolezza, o la sua « Erniedrigung », il suo abbassamento. Il ��atÀtuc; 7tp�uc; è colui che, rinunciando alla sua potenza e alla sua gloria, intra­ prende il cammino dell'umiliazione, che dovrà con­ durlo alla croce u4• Va da sè che tale abbassamento uo Schniewind spiega la citazione di Zc 9,9 nel suo com­ mento a Marco : Das Evangelium nach Marlr:us (NTD I), Gottinga, 1936; 10 ed., I 963, I47s. Il commento a Matteo, preoccupato soprattutto dal problema delle due cavalcature, è meno espli­ cito ; l'idea di leggere il racconto della entrata di Gesù in Geru­ salemme come il punto di partenza della storia della passione è basata non su indicazioni fornite dal testo, bensì sull'uso li­ turgico, che fa di questa pericope la lettura della domenica delle palme : Das Evangelium nach Matthiius (NTD z), Gottinga, 1 9 3 7 ; 5 ed., I 9 5 0, 2 I 3s. (u ed., I964). Anche A. S cHLATTER legge questa pericope in funz.ione della storia della passione : Der Evangelist Matthiius, 6o8. 111 O. MICHEL, art. !lvoç, TWNT V (I 9H) :1.83-:1.87 (z86). ua G. BoRNKAMM, Enderwartung unti Kirche, 242 (3 os ) ua G. B.u.TJl, Das Guetzesverstiindnis des Ev. Mt., I Z i s. •u La « mitezza >> attribuita a Gesù consiste anzitutto nella sua « umiltà, nel suo abbassamento, nel fatto che qui colui che è destinato ad essere il giudice escatologico del mondo, rinun­ ciando alla sua potenza e alla sua gloria, viene in umiltà sulla via della croce >> (p. I 22). Già conosciamo quel che simili spie­ gazioni significano nel sistema dell'autore ; per lui Gesù > (Mt 3, I 5 ), > (p. I 3 2). In pratica possiamo dire che Gesù .

.

LA MITEZZA DI CRISTO

853

implica obbedienza e umiltà. Il testo di Fil 2, 7-8 non viene citato, ma costituisce chiaramente il punto di riferimento, in base al quale Barth spiega la « mi­ tezza » del re messianico di Mt 2 1 , 5 . Le spiegazioni di questo autore hanno visibilmente influenzato quelle di R. Pesch, di S. Légasse e di A. Paul us . G. Strecker 146 reagisce vivacemente contro questa intrusione di una « teologia della passione », che niente permette di attribuire a Matteo e che non si manifesta in alCWl modo nei tratti che possiamo attri­ buire al suo lavoro redaziona.le in questo passo. A noi sembra in effetti che non sia possibile interpretare qui l'aggettivo 7tpocuç senza tener conto dello stretto legame che lo unisce allo scenario in cui Gesù si pre­ senta : « mite e seduto sopra un'asina. . . ». La que­ stione sta dunque nel sapere quale rapporto esiste tra la >, in quanto sulla croce prende il posto dei peccatori e accetta per loro e al loro posto il suo (( abbassamento » redentore. Questa interpretazione è evidentemente ispirata da punti di vista teologi..ci, che derivano da fonti diverse dal pri­ mo vangelo. ,.. R. PESCH, o. &., 241 e 241 ; S. LÉGASSE, o. &., 210; A. PAuL, o. &., 17. Possiamo collegare alla medesima corrente esegetica le spiegazioni di W. RoTHFUCHS, Die Erfiilltmgszilole des Mt-Ev. ; per lui il �a:aLÀ�ç 7tpa:uç di Mt 2 1 , 5 è un (( re velato » (p. 1 2 5 ) : la sua 7tpa:Ò't"'l)t; non è precisamente (( umiltà », ma piuttosto (( velamento » (p. 83 ). Questa messa a punto nei confronti di G. Barth si mantiene sul terreno della teologia sistematica, senza uno sforzo reale per cogliere il punto di vista dell'evangelista. ,.. G. STRECKER, D1r Weg der Geruhligkeil, 74s. ; cf anche ' 73S. 1 1 7 Cf per esempio i commenti di J. ScnMID, p. 299, e di W. GauNDMANN, p. 448s., l'articolo 7tpa:uç di F. HAUCK

I MITI E GLI AFFLITTI

864

cavalcatura non è un segno di povertà, né necessaria­ mente di umiltà » 148• L'asino, cavalcatura pacifica, si oppone al cavallo, cavalcatura bellica. Tale è precisa­ mente il suo senso nell'oracolo di Zc 9,9, che rro­ segue nel v 1 o : « Toglierò il carro da Efraim e i ca­ vallo da Gerusalemme, e l'arco di guerra scomparirà >>. Il re che viene su un asino è l'opposto di un re guer­ riero 149 ed è precisamente quanto vuole esplicita!!e l'aggettivo 7tpatuç che gli viene attribuito. In questo contesto di pensiero è inutile voler prestare al termine 7tpatuç (o al suo sostrato 'antiw) 150 un senso diverso da quello che ha normalmente : il re che rifiuta la guerra e la violenza, merita di essere chiamato « mite >>.

Conclusione. Per identificare i « miti >> a cui si indirizza la bea­ titudine, che sdoppia quella dei « poveri in spirito », ci siamo rivolti prima verso il mondo semitico, dove le due espressioni hanno una medesima radice, poi

c S. · ScHULZ, TWNT VI ( I 9 � 9) 649, gli articoli già citati di F. F. BaucB, p. 347 e di W. TRILLING, p. 304, nonché l'opera . di R. H. GUNDRT, p. 120. uo S. LÉGASSE, jésus et /'mjant, 249 : « L'asino è la caval­ catura principesca dei tempi antichi >>. t u In contrasto con la promessa di Ger 17,2� : se gli abi­ tanti di Gerusalemme osservano scrupolosamente il riposo del sabato, « allora i re e i principi assisi sul trono di Davide en­ treranno per le porte di questa città sopra dei carri e dei cavalli, essi e i loro ptoinmpi, la gente di Giuda e gli abitanti di Geru­ salemme ». Questa visione bellicosa, introdotta nel libro di Geremia da una mano posteriore, non fa che mettere in maggior rilievo l'immagine pacifica evocata dal Deutero Zaccaria e descritta nel vangelo. 160 La lettura massorctica 'Jnl è alla base della traduzione 'lt'rc.l)(6ç in Simmaco e nella Quinta; Teodozione ha pensato di esser di fronte a una forma verbale e ha tradotto è�taKouwv. I LXX e Aquila, traducendo �tpauç, sembrano supporre 'Jntiw, che spiegherebbe anche lo 'inwetdn del Targum.

LA MITEZZA

DI CRISTO

855

verso la catechesi cristiana, che continua ad associare strettamente umiltà e mitezza, due aspetti inseparabili della 'anawah giudaica. Infine abbiamo fatto ricorso al linguaggio e al pensiero dell'evangelista e abbiamo riscontrato l'aggettivo in due passi applicati a Gesù, che riflettono nel medesimo tempo uno dei temi ca­ ratteristici della cristologia matteana. In r 1 ,29 si tratta indubbiamente della « mitezza >> di Cristo, quella mitezza testimoniata dalla sua sollecitudine nei con­ fronti di quanti sono scoraggiati per il peso eccessivo di certe osservanze religiose, e dalla sua cura di non imporre ai discepoli se non esigenze facili e riposanti. A questa « mitezza >> del Maestro verso i discepoli, Mt 2 1 , 5 ci invita ad aggiungere quella del re che si presenta a Gerusalemme in u·na veste aliena da ogni idea di violenza e di guerra. Questa lunga inchiesta non è stata inutile. Essa ci permette di pensare che la mitezza, di cui parla la beatitudine, non è altro che quell'aspetto dell'umiltà che si manifesta nella affabilità messa in atto nei rap­ porti con il prossimo. Nel medesimo tempo ci mostra che, nella prospettiva di Matteo, la mitezza cui è pro­ messa l'eredità della terra trova la sua illustrazione e il suo perfetto modello 151 nella persona di Gesù, « mite e umile di cuore )), che « non discute )), « non grida )), « non spezza la canna incrinata, né spegne il lucignolo fumigante >> ( 1 2 , 1 9-20), che, pieno di compassione verso i diseredati, ricorda cosl volentieri che Dio « vuole la misericordia e non il sacrificio >> (9, 1 3 ; 1 2,7). In fondo, tale mitezza ci appare come una forma della carità, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui.

m Cf quanto sotto il titolo di (( Das Vorbild Jesu >> (= Il modello Gesù) G. STRECKER scrive a questo proposito in Der W1g der G�reçhtigleeil, 1 77.

I MITI B GLI AFFLITTI

856

§ VI. COLORO CH E SONO AFFLITTI

Nel gruppo delle beatitudini della duplice tradi­ zione, di cui non è possibile separare in Matteo la beatitudine dei perseguitati a causa della giustizia da quella dei miti, ci rimane da dire qualche parola a proposit0 della beatitudine concernente i 1tev6ouvnç, � quali l'avvento del regno di Dio porterà la consola­ ZiOne. Questa beatitudine, cosl come quella dei poveri, si riallaccia a Is 6 1 , 1-3 e noi vi abbiamo riconosciuto 1 l'espressione della buona novella annunciata da Gesù agli sventurati : la venuta del regno di Dio metterà presto fine alla loro sventura. In questa prospettiva gli afflitti costituiscono con i poveri e gli affamati un solo gruppo di diseredati ; la consolazione loro promessa coincide con il capovolgimento delle situa­ zioni umane, che sarà attuato con l'instaurazione del regno di Dio. Questa spiegazione, valida al livello della inten­ zione di Gesù, è però ancora tale dal punto di vista della intenzione dell'evangelista? La necessità di que­ sta distinzione sfugge alla maggior parte degli ese­ geti. Di qui le interpretazioni moraleggianti, che mi­ sconoscono l'originalità del messaggio espresso da Gesù per mezzo delle beatitudini 2 ; di qui similmente le spiegazioni che, limitandosi a considerare la mi­ seria degli afflitti, trascurano la preoccupazione pare­ netica dell'evangelista 3• Se è vero che nella formula1 Vol. I, 63 5-7I9. Sul senso esatto del termine : H8-s s z. • Abbiamo citato la spiegazione di BuLTMANN nel vol. I,

PS· 1 Il rilievo riguarda in misura diversa le spiegazioni di C.

W. Vo rAw Sermon on the Mount, 1 9 ; H. J. HoLTZMANN, Band­ Commentar :;::um NT, I, 3 ed., Tubinga-Lipsia, 1 90 1 , 202 ; J . WEISS, Die Scbriften du NT, I (1906) 241 ; A . LOisY, Lu Evan­ gileJ J_ynoptiques, I, Ceffonds, 1 907, 547 ; W. BAUER-W. F. ARNDT­ F. W. G1NGR1CH, � Gmle-EngliJh Lexi&on of the NT, Cambridge,

COLORO CHE SONO APPLITTI

857

zione primitiva delle beatitudini gli afflitti non diffe­ rivano realmente dai poveri e dagli affamati, è pure vero che Matteo non parla più di « poveri >>, bensl di umili e miti, e che non parla più di persone che sop­ portano le sofferenze della fame, bensì di coloro che aspirano ardentemente alla giustizia. Nel caso delle altre beatitudini della duplice. tra­ dizione, Matteo ha operato dei ritocchi che manife­ stano chiaramente il significato spirituale ch'egli at­ tribuisce loro. Niente di ciò si verifica nel caso degli afflitti. « Niente esprime la portata religiosa di questa designazione. Niente, se si eccettua il contesto che co­ stituisce l'insieme delle beatitudini » (E. Jacquemin) 4 In un contesto che pone l'accento su atteggiamenti religiosi e morali, >. Sarebbe poco utile riprodurre qui tutte le spiegazioni. Lasciando da parte quelle che non operano la traspo­ sizione religiosa di cui abbiamo sottolineato la neces­ sità, possiamo nelle altre distinguere tre correnti prin­ cipali, che possono anche sovrapporsi e intersecai si. Parleremo anzitutto di quelle interpretazioni che, con­ servando al termine n:e:v6ouvTe:ç il suo significato normale, si contentano di aggiungere una dimensione spirituale alle sofferenze degli infelici cosi evocate. Poi ci occuperemo della spiegazione che suppone l'af­ flizione motivata dalla coscienza della propria condi­ zione peccaminosa. Infine esamineremo quelle ese­ gesi, le quali intendono la beatitudine in funzione della opposizione che esiste tra il mondo presente e il mondo futuro. 1.

Afflizione e spirito.

Questo titolo ricorda quello che abbiamo adoperato parlando della interpretazione della prima beatitudine, che vede nei « poveri in spirito >> dei poveri nel senso 7 Per quanTo -figuarda l'esegesi antica, si consulti lo stato della questione proposto da J. MALDONADO, Commentarii in quatuor evangdùtas, I, 99, e da ). KNABENBAUER-A. MERK, Commentarius in Evangelium semndum Matthaeum, I, 1 3 7. Il mi­ glior stato della questione recente ci sembra quello di W. GRUNDMANN, o. ç,, 1 2 3 ; non si dimentichi quello di (H. L. STRACK- ) P. BILLERBECK, Kommentar '!(.Um NT aus Talmud und Midrauh, I, 195, né quello di G. MIEGGE, l/ sermone sul monte, n s.

COLORO CHE SONO AFFLITTI

859

ordinario della parola, ma in cui il termine >. K. Born­ hauser propone un'altra considerazione, sempre nel medesimo senso 16 : la beatitudine fa riferimento a Is 6r ,z-3, dove la -promessa della consolazione per gli afflitti è nel medesimo tempo annuncio di una gloria 11 CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Stromala IV, 6, �6.

" Un esempio tipico : A. THOLUCK, Di1 Bergrede Christi, 5 ed., Gotha, I 872, 7� : l'affiizione in questione è il dolore del pentimento, che sgorga direttamente dal sentimento che si ha della propria povertà spirituale. Cf anche E. C. A c HELIS, Die Bergpredigt nach Matthiius unti Lukas, Bielefeld, I875, z r ; al­ l'inizio di questo secolo : C. F. G. HEINRICI, Beitriige zur Ge­ schichte unti Erkliirtmg des Nemn Testamenles, III, Lipsia, 1 905, 2 1 . 10

18

L. c. K. BoRNHAUSER, Dit B"gpredigt,

z

ed., 192.7, �o.

862

I MITI

E GLI AFFLITTI

che sostituirà la cenere (cX.v-rt >. Nel­ l'altro senso possiamo citare Te.rf Zab 4,7-8, dove vediamo che Ruben si rifiuta di mangiare, piange e si affligge, quando ap­ prende ciò che a sua insaputa i fratelli avevano fatto a Giu­ seppe ; qui non si tratta di pentimento. - Si cita anehe I Cor. �.z, dove Paolo rimprovera ai Corinti di non essersi « afflitti » a motivo del cristiano incestuoso ; non si tratta di pentimento, ma della tristezza provocata dalla caduta di un fratello. u

l

864

MITI E GLI AFFLITTI

autorizza a introdurre nel testo evangelico un sottin­ teso, che niente richiama. J·

Stranieri sulla terra.

Rimane aperta un'altra via per cogliere il senso della afflizione benedetta, che non può essere né identificata con la condizione di uomini poveri e oppressi, né limitata alla tristezza dell'uomo pio, che piange i suoi peccati. Tale via incentra la propria attenzione sulla antitesi che oppone i due membri della beatitudine. La « consolazione » promessa nel secondo coincide con la felicità che l'avvento glorioso del regno di Dio deve apportare sia a coloro che sono attualmente in­ felici (livello della predicazione di Gesù), sia a coloro che dànno prova di certe disposizioni d'animo (li­ vello della redazione di Matteo). La natura di questa « consolazione » non è stata modificata da Matteo. Dal momento che questo termine esprime la situazione che sarà realizzata dall'avvento del regno, l'« affli­ zione » denota la condizione del giusto nel mondo presente, o meglio, il suo atteggiamento nel mondo presente, in suo atteggiamento nei confronti del mondo presente. In questa prospettiva noi pensiamo di dover com­ prendere la spiegazione di Th. Zahn : le persone pie si affliggono nel vedere il male regnare nel mondo 26• La formula è stata ripresa· da E. Klostermann 27 e da J. Keulers 28• La ritroviamo in Th. Soiron e G. Schnei•• TH. ZAHN, Das Evangelium des Matthiius, 1 87. 17 E. KLOSTERMANN, Das Matthiiusevangelium, 37· •• ]. KEULERS, Het Evangelie volgens Matlheiis (De boeken

van het NT, 1 ), 2 ed., Roermond-Maaseik, 1 950, 66. Tuttavia alla afflizione di > 30• Nella scia di Zahn possiamo collocare anche i commenti di A. M. Brou­ wer, J. Schniewind, W. Michaelis, E. Lohmeyer, W. Trilling 31 • Del resto questa interpretazione non è nuova e corrisponde agli accostamenti tradizionali 32 con il Sal 1 zo, , : « Guai a me, perché il mio soggiorno s i è prolungato . », o con il Sal I 3 7 , I : > Questa spiegazione figurata è seguita da una predi­ zione : « Ma verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto, allora digiuneranno in quel giorno » (Mc z.,z.o) Qui Matteo riprende il verbo « digiunare » e si limita a omettere le ultime parole : « in quel gior­ no » 39• Parlando di « affliggersi» invece che di « di­ giunare », egli amplia la risposta : non è solo il digiuno, bensi ogni manifestazione di tristezza, che diventa impossibile finché lo sposo è presente 4°. La seconda .

GANAY, Le Problime synoptique. Une hypothère de trovai/ (Bibl. de Théol., III, I), Tournai, 1 9 5 4, 93s. Feuillet, in accordo con Vaganay, ritiene che « Matteo non dipenda da Marco, il quale sembra abbia voluto uniformare il racconto usando dappertutto V'IJ GTeUELV ». Per mostrare la fragilità di questa costruzione basta notare che nella Bibbia greca 7tEV6t(J) non rende mai 'anah, verbo che il più delle volte viene tradotto con TC%7tELV6(1) (5 3 volte, senza contare Ecli). Tanto peggio per le traduzioni che cambiano « abbassare la propria anima » in « affl iggere la propria anima >> •• Cf G. STRECKER, /. c. ; J. ROLOFP, /. c. •• Dal cambiamento del verbo P. HoPFMANN deduce che per Matteo si tratta « di un digiuno che (attraverso l'afflizione) coglie l'uomo..in�ro >> (l. c.). Questa osservazione riguarda la traduzione tedesca più che il testo greco, dove 7tCV6t(J) non indica tanto uno stato d'animo, quanto piuttosto delle manife­ stazioni esteriori di dolore. Il verbo viene usato in modo par­ ticolare per indicare le lamentazioni funebri (cf BuLTMANN, TWNT VI, 42), di conseguenza ci possiamo domandare se non si tratti qui di uno slittamento di immagini, che passa dalla opposizione tra digiunare e prender parte a un convito nuziale a quella che esiste tra la celebrazione delle nozze e la celebrazione dei funerali (Mt I I, I 7 ; Le 7,32). Il fatto che Mat•

COLORO CHE SONO AFFLITTI

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parte della risposta mostra che il termine « sposo >> è diventato una designazione di Cristo 41• Il tempo per digiunare, e più ampiamente per affliggersi, sarà quello che seguirà alla scomparsa di Cristo, nonché quello che precede il suo ritorno 42• Agli occhi dell'evange­ lista l'idea di afflizione caratterizza meglio che non quella di digiuno l'atteggiamento cristiano tra le due venute di Cristo. Quanto al suo contesto immediato, la beatitudine degli afflitti contrasta natunlmente con l'invito che il v 1 z indirizza ai perseguitati 13 : « Rallegratevi ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nei cieli >>. Non dobbiamo forse vedere qui due aspetti, non contradditori bensl complementari, di un me­ desimo atteggiamento di spirito ? La prospettiva di una felicità promessa comporta ad un tempo una cer;ta tristezza per esserne ancora lontani e la gioia teo conservi l'idea del digiuno non invita a impegnarsi in questa direzione. Per questo parliamo di un ampliamento del pensiero : Matteo aggiunge al digiuno tutte le altre manifestazioni della affiizione. Il risultato è che nella sua prospettiva il digiuno di­ venta una manifestazione di affiizione, cosa che non corrisponde necessariamente al punto di vista di Marco, come osserva G. BRAUMANN, a. &. n Senza questo commento del v I � b (Mc z,zo), il logion di M t 9, I � a (Mc z, I_9a) andrebbe naturalmente inteso in un senso del tutto parabolico : così per esempio C. H. Dooo, The Parables of the Kingdom, Londra, 1 9 3 � ( 1 948), u ss. ; J. jEREMIAS, TWNT !V, I9o6 ; Die G/ei&hnisse]esu, 6 ed., Gottinga, I 962, 49, n. 3 Les paraboles tk jésus, Le Puy-Lyon, 1 966, 6 1, n. 1 6 ; N. PERRIN, Redis&overing the Tea&hing of]esus (NT Library), Londra, 1 967, 79s. L'interpretazione allegorica viene sostenuta da A. FEUILLET, a. &., 1 3 2-1 36, nonché da A. KEE, The Qmstion about Fasting, NT 1 I (1969) 1 6 1 - 1 7 3 (che nega l'autenticità del /ogion) . .. Cf W. TaiLLING, Das Evange/iuln na&h Mallhiius, I, 204s. u J. MALDONADO, o. G., 99, spiega questa beatitudine assi­ milandola alla beatitudine dei perseguitati per la giustizia (s,Io). A noi sembra che il contrasto con il v n sia più illu­ minante. =

=

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I MITI E GLI AFFLITTI

che si prova in anticipo al pensiero di arrivare presto a possederla. Queste considerazioni portano a qualche con­ clusione ? Ci sembra che, se non si chiede loro più di quanto non si possa attendere dalla assenza di indicazioni esplicite da parte dell'evangelista, esse creino una probabilità sufficiente. Sarebbe inverosimile che la beatitudine degli afflitti, inserita nel complesso delle beatitudini matteane, le quali riguardano tutte un atteggiamento religioso, costituisca una eccezione. Il mezzo migliore per accordarla con il suo contesto rimane quello che vede nella afflizione l'atteggiamento del giusto nei confronti del mondo presente, una afflizione che va di pari passo con la gioia provo­ cata dalla speranza nel mondo futuro.

