La Somma Teologica. Prima parte [Vol. 1] 9788870948516

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La Somma Teologica. Prima parte [Vol. 1]
 9788870948516

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TOMMASO

o'

AQ!)INO

LA SOMMA TEOLOGICA PRIMA PARTE

Testo latino dell'Edizione Leonina Traduzione italiana a cura dci Frati Domenicani Introduzioni di Giuseppe Barzaghi

EDIZIONI STUDIO DOMENICANO

Titolo originale: Summa Theologiae, Prima Pars. Testo latino: dell'Edizione Leonina, pubblicato in 35 volumi da ESD a partire dal

1984, e integralmente rivisto.

Traduzione italiana: curata da Tito Sante Centi, Roberto Coggi, Giuseppe Barzaghi, Giorgio Carbone.

Piano dell'Opera: vol. l , Prima Parte vol.

2, Seconda Parte, Prima Sezione

vol.

3, Seconda Parte, Seconda Sezione

vol.

4, Terza Parte e Supplemento

Il testo latino può essere scaricato liberamente da www.edizionistudiodomenicano.it, dalla pagina dedicata a quest'opera. La traduzione italiana è consultabile dalla stessa pagina, che consente la ricerca per parola.

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1 08,20 1 22 Milano, [email protected]

L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze.

s Presentazione Fin da quando pubblicammo la traduzione italiana di Jean-Pierre Torrell, Amico della verità. Vita e opere di Tommaso d'Aquino, avevamo annunciato una nuova edizione della Somma teologica. Era il 2006. Subito da più parti iniziarono a manifestarsi segni di interessamento a questa nuova impresa. Dopo anni di attesa c lavoro, quasi costretti, abbiamo rotto gli indugi. Adesso pos­ siamo presentare con gioia e soddisfazione una nuova edizione in quattro agili volumi. n testo latino è quello messo a punto dalla Commissione Leonina. In particolare ci siamo serviti del testo latino pubblicato nella nostra edizione in 35 volumi. In esso abbiamo inserito tra parentesi quadre i riferimenti agli Autori che Tommaso cita direttamente o, talvolta, indirettamente, control­ landoli c intcgrandoli, tenendo conto delle edizioni critiche, ovc possibile. Per tali citazioni abbia­ mo usato abbreviazioni e sigle, la cui esplicitazione si trova nelle pagine che seguono. Inoltre, se nella risposta a un'obiezione Tommaso cita il brano di un'opera, già citato nell'obiezione a cui sta rispondendo, abbiamo evitato di riprodurre la fonte: il lettore la troverà nell'obiezione iniziale. Per i libri biblici si tenga presente che i riferimenti numerici dei versetti erano assenti nel testo di Tomma'>o, e che sono stati introdotti dalle edizioni a stampa successive al XVI secolo. Infine, ricor­ diamo che la suddivisione e quindi la numerazione di alcuni libri di Aristotele, come la Metafisica e la Fisica, sono cambiate rispetto a quelle usate da Tommaso. La tr'àduzione italiana deriva principalmente dalla prima edizione in lingua italiana curata tra il 1950 e il 1974 in modo prevalente da Tito Sante Centi O. P., pubblicata inizialmente a Firenze da

Salani, e poi continuamente ripubblicata a Bologna dalla nostra Ca'>a editrice. Deriva poi anche da una revisione curata nel 1996 da Roberto Coggi O. P., e pubblicata nella nostra edizione in 6 volumi solo in lingua italiana. Rispetto a queste due traduzioni, l'intervento di curatela di Giuseppe Barzaghi O. P. e Giorgio Carbone O. P. ha apportato alcune innovazioni. L'l prima consiste nella ver­ sione stessa: non è una nuova tmduzione, ma semplicemente una revisione delle tmduzioni prece­ denti, revisione che talvolta ha comportato il rifacimento della traduzione mirando a migliorare la comprensione del testo di Tommaso. La seconda novità consiste nell'aver reso in fom1a interrogati­ va diretta i titoli di tutti gli articoli, poiché il genere lcttemrio della Somma teologica richiama quello della questione disputata. L'l terza è la traduzione letterale dei brani biblici citati da Tommaso: non abbiamo fatto ricorso alle due traduzioni CEI, ma abbiamo tenuto semplicemente conto della Bibbia latina della versione Vulgata, che Tomma'io cita alla lettera o a memoria, integralmente o con allusioni riportando solo l'inizio di un brano, secondo la versione parigina o quelle che circola­ vano nella nostra penisola dopo la metà del XIII secolo. L'l quarta consiste nell'aver riportato solo nel testo latino e tra parentesi quadre i riferimenti alle opere bibliche, filosofiche e patristiche citate da san Tommaso. Tale scelta è stata motivata dalla volontà di aiutare il lettore a frequentare il testo latino e dalla necessità di non rendere troppo lungo il testo in lingua italiana. T utto il testo latino e parte della traduzione italiana saranno anche disponibili sul sito: www.edizionistudiodomenicano.it

Questa nuova edizione non avrebbe visto la luce senza l'aiuto disinteressato e generoso di alcu­ ne carissime persone. Perciò con soddisfazione e riconoscenza ringraziamo Maria Marconi, Luciana Felici, Alfonso Carbone, Guido Balestrero, Rosalba Bamcco, Bruno Viglino, Antonia Salzano e Andrea Acutis. Giorgio Carbone O. P.

6 Abbreviazioni e sigle a.: articolo

De hebd.: De hebdornadibus, Boezio

Act.: actio, atto di un concilio o sinodo

De horn. op.: De hominis opificio, Gregorio di Nissa

Act.: Atti degli apostoli

De interpr.: De interpretatione, detto anche

Am:Amos Angel. Hier.: vedi DCH Ap: Apocalisse di Giovanni Apoc.: Apocalisse di Giovanni

Perihermenias, Aristotele De inv.: De inventione oratoria, detto anche Rhetorica, Cicerone De lib. arb.: De libero arbitrio, Agostino

At: Atti degli apostoli

De nat. horn.: De natura hominis, Nernesio

C. G.: Summa contra Gentiles, Tomrnaso d'Aquino

Dc part. an.: De partibus anirnaliurn, Aristotele

Cant.: Cantico dei Cantici

Dc praedest.: De praedestinatione sanctorum, Agostino

Cat.: Categorie, dette anche Praedicamenta, Aristotele

De princ.: Peri Archon, detto anche Dc principiis,

Cent.: Centiloquiurn, Tolorneo co.: corpus/corpore, corpo dell'articolo

Origene De sacr.: De sacrarnentis, Ugo di San Vittore

Col.: Lettera ai Colossesi

De Trin.: De Trinitate, autori: Dario, Agostino, Boezio

Conf.: Confessiones, Agostino

De util.: De utilitate credendi, Agostino

Contra adv.: Contra adversariurn legis et prophetarurn, Agostino

Dc ver.: De veritate, Anselmo De vera rei.: De vera religione, Agostino

Contra ep. Man.: Contra epistolam Manichaei, Agostino

DEH: De ecclesia-;tica hierarchia, Dionigi

Contra lui.: Contra Iulianurn, Agostino

Deut.: Deuteronomio

Contra Max.: Contra Maximinum Haereticum, Agostino

Dial. q.: Dialogus quaestionurn LXV, Agostino(?)

l 2 Cor.: Lettere ai Corinzi

Dialog.: Libri Dialogorurn, Gregorio

Ct: Cantico dei Cantici

Dn: Daniele

Dan.: Daniele

Dt: Deuteronomio

DCH: De caelesti hierarchia, Dionigi

Eb: Lettera agli Ebrei

DDN: De divinis nominibus, Dionigi

Ecci. Hier.: vedi DEH

De an., De anima, Aristotele o Averroè

Eccle.: Ecclesiaste o Qoèlet

De bapt. parvul.: De peccatorurn rneritis et remissione et de baptisrno parvulomrn, Agostino De cael. hier.: vedi DCH

Eccli.: Ecclesiastico o Siracide Ef: Lettera agli Etesini Ench.: Enchiridion, Agostino

De caelo: De caelo et rnundo, Aristotele

Ep.: Epistola

De casu diab.: De casu diaboli, Anselmo

Eph.: Lettera agli Efesini

De civ. Dei: De civitate Dei, Agostino

Es: Esodo

De consid.: De consideratione, Bernardo

Esd: Esdra

De consol.: De consolatione philosophiae, Boezio

Esdr.: Esdra

Dc corr.: De correptione et gratia, Agostino

Est: Ester

De d. nat.: De duabus naturis, Boezio

Ethic.: Etica a Nicornaco, Aristotele

De div.: De divinatione, Cicerone Marco Tullio

Etyrnol.: Etyrnologiae, lsidoro

De div. dae.: De divinatione daernonurn, Agostino

Ex.: Esodo

De div. nom.: vedi DDN

Ez.: Ezechiele

Dc div. quaest.: De diversis quaestionibus, Agostino

Fil: Lettera ai Filippesi

De divinat.: De divinatione per sornnurn, Aristotele

Fons V.: Fons Vitae, Avicebron

De doctr. chr.: De doctrina christiana, Agostino

Gal.: Lettera ai Galati

De ecci. dogmat.: De ecclesiasticis dogmatibus,

Gb: Giobbe

Gennadio De fide: De fide orthodoxa, Giovanni Damasceno Dc Gen. c. Man.: De Genesi contra Manichaeos, Agostino

Gc: Lettera di Giacomo Gd: Lettera di Giuda Gen.: Genesi Ger: Geremia

De gener.: De generatione et corruptione, Aristotele

Gl: Gioele

De generat. an.: De generatione anirnaliurn, Aristotele

Glos. int.: Glossa interlineare

De gratia et lib. arb.: De gratia et libero arbitrio, Bernardo

Glos. ord.: Glossa ordinaria

7 Gv: Vangelo secondo Giovanni l 2 Gv: Lettere di Giovanni

Perplex.: Dux sive Doctor perplexorum, Mosè Maimonide

Hebr.: Lettera agli Ebrei

l 2 Petr.: Lettere di Pietro

Hex.: Hexameron, Ambrogio o Beda

Phil.: Lettera ai Filippesi

Iac.: Lettera di Giacomo

Phys.: Physica, Aristotele

Ier.: Geremia

Poi.: Politica, Aristotele

In l Sent.: Super primos libros Sententiarum, Tommaso d'Aquino In B. De Trin.: In Boetium De Trinitate, Tommaso d'Aquino In De div. nom.: In De divinis nominibus, Tommaso d'Aquino

Post.: Analytica Posteriora, Aristotele Pr: Proverbi Praed.: Praedicamenta, dette anche Categoriae, Aristotele Prov.: Proverbi Ps.: Salmi

In Ev. h.: In Evangelium homiliae, Gregorio Magno

l 2 Pt: Lettere di Pietro

In Gen. h.: In Genesim homiliae, Giovanni Crisostomo

q.: questione

In Gen.: In Pentateucum, Super Genesim, Beda

Qo: Qoèlet o Ecclesiaste

4 Re)

In Hex. h.: In Hexameron homiliae, Basilio

l 2 Re: Libri dei Re (Vg: 3

In Ioan. tract.: In Ioannis evangelium tractatus,

Retract.: Retractationum, Agostino

Agostino In Som. S.: In Somnum Scipionis, Macrobio

Rm: Lettera ai Romani Rom.: Lettera ai Romani

Ioan.: Vangelo secondo Giovanni

S. Th.: Summa Theologiae, Tommaso d'Aquino

l 2 Ioan.: Lettere di Giovanni

Sal: Salmi

lob: Giobbe

l 2 Sam: Libri di Samuele (Vg:

ls.: Isaia

Sap.: Sapienza

l.: lectio, lezione

Sed c.: sed contra

Lam: Lamentazioni

Sent.: Sententiarum Libri, Pietro Lombardo, detto

Le: Vangelo secondo Luca Lev.: Levitico Lib.

2 1 : Viginti unius sententiarum Liber, Agostino

Lib. 24 Philos.: Liber viginti quatuor Philosophi, Pseudo Ermete Trismegisto

l

2 Re)

il Maestro Senten.: Sententiarum Libri tres, Isidoro Sir: Siracide o Ecclesiastico Soli!.: Soliloquiorum Libri, Agostino Suff.: Sufficentia, Avicenna

Luc.: Vangelo secondo Luca

Super Gen.: Super Genesim ad litteram, Agostino

Lv: Levitico

Symb.: Symbolo, Atanasio

LXX: Bibbia versione greca dei Settanta

2 Maccabei 2 Mach.: l 2 Maccabei

l 2 Mac: l l

Tb:Tobia Theol. Reg.:Theologicae Regulae, Alano ab lnsulis l 2 Thess.: Lettere ai Tessalonicesi

Malach.: Malachia

Thren.: Lamentazioni

Mare.: Vangelo secondo Marco

Tit.: Lettera a Tito

Matth.: Vangelo secondo Matteo

l 2 Tm: Lettere a Timoteo

Mc: Vangelo secondo Marco

Tob.:Tobia

Met.:Metaphysica, Aristotele

Top.:Topica, Aristotele

Meteor.:Meteorologica, Aristotele

l 2 Ts: Lettere ai Tessalonicesi

Mi:Michea

Tt: Lettera a Tito

Ml: Malachia

Vg: Vulgata, versione latina della Bibbia

Mon.: Monologium, Anselmo

Zach.: Zaccaria

Mor.: Moralia in Iob, Gregorio Magno

Zc: Zaccaria

M t: Vangelo secondo Matteo Nm:Numeri Num.: Numeri Octoginta trium Q.: De diversis quaestionibus LXX­

XIll, Agostino

Os.: Osea Perih.: Perihermenias sive De interpretatione, Aristotele

9

Introduzione alla Somma Teologica Il metodo La Somma Teologica è un testo composto con finalità pedagogica. I suoi destinatari non sono gli studiosi ma gli studenti: anzi i novizi nello studio della sacra dottrina. E, come si sa, tre sono le cose che contano per un insegnamento efficace: la sistematicità, la chiarezza e la brevità. li sistema è lo stare insieme: da syn, cioè "insieme", e istemi, cioè "stare". Si tratta di una com­ plessità stabile. L a sistematicità è sintomo e condizione della comprensione: comprendere è appun­ to un prendere insieme, perché le cose sono collegate tra loro. D'altra parte, il saper mostrare i col­ legamenti� le cose è segno dell'intelligenza che se ne ha e il metodo più adeguato per comunicar­ la agli altri. E l'eredità platonica l. Il gusto di seguire le linee che disegnano l'intero e il tutto, perché questo dà letizia all'intelligenza. I filosofi la chiamano dialettica: la capacità di intendere l'intero e il tutto2. Non un semplice e noioso catalogo, ma un'architettura intelligente, cioè di visioni com­ plessive per le quali ogni idea è in un'altra3. La dialettica insegna a vedere come una cosa sia inclu­ sa in un'altra. Anzi, come tutte le cose siano in certo modo incluse in ciascuna cosa. Un dire attra­ verso, un vedere attraverso e un far vedere attraverso. Se dico uomo, come specie, attraverso ci vedo il regno animale a cui appartiene; la parola terra (humus) dalla quale deriva come nome; la ragione che ne è il carattere essenziale. Ma anche ogni altra cosa, perché l'uomo, per essere uomo, non può essere non-uomo: deve cioè includere in sé l'esclusione dell'altro da sé. E quindi l'intero universo, poiché non-uomo è qualsiasi cosa altro dall'uomo. La brevità è perciò indispensabile. Solo nel discorso breve si trova la capacità di connessione e di controllo tra le idee. La brevità è l'anima della sistematicità. Del resto, è esperienza comune. Quando si fa uno schema non si usano tante parole, ma il minimo indispensabile: niente di più e niente di meno. E il tutto risulta efficacissimo perché riesce a presentare il massimo nel minimo, facendo del minimo l'ospite nobile del massimo. Ed è però il massimo che, autocelebrandosi nel minimo, lo eleva alla propria dignità: «Labia doctoris sunt favus distillans quando brevibus et paucis verbis multa et magna insinuant», dice san Tommaso commentando la lettera agli Efesini (c. 3, lectio 1). La chiarezza, infine, è il riflesso nell'anima dell'ordine sistematico ben congegnato. Dunque, la sistematicità è un'essenziale ed armonica chiarezza. La vera sistematicità potta con sé il gusto del bello, giacché ne condivide il carattere formale: integrità, armonia o debita proporzione e chiarezza. Integritas, debita proportio et claritas sono le tre condizioni del bello secondo Tommaso. Sono il segreto di ciò che chiamiamo bello4. L'esperienza del bello si trova nel chiaro riconoscimento di un'integrità armoniosa. Non è superfluo richiamare il fatto che lo studio è certamente più agevole se avvolto nell'esperienza della bellezza. E la bellezza è anche I' oggetto principale della contemplazione. Non c'è propriamente un passo teoretico di Tommaso che non sia collocato in un ambiente contemplativo. n che avviene attraverso la citazione di brani scritturistici o dei Padri. Ma soprattutto occorre rilevare la portata visiva di

l

«[Socrate] Io sono innamorato di queste cose, delle suddivisioni e delle ramificazioni, per essere in grado di parlare e di pensare. E se ritengo che qualcun altro sia capace per sua natura di abbracciare l'unità che è naturalmente nel molteplice, lo seguo, "tenendo dietro alla sua traccia, come quella di un dio". E ancora quelli capaci di fare ciò­ dio sa se dico bene o male -li chiamo dialettici», PLATONE, Fedro 266 b-e. 2 «Chi è capace di una visione generale è dialettico, e chi nonio è, no», PLATONE, Repubblica VII,537 c. Questa è appunto la capacità di contemplare «l'intero e il tutto», ibid. VI,486 a. 3 La procedura dialettica è duplice: di sintesi (synagogé) e di analisi (diairesis). Synagogé è «abbracciare in uno sguardo d'insieme e riconduiTe ad un'unica fonna ciò che è molteplice e disseminato affinché, definendo ciascun aspetto, si attinga chiareZ7.a intorno a ciò di cui si intenda ogni volta insegnare»; diairesis è la «capacità di smem­ brare l'oggetto in specie, seguendo le nervature naturali, guardandosi dal lacerare alcuna parte come potrebbe fare un cattivo macellaio», PLATONE, Fedro 256 d-c. 4 Cf. S. Th. 1,39,8; 1,4, 1 ; 1,73,1; In De div. nom. IV,I.S.

IO

questa contemplazione: il suo saper ricorrere alle immagini. E anche questo è importantissimo per lo studio. La stessa memoria non può che trovarne giovamento, giacché, come criteri della memorizza­ zione, san Tommaso propone questi suggerimenti: l'associazione fantasiosa (conversio ad phanta­ smata), l'ordine logico (e psicologico), la passione e il gusto, la riflessione ripetitiva o meditazione. Occorre associare i concetti astratti a immagini o similitudini sensibili appropriate, ma anche insolite, perché le nozioni spirituali si dimenticano più facilmente di quelle sensibili; e, d'altra parte, ciò che è inconsueto desta maggior meraviglia e si imprime maggimmente nell'animo. E anche indispensabile disporre in buon ordine ciò che si vuole memorizzare, così che la concate­ nazione delle idee faciliti la sequenza della reminiscenza, che abbisogna di un principio5. Occorre poi avere o suscitare passione e interesse neli'assimilare la materia così disposta. Infine, la frequen­ te meditazione o ripetizione meditativa della stessa materia è un esercizio che appartiene al bene dell'anima prima ancora che alla efficacia della memoria. Le immagini sono importantissime nel sistema di Tommaso. Non tanto importanti da essere quasi costitutive della stessa indagine teoretica: nelle cose divine l'immaginazione va del tutto esclusa6. Ma perché rappresentano la sua capacità di esemplificazione e la sua abilità nella costru­ zione di analogie, oppure - visto che il più delle volte le mutua da altri - il riconoscimento della bellezza ed efficacia rappresentativa che esse hanno. L'immagine del volo come significativa della dinamica spirituale dell'anima razionale nel suo moto conoscitivo è altamente istruttiva. Tommaso la mutua da Riccardo di San Vittore e ne fa uso trattando della contemplazione?. Ma è da Dionigi Pseudo Areopagita che san Tommaso ricava le immagini geometriche del moto rettilineo, circolare ed elicoidale per descrivere il medesimo pro­ cesso conoscitivo. Tre sono i tipi di moto che significano le funzioni del contemplare e che vengono rappresentati con l'immagine del volo. Quello circolare, cioè il moto uniforme intorno ad un unico centro, come gli uccelli che volano sospesi nel medesimo punto; ed è quello proprio della contemplazione. n moto rettilineo è quello che va da un punto a un altro, come gli uccelli che volano dall'alto in basso (discorso dal tutto alla parte o dal genere alla specie), o da destra a sinistra (discorso per opposizioni),

5 La memoria vive d'ordine e di schemi come la dialettica e la retorica. Tanto è vero che la Topica aristotelica di ordine dialettico deriva dai

loci dell'arte mnemonica. E in effetti, tra meccanismo memorativo e meccanismo dia­

lettico topico esiste una perfetta analogia di proporzionalità: come per la memoria, alla semplice menzione dei luoghi scatta la reminiscenza, così nel ragionamento dialettico, alla menzione dei quadri argomentativi o luoghi comuni scattano le argomentazioni. «Come la persistenza nella facoltà mnemonica dei soli riferimenti spaziali ci fa d'un tratto ricordare gli oggetti stessi che vi erano contenuti, così le suddette conoscenze [i

topoi]

favoriranno la

capacità di argomentare, dato che sarà possibile in tal caso di passare in rassegna un numero limitato di proposi­

(ARISTOTELE, Topica VIII,l4,163 b 27-31). Evidentemente i luoghi mnemonici, come quelli dialettici, non case/Imi o anche da suggerimento. Servono per inquadrare tma sequenzia/ità. La logica aiuta la memoria e la memoria aiuta la logica. Entrambe si fondano sull'ordine, cioè sulla concatenazione. La legge della connessione può esprimere formalmente: I) una necessità logica, e così dalla

zioni»

contengono tutto un discorso, ma fungono come da

conoscenza- per es.- di ciò che è l'uomo si è portati necessariamente a pensare l'animale; oppure 2) una consue­ tudine, per la quale il secondo movimento o atto dell'anima segue il primo non per stretta necessità, ma nella maggior parte dei casi

(ut in pluribus),

come-per es.-dopo la comunione si è soliti fare il ringraziamento.

Materialmente, la legge della connessione può fondarsi o prendere l'avvio

I) secondo il tempo: per es., cerchiamo 2)

di ricordare ciò che abbiamo fatto quattro giorni fa, partendo da ciò che ricordiamo di aver fatto ieri; oppure

secondo una cosa conosciuta. In questo caso si dà un triplice modo di associazione: a) per somiglianza, come al ricordo di Socrate ci sovviene la figura altrettanto sapiente di Platone; b) per opposizione, come quando colleghia­ mo il personaggio di Ettore al personaggio di Achille; c) per prossimità, sia sociale, sia spaziale, come anche tem­ porale: così, per es., ricordando il padre si affaccia alla memoria anche il figlio. Cf. 6 Cf. In B.

7 Cf. S.

De Trin. 3,6,2. Th. 11-11,180,6, ad 3.

In de mem. et rem. 1.5.

11

o avanti e indietro (discorso dalla causa agli effetti). n moto elicoidale è il moto uniforme ma con il procedere verso cose diverse, come gli uccelli che roteano in giri ampi e ristretti (discorso sugli acciflenti più o meno propri di una cosa). E proprio della ratio il movimento discorsivo del pensiero che segue alla considerazione del­ l' ordine. Questa discorsività razionale non è altro che il moto argomentativo, cioè l'atto del ragio­ nare (ratiocinatio) o il processo per il quale il pensiero passa da una cosa a un'altra o da una nozione a un'altra, dando origine al sillogismo o argomentaziones. Il movimento razionale si svi­ luppa secondo due vie: quella di invenzione o composizione (via inventionis vel compositionis) e quella di giudizio o di risoluzione (via iudicii seu resolutionis)9. La via di invenzione, che dà ori­ gine al processo discorsivo partendo dalla intelligenza dei primi principi e proiettando la ricerca alla scoperta delnovum, si caratterizza per il metodo sintetico. Dal semplice si passa al comples­ so: dalla causa all'effetto (es. dall'essenza si passa alle proprietà; dall'aseità di Dio alla partecipa­ zione del mondo), dalla nozione più universale a quella più particolare (es. dal genere alla spe­ cie). L a via di risoluzione, che conclude il processo discorsivo con l'intelligenza dei primi princi­ pi, alla luce dei quali esamina, valuta e controlla le scoperte fatte, si caratterizza per il metodo analitico. Dal complesso si passa al semplice: dall'effetto alla causa (es. dalla proprietà all'essen­ za; dal mondo a Dio), dalla nozione più particolare a quella più universale (es. dalla specie al genere, ai trascendentali)IO. L'immagine del moto, dicevo, è mutuata da Dionigi, e commentata da Tommaso esponendo il De divinis nominibus. In questo caso, il moto circolare rappresenta addirittura la modalità teoretica­ mente più alta dell'attività razionale. n moto circolare si trova in essa quando essa si rivolge a se stessa o rientra in se stessa per rac­ cogliersi in modo uniforme. Discorrendo dall'effetto alla causa, o da simile a simile, o da contrario a contrario risolve tutto nei primi principi: questi sono sempre uniformi e la loro considerazione genera uniformità (circularis convolutio). E così essa conosce ciò che ha in se stessa. Ma il moto circolare appartiene all'anima anche quando si eleva allo studio delle virtù angeliche; e da ultimo quru:,tdo si eleva fino a Dio stesso. E connaturale all'anima razionale giungere alla conoscenza ricevendo le informazioni dalle cose, che sono molteplici e diverse. Perciò, il suo moto circolare non si trova in questo movimento recettivo, quanto piuttosto nel fatto che essa si allontana da quelle cose. Il che avviene prima di tutto nella riflessione su se stessa o nella conversione a se stessa. Il moto circolare si ha appunto quando l'anima rientra in se stessa, dove converge (convolut(o) nell'unità, conformandosi all'uno (unifmmitas) si concentra secondo le sue energie intellettive. E la concentrazione che guida l'ener­ gia dell'anima per evitare l'errore. Quando infatti l'anima discorre passando da una cosa a un'altra, come dall'effetto alla causa, o da una cosa simile all'altra, oppure da un contrario all'altro, ragiona in modi diversi. Tuttavia ciascuno di questi ragionamenti viene giudicato per risoluzione nei primi principi, rispetto ai quali non è possibile cadere in errore. Essi rappresentano la difesa dell'anima. Questi primi principi, infatti, sono conosciuti con una semplice intellezione e non con un discorso: è proprio la loro considerazione che, per la caratteristica di uniformità, cioè conformità, all'uno, viene detta concentrazione o riflessione circolare (circularis convolutio). Ora, il primo passo di questa concentrazione è il raccoglimento dell'anima in se stessa, per conoscere ciò che essa ha in

8 Cf. S. Th. 1-11,9, l ad 2; In l Post. pro!.; In Peri Hem1. pro!. 9 «Est autem duplex via procedendi ad cognitionem veritatis. Una quidem per modum resolutionis, secundum

quam procedimus a compositis ad simplicia, et a toto ad partem, sicut dicitur in primo physicorum, quod confusa sunt prius nobis nota. Et in hac via perficitur cognitio veritatis, quando pervenitur ad singulas partes distincte cognoscendas. Alia est via compositionis, per quam procedimus a simplicibus ad composita, qua perficitur cognitio veritatis cum pervenitur ad totum. Sic igitur hoc ipsum, quod homo non potest in rebus perfecte totum et partem cognoscere, ostendit difficultatem considerandae veritatis secundum utramque viam>>, TOMMASO o'AQUINO,/n2 Metaph. l . l n. 6. IO Cf. S. Th. 1,79,8 e 9; In B. De Trin. 2,2, 1 ad 3; In l Post.ll.I e 35; De Ver. 15,1.

12 se stessa in ordine alla conoscenza, e l'ultimo è la considerazione del Bello e del Bene che è Dio, l'assoluta unità e identità al di sopra di tutte le cose I I . n moto obliquo, invece, si trova nell'anima quando essa riceve illuminazioni divine (uniformi) in modo differente, secondo la sua natura discorsiva. Infine, il moto rettilineo si trova quando l'anima non entra in se stessa ma si rivolge alle molte­ plici cose che la circondano e attraverso di esse si eleva a quelle semplici e unite. D'altra parte, il moto circolare tocca in modo qualificante l'anima razionale, perché anche nel conoscere la verità delle cose, cioè nell'inquadrare le essenze delle cose, la ragione segue in qualche modo un movimento circolare. Non cogliendo immediatamente l'essenza delle cose, procede verso di essa attraverso le proprietà e gli effetti che la circoscrivono. Così, a partire dalle proprietà e dagli effetti rintraccia l'essenza come causa e dalla causa giudica poi quegli effetti e proprietà. Perciò l'anima razio­ nale sviluppa il proprio discorso in modo circolare, andando dall'uno all'uno attraverso il molteplicei2. Possiamo ricondurre queste tre prospettive alle tre modalità che segnano i nostri diversi gradi di salita cosciente a Dio, distinti da Riccardo di San Vittore (De gratia contemplationis I, 6): la cogi­ tatio, la meditatio e la contemplatio. La cogitatio segna l'ambito conoscitivo della sensibilità-razio­ nalità; la meditatio è l'ambito della razionalità pura; la contemplatio è l'ambiente della razionalità che �upera se stessa. E possibile collegare puntualmente queste tre modalità e rispettivi plessi a tre immagini di moto presenti nella riflessione di Dionigi13: il moto rettilineo, quello obliquo e il moto circolare. Seguendo il linguaggio di Dionigi, la contemplazione si sviluppa secondo un moto circolarel4. Tommaso interpreta questa immagine dicendo che il moto locale circolare, nella sua uniformità rispetto ad un medesimo centro, rappresenta adeguatamente il moto spirituale contemplativo al suo vertice, in ragione della sua invariabile uniformità nella considerazione dell'oggetto divinols. Questo livello formale della pura contemplatio corrisponde poi ai due ultimi gradi (5° e 6°) del pro­ cesso per il quale si realizza la nostra ascesa dalle creature alla considerazione di Dio, secondo il pensiero di Riccardo di San Vittorel6. Entrambi trascendono la ragione discorsiva, situandosi nella tipica dinamica intellettiva. Il quinto grado è sopra la ragione, ma non oltre la ragione (supra ratio­ nem), e consiste nella considerazione del puro intelligibile, non raggiungibile attraverso le realtà sensibili, ma comunque comprensibile con la ragione stessa. Il sesto grado si situa sopra la ragione e oltre la ragione (supra rationem et praeter rationem) e consiste nella considerazione di ciò che è tanto trascendente da non essere raggiungibile né comprensibile con la ragionel7. In modo dispositivo concorrono alla contemplazione la cogitatio e la meditatio. La cogitatio consiste in una specie di collegamento, operato dalla cogitativa, tra i dati sensibili, o anche nel discorso della ragione che ricerca le cause a partire dai loro segni o effetti. Essa dunque ha una funzione dispositiva remota rispetto all'atto formale della pura contemplazione. Nel lin­ guaggio di Dionigi, questo tipo di operazione conoscitiva si sviluppa secondo il moto rettilineois proprio perché passa da un punto ad un altro, dal sensibile all'intelligibile. La sua intrinseca artico­ lazione prevede due passaggi, secondo lo schema proposto da Riccardo di San Vittore19: si tratta dei due primi gradi dell'ascesa contemplativa. n primo grado si sviluppa nell'immaginazione e secondo l'immaginazione (secundum solam imaginationem), come semplice percezione delle realtà sensibili. n secondo grado si sviluppa nell'immaginazione secondo la ragione (in imaginatio-

Il C f. In De div. nom. 4, l. 7. 12 Cf. In div. nom. 7, L 2. 13 DION IG I, De div. nom. 4,8 (I Talenti 6,198). 14 Cf. In De div. nom. 4,7. 15 Cf. S. 111. 11-11,180,6, ad 2. 16 Cf. De grafia contemplationis 1,6 (PL 196,70). 17 Cf. S. 77z. II-II, t 80,4, ad 3. ts Cf. S.Th. ll-ll,180,6, ad 2. 19 Cf. De gralia contemplationis loc. cit.; S. Th.ll-II,180,4, ad 3.

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ne secundum rationem), come vero passaggio dal sensibile all'intelligibile, attraverso la rilevazione dell'ordine o delle relazioni che intercorrono tra i dati sensibili20. La meditatio è il vero e proprio processo discorsivo della ragione che, a partire da alcuni princi­ pi, giunge alla contemplazione di qualche verità21. Essa dispone perciò in modo primario alla con­ templazione pura. Tommaso - sempre seguendo la terminologia metaforica di Dionigi - descrive questo tipo di processo conoscitivo assimilandolo al moto elicoidale o obliquo. Questo moto com­ porta una certa unifonnità (circolare) e una cetta processualità (rettilineo). La ragione passa certa­ mente da un contenuto all'altro, ma conservando una uniformità. Volendo descrivere in modo più dettagliato questo concetto, si potrebbe dire che, da un punto di vista naturale, l'uniformità è data dalla stabilità universale del contenuto razionale, mentre la pro­ cessualità è determinata dal tipico dinamismo razionale. In questo senso la meditazione coincide con la speculazione filosofica, in generale, e metafisica, in particolare. Essa si eleva secondo una duplice gradualità (terzo e quarto grado della sequenza di Riccardo di San V ittore). Ad un primo livello (terzo grado) ci si situa nella ragione secondo l'immaginazione (in ratione secundum imaginationem), il che significa che la considerazione dell'universale intelligibile, colto dalla ragione stessa, diviene principio di giudizio sulla realtà di partenza. In un secondo livello (quarto grado), invece, ci si situa nella ragione secondo la ragione (in ratione secundum ratione), quando la nostra considerazione verte sui semplici contenuti intelligibili nei loro intrinseci collegamenti22. Da un punto di vista soprannaturale, la meditazione mantiene il duplice livello del giudizio sul sensibile a partire dall'intelligibile, e del discorso sui contenuti intelligibili puri. Tuttavia assume due movenze diverse. Se il discorso razionale è di ordine causale, cioè argomentativo, allora abbia­ mo la riflessione teologica. Se il processo discorsivo si sviluppa solo per semplice successione con­ tenutistica, a modo di associazione di idee, allora abbiamo la meditazione in senso stretto. L'uniformità consiste nella centralità stabile dei contenuti soprannaturali rivelati, che fungono da perno dello sviluppo razionale secondo le due movenze descritte23. A modo di conseguenza appartiene accidentalmente alla contemplazione l'ammirazione della grandezza di Dio24. L'ammirazione è una specie di timore che fa seguito alla percezione di ciò che eccede le nostre capacità: si sospende il giudizio per il timore di sbagliare25. Anche in questo caso si può osservare come la dinamica della contemplazione abbia il suo tennine nella stessa affettività dalla quale prende l'esordio26. La teologia

La teologia è il modo con il quale ci si arrende criticamente alla contemplazione. Questo non vuoi dire che non ci sia contemplazione senza teologia. Anzi, è proprio vero il contrario: non c'è teologia senza contemplazione. La teologia, nel suo statuto epistemico più rigido - e cioè nella sua natura di scienza-, non può costituirsi che in un ambiente contemplativo. La contemplazione, infatti, è il dato vitale della fede teologale, e senza fede teologale non si può dare la scienza teologica. li quadro epistemologico, che Tommaso adotta per strutturare l'argomentare teologico, è desun­ to dalla dottrina atistotelica contenuta nei Secondi Analitici. La distinzione tra scienze prime (cioè autonome e indipendenti quanto ai principi propri) e scienze subalteme (cioè eteronome quanto ai principi propri) serve all'Aquinate per attribuire alla teologia la qualifica di scienza in senso rigoro­ so, seppur analogico. 20 Cf. In l Ethic. l. l . 2 1 Cf. S. Th. II-II,l80,3, ad l . 22 Cf. S. Th. II-II,180,4, ob. 3 e a d 3. 23 Cf. S. Th. 11-11,180,6, ad 2. 24 Cf. S. Th. 11-11,180,3, ad 3. 25 Cf. S. Th. 11-11,41,4, ad 5. 2 6 Cf. S. Th.II-11,180,1.

14 Come l'astronomia è scienza subaltema alla matematica, perché desume dalle conclusioni di questa i propri principi, per applicarli analogicamente ai dati fisici, così la teologia è scienza in quanto subaltema alla conoscenza che Dio ha di se stesso e di tutto in sé. E come l'astronomo crede alle conclusioni del matematico per procedere nella propria argomentazione, così il teologo crede i principi rivelati da Dio: come i principi del matematico sono evidenti al matematico, ma creduti dall'astronomo; così i principi del teologo sono evidenti a Dio e ai beati, ma sono creduti dal teologo27. La fede media tra due scienze; e la scienza subaltema è fondata proprio in questa particolare condizione. Ma la particolare caratteristica della teologia è data dal fatto che essa pos­ siede un'assoluta continuità con la scienza che Dio ha di se stesso. In questo modo la teologia è in certo modo una «quaedam impressio divinae scientiae»2 8. Con maggior precisione si deve dire che la teologia è una scienza quasi-subaltema. In questo caso, infatti, si dà semplicemente subaltemanza di principi, ma non di oggetto: quest'ultimo resta per­ fettamente identico a quello della scienza di Dio, senza subire quelle modifiche accidentali che invece caratterizzano l'oggetto della scienza subaltema (come nel caso esemplificato della astronomia, che applica i criteri matematici alle realtà fisiche). Per questo la teologia è una scienza divina: principal­ mente perché il suo stesso modo epistemico è tale; implica strutturalmente la fede teologale. Ma la contemplazione divina, come ambiente fondativo e imprescindibile, si accompagna, nella teologia come scienza, alla speculazione razionale. E in modo altrettanto strutturale. In questo senso, la teologia come scienza vive della mediazione razionale: non solo quanto alla modalità procedurale, ma anche quanto al contenuto. La premessa maggiore del sillogismo teologico è un principio filosofi­ co o una conclusione filosofica. Per questo non c'è teologia senza filosofia. Come non si dà una con­ clusione argomentativa senza due premesse, così, se una premessa dell'argomentazione teologica è di carattere filosofico, non si può dare conclusione teologica (cioè scienza teologica) senza filosofia. Certo occorre togliersi dalla testa che la teologia sia un semplice catalogo di definizioni, oppure un riassunto di documenti, o una trascrizione pedissequa di qualche autore classico. Questa è la lezione più profonda che si trova nella teoresi tomista. Lezione che è messa in risalto anche dalla enciclica Fides et Ratio (73; 77). La teologia, come comprensione razionale della fede teologale, vive di filosofia. Per questo motivo, il dipmtimento di teologia sistematica tiene fetmo l'impegno ad un inquadramento stretta­ mente speculativo, soprattutto nel suo versante logico e metafisico. Ma questo non esclude, anzi, implica il confronto con il pensiero moderno e contemporaneo. E include l'indagine di carattere esegetico di inquadramento delle fonti scritturistiche e dell'ambiente storico in cui i termini pren­ dono consistenza e humus culturale. È sempre la prospettiva di Tommaso che lo esige. Questo livello o funzione della razionalità filosofico-culturale viene descritto da san Tommaso come notificazione analogica dei misteri della fede29. Questa notificazione può essere realizzata anche attraverso i concetti o le immagini culturali usualmente comuni ad un detenninato ambiente, purché presentino, pur nella loro sem­ plice opinabilità e non incontrovertibile fondazione, una certa plausibilità cioè non siano erronea­ mente deleteri. Tommaso addita come esempio ciò che fa Agostino nel De Trinitate, quando usa le dottrine filosofiche del suo tempo per chiarire analogicamente il mistero della Santissima Trinità. Questa mediazione rappresenta il tipico processo dell'inculturazione, cioè dell'introduzione della fede in una cultura, e dell'acculturazione, cioè dell'uso di certi contenuti culturali per un arricchi­ mento situazionale della comprensione della fede. Oltre a questo ruolo intrinsecamente mediazionale, esiste anche una funzione introduttiva (preambolare) e una apologetica della ragione filosofica nei confronti della fede. Pur non essendo costitutive del fare teologia, queste due funzioni sono tuttavia significative del modo di intendere la visione generale della mentalità tomista.

, , 23 , . 27 Cf. S. Th. 11 28 ToMMAso n'AQUINO, S. Th. 1,1,3, ad2. 29 Cf. In B. De Trin. prol. 2,3.

15 Anzitutto, è di estrema importanza il confronto dialettico, perché la verità si decanta con rigore dal cimento delle diverse opinioni: «Ad sciendum veritatem multum valet videre rationes contraria­ rum opinionum»3o. La verità teoretica, infatti, esige uno statuto di incontrovertibilità, cioè di esclu­ sione di una alternativa plausibile: «De ratione scientiae est quod id quod scitur existimetur esse impossibile aliter se habere»3I. n che implica, almeno tendenzialmente, la negazione della propria negazione: «Nullo enim modo melius quam contradicentibus resistendo aperitur veritas et falsitas confutatur>>32. Ma Tommaso riconosce anche un aspetto più positivo nel confronto con posizioni dottrinali dialetticamente contrastanti: «Nulla falsa doctrina est quae vera falsis non admisceat»33. Questa apertura per così dire dialogica della mentalità realista non è però fine a se stessa; il termine di rife­ rimento ultimo del dialogo rimane sempre la verità: «Non enim pertinet ad perfectionem intellectus mei quid tu velis vel quid tu intelligas cognoscere, sed solum quid rei veritas habeat»34. E questo è dovuto alla particolare fisionomia del sapere filosofico che accompagna sempre il modo di procedere di TommaNE 7 L'INFINITA DI DIO

Post considerationem divinae perfectionis, considerandum est de eius infinitate, et de existentia eius in rebus [q. 8], attribuitur enim Deo quod sit ubique et in omnibus rebus, inquantum est incircumscriptibilis et infinitus. Circa primum quaeruntur quatuor. Primo, utrum Deus sit infinitus. Secundo, utrum aliquid praeter ipsum sit infinitum secundum essentiam. Tertio, utrum aliquid possit esse infinitum secundum magnitudinem. Quarto, utrum possit esse infinitum in rebus secun­ dum multitudinem.

Dopo aver esaminato la perfezione di Dio dobbiamo considerare la sua infinità e la sua presenza nelle cose, poiché si attribuisce a Dio di essere ovunque e in tutte le cose in quanto è illimitato e infinito. Sul primo argo­ mento poniamo quattro quesiti: l . Dio è infi­ nito? 2. Oltre a Dio qualcosa è infinito se­ condo l'essenza? 3. Può esistere qualcosa di infinito in estensione? 4. Può esistere nella realtà una moltitudine infinita di enti?

Articulus l Utrum Deus sit infinitus

Articolo l Dio è infinito?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Deus non sit infinitus. l . Omne enim infinitum est imperfectum, quia habet rationem partis et materiae, ut dicitur in 3 Phys. [6, 1 1 ] . Sed Deus est perfectissimus. Ergo non est infinitus. 2. Praeterea, secundum philosophum in l Phys. [2, l 0], fini tum et infinitum conveniunt quantitati. Sed in Deo non est quantitas, cum non sit corpus, ut supra [q. 3 a. l ] ostensum est. Ergo non competit sibi esse infinitum. 3. Praeterea, quod ita est hic quod non alibi, est tìnitum secundum locum, ergo quod ita est hoc quod non est aliud, est finitum secun­ dum substantiam. Sed Deus est hoc, et non est aliud, non enim est lapis nec lignum. Ergo Deus non est infinitus secundum substantiam. Sed contra est quod dicit Damascenus [De fide 1 ,4], quod Deus est infinitus et aeternus

Sembra di no. Infatti: l . Ogni infinito è i mperfetto, racchiudendo l'idea di parte e di materia, come dice Aristo­ tele. Ma Dio è perfettissimo. Quindi non è infinito. 2. Secondo Aristotele finito e infinito si di­ cono della quantità. Ma in Dio non c'è quan­ tità, non essendo egli un corpo, come si è visto sopra. Quindi non gli compete l'infinità. 3 . Una cosa che è qui, così da non essere altrove, è limitata quanto al luogo: quindi an­ che ciò che è questo, così da non essere altro, è limitato quanto alla natura. Ora, Dio è que­ sta cosa e non è un'altra cosa: infatti non è pietra, né legno. Quindi Dio non è infinito nella sua essenza. In contrario: il Damasceno dice: «Dio è infi­ nito, eterno e incircoscrittibile». Risposta: tutti i filosofi più antichi, come dice Aristotele, attribuiscono l' infinità al primo principio, osservando, e con ragione, che le cose emanano senza fine da questo principio. Ma poiché alcuni sbagliano intorno alla na­ tura del primo principio, conseguentemente sbagliano anche intorno alla sua infinità. Rite­ nendo infatti che il primo principio fosse la materia, logicamente gli attribuirono un'in­ finità materiale, affermando che il primo prin­ cipio delle cose sarebbe un corpo infinito. Bisogna dunque considerare che una cosa è detta infinita perché non è finita [limitata]. Ora, in una certa maniera la materia viene a essere limitata dalla forma, e la forma dalla

et incircumscriptibilis. Respondeo dicendum quod omnes antiqui philosophi attribuunt infinitum primo princi­ pio, ut dicitur in 3 Phys. [4,2], et hoc ratio­ nabiliter, considerantes res effluere a primo principio in infinitum. Sed quia quidam erra­ verunt circa naturam primi principii, conse­ quens fuit ut errarent circa infinitatem ipsius. Quia enim ponebant primum principium ma­ teriam, consequenter attribuerunt primo prin­ cipio infinitatem materialem; dicentes aliquod corpus infinitum esse primum principium rerum. Considerandum est igitur quod infi­ nitum dicitur aliquid ex eo quod non est

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L 'infinità di Dio

Q. 7, A. l

finitum. Finitur autem quodammodo et ma­ teria per formam, et forma per materiam. Ma­ teria quidem per formam, inquantum materia, antequam recipiat formam, est in potentia ad multas formas, sed cum recipit unam, termi­ natur per illam. Forma vero finitur per mate­ riam, inquantum forma, in se considerata, communis est ad multa, sed per hoc quod recipitur in materia, fit forma determinate huius rei. Matetia autem perticitur per for­ mam per quam fin itur, et ideo i n finitum secundum quod attribuitur materiae, habet rationem imperfecti; est enim quasi materia n o n habens formam. Form a autem n o n perficitur per materiam, sed magis per eam eius amplitudo contrahitur, unde infinitum secundum quod se tenet ex parte formae non determinatae per materiam, habet rationem perfecti. Illud autem quod est maxime forma­ le omnium, est ipsum esse, ut ex supetiotibus [q. 4 a. l ad 3] patet. Cum igitur esse divinum non sit esse receptum in aliquo, sed ipse sit suum esse subsistens, ut supra [q. 3 a. 4] ostensum est; manifestum est quod ipse Deus si t infinitus et perfectus. Et per hoc patet responsio ad primum. Ad secundum dicendum quod terminus quan­ titatis est sicut forma ipsius, cuius signum est, quod figura, quae consistit in terminatione quantitatis, est quaedam forma circa quantita­ tem. Unde infinitum quod competit quantitati, est infinitum quod se tenet ex parte matetiae, et tale infinitum non attribuitur Deo, ut dictum est [in co.] . Ad tertium dicendum quod, ex hoc ipso quod esse Dei est per se subsistens non receptum in aliquo, prout dicitur infinitum, distinguitur ab omnibus aliis, et alia removentur ab eo, sicut, si esset albedo subsistens, ex hoc ipso quod non esset in alio, differret ab omni albedine existente in subiecto.

materia. La materia è limitata dalla forma in quanto la materia, prima di ricevere la forma, è in potenza a molte forme, ma dal momento che ne riceve una viene delimitata da quel­ la. La forma invece è limitata dalla materia perché la forma, in sé considerata, è comune a molte cose, ma dopo che è ricevuta nella ma­ teria diventa forma soltanto di una data cosa. Tuttavi a la materia riceve la sua perfezione dalla forma che la detetmina: perciò l' infinito attribuito alla materia racchiude l'idea di im­ perfezione, essendo come una materia senza forma. La forma invece non viene perfeziona­ ta dalla materia, ma ne riceve piuttosto la re­ strizione della sua ampiezza illimitata: quindi l'infinito che si attribuisce alla forma non deli­ mitata dalla materia comporta essenzialmente perfezione. Ora, come si è già visto, l'essere stesso, fra tutte le cose, è quanto di più forma­ le si possa trovare. Quindi, dato che l 'essere divino non è ricevuto in un soggetto, ma Dio stesso è il suo proprio essere sussistente, come si è mostrato sopra, resta provato chiaramente che Dio è infinito e perfetto. Soluzione delle difficoltà: l . Ciò vale anche come risposta alla prima difficoltà. 2. La delimitazione è per la quantità una spe­ cie di forma; e se ne ha un segno i n questo: che la figura, la quale consiste nella delimita­ zione della quantità, è una certa determina­ zione specifica neli' ordine della quantità. Quindi l'infinito che compete alla quantità è un infinito di ordine materiale, e tale infinito non viene attribuito a Dio, come si è detto. 3. Per il fatto stesso che l' essere di Dio è per sé sussistente senza altro soggetto, ottenendo così l'attributo di infinito, si distingue da tutte le altre cose, e tutte le altre cose si allontana­ no da lui : come se esistesse la bianchezza sussistente, per il solo fatto di non essere in altro differirebbe da ogni altra bianchezza esistente in un soggetto.

Articulus 2 Utrum aliquid aliud quam Deus possit esse infinitum per essentiam

Articolo 2 Qualche altra cosa oltre a Dio può essere infinita per essenza?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod aliquid aliud quam Deus possit esse infinitum per essentiam. l . Virtus enim rei proportionatur essentiae eius. Si igitur essentia Dei est infinita, oportet

Sembra di sì. Infatti: l . La potenza attiva di un essere è proporzio­ nata alla sua essenza. Se dunque l' essenza di Dio è infinita, necessariamente anche la sua potenza è infinita. Può dunque produrre un

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quod eius virtus sit infinita. Ergo potest pro­ ducere effectum infinitum, cum quantitas virtutis per effectum cognoscatur. 2. Praeterea, quidquid habet virtutem infi­ nitam, habet essentiam infinitam. Sed in­ tellectus creatus habet virtutem infinitam, apprehendit enim universale, quod se potest extendere ad infinita singularia. Ergo omnis substantia intellectualis creata est infinita. 3. Praeterea, materia prima aliud est a Deo, ut supra [q. 3 a. 8] ostensum est. Sed materia prima est infinita. Ergo aliquid aliud praeter Deum potest esse infinitum. Sed contra est quod infinitum non potest esse ex principio aliquo, ut dicitur in 3 Phys. [4,7]. Omne autem quod est praeter Deum, est ex Deo sicut ex primo principio. Ergo nihil quod est praeter Deum, potest esse infinitum. Respondeo dicendum quod aliquid praeter Deum potest esse infinitum secundum quid, sed non simpliciter. Si enim loquamur de infinito secundum quod competit materiae, manifestum est quod omne existens in actu, habet aliquam formam, et sic materia eius est terminata per formam. Sed quia materia, secundum quod est sub una forma substantia­ li, remanet in potentia ad multas formas accidentales; quod est finitum simpliciter, potest esse infinitum secundum quid, utpote lignum est finitum secundum suam formam, sed tamen est infinitum secundum quid, in­ quantum est in potentia ad figuras infinitas. Si autem loquamur de infinito secundum quod convenit formae, sic manifestum est quod illa quorum formae sunt in materia, sunt sim­ pliciter finita, et nullo modo infinita. Si autem sint aliquae formae creatae non receptae in materia, sed per se subsistentes, ut quidam de angelis opinantur, erunt quidem infinitae secundum quid, i nquantum huiusmodi formae non terminantur neque contrahuntur per aliquam materiam, sed quia forma creata sic subsistens habet esse, et non est suum esse, necesse est quod ipsum eius esse sit receptum et contractum ad determinatam naturam. Unde non potest esse infinitum simpliciter. Ad primum ergo dicendum quod hoc est contra rationem facti, quod essentia rei sit ipsum esse eius, quia esse subsistens non est esse creatum, unde contra rationem facti est, quod sit simpliciter infinitum. S icut ergo

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effetto infinito, poiché la grandezza della po­ tenza si conosce dall'effetto. 2. Tutto ciò che ha una capacità infinita ha un'essenza infinita. Ma l'intelletto creato ha una capacità infinita, poiché apprende l'uni­ versale, il quale può estendersi a un numero infinito di singolari. Quindi ogni sostanza in­ tellettuale creata è infinita. 3. La materia prima è una realtà distinta da Dio, come sopra abbiamo dimostrato. Ma la materia prima è infinita. Quindi oltre a Dio vi può essere un altro infinito. In contrario: secondo Aristotele l'infinito non può derivare da causa alcuna. Ora, tutto ciò che esiste, eccetto Dio, viene da Dio come dalla causa prima. Quindi nulla oltre a Dio può essere infinito. Risposta: oltre a Dio ci può essere qualcosa di infinito in senso relativo, ma non in senso pieno e assoluto. Se infatti parliamo dell'infi­ nità che compete alla materia, è chiaro che ogni esistente in atto ha la sua forma, e così la sua materia è determinata dalla forma. Ma dato che la materia, pur determinata da una forma sostanziale, rimane in potenza a molte altre forme accidental i , una cosa che è sostanzialmente finita può essere infinita in senso relativo: come un tronco di legno per la sua fonna sostanziale è indubbiamente finito, tuttavia è relativamente infinito in quanto è in potenza a ricevere intìnite tìgure. Se invece parliamo dell'infinità che appartiene alla for­ ma, allora è chiaro che quelle realtà le cui forme sono unite alla materia sono sostanzial­ mente finite, e in nessun modo infinite. Se poi vi sono delle forme create non unite alla mate­ ria, ma per sé sussistenti, come alcuni opinano degli angeli, saranno sì infinite in un senso relativo, dato che tali forme non sono limitate né coartate da materia alcuna, tuttavia, sicco­ me una forma creata così sussistente possiede l'essere e non è il suo essere, è necessario che il suo essere venga ricevuto e sia ristretto entro i limiti di tma detenninata natura. Quindi non può essere infinito in senso assotuto. Soluzione delle difficoltà: l . E contrario al concetto di realtà creata che la sua essenza sia il suo stesso essere, poiché l'essere sussistente non è un essere creato: perciò è contro l'idea stessa di realtà creata l'essere infinita in modo assoluto. Quindi come Dio, nonostante che abbia una potenza infinita, tuttavia non può

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Deus, licet habeat potentiam infinitam, non tamen potest facere aliquid non factum (hoc enim esset contradictoria esse simul); ita non potest facere aliquid infinitum simpliciter. Ad secundum dicendum quod hoc ipsum quod virtus intellectus extendit se quodam­ modo ad infinita, procedit ex hoc quod intel­ lectus est forma non in materia; sed vel totali­ ter separata, sicut sunt substantiae angelorum; vel ad minus potentia intellectiva, quae non est actus alicuius organi, in anima intellectiva corpori coniuncta. Ad tertium dicendum quod materia prima non existit in rerum natura per seipsam, cum non sit ens in actu, sed potentia tantum, unde magis est aliquid concreatum, quam creatum. Nihilominus tamen materia prima, etiam secundum potentiam, non est infinita simpli­ citer, sed secundum quid, quia eius potentia non se extendit nisi ad formas naturales.

creare qualcosa di increato, il che sarebbe far coesistere cose contraddittorie, così non può creare cosa alcuna che sia assolutamente infinita. 2. n fatto stesso che la capacità dell'intelletto si estenda in qualche modo all'infinito deriva da questo: che l'intelletto è una forma che non è immersa nella materia, ma o è totalmente separata, come le nature angeliche, o per lo meno è una tacoltà intellettiva che non è l'atto di un organo materiale, neIl' anima intellettiva unita al corpo. 3. La materia prima, propriamente, non esiste nella realtà per se stessa, non essendo un ente in atto, ma solo in potenza: quindi è qualcosa di concreato piuttosto che di creato. Tuttavia la materia prima, anche secondo la potenza, non è infinita in senso assoluto, ma in senso relati­ vo, in quanto la sua potenzialità non si estende che alle sole forme corporee.

Articulus 3 Utrum possit esse aliquid infinitum actu secundum magnitudinem

Articolo 3 Si può dare un infinito attuale in estensione?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod possit esse aliquid infinitum actu secundum magni­ tudinem. l . In scientiis enim mathematicis non inveni­ tur falsum, quia abstrahentium non est men­ dacium, ut dicitur in 2 Phys. [2,3]. Sed scien­ tiae mathematicae utuntur infinito secundum magnitudinem, dicit enim geometra in suis demonstrationibus, sit linea talis infinita. Ergo non est impossibile aliquid esse infinitum secundum magnitudinem. 2. Praeterea, id quod non est contra rationem alicuius, non est impossibile convenire sibi. Sed esse infinitum non est contra rationem magnitudinis, sed magis finitum et infinitum videntur esse passiones quantitatis. Ergo non est impossibile aliquam magnitudinem esse infinitam. 3. Praeterea, magnitudo divisibilis est in infi­ nitum, sic enim definitur continuum, quod est in infinitum divisibile, ut patet in 3 Phys. [ 1,1]. Sed contraria nata sunt fieri circa idem. Cum ergo divisioni opponatur additio, et di­ minutioni augmentum, videtur quod magnitu­ do possit crescere in infmitum. Ergo possibile est esse magnitudinem infinitam. 4. Praeterea, motus et tempus habent quanti-

Sembra di sì. Infatti: l . Nelle scienze matematiche non c'è falsità, poiché «l'astrazione non è una falsificazione», come dice Aristotele. Ora, le scienze matema­ tiche fanno uso dell'infinito in estensione: dice infatti il geometra nelle sue dimostrazioni: Sia tale linea infinita... Quindi non è impossibile che si dia un infinito in estensione. 2. Ciò che non è contro la natura di un oggetto non è impossibile che gli convenga. Ora, l'infinito non è contro la natura dell'estensio­ ne: anzi, finito e infinito sembrano essere denominazioni proprie della quantità. Quindi non ripugna un'estensione infinita. 3. L'estensione è divisibile all' infinito: così infatti si definisce il continuo: ciò che è divisi­ bile all'infinito, come dice Aristotele. Ora, i contrari si riferiscono a un identico soggetto. Siccome dunque alla divisione si oppone l'addizione e alla diminuzione l'aumento, pare che l'estensione, [come è divisibile all'infini­ to], così possa crescere all'infinito. Quindi è possibile un'estensione infinita. 4. Il moto e il tempo misurano la loro quantità e la loro continuità in base all'estensione per­ corsa dal moto, come dice Aristotele. Ma non è contro la natura del tempo e del moto di

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tatem et continuitatem a magnitudine super quam transit motus, ut dicitur in 4 Phys. [9,3]. Sed non est contra rationem temporis et motus quod sint infinita, cum unumquodque indivisibile signatum in tempore et motu circulari, sit principium et finis. Ergo nec contra rationem magnitudinis erit quod sit infinita. Sed contra, omne corpus superficiem habet. Sed omne corpus superticiem habens est finitum, quia superficies est terminus corporis finiti. Ergo omne corpus est tinitum. Et si­ militer potest dici de superficie et linea. Nihil est ergo infinitum secundum magnitudinem. Respondeo dicendum quod aliud est esse infinitum secundum suam essentiam, et secundum magnitudinem. Dato enim quod esset aliquod corpus infinitum secundum magnitudinem, utpote ignis vel aer, non tamen esset infinitum secundum essentiam, quia essentia sua esset terminata ad aliquam speciem per formam, et ad aliquod indi­ viduum per materiam. Et ideo, habito ex praemissis [a. 2] quod nulla creatura est infi­ n i ta secundum essentiam, adhuc restat inquirere utrum aliquid creatum sit infinitum secundum magnitudinem. Sciendum est igitur quod corpus, quod est magnitudo completa, dupliciter sumitur, scilicet mathematice, se­ cundum quod consideratur in eo sola quanti­ tas; et naturaliter, secundum quod conside­ ratur in eo materia et forma. Et de corpore quidem naturali, quod non possit esse infini­ tum in actu, manifestum est. Nam omne corpus naturale aliquam formam substan­ tialem habet determinatam, cum igitur ad formam substantialem consequantur acci­ dentia, necesse est quod ad determinatam for­ mam consequantur determinata accidentia; inter quae est quantitas. Unde omne corpus naturale habet determinatam quantitatem et in maius et in minus. Unde impossibile est aliquod corpus naturale infinitum esse. Hoc etiam ex motu patet. Quia omne corpus naturale habet aliquem motum naturalem. Corpus autem infinitum non posset habere aliquem motum naturalem, nec rectum, quia nihil movetur naturaliter motu recto, nisi cum est extra suum locum, quod cm-pori infinito accidere non posset; occuparet enim omnia loca, et sic indifferenter quilibet locus esset locus eius. Et similiter etiam neque secundum

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essere infiniti: dal momento che ogni [punto e ogni istante] indivisibile segnato nel tempo e nel moto circolare è insieme inizio e termine. Non è perciò contro la natura dell'estensione di essere infinita. In contrario: ogni corpo ha una superficie. Ma ogni corpo avente una superficie è limitato, poiché la superficie è la terminazione di un corpo finito. Quindi ogni corpo è limitato. E lo stesso si può dire della superficie e della linea. Nulla è quindi infinito in estensione. Risposta: altro è l'infinito secondo l'essenza, altro l ' infinito secondo l' estensione. Dato infatti che ci fosse un corpo infinito in esten­ sione, ad es. il fuoco o l'aria, non sarebbe tut­ tavia infinito secondo l'essenza: poiché la sua essenza sarebbe limitata a una specie dalla sua forma e a un determinato individuo dalla sua materia. Quindi una volta accertato, in base a quanto sinora premesso, che nessuna creatura è infinita secondo l 'essenza, resta ancora da indagare se qualcosa di creato possa essere infinito in estensione. Bisogna dunque sapere che il corpo, il quale è un'e­ stensione completa, [cioè a tre dimensioni], può essere preso in due significati: cioè in senso matematico, considerando in esso sol­ tanto la quantità, e in senso fisico, conside­ rando in esso la materia e la fonna. Ora, che il corpo fisico non possa essere infinito in atto è chiaro. Infatti ogni corpo naturale ha una sua forma sostanziale determinata, e siccome a ogni forma sostanziale conseguono degli accidenti, ne viene per necessità che a una forma determinata conseguano degli acciden­ ti parimenti determinati, tra i quali c'è la quantità. Donde segue che ogni corpo fisico ha una determinata quantità, estesa più o me­ no [entro certi limiti] . Perciò è impossibile che un corpo fisico sia infinito. - E ciò appare anche dal movimento. Infatti ogni corpo naturale ha un suo moto naturale; ma un cor­ po che fosse intinito non potrebbe avere al­ cun moto naturale: non il moto rettilineo, poi­ ché nulla si muove per natura in tale modo se non quando è fuori del suo luogo, e ciò non potrebbe avvenire per un corpo che fosse infi­ nito, in quanto esso occuperebbe tutti i luo­ ghi, e così ogni luogo sarebbe indifferente­ mente il suo luogo proprio. E così pure non potrebbe avere neanche il moto circolare, poiché nel moto circolare è necessario che

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motum circularem. Quia in motu circolari oportet quod una pars corporis transferatur ad locum in quo fuit alia pars; quod in corpore circulari, si ponatur infinitum, esse non pos­ set, quia duae lineae protractae a centro, quanto longius protrahuntur a centro, tanto longius distant ab invicem; si ergo corpus es­ set infinitum, in infinitum lineae distarent ab invicem, et sic una nunquam posset pervenire ad locum alterius. De corpore etiam mathe­ matico eadem ratio est. Quia si imaginemur corpus mathematicum existens actu, oportet quod imaginemur ipsum sub aliqua forma, quia nihil c.>, bensì per indicare lo

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dum ipsum rerum principium, prout in eo praeexistit vita, licet eminentiori modo quam intelligatur vel significetur. Ad tertium dicendum quod essentiam Dei in hac vita cognoscere non possumus secundum quod in se est, sed cognoscimus eam secun­ dum quod repraesentatur i n perfectionibus creaturarum. Et sic nomina a nobis imposita eam significant.

stesso principio delle cose, in quanto in esso preesiste la vita, sebbene in modo più elevato di quello che noi possiamo capire o esprimere. 3. In questa vita noi non possiamo conoscere l 'essenza di Dio come è in se stessa, ma la conosciamo nel modo in cui si trova rappre­ sentata nelle perfezioni delle creature. E così la designano i nomi da noi imposti.

Articulus 3

Articolo 3

Utrum aliquod nomen dicatur de Deo proprie

Qualche nome si dice di Dio in senso proprio?

A d tertiu m sic proceditur. Videtur quod nullum nomen dicatur de Deo proprie. l . Ornni a enim nomina quae de Deo dicimus, sunt a creaturis accepta, ut dictum est [a. 1 ] . Sed nomina creaturarum metaphorice dicun­ tur de Deo, sicut cum dicitur Deus est lapis, vel leo, vel aliquid huiusmodi. Ergo ornni a nomina dieta de Deo, dicuntur metaphorice. 2. Praeterea, nullum nomen proprie dicitur de aliquo, a quo verius removetur quam de eo praedicetur. Sed omnia huiusmodi nomina, bonus sapiens, et similia, verius removentur a Deo quam de eo praedicentur, ut patet per Dionysium, 2 cap. De cael. hier. [3]. Ergo nul­ lum istorum nominum proprie dicitur de Deo. 3. Praeterea, nomina corporum non dicuntur de Deo nisi metaphorice, cum sit incorporeus. Sed omnia huiusmodi nomina i mplican t quasdam corporales conditiones, significant enim cum tempore, et cum compositione, et cum aliis huiusmodi, quae sunt conditiones corporum. Ergo omnia huiusmodi nomina dicuntur de Deo metaphorice. Sed contra est quod dicit Ambrosius, in Lib. 2 De fide [in prol. ] , sunt quaedam nomina,

Sembra di no. Infatti : l . Tutti i nomi che diamo a Dio sono presi dalle creature, come si è detto. Ora, i nomi delle creature si dicono di Dio in senso metafo­ rico, come quando si dice che Dio è una pietra, un leone e così via. Quindi tutti i nomi che si dicono di Dio sono usati in senso metaforico. 2. Nessun nome è detto in senso proprio di colui del quale con più verità è negato anzi­ ché affermato. Ora, tutti questi nomi: buono, sapiente e simili, con più verità vanno negati piuttosto che affermati di Dio, come dimostra Dionigi. Quindi nessuno di tali nomi è detto di Dio in senso proprio. 3. I nomi dei corpi non si predicano di Dio se non metaforicamente, essendo egli incorpo­ reo. Ora, tutti questi nomi implicano delle condizioni materiali: includono infatti nel loro significato l 'idea di tempo, di composizione e di altre simili cose, che sono condizioni pro­ prie dei corpi. Quindi tutti questi nomi si pre­ dicano di Dio metaforicamente. In contrario: scrive Ambrogio: «Ci sono dei nomi che ci mostrano all' evidenza le pro­ prietà della divinità; altri che esprimono l a chiara verità della maestà divina; altri poi che si dicono di Dio in senso traslato per similitu­ dine». Non tutti i nomi, dunque, si dicono di Dio metaforicamente, ma alcuni si dicono in senso proprio. Risposta: come abbiamo già detto, noi cono­ sciamo Dio dalle perfezioni che egli comunica alle creature; perfezioni che si ritrovano in Dio i n un grado certo più eminente che nelle creature. Tuttavia il nostro intelletto le appren­ de nel modo in cui si trovano nelle creature; e, come le apprende, così le esprime con i nomi. Nei nomi dunque che attribuiamo a Dio si

quae evidenter proprietatem divinitatis osten­ dunt; et quaedam quae perspicuam divinae maiestatis exprimunt veritatem; alia vero sunt, quae translative per similitudinem de Deo dicuntur. Non igitur omnia nomina di­ cuntur de Deo metaphorice, sed aliqua di­ cuntur proprie. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 2] , Deum cognoscimus ex perfectionibus procedentibus in creaturas ab ipso; quae qui­ dem petfectiones in Deo sunt secundum emi­ nentiorem modum quam in creaturis. Intellec­ tus autem noster eo modo apprehendit eas, se-

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cundum quod sunt in creaturis, et secundum quod apprehendit, ita significar per nomina. In nominibus igitur quae Deo attribuimus, est duo considerare, scilicet, perfectiones ipsas significatas, ut bonitatem, vitam, et huiusmodi; et modum significandi. Quantum igitur ad id quod significant huiusmodi nomina, proprie competunt Deo, et magis proprie quam ipsis creaturi s , et per priu s d i c untur de e o . Quantum vero ad modum signitìcandi, non proprie dicuntur de Deo, habent enim modum significandi qui creaturis competit. Ad primum ergo dicendum quod quaedam nomina significant huiusmodi perfectiones a Deo procedentes in res creatas, hoc modo quod ipse modus imperfectus quo a creatura participatur divina perfectio, in ipso nominis significato includitur, sicut lapis significat aliquid materialiter ens, et huiusmodi nomina non possunt attribui Deo nisi metaphorice. Quaedam vero nomina significant ipsas perfec­ tiones absolute, absque hoc quod aliquis mo­ dus participandi claudatur in eorum significa­ tione, ut ens, bonum vivens, et huiusmodi, et talia proprie dicuntur de Deo. Ad secundum dicendum quod ideo huiusmo­ di nomina dicit Dionysius negari a Deo, quia id quod significatur per nomen, non convenir eo modo ei, quo nomen significar, sed excel­ lentiori modo. Unde ibidem dicit Dionysius [DCH 2,3] quod Deus est super omnem substantiarn et vitam. Ad tertium dicendum quod ista nomina quae proprie dicuntur de Deo important conditiones corporales, non in ipso significato nominis, sed quantum ad modum significandi. Ea vero quae metaphorice de Deo dicuntur, i mportant conditionem corporalem in ipso suo significato.

devono considerare due cose: le perfezioni stesse significate, come la bontà, la vita, ecc., e il modo di significarle. Riguardo dunque a ciò che tali nomi significano, essi convengono a Dio in senso proprio, e anzi più proprio che alle stesse creature, e si dicono di lui primaria­ mente. Quanto invece al modo di significare, non si dicono di Dio in senso proprio, poiché hanno un modo di significare che conviene alle creature. Soluzione delle difficoltà: l . Certi nomi espri­ mono le perfezioni comunicate da Dio alle realtà create in maniera che lo stesso modo imperfetto con cui la perfezione divina è par­ tecipata dalla creatura è incluso nello stesso significato del tennine, come ad es. la parola pietra significa qualcosa che esiste solo nella materia: e tali nomi non si possono attribuire a Dio se non metaforicamente. Altri nomi, invece, significano le stesse perfezioni in mo­ do assoluto, senza che alcun limite di parteci­ pazione sia incluso nel loro significato, come ente, buono, vivente e simili: e questi si dico­ no di Dio in senso proprio. 2. Dionigi dice che tali nomi si debbono ne­ gare di Dio precisamente per questo, perché ciò che è espresso nel nome non compete a Dio nel modo in cui il nome lo significa, ma in una maniera più sublime. Quindi Dionigi nel medesimo punto dice che Dio è al disopra di ogni sostanza e di ogni vita. 3. Questi nomi che si dicono di Dio in senso proprio comportano condizioni corporali non nello stesso significato del nome, ma quanto al modo di significare. Quelli invece che si applicano a Dio in senso metaforico impli­ cano una condizione corporea nello stesso loro significato.

Articulus 4 Utrum nomina dieta de Deo sint nomina synonyma

Articolo 4 I nomi che si attribuiscono a Dio sono sinonimi?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ista nomina dieta de Deo, sint nomina synonyma. l . Synonyma enim nomina dicuntur, quae omnino idem significant. Sed ista nomina die­ ta de Deo, omnino idem significant in Deo, quia bonitas Dei est eius essentia, et similiter sapientia. Ergo ista nomina sunt omnino synonyma. 2. Si dicatur quod ista nomina significant

Sembra di sì. Infatti: l. Si chiamano sinonimi quei termini che signi­ ficano in tutto la medesima cosa. Ora, i nomi che si dicono di Dio indicano, in tutto, la me­ desima cosa in Dio, poiché la bontà di Dio è la sua essenza, come anche la sapienza Quindi tutti questi tennini sono sinonimi. 2. A chi dicesse che questi nomi significano in realtà la stessa cosa, però con una diversità

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idem secundum rem, sed secundum rationes diversas, contra, ratio cui non respondet ali­ quid in re, est vana; si ergo istae rationes sunt multae, et res est una, videtur quod rationes istae sint vanae. 3. Praeterea, magis est unum quod est unum re et ratione, quam quod est unum re et multi­ plex ratione. Sed Deus est maxime unus. Er­ go videtur quod non sit unus re et multiplex ratione. Et sic nomina dieta de Deo non signi­ ficant rationes diversas, et ita sunt synonyma. Sed contra, omnia synonyma, sibi invicem adiuncta, nugationem adducunt, sicut si di­ catur vestis indumentum. Si igitur omnia no­ mina dieta de Deo sunt synonyma, non posset convenienter dici Deus bonus, vel aliquid huiusmodi; cum tamen scriptum sit Ier. 32

[ 1 8] , fortissime, magne, potens, Dominus exercituum nomen tibi. Respondeo dicendum quod huiusmodi nomina dieta de Deo, non sunt synonyma. Quod quidem facile esset videre, si diceremus quod huiusmodi nomina sunt inducta ad removen­ dum, vel ad designandum habitudinem causae respectu creaturarum, sic enim e..o:;sent diversae rationes horum nominum secundum diversa negata, vel secundum diversos effectus con­ notatos. Sed secundum quod dictum [a. 2] est huiusmodi nomina substantiam divinam signi­ ficare, licet imperfecte, etiam piane apparet, secundum praemissa [aa. 1 -2], quod habent rationes diversas. Ratio enim quam significar nomen, est conceptio intellectus de re signi­ ficata per nomen. Intellectus autem noster, cum cognoscat Deum ex creaturis, format ad intel­ ligendum Deum conceptiones proportionatas perfectionibus procedentibus a Deo in creatu­ ras. Quae quidem petfectiones in Deo praeexi­ stunt unite et simpliciter, in creaturis vero reci­ piuntur divise et multipliciter. Sicut igitur diversis perfectionibus creaturarum respondet unum simplex principium, repraesentatum per diversas pertectiones creaturarum varie et mul­ tipliciter; ita variis et mtùtiplicibus conceptibus i ntellectus nostri respondet unum omnino simplex, secundum huiusmodi conceptiones imperfecte intellectum. Et ideo nomina Deo attributa, licet significent unam rem, tamen, quia significant eam sub rationibus multis et diversis, non sunt synonyma. Et sic patet solutio ad primum, quia nomina synonyma dicuntur, quae significant unum se-

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di concetti, si ribatte: un concetto a cui non corrisponde qualcosa di reale è vano; se dun­ que questi concetti sono molti e la realtà è una sola, pare che tali concetti siano vani. 3. Ciò che è uno realmente e concettualmente è più uno di ciò che è uno realmente e molte­ plice concettualmente. Ora, Dio è uno al mas­ simo grado. Quindi pare che non sia uno real­ mente e molteplice concettualmente. E così i nomi detti di Dio non indicano concetti diver­ si: quindi sono sinonimi. In contrario: dei termini sinonimi uniti insie­ me non sono che un gioco di parole, come se si dicesse: «La veste è un indumento». Se dunque tutti i nomi detti di Dio sono sinoni­ mi, non si potrà più dire convenientemente Dio buono ed espressioni consimili; eppure sta scritto in Ger: Fortissimo, grande, potente,

Signore degli eserciti [celesti] è il tuo nome. Risposta: i nomi che si attribuiscono a Dio non sono sinonimi. Asserzione, questa, tacile a pro­ varsi se dicessimo che questi nomi sono stati introdotti per escludere qualcosa da Dio, o per designare il suo rapporto di causa verso le creature: perché allora sotto questi nomi vi sarebbero diverse nozioni secondo le varie realtà negate, o secondo i diversi effetti che si hanno di mira. Ma anche stando a ciò che abbiamo detto, che cioè tali nomi significano, per quanto imperfettamente, la sostanza divina, si dimostra facilmente, da quanto precede, che contengono nozioni diverse. Intatti la nozione espressa dal nome è l a concezione che l'intelletto si fa della realtà indicata dal nome. Ora, il nostro intelletto, conoscendo Dio per mezzo delle creature, per conoscere Dio forma dei concetti proporzionati alle perfezioni deri­ vanti da Dio nelle creature; le quali perfezioni in Dio preesistono certamente allo stato di uni­ tà e semplicità, ma nelle creature sono ricevute i n modo diviso e molteplice. Come dunque alle diverse perfezioni delle creature corrispon­ de un unico principio semplice, rappresentato in maniera varia e multipla dalle diverse per-fe­ zioni delle creature, così alle concezioni molte­ plici e varie del nostro intelletto corrisponde un unico oggetto assolutamente semplice, cono­ sciuto imperfettamente secondo tali concezio­ ni. E perciò i nomi attribuiti a Dio, sebbene si­ gnifichino realmente una sola cosa, tuttavia, siccome la significano attraverso concetti mol­ teplici e diversi, non sono sinonimi.

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cundum unam rationem. Quae enim signifi­ cant rationes diversas unius rei, non primo et per se unum significant, quia nomen non significat rem, nisi mediante conceptione intellectus, ut dictum est [a. 1]. Ad secundum dicendum quod rationes plures horum nominum non sunt cassae et vanae, quia omnibus eis respondet unum quid sim­ plex, per omnia huiusmodi multipliciter et im­ perfecte repraesentatum. Ad tertium dicendum quod hoc ipsum ad per­ fectam Dei unitatem pertinet, quod ea quae sunt multipliciter et divisim in aliis, in ipso sunt simpliciter et unite. Et ex hoc contingit quod est unus re et plures secundum rationem, quia intellectus noster ita multipliciter ap­ prehendit eum, sicut res multipliciter ipsum repraesentant.

Soluzione delle difficoltà: l . E così è sciolta la prima difficoltà. Infatti si chiamano sinoni­ mi i nomi che significano una sola cosa se­ condo un unico concetto. Ora, quei nomi che esprimono nozioni diverse di un'identica real­ tà non significano primariamente e diretta­ mente una medesima cosa: poiché il nome non indica la realtà se non mediante la conce­ zione dell'intelletto, come si è visto. 2. I molteplici sensi di questi termini non so­ no falsi e vani, poiché a tutti corrisponde una realtà semplice rappresentata da essi in modo vario e imperfetto. 3. Dipende dalla perfetta unità di Dio che si trovi in lui in maniera semplice e unitaria ciò che è molteplice e diviso nelle cose. Ed è per questo che egli è uno realmente e molteplice secondo i concetti che ne abbiamo: poiché il nostro intel­ letto lo apprende in molteplici modi, come in molteplici modi le cose lo rappresentano.

Articulus 5 Utrum ea quae de Deo dicuntur et creaturis, univoce dicantur de ipsis

Articolo 5 I nomi attribuiti a Dio e alle creature sono attribuiti in senso univoco?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ea quae dicuntur de Deo et creaturis, univoce de ipsis dicantur. l . Omne enim aequivocum reducitur ad univocum, sicut multa ad unum. Nam si hoc nomen canis aequivoce dicitur de }atrabili et marino, oportet quod de aliquibus univoce dicatur, scilicet de omnibus latrabilibus, aliter enim esset procedere in infinitum. Inveniuntur autem quaedam agentia univoca, quae con­ veniunt cum suis effectibus in nomine et defi­ nitione, ut homo generat hominem; quaedam vero agentia aequivoca, sicut sol causat cali­ duro, cum tamen ipse non sit calidus nisi aequivoce. Videtur igitur quod primum agens, ad quod ornnia agentia reducuntur, sit agens univocum. Et ita, quae de Deo et creaturis dicuntur, univoce praedicantur. 2. Praeterea, secundum aequivoca non atten­ ditur aliqua similitudo. Cum igitur creaturae ad Deum sit aliqua similitudo, secundum illud Gen. l [26], faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram, videtur quod aliquid univoce de Deo et creaturis dicatur. 3. Praeterea, mensura est homogenea mensu­ rato, ut dicitur in I O Met. [9, 1 , 1 3] . Sed Deus

Sembra di sì. Infatti: l . Ogni equivoco si riduce all'univoco, come il molteplice all'uno. Se infatti è vero che la paro­ la cane è applicata equivocamente all'animale che abbaia e all'animale marino, bisogna pure che di alcuni animali sia detto in senso univoco, cioè di tutti i latranti, altrimenti bisognerebbe procedere all'infinito [per trovare il significato originale]. Ora, esistono degli agenti univoci, i quali concordano con i loro effetti nel nome e nella definizione, come l'uomo [che] genera l'uomo; esistono però [anche] degli agenti equivoci, come il sole [che] causa il caldo pur non essendo esso stesso caldo se non in senso equivoco. Sembra dunque che il primo agente, al quale si riducono tutti gli altri agenti, sia un agente univoco. E così, quanto si dice di Dio e delle creature è detto in senso univoco. 2. Fra i termini equivoci non si dà somiglian­ za alcuna. Siccome dunque qualche somi­ glianza c'è tra la creatura e Dio, secondo il detto della Gen: Facciamo l 'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, sembra che qualcosa si possa affermare di Dio e delle creature univocamente. 3. La misura, secondo Aristotele, è omogenea al misurato. Ora Dio, come il medesimo af-

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est prima mensura omnium entium, ut ibidem dicitur. Ergo Deus est homogeneus creaturis. Et ita aliquid univoce de Deo et creaturis dici potest. Sed contra, quidquid praedicatur de aliquibus secundum idem nomen et non secundum eandem rationem, praedicatur de eis aequivoce. Sed nullum nomen convenit Deo secundum illam rationem, secundum quam dicitur de creatura, nam sapientia in creaturis est quali­ tas, non autem in Deo; genus autem variatum mutat rationem, cum sit pars definitionis. Et eadem ratio est in aliis. Quidquid ergo de Deo et creaturis dicitur, aequivoce dicitur. Praeterea, Deus plus distat a creaturis, quam quaecumque creaturae ab invicem. Sed propter distantiam quarundam creaturarum, contingit quod nihil univoce de eis praedicari potest; sicut de his quae non conveniunt in aliquo ge­ nere. Ergo multo minus de Deo et creaturis aliquid univoce praedicatur, sed omnia prae­ dicantur aequivoce. Respondeo dicendum quod impossibile est aliquid praedicari de Deo et creaturis univoce. Quia omnis effectus non adaequans virtutem causae agentis, recipit similitudinem agentis non secundum eandem rationem, sed defi­ cienter, ita ut quod divisim et multipliciter est in effectibus, in causa est simpliciter et eodem modo; sicut sol secundum unam virtutem, multiformes et varias formas in istis inferiori­ bus producit. Eodem modo, ut supra [a. 4] dictum est, omnes rerum perfectiones, quae sunt in rebus creatis divisim et multipliciter, in Deo praeexistunt unite. Sic igitur, cum ali­ quod nomen ad perfectionem pertinens de creatura dicitur, significat illam perfectionem ut distinctam secundum rationem definitionis ab aliis, puta cum hoc nomen sapiens de ho­ mine dicitur, significamus aliquam perfectio­ nem distinctam ab essentia hominis, et a po­ tentia et ab esse ipsius, et ab omnibus huius­ modi. Sed cum hoc nomen de Deo dicimus, non intendimus significare aliquid distinctum ab essentia vel potentia vel esse ipsius. Et sic, cum hoc nomen sapiens de homine dicitur, quodarnmodo circumscribit et comprehendit rem significatam, non autem cum dicitur de Deo, sed relinquit rem significatam ut incom­ prehensam, et excedentem nominis significa­ tionem. Unde patet quod non secundum ean­ dem rationem hoc nomen sapiens de Deo et

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ferma, è la prima misura di tutti gli esseri. Quindi Dio è omogeneo alle creature, e così si può dire qualcosa di Dio e delle creature in senso univoco. In contrario: l . Tutto ciò che si predica di più cose sotto il medesimo nome, ma non secondo lo stesso concetto, si predica di esse in senso equivoco. Ora, nessun nome è applicato a Dio secondo il medesimo concetto con cui è appli­ cato alle creature: infatti la sapienza nelle crea­ ture è una qualità, non invece in Dio nel quale è sostanza; ora, mutato il genere di una cosa, ne resta mutato anche il concetto, dal momen­ to che il genere fa parte della definizione. E la stessa ragione vale per tutte le altre cose. Qual­ siasi cosa dunque si dica di Dio e delle creatu­ re, la si dice in senso equivoco. 2. Dista più Dio dalle creature che non le creatu­ re tra loro reciprocamente. Ora, a motivo della distanza di alcune creature avviene che nulla si possa dire di esse in senso univoco, come avvie­ ne per quelle che non convengono in alcun gene­ re. Quindi molto meno si può affermare cosa alcuna in senso univoco di Dio e delle creature, ma tutto si predica di essi in senso equivoco. Risposta: è impossibile che si predichi qualco­ sa di Dio e delle creature in senso univoco. Poiché ogni effetto che non è proporzionato alla potenza della causa agente ritrae una so­ miglianza dell'agente non secondo la stessa natura, ma imperfettamente; in maniera che quanto negli effetti si trova diviso e molteplice, nella causa è semplice e uniforme: come il sole mediante un'unica energia produce nelle cose di quaggiù fonne molteplici e svariate. Allo stesso modo, come si è detto, tutte le perfezioni delle cose, che nelle creature sono fram­ mentarie e molteplici, in Dio preesistono in semplice unità. Così dunque, quando un nome che indica perfezione viene applicato a una creatura, significa quella pertezione come di­ stinta dalle altre, secondo la nozione espressa dalla definizione: per es., quando il termine sapiente lo attribuiamo ali'uomo, indichiamo una perfezione distinta dall'essenza dell'uomo, dalla sua potenza, dalla sua esistenza e da altre cose del genere. Quando invece attribuiamo questo nome a Dio, non intendiamo indicare qualcosa di distinto dalla sua essenza, dalla sua potenza e dal suo essere. Per conseguenza, se è applicato all'uomo, il tennine sapiente circo­ scrive, in qualche modo, e racchiude la qualità

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de homine dicitur. Et eadem ratio est de aliis. Unde nullum nomen univoce de Deo et crea­ turis praedicatur. Sed nec etiam pure aequivo­ ce, ut aliqui dixerunt. Quia secundum hoc, ex creaturis nihil posset cognosci de Deo, nec demonstrari; sed semper incideret fallacia aequivocationis. Et hoc est tam contra philo­ sophos, qui multa demonstrative de Deo pro­ bant, guam etiam contra apostolum dicentem, Rom. l [20], invisibilia Dei per ea quaefacta sunt, intellecta, compiciuntur. Dicendum est igitur quod huiusmodi nomina dicuntur de Deo et creaturis secundum analogiam, idest proportionem. Quod quidem dupliciter con­ tingit in nominibus, vel quia multa habent proportionem ad unum, sicut sanum dicitur de medicina et urina, inquantum utrumque habet ordinem et proportionem ad sanitatem animalis, cuius hoc quidem signum est, illud vero causa; vel ex eo quod unum habet pro­ portionem ad alterum, sicut sanum dicitur de medicina et animali, inquantum medicina est causa sanitatis quae est in animali. Et hoc mo­ do aliqua dicuntur de Deo et creaturis analo­ gice, et non aequivoce pure, neque univoce. Non enim possumus nominare Deum nisi ex creatmis, ut supra [a. l ] dictum est. Et sic, quidquid dicitur de Deo et creaturis, dicitur secundum quod est aliquis ordo creaturae ad Deum, ut ad principium et causam, in qua praeexistunt excellenter omnes rerum pertec­ tiones. Et iste modus communitatis medius est i nter puram aequivocationem et simpli­ cem un ivocationem. Neque e n i m in h i s quae analogice dicuntur, est una ratio, sicut est in univocis; nec totaliter diversa, sicut in aequivocis; sed nomen quod sic multipliciter dicitur, significat diversas proportiones ad aliquid unum; sicut sanum, de urina dictum, significat signum sanitatis animalis, de medi­ cina vero dictum, significat causam eiusdem sanitatis. Ad primum ergo dicendum quod, licet i n praedicationibus oporteat aequivoca ad univo­ ca reduci, tamen in actionibus agens non uni­ vocum ex necessitate praecedit agens univo­ cum. Agens enim non univocum est causa universalis totius speciei, ut sol est causa ge­ nerationis omnium hominum. Agens vero univocum non est causa agens universalis totius speciei (alioquin esset causa sui ipsius, cum sub specie contineatur), sed est causa

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che esprime; non così invece se è applicato a Dio: perché in tal caso lascia la perfezione indicata senza delimitazione, e nell' atto di oltrepassare il significato del nome. Quindi è chiaro che il termine sapiente si dice di Dio e dell'uomo non secondo l'identico concetto. E così è di tutti gli altri nomi. Quindi nessun nome viene attribuito in senso univoco a Dio e alle creature. Ma nemmeno in senso del tutto equi voco, come alcuni hanno affermato. Poiché in tal modo nulla si potrebbe conoscere o dimostrare intorno a Dio partendo dalle crea­ ture, ma si cadrebbe continuamente nel sofi­ sma chiamato «equivocazione». E ciò sarebbe in contrasto sia con i filosofi, i quali dimostra­ no molte cose su Dio, sia con Paolo, il quale dice in Rm che le sue pe1jezioni invisibili pos­

sono essere contemplate con l 'intelletto nelle opere da lui compiute. Si deve dunque conclu­ dere che tali termini vengono affermati di Dio e delle creature in modo analogo, cioè propor­ zionale. E ciò awiene in due maniere: o perché più termini dicono ordine a un termine unico originario e inderivato - come sano si dice della medicina e dell'orina, giacché l' una e I'altra dicono un certo ordine e un rapporto alla salute dell'animale, questa come segno, quella come causa -, oppure perché un termine pre­ senta corrispondenza o proporzione con un altro, come sano si dice della medicina e del­ I' animale in quanto la medicina è causa della salute che è nell'animale. E in questo modo alcuni nomi si dicono di Dio e delle creature analogicamente, e non in senso puramente equivoco, e neppure univoco. Infatti noi non possiamo parlare di Dio se non partendo dalle creature, come sopra si è detto. E così, qualun­ que termine si dica di Dio e delle creature, lo si dice per il rapporto che le creature hanno con Dio come al principio o alla causa in cui pree­ sistono in modo eccellente tutte le perfezioni delle cose. E questo modo di comunanza sta in mezzo tra la pura equivocità e la semplice uni­ vocità, poiché nei nomi detti per analogia non vi è una nozione unica come negli univoci, né totalmente diversa, come negli equivoci, ma il nome che analogicamente è applicato a più soggetti significa diverse proporzioni riguardo a una medesima cosa: come sano detto dell' o­ rina indica il segno della salute, mentre detto della medicina significa la causa della stessa salute.

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particularis respectu huius individui, quod in participatione speciei constituit. Causa igitur universalis totius speciei non est agens univo­ cum. Causa autem universalis est prior par­ ticulari. Hoc autem agens universale, licet non sit univocum, non tamen est omnino aequivocum, quia sic non faceret sibi simile; sed potest dici agens analogicum, sicut i n praedicationibus omnia univoca reducuntur ad unum primum, non univocum, sed analo­ gicum, quod est ens. Ad secundum dicendum quod similitudo crea­ turae ad Deum est impedecta, quia etiam nec idem secundum genus repraesentat, ut supra [q. 4 a. 3] dictum est. Ad tertium dicendum quod Deus non est mensura proportionata mensuratis. Unde non oportet quod Deus et creaturae sub uno gene­ re contineantur. Ea vero quae sunt in contrarium, concludunt quod non univoce huiusmodi nomina de Deo et creaturis praedicentur, non autem quod aequivoce.

Soluzione delle difficoltà: l . Sebbene logica­ mente sia necessario ridurre i termini equivoci a quelli univoci, tuttavia nell'ordine delle cause l'agente non univoco precede necessariamente l'agente univoco. Infatti l'agente non univoco è causa universale di tutta la specie, come il sole è causa della generazione di tutti gli uomini. L'a­ gente univoco, invece, non è la causa agente uni­ versale di tutta la specie, altrimenti sarebbe causa di se stesso, essendo contenuto sotto la specie; ma è la causa particolare rispetto a tale individuo in cui assicura la partecipazione della specie. Dunque la causa universale di nttta una specie non è un agente univoco. Ora, la causa univer­ sale è anteriore a quella particolare. - Tale agente universale tuttavia, sebbene non sia univoco, non è neppure del tutto equivoco, poiché allora non causerebbe un qualcosa di simile a sé, ma lo si può chiamare agente analogo: come in logica i vari attributi univoci si riducono a un termine primo, non univoco, ma an.:1logo, che è l'ente. 2. La somiglianza della creatura con Dio è imperfetta, poiché non lo rappresenta neppure secondo un medesimo genere, come si è già provato. 3. Dio, in quanto causa, è misura degli enti. Ma è una misura eccedente ogni loro proporzione. Per cui non è necessario che Dio e le creature siano contenute sotto un medesimo genere. Gli argomenti in contrario, da parte loro, prova­ no che i predetti nomi non vengono attribuiti a Dio e alle creature univocamente, ma non pro­ vano che vengano attribuiti equivocamente.

Articulus 6 Utrum nomina per prius dicatur de creaturis quam de Deo

Articolo 6 I nomi si dicono prima delle creature che di Dio?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod no­ mina per prius dicantur de creaturis quam de Deo. l . Secundum enim quod cognoscimus ali­ quid, secundum hoc illud nominamus; cum nomina, secundum philosophum [Perih. l ,2], sint signa intellectuum. Sed per prius cogno­ scimus creaturam quam Deum. Ergo nomina a nobis imposita, per prius conveniunt creatu­ ris quam Deo. 2. Praeterea, secundum Dionysium, in libro De div. nom. [1 ,6], Deum ex creaturis nominamus. Sed nomina a creaturis translata in Deum, per prius dicuntur de creaturis quam de Deo; sicut

Sembra di sì. Infatti: l . Noi nominiamo le cose secondo che le co­ nosciamo, essendo le parole, come dice Ari­ stotele, segni dei concetti. Ora, noi conoscia­ mo prima la creatura che Dio: quindi i nomi da noi imposti convengono prima alle creatu­ re e poi a Dio. 2. Secondo Dionigi noi nominiamo Dio dalle creature. Ma i nomi che noi dalle creature tra­ sferiamo in Dio si dicono prima delle creature che di Dio, come le parole leone, pietra e simili. Quindi tutti i nomi che vengono attri­ buiti a Dio e alle creature si dicono prima del­ le creature che di Dio.

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leo, lapis, et huiusmodi. Ergo omnia nomina quae de Deo et de creaturis dicuntur, per prius de creaturis quam de Deo dicuntur. 3. Praeterea, omnia nomina quae communiter de Deo et creaturis dicuntur, dicuntur de Deo sicut de causa omnium, ut dicit Dionysius [De mystica theologia l ,2]. Sed quod dicitur de aliquo per causam, per posterius de illo dicitur, per prius enim dicitur animai sanum quam medicina, quae est causa sanitatis. Ergo huiusmodi nomina per priu s dicuntur de creaturis quam de Deo. Sed contra est quod dicitur Eph. 3 [ 14-15],

flecto genua mea ad patrem Domini nostri Jesu, ex quo omnis patemitas in caelo et in terra nominatur. Et eadem ratio videtur de nominibus aliis quae de Deo et creaturis di­ cuntur. Ergo huiusmodi nomina per prius de Deo quam de creaturis dicuntur. Respondeo dicendum quod in omnibus nomi­ nibus quae de pluribus analogice dicuntur, ne­ cesse est quod omnia dicantur per respectum ad unum, et ideo illud unum oportet quod ponatur in definitione omnium. Et quia ratio quam significat nomen, est definitio, ut dicitur in 4 Met. [3,7,9], necesse est quod illud no­ men per prius dicatur de eo quod ponitur in definitione aliorum, et per posterius de aliis, secundum ordinem quo appropinquant ad il­ lud primum vel magis vel minus, sicut sanum quod dicitur de animali, cadit in definitione sani quod dicitur de medicina, quae dicitur sana inquantum causat sanitatem in animali; et in definitione sani quod dicitur de urina, quae dicitur sana inquantum est signum sanitatis animalis. Sic ergo omnia nomina quae meta­ phorice de Deo dicuntur, per prius de creaturis dicuntur quam de Deo, quia dieta de Deo, nihil aliud significant quam similitudines ad tales creaturas. Sicut enim ridere, dictum de prato, nihil aliud signitìcat quam quod pratum similiter se habet in decore cum floret, sicut homo cum tidet, secundum similitudinem proportionis; sic nomen leonis, dictum de Deo, nihil aliud signiticat quam quod Deus si­ militer se habet ut fortiter operetur in suis operibus, sicut leo in suis. Et sic patet quod, secundum quod dicuntur de Deo, eorum significatio definiri non potest, nisi per illud quod de creaturis dicitur. De aliis autem no­ minibus, quae non metaphorice dicuntur de Deo, esset etiam eadem ratio, si dicerentur de

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3. Al dire di Dionigi tutti i nomi che sono co­ muni a Dio e alle creature si riferiscono a Dio come alla causa di tutti gli esseri. Ora, un ter­ mine dato per ragione di causalità viene attri­ buito alla causa in secondo luogo: come sano si dice prima dell'animale e poi della medicina, che è causa della salute. Quindi tutti questi no­ mi si dicono delle creature prima che di Dio. In contrario: in Ef è detto: Io piego le ginoc­

chia davanti al Padre del Signore nostro Ge­ sù, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome. E la stessa ragione vale per tutti gli altri nomi che si dicono di Dio e delle creature. Quindi tali nomi si dicono di Dio prima che delle creature. Risposta: è necessario che tutti i nomi che si dicono di più cose per analogia si dicano in ordine a una cosa sola: quindi tale cosa deve essere posta nella definizione di tutte le altre. E poiché la nozione espressa dal nome è la de­ finizione, come dice Aristotele, bisogna che tale nome si dica primariamente di quella pri­ ma cosa che è posta nella definizione delle altre, e secondariamente delle altre, a seconda che si avvicinano più o meno alla prima: come il termine sano, che si dice dell' animale, entra nella definizione del sano detto della medici­ na, la quale è detta sana in quanto causa la sa­ lute nell'animale; come entra anche nella defi­ nizione di sano detto dell' orina, la quale è detta sana in quanto è un indice della salute dell'animale. Così, dunque, tutti i nomi che si dicono di Dio metaforicamente si dicono delle creature prima che di Dio: poiché, applicati a Dio, non significano altro che delle somiglian­ ze con tali creature. Così ridere, detto del pra­ to, non significa altro che questo: che il prato, quando si ricopre di fiori, offre un aspetto di bellezza somigliante a quello dell'uomo quan­ do sorride, secondo una somiglianza di pro­ porzione; parimenti il termine leone, applicato a Dio, vuole significare solo questo: che Dio nelle sue opere si compotta fortemente come il leone nelle sue. E così si capisce che il signi­ ficato di tali nomi non può essere definito, nella loro applicazione a Dio, se non in dipen­ denza dall' applicazione che se ne fa alle crea­ ture. Quanto invece agli altri nomi che non si applicano a Dio metaforicamente, varrebbe la stessa ragione se venissero detti di Dio soltan­ to secondo la sua causalità, come alcuni hanno sostenuto. Perché allora, col dire Dio è buono,

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Deo causaliter tantum, ut quidam posuerunt [Alanus, Theol. Reg. 2 1 .26]. Sic enim. Cum dicitur Deus est bonus, nihil aliud esset quam Deus est causa bonitatis creaturae, et sic hoc nomen bonum, dictum de Deo, clauderet in suo intellectu bonitatem creaturae. Unde bonum per prius diceretur de creatura quam de Deo. Sed supra [a. 2] ostensum est quod huiusmodi nomina non solum dicuntur de Deo causaliter, sed etiam essentialiter. Cum enim dicitur Deus est bonus, vel sapiens, non solum significatur quod ipse sit causa sapien­ tiae vel bonitatis, sed quod haec in eo eminen­ tius praeexistunt. Unde, secundum hoc, dicen­ dum est quod, quantum ad rem significatam per nomen, per prius dicuntw· de Deo quam de creaturis, quia a Deo huiusmodi perfectiones in creaturas manant. Sed quantum ad imposi­ tionem nominis, per prius a nobis imponuntur creaturis, quas prius cognoscimus. Unde et modum significandi habent qui competit creaturis, ut supra [a. 3] dictum est. Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa procedit quantum ad impositionem nominis. Ad secundum dicendum quod non est eadem ratio de nominibus quae metaphorice de Deo dicuntur, et de aliis, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod obiectio illa pro­ cederet, si huiusmodi nomina solum de Deo causaliter dicerentur et non essentialiter, sicut sanum de medicina.

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si vorrebbe significare soltanto che Dio è causa della bontà della creatura. Quindi que­ sto nome buono, detto di Dio, conterrebbe nel suo significato la bontà della creatura, e perciò

buono si direbbe della creatura prima che di Dio. Ma sopra abbiamo dimostrato che tali nomi si dicono di Dio in ragione non solo della sua causalità, ma anche della sua essen­ za, poiché, quando si dice che Dio è buono, oppure è sapiente, non si vuoi solo dire che egli è causa della sapienza o della bontà, ma che la bontà e la sapienza preesistono in lui in un modo più eminente. Quindi bisogna dire che se si considera il significato intrinseco dei termini, essi si applicano a Dio prima che alle creature: poiché quelle perfezioni [indicate dai nomi] provengono alle creature da Dio. Se però si considera la loro origine, allora tutti i nomi vengono attribuiti primariamente alle creature, che vengono conosciute per prime. Quindi anche il modo di significare [dei nomi] è quello caratteristico delle creature, come si è detto sopra. Soluzione delle difficoltà: l . Questa prima diffi­ coltà vale relativamente alla derivazione del nome. 2. n caso dei nomi attribuiti a Dio metaforica­ mente è differente da quello dei nomi attribui­ ti in senso proprio, come si è detto. 3. L'obiezione van-ebbe se tali nomi fossero attribuiti a Dio soltanto a motivo della sua causalità e non essenzialmente, cioè come sano si dice della medicina.

Articulus 7 Utrum nomina quae important relationem ad creaturas, dicantur de Deo ex tempore

Articolo 7 I nomi che comportano relazione alle creature vengono attribuiti a Dio a partire dal tempo?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod nomina quae important relationem ad creatu­ ras, non dicantur de Deo ex tempore. l . Omnia enim huiusmodi nomina significant divinam substantiam, ut communiter dicitur. Unde et Ambrosius dicit [De fide 1 , 1 ] quod hoc nomen dominus est nomen potestatis, quae est divina substantia, et creator significat Dei actionem, quae est eius essentia. Sed divi­ na substantia non est temporalis, sed aetema. Ergo huiusmodi nomina non dicuntur de Deo ex tempore, sed ab aeterno. 2. Praeterea, cuicumque convenit aliquid ex tempore, potest dici factum, quod enim ex

Sembra di no. Infatti: l . Si dice comunemente che tali nomi significa­ no la sostanza divina. Per cui anche Ambrogio dice che il nome Signore designa la potenza, che è la sostanza divina, e la parola Creatore indica l'azione di Dio, che è la sua stessa essenza. Ora, la sostanza divina non è temporale, ma eter­ na Quindi questi nomi non si dicono di Dio a partire dal tempo, ma dali' etemità. 2. Tutto ciò a cui conviene qualcosa a comincia­ re dal tempo può dirsi fatto: come un essere che è bianco da un certo tempo, è stato fatto bianco. Ma a Dio ripugna di essere fatto. Quindi nulla si dice di Dio a cominciare da un certo tempo.

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tempore est album, fit album. Sed Deo non convenit esse factum. Ergo de Deo nihil prae­ dicatur ex tempore. 3. Praeterea, si aliqua nomina dicuntur de Deo ex tempore propter hoc quod important relationem ad creaturas, eadem ratio videtur de omnibus quae relationem ad creaturas important. Sed quaedam nomina importantia relationem ad creaturas, dicuntur de Deo ab aeterno, ab aeterno enim scivit creaturam et dilexit, secundum illud ler. 3 1 [3], in caritate perpetua dilexi te. Ergo et alia nomina quae important relationem ad creaturas, ut do­ minus et creator, dicuntur de Deo ab aeterno. 4. Praeterea, huiusmodi nomina relationem significant. Oportet igitur quod relatio illa vel sit aliquid in Deo, vel in creatura tantum. Sed non potest esse quod sit in creatura tantum, quia sic Deus denominaretur dominus a rela­ tione opposita, quae est in creaturis; nihil autem denominatur a suo opposito. Relinquitur ergo quod relatio est etiam aliquid in Deo . Sed in Deo nihil potest esse ex tempore, cum ipse sit supra tempus. Ergo videtur quod huiusmodi nomina non dicantur de Deo ex tempore. 5. Praeterea, secundum relationem dicitur aliquid relative, puta secundum dominium dominus, sicut secundum albedinem albus. Si igitur relatio dominii non est in Deo secun­ dum rem, sed solum secundum rationem, se­ quitur quod Deus non sit realiter Dominus, quod patet esse falsum. 6. Praeterea, in relativis quae non sunt simul natura, u num potest esse, altero non exi­ stente, sicut scibile existit, non existente scientia, ut dicitur in Praed. [5, 18]. Sed relati­ va quae dicuntur de Deo et creaturis, non sunt simul natura. Ergo potest aliquid dici relative de Deo ad creaturam, etiam creatura non existente. Et sic huiusmodi nomina, do­ minus et creator, dicuntur de Deo ab aeterno, et non ex tempore. Sed contra est quod dicit Augustinus, 5 De Trin. [16], quod haec relativa appellarlo Do­ minus Deo convenit ex tempore. Respondeo dicendum quod quaedam nomina importantia relationem ad creaturam, ex tem­ pore de Deo dicuntur, et non ab aeterno. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod quidam posuerunt relationem non esse rem naturae, sed rationis tantum. Quod quidem apparet esse falsum, ex hoc quod ipsae res naturalem

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3. Se alcuni nomi si dicono di Dio a partire dal tempo per la ragione che comportano relazione alle creature, la stessa ragione dovrebbe valere per tutti i nomi che implicano relazione alle crea­ ture. Invece alcuni nomi che comportano re­ lazione alle creature si dicono di Dio da tutta l'e­ ternità: infatti Dio dall'eternità conosce e ama la creatura, secondo il detto di Ger. 7i ho amato di un amore eremo. Quindi anche gli altri nomi che comportano relazione alle creature, come Signo­ re e Creatore, vanno attribuiti a Dio dall'eternità 4. Questi nomi comportano una relazione. Bi­ sogna quindi che tale relazione o sia qualcosa in Dio, o nella creatura soltanto. Ma non è pos­ sibile che lo sia nella creatura soltanto, perché allora Dio verrebbe denominato Signore a motivo della relazione opposta che è nelle creature: ora, nulla viene denominato dal suo opposto. Resta dunque che tale relazione è qualcosa anche in Dio. Ma in Dio non vi è nul­ la di temporale, essendo egli al disopra del tempo. Quindi pare che tali nomi non vadano attribuiti a Dio a partire dal tempo. 5. Un attributo relativo deriva da una relazio­ ne: così avremo dominus [signore] da domi­ nio, come bianco da bianchezza. Se dunque la relazione di dominio non è in Dio realmente, ma solo idealmente, ne viene che Dio non è realmente Signore [Dominus]. Il che è falso. 6. Quando si tratta di entità relative che per natura non sono chiamate a stare insieme, l'una può esistere senza che esista l'altra: come lo scibile esiste anche se non esiste la scienza, come osserva Aristotele. Ora, i relativi che vengono affermati di Dio e delle creature non sono fatti per stare insieme. Quindi qualcosa può essere attribuito a Dio in relazione alle creature anche se la creatura non esiste. E così questi nomi, Signore e Creatore, si dicono di Dio dall'eternità, e non dall'inizio del tempo. In contrario: Agostino dice che questa deno­ minazione relativa di Signore conviene a Dio a partire dal tempo. Risposta: certi nomi che comportano relazione alla creatura sono detti di Dio a cominciare dal tempo, e non dall'eternità. Per chiarire la cosa ricordiamo che alcuni sostennero che la rela­ zione non ha un'esistenza nella realtà, ma solo nella mente. Ma la falsità di questa opinione appare chiaramente dal fatto stesso che le cose hanno tra loro un certo ordine e un certo rappor­ to in forza della loro stessa natura. Dobbiamo

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ordinem et habitudinem habent ad invicem. Veruntamen sciendum est quod, cum relatio requirat duo extrema, tripliciter se habere po­ test ad hoc quod sit res naturae et rationis. Quandoque enim ex utraque parte est res rationis tantum, quando scilicet ordo vel habi­ tudo non potest esse inter aliqua, nisi secun­ dum apprehensionem rationis tantum, utpote cum dicimus idem eidem idem. Nam secun­ dum quod ratio apprehendit b i s aliquod unum, statuit illud ut duo; et sic apprehendit quandam habitudinem ipsius ad seipsum. Et similiter est de omnibus relationibus quae sunt inter ens et non ens; quas format ratio, inquantum apprehendit non ens ut quoddam extremum. Et idem est de omnibus relationi­ bus quae consequuntur actum rationis, ut genus et species, et huiusmodi. Quaedam vero relationes sunt, quantum ad utrumque extremum, res naturae, quando scilicet est habitudo inter aliqua duo secundum aliquid realiter conveniens utrique. S icut patet de omnibus relationibus quae consequuntur quantitatem, ut magnum et parvum, duplum et dimidium, et huiusmodi, nam quantitas est i n utroque extremorum. Et simile est de relationibus quae consequuntur actionem et passionem, ut motivum et mobile, pater et filius, et similia. Quandoque vero relatio in uno extremorum est res naturae, et in altero est res rationis tantum. Et hoc contingit quan­ documque duo extrema non sunt unius ordi­ n i s . Sicut sensus et scientia referuntur ad sensibile et scibile, quae quidem, inquantum sunt res quaedam in esse naturali existentes, sunt extra ordinem esse sensibilis et intelli­ gibilis, et ideo in scientia quidem et sensu est relatio realis, secundum quod ordinantur ad sciendum vel sentiendum res; sed res ipsae i n s e consideratae, sunt extra ordinem huiusmo­ di. Unde in eis non est aliqua relatio realiter ad scientiam et sensum; sed secundum ratio­ nem tantum, inquantum intellectus appre­ hendit ea ut terminos relationum scientiae et sensus. Unde philosophus dicit, in 5 Met. [4, 1 5 ,8], quod non dicuntur relative eo quod ipsa referantur ad alia, sed quia alia referuntur ad ipsa. Et similiter dextrum non dicitur de columna, nisi inquantum ponitur animali ad dextram, unde huiusmodi relatio non est realiter in columna, sed i n animal i . Cum igitur Deus sit extra totum ordinem creaturae,

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invece osservare che, richiedendo la relazione due estremi, vi sono tre modi in cui essa può essere un ente reale o di ragione. Talora infatti è solo un ente di ragione dalla parte di tutti e due gli estremi, quando cioè non vi può essere ordine o rapporto tra diverse cose se non in base alla sola apprensione della mente, come quando si dice che una cosa è identica a se stessa. Infatti la ragione, nel concepire due volte una cosa, la può considerare come due cose: e così scorge un certo rapporto di essa con se medesima. E la stessa cosa si verifica in tutte le relazioni che intercorrono tra l 'ente e il non-ente: relazioni che la mente forma i n quanto concepisce i l nulla come u n estremo della relazione. E ancora in tutte le relazioni che dipendono dall'atto della ragione, come il genere e la specie e simili. Alcune relazioni, invece, sono vere entità reali quanto all'uno e all' altro estremo: quando cioè la relazione nasce tra due cose per una realtà comune all'u­ na e all' altra. Come appare chiaramente in tutte le relazioni basate sulla quantità, come il gran­ de e il piccolo, il doppio e la metà e simili: infatti la quantità è in ambedue gli estremi. E lo stesso vale per le relazioni che risultano dall'a­ zione e dalla passione, come la relazione del motore e del mobile, del padre e del figlio e simili. Talora, infine, la relazione in un estremo è un'entità reale e nell 'altro un'entità di ragio­ ne soltanto. E ciò accade ogni qual volta i due estremi non sono del medesimo ordine. Così la sensazione e la scienza si riferiscono all'ogget­ to sensibile e a quello intelligibile, i quali og­ getti, in quanto sono cose esistenti nella realtà concreta, sono estranei all'ordine intenzionale del sentire e del conoscere: per cui nell'intel­ letto che conosce e nel senso che percepisce c'è una relazione reale, in quanto essi sono ordinati a conoscere e a sentire le cose, mentre le cose, considerate in se stesse, sono estranee a tale ordine. Quindi in esse non c'è relazione reale al conoscere e al sentire, ma soltanto di ragione, in quanto l'intelletto le apprende come termini correlativi della scienza e della sensa­ zione. Per cui Aristotele dice che esse sono dette termini di relazione non perché si riferi­ scano ad altre cose, ma perché altre cose si riferiscono ad esse. Come una colonna è detta destra unicamente perché si trova alla destra dell'animale, per cui la relazione di posizione non è realmente nella colonna, ma nell'anima-

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et omnes creaturae ordinentur ad ipsum, et non e converso, manifestum est quod creatu­ rae realiter referuntur ad ipsum Deum; sed in Deo non est aliqua realis relatio eius ad creatu­ ras, sed secundum rationem tantum, inquan­ tum creaturae referuntw· ad ipsum. Et sic nihil prohibet huiusmodi nomina i m portant i a relationem ad creaturam, praedicari d e Deo ex tempore, non propter aliquam mutationem ipsius, sed propter creaturae mutationem; sicut columna fit dextera animali, nulla mutatione circa ipsam existente, sed animali translato. Ad pri mum ergo dicendum quod relativa quaedam sunt imposita ad significandum ipsas habitudines relativas, ut dominus, servus, pater et filius, et huiusmodi, et haec dicuntur relativa secundum esse. Quaedam vero sunt imposita ad significandas res quas consequuntur quae­ dam habitudines, sicut movens et motum, ca­ put et capitatum, et alia huiusmodi, quae di­ cuntur relativa secundum dici. Sic igitur et cir­ ca nomina divina haec differentia est conside­ randa. Nam quaedam significant ipsam habitu­ dinem ad creaturam, ut dominus. Et huiusmo­ di non significant substantiam divinam directe, sed indirecte, i nquantum praesupponunt ipsam, sicut dominium praesupponit potesta­ tem, quae est divina substantia. Quaedam vero significant directe essentiam divinam, et ex conseguenti important habitudinem; sicut sal­ vator, creator, et huiusmodi, significant actio­ nem Dei, quae est eius essentia. Utraque ta­ men nomina ex tempore de Deo dicuntur quantum ad habitudinem quam important, vel principaliter vel consequenter, non autem quantum ad hoc quod significant essentiam, vel directe vel indirecte. Ad secundum dicendum quod, sicut relationes quae de Deo dicuntur ex tempore, non sunt in Deo nisi secundum rationem, ita nec fieri nec factum esse dicitur de Deo, nisi secundum r at i o n e m , n u l l a mutatione c i rca i p s u m existente, sicut est id, Domine refugium factus es nobis [Ps. 89, l ] . Ad tertium dicendum quod operatio intellectus et voluntatis est in operante, et ideo nomina quae significant relationes consequentes actio­ nem intellectus vel voluntatis, dicuntur de Deo ab aeterno. Quae vero consequuntur actiones procedentes, secundum modum intelligendi, ad exteriores effectus, dicuntur de Deo ex tempore, ut salvator, creator, et huiusmodi.

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le. Siccome dunque Dio è al di fuori di tutto l'ordine creato, e tutte le creature dicono ordine a lui e non viceversa, è evidente che le creature dicono rapporto reale a Dio, mentre in Dio non vi è una sua relazione reale verso le creature, ma vi è solo una relazione di ragione, giacché le cose dicono ordine a lui. E così nulla impe­ disce che tali nomi implicanti relazione con le creature si attribuiscano a Dio a partire dal tempo: non per un qualche cambiamento avve­ nuto in lui, ma per una mutazione della creatu­ ra; come la colonna diviene destra rispetto ali' animale senza che in essa si sia verificato un cambiamento, ma per lo spostarsi dell'ani­ male. Soluzione delle difficoltà: l . Tra i nomi che comportano relazione alcuni sono imposti per significare espressamente le stesse relazioni, come padrone e servo, padre e figlio, e simili: e tali nomi vengono detti relativi secondo l'essere. Altri invece stanno a significare delle cose a cui sono connesse delle relazioni, come motore e mobile, capo e capeggiato, e simili: e questi sono detti relativi secondo la denominazione. Ora, tale distinzione va applicata anche ai nomi di Dio. Infatti alcuni di essi non esprimono che il rap­ porto stesso di Dio alle creature, come Dominus Signore. E tali nomi non indicano direttamente, ma solo indirettamente l'essenza divina, in quan­ to la presuppongono: come il dominio presup­ pone la potenza, che è la stessa essenza di Dio. Altri nomi invece esprimono direttamente l'es­ senza divina, e solo di conseguenza comportano relazione: come Salvatore, Creatore e simili, i quali esprimono direttamente l 'azione di Dio, che è la sua essenza. Gli uni e gli altri tuttavia si possono dire di Dio a partire dal tempo se si considera la relazione esplicita o implicita che comportano; non però in quanto direttamente o indirettamente indicano l'essenza divina. 2. Come le relazioni che si dicono di Dio a par­ tire dal tempo non sono in Dio se non secondo il nostro modo di concepire, così anche il farsi e l'essere fatto non si dice di Dio che secondo la nostra ragione, senza che alcun mutamento sia avvenuto in lui, come quando s i dice:

Signore, ti seifatto per noi un rifugio. 3. L' atto dell'intelletto e della volontà rimane in colui che lo compie: perciò i nomi che espri­ mono le relazioni derivanti dall'azione dell'i n­ telletto o della volontà si dicono di Dio dall'e­ ternità. Quelli invece che derivano da azioni

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Ad quartum dicendum quod relationes significatae per huiusmodi nomina quae di­ cuntur de Deo ex tempore, sunt in Deo secundum rationem tantum, oppositae autem relationes in creaturis sunt secundum rem. Nec est inconveniens quod a relationibus realiter existentibus in re, Deus denominetur, tamen secundum quod cointelliguntur per intellectum nostrum oppositae relationes in Deo. Ut sic Deus dicatur relative ad creato­ ram, quia creatura refertur ad ipsum, sicut philosophus dicit, in 5 Met. [4, 1 5,8], quod scibile dicitur relative, quia scientia refertur ad ipsum. Ad quintum dicendum quod, cum ea ratione referatur Deus ad creaturam, qua creatura refertur ad ipsum; cum relatio subiectionis realiter sit in creatura, sequitur quod Deus non secundum rationem tantum, sed realiter sit dominus. Eo enim modo dicitur dominus, quo creatura ei subiecta est. Ad sextum dicendum quod, ad cognoscen­ dum utrum relativa sint simul natura vel non, non oportet considerare ordinem rerum de quibus relativa dicuntur, sed significationes ipsorum relativorum. Si enim unum in sui intellectu claudat aliud et e converso, tunc sunt simul natura, sicut duplum et dimidium, pater et filius, et similia. Si autem unum in sui intellectu claudat aliud, et non e converso, tunc non sunt simul natura. Et hoc modo se habent scientia et scibile. Nam scibile dicitur secundum potentiam, scientia autem secun­ dum habitum, vel secundum actum. Unde scibile, secundum modum suae significatio­ nis, praeexistit scientiae. Sed si accipiatur scibile secundum actum, tunc est simul cum scientia secundum actum, nam scitum non est aliquid nisi sit eius scientia. Licet igitur Deus sit prior creaturis, quia tamen in significatione domini clauditur quod habeat servum, et e converso, ista duo relativa, dominus et servus, sunt simul n atura. Unde Deus non fui t dominus, antequam haberet creaturam sibi subiectam.

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terminanti, secondo il nostro modo di intende­ re, a effetti esteriori, si applicano a Dio a partire dal tempo, come Salvatore, Creatore e simili. 4. Le relazioni espresse da quei nomi che si applicano a Dio a partire dal tempo sono in lui soltanto secondo il nostro modo di pensare; invece le relazioni opposte si trovano nelle crea­ ture realmente. E non vi è ripugnanza alcuna nel fatto che Dio venga denominato in base a rela­ zioni che esistono realmente solo nelle creature, in quanto però la nostra mente concepisce il loro correlativo in Dio. In maniera che Dio potrà essere detto relativo alle creature nel senso che le creature dicono relazione a lui: nello stesso modo in cui, come dice il Filosofo, lo scibile è detto relativo all'intelligenza che conosce giac­ ché la scienza di chi conosce si riferisce ad esso. 5 . Siccome Dio dice relazione alla creatura sotto il medesimo rapporto per cui la creatura dice relazione a Dio, dal momento che la rela­ zione di soggezione si trova realmente nella creatura, ne segue che Dio è il Signore [Domi­ nus] non solo secondo la nostra ragione, ma realmente. E infatti egli è il Signore nel modo stesso in cui la creatura gli è soggetta. 6. Per sapere se dei relativi siano o non siano coesistenti per natura non bisogna considerare l'ordine delle realtà denominate da quei relativi, ma il significato degli stessi relativi. Se infatti uno dei termini nel suo concetto include l'altro, e viceversa, allora i due termini sono coesistenti, come il doppio e la metà, il padre e il figlio, e così via. Se invece l'uno nel suo concetto inclu­ de l'altro, ma non viceversa, allora non sono coesistenti per natura. E così è dei termini cono­ scenza e conoscibile. Infatti conoscibile significa qualcosa di potenziale, mentre conoscenza dice qualcosa di abituale o di attuale: quindi il cono­ scibile, stando con rigore al significato del termi­ ne, preesiste alla conoscenza. Se però il conosci­ bile viene considerato come conosciuto in atto, allora coesiste con la scienza parimenti in atto: poiché nessuna cosa è conosciuta se di essa non si ha conoscenza. Sebbene dunque Dio sia ante­ riore alle creature, tuttavia, poiché nel concetto di Dominus [Signore o Padrone] è incluso l'a­ vere un «servo», e viceversa, questi due relativi, Signore e servo, sono per natura simultanei. Quindi Dio non fu Signore [Dominus] prima che avesse la creatura a sé soggetta.

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/ nomi di Dio

Articulus 8 Utrurn hoc nomen Deus sit nomen naturae Ad octavum sic proceditur. Videtur quod hoc nomen Deus non sit nomen naturae. l . Dicit enim Damascenus, in l libro [De fide 9], quod Deus dicitur a theein, quod est correre, et fovere universa; vel ab aethein, idest ardere

(Deus enim noster ignis consumens est omnem malitiam); vel a theasthai, quod est consi­ derare, omnia. Haec autem omnia ad opera­ tionem pertinent. Ergo hoc nomen Deus operationem significat, et non naturam. 2. Praeterea, secundum hoc aliquid nominatur a nobis, secundum quod cognoscitur. Sed divina natura est nobis ignota. Ergo hoc nomen Deus non significat naturam divinam. Sed contra est quod dicit Ambrosius, in libro l De fide [ l ], quod Deus est nomen naturae. Respondeo dicendum quod non est semper idem id a quo imponitur nomen ad significan­ dum, et id ad quod signiticandum nomen im­ ponitur. Sicut enim substantiam rei ex proprie­ tatibus vel operationibus eius cognoscimus, ita substantiam rei denominamus quandoque ab aliqua eius operatione vel proprietate, sicut substantiam lapidis denominamus ab aliqua actione eius, quia laedit pedem; non tamen hoc nomen impositum est ad signiticandum hanc actionem, sed substantiam lapidis. Si qua vero sunt guae secundum se sunt nota nobis, ut calar, frigus, albedo, et huiusmodi, non ab aliis denominantur. Unde in talibus idem est quod nomen signiticat, et id a quo imponitur nomen ad significandum. Quia igitur Deus non est notus nobis in sui natura, sed innotescit nobis ex operationibus vel effectibus eius, ex his pos­ sumus eum nominare, ut supra [a. l ] dictum est. Unde hoc nomen Deus est nomen operatio­ nis, quantum ad id a quo imponitur ad signifi­ candum. lmponitur enim hoc nomen ab univer­ sali rerum providentia, omnes enim loquentes de Deo, hoc intendunt nominare Deum, quod habet providentiam universalem de rebus. Unde dicit Dionysius, 12 cap. De div. nom. [2], quod deitas est quae omnia videt providentia et bonitate peifecta. Ex hac autem operatione hoc nomen Deus assumptum, impositum est ad significandum divinam naturam. Ad primum ergo dicendum quod omnia quae posuit Damascenus, pertinent ad providen-

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Articolo 8

D nome Dio è un nome

che indica la natura? Sembra di no. Infatti: l . Dice il Damasceno: «Dio viene da theein, cioè da correre, e dal soccorrere tutte le cose; o da aethein, ossia da ardere (poiché il nostro Dio è un fuoco che consuma ogni ingiusti­ zia); oppure da theasthai, cioè dal vedere, tutte le cose». Ora, tutto ciò appartiene all'o­ perazione. Quindi il nome Dio esprime l'ope­ razione [di Dio], non la natura. 2. Una cosa viene da noi nominata secondo che è da noi conosciuta. Ma la natura divina è da noi ignorata. Quindi questo nome Dio non significa la natura divina. In contrario: Ambrogio afferma che Dio è un nome che esprime la natura. Risposta: non sempre la realtà che ha dato origine a una parola si identifica con quella realtà che la parola è destinata a significare. Come infatti conosciamo la sostanza di una cosa dalle sue proprietà o dalle sue operazioni, così talora la nominiamo da una sua opera­ zione o proprietà: per es. noi nominiamo l'es­ senza della pietra [lapide] da una sua azione, poiché lede il piede; tuttavia questo nome non è imposto per significare tale azione, ma per designare l'essenza della pietra. Trattandosi invece di cose che ci sono note in se stesse, come il calore, il freddo, la bianchezza e simili, per denominarle non ci serviamo di altre cose: per cui in tali casi l'oggetto indicato dalla pa­ rola si identifica con la sua origine etimologica. Siccome dunque Dio non ci è noto nella sua natura, ma viene a essere conosciuto attraver­ so le sue operazioni o effetti, da questi noi lo possiamo denominare, come si è già detto. Quindi questo nome Dio designa una certa operazione, se si bada alla sua origine. Infatti esso è desunto dall'universale provvidenza delle cose: poiché tutti coloro che parlano di Dio intendono chiamare Dio colui che ha l'universale provvidenza delle cose. Per cui Dionigi dice: «La Deità è quella che guarda tutto con provvidenza e bontà perfetta>>. Ora il nome Dio, derivato da tale operazione, è stato destinato a esprimere la natura divina. Soluzione delle difficoltà: l . Tutto ciò che dice il Damasceno si Iifetisce alla provvidenza, dalla quale il nome Dio deriva il suo significato.

Q. 13, A. 8

/ nomi di Dio

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tiam, a qua imponitur hoc nomen Deus ad significandum. Ad secundum dicendum quod, secundum quod naturam alicuius rei ex eius proprietatibus et effectibus cognoscere possumus, sic eam nomine possumus significare. Unde, quia sub­ stantiam lapidis ex eius proprietate possumus cognoscere secundum seipsam, sciendo quid est lapis, hoc nomen lapis ipsam lapidis natu­ ram, secundum quod in se est, significat, signi­ ficar enim definitionem lapidis, per quam scimus quid est lapis. Ratio enim quam signi­ ficar nomen, est definitio, ut dicitur in 4 Met. [3,7,9]. Sed ex effectibus divinis divinam natu­ ram non possumus cognoscere secundum quod in se est, ut sciamus de ea quid est; sed per mo­ dwn eminentiae et causalitatis et negationis, ut supra [q. 12 a. 12] dictum est. Et sic hoc nomen Deus significat naturam divinam. Impositum est enim nomen hoc ad aliquid significandum supra omnia existens, quod est principium omnium, et remotum ab omnibus. Hoc enim intendunt significare nominantes Deum.

2 . Allo stesso modo i n cui noi possiamo co­ noscere la natura di una cosa dalle sue pro­ prietà e dai suoi effetti, così la possiamo indi­ care con un nome. Siccome quindi noi pos­ siamo conoscere in se stessa la natura della pietra per mezzo di una sua proprietà, sapen­ do che cos' è la pietra, questo nome pietra indica la natura della pietra quale è in se stes­ sa: esprime infatti la definizione della pietra, e la definizione ci dice ciò che la pietra è. n concetto infatti che viene espresso dal nome è la definizione, come dice Aristotele. Ora, dagli effetti divini non possiamo conoscere la natura di Dio come è in se stessa, fino al punto di sapeme la definizione, ma la cono­ sciamo per via di eminenza, di causalità e di negazione, come si è già detto. E così il termi­ ne Dio significa la natura divina. Questo nome infatti serve a indicare un essere che è al disopra di tutto, che è il principio di tutto e che è diverso da tutto. E questo è l'essere che intendono designare coloro che pronunziano il nome di Dio.

Articulus 9 Utrum hoc nomen Deus sit communicabile

Articolo 9 Il nome Dio è comunicabile?

Ad nonum sic proceditur. Videtur quod hoc nomen Deus sit communicabile. l . Cuicumque enim communicatur res signi­ ficata per nomen, communicatur et nomen ipsum. Sed hoc nomen Deus, ut dictum est [a. 8], signiticat divinam naturam, quae est communicabilis aliis, secundum illud 2 Pet.

Sembra di sì. Infatti: l . A chiunque è comunicata la realtà espressa dal nome, viene comunicato anche il nome. Ora il nome Dio, come si è visto, indica la natura divina, che è comunicabile ad altri, secondo il passo di 2 Pt: Ci ha donato i beni

l [4], magna et pretiosa promissa nobis

donavit, ut per hoc efficiamur divinae con­ sortes naturae. Ergo hoc nomen Deus est communicabile. 2. Praeterea, sola nomina propria non sunt communicabilia. Sed hoc nomen Deus non est nomen proprium, sed appellativum, quod patet ex hoc quod habet plurale, secundum illud Psalmi 81 [6], ego dixi, dii estis. Ergo hoc nomen Deus est communicabile. 3. Praeterea, hoc nomen Deus imponitur ab operatione, ut dictum est. Sed alia nomina quae imponuntur Deo ab operationibus, sive ab effectibus, sunt communicabilia, ut bonus, sapiens et huiusmodi. Ergo et hoc nomen Deus est communicabile. Sed contra est quod dicitur Sap. 14 [2 1 ] ,

grandissimi e preziosi che erano stati promes­ si, perché diventaste per mezzo loro partecipi della natura divina. Il nome Dio è quindi comunicabile. 2. Solo i nomi propri non sono comunicabi­ li. Ora, il nome Dio non è un nome proprio, ma è un appellativo comune, come appare chiaro dal fatto che viene usato al plurale, secondo il detto del Sal: lo ho detto: " Voi siete dèi ". Quindi il termine Dio è un nome comunicabile. 3. Questo nome trae la sua origine da un'o­ perazione divina, come si è detto. Ora, tutti gli altri nomi che si attribuiscono a Dio e derivano dalle sue operazioni o dai suoi effetti sono comunicabili, come buono, sa­ piente e simili. Quindi anche il nome Dio è comunicabile.

Q. l3, A. 9

/ nomi di Dio

incommunicabile nomen lignis et lapidibus imposuerunt; et loquitur de nomine deitatis. Ergo hoc nomen Deus est nomen incommu­ nicabile. Respondeo dicendum quod aliquod nomen potest esse communicabile dupliciter, uno modo, proprie; alio modo, per similitudinem. Proprie quidem communicabile est, quod secundum totam significationem nominis, est communicabile multis. Per similitudinem autem communicabile est, quod est commu­ nicabile secundum aliquid eorum quae in­ cluduntur in nominis significatione. Hoc enim nomen leo proprie communicatur omnibus illis in quibus invenitur natura quam significat hoc nomen leo, per similitudinem vero com­ municabile est illis qui participant aliquid leoninum, ut puta audaciam vel fortitudinem, qui metaphorice leones dicuntur. Ad scien­ dum autem quae nomina proprie sunt communicabilia, considerandum est quod omnis forma in supposito singulari existens, per quod individuatur, communis est multis, vel secundum rem vel secundum rationem saltem, sicut natura humana communis est multis secundum rem et rationem, natura au­ tem solis non est communis multis secundum rem, sed secundum rationem tantum; potest enim natura solis intelligi ut in pluribus sup­ positis existens. Et hoc ideo, quia intellectus intelligit naturam cuiuslibet speciei per abs­ tractionem a singulari, unde esse in uno sup­ posito singulari vel in pluribus, est praeter intellectum naturae speciei, unde, servato intellectu naturae speciei, potest intelligi ut in pluribus existens. Sed singulare, ex hoc ipso quod est singulare, est divisum ab omnibus aliis. Unde omne nomen impositum ad signi­ ficandum aliquod singulare, est i ncom­ municabile et re et ratione, non enim potest nec in apprehensione cadere pluralitas huius individui . Unde nullum nomen significans aliquod individuum, est communicabile mul­ tis proprie, sed solum secundum similitu­ dinem; sicut aliquis metaphorice potest dici Achilles, inquantum habet aliquid de proprie­ tatibus Achillis, scilicet fortitudinem. Formae vero quae non individuantur per aliquod suppositum, sed per seipsas (quia scilicet sunt formae subsistentes), si intelligerentur secun­ dum quod sunt in seipsis, non possent com­ municari nec re neque ratione; sed forte per

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In contrario: è detto in Sap: Imposero a pietre

e a legni un nome incomunicabile: e si parla del nome della divinità. Quindi il termine Dio è un nome incomunicabile. Risposta: un nome può essere comunicabile in due modi: in senso proprio o per somiglianza. Comunicabile in senso proprio è quel nome che viene attribuito a più cose secondo tutta l'estensione del suo significato; comunicabile per una somiglianza è invece quello che viene attribuito ad altri esseri per qualcuno dei vari elementi inclusi nel suo significato. Così il termine leone è detto in senso proprio di tutti quegli animali nei quali si riscontra la natura espressa da tale nome; per somiglianza o analogia è attribuito invece a tutti gli individui che partecipano alcunché di leonino, come I' audacia o la fortezza, per cui sono detti metaf01icamente leoni. Per sapere poi quali nomi siano comunicabili in senso proprio, biso­ gna notare che ogni forma esistente in un sog­ getto singolare, da cui riceve la sua individua­ zione, è comune a più individui, o realmente, o almeno secondo la considerazione della nostra mente: come la natura umana è comune a più individui sia realmente che secondo il nostro modo di concepire, mentre la natura del sole non è comune a più individui in realtà, ma solo secondo il nostro modo di concepire, poiché la natura del sole possiamo supporla attuata in più soggetti. E ciò perché la nostra mente concepi­ sce la natura di ciascuna specie astraendo dal singolare: quindi esistere in un solo individuo, o in più, non rientra nel concetto che noi ci for­ miamo di una natura specifica: perciò, salvo restandone il concetto, ogni natura specifica può essere pensata come attuata in più soggetti. n singolare invece, per il fatto che è singolare, è distinto da ogni altra realtà Quindi ogni nome imposto a significare il singolare è incomunica­ bile sia secondo la realtà che secondo il nostro modo di concepire: non può infatti neppure venire in mente la molteplicità di questo deter­ minato individuo. Per cui nessuno dei nomi che designano l ' individuo è comunicabile a più soggetti in senso proprio, ma solo in senso figu­ rato: come uno può essere detto un Achille, in senso metaforico, in quanto possiede qualcuna delle proprietà di Achille, cioè il coraggio. Ora, le forme che non vengono individuate da un qualche soggetto, ma da se medesime, in quan­ to cioè sono forme sussistenti, se venissero con-

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/ nomi di Dio

similitudinem, sicut dictum est de individuis. Sed quia fonnas simplices per se subsistentes non possumus intelligere secundum quod sunt, sed intelligimus eas ad modum rerum compositarum habentium fonnas in materia; ideo, ut dictum est [a. l ad 2], imponimus eis nomina concreta significantia naturam i n aliquo supposito. Unde, quantum pertinet ad rationem nominum, eadem ratio est de nomi­ nibus quae a nobis imponuntur ad signitì­ candum naturas rerum compositarum, et de nominibus quae a nobis imponuntur ad signi­ ficandum naturns simplices subsistentes. Un­ de, cum hoc nomen Deus impositum sit ad significandum naturam divinam, ut dictum est [a. 8]; natura autem divina multiplicabilis non est, ut supra [q. 1 1 a. 3] ostensum est, sequitur quod hoc nomen Deus incommunicabile quidem sit secundum rem, sed communica­ bile sit secundum opinionem, quemadmodum hoc nomen sol esset communicabile secun­ dum opinionem ponentium multos soles. Et secundum hoc dicitur Gal. 4 [8], his qui natura non sunt dii, serviebatis; Glossa [int.], non sunt dii natura, sed opinione hominum. Est nihilominus communicabile hoc nomen Deus, non secundum suam totam significationem, sed secundum aliquid eius, per quandam similitudinem, ut dii dicantur, qui participant aliquid divinum per similitudinem, secundum illud [Ps. 8 1 ,6], ego dixi, dii estis. Si vero esset aliquod nomen impositum ad signi­ ficandum Deum non ex parte naturae, sed ex parte suppositi, secundum quod consideratur ut hoc aliquid, illud nomen esset omnibus modis incommunicabile, sicut forte est no­ men tetragrammaton apud Hebraeos. Et est simile si quis imponeret nomen soli designans hoc individuum. Ad primum ergo dicendum quod natura divi­ na non est communicabilis nisi secundum similitudinis participationem. Ad secundum dicendum quod hoc nomen Deus est nomen appellativum, et non pro­ prium, quia significat naturam divinam ut in habente; licet ipse Deus, secundum rem, non sit nec universalis nec particularis. Nomina enim non sequuntur modum essendi qui est in rebus, sed modum essendi secundum quod in cognitione nostra est. Et tamen, secundum rei veritatem, est incommunicabile, secundum quod dictum est [in co.] de hoc nomine sol.

Q. 1 3, A. 9

cepite da noi quali sono i n se stesse, non potrebbero essere dette comunicabili né real­ mente né secondo il nostro modo di intendere, ma tutt'al più sarebbero comunicabili per ana­ logia, come si è detto degli individui. Siccome però noi non possiamo conoscere le forme semplici per sé sussistenti come esse sono, ma le conosciamo al modo degli esseri composti aventi forma nella materia, allora, come si è detto, diamo loro dei nomi concreti che espri­ mono la natura come se fosse attuata in qualche soggetto. Per quanto dunque concerne la que­ stione dei nomi, vale lo stesso discorso per i nomi che noi usiamo per indicare la natura delle realtà composte e per quelli che adoperia­ mo per significare le nature semplici sussistenti. Per cui, venendo il termine Dio preso per signi­ ficare la natura divina, come si è detto, e non essendo d'altra parte la natura divina moltipli­ cabile, come si è dimostrato, ne viene che que­ sto nome Dio è incomunicabile realmente, ma è comunicabile secondo una pura opinione, come sarebbe comunicabile il nome sole secondo l'opinione di coloro che ammettessero più soli. E in questo senso è detto in Gal: Un tempo,

eravate soaomessi a divinità che in realtà non lo sono; e la Glossa aggiunge: «Non sono dèi per natura, ma secondo l'opinione degli uomi­ ni». - Tuttavia il nome Dio è comunicabile, se non secondo tutta l'estensione del suo significa­ to, almeno in parte, per una certa somiglianza: per cui si potranno chiamare dèi coloro che par­ tecipano qualcosa di divino a modo di somi­ glianza, secondo le parole del Sa/: Io ho deao: "Voi siete dèi . Se però ci fosse un nome posto a significare Dio non sotto l'aspetto di natura, ma sotto quello di supposito [individuale], allo­ ra un tale nome sarebbe del tutto incomunicabi­ le: come forse è presso gli Ebrei il Tetragram­ ma. E sarebbe come se uno desse al sole il suo nome per indicare non la natura dell'astro, ma questo corpo celeste in particolare. Soluzione delle difficoltà: l . La natura divina non è comunicabile se non secondo la parte­ cipazione di una somiglianza. 2. Il nome Dio è un appellativo, e non un nome proprio, per il fatto che significa la na­ tura divina come se si trovasse in un soggetto che la possiede; sebbene Dio, in realtà, non sia né un essere universale, né un essere parti­ colare. Infatti i nomi non seguono il modo di essere che si trova nelle cose, ma il modo di "

/ nomi di Dio

Q. l3, A. 9

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Ad tertiu m dicendum quod haec nomina bonus, sapiens, et similia, imposita quidem sunt a perfectionibus procedentibus a Deo in creaturas, non tamen s u n t i mp o s i t a ad signifi c andum divi nam n aturam, sed ad significandum ipsas perfectiones absolute. Et i deo etiam secundum rei veritatem sunt communicabilia multis. Sed hoc nomen Deus impositum est ab operatione propria Deo, quam experimur continue, ad significandum divinam naturam.

essere che hanno nella nostra conoscenza. E nondimeno in realtà è incomunicabile, come si è detto del nome sole. 3. I termini buono, sapiente e simili sono deri­ vati, è vero, da perfezioni causate da Dio nelle creature, ma essi non sono usati per significa­ re l 'essenza divina, bensì le perfezioni prese in se stesse e in modo assoluto. Per cui sono comunicabili anche secondo la realtà delle cose. Invece il termine Dio è stato imposto a partire da un'operazione esclusiva di Dio, che noi continuamente sperimentiamo, per signi­ ficare la natura divina.

Articulus l O

Articolo 10 n nome Dio ha lo stesso significato univoco

Utrum hoc nomen Deus univoce dicatur de Deo per participationem, secundum naturam, et secundum opinionem Ad decimum sic proceditur. Videtur quod hoc nomen Deus u nivoce dicatur de Deo per naturam, et per participationem, et secundum opinionem. l . Ubi enim est diversa significatio, non est contradictio affirmantis et negantis, aequivo­ catio enim impedit contradictionem sed ca­ tholicus dicens idolum non est Deus, contra­ dicit pagano dicenti idolum est Deus. Ergo Deus utrobique sumptum univoce dicitur. 2. Praeterea, sicut idolum est Deus secundum opinionem et non secundum veritatem, ita fruitio carnalium delectationum dicitur felici­ tas secundum opinionem, et non secundum veritatem. Sed hoc nomen beatitudo univoce dicitur de hac beatitudine opinata, et de hac beatitudine vera. Ergo et hoc nomen Deus univoce dicitur de Deo secundum veritatem, et de Deo secundum opinionem. 3. Praeterea, univoca dicuntur quorum est ratio una. Sed catholicus, cum dicit unum es­ se Deum, intelligit nomine Dei rem omnipo­ tentem, et super omnia venerandam, et hoc idem intelligit gentilis, cum dicit idolum esse Deum. Ergo hoc nomen Deus univoce dicitur utrobique. Sed contra, illud quod est in intellectu, est similitudo eius quod est in re, ut dicitur in l Perih. [ 1 ,3 ] . Sed animai, dictum de animali vero et de animali picto, aequivoce dicitur. Ergo hoc nomen Deus, dictum de Deo vero et de Deo secundum opinionem, aequivoce dicitur.

se è applicato a [colui che è] Dio per natura, per partecipazione, o secondo l'opinione [degli uomini]? Sembra di sì. Infatti: l . Dove c'è diversità di senso non si dà con­ traddizione tra chi afferma e chi nega, poiché l 'equivoco impedisce la contraddizione. Ora, i l cattolico che dice: «L' idolo non è Dio», contraddice il pagano che afferma: «L'idolo è Dio». Quindi la parola Dio è presa nell'uno e neli'altro caso univocamente. 2. L' idolo è Dio secondo l ' opinione e non se­ condo la verità allo stesso modo in cui il go­ dimento dei piaceri carnali è detto felicità se­ condo l ' opinione e non secondo la realtà delle cose. Ora, il termine felicità si dice uni­ vocamente tanto della felicità presunta quan­ to di quella vera. Quindi anche il nome Dio si dice univocamente del Dio vero e del dio creduto tale. 3. Univoci si dicono quei termini che hanno un medesimo senso. Ora, quando il cattolico dice che vi è un solo Dio, col nome di Dio intende un essere onnipotente, degno di vene­ razione sopra tutte le cose; e l 'identica cosa intende il pagano quando aft'erma che l 'idolo è Dio. Quindi in tutti e due i casi questo nome è detto univocamente. In contrario: 4. Ciò che è nell' intelletto non è altro che l'immagine di ciò che è nella realtà, come dice Aristotele. Ora il tennine animale, attribuito all'animale vero e a quello dipinto, è detto con significato equivoco nei due casi. Quindi il nome Dio, asserito del Dio vero e del Dio creduto tale, è detto equivocamente.

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Praeterea, nullus potest significare id quod non cognoscit, sed gentilis non cognoscit naturam divinam, ergo, cum dicit idolum est Deus, non significat veram deitatem. Hanc autem significat catholicus dicens unum esse Deum. Ergo hoc nomen Deus non dicitur univoce, sed aequivoce, de Deo vero, et de Deo secundum opinionem. Respondeo dicendum quod hoc nomen Deus, in praemissis tribus signiticationibus, non accipitur neque univoce neque aequivoce, sed analogice. Quod ex hoc patet. Quia univoco­ rum est omnino eadem ratio, aequivocorum est omnino ratio diversa, in analogicis vero, oportet quod nomen secundum unam signifi­ cationem acceptum, ponatur in definitione eiusdem nominis secundum alias significatio­ nes accepti. Sicut ens de substantia dictum, ponitur in definitione entis secundum quod de accidente dicitur; et sanum dictum de animali, ponitur in definitione sani secundum quod dicitur de urina et de medicina; huius enim sani quod est in animali, urina est significati­ va, et medicina factiva. Sic accidit in proposi­ to. Nam hoc nomen Deus, secundum quod pro Deo vero sumitur, in ratione Dei sumitur secundum quod dicitur Deus secundum opi­ n ionem vel part i c ipatione m. Cum e n i m aliquem nominamus Deum secundum partici­ pationem, intelligimus nomine Dei aliquid habens similitudinem veri Dei. Similiter cum idolum nominamus Deum, hoc nomine Deus intelligimus significati aliquid, de quo homi­ nes opi nantur quod sit Deus. Et sic ma­ nifestum est quod alia et alia est significatio nominis, sed una i llarum significationum clauditur in significationibus aliis. Unde ma­ nifestum est quod analogice dicitur. Ad primum ergo dicendum quod nominum multiplicitas non attenditur secundum nomi­ nis praedicationem, sed secundum significa­ tionem, hoc enim nomen homo, de quocum­ que praedicetur, sive vere sive false, dicitur uno modo. Sed tunc multipliciter diceretur, si per hoc nomen homo intenderemus signifi­ care diversa, puta, si unus intenderet significa­ re per hoc nomen homo id quod vere est ho­ mo, et alius intenderet significare eodem no­ mine lapidem, vel aliquid aliud. Unde patet quod catholicus dicens i dolum non esse Deum, contradicit pagano hoc asserenti, quia uterque utitur hoc nomine Deus ad significan-

Q. 13, A. IO

5. Nessuno può esprimere ciò che ignora. Ora, il pagano non conosce la natura divina. E così, quando dice: «L'idolo è Dio», non esprime la vera divinità. La esprime invece il cattolico che dice esservi un solo Dio. Quindi il termine Dio si dice del Dio vero e del Dio creduto tale non univocamente, ma equivocamente. Risposta: il termine Dio, nei tre casi indicati, non è preso né in senso univoco, né in senso equivoco, ma in senso analogo. Eccone la prova. Sono univoche quelle cose che hanno una definizione del tutto identica ed equivoche quelle che ne hanno una del tutto diversa; invece le analogiche richiedono che il termine preso secondo un unico significato originale compaia nella definizione del tennine stesso preso in altri significati. Così ente, detto della sostanza, rientra nella definizione dell' ente quando viene applicato all'accidente; e sano, detto dell'animale, entra nella definizione di sano detto dell'orina e della medicina: infatti della salute dell' animale l'orina è segno e la medicina causa. Accade così nel caso nostro. Infatti, quando ci si forma il concetto di un Dio secondo l'opinione, o di un Dio per partecipa­ zione, si usa il termine Dio nel medesimo significato che è adoperato per il vero Dio. Quando infatti noi chiamiamo uno Dio per partecipazione, col nome Dio intendiamo indi­ care qualcosa che ha una somiglianza col vero Dio. Parimenti, quando chiamiamo Dio un idolo, col termine Dio intendiamo significare qualcosa che da alcuni uomini viene ritenuto essere Dio. E così è evidente che le accezioni di questo nome sonp diverse, ma una di esse si ritrova nelle altre. E quindi chiaro che esso è preso in senso analogo. Soluzione delle difficoltà: l . La molteplicità dei nomi non viene considerata in base alla diversità degli oggetti a cui vengono attribuiti, ma in base a quella dei loro significati: per es. i l termine uomo, usato come predicato di qualsiasi entità, secondo verità o falsamente, è sempre usato con uno stesso significato. Avrebbe invece molteplici accezioni se col termine uomo volessimo esprimere entità di­ verse: come se uno lo usasse per indicare ciò che veramente l 'uomo è, un altro invece �r significare una pietra, o qualsiasi altra cosa. E evidente quindi che il cattolico, dicendo che l 'idolo non è Dio, è in perfetto contrasto col pagano, il quale ciò asserisce: infatti l'uno e

Q. 13, A. 1 0

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dum verum Deum. Cum enim paganus dicit idolum esse Deum, non utitur hoc nomine secundum quod significar Deum opinabilem, sic enim verum diceret, cum etiam catholici interdum in tali significatione hoc nomine utantur, ut cum dicitur [Ps. 95,5], omnes dii

gentium daemonia.

Et similiter dicendum ad secundum et tertium. Nam illae rationes procedunt secundum diversitatem praedicationis nominis, et non secundum diversam significationem. Ad quartum dicendum quod animai dictum de animali vero et de picto, non dicitur pure aequivoce; sed philosophus [Cat. 1 , 1 ] largo modo accipit aequivoca, secundum quod in­ cludunt in se analoga. Quia et ens, quod ana­ logice dicitur, aliquando dicitur aequivoce praedicari de diversis praedicamentis. Ad quintum dicendum quod ipsam naturam Dei prout in se est, neque catholicus neque paganus cognoscit, sed uterque cognoscit eam secundum aliquam rationem causalitatis vel excellentiae vel remotionis, ut supra [q. 1 2 a. 1 2] dictum est. Et secundum hoc, in eadem significatione accipere potest gentilis hoc nomen Deus, cum dicit idolum est Deus, in qua accipit ipsum catholicus dicens idolum non est Deus. Si vero aliquis esset qui secun­ dum nullam rationem Deum cognosceret, nec ipsum nominaret, nisi forte sicut proferimus nomina quorum significationem ignoramus.

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l'altro si servono di questo termine per indica­ re il vero Dio. Quando infatti il pagano dice che l'idolo è Dio, non prende tale parola nel senso di un Dio presunto: poiché altrimenti direbbe la verità, dato che gli stessi cattolici talora prendono il nome di Dio in questo senso, come quando è detto nel Sal: Tutti gli

dèi dei pagani sono demòni.

2, 3. Lo stesso si dice per la seconda e la terza difficoltà. Infatti le ragioni addotte partono dalla diversità delle attribuzioni del nome Dio, non dalla diversità dei suoi significati. 4. [S. c.]. Il termine animale, adoperato per l' animale vero e per quello dipinto, non è preso in senso puramente equivoco; tuttavia Aristotele prende il tennine equivoco in senso largo, includendovi anche l'analogo. Poiché talora si afferma che persino ente, che indub­ biamente è un termine analogo, viene attribui­ to equivocamente ai diversi predicamenti. 5. [S. c.] . La natura stessa di Dio come è in sé non la conosce né il cattolico né il pagano, ma l'uno e l'altro la conoscono secondo una certa ragione di causalità, o di eminenza, o di nega­ zione, come si è detto. E da questo punto di vista essi possono prendere il nome Dio nello stesso significato: sia il pagano quando dice: «L'idolo è Dio», sia il cattolico quando ribatte: «L'idolo non è Dio». Se però vi fosse qualcu­ no che non conoscesse Dio in alcun modo, allora neppure potrebbe nominarlo, o al massi­ mo potrebbe nominarlo come quando noi pro-­ feriamo parole di cui ignoriamo il significato.

Articulus 1 1 Utrum hoc nomen Qui est sit maxime nomen Dei proprium

Articolo 1 1 Il nome Colui che è è il nome più proprio di Dio?

Ad undecimum sic proceditur. Videtur quod hoc nomen qui est non sit maxime proprium nomen Dei. l . Hoc enim nomen Deus est nomen incom­ municabile, ut dictum est [a. 9]. Sed hoc no­ men qui est non est nomen incommunicabile. Ergo hoc nomen qui est non est maxime proprium nomen Dei. 2. Praeterea, Dionysius dicit, 3 cap. De div. nom. [ l ], quod boni nominatio est manifestativa omnium Dei processionum. Sed hoc maxime Deo convenit, quod sit universale rerum princi­ pium. Ergo hoc nomen bonum est maxime proprium Dei, et non hoc nomen qui est.

Sembra di no. Infatti: l . TI termine Dio è un nome incomunicabi1e, come si è già detto. Ma il nome Colui che è non è un nome incomunicabile. Quindi non è il nome più proprio di Dio. 2. Dionigi dice: «La parola bene è manifesta­ tiva per eccellenza di tutte le emanazioni di Dio». Ora, a Dio conviene necessariamente di essere il principio universale di tutte le cose. Quindi il nome proprio per eccellenza di Dio è il Bene, e non Colui che è. 3. Ogni nome divino deve comportare una relazione con le creature, poiché Dio non è conosciuto da noi se non per mezzo delle

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/ nomi di Dio

3 . Praeterea, omne nomen divinum videtur importare relationem ad creaturas, cum Deus non cognoscatur a nobis nisi per creaturas. Sed hoc nomen qui est nullam importat habi­ tudinem ad creaturas. Ergo hoc nomen qui est non est maxime proprium nomen Dei. Sed contra est quod dicitur Ex. 3 [ 1 3- 1 4], quod Moysi quaerenti, si dixerint mihi, quod est nomen eius? Quid dicam eis? Et respondit ei Dominus, sic dices eis, qui est misit me ad vos. Ergo hoc nomen qui est est maxime proprium nomen Dei. Respondeo dicendum quod hoc nomen qui est triplici ratione est maxime proprium nomen Dei. Primo quidem, propter sui significatio­ nem. Non enim significat formam aliquam, sed ipsum esse. Unde, cum esse Dei sit ipsa eius essentia, et hoc nulli alii conveniat, ut supra [q. 3 a. 4] ostensum est, manifestum est quod inter alia nomina hoc maxime proprie nominat Deum, unumquodque enim denomi­ natur a sua forma. Secundo, propter eius uni­ versalitatem. Omnia enim alia nomina vel sunt minus communia; vel, si convertantur cum ipso, tamen addunt aliqua supra ipsum se­ cundum rationem; unde quodammodo infor­ mant et determinant ipsum. Intellectus autem noster non potest ipsam Dei essentiam co­ gnoscere in statu viae, secundum quod in se est, sed quemcumque modum determinet circa id quod de Deo intelligit, deficit a modo quo Deus in se est. Et ideo, quanto aliqua no­ mina sunt minus determinata, et magis com­ muoia et absoluta, tanto magis proprie di­ cuntur de Deo a nobis. Unde et Damascenus dicit [De fide l ,9] quod principalius omnibus

quae de Deo dicuntur nominibus, est qui est, totum enim in seipso comprehendens, habet ipsum esse vehtt quoddam pelagus substantiae infinitum et indeterminatum. Quolibet enim alio nomine determinatur aliquis modus sub­ stantiae rei, sed hoc nomen qui est nullum mo­ dum essendi determinat, sed se habet inde­ terminate ad omnes; et ideo nominat ipsum pelagus substantiae infinitum. Tertio vero, ex eius consignificatione. Significat enim esse in praesenti, et hoc maxime proprie de Deo dicitur, cuius esse non novit praeteritum vel futurum, ut dicit Augustinus in 5 De Trin. [2]. Ad primum ergo dicendum quod hoc nomen qui est est magis proprium nomen Dei quam hoc nomen Deus, quantum ad id a quo impo-

Q. 13, A. I l

creature. Ma questo nome Colui che è non ha alcuna attinenza con le creature. Quindi non è il nome più proprio di Dio. In contrario: in Es è detto che alla domanda di Mosè: Se mi diramw: "Come si chiama?" che cosa riponderò loro? Dio rispose: Dirai agli

Israeliti: Colui che è mi ha mandato a voi. Quindi Colui che è è per eccellenza il nome proprio di Dio. Risposta: l'espressione Colui che è per tre motivi è il nome più proprio di Dio. Prima di tutto per il suo significato. Infatti non esprime una qualche forma o modo particolare di essere, ma lo stesso essere. Quindi, siccome l'essere di Dio è la sua stessa essenza, e sicco­ me ciò non conviene ad alcun'altra realtà, co­ me si è dimostrato, è evidente che fra tutti gli altri nomi questo compete a Dio in modo mas­ simamente proprio: ogni cosa infatti viene denominata dalla propria forma. Secondo, per la sua universalità. Thtti gli altri nomi, infatti, o sono meno vasti e universali oppure, se si con­ vertono con esso, vi aggiungono, secondo la nostra maniera di concepire, qualcosa che in un certo modo lo qualifica e lo restringe. Ora, il nostro intelletto nella vita presente non può conoscere l'essenza di Dio così come è in se stessa, ma qualsiasi restrizione faccia intorno a ciò che conosce di Dio si allontana dal modo nel quale Dio è in se stesso. E così quanto meno i nomi sono ristretti e quanto più sono estesi e assoluti, tanto più propriamente noi li applichiamo a Dio. Quindi anche il Damasce­ no dice: «Di tutti i nomi che si dicono di Dio quello che meglio lo esprime è Colui che è: poiché comprendendo tutto in se stesso possie­ de l'essere medesimo come una specie di oceano di sostanza infinito e senza rive». Con ogni altro nome si viene infatti a determinare un qualche modo della sostanza della cosa; invece questo nome Colui che è non determina alcun modo di essere, ma conserva la sua inde­ terminatezza rispetto a tutti i modi di essere: perciò esprime lo stesso «oceano infinito di sostanza». Terzo, per la modalità inclusa nel suo significato. Indica infatti l'essere al presen­ te: e ciò si dice in modo sommamente proprio di Dio il cui essere, come afferma Agostino, non conosce passato o futuro. Soluzione delle difficoltà: l . Colui che è è un nome di Dio più proprio dell'altro nome Dio sia per la derivazione del termine, che è

/ nomi di Dio

Q. 13, A. 1 1

nitur, scilicet ab esse, et quantum ad modurn significandi et consignificandi, ut dictum est [in co.]. Sed quantum ad id ad quod imponi­ tur nomen ad significandum, est magis pro­ prium hoc nomen Deus, quod imponitur ad significandum naturam divinam. Et adhuc magis proprium nomen est tetragrammaton, quod est impositum ad significandam ipsam Dei substantiam incommunicabilem, et, ut sic liceat loqui, singularem. Ad secundum dicendum quod hoc nomen bonum est principale nomen Dei inquantum est causa, non tamen simpliciter, nam esse absolute praeintelligitur causae. Ad tertium dicendum quod non est neces­ sarium quod omnia nomina divina importent habitudinem ad creaturas; sed sufficit quod imponantur ab aliquibus perfectionibus proce­ dentibus a Deo in creaturas. Inter quas prima est ipsurn esse, a qua surnitur hoc nomen qui est.

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sia per l ' universalità del suo signi­ ficato, sia per la voce del verbo che viene usa­ ta, come si è visto. Se però si considera l' og­ getto stesso che si ha l' intenzione di esprimere, allora è più proprio il nome Dio, il quale è po­ sto a indicare la natura divina. Nome poi anche più proprio è il Tetragramma [Jahvè], il quale è destinato a significare la stessa natura divina incomunicabile e, se così è lecito esprimersi, singolare. 2. Il termine Bene è il nome principale di Dio considerato come causa, non però assoluta­ mente: poiché l'essere è logicamente anterio­ re alla causalità. 3. Non è necessario che tutti i nomi divini im­ plichino relazione alle creature, ma basta che vengano desunti da alcune perfezioni causate da Dio nelle creature: e tra queste la principale è l'essere, da cui deriva il nome Colui che è.

l'essere,

Articulus 1 2

Articolo 12

Utrum propositiones affirmativae possint formari de Deo

Rispetto a Dio si possono formare delle proposizioni affermative?

Ad duodecimum sic proceditur. Videtur quod propositiones affirmativae non possunt for­ mari de Deo. l . Dicit enim Dionysius, 2 cap. De cael. hier. [3], quod negationes de Deo sunt verae, affir­

Sembra di no. Infatti: l . Dionigi dice: «Relativamente a Dio le ne­ gazioni sono vere, le affermazioni invece i nadeguate». 2. Boezio scrive: «Nessuna forma semplice può essere soggetto». Ora, Dio è una forma semplice al massimo grado, come si è già di­ mostrato. Quindi non può essere soggetto. Siccome dunque tutto ciò su cui si forma una proposizione affermativa è preso come sog­ getto, ne segue che su Dio non si possono for­ mare proposizioni affermative. 3. L' intelletto che concepisce le cose diversa­ mente da come sono è falso. Ora, Dio ha l'esse­ re immune da ogni composizione, come fu già provato. Poiché dunque la mente, quando affer­ ma, concepisce l'oggetto facendo una composi­ zione, sembra che non si possano formulare proposizioni aftermative vere intorno a Dio. In contrario: la tede non contiene nulla di tal­ so. Ma nella fede vi sono alcune proposizioni affermative, per es. che Dio è uno e trino, e che è onnipotente. Quindi su Dio si possono formulare delle proposizioni affermative vere. Risposta: si possono con verità f01mulare intor­ no a Dio delle proposizioni affermative. Per dimostrarlo, occorre considerare che in ogni

mationes autem incompactae. 2. Praeterea, Boetius dicit, in libro De Trin. [2], quod forma simplex subiectum esse non potest. Sed Deus maxime est forma simplex, ut supra [q. 3 a. 7] ostensum est. Ergo non potest esse subiectum. Sed omne illud de quo propositio affirmativa formatur, accipitur ut subiectum. Ergo de Deo propositio affumati­ va formari non potest. 3. Praeterea, omnis intellectus intelligens rem aliter quam sit, est falsus. Sed Deus habet esse absque omni compositione, ut supra [q. 3 a. 7] probatum est. Cum igitur omnis intel­ lectus affirmativus intelligat aliquid curn com­ positione, videtur quod propositio affirmativa vere de Deo formari non possit. Sed contra est quod fidei non subest falsum. Sed propositiones quaedam affirmativae sub­ duntur fidei, utpote quod Deus est trinus et unus, et quod est omnipotens. Ergo propo­ sitiones affirmativae possunt vere formari de Deo.

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/ nomi di Dio

Respondeo dicendum quod propositiones affirmativae possunt vere formaci de Deo. Ad c u i us evi dentiam, sciendum est quod i n qualibet propositione affirmativa vera, oportet quod praedicatum et subiectum significent i de m secundum rem aliquo modo, et di­ versum secundum rationem. Et hoc patet tam in propositionibus quae sunt de praedicato accidentali, quam in illis quae sunt de praedi­ cato substantiali. Manifestum est enim quod homo et albus sunt idem subiecto, et differunt ratione, alia enim est ratio hominis, et alia ratio albi. Et similiter cum dico homo est ani­ mal, illud enim ipsum quod est homo, vere animai est; in eodem enim supposito est et natura sensibilis, a qua dicitur animai, et ratio­ nalis, a qua dicitur homo. Unde hic etiam praedicatum et subiectum sunt idem suppo­ sito, sed diversa ratione. Sed et in proposi­ tionibus in quibus idem praedicatur de seipso, hoc aliquo modo invenitur; inquantum intel­ lectus id quod ponit ex parte subiecti, trahit ad partem suppositi, quod vero ponit ex parte praedicati, trahit ad naturam formae in suppo­ sito existentis, secundum quod dicitur quod praedicata tenentur formaliter, et subiecta ma­ terialiter. Huic vero diversitati quae est se­ cundum rationem, respondet pluralitas prae­ dicati et subiecti, identitatem vero rei signi­ ficat intellectus per ipsam compositionem. Deus autem, in se consideratus, est omnino unus et simplex, sed tamen intellectus noster secundum diversas conceptiones ipsum co­ gnoscit, eo quod non potest ipsum ut in seipso est, videre. Sed tamen, quamvis intelligat ipsum sub diversis conceptionibus, cognoscit tamen quod omnibus suis conceptionibus respondet una et eadem res simpliciter. Hanc ergo pluralitatem quae est secundum rationem, repraesentat per pluralitatem praedicati et subiecti, unitatem vero repraesentat intellectus per compositionem. Ad primum ergo dicendum quod Dionysius dicit affirmationes de Deo esse incompactas, vel inconvenientes secundum aliam transla­ tionem, inquantum nullum nomen Deo com­ petit secundum modum significandi, ut supra [a. 3] dictum est. Ad secundum dicendum quod intellectus noster non potest formas simplices subsistentes se­ cundum quod in seipsis sunt, apprehendere, sed apprehendit eas secundum modum composito-

Q. 13, A. 12

proposizione affermativa vera il soggetto e il predicato devono significare realmente, sotto un certo aspetto, l'identica cosa, e concettualmente cose diverse. n che è evidente tanto nelle pro­ posizioni in cui il predicato è una qualità acci­ dentale, quanto in quelle in cui il predicato è sostanziale. [Nella proposizione, per es.: l'uomo è bianco] evidentemente uomo e bianco sono una sola e identica realtà in concreto, ma con­ cettualmente dift'eriscono, poiché altra è la no­ zione di uomo e altra quella di bianco. E così pure quando dico: l'uomo è wz animale: poiché quella realtà medesima che è uomo è in verità animale; infatti nello stesso soggetto concreto c'è sia la natura sensibile, per la quale è detto animale, sia quella razionale, per la quale è detto uomo. Anche qui, dunque, abbiamo che il predicato e il soggetto sono in concreto l 'identi­ ca cosa, differendo però nazionalmente. Ora ciò, in qualche modo, si ritrova persino nelle proposizioni in cui un'identica cosa è aftermata di se medesima: poiché l 'intelletto a ciò che prende come soggetto fa fare la parte del suppo­ sito, e a ciò che prende come predicato fa fare la parte della forma esistente nel supposito, ve­ rificandosi in tal modo quanto si dice in logica, che cioè «i predicati si presentano sotto l'aspetto di forma e i soggetti sotto quello di materia>>; a questa diversità concettuale, dunque, corrispon­ de la pluralità del predicato e del soggetto, mentre l'identità reale è espressa dali' intelligen­ za per mezzo del loro stesso congiungimento. Ora Dio, considerato in se medesimo, è assolu­ tamente uno e semplice; tuttavia il nostro intel­ letto lo conosce attraverso diversi concetti, non potendolo vedere così come è in se stesso. E tut­ tavia, sebbene lo conosca sotto diversi concetti, sa però che a tutti i suoi concetti corrisponde semplicemente una sola e identica sostan­ za. Ora, questa pluralità di concetti la nostra mente la rappresenta mediante la pluralità del predicato e del soggetto; ne rappresenta invece l'unità per mezzo del loro congiungimento. Soluzione delle difficoltà: l . Dionigi dice che le proposizioni aft'ennative intorno a Dio so­ no inadeguate o, come porta un'altra versio­ ne, non convenienti, giacché nessun nome compete a Dio secondo il modo di significare, come è stato detto sopra. 2. La nostra mente non può apprendere le forme semplici sussistenti come sono in se stesse, ma le apprende alla maniera dei com-

/ nomi di Dio

Q. 13, A. 12

rum, in quibus est aliquid quod subiicitur, et est aliquid quod inest. Et ideo apprehendit formam simplicem in ratione subiecti, et attribuit ei aliquid. Ad tertium dicendum quod haec propositio, intellectus intelligens rem aliter quam sit, est falsus, est duplex, ex eo quod hoc adverbium aliter potest determinare hoc verbum intelligit ex parte intellecti, vel ex parte intelligentis. Si ex parte intellecti, sic propositio vera est, et est sensus, quicumque intellectus intelligit rem esse aliter quam sit, falsus est. Sed hoc non habet locum in proposito, quia intellectus noster, formans propositionem de Deo, non dicit eum esse compositum, sed simplicem. Si vero ex parte intelligentis, sic propositio falsa est. Alius est enim modus intellectus in intel­ ligendo, quam rei in essendo. Manifestum est enim quod intellectus noster res materiales in­ fra se existentes intelligit immaterialiter; non quod intelligat eas esse immateriales, sed ha­ bet modum immaterialem in intelligendo. Et similiter, cum intelligit simplicia quae sunt supra se, intelligit ea secundum modum suum, scilicet composite, non tamen ita quod intelli­ gat ea esse composita. Et sic intellectus noster non est falsus, formans compositionem de Deo.

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posti, nei quali c'è qualcosa che fa da sostrato e qualcosa che vi si appoggia sopra. Quindi apprende la forma semplice sotto l'aspetto di soggetto e le attribuisce qualcosa. 3. La proposizione «L' intelletto che intende una cosa diversamente da come è, è falso» ha un doppio senso: poiché l' avverbio diversa­ mente può determinare il verbo intendere ri­ spetto all'oggetto inteso, oppure rispetto allo stesso intelletto che percepisce. Nel primo caso la proposizione è vera, e il senso è questo: quel­ l' intelletto che intende una cosa altrimenti da ciò che la cosa è, è falso. Ma ciò non si verifica nel caso nostro: poiché la nostra mente, formu­ lando su Dio proposizioni affermative, non dice che egli è composto, ma che è semplice. Se in­ vece il diversamente si riferisce all'intelletto che intende, allora la proposizione è falsa Infatti il modo dell'intelletto nell'apprendere è diverso dal modo di essere della cosa. È infatti evidente che il nostro intelletto concepisce immaterial­ mente le cose materiali che sono al disotto di esso non perché le considera immateriali, ma perché nell'intendere ha un modo che è imma­ teriale. Parimenti, quando la nostra intelligenza concepisce le realtà semplici che sono al diso­ pra di essa, le intende alla sua maniera, cioè sotto forma di realtà composte, senza però che le consideri composte. E così il nostro intelletto non è falso quando formula nei riguardi di Dio delle composizioni concettuali.

QUAESTIO 14

QUESTIONE 14

DE SCIENTIA DEI

LA SCIENZA DI DIO

Post considerationem eorum quae ad divinam substantiam pertinent, restat considerandum de his quae pertinent ad operationem ipsius [cf. q. 2 prol.]. Et quia operatio quaedam est quae manet in operante, quaedam vero quae procedit in exteriorem effectum, primo age­ mus de scientia et voluntate [q. 1 9] (nam intel­ ligere in intelligente est, et velle in volente); et postmodum [q. 25] de potentia Dei, quae consideratur ut principium operationis divinae in effeclum exteriorem procedenlis. Quia vero intelligere quoddam vivere est, post considera­ tionem divinae scientiae, considerandum erit de vita divina [q. 1 8]. Et quia scientia verorum est, erit etiam considerandum de veritate et falsitate [q. 16]. Rursum, quia omne cognitum

Esaurite le questioni riguardanti la natura divina, rimane da esaminare ciò che riguarda le sue operazioni. E poiché vi sono operazioni che rimangono nell'operante e operazioni che passano nell'effetto esterno, prima tratteremo della scienza e della volontà (l'intendere, infat­ ti, resta in colui che intende, e il volere in colui che vuole), poi della potenza di Dio, che è considerata come il principio dell'operazione divina che passa sull'effetto esterno. Siccome poi l'intendere è una maniera di vivere, dopo l'indagine sulla scienza di Dio dovremo trat­ tare della vita divina. E poiché la scienza ha per oggetto il vero, dovremo indagare anche sulla verità e sulla falsità. Infine, poiché ogni oggetto attuale di conoscenza è nel conoscen-

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La scienza di Dio

in cognoscente est, rationes autem renun se­ cundum quod sunt in Deo cognoscente, ideae vocantur, cum consideratione scientiae erit etiam adiungenda consideratio de ideis [q. 15]. Circa scientiam vero quaeruntur sexdecim. Pri­ mo, utrum in Deo sit scientia Secundo, utrum Deus intelligat seipsum. Tertio, utrum com­ prehendat se. Quarto, utrum suum intelligere sit sua substantia. Quinto, utrum intelligat alia a se. Sexto, utrum habeat de eis propriam cognitio­ nem. Septimo, utrum scientia Dei sit discorsiva. Octavo, utrum scientia Dei sit causa rerum. Nono, utrum scientia Dei sit eorum quae non sunt. Decimo, utrum sit malonun. Undecimo, utrum sit singularium. Duodecimo, utrum sit infinitorum. Decimotertio, utrum sit contingen­ tium futurorum. Decimoquarto, utrum sit enun­ tiabilium. Decimoquinto, utrum scientia Dei sit variabilis. Decimosexto, utrum Deus de rebus habeat speculativam scientiam vel practicam.

Q. 14, A. l

te, e le essenze delle cose in quanto conosciute da Dio sono chiamate idee, bisognerà aggiun­ gere allo studio della scienza quello delle idee. Rispetto alla scienza dunque si pongono sedici quesiti: l . In Dio c'è scienza? 2. Dio conosce se stesso? 3. Comprende se stesso? 4. li suo intendere è la sua sostanza? 5. Conosce le altre cose distinte da sé? 6. Di tali cose ha una conoscenza propria? 7. La scienza di Dio è raziocinativa? 8. La scienza di Dio è causa delle cose? 9. La scienza di Dio si estende alle cose che non sono? I O. Si estende al male? 1 1 . Si estende ai singolari? 1 2. Abbraccia infi­ nite cose? 1 3. Si estende ai futuri contingenti? 14. Riguarda le proposizioni? 15. La scienza di Dio è variabile? 1 6. Dio ha delle cose una scienza speculativa o pratica?

Articulus l

Articolo l

Utrum in Deo sit scientia

In Dio c'è scienza?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod i n Deo non sit scientia. l . Scientia eni m habitus est, qui Deo non competit, cum sit medius inter potentiam et actum. Ergo scientia non est in Deo. 2. Praeterea, scientia, cum sit conclusionum, est quaedam cognitio ab alio causata, scilicet ex cognitione principiorum. Sed nihil causa­ turo est in Deo. Ergo scientia non est in Deo. 3. Praeterea, omnis scientia vel universalis vel particularis est. Sed in Deo non est universale et particolare, ut ex superioribus [q. 1 3 a. 9 ad 2] patet; ergo in Deo non est scientia. Sed contra est quod apostolus dicit Rom. I l [33],

Sembra di no. Infatti: l . La scienza è un abito, il quale non compete a Dio, essendo tra la potenza e l'atto. Quindi non vi è scienza in Dio. 2. La scienza ha per oggetto le conclusioni: quindi è una conoscenza causata dal di fuori, cioè dalla conoscenza dei princìpi. Ora, in Dio non vi è nulla di causato. Quindi in Dio non vi è scienza. 3. Ogni scienza è o universale o particolare. Ma in Dio, come si è dimostrato, non si dà né universale né particolare. Quindi in Dio non vi è scienza. In contrario: in Rm l' Apostolo dice: O profon­

o altitudo divitiarnm sapientiae et scientiae Dei.

dità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio!

Respondeo dicendum quod in Deo perfectis­ sime est scientia. Ad cuius evidentiam, consi­ derandum est quod cognoscentia a non co­ gnoscentibus in hoc distinguuntur, quia non cognoscentia nihil habent nisi formam suam tantum; sed cognoscens natum est habere for­ mam etiam rei alterius, nam species cogniti est in cognoscente. Unde manifestum est quod natura rei non cognoscentis est magis coarctata et limitata, natura autem rerum co­ gnoscentium habet maiorem amplitudinem et extensionem. Propter quod dicit philosophus, 3 De an. [8,1], quod anima est quodammodo

Risposta: in Dio vi è scienza allo stato perfet­ tissimo. A chiarimento di ciò bisogna consi­ derare che gli esseri conoscitivi si distinguono dagli esseri non conoscitivi in questo, che i non conoscitivi hanno solo la propria forma, mentre quelli dotati di conoscenza sono fatti per avere anche le forme delle altre cose, poi­ ché in colui che conosce si trova l'immagine dell'oggetto conosciuto. Quindi è chiaro che l a natura degli esseri non conoscitivi è più ristretta e più limitata, mentre quella dei cono­ scitivi è di maggiore ampiezza ed estensione.

Q. 14, A. l

La scienza di Dio

omnia. Coarctatio autem formae est per ma­ teriam. Unde et supra [q. 7 aa. 1-2] diximus quod formae, secundum quod sunt magis im­ materiales, secundum hoc magis accedunt ad quandam infinitatem. Patet igitur quod imma­ terialitas alicuius rei est ratio quod sit cogno­ scitiva; et secundum modum immaterialitatis est modus cognitionis. Unde in 2 De an. [1 2,4] dicitur quod plantae non cognoscunt, propter suam materialitatem. Sensus autem cognosci­ tivus est, quia receptivus est specierum sine materia, et intellectus adhuc magis cognosci­ tivus, quia magis separatus est a materia et immixtus, ut dicitur in 3 De an. [4,3.6]. Unde, cum Deus sit in summo immaterialitatis, ut ex superioribus [q. 7 a. l ] patet, sequitur quod ipse sit in summo cognitionis. Ad primum ergo dicendum quod, quia perfec­ tiones procedentes a Deo in creaturas, altiori modo sunt in Deo, ut supra [q. 4 a. 2] dictum est, oportet quod, quandocumque aliquod no­ men sumptum a quacumque pertectione crea­ turae Deo attribuitur, secludatur ab eius signi­ ficatione omne illud quod pertinet ad imperfec­ tum modum qui compctit creaturae. Unde scientia non est qualitas in Deo vel habitus, sed substantia et actus purus. Ad secundum dicendum quod ea quae sunt divisim et multipliciter in creaturis, in Deo sunt simpliciter et unite, ut supra [q. 1 3 a. 4] dictum est. Homo autem, secundum diversa cognita, habet diversas cognitiones, nam se­ cundum quod cognoscit principia, dicitur ha­ bere intelligentiam; scientiam vero, secun­ dum quod cognoscit conclusiones; sapien­ tiam, secundum quod cognoscit causam altis­ simam; consilium vel prudentiam, secundum quod cognoscit agibilia. Sed haec omnia Deus una et simplici cognitione cognoscit, ut infra [a. 7] patebit. Unde simplex Dei cogni­ tio omnibus istis norninibus norninari potest, ita tamen quod ab unoquoque eorum, secun­ dum quod in divinam praedicationem venit, secludatur quidquid impertectionis est, et re­ tineatur quidquid perfectionis est. Et secun­ dum hoc dicitur Iob 1 2 [ 1 3], apud ipsum est

sapientia et fortitudo; ipse habet consilium et intelligentiam. Ad tertium dicendum quod scientia est se­ cundum modum cognoscentis, scitum enim est in sciente secundum modum scientis. Et ideo, cum modus divinae essentiae sit altior

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Per tale motivo il Filosofo dice: «L'anima è in certo qual modo tutte le cose». Ma la limita­ zione della forma viene dalla materia. Per questo anche sopra abbiamo detto che le forme, quanto più sono immateriali,, tanto più si accostano a una certa infinità. E dunque evidente che l'immaterialità di un essere è la ragione della sua natura conoscitiva, e che la perfezione del conoscere dipende dal grado di immaterialità. Per questo Aristotele dice che le piante non sono dotate di conoscenza a causa della loro materialità. Il senso, invece, è conoscitivo per la sua capacità di ricevere le immagini delle cose senza la materia; l'intel­ letto, poi, lo è ancora di più, in quanto mag­ giormente staccato dalla materia e senza mi­ sture, come dice Aristotele. Quindi, essendo Dio nel sommo grado di immaterialità, come appare chiaro da ciò che precede, ne viene che egli è a1l'apice del conoscere. Soluzione delle difficoltà: l . Siccome le per­ fezioni derivate da Dio nelle cose si trovano in Dio in un grado più elevato, come è stato spiegato sopra, è necessario, tutte le volte che si attribuisce a Dio un nome tratto dalle perfe­ zioni delle creature, che sia escluso dal suo significato tutto ciò che risente del modo im­ perfetto proprio della creatura. Quindi la scienza in Dio non è una qualità o un abito, ma sostanza e atto puro. 2. Abbiamo già visto che quanto nelle creature è frazionato e molteplice si trova in Dio in mo­ do semplice e indiviso. Ora, l'uomo ha diverse conoscenze secondo la diversità degli oggetti: in quanto infatti intuisce i princìpi, si dice che ha l'intelligenza; in quanto conosce le conclu­ sioni, gli si attribuisce la scienza; in quanto conosce le cause supreme, la sapienza; in quan­ to conosce le azioni da compiere, il consiglio e la prudenza. Ma Dio conosce tutte queste cose con una sola e semplice conoscenza, come vedremo a suo luogo. Quindi l'unica conoscen­ za di Dio può essere denominata con tutti que­ sti termini: purché da ciasctmo di essi, in quan­ to è applicato a Dio, si elimini tutto ciò che vi è di imperfezione e si consideri quanto vi si trova di perfezione. E in questo senso è detto in Gb:

In lui risiede la sapienza e laforza, a lui appar­ tiene il consiglio e la prudenza. 3. La scienza si unifonna al modo di essere del soggetto conoscente, poiché l'oggetto cono­ sciuto si trova nel conoscente secondo il modo

Q. 14, A. l

La scienza di Dio

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quam modus quo creaturae sunt, scientia divina non habet modum creatae scientiae, ut scilicet sit universalis vel particularis, vel in habitu vel in potentia, vel secundum aliquem talem modum disposita.

di quest'ultimo. Siccome quindi il modo di essere di Dio è più alto del modo di essere delle creature, la scienza divina non ha le modalità della scienza creata, cioè a dire non è universale o particolare, abituale o potenziale, o disposta secondo uno di questi modi.

Articulus 2 Utrum Deus intelligat se

Articolo 2 Dio conosce se stesso?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Deus non intelligat se. l . Dicitur enim in libro De causis [14], quod

Sembra di no. Intàtti: l . Nel libro De Causis si dice: «Ogni essere co­ noscitivo, nell'intendere la propria essenza, ri­ torna completamente sopra se stesso». Ora, Dio non esce dalla propria essenza, né si muove in modo alcuno, e così non gli compete il ritorno sopra se stesso. Quindi non conosce se stesso. 2. TI conoscere è una specie di passività e di moto, come dice Aristotele; e anche la scien­ za è un diventare simile all'oggetto, e l'ogget­ to conosciuto è un pert'ezionamento di colui che conosce. Ora, nulla può essere trasforma­ to, o subire un'azione, o essere pert'ezionato da se stesso, >: imita in­ fatti l'unità, ma non è un'unità. Ora, ciascuna cosa imita la bontà di Dio, ma senza raggiun­ gerla. Quindi in tutte le cose c'è della falsità. Risposta: siccome il vero e il falso sono oppo­ sti tra loro, e d'altra parte gli opposti riguarda­ no sempre un medesimo soggetto, è necessa­ rio anzitutto ricercare la falsità dove si trova formalmente la verità, cioè nell' intelletto. Nelle cose poi non c'è né verità né falsità se non in rapporto all'intelletto. E siccome ogni essere acquista le denominazioni assolute dalle sue proprietà inseparabili, mentre per

si verum est id quod est, falsum non esse uspiam concludetur, quovis repugnante.