CONCLUSIONE

Siamo giunti al termine del nostro studio delle beatitudini che derivano dalla duplice tradizione. La nostra attenzione s'è soffermata anzitutto sul termine « giustizia » , che, aggiunto due volte al testo base, caratterizza molto bene l'orientamento nuovo della versione matteana. Ora la promessa della beatitudine è condizionata non più semplicemente da una situa­ zione miserabile, nella quale certuni si trovano indi­ pendentemente dalla loro volontà, ma da un atteggia­ mento interiore nei confronti della volontà divina. È in quest!.ot,l!ica che la beatitudine prima diretta ai poveri, riguarda ora uomini che si distinguono per quella disposizione del cuore indicata così bene in ebraico dal termine 'andwah e di cui la povertà spiri­ tuale, o umiltà, e la mitezza definiscono i due aspetti essenziali e complementari. La mitezza, banco di prova dell'umiltà, traduce quest'ultima nei rapporti con il prossimo. Nel contesto del primo vangelo essa ac-

COLORO CHE SONO AFFLITTI

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quista tutto il suo significato alla luce dell'esempio di Cristo, « mite e umile di cuore ». L'esame della beatitudine dei miti ci ha occupato a lungo, poiché dovevamo tener conto di un insieme molto complesso di dati ; nel medesimo tempo sap­ piamo che le nostre conclusioni sembreranno temerarie a molti, vale a dire a tutti coloro che non si rassegnano ad ammettere che i miti sono semplicemente dei miti. Per quanto riguarda la beatitudine degli afflitti, le indicazioni capaci di chiarire la sua interptetazione sono meno numerose e meno illuminanti. In questo caso l'indicazione determinante sta nell'orientamento parenetico conferito da Matteo a tutta la serie delle beatitudini : noi lo abbiamo dimostrato per quanto concerne le beatitudini che derivano dalla duplice tra­ dizione, e ciò salterà agli occhi nel caso delle tre bea­ titudini che ci rimangono da esaminare. Occorre per­ ciò perisate che, se Matteo non ha apportato alcuna precisazione alla designazione degli afflitti, lo ha fatto perché riteneva che la sua portata religiosa fosse suf­ ficientemente chiara. Questo è l'importante dal punto di vista del nostro studio : non si tratta più di persone che devono sopportare una sorte dolorosa, bensl di persone animate da certe disposizioni del cuore gra­ dite a Dio e conformi all'ideale evangelico. Non è faci le determinare Ja natura esatta di tali disposizioni ; abbiamo spiegato perché sembra preferibile inter­ pretarla in funzione della antitesi che oppone il mondo presente a quello futuro. La redazione di Matteo rivolge quindi il proprio interesse a determinati atteggiamenti religiosi, a cui è ormai collegata la promessa del regno dei cieli. Abbiamo parlato di orientamento parenetico. Sembra infatti chiaro che, se egli pone l'accento su tali di­ sposizioni, lo fa per mostrarne la necessità ai suoi let­ tori cristiani e per invitarli a metterle in atto. Le bea­ titudini formano le condizioni di entrata nel regno

872

I MITI E GLI AFFLITTI

futuro. Esse si trasformano in esortazione : se volete aver parte al mondo futuro, mostratevi umili e miti, afflitti e avidi giustizia; se qualcuno vi perseguita, che riò avvenga senza che voi abbiate commesso alcunché di male.

CAPITOLO VIII

TRE N U OVE BEAT ITU D I N I

Alle tre prime beatitudini, che sono diventate quattro nella sua redazione, Matteo aggiunge tre bea­ titudini veramente nuove e solo dopo arriva a parlare dei perseguitati . Queste tre beatitudini nuove sono rivolte ai misericordiosi ( 5 , 7), ai puri di cuore (v 8) e agli artefici di. pace (v 9). La beatitudine dei puri di cuore si riferisce a una disposizione interiore, come le beatitudini del primo gruppo ; le altre due caratte­ rizzano un comportamento net confronti del prossimo. Per tenere conto delle affinità, è forse meglio parlare prima dei puri di cuore e solo dopo dei misericordiosi e dei paci ficatori. Non è necessario soffermarsi a sot­ tolineare il significato religioso di queste tre beati­ tudini e il loro orientamento parenetico, che situa la loro presenza in questo punto sul medesimo livello dei ritocchi redazionali operati nelle beatitudini della duplice tradizione. La nostra esposizione non ha nulla da dimostrare e si limiterà perciò a commentare. § I. I PURI DI CUORE

L'espressione che parla dei puri di cuore non è separabile dalla promessa di ve cfere Dio. Il rapporto viene stabilito con precisione nel contesto cultuale : è là che purezza delf'uomo e visione di Dio costitui­ scono due termini correlativi. Quando si parla di

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TRE NUOVE BEATITUDINI

vedere Dio, non si tratta di assistere a uno spetta­ colo, ma di essere ammessi alla presenza di Dio per servirlo. Questo privilegio suppone che l'uomo adem­ pia determinate condizioni richieste dalla santità di­ vina ; l'esigenza della purezza riassume tali condizioni. È chiaro che il modo di concepire questa esigenza è a sua volta condizionato dalla idea che ci si fa della santità di Dio : altra è la purezza richiesta per accostarsi a Dio quando si vede la santità divina in funzione delle categorie del sacro e del profano, altra quella che ci vuole quando si concepisce tale santità come suprema perfezione morale. Le due espressioni che costituiscono la sesta bea­ titudine vanno esaminate nel loro reciproco rapporto. In linea di principio bisognerebbe perciò studiarle assieme. Tuttavia, per evitare la confusione, ci è parso in pratica necessario fermare la nostra atten­ zione prima sull'una e poi sull'altra espressione, pur tenencfo sempre presente il legame che le unisce. Ci occuperemo anzitutto della promessa di « vedere Dio », che pone meno problemi, poi della « purezza di cuore » presupposta da tale visione, il che esigerà una- considerazione più lunga, poiché dovremo collo­ care questa nozione nel suo contesto biblico e giudaico, poi evangelico e neotestamentario 1• 1 Articoli dedicati alla sesta beatitudine : R. KocH, « Beali mundo çorde >> (Mt J,8), VD 20 (I 94o) 9-I 8 ; A. GEoRGE, Heu­ reux /es çoeurs pours! 1/s '""onl Dieu! (Mallh. J,S), B VC 1 3 ( I 9 5 6) 74-79 ;-j.�G ULLES, Bienavenlurados /os puros de çorazdn. Mt J,8 en la teologia gruo-patrifliça basta Origenes, in An. Sem. Valençia 5 (I965) 5 - 1 29 ; J. RAASCH, The Monasliç Conçept of Purity of Heart and its Sourm, in Studia Monastica 8 (1 966) 7-33 e I 83-2 I 3 e le annate successive fino al I 970 (I I-2 I : buona sintesi dell'AT, del giudaismo e del NT) ; T. SARTORY, « Se/ig, die lauleren Herzens sind. . . )), in (M. MuESSLE), Der > ]esus. Seine Bergpredigl (Pfeiffer Werkbucher, 76), Monaco, 1 969, 78-90; J. DuPONT, Beali i puri di cuore, perché vedranno Dio (MI J,8), in Parole di vita 1 5 (1 970) 301-p6 ; B. PRETE, Il senso della

I PURI PI CUORE

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Prima di iniziare lo studio di ciascuna delle espres­ sioni, sembra utile menzionare due testi, che illustrano il rapporto che esse hanno tra di loro. Il primo è particolarmente importante : si tratta del Sal z 3 se­ condo i LXX (ebr. z4). Gli esegeti sono concordi nel ritenere che la beatitudine dei cuori puri deriva da q uesto salmo 2, anche se la derivazione è meno evi­ dente di quella della beatitudine dei « miti » dal Sal 37,I I . Ecco i vv 3-6 : Chi ascenderà sul monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo ? Colui che è innocente di mani e puro di cuore, che non ha rivolto la sua anima alla vanità e non ha giurato per ingannare il suo prossimo ... Tale è la stirpe di coloro che Lo cercano, che cercano Ja· faccia del Dio di Giacobbe.

Per comparire davanti al Signore nel suo santuario bisogna essere « innocenti di mani e puri di cuore >>. Il sal mista, dopo aver spiegato che cosa intenda dire con quelle parole, presenta queste disposizioni come il tratto caratteristico di « coloro che cercano la faccia di Dio >>. Non è esattamente l'espressione della beatitudine e noi dovremo dimostrare che, quanto al senso, quelli che « cercano la faccia di Dio >> sono anche quelli che vogliono « vedere Dio ». La visione cui essi aspirano suppone l'innocenza del secondo esprmione o! x(J(6Q(pol -rji x«p81qc (Mt 1,8), in Rivista Biblica 1 8 (1 970) zn-z68. Queste monografie rappresentano evidente­ mente solo una parte minima della bibliografia relativa a questo argomento, accanto agli studi dedicati all'insieme delle beatitu­ dini, al discorso della montagna, al primo vangelo, ai lessici e ad altre opere generali. ' L'accordo è generale ; qui ci limitiamo a menzionare R. H. GuNDRY, The Ure of the 0/d Terlamenl in St. Mallhew Gorpel, With Special Reference lo the Mmianic Hope (SNT XVIII), Leida, 1 967. 1 H .

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termine, il più significativo ; comunque ritorneremo sulla relazione Che bisogna stabilire tra i due. Per il momento è sufficiente notare Che il salmo, cui la bea­ titudine si ispira, univa già la purezza del cuore al desiderio di vedere Dio. Il secondo testo si trova nel capitolo 9 del Levitico. Dopo i riti della ordinazione sacerdotale di Aronne e dei suoi figli (c 8) si arriva alla cerimonia che segna la loro entrata in funzione. Si tratta anzitutto di un sacrificio er il peccato, offerto in nome di Aronne e di tutto i popolo. Quest'ultimo è presente : « Tutta l'assemblea si avvicinò e si tenne davanti a Jahvè » (v � ) ; il Targum palestinese precisa : « si tenne con un cuore perfetto davanti a Jahvè >>. Mosè allora dichiara : gia agli Angeli della Faccia, i membri della comunità sono ammessi alla presenza di Dio per servirlo. La loro situazione nei confronti di Dio può essere paragonata a quella dei grandi, che « vedono la faccia » del re. 2. Lingwggio cultuale. Attraverso il linguaggio di corte abbiamo già accostato il campo cultuale. Nel

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medesimo tempo riscontriamo che il passaggio al registro religioso determina un cambiamento nel modo di esprimersi : non si ama parlare di vedere Dio come si parla di vedere un re. Questo scrupolo teologico non sembra risalire al di là degli ultimi secoli del pe­ riodo giudaico, tuttavia interviene in tempo per in­ fluenzare la trasmissione del testo biblico. Là dove era questione di « vedere Dio », i LXX e il testo mas­ soretico preferiscono usare una costruzione passiva : « essere visti da Dio ». Il cambiamento di costruzione non avviene senza incongruenze, e queste permettono ai critici moderni di ricostruire il testo originale. An­ che se rimangono delle esitazioni per qualche passo, l'insieme dei testi di cui abbiamo parlato è sufficien­ temente sicuro e ci dispensa dal discutere ogni caso dettagliatamente ro. L'anno religioso giudaico è scandito dalle tre feste iri cui gli israeliti hanno l'obbligo di « vedere la faccia del Signore )) ; le prescrizioni che riguardano queste feste di pellegrinaggio sono contenute del Codice dell'alleanza (Es Z 3 , 1 4-1 9), in quel che viene chiamato Decalogo cultuale (Es 34,1 8-z6) e nel Co­ dice deuteronomico (Dt I 6 , 1 - 1 7) 1 1 • È prescritto che « tre volte l'anno tutti i maschi vedranno la faccia del Signore Jahvè )) (Es 2 3 , 1 7 ; 34,23 ; Dt I 6, I 6a ; simil­ mente Es 3 4,z4). _ Il verbo è stato posto al passivo : « saranno visti davanti alla faccia del Signore )) ; la costruzione attiva è stata però conservata in Dt 3 I , I I : « Quando tutto Israele verrà per vedere la "" Le osservazioni decisive su questo punto risalgono a A. GEIGER, Urschrift und Uebersetzungen der Bibel in ihrer Abhiingig­ leeit von der inneren Entwiclelung des Judentums, 1 8 5 7 Francoforte, 1 92.8, 3 3 7s. Le considerazioni che portano a concludere a una evoluzione del testo sono ben riassunte in J. REINDL, o. c., 147s. Nell'accettarle noi seguiamo semplicemente l'opinione comune. 11 Cf J. REINDL, o. c., I p-1 ,4. =

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faccia di Jahvè tuo Dio . .. ». Inoltre viene precisato : « Non si vedrà la mia faccia (con le mani) vuote >> (Es 2. 3 , 1 5 ; 34,zo ; Dt I6,I 6b). Non ci si presenterà cioè davanti al Signore senza portare una offerta. Medesimo linguaggio nei rimproveri di Is I , I r 1 z 12 : « Che me ne importa della moltitudine dei vo­ stri sacrifici ? dice Jahvè. Sono sazio degli olocausti di arieti... Quando venite per vedere la mia faccia, chi vi ha chiesto di calpestare i miei sagrati? >> Il Si­ gnore non può gradire 1e offet:te di coloro che si pre­ sentano davanti a lui con mani insudiciate : « Le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi. Eliminate davanti ai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imf.arate a fare il bene. Ricercate il diritto, soccorrete 'oppresso. . » (I,I 51 7). Dio non si compiace di un culto puramente e­ steriore da parte di coloro che vengono per « vedere la sua faccia » ; le sue esigenze essenziali sono di un altro ordine. Siamo qui sulla via che conduce alla formula della sesta beatitudine. L'autore del Sal 42.-43, allontanato da Gerusalem­ me, esprime il suo al'dente desiderio di rivedere il Tempio e di prendere parte in esso alle cerimonie del culto. Fin dall'inizio dichiara : « La mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente; quando andrò a vedere il volto di Dio? » (4z,3) 13• Egli si ricorda delle pro.

11 Cf REINOL, I � � . Rileviamo anche I Sam I , u (REINDL, I � 5 s.), dove il testo massorctico non è intelligibile. A nna di­ chiara che, dopt> :i!Ver svezzato il piccolo Samuele, lo « condurrà, ed egli sarà visto (senso passivo del niphdl) la faccia di Jahvè (particella dell'accusativo) e resterà là per sempre ». Possiamo correggere la particella dell'accusativo e leggere : > 18• La pro11 Nel Sal 1 1 ,7 come pure nel Sal I 7, 1 5 il privilegio di ve­ dere la faccia di Dio è contrapposto alla sorte riservata ai cattivi ( 1 1 , 6 ; 1 7, 1 �-14). J. REINDL sottolinea giustamente che il modo in cui i salmisti si esprimono suppone che vedere Dio e go­ dere del suo favore siano una sola e medesima cosa ; però forse egli accentua un po' l'opposizione con i testi che adoperano rd'ah, ritenendo che ha'!(.dh non abbia più alcun significato cul­ tuale (o. t., 1 5 8-I61). 1 7 La spemnza espressa da Gb 19,z5-Z7 : « Vedrò Dio >> riguarda una visione, che gli sarà concessa durante la vita :

ci J . LÉvtQUE, job el ton Dieu. Buoi d'exlgèse el de lhlo/ogie bi­ blique (EB), II, Parigi, I 970, 467-489. Egli attende praticamente

che Dio gli si man ifesti, prendendo le sue difese. L'espressione evoca una teofania. Tale è anche il caso di I 3 , 1 5 (cf LÉvtQUE, II, 364-367). Invece l'affermazione di 3 3,z6 si riallaccia in modo naturale al vocabolario cultuale : il malato che Dio ha guarito vede la sua faccia con gioia. Cf J. REINDL, I 5 7· 11 Giusta osservazione di R. ·KocH, o. r., 1 5 .

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messa della sesta beatitudine, situata fra il tema bi­ blico tradizionale di cui abbiamo parlato e le idee teologiche posteriori, indica un momento di transi­ zione testimoniato anche da altri passi del Nuovo Testamento. L'Apocalisse giovannea termina con una descri­ zione della Gerusalemme escatologica, in cui leggiamo : « Il trono di Dio e dell'Agnello sarà nella (città.) e i suoi servitori gli renderanno un culto, vedranno la sua faccia e il suo nome sarà sulla loro fronte » (z.z.,34). Alla luce dei testi che abbiamo segnalato, ci si rende conto che esiste un rapporto tra la prima affer­ mazione : « i suoi servitori gli renderanno un culto (Àoc-rpeuaouaw ocÙTéj)) )), e la seconda : e si spiega che una moneta regalata a un povero può aprire l'accesso alla presenza di Dio. Per illustrare questo insegnamento, si fa uso di un paragone : la monetina in questione gioca il ruolo che sarebbe svolto da una corona che una donna va ad offrire ad un re, la qual cosa le vale l'ammissione a contemplare la sua faccia 24•

Concludiamo. Il contesto biblico a cui ci pare di poter collegare la promessa di « vedere Dio » confe­ risce a tale espressione delle risonanze cultuali o li­ turgiche. La prospettiva non è quella di un teatro, dove si assisterebbe a uno spettacolo avvincente, bensì quella di una liturgia, i cui officianti sono ammessi alla presenza di Dio per rendergli i loro omaggi. Le cerimonie del Tempio di Gerusalemme vengono proietGnosis, IO�-I48) e di 2 Cor �.7 (cf :Eò11 Xp�CI'Tij), I I � - I 71). Altra cosa ancora in 1 Pt I, 8 ; bisogna attendere la parusia per vedere Cristo. •• Documentazione abbondante di H. L. STRACK-P. BIL­ LERBECK, Kommenlar ;:.um Neuen Testamenl aus Talmud und Misrasch, I, Monaco, 1 926 ( = I 969), 206-z r � ; dati essenziali in W. MICHAELIS, TWNT V, 3 3 8-340. •• Il nucleo del racconto, posto sotto il nome di R. Eleazar (verso il 270), si trova nel Talmud di Babilonia, Baba Bathra, roa (STRACK-BILLERBECK, 207), ma per il commento parabolico bisogna rifarsi a fa/qui Sim'oni sul Sal 1 7, 1 5 , citato in P. FIEBIG, Jesu Bergpredigt. Rabbiniscbe texte zum Verstiindnis der Bergrede . .. (FRLANT 37), Gottinga, 1 924, p. ros. del ftorilegio tedesco e p. � del ftorilegio ebraico.

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tate nel mondo futuro, dove i cuori puri partecipe­ ranno al culto che gli Angeli della Faccia già prestano davanti al Signore. La Bibbia conosce altre immagini per descrivere la felicità del regno. La più frequente è quella del banchetto, che parte da una esperienza umana molto concreta. Per i giudei, che avevano fatto l'esperienza esaltante delle grandi liturgie del Tempio, quella proposta dalla sesta beatitudine non doveva essere meno evocatrice. Non è forse deprecabile che una esperienza del medesimo genere sembri troppo spesso estranea agli esegeti cristiani? Per Bultmann, ad esem­ pio, il privilegio di « vedere Dio >> si riduce in fondo alla certezza della grazia divina concessa all'indivi­ duo 25• La dimensione comunitaria scompare. Essa 11 R. BuLTMANN, ZNW I 9JO, I 8 5-1 87. Affinché la sesta beatitudine abbia un senso per l'uomo d'oggi, spiega l'autore, bisogna darne una reinterpretazione esistenziale. A questo scopo occorre procedere a una duplice demitizzazione, che tende a ridurre la dimensione escatologica c la dimensione cultuale della promessa di « vedere Dio ». Anzitutto la prospettiva futura, perché s perare per l'avvenire una visione di Dio, di cui noi non godremmo fin d'ora, significa ritornare al giudaismo. Sono i giudei che attendo� o una salvezza fut � ra. I �ristiani_ sanno _ che la loro salvezza è g1a stata realizzata ; m Cnsto ess1 sono diventati una nuova creatura, Dio li ha introdotti nel mondo nuovo. Ma la riduzione della escatologia è possibile solo se nel medesimo tempo riduciamo anche la prospettiva cultuale. Noi godiamo fin d'ora del privilegio di « vedere Dio », noi abbiamo libero accesso a Dio, possiamo stare davanti a lui. Ciò lo dobbiamo non a una purezza morale, che sarebbe opera nostra, ma allrsafttificazione concessaci in ragione della nostra fede. La sicurezza con cui questa fede ci permette di presentarci davanti a Dio, in fondo non è altro che la certezza del favore divino. Tale certezza costituisce cosi il nostro modo di (( ve· dere Dio ». C'è del buono in queste considerazioni. Ma il punto di vista strettamente individualista di Bultmann oggi non può che apparire assai miope. Il cristianesimo non può ridursi a una esperienza personale dell'incontro immediato con Dio, al di fuori di una storia della salvezza che si svolge nel tempo e senza tener conto della dimensione comunitaria che -

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invece ci pare essenziale nella promessa fatta ai cuori puri, chiamati a svolgere un ruolo attivo nelle cele­ brazioni che avr�o luogo alla presenza di Dio 26• 2. LA purezza

di Gllore: çontesto giudaiço.

Tanto in greco quanto in ebraico l'idea di « pu­ rezza » 27 viene intesa anzitutto in un senso materiale e fisico. Viene detto « puro » in opposizione a « spor­ co » quel che noi chiamiamo « pulito » ; anche noi parliamo di « acqua pura » o di « oro puro >> per indi­ care degli elementi in cui non si infiltra alcun corpo estraneo. Un antico racconto del diluvio ci dice che Noè ha salvato nella sua arca sette coppie di animali quando si trattava di animali « puri », ma una coppia sol­ tanto quando si trattava di animali che non erano « puri >> (Gn 7,2-3) 28• È chiaro che l'aggettivo asassumono la nostra partecipazione a questa storia sal vifica e la nostra celebrazione dell'azione divina, che conduce la storia della salvezza verso un fine non ancora raggiunto. Senza il suo inserimento nella storia, in cui il presente deriva il proprio senso dalla relazione che lo unisce a. un passato e a un futuro e in cui l'individuo trova. il proprio posto nel rapporto che lo unisce alla. collettività, il cristianesimo finirebbe presto per diluirsi in una vaga gnosi. •• È chiaro che, se una. intelligenza vera. della promessa di > suppone l'esperienza vissuta della celebrazione liturgica., bisogna anche aggiungere che tale promessa ha per effetto di valorizzare l'esperienza liturgica., anticipazione e scuola della condizione degli eletti nel mondo futuro. 27 Questo tema costituisce l'oggetto di buoni articoli di dizionari : R. MEYER e F. HAuCK, xafl«p6ç, TWNT III ( 1 9 3 8) 4I6-43 4 ; A. 0EPKE, ÀOUW TWNT IV (I 94Z) Z97-309 ; J . B. BAUER, Rein (und unrein), BTW 1 1 8 5 - I I 9o; L. SzABO Pur, in Vocabu/aire de Théo/ogie biblique, z ed., Parigi, I970, Io68-I 074· Dobbiamo aggiungere i commenti, gli studi sulla sesta beati­ tudine e soprattutto l'importante monografia di W. PASCHEN, Rein und Unrein. Untersuchung zur bib/ischen Wortgeschichle (SANT XXIV), Monaco, I970. •• Nei vv 8-9 vi è solo più una. coppia per ogni specie, pura o impura : senza dubbio perché ci si è resi conto che la ,

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sume qui un senso nuovo : « Gli animali puri sono quelli che la legge religiosa permette di mangiare o di offrire in sacrificio >> 29• Nel campo religioso la purezza è anzitutto una categoria rituale. Gli esseri e le cose sono ripartiti in due classi : puri e impuri. Solo quel che è puro ruò entrare senza perico lo in t:apporto con il sacro. I semplice contatto con un og­ getto impuro rende l'uomo inadatto a parteci pare al culto : per esempio il fatto di aver toccato un cadavere ; allo stesso modo esiste tutta una serie di tabù alimen­ tari e sessuali. L'uomo che ha contratto una impurità può liberarsene solo per mezzo di purificazioni mi­ nuziosamente regolamentate. I capitoli 1 1- 1 6 del Le­ vitico illustrano in maniera eccellente queste conce­ zioni. Tale concezione rituale della purezza, eredità di un lontano passato, era legata a una idea della santità di Dio che la predicazione dei profeti avrebbe poi ap­ profondito e superato. Senza rimettere in discussione le vecchie regole di purezza, sempre valide come e­ spressione del rispetto dovuto a Dio 30, ci si rende conto del carattere morale delle esigenze comportate dalla santità divina : più che una purezza ancora del tutto esteriore, è la purezza del cuore che permette di entrare in rapporto con Dio e di rendergli un culto gradito. Il Sal 24.4, a cui la sesta beatitudine si ricol­ fega direttamente, testimo.nia tale approfondimento. Non dobbiamo però isolare questo versetto da un insieme più vasto, in cui rileveremo qualche punto di riferimento che ci permetterà di renderei meglio conto del retroterra i radi zionale della beatitudine dei puri di cuore. distinzione risale soltanto a Mosè. Ma allora il sacrificio men­ zionato in B,zo non è più intelligibile. 10 R. DE VAux, La Genèse (La Saint Bible ... de Jérusalem), z ed., Parigi, I96z, 6o, n. b.). Cf W. PASCHEN, o. ç,, 3 3 · IO A. GEORGE, B VC I 3 ( 1 9 1 6) 11 ·

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1. Genesi 2 0,J-6 (E) ci fornisce un buon punto di partenza. Abramo, giunto a Gerar, fa passare Sara per sua sorella e Abimelec la manda a prendere. Il Signore lo previene in sogno : « Morirai a motivo della donna che hai preso, perché è una donna spo­ sata » (v 3). Le regole sono state infrante, bisogna pagarne il prezzo. Ma Abimelec protesta in nome della morale. Abramo e Sara lo hanno ingannato. Quanto a me, egli aggiunge, « ho agito nella integrità del mio cuore e nella innocenza delle mie mani ». Il Signore giudica l'argomento valido : « So che hai fatto quello nella integrità del tuo cuore >> e inoltre l'adulterio non è stato consumato : pertanto non vi è stato peccato contro Dio. Di conseguenza Abimelec sarà risparmiato, a patto che Abramo interceda per lui. È significativo che per rendere l'espressione « nella integrità del (mio) tuo cuore » i LXX abbiano pre­ ferito dire : « con un cuore puro >>, tv xat6atp� xatp8(�. Il delitto commesso da Abimelec non ha niente a che vedere con la morale. Sotto questo punto di vista egli non ha fatto niente di male e aveva agito con un « cuore puro >>. Non potremmo dire altrettanto di Abramo e di sua moglie. Dio non sconfessa la condotta di costoro, tuttavia tiene conto della buona fede di Abimelec e gli impedisce di andare fino in fondo al delitto e di renderlo cosi irremissibile. Infatti la sola buona fede nol1 sarebbe stata sufficiente a scusare Abimelec, s'egli avesse peccato contro Dio. Dio ne lo ha preservato, tenuto conto di tale buona fede : la « purezza di cuore >> attira perciò la sua benevo­ lenza 31 •

81 Non ci soffermiamo su due passi di Giobbe, dove i LXX introducono l'espressione >. En I 1 , 1 � : « Se tu rendi il tuo cuore puro >> (ebraico : stabile), Dio ti restituirà il suo favore. En � 3, 3 B potrebbe essere tradotto così : > ritorna nel Sal 7 3, I : « Sì, Dio è buono verso Israele, verso coloro che sono puti di cuore >>. Ma qui i LXX adoperano un'altra espressione : « verso coloto che sono retti di cuore >>. Possiamo pensare che le due formule siano più o meno equivalenti. L'affermazione iniziale del v I introduce una meditazione sullo scandalo pw­ vocato agli occhi dei giusti dalla vista della prosperità dei malvagi 38• Nel v I 3 il salmista si domanda : « È dunque invano che ho purificato (LXX : giustificato) il mio cuore, che ho lavato le mie mani nell'inno­ cenza ? >> e finisce per rendersi conto che i peccatori, che si allontanano da Dio, saranno distrutti (v 2.7), mentre lui rimarrà presso il suo Dio, « per raccontare tutte le sue opere alle porte della figlia di Sion >> (v z.8). La purezza del suo cuore gli varrà quindi la vicinanza di Dio e la possibilità di celebrare le sue lodi in Geru­ salemme. Questi insegnamenti ricordano l'oracolo di Is I , I o-z.o, indirizzato ai giudei della città che vengono per vedere la faccia di Jahvè (v I z.) e moltiplicano sa­ crifici che non possono piacere a Dio, perché sono offerti da persone il cui comportamento è abomine11

Citiamo anche Is H,14- 1 6. La domanda iniziale è posta sulle labbra dei peccatori di Sion : > (v 1 4). La risposta ricorda le condizioni da soddisfare, dapprima in maniera generale : >: > 45• Per spiegare il titolo di « amico di Dio >> attribuito ad Abramo (cf Is 41 ,8), Pro 22,11 ha fornito l'espressione « amico dd Re », nonché una indicazione relativa al presup­ posto del privilegio concesso al patriarca: egli era >. La purezza di cuore, necessaria per avvicinarsi a Dio nel senso cul43•

u A. BARUCQ, Le Livre du Pro�Mbes (Sources Bibliques), Parigi, I 964,...x u. n. Io, e r 68. u Aggettivo difficile da tradurre. Si noti che esso non corrisponde mai a qddosh, « santo »; normalmente traduce b4sid. Cf F. HAUCK, art. 6aLo�, TWNT V (1954) 488-492. " Genesis Rabba 4 1 , r 1 (25c). Segnalato da A. ScHLATTER, Der Evangelist Matthaus, S tocca rda, 1 929 ( 1 95 7), 1 �8 (che riporta l'espressione in ebraico). Citazione più completa in H. L. STRACK-P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testamenl aus Talmud und Midrasch, III, Monaco, 192.6 ( 1969), 7 5 5 (a proposito di Gc :z.,z�). =

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tuale della espressione, lo è a maggior ragione per godere della amicizia di Dio. f. Qumran ci ha fornito un buon esempio della riflessione teologica, che fa capire come solo Dio possa concedere all'uomo un cuore puro. Questo punto di vista, che corrisponde a quello del Sal 5 1, non esclude la maniera di vedere più concreta la quale, nella linea del Sal 24, presenta la purificazione interiore come la condizione necessaria per piacere a Dio. L'im­ portanza considerevole che le usanze di Qumran an­ nettevano alle abluzioni rituali porta a insistere sul­ l'idea che tali abluzioni producono la purezza solo se si accompagnano a una conversione interiore. Questo passo della Regola ci sembra molto signifi­ cativo :

(L'empio) non entri nell'acqua per intaccare la purifica­ zione degli uomini santi, poiché non si è puri se non ci si con­ verte dalla propria malizia. Infatti l'impurità (si attacca) a chiunque trasgredisce la Sua parola... Sono niente tutti coloro che non conoscono la Sua alleanza ; tutti coloro che disprez­ zano la Sua parola egli li sopprimerà da questo mondo. Tutte le loro opere sono sozzura davanti alla Sua faccia e l'impurità (si attacca) ai loro beni (I QS h1 3-14.19-zo) ••.

Non c'è possibilità di purezza se non ci si converte dal male. La vera- impurità davanti a Dio è quella causata dalla disobbedienza alla sua parola 47• Di qui •• W. PASCHEN si è interessato in modo particolare di questo passo : o. c., 87- 103 e 1 1 5- 1Z4. ., Nel vol. l, 394, n. 3 8 abbiamo attirato l'attenzione su un frammento della grotta 4 di Qumran, di cui J. Stracky ha ri­ velato l'esistenza nel 1955 e di cui ci ha cortesemente fornito una copia nel 1 9 5 6. Questo testo comincia, nella sommità di una colonna, con una frase che può essere considerata quasi si­ curamente come la finale di una beatitudine ; poi seguono quattro altre beatitudini, che proclamano la felicità di coloro che si mostrano fedeli alla legge di Dio. È interessante riscon-

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non si conclude che le abluzioni rituali sono inutili ; si sa semplicemente che le disposizioni interiori sono la condizione della loro efficacia. Anche questo altro passo della Regola merita di essere citato : Egli non sarà giustificato, finché conserva l'indurimento del suo cuore e considera le tenebre come un cammino di luce. Non sarà annoverato tra i perfetti. Non sarà assolto dalle espia­ zioni, non sarà purificato dalle acque delle abluzioni, non sarà purificato da alcuna acqua lustrale. Impuro, rimarrà tale per tutto il tempo che disprezzerà gli ordinamenti di Dio e non si lascerà istruire nella comunità del Suo consiglio. Infatti è attraverso lo Spirito del vero consiglio di Dio (concernente) le vie dell'uomo che saranno espiate tutte le sue iniquità per contemplare la luce della vita. È attraverso lo Spirito santo e in vista dell'unione nella Sua verità ch'egli sarà purificato da tutte le sue iniquità, ed è attraverso lo Spirito di rettitudine e di umiltà che il suo peccato sarà espiato. E sarà attraverso l'u­ mile sottomissione della sua anima nei confronti di tutte le prescrizioni di Dio che la sua carne sarà purificata, quando la si aspergerà con l'acqua dell'abluzione e la si santificherà nel­ l'acqua corrente (1 QS 3,3-9).

Non si tratta quindi di rinunciare alle purificazioni rituali �8, ma di rendersi conto che non è possibile essere realmente purificati agli occhi di Dio se non grazie a determinate disposizioni interiori, vale a dire alla umile sottomissione nei confronti della sua trarvi l'espressione > (Lv 9,6). Il Targum introduce un'ottica nuova precisando: «Ecco ciò che Jahvè vi ha comandato di fare: Le­ vate dal vostro cuore l'inclinazione cattiva e subito la gloria della Presenza di Jahvè vi sarà rivelata ». I sacrifici di espiazione non sono aboliti, però non possono sostituire questa purificazione interiore pri­ mordiale, costituita dalla conversione del cuore e dalla eliminazione della sua tendenza al male.

6. Il Testamento di Giuseppe ci offre un ultimo testo, che dobbiamo menzionare nonostante le questioni sollevate dalla sua trasmissione. Il patriarca si dilunga con compiacenza sulle proposte che gli fa la moglie di Putifar. Tra gli argomenti con cui costei cerca di indUl'lo ai propri scopi vi è anche la promessa della propria conversione e di quella di suo marito. Giuseppe rep4ca: «Il Signore non ammette che uno lo serva (cultualmente: at�O(.Lot�) 52 nell'impurità (f.v .Xxot6otp­ a(�) e non si compiace negli adulterii »; una parte della tradizione aggiunge 53: «bensì in coloro che si tano, se arriva a sopprimerne la distinzione: i « puri di cuore » sarebbero persone « interamente » pure, senza alcuna accen­ tuazione dell'a.spcato interiore di tale purezza in opposizione a una purezza ritua1e ottenuta con l'adempimento di riti esteriori. L'interpretazione sostenuta da B. PRETE (Rivista Biblica 1970) si colloca al livello di concezioni dello spirito che non ci sem­ brano conciliabili con il senso ovvio dei testi. •• Cf W. FoERSTER, art. GÉ�O!J.«L, TWNT VII (I964) 168-195 ( 1 7 1). 11 Si tratta del gruppo a: di R. H. CHARLES, The Greek V�rsions of the Tutaments of the Twe/ve Patriarchs, Oxford, 1908, XIX-XXII. La posizione privilegiata riconosciuta a questo

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accostano a lui con un cuore puro e una bocca priva di sozzure >> (4,6). La precisazione finale non ha niente di specifica­ mente cristiano e si mantiene nella linea della tndi­ zione biblica e giudaica. Del resto essa esplicita cor­ rettamente il senso della prima parte deli a risposta. La prospettiva cultuale, in cui viene presentata la necessità della purezza del cuore, ci fa ritrovare il punto di vista del Sal z4. Se la storia di Giuseppe sta­ bilisce naturalmente un legame più preciso tra l'im­ purità e l'adulterio, la menzione della purezza del cuore può benissimo rimanere il tratto che caratterizza l'assenza di ogni falsità. L'espressione «un cuore puro e una bocca senza sozzure (,X!L(cxvToç) » ci invita a fare un'ultima osser­ vazione. Nel vocabolario biblico il cuore e la bocca (o le labbra, o la lingua) 54 sono normalmente appaiati e vengono adoperati volentieri nel parallelismo sino­ nimico 55• Noi abbiamo riscontrato più spesso l'asso­ ciazione del cuore e delle mani. Abimelec protesta d'aver agito «con cuore puro e mani giuste » (Gn zo, � ). Il salmista ritiene degno di presentarsi davanti a Dio colui che è «innocente di mani e puro di cuore » (Sal z4,4), oppure si domanda se è invano ch'egli «ha purificato il suo cuore e lavato le sue mani nell'innogruppo da Charles è stata contestata già da J. W. HuNKIN, The Teslamml! of lhe Twelve Patriarçh!. A Sludy of lheir Texl, Compo!ilion and Origin, Assen, 1 9 S 3. ls-:u; lo., Tnlamenla XII Patriarçharum, Ediled aççording lo Cambril/ge Univer!i!J Li­ brary Mr Fj. I .24, fol. 20Ja-26Ib, Wilh Shorl Noler (Pseude­ pigrapha VT, 1), z ed., Leida, 1 970, XV-XVII. Prendendo In considerazione la finale del v 6, non rifiutiamo di ricono­ scervi una glossa ; osserviamo semplicemente ch'essa rimane conforme al linguaggio della tradizione giudaica. •• Un'altra formula associa il cuore e il volto . •• a Sal 2. 1,3 ; 4 , ,z ; 141 , 3 ; Gb 33.3 ; Pro 1 0,8 ; 1 6,1 3 ; 2.z,u ; 2.4, 2. ; Mt u ,34 (Le 6,3s); 1 S , 1 B ; At z, 2. 6 (Sal 1 s,9 LXX) ; Rm 1 o,8-9 (Dt 30,14). Cf a questo proposito J. Ltv!QuE, job el ron Ditu, I, 2.07.

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cenza >> (73,1 3). Giacomo apostrofa : «Lavatevi le mani, peccatori ; purificate i vostri cuori, anime irre­ solute » (Gc 4,8). Queste espressioni ci devono met­ tere in guardia contro una dissociazione tra i pensieri del cuore e la loro esteriorizzazione nelle parole o negli atti. La purezza del cuore nella prospettiva bi­ blica non è tanto purezza di intenzione in opposizione alla condotta della vita ; per tener conto della unità che esiste tra il cuore e la condotta sarebbe più esatto parlare della purezza delle motivazioni 56• J· La purezza di cuore: contesto evangelico.

Lo studio della espressione « puri di cuore » può prender le mosse da uno o dall'altro dei due termini che la compongono. Noi non abbiamo niente di molto nuovo da dire a proposito del termine « cuore », che abbiamo già incontrato nella espressione di M t 11,29 : « mite e umile di cuore >>. Matteo ha introdotto il termine nella conclusione redazionale aggiunta alla parabola del servo spietato : « Così vi tratterà il mio Padre celeste, se ciascuno di voi non perdona il suo fratdlo dal (profondo del) cuore (&rtò -rwv xotp8Lwv ÙfLwv) » (18 , 3 5 ) 57• Un perdono esteriore (delle lab11 Così fa P.-Y. EMERY, La riforme to,Yours né&usaire dans l' Eglùe, in Vingt-deuxième dimançbe ordinaire (AssS• 5 3), Parigi,

1970, 6o-63 (6IS.). 61 Cf su questo versetto. lo studio di A.WEISER, Die Kneçbts­ gleifhnim der J.Jnoptiuhen Evangelien (SANT XXIX), Monaco, 1 97 1 , Ioo-Io� Benché l'appartenenza originaria del v 3 5 alla parabola abbia i suoi sostenitori (A. Julicber, D. Buzy, H. Kahlefeld), le ragioni della sua attribuzione alla redazione sono messe bene in luce da Weiser, d'accordo in questo con J. Je­ remias, J. Schmid, E. Linnemann, a cui possiamo aggiungere G. STRECKER, Der Weg der Geruhtigli:eit. Untermçhung > (At Io, 14), « Nulla di ciò che è immondo o impuro è mai entrato nella mia bocca » (n,I B). La voce celeste gli risponde : « Ciò che Dio ha purificato, non devi dirlo immondo » (Io, I 5 ; I I ,9). Pietro stesso ne dà l'interpretazione: « Voi sapete che è proibito a un giudeo unirsi a uno straniero ed entrare in casa sua; ma Dio mi ha insegnato a non considerare im­ mondo o profano nessun uomo » (Io,z8). Ecco quel che toglie ogni base al rimprovero dei giudeo-cristiani di Gerusalemme : « Sei entrato in casa di uomini in­ circoncisi e hai mangiato con loro ! >> (u ,3). L'idea che tutti gli alimenti si equivalgono, che nessuno di essi è impuro o fonte di impurità, viene applicata agli uomini : dal punto di vista della purezza non bisogna più far alcuna differenza tra giudeo e gentile, tra circonciso e incirconciso. Pietro lo dice chiaramente in r o,34-3 5 : « In verità ho capito che Dio. non ha preferenze di persone, ma che gli è ac­ cetto colui che lo teme e pratica la giustizia, di qua­ lunque nazione egli sia ». Ma questo pensiero si spinge più avanti in I 5 , 8-9: « Dio, che conosce i cuori, ha reso ad essi (ai gentili) testimonianza, dando se Mc 7, I 9 non alluda alla visione di Pietro : F. J. FoAKES )ACKSON-K. LAKE, The Beginnings of Chrislianity, I. The Acls of the Apostles, IV, Londra, I 9 H · 1 1 5 , o che G. MINETTE DE TILLESSE vuoi chiarire il significato del passo d i Marco con quello del passo degli Atti : Le secret meuianique dans l' évangile de Mare (LD 47), Parigi, 1 968, 147s. E. HAENCHEN ha ragione, quando osserva che in realtà gli Atti non parlano di alimenti puri : Die Apostelgeschichte (KEKNT III, 1 4 ed.), 5 ed., Gottinga, I 965 , 293, n. 5 ; ciò non impedisce di chiedersi se Marco e Atti non rappresentino due applicazioni differenti di un mede­ �imo problema fondamentale.

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loro lo Spirito Santo come a noi. Non ha fatto alcuna differenza 11 7 tra noi e loro, avendo purificato i loro cuori per mezzo della fede ». Questa dichiarazione non riguarda più solo i rapporti tra giudei e gentili, bensì anche quelli tra �iudeo-cristiani ed elleno-cri­ stiani. I gentili, di cui Dio ha « purificato il cuore pet mezzo della fede », non sono evidentemente più dei > {I Cor 6, I 3). In I Cor 8 , I - I 3 l'applica­ zione riguarda le carni consacrate agli idoli : tali carni non sono impure e nulla impedisce di mangiarne ; però è meglio astenersene piuttosto che essere occa­ sione di caduta per i deboli, per coloro che credono di offendere Dio mangiandone ; la loro coscienza ne verrebbe contaminata (v 7) 120. Questo principio viene ripreso su scala più vasta in Rm I 4, I - J 5 , I 3 121• Qui l'Apostolo afferma con forza la propria convinzione : « Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che niente è impuro in sé ; ma se qualcuno ritiene una cosa impura per lui e&sa è im­ pura » (14,I4). Poi riprende tale principio e lo applica : « Tutto è puro, è vero ; ma è male per colui che, man­ giando, provoca la caduta (del suo fratello) » (v 20) . I cristiani illuminati hanno ragione di considerare il cibo come una cosa indifferente ; ciononostante essi attenterebbero gravemente alla carità, qualora con il

111 W. PASCHEN, Rein und Unrein, 1 70-1 7 2 si interessa di 1 Cor 6, 1 3 ; 8,7-13 e di Rm 14,1 3-23 come di indicazioni capaci di far luce sullo Sitz im uben della glossa di Mc 7 , 1 9 in fine. 100 Menzioniamo semplicemente il commento recente di H. CoNZELMANN, Der ersle Brief an die Korinlher (KEKNT V, 1 I ed.), Gottinga, 1969, 1 62-1 7 8, cui bisogna aggiungere per­ lomeno M. CouNE, Le problème des idololhytes el l'éducation de la syneidésis, RSR p ( 1 963) 497-5 34· 11 1 Sguardo di insieme su questo passo : J. DuPONT, Appel aux faibles et aux forts dans la çommunauté romaine (Rom I 4,I­ IJ,IJ), in Studiorum Paulinorum Congres.rus lnlernalionalis Ca­ lbo/içus 1961, vol. I (AB 1 7), Roma, 1963, 3 5 7-366.