2. Praeterea, falsum dicitur a fallendo. Sed res non fallunt, ut dicit Augustinus in libro De vera rei. [36], quia non ostendunt aliud quam suam speciem. Ergo falsum in rebus non invenitur. 3. Praeterea, verum dicitur in rebus per com­ parationem ad intellectum divinum, ut supra [q. 1 6 a. l ] dictum est. Sed quaelibet res, in­ quantum est, irnitatur Deum. Ergo quaelibet res vera est, absque falsitate. Et sic nulla res est falsa. Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro De vera rei. [34], quod omne cmpus est ve­ rum corpus et falsa unitas; quia imitatur uni­ tatem, et non est unitas. Sed quaelibet res irni­ tatur divinam bonitatem, et ab ea deficit. Ergo in omnibus rebus est falsitas. Respondeo dicendum quod, cum verum et falsum opponantur; apposita autem sunt circa idem; necesse est ut ibi prius quaeratur falsitas, ubi primo veritas invenitur, hoc est in intellectu. In rebus autem neque veritas ne-

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Lafalsità

que falsitas est, nisi per ordinem ad intel­ lectum. Et quia unumquodque secundum id quod convenit ei per se, simpliciter nomina­ tur; secundum autem id quod convenit ei per accidens, non nominatur nisi secundum quid; res quidem simpliciter falsa dici posset per comparationem ad intellectum a quo depen­ det, cui comparatur per se; in ordine autem ad alium intellectum, cui comparatur per ac­ cidens, non posset dici falsa nisi secundum quid. Dependent autem ab intellectu divino res naturales, sicut ab intellectu humano res artificiales. Dicuntur igitur res artificiales fal­ sae simpliciter et secundum se, inquantum deficiunt a forma artis, unde dicitur aliquis artifex opus falsum facere, quando deficit ab operatione artis. Sic autem in rebus depen­ dentibus a Deo, falsitas inveniri non potest per comparationem ad intellectum divinum, cum quidquid in rebus accidit, ex ordinatione divini intellectus procedat, nisi forte in volun­ tariis agentibus tantum, in quorum potestate est subducere se ab ordinatione divini intellec­ tus; in quo malum culpae consistit, secun­ dum quod ipsa peccata falsitates et mendacia dicuntur in Scripturis, secundum illud Psalmi 4 [3], ut quid diligitis vanitatem et quaeritis mendacium? Sicut per oppositum operatio virtuosa veritas vitae nominatur, inquantum subditur ordini divini intellectus; sicut dicitur Ioan. 3 [2 1 ] , qui facit veritatem, venit ad lucem . Sed per ordinem ad intellectum nostrum, ad quem comparantur res naturales per accidens, possunt dici falsae, non simpli­ citer, sed secundum quid. Et hoc dupliciter. Uno modo, secundum rationem significati, ut dicatur illud esse falsum in rebus, quod signi­ ficatur vel repraesentatur oratione vel intellec­ tu falso. Secundum quem modum quaelibet res potest dici esse falsa, quantum ad id quod ei non inest, sicut si dicamus diametrum esse falsum commensurabile, ut dicit philosophus in 5 Met. [4,29, 1 ] ; et sicut dicit Augustinus, i n libro Solil. [2, l 0], quod tragoedus est falsus Hector. Sicut e contrario potest unum­ quodque dici verum, secundum id quod competit ei. Alio modo, per modum causae. Et sic dicitur res esse falsa, quae nata est facere de se opinionem falsam. Et quia inna­ tum est nobis per ea quae exterius apparent de rebus indicare, eo quod nostra cognitio a sensu ortum habet, qui primo et per se est

Q. 17, A. l

quelle occasionali e accessorie acquista solo denominazioni relative, una cosa potrebbe essere denominata falsa in senso assoluto solo in rapporto all'intelletto da cui dipende, e al quale necessariamente si riferisce, mentre ri­ guardo ad altri intelletti, con i quali ha un rap­ porto soltanto occasionate, non potrebbe esse­ re detta falsa se non in senso relativo. Ora, le cose esistenti in natura dipendono dalla mente divina allo stesso modo in cui dalla mente umana dipendono i prodotti deli' arte. Ma i prodotti dell'arte si dicono falsi in modo asso­ luto e per se stessi nella misura in cui si disco­ stano dalla forma voluta dall'arte: e così di un artista si dice che fa un'opera falsa quando viene meno alle regole dell'arte. Ma in questo senso non è possibile trovare falsità nelle cose dipendenti da Dio, considerate in rapporto all'intelligenza divina, poiché tutto ciò che è in esse procede dalle disposizioni di questa medesima intelligenza divina. Vi è un'ecce­ zione, forse, per gli esseri dotati di libertà, i quali hanno il potere di sottrarsi alle disposi­ zioni della mente di Dio. E in ciò consiste il male [morale, cioè la] colpa, per cui i peccati nella Scrittura sono chiamati falsità e menzo­ gne. Nel Sal è detto: Perché amate cose vane e cercate la menzogna? Così, viceversa, un'a­ zione virtuosa è denominata verità della vita, in quanto è subordinata ai divini intendimenti, secondo l'espressione di Gv: Chi fa la verità viene alla luce. Se consideriamo invece le co­ se esistenti in natura rispetto al nostro intellet­ to, verso il quale non hanno un rapporto es­ senziale, esse possono dirsi false non in senso assoluto, ma relativo. E ciò avviene in due maniere. Prima di tutto a motivo del nostro modo di rappresentarci l'oggetto: e così chia­ meremo falso nelle cose ciò che se ne dice o se ne pensa falsamente. E in questo senso qualsiasi cosa può essere dichiarata falsa per quello che in essa non c ' è, come quando diciamo con Aristotele che il diametro è un falso commensurabile, o con Agostino che l' attore è un falso Ettore. E inversamente qualsiasi cosa può dirsi vera per le proprietà che ad essa appartengono. - In secondo luogo a modo di causa. E in questo senso si dice falsa quella cosa che per natura sembra fatta per produrre di sé una falsa opinione. E poi­ ché è per noi naturale il giudicare delle cose secondo le loro apparenze esterne - dato che

La falsità

Q. l 7, A. l

exteriorum accidentium; ideo ea quae i n exterioribus accidentibus habent similitudi­ nem aliarum rerum, dicuntur esse falsa se­ cundum illas res; sicut fel est falsum mel, et stannum est falsum argentum. Et secundum hoc dicit Augustinus, in libro Soli!. [2,6] , quod eas res falsas nominamus, quae verisi­ milia apprehendimus. Et philosophus dicit, in 5 Met. [4,29, 1 ] , quod falsa dicuntur quae­

cumque apta nata sunt apparet-e aut qualia non sunt, aut quae non sunt. Et per hunc modum etiam dicitur homo falsus, inquan­ tum est amativus falsarum opinionum vel lo­ cutionum. Non autem ex hoc quod potest eas confingere, quia sic etiam sapientes et scientes falsi dicerentur, ut dicitur in 5 Met. [4,29,5]. Ad primum ergo dicendum quod res compa­ rata ad intellectum, secundum id quod est, dici­ tur vera, secundum id quod non est, dicitur falsa. Unde verus tragoedus est falsus Hector, ut dicitur in 2 Solil. [ 10]. Sicut igitur i n his quae sunt, invenitur quoddam non esse; ita in his quae sunt, invenitur quaedam ratio falsitatis. Ad secundum dicendum quod res per se non fallunt, sed per accidens. Dant enim occasio­ nem falsitatis, eo quod similitudinem eorum gerunt, quorum non habent existentiam. Ad tertium dicendum quod per comparatio­ nem ad intellectum divinum non dicuntur res falsae, quod esset eas esse falsas simpliciter, sed per comparationem ad intellectum nos­ trum, quod est eas esse falsas secundum quid. Ad quartum, quod in oppositum obiicitur, di­ cendum quod similitudo vel repraesentatio deficiens non inducit rationem falsitatis, nisi inquantum praestat occasionem falsae opinio­ nis. Unde non ubicumque est similitudo, dici­ tur res falsa, sed ubicumque est talis similitu­ do, quae nata est facere opinionem falsam, non cuicumque, sed ut in pluribus.

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le nostre conoscenze hanno origine dal senso, che ha per oggetto proprio ed essenziale le qualità esteriori -, ne consegue che certe cose che assomigliano ad altre quanto all' apparen­ za esterna, rispetto a queste sono dette false: come il fiele è un falso miele, e lo stagno è un falso argento. E per questo motivo Agostino dice: «Noi chiamiamo false quelle cose che hanno l ' apparenza del vero». E i l Filosofo asserisce che si dicono false «quelle cose che per natura sembrano fatte apposta per appari­ re di altra qualità o di altra natura». E in que­ st'ultimo senso si dice falso anche colui che è amante di opinioni e locuzioni false. Non però per il semplice fatto che ha la capacità di pensarle e di formularle, perché altrimenti, come nota Aristotele, anche i sapienti e gli scienziati sarebbero detti falsi. Soluzione delle difficoltà: l . Rispetto alla [no­ stra] intelligenza una cosa è vera per quello che è e falsa per quello che non è. Cosicché «Un ve­ ro attore è unfalso Ettore», come dice Agosti­ no. Quindi, per il tatto che nelle cose vi è un cer­ to non essere, si trova in esse una certa falsità. 2. Le cose non ingannano di per sé, ma solo accidentalmente. Infatti esse danno occasione d' inganno per la somiglianza che hanno con altre, delle quali non possiedono la natura. 3. Le cose non sono dette false rispetto all'intel­ ligenza divina, il che le renderebbe talse in sen­ so assoluto, ma solo rispetto al nostro intelletto: e ciò significa che sono truse in senso relativo. 4. [S. c.] . Una somiglianza o una rappresenta­ zione difettosa non riveste carattere di trusità se non in quanto fornisce l'occasione di un'o­ pinione falsa. Quindi non basta che vi sia so­ miglianza perché una cosa possa dirsi falsa, ma vi deve essere una somiglianza tale d a provocare, non in qualcuno, bensì nella mag­ gior parte dei casi, un apprezzamento errato.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum in sensu sit falsitas

Nei sensi c'è falsità?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in sensu non sit falsitas. l . Dicit enim Augustinus, in libro De vera rel. [33], si omnes cmporis sensus ita nuntiant ut

Sembra di no. Infatti: l . Scrive Agostino: «Se tutti i sensi corporei manifestano fedelmente le loro impressioni, io non so che cosa dobbiamo esigere di più da essi». E così pare che da essi non siamo tratti in inganno. Quindi nei sensi non c ' è falsità.

a.fficiuntur, quid ab eis amplius exigere debe­ mus, ignoro. Et sic videtur quod ex sensibus non fallamur. Et sic falsitas in sensu non est.

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Lafalsità

2. Praeterea, philosophus dicit, i n 4 Met. [3,5, 1 7], quod falsitas non est propria sensui,

sed phantasiae. 3. Praeterea, in incomplexis non est verum nec falsum, sed solum in complexis. Sed componere et dividere non pertinet ad sen­ sum. Ergo in sensu non est falsitas. Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro Solil. [2,6], apparet nos in omnibus sensibus

similitudine lenocinante falli. Respondeo dicendum quod falsitas non est quaerenda in sensu, nisi sicut ibi est veritas. Veritas autem non sic est in sensu, ut sensus cognoscat veritatem; sed inquantum veram apprehensionem habet de sensibilibus, ut su­ pra [q. 1 6 a. 2] dictum est. Quod quidem contingit eo quod apprehendit res ut sunt. Unde contingit falsitatem esse in sensu, ex hoc quod apprehendit vel iudicat res aliter quam sint. Sic autem se habet ad cognoscen­ dum res, inquantum similitudo rerum est in sensu. Similitudo autem alicuius rei est i n sensu tripliciter. Uno modo, primo et per se; sicut in visu est similitudo colorum et alio­ rum propriorum sensibilium. Alio modo, per se, sed non primo; sicut in visu est similitudo figurae vel magnitudinis, et aliorum commu­ nium sensibilium. Tertio modo, nec primo nec per se, sed per accidens; sicut in visu est similitudo hominis, non inquantum est homo, sed inquantum huic colorato accidit esse ho­ minem. Et circa propria sensibilia sensus non habet falsam cognitionem, nisi per accidens, et ut in paucioribus, ex eo scilicet quod, prop­ ter indispositionem organi, non convenienter recipit formam sensibilem, sicut et alia passi­ va, propter suam indispositionem, deficienter recipiunt impressionem agentium. Et inde est quod, propter corruptionem linguae, infrrmis dulcia amara esse videntur. De sensibilibus vero communibus et per accidens, potest esse falsum iudicium etiam in sensu recte disposi­ to, quia sensus non directe refertur ad illa, sed per accidens, vel ex consequenti, inquantum refertur ad alia. Ad primum ergo dicendum quod sensum af­ fici, est ipsum eius sentire. Unde per hoc quod sensus ita nuntiant sicut afficiuntur, se­ quitur quod non decipiamur in iudicio quo iu­ dicamus nos sentire aliquid. Sed ex eo quod sensus aliter afficitur interdum quam res sit, sequitur quod nuntiet nobis aliquando rem

Q. 17, A. 2

2. n Filosofo dice: «L'errore non è proprio del senso, ma della fantasia>>. 3. n vero e il falso si trovano soltanto in ciò che è composto, non in ciò che è semplice. Ora, comporre e dividere non appartiene ai sensi. Quindi nel senso non si qà errore. In contrario: dice Agostino: «E evidente che noi in tutti i nostri sensi siamo tratti in ingan­ no da fallaci apparenze». Risposta: non si deve ricercare la falsità nei sensi se non nel modo stesso in cui vi si trova la verità. Ora, come si è detto altrove, la verità non si trova nei sensi in modo che essi ne abbiano la consa­ pevolezza, ma in quanto hanno un'esatta perce­ zione degli oggetti sensibili. E ciò avviene per il fatto che i sensi apprendono le cose come sono. Quindi accade che la falsità si trovi nei sensi per­ ché questi percepiscono o giudicano le cose diversamente da quello che sono. Ora, in tanto [i sensi] possono conoscere le cose in quanto si trova in essi la loro immagine. Ma l'immagine di un oggetto si può trovare nei sensi in tre modi: anzitutto, in modo primario e inforza di se stes­ sa, come [avviene per] i sensibili pmpri, per es. come l'immagine del colore è nella vista; secon­ do, in forza di se stessa, ma non primariamente, come [per] i sensibili comuni, per es. come nella vista c'è l'immagine della grandezza e della figura; terzo, né primariamente né inforza di se stessa, ma indirettamente, come nella vista c'è l'immagine dell'uomo non in quanto è un uomo, ma in quanto tale oggetto colorato di fano è un uomo. Ora, circa i sensibili propri il senso non cade in errore se non accidentalmente e di rado, vale a dire a motivo della cattiva disposizione degli organi, che non ricevono convenientemen­ te la forma sensibile: come anche gli altri esseri passivi per una qualche indisposizione ricevono in modo difettoso l'impressione di ciò che opera su di essi. E così capita ai malati, che hanno la lingua cattiva, di sentire amare le cose dolci. Riguardo invece ai sensibili comuni e ai sensibili impropri, i sensi, anche quando son ben disposti, possono sbagliare, poiché tali oggetti non cado­ no sono i sensi per se stessi e direttamente, ma solo accidentalmente e indirettamente, in quanto hanno attinenza con altre cose. Soluzione delle difficoltà: l . Ricevere l'im­ pressione, per i sensi, è lo stesso che sentire. Quindi, dal momento che i sensi ci manifesta­ no fedelmente le loro impressioni, ne viene che noi non ci inganniamo quando giudichia-

Q. 1 7, A. 2

La falsità

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aliter quam sit. Et ex hoc fallimur per sensum circa rem, non circa ipsum sentire. Ad secundum dicendum quod falsitas dicitur non esse propria sensui, quia non decipitur circa proprium obiectum. Unde in alia trans­ latione planius dicitur, quod sensus proprii sensibilis falsus non est. Phantasiae autem at­ tribuitur falsitas, quia repraesentat similitu­ dinem rei etiam absentis; unde quando aliquis convertitur ad similitudinem rei tanquam ad rem ipsam, provenit ex tali apprehensione falsitas. Unde etiam philosophus, in 5 Met. [4,29, 1 ] , dicit quod umbrae et picturae et somnia dicuntur falsa, inquantum non subsunt res quarum habent similitudinem. Ad tertium dicendum quod ratio illa procedit, quod falsitas non sit in sensu sicut in cognos­ cente verum et falsum.

mo di sentire qualcosa. Ma siccome talora i sensi ricevono un'impressione che non corri­ sponde alle cose reali, ne viene che ce le pre­ sentano in maniera inadeguata. Quindi siamo ingannati dai sensi riguardo alle cose, non riguardo al sentire stesso. 2. Si dice che l'errore non è proprio dei sensi perché i sensi non si ingannano circa l' ogget­ to proprio. Quindi in un'altra traduzione si di­ ce più chiaramente: «l sensi non errano circa il sensibile proprio». Si attribuisce invece l'er­ rore alla fantasia perché essa rappresenta l'immagine delle cose anche assenti: per cui, quando uno considera l'immagine della cosa come se fosse la cosa stessa, ne risulta una falsità. E per questo anche il Filosofo dice che le ombre, le pitture e i sogni sono delle falsità in quanto gli oggetti di cui presentano l 'im­ magine non esistono. 3. L'argomento prova solo che la falsità non è nel senso come in un soggetto che conosca il vero e il falso.

Articulus 3 Utrum falsitas sit in intellectu

Articolo 3 La falsità è nell'intelletto?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod fal­ sitas non sit in intellectu. l . Dicit enim Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [32], omnis qui fallitUI; id in quo fallitur, non intelligit. Sed falsum dicitur esse in aliqua cognitione, secundum quod per eam fallimur. Ergo in intellectu non est falsitas. 2. Praeterea, philosophus dicit, in 3 De an. [ l 0,4], quod intellectus semper est rectus. Non ergo in intellectu est falsitas. Sed contra est quod dicitur in 3 De an. [6, 1 ], quod ubi compositio intellectuum est, ibi ve­ rum et falsum est. Sed compositio intellec­ tuum est in intellectu. Ergo verum et falsum est in intellectu. Respondeo dicendum quod, sicut res habet esse per propriam formam, ita virtus cognos­ citiva habet cognoscere per similitudinem rei cognitae. Unde, sicut res naturalis non deficit ab esse quod sibi competit secundum suam formam, potest autem deficere ab aliquibus accidentalibus vel consequentibus; sicut ho­ mo ab hoc quod est habere duos pedes, non autem ab hoc quod est esse hominem, ita virtus cognoscitiva non deficit in cognoscen­ do respectu illius rei cuius similitudine infor-

Sembra di no. Infatti : l . Agostino dice: «Chi sbaglia non ha la co­ noscenza della cosa in cui sbaglia». Ma l a falsità viene attribuita proprio a una cono­ scenza ingannevole. Quindi nella mente non c'è la falsità. 2. n Filosofo dice: «L'intelletto è sempre vero». Quindi in esso non si trova il truso. In contrario: Aristotele dice: «Dove si verifi­ cano combinazioni di concetti, lì si trova il vero e il falso». Ora, le combinazioni dei con­ cetti si verificano nell' intelletto. Quindi il ve­ ro e il falso si trovano nell'intelletto. Risposta: come ciascuna cosa ha l'esistenza in forza della propria forma, così ogni potenza conoscitiva ha l'atto del conoscere mediante l'immagine della cosa conosciuta. Come quindi le realtà naturali non possono perdere l'essere che hanno in forza della loro torma, ma possono perdere certe qualità accidentali o complementa­ ri per es. l' uomo potrà non avere più i due piedi, ma non cessare di essere uomo -, così la potenza conoscitiva non potrà mai venir meno nella conoscenza relativamente all'oggetto dalla cui immagine è informata, ma lo potrà rispetto a quei dati che lo accompagnano o gli si aggiun-

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Lafalsità

matur; potest autem deficere circa aliquid consequens ad ipsam, vel accidens ei. Sicut est dictum [a. 2] quod visus non decipitur cir­ ca sensibile proprium, sed circa sensibil i a communia, quae consequenter s e habent ad illud, et circa sensibilia per accidens. Sicut autem sensus informatur directe similitudine propriorum sensibilium, ita intellectus infor­ matur similitudine quidditatis rei. Unde circa quod quid est intellectus non decipitur, sicut neque sensus circa sensibilia propria. In com­ ponendo vero vel dividendo potest decipi, dum attribuit rei cuius quidditatem intelligit, aliquid quod eam non consequitur, vel quod ei opponitur. Sic enim se habet intellectus ad iudicandum de huiusmodi, sicut sensus ad iudicandum de sensibilibus communibus vel per accidens. Hac tamen differentia servata, quae supra [q. 1 6 a. 2] circa veritatem dieta est, quod falsitas in intellectu esse potest, non solum quia cognitio intellectus falsa est, sed quia intellectus eam cognoscit, sicut et verita­ tem, in sensu autem falsitas non est ut co­ gnita, ut dictum est [a. 2]. Quia vero falsitas intellectus per se solum circa compositionem intellectus est, per accidens etiam in opera­ tione intellectus qua cognoscit quod quid est, potest esse falsitas, inquantum ibi compositio intellectus admiscetur. Quod potest esse du­ pliciter. Uno modo, secundum quod intel­ lectus definitionem unius attribuit alteri; ut si detinitionem circuii attribuat homini. Unde definitio unius rei est falsa de altera. Alio mo­ do, secundum quod partes definitionis com­ ponit ad invicem, quae simul sociari non possunt, sic enim definitio non est solum falsa respectu alicuius rei, sed est falsa in se. Ut si formet talem definitionem, animai rationale quadrupes, falsus est intellectus sic definien­ do, propterea quod falsus est in formando hanc compositionem, aliquod animai ratio­ nale est quadrupes. Et propter hoc, in cognos­ cendo quidditates simplices non potest esse intellectus falsus, sed vel est verus, vel tota­ liter nihil intelligit. Ad primum ergo dicendum quod, quia quid­ ditas rei est proprium obiectum intellectus, propter hoc tunc proprie dicimur aliquid intel­ ligere, quando, reducentes illud in quod quid est, sic de eo iudicamus, sicut accidit in de­ monstrationibus, in quibus non est falsitas. Et hoc modo intelligitur verbum Augustini, quod

Q. 17, A. 3

gono. Così la vista, come già vedemmo, non si inganna circa il sensibile proprio, ma si può ingannare circa i sensibili comuni, a quello con­ nessi, e circa i sensibili indiretti. Ora, come i sensi sono informati direttamente dall'immagine dei sensibili propri, così l' intelletto è attuato direttamente dall'immagine dell'essenza della cosa. Quindi l'intelletto non può errare relativa­ mente a11 ' essenza delle cose, come neanche i sensi rispetto ai sensibili propri. Invece, nell'uni­ re o nel separare [tra loro] dei concetti, può ingannarsi quando attribuisce all'oggetto, di cui conosce la natura, qualcosa che è ad esso estra­ neo, o addirittura opposto. Infatti l'intelletto, nel giudicare di tali cose, si trova come i sensi quan­ do giudicano dei sensibili comuni o di quelli indiretti. Vi è tuttavia una differenza: come sopra si è detto a proposito della verità, il falso si può trovare nell'intelletto non solo perché la cono­ scenza dell'intelletto è falsa, ma perché l'intel­ letto conosce tale falsità, come conosce anche la verità; nei sensi, invece, il falso non si trova in quanto conosciuto, come si è detto. Poiché dun­ que la falsità si trova propriamente nell'intelletto solo quando questo unisce dei concetti [nel giu­ dizio], essa può trovarsi accidentalmente anche nella semplice apprensione, mediante la quale l 'intelletto conosce le essenze, quando vi si nascondono delle composizioni di concetti. E ciò può avvenire in due modi: o perché l'intellet­ to attribuisce a una cosa la definizione di un'al­ tra, per es. se attribuisce all'uomo la definizione del cerchio, e in questo caso la definizione di una cosa diventa tàlsa se applicata a un'altra; oppure perché in una definizione unisce delle parti che non possono stare insieme: e in tal caso la defini­ zione è falsa non solo relativamente a quella data cosa, ma in se stessa. Quando, per es., l'intelletto forma questa definizione: animale razionale quadrupede, nel definire così è falso, poiché è falso quando esprime [in un giudizio] questa unione di concetti: un certo animale razionale è quadntpede. Per cui, quando si tratta di conosce­ re delle quiddità o nature semplici, l ' intelletto non può essere tàlso, ma o è vero, oppure non conosce assolutamente nulla Soluzione delle difficoltà: l . L'oggetto pro­ prio dell'intelletto è la quiddità o essenza del­ le cose: quindi, a rigore, diciamo di conoscere una data cosa solo quando giudichiamo di es­ sa riportandoci alla sua essenza o natura, co­ me accade nelle dimostrazioni fatte senza al-

Q. 1 7, A. 3

La falsità

omnis qui fallitur, non intelligit id in quo falli­ tur, non autem ita, quod in nulla operatione intellectus aliquis fallatur. Ad secundum dicendum quod intellectus semper est rectus, secundum quod intellectus est principiorum, circa quae non decipitur, ex eadem causa qua non decipitur circa quod quid est. Nam principia per se nota sunt illa quae statim, intellectis terminis, cognoscun­ tur, ex eo quod praedicatum ponitur in definì­ tione subiecti. Articulus 4 Utrum verum et falsum sit contraria Ad quartum sic proceditur. Videtur quod verum et falsum non sint contraria. l . Verum enim et falsum opponuntur sicut quod est et quod non est, nam verum est id quod est, ut dicit Augustinus [Solil. 2,5]. Sed quod est et quod non est, non opponuntur ut contraria. Ergo verum et falsum non sunt contraria. 2. Praeterea, unum contrariorum non est in alio. Sed falsum est in vero, quia, sicut dicit Augustinus in libro Solil. [2, 10], tragoedus non

esset falsus Hectm; si non esset verus tragoe­ dus. Ergo verum et falsum non sunt contrmia. 3. Praeterea, in Deo non est contrarietas ali­ qua, nihil enim divinae substantiae est contra­ rium, ut dicit Augustinus, 1 2 De civ. Dei [2]. Sed Deo opponitur falsitas, nam idolum in Scriptura mendacium nominatur, Ierem. 8 [5], apprehenderunt mendacium; Glossa [int.], idest idola. Ergo verum et falsum non sunt contraria. Sed contra est quod dicit philosophus, in 2 Perih. [ 14, 10], ponit enim falsam opinionem verae contrariam. Respondeo dicendum quod verum et falsum opponuntur ut contrmia, et non sicut affirmatio et negatio, ut quidam dixerunt. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod negatio neque ponit aliquid, neque determinar sibi aliquod subiectum. Et propter hoc, potest dici tam de ente quam de non ente; sicut non videns, et non sedens. Privatio autem non ponit aliquid, sed determinar sibi subiectum. Est enim nega­ rio in subiecto, ut dicitur 4 Met. [3,2,8], cae­ cum enim non dicitur nisi de eo quod est na­ tum videre. Contrmium vero et aliquid ponit,

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cun errore. Ed è in quest'ultimo senso che va inteso il detto di Agostino: «Chi sbaglia non ha conoscenza della cosa in cui sbaglia», non nel senso che non si possa sbagliare in nessu­ na operazione della mente. 2. Come l'intelletto non subisce inganno circa la natura delle cose così, per la stessa ragione, è sempre retto relativamente ai primi princìpi. Infatti i princìpi di per sé evidenti sono quelli che vengono conosciuti non appena ne abbia­ mo compresi i termini, dato che il loro predi­ cato è incluso nella definizione del soggetto. n vero

Articolo 4 e il falso sono contrari?

Sembra di no. Infatti: l . ll vero e il falso si oppongono come ciò che è e ciò che non è: Agostino, infatti, dice che «il vero è ciò che è». Ma ciò che è e ciò che non è non si oppongono come contrmi. Quin­ di il vero e il falso non sono contrari. 2. Uno dei contrari non è nell'altro. Ma il falso è nel vero poiché, al dire di Agostino, «Un attore non sarebbe un falso Ettore se non fosse un vero attore». Quindi il vero e il falso non sono fra loro contrari. 3. In Dio non vi è alcuna contrarietà poiché, come osserva Agostino, nulla è contrmio alla sostanza divina. Ma il falso si oppone a Dio: infatti nella sacra Scrittura, in Ger, l'idolo è chiamato menzogna: Essi hanno abbracciato la menzogna, cioè «gli idoli», spiega la Glossa. Quindi il vero e il falso non sono contrmi. In contrario: il Filosofo insegna che l ' opi­ nione falsa è contraria all'opinione vera. Risposta: il vero e il falso si oppongono come contrari, e non come l'affermazione e la nega­ zione, secondo la tesi di alcuni. Per convincerse­ ne si osservi che la negazione non comporta cosa alcuna, né viene a determinare un dato soggetto; e per questo motivo essa può venire attribuita sia all'ente che al non ente, come per es. il non vedente e il non sedente. E neppure la privazione comporta qualcosa, ma determina un soggetto: poiché essa, al dire di Aristotele, è una negazione in un soggetto: cieco, per es., non si dice se non di chi è nato per vedere. La contra­ rietà invece comporta l'idea di qualcosa e insie­ me determina un soggetto: come il nero è una specie del colore [e si trova in un corpo]. - Ora, il falso comporta qualcosa. La falsità infatti esi-

Lafalsità

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et subiectum detenninat, nigrum enim est ali­ qua species coloris. Falsum autem aliquid po­ nit. Est enim falsum, ut dicit philosophus, 4 Met. [3,7, 1 ] , ex eo quod dicitur vel videtur ali­ quid esse quod non est, vel non esse quod est. Sicut enim verum ponit acceptionem adae­ quatam rei, ita falsum acceptionem rei non adaequatam. Unde manifestum est quod ve­ rum et falsum sunt contraria. Ad primum ergo dicendum quod id quod est in rebus, est veritas rei sed id quod est ut ap­ prehensum, est verum i ntellectus, i n quo primo est veritas. Unde et falsum est id quod non est ut apprehensum. Apprehendere autem esse et non esse, contrarietatem habet, sicut probat philosophus, in 2 Perih. [ 14, 10], quod buie opinioni, bonum est bonum, contraria est, bonum non est bonum. Ad secundum dicendum quod falsum non fundatur in vero sibi contrario, sicut nec ma­ lum in bono sibi contrario; sed in eo quod sibi subiicitur. Et hoc ideo in utroque accidit, quia verum et bonum communia sunt, et conver­ tuntur cum ente, unde, sicut omnis privatio fundatur in subiecto quod est ens, ita ornne malum fundatur in aliquo bono, et ornne fal­ sum in aliquo vero. Ad tertium dicendum quod, quia contraria et opposita privative nata sunt fieri circa idem, ideo Deo, prout in se consideratur, non est aliquid contrarium, neque ratione suae boni­ tatis, neque ratione suae veritatis, quia in in­ tellectu eius non potest esse falsitas aliqua. Sed in apprehensione nostra habet aliquid contrarium, nam verae opinioni de ipso con­ trariatur falsa opinio. Et sic idola mendacia dicuntur opposita veritati divinae, inquantum falsa opinio de idolis contrariatur verae opi­ nioni de unitate Dei.

QUAESTIO 1 8

Q. 17, A. 4

ste, al dire di Aristotele, perché una data cosa viene detta o creduta essere ciò che non è, o non essere ciò che è. E in realtà, come il vero com­ porta un concetto adeguato alla cosa, così il falso comporta un concetto non adeguato alla cosa stessa. E evidente, quindi, che il vero e il falso sono tra loro contrari. Soluzione delle difficoltà: l . Ciò che è nella realtà costituisce la verità delle cose, ma ciò che è in quanto conosciuto costituisce la verità del­ l'intelletto, nel quale la verità si trova primaria­ mente. Quindi anche il falso è ciò che non è, [però] in quanto conosciuto. Ora, apprendere che una data cosa è, e apprendere che non è, segna una contrarietà: per cui il Filosofo può dimostrare che l' affennazione: il bene è buono è contraria a quest'altra: il bene non è buono. 2. La falsità non poggia sul vero che è il suo contrario, come neppure il male poggia sul bene ad esso contrario, ma sul soggetto. E ciò accade, nell'un caso e nell' altro, perché il ve­ ro e il bene sono comuni, e coincidono con l'ente. Quindi, come ogni privazione si fonda sopra un soggetto che è un ente, così ogni male poggia su qualche bene, e ogni falsità poggia su qualche verità. 3 . I contrari e i termini che si oppongono escludendosi l'un l'altro si riferiscono sempre allo stesso soggetto. Quindi nulla vi può es­ sere di contrruio a Dio considerato in se stes­ so, né quanto alla sua bontà, né quanto alla sua verità, dato che nel suo intelletto non vi può essere errore. Nel nostro modo di cono­ scere, tuttavia, Dio ha un suo contrario, poi­ ché alla vera opinione su Dio si oppone la falsa opinione. E in questo senso gli idoli sono chiamati menzogne opposte alla verità divina, essendo la falsa opinione che si ha degli idoli contraria ali' opinione vera riguar­ dante l'unità di Dio.

QUESTIONE 1 8

DE VITA DEI

LA VITA DI DIO

Quoniam autem intelligere viventium est, post considerationem de scientia et intellectu divi­ no, considerandum est de vita ipsius [cf. q. 14 prol.]. Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, quorum sit vivere. Secondo, quid sit vita. Ter­ tio, utrum vita Deo conveniat. Quarto, utrum omnia in Deo sint vita.

L'intendere è una delle proprietà dei viventi, quindi dopo lo studio della scienza e dell' in­ telletto di Dio dobbiamo considerarne la vita. Al riguardo si fanno quattro quesiti: l . Quali esseri sono viventi? 2. Che cos'è la vita? 3. La vita conviene a Dio? 4. Tutte le cose sono vita in Dio?

Q. l 8, A. l

La vita di Dio

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Articulus l Utrum omnium naturalium rerum sit vivere

Articolo l Il vivere appartiene a tutti gli esseri che sono in natura?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod omnium rerum naturalium sit vivere. l . Dicit enim philosophus, in 8 Phys. [ 1 , 1], quod motus est ut vita quaedam natura exi­ stentibus omnibus. Sed omnes res naturales participant motum. Ergo omnes res naturales participant vitam. 2. Praeterea, plantae dicuntur vivere, in­ quantum habent in seipsis principium motus augmenti et decrementi. Sed motus localis est perfectior et prior secundum naturam quam motus augmenti et decrementi, ut probatur in 8 Phys. [7 ,2] . Cum igitur omnia corpora naturalia habeant aliquod principium motus localis, videtur quod omnia corpora naturalia vivant. 3 . Praeterea, inter corpora naturalia imper­ fectiora sunt elementa. Sed eis attribuitur vita, dicuntur enim aquae vivae. Ergo multo magis alia corpora naturalia vitam habent. Sed contra est quod dicit Dionysius, 6 cap. De div. nom. [ l ], quod plantae secundum ulti­ mam resonantiam vitae habent vivere, ex quo potest accipi quod ultimum gradum vitae obtinent plantae. Sed corpora inanimata sunt infra plantas. Ergo eorum non est vivere. Respondeo dicendum quod ex his quae ma­ nifeste vivunt, accipere possumus quorum sit vivere, et quorum non sit vivere. Vivere au­ tem manifeste animalibus convenit, dicitur enim in libro De vegetabilibus [De plantis 1 , 1], quod vita in animalibus manifesta est. Unde secundum illud oportet distinguere vi­ ventia a non viventibus secundum quod ani­ malia dicuntur vivere. Hoc autem est in quo primo manifestatur vita, et in quo ultimo re­ manet. Primo autem dicimus animai vivere, quando incipit ex se motum habere; et tandiu iudicatur animai vivere, quandiu talis motus in eo apparet; quando vero iam ex se non habet aliquem motum, sed movetur tantum ab alio tunc dicitur animai mortuum, per defec­ tum vitae. Ex quo patet quod illa proprie sunt viventia, quae seipsa secundum aliquam speciem motus movent; sive accipiatur motus proprie, sicut motus dicitur actus imperfecti, idest existentis in potentia; sive motus acci­ piatur communiter, prout motus dicitur actus

Sembra di sì. Infatti: l . n Filosofo dice che il movimento è come una certa vita per tutti gli esseri esistenti in na­ tura. Ma tutte le cose partecipano del movi­ mento. Quindi tutte le realtà naturali partecipa­ no della vita. 2. Si dice che le piante vivono in quanto hanno in se stesse il principio del movimento di cresci­ ta e di decrescita. Ora, il moto locale è più per­ fetto e per natura anteriore al moto di crescita e di decrescita, come prova Aristotele. Poiché dunque tutti i corpi fisici hanno un principio di movimento locale, è chiaro che tutti vivono. 3. Fra tutti i corpi fisici i più imperfetti sono gli elementi. Ma ad essi si attribuisce la vita: si parla, infatti, di acque vive. Quindi a più forte ragione hanno vita gli altri corpi tisici. In contrario: Dionigi dice: «Nelle piante rima­ ne come l'ultima eco della vita». Dal che si può dedurre che le piante occupano l'ultimo gradino della vita. Ora, i corpi inanimati sono al disotto delle piante, e quindi ad essi non si può attribuire la vita. Risposta: dagli esseri che possiedono con evi­ denza la vita si può dedurre quali realmente vivano e quali non vivano. Ora, gli esseri che possiedono con evidenza la vita sono gli ani­ mali: infatti osserva Aristotele: «Negli anima­ li la vita è manifesta». Quindi noi dobbiamo distinguere gli esseri viventi dai non viventi in base a quella proprietà per cui diciamo che gli animali vivono. E questa è il segno che per primo rivela la vita e ne attesta la presenza fino all'ultimo. Ora, noi diciamo che un ani­ male vive appena comincia a muoversi; e si pensa che in esso perduri la vita finché si manifesta tale movimento; quando invece non si muove più da sé, ma viene mosso soltanto da altri, allora si dice che l'animale è morto per mancanza di vita. Da ciò si vede che pro­ priamente sono viventi quegli esseri che co­ munque si muovono da sé, sia che il termine moto venga preso in senso proprio, in quanto è l'atto di ww cosa impeifetta, cioè di una co­ sa che si trova in potenza, sia che venga preso in un senso più largo, in quanto il moto è l'atto di una cosa peifetta, nel quale senso an­ che l ' intendere e il sentire sono considerati

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La vita di Dio

perfecti, prout intelligere et sentire dicitur mo­ veri, ut dicitur in 3 De an. [7, 1 ] . Ut sic vi­ ventia dicantur quaecumque se agunt ad mo­ tum vel operationem aliquam, ea vero i n quorum natura non est ut se agant ad aliquem motum vel operationem, viventia dici non possunt, nisi per aliquam similitudinem. Ad primum ergo dicendum quod verbum illud philosophi potest intelligi vel de motu primo, scilicet corporum caelestium; vel de motu communiter. Et utroque modo motus dicitur quasi vita corporum naturalium, per similitudinem; et non per proprietatem. Nam motus caeli est in universo corp orali um naturarum, sicut motus cordis in animali, quo conservatur vita. Similiter etiam quicumque motus naturalis hoc modo se habet ad res naturales, ut quaedam sirnilitudo vitalis ope­ rationis. Unde, si totum universum corporale esset unum animai, ita quod iste motus esset a movente intrinseco, ut quidam posuerunt, se­ queretur quod motus esset vita omnium natu­ ralium corporum. Ad secundum dicendum quod corp oribus gravibus et levibus non competit moveri, nisi secundum quod sunt extra dispositionem suae naturae, utpote cum sunt extra locum pro­ prium, cum enim sunt in loco proprio et na­ turali, quiescunt. Sed plantae et aliae res vi­ ventes moventur motu vitali, secundum hoc quod sunt in sua dispositione naturali, non autem in accedendo ad eam vel in recedendo ab ea, imo secundum quod recedunt a tali motu, recedunt a naturali dispositione. Et praeterea, corpora gravia et levia moventur a motore extrinseco, vel generante, qui dat formam, vel removente prohibens, ut dicitur in 8 Phys. [4,7], et ita non movent seipsa, sicut corpora viventia. Ad tertium dicendum quod aquae vivae di­ cuntur, quae habent continuum fluxum, aquae enim stantes, quae non continuantur ad prin­ cipium continue fluens, dicuntur mortuae, ut aquae cisternarum et lacunarum. Et hoc di­ citur per similitudinem, inquantum enim vi­ dentur se movere, habent similitudinem vitae. Sed tamen non est in eis vera ratio vitae, quia hunc motum non habent a seipsis, sed a causa generante eas; sicut accidit circa motum aliorum gravium et levium.

Q. l 8, A. l

moti, come nota Aristotele. E così diremo viventi tutti gli esseri che si esprimono auto­ nomamente in un qualche movimento o ope­ razione; quegli esseri invece che per loro natura non si possono esprimere autonoma­ mente in un qualche movimento o operazione non possono essere detti viventi se non per una certa analogia. Soluzione delle difficoltà: l . ll detto del Filoso­ fo può essere inteso o del primo moto, cioè di quello dei corpi celesti, o del moto in generale. E nell'uno e nell'altro caso il movimento è come una certa vita dei corpi fisici in senso me­ taforico, non in senso proprio. n moto del cielo infatti, nell'insieme di tutte le nature corporee, può essere paragonato al moto del cuore nell'a­ nimale, mediante il quale si conserva la vita. Parimenti, ogni altro movimento che si verifica nell'ordine naturale ha una certa somiglianza con un'operazione vitale. Se quindi tutto l'uni­ verso corporeo fosse come un solo animale, in maniera che tale movimento derivasse da un unico principio intrinseco, secondo la supposi­ zione di alcuni, ne verrebbe che tale movimento sarebbe la vita di tutti i corpi fisici. 2. Il movimento non conviene ai corpi pesanti e leggeri se non in quanto sono fuori delle loro posizioni connaturali, cioè perché si trovano fuori del loro proprio luogo: poiché, quando sono nel loro luogo naturale, stanno in riposo. Le piante viceversa, e gli altri esseri viventi, si muovono con moto vitale, proprio perché so­ no nel loro stato naturale, e non perché si sfor­ zano di giungervi o di discostarsene: anzi, a misura che si discostano da tale movimento, si allontanano dal loro stato naturale. - Inoltre i corpi gravi e leggeri sono mossi da un motore estrinseco che, generandoli, dà loro la forma, o elimina l' ostacolo [del loro movimento], come dice Aristotele. E così non si muovono da sé come i corpi viventi. 3. Si dicono acque vive quelle che hanno un t1usso continuo. Infatti le acque stagnanti che non sono alimentate da una sorgente perenne sono dette morte, come le acque delle cisterne e delle paludi. Ciò però è detto per metafora, poiché in quanto sembrano muoversi hanno una certa somiglianza con la vita; ma in esse non c'è la vera essenza della vita, poiché tale movimento non l'hanno da se stesse, ma dal loro principio generatore, come avviene nel moto dei corpi gravi e leggeri.

Q. l 8, A. 2

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La vita di Dio Articulus 2

Articolo 2

Utrurn vita sit quaedarn operatio

La vita è un'operazione?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod vita sit quaedam operatio. l . Nihil enim dividitur nisi per ea quae sunt sui generis. Sed vivere dividitur per operatio­ nes quasdam, ut patet per philosophum in 2 libro De an. [2,2], qui distinguit vivere per quatuor, scilicet alimento uti, sentire, moveri secundum locum, et intelligere. Ergo vita est operatio quaedam. 2. Praeterea, vita activa dicitur alia esse a con­ templativa. Sed contemplativi ab activis non diversificantur nisi secundum operationes quasdam. Ergo vita est quaedam operatio. 3. Praeterea, cognoscere Deum est operatio quaedam. Haec autem est vita, ut patet per il­ lud Ioan. 17 [3], haec est autem vita aeterna, ut cognoscant te solum verum Deum. Ergo vita est operatio. Sed contra est quod dicit philosophus, in 2 De an. [4,4], vivere viventibus est esse. Respondeo dicendum quod, sicut ex dictis [q. 17 aa. 1 .3] patet, intellectus noster, qui proprie est cognoscitivus quidditatis rei ut proprii obiecti, accipit a sensu, cuius propria obiecta sunt accidentia exteriora. Et inde est quod ex his quae extetius apparent de re, devenimus ad cognoscendam essentiam rei. Et quia sic nomi­ namus aliquid sicut cognoscimus illud, ut ex supradictis [q. 1 3 a. l ] patet, inde est quod ple­ rumque a proprietatibus exterioribus impo­ nuntur nomina ad significandas essentias re­ rum. Unde huiusmodi nomina quandoque ac­ cipiuntur proprie pro ipsis essentiis rerum, ad quas significandas ptincipaliter sunt imposita, aliquando autem sumuntur pro proprietatibus a quibus imponuntur, et hoc minus proprie. Sicut patet quod hoc nomen corpus impositum est ad significandum quoddam genus substantiarum, ex eo quod in eis inveniuntur tres dimensiones, et ideo aliquando ponitur hoc nomen corpus ad signiticandas tres dimensiones, secundum quod corpus ponitur species quantitatis. Sic ergo dicendum est et de vita. Nam vitae nomen sumitur ex quodam extetius apparenti circa rem, quod est movere seipsum, non tamen est impositum hoc nomen ad hoc significandum, sed ad significandam substantiam cui convenit secundum suam naturam movere seipsam, vel agere se quocumque modo ad operationem.

Sembra di sì. Infatti: l . Ogni cosa si divide in parti del medesimo genere. Ma il vivere si suddivide in certe deter­ minate operazioni, come dimostra Aristotele, il quale fa consistere la vita in queste quattro atti­ vità: nutrirsi, sentire, muoversi localmente e conoscere. Quindi la vita è un'operazione. 2. Altra è la vita attiva e altra la vita contempla­ tiva. Ma gli uomini di vita contemplativa si dif­ ferenziano dagli uomini di vita attiva per la di­ versità di alcune operazioni. Quindi la vita è un'operazione. 3. Conoscere Dio è un' operazione. Ma la vita consiste in questo, come è detto in Gv: Que­

sta è la vita eterna, che conoscano te, l'unico vero Dio. Quindi la vita è un'operazione. In contrario: dice il Filosofo: «Per i viventi,

vivere è essere». Risposta: come risulta da ciò che si è già no­ tato, il nostro intelletto, il quale ha come og­ getto proprio di conoscenza l ' essenza delle cose, dipende dai sensi, che hanno per ogget­ to proprio gli accidenti estern i . Ne segue quindi che noi arriviamo a conoscere l'essen­ za di una cosa partendo da ciò che appare estetiormente. E poiché, come si è detto so­ pra, noi denominiamo le cose a seconda che le conosciamo, i nomi che significano l'es­ senza delle cose derivano per lo più dalle pro­ prietà esteriori. Quindi tali nomi a volte sono presi rigorosamente per le stesse essenze delle cose, a significare le quali sono stati princi­ palmente destinati; a volte invece, meno pro­ priamente, sono presi per le stesse qualità da cui hanno avuto origine. Come, per es., il ter­ mine corpo fu scelto per indicare un certo genere di sostanze perché in esse si trovano le tre dimensioni: e per questo motivo il termine corpo è usato talvolta per designare le tre dimensioni, per cui il corpo è una specie della quantità [corpo matematico contrapposto a corpo fisico]. Così, dunque, deve dirsi della vita. La voce vita, infatti, deriva da un qual­ cosa che appare all'esterno e che consiste nel movimento spontaneo; ma questo nome non è adoperato per indicare tale fenomeno, bensì per significare una sostanza alla quale com­ pete, secondo la sua natura, di muoversi spon­ taneamente, o comunque di determinarsi al-

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La vita di Dio

Et secundum hoc, vivere nihil aliud est quam esse in tali natura, et vita significar hoc ipsum, sed in abstracto; sicut hoc nomen cursus signi­ ficar ipsum currere in abstracto. Unde vivum non est praedicatum accidentale, sed sub­ stantiale. Quandoque tamen vita sumitur minus proprie pro operationibus vitae, a quibus nomen vitae assumitur; sicut dicit philosophus, 9 Ethic. [9,7], quod vivere principaliter est sen­

tire ve! intelligere. Ad primum ergo dicendum quod philosophus ibi accipit vivere pro operatione vitae. Vel di­ cendum est melius, quod sentire et intelligere, et huiusmodi, quandoque sumuntur pro quibus­ dam operationibus; quandoque autem pro ipso esse sic operantium. Dicitur enim 9 Ethic. [9,9], quod esse est sentire vel intelligere, idest habere naturam ad sentiendum vel intelligen­ dum. Et hoc modo distinguit philosophus vivere per illa quatuor. Nam in istis inferio­ ribus quatuor sunt genera viventium. Quorum quaedam habent naturam solum ad utendum alimento, et ad consequentia, quae sunt augmentum et generatio; quaedam ulterius ad sentiendum, ut patet in animalibus immobili­ bus, sicut sunt ostrea; quaedam vero, cum his, ulterius ad movendum se secundum locum, sicut animalia perfecta, ut quadrupedia et vo­ latilia et huiusmodi; quaedam vero ulterius ad intelligendum, sicut homines. Ad secundum dicendum quod opera vitae di­ cuntur, quorum principia sunt in operantibus, ut seipsos inducant in tales operationes. Con­ tingit autem aliquorum operum inesse homini­ bus non solum principia naturalia, ut sunt po­ tentiae naturales; sed etiam quaedam superad­ dita, ut sunt habitus inclinantes ad quaedam operationum genera quasi per modum naturae, et facientes illas operationes esse delectabiles. Et ex hoc dicitur, quasi per quandam similitu­ dinem, quod illa operatio quae est homini delec­ tabilis, et ad quam inclinatur, et in qua conver­ satur, et ordinat vitam suam ad ipsam, dicitur vita hominis, unde quidam dicuntur agere vi­ tam luxuriosam, quidam vitam honestam. Et per hunc modum vita contemplativa ab activa distinguitur. Et per hunc etiam modum cognos­ cere Deum dicitur vita aetema. Unde patet solutio ad tertium.

Q. l 8, A. 2

l'operazione. E secondo ciò vivere non è altro che essere in tale natura, e la vita indica la medesima cosa, ma in astratto, come la voce corsa significa il correre in astratto. Quindi il termine vivente non è un attributo accidentale, ma sostanziale. - Qualche volta, tuttavia, il termine vita, in senso meno proprio, è usato per designare le operazioni della vita, dalle quali è stato desunto; e in questo senso il Filo­ sofo dice: «Vivere è principalmente sentire e intendere». Soluzione delle difficoltà: l . Il Filosofo qui prende il termine vivere per indicare l'opera­ zione vitale. - O si può anche dire, e meglio, che sentire e intendere e altre espressioni del genere talora sono prese per indicare certe operazioni, talaltra per designare la natura degli esseri così operanti. Dice infatti Aristo­ tele: «Essere è sentire o intendere», cioè avere una natura capace di sentire o di intendere. E in questa maniera il Filosofo distingue il vive­ re in quelle quattro forme. In questo mondo inferiore, infatti, vi sono quattro generi di vi­ venti . Alcuni di essi hanno una natura limitata solo all'uso dell'alimento e, conseguentemen­ te, alla crescita e alla generazione; altri vanno più oltre, fino alla sensazione, come gli ani­ mali immobili, per es. le ostriche; altri arriva­ no ancora più in là e vi aggiungono il moto locale, come gli animali perfetti, quali sono i quadrupedi, i volatili e simili; altri, finalmen­ te, giungono sino a intendere, come l'uomo. 2. Opere vitali si dicono quelle i cui princìpi sono n eli' operante, così che questo spinga se stesso a tali operazioni. Ora, capita che relati­ vamente ad alcune operazioni, negli uomini, non soltanto vi siano dei princìpi naturali , cioè l e facoltà naturali, m a anche altri princìpi supplementari, cioè gli abiti, che inclinano in modo connaturale a certi generi di operazioni, rendendole dilettevoli. E per questo nel parla­ re chiamiamo vita di un uomo, per analogia, quella tale operazione che per lui è piacevole, verso la quale sente inclinazione, i n cui s i esercita e a cui ordina tutta l a sua esistenza: e così si dice che alcuni fanno vita lussuriosa, altri vita onesta. Ora, la vita attiva si distingue dalla vita contemplativa in questo modo. E alla stessa maniera si dice che la vita eterna consiste nel conoscere Dio. E così è risolta anche la terza difficoltà.

Q. l 8, A. 3

La vita di Dio

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Articulus 3 Utrum Deo conveniat vita

Articolo 3 A Dio conviene la vita?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Deo non conveniat vita. l . Vivere enim dicuntur aliqua secundum quod movent seipsa, ut dictum est [aa. 1-2]. Sed Deo non competit moveri. Ergo neque vivere. 2. Praeterea, in omnibus quae vivunt, est acci­ pere aliquod vivendi principium, unde dicitur i n 2 De an. [4,3] , quod anima est viventis cmporis causa et principium. Sed Deus non habet aliquod principium. Ergo sibi non com­ petit vivere. 3. Praeterea, principium vitae in rebus viven­ tibus quae apud nos sunt, est anima vegetabilis, quae non est nisi in rebus corporalibus. Ergo rebus incorporalibus non competit vivere. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 83 [3], cor meum et caro mea exultavenmt in Deum vivum. Respondeo dicendum quod vita maxime pro­ prie in Deo est. Ad cuius evidentiam, consi­ derandum est quod, cum vivere dicantur aliqua secundum quod operantur ex seipsis, et non quasi ab aliis mota; quanto perfectius competit hoc alicui, tanto perfectius in eo invenitur vita. In moventibus autem et motis tria per ordinem inveniuntur. Nam primo, finis movet agentem; agens vero principale est quod per suam formam agit; et hoc inter­ dum agit per aliquod instrumentum, quod non agit ex virtute suae formae, sed ex virtute principalis agentis; cui instrumento competit sola executio actionis. Inveniuntur igitur quaedam, quae movent seipsa, non habito respectu ad formam vel finem, quae inest eis a natura, sed solum quantum ad executionem motus, sed forma per quam agunt, et finis propter quem agunt, determinantur eis a natu­ ra. Et huiusmodi sunt plantae, quae secundum formam inditam eis a natura, movent seipsas secundum augmentum et decrementum. Quae­ dam vero ulterius movent seipsa, non solum habito respectu ad executionem motus, sed etiam quantum ad formam quae est principium motus, quam per se acquirunt. Et huiusmodi sunt animalia, quorum motus principium est forma non a natura indita, sed per sensum accepta. Unde quanto perfectiorem sensum habent, tanto perfectius movent seipsa. Nam ea quae non habent nisi sensum tactus, movent solum seipsa motu dilatationis et constric-

Sembra di no. Infatti: l . Abbiamo detto che alcune cose vivono per­ ché si muovono da sé. Ma a Dio non si addice il moto. Quindi neppure la vita. 2. In tutti gli esseri che vivono si deve trovare un principio vitale. Infàtti Aristotele scrive: «L'ani­ ma è il principio del corpo vivente». Ma Dio non ha principio. Quindi a lui non compete la vita. 3. Il principio vitale dei viventi che noi cono­ sciamo è un'anima vegetativa, la quale non si trova che negli esseri corporei. Quindi negli esseri incorporei non ci può essere vita. In contrario: è detto nel Sal: Il mio cuore e la mia carne hanno esultato nel Dio vivente. Risposta: a Dio la vita appartiene nel senso più rigoroso del termine. Per vederlo chiara­ mente è necessario considerare che, siccome alcuni esseri si dicono vivi in quanto si deter­ minano da sé ali' azione e non sono come mossi da altri, quanto più perfettamente que­ sta spontaneità compete a un soggetto, tanto più perfettamente dovrà trovarsi in esso la vita. Ora, negli esseri che muovono e in quelli soggetti al movimento si distingue per ordine un triplice movimento. Innanzi tutto il fine muove l'agente; poi viene l'agente principale, che opera mediante la sua forma; e infine quest'ultimo talora opera mediante uno stru­ mento, il quale non agisce in virtù della pro­ pria forma, ma in forza dell'agente principale: e a questo strumento compete soltanto di ese­ guire I' azione. Ora, vi sono degli esseri che si muovono da sé senza riferimento a una forma o a un fine, che hanno dalla natura, ma solo in quanto svolgono un moto; la forma però gra­ zie alla quale agiscono e il fine verso cui ten­ dono sono stati fissati loro dalla natura. Tali sono le piante, le quali, in forza della forma che hanno dalla natura, muovono se stesse col moto di crescita e di decrescita. Altri esseri vanno più in là, e muovono se stessi non sol­ tanto quanto ali' esecuzione di un moto, ma anche quanto alla forma che è il principio del loro movimento, che acquistano da se stessi. Tali sono gli animali, nei quali il principio del movimento è la forma non già infusa dalla natura, ma acquistata mediante i sensi. Per cui, quanto più perfetti hanno i sensi, tanto più perfettamente si muovono da sé. E infatti

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La vita di Dio

tionis, ut ostrea, parum excedentia motum plantae. Quae vero habent virtutem sensiti­ vam perfectam, non solum ad cognoscendum coniuncta et tangenti a, sed etiam ad co­ gnoscendum distantia, movent seipsa in re­ motum motu processivo. Sed quamvis huius­ modi animalia formam quae est principium motus, per sensum accipiant, non tamen per seipsa praestituunt sibi finem suae opera­ tionis, vel sui motus; sed est eis inditus a na­ tura, cuius i nstinctu ad aliquid agendum moventur per fonnam sensu apprehensam. Unde supra talia animalia sunt illa quae mo­ vent seipsa, etiam habito respectu ad finem, quem sibi praestituunt. Quod quidem non fit nisi per rationem et intellectum, cuius est cognoscere proportionem finis et eius quod est ad finem, et unum ordinare in alterum. Unde perfectior modus vivendi est eorum quae habent intellectum, haec enim perfectius movent seipsa. Et huius est signum, quod in uno et eodem homine virtus intellectiva mo­ vet potentias sensitivas; et potentiae sensitivae per suum imperium movent organa, quae exequuntur motum. Sicut etiam in artibus, videmus quod ars ad quam pertinet usus na­ vis, scilicet ars gubematoria, praecipit ei quae inducit formam navis, et haec praecipit illi quae habet executionem tantum, in disponen­ do materiam. Sed quamvis intellectus noster ad aliqua se agat, tamen aliqua sunt ei praesti­ tuta a natura; sicut sunt prima principia, circa quae non potest aliter se habere, et ultimus finis, quem non potest non velle. Unde, licet quantum ad aliquid moveat se, tamen oportet quod quantum ad aliqua ab alio moveatur. Tilud igitur cuius sua natura est ipsum eius in­ telligere, et cui id quod naturaliter habet, non determinatur ab alio, hoc est quod obtinet summum gradum vitae. Tale autem est Deus. Unde in Deo maxime est vita. Unde philoso­ phus, in 12 Met. [ 1 1 ,7,7], ostenso quod Deus sit intelligens, concludit quod habeat vitam perfectissimam et sempitemam, quia intellec­ tus eius est perfectissimus, et semper in actu. Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicitur in 9 Met. [8,8,9] , duplex est actio, una, quae transit in exteriorem materiam, ut calefacere et secare; alia, quae manet in agente, ut intelli­ gere, sentire et velle. Quarum haec est diffe­ rentia, quia prima actio non est perfectio agen­ tis quod movet, sed ipsius moti; secunda autem

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gli animali che possiedono soltanto il senso del tatto hanno il solo movimento di dilata­ zione e di contrazione, come le ostriche, che superano di poco il movimento delle piante. Quelli invece che hanno facoltà sensitive per­ fette, e capaci di conoscere non soltanto ciò che è a contatto con essi, ma anche le cose distanti, si muovono verso oggetti remoti spo­ standosi da un punto ali' altro. Però, sebbene questi animali acquistino mediante i sensi la forma che è il principio del loro movimento, tuttavia non si prestabiliscono da sé il tine della loro operazione o del loro movimento, ma questo è loro dato dalla natura, sotto il cui impulso si muovono a compiere questa o quella operazione mediante la forma appresa con i sensi. Quindi al disopra di tali animali vi sono quelli che muovono se stess i anche riguardo al fine, che da se stessi si prestabili­ scono. E ciò avviene precisamente in forza della ragione e dell'intelletto, ai quali compe­ te conoscere la proporzione tra il fine e i mezzi, e ordinare una cosa all'altra. Quindi il modo di vivere più perfetto è quello degli esseri che sono dotati di intelligenza: poiché si muovono più perfettamente. E un segno di ciò è che in un solo e medesimo uomo l' intel­ letto muove le facoltà sensitive, e le facoltà sensitive muovono col loro comando gli orga­ ni, i quali eseguono il movimento. Come anche nelle arti vediamo che l'arte di usare la nave, cioè l'arte del navigare, comanda a co­ lui che ha il compito di progettare la nave, e questi a sua volta comanda a colui che ha sol­ tanto il compito dell' esecuzione, cioè di di­ sporre il materiale. Tuttavia, sebbene la nostra intelligenza si determini da sé ad alcune cose, altre le vengono prestabilite dalla natura, co­ me i primi princìpi, dai quali non può dissen­ tire, e il fine ultimo, che non può non volere. Quindi, sebbene essa muova se stessa riguar­ do ad alcune cose, quanto ad altre, tuttavia, ri­ chiede di essere mossa da altri. E così quel­ l' essere la cui natura è lo stesso suo intendere, e al quale nessun altro determina ciò che pos­ siede per natura, dovrà possedere il supremo grado della vita. Ora, tale essere è Dio. Quin­ di in Dio la vita è al sommo grado. Per cui il Filosofo, dopo aver dimostrato che Dio è un essere intelligente, conclude che deve avere in sé una vita perfettissima ed eterna: perché il suo intelletto è perfettissimo e sempre in atto.

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actio est perfectio agentis. Unde, quia motus est actus mobilis, secunda actio, inquantum est actus operantis, dicitur motus eius; ex hac similitudine, quod, sicut motus est actus mobi­ lis, ita huiusmodi actio est actus agentis; licet motus sit actus imperfecti, scilicet existentis in potentia, huiusmodi autem actio est actus per­ fecti, idest existentis in actu, ut dicitur in 3 De an. [7, 1]. Hoc igitur modo quo intelligere est motus, id quod se intelligit, dicitur se movere. Et per bune modum etiam Plato [Phaedrus 24] posuit quod Deus movet seipsum, non eo modo quo motus est actus imperfecti. Ad secundum dicendum quod, sicut Deus est ipsum suum esse et suum intelligere, ita est suum vivere. Et propter hoc, sic vivit, quod non habet vivendi principium. Ad tertium dicendum quod vita in istis infe­ riOiibus recipitur in natura corruptibili, quae indiget et generatione ad conservationem spe­ ciei, et alimento ad conservationem individui. Et propter hoc, in istis inferioribus non inve­ nitur vita sine anima vegetabili. Sed hoc non habet locum in rebus incorruptibilibus.

Soluzione delle difficoltà: l . Vi sono due spe­ cie di azioni, dice Aristotele: le une [transiti­ ve], che passano su un oggetto esterno, come scaldare e segare, ecc.; le altre [intransitive], che restano nell' operante, come intendere, sentire e volere. E tra le une e le altre vi è questa differenza, che le prime non sono un perfezionamento dell'agente che muove, ma dell'oggetto che è mosso, mentre le seconde costituiscono un pett"ezionamento dell'agente. Quindi, essendo il moto un atto [o perfezione] dell'ente mobile, le azioni della seconda spe­ cie, che sono un atto del soggetto operante, possono dirsi moto di quest'ultimo secondo questa analogia: come il moto è l'atto dell'en­ te mobile, così l'operazione è l'atto dell' agen­ te, sebbene il moto sia l'atto di una cosa im­ pelfetta, cioè in potenza, e l'operazione [im­ manente] invece sia l'atto di una cosa peifetta, cioè [non in potenza ma] in atto, come dice Aristotele. Ora, dato che l'intendere può esse­ re detto moto, possiamo dire che chi intende se stesso si muove. Ed è in questo senso che anche Platone affermò che Dio muove se stesso, non nel senso rigoroso del moto che è l'atto di una cosa imperfetta. 2. Come Dio si identifica con il suo essere e il suo intendere, così si identifica con il suo vi­ vere. E per questo motivo la sua vita è tale da non richiedere alcun principio. 3. La vita negli esseri di quaggiù si trova in nature corruttibili, che abbisognano sia della generazione per la conservazione della spe­ cie, sia dell' alimento per la conservazione dell' individuo. E per questo motivo negli es­ seri di quaggiù non si trova la vita senza l'anima vegetativa. Ciò però non ha luogo nei viventi incorruttibili.

Articulus 4 Utrum omnia sint vita in Deo

Articolo 4 Tutte le cose sono vita in Dio?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non omnia sint vita in Deo. l . Dicitur enim Act. 1 7 [28], in ipso vivbmts, movemur et sumus. Sed non omnia in Deo sunt motus. Ergo non omnia in ipso sunt vita. 2. Praeterea, omnia sunt in Deo sicut in primo exemplari. Sed exemplata debent conformari exemplari. Cum igitur non omnia vivant in seipsis, videtur quod non omnia in Deo sint vita.

Sembra di no. Infatti: l . È detto in At: In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Ora, non tutte le cose in Dio sono movimento. Quindi non nme le cose in lui sono vita. 2. Tutte le cose sono in Dio come nel loro supremo esemplare. Ora, le immagini devono essere conformi al loro modello. Ma non tutti gli esseri sono viventi in se stessi: dunque neppure in Dio sono vita.

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La vita di Dio

3. Praeterea, sicut Augustinus dicit in libro De vera rel. [29], substantia vivens est melior qualibet substantia non vivente. Si igitur ea quae in seipsis non vivunt, in Deo sunt vita, videtur quod verius sint res in Deo quam in seipsis. Quod tamen videtur esse falsum, cum in seipsis sint in actu, in Deo vero in potentia. 4. Praeterea, sicut sciuntur a Deo bona, et ea quae fiunt secundum aliquod tempus; ita ma­ la, et ea quae Deus potest tacere, sed nun­ quam fiunt. Si ergo omnia sunt vita in Deo, inquantum sunt scita ab ipso, videtur quod etiam mala, et quae nunquam fiunt, sunt vita in Deo, inquantum sunt scita ab eo. Quod videtur inconveniens. Sed contra est quod dicitur Ioan. l [3-4], quod factum est, in ipso vita erat. Sed omnia prae­ ter Deum facta sunt. Ergo omnia in Deo sunt vita. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 3], vivere Dei est eius intelligere. In Deo autem est idem intellectus et quod intelligitur, et ipsum intelligere eius. Unde quidquid est in Deo ut intellectum, est ipsum vivere vel vita eius. Unde, cum omnia quae facta sunt a Deo, sint in ipso ut intellecta, sequitur quod omnia in ipso sunt ipsa vita divina. Ad primum ergo dicendum quod creaturae in Deo esse dicuntur dupliciter. Uno modo, in­ quantum continentur et consetvantur vittute di­ vina, sicut dicimus ea esse in nobis, quae sunt in nostra potestate. Et sic creaturae dicuntur esse in Deo, etiam prout sunt in propriis na­ turis. Et hoc modo intelligendum est verbum apostoli dicentis, in ipso vivimus, movemur et sumus, quia et nostrum vivere, et nostrum esse, et nostrum moveri causantur a Deo. Alio modo dicuntur res esse in Deo sicut in cognoscente. Et sic sunt in Deo per proprias rationes, quae non sunt aliud in Deo ab essentia divina. Unde res, prout sic in Deo sunt, sunt essentia divina. Et quia essentia divina est vita, non autem motus, inde est quod res, hoc modo loquendi, in Deo non sunt motus, sed vita. Ad secundum dicendum quod exemplata oportet conformati exemplari secundum ra­ tionem formae, non autem secundum modum essendi. Nam alterius modi esse habet quan­ doque forma in exemplari et in exemplato, si­ cut fonna domus in mente artificis habet esse immateriale et intelligibile, in domo autem quae est extra animam, habet esse materiale et

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3. Un essere vivente, osserva Agostino, è mi­ gliore di qualsiasi essere non vivente. Se dun­ que gli esseri che non hanno vita in se stessi hanno vita in Dio, pare che siano con più verità in Dio che in se stessi. Ma ciò è falso, dal mo­ mento che in se stessi esistono attualmente, mentre in Dio solo potenzialmente. 4. Come Dio conosce il bene e le cose che in un dato tempo vengono ali' esistenza, così conosce il male e le cose che egli potrebbe t'are, ma che mai si compiranno. Se dunque tutte le cose sono vita in Dio in quanto sono da lui conosciute, sembra che anche il male e i pu­ ri possibili siano vita in lui, appunto in quanto da lui conosciuti. Ma ciò è inammissibile. In contrario: in Gv è detto: Ciò che è stato fat­ to in lui era vita. Ma tutto ciò che non è Dio è stato fatto. Dunque tutto in Dio è vita. Risposta: come è già stato detto, il vivere di Dio è il suo intendere. Ora, in Dio è tutt'uno l ' intelletto, l'oggetto intelligibile e l' intelle­ zione. Quindi tutto ciò che è in Dio come og­ getto conosciuto è il suo vivere stesso e la sua vita. Ma siccome tutte le cose che Dio ha fat­ to sono in lui in quanto conosciute, ne segue che in lui sono la sua stessa vita divina. Soluzione delle difficoltà: l . Si può dire che le creature sono in Dio in due modi: primo, in quanto la potenza divina le domina e le conserva, nello stesso senso in cui diciamo che sono in noi quelle cose che sono in nostro potere. E così si dice che le cose sono in Dio anche in quanto esi­ stono nella realtà. E in questa maniera va inteso il detto di Paolo: In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo; poiché per noi l'essere, la vita e il mo­ vimento provengono da Dio. Secondo, si dice che le cose sono in Dio come oggetto di cono­ scenza. E in questo senso esse sono in Dio con le loro immagini ideali, le quali in Dio non sono altro che l'essenza divina Quindi le cose che so­ no in Dio in questo senso si identificano con l'es­ senza divina. E poiché l'essenza divina è vita e non moto, ne segue che le cose, secondo questo modo di parlare, in Dio non sono moto, ma vita. 2. La conformità delle copie o immagini con il loro modello si verifica rispetto alla forma, non rispetto al modo di essere. Infatti la for­ ma, talora, ha un modo di essere tutto diffe­ rente nell'esemplare e nell' immagine: come la forma della casa nella mente dell'artista ha un'esistenza immatetiale e intelligibile, men­ tre nella casa costruita di fatto ha un'esistenza

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La vita di Dio

sensibile. Unde et rationes remm quae i n seipsis non vivunt, i n mente divina sunt vita, quia in mente divina habent esse divinum. Ad tertium dicendum quod, si de ratione re­ rum naturalium non esset materia, sed tantum forma, omnibus modis veriori modo essent res naturales in mente divina per suas ideas, quam in seipsis. Propter quod et Plato posuit quod homo separatus erat verus homo, homo autem materialis est homo per participatio­ nem. Sed quia de ratione rerum naturalium est materia, dicendum quod res naturales ve­ rius esse habent simpliciter in mente divina, quam in seipsis, quia in mente divina habent esse increatum, in seipsis autem esse creatum. Sed esse hoc, utpote homo vel equus, verius habent in propria natura quam in mente divi­ na, quia ad veritatem hominis pertinet esse materiale, quod non habent in mente divina. Sicut domus nobilius esse habet in mente artificis, quam in materia, sed tamen verius dicitur domus quae est in materia, quam quae est in mente; quia haec est domus in actu, illa autem domus in potentia. Ad quartum dicendum quod, licet mala sint in Dei scientia, inquantum sub Dei scientia comprehenduntur, non tamen sunt in Deo sicut creata a Deo vel conservata ab ipso, neque sicut habentia rationem in Deo, cogno­ scuntur enim a Deo per rationes bonorum. Unde non potest dici quod mala sint vita in Deo. Ea vero quae secundum nullum tempus sunt, possunt dici esse vita in Deo, secundum quod vivere nominat intelligere tantum, in­ quantum intelliguntur a Deo, non autem se­ cundum quod vivere importat principium operationis.

QUAESTIO 1 9 DE VOLUNTATE DEI Post considerationem eorum quae ad divinam scientiam pertinent, considerandum est de his quae pertinent ad voluntatem divinam [cf. q. 14 prol.], ut sit prima consideratio de ipsa Dei voluntate; secunda, de his quae ad voluntatem absolute pertinent [q. 20]; tertia, de his quae

materiale e sensibile. Quindi anche le imma­ gini ideali delle cose che in natura non sono viventi, nella mente di Dio sono vita, poiché nella mente di Dio hanno l'essere di Dio. 3. Se l'essenza delle realtà esistenti in natura non richiedesse la materia, ma soltanto la forma, esse con le loro immagini ideali sareb­ bero in tutto e per tutto con più verità nella mente divina che in se stesse. E per questo motivo Platone dell'uomo in astratto fece l'uo­ mo vero, e dell' uomo materiale l' uomo per partecipazione. Tenendo invece presente che la materia fa parte dell'essenza delle realtà natu­ rali, dobbiamo certo riconoscere che queste, assolutamente parlando, hanno un essere più vero nella mente di Dio che in se stesse - giac­ ché nella mente di Dio hanno l'essere inct-eato e in se stesse, invece, l'essere creato -, però, quanto alla loro realtà concreta, di uomo, per es., o di cavallo, esse sono con più verità nella propria natura che nella mente divina, poiché per avere un vero uomo si richiede un'esisten­ za materiale, che non si ha nella mente divina. Come la casa ha un modo di essere più nobile nella mente dell'artista che non nella materia, ma quella che è attuata nella materia è detta casa con più verità di quella che è nella mente, poiché l'una è casa in atto, l'altra in potenza. 4. n male è in Dio come oggetto di conoscenza, poiché la scienza di Dio comprende anch'esso, ma non si trova in Dio come creato o conserva­ to da Dio, e neppure come se tosse presente in lui mediante un'immagine ideale: infatti Dio lo conosce mediante l'idea di ciò che è bene. Quindi non si può dire che il male sia vita in Dio. Quanto poi alle cose che mai esisteranno [i puri possibili], si può dire che sono vita in Dio soltanto se si restringe il termine vivere al solo conoscere: infatti esse sono pensate da Dio; non invece se il termine vivere viene preso nel suo significato di principio di attività. QUESTIO� 1 9 LA VOLONTA DI DIO Dopo lo studio di ciò che si riferisce alla scienza divina, bisogna investigare ciò che ri­ guarda la volontà divina, e considerare: pri­ mo, la volontà di Dio in se stessa; secondo, gli attributi che direttamente le appartengono; terzo, ciò che spetta all'intelligenza in rappor-

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ad intellectum in ordine ad voluntatem perti­ nent [q. 22]. Circa ipsam autem voluntatem quaeruntur duodecim. Primo, utrum in Deo sit voluntas. Secundo, utrum Deus velit alia a se. Tertio, utrum quidquid Deus vult, ex ne­ cessitate velit. Quarto, utrum voluntas Dei sit causa rerum. Quinto, utrum voluntatis divinae sit assignare aliquam causam. Sexto, utrum voluntas divina semper impleatur. Septimo, utrum voluntas Dei sit mutabilis. Octavo, utrum voluntas Dei necessitatem rebus volitis imponat. Nono, utrum in Deo sit voluntas malorum. Decimo, utrum Deus habeat libe­ rum arbitrium. Undecimo, utrum sit distin­ guenda in Deo voluntas signi. Duodecimo, utrum convenienter circa divinam voluntatem ponantur quinque signa.

to alla volontà. Relativamente alla volontà in se medesima si pongono dodici quesiti: l. In Dio c'è la volontà? 2. Dio vuole delle cose di­ stinte da sé? 3 . Tutto ciò che Dio vuole lo vuole necessariamente? 4. La volontà di Dio è causa delle cose? 5. Si può assegnare una causa alla volontà divina? 6. La volontà divi­ na si compie sempre? 7. La volontà di Dio è mutevole? 8. La volontà di Dio rende neces­ sarie le cose da essa volute? 9. Dio vuole il male? 1 0. Dio ha il libero arbitrio? I l . In Dio si d((Ve distinguere una volontà significata? 12. E giusto determinare cinque segni della divina volontà?

Articulus l Utrum in Deo sit voluntas

Articolo l In Dio c'è la volontà?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Deo non sit voluntas. l . Obiectum enim voluntatis est finis et bo­ num. Sed Dei non est assignare aliquem fi­ nem. Ergo voluntas non est in Deo. 2. Praeterea, voluntas est appetitus quidam. Appetitus autem, cum sit rei non habitae, im­ perfectionem designat, quae Deo non compe­ tit. Ergo voluntas non est in Deo. 3. Praeterea, secundum philosophum, in 3 De an. [ 1 0,7], voluntas est movens motum. Sed Deus est primum movens immobile. Ut proba­ tur 8 Phys. [6, l]. Ergo in Deo non est voluntas. Sed contra est quod dicit apostolus, Rom. 1 2 [2], ut probetis quae sit voluntas Dei. Respondeo dicendum in Deo voluntatem esse, sicut et in eo est intellectus, voluntas enim in­ tellectum consequitur. Sicut enim res naturalis habet esse in actu per suam formam, ita intellectus intelligens actu per suam formam intelligibilem. Quaelibet autem res ad suam formam naturalem hanc habet habitudinem, ut quando non habet ipsam, tendat in eam; et quando habet ipsam, quiescat in ea. Et idem est de qualibet perfectione naturali, quod est bonum nalurae. El haec habitudo ad bonum, in rebus carentibus cognitione, vocatur appetitus natu­ ralis. Unde et natura intellectualis ad bonum apprehensum per formam intelligibilem, simi­ lem habitudinem habet, ut scilicet, cum habet ipsum, quiescat in illo; cum vero non habet,

Sembra di no. Infatti: l . L'oggetto della volontà è il fine e il bene. Ma a Dio non si può assegnare alcun fine. Quindi in Dio non c'è la volontà. 2. La volontà è un appetito. Ma l'appetito, in quanto riguarda una cosa non posseduta, è in­ dice di impe1fezione, che non può essere at­ tribuita a Dio. Quindi in Dio non c'è volontà. 3. Secondo il Filosofo la volontà è un mo­ vente mosso. Ma Dio è il primo motore im­ mobile, come prova lo stesso Aristotele. Quindi in Dio non c'è volontà. In contrario: Paolo in Rm dice: Per poter di­

scernere qual è la volontà di Dio. Rispondo: in Dio c'è la volontà come c'è l'in­ telligenza, essendo la volontà intimamente connessa con l'intelletto. Come infatti ogni cosa esistente in natura ha l'essere in atto in forza della sua forma, così ogni intelligenza ha l ' intendere in atto mediante la sua forma intelligibile. Ogni cosa, poi, ha verso la pro­ pria forma questo rapporto, che quando non la possiede vi tende, e quando la possiede vi si riposa. E lo stesso vale per ogni perfezione naturale, che costituisce un bene di natura. E questa tendenza al bene negli esseri privi di conoscenza viene detta appetito naturale. Per cui anche gli esseri intelligenti hanno una si­ mile inclinazione al bene appreso mediante una specie intelligibile, in maniera che quan­ do hanno questo bene vi si riposano, e quan-

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La volontà di Dio

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quaerat ipsum. Et utrumque pertinet ad vo­ luntatem. Unde in quolibet habente intellectum, est voluntas; sicut in quolibet habente sensum, est appetitus animalis. Et sic oportet in Deo esse voluntatem, cum sit in eo intellectus. Et sicut suum intelligere est suum esse, ita suum velle. Ad primum ergo dicendum quod, licet nihil aliud a Deo sit finis Dei, tamen ipsemet est finis respectu omnium quae ab eo fiunt. Et hoc per suam essentiam, cum per suam essen­ tiam sit bonus, ut supra [q. 6 a. 3] ostensum est, finis enim habet rationem boni. Ad secundum dicendum quod voluntas in nobis pertinet ad appetitivam partem, quae licet ab appetendo nominetur, non tamen hunc solum habet actum, ut appetat quae non habet; sed etiam ut amet quod habet, et delectetur in ilio. Et quantum ad hoc voluntas in Deo ponitur; quae semper habet bonum quod est eius obiectum, cum sit indifferens ab eo secundum essentiam, ut dictum est [a. 1 ] . A d tertium dicendum quod voluntas cuius obiectum principale est bonum quod est extra voluntatem, oportet quod sit mota ab aliquo. Sed obiectum divinae voluntatis est bonitas sua, quae est eius essentia. Unde, cum volun­ tas Dei sit eius essentia, non movetur ab alio a se, sed a se tantum, eo modo loquendi quo intelligere et velle dicitur motus. Et secundum hoc Plato [Phaedrus 24] dixit quod primum movens movet seipsum.

do invece non l'hanno lo ricercano. E questa duplice operazione appartiene alla volontà. Quindi in ogni essere che ha l'intelletto c'è la volontà, come in ogni essere dotato di senso c'è l'appetito sensitivo. Quindi è necessario affermare che in Dio esiste la volontà, essen­ doci l'intelletto. E come la sua intellezione è il suo essere, così lo è il suo volere. Soluzione delle difficoltà: l . Nessuna cosa di­ stinta da Dio è il fine di Dio, tuttavia egli stesso è il fine di tutto ciò che da lui è fatto. E lo è per es­ senza, poiché è buono per essenza, come sopra si è dimostrato: infatti il fine ha ragione di bene. 2. La volontà, in noi, appartiene alla parte appetitiva la quale, sebbene derivi il suo nome dall'appetizione, tuttavia non comporta solo l'atto di desiderare ciò che non ha, ma anche quello di amare ciò che ha e di dilettarsi in esso. E sotto questo aspetto si ammette in Dio la volontà; la quale possiede sempre quel bene che ne è l'oggetto, non essendo questo essen­ zialmente distinto da Dio, come si è spiegato. 3. Una volontà il cui oggetto principale è fuo­ ri di essa deve essere mossa da altro. Ma l' og­ getto della volontà divina è la sua stessa bon­ tà, che si immedesima con la sua essenza. Siccome quindi la volontà di Dio è la sua es­ senza, essa non è mossa da altro, ma solo da se stessa, secondo quel modo di parlare per cui intendere e volere sono detti movimento. E in questo senso Platone disse che il primo motore muove se stesso.

Articulus 2 Utrum Deus velit alia a se

Articolo 2 Dio vuole altre cose oltre a se stesso?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Deus non velit alia a se. l . Velle enim divinum est eius esse. Sed Deus non est aliud a se. Ergo non vult aliud a se. 2. Praeterea, volitum movet voluntatem, sicut appetibile appetitum, ut dicitur in 3 De an. [10,7]. Si igitur Deus velit aliquid aliud a se, movebitur eius voluntas ab aliquo alio, quod est impossibile. 3 . Praeterea, cuicumque voluntati sufficit aliquod volitum, nihil quaerit extra illud. Sed Deo sufficit sua bonitas, et voluntas eius ex ea satiatur. Ergo Deus non vult aliquid aliud a se. 4. Praeterea, actus voluntatis multiplicatur se­ cundum volita. Si igitur Deus velit se et alia a se, sequitur quod actus voluntatis eius sit

Sembra di no. Infatti: l . La volizione divina è l'essere stesso di Dio. Ma Dio non è altra cosa che se stesso. Quindi non vuole altro all'infuori di sé. 2. L'oggetto voluto muove la volontà come, al dire di Aristotele, l'appetibile muove l'appetito. Se dunque Dio volesse qualche altra cosa oltre a se stesso, la sua volontà sarebbe mossa da un og­ getto distinto da lui stesso: il che è impossibile. 3. Una volontà a cui basta l'oggetto che vuole non va in cerca di altro. Ma a Dio basta la sua bontà, in cui la sua volontà si riposa. Quindi Dio non vuole altro all'infuori di sé. 4. Tanti sono gli atti della volontà quanti sono gli oggetti voluti. Se dunque Dio, oltre ad avere se stesso come oggetto del suo volere,

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La volontà di Dio

multiplex, et per consequens eius esse, quod. est eius velle. Hoc autem est impossibile. Non ergo vult alia a se. Sed contra est quod apostolus dicit, l Thess. 4 [3], haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra. Respondeo dicendum quod Deus non solum se vult, sed etiam alia a se. Quod apparet a simili prius [a. l ] introd.ucto. Res enim natu­ ralis non solum habet naturalem inclinatio­ nem respectu proprii boni, ut acquirat ipsum cum non habet, vel ut quiescat in ilio cum habet; sed etiam ut proprium bonum in alia diffundat, secundum quod. possibile est. Un­ de videmus quod omne agens, inquantum est actu et perfectum, facit sibi simile. Unde et hoc pertinet ad rationem voluntatis, ut bonum quod quis habet, aliis communicet, secun­ dum quod possibile est. Et hoc praecipue pertinet ad voluntatem divinam, a qua, per quandam similitudinem, derivatur omnis perfectio. Unde, si res naturales, inquantum perfectae sunt, suum bonum aliis commu­ nicant, multo magis pertinet ad voluntatem divinam, ut bonum suum aliis per simili­ tudinem communicet, secundum quod possi­ bile est. Sic igitur vult et se esse, et alia. Sed se ut finem, alia vero ut ad finem, inquantum condecet divinam bonitatem etiam alia ipsam partici pare. Ad primum ergo dicendum quod, licet divi­ num velle sit eius esse secundum rem, tamen differt ratione, secundum diversum modum intelligendi et signi:ficandi, ut ex superioribus [q. 1 3 a. 4] patet. In hoc enim quod dico Deum esse, non importatur habitudo ad ali­ quid, sicut in hoc quod. dico Deum velle. Et ideo, licet non sit aliquid aliud a se, vult ta­ men aliquid aliud a se. Ad secundum dicendum quod. in bis quae vo­ lumus propter finem, tota ratio movendi est fi­ nis, et hoc est quod. movet voluntatem. Et hoc maxime apparet in bis quae volumus tantum propter finem. Qui enim vult sumere potio­ nem amaram, nihil in ea vult nisi sanitatem, et hoc solum est quod movet eius voluntatem. Secus autem est in eo qui sumit potionem dul­ cem, quam non solum propter sanitatem, sed etiam propter se aliquis velle potest. Unde, cum Deus alia a se non velit nisi propter finem qui est sua bonitas, ut dictum est [in co.], non sequitur quod. aliquid aliud moveat voluntatem eius nisi bonitas sua. Et sic, sicut alia a se

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avesse anche altre cose, l'atto della sua volon­ tà sarebbe molteplice, e per conseguenza an­ che il suo essere, che si identifica con il suo volere. Ma ciò è impossibile. Quindi Dio non vuole cose distinte da sé. In contrario: Paolo in l Ts dice: Questa è la

volontà di Dio, la vostra santificazione. Rispondo: Dio ha come oggetto della sua volontà non soltanto se stesso, ma anche altre cose. E ciò può essere chiarito con il paragone già adoperato nell'articolo precedente. Le cose esistenti in natura, intatti, non solo hanno verso il loro bene l'inclinazione naturale a cercarlo quando non l'hanno e a riposarvisi quando lo possiedono, ma anche a effonderlo sulle altre, per quanto è loro possibile. Per questo vediamo che ogni agente, nella misura in cui ha attualità e perfezione, tende a produrre cose a sé somi­ glianti. Per cui rientra nella natura della volontà il comunicare ad altri esseri, nella misura del possibile, il bene posseduto. E ciò appartiene principalmente alla volontà divina, dalla quale deriva, secondo una certa somiglianza, ogni perfezione. Se quindi le cose in quanto sono perfette comunicano ad altri esseri la propria bontà, a maggior ragione conviene alla volontà divina di partecipare ad altri esseri analoga­ mente, nella misura del possibile, il proprio bene. Così dunque Dio vuole se stesso e le altre cose. Vuole però se stesso come fine e le altre cose come ordinate al fine, poiché si addice par­ ticolarmente alla bontà divina di venire parteci­ pata anche da altri esseri. Soluzione delle difficoltà: l . Sebbene la voli­ zione di Dio si identifichi realmente con il suo essere, tuttavia se ne distingue concettual­ mente, per il diverso modo in cui la intendia­ mo e ne parliamo, come già dicemmo. Quan­ do infatti dico: Dio è non esprimo una rela­ zione di Dio con un termine come quando dico invece: Dio vuole. Per conseguenza, seb­ bene Dio non sia qualcosa di diverso da sé, pure vuole qualcosa al di fuori di sé. 2. Nelle cose che vogliamo per un fine tutta la ragione del volere è il fine: e questo muove la volontà. E ciò è evidente riguardo alle cose che vogliamo unicamente per il fine. Chi infat­ ti decide di prendere una pozione amara, in essa non cerca altro che la sua salute, e solo la salute muove la sua volontà. Diverso è invece i l caso di chi prende una pozione dolce, in quanto la prende non solo per la salute, ma

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intelligit intelligendo essentiam suam, ita alia a se vult, volendo bonitatem suam. Ad tertium dicendum quod ex hoc quod vo­ luntati divinae sufficit sua bonitas, non se­ quitur quod nihil aliud velit, sed quod nihil aliud vult nisi ratione suae bonitatis. Sicut etiam intellectus divinus, licet sit perfectus ex hoc ipso quod essentiam divinam cognoscit, tamen in ea cognoscit alia. Ad qurutum dicendum quod, sicut intelligere divinum est unum, quia multa non videt nisi in uno; ita velle divinum est unum et simplex, quia multa non vult nisi per unum, quod est bonitas sua.

può anche volerla per se stessa. Quindi, sicco­ me Dio non vuole le cose distinte da sé se non per il fine, che è la sua bontà, come si è detto, non ne viene che la sua volontà sia mossa da qualcosa di estraneo, ma solo dalla sua bontà. E così, come intende le altre cose da sé distin­ te comprendendo la sua essenza, parimenti vuole le altre cose volendo la sua bontà. 3. Dal tàtto che alla volontà divina basta la sua bontà non segue che essa non voglia altro, ma che non voglia altro se non a motivo della sua bontà. Come anche l'intelletto di Dio, sebbene sia perfetto perché conosce l 'essenza divina, tuttavia in essa conosce anche le altre cose. 4. Come l'atto dell'intelletto divino è uno per­ ché conosce cose molteplici in un solo princi­ pio, così il divino volere è uno e semplice poi­ ché non ha per oggetto una moltitudine di cose se non per un unico motivo, che è la sua bontà.

Articulus 3 Utrum quidquid Deum vult, ex necessitate velit

Articolo 3 Dio vuole necessariamente tutto ciò che vuole?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod quid­ quid Deus vult, ex necessitate velit. l . Omne enim aetemum est necessarium. Sed quidquid Deus vult, ab aeterno vult, alias, vo­ luntas eius esset mutabilis. Ergo quidquid vult, ex necessitate vult. 2. Praeterea, Deus vult alia a se, inquantum vult bonitatem suam. Sed Deus bonitatem suam ex necessitate vult. Ergo alia a se ex ne­ cessitate vult. 3. Praeterea, quidquid est Deo naturale, est ne­ cessarium, quia Deus est per se necesse esse, et principium omnis necessitatis, ut supra [q. 2 a. 3] ostensum est. Sed naturale est ei velle quidquid vult, quia in Deo nihil potest esse praeter naturam, ut dicitur in 5 Met. [4,5,6]. Ergo quidquid vult, ex necessitate vult. 4. Praeterea, non necesse esse, et possibile non esse, aequipollent. Si igitur non necesse est Deum velle aliquid eorum quae vult, pos­ sibile est eum non velle illud; et possibile est eum velle illud quod non vult. Ergo voluntas divina est contingens ad utrumlibel. Et sic im­ perfecta, quia omne contingens est imperfec­ tum et mutabile. 5. Praeterea, ab eo quod est ad utrumlibet, non sequitur aliqua actio, nisi ab aliquo alio inclinetur ad unum, ut dicit Commentator, in

Sembra di sì. Infatti: l. Thtto ciò che è eterno è necessario . Ma tutto ciò che Dio vuole lo vuole dali' eternità, perché altrimenti la sua volontà sarebbe mutevole. Quin­ di tutto ciò che Dio vuole lo vuole per necessità. 2. Dio vuole le altre cose in quanto vuole la propria bontà. Ma Dio vuole la propria bontà necessariamente. Quindi vuole anche le altre cose necessariamente. 3. Tutto ciò che a Dio è naturale è necessario, poiché Dio è di per se stesso necessario e prin­ cipio di ogni necessità, come si è dimostrato. Ma per lui è naturale volere tutto ciò che vuole poiché, al dire di Aristotele, in Dio non ci può essere nulla fuori della sua natura. Quindi tutto ciò che vuole, lo vuole necessariamente. 4. Non essere necessario e poter non essere si equivalgono. Se dunque non è necessario che Dio voglia una delle cose che vuole, è possibi­ le che non la voglia, ed è possibile che voglia ciò che non vuole. Quindi la volontà divina è contingente [o indifferente] verso le due alter­ native. E così è imperfetta: poiché tutto ciò che è contingente è imperfetto e mutevole. 5. Chi è indifferente verso due alternative non si determina se non è spinto verso una di esse, come dice il Commentatore. Se dunque la vo­ lontà di Dio relativamente a certe cose fosse

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2 Phys. [48]. Si ergo voluntas Dei in aliquibus se habet ad utrumlibet, sequitur quod ab ali­ qua alio determinetur ad effectum. Et sic ha­ bet aliquam causam priorem. 6. Praeterea, quidquid Deus scit, ex necessita­ te scit. Sed sicut scientia divina est eius essen­ tia, ita voluntas divina. Ergo quidquid Deus vult, ex necessitate vult. Sed contra est quod dicit apostolus, Eph. l [1 1], qui operatur omnia secundum consilium voluntatis suae. Quod autem operamur ex consilio voluntatis, non ex necessitate volu­ mus. Non ergo quidquid Deus vult, ex neces­ sitate vult. Respondeo dicendum quod necessarium dici­ tur aliquid dupliciter, scilicet absolute, et ex suppositione. Necessarium absolute iudicatur aliquid ex habitudine terminorum, utpote quia praedicatum est in definitione subiecti, sicut necessarium est hominem esse animai; vel quia subiectum est de ratione praedicati, sicut hoc est necessarium, numerum esse parem vel imparem. Sic autem non est necessarium Socratem sedere. Unde non est necessarium absolute, sed potest dici necessarium ex sup­ positione, supposito enim quod sedeat, neces­ se est eum sedere dum sedet. Circa divina igitur volita hoc considerandum est, quod aliquid Deum velle est necessarium absolute, non tamen hoc est verum de omnibus quae vult. Voluntas enim divina necessariam habi­ tudinem habet ad bonitatem suam, quae est proprium eius obiectum. Unde bonitatem suam esse Deus ex necessitate vult; sicut et voluntas nostra ex necessitate vult beatitudi­ nem. Sicut et quaelibet alia potentia necessa­ riam habitudinem habet ad proprium et prin­ cipale obiectum, ut visus ad colorem; quia de sui ratione est, ut in illud tendat. Alia autem a se Deus vult, inquantum ordinantur ad suam bonitatem ut in finem. Ea autem quae sunt ad finem, non ex necessitate volumus volentes finem, nisi sint talia, sine quibus tinis esse non potest, sicut volumus cibum, volentes conservationem vitae; et navem, volentes transfretare. Non sic autem ex necessitate vo­ lumus ea sine quibus finis esse potest, sicut equum ad ambulandum, quia sine hoc pos­ sumus ire; et eadem ratio est in aliis. Unde, cum bonitas Dei sit perfecta, et esse possit sine aliis, cum nihil ei perfectionis ex aliis ac­ crescat; sequitur quod alia a se eum velle, non

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libera [o indifferente], la sua determinazione a causare dipenderebbe da qualcun altro. E così avrebbe una causa anteriore. 6. Ciò che Dio sa, lo sa necessariamente. Ma come la scienza divina, così anche la volontà divina si identifica con l'essenza divina. Quindi Dio vuole necessariamente tutto ciò che vuole. In contrario: Paolo in Ef così parla [di Dio]: Egli che tutto opera secondo il consiglio della sua volontà. Ma ciò che si tà. secondo il consi­ glio della propria volontà non lo si vuole neces­ sariamente. Quindi Dio non vuole necessaria­ mente tutto ciò che è oggetto della sua volontà. Rispondo: una cosa può dirsi necessaria in due maniere: in modo assoluto e in forza di un'ipo­ tesi. Si denomina necessario in modo assoluto quanto risulta dal nesso logico dei termini [di una proposizione] : come nel caso in cui il predicato si trova nella definizione del sogget­ to, e in tal modo è necessario, per es., che l'uomo sia un animale; oppure perché il sog­ getto rientra nella nozione del predicato, come quando affermiamo essere necessario che un numero sia pari o dispari. Invece non è neces­ sario in tale modo che Socrate stia seduto. Per cui ciò non è necessario in modo assoluto, ma può dirsi necessruio ipoteticamente: ammesso infatti che si sieda, è necessario che egli sia seduto mentre siede. E così, circa le cose volu­ te da Dio, bisogna osservare che per alcune è necessario in modo assoluto che Dio le voglia; ma questo non si verifica per tutto ciò che egli vuole. Infatti la volontà divina ha un rapporto necessario alla sua bontà, che è il suo oggetto proprio. Dio vuole dunque necessariamente che esista la sua bontà, come la nostra volontà vuole necessariamente la felicità. Del resto ogni altra facoltà ha un rapporto necessario con il suo oggetto proprio e principale, come la vista rispetto al colore: poiché è dell'essenza [di una facoltà] tendere verso il proprio ogget­ to. Tutte le altre cose, invece, Dio le vuole in quanto sono ordinate alla sua bontà come al loro fine. Ora, ciò che è ordinato a un fine, noi non lo vogliamo necessariamente volendo il fine, a meno che non sia tale che senza di esso il fine non può essere raggiunto: come quando vogliamo il cibo per conservare la vita, e la na­ ve per attraversat-e il mare. Non così necessa­ riamente, invece, noi vogliamo le cose senza di cui possiamo raggiungere ugualmente il fine, per es. un cavallo per viaggiare: poiché anche

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sit necessarium absolute. Et tamen necessa­ rium est ex suppositione, supposito enim quod velit, non potest non velle, quia non po­ test voluntas eius mutari. Ad primum ergo dicendum quod ex hoc quod Deus ab aeterno vult aliquid, non sequitur quod necesse est eum illud velle, nisi ex sup­ positione. Ad secundum dicendum quod, licet Deus ex necessitate velit bonitatem suam, non tamen ex necessitate vult ea quae vult propter boni­ tatem suam, quia bonitas eius potest esse sine alii s. Ad tertium dicendum quod non est naturale Deo velle aliquid aliorum, quae non ex neces­ sitate vult. Neque tamen innaturale, aut contra naturam, sed est voluntarium. Ad quartum dicendum quod aliquando aliqua causa necessaria habet non necessariam habi­ tudinem ad aliquem effectum, quod est propter defectum effectus, et non propter defectum causae. Sicut virtus solis habet non necessa­ riam habitudinem ad aliquid eorum quae con­ tingenter hic eveniunt, non propter defectum virtutis solaris, sed propter defectum effectus non necessario ex causa provenientis. Et simi­ liter, quod Deus non ex necessitate velit ali­ quid eorum quae vult, non accidit ex defectu voluntatis divinae, sed ex defectu qui compe­ tit volito secundum suam rationem, quia scili­ cet est tale, ut sine eo esse possit perfecta bo­ nitas Dei. Qui quidem defectus consequitur omne bonum creatum. Ad quintum ergo dicendum quod causa quae est ex se contingens, oportet quod determine­ tur ab aliquo exteriori ad effectum. Sed volun­ tas divina, quae ex se necessitatem habet, de­ terminat seipsam ad volitum, ad quod habet habitudinem non necessariam. Ad sextum dicendum quod, sicut divinum es­ se in se est necessarium, ita et divinum velle et divinum scire, sed divinum scire habet necessariam habitudinem ad scita, non autem divinum velle ad volita. Quod ideo est, quia scientia habetur de rebus, secundum quod sunt in sciente, voluntas autem comparatur ad res, secundum quod sunt in seipsis. Quia igitur omnia alia habent necessarium esse se­ cundum quod sunt in Deo; non autem se­ cundum quod sunt in seipsis, habent necessi­ tatem absolutam ita quod sint per seipsa ne­ cessaria; propter hoc Deus quaecumque scit,

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senza di esso possiamo fare il nostro viaggio; e così negli altri casi. Quindi, siccome la bontà di Dio è perfetta e può stare senza tutto il resto, non traendo da esso alcun accrescimento di perfezione, ne segue che volere le cose da lui distinte non è necessario per Dio di necessità assoluta. Tuttavia è necessario ipoteticamente: supposto infatti che Dio le voglia, non può non volerle, poiché la sua volontà non può mutare. Soluzione delle difticoltà: l . Dal tatto che Dio vuole eternamente qualcosa non ne segue che lo voglia necessariamente [in modo assoluto], ma solo ipoteticamente. 2. Sebbene Dio abbia come oggetto necessa­ rio del suo volere la propria bontà, non per questo, tuttavia, vuole come oggetto necessa­ rio le cose che vuole in ragione della sua bon­ tà: poiché la sua bontà può stm-e senza di esse. 3. Non è [essenziale e] naturale per Dio vole­ re una di quelle cose che non vuole necessa­ riamente. E tuttavia non è neppure innaturale o contro natura, ma è volontario. 4. Può capitare che una causa necessaria abbia un rapporto non necessario a qualche suo effet­ to: ma ciò è una deficienza dell'effetto, non della causa. Come la virtù del sole ha un rap­ porto non necessario con alcune cose che sulla terra avvengono in maniera contingente non per una manchevolezza da parte della potenza sola­ re, ma per una deficienza deli' effetto, che pro­ viene non necessariamente da tale causa. E così è riguardo a Dio: non deriva da una manchevo� lezza della volontà divina che Dio non voglia per necessità alcune delle cose che vuole, ma ciò dipende dali' intrinseca deficienza della cosa voluta: cioè perché questa è tale nella sua natu­ ra che senza di essa la bontà di Dio può essere [ugualmente] perfetta. Ora, proprio tale man­ chevolezza è connaturale a ogni bene creato. 5 . Una causa che è intrinsecamente contin­ gente ha bisogno di un movente esterno per essere determinata all'effetto; ma la divina volontà, che è intrinsecamente necessaria, si determina da sé a volere le cose con le quali ha un rapporto non necessario. 6. Come l'essere divino è in se stesso neces­ sario, così altrettanto necessari sono il divino volere e il divino sapere; ma il sapere divino implica un rapporto necessario alle cose co­ nosciute: non così, invece, il divino volere ri­ guardo alle cose volute. E ciò precisamente perché la scienza delle cose si ha in forza del-

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ex necessitate scit, non autem quaecumque vult, ex necessitate vult.

la presenza delle cose nel soggetto conoscen­ te, mentre la volontà, al contrario, si riferisce alle cose così come sono in se medesime. Poiché dunque tutte le cose in quanto si trova­ no in Dio hanno un essere necessario, ma non hanno una necessità assoluta in quanto esisto­ no in se medesime, così da essere di per se stesse necessarie, per questo motivo tutto ciò che Dio sa lo sa necessariamente, ma non tutto ciò che vuole lo vuole per necessità.

Articulus 4 Utrum voluntas Dei sit causa rerum

Articolo 4 La volontà di Dio è causa delle cose?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod voluntas Dei non sit causa rerum. l. Dicit enim Dionysius, cap. 4 De div. nom. [ 1 ] , sicut noster sol, non ratiocinans aut praeeligens, sed per ipsum esse illuminar omnia participare lumen ipsius valentia; ita et bonum divinum per ipsam essentiam omnibus existentibus immittit bonitatis suae radios. Sed omne quod agit per voluntatem, agit ut ratioci­ nans et praeeligens. Ergo Deus non agit per voluntatem. Ergo voluntas Dei non est causa rerum. 2. Praeterea, id quod est per essentiam, est pri­ mum in quolibet ordine sicut in ordine igni­ torum est primum, quod est ignis per essen­ tiam sed Deus est primum agens. Ergo est a­ gens per essentiam suam, quae est natura eius. Agit igitur per naturam, et non per voluntatem. Voluntas igitur divina non est causa rerum. 3. Praeterea, quidquid est causa alicuius per hoc quod est tale, est causa per naturam, et non per voluntatem, ignis enim causa est cale­ factionis, quia est calidus; sed artifex est causa domus, quia vult eam facere. Sed Augustinus dicit, in l De doctr. chr. [32], quod quia Deus bonus est, sumus. Ergo Deus per suam na­ turam est causa rerum, et non per voluntatem. 4. Praeterea, unius rei una est causa. Sed re­ rum creatarum est causa scientia Dei, ut supra [q. 14 a. 8] dictum est. Ergo voluntas Dei non debet poni causa rerum. Sed contra est quod dicitur Sap. I l [25], quomo­ do posset aliquidpe1manere, nisi tu voluisses? Respondeo dicendum quod necesse est dicere voluntatem Dei esse causam rerum, et Deum agere per voluntatem, non per necessitatem naturae, ut quidam existimaverunt. Quod qui­ dem apparere potest tripliciter. Primo quidem,

Sembra di no. Infatti : l . Dice Dionigi: «Come i l nostro sole, non ra­ gionando o scegliendo, ma per la sua propria natura illumina tutte le cose capaci di parteci­ pare della sua luce, così anche il bene divino, per la sua stessa natura, comunica a tutti gli esseri esistenti i raggi della sua bontà». Ma ogni essere che agisce per volontà agisce pre­ cisamente ragionando e scegliendo. Quindi Dio non agisce per volontà. E così la volontà di Dio non è causa delle cose. 2. In ogni ordine di cose viene per primo ciò che è per essenza: come tra le cose infuocate la prima è il fuoco stesso. Ma Dio è la causa prima. Quindi egli causa mediante la sua essenza, che è la sua natura. Agisce, dunque, per natura e non per volontà. Per conseguenza la volontà divina non è causa delle cose. 3. Tutto ciò che causa in forza di una pro­ prietà essenziale causa per natura e non per volontà. n fuoco infatti è causa del riscalda­ mento perché è caldo; l' architetto, invece, è causa degli edifici perché li vuole costruire. Ora, Agostino afferma: «Noi esistiamo per­ ché Dio è buono». Quindi Dio è causa delle cose per natura e non per volontà. 4. Di una sola e identica cosa non c'è che una sola causa. Ora, abbiamo già detto che la causa degli enti creati è la scienza di Dio. Quindi non si può ammettere che la causa di questi stessi enti sia la volontà di Dio. In contrario: in Sap è detto: Come potrebbe sussistere una cosa se tu non vuoi? Rispondo: è necessario affennare che la volontà di Dio è la causa delle cose, e che Dio agisce per volontà e non per necessità di natura, come invece alcuni hanno pensato. E lo si può provare in tre modi. Primo, considerando l'ordine delle

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ex ipso ordine causarum agentium. Cum enim propter finem agat et intellectus et natura, ut probatur in 2 Phys. [5,2], necesse est ut agenti per naturam praedeterminetur finis, et media necessaria ad finem, ab a l i quo superiori intellectu; sicut sagittae praedeterminatur finis et certus modus a sagittante. Unde necesse est quod agens per intellectum et voluntatem, sit prius agente per naturam. Unde, cum primum in ordine agentium sit Deus, necesse est quod per intellectum et voluntatem agat. Secundo, ex ratione naturalis agentis, ad quod pettinet ut unum effectum producat, quia natura uno et eodem modo operatur, nisi impediatur. Et hoc ideo, quia secundum quod est tale, agit, unde, quandiu est tale, non facit nisi tale. Omne enim agens per naturam, habet esse detenninatum. Cum igitur esse divinum non sit determinatum, sed contineat in se totam perfectionem essendi, non potest esse quod agat per necessitatem naturae, n i s i forte causaret aliquid indeterminatum et infinitum in essendo; quod est impossibile, ut ex superio­ ri bus [q. 7 a. 2] patet. Non igitur agit per necessitatem naturae sed effectus determinati ab infinita ipsius perfectione procedunt se­ cundum determinationem voluntatis et intel­ lectus ipsius. Tertio, ex habitudine effectuum ad causam. Secundum hoc enim effectus procedunt a causa agente, secundum quod praeexistunt in ea, quia omne agens agit sibi simile. Praeexistunt autem effectus in causa secundum modum causae. Unde, cum esse divinum sit ipsum eius intelligere, praeexi­ stunt in eo effectus eius secundum modum in­ telligibilem. Unde et per modum intelligibi­ lem procedunt ab eo. Et sic, per consequens, per modum voluntatis, nam inclinatio eius ad agendum quod intellectu conceptum est, per­ tinet ad voluntatem. Voluntas igitur Dei est causa rerum. Ad primum ergo dicendum quod Dionysius per verba illa non intendit excludere electio­ nem a Deo simpliciter, sed secundum quid, inquantum scilicet, non quibusdam solum bo­ n itatem suam communicat, sed omnibus, prout scilicet electio discretionem quandam importat. Ad secundum dicendum quod, quia essentia Dei est eius intelligere et velle, ex hoc ipso quod per essentiam suam agit, sequitur quod agat per modum intellectus et voluntatis.

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cause agenti. Siccome infatti tanto l ' intelletto quanto la natura agiscono per un fine, come prova Aristotele, è necessario che alla causa naturale siano prestabiliti da una qualche intelli­ genza superiore il fine e i mezzi adatti al fine: come alla freccia vengono detenninati dall' ar­ ciere il bersaglio e la direzione. Quindi una causa che opera per intelletto e volontà deve necessariamente precedere le cause operanti per natura. &sendo quindi Dio la prima delle cause agenti, è necessario che egli agisca per intelletto e volontà. Secondo, [lo si prova] dal concetto di causa naturale, a cui spetta di produrre un effetto unico: poiché la natura, salvo impedimenti, agi­ sce sempre allo stesso modo. E ciò perché la causa naturale opem in quanto è tale: per cui, finché è tale, non produce che quel particolare effetto. Infatti ogni agente naturale ha un essere delimitato e determinato. Siccome invece l'es­ sere di Dio non è limitato, ma contiene in se stesso tutta la pienezza dell'essere, non si può ammettere che operi per necessità di natura; eccetto il caso che venisse a produrre un effetto illimitato e infinito nell'essere, il che è impossi­ bile, come si è visto sopra. Non agisce dunque per necessità di natum, ma dall'infinita sua per­ fezione procedono effetti determinati in confor­ mità alla detenninazione del suo volere e del suo intelletto. Terzo, [lo si dimostra] in base al mp­ porto degli effetti con la causa: poiché gli effetti derivano dalla causa agente in quanto preesi­ stono in essa, dato che ogni agente produce un qualcosa che gli assomiglia. Ora, gli effetti pree­ sistono nella causa secondo il modo di essere della medesima. Siccome dunque l'essere di Dio si identifica con la sua intelligenza, gli effetti pre­ esistono in lui come intelligibili. Per cui anche deriveranno da lui alla stessa maniera. E così [deriveranno] come oggetto di volontà: infatti appartiene alla volontà l'inclinazione a compiere ciò che è stato concepito dall' intelligenza. Quin­ di la volontà di Dio è causa delle cose. Soluzione delle difficoltà: l . Con queste parole Dionigi non ha inteso negare a Dio la libem scel­ ta in modo assoluto, ma [solo] in un certo senso: in quanto cioè la scelta comporta una qualche discriminazione, mentre Dio non comunica la sua bontà soltanto ad alcuni esseri, ma a tutti. 2. Dato che l' essenz.a di Dio si identifica con la sua intelligenza e la sua volontà, proprio per il fatto che Dio opera in forza dell'essenza ne se­ gue che opera secondo l'intelligenza e la volontà.

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Ad tertium dicendum quod bonum est obiec­ tum voluntatis. Pro tanto ergo dicitur, quia Deus bonus est, sumus, inquantum sua bonitas est ei ratio volendi omnia alia, ut supra [a. 2] dictum est. Ad quartum dicendum quod unius et eiusdem effectus, etiam in nobis, est causa scientia ut dirigens, qua concipitur forma operis, et vo­ luntas ut imperans, quia forma, ut est in in­ tellectu tantum, non determinatur ad hoc quod sit vel non sit in effectu, nisi per volun­ tatem. Unde intellectus speculativus nihil dicit de operando. Sed potentia est causa ut exe­ quens, quia nominat immediatum principium operationis. Sed haec omnia in Deo unum sunt.

3. Il bene è l' oggetto della volontà. Quindi l 'espressione: «Noi esistiamo perché Dio è buono» vale in quanto è la sua bontà a fargli volere tutte le altre cose, come si è detto sopra. 4. Anche in noi un solo e identico effetto ha come causa direttiva la scienza, che concepi­ sce il piano dell'opera, e come causa determi­ nante la volontà: poiché il piano [o l'idea], in quanto è soltanto nell'intelletto, non viene de­ tenninato a essere o a non essere neli' eft'etto se non dalla volontà. Per cui l'intelletto specu­ lativo non riguarda direttamente l'operazione. La potenza, invece, è la causa esecutrice, poi­ ché indica il principio immediato dell'opera­ zione. Ma tutte queste perfezioni, in Dio, non sono che una sola e identica cosa.

Articulus 5 Utrum voluntatis divinae sit assignare aliquam causam

Articolo 5 Si può assegnare una causa alla volontà divina?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod vo­ luntatis divinae sit assignare aliquam causam. l . Dicit enim Augustinus, libro Octoginta trium Q. [46], quis audeat dicere Deum irra­ tionabiliter omnia condidisse ? Sed agenti vo­ luntario, quod est ratio operandi, est etiam causa volendi. Ergo voluntas Dei habet ali­ quam causam. 2. Praeterea, in his quae fiunt a volente qui propter nullam causam aliquid vult, non opor­ tet aliam causam assignare nisi voluntatem volentis. Sed voluntas Dei est causa omnium rerum, ut ostensum est [a. 4]. Si igitur vo­ luntatis eius non sit ali qua causa, non opor­ tebit in omnibus rebus naturalibus aliam cau­ sam quaerere, nisi solam voluntatem divi­ nam. Et sic omnes scientiae essent super­ vacuae, quae causas aliquorum effectuum as­ signare nituntur, quod videtur inconveniens. Est igitur assignare aliquam causam volun­ tatis divinae. 3. Praeterea, quod fit a volente non propter aliquam causam, dependet ex simplici volun­ tate eius. Si igitur voluntas Dei non habeat aliquam causam, sequitur quod omnia quae fiunt, dependeanl ex simplici eius voluntate, et non habeant aliquam aliam causam. Quod est inconveniens. Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro Octoginta trium Q . [28] omnis causa effi­

Sembra di sì. Infatti: l . Agostino si domanda: «Chi oserebbe after­ mare che Dio ha creato tutte le cose senza ra­ gione?». Ora, per una causa volontaria ciò che forma la ragione dell'operare è anche causa del volere. Quindi la volontà di Dio ha una causa. 2. Alle cose che vengono compiute da un vo­ lente senza causa alcuna non c'è da assegnare altra causa all'infuori della volontà del volente. Ma noi abbiamo dimostrato che la volontà di Dio è la causa di tutte le cose. Se dunque non esiste una causa del volere di Dio, non ci sarà bisogno di cercare in tutte le realtà naturali altra causa che la divina volontà. E così tutte le scienze diventerebbero inutili, dato che esse mirano a trovare le cause di determinati effetti: ma ciò è assurdo. Bisogna perciò assegnare alla volontà di Dio una qualche causa. 3. Un effetto prodotto da un volente senza alcuna causa dipende unicamente dalla sua volontà. Se dunque la volontà di Dio non ha causa alcuna, ne segue che tutto ciò che avviene dipende dalla sua semplice volontà e non ha altre cause. Ma ciò è assurdo. In contrario: dice Agostino: «Ogni causa effi­ ciente è maggiore di ciò che produce; ma non vi è nulla di più grande della volontà di Dio: non è dun que il caso di ricercame la causa». Rispondo: la volontà di Dio in nessun modo può avere una causa. Per chiarire ciò si osservi che, essendo la volontà connessa intimamente

,

ciens maior est eo quod efficitur; nihil tamen

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maius est voluntate Dei; non ergo causa eius quaerenda est. Respondeo dicendum quod nullo modo vo­ luntas Dei causam habet. Ad cuius eviden­ tiam, considerandum est quod, cum voluntas sequatur intellectum, eodem modo contingit esse causam alicuius volentis ut velit, et alicuius intelligentis ut intelligat. In intellectu autem sic est quod, si seorsum intelligat prin­ cipium, et seorsum conclusionem, intelli­ gentia principii est causa scientiae conclu­ sionis. Sed si intellectus in ipso principio in­ spiceret conclusionem, uno intuitu apprehen­ dens utrumque, in eo scientia conclusionis non causaretur ab intellectu principiorum, quia idem non est causa sui ipsius. Sed ta­ men intelligeret principia esse causas conclu­ sionis. Similiter est ex parte voluntatis, circa quam sic se habet finis ad ea quae sunt ad finem, sicut in intellectu principia ad conclu­ siones. Unde, si aliquis uno actu velit tinem, et alio actu ea quae sunt ad finem, velle finem erit ei causa volendi ea quae sunt ad finem. Sed si uno actu velit finem et ea quae sunt ad finem, hoc esse non poterit, quia idem non est causa sui ipsius. Et tamen erit verum dicere quod velit ordinare ea quae sunt ad finem, in finem. Deus autem, sicut uno actu omnia in essentia sua intelligit, ita uno actu vult omnia in sua bonitate. Unde, sicut in Deo intelligere causam non est causa intelligendi effectus, sed ipse intelligit ef­ fectus in causa; ita velle finem non est ei cau­ sa volendi ea quae sunt ad finem, sed tamen vult ea quae sunt ad finem, ordinari in finem. Vult ergo hoc esse propter hoc, sed non prop­ ter hoc vult hoc. Ad primum ergo dicendum quod voluntas Dei rationabilis est, non quod aliquid sit Deo causa volendi, sed inquantum vult unum esse propter aliud. Ad secundum dicendum quod, cum velit Deus effectus sic esse, ut ex causis certis pro­ veniant, ad hoc quod servetur ordo in rebus; non est supervacuum, etiam cum voluntate Dei, alias causas quaerere. Esset tamen su­ pervacuum, si aliae causae quaererentur ut primae, et non dependentes a divina vo­ luntate. Et sic loquitur Augustinus in 3 De Trin . [2] , placuit vanitati philosophorum

etiam aliis causis effectus contingentes tribue­ re, cum omnino videre non possent superio-

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con l ' intelletto, c'è un parallelismo nell'asse­ gnare una causa per il volere e per l 'intendere. Ora, per l'intelletto succede che, se esso inten­ de separatamente il principio e separatamente la conclusione, allora l'intelligenza del pdnci­ pio causa la scienza della conclusione. Se però l'intelletto vedesse la conclusione nello stesso principio, abbracciando con un solo sguardo l'una e l'altro, allora la scienza della conclu­ sione non sarebbe causata in esso dall'intel­ ligenza dei princìpi, poiché una medesima cosa non può essere causa di se stessa. Nondi­ meno [l' intelletto] intenderebbe che i princìpi [logicamente] sono causa delle conclusioni. E altrettanto si può dire della volontà, nella cui operazione si vetifica che il fine sta ai mezzi come i princìpi stanno alle conclusioni nel­ l' attività dell'intelligenza. Se quindi uno con un atto vuole il fine e con un altro i mezzi, per lui il volere il fine sarà la causa per cui vuole i mezzi. Non sarà però così se con un solo atto vuole sia il fine che i mezzi per conseguirlo: poiché una medesima cosa non può essere causa di se stessa. Nondimeno sarà vero af­ fermare che vuole i mezzi subordinati al fine. Ora Dio, come con un solo atto intende tutte le cose nella sua essenza, così con un solo atto vuole tutte le cose nella sua bontà. Come quin­ di in Dio l'intendere una causa [o un pdncipio] non produce l'intelligenza degli effetti, poiché egli conosce gli effetti nella causa, così il vole­ re i l tine non causa in lui la volizione dei mezzi, pur volendo egli che i mezzi [secondo la loro natura] siano subordinati al fine. Vuole dunque che questa cosa sia per quest'altra, ma non vuole l'una a causa dell'altra. Soluzione delle difficoltà: l . La volontà di Dio è razionale non perché qualcosa determi­ ni Dio a volere, ma in quanto egli vuole che una cosa sia per un'altra. 2. Siccome Dio, per conservare l 'ordine nel mondo, vuole che gli effetti si producano i n maniera da dedvare da cause determinate, non è inutile ricercare altre cause, presupposta però la volontà di Dio. Tuttavia sarebbe certamente vano se si cercassero altre cause come se fos­ sero prime e indipendenti dalla divina volontà. E in questo senso Agostino dice: «Piacque alla vanità dei filosofi di attdbuire ad altre cause gli effetti contingenti, assolutamente incapaci com'erano di scorgere una causa superiore a tutte le altre, cioè la volontà di Dio».

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rem ceteris omnibus causam, idest volunta­ tem Dei. Ad tertium dicendum quod, cum Deus velit ef­ fectus esse propter causas, quicumque effectus praesupponunt aliquem alium effectum, non dependent ex sola Dei voluntate, sed ex aliquo alio. Sed primi effectus ex sola divina volun­ tate dependent. Utpote si dicamus quod Deus voluit hominem habere manus, ut deservirent intellectui, operando diversa opera, et voluit eum habere intellectum, ad hoc quod esset homo, et voluit eum esse hominem, ut fruere­ tur ipso, vel ad complementum universi . Quae quidem non est reducere ad alios fines creatos ulteriores. Unde huiusmodi dependent ex simplici voluntate Dei, alia vero ex ordine etiam aliarum causarum.

3. Poiché Dio vuole la dipendenza degli effet­ ti dalle cause, un effetto che presuppone un altro effetto non dipende dalla sola volontà di Dio, ma anche da un'altra causa. Invece gli effetti primari dipendono dalla sola volontà di Dio. Come se dicessimo che Dio ha voluto che l'uomo avesse le mani perché servissero alla sua intelligenza nel compiere le diverse opere, e ha voluto che avesse l'intelletto per­ ché fosse uomo, e ha voluto che fosse uomo perché godesse di Dio medesimo, o perché fosse a compimento dell'universo. Ma queste ultime finalità non possono rapportarsi ulte­ riormente ad altri scopi creati. Quindi esse dipendono dalla semplice volontà di Dio: tutto il resto, invece, dipende anche dal conca­ tenamento delle altre cause.

Articulus 6 Utrum voluntas Dei semper impleatur

Articolo 6 La volontà di Dio si compie sempre?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod vo­ luntas Dei non semper impleatur. l . Dicit enim apostolus, l ad Ttm. 2 [4], quod Deus vult omnes homines salvos fieri, et ad agnitionem veritatis venire. Sed hoc non ita evenit. Ergo voluntas Dei non semper impletur. 2. Praeterea, sicut se habet scientia ad verum, ita voluntas ad bonum. Sed Deus scit omne verum. Ergo vult omne bonum. Sed non omne bonum fit, multa enim bona possunt fieri, quae non tiunt. Non ergo voluntas Dei semper impletur. 3 . Praeterea, voluntas Dei, cum sit causa prima, non excludit causas medias, ut dictum est [a. 5]. Sed effectus causae primae potest impediri per defectum causae secundae, sicut effectus virtutis motivae impeditur propter debilitatem tibiae. Ergo et effectus divinae voluntatis potest impediri propter defectum secundarum causarum. Non ergo voluntas Dei semper impletur. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 1 13 [ 1 1], omnia quaecumque voluit Deus, fecit. Respondeo dicendum quod necesse est volun­ tatem Dei semper impleri. Ad cuius eviden­ tiam, considerandum est quod, cum effectus conformetur agenti secundum suam formam, eadem ratio est in causis agentibus, quae est in causis formalibus. In formis autem sic est quod, licet aliquid possit deticere ab aliqua forma particulari, tamen a forma universali

Sembra di no. Infatti: l . Paolo in l Tm dice che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla cono­ scenza della verità. Ma ciò non avviene. Quin­ di la volontà di Dio non sempre si compie. 2. La volontà sta al bene come la scienza alla verità. Ora, Dio conosce ogni verità. Quindi vuole ogni bene. Ma non tutto il bene si attua, poiché tante cose buone potrebbero accadere, e invece non accadono. Quindi la volontà di Dio non si compie sempre. 3. Sopra si è detto che la volontà di Dio, essen­ do la causa prima, non esclude le cause secon­ de. Ma l'effetto della causa prima può essere impedito dal difetto della causa seconda: come l'effetto della facoltà di locomozione è impedi­ to dalla debolezza delle gambe. Quindi anche l'effetto della volontà divina può essere frustra­ to dalla deficienza delle cause seconde. Quindi la volontà di Dio non sempre si compie. In contrario: nel Sal è detto: Egli opera tutto ciò che vuole. Rispondo: è necessario che la volontà di Dio si compia sempre. Per averne la dimostrazione, bisogna considerare che gli effetti assomiglia­ no alle proprie cause secondo la forma delle medesime. E questa osservazione è valida tan­ to per le cause efficienti quanto per le cause formali. Ora, considerando le cause formali, può succedere che una cosa non cotTisponda a una forma particolare, ma non c'è cosa che

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La volontà di Dio

nihil deficere potest, potest enim esse aliquid quod non est homo vel vivum, non autem potest esse aliquid quod non sit ens. Unde et hoc idem in causi s agentibus conti ngere oportet. Potest enim aliquid fieri extra ordi­ nem alicuius causae particularis agentis, non autem extra ordinem alicuius causae univer­ salis, sub qua omnes causae particulares comprehenduntur. Quia, si aliqua causa parti­ cularis deticiat a suo etfectu, hoc est propter aliquam aliam causam particularem impe­ dientem, quae continetur sub ordine causae universalis, unde effectus ordinem causae universalis nullo modo potest exire. Et hoc etiam patet in corporalibus. Potest enim im­ pediri quod aliqua stella non inducat suum effectum, sed tamen quicumque effectus ex causa corporea impediente in rebus corpora­ libus consequatur, oportet quod reducatur per aliquas causas medias in universalem virtu­ tem primi caeli. Cum igitur voluntas Dei sit universalis causa omnium rerum, impossibile est quod divina voluntas suum effectum non consequatur. Unde quod recedere videtur a divina voluntate secundum unum ordinem, relabitur in ipsam secundum al ium, sicut peccator, qui, quantum est in se, recedit a di­ vina voluntate peccando, incidit in ordinem divinae voluntatis, dum per eius iustitiam punitur. Ad primum ergo dicendum quod illud ver­ bum apostoli , quod Deus vult omnes ho­ mines salvos fieri etc. , potest tripliciter in­ telligi. Uno modo, ut sit accommoda dis­ tributio, secundum hunc sensum, Deus vult salvos fieri omnes homines qui salvantur, non quia nullus homo sit quem salvum fieri non velit, sed quia nullus salvus fit, quem non velit salvum fieri, ut dicit Augustinus [Ench. 1 03] . Secundo potest intelligi, ut fiat distributio pro generibus singulorum, et non pro singulis generum, secundum hunc sen­ sum, Deus vult de quolibet statu hominum salvos fieri, mares et feminas, Iudaeos et gentiles, parvos et magnos; non tamen omnes de singulis statibus. Tertio, secundum Dama­ scenum [De fide 2,29], intelligitur de volun­ tate antecedente, non de voluntate conse­ quente. Quae quidem distinctio non accipitur ex parte ipsius voluntatis divinae, in qua nihil est prius vel posterius; sed ex parte volito­ rum. Ad cuius intellectum, considerandum

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possa non corrispondere alla forma universale: può infatti esserci qualcosa che non è un uomo, né un vivente, ma non può esserci una cosa che non sia un ente. E altrettanto deve accadere per ciò che riguarda le cause efficienti. Qualcosa infatti può avvenire all'infuori dell'influsso di questa o di quella causa particolare, ma non esiste cosa alcuna che sfugga all' influsso di una qualche causa universale sotto cui sono comprese tutte le cause particolari. Perché se una causa particolare non produce il suo effetto, ciò è dovuto a un'altra causa particolare che lo impedisce, la quale a sua volta ricade sotto l'influsso della causa universale: dunque l 'effetto in nessun modo può sfuggire ali' in­ flusso della causa universale. E la cosa ha an­ che una riprova nel mondo fisico. Una stella, infatti, può essere impedita nel produrre il suo effetto, però qualsiasi effetto che risulti nel mondo fisico in seguito a una causa corporea impediente deve essere attribuito, per mezzo di cause intermedie, alla virtù universale del pri­ mo cielo. Ora, essendo la volontà di Dio la causa universale di tutte le cose, è impossibile che essa non consegua il suo effetto. Quindi ciò che sembra sottrarsi alla volontà divina secondo un certo ordine ticade sotto di essa secondo un altro: il peccatore per es., il quale da parte sua si sottrae peccando al volere divi­ no, rientra sotto l'influsso della volontà di Dio mentre viene punito dalla sua giustizia. Soluzione delle difficoltà: l . TI detto di Paolo: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati può essere inteso in tre modi. Primo, con un'appli­ cazione restrittiva, in modo che ne risulti que­ sto senso: «Dio vuole che siano salvati tutti gli uomini che si salvano»; non perché, spiega Agostino, vi sia qualche uomo che Dio non voglia salvato, ma perché nessuno è salvato senza che Dio lo voglia. Secondo, con un' ap­ plicazione che includa tutti i generi dei vari individui, ma non i singoli individui di tutti i generi, cioè con questo significato: «Dio vuole che siano salvati uomini di ogni stato, maschi e femmine, Giudei e Gentili, grandi e piccoli, ma non tutti gli individui dei singoli stati». Terzo, stando al Damasceno, [la parola di Paolo] si riferisce alla volontà antecedente, non alla volontà conseguente. Distinzione che non si desume dalla volontà divina, nella quale non vi è il prima e il dopo, ma dalle cose volu­ te. Per comprendere ciò è necessario conside-

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Q. 19, A. 6

La volontà di Dio

est quod unumquodque, secundum quod bonum est, sic est volitum a Deo. Aliquid autem potest esse in prima sui consideratio­ ne, secundum quod absolute consideratur, bonum vel malum, quod tamen, prout cum aliquo adiuncto consideratur, quae est conse­ quens consideratio eius, e contrario se habet. Sicut hominem vivere est bonum, et homi­ nem occidi est malum, secundum absolutam considerationem, sed si addatur circa aliquem hominem, quod sit homicida, vel vivens in periculum multitudinis, sic bonum est eum occidi, et malum est eum vivere. Unde potest dici quod i udex i ustus antecedenter vult omnem hominem vivere; sed consequenter vult homicidam suspendi. Similiter Deus an­ tecedenter vult omnem hominem salvari; sed consequenter vult quosdam damnari, se­ cundum exigentiam suae iustitiae. Neque tamen id quod antecedenter volumus, simpli­ citer volumus, sed secundum quid. Quia vo­ luntas comparatur ad res, secundum quod in seipsis sunt, in seipsis autem sunt in particu­ lari, unde simpliciter volumus aliquid, secun­ dum quod volumus illud consideratis omni­ bus circumstantiis particularibus, quod est consequenter velle. Unde potest dici quod iu­ dex iustus simpliciter vult homicidam sus­ pendi, sed secundum quid vellet eum vivere, scilicet inquantum est homo. Unde magis po­ test dici velleitas, quam absoluta voluntas. Et sic patet quod quidquid Deus simpliciter vult, fit; licet illud quod antecedenter vult, non fiat. Ad secundum dicendum quod actus cogno­ scitivae virtutis est secundum quod cognitum est in cognoscente, actus autem virtutis appe­ titivae est ordinatus ad res, secundum quod in seipsis sunt. Quidquid autem potest habere rationem entis et veri, totum est virtualiter i n Deo; sed non totum existit in rebus creatis. E t ideo Deus cognoscit omne verum, non tamen vult omne bonum, nisi inquantum vult se, in quo virtualiter omne bonum existit. Ad tertium dicendum quod causa prima tunc potest impediri a suo effectu per defectum causae secundae, quando non est universaliter prima, sub se omnes causas comprehendens, quia sic effectus nullo modo posset suum ordinem evadere. Et sic est de voluntate Dei, ut dictum est [in co.].

rare che ogni cosa è voluta da Dio in quanto è buona. Ma una cosa che, al primo aspetto e considerata assolutamente, è buona o cattiva, se viene considerata legata a una speciale cir­ costanza, il che è una considerazione conse­ guente, può risultare tutto l' opposto. Con­ siderando le cose in modo assoluto, per es., è bene che un uomo viva ed è male che un uomo sia ucciso; se però si aggiunge la circostanza che un tale uomo è un omicida e da vivo risulta pericoloso alla società, è un bene che sia ucciso ed è un male che viva. Quindi si potrà dire che un giudice giusto vuole, antece­ dentemente [a tale considerazione], che ogni uomo viva, ma conseguentemente [a tale con­ siderazione] vuole che l'omicida sia impicca­ to. Così Dio di volontà antecedente vuole che ogni uomo si salvi, ma di volontà conseguente vuole che alcuni siano dannati secondo le esi­ genze della sua giustizia. È certo però che quanto noi vogliamo con volontà antecedente non possiamo dire di volerlo puramente e sem­ plicemente, ma solo sotto un certo aspetto. Poiché la volontà si riferisce alle cose come sono in se stesse, e in se stesse le cose esistono con le loro circostanze particolari: perciò noi vogliamo puramente e semplicemente una cosa quando la vogliamo considerata in tutte le sue circostanze particolari, il che è volere di volontà conseguente. Quindi si può dire che il giudice giusto vuole puramente e semplice­ mente che l' omicida sia impiccato, ma, sotto un certo aspetto, cioè in quanto esso è un uo­ mo, vorrebbe che esso vivesse. Per cui que­ st'ultima può dirsi piuttosto velleità, anziché volontà assoluta. - E così è evidente che ciò che Dio vuole si attua anche qualora non si at­ tui ciò che egli vuole con volontà antecedente. 2. Per avere un atto della potenza conoscitiva basta che l 'oggetto conosciuto sia nel soggetto conoscente; invece l'atto della potenza appetiti­ va si riferisce alle cose come sono in se stesse. Ora, tutto ciò che può avere ragione di ente e di vero esiste virtualmente in Dio nella sua tota­ lità, ma non tutto esiste nella realtà creata. Quindi Dio conosce ogni verità, eppure non vuole ogni bene, se non in quanto vuole se stesso, nel quale virtualmente ogni bene esiste. 3. Una causa prima può essere impedita di pro­ durre il suo effetto dalle deficienze di una causa seconda quando non è la prima causa universa­ le che comprende sotto di sé tutte le cause: -

Q. l9, A. 6

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La volontà di Dio

perché allora l'effetto non potrebbe sfuggire in alcun modo al suo influsso. E questo è il caso della volontà di Dio, come si è spiegato. Articulus 7

Articolo 7

Utrum voluntas Dei sit mutabilis

La volontà di Dio è mutevole?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod voluntas Dei sit mutabilis. l . Dicit enim Dominus Gen. 6 [7], poenitet me fecisse hominem. Sed quemcumque poe­ nitet de eo quod fecit, habet mutabilem vo­ l un tate m . Ergo Deus habet mutab i l e m voluntatem. 2. Praeterea, Ier. 1 8 [7-8], ex persona Domini dicitur, loquar adversus gentem et adversus

Sembra di sì. Infatti: l . In Gen il S ignore parla così: Mi pento di averfatto l'uomo. Ora, chiunque si pente di ciò che ha tatto ha una volontà mutevole. Quindi Dio ha una volontà soggetta a cambiamento. 2. Ancora, in Ger, in persona del Signore si dice: Talvolta nei riguardi di un popolo o di un

regnum, ut eradicem et destruam et dis­ perdam illud; sed si poenitentiam egerit gens illa a malo suo, agam et ego poenitentiam super malo quod cogitavi ut facerem ei. Ergo

Deus habet mutabilem voluntatem. 3. Praeterea, quidquid Deus facit, vo1untarie facit. S ed Deus non semper eadem facit, nam quandoque praecepit legalia observari, quandoque prohibuit. Ergo habet mutabilem voluntatem. 4. Praeterea, Deus non ex necessitate vult quod vult, ut supra [a. 3] dictum est. Ergo potest velle et non velle idem. Sed omne quod habet potentiam ad opposita, est mutabile, sicut quod potest esse et non esse, est muta­ bile secundum substantiam; et quod potest es­ se hic et non esse hic, est mutabile secundum locum. Ergo Deus est mutabilis secundum voluntatem. Sed contra est quod dicitur Num. 23 [ 1 9] Non

est Deus, quasi homo, ut mentiatur; neque ut .filius hominis, ut mutetur. Respondeo dicendum quod voluntas Dei est omnino i mmutabilis. Sed circa hoc conside­ randum est, quod aliud est mutare vo1unta­ tem; et aliud est velle aliquarum rerum muta­ tionem. Potest enim aliquis, eadem voluntate immobiliter permanente, velle quod nunc fiat hoc, et postea fiat contrarium. Sed tunc volun­ tas mutaretur, si aliquis inciperet velle quod prius non voluil, vel desinerel velle quod voluit. Quod quidem accidere non potest, nisi praesupposita mutatione vel ex parte cogni­ tionis, vel circa dispositionem substantiae ipsius volentis. Cum enim voluntas sit boni, aliquis de novo dupliciter potest incipere

regno io decido di sradicare, di abbattere e di distruggere; ma se questo popolo, contro il quale avevo parlato, si converte dalla sua mal­ vagità, io mi pento del male che avevo pensato difargli. Quindi Dio ha una volontà mutevole. 3. Tutto ciò che Dio fa, lo fa volontariamente. Ma Dio non fa sempre le stesse cose, poiché un tempo comandò di osservare le prescrizio­ ni legali, poi lo proibì. Quindi ha una volontà mutevole. 4. Dio, come si è detto sopra, non è necessita­ to a volere ciò che vuole. Quindi può volere e non volere la medesima cosa. Ora, tutto ciò che dice potenzialità a due cose opposte è mutevole: infatti ciò che può essere e non essere è mutevole quanto alla sostanza, e ciò che può trovarsi ora in un posto e ora in un altro è mutevole quanto al luogo. Quindi Dio è mutevole quanto alla volontà. In contrario: in Nm è detto: Dio non è un

zwmo da potersi smentire, non è un .figlio del­ l'uomo da potersi pentire. Rispondo: la volontà di Dio è assolutamente immutabile. Bisogna però osservare che altro è mutare volontà e altro è volere che alcune cose mutino. Infatti uno, pur rimanendo ferma e immobile la sua volontà, può volere che ora av­ venga una cosa e in seguito avvenga il con­ trario. Si avrebbe invece cambiamento di vo­ lontà se uno cominciasse a volere ciò che prima non voleva, o se cessasse di volere ciò che vole­ va. Il che non può accadere se non viene presupposto un mutamento o nella conoscenza o nelle disposizioni intrinseche del soggetto volente. Dato infatti che la volontà ha per og­ getto il bene, può avvenire in due modi che uno cominci a volere una cosa. Primo, perché quella tale cosa comincia a essere per lui un bene.

263

La volontà di Dio

aliquid velle. Uno modo sic, quod de novo incipiat sibi illud esse bonum. Quod non est absque mutatione eius, sicut adveniente frigo­ re, incipit esse bonum sedere ad ignem, quod prius non erat. Alio modo sic, quod de novo cognoscat illud esse sibi bonum, cum prius hoc ignorasset, ad hoc enim consiliamur, ut sciamus quid nobis sit bonum. Ostensum est autem supra [q. 9 a. l ; q. 14 a. 15] quod tam substantia Dei quam eius scientia est omnino immutabilis. Unde oportet voluntatem eius omnino esse immutabilem. Ad primum ergo dicendum quod illud ver­ bum domini metaphorice intelligendum est, secundum similitudinem nostram, cum enim n o s poen itet, destruimus quod fec i m u s . Quamvis hoc esse possit absque mutatione voluntatis, cum etiam aliquis homo, absque mutatione voluntatis, interdum velit aliquid facere, simul intendens postea illud destrue­ re. Sic igitur Deus poenituisse dicitur, secun­ dum similitudinem operationis, inquantum hominem quem tecerat, per diluvium a facie terrae delevit. Ad secundum dicendum quod voluntas Dei, cum sit causa prima et universalis, non exclu­ dit causas medias, in quarum virtute est ut aliqui effectus producantur. Sed quia omnes causae mediae non adaequant virtutem causae primae, multa sunt in virtute et scientia et voluntate divina, quae non continentur sub ordine causarum inferiorum; sicut resu­ scitatio Lazari. Unde aliquis respiciens ad causas interiores, dicere poterat, Lazarus non resurget, respiciens vero ad causam primam divinam, poterat dicere, Lazarus resurget. Et utrumque horum Deus vult, scilicet quod aliquid quandoque sit futurum secundum causam inferiorem, quod tamen futurum non sit secundum causam superiorem; vel e con­ verso. Sic ergo dicendum est quod Deus ali­ quando pronuntiat aliquid futurum, secun­ dum quod continetur in ordine causarum in­ feliorum, ut puta secundum dispositionem naturae vel meritorum; quod tamen non tit, quia aliter est in causa superiori divina. Sicut cum praedixit Ezechiae, dispone domui tuae, quia morieris et non vives, ut habetur Isaiae 38 [ l ] ; neque tamen ita evenit, quia ab aeter­ no aliter fuit in scientia et voluntate divina, quae i mmutabilis est. Propter quod dicit Gregorius [Mor. 16,10], quod Deus immutat

Q. 19, A. 7

E ciò non è senza una sua mutazione: come ad es. quando, al venire del freddo, comincia a essere un bene starsene accanto al fuoco, mentre prima non lo era. Secondo, perché uno viene a conoscere che quella data cosa è buona per lui mentre prima lo ignorava: se infatti deliberiamo è per sapere che cosa è bene per noi. Ora, sopra abbiamo dimostrato che tanto la sostanza di Dio quanto la sua scienza sono del tutto immutabili. Per cui è necessario che anche la sua volontà sia assolutamente immutabile. Soluzione delle difficoltà: l . Quelle parole del Signore devono essere intese metaforicamen­ te, per una certa analogia con il nostro modo di fare: quando infatti noi ci pentiamo, di­ struggiamo ciò che abbiamo fatto. Sebbene ciò possa avvenire anche senza mutamento di volontà perché un uomo, senza mutare volon­ tà, può talora voler fare una cosa e al tempo stesso avere l'intenzione di distruggerla in se­ guito. Così dunque, per una somiglianza con il nostro modo di agire, si dice che Dio si pen­ tì: in quanto cioè con il diluvio eliminò dalla faccia della terra l'uomo che aveva creato. 2. La volontà di Dio, causa prima e universale, non esclude le cause intermedie, che hanno il potere di produrre effetti determinati. Ma poi­ ché tutte le cause seconde non adeguano la virtù della causa prima, vi sono molte cose, come la risurrezione di Lazzaro, ad es., che non sono sottoposte al dominio delle cause i nferiori, ma rientrano nella potenza, nella scienza e nella volontà di Dio. Quindi uno, guardando alle cause inferiori, poteva dire: Lazzaro non risorgerà; guardando invece alla prima causa divina, poteva dire: Lazzam risor­ gerà. E Dio vuole l'una e l'altra cosa, cioè che un dato evento debba avvenire in forza di una causa superiore, oppure viceversa. Così dun­ que si deve dire che Dio talora annuncia un avvenimento che dovrebbe accadere secondo che è contenuto nell'ordine delle cause infe­ riori, per es. secondo le disposizioni della natura o del merito, e che tuttavia non si com­ pie poiché è stato stabilito diversamente nella superiore causa divina. Così in /s Dio fece a Ezechia questa predizione: Disponi riguardo

alle cose della tua casa, perché morirai e non guarirai; e tuttavia ciò non avvenne, perché

fin dall'eternità era stato deciso altrimenti nel­ la scienza e nella volontà divina, che è immu­ tabile. Per cui Gregorio dice: . 4. Sebbene la giustizia riguardi l'operazione, non per questo, tuttavia, si esclude che si identifichi con l'essenza di Dio, poiché anche ciò che appartiene all'essenza di una cosa può essere principio di azione. Ma il bene non riguarda soltanto l 'atto, poiché una cosa è detta buona non solo in quanto agisce, ma anche in quanto è perfetta nella sua essenza. E per questo motivo nel luogo citato si dice che il concetto di bene sta al concetto di giu­ sto come il generale allo speciale.

Articulus 2 Utrum iustitia Dei sit veritas

Articolo 2 La giustizia di Dio è verità?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod iustitia Dei non sit veritas. l . Iustitia enim est in voluntate, est enim rectitudo voluntatis, ut dicit Anselmus [De ver. 1 3]. Veritas autem est in intellectu, se­ cundum philosophum in 6 Met. [5,4, 1 ], et in 6 Ethic. [2,3]. Ergo iustitia non pertinet ad veritatem. 2. Praeterea, veritas, secundum philosophum in 4 Ethic. [7,7], est quaedam alia virtus a iustitia. Non ergo veritas pertinet ad rationem iustitiae. Sed contra est quod in Psalmo 84 [ I l ] dicitur, misericordia et veritas obviaverunt sibi; et ponitur ibi veritas pro iustitia. Respondeo dicendum quod veritas consistit in

Sembra di no. Infatti: l . La giustizia è nella volontà poiché, come afferma Anselmo, essa è la rettitudine della volontà. La verità invece, secondo il Filosofo, risiede nell'intelligenza. Quindi la giustizia non ha a che fare con la verità. 2. La verità, secondo il Filosofo, è una virtù distinta dalla giustizia. Quindi la verità non rientra nella nozione di giustizia. In contrario: nel Sal è detto: Misericordia e verità si incontreranno: e qui verità sta in luo­ go di giustizia. Risposta: la verità, come si è detto, consiste nell'adeguazione tra l'intelletto e la cosa. Ora, quell' intelletto che è causa delle cose è per esse regola e misura, mentre i l contrario

La giustizia e la misericordia di Dio

285

adaequatione intellectus et rei, sicut supra [q. 16 a. l ] dictum est. Intellectus autem qui est causa rei , comparatur ad ipsam sicut regula et mensura, e converso autem est de intellectu qui accipit scientiam a rebus. Quan­ do igitur res sunt mensura et regula intel­ lectus, veritas consistit in hoc, quod intel­ lectus adaequatur rei, ut in nobis accidit, ex eo enim quod res est vel non est, opinio nostra et oratio vera vel thlsa est. Sed quando intellec­ tus est regula vel mensura rerum, veritas con­ sistit in hoc, quod res adaequantur intellectui, sicut dicitur artifex tacere verum opus, quan­ do concordat arti. S icut autem se habent artificiata ad artem, ita se habent opera iusta ad legem cui concordant. Iustitia igitur Dei, quae constituit ordinem in rebus conformem rationi sapientiae suae, quae est lex eius, convenienter veritas nominatur. Et sic etiam dicitur in nobis veritas iustitiae. Ad primum ergo dicendum quod iustitia, quan­ tum ad legem regulantem, est in ratione vel intellectu, sed quantum ad imperium, quo opera regulantur secundum legem, est i n voluntate. Ad secundum dicendum quod veritas illa de qua loquitur philosophus ibi, est quaedam vir­ tus per quam aliquis demonstrat se talem in dictis vel factis, qualis est. Et sic consistit in conformitate signi ad significatum, non autem in conformitate effectus ad causam et regulam, sicut de veritate iustitiae dictum est [in co.].

Articulus

3

Q. 2 1 , A. 2

avviene per l'intelletto che trae la conoscenza dalle cose. Quando dunque le cose sono misura e regola dell' intelletto, la verità consi­ ste nel fatto che l ' intelletto si adegua alle cose, come accade in noi: poiché per il fatto che la cosa è o non è, le nostre opinioni e le nostre parole sono vere o false. Quando inve­ ce l ' intelletto è regola e misura delle cose, allora la verità consiste nel tatto che le cose si adeguano all' intelletto: come di un artista si dice che fa un' opera vera quando essa con­ corda con l' arte. Ora, le opere giuste stanno alla legge alla quale si uniformano come le opere artistiche stanno all' arte. Quindi la giu­ stizia di Dio, che costituisce nelle cose un ordine conforme al piano della sua sapienza, cioè alla sua legge, con ragione viene chiama­ ta verità. E così anche per gli uomini si usa parlare di verità della giustizia. Soluzione delle difficoltà: l . La giustizia è nella ragione o nell'intelletto se si guarda alla legge che l a regola; se però si guarda al comando che regola le opere in conformità alla legge, allora è nella volontà. 2. La verità di cui parla il Filosofo è quella virtù particolare per cui un uomo si mostra nelle parole e nei fatti tale quale è effettiva­ mente. Si tratta quindi di concordanza tra la manifestazione e la cosa manifestata, non di conformità tra l' effetto e la causa o regola, come si è detto della verità della giustizia.

Articolo

3

Utrum misericordia competat Deo

La misericordia si addice a Dio?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod mise­ ricordia Deo non competat. l . Misericordia enim est species tristitiae, ut dicit Damascenus [De fide 2, 14]. Sed tristitia non est in Deo. Ergo nec misericordia. 2. Praeterea, misericordia est relaxatio iusti­ tiae. Sed Deus non potest praetermittere id quod ad iustitiam suam pertinet. Dicitur enim 2 ad Tim. 2 [ 1 3], si non credimus, ille fidelis permanet, seipsum negare non potest, negaret autem seipsum, ut dicit Glossa [int.] ibidem, si dieta sua negaret. Ergo misericordia Deo non competit. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 1 1 0 [4],

Sembra di no. Infatti: l . La misericordia è una specie di tristezza, come dice il Damasceno. Ma in Dio non c'è tristezza Quindi la misericordia non si addice a Dio. 2 . La misericordia è un rilassamento della giustizia. Ma Dio non può tralasciare ciò che appartiene alla sua giustizia. Intatti, in 2 Tm è detto: Se noi manchiamo di fede, egli però

miserator et misericors Dominus.

rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso; ma rinnegherebbe se stesso, come osserva la Glossa, se smentisse le sue parole. Quindi la misericordia non si addice a Dio. In contrario: nel Sal è detto: Paziente e mise­

ricordioso è il Signore.

Risposta: la misericordia va attribuita a Dio in

Q. 2 1 , A. 3

La giustizia e la misericordia di Dio

Respondeo dicendum quod misericordia est Deo maxime attribuenda, tamen secundum effectum, non secundum passionis affectum. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod misericors dicitur aliquis quasi habens miserum cor, quia scilicet afficitur ex miseria alterius per tristitiam, ac si esset eius propria miseria. Et ex hoc sequitur quod operetur ad depellendam miseriam alterius, sicut mise­ riam proptiam, et hic est misericordiae ef­ fectus. Tristari ergo de miseria alterius non competit Deo, sed repellere miseriam alterius, hoc maxime ei competit, ut per miseriam quemcumque defectum intelligamus. Defec­ tus autem non toll untur, nisi per alicuius bonitatis perfectionem, prima autem origo bonitatis Deus est, ut supra [q. 6 a. 4] osten­ sum est. Sed considerandum est quod elargiri perfectiones rebus, pertinet quidem et ad bonitatem divinam, et ad iustitiam, et ad libe­ ralitatem, et misericordiam, tamen secundum aliam et aliam rationem. Communicatio enim perfectionum, absolute considerata, pertinet ad bonitatem, ut supra [q. 6 aa. 1 .4] ostensum est. Sed inquantum perfectiones rebus a Deo dantur secundum earum proportionem, perti­ net ad iustitiam, ut dictum est supra [a. 1 ] . Inquantum vero non attribuit rebus perfectio­ nes propter utilitatem suam, sed solum propter suam bonitatem, pertinet ad liberalitatem. Inquantum vero perfectiones datae rebus a Deo, omnem defectum expellunt, pertinet ad misericordiam. Ad primum igitur dicendum quod obiectio illa procedit de misericordia, quantum ad passionis affectum. Ad secundum dicendum quod Deus miseri­ corditer agit, non quidem contra iustitiam suam faciendo, sed aliquid supra iustitiam operando, sicut si alicui cui debentur centum denarii, aliquis ducentos det de suo, tamen non contra iustitiam facit, sed liberaliter vel misericorditer operatur. Et similiter si aliquis offensam i n se commissam remittat. Qui enim aliquid remittit, quodammodo donat il­ lud, unde apostolus remissionem donationem vocat, Ephes. 5 [nunc 4,32], donate invicem, sicut et Christus vobis donavit. Ex quo patet quod misericordia non tollit iustitiam, sed est quaedam iustitiae plenitudo. Unde dicitur Iac. 2 [ 1 3 ] , quod misericordia superexaltat

iudicium.

286

modo principalissimo: non per quanto ha di sentimento o passione, ma per gli effetti [che produce]. A chiarimento di ciò si osservi che misericordioso si dice colui che ha in certo qual modo un cuore misero, nel senso che alla vista delle altrui miserie è preso da tristezza come se si trattasse della sua propria miseria. E da ciò proviene che egli si adoperi a rimuo­ vere la miseria altrui come la sua propria miseria. E questo è l' eftètto della misericordia. Rattristarsi dunque della miseria altrui non si addice a Dio; però gli conviene in grado sommo il liberare dalla miseria, intendendo per miseria qualsiai difetto. Ora, i difetti non vengono tolti se non con qualche perfezione di bene: ma la prima fonte di ogni bontà è Dio, come sopra si è dimostrato. Bisogna però considerare che comunicare le perfezioni alle cose appartiene e alla bontà, e alla giustizia, e alla liberalità, e alla misericordia di Dio; ma per ragioni diverse. Il fatto di comunicare le perfezioni, considerato in modo assoluto, appartiene infatti alla bontà, come sopra si è dimostrato. Se però si vuole sottolineare che Dio comunica alle cose delle perfezioni ad esse proporzionate, allora appartiene alla giustizia, come si è detto. E se si vuole mettere in evidenza che egli concede delle perfezioni alle cose non per proprio vantaggio, ma unica­ mente perché spinto dalla sua bontà, allora abbiamo la liberalità. Se infine consideriamo che le pertèzioni concesse da Dio eliminano delle deficienze, abbiamo la misericordia. Soluzione delle difficoltà: l . L'obiezione con­ sidera la misericordia [soltanto] come senti­ mento o passione. 2. Quando Dio opera con misericordia non agisce contro la sua giustizia, ma compie qual­ cosa oltre i limiti della giustizia; precisamente come se a un tale a cui sono dovuti cento denari uno desse del suo duecento denari: costui non agirebbe contro la giustizia, ma agirebbe con liberalità o con misericordia. E così pure se uno perdonasse un' oftèsa com­ messa contro di lui. Infatti chi perdona, in qualche maniera dà: per cui l'Apostolo in Ef chiama il perdono una donazione: Donatevi a

vicenda, come anche Cristo ha donato a voi. Da ciò appare chiaro, dunque, che la miseri­ cordia non elimina la giustizia, ma è una certa quale pienezza della giustizia. Per cui in Gc è detto: la misericordia esalta il giudizio.

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La giustizia e la misericordia di Dio

Q. 2 1 , A. 4

Articulus 4 Utrum in omnibus operibus Dei sit misericordia et iustitia

Articolo 4 In tutte le opere di Dio ci sono la misericordia e la giustizia?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non in omnibus Dei operibus sit misericordia et iustitia. l . Quaedam enim opera Dei attribuuntur misericordiae, ut iustificatio impii, quaedam vero iustitiae, ut damnatio impiorum. Unde dicitur Iac. 2 [ 1 3], iudicium sine misericordia fiet ei qui non fecerit misericordiam. Non ergo in omni opere Dei apparet misericordia et iustitia. 2. Praeterea, apostolus, ad Rom. 1 5 [8-9], conversionem Iudaeorum attribuit iustitiae et veritati; conversionem autem gentium, miseri­ cordiae. Ergo non in quolibet opere Dei est iustitia et misericordia. 3. Praeterea, multi iusti in hoc mundo affli­ guntur. Hoc autem est iniustum. Non ergo in omni opere Dei est iustitia et misericordia. 4. Praeterea, iustitiae est reddere debitum, misericordiae autem sublevare miseriam, et sic tam iustitia quam misericordia aliquid praesupponit in suo opere. Sed creatio nihil praesupponit. Ergo in creatione neque miseri­ cordia est, neque iustitia. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 24 [ 1 0],

omnes viae Domini misericordia et veritas.

Sembra di no. Infatti: l . Alcune opere di Dio sono attribuite alla mi­ sericordia, come la giustificazione del pecca­ tore, e altre sono attribuite alla giustizia, come la dannazione degli empi. Per cui in Gc è detto: Il giudizio sarà senza misericordia con­ tro chi non avrà usato misericordia. Quindi non in ogni opera di Dio si manifestano la giustizia e la misericordia. 2. L'Apostolo, in Rm, attribuisce la conversio­ ne dei Giudei alla giustizia e alla verità, quella dei gentili invece alla misericordia. Quindi non in tutte le opere di Dio si trovano la mise­ ricordia e la giustizia. 3. Molti giusti in questo mondo sono tribolati; ora, questa è una cosa ingiusta: non è dunque vero che in tutte le opere di Dio c'è la giusti­ zia e la misericordia. 4. Proprio della giustizia è il rendere ciò che è dovuto, e proprio della misericordia il solleva­ re la miseria altrui: e così tanto la giustizia quanto la misericordia nella loro opera presup­ pongono qualcosa. Ma la creazione non pre­ suppone nulla. Quindi nell'opera della crea­ zione non c'è né misericordia né giustizia. In contrario: nel Sal è detto: Tutte le vie del

Respondeo dicendum quod necesse est quod in quolibet opere Dei misericordia et veritas inveniantur; si tarnen misericordia pro remo­ tione cuiuscumque detèctus accipiatur; quamvis non omnis defectus proprie possit dici mi­ seria, sed solum defectus rationalis naturae, quam contingit esse felicem; nam miseria felicitati opponitur. Huius autem necessitatis ratio est, quia, cum debitum quod ex divina iustitia redditur, sit vel debitum Deo, vel debitum alicui creaturae, neutrum potest i n aliquo opere Dei praetermitti. Non enim potest facere aliquid Deus, quod non sit con­ veniens sapientiae et bonitati ipsius; secun­ dum quem modum diximus [a. l ad 3] aliquid esse debimm Deo. Similiter etiam quidquid in rebus creatis facit, secundum convenientem ordinem et proportionem facit; in quo con­ sistit ratio iustitiae. Et sic oportet in omni opere Dei esse iustitiam. Opus autem divinae iustitiae semper praesupponit opus misericor­ diae, et i n eo fundatur. Creaturae enim non

Risposta: è necessario affermare che in ogni opera di Dio si trovano la misericordia e la verità, purché si intenda la misericordia come l'eliminazione di una qualsiac;i deficienza; per quanto non ogni deficienza possa dirsi propria­ mente miseria, ma soltanto le deficienze della creatura razionale, alla quale spetta di essere felice: infatti la miseria è il contrario della feli­ cità. La ragione poi di tale necessità sta in que­ sto, che il debito soddisfatto dalla divina giusti­ zia è cosa dovuta o a Dio [stesso], oppure alla creatura; e nessuna delle due cose può mancare in qualsiasi opera di Dio. Infatti Dio non può fare cosa alcuna che non sia conforme alla sua sapienza e bontà; e in questo senso, come si è detto, una cosa è dovuta a Dio. Come pure, qualunque cosa Dio faccia nel creato, la fa secondo l'ordine e la proporzione convenienti, e in ciò consiste appunto la nozione di giusti­ zia. E così è necessario che in ogni opera di Dio ci sia la giustizia. Ogni opera della divina

Signore sono misericordia e verità.

Q. 2 l , A. 4

La giustizia e la misericordia di Dio

debetur aliquid, nisi propter aliquid in eo praeexistens, vel praeconsideratum, et rursus, si illud creaturae debetur, hoc erit propter aliquid prius. Et cum non sit procedere in infi­ nitum, oportet devenire ad aliquid quod ex sola bonitate divinae voluntatis dependeat, quae est ultimus finis. Utpote si dicamus quod habere manus debitum est homini propter animam rationalem; animam vero rationalem habere, ad hoc quod sit homo; hominem vero esse, propter divinam bonitatem. Et sic in quo­ libet opere Dei apparet misericordia, quantum ad primam radicem eius. Cuius virtus salvatur i n o m n ibus consequen t i b u s ; et eti am vehementius in eis operatur, sicut causa pri­ maria vehementius influit quam causa se­ cunda. Et propter hoc etiam ea quae alicui creaturae debentur, Deus, ex abundantia suae bonitatis, largius dispensat quam exigat pro­ portio rei. Minus enim est quod sufficeret ad conservandum ordinem iustitiae, quam quod divina bonitas confert, quae omnem propor­ tionem creaturae excedit. Ad primum ergo dicendum quod quaedam opera attribuuntur iustitiae et quaedam miseri­ cordiae, quia in quibusdam vehementius ap­ paret iustitia, in quibusdam misericordia. Et tamen in darnnatione reproborum apparet mi­ sericordia, non quidem totaliter relaxans, sed aliqualiter allevians, dum punit citra con­ dignum. Et in iustificatione impii apparet iusti­ tia, dum culpas relaxat propter dilectionem, quam tamen ipse misericorditer infundit, sicut de Magdalena legitur, Luc. 7 [47], dimissa

sunt eipeccata multa, quoniam dilexit multum. Ad secundum dicendum quod iustitia et mise­ ricordia Dei apparet in conversione Iudaeo­ rum et gentium, sed aliqua ratio iustitiae ap­ paret in conversione Iudaeorum, quae non ap­ paret in conversione gentium, sicut quod sal­ vati sunt propter promissiones patribus factas. Ad tertium dicendum quod in hoc etiam quod iusti puniuntur in hoc mundo, apparet iustitia et misericordia; inquantum per huiusmodi afflictiones aliqua levia in eis purgantur, et ab affectu terrenorum in Deum magis eriguntur; secundum illud Gregorii [Mor. 26, 1 3], ma/a

quae in hoc mundo nos premunt, ad Deum nos ire compellunt. Ad quartum dicendum quod, licet creationi non praesupponatur aliquid in rerum natura, praesupponitur tamen aliquid in Dei cogni-

288

giustizia, poi, presuppone sempre l'opera della misericordia e in essa si fonda. Infatti nulla è dovuto a una creatura se non in ragione di qualche perfezione che in essa preesiste o che si considera come anteriore; e se a sua volta tale perfezione è dovuta alla creatura, ciò è in forza di un' altra cosa antecedente. E siccome non si può procedere all'infinito, bisogna arri­ vare a un qualcosa che dipenda unicamente dalla bontà divina, che è l'ultimo fine [di tutte le cose]. Come se dicessimo che avere le mani è dovuto all'uomo in vista dell'anima raziona­ le, avere poi un' anima razionale gli è dovuto affinché sia uomo, ma l'essere uomo non ha altro motivo che la bontà divina. E così in ogni opera di Dio appare la misericordia come sua prima radice. E l'influsso di essa permane in tutte le cose che vengono dopo, e anche vi opera con maggiore efficacia, poiché la causa prima ha un influsso più forte delle cause se­ conde. E per questo stesso motivo anche ciò che è dovuto a una creatura Dio, per l' abbon­ danza della sua bontà, lo dispensa con larghez­ za maggiore di quanto non richieda la propor­ zione della cosa. Infatti ciò che basterebbe per conservare l' ordine della giustizia è sempre meno di ciò che è conferito dalla bontà divina, che supera ogni esigenza della creatura. Soluzione delle difficoltà: l . Alcune opere sono attribuite alla giustizia e altre alla miseri­ cordia perché in alcune appare più evidente la giustizia e in altre la misericordia. Ma perfino nella dannazione dei reprobi appare la miseri­ cordia, sotto forma non di totale indulgenza, ma di una certa clemenza, poiché Dio punisce meno di quanto sarebbe dovuto. E così nella giustificazione del peccatore si manifesta la giustizia, poiché Dio perdona le colpe a moti­ vo dell'amore, che tuttavia egli stesso infonde misericordiosamente, come si legge dell a Maddalena in Le : Le sono rimessi i suoi molti

peccati perché molto ha amato. 2. La giustizia e la misericordia appaiono tanto nella conversione dei Giudei quanto in quella dei Pagani; solo che nella conversione dei Giudei figura un aspetto della giustizia che non figura nella conversione dei Pagani, come l'essere stati salvati a motivo delle pro­ messe fatte ai Padri. 3. Anche nel fatto che i giusti sono puniti in questo mondo appaiono la giustizia e la mise­ ricordia, giacché per mezzo di tali afflizioni i

La giustizia e la misericordia di Dio

289

tione. Et secundum hoc etiam salvatur ibi ratio iustitiae, inquantum res in esse produci­ tur, secundum quod convenit divinae sapien­ tiae et bonitati. Et salvatur quodammodo ratio misericordiae, inquantum res de non esse in esse mutatur.

Q. 2 1 , A. 4

giusti si purificano da certi difetti, e distaccan­ dosi dali' affetto delle cose terrene si innalza­ no maggiormente a Dio, secondo il detto di Gregorio: «l mali che ci opprimono in questo mondo ci spingono ad andare a Dio». 4. Sebbene la creazione non presupponga nul­ la dalla parte del creato, presuppone però qual­ cosa nel pensiero di Dio. Nel fatto dunque che le cose vengano ali' esistenza conformemente alla sapienza e alla bontà divina troviamo la ragione di giustizia. E in certo qual modo vi troviamo la ragione di misericordia in quanto le cose passano dal non essere ali' essere.

QUAESTI0 22

QUESTIONE 22

DE PROVIDENTIA DEI

LA PROVVIDENZA DI DIO

Consideratis autem his quae ad voluntatem absolute pertinent, procedendum est ad ea quae respiciunt simul intellectum et voluntatem. Huiusmodi autem est providentia quidem re­ spectu omnium; praedestinatio vero et repro­ batio, et quae ad haec consequuntur, respectu hominum specialiter, in ordine ad aeternam sa­ lutem [q. 23]. Nam et post morales virtutes, in scientia morali, consideratur de prudentia, ad quam providentia pertinere videtur. Circa provi­ dentiam autem Dei quaeruntur quatuor. Primo, utrum Deo conveniat providentia. Secundo, utrum omnia divinae providentiae subsint. Tertio, utrum divina providentia immediate sit de omnibus. Quarto, utrum providentia divina imponat necessitatem rebus provisis.

Dopo aver considerato ciò che appartiene alla volontà in modo assoluto, bisogna procedere al­ lo studio di ciò che riguarda l'intelletto e la vo­ lontà insieme. Tale è la provvidenza rispetto a tutte le creature; e in modo speciale, relativa­ mente agli uomini, la predestinazione, la ripro­ vazione e quanto ad esse è connesso in ordine alla salvezza eterna. Infatti anche nell' etica, do­ po le virtù morali, si tratta della prudenza, alla quale appartiene la provvidenza. Sulla prov­ videnza di Dio si pongono dunque quattro que­ siti. l . In Dio ci può essere la provvidenza? 2. Tutte le cose sono soggette alla divina provvi­ denza? 3. La divina provvidenza si occupa diret­ tamente di tutte le cose? 4. La divina provviden­ za rende necessario tutto ciò a cui provvede?

Articulus l

Articolo l

Utrum providentia Deo conveniat

In Dio ci può essere la provvidenza?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod pro­ videntia Deo non conveniat. l . Providentia enim, secundum Tullium [De i nv. 2 ,5 3 ] , est pars prudentiae. Prudentia autem, cum sit bene consiliativa, secundum philosophum in 6 Ethic. [5, 1 ] , Deo competere non potest, qui nullum dubium habet, unde eum consiliari oporteat. Ergo providentia Deo non competit. 2. Praeterea, quidquid est in Deo, est aeternum. Sed providentia non est aliquid aeternum, est enim circa existentia, quae non sunt aetema, secundum Damascenum [De fide 2,29]. Ergo providentia non est in Deo.

Sembra di no. Infatti: l . La provvidenza, secondo Cicerone, è una parte della prudenza. Ma la prudenza, essendo, al dire del Filosofo, la virtù del ben consigliarsi, non può appartenere a Dio il quale, non essendo soggetto a dubbi, non ha bisogno di consigliarsi. Quindi in Dio non ci può essere provvidenza. 2. Thtto ciò che è in Dio è eterno. Ma la prov­ videnza non è qualcosa di eterno, poiché ri­ guarda le cose esistenti che, secondo Giovan­ ni Damasceno, non sono eterne. Quindi la provvidenza non compete a Dio. 3. In Dio non vi può essere nulla di composto. Ma sembra che la provvidenza sia qualcosa di

Q. 22, A. l

La provvidenza di Dio

3. Praeterea, nullum compositum est in Deo. Sed providentia videtur esse aliquid composi­ rum, quia includit in se voluntatem et intel­ lectum. Ergo providentia non est in Deo. Sed contra est quod dicitur Sap. 14 [3], tu autem, Pater, gubernas omnia providentia. Respondeo dicendum quod necesse est pone­ re providentiam in Deo. Omne enim bonum quod est in rebus, a Deo creatum est, ut supra [q. 6 a. 4] ostensum est. In rebus autem invenitur bonum, non solum quantum ad sub­ stantiam rerum, sed etiam quantum ad ordi­ nem earum in finem, et praecipue in finem ultimum, qui est bonitas divina, ut supra [q. 21 a. 4] habitum est. Hoc igitur bonum ordinis in rebus creatis existens, a Deo creatum est. Cum autem Deus sit causa rerum per suum intellectum, et sic cuius1ibet sui effectus oportet rationem in ipso praeexistere, ut ex superioribus [q. 1 5 a. 2; 1 9 a. 4] patet; necesse est quod ratio ordinis rerum in finem in mente divina praeexistat. Ratio autem ordinandorum in finem, proprie providentia est. Est enim principalis pars prudentiae, ad quam aliae duae partes ordinantur, scilicet memoria praeteritorum, et intelligentia praesentium; prout ex praeteritis memoratis, et praesentibus intellectis, coniectamus de futuris providendis. Prudentiae autem proprium est, secundum philosophum in 6 Ethic. [ 12,6], ordinare alia in finem; sive respectu sui ipsius, sicut dicitur homo prudens, qui bene ordinat actus suos ad finem vitae suae; sive respectu aliorum sibi subiectorum in familia vel civitate vel regno, secundum quem modum dicitur Matt. 24

[45],fidelis servus et prudens, quem constituit dominus super familiam suam. Secundum quem modum prudentia vel providentia Deo convenire potest, nam in ipso Deo nihil est in finem ordinabile, cum ipse sit finis ultimus. Ipsa igitur ratio ordinis rerum in finem, provi­ dentia in Deo nominatur. Unde Boetius, 4 De Consol. [6], dicit quod providentia est ipsa

divina ratio in summo omnium principe constituta, quae cuncta disponit. Dispositio autem potest dici tam ratio ordinis rerum in finem, quam ratio ordinis partium in toto. Ad primum ergo dicendum quod, secundum philosophum in 6 Ethic. [ 1 0,2; 9,7], prudentia proprie est praeceptiva eorum, de quibus eu­ bulia recte consi1iatur, et synesis recte iudicat. Unde, licet consiliari non competat Deo, se-

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composto, poiché include in sé la volontà e l'in­ telligenza. Quindi non si dà provvidenza in Dio. In contrario: in Sap è detto: Tu, Padre, gover­

ni tutte le realtà con provvidenza. Risposta: è necessario porre in Dio la provvi­ denza. Tutto il bene, infatti, che si trova nelle cose è creato da Dio, come si è dimostrato al­ trove. Ora, nelle cose si trova il bene non solo quanto alla loro sostanza, ma anche quanto al loro ordinamento verso il fine, particolarmente verso il fine ultimo, che, come si è visto sopra, è la bontà divina. Quindi quest'ordine esisten­ te nelle cose create è causato da Dio. Siccome poi Dio è causa delle cose mediante l'intel­ letto, e quindi la ragione di ogni sua opera preesiste necessariamente in lui, come appare evidente da quanto detto, ne viene di necessità che l ' ordinamento dell e cose al loro fine preesiste nella mente divina. Ma la provvi­ denza consiste precisamente in questo predi­ sporre le cose al loro fine. Infatti essa è la parte principale della prudenza, a cui sono subordi­ nate le altre due parti, cioè la memoria del passato e l'intelligenza del presente: poiché dal ricordo del passato e dalla conoscenza del presente noi congetturiamo ciò che dobbiamo provvedere per il futuro. Ora, è proprio della prudenza, secondo il Filosofo, ordinare tutte le cose al loro fine; sia rispetto a se stessi, e così diciamo pmdente un uomo quando indirizza bene tutti i suoi atti al fine della sua vita; sia riguardo ai sottoposti, tanto nella famiglia quanto nella città o nel regno. E in questo sen­ so in Mt si parla del servo fidato e pntdente,

che il padrone ha preposto ai suoi domestici. Secondo quest'ultima accezione, dunque, la prudenza o provvidenza può convenire a Dio: infatti in Dio stesso non vi è nulla che possa essere indirizzato verso un fine, essendo egli stesso l 'ultimo fine. Quindi questa preordi­ nazione delle cose al loro fine in Dio prende il nome di provvidenza. E per tale motivo Boezio afferma: «La provvidenza è quella stessa divina ragione la quale, tiposta nel som­ mo principe dell'universo, dispone tutte le co­ se». E si ha tale disposizione tanto nell'ordina­ mento delle cose al loro fine, quanto nell'ordi­ namento delle parti rispetto al tutto. Soluzione delle difficoltà: l . La pmdenza, se­ condo il Filosofo, ha come atto suo proprio il comandare quelle cose circa le quali l' eubulia rettamente consiglia e la sinesi rettamente giu-

La provvidenza di Dio

29 1

cundum quod consilium est inquisitio de rebus dubiis; tamen praecipere de ordinandis i n finem, quorum rectam rationem habet, com­ petit Deo, secundum illud Psalmi [ 1 48,6], praeceptum posuit, et non praeteribit. Et se­ cundum hoc competit Deo ratio prudentiae et providentiae. Quamvis etiam dici possit, quod ipsa ratio rerum agendarum consilium in Deo dicitur; non propter inquisitionem, sed propter certitudinem cognitionis, ad quam consiliantes inquirendo perveniunt. Unde dicitur Eph. l [1 1], qui operatur omnia secundwn consilium

voluntatis suae. Ad secundum dicendum quod ad curam duo pertinent, scilicet ratio ordinis, quae dicitur providentia et dispositio; et executio ordinis, quae dicitur gubernatio. Quorum primum est aeternum, secundum temporale. Ad tertium dicendum quod providentia est in intellectu, sed praesupponit voluntatem finis, nullus enim praecipit de agendis propter finem, nisi velit finem. Unde et prudentia praesup­ ponit virtutes morales, per quas appetitus se habet ad bonum, ut dicitur in 6 Ethic. [ 1 3,6]. Et tamen si providentia ex aequali respiceret voluntatem et intellectum divinum, hoc esset absque detrimento divinae simplicitatis; cum voluntas et intellectus in Deo sint idem, ut supra [q. 19 a. l et 4 ad 2] dictum est.

Articulus

2

Q. 22, A. l

dica. Quindi, sebbene a Dio non convenga il consigliarsi, in quanto il consiglio dice indagine su cose dubbie, nondimeno a Dio compete di comandare l'ordinamento di quelle cose di cui possiede un giusto concetto, secondo il detto del Sal: Hai posto una legge che non passa. E in questo senso la prudenza e la provvidenza convengono a Dio. - Sebbene si possa anche dire che il piano stesso delle cose da farsi in Dio è chiamato consiglio non a motivo di una ri­ cerca, ma per la certezza della conoscenza, alla quale coloro che deliberano arrivano dopo ave­ re indagato. Infatti, in Efè detto: Colui che tutto

opera secondo il consiglio della sua volontà.

2. n provvedere [all'universo] comprende due cose, cioè l'idea o il piano, che viene chiamato provvidenza o anche disposizione, e l' ese­ cuzione del piano, che viene detto governo. La prima è eterna, la seconda è legata al tempo. 3. La provvidenza è un atto dell'intelletto, ma presuppone la volizione del fine, poiché nes­ suno decide di compiere delle azioni per un fine se prima non vuole il fine. Per cui anche la prudenza presuppone le virtù morali, le qua­ li, come dice Aristotele, hanno il compito di indirizzare l' appetito verso il bene. - E non­ dimeno, anche se la provvidenza riguardasse ugualmente la volontà e l'intelligenza divina, non sarebbe a detrimento della divina sempli­ cità poiché, come si è detto sopra, la volontà e l'intelligenza in Dio sono un'identica cosa. Articolo

2

Utrum omnia sint subiecta divinae providentiae

Tutte le cose sono soggette alla divina provvidenza?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod non omnia sint subiecta divinae providentiae. l . Nullum enim provisum est fortuitum. Si ergo omnia sunt provisa a Deo, nihil erit fortuitum, et sic perit casus et fortuna. Quod est contra communem opinionem. 2. Praeterea, ornnis sapiens provisor excludit defectum et malum, quantum potest, ab his quorum curam gerit. Videmus autem multa mala in rebus esse. Aut igitur Deus non potest ea impedire, et sic non est omnipotens, aut non de omnibus curam habet. 3. Praeterea, quae ex necessitate eveniunt, providentiam seu prudentiam non requirunt, unde, secundum philosophum in 6 Ethic. [5,3; 7,6; 1 3 ,5], prudentia est recta ratio

Sembra di no. Infatti: l . Tutto ciò che è predisposto non è fortuito. Se dunque tutte le cose sono state predisposte da Dio, nulla vi sarà di fortuito: e così scom­ paiono il caso e la fortuna. Il che è contro l'opinione comune. 2. Ogni saggio provveditore elimina più che può le deficienze e i mali dalle cose di cui ha la cura. Ma noi vediamo che nelle cose ci sono tanti mali. Quindi o Dio non può impedirli, e allora non è onnipotente, oppure non ha cura di tutte le cose. 3. Ciò che accade per necessità non richiede provvidenza o prudenza. Da cui l' affermazio­ ne del Filosofo che la prudenza è la saggia disposizione delle cose contingenti per le qua-

Q. 22, A. 2

La provvidenza di Dio

contingentium, de quibus est consilium et electio. Cum igitur multa in rebus ex neces­ sitate eveniant, non omnia providenti ae subduntur. 4. Praeterea, quicumque dimittitur sibi, non subest providentiae alicuius gubemantis. Sed homines sibi ipsis dimittuntur a Deo, secun­ dum illud Eccli. 15 [14], Deus ab initio con­

stituit hominem, et reliquit eum in manu con­ silii sui; et specialiter mali, secundum illud [Ps. 80, 1 3], dimisit illos secundum desideria cordis eorum. Non igitur omnia divinae pro­

videntiae subsunt. 5. Praeterea, apostolus, l Cor. 9 [9], dicit quod non est Deo cura de bobus, et eadem ratione, de aliis creaturis irrationalibus. Non igitur omnia subsunt divinae providentiae. Sed contra est quod dicitur Sap. 8 [ 1 ] , de divina sapientia, quod attingit a fine usque ad

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li vi è deliberazione e scelta. Ora, siccome molte cose avvengono per necessità, non tutto è soggetto alla divina provvidenza. 4. Chi è abbandonato a se stesso non soggiace alla provvidenza di alcun governante. Ma gli uomini sono da Dio abbandonati a se stessi, secondo quanto è detto in Sir: Dio da princi­

pio creò l 'uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere; e in modo speciale i malvagi, come è detto nel Sal: Li ha abbandonati ai desideri del /oro cuore. Quindi non tutte le cose sono soggette alla divina provvidenza. 5. Paolo in l Cor scrive che Dio non si dà pensiero dei buoi, e per lo stesso motivo nep­ pure di tutte le altre creature irrazionali. Quin­ di non tutte le cose sono soggette alla provvi­ denza di Dio. In contrario: in Sap è detto che la divina sa­ pienza si estende da un confine all'altro con

finem fortitel; et disponit omnia suaviter.

forza, govema con bontà eccellente ogni cosa.

Respondeo dicendum quod quidam totaliter providentiam negaverunt, sicut Democritus et Epicurei, ponentes mundum factum esse casu. Quidam vero posuerunt incorruptibilia tantum providentiae subiacere; corruptibilia vero, non secundum individua, sed secundum species; sic enim incorruptibilia sunt. Ex quo­ rum persona dicitur Iob 22 [ 1 4], nubes lati­

Risposta: alcuni negarono totalmente la prov­ videnza, come Democrito e gli Epicurei, i quali affermarono che il mondo è produzione del caso. Altri invece dissero che soltanto gli esseri incorruttibili dipendono dalla provvi­ denza, mentre quelli corruttibili [ne dipen­ derebbero] non quanto agli individui, ma quanto alle specie, poiché sotto questo aspetto sono incmruttibili. E in persona di costoro così si dice in Gb: Le nubi gli fanno velo e

bulum eius, et circa cardines caeli peram­ bulat, neque nostra considerar. A cmruptibi­

lium autem generalitate excepit Rabbi Moyses [Perplex. 3, 17] homines, propter splendorem intellectus, quem participant, in aliis autem individuis corruptibilibus, aliorum opinionem est secutus. Sed necesse est dicere omnia divinae providentiae subiacere, non in uni­ versali tantum, sed etiam in singulari. Quod sic patet. Cum enim omne agens agat propter finem, tantum se extendit ordinatio effectuum in finem, quantum se extendit causa1itas primi agentis. Ex hoc enim contingit in operibus alicuius agentis a1iquid provenire non ad fi­ nem ordinatum, quia effectus ille consequitur ex a1iqua alia causa, praeter intentionem agentis. Causalitas autem Dei, qui est primum agens, se extendit usque ad omnia entia, non solum quantum ad principia speciei, sed etiam quantum ad individualia principia, non solum incorruptibilium, sed etiam corruptibi­ lium. Unde necesse est omnia quae habent quocumque modo esse, ordinata esse a Deo in finem, secundum illud apostoli, ad Rom.

non vede; sulla volta dei cieli egli passeggia e non si occupa delle cose nostre. Tuttavia da

questa condizione degli esseri corruttibili Mo­ sè Maimonide eccettuò gli uomini, per lo splendore dell'intelligenza che essi parteci­ pano; quanto agli altri individui corruttibili, seguì invece l'opinione degli altri filosofi. E necessario dire, invece, che tutte le cose, non solo considerate in generale, ma anche indivi­ dualmente, sottostanno alla divina provviden­ za. Eccone la dimostrazione. Siccome ogni agente opera per un fine, tanto si estende l'or­ dinamento degli effetti al tine quanto si esten­ de la causalità del primo agente. Se infatti nel­ l' operare di qualche agente accade che qual­ cosa avvenga al di fuori dell'ordinamento al fine, il motivo è che tale effetto deriva da qual­ che altra causa estranea all'intenzione dell' a­ gente. Ora, la causalità di Dio, il quale è l'a­ gente primo, si estende a tutti gli esseri non solo quanto ai princìpi della specie, ma anche quanto ai princìpi individuali, sia delle cose

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La provvidenza di Dio

1 3 [ 1 ] , quae a Deo sunt, ordinata sunt. Cum ergo nihil aliud sit Dei providentia quam ratio ordinis rerum in finem, ut dictum est [a. 1], necesse est omnia, inquantum participant esse, intantum subdi divinae providentiae. Si­ militer etiam sopra [q. 14 a. 1 1 ] ostensum est quod Deus omnia cognoscit, et universalia et particularia. Et cum cognitio eius comparetur ad res sicut cognitio artis ad artificiata, ut supra [q. 14 a. 8] dictum est, necesse est quod omnia supponantur suo ordini, sicut omnia artificiata subduntur ordini artis. Ad primum ergo dicendum quod aliter est de causa universali, et de causa particolari. Ordi­ nem enim causae particularis aliquid potest exire, non autem ordinem causae universalis. Non enim subducitur aliquid ab ordine causae particularis, nisi per aliquam aliam causam particularem impedientem, sicut lignum impe­ ditur a combustione per actionem aquae. Unde, cum omnes causae particulares concludantur sub universali causa, impossibile est aliquem effectum ordinem causae universalis effugere. Inquantum igitur aliquis effectus ordinem ali­ cuius causae particularis effugit, dicitur esse ca­ suale vel fortuitum, respectu causae particularis, sed respectu causae universalis, a cuius ordine subtnthi non potest, dicitur esse provisum. Sicut et concursus duorum servorum, licet sit casua­ lis quantum ad eos, est tamen provisus a domi­ no, qui eos scienter sic ad unum locum mittit, ut unus de alio nesciat. Ad secundum dicendum quod aliter de eo est qui habet curam alicuius particularis, et de provisore universali. Quia provisor particula­ ris excludit defectum ab eo quod eius curae subditur, quantum potest, sed provisor univer­ salis permittit aliquem defectum in aliquo particolari accidere, ne impediatur bonum totius. Unde corruptiones et defectus in rebus naturalibus, dicuntur esse contra naturam particularem; sed tamen sunt de intentione naturae universalis, inquantum defectus unius cedit in bonum alterius, vel etiam totius uni­ versi; nam corruptio unius est generatio alte­ rius, per quam species conservatur. Cum igitur Deus sit universalis provisor totius en­ tis, ad ipsius providentiam pertinet ut permit­ tat quosdam defectus esse in aliquibus parti­ cularibus rebus, ne impediatur bonum uni­ versi perfectum. Si enim omnia mala impe­ direntur, multa bona deessent universo, non

Q. 22, A. 2

i ncorruttibili, sia delle cose corruttibili. È quindi necessario che tutto ciò che in qualsiasi modo ha l 'essere sia da Dio ordinato al suo fine, secondo il detto di Paolo in Rm: Ciò che è da Dio, è ordinato. Siccome dunque la prov­ videnza di Dio non è altro che l' ordinamento delle cose verso il loro fine, come è già stato detto, è necessario che tutte le cose siano sog­ gette alla divina provvidenza nella misura del­ la loro partecipazione all'essere. Bisogna an­ che notare, come sopra si è dimostrato, che Dio conosce tutti gli esseri, universali e parti­ colari. E poiché la sua conoscenza sta in rap­ porto alle cose come le norme di un'arte stan­ no alle opere della medesima, come fu detto sopra, è necessario che tutte le cose siano sot­ toposte al suo ordinamento, come le opere di un' arte sono sottoposte alle norme dell' mte. Soluzione delle difficoltà: l . Una cosa è [parla­ re] della causa universale e un'altra [parlare] della causa particolare. Si può infatti sfuggire all'ordinamento della causa particolare, ma non a quello della causa universale. Infatti nulla può essere sottratto ali' ordinamento di una causa particolare se non a motivo di una qualche altra causa particolare che la ostacola: come la combustione del legno può essere impedita dall'azione dell'acqua. Ora, siccome tutte le cause particolari sono abbracciate dalla causa universale, è impossibile che qualsiasi effetto sfugga ali' ordinamento della causa universale. Quindi un effetto si dirà casuale e fortuito relati­ vamente a una causa particolare, in quanto si sottrae al suo ordinamento, ma rispetto alla causa universale, dal cui ordinamento non può sottrarsi, bisogna dire che è previsto. Come ad es. l'incontro di due servi, sebbene sia per essi casuale, è tuttavia previsto dal loro padrone, il quale intenzionalmente li ha mandati in un medesimo posto, l'uno all' insaputa dell'altro. 2. Altro è il caso di chi ha la gestione di un bene particolare e altro quello del provveditore universale. n primo infatti elimina, per quanto può, ogni difetto da ciò che è affidato alle sue cure, mentre il provveditore universale, per assicurare il bene del tutto, permette qualche difetto in casi particolari. Quindi la distruzione e le deficienze delle cose create si possono dire contro la loro natura particolare, ma rientrano nel l ' i ntenzione della natura universale, i n quanto il difetto d i una ridonda a l bene di un'altra, o anche al bene di tutto l ' universo:

Q. 22, A. 2

La provvidenza di Dio

enim esset vita leonis, si non esset occisio animalium; nec esset patientia martyrum, si non esset persecutio tyrannorum. Unde dicit Augustinus in Ench. [ 1 1 ] , Deus omnipotens

nullo modo sineret malum aliquod esse in operibus suis, nisi usque adeo esser omnipo­ tens et bonus, ut bene faceret etiam de malo.

Ex his autem duabus rationibus quas nunc solvimus, videntur moti fuisse, qui divinae providentiae subtraxerunt corruptibilia, i n quibus inveniuntur casualia et mala. Ad tertium dicendum quod homo non est institutor naturae, sed utitur in operibus artis et virtutis, ad suum usum, rebus naturalibus. Unde providentia humana non se extendit ad necessaria, quae ex natura proveniunt. Ad quae tamen se extendit providentia Dei, qui est auctor naturae. Et ex hac ratione videntur moti fuisse, qui cursum rerum naturalium subtraxerunt divinae providentiae, attribuen­ tes ipsum necessitati materiae; ut Democritus, et alli naturales antiqui. Ad quartum dicendum quod in hoc quod dicitur Deum hominem sibi reliquisse, non excluditur homo a divina providentia, sed ostenditur quod non praefi gi tur ei virtus operativa determinata ad unum, sicut rebus naturalibus; quae aguntur tantum, quasi ab altero directae in tìnem, non autem seipsa agunt, quasi se dirigentia in finem, ut creatu­ rae rationales per l iberum arbitrium, quo consiliantur et eligunt. Unde signanter dicit, in manu consilii sui. Sed quia ipse actus liberi arbitrii reducitur in Deum sicut in causam, necesse est ut ea quae ex libero arbitrio fiunt, divinae providentiae subdantur, providentia enim hominis continetur sub providentia Dei, sicut causa particularis sub causa universali. Hominum autem iustorum quodarn excellen­ tiori modo Deus habet providentiam quam im­ piorum, inquantum non permittit contra eos evenire aliquid, quod finaliter impediat salutem eorum , nam diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum, ut dicitur Rom. 8 [28]. Sed ex hoc ipso quod impios non retrahit a malo culpae, dicitur eos dimittere. Non tamen ita, quod totaliter ab eius providentia exclu­ dantur, alioquin in nihilum deciderent, nisi per eius providentiam conservarentur. Et ex hac ratione videtur motus fuisse Tullius, qui res humanas, de quibus consiliamur, divinae providentiae subtraxit [De div. 2].

294

infatti la distmzione di una cosa segna la gene­ razione di un' altra, e così si conserva la specie. Essendo dunque Dio il provveditore universale di tutto l'essere, appartiene alla sua provviden­ za il permettere alcuni difetti in qualcosa di particolare perché non sia impedito il bene per­ fetto dell'universo. Se infatti venissero impediti tutti i mali, molti beni verrebbero a mancare all'universo: come non vi sarebbe la vita del leone se non vi fosse la morte di altri animali, né vi sarebbe la pazienza dei martiri se non vi fosse la persecuzione dei tiranni. Quindi Ago­ stino può dire: «L'onnipotente Dio non lasce­ rebbe trascorrere alcun male nelle sue opere se non fosse tanto potente e buono da trarre il bene anche dal male». - Ora, è da queste due difficoltà che abbiamo appena risolto che pare siano stati spinti coloro che sottrassero alla di­ vina provvidenza gli esseri corruttibili, nei qua­ li si riscontrano il caso e il male. 3. L'uomo non è l 'autore della natura, ma si serve per sua utilità delle realtà naturali nella sua attività materiale e morale. Quindi la provviden­ za. umana non si estende alle cose necessarie, che provengono dalla natura; ad esse però si estende la provvidenza di Dio, autore della natura. - Ed è da questa difficoltà che pare siano stati mossi coloro che, come Democrito e gli altri antichi [filosofi] naturalisti, sottrassero alla divina provvidenza il corso delle realtà naturali, attribuendolo alla necessità della materia. 4. Quando si legge che Dio abbandona l'uomo a se stesso non si intende escludere l ' uomo dalla divina provvidenza, ma si vuole solo mo­ strare che non gli è stata prefissata una capacità operativa determinata a un solo modo di agire, come alle realtà naturali - che non agiscono se non sotto l' impulso di qualcos'altro, senza diri­ gersi da sé verso i l loro fine, come [invece fanno] le creature razionali mediante il libero arbitrio, in virtù del quale deliberano e scelgono -. Quindi la Scrittura usa l'espressione . Soluzione delle difficoltà: l . Questo testo del­ la Scrittura va riferito a coloro che Dio ha pre­ stabilito quanto al conferimento della grazia nel tempo presente. Il numero di costoro, infatti, può crescere o diminuire; non invece il numero dei predestinati. 2. La quantità di una parte trova la sua ragio­ ne nella proporzione che essa ha con il tutto. E così c'è un motivo per cui Dio creò tante stelle, tante specie di cose, e predestinò tanti uomini: ed è [precisamente] la proporzione di queste parti principali con la perfezione del­ l'universo. 3. Il bene proporzionato alla comune condi­ zione della natura si trova nel maggior nume­ ro dei casi, e la deficienza di un tale bene è u n ' eccezione; ma il bene che è al disopra della comune condizione della natura si trova in un numero ristretto, mentre la deficienza di esso si riscontra in un gran numero di casi. E così è chiaro che sono pitl numerosi gli uomi­ ni che hanno una conoscenza sufficiente per regolare le funzioni ordinarie della vita, e me­ no numerosi quelli che ne sono privi, e che chiamiamo idioti o deficienti; al contrario, in­ vece, sono in numero minimo, in confronto agli altri, quelli che arrivano ad avere una co­ noscenza profonda delle realtà i ntelligibili. Siccome dunque la beatitudine eterna, consi­ stente nella visione di Dio, supera la comune condizione della natura, specialmente privata com'è della grazia a motivo della corruzione [prodotta] dal peccato originale, di conse­ guenza sono pochi quelli che si salvano. E proprio in ciò si mostra in modo specialissi­ mo la misericordia di Dio, che innalza alcuni a quella salvezza che la maggioranza [degli uomini] non raggiunge, secondo il corso ordi­ nario e l' inclinazione della natura.

3 15

La predestinazione

Q. 23, A. 8

Articulus 8 Utrum praedestinatio possit iuvari precibus sanctorum

Articolo 8 La predestinazione può essere aiutata dalle preghiere dei santi?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod praedestinatio non possit iuvari precibus sanctorum. l . Nullum enim aetemum praeceditur ab ali­ quo temporali, et per consequens non potest temporale iuvare ad hoc quod aliquod aeter­ num sit. Sed praedestinatio est aeterna. Cum igitur preces sanctorum sint temporales, non possunt iuvare ad hoc quod aliquis praedesti­ netur. Non ergo praedestinatio iuvatur preci­ bus sanctorum. 2. Praeterea, sicut nihil indiget consilio nisi propter defectum cognitionis, ita nihil indiget auxilio nisi propter defectum virtutis. Sed neu­ trum horum competit Deo praedestinanti, unde dicitur Rom. I l [34] , quis adiuvit Spiritum Domini? Aut quis consiliarius eius .fuit? Ergo praedestinatio non iuvatur precibus sanctorum. 3. Praeterea, eiusdem est adiuvari et impediri. Sed praedestinatio non potest aliquo impediri. Ergo non potest aliquo iuvari. Sed contra est quod dicitur Gen. 25 [2 1 ] , quod Isaac mgavit Deum pm Rebecca uxore sua, et dedit conceptum Rebeccae. Ex ilio autem conceptu natus est Iacob, qui praedesti­ natus fuit. Non autem fuisset impleta praedes­ tinatio, si natus non fuisset. Ergo praedesti­ natio iuvatur precibus sanctorum. Respondeo dicendum quod circa hanc quae­ stionem diversi errores fuerunt. Quidam enim, attendentes certitudinem divinae praedes­ tinationis, dixerunt superfluas esse orationes, vel quidquid aliud fiat ad salutem aeternam consequendam, quia bis factis vel non factis, praedestinati consequuntur, reprobati non consequuntur. Sed contra hoc sunt omnes admonitiones sacrae Scripturae, exhortantes ad orationem, et ad alia bona opera. Alli vero dixerunt quod per orationes mutatur divina praedestinatio. Et haec dicitur fuisse opinio Aegyptiorum, qui ponebant ordinationem di­ vinam, quam fatum appellabant, aliquibus sa­ clificiis et orationibus impediri posse. Sed contra hoc etiam est auctoritas sacrae Scriptu­ rae. Dicitur enim l Reg. 1 5 [29], porro trium­

Sembra di no. Infatti : l. Nulla d i eterno è preceduto d a qualcosa di temporale, e per conseguenza ciò che è tem­ porale non può essere di aiuto a ciò che è eterno. Ma la predestinazione è eterna. Sicco­ me dunque le preghiere dei santi si svolgono nel tempo, esse non possono giovare alla pre­ destinazione di qualcuno. Quindi la predesti­ nazione non può essere facilitata dalle pre­ ghiere dei santi. 2. Come nessuno ha bisogno di consiglio se non per un difetto di conoscenza, così nessuno ha bisogno di aiuto se non per mancanza di forza. Ma né l'una né l'altra cosa possono esse­ re attribuite a Dio nell'atto di predestinare: in­ fatti è detto in Rm: Chi aiutò lo Spirito del Si­ gnore ? O chi fu suo consigliere ? Quindi la predestinazione non è aiutata dalle preghiere dei santi. 3. Essere aiutati ed essere impediti sono sullo stesso piano. Ma la predestinazione non può essere impedita da nessuno. Quindi non può essere nemmeno aiutata. In contrario: in Gen è detto: !sacco supplicò il

phator in Israel non parcet, neque poenitudine jlectetur. Et Rom. 1 1 [29] dicitur quod sine poenitentia sunt dona Dei et vocatio. Et ideo

Signore per Rebecca, sua moglie, e [il Signm�] diede a Rebecca di concepire. Ora, da quel

concepimento nacque Giacobbe, il quale fu predestinato. Ma tale predestinazione non si sarebbe avverata se Giacobbe non fosse nato. Quindi la predestinazione si giova delle pre­ ghiere dei santi. Risposta: su questo problema vi furono diversi errori. Alcuni, considerando l'infallibilità della predestinazione divina, affermarono che le pre­ ghiere sono superflue, e così pure qualunque altra cosa fatta per conseguire la salvezza eter­ na, perché, sia che ciò venga fatto sia che ciò non venga fatto, i predestinati la conseguono e i reprobi non la conseguono. - Ma contro que­ sta opinione stanno tutti gli ammonimenti della sacra Scrittura, come pure gli incitamenti alla preghiera e alle altre opere buone. Altri hanno invece sostenuto che con la preghiera si può mutare la divina predestinazione. E questa si dice che fosse l'opinione degli Egiziani, i quali ritenevano che con i sacrifici e le preghiere si potessero impedire le disposizioni divine, che essi chiamavano fato. Ma anche questa opi-

Q. 23, A. 8

La predestinazione

aliter dicendum, quod i n praedestinatione duo sunt consideranda, scilicet ipsa praeordinatio divina, et effectus eius. Quantum igitur ad primum, nullo modo praedestinatio iuvatur precibus sanctorum, non enim precibus sanc­ torum fit, quod aliquis praedestinetur a Deo. Quantum vero ad secundum, dicitur praedesti­ natio iuvari precibus sanctorum, et aliis bonis operibus, quia providentia, cuius praedesti­ natio est pars, non subtrahit causas secundas, sed sic providet eftectus, ut etiam ordo causa­ rum secundamm subiaceat providentiae. Sicut igitur sic providentur naturales effectus, ut etiam causae natLrrales ad illos naturales effec­ tus ordinentur, sine quibus illi effectus non provenirent; ita praedestinatur a Deo salus alicuius, ut etiam sub ordine praedestinationis cadat quidquid hominem promovet in salu­ tem, vel orationes propriae, vel aliorum, vel alia bona, vel quidquid huiusmodi, sine quibus aliquis salutem non consequitur. Unde praedes­ tinatis conandum est ad bene operandum et orandum, quia per huiusmodi praedestina­ tionis effectus certitudinaliter impletur. Propter quod dicitur 2 Petr. l [ I O], satagite, ut per bo­

na opera certam vestram vocationem et elec­ tionemfadatis.

Ad primum ergo dicendum quod ratio illa ostendit quod praedestinatio non iuvatur pre­ cibus sanctorum, quantum ad ipsam praeordi­ nationem. Ad secundum dicendum quod aliquis dicitur adiuvari per alium, dupliciter. Uno modo, in­ quantum ab eo accipit virtutem, et sic adiuvari infirmi est, unde Deo non competit. Et sic intelligitur illud, quis adiuvit Spiritum Domini? Alio modo dicitur quis adiuvari per aliquem, per quem exequitur suam operationem, sicut dominus per ministrum. Et hoc modo Deus adiuvatur per nos, inquantum exequimur suam ordinationem, secundum illud l ad Cor. 3 [9], Dei enim adiutores sumus. Neque hoc est propter defectum divinae virtutis, sed quia utitur causis mediis, ut ordinis pulchritudo servetur in rebus, et ut etiam creaturis digni­ tatem causalitatis communicet. Ad tertium dicendum quod secundae causae non possunt egredi ordinem causae primae universalis, ut supra [q. 1 9 a 6; q. 22 a. 2 ad l ] dictum est; sed ipsum exequuntur. E t ideo praedestinatio per creaturas potest adiuvari, sed non impediri.

316

nione è in contrasto con l 'autorità della sacra Scrittura. Infatti in l Sam è detto: Il trionfatore di Israele non perdonerà e non si pentirà. E in

Rm: l doni e la chiamata di Dio sono irrevoca­ bili. Quindi dobbiamo ragionare diversamente,

dato che nella predestinazione ci sono da con­ siderare due elementi: il disegno divino e il suo effetto. Quanto dunque al primo elemento, in nessuna maniera la predestinazione può riceve­ re aiuto dalle preghiere dei santi: poiché non potrà mai avvenire che uno sia predestinato per le preghiere dei santi. Quanto invece al secon­ do elemento, si può dire che la predestinazione è aiutata dalle preghiere dei santi e dalle altre opere buone: la provvidenza infatti, di cui la predestinazione è una parte, non elimina le cause seconde, ma dispone gli effetti in manie­ ra che anche l'ordine delle cause seconde sia compreso sotto di essa. Come dunque è stato provveduto agli effetti naturali preordinando ad essi anche le rispettive cause naturali, senza di cui tali effetti non sarebbero prodotti, così è stata predestinata da Dio la salvezza di un sin­ golo in maniera che entro l'ordine della prede­ stinazione venga compreso anche tutto ciò che porta l'uomo alla salvezza, come le sue proprie preghiere o quelle degli alni, le opere buone o qualunque altra cosa del genere, senza di cui nessuno consegue la salvezza. Quindi i prede­ stinati devono sforzarsi di agire e di pregare bene, poiché con questi mezzi l 'effetto della predestinazione si compie con certezza. Per cui in 2 Pt è detto: Cercate di rendere sempre più

sicura la vostra vocazione e la vostra elezione per mezzo delle buone opere.

Soluzione delle difficoltà: l . Questa ragione vale a dimostrare che la predestinazione non si giova delle preghiere dei santi relativamen­ te al disegno divino. 2. In due sensi si dice che uno è aiutato da un altro. Primo, in quanto riceve da esso la forza: ed essere aiutato così è proprio di chi è debole, e quindi non può essere attribuito a Dio. E in questo senso vanno intese le parole: Chi aiutò lo Spirito del Signore ? Secondo, si dice che uno è aiutato da un altro quando si serve di lui per compiere l'opera propria, come un padrone fa uso del suo servitore. Ora, Dio è aiutato da noi in questo modo, in quanto noi eseguiamo i suoi ordini, secondo le parole di l Cor: Noi siamo i cooperatori di Dio. E ciò non è per un difetto della potenza divina, ma perché Dio usa

La predestinazione

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Q. 23, A. 8

delle cause intermedie per conservare nelle cose la bellezza dell'ordine, e anche per comu­ nicare alle creature la dignità di cause. 3. Le cause seconde non possono sottrarsi all'ordinamento della causa prima universale, come si è detto sopra, ma lo eseguono. E così la predestinazione può essere aiutata, ma non impedita dalle creature. QUAESTI0 24 DE LIBRO VITAE

QUESTIONE 24 IL LIBRO DELLA VITA

Deinde considerandum est de libro vitae [q. 23 prol.]. Et circa hoc quaeruntur tria. Primo, quid sit liber vitae. Secondo, cuius vitae sit liber. Tertio, utrum aliquis possit deleri de libro vitae.

E ora veniamo a trattare del libro della vita. In proposito si pongono tre quesiti: l. Che cos'è il libro della vita? 2. Di quale vita è il libro? 3. Qualcuno può essere cancellato dal libro del­ la vita?

Articulus l Utrum liber vitae sit idem quod praedestinatio

Articolo l Il libro della vita si identifica con la predestinazione?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod liber vitae non sit idem quod praedestinatio. l. Dicitur enim Eccli. 24 [32], haec omnia li­ ber vitae; Glossa [int.], idest Novum et Vetus Testamentum. Hoc autem non est praedesti­ natio. Ergo liber vitae non est idem quod praedestinatio. 2. Praeterea, Augustinus, in libro 20 De civ. Dei [14], ait quod liber vitae est quaedam vis divina, qua fiet ut cuique opera sua bona ve/ mala in memoriam reducantur. Sed vis divina non videtur pertinere ad praedestinationem, sed magis ad auributum potentiae. Ergo liber vitae non est idem quod praedestinatio. 3. Praeterea, praedestinationi opponitur repro­ batio. Si igitur liber vitae esset praedestinatio, inveniretur liber mortis, sicut liber vitae. Sed contra est quod dicitur in Glossa [ord.], super illud Psalmi 68 [29], deleantur de libro

Sembra di no. Infatti: l. In Sir si legge: Tutte queste cose sono il libro della vita; «cioè», commenta la Glossa, «il Nuovo e l'Antico Testamento». Ma ciò non è la predestinazione. Quindi il libro della vita non si identifica con la predestinazione. 2. Agostino dice che il libro della vita è una certa forza divina che «farà tornare in mente a ciascuno tutte le sue opere buone o cattive». Ora, la forza divina non pare che si riallacci alla predestinazione, ma piuttosto all' attributo della potenza. Quindi il libro della vita non si identifica con la predestinazione. 3. Alla predestinazione si oppone la riprova­ zione. Se dunque il libro della vita fosse la predestinazione, dovrebbe esserci anche il li­ bro della morte. In contrario: la Glossa, commentando il ver­ setto del Sal: Siano cancellati dal libro dei vi­ venti, afferma: «Questo libro è la conoscenza di Dio, mediante la quale egli ha predestinato alla vita quelli che ha preconosciuto». Risposta: si parla in senso metaforico di un libro della vita in Dio per un'analogia desunta dalle cose umane. C'è infatti l'uso tra gli uo­ mini di iscrivere in un libro coloro che sono eletti a qualche ufficio, come i soldati o i consi­ glieri, che una volta erano chiamati Padri coscritti. Ora, appare chiaro da quanto si è detto

viventium, liber iste est notitia Dei, qua prae­ destinavit ad vitam, quos praescivit.

Respondeo dicendum quod liber vitae in Deo dicitur metaphorice, secundum similitudinem a rebus humanis acceptam. Est enim consue­ tum apud homines, quod illi qui ad aliquid eli­ guntur, conscribuntur in libro; utpote milites vel consiliarii, qui olim dicebantur patres con­ scripti. Patet autem ex praemissis [q. 23 a. 4] quod omnes praedestinati eliguntur a Deo ad

Q. 24, A. l

l/ libro della vita

habendum vitam aetemam. Ipsa ergo praedes­ tinatorum conscriptio dicitur liber vitae. Di­ citur autem metaphorice aliquid conscriptum in intellectu alicuius, quod firmiter in memo­ ria tenet, secundum illud Prov. 3 [ 1 ] , ne obli­

viscaris legis meae, et praecepta mea cor tuum custodiat; et post pauca sequitur, descri­ be il/a in tabulis cordis tui. Nam et in libris

materialibus aliquid conscribitur ad succur­ rendum memoriae. Unde ipsa Dei notitia, qua firmiter retinet se aliquos praedestinasse ad vitam aeternam, dicitur liber vitae. Nam sicut scriptura libri est signum eorum quae fienda sunt ita Dei notitia est quoddam signum apud ipsum, eorum qui sunt perducendi ad vitam aeternam ; secundum illud 2 Ti m. 2 [ 1 9] ,

firmum fimdamentum Dei stat, habens signa­ culum hoc, novit Dominus qui sunt eius. Ad primum ergo dicendum quod liber vitae potest dici dupliciter. Uno modo, conscriptio eorum qui sunt electi ad vitam, et sic loquimur nunc de libro vitae. Alio modo potest dici liber vitae, conscriptio eorum quae ducunt in vitam. Et hoc dupliciter. Vel sicut agendorum, et sic novum et vetus testamentum dicitur liber vitae. Vel sicut iam factorum, et sic illa vis divina, qua fiet ut cuilibet in memoriam redu­ cantur facta sua, dicitur Iiber vitae. Sicut etiam liber militiae potest dici, vel in quo scribuntur electi ad militiam, vel i n quo traditur ars militaris, vel in quo recitantur tàcta militum. Unde patet solutio ad secundum. Ad tertium dicendum quod non est consue­ tum conscribi eos qui repudiantur, sed eos qui eliguntur. Unde reprobationi non respondet liber mortis, sicut praedestinationi liber vitae. Ad quartum dicendum quod secundum ratio­ nem differt liber vitae a praedestinatione. Im­ portat enim notitiam praedestinationis, sicut etiam ex Glossa inducta apparet.

Articulus 2 Utrum liber vitae sit solum respectu vitae gloriae praedestinatorum Ad secundum sic proceditur. Videtur quod

318

che tutti i predestinati sono eletti da Dio ad avere la vita eterna. Quindi l'iscrizione dei pre­ destinati è detta libro della vita. D'altra parte si dice, con una metafora, che è scritto nella mente di qualcuno ciò che egli tiene fisso nella memoria: come in Pr. Non dimenticare la mia legge, e il tuo cuore custodisca i miei precetti, e poco dopo si aggiunge: Scrivi/i sulla tavola del tuo cuore. Infatti si scrivono le cose sui libri materiali per venire in aiuto alla memoria. Per cui la conoscenza stessa di Dio con la quale egli ricorda fermamente di avere destinato certuni alla vita eterna prende il nome di libro della vita. Come infatti le parole scritte in un libro sono un segno di quanto deve essere effettuato, così la conoscenza divina è per Dio un segno che sta a indicare coloro i quali devono essere condotti alla vita eterna; secondo quanto è detto in 2 Tm: Ilfondamento gettato da Dio sta saldo

e porta questo sigillo: il Signore conosce i suoi.

Soluzione delle difficoltà: l. [L'espressione] due sensi. Primo, per designare l ' iscrizione di coloro che sono eletti alla vita: e ora ne parliamo in questo senso. Secondo, si può dire libro della vita la trascrizione delle cose che conducono alla vita. E ciò ancora in due sensi. O delle cose che bisogna fare: e così possiamo chia­ mare libro della vita il nuovo e l'antico Testa­ mento. O delle cose che già furono compiute: e allora possiamo chiamare libro della vita quella forza divina che farà tornare in mente a ciascuno i suoi atti. Come si può chiamare libm della milizia sia quello in cui sono iscrit­ ti coloro che sono scelti per il servizio milita­ re, sia quello in cui si insegna l' arte militare, sia,quello in cui si narrano le gesta militari. 2. E risolta così anche la seconda difficoltà. 3. Non c'è l'uso di iscrivere gli scartati, ma solo gli eletti. Quindi alla riprovazione non corrisponde il libro della morte come alla pre­ destinazione il libro della vita. 4. n libro della vita differisce dalla predestina­ zione concettualmente: i nfatti vi aggiunge l ' idea di conoscenza, come appare anche dalla Glossa riportata.

libm della vita può essere presa in

Articolo

2

n libro della vita riguarda soltanto

la vita gloriosa dei predestinati? Sembra di no. Infatti:

319

l/ libro della vita

liber vitae non sit solum respectu vitae gloriae praedestinatorum. l . Liber enim vitae est notitia vitae. Sed Deus per vitam suam cognoscit omnem aliam vi­ tam. Ergo liber vitae praecipue dicitur respec­ tu vitae divinae; et non solum respectu vitae praedestinatorum. 2. Praeterea, sicut vita gloriae est a Deo, ita vita naturae. Si igitur notitia vitae gloriae dicitur liber vitae, etiam notitia vitae naturae dicetur liber vitae. 3. Pt-aeterea, aliqui eliguntur ad gratiam, qui non eliguntur ad vitam gloriae; ut patet per id quod dicitur Ioan. 6 [7 1 ], nonne duodecim vos elegi, et unus ex vobis diabolus est? Sed liber vitae est conscriptio electionis divinae, ut dictum est [a 1]. Ergo etiam est respectu vitae gratiae. Sed contra est quod liber vitae est notitia praedestinationis, ut dictum est [a. 1 ] . Sed praedestinatio non respicit vitam gratiae, nisi secundum quod ordinatur ad gloriam, non enim sunt praedestinati, qui habent gratiam et deficiunt a gloria. Liber igitur vitae non dici­ tur nisi respectu gloriae. Respondeo dicendum quod liber vitae, ut dic­ tum est [a. 1 ] , importat conscriptionem quan­ dam sive notitiam electorum ad vitam. Eli­ gitur autem aliquis ad id quod non competit sibi secundum suam naturam. Et iterum, id ad quod eligitur aliquis, habet rationem finis, non enim miles eligitur aut conscribitur ad hoc quod armetur, sed ad hoc quod pugnet; hoc enim est proprium officium ad quod rnilitia ordinatur. Finis autem supra naturam existens, est vita gloriae, ut supra [q. 1 2 a. 4; q. 23 a. l ] dictum est. Unde proprie liber vitae respicit vitam gloriae. Ad primum ergo dicendum quod vita divina, etiam prout est vita gloriosa, est Deo natu­ ralis. Unde respectu eius non est electio, et per consequens neque liber vitae. Non enim dicimus quod aliquis homo eligatur ad haben­ dum sensum, vel aliquid eorum quae con­ sequuntur naturam. Unde per hoc etiam patet solutio ad secun­ dum. Respectu enim vitae naturalis non est electio, neque liber vitae. Ad tertium dicendum quod vita gratiae non habet rationem finis, sed rationem eius quod est ad finem. Unde ad vitam gratiae non di­ citur aliquis eligi, nisi inquantum vita gratiae ordinatur ad gloriam. Et propter hoc, illi qui

Q. 24, A. 2

l. n libro della vita è la conoscenza della vita. Ma Dio mediante la sua vita conosce ogni altra vita. Quindi il libro della vita concerne la vita divina, e non soltanto la vita dei predestinati. 2. La vita della gloria viene da Dio come la vita naturale. Se dunque la conoscenza della vita gloriosa viene detta libro della vita, dovrà chiamarsi libro della vita anche la conoscenza della vita naturale. 3. Sono eletti alla grazia alcuni che pure non sono eletti alla vita della gloria, come appare chiaro da ciò che è scritto in Gv: Non ho forse

scelto io voi, i Dodici? eppure uno di voi è un diavolo. Ma il libro della vita, come si è detto,

è l'iscrizione divina degli eletti. Quindi ri­ guarda anche la vita della grazia. In contrario: il libro della vita è la conoscenza della predestinazione, come si è detto. Ma la predestinazione non riguarda la vita della grazia se non in quanto è ordinata alla gloria: poiché non sono predestinati quelli che hanno la grazia e non giungono alla gloria. n libro della vita dunque riguarda soltanto la gloria. Risposta: come si è detto, il libro della vita com­ porta una certa iscrizione e conoscenza di colo­ ro che sono eletti alla vita. Ora, uno ha bisogno di essere eletto per ciò che non gli compete secondo la sua natura. E inoltre la funzione per la quale viene eletto ha ragione di fine: infatti un soldato non è arruolato o iscritto per portare le armi, ma per combattere: poiché questo è appunto l'ufficio al quale è ordinata la milizia. Ora, il fine che trascende la natura è la vita della gloria, come sopra si è detto. Quindi, a rigore, il libro della vita riguarda la vita della gloria. Soluzione delle difficoltà: l . La vita divina, anche in quanto è vita gloriosa, è naturale per Dio. Quindi riguardo a lui non vi è elezione, e per conseguenza neppure un libro della vita. Infatti non diciamo che un uomo è eletto ad avere i sensi, o a qualcosa di connesso con la sua natura. 2. Ciò chiarisce anche la soluzione della se­ conda difficoltà. Infatti non si dà elezione né libro della vita per ciò che riguarda l'esistenza naturale. 3. La vita della grazia non ha ragione di fine, ma di mezzo al fine. Quindi non si dice che uno è eletto alla vita della grazia se non in quanto la vita della grazia è ordinata alla gloria. E per questo motivo coloro che hanno la grazia e non raggiungono la gloria non si dicono eletti

Q. 24, A. 2

l/ libro della vita

320

habent gratiam et excidunt a gloria, non di­ cuntur esse electi simpliciter, sed secundum quid. Et similiter non dicuntur esse scripti simpliciter in libro vitae sed secundum quid; prout scilicet de eis in ordinatione et notitia divina existit, quod sint habituri aliquem ordi­ nem ad vitam aeternam, secundum participa­ tionem gratiae.

semplicemente, ma solo sotto un certo aspetto. E così pure non si dicono iscritti puramente e semplicemente nel libro della vita, ma solo sotto un certo aspetto, in quanto cioè nel dise­ gno e nella conoscenza di Dio è stabilito che essi abbiano un certo ordine alla vita eterna, in forza della partecipazione alla grazia.

Articulus 3 Utrum aliquis deleatur de libro vitae

Articolo 3 Qualcuno può essere cancellato dal libro della vita?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod nullus deleatur de libro vitae. l . Dicit enim Augustinus, in 20 De civ. Dei [15], quod praescientia Dei, quae Mn potest falli, liber vitae est. Sed a praescientia Dei non potest aliquid subtrahi, similiter neque a praedestinatione. Ergo nec de libro vitae potest aliquis deleri. 2. Praeterea, quidquid est in aliquo, est in eo per modum eius in quo est. Sed liber vitae est quid aeternum et immutabile. Ergo quidquid est in eo, est ibi non temporaliter, sed immo­ biliter et indelebiliter. 3. Praeterea, deletio scripturae opponitur. Sed aliquis non potest de novo scribi in libro vitae. Ergo neque inde deleri potest. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 68 [29],

Sembra di no. Infatti: l . Agostino dice: «La prescienza di Dio, che non può fallire, è il libro della vita>>. Ma alla pre­ visione di Dio, come anche alla predestinazione, nulla può essere sottratto. Quindi neanche dal libro della vita uno può essere cancellato. 2. Ciò che si trova in un soggetto segue i l modo di essere d i quest'ultimo. Ma i l libro della vita è qualcosa di eterno e di immutabi­ le. Quindi tutto ciò che è in esso non vi si tro­ va temporaneamente, ma in maniera immu­ tabile e indelebile. 3. Cancellare è il contrario di scrivere. Ma nessuno può essere iscritto nuovamente nel libro della vita. Quindi non può neppure esserne cancellato. In contrario: Nel Sal è scritto: Siano cancella­

deleantur de libm viventium. Respondeo dicendum quod quidam dicunt quod de libro vitae nullus potest deleri se­ cundum rei veritatem, potest tamen aliquis deleri secundum opinionem hominum. Est enim consuetum in Scripturis ut aliquid di­ catur fieri, quando innotescit. Et secundum hoc, aliqui dicuntur esse scripti in libro vitae, inquantum homines opinantur eos ibi scriptos, propter praesentem iustitiam quam in eis vident. Sed quando apparet, vel in hoc seculo vel in futuro, quod ab hac iustitia exciderunt, dicuntur inde deleri. Et sic etiam exponitur in Glossa [ord.] deletio talis, super illud Psalrni 68 [29], deleantur de libro viventium. Sed quia non deleri de libro vitae ponitur inter praemia iustorum, secundum illud Apoc. 3 [5], qui vicerit, sic vestietur vestimentis a/bis, et IW11 delebo nomen eius de libm vitae; quod autem sanctis repromittitur, non est solum in hominum opinione; potest dici quod deleri vel non deleri de libro vitae, non solum ad

ti dal libm dei viventi.

Risposta: Alcuni sostengono che dal libro della vita nessuno può essere veramente cancellato, ma si usa dire che uno è cancellato secondo l'opinione degli uomini. Nella sacra Scrittura, infatti, si dice comunemente che una cosa acca­ de quando viene a essere conosciuta. E secondo questo modo di parlare si afferma che alcuni sono iscritti nel libro della vita in quanto gli uomini credono che vi siano isctitti, a motivo dello stato di grazia che al presente scorgono in essi. Quando però si vede, in questo mondo o nell'altro, che sono decaduti dallo stato di gra­ zia, allora si dice che ne sono cancellati. E tale cancellazione è spiegata così anche nella Glossa alle parole del Sal: Siano cancellati dal libm dei viventi. Ma siccome tra i premi dei giusti viene posto anche quello di non essere cancellato dal libro della vita, secondo il detto di Ap: Il vincito­

re sarà vestito di bianche vesti, e non cancellerò il suo nome dal lib1v della vita, e d'altra parte le

promesse fatte ai santi non esistono soltanto nel-

32 1

l/ libro della vita

opinionem hominum referendum est, sed etiam quantum ad rem. Est enim liber vitae conscriptio ordinatorum in vitam aetemam. Ad quam ordinatur aliquis ex duobus, scilicet ex praedestinatione divina, et haec ordinatio nunquam deficit; et ex gratia. Quicumque enim gratiam habet, ex hoc ipso est dignus vi­ ta aetema. Et haec ordinatio deficit interdum, quia aliqui ordinati sunt ex gratia habita ad habendum vitam aetemam, a qua tamen defi­ ciunt per peccatum mortale. Illi igitur qui sunt ordinati ad habendum vitam aetemam ex praedesti nati one divina, sunt simpliciter scripti in libro vitae, quia sunt ibi scripti ut ha­ bituri vitam aetemam in seipsa. Et isti nun­ quam delentur de libro vitae. Sed illi qui sunt ordinati ad habendum vitam aetemam, non ex praedestinatione divina, sed solum ex gratia, dicuntur esse scripti in libro vitae, non simpli­ citer, sed secundum quid, quia sunt ibi scripti ut habituri vitam aetemam, non in seipsa, sed in sua causa. Et tales possunt deleri de libro vitae, ut deletio non referatur ad notitiam Dei, quasi Deus aliquid praesciat, et postea nesciat; sed ad rem scitam, quia scilicet Deus scit aliquem prius ordinari in vitam aetemam, et postea non ordinari, cum deficit a gratia. Ad primum ergo dicendum quod deletio, ut dictum est [in co.], non refertur ad librum vi­ tae ex parte praescientiae, quasi in Deo sit aliqua mutabilitas, sed ex parte praescitorum, quae sunt mutabilia. Ad secundum dicendum quod, licet res in Deo sint immutabiliter, tamen in seipsis mutabiles sunt. Et ad hoc pertinet deletio libri vitae. Ad tertium dicendum quod eo modo quo ali­ quis dicitur deleri de libro vitae, potest dici quod ibi scribatur de novo; vel secundum opinionem hominum, vel secundum quod de novo incipit habere ordinem ad vitam aeter­ nam per gratiam. Quod etiam sub divina noti­ tia comprehenditur, licet non de novo.

Q. 24, A. 3

l'opinione degli uomini, di conseguenza si può

dire che essere cancellato o non essere cancella­ to dal libro della vita non va riferito soltanto all'opinione degli uomini, ma anche alla realtà. n libro della vita, infatti, è l' iscrizione degli esse­ ri destinati alla vita eterna Ora, uno può essere ordinato alla vita eterna in due maniere: in forza di una predestinazione divina, e questo ordina­ mento non può venir meno, e in forza della gra­ zia. Infatti chiunque ha la grazia, per ciò stesso è degno della vita eterna. Ma questa ordinazione talora failisce: poiché alcuni, pur essendo ordi­ nati a motivo della grazia ricevuta a possedere la vita eterna, tuttavia non la raggiungono per il peccato mortale. Quelli perciò che sono ordinati ad avere la vita eterna in fou.-a della divina pre­ destinazione sono iscritti puramente e semplice­ mente nel libro della vita: poiché vi sono iscritti come persone che avranno la vita eterna in se stessa. E questi non saranno mai cancellati dal libro della vita. Quelli invece che sono ordinati a possedere la vita eterna non per divina predesti­ nazione, ma solo in forza della grazia, non ven­ gono detti iscritti nel libro della vita puramente e semplicemente, ma solo in un certo senso: in quanto cioè iscritti come chiamati ad avere la vita eterna non in se stessa, ma nella sua causa. E questi ultimi possono essere cancellati dal libro della vita: non nel senso che tale cancella­ zione si riferisca alla conoscenza di Dio, come se Dio prima conoscesse una cosa e poi non la conoscesse più, ma relativamente alla cosa conosciuta, vale a dire in quanto Dio sa che uno prima era ordinato alla vita eterna e poi non lo è più, per aver perduto la grazia. Soluzione delle difficoltà: l . La cancellazione [che si può verificare] nel libro della vita non va riferita alla prescienza [divina], come se in Dio avvenisse un mutamento, ma alle persone preconosciute, che possono cambiare, come si è spiegato. 2. Sebbene le cose esistano in Dio i n maniera immutabile, in se stesse sono mutevoli. E a questa mutabilità si riferisce l'essere cancella­ ti dal libro della vita. 3. Come si dice che uno è cancellato dal libro della vita, così si può dire che vi è nuovamente iscritto: o secondo l'opinione degli uomini, o in quanto comincia, per la grazia, ad avere nuovamente ordine alla vita eterna. E tutto ciò cade anche sotto la conoscenza divina, ma non come cosa nuova.

La potenza divina

Q. 25, A. l

322

QUAESTI0 25

QUESTIONE 25

DE DIVINA POTENTIA

LA POTENZA DIVINA

Post considerationem divinae scientiae et voluntatis, et eorum quae ad hoc pertinent, restat considerandum de divina potentia [cf. q. 1 4 prol.]. Et circa hoc quaeruntur sex. Pri­ mo, utrum in Deo sit potentia. Secundo, utrum eius potentia sit infinita. Tertio, utrum sit omnipotens. Quarto, utrum possit facere quod ea quae sunt praeterita, non fuerint. Quinto, utrum Deus possit facere quae non facit, vel praetermittere quae facit. Sexto, utrum quae facit, possit facere meliora.

Dopo lo studio della scienza e della volontà divina, e delle cose che ad esse si riconnetto­ no, rimane da considerare la potenza divina. In proposito si pongono sei quesiti: l . In Dio c'è la potenza? 2. La sua potenza è infinita? 3. Dio è onnipotente? 4. Dio può fare che le cose passate non siano state? 5 . Può fare quello che non fa, o tralasciare quello che fa? 6. Le cose che fa può farle migliori?

Articulus l

Articolo l

Utrum in Deo sit potentia

In Dio c'è la potenza?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod i n Deo non sit potentia. l. Sicut enim prima materia se habet ad po­ tentiam, ita Deus, qui est agens primum, se habet ad actum. Sed prima materia, secundum se considerata, est absque omni actu. Ergo agens primum, quod est Deus, est absque potentia 2. Praeterea, secundum philosophum, in 9 Met. [8,9, 1], qualibet potentia melior est eius actus, nam forma est melior quam materia, et actio quam potentia activa; est enim finis eius. Sed nihil est melius eo quod est in Deo, quia quid­ quid est in Deo, est Deus, ut supra [q. 3 a. 3] ostensum est. Ergo nulla potentia est in Deo. 3 . Praeterea, potentia est principium operatio­ nis. Sed operatio divina est eius essentia, cum in Deo nullum sit accidens. Essentiae autem divinae non est aliquod principium. Ergo ratio potentiae Deo non convenit. 4. Praeterea, supra [q. 14 a. 8; q. 1 9 a. 4] ostensum est quod scientia Dei et voluntas eius sunt causa rerum. Causa autem et princi­ pium idem sunt. Ergo non oportet in Deo as­ signare potentiam, sed solum scientiam et voluntatem. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 88 [9],

Sembra di no. Infatti: l. Come la materia prima sta alla potenza, così Dio, primo agente, sta all'atto. Ma la ma­ teria prima, considerata in sé, è senza alcun atto. Quindi il primo agente, che è Dio, è sen­ za potenza. 2. Dice il Filosofo che migliore di qualsiasi potenza è il suo atto: poiché la forma è mi­ gliore della materia, e l'azione è migliore del­ la potenza attiva: è infatti il suo fine. Ma nulla è meglio di ciò che è in Dio: poiché tutto ciò che è in Dio è Dio, come sopra abbiamo dimostrato. Quindi in Dio non vi è potenza alcuna. 3. La potenza è il principio dell'operazione. Ora, l' operazione divina è la sua essenza, poi­ ché in Dio non vi è alcun accidente. Ma l'es­ senza divina non ha principio alcuno. Quindi l'attributo della potenza non conviene a Dio. 4. Sopra abbiamo dimostrato che la scienza di Dio e la sua volontà sono la causa delle cose. Ma la causa e il principio sono identici. Quin­ di non bisogna ammettere in Dio la potenza, ma solo la scienza e la volontà. In contrario: nel Sal è scritto: Sei potente,

potens es, Domine, et veritas tua in circuitu tuo.

Risposta: vi è una duplice potenza: quella passiva, che in nessun modo è in Dio, e quella attiva, che deve essere attribuita a Dio i n grado sommo. È evidente, infatti, che ogni essere è principio attivo di qualcosa in quanto è in atto ed è perfetto, e invece è passivo in quanto è difettoso e imperfetto. Ora, sopra si è dimostrato che Dio è atto puro, assoluta-

Respondeo dicendum quod duplex est po­ tentia, scilicet passiva, quae nullo modo est in Deo; et activa, quam oportet in Deo summe ponere. Manifestum est enim quod unum­ quodque, secundum quod est actu et perfec­ tum, secundum hoc est principium activum alicuius, patitur autem unumquodque, secun-

Signore, e la tua verità tifa comna.

323

La potenza divina

dum quod est deficiens et imperfectum. Os­ tensum est autem supra [q. 3 a. l ; q. 4 aa. 1 -2] quod Deus est purus actus, et simpliciter et universaliter perfectus; neque in eo aliqua imperfectio locum habet. Unde sibi maxime competit esse principium activum, et nullo modo patì. Ratio autem activi principii con­ venit potentiae activae. Nam potentia activa est principium agendi in aliud, potentia vero passiva est principium patiendi ab alio, u t philosophus dicit , 5 Met. [4, 1 2,2]. Relinquitur ergo quod in Deo maxime sit potentia activa. Ad primum ergo dicendum quod potentia activa non dividitur contra actum, sed funda­ tur in eo, nam unumquodque agit secundum quod est actu. Potentia vero passiva dividitur contra actum, nam unumquodque patitur secundum quod est in potentia. Unde haec potentia excluditur a Deo, non autem activa. Ad secundum dicendum quod, quandocum­ que actus est aliud a potentia, opm1et quod actus sit nobilior potentia. Sed actio Dei non est aliud ab eius potentia, sed utrumque est essentia divina, quia nec esse eius est aliud ab eius essentia. Unde non oportet quod aliquid sit nobilius quam potentia Dei. Ad tertium dicendum quod potentia in rebus creatis non solum est principium actionis, sed etiam effectus. Sic igitur in Deo salvatw· ratio potentiae quantum ad hoc, quod est princi­ pium effectus, non autem quantum ad hoc, quod est principium actionis, quae est divina essentia. Nisi forte secundum modum intelli­ gendi, prout divina essentia, quae in se sim­ pliciter praehabet quidquid perfectionis est in rebus creatis, potest intelligi et sub ratione actionis, et sub ratione potentiae; sicut etiam intelligitur et sub ratione suppositi habentis naturam, et sub ratione naturae. Ad quartum dicendum quod potentia non ponitur in Deo ut aliquid differens a scientia et voluntate secundum rem, sed solum secun­ dum rationem; inquantum scilicet potentia im­ portat rationem principii exequentis id quod voluntas imperat, et ad quod scientia dirigit; quae tria Deo secundum idem conveniunt. Vel dicendum quod ipsa scientia vel voluntas divi­ na, secundum quod est principium effectivum, habet rationem potentiae. Unde consideratio scientiae et voluntatis praecedit in Deo con­ siderationem potentiae, sicut causa praecedit operationem et effectum.

Q. 25, A. l

mente e universalmente perfetto, e i n lui non vi può essere imperfezione alcuna. Quindi a lui compete al massimo grado di essere prin­ cipio attivo, e in nessun modo passivo. Ma la natura di principio attivo conviene alla poten­ za attiva: infatti la potenza attiva è il principio dell'agire verso l' altro, mentre la potenza pas­ siva è un principio di passività, come dice il Filosofo. Resta dunque che i n Dio vi sia la potenza attiva al massimo grado. Soluzione delle difficoltà: l . La potenza attiva non si contrappone all' atto, ma si fonda in esso: poiché ogni essere agisce in quanto è in atto. La potenza passiva invece si contrappone all'atto, poiché ogni essere è passivo in quan­ to è in potenza. Quindi da Dio si esclude que­ sta potenza, non già quella attiva. 2. Ogniqualvolta l'atto è distinto dalla poten­ za, è necessario che esso sia superiore alla potenza. Ora, l'azione di Dio non è qualcosa di distinto dalla sua potenza, ma l'una e l'altra si identificano con l ' essenza divina, poiché neppure l'essere si distingue in Dio dalla sua essenza. Non c'è dunque da supporre che vi sia qualcosa di superiore alla potenza di Dio. 3. Nelle cose create la potenza non è principio soltanto dell' azione, ma anche degli effetti. Quindi in Dio si salva la nozione di potenza in quanto causa degli effetti, non però in quan­ to principio dell' azione, poiché questa si iden­ tifica con l 'essenza di Dio. A meno che [non si voglia dire], secondo il nostro modo di in­ tendere, che l'essenza divina, che precontiene in sé in modo indiviso tutte le perfezioni esi­ stenti nelle cose create, può essere concepita e come azione e come potenza: come del resto Dio viene concepito e come supposito avente la sua natura e come natura. 4. La potenza non si pone in Dio come qual­ cosa che differisca realmente dalla scienza e dalla volontà, ma solo concettualmente, i n quanto cioè l a potenza implica l a nozione di causa che esegue ciò che la volontà comanda e la scienza dirige: le quali tre cose in Dio sono una stessa realtà. - O si può anche dire che la stessa scienza, o la volontà divina, in quanto princìpi di operazione, presentano l' aspetto di potenza. E per questo la [nostra] considerazione della scienza e della volontà divina precede la considerazione della po­ tenza [di Dio], come la causa precede l ' ope­ razione e l 'effetto.

Q. 25, A. 2

La potenza divina

324

Articulus 2 Utrum potentia Dei sit infinita

Articolo 2 La potenza di Dio è infinita?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod potentia Dei non sit infinita. l . Omne enim infinitum est imperfectum, se­ cundum philosophum, in 3 Phys. [6,8] . Sed potentia Dei non est imperfecta. Ergo non est infinita. 2. Praeterea, omnis potentia manifestatur per effectum, alias frustra esset. Si igitur potentia Dei esset infinita, posset tacere effectum infi­ nitum. Quod est impossibile. 3. Praetcrca, philosophus probat in 8 Phys. [10,2], quod si potentia alicuius corporis esset infinita, moveret in instanti. Deus autem non movet in instanti, sed movet creaturam spiri­

Sembra di no. Infatti: l . Ogni infinito, secondo il Filosofo, è imper­ fetto. Ma la potenza di Dio non è imperfetta. Quindi non è infinita. 2. Ogni potenza si manifesta attraverso gli effetti, altrimenti sarebbe inutile. Se dunque la potenza di Dio fosse infinita, potrebbe pro­ durre un effetto infinito, il che è impossibile. 3. Il Filosofo prova che se la potenza di un corpo fosse infinita, esso muoverebbe istanta­ neamente. Ora, Dio non muove istantanea­ mente, ma «muove la creatura spitituale nel tempo, e la creatura corporea nel luogo e nel tempo», secondo l'espressione di Agostino. La sua potenza non è dunque infinita. In contrario: Ilario dice che Dio è di immensa virtù, vivente e potente. Ma tutto ciò che è [im­ menso, cioè] senza misura, è infinito. Quindi la virtù divina è infinita. Risposta: come abbiamo già detto, in Dio si trova la potenza attiva, poiché egli è in atto. Ma il suo essere è infinito, in quanto non è limitato da un soggetto che lo riceve, come risulta da ciò che si è detto ,a proposito dell'in­ finità dell'essenza divina. E necessario perciò che la potenza attiva di Dio sia infinita. Infatti in tutti gli agenti si riscontra questo, che quan­ to più perfettamente un agente possiede la forma in virtù della quale agisce, tanto mag­ giore è la sua potenza attiva. Come più un corpo è caldo, tanto maggiore è il suo potere di riscaldamento; e potrebbe avere una poten­ za infinita di riscaldamento se il suo calore fosse infinito. Quindi, siccome l'essenza divi­ na, con la quale Dio agisce, è infinita, come si è già dimostrato, ne viene che la sua potenza è infinita. Soluzione delle difficoltà: l . li Filosofo parla dell'infinito che appartiene alla materia non determinata da una forma: e questo è l'infini­ to che conviene alla quantità. Ma non così è infinita la divina essenza, come si è già dimo­ strato: quindi neppure la divina potenza. Non ne segue, perciò, che questa sia imperfetta. 2. Solo la potenza di una causa univoca si ma­ nifesta tutta nel suo effetto: come la potenza generativa dell'uomo non può [fare] nulla di più che generare un uomo. Ma la potenza di una causa non univoca non si manifesta tutta

tualem per tempus, creaturam vem cmpora­ lem per locum et tempus, secundum Augusti­

num, 8 Super Gen. [20.22]. Non ergo est eius potentia infinita. Sed contra est quod dicit Hilarius, 8 De Trin. [24], quod Deus est immensae virtutis, vi­ vens, potens. Omne autem immensum est in­ finitum. Ergo virtus divina est infinita. Respondeo dicendum quod, sicut iam [a. l ] dictum est, secundum hoc potentia activa inve­ nitur in Deo, secundum quod ipse actu est. Esse autem eius est intinitum, inquantum non est limitatum per aliquid recipiens; ut patet per ea quae supra [q. 7 a. l ] dieta sunt, cum de in­ finitate divinae essentiae ageretur. Unde neces­ se est quod activa potentia Dei sit infinita. In omnibus enim agentibus hoc invenitur, quod quanto aliquod agens peifectius habet formam qua agit, tanto est maior eius potentia in agen­ do. Sicut quanto est aliquid magis calidum, tanto habet maiorem potentiam ad calefa­ ciendum, et haberet utique potentiam infinitam ad calefaciendum, si eius calor esset infinitus. Unde, cum ipsa essentia divina, per quam Deus agit, sit infinita, sicut supra [q. 7 a. l ] ostensum est, sequitur quod eius potentia sit infinita. Ad primum ergo dicendum quod philosophus loquitur de infinito quod est ex parte materiae non terminatae per formam; cuiusmodi est in­ finitum quod congruit quantitati. Sic autem non est infinita divina essentia, ut supra [q. 7 a. l ] ostensum est; et per consequens nec eius po­ tentia. Unde non sequitur quod sit imperfecta. Ad secundum dicendum quod potentia agen­ tis univoci tota manifestatur in suo effectu,

La potenza divina

325

Q. 25, A. 2

potentia enim generativa hominis nihil potest plus quam generare hominem. Sed potentia agentis non univoci non tota manifestatur in sui effectus productione, sicut potentia solis non tota manifestatur in productione alicuius animalis ex putrefactione generati. Manifes­ tum est autem quod Deus non est agens uni­ vocum, nihil enim aliud potest cum eo con­ venire neque in specie, neque in genere, ut su­ pra [q. 3 a. 5] ostensum est. Unde relinquitur quod effectus eius semper est minor quam potentia eius. Non ergo oportet quod manifes­ tetur infinita potentia Dei in hoc, quod pro­ ducat effectum infinitum. Et tamen, etiam si nullum effectum produceret, non esset Dei potentia frustra. Quia frustra est quod ordi­ natur ad fmem, quem non attingit, potentia autem Dei non ordinatur ad effectum sicut ad finem, sed magis ipsa est finis sui effectus. Ad tertium dicendum quod philosophus in 8 Phys. [ 1 0,9], probat, quod si aliquod corpus haberet potentiam infinitam, quod moveret in non tempore. Et tamen ostendit [Phys. 8, 10,2], quod potentia motoris caeli est infinita, quia movere potest tempore infinito. Relinquitur ergo secundum eius intentionem, quod poten­ tia infinita corporis si esset, moveret in non tempore, non autem potentia incorporei moto­ ris. Cuius ratio est, quia corpus movens aliud corpus, est agens univocum. Unde oportet quod tota potentia agentis manifestetur in ma­ tu. Quia igitur quanto moventis corporis poten­ tia est maior, tanto velocius movet, necesse est quod si fuerit infinita, moveat improportionabi­ liter citius, quod est movere in non tempore. Sed movens incorporeum est agens non univo­ cum. Unde non oportet, quod tota virtus eius manifestetur in motu ita, quod moveat in non tempore. Et praesertim, quia movet secundum dispositionem suae voluntatis.

nella produzione del suo effetto: come la po­ tenza del sole non si manifesta tutta nella pro­ duzione di un animale generato dalla fermen­ tazione. Ora, è chiaro che Dio non è un agente univoco, poiché nessun'altra cosa può avere in comune con lui la specie o il genere, come sopra fu dimostrato. Resta perciò che il suo effetto è sempre al disotto della sua potenza. Non è dunque richiesto che la potenza di Dio manifesti la sua infinità producendo un effetto infinito. - E tuttavia, anche se non producesse alcun effetto, la potenza di Dio non sarebbe vana. Poiché vano è ciò che non raggiunge il fine al quale è stato ordinato; ma la potenza di Dio non è ordinata agli effetti come a un fine, anzi, è essa stessa il fine dei suoi effetti. 3. Nel luogo citato il Filosofo prova che, se un corpo avesse un potere infinito, muovereb­ be al di fuori del tempo; tuttavia dimostra che la potenza del motore del cielo è infinita per­ ché può muovere per un tempo infinito. Resta dunque, secondo il suo pensiero, che la poten­ za infinita di un corpo, se si desse, muovereb­ be al di fuori del tempo; non invece la poten­ za di un motore incorporeo. E la ragione è che un corpo il quale muove un altro corpo è un agente univoco, quindi è necessario che tutta la potenza di tale agente si manifesti nel moto. Quanto infatti più grande è la potenza di un corpo motore, tanto più veloce è i l movimento che imprime: s e quindi essa fosse infinita muoverebbe necessariamente con una velocità illimitata, e ciò equivarrebbe a muo­ vere fuori del tempo. Ma il motore incorporeo non è un agente univoco, quindi non c'è biso­ gno che la sua potenza si manifesti tutta nel moto, fino a muovere fuori di ogni tempo. E specialmente perché muove secondo il bene­ placito della sua volontà.

Articulus 3 Utrum Deus sit omnipotens

Articolo 3 Dio è onnipotente?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Deus non sit omnipotens. l . Moveri enim et pati aliquid omnium est. Sed hoc Deus non potest, est enim immobilis, ut supra [q. 2 a. 3; q. 9 a. l ] dictum est. Non igitur est omnipotens. 2. Praeterea, peccare aliquid agere est. Sed Deus non potest peccare, neque seipsum negare,

Sembra di no. Infatti: l. Essere mosso e subire un' azione è una delle tante cose [possibili]. Ma Dio non lo può fare, essendo immobile, come si è dimo­ strato sopra. Quindi non è onnipotente. 2. Peccare è un fare qualcosa. Ma Dio non può peccare, né rinnegare se stesso, come è detto in 2 Tm. Quindi Dio non è onnipotente.

Q. 25, A. 3

La potenza divina

ut dicitur 2 Tim. 2 [ 1 3]. Ergo Deus non est omnipotens. 3. Praeterea, de Deo dicitur quod omnipoten­

tiam suam parcendo maxime et miserando ma­ nifestar [Collecta Dom. X post Pentecostem].

Ultimum igitur quod potest divina potentia, est parcere et misereri. Aliquid autem est multo maius quam parcere et misereri; sicut creare alium mundum, vel aliquid huiusmodi. Ergo Deus non est omnipotens. 4. Praeterea, super illud l Cor. l [20], stultam fecit Deus sapientiam huius mundi, dicit Glos­ sa, sapientiam huius mundifecit Deus stultam,

ostendendo possibile, quod illa impossibile iudicabat. Unde videtur quod non sit aliquid

iudicandum possibile vel impossibile se­ cundum inferiores causas, prout sapientia huius mundi iudicat; sed secundum potentiam divinam. Si igitur Deus sit omnipotens, omnia erunt possibilia. Nihil ergo impossibile. Subla­ to autem impossibili, tollitur necessarium, nam quod necesse est esse, impossibile est non esse. Nihil ergo erit necessarium in rebus, si Deus est omnipotens. Hoc autem est impossibile. Ergo Deus non est omnipotens. Sed contra est quod dicitur Luc. l [37], 1wn

erit impossibile apud Deum omne verbum.

Respondeo dicendum quod communiter con­ fitentur omnes Deum esse omnipotentem. Sed rationem omnipotentiae assignare videtur difficile. Dubium enim potest esse quid com­ prehendatur sub ista distributione, cum dicitur omnia posse Deum. Sed si quis recte consi­ deret, cum potentia dicatur ad possibilia, cum Deus omnia posse dicitur, nihil rectius intelli­ gitur quam quod possit omnia possibilia, et ob hoc omnipotens dicatur. Possibile autem dicitur dupliciter, secundum philosophum, in 5 Met. [4, 12, 10]. Uno modo, per respectum ad aliquam potentiam, sicut quod subditur humanae potentiae, dicitur esse possibile homini. Non autem potest dici quod Deus dicatur omnipotens, quia potest omnia quae sunt possibilia naturae creatae, quia divina potentia in plura extenditur. Si autem dicatur quod Deus sit omnipotens, quia potest omnia quae sunt possibilia suae potentiae, erit circulatio in manifestatione omnipotentiae, hoc enim non erit aliud quam dicere quod Deus est omnipotens, quia potest omnia quae potest. Relinquitur igitur quod Deus dicatur omnipotens, quia potest omnia possibilia

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3. Di Dio si dice: «Manifesta al sommo la sua onnipotenza perdonando e usando misericor­ dia». Quindi l'estremo limite della potenza divina è il perdonare e l'aver misericordia. Ma c'è qualcosa di molto più grande del perdonare e dell'usare misericordia: per es. creare un altro mondo, o [fare] qualche altra opera di questo genere. Quindi Dio non è onnipotente. 4. La Glossa, commentando il passo di l Cor.

Dio hafatto vedere come è stolta la sapienza di questo mondo, dice: «Dio ha tatto vedere come

è stolta la sapienza del mondo mostrando possi­ bile ciò che essa giudicava impossibile». Quindi sembra che non dobbiamo giudicare se una cosa è possibile o impossibile in base alle cause inferiori, come giudica la sapienza mondana, ma secondo la potenza divina. Se dunque si ammette che Dio è onnipotente, tutte le cose saranno possibili. Quindi nulla sarà impossibile. Ma tolto l'impossibile, è levato di mezzo i l necessario: poiché ciò che è necessario è impos­ sibile che non sia. Non vi sarà dunque nulla di necessario nelle cose, se Dio è onnipotente. Ma ciò è assurdo. Quindi Dio non è onnipotente. In contrario: in Le è detto: Nessuna parola è

impossibile a Dio.

Risposta: tutti sono d'accordo nel riconoscere che Dio è onnipotente. Ma il difficile sta nel­ l'assegnare la ragione dell'onnipotenza, poi­ ché, quando si dice che Dio può tutto, resta in dubbio che cosa si comprenda sotto questo ter­ mine collettivo [tutto]. Se però si esamina bene la cosa, siccome potenza si dice relativamente ai possibili, quando si dice che Dio può tutto non si può intendere meglio di così: che può tutto ciò che è possibile, e che per questo è detto onnipotente. Ora, secondo il Filosofo, il termine possibile è preso in due sensi. Primo, in relazione a una potenza particolare: come ciò che è sottoposto alla potenza umana è detto possibile all 'uomo. Ma non si può dire che Dio è onnipotente perché può tutto ciò che è possibile alla natura creata: poiché la potenza divina si estende molto oltre. E se d'altra parte uno dicesse che Dio è onnipotente perché può tutto ciò che è possibile alla sua potenza, farebbe un circolo vizioso nello spiegare l'on­ nipotenza: con ciò infatti non si verrebbe a dire nient'altro che questo: che Dio è onnipotente perché può tutto ciò che può. Resta dunque che Dio sia detto onnipotente perché può tutte le cose che sono possibili. E questo è il secon-

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La potenza divina

absolute, quod est alter modus dicendi pos­ sibile. Dicitur autem aliquid possibile vel impossibile absolute, ex habitudine termino­ rum, possibile quidem, quia praedicatum non repugnat subiecto, ut Socratem sedere; im­ possibile vero absolute, quia praedicatum re­ pugnat subiecto, ut hominem esse asinum. Est autem considerandum quod, cum unum­ quodque agens agat sibi simile, unicuique potentiae activae correspondet possibile u t obiectum proprium, secundum rationem illius actus in quo fundatur potentia activa, sicut potentia calefactiva refertur, ut ad proprium obiectum, ad esse calefactibile. Esse autem divinum, super quod ratio divinae potentiae fundatur, est esse infinitum, non limitatum ad aliquod genus entis, sed praehabens i n se totius esse perfectionem. Unde quidquid po­ test habere rationem entis, continetur sub possibilibus absolutis, respectu quorum Deus dicitur omnipotens. Nihil autem opponitur rationi entis, nisi non ens. Hoc igitur repugnat rationi possibilis absoluti, quod subditur di­ vinae omnipotentiae, quod implicat in se esse et non esse simul. Hoc enim omnipotentiae non subditur, non propter defectum divinae potentiae; sed quia non potest habere ratio­ nem factibilis neque possibilis. Quaecumque igitur contradictionem non implicant, sub illis possibilibus continentur, respectu quorum dicitur Deus omnipotens. Ea vero quae con­ tradictionem i mplicant, sub divina omnipo­ tentia non continentur, quia non possunt habere possibilium rationem. Unde conve­ nientius dicitur quod non possunt fieri, quam quod Deus non potest ea facere. Neque hoc est contra verbum angeli dicentis [Luc. l ,37],

non erit impossibile apud Deum omne ver­ bum. Id enim quod contradictionem implicat,

verbum esse non potest, quia nullus intellec­ tus potest illud concipere. Ad primum ergo dicendum quod Deus dicitur omnipotens secundum potentiam activam, non secundum potentiam passivam, ut dictum est [in co.]. Unde, quod non potest moveri et patì, non repugnat omnipotentiae. Ad secundum dicendum quod peccare est de­ ficere a perfecta actione, unde posse peccare est posse deficere in agendo, quod repugnat omnipotentiae. Et propter hoc, Deus peccare non potest, qui est omnipotens. Quamvis phi­ losophus dicat, in 4 Topic. [5,7], quod potest

Q. 25, A. 3

do senso in cui si prende il termine possibile. Ora, una cosa è detta possibile o impossibile, assolutamente parlando, secondo il rapporto dei termini: possibile quando il predicato non ripugna al soggetto, come [nell'espressione] : Socrate siede; assolutamente impossibile, inve­ ce, quando il predicato ripugna al soggetto, come [nell' espressione] : l 'uomo è un asino. B isogna però considerare che, siccome ogni agente produce un effetto simile a sé, a ogni potenza attiva corrisponde un possibile come oggetto proprio, secondo la natura dell'atto su cui si fonda la potenza attiva: per es. la potenza calorifica si riferisce, come al proprio oggetto, a ciò che è suscettibile di essere riscaldato. Ora, l'essere divino, su cui si fonda la ragione della potenza divina, è l'essere infinito, non limitato a un qualche genere di enti, ma avente in sé, in antecedenza, la perfezione di tutto l'essere. Quindi tutto ciò che può avere ragione di ente è contenuto tra i possibili assoluti, a riguardo dei quali Dio viene detto onnipotente. Ma nulla si oppone alla ragione di ente al di fuori del non ente. Quindi alla ragione di possibile assoluto, oggetto dell'onnipotenza divina, ripugna solo ciò che implica in sé l'essere e il non essere simultaneamente. Ciò, infatti, è fuori del do­ minio della divina onnipotenza: non per un di­ fetto della potenza di Dio, ma perché non ha la natura di cosa fattibile o possibile. Così tutto ciò che non implica contraddizione è contenu­ to tra quei possibili rispetto ai quali Dio è detto onnipotente; tutto ciò che invece implica con­ traddizione non rientra sotto la divina onnipo­ tenza, in quanto non può avere la natura di cosa possibile. Quindi è più esatto dire: ciò non può essere fatto, piuttosto che dire: Dio non lo può fare. E questa spiegazione non contrasta con le parole dell' angelo: Nessuna parola è impossibile a Dio. Infatti ciò che implica con­ traddizione non può essere una parola: poiché nessun intelletto può concepirlo. Soluzione delle difficoltà: l . Dio è detto onni­ potente secondo la potenza attiva, non secondo la potenza passiva, come si è spiegato. Quindi il non essere capace di movimento e di passi­ vità non è un ostacolo alla sua onnipotenza. 2. Peccare è un difetto di perfezione nell' atto: quindi il poter peccare è un poter venir meno nell' agire, il che ripugna all'onnipotenza. Ed è appunto per questo che pio non può pecca­ re: perché è onnipotente. E vero, tuttavia, che -

Q. 25, A. 3

La potenza divina

Deus et studiosus prava agere. Sed hoc intel­ ligitur vel sub conditione cuius antecedens sit impossibile, ut puta si dicamus quod potest Deus prava agere si velit, nihil enim prohibet conditionalem esse veram, cuius antecedens et consequens est impossibile; sicut si dica­ tur, si homo est asinus, habet quatuor pedes. Vel ut intelligatur quod Deus potest aliqua agere, quae nunc prava videntur; quae tamen si ageret, bona essent. Vel loquitur secundum communem opinionem gentilium, qui ho­ mines dicebant transferri in deos, ut lovem vel Mercurium. Ad tertium dicendum quod Dei omnipotentia ostenditur maxime in parcendo et miserando, quia per hoc ostenditur Deum habere sum­ mam potestatem, quod libere peccata dimittit, eius enim qui superioris legi astringitur, non est libere peccata condonare. Vel quia, parcen­ do hominibus et miserando, perducit eos ad participationem infiniti boni, qui est ultimus effectus divinae virtutis. Vel quia, ut supra [q. 21 a. 4] dictum est, effectus divinae miseri­ cordiae est fundamentum omnium divinorum operum, nihil enim debetur alicui nisi propter id quod est datum ei a Deo non debitum. In hoc autem maxime divina omnipotentia mani­ festatur, quod ad ipsam pertinet prima institu­ tio omnium bonorum. Ad quartum dicendum quod possibile absolu­ tum non dicitur neque secundum causas supe­ riores, neque secundum causas inferiores sed secundum seipsum. Possibile vero quod dici­ tur secundum aliquam potentiam, nominatur possibile secundum proximam causam. Unde ea quae immediate nata sunt fieri a Deo solo, ut creare, iustificare, et huiusmodi, dicuntur possibilia secundum causam superiorem, quae autem nata sunt fieri a causis inferioribus, di­ cuntur possibilia secundum causas inferiores. Nam secundum conditionem causae proxi­ mae, effectus habet contingentiam vel necessi­ tatem, ut supra [q. 1 4 a. 1 3 ad l ] dictum est. In hoc autem reputatur stulta mundi sapientia, quod ea quae sunt impossibilia naturae, etiam Deo impossibilia iudicabat. Et sic patet quod omnipotentia D e i i mpossi b i li tatem et necessitatem a rebus non excludit.

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il Filosofo ha scritto: Dio e il giusto possono compiere cose cattive. Ma questa espressione va intesa o come una proposizione condizio­ nale la cui protasi è impossibile, come se si dicesse che Dio potrebbe fare del male se lo volesse: poiché nulla impedisce che una pro­ posizione condizionale sia vera benché la pro­ tasi e l'apodosi siano false; come se si dices­ se: Se l'uomo è un asino, ha quattro zampe. Oppure va interpretata nel senso che Dio potrebbe fare delle cose che ora sembrano cattive, ma che se fossero fatte da lui sarebbe­ ro buone. O [infine si può dire che] egli parla secondo l ' opinione comune dei pagani, i quali dicevano che certi uomini erano trasfor­ mati in dèi, per es. in Giove o in Mercurio. 3. L' onnipotenza divina si manifesta al sommo grado nel perdonare e nell'usare misericordia perché in tal maniera, col rimettere liberamen­ te i peccati, Dio mostra di avere la suprema potestà: intàtti chi è sottoposto alla legge di un superiore non può condonare i peccati a suo piacimento. - O si può anche dire che, perdo­ nando agli uomini e avendone pietà, li condu­ ce alla partecipazione del bene infinito, che è l'ultimo effetto della potenza divina. - Oppure perché, come sopra si è detto, l'effetto della divina misericordia è il fondamento di tutte le opere divine: poiché nulla è dovuto a chicches­ sia se non in base a ciò che gli è stato dato da Dio [gratuitamente]. E la divina onnipotenza si manifesta al sommo appunto nel fatto che ad essa risale la prima costituzione di tutti i beni. 4. ll possibile assoluto viene considerato non rispetto alle cause superiori, né riguardo alle cause inferiori, ma in se stesso. Il possibile invece che è detto tale in rapporto a una poten­ za qualsiasi è denominato possibile in relazio­ ne alla sua causa prossima. Quindi le cose che possono essere fatte direttamente solo da Dio, come creare, giustificare e simili, sono dette possibili in rapporto alla causa superiore; le cose invece che possono essere tàtte dalle cau­ se inferiori sono dette possibili relativamente alle cause inferiori. E infatti l'effetto trae la sua contingenza o la sua necessità dalla condizione della causa prossima, come fu spiegato sopra. Ora, la sapienza del mondo è reputata stolta proprio perché giudicava impossibile anche per Dio ciò che è impossibile alla natura. E così è evidente che l' onnipotenza di Dio non esclude dalle cose l'impossibilità e la necessità.

La potenza divina

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Q . 25, A. 4

Articulus 4 Utrum Deus possit facere quod praeterita non fuerint

Articolo 4 Dio può fare che le cose passate non siano state?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Deus possit facere quod praeterita non fuerint. l . Quod enim est impossibile per se, magis est impossibile quam quod est impossibile per accidens. Sed Deus potest facere id quod est impossibile per se, ut caecum illuminare, vel mortuum resuscitare. Ergo multo magis po­ test Deus facere illud quod est impossibile per accidens. Sed praeterita non fuisse, est impos­ sibile per accidens, accidit enim Socratem non currere esse impossibile, ex hoc quod praeteriit. Ergo Deus potest facere quod prae­ terita non fuerint. 2. Praeterea, quidquid Deus facere potuit, potest, cum eius potentia non minuatur. Sed Deus potuit facere, antequam Socrates cur­ reret, quod non curreret. Ergo, postquam cu­ currit, potest Deus facere quod non cucurrerit. 3. Praeterea, caritas est maior virtus quam virginitas. Sed Deus potest reparare caritatem amissam. Ergo et virginitatem. Ergo potest facere quod illa quae corrupta fuit, non fuerit corrupta. Sed contra est quod Hieronymus dicit [ep. 22 ad Eustoch. 5], cum Deus omnia possit, non potest de corrupta facere incorruptam. Ergo eadem ratione non potest facere de quocumque alio praeterito quod non fuerit. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 3; et q. 7 a. 2 ad l] dictum est, sub omnipotentia Dei non cadit aliquid quod contradictionem implicat. Praeterita autem non fuisse, contra­ dictionem implicat. Sicut enim contradictio­ nem implicat dicere quod Socrates sedet et non sedet, ita, quod sederit et non sederit. Dicere autem quod sederit, est dicere quod sit praeteritum, dicere autem quod non sederit, est dicere quod non fuerit. Unde praeterita non fuisse, non subiacet divinae potentiae. Et hoc est quod Augustinus dicit, Contra Faustum [25,5], quisquis ita dicit, si Deus

Sembra di sì. Infatti: l . Ciò che è impossibile di per sé è più im­ possibile di ciò che è impossibile accidental­ mente. Ora, Dio può fare ciò che è impossibi­ le di per sé, come dare la vista a un cieco o risuscitare un morto. Quindi molto più Dio può fare ciò che è impossibile accidentalmen­ te. Ma che le cose passate non siano state è impossibile accidentalmente: è infatti impos­ sibile accidentalmente che Socrate non corra per il fatto che [ormai] è una cosa passata. Quindi Dio può far sì che le cose passate non siano state. 2. Ciò che Dio ha potuto lo può ancora, per­ ché la sua potenza non è diminuita. Ma Dio, prima che Socrate corresse, poteva far sì che non corresse. Quindi, dopo che ha corso, Dio può far sì che non abbia corso. 3. La carità è una virtù più grande della vergi­ nità. Ma Dio può ripristinare la carità perduta. Quindi anche la verginità. E così può far sì che una donna che fu violata non sia stata violata. In contrario: dice Girolamo: «Dio, pur poten­ do tutto, non può rendere inviolata una donna violata». Quindi, per la stessa ragione, non può fare in modo che qualsiasi altro evento passato non sia avvenuto. Risposta: abbiamo detto sopra che nell' onni­ potenza di Dio non rientra ciò che implica contraddizione. Ora, che le cose passate non siano avvenute implica contraddizione. Come infatti è contraddittorio il dire che Socrate sie­ de e che non siede, così è contraddittorio dire che stette seduto e che non stette seduto. Ma dire che stette seduto è dire che la cosa è avve­ nuta; dire invece che non stette seduto è af­ fermare che la cosa non è avvenuta. Quindi che le cose passate non siano state non soggia­ ce alla divina potenza. Ed è quanto afferma Agostino: «Chiunque dice così: Se Dio è on­ nipotente faccia sì che le cose avvenute non siano avvenute, non si accorge che dice que­ sto: Se Dio è onnipotente, faccia sì che ciò che è vero, per il fatto stesso che è vero, sia falso». E anche il Filosofo dice: «Di una sola capacità è privo Dio: di far sì che non sia avvenuto ciò che è avvenuto».

omnipotens est, faciat ut quae facta sunt, facta non fuerint, non videt hoc se dicere, si Deus omnipotens est, faciat ut ea quae vera sunt, eo ipso quod vera sunt, falsa sint. Et philosophus dicit, in 6 Ethic. [2,6], quod hoc solo privatur Deus, ingenita facere quae sunt facta.

La potenza divina

Q. 25, A. 4

Ad primum ergo dicendum quod, licet praete­ rita non fuisse sit impossibile per accidens, si consideretur id quod est praeteritum, idest cur­ sus Socratis; tamen, si consideretur praeteri­ tum sub ratione praeteriti, ipsum non fuisse est impossibile non solum per se, sed absolute, contradictionem implicans. Et sic est magis impossibile quam mortuum resurgere, quod non implicat contradictionem, quod dicitur impossibile secundum aliquam potentiam, sci­ licet naturalem. Talia enim impossibilia divi­ nae potentiae subduntur. Ad secundum dicendum quod sicut Deus, quantum est ad perfectionem divinae poten­ tiae, omnia potest, sed quaedam non subia­ cent eius potentiae, quia deficiunt a ratione possibilium; ita, si attendatur i mmutabilitas divinae potentiae, quidquid Deus potuit, po­ test; aliqua tamen olim habuerunt rationem possibilium, dum erant fienda, quae iam de­ ficiunt a ratione possibilium, dum sunt facta. Et sic dicitur Deus ea non posse, quia ea non possunt fieri. Ad tertium dicendum quod omnem corruptio­ nem mentis et corporis Deus auferre potest a muliere corrupta, hoc tamen ab ea removeri non poterit, quod comtpta non fuerit. Sicut etiam ab aliquo peccatore auferre non potest quod non peccaverit, et quod cruitatem non amiserit.

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Soluzione delle difficoltà: l . Sebbene sia vero che, a considerare la cosa [passata], per es. il correre di Socrate, in se stessa, il suo non es­ sere avvenuta risulta impossibile accidental­ mente, tuttavia, se si considera la cosa passata in quanto passata, allora il suo non essere av­ venuta risulta impossibile non solo di per sé, ma _assolutamente, implicando contraddizio­ ne. E quindi più impossibile della risurrezione di un morto, che non implica contraddizione, ma è detta impossibile relativamente a una certa potenza, cioè a quella naturale. Questi impossibili, i nfatti, rientrano nella potenza di Dio. 2. Come Dio, data la perfezione della sua potenza, può tutto meno alcune cose che non gli sono sottoposte perché fuori della catego­ ria dei possibili, così, data l' invariabilità della sua potenza, ciò che poté fare lo può fare ancora; però certe cose che una volta, quando erano da farsi , ebbero la natura di possibili, ora che sono fatte non l ' hanno più. E di tali cose si dice che Dio non le può fare, poiché non possono essere fatte. 3. Dio può togliere ogni corruzione di mente e di corpo da una donna violata, ma non può distruggere il fatto che sia stata violata. Come neanche può fare che un peccatore non abbia peccato e non abbia perso la carità.

Articulus 5

Articolo 5

Utrum Deus possit facere quae non facit

Dio può fare ciò che non fa?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Deus non possit facere nisi ea quae facit. l . Deus enim non potest facere quae non praescivit et praeordinavit se facturum. Sed non praescivit neque praeordinavit se factu­ rum, nisi ea quae facit. Ergo non potest facere nisi ea quae facit. 2. Praeterea, Deus non potest facere nisi quod debet, et quod iustum est fieri. Sed Deus non debet facere quae non facit, nec iustum est ut faciat quae non facit. Ergo Deus non potest facere nisi quae facit. 3. Praeterea, Deus non potest facere nisi quod bonum est, et conveniens rebus factis. Sed rebus factis a Deo non est bonum nec conve­ niens aliter esse quam sint. Ergo Deus non potest facere nisi quae facit. Sed contra est quod dicitur Matth. 26 [53], an

Sembra di no. Infatti: l. Dio non può fare quelle cose che non ha previsto e non ha prestabilito di fare. Ma non ha previsto e preordinato di fare se non le cose che fa. Quindi non può fare se non ciò che fa. 2. Dio non può fare se non ciò che deve [fare], e ciò che è giusto che sia fatto. Ma Dio non deve fare ciò che non fa, e non è giusto che faccia quello che non fa. Quindi non può fare se non ciò che tà. 3. Dio non può fare se non ciò che è buono e conveniente per le cose create. Ma per le cose fatte da Dio non è bene né conveniente che siano diversamente da come sono. Quindi Dio non può fare se non le cose che fa. In contrario: è detto in Mt: Non posso forse

pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma Gesù non

non possum rogare Patrem meum, et exhibe-

lo pregò, e neppure il Padre inviò degli angeli

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La potenza divina

bit mihi modo plus quam duodecim legiones angelorum? Neque autem ipse rogabat, neque pater exhibebat ad repugnandum Iudaeis. Ergo Deus potest facere quod non facit. Respondeo dicendum quod circa hoc quidam dupliciter erraverunt. Quidam enim posuerunt Deum agere quasi ex necessitate naturae; ut sicut ex actione rerum naturalium non pos­ sunt alia provenire nisi quae eveniunt, utpote ex semine hominis homo, ex semine olivae oliva; ita ex operatione divina non possint aliae res, vel alius ordo rerum effluere, nisi sicut nunc est. Sed supra [q. 19 aa. 3-4] osten­ dimus Deum non agere quasi ex necessitate naturae, sed voluntatem eius esse omnium rerum causam; neque etiam ipsam volunta­ tem naturaliter et ex necessitate determinari ad has res. Unde nullo modo iste cursus re­ rum sic ex necessitate a Deo provenit, quod alia provenire non possent. Alii vero dixerunt quod potentia divina determinatur ad bune cursum rerum, propter ordinem sapientiae et iustitiae divinae, sine quo Deus nihil opera­ tur. Cum autem potentia Dei, quae est eius essentia, non sit aliud quam Dei sapientia, convenienter quidem dici potest quod nihil sit in Dei potentia, quod non sit in ordine di­ vinae sapientiae, nam divina sapientia totum posse potentiae comprehendit. Sed tamen or­ do a divina sapientia rebus inditus, in quo ra­ tio iustitiae consistit, ut supra [q. 21 a. 4] dic­ tum est, non adaequat divinam sapientiam, sic ut divina sapientia limitetur ad bune or­ dinem. Manifestum est enim quod tota ratio ordinis, quam sapiens rebus a se factis impo­ nit, a fine sumitur. Quando igitur finis est proportionatus rebus propter finem factis, sa­ pientia facientis limitatur ad aliquem deter­ minatum ordinem. Sed divina bonitas est fi­ nis improportionabiliter excedens res creatas. Unde divina sapientia non determinatur ad aliquem certum ordinem rerum, ut non possit alius cursus rerum ab ipsa eftluere. Unde di­ cendum est simpliciter quod Deus potest alia facere quam quae facit. Ad primum ergo dicendum quod in nobis, in quibus est aliud potentia et essentia a volun­ tate et intellectu, et iterum intellectus aliud a sapientia, et voluntas aliud a iustitia, potest esse aliquid in potentia, quod non potest esse in voluntate iusta, vel in intellectu sapiente. Sed in Deo est idem potentia et essentia et

Q. 25, A. 5

per respingere i Giudei. Quindi Dio poteva fare ciò che non ha fatto. Risposta: Questo problema ha dato luogo a due errori. Alcuni affermarono che Dio agisce per necessità di natura, vale a dire: come dal­ l' operazione delle realtà naturali non possono provenire se non quelle cose che ne derivano, per es. dal seme dell'uomo l'uomo, dal seme dell'olivo l'olivo, così dali' operazione divina non possono scaturire altre cose o altro ordine di cose all' infuori di quello attuale. - Noi, in­ vece, abbiamo dimostrato che Dio non opera per necessità di natura, ma la sua volontà è la causa di tutte le cose; e tale volontà non è de­ terminata naturalmente e necessariamente alle cose presenti. Quindi in nessuna maniera l'or­ dine attuale delle cose proviene da Dio così necessariamente che non ne possano proveni­ re altre cose. Altri, invece, hanno sostenuto che la potenza divina è determinata al corso attuale delle cose a motivo dell' ordine della sapienza e della giustizia divina, senza delle quali Dio non opera. - Ma siccome la potenza di Dio, che è la sua stessa essenza, non è di­ stinta dalla sapienza di Dio, si può a buon di­ ritto affermare che nulla rientra nella potenza di Dio che non rientri anche nell'ordine della divina sapienza: infatti la sapienza divina ab­ braccia tutto ciò che può la potenza. Tuttavia l' ordine che la divina sapienza ha impresso nelle cose e che, come si è già dimostrato, co­ stituisce l'essenza della giustizia, non adegua la sapienza divina in modo che la _sapienza divina sia limitata all'ordine attuale. E eviden­ te, infatti, che tutta la concezione dell'ordine imposto dal sapiente alle sue opere si desume dal fine. Quando dunque il fine è proporziona­ to alle cose fatte per questo fine la sapienza dell' agente è limitata a un certo ordine deter­ minato. Ma la bontà divina è un fine che ec­ cede senza proporzione le realtà create. Quin­ di la sapienza divina non è determinata a un ordine fisso di cose in modo tale che da essa non ne possa derivare un altro. Bisogna dun­ que affermare puramente e semplicemente che Dio può fare altre cose oltre a quelle che fa. Soluzione delle difficoltà: l . In noi la potenza e l'essenza sono distinte dall'intelligenza e dalla volontà, l 'intelletto è distinto dalla sapienza e la volontà dalla giustizia: per cui ci può essere in noi qualcosa che tientra nella [nostra] potenza, ma non può rientrare nella volontà giusta o nel-

Q. 25, A. 5

La potenza divina

voluntas et intellectus et sapientia et iustitia. Unde nihil potest esse in potentia divina, quod non possit esse in voluntate iusta ipsius, et in intellectu sapiente eius. Tamen, quia vo­ luntas non determinatur ex necessitate ad haec vel illa, nisi forte ex suppositione, ut su­ pra [q. 1 9 a. 3] dictum est; neque sapientia Dei et iustitia determinantur ad hunc ordinem, ut supra [in co.] dictum est; nihil prohibet es­ se aliquid in potentia Dei, quod non vult, et quod non continetur sub ordine quem statuit rebus. Et quia potentia intelligitur ut exequens, voluntas autem ut imperans, et intellectus et sapientia ut dirigens, quod attribuitur po­ tentiae secundum se consideratae, dicitur Deus posse secundum potentiam absolutam. Et huiusmodi est omne illud in quo potest sal­ vari ratio entis, ut supra [a. 3] dictum est. Quod autem attribuitur potentiae divinae se­ cundum quod exequitur imperium voluntatis iustae, hoc dicitur Deus posse tacere de poten­ tia ordinata. Secundum hoc ergo, dicendum est quod Deus potest alia facere, de potentia absoluta, quam quae praescivit et praeordina­ vit se facturum, non tamen potest esse quod aliqua faciat, quae non praesciverit et praeor­ dinaverit se facturum. Quia ipsum facere subiacet praescientiae et praeordinationi, non autem ipsum posse, quod est naturale. Ideo enim Deus aliquid facit, quia vult, non tamen ideo potest, quia vult, sed quia talis est in sua natura. Ad secundum dicendum quod Deus non de­ bet aliquid alicui nisi sibi. Unde, cum dicitur quod Deus non potest facere nisi quod debet nihil aliud significatur nisi quod Deus non potest facere nisi quod ei est conveniens et iustum. Sed hoc quod dico conveniens et iustum, potest intelligi dupliciter. Uno modo, sic quod hoc quod dico conveniens et iustum, prius intelligatur coniungi cum hoc verbo est, ita quod restringatur ad standum pro praesenti­ bus; et sic reteratur ad potentiam. Et sic falsum est quod dicitur, est enim sensus, Deus non potest facere nisi quod modo conveniens est et iustum. Si vero prius coniungatur cum hoc verbo potest, quod habet vim ampliandi, et postmodum cum hoc verbo est, significabitur quoddam praesens confusum, et erit locutio vera, sub hoc sensu, Deus non potest facere nisi id quod, si faceret, esset conveniens et iustum. Ad tertium dicendum quod, licet iste cursus

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l'intelletto sapiente. Ma in Dio sono tutt'uno la potenza e l'essenza, la volontà e l'intelligenza, la sapienza e la giustizia Quindi nella potenza divina non può rientrare cosa alcuna che non possa rientrare nella sua volontà giusta e nel suo intelletto sapiente. Tuttavia, siccome la sua volontà non è determinata necessariamente a questa o a quella cosa, se non forse ipotetica­ mente, come già vedemmo, e siccome neanche la sapienza e la giustizia di Dio, come si è detto sopra, sono determinate a questo ordine di cose, nulla impedisce che nella potenza di Dio rientri qualcosa che egli non vuole, e che non è contenuto entro l'ordine che ha fissato alle cose. E poiché la potenza viene concepita come esecutrice, la volontà, invece, come ordi­ natrice e l'intelletto e la sapienza come princi­ pio direttivo [di ciò che la potenza esegue], quanto viene attribuito alla potenza considerata in se stessa si dice che Dio lo può secondo la potenza assoluta. E tali sono tutte le cose in cui si può trovare la ragione di ente, come si è detto sopra. Ciò che invece viene attribuito alla po­ tenza divina in quanto esegue gli ordini della volontà giusta, si dice che Dio lo può fare di potenza ordinata. In tale senso, dunque, dob­ biamo dire che Dio, di potenza assoluta, può fare cose diverse da quelle che ha previsto e stabilito di fare: non può invece essere che fac­ cia cose ali'infuori di quelle che ha precono­ sciuto e che ha preordinato di fare. Poiché lo stesso suo fare è soggetto alla prescienza e al preordinamento; non invece il suo potere, che è naturale. [Quando] infatti Dio fa qualcosa, lo ta perché vuole; invece non ha la potenza di farlo perché vuole, ma perché tale è la sua natura. 2. Dio non deve nulla a nessuno, tranne che a se stesso. Per cui, quando si dice che Dio non può fare se non ciò che deve, si vuoi solo dire che Dio non può fare se non ciò che è giusto e conveniente per lui. Ora, questa affermazione: «[Dio non può fare se non ciò che è] conve­ niente e giusto», possiamo intenderla in due modi. In un primo modo [i termini] convenien­ te e giusto vengono considerati in strettissimo rapporto con la parola è, in modo da restringe­ re la frase a significare soltanto le cose presen­ ti: e così, [con tale restlizione], vengono riferiti alla potenza. E in tal modo l' affermazione è falsa, poiché ne viene fuori questo senso: Dio

non può fare se non ciò che nel momento attuale è conveniente e giusto. Se invece [i due

La potenza divina

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rerum sit determinatus istis rebus quae nunc sunt, non tamen ad hunc cursum limitatur divina sapientia et potestas. Unde, licet istis rebus quae nunc sunt, nullus alius cursus esset bonus et conveniens, tamen Deus posset alias res facere, et alium eis imponere ordinem.

Q. 25, A. 5

termini] vengono considerati principalmente in rapporto alla parola può, che ha un valore [non restrittivo, ma] di amplificazione, e soltanto secondariamente sono messi in rapporto con la parola è, allora si veiTà a significare un presen­ te indeterminato, e ne risulterà un' afferma­ zione vera, con questo significato: Dio non

può fare se non ciò che, se egli lo facesse, sa­ rebbe conveniente e giusto.

3. Sebbene l'ordine attuale delle cose sia limi­ tato a quelle ora esistenti, tuttavia la sapienza e la potenza di Dio non si limitano a tale ordi­ ne. Quindi, sebbene per queste cose che esi­ stono ora nessun altro ordine sarebbe buono e conveniente, Dio, tuttavia, potrebbe fare altre cose e fissare ad esse un altro ordinamento.

Articulus 6 Utrum Deus possit meliora facere ea quae facit Ad sextum sic proceditur. Videtur quod Deus non possit meliora tacere ea quae facit. l . Quidquid enim Deus facit, potentissime et sapientissime facit. Sed tanto fit aliquid me­ lius, quanto fit potentius et sapientius. Ergo Deus non potest aliquid facere melius quam facit. 2. Praeterea, Augustinus, Contra Max. [2,7], sic argumentatur, si Deus potuit, et noluit, gi­

gnere Filium sibi aequalem, invidus fuit.

Eadem ratione, si Deus potuit res meliores facere quam fecerit, et noluit, invidus fuit. Sed invidia est omnino relegata a Deo. Ergo Deus unumquodque fecit optimum. Non ergo Deus potest aliquid facere melius quam fecit. 3 . Praeterea, id quod est maxime et valde bonum, non potest melius fieli, quia maximo nihil est maius. Sed, sicut Augustinus dicit i n Ench. [ 1 0] , bona sunt singula quae Deus

fecit, sed simul universa va/de bona, quia ex omnibus consisti/ universitatis admirabilis pulchritudo. Ergo bonum universi non potest melius fieri a Deo.

4. Praeterea, homo Christus est plenus gratia et veritate, et spiritum habet non ad mensuram, et sic non potest esse melior. Beatitudo etiam creata dicitur esse summum bonum, et sic non potest esse melius. Beata etiam Virgo Maria est super omnes choros angelorum exaltata, et sic non potest esse melior. Non igitur omnia quae fecit Deus, potest facere meliora.

Articolo 6 Dio può fare migliori le cose che fa? Sembra di no. Intatti: l . Tutto ciò che Dio fa, lo fa con somma po­ tenza e sapienza. Ma una cosa è tanto meglio fatta con quanta maggiore potenza e sapienza viene fatta. Quindi Dio non può fare una cosa meglio di come la fa. 2. Agostino così argomenta: «Se Dio avesse potuto e non avesse voluto generare un figlio uguale a sé, sarebbe stato invidioso». Ora per la stessa ragione, se Dio poteva t'are le cose miglioti di come le ha t'atte, e non ha voluto t'arie, si è comportato da invidioso. Ma l 'invi­ dia è del tutto estranea a Dio. Quindi Dio ha t'atto tutto nel migliore dei modi. Quindi non può fare nulla meglio di come lo fa. 3. Ciò che è buono al massimo grado non può essere reso migliore: poiché nulla è più gran­ de del massimo. Ora, come dice Agostino: «Le cose che Dio ha fatto, singolarmente con­ siderate, sono buone, ma prese tutte insieme sono molto buone: poiché dal loro insieme ri­ sulta l ' ammirabile bellezza dell'universo». Quindi la bellezza dell'universo non può es­ sere resa migliore da Dio. 4. Cristo, in quanto uomo, è pieno di grazia e di verità, e ha lo Spirito Santo senza misura: quin­ di non può essere migliore. Parimenti si dice che la beatitudine creata è il sommo bene: quin­ di non può essere migliore. Infine la beata Vergine Maria è stata esaltata su tutti i cori degli angeli: e così non può essere migliore. Quindi non tutte le cose che Dio fa le può fare migliori.

Q. 25, A. 6

La potenza divina

Sed contra est quod dicitur ad Eph. 3 [20], quod Deus potens est omnia facere abundan­

tius quam petimus aut intelligimus.

Respondeo dicendum quod bonitas alicuius rei est duplex. Una quidem, quae est de es­ sentia rei; sicut esse rationale est de essentia hominis. Et quantum ad hoc bonum, Deus non potest facere aliquam rem meliorem quam ipsa sit, licet possit facere aliquam aliam ea meliorem. Sicut etiam non potest facere quatemarium maiorem, quia, si esset maior, iam non esset quatemarius, sed alius numerus. Sic enim se habet additio diffe­ rentiae substantialis in definitionibus, sicut additio unitatis in numeris, ut dicitur in 8 Met. [7,3,8]. Alia bonitas est, quae est extra essen­ tiam rei; sicut bonum hominis est esse virtuo­ sum vel sapientem. Et secundum tale bonum, potest Deus res a se tàctas facere meliores. Simpliciter autem loquendo, qualibet re a se facta potest Deus facere aliam meliorem. Ad primum ergo dicendum quod, cum dicitur Deum posse aliquid facere melius quam facit, si ly melius sit nomen, verum est, qualibet enim re potest facere aliam meliorem. Ean­ dem vero potest facere meliorem quodammo­ do, et quodammodo non, sicut dictum est [in co.]. Si vero ly melius sit adverbium, et imp01tet modum ex parte tàcientis, sic Deus non potest tàcere melius quam sicut facit, quia non potest facere ex maiori sapientia et boni­ tate. Si autem importet modum ex parte tàcti, sic potest facere melius, qui a potest dare rebus a se tàctis meliorem modum essendi quantum ad accidentalia, licet non quantum ad essentialia. Ad secundum dicendum quod de ratione filii est quod aequetur patri, cum ad perfectum venerit, non est autem de ratione creaturae alicuius, quod sit melior quam a Deo facta est. Unde non est similis ratio. Ad tertium dicendum quod universum, sup­ positis istis rebus, non potest esse melius; propter decentissimum ordinem his rebus at­ tributum a Deo, in quo bonum universi consi­ stit. Quorum si unum aliquod esset melius, corrumperetur proportio ordinis, sicut, si una chorda plus debito intenderetur, corrumpere­ tur citharae melodia. Posset tamen Deus alias res facere, vel alias addere istis rebus factis, et sic esset illud universum melius. Ad quartum dicendum quod humanitas Christi

334

In contrario: è detto in Ef" Dio in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare.

Risposta: c ' è una doppia bontà nelle cose. Una appartiene alla loro essenza, come essere razionale rientra nell' essenza dell'uomo. E quanto a questa bontà, Dio non può fare una cosa migliore di come essa è, sebbene possa farne un' altra migliore. Come pure non può tàre maggiore il numero quattro, perché, se fosse maggiore, non sarebbe più il numero quattro ma un altro numero. Intàtti l'aggiunta di una differenza sostanziale nelle definizioni equivale all'aggiunta di un' unità nei numeri, come osserva Aristotele. L' altra bontà è inve­ ce estranea ali' essenza delle cose: come per l'uomo è un bene non essenziale essere vir­ tuoso o essere sapiente. E, secondo questa specie di bontà, Dio può rendere migliori le cose che ha fatto. Parlando però assolutamen­ te [si deve dire che], di qualsiasi cosa da lui fatta, Dio ne può fare un'altra migliore. Soluzione delle difficoltà: l. Quando si dice che Dio può fare una cosa meglio di come l'ha fatta, se la parola meglio è presa come nome [nel senso di qualcosa di meglio], l'espressione è vera, poiché [Dio], data qualsiasi cosa, ne può fare un' altra migliore. La medesima cosa, invece, in un certo modo la può fare migliore, e in un certo modo no, come si è spiegato. Se invece il termine meglio è preso come avver­ bio, e designa il modo di agire dalla parte di chi opera, in tal caso Dio non può fare meglio di come tà: poiché non può agire con maggio­ re sapienza e bontà. Se invece designa il modo di essere della cosa fatta, allora Dio può farla meglio: poiché può dare alle cose che ha fatto un miglior modo di essere per quel che riguar­ da gli elementi accidentali, sebbene non lo po�sa quanto agli elementi essenziali. 2. E nella natura del figlio di essere uguale al padre, giunto che sia all'età perfetta; non rien­ tra invece nell'essenza di alcuna creatura di essere migliore di come Dio l'ha fatta. Quindi il confronto non regge. 3. L'universo, supposte le cose che attualmen­ te lo compongono, non può essere migliore, dato l' ordine convenientissimo impresso da Dio alle cose: nel quale ordine consiste il bene dell'universo. E se una sola di tali cose fosse migliorata, l' ordine sarebbe turbato: co­ me sarebbe alterata la melodia della cetra se

La potenza divina

335

ex hoc quod est unita Deo, et beatitudo creata ex hoc quod est fruitio Dei, et Beata Virgo ex hoc quod est Mater Dei, habent quandam dignitatem infinitam, ex bono infinito quod est Deus. Et ex hac parte non potest aliquid fieri melius eis, sicut non potest aliquid melius esse Deo.

Q. 25, A. 6

una corda fosse tesa più del dovuto. Dio po­ trebbe però fare altre cose, o aggiungerne del­ le altre a quelle già fatte: e in tal modo quello sarebbe un universo migliore. 4. L' umanità di Cristo in quanto unita alla Di­ vinità, la beatitudine creata in quanto godi­ mento di Dio e la beata Vergine Maria i n quanto Madre di Dio hanno una certa dignità infinita, derivante dal bene infinito che è Dio. E sotto questo aspetto non può essere creato nulla di migliore, come non vi può essere nulla che sia migliore di Dio.

QUAESTI0 26

QUESTIONE 26

DE DIVINA BEATITUDINE

LA BEATITUDINE DI DIO

Ultimo autem, post considerationem eorum quae ad divinae essentiae unitatem pertinent, considerandum est de divina beatitudine. Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum beatitudo Deo competat. Secondo, secundum quid dicitur Deus esse beatus, utrum secundum actum intellectus. Tertio, utrum sit essentialiter beatitudo cuiuslibet beati. Quarto, utrum i n eius beatitudine omnis beatitudo includatur.

Alla fine, dopo la considerazione di quanto concerne l' unità dell'essenza divina, bisogna trattare della beatitudine di Dio. E intorno a ciò si pongono quattro quesiti: l. La beatitu­ dine spetta a Dio? 2. Secondo quale atto Dio è detto beato: secondo l' atto dell' intelletto? 3. Dio costituisce essenzialmente la felicità di ogni beato? 4. Nella sua beatitudine è inclusa ogni beatitudine?

Articulus l

Articolo l

Utrum beatitudo Deo competat

A Dio spetta la beatitudine?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod bea­ titudo Deo non conveniat. l. Beatitudo enim, secundum Boetium, in 3 De consol. [2], est status omnium bonorum aggregatione peifectus. Sed aggregatio bono­ rum non habet locum in Deo, sicut nec com­ positio. Ergo Deo non convenit beatitudo. 2. Praeterea, beatitudo, sive felicitas, est prae­ mium virtutis, secundum philosophum, in l Ethic. [9,3]. Sed Deo non convenit praemium, sicut nec meritum. Ergo nec beatitudo. Sed contra est quod dicit apostolus, l ad Tim. ultimo [6, 1 5], quem suis temporibus ostendet

Sembra di no. Infatti: l . Al dire di Boezio la beatitudine è «uno sta­ to perfetto in cui sono assommati tutti i beni». Ma questa somma di beni non si trova in Dio, come neppure la composizione. Quindi a Dio non spetta la beatitudine. 2. La beatitudine, o felicità, secondo il Filosofo è il premio della virtù. Ma a Dio non si addice il premio, come neppure i l merito. Quindi nemmeno la beatitudine. In contrario: l' Apostolo in l Tm dice: Dio,

Deus beatus et solus potens, Rex regum et Dominus dominantiwn. Respondeo dicendum quod beatitudo maxime Deo competit. Nihil enim aliud sub nomine beatitudinis intelligitur, nisi bonum perfectum intellectualis naturae; cuius est suam suffi­ cientiam cognoscere in bono quod habet; et cui competit ut ei contingat aliquid vel bene vel male, et sit suarum operationum domina.

beato e unico sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, a suo tempo mostrerà [a noi la manifestazione del Signore Gesù Cristo].

Risposta: la beatitudine conviene a Dio in grado sommo. Infatti col nome di beatitudine non si intende altro che il bene perfetto della natura intellettuale, di cui è proprio conoscere la pienezza del bene che possiede, essere suscettibile di bene o di male ed essere padrona dei suoi atti. Ora, queste due cose, cioè essere perfetto ed essere intelligente, appartengono in

Q. 26 A. l

La beatitudine di Dio

336

Utrurnque autem istorum excellentissime Deo convenit, scilicet petfectum esse, et intelligen­ tem. Unde beatitudo maxime convenit Deo. Ad primum ergo dicendum quod aggregatio bonorum est in Deo non per modum compo­ sitionis, sed per modum simplicitatis, quia quae in creaturis multiplicia sunt, in Deo praeexistunt simpliciter et unite, ut supra [q. 4 a. 2 ad l ; q. 1 3 a. 4] dictum est. Ad secundum dicendum quod esse praemium virtutis accidit beatitudini vel felicitati, inquan­ tum aliquis beatitudinem acquirit, sicut esse terminum generationis accidit enti, inquantum exit de potentia in actum. Sicut igitur Deus habet esse, quamvis non generetur; ita habet beatitudinem, quamvis non mereatur.

modo eccellentissimo a Dio. Quindi la beatitu­ dine conviene a Dio in sommo grado. Soluzione delle difficoltà: l . Questa somma di beni in Dio non si trova a modo di compo­ sizione, ma come una realtà semplice: infatti ciò che nelle creature è molteplice preesiste in Dio nella semplicità e nell'unità, come già dimostrammo altrove. 2. Essere premio della virtù è accidentale alla beatitudine o felicità, in quanto c'è chi acqui­ sta la beatitudine: precisamente come è acci­ dentale all'ente di essere termine della gene­ razione, in quanto [vi sono enti che] passano dalla potenza all'atto. Come quindi Dio h a I' essere sebbene non sia generato, così h a la beatitudine benché non la possa meritare.

Articulus 2 Utrum Deus dicatur beatus secundum intellectum

Articolo 2 Dio è beato secondo una beatitudine di indole intellettuale?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Deus non dicatur beatus secundum intellectum. l . Beatitudo enim est summum bonum. Sed bo­ num dicitur in Deo secundum essentiam, quia bonum respicit esse, quod est secundum es­ sentiam, secundum Boetium, in libro De hebd. [4]. Ergo et beatitudo dicitur in Deo secundum essentiam, et non secundum intellectum. 2. Praeterea, beatitudo habet rationem finis. Finis autem est obiectum voluntatis, sicut et bonum. Ergo beatitudo dicitur in Deo secun­ dum voluntatem, et non secundum intellectum. Sed contra est quod Gregorius dicit, 32 Mor. [6], ipse gloriosus est, qui, dum seipso peifrui­ tur; accedentis laudis indigens non est. Esse autem gloriosum significat esse beatum. Cum igitur Deo fruamur secundum intellectum, quia visio est tota merces, ut dicit Augustinus [Serm. 3 in Ps. 90], videtur quod beatitudo dicatur in Deo secundum intellectum. Respondeo dicendum quod beatitudo, sicut dictum est [a. 1], significat bonum perfectum intellectualis naturae. Et inde est quod, sicut unaquaeque res appetit suam perfectionem, ita et intellectualis natura naturaliter appetit esse beata. Id autem quod est perfectissimum in qualibet intellectuali natura, est intellectua­ lis operatio, secundum quam capit quodam­ modo omnia. Unde cuiuslibet intellectualis naturae creatae beatitudo consistit in intelli­ gendo. In Deo autem non est aliud esse et in-

Sembra di no. Infatti: l . La beatitudine è il sommo bene. Ma in Dio il bene è detto in ragione dell'essenza: poiché il bene riguarda l'essere che, secondo Boezio, segue l'essenza. Quindi anche la beatitudine è attribuita a Dio a motivo dell'essenza, non dell'intelligenza. 2. La beatitudine ha ragione di fine. Ma il fine è oggetto della volontà, come anche il bene. Quindi la beatitudine è attribuita a Dio secon­ do la volontà, non secondo l'intelletto. In contrario: dice Gregorio: «È glorioso chi, godendo in se stesso, non necessita di lodi che gli vengano dal di fuori». Ma essere glo­ rioso [qui] significa essere beato. Poiché dun­ que godiamo di Dio con l'intelletto, dato che, secondo Agostino: «Tutta la nostra ricompen­ sa sarà la visione», si dovrà attribuire a Dio la beatitudine secondo l'intelletto. Risposta: la beatitudine, come si è detto, è il bene perfetto degli esseri intellettuali. E da ciò segue che, come ogni altro essere cerca la pro­ pria perfezione, così anche gli esseri intellet­ tuali desiderano naturalmente di essere felici. Ma ciò che vi è di più perfetto negli esseri in­ tellettuali è l'operazione dell'intelligenza, con la quale in qualche modo si impossessano di tutte le cose. Per cui la beatitudine di ogni esse­ re intelligente creato consiste nell'intendere. In Dio, però, l'essere non è distinto dall'atto del­ l'intendere realmente, ma solo secondo il no-

La beatitudine di Dio

337

Q. 26, A. 2

telligere secundum rem, sed tantum secun­ dum intelligentiae rationem. Attribuenda ergo est Deo beatitudo secundum intellectum, sicut et aliis beatis, qui per assimilationem ad beati­ tudinem ipsius, beati dicuntur. Ad primum ergo dicendum quod ex illa ratio­ ne probatur quod Deus sit beatus secundum suam essentiam, non autem quod beatitudo ei conveniat secundum rationem essentiae, sed magis secundum rationem intellectus. Ad secundum dicendum quod beatitudo, cum sit bonum, est obiectum voluntatis. Obiectum autem praeintelligitur actui potentiae. Unde, se­ cundum modum intelligendi, prius est beatitudo divina, quam actus voluntatis in ea requiescen­ tis. Et hoc non potest esse nisi actus intellectus. Unde in actu intellectus attenditur beatitudo.

stro modo di concepire. Quindi bisogna attri­ buire a Dio una beatitudine di indole intellet­ tuale, come pure a tutti i beati, i quali sono detti tali per assimilazione alla beatitudine di Dio. Soluzione delle difficoltà: I . Con tale argo­ mento si prova che Dio è beato per essenza; non si prova però che la beatitudine gli spetti in ragione della sua essenza, poiché essa gli compete invece in ragione dell'intelletto. 2. La beatitudine, essendo un bene, è oggetto della volontà. Ma l' oggetto di una potenza è concepito prima dell' atto della stessa. Quindi, secondo il nostro modo di intendere, la beati­ tudine divina è anteriore all'atto della volontà che si riposa in essa. E non può essere altro che l'atto dell'intelletto. Quindi la beatitudine si trova nell' atto dell'intelletto.

Articulus 3 Utrum Deus sit beatitudo cuiuslibet beati

Articolo 3 Dio è la beatitudine di ogni beato?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Deus si t beatitudo cuiuslibet beati. l . Deus enim est summum bonum, ut supra ostensum est [q. 6 a. 2]. Impossibile est autem esse plura summa bona, ut etiam ex superiori­ bus [q. 1 1 a. 3] patet. Cum igitur de ratione beatitudinis sit, quod sit summum bonum, vi­ detur quod beatitudo non sit aliud quam Deus. 2. Praeterea, beatitudo est finis rationalis na­ turae ultimus. Sed esse ultimum finem ratio­ nalis naturae, soli Deo convenit. Ergo beatitu­ do cuiuslibet beati est solus Deus. Sed contra, beatitudo unius est maior beatitu­ dine alterius, secundum illud l Cor. 15 [4 1 ] , stella dijfe11 a stella in claritate. Sed Deo ni­ hil est maius. Ergo beatitudo est aliquid aliud quam Deus. Respondeo dicendum quod beatitudo intellec­ tualis naturae consistit in actu intellectus. In quo duo possunt considerari, scilicet obiec­ tum actus, quod est intelligibile; et ipse actus, qui est intelligere. Si igitur beatitudo con­ sideretur ex parte ipsius obiecti, sic solus Deus est beatitudo, quia ex hoc solo est ali­ quis beatus, quod Deum intelligit; secundum illud Augustini, in 5 libro Conf. [4], beatus est qui te novit, etiam si alia ignoret. Sed ex parte actus intelligentis, beatitudo est quid creatum in creaturis beatis, in Deo autem est etiam secundum hoc, aliquid increatum.

Sembra di sì. Infatti: l. Dio, come si è dimostrato sopra, è il som­ mo bene. Ma è impossibile che vi siano più sommi beni, come si è già visto. Poiché dun­ que appartiene all'essenza della beatitudine di essere il sommo bene, è chiaro che la beatitu­ dine non è altro che Dio. 2. La beatitudine è il fine ultimo degli esseri intelligenti. Ma essere il fine ultimo delle na­ ture intellettuali conviene solo a Dio. Quindi la beatitudine di ogni beato è solo Dio. In contrario: la beatitudine dell'uno è maggiore di quella dell'altro, secondo il detto di l Cor:

Ogni stella differisce da Lm 'altra nello splen­ dore. Ma nulla è più grande di Dio. Quindi la

beatitudine è una cosa diversa da Dio. Risposta: la beatitudine delle nature intellet­ tuali consiste in un atto dell'intelligenza. E in esso si possono considerare due cose, cioè l 'oggetto dell' atto, che è l'intelligibile, e l'atto stesso, che è l 'intellezione. Se dunque si con­ sidera la beatitudine dal lato dell ' oggetto, allora soltanto Dio è la beatitudine: poiché uno è beato soltanto per il fatto che vede Dio con la sua intelligenza, secondo quanto dice Agostino: «Beato è chi conosce te, anche se ignora tutto il resto». Se invece la si considera in rapporto all' atto del soggetto intelligente, allora la beatitudine nelle creature è qualcosa di creato; in Dio, invece, anche sotto questo aspetto è qualcosa di increato.

La beatitudine di Dio

Q. 26, A. 3

Ad primum ergo dicendum quod beatitudo, quantum ad obiectum, est summum bonum simpliciter, sed quantum ad actum, in creatu­ ris beatis, est summum bonum, non simplici­ ter, sed in genere bonorum participabilium a creatura. Ad secundum dicendum quod finis est du­ plex, scilicet cuius et quo, ut philosophus dicit [De an. 2,4,5] , scilicet ipsa res, et usus rei, sicut avaro est tinis pecunia, et acquisitio pe­ cuniae. Creaturae igitur rationalis est quidem Deus finis ultimus ut res; beatitudo autem creata ut usus, vel magis fruitio, rei.

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Soluzione delle difficoltà: l. La beatitudine quanto ali' oggetto è il sommo bene in senso assoluto; ma considerata nelle creature beate, in relazione all'atto, è il sommo bene non in senso assoluto, bensì nell' ordine dei beni che possono essere partecipati dalle creature. 2. n terminefine può indicare due cose, cioè il finis cuius e ilfinis quo - come dice il Filoso­ fo -: ossia la cosa di cui si gode e l'atto con il quale la si gode: come per l ' avaro [il finis cuius è] il danaro e [ilfinis quo] l' acquisto del danaro. Quindi per le creature razionali il fine ultimo è Dio in quanto oggetto, ma è la beati­ tudine creata in quanto uso, o piuttosto godi­ mento, di tale oggetto.

Articulus 4

Articolo 4

Utrum in Dei beatitudine omnis beatitudo includatur

Nella beatitudine di Dio è inclusa ogni altra beatitudine?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod beatitu­ do divina non complectatur omnes beatitudines. l. Sunt enim quaedam beatitudines falsae. Sed in Deo nihil potest esse falsum. Ergo di­ vina beatitudo non complectitur omnem bea­ titudinem. 2. Praeterea, quaedam beatitudo, secundum quosdam, consistit in rebus corporalibus, sicut in voluptatibus, divitiis, et huiusmodi, quae quidem Deo convenire non possunt, cum sit incorporeus. Ergo beatitudo eius non complec­ titur omnem beatitudinem. Sed contra est quod beatitudo est perfectio quaedam. Divina autem perfectio complecti­ tur omnem perfectionem, ut supra [q. 4 a. 2] ostensum est. Ergo divina beatitudo complectitur omnem beatitudinem. Respondeo dicendum quod quidquid est de­ siderabile in quacumque beatitudine, vel vera vel falsa, totum eminentius in divina beati­ tudine praeexistit. De contemplativa enim feli­ citate, habet continuam et certissimam con­ templationem sui et omnium aliorum, de activa vero, gubemationem totius universi. De terrena vero felicitate, quae consistit in voluptate, divitiis, potestate, dignitate et fama, secundum Boetium, in 3 De consol. [2], habet gaudium de se et de omnibus aliis, pro delectatione, pro divi tiis, habet omnimodam sufficientiam, quam divitiae promittunt, pro potestate, omni­ potentiam, pro dignitate, omnium regimen, pro fama vero, admirationem totius creaturae.

Sembra di no. Infatti: l . Vi sono delle false beatitudini. Ma in Dio non vi può essere nulla di falso. Quindi la beatitudine di Dio non include ogni altra bea­ titudine. 2. Secondo alcuni vi è una beatitudine consi­ stente in realtà materiali, come i piaceri, le ricchezze e altro del genere: [tutte] cose che non possono convenire a Dio, essendo egli incorporeo. Quindi la beatitudine di Dio non comprende tutte le altre beatitudini. In contrario: la beatitudine è una perfezione. Ma la perfezione di Dio comprende ogni per­ fezione, come si è dimostrato sopra. Quindi la beatitudine divina include ogni beatitudine. Risposta: quanto di desiderabile si trova in qualsiasi beatitudine, sia essa vera o falsa, preesiste in modo eminente nella beatitudine divina. Così, [se si considera] la felicità della vita contemplativa, Dio ha la continua e infallibile contemplazione di se stesso e di tutte le altre cose; [se si considera invece] la felicità della vita attiva, ha il governo di tutto l'universo. Se poi [si considera] la felicità terrena, consistente, secondo Boezio, nei pia­ ceri, nelle ricchezze, nel potere, nelle cariche e nella gloria, Dio in cambio dei piaceri pos­ siede il godimento di sé e di tutte le altre cose; in cambio delle ricchezze ha quella as­ soluta sufficienza che le ricchezze prometto­ no; in luogo del potere ha l' onnipotenza; in luogo delle cariche il regime universale; in

339

La beatitudine di Dio

Q. 26, A. 4

Ad primum ergo dicendum quod beatitudo aliqua secundum hoc est falsa, secundum quod deficit a ratione verae beatitudinis, et sic non est in Deo. Sed quidquid habet de simili­ tudine, quantumcumque tenui, beatitudinis, totum praeexistit in divina beatitudine. Ad secundum dicendum quod bona quae sunt in corporalibus corporaliter, in Deo sunt spiri­ tualiter, secundum modum suum. Et haec dieta sufficiant de his quae pertinent ad divinae essentiae unitatem.

luogo della gloria l' ammirazione di ogni creatura. Soluzione delle difficoltà: l . Una beatitudine è falsa in quanto si allontana dalla natura della vera beatitudine; e sotto tale aspetto non può trovarsi in Dio. Ma tutto ciò che in essa asso­ miglia, per quanto lontanamente, alla vera beatitudine, preesiste nella beatitudine divina. 2. I beni che si trovano materialmente negli esseri corporei si trovano in Dio secondo il suo modo, cioè spiritualmente. E ciò basti per quanto riguarda l'unità dell'essenza divina.

QUAESTI0 27 DE PROCESSIONE DIVINARUM PERSONARUM

QUESTIONE 27 LA PROCESSIONE DELLE PERSONE DIVINE

Consideratis autem his quae ad divinae es­ sentiae unitatem pertinent, restat considerare de his quae pertinent ad Trinitatem personarum in divinis [cf. q. 2 prol.]. Et quia personae di­ vinae secundum relationes originis distinguun­ tur, secundum ordinem doctrinae prius con­ siderandum est de origine, sive de processione, secundo, de relationibus originis [q. 28]; tertio, de personis [q. 29] . Circa processionem quae­ runtur quinque. Primo, utrum processio sit in divinis. Secundo, utrum aliqua processio in divinis generatio dici possit. Tertio, utrum praeter generationem aliqua alia processio pos­ sit esse in divinis. Quarto, utrum illa alia pro­ cessio possit dici generatio. Quinto, utrum in divinis sint plures processiones quam duae.

Dopo aver considerato ciò che riguarda l'uni­ tà dell'essenza divina, resta da vedere ciò che riguarda la trinità delle Persone. E poiché le Persone divine si distinguono per le loro rela­ zioni d'origine, secondo l' ordine della ma­ teria tratteremo prima delle origini o proces­ sioni, poi delle relazioni di origine e in terzo luogo delle Persone. Sulle processioni si pon­ gono cinque quesiti: l . In Dio ci sono delle processioni? 2. Una processione può essere chiamata generazione? 3. Oltre alla genera­ zione c'è in Dio qualche altra processione? 4. Quest'altra processione può anch'essa dirsi generazione? 5 . In Dio ci sono solo due processioni?

Articulus l Utrum processio sit in divinis

Articolo l In Dio ci sono delle processioni?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Deo non possit esse aliqua processio. l . Processio enim significat motum ad extra. Sed in divinis nihil est mobile, neque extra­ neum. Ergo neque processio. 2. Praeterea, omne procedens est diversum ab eo a quo procedit. Sed in Deo non est aliqua diversitas, sed summa simplicitas. Ergo i n Deo non est processio aliqua. 3. Praeterea, procedere ab alio videtur rationi primi principii repugnare. Sed Deus est pri­ mum principium, ut supra [q. 2 a. 3] osten­ sum est. Ergo in Deo processio locum non habet.

Sembra di no. Infatti: l . Processione significa movimento, e preci­ samente movimento verso l'esterno. Ma in Dio non vi è nulla che sia mobile o esterno. Quindi neppure vi è processione. 2. Ciò che procede è diverso da ciò da cui procede. Ora, in Dio non c'è nulla di diverso, ma somma semplicità. Quindi in Dio non vi è alcuna processione. 3. Il procedere da altri pare che ripugni al concetto di primo principio. Ma come si è provato, Dio è il primo principio. Quindi in lui non vi può essere alcuna processione.

Q. 27, A. l

La processione delle persone divine

Sed contra est quod dicit Dominus, Ioan. 8 [42], ego ex Deo processi. Respondeo dicendum quod divina Scriptura, in rebus divinis, nominibus ad processionem pertinentibus utitur. Hanc autem processio­ nem diversi diversimode acceperunt. Quidam enim acceperunt hanc processionem secun­ dum quod effectus procedit a causa. Et sic ac­ cepit Arius, dicens Filium procedere a Patre sicut primam eius creaturam, et Spiritum Sanc­ tum procedere a Patre et Filio sicut creaturam utriusque. Et secundum hoc, neque Filius neque Spiritus Sanctus esset verus Deus. Quod est contra id quod dicitur de Filio, l Ioan. ult. [5,20], ut simus in vero Filio eius, hic est verus Deus. Et de Spiritu Sancto dici­ tur, l Cor. 6 [19], nescitis quia membra vestra templum sunt Spiritus Sancti ? Templum autem habere solius Dei est. Alii vero hanc processionem acceperunt secundum quod causa dicitur procedere in effectum, inquan­ tum vel movet ipsum, vel similitudinem suam ipsi imprimit. Et sic accepit Sabellius, dicens ipsum Deum Patrem Filium dici, secundum quod camem assumpsit ex Virgine. Et eundem dicit Spiritum Sanctum, secundum quod crea­ turam rationalem sanctificat, et ad vitam mo­ vet. Huic autem acceptioni repugnant verba Domini de se dicentis, Ioan. 5 [ 19], non potest facere a se Filius quidquam; et multa alia, per quae ostenditur quod non est ipse Pater qui Filius. Si quis autem diligenter consideret, uterque accepit processionem secundum quod est ad aliquid extra, unde neuter posuit pro­ cessionem in ipso Deo. Sed, cum omnis processio sit secundum aliquam actionem, sicut secundum actionem quae tendit in exteriorem materiam, est aliqua processio ad extra; ita secundum actionem quae manet in ipso agente, attenditur processio quaedam ad intra. Et hoc maxirne patet in intellectu, cuius actio, scilicet intelligere, manet in intelligente. Quicumque enim intelligit, ex hoc ipso quod intelligit, procedit aliquid intra ipsum, quod est conceptio rei intellectae, ex vi intellectiva proveniens, et ex eius notitia procedens. Quam quidem conceptionem vox significat, et dicitur verbum cordis, significatum verbo vocis. Cum autem Deus sit super omnia, ea quae in Deo dicuntur, non sunt intelligenda secundum modum infimarum creaturarum, quae sunt corpora; sed secundum similitu-

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In contrario: il Signore dice in Gv: Io procedo

da Dio.

Risposta: la sacra Scrittura, trattando di Dio, usa parole esprimenti processione. Questa processione però fu intesa in diversi modi. Alcuni la intesero come processione degli effetti dalle loro cause. E così la intese Ario, il quale diceva che il Figlio procede dal Padre come sua prima creatura, e lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio come creatura di entrambi. - Ma allora né il Figlio sarebbe vero Dio, né lo Spirito Santo. Ciò però è in contrasto con quanto viene detto del Figlio in l Gv: Noi siamo nel vero Figlio suo: questi è il vero Dio. E dello Spirito Santo è detto in l Cor: Non sapete che il vostro co1po è tempio dello Spirito Santo ? Ora, avere un tempio

spetta a Dio solo. Altri invece presero la pro­ cessione nel senso che le si dà quando si dice che la causa procede nel suo effetto, o in quanto lo produce, o in quanto gli imprime la propria somiglianza. E in questo senso la in­ terpretò Sabellio, il quale affermava che lo stesso Dio Padre è detto Figlio in quanto prese carne dalla Vergine. E diceva che è an­ che Spirito Santo in quanto santifica e vivifica l ' uomo. - Questo senso, però, è escluso da ciò che il Signore dice di se stesso in Gv: Il Figlio da sé non può fare nulla, e da molte altre espressioni in base alle quali risulta che il Figlio è distinto dal Padre. Ora, se si guarda bene, si vede che tanto l'uno quanto l'altro presero il termine processione nel senso di moto tendente all'esterno: quindi né l'uno né l'altro ammise la processione in Dio stesso. Essendo però ogni processione la conseguen­ za di qualche azione, come dall'azione che tende a un oggetto esteriore deriva una pro­ cessione all'esterno, così dall'azione che resta nell'agente si ha una processione che resta nell'interno stesso dell'agente. E ciò appare molto chiaramente nell'intelletto, la cui azio­ ne, cioè l ' intendere, rimane in chi intende. Infatti in chiunque intende, per ciò stesso che intende, c'è qualcosa che procede in lui, che è il concetto [o l 'idea] della cosa intesa, che sgorga dall'attività della mente e dalla nozio­ ne della cosa intesa. Ed è questo concetto, o idea, che viene espresso esternamente con la voce: e viene detto verbo mentale, significato dal verbo orale [o parola]. Ora, essendo Dio al di sopra di tutte le cose, ciò che si dice di

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La processione delle persone divine

dinem supremarum creaturarum, quae sunt i ntellectuales substantiae; a quibus etiam similitudo accepta deficit a repraesentatione divinorum. Non ergo accipienda est processio secundum quod est in corporalibus, vel per motum localem, vel per actionem alicuius causae in exteriorem effectum, ut calor a cale­ faciente in calefactum; sed secundum emana­ tionem intelligibilem, utpote verbi intelligibi­ lis a dicente, quod manet in ipso. Et sic fides catholica processionem ponit in divinis. Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa procedit de processione quae est motus loca­ lis, vel quae est secundum actionem tenden­ tem in exteriorem materiam, vel in exteriorem effectum, talis autem processio non est in divinis, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod id quod proce­ dit secundum processionem quae est ad extra, oportet esse diversum ab eo a quo procedit. Sed id quod procedit ad intra processu intelli­ gibili, non oportet esse diversum, imo, quanto pertectius procedit, tanto magis est unum cum eo a quo procedit. Manifestum est enim quod quanto aliquid magis intelligitur, tanto concep­ tio intellectualis est magis intima intelligenti, et magis unum, nam intellectus secundum hoc quod actu intelligit, secundum hoc fit unum cum intellecto. Unde, cum divinum intelligere sit in fine perfectionis, ut supra [q. 14 a. l ] dic­ tum est, necesse est quod Verbum divinum sit perfecte unum cum eo a quo procedit, absque omni diversitate. Ad tertium dicendum quod procedere a prin­ cipio ut extraneum et diversum, repugnat rationi primi principii, sed procedere ut inti­ mum et absque diversitate, per modum intelli­ gibilem, includitur in ratione primi principii. Cum enim dicimus aedificatorem principium domus, in ratione huius principii includitur conceptio suae artis, et includeretur in ratione primi principii, si aedificator esset primum principium. Deus autem, qui est primum prin­ cipium rerum, comparatur ad res creatas ut artifex ad artificiata.

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lui non va inteso per analogia con le creature inferiori, ma con le superiori, cioè con le sostanze intellettuali; e per di più anche le similitudini desunte da esse sono insufficienti a rappresentare le realtà divine. Quindi la pro­ cessione [divina] non va presa nello stesso senso di quella che si verifica nei corpi con il moto locale o con l'azione transitiva di una causa su degli oggetti esteriori, come quella del fuoco su un oggetto scaldato, ma piuttosto come un'emanazione intellettuale, quale è quella del verbo mentale che resta nella men­ te che lo esprime. E in questo senso la fede cattolica pone delle processioni in Dio. Soluzione delle difficoltà: l . L'argomento ha valore per la processione che è un moto loca­ le, o conseguenza di un'azione tendente a una materia esterna o a un effetto esteriore; ma una tale processione non esiste in Dio, come si è spiegato. 2. Ciò che procede per processione all'esterno deve essere diverso dal principio da cui proce­ de. Ciò che però procede interiormente per processo intellettuale non occorre che sia di­ verso: anzi, quanto più perfettamente proce­ de, tanto più si identifica con ciò da cui proce­ de. Infatti è chiaro che quanto più perfetta­ mente una cosa viene intesa, tanto più intima resta a chi la intende e più unificata [al princi­ pio da cui procede]. Tanto più infatti una cosa si identifica con l'intelletto quanto più l'intel­ letto attualmente la intende. Quindi, siccome l'intendere di Dio è al vertice dell' [attualità o] perfezione, come si è detto, necessariamente il Verbo divino è una cosa stessa col principio da cui procede, senza alcuna diversità. 3. Procedere da un principio come qualcosa di estraneo e diverso da esso ripugna al con­ cetto di primo principio, ma procedere come qualcosa di intimo e senza alcuna diversità, in maniera intellettuale, è incluso nel concetto di primo principio. Quando infatti diciamo che l ' architetto è il principio dell' editìcio, nel concetto di questo principio è inclusa l'idea della sua arte; e se l' architetto fosse il primo principio, tale idea sarebbe inclusa nell'idea di primo principio. Ora Dio, che è il primo principio delle cose, sta ad esse come un arte­ fice sta alle sue opere.

La processione delle persone divine

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Articulus 2

Articolo 2

Utrum aliqua processio in divinis generatio dici possit

Dio c'è una processione che possa dirsi generazione?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod processio quae est in divinis, non possit dici generatio. l . Generatio enim est mutatio de non esse in esse, corruptioni opposita; et utriusque subiec­ tum est materia. Sed nihil horum competit di­ v i n i s . Ergo non potest generatio esse i n divinis. 2. Praeterea, in Deo est processio secundum modum intelligibilem, ut dictum est [a. l ] . Sed i n nobis talis processio non dicitur gene­ ratio. Ergo neque in Deo. 3 . Praeterea, omne genitum accipit esse a generante. Esse ergo cuiuslibet geniti est esse receptum. Sed nullum esse receptum est per se subsistens. Cum igitur esse divinum sit esse per se subsistens, ut supra [q. 3 a. 4] probatum est, sequitur quod nullius geniti esse sit esse divinum. Non est ergo generatio in divinis. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 2 [7],

Sembra di no. Infatti: l . La generazione è una mutazione dal non essere ali' essere, cioè l'opposto della corru­ zione; e ambedue hanno come soggetto la materia. Ma nulla di tutto ciò conviene a Dio. Quindi nella divinità non ci può essere gene­ razione. 2. La processione che esiste in Dio è di ordine intellettuale, come si è spiegato. Ma tale pro­ cessione in noi non si dice generazione. Quin­ di neppure in Dio. 3. Ogni cosa generata riceve il suo essere dal generante. Quindi l'essere, in ogni cosa gene­ rata, è un essere ricevuto. Ma l'essere ricevuto non è di per sé sussistente. Ora, siccome l'es­ sere divino, come si è già dimostrato, è di per sé sussistente, ne segue che nessuna cosa ge­ nerata ha l'essere divino. Quindi non si può dire che in Dio ci sia generazione. In contrario: nel Sal è detto: Io oggi ti ho

ego hodie genui te.

Respondeo dicendum quod processio Verbi in divinis dicitur generatio. Ad cuius eviden­ tiam, sciendum est quod nomine generationis dupliciter utimur. Uno modo, communiter ad omnia generabilia et corruptibilia, et sic gene­ ratio nihil aliud est quam mutatio de non esse ad esse. Alio modo, proprie in viventibus, et sic generatio significat originem alicuius vi­ ventis a principio vivente coniuncto. Et haec proprie dicitur nativitas. Non tamen omne huiusmodi dicitur genitum, sed proprie quod procedit secundum rationem similitudinis. Unde pilus vel capillus non habet rationem geniti et filii, sed solum quod procedit secun­ dum rationem similitudinis, non cuiuscum­ que, nam vermes qui generantur in animali­ bus, non habent rationem generationis et fi­ liationis, licet sit similitudo secundum genus, sed requiritur ad rationem talis generationis, quod procedat secundum rationem similitu­ dinis in natura eiusdem speciei, sicut homo procedit ab homine, et equus ab equo. In vi­ ventibus autem quae de potentia in actum vitae procedunt, sicut sunt homines et anima­ Ha, generatio utramque generationem i nclu­ dit. Si autem sit aliquod vivens cuius vita non exeat de potentia in actum, processio, si qua

In

generato.

Risposta: in Dio la processione del Verbo prende il nome di generazione. Per chiarire questo punto si deve notare che la parola ge­ nerazione viene usata in due sensi. Primo, in un senso comune a tutte le cose generabili e corruttibili. E così la generazione non è altro che una mutazione dal non essere all'essere. Secondo, in un senso che è proprio dei vi­ venti: e così la generazione significa l' origine di un vivente da un principio vivente congiun­ to. E questa è detta propriamente nascita. Tut­ tavia non ogni vivente si dice generato, ma in senso rigoroso soltanto quello che procede per via di somiglianza. Quindi i peli o i capel­ li non hanno natura di cosa generata e di fi­ glio, ma la ha soltanto ciò che procede per via di somiglianza. E non basta neppure una so­ miglianza generica - infatti i vermi che na­ scono dall' uomo non si dicono generati da lui, né suoi tigli, sebbene vi sia una somi­ glianza generica -, ma si richiede che il gene­ rato proceda come simile nella stessa specie naturale, come l'uomo dall'uomo e il cavallo dal cavallo. Nei viventi, dunque, che passano dalla potenza all'atto della vita vi sono tutti e due i suddetti tipi di generazione, come negli uomini e negli animali. Se però c'è un vivente

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La processione delle persone divine

in tali vivente invenitur, excludit omnino pri­ mam rationem generationis; sed potest habere rationem generationis quae est propria viven­ tium. Sic igitur processio Verbi in divinis ha­ bet rationem generationis. Procedit enim per modum intelligibilis actionis, quae est operatio vitae, et a principio coniuncto, ut supra [a. l] iam dictum est, et secundum rationem simi­ litudinis, quia conceptio intellectus est simi­ litudo rei intellectae, et in eadem natura exi­ stens, quia in Deo idem est intelligere et esse, ut supra [q. 14 a. 4] ostensum est. Unde pro­ cessio Verbi in divinis dicitur generatio, et ipsum Verbum procedens dicitur Filius. Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa procedit de generatione secundum rationem primam, prout impottat exitum de potentia in actum. Et sic non invenitur in divinis, ut supra dictum est. Ad secundum dicendum quod intelligere i n nobis non est ipsa substantia intellectus, unde verbum quod secundum intelligibilem opera­ tionem procedit in nobis, non est eiusdem na­ turae cum eo a quo procedit. Unde non pro­ prie et complete competit sibi ratio generatio­ nis. Sed intelligere divinum est ipsa substantia intelligentis, ut supra [q. 14 a. 4] ostensum est, unde Verbum procedens procedit ut eiusdem naturae subsistens. Et propter hoc proprie dicitur Genitum et Filius. Unde et his quae pertinent ad generationem viventium, utitur Scriptura ad significandam processionem di­ vinae sapientiae, scilicet conceptione et partu, dicitur enim ex persona divinae sapientiae, Prov. 8 [24], nondum erant abyssi, et ego iam

concepta eram; ante colles ego parturiebar.

Sed in intellectu nostro utimur nomine con­ ceptionis, secundum quod in verbo nostri in­ tellectus invenitur similitudo rei intellectae, licet non inveniatur naturae identitas. Ad tertium dicendum quod non omne accep­ tum est receptum in aliquo subiecto, alioquin non posset dici quod tota substantia rei crea­ tae sit accepta a Deo, cum totius substantiae non sit aliquod subiectum receptivum. Sic igitur id quod est genitum in divinis, accipit esse a generante, non tanquam illud esse sit receptum in aliqua materia vel subiecto (quod repugnat subsistentiae divini esse); sed se­ cundum hoc dicitur esse acceptum, inquan­ tum procedens ab alio habet esse divinum, non quasi aliud ab esse divino existens. In

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la cui vita non passa dalla potenza ali' atto, ammesso che in lui vi sia una processione, essa esclude totalmente il primo tipo di gene­ razione, ma potrà avere l' altro, quello esclusi­ vo dei viventi. Ed è in questo modo che in Dio la processione del Verbo è una generazio­ ne. Esso infatti procede per un'azione intellet­ tuale che è un'operazione vitale; e da un prin­ cipio congiunto, come si è detto; e secondo una somiglianza, poiché il concetto dell' intel­ letto è [immagine o] somiglianza della cosa intesa; e nella stessa natura, poiché, come si è dimostrato sopra, l'intendere e l'essere in Dio sono la stessa cosa. Quindi la processione del Verbo in Dio è detta generazione, e il Verbo che così procede viene detto Figlio. Soluzione delle difficoltà: l . La difficoltà riguarda la generazione presa nel primo senso, in quanto cioè comporta un passaggio dalla potenza all'atto. Ma, come si è già detto, tale generazione non si trova in Dio. 2. In noi l'intendere non è la sostanza dell'in­ telletto: quindi in noi il verbo che procede per operazione intellettiva non è della stessa natu­ ra dell' intelletto da cui procede. Quindi [a questo suo procedere] non conviene propria­ mente e completamente l' idea di generazione. L'intendere divino, invece, è la stessa sostan­ za di colui che intende, come si è di mostrato altrove: perciò il Verbo, che ne procede, pro­ cede come un sussistente della stessa natura del suo principio. Per cui esso è detto in senso proprio generato e Figlio. Quindi la Scrittura, per significare la processione della Sapienza divina, usa termini appartenenti alla genera­ zione dei viventi, cioè le parole concepimento e parto: è detto infatti in persona della Sa­ pienza divina in Pr: Quando non esistevano

gli abissi io ero già concepita; prima dei colli ero partorita. [Quando parliamo] del nostro intelletto usiamo invece [solo] la parola con­ cezione, poiché nel nostro verbo mentale c'è

solo la somiglianza della cosa intesa, senza che vi sia l'identità della natura. 3. Non tutto ciò che è ricevuto è ricevuto in un soggetto: altrimenti non si potrebbe dire che le cose create ricevono tutta la loro sostanza da Dio, poiché non c'è un soggetto ricettivo di tutta la sostanza. Così dunque ciò che in Dio è generato riceve l'essere dal generante, non però come se quell'essere fosse ricevuto in una materia o soggetto (poiché ciò ripugna all'es-

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ipsa enim perfectione divini esse continetur et verbum intelligibiliter procedens, et princi­ pium verbi; sicut et quaecumque ad eius per­ fectionem pertinent, ut supra [q. 4 a. 2] dic­ tum est.

sere divino essenzialmente sussistente); si dice invece che è ricevuto in quanto chi procede ha da altri l'essere divino che ha, senza però esse­ re altra cosa dall'essere divino. Infatti questo nella sua perfezione contiene ugualmente sia il verbo che procede intellettualmente, sia il prin­ cipio da cui questo verbo procede: come con­ tiene, secondo quanto abbiamo già visto, tutto ciò che rientra nella sua perfezione.

Articulus 3 Utrum sit in divinis alia processio a generatione Verbi

Articolo 3 In Dio, oltre alla generazione del Verbo, c'è una seconda processione?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non sit in divinis alia processio a generatione Verbi. l . Eadem enim ratione erit aliqua alia proces­ sio ab illa alia processione, et sic procederetur in infinitum, quod est inconveniens. Standum est igitur in primo, ut sit una tantum processio in divinis. 2. Praeterea, in omni natura invenitur tantum unus modus communicationis illius naturae, et hoc ideo est, quia operationes secundum terminos habent unitatem et diversitatem. Sed processio in divinis non est nisi secundum communicationem divinae naturae. Cum igitur sit una tantum natura divina, ut supra [q. 1 1 a. 3] ostensum est, relinquitur quod una sit tantum processio in divinis. 3. Praeterea, si sit in divinis alia processio ab intelligibili processione Verbi, non erit nisi processio amoris, quae est secundum volun­ tatis operationem. Sed talis processio non potest esse alia a processione intellectus in­ telligibili, quia voluntas in Deo non est aliud ab intellectu, ut supra [q. 1 9 a. l ] ostensum est. Ergo in Deo non est alia processio praeter processionem Verbi. Sed contra est quod Spiritus Sanctus procedit a Patre, ut dicitur Ioan. 15 [26]. Ipse autem est alius a Filio, secundum illud Ioan. 1 4 [ 1 6],

Sembra di no. Infatti: l . Per la stessa ragione per cui si ammette questa [seconda], se ne dovrebbe poi ammet­ tere una terza, e poi una quarta, e così si an­ drebbe all'infinito, il che è inammissibile. Bi­ sogna quindi fermarsi alla prima, in modo che in Dio non vi sia che un'unica processione. 2. Per ogni natura non c'è che un solo modo di essere comunicata. E ciò perché le operazioni hanno la loro unità e diversità in base al termi­ ne. Ora, la processione che si trova in Dio è solo per comunicare la natura divina Essendo dunque questa una sola, come si è detto, una sola deve essere la processione in Dio. 3. Se in Dio ci fosse un' altra processione diversa da quella del Verbo, non potrebbe essere che quella dell' amore, risultante dali' o­ perazione della volontà. Ma questa processio­ ne non può essere distinta da quella intellet­ tuale dell'intelletto, poiché in Dio la volontà non differisce dall ' intelletto, come si è già dimostrato. Quindi in Dio non c'è un' altra processione oltre a quella del Verbo. In contrario: lo Spirito Santo procede dal Pa­ dre, come è detto in Gv. Ora, egli è distinto dal Figlio, secondo quanto è scritto in Gv: Io

rogabo Patrem meum, et alium Paracletum dabit vobis. Ergo in divinis est alia processio

praeter processionem Verbi. Respondeo dicendum quod in divinis sunt duae processiones, scilicet processio Verbi, et quaedam alia. Ad cuius evidentiam, conside­ randum est quod in divinis non est processio nisi secundum actionem quae non tendit in aliquid extrinsecum, sed manet in ipso agente.

pregherò il Padre, ed egli vi manderà un altro Consolatore. Quindi in Dio c'è un'altra pro­

cessione oltre a quella del Verbo. Risposta: i n Dio c i sono due processioni : quella del Verbo e un'altra ancora. A chiari­ mento di ciò si tenga presente che in Dio c'è soltanto la processione per azione immanente, e non quella che tende a un termine estrinse­ co. Ora, una tale azione nella natura intellet­ tuale appartiene ali' intelletto e alla volontà: secondo l'azione dell'intelletto si ha la pro­ cessione del verbo, mentre secondo l'opera-

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Huiusmodi autem actio in intellectuali natura est actio intellectus et actio voluntatis. Proces­ si o autem verbi attenditur secundum actio­ nem intelligibilem. Secundum autem opera­ tionem voluntatis invenitur in nobis quaedam alia processio, scilicet processio amoris, se­ cundum quam amatum est in amante, sicut per conceptionem verbi res dieta vel intellec­ ta, est in intelligente. Unde et praeter proces­ sionem Verbi, ponitur alia processio in divi­ nis, quae est processio Amoris. Ad primum ergo dicendum quod non est necessarium procedere in divinis processioni­ bus in infinitum. Processio enim quae est ad intra in intellectuali natura, terminatur in pro­ cessione voluntatis. Ad secundum dicendum quod quidquid est in Deo, est Deus, ut supra [q. 3 aa. 3-4] osten­ sum est, quod non contingit in aliis rebus. Et ideo per quamlibet processionem quae non est ad extra, communicatur divina natura, non autem aliae naturae. Ad tertium dicendum quod, licet in Deo non sit aliud voluntas et intellectus, tamen de ratio­ ne voluntatis et intellectus est, quod proces­ siones quae sunt secundum actionem utrius­ que, se habeant secundum quendam ordinem. Non enim est processio amoris nisi in ordine ad processionem verbi, nihil enim potest vo­ luntate amari, nisi sit in intellectu conceptum. Sicut igitur attenditur quidam ordo verbi ad principium a quo procedit, licet in divinis sit eadem substantia intellectus et conceptio intellectus; ita, licet in Deo sit idem voluntas et intellectus, tamen, quia de ratione amoris est quod non procedat nisi a conceptione intel­ lectus, habet ordinis distinctionem processio Amoris a processione Verbi in divinis.

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zione della volontà si trova in noi un' altra processione, cioè quella dell'amore, mediante la quale l'amato si trova nell'amante, a quel modo in cui mediante la concezione del verbo la cosa espressa o intesa è in chi la intende. Quindi, oltre alla processione del Verbo, si pone in Dio un'altra processione, quella del­ l 'Amore. Soluzione delle difficoltà: l . Non c'è bisogno di giungere all' infinito nel numero delle pro­ cessioni divine. Infatti i n una natura intel­ lettuale le processioni immanenti si arrestano a quella della volontà. 2. Contrariamente a quanto si verifica nelle altre realtà, tutto ciò che è in Dio è Dio, come si è detto. Quindi con ogni processione imma­ nente in Dio si comunica la natura divina; il che non avviene nelle altre nature. 3. Sebbene in Dio la volontà non differisca dall'intelletto, tuttavia la volontà e l ' intelletto richiedono che le loro processioni abbiano tra loro un ordine. Infatti non si dà la processione dell' amore se non in rapporto a quella del verbo [mentale] : poiché la volontà non può amare se non ciò che è appreso dall'intelletto. Come dunque abbiamo un ordine del verbo rispetto al principio da cui procede, quantun­ que in Dio l ' intelletto e il verbo mentale siano essenzialmente la stessa cosa, così, sebbene in Dio siano la stessa cosa la volontà e l'intellet­ to, tuttavia, dato che l' amore non può proce­ dere se non dal verbo mentale, ne viene che la processione dell' Amore [anche] in Dio ha una distinzione di ordine da quella del Verbo.

Articulus 4

Articolo 4

Utrum processio amoris in divinis sit generatio

La processione dell'amore in Dio è una generazione?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod pro­ cessio amoris in divinis sit generatio. l . Quod enim procedit in similitudine naturae in viventibus, dicitur generatum et nascens. Sed id quod procedit in divinis per modum amoris, procedit in simil itudine naturae, alias esset extraneum a natura divina, et sic esset processi o ad extra. Ergo quod procedit i n divinis per modum amoris, procedit ut genitum et nascens.

Sembra di sì. Infatti: l . Ciò che nei viventi procede in somiglianza di natura procede come generato e nato. Ma in Dio ciò che procede come amore procede in somiglianza di natura, altrimenti sarebbe di natura diversa da Dio, e si avrebbe una pro­ cessione all'esterno. Quindi in Dio ciò che procede come amore procede come generato e nato.

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La processione delle persone divine

2. Praeterea, sicut similitudo est de ratione ver­ bi, ita est etiam de ratione amoris, unde dicitur Eccli. 1 3 [ 19], quod omne animai diligit simile sibi. Si igitur ratione sirnilitudinis verbo proce­ denti convenit generari et nasci, videtur etiam quod amori procedenti convenit genenui. 3. Praeterea, non est in genere quod non est in aliqua eius specie. Si igitur in divinis sit quae­ dam processio amoris, oportet quod, praeter hoc nomen commune, habeat aliquod nomen speciale. Sed non est aliud nomen dare nisi generatio. Ergo videtur quod processio amo­ ris in divinis sit generatio. Sed contra est quia secundum hoc sequeretur quod Spiritus Sanctus, qui procedit ut amor, procederet ut genitus. Quod est contra illud Athanasii [Symb.], Spiritus Sanctus a Patre et

Filio non factus nec creatus nec genitus, sed procedens.

Respondeo dicendum quod processio amoris in divinis non debet dici generatio. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod haec est differentia inter intellectum et voluntatem, quod intellectus fit in actu per hoc quod res intellecta est in intellectu secundum suam similitudinem, voluntas autem fit in actu, non per hoc quod aliqua similitudo voliti sit in voluntate, sed ex hoc quod voluntas habet quandam inclinationem in rem volitam. Pro­ cessio igitur quae attenditur secundum ratio­ nem intellectus, est secundum rationem sirni­ litudinis, et intantum potest habere rationem generationis, quia omne generans generat sibi simile. Processio autem quae attenditur se­ cundum rationem voluntatis, non consideratur secundum rationem similitudinis, sed magis secundum rationem impellentis et moventis in aliquid. Et ideo quod procedit in divinis per modum amoris, non procedit ut genitum vel ut filius, sed magis procedit ut spiritus, quo nomine quaedam vitalis motio et impulsio de­ signatur, prout aliquis ex amore dicitur mo­ veri vel impelli ad aliquid faciendum. Ad prirnum ergo dicendum quod quidquid est in divinis, est unum cum divina natura. Unde ex parte huius unitatis non potest accipi pro­ pria ratio huius processionis vel illius, secun­ dum quam una distinguatur ab alia, sed oportet quod propria ratio huius vel illius processionis accipiatur secundum ordinem unius processio­ nis ad aliam. Huiusmodi autem ordo attenditur secundum rationem voluntatis et intellectus.

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2. La somiglianza appartiene all'amore non meno che al verbo, per cui è detto in Sir che ogni vivente ama il suo simile. Se dunque a motivo della somiglianza conviene al Verbo che procede di essere generato e di nascere, pare che l'essere generato debba convenire anche ali' amore che procede. 3. Non può dirsi contenuto in un genere ciò che non è contenuto in qualcuna delle sue specie. Se quindi in Dio vi è una processione di amore, è necessario che, oltre a questo no­ me generico [di processione], essa ne abbia anche un altro speciale. Ma non si può dare altro nome che quello di generazione. Perciò sembra che in Dio anche questa processione dell'amore sia una generazione. In contrario: se così fosse, lo Spirito Santo, che procede come amore, procederebbe come generato. Ma ciò è contrario a quanto è detto nel Simbolo Atanasiano: «Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio, non come fatto, né creato, né generato, ma come procedente». Risposta: la processione dell'amore in Dio non può essere detta generazione. A chiari­ mento di ciò è da notare che tra l'intelletto e la volontà c'è questa differenza, che l'intellet­ to passa all' atto in quanto l'oggetto inteso è in esso per la sua somiglianza [o rappresentazio­ ne]� invece la volontà passa all'atto non per­ ché ci sia in essa una rappresentazione di ciò che è voluto, ma perché ha in sé una certa in­ clinazione verso la cosa voluta. Quindi la pro­ cessione propria dell'intelletto è per somi­ glianza: e può essere detta generazione per­ ché il produrre un proprio simile è caratteri­ stico della generazione. Invece la processione della volontà non è secondo una somiglianza, ma piuttosto secondo un certo impulso o spinta verso qualcosa. Quindi ciò che in Dio procede come amore non procede come ge­ nerato o figlio, ma piuttosto come spirito: no­ me, questo, con cui si indica un moto vitale e una spinta, come si dice che uno è spinto dall'amore a fare qualcosa. Soluzione delle difficoltà: l. Thtto ciò che è in Dio è una stessa cosa con la natura divina. Quindi la vera ragione per cui una processione si distingue dall'altra non può essere desunta da questa unità, ma va ricavata dall'ordine che c ' è tra di esse. E tale ordine si ricava dalla natura dell'intelletto e della volontà. Quindi dall'indole di queste facoltà tutte e due le pro-

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La processione delle persone divine

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Unde secundum horum propriam rationem sortitur in divinis nomen utraque processio, quod imponitur ad propriam rationem rei significandam. Et inde est quod procedens per modum amoris et divinam naturam accipit, et tamen non dicitur natum. Ad secundum dicendum quod similitudo aliter pertinet ad verbum, et aliter ad amorem. Nam ad verbum pertinet inquantum ipsum est quaedam similitudo rei intellectae, sicut geni­ tum est similitudo generantis, sed ad amorem pertinet, non quod ipse amor sit similitudo, sed inquantum similitudo est principium amandi. Unde non sequitur quod amor sit ge­ nitus, sed quod genitum sit principium amoris. Ad tertium dicendum quod Deum nominare non possumus nisi ex creaturis, ut dictum est supra [q. 1 3 a. l ]. Et quia in creaturis commu­ nicatio naturae non est nisi per generationem, processio in divinis non habet proprium vel speciale nomen nisi generationis. Unde pro­ cessio quae non est generatio, remansit sine speciali nomine. Sed potest nominari spiratio, quia est processio spiritus.

cessioni in Dio traggono il nome che ne espri­ me la natura speciale. Ed è per questo che ciò che procede a modo di amore, sebbene riceva la natura divina, tuttavia non si dice nato. 2. Si deve dire che la somiglianza appartiene al verbo e all'amore in modo diverso: al verbo in quanto esso è una certa immagine della co­ sa intesa, come il generato lo è del generante; all'amore, invece, non in quanto esso è l'im­ magine [della cosa amata], ma perché la somi­ glianza porta ad amare. Quindi non segue che l'amore sia generato, ma solo che il generato è il principio dell'amore. 3. Dio, come si è detto sopra, non può essere nominato che [a partire] dalle creature. Ora, siccome nelle creature la natura non si comu­ nica che mediante la generazione, tra le pro­ cessioni divine ha un nome proprio e speciale soltanto la generazione. Quindi la processio­ ne che non è una generazione rimane senza un nome particolare. La si può tuttavia chia­ mare spirazione, poiché è la processione del­ lo spirito.

Articulus 5 Utrum sint plures processiones in divinis quam duae

Articolo 5 In Dio ci sono più di due processioni?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod sint plures processiones in divinis quam duae. l . Sicut enim scientia et voluntas attribuitur Deo, ita et potentia. Si igitur secundum intel­ lectum et voluntatem accipiuntur in Deo duae processiones, videtur quod tertia sit accipien­ da secundum potentiam. 2. Praeterea, bonitas maxime videtur esse principium processionis, cum bonum dicatur [DDN 4,20; cf. q. 5 a. 4 arg. 2] diffusivum sui esse. Videtur igitur quod secundum bonitatem aliqua processio in divinis accipi debeat. 3. Praeterea, maior est fecunditatis virtus in Deo quam in nobis. Sed in nobis non est tan­ tum una processio verbi, sed multae, quia ex uno verbo in nobis procedit aliud verbum; et similiter ex uno amore alius amor. Ergo et in Deo sunt plures processiones quam duae. Sed contra est quod in Deo non sunt nisi duo procedentes, scilicet Filius et Spiritus Sanc­ tus. Ergo sunt ibi tantum duae processiones. Respondeo dicendum quod processiones in divinis accipi non possunt nisi secundum

Sembra di sì. Infatti: l. Come si atttibuisce a Dio la scienza e la volontà, così gli si attribuisce anche la poten­ za. Se dunque dalla parte dell'intelletto e della volontà si hanno in lui due processioni, pare che ce ne debba essere una terza dalla parte della potenza. 2. Sembra che alla bontà in modo particolare convenga di essere principio di processione, dato che il bene tende a diffondere se stesso. Quindi si direbbe che in Dio vi debba essere qualche processione anche secondo la bontà. 3. La fecondità è maggiore in Dio che in noi. Ma in noi non c'è una sola processione con­ cettuale, bensì molte: poiché da un verbo pro­ cede un altro verbo, e similmente da un amo­ re un altro amore. Quindi in Dio vi debbono essere più di due processioni. In contrario: in Dio non vi sono che due pro­ cedenti, cioè il Figlio e lo Spirito Santo. Quin­ di non vi sono che due processioni. Risposta: in Dio non vi possono essere pro­ cessioni se non secondo le azioni immanenti. Ora, in una natura intellettuale e divina queste

Q. 27, A. 5

La processione delle persone divine

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actiones quae in agente manent. Huiusmodi autem actiones in natura intellectuali et divina non sunt nisi duae, scilicet intelligere et velle. Nam sentire, quod etiam videtur esse operatio in sentiente, est extra naturam intellectualem, neque totaliter est remotum a genere actio­ num quae sunt ad extra; nam sentire perficitur per actionem sensibilis in sensum. Relinqui­ tur igitur quod nulla alia processio possit esse in Dea, nisi verbi et amoris. Ad primum ergo dicendum quod potentia est principium agendi in aliud, unde secundum potentiam accipitur actio ad extra. Et sic se­ cundum attributum potentiae non accipitur processio divinae personae, sed salurn pro­ cessio creaturarum. Ad secundum dicendum quod bonum, sicut dicit Boetius in libro De hebd. [4], pertinet ad essentiam et non ad operationem, nisi forte sicut obiectum voluntatis. Unde, cum proces­ siones divinas secundum aliquas actiones ne­ cesse sit accipere, secundum bonitatem et huiusmodi alia attributa non accipiuntur aliae processiones nisi Verbi et Amoris, secundum quod Deus suam essentiam, veritatem et bo­ nitatem intelligit et amat. Ad ter1iwn dicendum quod, sicut supra [q. 14 a 7; q. 1 9 a 5] habitum est, Deus uno simplici actu omnia intelligit, et similiter omnia vult. Unde in eo non potest esse processio verbi ex verbo, ne­ que amoris ex amore, sed est in eo solum unum Verbum perfectum, et unus Amor perfectus. Et in hoc eius perfecta fecunditas manifestatur.

non sono che due sole, cioè l ' intendere e il volere. TI sentire infatti, che pare anch'esso un'azione immanente, è estraneo alla natura [puramente] intellettuale; e non è del tutto fuori del genere delle azioni transeunti, poi­ ché si compie mediante l'azione del sensibile sul senso. Resta dunque che in Dio non vi possono essere altre processioni se non quelle del verbo e dell'amore. Soluzione delle difficoltà: l . La potenza è il principio dell'azione che si esercita su di un altro soggetto: quindi da essa proviene l' azio­ ne ad extra. Per questo dall'attributo della potenza non si denomina la processione di una persona divina, ma soltanto la derivazio­ ne delle creature. 2. Come dice Boezio, il bene appartiene al­ l 'essenza e non all'operazione, se non forse come oggetto della volontà. Dovendo dunque le processioni divine essere desunte dalle ope­ razioni, ne segue che dalla bontà e da simili attributi non si hanno altre processioni oltre a quelle del Verbo e dell'Amore, in quanto Dio intende e ama la sua essenza, la sua verità e la sua bontà. 3. Come si è già detto, Dio con un semplicis­ simo atto intende e vuole ogni cosa. Quindi in lui non vi può essere processione di un verbo dal verbo, né di un amore dali' amore, ma in Dio c'è un solo Verbo e un solo Amore per­ fettissimi. E in ciò si manifesta la sua perfetta fecondità.

QUAESTI0 28 DE RELATIONffiUS DIVINIS

QUESTIONE 28 LE RELAZIONI DIVINE

Deinde considerandum est de relationibus di­ vinis [cf. q. 27 prol.]. Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum in Deo sint aliquae re­ lationes reales. Secundo, utrum illae relatio­ nes sint ipsa essentia divina, vel sint extrinse­ cus affixae. Tertio, utrum possint esse in Deo plures relationes realiter distinctae ab invi­ cem. Quarto, de numero harum relationum.

Passiamo ora a considerare le relazioni divi­ ne. A questo proposito si pongono quattro quesiti: l . In Dio vi sono delle relazioni reali? 2. Tali relazioni sono la stessa essenza divina o qualcosa di aggiunto esternamente? 3. In Dio vi possano essere più relazioni fra loro realmente distinte? 4. Qual è il numero di queste relazioni?

Articulus l Utrum in Deo sint aliquae relationes reales

Articolo l In Dio ci sono delle relazioni reali?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Deo non sint aliquae relationes reales.

Sembra di no. Infatti: l . Boezio in De Trin. dice: «Quando le nostre

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Le relazioni divine

l . Dicit enim Boetius, in libro De Trin. [4], quod cum quis praedicamenta in divinam vertit praedicationem, cuncta mutantur in substantiam quae praedicari possunt; ad aliquid vero omnino non potest praedicari. Sed quidquid est realiter in Deo, de ipso praedicari potest. Ergo relatio non est realiter in Deo. 2. Praeterea, dicit Boetius in eodem libro [6], quod similis est relatio in Trinita/e Patris ad

Filium, et utriusque ad Spiritum Sanctum, ut eius quod est idem, ad id quod est idem. Sed

huiusmodi relatio est rationis tantum, quia omnis relatio realis exigit duo extrema realiter. Ergo relationes quae ponuntur in divinis, non sunt reales relationes, sed rationis tantum. 3 . Praeterea, relatio paternitatis est relatio principii. Sed cum dicitur, Deus est principium creaturarum, non importatur aliqua relatio realis, sed rationis tantum. Ergo nec paternitas in divinis est relatio realis. Et eadem ratione nec aliae relationes quae ponuntur ibi. 4. Praeterea, generatio in divinis est secundum intelligibilis verbi processionem. Sed relatio­ nes quae consequuntur operationem intel­ lectus, sunt relationes rationis. Ergo paternitas et filiatio, quae dicuntur in divinis secundum generationem, sunt relationes rationis tantum. Sed contra est quod Pater non dicitur nisi a pa­ ternitate, et Filius a filiatione. Si igitur paterni­ tas et tiliatio non sunt in Deo realiter, sequitur quod Deus non sit realiter Pater aut Filius, sed secundum rationem intelligentiae tantum, quod est haeresis Sabelliana. Respondeo dicendum quod relationes quae­ dam sunt in divinis realiter. Ad cuius eviden­ tiam, considerandum est quod solum in his quae dicuntur ad aliquid, inveniuntur aliqua secundum rationem tantum, et non secundum rem. Quod non est in aliis generibus, quia alia genera, ut quantitas et qualitas, secundum propriam rationem significant aliquid alicui inhaerens. Ea vero quae dicuntur ad aliquid, signiticant secundum propriam rationem sa­ lurn respectum ad aliud. Qui quidem respec­ tus aliquando est in ipsa natura rerum; utpote quando aliquae re...;; secundum suam naturam ad invicem ordinatae sunt, et invicem inclina­ tionem habent. Et huiusmodi relationes opor­ tet esse reales. Sicut in corpore gravi est indi­ natio et ordo ad locum medium, unde respec­ tus quidam est in ipso gravi respectu loci medii. Et similiter est de aliis huiusmodi. Ali-

Q. 28, A. l

categorie si riferiscono a Dio, quelle che gli si possono riferire si mutano nella categoria di sostanza; però in nessun modo gli possiamo attJ.ibuire la relazione». Ma tutto ciò che è real­ mente in Dio possiamo a lui attribuirlo. Quindi in lui non c'è realmente alcuna relazione. 2. Boezio nello stesso libro dice: «Nella San­ tissima Trinità la relazione del Padre al Figlio, e quella di ambedue allo Spirito Santo, è co­ me quella di un'identica cosa a se stessa>>. Ma questa è solo una relazione di ragione: poiché ogni relazione reale richiede due termini reali. Quindi le relazioni che si pongono in Dio non sono reali, ma solo di ragione. 3. La relazione di paternità è una relazione di principio. Ora, l'espressione: Dio è il princi­ pio delle creature non implica una relazione reale, ma solo di ragione. Quindi neppure la paternità è una relazione reale. E lo stesso si deve dire delle altre relazioni che si attribui­ scono a Dio. 4. La generazione in Dio avviene come pro­ cessione del verbo mentale. Ma le relazioni che derivano dalle operazioni intellettuali sono relazioni di ragione. Quindi in Dio la paternità e la filiazione, che sono desunte dalla genera­ zione, sono soltanto relazioni di ragione. In contrario: il Padre non è detto tale se non per la paternità, e il Figlio per la filiazione. Se dun­ que la paternità e la filiazione non sono real­ mente in Dio, ne segue che egli non è Padre e Figlio realmente, ma solo secondo il nostro mo­ do di concepire: e questa è l'eresia di Sabellio. Risposta: vi sono in Dio alcune relazioni rea­ li. Per chiarire questo punto si deve notare che solo nella categoria della relazione si u·ovano alcune specie che non sono reali, ma soltanto di ragione. I l che non avviene nelle altre categorie: poiché queste altre, come la quanti­ tà e la qualità, prese anche secondo il loro concetto essenziale, significano qualcosa di inerente al soggetto. Invece la relazione, presa secondo il suo concetto essenziale, comporta solo un ordine a qualche altra cosa. E tale ordine qualche volta è nella natura stessa del­ le cose: come quando queste per namra sono tra loro ordinate e tendono l'una all'altra. E le relazioni di questo tipo sono necessariamente reali. Come nei gravi c'è l'inclinazione e la tendenza verso il centro della terra, e perciò vi è in essi un ordine o relazione a questo centro. E lo stesso avviene in altre cose simili. Inve-

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Le relazioni divine

quando vero respectus significatus per ea quae dicuntur ad aliquid, est tantum in ipsa apprehensione rationis conferentis unum alteri, et tunc est relatio rationis tantum; sicut cum comparat ratio hominem animali, ut spec i e m ad g e n u s . C u m a u te m a l i q u i d procedit a principio eiusdem naturae, necesse est quod ambo, scilicet procedens et id a quo procedit, in eodem ordine conveniant, et sic oportet quod habeant reales respectus ad invicem. Cum igitur processiones in divinis sint in identitate naturae, ut ostensum est [q. 27 a. 3 ad 2], necesse est quod relationes quae secundum processiones divinas acci­ piuntur, sint relationes reales. Ad primum ergo dicendum quod ad aliquid dicitur omnino non praedicari in Deo, secun­ dum propriam rationem eius quod dicitur ad aliquid; inquantum scilicet propria ratio eius quod ad aliquid dicitur, non accipitur per com­ parationem ad illud cui inest relatio, sed per respectum ad alterum. N on ergo per hoc excludere voluit quod relatio non esset in Deo, sed quod non praedicaretur per modum inhae­ rentis secundum propriam relationis rationem, sed magis per modum ad aliud se habentis. Ad secundum dicendum quod relatio quae importatur per hoc nomen idem, est relatio rationis tantum, si accipiatur simpliciter idem, quia huiusmodi relatio non potest consistere nisi in quodam ordine quem ratio adinvenit alicuius ad seipsum, secundum aliquas eius duas considerationes. Secus autem est, cum dicuntur aliqua eadem esse, non in numero, sed i n natura generis sive speciei. Boetius igitur relationes quae sunt in divinis, assirnilat relationi identitatis, non quantum ad omnia, sed quantum ad hoc solum, quod per huius­ modi relationes non diversificatur substantia, sicut nec per relationem identitatis. Ad tertium dicendum quod, cum creatura procedat a Deo i n diversitate naturae, Deus est extra ordinem totius creaturae, nec ex eius natura est eius habitudo ad creaturas. Non enim producit creaturas ex necessitate suae naturae, sed per intellectum et per vo­ luntatem, ut supra [q. 14 a. 8; q. 1 9 a. 4] dic­ tum est. Et ideo in Deo non est realis relatio ad creaturas. Sed in creaturis est realis re­ latio ad Deum, quia creaturae continentur sub ordine divino, et in earum natura est quod dependeant a Deo. Sed processiones

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ce, talvolta, il rapporto espresso dai termini relativi si trova soltanto nella ragione che co­ nosce e confronta un termine con l 'altro; e allora si ha una relazione soltanto di ragione: c o m e quando questa mette in rapporto l ' uomo con l ' animale come l a specie al genere. Ora, quando un soggetto procede da un principio di uguale natura, tutti e due, ossia ciò che procede e il suo principio, neces­ sariamente convengono nello stesso ordine, e perciò le relazioni che li uniscono sono di ne­ cessità relazioni reali. Essendo dunque le pro­ cessioni divine in identità di natura, come si è detto, anche le relazioni che ne seguono sono necessariamente relazioni reali. Soluzione delle difficoltà: l. Si dice che la re­ lazione, secondo la sua natura di relazione, non può essere in alcun modo attribuita a Dio in quanto la natura propria di tale categoria non viene desunta dal soggetto in cui si trova, ma dal riferimento ali' altro [termine della rela­ zione] . Con ciò però Boezio non ha voluto escludere da Dio le relazioni, ma solo affer­ mare che esse, secondo la loro propria natura, non si predicano in quanto inerenti, ma piut­ tosto in quanto si riferiscono all'altro termine. 2 . La relazione indicata dal i ' espressione identica cosa è una relazione puramente di ragione se [la cosa] è presa come identica sotto ogni aspetto: poiché una tale relazione non può consistere che in un certo rapporto, stabilito dalla mente, di una cosa con se stes­ sa, presa sotto due considerazioni diverse. Diverso è invece il caso quando si dice che due cose numericamente distinte sono identi­ che nel genere o nella specie. Quindi Boezio paragona le relazioni che sono in Dio a quel­ la di identità non in tutto, ma solo in quanto con tali relazioni la sostanza [divina] non a­ cquista diversità, proprio come nel caso della relazione di identità. 3. Siccome le creature procedono da Dio se­ condo una diversità di natura, Dio si trova fuori di tutto l'ordine delle creanrre; e il rap­ porto che egli ha verso le creature non provie­ ne dalla sua natura, poiché egli non le produ­ ce per una necessità intrinseca, ma da un'a­ zione libera del suo intelletto e della sua vo­ lontà, come si è detto. Quindi in Dio non c'è una relazione reale alle crean1re; però nelle creature c'è una relazione reale a Dio, essen­ do esse contenute sotto l'ordine divino e di-

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divinae sunt in eadem natura. Unde non est similis ratio. Ad quartum dicendum quod relationes quae consequuntur solam operationem intellectus in ipsis rebus intellectis, sunt relationes rationis tantum, quia scilicet eas ratio adinvenit inter duas res intellectas. Sed relationes quae con­ sequuntur operationem intellectus, quae sunt inter verbum intellectualiter procedens et illud a quo procedit, non sunt relationes rationis tantum, sed rei, quia et ipse intellectus et ratio est quaedam res, et comparatur realiter ad id quod procedit intelligibiliter, sicut res corpo­ ralis ad id quod procedit corporaliter. Et sic patemitas et filiatio sunt relationes reales i n divinis.

pendendo nella loro natura da Dio. Ma le pro­ cessioni divine sono secondo l' identità di na­ tura. Quindi il paragone non regge. 4. Le relazioni che sorgono nelle cose per le sole operazioni della mente sono relazioni soltanto di ragione perché poste dalla mente stessa nelle cose intese. Invece le relazioni che seguono le operazioni della mente e inter­ corrono tra i l verbo mentale e il principio da cui procede non sono soltanto di ragione, ma reali: poiché l'intelletto, o la ragione, è qual­ cosa di reale che ha un rapporto reale con ciò che procede mentalmente, come le realtà cor­ porali hanno una relazione reale con ciò che procede materialmente [da esse] . E in questo senso la paternità e la filiazione esistono in Dio realmente.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum relatio in Deo sit idem quod sua essentia

La relazione in Dio è identica alla sua essenza?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod relatio in Deo non sit idem quod sua essentia. l . Dicit enim Augustinus, in 5 De Trin. [5], quod non omne quod dicitur in Deo, dicitur

Sembra di no. Infatti : l . Agostino dice: «Non tutto ciò che s i predi­ ca di Dio sta a indicare la sostanza, poiché alcune cose si dicono di lui in ordine ad altro, come egli è detto Padre in ordine al Figlio; ora, queste [espressioni] non stanno a indicare la sua sostanza». Quindi la relazione non è l'essenza divina. 2. Agostino dice: >. E sicco­ me è una grande dignità sussistere come sog­ getto di natura razionale, perciò, come si è detto, ogni individuo di tale natura fu chiama­ to persona. Ma la dignità della natura divina eccede qualsiasi dignità: perciò a Dio massi­ mamente conviene il nome persona. 3 . Se si bada all'origine del nome, ipostasi non conviene a Dio, non sottostando egli ad alcun accidente; però gli conviene quanto al suo significato di realtà sussistente. - Girolamo,

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mine venenum latere, quia antequam signifi­ catio huius nominis esset piene nota apud Latinos, haeretici per hoc nomen simplices decipiebant, ut confiterentur plures essentias, sicut confitentur plures hypostases; propter hoc quod nomen substantiae, cui respondet in Graeco nomen hypostasis, communiter acci­ pitur apud nos pro essentia. Ad quartum dicendum quod Deus potest dici rationalis naturae, secundum quod ratio non importat discursum, sed communiter intellec­ tualem naturam. Individuum autem Deo com­ petere non potest quantum ad hoc quod in­ dividuationis principium est materia, sed so­ lum secundum quod importat incommunica­ bilitatem. Substantia vero convenit Deo, secun­ dum quod significat existere per se. Quidam tamen dicunt quod definitio superius a Boetio data, non est definitio personae secundum quod personas in Deo dicimus. Propter quod Ricardus de Sancto Victore, corrigere volens hanc definitionem, dixit [De Trin. 4,22] quod persona, secundum quod de Deo dicitur, est

divinae naturae incommunicabilis existentia. Articulus 4 Utrum hoc nomen persona significet relationem Ad quartum sic proceditur. Videtur quod hoc nomen persona non significet relationem, sed substantiam, in divinis. l . Dicit enim Augustinus, in 7 De Trin. [6],

cum dicimus personam Patris, non aliud dici­ mus quam substantiam Patris; ad se quippe dicitur persona, non ad Filium.

2. Praeterea, quid quaerit de essentia. Sed, sicut dicit Augustinus in eodem loco [7,4-5; 5,9], cum dicitur, tres sunt qui testimonium dant in caelo, Pate1; Verbum et Spiritus Sanctus; et quaeritur, quid tres? Respondetur, tres personae. Ergo hoc nomen persona significat essentiam. 3. Praeterea, secundum philosophum, 4 Met. [3,7,9], id quod significatur per nomen, est eius definitio. Sed definitio personae est rationalis naturae individua substantia, ut dictum est. Er­ go hoc nomen persona significat substantiam. 4. Praeterea, persona in hominibus et angelis non significat relationem, sed aliquid absolu­ tum. Si igitur in Deo significaret relationem, diceretur aequivoce de Deo et horninibus et angelis.

Q. 29, A. 3

poi, dice che sotto quel nome sta i l veleno perché, prima che fosse pienamente noto ai latini il suo significato, gli eretici con quel no­ me ingannavano i semplici inducendoli ad ammettere in Dio più essenze, come ammet­ tevano più ipostasi, dato che il nome di so­ stanza, a cui in greco corrisponde ipostasi, presso di noi comunemente sta per essenza. 4. Si può dire che Dio è di natura razionale in quanto la ragione, presa in senso generico, si­ gnifica una natura intellettuale, e non in quanto implica un processo discorsivo. A Dio, poi, non può convenire di essere individuo nel sen­ so che il principio della sua individuazione sia la materia, ma solo in quanto [individuo] indi­ ca incomunicabilità. Essere poi sostanza con­ viene a Dio in quanto essa dice esistere per sé. - Alcuni, tuttavia, affermano che la surriferita definizione di persona, data da Boezio, non è la definizione della persona che viene ammessa in Dio. Per cui Riccardo di San Vittore, volen­ do correggere questa definizione, disse che la persona, in quanto attribuita a Dio, è «un'esi­ stenza incomunicabile di natura divina>>. Articolo 4 n termine persona

significa una relazione? Sembra di no. Intàtti: l . Agostino afferma: «Quando diciamo: "la persona del Padre" non diciamo altro che: "la sostanza del Padre", poiché egli è detto persona in ordine a se stesso, e non in ordine al Figlio». 2. [Quando si domanda] il quid si ricerca l'es­ senza. Ma, come scrive Agostino, quando si dice: «Sono tre che fanno testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo», e si chiede: «Tre che cosa?», si risponde: «Tre persone». Quindi il termine persona significa l 'essenza. 3. Secondo il Filosofo il nome significa la de­ finizione della cosa da esso designata; ma la definizione di persona è «Sostanza individuale di natura razionale», come si è detto. Quindi il nome persona significa la sostanza. 4. Sia negli uomini che negli angeli la persona non significa una relazione, ma qualcosa di assoluto. Se dunque in Dio significasse una relazione, si applicherebbe equivocamente a Dio, agli angeli e agli uomini.

Q. 29, A. 4

Le persone divine

Sed contra est quod dicit Boetius, in libro De Trin. [6], quod omne nomen ad personas per­ tinens, relationem significat. Sed nullum no­ men magis pertinet ad personas, quam hoc nomen persona. Ergo hoc nomen persona re­ lationem significat. Respondeo dicendum quod circa significa­ tionem huius nominis persona in divinis, dif­ ficultatem ingerit quod pluraliter de tribus praedicatur, praeter naturam essentialium no­ minum; neque etiam ad aliquid dicitur, sicut nomina quae relationem significant. Unde quibusdam visum est quod hoc nomen persona simpliciter, ex virtute vocabuli , essentiam significet in divinis, sicut hoc nomen Deus, et hoc nomen sapiens, sed propter instantiam haereticorum, est accommodatum, ex ordina­ tione Concilii, ut possit poni pro relativis; et praecipue in plurali, vel cum nomine partitivo, ut cum dicimus tres personas, vel alia est persona Patris, alia Filii. In singulari vero potest sumi pro absoluto, et pro relativo. Sed haec non videtur sufficiens ratio. Quia si hoc nomen persona, ex vi suae significationis, non habet quod significet nisi essentiam in divinis; ex hoc quod dictum est tres personas, non fuisset haereticorum quietata calumnia, sed maioris calumniae data esset eis occasio. Et ideo alii dixerunt quod hoc nomen persona in divinis significat simul essentiam et relatio­ nem. Quorum quidam dixerunt quod significat essentiam in recto, et relationem in obliquo. Quia persona dicitur quasi per se una, unitas autem pertinet ad essentiam. Quod autem dicitur per se, implicat relationem oblique, intelligitur enim Pater per se esse, quasi cela­ tione distinctus a Filio. Quidam vero dixerunt e converso, quod significat relationem in recto, et essentiam in obliquo, quia in definitione personae, natura ponitur in obliquo. Et isti propinquius ad veritatem accesserunt. Ad evidentiam igitur huius quaestionis, consi­ derandum est quod aliquid est de significatione minus communis, quod tamen non est de significatione magis communis, rationale enim includitur in significatione hominis, quod tamen non est de significatione animalis. Unde aliud est quaerere de significatione animalis, et aliud est quaerere de significatione animalis quod est homo. Similiter aliud est quaerere de significatione huius nominis persona in com­ munì, et aliud de significatione personae di-

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In contrario: Boezio afferma che ogni nome appartenente alle persone significa una rela­ zione. Ma nessun nome appartiene alla perso­ na più che lo stesso nome di persona: esso perciò significa una relazione. Risposta: circa il significato del nome persona applicato a Dio può portare difficoltà il fatto che, contro la natura dei nomi assoluti, si dica al plurale delle tre persone; e d'altra parte non è un nome che esprima un rapporto, come i nomi relativi. Quindi ad alcuni parve che i l nome persona, semplicemente in forza della parola, in Dio significasse l'essenza, come il nome Dio e il nome sapiente, ma poi, in se­ guito alle difficoltà degli eretici, per decisione di un Concilio, sarebbe stato adattato a prende­ re il posto dei relativi: e specialmente se usato al plurale o col partitivo, come quando di­ ciamo tre persone, oppure altra è la persona del Padre, altra quella del Figlio. Nel singo­ lare, invece, può stare tanto per l ' assoluto quanto per il relativo. - Però questa non pare una spiegazione sufficiente. Perché se in Dio persona, in forza del suo significato, non in­ dica altro che I' essenza, dicendo che in Dio vi sono tre persone si sarebbe data agli eretici l'occasione per una calunnia ancora più grave, invece di rigettare la loro accusa. Per questo altri sostennero che persona significa simul­ taneamente l'essenza e la relazione. E alcuni di costoro aftèrmarono che direttamente significa l'essenza e solo indirettamente [in caso obli­ quo] la relazione. Poiché persona deriva da per se una: ora, l'unità si ritèrisce all'essenza, e d'altra parte il per se indica la relazione indi­ rettamente [in caso obliquo] : infatti il Padre viene concepito come sussistente in quanto distinto dal Figlio mediante la relazione. Altri, invece, affermarono il contrario: che cioè la persona significa direttamente la relazione, e solo i ndirettamente l' essenza, poiché nella definizione di persona la natura è posta in caso obliquo; e questi si avvicinarono di più al vero. Per chiarire dunque la questione, bisogna nota­ re che si può dare un elemento che rientra nel significato di un termine meno universale sen­ za che rientri nel significato di un tennine più universale: come razionale è incluso nel signi­ ficato di uomo, ma non rientra nel significato di animale. Perciò una cosa è cercare il signifi­ cato di animale e altra cosa è cercare il si­ gnificato di quell'animale che è l'uomo. E così

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vinae. Persona enim in communi significat substantiam individuam rationalis naturae, ut dictum est [a. 1 ] . lndividuum autem est quod est in se indistinctum, ab aliis vero distinctum. Persona igitur, in quacumque natura, significat id quod est distinctum in natura illa sicut in hu­ mana natura significat has cames et haec ossa et hanc animam, quae sunt principia indivi­ duantia hominem; quae quidem, licet non sint de significatione personae, sunt tamen de signi­ ficatione personae humanae. Distinctio autem in divinis non fit nisi per relationes originis, ut dictum est supra [q. 28 a. 3]. Relatio autem in divinis non est sicut accidens inhaerens su­ biecto, sed est ipsa divina essentia, unde est subsistens, sicut essentia divina subsistit. Sicut ergo deitas est Deus, ita paternitas divina est Deus Pater, qui est persona divina. Persona igitur divina significat relationem ut subsis­ tentem. Et hoc est significare relationem per modum substantiae quae est hypostasis subsi­ stens in natura divina; licet subsistens in natura divina non sit aliud quam natura divina. Et secundum hoc, verum est quod hoc nomen persona signifi cat relationem in recto, et essentiam in obliquo, non tamen relationem inquantum est relatio, sed inquantum signi­ ficatur per modum hypostasis. Similiter etiam significat essentiam in recto, et relationem in obliquo, inquantum essentia idem est quod hy­ postasis; hypostasis autem significatur i n divinis ut relatione distincta; et sic relatio, per modum relationis significata, cadit in ratione personae in obliquo. Et secundum hoc etiam dici potest, quod haec significatio huius no­ rninis persona non erat percepta ante haeretico­ rum calumniam, unde non erat in usu hoc nomen persona, nisi sicut unum aliorum abso­ lutorum. Sed postmodum accommodatum est hoc nomen persona ad standum pro relativo, ex congruentia suae significationis, ut scilicet hoc quod stat pro relativo, non solum habeat ex usu, ut prima opinio dicebat, sed etiam ex significatione sua. Ad primum ergo dicendum quod hoc nomen persona dicitur ad se, non ad alterum, quia significat relationem, non per modum relatio­ nis, sed per modum substantiae quae est hypostasis. Et secundum hoc Augustinus dicit quod significat essentiam, prout in Deo essen­ tia est idem cum hypostasi, quia in Deo non di:ffert quod est et quo est.

Q. 29, A. 4

pure altro è cercare il significato del termine

persona in generale, e altro è cercare il signifi­ cato del termine persona divina. La persona in generale infatti, come si è detto, significa una sostanza individuale di natura razionale. L' in­ dividuo poi è ciò che è indistinto in se stesso e distinto dagli altri. La persona dunque, in qual­ siasi natura, significa ciò che è distinto in quel­ la natura: come nella natura umana significa questa carne, queste ossa, questa anima, che sono i princìpi individuanti l' uomo; le quali cose, pur non facendo parte del significato di persona, tuttavia fanno parte di quello di perso­ na umana. Ora, come si è detto, la distinzione in Dio non avviene se non per le relazioni di origine. E tali relazioni in Dio non sono come accidenti inerenti al soggetto, ma sono la stes­ sa essenza divina: perciò esse sono sussistenti come sussiste l'essenza divina. Come dunque la divinità è Dio, così la paternità divina è Dio Padre, il quale è una persona divina. Perciò la persona divina significa la relazione come sus­ sistente. E ciò equivale a significare la re­ lazione a modo di sostanza, cioè di ipostasi sussistente nella natura divina; benché ciò che sussiste nella natura divina non sia altro che la stessa natura divina. Stando dunque a queste premesse, è vero che il nome persona significa direttamente la relazione e solo indirettamente l'essenza: non però la relazione in quanto rela­ zione, ma in quanto significata come ipostasi. - Parimenti, significa pure direttamente l'es­ senza e indirettamente la relazione: in quanto l'essenza si identifica con l'ipostasi; ma l'ipo­ stasi in Dio viene significata come distinta da una relazione, e quindi la relazione nel suo si­ gnificato di relazione rientra nel concetto di persona indirettamente [in caso obliquo]. E in base a ciò si può anche dire che il significato del nome persona non era ben conosciuto prima delle critiche degli eretici: perciò non si usava il termine persona se non come uno degli altri nomi assoluti. Invece in seguito, per l'adattabilità del suo significato, il termine per­ sona fu portato a fungere da relativo: per cui questo suo stare per il relativo non l'ebbe solo dall'uso, come voleva la ptima opinione, ma anche in fou..a del suo significato. Soluzione delle difficoltà: l . Il termine persona appartiene ai nomi assoluti perché significa la relazione non come relazione, ma come so­ stanza, ossia ipostasi. E in questo senso Ago-

Q. 29, A. 4

Le persone divine

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Ad secundum dicendum quod quid quando­ que quaerit de natura quam significat defi­ nitio; ut cum quaeritur, quid est homo? Et respondetur, animai rationale mortale. Quan­ doque vero quaerit suppositum; ut cum quae­ ritur, quid natat i n mari? Et respondetur, piscis. Et sic quaerentibus quid tres? Respon­ sum est, tres personae. Ad tertium dicendum quod in intellectu sub­ stantiae individuae, idest distinctae vel incom­ municabilis, intelligitur in divinis relatio, ut dictum est. Ad quartum dicendum quod diversa ratio mi­ nus communium non facit aequivocationem in magis communi. Licet enim sit alia propria definitio equi et asini, tamen univocantur in nomine animalis, quia communis definitio animalis convenit utrique. Unde non sequitur quod, licet in significatione personae divinae contineatur relatio, non autem in significatio­ ne angelicae personae vel humanae, quod no­ men personae aequivoce dicatur. Licet nec etiam dicatur univoce, cum nihil univoce de Deo dici possit et de creaturis, ut supra [q. 1 3 a. 5] ostensum est.

stino dice che significa l'essenza, in quanto in Dio l'essenza è lo stesso che l'ipostasi: poiché in Dio il quod est [il soggetto] non differisce dal quo est [l'essenza o natura]. 2. n quid si riferisce alcune volte alla natura espressa dalla definizione, come quando si domanda: Che cosa è l'uomo ?, e si risponde: Un animale razionale mortale. Altre volte, però, si riferisce al soggetto, come quando si domanda: Che cosa nuota nel mare?, e si ri­ sponde: Il pesce. E così a chi chiede: Tre che cosa ?, si risponde: Tre persone. 3. Nel concetto di sostanza individuale, cioè distinta e incomunicabile, è inclusa, in Dio, la relazione, come si è detto. 4. n diverso significato di un termine meno uni­ versale non compotta equivocazione nel termi­ ne più universale [corrispondente]. Sebbene in­ fatti sia differente la definizione propria del ca­ vallo e dell'asino, tuttavia il nome animale con­ viene loro univocamente: poiché all'uno e al­ l' altro conviene la definizione comune di ani­ male. Quindi, sebbene nella definizione della persona divina sia contenuta la relazione, e non invece in quella della persona angelica o umana, da ciò non segue che il nome di persona [loro attribuito] sia equivoco. Ma non è neppure uni­ voco: poiché, come si è già detto, nulla si può predicare univocamente di Dio e delle creature.