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loro esempio inducessero dei fratelli meno illuminati a mangiare quanto essi considerano impuro e ad agire così contro la propria coscienza. In realtà in questo caso non sono gli alimenti che renderebbero impuro colui che ne mangia, bensl il fatto ch'egli agisce an­ dando contro la sua coscienza. Le affermazioni di Rm I 4, I 4. zo : « Sono persuaso nel Signore Gesù che niente è impuro in sé. .. Tutto è puro )) inducono a chiedersi se la convinzione di Paolo sia basata sull'insegnamento di Gesù riportato in Mc 7, I4-z3 122• Tale accostamento va fatto soprat­ tutto con la glossa di Mc 7 , I 9 : xiX.61X.pl�(ùV �liv't'IX. 't'lÌ: �P�fLIX.'t'IX.. In ogni caso è chiaro che il punto di vista di Paolo è molto diverso da quello del mashal, di Mc 7, I 5 (Mt I 5 , I I), con la sua opposizione tra una pu­ rezza che proverrebbe dall'esterno e una che prover­ rebbe dall'interno. Di fronte all'atto in sé indifferente di mangiare qualunque cosa senza distinzione, Paolo si preoccupa delle conseguenze ch'esso può avere per quanti verrebbero così sf.inti al peccato : solo a motivo di tali conseguenze 'atto può diventar cat111 La formula « Sono persuaso nel Signore » si ritrova in Gal 5 , 1 0 ; Fil 2,24 ; 2 Ts 3.4· Essa è particolarmente insistente in Rm I4,I4. Paolo afferma tanto più fortemente la propria convinzione di principio che « niente è impuro », che si per­ mette di apporrare upa limitazione alla applicazione di tale principio. Nella sua convinzione egli sa di essere in accordo con il Si gnore e precisa > (I Cor 5 , 7-8) 124• Con allusione agli usi della Pasqua giudaica, i cristiani vengono invitati a liberarsi del « vecchio fermento », simbolo del male e del peccato. Essi sono azzimi, una creatura nuova : lo siano perciò realmente, senza contaminazione ; eliminino da se stessi e dalla loro comunità tutto ciò che è causa di immondezza morale. Allora, resi davvero puri, adem­ piranno la condizione che permette di celebrare la festa della loro liberazione operata da Cristo. Qui ri­ troviamo la prospettiva liturgica : grazie alla purezza, la vita cristiana diventa tutta una celebrazione. Il passo « qumraniano » di 2. Cor 6,14-7, 1 1 25 in­ vita pressantemente i cristiani a separarsi da un mondo peccatore : « Quale associll:Zione vi può essere tra la giustizia e l'civofLliX? Quale comunione tra la luce e na e:IJ..txp!vcr.a (cf 2. Cor 1 , 1 2. ; 2., 1 7) esprime la qualità di ciò che è senza mistura e, in questo senso, di ciò che è inte­ ramente puro. Le indicazioni di F. BuECHSEL, TWNT II (1 9 3 5 ) 396 vanno completate con i commenti. m Articolo eccellente di R. LE D ÉAUT, Paques el vie noNVelle (r Cor f,6b-8), in Temps paual (AssS• 2.2), Parigi, 1 972, 34-44. 111 Cf J. A. F1TZMYER, Qumran and the lnterpolated Paragrapb in 2 Cor 6,r4-7,I, CBQ 23 (1961) 2.71-2.80; J . GNILKA, 2 Kor 6, r 4-7,I im Lùhte der Qumranschriften und der Zwolj-Patriarchen­ Teslamenle, in Neuleslamentliche Aufsal�e. Festschrift fiir Prof f. Sçhmid, Ratisbona, 1 963, 86-99.

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le tenebre ? ... » (6, 1 4). Una lunga citazione composita avalla questo invito : « Uscite di mezzo a quelli e se­ paratevene, dice il Signore ; non toccate niente di im­ puro (cf Is 5 z, I I) ed io vi accoglierò. (cf Ez zo,34. 4 1 >> (v 1 7). Per concludere : « Avendo dunque rice­ vuto tali promesse, purifichiamoci, o carissimi, da ogni bruttura della carne e dello spirito, e compiamo l'opera della nostra santificazione, nel timore di Dio » (7, 1). Questa finale interpreta l'avvertimento profetico > : « Poiché il tempio del Dio vivente siamo noi >> (6, 1 6). In questo contesto la purificazione raccomandata ha un suono cultuale : non deve essere soltanto interiore (« dello spirito »), ma anche « della carne ». Checché ne sia della sua portata esatta, questo modo di espri­ mersi rimane al di qua del vangelo 127• ..

111 Lo stato di salvezza in cui l'azione divina ci ha posti va

completato >> con una appropriazione personale. Cf O. PROKSCH, TWNT I (I9H) u6. I l termine &cyuòaUVlJ_ deriva da un vocabolario cultuale: H. WINDISCH, Der zweile Korinlher­ brief (KEKNT VI, 9 ed.), Gottinga, I 92.4, 2. I 9. L'affinità tra santità e purezza appare anche in 1 Cor 7, I 4 : « Il marito non credente si trova santificato dalla moglie, e la moglie non cre­ dente si trova santificata dal marito credeme : · infatti, in caso diverso i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi >>. Su questo versetto, oltre ai commenti, cf J. Du­ PONT, La quulion des mariages mixles à la lumiìre Je l' Eçrilure, in F. BoECKLE-}. DuPoNT-X. 0RsY-R. BEAUPÈRE-P. A. VAN LEEWEN, Le Prob/ème Jes mariages mixles. Colloque de Nemi (Bibliothèque oecuménique, 4), Parigi, 1 969, 1 s-s s (2. 1s.). 117 Nella epistola agli Efesini possiamo !imitarci a ricor­ dare due versetti, che toccano il nostro argomento molto da lontano : « Nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è un idolatra - avrà parte all'eredità nel regno di Cristo e di Dio >> ( s, s); Cristo si è dato per la Chiesa, « al fine di santificar la, pu­ rificandola attraverso il bagno di acqua accompagnato da una parola >> (5 ,2.6). (Tit I , 1 5 ). Pur se esposto in un linguaggio diverso, il pensiero è affine a quello del vangelo : l'uomo non è reso impuro da ciò che gli è esteriore ; agli occhi di Dio l'origine della sua impurità si trova all'interno di lui stesso, nel suo vouç e nella sua coscienza. C. Spics intende l'affermazione da un punto di vista mo­ raleggiante : >. Professano la fede cristiana, ma solo a parole ; quanto alla condotta, sono dei rinnegati. La fede non consiste semplice­ mente nel professare delle verità, ma in un impegno interiore e personale verso Dio, un impegno che non è reale se non si traduce in atti 131• Secondo I Tm I , 5 la qualità di una fede autentica è quella di essere &.vu7t6xpt-roç, « senza finzione >>, all'opposto di ogni ipocrisia 132• Timoteo deve ricon­ durre all'ordine certi impostori, che seguono favole e provocano discussioni oziose ( I,3-4) ; il suo scopo sarà quello di far regnare « la carità, che (procede) da un cuore puro (ex xoc6ocpiiç xocp8[ocç), da una coscienza buona e da una fede senza finzione >> (v 5 ) . Le tre espressioni traducono la medesima idea di sin­ cerità, quella sincerità che deve caratterizzare l'atteg­ giamento . del credente, la cui fede si esteriorizza nella carità. La carità diventa così la pietra di paragone della purezza del proprio cuore, nonché della autenticità della propria fede. L'aggettivo « puro >> applicato al 111 I nterpretando Tit r,r 5 in funzione del v r6, si perviene a un significato un po' diverso da quello che sembra derivare dal parallelo di 1 Tm 4,2-5, dove si denunciano gli « ipocriti impostori, già bollati Il: fuoco nella loro coscienza, i quali pre­ scrivono di non sposarsi e di astenersi da cibi che Dio ha creato per essere presi con rendimento di grazie dai fedeli e da coloro che hanno conosciuto la verità. Tutto ciò che Dio ha creato è buono e niente deve essere rigettato, purché si prenda con a­ zione di grazie ; la parola di Dio e la preghiera lo santificano >>. L'Apostolo non rimprovera agli impostori solo di non avere una condotta conforme alla fede, ma li fa soprattutto responsa­ bili di snaturare questa medesima fede. Tale alterazione della fede determina una impurità fondamentale, che si estende a tutti i loro atti. 180 Paolo parla di liya7tlJ liwm�xpt-roç in Rm 1 2,9 e in 2 Cor 6,6. Questi paralleli vengono utilizzati da M. CouNE, o. ç,, 273-276.

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cuore assume qui un senso molto vicino a quello del­ l'aggettivo �vu7t6xpL't'O> (9, 1 3- 1 4). Il sangue degli animali immolati procurava solo una purificazione esteriore, della « carne )), sufficiente per permettere di partecipare al culto ; il sangue di Cristo opera una purificazione in­ teriore, della « coscienza )), che rimane necessaria­ mente orientata verso il culto. L'azione purificatrice del sangue di Cristo opera sugli individui attraverso la mediazione sacramentale del battesimo. E al battesimo allude Io,z z : « Avendo dunque, per mez_zo del sangue di Gesù, la possibilità di accedere liberamente al santuario ... accostiamoci 1 44 con un cuore sincero, nella certezza 1 45 della fede, dal momento che i nostri cuori sono stati ripuliti (pe:­ prxv-rLa!J.ÉVoL -rcXç xrxpiì(rxç) da ogni cattiva coscienza e il nostro corpo è stato lavato con un'acqua pura >> 146. I cristiani hanno così la sicurezza di aver ricevuto nel battesimo quella purificazione rituale del cuore, a cui aspirava l'autore del Sal 5 1 . Da quel momento essi u o W. THUESING, « Lasrt flfll hinzutrelen ... >> (Hebr I0,22). Zur Froge noch tkm Sinn der Kulttheologie im Hebriierbrief, BZ 9 ( 1 96 s ) 1 - 1 7. "" n:ÀlJpocpopl.a: va qui inteso nel senso di « certezza » , non d i « pienezza » : cf G . DELLING, TWNT VI (1 959) 309 ; C. SPICQ, L'Epitre oux Hébreux (EB), II, Parigi, 1 9n, 3 1 7 (il commento, non la traduzione) ; F . J . ScHIERSE, Der Briej an die Hebriier (Geistliche Schriftlesung, 1 8), Dtisseldorf, 1 968, 96. H. STRATHMANN traduce correttamente « certezza » e com­ menta di conseguenza : Der Brief an die Hebriier (NTD 9), s ed., Gottin ga, 1 949, 1 27 e 1 29 ; l'edizione francese ritorna alla « pie­ nezza d ella fede », ma senza cambiare la « certezza » del com­ mento : L'Epilre oux Hébreux, Ginevra, 1 9 7 1 , 1 00 e 102. "" Su questo versetto cf M. CouNE, o . c., 3 1 2.- 3 1 8 .

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hanno accesso a Dio per adempiere il loro serv1z1o cultuale. Naturalmente, non devono ricadere nel pec­ cato. Una ricaduta sarebbe grave, poiché equivarrebbe a « calpestare il Figlio di Dio e a reputare come im­ mondo il sangue dell'alleanza, con cui siamo stati pu­ rificati, e a oltraggiare lo Spirito della grazia » (1 o,z9). Sembra chiaro che la sesta beatitudine di Matteo non deriva dall'ottica sacerdotale della Lettera agli Ebrei. La purezza del cuore di cui parla il vangelo non è frutto del lavaggio dalla macchia del peccato, che insozzerebbe il cuore dell'uomo, ma indica una disposizione intima, consistente in una sincera ac­ cettazione della volontà divina. La differenza dei punti di vista va tuttavia di pari passo con un tratto comune, cioè con il modo in cui tale purezza viene considerata in funzione di un avvicinamento cultuale a Dio. J. La kttera di Giacomo ci riconduce a un uni­ verso concettuale molto più vicino a quello di Mat­ teo 147. In 1,z6-z7 Giacomo spiega che cosa egli intenda per una vera 6pl)àxe:lat, una « religione » o un « culto » autentico 148: « Se uno crede di essere religioso senza tenere a freno la sua lingua e ingannando il suo pro­ prio cuore, la sua religione è vana. La religione pura (xat6atpcl) e senza macchia presso Dio Padre è questa : visitare gli orfani e le vedove nella loro tribolazione, m Esiste Un articolo di M. H. SHEPHERD Jr intitolato : The Epirt/e of famu and the Gospel of Matthew, JBL n (I956) 4o- p , ma non dice molto. Si può trovare qualcosa di p iù in E. LoHsE, Glmlbt rmJ Werke: zyr Theologie du Jakobusbriifu, ZNW 48 (19S7) I-n (9-I 3). Il rapporto tra Gc e Mt è stato preso in considerazione anche in un articolo di F. GRYGLEWICZ, in Roçz­ niki Thtologiçzno-Kanoniçzne 8 (I96I) H - SS , articolo che non abbiamo visto . ... a K. L. SCHMIDT, &pl)axclcx, TWNT III (1938) I H-1 5 9·

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mantenersi senza macchia (&mttÀov) 149 nei confronti del mondo >>. Tra Dio e il « mondo », luogo del pec­ cato 150, l'incompatibilità è assoluta : non è possibile essere amico dell'uno senza essere nemico dell'altro (4,4). Una religione pura suppone l'esercizio della carità, ma esclude ogni compromesso con questo mondo, dal momento che, in linguaggio rituale, ogni macchia viene dal mondo. Non basta un distacco esclu­ sivamente interiore : colui che pecca con la lingua inganna il proprio cuore, se immagina di avere una religione pura. Gc 4,8 : « Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Purificate le vostre mani, o peccatori ; mondate i vostri cuori, o anime irresolute ». La purificazione, per essere reale, deve riguardare le mani, vale a dire gli atti, ma anche il cuore. Coloro che fanno il male e che vengono chiamati peccatori devono cominciare con l'astenersi dalle loro azioni riprovevoli. L'invito a purificare il cuore viene indirizzato più precisamente ai 8(1jiuxoL, alle persone esitanti, irresolute, interior­ mente divise 151 ; nel contesto (cf 4,4) si tratta chiara­ mente di coloro che non si decidono con franchezza tra Dio e il « mondo », che vorrebbero essere contem­ poraneamente amici di Dio e amici del « mondo » 152• « Purificare il proprio cuore » consiste quindi pratica1" Altro termine del 'vocabolario cultuale. Cf A. 0EPKB, TWNT I ( 1 9 3 3) 'oo. 110 Su questa accezione del termine x&o-11-oç, cf H. SASSE, TWNT III (1938) 89z-896 ; F. MussNER, Der faA:obUJbrief (HT KNT XI II , 1) , Friburgo i. Br., 1 964, 1 1 3. 1 11 Il termine si trova già in Gc 1 , 8 : ivi il contesto mette ' l accento sulla esitazione, cosi come qui lo mette sulla irreso­ lutezza. In funzione del suo impiego corrispondente nel Pa­ store di Erma, esso ha attirato l'attenzione di O. J. P. SEITZ : RelalioNhip of the ShepherJ of Hermas lo the Epistle of fames, JBL 63 (1 944) 1 3 1-140 ; AntueJents anJ Signiji&alion of the Tsrm 8(> 1 55• Però quel che dice nel suo linguaggio figurato a proposito di vesti bianche non può !asciarci indifferenti. Tre passi me­ ritano in particolare di venir presi in considerazione. I rimproveri mossi alla Chiesa di Sardi ammet­ tono una eccezione : « Tu hai tuttavia in Sardi alcune

1�1 Sembra che talvolta si confonda erroneamente à.yv(�. Sul primo, cf H. HAUCK, TWNT I ( 1 93 3 ) I z 3s. Ricordiamo che abbiamo già riscontrato il me­ desimo verbo in I Gv 3,2-3 precisamente in rapporto con la visione di Dio : la speranza di vedere Dio induce a purificarsi (cf sopra, 886). '"' Abbiamo ricordato I Gv. 3,2-3. Notiamo all'inizio della medesima epistola la maniera molto (( sacerdotale 11 in cui la purificazione dei peccati viene attribuita al sangue di Cristo ( I ,7) ed è presentata come l'opera di Dio, che coincide con la remissione dei peccati (I ,9). In Gv I 5 , 3 i discepoli sono diventati (( puri 11 per effetto della parola che Gesù ha loro annunciato (e a cui essi hanno creduto). Gv I 3,Io-n parla indubqiamente di questa medesima purezza, quando menziona l'eccezione rappresentata da Giuda. 106 (( Puro 11 viene inteso in senso puramente materiale, quando si parla si lino puro, di oro puro, di cristallo puro : 1 5 ,6 ; I 9,8 . I 4 ; Z I , I 8.z l . Il termine "cuore" è raro e ricorre in altri contesti : z,z3 ; I 7, I 7 ; 1 8,7.

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persone, che non hanno contaminato il loro mantello ; esse mi accompagneranno in vesti bianche, perché ne sono degne. Anche il vincitore porterà vesti bian­ che... )) (3,4- 5 ) . Non dobbiamo occuparci delle vesti bianche, vesti della vittoria, simbolo della gloria degli eletti 156 ; il loro candore non deve evocare una idea di purezza senza macchia. Vediamo invece che questi vesti sono promesse a coloro che, durante la loro esi­ stenza terrena, « non hanno macchiato il loro man­ tello >> 157 • Qui l'idea di purezza è manifesta 158• In un'ottica rituale, tale purezza deve permettere a co­ loro che hanno saputo conservarla, di accompagnare il Signore. Nel capitolo 7 Giovanni vede la folla degli eletti, che indossano vesti bianche 159, e si sente dire : « Que­ sti sono coloro che vengono dalla grande tribolazione ; essi hanno lavato 160 le loro vesti e le hanno rese bianche nel sangue dell'Agnello. Ecco perché stanno davanti al trono di Dio e gli rendono un culto giorno e notte nel suo tempio . . . » (vv 14- 1 5). « Hanno la11• Cf W. MICHAEL1S, Àcux6�, TWNT IV (194z.) z.47-z.�6 (z.� I e Z.Hs.) ; U. W1LCKENS, «n"OÀ�, TWNT VII (I 964) 687692 (691S.). m Immagine analoga in Gd 23 : « Odiate pedino la tunica macchiata dalla loro carne ». Ap 3,4 va accostato soprattutto a 14,4, che parla dei èentoquarantaquattromila : « Questi sono coloro che non si sono macchiati con donne ; infatti sono ver­ gini. Essi seguono l'Agnello ovunque egli vada )), 168 7 . 9.I 3 · Cf già , ,I 8 ; 4.4 ; 6, I I . 111 Dal momento che si tratta d i vestiti, è necessario usare il verbo nÀÒII(o), Nel caso di persone, si usa >.ou!ù o vlnT!ù, a seconda che si tratta di lavare tutto il corpo o solo una sua parte. Cf R. C. TaENCH, Synonymes Ju Nouveau Tutament, Bru­ xelles-Parigi, I 869, I 84-I87. 11 0 Es I 9,IO.I 4. Cf anche la raccomandazione fatta da Giacobbe ai suoi prima di arrivare a Bete! : Gn 3 � ,2. Il verbo viene preso in senso metaforico nel Sal p (LXX �o),z..7 : il salmista chiede a Dio di .

10 7 Alludiamo a D. P. GRAY, The Coming Presente of the Living God, in Continuum 7 (1970) 5 62-569 ( 5 63) citato da R. LAURENTIN, Speranta cri.rtiana, immensa riserva dell'uomo, Alba, 1971, 5 5 ·

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TRE NUOVE BEATITUDINI

§ II. I MISERICORDIOSI

Nel linguaggio biblico l'aggettivo �"-dJ!Lwv ha suono su cui è bene fermare per prima cosa l'atten­ zione 1 : si tratta in prima luogo e principalmente di un attributo di Dio 2 • Nei LXX eÀdJ!J.WV, viene ado­ perato 30 volte : z 5 volte qualifica Dio 3 ; all'uomo viene applicato nei Proverbi (4 volte) e forse nel testo errato del Sal I I z(u x),4 �. Normalmente traduce il termine hannrin usato 1 2 volte nei riguardi di Dio, mentre la sola volta che viene . applicato all'uomo sa-

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1 Riprendiamo osservazioni già proposte nell'articolo L'appel à imiter Dieu en Matthieu, 1,48 et Luc 6,J6, in RiviJta Biblica I 4 ( 1 966) i 37-I � 8. Lo studio basilare sul vocabolario della « misericordia » rimane quello di R. BuLTMANN, art. &.coc;, TWNT II (I93�) 474-483. 1 Insistenza su questo punto da parte di K. BoRNHAUSER, Die Bergpredigt. Versuch einu zeilgeniùsischen Auslegtmg (BFCT a,7), a ed., Guterloh, 1 927, 39; G. MIEGGE, // sermone su/ monte. Commentario uegetico (Coli. Fac. Vald. Teol., Io), Torino, I 970, 49· 1 Bisognerebbe aggiungere i 9 casi in cui viene adoperato no>.yi>.&oc;, sempre riferito a Dio : Es 34,6; Nm 1 4, 1 8 ; Neem 9,I7 ; Sal 86, 5 . 1 � ; I o 3 , 8 ; 145,8 ; Gl a , 1 3 ; Gio 4,2. • La versione greca rende fedelmente il testo ebraico, così come esso ci è pervenuto : .d)­ !1.6)" è limitato ai Proverbi (1 1 , 1 7 ; 19,1 1 ; zo,6 ; z8,zz). Prolun­ gando l'inchiesta, potremmo notare che i tre casi in cui l'ag­ gettivo viene usato nei Salmi di Salomone (5,2 ; 7,5 ; 1 0,7) si riferiscono a Dio ; nei Testamenti dei Patriarchi rileviamo tre impieghi teologici (Jud 1 9,3 ; Iss 6, 4 ; Zab 9,7) e due antro­ pologici (Sim 4.4; As 4, 3); il solo caso in cui ricorre nella Let­ tera di AriJtea (zo8) è teologico e il solo impiego che ne viene fatto in Giuseppe e Asenet (8,9) è antropologico ...