QUAESTIO 30 DE PLURALITATE PERSONARUM IN DIVINIS

QUE�TIONE 30 LA PLURALITA DELLE PERSONE IN DIO

Deinde quaeritur de pluralitate personarum [cf. q. 29 prol .] . Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum sint plures personae in divinis. Secundo, quot sunt. Tertio, quid signi­ ficent termini numerales in divinis. Quarto, de communitate huius nominis persona.

Passiamo ora a trattare della pluralità delle Persone. Riguardo a ciò si pongono quattro quesiti: l . In Dio ci sono più persone? 2. Quan­ te sono? 3. Che cosa significano in Dio i ter­ mini numerici? 4. Il nome persona può essere comune alle tre persone?

Articulus l Utrum sit ponere plures personas in divinis Ad primum sic proceditur. Videtur quod non sit ponere plures personas in divinis. l . Persona enim est rationalis naturae indivi­ dua substantia. Si ergo sunt plures personae in divinis, sequitur quod sint plures substantiae, quod videtur haereticum.

In

Articolo l Dio ci sono più persone?

Sembra di no. Infatti: l. La persona è una sostanza individuale di natura razionale. Se dunque in Dio vi sono più persone, vi sono anche più sostanze, il che è un'eresia. 2. La pluralità delle proprietà assolute non produce una pluralità di persone, né in Dio,

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La pluralità delle persone in Dio

2. Praeterea, pluralitas proprietatum absoluta­ rum non faci t distinctionem personarum, neque in Deo neque in nobis, multo igitur mi­ nus pluralitas relationum. Sed in Deo non est alia pluralitas nisi relationum, ut supra [q. 28 a. 3] dictum est. Ergo non potest dici quod in Deo sint plures personae. 3. Praeterea, Boetius dicit [De Trin. 3], de Deo loquens, quod hoc vere unum est, in quo nul­ lus est numerus. Sed pluralitas importat nume­ rum. Ergo non sunt plures personae in divinis. 4. Praeterea, ubicumque est numerus, ibi est totum et pars. Si igitur in Deo sit numerus per­ sonarum, erit in Deo ponere totum et partem, quod simplicitati divinae repugnat. Sed contra est quod dicit Athanasius [Symb.],

alia est persona Patris, alia Filii, alia Spiritus Sancti. Ergo Pater et Filius et Spiritus Sanctus sunt plures personae. Respondeo dicendum quod plures esse perso­ nas in divinis, sequitur ex praemissis. Osten­ sum est enim supra [q. 29 a. 4] quod hoc no­ men persona significat in divinis relationem, ut rem subsistentem in natura divina. Supra [q. 28 aa. 1 .3-4] autem habitum est quod sunt plures relationes reales in divinis. Unde sequitur quod sint plures res subsistentes in divina natura. Et hoc est esse plures personas in divinis. Ad primum ergo dicendum quod substantia non ponitur in definitione personae secundum quod significat essentiam, sed secundum quod signiticat suppositum, quod patet ex hoc quod additur individua. Ad significandum autem substantiam sic dictam, habent Graeci nomen hypostasis, unde sicut nos dicimus tres personas, ita ipsi dicunt tres hypostases. Nos autem non consuevimus dicere tres sub­ stantias, ne intelligerentur tres essentiae, prop­ ter nominis aequivocationem. Ad secundum dicendum quod proprietates absolutae in divinis, ut bonitas et sapientia, non opponuntur ad invicem, unde neque realiter distinguuntur. Quamvis ergo eis conveniat sub­ sistere, non tamen sunt plures res subsistentes, quod est esse plures personas. Proprietates autem absolutae in rebus creatis non subsi­ stunt, licet realiter ab invicem distinguantur, ut albedo et dulcedo. Sed proprietates relativae in Deo et subsistunt, et realiter ab invicem distin­ guuntur, ut supra [q. 28 a. 3; q. 29 a. 4] dictum est. Unde pluralitas talium proprietatum sufficit ad pluralitatem personarum in divinis.

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né in noi: molto meno dunque lo potrà fare quella delle relazioni. Ma in Dio non c'è altra pluralità che quella delle relazioni, come si è detto. Quindi non si può dire che in Dio vi siano più persone. 3. Boezio, parlando di Dio, dice che è vera­ mente uno ciò che non ammette in sé alcun numero. Ma la pluralità dice numero. Quindi in Dio non vi possono essere più persone. 4. Dovunque c'è un numero, si ha un tutto e delle parti. Se dunque in Dio si ha un numero di persone, bisogna ammettere in Dio un tutto e delle parti: ma ciò ripugna alla semplicità divina. In contrario: Atanasio dice: «Altra è la perso­ na del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo». Quindi il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono più persone. Risposta: da quanto si è detto sopra si com­ prende come in Dio vi siano più persone. Si è infatti dimostrato che il nome persona in Dio significa la relazione come realtà sussistente nella natura divina. Ora, si è già stabilito che in Dio ci sono più relazioni reali. Per cui se­ gue che nella natura divina vi sono più realtà [o soggetti] sussistenti. E ciò equivale a dire che in Dio vi sono più persone. Soluzione delle difficoltà: l . Nella defmizione di persona non si pone il termine sostanza nel significato di essenza, ma nel significato di supposito: e ciò risulta dal fatto stesso che vi si aggiunge individuale. Ora, per indicare la sostanza presa in questo senso i Greci hanno il termine ipostasi: quindi, come noi diciamo tre persone, così essi dicono tre ipostasi. Noi però, data l'ambiguità della parola, non usia­ mo dire tre sostanze, perché non si pensi a tre essenze. 2. In Dio le proprietà assolute, come la bontà e la sapienza, non si contrappongono recipro­ camente: per cui non sono neppure tra loro realmente distinte. Quindi, sebbene anche ad esse convenga il sussistere, non sono tuttavia più realtà [o soggetti] sussistenti, cioè non so­ no più persone. Nelle creature, invece, queste proprietà assolute, sebbene si distinguano realmente fra di loro, come il bianco e il dol­ ce, tuttavia non sussistono. Al contrario le proprietà relative in Dio sussistono e sono tra loro realmente distinte, come si è detto. Quin­ di la pluralità di tali proprietà [relative] in Dio basta per la pluralità delle persone.

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La pluralità delle persone in Dio

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Ad tertium dicendum quod a Deo, propter summam unitatem et simplicitatem, excludi­ tur omnis pluralitas absolute dictorum; non autem pluralitas relationum. Quia relationes praedicantur de aliquo ut ad alterum; et sic compositionem in ipso de quo dicuntur non important, ut Boetius i n eodem libro [De Trin. 6] docet. Ad quartum dicendum quod numerus est duplex, scilicet numerus simplex vel absolu­ tus, ut duo et tria et quatuor; et numerus qui est in rebus numeratis, ut duo homines et duo equi. Si igitur in divinis accipiatur numerus absolute sive abstracte, nihil prohibet in eo esse totum et partem, et sic non est nisi in ac­ ceptione intellectus nostri; non enim numerus absolutus a rebus numeratis est nisi in intel­ lectu. Si autem accipiamus numerum prout est in rebus numeratis, sic in rebus quidem creatis, unum est pars duorum, et duo trium, ut unus homo duorum, et duo trium, sed non est sic in Deo, quia tantus est pater quanta tota Trinitas, ut infra [q. 42 a. 4 ad 3] patebit.

3. Da Dio, data la sua somma unità e sempli­ cità, resta esclusa ogni pluralità di assoluti, non però di relazioni. Poiché le relazioni si predicano del soggetto a cui vengono attribui­ te solo in rapporto ad altro: e così non impor­ tano composizione i n tale soggetto, come spiega Boezio. 4. Il numero è di due specie, e cioè il numero puro e semplice, astratto, come due, tre, quat­ tro, e il numero che è nelle realtà numerate, come due uomini o due cavalli. Se dunque in Dio il numero viene preso in senso assoluto e in astratto, nulla impedisce che in esso vi sia un tutto e delle parti; ma allora ciò si verifica solo nel nostro modo di concepire, poiché il nu­ mero separato dalle realtà numemte esiste solo nella nostra mente. Se invece si prende il nu­ mero concreto in quanto è nelle realtà nume­ rate, allom nelle creature si verifica che l'unità è parte di due, e due di tre, come un uomo è parte di due uomini, e due di tre; ma ciò non si verifica in Dio, poiché il Padre è grande quanto tutta la Trinità, come si spiegherà in seguito.

Articulus 2 Utrum in Deo sint plures personae quam tres

Articolo 2 In Dio ci sono più di tre persone?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in Deo sint plures personae quam tres. l. Pluralitas enim personarum in divinis est secundum pluralitatem proprietatum relativa­ rum, ut dictum est [a. 1 ] . Sed quatuor sunt relationes in divinis, ut supra [q. 28 a. 4] dic­ tum est, scilicet patemitas, filiatio, communis spiratio et processio. Ergo quatuor personae sunt in divinis. 2. Praeterea, non plus differt natura a volunta­ te in Deo, quam natura ab intellectu. Sed in divinis est alia persona quae procedit per mo­ dum voluntatis, ut Amor; et alia quae procedit per modum naturae, ut Filius. Ergo est etiam alia quae procedit per modum intellectus, ut Verbum ; et alia quae procedit per modum naturae, ut Filius. Et sic iterum sequitur quod non sunt tantum tres personae in divinis. 3. Praeterea, in rebus creatis quod excellentius est, plures habet operationes intrinsecas, sicut homo supra alia animalia habet intelligere et velle. Sed Deus in infinitum excedit omnem creaturam. Ergo non solum est ibi persona procedens per modum voluntatis et per mo-

Sembra di sì. Infatti: l . La pluralità delle persone in Dio, come si è detto, è data dalla pluralità delle proprietà relative. Ma queste, come si è visto, sono quattro, cioè la paternità, la filiazione, la spi­ razione comune e la processione. Quindi i n Dio s i hanno quattro persone. 2. In Dio la natura non differisce dalla volontà più che dall'intelletto. Ma in Dio la persona che procede come Amore secondo la volontà è distinta da quella che procede come Figlio per processione naturale [o generazione] . Quindi anche quella che procede come Verbo per azione intellettuale è distinta da quella che procede come Figlio per processione naturale. E così si ha di nuovo che in Dio vi sono più di tre persone. 3 . Nelle creature, quelle che sono superiori alle altre hanno anche un numero maggiore di operazioni intrinseche: l'uomo, per es., a con­ fronto con gli animali, ha in più l'intendere e il volere. Ma Dio è infinitamente superiore alle creature. Quindi in lui si ha non solo la perso­ na che procede per l' operazione della volontà e quella che procede per l'azione dell'intellet-

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La pluralità delle persone in Dio

dum intellectus, sed infinitis aliis modis. Ergo sunt infinitae personae in divinis. 4. Praeterea, ex infinita bonitate Patris est, quod infinite seipsum communicet, producen­ do personam divinam. Sed etiam in Spirito S ancto est infi nita bonitas. Ergo Spiritu s Sanctus producit divinam personam, e t illa aliam, et sic in infinitum. 5. Praeterea, omne quod continetur sub deter­ minato numero, est mensuratum, numerus enim mensura quaedam est. Sed personae di­ vinae sunt immensae, ut patet per Athana­ sium [Symb.], immensus Pater, immensus Fi­ lius, immensus Spiritus Sanctus. Non ergo sub numero temario continentur. Sed contra est quod dicitur l Ioan. ult. [5,7],

tres sunt qui testimonium dant in caelo, Pater; Verbum et Spiritus Sanctus. Quaerentibus

autem, quid tres? Respondetur, tres personae, ut Augustinus dicit, in 7 De Trin. [4.6; cf. 5,9]. Sunt igitur tres personae tantum in divinis. Respondeo dicendum quod, secundum prae­ rnissa, necesse est ponere tantum tres perso­ nas in divinis. Ostensum est enim [a. l ] quod plures personae sunt plures relationes subsi­ stentes, ab invicem realiter distinctae. Realis autem distinctio inter relationes divinas non est nisi in ratione oppositionis relativae. Ergo oportet duas relationes oppositas ad duas per­ sonas pertinere, si quae autem relationes op­ positae non sunt, ad eandem personam neces­ se est eas pertinere. Patemitas ergo et filiatio, cum sint oppositae relationes, ad duas perso­ nas ex necessitate pertinent. Patemitas igitur subsistens est persona Patris, et filiatio subsi­ stens est persona Filii. Aliae autem duae rela­ tiones ad neutram harum oppositionem ha­ bent, sed sibi invicem opponuntur. Impossibi­ le est igitur quod ambae uni personae con­ veniant. Oportet ergo quod vel una earum conveniat utrique dictarum personarum, aut quod una uni, et alia alii. Non autem potest esse quod processio conveniat Patri et Filio, vel alteri eorum, quia sic sequeretur quod processio intellectus, quae est generatio in divinis, secundum quam accipitur patemitas et filiatio, prodiret ex processione amoris, secundum quam accipitur spimtio et proces­ sio, si persona genemns et genita procederent a spimnte, quod est contra pmemissa [a. 27 a. 3 ad 3]. Relinquitur ergo quod spiratio conve­ niat et personae Patris et personae Filii, utpote

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to, ma [anche un'infinità di altre persone che procedono] per infinite altre azioni. Quindi in Dio vi è un numero infinito di persone. 4. Che il Padre si comunichi in modo infinito producendo una persona divina proviene dalla sua infinita bontà. Ma anche nello Spirito Santo c'è una bontà infinita. Quindi anche lo Spirito Santo produce una persona divina, e questa un'altra, e così all'infinito. 5. Tutto ciò che è compreso sotto un numero determinato è misurato: il numero, infatti, è una misura. Ma le persone divine sono in­ commensurabili, come risulta da Atanasio: «Immenso il Padre, immenso il Figlio, im­ menso lo Spirito Santo». Quindi non sono contenute sotto il numero tre. In contrario: è detto in l Gv: Sono tre che ren­

dono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo. E se uno domanda: «Tre

che cosa?» si risponde: «Tre persone», come dice Agostino. Quindi in Dio ci sono solo tre persone. Risposta: in Dio, stando a quanto abbiamo detto, si devono ammettere solo tre persone. Si è dimostrato infatti che più persone sono più relazioni sussistenti, tra loro realmente distinte. Om, tra le relazioni divine non si ha la distinzione reale se non in ragione dell'op­ posizione relativa. Quindi due relazioni tra loro contrapposte devono appartenere a due persone, e se esse non sono contrapposte appartengono necessariamente alla stessa per­ sona. Quindi la paternità e la filiazione, es­ sendo tra loro contrapposte, necessariamente appartengono a due distinte persone. E così la paternità sussistente è la persona del Padre, e la filiazione sussistente è la persona del Fi­ glio. Le altre due relazioni, invece, non si contrappongono né all'una né all'altra, ma soltanto fra loro. Quindi è impossibile che ap­ partengano tutte e due alla medesima per­ sona. E quindi necessario o che una appar­ tenga ad ambedue le suddette persone, oppure che una convenga alla prima e l ' altra alla seconda. Però non è possibile che la proces­ sione appartenga al Padre e al Figlio o anche a uno solo di loro: poiché se la persona che genem e quella che è generata procedessero dalla persona che spira, ne verrebbe che la processione dell'intelletto, che in Dio è gene­ razione, e in base a cui si stabiliscono la pa­ ternità e la filiazione, deriverebbe dalla pro-

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La pluralità delle persone in Dio

nullam habens oppositionem relativam nec ad patemitatem nec ad filiationem. Et per conse­ quens oportet quod conveniat processio alteri personae, quae dicitur persona Spiritus Sane­ ti, quae per modum amoris procedit, ut supra [q. 27 a. 4] habitum est. Relinquitur ergo tan­ tum tres personas esse in divinis, scilicet Pa­ trem et Filium et Spiritum Sanctum. Ad primum ergo dicendum quod, licet sint quatuor relationes in divinis, tamen una earum, scilicet spiratio, non separatur a persona Patris et Filii, sed convenit utrique. Et sic, licet sit relatio, non tamen dicitur proprietas, quia non convenit uni tantum pcrsonae, neque est rela­ tio personalis, idest constituens personam. Sed hae tres relationes, patemitas, filiatio et pro­ cessio, dicuntur proprietates personales, quasi personas constituentes, nam patemitas est per­ sona Patris, filiatio persona Filii, processio persona Spiritus Sancti procedentis. Ad secundum dicendum quod id quod proce­ dit per modum intellectus, ut verbum, proce­ dit secundum rationem similitudinis, sicut etiam id quod procedit per modum naturae, et ideo supra [q. 27 a. 2; q. 28 a. 4] dictum est quod processio Verbi divini est ipsa generatio per modum naturae. Amor autem, inquantum huiusmodi, non procedit ut similitudo illius a quo procedit (licet in divinis amor sit coessen­ tialis inquantum est divinus), et ideo proces­ sio Amoris non dicitur generatio in divinis. Ad tertium dicendum quod homo, cum sit per­ fectior aliis animalibus, habet plures opera­ tiones intrinsecas quam alia animalia, quia eius perfectio est per modum compositionis. Unde in angelis, qui sunt perfectiores et sim­ pliciores, sunt pauciores operationes intrinse­ cae quam in homine, quia in eis non est imagi­ nari, sentire, et huiusmodi. Sed in Deo, secun­ dum rem, non est nisi una operatio, quae est sua essentia. Sed quomodo sunt duae proces­ siones, supra [q. 27 aa. 3.5] ostensum est. Ad quartum dicendum quod ratio illa proce­ deret, si Spiritus Sanctus haberet aliam nume­ ro bonitatem a bonitate Patris, oporteret enim quod, sicut Pater per suam bonitatem producit personam divinam, ita et Spiritus Sanctus. Sed una et eadem bonitas Pattis est et Spiritus Sancti. Neque etiam est distinctio nisi per relationes personarum. Unde bonitas convenit Spiritui Sancto quasi habita ab alio, Patri autem, sicut a quo communicatur alteri. Op-

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cessione dell'amore, in base alla quale si sta­ biliscono la spirazione e la processione: il che contrasta con quanto fu detto sopra. Resta dunque che la spirazione spetti e alla persona del Padre e a quella del Figlio, non avendo alcuna opposizione relativa né alla paternità né alla filiazione. Di conseguenza è necessa­ rio che la processione convenga a un'altra persona, chiamata Spirito Santo, la quale, co­ me si è detto, procede come amore. Quindi in Dio ci sono solo tre persone, cioè il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Soluzione delle difficoltà: l . Sebbene le rela­ zioni in Dio siano quattro, tuttavia una di esse, cioè la spirazione, non è attribuita sepa­ ratamente alla persona del Padre e a quella del Figlio, ma conviene a tutte e due insieme. E così, sebbene sia una relazione, tuttavia non viene detta proprietà, poiché non conviene a una persona soltanto, e neppure relazione personale, cioè costitutiva di una persona. Invece le tre relazioni di paternità, filiazione e processione sono dette proprietà personali, in quanto costituiscono le persone: poiché la paternità è la persona del Padre, la filiazione è la persona del Figlio e la processione è la persona dello Spirito Santo procedente. 2. Ciò che procede intellettualmente come verbo [mentale] procede per via di somiglian­ za, allo stesso modo di ciò che procede per generazione; e per questo si è detto sopra che la processione del Verbo divino è la stessa ge­ nerazione naturale. L'amore invece, in quanto amore, non procede come simile al principio da cui procede (sebbene in Dio l'amore, in quanto divino, sia coessenziale): perciò in Dio la processione dell' Amore non viene detta generazione. 3 . L' uomo, essendo più perfetto degli altri animali, ha in confronto a questi un maggior numero di operazioni intrinseche solo perché la sua perfezione deriva da una complessità [di elementi]. Per cui gli angeli, che sono più perfetti dell'uomo, ma anche più semplici, hanno un numero minore di operazioni intrin­ seche: poiché non c'è in loro né l' immagina­ zione, né la sensazione, né altra operazione del genere. In Dio, invece, non esiste real­ mente che una sola operazione, che è la sua stessa essenza. Come poi in lui ci siano due processioni distinte è già stato spiegato. 4. L' argomento varrebbe se lo Spirito Santo

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La pluralità delle persone in Dio

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positio autem relationis non pennittit ut cum relatione Spiritus Sancti sit relatio principii respectu divinae personae, quia ipse procedit ab aliis personis quae in divinis esse possunt. Ad quintum dicendum quod numerus deter­ minatus, si accipiatur numerus simplex, qui est tantum in acceptione intellectus, per unum mensuratur. Si vero accipiatur numerus rerum in divinis personis, sic non competit ibi ratio mensurati, quia eadem est magnitudo trium personarum, ut infra [q. 42 aa. 1.4] patebit; idem autem non mensuratur per idem.

avesse una bontà numericamente distinta da quella del Padre: perché allora sarebbe necessa­ rio che per la sua bontà producesse, come il Padre, un'altra persona divina Ma una e identi­ ca è la bontà del Padre e dello Spirito Santo. E tra loro non c'è altra distinzione che quella dovuta alle relazioni personali. Quindi quell'u­ nica bontà conviene allo Spirito Santo come ri­ cevuta, e al Padre come al principio da cui viene comunicata. - Questa opposizione relativa, poi, non consente che con la relazione dello Spirito Santo si trovi quella di principio rispetto a tm'al­ tra persona divina: poiché è lui a procedere dalle altre persone che possono esistere in Dio. 5. Se si considerano i numeri astratti, che esi­ stono solo nella mente, [allora è vero che] un numero determinato è misurato dall'unità. Se però si considera il numero concreto delle persone divine, non si può affermare che esso sia misurato: poiché, come si dirà in seguito, la grandezza delle tre persone è la medesima; ora, una cosa non viene misurata da se stessa.

Articulus 3 Utrum termini numerales ponant aliquid in divinis

Articolo 3 I termini numerici pongono qualcosa in Dio?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod tenni­ Di numerales ponant aliquid in divinis. l . Unitas enim divina est eius essentia. Sed omnis numerus est unitas repetita. Ergo omnis tenninus numeralis in divinis significat essentiam. Ergo ponit aliquid in Deo. 2. Praeterea, quidquid dicitur de Deo et crea­ turis, eminentius convenit Deo quam creaturis. Sed termini numerales in creaturis aliquid ponunt. Ergo multo magis in Deo. 3. Praeterea, si termini numerales non ponunt aliquid in divinis, sed inducuntur ad removen­ dum tantum, ut per pluralitatem removeatur unitas, et per unitatem pluralitas; sequitur quod sit circulatio in ratione, confundens in­ tellectum et nihil certificans; quod est incon­ veniens. Relinqtùtur ergo quod termini nume­ rales aliquid ponunt in divinis. Sed contra est quod Hilarius dicit, in 4 De Trin. [17], sustulit singularitatis ac solitudinis intelligentiam professio consortii, quod est professio pluralitatis. Et Ambrosius dicit, in libro De fide [1,2], cum unum Deum dicimus,

Sembra di sì. Infatti: l . L'unità di Dio è la sua essenza. Ma ogni numero è l'unità ripetuta. Quindi ogni termi­ ne numerico in Dio significa l'essenza. Quin­ di pone qualcosa in lui. 2. Ciò che viene attribuito a Dio e alle crea­ ture conviene in modo più eminente a Dio che alle creature. Ma i termini numerici pon­ gono qualcosa nelle creature. Quindi a mag­ gior ragione in Dio. 3. Se i termini numerici non pongono nulla in Dio, ma vengono usati soltanto in senso nega­ tivo, quasi che con la pluralità si voglia negare l'unità e con l'unità la pluralità, ne segue un circolo vizioso, che confonde la mente e non ci accerta di nulla; il che è inammissibile. Quindi i termini numerici pongono qualcosa in Dio. In contrario: dice Ilario: «Professare il consor­ zio [divino]», che equivale a confessare la pluralità, «esclude l'idea dell'isolamento e della solitudine». E Ambrogio afferma: «Quando diciamo che Dio è uno, l'unità e­ sclude la pluralità degli dèi, ma non pone in Dio alcuna quantità». Dal che si vede che

unitas pluralitatem excludit deorum, non quantitatem in Deo ponimus. Ex quibus

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La pluralità delle persone in Dio

videtur quod huiusmodi nomina sunt inducta in divinis ad removendum, non ad ponendum aliquid. Respondeo dicendum quod Magister, i n Sententiis [ 1 ,24, 1], ponit quod termini nume­ rales non ponunt aliquid in divinis, sed re­ movent tantum. Alii vero dicunt contrarium. Ad evidentiam igitur huius, considerandum est quod omnis pluralitas consequitur aliquam divisionem. Est autem duplex divisio. Una materialis, quae fit secundum divisionem continui, et hanc consequitur numerus qui est species quantitatis. Unde talis numerus non est nisi in rebus materialibus habentibus quan­ titatem. Alia est divisio formalis, quae fit per oppositas vel diversas formas, et hanc divi­ sionem sequitur multitudo quae non est i n aliquo genere, sed est d e transcendentibus, secundum quod ens dividitur per unum et multa. Et talem multitudinem solam contingit esse in rebus immaterialibus. Quidam igitur, non considerantes nisi multitudinem quae est species quantitatis discretae, quia videbant quod quantitas discreta non habet locum in divinis, posuerunt quod termini numerales non ponunt aliquid in Deo, sed removent tan tu m . Alii vero, eandem multitudinem considerantes, dixerunt quod, sicut scientia ponitur in Deo secundum rationem propriam scientiae, non autem secundum rationem sui generis, quia in Deo nulla est qualitas; ita numerus in Deo ponitur secundum propriam rationem numer i , n o n autem secundum rationem sui generis, quod est quantitas. Nos autem dicimus quod termini numerales, se­ cundum quod veniunt in praedicationem divi­ nam, non sumuntur a numero qui est species quantitatis; quia sic de Deo non dicerentur nisi metaphorice, sicut et aliae proprietates corporalium, sicut latitudo, longitudo, et simi­ lia, sed sumuntur a multitudine secundum quod est transcendens. Multitudo autem sic accepta hoc modo se habet ad multa de quibus praedicatur, sicut unum quod con­ vertitur cum ente ad ens. Huiusmodi autem unum, sicut supra [q. I I a. I ] dictum est, cum de Dei unitate ageretur, non addit aliquid su­ pra ens nisi negationem divisionis tantum, unum enim significat ens indivisum. Et ideo de quocumque dicatur unum, significatur illa res indivisa, sicut unum dictum de homine, significat naturam vel substantiam hominis

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questi termini sono usati in senso negativo, non in senso positivo. Risposta: il Maestro delle Sentenze afferma che i termini numerici non pongono nulla, ma soltanto escludono qualcosa in Dio. Altri i nvece dicono il contrario. Per mettere i n chiaro la cosa, s i osservi che qualsiasi plura­ lità è effetto di una divisione. Ora, vi sono due tipi di divisione. Una è quella materiale, che si ha dividendo una quantità continua: e da questa sorge il numero, che è una delle specie in cui si suddivide la quantità. E un simile numero non si dà che nelle cose materiali dotate di quantità. L'altra è la divisione for­ male, che risulta da forme diverse e opposte: e conseguenza di questa divisione è la plura­ lità, la quale non è limitata a un genere, ma appartiene ai trascendentali, in quanto l'ente può essere uno e molteplice. Ora, nelle realtà immateriali si trova solo questa pluralità. Al­ cuni dunque, non badando se non alla plura­ lità che è una specie della quantità discreta, e vedendo che questa in Dio non c'è, dissero che i termini numerali in Dio non pongono, ma soltanto escludono qualcosa. - Altri inve­ ce, avendo di mira questa stessa pluralità [quantitativa], affe1marono che, come la scien­ za viene posta in Dio solo secondo la sua natura specifica, ma non secondo la natura del genere [a cui appartiene], dato che in Dio non esistono qualità, allo stesso modo si porrebbe i n Dio il numero secondo la natura propria del numero, ma non secondo quella del gene­ re a cui appartiene, cioè della quantità. Noi i nvece diciamo che i termini numerici, in quanto vengono applicati a Dio, non derivano dal numero che forma una delle specie della quantità - perché allora verrebbero atnibuiti a Dio solo in senso metaforico, come le altre proprietà dei corpi, quali la larghezza, la lun­ ghezza e simili -, ma derivano dal numero preso come trascendentale. Ora, tale numero sta alle cose a cui viene attribuito come l'uno che si identifica con l' ente sta all'ente. Ma come si è detto sopra parlando dell 'unità di Dio, l'unità non aggiunge all'ente altro che la negazione della divisione: poiché uno signifi­ ca ente indiviso. Quindi di qualsiasi cosa esso si predichi, significa che quella cosa è indivi­ sa: come quando si dice che l' uomo è uno si intende che la sua natura o sostanza è indivi­ sa. E per la stessa ragione, quando si parla di

375

La pluralità delle persone in Dio

non divisam. Et eadem ratione, cum dicuntur res multae, multitudo sic accepta significar res illas cum indivisione circa unamquamque earum. Numerus autem qui est species quan­ titatis, ponit quoddam accidens additum supra ens, et similiter unum quod est principium numeri. Termini ergo numerales significant in divinis illa de quibus dicuntur, et super hoc nihil addunt nisi negationem, ut dictum est, et quantum ad hoc, veritatem dixit Magister in Sententiis. Ut, cum dicimus, essentia est una, unum significar essentiam indivisam, cum dicimus, persona est una, significat personam indivisam, cum dicimus, personae sunt plu­ res, significantur illae personae, et indivisio circa unamquamque earum; quia de ratione multitudinis est, quod ex unitatibus constet. Ad primum ergo dicendum quod unum, cum sit de transcendentibus, est communius quam substantia et quam relatio, et similiter multitu­ do. Unde potest stare in divinis et pro substan­ tia et pro relatione, secundum quod competit his quibus adiungitur. Et tamen per huiusmodi nomina, supra essentiam vel relationem, ad­ ditur, ex eorum significatione propria, negatio quaedam divisionis, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod multitudo quae ponit aliquid in rebus creatis, est species quantitatis; quae non transumitur in divinam praedicationem; sed tantum multitudo trans­ cendens, quae non addit supra ea de quibus dicitur, nisi indivisionem circa singula. Et talis multitudo dicitur de Deo. Ad tertium dicendum quod unum non est remotivum multitudinis, sed divisionis, quae est prior, secundum rationem, quam unum vel multitudo. Multitudo autem non removet uni­ tatem, sed removet divisionem circa unum­ quodque eorum ex quibus constat multitudo. Et haec supra [q. I l a. 2 ad 4] exposita sunt, cum de divina unitate ageretur. Sciendum ta­ men est quod auctoritates in oppositum induc­ tae, non probant sufficienter propositum. Licet enim pluralitate excludatur solitudo, et unitate deorum pluralitas, non tamen sequitur quod his nominibus hoc solum significetur. Albedine enim excluditur nigredo, non tamen nomine albedinis significatur sola nigredinis exclusio.

Q. 30, A. 3

un numero di cose, il numero così indicato significa quelle date cose e la loro rispettiva indivisione. - Invece il numero che è una delle specie della quantità indica un determi­ nato accidente che si aggiunge all'ente [nu­ merato]; e così si dica dell' unità che è princi­ pio del numero. Quindi in Dio i termini nu­ merali significano le realtà a cui vengono at­ tribuiti e non aggiungono altro che una ne­ gazione, come si è spiegato; e in ciò ha ra­ gione il Maestro delle Sentenze. Così, quando diciamo che è una l'essenza, l'unità significa che l'essenza è indivisa; quando diciamo che è una la persona, [l' unità] significa la persona indivisa; quando poi diciamo: vi sono più per­ sone, indichiamo le stesse persone e le loro rispettive indivisioni: poiché è proprio della molteplicità essere composta di unità. Soluzione delle difficoltà: l . L'unità, essendo uno dei trascendentali, è un termine più uni­ versale che sostanza e relazione: e lo stesso si dica della pluralità. Quindi in Dio esso può indicare sia la sostanza che la relazione, se­ condo che viene aggiunto all'una o all'altra. Tuttavia con questi termini [unità e pluralità], stante il loro significato proprio, viene ag­ giunta all' essenza e alla relazione una certa negazione della divisione, come si è spiegato. 2. La pluralità che nelle creature aggiunge qualcosa [di accidentale] è quella quantitativa, che non si applica a Dio: [a Dio infatti si può applicare] solo quella trascendentale, che alle cose a cui viene attribuita non aggiunge altro che l' indivisione di ciascuna. E questa è la pluralità che viene attribuita a Dio. 3. L'unità non esclude la pluralità, ma la divi­ sione, la quale concettualmente è prima del­ l'unità e della pluralità. E la pluralità, a sua volta, non esclude l ' unità, ma la divisione delle realtà che la compongono. E di tutto ciò si è già trattato parlando dell'unità di Dio. Bi­ sogna però notare, a questo punto, che i testi portati in contrario non provano a sufficienza l'asserto, poiché, sebbene sia vero che con la pluralità si esclude la solitudine e con l'unità la pluralità degli dèi, non ne segue tuttavia che con quei nomi si indichino solo tali nega­ zioni. Infatti dicendo bianco si esclude il nero, però col termine bianco non si indica soltanto l 'esclusione del nero.

Q. 30, A. 4

La pluralità delle persone in Dio

Articulus 4 Utrum hoc nomen persona possit esse commune tribus personis Ad quartum sic proceditur. Videtur quod hoc nomen persona non possit esse commune tri­ bus personis. l . Nihil enim est commune tribus personis nisi essentia. Sed hoc nomen persona non signiticat essentiam in recto. Ergo non est commune tribus. 2. Praeterea, commune opponitur incommu­ nicabili. Sed de ratione personae est quod sit incommunicabilis, ut patet ex definitione Ri­ cardi de Sancto Victore supra [q. 29 a. 3 ad 4] posita. Ergo hoc nomen persona non est com­ mune tribus. 3. Praeterea, si est commune tribus, aut ista communitas attenditur secundum rem, aut se­ cundum rationem. Sed non secundum rem, quia sic tres personae essent una persona. Nec iterum secundum rationem tantum, quia sic persona esset universale, in divinis autem non est universale et particolare, neque genus neque species, ut supra [q. 3 a. 5] ostensum est. Non ergo hoc nomen persona est commune tribus. Sed contra est quod dicit Augustinus, 7 De Trin. [4.6; cf. 5,9] , quod cum quaereretur, quid tres? Responsum est, tres personae; quia commune est eis id quod est persona. Respondeo dicendum quod ipse modus lo­ quendi ostendit hoc nomen persona tribus esse commune, cum dicimus tres personas, sicut cum dicimus tres homines, ostendimus hominem esse commune tribus. Manifestum est autem quod non est communitas rei, sicut una essentia communis est tribus, quia sic sequeretur unam esse personam trium, sicut essentia est una. Qualis autem sit communi­ tas, investigantes diversimode locuti sunt. Quidarn enim dixerunt quod est communitas negationis; propter hoc, quod in definitione personae ponitur incomunicabile [cf. q. 29 a. 3 ad 4]. Quidam autem dixerunt quod est communitas intentionis, eo quod in defini­ tione personae ponitur individuum [cf. q. 29 a. l ] ; sicut si dicatur quod esse speciem est commune equo et bovi. Sed utrumque horum excluditur per hoc, quod hoc nomen persona non est nomen negationis neque intentionis, sed est nomen rei. Et ideo dicendum est quod etiam in rebus humanis hoc nomen persona

D

376

Articolo 4 nome persona può essere comune alle tre persone?

Sembra di no. Infatti: l . Soltanto l'essenza è comune alle tre perso­ ne. Ma il nome persona non significa diretta­ mente l'essenza. Quindi non può essere co­ mune a tre soggetti. 2. Comune è l'opposto di incomunicabile. Ma è essenziale al concetto di persona di essere incomunicabile, come appare dalla definizio­ ne di persona data da Riccardo di San Vittore. Quindi il nome persona non è comune a tutte e tre. 3. Se [persona] è comune a tutte e tre, tale comunanza o è reale o è concettuale. Ma non può essere reale: perché allora le tre persone non sarebbero che una sola. E neppure può essere [soltanto] concettuale: perché in que­ sto caso persona sarebbe un universale, men­ tre in Dio non c'è né universale né particola­ re, né genere, né specie, come si è dimo­ strato. Quindi il nome persona non può es­ sere comune alle tre persone. In contrario: dice Agostino che alla doman­ da: «Tre che cosa?», si è risposto: «Tre per­ sone», poiché ciò che va sotto il nome di per­ sona è ad esse comune. Risposta: lo stesso modo di parlare dimostra che il nome persona è comune a tutte e tre: infatti diciamo le tre persone; come quando diciamo tre uomini affermiamo chiaramente che uomo è comune a tutti e tre. Però è chia­ ro che non si tratta di una comunanza di ordi­ ne reale simile a quella per cui l' unica es­ senza è comune a tutte e tre [le persone] : poiché ne seguirebbe che come vi è un'unica essenza per le tre persone, così vi sarebbe un'unica persona. Circa il genere, dunque, di questa comunanza gli studiosi proposero di­ verse opinioni. Alcuni dissero che è una co­ munanza di negazione: poiché nella defini­ zione di persona si usa il termine incomuni­ cabile. Altri invece affermarono che è una comunanza di intenzione [logica] : poiché nella definizione di persona si pone il termi­ ne individuale: come se si dicesse che tanto al cavallo quanto al bue è comune la specie. - Ambedue queste spiegazioni sono però da rigettarsi, poiché il nome persona non esprime né una negazione né un'intenzione [logica],

377

La pluralità delle persone in Dio

est commune communitate rationis, non sicut genus vel species, sed sicut individuum va­ gum. Nomina enim generum vel specierum, ut homo vel animai, sunt imposita ad signifi­ candum ipsas naturas communes; non autem i ntentiones naturarum communium, quae significantur his nominibus genus vel species. Sed individuum vagum, ut aliquis homo, significat naturam communem cum determi­ nato modo existendi qui competit singulari­ bus, ut scilicet sit per se subsistens distinctum ab aliis. Sed in nomine singularis designati, significatur determinatum distinguens, sicut in nomine Socratis haec caro et hoc os. Hoc tamen interest, quod aliquis homo significat naturam, vel individuum ex parte naturae, cum modo existendi qui competit singulari­ bus, hoc autem nomen persona non est impo­ situm ad significandum individuum ex parte naturae, sed ad significandum rem subsisten­ tem in tali natura. Hoc autem est commune secundum rationem omnibus personis divinis, ut unaquaeque earum subsistat in natura divi­ na distincta ab aliis. Et sic hoc nomen perso­ na, secundum rationem, est commune tribus personis divinis. Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de communitate rei. Ad secundum dicendum quod, licet persona sit incommunicabilis, tamen ipse modus exi­ stendi incommunicabiliter, potest esse pluri­ bus communis. Ad tertium dicendum quod, licet sit commu­ nitas rationis et non rei tamen non sequitur quod in divinis sit universale et particulare, vel genus vel species. Tum quia neque in re­ bus humanis communitas personae est com­ munitas generis vel speciei. Tum quia perso­ nae divinae habent unum esse, genus autem et species, et quodlibet universale, praedicatur de pluribus secundum esse differentibus.

Q. 30, A. 4

ma una realtà. Perciò bisogna considerare che anche parlando dell'uomo il nome perso­ na è un nome comune di comunanza concet­ tuale, non però come il genere e la specie, ma come l'individuo indeterminato. Infatti i no­ mi dei generi e delle specie, come uomo e animale, sono usati per significare espressa­ mente le essenze [universali o] comuni, e non già le intenzioni [logiche] di tali nature, in­ tenzioni indicate invece dai termini genere e specie. Ma l'individuo indeterminato, come per es. un uomo, significa la natura [in gene­ re] con quel modo di essere che conviene ai singolari, cioè come sussistente e distinta da ogni altra, mentre col nome del singolare determinato si indica in particolare ciò che lo distingue: come con il nome Socrate [si indi­ cano] questa carne e queste ossa. Con questa differenza però: che un uomo significa la natura, ossia l'individuo come natura, ma con il modo di essere che compete ai singola­ ri, mentre il nome persona non viene usato per significare l'individuo dalla parte della natura, ma per indicare la realtà che sussiste in tale natura. Ora, è comune alle tre persone divine, secondo una comunanza concettuale, di sussistere nella natura divina ciascuna di­ stinta dali' altra. Quindi il nome persona è co­ mune alle tre divine persone secondo una comunanza concettuale. Soluzione delle difficoltà: l . L'argomento va­ le per la comunanza di ordine reale. 2. Sebbene la persona sia incomunicabile, tuttavia il modo di esistere incomunicabil­ mente può essere comune a più soggetti. 3 . Sebbene si tratti di una comunanza di ordine logico e non di ordine reale, non ne segue però che in Dio abbiano luogo l'uni­ versale e il particolare, il genere e la specie: sia perché neppure parlando dell'uomo la comunanza del termine persona è una comu­ nanza di genere o di specie, sia perché le persone divine hanno un solo [e medesimo] essere, mentre il genere e la specie e qualsia­ si universale si predicano di più cose diffe­ renti neIl'essere.

Q. 3 1, A. l

I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

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QUAESTIO 3 1

QUESTIONE 3 1

DE HIS QUAE AD UNITATEM VEL PLURALITATEM PERTINENT IN DIVINIS

I MODI DI ESPRIMERE UUNITA E LA PLURALITÀ IN DIO

Post haec considerandum est de bis quae ad uni­ tatem vel pluralitatem pertinent in divinis [cf. q. 29 prol.]. Et circa hoc quaeruntur quatuor. Pri­ mo, de ipso nomine Trinitatis. Secondo, utrum possit dici, Filius est alius a Patre. Tertio, utrum dictio exclusiva, quae videtur alietatem exclu­ dere, possit adiungi nomini essentiali in divinis. Quarto, utrum possit adiungi termino personali. Articulus l Utrum sit trinitas in divinis Ad primum sic proceditur. Videtur quod non sit trinitas in divinis. l. Omne enim nomen in divinis vel significat substantiam, vel relationem. Sed hoc nomen trinitas non significat substantiam, praedica­ retur eni m de singulis personis. Neque si­ gnificat relationem, quia non dicitur secun­ dum nomen ad aliud. Ergo nomine trinitatis non est utendum in divinis. 2. Praeterea, hoc nomen ninitas videtur esse nomen collectivum, cum significet multitudi­ nem. Tale autem nomen non convenit i n divinis, cum unitas importata per nomen col­ lectivum sit minima unitas, in divinis autem est maxima unitas. Ergo hoc nomen trinitas non convenit in divinis. 3. Praeterea, omne trinum est triplex. Sed in Deo non est triplicitas, cum triplicitas sit spe­ cies inaequalitatis. Ergo nec trinitas. 4. Praeterea, quidquid est in Deo, est in unita­ te essentiae divinae, quia Deus est sua essen­ tia. Si igitur trinitas est in Deo, erit in unitate essentiae divinae. Et sic in Deo erunt tres essentiales unitates, quod est haereticum. 5. Praeterea, in omnibus quae dicuntur de Deo, concretum praedicatur de abstracto, deitas enim est Deus, et paternitas est Pater. Sed trinitas non potest dici trina, quia sic essent novem res in divinis, quod est erroneum. Ergo nomine trinitatis non est utendum in divinis. Sed contra est quod Athanasius dicit [Symb.], quod unitas in trinitate, et trinitas in wzitate

veneranda sit.

Respondeo dicendum quod nomen trinitatis in divinis significat determinatum numerum

,

Consideriamo ora, dopo quanto si è detto, i modi di esprimere l'unità e la pluralità in Dio. Su tale argomento si pongono quattro quesiti: l . Sul nome stesso di Trinità; 2. Si può dire: il Figlio è un altro rispetto al Padre? 3. Si può aggiungere a un termine essenziale una voce restrittiva che escluda altri? 4. Si può fare tale aggiunta ai termini personali?

Articolo l

In Dio c'è una trinità? Sembra di no. Infatti: l . Ogni nome in Dio significa o l'essenza o la relazione. Ma il termine trinità non significa l'essenza: perché altrimenti si potrebbe predi­ care delle singole persone. E non significa neppure le relazioni: poiché non è un termine relativo. Quindi il termine trinità non va usato parlando di Dio. 2. Il termine trinità, significando una moltitu­ dine, è un nome collettivo. Ma nessun nome simile si addice a Dio, poiché l'unità espressa dai nomi collettivi è minima, mentre in Dio c'è l' unità massima. Quindi il termine trinità non va usato parlando di Dio. 3. Tutto ciò che è trino è triplice. Ma in Dio non si dà una triplicità: poiché questa è una specie di disuguaglianza. Quindi non si dà neppure una trinità. 4. Tutto ciò che è in Dio partecipa dell'unità dell'essenza divina, essendo Dio la sua stessa essenza. Se dunque ci fosse una trinità in Dio, questa dovrebbe essere nell'unità stessa del­ l' essenza divina. E così vi sarebbero in Dio tre unità essenziali: il che è eretico. 5 . In tutto ciò che si dice di Dio, il concreto può essere predicato dell' astratto: la deità è Dio, la paternità è il Padre. Ma la trinità non si può dire trina: perché allora in Dio ci sarebbero nove entità reali, il che è falso. Quindi, parlan­ do di Dio, non si deve usare il termine trinità. In contrario: dice Atanasio: «Si deve venerare l'unità nella trinità e la trinità nell' unità>>. Risposta: il termine trinità in Dio significa un determinato numero di persone. Qui ndi , come si ammette in Dio la pluralità delle per-

379

I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

personarum. Sicut igitur ponitur pluralitas personarum in divinis, ita utendum est nomi­ ne trinitatis, quia hoc idem quod significat pluralitas indeterminate, significat hoc nomen trinitas determinate. Ad primum ergo dicendum quod hoc nomen trinitas, secundum etymologiam vocabuli, videtur significare unam essentiam ttium perso­ narum, secundum quod dicitur trinitas quasi trium unitas. Sed secundum proprietatem vo­ cabuli, significat magis numerum personarum unius essentiae. Et propter hoc non possumus dicere quod Pater sit ttinitas, quia non est tres personae. Non autem significat ipsa� relationes personarum, sed magis numerum personarum a d invicem relataru m . Et i n de est quod, secundum nomen, ad aliud non refertur. Ad secundum dicendum quod nomen collec­ tivum duo i mportat, scilicet pluralitatem suppositorum, et unitatem quandam, scilicet ordinis alicuius, populus enim est multitudo hominum sub aliquo ordine comprehenso­ rum. Quantum ergo ad primum, hoc nomen trinitas convenit cum nominibus collectivis, sed quantum ad secundum differt, quia in divina trinitate non solum est unitas ordinis, sed cum hoc est etiam unitas essentiae. Ad tertium dicendum quod trinitas absolute dicitur, significat enim numerum ternarium personarum. Sed ttiplicitas significat propor­ rionero inaequalitatis, est enim species pro­ portionis inaequalis, sicut patet per Boetium in Arithmetica [ 1 ,23]. Et ideo non est in Deo triplicitas, sed trinitas. Ad quartum dicendum quod in trinitate divina intelligi tur et numerus, et personae nume­ ratae. Cum ergo dicimus trinitatem in unitate, non ponimus numerum in unitate essentiae, quasi sit ter una, sed personas numeratas ponimus in unitate naturae, sicut supposita alicuius naturae dicuntur esse in natura illa. E converso autem dicimus unitatem in trinitate, sicut natura dicitur esse in suis suppositis. Ad quintum dicendum quod, cum dicitur, ttini­ tas est ttina, ratione numeri importati significa­ tur multiplicatio eiusdem numeri in seipsum, cum hoc quod dico ttinum, importet distinctio­ nem in suppositis illius de quo dicitur. Et ideo non potest dici quod ttinitas sit ttina, quia se­ queretur, si ttinitas esset trina, quod ttia essent supposita trinitatis; sicut cum dicitut� Deus est trinus, sequitur quod sunt ttia supposita deitatis.

Q. 3 l , A. l

sone, così si deve ammettere la loro trinità: poiché ciò che il termine pluralità indica in modo indeterminato, [lo stesso, ma] in modo detenninato, Io significa il termine trinità. Soluzione delle difficoltà: l . Il termine trinità, secondo la sua etimologia, pare che significhi l'unità di essenza delle tre persone, poiché trinità suona come trium unitas [unità di tre]. Tuttavia, secondo il significato proprio della parola, esprime piuttosto il numero delle persone di un'unica essenza. E per questo non possiamo dire che il Padre sia trinità, poiché non è tre persone. Non significa però le re­ lazioni stesse delle persone, ma piuttosto il numero delle persone così riferite l'una all'al­ tra. Per cui ne deriva che n·inità, in forza del suo significato, non appartiene al genere dei termini relativi. 2. Il nome collettivo include nel suo significa­ to due elementi, cioè la pluralità dei soggetti e una certa unità di un qualche ordine: infatti popolo è una moltitudine di uomini compresi sotto un certo ordine. Ora, quanto al primo elemento, il termine trinità rientra nei nomi collettivi; quanto al secondo, però, ne differi­ sce, poiché nella trinità divina non c'è solo unità di ordine, ma anche unità di essenza. 3. Trinità è un nome assoluto: poiché significa il numero temario delle persone. Trip/icità, in­ vece, significa un rapporto di disuguaglianza: poiché, come si ricava dall'Aritmetica di Boe­ zio, è una specie di proporzione disuguale. Quindi in Dio non vi è triplicità, ma trinità. 4. Nella trinità divina c'è il numero e ci sono le persone numerate. Quando dunque diciamo trinità nell'unità non poniamo il numero nel­ l'unità dell'essenza, quasi che questa sia tre volte una, ma poniamo le persone numerate nell'unità della natura, come quando diciamo che i soggetti di una natura sono in quella natura. Viceversa, parliamo di unità nella tri­ nità come di una data natura nei suoi soggetti. 5. L'espressione la trinità è trina, in ragione del numero che vi è implicito, indica che tale numero si moltiplica per se stesso, dato che trino include già la molteplicità delle realtà a cui viene applicato. Quindi non si può dire che la trinità è trina: poiché, se la trinità fosse trina, ne verrebbe che vi sarebbero tre suppo­ siti in ciascuno dei quali si troverebbe la tri­ nità: come dall' espressione Dio è trino segue che tre sono i suppositi della Deità.

I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

Q. 3 1, A. 2

380

Articulus 2

Articolo 2

Utrum Filius sit alius a Patre

Il Figlio è un altro rispetto al Padre?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Filius non sit alius a Patre. l . Alius enim est relativum diversitatis sub­ stantiae. Si igitur Filius est alius a Patre, vide­ tur quod sit a Patre diversus. Quod est contra Augustinum, 7 De Trin. [4], ubi dicit quod, cum dicimus tres personas, non diversitatem

Sembra di no. Infatti: l . Aln·o è tennine relativo indicante diversità d i sostanza. Se dunque i l Figlio è un altro rispetto al Padre, sembra che sia diverso dal Padre; ma ciò è contro Agostino, il quale af­ ferma che con l'espressione tre persone «non vogliamo intendere alcuna diversità». 2. Tutti i soggetti che si distinguono per essere tra loro altti e altti, diffetiscono in qualcosa. Se dunque il Figlio è un altro Iispetto al Pa­ dre, ne segue che è differente dal Padre. Ora, ciò è contrario a quanto dice Ambrogio: «Il Padre e il Figlio sono una stessa cosa nella deità, e non c'è tra loro differenza di sostanza, né alcun'altra diversità>>. 3. Alieno [estraneo] deriva dal latino alius [altro]. Ma il Figlio non è alieno rispetto al Padre: infatti Ilario ail'erma che nelle persone divine «non c'è nulla di diverso, nulla di alie­ no, nulla di separabile». Quindi il Figlio non è un altro Iispetto al Padre. 4. Alius [altro] e aliud [altra cosa] hanno lo stesso significato e differiscono solo per il genere diverso. Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Padre, pare che sia anche un' altra cosa rispetto al Padre. In contrario: Agostino nel De fide ad Petrum dice: «Una è l'essenza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, nella quale non è altra cosa il Padre, altra cosa il Figlio, altra cosa lo Spirito Santo; sebbene come persona altro sia il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo». Risposta: siccome, al dire di Girolamo, col parlare impreciso si finisce col cadere nel­ l'eresia, parlando della Santissima Trinità bi­ sogna procedere con cautela e modestia: poi­ ché, secondo Agostino: «In nessun altro argo­ mento l'enore è più pericoloso, più faticosa la ricerca, più fruttuosa la scoperta». Ora, quan­ do trattiamo della Ttinità, dobbiamo evitare, stando nel giusto mezzo, due opposti enori: quello di Ario, che poneva con la ttinità delle persone anche una ttinità di nature, e quello di Sabellio, che poneva con l' unità di natura anche l'unità di persona. Per sfuggire all'erro­ re di Atio dobbiamo evitare, parlando di Dio, i tennini diversità e differenza, per non com­ promettere l'unità dell'essenza; possiamo in­ vece usare il termine distinzione, data l'oppo-

intelligere volumus.

2. Praeterea, quicumque sunt alii ab invicem, aliquo modo ab invicem differunt. Si igitur Filius est alius a Patre, sequitur quod sit diffe­ rens a Patre. Quod est contra Ambrosium, in l De fide [2], ubi ait, Pater et Filius deitate

unum sunt, nec est ibi substantiae differentia, neque ulla diversitas.

3 . Praeterea, ab alia alienum dicitur. Sed Filius non est alienus a Patre, dicit enim Hila­ rius, in 7 De Trin. [39], quod in divinis perso­ nis nihil est diversum, nihil alienum, nihil separabile. Ergo Filius non est alius a Patre. 4. Praeterea, alius et aliud idem significant, sed sola generis consignificatione differunt. Si ergo Filius est alius a Patre, videtur sequi quod Filius sit aliud a Patre. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De tìde ad Petrum [ 1 ], una est enim essentia

Patris et Filii et Spiritus Sancti, in qua non est aliud Parer, aliud Filius, aliud Spiritus Sanctus; quamvis persona/iter sit alius Pater, alius Filius, alius Spiritus Sanctus. Respondeo dicendum quod, quia ex verbis inordinate prolatis incurritur haeresis, ut Hieronymus dicit [Sent. 4, 1 3,2], ideo cum de Trinitate loquimur, cum cautela et modestia est agendum, quia, ut Augustinus dicit, in l De Trin. [3], nec periculosius alicubi erratur,

nec laboriosius aliquid quaeritur, necfructuo­ sius aliquid invenitur. Oportet autem i n his

quae de Trin itate loquimur, duos errores oppositos cavere, temperate inter utrumque procedentes, scilicet enorem Arii, qui posuit cum Trinitate personarum Trinitatem substan­ tiarum; et enorem Sabellii, qui posuit cum unitate essentiae unitatem personae. Ad evi­ tandum igitur enorem Ati i, vitare debemus in divinis nomen diversitatis et differentiae, ne tollatur unitas essentiae, possumus autem uti nomine distinctionis, propter oppositionem relativam. Unde sicubi in aliqua Scriptura au-

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I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

thentica diversitas vel differentia personarum invenitur, sumitur diversitas vel differentia pro distinctione. Ne autem tollatur simplicitas di­ vinae essentiae, vitandum est nomen separa­ tionis et divisionis, quae est totius in partes. Ne autem tollatur aequalitas, vitandum est nomen disparitatis. Ne vero tollatur similitu­ do, vitandum est nomen alieni et discrepantis, dicit enim Ambrosius, in libro De fide [ 1 ,2], quod in Patre et Filio non est discrepans, sed una divinitas, et secundum Hilarium, ut dic­ tum est [De Trin. 7 ,39], in divinis nihil est alienum, nihil separabile. Ad vitandum vero errorem Sabellii, vitare debemus singularita­ tem, ne tollatur communicabilitas essentiae divinae, unde Hilarius dicit, 7 De Trio. [39],

Patrem et Filium singularem Deum prae­ dicare, sacrilegum est. Debemus etiam vitare nomen unici, ne tollatur numerus persona­ rum, unde Hilarius in eodem libro [38] dicit quod a Deo excluditur singularis atque unici intelligentia. Dicimus tamen unicum Filium, quia non sunt plures filii in divinis. Neque tamen dicimus unicum Deum, quia pluribus deitas est communis vitamus etiam nomen confusi, ne tollatur ordo naturae a personis, unde Ambrosius dicit, l De fide [2] , neque

confusum est quod unum est, neque multiplex esse potest quod indifferens est. Vitandum est

etiam nomen solitarii, ne tollatur consortium trium personarum, dicit enim Hilarius, in 4 De Trin. [ 1 8], nobis neque solitarius, neque diversus Deus est confitendus. Hoc autem no­ men alius, mascoline sumptum, non importat nisi distinctionem suppositi. Unde convenien­ ter dicere possumus quod Filius est alius a Patre, quia scilicet est aliud suppositum divi­ nae naturae, sicut est alia persona, et alia hypostasis. Ad primum ergo dicendum quod alius, quia est sicut quoddam particolare nomen, tenet se ex parte suppositi, unde ad eius rationem suf­ ficit distinctio substantiae quae est hypostasis vel persona. Sed diversitas requirit distinctio­ nem substantiae quae est essentia. Et ideo non possumus dicere quod Filius sit diversus a Patre, licet sit alius. Ad secundum dicendum quod differentia im­ portat distinctionem formae. Est autem tantum una forma in divinis, ut patet per id quod dicitur Philip. 2 [6], qui cum in forma Dei esset. Et ideo nomen differentis non proprie competit

Q. 3 l , A. 2

sizione relativa [delle persone]. Per cui, se in qualche testo autentico della Scrittura ci im­ battiamo nelle parole diversità o differenza applicate alle persone divine, le dobbiamo in­ tendere come significanti distinzione. - Per non ledere dunque la semplicità dell'essenza divina sono da evitare i termini separazione e divisione, proprie di un tutto suddiviso in parti. Per non compromettere poi l' uguaglian­ za è da evitare la parola disparità. E, infine, per non sopprimere la somiglianza si devono evitare i termini alieno e discrepante. Ambro­ gio, infatti, dice che nel Padre e nel Figlio «Vi è un' unica divinità senza discrepanza». E Ilario, come si è riferito, affetma che in Dio «non c'è nulla di alieno e nulla di separabile». Per non cadere poi nell ' errore di Sabellio dobbiamo evitare il termine singolarità, al fine di non negare la comunicabilità �ell'es­ senza divina: per cui, secondo ilario: «E sacri­ lego dire che il Padre e il Figlio sono un Dio singolare [isolato]». E dobbiamo anche evita­ re il termine unico, per non escludere il nu­ mero delle persone: per cui Ilario afferma: Da Dio si esclude «il concetto di singolarità e di unicità>>. Possiamo tuttavia dire unico Figlio: poiché in Dio non ci sono più Figli; non pos­ siamo però dire unico Dio: poiché la deità è comune a più [persone]. Evitiamo anche l'ag­ gettivo confuso, per non togliere l' ordine di natura tra le persone: cosicché Ambrogio può affermare: «Né ciò che è uno è confuso, né può essere molteplice ciò che non ammette differenza». Si deve anche evitare il termine solitario, per non distruggere la società delle tre persone. Dice infatti Ilario: «Dobbiamo confessare che Dio non è solitario, né diver­ so». Ora, il termine alius [altro] , usato al maschile, non comporta se non la distinzione del soggetto: perciò possiamo correttamente dire che il Figlio è un altro rispetto al Padre: poiché è un altro soggetto della natura divina, come è un' altra persona e un'altra ipostasi. Soluzione delle difficoltà: l. Altro, poiché suo­ na come un nome individuale, sta a indicare un soggetto: perciò, a giustificarne l'uso, basta la distinzione di sostanza presa nel significato di ipostasi o persona. La diversità, invece, ri­ chiede la distinzione di sostanza presa nel sen­ so di essenza [o natura]. Quindi non possiamo dire che il Figlio è diverso dal Padre, quan­ tunque sia un altro rispetto al Padre.

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I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

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in divinis, ut patet per auctoritatem inductam. Utitur tamen Damascenus nomine differen­ tiae in divinis personis, secundum quod pro­ prietas relativa significatur per modum for­ mae, unde dicit [De fide 3,5] quod non dif­ ferunt ab invicem hypostases secundum sub­ stantiam, sed secundum determinatas pro­ prietates. Sed differentia sumitur pro distinc­ tione, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendu m quod alienum est quod est extraneum et dissimile. Sed hoc non importatur cum dicitur alius. Et ideo di­ cimus Filium alium a Patre, licet non dica­ mus alienum. Ad quartum dicendum quod neutrum genus est informe, masculinum autem est formatum et distinctum, et similiter femininum. Et ideo convenienter per neutrum genus significatur essentia communis, per masculinum autem et femininum, aliquod suppositum determina­ turo in communi natura. Unde etiam in rebus humanis, si quaeratur, quis est iste? Respon­ detur, Socrates, quod nomen est suppositi, si autem quaeratur, quid est iste? Respondetur, animai rationale et mortale. Et ideo, quia in divinis distinctio est secundum personas, non autem secundum essentiam, dicimus quod Pater est alius a Filio, sed non aliud, et e con­ verso dicimus quod sunt unum, sed non unus.

differenza comporta una distinzione di forma. Ora, in Dio c'è solo una forma, come è chiaro da quanto è detto in Fil [a proposito del Figlio]: il quale essendo nella fonna di Dio... Quindi l'aggettivo differente propria­ mente non può convenire a Dio, come risulta dal testo riportato. - Tuttavia il Damasceno, parlando delle persone divine, usa il termine differenza, in quanto le proprietà relative pos­ sono essere indicate come forme [differenti] : e perciò afferma che le ipostasi non differi­ scono tra di loro per la sostanza, ma per delle proprietà determinate. Però [in questo caso] differenza è presa nel senso di distinzione, come si è spiegato. 3. Alieno è ciò che è estraneo e dissimile. Ma tale significato non è incluso nella voce altro: perciò diciamo che il Figlio è un altro rispetto al Padre, sebbene non si possa affermare che sia alieno. 4. n neutro è un genere indeterminato, mentre il maschile, come pure il femminile, è deter­ minato. Per questo giustamente si usa il neutro per indicare l'essenza comune, e il maschile e il femminile per indicare un certo soggetto determinato in una natura comune. Infatti, anche parlando dell'uomo, se si chiede: Chi è questo?, si risponde, Socrate, che è il nome di un supposito; se invece si domanda: Che cosa è questo?, si risponde: Un animale razionale e mortale. Quindi, siccome in Dio la distinzione riguarda le persone e non l'essenza, noi dicia­ mo che il Padre è alius [altro] rispetto al Fi­ glio, ma non aliud [cioè altra cosa]; e all'op­ posto diciamo che essi sono unum [una stessa cosa], ma non unus [un solo soggetto].

Articulus 3 Utrum dictio exclusiva solus sit addenda termino essentiali in divinis

Articolo 3 Dio a un termine essenziale si può aggiungere la voce restrittiva solo?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod dictio exclusiva solus non sit addenda termino es­ sentiali in divinis. l . Quia secundum philosophum, in 2 Elench. [22,4], solus est qui cum a/io non est. Sed Deus est cum angelis et sanctis animabus. Ergo non possumus dicere Deum solum. 2. Praeterea, quidquid adiungitur termino es­ sentiali in divinis, potest praedicari de qualibet persona per se, et de omnibus simul, quia enim convenienter dicitur sapiens Deus, pos-

Sembra di no. lnfàtti: l . Secondo il Filosofo «solo è chi non è con altri». Ma Dio è con gli angeli e con le anime sante: perciò non possiamo dire che Dio è solo. 2. 1\.ltto ciò che in Dio si aggiunge a un termi­ ne essenziale può essere attribuito tanto alle singole persone quanto a tutte e tre insieme: in­ fatti, siccome con verità si può dire che Dio è sapiente, così possiamo dire: il Padre è Dio sa­ piente, e la Santissima Trinità è Dio sapiente. Ora, Agostino afferma: «Va presa in considera-

2. La

In

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I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

sumus dicere, Pater est sapiens D eu s , et Trinitas est sapiens Deus. Sed Augustinus, in 6 De Trin. [9] , dicit, consideranda est illa

sententia, qua dicitur non esse Patrem verum Deum solum. Ergo non potest dici solus Deus.

3. Praeterea, si haec dictio solus adiungitur termino essentiali, aut hoc erit respectu praedi­ cati personalis, aut respectu praedicati es­ sentialis. Sed non respectu praedicati persona­ lis, quia haec est falsa, solus Deus est Pater, cum etiam homo sit pater. Neque etiam respec­ tu praedicati essentialis. Quia si haec esset vera, solus Deus creat, videtur sequi quod haec esset vera, solus Pater creat, quia quidquid dicitur de Deo, potest dici de Patre. Haec autem est falsa, quia etiam Filius est creator. Non ergo haec dictio solus potest in divinis adiungi tennino essentiali. Sed contra est quod dicitur l ad Tim. l [ 17],

regi saeculorum immortali, invisibili, soli Deo.

Respondeo dicendum quod haec dictio solus potest accipi ut categorematica vel syncatego­ rematica. Dicitur autem dictio categoremati­ ca, quae absolute ponit rem significatam circa aliquod suppositum; ut albus circa hominem, cum dicitur homo albus. Si ergo sic accipiatur haec dictio solus, nullo modo potest adiungi alicui termino in divinis, quia poneret solitu­ dinem circa tenninum cui adiungeretur, et sic sequeretur Deum esse solitarium; quod est contra praedicta [a. 2]. Dictio vero syncatego­ rematica dicitur, quae i mportat ordinem praedicati ad subiectum, sicut haec dictio omnis, vel nullus. Et similiter haec dictio solus, quia excludit omne aliud suppositum a consortio praedicati. Sicut, cum dicitur, solus Socrates scribit, non datur intelligi quod So­ crates sit solitarius; sed quod nullus sit e i consors in scribendo, quamvis cum eo multis existentibus. Et per hunc modum nihil prohi­ bet hanc dictionem solus adiungere alicui es­ sentiali termino in divinis, inquantum ex­ cluduntur omnia alia a Deo a consortio prae­ dicati, ut si dicamus, solus Deus est aetemus, quia nihil praeter Deum est aetemum. Ad primum ergo dicendum quod, licet angeli et animae sanctae semper sint cum Deo, tamen, si non esset pluralitas personarum in divinis, sequeretur, quod Deus esset solus vel solitarius. Non enim tollitur solitudo per asso­ ciationem alicuius quod est extraneae naturae, dicitur enim aliquis solus esse in horto, quamvis

Q. 3 l , A. 3

zione la sentenza secondo cui il Padre non è il solo vero Dio». Quindi non si può dire Dio solo. 3. Se la voce solo viene aggiunta a un termine essenziale, ciò viene fatto in rapporto a un predicato o personale o essenziale. Ora, non [lo si può fare] in rapporto a un predicato per­ sonale: infatti la proposizione: solo Dio è Pa­ dre è falsa, poiché anche l'uomo è padre. E neppure in rapporto a un predicato essenziale. Perché, se fosse vera la proposizione: solo Dio crea, sarebbe vera anche quest'altra: solo il Padre crea, poiché tutto ciò che si può dire di Dio si può dire anche del Padre. Ma que­ st' ultima proposizione è falsa, perché anche il Figlio è creatore. Quindi, parlando di Dio, la voce solo non può essere aggiunta a un termi­ ne essenziale. In contrario: in l Tm è detto: Al Re dei secoli,

al solo incorruttibile, invisibile e unico Dio.

Risposta: la dizione solo può essere presa come categorematica e come sincategorematica. Si dice categorematica quella dizione che i n modo assoluto affenna d i u n soggetto i l suo si­ gnificato: come bianco è affennato dell'uomo nell'espressione l'uomo è bianco. Se dunque la dizione solo è presa in questo senso, in Dio non può essere assolutamente aggiunta ad alcun tennine: poiché ne affennerebbe la solitudine in senso assoluto, e così Dio sarebbe solitario; il che è contro quanto abbiamo già spiegato. Si dice invece sincategorematica quella dizione che implica il rapporto del predicato col sog­ getto, come ogni o nessuno. E così è per la di­ zione solo: poiché esclude ogni altro soggetto dalla partecipazione di quel predicato. Come quando si dice: solo Socrate scrive, non si vuo­ le intendere che Socrate sia solitario, ma che nessuno gli è compagno nello scrivere; quan­ tunque si trovi in compagnia di molti. Ora, nul­ la impedisce di aggiungere a un termine essen­ ziale in Dio la voce solo presa in questo senso, in quanto si esclude ogni altra cosa che non sia Dio dalla partecipazione di un predicato: come quando diciamo che solo Dio è eterno, poiché nient'altro all' infuori di Dio è eterno. Soluzione delle difficoltà: l . Sebbene gli ange­ li e le anime sante siano sempre con Dio, tut­ tavia senza la pluralità delle persone Dio sa­ rebbe solo, cioè solitatio. La solitudine, infatti, non è tolta dalla presenza di soggetti di diversa natura: come si usa dire che uno è solo nel giardino, sebbene vi siano molte piante e molti

Q. 3 l , A. 3

I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

sint ibi multae plantae et animalia. Et similiter diceretur Deus esse solus vel sol i tarius, angelis et hominibus cum eo existentibus, si non essent in divinis personae plures. Conso­ ciatio igitur angelorum et animarum non excludit solitudinem absolutam a divinis, et multo minus solitudinem respectivam, per comparationem ad aliquod praedicatum. Ad secundum dicendum quod haec dictio so­ lus, proprie loquendo, non ponitur ex parte praedicati, quod sumitur formaliter, respicit enim suppositum, inquantum excludit aliud suppositum ab eo cui adiungitur. Sed hoc ad­ verbium tantum, cum sit exclusivum, potest poni ex parte subiecti, et ex parte praedicati, possumus enim dicere, tantum Socrates currit, idest nullus alius; et, Socrates cmTit tantum, idest nihil aliud facit. Unde non proprie dici potest, Pater est solus Deus, vel, Trinitas est solus Deus, nisi forte ex parte praedicati intel­ ligatur aliqua implicatio, ut dicatur, Trinitas est Deus qui est solus Deus. Et secundum hoc etiam posset esse vera ista, Pater est Deus qui est solus Deus, si relativum referret praedica­ tum, et non suppositum. Augustinus autem, cum dicit Patrem non esse solum Deum, sed Trinitatem esse solum Deum, loquitur expositi­ ve, ac si diceret, cum dicitur, regi saeculorum, invisibili, soli Deo, non est exponendum de persona Patris, sed de sola Trinitate. Ad tertium dicendum quod utroque modo po­ test haec dictio solus adiungi termino essen­ tiali. Haec enim propositio, solus Deus est Pater, est duplex. Quia ly Pater potest praedi­ care personam Patris, et sic est vera, non enim homo est illa persona. Vel potest praedicare relationem tantum, et sic est falsa, quia relatio patemitatis etiam in aliis invenitur, licet non univoce. Similiter haec est vera, solus Deus creat. Nec tamen sequitur, ergo solus Pater, quia, ut sophistae dicunt, dictio exclusiva immobilitat terrninum cui adiungitur, ut non possit tieri sub eo descensus pro aliquo sup­ positorum; non enim sequitur, solus homo est animai rationale mortale, ergo solus Socrates.

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animali. E allo stesso modo, nonostante la pre­ senza degli angeli e degli uomini, si potrebbe affermare che Dio è solo o solitario nella natu­ ra divina se non ci fossero più persone. Quindi la compagnia degli angeli e delle anime non esclude da Dio la solitudine presa in senso assoluto; e molto meno la solitudine in senso relativo, cioè in rapporto a un predicato. 2. Propriamente parlando, l' aggettivo solo non si rifetisce al predicato, che si applica come una forma: [solo] si ritetisce infatti al sogget­ to, in quanto esclude altri soggetti da ciò a cui è aggiunto. Invece l'avverbio soltanto, essen­ do semplicemente restrittivo, può stare unito tanto al soggetto quanto al predicato. Infatti possiamo dire: soltanto Socrate corre, cioè nessun altro [corre], e anche: Socrate corre soltanto, cioè non fa nient 'altro. Perciò, vo­ lendo parlare con proptietà, non si può dire: il Padre è il solo Dio, oppure: la Trinità è il solo Dio, a meno che non si voglia sottintendere un'aggiunta nel predicato, per es.: la Trinità è il Dio che è il solo Dio. E in tal modo potreb­ be essere vera anche la proposizione: il Padre è quel Dio il quale solo è Dio, se il pronome relativo [il quale] si riferisce al predicato [Dio] e non al soggetto [Padre]. Ora, quando Agostino afferma che non il Padre, ma la San­ tissima Trinità è il solo Dio, parla da com­ mentatore, come se dicesse che il testo: «Al Re dei secoli, al solo invisibile Dio» non va ri­ ferito alla persona del Padre, ma a tutta la Trinità. 3. In ambedue i modi l'aggettivo solo può esse­ re aggiunto a un termine essenziale. Infatti la proposizione solo Dio è Padre ha due significa­ ti. Poiché Padre può indicare la persona del Padre; e allora la proposizione è vera, dato che l'uomo non è quella persona. Oppure può indi­ care soltanto la relazione, e allora la proposizio­ ne è falsa, poiché la relazione di paternità si trova, sebbene non in senso univoco, anche in altri soggetti. - Così pure è vera anche quest'al­ tra proposizione: solo Dio crea; ma non ne viene la conclusione: dunque solo il Padre. Poi­ ché, come dicono i dialettici, la dizione restritti­ va immobilizza il termine a cui viene applicata, in modo che non si possono sostituire ad esso i soggetti particolari [contenuti sotto quel termine universale]. Infatti dall'affermazione: solo l'uo­ mo è un animale razionale mortale non si può concludere: dunque solo Socrate.

I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

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Q. 3 l , A. 4

Articulus 4

Articolo 4

Utrum dictio exclusiva possit adiungi termino personali

Una voce esclusiva può essere aggiunta a un termine personale?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod dic­ tio exclusiva possit adiungi termino personali, etiam si praedicatum sit commune. l . Dicit enim Dominus, ad Patrem loquens, Ioan. 17 [3], ut cognoscant te, solum Deum verum. Ergo solus Pater est Deus verus. 2. Praeterea, Matth. I l [27] dicitur, nemo novit Filium nisi Pater; quod idem significat ac si diceretur, solus Pater novit Filium. Sed nosse Filium est commune. Ergo idem quod prius. 3. Praeterea, dictio exclusiva non excludit illud quod est de intellectu tennini cui adiungitur, unde non excludit partem, neque universale, non enim sequitur, solus Socrates est albus, ergo manus eius non est alba; vel, ergo homo non est albus. Sed una persona est in intellectu alterius, sicut Pater i n intellectu Filii, et e converso. Non ergo per hoc quod dicitur, solus Pater est Deus, excluditur Filius vel Spiritus Sanctus. Et sic videtur haec locutio esse vera. 4. Praeterea, ab Ecclesia cantatur [in Gloria],

Sembra di sì. Infatti: l . ll Signore, parlando al Padre, dice in Gv: Affinché conoscano te, solo vero Dio. Quindi solo il Padre è il vero Dio. 2. È detto in Mt: Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, il che è come dire: solo il Padre conosce il Figlio. Ma conoscere il Figlio è una proprietà comune [a tutta la divinità] . Quindi vale la conclusione precedente. 3. La voce esclusiva non esclude quanto è rac­ chiuso nel concetto stesso del tennine a cui si unisce: per cui non ne esclude né la parte, né l ' universale. Infatti se dico: solo Socrate è bianco, non posso concludere: dunque la sua mano non è bianca, oppure: dunque l 'uomo non è bianco. Ora, una persona è inclusa nel concetto dell' altra: il Padre, per es., nel con­ cetto del Figlio e viceversa. Quindi, per il fatto che si dice: il solo Padre è Dio, non si esclude il Figlio o lo Spirito Santo. E così sembra che questo modo di esprimersi sia legittimo. 4. Inoltre la Chiesa canta: «Tu solo l' altissi­ mo, Gesù Cristo». In contrario: l'espressione, il solo Padre è Dio può essere spiegata in due maniere, cioè: il Padre è Dio, oppure: nessun altro fuorché il Padre è Dio. Ma questa seconda espressione è tàlsa: poiché il Figlio, che pure è Dio, è di­ stinto dal Padre. Quindi anche la proposizio­ ne: solo il Padre è Dio è falsa. E lo stesso si dica di altre proposizioni simili. Risposta: l' espressione: il solo Padre è Dio può essere intesa in più modi. Se l'aggettivo solo afferma la solitudine del Padre, la propo­ sizione è falsa, perché allora tale aggettivo è preso in senso categorematico. - Se invece è preso in senso sincategorematico, allora l'e­ spressione può essere di nuovo intesa in vari modi . Se [solo] esclude altri dalla parteci­ pazione della forma del soggetto, allora [la proposizione il solo Padre è Dio] è vera, così da risultarne questo significato: colui con il quale nessun altro è Padre, è Dio. E così la spiega Agostino quando affenna: «Diciamo il solo Padre non perché sia separato dal Figlio o dallo Spirito Santo, ma perché, dicendo così, vogliamo intendere che essi insieme con lui non sono il Padre». Tuttavia, nel modo comu-

tu solus altissimus,

lesu Christe.

Sed contra, haec locutio, solus Pater est Deus, habet duas expositivas, scilicet, Pater est Deus, et, nullus alius a Patre est Deus. Sed haec secunda est falsa, quia Filius alius est a Patre, qui est Deus. Ergo et haec est falsa, solus Pater est Deus. Et sic de similibus. Respondeo dicendum quod, cum dicimus, so­ lus Pater est Deus, haec propositio potest habe­ re multiplicem intellectum. Si enim solus ponat solitudinem circa Patrem, sic est falsa, secun­ dum quod surnitur categorematice [cf. a. 3]. Secundum vero quod surnitur syncategorema­ tice, sic iterum potest intelligi multipliciter. Quia si excludat a forma subiecti, sic est vera, ut sit sensus, solus Pater est Deus, idest, ille cum quo nullus alius est Pater, est Deus. Et hoc modo exponit Augustinus, in 6 De Trin. [7] , cum dicit, solum Patrem dicimus, non

quia separatur a Filio ve/ Spiritu Sancto; sed hoc dicentes, significamus quod il/i simul cum eo non sunt Pater. Sed hic sensus non habetur

ex consueto modo loquendi, nisi intellecta aliqua implicatione, ut si dicatur, ille qui solus dicitur Pater, est Deus. Secundum vero pro­ prium sensum, excludit a consortio praedicati.

Q. 3 l , A. 4

I modi di esprimere l 'unità e la pluralità in Dio

Et sic haec propositio est falsa, si excludit alium mascoline, est autem vera, si excludit aliud neutraliter tantum, quia Filius est alius a Patre, non tamen aliud; similiter et Spiritus Sanctus. Sed quia haec dictio solus respicit proprie subiectum, ut dictum est [a. 3 ad 2], magis se habet ad excludendum alium quam aliud. Unde non est extendenda talis locutio; sed pie exponenda, sicubi inveniatur in au­ thentica Scriptura. Ad primum ergo dicendum quod, cum dici­ mus, te solum Deum verum, non intelligitur de persona Patris, sed de tota Trinitate, ut Augus­ tinus exponit [De Trin. 6,9]. Vel, si intelligatur de persona Patris, non excluduntur aliae per­ sonae, propter essentiae unitatem, prout ly s>. Risposta: il termine principio non significa altro che ciò da cui qualcosa procede: infatti tutto ciò da cui procede qualcosa in qualun­ que modo lo diciamo principio, e viceversa. Ora, siccome il Padre è uno da cui altri pro­ cedono, ne segue che è principio. Soluzione delle difficoltà: l . I Greci , par­ lando di Dio, usano indifferentemente i nomi di causa e di principio. I santi dottori latini, invece, non usano il termine causa, ma solo quello di principio. E la ragione sta in questo, che principio è più generico di causa, come causa è più generico di elemento. Il primo punto o la ptima parte di una cosa si dice infatti suo principio, ma non sua causa. Ora, come si è detto, quanto più un nome è gene­ rico, tanto meglio si presta a indicare le realtà divine: perché quanto più i nomi sono pre­ cisi, tanto più accentuano il modo di essere

La persona del Padre

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determinant modum convenientem creaturae. Unde hoc nomen causa videtur importare diversitatem substantiae, et dependentiam alicuius ab altero; quam non importat nomen principii. In omnibus enim causae generibus, semper invenitur distantia inter causam et id cuius est causa, secundum aliquam perfectio­ nem aut virtutem. Sed nomine principii utimur etiam in his quae nullam huiusmodi diffe­ rentiam habent, sed solum secundum quendam ordinem, sicut cum dicimus punctum esse principium lineae, vel etiam cum dicimus pri­ mam partem lineae esse principium lineae. Ad secundum dicendum quod apud Graecos invenitur de Filio vel Spiritu Sancto dici quod principientur. Sed hoc non est in usu doctorum nostrorum. Quia licet attribuamus Patri aliquid auctoritatis ratione principii, nihil tamen ad subiectionem vel minorationem quocumque modo pertinens, attribuimus Filio vel Spiritui Sancto, ut vitetur omnis erroris occasio. Secun­ dum quem modum Hilarius dicit, 9 De Trin. [54], donantis auctoritate Pater maior est; sed

minor non est Filius, cui unum esse donatur.

Ad tertium dicendum quod, licet hoc nomen principium, quantum ad id a quo imponitur ad significandum, videatur a prioritate sumptum; non tamen significat prioritatem, sed originem. Non enim idem est quod significat nomen, et a quo nomen imponitur, ut supra [q. 1 3 a. 2 ad 2; a. 8] dictum est.

Q. 33, A. l

delle creature. Per cui il termine causa im­ plica una diversità di natura e la dipendenza di una cosa da un' altra: [dipendenza] che non è inclusa nel termine principio. Infatti in ogni genere di causa si trova sempre una distanza in petfezione o virtù tra la causa e ciò di cui essa è causa. Invece usiamo il termine prin­ cipio anche dove non c'è questa differenza, ma soltanto un certo ordine. Come quando diciamo che il punto è il principio della linea, o anche quando diciamo che la prima parte della linea è il principio della linea. 2. I Greci usano dire che il Figlio e lo Spirito Santo sono principiati : questo però non è l'uso dei nostri santi dottori. Perché, sebbene noi attribuiamo al Padre una certa autorità in quanto principio, tuttavia, al fine di evitare ogni occasione di errore, non attribuiamo al Figlio e allo Spirito Santo nulla che possa si­ gnificare subordinazione o inferiorità. E i n questo senso Ilario scrive: «Il Padre è mag­ giore per la dignità di donatore, ma il Figlio, al quale il Padre dà il suo stesso essere, non è minore». 3. Sebbene il termine principio, quanto alla sua etimologia, possa sembrare desunto da una priorità, tuttavia non significa priorità, ma origine. Come infatti si è spiegato, il sen­ so di una parola non corrisponde sempre alla sua etimologia.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum hoc nomen Pater sit nomen proprie divinae personae

Il nome Padre è il nome proprio di una persona divina?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod hoc nomen Pater non sit proprie nomen divi­ nae personae. l . Hoc enim nomen pater significat relatio­ nem. Persona autem est substantia individua. Non ergo hoc nomen Pater est proprie nomen significativum personae. 2. Praeterea, generans communius est quam pater, nam omnis pater est generans, sed non e converso. Sed nomen communius magis proprie dicitur in divinis, ut dictum est [a. l ad 1 ] . Ergo magis proprium nomen est per­ sonae divinae generans et genitor, quam Pater. 3 . Praeterea, nihil quod secundum metapho­ ram dicitur, potest esse nomen proprium ali­ cuius. Sed verbum metaphorice apud nos di-

Sembra di no. Infatti: l . Padre è un nome che indica relazione. Ma la persona è una sostanza individuale. Quindi padre non sta a indicare il nome proprio di una persona. 2. Generante è più generico di padre: poiché ogni padre è generante, ma non viceversa. Ora, come si è già detto precedentemente, i nomi più comuni e più indeterminati sono più adatti, quando parliamo delle realtà divine. Quindi, per indicare una persona divina, sono più adatti i termini di generante e di genitore che non quello di Padre. 3 . Un'espressione metaforica non può essere il nome proprio di nessuno. Ma nell' uomo soltanto per metafora il verbo [mentale] viene

Q. 33, A. 2

La persona del Padre

citur genitum vel proles, et per consequens il­ le cuius est verbum, metaphorice dicitur pater. Non ergo principium Verbi in divinis potest proprie dici Pater. 4. Praeterea, omne quod proprie dicitur in di­ vinis, per prius dicitur de Deo quam de crea­ turis. Sed generatio per prius videtur dici de creaturis quam de Deo, verior enim ibi vide­ tur esse generarlo, ubi aliquid procedit ab alio distinctum non secundum relationem tantum, sed etiam secundum essentiam. Ergo nomen Patris, quod a generatione sumitur, non videtur esse proprium alicuius divinae personae. Sed contra est quod dicitur in Psalmo [88,27],

ipse invocabit me, Pater meus es tu.

Respondeo dicendum quod nomen proprium cuiuslibet personae significat id per quod illa persona distinguitur ab omnibus aliis. Sicut enim de ratione hominis est anima et corpus, ita de intellectu huius hominis est haec anima et hoc corpus, ut dicitur in 7 Met. [6, 1 1 ,8]; his autem hic homo ab omnibus aliis distinguitur. Id autem per quod distinguitur persona Patris ab omnibus aliis, est patemitas. Unde pro­ prium nomen personae Patris est hoc nomen Pater, quod significat patemitatem. Ad primum ergo dicendum quod apud nos relatio non est subsistens persona, et ideo hoc nomen pater, apud nos, non signitìcat perso­ nam, sed relationem personae. Non autem est ita in divinis, ut quidam falso opinati sunt, nam relatio quam significat hoc nomen Pater, est subsistens persona. Unde supra [q. 29 a. 4] dictum est quod hoc nomen persona in divinis significat relationem ut subsistentem in divina natura. Ad secundum dicendum quod, secundum phi­ losophum, in 2 De an. [4, 15], denominarlo rei maxime debet fieri a perfectione et fine. Ge­ nerarlo autem significat ut in fieri, sed pater­ nitas significat complementum generationis. Et ideo potius est nomen divinae personae Pater, quam generans vel genitor. Ad tertium dicendum quod verbum non est aliquid subsistens in natura humana, unde non proprie potest dici genitum vel filius. Sed Verbum divinum est aliquid subsistens in na­ tura divina, unde proprie, et non metaphorice, dicitur Filius, et eius principium, Pater. Ad quartum dicendum quod nomen genera­ tionis et paternitatis, sicut et alia nomina quae proprie dicuntur in divinis, per prius dicuntur

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chiamato parto o prole [della mente], per cui soltanto in senso metaforico si chiama padre chi lo produce. Quindi neppure in Dio si può chiamare Padre in senso proprio colui che è il principio del Verbo. 4. Ciò che è attribuito alla divinità in senso pro­ prio si predica di Dio prima che delle creature. Ma la generazione va attribuita alle creature prima che a Dio: poiché si ha generazione in senso più proprio quando una cosa deriva da un'altra e si distingue da essa non soltanto in forza di una relazione, ma anche per la sostan­ za. Quindi il nome di Padre, che viene desunto dalla generazione, non sembra che possa esse­ re il nome proprio di una persona divina. In contrario: è detto nel Sal: Egli mi invocherà:

Tu sei mio Padre.

Risposta: il nome proprio di una persona si­ gnifica ciò che la distingue da tutte le altre. Co­ me infatti nel concetto di uomo rientrano l'a­ nima e il corpo, così nel concetto di questo uomo rientrano questa anima e questo corpo, come dice Aristotele: poiché in forza di essi questo uomo si distingue da tutti gli altri. Ora, ciò che distingue la persona del Padre da tutte le altre è la paternità. Quindi il termine Padre, che esptime la paternità, è il nome proprio della persona del Padre. Soluzione delle difficoltà: l . In noi la relazio­ ne non è una persona sussistente: perciò nelle c reature i l nome padre non significa una persona, ma solo una relazione della persona. Invece in Dio non è così, come falsamente credettero alcuni: infatti la relazione indicata dal termine Padre è [in questo caso] una per­ sona sussistente. Per cui sopra abbiamo detto che in Dio il termine persona significa la rela­ zione in quanto sussistente nella natura divina. 2. Ogni cosa, come dice il Filosofo, va deno­ minata specialmente in base alla petfezione e al fine. Ora, la generazione indica semplice­ mente il divenire, mentre la paternità significa la generazione già completa. Quindi è più adatto per la persona divina il nome di Padre che non quello di generante o genitore. 3. Il nostro verbo [mentale] non è un sussi­ stente di natura umana, per cui non può essere detto propriamente genemto o figlio. Invece il Verbo divino è un sussistente di natura divina: per cui in senso proprio, e non per metafora, viene chiamato Figlio, e Padre il suo principio. 4. I nomi di generazione e di paternità, come

La persona del Padre

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de Deo quam de creaturis, quantum ad rem significatam, licet non quantum ad modum significandi . Unde et apostolus dicit, ad Ephes. 3 [ 1 4- 15],jlecto genua mea ad Patrem

Domini nostri Iesu Christi, ex quo onmis pa­ ternitas in caelo et in terra nominatur. Quod

sic apparet. Manifestum est enim quod gene­ ratio accipit speciem a termino, qui est forma generati. Et quanto haec fuerit propinquior formae generantis, tanto verior et perfectior est generatio; sicut generatio univoca est perfectior quam non univoca, nam de ratione generantis est, quod generet sibi simile secun­ dum formam. Unde hoc ipsum quod in gene­ ratione divina est eadem numero forma gene­ rantis et geniti, in rebus autem creatis non est eadem numero, sed specie tantum, ostendit quod generatio, et per consequens patemitas, per prius sit in Deo quam in creaturis. Unde hoc ipsum quod in divinis est distinctio geniti a generante secundum relationem tantum, ad veritatem divinae generationis et paternitatis pertinet.

Q. 33, A. 2

tutti gli altri nomi che vengono attribuiti a Dio in senso proprio, vanno riferiti prima a Dio che alle creature se si guarda al significato, sebbene non [sia così] se si guarda al loro modo di significare. Perciò è detto in Ef

Piego le ginocchia davanti al Padre del Si­ gnore nostro Gesù Cristo, dal quale ogni pa­ ternità in cielo e i!l terra prende nome. Il che

può vedersi così. E chiaro che la generazione viene specificata dal suo termine, che è la forma [o natura] dell'essere generato. E quan­ to più questa è vicina alla natura del generan­ te, tanto più vera e perfetta risulta la genera­ zione: infatti la generazione univoca è più perfetta di quella non univoca proprio perché appartiene al concetto di generante produrre un essere di forma [o natura] simile alla pro­ pria. Quindi anche il fatto che nella genera­ zione divina la forma del generante e del generato sia la stessa numericamente, mentre nelle creature non è la stessa di numero, ma solo di specie, dimostra che la generazione, e di conseguenza la paternità, si trova prima in Dio che nelle creature. Per cui il fatto stesso che in Dio la distinzione tra generante e gene­ rato sia data solo da [una diversità di] relazio­ ni fa vedere meglio quanto sia vera la genera­ zione e la paternità divina.

Articulus 3

Articolo 3

Utrum hoc nomen Pater dicatur in divinis per prius secundum quod personaliter sumitur

Parlando di Dio, il nome Padre è usato in primo luogo come nome personale?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod hoc nomen Pater non dicatur in divinis per prius secundum quod personaliter sumitur. l . Commune enim, secundum intellectum, est prius proprio. Sed hoc nomen Pater, secun­ dum quod personaliter sumitur, est proprium personae Patris, secundum vero quod sumitur essentialiter est commune toti Trinitati, nam toti Trinitati dicimus Pater noster. Ergo per prius dicitur Pater essentialiter sumptum, quam personaliter. 2. Praeterea, in his quae sunt eiusdem ratio­ nis, non est praedicatio per prius et posterius. Sed paternitas et filiatio secundum unam rationem videntur dici secundum quod perso­ na divina est Pater Filii, et secundum quod tota Trinitas est pater noster vel creaturae, cum, secundum Basilium [Horn. 15 De fide],

Sembra di no. Infatti: l . Ciò che è comune, nel nostro modo di in­ tendere, precede quanto è proprio. Ora il ter­ mine Padre, preso come nome personale, è il nome proprio della persona del Padre; invece, preso come nome essenziale, è comune a tut­ ta la Trinità, poiché a tutta la Tiinità diciamo: Padre nostro. Dunque il termine Padre è usa­ to in primo luogo come nome essenziale e non personale. 2. Un termine che si applica secondo la stessa nozione a più cose non può essere attribuito primariamente [all'una] e secondariamente [all' altra]. Ma la paternità e la filiazione, se­ condo una sola nozione, sembra che si dicano sia in quanto una persona divina è Padre del Figlio, sia in quanto tutta la Trinità è Padre di noi o della creatura: poiché, al dire di Basilio, il ricevere è comune alle creature e al Figlio.

Q. 33, A. 3

La persona del Padre

accipere sit commune creaturae et Filio. Ergo non per prius dicitur Pater in divinis secun­ dum quod sumitur essentialiter, quam secun­ dum quod sumitur personaliter. 3. Praeterea, inter ea quae non dicuntur se­ cundum rationem unam, non potest esse com­ parati o. Sed Filius comparatur creaturae in ratione filiationis vel generationis, secundum illud Col. l [ 1 5], qui est imago Dei invisibilis, primogenitus omnis creaturae. Ergo non per prius dicitur in divinis paternitas personaliter sumpta, quam essentialiter; sed secundum rationem eandem. Sed contra est quod aeternum prius est tem­ porali. Ab aeterno autem Deus est Pater Filii, ex tempore autem Pater est creaturae. Ergo per prius dicitur paternitas in Deo respectu Filii, quam respectu creaturae. Respondeo dicendum quod per prius dicitur nomen de illo in quo salvatur tota ratio nomi­ nis pert"ecte, quam de ilio in quo salvatur se­ cundum aliquid, de hoc enim dicitur quasi per similitudinem ad id in quo pert"ecte salvatur, quia omnia impert"ecta sumuntur a pert"ectis. Et inde est quod hoc nomen leo per prius dici­ tur de animali in quo tota ratio leonis salvatur, quod proprie dicitur leo, quam de aliquo ho­ mine in quo invenitur aliquid de ratione leo­ nis, ut puta audacia vel fortitudo, vel aliquid huiusmodi, de hoc enim per similitudinem dicitur. Manifestum est autem ex praemissis [q. 27 a. 2; q. 28 a. 4] quod perfecta ratio pa­ ternitatis et filiationis invenitur in Deo Patre et Deo Filio, quia Patris et Filii una est natura et gloria. Sed in creatura filiatio invenitur re­ spectu Dei, non secundum perfectam ra­ tionem, cum non sit una natura Creatoris et creaturae; sed secundum aliqualem similitudi­ nem. Quae quanto pert"ectior fuerit, tanto pro­ pinquius acceditur ad veram filiationis ratio­ nem. Dicitur enim Deus alicuius creaturae pater, propter similitudinem vestigii tantum, utpote irrationalium creaturarum; secundum illud Iob 38 [28], quis est pluviae pater? Aut quis genuit stillas roris? Alicuius vero creatu­ rae, scilicet rationalis, secundum similitu­ dinem imaginis; secundum illud Deut. 32 [6],

nonne ipse est pater tuus, qui possedit et fecit et creavit te? Aliquorum vero est pater secun­ dum similitudinem gratiae, qui etiam dicuntur filii adoptivi, secundum quod ordinantur ad haereditatem aeternae gloriae per munus

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Quindi in Dio il termine Padre non viene usa­ to come nome personale prima che come no­ me essenziale. 3. Non si possono confrontare tra loro attribu­ zioni non fondate sullo stesso motivo. Ora, il Figlio viene confrontato con le creature a mo­ tivo della filiazione o della generazione, se­ condo le parole di Col: Egli è l'immagine del

Dio invisibile, generato prima di ogni creatu­ ra. Quindi in Dio non si può considerare la

paternità prima come termine personale e poi come termine essenziale, ma allo stesso modo. In contrario: l'eternità precede il tempo. Ma da tutta l'eternità Dio è Padre del Figlio, men­ tre soltanto dal principio del tempo è Padre delle creature. Quindi la paternità si attribui­ sce a Dio prima rispetto al Figlio e poi rispet­ to alle creature. Risposta: un termine viene attribuito al sog­ getto che ne esaurisce appieno tutto il signifi­ cato prima che ad altri soggetti che ne parteci­ pano solo in una certa misura: ad essi infatti viene applicato per la somiglianza [che han­ no] con quello in cui si trova in tutto il suo significato, poiché ogni imperfetto deriva da ciò che è pert"etto. Come il tennine leone si dice primariamente dell' animale, in cui si trova appieno tutto ciò che è incluso nel con­ cetto di leone, e che quindi viene detto leone in senso proprio; gli uomini invece, nei quali si trova solo qualche qualità del leone, come l'audacia, la forza e simili, vengono detti leo­ ni solo in senso metaforico. Ora, come si è detto, il concetto di paternità e di filiazione si trova perfettamente in Dio Padre e in Dio Figlio, poiché identica ne è la natura e la glo­ ria. Invece nella creatura la filiazione rispetto a Dio non si riscontra secondo una modalità pert"etta, non essendo identica la natura del Creatore e della creatura, ma secondo una certa quale somiglianza. E quanto più è per­ fetta questa [somiglianza], tanto più si avvici­ na al vero concetto di filiazione. Infatti di alcune creature, cioè delle irrazionali, Dio è detto padre solo per quella somiglianza che è un semplice vestigio; come, ad es., leggiamo in Gb: Haforse un padre la pioggia? o chi ha generato le stille della rugiada? Di altre inve­ ce, cioè delle creature razionali, è padre per quella somiglianza che è un'immagine, se­ condo le parole di Dt: Non è lui tuo padre, cui

appartieni, che ti ha fatto e che ti ha creato?

403

La persona del Padre

gratiae acceptum; secundum illud Rom. 8 [ 1 6- 1 7], ipse Spiritus reddit testimonium spi­

ritui nostro, quod sumus filii Dei; si autem filii, et haeredes. Aliquorum vero secundum similitudinem gloriae, prout iam gloriae hae­ reditatem possident; secundum illud Rom. 5 [2], gloriamur in spe gloriae filiorum Dei. Sic igitur patet quod per prius paternitas dicitur in divinis secundum quod importatur respectus personae ad personam, quam secundum quod importatur respectus Dei ad creaturam. Ad primum ergo dicendum quod communia absolute dieta, secundum ordinem intellectus nostri, sunt priora quam propria, quia inclu­ duntur in intellectu propriorum, sed non e converso; in intellectu enim personae Patris intelligitur Deus, sed non convertitur. Sed communia quae important respectum ad crea­ turam, per posterius dicuntur quam propria quae i mportant respectus personales, quia persona procedens in divinis, procedit ut prin­ cipium productionis creaturarum. Sicut enim verbum conceptum i n mente artificis, per prius intelligitur procedere ab artifice quam artificiatum, quod producitur ad similitudi­ nem verbi concepti in mente; ita per prius procedit Filius a Patre quam creatura, de qua nomen filiationis dicitur secundum quod aliquid participat de similitudine Filii; ut patet per illud quod dicitur Rom. 8 [29], quos prae­

scivit, et praedestinavit fieri confmmes imagi­ nis Filii eius.

Ad secundum dicendum quod accipere dicitur esse commune creaturae et Filio, non secun­ dum univocationem, sed secundum similitu­ dinem quandam remotam, ratione cuius dicitur primogenitus creaturae [Col. 1 , 1 5] . Unde in auctoritate inducta [ad l ] subditur, ut sit ipse primogenitus in multis fratribus, postquam dixerat conformes fieri aliquos imaginis Filii Dei. Sed Filius Dei naturaliter habet quoddam singulare prae aliis, scilicet habere per natu­ ram id quod accipit; ut idem Basilius dicit [Horn. 15 De fide]. Et secundum hoc dicitur unigenitus, ut patet Ioan. l [ 1 8], unigenitus,

qui est in sinu Patris, ipse nobis enarravit.

Et per hoc patet solutio ad tertium.

Q. 33, A. 3

Di alcune creature, inoltre, è padre per quella somiglianza che è la grazia, e [tali creature] sono anche chiamate figli adottivi, in quanto sono ordinate all' eredità della gloria eterna mediante il dono di grazia ricevuto, come è detto in Rm: Lo Spirito stesso attesta al nosnv

spirito che siamo figli di Dio; e se figli, anche eredi. Di alcuni, infine, [è padre] per quella

somiglianza che è la gloria [eterna], in quanto essi possiedono già l' eredità della gloria, se­ condo quanto è detto in Rm: Ci vantiamo nel­ la speranza della gloria dei figli di Dio. Così, dunque, è chiaro che in Dio la paternità si dice primariamente in quanto è relazione di persona a persona, e non in quanto indica un rapporto di Dio alle creature. Soluzione delle difficoltà: l . Secondo il no­ stro modo di intendere, i te1mini comuni as­ soluti precedono i termini propri, essendo in­ clusi in essi, e non viceversa: pensando infatti alla persona del Padre si pensa [necessaria­ mente] a Dio, ma non viceversa. Invece i ter­ mini comuni che esprimono relazione alle creature sono posteriori a quelli propri che in­ dicano una relazione personale: poiché in Dio la persona che procede, procede in qualità di principio delle creature. Come infatti l' idea concepita dall' artefice precede l' opera com­ piuta, che viene riprodotta a immagine e so­ miglianza di tale idea, così il Figlio procede dal Padre prima delle creature, alle quali poi si attribuisce la filiazione in quanto esse parte­ cipano della somiglianza del Figlio, come è detto in Rm: Quelli che da sempre ha cono­

sciuto, li ha anche predestinati a essere con­ fonni all'immagine del Figlio suo. 2. Si può dire che ricevere è comune alle

creature e al Figlio non in senso univoco, ma per una lontana somiglianza, in ragione della quale egli è chiamato primogenito delle crea­ ture. Quindi quel testo, dopo aver detto che alcuni fwvno predestinati a essere confonni all'immagine del Figlio suo, soggiunge: per­

ché egli sia il primogenito tra molti fratelli.

Ma colui che è Figlio di Dio per natura, a dif­ ferenza degli altri, ha questo di particolare, cioè di possedere per natura ciò che riceve, come dice anche Basilio. E per questo motivo viene denominato unigenito, come risulta da

Gv: Il Figlio unigenito, che è nel seno del Pa­ dre, lui lo ha rivelato.

E così è risolta anche la terza difficoltà.

Q. 33, A. 4

La persona del Padre

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Articulus 4 Utrum esse ingenitum sit Patri proprium

Articolo 4 Essere ingenito è una proprietà [esclusiva] del Padre?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod esse ingenitum non sit Patri proprium. l . Omnis enim proprietas ponit aliquid in eo cuius est proprietas. Sed ingenitus nihil ponit in Patre, sed removet tantum. Ergo non signi­ ficat proprietatem Patris. 2. Praeterea, ingenitum aut dicitur privative, aut negative. Si negative, tunc quidquid non est genitum, potest dici ingenitum. Sed Spiritus Sanctus non est genitus, neque etiam essentia divina. Ergo ingenitum etiam eis convenit, et sic non est proprium Patri. Si autem privative sumatur, cum omnis privatio significet im­ perfectionem in privato, sequitur quod persona Patris sit imperfecta. Quod est impossibile. 3. Praeterea, ingenitus in divinis non signi­ ficat relationem, quia non dicitur relative, significar ergo substantiam. Ingenitus igitur et genitus secundum substantiam differunt. Fi­ lius autem, qui est genitus, non differt a Patre secundum substantiam. Pater ergo non debct dici ingenitus. 4. Praeterea, proprium est quod uni soli con­ venit. Sed cum sint plures ab alio procedentes in divinis, nihil videtur prohibere quin etiam sint plures ab alio non existentes. Non igitur est proprium Patri esse ingenitum. 5. Praeterea, sicut Pater est principium perso­ nae genitae, ita et personae procedentis. Si ergo propter oppositionem quam habet ad personam genitam, proprium Patris ponitur esse quod sit ingenitus; etiam proprium eius debet poni quod sit improcessibilis. Sed contra est quod dicit Hilarius, 4 De Trin. [33] , est unus ab uno, scilicet ab ingenito genitus, pmprietate videlicet in unoquoque et

Sembra di no. Infatti: l . Ogni proprietà aggiunge qualcosa al sog­ getto a cui appartiene. Ora, essere ingenito [o non generato] non aggiunge, ma esclude sol­ tanto qualcosa dal Padre. Quindi non significa una proprietà del Padre. 2. lngenito può essere preso in senso negativo o privativo. Se è preso in senso negativo, allo­ ra tutto ciò che non è derivato per generazione può essere detto ingenito. Ora, né lo Spirito Santo né l'essenza divina derivano per gene­ razione. Quindi appartiene anche a loro di essere ingeniti: e così non si tratta di una pro­ prietà [esclusiva] del Padre. - Se invece è pre­ so in senso privativo, allora ne viene che la persona del Padre dovrebbe essere imperfetta, poiché ogni mancanza significa un'imperfe­ zione. Ma ciò è inconcepibile. 3. Il termine ingenito attribuito a Dio non significa una relazione, non essendo un termi­ ne relativo: dunque indica la natura [divina] . E allora ingenito e generato differiscono se­ condo la natura. Ma il Figlio, che è generato, non differisce dal Padre secondo la natura. Quindi il Padre non deve dirsi ingenito. 4. Proprietà è ciò che conviene a uno solo. Ma essendoci in Dio più di una persona a proce­ dere da altre, pare che nulla impedisca che vi sia anche più di una persona non originata da altre. Quindi essere non-generato non è una proprietà del Padre. 5 . Il Padre, come è principio della persona generata, così lo è anche di quella che proce­ de. Se dunque per opposizione alla persona generata si ammette che sia una proprietà del Padre quella di essere non-generato, si do­ vrebbe ammettere che egli abbia anche come proprietà quella di essere npn-procedente. In contrario: dice Ilario: «E uno da uno», cioè l'Unigenito dall'Ingenito, «per le rispettive proprietà deli' innascibilità e dell'origine». Risposta: come nelle realtà create abbiamo un principio primo e un principio secondo, così nelle persone divine, tra le quali però non esiste anteriorità e posteriorità, c'è il principio non da altm principio che è il Padre, e il principio da altm principio, che è il Figlio. Ora, nelle realtà create un principio primo si manifesta come

innascibilitatis et originis.

Respondeo dicendum quod, sicut in creaturis invenitur principium primum et principium secundum, ita in personis divinis, in quibus non est prius et posterius, invenitur princi­ pium non de principio, quod est Pater, et prin­ cipium a principio, quod est Filius. In rebus autem creatis aliquod principium primum in­ notescit dupliciter, uno quidem modo, in­ quantum est principium primum per hoc quod habet relationem ad ea quae ab ipso sunt; alio modo, inquantum est primum prin-

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La persona del Padre

cipium per hoc quod non est ab alio. Sic igitur et Pater innotescit quidem patemitate et com­ munì spiratione, per respectum ad personas ab eo procedentes, i nquantum autem est principium non de principio, innotescit per hoc, quod non est ab alio, quod pertinet ad proprietatem innascibilitatis, quam significat hoc nomen ingenitus. Ad primum ergo dicendum quod quidam dicunt quod innascibilitas, quam signiticat hoc nomen ingenitus, secundum quod est proprietas Patris, non dicitur tantum negative; sed importat vel utrumque simul, scilicet quod Pater a nullo est, et quod est principium aliorum; vel impot1at universalem auctorita­ tem; vel etiam fontalem plenitudinem. Sed hoc non videtur verum. Quia sic innascibilitas non esset alia proprietas a patemitate et spira­ tione, sed includeret eas, sicut includitur pro­ prium in communi, nam fontalitas et auctori­ tas nihil aliud signiticant in divinis quam prin­ cipium originis. Et ideo dicendum est, secun­ dum Augustinum, 5 De Trin. [7], quod inge­ nitus negationem generationis passivae im­ portat, dicit enim quod tantum valet quod di­

citur ingenitus, quantum valet quod dicitur non Filius. Nec propter hoc sequitur quod in­

genitus non debeat poni propria notio Patris, quia prima et simplicia per negationes notifi­ cantur; sicut dicimus punctum esse cuius pars non est. Ad secundum dicendum quod i ngenitum quandoque sumitur negative tantum. Et se­ cundum hoc Hieronymus [cf. Sent. 1 , 1 3,4] dicit Spiritum Sanctum esse ingenitum, idest non genitum. Alio modo potest dici ingenitum aliquo modo privative, non tamen aliquam imperfectionem importat. Multipliciter enim dicitur privatio. Uno modo, quando aliquid non habet quod natum est haberi ab alio, etiamsi ipsum non sit natum habere illud, sicut si lapis dicatur res mortua, quia caret vita, quam quaedam res natae sunt habere. Alio modo dicitur privatio, quando aliquid non habet quod natum est haberi ab aliquo sui generis; sicut si talpa dicatur caeca. Tertio modo, quando ipsum non habet quod natum est habere, et hoc modo privatio imperfectionem importat. Sic autem ingenitum non dicitur privative de Patre, sed secundo modo, prout scilicet aliquod sup­ positum divinae naturae non est genitum, cuius tamen naturae aliquod suppositum est genitum.

Q. 33, A. 4

tale in due modi: primo, per il suo rapporto di priorità rispetto alle cose che da esso derivano; secondo, per il fatto che non deriva da altri. E così il Padre si manifesta [come ptimo princi­ pio] in rapporto alle persone che procedono da lui mediante la paternità e la comune spirazio­ ne; si manifesta invece come ptincipio non da principio per il fatto che non deriva da altri. E ciò appartiene alla proprietà dell'innascibilità, espressa con il termine ingenito. Soluzione delle difficoltà: l . Alcuni dicono che l'innascibilità, espressa dal termine inge­ nito, in quanto è una proprietà del Padre non ha solo un senso negativo, ma implica simul­ taneamente due cose: che cioè il Padre non è da altri e che gli altri derivano da lui; oppure implica la sua fecondità universale; o anche la sua pienezza fontale. - Però ciò non sembra vero. Perché allora l'innascibilità non sarebbe una proprietà diversa dalla paternità e dalla spirazione, ma le includerebbe in sé, come un termine più universale include quello partico­ lare: infatti la pienezza fontale e la fecondità non possono significare altro in Dio che il principio dell'origine. - Perciò diciamo con Agostino che ingenito sta a indicare la nega­ zione delJa generazione passiva; infatti egli af­ ferma: «E lo stesso dire ingenito e non .figlio». Né da ciò si deve concludere che essere inge­ nito non sia una nozione propria del Padre: le realtà semplici e prime vengono espresse, infatti, mediante negazioni; il punto, per es., viene definito come «ciò che non ha parti». 2. Qualche volta il termine ingenito è preso nel significato di pura negazione. E in questo senso Girolamo dice che lo Spirito Santo è in­ genito, cioè non generato. - Altre volte, in­ vece, è preso in senso privative, senza però che ciò comporti imperfezione alcuna. La mancanza può infatti verificarsi in vari modi. Primo, quando il soggetto non ha ciò che altri possiedono per natura, ma che per lui non è naturale, come quando diciamo che la pietra è morta perché manca di quella vita che altre cose naturalmente possiedono. Secondo, quando un soggetto non ha ciò che per nantra è posseduto da altri dello stesso genere: come quando si dice che la talpa è cieca. Terzo, quando un soggetto non ha ciò che esso stes­ so per natura dovrebbe avere: e in questo caso la mancanza include un' imperfezione. Non è però i n quest'ultimo senso privative che

Q. 33, A. 4

La persona del Padre

Sed secundum hanc rationem, etiam de Spiritu Sancto potest dici ingenitum. Unde ad hoc quod sit proprium soli Patri, oportet ulterius in nomine ingeniti intelligere, quod conveniat alicui personae divinae quae sit principium alterius personae; ut sic intelligatur importare negationem in genere principii personaliter dicti in divinis. Vel, ut intelligatur in nomine ingeniti, quod omnino non sit ab alio, et non solum quod non sit ab alio per generationem. Sic enim nec Spiritui Sancto convenit esse in­ genitum, qui est ab alio per processionem ut persona subsistens, nec etiam divinae essen­ tiae, de qua potest dici quod est in Filio vel in Spiritu Sancto ab alio, scilicet a Patre. Ad tertium dicendum quod, secundum Damas­ cenum [De fide 1 ,8], ingenitum uno modo significat idem quod increatum, et sic secun­ dum substantiam dicitur; per hoc enim differt substantia creata ab increata. Alio modo si­ gnificat id quod non est genitum. Et sic rela­ tive dicitur, eo modo quo negatio reducitur ad genus a:ffirmationis, sicut non homo ad genus substantiae, et non album ad genus qualitatis. Unde, cum genitum in divinis relationem im­ portet, ingenitum etiam ad relationem perti­ net. Et sic non sequitur quod Pater ingenitus distinguatur a Filio genito secundum substan­ tiam; sed solum secundum relationem, in­ quantum scilicet relatio Filii negatur de Patre. Ad quartum dicendum quod, sicut in quolibet genere oportet ponere unum primum, ita in divina natura oportet ponere unum princi­ pium quod non sit ab alio, quod ingenitum di­ citur. Ponere igitur duos innascibiles, est po­ nere duos deos, et duas naturas divinas. Unde Hilarius dici t, in libro de synodis [super can. 26], cum unus Deus sit, duo innascibiles esse non possunt. Et hoc praecipue quia, si essent duo innascibiles, unus eorum non esset ab alio, et sic non distinguerentur oppositione relativa: oporteret igitur quod distinguerentur diversitate naturae. Ad quintum dicendum quod proprietas Patris prout non est ab alio, potius significatur per remotionem nativitatis Filii, quam per remo­ tionem processionis Spiritus Sancti. Tum quia processio Spiritus Sancti non habet nomen speciale, ut supra [q. 27 a. 4 ad 3] dictum est. Tum quia etiam ordine naturae praesupponit generationem Filii. Unde, remoto a Patre quod non sit genitus, cum tamen sit principium ge-

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ingenito si dice del Padre, ma nel secondo, in quanto cioè un'ipostasi di natura divina non è generata mentre un'altra è generata. - Però in questo senso ingenito si può dire anche dello Spirito Santo. Quindi, perché sia proprio sol­ tanto del Padre, bisogna ulteriormente inclu­ dere nel termine ingenito l'idea che la perso­ na divina di cui viene detto sia principio di altre persone: in modo da venire a negare [im­ plicitamente] che il Padre sia principiato co­ me persona divina. Oppure si può includere nel termine ingenito l' idea che [il Padre] non solo non è da altro per generazione, ma non lo è in alcun modo. Essere ingenito in questo modo infatti non conviene né allo Spirito San­ to, che come persona sussistente deriva da al­ tri per processione, né all'essenza divina, di cui si può dire che è nel Figlio e nello Spirito Santo come derivante da altri, cioè dal Padre. 3. Secondo il Damasceno ingenito qualche vol­ ta equivale a increato: e allora è un attributo so­ stanziale [cioè della natura], e distingue la na­ tura increata da quella creata. Altre volte, in­ vece, significa non derivato per generazione: e allora è un attributo relativo [cioè della persona], ma per riduzione, alla maniera in cui le nega­ zioni si possono ridurre alle affetmazioni coni­ spondenti: come non-uomo si riporta al genere della sostanza, e non-bianco a quello della qua­ lità. Quindi, siccome generato in Dio è un ter­ mine relativo, così anche ingenito è un termine relativo. E così non segue che il Padre, essendo ingenito, si distingua dal Figlio secondo la natu­ ra, ma solo secondo la relazione, in quanto cioè si nega al Padre la relazione di Figlio. 4. Come in qualsiasi genere di cose c'è un pri­ mo, così nella natura divina c'è un primo prin­ cipio che non è da altri, e che è detto ingenito. Ammettere pertanto due innascibilità significa ammettere due dèi e due nature divine. Quindi llario afferma: «Poiché Dio è uno solo, non possono essere due gli innascibili». E questo soprattutto perché, se fossero due, uno non po­ trebbe derivare dall' altro, e così non si distin­ guerebbero per opposizione relativa, ma do­ vrebbero distinguersi per diversità di natura. 5. La proprietà del Padre di non derivare da altri si indica meglio escludendo da lui la ge­ nerazione del Figlio che non la processione dello Spirito Santo. Sia perché la processione dello Spirito Santo non ha un nome pruticola­ re, come si è detto, sia perché presuppone na-

La persona del Padre

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nerationis, sequitur consequenter quod non sit procedens processione Spiritus Sancti, quia Spiritus Sanctus non est generationis princi­ pium, sed a genito procedens.

QUAESTI0 34 DE PERSONA FILll

Q. 33, A. 4

turalmente la generazione del Figlio. Quindi, escluso che il Padre, che pure è il principio della generazione, sia generato, ne viene di conseguenza che non è neppure procedente per la processione propria dello Spirito Santo: poiché lo Spirito Santo non è principio della generazione, ma procedente dal generato. QUESTIONE 34 LA PERSONA DEL FIGLIO

Deinde considerandum est de persona Filii [cf. q. 33 prol.]. Attribuuntur autem tria nomi­ na Filio, scilicet Filius, Verbum et Imago. Sed ratio Filii ex ratione Patris consideratur. Unde restat considerandum de Verbo et Imagine. Circa Verbum quaeruntur tria. Primo, utrum Verbum dicatur essentialiter in divinis, vel personaliter. Secundo, utrum sit proprium no­ men Filii. Tertio, utrum in nomine Verbi im­ portetur respectus ad creaturas.

Passiamo a considerare la persona del Figlio. Ad essa sono dati tre nomi: Figlio, Verbo e Immagine. Però il termine Figlio è già chiari­ to in quello di Padre. Quindi non restano da considerare che i termini di Verbo e di Imma­ gine. A proposito del Verbo si pongono tre quesiti: l . Verbo, ip. Dio, è un nome essenzia­ le o personale? 2. E un nome esclusivo del Fi­ glio? 3. Nel termine Verbo è incluso anche un rapporto con le creature?

Articulus l Utrum Verbum in divinis sit nomen personale

Articolo l In Dio, il nome Verbo è personale?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Ver­ bum in divinis non sit nomen personale. l . Nomina enim personalia proprie dicuntur in divinis, ut Pater et Filius. Sed Verbum me­ taphorice dicitur in divinis, ut Origenes dicit, super loannem [ 1 ] . Ergo Verbum non est personale in divinis. 2. Praeterea, secundum Augustinum, in libro De Trin. [9, 1 0], Verbum est notitia ctun amore. Et secundum Anselmum, in Mon. [63], dicere

Summo Spiritui nihil aliud est quam cogi­ tando intueri. Sed notitia et cogitatio et in­ tuitus in divinis essentialiter dicuntur. Ergo Verbum non dicitur personaliter in divinis. 3. Praeterea, de ratione verbi est quod dicatur. Sed, secundum Anselmum [Mon. 62], sicut Pater est intelligens, et Filius est intelligens, et Spiritus Sanctus est intelligens; ita Pater est dicens, Filius est dicens, et Spiritus Sanctus est dicens. Et similiter quilibet eorum dicitur. Ergo nomen Verbi essentialiter dicitur in di­ vinis, et non personaliter. 4. Praeterea, nulla persona divina est facta. Sed Verbum Dei est aliquid factum, dicitur enim in Psalmo 148 [8], ignis, grando, nix,

Sembra di no. Infatti: l . I nomi personali, come Padre e Figlio, ven­ gono attribuiti a Dio presi nel loro senso pro­ ptio. Invece, come dice Otigene, il Verbo è at­ tribuito a Dio solo in senso metaforico. Quin­ di in Dio non è un nome personale. 2. Secondo Agostino, «il Verbo è conoscenza con amore». E, secondo Anselmo, «per lo Spirito sommo il dire non è che un intuire pensando». Ma conoscenza, pensamento e intuito vengono attribuiti a Dio come termini essenziali. Quindi il Verbo non è attribuito a Dio come termine personale. 3. È proprio del verbo essere detto. Eppure, co­ me insegna Anselmo, allo stesso modo in cui intende il Padre, intende il Figlio e intende lo Spirito Santo; e così dice il Padre, dice il Figlio e dice lo Spirito Santo. E parimenti ciascuno di essi è detto. Quindi il nome di Verbo si dice dell'essenza divina e non di una persona. 4. Nessuna delle persone divine è fatta. Ma il Verbo divino è qualcosa di fatto, poiché nel Sal è detto: Fuoco, grandine, neve, gelo,

vento di bufera, che fanno il suo verbo.

Quindi Verbo non è il nome di una persona divina.

Q. 34, A. l

La persona del Figlio

glacies, spiritus procellarum, quae faciunt verbum eius. Ergo Verbum non est nomen

personale in divinis. Sed contra est quod dicit Augustinus, in 7 De Trin. [2], sicut Filius refertur ad Patrem, ita et Verbum ad id cuius est Verbum. Sed Filius est nomen personale, quia relative dicitur. Ergo et Verbum. Respondeo dicendum quod nomen Verbi in divinis, si proprie sumatur, est nomen perso­ nale, et nullo modo essentiale. Ad cuius evi­ dentiam, sciendum est quod verbum tripliciter quidem in nobis proprie dicitur, quarto autem modo, dicitur improprie sive figurative. Mani­ festius autem et communius in nobis dicitur verbum quod voce profertur. Quod quidem ab interiori procedit quantum ad duo quae in verbo exteriori inveniuntur, scilicet vox ipsa, et significatio vocis. Vox enim significat intel­ lectus conceptum, secundum philosophum, in libro l Perih. [ l ,2], et iterum vox ex imagina­ tione procedit, ut in libro De an. dicitur. Vox autem quae non est significativa, verbum dici non potest. Ex hoc ergo dicitur verbum vox exterior, quia significat interiorem mentis conceptum. Sic igitur primo et principaliter interior mentis conceptus verbum dicitur, secundario vero, ipsa vox interioris conceptus significativa, tertio vero, ipsa imaginatio vocis verbum dicitur. Et hos tres modos verbi ponit Damascenus, in l libro [De tìde] cap. 1 3, dicens quod verbum dicitur naturalis intel­

lectus motus, secundum quem movetur et in­ telligit et cogitat, velut lux et splendor, quan­ tum ad primum, rursus verbum est quod non verbo profertur, sed in corde pronuntiatur, quantum ad tertium, rursus etiam verbum est angelus, idest nuntius, intelligentiae, quantum

ad secundum. Dicitur autem figurative quarto modo verbum, id quod verbo significatur vel efficitur, sicut consuevimus dicere, hoc est verbum quod dixi tibi, vel quod mandavit rex, demonstrato aliquo facto quod verbo signifi­ catum est vel simpliciter enuntiantis, vel etiam imperantis. Dicitur autem proprie ver­ bum i n Deo, s ecundum quod verbum significat conceptum intellectus. Unde Augus­ tinus dicit, in 1 5 De Ttin. [ 1 0], quisquis potest

intelligere verbum, non solum antequam sonet, verum etiam antequam sonorum eius imagines cogitatione involvantw; iam potest videre aliquam Verbi illius similitudinem, de

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In contrario: Agostino dice: «Come il Figlio di­

ce relazione al Padre, così anche il Verbo a co­ lui di cui è il Verbo». Ma Figlio è un nome per­ sonale, perché relativo. Quindi anche Verbo. Risposta: se il termine Verbo è preso in senso proprio, in Dio è un nome personale, e in nessun modo essenziale. Per capire questo si deve notare che noi prendiamo il termine ver­ bo in tre sensi propri, mentre un quarto senso è improprio o metaforico. Più comunemente, e in modo più ovvio, chiamiamo verbo [cioè parola] ciò che viene espresso con suoni vo­ cali. Ma esso proviene dal nostro interno quanto ai due elementi che si riscontrano nel verbo esterno, cioè la voce stessa e il suo si­ gnificato. Infatti, secondo il Filosofo, la voce significa il concetto della mente; ed essa anco­ ra nasce dall'immaginazione. Invece i suoni vocali che non significano nulla non possono essere detti parola [verbo]. Quindi la voce esteriore è detta verbo [o parola] perché espri­ me il concetto interiore della mente. Di qui si ha che in primo luogo e principalmente si dice verbo il concetto interno della mente, se­ condariamente la voce che lo esprime e in ter­ zo luogo il fantasma [o immagine sensibile in­ teriore] della voce [che servinì. ad esprimerlo]. E queste tre accezioni del verbo sono indicate dal Damasceno quando afferma: «Si chiama verbo quel moto naturale della mente per cui essa è in atto, pensa e intende, e che ne è come la luce e lo splendore»: prima accezione. «An­ cora, il verbo è ciò che» non si proferisce con la bocca, ma «si pronuncia nel cuore»: terza accezione. «Finalmente il verbo è ancora l'an­ gelo», cioè il nunzio, «dell'intelligenza»: se­ conda accezione. - In senso traslato poi, o me­ taforico, si dice verbo [o parola], quarta acce­ zione, la stessa cosa significata o fatta me­ diante la parola: come quando, per indicare semplicemente un fatto o per accennare a un comando, siamo soliti dire: questo è il verbo che ti ho detto, o [il verbo] che fu comandato dal re. Ora, in Dio il verbo in senso proprio indica il concetto dell'intelletto. Quindi Ago­ stino afferma: «Chi è in grado di capire che cosa sia il verbo non solo prima che risuoni, ma anche prima che il suono si rivesta di un'immagine nella fantasia, può già intravve­ dere una certa sembianza di quel Verbo di cui fu detto: In principio era il Verbo». Ora, lo stesso verbo mentale ha la proprietà di proce-

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La persona del Figlio

quo dictum est, in principio erat Verbum. Ipse autem conceptus cordis de ratione sua habet quod ab alio procedat, scilicet a notitia conci­ pientis. Unde verbum, secundum quod pro­ prie dicitur in divinis, significat aliquid ab alio procedens, quod pertinet ad rationem nomi­ num personalium in divinis, eo quod perso­ nae divinae disti nguuntur secundum origi­ nem, ut dictum est [q. 27 prol.; q. 32 a. 3]. Unde oportet quod nomen Verbi, secundum quod proprie in divinis accipitur, non sumatur essentialiter, sed personaliter tantum. Ad primum ergo dicendum quod Ariani, quo­ rum fons Origenes invenitur [cf. q. 32 a. l ad 1], posuerunt Filium alium a Patre esse in diver­ sitate substantiae. Unde conati sunt, cum Fi­ lius Dei Verbum dicitur, astruere non esse proprie dictum; ne, sub ratione Verbi proce­ dentis, cogerentur fateri Filium Dei non esse extra substantiam Patris; nam verbum interius sic a dicente procedit, quod in ipso manet. Sed necesse est, si ponitur verbum Dei meta­ phorice dictum, quod ponatur verbum Dei proprie dictu m . Non enim potest aliquid metaphorice verbum dici, nisi ratione manifes­ tationis, quia vel manifestat sicut verbum, vel est verbo manifestatum. Si autem est mani­ festatum verbo, oportet ponere verbum quo manifestetur. Si autem dicitur verbum quia exterius manifestar, ea quae exterius manifes­ tant, non dicu ntur verba n i s i i nquantum significant interiorem mentis conceptum, quero aliquis etiam per exteriora signa manifestat. Etsi ergo verbum aliquando dicatur metaphori­ ce in divinis, tamen oportet ponere Verbum proprie dictum, quod personaliter dicatur. Ad secundum dicendum quod nihil eorum quae ad intellectum pertinent, personaliter di­ citur in divinis, nisi solum Verbum, solum enim verbum significat aliquid ab alio ema­ nans. Id enim quod intellectus in concipiendo format, est verbum. Intellectus autem ipse, secundum quod est per speciem intelligibilem in actu, consideratur absolute. Et similiter intel­ ligere, quod ita se habet ad intellectum in actu, sicut esse ad ens in actu, non enim intelligere significat actionem ab intelligente exeuntem, sed in intelligente manentem. Cum ergo dici­ tur quod verbum est notitia, non accipitur no­ titia pro actu intellectus cognoscentis, vel pro aliquo eius habitu, sed pro eo quod intellectus concipit cognoscendo. Unde et Augustinus

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dere da altro, cioè dalla conoscenza di chi lo ha concepito. Se quindi il verbo si applica a Dio in senso proprio, significa qualcosa che procede da altro: e questa è una caratteristica dei nomi personali, poiché le persone divine si distinguono appunto in base alle origini, come si è già spiegato. Quindi si deve dire che il nome Verbo, applicato a Dio in senso proprio, è un nome non essenziale, ma solo personale. Soluzione delle difficoltà: l . Gli Atiani, che fanno capo a Origene, sostennero che il Figlio è diverso dal Padre nella sostanza. Quindi si sforzarono di dimostrare che il Figlio di Dio non viene detto Verbo in senso proprio, per non essere costretti a riconoscere che il Figlio di Dio, procedendo come Verbo, non è estra­ neo alla sostanza del Padre: infatti il verbo interiore procede da chi lo esprime in modo da rimanere in lui. - Ma se si ammette in Dio un verbo in senso metaforico, bisogna anche ammetterne uno in senso proprio. Infatti una cosa non può essere detta metaforicamente verbo se non a motivo di una manifestazione: cioè o perché manifesta come manifesta il verbo, oppure perché è da questo manifestata. Ma se è manifestata dal verbo, allora è neces­ sario ammettere il verbo che la manifesta. Se invece viene detta verbo perché manifesta e­ sterionnente, allora ciò che è così esterior­ mente manifestato non può essere detto verbo se non in quanto esprime l'interiore concetto della mente, che uno manifesta anche con segni esteriori. Quindi, sebbene qualche volta, parlando di Dio, il verbo sia preso in senso metaforico, tuttavia bisogna porre in lui un Verbo in senso proprio, che viene detto in modo personale. 2. Nulla di quanto appartiene all' intelletto è attribuito a Dio in senso personale, eccetto il solo Verbo: poiché soltanto il verbo significa una cosa che emana da un'altra. Infatti il ver­ bo è ciò che l ' intelletto forma in se stesso nel­ l ' intendere. Invece l'intelletto stesso, in quan­ to è in atto mediante la specie intelligibile, è da concepirsi come qualcosa di assoluto. E al­ trettanto si deve dire dell' intendere, il quale sta all' intelletto in atto come l' essere sta al­ l'ente in atto: infatti l'intendere significa un' a­ zione che non esce dal soggetto, ma resta in esso. - Quando dunque si dice che il verbo è notizia [o conoscenza], notizia qui non sta per l'atto dell'intelletto che conosce o per qualche

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La persona del Figlio

dicit [De Trin. 7 ,2] quod Verbum est sapientia genita, quod nihil aliud est quam ipsa concep­ tio sapientis, quae etiam pari modo notitia ge­ nita dici potest. Et per eundem modum potest intelligi quod dicere Deo sit cogitando intueri, inquantum scilicet intuito cogitationis divinae concipitur Verbum Dei. Cogitationis tamen nomen Dei Verbo proprie non convenit, dicit enim Augustinus, 1 5 De Trin. [ 1 6], ila dicitur

illud Verbum Dei, ut cogitatio non dicatur; ne aliquid esse quasi volubile credatur in Deo, quod mmc accipiat formam ut verbum sit, eamque dimittere possit, atque informiter quodammodo volutari. Cogitatio enim pro­

prie in inquisitione veritatis consistit, quae in Deo locum non habet. Cum vero intellectus iam ad formam veritatis pertingit, non cogitat, sed perfecte veritatem contemplatur. Unde Anselmus improprie accipit cogitationem pro contemplatione. Ad tertium dicendum quod, sicut, proprie lo­ quendo, Verbum dicitur personaliter in divinis et non essentialiter, ita et dicere. Unde, sicut Verbum non est commune Patri et Filio et Spiritui Sancto, ita non est verum quod Pater et Filius et Spiritus Sanctus sint unus dicens. Unde Augustinus dicit, 7 De Trin. [ 1] , dicens

ilio coaetemo Verbo non singulus intelligitur in divinis. Sed dici convenit cuilibet personae,

dicitur enim non solum verbum sed res quae verbo intelligitur vel significatur. Sic ergo uni soli personae in divinis convenit dici eo modo quo dicitur Verbum, eo vero modo quo dicitur res in Verbo intellecta, cuilibet personae con­ venit dici. Pater enim, intelligendo se et Fi­ lium et Spiritum Sanctum, et omnia alia quae eius scientia continentur, concipit Verbum, ut sic tota Trinitas Verbo dicatur, et etiam omnis creatura; sicut intellectus hominis verbo quod concipit intelligendo lapidem, lapidem dicit. Anselmus vero improprie accepit dicere pro intelligere. Quae tamen differunt. Nam intelli­ gere importat solam habitudinem intelligentis ad rem intellectam; in qua nulla ratio originis importatur, sed solum informatio quaedam in intellectu nostro, prout intellectus noster fit in actu per formam rei intellectae. In Deo autem importat omnimodam identitatem, quia in Deo est omnino idem intellectus et intellec­ tum, ut supra [q. 14 aa. 2.4] ostensum est. Sed dicere importat principaliter habitudinem ad verbum conceptum nihil enim est aliud dicere

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suo abito, ma per ciò che l'intelligenza conce­ pisce nel conoscere. Per cui anche Agostino afferma che il Verbo è «la sapienza generata>>: che poi si identifica con il concetto di chi conosce, concetto che a sua volta può essere detto «notizia generata>>. - E allo stesso modo si può spiegare [l'espressione di Anselmo] che dire, per Dio, è «Un intuire pensando», cioè nel senso che, mediante l'intuizione del pensiero divino, viene concepito il Verbo di Dio. Però, propriamente parlando, al Verbo di Dio non si può applicare con proprietà il ter­ mine pensiero. Dice infatti Agostino: «Il Ver­ bo di Dio è detto Verbo, e non pensiero: affin­ ché non si creda che in Dio ci sia qualcosa di mutevole, che ora prenda una forma per di­ ventare verbo e ora la lasci, e così cambi di forme senza riteneme alcuna». Il pensare, in­ fatti, consiste nella ricerca del vero, e questa non si può trovare in Dio. Quando invece è giunto alla verità, l'intelletto non ricerca più, ma si ferma a contemplarla. Quindi Anselmo prende il pensare in senso improprio, come sinonimo di contemplare. 3. In Dio sia il Verbo, sia il dire, si riferiscono, come termini propri, alle persone e non ali' es­ senza. Come quindi il Verbo non è comune al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, così non è vero che il Padre, e il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo dicente. Per cui Agostino afferma: «In Dio non si deve intendere che ciascuno sia il dicente di quel Verbo coeter­ no». Invece l'essere detto conviene a ogni per­ sona, poiché non si dice soltanto il verbo, ma anche la cosa che con tale verbo è intesa e significata. Così dunque in Dio l'essere detto come Verbo conviene a una sola persona; invece l'essere detto come cosa intesa nel Verbo e col Verbo conviene a tutte e tre le divine persone. Il Padre infatti, intendendo se stesso, il Figlio e lo Spirito Santo e ogni altra cosa contenuta nella sua scienza, concepisce il Verbo: e così tutta la Trinità e ogni creatura viene detta con i l Verbo; come l ' i ntelletto umano dice la pietra con il verbo che ha con­ cepito intendendo la pietra. - Anselmo, inve­ ce, prende dire in senso improprio, come equi­ valente di intendere. E tuttavia sono cose diver­ se. L'intendere, infatti, indica soltanto un rap­ porto di chi intende alla cosa intesa; rapporto che non include alcuna idea di origine, ma solo una certa informazione, in quanto il no-

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La persona del Figlio

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quam proferre verbum. Sed mediante verbo importat habitudinem ad rem intellectam, quae in verbo prolato manifestatur intelli­ genti. Et sic sola persona quae profert Ver­ bum, est dicens in divinis, cum tamen singula personarum sit intelligens et intellecta, et per consequens Verbo dieta. Ad quartum dicendum quod verbum surnitur ibi figurative, prout significatum vel effectus verbi dicitur verbum. Sic enim creaturae dicuntur facere verbum Dei, inquantum exequuntur eftectum aliquem, ad quem ordi­ nantur ex Verbo concepto divinae sapientiae, sicut aliquis dicitur facere verbum regis, dum facit opus ad quod ex verbo regis instigatur.

stro intelletto diviene attualmente intelligente mediante la forma della cosa intesa. Ora, in Dio [l'intendere] comporta un'assoluta iden­ tità: poiché in Dio, come si è detto sopra, l'intelletto e ciò che esso intende sono assolu­ tamente la stessa cosa. Invece dire comporta principalmente un rapporto al verbo mentale: infatti dire non è altro che proferire il verbo; tuttavia mediante il verbo implica un rapporto alla cosa intesa, la quale nella parola [o verbo] si manifesta a chi intende. E così in Dio solo la persona che proferisce il Verbo dice, mentre le singole persone e intendono e sono intese, e di conseguenza sono dette nel Verbo. 4. Nel passo citato verbo è preso in senso metaforico, in quanto si dice verbo anche ciò che da esso è significato e fatto. Si dice infatti che le creature fanno il verbo [o la parola] di Dio in quanto eseguono effetti a cui sono state ordinate dal Verbo concepito dalla divi­ na sapienza: come si dice che uno fa la parola del re quando compie ciò che gli è stato inti­ mato dalla parola del re.

Articulus 2 Utrum Verbum sit proprium nomen Filii

Articolo 2 Verbo è un nome proprio del Figlio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Verbum non sit proprium nomen Filii. l . Filius enim est persona subsistens in divi­ nis. Sed verbum non significat rem sub­ sistentem, ut in nobis patet. Ergo Verbum non potest esse proprium nomen personae Filii. 2. Praeterea, verbum prolatione quadam pro­ cedit a dicente. Si ergo Filius est proprie Ver­ bum, non procedit a Patre nisi per modum p rolationis. Quod est haeresis Valentini, ut patet per Augustinum, in libro De haeresi­ bus [11]. 3. Praeterea, ornne nomen proprium alicuius personae significat proprietatem aliquam eius. Si igitur Verbum sit proprium nomen Filii, significabit aliquam proprietatem eius. Et sic erunt plures proprietates in divinis quam supra [q. 32 a. 3] enumeratae sunt. 4. Praeterea, quicumque intelligit, intelli­ gendo concipit verbum. Sed Filius intelligit. Ergo Filii est aliquod verbum. Et sic non est proprium Filii esse Verbum. 5. Praeterea, Hebr. l [3] dicitur de Filio, por­ fans omnia verbo virtutis suae, ex quo Basi-

Sembra di no. Infatti: l . In Dio il Figlio è una persona sussistente. Ma, come si vede anche in noi, il verbo non è qualcosa di sussistente. Quindi Verbo non può essere un nome proprio del Figlio. 2. n verbo deriva per una certa emissione da chi lo esprime. Se dunque il Figlio è Verbo in senso proprio, procede dal Padre soltanto come emissione. Ma questa è precisamente l'eresia di Valentino, come riferisce Agostino. 3. I nomi propri di una persona esprimono qualche proprietà della medesima. Se dunque Verbo è un nome proprio del Figlio, deve in­ dicare una sua proprietà, e allora verrebbero a esserci in Dio più proprietà di quelle che ab­ biamo già determinato. 4. Chiunque intende, intendendo produce il verbo. Ora, [anche] il Figlio intende. Quindi vi sarà anche un verbo del Figlio. E allora essere Verbo non sarà una qualifica propria del Figlio. 5. A proposito del Figlio in Eb è detto: Tutto sostiene con il verbo della sua potenza: dalle quali parole Basilio deduce che lo Spirito San­ to è il verbo del Figlio. Quindi l'essere Verbo non è una proprietà esclusiva del Figlio.

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La persona del Figlio

lius accipit [Contra Eunomium 5 , 1 1 ] quod Spiritus Sanctus sit verbum Filii. Non est er­ go proprium Filii esse Verbum. Sed contra est quod Augustinus dicit, 6 De Trio. [2], Verbum solus Filius accipitur. Respondeo dicendum quod Verbum proprie dictum in divinis personaliter accipitur, et est proptium nomen personae Filii. Significat enim quandam emanationem intellectus, persona autem quae procedit in divinis secundum ema­ nationem intellectus, dicitur Filius, et huiusmo­ di processio dicitur generatio, ut supra [q. 27 a 2] ostensum est. Unde relinquinrr quod solus Filius proprie dicatur Verbum in divinis. Ad primum ergo dicendum quod in nobis non est idem esse et intelligere, unde illud quod habet in nobis esse intelligibile, non pertinet ad naturam nostram. Sed esse Dei est ipsum eius intelligere, unde Verbum Dei non est aliquod accidens in ipso, vel aliquis ef­ fectus eius; sed pertinet ad ipsam naturam eius. Et ideo oportet quod sit aliquid subsi­ stens, quia quidquid est in natura Dei, subsi­ stit. Et ideo Damascenus dici t [De fide l , 1 3] quod Verbum Dei est substantiale, et in hypostasi ens, reliqua vero verba, scilicet nostra, virtutes sunt animae. Ad secundum dicendum quod non propter hoc error Valentini est darnnatus, quia Filium dixit prolatione natum, ut Ariani calumnia­ bantur, sicut Hilarius refert, 6 De Trio. [9], sed propter varium modum prolationis quem posuit, sicut patet per Augustinum in libro De haeresibus [1 1]. Ad tertium dicendum quod in nomine Verbi eadem proprietas importatur quae in nomine Filii, unde dicit Augustinus [De Trio. 7 ,2], eo dicitur Verbum, quo Filius. Ipsa enim nativi­ tas Filii, quae est proprietas personalis eius, diversis nominibus significatur, quae Filio at­ tribuuntur ad exprimendum diversimode per­ fectionem eius. Nam ut ostendatur connatu­ ralis Patri, dicitur Filius; ut ostendatur coae­ temus, dicitur splendor; ut ostendatur omni­ no similis, dicitur Imago; ut ostendatur im­ materialiter genitus, dicitur Verbum. Non au­ tem potuit unum nomen inveniri, per quod omnia ista designarentur. Ad quartum dicendum quod eo modo convenit Filio esse intelligentem, quo convenit ei esse Deum, cum intelligere essentialiter dicatur in divinis, ut dictum est [a. l ad 2-3]. Est autem

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In contrario: Agostino dice: «Verbo indica solo il Figlio». Risposta: Verbo, applicato a Dio in senso proprio, è un termine o nome proprio della persona del Figlio. Infatti esso significa una emanazione intellettuale, e la persona che in Dio procede per emanazione intellettuale è detta Figlio, e tale emanazione è detta gene­ razione, come si è già spiegato. Resta quindi che in Dio soltanto il Figlio è detto propria­ mente Verbo. Soluzione delle difficoltà: l . In noi non è la stessa cosa il nostro essere e il nostro intende­ re: quindi ciò che in noi ha la natura di intelli­ gibile non appartiene alla nostra essenza. Inve­ ce in Dio il suo essere si identifica con il suo intendere: per cui il Verbo di Dio non è un suo accidente o effetto, ma appartiene alla sua stessa natura. E così è necessario che sia qual­ cosa di sussistente, poiché tutto ciò che si tro­ va nell'essenza divina è sussistente. Quindi il Damasceno dice che «il Verbo divino è so­ stanziale ed ente ipostatico: gli altri verbi inve­ ce», cioè i nostri, «Sono proprietà dell'anima». 2. L'errore di Valentino, secondo quanto rife­ risce Ilario, non fu condannato perché costui aveva detto che il Figlio è dal Padre per emis­ sione, come calunniosamente dicevano gli Ariani, ma per il modo speciale di emissione che egli poneva, come risulta da Agostino. 3. Nel nome di Verbo è indicata la stessa pro­ prietà che in quello pi Figlio: per cui Agosti­ no può affermare: «E detto Verbo per lo stes­ so motivo per cui è detto Figlio». La stessa nascita infatti, che è la proprietà personale del Figlio, viene indicata con diversi nomi per esprimere sotto vari aspetti tutta la sua perfezione. Così, per indicare che [il Figlio] è consostanziale al Padre, è detto Figlio; per indicare che è eterno come il Padre, è detto splemlore; per mettere in evidenza la perfetta somiglianza [con il Padre], è detto immagine; per sottolineare la perfetta immaterialità della sua generazione, è detto Verbo. Poiché non era possibile trovare un nome che da solo esprimesse tutti questi aspetti. 4. L'intendere appartiene al Figlio come gli appartiene di essere Dio: poiché, come si è detto, l'intendere è un attributo divino essen­ ziale. Però egli è Dio generato e non Dio generante. E così il Figlio intende, ma non quale generatore di un verbo, bensì quale

La persona del Figlio

413

Filius Deus genitus, non autem generans Deus. Unde est quidem intelligens, non ut producens verbum, sed ut Verbum procedens; prout scilicet in Deo Verbum procedens secundum rem non differt ab intellectu divino, sed relatione sola distinguitur a principio Ve1bi. Ad quintum dicendum quod, cum de Filio di­ citur, portans omnia verbo virtutis suae, ver­ bum figurate accipitur pro effectu verbi. Un­ de Glossa [int. et ord.] ibi dicit quod verbum sumitur pro imperio; inquantum scilicet ex effectu virtutis Verbi est quod res conserven­ tur in esse, sicut ex effectu virtutis Verbi est quod res producantur in esse. Quod vero Ba­ silius interpretatur verbum pro Spiritu Sanc­ to, improprie et figurate locutus est, prout verbum alicuius dici potest omne illud quod est manifestativum eius, ut sic ea ratione di­ catur Spiritus Sanctus verbum Filii, quia ma­ nifestat Filium.

Q. 34, A. 2

Verbo procedente: in Dio infatti il Verbo non si distingue realmente dall'intelletto divino, ma si distingue solo per la relazione [di origi­ ne] da colui che è il principio del Verbo. 5. Quando si dice che il Figlio «tutto sostiene col verbo della sua potenza», qui verbo va preso i n senso figurato, come effetto del verbo [o della parola]. Quindi la Glossa dice che qui verbo sta per comando, i n quanto cioè è effetto della vittù del Verbo che le cose siano conservate nell' essere, come fu un effetto della potenza del Verbo che venissero prodotte. Basilio poi, nell'usare il termine verbo per lo Spirito Santo, si espresse con una parola impropria e metaforica, chiaman­ do cioè verbo di un soggetto tutto ciò che serve a manifestarlo: e i n questo senso lo Spirito Santo, manifestando il Figlio, può essere detto verbo del Figlio.

Articulus 3

Articolo 3

Utrum in nomine Verbi importetur respectus ad creaturam

Nel nome Verbo è incluso un rapporto con le creature?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod i n nomine Verbi non importetur respectus a d creaturam. l . Omne enim nomen connotans effectum in creatura, essentialiter in divinis dicitur. Sed Vemum non dicitur essentialiter, sed persona­ liter, ut dictum est [a. 1 ] . Ergo Verbum non importat respectum ad creaturam. 2. Praeterea, quae important respectum ad creaturas, dicuntur de Deo ex tempore, u t dominus e t creator. Sed Verbum dicitur de Deo ab aeterno. Ergo non importat respectum ad creaturam. 3. Praeterea, Verbum importat respectum ad id a quo procedit. Si ergo importat respectum ad creaturam, sequitur quod procedat a creatura. 4. Praeterea, ideae sunt plures secundum di­ versos respectus ad creaturas. Si igitur Verbum i mportat respectum ad creaturas, sequitur quod in Deo non sit unum Verbum tantum, sed plura. 5. Praeterea, si Verbum importat respectum ad creaturam, hoc non est nisi inquantum creaturae cognoscuntur a Deo. Sed Deus non solum cognoscit entia, sed etiam non entia. Ergo in Verbo importabitur respectus ad non entia, quod videtur falsum.

Sembra di no. Infatti: l . I nomi divini che accennano a un effetto nelle creature si riferiscono all'essenza divina. Ora Verbo, come si è detto, è un termine per­ sonale e non essenziale. Quindi non include alcun rapporto alle creature. 2. I nomi che esprimono una relazione alle creature si attribuiscono a Dio a cominciare dall'inizio del tempo, come ad es. Signore e Creatore. Ma Verbo si attribuisce a Dio da tutta l' eternità. Esso quindi non include un rapporto alle creature. 3. Il Verbo [necessariamente] dice relazione al soggetto dal quale procede. Se quindi i l Verbo comportasse una relazione alle creature dovrebbe procedere da esse. 4. [In Dio] le idee [archetipe] sono tante quanti sono i rapporti alle creature. Se dunque il Verbo include un rapporto alle creature, ne segue che in Dio non ci sarà un solo Verbo, ma molti. 5. Se il Verbo comporta un ordine alle creatu­ re, ciò proviene soltanto dalla conoscenza che Dio ne ha. Ora, Dio non conosce solamente le cose che sono, ma anche le cose che non sono. Quindi nel Verbo sarebbe incluso anche un rapporto a ciò che non è, il che evidente­ mente è falso.

Q. 34, A. 3

La persona del Figlio

Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [63], quod in nomine Ver­

bi significatur non solum respectus ad Pa­ trem, sed etiam ad illa quae per Verbum facta sunt operativa potentia.

Respondeo dicendum quod in Verbo impor­ tatur respectus ad creaturam. Deus enim, co­ gnoscendo se, cognoscit omnem creaturam. Verbum autem in mente conceptum, est re­ praesentativum omnis eius quod actu intelli­ gitur. Unde in nobis sunt diversa verba, se­ cundum diversa quae intelligimus. Sed quia Deus uno actu et se et omnia intelligit, uni­ cum Verbum eius est expressivum non salurn Patris, sed etiam creaturarum. Et sicut Dei scientia Dei quidem est cognoscitiva tantum, creaturarum autem cognoscitiva et factiva; ita Verbum Dei eius quod in Deo Patre est, est expressivum tantum, creaturarum vero est expressivum et operativum. Et propter hoc di­ citur in Psalmo 32 [9], dixit, et facta sunt; quia in Verbo importatur ratio factiva eorum quae Deus facit. Ad primum ergo dicendum quod in nomine personae includitur etiam natura oblique, nam persona est rationalis naturae individua sub­ stantia. In nomine igitur personae divinae, quantum ad relationem personalem, non im­ portatur respectus ad creaturam, sed impor­ tatur in eo quod pertinet ad naturam. Nihil tamen prohibet, i nquantum i ncludi tur i n signitìcatione eius essentia, quod importetur respectus ad creaturam, sicut enim proprium est Filio quod sit Filius, ita proprium est ei quod sit genitus Deus, vel genitus creator. Et per hunc modum i mportatur relatio ad creaturam in nomine Verbi. Ad secundum dicendum quod, cum relationes consequantur actiones, quaedam nomina impottant relationem Dei ad creaturam, quae consequitur actionem Dei in exteriorem effec­ tum transeuntem, sicut creare et gubernare, et talia dicuntur de Deo ex tempore. Quaedam vero relationem quae consequitur actionem non transeuntem in exteriorem effectum, sed manentem in agente, ut scire et velle, et talia non dicunlur de Deo ex tempore. Et huiusmo­ di relatio ad creaturam importatur in nomine Verbi. Nec est verum quod nomina importan­ tia relationem Dei ad creaturas, omnia dican­ tur ex tempore, sed sola illa nomina quae important relationem consequentem actionem

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In contrario: Agostino dice che «nel nome di Verbo è indicato non solo un rapporto al Padre, ma anche a quelle cose che mediante il Verbo furono prodotte dalla potenza operativa di Dio». Risposta: nel Verbo è incluso un rapporto alle creature. Dio infatti, conoscendo se stesso, conosce ogni creatura. Ora, il verbo mentale rappresenta tutto ciò che attualmente si cono­ sce. Ed è per questo che in noi ci sono tanti verbi quante sono le cose che conosciamo. Ma Dio con un unico atto conosce se stesso e tutte le altre cose: perciò l'unico Verbo espri­ me non soltanto il Padre, ma anche tutte le creature. E come la scienza divina in rapporto a Dio è soltanto conoscitiva e in rapporto alle creature è conoscitiva e operativa, così il Ver­ bo divino in rapporto a quanto si trova essen­ zialmente nel Padre è soltanto espressivo, e in rapporto alle creature è espressivo e operati­ vo. Per cui nel Sal è detto: Disse e le cose fu­ rono fatte, poiché il Verbo include l'idea di modello di quanto Dio fa. Soluzione delle difficoltà: l . TI nome di perso­ na include indirettamente anche la natura: infatti la persona è una sostanza individuale di natura razionale. Quindi il nome di una perso­ na divina, in quanto esprime una relazione personale, non include un mppotto alle creatu­ re, ma lo include [indirettamente] per il fatto che indica anche la natura. Ora, nulla impedi­ sce che [la persona], in quanto implica l'es­ senza, includa un rapporto alle creature: poi­ ché, come è proprio del Figlio di essere Figlio, così gli è proprio di essere Dio generato, ovve­ ro Creatore generato. E in questo modo il ter­ mine Verbo include un rapporto alle creature. 2. Siccome le relazioni sorgono dalle azioni, alcuni nomi, quelli cioè che esprimono un'a­ zione che da Dio passa negli effetti esterni, come creare e governare, indicano una rela­ zione alle creature; e tali nomi si dicono di Dio a cominciare dall'inizio del tempo. Inve­ ce altri nomi esprimono delle relazioni nate da operazioni che non passano sugli etletti esterni, ma rimangono nel soggetto, come sa­ pere e volere: e questi non si attribuiscono a Dio a cominciare dall'inizio del tempo [ma da tutta l'eternità]. Ora, il Verbo sta a indicare questa seconda specie di relazioni con le crea­ ture. E neppure è vero che tutti i nomi che implicano una relazione alle creature si attri­ buiscono a Dio a cominciare dall'inizio del

La persona del Figlio

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Q. 34, A. 3

Dei in exteriorem effectum transeuntem, ex tempore dicuntur. Ad tertium dicendum quod creaturae non cognoscuntur a Deo per scientiam a creaturis acceptam, sed per essentiam suam. Unde non oportet quod a creaturis procedat Verbum, licet Verbum sit expressivum creaturarum. Ad quartum dicendum quod nomen ideae principaliter est impositum ad significandum respectum ad creaturam, et ideo pluraliter dicitur in divinis, neque est personale. Sed nomen Verbi principaliter impositum est ad significandam relationem ad dicentem, et ex consequenti ad creaturas, inquantum Deus, intelligendo se, intelligit omnem creaturam. Et propter hoc in divinis est unicum tantum Verbum, et personaliter dictum. Ad quintum dicendum quod eo modo quo scientia Dei est non entium, et Verbum Dei est non entium, quia non est aliquid minus in Ver­ bo Dei quam in scientia Dei, ut Augustinus di­ cit [De Trin. 15,14]. Sed tamen Verbum est en­ tium ut expressivum et factivum, non entium autem, ut expressivum et manifestativum.

tempo, ma solo quei nomi che esprimono delle relazioni originate da qualche azione di Dio che passa negli effetti esterni. 3. Le creature non sono conosciute da Dio mediante una scienza da esse desunta, ma mediante la sua stessa essenza. Quindi, seb­ bene il Verbo esprima le creature, non ne segue che proceda da esse. 4. n termine idea sta a indicare principalmente un rapporto alle creature, per cui, quando si parla di Dio, è usato al plurale, e non è un nome personale. n termine Verbo [o Parola], invece, sta principalmente a significare il rapporto con colui che [lo] dice, e di conseguenza il rapporto con le creature: in quanto Dio, intendendo se stesso, intende tutte le creature. E così in Dio il Verbo è uno solo, ed è un nome personale. 5. Anche il Verbo di Dio, come la scienza di Dio, abbraccia le realtà non esistenti: poiché, come insegna Agostino, nel Verbo di Dio non manca nulla di quanto si trova nella scienza di Dio. Tuttavia delle realtà esistenti il Verbo è espressivo e fattivo; di quelle non esistenti, invece, è espressivo e manifestativo.

QUAESTIO 35 DE IMAGINE

QUESTIONE 35

Deinde quaeritur de Imagine. Et circa hoc quaeruntur duo. Primo, utrum Imago in divi­ nis dicatur personaliter. Secundo, utrum sit proprium Filii.

Parliamo ora dell' Immagine. Riguardo ad essa si pongono due quesiti: l . Immagine in Dio è un nome personale? 2. Tale nome è proprio del Figlio?

V IMMAGINE

Utrum Imago in divinis dicatur personaliter

Articolo 1 Immagine in Dio è un nome personale?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Imago non dicatur personaliter in divinis. l . Dicit enim Augustinus, in libro De fide ad Petrum [ l ] , una est Sanctae Trinitatis divi­ nitas et imago, ad quam factus est homo. Igitur imago dicitur essentialiter, et non personaliter. 2. Praeterea, Hilarius dicit, in libro De synod. [super can. 1 ] , quod imago est eius rei ad quam imaginatur, species indif.ferens. Sed species, sive forma, in divinis dicitur essentia­ liter. Ergo et imago. 3. Praeterea, imago ab imitando dicitur, in quo importatur prius et posterius. Sed in divinis

Sembra di no. Infatti: l . Agostino dice: «È unica la divinità e l'im­ magine della Santissima Trinità a somiglianza della quale fu fatto l'uomo». Quindi immagi­ ne è un nome essenziale e non personale. 2. nario dice: «L'immagine è una specie somi­ gliantissima della cosa riprodotta». Ma specie, o forma, in Dio è un termine essenziale. Quin­ di lo è anche immagine. 3. Immagine viene da imitare, che indica un prima e un poi. Ma fra le Persone divi­ ne non c'è un prima e un poi. Quindi im­ magine in Dio non può essere un nome per­ sonale.

Articulus

1

Q. 35, A. l

L 'immagine

personis nihil est prius et posterius, ergo ima­ go non potest esse nomen personale in divinis. Sed contra est quod dicit Augustinus [De Trin. 7, 1], quid est absurdius quam imaginem ad se dici ? Ergo Imago in divinis relative dicitur. Et sic est nomen personale. Respondeo dicendum quod de ratione imagi­ nis est similitudo. Non tamen quaecumque similitudo sufficit ad rationem imaginis; sed similitudo quae est in specie rei, vel saltem in aliquo signo speciei. Signum autem speciei in rebus corporeis maxime videtur esse figura, videmus enim quod diversorum animalium secundum speciem, sunt diversae figurae, non autem diversi colores . Unde, si depingatur color alicuius rei in pariete, non dicitur esse imago, nisi depingatur figura. Sed neque ipsa similitudo speciei sufficit vel figurae; sed re­ quiritur ad rationem imaginis origo, quia, ut Augustinus dicit in libro Octoginta trium Q. [74], unum ovum non est imago alterius, quia non est de ilio expressum. Ad hoc ergo quod vere aliquid sit imago, requiritur quod ex alio procedat simile ei in specie, vel saltem i n signo speciei. Ea vero quae processionem sive originem important in divinis, sunt personalia. Unde hoc nomen Imago est nomen personale. Ad primum ergo dicendum quod imago pro­ prie dicinu· quod procedit ad similitudinem al­ terius. Illud autem ad cuius similitudinem aliquid procedit, proprie dicitur exemplar, im­ proprie vero imago. Sic tamen Augustinus utitur nomine imaginis, cum dicit divinitatem Sanctae Trinitatis esse imaginem ad quam factus est homo. Ad secundum dicendum quod species, prout ponitur ab Hilario in definitione imaginis, importat formam deductam in aliquo ab alio. Hoc enim modo imago dicitur esse species alicuius, sicuti id quod assimilatur alicui, dicitur forma eius, inquantum habet formam illi similem. Ad tertium dicendum quod imitatio in divinis personis non significat posterioritatem, sed solam assimilationem.

416

In contrario: scrive Agostino: «Ci può essere qualcosa di più assurdo che prendere immagi­ ne come termine assoluto?». Quindi in Dio immagine è un nome relativo. E di conseguen­ za è un termine che si riferisce alla persona. Risposta: per avere l'immagine è richiesta la somiglianza. Però non basta una somiglianza qualsiasi, ma si richiede o la somiglianza nel­ la specie, o almeno in un segno caratteristico della specie. Ora, il segno caratteristico della specie nelle realtà corporali è principalmente la figura: infatti vediamo che le diverse specie di animali hanno figure differenti, ma non [necessariamente] colori diversi. Per cui, se su di una parete si stende il colore di una certa cosa, non si dirà che questa rappresentazione ne è l ' i mmagine, se non ne rappresenta la figura. - Tuttavia per avere l'immagine non basta neppure la somiglianza nella specie o nella figura, ma si richiede anche l ' origine: poiché, come dice Agostino, un uovo non è l'immagine di un altro uovo, poiché non è ri­ cavato da esso. Quindi, affinché una cosa sia veramente l'immagine [di un' altra], è neces­ sario che ne derivi rassomigliando ad essa nella specie, o almeno nel segno della specie. - Ora, in Dio tutto ciò che indica processione o origine è personale. Quindi Immagine è un nome personale. Soluzione delle difficoltà: l . Si dice immagi­ ne in senso proprio quella cosa che deriva da un' altra rassomigliando ad essa. La cosa inve­ ce da cui fu presa la somiglianza viene detta propriamente esemplare, e solo impropria­ mente immagine. Thttavia Agostino, nel dire che la divinità della Santissima Trinità è l 'im­ magine riprodotta nell'uomo, volle usare im­ magine in questo senso [improprio] . 2. ll temune specie, posto da Dario nella defi­ nizione dell'immagine, sta per forma derivata in un soggetto da un altro soggetto. In questo modo, infatti, l' immagine può essere detta specie di qualcosa, come si dice forma di qualcosa la realtà stessa che gli è simile, i n quanto h a una forma che gli assomiglia. 3. Imitazione, quando si parla delle persone divine, non significa posteriorità, ma soltanto rassomiglianza.

L 'immagine

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Q. 35, A. 2

Articulus 2

Articolo 2

Utrum nomen Imaginis sit proprium Filii

Immagine è un nome proprio del Figlio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod nomen lmaginis non sit proprium Filio. l . Quia, ut dicit Damascenus [De fide 1 , 13], Spiritus Sanctus est imago Filii. Non est ergo proprium Filii. 2. Praeterea, de ratione imaginis est similitu­ do cum expressione, ut Augustinus dicit, in li­ bro Octoginta trium Q. [74] . Sed hoc convenit Spiritui Sancto, procedit enim ab alio secun­ dum modum sirnilitudinis. Ergo Spiritus Sanc­ tus est Imago. Et ita non est proprium Filii quod sit Imago. 3. Praeterea, homo etiam dicitur imago Dei, secundum illud l ad Cor. 1 1 [7], vir non debet

velare caput suum, quoniam imago et gloria Dei est. Ergo non est proprium Filio.

Sed contra est quod Augustinus dicit, 6 De Trin. [2] , quod solus Filius est Imago Patris. Respondeo dicendum quod doctores graeco­ rum communiter dicunt Spiritum Sanctum esse imaginem Patris et Filii. Sed doctores la­ tini soli Filio attribuunt nomen Imaginis, non enim invenitur in canonica Scriptura nisi de Filio. Dicitur enim Coloss. l [ 1 5] , qui est

imago Dei invisibilis, primogenitus creaturae; et ad Hebr. l [3], qui cum sit splendor glo­ riae, et figura substantiae eius. Huius autem

rationem assignant quidam ex hoc, quod Fi­ lius convenit cum Patre non solum in natura, sed etiam in notione principii, Spiritus autem S anctus non convenit cum Filio nec cum Patre in aliqua notione. Sed hoc non videtur sufficere. Quia sicut secundum relationes non attenditur in divinis neque aequalitas neque i naequalitas, ut Augustinus dicit [Contra Max. 2, 14. 1 8; De Trin. 5,6]; ita neque simi­ litudo, quae requiritur ad rationem imaginis. Unde alii dicunt quod Spiritus Sanctus non potest dici imago Filii, quia imaginis non est imago. Neque etiam imago Patris, quia etiam imago refertur immediate ad id cuius est ima­ go; Spiritus Sanctus autem refertur ad Patrem per Filium. Neque etiam est imago Patris et Filii, quia sic esset una imago duorum, quod videtur impossibile. Unde relinquitur quod Spiritus Sanctus nullo modo sit imago. Sed hoc nihil est. Quia Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, ut infra [q. 36 a. 4]

Sembra di no. Infatti: l . TI Damasceno dice che lo Spirito Santo è «immagine del Figlio». Quindi [immagine] non è un nome proprio del Figlio. 2. Secondo Agostino rientrano nel concetto di immagine la somiglianza e l'espressione. Ma ciò conviene anche allo Spirito Santo: poiché an­ ch'egli procede da altri secondo somiglianza. Quindi anche lo Spirito Santo è immagine. Quin­ di essere Immagine non è proprio del Figlio. 3. Anche l' uomo è detto immagine di Dio, co­ me risulta da l Cor. L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio. Quindi ciò non è proprio del Figlio. In contrario: dice Agostino: «Solo il Figlio è Immagine del Padre». Risposta: i padri greci usano dire che lo Spirito Santo è immagine del Padre e del Figlio. I la­ tini, invece, il nome di Imrnagine non lo attri­ buiscono che al Figlio: poiché nella Scrittura non si trova riferito che al Figlio. Infatti è detto in Col: Egli è l'inunagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creatura; e in Eb: È irra­

diazione della gloria di Dio e impronta della sua sostanza. La ragione poi di questa [riserva

dei padri latini], secondo alcuni, starebbe nel fatto che il Figlio è simile al Padre non solo nella natura, ma anche nella nozione di prin­ cipio; lo Spirito Santo, invece, non conviene in alcuna nozione né col Padre né col Figlio. Ciò però non pare sufficiente. Poiché dalle re­ lazioni in Dio non può provenire né uguaglian­ za né disuguaglianza, come spiega Agostino; e così neppure quella somiglianza che sarebbe richiesta per l'immagine. Perciò altri dicono che lo Spirito Santo non può essere detto immagine del Figlio per il fatto che non si può parlare dell'immagine di un'immagine. E nep­ pure lo si può dire immagine del Padre giacché l'immagine si riferisce senza intermediari al soggetto di cui è immagine, mentre lo Spirito Santo si riferisce al Padre mediante il Figlio. E neppure può essere simultaneamente immagi­ ne del Padre e del Figlio: poiché sarebbe l'im­ magine unica di due [persone distinte], il che è impossibile. Quindi ne concludono che lo Spi­ rito Santo in nessun modo può essere imma­ gine. - Ma tutto ciò non ha valore. Come infat­ ti si dirà in seguito, il Padre e il Figlio sono un

Q. 35, A. 2

L 'immagine

dicetur, unde nihil prohibet sic Patris et Filii, inquantum sunt unum, esse unam imaginem; cum etiam homo totius Trinitatis sit una imago. Et ideo aliter dicendum est quod, sicut Spiritus Sanctus, quamvis sua processione accipiat naturam Patris, sicut et Filius, non tamen dicitur natus; ita, licet accipiat speciem similem Patris, non dicitur imago. Quia Filius procedit ut Verbum, de cuius ratione est simi­ litudo speciei ad id a quo procedit; non autem de ratione amoris ; quamvis hoc conveniat Amori qui est Spiritus Sanctus, inquantum est amor divinus. Ad primum ergo dicendum quod Damascenus et alii doctores graecorum communiter utuntur nomine imaginis pro perfecta similitudine. Ad secundum dicendum quod, licet Spidtus Sanctus sit similis Patri et Filio, non tamen sequitur quod sit imago, ratione iam dieta [in co.]. Ad tertium dicendum quod imago alicuius dupliciter in aliquo invenitur. Uno modo, in re eiusdem naturae secundum speciem, ut ima­ go regis invenitur in filio suo. Alio modo, in re altedus naturae, sicut imago regis invenitur in denario. Primo autem modo, Fi lius est imago Patris, secundo autem modo dicitur homo imago Dei. Et ideo ad designandam in homine imperfectionem imaginis, homo non solum dicitur imago, sed ad imaginem, per quod motus quidam tendentis in perfectionem designatur. Sed de Filio Dei non potest dici quod sit ad imaginem, quia est perfecta Patris imago.

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unico principio dello Spirito Santo: e così nulla impedisce che del Padre e del Figlio, in quanto sono un unico principio, ci sia un'unica imma­ gine: dal momento che anche l' uomo è una sola immagine di tutta la Tdnità. Perciò si deve procedere diversamente, e dire che come lo Spirito Santo, sebbene nella sua processione riceva, non meno del Figlio, la stessa natura del Padre, tuttavia non è detto nato, così, quantun­ que riceva una forma simile a quella del Padre, tuttavia non è detto immagine. Poiché il Figlio procede come Verbo, e il concetto di verbo [mentale] implica somiglianza di specie con il soggetto da cui procede; invece [tale somi­ glianza] non è implicata nel concetto di amore, sebbene convenga a quell'Amore che è lo Spi­ dto Santo, in quanto amore divino. Soluzione delle difficoltà: l . li Damasceno e gli altri santi dottod greci usano comunemen­ te il nome di immagine per indicare una so­ miglianza perfetta. 2. Sebbene lo Spirito Santo sia simile al Padre e al Figlio, tuttavia, per i motivi addotti, non è chiamato immagine. 3. L' immagine di una data cosa può trovarsi nei vali soggetti in due differenti modi. Primo, [può trovarsi] in un soggetto della stessa natura spe­ cifica: come l' inunagine del re si trova nel suo figlio. Secondo, [può trovarsi] in un soggetto di natura diversa: come l'immagine del re si trova nella moneta. Ora, il Figlio (di Dio) è immagine del Padre nella prima maniera; l'uomo, invece, è detto immagine di Dio nella seconda. Per i ndicare quindi che nell'uomo l' immagine è imperfetta non si dice sempli cemente che l' uomo è immagine, ma a immagine, per desi­ gnare cioè la tendenza alla perfezione. Del Figlio di Dio, invece, non si può dire che è a immagine del Padre, poiché ne è l'immagine perfetta.

La persona dello Spirito Santo

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Q. 36, A. l

QUAESTIO 36

QUESTIONE 36

DE PERSONA SPIRITUS SANCTI

LA PERSONA DELLO SPIRITO SANTO

Post haec considerandum est de his quae per­ tinent ad personam Spiritus Sancti [cf. q. 33 prol.]. Qui quidem non solum dicitur Spiritus S anctus, sed etiam Amor et Donum Dei . Circa nomen ergo Spiritus Sancti quaeruntur quatuor. Primo, utrum hoc nomen Spiritus Sanctus sit proprium alicuius divinae perso­ nae. Secundo, utrum illa persona divina quae Spiritus Sanctus dicitur, procedat a Patre et Filio. Tertio, utrum procedat a Patre per Fi­ lium. Quarto, utrum Pater et Filius sint unum principium Spiritus Sancti.

Ci rimane ora da trattare della persona dello Spirito Santo, il quale è chiamato non soltanto Spirito Santo, ma anche Amore e Dono di Dio. Sullo Spirito Santo si pongono quattro questioni: l. Spirito Santo è il nome proprio di una persona divina? 2. La persona divina chia­ mata Spirito Santo procede dal Padre e dal Fi­ glio? 3. Procede dal Padre per il Figlio? 4. TI Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo?

Articulus l

Articolo l

Utrum hoc nomen Spiritus Sanctus sit proprium nomen alicuius divinae personae

Spirito Santo è il nome proprio di una persona divina?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod hoc nomen Spiritus Sanctus non sit propriu m nomen alicuius divinae personae. l . Nullum enim nomen commune tribus perso­ nis, est proplium alicuius personae. Sed hoc nomen Spiritus Sanctus est commune tribus personis. Ostendit enim Hilarius, 8 De Trin. [23.25], in Spiritu Dei aliquando signitìcari Patrem, ut cum dicitur [ls. 6 1 , l ; Luc. 4, 1 8], Spi­ Jitus Domini super me; aliquando significari Fi­ lium, ut cum dicit Filius [Matth. 1 2,28], in Spi­ ritu Dei eiicio daemonia, naturae suae potestate eiicere se daemonia demonstrans; aliquando Spiritum Sanctum, ut ibi [Ioel 2,29; Act. 2, 1 7],

effimdam de Spiritu meo super omnem carnem. Ergo hoc nomen Spiritus S anctus non est proprium alicuius divinae personae. 2. Praeterea, nomina divinarum personarum ad aliquid dicuntur, ut Boetius dicit, in libro De Trin. [5]. Sed hoc nomen Spiritus Sanctus non dicitur ad aliquid. Ergo hoc nomen non est proprium divinae personae. 3. Praeterea, quia Filius est nomen alicuius divinae personae, non potest dici filius huius vel illius. Dicitur autem spiritus huius vel illius hominis. Ut enim habetur Num. I l [ 1 7],

Sembra di no. Infatti: l. Nessun nome comune alle tre persone può essere proprio di una sola Ma Spirito Santo è comune alle tre persone. Infatti Dario dimostra che nella Sacra Scrittura col nome di Spirito di Dio alcune volte è indicato il Padre, come nel passo: Lo Spirito del Signore è su di me; altre volte è designato il Figlio, come quando Gesù stesso disse: Se io scaccio i demoni in virtù del­ lo Spirito di Dio, volendo con ciò indicare che egli scacciava i demoni con la potenza della sua natura [divina]; altre volte ancora è indicato lo Spirito Santo, come nel passo: Effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo. Quindi Spirito Santo non è il nome proprio di una persona divina. 2. I nomi delle persone divine sono termini relativi, come dice Boezio. Ma Spirito Santo non è un termine relativo. Quindi non può es­ sere il nome proprio di una persona divina. 3. Essendo Figlio il nome di una persona divina, non si può dire: il Figlio di questo o di quello. Invece si usa dire: lo spirito di questo o di quel­ l'uomo, come in quel brano di Nm: Il Signore

disse a Mosè: Prenderò parle del nw spirito per darlo a Iom. E in 2 Re: Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo. Pare dunque che Spirito Santo non sia il nome proprio di una persona divina In contrario: è detto in l Gv: Sono tre che ren­

dixit Dominus ad Moysen, auferam de spiritu tuo, tradamque eis; et 4 Reg. 2 [ 1 5] , requievit spiritus Eliae super Elisaeum. Ergo Spiritus

dono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo. «Tre che cosa?» si domanda

Sanctus non videtur esse proplium nomen alicuius divinae personae.

Agostino, e risponde: «Tre persone». Quindi Spirito Santo è il nome di una persona divina.

Q. 36, A. l Sed contra est quod dicitur

La persona dello Spirito Santo

l Ioan. ult. [5,7],

tres sunt qui testimonium dant in caelo, Pater, Verbum et Spiritus Sanctus. Ut autem Augus­ tinus dicit, 7 De Tlin. [4.6; cf. 5,9], cum quae­ ritur, quid tres? Dicimus, tres personae. Ergo Spiritus Sanctus est nomen divinae personae. Respondeo dicendum quod, cum sint duae processiones in divinis, altera earum, quae est per modum amoris , non habet proprium nomen, ut supra [q. 27 a. 4 ad 3] dictum est. Unde et relationes quae secundum huiusmodi processionem accipiuntur, innominatae sunt, ut etiam supra dictum est [q. 28 a. 4]. Propter quod et nomen personae hoc modo proceden­ tis, eadem ratione, non habet proprium no­ men. Sed sicut sunt accommodata aliqua no­ mina, ex usu loquentium, ad significandum praedictas relationes, cum nominamus eas no­ mine processionis et spirationis, quae, se­ cundum proprietatem significationis, magis videntur significare actus notionales quam re­ lationes; ita ad significandum divinam perso­ nam quae procedit per modum amolis, ac­ commodatum est, ex usu Scripturae, hoc no­ men Spiritus Sanctus. Et huius quidem conve­ nientiae ratio sumi potest ex duobus. Primo quidem, ex ipsa communitate eius quod dici­ tur Spiritus Sanctus. Ut enim Augustinus dicit, 1 5 De Trin. [ 1 9; cf. 5, 1 1 ], quia Spiritus Sanc­

tus communis est ambobus, id vocatur ipse proprie quod ambo communite1; nam el Pater est spiritus, et Filius est spiritus; et Pater est sanctus, et Filius est sanctus. Secundo vero, ex

propria significatione. Nam nomen spiritus, in rebus corporeis, impulsionem quandam et motionem significare videtur, nam flatum et ventum spiritum nominamus. Est autem pro­ prium amoris, quod moveat et impellat volun­ tatem amantis in amatum. Sanctitas vero illis rebus attribuitur, quae in Deum ordinantur. Quia igitur persona divina procedit per mo­ dum amolis quo Deus amatur, convenienter Spilitus Sanctus nominatur. Ad primum ergo dicendum quod hoc quod dico spilitus sanctus, prout sumitur in virtute duarum dictionum, commune est toti Trinita­ ti. Quia nomine spiritus significatur immate­ rialitas divinae substantiae, spiritus enim cor­ poreus invisibilis est, et parum habet de mate­ ria; unde omnibus substantiis immaterialibus et invisibilibus hoc nomen attribuimus. Per hoc vero quod dicitur sanctus, significatur

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Risposta: in Dio ci sono due processioni; la seconda però, quella dell'amore, non ha u n nome proprio, come s i è detto sopra. Quindi anche le relazioni che ne sorgono mancano di un nome proprio, come si è già spiegato. E da ciò detiva che neppure la persona che procede secondo questa processione può avere, per lo stesso motivo, un nome proprio. Tuttavia, co­ me per indicare quelle relazioni furono dal­ l 'uso adottati alcuni nomi comuni, cioè pro­ cessione e �pirazione, che propriamente signi­ ficano più gli atti nozionali che le relazioni, così per designare la persona divina che pro­ cede per processione d' amore fu adottato se­ condo l' uso della Sclittura il nome di Spirito Santo. E di ciò si possono trovare due motivi di convenienza. Primo, la comunanza della persona chiamata Spirito Santo. Spiega infatti Agostino: «Essendo lo Spirito Santo comune alle due [persone] , esso è chiamato propria­ mente con denominazioni comuni a entrambe: infatti il Padre è Spirito e il Figlio è Spirito; il Padre è santo e il Figlio è santo». - Secondo, il significato proprio [di Spirito Santo] . Nel mondo fisico, infatti, spirito significa impulso e moto: infatti chiamiamo spirito il fiato e il vento. Ora, è proprio dell' amore muovere e spingere la volontà di chi ama verso la realtà amata. Ma a quelle cose che sono ordinate a Dio viene attribuita la santità. Quindi conve­ nientemente è detta Spirito Santo la persona divina che procede come l' amore con cui Dio si ama. Soluzione delle difficoltà: l . Se l' espressione spirito santo viene considerata come due pa­ role distinte, allora è comune a tutta la Trinità. Poiché con la parola spirito si indica l'imma­ terialità della sostanza divina: infatti nel mon­ do fisico lo spirito [vento o fiato] è una so­ stanza invisibile e di minima densità: perciò a tutte le sostanze immateriali e invisibili diamo il nome di spirito. Con l 'aggettivo santo, inve­ ce, si indica la purezza della bontà divina. Se al contrario si considera l ' espressione Spirito Santo come una parola sola, allora, per la ragione già detta, in forza dell'uso della Chiesa essa è stata adottata per designare una delle tre divine persone, quella che procede secondo la processione dell'amore. 2. Sebbene Spirito Santo non sia un tennine relativo, tuttavia viene usato come se lo fosse, in quanto fu adottato per designare una perso-

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puritas divinae bonitatis. Si autem accipiatur hoc quod dico Spiritus Sanctus, in vi unius dictionis, sic ex usu Ecclesiae est accommo­ datum ad significandam unam trium persona­ rum, scilicet quae procedit per modum amo­ ris, ratione iam dieta [in co.]. Ad secundum dicendum quod, licet hoc quod dico Spiritus Sanctus, relative non dicatur, ta­ men pro relativo ponitur, inquantum est ac­ commodatum ad signiticandam personam sola relatione ab aliis distinctam. Potest tamen intelligi etiam in nomine aliqua relatio, s i spiritus intelligatur quasi spiratus. Ad tertium dicendum quod in nomine Filii intelligitur sola relatio eius qui est a principio, ad principium, sed in nomine Patris intel­ ligitur relatio ptincipii; et similiter in nomine Spiritus, prout importat quandam vim moti­ vam. Nulli autem creaturae competit esse principium respectu alicuius divinae perso­ nae, sed e converso. Et ideo potest dici Pater noster, et Spiritus noster, non tamen potest di­ ci Filius noster.

Q. 36, A. l

na distinta dalle altre per la sola relazione. Si potrebbe però anche scorgere in questo ter­ mine una relazione se Spirito venisse preso nel senso di spirato. 3 . Nel termine Figlio è indicata soltanto la relazione di un soggetto derivante da un prin­ cipio verso quel principio; in quello di Padre, invece, è indicata la relazione di principio, e così pure in quello di Spirito, in quanto inclu­ de l ' idea di impulso. Ora, nessuna creatura può essere principio di una persona divina, ma al contrario. Quindi si può dire Padre nostro e Spirito nostro, non però Figlio nostro.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum Spiritus Sanctus procedat a Filio

Lo Spirito Santo procede dal Figlio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Spiritus Sanctus non procedat a Filio. l . Quia secundum Dionysium [DON 1 , 1 ],

Sembra di no. Infatti: l . Secondo Dionigi: «Non si deve aver l' ardi­ re di affetmare qualcosa della supersostanzia­ le divinità oltre a ciò che ne è detto nella sacra Scrittura». Ora, questa non dice che lo Spirito Santo procede dal Figlio, ma solo dal Padre, come appare da Gv: lo Spirito di verità che procede dal Padre. Quindi lo Spirito Santo non procede dal Figlio. 2. Nel Simbolo del Concilio ecumenico di Costantinopoli si legge: «Crediamo nello Spi­ rito Santo, che è Signore e dà la vita, e proce­ de dal Padre, e con il Padre e il Figlio è adora­ to e glorificato». Non si doveva dunque in al­ cun modo aggiungere nel nostro Simbolo che l o Spirito Santo procede anche dal Figlio: anzi, parrebbero degni di scomunica coloro che fecero tale aggiunta. 3. Dice il Damasceno: «Affermiamo che lo Spirito Santo è dal Padre c lo diciamo Spirito del Padre; non affermiamo i nvece che lo Spirito Santo è dal Figlio, sebbene lo diciamo Spirito del Figlio». Quindi lo Spirito Santo non procede dal Figlio. 4. Una cosa non procede dal soggetto in cui

non est audendum dicere aliquid de sub­ stantiali divinitate, praeter ea quae divinitus nobis ex sacris eloquiis sunt expressa. Sed in Scriptura sacra non exprirnitur quod Spiritus Sanctus a Filio procedat, sed solum quod pro­ cedat a Patre; ut patet Ioan. 1 5 [26], Spiritum veritatis, qui a Parre procedit. Ergo Spiritus Sanctus non procedit a Filio. 2. Praeterea, in symbolo Constantinopolitanae synodi sic legitur, credimus in Spiritum Sane­

rum, Dominum et vivificantem, ex Patre pro­ cedentem, cum Parre et Filio adorandum et glori.ficandum. Nullo igitur modo debuit addi in symbolo nostro quod Spiritus Sanctus pro­ cedat a Filio, sed videntur esse anathematis rei, qui hoc addiderunt. 3. Praeterea, Damasccnus dicit [De fide 1 ,8],

Spiritum Sanctum ex Parre dicimus, et Spiri­ rum Patris nominamus, ex Filio autem Spiri­ rum Sanctum non dicimus, Spiritum vero Filii nominamus. Ergo Spiritus Sanctus non

procedit a Filio.

Q. 36, A. 2

La persona dello Spirito Santo

4 . P raeterea, nihil procedit ab eo in quo quiescit. Sed Spiritus Sanctus quiescit in Filio. Dicitur enim in legenda beati Andreae [Acta S. Andr.], pax vobis, et universis qui credunt

in unum Deum Patrem, et in unum Filium eius, unicum Dominum nostrum Iesum Chris­ tum, et in unum Spiritum Sanctum, proceden­ tem ex Patre, et in Filio permanentem. Ergo

Spiritus Sanctus non procedit a Filio. 5. Praeterea, Filius procedit ut verbum. Sed spiritus noster in nobis non videtur procedere a verbo nostro. Ergo nec Spiritus Sanctus procedit a Filio. 6. Praeterea, Spiritus Sanctus perfecte proce­ dit a Patre. Ergo superfluum est dicere quod procedit a Filio. 7. Praeterea, in perpetuis non differt esse et posse, ut dicitur in 3 Phys. [4,9]; et multo minus in divinis. Sed Spiritus Sanctus potest distingui a Filio, etiam si ab eo non procedat. Dicit enim Anselmus, in libro De processione Spiritus Sancti [4], lwbent utique a Patre esse

Filius et Spiritus Sanctus, sed diverso modo, quia alter nascendo, et alter procedendo, ut alii sint per hoc ab invicem. Et postea subdit, nam si per aliud non essent plures Filius et Spiritus Sanctus, per hoc solum essent diver­ si. Ergo Spiritus Sanctus distinguitur a Filio, ab eo non existens. Sed contra est quod dicit Athanasius [Symb.],

Spiritus Sanctus a Patre et Filio, non factus, nec creatus, nec genitus, sed procedens. Respondeo dicendum quod necesse est dicere Spiritum Sanctum a Filio esse. Si enim non esset ab eo, nullo modo posset ab eo persona­ liter distingui. Quod ex supra supra [q. 28 a. 3; q. 30 a. 2] dictis. Non enim est possibile dicere quod secundum aliquid absolutum divinae personae ab invicem distinguantur, quia sequeretur quod non esset trium una es­ sentia; quidquid enim in divinis absolute dici­ tur, ad unitatem essentiae pertinet. Relinquitur ergo quod solum relationibus divinae perso­ nae ab invicem distinguantur. Relationes au­ tem personas distinguere non possunt, nisi se­ cundum quod sunt oppositae. Quod ex hoc patet, quia Pater habet duas relationes, qua­ mm una refertur ad Filium, et alia ad Spiri­ tum Sanctum; quae tamen, quia non sunt op­ positae, non constituunt duas personas, sed ad unam personam Patris tantum pertinent. Si er­ go in Filio et in Spiritu Sancto non esset inve-

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riposa. Ma lo Spirito Santo riposa nel Figlio. È detto infatti nella Leggenda di Andrea: «Pace a voi, e a tutti quelli che credono nell'unico Dio Padre e nell'unico suo Figlio, il solo Signore nostro Gesù Cristo, e nell'unico Spirito Santo che procede dal Padre e rimane nel Figlio». Quindi lo Spirito Santo non procede dal Figlio. 5 . Il Figlio procede come verbo [o parola]. Ma noi vediamo che il nostro spirito [o fiato] non procede dalla nostra parola. Quindi nep­ pure lo Spirito Santo procede dal Figlio. 6. Lo Spirito Santo già procede perfettamente dal Padre. Quindi è superfluo dire che proce­ de dal Figlio. 7. «Nelle realtà sempiteme», come dice Aristo­ tele, «non c'è differenza tra essere e poter esse­ re»; specialmente poi in quelle divine. Ma lo Spirito Santo potrebbe distinguersi ugualmente dal Figlio anche se non procedesse da lui. In­ fatti Anselmo dice: «Sia il Figlio che lo Spirito Santo ricevono l'essere dal Padre, ma in due maniere diverse: poiché mentre il primo lo ha per nascita, l'altro lo ha per processione, in mo­ do che per questo si distinguano tra loro». E ag­ giunge: «Se il Figlio e lo Spirito Santo non fos­ sero per altro distinti, per questo solo già si di­ stinguerebbero». Quindi lo Spitito Santo si di­ stingue dal Figlio anche se non procede da lui. In contrario: Atanasio afferma nel Simbolo: «Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio, non fatto, né creato, né generato, ma procedente». Risposta: è necessario affermare che lo Spiri­ to Santo procede dal Figlio. Se infatti non procedesse [anche] da lui, in nessun modo si potrebbe da lui distinguere come persona. n che risulta evidente da quanto abbiamo già spiegato. Infatti non si può dire che le persone divine si distinguano tra loro per qualcosa di assoluto, poiché sarebbe così negata l'unità di essenza delle tre [persone]: infatti tutto ciò che in Dio si dice in modo assoluto appar­ tiene all'unità dell'essenza. Resta dunque che le persone divine si distinguano l'una dall'al­ tra solo per le relazioni. - Però le relazioni non possono distinguere le persone tra loro se non in quanto sono contrapposte. E ciò è di­ mostrato dal fatto che, pur essendo due le relazioni attribuite al Padre, e cioè una verso il Figlio e l'altra verso lo Spirito Santo, queste, non essendo tra loro opposte, non costituisco­ no due persone distinte, ma appartengono al­ l'unica persona del Padre. Se dunque nel Fi-

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nire nisi duas relationes quibus uterque refer­

ad Patrem, illae relationes non essent ad invicem oppositae; sicut neque duae relatio­ nes quibus Pater refertur ad illos. Unde, sicut persona Patris est una, ita sequeretur quod persona Filii et Spiritus Sancti esset una, ha­ bens duas relationes oppositas duabus relatio­ nibus Patris. Hoc autem est haereticum, cum tollat fidem Trinitatis. Oportet ergo quod Fi­ lius et Spiritus Sanctus ad invicem reterantur oppositis relationibus. Non autem possunt es­ se in divinis aliae relationes oppositae nisi relationes originis, ut supra [q. 28 a. 4] proba­ tum est. Oppositae autem relationes originis accipiuntur secundum principium, et secun­ dum quod est a principio. Relinquitur ergo quod necesse est dicere vel Filium esse a Spirito Sancto, quod nullus dicit, vel Spiritum Sanctum esse a Filio, quod nos confitemur. Et buie quidem consonat ratio processionis utriusque. Dictum enim est supra [q. 27 aa. 2.4; q. 28 a. 4] quod Filius procedit per modum intellectus, ut verbum; Spiritus Sanctus autem per modum voluntatis, ut amor. Necesse est autem quod amor a verbo procedat, non enim aliquid amamus, nisi secundum quod concep­ tione mentis apprehendimus. Unde et secun­ dum hoc manifestum est quod Spiritus Sanc­ tus procedit a Filio. Ipse etiam ordo rerum hoc docet. Nusquam enim hoc invenimus, quod ab uno procedant plura absque ordine, nisi in illis solum quae materialiter differunt; sicut unus faber producit multos cultellos materialiter ab invicem distinctos, nullum ordinem habentes ad invicem. Sed in rebus in quibus non est sola materialis distinctio, semper invenitur in multitudine productorum aliquis ordo. Unde etiam in ordine creatura­ rum productarum, decor divinae sapientiae manifestatur. Si ergo ab una persona Patris procedunt duae personae, scilicet Filius et Spiritus Sanctus, oportet esse aliquem ordi­ nem eorum ad invicem. Nec potest aliquis ordo alius assignari, nisi ordo naturae, quo alius est ex alio. Non est igitur possibile dice­ re quod Filius et Spiritus Sanctus sic proce­ dant a Patre, quod neuter eorum procedat ab alio, nisi quis poneret in eis materialem distinc­ tionem, quod est impossibile. Unde etiam ipsi Graeci processionem Spiritus Sancti aliquem ordinem habere ad Filium intelligunt. Con­ cedunt enim Spiritum Sanctum esse spiritum tur

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glio e nello Spirito Santo non vi fossero se non le due relazioni con cui ciascuno di essi si riferisce al Padre, tali relazioni non sarebbero tra loro opposte; come non lo sono le due con le quali il Padre si riferisce ad essi. Come quindi la Persona del Padre è una [nonostante le due relazioni], così una dovrebbe essere la persona del Figlio e dello Spirito Santo, con due relazioni opposte alle due relazioni del Padre. Ma questa conclusione è eretica, poi­ ché distrugge la tede nella Trinità. Quindi è necessario che il Figlio e lo Spirito Santo si ri­ feriscano l'uno all'altro con opposte relazioni. - Ora, in Dio non ci possono essere altre relazioni tra loro opposte se non quelle di ori­ gine, come si è già spiegato. Ma le opposte relazioni di origine sorgono o dal fatto che un soggetto è principio, o dal fatto che deriva da un principio. Quindi non rimane altro che affermare o che il Figlio procede dallo Spirito Santo, cosa che nessuno ammette, oppure che lo Spirito Santo procede dal Figlio, come professiamo noi. E ciò è consono all'indole delle due processioni. Si è detto infatti che il Figlio procede per processione intellettuale come verbo, e lo Spirito Santo per processio­ ne di volontà come amore. Ora, è necessario che l'amore proceda dal verbo:_ infatti non si ama se non ciò che si conosce. E quindi chia­ ro che lo Spirito Santo procede dal Figlio. Anche l'ordine che vediamo nel creato porta alla stessa conclusione. Infatti non avviene mai che dalla stessa causa procedano effetti molteplici senza ordine, a meno che non si tratti di cose che differiscono soltanto mate­ rialmente: come può avvenire per i vari col­ telli prodotti dallo stesso artigiano e numeri­ camente distinti senza che vi sia alcun ordine tra loro. Nelle cose invece tra cui non c'è solo una distinzione materiale, c'è sempre un certo ordine nella molteplicità dei prodotti. Per cui anche nell'ordine delle realtà create risplende la bellezza della sapienza divina. Se dunque dall'unica persona del Padre ne procedono due altre, cioè il Figlio e lo Spirito Santo, ci deve essere un ordine tra loro. E non è possi­ bile assegnare un altro ordine diverso da quel­ lo di origine, in forza del quale uno procede dall' altro. Se quindi non si vuole ammettere l'assurdo di una distinzione materiale [tra le persone divine], non si può dire che il Figlio e lo Spirito Santo procedano dal Padre in modo

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Filii, et esse a Patre per Filium. Et quidam eorum dicuntur concedere quod si t a Filio, vel profluat ab eo, non tamen quod procedat. Quod v i detur vel ex i gn oran tia, vel ex protervia esse. Quia si quis recte consideret, inveniet processionis verbum inter omnia quae ad originem qualemcumque pertinent, communissimum esse. Utimur enim eo ad designandum qualemcumque originem; sicut quod linea procedit a puncto, radius a sole, rivus a fonte; et similiter in quibuscumque aliis. Unde ex quocumque alio ad originem pertinente, potest concludi quod Spiritus Sanctus procedit a Filio. Ad primum ergo dicendum quod de Deo dice­ re non debemus quod in sacra Scriptura non invenitur vel per verba, vel per sensum. Licet autem per verba non i nveni atur i n sacra Scriptura quod Spiritus Sanctus procedit a Filio, invenitur tamen quantum ad sensum; et praecipue ubi dicit Filius, Ioan. 1 6 [ 1 4] , de Spiritu Sancto loquens, il/e me clarificabit, quia de meo accipiet. Regulariter etiam i n sacra Scriptura tenendum est, quod i d quod de Patre dicitur, op01tet de Filio intelligi, etiam si dictio exclusiva addatur, nisi solum in illis in quibus Pater et Filius secundum oppositas relationes distinguuntur. Cum enim Dominus, Matth. 1 1 [27], dicit, nemo novit Filium nisi Pater, non excluditur quin Filius seipsum cognoscat. Sic igitur cum dicitur quod Spiritus Sanctus a Patre procedit, etiam si adderetur quod a solo Patre procedit, non excluderetur inde Filius, quia quantum ad hoc quod est esse principium Spiritus Sancti, non opponuntur Pater et Filius; sed solum quantum ad hoc, quod hic est Pater et ille Filius. Ad secundum dicendum quod in quolibet Concilio institutum fuit symbolum aliquod, propter errorem aliquem qui in Concilio damnabatur. Unde sequens Concilium non faciebat aliud symbolum quam primum, sed i d quod implicite conti nebatur i n primo symbolo, per aliqua addita explanabatur contra haereses insurgentes. Unde in de­ terminatione Chalcedonensis Synodi [act. 5] dicitur, quod illi qui fuerunt congregati i n Concilio Constantinopolitano, doctrinam de Spiritu Sancto tradiderunt, non quod minus esset in praecedentibus (qui apud Nicaeam congregati sunt), inferentes; sed intellectum eorum adversus haereticos declarantes. Quia

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tale che uno di essi non proceda anche dall'al­ tro. Inoltre i Greci stessi ammettono che l a processione dello Spirito Santo ha un certo ordine al Figlio. Concedono infatti che lo Spi­ rito Santo è lo Spirito del Figlio, e che pro­ cede dal Padre per il Figlio. Anzi, si dice che alcuni di essi concedono che sia dal Figlio, o che emani da lui; [non ammettono] però che ne proceda. E ciò potrebbe dipendere o da ignoranza o da caparbietà. Infatti, se si bada bene, non è difficile vedere che la parola pro­ cessione è la più vaga e indeterminata fra tutte quelle che stanno a indicare un'origine. Infatti la usiamo per indicare qualunque origine: come diciamo che la linea procede dal punto, il raggio dal sole, il ruscello dalla fonte, e così in qualsiasi altro caso. Quindi, [se si ammette] qualche altra parola che significhi origine, si può anche concludere che lo Spirito Santo procede dal Figlio. Soluzione delle difficoltà: l . Non si deve attri­ buire a Dio cosa alcuna che non sia contenuta nella Scrittura o espressamente con le parole o per il senso. Ora, quantunque nella Scrittura non si trovi affennato esplicitamente che lo Spirito Santo procede dal Figlio, tuttavia lo si trova affermato quanto al senso; specialmente là dove il Figlio, parlando dello Spirito Santo, dice: Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio (Gv). - Si deve poi tenere per regola che quanto nella Scrittura viene detto del Padre, pur con l'aggiunta di un termine esclu­ sivo, va inteso anche del Figlio, a meno che non si tratti di cose che distinguono il Padre e il Figlio mediante le opposte relazioni. Quan­ do infatti il Signore dice (Mt): Nessuno cono­ sce il Figlio, se non il Padre, non esclude che egli conosca se stesso. Allo stesso modo dun­ que, quando si dice che lo Spirito Santo pro­ cede dal Padre, anche se vi fosse aggiunto che procede dal solo Padre, con ciò non sarebbe escluso i l Figlio: poiché i l Padre e il Figlio non si oppongono tra loro nell'essere princi­ pio dello Spirito Santo, ma solo nell'essere uno Padre e l' altro Figlio. 2. In ogni concilio fu compilata una professio­ ne di fede che prendeva di mira l'errore con­ dannato in quel concilio. Per cui il concilio seguente non compilava un Simbolo diverso dal primo, ma soltanto con qualche aggiunta spiegava, contro le nuove eresie, ciò che impli­ citamente era contenuto nel Simbolo preceden-

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igitur in tempore antiquorum Conciliorum nondum exortus fuerat error dicentium Spiri­ rum Sanctum non procedere a Filio; non fuit necessarium quod hoc explicite poneretur. Sed postea, insurgente errore quorundam, i n quodam Concilio in Occidentalibus partibus congregato, expressum fuit auctoritate romani pontificis; cuius auctoritate etiam antiqua Concilia congregabantur et confrrmabantur. Continebatur tamen implicite in hoc ipso quod dicebatur Spiritus Sanctus a Patre procedere. Ad tertium dicendum quod Spiritum Sanctum non procedere a Filio, primo fuit a Nestoria­ nis introductum; ut patet in quodam symbolo Nestorianorum damnato in Ephesina Synodo [act. 6]. Et hunc errorem secutus fuit Theodo­ retus Nestorianus [ep. 171 Ad Ioannem An­ tiochiae Episc.], et plures post ipsum; inter quos fuit etiam Damascenus. Unde in hoc eius sententiae non est standum. Quamvis a quibusdam dicatur quod Damascenus, sicut non confitetur Spiritum Sanctum esse a Filio, ita etiam non negat, ex vi illorum verborum. Ad quartum dicendum quod per hoc quod Spiritus Sanctus dicitur quiescere vel manere in Filio, non excluditur quin ab eo procedat, quia et Filius in Patre manere dicitur, cum tamen a Patre procedat. Dicitur etiam Spiritus Sanctus in Filio quiescere, vel sicut amor amantis quiescit in amato; vel quantum ad humanam naturam Christi, propter id quod scriptum est, Ioan. l [33], super quem videris Spiritum descendentem, et manentem super eum, hic est qui baptizat. Ad quintum dicendum quod Verbum in divi­ nis non accipitur secundum similitudinem verbi vocalis, a quo non procedit spiritus, quia sic tantum metaphorice diceretur, sed secun­ dum similitudinem verbi mentalis, a quo amor procedit. Ad sextum dicendum quod per hoc quod Spiritus Sanctus perfecte procedit a Patre, non solum non supertluum est dicere quod Spiri­ tus Sanctus procedat a Filio; sed omnino ne­ cessarium. Quia una virtus est Patris et Filii; et quidquid est a Patre, necesse est esse a Fi­ lio, nisi proprietati filiationis repugnet. Non enim Filius est a seipso, licet sit a Patre. Ad septimum dicendum quod Spiritus Sanc­ tus distinguitur personaliter a Filio in hoc, quod origo unius distinguitur ab origine al­ terius. Sed ipsa differentia originis est per hoc,

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te. Infatti nelle determinazioni del Concilio di Calcedonia si legge che [i padri] che partecipa­ rono al Concilio di Costantinopoli insegnarono la dottrina riguardante lo Spirito Santo «non aggiungendo qualcosa che mancasse ai [padri] più antichi (che presero parte a quello di Nicea), ma spiegando il pensiero di questi con­ tro gli eretici». Poiché dunque al tempo degli antichi concili non era ancora sorto l'errore di coloro che dicevano che lo Spirito Santo non procede dal Figlio, non fu necessario mettere ciò esplicitamente [nel simbolo]. Ma in segui­ to, sorto quell'errore, in un concilio tenuto in Occidente ciò vi fu inserito esplicitamente per autorità del romano pontefice, con l'autorità del quale anche gli antichi concili venivano convocati e confermati. - Tuttavia [questa aggiunta] era già implicita nell'affermazione che lo Spirito Santo procede dal Padre. 3. I primi ad affermare che lo Spirito Santo non procede dal Figlio furono i Nestoriani, co­ me si può vedere da un loro simbolo condan­ nato nel Concilio di Eteso. E tale errore fu poi seguìto dal nestoriano Teodoreto, e da parecchi alni dopo di lui, fra i quali ci fu anche il Da­ masceno. Quindi in questo caso non si può se­ guire la sua sentenza. - Quantunque alcuni so­ stengano che il Damasceno, come non afferma che lo Spirito Santo procede dal Figlio, così neppure lo nega, stando alle parole riferite. 4. Dicendo che lo Spirito Santo riposa o rima­ ne nel Figlio, non si esclude che proceda da lui, dato che anche del Figlio si dice che rima­ ne nel Padre, quantunque da lui proceda. - Si può anche dire che lo Spirito Santo riposa nel Figlio perché l'amore di chi ama [cioè del Pa­ dre] riposa in lui [Figlio] quale oggetto amato; oppure si ha di mira la natura umana di Cristo, secondo quelle parole di Gv: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battez.z.a [in Spirito Santo]. 5. In Dio il termine Verbo viene preso per una certa somiglianza non già col verbo orale [o parola], da cui lo spirito [il fiato, il respiro] non procede, perché allora sarebbe verbo soltanto in senso metaforico, ma per una somiglianza con quello mentale da cui procede l'amore. 6. La perfetta processione dello Spirito Santo dal Padre non solo non rende superflua quella dal Figlio, ma la include necessariamente. Essendo infatti identica la virtù del Padre e del Figlio, tutto ciò che proviene dal Padre

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quod Filius est solum a Patre, Spiritus Sanctus vero a Patre et Filio. Non enim aliter pro­ cessiones distinguerentur, sicut supra [in co.] ostensum est.

proviene anche dal Figlio, a meno che ciò non ripugni alla sua condizione propria di Figlio. n Figlio infatti non procede da se stesso, seb­ bene proceda dal Padre. 7. Lo Spirito Santo si distingue personalmen­ te dal Figlio perché l'origine dell'uno è diver­ sa da quella dell' altro. Ma la differenza delle due origini sta in questo, che il Figlio procede solo dal Padre, mentre lo Spirito Santo proce­ de dal Padre e dal Figlio. Diversamente, intat­ ti, le processioni non si distinguerebbero, co­ me si è dimostrato.

Articulus 3 Utrum Spiritus Sanctus procedat a Patre per Filium

Articolo 3 Lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Spi­ ritus Sanctus non procedat a Patre per Filium. l. Quod enim procedit ab aliquo per aliquem, non procedit ab eo immediate. Si igitur Spiri­ tus Sanctus procedit a Patre per Filium, non procedit a Patre immediate. Quod videtur in­ conveniens. 2. Praeterea, si Spiritus S anctus procedit a Patre per Filium, non procedit a Filio nisi propter Patrem. Sed propter quod wuunquodque, et illud magis [Post. l ,2.6]. Ergo magis proce­ dit a Patre quam a Filio. 3. Praeterea, Filius habet esse per generatio­ nem. Si igitur Spiritus Sanctus est a Patre per Filium, sequitur quod prius generetur Filius, et postea procedat Spiritus Sanctus. Et sic processio Spiritus Sancti non est aetema. Quod est haereticum. 4. Praeterea, cum aliquis dicitur per aliquem operari, potest e converso dici, sicut enim dicimus quod rex operatur per ballivum, ita potest dici quod ballivus operatur per regem. Sed nullo modo dicimus quod Filius spiret Spiritum Sanctum per Patrem. Ergo nullo modo potest dici quod Pater spiret Spiritum Sanctum per Filium. Sed contra est quod Hilarius dicit, in libro De Trin. [1 2,57], conserva hanc, oro, fidei

Sembra di no. Infatti: l . Ciò che procede dal suo principio per [mezzo di] qualche altra cosa non procede da esso immediatamente. Se dunque lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio, non procede immediatamente dal Padre. Cosa questa che non si può ammettere. 2. Se lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio, non procederà dal Figlio se non in forza del Padre. Ma «ciò in forza di cui un soggetto è tale, lo è maggionnente». Quindi lo Spirito Santo procederà più dal Padre che dal Figlio. 3 . Il Figlio ha l'essere per generazione. Se dunque lo Spirito Santo procedesse dal Padre per mezzo del Figlio, prima dovrebbe essere generato il Figlio e poi procedere lo Spirito Santo. E così la processione dello Spirito San­ to non sarebbe eterna. Ma questa è un'eresia. 4. Quando si dice che uno opera per un altro si può anche invertire la frase: come diciamo infatti che il re agisce per il suo ministro, così diciamo pure che questi agisce per il re. Ma in nessun modo si può dire che il Figlio spiri lo Spirito Santo per il Padre. Quindi non si può neppure dire che il Padre spiri lo Spirito San­ to per il Figlio. In contrario: dice llario: «Conserva, te ne pre­ go, incontaminato questo voto ardente della mia fede: che io possieda sempre il Padre, te, voglio dire; e adori assieme a te il Figlio tuo; e meriti il tuo Spirito Santo, che procede da te per il tuo Unigenito». Risposta: in ogni espressione in cui si dice che uno opera per un altro, la preposizione per indica nel complemento la causa o il principio

meae religionem, ut semper obtineam Patrem, scilicet te; et Filium tuwn una tecum adorem; et Spiritum Sanctum tuum, qui est per unige­ nitum tuwn, promerear.

Respondeo dicendum quod in omnibus locu­ tionibus in quibus dicitur aliquis per aliquem operari, haec praepositio per designat in cau-

427

La persona dello Spirito Santo

sali aliquam causam seu principium illius actus. Sed cum actio sit media inter faciens et factum, quandoque illud causale cui adiun­ gitur haec praepositio per, est causa actionis secundum quod exit ab agente. Et tunc est causa agenti quod agat; sive sit causa finalis, sive formalis, sive effectiva vel motiva, finalis quidem, ut si dicamus quod artifex operatur per cupiditatem lucri; formalis vero, ut si dicamus quod operatur per artem suam; moti­ va vero, si dicamus quod operatur per impe­ rium alterius. Quandoque vero dictio causalis cui adiungitur haec praepositio per, est causa actionis secundum quod terminatur ad factum; ut cum dicimus, artifex operatur per mar­ tellum. Non enim significatur quod martellus sit causa artifici quod agat, sed quod sit causa artificiato ut ab artifice procedat; et quod hoc ipsum habeat ab artifice. Et hoc est quod quidam dicunt, quod haec praepositio per quandoque notat auctoritatem in recto, ut cum dicitur, rex operatur per ballivum, quandoque autem in obliquo, ut cum dicitur, ballivus operatur per regem. Quia igitur Filius habet a Patre quod ab eo procedat Spiritus Sanctus, p o test dici quod Pater per Fi l i um spirat Spititum Sanctum; vel quod Spiritus Sanctus procedat a Patre per Filium, quod idem est. Ad primum ergo dicendum quod in qualibet actione est duo considerare, scilicet supposi­ rum agens, et virtutem qua agit; sicut ignis calefacit calore. Si igitur in Patre et Filio con­ sideretur virtus qua spirant Spiritum Sanctum, non cadit ibi aliquod medium, quia haec virtus est una et eadem. Si autem conside­ rentur ipsae personae spirantes, sic, cum Spiritus Sanctus communiter procedat a Patre et Filio, invenitur Spiritus Sanctus immediate a Patre procedere, inquantum est ab eo; et mediate, inquantum est a Filio. Et sic dicitur procedere a Patre per Filium. Sicut etiam Abel processit immediate ab Adam, inquan­ tum Adam fui t pater eius; et mediate, in­ quantum Eva fuit mater eius, quae processit ab Adam ; licet hoc exemplum materiali s processionis ineptum videatur ad significan­ dam immaterialem processionem divinarum personarum. Ad secundum dicendum quod, si Filius acci­ peret a Patre aliam virtutem numero ad spi­ randum Spiritum Sanctum, sequeretur quod esset sicut causa secunda et instrumentalis, et

Q. 36, A. 3

di quell' atto. Ma siccome l ' azione sta tra l'agente e l'effetto, il complemento a cui è unito il per alcune volte esprime la causa dell'azione secondo che questa deriva dali' agente. E allora determina l'agente ad agire: in qualità o di causa finale, o di causa formale, o di causa efficiente o motiva Fmale, quando, per es., diciamo che un artigiano opera per desiderio del danaro; for­ male, se diciamo che opera per [conformità a] la sua mte; motiva, se diciamo che opera per comando di altri. Altre volte invece il comple­ mento a cui è unita la preposizione per indica la causa dell' azione in quanto questa ha come termine l'effetto: come quando diciamo che un artigiano opera per il martello. Infatti con tale espressione non si vuoi dire che il martello abbia determinato l'artigiano ad agire, ma che è stata la causa che ha pmtato l'artefatto a deri­ vare dali' artigiano; e che anche questa causalità l'ha avuta dall'artigiano. - E ciò corrisponde alla spiegazione di quanti insegnano che la preposizione per alcune volte indica l'autorità, come nell'espressione: il re opera per il suo mi­ nistm, mentre invece altre volte indica l'autorità indirettamente, come in quest'altra espressione: il ministm opera per il re. Ora, siccome il Figlio ha dal Padre di essere principio dello Spirito Santo, si può dire che il Padre per il Figlio spira lo Spitito Santo; oppure, ed è la stessa cosa, che lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio. Soluzione delle difficoltà: l . In ogni azione si deve badare a due cose, cioè al soggetto agente e alla virtù per cui esso agisce: al fuoco, per es., e al calore per cui riscalda. Se dunque nel Padre e nel Figlio si considera la virtù per cui essi spirano lo Spirito Santo, allora non si dà alcun intermediario: poiché questa virtù è la stessa e identica [in ambedue]. Se invece si considerano le persone spiranti, allora, siccome lo Spirito S anto procede ugualmente dal Padre e dal Figlio, si trova che lo Spirito Santo deriva im­ mediatamente dal Padre in quanto procede da lui, e ne deriva mediamente in quanto procede dal Figlio. E in questo senso si dice che procede dal Padre per mezzo del Figlio. Come, per es., Abele derivò immediatamente da Adamo in quanto questi ne fu il padre, e mediatamente in quanto Eva, che ne fu la madre, procedeva da Adamo. Però questo esempio di una proces­ sione materiale è evidentemente poco adatto a significare la processione immateriale delle persone divine.

La persona dello Spirito Santo

Q. 36, A. 3

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sic magis procederet a Patre quam a Filio. Sed una et eadem numero virtus spirativa est in Patre et Filio, et ideo aequaliter procedit ab utroque. Licet aliquando dicatur principaliter vel proprie procedere de Patre, propter hoc quod Filius habet hanc virtutem a Patre. Ad tertium dicendum quod, sicut generatio Filii est coaetema generanti, unde non prius fuit Pater quam gigneret Filium; ita processio Spiritus Sancti est coaetema suo principio. Unde non fuit prius Filius genitus, quam Spi­ ritus Sanctus procederet, sed utrumque aeter­ num est. Ad quartum dicendum quod, cum aliquis dicitur per aliquid operari, non semper recipi­ tur conversio, non enim dicimus quod mar­ tellus operetur per fabrum. Dicimus autem quod ballivus operatur per regem, quia ballivi est agere, cum sit dominus sui actus. Martelli autem non est agere, sed solum agi, unde non designatur nisi ut instrumentum. Dicitur au­ tem ballivus operari per regem, quamvis haec praepositio per denotet medium, quia, quanto suppositum est prius in agendo, tanto virtus eius est immediatior effectui, quia virtus causae primae coniungit causam secundam suo effectui, unde et ptima principia dicuntur immediata in demonstrativis scientiis. Sic igitur, inquantum ballivus est medius secun­ dum ordinem suppositorum agentium, dicitur rex operari per ballivum, secundum ordinem vero virtutum, dicitur ballivus operari per re­ gem, quia virtus regis facit quod actio ballivi consequatur effectum. Ordo autem non atten­ ditur inter Patrem et Filium quantum ad virtu­ tem; sed solum quantum ad supposita. Et ideo dicitur quod Pater spirat per Filium, et non e converso.

2. Se il Figlio avesse una sua virtù di spirare lo Spirito Santo numericamente distinta da quel­ la del Padre, ne verrebbe che egli sarebbe come la causa seconda e strumentale [di tale spirazione] : e allora si dovrebbe dire che [lo Spirito Santo] procede più dal Padre che dal Figlio. Essendo però questa virtù spirativa nu­ mericamente la stessa nel Padre e nel Figlio, lo Spirito Santo procede ugualmente dall'uno come dali' altro. Qualche volta però questa processione viene attribuita principalmente e in proprio al Padre, dato che il Figlio vi parte­ cipa in virtù del Padre. 3. Come la generazione del Figlio è coetema al generante, poiché il Padre non esisteva prima che generasse il Figlio, così la processione dello Spirito Santo è coetema al suo principio. Quindi non fu generato il Figlio prima che pro­ cedesse lo Spirito Santo, ma tanto la generazio­ ne quanto la processione sono eterne. 4. Non è vero che, quando si dice che uno opera per un altro, si possano sempre invertire i termini: infatti non possiamo dire che il mar­ tello opera per l'artefice. Diciamo invece che il ministro agisce per il re perché il ministro è padrone dei suoi atti, mentre il martello non opera, ma è solo adoperato: perciò non se ne parla altro che come di uno strumento. Si usa dire dunque che il ministro opera per il re, quantunque questa preposizione per indichi mezzo, perché quanto più un soggetto è ele­ vato n eli' ordine d eli' agire, tanto più diviene immediato il suo potere sull'effetto: è infatti proprio l' efficacia della causa prima che fa raggiungere il suo effetto alla causa seconda; per cui anche nelle scienze dimostrative i primi princìpi si dicono immediati. E così, se si bada alla coordinazione dei soggetti che agiscono, si dirà che il re opera per il mini­ stro; se invece si bada alt' ordine dei loro pote­ ri, si dirà che il ministro opera per il re, poiché è il potere del re a far sì che l'azione del mini­ stro raggiunga l'effetto. - Ora, tra il Padre e il Figlio non vi è subordinazione di poteri, ma solo di soggetti [o persone] . Quindi si dice che il Padre spira per il Figlio e non viceversa.

Articulus 4

Articolo 4 n Padre e il Figlio sono un unico principio

Utrum Pater et Filius sint unum principium Spiritus Sancti Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Pater

dello Spirito Santo? Sembra di no. Infatti:

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La persona dello Spirito Santo

et Filius non sint unum principium Spiritus Sancti. l . Quia Spiritus Sanctus non videtur a Patre et Filio procedere inquantum sunt unum, neque in natura, quia Spiritus Sanctus sic etiam procederet a seipso, qui est unum cum eis in natura; neque etiam inquantum sunt unum in aliqua proprietate, quia una proprietas non potest esse duorum suppositorum, ut videtur. Ergo Spiritus Sanctus procedit a Patre et Filio ut sunt plures. Non ergo Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti. 2. Praeterea, cum dicitur, Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, non potest ibi designari unitas personalis, quia sic Pater et Filius essent una persona. Neque etiam unitas proprietatis, quia si propter unam pro­ prietatem Pater et Filius sunt unum princi­ pium Spiritus Sancti, pari ratione, propter duas proprietates Pater videtur esse duo prin­ cipia Filii et Spiritus Sancti; quod est inconve­ niens. Non ergo Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti. 3 . Praeterea, Filius non magis convenit cum Patre quam Spiritus Sanctus. Sed Spiritus Sanctus et Pater non sunt unum principium respectu alicuius divinae personae. Ergo neque Pater et Filius. 4. Praeterea, si Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti aut unum quod est Pater; aut unum quod non est Pater. Sed neutrum est dare, quia si unum quod est Pater, sequitur quod Filius sit Pater; si unum quod non est Pater, sequitur quod Pater non est Pater. Non ergo dicendum est quod Pater et Fi l i us sint unum principium Spiritus Sancti. 5. Praeterea, si Pater et Fi lius sunt unum principium Spiritus Sancti videtur e converso dicendum quod unum principium Spiritus Sancti sit Pater et Filius. Sed haec videtur esse falsa, quia hoc quod dico principium, oportet quod supponat vel pro persona Patris, vel pro persona Filii; et utroque modo est falsa. Ergo etiam haec est falsa, Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti. 6. Praeterea, unum in substantia facit idem. Si igitur Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, sequitur quod sint idem prin­ cipium. Sed hoc a multis negatur. Ergo non est concedendum quod Pater et Filius sint unum principium Spiritus Sancti.

Q. 36, A. 4

l . Non pare che lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figlio in quanto sono una cosa sola: non [procede infatti in quanto sono tali] nella natura, perché allora lo Spirito Santo, che ha anch'egli la medesima natura, procederebbe da se stesso; e neppure [in quanto lo sono] in qual­ che proprietà, poiché evidentemente una stessa proprietà non può convenire a due persone. Quindi lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio in quanto sono distinti. Quindi essi non formano un solo principio dello Spirito Santo. 2. Quando si dice che il Padre e il Figlio sono un solo principio dello Spirito Santo, non si può indicare con ciò un'unità personale: per­ ché allora sarebbero una sola persona. E nep­ pure un' unità di proprietà: perché se per un'unica proprietà il Padre e il Figlio sono un unico principio, per lo stesso motivo, in ragio­ ne delle due proprietà esistenti nel Padre, que­ sti sarebbe due princìpi, uno del Figlio e l'altro dello Spirito Santo, il che è inammissi­ bile. Quindi il Padre e il Figlio non sono un unico principio dello Spirito Santo. 3. Il Figlio non è unito al Padre più dello Spirito Santo. Ma il Padre e lo Spirito Santo non formano un unico principio di qualche persona divina. Quindi [non lo formano] nep­ pure il Padre e il Figlio. 4. Se il Padre e il Figlio non sono che un unico principio dello Spirito Santo, questo unico [principio] o è il Padre o non è il Padre. Ma nessuna delle due cose si può ammettere: per­ ché se fosse il Padre, allora il Figlio sarebbe identico al Padre; se invece non fosse il Padre, ne verrebbe che il Padre non è il Padre. Quindi non si può dire che il Padre e il Figlio formano un unico principio dello Spirito Santo. 5. Se il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo, evidentemente si può anche dire l'inverso, e cioè che l' unico principio dello Spirito Santo è il Padre e il Figlio. Ma ciò è falso: poiché il termine principio sta o per la per­ sona del Padre o per quella del Figlio: e in tutti e due i casi la proposizione è falsa. Quindi è falsa anche la reciproca, cioè che il Padre e il Figlio

sono un unico principio dello Spirito Santo.

6. L'unità di due cose nella sostanza le rende identiche. Se dunque il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo, ne segue che sono uno stesso e identico principio. Ma questa affennazione molti la negano. Quindi non si deve concedere che il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo.

Q. 36, A. 4

La persona dello Spirito Santo

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7. Praeterea, Pater et Filius et Spiritus Sanc­

7. Si dice che il Padre e il Figlio e lo Spirito

tus, quia sunt unum principium creaturae, di­ cuntur esse unus creator. Sed Pater et Filius non sunt unus spirator, sed duo spiratores, ut a multis dicitur. Quod etiam consonat dictis Hi­ larii, qui dicit, in 2 De Trin . [29], quod Spiri­ tus Sanctus a Parre et Filio auctoribus confi­ tendus est. Ergo Pater et Filius non sunt unum principium Spiritus Sancti. Sed contra est quod Augustinus dicit, in 5 De Trin . [ 1 4] , quod Pater et Filius non sunt duo principia, sed unum principium Spiritus Sancti. Respondeo dicendum quod Pater et Filius in omnibus unum sunt, in quibus non distinguit inter eos relationis oppositio. Unde, cum in hoc quod est esse principium Spiritus Sancti, non opponantur relative, sequitur quod Pater et Filius sunt unum ptincipium Spiritus Sane­ ti. Quidam tamen dicunt hanc esse impro­ priam, Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti. Quia cum hoc nomen princi­ pium, singulariter acceptum, non significet personam, sed proprietatem, dicunt quod su­ mitur adiective, et quia adiectivum non deter­ minatur per adiectivum, non potest conve­ nienter dici quod Pater et Filius sint unum principium Spiritus Sancti, nisi unum intelli­ gatur quasi adverbialiter positum, ut sit sen­ sus, sunt unum principium, idest uno modo. Sed simili ratione posset dici Pater duo prin­ cipia Filii et Spiritus Sancti, idest duobus mo­ dis. Dicendum est ergo quod, licet hoc nomen principium signiticet proprietatem, tamen significat eam per modum substantivi, sicut hoc nomen pater vel filius etiam in rebus creatis. Unde numerum accipit a forma signi­ ficata, sicut et alia substantiva. Sicut igitur Pater et Filius sunt unus Deus, propter unita­ tem formae significatae per hoc nomen Deus; ita sunt unum principium Spiritus Sancti, propter unitatem proprietatis significatae in hoc nomine principium. Ad primum ergo dicendum quod, si atten­ datur virtus spirativa, Spiritus Sanctus proce­ dit a Patre et Filio inquantum sunt unum in virtute spirativa, quae quodammodo significat naturam cum proprietate, ut infra [q. 41 a. 5] dicetur. Neque est inconveniens unam pro­ prietatem esse in duobus suppositis, quorum est una natura. Si vero considerentur supposi­ ta spirationis, sic Spiritus Sanctus procedit a

Santo sono un unico Creatore perché sono un unico principio delle creature. Ma il Padre e il Figlio, per molti [teologi], non sono uno, ma due spiratori. E ciò è conforme a quanto dice Dario, che cioè lo Spitito Santo «deve ritener­ si derivato dal Padre e dal Figlio come da suoi autori». Quindi il Padre e il Figlio non sono un principio unico dello Spirito Santo. In contrario: dice Agostino che il Padre e il Figlio sono un solo principio, e non due prin­ cìpi dello Spirito Santo. Risposta: il Padre e il Figlio sono in tutto e per tutto una stessa cosa, eccetto in quegli aspetti in cui vi è distinzione per l'opposizione delle relazioni . Ora, siccome nell'essere principio dello Spirito Santo non c'è questa opposizione relativa, ne segue che il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo. Tuttavia alcuni dicono che l 'espressione il Padre e il

Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo è itnpropria. Poiché il termine principio,

preso al singolare, non significando le persone, ma le proprietà, sarebbe usato come aggettivo; e siccome un aggettivo non è determinato da un altro aggettivo, sostengono che non si può dit-e che il Padre e il Figlio sono un unico prin­ cipio dello Spirito Santo: a meno che quell'u­ nico [unum] non venga preso come avverbio, in modo da dare questo senso: [il Padre e il Figlio] sono in un unico modo, cioè con un unico procedimento, principio [dello Spirito Santo]. - Ma allora si potrebbe analogamente dit-e che il Padre è due princìpi, cioè del Figlio e dello Spirito Santo, dato che lo è in due modi diversi. Perciò riteniamo che, sebbene il termi­ ne principio significhi una proprietà, tuttavia la significa come sostantivo: nel modo in cui si usano i termini padre e figlio anche parlando delle creature. Quindi, come tutti i sostantivi, esso riceve il numero dal concetto stesso che esprime. Come dunque il Padre e il Figlio sono un unico Dio per l'unità del concetto espresso dal termine Dio, così sono un unico principio dello Spirito Santo per l'unità della proprietà indicata dal termine principio. Soluzione delle difficoltà: l . Se si guarda alla virtù spirativa, [si può dire che] lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio in quanto sono una cosa sola per tale virtù spirativa, la quale, come si dirà in seguito, i n un certo senso indica la natura unita a una proprietà.

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La persona dello Spirito Santo

Patte et Filio ut sunt plures, procedit enim ab eis ut amor unitivus duorum. Ad secundum dicendum quod, cum dicitur, Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, designatur una proprietas, quae est forma significata per nomen. Non tamen se­ quitur quod propter plures proprietates possit dici Pater plura principia, quia implicaretur pluralitas suppositorum. Ad tertium dicendum quod secundum relati­ vas proprietates non attenditur in divinis simi­ litudo vel dissimilitudo, sed secundum essen­ tiam. Unde, sicut Pater non est similior sibi quam Filio, ita nec Filius similior Patri quam Spiritus Sanctus. Ad quartum dicendum quod haec duo, scili­ cet, Pater et Filius sunt unum principium quod est Pater, aut, unum principium quod non est Pater, non sunt contradictorie oppo­ sita. Unde non est necesse alterum eorum da­ re. Cum enim dicimus, Pater et Filius sunt unum principium, hoc quod dico principium, non habet determinatam suppositionem, imo confusam pro duabus personis simul. Unde in processu est fallacia figurae dictionis, a con­ fusa suppositione ad determinatam. Ad quintum dicendum quod haec etiam est vera, unum principium Spiritus Sancti est Pa­ ter et Filius. Quia hoc quod dico principium non supponit pro una persona tantum, sed indistincte pro duabus, ut dictum est [ad 4]. Ad sextum dicendum quod convenienter po­ test dici quod Pater et Filius sunt idem prin­ c i p i u m , secundum quod ly pri n c i p i u m supponit confuse e t indistincte pro duabus personis simul. Ad septimum dicendum quod quidam dicunt quod Pater et Filius, licet sint unum princi­ pium Spiritus Sancti, sunt tamen duo spirato­ res, propter distinctionem suppositorum, sicut etiam duo spirantes, quia actus referuntur ad supposita. Nec est eadem ratio de hoc nomine creator. Quia Spiritus Sanctus procedit a Patte et Filio ut sunt duae personae distinctae, ut dictum est [ad 1 ] , non autem creatura procedit a tribus personis ut sunt personae distinctae, sed ut sunt unum in essentia. Sed videtur me­ lius dicendum quod, quia spirans adiectivum est, spirator vero substantivum, possumus dicere quod Pater et Filius sunt duo spirantes, propter pluralitatem suppositorum; non autem duo spiratores, propter unam spirationem.

Q. 36, A. 4

E non c'è nessun inconveniente se un'unica proprietà si trova in due soggetti che hanno la stessa natura. Se invece si considerano i sog­ getti della spirazione, allora lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come da perso­ ne distinte, giacché procede da essi come amore che li unisce entrambi. 2. Quando si dice: il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo, si indica una sola proprietà, che è la torma espressa dal nome. Non segue però che per le sue due proprietà si possa dire che il Padre è due princìpi: poiché ciò implicherebbe una pluralità di soggetti. 3. La somiglianza o dissomiglianza in Dio non si desume dalle proprietà relative, ma dall'es­ senza. Come quindi il Padre non è più simile a se stesso che al Figlio, così il Figlio non è più simile al Padre di quanto lo sia lo Spirito Santo. 4. Le due proposizioni il Padre e il Figlio sono un unico principio che è il Padre e il Padre e il

Figlio sono un unico principio che non è il Pa­ dre non sono contraddittorie. Quindi non si è

costretti ad ammettere [soltanto] l'una o l'altra. Infatti nell'espressione: il Padre e il Figlio sono un unico principio, principio non ha un'attribu­ zione precisa, ma confusa, in quanto si riferisce simultaneamente a tutte e due le persone. Quindi nel ragionamento c'è un sofisma di equivocazione, cioè [si passa arbitrariamente] dall'attribuzione confusa a quella determinata. 5. Anche questa affermazione è vera: l'unico

principio dello Spirito Santo è il Padre e il Figlio, poiché il termine principio non sta per una persona soltanto, ma indistintamente per due, come si è spiegato. 6. Si può benissimo dire che il Padre e il Fi­ glio sono un identico principio, i n quanto principio sta simultaneamente in modo con­ fuso e indeterminato per le due persone. 7. Alcuni dicono che il Padre e il Figlio, seb­ bene siano un unico principio dello Spirito Santo, tuttavia, data la distinzione di persone, sono due spiratori, come pure sono due spi­ ranti: poiché gli atti si riferiscono ai soggetti. Per il termine Creatore invece è un' altra que­ stione: infatti lo Spirito Santo procede dal Pa­ dre e dal Figlio in quanto sono due persone distinte, come si è detto, mentre le creature non procedono dalle tre persone in quanto so­ no distinte, ma in quanto sono per essenza un' unica realtà. - Sembra però meglio dire che, figurando spirante come aggettivo e

La persona dello Spirito Santo

Q. 36, A. 4

Nam adiectiva nomina habent numerum se­ cundum supposita, substantiva vero a seipsis, secundum formam significatam. Quod vero Hilarius dicit, quod Spiritus Sanctus est a Patre et Filio auctoribus, exponendum est quod ponitur substantivum pro adiectivo.

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spiratore come sostantivo, il Padre e il Figlio sono due spiranti, data la pluralità dei soggetti, ma non due spiratori, essendo unica la spira­

zione. Infatti gli aggettivi prendono il numero dal loro soggetto, i sostantivi invece lo hanno da se stessi, cioè dall' idea che esprimono. L' affermazione poi di Ilario, che lo Spirito Santo «procede dal Padre e dal Figlio come da autori», va spiegata nel senso che il sostan­ tivo è usato come aggettivo.

QUAESTIO 37

QUESTIONE 37

DE NOMINE SPIRITUS SANCTI QUOD EST AMOR

IL NOME AMORE CHE VIENE DATO ALLO SPIRITO SANTO

Deinde quaeritur de nonùne Ammis [cf. q. 36 prol. ] . Et circa hoc quaeruntur duo. Primo, utrum sit proprium nomen Spiritus Sancti. Secundo, utrum Pater et Filius diligant se Spiritu Sancto.

Trattiamo ora del nome Amore. A, questo ri­ guardo si pongono due quesiti: l . E un nome proprio dello Spirito Santo? 2. Il Padre e il Fi­ glio si amano per lo Spirito Santo?

Articulus l

Articolo l

Utrum Amor sit proprium nomen Spiritus Sancti

Amore è un nome proprio dello Spirito Santo?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Amor non sit proprium nomen Spiritus Sancti. l . Dicit enim Augustinus, 15 De Trin. [ 1 7],

Sembra di no. Infatti: l. Agostino osserva: . 4. La forma indicata dal termine persona non è l'essenza o la natura, ma la personalità. Es­ sendo quindi tre le personalità, ossia le pro­ prietà personali, nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, essa si predica dei tre al plurale e non al singolare.

Le persone in rapporto all 'essenza

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Q. 39, A. 4

Articulus 4

Articolo 4

Utrum nomina essentialia concreta possint supponere pro persona

I nomi essenziali concreti possono designare le persone come nella proposizione: Dio ha generato Dio?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod no­ mina essentialia concretiva non possunt sup­ ponete pro persona, ita quod haec sit vera, Deus genuit Deum. l. Quia, ut sophistae dicunt, terminus singu­ laris idem signitìcat et supponit. Sed hoc nomen Deus videtur esse terminus singularis, cum pluraliter praedicari non possit, ut dic­ tum est [a. 3]. Ergo, cum significet essentiam, videtur quod supponat pro essentia, et non pro persona. 2. Praeterea, terminus i n subiecto positus non restringitur per terminum positum in praedicato, ratione significationis; sed sa­ lurn ratione temporis consignificati . Sed cum dico, Deus creat, hoc nomen Deus sup­ ponit pro essentia. Ergo cum dicitur, Deus genuit, non potest iste terminus Deus, ra­ tione praedicati notionalis, supponere pro persona. 3. Praeterea, si haec est vera, Deus genuit, quia Pater generat; pari ratione haec erit vera, Deus non generat, quia Filius non generat. Er­ go est Deus generans, et Deus non generans. Et ita videtur sequi quod sint duo dii. 4. Praeterea, si Deus genuit Deum, aut se Deum, aut alium Deum. Sed non se Deum, quia, ut Augustinus dicit, in l De Trin. [ l ] , nul­ la res generar seipsam. Neque alium Deum, quia non est nisi unus Deus. Ergo haec est falsa, Deus genuit Deum. 5. Praeterea, si Deus genuit Deum, aut Deum qui est Deus Pater, aut Deum qui non est Deus Pater. Si Deum qui est Deus Pater, ergo Deus Pater est genitus. Si Deum qui non est Deus Pater, ergo Deus est qui non est Deus Pater, quod est falsum. Non ergo potest dici quod Deus genuit Deum. Sed contra est quod in symbolo [nicaeno] dicitur Deum de Deo. Respondeo dicendum quod quidam dixerunt quod hoc nomen Deus, et similia, proprie se­ cundum suam naturam supponunt pro es­ sentia, sed ex adiuncto notionali trahuntur ad supponendum pro persona. Et haec opinio processisse videtur ex consideratione divinae simplicitatis, quae requirit quod in Deo idem sit habens et quod habetur, et sic habens

Sembra di no. Infatti: l . Come la logica insegna, per i sostantivi sin­ golari è identico ciò che significano e ciò che designano. Ora, Dio è un nome singolare poi­ ché, come si è detto, non può essere usato al plurale. E siccome significa l'essenza, sembra che designi l'essenza e non la persona. 2. n predicato non restringe il soggetto me­ diante il proprio significato, ma solo mediante la propria forma verbale. Ora, neIl' espressione Dio crea, Dio sta per l'essenza [divina]. Quindi anche nell'espressione Dio ha generato il ter­ mine Dio non può, a motivo del predicato na­ zionale [ha generato], designare la persona. 3. Se la proposizione Dio genera è vera perché il Padre genera, per l 'identico motivo è vera anche quest' altra: Dio non genera, perché il Figlio non genera. E allora ci sarebbero due dèi, il Dio che genera e quello che non genera. 4. Se è vero che Dio genera Dio, o genera il Dio che è lui stesso o genera un altro Dio. Ma non genera se stesso: poiché, come dice Agosti­ no: «Nessuna cosa genera se stessa». E neppure genera un altro Dio: perché non c'è che un Dio solo. Quindi è falso dire che Dio genera Dio. 5. Se [è vero che] Dio genera Dio, genera o quel Dio che è Dio Padre, o un Dio che non è Dio Padre. Se genera quel Dio che è Dio Padre, allora Dio Padre è generato. Se genera un Dio che non è Dio Padre, allora vi sarà un Dio che non è Dio Padre, il che è falso. Quindi non si può dire: Dio genera Dio. In contrario: nel Simbolo Niceno si afferma: «Dio da Dio». Risposta: alcuni ritengono che le voci Dio, e altre simili, di per sé stanno a designare l'es­ senza; se però ricevono l'aggiunta di una no­ zione, possono anche designare le persone. E pare che questa opinione sia nata dali' aver considerato soltanto la semplicità divina, la quale richiede che in Dio sia la stessa cosa il soggetto che possiede e ciò che esso possiede: tanto è vero che il soggetto che possiede la divinità, indicato dal nome Dio, è la stessa cosa che la divinità. Ma per cogliere la proprietà delle espressioni bisogna considerare non solo ciò che esse significano, ma anche il loro modo

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deitatem, quod significat hoc nomen Deus, est idem quod deitas. Sed in proprietatibus lo­ cutionum, non tantum attendenda est res significata; sed etiam modus significandi . Et ideo, quia hoc nomen Deus significat divi­ nam essentiam ut in habente ipsam, sicut hoc nomen homo humanitatem significat i n supposito; alii melius dixerunt quod hoc no­ men Deus ex modo significandi habet ut proprie possit supponere pro persona, sicut et hoc nomen homo. Quandoque ergo hoc nomen Deus supponit pro essentia, ut cum dicitur, Deus creat, quia hoc praedicatum competit subiecto ratione formae significatae, quae est deitas. Quandoque vero supponit personam, vel unam tantum, ut cum dicitur, Deus generat; vel duas, ut cum dicitur Deus spirat; vel tres, ut cum dicitur, regi sae­ culorum immortali, invisibili, soli Deo etc., l Tim. l [ 1 7]. Ad primum ergo dicendum quod hoc nomen Deus, licet conveniat cum terminis singolari­ bus in hoc, quod forma significata non multi­ plicatur; convenit tamen cum terminis com­ munibus in hoc, quod forma significata inve­ nitur in pluribus suppositis. Unde non oportet quod semper supponat pro essentia quam significat. Ad secundum dicendum quod obiectio illa procedit contra illos qui dicebant quod hoc nomen Deus non habet naturalem suppositio­ nem pro persona. Ad tertium dicendum quod aliter se habet hoc nomen Deus ad supponendum pro per­ sona, et hoc nomen homo. Quia enim forma significata per hoc nomen homo, idest huma­ nitas, realiter dividitur in diversis suppositis, per se supponit pro persona; etiamsi nihil ad­ datur quod determinet ipsum ad personam, quae est suppositum distinctum. Unitas au­ tem sive communitas humanae naturae non est secundum rem, sed solum secundum con­ siderationem, unde iste terminus homo non supponit pro natura communi, nisi propter exigentiam alicuius additi, ut cum dicitur, homo est species. Sed forma significata per hoc nomen Deus, scilicet essentia divina, est una et communis secundum rem. Unde per se supponit pro natura communi, sed ex adiuncto determinatur eius suppositio ad per­ sonam. Unde cum dicitur, Deus generat, ra­ tione actus notionalis supponit hoc nomen

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di significarlo. Ora, il termine Dio significa l'essenza divina come posseduta da un sogget­ to, allo stesso modo in cui uomo significa I'wnanità posta in un soggetto: quindi altri, più giustamente, dissero che il termine Dio, appun­ to per il modo concreto di significare, serve propriamente a designare la persona, come anche il termine uomo. Concludendo: il nome Dio alcune volte sta per l'essenza, come nell'e­ spressione Dio crea: perché allora il soggetto può ricevere tale predicato in torza del proprio significato specifico, che è la divinità. Altre volte invece designa le persone: o una sola, per es. nell'espressione Dio genera; o due, come quando si dice che Dio spira; o tutte e tre, come è detto in l Tm: Al Re dei secoli, incor­

rnttibile, invisibile e unico Dio [onore e gloria].

Soluzione delle difficoltà: l . Sebbene il termi­ ne Dio significhi come tutti i singolari un'unica forma non moltiplicata, tuttavia assomiglia ai nomi comuni, in quanto la torma da esso signi­ ficata si trova in più soggetti. Quindi non è ne­ cessario che stia sempre a designare l'essenza. 2. La difficoltà ha valore soltanto contro chi ritiene che il nome Dio non possa di per sé indicare la persona. 3. Nel designare la persona i due termini Dio e uomo si comportano in modo diverso. Infatti [la forma o] il concetto di umanità espresso dal ter­ mine uomo è realmente multiplo nei suoi diversi suppositi, per cui il termine [uomo] di per sé designa la persona anche senza altre determina­ zioni che servano a designare il suo supposito distinto. Però l'unità o comunità della natura umana non esiste nella realtà delle cose, ma solo nel pensiero: per cui il termine uomo non desi­ gna la natura umana in generale, a meno che ciò non risulti da qualche aggiunta, come nell'e­ spressione: l'uomo è una specie. - Invece la di­ vinità, che è la forma significata dal termine Dio, ossia l'essenza divina, è insieme unica e co­ mune nella realtà. Quindi questo termine di per sé designa esclusivamente la natura in generale, ma il contesto può fàr sì che esso stia a indicare le persone. Quindi, nell'espressione Dio genera, in forza dell'atto nozionale [generare] il termine Dio sta per la persona del Padre. Invece nell'e­ spressione Dio non genera nulla si aggiunge che determini il nome della persona del Figlio: quindi la frase può essere intesa nel senso che la generazione ripugna alla natura divina. Se pe­ rò si aggiunge qualcosa che sia proprio della

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Deus pro persona Patris . Sed cum dicitur, Deus non generat, nihil additur quod deter­ minet hoc nomen ad personam Filii, unde datur intelligi quod generatio repugnet divi­ nae naturae. Sed si addatur aliquid pertinens ad personam Filii, vera erit locutio; ut si di­ catur, Deus genitus non generat. Unde etiam non sequitur, est Deus generans et est Deus non generans, nisi ponatur aliquid pertinens ad personas; ut puta si dicamus, Pater est Deus generans, et Filius est Deus non gene­ rans. Et ita non sequitur quod sint plures dii, quia Pater et Filius sunt unus Deus, ut dictum est [a. 3]. Ad quartum dicendum quod haec est falsa, Pater genuit se Deum, quia ly se, cum sit reci­ procum, refert idem suppositum. Neque est contrarium quod Augustinus dicit, Ad Maxi­ mum [ep. 1 70], quod Deus Pater genuit alte­ rum se. Quia ly se vel est casus ablativi; ut sit sensus, genuit alterum a se. Vel facit relatio­ nem simplicem, et sic refert identitatem natu­ rae, sed est impropria ve1 emphatica locutio, ut sit sensus, genuit alterum simillimum sibi. Similiter et haec est falsa, genuit alium Deum. Quia licet Filius sit alius a Patre, ut supra [q. 3 1 a. 2] dictum est, non tamen est di­ cendum quod sit alius Deus, quia intellige­ retur quod hoc adiectivum alius poneret rem suam circa substantivum quod est Deus; et sic signitìcaretur distinctio deitatis. Quidam ta­ men concedunt istam, genuit alium Deum, ita quod ly alius sit substantivurn, et ly Deus ap­ positive construatur cum eo. Sed hic est im­ proprius modus loquendi, et evitandus, ne detur occasio erroris. Ad quintum dicendum quod haec est falsa, Deus genuit Deum qui est Deus Pater, quia, cum ly Pater appositive construatur cum ly Deus, restringit ipsum ad standum pro perso­ na Patris; ut sit sensus, genuit Deum qui est ipse Pater, et sic Pater esset genitus, quod est falsum. Unde negativa est vera, genuit Deum qui non est Deus Pater. Si tamen intelligeretur constructio non esse appositiva, sed aliquid esse interponendum; tunc e converso affirma­ tiva esset vera, et negativa falsa; ut sit sensus, genuit Deum qui est Deus qui est Pater. Sed haec est extorta expositio. Unde melius est quod simpliciter affirmativa negetur, et nega­ tiva concedatur. Praepositivus tamen dixit quod tam negativa quam affirmativa est falsa.

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persona del Figlio, allora l'affermazione può es­ sere vera: per es. in questa frase: il Dio generato non genera. Conseguentemente non si può nep­ pure dire che c 'è un Dio che genera e un Dio che non genera, a meno che non si aggiunga qualcosa che sia proprio delle due persone: come se, per es., si dicesse: il Padre è il Dio che genera e il Figlio è il Dio che non genera. E così non segue che vi siano più dèi: poiché, come si è detto, il Padre e il Figlio sono tm solo Dio. 4. La proposizione il Padre genera se [stesso] è falsa, poiché il pronome sé, come ritlessivo, fa ricadere l'azione sul soggetto medesimo. Né può valere contro di ciò quel passo di Ago­ stino: Dio Padre «genera un altro se stesso [alterum se]». Infatti quel se o è un ablativo, e allora significa: genera un altro [distintol da sé, oppure esprime un semplice riferimento, e allora sta a indicare l'identità di natura [tra Pa­ dre e Figlio]: per cui è una locuzione impropria ed enfatica per dire che genera un altro somi­ gliantissimo a sé. - E anche quest'altra propo­ sizione è falsa: genera un altro Dio. Poiché, sebbene il Figlio sia un alnv rispetto al Padre, come si è già spiegato, non si può tuttavia dire che sia un altro Dio: perché si lascerebbe intendere che l'aggettivo altro va tiferito al so­ stantivo Dio: e allora si indicherebbe una diver­ sità nella natura divina. - Alcuni però ammet­ tono la proposizione genera un alllv Dio, ma danno ad altro valore di sostantivo, mentre di Dio fanno una semplice apposizione. Però questo è un modo di parlare improprio e va evitato, potendo essere occasione di errore. 5. La frase Dio genera un Dio che è Dio Padre è falsa: poiché Padre, formando un'apposizio­ ne col termine Dio, limita questo nome a desi­ gnare la persona del Padre: in modo che si ha questo senso: genera un Dio che è lo stesso Pa­ dre: cosicché il Padre sarebbe generato, il che è falso. Quindi è vero il contrario: che cioè Dio genera un Dio che non è Dio Padre. - Tuttavia se Padre fosse preso non come apposizione, ma come predicato di un' altra proposizione sottintesa, in modo da avere questo senso: ge­ nera un Dio che è quel Dio che è il Padre, allo­ ra l'affermativa sarebbe vera e la negativa falsa. Ma questa è un'interpretazione un po' forzata. Quindi è meglio rigettare senz'altro l' afferma­ tiva, e ammettere come vera la negativa. n Pre­ vostino però sosteneva che tanto l' affermativa quanto la negativa sono false. Poiché il pro-

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Quia hoc relativum qui in affirmativa potest referre suppositum, sed in negativa refert et significatum et suppositum. Unde sensus af­ firmativae est, quod esse Deum Patrem con­ veniat personae Filii. Negativae vero sensus est, quod esse Deum Patrem non tantum re­ moveatur a persona Filii, sed etiam a divini­ tate eius. Sed hoc irrationabile videtur, cum, secundum philosophum [Perih. 6,3], de eo­ dem de quo est aftirmatio, possit etiam esse negatio.

nome relativo che nell'affermativa può riferirsi semplicemente al supposito, ma nella negativa si riferisce anche alla natura, oltre che al suppo­ sito. Quindi il senso dell'affermativa sarebbe che alla persona del Figlio conviene di essere il Padre. E il senso della negativa che l'identità con Dio Padre va negata non soltanto alla per­ sona del Figlio, ma anche alla sua divinità. Ciò però appare irragionevole: poiché, come dice il Filosofo, la stessa cosa può essere ogget­ to di affermazione e di negazione.

Articulus 5 Utrum nomina essentialia in abstracto significata possint supponere pro persona

Articolo 5 I nomi essenziali presi in astratto possono designare le persone, come nella propo­ sizione: l'essenza genera l'essenza?

Ad quintum sic proceditur. Vìdetur quod no­ mina essentialia in abstracto significata pos­ sint supponere pro persona, ita quod haec sit vera, essentia generat essentiam. l . Dicit enim Augustinus, 7 De Trin. [2], Pa­

ter et Filius sunt una sapientia, quia una es­ sentia; et singillatim sapientia de sapientia, sicut essentia de essentia.

2. Praeterea, generatis nobis vel corruptis, generantur vel corrumpuntur ea quae in nobis sunt. Sed Filius generatur. Ergo, cum essentia divina sit in Filio, videtur quod essentia di­ vina generetur. 3. Praeterea, idem est Deus et essentia divina, ut ex supra [q. 3 a. 3] dictis patet. Sed haec est ve­ ra, Deus generat Deum, sicut dictum est [a. 4]. Ergo haec est vera, essentia generat essentiam. 4. Praeterea, de quocumque praedicatur ali­ quid, potest supponere pro ilio. Sed essentia divina est Pater. Ergo essentia potest suppone­ re pro persona Patri s. Et sic essenti a generat. 5. Praeterea, essentia est res generans, quia est Pater, qui est generans. Si igitur essentia non sit generans, erit essentia res generans et non generans, quod est impossibile. 6. Praeterea, Augustinus dicit, in 4 De Trin. [20], Pater est principium totius deitatis. Sed non est principium nisi generando vel spiran­ do. Ergo Pater generat vel spirat deitatem. Sed contra est quod Augustinus dicit, in l De Trin. [ l ], quod nulla res generar seipsam. Sed si essentia generat essentiam, non generat nisi seipsam, cum nihil sit in Deo, quod distingua­ tur a divina essentia. Ergo essentia non gene­ rat essentiam. Respondeo dicendum quod circa hoc erravit

Sembra di no. Infatti: l . Agostino dice: «Il Padre e il Figlio sono un'unica sapienza, poiché sono un'unica es­ senza; e considerati come distinti sono sa­ pienza da sapienza, allo stesso modo in cui sono essenza da essenza>>. 2. All'atto della nostra generazione o del no­ stro disfacimento si genera o si distrugge quanto è in noi. Ma il Figlio è generato. Es­ sendoci quindi in lui l'essenza divina, sembra che anch'essa venga generata. 3. Dio e la sua essenza, come si è detto, sono la stessa cosa. Ma si è anche spiegato che la pro­ posizione Dio genera Dio, è vera. Quindi è vera anche quest'altra: l'essenza genera l'essenza. 4. Qualsiasi predicato può servire a designare il soggetto a cui viene attribuito. Ma il Padre è l ' essenza divina. Quindi l 'essenza può desi­ gnare la persona del Padre. Quindi l'essenza [divina] genera. 5 . L'essenza è qualcosa che genera: poiché essa si identifica col Padre, il quale genera. Se dunque l 'essenza divina non generasse, essa sarebbe qualcosa che nello stesso tempo ge­ nera e non genera: ma questo è inconcepibile. 6. Dice Agostino: «ll Padre è il principio di tutta la divinità». Ma non è principio se non in quanto genera e spira. Quindi il Padre genera e spira la divinità. In contratio: come fa osservare Agostino: «Nessuna cosa genera se stessa>>. Se dunque l 'essenza generasse l'essenza, genererebbe se stessa: poiché in Dio non vi è nulla che si possa distinguere dall'essenza divina. Quindi l 'essenza non genera l 'essenza.

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abbas loachim, asserens quod, sicut dicitur, Deus genuit Deum, ita potest dici quod essen­ tia genuit essentiam; considerans quod, propter divinam simplicitatem, non est aliud Deus quam divina essentia. Sed in hoc deceptus fuit, quia ad veritatem locutionum, non solum oportet considerare res significatas, sed etiam modum significandi ut dictum est [a. 4]. Licet autem, secundum re, sit idem Deus quod deitas, non tamen est idem modus signiti­ candi utrobique. Nam hoc nomen Deus, quia significat divinam essentiam ut in habente, ex modo suae significationis naturaliter habet quod possit supponere pro persona, et sic ea quae sunt propria personarum, possunt prae­ dicari de hoc nomine Deus, ut dicatur quod Deus est genitus vel generans, sicut dictum est [a. 4]. Sed hoc nomen essentia non habet ex modo suae significationis quod supponat pro persona, quia significat essentiam u t formam abstractam. Et ideo e a quae sunt propria personarum, quibus ab invicem distin­ guuntur, non possunt essentiae attribui, signi­ ficaretur enim quod esset distinctio in essentia divina, sicut e..c:;t distinctio in suppositis. Ad primum ergo dicendum quod, ad expri­ mendam unitatem essentiae et personae, sancti doctores aliquando expressius locuti sunt quam proprietas locutionis patiatur. Unde huiusmodi locutiones non sunt extendendae, sed exponendae, ut scilicet nomina abstracta exponantur per concreta, vel etiam per nomi­ na personalia, ut, cum dicitur, essentia de es­ sentia, vel sapientia de sapientia, sit sensus, Filius, qui est essentia et sapientia, est de Pa­ tre, qui est essentia et sapientia. In his tamen nominibus abstractis est quidam ordo atten­ dendus, quia ea quae pertinent ad actum, ma­ gis propinque se habent ad personas, quia actus sunt suppositorum. Unde minus impro­ pria est ista, natura de natura, vel sapientia de sapientia, quam essentia de essentia. Ad secundum dicendum quod in creaturis ge­ neratum non accipit naturam eandem numero quam generans habet, sed aliam numero, quae incipit in eo esse per generationem de novo, et desinit esse per corruptionem, et ideo generatur et corrumpitur per accidens. Sed Deus genitus eandem naturam numero accipit quam generans habet. Et ideo natura divina in Filio non generatur, neque per se neque per accidens.

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Risposta: intorno a questo argomento cadde in errore l ' abate Gioacchino da Fiore il quale, considerando che a motivo della sua semplicità Dio non è altro che l'essenza divina, sosteneva l'ortodossia di questa espressione: l'essenza ge­ nera l'essenza, messa alla pari di quest'altra: Dio genera Dio. Ma in ciò egli si ingannava: poiché, come si è già fatto notare, affinché un'e­ spressione corrisponda a verità non si deve guardare solo al significato, ma anche al modo di significare. Ora, sebbene Dio e divinità real­ mente indichino la stessa cosa, non è però u­ guale il loro modo di esprimerla Intatti il termi­ ne Dio indica l'e..c:;senza divina come e..c:;istent:e in un soggetto, e proprio per questo suo modo di esprimerla può normalmente designare la perso­ na: quindi al tennine Dio si può unire come predicato quanto è proprietà delle persone, e dire: Dio è generato, o Dio genera, come si è già spiegato. Invece la voce essenza, per il suo modo di esprimere, non può designare la perso­ na: poiché serve a indicare la divinità come for­ ma astratta. Quindi quanto è proprio delle perso­ ne e serve a distinguerle tra di loro non può es­ sere attribuito all'essenza: poiché ricadrebbe sul­ l' essenza la distinzione che c'è fra le persone. Soluzione delle difficoltà: l . Per esprimere più fortemente l ' unità dell' essenza e delle persone, talvolta i santi dottori accentuarono le espressioni più di quanto lo avrebbe per­ messo la proprietà del linguaggio [teologico]. Quindi queste non devono essere generaliz­ zate, ma debitamente spiegate, riducendo cioè gli astratti ai nomi concreti rispettivi, o anche ai nomi personali: quindi le espressioni essen­ za da essenza, oppure sapienza da sapienza vanno intese in questo senso: il Figlio, che è -

la stessa essenza e sapienza, è dal Padre, che è la stessa essenza e sapienza. Tuttavia fra i -

nomi astratti si deve tener presente una certa gradazione: infatti quelli che descrivono gli atti [nazionali] sono più prossimi alle perso­ ne, poiché gli atti si riferiscono direttamente ai suppositi. Quindi sono meno improprie le espressioni natura da natura, o sapienza da sapienza che non essenza da essenza. 2. Nelle creature il generato riceve una natura che è numericamente distinta da quella del ge­ nerante, la quale perciò in lui comincia a esi­ stere come cosa del tutto nuova ali' atto della generazione, e cesserà di esistere con la distru­ zione: per cui viene generata e distrutta indirei:-

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Ad tertium dicendum quod, licet Deus et di­ vina essentia sint idem secundum rem, tamen, ratione alterius modi significandi, oportet loqui diversimode de utroque. Ad quartum dicendum quod essentia divina praedicatur de Patre per modum identitatis, propter divinam simplicitatem, nec tamen se­ quitur quod possit supponere pro Patre, prop­ ter diversum modum significandi. Ratio au­ tem procederet in illis, quorum unum praedi­ catur de altero sicut universale de particulari. Ad quintum dicendum quod haec est diffe­ rentia inter nomina substantiva et adiectiva, quia nomina substantiva ferunt suum supposi­ rum, adiectiva vero non, sed rem significatam ponunt circa substantivum. Unde sophistae dicunt quod nomina substantiva supponunt; adiectiva vero non supponunt, sed copulant Nomina igitur personalia substantiva possunt de essentia praedicari, propter identitatem rei, neque sequitur quod proptietas personalis dis­ tinctam determinet essentiam; sed ponitur circa suppositum importatum per nomen sub­ stantivum. Sed notionalia et personalia adiec­ tiva non possunt praedicari de essentia, nisi aliquo substantivo adiuncto. Unde non possu­ mus dicere quod essentia est generans. Possu­ mus tamen dicere quod essentia est res gene­ rans, vel Deus generans, si res et Deus suppo­ nant pro persona, non autem si supponant pro essentia. Unde non est contradictio, si dicatur quod essentia est res generans, et res non ge­ nerans, quia primo res tenetur pro persona, secundo pro essentia. Ad sextum dicendum quod deitas, inquan­ tum est una in pluribus suppositis, habet quandam convenientiam cum forma nominis collectivi . Unde cum dicitur, Pater est ptinci­ pium totius deitatis, potest sumi pro uni­ versitate personarum; inquantum scilicet, in omnibus personis divinis, ipse est princi­ pium. Nec oportet quod sit principium sui ipsius, sicut aliquis de populo dicitur rector totius populi, non tamen sui ipsius. Vel po­ test dici quod est principium totius deitatis, non quia eam generet et spiret, sed quia eam, generando et spirando, communicat.

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tamente. ll Dio generato, invece, ticeve numeti­ camente quella stessa natura che ha il generan­ te. Quindi la natura divina nel Figlio non viene generata, né direttamente né indirettamente. 3. Sebbene Dio e l'essenza divina siano la stes­ sa e identica realtà, tuttavia, dato il loro diverso modo di significarla, si deve parlare diversa­ mente dell'uno e dell'altra. 4. A causa della semplicità divina l' essenza si predica del Padre e con lui si identifica. Ma da ciò non segue che essa possa designare il Padre, essendo diverso il modo di significare. L' argomento varrebbe invece per quei termini che vengono predicati l' uno dell' altro, come un universale del particolare. 5. Tra i sostantivi e gli aggettivi c'è questa dif­ ferenza: che i primi portano con sé il proptio soggetto, non così invece gli aggettivi, i quali si limitano ad applicare il loro significato al sostan­ tivo. Quindi la logica insegna che «i sostantivi designano il supposito, gli aggettivi invece non indicano un soggetto, ma vengono ad esso ap­ plicati». Per que.()to i sostantivi personali si pos­ sono predicare dell'essenza, data la loro identità reale con essa; e non segue che le proptietà per­ sonali facciano ti cadere sull'essenza le loro di­ stinzioni, ma si applicano semplicemente al sog­ getto indicato dal sostantivo. Gli aggettivi nozio­ nali e personali, invece, non si possono predica­ re dell'essenza senza l'aggiunta di un sostantivo. Quindi non possiamo dire: l'essenza è generan­ te. Possiamo dire, tutt'al più, che l'essenza è una realtà generante, o che è Dio generante, se realtà e Dio stanno a designare la persona e non l'essenza. Quindi non c'è alcuna contraddizione nel dire simtùtaneamente: l'essenZP- è qualcosa che genera ed è qualcosa che non genera, poi­ ché nella ptima proposizione qualcosa designa la persona, nell'altra invece l'essenza. 6. La divinità, in quanto unica per più perso­ ne, ha una certa somiglianza con la forma di un nome collettivo. Quindi nell' espressione: il Padre è il principio di tutta la divinità, que­ st' ultima voce può essere presa per l' insieme delle tre persone: in quanto cioè fra tutte le persone divine egli è il principio. E con ciò non è necessario ammettere che sia anche il principio di se stesso: come quando si dice che un cittadino è il capo di tutto il popolo, non si vuol dire che lo sia di se stesso. - Op­ pure [il Padre] può dirsi ptincipio di tutta la divinità non perché geneti o spiti la divinità, ma perché generando e spirando la comunica.

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Articulus 6

Articolo 6

Utrum personae possint praedicari de nominibus essentialibus

Le persone possono essere predicate dei nomi essenziali, dicendo per es.: Dio è le tre Persone, oppure: Dio è la Trinità?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod per­ sonae non possint praedicati de nominibus es­ sentialibus concretis, ut dicatur, Deus est tres personae, vel est Trinitas. l. Haec enim est falsa, homo est omnis homo, quia pro nullo suppositorum verificati potest, neque enim Socrates est omnis homo, neque Plato, neque aliquis alius. Sed similiter ista, Deus est Trinitas, pro nullo suppositorum na­ turae divinae verificati potest, neque enim Pa­ ter est Trinitas, neque Filius, neque Spiritus Sanctus. Ergo haec est falsa, Deus est Trinitas. 2. Praeterea, i nferiora non praedicantur de suis superioribus nisi accidentali praedicatio­ ne, ut cum dico, animai est homo, accidit enim animali esse hominem. Sed hoc nomen Deus se habet ad tres personas sicut commu­ ne ad inferiora, ut Damascenus dicit [De fide 3,4]. Ergo videtur quod nomina personarum non possint praedicati de hoc nomine Deus, nisi accidentaliter. Sed contra est quod Augustinus dicit, in ser­ mone De fide [De fide cath. serm. 1 ], credi­

mus unum Deum unam esse divini nominis Trinitatem.

Respondeo dicendum quod, sicut iam dictum est [a. 5 ad 5], licet nomina personalia vel notionalia adiectiva non possint praedicati de essentia; tamen substantiva possunt, propter realem identitatem essentiae et personae. Es­ sentia autem divina non salurn idem est reali­ ter cum una persona, sed cum tribus. Unde et una persona, et duae, et tres possunt de essen­ tia praedicari; ut si dicamus, essentia est Pater et Filius et Spiritus Sanctus. Et quia hoc no­ men Deus per se habet quod supponat pro es­ sentia, ut dictum est [a. 4 ad 3], ideo, sicut haec est vera, essentia est tres personae, ita haec est vera, Deus est tres personae. Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra [ibid.] dictum est, hoc nomen homo per se habet supponere pro persona; sed ex adiuncto habet quod stet pro natura communi. Et ideo haec est falsa, homo est omnis homo, quia pro nullo supposito verificati potest. Sed hoc nomen Deus per se habet quod stet pro es­ sentia. Unde, licet pro nullo suppositorum di­ vinae naturae haec sit vera, Deus est Trinitas,

Sembra di no. Infatti: l. È certamente falsa questa proposizione: un uomo è tutti gli uomini, non potendo verifi­ carsi in alcun caso concreto: poiché né Sacra­ te, né Platone, né chiunque altro è tutti gli uo­ mini. Quindi è falsa anche questa: Dio è la Trinità, non essendo vera di alcuna persona di­ vina in particolare: poiché né il Padre, né il Fi­ glio, né lo Spirito Santo sono la Trinità. Quin­ di è falsa l'affermazione: Dio è la Trinità. 2. Un termine più ristretto o particolare non si predica di un termine più universale se non in qualità di predicato accidentale, come quando dico: l'animale è uomo; è infatti [soltanto] un caso particolare per l' animale di essere uomo. Ora, il nome Dio, secondo il Damasceno, sta alle tre persone come l'universale al termine particolare. Quindi è evidente che le persone si possono predicare di Dio soltanto come predicato accidentale. In contrario: Agostino afferma: «Crediamo che l 'unico Dio è un'unica Trinità di nome divino». Risposta: come si è già detto, gli aggettivi na­ zionali e personali non possono essere predi­ cati dell'essenza; lo possono invece i sostanti­ vi, data l' identità che c'è tra l'essenza e la per­ sona. Ora, l'essenza divina si identifica non solo con una singola persona, ma anche con tutte e tre assieme. Quindi si può predicare dell'essenza tanto una persona, come anche due o tre insieme: dicendo per es. che l'es­ senza è il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Ora, abbiamo già visto che il nome Dio di per sé sta a designare l 'essenza: perciò, come è vero che l ' essenza è le tre persone, così è anche vero che Dio è le tre persone. Soluzione delle difficoltà: l. Abbiamo già no­ tato che uomo di per sé sta a designare la per­ sona, e solo in forza del contesto può designa­ re anche la natura. Quindi la proposizione: un uomo è tutti gli uomini è falsa, poiché non si può verificare in nessun caso. Invece il termi­ ne Dio di per sé serve a designare l'essenza. Quindi, sebbene la proposizione Dio è la Trinità non sia vera di nessuna persona, è vera

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Le persone in rapporto aLI 'essenza

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est tamen vera pro essentia. Quod non at­ tendens, Porretanus eam negavit [Comm. in Boethii De Trin. 2 ad Ioannem Diac.]. Ad secundum dicendum quod, cum dicitur, Deus vel divina essentia est Pater, est praedi­ catio per identitatem, non autem sicut inferio­ ris de superiori, quia in divinis non est univer­ sale et singulare. Unde, sicut est per se ista, Pater est Deus, ita et ista, Deus est Pater; et nullo modo per accidens.

tuttavia per l'essenza [divina]. - Ed è perché non badò a questo aspetto che Gilberto Porre­ tano la disse falsa. 2. Nella proposizione: Dio o l'essenza divina è il Padre, il predicato è identico al soggetto; e l' uno non sta all' altro come un termine par­ ticolare a quello universale, poiché in Dio non ci sono universali né particolari. Come quindi è per se la proposizione: il Padre è Dio, così lo è anche quest'altra: Dio è il Padre.

Articulus 7 Utrum nomina essentialia sint approprianda personis

Articolo 7 I nomi essenziali sono da appropriarsi alle persone?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod no­ mina essentialia non sint approprianda personis. l . Quod enim potest vergere in errorem fidei, vitandum est in divinis, quia, ut Hieronymus [cf. P. Lomb., Sent. 4 , 1 3,2] dicit, ex verbis inordinate pro/atis incurritur haeresis. Sed ea quae sunt communia tribus personis appro­ priare alicui, potest vergere in errorem fidei, quia potest intelligi quod vel illi tantum perso­ nae conveniant cui appropriantur; vel quod magis conveniant ei quam aliis. Ergo essentia­ lia attributa non sunt approprianda personis. 2. Praeterea, essentialia attributa, in abstracto significata, significant per modum formae. Sed una persona non se habet ad aliam ut for­ ma, cum forma ab eo cuius est forma, sup­ posito non distinguatur. Ergo essentialia attri­ buta, maxime i n abstracto significata, non debent appropriari personis. 3. Praeterea, proprium prius est appropriato, proprium enim est de ratione appropriati. Sed essentialia attributa, secundum modum intel­ ligendi, sunt priora personis, sicut commune est prius proprio. Ergo essentialia attributa non debent esse appropriata. Sed contra est quod apostolus dicit, l Cor. l [24], Christum, Dei virtutem et Dei sapientiam. Respondeo dicendum quod, ad manifestatio­ nem fidei, conveniens fuit essentialia attributa personis appropriari. Licet enim Trinitas per­ sonamm demonstratione probari non possit, ut supra [q. 32 a. l ] dictum est, convenit ta­ men ut per aliqua magis manifesta declaretur. Essentialia vero attributa sunt nobis magis manifesta secundum rationem, qurun propria personarum, quia ex creaturis, ex quibus co­ gnitionem accipimus, possumus per certitudi-

Sembra di no. Infatti: l. Parlando delle realtà divine si deve evitare quanto può essere occasione di errore contro la fede: poiché, secondo Girolamo, «pm·lando con poca esattezza si cade neli' eresia». Ma se si appropria a una persona ciò che è comune a tutte e tre, si potrebbe credere che ciò conven­ ga a quella sola, o ad essa più che alle altre. Quindi gli attributi essenziali non vanno ap­ propriati alle persone. 2. Gli attributi essenziali, presi in astratto, so­ no indicati come altrettante forme. Ma una persona divina non si riferisce ali' altra come una forma: poiché la forma e il soggetto di cui è forma non sono mai due suppositi di­ stinti. Quindi gli attributi essenziali, special­ mente se presi in astratto, non devono essere appropriati alle persone. 3 . Ciò che è proprio è anteriore a ciò che è appropriato, dato che serve a definirlo. Ora, gli attributi essenziali sono logicamente anteriori alle persone, come ciò che è comune antecede ciò che è proprio. Quindi gli attributi essenziali non devono essere appropriati [alle persone]. In contrario: l'Apostolo dice in l Cor: Cristo,

potenza di Dio e sapienza di Dio.

Risposta: per illustrare i misteri della fede era conveniente che si appropriassero alle varie persone gli attributi essenziali. Sebbene infatti non si possa dimostrare, come si è detto, la Tri­ nità delle persone, tuttavia è utile portare dei chiarimenti mediante cose più note. Ora, gli at­ tributi essenziali sono più evidenti per la nostra ragione di ciò che riguarda le persone: poiché alla conoscenza certa degli attributi essenziali noi possiamo giungere attraverso le creature, da cui inizia ogni nostro conoscere, mentre, come

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Le persone in rapporto all 'essenza

nem devenire in cognitionem essentialium at­ tributorum; non autem in cognitionem perso­ nalium proprietatum, ut supra [ibid. ad l ] dic­ tum est. Sicut igitur similitudine vestigii vel imaginis in creaturis inventa utimur ad mani­ festationem divinarum personarum, ita et es­ sentialibus attributis. Et haec manifestatio personarum per essentialia attributa, appro­ priatio nominatur. Possunt autem manifestari personae divinae per essentialia attributa du­ pliciter. Uno modo, per viam similitudinis, sicut ea quae pertinent ad intellectum, appro­ priantur Filio, qui procedit per modum intel­ lectus ut Verbum. Ali o modo, per modum dis­ similitudinis, sicut potentia appropriatur Patri, ut Augustinus dicit [cf. Hugonem, De sacr. 1 ,2,8], quia apud nos patres solent esse prop­ ter senectutem infirmi; ne tale aliquid suspice­ mur in Deo. Ad primum ergo dicendum quod essentialia attributa non sic appropriantur personis ut eis esse propria asserantur, sed ad manifestan­ dum personas per viam similitudinis vel dissi­ militudinis, ut dictum est [in co.]. Unde nullus error fidei sequitur, sed magis manifestatio veritatis. Ad secundum dicendum quod, si sic appro­ priarentur essentialia attributa personis, quod essent eis propria, sequeretur quod una perso­ na se haberet ad aliam in habitudine formae. Quod excludit Augustinus, in 7 De Trin. [ 1 ] , ostendens quod Pater non est sapiens sapien­ tia quam genuit, quasi solus Filius sit sapien­ tia; ut sic Pater et Filius simul tann1m possint dici sapiens, non autem Pater sine Filio. Sed Filius dicitur sapientia Patris, quia est sapien­ tia de Patre sapientia, uterque enim per se est sapientia, et simul ambo una sapientia. Unde Pater non est sapiens sapientia quam genuit, sed sapientia quae est sua essentia. Ad tertium dicendum quod, licet essentiale attributum, secundum rationem propriam, sit prius quam persona, secundum, modum intel­ ligendi; tamen, inquantum habet rationem ap­ propriati, nihil prohibet proprium personae esse prius quam appropriatum. Sicut color posterior est corpore, inquantum est corpus, prius tamen est naturaliter corpore albo, in­ quantum est album.

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si è già dimostrato, non possiamo arrivare a [conoscere in questo modo] quanto è proprio delle persone. Come quindi per esporre la dot­ trina intorno alle persone divine ci serviamo delle somiglianze riscontrate nelle creature, [che sono] vestigi o immagini [di Dio], così [ci possiamo servire] degli attributi essenziali. E questa manifestazione delle persone divine mediante gli attributi essenziali viene detta ap­ propriazione. Ora, in due modi si possono ma­ nifestare le persone divine mediante gli attributi essenziali. Primo, partendo dalle somiglianze: così, per es., tutto ciò che ha attinenza con l'in­ telletto viene appropriato al Figlio, il quale pro­ cede intellettualmente [dal Padre] come Verbo. Secondo, partendo dalle dissomiglianze: per es., al dire di Agostino, viene appropriata al Padre la potenza affinché non si creda che in Dio avvenga come tra noi, presso cui i padri per vecchiaia sono deboli e impotenti. Soluzione delle difficoltà: l . Nell'appropriare alle varie persone gli attributi essenziali non si vuole asserire che essi siano esclusivi [di cia­ scuna di esse], ma solo [si vogliono] illustrare le persone per via di somiglianza o di dis­ somiglianza, come si è spiegato. Quindi non ne può seguire alcun errore, ma piuttosto la manifestazione della verità. 2. Se si facessero le appropriazioni in modo da fare degli attributi essenziali delle proprietà delle persone, ne seguirebbe che una persona avrebbe, rispetto all'altra, la funzione di for­ ma. Cosa che Agostino esclude là dove chiari­ sce che il Padre non è sapiente per la sapienza generata, come se solo il Figlio fosse la sa­ pienza; e come se il Padre da solo non potesse essere detto sapiente senza il Figlio. n Figlio è detto invece sapienza del Padre perché è sa­ pienza che deriva dalla sapienza del Padre. In­ fatti tanto l'uno quanto l'altro sono sapienza per se stessi, e ambedue assieme sono un'uni­ ca sapienza. Quindi il Padre non è sapiente in forza della sapienza che ha generato, ma per la sapienza che è la sua essenza [divina]. 3. Gli attributi essenziali di per sé precedono l'idea di Persona nell' ordine logico del pen­ siero, ma se vengono considerati come appro­ priati possono anche essere posteriori agli attributi propri delle varie Persone. Così il colore è concepito come posteriore al corpo considerato come corpo; se però si considera il corpo come colorato, allora il bianco è con­ cepito come anteriore al corpo bianco.

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Le persone in rapporto aLI 'essenza

Articulus 8 Utrum convenienter a sacris doctoribus sint essentialia personis attributa Ad octavum sic proceditur. Videtur quod in­ convenienter a sacris doctolibus sint essen­ tialia personis attributa. l . Dicit enim Hilarius, in 2 De Trio. [ 1 ], ae­

ternitas est in Patre, species in Imagine, usus in Munere. In quibus verbis ponit tria nomina propria personarum, scilicet nomen Patris; et nomen lmaginis, quod est proptium Filio, ut supra [q. 35 a. 2] dictum est; et nomen Mune­ ris, sive Doni, quod est proprium Spiritus Sancti, ut supra [q. 38 a. 2] habitum est. Ponit etiam tria appropriata, nam aetemitatem ap­ propriat Patri, speciem Filio, usum Spiritui Sancto. Et videtur quod irrationabiliter. Nam aetemitas importat durationem essendi, spe­ cies vero est essendi principium, usus vero ad operationem pertinere videtur. Sed essentia et operatio nulli personae appropriati inveniun­ tur. Ergo inconvenienter videntur ista appro­ priata personis. 2. Praeterea, Augustinus in l De doctr. chr. [5], sic dicit, in Patre est unitas, in Filio aequalitas,

in Spiritu Sancto unitatis aequalitatisque concordia. Et videtur quod inconvenienter.

Quia una persona non denominatur fmmaliter per id quod appropriatur alteti, non enim est sapiens Pater sapientia genita, ut dictum est [a. 7 ad 2; q. 37 a. 2 arg. 1 ]. Sed, sicut ibidem subditur, tria haec unum omnia sunt propter

Patrem, aequalia omnia propter Filium, con­ nexa omnia propter Spiritum Sanctum. Non

ergo convenienter appropriantur personis. 3. ltem, secundum Augustinum [cf. Hugo­ nem, De sacr. l ,2,6], Patri attribuitur potentia, Filio sapientia, Spiritui Sancto bonitas. Et vi­ detur hoc esse inconveniens. Nam virtus ad potentiam pertinet. Virtus autem invenitur ap­ propriari Filio, secundum illud l ad Cor. l [24], Christum, Dei virtutem; et etiam Spiritui Sancto, secundum illud Luc. 6 [19], virtus de ilio exibat, et sanabat omnes. Non ergo po­ tentia Patri est approprianda. 4. ltem, Augustinus, in libro De Trio. [6, 10], dicit, non confuse accipiendum est quod ait

apostolus, ex ipso, et per ipsum, et in ipso [Contra Max. 2,23,4] - ex ipso dicens propter Patrem; per ipsum propter Filium; in ipso propter Spiritum Sanctum. Sed videtur quod

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Articolo 8 Gli attributi essenziali sono stati convenientemente appropriati alle persone dai santi dottori? Sembra di no. Infatti: l . Dario dice: «L'eternità è nel Padre, la specie [o bellezza] nell'Immagine, l'utilità nel Dono». Ora, qui troviamo tre nomi propri delle perso­ ne, cioè: quello di Padre, quello di Immagine, che è proptio del Figlio, come si è detto, e quello di Dono, riservato allo Spirito Santo, come si è spiegato. Troviamo anche tre termi­ ni appropriati: poiché l'eternità viene appro­ priata al Padre, la specie al Figlio, l'utilità allo Spirito Santo. Ma questa appropriazione non sembra ragionevole. Infatti l'eternità compor­ ta durata nell'essere, la specie è principio dello stesso essere e l'uso o utilità sembra ap­ partenere all' operazione. Ora, né l'essere né l'operazione sono mai stati approptiati a qual­ che persona. Quindi l'appropriazione di que­ gli attributi alle varie persone non è esatta. 2. Agostino dice: «Nel Padre c'è l'unità, nel Figlio l' uguaglianza, nello Spirito Santo la concordia dell'uguaglianza e dell'unità». Ciò però non sembra conveniente, poiché una per­ sona non è denominata formalmente in base a ciò che è appropriato a un' altra: si è detto infatti che il Padre non è detto sapiente per la sapienza generata. Ora, come Agostino ag­ giunge nello stesso luogo: «Le tre [persone] sono tutte e tre unità per il Padre, tutte e tre uguali per il Figlio e tutte e tre concordi per lo Spirito Santo». Non è dunque conveniente quell'appropriazione. 3 . Secondo Agostino, al Padre va attribuita la potenza, al Figlio la sapienza e allo Spirito Santo la bontà. Ciò però non sembra giusto. Infatti la virtù [o forza] si identifica con la po­ tenza. Ora, troviamo che la virtù o è appro­ priata al Figlio, come in l Cor: Cristo poten­ za di Dio, o anche allo Spirito Santo, come in Le: Da lui [cioè dal Verbo] usciva una virtù che guariva tutti. Quindi la potenza non va appropriata al Padre. 4. Sempre secondo Agostino: «Non si devono considerare senza ordine alcuno quelle e­ spressioni dell' Apostolo "da lui, per lui e in lui"»: poiché egli dice da lui per indicare il Padre, per lui per indicare il Figlio, in lui per designare lo Spirito Santo». Ma ciò non sem-

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Le persone in rapporto all 'essenza

i nconvenienter. Quia per hoc quod dicit in ipso, videtur importari habitudo causae fina­ lis, quae est prima causarum. Ergo ista habitu­ do causae deberet appropriari Patri, qui est principium non de principio. 5. Item, invenitur veritas appropriari Filio, se­ cundum illud Ioan. 14 [6], ego sum via, veri­ tas et vita. Et similiter liber vitae, secundum illud Psalmi 39 [8], in capite libri scriptum est de me, Glossa [ord.], idest apud Patrem, qui est caput meum. Et similiter hoc quod dico, qui est, quia super illud Is. 65 [ 1 ], ecce ego, ad gentes, dicit Glossa [int.], Filius loquitur, qui dixit Moysi, ego sum qui sum. Sed videtur quod propria sint Filii, et non appropriata. Nam veritas, secundum Augustinum, in libro De vera rei. [36], est summa similitudo prin­ cipii, absque omni dissimili/udine, et sic vi­ detur quod proprie conveniat Filio, qui habet principium. Liber etiam vitae videtur pro­ prium aliquid esse, quia significat ens ab alio, omnis enim liber ab aliquo scribitur. Hoc etiam ipsum qui est videtur esse proprium Filio. Quia si, cum Moysi dicitur, ego sum qui sum, loquitur Trinitas, ergo Moyses poterat dicere, ille qui est Pater et Filius et Spiritus Sanctus, rnisit me ad vos. Ergo et ulterius di­ cere poterat, ille qui est Pater et Filius et Spi­ ritus Sanctus, rnisit me ad vos, demonstrando certam personam. Hoc autem est falsum, quia nulla persona est Pater et Filius et Spiritus Sanctus. Non ergo potest esse commune Tri­ nitati, sed est proprium Filii. Respondeo dicendum quod intellectus noster, qui ex creaturis in Dei cognitionem manudu­ citur, oportet quod Deum consideret secun­ dum modum quem ex creaturis assurnit. In consideratione autem alicuius creaturae, qua­ tuor per ordinem nobis occurrunt. Nam pri­ mo, consideratur res ipsa absolute, inquantum est ens quoddam. Seconda autem consideratio re i est, inquantum est una. Tertia consideratio rei est, secundum quod i nest ei virtus ad operandum et ad causandum. Quarta autem consideratio rei est, secundum habitudinem quam habet ad causata. Unde haec etiam quadruplex consideratio circa Deum nobis occurrit. Secundum igitur primam considera­ tionem, qua considerantr absolute Deus se­ cundum esse suum, sic sumitur appropriatio Hilari i , secundum quam aeternitas appro­ priatur Patri, species Filio, usus Spiritui Sane-

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bra esatto. Infatti l'espressione in lui pare stia a indicare un rapporto di causa finale: e que­ sta è la prima fra tutte le cause. Quindi questo rapporto causale dovrebbe appropriarsi al Padre, che è il principio senza principio. 5. Al Figlio è appropriata la verità, come è det­ to in Gv: Io sono la via, la verità, la vita. E co­ sì pure gli si appropria il titolo di libro della vi­ ta, poiché l'espressione del Sal: All'inizio del libro di me è scritto così viene spiegata dalla Glossa: «Cioè presso il Padre, mio capo». E gli è anche appropriata la fonnula Colui che è: spiegando infatti le parole di /s: Eccomi alle genti, la Glossa aggiunge: «Qui parla il Fi­ glio, il quale a Mosè disse: Io sono Colui che sono». Ma sembra che queste locuzioni costi­ tuiscano dei tennini propri per il Figlio e non dei termini appropriati. Infatti la «vedtà», se­ condo Agostino, è «la somma somiglianza col principio, senza ombra di dissomiglian­ za»: è perciò evidente che conviene come attributo personale al Figlio, che [in quanto tale] deve avere un principio. - Così pure l 'espressione libro della vita sembra essere un qualcosa di proprio, indicando un essere che è derivato da un altro, giacché ogni libro è scrit­ to da qualcuno. - E anche la formula Colui che è pare che sia da riservarsi al Figlio. Se infatti quando a Mosè fu detto: «lo sono colui che sono» avesse parlato la Trinità, Mosè avrebbe potuto dire: Colui che è Padre e Fi­ glio e Spirito Santo mi ha mandato a voi. E quindi avrebbe anche potuto dire: Quella tale

persona [ille] che è Padre e Figlio e Spirito Santo mi ha mandato a voi, indicando una persona determinata. Ma ciò è falso, poiché nessuna persona è Padre e Figlio e Spirito Santo. Quindi [Colui che è] non indica tutta la Trinità, ma soltanto il Figlio. Risposta: il nostro intelletto, che dalle creature è condotto come per mano fino alla conoscenza di Dio, segue necessariamente in questa cono­ scenza i medesimi procedimenti che gli sono familiari nello studio delle creature. Ora, nella considerazione di una qualsiasi creatura ci si presentano successivamente quattro punti di vista. Prinw, si considera la cosa in maniera as­ soluta, cioè in quanto è un certo ente. Secondo, si passa a considerarla in quanto è una. Terzo, si prende in esame la sua capacità di agire e di causare. Quarto, si studiano le sue relazioni con gli effetti. Per cui queste quattro considerazioni

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Le persone in rapporto aLI 'essenza

to [cf. arg. l ] . Aetemitas enim, inquantum significat esse non principiatum, similitudinem habet cum proprio Patris, qui est principium non de principio. Species autem, sive pul­ chritudo, habet similitudinem cum proprii s Filii. Nam ad pulchritudinem tria requiruntur. Primo quidem, integritas sive perfectio, quae enim diminuta sunt, hoc ipso turpia sunt. Et debita proportio sive consonantia. Et iterum claritas, unde quae habent colorem nitidum, pulchra esse dicuntur. Quantum igitur ad pri­ mum, similitudinem habet cum proprio Filii, inquantum est Fi lius habens in se vere et perfecte naturam Patris. Unde, ad hoc innuen­ dum, Augustinus in sua expositione [De Trin. 6, 10] dicit, ubi, scilicet in Filio, summa et pri­ ma vita est, et cetera. Quantum vero ad secun­ dum, convenit cum proprio Filii, inquantum est Imago expressa Patris. Unde videmus quod aliqua imago dicitur esse pulchra, si per­ fecte repraesentat rem, quamvis turpem. Et hoc tetigit Augustinus cum dicit [ibid.], ubi est tanta convenientia, et prima aequalitas, et cetera. Quantum vero ad tertium, convenit cum proprio Filii, inquantum est Verbum, quod quidem lza est, et splendor intellectus, ut Damascenus dicit [De fide 1 , 1 3] . Et hoc tangit Augustinus cum dici t [De Trin. 6, l 0],

tanquam Verbum pe1jectum cui non desit aliquid, et ars quaedam omnipotentis Dei, et

cetera. Usus autem habet similitudinem cum propriis Spiritus Sancti, largo modo accipien­ do usum, secundum quod uti comprehendit sub se etiam tìui; prout uti est assumere ali­ quid in facultatem voluntatis, et frui est cwn gaudio uti, ut Augustinus, 10 De Trin. [I l ] , dicit. Usus ergo quo Pater e t Filius s e invicem fruuntur, convenit cum proprio Spiritus Sane­ ti, inquantum est Amor. Et hoc est quod Au­ gustinus dicit, il/a dilectio, delectatio, felicitas

vel beatitudo, usus ab ilio appellatus est.

Usus vero quo nos fruimur Deo, similitudi­ nem habet cum proprio Spiritus Sancti, in­ quantum est Donum. Et hoc ostendit Augusti­ nus cum dicit [ibid.], est in Trinitate Spiritus

Sanctus, genitoris genitique suavitas, ingenti largitate atque ubertate nos perftmdens. Et

sic patet quare aetemitas, species et usus per­ sonis attribuantur vel approprientur, non au­ tem essentia vel operatio. Quia in ratione ho­ rum, propter sui communitatem, non inve­ nitur aliquid similitudinem habens cum pro-

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ricompaiono anche nella nostra conoscenza delle realtà divine. Dalla prima di queste consi­ derazioni dunque, che consiste nel guardare Dio semplicemente nel suo essere, deriva l'ap­ propriazione proposta da llario, secondo la qua­ le al Padre viene appropriata l'eternità, la specie al Figlio e l'utilità allo Spirito Santo. Infatti l'eternità, significando un essere senza princi­ pio, ha una certa somiglianza con gli attributi personali del Padre, il quale è principio senza principio. Invece la �pecie, ossia la bellezza, presenta una certa analogia con le particolarità personali del Figlio. Per la bellezza, intatti, si richiedono tre doti. In primo luogo l'integrità o peifezione: poiché le cose incomplete, proprio in quanto tali, sono deformi. Poi [si richiede] la debita proporzione o annonia [tra le parti]. Fi­ nalmente la chiarezza o lo splendore: infatti diciamo belle le cose dai colori nitidi e splen­ denti. - Ora, la prima di queste doti presenta una certa somiglianza con quella proprietà per­ sonale del Figlio che consiste nell'avere in sé la natura del Padre in modo integrale e perfetto. E a ciò vuole accennare Agostino quando dice: «In lui», cioè nel Figlio, «c'è vita somma e per­ fetta>>. L'l proporzione, poi, o armonia è affine alle proptietà del Figlio in quanto egli è l' imma­ gine perfetta del Padre. Infatti diciamo che un'immagine è bella quando rappresenta per­ fettamente l'oggetto, anche se questo è defor­ me. E a questo aspetto accenna Agostino con quelle parole: «In lui si trova la perfetta rasso­ miglianza e la somma uguaglianza». La terza dote finalmente, [ossia lo splendore], ha affinità con le doti personali del Figlio poiché questi, in quanto Verbo, «è splendore e luce dell'intellet­ to», come dice il Damasceno. E Agostino vi accenna quando dice: «Come Verbo perfetto a cui nulla manca, e arte o sapienza di Dio onni­ potente». L'utilità, a sua volta, presenta una certa affinità con le proprietà personali dello Spirito Santo, se però l'utilità [o usus] è presa in senso lato, in quanto abbraccia anche il godi­ mento [fruitio]: in quanto cioè usare conispon­ de ad «avere qualcosa a disposizione della propria volontà», e fruire, come dice Agostino, corrisponde a «usare con gioia» di una cosa. Quindi l'utilità, che corrisponde alla fruizione reciproca del Padre e del Figlio, è affine a quel­ l'aspetto tutto personale dello Spirito Santo che è l ' Amore. Ed è precisamente quanto dice Agostino: «Quella dilezione, compiacenza, feli-

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Le persone in rapporto all 'essenza

priis personarum. Secunda vero consideratio Dei est, inquantum consideratur ut unus. Et sic Augustinus Patri appropriat unitatem, Fi­ lio aequalitatem, Spiritui Sancto concordiam sive connexionem [cf. arg. 2]. Quae quidem tria unitatem importare manifestum est, sed differenter. Nam unitas dicitur absolute, non praesupponens aliquid aliud. Et ideo appro­ priatur Patri, qui non praesupponit aliquam personam, cum sit principium non de princi­ pio. Aequalitas autem importat unitatem in respectu ad alterum, nam aequale est quod habet unam quantitatem cum alio. Et ideo aequalitas appropriatur Filio, qui est princi­ pium de principio. Connexio autem importat unitatem aliquorum duorum. Unde appro­ priatur Spiritui Sancto, inquantum est a duo­ bus. Ex quo etiam intelligi potest quod dicit Augustinus, tria esse unum p1vpter Patrem,

aequalia pmpter Filium, connexa pmpter Spi­ ritum Sanctum. Manifestum est enim quod illi

attribuitur unumquodque, in quo primo inve­ nitur, sicut omnia inferiora dicuntur vivere propter animam vegetabilem, in qua primo invenitur ratio vitae in istis inferioribus. Uni­ tas autem statim invenitur in persona Patris, etiam, per impossibile, remotis aliis personis. Et ideo aliae personae a Patre habent unita­ tem. Sed remotis aliis personis, non invenitur aequalitas in Patre, sed statim, posito Filio, invenitur aequalitas. Et ideo dicuntur omnia aequalia propter Filium, non quod Filius sit principium aequalitatis Patri� sed quia, nisi es­ set Patri aequalis Filius, Pater aequalis non posset dici. Aequalitas enim eius primo consi­ deratur ad Filium, hoc enim ipsum quod Spi­ ritus Sanctus Patri aequalis est, a Filio habet. S i militer, excluso Spiri tu Sancto, qui est duorum nexus, non posset intelligi unitas con­ nexionis inter Patrem et Filium. Et ideo di­ cuntur omnia esse connexa propter Spiritum Sanctum, quia, posito Spiritu Sancto, inveni­ tur unde Pater et Filius possint dici connexi. Secundum vero tertiam considerationem, qua in Deo sufficiens virtus consideratur ad cau­ sandum, sumitur tertia appropriatio, scilicet potentiae, sapientiae et bonitatis [cf. arg. 3]. Quae quidem appropriatio fit et secundum rationem similitudinis, si consideretur quod in divinis personis est, et secundum rationem dissimilitudinis, si consideretur quod in crea­ turis est. Potentia enim habet rationem prin-

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cità o beatitudine fu chiamata utilità da Dario». - L' utilità invece che corrisponde alla nostra fruizione di Dio ha una certa somiglianza con l'altro aspetto proprio dello Spirito Santo, che ce lo fa considerare come Dono. Ed è ancora quanto insegna Agostino: «C'è nella Trinità lo Spirito Santo, dolcezza del Padre e del Figlio, che con ingente larghezza e sovrabbondanza ci inebria>>. E chiarito così perché l'eternità, la bellezza e l'utilità siano attribuite e approptiate alle persone, a differenza deli' essenza e dell'o­ perazione. In queste ultime infatti, essendo esse comuni alle tre persone, non vi è nulla che abbia un rapporto di somiglianza con le pro­ prietà particolari di una data persona. La secon­ da considerazione da farsi nei riguardi di Dio consiste nel considerarlo come uno. E in questo senso Agostino appropria al Padre l 'unità, al Figlio l'uguaglianza, allo Spirito Santo la con­ cordia o connessione. È chiaro che tutte e tre queste cose implicano il concetto di unità, ma in modi diversi. L'unità infatti lo implica per se stessa, senz' altro presupposto. E per questo viene appropriata al Padre, che non presuppone un'altra persona, essendo egli principio senza principio. - L'uguaglianza, invece, implica il concetto di unità in correlazione con un'altra cosa: poiché si dice uguale la cosa che ha la stessa quantità di un'altra. E per questo l ugua­ glianza viene appropriata al Figlio, che è princi­ pio derivante da un principio. La connessione, poi, implica l'unità esistente tra due cose. Quin­ di è appropriata allo Spirito Santo, che procede da due. E da queste considerazioni si può inten­ dere poi l' affermazione di Agostino: «Le tre [persone] sono un' unità per i l Padre, sono uguali per il Figlio, sonç_> concordi o connesse per lo Spirito Santo». E evidente infatti che ogni cosa viene attribuita [di preferenza] a quel principio nel quale anzitutto essa si trova: così, per es., si dice che tutti i viventi inferiori vivono per l ' anima vegetativa, essendo essa i l loro primo principio vitale. Ora, l'unità si riscontra immediatamente nel Padre anche se, per impos­ sibile, non esistessero le altre persone. Quindi le altre due l'hanno da lui. - Tolte invece le altre persone, non c'è nel Padre l'uguaglianza, ma essa sorge non appena si pone il Figlio. Quindi le altre persone che vengono denominate uguali lo devono al Figlio. Non che il Figlio causi l'uguaglianza del Padre, ma perché, se non ci fosse un Figlio uguale al Padre, il Padre non '

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cipii. Unde habet similitudinem cum Patre caelesti, qui est principium totius divinitatis. Deficit autem interdum patri terreno, propter senectutem. Sapientia vero similitudinem habet cum Filio caelesti, inquantum est Ver­ bum, quod nihil aliud est quam conceptus sapientiae. Deficit autem interdum filio terre­ no, propter temporis paucitatem. Bonitas autem, cum sit ratio et obiectum amoris , habet similitudinem cum Spirito Divino, qui est Amor. Sed repugnantiam habere videtur ad spiritum terrenum, secundum quod impor­ tat violentam quandam impulsionem; prout dicitur Is. 25 [4], spiritus robustorum quasi turbo impellens parietem. Virtus autem ap­ propriatur Filio et Spiritui Sancto, non secun­ dum quod virtus dicitur ipsa potentia rei, sed secundum quod interdum virtus dicitur i d quod a potentia rei procedit, prout dicimus aliquod virtuosum factum esse virtutem ali­ cuius agentis. Secundum vero quartam consi­ derationem, prout consideratur Deus in habi­ tudine ad suos effectus, sumitur illa appro­ priatio ex quo, per quem, et in quo. Haec enim praepositio ex i mportat quandoque quidem habitudinem causae materialis, quae locum non habet in divinis, aliquando vero habitudinem causae efficientis. Quae quidem competit Deo ratione suae potentiae activae, unde et appropriatur Patri, sicut et potentia. Haec vero praepositio per designat quidem quandoque causam mediam; sicut dicimus quod faber operatur per martellum. Et sic ly per quandoque non est appropriatum, sed proprium Filii, secundum illud Ioan. l [3], omnia per ipsum facta sunt; non quia Filius sit instrumentum, sed quia ipse est principium de principio. Quandoque vero designat habi­ tudinem formae per quam agens operatur; sicut dicimus quod artifex operatur per mtem. Unde, sicut sapientia et ars appropriantur Fi­ lio, ita et ly per quem. Haec vero praepositio in denotat proprie habitudinem continentis. Continet autem Deus res dupliciter. Uno mo­ do, secundum suas similitudines; prout scili­ cet res dicuntur esse in Deo, inquantum sunt in eius scientia. Et sic hoc quod dico in ipso, esset approptiandum Filio. Alio vero modo continentur res a Deo, inquantum Deus sua bonitate eas conservat et gubemat, ad finem convenientem adducendo. Et sic ly in quo appropriatur Spiritui Sancto, sicut et bonitas.

potrebbe essere detto uguale: poiché la sua uguaglianza viene considerata anzitutto in ordi­ ne al Figlio. Infatti anche lo Spirito Santo, se può dirsi uguale al Padre, lo deve al Figlio. Così pure, se si esclude lo Spirito Santo, che è il nesso tra i due, non si potrebbe intendere l'unità di connessione tra il Padre e il Figlio. Per cui si dice che tutte le persone sono connesse per lo Spirito Santo: perché solo dopo che si è posto lo Spirito Santo si vede come possano dirsi connessi il Padre e il Figlio. Dalla terza consi­ derazione invece, che consiste nel prendere in esame l'efficacia di Dio nel causare, si desume la ternt appropriazione, quella cioè della poten­ za, della sapienza e della bontà. Tale appropria­ zione, se si bada a quanto di positivo si trova [in forza delle loro denominazioni: Padre, Figlio...] nelle persone divine, viene fatta per via di somi­ glianza; se invece si bada a quanto di negativo [in forza di tali denominazioni] c'è nelle creatu­ re, allora è tatta per via di dissomiglianza. La potenza infatti presenta l'aspetto di principio. E per questo ha una certa affinità con il Padre celeste, che è il principio di tutta la divinità. Invece talora viene a mancare nel padre terreno, in conseguenza della vecchiaia. - La sapienza poi offre una somiglianza col Figlio celeste che, i n quanto Verbo, non è altro che il concetto della sapienza. Ma talora viene a mancare nei figli terreni, per la loro tenera età. La bontà infine, che è il movente e l'oggetto dell'amore, ha una certa analogia con lo Spirito divino, che è l'Amore. Invece si presenta come elemento estraneo allo spirito terreno, in quanto questo implica l'idea di violenza e di urto, secondo quanto è detto in /s: Lo spirito dei prepotenti è -

come una tempesta che abbatte le muraglie. Quanto alla virtù, essa è appropriata al Figlio e

allo Spirito Santo non nel significato di potenza, ma in quello di effetto della potenza, come le imprese poderose di qualcuno sono dette sue virtù. Stando finalmente alla quarta considera­ zione, che consiste nel prendere in esame i rap­ porti esistenti fra Dio e le realtà create, abbiamo l'appropriazione dei termini ex quo (dal quale), per quem (per il quale) e in quo (nel quale). La preposizione ex, infatti, alcune volte indica un rapporto di causa materiale [ex = dt], ma questa causa in Dio non può aver luogo. Altre volte, invece, indica un rapporto di causa efficiente [ex = da]. Causalità, questa, che conviene a Dio a motivo della sua potenza attiva: quindi

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Nec oportet quod habitudo causae finalis, quamvis sit prima causarum, approprietur Pa­ tri, qui est principium non de principio, quia personae divinae, quarum Pater est princi­ pium, non procedunt ut ad finem, cum quae­ libet illarum sit ultimus finis; sed naturali pro­ cessione, quae magis ad rationem naturali s potentiae pertinere videtur. Ad illud vero quod de aliis quaeritur [cf. arg. 5], dicendum quod veritas, cum pertineat ad in­ tellectum, ut supra [q. 1 6 a. l ] dictum est, ap­ propriatur Filio, non tamen est proprium eius. Quia veritas, ut supra [ibid.] dictum est, consi­ derari potest prout est in intellectu, vel prout est in re. Sicut igitur intellectus et res essentia­ liter sumpta sunt essentialia et non personalia, ita et veritas. Definitio autem Augustini induc­ ta, datur de veritate secundum quod appropria­ tue Filio. Liber autem vitae in recto quidem i mportat notitiam, sed in obliquo vitam, est enim, ut supra [q. 24 a. l ] dictum est, notitia Dei de his qui habituri sunt vitam aetemam. Unde appropriatur Filio, licet vita approprietur Spiritui Sancto, inquantum importat quendam interiorem motum, et sic convenit cum proprio Spiritus Sancti, inquantum est Amor. Esse autem scriptum ab alia, non est de ratione libri inquantum est liber; sed inquantum est quod­ dam artificiatum. Unde non importat origi­ nem, neque est personale, sed appropriatum personae. Ipsum autem qui est appropriatur personae Filii, non secundum propriam ratio­ nem, sed ratione adiuncti, inquantum scilicet in locutione Dei ad Moysen, praefigurabatur liberatio humani generis, quae facta est per Filium. Sed tamen, secundum quod ly qui sumitur relative, posset referre interdum per­ sonam Filii, et sic sumeretur personaliter, ut puta si dicatur, Filius est genitus qui est; sicut et Deus genitus personale est. Sed infinite sumptum est essentiale. Et licet hoc pronomen iste, grammatice loquendo, ad aliquam certam personam videatur pertinere; tamen quaelibet res demonstrabilis, grammatice loquendo, persona dici potest, licet secundum rei na­ turam non sit persona; dicimus enim iste lapis, et iste asinus. Unde et, grammatice loquendo, essentia divina, secundum quod significatur et supponitur per hoc nomen Deus, potest demonstrari hoc pronomine iste; secundum illud Ex. 15 [2], iste Deus meus, et glorificabo

eum.

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[l'espressione dal quale] viene appropriata al Padre come la potenza. La preposizione per, invece, qualche volta designa una causa inter­ media, come quando diciamo che il fabbro opera per il martello. Allora il per non è un ter­ mine appropriato, ma addirittura proprio ed esclusivo del Figlio, secondo l'espressione di Gv: Tutto è stato fatto per lui. Non perché il Figlio sia uno strumento, ma perché è un prin­ cipio derivante da un principio. Altre volte inve­ ce [il per] indica un rapporto con la forma che serve alla causa agente per operare, come quan­ do diciamo che l'rutefice opera per la sua arte. E in questo senso il per quem viene appropriato al Figlio allo stesso modo della sapienza e del­ l'arte. - La preposizione in, infine, indica pro­ priamente un rappotto di contenenza. Ora, Dio contiene le cose in due modi. Primo, per le loro idee o immagini rappresentative, cioè in quanto esse sono in Dio come oggetto della sua scien­ za. E allora l'espressione in lui andrebbe appro­ priata al Figlio. Secondo, in quanto egli con la sua bontà le conserva e col suo governo le fa giungere al l oro fine. E i n questo caso l ' espressione nel quale va appropriata allo Spirito Santo, come la bontà E non è necessa­ rio che il rapporto di causa finale, la prima fra tutte le cause, sia appropriato al Padre, che è il principio senza principio: poiché le persone divine, di cui il Padre è ptincipio, non procedo­ no da lui come tendenti a un fine, essendo ognuna di esse l'ultimo fine, ma per processio­ ne naturale, che è piuttosto rispondente all'attri­ buto essenziale della potenza.

Quanto poi alle altre attribuzioni di cui parlano le difficoltà, rispondiamo che la verità, come si

è detto altrove, per la sua connessione con l'intelletto è un termine appropriato al Figlio, ma non ne è un termine proprio. La verità infat­ ti può essere considerata, secondo le osserva­ zioni già fatte, come è nell' intelletto [verità logica e di conoscenza] o come è nelle cose [verità antologica] . Come dunque [parlando di Dio] intelletto e cosa sono termini che di per sé si riferiscono ali' essenza e non alle persone, così è anche per la verità. Ora, Agostino, nella definizione riferita, ha di mira la verità in quan­ to è appropriata al Figlio. Per quanto riguarda il libro della vita, notiamo che direttamente esso implica l'idea di conoscenza e indirettamente quella di vita: poiché, come si è detto, esso è la conoscenza che Dio ha di coloro che giunge-

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ranno alla vita eterna. Quindi va appropriato al Figlio, sebbene la vita venga appropriata allo Spirito Santo, in quanto include il concetto di moto interiore, che ha una certa affinità con ciò che è proprio dello Spirito Santo, cioè con l'Amore. - Che poi il libro sia sctitto da qualcu­ no non conviene al libro come libro, ma solo come prodotto dell'arte. Quindi esso non com­ porta di per sé oligine e non è un attributo per­ sonale, ma solo appropriato a una persona. Infine l'espressione Qui est [Colui che è] non viene approptiata al Figlio di per sé, ma per delle considerazioni occasionali: in quanto cioè in quelle parole dette da Dio a Mosè era prefi­ gurata la liberazione del genere umano che fu poi operata dal Figlio. Tuttavia, se il Qui [Colui che] viene preso come relativo, potrebbe anche essere riferito alla persona del Figlio, e allora significherebbe la persona: nella frase, per es., il Figlio è il Qui est generato, il relativo è un ter­ mine personale, come Dio generato. Preso però senza determinazioni, [Qui est] è un appellativo essenziale. - E quantunque il pronome determi­ nativo questi [iste], grammaticalmente parlan­ do, sembri rifetirsi a una determinata persona, tuttavia si osservi che qualunque cosa indicabile in particolare può essere grammaticalmente chiamata persona, sebbene non lo sia nella real­ tà. Diciamo infatti questa pietra, questo asino. Quindi, grammaticalmente parlando, l'essenza divina medesima, significata e designata dal no­ me Dio, può essere indicata col pronome dimo­ strativo questi [iste], come è detto in Es: Questi

è il mio Dio e lo glorificherò.

QUAESTI0 40 DE PERSONIS IN COMPARATIONE AD RELATIONES SIVE PROPRIETATES Deinde quaeritur de personis in comparatione ad relationes sive proprietates. Et quaeruntur quatuor. Primo, utrum relatio sit idem quod persona. Secundo, utrum relationes distin­ guant et constituant personas. Tertio, utrum, abstractis per intellectum relationibus a perso­ nis, remaneant hypostases distinctae. Quarto, utrum relationes, secundum intellectum, prae­ supponant actus personarum, vel e converso.

QUESTIONE 40 LE PERSONE IN RAPPORTO ALLE RELAZIONI O PROPRIETÀ Passiamo ora a trattare delle persone in rap­ porto alle relazioni o proprietà. Si pongono quattro quesiti: l . Le relazioni e le persone sono la stessa cosa? 2. Le relazioni distinguo­ no e costituiscono le persone? 3. Eliminate mentalmente le relazioni dalle persone, le ipostasi restano distinte? 4. Le relazioni pre­ suppongono concettualmente gli atti delle persone, o viceversa?

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Articulus l Utrum relatio sit idem quod persona Ad primum sic proceditur. Videtur quod in divinis non sit idem relatio quod persona. l . Quaecumque enim sunt idem, multiplicato uno eorum, multiplicatur et aliud. Sed contingit in una persona esse plures relationes, sicut in persona Patris est paternitas et communis spirn­ tio, et iterum unam relationem in duabus perso­ nis esse, sicut communis spimtio est in Patre et Filio. Ergo relatio non est idem quod persona. 2. Praeterea, nihil est in seipso, secundum philosophum, in 4 Phys. [3,2]. Sed relatio est in persona. Nec potest dici quod mtione iden­ titatis, quia sic esset etiam in essentia. Ergo relatio sive proprietas et persona non sunt idem in divinis. 3. Praeterea, quaecumque sunt idem, ita se habent, quod quidquid praedicatur de uno, praedicatur et de alio. Non autem quidquid praedicatur de persona, praedicatur de pro­ prietate. Dicimus enim quod Pater generat, sed non dicimus quod paternitas sit generans. Ergo proprietas non est idem quod persona in divinis. Sed contra, in divinis non differt quod est et quo est, ut habetur a Boetio in libro De hebd. [cf. prop. 7, l ] . Sed Pater paternitate est Pater. Ergo Pater idem est quod paternitas. Et eadem ratione aliae proprietates idem sunt cum personis. Respondeo dicendum quod circa hoc aliqui diversimode opinati sunt. Quidam enim dixe­ runt proprietates neque esse personas, neque in pcrsonis. Qui fuerunt moti ex modo signifi­ candi relationum, quae quidem non signifi­ cant ut in aliquo, sed magis ut ad aliquid. Un­ de dixerunt relationes esse assistentes, sicut supra [q. 28 a. 2] expositum est. Sed quia relatio, secundum quod est quaedam res i n divinis, est ipsa essentia; essentia autem idem est quod persona, ut ex dictis [q. 39 a. l] pa­ tet; oportet quod relatio sit idem quod perso­ na. Hanc igitur identitatem alii considerantes, dixenmt proprietates quidem esse personas, non autem in personis, quia non ponebant proprietates in divinis nisi secundum modum loquendi, ut supra dictum est. Necesse est autem ponere proprietates in divinis, ut supm ostendimus [ibid.]. Quae quidem significantur in abstmcto, ut quaedam formae personarum.

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Articolo l In Dio, le relazioni e le persone sono la stessa cosa? Sembm di no. Infatti: l . Quando due cose sono identiche, moltipli­ cata l'una viene moltiplicata anche l'altra. Ora, invece, capita che nella stessa persona divina vi siano più relazioni : nella persona del Padre, per es., c'è la paternità e la spira­ zione; oppure avviene che un'unica relazione si trovi in due diverse persone, come la co­ mune spirazione si trova nel Padre e nel Fi­ glio. Quindi la relazione non può identificarsi con la persona. 2. Secondo il Filosofo, nessuna cosa può essere in se stessa. Ma le relazioni sono nelle persone. E non si può dire che ciò avvenga in forza del­ l'identità: perché allora sarebbero anche nel­ l'essenza. Quindi le relazioni o proprietà in Dio non si identificano con le persone. 3. Trattandosi di cose identiche, ciò che si predica di una si può predicare anche dell'al­ tra. Ma non tutto ciò che si dice delle persone può dirsi delle proprietà. Diciamo infatti che il Padre genera, ma non diciamo che la pater­ nità è generante. Perciò in Dio le proprietà non si identificano con le persone. In contrario: come fa osservare Boezio, in Dio non differiscono il quod est [il soggetto] e il quo est [la forma]. Om, il Padre è Padre in forza della [forma] della paternità. Quindi il Padre si identifica con la paternità. E per lo stesso motivo anche le altre relazioni si identi­ ficano con le persone corrispondenti. Risposta: su questo argomento vi furono di­ verse opinioni. Alcuni dissero che le proprietà non sono le persone e neppure si trovano nelle persone. E furono a ciò indotti dal modo di significare proprio delle relazioni, le quali e­ sprimono il loro significato non come qualcosa di inerente a un soggetto, ma come qualcosa che si riferisce a un termine. Per cui, come si è visto, le dissero assistenti [o contigue]. Om, invece, le relazioni si identificano necessaria­ mente con le persone: poiché le relazioni reali sono la stessa essenza divina, la quale a sua volta si identifica con le persone, come si è già spiegato. Altri dunque, badando a questa iden­ tità, dissero che le proprietà corrispondono indubbiamente alle persone, però non sareb­ bero nelle persone: poiché, come si è visto, -

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Unde, cum de ratione formae sit, quod sit in eo cuius est forma, oportet dicere proprietates esse in personis, et eas tamen esse personas; sicut essentiam esse in Deo dicimus, quae tamen est Deus. Ad primum ergo dicendum quod persona et proprietas sunt idem re, differunt tamen se­ cundum rationem. Unde non oportet quod, multiplicato uno, multiplicetur reliquum. Con­ siderandum tamen est quod, propter divinam simplicitatem, consideratur duplex realis identitas in divinis eorum quae differunt in rebus creatis. Quia enim divina simplicitas excludit compositionem formae et materiae, sequitur quod in divinis idem est abstractum et concretum, ut deitas et Deus. Quia vero divina simplicitas excludit compositionem subiecti et accidentis, sequitur quod quidquid attribuitur Deo, est eius essentia, et propter hoc sapientia et virtus idem sunt in Deo, quia ambo sunt in divina essentia. Et secundum hanc duplicem rationem identitatis, proprietas in divinis est idem cum persona. Nam pro­ prietates personales sunt idem cum personis, ea ratione qua abstractum est idem cum con­ creto. Sunt enim ipsae personae subsistentes; ut patemitas est ipse Pater, et filiatio Filius, et processio Spiritus Sanctus. Proprietates autem non personales sunt idem cum personis se­ cundum aliam rationem identitatis, qua omne illud quod attribuitur Deo, est eius essentia. Sic igitur communis spiratio est idem cum persona Patris et cum persona Filii, non quod sit una persona per se subsistens; sed, sicut una essentia est in duabus personis, ita et una proprietas, ut supra [q. 30 a. 2] dictum est. Ad secundum dicendum quod proprietates dicuntur esse in essentia, per modum identita­ tis tantum. In personis autem dicuntur esse per modum identitatis, non quidem secundum rem tantum, sed quantum ad modum signifi­ candi, sicut forma in supposito. Et ideo pro­ prietates determinant et distinguunt personas, non autem essentiam. Ad tertium dicendum quod participia et verba notionalia significant actus notionales. Actus autem suppositorum sunt. Proprietates autem non significantur ut supposita, sed ut formae suppositorum. Et ideo modus significandi repugnat, ut participia et verba notionalia de proprietatibus praedicentur [cf. q. 32 a. 2 ad 2].

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essi non ammettevano le proprietà in Dio se non come nostri modi di dire. - Ora invece è necessario ammettere le proprietà in Dio, co­ me si è già detto. Proprietà che in astratto si in­ dicano come certe forme delle persone. Ma le forme si trovano nel soggetto di cui sono for­ me: quindi si deve dire che le proprietà sono nelle persone, e ciò nondimeno sono le perso­ ne: allo stesso modo in cui diciamo che l'es­ senza divina è in Dio, eppure è Dio medesimo. Soluzione delle difficoltà: l . Le persone e le proprietà sono in realtà la stessa cosa, ma dif­ feriscono concettualmente: quindi non ne segue che, moltiplicando le une, si moltiplichino an­ che le altre. - Si deve però considerare che, data la semplicità divina, c'è in Dio una doppia identità reale rispetto a quelle cose che nelle creature differiscono realmente. Dato infatti che la semplicità divina esclude la composizione di forma e materia, ne segue che in Dio l'astratto è identico al concreto: per es. la divinità è Dio. In quanto poi la semplicità divina esclude l a composizione di soggetto e d i accidenti, ne se­ gue che qualsiasi attributo di Dio è la sua es­ senza: quindi la sapienza e la potenza, in Dio, sono la stessa cosa, essendo tutte e due nell'es­ senza divina. E secondo queste due specie di identificazione le proprietà in Dio si identifica­ no con le persone. Infatti le proprietà personali si identificano con le persone per lo stesso moti­ vo per cui l'astratto si identifica con il concreto. Sono intatti le stesse persone sussistenti: la pa­ ternità è il Padre, la filiazione il Figlio, la pro­ cessione lo Spirito Santo. Invece le proprietà non personali si identificano con le persone se­ condo l'altro modo di identificazione, in forza della quale tutto ciò che viene attribuito a Dio è la sua stessa essenza. E in tal modo la spirazio­ ne comune è tutt'uno con la persona del Padre e con la persona del Figlio: non perché sia una persona per sé sussistente, ma perché, secondo quanto si è detto, come unica è l'essenza delle due persone, così unica è la proprietà. 2. Si dice che le proprietà sono nell' essenza perché si identificano con essa. Si dice invece che sono nelle persone non soltanto perché si identificano realmente con esse, ma anche per il loro significato particolare di forme esistenti in un soggetto. E così le proprietà determinano e distinguono le persone, ma non l'essenza. 3. I participi e i verbi nozionali significano gli atti nozionali . Ma gli atti appartengono ai

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suppositi, mentre le proprietà non hanno il si­ gnificato di suppositi, ma di forme dei suppo­ siti. Quindi il loro significato particolare im­ pedisce che i participi e i verbi nozionali ven­ gano attribuiti alle proprietà. Articulus 2 Utrum personae distinguantur per relationes

Articolo 2 Le persone si distinguono per le relazioni?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod personae non distinguantur per relationes. l . Simplicia enim seipsis distinguuntur. Sed personae divinae sunt maxime simplices. Er­ go distinguuntur seipsis, et non relationibus. 2. Praeterea, nulla forma distinguitur nisi se­ cundum suum genus, non enim album a nigro distinguitur nisi secundum qualitatem. Sed hypostasis significat individuum in genere substantiae. Non ergo relationibus hypostases distingui possint. 3. Praeterea, absolutum est prius quam rela­ tivum. Sed prima distinctio est distinctio divi­ narum personarum. Ergo divinae personae non distinguuntur relationibus. 4. Praeterea, id quod praesupponit distinctio­ nem, non potest esse primum distinctionis principium. Sed relatio praesupponit distinc­ tionem, cum in eius definitione ponatur, esse enim relativi est ad aliud se habere [Cat. 5,24]. Ergo primum principium distinctivum in divinis non potest esse relatio. Sed contra est quod Boetius dicit, in libro De Trin. [6], quod sola relatio multiplicat Trinita­ tem divinarum personarum. Respondeo dicendum quod in quibuscumque pluribus invenitur aliquid commune, oportet quaerere aliquid distinctivum. Unde, cum tres personae conveniant secundum essentiae uni­ tate m, necesse est quaerere aliquid quo distinguantur, ad hoc quod plures sint. Inve­ niuntur autem i n divinis personis duo se­ cundum quae differunt, scilicet origo, et rela­ tio. Quae quidem quamvis re non difì'erant, differunt tamen secundum modum signifi­ candi, nam origo significatur per modum actus, ut generatio; relatio vero per modum fonnae, ut patemitas. Quidam igitur, atten­ dentes quod relatio consequitur actum, dixe­ runt quod hypostases in divinis distinguuntur per originem; ut dicamus quod Pater distin­ guitur a Filio, inquantum ille generat et hic

Sembra di no. Intàtti: l . Le cose semplici si distinguono per se stes­ se. Ma le persone divine sono massimamente semplici. Quindi si distinguono per se stesse, e non per le relazioni. 2. Le forme si distinguono tra loro soltanto secondo il loro genere: come il bianco non si può distinguere dal nero se non secondo la qualità. Ma l'ipostasi significa un individuo nel genere della sostanza. Quindi le ipostasi divine non possono distinguersi per le relazioni. 3. L'assoluto è prima del relativo. Ma la di­ stinzione delle divine persone è prima di ogni altra distinzione. Quindi esse non possono distinguersi per le relazioni. 4. Ciò che suppone una distinzione non può essere il primo principio di distinzione. Ma la relazione suppone una distinzione, essendo questa inclusa nella sua definizione: infatti l'essenza di ciò che è relativo consiste «nel­ l' essere riferito a un' altra cosa». Quindi il primo principio di distinzione in Dio non può essere la relazione. In contrario: Boezio afferma: «La sola relazio­ ne detennina la Trinità» delle persone divine. Risposta: quando più cose formano un'unità, è necessario che vi sia un elemento che le distingua. Ma le tre persone formano un' unità di essenza, quindi bisogna trovare qualcosa per cui esse possano distinguersi numerica­ mente fra di loro. Ora, si possono rilevare nelle persone divine due princìpi di distinzio­ ne, cioè le origini e le relazioni. Queste poi non differiscono realmente tra loro, ma diffe­ riscono per il loro modo particolare di signi­ ficare: infatti l'origine sta a indicare un atto, per es. la generazione, mentre la relazione sta a indicare una forma, per es. la paternità. Per questo alcuni, considerando che le relazioni dipendono dagli atti, sostennero che in Dio le ipostasi si distinguono per le origini, sicché dovremmo dire che il Padre si distingue dal

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est genitus. Relationes autem sive proprie­ tates manifestant consequenter hypostasum sive personarum distinctiones, sicut et i n creaturis proprietates manifestant distinctio­ nes individuorum, quae fiunt per materialia principia. Sed hoc non potest stare, propter duo. Primo quidem, quia ad hoc quod aliqua duo distincta intelligantur, necesse est eorum distinctionem intelligi per aliquid intrinsecum utrique; sicut in rebus creatis vel per ma­ teriam, vel per formam. Origo autem alicuius rei non signiticatur ut aliquid intrinsecum, sed ut via quaedam a re vel ad rem, sicut generatio significatur ut via quaedam ad rem genitam, et ut progrediens a generante. Unde non potest esse quod res genita et generans distinguantur sola generatione, sed oportet intelligere tam in generante quam in genito ea quibus ab invicem distinguuntur. In persona autem divina non est aliud intelligere nisi essentiam et relationem sive proprietatem. Unde, cum in essentia conveniant, relinquitur quod per relationes personae ab invicem distinguantur. Secundo, quia distinctio in divinis personis non est sic intelligenda, quasi aliquid commune dividatur, quia essentia communis remanet indivisa, sed oportet quod ipsa distinguentia constituant res distinctas. S ic autem relationes vel proprietates dis­ tinguunt vel constituunt hypostases vel per­ sonas, inquantum sunt ipsae personae sub­ sistentes, sicut patemitas est Pater, et filiatio est Filius, eo quod in divinis non differt abs­ tractum et concretum. Sed contra rationem originis est, quod constituat hypostasim vel personam. Quia origo active significata, significatur ut progrediens a persona subsi­ stente, unde praesupponit eam. Origo autem passive significata, ut nativitas, significatur ut via ad personam subsistentem; et nondum ut eam constituens. Unde melius dicitur quod personae seu hypostases distinguantur re­ lationibus, quam per originem. Licet enim distinguantur utroque modo, tamen prius et principalius per relationes, secundum modum intelligend i . Unde hoc nomen Pater non solum signifi cat proprietatem, sed etiam hypostasim, sed hoc nomen genitor, vel gene­ rans, signiticat tantum proprietatem. Quia hoc nomen Pater significat relationem, quae est distinctiva et constitutiva hypostasis, hoc autem nomen generans, vel genitus, significat

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Figlio perché quegli genera e questi è genera­ to. Quindi le relazioni o proprietà indichereb­ bero soltanto indirettamente la distinzione delle ipostasi o persone: come nelle creature le proprietà manifestano la distinzione delle singole cose, che invece dipende dalla loro causa materiale. Ma ciò non può essere am­ messo per due motivi. - Primo, perché a far sì che due cose possano apparire distinte è ne­ cessario scorgere la loro distinzione in dipen­ denza da qualcosa di intrinseco: per es. dalla materia o dalla forma, trattandosi di realtà create. Ora, l' origine non significa qualcosa di intrinseco, ma un passaggio da una cosa a un'altra: così la generazione si presenta come una via che parte dal generante e termina nel generato. Quindi non è possibile che il gene­ rato e il generante si distinguano soltanto per la generazione, ma bisogna scorgere tanto nell'uno quanto nell' altro qualcosa di anterio­ re per cui essi si distinguono tra loro. Ora, nelle persone divine non troviamo altro che l'essenza e le relazioni, o proprietà. Ma sicco­ me l'essenza è identica, le persone non posso­ no distinguersi altro che per le relazioni. Secondo, perché la distinzione tra le persone divine non va intesa come una divisione di qualcosa ad esse comune, dato che l'essenza, che è loro comune, resta indivisa, ma è neces­ sario che gli stessi princìpi che le distinguono le costituiscano anche come entità distinte. E in questo modo, appunto, le relazioni o pro­ prietà distinguono e costituiscono le persone o ipostasi, in quanto sono le stesse persone sussistenti: così la paternità è il Padre e la fi­ liazione è il Figlio, non essendoci in Dio dif­ ferenza fra astratto e concreto. Invece ripugna al concetto stesso di origine costituire l' ipo­ stasi o la persona. Poiché l'origine, ali' attivo, ha il significato di atto che procede da una persona sussistente, e quindi presuppone la persona; l'origine al passivo invece, per es. la nascita, sta a indicare una persona sussistente in divenire, e quindi non la costituisce. Perciò è più giusto dire che le persone o ipostasi, anziché dalle origini, sono distinte dalle rela­ zioni. Sebbene infatti si distinguano in tutti e due i modi, tuttavia secondo la nostra maniera di intendere si distinguono prima di tutto e principalmente per le relazioni. - Quindi i l nome Padre non significa soltanto l a pro­ prietà, ma anche l' ipostasi: invece il termine

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Q. 40, A. 2

originem, quae non est distinctiva et constitu­ tiva hypostasis. Ad primum ergo dicendum quod personae sunt ipsae relationes subsistentes. Unde non repugnat simplicitati divinarum personarum, quod relationibus distinguantur. Ad secundum dicendum quod personae divi­ nae non distinguuntur in esse in quo subsi­ stunt, neque in aliquo absoluto, sed solum secundum id quod ad aliquid dicuntur. Unde ad earum distinctionem sufficit relatio. Ad tertium dicendum quod quanto distinctio prior est, tanto propinquior est unitati. Et ideo debet esse minima. Et ideo distinctio persona­ rum non debet esse nisi per id quod minimum distinguit, scilicet per relationem. Ad quartum dicendum quod relatio praesup­ ponit distinctionem suppositorum, quando est accidens, sed si relatio sit subsistens, non praesupponit, sed secum fert distinctionem. Cum enim dicitur quod relativi esse est ad aliud se habere, per ly aliud intelligitur corre­ lativum, quod non est prius, sed simul natura.

Genitore o Generante esprime soltanto la pro­ prietà. Padre infatti significa la relazione che distingue e costituisce l'ipostasi, mentre Ge­ nerante o Generato significa l'origine, che non distingue e non costituisce l'ipostasi. Soluzione delle difficoltà: l . Le persone sono le stesse relazioni sussistenti. Quindi non ripugna alla semplicità delle persone divine l'essere distinte dalle relazioni. 2. Le persone divine non si distinguono tra loro nell'essere sostanziale, né in qualche altro attri­ buto assoluto, ma solo per il rapporto recipro­ co. Quindi per distinguerle basta la relazione. 3. Quanto più una distinzione è primordiale, tanto più è vicina all'unità. Quindi deve essere la minima. E così la distinzione delle persone divine non può essere se non per ciò che distin­ gue in grado minimo, cioè per la relazione. 4. La relazione, quando è un accidente, pre­ suppone certamente la distinzione dei sogget­ ti ; quando però è sussistente, non presuppone, ma implica essa stessa tale distinzione. Quan­ do infatti si dice che l'essenza del relativo consiste nel riferirsi ad altro, altro designa il correlativo, che non è anteriore, ma simulta­ neo per natura.

Articulus 3 Utrum abstractis per intellectum relationibus a personis, adhuc remaneant hypostases

Articolo 3 Facendo astrazione dalle relazioni, le persone possono ancora essere concepite come ipostasi?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod, abstrac­ tis per intellectum proprietatibus seu relatio­ nibus a personis, adhuc remaneant hypostases. l . Id enim ad quod aliquid se habet ex addi­ tione, potest intelligi remoto eo quod sibi ad­ ditur, sicut homo se habet ad animai ex addì­ tione, et potest intelligi animai remoto ratio­ nali. Sed persona se habet ex additione ad hypostasim, est enim persona hypostasis pro­

Sembra di sì. Infatti: l . L'idea inclusa in un'altra idea che le ag­ giunge [una differenza specifica] può essere concepita anche eliminando questa aggiunta: come uomo aggiunge una differenza ad ani­ male, e si può concepire l'animale anche se si elimina l'aggiunta razionale. Ora, la persona è un' aggiunta fatta al concetto di ipostasi: essa infatti è «un'ipostasi distinta da una pro­ prietà che esprime dignità». Togliendo quindi dalla persona questa proprietà personale, resta ancora l'ipostasi. 2. Ciò che dà al Padre di essere Padre è diver­ so da ciò che gli dà di essere qualcuno. Infatti egli è Padre in forza della paternità: se dunque questa gli desse anche di essere qualcuno, il Figlio che non ha la paternità non sarebbe qualcuno. Tolta quindi mentalmente dal Padre la paternità, egli rimane ancora qualcuno: cioè rimane l' ipostasi. Quindi, pur eliminando le

prietate distincta ad dignitatem pertinente

[cf. q. 29 a. 2 ad 2]. Ergo, remota proprietate personali a persona, intelligitur hypostasis. 2. Praeterea, Pater non ab eodem habet quod sit Pater, et quod sit aliquis. Cum enim pater­ nitate sit Pater, si paternitate esset aliquis, se­ queretur quod Filius, in quo non est paterni�1S, non esset aliquis. Remota ergo per intellectum paternitate a Patre, adhuc remanet quod sit aliquis; quod est esse hypostasim. Ergo, remo­ ta proprietate a persona, remanet hypostasis.

Q. 40, A. 3

Le persone in rapporto alle relazioni o proprietà

3. Praeterea, Augustinus dicit, 5 De Trin. [6],

non hoc est dicere ingenitum, quod est dicere Patrem, quia etsi Filium non genuisset, nihil prohiberet eum dicere ingenitum. Sed si Fi­

lium non genuisset, non inesset ei patemitas. Ergo, remota patemitate, adhuc remanet hy­ postasis Patris ut ingenita. Sed contra est quod Hilarius dicit, 4 De Trin. [10], nihil habet Filius nisi natum. Nativitate autem est Filius. Ergo, remota filiatione, non remanet hypostasis Filii. Et eadem ratio est de aliis personis. Respondeo dicendum quod duplex fit abstrac­ tio per intellectum. Una quidem, secundum quod universale abstrahitur a particulari, ut animai ab homine. Alia vero, secundum quod forma abstrahitur a materia; sicut forma circuii abstrahitur per intellectum ab omni materia sensibili. Inter has autem abstrac­ tiones haec est differentia, quod in abstrac­ tione guae tit secundum universale et parti­ culare, non remanet id a quo fit abstractio, remota enim ab homine differentia rationali, non remanet in intellectu homo, sed solum animai. In abstractione vero guae attenditur secundum formam et materiam, utrumque manet in intellectu, abstrahendo enim for­ mam circuii ab aere, remanet seorsum in intellectu nostro et intellectus circuii et intel­ lectus aeris. Quamvis autem in divinis non sit universale neque particulare, nec forma et materia, secundum rem; tamen, secundum modum signiticandi, invenitur aliqua sirni­ litudo horum in divinis; secundum quem modum Damascenus dicit [De fide 3,6] quod

commune est substantia, particulare vero hypostasis. Si igitur loquamur de abstractio­

ne guae fit secundum universale et particula­ re, remotis proprietatibus, remanet in intel­ lectu essentia communis, non autem hypo­ stasis Patris, guae est quasi particulare. Si vero loquamur secundum modum abstractio­ nis formae a materia, remotis proprietatibus non personalibus, remanet intellectus hypo­ stasum et personarum, sicut, remoto per in­ tellectum a Patre quod sit ingenitus vel spi­ rans, remanet hypostasis vel persona Patris. Sed remota proprietate personali per intel­ lectum, tollitur intellectus hypostasis. Non enim proprietates personales sic intelliguntur advenire hypostasibus divinis, sicut forma subiecto praeexistenti, sed ferunt secum sua

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proprietà dalle persone, rimangono tuttavia le ipostasi. 3. Agostino insegna: «Dire ingenito non è lo stesso che dire Padre: perché anche se egli non avesse generato il Figlio, nulla vieterebbe di dirlo ancora ingenito». Ma se non avesse generato il Figlio, non avrebbe la paternità. Quindi, anche se togliamo questa, rimane tut­ tavia l' ipostasi del Padre come non generata. In contrario: Ilruio afferma: «Il Figlio non ha in proprio altra cosa che l'essere nato». Ma egli è Figlio in forza della nascita. Tolta quin­ di la filiazione, non rimane l'ipostasi del Fi­ glio. E lo stesso si dica delle altre persone. Risposta: esiste una duplice astrazione [o se­ parazione] mentale. Una è quella con cui si astrae l'universale dal particolare, per es. ani­ male da uomo. L'altra, invece, è quella con cui si astrae la forma dalla materia: come per es. si astrae la figura del cerchio dalla materia sensibile. Tra queste due astrazioni c'è però questa differenza, che nella prima, in cui si astrae l'universale dal particolare, non rimane [nella mente] ciò da cui fu astratto l'universa­ le: tolta infatti dall' uomo la razionalità, non resta più nella mente il concetto di uomo, ma soltanto quello di animale. Invece nell'astra­ zione [formale], che separa la forma dalla materia, l'una e l'altra rimangono [separata­ mente] nell'intelletto: astraendo infatti la for­ ma del cerchio dal bronzo, restano nel nostro intelletto separatamente il concetto di cerchio e quello di bronzo. Ora, in Dio non c'è real­ mente né l'universale né il particolare, né la forma né il soggetto; tuttavia, se si bada al nostro modo di esprimere la realtà divina, vi si trova qualcosa di simile: e in questo senso il Damasceno afferma: «La sostanza è universa­ le, l'ipostasi invece particolare». Se dunque parliamo dell'astrazione [totale], con cui si astrae l'universale dal particolare, tolte le pro­ prietà [o relazioni] resta l'essenza comune [alle tre persone divine], non però l'ipostasi del Padre, che tigura come particolare. Se invece parliamo dell'astrazione [formale], che astrae la forma dalla materia, allora togliendo le proprietà non personali rimane il concetto delle ipostasi e delle persone: togliendo per es. dal Padre l' idea di non generato e di spira­ tore, rimane il concetto di ipostasi o di perso­ na del Padre. Se però eliminiamo mentalmen­ te le proprietà personali, non si salva il con-

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Le persone in rapporto alle relazioni o proprietà

supposita, inquantum sunt ipsae personae subsistentes, sicut paternitas est ipse Pater, hypostasis enim significat aliquid distinctum in divinis, cum hypostasis sit substantia indi­ vidua. Cum igitur relatio sit quae distinguit hypostases et constituit eas, ut dictum est [a. 2], relinquitur quod, relationibus persona­ libus remotis per intellectum, non remaneant hypostases. Sed, sicut dictum est [a. 2], aliqui dicunt quod hypostases in divinis non distin­ guuntur per relationes, sed per solam ori­ ginem; ut intelligatur Pater esse hypostasis quaedam per hoc, quod non est ab alio; Filius autem per hoc, quod est ab alio per gene­ rationem. Sed relationes advenientes quasi proprietates ad dignitatem pertinentes, con­ stituunt rationem personae, unde et perso­ nalitates dicuntur. Unde, remotis huiusmodi relationibus per intellectum, remanent quidem hypostases, sed non personae. Sed hoc non potest esse, propter duo. Primo, quia relatio­ nes distinguunt et constituunt hypostases, ut ostensum est. Secondo, quia omnis hyposta­ sis naturae rationalis est persona, ut patet per definitionem Boetii, dicentis [De d. nat. 3] quod persona est rationalis naturae individua substantia. Unde, ad hoc quod esset hyposta­ sis et non persona, oporteret abstrahi ex parte nan1rae rationalitatem; non autem ex parte personae proprietatem. Ad primum ergo dicendum quod persona non addit supra hypostasim proprietatem distin­ guentem absolute, sed proprietatem distin­ guentem ad dignitatem pertinentem, totum enim hoc est accipiendum loco unius diffe­ rentiae. Ad dignitatem autem pertinet proprie­ tas distinguens, secundum quod intelligitur subsistens in natura rationali. Unde, remota proprietate distinguente a persona, non rema­ net hypostasis, sed remaneret, si tolleretur rationalitas naturae. Tam enim persona quam hypostasis est substantia individua, unde in divinis de ratione utriusque est relatio distinguens. Ad secundum dicendum quod paternitate Pa­ ter non solum est Pater, sed est persona, et est quis sive hypostasis. Nec tamen sequitur quod Filius non sit quis sive hypostasis; sicut non sequitur quod non si t persona. Ad tertium dicendum quod intentio Augustini non fui t dicere quod hypostasis Patris re­ maneat ingenita, remota paternitate, quasi in-

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cetto di ipostasi. Infatti le proprietà personali non sono da concepirsi come qualcosa di sopraggiunto alle ipostasi , alla maniera di una forma che si aggiunge a un soggetto preesi­ stente, ma implicano esse stesse il proprio soggetto [o ipostasi], in quanto sono tutt'uno con le persone sussistenti: come la paternità è lo stesso Padre. Le ipostasi, infatti, stanno a indicare qualcosa di distinto in Dio, poiché l 'ipostasi è una sostanza individuale. Ora, sic­ come proprio la relazione costituisce e distin­ gue le ipostasi, come si è detto, ne segue che, tolte mentalmente le proprietà personali, non rimangono più le ipostasi. Però, come si è vi­ sto, alcuni pensano che le ipostasi in Dio non vengano distinte dalle relazioni, ma solo dalle origini: così il Padre sarebbe un'ipostasi per il fatto che non è da altri, e il Figlio perché è da altri per generazione. Le relazioni poi, che verrebbero ad aggiungersi come proprietà ap­ portatrici di dignità, costituirebbero la ragione di persona, e appunto per questo sarebbero chiamate personalità. Tolte quindi mental­ mente queste relazioni, resterebbero le iposta­ si, ma non le persone. Ma ciò non può essere, per due motivi. Primo, perché, come si è spie­ gato, sono le relazioni che distinguono e co­ stituiscono le ipostasi. - Secondo, perché ogni ipostasi di natura razionale è persona, come si vede dalla definizione che Boezio dà della persona: «Una sostanza individuale di natura razionale». Perché quindi si possa dare un'i­ postasi che non sia persona, bisognerebbe to­ gliere la razionalità dalla natura, non già la proprietà dalla persona. Soluzione delle difficoltà: l . La persona non aggiunge all' ipostasi una proprietà che di­ stingue assolutamente, ma che «distingue e­ sprimendo dignità»: poiché tutta l'espressione non indica che un'unica differenza. Ora, la proprietà che distingue riveste dignità in quanto sta a designare un sussistente di natura razionale. Togliendo quindi dalla persona la proprietà atta a distinguere, non rimane nep­ pure l'ipostasi; questa invece rimane se si to­ glie la razionalità dalla natura. Infatti tanto la persona quanto l'ipostasi sono la sostanza in­ dividuale: per cui in Dio la relazione distin­ tiva rientra nel concetto dell'una e dell'altra. 2. li Padre in forza della paternità non solo è Padre, ma è anche persona ed è qualcuno, ossia ipostasi . Non ne segue tuttavia che il Fi-

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Le persone in rapporto alle relazioni o proprietà

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nascibilitas constituat et distinguat hypo­ stasim Patris, hoc enim esse non potest, cum ingenitum nihil ponat, sed negative dicatur, ut ipsemet dicit [De Trin. 5,6]. Sed loquitur in communi, quia non omne ingenitum est Pater. Remota ergo paternitate, non remanet in divinis hypostasis Patris, ut distinguitur ab aliis personis; sed ut distinguitur a creaturis, sicut Iudaei intelligunt.

glio non sia qualcuno, ossia un'ipostasi, come non segue che non sia una persona. 3. Agostino non intende dire che, tolta la pa­ ternità, rimanga l' ipostasi del Padre come non generata, quasi che l'innascibilità costi­ tuisca e distingua l' ipostasi del Padre: infatti ciò non può essere, poiché, come egli stesso fa osservare, ingenito non afferma nulla, ma nega soltanto. La sua è invece un'espressione generica, poiché non ogni ingenito è necessa­ riamente Padre. Eliminata dunque la pater­ nità, non rimane in Dio l 'ipostasi del Padre come distinta dalle altre persone, ma solo co­ me distinta dalle creature, nel senso inteso dai Giudei.

Articulus 4 Utrum actus notionales praeintelligantur proprietatibus

Articolo 4 Gli atti nozionali sono presupposti alle proprietà [personali]?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod actus notionales praeintelligantur proprietatibus. l . Dicit enim Magister, 27 dist. l Sent. [ 1 ], quod semper Pater est, quia genuit semper Filium. Et ita videtur quod generatio, secun­ dum intellectum, praecedat patemitatem. 2. Praeterea, omnis relatio praesupponit, in intellectu, id supra quod fundatur; sicut ae­ qualitas quantitatem. Sed paternitas est relatio fundata super actione quae est generatio. Ergo paternitas praesupponit generationem. 3. Praeterea, sicut se habet generatio activa ad paternitatem, ita se habet nativitas ad tìliatio­ nem. Sed tiliatio praesupponit nativitatem, ideo enim Filius est, quia natus est. Ergo et paternitas praesupponit generationem. Sed contra, generatio est operatio personae Patris. Sed paternitas constituit personam Pa­ tris. Ergo prius est, secundum intellectum, pa­ ternitas quam generatio. Respondeo dicendum quod, secundum illos qui dicunt quod proprietates non distinguunt et constituunt hypostases, sed manifestant hypostases distinctas et constitutas, absolute dicendum est quod relationes, secundum mo­ dum intelligendi, consequuntur actus notio­ nales; ut dici possit simpliciter quod quia generat, est Pater. Sed supponendo quod re­ lationes distinguant et constituant hypostases in divinis, oportet distinctione uti. Quia origo signiticatur in divinis active et passive, active quidem, sicut generatio attribuitur Patri, et

Sembra di sì. Infatti: l . ll Maestro delle Sentenze dice: «ll Padre è sempre Padre, perché sempre genera il Fi­ glio». Quindi sembra che la paternità concet­ tualmente presupponga la generazione. 2. Ogni relazione presuppone concettual­ mente ciò su cui si fonda: come l' uguaglian­ za presuppone la quantità. Ma la paternità è una relazione fondata sopra l'atto della ge­ nerazione. Quindi la paternità presuppone la generazione. 3. La nascita sta alla filiazione come la gene­ razione attiva sta alla paternità. Ma la filiazio­ ne presuppone la nascita: poiché il Figlio è Figlio in quanto è nato . Quindi anche l a paternità presuppone la generazione. In contrario: la generazione è un'operazione della persona del Padre. Ma la paternità costi­ tuisce la persona del Padre. Quindi la pater­ nità concettualmente precede la generazione. Risposta: secondo l'opinione di coloro i quali sostengono che le proprietà non distinguono e non costituiscono le ipostasi, ma servono soltanto a manifestarle già distinte e costi­ tuite, si dovrebbe senz' altro dire che le rela­ zioni, stando al nostro modo di intendere, presuppongono gli atti nozionali, per cui sa­ rebbe giustificata questa espressione: è Padre perché genera. Partendo invece dal presuppo­ sto che in Dio le relazioni differenziano e costitu i scono le i postas i , allora bisogna distinguere. Poiché in Dio l 'origine può esse-

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Le persone in rapporto alle relazioni o proprietà

spiratio, sumpta pro actu notionali, attribuitur Patri et Filio; passive autem, sicut nativitas attribuitur Filio, et processio Spiritui Sancto. Origines enim passive significatae, simpliciter praecedunt, secundum intellectum, proprie­ tates personarum procedentium, etiam perso­ nales, quia origo passive significata, significa­ tur ut via ad personam proprietate constitu­ tam. Similiter et origo active significata, prior est, secundum intellectum, quam relatio per­ sonae originantis quae non est personalis, si­ cut actus notionalis spirationis, secundum in­ tellectum, praecedit proprietatem relativam innominatam communem Patri et Filio. Sed proprietas personalis Patris potest considerari dupliciter. Uno modo, ut est relatio, et sic iterum, secundum intellectum, praesupponit actum notionalem; quia relatio, inquantum huiusmodi, fundatur super actum. Alio modo, secundum quod est constitutiva personae, et sic oportet quod praeintelligatur relatio actui notionali, sicut persona agens praeintelligitur actioni. Ad primum ergo dicendum quod, cum Magis­ ter dicit quod quia generat est Pater, accipit nomen Patris secundum quod designat rela­ tionem tantum, non autem secundum quod significat personam subsistentem. Sic enim oporteret e converso dicere quod quia Pater est, generat. Ad secundum dicendum quod obiectio illa procedit de patemitate, secundum quod est relatio, et non secundum quod est constitutiva personae. Ad tertium dicendum quod nativitas est via ad personam Filii, et ideo, secundum intellec­ tum, praecedit filiationem, etiam secundum quod est constitutiva personae Filii. Sed gene­ ratio activa significatur ut progrediens a per­ sona Patris, et ideo praesupponit proprietatem personalem Patris.

Q. 40, A. 4

re indicata all' attivo o al passivo: all' attivo, per es., è indicata la generazione attribuita al Padre e la spirazione che, presa come atto na­ zionale, viene attribuita al Padre e al Figlio; al passivo, invece, [viene indicata] la nascita attribuita al Figlio e la processione dello Spirito Santo. Ciò posto, senza dubbio le ori­ gini indicate al passivo precedono concettual­ mente le proprietà anche personali delle per­ sone procedenti : poiché l ' origine al passivo sta a indicare il processo per giungere alla persona costituita dalla proprietà. E simil­ mente anche l' origine all'attivo è concettual­ mente anteriore alla relazione non personale della persona otiginante: l' atto nozionale di spirazione, per es., è concettualmente anterio­ re alla corrispondente proprietà relativa, sen­ za nome, comune al Padre e al Figlio. La proprietà personale del Padre può essere inve­ ce considerata i n due modi. Primo, come relazione: e, presa così, presuppone ancora una volta l ' atto nozionale, poiché la relazio­ ne, in quanto relazione, si fonda sull' atto. Secondo, come costitutiva della persona: e allora è necessario che l ' atto nozionale pre­ supponga la relazione, come l'azione presup­ pone la persona che la compie. Soluzione delle difficoltà: l . N_ell' espressione del Maestro delle Sentenze: «E Padre perché genera», il termine Padre è usato soltanto in quanto dice relazione, non in quanto significa la persona sussistente. In questo caso, infatti, bisognerebbe dire il contrario, che cioè gene­ -

-

ra perché è Padre.

2. L'obiezione ha valore se la paternità è con­ siderata solo come relazione, e non come co­ stitutiva della persona. 3. La nascita sta a indicare il processo per giungere alla persona del Figlio, per cui con­ cettualmente essa precede la filiazione, anche se prendiamo quest'ultima come costitutiva della persona del Figlio. Invece la generazio­ ne attiva sta a indicare il processo che deriva dalla persona del Padre, e quindi presuppone la proprietà personale del Padre.

Le persone in rapporto agli atti nazionali

Q. 4 l , A. l

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QUAESTI0 4 1

QUESTIONE 4 1

DE PERSONIS IN COMPARATIONE AD ACTUS NOTIONALES

LE PERSONE IN RAPPORTO AGLI ATTI NOZIONALI

Deinde considerandum est de personis in com­ paratione ad actus notionales. Et circa hoc quaeruntur sex. Primo, utrum actus notionales sint attribuendi personis. Secundo, utrum huius­ modi actus sint necessarii vel voluntarii. Tertio, utrum, secundum huiusmodi actus, persona procedat de nihilo, vel de aliquo. Quarto, utrum in divinis sit ponere potentiam respectu actuum notionalium. Quinto, quid significet huiusmodi potentia. Sexto, utrum actus notio­ nalis ad plures personas terminari possit.

Continuando l'esposizione, tratteremo delle persone in rapporto agli atti nazionali. A que­ sto riguardo si pongono sei quesiti: l . Alle persone vanno attribuiti gli atti nazionali? 2 . Questi atti sono necessari o volontari? 3. In forza di tali atti le persone procedono dal nulla o da qualcosa? 4. Si deve porre in Dio una potenza relativa agli atti nazionali ? 5 . Che cosa significa questa potenza? 6. Gli atti nazionali possono dare origine a più persone?

Articulus l

Articolo l

Utrum actus notionales sint attribuendi personis

Alle persone vanno attribuiti gli atti nozionali?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod actus notionales non sint personis attribuendi. l . Dicit enim Boetius, in libro De Trin. [4], quod omnia genera, cum quis in divinam

Sembra di no. Infatti : l . Boezio dice: «Tutti i predicamenti, eccetto la relazione, quando vengono trasportati in Dio si immedesimano con la sostanza divi­ na». Ora, l'azione è uno dei dieci predica­ menti. Se dunque viene attribuita a Dio, deve appartenere ali' essenza, non alle nozioni. 2. Agostino fa osservare che tutto ciò che viene attribuito a Dio gli viene attribuito o come sostanza o come relazione. Ora, ciò che riguarda la sostanza è indicato con gli attributi essenziali, ciò che invece riguarda le relazioni viene significato con i nomi delle persone e delle proprietà. Quindi, oltre a queste, non vanno attribuiti alle persone gli atti nazionali. 3 . L'azione implica sempre la passione come suo corrispettivo. Ma in Dio non si possono ammettere delle passioni. Quindi in lui non si devono ammettere neppure degli atti nazionali. In contrario: dice Agostino: «È proprio del Padre generare il Figlio». Ma la generazione è un atto. Quindi in Dio si devono ammettere degli atti nazionali. Risposta: tra le persone divine la distinzione deriva dalle origini. Ma queste non possono essere designate convenientemente se non mediante alcuni atti . Quindi, per indicare in Dio le relazioni di origine, fu necessario at­ tribuire alle persone degli atti nazionali. Soluzione delle difficoltà: l . L'origine è sem-

vertit praedicationem, in divinam mutantur substantiam, exceptis relativis. Sed actio est unum de decem generibus. Si igitur actio aliqua Deo attribuitur, ad eius essentiam pertinebit, et non ad notionem. 2. Praeterea, Augustinus dicit, 5 De Trin. [4-5], omne quod de Deo dicitur, aut dicitur secun­ dum substantiam, aut secundum relationem. Sed ea quae ad substantiam pertinent, signifi­ cantur per essentialia attributa, quae vero ad relationem, per nomina personarum et per nomina proprietatum. Non sunt ergo, praeter haec, attribuendi personis notionales actus. 3. Praeterea, proprium actionis est ex se pas­ sionem inferre. Sed in divinis non ponimus passiones. Ergo neque actus notionales ibi po­ nendi sunt. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De tide ad Petrum [2], proprium Patris est, quod Filium genuit. Sed generatio actus qui­ dam est. Ergo actus notionales ponendi sunt in divinis. Respondeo dicendum quod in divinis personis attenditur distinctio secundum originem. Origo autem convenienter designari non potest nisi per aliquos actus. Ad designandum igitur ordi­ nem originis in divinis personis, necessarium fuit attribuere personis actus notionales.

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Le persone in rapporto agli atti nazionali

Ad primum ergo dicendum quod omnis origo designatur per aliquem actum. Duplex autem ordo originis attribui Deo potest. Unus qui­ dem, secundum quod creatura ab eo progre­ ditur, et hoc commune est tribus personis. Et ideo actiones quae attribuuntur Deo ad designandum processum creaturarum ab ipso, ad essentiam pe1tinent. Alius autem ordo miginis in divinis attenditur secundum processionem personae a persona. Unde actus designantes huius originis ordinem, notionales dicuntur, quia notiones personarum sunt personarum habitudines ad invicem, ut ex dictis [q. 32 a. 3] patet. Ad secundum dicendum quod actus notiona­ les secundum modum significandi tantum differunt a relationibus personarum; sed re sunt omnino idem. Unde Magister dicit, in l Sent. 26 dist. [2], quod generatio et nativitas aliis nominibus dicuntur patemitas et filiatio. Ad cuius evidentiam, attendendum est quod primo coniicere potuimus originem alicuius ab alio, ex motu, quod enim aliqua res a sua dispositione removeretur per motum, manifes­ tum fuit hoc ab aliqua causa accidere. Et ideo actio, secundum primam nominis imposi­ tionem, importat originem motus, sicut enim motus, prout est in mobili ab aliquo, dicitur passio; ita origo ipsius motus, secundum quod incipit ab alio et terminatur in id quod movetur, vocatur actio. Remoto igitur motu, actio nihil aliud importat quam ordinem origi­ nis, secundum quod a causa aliqua vel princi­ pio procedit in id quod est a principio. Unde, cum in divinis non sit motus, actio personalis producentis personam, nihil aliud est quam habitudo principii ad personam quae est a principio. Quae quidem habitudines sunt ipsae relationes vel notiones. Quia tamen de divinis et intelligibilibus rebus loqui non pos­ sumus nisi secundum modum rerum sensi­ bilium, a quibus cognitionem accipimus; et in quibus actiones et passiones, inquantum mo­ tum implicant, aliud sunt a relationibus quae ex actionibus et passionibus consequuntur, oportuit seorsum significari habitudines per­ sonarum per modum actus, et seorsum per modum relationum. Et sic patet quod sunt idem secundum rem, sed differunt solum se­ cundum modum significandi. Ad tertium dicendum quod actio, secundum quod importat originem motus, infert ex se

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pre indicata da un atto. Ora, a Dio si può at­ tribuire una duplice relazione di origine. La prima è quella che viene determinata dalla produzione delle creature: e questa è comune a tutte e tre le persone. Per questo le azioni che vengono attribuite a Dio per indicare la derivazione delle creature appartengono al­ l' essenza. Invece l'altra relazione di origine che troviamo nella divinità viene desunta dalla derivazione di una persona da un' altra. Per cui gli atti o azioni che indicano questi rapporti di origine sono detti nozionali : poiché, come si è visto, le nozioni non sono altro che i mutui rapporti delle persone. 2. Gli atti nozionali differiscono dalle rela­ zioni delle persone soltanto per il diverso modo di significare, ma in realtà sono la stessa cosa. Tanto è vero che il Maestro delle Sentenze può dire che la generazione e la nascita «sono chiamate con altri termini pa­ ternità e filiazione». - Ora, per bene intende­ re queste affermazioni, si deve tener presente che noi cominciamo a conoscere l'origine di una cosa da un' altra in base al moto. Se infatti una cosa viene tolta dalla sua disposi­ zione naturale mediante il moto, è chiaro che c i ò prov iene d a qualche causa. E così l'azione, secondo il significato originario del termine, sta a indicare l'origine del moto: infatti il moto che si riscontra in un soggetto mosso da un altro viene detto passione; l'origine invece di tale moto, in quanto parte da un principio e termina nel soggetto che viene mosso, viene detta azione. Per cui, tolto il moto, l'azione non implica se non il rapporto di origine, cioè il procedere da una causa o principio verso ciò che ne deriva. Quindi, non essendovi in Dio alcun moto, l'azione propria della persona che produce la persona non è altro che il rapporto di princi­ pio con la persona che ne deriva. E questi rapporti non sono altro che le stesse relazioni o nozioni. Ma di Dio e delle cose puramente intelligibili noi non possiamo parlare se non alla maniera di quelle sensibili, da cui deriva­ no le nostre conoscenze, e nelle quali le azio­ ni e le passioni, in quanto comportano un moto, sono distinte dalle relazioni che da esse sorgono: perciò fu necessario significare questi rapporti delle persone separatamente, come atti e come relazioni. E così risulta chiaro che [gli atti nozionali e le relazioni]

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Le persone in rapporto agli atti nazionali

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passionem, sic autem non ponitur actio in di­ vinis personis. Unde non ponuntur ibi passio­ nes, nisi solum grammatice loquendo, quan­ tum ad modum significandi; sicut Patri attri­ buirnus generare, et Filio generari.

sono in realtà la stessa cosa, differendo sol­ tanto nel modo di significare. 3 . L'azione implica [come correlativo] l a passione solo in quanto è l' origine di un moto; ma in questo senso non ha luogo nelle persone divine. Nelle quali dunque non si ammette passività alcuna se non i n senso grammaticale, cioè quanto al modo di espri­ mersi: del Padre, per es., usiamo dire che genera [all' attivo], mentre attribuiamo al Figlio l'essere generato [al passivo].

Articulus 2 Utrum actus notionales sint volontarii

Articolo 2 Gli atti nozionali sono volontari?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod actus notionales sint voluntarii. l . Dicit enim Hilarius, in libro De synod. [can. 25 Sirmiens.], non naturali necessitate

Sembra di sì. Infatti: l . Ilario insegna: «Il Padre generò il Figlio senza esservi costretto da naturale neces­ sità>>. 2. L'Apostolo i n Col scrive che [il Padre]

ductus, Pater genuit Filium. 2. Praeterea, apostolus, Col. l [ 1 3], transtulit nos in regnum Filii dilectionis suae. Dilectio autem voluntatis est. Ergo Filius genitus est a Patre, voluntate. 3. Praeterea, nihil magis est voluntarium quam amor. Sed Spiritus Sanctus procedit a Patre et Filio ut Amor. Ergo procedit voluntarie. 4 . Praeterea, Filius procedit per modum intellectus, ut Verbum. Sed omne verbum procedit a dicente per voluntatem. Ergo Filius procedit a Patre per voluntatem, et non per naturam. 5. Praeterea, quod non est voluntarium, est necessarium. Si igitur Pater non genuit Filium voluntate, videtur sequi quod necessitate genuerit. Quod est contra Augustinum, in libro Ad Orosium [7]. Sed contra est quod Augustinus dicit, in eodem libro [ibid.] , quod neque voluntate

genuit Pater Filium, neque necessitate.

Respondeo dicendum quod, cum dicitur aliquid esse vel fieri voluntate, dupliciter po­ test intelligi. Uno modo, ut ablativus designet concomitantiam tantum, sicut possum dicere quod ego sum homo mea voluntate, quia sci­ licet volo me esse hominem. Et hoc modo potest dici quod Pater genuit Filium volun­ tate, sicut et est voluntate Deus, quia vult se esse Deum, et vult se generare Filium. Alio modo sic, quod ablativus importet habitudi­ nem principii, sicut dicitur quod artifex opera­ tur voluntate, quia voluntas est principium

ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore. Ma l 'amore appartiene alla volon­

tà. Quindi il Figlio fu generato dal Padre volontariamente. 3 . Nulla vi è di più volontario dell'amore. Ma lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come Amore. Quindi procede dalla [loro libera] volontà. 4. Il Figlio procede intellettualmente co­ me Verbo. Ma ogni verbo procede dalla libe­ ra volontà di chi lo esprime. Quindi il Fi­ glio procede dal Padre per volontà, non per natura. 5 . Ciò che non è volontario è necessario. Se dunque il Padre non generasse il Figlio di sua volontà, si dovrebbe dire che lo gene­ ra per necessità, contro quanto i nsegna Agostino. In contrario: Agostino afferma: «Il Padre non generò il Figlio né per volontà, né per neces­ sità>>. Risposta: l'affermazione: una cosa è, oppure avviene, voluntate [volontariamente], può es­ sere intesa in due modi. Primo, nel senso che l 'ablativo [voluntate] stia a indicare solo una concomitanza: come posso dire che sono uo­ mo di mia volontà, cioè perché voglio essere uomo. E in questo senso si può affennare che il Padre genera il Figlio volontariamente, come volontariamente è Dio: i nfatti egli vuole essere Dio e vuole generare il Figlio. Secondo, nel senso che l 'ablativo stia a in-

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Le persone in rapporto agli atti nazionali

operis. Et secundum hunc modum, dicendum est quod Deus Pater non genuit Filium volun­ tate; sed voluntate produxit creaturam. Unde in libro De synod. [can. 24 Sirmiens.] dicitur,

si quis voluntate Dei, tanquam unum aliquid de creaturis, Filium factum dicat, anathema sit. Et huius ratio est, quia voluntas et natura

secundum hoc differunt in causando, quia natura determinata est ad unum; sed voluntas non est determinata ad unum. Cuius ratio est, quia effectus assimilatur formae agentis per quam agit. Manifestum est autem quod unius rei non est nisi una forma naturalis, per quam res habet esse, unde quale ipsum est, tale facit. Sed forma per quam voluntas agit, non est una tantum, sed sunt plures, secundum quod sunt plures rationes intellectae, unde quod voluntate agitur, non est tale quale est agens, sed quale vult et intelligit illud esse agens. Eorum igitur voluntas principium est, quae possunt sic vel aliter esse. Eorum autem quae non possunt nisi sic esse, principium natura est. Quod autem potest sic vel aliter es­ se, longe est a natura divina, sed hoc pertinet ad rationem creaturae, quia Deus est per se necesse esse, creatura autem est facta ex nihi­ lo. Et ideo Ariani, volentes ad hoc deducere quod Filius sit creatura, dixerunt quod Pater genuit Filium voluntate, secundum quod vo­ luntas designat principium. Nobis autem di­ cendum est quod Pater genuit Filium non vo­ luntate, sed natura. Unde Hilarius dicit, in li­ bro De synod. [super can. 24 S i rmiens.],

omnibus creaturis substantiam Dei voluntas attulit; sed naturam Filio dedit ex impassibili ac non nata substantia perfecta nativitas. Talia enim cuncta creata sunt, qualia Deus esse voluit, Filius autem, natus ex Deo, talis subsistit, qualis et Deus est.

Ad primum ergo dicendum quod auctoritas illa inducitur contra illos qui a generatione Filii etiam concomitantiam paternae volunta­ tis removebant, dicentes sic eum natura ge­ nuisse Filium, ut inde voluntas generandi ei non adesset, sicut nos multa naturali necessi­ tate contra voluntatem patimur, ut mortem, senectutem, et huiusmodi defectus. Et hoc patet per praecedentia et subsequentia. Sic enim ibi dicitur, non enim, nolente Parre, vel

coactus Pater, vel naturali necessitate induc­ tus cum nollet, genuit Filium.

A d secundum dicendum quod apostolus

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dicare un rapporto di causa: come quando diciamo che l'artefice opera di sua volontà, perché questa è la causa che lo muove ad agire. E in questo senso si deve dire che il Padre non genera il Figlio volontariamente; mentre invece volontariamente ha prodotto le creature. Perciò Ilario dice: «Se qualcuno dirà che il Figlio fu fatto da Dio volonta­ riamente come una creatura qualsiasi, sia anatema». E il motivo di ciò sta nel fatto che la volontà e la natura, nel causare, presenta­ no questa differenza: la natura è determinata a un unico effetto, mentre la volontà non è determinata. E ciò perché l ' effetto corrispon­ de esattamente alla forma in forza della qua­ le ogni cosa agisce. Ora, è chiaro che ogni cosa non ha che una sola forma naturale, quella cioè che le dà l 'esistenza: quindi pro­ duce un effetto identico a se medesima. La forma, invece, per cui agisce la volontà non è una sola, ma ve ne sono molte, quanti sono cioè gli oggetti dell'intelligenza. Quindi ciò che deriva come effetto dalla volontà non ha la stessa natura della causa, ma ha quella na­ tura che la causa ha inteso dargli. Conclu­ dendo: la volontà è il principio di quelle cose che potrebbero essere anche diversamente da come sono; la natura, invece, lo è di quelle che non possono essere se non come sono. Ora, ripugna che la natura divina possa essere diversamente da come è, mentre ciò è proprio delle creature: poiché Dio è l'essere intrinsecamente necessario, la creatura inve­ ce è stata creata dal nulla. Ed è per questo che gli Ariani, volendo giungere a provare che anche il Figlio è una creatura, dicevano che il Padre ha generato il Figlio volontaria­ mente, dando al termine volontà il significa­ to di causa. Noi invece dobbiamo dire che il Padre generò il Figlio non per volontà, ma per natura. Quindi Ilario afferma: « È l a volontà di Dio che h a dato l' essere a tutte le creature, mentre è la perfetta nascita da una sostanza impassibile e innascibile che ha dato al Figlio la natura. Tutte le altre cose infatti furono create quali Dio le ha volute; il Figlio invece, nato da Dio, è tale quale è Dio stesso». Soluzione delle difficoltà: l . Il testo di Ilario è contro coloro che dalla generazione del Figlio volevano esclusa anche la volontà concomitante, dicendo che il Padre ha ge-

Le persone in rapporto agli atti nazionali

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nominat Christum Filium dilectionis Dei, inquantum est a Deo superabundanter di­ lectus, non quod dilectio sit principium gene­ rationis Filii. Ad tertium dicendum quod etiam voluntas, inquantum est natura quaedam, aliquid natu­ raliter vult; sicut voluntas hominis naturaliter tendit ad beatitudinem. Et similiter Deus na­ turaliter vult et amat seipsum. Sed circa alia a se, voluntas Dei se habet ad utrumque quo­ dammodo, ut dictum est [q. 1 9 a. 3]. Spiritus autem Sanctus procedit ut Amor, inquantum Deus amat seipsum. Unde naturaliter proce­ dit, quamvis per modum voluntatis procedat. Ad quartum dicendum quod etiam in concep­ tionibus intellectualibus fit reductio ad prima, quae naturaliter intelliguntur. Deus autem naturaliter intelligit seipsum. Et secundum hoc, conceptio Verbi divini est naturalis. Ad quintum dicendum quod necessarium di­ citur aliquid per se, et per aliud. Per aliud qui­ dem dupliciter. Uno modo, sicut per causam agentem et cogentem, et sic necessarium dicitur quod est violentum. Alio modo, sicut per causam finalem, sicut dicitur aliquid esse necessarium in his quae sunt ad finem, in­ quantum sine hoc non potest esse finis, vel bene esse. Et neutro istorum modorum divina generatio est necessaria, quia Deus non est propter finem, neque coactio cadit in ipsum. Per se autem dicitur aliquid necessarium, quod non potest non esse. Et sic Deum esse est necessarium. Et hoc modo Patrem genera­ re Filium est necessarium.

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nerato il Figlio senza avere la volontà di ge­ nerarlo; come capita a noi uomini di subire contro voglia tante cose, per es. la morte, la vecchiaia e altre miserie del genere. E ciò risulta chiaramente dal contesto. Infatti vi si legge : «> . 2. Cristo è detto «Figlio dell 'amore del Pa­ dre» perché è immensamente amato dal Pa­ dre, non perché l 'amore sia il principio della generazione del Figlio. 3. Anche la volontà, considerata come una natura, vuole alcune cose naturalmente: la volontà umana, per es., tende naturalmente alla felicità. E così pure Dio per natura vuole e ama se stesso. Invece, come si è visto, circa le altre cose la sua volontà è in qualche mo­ do indifferente a volerle come a non volerle. Ora, lo Spirito Santo procede come Amore in quanto Dio ama se stesso. Quindi procede per natura, quantunque derivi attraverso una processione di ordine volitivo. 4. Negli stessi princìpi razionali è necessario risalire ai primi plincìpi che sono conosciuti [immediatamente] per natura. Ora, Dio in­ tende se stesso per natura. Quindi la conce­ zione del Verbo divino è naturale. 5. Si dice che una cosa è necessaria o per un motivo intrinseco, o per qualche motivo e­ strinseco. E il motivo estrinseco può interve­ nire in due modi. Primo, come causa efficien­ te e cogente: e in questo caso 'necessario' ha i l valore di 'violento ' . Secondo, come causa finale: si dice, per es., che una cosa è necessa­ ria in ordine al fine quando senza di essa il fi­ ne o non può essere raggiunto in alcun modo, o [non può essere raggiunto] pienamente. Ora, in nessuno di questi due ultimi modi la generazione divina è necessaria: poiché Dio non è ordinato a un fine, e neppure può essere sottoposto a una coercizione. - Necessario, invece, per un motivo intrinseco è ciò che non può non essere. E in questo senso è necessaria l ' esistenza di D i o . E allo stesso modo è necessario che il Padre generi il Figlio.

Articulus 3

Articolo 3

Utrum actus notionales sint de aliquo

Gli atti nozionali sono dal nulla?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod actus notionales non sint de aliquo.

Sembra di sì. Infatti: l . Se il Padre genera il Figlio da qualcosa, lo

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Le persone in rapporto agli atti nazionali

l . Quia si Pater generat Filium de aliquo, aut de seipso, aut de aliquo alio. Si de aliquo alio, cum id de quo aliquid generatur, sit in eo quod generatur, sequitur quod aliquid alienum a Patre sit in Filio. Quod est contra Hilarium, 7 De Trin. [39], ubi dicit, nihil in his diversum est vel alienum. Si autem Filium generat Pater de seipso, id autem de quo aliquid generatur, si sit permanens, recipit eius praedicationem quod generatur; sicut dicimus quod homo est albus, quia homo permanet, cum de non albo fit albus, sequitur igitur quod Pater vel non permaneat, genito Filio, vel quod Pater sit Fi­ lius, quod est falsum. Non ergo Pater generat Filium de aliquo, sed de nihilo. 2. Praeterea, id de quo aliquid generatur, est principium eius quod generatur. Si ergo Pater generat Filium de essentia vel natura sua se­ quitur quod essentia vel natura Patris sit prin­ cipium Filii. Sed non principium materiale, quia materia locum in divinis non habet. Ergo est principium quasi activum, sicut generans est principium geniti. Et ita sequitur quod essentia generet, quod supra [q. 39 a. 5] im­ probatum est. 3 . Praeterea, Augustinus dicit [De Trin. 7 ,6] quod tres personae non sunt ex eadem es­ sentia, quia non est aliud essentia et persona. Sed persona Filii non est aliud ab essentia Patris. Ergo Filius non est de essentia Patris. 4. Praeterea, omnis creatura est ex nihilo. Sed Filius in Scripturis dicitur creatura, di­ citur enim Eccli. 24 [5], ex ore sapientiae genitae, ego ex ore altissimi prodii, primo­ genita ante omnem creaturam; et postea ex ore eiusdem sapientiae dicitur, ab initio, et ante saecula, creata sum. Ergo Filius non est genitus ex aliquo, sed ex nihilo. Et sirniliter potest obiici de Spiritu Sancto, propter hoc quod dicitur, Zac. 1 2 [ l ] dixit Dominus, ex­

tendens caelum et ftmdans terram, et creans spiritum hominis in eo; et Amos 4 [ 1 3 ] , secundum aliam litteram, ego formans mon­ tes, et creans spiritum. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De fide ad Petmm [2], Pater Deus de sua na­

tura sine initio genuit Filium sibi aequalem.