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rebbe rappresentata dal testo probabilmente alterato del Sal 1 12.,4 5. Nel Nuovo Testamento ricorre solo in Eb 2,I7 per qualificare Cristo nelle sue funzioni di Sommo Sacerdote. La statistica del sostantivo D.e:oç e del verbo ÈÀU(ù presenta proporzioni analoghe ; nei LXX il sostantivo indica 2�6 volte la misericordia divina, 6o volte quella esercitata dagli uomini ; nel Nuovo Testamento la proporzione è di 20 a 7 8• Il verbo tÀE:é(ù viene ado­ perato dai LXX I OO volte per parlare di Dio e �o volte per parlare degli uomini ; nelle epistole del Nuovo Te­ stamento la proporzione è di I 5 a � . Qui i vangeli sinottici presentano una difficoltà particolare : l'in­ vocazione della misericordia del Signore viene rivolta Io volte a Cristo, al Figlio di Davide 7 ; diciamo quindi semplicemente che, su I 5 casi, uno solo riguarda la pietà, che ci si àttende da un uomo ordinario : M t I 8,� 3a. Ma se in Matteo consideriamo i tre termini assieme, vediamo che ci sono solo due casi in cui pos­ siamo parlare di misericordia divina (5,7b; I 8,3 3b), cinque in cui si tratta della misericordia di Cristo 8 e 5 che riguardano la misericordia che va esercitata • Non ci risulta presente a Qumran. • Nei Salmi di SalomofH !Àeoç viene detto 10 volte della

misericordia di Dio e 1 volta sola di quella dell'uomo. Per parlare della misericordia divina, la medesima raccolta adopera anche il termine �Àil)!J.OaU'II"IJ (9, 1 1 ; 1 5 , 1 3). Qui non pren­ diamo in considerazione questo termine : il suo impiego nell'AT segue una linea tutta particolare; nel NT designa unicamente « l'elemosina >> (Mt 6,2. 3.4; Le 1 1 ,41 ; u, 3 3 ; At 3 , 1- 3 - 1 0 ; 9, 3 6 ; 10,2.4.41 ; 14, 17). Cf R. BuLTMANN, a. &., 482s. 7 Mt 9,27 ; 1 � , u ; 1 7, 1 � ; 20,3o.p ; Mc 10,47 ·48 ; Le 1 8, 38 .3 9, e possiamo aggiungere Le 1 7, 1 3 , dove la portata regale e messianica si attenua. Aggiungiamo che una invocazione del medesimo tipo viene indirizzata ad Abramo in Le 16,24. Mc � , I 9 si riferisce alla misericordia divina. 8 Riferimenti nella nota precedente. Cf a questo proposito : G. BRAUMANN, ]lru Erbarmen nath MatthiiUJ, in Theol. Zeitrehrift 1 9 (1963) 30 � -3 17·

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dai cristiani ( 5 ,7a ; 9, 1 3 ; 1 2., 7 ; 1 8 , 3 3 a ; 2. 3 ,2.3). Il solo altro esempio evangelico di quest'ultima accezione si trova nella parabola del buon samaritano (Le l o,n). Possiamo pertanto parlare di uno spostamento di ac­ cento in Matteo : la sua attenzione si ferma più facil­ mente sul dovere umano che non sugli attributi divini. La statistica non fa che manifestare qui una tendenza che si tradisce in ben altri modi 9• L'orientamento « teologico » dell'aggettivo !i.�­ !J.WV potrebbe essere confermato da osservaziorù ana­ loghe sugli aggettivi affini , olK'rLp!J.WV, « compassio­ nevole >> 10, e :X.P7JG't'6ç, « buono » n. In un contesto concettuale biblico e _ giudaico questi termirù evocano un attributo divino, prima di far pensare a una qualità umana. Questo rilievo induce a cominciare lo studio della quinta beatitudine dalla promessa della miseri­ cordia divina, annunciata nella sua seconda parte: sembra infatti normale che la misericordia richiesta ai cristiarù venga concepita in base alla idea che ci si fa della misericordia di Dio 12. ' Nel nostro articolo L'oppel à imiter Dieu, 144-I46, ab­ biamo sottolineato il risultato opposto, in cui sfocia la mede­ sima tendenza, quando Matteo non esita ad applicare a Dio un aggettivo che nella tradizione biblica è strettamente antropolo­ gico e non riferibile a Dio : TÉÀELoç (Mt � .48). Nella medesima occasione abbiamo sottolineato altre manifestazioni di questa tendenza di Matteo, come la présentazione della parabola della pecorella smarrita ( I 8 , I Z-I4) ecc. (p. I49- 1 5 3). 10 Cf L'oppel à imiter Dieu, I46- I48. I LXX adoperano o!xTlpfLWV I 3 volte per indicare Dio, 4 volte per indicare uomini ; questo aggettivo corrisponde normalmente a ràhum, riferito I 2 volte a Dio, mentre la 1 3.ma volta viene adoperato nel Sal I 1 2,4. Si possono fare osservazioni analoghe sui termini dei medesimi gruppi ed estenderle alla letteratura post-biblica. Cf il nostro articolo. 11 I 8 volte applicato a Dio, 7 volte a uomini. " La bibliografia dedicata in modo specifico alla quinta beatitudine è assai ridotta. Dobbiamo segnalare una disserta­ zione presentata alla Facoltà Teologica della Università Gre­ goriana di Roma nel I 9 � 9-6o da V. BALOGH, « Selig die Borm-

I

1.

MISEiliCOilDIOSI

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Sarà loro fatta mi.rericordia.

La costruzione passiva del verbo �ÀEYJ&Ij aoV't"or.� nella seconda parte della beatitudine si conforma al linguaggio convenzionale, che, per riverenza, evita di menzionare « Dio » come soggetto di una azione. Il Il senso reale della affermazione : « Sarà loro fatta mi­ sericordia » è che « Dio farà loro misericordia ». Questo modo di esprimersi è troppo noto, perché sia necessario soffermarvici sopra 13• Il tema della misericordia di Dio è molto frequente. Dalle cifre che abbiamo citato risulta che l'Antico Testamento greco adopera 3 70 volte il vocabolario herzigen ». Die chrislliche Barmherzigkeil bei Matlhiius im a/1gemeinen Ufld in der fiinflen Seligpreisung im besofllleren im Lichle des Allen Teslamenles; l'autore ne ha dato un riassunto in Pon­ tificia Univ1rsilas Gregoriana, Liber Ann11alis 1961, z9z. La prima parte passa in rassegna le interpretazioni della quinta beatitu­ dine negli esegeti che hanno pubblicato le loro opere nel corso degli ultimi cent'anni; il risultato è questo : la condotta dei « misericordiosi >> si traduce senza dubbio in una forma parti­ colare di misericordia. La seconda parte studia l'AT e mostra che qui il tema della misericordia è molto diversificato ; ciò induce a pensare che nella beatitudine il termine ÈÀC!Jfl.(o)ll va inteso in un senso particolare, di cui solo il contesto matteano può rivelare la sfumatura esatta. La terza parte si oècupa dei paralleli matteani di �J 7 per concludere che i « misericordiosi » sono qui coloro che rimettono ai fratelli i debiti o i loro pec­ cati. Ricordiamo anche un volume in collaborazione : L' Evan­ gile de la misericorde. Hommage au Dr Schweizer (L'Evangile au XX Siècle, 1 3), Parigi, 1 964. Vi troviamo uno studio di J.-G. GoURBILLON, La misericorde dans la Bible (109-I Z3), che illustra bene lo sfondo .biblico della quinta beatitudine ; invece l'arti­ colo di B. HAERING, Heureux /es miséricordieux (1 27-1 33) pro­ pone delle considerazioni che non hanno alcun rapporto con il nostro lavoro. Segnaliamo ancora il testo di una conversa­ zione radiofonica : F. BETz, « Selig die Barmherzigen . . », in (M. MuESSLE), Der > (Neem 9, 1 7.p). In questa linea di pensiero si comprende il dispetto di Giona. Il messaggio di condanna, di cui egli era incaricato, non si è realizzato : « Sapevo bene che sei un Dio misericordioso (tÀE�!Lwv) e compassione­ vole, lento alla collera e grande in misericordia (7to­ ÀuÉÀEoc;) e pronto a recedere dal punire l » (Gio 4,1). Soprattutto si comprendono gli inviti alla conversione : « Ritorna, Israele infedele. Non avrò un volto irritato per te, perché sono misericordioso (tÀ�!Lwv), ora­ colo di Jahvè. Non conservo rancore per sempre » (Ger 3 , rz) ; « Lacerate i vostri cuori e non i vostri vestiti, e ritornate a Jahvè, vostro Dio ; poiché egli è misericordioso (tÀEYJ!LWv) e compassionevole, lento alla collera, grande in misericordia (7toÀuÉÀEoc;) e pronto a recedere dal f.unire » (Gl z, 1 3 ) ; « L'empio abb11ndoni la sua via e 'uomo perverso i suoi pensieri. Si converta a Jahvè e gli sarà fatta misericordia (xoci tÀElJ&JjcrETocL) ; (ritorni) al nostro Dio, poiché egli è abbondante in perdono » (ls 5 5 ,7). Il Sal 103 medita a luQgo « la rivelazione fatta a Mosè » (v 7) in Es 3 4 : « Jahvè è compassionevole e misericordioso (tÀE�!Lwv), lento alla collera e grande in misericordia (7toÀuÉÀEoc;) ; la sua rampogna non è fino alla fine, né il suo rancore è per sempre. N on ci tratta secondo le nostre colpe, né ci rende secondo le nostre iniquità » (vv 8- 1 0). La misericordia induce Dio a concedere il suo perdono ai colpevoli e assi­ cura il suo favore stabile a coloro che lo temono e che adempiono le sue volontà (vv 1 7- 1 8) 17• 17 Cf

anche Sap

1

�.I.

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La misericordia divina è caratterizzata anzitutto dalla sproporzione che si manifesta tra il castigo delle colpe, sempre moderato, e il favore illimitato con­ cesso a coloro che sono fedeli. Anzi, essa non attenua solo il rigore dei castighi, ma induce Dio a perdonare facilmente le offese, appena il peccatore ritorna a lui. Il Signore non conserva rancore, restituisce volentieri il suo favore ed è in questo perdono che si manifesta principalmente la sua misericordia.

(b) La misericordia divina, oltre che nella condotta di Dio verso i colpevoli, si manifesta anche nella solle­ citudine di cui egli circonda gli sventurati nella loro miseria e nel soccorso che loro concede contro quanti li opprimono. Lo vediamo bene in questa prescrizione di Es z z , z 5 - z 6 (tradizione E) : « Quando prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al calar del sole, perché è tutto quello ch'egli ha per co­ prirsi, perché è il mantello in cui avvolge il proprio corpo e in cui può coricarsì. Se succederà ch'egli gridi verso di me, io lo ascolterò, poiché sono misericor­ dioso (èì.E"f)!J.(a)v) ». Sembra significativo che la definizione di Es 34,6 sia stata riletta in questa prospettiva. Tale è, ad esempio, il caso del Sal 86. Nella sua angoscia e nella sua mise­ ria, il salmista at!ende da Dio la propria salvezza: « Tu, Signore, sei buono e indulgente, grande in misericordia (7toÀuéÀe:oc;) verso tutti coloro che ti invocano >> (v 5 ) . Uomini violenti attentano alla sua vita (v 14), « ma tu, Signore, sei un Dio compassio­ nevole e misericordioso (ÈÀe:�fJ.(a)v), lento alla collera, grande in misericordia (7toÀuéÀe:oc;) e in fedeltà : volgiti verso di me e abbi pietà di me (ÈÀél]a6v fU) ; dona la tua forza al tuo servo, salva il figlio della tua serva >> (vv q-x 6). Il supplice non accusa alcuna mancanza che dovrebbe essere perdonata, anzi, protesta la pro­ pria fedeltà (v z) . È a motivo della sua miseria ch'egli

956

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si appella alla misericordia divina e che spera da essa la propria salvezza. Punto di vista analogo nel Sal I I 6, 5 -6 : « Jahvè è misericordioso (ÈÀdJ(.LtùV) e giusto, il nostro Dio ha pietà (tÀ&�). J ahvè salva i semplici ; ero debole ed egli mi ha salvato >>. Rileviamo anche il Sal I 1 1 ,4- 5 : « Egli lascia un memoriale delle sue meraviglie ; Jahvè è misericordioso (tÀd]fLtùV) e compassionevole. Dona cibo a chi lo teme e si ricorda per sempre della sua alleanza ». Il Sal I45 B 9 echeggia più diretta­ mente la rivelazione dei Sinai : « Jahvè è compassio­ nevole e misericordioso (tÀd]fLtùv), lento alla collera e grande nella misericordia (7toÀutÀEoç). Jahvè è buono verso tutti, la sua compassione va a tutte le sue o­ pere » 18• Gc 5 , I I chiude una esortazione ad aver pazienza secondo l'esempio di Giobbe con un richiamo alla formula tradizionale, ch'egli trascrive a proprio modo : « Poiché il Signore è molto tenero (7toÀua7tÀocyx_v6ç) 19 e compassionevole ». La misericordia compassionevole del Signore induce a pensare ch'egli non mancherà di soccorrere i suoi nella prova. Ma qui il soccorso è già previsto per il momento dell'intervento escato ­ logfco (v 8). ,

-

2. Il Dio che farà misericordia. L'attesa di una ma­ nifestazione futura della misericordia di Dio compare anzitutto nel contesto dell'esilio e della dispersione degli israeliti lontano dal loro paese. Dio si mostrerà

1 8 Ricordiamo anche Ecli z, I I , che unisce i due aspetti della misericordia : > (I 4, I ) ; « J ahvè attende (il momento) di aver pietà di voi ; egli si leverà per farvi misericordia (èJ.rijerotL) ... » (3o, I 8) ; « Essi non avranno più né fame né sete ; non soffriranno né per il calore né per il sole; colui che fa loro misericordia (o èJ.e:&v) li condurrà... Montagne, esplodete in grida di gioia, poiché Jahvè ha consolato il suo popolo, ha fatto misericordia (�ÀÉlJere:v) ai suoi afflitti » (49, IO. I 3). Dio stesso dichiara a Gerusalemme : « Ti ho abbandonata per un breve momento, ma in una grande misericordia (ÈÀÉouç) ti farò misericordia (èJ.e:Y,erw ere:) ; in un impeto di furore ti ho cacciata dalla mia faccia per un momento, ma in una misericordia (èv ÈÀÉe:L) eterna ti farò misericordia (!J.d]erw ere:) » (54,7-8). Passiamo subito ai Salmi di Salomone, buon punto di collegamento tra l'Antico e il Nuovo Testamento 21• Vi ritroviamo i temi tradizionali : « Rivolgi, o Dio, la tua misericordia (�Àe:oç) verso di noi e abbi compas­ sione di noi ; raduna la Dispersione di Israele con mi­ sericordia (èJ.Éouc:;) e con bontà » (8,z7-z8) ; « Dio affretti la sua misericordia (�J.e:o.:;) verso Israele ; egli ci libererà dalla immondezza di nemici impuri » (I 7,45 ). L'elemento più significativo sembra questo : i suddetti salmi ci permettono di collocare l'espres­ sione « giorno di misericordia » di fronte all'espres­ sione tradizionale, che parla del giorno dell'intervento divino come di un « giorno d'ira » 22 contro i peccan Seguiamo a A. RAHLFS, SeptTIIlginta, id ut Vetus Tuta­ m�ntum graece iuxta LX X interpreles, II, 5 ed., Stoccarda, I 9p,

47I-489, tanto per la numerazione dei versetti che per il testo. Si sa che la composizione di questi salmi farisaici (il cui autore non cerca affatto di passare come Salomone) gravita attorno agli avvenimenti dell'anno 63 a. C. •• Sof I , 14-I 5 . I 8 ; z,3 ; Is 1 3,9; Rm 2,5 ; Ap 6,q ; notare anche Lam I , u ; z, I . z i . z z ; Ez u,z4; Sal 1 1 0,5. Cf G. DEL­ LING, art. YJfLÉp« , TWNT II (1935) 945 -956 (95 0).

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tori. Quanto poi agli empi, « la loro eredità è l'Ade, le tenebre e la perdizione, e non li si troverà nel giorno della misericordia (riservato) ai giusti (l:v �(.Lép� l:­ >.éouc; 8tx«l.éouc;) nella benedizione, per il giorno di elezione, in cui susciterà il suo Cristo ! Beati quelli che vivranno in quei giorni, per contemplare i benefici che il Signore procurerà alla generazione futura !. .. Generazione buo­ na per il timore di Dio nei giorni di misericordia (l:v �(.Lépoctc; È>.éouc;) )) ( 1 8 , j -6.9). Il (( giorno del Si­ gnore )), spaventoso per i peccatori, viene atteso con impazienza dai giusti : la realizzazione delle promesse divine ne farà per loro un giorno di misericordia. In · 2 Mac 7,29 la madre dei sette fratelli esorta nel medesimo senso il minore ad accettare coraggiosa­ mente la morte, « affinché ti ritrovi coi tuoi fratelli al momento della misericordia (l:v -r.étt) )) : espres­ sione che in questo contesto significa il momento della risurrezione,. dei . giusti 23. Nel Nuovo Testamento cominciamo col rilevare il modo molto tradizionale in cui i cantici di Le 1 parlano dell'intervento divino, che inaugura i tempi messianici 24• Il corso delle cose viene totalmente capovolto : Dio (( è venuto in aiuto di Israele, suo servo, per ricordarsi della misericordia (l:>.éouc;) secondo quanto aveva annunciato ai nostri padri in favore di Abramo e della sua posterità per sempre )) (vv j 4-� � ) ; (( Benedetto sia il Signore, Dio di Israele, poiché ha visitato e ha compiuto la redenzione del suo popolo ; ci ha suscitato un corno di salvezza nella casa di Davide, suo servo, secondo quanto aveva an11 Cf 7,9 . 1 4. Z 3 . 36 ; x z,43-45 ; 1 4,46. Allora, secondo 7,6, si realizzerà la promessa di (( consolazione )) formulata in Dt

p,z6. ••

Cf H. ScHURMANN, Das Lukasevange/ium (HTKNT III, x),

l, Friburgo i. Br., 1 969, 76s., 88 e 9 I .

960

TRE NUOVE BEATITUDINI

nunciato per la bocca dei santi profeti nei tempi an­ tichi, per salvarci dai nostri nemici e dalla mano di tutti coloro che ci odiano, adempiendo la (sua) mi­ sericordia (�Àe:oc;) verso i nostri padri e ricordandosi della sua santa alleanza... » (vv 68-72.). Il tempo della « misericordia >> è anche quello dell'adempimento delle promesse. In castigo dei suoi peccati (v 77) il f.opolo ele�to era stato sottoposto al giogo dei nemici ; ora della liberazione è arrivata : « I sentimenti di misericordia (a7tÀiiYX.voc ÈÀéouc;) del nostro Dio ci conducono la visita dell'astro dall'alto, per illuminare coloro che sono seduti nelle tenebre e nell'ombra della morte, per guidare i nostri passi in un cammino di pace » (vv 78-79). L'avvento del Messia è desti­ nato ad inaugurare per l'Israele fedele un periodo di libertà, di pace e di felicità, in cui Dio manifesterà la sua misericordia. In realtà la missione di Gesù si è collocata su un piano diverso. La piena manifestazione della miseri­ cordia divina è tramandata al futuro e si realizzerà al momento del giudizio in favore di quanti avranno accolto il messaggio evangelico. Giuda esorta i cri­ stiani : « Conservatevi nell'amore di Dio, attendendo la Ìnisericordia (-rò �Àe:oc;) di nostro Signore Gesù Cristo per la vita eterna » (v 2. 1 ) 25• E z. Tm 1 , 1 8 esprime questo augurio in favore del generoso Onesiforo : « Il Signore gli conced� di trovare misericordia (�Àe:oc;) presso di lui in quel giorno ! >> Questa pre­ ghiera riguarda evidentemente il giorno del giudizio 26, 15 Cf K. H. ScHELKLE, Die Pelrusbriefe. Der judasbrief (HT KNT XIII,3), Friburgo i. Br., 1 96 1 , 169s. •• Non riusciamo a capire bene la distinzione di C. S P ICQ , secondo la quale « in quel giorno non è tanto la parusia e l'epoca delle retribuzioni, come si glossa ordinariamente, bensì il giorno delle ricompense », che l'autore sèmbra identificare con la risurrezione : Saint Pau/. Les Epilres Pastorales (EB), II, 4 ed., Parigi, 1969, 7 3 5 ·

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giorno terribile per i peccatori, giorno di grazia per gli eletti 27• Ci rimane da parlare dei testi che, come la quinta beatitudine, stabiliscono una relazione tra la miseri­ cordia che Dio userà verso gli eletti « in quel giorno » e quella che questi stessi avranno usato durante la loro vita nei confronti del prossimo. Quanto abbiamo passato in rassegna ci permette già di percepire i due aspetti essenziali della misericordia divina : il suo aspetto negativo, in cui essa si presenta come perdono delle colpe, e il suo aspetto positivo, in cui appare come beneficenza soccorrevole verso coloro che si trovano nella miseria e hanno bisogno di aiuto. Se tale è la misericordia divina promessa ai misericor­ diosi per la fine dei tempi, possiamo pensare che la misericordia loro richiesta dovrà presentare questi due medesimi aspetti. 2.

Misericordia divina, misericordia umana.

Tra la misericordia che caratterizza Dio e quella che viene richiesta agli uomini esiste un rapporto. La catechesi cristiana, in continuità con la tradizione giudaica, presenta questi due rapporti sotto due an­ golazioni differenti. La misericordia divina comporta per l'uomo l'obbligo di conformarsi alla condotta di Dio : l'uomo deve prendere esempio da Dio e mostrarsi misericordioso come è misericordioso Dio. Ma la prospettiva può essere capovolta e ciò succede, in particolare, quando si parla della misericordia esca. Se tutm sarà visto e udito, te­ miamolo, abbandoniamo il desiderio impuro delle azioni spre­ gevoli, affinché, per la sua misericordia (b.éet), ci troviamo al riparo dei giudizi futuri )) ; Erma, sim 4,2. : « Quando brillerf. la misericordia del Signore, i servi di Dio saranno riconoscibili e visibili da parte di tutti )) ; vis z, 2. ; 3 ; 3, 9, 8 ; 2 Clem I 6, z ; GIUSTINO, Dia/ 8,4; 1 8,3 ; 96, 3 ; Io8,3 ; 1 3 3 , 1 ; 141,2..

17 Cf anche

r

Clem

z 8, I :

«

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tologica di Dio : allora bisogna che l'uomo si mostri misericordioso, al fine di ottenere misericordia da parte di Dio. Questa seconda prospettiva è evidente­ mente quella della quinta beatitudine. Tuttavia non ci sembra inutile prendere anzitutto in considerazione la prima, poiché può illuminarci sulla natura della misericordia, di cui i cristiani devono dar prova. r. Mostrarsi misericordiosi come è misericordioso Dio 28• Tale enunciato richiama necessariamente la sentenza con cui Le 6,36 conclude la prima parte del discorso della montagna ; l'uso di aggettivi sinonimici non può trarci in inganno : « Siate compassionevoli (obc·rlp­ fLOV&ç), come è compassionevole il Padre vostro ce­ leste )). Qui la « compassione )) si identifica con l'a­ more, di cui dobbiamo dare testimonianza nei con­ fronti dei nostri nemici secondo l'esempio di Dio, che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni (6,27-3 5). La sentenza serve contemporaneamente da transizione verso le raccomandazioni che seguono : « Non giu­ dicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati ; rimettete e vi sarà rimesso ; date e vi sarà dato . . . )) (vv 3 7-3 8). Non possiamo fare a meno di menzionare anche la parabola del servo spietato, dove, astrazion fatta dagli interventi redazionali di Matteo 29, il vertice primitivo doveva trovarsi nel rimprovero mosso dal padrone al servo 30: « Non dovevi · anche tu far misericordia (ÈÀ&�crocL) al suo compagno, come io avevo fatto misericordia a te ? )) (Mt 1 8,33). Qui si tratta della remissione di debiti, figura del perdono delle colpe : 18 Riprendiamo delle indicazioni già esposte nel nostro articolo del r 966, L'oppel à imiter Dieu. •• Si tratta soprattutto del collegamento con il contesto antecedente e della sentenza finale (v 3 j ) : vi ritorneremo sopra. 30 Studio recente su questo argomento : A . WEISER, Dit Kneçhtsgleiçhnisse der synoptiuhen Evongelien (SANT XXIX), Monaco, 1971 ; cf 87 e 93-98.