Respondeo dicendum quod Filius non est ge­ nitus de nihilo, sed de substantia Patris. Os­ tensum est enim supra [q. 27 a. 2; q. 33 a. 2 ad 3-4; a. 3] quod paternitas, et filiatio, et nativitas, vere et proprie est in divinis. Hoc

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genera traendolo o da se stesso o da qualche altra cosa. Se lo trae da qualche altra cosa, siccome ciò da cui una cosa è generata rima­ ne incluso in essa, ne segue che nel Figlio ci sarà qualcosa di estraneo al Padre. E ciò è escluso da llario quando dice: «In essi non vi è nulla di diverso o di estraneo». Se invece il Padre trae il Figlio da se medesimo, siccome ciò da cui una cosa è tratta, se è qualcosa di permanente, acquista gli stessi attributi della realtà che viene generata, - diciamo infatti che l'uomo è bianco, perché l'uomo, quando passa dal non bianco al bianco, rimane uomo -, ne segue o che il Padre perisce una volta generato il Figlio, oppure che il Padre è il Fi­ glio: il che è falso. Quindi il Padre non genera il Figlio da qualcosa, ma dal nulla. 2. Ciò da cui una cosa è generata è un princi­ pio della cosa stessa. Se dunque il Padre genera il Figlio dalla propria essenza o natura, questa sarà un principio del Figlio. Non ne sarà però il principio materiale, poiché in Dio non c'è materia. Quindi ne sarà il principio efficiente, come lo è il generante del generato. E così seguirebbe che l'essenza genera: cosa, questa, che fu già rigettata come falsa. 3. Agostino dice che le tre persone non sono da un'unica essenza, dato che l'essenza non è altra cosa che la persona. Ma la persona del Figlio non è una realtà distinta dali' essenza del Padre. Quindi il Figlio non è dall'essenza del Padre. 4. Ogni creatura viene prodotta dal nulla. Ora, il Figlio nelle Scritture è detto creatura. Infatti così parla di se stessa la Sapienza generata in

Sir. Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo, primogenita prima di ogni creatura. E poco dopo aggiunge: Dal principio, e prima dei secoli, sono stata creata. Quindi il Figlio non è tratto da qualcosa, ma dal nulla. - E la stes­ sa difficoltà si potrebbe fare per lo Spirito Santo, poiché è detto in Zc: Dice il Signore

che ha steso i cieli e fondato la terra e ha creato nell 'uomo il suo spirito. E in Am: Io che formo i monti e creo lo !Jpirito.

In contrario: dice Agostino: «Dio Padre dalla propria natura, senza principio, generò il Figlio uguale a se stesso». Risposta: il Figlio non è tratto dal nulla, ma dalla sostanza del Padre. Infatti si è già dimo­ strato che in Dio ci sono in senso vero e pro­ prio la paternità, la filiazione e la nascita. Ma

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Le persone in rapporto agli atti nazionali

autem interest inter generationem veram, per quam aliquis procedit ut Filius, et factionem, quod faciens facit aliquid de exteriori materia, sicut scamnum facit artifex de ligno; homo autem generat filium de seipso. Sicut autem artifex creatus facit aliquid ex materia, ita Deus facit ex nihilo, ut infra [q. 45 a. 2] osten­ detur, non quod nihilum cedat in substantiam rei, sed quia ab ipso tota substantia rei pro­ ducitur, nullo alio praesupposito. Si ergo Fi­ lius procederet a Patre ut de nihilo existens, hoc modo se haberet ad Patrem ut artificiatum ad artificem, quod manifestum est nomen fi­ liationis proprie habere non posse, sed solum secundum aliquam similitudinem. Unde re­ linquitur quod, si Filius Dei procederet a Patre quasi existens ex nihilo, non esset vere et proprie Filius. Cuius contrarium dicitur l Ioan. ult. [5,20], ut simus in vero Filio eius Iesu Christo. Filius igitur Dei verus non est ex nihilo, nec factus, sed tantum genitus. Si qui autem ex nihilo a Deo facti filii Dei dicantur, hoc erit metaphorice, secundum aliqualem as­ similationem ad eum qui vere Filius est. Un­ de, inquantum solus est verus et natmalis Dei Filius, dicitur unigenitus, secundum illud Ioan. l [ 1 8] unigenitus, qui est in sinu Patris, ipse enarravit. Inquantum vero per assimila­ tionem ad ipsum alii dicuntur filii adoptivi, quasi metaphorice dicitur esse prirnogenitus, secundum illud Rom. 8 [29], quos praescivit,

et praedestinavit confonnes fieri imaginis Filii sui, ut sit ipse primogenitus in multis fratribus. Relinquitur ergo quod Dei Filius sit genitus de substantia Patris . Aliter tamen quam filius hominis. Pars enim substantiae hominis generantis transit in substantiam ge­ niti. Sed divina natura impartibilis est. Unde necesse est quod Pater, generando Filium, non partem naturae in ipsum transfuderit, sed totam naturam ei communicaverit, remanente distinctione solum secundum originem, ut ex dictis [q. 40 a. 2] patet. Ad primum ergo dicendum quod, cum Filius dicitur natus de Patre, haec praepositio de significat principium generans consubstantiale; non autem principium materiale. Quod enim producitur de materia, fit per transmutationem illius de quo producitur, in aliquam formam; divina autem essentia non est transmutabilis, neque alterius formae susceptiva. Ad secundum dicendum quod, cum dicitur

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tra la vera generazione, in forza della quale uno procede come figlio, e la produzione esi­ ste questa differenza, che il produttore pro­ duce da una materia a lui esterna: l'artigiano, per es., produce una panca dal legno; invece l'uomo [e chiunque genera] produce il figlio da se medesimo. Ora, come l' artigiano produ­ ce i suoi manufatti dalla materia, così Dio, co­ me si spiegherà in seguito, produce le cose dal nulla: non nel senso che il nulla passi a far parte della sostanza delle cose, ma nel senso che Dio produce tutta la sostanza delle cose senza presupporre nulla. Se dunque il Figlio procedesse dal Padre come tratto dal nulla, allora egli starebbe al Padre come sta ali' arti­ giano un manufatto qualsiasi: il quale eviden­ temente non può essere detto figlio in senso proprio, ma soltanto per una lontana analogia. Ne viene quindi che se il Figlio di Dio proce­ desse dal Padre come fatto dal nulla, non ne sarebbe veramente e propriamente il Figlio. Ma ciò è contro il passo di l Gv: Noi siamo nel vero Figlio suo Gesù Cristo. Quindi i l vero Figlio d i Dio non procede dal nulla, e non è fatto, ma è soltanto generato. Quando dunque alcuni esseri creati dal nulla sono detti figli di Dio abbiamo un'espressione analogi­ ca, che deriva da una certa loro somiglianza col vero Figl io. In quanto dunque egli è l'unico vero e naturale Figlio di Dio, è detto unigenito, come è detto in Gv: Il Figlio unige­

nito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rive­ lato. È chiamato invece primogenito con un'espressione analogica, in quanto altri esse­ ri sono detti figli adottivi per la somiglianza che hanno con lui, secondo il passo di Rm:

Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'im­ magine del Figlio suo, perché egli sia il pri­ mogenito tra moltifratelli. Rimane quindi sta­

bilito che i l Figlio di Dio è generato dalla sostanza del Padre, però diversamente da come è generato un tiglio dall'uomo. Poiché nel figlio passa soltanto una parte della sostanza dell' uomo che genera, mentre la sostanza divina non può essere divisa in parti. Quindi è necessario che il Padre, generando il Figlio, gli abbia trasfusa non una parte, ma tutta la sua natura, restando, come si è spie­ gato, la sola distinzione di origine. Soluzione delle difficoltà: l . Quando si dice che il Figlio è nato dal Padre, la preposizione

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Le persone in rapporto agli atti nazionali

Filius genitus de essentia Patris, secundum expositionem Magistri, 5 dist. l Sent. [2], designat habitudinem principii quasi activi, ubi sic exponit, Filius est genitus de essentia Patris, idest de Parre essentia; propter hoc quod Augustinus, 15 libro De Trin. [13], dicit, tale est

quod dico, de Parre essentia, ac si expressius dicerem, de Patris essentia. Sed hoc non

videtur sufficere ad sensum huiusmodi locutionis. Possumus enim dicere quod creatura est ex Deo essentia, non tamen quod sit ex essentia Dei. Unde aliter dici potest quod haec praepositio de semper denotat consubstantiali­ tatem. Unde non dicimus quod domus sit de aedificatore, cum non sit causa consubstantialis. Possumus autem dicere quod aliquid sit de aliquo, quocumque modo illud significetur ut principium consubstantiale, sive illud sit principium activum, sicut Filius dicitur esse de Patre; sive sit principium materiale, sicut cultellus dicitur esse de ferro; sive sit princi­ pium formale, in his dumtaxat in quibus ipsae formae sunt subsistentes, et non advenientes alteri; possumus enim dicere quod angelus aliquis est de natura intellectuali. Et per bune modum dicimus quod Filius est genitus de essentia Patris; inquantum essentia Patris, Filio per generationem communicata, in eo subsistit Ad tertium dicendum quod, cum dicitur, Fi­ lius est genitus de essentia Patris, additur ali­ quid respectu cuius potest salvari distinctio. Sed cum dicitur quod tres personae sunt de essentia divina, non ponitur aliquid respectu cuius possit importaci distinctio per praeposi­ tionem significata. Et ideo non est simile. Ad quartum dicendum quod, cum dicitur, sa­ pientia est creata, potest intelligi, non de sa­ pientia quae est Filius Dei, sed de sapientia creata, quam Deus indidit creaturis, dicitur enim Eccli. l [9- 1 0], ipse creavit eam, scilicet sapientiam, Spiritu Sancto, et effudit illam super omnia opera sua. Neque est incon­ veniens quod in uno contextu locutionis lo­ quatur Scriptura de sapientia genita et creata, quia sapientia creata est participatio quaedam sapientiae increatae. Vel potest referri ad naturam creatam assumptam a Filio, ut sit sensus, ab initio et ante saecula creata sum, idest, praevisa sum creaturae uniri. Vel, per hoc quod sapientia creata et genita nuncupa­ tur, modus divinae generationis nobis insinua­ tur. In generatione enim, quod generatur acci-

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de [de Patre] indica il principio consostanzia­ le generante, non il principio [o la causa] ma­ teriale. Infatti ciò che viene tratto da una materia preesistente viene prodotto mediante la trasmutazione del soggetto preesistente da una forma a un' altra. Ora, l'essenza divina non è soggetta a mutazioni, e non è suscettibi­ le di altre forme. 2. L'espressione: il Figlio è generato dall'es­ senza del Padre starebbe a indicare, secondo il Maestro delle Sentenze, un rapporto come di causa efficiente, per cui il senso sarebbe: «ll Figlio è generato dali'essenza del Padre, cioè dal Padre essenza>>; poiché anche Agosti­ no osserva: «Quando dico dal Padre essenza è come se dicessi con più fou..a, dall'essenza del Padre». - Però tale spiegazione non sembra che basti a giustificare quella proposizione. Possiamo benissimo dire, infatti, che le creatu­ re sono da Dio essenza, ma non possiamo dire che sono dall'essenza di Dio. - Quindi si può dire, diversamente, che la preposizione latina de indica sempre consostanzialità. Ed è per questo che non diciamo che la casa è de aedi­ ficatore, [cioè dalla sostanza del] costruttore, poiché questi non ne è la causa consostanziale. Quando invece una cosa si presenta come principio consostanziale di un'altra, si può sempre dire che quest'ultima è di o da essa: e ciò vale sia che si tratti di un principio attivo diciamo infatti che il figlio è dal padre , sia che si tratti della causa materiale - per es. si dice che il coltello è di fenv - sia che si tratti della causa formale, almeno trattandosi di for­ me sussistenti e non distinte dal loro soggetto: infatti possiamo dire di un dato angelo che è di natura intellettuale. E proprio in quest'ultimo senso diciamo che il Figlio è generato dall'es­ senza del Padre [de essentia Patris], poiché l'essenza del Padre, comunicata al Figlio per generazione, sussiste in esso. 3. Quando si dice che il Figlio è generato dal­ l'essenza del Padre, [col termine Padre] si ag­ giunge qualcosa che serve a salvare la distin­ zione. Quando invece si dice che le tre perso­ ne sono dall 'essenza divina, non si aggiunge nulla che possa comportare la distinzione indicata dalla preposizione da. Perciò il pa­ ragone non regge. 4. Le espressioni che parlano di sapienza creata possono essere riferite non alla Sapien­ za che è il Figlio di Dio, ma alla sapienza -

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pit naturam generantis, quod perfectionis est, in creatione vero, creans non mutatur, sed creatum non recipit naturam creantis. Dicitur ergo Filius simul creatus et genitus, ut ex crea­ tione accipiatur immutabilitas Patris, et ex ge­ neratione unitas naturae in Patre et Filio. Et sic exponitur intellectus huius Scripturae ab Hila­ rio, in libro De synod. [super can. 5 Ancyran.]. Auctoritates autem inductae non loquuntur de Spiritu S ancto, sed de spiritu creato; qui quandoque dicitur ventus, quandoque aer, quandoque t1atus hominis, quandoque etiam anima, vel quaecumque substantia invisibilis.

creata che Dio comunica alle creature: per es. in questo passo di Sir: Egli l'ha creata, cioè la sapienza, nello Spirito Santo e l 'ha diffusa sopra tutte le sue opere. E non è impossibile che nello stesso brano la Scrittura parli della Sapienza generata e di quella creata: poiché la sapienza creata è una partecipazione di quella increata. - Oppure ci si può riferire alla natura creata assunta dal Figlio; così l 'espressione: «Prima dei secoli, tin dal ptincipio, egli mi creò», avrebbe questo senso: era stata previ­ sta la mia unione con la creatura. - Oppure, con i due termini creata e generata attribuiti alla Sapienza, ci viene insinuato il modo della generazione divina. Nella generazione, infatti, l'essere che viene generato ci mostra la sua perfezione ricevendo la stessa natura del ge­ nerante; nella creazione, invece, abbiamo l'immutabilità di colui che crea, ma la creatu­ ra non riceve la natura del suo Creatore. Quindi il Figlio è detto simultaneamente crea­ to e generato per indicare con la creazione l'immutabilità del Padre, e con la generazione l'unità di natura del Padre e del Figlio. Ed è così che Ilario ha commentato questo testo della Scrittura. - Gli altri testi riferiti, poi, non parlano dello Spirito Santo, ma dello spirito creato, che alcune volte i ndica i l vento o l'aria, altre volte il fiato e talora anche l ' ani­ ma, o qualsiasi altra sostanza invisibile.

Articulus 4 Utrum in divinis sit potentia respectu actuum notionalium

Articolo 4 In Dio c'è una potenza relativa agli atti nozionali?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in divinis non sit potentia respectu actuum no­ tionalium. l . Omnis enim potentia est vel activa, vel pas­ siva. Sed neutra hic competere potest, poten­ tia enim passiva in Deo non est, ut supra [q. 25 a. l ] ostensum est; potentia vero activa non competit uni personae respectu alterius, cum personae divinae non sint factae, ut ostensum est [a. 3]. Ergo in divinis non est potentia ad actus notionales. 2. Praeterea, potentia dicitur ad possibile. Sed divinae personae non sunt de numero possibi­ lium, sed de numero necessariorum. Ergo re­ spectu actuum notionalium, quibus divinae personae procedunt, non debet poni potentia in divinis.

Sembra di no. Infatti: l . Ogni potenza o è attiva o è passiva. Ma qui non ci può essere né l' una né l ' altra: come infatti si è dimostrato, la potenza passi­ va in Dio non ci può essere, e quella attiva non può appartenere a una persona per ri­ spetto a un'altra, dato che le persone divine non sono fatte, come già si è visto. Quindi in Dio non c ' è una potenza relativa agli atti nazionali. 2. Si parla di potenza in relazione a un possi­ bile. Ma le persone divine non sono tra le realtà possibili, bensì tra quelle necessarie. Quindi rispetto agli atti nazionali, che danno origine alle persone, non si deve parlare di potenza in Dio. 3. Il Figlio procede come Verbo, che è una

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3. Praeterea, Filius procedit ut Verbum, quod est conceptio intellectus, Spiritus autem Sanc­ tus procedit ut Amor, qui pertinet ad volun­ tatem. Sed potentia in Deo dicitur per com­ parationem ad effectus, non autem per com­ parationem ad intelligere et velle, ut supra [q. 25 a. l ad 3-4] habitum est. Ergo in divinis non debet dici potentia per comparationem ad actus notionales. Sed contra est quod dicit Augustinus, Contra Max. [2,7], si Deus Pater non potuit generare

Filium sibi aequalem, ubi est omnipotentia Dei Patris ? Est ergo i n divinis potenti a

respectu actuum notionalium. Respondeo dicendum quod, sicut ponuntur actus notionales in divinis, ita necesse est ibi ponere potentiam respectu h u iusmodi actuum, cum potentia nihil aliud significet quam principium alicuius actus. Unde, cum Patrem i ntelligamus ut principium gene­ rationis, et Patrem et Filium ut principium spirationis, necesse est quod Patri attribuamus potentiam generandi, et Patri et Filio poten­ tiam spirandi. Quia potentia generandi signi­ ficar id quo generans generat, omne autem generans generat aliquo, unde in omni ge­ nerante oportet ponere potentiam generandi, et in spirante potentiam spirandi. Ad primum ergo dicendum quod, sicut se­ cundum actus notionales non procedit aliqua persona ut facta, ita neque potentia ad actus notionales dicitur in divinis per respectum ad aliquam personam factam, sed solum per respectum ad personam procedentem. Ad secundum dicendum quod possibile, se­ cundum quod necessario opponitur, sequitur potentiam passivam, quae non est in divinis. Unde neque in divinis est aliquid possibile per modum istum, sed solum secundum quod possibile continetur sub necessruio. Sic autem dici potest quod, sicut Deum esse est possi­ bile, sic Filium generari est possibile. Ad tertium dicendum quod potentia significar principium. Principium autem distinctionem importat ab eo cuius est principium. Conside­ ratur autem duplex distinctio in bis quae di­ cuntur de Deo, una secundum rem, alia se­ cundum rationem tantum. Secundum rem quidem, Deus distinguitur per essentiam a re­ bus quarum est per creationem principium, sicut una persona distinguitur ab alia, cuius est principium, secundum actum notionalem.

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concezione dell' intelletto, mentre lo Spirito Santo procede come Amore, che appartiene alla volontà. Ma in Dio la potenza riguarda gli effetti che produce, e non l'intendere e il vole­ re, come si è detto. Quindi in Dio non si può ammettere una potenza per gli atti nozionali. In contrario: Agostino dice: «Se Dio Padre non ha potuto generare un Figlio uguale a sé, dov'è la sua onnipotenza?». Vi è dunque in Dio una potenza per gli atti nozionali. Risposta: come si pongono in Dio gli atti no­ zionali, così si deve ammettere in lui una potenza che li riguardi, poiché la potenza non è altro che il principio di un atto. Ora, siccome il Padre è concepito da noi come principio della generazione, e il Padre e il Figlio come principio della spirazione, è necessario attri­ buire al Padre la potenza di generare, e al Padre e al Figlio quella di spirare. Infatti la potenza di generare non è altro che ciò per cui i l generante genera. Ora, ogni generante genera in forza di una facoltà adeguata. Quin­ di in chi genera bisogna ammettere la potenza di generare, e in chi spira la potenza di spirare. Soluzione delle difficoltà: l . Dagli atti nozio­ nali nessuna persona divina procede nel senso che è fatta: perciò anche la potenza relativa agli atti nozionali può essere ammessa in Dio soltanto rispetto a una persona procedente, non a una persona fatta. 2. Il possibile che è opposto al necessario accompagna la potenza passiva, che in Dio non esiste. Quindi in Dio non vi è nulla di possibile in questo senso; vi si trova invece il possibile che è incluso nel necessario. E in questo senso, come diciamo che è possibile l'esistenza di Dio, così è possibile la genera­ zione del Figlio. 3. Potenza significa principio. Un principio, poi, implica distinzione dalla cosa di cui è principio. Ora, tra le cose che vengono attri­ buite a Dio vi è una duplice distinzione: quella reale e quella solo concettuale. Dio dunque si distingue realmente ed essenzialmente dalle cose di cui è principio per creazione, come una persona si distingue realmente dall' altra di cui essa è principio secondo un atto nozio­ nale. L'azione invece in Dio si distingue dal­ I' agente solo per una distinzione di ragione: altrimenti in Dio l'azione sarebbe un acciden­ te. Quindi, lispetto a quelle azioni che deter­ minano la derivazione di cose essenzialmente

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Sed actio ab agente non distinguitur in Deo nisi secundum rationem tantum, alioquin actio esset accidens in Deo. Et ideo respectu illarum actionum secundum quas aliquae res procedunt distinctae a Deo, vel essentialiter vel personaliter, potest Deo attribui potentia, secundum propriam rationem principii. Et ideo, sicut potentiam ponimus creandi in Deo, ita possumus ponere potentiam generandi vel spirandi. Sed intelligere et velle non sunt tales actus qui designent processionem alicuius rei a Deo distinctae, vel essentialiter vel perso­ naliter. Unde respectu horum actuum, non po­ test salvari ratio potentiae in Deo, nisi secun­ dum modum intelligendi et significandi tan­ tum; prout diversimode significatur in Deo in­ tellectus et intelligere, cum tamen ipsum in­ telligere Dei sit eius essentia, non habens principium.

o personalmente distinte da Dio, si può attri­ buire a Dio la potenza nel suo vero concetto di principio [o di causa] . Come quindi ammet­ tiamo in Dio la potenza di creare, così pos­ siamo ammettere la potenza di generare e di spirare. Invece l'intendere e il volere non sono azioni che indichino derivazione di qualcosa che sia distinto da Dio essenzialmente o per­ sonalmente. Quindi, rispetto a questi atti, non può sussistere in Dio l' attributo della potenza se non secondo il nostro modo di capire e di esprimerci, dato che noi esprimiamo in Dio con termini diversi l'intelletto e l ' intendere, nonostante che l'intendere stesso di Dio sia la sua essenza, che non ha principio.

Articulus 5 Utrum potentia generandi significet relationem, et non essentiam

Articolo 5 La potenza generativa indica l'essenza divina?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod po­ tentia generandi vel spirandi significet relatio­ nem, et non essentiam. l . Potentia enim significat principium, ut ex eius detìnitione patet, dicitur enim potentia activa esse principium agendi, ut patet in 5 Met. [4, 1 2, 1 ] . Sed principium in divinis re­ spectu personae dicitur notionaliter. Ergo potentia in divinis non significat essentiam, sed relationem. 2. Praeterea, in divinis non differt posse et agere. Sed generatio in divinis significat rela­ tionem. Ergo et potentia generandi. 3. Praeterea, ea quae significant essentiam in divinis, communia sunt tribus personis. Sed potentia generandi non est communis tribus personis, sed propria Patri. Ergo non signi­ ficat essentiam. Sed contra est quod, sicut Deus potest ge­ nerare Filium, ita et vult. Sed voluntas gene­ randi significat essentiam. Ergo et potentia generandi. Respondeo dicendum quod quidam dixerunt quod potentia generandi significat relationem in divinis. Sed hoc esse non potest. Nam illud proprie dicitur potentia in quocumque agente, quo agens agit. Omne autem producens ali­ quid per suam actionem, producit sibi simile

Sembra di no. Infatti: l . Potenza significa principio, come appare dalla sua stessa definizione: poiché la potenza attiva, come dice Aristotele, è il principio del­ l' operazione. Ma in Dio il principio riguar­ dante le persone è preso in senso nazionale. Quindi in Dio la potenza [di generare] indica una relazione, e non l'essenza. 2. In Dio non c'è differenza tra il poter [agire] e l' agire. Ma la generazione in Dio sta a indi­ care la relazione. Quindi anche la potenza di generare [indica la relazione] . 3 . Gli attributi divini che indicano l ' essenza sono comuni alle tre persone. Ma la potenza di generare non è comune alle tre persone, essendo propria del Padre. Quindi non signifi­ ca l'essenza. In contrario: come Dio può generare il Figlio, così anche lo vuole. Ma la volontà di generare sta a indicare l'essenza. Quindi anche la po­ tenza di generare significa l'essenza. Risposta: alcuni dissero che la potenza gene­ rativa in Dio sta a indicare una relazione. Ma ciò è impossibile. Infatti in qualsiasi agente si chiama propriamente potenza il principio per cui esso agisce. Ora, chiunque con la propria azione produce una cosa, la produce simile a se stesso, determinandola secondo la forma

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Le persone in rapporto agli atti nazionali

quantum ad formam qua agit sicut homo ge­ nitus est similis generanti in natura humana, cuius virtute pater potest generare hominem. Illud ergo est potentia generativa in aliquo generante, in quo genitum similatur generanti. Filius autem Dei similatur Patri gignenti in natura divina. Unde natura divina in Patre, est potentia generandi in ipso. Unde et Hilarius dicit, in 5 De Trin. [37], nativitas Dei non

potest eam ex qua profecta est, non tenere naturam; nec enim aliud quam Deus subsistit, quod non aliunde quam de Deo subsistit. Sic

igitur dicendum est quod potentia generandi principaliter significat divinam essentiam, ut Magister dicit, 7 dist. l Sent. [2]; non autem tantum relationem. Nec etiam essentiam inquantum est idem relationi, ut significet ex aequo utrumque. Licet enim paternitas u t forma Patris significetur, est tamen proprietas personalis, habens se ad personam Patris, ut forma individualis ad aliquod individuum creatum. Forma autem individualis, in rebus creatis, constituit personam generantem, non autem est quo generans generat, alioquin So­ crates generaret Socratem. Unde neque pater­ nitas potest intelligi ut quo Pater generat, sed ut constituens personam generantis, alioquin Pater generaret Patrem. Sed id quo Pater ge­ nerat, est natura divina, in qua sibi Filius assi­ milatur. Et secundum hoc Damascenus dicit [De fide l ,8] quod generatio est opus naturae, non sicut generantis, sed sicut eius quo gene­ rans generat. Et ideo potentia generandi signi­ ficat in recto naturam divinam, sed in obliquo relationem. Ad primum ergo dicendum quod potentia non significat ipsam relationem principii, alioquin esset in genere relationis, sed significat id quod est principium; non quidem sicut agens dicitur principium, sed sicut id quo agens agit, dicitur principium agens autem distinguitur a facto, et generans a generato, sed id quo generans generat, est commune genito et generanti; et tanto perfectius, quanto pertectior fuerit gene­ ratio. Unde, cum divina generatio sit perfectis­ sima, id quo generans generat, est commune genito et generanti, et idem numero, non solum specie, sicut in rebus creatis. Per hoc ergo quod dicimus quod essentia divina est principium quo generans generat, non sequitur quod essentia divina distinguatur; sicut sequeretut; si diceretur quod essentia divina generat.

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di cui si serve per agire: l'uomo generato, per es., è simile al generante nella natura umana, in virtù della quale il padre ha potuto ge­ nerare un uomo. Quindi la potenza genera­ tiva in un generante sarà ciò in cui si riscon­ tra la somiglianza del generato con il gene­ rante. Ora, il Figlio di Dio assomiglia al Pa­ dre generante nella natura divina. Quindi la natura divina del Padre è i n lui la potenza generativa. Per cui llario scrive: «La nascita di Dio non può non ritenere quella natura dalla quale proviene: poiché ciò che non trae la propria sostanza da altri se non da Dio non può essere altro che Dio». Perciò, col Mae­ stro delle Sentenze, bisogna dire che la poten­ za generativa designa principalmente l ' es­ senza divina, e non la sola relazione. E de­ signa l' essenza non in quanto questa si iden­ tifica con la relazione, come se le indicasse tutte e due alla pari. Sebbene infatti la pater­ nità si presenti come forma del Padre, tutta­ via, essendone la proprietà personale, sta alla persona del Padre come la forma individuale sta a un individuo creato. Ora, nelle creature l a forma individuale costituisce la persona generante, ma non è il principio per cui essa genera: altrimenti Socrate genererebbe un altro Socrate. Quindi la paternità non può essere concepita come il principio per cui il Padre genera, ma solo come il costitutivo della persona che genera: altrimenti il Padre genererebbe un altro Padre. Ciò per cui il Pa­ dre genera è invece la natura divina, nella quale il Figlio è a lui simile. Per questo il Da­ masceno dice che la generazione è «opera della natura» : non nel senso che la natura sia il generante, ma in quanto è il principio in forza del quale il generante genera. Perciò la potenza generativa indica direttamente la natura divina e indirettamente la relazione. Soluzione delle difficoltà: l . La potenza non indica la relazione stessa di principio, altri­ menti sarebbe nella categoria della relazione, ma indica ciò che è il principio: non il princi­ pio che corrisponde al soggetto che agisce, ma il principio che è la virtù mediante cui l'agente agisce. Ora, l 'agente è distinto dalla cosa pro­ dotta, e il generante dal generato, ma ciò me­ diante cui il generante genera è comune al generato e al generante; e tanto più è comune quanto più perfetta è la generazione. Essendo quindi la divina generazione perfettissima, ciò -

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Ad secundum dicendum quod sic est idem in divinis potentia generandi cum generatione, sicut essentia divina cum generatione et pater­ nitate est idem re, sed non ratione. Ad tertium dicendum quod, cum dico poten­ tiam generandi, potentia significatur in n�cto, et generatio in obliquo; sicut si dicerem es­ sentiam Patris. Unde quantum ad essentiam quae significatur, potentia generandi commu­ nis est tribus personis, sed quantum ad no­ tionem quae connotatur, propria est personae Patris.

principio in forza del quale il generante gene­ ra, non ne segue che l'essenza divina venga

Articulus 6 Utrum actus notionalis ad plures personas terminari possit

Articolo 6 Un atto nozionale può dare origine a più persone?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod actus notionalis ad plures personas terminari possit, ita quod sint plures personae genitae vel spiratae in divinis. l . Cuicumque enim inest potentia generandi, potest generare. S ed Filio i nest potentia generandi. Ergo potest generare. Non autem seipsum. Ergo alium Filium. Ergo possunt es­ se plures Filii in divinis. 2. Praeterea, Augustinus dicit, Contra Max. [2, 12], Filius non genuit Creatorem. Neque

Sembra di sì. Infatti: l . Chiunque ha la potenza di generare può generare. Ma il Figlio ha questa potenza. Quindi anch'egli può generare; non se stesso, evidentemente: quindi un altro Figlio. Quindi in Dio ci possono essere più Figli. 2. Agostino dice: «ll Figlio non ha generato un Creatore. Non già perché gli mancasse la potenza, ma perché ciò non era conveniente». 3. La potenza generativa di Dio Padre è mag­ giore di quella dell'uomo. Ma l'uomo può generare molti figli. Quindi anche Dio: tanto più che con la generazione del Figlio non è diminuita la potenza generativa del Padre. In contrario: in Dio non c'è differenza tra il potere e l'essere. Se dunque in Dio vi potes­ sero essere più Figli, vi sarebbero di fatto. E così le persone sarebbero più di tre: ma questa è un'eresia. Risposta: come dice Atanasio, in Dio c'è «Un solo Padre, un solo Figlio, un solo Spirito S anto». E di ciò si possono portare quattro ragioni. La prima è tratta dalle relazioni, che sole distinguono le persone. Essendo infatti le persone divine le stesse relazioni sussistenti, non potrebbero esserci in Dio più Padri o più

enim non potuit, sed non oportuit.

3. Praeterea, Deus Pater est potentior ad gene­ randum quam pater creatus. Sed unus homo potest generare plures filios. Ergo et Deus, praecipue cum potentia Patris, uno Filio gene­ rato, non diminuatur. Sed contra est quod in divinis non differt esse et posse. Si igitur in divinis possent esse plures Filii, essent plures Filii. Et ita essent plures per­ sonae qurun tres in divinis, quod est haereticum. Respondeo dicendum quod, sicut Athanasius dicit [Symb.], in divinis est tantum unus Pater, unus Filius, unus Spiritus Sanctus. Cuius quidem ratio quadruplex assignari potest. Pri­ ma quidem ex parte relationum, quibus solum

mediante cui il generante genera è talmente comune al generato e al generante da essere non solo specificamente - come avviene nelle creature -, ma anche numericamente identico. Se quindi si afferma che l'essenza divina è il distinta, come invece seguirebbe se si dicesse che l'essenza divina genera. 2. In Dio la potenza generativa si identifica realmente con la generazione, come l'essenza divina si identifica realmente con la genera­ zione e con la paternità; non si identifica però concettualmente. 3. Nell'espressione potenza di generare è indi­ cata direttamente la potenza e indirettamente la generazione: come se si dicesse l'essenza del Padre. Quanto dunque all'essenza così indicata, la potenza di generare è comune alle tre perso­ ne; quanto invece alla nozione [indirettamente] specificata, è propria della persona del Padre.

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Le persone in rapporto agli atti nazionali

personae distinguuntur. Cum enim personae divinae sint ipsae relationes subsistentes, non possent esse plures Patres vel plures Filii in divinis, nisi essent plures patemitates et plures filiationes. Quod quidem esse non posset nisi secundum materialem rerum distinctionem, formae enim unius speciei non multiplicantur nisi secundum materiam, quae in divinis non est. Unde in divinis non potest esse nisi una tantum tiliatio subsistens; sicut et albedo sub­ sistens non posset esse nisi una. Secunda vero ex modo processionum. Quia Deus omnia intelligit et vult uno et simplici actu. Unde non potest esse nisi una persona procedens per modum Verbi, quae est Filius; et una tan­ tum per modum Amoris, quae est Spiritus Sanctus. Tertia ratio sumitur ex modo proce­ dendi. Quia personae ipsae procedunt natura­ liter, ut dictum est [a. 2], natura autem deter­ minatur ad unum. Quarta ex perfectione divi­ narum personarum. Ex hoc enim est perfectus Filius, quod tota filiatio divina in eo contine­ tur, et quod est tantum unus Filius. Et sirnili­ ter dicendum est de aliis personis. Ad primum ergo dicendum quod, quamvis simpliciter concedendum sit quod potentiam quam habet Pater, habeat Filius; non tamen concedendum est quod Filius habeat poten­ tiam generandi, si generandi sit gerundivum verbi activi, ut sit sensus quod Filius habeat potentiam ad generandum. Sicut, licet idem esse sit Patris et Filii, non tamen convenit Fi­ lio esse Patrem, propter notionale adiunctum. Si tamen hoc quod dico generandi, sit gerun­ divum verbi passivi, potentia generandi est in Filio, idest ut generetur. Et sirniliter si sit ge­ rundivum verbi impersonalis, ut sit sensus, potentia generandi, idest qua ab aliqua perso­ na generatur. Ad secundum dicendum quod Augustinus in verbis illis non intendit dicere quod Filius posset generare Filium, sed quod hoc non est ex impotentia Filii, quod non generet, ut infra [q. 42 a. 6 ad 3] patebit. Ad tertium dicendum quod immaterialitas et perfectio divina requirit ut non possint esse plures Filii in divinis, sicut dictum est [in co.]. Unde quod non sint plures Filii, non est ex impotentia Patris ad generandum.

Q. 4 1 , A. 6

Figli senza che vi fossero più paternità o più filiazioni. Ora, ciò non potrebbe avvenire se non per una distinzione di ordine materiale: infatti le forme di un'unica specie si moltipli­ cano soltanto perché si uniscono alla materia: ma questa in Dio non c'è. Quindi in Dio non ci può essere che una sola filiazione sussisten­ te: come non ci sarebbe che un'unica bian­ chezza se questa fosse sussistente. - La secon­ da ragione è ricavata dalla natura delle proces­ sioni. Dio infatti intende e vuole tutte le cose con un unico e semplice atto. Quindi non vi può essere che un'unica persona procedente come Verbo, e questa è il Figlio, e una sola che procede come Amore, ed è lo Spirito San­ to. - La terza ragione viene desunta dalla ma­ niera del procedere. Poiché le persone, come si è detto, procedono per processione naturale, e la natura è determinata a un unico effetto. La quarta ragione è tratta dalla perfezione delle persone divine. Infatti il Figlio è perfetto appunto perché in lui si contiene tutta la filia­ zione divina, e perché è un Figlio solo. E lo stesso si dica delle altre persone. Soluzione delle difficoltà: l . Si deve senz'altro concedere che il Figlio ha la stessa potenza che ha il Padre: tuttavia non si può ammettere che egli abbia la potenza generandi [di gene­ rare o di essere generato], se generandi è pre­ so come gerundio del verbo attivo, in modo da significare che il Figlio ha la potenza di gene­ rare. Allo stesso modo l'essere del Padre è identico a quello del Figlio, e tuttavia non si può dire che il Figlio è il Padre, per l'aggiunta del termine nozionale. Se però generandi è considerato come gerundivo, nel Figlio esiste la potentia generandi, cioè la possibilità di es­ sere generato. E lo stesso si dica se generandi è preso come gerundivo impersonale, per cui l'espressione potentia generandi [attribuita al Figlio] avrebbe il significato di potenza di essere generato da qualche persona. 2. Con quelle parole Agostino non vuoi dire che il Figlio potrebbe generare tm altro Figlio, ma soltanto che il fatto di non generare non proviene da impotenza, come si dirà in seguito. 3. L' immaterialità e la perfezione di Dio richie­ dono che in lui non vi possano essere più Figli, come si è spiegato. Quindi il fatto che non vi siano più Figli non proviene da una limitazione della potenza del Padre nel generare.

Q. 42, A. l

L 'uguaglianza e la somiglianza delle persone divine

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QUAESTI0 42

QUESTIONE 42

DE AEQUALITATE ET SIMILITUDINE DIVINARUM PERSONARUM AD INVICEM

L'UGUAGLIANZA E LA SOMIGLIANZA DELLE PERSONE DIVINE

Deinde considerandum est de comparatione personarum ad invicem [cf. q. 39 prol.]. Et pri­ mo, quantum ad aequalitatem et similitudi­ nem; secundo, quantum ad missionem [q. 43]. Circa primum quaeruntur sex. Primo, utrum aequalitas locum habeat in divinis personis. S ecundo, utrum persona procedens s i t aequalis e i a qua procedit, secundum aetemi­ tatem. Tertio, utrum sit aliquis ordo in divinis personis. Quarto utrum personae divinae sint aequales secundum magnitudinem. Quinto, utrum una earum sit in alia. Sexto, utrum sint aequales secundum potentiam.

Infine rimangono da confrontare le persone di­ vine tra loro. Primo, parleremo della loro ugua­ glianza e somiglianza; secondo, delle loro mis­ sioni. Riguardo alla prima questione si pon­ gono sei quesiti: l . Tra le persone divine c'è u­ guaglianza? 2. La persona che procede è ugua­ le nell'eternità a quella da cui procede? 3. Tra le persone divine c'è un ordine? 4. Le persone divine sono uguali in grandezza? 5. Sono una nell'altra? 6. Sono uguali in potenza?

Articulus l

Articolo l Tra le persone divine c'è uguaglianza?

Utrum aequalitas locum habeat in divinis Ad primum sic proceditur. Videtur quod ae­ qualitas non competat divinis personis. l . Aequalitas enim attenditur secundum unum in quantitate, ut patet per philosophum, 5 Met. [4, 1 5,4]. In divinis autem personis non invenitur neque quantitas continua intrinseca, quae dicitur magnitudo; neque quantitas continua extrinseca, quae dicitur locus et tem­ pus; neque secundum quantitatem discretam invenitur in eis aequalitas, quia duae personae sunt plures quam una. Ergo divinis personis non convenit aequalitas. 2. Praeterea, divinae personae sunt unius essentiae, ut supra [q. 39 a. 2] dictum est. Essentia autem significatur per modum for­ mae. Convenientia autem in forma non facit aequalitatem, sed similitudinem. Ergo i n divinis personis est dicenda sirnilitudo, et non aequalitas. 3. Praeterea, in quibuscumque invenitur ae­ qualitas, illa sunt sibi invicem aequalia, quia aequale dicitur aequali aequale. Sed divinae personae non possunt sibi invicem dici aequa­ les. Quia, ut Augustinus dicit, 6 De Trin. [ 1 0],

imago, si peifecte implet illud cuius est ima­ go, ipsa coaequatur ei, non illud imagini suae. Imago autem Patris est Filius, et sic Pa­ ter non est aequalis Filio. Non ergo in divinis personis invenitur aequalitas.

Sembra di no. Infatti: l . Come dice il Filosofo, l'uguaglianza deriva dal concordare nella quantità. Ora, nelle persone divine non c'è né la quantità continua intrinseca, chiamata estensione, né la quantità continua estrinseca, cioè il luogo e il tempo. E neppure c'è tra di esse l'uguaglianza della quantità di­ screta, essendo due persone più di una. Quindi alle persone divine non conviene l'uguaglianza. 2. Le persone divine, come si è detto, sono tutte di una stessa e identica essenza. Ma l'essenza viene significata come una forma. Ora, il con­ cordare nella stessa forma non produce ugua­ glianza, ma solo somiglianza. Quindi tra le per­ sone divine c'è somiglianza, non uguaglianza. 3. Le cose tra cui c'è uguaglianza sono uguali tra loro: infatti l'uguale si dice uguale all'u­ guale. Ma le persone divine non possono dirsi uguali l'una all'altra. Poiché, come dice Ago­ stino, «se l'immagine riproduce esattamente e perfettamente l'oggetto di cui è immagine, es­ sa si adegua all' oggetto, ma non questo ad es­ sa>>. Ora, il Figlio è immagine del Padre: per­ ciò questi non è uguale al Figlio. Quindi tra le persone divine non c'è uguaglianza. 4. L'uguaglianza è una relazione. Ma nessuna relazione è comune alle persone divine: poi­ ché esse si distinguono tra loro appunto per le relazioni. Quindi alle persone divine non può convenire l'uguaglianza.

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L 'uguaglianza e la somiglianza delle persone divine

4. Praeterea, aequalitas relatio quaedam est.

Sed nulla relatio est communis omnibus personis, cum secundum relationes personae ab invicem distinguantur. Non ergo aequalitas divinis personis convenit. Sed contra est quod Athanasius dicit [Symb.], quod tres personae coaeternae sibi sunt et

coaequales.

Respondeo dicendum quod necesse est pone­ re aequalitatem in divinis personis. Quia se­ cundum philosophum, in 1 0 Met. [9,5,6], aequale dicitur quasi per negationem minoris et maioris. Non autem possumus in divinis personis ponere aliquid maius et minus, quia, ut Boetius dicit, in libro De Trin. [ 1 , 1 ], eos differentia, scilicet deitatis, comitatur, qui vel

augent ve/ minuunt, ut Ariani, qui gradibus meritorum Trinitatem variantes distrahunt, atque in pluralitatem deducunt. Cuius ratio

est, quia inaequalium non potest esse una quantitas numero. Quantitas autem in divinis non est aliud quam eius essentia. Unde relin­ quitur quod, si esset aliqua inaequalitas in di­ vinis personis, quod non esset in eis una es­ sentia, et sic non essenl tres personae unus Deus, quod est impossibile. Oportet igitur aequalitatem ponere in divinis personis. Ad primum ergo dicendum quod duplex est quantitas. Una sci1icet quae dicitur quantitas molis, vel quantitas dimensiva, quae in solis rebus corporalibus est, unde in divinis perso­ nis locum non habet. Sed alia est quantitas virtutis, quae attenditur secundum perfectio­ nem alicuius naturae vel formae, quae qui­ dem quantitas designatur secundum quod di­ citur aliquid magis vel minus calidum, in­ quantum est perfectius vel minus perfectum in caliditate. Huiusmodi autem quantitas vir­ tualis attenditur primo quidem in radice, idest in ipsa perfectione formae vel naturae, et sic dicitur magnitudo spiritualis, sicut dicitur magnus calor propter suam intensionem et perfectionem. Et ideo dicit Augustinus, 6 De Trin. [8], quod in his quae non mole magna

sunt, hoc est maius esse, quod est melius esse,

nam melius dicitur quod perfectius est. Secondo autem attenditur quantitas virtualis in effectibus formae. Primus autem effectus formae est esse, nam omnis res habet esse secundum suam formam. Secundus autem effectus est operatio, nam omne agens agit per suam formam. Attenditur igitur quantitas

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In contrario: è detto nel Simbolo atanasiano: «Le tre persone sono coeteme e uguali tra loro». Risposta: è necessario affermare che tra le persone divine c'è uguaglianza. Infatti, se­ condo il Filosofo, si ha il concetto di uguale escludendo il più e il meno. Ora, non possiamo ammettere che tra le persone divine ci sia il più e il meno: poiché, come dice Boezio, «sono costretti a ticonoscere delle discrepanze» nella divinità «coloro che ammettono in Dio il più e il meno, come gli Ariani, i quali con lo stabilire dei gradi distruggono la Trinità e la riducono a una pluralità». E il motivo è questo, che le cose disuguali non possono avere un'unica quantità. Ma la quantità in Dio non è altro che la sua essenza. Da cui segue che, se nelle persone divine ci fosse qualche disuguaglianza, queste non potrebbero avere un'unica essenza: e così le tre persone non sarebbero un Dio solo, il che è inammissibile. Quindi bisogna ammettere l'uguaglianza tra le diverse persone. Soluzione delle difficoltà: l . Ci sono due spe­ cie di quantità. La prima è quella di mole, o di estensione, che, essendo propria delle realtà corporee, non può trovarsi in Dio. L'altra è la quantità di intensità, che si desume dal grado di perfezione della natura o della forma: si parla per es. di questa quantità quando un corpo è detto più o meno caldo per indicare che partecipa più o meno perfettamente del calore. Ora, la grandezza di questa quantità intensiva viene desunta, in primo luogo, dalla sua radice, cioè dalla perfezione della natura o forma: e in questo senso si può parlare di grandezza spirituale, come si parla di un gran­ de calore a motivo della sua intensit.1. e perfe­ zione. E in questo senso Agostino dice: «Tra le cose che sono grandi senza essere estese, è più grande quella che è migliore»: infatti di­ ciamo che è migliore ciò che è più perfetto. In secondo luogo la grandezza di questa quantità intensiva viene desunta dagli effetti della for­ ma. Ora, il primo effetto della forma è l'esse­ re: infatti ogni cosa ha l'essere dalla propria forma. L'altro effetto è invece l'operazione: infatti ogni agente agisce in forza della pro­ pria forma. Quindi la misura quantitativa dell'intensità viene desunta sia dall'essere che dall'operazione: dall'essere in quanto le realtà di natura più pertetta sono anche più durature; dall'operazione in quanto le realtà di natura

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virtualis et secundum esse, et secundum ope­ rationem, secundum esse quidem, inquantum ea quae sunt perfectioris naturae, sunt maioris durationis; secundum operationem vero, in­ quantum ea quae sunt perfectioris naturae, sunt magis potentia ad agendum. Sic igitur, ut Augustinus dicit, in libro De fide ad Petrum [ l ], aequalitas intelligitur in Patre et Fili o et Spiritu Sancto, inquantum nullus horum aut

praecedit aetemitate, aut excedit magnitudine, aut superar potestate.

Ad secundum dicendum quod ubi attenditur aequalitas secundum quantitatem virtualem, aequalita."ì includit in se similitudinem, et ali­ quid plus, quia excludit excessum. Quaecum­ que enim communicant in una forma, possunt dici similia, etiamsi i naequaliter illam for­ mam participant, sicut si dicatur aer esse si­ milis igni in calore, sed non possunt dici ae­ qualia, si unum altero perfectius formam il­ lam participet. Et quia non solum una est na­ tura Patris et Filii, sed etiam aeque perfecte est in utroque, ideo non solum dicimus Filium esse similem Patri, ut excludatur error Eu­ nomii ; sed etiam dicimus aequalem, u t excludatur error Arii. Ad tertium dicendum quod aequalitas vel si­ militudo dupliciter potest significari in divi­ nis, scilicet per nomina et per verba. Secun­ dum quidem quod significatur per nomina, mutua aequalitas dicitur in divinis personis et similitudo, Filius enim est aequalis et similis Patri, et e converso. Et hoc ideo, quia essentia divina non magis est Patris quam Filii, unde, sicut Filius habet magnitudinem Patris, quod est esse eum aequalem Patri, ita Pater habet magnitudinem Filii, quod est esse eum aequa­ lem Filio. Sed quantum ad creaturas, ut Dio­ nysius dicit, 9 cap. De div. nom. [6], non reci­

pitur conversio aequalitatis et similitudinis.

Dicuntur enim causata similia causis, inquan­ tum habent formam causarum, sed non e con­ verso, quia forma principaliter est in causa, et secundario in causato. Sed verba significant aequalitatem cum motu. Et licet motus non sit in divinis, est tamen ibi accipere. Quia igitur Filius accipit a Patre unde est aequalis ei, et non e converso, propter hoc dicimus quod Filius coaequatur Patri, et non e converso. Ad quartum dicendum quod in divinis perso­ nis nihil est considerare nisi essentiam, in qua communicant, et relationes, i n quibus distin-

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più perfetta sono anche più capaci di agire. Quindi, come dice Agostino, l 'uguaglianza tra il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo «Sta in questo, che nessuno di loro precede l' altro nell'eternità, o lo sorpassa nella grandezza, o lo supera nella potenza» . 2. Dove si desume l 'uguaglianza dalla quan­ tità di intensità, questa include la somiglianza e vi aggiunge in più l'esclusione di una pre­ minenza. Intatti le realtà che hanno la stessa forma possono essere dette simili anche se la partecipano in grado differente: l'aria, per es., può essere detta simile al fuoco nel calore; però non possono essere dette uguali se una partecipa la forma più perfettamente dell'al­ tra. Ora, il Padre e il Figlio non solo hanno la stessa natura, ma l 'hanno anche in modo u­ gualmente perfetto: perciò il Figlio non solo è detto simile al Padre, per escludere l'errore di Eunomio, ma è detto anche uguale, per esclu­ dere quello di Ario. 3. L' uguaglianza e la somiglianza in Dio pos­ sono venire espresse in due modi, cioè coi nomi e coi verbi. Se vengono espresse coi nomi, allora tanto l'una quanto l' altra ammet­ tono la reciprocità, poiché il Figlio è simile e uguale al Padre, e il Padre è simile e uguale al Figlio. E questo perché l'essenza divina non è più nel Padre che nel Figlio: perciò, come il Figlio ha la grandezza del Padre, e quindi è uguale al Padre, così il Padre ha la grandezza del Figlio ed è uguale al Figlio. Nelle creature invece, come dice Dionigi, «non c'è questa reciprocità di uguaglianza e di somiglianza». Si dice infatti che gli effetti sono simili alle loro cause, avendone in sé la forma, ma non viceversa, in quanto la forma si trova princi­ palmente nelle cause e solo secondariamente negli effetti. I verbi invece esprimono l'u­ guaglianza unita ali ' idea di movimento. E sebbene in Dio non esista il moto, tuttavia c'è in lui [il dare e] il ricevere. Quindi, poiché il Figlio riceve dal Padre, per cui è a lui uguale, diciamo che il Figlio uguaglia il Padre, ma non viceversa. 4. Nelle persone divine non c'è altro che l'es­ senza in cui comunicano, e le relazioni per le quali si distinguono. Ora, l'uguaglianza com­ porta queste due cose: la distinzione delle per­ sone, poiché nessuna cosa può dirsi uguale a se stessa, e l'unità dell'essenza, poiché le per­ sone si dicono uguali tra loro precisamente -

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guuntur. Aequalitas autem utrumque impor­ tat, scilicet distinctionem personarum, quia nihil sibi ipsi dicitur aequale; et unitatem es­ sentiae, quia ex hoc personae sunt sibi invi­ cem aequales, quod sunt unius magnitudinis et essentiae. Manifestum est autem quod idem ad seipsum non refertur aliqua relatione reali. Nec iterum una relatio refertur ad aliam per aliquam aliam relationem, cum enim dici­ mus quod paternitas opponitur filiationi, op­ positio non est relatio media inter paternita­ tem et filiationem. Quia utroque modo relatio multiplicaretur in infinitum. Et ideo aequalitas et similitudo in divinis personis non est aliqua realis relatio distincta a relationibus personali­ bus, sed in suo intellectu includit et relationes distinguentes personas, et essentiae unitatem. Et propterea Magister dicit, in 3 1 dist l Sent. [1], quod in his appellatio tantum est relativa. Articulus 2

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perché sono di un'unica essenza e grandezza. E poi chiaro che nessuna cosa si riferisce a se medesima con una relazione reale. Così pure è evidente che una relazione non si riferisce a un' altra mediante una terza relazione: quando infatti diciamo che la paternità si oppone alla filiazione, l'opposizione non è una terza rela­ zione interposta tra la paternità e la filiazione, perché altrimenti in tutti e due i casi si andreb­ be all' infinito. Quindi l'uguaglianza e la so­ miglianza delle persone divine non è un'altra relazione reale distinta dalle relazioni perso­ nali [paternità, filiazione, spirazione], ma nel suo concetto include sia le relazioni che di­ stinguono le persone, sia l' unità dell'essenza. E per questo il Maestro delle Sentenze dice che nelle persone divine «soltanto le denomi­ nazioni sono relative».

Articolo 2

Utrum persona procedens sit coaetema suo principio, ut Filius Patri

La persona che procede, il Figlio per esempio, è coetema al suo principio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod persona procedens non sit coaeterna suo prin­ cipio, ut Filius Patri. l . Arius enim duodecim modos generationis assignat. Primus modus est iuxta fluxum li­ neae a puncto, ubi deest aequalitas simplici­ tatis. Secundus modus est iuxta emissionem radiorum a sole, ubi deest aequalitas naturae. Tertius modus est iuxta characterem, seu im­ pressionem a sigillo, ubi deest consubstan­ tialitas et potentiae efficientia. Quartus modus est iuxta immissionem bonae voluntatis a Deo, ubi etiam deest consubstantialitas. Quin­ tus modus est iuxta exitum accidentis a sub­ stantia, sed accidenti deest subsistentia. Sextus modus est iuxta abstractionem speciei a mate­ ria, sicut sensus accipit speciem a re sensibili, ubi deest aequalitas simplicitatis spiritualis. Septimus modus est iuxta excitationem vo­ luntatis a cogitatione, quae quidem excitatio temporalis est. Octavus modus est iuxta trans­ figurationem, ut ex aere fit imago, quae mate­ rialis est. Nonus modus est motus a movente, e t h i c e t i am p o n i t u r effectus et c a u s a . Decimus modus est iuxta eductionem specie­ rum a genere, qui non competit i n divinis, quia Pater non praedicatur de Filio sicut ge­ nus de specie. Undecimus modus est iuxta

Sembra di no. Infatti: l . Ario enumera dodici modi di derivazione. Il primo è quello della linea che nasce dal punto: e qui manca l'uguaglianza della sem­ plicità. Il secondo è quello dell'emissione dei raggi dal sole: dove manca l' uguaglianza di natura. Il terzo modo è quello del bollo o del­ l'impronta lasciata dal sigillo: ove però man­ ca la consostanzialità e l'efficienza della po­ tenza. Il quarto è quello dell'infusione della buona volontà da parte di Dio: dove ancora manca la consostanzialità. Il quinto è quello della derivazione dell'accidente dalla sostanza: ma all' accidente manca la sussistenza. Il sesto modo è quello dell' astrazione delle specie conoscitive dalla materia, come i sensi ri­ cevono la specie dalle realtà sensibili: e qui manca l 'uguaglianza [di immaterialità o] di semplicità spirituale. n settimo è quello del­ l' eccitazione della volontà prodotta dal pen­ siero: ma questa eccitazione richiede il tem­ po. L'ottavo modo è quello della mutazione di figura, come quando col bronzo si forma una statua: ma questa è sempre materiale. Il nono è quello del moto prodotto dal movente: e anche qui si ha causa ed effetto. Il decimo è quello desunto dalle specie che vengono tratte fuori dal genere [nel quale erano contenute] :

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ideationem, ut arca exterior ab ea quae est in mente. Duodecimus modus est iuxta nascen­ tiam, ut homo est a patre, ubi est prius et pos­ terius secundum tempus. Patet ergo quod in omni modo quo aliquid est ex altero, aut deest aequalitas naturae, aut aequalitas durationis. Si igitur Filius est a Patre, oportet dicere vel eum esse minorem Patre, aut posteriorem, aut utrumque. 2. Praeterea, omne quod est ex altero, habet principium. Sed nullum aetemum habet prin­ cipium. Ergo Filius non est aetemus, neque Spiritus Sanctus. 3. Praeterea, omne quod corrumpitur, desinit esse. Ergo omne quod generatur, incipit esse, ad hoc enim generatur, ut sit. Sed Filius est genitus a Patre. Ergo incipit esse, et non est coaeternus Patri. 4. Praeterea, si Filius genitus est a Patre, aut semper generatur, aut est dare aliquod instans suae generationis. Si semper generatur; dum autem aliquid est in generari, est imperfec­ tum, sicut patet in successivis, quae sunt semper in fieri, ut tempus et motus, sequitur quod Filius semper sit imperfectus; quod est inconveniens. Est ergo dare aliquod instans generationis Fi lii. Ante illud ergo instans Filius non erat. Sed contra est quod Athanasius dicit [Symb.], quod totae tres personae coaeternae sibi sunt. Respondeo dicendum quod necesse est dicere Filium esse coaetemum Patri. Ad cuius evi­ dentiam, considerandum est quod aliquid ex principio existens posterius esse suo prin­ cipio, potest contingere ex duobus, uno modo, ex parte agentis; alio modo, ex parte actionis. Ex parte agentis quidem, aliter in agentibus voluntariis, aliter in agentibus naturalibus. In agentibus quidem voluntariis, propter electio­ nem temporis, sicut enim in agentis voluntarii potestate est eligere formam quam effectui conferat, ut supra [q. 41 a. 2] dictum est, ita in eius potestate est eligere tempus in quo ef­ tectum producat. In agentibus autem natura­ libus hoc contingit, quia agens aliquod non a principio habet perfectionem virtutis natura­ liter ad agendum, sed ei advenit post aliquod tempus; sicut homo non a principio generare potest. Ex parte autem actionis, impeditur ne id quod est a principio simul sit cum suo prin­ cipio, propter hoc quod actio est successiva. Unde, dato quod aliquod agens tali actione

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ma questo modo non può convenire a Dio, poiché il Padre non si predica del Figlio come il genere della specie. L'undicesimo è quello della ideazione, secondo cui l'arca esteriore deriva da quella ideale esistente nella mente [dell'artigiano] . Il dodicesimo è quello della nascita, cioè quello del figlio che nasce dal padre: ma qui abpiamo un prima e un poi in ordine di tempo. E chiaro dunque che, in qua­ lunque modo una cosa derivi da un' altra, manca o l'uguaglianza di natura o quella di durata. Se dunque il Figlio deriva dal Padre, si deve dire o che egli è minore del Padre, o che è posteriore, o l'una e l'altra cosa insieme. 2. Thtto ciò che deriva da altro ha un princi­ pio. Ma nulla di eterno ha ptincipio. Quindi né il Figlio né lo Spitito Santo sono eterni. 3. Tutto ciò che si corrompe cessa di essere. Quindi tutto ciò che viene generato incomincia a essere: infatti viene generato affinché sia. Ma i l Figlio è generato dal Padre. Quindi in­ comincia a essere, e non è coetemo al Padre. 4. Se il Figlio è generato dal Padre, o è conti­ nuamente generato, o si può assegnare un istante della sua generazione. Se è continua­ mente generato, siccome ciò che si sta gene­ rando è imperfetto, e lo vediamo nelle cose in divenire, cioè nel tempo e nel moto, ne segue che il Figlio è sempre imperfetto, il che è inammissibile. Quindi deve esserci un istante della generazione del Figlio. Quindi prima di quell'istante il Figlio non esisteva. In contrario: nel Simbolo atanasiano si legge: «Tutte e tre le persone sono coeterne». Risposta: è necessruio affermare che il Figlio è coeterno al Padre. Per mettere in chiaro la cosa si osservi che due possono essere i motivi per cui quanto deriva da un principio è ad esso posteriore: primo, dalla parte dell' agente; secondo, dalla parte dell'azione. Se dalla parte dell'agente, ciò avviene in modi diversi secon­ do che si tratti di agenti volontari o di cause naturali. Negli agenti volontari [la postetiorità di quanto ne deriva] è dovuta alla scelta del tempo: poiché, come è in loro facoltà la scelta della forma da dare all'effetto, secondo quanto si è già spiegato, così è in loro potere la scelta del tempo in cui produrlo. Trattandosi invece di cause naturali, la posteriorità dell'effetto è dovuta al fatto che un agente inizialmente non ha quella perfezione di energia necessaria per agire, ma la acquista dopo qualche tempo:

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L 'uguaglianza e la somiglianza delle persone divine

agere inciperet statim cum est, non statim eodem instanti esset effectus, sed in instanti ad quod terminatur actio. Manifestum est au­ tem secundum praemissa [ibid.], quod Pater non generat Filium voluntate, sed natura. Et iterum, quod natura Patris ab aeterno perfecta fuit. Et iterum, quod actio qua Pater producit Filium, non est successiva, quia sic Filius Dei successive generaretur, et esset eius generatio materialis et cum motu, quod est impossibile. Relinquitur ergo quod Filius fuit, quando­ cumque fuit Pater. Et sic Filius est coaeternus Patri, et similiter Spiritus Sanctus utrique. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augus­ tinus dicit, in libro De verbis Domini [Serm. ad pop. 1 17 ,6. 10], nullus modus processionis alicuius creaturae petfecte repraesentat divi­ naro generationem, unde oportet ex multis modis colligere similitudinem, ut quod deest ex uno, aliqualiter suppleatur ex altero. Et propter hoc dicitur in Synodo ephesina [3,10],

coexistere semper coaetemum Patri Filium, splendor tibi denuntiet, impassibilitatem nati­ vitatis ostendat Verbwn; consubstantialitatem Filii nomen insinuet. Inter omnia tamen ex­

pressius repraesentat processio verbi ab intel­ lectu, quod quidem non est posterius eo a quo procedit; nisi sit talis intellectus qui exeat de potentia in actum, quod in Deo dici non potest. Ad secundum dicendum quod aeternitas ex­ cludit principium durationis, sed non princi­ pium originis. Ad tertium dicendum quod omnis corruptio est mutatio quaedam, et ideo omne quod corrumpitur, incipit non esse, et desinit esse. Sed generatio divina non est transmutatio, ut dictum est supra [q. 27 a. 2] . Unde Filius semper generatur, et Pater semper generat. Ad quartum dicendum quod in tempore aliud est quod est indivisibile, scilicet instans; et aliud est quod est durans, scilicet tempus. Sed in aeternitate ipsum nunc indivisibile est sem­ per stans, ut supra [q. I O a. 2 ad l ; a. 4 ad 2] dictum est. Generatio vero Filii non est i n nunc temporis, aut i n tempore, sed in aeterni­ tate. Et ideo, ad significandum praesentialita­ tem et petmanentiam aeternitatis, potest dici quod semper nascitur, ut Origenes dixit [In Hierem. horn. 9]. Sed, ut Gregorius [Mor. 29,1 ] et Augustinus [De div. quaest. 83, q. 37] dicunt, melius est quod dicatur semper natus, ut ly semper designet permanentiam aeterni-

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come l'uomo da principio non è atto alla gene­ razione. - Dalla parte dell'azione, invece, può essere impedito che il principio e quanto ne deriva siano simultanei se l'azione ha un certo svolgimento. Quindi, pur ammettendo che un agente cominci a compiere un'azione di questo genere dal primo istante in cui esiste, tuttavia il suo effetto non si produrrà nello stesso istante, ma solo in quello che è il termine della sua azione. Ora, stando a quanto si è detto sopra, è chiaro che il Padre non genera il Figlio per vo­ lontà, ma per natura. Inoltre la natura del Padre è perfettissima da tutta l'eternità. Di più, l' azio­ ne con cui il Padre produce il Figlio non è un'a­ zione che abbia uno svolgimento: perché altri­ menti il Figlio di Dio sarebbe generato con uno sviluppo progressivo, e la sua generazione sa­ rebbe di carattere materiale e soggetta a muta­ mento, il che è inammissibile. Rimane dunque stabilito che il Figlio esiste da quando esiste il Padre. Quindi il Figlio è coetemo al Padre; e co­ sì pure lo Spirito Santo è coeterno a entrambi. Soluzione delle difficoltà: l . Nessuno dei mo­ di di derivazione delle creature può rappresen­ tare perfettamente la generazione divina, come dice Agostino. Quindi bisogna farsene un'idea ricavandola da questi vari modi per similitu­ dine, affinché ciò che manca in uno possa in certo qual modo essere supplito da un altro. Per questo il Concilio di Efeso insegna: «>. Ma i risorti, come è detto in Mt, saranno simili agli angeli. Quindi un angelo può vedere ciò che è contenuto nella coscienza dell'altro. 2. Le figure rappresentano per i corpi ciò che sono le specie per l'intelligenza. Ma quando si vede un corpo se ne vede pure la figura. Se quindi si vede la sostanza intellettuale, si deve vedere anche la specie intelligibile che si trova in essa. Ora, dato che un angelo vede gli altri angeli e anche le anime, sembra che possa ve­ dere i pensieri tanto degli uni quanto delle altre. 3. Thtto ciò che si trova nel nostro intelletto è molto più simile all'angelo di ciò che si trova nella fantasia: poiché tutto ciò che si trova nell'intelletto è attualmente intelligibile, men­ tre ciò che si trova nella fantasia è intelligibile solo in potenza. Ma ciò che si trova nella fan­ tasia può essere conosciuto dall'angelo come le realtà corporee: la fantasia infatti è una facoltà del [nostro] corpo. Quindi l' angelo può conoscere i pensieri della mente. In contrario: ciò che è proprio di Dio non può convenire agli angeli . Ma è proprio di Dio conoscere i segreti dei cuori, come dice Ger:

Perverso è il cuore deil 'uomo e imperscntta­ bile, chi lo può conoscere? Io, il Signore, che scruto i cuori. Quindi gli angeli non conosco­

no i segreti dei cuori. Risposta: il pensiero del cuore può essere co­ nosciuto in due modi. Primo, nei suoi effetti. E in tal modo può essere conosciuto non solo

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La conoscenza angelica delle realtà materiali

quanto effectus huiusmodi fuerit magis occul­ tus. Cognoscitur enim cogitatio interdum non solum per actum exteriorem, sed etiam per immutationem vultus, et etiam medici aliquas affectiones animi per pulsum cognoscere pos­ sunt. Et multo magis angeli, vel etiam daemo­ nes, quanto subtilius huiusmodi immutationes occultas corporales perpendunt. Unde Augus­ tinus dicit, in libro De divinatione daemonum [5], quod aliquando hominum dispositiones,

non solum voce prolatas, verum etiam cogitatione conceptas, cum signa quaedam in cmpore exprimuntur ex animo, tota facilitate perdiscunt, quamvis in libro Retract. [2,30]

hoc dicat non esse asserendum quomodo fiat. Alio modo possunt cognosci cogitationes, prout sunt in intellectu; et affectiones, prout sunt in voluntate. Et sic solus Deus cogi­ tationes cordium et affectiones voluntatum cognoscere potest. Cuius ratio est, quia vo­ luntas rationalis creaturae soli Deo subiacet; et ipse solus in eam operari potest, qui est principale eius obiectum, ut ultimus finis; et hoc magis infra [q. 105 a. 4; q. 1 06 a. 2; 1-11 q. 9 a. 6] patebit. Et ideo ea quae in voluntate sunt, vel quae ex voluntate sola dependent, soli Deo sunt nota. Manifestum est autem quod ex sola voluntate dependet quod aliquis actu aliqua consideret, quia cum aliquis habet habitum scientiae, vel species intelligibiles in eo existentes, utitur eis cum vult. Et ideo dicit apostolus, l Cor. 2 [ 1 1 ] , quod quae sunt

hominis, nemo novit nisi spiritus hominis, qui in ipso est.

Ad primum ergo dicendum quod modo cogi­ tatio unius hominis non cognoscitur ab alio, propter duplex impedimentum, scilicet prop­ ter grossitiem corporis, et propter voluntatem claudentem sua secreta. Primum autem obsta­ culum tolletur in resurrectione, nec est in an­ gelis. Sed secundum impedimentum manebit post resurrectionem, et est modo in angelis. Et tamen qualitatem mentis, quantum ad quantitatem gratiae et gloriae, repraesentabit claritas corporis. Et sic unus mentem alterius videre poterit. Ad secundum dicendum quod, etsi unus an­ gelus, species intelligibiles alterius videat, per hoc quod modus intelligibilium specierum, secundum maiorem et minorem universa­ litatem, proportionatur nobilitati substantia­ rum; non tamen sequitur quod unus cognos-

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dall'angelo, ma anche dall'uomo: e con una penetrazione tanto più acuta quanto più tali effetti sono occulti. Talora, infatti, si conosce il pensiero non solo da un atto esteriore, ma anche da un semplice cambiamento del volto; i medici, poi, possono conoscere dal polso certe affezioni dell'animo. E molto più gli angeli, nonché i demoni, avendo essi una percezione più acuta delle occulte perturbazioni dei corpi. Per questo Agostino fa osservare che [i demo­ ni] «talora con tutta facilità percepiscono le disposizioni degli uomini, non solo quelle e­ spresse con le parole, ma anche quelle che, es­ sendo concepite solo col pensiero, l'animo e­ sprime nel corpo con qualche segno». Tuttavia nelle Ritraaazioni aggiunge che non si può af­ feimare in che modo ciò avvenga. Secondo, si possono conoscere i pensieri in quanto si trova­ no nell'intelletto, e gli affetti in quanto si trova­ no nella volontà. E in questa maniera solo Dio può conoscere i pensieri del cuore e gli affetti della volontà. E ciò perché la volontà razionale è soggetta soltanto a Dio, ed egli solo può ope­ rare in essa, essendone l 'oggetto principale quale ultimo fine, come si vedrà meglio in se­ guito. Quindi tutto quanto si trova nella volon­ tà, o che dipende esclusivamente da questa, è noto soltanto a Dio. Ora, è evidente che pensa­ re in maniera attuale a una data cosa dipende dalla sola volontà: poiché, quando uno ha l'a­ bito della scienza o possiede delle specie intel­ ligibili, se ne serve quando vuole. Quindi Paolo dice in l Cor. Chi conosce i segreti dell'uomo,

se non lo spirito dell'uomo che è in lui?

Soluzione delle difficoltà: l . Due cose impe­ discono a un uomo di conoscere il pensiero di un altro: la materialità del corpo e la volontà che cela i propti segreti. n primo ostacolo, che non esiste per gli angeli, sarà tolto con la risurre­ zione. n secondo, invece, rimarrà anche dopo la riswrezione, e già attualmente si trova negli an­ geli. Tuttavia Io splendore del corpo rappresen­ terà allora la pertezione dell'anima, per quanto concerne la quantità della grazia e della gloria. E in tal senso uno potrà vedere la mente dell'altro. 2. Sebbene un angelo possa scorgere le specie intelligibili di un altro, in quanto le specie in­ telligibili sono proporzionate per la loro mag­ giore o minore universalità alla nobiltà delle singole sostanze, non ne segue tuttavia che egli conosca come l' altro si serva delle sue specie nel suo pensiero attuale.

643

La conoscenza angelica delle realtà materiali

Q. 57, A. 4

3. L'appetito dell'animale bruto non è padro­

cat quomodo alius illis intelligibilibus spe­ ciebus utitur actualiter considerando. Ad tertium dicendum quod appetitus brutalis non est dominus sui actus, sed sequitur im­ pressionem alterius causae corporalis vel spi­ ritualis. Quia igitur angeli cognoscunt res cor­ porales et dispositiones earum, possunt per haec cognoscere quod est in appetitu et in ap­ prehensione phantastica brutorum animalium; et etiam hominum, secundum quod in eis quandoque appetitus sensitivus procedit in actum, sequens aliquam impressionem corpo­ ralem, sicut in brutis semper est. Non tamen oportet quod angeli cognoscant motum appe­ titus sensitivi et apprehensionem phantasti­ cam hominis, secundum quod moventur a voluntate et ratione, quia etiam inferior pars animae participat aliqualiter rationem, sicut obediens imperanti, ut dicitur in l Ethic. [ 1 3, 1 8]. Nec tamen sequitur quod, si angelus cognoscit quod est in appetitu sensitivo vel phantasia hominis, quod cognoscat id quod est in cogitatione vel voluntate, quia intel­ lectus vel voluntas non subiacet appetitui sen­ sitivo et phantasiae, sed potest eis diversi­ mode uti.

ne del suo atto, ma segue l' impulso di una causa estrinseca corporea o spirituale. Quindi gli angeli, conoscendo le realtà corporee e le loro disposizioni, possono conoscere per mezzo di queste ciò che si trova nell' appetito e nella fantasia dei bruti, oppure nelle analo­ ghe facoltà degli uomini, quando il loro appe­ tito sensitivo compie un atto in seguito a un impulso fisico, come avviene sempre nei bru­ ti. Non ne segue, tuttavia, che gli angeli cono­ scano il moto dell'appetito sensitivo e l'attivi­ tà della fantasia umana anche quando queste facoltà sono mosse dalla volontà e dalla ra­ gione: poiché anche la parte inferiore dell' a­ nima partecipa in qualche modo della ragione stessa, come, secondo Aristotele, colui che ubbidisce partecipa della perfezione di colui che comanda. - E neppure segue che, per il fatto che un angelo conosce ciò che si trova nell' appetito sensitivo o nella fantasia dell'uo­ mo, possa anche conoscere ciò che si trova nel pensiero o nella volontà: poiché sia l'intel­ letto che la volontà non sono subordinati al­ l' appetito sensitivo e alla fantasia, ma posso­ no servirsi in modi diversi di queste facoltà.

Articulus 5 Utrum angeli cognoscant mysteria gratiae

Articolo 5 Gli angeli conoscono i misteri della grazia?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod an­ geli mysteria gratiae cognoscant. l . Quia inter omnia mysteria excellentius est mysterium incarnationis Christi. Sed hoc angeli cognoverunt a principio, dicit enim Augustinus, 5 Super Gen. [ 1 9], quod sic fuit

Sembra di sì. Infatti: l . n più alto fra tutti i misteri è il mistero del­ l'incarnazione di Cristo. Ora, gli angeli conob­ bero tale mistero fin da principio, poiché, co­ me dice Agostino: «Questo mistero rimase na­ scosto in Dio per tutti i secoli, in modo però che i principati e le potestà celesti ne ebbero notizia>>. E Paolo in l Tm dice: Appmve agli angeli il grande mistero della pietà. Quindi gli angeli conoscono i misteri della grazia. 2. I disegni di tutti i misteri della grazia sono contenuti nella sapienza divina. Ma gli angeli vedono la stessa sapienza di Dio, che è la sua essenza. Quindi essi conoscono i misteri della grazia. 3. I profeti, come insegna Dionigi, sono istruiti dagli angeli. Ma i profeti conobbero i misteri della grazia: infatti in Am è detto: Il Signore

hoc mysterium absconditum a saeculis in Deo, ut tamen innotesceret principibus et po­ testatibus in caelestibus. Et dicit apostolus, l ad Tim. 3 [ 1 6], quod apparuit angelis illud magnum sacramentum pietatis. Ergo angeli mysteria gratiae cognoscunt. 2. Praeterea, rationes omnium mysteriorum gratiae in divina sapientia continentur. Sed angeli vident ipsam Dei sapientiam, quae est eius essentia. Ergo angeli mysteria gratiae cognoscunt. 3 . Praeterea, p rophetae per angelos in­ struuntur, ut patet per Dionysium, 4 cap. Angel. Hier. [2]. Sed prophetae mysteria gra­ tiae cognoverunt, dicitur enim Amos 3 [7],

non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi servi, i profeti. Quindi gli angeli conoscono i misteri della grazia.

Q. 57, A. 5

La conoscenza angelica delle realtà materiali

non faciet Dominus verbum, nisi revelaverit secretum ad servos suos, prophetas. Ergo

angeli mysteria gratiae cognoscunt. Sed contra est quod nullus discit illud quod cognoscit. Sed angeli, etiam supremi, quae­ runt de divinis mysteriis gratiae, et ea discunt, dicitur enim 7 cap. De cael. hier. [3], quod sacra Scriptura inducit quasdam caelestes es­

sentias ad ipsum Iesum quaestionem facien­ tes, et addiscentes scientiam divinae eius operationis pro nobis, et Iesum eas sine me­ dio docentem; ut patet ls. 63 [ l ] , ubi quaeren­ tibus angelis, quis est iste qui venir de Edom? Respondit Iesus, ego, qui loquor iustitiam.

Ergo angeli non cognoscunt mysteria gratiae. Respondeo dicendum quod in angelis est co­ gnitio duplex. Una quidem naturalis, secun­ dum quam cognoscunt res tum per essentiam suam, tum etiam per species innatas. Et hac cognitione mysteria gratiae angeli cognoscere non possunt. Haec enim mysteria ex pura Dei voluntate dependent, si autem unus angelus non potest cognoscere cogitationes alterius ex voluntate eius dependentes, multo minus potest cognoscere ea quae ex sola Dei volun­ tate dependent. Et sic argumentatur apostolus, l Cor. 2 [ 1 1], quae sunt hominis, nemo novit

nisi spiritus hominis, qui in ipso est. lta et quae sunt Dei, nemo novit nisi spiritus Dei.

Est autem alia angelorum cognitio, quae eos beatos facit, qua vident Verbum et res in Ver­ bo. Et hac quidem visione cognoscunt myste­ ria gratiae, non quidem omnia, nec aequaliter omnes sed secundum quod Deus voluerit eis revelare; secundum illud apostoli, l Cor. 2 [ 1 0], nobis autem revelavit Deus per spiritwn suum. lta tamen quod superiores angeli, per­ spicacius divinam sapientiam contemplantes, plura mysteria et altiora in ipsa Dei visione cognoscunt, quae inferioribus manifestant, eos illuminando. Et horum etiam mysterio­ rum quaedam a principio suae creationis co­ gnoverunt; quaedam vero postmodum, secun­ dum quod eorum officiis congruit, edocentur. Ad primum ergo dicendum quod de mysterio incamationis Christi dupliciter contingit lo­ qui. Uno modo, in generali, et sic omnibus re­ velatum est a principio suae beatitudinis. Cuius ratio est, quia hoc est quoddam gene­ rale principium, ad quod omnia eorum officia ordinantur, omnes enim sunt administratorii spiritus, ut dicitur Heb. l [ 14], in ministerium

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In contrario: nesstmo impara ciò che già cono­

sce. Ma gli angeli, anche i supremi, scrutano e apprendono i misteri della grazia: infatti Dioni­ gi afferma che la Scrittura «parla di alcune nature celesti che pongono una domanda a Ge­ sù, e apprendono la scienza delle sue operazio­ ni su di noi, e Gesù insegna loro senza alcun intermediario». E lo dimostra mediante quel passo di fs dove agli angeli che chiedono: Chi è costui che viene da Edom?, Gesù risponde: lo che parlo con giustizia. Quindi gli angeli non conoscono i misteri della grazia. Risposta: negli angeli c'è una doppia cono­ scenza. Una conoscenza naturale che permet­ te loro di conoscere le cose sia per mezzo della propria essenza, sia per mezzo di specie innate. E con tale conoscenza gli angeli non sono in grado di conoscere i misteri della grazia. Questi misteti, infatti, dipendono dalla sola volontà di Dio: ora, se un angelo non può conoscere i pensieri di un altro angelo, in quanto dipendenti dalla volontà di quest'ulti­ mo, molto meno potrà conoscere quanto dipende dalla sola volontà di Dio. - E in questo senso ragiona Paolo in I Cor: Chi

conosce i segreti dell 'uomo se non lo spirito dell 'zwmo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non io Spirito di Dio. C'è però un'altra cono­

scenza negli angeli, che li rende beati, per mezzo della quale contemplano il Verbo e le cose nel Verbo. E in questa visione essi cono­ scono i misteri della grazia; non tutti però, e non tutti ugualmente, ma nella misura in cui Dio vuole ad essi rivelarli, secondo il detto di Paolo di I Cor: A noi Dio li ha rivelati [i mi­ steri] per mezzo del suo Spirito. Ciò, tuttavia, avviene in modo tale che gli angeli superiori, penetrando maggiormente la divina sapienza, nella visione di Dio conoscono dei misteri più numerosi e più alti, che poi [a loro volta] manifestano agli angeli inferiori illuminando­ li. E anche tra questi misteri alcuni li conob­ bero fin dal principio della loro creazione; su altri, invece, furono iniziati in seguito secondo le esigenze della loro missione. Soluzione delle difficoltà: l . n mistero dell'in­ carnazione di Cristo può essere considerato in due modi. Primo, in generale: e in questo senso fu rivelato a tutti gli angeli all'inizio della loro beatitudine. E la ragione è che questo mistero è l'oggetto fondamentale a cui sono ordinati tutti

La conoscenza angelica delle realtà materiali

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missi propter eos qui haereditatem capiunt salutis; quod quidem fit per incamationis mysterium. Unde oportuit de hoc mysterio omnes a principio communiter edoceri. Alio modo possumus loqui de mysterio incamatio­ nis quantum ad speciales conditiones. Et sic non omnes angeli a principio de omnibus sunt edocti, immo quidam, etiam superiores ange­ li, postmodum didicerunt, ut patet per auctori­ tatem Dionysii inductam [DCH 7,3]. Ad secundum dicendum quod, licet angeli beati divinam sapientiam contemplentur, non tamen eam comprehendunt. Et ideo non opor­ tet quod cognoscant quidquid in ea latet. Ad tertium dicendum quod quidquid prophe­ tae cognoverunt de mysteriis gratiae per reve­ lationem divinam, multo excellentius est an­ gelis revelatum. Et licet prophetis ea quae Deus facturus erat circa salutem humani ge­ neris, in generali revelaverit; quaedam tamen specialia apostoli circa hoc cognoverunt, quae prophetae non cognoverant; secundum illud Eph. 3 [4-5] , potestis, legentes, intelligere

pntdentiam meam in mysterio Christi, quod aliis generationibus non est agnitum, sicut mmc revelatum est sanctis apostolis eius. In­ ter ipsos etiam prophetas, posteriores cogno­ verunt quod priores non cognoverant; secun­ dum illud Psalmi 1 1 8 [ 1 00], super senes in­ tellexi. Et Gregorius dicit [In Ez. horn. 2,4] quod per successiones temporum, crevit divi­

nae cognitionis augmentum.

Q. 57, A. 5

gli uffici degli angeli: infatti in Eb è detto: Non sono tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devmw ereditare la salvezza ? E ciò avviene per mezzo dell'in­ carnazione. Era quindi necessario che tutti gli angeli fin da principio avessero una cono­ scenza generica di questo mistero. - Possiamo poi considerare in una seconda maniera il mi­ stero dell'incarnazione, cioè quanto alle sue precise circostanze. E in questo modo non tutti gli angeli furono ammaestrati su ogni partico­ lare fin da principio: anzi, persino alcuni tra gli angeli superiori ne vennero a conoscenza sol­ tanto in seguito, come appare evidente dal testo riportato di Dionigi. 2. Sebbene gli angeli beati contemplino la divina sapienza, tuttavia non la comprendono [esaustivamente] . Non ne segue perciò che essi debbano conoscere tutto ciò che in essa è racchiuso. 3. Tutto ciò che conobbero i profeti intorno ai misteri della grazia per mezzo di rivelazioni fu pure rivelato, e in modo più perfetto, agli angeli. Sebbene però Dio abbia rivelato ai profeti in modo generico ciò che avrebbe fatto per la salute del genere umano, pur tutta­ via gli apostoli conobbero certi aspetti del mistero che rimasero ignoti ai profeti; secon­ do il passo di Ef Dalla lettura di ciò che ho

scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo. Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito. E tra gli stessi profeti quelli posteriori conobbero ciò che era ignoto ai loro prede­ cessori, secondo l' espressione del Sal: Ho compreso più degli anziani. E anche Gregorio

dice: «Nel succedersi dei tempi si accrebbe il progresso della conoscenza divina».

QUAESTI0 5 8

QUESTIONE 58

DE MODO COGNITIONIS ANGELICAE

IL MODO DI CONOSCERE DEGLI ANGELI

Post haec considerandum est de modo ange­ licae cognitionis. Et circa hoc quaeruntur sep­ tem. Primo, utrum intellectus angeli quando­ que sit in potentia, quandoque in actu. Secun­ do, utrum angelus possit simul intelligere multa. Tertio, utrum intelligat discurrendo.

Dopo quanto si è detto, tratteremo ora del modo di conoscere degli angeli. Sull' argo­ mento si pongono sette quesiti: l . L' intelletto dell' angelo si trova successivamente in poten­ za e in atto? 2. L' angelo può intendere simul­ taneamente molte cose? 3. L' angelo intende

Q. 58, A. l

IL modo di conoscere degli angeli

Quarto, utrum intelligat componendo et di­ videndo. Quinto, utrum in intellectu angeli possit esse falsitas. Sexto, utrum cognitio an­ geli possit dici matutina et vespertina. Septi­ mo, utrum sit eadem cognitio matutina et vespertina, vel diversae.

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servendosi del raziocinio? 4. L'angelo intende formulando proposizioni affermative e negati­ ve? 5. Nell' intelletto dell' angelo si può insi­ nuare la falsità? 6. La conoscenza dell'angelo può essere detta mattutina e vespertina? 7. La conoscenza mattutina e quella vespertina sono diverse o sono la stessa conoscenza?

Articulus l

Articolo l

Utrum intellectus angeli quandoque sit in potentia, quandoque in actu

L'intelletto angelico è in potenza e successivamente in atto?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod intellectus angeli quandoque sit in potentia. l . Motus enim est actus existentis in potentia, ut dicitur 3 Phys. [ 1 ,6]. Sed mentes angelicae intelligendo moventur, ut dicit Dionysius, 4 cap. De div. nom. [8]. Ergo mentes angelicae quandoque sunt in potentia. 2. Praeterea, cum desiderium sit rei non ha­ bitae, possibilis tamen haberi, quicumque de­ siderat aliquid i ntelligere, est in potentia ad illud. Sed I Petri l, dicitur, in quem desiderant angeli prospicere. Ergo intellectus angeli quandoque est in potentia. 3. Praeterea, in libro De Causis [7] dicitur quod intelligentia intelligit secundum modum suae substantiae. Sed substantia angeli habet aliquid de potentia permixtum. Ergo quando­ que intelligit in potentia. Sed contra est quod Augustinus dicit, 2 Super Gen. [8], quod angeli, ex quo creati sunt, ipsa

Sembra di sì. Infatti: l . Come dice Aristotele: «ll moto è l 'atto di un ente che è in potenza». Ma, secondo l'e­ spressione di Dionigi, le menti angeliche si muovono conoscendo. Quindi le menti ange­ liche talora sono in potenza. 2. Il desiderio ha per oggetto una cosa che non si possiede, ma che è possibile raggiun­ gere: perciò chiunque desidera intendere una cosa è in potenza rispetto a tale conoscenza. Ma in l Pt è detto: Cose nelle quali gli angeli desiderano .fissare lo sguardo. Quindi l' intel­ letto dell'angelo talora è in potenza. 3. Nel De Causis si dice che l'intelligenza in­ tende «secondo il modo della sua sostanza». Ma la sostanza dell'angelo ha in sé qualcosa di potenziale. Quindi talora ha una conoscen­ za potenziale. In contrario: Agostino dice che gli angeli «dal momento in cui furono creati godono della stessa eternità del Verbo, per mezzo di una santa e pia contemplazione». Ma l ' intelletto che contempla è in atto, non in potenza. Quin­ di l'intelletto dell'angelo non è in potenza. Risposta: come fa osservare il Filosofo, l'intel­ letto può essere in potenza in due modi: pri­ mo, «prima di apprendere o di scoprire», cioè prima di avere l'abito della scienza; secondo, quando «pur avendo l'abito della scienza uno non se ne serve». Nel primo modo, dunque, l'intelletto dell' angelo non è mai in potenza rispetto a quelle cose che la sua conoscenza naturale può raggiungere. Come infatti i corpi superimi, ossia quelli celesti, non hanno al­ cuna potenzialità neli' ordine deli' essere che non sia colmata dall' atto, così le intelligenze celesti, ossia gli angeli, non hanno alcuna po­ tenzialità di ordine conoscitivo che non sia perfettamente colmata dalle specie intelligibili ad essi connaturali. - Tuttavia nulla impedisce

Verbi aetemitate, sancta et pia contemplatio­ ne peifruuntur. Sed intellectus contemplans

non est in potentia, sed in actu. Ergo intellec­ tus angeli non est in potentia. Respondeo dicendum quod, sicut philosophus dicit, in 3 De an. [4,6] et in 8 Phys. [4,6], in­ tellectus dupliciter est in potentia, uno modo, sicut ante addiscere ve/ invenire, idest ante­ guam habeat habitum scientiae; alio modo dicitur esse in potentia, sicut cum iam habet habitum scientiae, sed non considerar. Primo igitur modo, intellectus angeli nunquam est in potentia respectu eorum ad quae eius cognitio naturali s se extendere potest. S icut enim corpora superiora, scilicet caelestia, non ha­ bent potentiam ad esse, quae non sit completa per actum; ita caelestes intellectus, scilicet an­ geli, non habent aliquam intelligibilem poten­ tiam, quae non sit totaliter completa per spe­ cies intelligibiles connaturales eis. Sed quan-

Il modo di conoscere degli angeli

647

tum ad ea quae eis divinitus revelantur, nihil prohibet intellectus eorum esse in potentia, quia sic etiam corpora caelestia sunt in po­ tentia quandoque ut illuminentur a sole. Se­ cundo vero modo, intellectus angeli potest esse in potentia ad ea quae cognoscit naturali cognitione, non enim omnia quae naturali cognitione cognoscit, semper actu considerat. Sed ad cognitionem Verbi, et eorum quae in Verbo videt, nunquam hoc modo est in poten­ tia, quia semper actu intuetur Verbum, et ea quae in Verbo videt. In hac enim visione eo­ rum beatitudo consistit, beatitudo autem non consistit in habitu, sed in actu, ut dicit philo­ sophus, in l Ethic. [8,9] . Ad primum ergo dicendum quod motus ibi non sumitur secundum quod est actus imper­ fecti, idest existentis in potentia; sed secun­ dum quod est actus perfecti, idest existentis in actu. Sic enim intelligere et sentire dicuntur motus, ut dicitur in 3 De an. [7, l ]. Ad secundum dicendum quod desiderium illud angelorum non excludit rem desidera­ taro, sed eius fastidium. Vel dicuntur deside­ rare Dei visionem, quantum ad novas revela­ tiones, quas pro opportunitate negotiorum a Deo recipiunt. Ad tertium dicendum quod in substantia an­ geli non est aliqua potentia denudata ab actu. Et similiter nec intellectus angeli sic est i n potentia, quod sit absque actu.

Articulus

2

Q. 58, A. l

che il loro intelletto sia in potenza rispetto alle cose che vengono ad essi rivelate da Dio: poiché, analogamente, anche i corpi celesti so­ no talora in potenza rispetto all 'illuminazione del sole. Nel secondo modo l'intelletto an­ gelico può essere in potenza rispetto alle cose che raggiunge con la sua conoscenza naturale: l 'angelo infatti non considera sempre attual­ mente tutte le cose che conosce con la sua co­ noscenza naturale. - Rispetto invece alla co­ noscenza del Verbo, e di tutto ciò che vede nel Verbo, non è mai in potenza: poiché egli ha sempre fisso lo sguardo attualmente sul Verbo e su quanto vede in lui. La beatitudine degli angeli consiste infatti in questa visione: e la beatitudine non consiste in un abito, ma in un atto, come insegna il Filosofo. Soluzione delle difficoltà: l . D moto di cui si parla non è già «l' atto di un essere impetfet­ to», che si trova cioè in potenza, bensì «l'atto di un essere perfetto», cioè in atto. Infatti in questo senso possono dirsi moti anche l 'in­ tendere e il sentire, come osserva Aristotele. 2. Tale desiderio degli angeli non esclude il possesso della cosa desiderata, ma solo la noia della medesima. - Oppure si dice che es­ si desiderano la visione di Dio in vista di nuo­ ve rivelazioni che possono ricevere da Dio, secondo le esigenze del loro ministero. 3. Nella sostanza dell' angelo non vi è poten­ zialità alcuna priva del suo atto. E così pure l ' intelligenza dell' angelo non è mai in poten­ za i n modo da escludere qualsiasi attualità. Articolo

2

Utrum angelus simul possit multa intelligere

Vangelo può conoscere simultaneamente molte cose?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod angelus non possit simul multa intelligere. l . Dicit enim philosophus, 2 Topic. [ 1 0, 1 ] , quod contingit multa scire, sed un um tantum

Sembra di no. Infatti: l . Dice il Filosofo: «Si possono sapere molte cose, ma non se ne può intendere che una sola>>. 2. Non si può intendere cosa alcuna se non in quanto l'intelletto riceve una forma dalla spe­ cie intelligibile, come il corpo la riceve dalla sua figura. Ma un unico corpo non può rice­ vere simultaneamente diverse figure. Quindi un unico intelletto non può conoscere simul­ taneamente diversi intelligibili. 3. L'intellezione è anch'essa un moto. Ma nes­ sun moto può avere di mira diversi termini. Non è quindi possibile intendere molte cose simultaneamente.

intelligere.

2. Praeterea, nihil intelligitur nisi secundum

quod intellectus formatur per speciem intelli­ gibilem, sicut corpus formatur per figuram. Sed unum corpus non potest formari diversis figuris. Ergo unus intellectus non potest simul intelligere diversa intelligibilia. 3. Praeterea, intelligere est motus quidam. Nul­ lus autem motus terminatur ad diversos termi­ nos. Ergo non contingit simul multa intelligere.

Q. 58, A. 2

IL modo di conoscere degli angeli

Sed contra est quod dicit Augustinus, 4 Sup. Gen. [32], potentia spiritualis mentis angeli­

cae cuncta quae voluerit, facillime simul comprehendit.

Respondeo dicendum quod, sicut ad unitatem motus requiiitur unitas termini, ita ad unitatem operationis requiritur unitas obiecti. Contingit autem aliqua accipi ut plura, et ut unum; sicut partes alicuius continui. Si enim unaquaeque per se accipiatur, plures sunt, unde et non una operatione, nec simul accipiuntur per sensum et intellectum. Alio modo accipiuntur secun­ dum quod sunt unum in toto, et sic simul et una operatione cognoscuntur tam per sensum quam per intellectum, dum totum continuum consideratur, ut dicitur in 3 De an. [6,3]. Et sic etiam intellectus noster simul intelligit subiec­ tum et praedicatum, prout sunt partes unius propositionis; et duo comparata, secundum quod conveniunt in una comparatione. Ex quo patet quod multa, secundum quod sunt distinc­ ta, non possunt simul intelligi; sed secundum quod uniuntur in uno intelligibili, sic simul intelliguntur. Unumquodque autem est intelli­ gibile in actu, secundum quod eius similitudo est in intellectu. Quaecumque igitur per unam speciem intelligibilem cognosci possunt, co­ gnoscuntur ut unum intelligibile; et ideo simul cognoscuntur. Quae vero per diversas species intelligibiles cognoscuntur, ut diversa intelligi­ bilia capiuntur. Angeli igitur ea cognitione qua cognoscunt res per Verbum, omnia cognoscunt una intelligibili specie, quae est essentia divi­ na. Et ideo quantum ad talem cognitionem, omnia simul cognoscunt, sicut et in patria non

erunt volubiles nostrae cogitationes, ab aliis in alia euntes atque redeuntes, sed omnem scien­ tiam nostram simul u1w conspectu videbimus, ut Augustinus dicit in 1 5 De Trin. [ 1 6]. Ea

vero cognitione qua cognoscunt res per species innatas, omnia illa simul possunt intelligere, quae una specie cognoscuntur; non autem illa quae diversis. Ad primum ergo dicendum quod intelligere mul­ ta ut unum, est quodammodo unum intelligere. Ad secundum dicendum quod intellectus formatur per intelligibilem speciem quam apud se habet. Et ideo sic potest una specie intelligibili multa simul intel ligibilia intueri, sicut unum corpus per unam figuram potest simul multis corporibus assimilari. Ad tertium dicendum sicut ad primum.

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In contrario: Agostino insegna: «La potenza spirituale della mente angelica può compren­ dere con molta facilità e simultaneamente tut­ te le cose che vuole». Risposta: come per l' unità del moto si richie­ de l' unicità del termine, così per l'unità del­ l ' operazione si richiede l'unicità dell'oggetto. Ora, ci sono delle cose che possono essere prese come molteplici, oppure come una cosa sola: p. es. le parti di una quantità continua. Se infatti si prende ogni parte a sé, allora sono realtà molteplici: e così il senso e l'intelletto non le possono cogliere con una sola opera­ zione, né simultaneamente, come osserva Aristotele. Se invece vengono prese nell' altro modo, in quanto cioè formano una cosa sola nel tutto, allora esse sono conosciute simulta­ neamente e con una sola operazione, tanto da parte del senso quanto da parte dell'intelletto, perché allora, come nota ancora Aristotele, la quantità continua viene considerata come un tutto. E così anche il nostro intelletto intende simultaneamente il soggetto e il predicato i n quanto sono parti d i una sola proposizione; come pure conosce i due termini di un para­ gone in quanto sono uniti dal paragone stesso. E chiaro quindi che realtà molteplici, in quan­ to sono distinte, non possono essere cono­ sciute simultaneamente; possono però esserlo in quanto si uniscono a formare un solo og­ getto intelligibile. Ora, ogni realtà è intelligi­ bile perché una specie rappresentativa di essa si trova nell'intelletto. Thtte le cose, perciò, che si possono conoscere per mezzo di una sola specie intelligibile, essendo apprese come un solo intelligibile, sono conosciute simulta­ neamente. Quelle invece che sono conosciute per mezzo di più specie intelligibili, sono apprese come più oggetti intelligibili. Dunque gli angeli, mediante la conoscenza con l a quale vedono le cose nel Verbo, percepiscono tutto con una sola specie intelligibile, che è l 'essenza divina. Quindi, in forza di tale co­ noscenza conoscono simultaneamente tutte le cose: come anche nella patria, al dire di Ago­ stino: «l nostri pensieri non saranno volubili, passando e ripassando da una cosa all' altra, ma abbracceremo con un solo sguardo tutta la nostra scienza». - In forza invece di quella conoscenza che permette agli angeli di ap­ prendere le cose per mezzo delle specie in­ nate, essi possono conoscere con un solo atto

Q. 58, A. 2

Il modo di conoscere degli angeli

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d'intellezione tutte quelle realtà che possono essere colte con una sola specie; non invece quelle che richiedono specie diverse. Soluzione delle difficoltà: l . Intendere molte cose come se fossero una sola è, in un certo senso, lo stesso che conoscere una cosa sola. 2. L'intelletto è informato dalla specie intelligi­ bile che possiede in se medesimo. Quindi con una sola specie intelligibile può intuire molte cose; proprio come un corpo può assomigliare a molti altri in forza di una sola figura. 3. Si risponde come alla prima difficoltà. Articulus 3

Articolo 3

Utrum angelus cognoscat discorrendo

L'angelo conosce servendosi del raziocinio?

Ad tertiwn sic proceditur. Videtur quod ange­ lus cognoscat discurrendo. l . Discursus enim intellectus attenditur se­ cundum hoc, quod unum per aliud cognosci­ tur. Sed angeli cognoscunt unum per aliud, cognoscunt enim creaturas per Verbum. Ergo intellectus angeli cognoscit discurrendo. 2. Praeterea, quidquid potest virtus inferior, potest et virtus superior. Sed intellectus huma­ nus potest syllogizare, et in effectibus causas cognoscere, secundum quae discursus atten­ ditur. Ergo intellectus angeli, qui superior est ordine naturae, multo magis hoc potest. 3. Praeterea, Isidorus dici t [Senten. l , l O] quod daemones per experientiam multa co­ gnoscunt. Sed experimentalis cognitio est dis­ corsiva, ex multis enim memoriis fit unum

Sembra di sì. Infatti: l . n raziocinio consiste nella conoscenza di una cosa per mezzo di un'altra. Ma gli angeli conoscono una cosa mediante l'altra: cono­ scono infatti la creatura mediante il Verbo. Quindi l ' intelletto dell' angelo conosce ser­ vendosi del raziocinio. 2. Thtto ciò che può fare una virtù inferiore lo può anche fare una virtù superiore. Ma l'intel­ letto umano può sillogizzare e conoscere le cause dagli effetti, che è poi tutto il processo raziocinativo. Quindi l'intelletto dell 'angelo, che è superiore nell'ordine di natura, potrà fare assai meglio la stessa cosa. 3. Isidoro afferma che i demoni conoscono molte cose per esperienza. Ma la conoscenza sperimentale è costruita sull'illazione: come infatti osserva Aristotele: «Da molti ricordi [o dati] si ha l'esperienza, e da molte espe­ rienze si ricava l'universale». Quindi la cono­ scenza degli angeli è illativa. In contrario: Dionigi insegna che gli angeli «non raccolgono le loro divine conoscenze da ragioni discorsive; né per analisi di ciò che è comune giungono allo specifico». Risposta: come si è già detto più volte, gli an­ geli occupano nell'ordine delle sostanze in­ tellettuali il posto tenuto dai corpi celesti tra quelle corporee: e infatti sono chiamati da Dionigi menti celesti. Ora, tra i corpi celesti e quelli terrestri c'è questa differenza, che i corpi terrestri raggiungono la loro ultima per­ fezione mediante il moto e la trasmutazione, mentre i corpi celesti hanno sùbito per natura la propria perfezione suprema. Così, dunque, anche le i ntelligenze inferiori, ossia quelle

experimentum, et ex multis experimentis fit unum universale, ut dicitur in fine Post. [2,1 5,5], et in principio Met. [ 1 , 1 ,4]. Ergo co­ gnitio angelorum est discursiva. Sed contra est quod Dionysius dicit, 7 cap. De div. nom. [2], quod angeli non congregant di­

vinam cognitionem a sermonibus diffusis, neque ab aliquo communi ad ista specialia simul aguntur.

Respondeo dicendum quod, sicut saepius [cf. a. l ; q. 50 a. 3; q. 55 a. 2] dictum est, angeli illum gradum tenent in substantiis spirituali­ bus, quem corpora caelestia in substantiis corporeis, nam et caelestes mentes a Dionysio [DDN l ,4; DCH 2, l ] dicuntur. Est autem haec differentia inter caelestia et terrena cor­ pora, quod corpora terrena per mutationem et motum adipiscuntur suam ultimam perfectio­ nem, corpora vero caelestia statim, ex ipsa

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IL modo di conoscere degli angeli

sua natura, suam ultimam perfectionem ha­ bent. Sic igitur et inferiores intellectus, scili­ cet hominum, per quendam motum et discur­ sum intellectualis operationis perfectionem in cognitione veritatis adipiscuntur; dum scilicet ex uno cognito in aliud cognitum procedunt. Si autem statim in ipsa cognitione principii noti, inspicerent quasi notas omnes conclusio­ nes consequentes, in eis discursus locum non haberet. Et hoc est in angelis, quia statim in il­ lis quae primo naturaliter cognoscunt, inspi­ ciunt omnia quaecumque in eis cognosci pos­ sunt. Et ideo dicuntur intellectuales, quia etiam apud nos, ea quae statim naturaliter ap­ prehenduntur, intelligi dicuntur; unde intellec­ tus dicitur habitus primorum principiorum. Animae vero humanae, quae veritatis notitiam per quendam discursum acquimnt, rationales vocantur. Quod quidem contingit ex debilitate intellectualis luminis in eis. Si enim haberent plenitudinem intellectualis luminis, sicut an­ geli, statim in primo aspectu principiomm to­ tam virtutem eorum comprehenderent, in­ tuendo quidquid ex eis syllogizari posset. Ad ptimum ergo dicendum quod discursus quendam motum nominat. Omnis autem mo­ tus est de uno priori in aliud posterius. Unde discursiva cognitio attenditur secundum quod ex aliquo prius noto devenitur in cognitionem alterius posterius noti, quod prius erat igno­ tum. Si autem in uno inspecto simul aliud in­ spiciatur, sicut in speculo inspicitur simul imago rei et res; non est propter hoc cognitio discursiva. Et hoc modo cognoscunt angeli res in Verbo. Ad secundum dicendum quod angeli syllogi­ zare possunt, tanquam syllogismum cognos­ centes; et in causis effectus vident, et in effec­ tibus causas, non tamen ita quod cognitionem veritatis ignotae acquirant syllogizando ex causis in causata, et ex causatis in causas. Ad tertium dicendum quod experientia in an­ gelis et daemonibus dicitur secundum quan­ dam similitudinem, prout scilicet cognoscunt sensibilia praesentia; tamen absque omni discursu.

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umane, raggiungono la perfezione nella cono­ scenza della verità attraverso un moto e il pro­ cedimento raziocinativo dell'operazione intel­ lettuale: poiché procedono dalla conoscenza di una cosa alla conoscenza di un'altra. Se invece nella conoscenza di un principio già noto scorgessero distintamente tutte le con­ clusioni che ne conseguono, non si avrebbe più il raziocinio. Ed è ciò che avviene negli angeli: i quali nelle nozioni che naturalmente hanno fin da principio vedono subito tutto ciò che per mezzo di esse si può conoscere. Per questo, dunque, gli angeli sono detti intellet­ tuali; e anche nel campo umano si usa parlare di intellezione a proposito delle prime nozioni che vengono apprese naturalmente e imme­ diatamente: per cui l'abito dei ptimi princìpi viene denominato intelletto. Le anime uma­ ne, invece, sono dette razionali perché acqui­ stano la conoscenza della verità con un proce­ dimento raziocinativo. E ciò dipende dalla debolezza della loro luce intellettuale. Se in­ fatti avessero la pienezza della luce intellet­ tuale, come gli angeli, alla prima apprensione dei princìpi ne coglierebbero immediatamen­ te tutta la virtualità, scorgendo tutto ciò che da essi si può dedurre con i sillogismi. Soluzione delle difficoltà: l . Il raziocinio ri­ chiama l'idea di moto. Ora, ogni moto va da un termine antecedente a uno seguente. Si ha quindi una conoscenza raziocinativa quando da una cosa già conosciuta si passa alla cono­ scenza di una cosa ancora ignorata. Se invece nel percepire una cosa si coglie simultanea­ mente anche l 'altra, come chi nel guardare uno specchio vede simultaneamente lo spec­ chio e l'immagine di una data cosa, allora la conoscenza non potrà essere detta discorsiva. Ora, è in questo modo che gli angeli conosco­ no le cose nel Verbo. 2. Gli angeli possono sillogizzare nel senso che conoscono il sillogismo e vedono gli ef­ fetti nelle cause e le cause negli effetti; non però nel senso che essi acquistino la cono­ scenza di una verità ignota procedendo con sillogismi dalle cause agli effetti e da questi alle cause. 3 . L'esperienza viene attribuita agli angeli secondo una certa analogia, in quanto cioè essi conoscono le realtà sensibili presenti, però senza alcuna illazione. -

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Utrum angeli intelligant componendo et dividendo

Gli angeli conoscono formulando giudizi affermativi e negativi?

Ad quartum sic proceditur. Vìdetur quod an­ geli intelligant componendo et dividendo. l . Ubi enim est multitudo intellectuum, ibi est compositio intellectuum, ut dicitur in 3 De an. [6, 1]. Sed in intellectu angeli est multitudo intellectuum, cum per diversas species diversa intelligat, et non omnia simul. Ergo in intellec­ tu angeli est compositio et divisio. 2. Praeterea, plus distat negatio ab affirmatio­ ne, quam quaecumque duae naturae opposi­ tae, quia prima distinctio est per affirmationem et negationem. Sed aliquas naturas distantes angelus non cognoscit per unum, sed per diversas species, ut ex dictis [a. 2] patet. Ergo oportet quod affirmationem et negationem cognoscat per diversa. Et ita videtur quod an­ gelus intelligat componendo et dividendo. 3. Praeterea, locutio est signum intellectus. Sed angeli hominibus loquentes, proferunt affirmativas et negativas enuntiationes, quae sunt signa compositionis et divisionis in intel­ lectu; ut ex multis locis sacrae Scripturae ap­ paret. Ergo videtur quod angelus intelligat componendo et dividendo. Sed contra est quod Dionysius dicit, 7 cap. De div. nom. [2], quod virtus intellectualis cmge­

Sembra di sì. Infatti: l . Dice Aristotele che, quando abbiamo una molteplicità di concetti, abbiamo pure una com­ posizione tra di essi [ossia un giudizio] . Ma nel­ l'intelletto dell'angelo vi è una moltitudine di concetti: poiché esso conosce cose diverse non tutte assieme, ma per mezzo di specie diverse. Quindi nell'intelletto angelico abbiamo la for­ mulazione di giudizi afiermativi e negativi. 2. Vi è maggiore distanza tra l'affermazione e la negazione che tra due nature opposte qual­ siasi: poiché la prima distinzione è quella esi­ stente tra l' affetmazione e la negazione. Ma, come si è visto, l'angelo conosce nature diver­ se per mezzo di specie diverse e non di una sola. Deve quindi conoscere l'affermazione e la negazione servendosi di specie diverse. Sembra quindi che l'angelo conosca ricorren­ do a giudizi afiennativi e negativi. 3. La locuzione è il segno rivelatore dell'intelli­ genza. Ma gli angeli, come appare da molti pas­ si della Scrittura, parlano agli uomini servendosi di proposizioni affermative e negative, che sono un segno dei giudizi affermativi e negativi esi­ stenti nell'intelletto. Quindi l' angelo intende formulando giudizi affermativi e negativi. In contrario: Dionigi dice: «La virtù intellettua­ le degli angeli rifulge per la semplicità perspi­ cace dell'intellezione delle cose divine». Ma l'intellezione semplice è senza alcuna afierma­ zione e negazione, come dice il Filosofo. Quin­ di l'angelo intende senza ricorrere a giudizi af­ fermativi e negativi. Risposta: la stessa relazione che esiste tra le conclusioni e i princìpi quando l'intelletto si ser­ ve del raziocinio, esiste pure tra il predicato e il soggetto quando l'intelligenza formula giudizi affermativi e negativi. Se infatti l'intelletto in­ tuisse subito nei princìpi la verità delle conclu­ sioni, mai più intenderebbe servendosi dell'illa­ zione e del raziocinio. Così pure, se l'intelletto nell'apprendere la quiddità del soggetto vedesse subito tutte le cose che gli si possono attribuire o che gli si debbono negare, non intenderebbe certo formulando giudizi affermativi e negativi, ma solo conoscendo l'essenza Appare dunque evidente che identica è la ragione per cui il no­ stro intelletto conosce servendosi del raziocinio

lorum resplendet conspicaci divinorum intel­ lectuum simplicitate. Sed simplex intelli­

gentia est sine compositione et divisione, ut dicitur in 3 De an. [6, l ]. Ergo angelus intel­ ligit sine compositione et divisione. Respondeo dicendum quod, sicut in intellectu ratiocinante comparatur conclusio ad princi­ pium, ita in intellectu componente et dividen­ te comparatur praedicatum ad subiectum. Si enim intellectus statim in ipso principio vide­ ret conclusionis veritatem, nunquam intellige­ ret discurrendo vel ratiocinando. Similiter si intellectus statim in apprehensione quidditatis subiecti, haberet notitiam de omnibus quae possunt attribui subiecto vel removeri ab eo, nunquam intelligeret componendo et dividen­ do, sed salurn intelligendo quod quid est. Sic igitur patet quod ex eodem provenit quod in­ tellectus noster intelligit discurrendo, et com­ ponendo et dividendo, ex hoc scilicet, quod non statim in prima apprehensione alicuius primi apprehensi, potest inspicere quidquid in

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eo virtute continetur. Quod contingit ex debi­ litate luminis intellectualis in nobis, sicut dic­ tum est [a. 3]. Unde cum in angelo sit lumen intellectuale perfectum, cum sit speculum purum et clarissimum, ut dicit Dionysius, 4 cap. De div. nom. [22]; relinquitur quod an­ gelus, sicut non intelligit ratiocinando, ita non intelligit componendo et dividendo. Nihilomi­ nus tamen compositionem et divisionem enuntiationum intelligit, sicut et ratiocina­ tionem syllogismorum, intelligit enim com­ posita simpliciter, et mobilia immobiliter, et materialia immaterialiter. Ad primum ergo dicendum quod non qualis­ cumque multitudo intellectuum composi­ tionem causat, sed multitudo illorum intel­ lectuum quomm unum attribuitur alteri, vel removetur ab altero. Angelus autem, intelli­ gendo quidditatem alicuius rei, simul intelligit quidquid ei attribui potest vel removeri ab ea. Unde intelligendo quod quid est, intelligit quidquid nos intelligere possumus et compo­ nendo et dividendo, per unum suum simpli­ cem intellectum. Ad secundum dicendum quod diversae quid­ ditates rerum minus differunt, quantum ad ra­ tionem existendi, quam affirmatio et negatio. Tamen quantum ad rationem cognoscendi, affirmatio et negatio magis conveniunt, quia statim per hoc quod cognoscitur veritas affirmationis, cognoscitur falsitas negationis oppositae. Ad tertiu m dicendum quod hoc quod angeli loquuntur enuntiationes affirmativas et negati­ vas, manifestat quod angeli cognoscunt com­ positionem et divisionem, non autem quod cognoscant componendo et dividendo, sed simpliciter cognoscendo quod quid est.

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e formulando giudizi affermativi e negativi: per il fatto cioè che esso nella prima apprensione di un oggetto non è in grado di cogliere subito tutto ciò che quello contiene nella sua virtualità. E ciò proviene, come si è detto, dalla debolezza della nostra luce intellettuale. Essendovi dunque nell'angelo una luce intellettuale perfetta, poi­ ché egli è uno «specchio puro» e «tersissimo», secondo l'espressione di Dionigi, ne segue che l ' angelo, come non intende servendosi del raziocinio, così neppure intende formulando giudizi affermativi e negativi. Pur tuttavia egli comprende le affermazioni e le negazioni degli enunciati, come capisce la logicità dei sillogi­ smi: infatti conosce le cose composte in modo semplice, le cose mutevoli in maniera immuta­ bile, le cose materiali in modo immateriale. Soluzione delle difficoltà: l . Non qualsiasi molteplicità di concetti causa la composizione nell'intelletto, ma solo la molteplicità di quei concetti dei quali uno viene attribuito all'al­ tro, oppure viene di esso negato. Ora l'angelo, nell' intendere la quiddità di una cosa, intende simultaneamente tutto ciò che va attribuito o negato alla medesima. Quindi nell'intendere la quiddità intende, con una semplice intelle­ zione, tutto ciò che noi possiamo sapere per mezzo di giudizi affermativi e negativi. 2. Le diverse quiddità delle cose hanno tra di loro, nella realtà, una differenza minore di quella esistente tra l'affermazione e la negazio­ ne. Tuttavia nell'ordine conoscitivo l' afferma­ zione e la negazione hanno tra di loro un'af­ finità maggiore: poiché, non appena si conosce la verità di un'affermazione, si scorge in pari tempo la falsità della negazione opposta. 3. Il fatto che gli angeli pronunzino proposi­ zioni affermative e negative prova che essi intendono i giudizi affermativi e negativi, non già che conoscano formulando tali giudizi, poiché conoscono la quiddità delle cose senza composizione alcuna. Articolo

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Utrum in intellectu angeli possit esse falsitas

Nell'intelletto dell'angelo ci può essere la falsità?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod in intellectu angeli possit esse falsitas. l . Protervitas enim ad falsitatem pertinet. Sed in daemonibus est phantasia proterva, ut dicit Dionysius, 4 cap. De div. nom. [23]. Ergo

Sembra di sì. Infatti: l . La protervia rientra nella falsità. Ma nei demoni c'è unajantasia p1vterva, come affer­ ma Dionigi. Sembra quindi che nell' intelletto dell'angelo ci possa essere la falsità.

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videtur quod in angelorum intellectu possit esse falsitas. 2. Praeterea, nescientia est causa falsae aesti­ mationis. Sed in angelis potest esse nescien­ tia, ut Dionysius dicit, 6 cap. Ecci. Hier. [1]. Ergo videtur quod in eis possit esse falsitas. 3. Praeterea, ornne quod cadit a veritate sa­ pientiae, et habet rationem depravatam, habet falsitatem vel errorem in suo intellectu. Sed hoc Dionysius dicit de daemonibus, 7 cap. De div. nom. [2]. Ergo videtur quod in intellectu angelorum possit esse talsitas. Sed contra, philosophus dicit, 3 De an. [6,7; 1 0,4], quod intellectus semper verus est. Au­ gustinus etiam dicit, in libro Octoginta trium Q. [32.44], quod nihil intelligitur nisi ventm. Sed angeli non cognoscunt aliquid nisi intel­ ligendo. Ergo in angeli cognitione non potest esse deceptio et falsitas. Respondeo dicendum quod huius quaestionis veritas aliquatenus ex praemissa dependet. Dictum est [a. 4] enim quod angelus non in­ telligit componendo et dividendo, sed intel­ ligendo quod quid est. Intellectus autem circa quod quid est semper verus est, sicut et sensus circa proprium obiectum, ut dicitur in 3 De an. [6,7]. Sed per accidens in nobis acci­ dit deceptio et falsitas intelligendo quod quid est, scil icet secundum rationem alicuius compositionis, vel cum detinitionem unius rei accipimus ut definitionem alterius; vel cum partes definitionis sibi non cohaerent, sicut si accipiatur pro definitione alicuius rei, animai quadrupes volatile (nullum enim animai tale est); et hoc quidem accidit in compositis, quorum definitio ex diversis sumitur, quorum unum est materiale ad aliud. Sed intelligendo quidditates simplices, ut dicitur in 9 Met. [8,10,4], non est falsitas, quia ve! totaliter non attinguntur, et nihil intelligimus de eis; vel cognoscuntur ut sunt. Sic igitur per se non potest esse falsitas aut error aut deceptio i n i ntellectu alicuius angeli ; sed per accidens contingit. Alio tamen modo quam in nobis. Nam nos componendo et dividendo quando­ que ad intellectum quidditatis pervenimus, sicut cum dividendo vel demonstrando defini­ tionem investigamus. Quod quidem in angelis non contingit; sed per quod quid est rei co­ gnoscunt omnes enuntiationes ad illam rem pertinentes. Manifestum est autem quod quid­ ditas rei potest esse principium cognoscendi

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2. La nescienza è causa di false valutazioni delle cose. Ma negli angeli ci può essere la nescienza, come dice Dionigi. Quindi ci può essere anche la falsità. 3. Chiunque si allontana dalla verità della sapienza e ha una ragione depravata ha nel suo intelletto la falsità e l'errore. Ora, Dionigi attribuisce nttto ciò ai demoni. Quindi nell'in­ telletto dell'angelo ci può essere la falsità. In contrario: il Filosofo dice: «L' intelletto è sempre vero». E Agostino afferma: «Soltanto della verità si ha intellezione». Ma gli angeli non possiedono altra conoscenza all' infuori di quella intellettiva. Quindi nella conoscenza dell ' angelo non vi può essere né inganno né falsità Risposta: la vera soluzione di questo problema dipende in gran parte da quello precedente. Si è detto infatti che l'angelo per conoscere non ha bisogno di formulare giudizi affermativi e negativi, ma gli basta intuire la quiddità delle cose. Ora, al dire di Aristotele, l ' intelletto riguardo alle quiddità è sempre nel vero, come il senso rispetto al proprio oggetto. In noi, tuttavia, può insinuarsi accidentalmente l'in­ ganno e la falsità, quando veniamo a conosce­ re l' essenza delle cose, a motivo di qualche composizione almeno implicita: o perché attri­ buiamo la definizione di una cosa a un' altra, oppure perché le parti di una definizione sono incompatibili; come se si volesse dare di una cosa questa definizione: animale quadrupede volatile (mentre appunto non esiste un anima­ le siftatto). Ma ciò accade per le cose com­ poste, la cui definizione è desunta da elementi diversi, di cui uno funge da parte materiale ri­ spetto all' altro. Nell'intellezione delle quiddità semplici, invece, non ci può essere falsità, co­ me insegna Aristotele: poiché tali quiddità o non sono raggiunte affatto, e allora non cono­ sciamo nulla intorno ad esse, oppure sono co­ nosciute come sono realmente. Perciò nell'in­ telletto di qualsiasi angelo, di per sé, non ci può essere né falsità, né errore, né inganno; tuttavia ciò può accadere accidentalmente. In modo comunque diverso da come avviene in noi. Noi infatti raggiungiamo talora il concetto della quiddità per mezzo di giudizi affennativi e negativi, come quando ricerchiamo una defi­ nizione per esclusione, o mediante una dimo­ strazione. Ora, ciò non si verifica negli angeli, poiché essi, nel conoscere la quiddità di una

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respectu eorum quae naturaliter conveniunt rei vel ab ea removentur, non autem eorum quae a supematurali Dei ordinatione depen­ dent. Angeli igitur boni, habentes rectam vo­ luntatem, per cognitionem quidditatis rei non iudicant de his quae naturaliter ad rem perti­ nent, nisi salva ordinatione divina. Unde in eis non potest esse falsitas aut error. daemones vero, per voluntatem perversam subducentes intellectum a divina sapientia, absolute inter­ dum de rebus iudicant secundum naturalem conditionem. Et in his quae naturaliter ad rem pertinent, non decipiuntur. Sed decipi possunt quantum ad ea quae supemaluralia sunt, sicut si considerans hominem mortuum, iudicet eum non resurrecturum; et si videns hominem Christum, iudicet eum non esse Deum. Et per hoc patet responsio ad ea quae utrinque obiiciuntur. Nam protervitas daemonum est secundum quod non subduntur divinae sa­ pientiae. Nescientia autem est in angelis, non respectu naturalium cognoscibilium, sed su­ pematuralium. Patet etiam quod intellectus eius quod quid est semper est verus, nisi per accidens, secundum quod indebite ordinatur ad aliquam compositionem vel divisionem.

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cosa, conoscono ins!eme tutte le proprietà che le appartengono. - E chiaro però che la quid­ dità di una cosa può servire di base per cono­ scere tutto ciò che ad essa appartiene o ripu­ gna nell'ordine naturale, non già per conosce­ re ciò che dipende da una disposizione sopran­ naturale di Dio. Quindi gli angeli buoni, aven­ do una volontà retta, dalla conoscenza della quiddità di una cosa non formulano alcun giu­ dizio su ciò che la riguarda nell'ordine natura­ le se non presupponendo la disposizione divi­ na. E così in essi non può insinuarsi né la fal­ sità né l'errore. I demoni invece, avendo sot­ tratto con volontà perversa l'intelletto alla sa­ pienza divina, portano talora un giudizio asso­ luto sulle cose secondo la loro condizione na­ turale. E i n ciò che appartiene naturalmente ad esse non si ingannano. Possono però ingan­ narsi in tutto ciò che può trovarsi in esse di soprannaturale: osservando, p. es., un morto, giudicheranno che non debba più risorgere; oppure, vedendo l'uomo Cristo, potranno pen­ sare che egli non sia Dio. Soluzione delle difficoltà: l . Da quanto si è detto appare evidente la risposta da darsi alle difficoltà mosse nei due sensi. Infatti trovia­ mo la protervia nei demoni in quanto non sono sottomessi alla sapienza divina. - Negli angeli, poi, c'è la nescienza non già rispetto alle cose che si possono conoscere n�tural­ mente, ma rispetto al soprannaturale. - E pure evidente, infine, che l'intelletto è sempre nel vero quando coglie la quiddità delle cose, e non può cadere nella falsità altro che acciden­ talmente, quando cioè è ordinato indebita­ mente a qualche composizione o divisione. Articolo

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Utrum in angelis sit cognitio matutina et vespertina

Negli angeli c'è la conoscenza mattutina e vespertina?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod i n angelis n o n s i t vespertina neque matutina cognitio. l . Vespere enim et mane admixtionem tene­ brarum habent. Sed in cognitione angeli non est aliqua tenebrositas; cum non sit ibi error vel falsitas. Ergo cognitio angeli non debet dici matutina vel vespertina. 2. Praeterea, inter vespere et mane cadit nox; et inter mane et vespere cadit meridies. Si igitur in angelis cadit cognitio matutina et ves-

Sembra di no. lnfàtti: l . Al vespro e al mattino abbiamo una mesco­ lanza di tenebre e di luce. Ma nella conoscen­ za dell'angelo non vi è alcuna oscurità, non essendoci in lui né errore né falsità. Quindi non si deve dire che la conoscenza dell' ange­ lo è mattutina o vespertina. 2. Tra il vespro e il mattino c'è la notte, e tra il mattino e il vespro c'è il meriggio. Se dunque negli angeli esiste la conoscenza mattutina e vespertina, ci dovranno anche essere con

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ratione ad vitam gloriae, tenebrosa dicitur, se­ cundum illud 2 Petri l [ 1 9], habetis propheti­

ugual diritto la conoscenza meridiana e quel­ la nottuma. 3. La conoscenza si distingue secondo la di­ versità degli oggetti conosciuti; per cui il Fi­ losofo afferma: «Le scienze si dividono come le cose». Ora, come dice Agostino, le cose hanno un triplice modo di essere: nel Verbo, nella propria natura e nell'intelletto angelico. Se si ammette quindi negli angeli una cono­ scenza mattutina e una vespertina per il diver­ so modo di essere che le cose hanno nel Ver­ bo e nella propria natura, si dovrà pure am­ mettere in essi una terza conoscenza relativa al modo di essere che le cose hanno nell'intel­ ligenza angelica. In contrario: Agostino divide la conoscenza angelica in mattutina e vespertina. Risposta: la divisione della conoscenza degli angeli in mattutina e vespertina fu introdotta da Agostino il quale volle interpretare i sei giorni della creazione non come se si trattasse dei giorni consueti determinati dal moto circolare del sole - stando infatti alla Scrittura il sole fu creato il quarto giorno -: questi sei giorni non sarebbero invece che un solo giorno, cioè la co­ noscenza angelica rappresentata in sei generi di cose. Ora, come nel giorno ordinario il mattino è l'inizio e il vespro è il tennine della giornata, così la conoscenza dell'essere primordiale delle cose viene detta mattutina: ed è la conoscenza che raggiunge le cose secondo il modo di esse­ re che hanno nel Verbo. La conoscenza invece che considera l'essere delle cose create nella loro propria natura viene chiamata conoscenza vespertina. L'essere delle cose, infatti, procede dal Verbo come dal suo principio primordiale, e questo processo termina all'essere che le cose possiedono nella loro propria natura. Soluzione delle difficoltà: l . L' analogia tra il mattino, il vespro e la conoscenza angelica non è desunta dal fatto che il mattino e il vespro sono frammisti di tenebre, ma solo dali' essere l'uno il principio e l'altro il termine. - Oppure si potrebbe anche dire, con Agostino, che non fa difficoltà se una stessa cosa è detta luce se paragonata a un dato essere, e tenebra se paragonata a un altro. Così la vita dei fedeli e dei giusti, paragonata alla vita degli empi, è chiamata luce, secondo il passo di Ef Un tem­

cum sermonem, cui bene facitis attendentes quasi lucemae lucenti in caliginoso loco. Sic

po eravate tenebre, ma ora siete luce nel Si­ gnore. Però questa vita dei fedeli, confrontata

pertina, pari ratione videtur quod in eis debeat esse meridiana et noctuma cognitio. 3. Praeterea, cognitio distinguitur secundum differentiam cognitorum, unde in 3 De an. [8,2] dicit philosophus quod scientiae secan­ tur quemadmodum et res. Triplex autem est esse rerum, scilicet in Verbo, in propria natu­ ra, et in intelligentia angelica, ut Augustinus dicit, 2 Super Gen. [8]. Ergo, si ponatur co­ gnitio matutina in angelis et vespertina, prop­ ter esse rerum in Verbo et in propria natura; debet etiam in eis poni tertia cognitio, propter esse remm in intelligentia angelica. Sed contra est quod Augustinus, 4 Super Gen. [22], et 1 1 De civ. Dei [7], distinguit cognitio­ nem angelomm per matutinam et vespertinam. Respondeo dicendum quod hoc quod dicitur de cognitione man1tina et vespertina in ange­ lis, i ntroductum est ab Augustino, qui sex dies in quibus Deus legitur fecisse cuncta, Gen. l , intelligi vult [Super Gen. 4,22.26] non hos usitatos dies qui solis circuitu peraguntur, cum sol quarto die factus legatur; sed unum diem, scilicet cognitionem angelicam sex rerum generibus praesentatam. Sicut autem in die consueto mane est principium diei, ves­ pere autem terminus, ita cognitio ipsius pri­ mordialis esse rerum, dicitur cognitio matuti­ na, et haec est secundum quod res sunt i n Verbo. Cognitio autem ipsius esse rei creatae secundum quod in propria natura consistit, dicitur cognitio vespertina, nam esse remm fluit a Verbo sicut a quodam primordiali prin­ cipio, et hic eftluxus terminatur ad esse rerum quod in propria natura habent. Ad primum ergo dicendum quod vespere et mane non accipiuntur in cognitione angelica secundum similitudinem ad admixtionem te­ nebrarum; sed secundum similitudinem prin­ cipii et termini. Vel dicendum quod nihil prohi­ bet, ut dicit Augustinus 4 Super Gen. [23], aliquid in comparatione ad unum dici lux, et in comparatione ad aliud dici tenebra. Sicut vita fidelium et iustomm, in comparatione ad im­ pios, dicitur lux, secundum illud Eph. 5 [8],

ftdstis aliquando tenebrae, mmc autem lux in Domino; quae tamen vita fidelium, in compa­

igitur cognitio angeli qua cognoscit res i n

con la vita della gloria, è detta tenebrosa, come

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propria natura, dies est per comparationem ad ignorantiam vel errorem, sed obscura est per comparationem ad visionem Verbi. Ad secundum dicendum quod matutina et ves­ pertina cognitio ad diem pertinet, idest ad an­ gelos illuminatos, qui sunt distincti a tenebris, idest a malis angelis. Angeli autem boni, co­ gnoscentes creaturam, non in ea figuntur, quod esset tenebrescere et noctem fieri; sed hoc ipsum referunt ad laudem Dei, in quo sicut in principio omnia cognoscunt. Et ideo post vesperam non ponitur nox, sed mane, ita quod mane sit finis praecedentis diei et princi­ pium sequentis, inquantum angeli cognitio­ nem praecedentis operis ad Iaudem Dei refe­ runt. Meridies autem sub nomine diei compre­ henditur, quasi medium inter duo extrema. Vel potest meridies referri ad cognitionem ipsius Dei, qui non habet principium nec finem. Ad tertium dicendum quod etiam ipsi angeli creaturae sunt. Unde esse rerum in intelligen­ tia angelica comprehenditur sub vespertina co­ gnitione, sicut et esse rerum in propria natura.

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nel passo di l Pt: Abbiamo confenna migliore

della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione, come a lampada che bril­ la in un luogo oscuro. La conoscenza, quindi, di cui si serve I' angelo per conoscere le cose nella loro propria natura è giorno in paragone all'ignoranza e all'errore; è invece oscura se paragonata alla visione del Verbo. 2. La conoscenza mattutina e vespertina è pro­ pria del giorno, ossia degli angeli luminosi, i quali sono distinti dalle tenebre, cioè dagli angeli cattivi. Ora gli angeli buoni, nel cono­ scere le creature, non si attaccano ad esse, il che significherebbe oscurarsi e diventare notte, ma riferiscono anche questo alla gloria di Dio, nel quale conoscono tutte le cose come nel loro principio. Quindi, dopo il vespro il testo non pone la notte, ma il mattino: di modo che il mattino è a un tempo il termine del giorno pre­ cedente e l'inizio di quello seguente, poiché gli angeli riferiscono la conoscenza dell'opera pre­ cedente alla gloria di Dio. TI meriggio, poi, rimane incluso nel termine giorno, come punto di mezzo tra due estremi. Oppure il meriggio può essere riferito alla conoscenza stessa di Dio, il quale non ha principio né fine. 3. Anche gli angeli sono creature. Quindi il mo­ do di essere delle cose nell'intelligenza angelica, come l'essere delle cose viste nella loro propria natura, è oggetto della conoscenza vespertina. -

Articulus 7

Articolo 7

Utrum una sit cognitio matutina et vespertina

La conoscenza mattutina e quella vespertina sono una sola conoscenza?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod una sit cognitio vespertina et matutina. l . Dicitur enim Gen. l [5], Jactum est vespere et mane dies unus. Sed per diem intelligitur cognitio angelica, ut Augustinus dicit [Super Gen. 4,22.26; De civ. Dei 9,7] . Ergo una et eadem est cognitio in angelis matutina et vespertina. 2. Praeterea, impossibile est unam potentiam simul duas operationes habere. Sed angeli semper sunt in actu cognitionis matutinae, quia semper vident Deum et res in Deo, secundum illud Matth. 18 [ 1 0], angeli eorum semper vident faciem Patris mei et cetera. Er­ go, si cognitio vespertina esset alia a matuti­ na, nullo modo angelus posset esse in actu cognitionis vespertinae.

Sembra di sì. Infatti: l . In Gen è detto: Efu sera efu mattina: primo giorno. Ma il termine giorno significa la cono­ scenza angelica, come spiega Agostino. Quindi la conoscenza mattutina e quella vespertina sono una stessa e identica conoscenza. 2. Una potenza non può avere simultaneamen­ te due operazioni. Ma gli angeli hanno sempre l'atto della conoscenza mattutina: poiché vedo­ no sempre Dio e le cose che sono in Dio, come è detto in Mt: I loro angeli in cielo vedono sempre la faccia del Padre mio. Se quindi la conoscenza vespertina fosse distinta da quella mattutina, I' angelo in nessun modo potrebbe avere l'atto della conoscenza vespertina. 3. Paolo in l Cor dice: Quando verrà ciò che è peifetto ciò che è impeifetto scomparirà.

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Il modo di conoscere degli angeli

3. Praeterea, apostolus dicit, l Cor. 1 3 [ 1 0],

cum venerit quod peifectum est, evacuabitur quod ex parte est. Sed si cognitio vespertina sit alia a matutina, comparatur ad ipsam sicut imperfectum ad perfectum. Ergo non poterit simul vespertina cognitio esse cum matutina. In contrarium est quod dicit Augustinus, 4 Super Gen. [23], quod multum interest inter

cognitionem rei cuiuscumque in Verbo Dei, et cognitionem eius in natura eius, ut illud merito pe11ineat ad diem, hoc ad vesperam. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 6], cognitio vespertina dicitur, qua angeli cognoscunt res in propria natura. Quod non potest ita intelligi quasi ex propria rerum natu­ ra cognitionem accipiant, ut haec praepositio in indicet habitudinem principii, quia non accipiunt angeli cognitionem a rebus, ut supra [q. 55 a. 2] habitum est. Relinquitur igitur quod hoc quod dicitur in propria natura, acci­ piatur secundum rationem cogniti, secundum quod subest cognitioni; ut scilicet cognitio vespertina in angelis dicatur secundum quod cognoscunt esse rerum quod habent res in propria natura. Quod quidem per duplex me­ dium cognoscunt, scilicet per species innatas, et per rationes rerum in Verbo existentes. Non enim, videndo Verbum, cognoscunt solum illud esse rerum quod habent in Verbo; sed illud esse quod habent in propria natura; sicut Deus per hoc quod videt se, cognoscit esse rerum quod habent in propria natura. Si ergo dicatur cognitio vespertina secundum quod cognoscunt esse rerum quod habent in propria natura, videndo Verbum; sic una et eadem secundum essentiam est cognitio vespertina et matutina, differens solum secundum cognita. Si vero cognitio vespertina dicatur secundum quod angeli cognoscunt esse rerum quod habent in propria natura, per formas innatas; sic alia est cognitio vespertina et matutina. Et ita videtur intelligere Augustinus, cum unam ponat impert'ectam respectu alterius. Ad primum ergo dicendum quod, sicut nu­ merus sex dierum, secundum intellectum Au­ gustini, accipitur secundum sex genera rerum quae cognoscuntur ab angelis; ita unitas dici accipitur secundum unitatem rei cognitae, quae tamen diversis cognitionibus cognosci potest. Ad secundum dicendum quod duae opera­ tiones possunt simul esse unius potentiae,

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Ora, se la conoscenza vespertina è diversa da quella mattutina, la prima starà alla seconda come ciò che è imperfetto sta a ciò che è per­ fetto. Quindi la conoscenza vespertina non può sussistere con quella mattutina. In contrario: Agostino dice: «C'è una grande differenza tra la conoscenza di una cosa qualsia­ si nel Verbo e la conoscenza di essa nella sua propria natura, per cui ben a ragione la prima conoscenza si chiama giorno e la seconda sera>>. Risposta: la conoscenza vespertina, come si è detto, è quella mediante cui gli angeli cono­ scono le cose nella loro propria natura. Ma ciò non va inteso nel senso che gli angeli derivino la loro conoscenza dalla natura propria delle cose, quasi che la preposizione articolata nella stia a significare l'origine della conoscenza: gli angeli infatti, come si è visto, non derivano la loro conoscenza dalle cose. L' espressione, quindi, nella propria natura va riferita all'og­ getto in quanto termine reale di conoscenza. E in questo senso si dice vespertina quella cono­ scenza mediante la quale gli angeli conoscono il modo di essere che le cose hanno nella loro propria natura. E tale oggetto gli angeli posso­ no coglierlo per due vie: per mezzo delle spe­ cie innate e per mezzo delle idee delle cose che sono nel Verbo. Infatti nel contemplare i l Verbo essi non conoscono soltanto l'essere che le cose hanno nel Verbo, ma anche quello che hanno nella loro propria natura: a quel modo in cui Dio, conoscendo se stesso, conosce pure l'essere che le cose hanno nella loro propria natura. Se dunque si vorrà chiamare vespertina la conoscenza con la quale gli angeli, vedendo il Verbo, conoscono il modo di essere che le cose hanno nella loro propria natura, allora la conoscenza mattutina e quella vespertina saranno essenzialmente la stessa cosa, e differi­ ranno soltanto per gli oggetti sui quali termina la conoscenza. - Se invece per conoscenza vespertina si intende quella che permette agli angeli di conoscere il modo di essere che le cose hanno nella loro propria natura servendosi delle specie innate, allora la conoscenza vespertina è diversa da quella mattutina. E in questo senso parla Agostino quando dice che la prima è impelfetta rispetto alla seconda. Soluzione delle difficoltà: l . Come il numero di sei giorni, secondo l'interpretazione di A­ gostino, è desunto dai sei generi di cose co­ nosciute dagli angeli, così l'unità del giorno è

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quarum una ad aliam refertur; ut patet cum voluntas simul vult et finem et ea quae sunt ad finem, et intellectus simul intelligit princi­ pia et conclusiones per principia, quando iam scientiam acquisivit. Cognitio autem vesper­ tina in angelis refertur ad matutinam, ut Au­ gustinus dicit [Super Gen. 4,22.24.30; De civ. Dei I l ,7]. Unde nihil prohibet utramque si­ mul esse in angelis. Ad tettium dicendum quod, veniente perfec­ to, evacuatur imperfectum quod ei opponitur, sicut fides, quae est eorum quae non videntur, evacuatur visione veniente. Sed imperfectio vespertinae cognitionis non opponitur per­ fectioni matutinae. Quod enim cognoscatur aliquid in seipso, non est oppositum ei quod cognoscatur in sua causa. Nec iterum quod aliquid cognoscatur per duo media, quorum unum est perfectius et aliud imperfectius, aliquid repugnans habet, sicut ad eandem conclusionem habere possumus et medium demonstrativum et dialecticum. Et similiter eadem res potest sciri ab angelo per Verbum increatum, et per speciem innatam.

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desunta dall'unicità della realtà da essi cono­ sciuta, ma che tuttavia essi possono raggiun­ gere servendosi di [due] diverse conoscenze. 2. Due operazioni possono trovarsi simultanea­ mente in una sola potenza quando l'una è ordi­ nata all'altra: come è evidente nell'atto con il quale la volontà vuole insieme il fine e le cose ordinate al fine, e allorché l'intelletto, avendo già acquistato la scienza, intende insieme i princìpi e le conclusioni per mezzo dei princì­ pi. Ora, negli angeli la conoscenza vespertina è ordinata a quella mattutina, come spiega Ago­ stino. Quindi nulla impedisce che negli angeli vi siano simultaneamente le due conoscenze. 3. Al sopraggiungere di ciò che è perfetto viene eliminato quanto di imperfetto ad esso si oppo­ ne: come la fede, che riguarda le cose che non si vedono, al sopraggiungere della visione finisce. Ma l'imperfezione della conoscenza vespertina non si oppone alla perfezione della conoscenza mattutina. Infatti la conoscenza di una cosa in se stessa non è opposta alla conoscenza della medesima nella sua causa. E neppure ripugna che una cosa sia conosciuta attraverso due mezzi conoscitivi dei quali uno sia più perfetto dell'altro: come, per provare una stessa conclu­ sione, possiamo addurre una prova apodittica e una prova dialettica. E parimenti un angelo può conoscere una stessa cosa per mezzo del Verbo increato e per mezzo della specie innata.

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QUE�TIONE 59

DE VOLUNTATE ANGELORUM

LA VOLONTA DEGLI ANGELI

Consequenter considerandum est de his quae pertinent ad voluntatem angelorum. Et primo considerabimus de ipsa voluntate secundo, de motu eius, qui est amor sive dilectio [q. 60]. Circa primum quaemntur quatuor. Primo, utrum in angelis sit voluntas. Secundo, utrum voluntas angeli sit ipsa natura eorum, vel etiam ipse intellectus eorum. Tertio, utrum in angelis sit libemm arbitrium. Quarto, utrum in eis sit irascibilis et concupiscibilis.

Logicamente si deve ora trattare di quanto riguarda la volontà degli angeli. Prima tratte­ remo direttamente della volontà, quindi del moto della medesima, che è l'amore o dile­ zione. Sul primo argomento si pongono quat­ tro quesiti: l . Negli angeli c'è la volontà? 2. La volontà degli angeli è la loro stessa na­ tura o il loro intelletto? 3. Negli angeli c'è il libero arbitrio? 4. Ci sono in essi l'irascibile e il concupiscibile?

Articulus l Utrum in angelis sit voluntas

Articolo l Negli angeli c'è la volontà?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in angelis non sit voluntas. l . Quia, ut dicit philosophus, in in 3 De an.

Sembra di no. Infatti: l . D Filosofo dice: «La volontà è nella ragio­ ne». Ora, negli angeli non c'è la ragione, ma

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La volontà degli angeli

[9,8], voluntas in ratione est. Sed in angelis non est ratio, sed aliquid superius ratione. Ergo in angelis non est voluntas, sed aliquid superius voluntate. 2. Praeterea, voluntas sub appetitu continetur, ut patet per philosophum, in 3 De an. [9,3; 1 0,3]. Sed appetitus est imperfecti, est enim eius quod nondum habetur. Cum igitur in an­ gelis, maxime in beatis, non sit aliqua imper­ fectio, videtur quod non sit in eis voluntas. 3. Praeterea, philosophus dicit, in 3 De an. [ 1 0,7] , quod voluntas est movens motum, movetur enim ab appetibili intellecto. Sed an­ geli sunt immobiles; cum sint incorporei. Ergo in angelis non est voluntas. Sed contra est quod Augustinus dicit, l O lib. De Trin. [ 1 2], quod imago Trinitatis invenitur in mente secundum memoriam, intelligen­ tiam et voluntatem. Imago autem Dei inveni­ tur non solum in mente humana, sed etiam in mente angelica; cum etiam mens angelica sit capax Dei. Ergo in angelis est voluntas. Respondeo dicendum quod necesse est ponere in angelis voluntatem. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum omnia pro­ cedant ex voluntate divina, omnia suo modo per appetitum incli nantur in bonum, sed diversimode. Quaedam enim inclinantur in bonum, per solam naturalem habitudinem, absque cognitione, sicut plantae et corpora inanimata. Et talis inclinatio ad bonum vocatur appetitus naturalis. Quaedam vero ad bonum inclinantur cum aliqua cognitione; non qui­ dem sic quod cognoscant ipsam rationem boni, sed cognoscunt aliquod bonum particu­ lare; sicut sensus, qui cognoscit dulce et album et aliquid huiusmodi. Inclinatio autem hanc cognitionem sequens, dicitur appetitus sensiti­ vus. Quaedam vero inclinantur ad bonum cum cognitione qua cognoscunt ipsam boni ratio­ nem; quod est proprium intellectus. Et haec perfectissime inclinantur in bonum; non qui­ dem quasi ab alio solummodo directa in bo­ num, sicut ea quae cognitione carent; neque in bonum particulariter tantum, sicut ea in quibus est sola sensitiva cognitio; sed quasi inclinata in ipsum universale bonum. Et haec inclinatio dicitur voluntas. Unde cum angeli per intellec­ tum cognoscant ipsam universalem rationem boni, manifestum est quod in eis sit voluntas. Ad primum ergo dicendum quod aliter ratio transcendit sensum, et aliter intellectus ra-

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qualcosa di superiore ad essa. Quindi negli angeli non c'è la volontà, ma qualcosa di su­ periore alla volontà. 2. La volontà è un appetito, come dimostra il Fi­ losofo. Ma l'appetito è proprio di un essere im­ perfetto, avendo per oggetto ciò che non si pos­ siede ancora. Ora, non essendovi negli angeli, specialmente in quelli beati, alcuna imperfezio­ ne, sembra che in essi la volontà non esista. 3. Il Filosofo insegna che la volontà è un mo­ vente mosso: infatti è mossa dagli oggetti appetibili conosciuti. Ma gli angeli, essendo incorporei, sono immobili. Quindi negli ange­ li non esiste la volontà. In contrario: Agostino dice che nella mente si trova l'immagine della Trinità in quanto si tro­ vano in essa la memoria, l'intelletto e la volon­ tà. Ora, l'immagine di Dio non è soltanto nella mente umana, ma anche nella mente angelica, essendo anch'essa fatta per possedere Dio. Quindi negli angeli c'è la volontà. Risposta: è necessario ammettere nell'angelo la volontà. Per averne la dimostrazione biso­ gna considerare che tutte le cose, procedendo dalla volontà di Dio, tendono al bene, ma ciascuna in modo diverso. Alcune infatti han­ no soltanto un'inclinazione naturale al bene, senza conoscerlo, come le piante e i corpi inanimati. E questa inclinazione al bene viene chiamata appetito naturale. - Altri esseri, in­ vece, tendono al bene per averlo in qualche modo conosciuto: non nel senso che cono­ scano la natura stessa del bene, ma in quanto conoscono qualche bene particolare, come fa il senso che conosce il dolce o il bianco o altre simili cose. E l'inclinazione che accom­ pagna questa conoscenza viene chiamata ap­ petito sensitivo. Altri esseri, infine, tendono al bene conoscendo la natura stessa del bene, il che è proprio dell'intelletto. E questi esseri tendono al bene in modo perfettissimo: infatti non tendono al bene solo perché ricevono l 'impulso o la direzione da un altro essere, come le realtà non dotate di conoscenza, e neppure tendono soltanto a un bene particola­ re, come gli esseri che hanno la sola cono­ scenza sensitiva, ma sono inclinati al bene universale. E questa inclinazione prende il no­ me di volontà. - Quindi, dato che gli angeli conoscono con l'intelletto la stessa nozione universale di bene, è evidente che in essi si trova la volontà. -

La volontà degli angeli

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tionem. Ratio enim transcendit sensum, se­ cundum diversitatem cognitorum, nam sensus est particularium, ratio vero universalium. Et ideo oportet quod sit alius appetitus tendens in bonum universale, qui debetur rationi; et alius tendens in bonum pmticulare, qui debe­ tur sensui . Sed i ntellectus et ratio differunt quantum ad modum cognoscendi, quia sci­ licet intellectus cognoscit simplici intuitu, ra­ tio vero discmrendo de uno in aliud. Sed tamen ratio per discursum pervenit ad cognoscen­ dum i l lud, quod i ntellectus sine discursu cognoscit, scilicet universale. Idem est ergo obiectum quod appetitivae proponitur et ex parte rationis, et ex parte intellectus. Unde in angelis, qui sunt intellectuales tantum, non est appetitus superior voluntate. Ad secundum dicendum quod, licet nomen appetitivae partis sit sumptum ab appetendo ea quae non habentur, tamen appetitiva pars non solum ad haec se extendit, sed etiam ad multa alia. Sicut et nomen lapidis sumptum est a laesione pedis, cum tamen lapidi non hoc solum conveniat. Similiter irascibilis po­ tentia denominatur ab ira; cum tamen in ea sint plures aliae passiones, ut spes et audacia et huiusmodi. Ad tertium dicendum quod voluntas dicitur movens motum, secundum quod velle est motus quidam, et intelligere; cuiusmodi mo­ tum nihil prohibet in angelis esse, quia talis motus est actus peifecti, ut dicitur in 3 De an.

[7,1].

Articulus

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Soluzione delle difficoltà: l . La ragione tra­ scende il senso in modo diverso da come l'in­ telletto trascende la ragione. La ragione, infatti, trascende il senso a motivo della diversità dell'oggetto conosciuto: poiché il senso cono­ sce il particolare, mentre la ragione conosce l'universale. Quindi l'appetito che tende al be­ ne universale, proprio della ragione, dev'essere diverso dali' appetito che tende al bene partico­ lare, proprio del senso. - L'intelletto e la ragio­ ne, invece, si differenziano solo nel modo di conoscere: in quanto, cioè, l'intelletto conosce per una semplice intuizione, la ragione invece passando da una conoscenza ali' altra. Ciò no­ nostante la ragione, col suo processo discor­ sivo, giunge a conoscere l' oggetto medesimo che l'intelletto apprende senza raziocinio, cioè l'universale. Quindi l'oggetto che viene propo­ sto alla facoltà appetitiva è identico tanto per la ragione quanto per l' intelletto. Per cui negli angeli, i quali sono semplicemente intellettuali, non c'è un appetito superiore alla volontà. 2. Sebbene il nome delle facoltà appetitive sia derivato dall' appetire quelle cose che non si posseggono, tuttavia le facoltà appetitive non si estendono soltanto a queste cose, ma altresì a molte altre. Come i l nome della pietra [lapis] deriva da ledere il piede, sebbene que­ sta non sia la sua sola proprietà. Parimenti la facoltà dell'irascibile viene denominata dal­ l' ira, e tuttavia si trovano in essa molte altre passioni, come la speranza, l'audacia ecc. 3. La volontà viene detta un movente mosso nel medesimo senso in cui la volizione e l ' intellezione sono anch'esse un moto; ora, nulla impedisce che vi sia un tale moto negli angeli, poiché questo moto è «l' atto di u n essere perfetto», come dice Aristotele. Articolo

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Utrum in angelis voluntas differat ab intellectu et natura

Negli angeli la volontà è distinta dall'intelletto e dalla natura?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in angelis non differat voluntas ab intellectu et natura. l . Angelus enim est simplicior quam corpus n atura l e . Sed corpus n aturale per suam formam inclinatur in suum finem, qui est eius bonum. Ergo multo magis angelus. Forma autem angeli est vel natura i p s a i n qua subsistit, vel species quae est in i ntellectu

Sembra di no. Infatti: l . L'angelo è un essere più sempl ice del corpo fisico. Ma il corpo fisico tende al fine, che è il proprio bene, in virtù della sua stessa forma. Quindi a più forte ragione l ' angelo. Ora, forma dell' angelo può essere la natura stessa nella quale sussiste, o la specie che si trova nel suo intelletto. Quindi l' angelo tende al bene per mezzo della sua natura e della

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La volontà degli angeli

eius. Ergo angelus inclinatur in bonum per naturam suam, et per speciem intelligibilem. Haec autem inclinatio ad bonum pertinet ad voluntatem. Voluntas igitur angeli non est aliud quam eius natura vel intellectus. 2. Praeterea, obiectum intellectus est verum, voluntatis autem bonum. Bonum autem et verum non differunt realiter, sed secundum rationem tantum. Ergo voluntas et intellectus non differunt realiter. 3. Praeterea, distinctio communis et proprii non diversificat potentias, eadem enim poten­ tia visiva est colotis et albedinis. Sed bonum et verum videntur se habere sicut commune et proprium, nam verum est quoddam bonum, scilicet intellectus. Ergo voluntas, cuius obiec­ tum est bonum, non differt ab intellectu, cuius obiectum est verum. Sed contra, voluntas in angelis est bonorum tantum. lntellectus autem est bonorum et ma­ lorum, cognoscunt enim utrumque. Ergo vo­ luntas in angelis est aliud quam eius intellectus. Respondeo dicendum quod voluntas in ange­ lis est quaedam virtus vel potentia, quae nec est ipsa eorum natura, nec eorum intellectus. Et quod non sit eorum natura, apparet ex hoc, quod natura vel essentia alicuius rei intra ipsam rem comprehenditur, quidquid ergo se extendit ad id quod est extra rem, non est rei essentia. Unde videmus in corporibus natura­ libus, quod inclinatio quae est ad esse rei, non est per aliquid superadditum essentiae; sed per materiam, quae appetit esse antequam illud habeat, et per formam, quae tenet rem in esse postquam fuerit. Sed inclinatio ad aliquid exttinsecum, est per aliquid essentiae super­ additum, sicut inclinatio ad locum est per gravitatem vel levitatem, inclinatio autem ad faciendum sibi simile est per qualitates acti­ vas. Voluntas autem habet inclinationem i n bonum naturaliter. Unde ibi solum est idem essentia et voluntas, ubi totaliter bonum conti­ netur in essentia volentis; scilicet in Deo, qui nihil vult extra se nisi ratione suae bonitatis. Quod de nulla creatura potest dici; cum bo­ num infinitum sit extra essentiam cuiuslibet creati. Unde nec voluntas angeli, nec alterius creaturae, potest esse idem quod eius essentia. Similiter nec potest esse idem quod intellec­ tus angeli vel hominis. Nam cognitio fit per hoc quod cognitum est in cognoscente, unde ea ratione se extendit eius intellectus in i d

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specie intelligibile. M a questa inclinazione al bene è proptia della volontà. Quindi la volon­ tà dell' angelo non è una cosa diversa dalla sua natura e dal suo intelletto. 2. L'oggetto dell' intelligenza è il vero, e della volontà il bene. Ma tra il bene e il vero non c'è distinzione reale, bensì soltanto di ragio­ ne. Quindi la volontà e l ' intelletto non si distinguono realmente. 3. La distinzione tra proprio e comune non determina una diversità di potenze: infatti una stessa potenza vede il colore e la bianchezza. Ma tra il bene e il vero c'è la stessa relazione che esiste tra il comune e il proprio: infatti il vero è un bene particolare, cioè il bene del­ l ' intelletto. Quindi la volontà, che ha per oggetto il bene, non si distingue dall'intellet­ to, che ha per oggetto il vero. In contrario: la volontà di alcuni angeli si porta soltanto sulle cose buone. n loro intel­ letto invece si porta tanto sulle cose buone quanto su quelle cattive: conosce infatti le une e le altre. Quindi la volontà negli angeli è distinta dali' intelletto. Risposta: la volontà negli angeli è una virtù, o potenza, che non è né loro stessa natura né il loro intelletto. E che non sia la loro natura è evidente per il fatto che la natura o essenza di una cosa è contenuta dentro la cosa stessa: perciò tutto quanto si porta su ciò che è fuoti della cosa non è l'essenza della cosa stessa. Vediamo infatti nei corpi fisici che l'inclinazio­ ne verso l'essere stesso della cosa non detiva da facoltà distinte dall'essenza, ma dalla matetia, che tende ali' essere prima di possederlo, e dalla forma che, una volta raggiunto l'essere, man­ tiene in esso la cosa Invece l'inclinazione ver­ so ciò che è estrinseco proviene da proptietà distinte dali' essenza: come l' inclinazione al luogo connaturale proviene dalla gravità o dalla levità, mentre l'inclinazione a produrre cose consimili è data dalle facoltà attive. - Ora, la volontà ha naturalmente l'inclinazione al bene. Quindi l 'essenza e la volontà sono la stessa cosa soltanto in quell 'essere in cui il bene è contenuto totalmente neli' essenza del volente, cioè in Dio, il quale non vuole nulla fuoti di se medesimo se non a motivo della sua bontà. Cosa che non può dirsi di alcuna creatura, poiché il bene infinito è fuoti dell'essenza di ogni realtà creata. Per cui né la volontà dell'an­ gelo né quella di qualsiasi altra creatura può

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quod est extra se, secundum quod illud quod extra ipsum est per essentiam, natum est aliquo modo in eo esse. Voluntas vero se ex­ tendit in id quod extra se est, secundum quod quadam inclinatione quodammodo tendit in rem exteriorem. Alterius autem virtutis est, quod aliquid habeat in se quod est extra se, et quod ipsum tendat in rem exteriorem. Et ideo oportet quod in qualibet creatura sit aliud intellectus et voluntas. Non autem in Deo, qui habet et ens universale et bonum universale in seipso. Unde tam voluntas quam intellectus est eius essentia. Ad primum ergo dicendum quod corpus natu­ rale per formam substantialem inclinatur in esse suum, sed in exterius inclinatur per ali­ quid additum, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod potentiae non diversificantur secundum materialem distinc­ tionem obiectorum, sed secundum formalem distinctionem, quae attenditur secundum ra­ tionem obiecti. Et ideo diversitas secundum rationem boni et veri, sufficit ad diversitatem intellectus et voluntatis. Ad tertium dicendum quod, quia bonum et verum convertuntur secundum rem, inde est quod et bonum ab intellectu intelligitur sub ratione veri, et verum a voluntate appetitur sub ratione boni. Sed tamen diversitas ratio­ num ad diversificandum potentias sufficit, ut dictum est [ad 2].

identificarsi con l'essenza. Parimenti [la volon­ tà] non può identificarsi né con l'intelletto del­ l'angelo, né con quello dell'uomo. Si ha infatti la conoscenza perché l'oggetto conosciuto vie­ ne a trovarsi nel conoscente: per cui l'intelletto si estende a ciò che è fuori di esso nella misura in cui ciò che fisicamente è fuori dell'intelletto è ordinato a essere in qualche modo nell'intel­ letto stesso. La volontà invece si estende a ciò che è fuori di essa in quanto per la sua inclina­ zione tende alla realtà esteriore. Ora, il posse­ dere in se stessi qualcosa di estrinseco, e il te11.­ dere ad esso, appartengono a facoltà diverse. E necessario perciò che in ogni creatura l'intellet­ to sia distinto dalla volontà. - Non così invece in Dio, il quale ha in se stesso la totalità dell'es­ sere e del bene. Per cui la volontà e l'intelletto sono la sua stessa essenza. Soluzione delle difficoltà: l . Il corpo fisico ha un'inclinazione al proprio essere in virtù della forma sostanziale, ma non tende a ciò che è fuori di esso se non in virtù di qualità distinte dall'essenza, come si è detto. 2. Le potenze non si distinguono secondo la diversità materiale degli oggetti, bensì secon­ do la diversità formale, che si desume dall' a­ spetto oggettivo sotto cui essi vengono colti. Quindi la diversità dei due aspetti del bene e del vero è sufficiente a stabilire la distinzione dell'intelletto e della volontà. 3. Poiché il vero e il bene si identificano nella realtà, ne segue che il bene viene colto dal­ l ' intelletto in quanto vero, e i l vero diviene oggetto della volontà in quanto bene. Tuttavia la diversità degli aspetti, come si è detto, è sufficiente a diversificare le potenze.

Articulus 3 Utrum in angelis sit liberum arbitrium

Articolo 3 Negli angeli c'è il libero arbitrio?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in angelis non sit liberum arbitrium. 1 . Actus enim liberi arbitrii est eligere. Sed electio non potest esse in angelis, cum electio sit appetitus praeconsiliati, consilium autem est inquisitio quaedam ut dicitur in 3 Ethic. [2, 1 7 ; 3, 1 2] ; angeli autem non cognoscunt inquirendo, quia hoc pertinet ad discursum rationis. Ergo videtur quod in angelis non sit liberum arbitrium. 2. Praeterea, liberum arbitrium se habet ad utrumlibet. Sed ex parte intellectus non est

Sembra di no. Infatti: l . L'atto proprio del libero arbitrio è quello di scegliere. Ma la scelta negli angeli non ci può essere poiché essa, secondo Aristotele, è «un atto dell' appetito che presuppone il consi­ glio», e il consiglio è una ricerca; ora gli an­ geli, per conoscere, non hanno bisogno di ri­ cercare, poiché ciò è proprio della ragione. Quindi negli angeli non vi è il libero arbitrio. 2. Il libero arbitrio è indifferente verso due alternative. Ma nell' intelletto angelico non ci può essere indifferenza verso opposte vedute

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La volontà degli angeli

aliquid se habens ad utrumlibet in angelis, quia intellecrus eorum non fallitur in naturali­ bus intelligibilibus, ut dicrum est [q. 58 a. 5] . Ergo nec ex parte appetitus liberum arbitrium in eis esse potest. 3. Praeterea, ea quae sunt naruralia in angelis, conveniunt eis secundum magis et minus, quia in superioribus angelis narura intellectualis est perfectior quam in inferioribus. Liberum autem arbitrium non recipit magis et minus. Ergo in angelis non est liberum arbitrium. Sed contra, libertas arbitrii ad dignitatem ho­ minis pertinet. Sed angeli digniores sunt ho­ minibus. Ergo libertas arbitrii, cum sit in ho­ minibus, multo magis est in angelis. Respondeo dicendum quod quaedam sunt quae non agunt ex aliquo arbitrio, sed quasi ab aliis acta et mota, sicut sagitta a sagittante movetur ad finem. Quaedam vero agunt quo­ dam arbitrio, sed non libero, sicut animalia ir­ rationalia, ovis enim fugit lupum ex quodam iudicio, quo existimat eum sibi noxium; sed hoc iudicium non est sibi liberum, sed a na­ rura inditum. Sed solum id quod habet intel­ lectum, potest agere iudicio libero, inquantum cognoscit universalem rationem boni, ex qua potest iudicare hoc vel illud esse bonum. Unde ubicumque est intellectus, est liberum arbitrium. Et sic patet liberum arbitrium esse in angelis etiam excellentius quam in hornini­ bus, sicut et intellectum. Ad primum ergo dicendum quod philosophus loquitur de electione secundum quod est ho­ minis. Sicut autem aestimatio hominis i n speculativis differt ab aestimatione angeli in hoc, quod una est absque inquisitione, alia vero per inquisitionem; ita et in operativis. Unde in angelis est electio; non tamen cum inquisitiva deliberatione consilii, sed per subi­ tam acceptionem veritatis. Ad secundum dicendum quod, sicut dictum est [a. 2; q. 1 2 a. 4], cognitio fit per hoc quod cognita sunt in cognoscente. Ad imperfectio­ nem autem alicuius rei pertinet, si non sit in ea id quod natum est in ea esse. Unde angelus non esset perfectus in sua natura, si intellectus eius non esset detemlinatus ad ornnem verita­ tem quam naturaliter cognoscere potest. Sed actus appetitivae virtutis est per hoc quod af­ fectus inclinatur ad rem exteriorem. Non au­ tem dependet perfectio rei ex omni re ad quam inclinatur, sed solum ex superiori. Et

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poiché l'intelletto angelico, come si è detto, non può errare circa gli oggetti di ordine natu­ rale. Quindi anche nella parte appetitiva non vi può essere negli angeli il libero arbitrio. 3. Le perfezioni naturali negli angeli ammet­ tono il più e il meno, poiché negli angeli su­ periori la natura intellettuale è più perfetta che negli inferiori. Il libero arbitrio, invece, non ammette il più e il meno. Quindi negli angeli non c'è il libero arbitrio. In contrario: il libero arbitrio appartiene alla dignità dell'uomo. Ma gli angeli hanno una dignità superiore agli uomini. Quindi il libero arbitrio, trovandosi negli uomini, si deve tro­ vare a più forte ragione negli angeli. Risposta: vi sono degli esseri che non agiscono di proprio arbitrio, ma solo perché mossi e so­ spinti da altri, come ad es. la freccia, che viene lanciata sul bersaglio dall'arciere. Altri esseri invece agiscono con un certo arbitrio, che però non è libero; e sono gli animali irrazionali: la pecora infatti fugge il lupo in forza di una spe­ cie di giudizio, per cui stima che il lupo è dan­ noso. Ma tale giudizio non è libero per essa, poiché le è imposto dalla natura. Soltanto chi possiede l'intelligenza può invece agire in for­ za di un giudizio liberamente concepito poi­ ché, conoscendo la ragione universale di bene, può giudicare se questa o quella cosa siano un bene. Quindi, dovunque abbiamo l' iptelligen­ za, troviamo pure il libero arbitrio. E dunque evidente che negli angeli vi è un libero arbitrio più perfetto ancora che negli uomini, come si verifica anche per l'intelligenza. Soluzione delle difficoltà: l . TI Filosofo inten­ de parlare della scelta che è propria dell'uo­ mo. Ora, come il giudizio dell'uomo differi­ sce dal giudizio degli angeli in campo specu­ lativo, in quanto l 'uno avviene senza ricerca e l 'altro mediante la ricerca, così pure differisce in campo pratico. Negli angeli quindi vi è la scelta in seguito a un'immediata percezione della verità, e non mediante la deliberazione inquisitiva del consiglio. 2. Come si è detto sopra, la conoscenza di­ pende dal fatto che gli oggetti conosciuti si trovano nel conoscente. Ora, che in una cosa non vi sia tutto ciò che naturalmente è desti­ nato a esserci va ascritto all'imperfezione del­ la cosa stessa. L'angelo, quindi, non sarebbe perfetto nella sua natura se il suo intelletto non possedesse tutte le verità che può natural-

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ideo non pertinet ad imperfectionem angeli, si non habet voluntatem determinatam respectu eorum quae infra ipsum sunt. Pertineret au­ tem ad imperfectionem eius, si indeterminate se haberet ad illud quod supra ipsum est. Ad tertium dicendum quod liberum arbitrium nobiliori modo est in superioribus angelis, quam in inferioribus, sicut et iudicium intellec­ tus. Tamen verum est quod ipsa libertas, secundum quod in ea consideratur quaedam remotio coactionis, non suscipit magis et mi­ nus, quia privationes et negationes non remit­ tuntur nec intenduntur per se, sed solum per suam causam, vel secundum aliquam aifmna­ tionem adiunctam.

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mente conoscere. - Invece l'atto della facoltà appetitiva consiste nell' inclinazione dell'affet­ to verso la realtà esteriore. Ora, la perfezione di un essere non dipende da tutti gli oggetti verso i quali può tendere, ma solo da quelli che gli sono superiori. Non è quindi un'im­ perfezione per l'angelo non avere la volontà determinata alle realtà inferiori: sarebbe inve­ ce un'imperfezione per lui se non fosse deter­ minato a ciò che gli è superiore. 3. n libero arbitrio, come il giudizio intelletti­ vo, si trova in modo più perfetto negli angeli superiori che negli inferiori. E vero tuttavia che nella libertà, in quanto esclusione di coa­ zione, non esiste il più e il meno, poiché le privazioni e le negazioni né si rafforzano né si attutiscono direttamente per se stesse, ma solo indirettamente in forza della loro causa, o per­ ché connesse a un' affermazione. Articolo

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Utrum in angelis sit irascibilis et concupiscibilis

Negli angeli ci sono l'irascibile e il concupiscibile?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in angelis sit irascibilis et concupiscibilis. l . Dicit enim Dionysius, 4 cap. De div. nom. [23], quod in daemonibus est furor irrationa­ bilis et concupiscentia amens. Sed daemones eiusdem naturae sunt cum angelis, quia pec­ catum non mutavit in eis naturam. Ergo in an­ gelis est irascibilis et concupiscibilis. 2. Praeterea, amor et gaudium in concupisci­ bili sunt� ira vero, spes et timor in irascibili. Sed haec attribuuntur angelis bonis et malis in Scripturis. Ergo in angelis est irascibilis et concupiscibilis. 3. Praeterea, virtutes quaedam dicuntur esse in irascibili et concupiscibili� sicut caritas et temperantia videntur esse in concupiscibili, spes autem et fortitudo in irascibili. Sed virtu­ tes hae sunt in angelis. Ergo i n angelis est concupiscibilis et irascibilis. Sed contra est quod philosophus dicit, in 3 De an. [9,3], quod irascibilis et concupiscibilis sunt in parte sensitiva; quae non est in angelis. Ergo in eis non est irascibilis et concupiscibilis. Respondeo dicendum quod intellectivus ap­ petitus non dividitur per irascibilem et concu­ piscibilem, sed solum appetitus sensitivus. Cuius ratio est quia cum potentiae non distin­ guantur secundum distinctionem materialem

Sembra di sì. Infatti: l . Dionigi afferma che nei demoni vi è «Un furore irrazionale» e una «concupiscenza in­ sensata». Ma i demoni hanno la stessa natura degli angeli, poiché il peccato non ha mutato in essi la natura. Quindi negli angeli vi è l' ira­ scibile e il concupiscibile. 2. L'amore e il gaudio sono nel concupiscibi­ le� l'ira, la speranza e il timore si trovano in­ vece nell' irascibile. Ma la Scrittura attribuisce queste cose tanto agli angeli buoni quanto ai cattivi. Quindi negli angeli vi è l'irascibile e il concupiscibile. 3. Siamo soliti dire che certe virtù risiedono nell'irascibile o nel concupiscibile: come l a carità e l a temperanza s i trovano nel concupi­ scibile, la speranza e la fortezza invece nell'i­ rascibile. Ma negli angeli si trovano queste virtù. Quindi negli angeli vi è il concupiscibi­ le e l'irascibile. In contrario: il Filosofo insegna che l' irascibile e il concupiscibile si trovano nella parte sen­ sitiva, che gli angeli non hanno. Quindi non ci sono in essi l'irascibile e il concupiscibile. Risposta: soltanto l'appetito sensitivo, non già quello intellettivo, si divide in irascibile e con­ cupiscibile. E la ragione è che le potenze non si distinguono secondo la distinzione materiale

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obiectorum, sed solum secundum rationem formalem obiecti; si alicui potentiae respon­ deat aliquod obiectum secundum rationem communem, non erit distinctio potentiarum secundum diversitatem propriorum quae sub ilio communi continentur. Sicut si proprium obiectum potentiae visivae est color secun­ dum rationem coloris, non distinguuntur plu­ res potentiae visivae secundum differentiam albi et nigti, sed si proprium obiectum ali­ cuius potentiae esset album inquantum al­ bum, distingueretur potentia visiva albi a po­ tentia visiva nigri. Manifestum est autem ex dictis [a. l ] quod obiectum appetitus intellec­ tivi, qui voluntas dicitur, est bonum secundum communem boni rationem, nec potest esse aliquis appetitus nisi boni. Unde in parte intel­ lectiva appetitus non dividitur secundum dis­ tinctionem aliquorum particularium bono­ rum; sicut dividitur appetitus sensitivus, qui non respicit bonum secundum communem rationem, sed quoddam particolare bonum. Unde, cum in angelis non sit nisi appetitus intellectivus, eorum appetitus non distinguitur per irascibilem et concupiscibilem, sed rema­ net indivisus; et vocatur voluntas. Ad primum ergo dicendum quod furor et con­ cupiscentia metaphorice dicuntur esse in dae­ monibus, sicut et ira quandoque Deo at­ Uibuitur, propter similitudinem effectus. Ad secundum dicendum quod amor et gau­ dium, secundum quod sunt passiones, sunt in concupiscibili, sed secundum quod nominant simplicem voluntatis actum, sic sunt in intel­ lectiva parte; prout amare est velle bonum ali­ cui, et gaudere est quiescere voluntatem in aliquo bono habito. Et universaliter nihil ho­ rum dicitur de angelis secundum passionem, ut Augustinus dicit, 9 De civ. Dei [5]. Ad tertium dicendum quod caritas, secundum quod est virtus, non est in concupiscibili, sed in voluntate. Nam obiectum concupiscibilis est bonum delectabile secundum sensum, huiusmodi autem non est bonum divinum, quod est obiectum caritatis. Et eadem ratione dicendum est quod spes non est in irascibili, quia obiectum irascibilis est quoddam arduum quod est sensibile, circa quod non est spes quae est virtus, sed circa arduum divinum. Tempe­ rantia autem, secundum quod est virtus hu­ mana, est circa concupiscentias delectabilium sensibilium, quae pertinent ad vim concupisci-

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degli oggetti, ma soltanto secondo il loro aspet­ to formale: se quindi una facoltà coglie l'ogget­ to secondo una ragione universale, non ci sarà una pluralità di potenze basata sulla distinzione degli oggetti particolari contenuti sotto quello universale. Come se l'oggetto proprio della fa­ coltà visiva è il colore in quanto colore, non si potranno distinguere varie potenze visive se­ condo la differenza del bianco e del nero; se in­ vece l'oggetto proprio di una potenza fosse il bianco in quanto bianco, allora la potenza visiva che ha per oggetto il bianco si distinguerebbe da quella che ha per oggetto il nero. Ora, da quanto si è detto appare chiaramente che l' og­ getto dell'appetito intellettivo, ossia della vo­ lontà, è il bene secondo la ragione universale di bene: né ci può essere alcun appetito che non sia ordinato al bene. Quindi l ' appetito della parte intellettiva non si suddivide in base alla di­ stinzione dei beni particolari, come si divide in­ vece l'appetito sensitivo, il quale tende non già al bene secondo la ragione universale di bene, ma a dei beni particolari. - Perciò, non essen­ dovi negli angeli se non l'appetito intellettivo, questo, chiamato volontà, non si distingue in irascibile e concupiscibile, ma rimane indiviso. Soluzione delle difficoltà: l . Il furore e la con­ cupiscenza vengono attribuiti ai demoni in sen­ so metaf01ico, a quel modo in cui si suole at­ tlibuire l'ira a Dio, per una analogia di effetti. 2. L'amore e il gaudio in quanto sono delle pas­ sioni si trovano nel concupiscibile, ma in quan­ to esprimono un semplice atto della volontà si trovano nella parte intellettiva. E amare in tal caso significa volere del bene a qualcuno, e godere indica il quietarsi della volontà nell'og­ getto posseduto. E così, come insegna Agosti­ no, nessuno di questi sentimenti, quando si parla degli angeli, designa una passione. 3. La carità in quanto virtù non è nel concupisci­ bile, bensì nella volontà. L'oggetto del concupi­ scibile è infatti il bene che diletta i sensi: ora, tale non può essere il bene divino, oggetto della carità. - E per la stessa ragione si deve dire che l a speranza non è nell ' i rascibile: poiché l'oggetto dell'irascibile è un bene arduo sensibi­ le, mentre la virtù della speranza ha un altro oggetto, cioè il bene arduo divino. - La tempe­ ranza poi, in quanto è una virtù umana, si eserci­ ta sulla concupiscenza delle cose che dilettano i sensi, e tale concupiscenza appmtiene alla facoltà del concupiscibile. Parimenti la fortezza

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bilem. Et similiter fortitudo est circa audacias et timores quae sunt in irascibili. Et ideo tempe­ rantia, secundum quod est virtus humana, est in concupiscibili, et fortitudo in irascibili. Sed hoc modo non sunt in angelis. Non enim in eis sunt passiones concupiscentiarum, vel timoris et au­ daciae, quas oporteat per temperantiam et forti­ tudinem regolare. Sed temperantia in eis dicitur, secundum quod moderate suam voluntatem ex­ hibent secundum regulam divinae voluntatis. Et fortitudo in eis dicitur, secundum quod volunta­ tem divinam firmiter exequuntur. Quod totum fit per voluntatem; et non per irascibilem et concupiscibilem.

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si esercita circa gli ardimenti e i timori, che si riscontrano nell'irascibile. Nell'uomo, quindi, la virtù della temperanza ha sede nel concupiscibi­ le, e quella della fortezza nell' irascibile. Ma sotto tale aspetto queste virtù non esistono negli angeli. In essi, infatti, non vi sono le passioni della concupiscenza, o del timore e dell'audacia, che debbono essere regolate dalla temperanza e dalla fortezza. Si dice però che in essi c'è la tem­ peranza in quanto essi moderano i moti della loro volontà secondo le norme della volontà divina. E si pone in essi la fortezza in quanto eseguono con fermezza la volontà divina. Ma tutto ciò avviene per mezzo della volontà, non per mezzo dell'irascibile e del concupiscibile.

QUAESTI0 60

QUESTIONE 60

DE AMORE SEU DILECTIONE ANGELORUM

V AMORE O DILEZIONE DEGLI ANGELI

Deinde considerandum est de actu voluntatis, qui est amor sive dilectio, nam omnis actus appetitivae virtutis ex amore seu dilectione derivatur. Et circa hoc quaeruntur quinque. Primo, utrum in angelis sit dilectio naturalis. Secundo, utrum in eis sit dilectio electiva. Tertio, utmm angelus diligat seipsum dilec­ tione naturali an electiva. Quatto, utmm unus angelus diligat alium dilectione naturali sicut seipsu m . Quinto, utrum angelus naturali dilectione diligat Deum plus quam seipsum. Articulus l

Utrum in angelo sit amor seu dilectio naturalis Ad primum sic proceditur. Videtur quod in angelis non sit amor vel dilectio naturalis. l . Amor enim naturalis dividitur contra intel­ lectualem; ut patet per Dionysium, 4 cap. De div. nom. [ 1 5]. Sed amor angeli est intellec­ tualis. Ergo non est naturalis. 2. Praeterea, ea quae amant amore naturali, magis aguntur quam agant, nihil enim habet dominium suae naturae. Sed angeli non agun­ tur, sed agunt; cum sint liberi arbitrii , ut ostensum est [q. 59 a. 3]. Ergo in angelis non est amor seu dilectio naturalis. 3. Praeterea, omnis dilectio aut est recta, aut non recta. Dilectio autem recta pertinet ad caritatem, dilectio autem non recta pertinet ad

Rimane ora da trattare dell' atto della volontà che è l ' amore o dilezione: infatti ogni atto della facoltà appetitiva deriva dal l ' amore o dilezione. A questo proposito si pongono cinque quesiti: l . Negli angeli c'è la dilezio­ ne naturale? 2. C'è una dilezione deliberata? 3. L'angelo mna se stesso per dilezione natu­ rale oppure deliberata? 4. Un angelo ama l ' altro, per dilezione naturale, come se stes­ so? 5. L' angelo ama Dio più di se stesso per dilezione naturale? Articolo

l

NeU'angelo c'è l'amore o dilezione naturale? Sembra di no. Infatti: l . L' amore naturale si distingue per opposi­ zione a quello intellettuale, come è chiaro i n Dionigi. M a l 'amore dell'angelo è intellettua­ le. Quindi non è naturale. 2. Le cose che amano per amore naturale, più che compierla subiscono l ' azione: nessuna cosa infatti ha il dominio sulla propria natura. Gli angeli invece, più che subire l ' azione, la compiono, poiché, come si è visto, hanno il libero arbitrio. Quindi negli angeli non c'è amore o dilezione naturale. 3. La dilezione o è retta o non è retta. Ora, la dilezione retta appartiene alla carità, quella non retta all'iniquità. Ma nessuna delle due appartiene alla natura, poiché la carità è sopra

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i niquitatem. Neutrum autem horum pertinet ad naturam, quia caritas est sopra naturam, iniquitas autem est contra naturam. Ergo nulla dilectio naturalis est in angelis. Sed contra est quod dilectio sequitur cognitio­ nem, nihil enim amatur nisi cognitum, ut Au­ gustinus dicit, 1 0 De Trin. [ 1 -2; cf. 8,4]. Sed in angelis est cognitio naturalis. Ergo et dilec­ tio naturalis. Respondeo dicendum quod necesse est in an­ gelis ponere dilectionem naturalem. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod semper prius salvatur i n posteriori. Natura autem prior est quam intellectus, quia natura cuius­ cumque rei est essentia eius. Unde id quod est naturae, oportet salvari etiam in habentibus intellectum. Est autem hoc commune omni n aturae, ut habeat aliquam inclinationem, quae est appetitus naturalis vel amor. Quae tamen inclinatio diversimode invenitur in di­ versis naturis, in unaquaque secundum mo­ dum eius. Unde in natura intellectuali inve­ nitur inclinatio naturalis secundum volunta­ tem; in natura autem sensitiva, secundum ap­ petitum sensitivum, in natura vero carente co­ gnitione, secundum solum ordinem naturae in aliquid. Unde cum angelus sit natura intellec­ tualis, opmtet quod in voluntate eius sit na­ turalis dilectio. Ad primum ergo dicendum quod intellectua­ lis amor dividitur contra naturalem qui est solum naturalis, inquantum est naturae quae non addit sopra rationem naturae perfectio­ nem sensus aut intellectus. Ad secundum dicendum quod omnia quae sunt in loto mondo, aguntur ab aliquo, praeter primum agens, quod ita agit quod nullo modo ab alio agitur, in quo est idem natura et volun­ tas. Et ideo non est inconveniens si angelus agatur, inquantum inclinatio naturalis est sibi indita ab Auctore suae naturae. Non tamen sic agitur quod non agat; cum habeat liberam voluntatem. Ad tertium dicendum quod, sicut cognitio naturalis semper est vera ita dilectio naturali s semper est recta, cum amor naturalis nihil aliud sit quam inclinatio naturae indita ab Auctore naturae. Dicere ergo quod inclinatio naturalis non sit recta, est derogare Auctori naturae. Alia tamen est rectitudo naturalis di­ lectionis, et alia est rectitudo caritatis et virtu­ tis, quia una rectitudo est perfectiva alterius.

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la natura, e l 'iniquità è contro la natura. Quin­ di negli angeli non c'è dilezione naturale. In contrario: la dilezione segue la conoscenza poiché non si ama se non ciò che si conosce, come dice Agostino. Ma negli angeli vi è la conoscenza naturale. Quindi vi è pure la dile­ zione naturale. Risposta: è necessario ammettere negli angeli la dilezione naturale. Per capire la cosa bisogna ticordare che quanto nozionalmente precede si ritrova sempre in ciò che segue. Ma la natura precede l'intelletto, poiché la natura di ciascu­ na cosa è l'essenza della medesima. Quindi ciò che appartiene alla natura deve trovarsi pure negli esseri dotati d'intelligenza. Ora, tutte le nature hanno come comune proprietà un'incli­ nazione, che è precisamente l 'appetito o amore naturale. Tale inclinazione, tuttavia, si trova in maniere diverse nelle varie nature, in ciascuna secondo il suo modo di essere. Quindi per gli esseri dotati d'intelligenza l'inclinazione natu­ rale si produce nella volontà, per quelli dotati di senso nell'appetito sensitivo e per le nature prive di conoscenza secondo la sola propensio­ ne della natura stessa verso qualcosa. Essendo quindi l' angelo un essere dotato d'intelligenza, è necessario ammettere nella sua volontà una dilezione naturale. Soluzione delle difficoltà: l . L'amore intellet­ tuale si disti ngue per opposizione a quel­ l'amore naturale che è soltanto naturale, che appartiene cioè a una natura la quale, oltre al­ la propria essenza, non possiede la perfezione del sentire e dell' intendere. 2. Se si eccettua il primo agente, che muove senza essere mosso in alcun modo da altri, poiché in lui la natura e la volontà sono la stessa cosa, tutti gli altri esseri che si trovano nell'universo sono mossi da altri. Quindi non tipugna che l' angelo subisca l'azione in quan­ to riceve dall'Autore della natura un'inclina­ zione naturale. Tuttavia non subisce l'azione in modo tale da non agire egli stesso, essendo dotato di libera volontà. 3. Come la conoscenza naturale è sempre ve­ ra, così la dilezione naturale è sempre retta: poiché l' amore naturale non è altro che l ' in­ clinazione impressa nella natura dall' Autore della natura. Dire perciò che l' inclinazione naturale non è retta equivale a sminuire l' Au­ tore della natura. - Tuttavia la rettitudine della dilezione naturale è diversa dalla rettitudine

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Sicut etiam alia est veritas naturalis cogni­ tionis; et alia est veritas cognitionis infusae vel acquisitae.

della carità e della virtù, poiché l'una perfe­ ziona l'altra: come è diversa la verità della co­ noscenza naturale dalla verità della conoscen­ za infusa o di quella acquisita.