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il perdono ricevuto dalla grazia di Dio comporta l'ob­ bligo di perdonare agli altri. Menzioniamo anche 31 l'esortazione di Col 3 , 1 21 3 : « Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di compassione, di bontà, di umiltà, di mitezza, di pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonandovi mutuamente, quando avete tra di voi qualche motivo di lamentela : come vi ha perdonato il Signore, cosi (fate) anche voi ». Ef 4, 3 2- 5 , 1 la riprende ed esplicita : « Siate buoni e pieni di tenerezza gli uni verso gli altri, perdonandovi mutuamente come Dio vi ha perdonato in Cristo : siate dunque imitatori di Dio, come figli diletti >>. Il cristiano, perdonando agli altri, imita la condotta di Dio, da cui ha ricevuto il perdono per effetto della sua misericordia. Questa considerazione è ampiamente attestata nella letteratura rabbinica 32• Essa compare nel Tar3 1 Cf A. ScHULZ, Nachfolgen und Nachahmen. Studien iiber dQJ Verhiiltnis der neuleslamentli&hen jtlngerschaft zur urchristli&hen Vorbildethik (SANT VI), Monaco, I 96z, z 38-z4o; J. P. BaowN, Synoptic Parallels in the Epistles and Form-History, NTS IO (I 96364) 27-48 (34). •• Cf L'appel à imiter Dieu, I4IS. Scelta di testi accostati a Mt 5,7 in G. DALMAN, ]esus-jeuhua. Die drei Sprachen ]esu. ]esus in der Sy"nagoge, auf dem Berge, beim Passahmahl, am Kreuz, Lipsia, I 9Z2, 203 ; P. FIEBIG, jesu Bergpredigt. Rabbinische Texle zum Verstiindnis der Bergpredigt. . (FRLANT 37), Gottinga, I 924, I, 6- I o ; II, 3-5. Alle indicazioni fornite in H. L. STRA C K- P . BILLERBECK a proposito di Mt 5,7 bisogna aggiungere perlo­ meno quelle che vengono collegate a Mt 5,45 : Kommenlar zum NT atts Talmud und Midrasch, I, 203 e 372s. ; cf anche II, 1 5 9 ; IV, 5 36-6 I o. Occorre tener conto degli studi sul tema della imitazione di Dio nella teologia rabbinica : I. ABRAHAMS, The lmilation of God, in Studies in Pharisaism and the Gospels, II, I 6, Cambridge, I 9 Z4, I 3 8- I 8 2 ; A. MARMORSTEIN, Die Nachah­ mung Gottes in der Aggadah, in ]esthurun I4 (1 927) 6q-63 2 The lmitation of God ( lmitatio Dei) in the Haggadah, in Studies in Jewish Theology. The Marmorstein Memoria/ Volume (a cura di J. RABBINOWITZ), Oxford, 1 9 50, r o6- 1 z 1 ; H. KosMALA, .

=

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gum palestinese, che introduce la prescrizione di Lv z z , z 8 con questa spiegazione : « Popolo mio, figli di Israele, come il Padre vostro è compassionevole 33 nei cieli, cosi anche voi siate misericordiosi sulla terra » ; poi segue la prescrizione : « Bue o montone, voi non lo immolerete il medesimo giorno con il suo piccolo » 34• Un dottore del I V secolo, R. José ben Bun, critica questo commento : « Non agiscono bene coloro che riducono le proprietà di Dio alla misericordia. Coloro che traducono : "Popolo mio, figli di Israele, come io sono compassionevole in cielo, cosi anche voi dovete essere compassionevoli sulla terra... ", non agiscono bene, poiché riducono i comandamenti di Dio alla sola misericordia » 35• Protesta isolata, che va in senso contrario a tutta una tradizione. Ad Abba Saul, vissuto verso la metà del sec. II, viene attribuita questa sentenza : « Noi dobbiamo assomigliare a Lui ; come egli è compassionevole e misericordioso, cosi anche tu sii compassionevole e misericordioso » 36• Nella medesima epoca R. Meir insegna : « Dio ha detto a Mosè : Sii simile a me. Come io rendo il bene per il male, così anche tu rendi il bene per il male. Poiché è detto : Chi è mai un Dio come te, che perdona la colpa e tollera i peccati? Htuhfolge und Nachahmung Gotier, II. lm jiidischm Denken, in Annua/ of the Swedish Theological Inrtitule, III (1 964) 65-1 10. 8 3 Traduciamo rahaman con « compassionevole » per di­ stinguerlo da hannuna ; ma si può anche tradurlo ·con « miseri­

cordioso ». 84 Targum detto di Jonathan, secondo B. W ALTON, Biblia Sacra Po/yglotta, IV, Graz, 1 964, 22 1 . Cf anche R. LE DÉAUT,

Liturgie juive et Nouveau Tertamenl. Le lémoignage der verrionr araméenner (Scripta Pont. Inst. Bibl., I I s ), Roma, 1 96 s , 4 7 . •• ]. Megilla 4. ne, I I (STRACK-BILLERBECK, II, l 5 9)- Altra versione in f. Berakot s ,9C,20 : R. LE DÉAUT, o. c., 73 (secondo la traduzione molto libera di M. ScHWAB) . •• Mekh Ex q,2 : STRACK-BILLERBECK, I, nz ; IV, s 6os.

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(Mie 7, 1 8) >> 37• Sifré Dt n ,zz, interrogandosi sul si­ gnificato della espressione « camminare in tutte le sue vie )), la accosta a Es 34,6 : « Jahvè, Jahvè è un Dio compassionevole e misericordioso, cosi anche tu sii compassionevole e misericordioso e dona a chiunque senza compenso. Come Dio è chiamato giusto : "Giusto è Jahvè in tutte le sue vie" (Sal 1 4 5 , 1 7), cosi anche tu sii giusto. Come Dio viene detto buono : "Egli è buono in tutte le sue vie", cosi anche tu sii buono )) 38. R. Hanna ben Hanina (verso il 26o) si sofferma sulla espressione di Dt x 3 , 5 : « Seguite J ahvè, vostro Dio >>. Come è possibile seguire Dio? Si tratta di imitare la sua condotta : « Come Dio ha rivestito coloro che erano nudi (Gn 3,2 1), così anche tu rivesti coloro che sono nudi. Come Dio ha visitato colui che era malato (Gn 1 8, 1), cosi anche tu visita i malati. Come Dio ha consolato colui che era afflitto (Gn 2 5 , 1 1 ), cosi anche tu consola gli afflitti. Come Dio ha seppellito colui che era morto (Dt 34,6), cosi anche tu prenditi cura dei morti >> 38• Nella medesima epoca R. Simlai osserva che la pratica delle opere di misericordia sta all'inizio e alla fine della legge : in Gn 3,21 Dio ha rivestito Adamo e Eva, che erano nudi; in Dt 34,6 ha seppellito Mosè �o. L'apologeta cristiano Aristide si mostra bene informato quando, verso la metà del sec. n, dice dei 17 Ex R z.6 (87b) : STRACK-BILLERBECK, I, 372. . •• STRACK-BILLERBECK, I, 37Z; l. ABRAHAMS, o. t., I46. 11 B. Sola 1 4a : STRACK-BILLERBECK, /. t. •• lvi: P. FIEBIG, o. t., n. z8 (I, 7 ; II, 4) ; rileviamo ancora un passo della Lettera di Aritlea, dove vediamo il re dell'Egitto

chiedere a uno dei sapienti, che gli erano stati inviati da Geru­ salemme, come fare per essere �LÀ.Eov) ; Dio infatti è di certo misericordioso (èÀrijfL(J)V) >> (§ z.o8) ed. da A. PELLETIER, u11r1 d'Arirtée à Philotralt, se 89, Parigi, I 96Z., I 98.

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giudei : « Con il loro amore per gli uomini ess1 lml­ tano Dio, quando hanno pietà dei poveri, riscattano i prigionieri, seppelliscono i morti e compiono altre azioni del medesimo genere, gradite a Dio e stimate dagli uomini, azioni che sono state loro raccomandate dai loro antenati » 4 1 • La tradizione giudaica ha posto in risalto le opere di misericordia, indicando in esse il mezzo che l'uomo ha a disposizione per conformarsi alla misericordia divina. L'insegnamento di Gesù e la catechesi cristiana hanno ripreso questo modo di vedere, insistendo forse in maniera particolare sul perdono delle colpe 42. 2. Mostrarsi misericordiosi per ottenere misericordia. La quinta beatitudine trova un eccellente parallelo già nella Bibbia greca. Pro 17,5 dà questo avverti­ mento : « Chi schernisce il povero oltraggia il suo crea­ tore, chi se la ride di uno sventurato non sarà ritenuto innocente >> ; i LXX aggiungono : « Colui che ha pietà otterrà misericordia (b 8è ÈmaitÀIXYXVt�6fLe:voç ÈÀe:YJ­ &/jae:TIXt) >>. Per garantirsi la misericordia divina bi­ sogna mostrarsi compassionevoli verso i diseredati. È chiaro che questa compassione non è un puro senti­ mento e che deve tradursi in azione soccorrevole. Dio « si mette dalla parte dei poveri » 43• L'altro aspetto, quello del perdono delle colpe, compare in Ecli z8,1-7 44 : « Perdona il torto al tuo prossimo ; allora,

n ARISTIDE, XIV, 3 : E. J. GooosPEED, Die alteslen Apo­ logelen, Gottinga, I 9I 4, IB. Per i primi autori cristiani, cf la ricerca di A. HEITMANN, /milalio Dei. Die elhiuhe Naçhahmung Gottes naçh der Vaterlehre der �wei ersten ]ahrhunderte (Studia

Anselmiana, X), Roma, I 940. 4 1 In effetti questo aspetto è meno appariscente nei testi giudaici di cui siamo a conoscenza. •• A. BARUCQ, Le livre des Proverbes (Sources Bibliques), Parigi, I 964, I6I ; cf 1 3 3. " Il testo ebraico non ci è stato conservato.

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dietro la tua preghiera, i tuoi peccati ti saranno ri­ messi >> (v 2) . Il Testamento di Zabu/on è consacrato al tema della pietà e della misericordia. In esso leggiamo : « Ab­ biate della misericordia (�Àe:oç) nelle vostre viscere, figli miei, perché nel modo in cui uno agisce verso il suo prossimo, il Signore agirà verso di lui >> ( � , 3 ) ; « Abbiate una tenerezza misericordiosa verso ogni uomo, affinché il Signore nella sua tenerezza faccia misericordia anche a voi. Infatti negli ultimi giorni Dio invierà la sua tenerezza sulla terra e là, dove tro­ verà dei sentimenti di misericordia, vi dimorerà. Poiché nella misura in cui un uomo ha pietà del suo prossimo, il Signore ne ha per lui » (8, 1-3 ) 45. La mi­ sericordia qui raccomandata è quella che viene eser­ citata verso gli . uomini che si trovano in miseria. Nel Nuovo Testamento il miglior parallelo della beatitudine dei misericordiosi ci viene fornito da Gc z, 1 3, anche se nella forma di un avvertimento minac­ cioso : « Il giudizio (sarà) senza misericordia per chi non avrà fatto misericordia » (� yà:p xp(crtç «.véÀe:oç -rij) !L� Ttot-f)crocv-rL �Àtoç) 46• Clemente di Roma e Pohcarpo attribuiscono al Signore questa raccomanda­ zione : 'EÀe:à-re:, tvoc ÈÀe:1)67j-re:, « Fate misericordia, affinché vi sia fatta misericordia ». Il contesto è quello di una parenesi s-imile al discorso della montagna. •• La nostra traduzione è basata sulla edizione manuale di M. DE JoNGE (2 ed., Leida, 1 970) ; le varianti fornite dalla edi­ zione critica di R. H. CHARLES (Londra, 1 908) non modificano il senso. Dobbiamo tuttavia notare che 7,1-8,3 manca in una parte della tradizione manoscritta ; Charles considera questo passo come una interpolazione. •• Nel contesto di Gc 2, 1 - 1 3 la > di cui parla il v 1 3 va interpretata in funzione del comandamento della carità, citato nel v 8 ; più concretamente si tratta d eli' amore, di cui bisogna dar prova verso i poveri. Cf F. MussNER, Der [akobusbriif (HTKNT XIII,I), Friburgo i. Br., 1 964, 1 26.

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Clemente : >. Là dove noi vediamo una semplice ripetizione, essi credono di poter di­ stinguere cosi 48 : « Affinché egli ti conceda la miseri­ cordia (di essere misericordioso verso gli altri) e sia misericordioso con te », R. Jehuda (verso il I 5 o) attribuisce questa spiegazione a R. Gamaliele II (verso il 90) : « È detto : Jahvè ti concederà la compassione 49 e avrà compassione di te. Ciò sia un segno nella tua mano : nella misura in cui tu sei compassionevole, il

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" Noi traduciamo qui rahomlm con « misericordia >> per seguire l'esempio dei LXX. '" « Secondo la concezione rabbinica, nella Tora non c'è mai qualche elemento doppio senza un qualche motivo >) : P. FIBBIG, Jem Bergpredigt, 6. " (( Compassione )), poiché qui non abbiamo i LXX ad autorizzarci a tradurre « misericordia )), Questi termini sono intercambiabili,

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Compassionevole ha compassione di te >> 50• Ritro­ viamo simile spiegazione in Sifré Dt 1 3 , 1 8 51 nonché in vari punti del Talmud 52• Notiamo che qui la pro­ spettiva non è più quella del giudizio escatologico, bensì quella dei benefici che ci si attende da Dio nel corso attuale delle cose.

Conclusione. La misericordia, sia essa riferita alla condotta di Dio o a quella dell'uomo, viene presentata sotto due aspetti : quello del �erd�>no con�esso alla . colpa e quello delle « opere di rmsencordta » com­ piute in favore di quanti si trovano nel bisogno. Il quadro generale del linguaggio giudaico e cristiano fin qui evocato non induce ad accentuare un aspetto piuttosto che un altro nella beatitudine dei miseri­ cordiosi, a cui Dio farà misericordia. Rimane da chiedersi se il linguaggio di Matteo non permetta di raggiungere una maggior precisione. Il punto di vista di Matteo. Già nel 1 9 5 6 G. Bornkamm osservava che nel van­ gelo di Matteo la « misericordia » non è separabile dalla « mitezza », sia nel ritratto che esso traccia di Gesù, sia nella presentazione delle sue esigenze 53• J·

60 Tosephta di Ba.h. Qamma 9,�0 (p. 366) : F. FIEBIG, n. 24: I, 6 ; II, ' ; STRACK-BILLBRJIECK, I, 203 . 11 STRACK-BILLERBECK, ivi. 61 f. Baha Qamma 8,6c, I 9 : STilACK-BILLERJIECK, ivi; B. SHABBAT I p b : P. FIEBIG, n. 25 ; I, 6 ; II, 4 ; STRACK-BILLEilBECK, l, 203, dove si trovano altri riferimenti. 11 G. BollNKAMM, Ender�Parlung und Kirche im Matthiius­ IVangelium, in The Background of the Ne'lP Testament and its Escha­ tology ... in hon. C. H. Dodtl, Cambridge, 1956, 222-260 (247), ripreso in G. BoRNKAMM-G. BAilTH-H. J. HELD, Ueber/ieferung und Auslegimg im Matthiiusevange/ium (WMANT I), Neukirchen, 1 96o, I 3-47 ( 3 4) . Cf anche H. E. ToEDT, Der Menuhensohn in der synoptischen Ueberlieferung, Giitersloh, I 9 5 9, 68-72; l. BROER, Das Gericht des Menubensohnes iiber die Vollur, Auslegung von Mt ZJ,JI-.16, BL I I (I 970) 27 3-295 (2938.).

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Non fa meraviglia ritrovare qui i testi, di cui ab­ biamo già parlato trattando della beatitudine dei miti, cioè quelli che illustrano l'atteggiamento di Gesù verso gli sventurati o che insistono sul dovere della misericordia. Basterà richiamarli alla mente. Però ci dovremo anche chiedere quale luce ne possa derivare per la quinta beatitudine dal seguito del discorso della montagna, nonché da due passi propri del primo vangelo, vale a dire dalla parabola del servitore spie­ tato (Mt 1 8,2. 3-3 5 ) e dalla descrizione del giudizio finale (2. 5 ,3 1-46). I. La misericordia di GesM. Se ci si limita al termine, essa viene menzionata solo nella invocazione, tì.b)aov, indirizzata al « Signore », al « Figlio di Davide ». Marco l'attribuisce al cielo di Gerico (10,47-48) 54•

u Mentre nel suo dialogo con Gesù il cieco lo chiama > non è priva di significato e tende a far capire che il perdono concesso al prossimo è la condizione che bisogna soddisfare per essere ammessi nel regno. Riconosciamo qui il punto di vista familiare a Matteo, che getta luce sulla sua redazione delle beatitudini : l'entrata nel regno alla fine dei tempi è subordinata all'adempimento di certe condizioni imposte alla condotta dei cristiani os. Nella finale della parabola, il v 3 5 aggiunge : « Così il mio Padre celeste tratterà voi, se ciascuno non per­ dona al suo fratello (dal profondo) del cuore» 69• -,

" Impiego di 314 -roiho, di �!J.ol.6>6'1) e della espressione il regno dei cieli >>. •• ·A. WEISER, o. c., Ioo, enumera I 8 'testi matteani che adot­ tano la medesima presentazione, vale a dire quella che « collega una esigenza morale con il motivo del regno )) ; così Mt 4,1 7 ; 5 , 1 9.zo ; 6,n ; 7,2 1 ; 8, 1 o- 1 2 ; 1 3 ,38.43 ; 1 8, 1-4.2.3 ecc. •• Numerosi autori pensano di poter trovare nel v 3 5 la conclusione originale della parabola; così, tra i commentatori delle parabole, A. Jtilicher, D. Buzy, W. Michaelis, H. Kahle­ feld. Tuttavia la maggior parte ammette che questo versetto costituisce una aggiunta redazionale. Cf per esempio G. D. «

KILPATRICK, Th1 Origitu of the Gospel accoràing lo St. Matthew, Oxford, 1946, 2.9 e 98 ; J. SCHMID, Dar Et�angelium nach Mal-

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La formulazione di questo versetto non permette di �rio risalire al di là del lavoro redazionale di Mat­

teo 70• L'insistenza sulla interiorità e sulla sincerità del perdono, che deve essere concesso dal profondo del cuore, non ha chiaramente alcun fondamento nel racconto parabolico. Si osservi soprattutto il capovol­ gimento della prospettiva in rapporto alla dichiara­ zione del v 3 3 . Il re diceva al servo : « Non dovevi anche tu aver misericordia del tuo compagno, come io avevo avuto misericordia di te ? )) Matteo riprende nel v 3 5 : Dovete perdonare ai vostri fratelli, affinché Dio perdoni anche voi. Non si tratta più di prendere esempio dalla condotta di Dio nei nostri riguardi, ma di renderei conto che la nostra condotta deter­ minerà il giudizio di Dio 71• Ritorniamo cioè al punto di vista della quinta beatitudine : i misericordiosi ot­ terranno misericordia. La tendenza che si manifesta nella introduzione e nella conclusione redazionale della parabola del de­ bitore spietato stabilisce perciò un legame più stretto tra il suo insegnamento e quello della quinta beatitu­ dine. Abbiamo forse il diritto di fare un passo avanti e di supporre che la forma concreta della misericordia illustrata dalla parabola è anche quella a cui pensa Matteo, quando scrive la beatitudine dei misericor­ diosi ? I misericordiosi sarebbero allora coloro che thiiu.r, 276 ; E. LINNEMANN, Gleichnisse fesu, 1 1 3 ; G. STRECKER, Der Weg der Gerechtigkeit, 149, n. z ; 1 5 9 e 11 5 ; L. DErss, a. c., 39s. ; E. BrsER, Die G/eichniue fesu. Versuch einer Deutung, Mo­ naco, 1965, 101 ; W. PESCH, Matlhiius der See/sorger. Das neue Versliindnis der Evangelien dargestellt am Beispiel von Matlhiius r 8 (Stuttgarter Bibelstudien, 1), Stoccarda, 1 966, 48 ; S. LÉGASSE, fésus el l'enfanl, 23 I, n. r . Ciò è quanto risulta anche dalla ana­ lisi di W. G. THOMPSON, o. c., soprattutto zzzs., e principalmente da quella di A. WEISER, o. c., I 00-103. 70 Dettaglio in WEISER, I oos. n Cf L'appel à imiter Dieu, I H ·

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perdonano e che saranno perdonati 72 • Forse questa conclusione non è prudente. Non bisogna infatti di­ menticare che il capitolo 1 8 costituisce una unità ; l'obbligo di perdonare chi ci ha offeso non può es­ sere completamente staccato dal dovere della solle­ citudine nei confronti dei piccoli : bisogna guardarsi dallo scandalizzarli o dal disprezzarli e cercare di ri­ condurli sulla retta via, quando vanno fuori strada. A giudicare da 9, q ; 1 2., 7 ; 2. 3 , 2. 3 , sembra che Matteo non esiterebbe ad estendere a questi doveri la miseri­ cordia richiesta ai membri della. comunità cristiana. 4· Il discorso della montagna, contesto prossimo delle beatitudini, non parla di «. misericordia >> al di fuori della beatitudine che stiamo studiando, tuttavia ci offre qualche indicazione utile. Dal momento che abbiamo appena parlato della parabola del debitore spietato, fermeremo anzitutto la nostra attenzione sull'insegnamento del tutto simile, che Matteo dà a questo proposito nel Padre Nostro 73• Sappiamo che in Le 1 1 , 5 -8 il Pater è seguito e com­ mentato dalla parabola dell'amico importuno : se l'u�mo svegliato in piena notte presta ciononostante il pane che gli viene chiesto, quanto più Dio conce­ derà il necessario a coloro che gliene fanno richiesta! Il commento, ricollegandosi più particolarmente alla domanda del pane, illustra l'atteggiamento di Dio verso quanti si rivolgono a lui e vuole ispirare fiducia nella preghiera 74• Matteo pone invece l'accento sulla quinta 71

Pensiamo in modo particolare alla tesi di V. BALOGH. Cf L'appel à imiler Dieu, x ps. 74 Tale insegnamento prosegue fino al v 1 3 : sentenze che esplicitano la lezione della parabola (I I ,9-10 Mt 7,7-8) c paragone del padre e del figlio (Le I I , I I - 1 3 Mt 7,9-1 1). Abbiamo parlato di questo passo nel vol. I, 94-1 x o. Studio re­ cente : P. TERNANT, Le Père exauce la prière filiale (Le r r,r-r J), in Dix-septième dimanche ordi114ire (AssS• 48), Parigi, 1 972, 6 1 -72. 7•

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�omanda :

« Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo 75 ai nostri debitori » (6, I z). Il com­ mento insiste più precisamente sui termini « come an­ che noi >> (wc:; XIXL �(.Le:ic:;), nel punto esatto in cui dif­ feriscono da quelli di Luca : « poiché anche noi >> (x!Xt ylip «Ù·ml, Le 1 1 ,4) 76• Mt 6,14- 1 5 spiega : « In­ fatti, se perdonate agli uomini le loro mancanze, il Padre vostro celeste perdonerà anche voi. Ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro •• « Noi rimettiamo >>. Il greco adopera l'aoristo, che una traduzione meccanica renderebbe con un tempo passato : « noi abbiamo rimesso >>. Si tratta di un atto compiuto nel momentD in cui lo si enuncia, cosa che viene denominata « ao­ risto drammatico )) : A. T. ROBERTSON, A Grommar of the Greek New Testamenl in the Light of HistoriGa/ Research, 3 ed., New York, 1 9 1 9, 84 1-8 4 3 ; J. DuPONT-P. BoNNARD, Le notre Père, Notes exlgètiques, in La Maison Dieu, 8 5 (r 966) 7- 3 5 (2.7) o in Foi et Vie, Cahim Bibliques, n. 4 ( 1 966) 5 1 -79 (7os.), o ancora in P. BoNNARo-J. DUPONT-F. REFOULÉ, Notre Père qui es aux cieux. La prière oecuménique (Cahiers de la Traduction oecuménique de la Bible, 3), Parigi, 1 968, 1 0 3 . Con richiamo al sostrato ara­ maico (perfetto) : P. JoùoN, L' Evangi/e de notre Seigneur Jésus­ Christ. Traduction el commentaire du texte origina/ grec, compie tenu du substral simitique (VS 5). 3 ed., Parigi, 1 9 30, 3 5 ; M. BLACK, An Aramaic Approach lo the Gospe/s and Acts, 2. ed., Oxford, 195 4 , 2. 5 4 ; ]. ]EREM1AS, Das Vater-Unser im Lichte der neueren Forschung (Calwer Hefte, so), Stoccarda, 1962., 1 4 Abba. Studien tur neutestammtlichen Theologie und Zeitgeschichte, Got­ tinga, 1 966, 1 60. Buon esempio recente di ignoranza dei dati filologici in J. CARMIGNAC, Recherches sur le « Notre Père )), Parigi, 1 969, 2.30-2.32. : l'aoristo vi è semplicemente considerato come il tempo del passato. •• La versione di Luca sembra modificata al livello della redazione. Sull'impiego di XIXÌ ylip in Luca, cf H. J. CADBURY, The Sty/e and Literary Method of Luke (Harvard Theol. Studies, VI), Londra, 1 9 2. 0 New York, 1 969, 1 4 5 . Notare anche nel v 4a la sostituzione di > a « debiti )) ; nel v 4 b l'aggiunta di rr> Reinterpreted, NT I I ( 1 969) 3 2.-44 ; J .-C. lNGELAERE, La 107 . Questi tratti, mettendo in risalto la portata cristolo­ gica e universale della scena descritta, sono sufficienti per attestare l'attenzione che l'evangelista riserva a questo passo. Possiamo dunque affermare che a ragion veduta Matteo conclude gli insegnamenti di Gesù con un brano destinato a far comprendere ai suoi lettori l'im­ portanza decisiva della pratica delle opere di miseri­ cordia : il Signore li giudicherà su questo punto tos. Non possiamo perciò fare astrazione da questa lezione, quando leggiamo la dichiarazione secondo la quale « i misericordiosi otterranno misericordia >> 109• 1 07 Cf anche 28, I 9. Assieme a A. Vogtle e a molti altri ese­ eti, noi p ensiamo di dover ammettere il medesimo universa­ g lismo nella descrizione del giudizio universale proposta dalla spiegazione della parabola del loglio (Mt I 3 ,37-43 ) : Le point de vue de Malthieu dans le &hapitre des parabole�, 22 3-229. ua Non importa se un po' più sopra (z� , I - 1 3 ) la parabola delle dieci vergini rischia di dare l'impressione contraria. Nella logica della descrizione del giudizio universale le vergini « pru­ denti » dovrebbero naturalmente essere collocate dalla parte sinistra, assieme a coloro che hanno rifiutato di soccorrere i loro fratelli bisognosi. È chiaro che Matteo ha visto le cose di­ versamente, se non ha avuto paura di proporre a esempio di vigilanza (v I 3, redazionale) delle ragazze che dormivano. Le interpretazioni allegoriche, che riconoscono nell'olio delle lampade un simbolo della carit-à, sono senza dubbio più vicine al pensiero dell'evangelista di quanto non lo sia una esegesi troppo attenta ai dettagli del racconto. 100 Non è il caso di discutere delle interpretazioni già cadute in dimenticanza. Tale è per esempio quella di K. BoaN­ H XUSER, secondo cui i « misericordiosi » sono dei maestri pieni di affetto paterno verso i loro discepoli: Die Bergpredigt. Vertu&h eintr zeitgeniiuù&hen Awlegung (BFCT z /7), 2 ed., Gti­ tersloh, 1927, 38-40. Oppure quella che crede di riconoscere i (( misericordiosi » dalla genero�ità delle loro elemosine e at­ tribuisce loro una condizione sociale più favorevole di quella in cui si trovano i poveri e i bisognosi, di cui sarebbero i bene­ fattori : A. LEMONNYER, Le Musianùme des « Béatitudes », RSPT 1 1 (I 922) 373-389 (38zs. ) ; L. DELMO-rt:E, A propos des Béatitudes,

I MISE!liCO!lDIOSI

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Conclusione. La condotta « misericordiosa » raccomandata dalla quinta beatitudine include in modo particolare il per­ perdono che bisogna concedere al prossimo per i torti eventualmente subiti. Questa forma di miseri­ cordia, opposta alla collera e al rancore, imita quella che gli uomini si attendono anzitutto da Dio, nella speranza ch'egli perdonerà i loro peccati. Abbiamo visto che Matteo insiste in modo speciale su questa esigenza di mutuo perdono, condizione cui è subor­ dinato il perdono divino (6, 1 2 . 1 4- l j ; 1 8, 3 5). Ma il dovere di mostrarsi misericordiosi ha una estensione più vasta, che coincide con tutte le forme dell'atteggiamento che il linguaggio cristiano indica più precisamente con il termine �ylimJ 110• In Matteo l'importanza dell��ÀEoc; viene sottolineata anzitutto in contrasto con l'atteggiamento dei farisei che, tutti dediti alla osservanza delle prescrizioni rituali, con­ dannano senza remissione coloro che non condividono in Collalionu diou. Ton���c. 27 (193 1-32) 1 2.- 1 8 (16) ; A. DESCAMPS, Bienheureux lu pauvru, in Rev. dioc. de Tournai 7 (1952) n-61 (56). Questa spiegazione oppone la condizione dci misericor­ diosi a quella dei miserabili ; essa trascura il fatto che nelle beatitudini Matteo non - si interessa alla situazione sociale o economica dei poveri, ma pensa alle disposizioni spirituali che devono animare i cristiani ; inoltre stabil isce una relazione in­ debita tra ÈÀE'I)fLWV e iÀC1JfLOaUV1J, quando invece quest'ul­ timo termine ha assunto un significato tutto s peciale (cf R. BuLTMANN, TWNT II, 4 8 2s . ; G. MrEGGE, Il Sermone m/ monte, 50s.). Osserviamo a questo proposito che nessuna delle opere di misericordia menzionate nella descrizione del giudizio finale presuppone il possesso di beni di fortuna. In particolare è significativo che vi si parli di visitare i prigionieri, là dove il giudaismo avrebbe piuttosto parlato di riscattare i prigionieri : ST!tACK-BILLEilBECK, IV, 5 72S. 11° Cf H. D. WENDLAND, Ethik des Neuen Tulamenls, Got­ tinga, 1970 = • Eihique du Nouveau Teslament. lntroduclion aux problèmu (Nouv. Sér. Théol., 26), Ginevra, 1 972, 26, 1 2.7 e 145.

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il loro ideale. Essi non hanno compreso che la miseri­ cordia costituisce l'esigenza fondamentale di Dio nei confronti dell'uomo (Mt 9 , 1 3 ; u,7 ; z 3 z 3 ) Il miseri­ cordioso eviterà pertanto di giudicare gli altri, al fine di non essere giudicato da Dio (7, 1 -z). La pratica attiva della misericordia si impone soprattutto nei confronti di tutti quanti si trovano in miseria e hanno bisogno di aiuto. La descrizione del giudizio finale di Mt 2 5 , 3 1 -46 è conforme in questo punto all'insegnamento giudaico tradizionale ed è innovatore solo in quanto precisa il legame di solida­ rietà che unisce il giudice sovrano a tutti i diseredati . Il discorso della montagna va al di là del giudaismo, quando spiega che il dovere della misericordia si estende ad abbracciare i nemici e obbliga a testimoniare loro amore e benevolenza (Le 6,27- 3 6 ; Mt 5 ,44-47). Se per motivi letterari Matteo non menziona a questo proposito la « misericordia >> o la « compassione », ci si può domandare se l'aggiunta della beatitudine dei « misericordiosi » non intenda compensare tale omissione. Questa sarebbe una ragione di più per pensare che il perdono dei nemici non solo esclude og!li idea di vendetta, ma deve spingersi fino a trat­ tare da amici coloro di cui si avrebbe di che lagnarsi. Infatti la misericordia è un atteggiamento positivo, che cerca di fare del bene a coloro che si trovano nel bisogno. ,

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GLI ARTEFICI

DI

PACE

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§ III. GLI ARTEFICI DI PACE

La settima beatitudine è indirizzata agli Elp1)vo7toLO( : cominceremo col chiederci chi siano le per­ sone indicate con questo termine. La loro beatitu­ dine consisterà nell' (( essere chiamati figli di Dio >> : in secondo luogo fermeremo perciò la nostra atten­ zione sul significato di questa promessa 1 . 1.

Coloro che fanno la pace.

Secondo G. von Rad 2 (( è difficile trovare nel­ l'Antico Testamento un termine 3 paragonabile a shalom, per il modo in cui esso circolava nell'uso po­ polare quotidiano, simile a una moneta incolore, ma che poteva anche e spesso riempirsi di un conte1 Conosciamo poche monografie su Mt 5 , 9 : H. WINDISCH, Friedensbringer - G=!teuohnt. Bine religionsgesçhichtli&he Inter­ pretation der 1· Seligpreisung, ZNW 2 4 (1925) 240-260 ; B. W. BAcoN, The Blessing of the Pacemakers, in Expository Times 4 1 ( 1 929•30) 5 8-6o ; s. DI GIORGI, (( Beati i pacifici )), in La Pace. Rijleuioni bibliche (Colonna di fuoco, 1), Roma, 1971, 83-100. Non abbiamo potuto vedere H. REINELT, « Selig die Friedens­ macher, denn sie werden Kinder Gottes genannl werden )) MI J,9, in Kiinigsteiner Studien 1 4 (1968) 1 73-18o, né la conversazione ca­ diafonica di I. HERMANN, « Selig die den Frieden schaffen. .. )), in Der « politische )) ]nus. Seine Bergpredigl (Pfeiffer Werkbticher, 76), Monaco, 1 969, 91-1oz. Senza interesse per il nostro argo­ mento : M. P. BaowN, Matthew as EIPHNOIIOIOE, in Studies in the History and Texl of the New Teslamenl in hon. of K. W. Clark (Studies and Documents, 29), Salt Lake City, 1 967, 39· 5 0. • G. voN RAo-W. FoERSTER, art. dp�vl), TWNT II (1 9 3 5 ) 398- 4 1 8 (4oo). Questo articolo, benché risalga a diversi decenni fa, rimane fondamentale. Per una bibliografia più recente, cf H. Gaoss, Frieden, BTW, 4 36-44 1 (44 1). 8 Parliamo di « termine )) per dire Begriff, una parola il cui uso da parte degli esegeti tedeschi sconcerta i loro colleghi stra­ nieri e stimola in particolare la vena satirica di J. BARR, The Semanliçs of Biblica/ Language, Oxford, 1 961 ( 1 967), Z IOS, =

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nuto religioso molto denso ed elevarsi ben al disopra del livello dei pensieri ordinari ». Il termine « pace » può assumere i significati più svariati : questa osser­ vazione giustifica in un primo momento l'impressione di disagio che proviamo di fronte a tanti commenti della settima beatitudine, i quali vogliono introdurre nella espressione « fare la pace >> il senso religioso più forte che la Bibbia possa conferire al termine « pa­ ce » 4• Nel medesimo tempo si comprenderà pure che non abbiamo alcun desiderio di dedicare ai diversi sensi del vocabolo una trattazione, che supererebbe i confini del nostro lavoro. È vero che il significato dell'aggettivo composto e:lplJV01toLoc; dipende da quello, che va attribuito ai due termini che lo compongono, e:lp�VlJ e 1toLéw, tuttavia non è indispensabile studiare ciascuno di que­ sti due termini in se stesso. Bisogna piuttosto vederli nella relazione che li unisce l'uno all'altro nell'uso cor­ rente. Uso corrente ? L'aggettivo e:lplJV01toL6c;, ben attestato nella letteratura greca 5, non compare altrove nella Bibbia. Non possiamo però isolarlo dal verbo e:lplJV01toLéw . I LXX lo adoperano in Pro I o, I O : « Colui che strizza l'occhio con furbizia provoca il dispiacere, ma colui che riprende con franchezza fa la pace » 6 ; accostando questo passo a 6,13-14 si ' Osservazione nel medesimo senso in K. STENDAHL, 775 . 1 SENOFONTE, Elleniche, 6, 3, 4 ; FILONE, Spec. Leg., II, I 9 z ; CoRNUTO, Theo/. Graec. Comp., r 6 (p. 2 3 ) ; PLUTARCO, Nicia I I (I, 5 3 0 C) ; Quaesl. Rom., 62 (Il, 279 B) ; PoLLUCE, OnomaJiicon 1 J 2 ; un papiro del I 92 d . C. in Papiri Greci e La­ tini (Pubblicazioni della Società Italiana), n. I o36, 2 8 ; DIONE CASSIO 44, 49, 2 ; 72, 1 5 , 5 · Bisognerebbe aggiungere i casi in cui viene impiegato il verbo corrispondente. • La seconda parte del versetto si presenta sotto altra forma nel testo massoretico, ma ripete testualmente il v 8b e si accorda male con la prima parte. I LXX traducono senza dubbio un testo ebraico migliore di quello dei Massoreti : così segnata­ mente A. B A ilUCQ Le Liwe de Pro�rbu (Sources Bibliques), ,

,

GLI ARTEFICI DI PACE

997

scopre che colui che strizza l'occhio semina dissapori, i quali qJ.usano disordini nella città. Il medesimo verbo ritorna in Col 1 ,z.o in un senso evidentemente diverso : Dio ha riconciliato a sé l'universo per mezzo di Cri­ sto, « stabilendo la pace attraverso il sangue della sua croce ». Inoltre il verbo composto non può essere separato dalla espressione e;tp�V1JV 7toLé(l). Si tratta della espres­ sione che Ef z., q adopera nel passo parallelo a Col I , z.o e che ritroviamo in Gc 3, 1 8 : « Un frutto di giu­ stizia è seminato nella pace per coloro che fanno (opera di) pace )). Il suo impiego nei LXX sembra meno illuminante, sia quando si parla di « fare la pace )) per mettere fine a uno stato di guerra 7, sia quando si menziona la pace come un bene che Dio « fa », vale a dire concede al suo popolo 8• L'inchiesta non può limitarsi alla Bibbia. Come trascurare per esempio l'elogio che Flavio Giuseppe fa degli esseni, qualificandoli come e;lp�V1Jc; u7toupyo(, « servi della pace » (Beli II, 1 3 � ) 9 ? Ma soprattutto nella letteratura rabbinica pensiamo di trovare i mi­ gliori paralleli degli e:lpYJV07tOLol del vangelo. Non avanziamo su un terreno vergine. A prima vista i risultati della esegesi della settima beatitudine possono sembrare deludenti e far la figura di una vera matassa di considerazioni disparate e di spiega­ zioni divergenti. Sembra tuttavia possibile riconoscervi Parigi, 1 964, 104. Da notare che le versioni di Aquila, Simmaco e Teodozione adoperano elplJVOTt"OL-Ijae:L per tradurre Is 2.7,5, dove i LXX scrivono invece rroL-IjawfLE:II elpi)vl)v. 7 Gs 9,1 5 ; 1 Mac 6,49. 5 8 ; 1 1 , p . Cf anche Test. Jud., 7, 7 ; 9, 1 . Potremrno_collegare al medesimo gruppo l'uso della espres­ sione in Is z7,5 : Dio ha dep osto la collera contro i suoi ; questi sono pertanto invitati a « fare la pace » con lui, accettando la pace ch'egli offre loro dopo un periodo di ostilità. 0 Is 45,7; Ger 40,6.9 (33,6.9H) ; Tob 7, 1 2 ; z Mac 1 ,4 ; 3 Mac 2.,zo . • Cf W. FOERSTER, TWNT II, 409.

998

TRE NUOVE BEATITUDINI

tre orientamenti principali, che presenteremo tn or­ dine successivo. r. « I pacifici » : questa traduzione di dpl)vono�o(, influenzata senza dubbio dai pacifici della versione latina, è stata molto diffusa in passato 10• Orbene, nel linguaggio corrente, il « pacifico » è caratterizzato negativamente dalla sua assenza di aggressività, dal suo orrore per le contese e le dispute e, positivamente, da un amore della pace, della tranquillità e della calma, che lo spinge naturalmente alla tolleranza e alla conciliazione. Il pacifico evita di spintonare gli altri e non ama che gli altri lo spintonino. E. Jacque­ min dice dei pacifici della settima beatitudine : « Essi si applicano a "essere in pace", a "vivere in pace", a "ricercare la pace con tutti" (Rm u, I 8 ; I4, I 9 ; 2. Cor 1 3, 1 1 ; 2. Tm 2.,2.2. ; Eh I Z, I4) » 1 1 .

1° Come la traduzione tedesca di Lutero : >. >. 1 1 E. JACQUEMIN, Lu Blatiludu (MI J,I-12} (AssS 89), Bruges, 1 963, 49· Precisiamo che l'autore non si limita a questa considerazione. Secondo K. STENDHAL il termine > indica « il carattere non bellicoso dei veri discepoli del regno )) ; Mallhew, 77�· J. WELLHAUSEN ritiene che dp'l)vo­ noL6t; significhi > e stabilirà la pace 27• Una « democrati.zzazione >> del tema doveva permettere di applicare con facilità i due tratti agli uomini pii : tutti coloro che contribuiscono alla rea­ lizzazione della pace si vedranno attribuire il titolo di « figli di Dio » 28• Al di fuori del mondo giudaico, Windisch an­ nota che e:lp1JV07tot6ç compare due volte in Diane Cassio (sec. m) nella titolatura imperiale. Esso viene applicato a Cesare e a Commodo 29. Anche se il ter••

H. WrNDISCH, Friedensbringer - Gollessohne, ZNW 24 (1925) 240-260. "' P. 24os. •• P. 241-245. 11 P. 245-247 .. P. 247-25 0· 18 P. 2 5 os. •• En 44, 49, 2 : Antonio descrive con una serie di antitesi la situazione di Cesare assassinato : &o1tÀoç o CÒ7t6ÀEfLOç, yufLv6c;; ò dp7)V07tot6ç. Si noti il parallelismo tra CÒ7t6ÀEfLO. In Luca non troviamo alcuna menzione dei farisei tra il racconto del banchetto in casa di Simone il fariseo (7,36-so) e quello del banchetto presso l'altro fariseo, durante il quale Gesù pronuncia i suoi vae (u,n-54) .

GLI ARTEFICI DI PACE

1 01 7

del suo interlocutore (Mc u , H 86 ; Le I o,z8). Riscon­ triamo inoltre che l'oggetto del dibattito si precisa meglio. Non si tratta più solo di sapere qual'è il primo comandamento (Mc u,z8), ma « qual è il (più) grande comandamento nella legge (èv T>. Matteo insiste : « Tutto quanto, adunque, volete che gli uomini facciano a voi, fatelo voi pure a loro, perché questa è la legge e i profeti >>. Qui si tratta di una conclusione : o?iv, « a­ dunque ». Tuttavia il rapporto con i versetti prece­ denti è molto labile 76; possiamo pertanto domandarci ,. Cf J. SCHMID, /. c. ; G. STRECKER, o. c., 1 36 ; R. HUMMEL, s 1 , n. 9 I ; W. TRILL1NG, o. c., zo6 ; C. BuRCHARD, a. c., 6os. 75 È quanto intende sottolineare l'interpretazione attualiz­ zante di T. VAN DEN ENDE, a. c. 75 Tale rapporto _risalta molto meglio in Luca, come ab­ biamo visto nel vol. I, zs 3s. Ciò non prova ancora che Le 6, 3 I appartenesse originariamente a questo contesto ; questo punto continua a essere discusso: cf per esempio P. PoKORNY, Der Kern der Bergpredigt. Eine Aus/egung, Amburgo-Bergstedt, 1969, 24s. Tuttavia la nostra difficoltà contro l'ipotesi di una trasposizione operata da Matteo, nel caso che egli avesse tro­ vato il Logion nel punto in cui noi lo leggiamo in Luca, non ci sembra più un argomento valido contro l'appartenenza del logion a questo contesto. Gli studi recenti sono nel giusto, quando mostrano che la trasposizione si spiegherebbe in ma­ niera sufficiente con l'intenzione di fare di questa sentenza una conclusione complessiva, il cui ruolo corrisponde a quello delle sentenze di introduzione, s , 1 7- 1 9. Cf in questo senso G. BARTH, a. c., 68 ; G. STRECKER, o. c., 1 3 5 ; W. TR1LL1NG, o. c., 1 7 3 e 1 9 8 ;

o.

c.,

1 020

TRE NUOVE BEATITUDINI

se agli occhi di Matteo questa raccomandazione non costituisca la conclusione del vasto complesso di pre­ scrizioni concrete, che intendono definire una . Cf anche del medesimo autore L'appel du riche, in A. GEollGE­ J. DuPONT ecc., La pauvrelé évangélique (Lire la Bible, 27), Parigi,

GLI ARTEFICI DI PACE

1 027

ancora qualche cosa (1 9,20). La giustizia dei discepoli di Gesù deve superare quella degli scribi e dei fari­ sei (5 ,2o) ; essi devono « essere perfetti come è per­ fetto il loro Padre celeste >> (5 ,48). Il giovane ricco non può compiere questo superamento e non può accedere a questa « perfezione » se non spogliandosi di tutti i suoi beni a profitto dei poveri e mettendosi alla sequela di Gesù (1 9,2 1 ) 91 • Senza di questo non è possibile entrare nel regno dei cieli ( 1 9,2 �-24; cf 5 ,2o). L'osservanza dei comandamenti, ivi compreso quello 1971, 65-91 (83s.). Il punto in cui Matteo cita Lv 1 9, 1 8 indica abbastanza chiaramente che, come gli altri comandamenti, così anche questo richiede un superamento da parte di colui che vuoi accedere alla perfezione. Il punto di vista non è tanto quello di 7, 1 2 e 22,34-40, quanto piuttosto quello di 5 , 20-48. 11 Deve essere ben chiaro che noi non accettiamo più l'interpretazione che cerca qui l'idea di un « consiglio di per­ fezione », come facevamo nel nostro articolo « Soyez parfaits » (Mt V,4K) - « Soyez miseritordieux » (Le Vl,Jtf) , in Sacra pa­

gina. Miscellanea Biblica Congressus brternationalis Catholicus de Re Biblica (BETL XII-XIII), II, Parigi-Gembloux, 1 9 5 9,