Articulus 2 Utrum in angelis sit dilectio electiva

Articolo 2 Negli angeli c'è una dilezione deliberata?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in angelis non sit dilectio electiva. l . Dilectio enim electiva videtur esse amor rationalis, cum electio sequatur consilium, quod in inquisitione consistit, ut dicitur in 3 Ethic. [2, 1 7; 3, 1 2]. Sed rationalis amor divi­ ditur contra intellectualem (qui est proprius angelorum); ut dicitur 4 cap. De div. nom. [ 1 6] . Ergo in angelis non est dilectio electiva. 2. Praeterea, in angelis non est nisi cognitio naturalis, praeter cognitionem infusam, quia non discurrunt de principiis ad acquirendum conclusiones. Et sic ad omnia quae naturaliter cognoscere possunt, sic se habent sicut intel­ lectus noster ad prima principia quae naturali­ ter cognoscere potest. Sed dilectio sequitur cognitionem, ut dictum est [a. l sed c.]. Ergo in angelis, praeter dilectionem gratuitam, non est nisi dilectio naturalis. Non ergo electiva. Sed contra, naturalibus neque meremur neque demeremur. Sed angeli sua dilectione aliqua merentur, vel demerentur. Ergo i n eis est aliqua dilectio electiva. Respondeo dicendum quod in angelis est quae­ dam dilectio naturalis et quaedam electiva. Et naturalis dilectio in eis est principium electi­ vae, quia semper id quod pertinet ad prius, habet rationem principii; unde, cum natura sit primum quod est in unoquoque, oportet quod id quod ad naturam pertinet, sit principium in quolibet. Et hoc apparet in homine et quantum ad intellectum, et quantum ad voluntatem. Intellectus enim cognoscit principia natura­ liter, et ex hac cognitione causatur in homine scientia conclusionum, quae non cognos­ cuntur naturaliter ab homine, sed per inventio­ nem vel doctrinam. Similiter in voluntate finis hoc modo se habet, sicut principium in intellectu, ut dicitur in 2 Phys. [9,3]. Unde voluntas naturaliter tendit in suum finem ulti­ mum, omnis enim homo naturaliter vult beati­ tudinem. Et ex hac naturali voluntate cau­ santur omnes aliae voluntates, cum quidquid homo vult, velit propter finem. Dilectio igitur

Sembra di no. Infatti: l . La dilezione deliberata sembra essere un amore razionale, poiché la deliberazione segue il consiglio il quale consiste in una ricerca, come insegna Aristotele. Ma l'amore razionale si distingue in contrapposizione a quello intellettuale proprio degli angeli, come dice Dionigi. Quindi negli angeli, non vi è una dilezione deliberata. 2. Negli angeli, oltre alla conoscenza infusa, non c'è altro che la conoscenza naturale: poi­ ché gli angeli non si servono del raziocinio per ricavare delle conclusioni dai princìpi. Quindi essi, rispetto a tutto ciò che possono conoscere naturalmente, si comportano come il nostro intelletto riguardo ai primi princìpi che esso è in grado di conoscere naturalmen­ te. Ora, la dilezione segue la conoscenza, co­ me si è visto. Quindi negli angeli, oltre alla dilezione gratuita infusa, non vi è altro che quella naturale. Quindi non si trova in essi la dilezione deliberata. In contrario: con gli atti naturali né meritia­ mo, né demeritiamo. Gli angeli, invece, con la loro dilezione meritano o demeritano. Quindi c'è in essi una dilezione deliberata. Risposta: esiste negli angeli una dilezione natu­ rale e una dilezione deliberata. E la dilezione naturale è per gli angeli principio di quella deliberata, poiché ciò che appartiene a un dato antecedente ha ragione di principio e quindi, siccome la natura in ogni essere antecede tutto il resto, è necessario che quanto appartiene alla natura abbia sempre funzione di principio. E ciò è evidente nell'uomo, sia riguardo all'intel­ letto, sia riguardo alla volontà. L'intelletto, intatti, per natura conosce i primi princìpi, e da questa conoscenza l'uomo deduce la scienza delle conclusioni, le quali non sono a lui note per natura, ma o le scopre egli stesso o gli ven­ gono insegnate. Ora, come dice Aristotele, la volontà si comporta rispetto al fine come l'intelletto tispetto ai primi princìpi. Quindi la volontà tende per natura al suo ultimo fine:

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boni quod homo naturaliter vult sicut finem, est dilectio naturalis, dilectio autem ab hac de­ rivata, quae est boni quod diligitur propter finem, est dilectio electiva. Hoc tamen diffe­ renter se habet ex parte intellectus, et volun­ tatis. Quia, sicut supra [q. 59 a. 2] dictum est, cognitio intellectus fit secundum quod res cognitae sunt in cognoscente. Est autem ex imperfectione intellectualis naturae in homine, quod non statim eius intellectus naturaliter habet omnia intelligibilia, sed quaedam, a qui­ bus in alia quodammodo movetur. Sed actus appetitivae virtutis est, e converso, secundum ordinem appetentis ad res. Quarum quaedam sunt secundum se bona, et ideo secundum se appetibilia, quaedam vero habent rationem bonitatis ex ordine ad aliud, et sunt appetibilia propter aliud. Unde non est ex imperfectione appetentis, quod aliquid appetat naturaliter ut finem, et aliquid per electionem, ut ordinatur in tinem. Quia igitur natura intellectualis in angelis perfecta est, invenitur in eis sola cogni­ tio naturalis, non autem ratiocinativa, sed inve­ nitur in eis dilectio et naturalis et electiva. Haec autem dieta sunt, praetermissis his quae supra naturam sunt, horum enim natura non est principium sufficiens. De his autem infra [q. 62] dicetur. Ad primum ergo dicendum quod non omnis dilectio electiva est amor rationalis, secundum quod rationalis amor dividitur contra intellec­ tualem. Dicitur enim sic amor rationalis, qui sequitur cognitionem ratiocinativam, non omnis autem electio consequitur discursum rationis, ut supra [q. 59 a. 3 ad l ] dictum est, cum de libero arbitrio ageretur; sed solum electio hominis. Unde ratio non sequitur. Ad secundum patet responsio ex dictis [in co.].

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ogni uomo infatti vuole per natura la beatitudi­ ne. E da questo atto naturale della volontà sono causati tutti gli altri atti volitivi, poiché tutto ciò che l' uomo vuole lo vuole in vista del fine. Quindi la dilezione del bene che l'uomo appe­ tisce naturalmente come suo fine è una dilezio­ ne naturale; la dilezione invece che ne deriva, che cioè appetisce un bene in vista del fine, è una dilezione deliberata. C'è tuttavia una diffe­ renza tra l'intelletto e la volontà. Come intàtti si è visto sopra, la conoscenza intellettuale si compie in quanto le cose conosciute vengono a trovarsi nel soggetto conoscente. E deve ascri­ versi all' imperfezione della natura intellettuale dell'uomo il fatto che la sua intelligenza non possieda immediatamente tutte le realtà intelli­ gibili, ma soltanto alcune, dalle quali viene mosso in qualche modo a conoscere le altre. Invece l'atto della facoltà appetitiva si compie in modo inverso, in quanto si ha un' inclinazio­ ne del soggetto che appetisce verso le cose. E di queste alcune sono buone per se stesse, e quindi sono appetibili per se stesse, altre invece hanno ragione di bene in quanto sono ordinate ad altro, e quindi sono appetibili in vista di quello. Non proviene quindi dall'imperfezione del soggetto volente il fatto che esso appetisca per natura alcune cose come suo fine, e ne appetisca invece altre in forza di una delibera­ zione, in quanto queste altre sono ordinate al fine. - Essendo quindi negli angeli perfetta la natura intellettuale, c'è in essi la sola conoscen­ za naturale, non già quella raziocinativa: invece si trova in essi tanto la dilezione naturale quan­ to quella deliberata. In tutto ciò che abbiamo detto non si è però considerato quanto è al disopra della natura, dato che per rispetto a ciò la natura non è un principio sufficiente. Ma di questo parleremo in seguito. Soluzione delle difficoltà: l . Non ogni dile­ zione deliberata è un amore razionale, se per amore razionale si intende quello che si di­ stingue per opposizione all' amore intellet­ tuale. Infatti l' amore razionale così inteso è quello che segue la conoscenza raziocinativa: ora, come si è detto sopra trattando del libero arbitlio, non ogni deliberazione presuppone il procedimento discorsivo della ragione, ma solo la deliberazione umana. Quindi l' argo­ mento non regge. 2. La risposta risulta evidente da quanto si è detto.

L 'amore o dilezione degli angeli

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Articulus 3

Articolo 3

Utrum angelus diligat seipsum dilectione naturali et electiva

L'angelo ama se stesso con dilezione naturale e con dilezione deliberata?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ange­ lus non diligat seipsum dilectione naturali et electiva. l . Dilectio enim naturalis est ipsius finis, sicut dictum est [a. 2]; dilectio autem electiva, eo­ rum quae sunt ad finem. Sed idem non potest esse finis et ad finem, respectu eiusdem. Ergo non potest esse eiusdem dilectio naturalis et electiva. 2. Praeterea, amor est virtus unitiva et concre­ tiva, ut Dionysius dicit, 4 cap. De div. nom. [ 1 5]. Sed unitio et concretio est diversorum in unum reductorum. Ergo non potest angelus diligere seipsum. 3. Praeterea, dilectio est quidam motus. Sed omnis motus in alterum tendit. Ergo videtur quod angelus non possit amare seipsum dilec­ tione naturali, nec electiva. Sed contra est quod philosophus dicit, 9 Ethic. [4, 1], quod amicabilia quae sunt ad alterum,

Sembra di no. Infatti: l . Si è visto che la dilezione naturale ha per oggetto il fine stesso, come si è detto; mentre la dilezione deliberata ha per oggetto cose che sono mezzi ordinati al fine. Ma un'identica cosa non può essere insieme fine e mezzo al fine per uno stesso soggetto. Quindi non si può amare una stessa cosa di amore naturale e di amore deliberato. 2. L'amore è «una virtù che unisce e amalga­ ma», come dice Dionigi. Ora, si parla di unio­ ne e di amalgama nel caso di realtà diverse che si fondono in una sola. Quindi l'angelo non può amare se stesso. 3. La dilezione è un moto. Ma ogni moto ten­ de verso un termine da esso distinto. Quindi l'angelo non può amare se stesso né con dile­ zione naturale, né con dilezione deliberata. In contrario: il Filosofo dice: «Le premure di amicizia verso gli altri derivano dalle premure di amicizia verso se stessi». Risposta: dato che l'amore ha per oggetto il bene, e il bene, come dice il Filosofo, si trova sia nella sostanza che negli accidenti, ne deriva che una cosa può essere amata in due modi: o come un bene sussistente o come un bene accidentale o inerente. È amato come un bene sussistente il soggetto a cui si vuole del bene. È amato invece come un bene accidentale o inerente ciò che si desidera per un altro: come si ama la scienza non perché diventi buona essa stessa, ma perché sia posseduta da qualcuno. E quest'ultimo amore alcuni usano chiamarlo concupiscenza, mentre al primo danno il nome di amicizia. Ora, è chiaro che negli esseri privi di conoscenza ciascuno tende naturalmente a conseguire ciò che per esso è un bene: come il fuoco il luogo che sta in alto. Quindi tanto l'an­ gelo quanto l'uomo appetiscono naturalmente il proprio bene e la propria perfezione. E ciò significa appunto amare se stessi. Quindi l'an­ gelo, come l'uomo, ama se stesso di amore na­ turale in quanto per appetito naturale desidera un bene a se stesso. In quanto invece desidera a se medesimo un bene mediante una delibera­ zione, ama se stesso con dilezione deliberata. Soluzione delle difficoltà: l . L'angelo e l'uo­ mo non amano se stessi con dilezione naturale

veniunt ex amicabilibus quae sunt ad seipsum.

Respondeo dicendum quod, cum amor sit bo­ ni, bonum autem sit et in substantia et in acci­ dente, ut patet l Ethic. [6,2], dupliciter aliquid aman.u·, uno modo, ut bonum subsistens; allo modo, ut bonum accidentale sive inhaerens. Illud quidem amatur ut bonum subsistens, quod sic amatur ut ei aliquis velit bonum. Ut bonum vero accidentale seu inhaerens amatur id quod desideratur alteri, sicut amatur scien­ tia, non ut ipsa sit bona, sed ut habeatur. Et bune modum amoris quidam nominaverunt concupiscentiam, primum vero amicitiam. Manifestum est autem quod in rebus cogni­ tione carentibus, unumquodque naturaliter ap­ petit consequi id quod est sibi bonum; sicut ignis locum sursum. Unde et angelus et homo naturaliter appetunt suum bonum et suam perfectionem. Et hoc est amare seipsum. Unde naturaliter tam angelus quam homo diligit seipsum, inquantum aliquod bonum naturali appetito sibi desiderat. Inquantum vero sibi desiderat aliquod bonum per electionem, in­ tantum amat seipsum dilectione electiva. Ad primum ergo dicendum quod angelus aut homo non diligit se dilectione naturali et elec­ tiva secundum idem; sed secundum diversa, ut dictum est [in co.].

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Ad secundum dicendum quod, sicut plus est esse unum quam uniri, ita amor magis est unus ad seipsum, quam ad diversa quae ei uniuntur. Sed ideo Dionysius usus fuit nomi­ ne unitionis et concretionis, ut ostenderet de­ rivationem amoris a se in alia, sicut ab uno derivatur unitio. Ad tertium dicendum quod, sicut amor est actio manens in agente, ita est motus manens in amante, non autem tendens in aliquid aliud ex necessitate; sed potest retlecti super aman­ tem, ut amet seipsum, sicut et cognitio reflec­ titur in cognoscentem, ut cognoscat seipsum.

Articulus 4

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e con dilezione deliberata sotto un unico aspet­ to, ma sotto aspetti diversi, come si è detto. 2. Come essere uno è più che venire unificato, così è maggiormente unitivo l'amore che uno porta a se stesso che non l'amore verso le altre cose che vengono a unirsi a lui. Ora, Dionigi si è servito dei termini unione e amalgama per dimostrare che l 'amore verso le altre cose deriva dall'amore verso se stessi, come dal ter­ mine uno deriva quello di unione. 3. L'amore, come è un'azione che rimane nel­ l'agente, così pure è un moto che resta in chi ama, e non tende necessariamente verso altri oggetti; può però ripiegarsi su colui che ama quando questi ama se stesso. E così l'atto conoscitivo ritorna sul conoscente quando questi conosce se stesso. Articolo 4

Utrum unus angelus naturali dilectione diligat alium sicut seipsum

Un angelo ama l'altro con dilezione naturale come ama se stesso?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod unus angelus non diligat naturali dilectione alium sicut seipsum. l . Dilectio enim sequitur cognitionem. Sed unus angelus non cognoscit alium sicut seip­ sum, quia seipsum cognoscit per suam essen­ tiam, alium vero per eius similitudinem, ut sopra [q. 56 aa. 1-2] dictum est. Ergo videtur quod unus angelus non diligat alium sicut seipsum. 2. Praeterea, causa est potior causato, et prin­ cipium eo quod ex principio derivatur. Sed dilectio quae est ad alium, derivatur ab ea quae est ad seipsum; sicut dicit philosophus, 9 Ethic. [4, l ] . Ergo angelus non diligit alium sicut seipsum, sed seipsum magis. 3 . Praeterea, dilectio naturalis est alicuius tanquam finis; et non potest removeri. Sed unus angelus non est finis alterius; et iterum haec dilectio potest removeri, ut patet in dae­ monibus, qui non diligunt bonos angelos. Er­ go unus angelus non diligit alium naturali di­ lectione sicut seipsum. Sed contra est, quia illud quod invenitur in omnibus, etiam ratione carentibus, videtur es­ se naturale. Sed sicut dicitur Eccli. 1 3 [ 1 9] , omne animai diligit sibi simile. Ergo angelus diligit naturaliter alium sicut seipsum. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 3], angelus et homo naturaliter seipsum diligit.

Sembra di no. Infatti: l . La dilezione dipende dalla conoscenza. Ma un angelo non conosce l'altro come se stesso: poiché conosce se stesso per mezzo della sua essenza, mentre conosce gli altri per mezzo di immagini rappresentative, come si è già detto. Quindi un angelo non ama l'altro come se stesso. 2. La causa ha sempre maggiore virtù del cau­ sato, e il principio di quanto da esso deriva. Ma la dilezione verso gli altri deriva dalla dilezione verso se stessi, come dice il Filosofo. Quindi un angelo non può amare l'altro come se stes­ so, ma amerà sempre di più se medesimo. 3. La dilezione naturale si rivolge a un oggetto come a un fine, ed è irrevocabile. Ma un ange­ lo non è il fine di un altro; e inoltre questa di­ lezione è revocabile, come è evidente nel caso dei demoni, i quali non amano più gli angeli buoni. Quindi un angelo non può amare l'altro come se stesso con dilezione naturale. In contrario: è chiaro che quanto si trova in tutti gli esseri, persino in quelli privi di cono­ scenza, è cosa naturale. Ora, come è detto in

Sir. Ogni creatura vivente ama il suo simile. Quindi un angelo ama l'altro come se stesso con dilezione naturale. Risposta: si è già visto che l'angelo, come l'uomo, ama naturalmente se stesso. Ora, ciò che forma una cosa sola con un'altra realtà

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L 'amore o dilezione degli angeli

Illud autem quod est unum cum aliquo, est ipsummet, unde unumquodque diligit id quod est unum sibi. Et si quidem sit unum sibi unione naturali, diligit illud dilectione naturali, si vero sit unum secum unione non naturali, diligit ipsum dilectione non naturali. Sicut ho­ mo diligit civem suum dilectione politicae vir­ tutis; consanguineum autem suum dilectione naturali, inquantum est unum cum eo in princi­ pio generationis naturalis. Manitestum est au­ tem quod id quod est unum cum aliquo, genere vel specie, est unum per naturam. Et ideo dilec­ tione naturali quaelibet res diligit id quod est se­ curo unum secundum speciem, inquantum diligit speciem suam. Et hoc etiam apparet in his quae cognitione carent, nam ignis naturalem inclinationem habet ut communicet alteri suam formam, quod est bonum eius; sicut naturaliter inclinatw· ad hoc quod quaerat bonum suum, ut esse sursum. Sic ergo dicendum est quod unus angelus diligit alium naturali dilectione, in­ quantum convenit cum eo in natura. Sed in­ quantum convenit cum eo in aliquibus aliis vel etiam inquantum differt ab eo secundum quae­ dam alia, non diligit eum naturali dilectione. Ad primum ergo dicendum quod hoc quod dico sicut seipsum, potest uno modo detenni­ nare cognitionem seu dilectionem ex parte co­ gniti et dilecti. Et sic cognoscit alium sicut seipsum, quia cognoscit alium esse, sicut co­ gnoscit seipsum esse. Allo modo potest deter­ minare cognitionem et dilectionem ex parte di­ ligentis et cognoscentis. Et sic non cognoscit alium sicut seipsum, quia se cognoscit per suam essentiam, alium autem non per eius es­ sentiam. Et similiter non diligit alium sicut seip­ sum, quia seipsum diligit per suam voluntatem, alium autem non diligit per eius voluntatem. Ad secundum dicendum quod ly sicut non designat aequalitatem, sed similitudinem. Cum enim dilectio naturalis super unitatem natura­ lem fundetur, illud quod est minus unum cum eo, naturaliter minus diligit. Unde naturaliter plus diligit quod est unum numero, quam quod est unum specie vel genere. Sed naturale est quod similem dilectionem habeat ad alium sicut ad seipsum, quantum ad hoc, quod sicut seipsum diligit inquantum vult sibi bonum, ita alium diligat inquantum vult eius bonum. Ad tertium dicendum quod dilectio naturalis dicitur esse ipsius finis, non tanquam cui ali­ quis velit bonum; sed tanquam bonum quod

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viene a essere quella medesima realtà: perciò ogni essere ama ciò che forma con esso una cosa sola. E se forma una cosa sola per un'u­ nione naturale, lo amerà di dilezione naturale; se invece forma una cosa sola per un'unione non naturale, lo amerà di dilezione non natura­ le. L'uomo, p. es., ama il suo concittadino di un amore derivante dal patriottismo; il consan­ guineo invece lo ama di amore naturale, in quanto questi forma una cosa sola con lui nel principio della generazione naturale. Ora, è evidente che quanto per il genere o per la spe­ cie forma una cosa sola con un altro essere forma una cosa sola in form di un'unione na­ turale. Quindi ogni essere ama di dilezione naturale ciò che forma nella specie una sola cosa con lui, per il fatto che ama la propria specie. E ciò appare anche nelle cose che non sono dotate di conoscenza: il fuoco infatti ha un'inclinazione naturale a comunicare ad altri la sua forma, che è il suo bene; come pure ha un'inclinazione naturale a ricercare il suo bene, cioè a portarsi verso l'alto. Si deve per­ ciò concludere che un angelo ama l'altro di dilezione naturale in quanto quest'ultimo ha la sua stessa natura. Non lo ama invece di dile­ zione naturale in quanto per altre cose si accorda con lui, o con lui è in disaccordo. Soluzione delle difficoltà: l . Parlando di co­ noscenza o di dilezione, l'espressione come se stesso può riferirsi all'oggetto. E in questo caso è vero che l'angelo conosce l'altro come se stesso, poiché conosce l'esistenza degli altri angeli come conosce la propria esistenza. In un altro senso l'espressione può riferirsi alla conoscenza e alla dilezione per ciò che riguar­ da il soggetto che conosce o che ama. E in tal caso un angelo non conosce l'altro come se stesso: poiché conosce se stesso per mezzo della propria essenza, mentre non conosce l'altro per mezzo dell'essenza di quello. Pari­ menti, non ama un altro come se stesso: poi­ ché ama se stesso per mezzo della propria vo­ lontà, ma non può amare un altro per mezzo della volontà di quello. 2. Il termine come non significa uguaglianza, ma somiglianza. Infatti la dilezione naturale si fonda sull'unità naturale: perciò un essere ama naturalmente di meno quella realtà che è meno unita ad esso. Ama quindi ciò che forma con esso una cosa sola numericamente più di ciò che forma una cosa sola con esso nella specie o -

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quis vult sibi, et per consequens alii, inquan­ tum est unum sibi. Nec ista dilectio naturalis removeri potest etiam ab angelis malis, quin dilectionem naturalem habeant ad alios ange­ los, inquantum cum eis communicant in natu­ ra. Sed odiunt eos, inquantum diversificantur secundum iustitiam et iniustitiam.

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nel genere. È però naturale che abbia verso gli altri una dilezione simile a quella che ha verso se stesso, nel senso che, come ama se stesso in quanto vuole a se stesso del bene, così ama gli altri in quanto vuole ad essi del bene. 3. La dilezione naturale ha per oggetto il fine stesso non già nel senso che questo sia il sog­ getto a cui si vuole il bene, ma piuttosto nel senso che esso è il bene che uno vuole a se stesso, e conseguentemente anche agli altri, in quanto questi tormano una cosa sola con lui. E questa dilezione naturale non può venir meno neppure negli stessi angeli cattivi, i quali hanno una dilezione naturale per gli altri ange­ li in quanto conservano in comune con essi la natura. Li odiano però in quanto differiscono da essi a motivo della giustizia e dell'iniquità.

Articulus 5

Articolo 5

Utrum angelus naturali dilectione diligat Deum plus quam seipsum

Un angelo ama Dio più di se stesso con dilezione naturale?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod angelus naturali dilectione non diligat Deum plus quam seipsum. l. Quia, ut dictum est [a. 4], dilectio naturalis fundatur super unione naturali. Sed natura divina maxime distat a natura angeli. Ergo na­ n1rali dilectione angelus minus diligit Deum quam se, vel etiam alium angelum. 2. Praeterea, propter quod unumquodque, et illud magis [Post. l ,2,6]. Sed naturali dilec­ tione quilibet diligit alium propter se, unum­ quodque enim diligit aliquid inquantum est bonum sibi. Ergo dilectione naturali angelus non diligit Deum plus quam seipsum. 3 . Praeterea, natura reflectitur in seipsam, videmus enim quod omne agens naturaliter agit ad conservationem sui. Non autem reflec­ teretur in seipsam natura, si tenderet in aliud plus quam in seipsam. Non ergo naturali dilec­ tione diligit angelus Deum plus quam se. 4. Praeterea, hoc videtur esse proprium cari­ tatis, ut aliquis Deum plus quam seipsum diligat. Sed dilectio caritatis non est naturalis in angelis, sed diffunditur in cordibus eorum per Spiritum Sanctum, qui datus est eis, ut dicit Augustinus, 12 De civ. Dei [9]. Ergo non diligunt Deum angeli dilectione naturali plus quam seipsos. 5. Praeterea, dilectio naturalis semper manet, manente natura. Sed diligere Deum plus

Sembra di no. Infatti: l . La dilezione naturale, come si è visto, si fonda sull'unione naturale. Ma la natura di Dio è infinitamente lontana da quella dell'an­ gelo. Quindi l'angelo con dilezione naturale ama Dio meno di se stesso e degli alt:Ii angeli. 2. Ciò che costituisce il motivo per cui si desi­ derano altre cose deve essere desiderato in grado maggiore. Ora, tutti per dilezione natu­ rale amano gli altri a motivo di se medesimi: infatti ogni essere ama l'altro in quanto è per lui un bene. Quindi l'angelo con dilezione naturale non ama Dio più di se stesso. 3. La natura ritorna su se stessa: vediamo infatti che ogni agente agisce naturalmente per la propria conservazione. Ma la natura non ritornerebbe su se stessa se tendesse a un'altra realtà più che a se stessa. Quindi l'an­ gelo per dilezione naturale non ama Dio più di se stesso. 4. Soltanto la carità fa sì che uno ami Dio più di se stesso. Ora, l'amore di carità non è natu­ rale per gli angeli ma, come dice Agostino, «venne diffuso nei loro cuori per mezzo dello Spirito Santo che fu loro dato». Quindi gli angeli con dilezione naturale non amano Dio più di se stessi. 5. La dilezione naturale rimane finché rimane la natura. Ma nell' angelo e nell'uomo che peccano viene a cessare l'amore di Dio al di

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L 'amore o dilezione degli angeli

quam seipsum non manet in peccante angelo vel homine, quia, ut Augustinus dicit, 14 De civ. Dei [28], fecerunt civitates duas amores

duo, terrenam scilicet anwr sui usque ad Dei contemptum, caelestem vero anwr Dei usque ad contemptum sui. Ergo diligere Deum supra

seipsum non est naturale. Sed contra, omnia moralia legis praecepta sunt de lege naturae. Sed praeceptum de dili­ gendo Deum supra seipsum, est praeceptum morale legis. Ergo est de lege naturae. Ergo dilectione naturali angelus diligit Deum supra seipsum. Respondeo dicendum quod quidam [Alber­ tus, In Sent. 2,3, 1 8] dixerunt quod angelus naturali dilectione diligit Deum plus quam se, amore concupiscentiae, quia scilicet plus appetit sibi bonum divinum quam bonum suum. Et quodammodo amore amicitiae, inquantum scilicet Deo vult naturaliter an­ gelus maius bonum quam sibi, vult enim na­ turaliter Deum esse Deum, se autem vult ha­ bere naturam propriam . Sed s i mp l ic i ter loquendo, naturali dilectione plus diligit se quam Deum, quia intensius et principalius naturaliter diligit se quam Deum. Sed falsitas huius opinionis manifeste apparet, si quis in rebus naturalibus consideret ad quid res natu­ raliter moveatur, inclinatio enim naturalis in his quae sunt sine ratione, demonstrat incli­ nationem naturalem in voluntate intellectualis n aturae. Unumquodque autem i n rebus naturalibus, quod secundum naturam hoc ipsum quod est, alterius est, principalius et magis i nclinatur in id cuius est, quam i n seipsum. E t haec inclinatio naturalis de­ monstratur ex his quae naturaliter aguntur, quia unumquodque, sicut agitur natura/iter, sic aptum natum est agi, ut dicitur in 2 Phys. [8,4]. Videmus enim quod naturaliter pars se exponit, ad conservationem totius, sicut ma­ nus exponitur ictui, absque deliberatione, ad conservationem totius corporis. Et quia ratio i mitatur naturam, huiusmodi inclinationem invenimus in vittutibus politicis, est enim vir­ tuosi civis, ut se exponat mortis periculo pro totius reipublicae conservatione; et si homo esset naturalis pars huius civitatis, haec indi­ natio esset ei naturalis. Quia igitur bonum universale est ipse Deus, et sub hoc bono continetur etiam angelus et homo et omnis creatura, quia omnis creatura naturaliter, se-

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sopra di se stessi: poiché, come dice Agosti­ no: «Due amori edificarono due città, cioè l 'amore di sé fino al disprezzo di Dio edificò la città terrena, mentre l'amore di Dio fino al disprezzo di sé edificò la città celeste». Quin­ di amare Dio più di se stessi non è qualcosa di naturale. In contrario: tutti i precetti morali della legge mosaica appartengono alla legge naturale. Ma il precetto di amare Dio più di se stessi è un precetto morale della legge. Quindi appar­ tiene alla legge naturale. E così l'angelo con dilezione naturale ama Dio più di se stesso. Risposta: alctmi hanno insegnato che l'angelo con dilezione naturale ama Dio più di se stesso con amore di concupiscenza, in quanto cioè desidera a se stesso più il bene divino che il bene suo proprio. E in certo qual modo anche con amore di amicizia, giacché desidera a Dio un bene maggiore che a se stesso: per natura, intàtti, egli vuole che Dio sia Dio; quanto a sé, invece, vuole il possesso della propria natura. Assolutamente parlando, però, l ' angelo con dilezione naturale amerebbe più se stesso che Dio: poiché per natura ama se stesso ptima e più intensamente che Dio. Ma la falsità di una tale opinione appare evidente se si considera l'oggetto verso cui sono naturalmente inclinate le realtà materiali: infatti l'inclinazione naturale degli esseri privi di ragione ci fa conoscere l ' inclinazione naturale della volontà di una natura dotata di intelligenza. Ora, nelle realtà naturali, tutto ciò che appartiene essenzialmen­ te e totalmente a un' altra realtà ha maggiore inclinazione verso la realtà a cui appartiene che verso se stesso. E tale inclinazione naturale è dimostrata dalle cose che sono poste in movi­ mento dalla natura: poiché «ogni cosa viene mossa per natura nel modo che è conforme alla sua naturale inclinazione», come dice Aristote­ le. Vediamo infatti che naturalmente la parte espone se stessa per la conservazione del tutto: come la mano, senza previa deliberazione, si espone al colpo per salvare tutto l'organismo. Ora, poiché la ragione imita la natura, noi tro­ viamo questa inclinazione anche nelle virtù civiche: il buon cittadino, infatti, si espone al pericolo di morte per la salvezza dello Stato; e se l'uomo fosse per natura parte dello Stato, tale inclinazione sarebbe naturale per lui. Poiché dunque Dio è il bene universale, e sotto questo bene rientrano l'angelo, l'uomo e ogni

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cundum id quod est, Dei est; sequitur quod naturali dilectione etiam angelus et homo plus et principalius diligat Deum quam seipsum. Alioquin, si naturaliter plus seipsum diligeret quam Deum, sequeretur quod naturalis dilec­ tio esset perversa; et quod non perficeretur per caritatem, sed destrueretur. Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit in his quae ex aequo dividuntur, quo­ rum unum non est alteri ratio existendi et bonitatis, in talibus enim unumquodque diligit naturaliter magis seipsum quam alterum, in­ quantum est magis sibi ipsi unum quam alteri. Sed in illis quorum unum est tota ratio exi­ stendi et bonitatis alii, magis diligitur natura­ liter tale alterum quam ipsum; sicut dictum est [in co.] quod unaquaeque pars diligit naturaliter totum plus quam se. Et quodlibet singulare naturaliter diligit plus bonum suae speciei, quam bonum suum singulare. Deus autem non solum est bonum unius speciei, sed est ipsum universale bonum simpliciter. Unde unumquodque suo modo naturaliter diligit Deum plus quam seipsum. Ad secundum dicendum quod, cum dicitur quod Deus diligitur ab angelo inquantum est ei bonus, si ly inquantum dicat finem, sic falsum est, non enim diligit naturaliter Deum propter bonum suum, sed propter ipsum Deum. Si vero dicat rationem amoris ex parte amantis, sic verum est, non enim esset i n natura alicuius quod amaret Deum, nisi ex eo quod unumquodque dependet a bono quod est Deus. Ad tertium dicendum quod natura reflectitur in seipsam non solum quantum ad id quod est ei singulare, sed multo magis quantum ad commune, inclinatur enim unumquodque ad conservandum non solum suum individuum, sed etiam suam speciem. Et multo magis habet naturalem inclinationem unumquodque i n id quod est bonum universale simpliciter. Ad quartum dicendum quod Deus, secundum quod est universale bonum, a quo dependet omne bonum naturale, diligitur naturali dilec­ tione ab unoquoque. Inquantum vero est bo­ num beatificans naturaliter omnes supernatu­ rali beatitudine, sic diligitur dilectione caritatis. Ad quintum dicendum quod, cum in Deo sit unum et idem eius substantia et bonum com­ mune, omnes qui vident ipsam Dei essentiam, eodem motu dilectionis moventur in ipsam

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altra creatura, essendo ogni creatura natural­ mente, secondo ciò che è, di Dio, ne segue che anche naturalmente l'angelo e l'uomo amano Dio prima e più di se stessi. - Diversamente, se cioè amassero per natura più se stessi che Dio, ne seguirebbe che la dilezione naturale sarebbe perversa: essa perciò non sarebbe perfezionata, ma distrutta dalla carità. Soluzione delle difficoltà: l . L' argomento è valido per quelle cose che si distinguono tra loro sullo stesso piano, quando cioè l'una non è causa dell'esistenza e della bontà delle altre: ognuna di queste cose, infatti, ama natural­ mente più se stessa che le altre perché è unita più intimamente a se stessa che alle altre. Quando però troviamo un essere che è la cau­ sa totale dell'esistenza e della bontà di un al­ tro, allora quest'ultimo ama naturalmente più l'altro che se stesso: poiché, come si è detto, le parti amano naturalmente il tutto più di se stesse. E ogni individuo ama più il bene della sua specie che il proprio bene particolare. Ora, Dio non è soltanto il bene di una data specie, ma è lo stesso bene universale. Quindi ogni cosa, a suo modo, ama naturalmente più Dio che se stessa. 2. Quando diciamo che Dio è amato dall' an­ gelo i n quanto Dio è u n bene per lui, se l'espressione in quanto vuole indicare il fine, allora è falsa. L' angelo infatti non ama Dio per il proprio bene, ma per lui stesso. Se inve­ ce l'espressione indica il logico presupposto dell'amore da parte di chi ama, allora è vera: poiché la natura di una cosa non porta ad amare Dio se non per il fatto che ogni cosa dipende da quel bene che è Dio. 3. La natura ritorna su se stessa non soltanto in ciò che conviene ai singoli individui, ma anche in ciò che è comune a molti: ogni cosa, i nfatti, ha una naturale inclinazione non solo a conservare se stessa individualmente, ma an­ che a conservare la specie. Più forte ancora, però, è la naturale inclinazione di ogni cosa verso il bene universale assoluto. 4. Dio è amato con dilezione naturale da tutte le cose in quanto è il bene UI)iversale da cui dipende ogni bene naturale. E amato invece con amore di carità in quanto è il bene che a tutti, secondo la natura di ciascuno, comunica la beatitudine soprannaturale. 5. Poiché in Dio si identificano la sua sostan­ za e il bene universale, tutti quelli che vedono

L 'amore o dilezione degli angeli

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Dei essentiam prout est ab aliis distincta, et secundum quod est quoddam bonum commu­ ne. Et quia inquantum est bonum commune, naturaliter amatur ab omnibus; quicumque videt eum per essentiam, impossibile est quin diligat ipsum. Sed illi qui non vident essen­ tiam eius, cognoscunt eum per aliquos parti­ culares effectus, qui interdum eorum voluntati contrariantur. Et sic hoc modo dicuntur odio habere Deum, cum tamen, inquantum est bo­ num commune omnium, unumquodque na­ turaliter diligat plus Deum quam seipsum.

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l'essenza di Dio con uno stesso atto di amore si indirizzano all'essenza divina in quanto è distinta dalle altre cose e in quanto è il bene universale e comune. E poiché Dio, in quanto bene universale, è amato per necessità natura­ le da tutte le cose, chiunque vede Dio nella sua essenza è impossibile che non lo ami . Quelli però che non l o vedono nella sua es­ senza, lo conoscono attraverso effetti partico­ lari che talvolta sono in contrasto con la loro volontà. Per questo motivo, dunque, si viene a dire che essi odiano Dio: e tuttavia, in quanto Dio rimane il bene universale di tutte le cose, ciascun essere ama sempre, per naturale incli­ nazione, più Dio che se stesso.

QUAESTIO 6 1

QUESTIONE 6 1

DE PRODUCTIONE ANGELORUM IN ESSE NATURAE

LA CREAZIONE DEGLI ANGELI NEL LORO ESSERE NATURALE

Post ea quae praemissa sunt de natura ange­ lorum, et cognitione et voluntate eorum, restat considerandum de eorum creatione, sive uni­ versaliter de eorum exordio. Et haec conside­ ratio est tripartita. Nam primo considerabi­ mus quomodo producti sunt in esse naturae; secondo, quomodo perfecti sunt in gratia vel gloria [q. 62]; tertio, quomodo aliqui ex eis facti sunt mali [q. 63]. Circa primum quae­ runtur quatuor. Primo, utrum angelus habeat causam sui esse. Secondo, utrum angelus sit ab aeterno. Tertio, utrum angelus sit creatus ante corporalem creaturam. Quarto, utrum angeli fuerint creati in caelo empyreo.

Dopo quanto si è detto sulla natura, sulla co­ noscenza e sulla volontà degli angeli, rimane ora da trattare della loro creazione, ovvero in genere della loro origine. E la trattazione si suddivide in tre parti. Prima di tutto vedremo come gli angeli siano stati prodotti da Dio nel loro essere naturale; secondo, come siano stati perfezionati per mezzo della grazia e della gloria; terzo, come alcuni di essi siano divenuti cattivi. Intorno al primo argomento si pongono quattro quesiti: l . Gli angeli hanno una causa del loro essere? 2. Gli angeli esisto­ no da tutta l'eternità? 3 . Gli angeli sono stati creati prima dei corpi? 4. Gli angeli sono stati creati nel cielo empireo?

Articulus l

Articolo l

Utrum angeli habeant causam sui esse

Gli angeli hanno una causa del loro essere?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod angeli non habeant causam sui esse. 1 . De his enim quae sunt a Deo creata, agitur Genesis l . Sed nulla mentio fit ibi de angelis. Ergo angeli non sunt creati a Deo. 2. Praeterea, philosophus dicit, in 8 Met. [7,6,5], quod si aliqua substantia sit forma sine materia, statim per seipsam est ens et

Sembra di no. Infatti: l . In Gen si parla delle cose create da Dio. Ma non si trova alcun accenno agli angeli. Quindi gli angeli non sono stati creati da Dio. 2. n Filosofo insegna che se una sostanza è solo forma senza materia, «è subito di per se stessa ente e una, e non ha una causa che la faccia essere ente e una». Ora gli angeli, come si è dimostrato, sono forme immateriali. Quindi non hanno una causa del loro essere. 3. Un essere è prodotto da una causa agente se da questa riceve la forma. Ma gli angeli,

unum, et non habet causam quae faciat eam ens et unum. Sed angeli sunt formae irnmate­

riales, ut supra [q. 50 a. 2] ostensum est. Ergo non habent causam sui esse.

677

La creazione degli angeli nel /oro essere naturale

3. Praeterea, omne quod fit ab aliquo agente, per hoc quod fit, accipit formam ab eo. Sed angeli, cum sint formae, non accipiunt for­ mam ab aliquo agente. Ergo angeli non ha­ bent causam agentem. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 148 [2], laudate eum, omnes angeli eius. Et postea subdit, quoniam ipse dixit, etfacta sunt. Respondeo dicendum quod necesse est dicere et angelos, et omne id quod praeter Deum est, a Deo factum esse. Solus enim Deus est suum esse, in omnibus autem aliis differt essentia rei et esse eius, ut ex superioribus [q. 3 a. 4; q. 7 a. l ad 3, a. 2; q. 44 a. l ] patet. Et ex hoc manifestum est quod solus Deus est ens per suam essentiam, omnia vero alia sunt entia per participationem. Omne autem quod est per pruticipationem causatur ab eo quod est per essentiam, sicut omne ignitum causatur ab igne. Unde necesse est angelos a Deo crea­ tos esse. Ad primum ergo dicendum quod Augustinus dicit, in 1 1 De civ. Dei [9.33], quod angeli non sunt praetermissi in illa prima rerum creatione, sed significantur nomine caeli, aut etiam lucis. Ideo autem vel praetermissi sunt, vel nominibus rerum corporalium significati, quia Moyses rudi populo loquebatur, qui non­ dum capere poterat incorpoream naturam; et si eis fuisset expressum aliquas res esse super omnem naturam corpoream, fuisset eis occa­ sio idololatriae, ad quam proni erant, et a qua Moyses eos praecipue revocare intendebat. Ad secundum dicendum quod substantiae quae sunt formae subsistentes, non habent causam aliquam formalem sui esse et suae unitatis, nec causam agentem per transmuta­ tionem materiae de potentia in actum, sed ha­ bent causam producentem totam substantiam. Et per hoc patet solutio ad tertium.

Q. 61, A. l

essendo forme, non ricevono la forma da una causa agente. Quindi gli angeli non hanno una causa agente. In contrario: è detto nel Sal: Lodate/o voi tutti, suoi angeli. E subito dopo si aggiunge: Perché

egli disse e furono creati. Risposta: si deve necessariamente affermare che gli angeli, come tutte le realtà che non sono Dio, furono creati da Dio. Soltanto Dio infatti è il suo essere: in tutte le altre cose invece, come fu dimostrato, l'essenza è distinta dall'essere. È chiaro allora che Dio solo è ente [o esistente] per essenza, mentre tutte le altre cose sono enti per partecipazione. Ora, tutto ciò che esiste per partecipazione viene causato da ciò che è per essenza: COIJ1e ogni cosa infuocata dipende dal fuoco. E dunque ne­ cessario che gli angeli siano stati creati da Dio. Soluzione delle difficoltà: l . Agostino dice che gli angeli non sono stati dimenticati i n quella [descrizione della] prima origine delle cose, ma sono stati indicat i con i termin i cielo, ovvero luce. E sono stati omessi, op­ pure sono stati designati con i termini di realtà corporee, perché Mosè si rivolgeva a un po­ polo rozzo, il quale non era in grado di conce­ pire una creatura incorporea: per cui, se a quel popolo fosse stato detto che c ' erano delle realtà al disopra di ogni natura corporea, gli sarebbe stata offerta un'occasione di idolatria, a cui era tanto incline, e dalla quale Mosè intendeva anzitutto tenerlo lontano. 2. Le sostanze che sono forme sussistenti non hanno una causa formale del loro essere e della loro unità, e neppure hanno [bisogno di] una causa agente atta a trasformare la materia facendola passare dalla potenza all'atto: devo­ no però avere una causa che produca tutta la loro sostanza. E con ciò abbiamo anche la soluzione della terza difficoltà. -

Articulus 2 Utrum angelus sit productus a Deo ab aeterno

Articolo 2 Gli angeli sono stati creati da Dio fin dali' eternità?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod angelus sit productus a Deo ab aeterno. l . Deus enim est causa angeli per suum esse, non enim agit per aliquid additum suae es­ sentiae. Sed esse eius est aeternum. Ergo ab aeterno angelos produxit.

Sembra di sì. Infatti: l . Dio causa gli angeli mediante il proprio essere, poiché egli non agisce servendosi di cose estranee alla propria essenza. Ma il suo essere è eterno. Quindi egli ha creato gli an­ geli da tutta l'eternità.

Q. 6 l , A. 2

La creazione degli angeli ne/ loro essere naturale

2. Praeterea, omne quod quandoque est et quandoque non est, subiacet tempori. Sed angelus est supra tempus, ut dicitur in libro De causis [2]. Ergo angelus non quandoque est, et quandoque non est, sed semper. 3. Praeterea, Augustinus probat [Solil. 2,1 9] incorruptibilitatem animae per hoc, quod per intellectum est capax veritatis. Sed sicut veri­ tas est incorruptibilis, ita est aeterna. Ergo na­ tura intellectualis et animae et angeli, non solum est incorruptibilis, sed etiam aeterna. Sed contra est quod dicitur Prov. 8 [22], ex persona sapientiae genitae, Dominus possedit

me ab initio viarum suarum, antequam quid­ quamfaceret a principio. Sed angeli sunt facti a Deo, ut ostensum est [a. 1 ] . Ergo angeli aliquando non fuerunt. Respondeo dicendum quod solus Deus, Pater et Filius et Spiritus Sanctus, est ab aeterno. Hoc enim fides catholica indubitanter tenet; et omne contrarium est sicut haereticum refu­ tandum. Sic enim Deus creaturas produxit, quod eas ex nihilo tecit, idest postquam nihil

fuerat. Ad primum ergo dicendum quod esse Dei est ipsum eius velle. Per hoc ergo quod Deus produxit angelos et alias creaturas per suum esse, non excluditur quin eas produxerit per suam voluntatem. Voluntas autem Dei non de necessitate se habet ad productionem creatu­ rarum, ut supra [q. 1 9 a. 3; q. 46 a. l ] dictum est. Et ideo produxit et quae voluit, et quando voluit. Ad secundum dicendum quod angelus est supra tempus quod est numerus motus caeli, quia est supra omnem motum corporalis naturae. Non tamen est supra tempus quod est numerus successionis esse eius post non esse, et etiam quod est numerus successionis quae est in operationibus eius. Unde Augustinus dicit, 8 Super Gen. [20.22], quod Deus movet

creaturam spiritualem per tempus. Ad tertium dicendum quod angeli et animae intellectivae, ex hoc ipso quod habent na­ turam per quam sunt capaces veritatis, sunt incorruptibiles. Sed hanc naturam non habue­ runt ab aeterno; sed data fuit eis a Deo quan­ do ipse voluit. Unde non sequitur quod angeli sint ab aeterno.

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2. Tutte le cose che non sempre, ma in un dato momento hanno l'esistenza, sono sog­ gette al tempo. L'angelo invece è «al di sopra del tempo», come dice il De Causis. Quindi non è vero che l'angelo ha avuto l'esistenza in un dato momento, ma è sempre esistito. 3. Agostino prova l'immortalità dell'anima dal fatto che essa con l'intelletto è in grado di conoscere la verità. Ora, la verità non è sol­ tanto incorruttibile, ma è anche etema. Quindi la natura intellettuale tanto dell'anima quanto dell'angelo è etema. In contrario: in Pr è detto in persona della Sapienza increata: Il Signore mi ha avuto con

sé dall 'inizio delle sue opere, prima di fare qualsiasi cosa dal principio. Ma gli angeli

sono stati creati da Dio, come si è dimostrato. Quindi ci fu un tempo in cui gli angeli non esistevano. Risposta: soltanto Dio, Padre e Figlio e Spiri­ to Santo, esiste da tutta l' etemità. Ciò infatti ritiene come verità indubitabile la fede catto­ lica, e ogni asserzione contraria va rigettata come eretica. Dio infatti, nel creare le cose, le ha prodotte dal nulla, cioè dopo che c 'era

stato il nulla. Soluzione delle difficoltà: l . L'essere di Dio è lo stesso suo volere. Per il fatto dunque che Dio produsse gli angeli e le altre creature per mezzo del suo essere, non è escluso che li abbia prodotti per mezzo della sua volontà. Ma la volontà di Dio, come si disse, non è necessitata a produrre le creature. Egli perciò produsse le cose che volle e quando volle. 2. L'angelo è al di sopra del tempo che misura il moto dei cieli: poiché trascende qualsiasi moto degli esseri corporei. Non è tuttavia al di sopra del tempo che misura il succedere dal suo non essere al suo essere, né di quello che misura il succedersi delle sue operazioni. Quindi Agostino dice: «Dio muove le creatu­ re spirituali nel tempo». 3. Gli angeli e le anime intellettive, per il fatto stesso che possiedono una natura per cui sono capaci di conoscere la verità, sono incorrutti­ bili. Questa natura però non l'ebbero dall'e­ ternità, ma fu loro data da Dio nel tempo da lui voluto. Quindi non ne segue che gli angeli esistano da tutta l'eternità.

679

La creazione degli angeli nel /oro essere naturale

Q. 61, A. 3

Articulus 3

Articolo 3

Utrum angeli sint creati ante mundum corporeum

Gli angeli sono stati creati prima del mondo corporeo?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod angeli fuerint creati ante mundum corporeum. l . Dicit enim Hieronymus, super Epistolam ad Titum [ 1 ,2], sex millia nondum nostri tem­

Sembra di sì. Infatti: l . Girolamo dice: «Il nostro tempo non ha ancora raggiunto i seimila anni, ma quanto tempo e quanti secoli dobbiamo credere che siano trascorsi dacché gli Angeli, i Troni, le Dominazioni e tutti gli altri ordini servono Dio?». - Anche il Damasceno riferisce: «Al­ cuni affermano che gli angeli furono creati prima di ogni altra creazione, come dice Gre­ gorio il Teologo: "Prima di tutto Dio pensò le virtù angeliche e celesti, poi realizzò il suo pensiero"». 2. La natura angelica sta fra la natura divina e quella corporea. Ma la natura divina esiste da tutta l'eternità, quella corporea invece solo a cominciare dal tempo. Quindi la natura ange­ lica fu creata prima della creazione del tempo, e dopo l'eternità. 3. La natura angelica è più distante dalla natu­ ra corporea di quanto una natura corporea lo sia da un'altra. Ma certe nature corporee furo­ no create prima di altre, per cui nel principio della Genesi si parla dei sei giorni in cui av­ venne la creazione delle cose. Quindi a mag­ gior ragione la natura angelica deve essere stata creata prima di ogni natura corporea. In contrario: in Gen è detto: In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma tale affermazione non sarebbe vera se Dio avesse già creato qualcosa prima di allora. Quindi gli angeli non furono creati prima dei corpi. Risposta: sull'argomento esistono due senten­ ze dei santi dottori. Sembra tuttavia più at­ tendibile quella che ritiene la creazione degli angeli simultanea a quella dei corpi. Gli an­ geli infatti sono una parte dell'universo: non costituiscono infatti un universo a sé, ma as­ sieme alle creature corporee costituiscono un solo universo. E ciò appare con evidenza dal­ l' ordine esistente fra le cose: infatti il bene dell'universo consiste nell'ordine vicendevole delle cose tra loro. Ora, nessuna parte risulta perfetta separata dal suo tutto. Non è dunque probabile che Dio, le cui opere sono peifette, come è detto in Dt, abbia creato separatamen­ te la natura angelica prima delle altre creature. - Tuttavia la spiegazione contraria non va considerata erronea; specialmente trattandosi

poris complentur annorum; et quanta tem­ pora, quantasque saeculorum origines fuisse arbitrandum est, in quibus Angeli, Throni, Dominationes, ceterique ordines Deo ser­ vierunt? Damascenus etiam dicit, in 2 libro [De fide 3], quidam dicunt quod ante omnem creationem geniti sunt angeli; ut Theologus dicit Gregorius [Or. 38], primum quidem excogitavit angelicas virtutes et caelestes, et excogitatio opus eius.fuit. 2. Praeterea, angelica natura est media inter naturam divinam et naturam corpoream. Sed natura divina est ab aeterno, natura autem corporea ex tempore. Ergo natura angelica facta est ante creationem temporis, et post aeternitatem. 3. Praeterea, plus distat natura angelica a na­ tura corporali, quam una natura corporalis ab alia. Sed una natura corporalis fuit facta ante aliam, unde et sex dies productionis rerum in principio Genesis describuntur. Ergo multo magis natura angelica facta est ante omnem naturam corporalem. Sed contra est quod dicitur Gen. l [ 1 ] , in principio creavit Deus caelum et terram. Non autem hoc esset verum, si aliquid creasset an­ tea. Ergo angeli non sunt ante naturam corpo­ ream creati. Respondeo dicendum quod circa hoc inve­ nitur duplex sanctorum doctorum sententia, illa tamen probabilior videtur, quod angeli simul cum creatura corporea sunt creati . Angeli enim sunt quaedam pars universi, non enim constituunt per se unum universum, sed taro ipsi quam creatura corporea in constitu­ tionem unius universi conveniunt. Quod ap­ paret ex ordine unius creaturae ad aliam, ordo enim rerum ad invicem est bonum universi. Nulla autem pars perfecta est a suo toto sepa­ rata. Non est igitur probabile ut Deus, cuius peifecta sunt opera, ut dicitur Deut. 32 [4], creaturam angelicam seorsum ante alias crea­ turas creaverit. Quamvis contrarium non sit reputandum erroneum; praecipue propter

Q. 6 1 , A. 3

La creazione degli angeli ne/ loro essere naturale

sententiam Gregorii Nazianzeni, cuius tanta est in doctrina Christiana auctoritas, ut nullus unquam eius dictis calumniam inferre prae­ sumpserit, sicut nec Athanasii documentis, ut Hieronymus dicit [cf. Rufinus, Prol. in orat. S. Greg. Naz.]. Ad primum ergo dicendum quod Hieronymus loquitur secundum sententiam doctorum Grae­ corum, qui omnes hoc concorditer sentiunt, quod angeli sunt ante mundum corporeum creati. Ad secundum dicendum quod Deus non est aliqua pars universi, sed est supra totum uni­ versum, praehabens in se eminentiori modo totam universi perfectionem. Angelus autem est pars universi. Unde non est eadem ratio. Ad tertium dicendum quod creaturae cor­ poreae omnes sunt unum in materia, sed an­ geli non conveniunt in materia cum creatura corporea. Unde, creata materia corporalis creaturae, omnia quodammodo sunt creata, non autem, creatis angelis, esset ipsum uni­ versum creatum. Si vero contrarium teneatur, quod dicitur Gen. l , in principio creavit Deus caelum et terram exponendum est, in princi­ pio, idest in Filio, ve! in principio temporis, non autem in principio, idest ante quod nihil, nisi dicatur, ante quod nihil in genere cor­ poralium creaturruum.

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della sentenza di Gregorio Nazianzeno, la cui autorità nella dottrina cristiana è tanto grande che, come attesta Girolamo, nessuno ha mai osato incriminare quanto egli afferma, come nessuno ha mai osato incriminare gli insegna­ menti di Atanasio. Soluzione delle difficoltà: l . Girolamo parla secondo la dottrina dei padri greci, i quali ri­ tengono tutti concordemente che gli angeli furono creati prima del mondo corporeo. 2. Dio non è una parte dell'universo, ma lo trascende tutto, avendo in sé in maniera emi­ nente tutta la perfezione dell'universo. L'an­ gelo, invece, fa parte dell' universo. Quindi l 'argomento non regge. 3. Tutte le creature corporee hanno in comune un'unica matelia: gli angeli, invece, non han­ no questa comunanza di materia con le creatu­ re corporali. Quindi, una volta creata la mate­ ria degli esseli corporei, in qualche modo tutte le cose furono [in quel momento] create. Inve­ ce, una volta creati gli angeli, non ci sarebbe stata con questo la creazione dell'universo. Se poi si ritiene la sentenza contraria, allora nelle parole di Gen: In principio Dio creò il cielo e la terra, l'espressione in principio equivale a nel Figlio, oppure all' inizio del tempo; ma in principio in tal caso non significherebbe più: nel momento ptima del quale non vi era nulla, bensì soltanto: nel momento prima del quale non esisteva alcuna creatura corporea.

Articulus 4

Articolo 4

Utrum angeli sint creati in caelo empyreo

Gli angeli sono stati creati nel cielo empireo?

Ad quartum sic proceditur. Vìdetur quod angeli non sint creati in caelo empyreo. l . Angeli enim sunt substantiae incorporeae. Sed substantia incorporea non dependet a corpore secundum suum esse, et per conse­ quens neque secundum suum fieri. Ergo angeli non sunt creati in loco corporeo. 2. Praeterea, Augustinus dicit, 3 Super Gen. [ 1 0], quod angeli fuerunt creati in superiori parte aeris. Non ergo in caelo empyreo. 3. Praeterea, caelum empyreum dicitur esse caelum supremum. Si igitur angeli creati fuis­ sent in caelo empyreo, non convenisset eis in superius caelum ascendere. Quod est contra id quod ex persona angeli peccantis dicitur Isaiae 14 [13], ascendam in caelum.

Sembra di no. Infatti: l . Gli angeli sono creature immateliali. Ma la sostanza immateriale non dipende dal corpo nel suo essere, quindi non dipende da esso neppure nel suo divenire. Quindi gli angeli non sono stati creati in un luogo materiale. 2. Agostino insegna che gli angeli furono creati nella parte più alta dell'alia. Quindi non furono creati nel cielo empireo. 3. Si chiama empireo il cielo più alto. Se dun­ que gli angeli fossero stati creati nel cielo empireo, non avrebbero più potuto ascendere a un cielo superiore. Il che contrasta con ciò che in Is è detto dell'angelo libelle: Salirò in cielo. In contrario: Strabone, commentando le parole In principio Dio creò il cielo e la terra, spiega:

68 1

La creazione degli angeli nel /oro essere naturale

Sed contra est quod Strabus dicit [Glos. ord.], super illud [Gen. 1 , 1 ], in principio creavit

Deus caelum et terram: caelum non visibile firmamentum hic appellar, sed empyreum, idest igneum ve/ intellectuale, quod non ab ardore, sed a splendore dicitw; quod statim factum, angelis est repletum. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 3], ex creaturis corporalibus et spiritualibus unum universum constituitur. Unde sic creatae sunt spirituales creaturae, quod ad creaturam corporalem aliquem ordinem habent, et toti creaturae corporali praesident. Unde con­ veniens fuit quod angeli in supremo corpore crearentur, tanquam toti naturae corporeae praesidentes; sive id dicatur caelum empy­ reum, sive qualitercumque nominetur. Unde lsidoms [Glos. ord.] dicit quod supremum caelum est caelum angelomm, super illud Deut. 10 [ 1 4], Domini Dei tui est caelum, et

caelum caeli. Ad primum ergo dicendum quod angeli non sunt creati in loco corporeo, quasi dependentes a corpore secundum suum esse vel secundum suum fieri, potuisset enim Deus angelos ante totam creaturam corpondem creasse, ut multi sancti doctores tenent. Sed facti sunt in loco corporeo, ad ostendendum ordinem eomm ad naturam corpoream, et quod sua virtute cor­ pora contingunt. Ad secundum dicendum quod Augustinus for­ te per supremam partem aeris intelligit su­ premam partem caeli, cum quo aer quandam convenientiam habet propter suam subtilitatem et diaphaneitatem. Vel loquitur non de omni­ bus angelis, sed de illis qui peccavemnt, qui secundum quosdam fuemnt de inferioribus ordinibus. Nihil autem prohibet dicere quod superiores angeli, habentes virtutem elevatam et universalem supra omnia corpora, sint i n supremo creaturae corporeae creati; alii vero, habentes virtutes magis particulares, sint creati in interioribus corporibus. Ad tertium dicendum quod loquitur ibi non de caelo aliquo corporeo, sed de caelo sanctae Trinitatis, in quod angelus peccans ascendere voluit, dum voluit aliquo modo Deo aequipa­ rari, ut infra [q. 63 a. 3] patebit.

Q. 6 1 , A. 4

«Qui per cielo non si intende il firmamento visibile, bensì il cielo empireo, cioè igneo o intellettuale; il quale viene così denominato non perché arde, ma perché risplende; e per­ ché, non appena creato, fu riempito di angeli». Risposta: come si è detto sopra, le creature corporee e quelle spirituali formano un solo universo. Quindi le creature spirituali furono create in un certo rapporto col mondo corpo­ reo e preposte all 'universo materiale. Era dunque conveniente che gli angeli venissero creati nel corpo più sublime, si chiami esso cielo empireo o in qualsiasi altra maniera, perché appunto essi sovrastano tutti gli esseri corporei. Per questo, commentando il passo di Dt: Del Signore tuo Dio sono i cieli e i cieli dei cieli, Isidoro afferma che il cielo supremo è quello degli angeli. Soluzione delle difficoltà: 1 . Gli angeli non fu­ rono creati in un luogo materiale come crea­ ture dipendenti dal luogo nel loro essere o nel loro divenire. Dio, infatti, avrebbe potuto crea­ re gli angeli prima di ogni altra creatura corpo­ rea, come ritengono molti santi dottori. Furo­ no invece creati in un luogo materiale perché fossero evidenti i loro rapporti con gli esseri corporei e la loro capacità di applicare la pro­ pria virtù ai corpi. 2. Probabilmente Agostino chiama parte supre­ ma dell'aria la parte più sublime del cielo, con il quale l'aria ha una certa somiglianza per la sua sottigliezza e trasparenza. - Oppure intende parlare non di tutti gli angeli, ma di quelli che peccarono, i quali, secondo alcuni, sarebbero appartenuti alle gerarchie più basse. Ora, nulla impedisce di affermare che gli angeli superiori, i quali erano dotati di un potere elevato e uni­ versale su tutti i corpi, siano stati creati nella parte più alta del mondo corporeo, e che gli altri angeli invece, avendo dei poteri più limitati, siano stati creati nei corpi sottostanti. 3. Quelle parole non si riferiscono a un cielo corporeo, bensì al cielo della Trinità santa, al quale l' angelo ribelle voleva salire quando pretese di essere in qualche modo uguale a Dio, come vedremo in seguito.

Q. 62, A. l

L 'elevazione degli angeli allo stato di grazia e di gloria QUAESTIO 62

682

QUESTIONE 62

DE PERFECTIONE ANGELORUM IN ESSE GRATIAE ET GLORIAE

L'ELEVAZIONE DEGLI ANGELI ALLO STATO DI GRAZIA E DI GLORIA

Consequenter investigandum est quomodo angeli facti sunt in esse gratiae vel gloriae. Et circa hoc quaeruntur novem. Primo, utrum angeli fuerint in sua creatione beati. Secundo, utrum indiguerint gratia ad hoc quod ad Deum converterentur. Tertio, utrum fuerint creati in gratia. Quarto, utrum suam beatitudinem meruerint. Quinto, utrum statim post meritum beatitudinem adepti fuerint. Sexto, utrum gratiam et gloriam secundum capacitatem suorum naturalium receperint. Septimo, utrum post consecutionem gloriae remanserit in eis dilectio et cognitio naturalis. Octavo, utrum postmodum potuerint peccare. Nono, utrum post adeptionem gloriae potuerint proficere.

Logicamente dobbiamo ora interessarci di co­ me gli angeli hanno conseguito lo stato di gra­ zia e di gloria. A questo proposito abbiano nove quesiti: l . Gli angeli sono stati beati fin dalla loro creazione? 2. Hanno avuto bisogno della grazia per volgersi a Dio? 3. Sono stati creati in grazia? 4. Hanno meritato la beatitu­ dine? 5. Hanno conseguito la grazia e la gloria in proporzione delle loro capacità naturali? 7. Dopo che ebbero raggiunto la gloria [eterna] sono rimaste in essi la dilezione e la cono­ scenza naturali? 8. Hanno avuto ancora la pos­ sibilità di peccare? 9. Dopo di aver raggiunto la gloria hanno potuto accrescere [la loro beatitudine]?

Articulus l Utrurn angeli fuerint in sua creatione beati

Gli angeli sono stati beati fin dalla loro creazione?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod angeli fuerint creati beati. l . Dicitur enim in libro De ecci. dogmat. [59], quod angeli qui in illa in qua creati sunt

beatitudine perseverant, non natura possident bonum quod habent. Sunt ergo angeli creati in beatitudine. 2. Praeterea, natura angelica est nobilior quam creatura corporalis. Sed creatura corpo­ ralis statim in principio suae creationis fuit creata formata et perfecta; nec informitas praecessit in ea formationem tempore, sed na­ tura tantum, ut Augustinus dicit, l Super Gen. [ 1 5]. Ergo nec naturam angelicam creavit Deus informem et imperfectam. Sed eius formatio et perfectio est per beatitudinem, secundum quod fruitur Deo. Ergo fuit creata beata. 3. Praeterea, secundum Augustinum, Super Gen. [4,34; 5,5], ea quae leguntur facta in operibus sex dierum, simul facta fuerunt, et sic oportet quod statim a principio creationis rerum fuerint omnes illi sex dies. Sed in illis sex diebus, secundum eius expositionem [4,22], mane fuit cognitio angelica secundum quam cognoverunt Verbum et res in Verbo. Ergo statim a principio creationis cogno­ verunt Verbum et res in Verbo. Sed angeli

Articolo l

Sembra di sì. Infatti: l. Nel De Ecclesiasticis Dogmatibus è scritto: «Gli angeli che perseverano nella beatitudine in cui furono creati non possiedono per natura il bene che hanno». Quindi gli angeli furono creati beati. 2. La natura angelica è più perfetta di quella corporea. Ma i corpi fin dall' inizio della loro creazione furono completi e dotati delle rispettive forme: poiché lo stato informe delle creature corporali ha preceduto la loro perfet­ ta formazione non secondo una priorità di tempo, ma solo secondo una priorità di natu­ ra, come spiega Agostino. Quindi neppure la natura angelica è stata creata da Dio informe e imperfetta. Ma essa riceve la sua formazio­ ne e perfezione dalla beatitudine. Quindi la natura angelica fu creata beata. 3 . Secondo Agostino le cose che leggiamo essere state fatte nelle opere dei sei giorni furono fatte simultaneamente: quindi è neces­ sario che subito, fin dall'inizio della creazio­ ne, ci siano stati tutti quei sei giorni. Ora, in quei sei giorni, secondo la suddetta interpreta­ zione, per mattino si intende la conoscenza con la quale gli angeli conoscono il Verbo e le cose esistenti nel Verbo. Quindi fin dal princi­ pio della creazione gli angeli conobbero il

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L 'elevazione degli angeli allo stato di grazia e di gloria

beati sunt per hoc quod Verbum vident. Ergo statim a principio suae creationis angeli fue­ runt beati. Sed contra, de ratione beatitudinis est stabili­ tas sive confirmatio in bono. Sed angeli non statim ut creati sunt, fuerunt confirmati i n bono, quod casus quorundam ostendit. Non ergo angeli in sua creatione fuerunt beati. Respondeo dicendum quod nomine beatitu­ dinis intelligitur ultima perfectio rationalis seu intellectualis naturae, et inde est quod natura­ liter desideratur, quia unumquodque natura­ liter desiderat suam ultimam perfectionem. Ultima autem perfectio rationalis seu intellec­ tualis naturae est duplex. Una quidem, quam potest assequi virtute suae naturae, et haec quodammodo beatitudo vel felicitas dicitur. Unde et Aristoteles [Ethic. l O, 7, l ; 1 0,8,7] perfectissimam hominis contemplationem, qua optimum intelligibile, quod est Deus, contemplaci potest in hac vita, dicit esse ulti­ mam hominis felicitatem. Sed super hanc fe­ licitatem est alia felicitas, quam in futuro expectamus, qua videbimus Deum sicuti est [ l loan. 3,2]. Quod quidem est supra cuiusli­ bet intellectus creati naturam, ut supra [q. 1 2 a. 4] ostensum est. Sic igitur dicendum est quod, quantum ad primam beatitudinem, quam angelus assequi virtute suae naturae po­ tuit, fuit creatus beatus. Quia perfectionem huiusmodi angelus non acquirit per aliquem motum discursivum, sicut homo, sed statim ei adest propter suae naturae dignitatem, u t supra [q. 58 a. 3] dictum est. Sed ultimam beatitudinem, quae facultatem naturae exce­ dit, angeli non statim in principio suae crea­ tionis habuerunt, quia haec beatitudo non est aliquid naturae, sed naturae finis; et ideo non statim eam a principio debuerunt habere. Ad primum ergo dicendum quod beatitudo ibi accipitur pro illa perfectione naturali quam angelus habuit in statu innocentiae. Ad secundum dicendum quod creatura corpo­ ralis statim in principio suae creationis habere non potuit perfectionem ad quam per suam operationem perducitur, unde, secundum Au­ gustinum [Super Gen. 5,4-5; 8,3], germinatio plantarum ex terra non statim fuit in primis operibus, in quibus virtus sola germinativa plantarum data est terrae. Et similiter creatura angelica in principio suae creationis habuit perfectionem suae naturae; non autem perfec-

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Verbo e le cose esistenti nel Verbo. Ma gli an­ geli sono beati appunto perché vedono il Ver­ bo. Quindi gli angeli fin dall' inizio della loro creazione furono beati. In contrario: la stabilità o confermazione nel bene è parte essenziale della beatitudine. Ma gli angeli non furono confermati nel bene fin dal primo istante della loro creazione, come è provato dalla caduta di alcuni di essi. Quindi gli angeli non furono beati fin dal primo istan­ te della loro creazione. Risposta: col termine beatitudine si suole indi­ care l'ultima pertezione della natura razionale o intellettuale: e appunto per questo la beatitudine è naturalmente desiderata, perché ogni cosa desidera la sua ultima perfezione. Ora, per le creature razionali o intellettuali l'ultima perfe­ zione può essere di due specie. La prima è quel­ la che la creatura può conseguire con le sue capacità naturali; e anche tale perfezione può essere detta, in un certo senso, beatitudine o felicità. Infatti Aristotele dice che la suprema felicità dell'uomo consiste nella più alta con­ templazione dell'oggetto più nobile dell'intel­ ligenza, cioè di Dio. Ma al di sopra di questa felicità ce n'è un'altra, che attendiamo nella vita futura, mediante la quale vedremo Dio così co­ me egli è [l Gv]. E tale conoscenza, come sopra si è dimostrato, supera le possibilità naturali di ogni intelletto creato. Si deve perciò concludere che l'angelo fu creato beato se per beatitudine si intende quella che egli può conseguire con le capacità naturali. L' angelo, infatti, non acquista questa pertezione con un processo discorsivo, come fa l'uomo, ma la possiede subito in forza della nobiltà della sua natura, come si è già spiegato. La beatitudine suprema invece, che supera le capacità della natura, gli angeli non l'ebbero nel ptimo istante della loro creazione: poiché tale beatitudine non fa parte della natura, ma ne è il fine. Quindi non era giusto che la possedessero fin dal ptimo istante. Soluzione delle difficoltà: l . Nel passo citato per beatitudine si i ntende quella perfezione naturale che l' angelo possedeva nello stato di innocenza. 2. La creatura corporea non poté avere fin dal principio della sua creazione la perfezione che raggiunge mediante la sua attività: per questo, secondo Agostino, il germinare delle piante dalla terra non fu subito tra le prime opere, ma da principio fu data alla terra solo -

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tionem ad quam per suam operationem per­ venire debebat. Ad tertium dicendum quod angelus duplicem habet Verbi cognitionem, unam naturalem, et aliam gloriae, naturalem quidem, qua cogno­ scit Verbum per eius similitudinem in sua na­ tura relucentem; cognitionem vero gloriae, qua cognoscit Verbum per suam essentiam. Et utraque cognoscit angelus res in Verbo, sed naturali quidem cognitione imperfecte, co­ gnitione vero gloriae perfecte. Prima ergo co­ gnitio rerum in Verbo affuit angelo a principio suae creationis, secunda vero non, sed quando facti sunt beati per conversionem ad bonum. Et haec proprie dicitur cognitio matutina.

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la capacità di far germinare le piante. Pari­ menti la natura angelica ali' inizio della sua creazione ebbe la perfezione propria della sua natura, ma non ebbe quella che doveva conse­ guire per mezzo della sua attività. 3. Gli angeli hanno una duplice conoscenza del Verbo: la prima naturale, l'altra propria dello stato di gloria. La conoscenza naturale è quella mediante la quale l'angelo vede il Verbo servendosi dell'immagine di lui rilucente nella propria natura. La conoscenza invece dello stato di gloria fa conoscere il Verbo nella sua essenza. E con l'una e con l'altra conoscenza l'angelo vede le cose nel Verbo: imperfetta­ mente con la conoscenza naturale, perfetta­ mente con quella dello stato di gloria. Quindi gli angeli conobbero nella prima maniera le cose nel Verbo fin dalla loro creazione; nella seconda maniera, invece, non le conobbero se non quando divennero beati, in seguito alla loro definitiva adesione al bene. E questa viene chiamata propriamente conoscenza mattutina

Articulus 2

Articolo 2

Utrum angelus indiguerit gratia ad hoc quod converteretur in Deum

Vangelo ha avuto bisogno della grazia per volgersi a Dio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod angelus non indiguerit gratia ad hoc quod converteretur in Deum. l . Ad ea enim quae naturaliter possumus, gratia non indigemus. Sed naturaliter angelus convertitur in Deum, quia naturaliter Deum diligit, ut ex supra [q. 60 a. 5] dictis patet. Ergo angelus non indiguit gratia ad hoc quod converteretur in Deum. 2. Praeterea, ad ea tantum videmur indigere auxilio, quae sunt difficilia. Sed converti ad Deum non erat difficile angelo; cum nihil es­ set in eo quod huic conversioni repugnaret. Ergo angelus non indiguit auxilio gratiae ad hoc quod converteretur in Deum. 3 . Praeterea, converti ad Deum est se ad gratiam praeparare, unde Zach. l [ 1 3], dicitur,

Sembra di no. Infatti: l . Non abbiamo bisogno della grazia per compiere le cose che già naturalmente possia­ mo fare. Ma l'angelo può volgersi natural­ mente a Dio poiché egli lo ama già natural­ mente, come si è visto. Quindi l'angelo non ebbe bisogno della grazia per volgersi a Dio. 2. Noi abbiamo bisogno di aiuto solo per quanto ci riesce difficile. Ma il volgersi a Dio non era una cosa difficile per l'angelo: in lui infatti non c'era nulla che ne ostacolasse la conversione. Dunque l'angelo non ebbe biso­ gno dell'aiuto della grazia per volgersi a Dio. 3. Volgersi a Dio è lo stesso che prepararsi alla grazia. Perciò in Zc è detto: Volgetevi a me, e io mi rivolgerò a voi. Ma noi non abbia­ mo bisogno della grazia per prepararci alla grazia: perché altrimenti si andrebbe all'infi­ nito. Quindi l'angelo non ebbe bisogno della grazia per volgersi a Dio. In contrario: l'angelo conseguì la beatitudine per mezzo della sua conversione a Dio. Se quindi egli non avesse avuto bisogno della grazia per volgersi a Dio, ne seguirebbe che egli non avrebbe bisogno della grazia per

convertimini ad me, et ego convertar ad vos. Sed nos non indigemus gratia ad hoc quod nos ad gratiam praeparemus, quia sic esset abire in intinitum. Ergo non indiguit gratia angelus ad hoc quod converteretur in Deum. Sed contra, per conversionem ad Deum angelus pervenit ad beatitudinem. Si igitur non indiguisset gratia ad hoc quod converte-

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retur in Deum, sequeretur quod non indigeret gratia ad habendam vitam aetemam. Quod est contra illud apostoli, Rom. 6 [23], gratia Dei

vita aeterna.

Respondeo dicendum quod angeli indigue­ runt gratia ad hoc quod converterentur i n Deum, prout est obiectum beatitudinis. Sicut enim superius [q. 60 a. 2] dictum est, naturalis motus voluntatis est principium omnium eorum quae volumus. Naturalis autem indi­ natio voluntatis est ad id quod est conveniens secundum naturam. Et ideo, si aliquid sit supra naturam, voluntas in id ferri non potest, nisi ab aliquo alio supematurali principio adiuta. Sicut patet quod ignis habet naturalem inclinationem ad calefaciendum, et ad gene­ randum ignem, sed generare camem est supra naturalem viitutem ignis, unde ignis ad hoc nullam inclinationem habet, nisi secundum quod movetur ut instrumentum ab anima nu­ tritiva. Ostensum est autem supra [q. 1 2 a. 4], cum de Dei cognitione ageretur, quod videre Deum per essentiam, in quo ultima beatitudo rationalis creaturae consistit, est supra natu­ ram cuiuslibet intellectus creati. Unde nulla creatura rationalis potest habere motum vo­ luntatis ordinatum ad illam beatitudinem, nisi mota a supematurali agente. Et hoc dicimus auxilium gratiae. Et ideo dicendum est quod angelus in illam beatitudinem voluntate con­ verti non potuit, nisi per auxilium gratiae. Ad primum ergo dicendum quod angelus na­ turaliter diligit Deum, inquantum est princi­ pium naturalis esse. Hic autem loquimur de conversione ad Deum, inquantum est beatifi­ cans per suae essentiae visionem. Ad secundum dicendum quod difficile est quod transcendit potentiam. Sed hoc contingit esse dupliciter. Uno modo, quia transcendit potentiam secundum suum naturalem ordi­ nem. Et tunc, si ad hoc possit pervenire aliquo auxilio, dicitur difficile; si autem nullo modo, dicitur impossibile, sicut impossibile est ho­ minem volare. Alio modo transcendit aliquid potentiam, non secundum ordinem naturalem potentiae, sed propter aliquod impedimentum potentiae adiunctum. Sicut ascendere non est contra naturalem ordinem potentiae animae motivae, quia anima, quantum est de se, nata est movere in quarnlibet partem, sed impedi­ tur ab hoc propter corporis gravitatem; unde difficile est homini ascendere. Converti autem

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raggiungere la vita eterna. Ma ciò è in contra­ sto con quanto dice Paolo in Rm: La grazia di

Dio è la vita eterna.

Risposta: per volgersi a Dio in quanto è oggetto della beatitudine gli angeli ebbero bisogno della grazia. Infatti sopra abbiamo spiegato che il moto naturale della volontà è il principio di tutti i nostri voleri. Ma l'inclinazione naturale della volontà si porta verso oggetti proporzionati alla natura. Se vi sono perciò delle cose superiori alla natura, la volontà non può portarsi verso di esse senza essere aiutata da un principio soprannaturale. n fuoco, p. es., ha un'inclina­ zione naturale a riscaldare e a generare dell'al­ tro fuoco, ma generare la carne è un'azione che supera la virtù naturale del calore. Quindi il fuoco o calore non ha alcuna inclinazione natu­ rale a ciò, se non in quanto è mosso come stru­ mento dall'anima sensitiva. Ora, come si disse quando si trattava della conoscenza di Dio, conoscere Dio per essenza, nella qual cosa con­ siste la beatitudine della creatura razionale, è un atto che sorpassa le facoltà naturali di qualsiasi intelletto creato. Quindi nessuna creatura razio­ nale può avere un atto della volontà proporzio­ nato a quella beatitudine senza la mozione di una causa soprannaturale. Il che è quanto noi chiamiamo aiuto della grazia. Quindi si deve concludere che l'angelo non poteva con la sua volontà volgersi a quella beatitudine senza l'aiuto della grazia. Soluzione delle difficoltà: l . Gli angeli amano naturalmente Dio in quanto egli è il principio del loro essere naturale. Qui invece parliamo della conversione a Dio in quanto questi è oggetto della beatitudine nella visione della sua essenza. 2. Un'operazione viene detta difficile quando supera le capacità di una data cosa. n che può avvenire in due modi. Primo, se supera le capacità di determinati esseri considerati nel loro ordine naturale. E in questo caso, se ci possono arrivare con un aiuto, si dirà che la cosa è difficile; se invece non ci possono arri­ vare in alcun modo si dirà che è impossibile, come è impossibile per l'uomo volare. - Se­ condo, un fatto può superare le capacità di quei dati esseri non già in considerazione del loro ordine naturale, ma per qualche impedi­ mento estraneo alle capacità stesse. Come sa­ lire non è contrario all'ordine naturale della potenza motrice dell'anima, poiché l'anima,

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ad beatitudinem ultimam, homini quidem est difficile et quia est supra naturam, et quia habet impedimentum ex corruptione corporis et infectione peccati. Sed angelo est difficile propter hoc solum quod est supematurale. Ad tertiu m dicendum quod quilibet motus voluntatis in Deum, potest dici conversio in ipsum. Et ideo triplex est conversio in Deum. Una quidem per dilectionem perfectam, quae est creaturae iam Deo fruentis. Et ad hanc conversionem requiritur gratia consummata. A l i a c o nversi o e s t , quae est meri tum beatitudinis. Et ad hanc requiritur habitualis gratia, quae est merendi principium. Tertia conversio est, per quam aliquis praeparat se ad gratiam habendam. Et ad hanc non exigitur aliqua habitualis gratia, sed operatio Dei ad se animam convertentis, secundum illud Thren. ult. [5,2 1 ] , converte nos, Domine, ad te, et convertemur. Unde patet quod non est pro­ cedere in infinitum.

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per quanto dipende da essa, può muovere i n qualsiasi direzione; m a ne è impedita dal peso del corpo, per cui è difficile per l'uomo salire. - Ora, volgersi alla suprema beatitudine è dif­ ficile per l'uomo sia perché ciò supera le capa­ cità della natw-a, sia perché egli trova un im­ pedimento nella corruzione del corpo e nell'in­ fezione del peccato. Per l'angelo invece è diffi­ cile solo in quanto è un atto soprannaturale. 3. Ogni moto della volontà che si volge verso Dio può essere detto una conversione. C'è quindi una triplice conversione a Dio. L a pri­ ma si compie mediante la dilezione perfetta della creatura già in possesso di Dio. E per questa conversione è necessaria la grazia per­ fettamente compiuta. - Un'altra conversione è quella con la quale si merita la beatitudine. E per questa si richiede la grazia abituale, che è il principio del merito. La terza conversio­ ne è quella con cui uno si prepara a ricevere la grazia. E per tale conversione non si richiede la grazia abituale, ma una mozione di Dio che attira l'anima a sé, come è detto in Lam: Fac­ -

qi ritornare a te, o Signore, e noi ritomeremo.

E chiaro quindi che non si va all'infinito. Articulus 3

Articolo 3

Utrum angeli sint creati in gratia

Gli angeli sono stati creati in grazia?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod angeli non sint creati in gratia. l . Dicit enim Augustinus, 2 Super Gen. [8], quod angelica natura primo erat i nformiter creata, et caelum dieta, postmodum vero for­ mata est, et lux appellata. Sed haec formatio est per gratiam. Ergo non sunt creati in gratia. 2. Praeterea, gratia inclinat creaturam ratio­ nalem in Deum. Si igitur angelus in gratia creatus fuisset nullus angelus fuisset a Deo aversus. 3 . Praeterea, gratia medium est inter naturam et gloriam. Sed angeli non fuerunt beati in sua creatione. Ergo videtur quod nec etiam creati sint i n gratia, sed primo i n natura tantum; postea autem adepti sunt gratiam; et ultimo facti sunt beati. Sed contra est quod Augustinus dicit, 12 De civ. Dei [9], bonam voluntatem quis fecit in

Sembra di no. Infatti: l . Agostino insegna che la natura angelica fu creata dapprima allo stato informe e denomi­ nata cielo; in seguito poi ricevette la sua for­ mazione e fu chiamata luce. Ma tale forma­ zione avviene per mezzo della grazia. Quindi gli angeli non furono creati in grazia. 2. La grazia inclina la creatura razionale verso Dio. Se dunque gli angeli fossero stati creati in grazia, nessuno di loro si sarebbe allonta­ nato da Dio. 3. La grazia sta fra la natura e l� gloria. Ma gli angeli non furono creati beati. E chiaro quindi che neppure furono creati in grazia, ma prima furono creati nella loro semplice natura, i n seguito conseguirono l a grazia e finalmente divennero beati. In contrario: Agostino si domanda: «Chi pro­ dusse negli angeli la buona volontà se non co­ lui che li creò insieme con la loro volontà, cioè con il casto amore con cui aderiscono a lui, creando perciò in essi la natura ed elar­ gendo al tempo stesso la grazia?».

angelis, nisi ille qui eos cum sua voluntate, idest cum amore casto quo illi adhaerent, crea­ vit, simul in eis condens naturam et largiens gratiam?

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Respondeo dicendum quod, quamvis super hoc sint diversae opiniones, quibusdam [cf. Bonaventura, In Sent. 2,4, l ] dicentibus quod creati sunt angeli in naturalibus tantum, aliis [cf. Albertus, In Sent. 2,3, 1 2] vero quod sunt creati in gratia; hoc tamen probabilius videtur tenendum, et magis dictis sanctorum conso­ num est, quod fuerunt creati in gratia gratum faciente. Sic enim videmus quod omnia quae processu temporis per opus divinae providen­ tiae, creatura sub Deo operante, sunt producta, in prima rerum conditione producta sunt se­ cundum quasdam seminales rationes, ut Au­ gustinus dicit, Super Gen. [8,3]; sicut arbores et animalia et alia huiusmodi. Manifestum est autem quod gratia gratum faciens hoc modo comparatur ad beatitudinem, sicut ratio semi­ nalis in natura ad effectum naturalem, unde l Ioan. 3 [9], gratia semen Dei norninatur. Sicut igitur, secundum opinionem Augustini, poni­ tur quod statim in prima creatione corporalis creaturae inditae sunt ei seminales rationes omnium naturalium effectuum, ita statim a principio sunt angeli creati in gratia. Ad primum ergo dicendum quod inforrnitas illa angeli potest intelligi vel per comparatio­ nem ad formationem gloriae, et sic praecessit tempore informitas formationem. Vel per comparationem ad fonnationem gratiae, et sic non praecessit ordine temporis, sed ordine na­ turae; sicut etiam de formatione corporali Augustinus ponit [Super Gen. 1 , 1 5 ; 5,5]. Ad secundum dicendum quod omnis forma inclinat suum subiectum secundum modum naturae eius. Modus autem naturalis intellec­ tualis naturae est, ut libere feratur in ea quae vult. Et ideo inclinatio gratiae non imponit necessitatem, sed habens gratiam potest ea non uti, et peccare. Ad tertium dicendum quod, quamvis gratia sit medium inter naturam et gloriam ordine na­ turae tamen ordine temporis in natura creata non debuit simul esse gloria cum natura, quia est finis operationis ipsius naturae per gratiam adiutae. Gratia autem non se habet ut finis operationis, quia non est ex operibus; sed ut principium bene operandi. Et ideo statim cum natura gratiam dare conveniens fuit.

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Risposta: sebbene siano diverse le opinioni intorno al nostro quesito, dicendo alcuni che gli angeli furono creati nella pura natura e asserendo invece altri che furono creati in grazia, sembra tuttavia che si debba ritenere come più probabile e più conforme alla dottri­ na dei santi padri che gli angeli furono creati in possesso della grazia abituale. Vediamo infatti che tutte le cose che furono prodotte dalla divina provvidenza in un processo di tempo, con la cooperazione della creatura sot­ to l'influsso di Dio, furono prodotte inizial­ mente nelle loro ragioni seminali, come dice Agostino. Come furono create le piante, gli animali e altre cose simili. Ora, è evidente che la grazia abituale sta alla beatitudine come la ragione seminale, nell'ordine della natura, sta agli effetti naturali: per cui in l Gv la grazia è detta seme di Dio. Come quindi si afferma, seguendo Agostino, che dal primo istante della creazione gli esseri corporei ebbero in sé le ragioni seminati di tutti gli effetti di ordine naturale, così si dirà che gli angeli fin dali' ini­ zio furono creati in grazia. Soluzione delle difficoltà: l . Lo stato informe dell'angelo può essere inteso in rapporto alla «formazione» della gloria: e, così inteso, lo stato informe precedette in ordine di tempo la «formazione». Oppure può essere considerato in rappmto alla «formazione» della grazia: ma in tal senso lo stato informe precedette la «formazione» non in ordine di tempo, bensì in ordine di natura: come Agostino pensava della «formazione» dei corpi. 2. Ogni forma inclina il soggetto che la riceve adattandosi alla natura di esso. Ora, la natura intellettiva esige che essa si porti liberamente verso gli oggetti del suo volere. Quindi l'inclinazione della grazia non determina una necessità, ma chi ha ricevuto la grazia può anche non servirsene, e peccare. 3. Seguendo l'ordine ontologico poniamo la grazia tra la natura e la gloria; se però consi­ deriamo l'ordine cronologico vediamo che la gloria non doveva trovarsi insieme con la natura creata, poiché la gloria è il fine dell'o­ perazione della natura aiutata dalla grazia. La grazia invece non è il fine dell'operazione, poiché essa non si acquista con le opere, ma è il principio del bene operare. Era perciò con­ veniente che agli angeli la grazia venisse data subito, insieme con la natura.

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Articulus 4

Articolo 4

Utrum angelus beatus suam beatitudinem meruerit

Gli angeli beati hanno meritato la loro beatitudine?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod an­ gelus beatus suam beatitudinem non memerit. l . Meritum enim est ex difficultate actus me­ ritorii. Sed nullam difficultatem angelus ha­ buit ad bene operandum. Ergo bona operatio non fuit ei meritoria. 2. Praeterea, naturalibus non meremur. Sed naturale fuit angelo quod converteretur ad Deum. Ergo per hoc non meruit beatitudinem. 3. Praeterea, si angelus beatus beatitudinem suam memit, aut ergo antequam eam haberet, aut post. Sed non ante, quia, ut multis videtur, ante non habuit gratiam, sine qua nullum est meritum. Nec etiam post, quia sic etiam mo­ do mereretur, quod videtur esse falsum, quia sic minor angelus merendo ad superioris angeli gradum posset pertingere, et non essent stabiles distinctiones graduum gratiae; quod est inconveniens. Non ergo angelus beatus suam beatitudinem meruit. Sed contra, Apoc. 2 1 [ 1 7], dicitur quod men­ sura angeli, in illa caelesti Ierusalem, est mensura hominis. Sed homo ad beatitudinem pertingere non potest nisi per meritum. Ergo neque angelus. Respondeo dicendum quod soli Deo beatitudo pertècta est naturalis quia idem est sibi esse et beatum esse. Cuiuslibet autem creaturae esse beatum non est natura, sed ultimus finis. Quae­ libet autem res ad ultimum tinem per suam operationem pertingit. Quae quidem operatio in finem ducens, vel est factiva finis, quando finis non excedit virtutem eius quod operatur propter finem, sicut medicatio est factiva sanitatis, vel est meritoria finis, quando finis excedit virtutem operantis propter finem, unde expectatur finis ex dono alterius. Beatitudo autem ultima excedit et naturam angelicam et humanam, ut ex dictis [a. l ; q. 12 a. 4] patet. Unde relinquitur quod tam homo quam ange­ lus suam beatitudinem meruerit. Et si quidem angelus in gratia creatus fuit, sine qua nullum est meritum, absque difficultate dicere possu­ mus quod suam beatitudinem meruerit. Et similiter si quis diceret quod qualitercumque gratiam habuerit antequam gloriam. Si vero gratiam non habuit antequam esset beatus, sic oportet dicere quod beatitudinem absque

Sembra di no. Infatti: l . n merito proviene dalla difficoltà dell'atto meritorio. Ma gli angeli non trovarono alcuna difficoltà a ben operare. Quindi l'azione buo­ na non fu meritoria per essi. 2. Non si può meritare con le sole forze natu­ rali. Ma per gli angeli era cosa naturale vol­ gersi a Dio. Quindi con ciò essi non meritaro­ no la beatitudine. 3. Se gli angeli beati meritarono la beatitudi­ ne, o la meritarono prima di averla, o dopo. Ma non poterono meritarla prima, poiché, come molti ritengono, prima non avevano la grazia, senza la quale non si dà merito. E nep­ pure la metitarono dopo: poiché in tal caso anche adesso meriterebbero; e ciò è falso, perché allora gli angeli inferiori con i loro meriti potrebbero raggiungere il grado di quelli superiori, e non ci sarebbero più distin­ zioni stabili dei gradi di grazia: il che è inam­ missibile. Quindi gli angeli non meritarono la loro beatitudine. In contrario: in Ap è detto che nella Gemsa­ lemme celeste la misura dell'angelo è come la misura dell 'uomo. Ora, l'uomo non può raggiungere la beatitudine senza meriti. Quin­ di neppure l'angelo. Risposta: la perfetta beatitudine è naturale soltanto per Dio, per il quale essere ed essere beato sono la stessa cosa. Per tutte le creature, invece, essere beate non rientra nella loro natu­ ra, ma è il loro ultimo fine. Ora, ogni cosa rag­ giunge l'ultimo fine per mezzo della sua ope­ razione. E questa operazione terminante al fine o causa il fine - se questo non supera la virtù dell'atto compiuto per raggiungerlo, come la medicatura che ridona la salute -, oppure merita il fine - quando questo supera la virtù di colui che agisce per conseguirlo, il quale perciò si aspetta il fine come dono di un altro. - Ora, la beatitudine ultima, come è chiaro da quanto si è detto, supera la natura angelica e quella umana. Rimane dunque che tanto l' uomo quanto l'angelo hanno dovuto meritare la loro beatitudine. Se dunque gli angeli furono creati in grazia, senza la quale non ci può essere il merito, si può affermare senza difficoltà che essi hanno meritato la loro beatitudine. - E così

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merito habuit, sicut nos gratiam. Quod tamen est contra rationem beatitudinis, quae habet rationem finis, et est praemium virtutis, ut etiam philosophus dicit, in l Ethic. [7,4; 9,3]. Vel oportet dicere quod angeli merentur beati­ tudinem per ea quae iam beati operantur in divinis ministeriis, ut alii dixerunt. Quod tamen est conb-a rationem meriti, nam meritum habet rationem viae ad finem, ei autem qui iam est in termino, non convenit moveri ad terminum; et sic nullus meretur quod iam habet. Vel oportet dicere quod unus et idem actus conversionis in Deum, inquantum est ex libero arbitrio, est me­ ritorius; et inquantum pertingit ad finem, est fruitio beata. Sed nec hoc etiam videtur esse conveniens, quia Iiberum arbitrium non est suf­ ficiens causa meriti; unde actus non potest esse meritorius secundum quod est ex libero ar­ bitrio, nisi inquantum est gratia informatus; non autem simul potest informari gratia imperfecta, quae est principium merendi, et gratia perfecta, quae est principium fruendi. Unde non videtur esse possibile quod simul fruatur, et suam fruitionem mereatur. Et ideo melius dicendum est quod gratiam habuit angelus antequam esset beatus, per quam beatitudinem meruit. Ad primum ergo dicendum quod difficultas bene operandi non est in angelis ex aliqua contrarietate, vel impedimento naturalis vir­ tutis; sed ex hoc quod opus aliquod bonum est supra virtutem naturae. Ad secundum dicendum quod conversione naturali angelus non meruit beatitudinem, sed conversione caritatis, quae est per gratiam. Ad tertium patet responsio ex dictis [in co.].

pure se uno sostiene che hanno ricevuto la gra­ zia in un modo o nell'altro prima della gloria. Se invece gli angeli non ebbero la grazia prima di essere beati, si dovrà dire che essi ebbero la beatitudine senza meritarla, come noi ricevia­ mo la grazia. Ma ciò è contro la nozione di beatitudine, la quale presenta il carattere di .fine, ed è il premio della virtù, come insegna anche Aristotele. - Oppure bisognerà dire, come altri sostennero, che gli angeli meritano la beatitudi­ ne con gli atti che essi compiono nel ministero divino. Ma ciò sarebbe in contrasto con il con­ cetto di merito: il merito infatti è la via che con­ duce al fine; ora, chi è già arrivato al termine non ha più ragione di muoversi. Per questo nes­ suno merita ciò che già possiede. - Oppure si dovrebbe arrivare a dire che lo stesso e identico atto della conversione a Dio in quanto procede dal libero arbitrio è meritorio, e in quanto rag­ giunge il fine è fruizione beata. Ma anche que­ sto non è ammissibile. Il libero arbitrio, intatti, non è causa sufficiente del merito: perciò l'atto che procede dal libero arbitrio non è meritorio se non in quanto è informato dalla grazia. Ora, non è possibile che esso sia informato al tempo stesso dalla grazia imperfetta, che è la causa del merito, e dalla grazia consumata, che è la causa della fruizione. Non è dunque possibile che gli angeli simultaneamente fruiscano di Dio e ne meritino la fruizione. È meglio titenere, perciò, che gli angeli ebbero la grazia prima di essere beati, e che per mezzo di essa meritarono la beatitudine. Soluzione delle difficoltà: l . La difficoltà a bene operare non proviene negli angeli da conb'arietà o da ostacoli che riguardino le loro facoltà naturali, ma dal solo fatto che l'opera buona [richiesta] supera le capacità della loro naturn. 2. Gli angeli non meritano la beatitudine con una conversione naturale [a Dio], bensì con la conversione dovuta alla carità, che avviene per mezzo della grazia. 3. La risposta appare chiara in base a quanto si è detto.

Articulus 5 Utrum angelus statim post unum actum meriti beatitudinem habuerit

Articolo 5 Gli angeli hanno raggiunto la beatitudine subito dopo il primo atto meritorio?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod angelus non statim post unum actum meri­ torium beatitudinem habuerit.

Sembra di no. Infatti: l . Il bene operare è più difficile per l'uomo che per l'angelo. Ma l'uomo non viene pre-

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L 'elevazione degli angeli allo stato di grazia e di gloria

l . Difficilius enim est homini bene operari quam angelo. Sed homo non praemiatur sta­ tim post unum actum. Ergo neque angelus. 2. Praeterea, angelus statim in principio suae creationis, et in instanti, actum aliquem habe­ re potuit, cum etiam corpora naturalia in ipso instanti suae creationis moveri incipiant, et si motus corporis in instanti esse posset, sicut opera intellectus et voluntatis, in primo in­ stanti suae generationis motum haberent. Si ergo angelus per unum motum suae voluntatis beatitudinem meruit, in primo instanti suae creationis meruit beatitudinem. Si ergo eorum beatitudo non retardatur, statim in primo in­ stanti fuerunt beati. 3. Praeterea, inter multum distantia oportet esse multa media. Sed status beatitudinis an­ gelorum multum distat a statu naturae eorum, medium autem inter utrumque est meritum. Oportuit igitur quod per multa media angelus ad beatitudinem perveniret. Sed contra, anima hominis et angelus similiter ad beatitudinem ordinantur, unde sanctis pro­ mittitur aequalitas angelorum Luc. 20 [36]. Sed anima a corpore separata, si habeat meri­ tum beatitudinis, statim beatitudinem con­ sequitur, nisi aliud sit impedimentum. Ergo pari ratione et angelus. Sed statim in primo actu caritatis habuit meritum beatitudinis. Er­ go, cum in eo non esset aliquod impedimen­ tum, statim ad beatitudinem pervenit per so­ lum unum actum meritorium. Respondeo dicendum quod angelus post pri­ mum actum caritatis quo beatitudinem me­ ruit, statim beatus fuit. Cuius ratio est, quia gratia perficit naturam secundum modum na­ turae, sicut et omnis perfectio recipitur in perfectibili secundum modum eius. Est autem hoc proprium naturae angelicae, quod natura­ lem perfectionem non per discursum acquirat, sed statim per naturam habeat, sicut supra [q. 58 a. 3] ostensum est. Sicut autem ex sua natura angelus habet ordinem ad pert"ectio­ nem naturalem, ita ex merito habet ordinem ad gloriam. Et ita statim post meritum in an­ gelo fuit beatitudo consecuta. Meritum autem beatitudinis, non solum in angelo, sed etiam in homine esse potest per unicum actum, quia quolibet actu caritate informato homo beatitu­ dinem meretur. Unde relinquitur quod statim post unum actum caritate informatum, ange­ lus beatus fuit.

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miato subito dopo il primo atto. Quindi nep­ pure l'angelo. 2. Gli angeli ali' inizio della loro creazione furono in grado di emettere subito un atto al primo istante: tanto più che gli stessi corpi naturali cominciano a muoversi nell'istante stesso della loro creazione, e se il moto di un corpo potesse compiersi in un istante, come avviene per le operazioni dell'intelletto e del­ la volontà, essi avrebbero il moto nel primo istante della loro produzione. Se quindi l'an­ gelo con un solo moto della sua volontà me­ ritò la beatitudine, egli la meritò nel primo istante della sua creazione. Così dunque, se l a beatitudine degli angeli non venne differita, essi furono beati fin dal primo istante. 3. Tra le cose molto distanti ci devono essere molti termini intermedi. Ma l' atto della beati­ tudine degli angeli è molto distante dalla con­ dizione della loro natura, e il merito è un ter­ mine intermedio fra queste due cose. Bisognò quindi che l'angelo raggiungesse la beatitudi­ ne attraverso molti termini intermedi. In contrario: l'anima umana e l'angelo sono destinati alla beatitudine alla stessa maniera, per cui ai santi è promessa l'uguaglianza con gli angeli, così in Le. Ora l'anima separata dal corpo, se ha meritato la beatitudine, la conse­ gue subito, purché non vi sia qualche altro impedimento. E così, per lo stesso motivo, an­ che l'angelo. Ma l' angelo col primo atto di carità ebbe subito il merito della beatitudine. Non essendovi dunque nell'angelo alcun im­ pedimento, col primo atto meritorio egli rag­ giunse subito la beatitudine. Risposta: l'angelo fu subito beato dopo il pri­ mo atto di carità, col quale meritò la beatitu­ dine. E la ragione di ciò sta nel fatto che la grazia perfeziona la natura secondo il modo di essere della natura stessa: come, del resto, ogni perfezione è ricevuta in un soggetto se­ condo la natura del soggetto medesimo. Ora, come si è già dimostrato, è proprio della na­ tura angelica non già acquistare la perfezione naturale per mezzo di un procedimento di­ scorsivo, bensì possederla subito in forza della propria natura. Ma l'angelo, come dice ordine alla perfezione naturale in forza della sua na­ tura, così dice ordine alla gloria in forza del merito. E così l'angelo dovette conseguire la beatitudine subito dopo il merito. - Ma il me­ rito della beatitudine non solo nell'angelo, ma

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Ad primum ergo dicendum quod homo se­ cundum suam naturam non statim natus est ultimam perfectionem adipisci, sicut angelus. Et ideo homini longior via data est ad meren­ dum beatitudinem, quam angelo. Ad secundum dicendum quod angelus est su­ pra tempus rerum corporalium, unde instantia diversa in his quae ad angelos pertinent, non accipiuntur nisi secundum successionem in ipsorum actibus. Non autem potuit simul in eis esse actus meritorius beatitudinis, et actus beatitudinis, qui est tìuitio; cum unus sit gra­ tiae imperfectae, et alius gratiae consumma­ tae. Unde relinquitur quod oportet diversa in­ stantia accipi, in quorum uno meruerit beati­ tudinem, et in alio fuerit beatus. Ad tertium dicendum quod de natura angeli est, quod statim suam perfectionem conse­ quatur ad quam ordinatur. Et ideo non requiri­ tur nisi unus actus meritorius; qui ea ratione medium dici potest, quia secundum ipsum angelus ad beatitudinem ordinatur.

anche nell'uomo, può essere acquistato con un unico atto: poiché l'uomo merita la beati­ tudine con ciascun atto informato dalla carità. Ne consegue perciò che l'angelo fu beato su­ bito dopo il primo atto informato dalla carità. Soluzione delle difficoltà: l . L'uomo per na­ tura non è ordinato come l'angelo ad acqui­ stare subito l'ultima perfezione. E così all'uo­ mo viene concessa, per meritare, una via più lunga che all'angelo. 2. L'angelo trascende il tempo degli esseri cor­ porei: perciò i diversi istanti degli angeli sono dati soltanto dalla successione dei loro atti. Ma negli angeli non vi potevano essere a un tempo l'atto meritorio della beatitudine e l'atto della beatitudine stessa, che è la tìuizione: poiché l'uno è un atto della grazia non ancora perfetta e l'altro della grazia perfettamente compiuta. Ne segue perciò che bisogna ammettere due istanti diversi: uno in cui l'angelo meritò la beatitudine e un secondo in cui divenne beato. 3. È proprio della natura dell'angelo conse­ guire subito la perfezione a cui è ordinato. E così non si richiede che un solo atto merito­ rio; il quale può essere detto intermedio in quanto l'angelo è ordinato alla beatitudine in forza di esso.

Articulus 6 Utrum angeli sint consecuti gratiam et gloriam secundum quantitatem suorum naturalium

Articolo 6 Gli angeli hanno ricevuto la grazia e la gloria in proporzione alle loro doti naturali?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod angeli non sint consecuti gratiam et gloriam secun­ dum quantitatem suomm naturalium. Gratia enim ex mera Dei voluntate datur. Ergo et quantitas gratiae dependet ex voluntate Dei, et non ex quantitate naturalium. 2. Praeterea, magis propinquum videtur ad gratiam actus humanus quam natura, quia actus humanus praeparatorius est ad gratiam. Sed gratia non est ex operibus, ut dicitur Rom. 1 1 [6] . Multo igitur minus quantitas gratiae in angelis est secundum quantitatem naturalium. 3. Praeterea, homo et angelus pariter ordi­ nantur ad beatitudinem vel gratiam. Sed ho­ mini non datur plus de gratia secundum gra­ dum naturalium. Ergo nec angelo. Sed contra est quod Magister dicit, 3 dist. 2 Sent. [2] , quod angeli qui natura magis

Sembra di no. Infatti: l . La grazia viene elargita per pura volontà di Dio. Quindi anche la quantità della grazia dipende dalla volontà di Dio, e non dal grado delle doti naturali. 2. L'atto umano è più vicino alla grazia che la natura, poiché l'atto umano prepara alla gra­ zia. Eppure la grazia non proviene dalle opere, come è detto in Rm. Quindi a più forte ragio­ ne la grazia negli angeli non può dipendere dal grado delle loro doti naturali. 3. L'uomo e l' angelo sono ordinati alla beati­ tudine e alla grazia nella stessa maniera. Ma all'uomo non viene conferita una grazia mag­ giore [o minore] in proporzione del grado delle sue perfezioni naturali. Quindi neppure all'angelo. In contrario: dice il Maestro delle Sentenze: «Gli angeli che ricevettero nella creazione

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subtiles, et sapientia amplius perspicaces creati sunt, hi etiam maioribus g ratiae muneribus praediti sunt. Respondeo dicendum quod rationabile est quod secundum gradum naturalium angeli s data sint dona gratiarum e t perfectio beatitu­ dinis. Cuius quidem ratio ex duobus accipi potest. Primo quidem ex parte ipsius Dei, qui per ordinem suae sapientiae diversos gradus in angelica natura constituit. Sicut autem natu­ ra angelica facta est a Deo ad gratiam et beati­ tudinem consequendam, ita etiam gradus na­ turae angelicae ad diversos gradus gratiae et gloriae ordinari videntur, ut puta, si aedificator lapides polit ad construendam domum, ex hoc ipso quod aliquos pulchtius et decentius aptat, videtur eos ad honoratiorem partem domus ordinare. Sic igitur videtur quod Deus angelos quos altioris naturae fecit, ad maiora gratia­ rum dona et ampliorem beatitudinem ordina­ verit. Secundo apparet idem ex parte ipsius angeli. Non enim angelus est compositus ex diversis naturis, ut inclinatio unius naturae im­ petum alterius impediat aut retardet; sicut in homine accidit, in quo motus intellectivae par­ tis aut retardatur aut impeditur ex inclinatione partis sensitivae. Quando autem non est ali­ quid quod retardet aut impediat, natura se­ cundum totam suam virtutem movetur. Et ideo rationabile est quod angeli qui meliorem naturam habuerunt, etiam fortius et efficacius ad Deum sint conversi. Hoc autem etiam in hominibus contingit, quod secundum inten­ sionem conversionis in Deum datur maior gratia et gloria. Unde videtur quod angeli qui habuerunt meliora naturalia, habuerunt plus de gratia et gloria. Ad primum ergo dicendum quod, sicut gratia est ex mera Dei voluntate, ita etiam et natura angeli. Et sicut naturam Dei voluntas ordina­ vit ad gratiam ita et gradus naturae ad gradus gratiae. Ad secundum dicendum quod actus rationalis creaturae sunt ab ipsa; sed natura est imme­ diate a Deo. Unde magis videtur quod gratia detur secundum gradum naturae, quam ex operibus. Ad tertium dicendum quod diversitas natura­ lium aliter est in angelis, qui differunt specie; et aliter in hominibus, qui differunt solo nu­ mero. Differentia enim secundum speciem est propter finem, sed differentia secundum nu-

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una natura più nobile e una sapienza più perspicace furono anche arricchiti di maggiori doni di grazia>>. Risposta: è cosa ragionevole pensare che agli angeli siano stati elargiti i doni di grazia e la perfezione della beatitudine in proporzione alle loro doti naturali. E possiamo servirei di due argomenti per dimostrarlo. Primo, parten­ do da Dio il quale, per una disposizione della sua sapienza, stabilì diverse gerarchie nella natura angelica. Ora, come la natura angelica fu creata da Dio perché conseguisse la grazia e la gloria, così sembra evidente che i vari gradi della natura angelica siano ordinati ai diversi gradi della grazia e della gloria. Come fareb­ be, per es., un muratore che prepara le pietre destinate alla costruzione di una casa: dal fatto stesso che egli dà ad alcune pietre una forma più bella ed elegante si capisce che egli le ha destinate alle parti più nobili della casa. Così dunque gli angeli dotati da Dio di una natura più perfetta furono anche deputati da lui a ricevere maggiori doni di grazia e una più grande beatitudine. Secondo, si arriva alla stessa conclusione anche partendo dall'angelo. L'angelo, infatti, non è composto di nature di­ verse, cosicché l'inclinazione dell 'una possa i mpedire o ritardare l ' impulso dell' altra come invece accade nell'uomo, in cui i movi­ menti della parte intellettiva vengono ritardati o impediti dalla parte sensibile -. Ora la natu­ ra, quando non vi sia nulla che la trattenga o l� ostacoli, si muove con tutta la sua virtù. E quindi ragionevole pensare che gli angeli che ebbero una natura più perfetta si siano rivolti a Dio con maggiore forza ed efficacia. Ciò, del resto, avviene anche tra gli uomini, ai quali viene concessa una grazia maggiore o minore secondo l'intensità del loro volgersi a Dio. Quindi gli angeli dotati di una natura più per­ fetta devono aver ricevuto un grado maggiore di grazia e di gloria. Soluzione delle difficoltà: l . Come la grazia dipende dalla pura volontà di Dio, così anche la natura dell'angelo. E come la volontà di Dio preordinò la natura alla grazia, così pure preordinò i gradi della natura ai vari gradi della grazia. 2. Gli atti della creatura razionale dipendono da questa; invece la natura dipende immedia­ tamente da Dio. Quindi è più giusto pensare che la grazia, piuttosto che secondo le opere,

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merum est propter materiam. In homine etiam est aliquid quod potest impedire vel re­ tardare motum intellectivae naturae, non autem in angelis. Unde non est eadem ratio de utroque.

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sia stata concessa secondo i gradi della natura. 3. Altra è la diversità delle doti naturali negli angeli, i quali si differenziano tra loro specifi­ camente, e altra è la diversità tra gli uomini, i quali si distinguono solo numericamente. Infatti la differenza di specie è in vista del fine, mentre la differenza numerica proviene dalla materia. - Inoltre nell'uomo c'è qualco­ sa che può ritardare o impedire il moto della natura intellettiva; non così invece negli ange­ li. - Quindi l'argomento non vale ugualmente per le due nature. Articolo 7

Utrum in angelis beatis remaneat cognitio et dilectio naturalis

Negli angeli beati rimangono la conoscenza e la dilezione naturali?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod in angelis beatis non remaneat cognitio et dilectio naturalis. l . Quia, ut dicitur l Cor. 1 3 [ I O], cum venerit

Sembra di no. Infatti: l . In l Cor è detto: Quando verrà ciò che è pe1jetto, ciò che è impe1jetto scomparirà. Ma la dilezione e la conoscenza naturali sono imperfette rispetto alla dilezione e alla scienza beatifica. Quindi con la beatitudine cessano la conoscenza e la dilezione naturali. 2. Dove basta una cosa sola, una seconda è superflua. Ma negli angeli bastano la cono­ scenza e la dilezione proprie dello stato di gloria. Quindi sarebbero superflue per essi la conoscenza e la dilezione naturali. 3. Una stessa potenza non può avere simulta­ neamente due atti, come una linea non può essere terminata nello stesso verso da due punti. Ora, gli angeli hanno sempre l 'atto della conoscenza e della dilezione beatifica: infatti la beatitudine non consiste nell'abito, bensì neli' atto, come insegna il Filosofo. Quindi negli angeli non ci potranno mai esse­ re la conoscenza e la dilezione naturali. In contrario: fino a che permane una natura deve perdurare anche la sua operazione. Ma la beatitudine non distrugge la natura, essen­ done il coronamento. Quindi non distrugge la conoscenza e la dilezione naturali. Risposta: negli angeli beati rimangono la co­ noscenza e la dilezione naturali. Le operazioni, infatti, hanno tra di loro gli stessi rapporti che intercorrono tra i loro princìpi. Ora, è chiaro che la natura sta alla beatitudine come un elemento precedente sta a quello susseguente: poiché la beatitudine viene ad aggiungersi alla natura. Ma l' elemento presupposto non può mancare in ciò che lo presuppone. Quindi la

quod peifectum est, evacuabitur quod ex par­ te est. Sed dilectio et cognitio naturalis est

imperfecta respectu cognitionis et dilectionis beatae. Ergo adveniente beatitudine, naturalis cognitio et dilectio cessat. 2. Praeterea, ubi unum sufficit, aliud superflue existit. Sed sufficit in angelis beatis cognitio et dilectio gloriae. Superfluum ergo esset quod remaneret in eis cognitio et dilectio naturalis. 3. Praeterea, eadem potentia non habet simul duos actus; sicut nec una linea terminatur ex eadem parte ad duo puncta. Sed angeli beati sunt semper in actu cognitionis et dilectionis beatae, felicitas enim non est secundum habitum, sed secundum actum, ut dicitur in l Ethic. [8,9]. Ergo nunquam in angelis potest esse cognitio et dilectio naturalis. Sed contra, quandiu manet natura aliqua, manet operatio eius. Sed beatitudo non tollit naturam; cum sit perfectio eius. Ergo non tol­ lit naturalem cognitionem et dilectionem. Respondeo dicendum quod in angelis beatis remanet cognitio et dilectio naturalis. Sicut enim se habent principia operationum ad in­ vicem, ita se habent et operationes ipsae. Ma­ nifestum est autem quod natura ad beatitudi­ nem comparatur sicut ptimum ad secundum, quia beatitudo naturae additur. Semper autem oportet salvari primum in secundo. Unde oportet quod natura salvetur in beatitudine. Et

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similiter oportet quod i n actu beatitudinis salvetur actus naturae. Ad primum ergo dicendum quod perfectio adveniens tollit imperfectionem sibi opposi­ tam. Imperfectio autem naturae non opponitur perfectioni beatitudinis, sed substernitur ei, sicut imperfectio potentiae substernitur per­ fectioni formae, et non tollitur potentia per formam, sed tollitur privatio, quae opponitur formae. Et similiter etiam imperfectio cogni­ tionis naturalis non opponitur perfectioni cognitionis gloriae, nihil enim prohibet simul aliquid cognoscere per diversa media, sicut simul potest aliquid cognosci per medium pro­ babile, et demonstrativum. Et similiter potest angelus simul Deum cognoscere per essentiam Dei, quod pertinet ad cognitionem gloriae, et per essentiam propriam, quod pertinet ad cognitionem naturae. Ad secundum dicendum quod ea quae sunt beatitudinis, per se sufticiunt. Sed ad hoc quod sint, praeexigunt ea quae sunt naturae, quia nulla beatitudo est per se subsistens, nisi beatitudo increata. Ad tertium dicendum quod duae operationes non possunt esse simul unius potentiae, nisi una ad aliam ordinetur. Cognitio autem et dilectio naturalis ordinantur ad cognitionem et dilectionem gloriae. Unde nihil prohibet in angelo simul esse et cognitionem et dilectio­ nem naturalem, et cognitionem et dilectionem gloriae.

natura non può essere assente nella beatitudine. E così, assieme agli atti della beatitudine, devo­ no esserci anche quelli della natura. Soluzione delle difficoltà: I . Una perfezione che sopravviene toglie soltanto l'imperfezione che è ad essa contrada. Ora, l ' imperfezione della natura non si oppone alla perfezione della beati­ tudine, ma le fa da sostrato: come l'imperfezio­ ne della potenza fa da sostrato alla perfezione della forma senza che dalla torma sia eliminata la potenza, ma solo la privazione, che è l' oppo­ sto della forma. - Parimenti l'imperfezione del­ la conoscenza naturale non si oppone alla perfe­ zione della scienza beatifica: nulla infatti impe­ disce che una cosa possa essere conosciuta per vie diverse, come ad es. si può arrivare a cono­ scere simultaneamente una cosa con una ragio­ ne probabile e con una ragione dimostrativa. E allo stesso modo un angelo può conoscere Dio mediante l'essenza di Dio con la visione beatifi­ ca, e può conoscerlo per mezzo della propria essenza con la conoscenza naturale. 2. Tutte le cose che appartengono alla beatitu­ dine sono per se stesse sufficienti. Ma esse poggiano sulle perfezioni della natura: poiché nessuna beatitudine, all'infuori di quella in­ creata, è sussistente per se stessa. 3. Due operazioni non si possono trovare si­ multaneamente in una potenza se l'una non è ordinata ali' altra. Ma la conoscenza e la dile­ zione naturali sono ordinate alla conoscenza e alla dilezione della gloria. Nulla perciò impe­ disce che ci siano simultaneamente nell'ange­ lo tanto la scienza e la dilezione naturali, quanto la scienza e la dilezione della gloria.

Articulus 8 Utrum angelus beatus peccare possit

Articolo 8 L'angelo beato può peccare?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod angelus beatus peccare possit. l . Beatitudo enim non tollit naturam, ut dictum est [a. 7] . Sed de ratione naturae creatae est quod possit deficere. Ergo angelus beatus potest peccare. 2. Praeterea, potestates rationales sunt ad opposita, ut philosophus dicit [Met. 8,2,2] . Sed voluntas angeli beati non desinit esse rationalis. Ergo se habet ad bonum et malum. 3. Praeterea, ad libertatem arbitrii pertinet quod homo possit eligere bonum et malum. Sed libertas arbitrii non minuitur in angelis beatis.

Sembra di sì. Infatti: l . La beatitudine non distrugge la natura, come si è detto. Ma avere la possibilità di mancare rientra nel concetto stesso di creatu­ ra. Quindi l'angelo beato può peccare. 2. Le potenze razionali hanno la capacità di volgersi verso oggetti fra loro contrari, come insegna il Filosofo. Ma la volontà dell'angelo beato non cessa di essere razionale. Quindi può volgersi al bene e al male. 3. La facoltà di scegliere il bene e il male dipende dal libero arbitrio. Ma il libero arbi­ trio non viene menomato negli angeli beati.

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Ergo possunt peccare. Sed contra est quod Augustinus dicit, 1 1 Super Gen. [7], quod illa natura quae peccare non potest in sanctis angelis est. Ergo sancti angeli peccare non possunt. Respondeo dicendum quod angeli beati pec­ care non possunt. Cuius ratio est, quia eorum beatitudo in hoc consistit, quod per essentiam Deum vident. Essentia autem Dei est ipsa essentia bonitatis. Unde hoc modo se habet angelus videns Deum ad ipsum Deum, sicut se habet quicumque non videns Deum ad communem rationem boni. Impossibile est autem quod aliquis quidquam velit vel ope­ retur, nisi attendens ad bonum; vel quod velit divertere a bono, inquantum huiusmodi. An­ gelus igitur beatus non potest velle vel agere, nisi attendens ad Deum. Sic autem volens vel agens non potest peccare. Unde angelus bea­ tus nullo modo peccare potest. Ad primum ergo dicendum quod bonum creatum, in se consideratum, deficere potest. Sed ex coniunctione perfecta ad bonum in­ creatum, qualis est coniunctio beatitudinis, adipiscitur quod peccare non possit, ratione iam dieta [in co.]. Ad secundum dicendum quod virtutes ratio­ nales se habent ad opposita in illis ad quae non ordinantur naturaliter, sed quantum ad illa ad quae naturaliter ordinantur, non se ha­ bent ad opposita. Intellectus enim non potest non assentire principiis naturaliter notis, et similiter voluntas non potest non adhaerere bono inquantum est bonum, quia in bonum naturaliter ordinatur sicut in suum obiectum. Voluntas igitur angeli se habet ad opposita, quantum ad multa facienda vel non facienda. Sed quantum ad ipsum Deum, quem vident esse ipsam essentiam bonitatis, non se habent ad opposita; sed secundum ipsum ad omnia diriguntur, quodcumque oppositorum eligant. Quod sine peccato est. Ad tertium dicendum quod liberum arbitrium sic se habet ad eligendum ea quae sunt ad fi­ nem, sicut se habet intellectus ad conclusio­ nes. Manifestum est autem quod ad virtutem intellectus pertinet, ut in diversas conclusio­ nes procedere possit secundum principia data, sed quod in aliquam conclusionem procedat praetermittendo ordinem principiorum, hoc est ex defectu ipsius. Unde quod liberum arbi­ trium diversa eligere possit servato ordine

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Quindi essi possono peccare. In contrario: Agostino afferma che >; non però come agli angeli santi, ai quali è rivelato un maggior numero di tali verità, e in modo più chiaro, nella diretta visione del Verbo. - Furo­ no invece privati totalmente della terza cono­ scenza, come anche della carità. Soluzione delle difficoltà: l . La beatitudine consiste nell'unirsi a qualcosa di superiore. Ora, le sostanze separate in ordine di natura sono superiori a noi : quindi la conoscenza delle sostanze separate costituisce per l'uomo una certa felicità, sebbene la sua perfetta bea­ titudine consista nel conoscere la prima so­ stanza, cioè Dio. Ma per una sostanza separa­ ta la conoscenza delle sostanze separate è co­ sa connaturale, come per noi è connaturale la conoscenza delle realtà sensibili. Come quin­ di la felicità dell' uomo non consiste nella conoscenza delle realtà sensibili, così la beati­ tudine dell' angelo non consiste nella cono­ scenza delle sostanze separate. 2. Ciò che per sua natura è massimamente intelligibile è oscuro per noi perché sorpassa la capacità del nostro intelletto, e non soltanto per il fatto che la nostra intelligenza dipende dai fantasmi. Ora, l' essenza divina non sor­ passa solo la capacità dell' intelletto umano, ma anche quella dell' angelo. Quindi neanche l 'angelo può conoscere l' essenza di Dio con le sue forze naturali. - Tuttavia, data la perfe­ zione del suo intelletto, egli può avere una conoscenza naturale di Dio più alta di quella dell'uomo. E tale conoscenza rimane anche nei demoni. Sebbene infatti essi non abbiano la purezza che proviene dalla grazia, hanno tuttavia la purezza della natura, che è suffi­ ciente per la conoscenza di Dio che loro spet­ ta nell'ordine naturale. 3. La creatura è tenebra se paragonata all'ec­ cellenza della luce divina: per cui la cono­ scenza di una realtà creata nella sua propria natura è detta vespertina. La sera infatti è congiunta alle tenebre, tuttavia conserva an­ cora un po' di luce, mentre, quando viene a mancare totalmente la luce, c'è la notte. E lo stesso si dica della conoscenza delle cose

Q. 64, A. l

La pena dei demoni

quidem angeli a principio aliquo modo cogno­ verunt; maxime ex quo beatificati sunt visione verbi, quam daemones nunquam habuerunt. Non tamen omnes angeli cognoverunt perfec­ te, neque aequaliter. Unde daemones multo minus, Christo existente in mundo, perfecte mysterium incarnationis cognoverunt. Non enim innotuit eis, ut Augustinus dicit [De civ. Dei 9,2 1 ] , sicut angelis sanctis, qui Verbi

participata aetemitate perfntuntur, sed sicut eis terrendis innotescendum fitit per quaedam temporalia effecta. Si autem perfecte et per certitudinem cognovissent ipsum esse Filium Dei, et effectum passionis eius, nunquam Dominum gloriae crucifigi procurassent. Ad quintum dicendum quod daemones tribus modis cognoscunt veritatem aliquam. Uno modo, subtilitate suae naturae, quia licet sint obtenebrati per privationem luminis gratiae, sunt tamen lucidi lumine intellectualis naturae. Secundo, per revelationem a sanctis angelis; cum quibus non conveniunt quidem per con­ formitatem voluntatis ; conveniunt autem si­ militudine intellectualis naturae, secundum quam possunt accipere quod ab aliis manifes­ tatur. Tertio modo cognoscunt per experien­ tiam longi temporis; non quasi a sensu acci­ pientes; sed dum in rebus singularibus com­ pletur similitudo eius speciei intelligibilis quam sibi naturaliter habent inditam, aliqua cognoscunt praesentia, quae non praeco­ gnoverunt futura, ut supra [q. 57 a. 3 ad 3] de cognitione angelorum dictum est.

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nella loro propria natura: se viene indirizzata alla lode del Creatore, come avviene negli angeli buoni, tale conoscenza ha un po' della luce divina, e può essere detta vespertina; se invece non è indirizzata alla lode di Dio, co­ me avviene nei demoni, allora non è più detta vespertina, ma notturna. Perciò anche in Gen è detto che Dio chiamò notte le tenebre che aveva diviso dalla luce. 4. n mistero del regno di Dio, che fu compiu­ to per mezzo di Cristo, fu conosciuto in qual­ che modo dagli angeli fin da principio, so­ prattutto da quando furono beati con la visio­ ne del Verbo, visione che però i demoni non ebbero mai. Tuttavia gli angeli non conobbero tutti perfettamente questo mistero, né tutti ugualmente. Molto meno perciò conobbero il mistero dell'Incarnazione i demoni nel tempo in cui Cristo si trovava nel mondo. Come infatti dice Agostino: «Cristo non fu cono­ sciuto da loro come è conosciuto dagli angeli santi, i quali fruiscono dell'eternità del Verbo che ad essi è partecipata; lo conoscono invece soltanto come oggetto di terrore in base a certe sue azioni compiute nel tempo». Se al contrario avessero conosciuto perfettamente e con certezza che Cristo era il Figlio di Dio, e quale sarebbe stato l'effetto della sua passio­ ne, non avrebbero mai fatto crocifiggere i l Signore della gloria. 5. I demoni possono conoscere la verità in tre modi. Primo, mediante il loro acume naturale: poiché, sebbene essi siano ottenebrati in se­ guito alla privazione della grazia, sono tutta­ via illuminati dalla luce della loro natura in­ tellettiva. - Secondo, mediante le comunica­ zioni degli angeli santi, con i quali hanno in comune non la conformità del volere, bensì la somiglianza nella natura intellettiva, per mez­ zo della quale possono ricevere ciò che viene manifestato da parte degli altri angeli. - Ter­ zo, mediante una lunga esperienza, non nel senso che essi derivino la loro conoscenza dai sensi, ma perché, come si è detto sopra trat­ tando della conoscenza angelica, quando nel­ la realtà concreta e singolare si avvera qualco­ sa che possiede una somiglianza con la specie intelligibile infusa per natura nei demoni , questi vengono a conoscere, i n quanto presen­ ti, certe cose che non avevano conosciuto quando erano ancora future.

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Q. 64, A. 2

La pena dei demoni Articulus

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Articolo

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Utrum voluntas daemonum sit obstinata in malo

La volontà dei demoni è ostinata nel male?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod voluntas daemonum non sit obstinata in malo. l . Libertas enim arbitrii ad naturam intellectua­ lis naturae pertinet, quae manet in daemonibus, ut dictum est [a. 1]. Sed libertas arbitrii per se et prius ordinatur ad bonum quam ad malum. Ergo voluntas daemonis non est ita obstinata in malo, quin possit redire ad bonum. 2. Praeterea, maior est misericordia Dei, quae est infinita, quam daemonis malitia, quae est finita. A malitia autem culpae ad bonitatem iustitiae nullus redit nisi per Dei misericor­ diam. Ergo etiam daemones a statu malitiae possunt redire ad statum iustitiae. 3. Praeterea, si daemones habent voluntatem obstinatam i n malo, maxime haberent eam obstinatam in peccato quo peccaverunt. Sed illud peccatum in eis nunc non manet, scilicet superbia quia nec motivum manet, scilicet excellentia. Ergo daemon non est obstinatus in malitia. 4. Praeterea, Gregorius dicit [Mor. 4,3] quod homo per alium reparari potuit, quia per alium cecidit. Sed daemones inferiores per primum ceciderunt, ut supra [q. 63 a. 8] dic­ tum est. Ergo eorum casus per alium reparari potest. Ergo non sunt in malitia obstinati. 5. Praeterea, quicumque est in malitia obsti­ natus, nunquam aliquod bonum opus opera­ tur. Sed daemon aliqua bona opera facit, confitetur enim veritatem, dicens Christo, scio quia sis sanctus Dei, Mare. l [24], daemones etiam credunt et contremiscunt, ut dicitur Iac. 2 [ 1 9]; Dionysius etiam dicit, 4 cap. De div. nom. [23], quod bonwn et optimum concupis­ cunt, esse, vivere et intelligere. Ergo non sunt obstinati in malitia. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 73 [23],

Sembra di no. Infatti: l . Come già si disse, la natura intellettiva, che nei demoni è rimasta, ha come naturale pro­ prietà il libero arbitrio. Ma il libero arbitrio è più ordinato al bene che al male. Quindi la volontà del demonio non può essere così ostinata nel male da non potersi più volgere al bene. 2. La misericordia di Dio, che è infinita, è più grande della malizia del demonio, che è finita. Ma non si ritorna dalla malizia della colpa alla rettitudine della giustizia se non mediante la misericordia di Dio. Quindi anche i demoni possono ritornare dallo stato di colpa allo sta­ to di giustizia. 3. Se i demoni avessero la volontà ostinata nel male, sarebbero soprattutto ostinati nel pecca­ to con cui prevaricarono. Ma quel peccato, ossia la superbia, non rimane attualmente in essi: poiché è venuto a mancare il suo incenti­ vo, che è la propria eccellenza o gloria. Quin­ di il demonio non è ostinato nel male. 4. Gregorio dice che l ' uomo poteva essere redento da un altro poiché cadde indotto da un altro. Ma i demoni inferiori furono indotti al male dal primo demonio, come si è visto. Quindi la loro caduta può essere riparata da un altro. Quindi non sono ostinati nel male. 5. Chi è ostinato nel male non compie mai un'opera buona. n demonio invece ha compiu­ to qualche opera buona: egli infatti ha confes­ sato la verità quando disse a Cristo: Io so chi tu sei, il santo di Dio (Mc); inoltre i demoni cre­ dono e tremano, come è detto in Gc; e anche Dionigi dice che essi «bramano i l bene e l'ottimo, cioè l'essere, il vivere e il conoscere». Quindi non sono ostinati nel male. In contrario: è scritto nel Sal: La superbia di

superbia eorum qui te oderunt, ascendit semper; quod de daemonibus exponitur. Ergo

parole che vengono riferite ai demoni. Quindi essi rimangono sempre ostinati nel male. Risposta: Origene riteneva che la volontà di qualsiasi creatura, eccettuata l'anima di Cristo a causa della sua unione col Verbo, possa sem­ pre volgersi al bene e al male, in fou..a del li­ bero arbitrio. - Ma tale sentenza viene a com­ promettere la vera beatitudine degli angeli santi e degli uomini: poiché la perpetua stabilità appartiene all'essenza della vera beatitudine:

semper obstinati in malitia perseverant. Respondeo dicendum quod Origenis [De princ. l ,6] positio fui t quod omnis voluntas creaturae, propter libertatem arbitrii, potest flecti et in bonum et in malum, excepta anima Christi propter unionem Verbi . Sed haec positio tollit veritatem beatitudinis a sanctis angelis et hominibus, quia stabilitas sempi-

coloro che ti hanno odiato cresce sempre,

Q. 64, A. 2

722

La pena dei demoni

tema est de ratione verae beatitudinis; unde et v i t a aeterna nominatur. Repugnat etiam auctoritati Scripturae sacrae, quae daemones et homines malos in supplicium aetemum mittendos, bonos autem in vitam aetemam transferendos pronuntiat, Matth. 25 [46] . Un­ de haec positio est tanquam erronea repu­ tanda; et tenendum est fi rmiter, secundum fidem Catholicam, quod et voluntas bonorum angelorum confirmata est in bono, et voluntas daemonum obstinata est i n malo. Causam autem huius obstinationis opot1et accipere, non ex gravitate culpae, sed ex conditione naturae status. Hoc enim est hominibus mors, quod angelis casus, ut Damascenus dicit [De fide 2,4]. Manifestum est autem quod omnia mortalia peccata hominum, sive sint magna sive sint parva, ante mortem sunt remissibilia; post mortem vero, irremissibilia, et perpetuo manenti a. Ad i nquirendum ergo causam huiusmodi obstinationis, considerandum est quod vis appetitiva in omnibus proportionatur apprehensivae a qua movetur, sicut mobile motori . Appetitus enim sensitivus est boni particularis, voluntas vero universalis, ut su­ pra [q. 59 a. l ] dictum est; sicut etiam sensus apprehensivus est singularium, intellectus vero universalium. Differt autem apprehensio angeli ab apprehensione hominis in hoc, quod angelus apprehendit immobiliter per intellec­ tum, sicut et nos immobiliter apprehendimus prima principia, quorum est intellectus, homo vero per rationem apprehendit mobiliter, discurrendo de uno ad aliud, habens viam procedendi ad utrumque oppositorum. Unde et voluntas hominis adhaeret alicui mobiliter, quasi potens etiam ab eo discedere et contra­ rio adhaerere, voluntas autem angeli adhaeret fixe et immobiliter. Et ideo, si consideretur ante adhaesionem, potest libere adhaerere et buie et opposito (in his scilicet quae non naturaliter vult), sed postquam iam adhaesit, immobiliter adhaeret. Et ideo consuevit dici quod liberum arbitrium hominis flexibile est ad oppositum et ante electionem, et post; liberum autem arbitrium angeli est flexibile ad utrumque oppositum ante electionem, sed non post. Sic igitur et boni angeli , semper adhaerentes iustitiae, sunt in illa confirmati, mali vero, peccantes, sunt in peccato obstina­ ti. De obstinatione vero hominum damnato­ rum infra [cf. Suppl. q. 98 aa. 1 .3] dicetur.

tanto che questa viene chiamata vita eterna. È inoltre inconciliabile con l'autorità della sacra Scrittura (Mt) la quale afferma che i demoni e i reprobi saranno condannati a wz supplizio eterno, i buoni invece saranno chiamati alla vita eterna. Questa sentenza deve perciò essere considerata erronea, e si deve ritenere fermamente, come vuole la fede cattolica, che la volontà degli angeli buoni è confermata nel bene, mentre la volontà dei demoni è ostinata nel male. La causa di questa ostinazione non proviene però dalla gravità della colpa, bensì dalla particolare condizione della loro natura e del loro stato. Come infatti afferma il Dama­ sceno: «La morte è per gli uomini quello che è la caduta per gli angeli». Ora, è evidente che tutti i peccati degli uomini, siano essi grandi o piccoli, sono sempre remissibili prima della morte, ma dopo la morte sono itTemissibili e durano per sempre. Per ricercare quindi la cau­ sa di questa ostinazione bisogna considerare che la facoltà appetitiva è in tutto proporzionata alla facoltà conoscitiva dalla quale inizia il suo moto, come il mobile è proporzionato al suo motore. Infatti l' appetito sensitivo ha per og­ getto il bene particolare, mentre la volontà si porta sul bene universale, come si è già notato; come il senso conosce le realtà concrete e sin­ golari e l ' intelletto quelle universali. - Ora, l'intuizione dell' angelo si differenzia da quella dell'uomo per il fatto che l' angelo apprende col suo intelletto i n maniera irremovibile, come noi apprendiamo in modo irremovibile i primi princìpi di cui si occupa [quell' abito mentale che è] l'intelletto. L'uomo, invece, per mezzo della ragione apprende in maniera in­ stabile, procedendo col ragionamento da una nozione all'altra, e ha la possibilità di scegliere tra due opposte sentenze. Quindi la volontà dell'uomo aderisce a un oggetto in maniera in­ stabile, conservando la facoltà di staccarsi da esso per aderire a un oggetto contrario ; l a volontà dell' angelo, invece, aderisce stabil­ mente e irremovibilmente al suo oggetto. Se perciò si considera questa volontà prima della sua adesione, vi troviamo la capacità di aderire l iberamente a una cosa e al suo contrario (beninteso, in quelle cose che non è portata a volere per natura); una volta però che ha aderito, l'adesione è irremovibile. Per cui si suol dire che il libero arbitrio dell'uomo, tra due alternative, ha la capacità di portarsi sia -

La pena dei demoni

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Ad primum ergo dicendum quod boni et mali angeli habent liberum arbitrium, sed secun­ dum modum et conditionem suae naturae, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod misericordia Dei liberat a peccato poenitentes. llli vero qui poenitentiae capaces non sunt, immobiliter malo adhaerentes per divinam misericordiam non liberantur. Ad tertium dicendum quod adhuc manet in diabolo peccatum quo primo peccavit, quan­ tum ad appetitum; licet non quantum ad hoc quod credat se posse obtinere. Sicut si aliquis credat se posse facere homicidium, et velit facere, et postea adimatur ei potestas; nihilo­ minus voluntas homicidii in eo manere potest, ut velit fecisse, vel velit facere si posset. Ad quartum dicendum quod non est tota cau­ sa quare peccatum hominis sit remissibile, quia alio suggerente peccavit. Et ideo ratio non sequitur. Ad quintum dicendum quod actus daemonis est duplex. Quidam scilicet ex voluntate deli­ berata procedens, et hic proprie potest dici actus eius. Et talis actus daemonis semper est malus, quia etsi aliquando aliquod bonum fa­ ciat, non tamen bene facit; sicut dum verita­ tem dicit ut decipiat, et dum non voluntarie credit et confitetur, sed rerum evidentia coac­ tus. Alius autem actus daemonis est naturalis; qui bonus esse potest, et attestatur bonitati naturae. Et tamen etiam tali bono actu abutun­ tur ad malum.

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verso l'una che verso l'altra tanto prima che dopo la scelta; invece il libero arbitrio dell'an­ gelo si può volgere verso entrambe le alternati­ ve prima della scelta, ma non dopo. - Così dunque gli angeli buoni, aderendo per sempre alla giustizia, sono confermati in essa; i cattivi invece, peccando, rimangono ostinati nel pec­ cato. - Quanto poi all'ostinazione degli uomini dannati, ne parleremo in seguito. Soluzione delle difficoltà: l . Tanto gli angeli buoni quanto i cattivi hanno, come si è detto, il libero arbitrio, ma secondo la condizione e il modo conveniente alla loro natura. 2. La misericordia di Dio libera dal male co­ loro che si pentono. Ma quelli che non sono più capaci di pentimento, aderendo irremovi­ bilmente al male, non vengono liberati dalla misericordia divina. 3. Nel demonio rimane ancora il suo primo peccato quanto al desiderio, sebbene egli non creda più di poter conseguire ciò che aveva desiderato. Come avviene nel caso di uno che crede di poter commettere un omicidio, e che desidera di commetterlo: se gli viene tolta la possibilità di uccidere può tuttavia rimanere in lui la volontà dell' omicidio, o perché vor­ rebbe averlo commesso, o perché vorrebbe ancora commetterlo se potesse. 4. Il motivo per cui il peccato dell' uomo è remissibile non si riduce soltanto al fatto che egli ha peccato per suggestione di un altro. Quindi l'argomento non regge. 5. Nel demonio ci sono due specie di atti. Uno è quello che procede dalla volontà deliberata: ed è questo propriamente il suo atto. Ora, tale atto del demonio è sempre cattivo: poiché, anche se talvolta egli compie un atto buono, tuttavia non lo compie con rettitudine: come quando dice la verità per ingannare, oppure quando crede contro voglia, confessando una verità perché costretto dall'evidenza. - L'altro atto del demonio è invece quello naturale, il quale può anche essere buono, e manifesta la bontà della natura. Tuttavia i demoni abusano anche di tale atto per fare il male.

Articulus 3

Articolo 3

Utrum dolor sit in daemonibus

Nei demoni c'è il dolore?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod dolor non sit in daemonibus. l . Cum enim dolor et gaudium opponantur,

Sembra di no. Infatti: l . La gioia e il dolore, essendo due cose oppo­ ste fra di loro, non si possono trovare simulta-

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La pena dei demoni

non possunt esse simul in eodem. Sed in dae­ monibus est gaudium, dicit enim Augustinus, Contra Manichaeos [De Gen. c. Man. 2, 1 7],

diabolus potestatem habet in eos qui Dei praecepta contemnunt, et de hac tam infelici potestate laetatur. Ergo in daemonibus non est dolor. 2. Praeterea, dolor est causa timoris, de his enim timemus dum futura sunt, de quibus do­ lemus dum praesentia sunt. Sed in daemo­ nibus non est timor; secundum illud lob 4 1 [24],Jactus est ut nullum timeret. Ergo i n dae­ monibus non est dolor. 3. Praeterea, dolere de malo est bonum. Sed daemones non possunt bene facere. Ergo non possunt dolere, ad minus de malo culpae; quod pertinet ad vermem conscientiae. Sed contra est quod peccatum daemonis est gravius guam peccatum hominis. Sed homo punitur dolore pro delectatione peccati; secun­ dum illud Apoc. 1 8 [7] , quantum glorificavit se

et in delidis jùit, tantum date ei tonnentum et luctum. Ergo multo magis diabolus, qui maxi­

mo se glorificavit, punitur doloris luctu. Respondeo dicendum quod timor, dolor, gau­ dium, et huiusmodi, secundum quod sunt pas­ siones, in daemonibus esse non possunt, sic enim sunt propriae appetitus sensitivi, qui est virtus in organo corporali. Sed secundum quod nominant simplices actus vo1untatis, sic possunt esse in daemonibus. Et necesse est di­ cere quod in eis sit dolor. Quia dolor, secun­ dum quod significat simplicem actum volun­ tatis, nihil est aliud quam renisus voluntatis ad id quod est vel non est. Patet autem quod daemones multa vellent non esse quae sunt, et esse quae non sunt, vellent enim, cum sint invidi, damnari eos qui salvantur. Unde opor­ tet dicere quod in eis sit dolor, et praecipue quia de ratione poenae est, quod voluntati re­ pugnet. Privantur etiam beatitudine quam na­ turaliter appetunt; et in multis eorum iniqua voluntas cohibetur. Ad primum ergo dicendum quod gaudium et dolor de eodem sunt opposita, non autem de diversis. Unde nihil prohibet unum simul do­ lere de uno, et gaudere de alio; et maxime se­ cundum quod dolor et gaudium important simplices voluntatis actus; quia non solum in diversis, sed etiam in una et eadem re potest esse aliquid quod volumus, et aliquid quod nolumus.

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neamente nello stesso soggetto. Ma nei demo­ ni c'è la gioia; dice infatti Agostino: «ll diavolo ha potere su quelli che disprezzano i precetti di Dio, e si rallegra di questo suo disgraziato po­ tere». Quindi nei demoni non c'è il dolore. 2. D dolore è causa di timore: noi infatti temia­ mo quando sono future quelle cose che ci ad­ dolorano quando sono presenti. Ma nei demoni non c'è il timore, secondo il detto di Gb: Fu fatto per non aver paura. Quindi nei demoni non c'è il dolore. 3. Provare dolore per il male è un bene. Ma i demoni non possono fare il bene. Quindi non possono provare dolore alcuno, almeno per il male della colpa, cosa che appartiene al ri­ morso di coscienza. In contrario: il peccato del demonio è più gra­ ve del peccato dell' uomo. Ma l'uomo è puni­ to col dolore per il piacere del peccato, secon­ do le parole di Ap: Tutto ciò che ha speso per

la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in altrettanto tonnento e ajjlizione. Quindi assai più deve essere punito col lutto del dolore il diavolo, che più di tutti si è gloriato. Risposta: il timore, la gioia, il dolore e altre co­ se simili non si possono trovare nel demonio in quanto passioni : infatti come tali appartengono propriamente all'appetito sensitivo, che è una facoltà che ha sede in un organo corporeo. In quanto però significano dei semplici atti di volontà, possono trovarsi anche nel demonio. E si deve necessariamente ammettere che nei demoni c ' è i l dolore. Poiché il dolore, i n quanto indica un semplice atto della volontà, non è altro che l'insofferenza della volontà per ciò che è, o per ciò che non è. Ora, è evidente che i demoni vorrebbero che non ci fossero molte cose che invece ci sono, e vorrebbero viceversa che ci fossero altre cose che non ci sono: essendo infatti invidiosi, vorrebbero che si dannassero quelli che invece si salvano. Bi­ sogna perciò concludere che in essi c'è il do­ lore, tanto più che è una proprietà essenziale della pena il contrariare la volontà. Inoltre i demoni sono privati della beatitudine che natu­ ralmente desiderano; e in molte cose la loro cattiva volontà viene impedita. Soluzione delle difficoltà: l . La gioia e il do­ lore sono opposti fra di loro quando riguarda­ no lo stesso oggetto, non quando riguardano oggetti diversi. Nulla perciò impedisce che uno possa simultaneamente rallegrarsi per

-

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La pena dei demoni

Ad secundum dicendum quod sicut in daemo­ nibus est dolor de praesenti, ita et timor de futuro. Quod autem dicitur, factus est ut nullum timeret, intelligitur de timore Dei cohibente a peccato. Alibi [Iac. 2, 1 9], namque scriptum est quod daemones credunt et contremiscunt. Ad tertium dicendum quod dolere de malo culpae propter se attestatur voluntatis bonitati, cui malum culpae opponitur. Dolere autem de malo poenae, vel de malo culpae propter poenam, attestatur bonitati naturae, cui ma­ lum poenae opponitur. Unde Augustinus dicit, 19 De civ. Dei [ 1 3], quod dolor amissi

boni in supplicio, testis est naturae bonae.

Daemon ergo, cum perversae sit voluntatis et obstinatae, de malo culpae non dolet.

Articulus 4 Utrum aer iste sit locus poenalis daemonum Ad quartum sic proceditur. Videtur quod aer iste non sit locus poenalis daemonum. l . Daemon enim est natura spiritualis. Natura autem spiritualis non afficitur loco. Ergo nullus locus est daemonibus poenalis. 2. Praeterea, peccatum hominis non est gra­ vius quam peccatum daemonis. Sed locus poenalis hominis est Infernus. Ergo multo magis daemonis. Ergo non aer caliginosus. 3. Praeterea, daemones puniuntur poena ignis. Sed in aere caliginoso non est ignis. Ergo aer caliginosus non est locus poenae daemonum. Sed contra est quod Augustinus dicit, 3 Super Gen. [ l O], quod aer caliginosus est quasi car­

cer daemonibus usque ad lempus iudicii. Respondeo dicendum quod angeli, secundum suam naturam, medii sunt inter Deum et ho­ mines. Habet autem hoc divinae providentiae ratio, quod inferiorum bonum per superiora procuret. Bonum autem hominis dupliciter procuratur per divinam providentiam. Uno modo directe, dum scilicet aliquis inducitur ad bonum et retrahitur a malo, et hoc decenter fit per angelos bonos. Alio modo indirecte, dum scilicet aliquis exercetur, impugnatus,

Q. 64, A. 3

una cosa e dolersi per un'altra; specialmente, poi, se il dolore e la gioia sono dei semplici atti della volontà: poiché non solo quando si tratta di oggetti diversi, ma anche nello stesso oggetto possiamo trovare qualcosa che ci piace e qualcosa che ci dispiace. 2. Come c'è nei demoni il dolore per le cose presenti, così c'è anche il timore per quelle future. Poi, l' espressione Fu fatto per non aver paura va intesa del timore di Dio, che trattiene dal peccato. Altrove infatti sta scritto che i demoni credono e tremano. 3. Provare dolore della colpa in quanto colpa è segno della rettitudine della volontà, a cui la colpa ripugna. Dolersi invece della pena, o anche della colpa a motivo della pena annes­ sa, è segno della bontà della natura, a cui ripugna la pena. Quindi dice Agostino: «Il dolore per il bene che si perde con il supplizio attesta la bontà della natura». Il demonio quindi, avendo una volontà perversa e ostina­ ta, non prova dolore per il male della colpa, [ma solo per la pena]. Articolo 4 La nostra atmosfera è il luogo di pena dei demoni?

Sembra di no. Infatti: l . n demonio è una natura spirituale. Ma la na­ tura spirituale non può essere localizzata. Quin­ di non esiste un luogo di pena per i demoni. 2. Il peccato dell'uomo non è più grave di quello del diavolo. Ma il luogo penale del­ l'uomo è l'inferno. Quindi a maggior ragione lo sarà per il demonio. Quindi il luogo di pena del diavolo non è l'atmosfera caliginosa. 3. I demoni sono puniti con la pena del fuoco. Ma nell'aria caliginosa non c'è il fuoco. Quin­ di non è l'aria caliginosa il luogo di pena per il demonio. In contrario: Agostino dice: «L'atmosfera ca­ liginosa è come un carcere per i demoni fino al tempo del giudizio». Risposta: gli angeli in ordine di natura stanno tra Dio e gli uomini. Ma la disposizione della prov­ videnza divina vuole che il bene degli esseri inferiori venga procurato per mezzo degli esseri superiori. Ora, il bene dell'uomo viene procu­ rato dalla divina provvidenza in due modi. Pri­ mo, direttamente, inducendo al bene e allonta­ nando dal male: e tutto ciò viene compiuto cor-

Q. 64, A. 4

La pena dei demoni

per impugnationem contrarii. Et hanc procu­ rationem boni humani conveniens fui t per malos angelos fieri, ne totaliter post peccatum ab utilitate naturalis ordinis exciderent. Sic ergo daemonibus duplex locus poenalis debe­ tur. Unus quidem ratione suae culpae, et hic est Infernus. Alius autem ratione exercitationis humanae, et sic debetur eis caliginosus aer. Procuratio autem salutis humanae protenditur usque ad diem iudicii, unde et usque tunc durat ministerium angelorum et exercitatio daemonum. Unde et usque tunc et boni angeli ad nos huc mittuntur, et daemones in hoc aere caliginoso sunt ad nostrum exercitium, licet eorum aliqui etiam nunc in Inferno sint, ad torquendum eos quos ad malum induxerunt; sicut et aliquis boni angeli sunt cum animabus sanctis in caelo. Sed post diem iudicii omnes mali, tam homines quam angeli, in Inferno erunt; boni vero in caelo. Ad primum ergo dicendum quod locus non est poenalis angelo aut animae, quasi afficiens alterando naturam; sed quasi afficiens volun­ tatem contristando, dum angelus vel anima apprehendit se esse in loco non convenienti suae voluntati. Ad secundum dicendum quod anima secun­ dum ordinem naturae non praefertur alteri ani­ mae, sicut daemones ordine naturae praefe­ runtur hominibus. Unde non est similis ratio. Ad tertium dicendum quod aliqui dixerunt usque ad diem iudicii difterri poenam sensibi­ lem tam daemonum quam animarum, et simi­ liter beatitudinem sanctorum differri usque ad diem iudicii; quod est erroneum, et repugnans apostoli sententiae, qui dici t, 2 Cor. 5 [ l ], si

ten·esnis domus nosn-a huius habitationis dis­ solvatur, domum habemus in caelo. A1ii vero,

licet hoc non concedant de animabus, conce­ dunt tamen de daemonibus. Sed melius est dicendum quod idem iudicium sit de malis ani­ mabus et malis angelis; sicut idem iudicium est de bonis animabus et bonis angelis. Unde dicendum est quod, sicut locus caelestis pertinet ad gloriam angelorum, tamen gloria eorum non minuinrr cum ad nos veniunt, quia considerant illum locum esse suum (eo modo quo dicimus honorem episcopi non minui dum actu non sedet in cathedra); similiter dicendum est quod daemones licet non actu alligentur gehennali igni, dum sunt in aere isto caligi­ noso, tamen ex hoc ipso quod sciunt illam alli-

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rettamente per mezzo degli angeli buoni. Se­ condo, indirettamente, in quanto cioè uno viene esercitato nel bene per mezzo della lotta contro ciò che è contrario. Ed era conveniente che questo bene fosse procurato agli uomini per mezzo degli angeli cattivi, affinché i demoni dopo il peccato non diventassero del tutto inutili all'ordine della natura. - Così, dunque, ai de­ moni spettano due luoghi di pena. Uno a motivo della loro colpa: e questo è l ' inferno; l 'altro invece per tentare gli uomini: e a tale scopo è loro dovuta l'atmosfera caliginosa. Però queste cure per la salvezza degli uomini dureranno fino al giorno del giudizio: quindi il ministero degli angeli e le prove dei demoni dureranno fino a quel momento. Per cui fino a quel tempo gli angeli continueranno a essere inviati qua da noi, e i demoni resteranno nella nostra atmosfera caliginosa per tentarci; sebbene non pochi di essi siano già ora neli' inferno per tormentare quelli che essi indussero al male: a quel modo in cui non pochi angeli buoni sono in cielo con le anime sante. - Ma dopo il giorno del giudizio tutti i cattivi, uomini e demoni, saranno collocati nell'inferno; i buoni invece nel cielo. Soluzione delle difficoltà: l . Un luogo non riesce di pena per l' angelo o per l'anima per­ ché è capace di agire su di essi alterando la natura, ma perché agisce sulla volontà, rattri­ standola per il fatto che l' angelo e l' anima co­ noscono di trovarsi in un luogo non conforme alla loro volontà. 2. Un'anima non è superiore a un'altra anima nell'ordine di natura, mentre i demoni sono su­ periori agli uomini, con le funzioni annesse a questa superiorità. Quindi il confronto non regge. 3. Alcuni dissero che fino al giorno del giudi­ zio sarebbe differita la pena del senso tanto per i demoni quanto per le anime; e così pure sa­ rebbe differita fino al giorno del giudizio la beatitudine dei santi: ma ciò è falso, ed è con­ tro la sentenza di Paolo, che in 2 Cor dice:

Quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un 'abitazio­ ne in cielo. - Altri invece, sebbene non affer­

mino questo delle anime, lo dicono tuttavia dei demoni. - Ma è più giusto affermare che esiste un identico giudizio tanto per le anime cattive quanto per gli angeli cattivi, come c'è un iden­ tico giudizio per le anime buone e per gli ange­ li buoni. Diremo perciò: come alla gloria degli angeli spetta una sede nel cielo, e tuttavia non

La pena dei demoni

727

gationem sibi deberi, eorum poena non dimi­ nuitur. Unde dicitur in quadam Glossa [ord.] lac. 3 [6], quod portant secum ignem Gehen­ nae quocumque vadant. Nec est contra hoc, quod rogavenmt Dominum ut non mitteret eos in abyssum, ut dicitur Lucae 8 [3 1], quia hoc petierunt reputantes sibi poenam, si exclude­ rentur a loco in quo possunt hominibus nocere. Unde Marci 5 [10], dicitur quod deprecaban­

tur eum ne expelleret eos extra regionem.

Q. 64, A. 4

viene diminuita la loro glotia quando essi ven­ gono presso di noi, poiché sanno qual è il posto loro dovuto (come si dice che non viene dimi­ nuito l'onore del vescovo per il fatto che non siede attualmente sulla cattedra), così si deve dire che i demoni, quando si trovano nella no­ stra atmosfera caliginosa, anche se non sono attualmente vincolati al fuoco della Geenna, pure non sentono diminuita la loro pena, per il t'atto stesso che sanno essere loro dovuto l'inca­ tenamento a quel luogo. Perciò in una Glossa su Gc è detto che i demoni «portano con sé il fuoco della Geenna dovunque essi vadano». ­ E ciò non è contro quanto si legge in Le, che cioè i demoni pregarono il Signore di non mandar/i nell'abisso: Io chiesero infatti poiché ritenevano una pena l'essere allontanati da un luogo in cui potevano nuocere agli uomini. Perciò in Mc è detto che essi lo scongiuravano

con insistenza perché non li cacciassefuori da quella regione.

QUAESTI0 65

QUESTIONE 65

DE OPERE CREATIONIS CREATURAE CORPORALIS

LA CREAZIONE DEI CORPI

Post considerationem spiritualis creaturae, consi­ derandum est de creatura corporali [cf. q. 50 prol.]. In cuius productione ttia opera Sctiptura commemorat, scilicet opus creationis, cum dicitur [Gen. 1 , 1 ], in principio creavit Deus caelum et terram, etc.; opus distinctionis, cum dicitur [Gen. 1 ,4.7], divisit lucem a tenebris, et

Dopo avere considerato le creature spitituali, passiamo ora a quelle corporali. Parlando del­ la loro produzione la Sctittura ricorda tre ope­ re: l'opera della creazione, quando dice: In principio Dio creò il cielo e la terra; l'opera della distinzione, quando dice: Separò la luce

aquas quae sunt supra finnamentum, ab aquis quae sunt sub finnamento; et opus omatus, cum dicitur [Gen. 1 , 1 4], fiant luminaria in finnamento et cetera. Ptimo ergo consideran­

dum est de opere creationis; secundo, de opere distinctionis [q. 66]; tertio, de opere omatus [q. 70]. Circa primum quaeruntur quatuor. Primo, utrum creatura corporalis sit a Deo. Secundo, utrum sit facta propter bonitatem Dei. Tertio, utrum sit t'acta a Deo mediantibus angelis. Quarto, utrum formae corporum sint ab angelis, an immediate a Deo.

dalle tenebre... e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra ilji1mamento; infine l'opera dell' abbel­ limento, quando dice: Ci siano luci nelfilma­ mento. Tratteremo progressivamente questi tre punti. Sul ptimo punto si pongono quattro quesiti: l . La creatura corporea proviene da Dio? 2. È stata fatta per la bontà di Dio? 3. È stata fatta per mezzo degli angeli? 4. Le for­ me dei corpi provengono dagli angeli o im­ mediatamente da Dio?

Articulus l

Articolo l

Utrum creatura corporalis sit a Deo

Le creature corporee provengono da Dio?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod crea­ corporalis non sit a Deo.

Sembra di no. Infatti: l . È detto in Qo: Riconosco che qualunque

tura

Q. 65, A. l

La creazione dei corpi

l . Dicitur enim Eccle. 3 [ 1 4], didici quod omnia quae fecit Deus, perseverant in aeter­ nwn. Sed corpora visibilia non perseverant in aetemum, dicitur enim II Cor. IY, quae viden­ tur temporalia sunt; quae autem non videntur, aeterna. Ergo Deus non fecit corpora visibilia. 2. Praeterea, Gen. l [3 1 ], dicitur, vidit Deus cuncta quae fecerat, et erant valde bona. Sed

creaturae corporales sunt malae, experimur enim eas in multis noxias, ut patet in multis serpentibus, in aestu solis, et huiusmodi; ideo autem aliquid dicitur malum, quia nocet [cf. q. 48 a. 5 sed c.]. Creaturae igitur corporales non sunt a Deo. 3. Praeterea, id quod est a Deo, non retrahit a Deo, sed ducit in ipsum. Sed creaturae corpo­ rales retrahunt a Deo, unde apostolus dicit, 2 Cor. 4 [ 1 8], non contemplantibus nobis quae videntur. Ergo creaturae corporales non sunt a Deo. Sed contra est quod dicitur in Psalmo 145 [6],

qui fecit caelum et terram, mare, et omnia quae in eis sunt.

Respondeo dicendum quod quorundam haereticorum positio est, quod visibilia ista non sunt creata a bono Deo, sed a malo prin­ cipio. Et ad argumentum sui erroris assumunt quod apostolus dicit 2 Cor. 4 [4], deus huius saeculi excaecavit mentes infideliwn. Haec autem positio est omnino impossibilis. S i enim diversa in aliquo uniantur, necesse est huius unionis causam esse aliquam, non enim diversa secundum se uniuntur. Et inde est quod, quandocumque i n diversis invenitur aliquid unum, oportet quod illa diversa illud unum ab aliqua una causa recipiant; sicut diversa corpora calida habent calorem ab igne. Hoc autem quod est esse, communiter invenitur in omnibus rebus, quantumcumque diversis. Necesse est ergo esse unum essendi principium, a quo esse habeant quaecumque sunt quocumque modo, sive sint invisibilia et spiritualia, sive sint visibilia et corporalia. Dicitur autem diabolus esse deus huius saecu­ li, non creatione, sed quia saeculariter viven­ tes ei serviunt; eo modo loquendi quo apos­ tolus loquitur, ad Phil. 3 [ 1 9], quorum deus

venter est.

Ad pri m um ergo dicendum quod omnes creaturae Dei secundum aliquid in aeternum perseverant, ad minus secundum materiam, quia creaturae nunquam i n nihilum redi-

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cosa Dio ha creato, dura in perpetuo. Ora,

i corpi visibili non hanno questa durata eterna, come è detto in 2 Cor: Le cose visibili sono di

un momento, quelle invisibili sono eterne.

Quindi Dio non fece i corpi visibili. 2. In Gen è detto: Dio vide tutto ciò che aveva creato, ed era cosa molto buona. Ora, le crea­ ture materiali sono cattive, poiché le troviamo spesso nocive, come nel caso di molti serpen­ ti, della calura del sole e di altre simili cose; e noi chiamiamo male ciò che nuoce. Quindi i corpi non sono da Dio. 3. Ciò che viene da Dio non ci allontana da lui, ma piuttosto ci porta a lui. Invece le crea­ ture materiali distolgono da Dio, come dice Paolo in 2 Cor: Non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili. Quindi i corpi non provengono da Dio. In contrario: nel Sal è detto: [Dio] ha creato il

cielo e la terra, il mare e tutto ciò che esso contiene. Risposta: secondo la tesi di certi eretici, tutto questo mondo visibile non fu creato dal Dio buono, ma da un primo essere malvagio. Ed essi fondano il loro errore su quanto dice Paolo in 2 Cor. Il dio di questo mondo ha accecato la loro mente incredula. Ma una tale posizione è assolutamente insostenibile, perché, se più elementi formano un'unità, è necessario asse­ gnare la causa di tale unione, non potendosi ammettere che enti diversi si uniscano da se stessi. Quindi tutte le volte che si riscontra un qualcosa di unico in enti diversi, è necessario che essi lo ricevano da qualche causa: così come, se dei corpi diversi sono riscaldati, vuoi dire che quel calore lo ricevono dal fuoco. Ora, ciò che noi chiamiamo essere lo ritroviamo in tutte le cose, per quanto diverse esse siano. B isognerà dunque ammettere un principio unico, produttivo di questo essere, da cui lo ricevano tutte le cose che esistono, in qualun­ que modo esse esistano, sia nell'ordine invisi­ bile e spirituale che in quello visibile e materia­ le. - Il diavolo poi viene chiamato dio di questo mondo non in ragione della creazione, ma perché coloro che vivono mondanamente gli sono servi. Come si esprime Paolo quando in Fil dice che il /oro dio è il ventre. Soluzione delle difficoltà: l . Tutte le creature di Dio hanno, sotto un certo aspetto, una du­ rata eterna, almeno dalla parte della materia, dato che non verranno mai annientate, neppu-

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La creazione dei corpi

Q. 65, A. l

gentur, etiam si sint corruptibiles. Sed quanto creaturae magis appropinquant ad Deum, qui est omnino immobilis, tanto magis sunt im­ mobiles. Nam creaturae corruptibiles in per­ petuum manent secundum materiam, sed mu­ tantur secundum formam substantialem. Creaturae vero incorruptibiles permanent qui­ dem secundum substantiam, sed sunt muta­ biles secundum alia, puta secundum locum, ut corpora caelestia; vel secundum aftectiones, ut creaturae spirituales. Quod autem apostolus dicit, quae videntw; temporalia sunt, etsi verum sit etiam quantum ad ipsas res in se considerata'\, secundum quod omnis creatura visibilis subiacet tempori, vel secundum suum esse vel secundum suum motum; tamen apostolus intendit loqui de visibilibus secun­ dum quod sunt hominis praemia. Nam prae­ mia hominis quae sunt in istis rebus visibi­ libus, temporaliter transeunt, quae autem sunt in rebus invisibilibus, permanent in aetemum. Unde et supra [2 Cor. 4, 1 7] praemiserat,

re quelle soggette a corruzione. Si noti però che quanto più esse si avvicinano a Dio, il quale è assolutamente immutabile, tanto mag­ giormente sono immutabili. Infatti quelle cor­ ruttibili rimangono in perpetuo quanto alla materia, mutano però quanto alla forma so­ stanziale. Invece le creature incorruttibili sono permanenti quanto alla loro sostanza, mentre sono mutevoli sotto altri aspetti: i corpi ce­ lesti, p. es., mutano di posizione, e gli enti spirituali mutano nei loro pensieri. - La frase di Paolo poi: Le cose visibili sono di un mo­ mento, è certamente vera se si riferisce alle cose considerate in se stesse, poiché ogni creatura visibile è soggetta al corso del tem­ po, per il suo essere o per le sue operazioni, tuttavia Paolo intende parlare delle realtà visibili in quanto sono dei beni umani. Infatti i beni dell'uomo che si concretano in queste realtà visibili passano col tempo, mentre quel­ li che consistono nelle realtà invisibili restano in eterno. Per cui anche sopra aveva detto:

aetemum gloriae pondus operatur in nobis.

Ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria.

Ad secundum dicendum quod creatura corpo­ ralis, secundum suam naturam, est bona, sed non est bonum universale, sed est quoddam bonum particulare et contractum, secundum quam particularitatem et contractionem sequi­ tur in ea contrarietas, per quam unum contra­ riatur alteri, licet utmmque in se sit bonum. Quidam autem, aestimantes res non ex earum natura, sed ex suo proprio commodo, quae­ cumque sibi nociva sunt, simpliciter mala arbitrantur non considerantes quod id quod est uni nocivum quantum ad aliquid, vel alteri vel eidem quantum ad aliquid est proficuum. Quod nequaquam esset, si secundum se corpora essent mala et noxia. Ad tertium dicendum quod creaturae, quan­ tum est de se, non retrahunt a Deo, sed in ip­ sum ducunt, quia invisibilia Dei per ea quae facta sunt, intellecta, conspiciuntur, ut dicitur Rom. l [20]. Sed quod avertant a Deo, hoc est ex culpa eorum qui insipienter eis utuntur. Un­ de dicitur Sap. 14 [ I l], quod creaturaefactae sunt in muscipulam pedibus insipientium. Et hoc ipsum quod sic a Deo abducunt, attestatur quod sunt a Deo. Non enim abducunt insi­ pientes a Deo, nisi alliciendo secundum ali­ quid boni in eis existens, quod habent a Deo.

2. Le creature materiali sono buone per loro natura di una bontà non universale, ma par­ ziale e ristretta. Dal che detiva in esse una reciproca contrarietà, in quanto l'una contra­ sta con l'altra, sebbene le une e le altre siano buone. - Alcuni invece, giudicando le cose non dalla loro natura, ma dal proprio torna­ conto, stimano essenzialmente cattivo ciò che è per essi nocivo, non considerando che quan­ to nuoce sotto un certo aspetto è utile ad essi o ad altri sotto un diverso punto di vista. n che non avverrebbe se i corpi fossero cattivi e nocivi per natura. 4. Le creature di per sé non ci allontanano da Dio, ma ci portano a lui, poiché le sue perfe­

zioni invisibili possono essere contemplate con l 'intelletto nelle opere da lui compiute, come è detto in Rm. Se invece ci distolgono

da Dio, è per colpa di coloro che ne usano stoltamente. Per cui è detto in Sap: Le creatu­

re di Dio sono divenute un laccio per i piedi degli stolti. E il fatto stesso che distolgano -

da Dio attesta che provengono da lui, poiché non svierebbero da lui gli stolti se non li lu­ singassero con qualche lato buono, che pos­ seggono e che ricevono da Dio.

La creazione dei corpi

Q. 65, A. 2 Articulus

2

730 Articolo

2

Utrurn creatura corporalis sit facta propter Dei bonitatern

Le creature materiali sono state fatte per la bontà di Dio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod creatura corporalis non sit facta propter Dei bonitatem. l . Dicitur enim Sap. l [ 1 4], creavit Deus ut esseni omnia. Ergo omnia sunt creata prop­ ter suum proprium esse, et non propter Dei bonitatem. 2. Praeterea, bonum habet rationem finis. Ergo id quod est magis bonum in rebus, est finis minus boni. Creatura autem spiritualis comparatur ad corporalem, sicut maius bo­ num ad minus bonum. Ergo creatura corpo­ ralis est propter spiritualem, et non propter Dei bonitatem. 3. Praeterea, iustitia non dat inaequalia nisi inaequalibus. Sed Deus est iustus. Ergo ante omnem inaequalitatem a Deo creatam, est inaequalitas a Deo non creata. Sed inaequali­ tas a Deo non creata, non potest esse nisi quae est ex libero arbitrio. Ergo omnis inaequalitas sequitur ex diversis motibus liberi arbitrii . Creaturae autem corporales sunt inaequales spiritualibus. Ergo creaturae corporales sunt factae propter aliquos motus liberi arbitrii, et non propter Dei bonitatem. Sed contra est quod dicitur Prov. 16 [4], univer­

Sembra di no. Infatti: l . In Sap è detto: Dio ha creato tutto per l'esi­ stenza. Dunque tutte le cose sono state create per il loro essere, e non in ordine alla bontà di Dio. 2. Il bene ha carattere di fine. Quindi ciò che è più buono è fine di ciò che lo è meno. Ma la creatura spirituale sta a quella materiale come il bene maggiore al minore. Quindi gli esseri materiali saranno ordinati a quelli spirituali, e non alla bontà di Dio. 3. La giustizia non fa distribuzioni disuguali se non a esseri disuguali. Ma Dio è giusto. Esiste perciò una disuguaglianza non creata da Dio che precede ogni altra disuguaglianza creata da lui. Ora, una disuguaglianza che non sia creata da Dio non può derivare che dalla libera volontà. Per conseguenza ogni disugua­ glianza non proviene che da moti diversi del libero arbitrio. Ma le creature materiali non sono uguali a quelle spirituali: dunque sono state create in seguito ad alcuni moti del libe­ ro arbitrio, e non per la bontà di Dio. In contrario: in Pr è detto: Il Signore ha fatto

sa pmpter semetipswn operatus est Dominus.

Respondeo dicendum quod Origenes [De princ. 3,5] posuit quod creatura corporalis non est facta ex prima Dei i ntentione, sed ad poenam creaturae spiritualis peccantis. Posuit enim [De princ. 1 ,6.8; 2,9; 3,5] quod Deus a principio creaturas spirituales solas fecit, et omnes aequales. Quarum, cum essent liberi arbitrii, quaedam conversae sunt in Deum, et secundum quantitatem conversionis sortitae sunt maiorem vel minorem gradum, in sua simplicitate remanentes. Quaedam vero, aver­ sae a Deo, alligatae sunt corporibus diversis, secundum modum aversionis a Deo. Quae quidem positio erronea est. Primo quidem, quia contrariatur Scripturae, quae, enarrata [Gen. l ,3 1 ] productione cuiuslibet speciei creaturae corporalis subiungit, vidit Deus quia hoc esset bonum; quasi diceret quod unum­ quodque ideo factum est, quia bonum est ip­ sum esse. Secundum autem opinionem Orige­ nis, creatura corporalis facta est, non quia

tutte le cose per se stesso.

Risposta: Origene pensò che il mondo mate­ riale non proviene da una prima decisione della volontà divina, ma in seguito al peccato della creatura spirituale, come pena. Egli affer­ mò intatti che Dio da principio fece soltanto gli spiriti, e tutti uguali. Ora, essendo questi dotati di libero arbitrio, alcuni di essi si orien­ tarono verso Dio e, pur rimanendo nella loro semplicità, acquistarono un grado maggiore o minore, in proporzione all' intensità di quel­ l' orientamento. Altri invece si sviarono da lui e vennero relegati in corpi diversi, secondo l'entità del loro distacco. Ora, una simile ipo­ tesi è certamente erronea. Primo, perché con­ trasta con la Scrittura la quale, dopo aver nar­ rato la produzione di tutte le specie degli esseri materiali, soggiunge: E Dio vide che era cosa molto buona, come per dire che ogni cosa fu creata proprio perché la sua esistenza era un bene. Invece, secondo Origene, i corpi furono creati non perché il loro essere era una cosa buona, ma per punire il male di altri. - Secon­ do, perché ne seguirebbe che l'attuale ordina-

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La creazione dei corpi

bonum est eam esse, sed ut malum alterius pu­ niretur. Secundo, quia sequeretur quod mundi corporalis dispositio quae nunc est, esset a casu. Si enim ideo corpus solis tale factum est, ut congrueret alicui peccato spiritualis creatu­ rae puniendo; si plures creaturae spirituales similiter peccassent sicut illa propter cuius peccatum puniendum ponit solem creatum, sequeretur quod essent plures soles in mundo. Et idem esset de aliis. Haec autem sunt omni­ no inconvenientia. Unde haec positione remo­ ta tanquam erronea, considerandum est quod ex omnibus creaturis constituitur totum uni­ versum sicut totum ex partibus . Si autem alicuius totius et partium eius velimus finem assignare, inveniemus primo quidem, quod singulae partes sunt propter suos actus; sicut oculus ad videndum. Secundo vero, quod pars ignobilior est propter nobiliorem; sicut sensus propter intellectum, et pulmo propter cor. Tertio vero, omnes partes sunt propter pertèc­ tionem totius, sicut et materia propter formam, partes enim sunt quasi materia totius. Ulterius autem, totus homo est propter aliquem finem extrinsecum, puta ut fruatur Deo. Sic igitur et in partibus universi, unaquaeque creatura est propter suum proprium actum et perfec­ tionem. Secundo autem, creaturae ignobiliores sunt propter nobiliores sicut creaturae quae sunt infra hominem, sunt propter hominem. Ulterius autem, singulae creaturae sunt propter pertèctionem totius universi. Ulterius autem, totum universum, cum singulis suis partibus, ordinatur in Deum sicut in finem, inquantum in eis per quandam imitationem divina bonitas repraesentatur ad gloriam Dei, quamvis crea­ turae rationales speciali quodam modo supra hoc habeant finem Deum, quem attingere possunt sua operatione, cognoscendo et aman­ do. Et sic patet quod divina bonitas est finis omnium corporalium. Ad primum ergo dicendum quod in hoc ipso quod creatura aliqua habet esse, repraesentat divinum esse et bonitatem eius. Et ideo per hoc quod Deus creavit omnia ut essent, non excluditur quin creaverit omnia propter suam bonitatem. Ad secundum dicendum quod finis proximus non excludit finem ultimum. Unde per hoc quod creatura corporalis facta est quodammo­ do propter spiritualem, non removetur quin sit facta propter Dei bonitatem.

Q. 65, A. 2

mento del mondo materiale proverrebbe dal caso. Se infatti il corpo del sole fu fatto così come è per essere di castigo a un qualche pec­ cato di una creatura spirituale, nel caso che molti spiriti avessero peccato allo stesso modo dovrebbero esservi nel mondo più soli per una corrispondente punizione. E così di seguito. Ma tutto ciò è inammissibile. Scartata dunque tale opinione come erronea, dobbiamo ricor­ dare che l'universo è formato dall'insieme del­ le creature come un tutto dalle sue parti. Ma se noi vogliamo assegnare uno scopo a un tutto e alle sue parti, riscontriamo per prima cosa che le singole parti dicono ordine essenziale alla propria attività, come l'occhio al vedere. Inol­ tre la parte meno nobile è ordinata a quella più nobile, come il senso all'intelligenza e il pol­ mone al cuore. Tutte le parti poi sono subordi­ nate alla perfezione del tutto come la materia alla forma, non essendo le parti che una specie di materia di fronte al tutto. E si aggiunga ancora che l'uomo, nella sua totalità, è orienta­ to verso un fine estrinseco, che è il godimento di Dio. - Così dunque, se consideriamo le parti dell'universo, vediamo che ogni creatura dice ordine alla propria attività e perfezione, e che gli esseri meno nobili sono subordinati a quell i più nobili: come le creature inferiori all'uomo sono per l'uomo. Inoltre le singole creature servono alla perfezione dell' universo, il quale nel suo complesso e nelle singole parti è ordinato a Dio come a suo fine, in quanto risplende in esse una certa immagine della bontà divina, per la gloria di Dio. Si noti però che le creature razionali hanno Dio come loro fine in una maniera speciale, al di sopra di quanto abbiamo detto, giacché possono rag­ giungere Dio con la loro operazion,e propria, cioè conoscendolo e amandolo. E dunque chiaro che la bontà divina è lo scopo di tutti gli esseri materiali. Soluzione delle difficoltà: l. Per il fatto stesso che una creatura possiede l 'essere, porta l'im­ magine dell'essere divino e della sua bontà. E così, per il fatto che Dio ha creato tutte le cose affinché esistessero, non si viene a escludere che le abbia create anche per la sua bontà. 2. n fine prossimo non esclude quello ultimo. Se quindi le creature materiali sono state fatte, in un certo senso, per quelle spirituali, non si esclude che siano state fatte anche per la bontà di Dio.

Q. 65, A. 2

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Ad tertium dicendum quod aequalitas iusti­ tiae locum habet in retribuendo, iustum enim est quod aequalibus aequalia retribuantur. Non autem habet Iocum in prima rerum insti­ tutione. Sicut enim artifex eiusdem generis lapides i n diversis partibus aedificii ponit absque iniustitia, non propter aliquam diversi­ tatem in lapidibus praecedentem, sed atten­ dens ad perfectionem totius aeditìcii, quae non esset nisi lapides diversimode in aedificio collocarentur; sic et Deus a principio, ut esset perfectio in universo, diversas et inaequales creaturas instituit, secundum suam sapien­ tiam, absque iniustitia, nulla tamen praesup­ posita meritorum diversitate.

3. L' uguaglianza relativa alla giustizia ha luo­ go sul piano della retribuzione, poiché è giu­ sto che a uguali meriti siano date uguali retri­ buzioni. Ma ciò non ha valore se parliamo del primo ordinamento degli esseri. Infatti il mu­ ratore non lede la giustizia quando colloca in parti diverse pietre dello stesso genere senza che ci sia in esse una qualche diversità antece­ dente: egli bada infatti alla perfezione di tutto l ' edificio, cosa questa irrealizzabile se le pie­ tre non vengono sistemate in posizioni diver­ se. E così anche Dio, volendo realizzare la perfezione dell'universo, formò tante creature diverse e disuguali, secondo il piano della sua sapienza, senza commettere ingiustizia, pur non essendoci stata una diversità di meriti.

Articulus 3 Utrum creatura corporalis sit producta a Deo mediantibus angelis

Articolo 3 Le creature materiali sono state create da Dio per mezzo degli angeli?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod crea­ tura corporalis sit producta a Deo mediantibus angelis. l . Sicut enim res gubernantur per divinam sapientiam, ita omnia sunt per Dei sapientiam facta; secundum illud Psalrni 103 [24], omnia in sapientia fecisti. Sed ordinare est sapientis, ut dicitur in principio Met. [ l ,2,3]. Unde in gubernatione rerum, inferiora per superiora reguntur quodam ordine, ut Augustinus dicit, 3 De Trin . [4]. Ergo et in rerum productione talis ordo fui t , quod creatura corporalis, tanquam inferior, per spiritualem, tanquam superiorem, est producta. 2. Praeterea, diversitas effectuum demonstrat diversitatem causarum, quia idem semper facit idem. Si ergo ornnes creaturae, tam spiri­ tua} es quam corporales, sunt immediate a Deo productae, nulla esset inter creaturas di­ versitas, nec una magis distaret a Deo quam alia. Quod patet esse falsum, cum propter longe distare a Dea dicat philosophus [De ge­ ner. 2, l O,7] quaedam corruptibilia esse. 3. Praeterea, ad producendum effectum fini­ tum, non requiritur virtus intinita. Sed omne corpus finitum est. Ergo per finitam virtutem spirituali s creaturae produci potuit; et pro­ ductum fuit, quia in talibus non differt esse et posse; praesertim quia nulla dignitas compe­ tens alicui secundum suam naturam, ei dene­ gatur, nisi forte ob culpam.

Sembra di sì. Infatti: l . Come gli esseri sono regolati dalla sapienza divina, così sono stati fatti dalla medesima sa­ pienza, secondo le parole del Sal: Tutto haifatto con sapienza. Ora, «è ufficio proprio del sa­ piente mettere ordine», come dice Aristotele. Quindi, nel governo delle realtà create, le infe­ riOii sono rette dalle superiori con un cetto ordi­ ne, come dice Agostino. Di conseguenza vi fu anche nella loro produzione un ordinamento tale per cui i corpi, essendo inferiori, vennero prodotti dagli spiriti, come da esseri superiori. 2. La diversità degli effetti svela la diversità delle cause, poiché una stessa cosa produce sempre effetti identici. Se dunque tutte le creature, sia spirituali che materiali, fossero state prodotte immediatamente da Dio, non vi sarebbe diversità di sorta fra di esse, né l ' un a sarebbe più distante dell'altra da Dio. Ma ciò è falso, poiché il Filosofo insegna che certi es­ seri sono corruttibili «a causa della loro gran­ de distanza da Dio». 3. Per produrre un effetto finito non si richie­ de una potenza infinita. Ma ogni corpo è fini­ to. Poté dunque essere prodotto dalla potenza limitata di uno spirito. E di fatto avvenne così, poiché in tali creature I' essere non differisce dal potere, specialmente se consideriamo che a nessuno viene negata una dignità dovutagli per natura se non c'è di mezzo una colpa. In contrario: in Gen è detto: In principio Dio

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Sed contra est quod dicitur Gen. l [ l ] , in principio creavit Deus caelum et terram, per quae creatura corporali s intelligitur. Ergo creatura corporali s est i mmedi ate a Deo producta. Respondeo dicendum quod quidam posuerunt gradatim res a Deo processisse, ita scilicet quod ab eo immediate processit prima crea­ tura, et illa produxit aliam; et sic inde usque ad creaturam corpoream. Sed haec positio est impossibilis. Quia prima corporalis creaturae productio est per creationem per quam etiam ipsa materia producitur, imperfectum enim est prius quam perfectum in fieri impossibile est autem aliquid creari nisi a solo Deo. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod quanto aliqua causa est superior, tanto ad plura se extendit in causando. Semper autem id quod substernitur in rebus, invenitur communius quam id quod informat et restringit ipsum, si­ cut esse quam vivere, et vivere quam intelli­ gere, et materia quam forma. Quanto ergo aliquid est magis substratum, tanto a superiori causa directe procedit. Id ergo quod est primo substratum in omnibus, proprie pertinet ad causalitatem supremae causae. Nulla igitur secunda causa potest aliquid producere, non praesupposito in re producta aliquo quod causatur a superiori causa. Creatio autem est productio alicuius rei secundum suam totam substantiam, nullo praesupposito quod sit vel increatum vel ab aliquo creatum. Unde relin­ quitur quod nihil potest aliquid creare nisi solus Deus, qui est prima causa. Et ideo ut Moyses ostenderet corpora omnia immediate a Deo creata, dixit, in principio creavit Deus

caelum et terram. Ad primum ergo dicendum quod in produc­ tione rerum est aliquis ordo, non quidem ut una creatura creetur ab alia (hoc enim impos­ sibile est) ; sed ita quod ex divina sapientia diversi gradus in creaturis, constituuntur. Ad secundum dicendum quod ipse Deus unus, absque suae simplicitatis detrimento, diversorum cognoscitivus est, ut supra [q. 1 5 a. 2] ostensum est. Et ideo etiam est, secun­ dum diversa cognita, diversorum producto­ rum causa per suam sapientiam, sicut et arti­ fex, apprehendendo diversas formas, producit diversa artificiata. Ad tettium dicendum quod quantitas virtutis agentis non solum mensuratur secundum rem

Q. 65, A. 3

creò il cielo e la terra: parole che si riferisco­

no al mondo dei corpi. Quindi esso è stato prodotto immediatamente da Dio. Risposta: alcuni supposero che le creature siano derivate gradatamente da Dio in questa maniera: la prima creatura venne immediata­ mente da lui, questa poi ne produsse un' altra e via di seguito fino alla creatura materiale. Ma questa idea non è sostenibile, dato che la prima produzione dell' essere materiale deve avvenire mediante la creazione, che sola può dare origine anche alla materia: intàtti nel pro­ cesso evolutivo degli esseri l'imperfetto pre­ cede il perfetto. Ora, è impossibile che un ente qualsiasi venga creato se non da Dio solo. Per ben comprendere questo punto, si deve consi­ derare che quanto più una causa è elevata, tanto maggiore è il campo a cui si estende la sua attività. D'altra parte noi riscontriamo che ciò che sta più a fondo nell'essenza delle cose è più comune di ciò che dà loro la forma e le rende meno universali: come l 'essere è più universale del vivere, il vivere dell' intendere e la materia della forma. Quindi, quanto più una realtà si trova in un piano inferiore nella natura di una cosa, tanto più direttamente procede da una causa superiore. Allora quel sostrato pri­ mordiale che si trova in tutte le cose dovrà es­ sere collegato, in senso stretto, alla causalità della suprema tra le cause. Quindi nessuna causa seconda potrà mai produrre un qualsivo­ glia effetto senza presupporre qualcosa che derivi dalla causa superiore. - Ora, la creazio­ ne è la produzione di un essere in tutta la sua sostanza, senza presupporre una qualche enti­ tà, sia increata, sia creata da altli. Rimane quindi che nessuno può creare all' infuori di Dio, il quale è la causa prima. Per tale ragione, volendo Mosè mostrare che tutti i cotpi furono creati immediatamente da Dio, disse: In prin­

cipio Dio creò il cielo e la terra. Soluzione delle difficoltà: l . Nella produzione delle creature vi è un certo ordine non nel senso che una sia creata dall' altra, essendo ciò impossibile, ma in quanto la sapienza di­ vina ha stabilito gradi diversi nelle creature. 2. Già vedemmo come Dio, sebbene sia uno in se stesso, conosca tuttavia oggetti diversi, senza danno della sua semplicità. Ora, in di­ pendenza da questa diversificazione della sua conoscenza, egli è pure causa di esseli diversi mediante la sua sapienza: come anche l ' arte:fi-

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factam, sed etiam secundum modum faciendi, quia unum et idem aliter fit et a maiori, et a minori virtute. Producere autem aliquid fini­ tum hoc modo ut nihil praesupponatur, est virtutis infinitae. Unde nulli creaturae compe­ tere potest.

Articulus

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ce, ideando modelli diversi, produce opere diverse. 3. n grado di una potenza attiva non si misura solo dall' effetto prodotto, ma anche dal modo di operare, poiché un effetto identico viene prodotto in maniera diversa da due potenze che siano una maggiore e l ' altra minore. Ora, [solo] una potenza infinita ha la proprietà e­ sclusiva di produrre, senza presupposti di sorta, un effetto finito. n che dunque non po­ trà competere ad alcuna creatura. Articolo 4

Utrum formae corporum sint ab angelis

Le forme dei corpi provengono dagli angeli?