1 50- 162 ( 1 5 4). L'esegesi che sosteniamo a partire dal 1 964 (cf Bib 46, 1 9 6 5 , 1 1 6) è quella condivisa da numerosi autori, tra cui rileviamo in modo particolare i nomi di J. ScHMID, Das Evangelium nach Matthiius, 2 8 2 ; R. ScHNACKENBURG, Die Vol­ kommenheit des Christen nach den Evangelien, in Geist und Leben 32 ( 1 95 9) 420-433 (428s.) Die Vol/kommenheit des Christen nach Matthiius, in Chriuliche Existenz nach dem Neuen Testament. Abhandlungen und Vortriige, l, Monaco, 1 967, 1 3 1 - 1 5 5 (1 47149) La perfeclion du chrétien d'après Mallhieu, in L' existence chrétienne selon le Nouveau Testament, l, Bruges, 1971, 1 27- q o (142-144) ; w . TRILLING, Das wahre Israel. Studien zur Theologie des Matthiiusevangelium (Erfurter theol. Studien 7), Lipsia, 1 9 59, 1 65s. 3 ed. (SANT X), Monaco, 1 964, 1 92s. ; P. BENOIT, L' Evangile selon saint Matthieu (La Saint Bible ... de Jérusalem), 3 ed., Parigi, 1 9 6 1 , 1 2 3 ; G. BoRNKAMM, Enderwartung und Kir­ che, 2 3 8 (26s.) ; G. BART H, a. c., 89-96 ; A. SuHL, Die Funktion der alttestamentlichen Zitale unti Anspielungen im Markusevange­ lium, Giitersloh, 1 96 5 , 78. Segnaliamo anche E. NEUHAUSLER, o. c., 1 7 3- 1 8 5 (soprattutto 1 76, n. 2 5 ) ; E. YARNOLD, TéÀeLo>. Nel contesto delle beatitudini l'invito ad operare in favore della pace 93 trova la sua collocazione naturale nel prolungamento della beatitudine dei misericordiosi e rappresenta una forma concreta di questa miseri­ cordia. Le persone divise da una contesa sono persone

•• A questa posizione essenziale attribuita al precetto del­ l'amore del prossimo si accosta talvolta il modo in cui Gc �.8 si esprime parlando della indica il precetto di Lv I 9,18 e che la sua portata va spiegata in funzione di Rm 1 3,8-Io ; Gal 5 , I 4 : è quanto suppone per esempio J. CHAINE, L' Epitre Je saint façques EB), Parigi, 1 9 2.7, 50. Tuttavia non sembra che questa esegesi sia accetta­ bile : Gc 2.,8 non identifica affatto la > con la > di Lv 19,I8 e il v I O mostra che essa include l'in­ sieme dei comandamenti. Cf i commenti della epistola, in parti­ colare quelli di M. Dibelius-H. Greeven, H. Windisch-H. Preisker, F. Mussner, nonché W. GuTBROT, nell'art. v611oc; , TWNT IV (I94:z.) Io74 •• Questo richiamo viene presentato sotto una luce molto concreta, in funzione di situazioni in cui l ' evangelista vede posti i suoi lettori. Non c'è bisogno di sottolineare che questo medesimo realismo invita a interpretare oggi tale richiamo in funzione della situazione reale creata da un mondo divenutn piccolo, dove ciascuno diventa solidale con gli avvenimenti ch (v 3). Riconosciamo le promesse dell'alleanza : « Stabilirò la mia dimora nel vostro mezzo, io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo » (Lv z6,1 1 - 1 2) : « Concluderò con essi una alleanza di pace ; questa sarà una alleanza eterna con essi. Li stabilirò, li moltiplicherò ; stabilirò il mio santuario nel loro mezzo per sempre. Porrò la mia dimora al di sopra di loro e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo » (Ez 3 7,z6-z7). Altre promesse vengono evocate nel v 4 : « Egli asciugherà ogni lacrima dai tuoi occhl ; non vi sarà più morte, 117 La tradizione manoscritta non è unanime. La lezione al singolare occupa naturalmente il primo posto : essa è imposta dalla formula tradizionale e insieme dal senso della espressione

(non si concepisce l'esistenza di più popoli di Dio, dal momento che vi è un solo Dio). La formula è stata alterata dall'autore dell'Apocalisse o da un copista posteriore? Non è compito no­ stro dirimere la questione, dal momento che non ha voluto farlo neppure B. M. METZGER, A Tex/110/ Commenlary on the Greele Ne111 Testamenl, Londra-New York, 1971, 765 .

GLI ARTEPICI DI PACE

1 037

né lutto, né gemiti, né dolore, poiché le prime cose sono scomparse » 11s. Poi Dio stesso prende la parola (v 5 ) e dichiara: « Tale sarà l'eredità del vincitore, e io sarò il suo Dio ed egli sarà il mio figlio >> (v 7). Questa curiosa for­ mula riprende due promesse tradizionali : > 119 e quella che concerne in modo speciale il discendente di Da­ vide : >. Sotto una forma o sotto l'altra, si tratta sempre della realizzazione della promessa annessa alla alleanza conclusa da Dio con il suo po­ polo. Prima di ritornare al vangelo, non possiamo pas­ sare sotto silenzio un testo, che si muove in una dim Cf soprattutto Is 25,8. Abbiamo citato Lv 26,1 2 e Ez 37,27. Rileviamo ancora Es 6,7 ; Dt 29, 1 2 ; Ger 24,7 ; 3 1 ,3 3 ; 32 , 3 8 ; Ez 1 1 ,20; 3 4,3 o; 36,z 8 ; Zc 8,8. L'idea appare già in Gn 1 7,7-8 (P). 111

1 038

GLI ARTEFICI DI PACE

versa prospettiva. Ecli 4, 1 - I o inculca la condotta soc­ correvole che conviene adottare nei confronti di tutti quelli che sono nel bisogno. Ecco l'ultimo versetto secondo il greco : « Sii come un padre per gli orfani e come un marito per la loro madre e sarai come un figlio dell'Altissimo, ed egli ti amerà più di tua ma­ dre »». La finale è più vigorosa nell'ebraico : « e Dio ti chiamerà (suo) figlio, ti farà misericordia e ti salverà dalla fossa »». II nipote di Ben Sira ha senza dubbio trovato troppo ardita la formula del nonno e ne ha dato una traduzione piuttosto pallida. Infatti Ben Sira esprime in maniera chiara la promessa che Mat­ teo formula in una costruzione passiva, che ha il vantaggio di e.:heggiare l'oracolo di Osea. La promessa di Ecli 4, 1 o si colloca nella prospet­ tiva delle retribuzioni temporali e il suo punto di vista è quindi molto diverso da quello delle beatitu­ dini. Ma questa differenza non deve impedire di rico­ noscervi un'altra applicazione della promessa del­ l'alleanza. È interessante notare che tanto qui come in Matteo, e contrariamente al Libro dei Giubilei, l'adempimento della promessa non è legato alla os­ serva.nza dei comandamenti, bensì a pratiche di mise­ ricordia 120 : Dio darà il nome di �� figli » a coloro che si saranno dimostrati caritatevoli nei riguardi dei di­ seredati. Altrettanto interessante è il modo in cui Ben Sira esplicita i vantaggi derivanti . dal fatto di portare il nome di « figli di Dio »» : Dio dà prova di misericordia verso coloro che chiama suoi figli e 110

A proposito di Beli 4, 1 0 C. SPICQ osserva : >. Una formulazione del genere avrebbe pre­ sentato due inconvenienti principali : avrebbe ripetuto mecca­ nicamente il procedimento messo in atto nella beatitudine dei misericordiosi, che otterranno misericordia ; inoltre avrebbe utiliZzato l'idea di pace in due sensi completamente diversi, poiché è chiaro che la pace di cui uno spera di godere ne.! mondo futuro non assomiglia alla concordia che deve sforzarsi di sta­ bilire attorno a sé.

GLI ARTEFICI DI PACE

1 041

Il versetto fa parte della trattazione dell'amore dei nemici. Sappiamo già che il passo è stato rielaborato tanto da Luca che da Matteo. Vediamo anzitutto quanto scrive Luca : « Amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperar niente ; allora la vostra ricom­ pensa sarà grande e voi sarete figli dell'Altissimo, che è buono con gli ingrati e con i cattivi » (6,3 5 ). L'e­ spressione « sarete figli dell'Altissimo », �cre:cr6e: utot u\ji((J"!"OU 123, è diSCUSSa : bisogna forse intenderla nel senso che i cristiani saranno veramente figli di Dio, solo se con la loro condotta verso il prossimo imi­ teranno la misericordia del Padre celeste? 124 O non 111 Da accostare a Ecli 4, 10 LXX : « .. . e tu sarai come un figlio dell'Altissimo 11. m In favore di questa esegesi si invoca talvolta il senso del passo parallelo di Matteo : si tratta di un argomento ispirato da un concor.dismo superato e che noi possiamo trascurare. Un argomento più serio viene desunto dallo stretto rapporto che unirebbe i termini del v � �, « voi sarete figli dell'Altissimo 11, alla raccomandazione del v � 6 : « Mostratevi compassionevoli, come è compassionevole il Padre vostro 11. Cf questo argomento, per esempio, in TH. ZAHN, Das Evangelium des Luleas (Komm. zum NT, III), Lipsia, 1 91 3, 293s. ; H.-J. DEGENHAR.DT, Lukas ­ EvangelisJ der Armen, Stoccarda, 1 96 � , � � s. Tale considerazione è tuttavia discutibile. Anzitutto perché i termini « e voi sarete figli dell'Altissimo 11 sono chiaramente collegati alla promessa che li precede immediatamente, mentre il testo non stabilisce alcun rapporto diretto tra di essi e il v �6. Inoltre non sembra prudente stabilire un legame troppo stretto tra il v � 6 e la trattazione precedente. Abbiamo parlato del v 36 (p. 9 8 1 ) come d i una transizione tra 27-35 e ns. Non vi è in effetti una­ nimità tra coloro che sostengono una divisione del discorso : c'è chi colloca la cesura tra il v 3 6 e il v 37, e chi la colloca tra il v 3 � e il v 36. Sulla presente questione, cf A. George, Le di�&ipline fraterne/ et efliçaçe (Lç 6,J9-4J ) , in Huitième dimançhe ordinaire (AssS• 39), Parigi, 1 972, 68-77 (69, n. 6). George prende posizione in favore della seconda spiegazione, (( perché i v v 2 7-3 � di Luca sono nettamente uniti dalla ripetizione del v 27 nel v 3 5 , perché il v 36 non è collegato al v 3� (Mt � ,48 lo lega al suo v 47 con oùv) e perché il v 37 è legato al v 36 da un x«l (assente in Mt 7,1) 11.

1 042

TRE NUOVE BEATITUDINI

bisogna piuttosto pensare che, secondo questo ver­ setto, l'imitazione della bontà di Dio vedrà realizzata la promessa di una grande ricompensa, che consisterà precisamente nell'essere figli di Dio nel mondo fu­ turo? 125 In altri termini : La filiazione divina è forse un dato di fatto acquisito fin d'ora dai cristiani, che devono semplicemente essere quel che sono, oppure rimane oggetto di una promessa escatologica? Sa­ rebbe senza dubbio imprudente cercare di rispondere a questa domanda senza prima conoscere il lavoro redazionale di cui questo versetto è stato fatto og­ getto 128, e risalire così, nella misura del possibile, al modo in cui il testo era formulato nella fonte utiliz­ zata dall'evangelista. Qui la versione di Luca non ci interessa direttamente e basta perciò aver notato la questione che essa pone : la spiegazione secondo la quale Luca o la sua fonte parlano di una filiazione di­ vina riservata al mondo futuro merita di essere presa in considerazione. Passiamo a Mt � .44-4� : « Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano, affinché di­ veniate i figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli ·fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa m È l'interpretazione abituale. Cf in particolare i commenti di H. J . Holtzmann, E. Klostermann, J. Scbmid ; secondo il commento di F. Hauck tale sarebbe in ogni caso il senso del testo anteriore a Luca ; H. Schti.rmann dà anzitutto una inter­ pretazione in senso escatologico, poi parla di una anticipazione della filiazione divina nella esistenza presente. Il senso escato­ logico viene sostenuto anche da E. ScHWEIZER, TWNT VIII, 3 9 3 ; W. G. KuEM M EL Man in the New Tutamenl, Londra, 1 963, 3 � ; R. ScHNACKENBURG, Le Message mora/ du NoutJeau Teslamenl, Le Puy-Lyon, 1963, 1 4 �-1 4 7; Christliche Existenz nach dem NT, I, 144 L'exislence chrétienne selon le NT, I, 1 3 9 ; A. ScHULZ, Nachjolgen und Nachahmen, 2 3 0 ; H.-TH. WREGE, Die Ueberlieferungsgeschichte der Bergpredigt, 86. 128 Nel vol. I, 279 abbiamo attribuito alla redazione la composizione del v 3 4 e della transizione che costituisce la prima parte del v .3 s . ,

=

GLI ARTEFICI DI PACE

1 043

piovere sui giusti e sugli ingiusti ». Matteo conferma : all'inizio del v 45 riconosciamo la sua mano nella congiunzione finale omll ç, 4· I > Conclusione 2. La çonJizione dei riuhi e qt141/a dei poveri . 1 . I vantaggi della ricchezza 2. La gioia del pasto . •

6o 62 62 64 68 68 70 7I 71 76

INDICE GENERALE

1 1 38

� . D 0111 sono i rùchi? . 1. Il punto di vista di Luca

83

2. 3.

Il ricco notabile e il ricco Zaccheo In casa di un fariseo . . . . . . 4· La parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro Conclusione

§ III. COLORO CHE PIANGONO I . Co/oro che ridono 1 . Nuovo Testamento 2 . Antico Testamento Conclusione 2.. Co/oro che piangono . 1. Vocabolario di Luca z. Significato dei pianti �. Pianti escatologici

B

COLORO CHE RIDONO

81 87 90 9I 98

99 IoI IOI IO� I01 I o6 Io6 II3

II1

§ IV. l reielli e gli elogiati I . l ma/tra/lamenti I . Quattro termini . 2. Il contesto immediato � . Gli Atti degli Apostoli z. Le parole adulatorie . . . I . Rapp orto all'ultima beatitudine 2.. L'educazione greca di Luca .

1 20

CONCLUSIONE

I48

I 2.2. I 22 12.6 I29 I 32 IH IH

CAPITOLO II IL

PRESENTE E L'AVVENIRE

§ l. (( ORA )) I . Insistenza sul momento presente . . I . La seconda e la terza beatitudine 2. La prima beatitudine e il primo vae . �· L'ultima beatitudine 4· L'ultimo vae Conclusione 2. Il punto di vista di Luca 1 . Due direzioni 2.. Il testo di Luca �· Uno slittamento . . . 4· Una certa concezione dell'esistenza cristiana Conclusione •

I 1Z

I53

I53 I53 I11 q6 q6

1 57

I 57 I 6o r 6o 162. r66

INDICE GENERALE

1 1 39

§ Il. LA SORTE NELL' ALDILA'

1 . Durantt la tua vita hai ricevuto la tua parte di beni z. Un tesoro indefetlibile nei cieli I . La storia del ricco stolto . . . . 2. La parabola dell'amministratore avveduto

3 · E' piaciuto al Padre vostro di dare a voi il regno I , Le I Z,32 2. At I4,22 3· At 20, 3 2 4· Le 2 I , I 9 � · Le 20, 3 8 6. Le I 2, I - I 2 4· Oggi sarai con 1111 in Paradiso I. La promessa al buon ladro ne 2. La sorte di Giuda . � . Il punto di vista di Luca I. Un giudizio particolare? . z. Uno « stato intermedio >>? CoNCLUSIONE CAPITOLO

I 70 I73 I73 I8I I 88 I88 I 92 I 9� I 99 20I 204 206 206 2IO 2I2 2I 5 220 226

III

IL PROBLEMA DELLA RICCHEZZA § l. IL RICCO NOTABILE E IL RICCO PUBBLICANO

I . Il ricco notabile (Le 18,18-jo) 1. Il contesto . . . . 2. Struttura della pericope . 3 . Qualche ritocco-di dettaglio 4· La seconda sezione della pericope

236 236 236 238 239 244

2. Il ricco pubblicano ( Lc 19,1-ro) 1. Il contesto . . . 2. La storia di Zaccheo

247 247 248

§ Il. L'UOMO RICCO E IL POVERO LAZZARO

25 1 2� 2 255 2. � 9 267 268 276

Il contesto 1 . I vv 14- 1 8 2 . I v v 9-I 3 2. La parabola . I.

1 . La prima parte . 2. La seconda parte

INDICE GENERALE

1 1 40

§ III. LA PARABOLA DEL RICCO STOLTO I . Il tonlesto . 2. La parabola

284 284 z8�

NoTA COMPLEMENTAilE SUL MAGNII'ICAT I . &pporto del � JJ ton il siiiJ &onleslo 2. L'intervento divino nei vv J r-JJ

288 Z9I 294

§ IV. LA SVENTURA DEI lliCCHI . I . Tesori della le"a e tesori del tielo z. Distribuire i propri beni ai poveri 3 . Dio o mammona CONCLUSIONE DELLA PARTE PRIMA

PAilTE SECONDA LA VERSIONE DI MATTEO

CAPITOLO IV

LA GIUSTIZIA CRISTIANA § l. L_A GIUSTIZIA DI GIOVANNI E QUELLA DI GESU' I . La 11ia della giuslitia 1. Il contesto . 2. Confronto con Luca . 3· Una espressione tradizionale 4· La giustizia di Giovanni . a. Adempiere ogni giuslitia I . Il contesto . . . 2. Interpretazioni . 3 · La giustizia che bisogna adempiere CONCLUSIONE

3 26 3 z6 3 27 HO H� 340 346 346 3 �6 368 3 77

§ II. LA GIUSTIZIA CHE IMMETTE NEL llEGNO I . Una giustizia più abbondante I. I termini . . . 2. Il contesto immediato 3· La finale del discorso 4· Condizione per entrare

379 380 3 Bo 384 389 397

.



INDICE GENERALE

2. Vera e falra giutli'!(,ia . 1 . Il testo . 2. Il seguito immediato 3. Il rimprovero di ipocrisia 4· La ricompensa . .

CONCLUSIONE

§ III. CERCARE IL REGNO E LA GIUSTIZIA 1 . Mt 6,JJ nel 1110 conterto 1 . Mt 6, 1 9-34 . . 2. Redazione del v H . z. Cercare il regno di Dio . 1 . L'inquietudine 2. Il regno 3· La ricerca 3· Cercare la giurti'!(,ia di Dio 1 . Il complemento determinativo 2. Giustizia e regno 3 . La finale del versetto 4· La ricerca . 5 . La giustizia di Dio CoNCLUSIONE

1 1 41

402 402 406 41 2 417 420 42I 42I 421 424 431 432 440 443 447 45 1 459 462 465 472 474

CAPITOLO v

LE BEATITUDINI DELLA GIUSTIZIA § l. L'ESORDIO DEL DISCORSO DELLA MONTAGNA 1 . L'ordinamento de/11 b1alitudini I . Divisione per quattro 2. Divisione per tre . 3· Il punto di vista genetico Conclusione 2. Le beatitudini e l'insieme del dircorro I . Un contrasto . 2. Una continuità . 3· Il sale della terra e la luce del mondo . . 1 . I vv 1 3-16 . 2. Rapporto con il contesto

477 478 480 485 487 490 491 492 494 497 497 509

§ Il. l PERSEGUITATI A CAUSA DELLA GIUSTIZIA 1 . La per!ICU'!(,ione . . . 1. Il senso del verbo . 2. L'uso del verbo da parte di Matteo

513 513 513 51S

.

.

INDICE GENERALE

1 1 42 a.

Fa!Je accuse . Il vocabolario a. La preoccupazione . . . 3 . Il punto di vista di Matteo . 1.

3 · La giustizia, a causa della quak uno soffre

L'espressione . . . a. La prima lettera di Pietro 3. La tradizione giudaica 4· Il contesto immediato 1.

CONCLUSIONE: IL PUNTO DI VISTA DI MATTEO § III. COLORO CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA

Stato della questione I La prima interpretazione 2. La seconda interpretazione 3 . La terza interpretazione . Il cammino da seguire .

x.

Aver fame e sete di giustizia La trasposizione . 2. La metafora . . . 3 · Gli addentellati biblici 1.

2.

Saranno saziati Saziati di giustizia 2. Saziati di felicità .

I.

3 · Il Plinio di vista dell'evangelista 1.

2.

Nelle beatitudini . . . . Nel seguito del discorso della montagna

CoNCLUSIONE 1 . Il vocabolario 2.

.

. . La preoccupazione parenetica

CAPITOLO VI I POVERI IN SPIRITO § l. IN SPIRITO I . Espressioni analoghe I . La Bibbia greca a.

In ebraico .

.

.

.

3 · Gli 'anwéy rliah di Qumran

p .o

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H8 1 44 �48 ��O S S4 S S4 ��� ��8 �62 no S 7I S 7I n� �82 �88 '89 �9I �9� �97 ' 98

6oo 6oo 6oi

INDICE GENERALE

z. Espreuioni equivalenti I . Il termine « cuore 11 z. Il termine « anima 11 . Conclusione 3 · Il problema I . Dal punto d i vista grammaticale z. Il senso del complemento 3 · La trasposizione richiesta

1 1 43

6I 3 6I 3 6I 5 6I6 6I6 616 618 6z3

CONCLUSIONE

6z6 6z6 64 5 655

§ III. PovERTA' E sPIRITo

657

1 . La testimonianza di Luca z. Il senso tk//'espreuiofl4 .

65 1 66z

§ IV . l PARIA DEL GIUDAISMO E LA LORO PSICOLOGIA

673 675 67 5 677 678 681 68I 684 686 694 70Z 702 705

§ Il. INTERPRETAZIONE DELLA CHIESA ANTICA

. . 1. L'umiltà . z. Distacco dalla ricchezza

Il popolo del paese . . . . 1. La Bibbia . z. La fine del periodo giudaico 3· Il vangelo . I . I poveri in spirito e il popolo del pam I . Johannes Weiss . z. Pau! Billerbeck . 3· Altri autori . z. Coloro che sono coscienti della loro indigenza spirituale . . VALUTAZIONE 1. Storia e catechesi . z. Psicologia e filologia § V. LA POVERTA' IN SPIRITO

. . I. Il distacco interiore . I . Una interpretazione accettabile z. I sostenitori di questa esegesi Riflessioni . z. L'umiltà . I . Gli esegeti recenti . z. L'apporto di Qurnran . 3 · Il punto di vista di Matteo CoNCLUSIONE

708 708 709 7I 1 7I6 7I8 7zo 7z6 73z 737

1 1 44

INDICE GENERALE

CAPITOLO VII l MITI E GLI AFFLITTI § I. EREDITERANNO LA TERRA

1 . A/&une qutstioni . 1 .