Ad quartum sic proceditur. Vìdetur quod for­ mae corporum sint ab angelis. l . Dicit enim Boetius, in libro De Trin. [2], quod a formis quae sunt sine materia, veniunt formae quae sunt in materia. Formae autem quae sunt sine materia, sunt substantiae spiri­ tuales, formae autem quae sunt in materia, sunt formae corpomm. Ergo formae corpo­ rum sunt a spiritualibus substantiis. 2. Praeterea, omne quod est per participatio­ nem, reducitur ad id quod est per essentiam. Sed spirituales substantiae per suam essentiam sunt fonnae, creaturae autem corporales par­ ticipant formas. Ergo formae corporalium re­ rum sunt a spiritualibus substantiis derivatae. 3. Praeterea, spirituales substantiae magis habent virtutem causandi quam corpora cae­ lestia. Sed corpora caelestia causant formas in istis inferioribus, unde dicuntur esse genera­ tionis et corruptionis causa. Ergo multo magis a spiritualibus substantiis formae quae sunt in materia, derivantur. Sed contra est quod Augustinus dicit, 3 De Trin. [8], quod non est putandum angelis ad

Sembra di sì. Infatti : l . Secondo Boezio, «le forme legate alla ma­ teria derivano da quelle che sono senza mate­ ria». Ma queste sono le sostanze spirituali, mentre le prime sono le forme dei corpi. Quindi queste ultime provengono dalle so­ stanze spirituali. 2. Thtto ciò che possiede un essere derivato va ricondotto ali' essere per essenza. Ma gli spiriti sono forme per essenza, mentre i corpi partecipano le forme. Quindi le forme dei corpi sono derivate dagli spiriti. 3. Le sostanze spitituali posseggono una virtù attiva supetiore a quella dei corpi celesti. Ma questi corpi causano le forme nel nostro mon­ do inferiore, per cui li diciamo causa della ge­ nerazione e della corruzione dei corpi. A mag­ gior ragione, dunque, le forme che sono nella materia derivano dalle sostanze spirituali. In contrario: Agostino dice: «Non si creda che questa materia corporea sia soggetta al semplice cenno degli angeli, ma solo al cenno di Dio». Ora, noi diciamo che la materia dei corpi è sottoposta al semplice cenno di qual­ cuno se da questi riceve la specie. Quindi le forme dei corpi non vengono dagli angeli, ma da Dio. Risposta: alcuni pensarono che tutte le forme dei corpi derivino dalle sostanze spirituali, che noi chiamiamo angeli . E tale opinione s i presenta sotto due aspetti. Platone infatti sup­ pose che le forme dei corpi siano derivate e costituite dalle forme che sussistono senza materia mediante una partecipazione. Egli po­ neva, p. es., l'esistenza di un uomo sussistente senza materia; e affermava la stessa cosa del

nutum servire hanc cmporalem materiam, sed potius Deo. Illi autem ad nutum dicitur servire corporalis materia, a quo speciem recipit. Non ergo formae corporales sunt ab angelis, sed a Deo. Respondeo dicendum quod opinio fuit quo­ rundam quod omnes formae corporales de­ riventur a substantiis spiritualibus quas an­ gelos dicimus. Et hoc quidem dupliciter aliqui posuerunt. Plato [cf. Met. 1 ,9, 1 1] enim posuit formas quae sunt in materia corporali, deriva­ ri et formari a fonnis sine materia subsistenti-

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La creazione dei corpi

bus, per modum participationis cuiusdam. Po­ nebat enim hominem quendam immaterialiter subsistentem, et similiter equum, et sic de aliis, ex quibus constituuntur haec singularia sensi­ bilia, secundum quod in materia corporali re­ manet quaedam impressio ab illis formis se­ paratis, per modum assimilationis cuiusdam, quam participationem vocabat. Et secundum ordinem formarum ponebant Platonici [De causis l ] ordinem substantiarum separatarum, puta quod una substantia separata est quae est equus, quae est causa omnium equorum; su­ pra quam est quaedam vita separata, quam dicebant per se vitam et causam omnis vitae; et ulterius quandam quam nominabant ipsum esse, et causam omnis esse. Avicenna vero [Met. tract. 7,2] et quidam alii [Fons V. 3,23] non posuerunt formas rerum corporalium in materia per se subsistere, sed solum in intellec­ tu. A formis ergo in intellectu creaturarum spiritualium existentibus (quas quidem ipsi intelligentias, nos autem angelos dicimus), dicebant procedere omnes formas quae sunt in materia corporali, sicut a formis quae sunt in mente artificis, procedunt formae artificia­ torum. Et in idem videtur redire quod quidam moderni haeretici ponunt, dicentes quidem Deum creatorem omnium, sed materiam cor­ poralem a diabolo f01matam et per varias spe­ cies distinctam. Omnes autem hae opiniones ex una radice processisse videntur. Quaere­ bant enim causam formarum, ac si ipsae for­ mae fierent secundum seipsas. Sed sicut pro­ bat Aristoteles in 7 Met. [6,8,3], id quod pro­ prie fit, est compositum, formae autem cor­ ruptibilium rerum habent ut aliquando sint, aliquando non sint, absque hoc quod ipsae generentur aut corrumpantur, sed compositis generatis aut corruptis, quia etiam formae non habent esse, sed composita habent esse per eas, sic enim alicui competit fieri, sicut et esse. Et ideo, cum simile fiat a suo simili, non est quaerenda causa formarum corporalium aliqua forma immaterialis; sed aliquod compositum, secundum quod hic ignis generatur ab hoc igne. Sic igitur fonnae corporales causantur, non quasi influxae ab aliqua immateriali for­ ma, sed quasi materia reducta de potentia in actum ab aliquo agente composito. Sed quia agens compositum, quod est corpus, movetur a substantia spirituali creata, ut Augustinus dicit 3 De Trin. [4]; sequitur ulterius quod

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cavallo e di tutti gli altri esseri che formano queste singole entità sensibili, secondo che nella materia dei corpi resta come un'impres­ sione prodotta da quelle forme separate, a mo­ do di somiglianza, che egli chiamava parte­ cipazione. E parallela alla setie delle forme i Platonici ponevano una setie di sostanze sepa­ rate: esisterebbe, p. es., una sostanza separata, il cavallo, causa di tutti i cavalli, e sopra di essa una certa vita separata, che chiamavano vita per se stessa, causa di ogni vita; e così pro­ cedendo arrivavano a una [sostanza] che chia­ mavano l'essere stesso, causa di ogni essere. Avicenna, invece, con qualche altro, sostenne che queste forme dei corpi non sussistono in se stesse, ma solo nelle intelligenze. Quindi co­ storo dicevano che tutte le forme dei corpi deti­ vavano dalle forme che si trovano nella mente delle creature spitituali (che essi chiamavano Intelligenze e noi angeli), come appunto dalla mente dell'artefice sorgono le forme delle sue opere. - E in fondo sembra che con essi con­ cordino certi moderni eretici, i quali dicono che, pur essendo Dio creatore di tutto, tuttavia la materia dei corpi sarebbe stata formata e distinta in varie specie dal diavolo. Ora, queste opinioni scatutiscono da una radice unica. Co­ storo infatti vanno in cerca di una causa delle forme come se le forme siano prodotte per se stesse. Aristotele, invece, prova che proptia­ mente viene prodotto il composto [di materia e di forma], mentre le forme dei corpi corruttibili passano dall'essere al non essere senza venire generate e senza corrompersi, poiché è tutto il composto che viene generato o si dissolve. Infatti tali forme non hanno l'essere, ma è il composto che lo ha per mezzo di esse: poiché il venire all'esistenza compete a una cosa nello stesso modo in cui le compete l'essere. Ora, siccome effetti simili provengono da cause si­ mili, non si ha da ricercare la causa delle forme materiali in una causa immateriale, ma in un composto: questo fuoco, p. es., è originato da quest'altro fuoco. Tale è dunque il processo produttivo delle forme materiali: esse non ven­ gono infuse da una forma immateriale, ma la materia viene attuata da una causa agente com­ posta [di materia e di forma]. Siccome però la causa agente composta, cioè il corpo, è mossa dalla sostanza spirituale creata, come afferma Agostino, ne segue che anche le forme mate­ riali dipendono dalle sostanze spirituali, non

La creazione dei corpi

Q. 65, A. 4

etiam for m ae c orporales a s u b s tantii s spiritualibus deriventur, non tanquam influen­ tibus formas, sed tanquam moventibus ad formas. Ulterius autem reducuntur in Deum, sicut in primam causam, etiam species angeli­ ci intellectus, quae sunt quaedam seminales rationes corporalium formamm. In prima autem corporalis creaturae productione non consideratur aliqua transmutatio de potentia in actum. Et ideo formae corporales quas in prima productione corpora habuerunt, sunt immediate a Deo productae, cui soli ad nu­ tum obedit materia, tanquam propriae causae. Unde ad hoc significandum, Moyses singulis operibus praemittit, dixit Deus fiat hoc vel illud; in quo significatur formatio rerum per Verbum Dei facta, a quo, secundum Augusti­ num [In Ioan. tract. l ], est omnis forma et

compago et concordia partium.

Ad primum ergo dicendum quod Boetius in­ telligit per formas guae sunt sine materia, ra­ tiones rerum guae sunt in mente divina, sicut etiam apostolus dicit, Heb. 1 1 [3], fide credi­

mus aptata esse saecula verbo Dei, ut ex invisibilibus visibiliafierent. Si tamen per for­

mas guae sunt sine materia, intelligit angelos, dicendum est quod ab eis veniunt formae guae sunt in materia, non per influxum, sed per motum. Ad secundum dicendum quod formae partici­ patae in materia reducuntur, non ad formas aliquas per se subsistentes rationis eiusdem, ut Platonici posuerunt; sed ad formas intelli­ gibiles vel intellectus angelici, a quibus per motum procedunt; vel ulterius ad rationes in­ tellectus divini, a quibus etiam formarum se­ mina sunt rebus creatis indita, ut per motum in actum educi possint. Ad tertium dicendum quod corpora caelestia causant formas in istis inferioribus, non in­ fluendo, sed movendo.

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nel senso che queste infondano le forme, ma perché muovono attivamente verso di esse. Al­ la fine, però, anche le specie della mente an­ gelica, che sono in qualche modo le ragioni se­ minati delle forme corporee, devono essere ri­ portate a Dio, come alla causa prima. Se però ci riferiamo alla prima produzione dei corpi, non dobbiamo cercarvi un passaggio dalla po­ tenza all'atto. E così le forme che allora essi ebbero furono prodotte immediatamente da Dio, che è il solo al quale la materia obbedisce all'istante, come alla sua causa propria. Per cui, volendo Mosè indicare questa verità, premette a ogni atto creativo: «Dio disse: sia fatto questo o quello»; nelle quali parole è indicata la for­ mazione delle cose effettuata dal Verbo di Dio dal quale, secondo Agostino, proviene «ogni forma, connessione e concordanza di parti». Soluzione delle difficoltà: l . Parlando di for­ me senza materia, Boezio intende solo quelle idee delle cose che esistono nella mente divi­ na, come anche è detto in Eh: Per fede sap­

piamo che i mondi furono fonnati dalla paro­ la di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede. Se invece per -

forme senza materia intende gli angeli, biso­ gna rispondere che da essi provengono le for­ me materiali non per via di infusione, ma me­ diante il moto [degli astii] . 2. Le forme ricevute dalla materia non vanno ricondotte a forme sussistenti della medesima natura, come volevano i Platonici, ma alle for­ me intenzionali della mente angelica, da cui derivano mediante il moto [astrale]; oppure alle idee dell'intelligenza divina, dalle quali derivano per infusione anche nelle cose create i semi delle forme, affinché queste possano poi venire all'esistenza per mezzo del moto. 3. I corpi celesti causano le forme tra i corpi di questo mondo più basso non mediante un'infusione, ma mediante una mozione.

QUAESTI0 66

QUESTIONE 66

DE ORDINE CREATIONIS AD DISTINCTIONEM

L' ORDINE DELLA CREAZIONE IN RAPPORTO ALLA DISTINZIONE

Deinde considerandum est de opere distinctio­ nis. Et primo considerandum est de ordine creationis ad distinctionem; secundo, de ipsa distinctione secundum se [q. 67]. Circa pri­ mum quaeruntur quatuor. Primo, utrum infor-

Dobbiamo ora studiare l'opera della distin­ zione. Prima esamineremo l' ordine del l a creazione in relazione a questa distinzione, poi la distinzione presa in se stessa. Sul primo punto si pongono quattro quesiti: l . L'infor-

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L 'ordine della creazione in rapporto alla distinzione

mitas materiae creatae praecesserit tempore distinctionem ipsius. Secundo, utrum sit una materia omnium corporalium. Tertio, utrum caelum empyreum sit concreatum materiae in­ formi. Quarto, utrum tempus sit eidem con­ creatum.

Q. 66, A. l

mità della materia creata ha prece4uto in ordine di tempo la sua formazione? 2. E unica la materia di tutti i corpi? 3. n cielo empireo è stato creato insieme con la materia informe? 4. Anche il tempo è stato creato insieme con essa?

Articulus l

Articolo l

Utrum informitas materiae tempore praecesserit formationem ipsius

Lo stato informe della materia ha preceduto in ordine di tempo la sua formazione?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in­ formitas materiae tempore praecesserit for­ mationem ipsius. l . Dicitur enim Gen. l [2], terra erat inanis et vacua, sive invisibilis et incomposita, secundum aliam litteram [LXX] ; per quod designatur informitas materiae, ut Augustinus dicit [Conf. 1 2, 1 2; Super Gen. 2, 1 1 ] . Ergo materia fuit aliquando i nformis, antequam formaretur. 2. Praeterea, natura in sua operatione Dei operationem imitatur; sicut causa secunda imitatur causam primam. Sed in operatione naturae informita...:; tempore praecedit forma­ tionem. Ergo et in operatione Dei. 3. Praeterea, materia potior est accidente, quia materia est pars substantiae. Sed Deus potest facere quod accidens sit sine subiecto; ut patet in sacramento altaris. Ergo potuit facere quod materia esset sine forma. Sed contra, imperfectio eftèctus attestatur im­ perfectioni agentis. Sed Deus est agens perfec­ tissimum, unde de eo dicitur, Deut. 32 [4], Dei peifecta sunt opera. Ergo opus ab eo creatum nunquam fuit informe. Praeterea, creaturae corporalis formatio facta fuit per opus distinctionis. Distinctioni autem opponitur confusio, sicut et formationi infor­ mitas. Si ergo informitas praecessit tempore formationem materiae, sequitur a principio fuisse confusionem corporalis creaturae, quam antiqui vocaverunt chaos. Respondeo dicendum quod circa hoc sunt di­ versae opiniones sanctorum. Augustinus [Conf. 1 2,29; Super Gen. l , 1 5] enim vult quod informitas materiae corporalis non prae­ cesserit tempore formationem ipsius, sed solum origine vel ordine naturae. Alii vero, ut Basilius [In Hex. h. 2], Ambrosius [In Hex. 1 ,7] et Chrysostomus [In Gen. h. 2], volunt quod informitas materiae tempore praecesse-

Sembra di sì. Infatti: l . In Gen è detto: La terra era informe e deserta, oppure, secondo un'altra versione [LXX], era invisibile e disordinata. Queste parole indicano lo stato inf01me della materia, come dice Agostino. Ci fu quindi un tempo nel quale la materia, prima di essere «forma­ ta», era informe. 2. La natura, nel suo operare, imita l'opera­ zione di Dio come la causa seconda imita la causa prima. Ma nelle operazioni della natura noi vediamo che lo stato informe precede, in ordine di tempo, la «formazione». Lo stesso dunque avverrà nell'operazione di Dio. 3. La materia è superiore all'accidente, essen­ do parte della sostanza. Ma Dio può far sì che l'accidente esista senza il suo soggetto sostan­ ziale, come accade nel sacramento dell'altare. Egli poté dunque far sì che la materia esistes­ se senza la forma. In contrario: l . L' imperfezione dell'effetto at­ testa l'imperfezione della causa agente. Ora, Dio è un agente perfettissimo, per cui è detto in Dt: Pe1jetta è l'opera sua. Quindi l'opera della sua creazione non fu mai informe. 2. La formazione del creato materiale fu fatta mediante l' opera della distinzione, a cui si oppone la confusione, come lo stato informe si oppone alla «formazione». Se dunque in ordine di tempo lo stato informe precedette la «formazione» della materia, ne segue che da principio si ebbe quella confusione del creato materiale che gli antichi chiamarono caos. Risposta: su questo punto le opinioni dei santi dottori divergono tra loro. Agostino pensa che lo stato informe della materia corporea abbia preceduto la sua «formazione» non in ordine di tempo, ma solo di origine, cioè di natura. Altri, come Basilio, Ambrogio e il Crisostomo, stan­ no per una precedenza di tempo. Ora, sebbene

Q. 66, A. l

L 'ordine della creazione in rapporto alla distinzione

rit formationem. Et quamvis hae opiniones videantur esse contrariae, tamen parum ab invicem differunt, aliter enim accipit informi­ tatem materiae Augustinus quam alii. Augus­ tinus enim accipit informitatem materiae pro carentia omnis fmmae. Et sic impossibile est dicere quod informitas materiae tempore praecesserit vel formationem ipsius, vel dis­ tinctionem. Et de formatione quidem mani­ festum est. Si enim materia infmmis praeces­ sit duratione, haec erat iam in actu, hoc enim duratio importat, creationis enim terminus est ens actu. Ipsum autem quod est actus, est forma. Dicere igitur materiam praecedere sine forma, est dicere ens actu sine actu, quod implicat contradictionem. Nec etiam potest dici quod habuit aliquam formam commu­ nem et postmodum supervenerunt ei formae diversae, quibus sit distincta. Quia hoc esset idem cum opinione antiquorum Naturalium [Phys. l ,4, l ], qui posuerunt materiam pri­ mam esse aliquod corpus in actu, puta ignem, aerem aut aquam, aut aliquod medium. Ex quo sequebatur quod fieri non esset nisi alte­ rari. Quia cum illa forma praecedens daret esse in actu in genere substantiae, et faceret esse hoc aliquid; sequebatur quod superve­ niens fonna non faceret simpliciter ens actu, sed ens actu hoc, quod est proprium fonnae accidentalis; et sic sequentes formae essent accidentia, secundum quae non attenditur generatio, sed alteratio. Unde oportet dicere quod materia prima neque fuit creata omnino sine forma, neque sub forma una communi, sed sub formis distinctis. Et ita, si informitas materiae referatur ad conditionem primae ma­ teriae, quae secundum se non habet aliquam formam, informitas materiae non praecessit formationem seu distinctionem ipsius tempo­ re, ut Augustinus dicit, sed origine seu natura tantum, eo modo quo potentia est prior actu, et pars toto. Alii vero sancti accipiunt infor­ m i tatem , non secundum quod excludit omnem formam, sed secundum quod excludit istam formositatem et decorem qui nunc ap­ paret in corporea creatura. Et secundum hoc dicunt quod informitas materiae corporalis duratione praecessit formationem eiusdem. Et sic secundum hoc, quantum ad aliquid cum eis Augustinus concordat, et quantum aliquid discordat, ut infra [q. 69 a. l ; q. 74 a. 2] pate­ bit. Et quantum ex littera Genesis l [2], accipi

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tali opinioni sembrino contraddirsi, tuttavia la divergenza è piccola, dato che Agostino per stato informe intende una cosa diversa dagli altri. Secondo lui, infatti, lo stato informe della materia indica la mancanza di qualsiasi forma. E così è impossibile ammettere che questa infonnità abbia avuto una precedenza di tempo tanto sulla sua >. Infatti per non escludere la pluralità dei luoghi occupati dali ' acqua s i aggiunge: Chiamò la massa delle acque mare. 4. n comando di Dio imprime ai corpi [nien­ t' altro che] il loro movimento naturale, per cui è detto nel Sal che essi con i loro movimenti obbediscono alla sua parola. - O si può anche affermare che sarebbe cosa naturale per le acque avvolgere completamente la terra, così come l'aria avvolge del tutto l'acqua e la terra,

L 'opera del terzo giorno

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non solum in Genesi, sed etiam in Iob 3 8 [ 1 0], ubi ex persona Domini dicitur, circum­ dedi mare terminis meis; et Ier. 5 [22], me

ergo non timebitis, ait Dominus, qui posui arenam terminum mari? Ad quintum dicendum quod, secundum Au­ gustinum [De Geo. c. Man. 1 ,7. 1 2] , per terram de qua primo fiebat mentio, intelligitur mate­ r i a prima, nunc autem i ntelligitur ipsum elementum tenae. Vel potest dici, secundum Basilium [In Hex. h. 4], quod primo nomina­ batur terra secundum naturam suam, nunc autem nominatur ex sua principali proprietate, quae est siccitas. Unde dicitur quod vocavit aridam, terram. Vel potest dici, secundum Rabbi Moysen [Perplex. 2,30], quod ubicum­ que dicitur vocavit, significatur aequivocatio nominis. Unde prius dictum est quod vocavit lucem, diem, propter hoc quod etiam dies vocatur spatium vigintiquatuor horarum, se­ cundum quod ibidem dicitur, factum est vespere et mane dies unus. Sirniliter dicitur quod fi1mamentum, idest aerem, vocavit cae­ lum, quia etiam caelum dicitur quod est primo creatum. Similiter etiam dicitur hic quod ari­ dam, idest illam partem quae est discooperta aquis, vocavit terram, prout distinguitur contra mare, quamvis communi nomine terra voce­ tur, sive sit aquis cooperta, sive discooperta. Intelligitur autem ubique per hoc quod dicitur vocavit, idest, dedit naturam vel proprietatem ut possit sic vocari.

Articulus

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Q. 69, A. l

ma era necessario che parte di questa fosse scoperta affinché gli animali e le piante potes­ sero vivere sopra di essa. E questo fatto viene attribuito da alcuni filosofi all'azione del sole, che avrebbe prosciugato la tena col sollevare i vapori. Invece la Sctittura lo fa risalire al pote­ re divino, non soltanto nella Genesi, ma anche in Gb, dove si dice in persona di Dio: Ho fis­ sato al mare i miei confini. E in Ger. Voi non

mi temerete? Dice il Signore, io che ho posto la sabbia per confine al mare? 5. Secondo Agostino, la terra di cui si fa men­ zione all'inizio indica la materia prima, men­ tre i n questo passo i ndicherebbe proprio l'elemento terra. - Si potrebbe anche rispon­ dere, con Basilio, che la prima volta la tena prende i l nome dalla sua natura, mentre i n questo caso viene così denominata i n base alla sua proprietà principale, che è l'aridità. Si può ancora rispondere, con Mosè Maimo­ nide, che dovunque si dice chiamò viene se­ gnalata un' ambiguità nel termine indicato. Per cui prima si era detto che «chiamò giorno la luce» per il fatto che propriamente si chia­ ma giorno lo spazio di ventiquattro ore, come pure leggiamo nello stesso testo: «E fu sera e fu mattina, un giorno». Parimenti si legge che «chiamò cielo il fumamento», cioè l'aria, per­ ché era stato chiamato cielo anche il primo essere creato. E anche qui abbiamo che «chia­ mò terra l' asciutto», cioè la parte non coperta dalle acque, per distinguerla dal mare: anche se comunemente si chiama terra quell' ele­ mento sia quando è coperto sia quando non è coperto dalle acque. - Comunque l' espressio­ ne chiamò sta sempre a indicare che Dio diede la natura o le proprietà perché una data cosa potesse chiamarsi in tal modo. Articolo

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Utrum plantarum productio convenienter tertia die facta legatur

È conveniente attribuire al terzo giorno

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod plantarum productio inconvenienter tertia die facta legatur. l . Plantae enim habent vitam sicut et anima­ lia. Sed productio animalium non ponitur inter opera distinctionis, sed pertinet ad opus omatus. Ergo nec productio plantarum com­ memorari debuit in tertia die, quae pertinet ad opus distinctionis.

Sembra di no. Infatti: l . Le piante posseggono la vita, come gli ani­ mali. Ora, la produzione degli animali non vie­ ne annoverata tra le opere della distinzione, ma appartiene piuttosto all'opera di abbellimento. Quindi non la si doveva menzionare al terzo giorno, che è limitato all'opera di distinzione. 2. Ciò che è derivato dalla maledizione della terra non doveva essere ricordato assieme alla

la produzione delle piante?

Q. 69, A. 2

L 'opera del terzo giorno

2. Praeterea, illud quod pertinet ad maledic­

tionem terrae, non debuit commemorati cum formatione terrae. Sed productio quarundam plantarum pertinet ad maledictionem terrae; secundum illud Gen. 3 [ 1 7- 1 8] , maledicta

terra in opere tuo, spinas et tribulos germina­ bit tibi. Ergo productio plantarum universa­

liter non debuit commemorari in tertia die, quae pertinet ad formationem terrae. 3. Praeterea, sicut plantae adhaerent terrae, ita etiam lapides et metalla; et tamen non fit mentio de eis in terrae formatione. Ergo nec plantae fieri debuerunt tertia die. Sed contra est quod dicitur Gen. l [ 12], protulit terra herbam virentem; et postea sequitur [ 1 3],

factum est vespere et mane dies te11ius.

Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. l ] dictum est, i n tertia die informitas terrae re­ movetur. Duplex autem informitas circa ter­ ram describebatur, una, quod erat invisibilis vel inanis, quia erat aquis cooperta; alia, quod erat incomposita sive vacua, idest non habens debitum decorem, qui acquiritur terrae ex plantis eam quodammodo vestientibus. Et ideo utraque informitas in hac tertia die remo­ vetur, prima quidem, per hoc quod aquae congregatae sunt in unum locum, et apparuit arida; secunda vero, per hoc quod protulit tetTa herbam virentem. Sed tamen circa pro­ ductionem plantarum, aliter opinatur Augusti­ nus ab aliis. Alii enim expositores dicunt quod p l antae productae sunt actu i n suis speciebus in hac tertia die, secundum quod superficies litterae sonat. Augustinus autem, 5 Super Gen. [4; 8,3], dici t quod causa/iter tunc

dictum est produxisse terram herbam et lig­ num, idest producendi accepisse vù1Utem. Et hoc quidem confirmat auctoritate Scripturae. Dicitur enim Gen. 2 [4-5], istae sunt genera­

tiones caeli et terrae, quando creata sunt, in die quo Deus fecit caelum et terram, et omne virgultum agri, antequam oriretur in terra, omnemque herbam regionis, priusquam ger­ minare!. Ante ergo quam orirentur super terram, factae sunt causaliter in terra. Confir­ mat autem hoc etiam ratione. Quia in illis primis diebus condidit Deus creaturam origi­ naliter vel causaliter, a quo opere postmodum requievit, qui tamen postmodum, secundum administrationem rerum conditarum per opus propagationis, usque modo operatur [Ioan. 5 ,17]. Producere autem plantas ex terra, ad

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«formazione» di essa. Ma la produzione di certe piante è derivata dalla maledizione della terra, secondo il passo di Gen: Maledetto sia il suolo per causa tua [ ... ]. Spine e cardi pro­ durrà per te. Quindi la produzione delle pian­ te non doveva assegnarsi senza restrizioni al terzo giorno, che è riservato alla «formazio­ ne» della terra. 3. Le pietre e i metalli aderiscono alla terra come le piante, e tuttavia non se ne fa parola nel descrivere la «formazione» della terra. Quindi neppure le piante dovevano essere prodotte il terzo giorno. In contrario: è detto in Gen: La terra produsse erba verdeggiante; e poi segue: Efu sera e fu

mattina: terzo giorno.

Risposta: come si è detto sopra, nel terzo gior­ no viene eliminato lo stato informe della teiTa. Ora, prima si era parlato di una duplice in­ fermità di essa: la prima che la rendeva in­ visibile, o informe, in quanto coperta dalle acque; la seconda che la faceva disordinata o deserta, cioè priva del dovuto decoro, deri­ vante dalle piante, che in qualche modo la ri­ vestono. Le due infermità vennero dunque eli­ minate nel terzo giorno: la prima col fatto che tutte le acque si raccolsero in un sol luogo e apparve l'asciutto; la seconda col fatto che la terra produsse erba verdeggiante. Tuttavi a sulla produzione delle piante Agostino presen­ ta un'interpretazione diversa dagli altri com­ mentatori. Questi ultimi, infatti, dicono che le piante furono prodotte i n atto nella propria specie al terzo giorno, come vuole la superfi­ cie del senso letterale. Per Agostino, invece, fu detto «in senso virtuale che la terra allora pro­ dusse erbe e piante, poiché essa non ricevette se non il potere di produrle». E una conferma egli la trova nell'autorità della Scrittura. Infat­ ti, è detto in Gen: Queste le origini del cielo e

della terra, quando vennero creati, quando il Signore Dio fece il cielo, la terra e ogni pianta del campo, prima che nascesse sulla ten-a, e ogni erba della campagna, prima che germo­ gliasse. Prima dunque che le piante spuntasse­

ro sulla terra, esse furono prodotte solo poten­ zialmente nella terra stessa. - E un'altra con­ ferma la trova anche nel ragionamento. In quei primi giorni, infatti, Dio fece le creature po­ nendo le origini o cause [di tutto lo sviluppo posteriore] ; poi cessò da quest'opera, ma non dal governare le creature nella loro propaga-

L 'opera del terzo giorno

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opus propagationis pertinet. Non ergo in tertia die productae sunt plantae in actu, sed causa­ liter tantum. Quamvis, secundum alios, dici possit quod prima institutio specierum ad opera sex dierum pertinet, sed quod ex spe­ ciebus primo institutis generatio similium in specie procedat, hoc iam pertinet ad rerum administrationem. Et hoc est quod Scriptura dicit, antequam oriretur super terram, vel an­ tequam genninaret; idest, antequam ex simili­ bus similia producerentur, sicut nunc natu­ raliter tieri videmus secundum viam semi­ nationis. Unde signanter Scriptura dicit, ger­ minet terra herbam virentem et facientem semen, quia scilicet sunt productae perfectae species plantarum, ex quibus semina aliarum orirentur. Nec refert ubicumque habeant vim seminativam, utrum scilicet in radice, vel in stipite, vel in fructu. Ad primum ergo dicendum quod vita in plan­ tis est occulta, quia carent motu locali et sen­ su, quibus animatum ab inanimato maxime distinguitur. Et ideo, quia immobiliter terrae inhaerent, earum productio ponitur quasi quaedam terrae formatio. Ad secundum dicendum quod etiam ante illam maledictionem, spinae et tributi produc­ ti erant vel virtute vel actu. Sed non erant pro­ ducti homini in poenam; ut scilicet terra quam propter cibum coleret, infructuosa quaedam et noxia germinaret. Unde dictum est, germi­ nabit tibi. Ad tertium dicendum quod Moyses ea tantum proposuit quae in manifesto apparent, sicut iam [q. 68 a. 3] dictum est. Corpora autem mineralia habent generationem occultam in visceribus terrae. Et iterum, non habent mani­ festam distinctionem a terra, sed quaedam terrae species videntur. Et ideo de eis mentio­ nem non fecit.

Q. 69, A. 2

zione, poiché in tal senso egli opera tuttora. Ora, il produrre le piante dalla terra rientra nel­ l ' opera della loro propagazione. Quindi nel terzo giorno le piante non furono prodotte nel­ la loro attualità perfetta, ma solo virtualmente. Secondo altri, invece, si può dire che la prima creazione delle specie appartiene alle opere dei sei giorni, mentre la derivazione di altri esseri della medesima specie appartiene già al governo dell'universo. Infatti la Scrittura usa le frasi: prima che sorgesse sulla tenu, e an­ che: prima che germinasse; come per dire: prima che gli esseri fossero generati da esseri simili, nel modo che ora si riscontra nella na­ tura mediante il seme. Per cui la Scrittura dice espressamente: Produca la terra erba verdeg­ giante che faccia seme; poiché le specie delle piante furono prodotte perfette affinché ne na­ scessero i semi di altre. Né ci importa di sape­ re [qui] dove posseggano la potenza seminate, se nella radice, nel tronco o nel frutto. Soluzione delle difficoltà: l . La vita delle piante è nascosta, poiché esse mancano del movimento locale e della sensibilità, che ci fanno distinguere al massimo grado gli esseri animati da quelli inanimati. Essendo quindi attaccate immobilmente alla terra, la loro pro­ duzione viene presentata come una «forma­ zione» della terra. 2. Anche ptima di quella maledizione le spine e i cardi erano stati prodotti, o potenzialmente o di fano. Però non erano stati prodotti come ca­ stigo dell'uomo, in modo cioè che la terra, col­ tivata per l'alimentazione, producesse cose inu­ tili e nocive. Per cui sta scritto: Produrrà per te. 3. Come si è detto, Mosè propose soltanto ciò che risalta chiaramente. Ora, i corpi minerali hanno un'origine occulta nelle viscere della terra, e non mostrano una distinzione manife­ sta da essa, anzi, sembrano una certa specie di terra. Per questo, dunque, non li menzionò.

QUAESTI0 70

QUESTIONE 70

DE OPERE ORNATUS, QUANTUM AD QUARTAM DIEM

L'OPERA DI ABBELLIMENTO DEL QUARTO GIORNO

Consequenter considerandum est de opere ornatus. Et primo, de singulis diebus secun­ dum se; secundo, de omnibus sex diebus in communi [q. 74]. Circa primum ergo, consi­ derandum est primo de opere quartae diei,

Dobbiamo ora considerare l'opera di abbelli­ mento. Parleremo prima dei singoli giorni in particolare, poi di tutti e sei insieme. Primo, studieremo l'opera del quarto giorno; secon­ do, quella del quinto giorno; terzo, quella del

L 'opera di abbellimento del quarto giorno

Q. 70, A. l

secundo, de opere quintae [q. 7 1 ]; tertio, de opere sextae [q. 72]; quarto, de iis quae per­ tinent ad septimum diem [q. 73]. Circa pri­ mum quaeruntur tria. Ptimo, de productione luminarium. Secundo, de fine productionis eorum. Tertio, utrum sint animata.

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sesto giorno; quarto, tutto ciò che riguarda il settimo giorno. Sul primo argomento esami­ neremo tre problemi: l . La produzione degli astri; 2. Lo scopo della loro produzione; 3. Se essi siano animati.

Articulus l

Articolo l

Utrum luminaria debuerint produci quarta die

Era conveniente che gli astri fossero prodotti nel quarto giorno?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod luminaria non debuerint produci quarta die. l . Luminaria enim sunt corpora incorruptibi­ lia naturaliter. Ergo eorum materia non potest esse absque formis eorum. Sed eorum mate­ ria producta est i n opere creationis, ante omnem diem. Ergo et eorum formae. Non er­ go sunt facta quarta die. 2. Praeterea, luminaria sunt quasi vasa lumi­ nis. Sed lux est facta prima die. Ergo lumina­ ria fieri debuerunt prima die, et non quarta. 3. Praeterea, sicut plantae fixae sunt in terra, ita luminaria fixa sunt in firmamento, unde Scriptura dicit quod posuit ea in finnamento. Sed productio plantarum simul describitur cum fonnatione terrae, cui inhaerent. Ergo et productio luminarium simul debuit poni, se­ cunda die, cum productione firmamenti. 4. Praeterea, sol et luna et alia luminaria sunt causae plantarum. Sed naturali ordine causa praecedit effectum. Ergo luminaria non debuerunt fieri quarta die, sed tertia vel ante. 5. Praeterea, multae stellae, secundum astro­ logos, sunt luna maiores. Non ergo tantum sol et luna debuerunt poni duo magna luminaria. Sed in contrarium sufficit auctoritas Scriptu­ rae [Gen. 1 , 1 4 sqq.]. Respondeo dicendum quod in recapitulatione divinorum operum, Scriptura sic dicit [Gen. 2, 1 ], igitur pe1jecti sunt caeli et terra, et omnis ornatus eorum. In quibus verbis triplex opus intelligi potest, scilicet opus creationis, per quod caelum et terra producta leguntur, sed informia. Et opus distinctionis, per quod caelum et temt sunt perfecta, sive per formas substantiales attributas materiae omnino in­ formi, ut Augustinus vult [Super Gen. 2, 1 1 ]; sive quantum ad convenientem decorem et or­ dinem, ut alii sancti dicunt. Et his duobus operibus additur omatus. Et diftèrt ornatus a perfectione. Nam perfectio caeli et terrae ad

Sembra di no. Infatti: l . Gli astri sono corpi incorruttibili per natura. Quindi la loro materia non può stare senza la rispettiva forma. Ma questa materia, nell'ope­ ra della creazione, fu fatta prima di tutti i gior­ ni. Quindi anche le loro forme furono fatte allora, e non il quarto giorno. 2. Questi corpi luminosi sono come lampade che fanno luce. Ma questa fu fatta il primo giorno. Quindi anch'essi andavano fatti in questo giorno, non nel quarto. 3. Come le piante sono fissate sulla terra, così questi corpi luminosi sono fissati sulla volta del firmamento: tanto che la Scrittura dice che [Dio] li pose nel finnamento. Ora, la produ­ zione delle piante viene descritta insieme con la «formazione» della terra, alla quale esse aderiscono. Quindi anche la produzione dei corpi luminosi andava posta al secondo gior­ no, insieme con la creazione del firmamento. 4. Il sole, la luna e gli altri corpi luminosi sono causa delle piante. Ma nell'ordine della natura la causa precede l'effetto. Quindi essi andavano fatti non il quarto giorno, ma il terzo o prima ancora. 5. Secondo gli astronomi, molte stelle sono più grandi della luna. Quindi non si dovevano menzionare soltanto il sole e la luna come «i due grandi luminari». In contrario: basta l'autorità della Scrittura. Risposta: nel ricapitolare le opere di Dio la Scrittura dice: Così furono portati a compi­ mento il cielo, la terra e tutte le loro schiere. Ora, in questa frase possiamo vedere una tri­ plice opera: l'opera della creazione, mediante la quale leggiamo che furono prodotti il cielo e la terra, ma allo stato informe, e l'opera della distinzione, con la quale furono ultimati il cielo e la terra, sia mediante le forme so­ stanziali impresse nella materia totalmente in­ forme, come vuole Agostino, sia mediante un

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L 'opera di abbellimento del quarto giorno

ea pertinere videtur quae caelo et terrae sunt intrinseca, ornatus vero ad ea quae sunt a caelo et terra distincta. Sicut homo perficitur per proprias partes et formas, ornatur autem per vestimenta, vel aliquid huiusmodi. Distinc­ tio autem aliquorum maxime manifestatur per motum localem, quo ab invicem separantur. Et ideo ad opus ornatus pertinet productio illarum rerum quae habent motum in caelo et in terra. Sicut autem supra [q. 69 a. l ] dictum est, de tribus fit mentio in creatione, scilicet de caelo et aqua et terra. Et haec tria etiam formantur per opus distinctionis tribus diebus, primo die, caelum; secundo die distinguuntur aquae; tertio die fit distinctio in terra, maris et aridae. Et similiter in opere ornatus, primo die, qui est quartus, producuntur luminaria, quae moventur in caelo, ad ornatum ipsius. Secundo die, qui est quintus, aves et pisces, ad ornatum medii elementi, quia habent mo­ tum in aere et aqua, quae pro uno accipiuntur. Tertio die, qui est sextus, producuntur anima­ lia quae habent motum in terra, ad ornatum ipsius. Sed sciendum est quod in productione luminarium non discordat Augustinus ab aliis sanctis. Dicit enim [Super Gen. 5,5] luminaria esse facta in actu, non in virtute tantum, non enim habet fmnamentum virtutem producti­ vam luminarium, sicut habet terra virtutem productivam plantarum. Unde Scriptura non dicit, produca/ finnamentwn luminaria; sicut dicit, getminet terra herbam virentem. Ad primum ergo dicendum quod, secundum Augustinum [Super Gen. 4,34; 5,5], nulla dif­ ficultas ex hoc oritur. Non enim ponit succes­ sionem temporis in istis operibus, et ideo non oportet dicere quod materia luminarium fuerit sub alia forma. Secundum etiam eos qui po­ nunt caelestia corpora ex natura quatuor ele­ mentorum [cf. q. 68 a. 1], nulla difficultas ac­ cidit, quia potest dici quod sunt formata ex praeiacenti materia, sicut animalia et plantae. Sed secundum eos qui ponunt corpora caeles­ tia esse alterius naturae ab elementis et incor­ ruptibilia per naturam, oportet dicere quod substantia luminarium a principio fuit creata; sed prius erat inforrnis, et nunc formatur; non quidem forma substantiali, sed per collatio­ nem determinatae virtutis. Ideo tamen non fit mentio a principio de eis, sed solum quarta die, ut Chrysostomus dicit [In Gen. h. 6], ut per hoc removeat populum ab idololatria,

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appropriato ordinamento o perfezionamento, come pensano altri santi [dottori] . A queste due opere si aggiunge poi quella dell' abbelli­ mento. E questo differisce dalla perfezione. Infatti la perfezione del cielo e della terra sembra riguardare ciò che è ad essi intrinseco, l'abbellimento invece qualcosa di estrinseco. L'uomo, p. es., è perfezionato dalle sue parti e forme, mentre è adornato dalle vesti e simili [esteriorità]. Ora, la distinzione tra gli esseri si manifesta soprattutto in base al moto locale, che li separa l'uno dall'altro. Quindi la produ­ zione di quelle entità che hanno un movi­ mento in cielo e in terra rientra nell'opera di abbellimento. Ma come si è detto sopra, nella creazione si fa menzione di tre cose: del cielo, dell'acqua e della terra. E queste stesse tre co­ se sono «formate» mediante l'opera della di­ stinzione in tre giorni: nel primo, il cielo; nel secondo sono distinte le acque; nel terzo si ha la distinzione del mare, della terra e dell'a­ sciutto. Parimenti nel primo giorno dell'opera di abbellimento, che è il quarto, sono prodotti per ornamento del cielo i corpi luminosi che in esso si muovono. Nel secondo giorno, che è il quinto, si hanno gli uccelli e i pesci che ornano l'elemento intermedio, poiché essi si muovono nell'aria e nell'acqua, considerate come un tutto unico. Nel terzo giorno, che è il sesto, vengono prodotti gJ i animali terrestri per ornamento della terra. E da notare tuttavia che intorno alla produzione degli astri Agosti­ no non diverge dagli altri santi, poiché dice che furono fatti non solo virtualmente, ma nella loro attualità. Infatti il firmamento non ha la virtù di produrre questi corpi, come invece la terra ha quella di produrre i vegetali. Per cui la Scrittura non dice: «li firmamento produca gli astri», mentre dice: La terra pro­ duca l 'erba verdeggiante. Soluzione delle difficoltà: l . L'inconveniente in parola non esiste, stando all'opinione di Agostino. Egli infatti non ammette una suc­ cessione cronologica tra queste opere: perciò non vi è ragione di concludere che la materia degli astri si sia trovata [prima] sotto un'altra forma. - Parimenti non esiste difficoltà per chi ammette nei corpi celesti la natura dei quattro elementi, potendosi affermare che vennero formati dalla materia già esistente, come gli animali e le piante. - Stando invece all'opi­ nione di chi ritiene che i corpi celesti siano di

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ostendens luminaria non esse deos, ex quo nec a principio fuerunt. Ad secundum dicendum quod, secundum Augustinum [Super Gen. l , 1 2], nulla sequitur difficultas, quia lux de qua prima die facta est mentio, fuit lux spiritualis; nunc autem fit lux corporalis. Si autem lux primo die facta intel­ ligitur lux corporalis, oportet dicere quod lux primo die fuit producta secundum commu­ nem lucis naturam, quatto autem die attributa est luminaribus determinata virtus ad deterrni­ natos effectus; secundum quod videmus alios effectus habere radium solis, et alios radium lunae, et sic de aliis. Et propter hanc deterrni­ nationem virtutis, dicit Dionysius, 4 cap. De div. nom. [4], quod lumen solis, quod primo erat informe, quarto die formatum est. Ad tertium dicendum quod, secundum Ptolo­ maeum, luminaria non sunt fixa in sphaeris, sed habent motum seorsum a motu sphaera­ rum. Unde Chrysostomus dicit [In Gen. h. 6] quod non ideo dicitur quod posuit ea in firma­ mento, quia ibi sint fixa; sed quia iusserit ut ibi essent; sicut posuit hominem in Paradiso, ut ibi esset. Sed secundum opinionem Aristo­ telis [De caelo 2,8,4], stellae fixae sunt in or­ bibus, et non moventur nisi motu orbium, se­ cundum rei veritatem. Tamen motus lumina­ rium sensu percipitur, non autem motus sphaerarum. Moyses autem, rudi popolo con­ descendens, secutus est quae sensibiliter ap­ parent, ut dictum est [q. 68 a. 3]. Si autem sit aliud firmamentum quod factum est seconda die, ab eo in quo posita sunt sidera, secundum distinctionem naturae, l icet sensus non discernat, quem Moyses sequitur, ut dictum est; cessat obiectio. Nam finnamentum fac­ tum est secunda die, quantum ad inferiorem partem. In fmnrunento autem posita sunt si­ dera quarta die, quantum ad superiorem par­ tem; ut totum pro uno accipiatur, secundum quod sensui apparet. Ad quartum dicendum quod, sicut dicit Basi­ lius [In Hex. h. 5], praemittitur productio plantarum luminaribus, ad excludendam idololatriam. Qui enim credunt luminaria esse deos, dicunt quod primordialem originem habent plantae a luminaribus. Quamvis, ut Chrysostomus dicit [In Gen. h. 6], sicut agri­ cola cooperatur ad productionem plantarum, ita etiam et luminaria per suos motus. Ad quintum dicendum quod, sicut Chrysosto-

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natura diversa dai quattro elementi e dotati di incorruttibilità naturale, bisognerà dire che la sostanza degli astri fu creata fin da principio. Essa allora era informe, e nel quarto giorno fu «formata>>, non certo col ricevere la forma so­ stanziale, ma assumendo una virtù particolare. Quindi non si fa menzione degli astri in prin­ cipio, ma solo al quarto giorno, come osserva il Crisostomo, allo scopo di allontanare il po­ polo dall'idolatria mostrando che i corpi lu­ minosi non sono divinità, appunto perché non esistevano da principio. 2. Sempre nell'interpretazione di Agostino la difficoltà non ha luogo, poiché la luce menzio­ nata il primo giorno sarebbe stata una luce spi­ rituale, mentre qui viene creata la luce mate­ riale. - Se però si vuoi sostenere che si trattava [anche allora] di luce materiale, bisognerà ammettere che essa fu creata il primo giorno nella sua comune natura di luce, mentre nel quarto giorno fu data agli astri una virtù parti­ colare per determinati effetti. Infatti riscontria­ mo che gli effetti prodotti dai raggi del sole, della luna e degli astri, sono diversi. E in con­ siderazione del conferimento di questo potere Dionigi afferma che la luce del sole era dap­ prima informe e fu fonnata il quarto giorno. 3. Secondo Tolomeo i corpi luminosi non so­ no fissati sulle sfere, ma hanno un moto di­ stinto da esse. Quindi il Crisostomo osserva che non sta scritto che Dio li pose nel firma­ mento come per restarvi fissi, ma comandò che ivi esistessero; come pure pose l'uomo nel paradiso perché avesse qui la sua esisten­ za. - Aristotele invece ritiene che le stelle siano fissate sulle sfere rotanti e che realmen­ te non si muovano se non col moto di queste. Tuttavia con i sensi si percepisce il movimen­ to dei corpi luminosi e non il movimento del­ le sfere celesti. Ora Mosè, volendo adattarsi alla rozzezza del suo popolo, si attenne alle apparenze sensibili, come si è già detto. L'o­ biezione poi scompare se riteniamo che il fir­ mamento, fatto nel secondo giorno, sia real­ mente diverso da quello nel quale furono col­ locate le stelle, sebbene i sensi, ai quali si at­ tiene Mosè, non arrivino a discernerlo. Allora il firmamento sarebbe stato fatto nel secondo giorno quanto alla parte inferiore, mentre nel quarto sarebbero state poste le stelle nella sua parte superiore: considerando il tutto come una cosa sola, secondo le apparenze sensibili.

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mus [cf. Basilius, In Hex. horn. 6] dicit, di­ cuntur duo luminaria magna non tam quanti­ tale, quam efficacia et virtute. Quia etsi aliae stellae sint maiores quantitate quam luna, ta­ men effectus lunae magis sentitur in istis infe­ rioribus. Et etiam secundum sensum maior apparet.

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4. Come dice Basilio, l a produzione delle piante è premessa a quella degli astri per eli­ minare l' idolatria. Infatti coloro che ritengono gli astri divinità dicono che le piante hanno da essi la loro prima origine. Sebbene, stando al Crisostomo, anche i corpi luminosi, con i loro movimenti, cooperino alla produzione delle piante, come fa l'agricoltore. 5. Secondo i l Crisostomo, si parla di «due grandi luminari» non per riguardo alla )oro mole, ma per la loro efficacia e potenza. E in­ tàtti vero che altre stelle sono materialmente più grandi della luna, però gli effetti della luna sono maggiormente sentiti in questa sfera infe­ riore. Inoltre essa appare più grande ai sensi.

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Articolo 2

Utrum convenienter causa productionis luminarium describatur

È bene indicata la causa

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter causa productionis lumina­ rium describatur. l . Dicitur enim Ier. 10 [2] , a signis caeli noli­ te metuere, quae gentes timent. Non ergo lu­ minaria in signa facta sunt. 2. Praeterea, signum contra causam dividitur. Sed luminaria sunt causa eorum quae hic aguntur. Ergo non sunt signa. 3. Praeterea, distinctio temporum et dierum incoepit a primo die. Non ergo facta sunt luminaria in tempora et dies et annos, idest in horum distinctionem. 4. Praeterea, nihil fit propter vilius se, quia finis est melior iis quae sunt ad finem [Top. 3 , 1 ] . Sed luminaria sunt meliora quam terra. Non ergo facta sunt ut illuminent terram. 5. Praeterea, luna non praeest nocti quando est prima. Probabile autem est quod luna facta fuerit prima, sic enim homines incipiunt com­ putare. Ergo luna non est facta ut praesit nocti. In contrarium suftìcit auctoritas Scripturae [Gen. 1 , 1 4 sqq.]. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [q. 65 a. 2], creatura aliqua corporalis potest dici esse facta vel propter actum proprium, vel propter aliam creaturam, vel propter totum universum, vel propter gloriam Dei. Sed Moyses, ut populum ab idololatria revo­ caret, illam solam causam tetigit, secundum quod sunt facta ad utilitatem hominum. Unde dicitur Deut. 4 [ 19], ne forte, e/evatis oculis

della produzione degli astri? Sembra di no. Intàtti: l . In Ger è detto: Non

abbiate paura dei segni del cielo, temuti dalle nazioni. Quindi gli astri non «servono da segni». 2. n segno si distingue dalla causa. Ma gli astri sono causa di quanto avviene quaggiù. Quindi non ne sono i segni. 3. La distinzione dei tempi e dei giorni iniziò dal primo giomo. Quindi gli astii non furono tàtti per dividere «le stagioni, i giorni e gli anni». 4. Nessuna cosa è fatta per un'altra meno pre­ gevole, poiché >. - Resta dun­ que provato che l'essenza dell'anima non si identifica con la sua potenza. Non è possibile infatti che una cosa sia in potenza precisamen­ te in quanto è in atto. Soluzione delle difficoltà: l . Agostino parla della mente in quanto essa conosce e ama se stessa. Così dunque la conoscenza e l'amore, in quanto si riferiscono a essa stessa quale oggetto conosciuto e amato, sono sostanzial­ mente o essenzialmente neli' anima, dato che è la sostanza o essenza stessa dell'anima che viene conosciuta e amata. E in senso analogo va intesa l'altra asserzione, che cioè esse sono «una sola vita, una sola mente e una sola essenza». - Oppure, come altri spiegano, tale locuzione è vera allo stesso modo in cui un tutto potenziale, che sta di mezzo fra il tutto universale e il tutto integrale, viene predicato delle sue parti. Infatti il tutto universale è pre­ sente in ciascuna delle sue parti con tutta la sua essenza e virtù, come l'animale nell'uo­ mo e nel cavallo: perciò questo tutto viene predicato in senso proprio di ogni sua parte. Invece il tutto integrale non si trova in ciascu­ na delle sue parti né con tutta la sua essenza, né con tutta la sua virtù. Quindi esso non viene predicato in nessun modo delle singole parti, ma è predicato in qualche modo, sia pure impropriamente, di tutte insieme: come se dicessimo, p. es., che la parete, il tetto e le fondamenta sono la casa. Il tutto potenziale infine è presente nelle singole parti con tutta la sua essenza, ma non con tutta la sua virtù. Perciò si può predicare in un certo modo di ciascuna parte, non però così propriamente come il tutto universale. E precisamente sotto questo punto di vista Agostino dice che la memoria, l ' intelligenza e la volontà sono l 'unica essenza dell'anima. 2. L'atto al quale è in potenza la materia prima è la forma sostanziale. E così la potenza della materia non è altro che la sua essenza. 3. L' agire spetta al composto come l'essere, poiché chi agisce è l'esistente. Ora, il compo-

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Le potenze dell'anima in generale

stantialis est primum actionis principium, sed. non proximum. Et secundum hoc philoso­ phus dicit quod id quo intelligimus et senti­

mus, est anima.

Ad quintum dicendum quod, si accidens accipiatur secundum quod dividitur contra substantiam, sic nihil potest esse medium inter substantiam et accidens, quia dividuntur secundum affirmationem et negationem, scili­ cet secundum esse in subiecto et non esse in subiecto. Et hoc modo, cum potentia animae non sit eius essentia, oportet quod sit acci­ dens, et est in seconda specie qualitatis. Si vero accipiatur accidens secundum quod po­ nitur unum quinque universalium, sic aliquid est medium inter substantiam et accidens. Quia ad substantiam pertinet qtùdquid est es­ sentiate rei, non autem quidquid est extra essentiam, potest sic dici accidens, sed solum id quod non causatur ex principiis essentiali­ bus speciei. Proprium enim non est de essen­ tia rei, sed ex principiis essentialibus speciei causatur, unde medium est inter essentiam et accidens sic dictum. Et hoc modo potentiae animae possunt dici mediae inter substantiam et accidens, quasi proprietates animae natura­ les. Quod autem Augustinus dicit, quod noti­ tia et amor non sunt in anima sicut accidentia in subiecto, intelligitur secundum modum praedictum [ad l ], prout comparantur ad ani­ mam, non sicut ad amantem et cognoscen­ tem; sed prout comparantur ad eam sicut ad amatam et cognitam. Et hoc modo procedit sua probatio, quia si amor esset in anima amata sicut in subiecto, sequeretur quod ac­ cidens transcenderet suum subiectum; cum etiam alia sint amata per animam. Ad sextum dicendum quod anima, licet non sit composita ex materia et forma, habet tamen aliquid de potentialitate admixtum ut supra [q. 75 a. 5 ad 4] dictum est. Et ideo potest esse subiectum accidentis. Propositio autem inducta locum habet in Deo, qui est actus purus, in qua materia Boetius eam introducit. Ad septimum dicendum quod rationale et sensibile, prout sunt differentiae, non sumun­ tur a potentiis sensus et rationis; sed ab ipsa anima sensitiva et rationali. Quia tamen for­ mae substantiales, quae secundum se sunt no­ bis ignotae, innotescunt per accidentia; nihil prohibet interdum accidentia loco differentia­ rum substantialium poni.

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sto riceve la possibilità di esistere sostanzial­ mente dalla forma sostanziale; opera invece mediante le facoltà che emanano da essa. Perciò la forma accidentale attiva sta alla forma sostanziale dell'agente, p. es. il calore alla forma del fuoco, come le potenze dell'a­ nima stanno all'anima. 4. Il fatto che la forma accidentale sia princi­ pio di operazione è dovuto anch'esso alla forma sostanziale. Quindi la forma sostanzia­ le è il principio primo, non prossimo, dell'o­ perazione. E in questo senso il Filosofo affer­ ma che «l'anima è il principio dell'intendere e del sentire». 5. Se prendiamo l'accidente in quanto si con­ traddistingue dalla sostanza, allora non ci può essere un elemento intermedio fra l'accidente e la sostanza: poiché essi si contrappongono come l'affermazione e la negazione, cioè come essere in un soggetto e non essere in un sogget­ to. E in questo senso è necessario che le poten­ ze dell'anima, non identificandosi con la sua essenza, siano accidenti; e vengono classificate nella seconda specie della qualità. - Se però prendiamo l' accidente come uno dei cinque pred.icabili universali, allora esiste qualcosa di intermedio fra la sostanza e l'accidente. Infatti tutto ciò che è essenziale a una cosa appartiene alla sua sostanza; però non può dirsi subito accidente tutto ciò che è fumi dell'essenza, ma soltanto ciò che non è causato dai princìpi essenziali della specie. Infatti le proprietà non rientrano nell'essenza della cosa, e tuttavia sono causate dai princìpi essenziali della spe­ cie: per cui stanno tra l'essenza e l'accidente inteso come predicabile. E in questo modo le potenze dell'anima possono dirsi intermedie fra la sostanza e l'accidente, quasi proprietà naturali dell'anima. Quando poi Agostino afferma che la conoscenza e l'amore non sono nell'anima come accidenti nel loro soggetto, si riferisce, stando alla spiegazione precedente, all'anima non in quanto ama e conosce, ma in quanto è oggetto di amore e di conoscenza. E in questo modo la sua argomentazione è cor­ retta: poiché se l'amore fosse nell'anima amata come nel suo soggetto, un accidente trascende­ rebbe il suo soggetto, dato che anche altri oggetti sono amati dali' anima. 6. Sebbene l'anima non sia composta di ma­ teria e di forma, ha tuttavia in se stessa una certa potenzialità, come si è detto sopra.

Le potenze dell'anima in generale

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Quindi può essere soggetta ad avere accidenti. testo addotto vale invece nel caso di Dio, che è atto puro: e Boezio lo ha enunciato par­ lando di lui. 7. D razionale e il sensitivo, in quanto differen­ ze specifiche, non vengono desunti dalle facol­ tà del senso e della ragione, ma dalla stessa anima sensitiva e razionale. Siccome però le forme sostanziali, che in se stesse ci sono igno­ te, si manifestano mediante gli accidenti, nulla i mpedisce che gli accidenti vengano talora usati in luogo delle differenze sostanziali.

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Utrum sint plures potentiae animae

Le potenze deli' anima sono più di una?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod non sint plures potentiae animae. l . Anima enim intellectiva maxime ad divi­ nam similitudinem accedit. Sed in Deo est una et simplex potentia. Ergo et in anima intellectiva. 2. Praeterea, quanto virtus est superior, tanto est magis unita. Sed anima intellectiva excedit omnes alias formas in virtute. Ergo maxime debet habere unam virtutem seu potentiam. 3. Praeterea, operari est existentis in actu. Sed per eandem essentiam animae homo habet esse secundum diversos gradus perfectionis, ut supra [q. 76 aa. 3-4] habitum est. Ergo per eandem potentiam animae operatur diversas operationes diversorum graduum. Sed contra est quod philosophus, in 2 De an. [3, 1 ] ponit plures animae potentias. Respondeo dicendum quod necesse est pone­ re plures animae potentias. Ad cuius eviden­ tiam, considerandum est quod, sicut philo­ sophus dicit in 2 De caelo [ 1 2,3], quae sunt in rebus infima, non possunt consequi perfectam bonitatem, sed aliquam imperfectam con­ sequuntur paucis motibus; superiora vero his adipiscuntur perfectam bonitatem motibus multis; his autem superiora sunt quae adipis­ cuntur perfectam bonitatem motibus paucis; summa vero perfectio invenitur in his quae absque motu perfectam possident bonitatem. Sicut infime est ad sanitatem dispositus qui non potest perfectam consequi sanitatem, sed aliquam modicam consequitur paucis re­ mediis; melius autem dispositus est qui potest pertèctam consequi sanitatem, sed remediis multis; et adhuc melius, qui remediis paucis;

Sembra di no. Infatti: l . L' anima intellettiva si avvicina al massimo alla somiglianza con Dio. Ma in Dio c'è una potenza unica e semplice. Così dunque sarà anche nell' anima intellettiva. 2. Quanto più una virtù è superiore, tanto maggiormente è dotata di unità. Ma l'anima i ntellettiva supera in virtù ogni altra forma. Perciò deve avere una virtù o potenza unica al massimo grado. 3. L'operazione appattiene a ciò che ha l' es­ sere in atto. Ma l'uomo possiede l'essere, se­ condo i vari gradi di perfezione, in forza di un' unica essenza dell'anima, come si è visto. Quindi egli, nel compiere le molteplici opera­ zioni dei vari gradi, si serve di un'unica po­ tenza dell'anima. In contrario: il Filosofo sostiene che vi sono più potenze dell' anima. Risposta: è necessruio ammettere una pluralità di potenze nell'anima. Per convincersene, bi­ sogna considerare, come fa il Filosofo, che gli esseri infimi non possono conseguire il bene perfetto, ma solo un bene imperfetto, me­ diante pochi movimenti; quelli ad essi supe­ riori invece raggiungono il bene perfetto con molti movimenti; ancora più in alto troviamo quelli che raggiungono i l bene perfetto con pochi movimenti ; troviamo infine la pertè­ zione somma in quelli che posseggono il bene perfetto senza alcun movimento. Per portare un esempio: è minimamente disposto alla sa­ lute chi non può raggiungere la perfetta salute, ma ne ottiene poca con pochi rimedi; è meglio disposto invece chi può raggiungere la perfetta salute, sebbene con molti rimedi; meglio an-

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optime autem, qui absque remedio perfectam sanitatem habet. Dicendum est ergo quod res quae sunt infra hominem, quaedam parti­ cularia bona consequuntur, et ideo quasdam paucas et determinatas operationes habent et virtutes. Homo autem potest consequi univer­ salem et perfectam bonitatem, quia potest adipisci beatitudinem. Est tamen in ultimo gradu, secundum naturam, eorum quibus competit beatitudo, et ideo multis et diversis operationibus et virtutibus indiget anima hu­ mana. Angelis vero minor diversitas potentia­ rum competit. In Deo vero non est aliqua po­ tentia vel actio, praeter eius essentiam. Est et alia ratio quare anima humana abundat diver­ sitate potentiarum, videlicet quia est in con­ finio spiritualium et corporalium creaturarum, et ideo concurrunt in ipsa virtutes utrarumque creaturarum. Ad primum ergo dicendum quod in hoc ipso magis ad similitudinem Dei accedit anima in­ tellectiva quam creaturae inferiores, quod per­ fectam bonitatem consequi potest; licet per multa et diversa; in quo deficit a superioribus. Ad secundum dicendum quod virtus unita est superior, si ad aequalia se extendat. Sed virtus multiplicata est superior, si plura ei subiiciantur. Ad tertium dicendum quod unius rei est u nu m esse substantiale, sed possunt esse operationes plures. Et ideo est una essentia animae, sed potentiae plures.

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cora, poi, colui al quale bastano pochi rimedi; ottimamente infine chi ha la salute perfetta, senza bisogno di rimedi. Diciamo dunque che gli esseri inferiori all' uomo raggiungono sol­ tanto certi beni particolari, per cui posseggono solo poche e determinate operazioni e poten­ ze. L'uomo, invece, ha la possibilità di conse­ guire il bene universale e perfetto, dato che può raggiungere la felicità. Egli però si trova per natura nell' ultimo grado di quegli esseri che sono fatti per la felicità: perciò l'anima umana necessita di molte e svariate operazioni e potenze. Gli angeli, invece, hanno bisogno di una minore diversità di potenze. In Dio, poi, non esiste alcuna potenza od operazione di­ stinta dalla sua essenza. Ma vi è anche un'altra ragione per cui l' anima umana abbonda di potenze diverse: ed è che essa sta al confine tra le creature spirituali e quelle materiali, per cui confluiscono in essa le virtù di ambedue gli ordini creaturali. Soluzione delle difficoltà: l . L' anima intellet­ tiva si avvicina alla somiglianza con Dio più delle creature inferiori perché è capace di rag­ giungere il bene perfetto, sebbene con mezzi molteplici e diversi, nel che consiste la sua inferiorità rispetto alle creature superi01i. 2. Una virtù dotata di maggiore unità è supe­ riore se si estende ai medesimi oggetti. Se però ne abbraccia un maggior numero è supe­ riore una virtù frazionata. 3. Una sola cosa non ha che un solo essere sostanziale, ma possono essere molteplici le sue operazioni. Quindi una sola è l ' essenza dell'anima, ma molteplici le sue potenze.

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Utrum potentiae distinguantur per actus et obiecta

Le potenze si distinguono in base agli atti e agli oggetti?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod po­ tentiae non distinguantur per actus et obiecta. l . Nihil enim determinatur ad speciem per i llud quod posterius, vel extrinsecum est. Actus autem est posterior potentia; obiectum autem est extrinsecum. Ergo per ea potentiae non distinguuntur secundum speciem. 2. Praeterea, contraria sunt quae maxime differunt. Si igitur potentiae distinguerentur penes obiecta, sequeretur quod contrariorum non esset eadem potentia. Quod patet esse falsum fere in omnibus, nam potentia visiva

Sembra di no. Infatti: l . Nessuna cosa viene determinata nella sua specie da ciò che è posteriore o estrinseco. Ma l'atto è posteriore alla potenza, e l 'oggetto è qualcosa di estrinseco. Quindi da essi le po­ tenze non possono derivare la loro distinzione specifica. 2. I contrari hanno tra loro una differenza massima. Se quindi le potenze desumessero la loro distinzione dagli oggetti, ne derivereb­ be che nella medesima potenza non potrebbe­ ro trovarsi oggetti contrari. n che è falso quasi

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Le potenze dell'anima in generale

eadem est albi et nigri, et gustus idem est dulcis et amari. 3. Praeterea, remota causa, removetur effec­ tus. Si igitur potentiarum differentia esset ex differentia obiectorum, idem obiectum non pertineret ad diversas potentias. Quod patet esse falsum, nam idem est quod potentia co­ gnoscitiva cognoscit, et appetitiva appetit. 4. Praeterea, id quod per se est causa alicuius, in omnibus causat illud. Sed quaedam obiecta diversa, quae pertinent ad diversas potentias, pertinent etiam ad aliquam unam potentiam, sicut sonus et color pertinent ad visum et auditum, quae sunt diversae potentiae; et tamen pertinent ad unam potentiam sensus communis. Non ergo potentiae distinguuntur secundum differentiam obiectorum. Sed contra, posteriora distinguuntur secundum priora. Sed philosophus dicit 2 De an. [4, 1 ], quod priores potenliis actus et operationes

secundum rationem sunt; et adhuc his priora sunt apposita, sive obiecta. Ergo potentiae distinguuntur secundum actus et obiecta. Respondeo dicendum quod potentia, secun­ dum illud quod est potentia, ordinatur ad actum. Unde oportet rationem potentiae acci­ pi ex actu ad quem ordinatur, et per conse­ quens oportet quod ratio potentiae diversifi­ cetur, ut diversificatur ratio actus. Ratio autem actus diversitìcatur secundum diversam ra­ tionem obiecti. Omnis enim actio vel est po­ tentiae activae, vel passivae. Obiectum autem comparatur ad actum potentiae passivae, sicut principium et causa movens, color enim in­ quantum movet visum, est principium visio­ nis. Ad actum autem potentiae activae com­ paratur obiectum ut terminus et finis, sicut augmentativae virtutis obiectum est quantum perfectum, quod est finis augmenti. Ex his autem duobus actio speciem recipit, scilicet ex principio, vel ex fine seu termino, differt enim calefactio ab infrigidatione, secundum quod haec quidem a calido, scilicet activo, ad calidum; illa autem a frigido ad frigidum pro­ cedit. Unde necesse est quod potentiae diver­ sificentur secundum actus et obiecta. Sed tamen considerandum est quod ea quae sunt per accidens, non diversificant speciem. Quia enim coloratum accidit animali, non diversifi­ cantur species animalis per differentiam coloris, sed per differentiam eius quod per se accidit animali, per differentiam scilicet ani-

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in tutti i casi: poiché è la medesima potenza visiva che percepisce il bianco e il nero, come è l'identico gusto che sente il dolce e l' amaro. 3. Tolta la causa, si toglie anche l' effetto. Ora, se la differenza delle potenze scaturisse dalla differenza degli oggetti, uno stesso oggetto non potrebbe appartenere a potenze diverse. Cosa, questa, evidentemente falsa: poiché vediamo che una stessa cosa è oggetto della potenza conoscitiva e della potenza appetitiva. 4. Ciò che è essenzialmente causa di un effet­ to, lo causa sempre. Ora, noi vediamo che certi oggetti, diversi tra loro e appartenenti a potenze diverse, appartengono ancora a una potenza unica: p. es. il suono e il colore ap­ partengono alla vista e all' udito, che sono po­ tenze diverse, e tuttavia appmtengono ancora a quell'unica potenza che è il senso comune. Quindi le potenze non si distinguono tra loro in base alla differenza degli oggetti. In contrario: le realtà posteriori sono distinte in base a quelle anteriori. Ora, il Filosofo in­ segna: «In ordine di ragione gli atti e le fun­ zioni sono prima delle potenze; e prima an­ cora vengono gli oggetti». Quindi le potenze ricevono la loro distinzione dagli atti e dagli oggetti. R isposta: la potenza, proprio in quanto poten­ za, dice ordine all' atto. Dovremo quindi rica­ vare la natura della potenza da quell' atto al quale è ordinata: per conseguenza bisognerà che la sua natura si diversifichi in base alla diversa natura dell' atto. E l ' atto a sua volta segue la diversa natura dell' oggetto. Infatti ogni azione appartiene a una potenza o attiva o passiva. Ora, l' oggetto si riferisce all' atto della potenza passiva come suo principio o causa agente: il colore, p. es., è causa della visione in quanto muove la vista. Rispetto in­ vece all' atto della potenza attiva, l 'oggetto si presenta come termine o fine: oggetto, p. es., della facoltà di crescita [negli animali e nelle piante] è quella data quantità perfetta che è il fine della crescita. L'azione dunque riceve la sua specificazione da queste due cose, cioè o dal principio agente, oppure dal fine o termi­ ne. Infatti il riscaldamento differisce dal raf­ freddamento in questo, che l'uno procede da un corpo caldo, che è I ' elemento attivo, e mira a produrre un altro corpo caldo, mentre l 'altro procede da UQ corpo freddo e mira a un altro corpo freddo. E quindi necessario che le

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Le potenze dell'anima in generale

mae sensitivae, quae quandoque invenitur cum ratione, quandoque sine ratione. Unde rationale et irrationale sunt differentiae divisi­ vae animalis, diversas eius species constituen­ tes. Sic igitur non quaecumque diversitas obiectomm diversificat potentias animae; sed differentia eius ad quod per se potentia respi­ cit. Sicut sensus per se respicit passibilem qualitatem, quae per se dividitur in colorem, sonum et huiusmodi, et ideo alia potentia sensitiva est coloris, scilicet visus, et alia soni, scilicet auditus. Sed passibili qualitati, ut co­ lorato accidit esse musicum vel grammati­ cum, vel magnum et parvum, aut hominem vel lapidem. Et ideo penes huiusmodi diffe­ rentias potentiae animae non distinguuntur. Ad primum ergo dicendum quod actus, licet sit posterior potentia in esse, est tamen prior in intentione et secundum rationem, sicut finis agente. Obiectum autem, licet sit extrinse­ cum, est tamen principium vel finis actionis. Principio autem et fini proportionantur ea quae sunt intrinseca rei. Ad secundum dicendum quod, si potentia aliqua per se respiceret unum contrariomm sicut obiectum, oporteret quod contrarium ad aliam potentiam pertineret. Sed potentia ani­ mae non per se respicit propriam rationem contrarii, sed communem rationem utriusque contrariotum, sicut visus non respicit per se rationem albi, sed rationem coloris. Et hoc ideo, quia unum contrariotum est quodam­ modo ratio alterius, cum se habeant sicut per­ fectum et imperfectum. Ad tertium dicendum quod nihil prohibet id quod est subiecto idem esse diversum secun­ dum rationem. Et ideo potest ad diversas potentias animae pertinere. Ad quartum dicendum quod potentia superior per se respicit universaliorem rationem obiec­ ti, quam potentia inferior, quia quanto poten­ tia est superior, tanto ad plura se extendit. Et ideo multa conveniunt in una ratione obiecti, quam per se respicit superior potentia, quae tamen diffemnt secundum rationes quas per se respiciunt inferiores potentiae. Et inde est quod diversa obiecta pertinent ad diversas inferiores potentias, quae tamen uni superiori potentiae subduntur.

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potenze siano distinte tra loro secondo gli atti e gli oggetti. Si deve però osservare che gli elementi accidentali non determinano una dif­ ferenza di specie. L' animale, p. es., riceve il colore come un accidente, perciò non abbia­ mo un cambiamento di specie quando cambia il colore, ma solo quando cambiano gli ele­ menti essenziali, cioè in base a una differenza dell' anima sensitiva, la quale può essere o non essere unita alla ragione. Per cui razionale e irrazionale formano due differenze che divi­ dono il genere animale, e ne costituiscono due specie diverse. - In modo analogo, non qualsiasi diversità di oggetti produce diversità nelle potenze dell' anima, ma la sola differen­ za di quegli oggetti ai quali la potenza è es­ senzialmente ordinata. Così il senso dice es­ senzialmente ordine alla qualità passibile, di cui sono divisioni essenziali il colore, il suono e simili: per cui la potenza sensitiva del colo­ re, che è la vista, sarà diversa da quella del suono, che è l' udito. Ma a una qualità passibi­ le, p. es. al colore, può capitare accidental­ mente, a motivo del soggetto, di essere musi­ cista o grammatico, grande o piccolo, uomo o sasso. Ora, tali differenze non producono distinzione alcuna nelle potenze dell' anima. Soluzione delle difficoltà: l . Benché l' atto sia posteriore alla facoltà quanto ali ' esistenza, tuttavia è anteriore in ordine di intenzione e di ragione, come il fine è anteriore alla causa agente. - L' oggetto poi, sebbene sia qualcosa di estrinseco [all' agente], è però principio o fine dell' azione. Ora, gli elementi intrinseci di una cosa devono essere proporzionati al suo principio e al suo fine. 2. Se una potenza fosse volta di per sé verso uno dei contrari come al suo oggetto, biso­ gnerebbe che l ' altro contrario appartenesse a un' altra potenza. Ma la potenza dell' anima non è volta per se stessa verso uno dei contra­ ri, bensì verso il loro aspetto comune: come la vista non dice di per sé ordine alla bianchez­ za, ma al colore come tale. E ciò avviene per­ ché l' uno dei contrari è in qualche modo prin­ cipio dell' altro: infatti essi stanno tra loro come il perfetto all' imperfetto. 3. Nulla impedisce che una cosa sostanzial­ mente unica sia diversa nei suoi aspetti, e appartenga così a potenze diverse. 4. Una potenza superiore ha di per sé un oggetto formale più ampio di una potenza

Le potenze dell'anima in generale

Q. 77, A. 3

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inferiore: poiché quanto più una potenza è superiore, tanto più numerosi sono gli oggetti a cui si estende. Perciò sono molte le cose aventi in comune un medesimo aspetto ogget­ tivo che forma l' oggetto proprio di una poten­ za superiore, e che tuttavia differiscono tra loro in base ai vari aspetti che formano l' og­ getto proprio delle potenze inferiori . E da ciò deriva che oggetti diversi, appartenenti a po­ tenze inferiori diverse, ricadono tuttavia sotto una sola potenza superiore. Articulus 4

Articolo 4

Utrurn in potentiis animae sit ordo

C'è una gerarchia tra le potenze d eli' anima?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in potentiis animae non sit ordo. l . In his enim quae cadunt sub una divisione, non est prius et posterius, sed sunt naturaliter simul . Sed potentiae animae contra se in­ vicem dividuntur. Ergo inter eas non est ordo. 2. Praeterea, potentiae animae comparantur ad obiecta, et ad ipsam animam. Sed ex parte animae, inter eas non est ordo, quia anima est una. Similiter etiam nec ex parte obiectorum, cum sint diversa et penitus disparata, ut patet de colore et sono. In potentiis ergo animae non est ordo. 3. Praeterea, in potentiis ordinatis hoc inveni­ tur, quod operatio unius dependet ab operatio­ ne alterius. Sed actus unius potentiae animae non dependet ab actu alterius, potest enim vi­ sus exire in actum absque auditu, et e conver­ so. Non ergo inter potentias animae est ordo. Sed contra est quod philosophus, in 2 De an. [3,5], comparat partes sive potentias animae fi­ guris. Sed figurae habent ordinem ad invicem. Ergo et potentiae animae. Respondeo dicendum quod, cum anima sit una, potentiae vero plures; ordine autem quodam ab uno in multitudinem procedatur; necesse est inter potentias animae ordinem esse. Triplex autem ordo inter eas attenditur. Quorum duo considerantur secundum depen­ dentiam unius potentiae ab altera, tertius autem accipitur secundum ordinem obiecto­ rum. Dependentia autem unius potentiae ab altera dupliciter accipi potest, uno modo, se­ cundum naturae ordinem, prout perfecta sunt nan1raliter imperrectis priora; alio modo, se­ cundum ordinem generationis et temporis, prout ex imperfecto ad perfectum venitur.

Sembra di no. Infatti: l . Tra entità che cadono sotto un'unica distin­ zione non esiste un prima e un poi, ma esse sono per natura simultanee. Ora, le potenze del­ l' anima si contraddistinguono reciprocamente. Non vi è quindi una gerarchia fra di esse. 2. Le potenze dell'anima dicono ordine ai lo­ ro oggetti e alla stessa anima. Ma in rapporto ali' anima non vi è ordine tra di esse: poiché l'anima è una sola. E neppure in rapporto agli oggetti: poiché questi sono del tutto diversi e disparati, come ad es. il colore e il suono. Perciò non vi è ordine di sorta tra di esse. 3. Nelle potenze che sono ordinate fra di loro riscontriamo che l'operazione dell'una dipende da quella dell'altra. Ma l'operazione di una potenza dell' anima non dipende dall'operazio­ ne dell'altra: la vista infatti può emettere il suo atto senza l'udito, e viceversa. Non esiste dun­ que una gerarchia tra le potenze dell'anima. In contrario: il Filosofo paragona le parti o potenze dell' anima alle figure geomettiche. Ora, le figure hanno un ordine reciproco. Lo stesso quindi sarà delle potenze dell'anima. Risposta: essendo I' anima una sola e molte le potenze, ed essendo necessario procedere con un certo ordine dall'unità alla moltitudine, è pure necessario che vi sia una gerarchia tra le potenze deli' anima. Ora, possiamo scorgere in esse tre specie di ordini. Due derivano dalla dipendenza di una facoltà dall' altra; il terzo invece si rileva dall'ordine degli oggetti. La dipendenza poi di una facoltà dall' altra può essere considerata sotto due aspetti: primo, in ordine di natura, poiché le entità pertètte ven­ gono per natura prima di quelle imperfette ;

Le potenze dell'anima in generale

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Secundum igitur primum potentiarum ordi­ nem, potentiae intellectivae sunt priores po­ tentiis sensitivis, unde dirigunt eas et imperant eis. Et similiter potentiae sensitivae hoc ordine sunt priores potentiis animae nutritivae. Se­ cundum vero ordinem secundum, e converso se habet. Nam potentiae animae nutritivae sunt priores, in via generationis, potentiis animae sensitivae, unde ad earum actiones praeparant corpus. Et similiter est de potentiis sensitivis respectu intellectivarum. Secundum autem ordinem tertium, ordinantur quaedam vires sensitivae ad invicem, scilicet visus, auditus et olfactus. Nam visibile est prius naturaliter, quia est commune superioribus et inferioribus corporibus. Sonus autem audibilis fit in aere, qui est naturaliter prior commixtione elemen­ tomm, quam consequitur odor. Ad primum ergo dicendum quod alicuius ge­ neris species se habent secundum prius et posterius, sicut numeri et figurae, quantum ad esse; licet simul esse dicantur inquantum sus­ cipiunt communis generis praedicationem. Ad secundum dicendum quod ordo iste po­ tentiarum animae est et ex parte animae, quae secundum ordinem quendam habet aptitudi­ nem ad diversos actus, licet sit una secundum essentiam; et ex parte obiectorum; et etiam ex parte actuum, ut dictum est [in co.]. Ad tettium dicendum quod ratio illa procedit de illis potentiis in quibus attenditur ordo solum secundum tertium modum. Illae autem potentiae quae ordinantur secundum alios duos modos, ita se habent quod actus unius dependet ab altera.

Q. 77, A. 4

secondo, in ordine di generazione e di tempo, poiché si giunge alle entità perfette partendo da quelle imperfette. Se badiamo dunque alla prima specie di ordine, allora le potenze intel­ lettive vengono prima di quelle sensitive: per cui le dirigono e le comandano. Parimenti, secondo quest' ordine, le facoltà sensi tive antecedono quelle dell' anima vegetativa. Abbiamo invece l ' opposto se ci atteniamo alla seconda specie di ordine. Infatti in ordine genetico le potenze dell' anima vegetati va sono prima di quelle dell'anima sensitiva: per cui esse preparano il corpo alle operazioni di queste ultime. E lo stesso si dica di quelle sensitive rispetto alle facoltà intellettive. Finalmente, la terza specie di ordine stabilisce una gerarchia tra le facoltà deli' anima sensiti­ va, quali la vista, l 'udito e l'olfatto. In ordine di natura, infatti, viene ptima ciò che è visibi­ le, poiché la visibilità è comune ai corpi cele­ sti e a quelli terrestri. Il suono d' altra parte, cioè l' udibile, si produce nell' aria, la quale per natura è anteriore alla combinazione degli elementi, che è il presupposto dell'odore. Soluzione delle difficoltà: l . In certi generi le specie possono realmente dipendere l ' un a dall'altra come i numeri e le figure; benché si dica che sono simultanee in quanto sono clas­ sificate sotto uno stesso genere. 2. L'ordine delle potenze dell'anima deriva dali' anima in quanto questa, pur essendo es­ senzialmente unica, ha attitudine ai diversi atti secondo un determinato ordine; e deriva dagli oggetti, come pure dagli atti, nel modo sopra indicato. 3. La difficoltà può valere nel caso delle po­ tenze ordinate soltanto secondo la terza specie di ordine. Quelle invece che sono ordinate secondo le altre due specie sono fatte in ma­ niera tale che l 'operazione dell'una dipende dall'operazione dell'altra.

Articulus 5

Articolo 5

Utrum omnes potentiae animae sint in anima sicut in subiecto

L'anima è il soggetto di tutte le sue potenze?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ornnes potentiae animae sint in anima sicut in subiecto. l . Sicut enim se habent potentiae corporis ad corpus, ita se habent potentiae animae ad animam. Sed corpus est subiectum corpo-

Sembra di sì. Infatti: l . Le potenze dell' anima stanno all'anima co­ me le potenze del corpo al corpo. Ma il corpo è il soggetto delle potenze corporee. Quindi l 'anima è il soggetto delle varie potenze del­ l 'anima.

Q. 77, A. 5

Le potenze dell'anima in generale

ralium potentiarum. Ergo anima est subiec­ tum potentiarum animae. 2. Praeterea, operationes potentiarum animae attribuuntur corpori propter animam, quia, ut dicitur in 2 De an . [2, 1 2] , anima est quo sentimus et intelligimus primum. Sed propria principia operationum animae sunt potentiae. Ergo potentiae per prius sunt in anima. 3. Praeterea, Augustinus dicit, 1 2 Super Gen. [7.24], quod anima quaedam sentit non per corpus, immo sine corpore, ut est timor et huiusmodi; quaedam vero sentit per corpus. Sed si potentia sensitiva non esset in sola ani­ ma sicut in subiecto, nihil posset sine corpore sentire. Ergo anima est subiectum potentiae sensitivae; et pari ratione, omnium aliarum potentiarum. Sed contra est quod philosophus dicit, in libro De somno et vigilia [ l ] quod sentire non est

proprium animae neque corporis, sed co­ niuncti. Potentia ergo sensitiva est in coniuncto

sicut in subiecto. Non ergo sola anima est subiectum omnium potentiarum suarum. Respondeo dicendum quod illud est subiectum operativae potentiae, quod est potens operari, omne enim accidens denominat proprium subiectum. Idem autem est quod potest opera­ ti, et quod operatur. Unde oportet quod eius sit potentia sicut subiecti, cuius est operatio; ut etiam philosophus dicit, in principio De somno et vigilia [ 1 ] . Manifestum est autem ex supra dictis [q. 75 aa. 2-3; q. 76 a. l ad l ] quod quaedam operationes sunt animae, quae exer­ centur sine organo corporali, ut intelligere et velle. Unde potentiae quae sunt harum opera­ tionum principia, sunt in anima sicut in subiec­ to. Quaedam vero operationes sunt animae, quae exercentur per organa corporalia; sicut vi­ sio per oculum, et auditus per aurem. Et simile est de omnibus aliis operationibus nutritivae et sensitivae partis. Et ideo potentiae quae sunt talium operationum principia, sunt in co­ niuncto sicut in subiecto, et non in anima sola. Ad primum ergo dicendum quod omnes po­ tentiae dicuntur esse animae, non sicut su­ biecti, sed sicut principii, quia per animam coniunctum habet quod tales operationes ape­ rari possit. Ad secundum dicendum quod omnes huius­ modi potentiae per prius sunt in anima quam in coniuncto, non sicut in subiecto, sed sicut in principio.

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2. Le operazioni delle potenze dell' anima vengono attribuite al corpo a motivo dell'ani­ ma poiché, al dire di Aristotele, «l'anima è il primo principio del sentire e dell'intendere». Ma le potenze sono i princìpi immediati delle operazioni de li' anima. Quindi le potenze sono prima di tutto nell'anima. 3. Agostino afferma che l'anima certe sensa­ zioni non le ha per mezzo del corpo, anzi, le ha senza il corpo, come il timore e sentimenti consimili; altre invece le ha per mezzo del corpo. Ma l'anima non potrebbe sentire nulla senza il corpo se le potenze sensitive avessero un altro soggetto oltre all'anima. Quindi l'ani­ ma è il soggetto delle potenze sensitive e, per lo stesso motivo, anche di tutte le altre. In contrario: Alistotele dice: «ll sentire non è una proprietà esclusiva dell'anima o del corpo, ma del composto [umano]». Perciò la potenza sensitiva ha sede nel composto, e quindi non la sola anima è il soggetto di tutte le sue potenze. Risposta: il soggetto della potenza operativa è quell'entità che è capace di operare: infatti il soggetto viene sempre denominato dai suoi accidenti. Ora, è identico il soggetto che ha la çapacità di operare e quello che di fatto opera. E quindi necessmio che «la potenza appar­ tenga ali' identico soggetto a cui app>.

Q. 79, A. 1 3

Le potenze intellettive

nostri. Consuetum enim est quod causae et effectus per invicem nominentur. Ad primum ergo dicendum quod conscientia dicitur spiritus, secundum quod spiritus pro mente ponitur, quia est quoddam mentis dictamen. Ad secundum dicendum quod inquinatio di­ citur esse in conscientia, non sicut in subiecto, sed sicut cognitum in cognitione, inquantum scilicet aliquis scit se esse inquinatum. Ad tertium dicendum quod actus, etsi non semper maneat in se, semper tamen manet in sua causa, quae est potentia et habitus. Habitus autem ex quibus conscientia informatur, etsi multi sint, ornnes tamen efficaciam habent ab uno primo, scilicet ab habitu primorum princi­ piorum, qui dicitur synderesis. Unde speciali­ ter hic habitus interdum conscientia nomina­ tur, ut supra [in co.] dictum est.

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Infatti si è soliti denominare gli effetti con i nomi delle loro cause, e viceversa. Soluzione delle difficoltà: l . La coscienza viene chiamata spirito in quanto spirito sta per mente, poiché la coscienza è come un detta­ me della mente. 2. La contaminazione si trova nella coscienza non come nel suo soggetto, ma come una cosa conosciuta si trova nella conoscenza, in quanto cioè uno sa di essere contaminato. 3. Sebbene l'atto non sia sempre permanente in se stesso, tuttavia perdura sempre nelle sue cause, che sono la potenza e l'abito. E benché siano molti gli abiti da cui è influenzata la coscienza, pure essi traggono tutti l'efficacia da un primo abito, cioè dall'abito dei primi princìpi, che è chiamato sinderesi. Per cui tal­ volta questo abito in modo speciale viene chiamato coscienza, come si è spiegato.

QUAESTIO 80

QUESTIONE 80

DE POTENTIIS APPETITIVIS IN COMMUNI

LE POTENZE APPETITIVE IN GENERALE

Deinde considerandum est de potentiis appeti­ tivis. Et circa hoc consideranda sunt quatuor, primo, de appetitivo in communi; secundo, de sensualitate [q. 81]; tertio, de voluntate [q. 82]; quarto, de libero arbitrio [q. 83]. Circa primum quaeruntur duo. Primo, utrum debeat poni appe­ titus aliqua specialis potentia animae. Secundo, utrum appetitus dividatur in appetitum sensiti­ vum et intellectivum, sicut in potentias diversas.

Dobbiamo ora trattare delle potenze appetiti­ ve. Sull'argomento vanno considerate quattro cose: primo, l'appetito in generale; secondo, la sensualità; terzo, la volontà; quarto, il libe­ ro arbitrio. Sul primo punto si pongono due quesiti: l . Si deve ammettere l'appetito quale potenza speciale dell'anima? 2. L'appetito si divide in sensitivo e intellettivo come in due potenze distinte?

Articulus l

Articolo l V appetito

Utrum appetitus sit aliqua specialis animae potentia

è una potenza speciale dell'anima?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod appetitus non sit aliqua specialis animae potentia. l. Ad ea enim quae sunt communia animatis et inanimatis, non est aliqua potentia animae assignanda. Sed appetere est commune ani­ matis et inanimatis quia bonum est quod om­ nia appetunt, ut dicitur in l Ethic. [1,1]. Ergo appetitus non est specialis potentia animae. 2. Praeterea, potentiae distinguuntur secun­ dum obiecta. Sed idem est quod cognoscimus et appetimus. Ergo vim appetitivam non opor­ tet esse aliam praeter vim apprehensivam.

Sembra di no. Infatti: l. Non è necessario assegnare una potenza del­ l'anima per ciò che è comune agli esseri ani­ mati e a quelli inanimati. Ora, l'appetire è co­ mune a tutti questi esseri, poiché, secondo Ari­ stotele, il bene è «ciò che tutti appetiscono». Quindi l'appetito non è una speciale potenza dell'anima. 2. La distinzione delle potenze si ricava dai loro oggetti. Ma è identico l'oggetto della conoscenza e dell'appetizione. Non è quindi necessario ammettere una facoltà appetitiva oltre a quella conoscitiva.

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Le potenze appetitive in generale

3. Praeterea, commune non distinguitur con­ tra proprium. Sed quaelibet potentia animae appetit quoddam particolare appetibile, scili­ cet obiectum sibi conveniens. Ergo respectu huius obiecti quod est appetibile in communi, non opottet accipi aliquam potentiam ab aliis distinctam, quae appetitiva dicatur. Sed contra est quod philosophus, in 2 De an. [3,1; 3,10,8], distinguit appetitivum ab aliis potentiis. Damascenus etiam, in 2 libro [De fi­ de 22] distinguit vires appetitivas a cognitivis. Respondeo dicendum quod necesse est pone­ re quandam potentiam animae appetitivam. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod quamlibet formam sequitur aliqua indi­ natio, sicut ignis ex sua forma inclinatur in superiorem locum, et ad hoc quod generet sibi simile. Forma autem in his quae cognitio­ nem participant, altiori modo invenitur quam i n his quae cognitione carent. In his enim quae cognitione carent, invenitur tantummodo forma ad unum esse proprium determinans unumquodque, quod etiam naturale unius­ cuiusque est. Hanc igitur formam naturalem sequitur naturalis inclinatio, quae appetitus naturalis vocatur. In habentibus autem cogni­ tionem, sic determinatur unumquodque ad proprium esse naturale per formam natura­ lem, quod tamen est receptivum specierum aliarum rerum, sicut sensus recipit species omnium sensibilium, et intellectus omnium intelligibilium, ut sic anima hominis sit omnia quodarnmodo secundum sensum et intellec­ tum, i n quo quodammodo c o g n i t i o n e m habentia a d Dei similitudinem appropinquant, in quo omnia praeexistunt, sicut Dionysius [DON 5,5] dicit. Sicut igitur formae altiori modo existunt in habentibus cognitionem so­ pra modum formarum naturalium, ita oportet quod in eis sit inclinatio supra modum incli­ nationis naturalis, quae dicitur appetitus natu­ ralis. Et haec superior inclinatio pertinet ad vim animae appetitivam, per quam animai appetere potest ea quae apprehendit, non solum ea ad quae inclinatur ex forma naturali. Sic igitur necesse est ponere aliquam poten­ tiam animae appetitivam. Ad primum ergo dicendum quod appetere in­ venitur in habentibus cognitionem, supra mo­ dum communem quo invenitur in omnibus, ut dictum est [in co.]. Et ideo oportet ad hoc de­ terminaci aliquam potentiam animae.

Q. 80, A. l

3. Un universale non si distingue in opposi­ zione ai rispettivi particolari. Ma ciascuna po­ tenza dell'anima appetisce un particolare ap­ petibile, cioè il proprio oggetto. Quindi per un oggetto quale l'appetibile in genere non è ne­ cessario amm ettere una potenza particolare distinta dalle altre, che venga detta appetitiva. In contrario: Aristotele distingue la facoltà appetitiva dalle altre potenze. E il Dama­ scena distingue le facoltà appetitive da quelle conoscitive. Risposta: è necessario ammettere nell'anima una potenza appetitiva. Per dimostrarlo biso­ gna considerare che ogni forma ha una sua inclinazione - come il fuoco è spinto dalla sua forma verso l'alto, e a produrre un effetto a sé somigliante-. Ma negli esseti dotati di cono­ scenza la forma si trova a un grado più alto che in quelli ptivi di conoscenza. Infatti in questi ultimi si trova una forma che determina cia­ scuno di essi soltanto al proptio essere, che è pure quello naturale per ognuno. E questa forma naturale ha una sua inclinazione natura­ le, chiamata appunto appetito naturale. Quelli invece dotati di conoscenza sono determinati ciascuno al proprio essere naturale dalla loro forma naturale, in modo però da poter ticevere anche le specie [intenzionali] delle altre cose: come il senso ticeve le specie di tutte le realtà sensibili, e l'intelletto quelle di tutte le realtà intelligibili; per cui l'anima dell'uomo, in for­ za del senso e dell'intelletto, è in un certo modo tutte le cose. E sotto questo aspetto gli esseri conoscitivi si avvicinano a una certa so­ miglianza con Dio, «in cui tutte le cose preesi­ stono», come dice Dionigi. Come dunque negli esseri dotati di conoscenza le forme esi­ stono in un grado superiore a quello delle for­ me naturali, così bisogna che in essi vi sia un'inclinazione più alta dell'inclinazione natu­ rale, chiamata appetito naturale. E questa incli­ nazione superiore spetta alla facoltà appetitiva dell'anima, mediante la quale gli animali pos­ sono appetire le cose da essi conosciute, oltre a quelle verso cui_sono inclinati in forza della fonna naturale. E dunque necessario ammet­ tere una potenza appetitiva di ordine psichico. Soluzione delle difficoltà: l . Negli esseri co­ noscitivi l'appetizione si trova sotto una for­ ma superiore a quella esistente in tutti gli es­ seri. Ed è per questo che bisogna determinare una potenza speciale dell'anima.

Q. 80, A. l

Le potenze appetitive in generale

Ad secundum dicendum quod id quod ap­ prehenditur et appetitur, est idem subiecto, sed differt ratione, apprehenditur enim ut est ens sensibile vel intelligibile; appetitur vero ut est conveniens aut bonum. Diversitas au­ tem rationum in obiectis requiritur ad diver­ sitatem potentiarum; non autem materialis diversitas. Ad tertium dicendum quod unaquaeque po­ tentia animae est quaedam forma seu natura, et habet naturalem inclinationem in aliquid. Unde unaquaeque appetit obiectum sibi con­ veniens naturali appetitu. Supra quem est ap­ petitus animalis consequens apprehensio­ nem, quo appetitur aliquid non ea ratione qua est conveniens ad actum huius vel illius potentiae, utpote visio ad videndum et audi­ tio ad audiendum; sed quia est conveniens simpliciter animali.

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2. L'oggetto conosciuto e quello desiderato sono in concreto la stessa cosa, ma c'è una differenza di ragione: poiché un identico oggetto viene conosciuto in quanto è un ente sensibile o intelligibile, mentre viene deside­ rato in quanto è una cosa conveniente o buo­ na. Ora, per avere una diversità di potenze non si richiede la diversità materiale degli oggetti, ma quella delle ragioni [formali]. 3. Ogni potenza dell'anima è una certa for­ ma o natura che ha un'inclinazione naturale verso un oggetto. Quindi ogni facoltà appeti­ sce, in forza dell'appetito naturale, il proprio oggetto. Ma oltre a ciò esiste l'appetito ani­ male, legato alla conoscenza, col quale si ap­ petisce una cosa non perché conveniente al­ l' atto di questa o di quella potenza, come sa­ rebbe la visione per la vista o l'audizione per l'udito, bensì perché conveniente all'animale stesso.

Articulus 2 Utrum appetitus sensitivus et intellectivus sint diversae potentiae

Articolo 2 Vappetito sensitivo e quello intellettivo sono potenze distinte?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod appetitus sensitivus et intellectivus non sint diversae potentiae. l. Potentiae enim non diversificantur per acci­ dentales differentias, ut supra [q. 77 a. 3] dic­ tum est. Sed accidit appetibili quod sit appre­ hensum per sensum vel intellectum. Ergo appetitus sensitivus et intellectivus non sunt diversae potentiae. 2. Praeterea, cognitio intellectiva est univer­ salium, et secundum hoc distinguitur a sensi­ tiva, quae est singularium. Sed ista distinctio non habet locum ex parte appetitivae, cum enim appetitus sit motus ab anima ad res, quae sunt singulares, omnis appetitus videtur esse rei singularis. Non ergo appetitus intellectivus debet distingui a sensitivo. 3. Praeterea, sicut sub apprehensivo ordinatur appetitivum ut inferior potentia, ita et moti­ vum. Sed non est aliud motivum in homine consequens intellectum, quam in aliis anima­ libus consequens sensum. Ergo, pari ratione, neque est aliud appetitivum. Sed contra est quod philosophus, in 3 De an. [9,3; 10,3], distinguit duplicem appetitum, et dicit [11,3] quod appetitus superior movet inferiorem.

Sembra di no. Infatti: l. Le potenze non si distinguono per differen­ ze accidentali, come si è detto. Ora, per l'og­ getto appetibile è un'accidentalità l'essere percepito dal senso o dall'intelletto. Quindi l'appetito sensitivo e quello intellettivo non sono potenze distinte. 2. La conoscenza intellettiva ha per oggetto gli universali, e per questo si distingue da quella sensitiva, che ha per oggetto i singo­ lari. Ma questa distinzione non ha luogo nella parte appetitiva: essendo infatti l'ap­ petito un moto dell'anima verso le cose, che esistono nella loro singolarità, è chiaro che ogni appetito ha per oggetto le cose con­ crete e singolari. Quindi non bisogna fare distinzione tra l'appetito sensitivo e quello intellettivo. 3. Non è soltanto l'appetito che è subordinato alla facoltà conoscitiva quale facoltà inferio­ re, ma lo è anche la facoltà di locomozione. Ora, nell'uomo non esiste una facoltà d i locomozione che accompagni l'intelletto di­ stinta da quella che negli altri animali accom­ pagna il senso. Quindi per lo stesso motivo non esiste neppure un'altra facoltà appetitiva distinta.

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Le potenze appetitive in generale

Respondeo dicendum quod necesse est dicere appetitum intellectivum esse aliam potentiam a sensitivo. Potentia enim appetitiva est potentia passiva, quae nata est moveri ab apprehenso, unde appetibile apprehensum est movens non motum, appetitus autem movens motum, ut dicitur in 3 De an. [10,7], et 12 Met. [ 1 1 ,7,2] . Passiva autem et mobilia distinguuntur secun­ dum distinctionem activorum et motivorum, quia oportet motivum esse proportionatum mobili, et activum passivo; et ipsa potentia passiva propriam rationem habet ex ordine ad suum activum. Quia igitur est alterius generis apprehensum per intellectum et apprehensum per sensum, consequens est quod appetitus intellectivus sit alia potentia a sensitivo. Ad primum ergo dicendum quod appetibili non accidit esse apprehensum per sensum vel i ntellectum, sed per se ei convenit, n a m appetibile non movet appetitum nisi inquantum est apprehensum. Unde difterentiae apprehensi sunt per se diff erentiae appetibilis. Unde potentiae appetitivae distinguuntur secundum differentiam apprehensorum, sicut secundum propria obiecta. Ad secundum dicendum quod appetitus intel­ lectivus, etsi feratur in res quae sunt extra ani­ mam singulares, fertur tamen in eas secundum aliquam rationem universalem; sicut cum ap­ petit aliquid quia est bonum. Unde philosophus dicit in sua Rhetorica [2,4,3 1 ] , quod odium potest esse de aliquo universali, puta cum odio habemus omne latronum genus. Similiter etiam per appetitum intellectivum appetere possumus immaterialia bona, quae sensus non apprehendit; sicut scientiam, virtutes, et alia huiusmodi. Ad tertium dicendum quod, sicut dicitur in 3 De an. [11 ,4] , opinio universalis non movet nisi mediante particulari, et similiter appetitus superior movet mediante inferiori. Et ideo non est alia vis motiva consequens intellectum et sensum.

Q. 80, A. 2

In contrario: Aristotele distingue due appetiti, e dice che quello superiore muove l'inferiore. Risposta: è necessario affermare che l'appetito intellettivo è una potenza distinta da quella sensitiva. Infatti la potenza appetitiva è una po­ tenza passiva, che come tale è fatta per essere mossa dall'oggetto conosciuto: per cui l'ap­ petibile conosciuto è un motore non mosso, mentre l'appetito è un motore mosso, come dice Aristotele. Ora, gli enti passivi e mobili si distinguono in base alla distinzione dei rispet­ tivi princìpi attivi e motori: poiché è necessario che il motore sia proporzionato al mobile, e l'attivo al passivo; anzi, la potenza passiva si concepisce proprio in rapporto al suo principio attivo. Ora, essendo l'oggetto dell'intelletto e quello del senso distinti per il genere, ne con­ segue che l'appetito intellettivo è una potenza distinta dali'appetito sensitivo. Soluzione delle difficoltà: l . Per l'oggetto ap­ petibile non è cosa accidentale, ma essen­ ziale, l'essere percepito dal senso o dall'in­ telletto: poiché l'appetibile non muove l'ap­ petito se non in quanto oggetto di conoscen­ za, per cui le differenze dell'oggetto in quan­ to conosciuto sono sue differenze essenziali anche in quanto appetibile. E così le potenze appetitive sono tra loro distinte in base alla differenza degli oggetti conosciuti come in base ai loro oggetti propri. 2. Anche se l'appetito intellettivo ha per og­ getto delle realtà che fuori dell'anima esisto­ no nella loro singolarità, tuttavia si porta su di esse secondo una ragione universale: come quando desidera una cosa in quanto questa è un bene. Quindi il Filosofo dice che l'odio può essere rivolto a qualcosa di universale, p. es. quando «abbiamo in odio ogni genere di assassini». -Inoltre con l'appetito intellet­ tivo possiamo desiderare dei beni immateriali, quali la scienza, le virtù e simili, che i sensi neppure percepiscono. 3. Come dice Aristotele, l'opinione universa­ le non muove che per mezzo di quella parti­ colare, e analogamente l'appetito superiore muove mediante quello inferiore. Per questo non esiste una facoltà di locomozione annes­ sa all'intelletto distinta da quella che accom­ pagna il senso.

Q. 8l,A. l

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La sensualità QUAESTIO 81

QUESTIONE 81,

DE SENSUALITATE

LA SENSUALITA

Deinde considerandum est de sensualitate. Circa quam quaeruntur tria. Primo, utrum sensualitas sit vis appetitiva tantum. Secundo, utrum divida­ tur sensualitas in irascibilem et concupiscibilem, sicut in diversas potentias. Tertio, utrum irascibi­ lis et concupiscibilis obediant rationi.

Passiamo a parlare della sensualità. A tale proposito si pongono tre quesiti: l. La sensua­ lità è solo una facoltà appetitiva? 2. Si divide in irascibile e concupiscibile come in due potenze distinte? 3. L'irascibile e il concupiscibile ob­ bediscono alla ragione?

Articulus l

Articolo l

Utrum sensualitas solum sit appetitiva

La sensualità è una facoltà soltanto appetitiva?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod sen­ sualitas non solum sit appetitiva, sed etiam cognitiva. l . Dicit enim Augustinus, 12 De Trin. [12], quod sensualis animae motus, qui in corporis

Sembra di no. Infatti: l. Dice Agostino: «Il moto dell'anima sensiti­ va proteso verso i sensi del corpo è comune a noi e alle bestie». Ma i sensi del corpo rientra­ no nell'ambito delle facoltà conoscitive. Quin­ di la sensualità è una facoltà conoscitiva. 2. Le parti di una divisione [logica] devono appartenere a un solo genere. Ma Agostino pone la sensualità in una divisione che ab­ braccia la ragione superiore e quella inferiore, che sono di ordine conoscitivo. Quindi anche la sensualità è una potenza conoscitiva. 3. Nella tentazione dell'uomo la sensualità fa la parte del se1pente. Ma nella tentazione dei progenitori il serpente occupa il posto di colui che tà conoscere e propone, cose queste che appartengono alla potenza conoscitiva. Quin­ di la sensualità è una potenza conoscitiva. In contrario: la sensualità è definita come «l'appetito delle cose riguardanti il corpo». Risposta: il termine sensualità, di cui parla Agostino, deriva dal moto dei sensi nel modo in cui il nome di una potenza viene desunto dal suo atto, come la vista dal vedere. Ora, i moti del senso sono le appetizioni che se­ guono la conoscenza sensitiva. Infatti l'atto della virtù conoscitiva non viene detto moto in maniera così propria come quello dell'ap­ petito: poiché le operazioni delle tàcoltà co­ noscitive si compiono in quanto le cose co­ nosciute restano nel conoscente, mentre le operazioni delle facoltà appetitive si compio­ no col tendere dcii' appetente verso la cosa appetibile. E per questa ragione l'operazione della potenza conoscitiva viene paragonata alla quiete, mentre quella della potenza appe­ titiva è più simile al moto. Parlando quindi di moti della sensibilità, intendiamo le opera-

sensus intenditw; nobis pecoribusque commu­ nis est. Sed corporis sensus sub vi cognitiva continentur. Ergo sensualitas est vis cognitiva. 2. Praeterea, quae cadunt sub una divisione, videntur esse unius generis. Sed Augustinus, in 12 De Trin. [12], dividit sensualitatem con­ tra rationem superiorem et infeiiorem; quae ad cognitionem pertinent. Ergo sensualitas etiam est vis cognitiva. 3. Praeterea, sensualitas in tentatione hominis tenet locum serpentis. Sed serpens in tenta­ tione primorum parentum se habuit ut nun­ tians et proponens peccatum; quod est vis co­ gnitivae. Ergo sensualitas est vis cognitiva. Sed contra est quod sensualitas definitur esse appetitus rerum ad corpus pertinentium [Ma­ gister, Sent. 2,24,4]. Respondeo dicendum quod nomen sensuali­ tatis sumptum videtur a sensuali motu, de quo Augustinus loquitur 12 De Trin. [12-13], sicut ab actu sumitur nomen potentiae, ut a visione visus. Motus autem sensualis est appetitus ap­ prehensionem sensitivam consequens. Actus enim apprehensivae virtutis non ita proprie dicitur motus, sicut actio appetitus, nam ope­ ratio virtutis apprehensivae perficitur in hoc, quod res apprehensae sunt in apprehendente; operatio autem virtutis appetitivae perficitur in hoc, quod appetens inclinatur in rem appe­ tibilem. Et ideo operatio apprehensivae virtu­ tis assimilatur quieti, operatio autem virtutis appetitivae magis assimilatur motui. Unde per sensualem motum intelligitur operatio appetì-

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Q. 81, A. l

La sensualità

tivae virtutis. Et sic sensualitas est nomen ap­ petitus sensitivi. Ad primum ergo dicendum quod p er hoc quod dicit Augustinus quod sensualis animae motus intenditur in corporis sensus, non datur intelligi quod corporis sensus sub sensualitate comprehendantur, sed magis quod motus sensualitatis sit inclinatio quaedam ad sensus corporis, dum scilicet appetimus ea quae per corpotis sensus apprehenduntur. Et sic corpo­ ris sensus pertinent ad sensualitatem quasi praeambuli. Ad secundum dicendum quod sensualitas di­ viditur contra rationem superiorem et inferio­ rem, inquantum communicant in actu mo­ tionis, vis enim cognitiva, ad quam pertinet ratio superior et inferior, est motiva, sicut et appetitiva, ad quam pertinet sensualitas. Ad tertium dicendum quod serpens non solum ostendit et proposuit peccatum, sed etiam, inclinavit in effectum peccati. Et quantum ad hoc, sensualitas per serpentem significatur. Articulus 2

zioni della facoltà appetitiva. Quindi il termi­ ne sensualità non è altro che il nome dell'ap­ petito sensitivo. Soluzione delle difficoltà: l . Quando Ago­ stino scrive che il moto della sensualità si protende verso i sensi del corpo non intende dire che i sensi del corpo fanno parte della sensualità, ma piuttosto che quel moto è una tendenza verso i sensi del corpo, ossia che è un'appetizione di quelle cose che sono perce­ pite dai sensi. Quindi i sensi appartengono alla sensualità come suoi prerequisiti. 2. L a sensualità rientra in un'unica divisione con la ragione superiore e con quella inferiore in quanto vi è in comune l'attitudine a muo­ vere. Infatti la facoltà conoscitiva, alla quale appartengono la ragione superiore e quella in­ feriore, è principio di moto come l'appetitiva, di cui fa parte la sensualità. 3. Il serpente non solo mostrò e propose il peccato [ai nostri progenitori], ma li spinse a compierlo. E la sensualità viene simboleggia­ ta dal serpente proprio per questo. Articolo 2

Utrum appetitus sensitivus distinguatur in irascibilem et concupiscibilem, sicut in potentias diversas

L'appetito sensitivo si divide in irascibile e concupiscibile come in due potenze distinte?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod appetitus sensitivus non distinguatur in iras­ cibilem et concupiscibilem, sicut in potentias diversas. l. Eadem enim potentia animae est unius contrarietatis, ut visus albi et nigri, ut dicitur in 2 De an. [11,2]. Sed conveniens et nocivum sunt contraria. Cum ergo concupiscibilis re­ spiciat conveniens, irascibilis vero nocivum, videtur quod eadem potentia animae sit iras­ cibilis et concupiscibilis. 2. Praeterea, appetitus sensitivus non est nisi convenientium secundum sensum. Sed con­ veniens secundum sensum est obiectum con­ cupiscibilis. Ergo nullus appetitus sensitivus est a concupiscibili dift'erens. 3. Praeterea, odium est in irascibili, dicit enim Hieronymus, super Matth. [13,33], possidea­ mus in irascibili odium vitiorum. Sed odium, cum contrarietur amori, est in concupiscibili. Ergo eadem vis est concupiscibilis et irascibilis. Sed contra est quod Gregorius N yssenus [potius Nemesius, De nat. horn. 16-17] et Da-

Sembra di no. Intàtti: l. Secondo Aristotele, unica è la potenza del­ l'anima che ha per oggetto una coppia di con­ trari: come la vista ha per oggetto il bianco e il nero. Ora, il conveniente e il nocivo sono [una coppia di] contrari. Avendo quindi il con­ cupiscibile per oggetto ciò che conviene e l'irascibile ciò che nuoce, sembra che essi siano la stessa potenza. 2. L'appetito sensitivo non ha altro oggetto che le cose convenienti secondo i sensi. Ma ciò che è conveniente secondo i sensi è ogget­ to del concupiscibile. Quindi non esiste un appetito sensitivo distinto dal concupiscibile. 3. L'odio si trova nell'irascibile. Intàtti Giro­ lamo dice: «Custodiamo nell'irascibile l'odio dei vizi». Ma l'odio, essendo il contrario del­ l'amore, si trova anche nel concupiscibile. Quindi il concupiscibile e l'irascibile sono la stessa facoltà. In contrario: Gregorio Nisseno e il Damasceno considerano le due parti dell'appetito sensitivo, irascibile e concupiscibile, come due facoltà.

Q. 8l,A. 2

La sensualità

mascenus [De fide 2,12] ponunt duas vires, irascibilem et concupiscibilem, partes appe­ titus sensitivi. Respondeo dicendum quod appetitus sensiti­ vus est una vis in genere, quae sensualitas di­ citur; sed dividitur in duas potentias, quae sunt species appetitus sensitivi, scilicet in irasci­ bilem et concupiscibilem. Ad cuius eviden­ tiam, consideraci oportet quod in rebus natura­ libus corruptibilibus, non solum oportet esse inclinationem ad consequendum convenientia et refugiendum nociva; sed etiam ad resisten­ dum corrumpentibus et contrariis, quae conve­ nientibus impedimentum praebent et ingerunt nocumenta. Sicut ignis habet naturalem incli­ nationem non solum ut recedat ab inferiori loco, qui sibi non convenit, et tendat in locum superiorem sibi convenientem; sed etiam quod resistat cotrumpentibus et impedientibus. Quia igitur appetitus sensitivus est inclinatio conse­ quens apprehensionem sensitivam, sicut ap­ petitus naturalis est inclinatio consequens formam naturalem; necesse est quod in parte sensitiva sint duae appetitivae potentiae. Una, per quam anima simpliciter inclinatur ad prosequendum ea quae sunt convenientia se­ cundum sensum, et ad refugiendum nociva, et haec dicitur concupiscibilis. Alia vero, per quam animai resistit impugnantibus, quae convenientia impugnant et nocumenta infe­ runt, et haec vis vocatur irascibilis. Unde dici­ tur quo d eius obiectum est arduum, quia scilicet tendit ad hoc quod superet contraria, et superemineat eis. Hae autem duae inclina­ tiones non reducuntur in unum principium, quia interdum anima tristibus se ingerit, contra inclinationem concupiscibilis, ut secundum inclinationem irascibilis impugnet contraria. Unde etiam passiones irascibilis repugnare vi­ dentur passionibus concupiscibilis, nam con­ cupiscentia accensa rninuit iram, et ira accensa rninuit concupiscentiam, ut in pluribus. Patet etiam ex hoc, quod irascibilis est quasi propu­ gnatrix et defensatrix concupiscibilis, dum insurgit contra ea quae impediunt convenien­ tia, guae concupiscibilis appetit, et ingerunt nociva, quae concupiscibilis refugit. Et propter hoc, omnes passiones irascibilis incipiunt a passionibus concupiscibilis, et in eas termi­ nantur; sicut ira nascitur ex illata tristitia, et vindictam inferens, in laetitiam terminatur. Propter hoc etiam pugnae animalium sunt de

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Risposta: l'appetito sensitivo in quanto genere è una facoltà unica chiamata sensualità, ma si divide in due potenze che sono le sue specie, cioè nell'irascibile e nel concupiscibile. Per rendercene conto dobbiamo considerare che negli esseri fisici soggetti a corruzione non solo ci deve essere una tendenza a conseguire ciò che loro conviene e a sfuggire ciò che è nocivo, ma anche una tendenza a resistere agli agenti disgregatori e contrari che impediscono di conseguire ciò che giova, causando invece ciò che è dannoso. Come il fuoco ha un'incli­ nazione naturale non soltanto ad allontanarsi dal basso, luogo ad esso non connaturale, e a tendere verso l'alto, suo luogo naturale, ma anche a resistere agli agenti che lo distruggono o che gli sono di ostacolo. - Poiché dunque l'appetito sensitivo è un'inclinazione che se­ gue la conoscenza sensitiva, proprio come l'appetito naturale è un'inclinazione che segue la forma naturale, è necessario che nella parte sensitiva vi siano due potenze appetitive. La prima che direttamente inclina l'animale a raggiungere gli oggetti ad esso giovevoli sul piano della sensibilità e a respingere quelli nocivi, e questa facoltà è chiamata concupisci­ bile, la seconda invece che potta l'animale a resistere agli attacchi di chi gli contrasta il pos­ sesso delle cose giovevoli, o di chi lo molesta, e questa facoltà è chiamata irascibile. Per cui si dice che il suo oggetto è l'arduo: appunto perché tende a vincere e a sopraffare gli agenti contrari. Ora, queste due inclinazioni non si possono ricondurre a un unico principio: poi­ ché l'anima, agendo contro l'inclinazione del concupiscibile, talvolta compie atti rattristanti p e r affrontare agenti contrari, seguen d o l'inclinazione dell'irascibile. Quindi le passio­ ni stesse dell'irascibile si presentano in contra­ sto con quelle del concupiscibile: infatti I' ac­ cendersi della concupiscenza smorza l'ira, e l'accendersi dell'ira smorza, almeno ordina­ riamente, la concupiscenza. Da cui si rileva ancora che l'irascibile è come il vindice e il difensore del concupiscibile, insorgendo con­ tro quanto impedisce di raggiungere le cose gradevoli, da quest'ultimo desiderate, o contro quanto causa quei nocumenti che dal concupi­ scibile sono aborriti. Ed è questa la ragione per cui tutte le passioni dell'irascibile hanno inizio dalle passioni del concupiscibile e sfo­ ciano in esse: come l'ira nasce da un dolore

Q. 81, A. 2

La sensualità

913

concupiscibilibus, scilicet de cibis et venereis, ut dicitur in 8 De animalibus [1,4]. Ad primum ergo dicendum quod vis concupis­ cibilis est et convenientis et inconvenientis. Sed irascibilis est ad resistendum inconve­ nienti quod impugnat. Ad secundum dicendum quod, sicut in appre­ hensivis virtutibus in parte sensitiva est aliqua vis aestimativa, scilicet quae est perceptiva eo­ rum quae sensum non immutant, ut supra [q. 78 a. 2] dictum est; ita etiam in appetito sensitivo est aliqua vis appetens aliquid quod non est conveniens secundum delectationem sensu..> appartiene al consiglio che precede, e che spetta alla ragione. Sebbene infatti l'appetito non abbia una capacità di comparazione, tut­ tavia, in quanto è mosso dalla facoltà conosci­ tiva che stabilisce dei raffronti, acquista una certa affinità col raffronto, quando appetisce di preferenza una cosa piuttosto che un'altra. '

Articolo 4 D libero arbitrio è una potenza distinta

dalla volontà?

Sembra di sì. Infatti: l. Il Damasceno dice che altra cosa è la théle­ sis, altra la bùlesis: ora, la thélesis è la vo-

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Il /ibero arbitrio

fide 22], quod aliud est thelesis, aliud vero bulesis, thelesis autem est voluntas; bulesis autem videtur arbitrium liberum, quia bulesis, secundum ipsum [ibid.], est voluntas quae est circa aliquid quasi unius per comparationem ad alterum. Ergo videtur quod liberum arbi­ trium sit alia potentia a voluntate. 2. Praeterea, potentiae cognoscuntur per actus. Sed electio, quae est actus liberi arbitrii, est aliud a voluntate, ut dicitur in 3 Ethic. [2,9], quia voluntas est de fine, electio autem de iis quae sunt ad finem. Ergo l iberum arbitrium est alia potentia a voluntate. 3 . Praeterea, voluntas est appetitus intel­ lectivus. Sed ex parte intellectus sunt duae potentiae, scilicet agens et possibilis. Ergo etiam ex parte appetitus intellectivi debet esse alia potentia praeter voluntatem. Et haec non videtur esse nisi liberum arbitrium. Ergo liberum arbitrium est alia potentia praeter voluntatem. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 1 4] , quod liberum arbitrium nihil aliud est quam voluntas. Respondeo dicendum quod potentias appetiti­ vas oportet esse proportionatas poten ti i s apprehensivis, ut supra [q. 64 a. 2; q. 80 a. 2] dictum est. Sicut autem ex pru.te apprehensio­ nis intellectivae se habent intellectus et ratio, ita ex parte appetitus intellectivi se habent vo­ luntas et liberum arbitrium, quod nihil aliud est quam vis electiva. Et hoc patet ex habitudine obiectorum et actuum. Nam intelligere impor­ tat simplicem acceptionem alicuius rei, unde intelligi dicuntur proprie principia, quae sine collatione per seipsa cognoscuntur. Ratiocinari autem proprie est deveni re ex uno i n cognitionem alterius, unde proprie de conclu­ sionibus ratiocinamur, quae ex principiis in­ notescunt. Similiter ex parte appetitus, velle importat simplicem appetitum alicuius rei, unde voluntas dicitur esse de fine, qui propter se appetitur. Eligere autem est appetere aliquid propter alterum consequendum, unde proprie est eorum quae sunt ad finem. Sicut autem se habet in cognitivis principium ad conclusio­ nem, cui propter principia assentimus; ita in appetitivis se habet finis ad ea quae sunt ad finem, quae propter finem appetuntur. Unde manifestum est quod sicut se habet intellectus ad rationem, ita se habet voluntas ad vim electivam, idest ad liberum arbitrium. Osten-

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lontà, mentre la bùlesis sembra essere il libero arbitrio; poiché, secondo lui, è la volontà che ha per oggetto una cosa scelta nel raffronto con un' altra. Quindi il libero arbitrio si pre­ senta come una potenza distinta dalla volontà. 2. Le potenze si conoscono dai loro atti. Ora la scelta, che è l ' atto del libero arbitrio, è un' altra cosa dalla volontà, poiché, stando al Filosofo, «la volontà ha per oggetto i l fine, mentre la scelta ha per oggetto i mezzi che portano al fine». Quindi il libero arbitrio è una potenza distinta dalla volontà. 3. La volontà è l'appetito intellettivo. Ma nel­ la parte intellettiva ci sono due potenze, cioè l' intelletto agente e quello possibile: perciò anche nell'appetito intellettivo ci deve essere un'altra potenza, oltre alla volontà. E questa non sembra essere altro che il libero arbitrio. Quindi il libero arbitrio è una potenza distinta dalla volontà. In contrario: il Damasceno insegna che i l libero arbitrio non è altro che l a volontà. Risposta: è necessario che le potenze appetitive corrispondano a quelle conoscitive, come si è detto sopra. Ora, lo stesso rapporto che nella conoscenza intellettiva esiste tra l'intelletto e la ragione esiste anche nell'appetito intellettivo tra la volontà e il libero arbitrio, il quale non è altro che la facoltà di scelta. E la cosa appare evidente dalle relazioni esistenti tra gli oggetti e gli atti. Infatti l'intellezione indica la sempli­ ce apprensione immediata di una cosa: per cui s i dice che propriamente sono oggetto d'intellezione i princìpi per sé noti, senza il­ lazione. Invece ragionare significa propria­ mente passare da una conoscenza a un' altra: per cui il ragionamento riguarda a tutto rigore le conclusioni raggiunte mediante i princìpi. Parimenti, per quanto riguarda l' appetito, i l volere indica l ' immediata e semplice appe­ tizione di una cosa: quindi si dice che la volon­ tà ha per oggetto il fine, il quale è voluto per se stesso. Scegliere invece è desiderare una cosa in vista di un'altra: perciò in senso proprio la scelta ha per oggetto le cose che portano al fine. Ora, il rapporto esistente nel campo della conoscenza tra il principio e le conclusioni a cui diamo l ' assenso in forza dei princìpi è analogo a quello esistente nel campo appetitivo tra il fme e le cose che conducono al fine, e sono volute in ordine al fine. È dunque eviden­ te che, come l'intelletto sta alla ragione, così la

Q. 83,A. 4

l/ libero arbitrio

sum est autem sopra [q. 79 a. 8] quod eiusdem potentiae est intelligere et ratiocinari, sicut eiusdem virtutis est quiescere et moveri. Unde etiam eiusdem potentiae est velle et eligere. Et propter hoc voluntas et liberum arbitrium non sunt duae potentiae, sed una Ad primum ergo dicendum quod bulesis dis­ tinguitur a thelesi, non propter diversitatem potentiarum, sed propter differentiam actuum. Ad secundum dicendum quod electio et vo­ luntas, idest ipsum velle, sunt diversi actus, sed tamen pertinent ad unam potentiam, sicut etiam intelligere et ratiocinari, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod intellectus com­ paratur ad voluntatem ut movens. Et ideo non oportet in voluntate distinguere agens et possibile.

QUAESTIO

84

QUOMODO ANIMA CONIUNCTA INTELLIGAT CORPORALIA, QUAE SUNT INFRA IPSAM Consequenter considerandum est de actibus animae, quantum ad potentias intellectivas et appetitivas, aliae enim animae potentiae non pertinent directe ad considerationem theologi. Actus autem appetitivae partis ad considera­ tionem moralis scientiae pertinent, et ideo in seconda parte huius operis de eis tractabitur, in qua considerandum erit de morali materia. Nunc autem de actibus i ntellectivae partis agetur. In consideratione vero actuum, hoc modo procedemus, primo namque conside­ randum est quomodo intelligit anima corpori coniuncta; secondo, quomodo intelligit a cor­ pore separata [q. 89] . Prima autem consi­ deratio erit tripartita, primo namque conside­ rabitur quomodo anima intelligit corporalia, quae sunt i nfra ipsam; secondo, quomodo intell igit seipsam, et ea quae in ipsa sunt [q. 87]; tertio, quomodo intelligit substantias immateriales, quae sunt sopra ipsam [q. 88]. Circa cognitionem vero corporalium, tria consideranda occurrunt, primo quidem per quid ea cognoscit; secundo, quomodo et quo ordine [q. 85]; tertio, quid in eis cognoscit [q. 86]. Circa primum quaeruntur octo. Pri­ mo, utrum anima cognoscat corpora per intel­ lectum. Secundo, utrum intelligat ea per es-

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volontà sta alla facoltà di scelta, cioè al libero arbitrio. - Ma sopra abbiamo visto che l'inten­ dere e il ragionare spettano alla medesima potenza, come alla medesima potenza spettano l a quiete e il moto. Spetteranno quindi alla medesima potenza il volere e lo scegliere. Quindi la volontà e il libero arbitrio non sono due potenze, ma una sola. Soluzione delle difficoltà: l . La bùlesis s i distingue dalla thélesis non per una diversità di potenze, ma per una differenza di atti. 2. La scelta e la volontà, o volizione, sono atti distinti, tuttavia appartengono alla medesima potenza, come anche l ' intendere e il ragiona­ re, secondo quanto si è detto. 3. L'intelletto si rapporta alla volontà come suo motore: non c'è quindi bisogno di distinguere in questa una potenza agente e una possibile.

QUESTIONE

84

LA CONOSCENZA DELL'ANIMA UNITA AL CORPO RISPETTO ALLE REALTÀ MATERIALI AD ESSA INFERIORI Passiamo ora a studiare le operazioni dell'a­ nima spettanti alle sole potenze intellettive e appetitive: poiché le altre facoltà non rica­ dono direttamente nel campo della teologia. Ora, gli atti della parte appetitiva appartengo­ no alla scienza morale: perciò ne tratteremo nella seconda parte di quest'opera, in cui ci occuperemo di tale scienza. Ci limiteremo dunque per ora alle operazioni della parte intellettiva. Nell ' indagine procederemo i n questo modo: primo, vedremo i n quale ma­ niera l'anima intende quando è unita al corpo; secondo, in quale maniera intende nello stato di separazione. La prima indagine sarà divisa in tre parti: primo, considereremo in che modo l' anima conosce gli esseri materiali che sono ad essa inferiori; secondo, come cono­ sce se stessa e ciò che è in essa; terzo, come conosce le sostanze immateriali ad essa supe­ riori. Ora, sono tre le considerazioni da farsi intorno alla conoscenza dei corpi: primo, con quali mezzi essa li conosca; secondo, in quale modo e con quale ordine; terzo, che cosa conosca in essi. Sul primo punto si pongono otto quesiti: l . L' anima conosce i corpi me­ diante l 'intelletto? 2. Li conosce intellettual-

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La conoscenza dell 'anima unita al corpo rispetto alle realtà materiali ad essa inferiori

sentiam suam, vel per aliquas species. Tertio, si per aliquas species, utrum species omnium i ntelligibilium sint ei naturaliter innatae. Quarto, utrum effluant in ipsam ab aliquibus formis immaterialibus separatis . Quinto, utrum anima nostra omnia quae intelligit, vi­ deat in rationibus aeterni s . Sexto, utrum cognitionem intelligibilem acquirat a sensu. Septimo, utrum intellectus possit actu intel­ ligere per species intelligibiles quas penes se habet, non convertendo se ad phantasmata. Octavo, utrum iudicium intellectus impedia­ tur per impedimentum sensitivarum virtutum.

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mente mediante la propria essenza o serven­ dosi di specie intelligibili? 3. Posto che inten­ da con le specie, le specie di tutti gli oggetti intelligibili sono in essa innate? 4. Queste specie vengono infuse in essa da forme im­ materiali separate? 5 . La nostra anima vede nelle nozioni eterne tutto quello che intende? 6. Ricava dai sensi la conoscenza intellettiva? 7. L'intelletto può avere l'atto d' intellezione mediante le specie intelligibili che possiede, senza volgersi ai fantasmi? 8. L'atto intelletti­ vo del giudizio è ostacolato dall'assopimento dei sensi?

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Utrum anima cognoscat corpora per intellectum

Uanima conosce i corpi mediante l'intelletto?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod ani­ ma non cognoscat corpora per intellectum. l . Dicit enim Augustinus, in 2 Solil. [4] quod

Sembra di no. Infatti: l . Agostino dice: «l corpi non possono essere percepiti dall'intelletto; e una realtà corporea non può essere vista che dai sensi». E in Super Gen dice anche che la visione intellet­ tuale riguarda quegli oggetti che per loro natura si trovano nell'anima. Ma ciò non av­ viene per i corpi. Quindi l'anima non può co­ noscere i corpi con l'intelligenza. 2. Come sta il senso agli oggetti intelligibili, così sta l'intelletto a quelli sensibili. Ma l'ani­ ma non può in alcun modo conoscere con i sensi le realtà spirituali, che sono intelligibili. Quindi non potrà assolutamente conoscere con l'intelletto i corpi, che sono realtà sensibili. 3. L'intelletto ha per oggetto entità necessarie e invariabili. Ma i corpi sono tutti mobili e variabili. Quindi l'anima non può conoscere i corpi mediante l'intelletto. In contrario: la scienza risiede nell'intelletto. Ora, se questa facoltà non conoscesse i corpi, verrebbe negata ogni scienza dei corpi, e peri­ rebbero così le scienze naturali, che si occu­ pano dei corpi soggetti a mutamento. Risposta: a chiarimento del problema bisogna ricordare che i primi filosofi che indagarono sulla natura delle cose ritenevano che nel mondo esistessero soltanto i corpi. E poiché vedevano che tutti i corpi sono mutevoli, e ritenevano che tutte le cose fossero in conti­ nuo mutamento, pensarono che a noi non fosse possibile avere una qualsiasi certezza sulla verità delle cose. Infatti non si può cono­ scere con certezza ciò che è in continuo dive-

cmpora intellect u comprehendi non possunt; nec aliquod corporeum nisi sensibus videri potest. Dicit etiam, 1 2 Super Gen. [24], quod

visio intellectualis est eorum quae sunt per essentiam suam in anima. Huiusmodi autem non sunt corpora. Ergo anima per intellectum corpom cognoscere non potest. 2. Praeterea, sicut se habet sensus ad intelligi­ bilia, ita se habet intellectus ad sensibilia. Sed anima per sensum nullo modo potest cognos­ cere spiritualia, quae sunt intelligibilia. Ergo nullo modo per intellectum potest cognoscere corpora, quae sunt sensibilia. 3. Praeterea, intellectus est necessariorum et semper eodem modo se habentium. Sed corpora omnia sunt mobilia, et non eodem modo se habentia. Anima ergo per intellec­ tum corpora cognoscere non potest. Sed contra est quod scientia est in intellectu. Si ergo intellectus non cognoscit corpora, sequitur quod nulla scientia sit de corporibus. Et sic peribit scientia naturalis, quae est de corpore mobili. Respondeo dicendum, ad evidentiam huius quaestionis, quod primi philosophi qui de naturis rerum inquisiverunt, putaverunt nihil esse in mundo praeter corpus. Et quia vide­ bant omnia corpora mobilia esse, et putabant ea in continuo fluxu esse, aestimaverunt quod nulla certitudo de rerum veritate haberi posset a nobis. Quod enim est in continuo fluxu, per

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La conoscenza dell 'anima unita al corpo rispetto alle realtà materiali ad essa injèriori

certitudinem apprehendi non potest, quia prius labimr quam mente diiudicetur, sicut Heraclitus dixit quod non est possibile aquam jluvii currentis bis tangere, ut recitat philoso­ phus in 4 Met. [3,5, 1 2]. His autem superve­ niens Plato [Phaedo 49; Timaeus 5], ut posset salvare certam cognitionem veritatis a nobis per intellectum haberi, posuit praeter ista corporalia aliud genus entium a materia et motu separatum, quod nominabat species sive ideas, per quarum participationem unum­ quodque istorum singularium et sensibilium dicitur vel homo vel equus vel aliquid huius­ modi. Sic ergo dicebat scientias et definitio­ nes et quidquid ad actum intellectus pertinet, non referri ad ista corpora sensibilia, sed ad illa immaterialia et separata; ut sic anima non intelligat ista corporalia, sed intelligat horum corporalium species separatas. Sed hoc dupli­ citer apparet falsum. Primo quidem quia, cum illae species sint immateriales et immobiles, excluderetur a scientiis cognitio motus et ma­ teriae (quod est proprium scientiae naturalis) et demonstratio per causas moventes et mate­ riales. Secundo autem, quia derisibile videtur ut, dum rerum quae nobis manifestae sunt notitiam quaerimus, alia entia in medium af­ feramus, quae non possunt esse earum sub­ stantiae, cum ab eis differant secundum esse, et sic, illis substantiis separatis cognitis, non propter hoc de istis sensibilibus iudicare pos­ semus. Videtur autem in hoc Plato deviasse a veritate, quia, cum aestimaret omnem cogni­ tionem per modum alicuius similitudinis esse, credidit quod forma cogniti ex necessitate sit in cognoscente eo modo quo est in cognito. Consideravit autem quod forma rei intellectae est in intellectu universaliter et immaterialiter et immobiliter, quod ex ipsa operatione intel­ lectus apparet, qui intelligit universaliter et per modum necessitatis cuiusdam; modus enim actionis est secundum modum formae agentis. Et ideo existimavit quod oporteret res intellectas hoc modo in seipsis subsistere, sci­ licet immaterialiter et immobiliter. Hoc autem necessarium non est. Quia etiam in ipsis sen­ sibilibus videmus quod forma alio modo est in uno sensibilium quam in altero, puta cum in uno est albedo intensior, in alio remissior, et in uno est albedo cum dulcedine, in alio si­ ne dulcedine. Et per bune etiam modum for­ ma sensibilis alio modo est i n re quae est

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nire, dato che si dissolve prima di essere giu­ dicato dalla mente. E in tal senso Eraclito di­ ceva, come riferisce Aristotele, che «non è possibile toccare due volte la stessa acqua di un fiume che scorre». Seguì poi Platone il quale, per salvare la certezza della nostra co­ noscenza intellettiva, pose al di fuori di queste realtà corporee un altro genere di enti, svinco­ lati dalla materia e dal moto, che egli chiamò specie o idee, partecipando le quali ogni esse­ re concreto, singolare e sensibile, acquistereb­ be la denominazione di uomo, di cavallo, o di altra cosa del genere. Così dunque diceva che le scienze, le definizioni e tutto quanto appar­ tiene alle operazioni intellettive non si riferi­ rebbe ai corpi sensibili, ma a quelle entità im­ materiali e separate. L'anima quindi non co­ noscerebbe intellettualmente queste realtà corporee, ma le loro specie separate. Ma tutta questa teoria si rivela chiaramente falsa per due motivi. Primo, perché si verrebbe a esclu­ dere dalle scienze sia la conoscenza del moto e della materia (cose che formano l'oggetto delle scienze naturali), sia le dimostrazioni che partono dalla causa motrice e da quella materiale, poiché dette specie sono immobili e immateriali. - Secondo, perché è ridicolo che per conoscere cose che sono a noi mani­ feste mettiamo in campo altre entità che non possono costituire la loro sostanza, avendo un altro modo di essere. Cosicché, anche cono­ scendo tali sostanze separate dalla materia, non potremmo con ciò emettere logicamente dei giudizi sulla realtà sensibile. Ora, sembra che Platone su questo punto abbia deviato dalla verità poiché, ritenendo che ogni cono­ scenza avvenga mediante una certa somi­ glianza [fra oggetto e soggetto], pensò che ne­ cessariamente la forma del conosciuto doves­ se trovarsi nel conoscente allo stesso modo in cui è nel conosciuto. Considerando poi che la forma della cosa conosciuta si trova nell'intel­ letto in maniera universale, immateriale e im­ mobile - il che appare dalla stessa attività del­ l' intelletto, il quale intende in modo universa­ le e secondo una certa necessità: infatti il mo­ do dell'azione è secondo il modo della forma dell' agente -, pensò che le cose dovessero esistere in se stesse in questo medesimo mo­ do, cioè in maniera immateriale e immobile. Ma queste induzioni non sono concludenti. Vediamo infatti che anche nella realtà sensibi-

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La conoscenza dell 'anima unita al corpo rispetto alle realtà materiali ad essa inferiori

extra animam, et alio modo in sensu, qui sus­ cipit formas sensibilium absque materia, sicut colorem auri sine auro. Et similiter intellectus species, corporum, quae sunt materiales et mobiles, recipit immaterialiter et immobiliter, secundum modum suum, nam receptum est in recipiente per modum recipientis. Dicen­ dum est ergo quod anima per intellectum cognoscit corpora cognitione immateriali, universali et necessaria. Ad primum ergo dicendum quod verbum Augustini est intelligendum quantum ad ea quibus intellectus cognoscit, non autem quan­ tum ad ea quae cognoscit. Cognoscit enim corpora intelligendo, sed non per corpora, ne­ que per similitudines materiales et corporeas; sed per species immateriales et intelligibiles, quae per sui essentiam in anima esse possunt. Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit 22 De civ. Dei [29], non est dicen­ dum quod, sicut sensus cognoscit sola corpo­ ralia, ita intellectus cognoscit sola spiritualia, quia sequeretur quod Deus et angeli corpora­ lia non cognoscerent. Huius autem diversitatis ratio est, quia inferior virtus non se extendit ad ea quae sunt superioris virtutis; sed virtus superior ea quae sunt inferioris virtutis, excel­ lentiori modo operatur. Ad tertium dicendum quod omnis motus sup­ ponit aliquid immobile, cum enim transmuta­ tio fit secundum qualitatem, remanet substan­ tia immobilis; et cum transmutatur forma sub­ stantialis, remanet materia immobilis. Rerum etiam mutabilium sunt immobiles habitu­ dines, sicut Socrates etsi non semper sedeat, tamen immobiliter est verum quod, quando­ cumque sedet, in uno loco manet. Et propter hoc nihil prohibet de rebus mobilibus immo­ bilem scientiam habere.

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le la stessa forma si trova diversamente nei vari soggetti. La bianchezza, p. es., in uno è più intensa, in un altro è più debole; in un sog­ getto è congiunta con la dolcezza, in un altro ne è separata. E così, in modo analogo, la forma sensibile ha un diverso modo di essere nelle realtà che sono fuori dell' anima e nei sensi, i quali ricevono senza materia le forme delle realtà sensibili: il colore dell' oro, p. es., senza l ' oro. E allo stesso modo anche l 'in­ telletto riceve immaterialmente e immobil­ mente, in conformità appunto al suo modo di essere, le specie intenzionali dei corpi, che so­ no materiali e soggetti al moto: infatti la cosa ricevuta si trova nel soggetto ricevente in mo­ do conforme alla natura del ricevente. - Dob­ biamo dunque concludere che l ' anima, me­ diante l'intelletto, conosce i corpi con una co­ noscenza immateriale, universale e necessaria. Soluzione delle difficoltà: l . Le parole di Agostino vanno riferite ai mezzi di cui si ser­ ve l ' intelletto per conoscere, non agli oggetti che conosce. Intatti l' anima conosce intellet­ tualmente i corpi non mediante dei corpi, o immagini materiali e corporee, ma mediante immagini immateriali e intellettuali , che per la loro natura possono trovarsi nell' anima. 2. Al dire di Agostino, non è giusto affermare che come i sensi conoscono soltanto le realtà corporee, così l'intelletto conosce solo quelle spirituali: ne verrebbe infatti che Dio e gli an­ geli non conoscerebbero le realtà materiali. E la ragione della diversità sta nel fatto che una potenza inferiore non si estende al campo proprio di una facoltà superiore, ma una fa­ coltà superiore può svolgere in modo più emi­ nente le funzioni delle potenze inferiori. 3. Ogni moto presuppone qualcosa di immo­ bile: quando infatti avviene una mutazione di qualità, rimane immutata la sostanza, e quan­ do cambia la forma sostanziale rimane immu­ tata la materia. Ma anche nelle realtà soggette a mutazione troviamo dei rapporti immutabili: p. es., sebbene Socrate non stia sempre seduto, pure è immutabilmente vero che quando egli siede rimane in un dato luogo. Nulla quindi impedisce che si abbia una scienza immu­ tabile intorno a cose soggette alla mutazione.

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La conoscenza del/'anima unita al corpo rispetto alle realtà materiali ad essa infèriori Articulus

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Utrum anima per essentiam suam corporalia intelligat Ad secundum sic proceditur. Videtur quod a­ nima per essentiam suam corporalia intelligat. l . Dicit enim Augustinus, 1 0 De Trin. [5], quod anima imagines corporum convolvit et

rapii factas in semetipsa de semetipsa, dat enim eis formandis quiddam substantiae suae. Sed per similitudines corporum corpora intelligit. Ergo per essentiam suam, quam dat formandis talibus similitudinibus, et de qua eas format, cognoscil corporalia. 2. Praeterea, philosophus dicit, in 3 De an. [8, 1 ] , quod anima quodammodo est omnia. Cum ergo simile simili cognoscatur, videtur quod anima per seipsam corporalia cognoscat. 3. Praeterea, anima est superior corporalibus creaturis. lnferiora autem sunt in superioribus eminentiori modo quam in seipsis, ut Diony­ sius [DCH 1 2,2] dicit. Ergo omnes creaturae corporeae nobiliori modo existunt i n ipsa substantia animae quam in seipsis. Per suam ergo substantiam potest creaturas corporeas cognoscere. Sed contra est quod Augustinus dicit, 9 De Trin. [3], quod mens cmporearum rerum no­ titias per sensus corporis colligit. Ipsa autem anima non est cognoscibilis per corporis sen­ sus. Non ergo cognoscit corporea per suam substantiam. Respondeo dicendum quod antiqui philoso­ phi posuerunt quod anima per suam essen­ tiam cognoscit corpora. Hoc enim animis omnium communiter inditum fuit, quod simi­ le simili cognoscitur [De an. l ,5,5]. Existima­ bant autem quod forma cogniti sit in cognos­ cente eo modo quo est in re cognita. E contra­ rio tamen Platonici posuerunt. Plato enim, quia perspexit intellectualem animam imma­ terialem esse et immaterialiter cognoscere, posuit formas rerum cognitarum immateriali­ ter subsistere. Priores vero naturales, quia considerabant res cognitas esse corporeas et materiales, posuerunt oportere res cognitas etiam in anima cognoscente materialiler esse. Et ideo, ut animae attribuerent omnium co­ gnitionem, posuerunt eam habere naturam communem cum omnibus. Et quia natura principiatorum ex principiis constituitur, at­ tribuerunt animae naturam principii, ita quod

Vanima

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conosce gli esseri corporei mediante la propria essenza?

Sembra di sì. Infatti: l. Agostino insegna che l'anima «raccoglie e comprende le immagini dei corpi formate i n s e stessa e d a s e stessa: poiché d à qualcosa della sua sostanza per formarle». Ma essa co­ nosce i corpi per mezzo delle immagini dei corpi. Quindi conosce gli esseri corporei me­ diante la propria essenza, da essa otl'erta per formare tali immagini. 2. n Filosofo dice: «L'anima in un certo senso è tutte le cose». Essendo però un certo ogget­ to conosciuto soltanto mediante una realtà consimile, sembra che l ' anima conosca gli oggetti materiali mediante se stessa. 3. L'anima è superiore alle creature materiali. Ma gli esseri inferiori esistono in modo più eminente in quelli superiori che in se stessi, come insegna Dionigi. Quindi tutte le creatu­ re materiali esistono nell'essenza stessa del­ l' anima in modo più nobile che in se stesse. Quindi l ' anima può conoscere le creature materiali mediante la propria essenza. In contrario: Agostino dice: «La mente racco­ glie le sue conoscenze sulle realtà materiali per mezzo dei sensi corporei». Ma l'anima non è conoscibile per mezzo di questi sensi. Quindi essa non conosce gli esseri materiali mediante la propria essenza. Risposta: gli antichi filosofi ritenevano che l'a­ nima conoscesse i corpi servendosi della pro­ pria essenza. Infatti era radicata allora nel­ l'animo di tutti la convinzione che «il simile è conosciuto dal simile». Inoltre si credeva che la forma della cosa conosciuta si trovasse nel soggetto conoscente come si trova nella realtà. I platonici invece giunsero alla conclusione opposta. Platone infatti, avendo capito che l'a­ nima intellettiva è immateriale, e che conosce escludendo la materia, pensò che le forme delle cose conosciute sussistessero separate dalla materia. Viceversa, i primi filosofi natura­ listi, considerando che le cose conosciute sono corporee e materiali, avevano affetmato che esse devono trovarsi materialmente anche nel­ I' anima che le conosce. Per poter quindi attri­ buire all'anima la conoscenza universale delle cose, le attribuirono una natura comune con tutte le cose. E siccome la natura dei corpi

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qui dixit principium omnium esse ignem, po­ suit animam esse de natura ignis; et similiter de aere et aqua. Empedocles autem, qui po­ suit quatuor elementa materialia et duo mo­ ventia, ex his etiam dixit animam esse consti­ tutam. Et ita, cum res materialiter in anima ponerent, posuerunt omnem cognitionem ani­ mae materialem esse, non discementes inter intellectum et sensum. Sed haec opinio im­ probatur. Primo quidem, quia in materiali principio, de quo loquebantur, non existunt principiata nisi in potentia. Non autem cognos­ citur aliquid secundum quod est in potentia, sed solum secundum quod est actu, ut patet in 9 Met. [8,9,6], unde nec ipsa potentia cognos­ citur nisi per actum. Sic igitur non sufficeret attribuere animae principiorum naturam ad hoc quod omnia cognosceret, nisi inessent ei naturae et formae singulorum effectuum, puta ossis et carnis et aliorum huiusmodi; ut Aris­ toteles contra Empedoclem argumentatur in l De an. [5,5]. Secundo quia, si oporteret rem cognitam materialiter in cognoscente existere, nulla ratio esset quare res quae materialiter extra animam subsistunt, cognitione carerent, puta, si anima igne cognoscit ignem, et ignis etiam qui est extra animam, ignem cognosce­ ret. Relinquitur ergo quod oportet materialia cognita in cognoscente existere non materia­ liter, sed magis immaterialiter. Et huius ratio est, quia actus cognitionis se extendit ad ea quae sunt extra cognoscentem, cognoscimus enim etiam ea quae extra nos sunt. Per mate­ riam autem determinatur forma rei ad aliquid unum. Unde manifestum est quod ratio cog­ nitionis ex opposito se habet ad rationem materialitatis. Et ideo quae non recipiunt for­ mas nisi materialiter, nullo modo sunt cognos­ citiva, sicut plantae; ut dicitur in 2 libro De an. [ 1 2,4]. Quanto autem aliquid immaterialius habet formam rei cognitae, tanto perfectius cognoscit. Unde et intellectus, qui abstrahit speciem non salurn a materia, sed etiam a materialibus conditionibus individuantibus, perfectius cognoscit quam sensus, qui accipit formam rei cognitae sine materia quidem, sed cum materialibus conditionibus. Et inter ipsos sensus, visus est magis cognoscitivus, quia est minus materialis, ut supra [q. 78 a. 3] dictum est. Et inter ipsos intellectus, tanto quilibet est pertèctior, quanto immaterialior. Ex his ergo patet quod, si aliquis intellectus est qui per

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composti risulta dai princìpi elementari, attri­ buirono all'anima la natura di questi princìpi: quindi chi riteneva che il fuoco fosse il princi­ pio costitutivo di tutte le cose, affermò che l'a­ nima ha la natura del fuoco; e lo stesso avven­ ne per l'aria e per l'acqua. Empedocle poi, il quale ammetteva quattro elementi materiali e due motori, affermò che anche l'anima è com­ posta di essi. Così dunque, ponendo le cose materialmente nell'anima, asserirono che ogni nostra conoscenza è materiale, non riuscendo a distinguere l'intelletto dai sensi. Ma questa teo­ ria va rigettata. Primo, perché nel principio materiale di cui essi parlavano i corpi derivati esistono solo potenzialmente. Ora, un essere non è conosciuto per ciò che esso è potenzial­ mente, ma soltanto per ciò che esso è un atto, come spiega Aristotele: per cui la potenza stes­ sa non è conosciuta che mediante l'atto. Così dunque, secondo l'argomentazione di Aristote­ le, perché l'anima possa conoscere tutte le cose non basta attribuirle la natura degli elementi, se essa non ha già acquisito la natura e la forma dei singoli effetti, vale a dire delle ossa, delle carni e simili. - Secondo, perché, se una cosa per essere conosciuta dovesse [soltanto] esiste­ re materialmente nel conoscente, non vi sareb­ be ragione per negare che abbiano la cono­ scenza gli esseri sussistenti materialmente fuori dell'anima: se, p. es., l'anima conosce il fuoco mediante il fuoco, anche il fuoco che è fuori dell'anima dovrebbe conoscere il fuoco. Rima­ ne perciò acquisito che gli oggetti materiali esi­ stono nel conoscente non materialmente, ma piuttosto immaterialmente. E la ragione è che l'atto del conoscere si estende al di fuori del soggetto conoscente: infatti noi conosciamo anche le cose che sono fuori di noi. Ora, la materia ha la funzione di limitare la forma a un determinato essere. È evidente perciò che la conoscenza ha un carattere opposto a quello della materialità. Gli esseri quindi che ricevono le forme solo materialmente sono del tutto pri­ vi di conoscenza, come le piante, secondo la spiegazione di Aristotele. Invece quanto più immaterialmente un essere possiede la forma della cosa conosciuta, tanto più perfetta è la sua conoscenza. Quindi l'intelletto, il quale astrae le specie intenzionali non soltanto dalla materia, ma anche dalle condizioni materiali individuanti, conosce in modo più perfetto del senso, il quale riceve la forma della cosa cono-

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La conoscenza dell'anima unita al co1po rispetto alle realtà materiali ad essa infeliori

essentiam suam cognoscit omnia, oportet quod essentia eius habeat in se immaterialiter omnia ; sicut antiqui posuerunt essentiam animae actu componi ex principiis omnium material ium, ut cognosceret omnia. Hoc autem est proprium Dei, ut sua essentia sit immaterialiter comprehensiva omnium, prout effectus virtute praeexistunt in causa. Solus i g i tur D e u s per essentiam suam o m n i a intelligit; non autem anima humana, neque etiam angelus. Ad primum ergo dicendum quod Augustinus ibi loquitur de visione imaginaria, quae fit per imagines corporum. Quibus imaginibus for­ mandis dat anima aliquid suae substantiae, sicut subiectum datur ut inf01metur per ali­ quam formam. Et sic de seipsa facit huius­ modi imagines, non quod anima vel aliquid animae convertatur, ut sit haec vel illa imago; sed sicut dicitur de corpore fieri aliquid colo­ ratum, prout informatur colore. Et hic sensus apparet ex his quae sequuntur. Dicit enim quod servat aliquid, scilicet non formatum tali imagine, qu od libere de specie talium imaginum iudicet, et hoc dicit esse mentem vel intellectum. Partem autem quae infor­ matur huiusmodi imaginibus scilicet imagina­ tivam, dicit esse communem nobis et bestiis. Ad secundum dicendum quod Aristoteles non posuit animam esse actu compositam ex om­ nibus, sicut antiqui naturales; sed dixit quo­ dammodo animam esse omnia, inquantum est in potentia ad omnia; per sensum quidem ad sensibilia, per intellectum vero ad intelligibilia. Ad tertium dicendum quod quaelibet creatura habet esse finitum et determinatum. Unde es­ sentia superioris creaturae, etsi habeat quan­ dam similitudinem inferioris creaturae prout communicant in aliquo genere, non tamen complete habet similitudinem illius, quia de­ terminatur ad aliquam speciem, praeter quam est species inferioris creaturae. Sed essentia Dei est pertecta similitudo omnium quantum ad omnia quae in rebus inveniuntur, sicut uni­ versale principium omnium.

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sciuta senza la materia, ma non senza le condi­ zioni materiali. E così tra i sensi stessi la vista è il senso più conoscitivo, perché meno materia­ le, come si è già spiegato. Parimenti, fra le diverse intelligenze, una è tanto più perfetta quanto più è immateriale. Da tutto ciò risulta dunque che, se vi è un intelletto capace di co­ noscere tutte le cose mediante la propria essen­ za, questa sua essenza le deve contenere tutte in se stessa in maniera immateriale: così come gli antichi ritenevano che l'essenza deli' anima fosse composta dei princìpi elementari di tutte le realtà corporee, per poterle conoscere tutte. Ma è una prerogativa di Dio contenere nella propria essenza tutte le cose in modo immate­ riale, in quanto gli effetti devono preesistere vhtualmente nella loro causa. Dunque solo Dio conosce tutto mediante la propria essenza: non invece l'anima umana, e neppure l'angelo. Soluzione delle difficoltà: l . In quel passo Agostino parla della visione immaginaria, che avviene mediante imagini corporee. Ora, nel­ la formazione di tali immagini l'anima mette qualcosa della sua sostanza, come offrendo il soggetto che sarà rivestito di quelle date for­ me. E in questo senso essa costruisce tali im­ magini con la sua sostanza: non nel senso che l'anima, o parte di essa, si trasformi in modo da diventare questa o quell'immagine, ma nel senso in cui si usa dire che da un corpo che viene rivestito dal colore viene formata una cosa colorata. E una tale interpretazione ri­ sulta dal contesto. Infatti Agostino aggiunge che l ' anima «conserva qualcosa», cioè non informato da quelle immagini, «capace di giudicare liberamente sulla specie di tali im­ magini»: ed è quanto egli chiama «mente» o «intelletto». Dice invece che è «comune a noi e alle bestie» quella parte che viene rivestita di tali immagini, cioè l' immaginativa. 2. Aristotele non affermò che l'anima è com­ posta di tutte le cose in maniera attuale, come volevano gli antichi naturalisti, ma disse che «l'anima è tutte le cose in certo qual modo», cioè in quanto è in potenza rispetto a tutte le cose: rispetto a quelle sensibili con il senso, a quelle intelligibili invece con l'intelletto. 3. Ogni creatura ha un essere definito e deter­ minato. Quindi l' essenza di una creatura su­ periore, benché abbia una somiglianza con quella inferiore, avendo un genere comune, tuttavia non ha questa somiglianza in modo

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completo, essendo determinata a una data specie, a cui è estranea la specie della creatura inferiore. Invece l'essenza di Dio è immagine rappresentativa perfetta di tutte le cose e di quanto in esse si trova, essendo egli la causa universale di ogni essere. Articulus 3

Articolo 3

Utrum anima intelligat omnia per species sibi naturaliter inditas

L'anima conosce tutte le cose per mezzo di idee innate?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ani­ ma intelligat omnia per species sibi naturaliter inditas. l . Dicit enim Gregorius, in Hornilia ascensio­ nis [In Ev. h. 29] quod homo habet commune cum angelis intelligere. Sed angeli intelligunt omnia per formas naturaliter inditas, unde in libro De causis [l 0], dicitur quod omnis intel­ ligentia est piena formis. Ergo et anima habet species rerum naturaliter inditas, quibus cor­ poralia intelligit. 2. Praeterea, anima intellectiva est nobilior quam materia prima corporalis. Sed materia prima est creata a Deo sub forrnis ad quas est in potentia. Ergo multo magis anima intellec­ tiva est creata a Deo sub speciebus intelligibi­ libus. Et sic anima intelligit corporalia per species sibi naturaliter inditas. 3. Praeterea, nullus potest verum respondere nisi de eo quod scit. Sed aliquis etiam idiota, non habens scientiam acquisitam, respondet verum de singulis, si tamen ordinate interro­ getur, ut narratur in Menone [ 1 5 sqq.] Plato­ nis de quodam. Ergo antequam aliquis acqui­ rat scientiam, habet rerum cognitionem. Quod non esset nisi anima haberet species naturali­ ter inditas. Intelligit igitur anima res corporeas per species naturaliter inditas. Sed contra est quod philosophus dicit, in 3 De an. [4, 1 1 ] , de intellectu loquens, quod est

Sembra di sì. Infatti: l . Gregorio dice: «L'uomo ha in comune con gli angeli l'intelligenza». Ma gli angeli inten­ dono tutte le cose mediante idee in essi inna­ te: infatti nel De Causis è scritto: «Ogni intel­ ligenza è piena di forme [intelligibili]». Quin­ di l 'anima possiede delle idee innate con le quali conosce gli esseri corporei. 2. L'anima intellettiva è più nobile della mate­ ria prima. Ma quest'ultima è stata creata da Dio sotto quelle forme alle quali è in potenza. A maggior ragione dunque è stata creata da Dio rivestita di specie intelligibili l'anima uma­ na. E in tal modo avremo che l'anima conosce le realtà materiali servendosi di specie innate. 3. Nessuno può dare una risposta vera su ciò che non conosce. Ma anche un uomo ignoran­ te, privo di scienza acquisita, risponde con veri­ tà alle singole domande, purché venga interro­ gato con metodo, come riferisce Platone nel Menone. Quindi un uomo possiede la cono­ scenza delle cose prima di acquistarne la scien­ za: il che risulterebbe impossibile se l'anima non avesse delle idee innate. Quindi l'anima intende le cose materiali mediante tali idee. In contrari: il Filosofo, parlando dell'intellet­ to, dice: «E come una tavoletta su cui non è scritto nulla>>. Risposta: essendo la forma il principio dell'o­ perazione, è necessario che un essere si trovi ad avere verso la forma, che è il principio della sua operazione, lo stesso rapporto che ha verso quell' operazione. Se p. es. il tendere verso l'alto proviene dalla levità, è necessario che quanto si muove solo potenzialmente verso l'alto sia solo potenzialmente un corpo lieve; invece ciò che attualmente si solleva in alto sarà in atto un corpo lieve. Ora, noi tiscontria­ mo che l'uomo rispetto al conoscere talora è solo in potenza, sia quanto alla conoscenza sensitiva che quanto all ' intellettiva. E viene

sicut tabula in qua nihil est scriptum.

Respondeo dicendum quod, cum forma sit principium actionis, oportet ut eo modo se habeat aliquid ad formam quae est actionis principium, quo se habet ad actionem illam, sicut si moveri sursum est ex !evitate, oportet quod in potentia tantum sursum fertur, esse leve solum in potentia, quod autem actu sur­ sum fertur, esse leve in actu. Videmus autem quod homo est quandoque cognoscens in po­ tentia tantum, tam secundum sensum quam

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La conoscenza dell 'anima unita al corpo rispetto alle realtà materiali ad essa inferiori

secundum intellectum. Et de tali potentia in actum reducitur, ut sentiat quidem, per actio­ nes sensibilium in sensum; ut intelligat au­ tem, per disciplinam aut inventionem. Unde oportet dicere quod anima cognoscitiva sit in potentia tam ad similitudines quae sunt prin­ cipia sentiendi, quam ad similitudines quae sunt principia intelligendi. Et propter hoc Aris­ toteles [ibid.] posuit quod intellectus, quo anima intelligit, non habet aliquas species na­ turaliter inditas, sed est in principio in poten­ tia ad huiusmodi species omnes. Sed quia id quod habet actu formam, interdum non potest agere secundum formam propter aliquod im­ pedimentum, sicut leve si impediatur sursum ferri; propter hoc Plato posuit quod intellectus hominis naturaliter est plenus omnibus spe­ ciebus intelligibilibus, sed per unionem cor­ poris impeditur ne possit in actum exire. Sed hoc non videtur convenienter dictum. Primo quidem quia, si habet anima naturalem noti­ tiam omnium, non videtur esse possibile quod huius naturalis notitiae tantam oblivionem ca­ piat, quod nesciat se huiusmodi scientiam habere, nullus enim homo obliviscitur ea quae naturaliter cognoscit, sicut quod omne totum sit maius sua parte, et alia huiusmodi. Praeci­ pue autem hoc videtur inconveniens, si pona­ tur esse animae naturale corpori uniri, ut su­ pra [q. 76 a. l ] habitum est, inconveniens enim est quod naturalis operatio alicuius rei totaliter impediatur per id quod est sibi se­ cundum naturam. Secundo, manifeste apparet huius positionis falsitas ex hoc quod, defi­ ciente aliquo sensu, deficit scientia eorum, quae apprehenduntur secundum illum sen­ sum; sicut caecus natus nullam potest habere notitiam de coloribus. Quod non esset, si animae essent naturaliter inditae omnium intelligibilium rationes. Et ideo dicendum est quod anima non cognoscit corporalia per spe­ cies naturaliter inditas. Ad primum ergo dicendum quod homo qui­ dem convenit cum angelis in intelligendo, deficit tamen ab eminentia intellectus eorum, sicut et corpora inferiora, quae tantum exi­ stunt secundum Gregorium [In Ev. h. 29], deficiunt ab existentia superiorum corporum. Nam materia inferiorum corporum non est completa totaliter per formam, sed est i n potentia ad formas quas non habet, materia autem caelestium corporum est totaliter com-

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posto in atto a partire da tale potenzialità: sente cioè in forza dell'azione degli oggetti sensibili sui sensi, e intende in forza dell'insegnamento o dell'induzione. Bisogna dunque affermare che l'anima conoscitiva è in potenza a ricevere sia le immagini che sono i princìpi della sensa­ zione, sia le immagini che sono i princìpi dell' intellezione. E per tale motivo Aristotele sostenne che l'intelletto, col quale l'anima for­ malmente conosce, non possiede idee innate, ma inizialmente è in potenza a tutte le specie intenzionali. Potrebbe però accadere che un essere che possiede attualmente una forma non possa agire in forza di essa per un qualche impedimento: che un corpo lieve, p. es., possa essere impedito di sollevarsi in alto. Per cui Platone pensò che l'intelletto umano sarebbe per natura ripieno di tutte le specie intelligibili, ma l'unione con il corpo gli impedirebbe di passare all'atto. Tale posizione però non è sostenibile. Primo, perché, se l'anima ha una nozione naturale di tutte le cose, non sembra possibile che cada in tanta dimenticanza di questa conoscenza naturale da ignorare persino di possedere una tale conoscenza. Nessuno infatti dimentica ciò che conosce per natura: che il tutto, p. es., è maggiore della sua prute, e altre verità del genere. Ma la cosa diviene an­ che più insostenibile se ammettiamo che per l'anima è naturale �sere unita al corpo, come si è già dimostrato. E assurdo infatti che l'atti­ vità naturale di un essere venga totalmente im­ pedita da ciò che le compete per natura. Secondo, la falsità di tale teoria appare chiara­ mente dal fatto che, quando abbiamo la man­ canza di un dato senso, viene a mancare la scienza di quelle cose che sono percepite per suo mezzo: come il cieco nato non può avere alcuna nozione dei colori. Ora, ciò non avver­ rebbe se nell'anima fossero innati i concetti di tutte le realtà intelligibili. - Dobbiamo quindi concludere che l'anima non conosce gli esseri materiali servendosi di idee in essa innate. Soluzione delle difficoltà: l . È vero che l'uomo ha in comune con gli angeli l'intelligenza: non raggiunge però l'eminenza del loro intelletto; come anche i corpi inferiori, i quali, al dire di Gregorio, hanno la sola esistenza, sono distanti dal modo di esistere dei corpi superiori. Infatti la materia dei primi non è del tutto attuata dalla forma, ma è in potenza rispetto alle fmme che non ha; invece la materia dei corpi celesti è

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La conoscenza dell'anima unita al co1po rispetto alle realtà matelia/i ad essa infèriori

pleta per formam, ita quod non est in potentia ad aliam formam, ut supra [q. 66 a. 2] habi­ tum est. Et similiter intellectus angeli est per­ fectus per species intelligibiles secundum suam naturam, intellectus autem humanus est in potentia ad huiusmodi species. Ad secundum dicendum quod materia prima habet esse substantiale per formam, et ideo oportuit quod crearetur sub aliqua forma, alioquin non esset in actu. Sub una tamen for­ ma existens, est in potentia ad alias. Intellec­ tus autem non habet esse substantiale per speciem intelligibilem; et ideo non est simile. Ad tertium dicendum quod ordinata interro­ gatio procedit ex principiis communibus per se notis, ad propria. Per talem autem proces­ sum scientia causatur in anima addiscentis. Unde cum verum respondet de his de quibus secundo interrogatur, hoc non est quia prius ea noverit; sed quia tunc ea de novo addiscit. Nihil enim refert utrum ille qui docet, propo­ nendo vel interrogando procedat de principiis communibus ad conclusiones, utrobique enim animus audientis certificatur de posterioribus per priora.

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totalmente attuata dalla forma, in modo che non

è più in potenza ad altre forme, come si è già spiegato. Parimenti l 'intelletto dell'angelo è perfettamente attuato dalle specie intelligibili, in confonnità alla sua natura, mentre quello del­ l'uomo è in potenza alle medesime. 2. La materia prima trae l'essere sostanziale dalla forma: era perciò necessario che fosse creata sotto una data forma, altrimenti non sarebbe potuta esistere. Thttavia, mentre sus­ siste sotto una data forma, è in potenza ad altre forme. L' intelletto invece non riceve un essere sostanziale dalla specie intelligibile: quindi il caso è diverso. 3. L'interrogazione metodica procede dai prin­ cìpi universali per sé noti alle conclusioni parti­ colari. Ma con tale procedimento si causa la scienza nell'anima del discepolo. Se quindi egli risponde il vero su quelle cose su cui viene inter­ rogato in un secondo momento, non è perché ne aveva una conoscenza anteriore, ma perché le ha imparate in quel momento. Infatti poco importa che l ' insegnante, nel procedere dai princìpi comuni alle conclusioni, usi l 'esposizione o l ' interrogazione: poiché in ambedue i casi l'animo del discepolo arriva alla certezza delle nozioni posteriori in forza di quelle anteriori.

Articulus 4

Articolo 4

Utrum species intelligibiles effiuant in animam ab aliquibus formis separatis

Le idee derivano nell'anima dalle forme separate?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod spe­ cies intelligibiles effluant in animam ab ali­ quibus formis separatis. l . Omnc cnim quod per participationem est tale, causatur ab eo quod est per essentiam tale; sicut quod est ignitum reducitur sicut in causam in ignem. Sed anima intellectiva, secundum quod est actu intelligens, participat ipsa intel­ ligibilia, intellectus enim in actu, quodammodo est intellectum in actu. Ergo ea quae secundum se et per essentiam suam sunt intellecta in actu, sunt causae animae intellectivae quod actu in­ telligat. Intellecta autem in actu per essentiam suam, sunt formae sine materia existentes. Species igitur intelligibiles quibus anima intelli­ git, causantur a fonnis aliquibus separatis. 2. Praeterea, intelligibilia se habent ad intellec­ tum, sicut sensibilia ad sensum. Sed sensibilia quae sunt in actu extra animam, sunt causae specierum sensibilium quae sunt in sensu,

Sembra di sì. Infatti: l . Ogni essere che abbia per partecipazione una data qualità dipende da ciò che la possiede per essenza: come un oggetto infuocato ha una dipendenza causale dal fuoco. Ora, l ' anima intellettiva, nell'atto di intendere, viene a essere partecipe degli oggetti intelligibili: infatti l'in­ telletto che attualmente pensa, in qualche mo­ do è l'oggetto pensato. Quindi quanto è di per sé e per essenza oggetto attuale d'intellezione è causa dell'intellezione attuale dell'anima. Ora, sono essenzialmente oggetto attuale d'intelle­ zione le forme che sussistono indipendente­ mente dalla materia. Quindi le specie intelligi­ bili, di cui si serve l'anima per intendere, deri­ vano da qualche forma separata. 2. Gli oggetti intel ligibili stanno all' intelletto come quelli sensibili ai sensi. Ma la causa delle immagini sensibili che si trovano nei sensi, e con le quali sentiamo, sono gli oggetti

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La conoscenza de/L 'anima unita al cotpo rispetto alle realtà materiali ad essa inferiori

quibus sentimus. Ergo species intelligibiles quibus intellectus noster intelligit, causantur ab aliquibus actu intelligibilibus extra ani­ mam existentibus. Huiusmodi autem non sunt nisi formae a materia separatae. Formae igitur intelligibiles intellectus nostri effluunt ab ali­ quibus substantiis separatis. 3. Praeterea, omne quod est in potentia, redu­ citur in actum per id quod est actu. Si ergo intellectus noster, prius in potentia existens, postmodum actu intelligat, oportet quod hoc causetur ab aliquo intellectu qui semper est in actu. Hic autem est intellectus separatus. Ergo ab aliquibus substantiis separatis causantur species intelligibiles quibus actu intelligimus. Sed contra est quia secundum hoc sensibus non indigeremus ad intelligendum. Quod pa­ tet esse falsum ex hoc praecipue quod qui ca­ ret uno sensu, nullo modo potest habere scientiam de sensibilibus illius sensus. Respondeo dicendum quod quidam posuerunt species intelligibiles nostri intellectus procede­ re ab aliquibus formis vel substantiis separatis. Et hoc dupliciter. Plato enim, sicut dictum est [a. 1], posuit formas rerum sensibilium per se sine materia subsistentes; sicut formam homi­ nis, quam nominabat per se hominem, et for­ mam vel ideam equi, quam nominabat per se equum, et sic de aliis. Has ergo formas separa­ tas ponebat participari et ab anima nostra, et a materia corporali; ab anima quidem nostra ad cognoscendum, a materia vero corporali ad essendum; ut sicut materia corporalis per hoc quod participat ideam lapidis, fit hic lapis, ita intellectus noster per hoc quod participat ideam lapidis, fit intelligens lapidem. Participatio autem ideae fit per aliquam similitudinem ipsius ideae in participante ipsam, per modum quo exemplar participatur ab exemplato. Sicut igitur ponebat formas sensibiles quae sunt in materia corporali, effluere ab ideis sicut quas­ dam earum similitudines; ita ponebat species intelligibiles nostri intellectus esse similitu­ dines quasdam ideamm ab eis eftluentes. Et propter hoc, ut supra [a. l ] dictum est, scientias et definitiones ad ideas referebat. Sed quia contra rationem rerum sensibilium est quod earum formae subsistant absque materiis, ut Aristoteles [Met. 6, 1 4] multipliciter probat; ideo Avicenna [De an. 5,5; Met. 9,4] , hac positione remota, posuit omnium rerum sensi­ bilium intelligibiles species, non quidem per se

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sensibili esistenti fuori dell'anima. Quindi le immagini intelligibili con le quali il nostro in­ telletto intende sono causate da oggetti intelli­ gibili in atto esistenti fuori dell'anima. Quindi le specie intelligibili del nostro intelletto deri­ vano dalle sostanze separate. 3. Tutto ciò che è in potenza viene posto in at­ to da un essere che è già in atto. Se quindi il nostro intelletto, inizialmente in potenza, pas­ sa in seguito all'intellezione attuale, è perché ciò è causato da un'intelligenza sempre in at­ to. Ma tale intelligenza è un intelletto separato. Quindi le specie intelligibili con le quali in­ tendiamo dipendono dalle sostanze separate. In contrario: stando così le cose, noi non do­ vremmo aver bisogno dei sensi per intendere. Ma che ciò sia falso risulta chiaro dal fatto che chi è privo di un dato senso non può in alcun modo conoscerne i relativi oggetti. Risposta: alcuni hanno pensato che le specie intelligibili del nostro intelletto derivino dalle forme o sostanze separate. E abbiamo in pro­ posito due opinioni. Platone, come già si disse, pose le forme delle realtà sensibili sussistenti senza materia: p. es. la forma dell'uomo, che chiamava «l'uomo per se stesso», e la forma o idea del cavallo, che chiamava «il cavallo per se stesso», e così via. E riteneva che queste forme separate venissero pmtecipate sia dalla nostra anima che dalla materia corporea: dalla nostra anima per la conoscenza e dalla materia per l' esistenza. Per cui, come la materia di­ venta questa data pietra per il fatto che parteci­ pa l' idea della pietra, così il nostro intelletto conoscerebbe di fatto la pietra partecipando l'idea della pietra. La partecipazione poi del­ l'idea avverrebbe mediante un'immagine rap­ presentativa dell' idea stessa in colui che la partecipa, allo stesso modo in cui un modello viene pmtecipato dalla sua copia. Come dun­ que egli riteneva che le forme sensibili e ma­ teriali derivassero dalle idee quali loro imita­ zioni, così anche pensava che le nostre specie intelligibili fossero imitazioni delle idee e loro derivazioni. E per tale motivo, come già si è visto, asseriva che le scienze e le definizioni si riferiscono direttamente alle idee. Siccome pe­ rò, e Aristotele lo dimostra ampiamente, è con­ tro la natura stessa delle realtà sensibili che le loro forme sussistano senza la materia, Avicen­ na, escludendo questa teoria, pensò che le spe­ cie intelligibili di qualsiasi realtà sensibile non

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subsistere absque materia, sed praeexistere i mmaterialiter in intellectibus separatis; a quorum primo derivantur huiusmodi species in sequentem, et sic de aliis usque ad ultimum in­ tellectum separatum, quem nominat intel­ lectum agentem; a quo, ut ipse dicit, efiluunt species intelligibiles in animas nostras, et formae sensibiles in materiam corporalem. Et sic in hoc Avicenna cum Platone concordat, quod species intelligibiles nostri intellectus eftluunt a quibusdam formis separatis, quas tamen Plato dicit per se subsistere, Avicenna vero ponit eas in intelligentia agente. Differunt etiam quantum ad hoc, quod Avicenna ponit species intelligibiles non remanere in intellectu nostro postquam desinit actu intelligere; sed indiget ut iterato se convertat ad recipiendum de novo [De an. 5,6; Met 9,5]. Unde non ponit scientiam animae naturaliter inditam, sicut Plato, qui ponit participationes idearum immo­ biliter in anima permanere. Sed secundum hanc positionem sufficiens ratio assignari non posset quare anima nostra corpori uniretur. Non enim potest dici quod anima intellectiva corpori uniatur propter corpus, quia nec forma est propter materiam, nec motor propter mo­ bile, sed potius e converso. Maxime autem vi­ detur corpus esse necessarium animae intellec­ tivae ad eius propriam operationem, quae est intelligere, quia secundum esse suum a corpore non dependet. Si autem anima species intel­ ligibiles secundum suam naturam apta nata esset recipere per influentiam aliquorum sepa­ ratorum principiorum tantum, et non acciperet eas ex sensibus, non indigeret corpore ad intel­ ligendum, unde frustra corpori uniretur. Si autem dicatur quod indiget anima nostra sensi­ bus ad intelligendum, quibus quodammodo excitetur ad consideranda ea quorum species intelligibiles a principiis separatis recipit; hoc non videtur sufficere. Quia huiusmodi excitatio non videtur necessaria animae nisi inquantum est consopita, secundum Platonicos, quodam­ modo et obliviosa propter unionem ad corpus, et sic sensus non proficerent animae intellecti­ vae nisi ad tollendum impedimentum quod animae provenit ex corporis unione. Remanet igitur quaerendum quae sit causa unionis ani­ mae ad corpus. Si autem dicatur, secundum Avicennam [De an. 5,5], quod sensus sunt ani­ mae necessarii, quia per eos excitatur ut con­ vertat se ad intelligentiam agentem, a qua

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sussistessero da sé senza materia, ma preesi­ stessero spoglie di ogni materialità nelle intelli­ genze separate. Esse, cioè, sarebbero state par­ tecipate dalla prima intelligenza alla seconda, e così di seguito fino all'ultima intelligenza sepa­ rata, che egli chiama «intelletto agente»; e da questa verrebbero infuse, a suo parere, nelle nostre anime le specie intelligibili, e nella ma­ teria le forme delle realtà sensibili. E così Avi­ cenna è d'accordo con Platone nel ritenere che le nostre specie intelligibili derivino dalle for­ me separate. Mentre però Platone le ritiene sussistenti per se stesse, Avicenna le colloca nell'intelletto agente. E discordano ancora in questo: Avicenna afferma che le specie intelli­ gibili non rimangono nel nostro intelletto quan­ do questo non le pensa, ma esso è obbligato a rivolgersi di nuovo ali' intelletto agente per riceverle una seconda volta. Quindi egli non ammette una scienza innata nell'anima, come fa invece Platone, il quale sostiene che la parte­ cipazione delle idee rimane perpetuamente nel­ l'anima. Ora, stando alla suddetta teoria, non è possibile trovare una ragione sufficiente per giustificare l'unione dell'anima con il corpo. Non si può dire, infatti, che l'anima intellettiva si unisce al corpo a vantaggio del corpo: poi­ ché la forma non è per la materia, né il motore per il mobile, ma piuttosto è vero il contrario. Ora, il corpo si dimostra necessruio all'anima intellettiva soprattutto per l'operazione specifi­ ca di questa, cioè per l' intellezione: poiché quanto all'essere l'anima non dipende dal cor­ po. Se dunque l'anima avesse per natura l'atti­ tudine a ricevere le idee per influsso delle sostanze separate, senza ricavarle dai sensi, non avrebbe bisogno del corpo per intendere, e quindi sarebbe inutile la sua unione con il corpo. E non basta replicare che la nostra ani­ ma ha bisogno ugualmente dei sensi per inten­ dere, in quanto ha da essi come uno stimolo a considerare le cose di cui riceve le specie intel­ ligibili dalle sostanze separate. Un tale stimolo infatti è necessario all'anima solo in quanto essa, al dire dei Platonici, è come assopita e smemorata in seguito alla sua unione con il corpo: cosicché i sensi gioverebbero all'anima intellettiva solo per togliere le difficoltà pro­ venienti dalla sua unione con il corpo. Rimane dunque da chiarire quale sia la causa dell'unio­ ne tra l'anima e il corpo. E neppure giova repli­ care, con Avicenna, che i sensi sono necessari

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recipit species; hoc quidem non sufficit. Quia si in natura animae est ut intelligat per species ab intelligentia agente effluxas, sequeretur quod quandoque anima possit se convertere ad intelligentiam agentem ex inclinatione suae naturae, vel etiam excitata per alium sensum, ut convertat se ad intelligentiam agentem ad recipiendum species sensibi lium quorum sensum aliquis non habet. Et sic caecus natus posset habere scientiam de colmibus, quod est manifeste falsum. Unde dicendum est quod species intelligibiles quibus anima nostra intelligit, non eftluunt a formis separatis. Ad primum ergo dicendum quod species in­ telligibiles quas participat noster intellectus, reducuntur sicut in primam causam in aliquod principium per suam essentiam intelligibile, scilicet in Deum. Sed ab ilio principio proce­ dunt mediantibus formis rerum sensibilium et materialium, a quibus scientiam colligimus, ut Dionysius [DDN 7,2] dicit. Ad secundum dicendum quod res materiales, secundum esse quod habent extra animam, possunt esse sensibiles actu; non autem actu intelligibiles. Unde non est simile de sensu et intellectu. Ad tertium dicendum quod intellectus noster possibilis reducitur de potentia ad actum per aliquod ens actu, idest per intellectum agentem, qui est virtus quaedam animae nostrae, ut dic­ tum est [q. 79 a. 4], non autem per aliquem intellectum separatum, sicut per causam proxi­ mam; sed forte sicut per causam remotam.

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ali' anima perché questa possa essere stimolata a rivolgersi all'intelletto agente da cui riceve le idee. Perché, se fosse vero che l'anima è fatta per intendere mediante le idee infuse dall' intel­ letto agente, essa potrebbe talvolta rivolgersi a questo intelletto, sia in forza della sua inclina­ zione naturale, sia dietro lo stimolo di un altro senso, per avere le idee di quegli oggetti sensi­ bili di cui uno non avesse mai avuto la perce­ zione. E così un cieco nato potrebbe avere la scienza dei colori: cosa evidentemente falsa. Dobbiamo perciò concludere che le idee me­ diante cui la nostra anima intende non derivano dalle forme separate. Soluzione delle difficoltà: l . Le specie intelli­ gibili partecipate dal nostro intelletto dipen­ dono, come dalla causa prima, da un primo principio intelligibile per essenza, cioè da Dio. Ma esse derivano da tale principio attra­ verso le forme delle realtà sensibili e materia­ Ii, dalle quali raccogliamo la nostra scienza, come dice Dionigi. 2. Le realtà materiali, in forza dell' esistenza che hanno fuori deli' anima, possono essere attualmente sensibili, ma non attualmente intelligibili. Non è quindi uguale il caso per il senso e per l' intelletto. 3. n nostro intelletto possibile passa dalla po­ tenza all'atto in forza di un essere in atto, cioè dell'intelletto agente, che è una facoltà della nostra anima, come si è già dimostrato, e non in forza di un intelletto separato, almeno in qualità di causa prossima; tutt'al più, forse, in qualità di causa remota. Articolo

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Utrum anima intellectiva cognoscat res materiales in rationibus aeternis

Vanima intellettiva conosce le realtà materiali nelle nozioni eterne?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ani­ ma intellectiva non cognoscat res materiales in rationibus aeternis. 1 . Id enim in quo aliquid cognoscitur, ipsum magis et per prius cognoscitur. Sed anima intellectiva hominis, in statu praesentis vitae, non cognoscit rationes aeternas, quia non co­ gnoscit ipsum Deum, in quo rationes aeternae existunt, sed ei sicut ignoto coniungitur, ut Dionysius dicit in I l cap. Mysticae Theolo­ giae [3]. Ergo anima non cognoscit omnia in rationibus aeternis. 2. Praeterea, Rom. l [20], dicitur quod invisibi-

Sembra di no. Infatti: l . n mezzo nel quale è conosciuta una cosa deve essere conosciuto maggiormente e in an­ tecedenza. Ora, l'anima intellettiva dell'uomo, nello stato della vita presente, non conosce le nozioni eterne, poiché non conosce Dio, nel quale le nozioni eterne si trovano, ma piut­ tosto, al dire di Dionigi, «Si unisce a lui come a uno sconosciuto». Quindi l'anima non cono­ sce tutte le realtà nelle nozioni eterne. 2. In Rm è detto: Le perfezioni invisibili di

Dio possono essere contemplate con l 'intel­ letto nelle opere da lui compiute. Ora, l e

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La conoscenza dell'anima unita al co1po rispetto alle realtà materiali ad essa inferiori

Zia Dei per ea quae facta sunt, conspiciuntur. Sed inter invisibilia Dei numerantur rationes aeternae. Ergo rationes aeternae per creaturas materiales cognoscuntur, et non e converso. 3. Praeterea, rationes aetemae nihil aliud sunt quam ideae, dicit enim Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [q. 46], quod ideae sunt

rationes stabiles rerum in mente divina exi­ stentes. Si ergo dicatur quod anima intellecti­ va cognoscit omnia in rationibus aeternis, re­ dibit opinio Platonis, qui posuit omnem scien­ tiam ab ideis derivari. Sed contra est quod dicit Augustinus, 1 2 Conf. [25], si ambo videmus ventm esse quod

dicis, et ambo videmus verum esse quod dico, ubi quaeso id videmus? Nec ego utique in te, nec t u in me sed ambo in ipsa, quae supra mentes nostras est, incommut abili veritate. Vetitas autem incommutabilis in aeternis ra­ tionibus continetur. Ergo anima intellectiva omnia vera cognoscit in rationibus aeternis. Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit in 2 De doctr. chr. [40], philosophi qui

vocan tw; si qua forte vera et fidei nostrae ac­ commoda dixerunt, ab eis tanquam ab inius­ tis possessoribus in usum nostntm vindicanda sunt. Habent enim doct rinae gent i l i u m quaedam simulata e t superstitiosa figmenta, quae unusquisque nostrum de societate genti­ lium exiens, debet evit are. Et ideo Augus­ tinus, qui doctrinis Platonicorum imbutus fuerat, si qua invenit fidei accommoda i n eorum dictis, assumpsit; quae vero invenit fidei nostrae adversa, in melius commutavit. Posuit autem Plato, sicut supra [a. 4] dictum est, formas rerum per se subsistere a materia separatas, quas ideas vocabat, per quarum participationem dicebat intellectum nostrum omnia cognoscere; ut sicut materia corporalis per participationem ideae lapidis fit lapis, ita intellectus noster per participationem eiusdem ideae cognosceret lapidem. Sed quia videtur esse alienum a fide quod formae rerum extra res per se subsistant absque materia, sicut Platonici posuerunt, dicentes per se vitam aut per se sapientiam esse quasdam substantias creatrices, ut Dionysius dicit I l cap. De div. nom. [6]; ideo Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [46] , posuit loco harum idearum quas Plato ponebat, rationes omnium creatu­ rarum i n mente divina existere, secundum quas omnia formantur, et secundum quas

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nozioni eterne sono comprese tra le perfezio­ ni invisibili di Dio. Quindi le nozioni eterne sono conosciute mediante le creature materia­ li, e non viceversa. 3. Le nozioni eterne non sono altro che le idee; spiega infatti Agostino: «Le idee sono le nozioni immutabili delle cose, esistenti nella mente divina>>. Ora, se diciamo che l'anima intellettiva conosce tutto nelle nozioni eterne, ricadiamo nella teoria di Platone, il quale rite­ neva che ogni nostra conoscenza promana dalle idee. In contrario: Agostino dice: «Se tutti e due vediamo che è vero quanto dici tu, e che è ve­ ro quanto dico io, di grazia, dov'è che lo ve­ diamo? Certamente né io in te, né tu in me, ma ambedue lo vediamo nella stessa immuta­ bile verità, che è al disopra delle nostre men­ ti». Ma la verità i mmutabile fa parte delle no­ zioni eterne. Quindi l'anima intellettiva cono­ sce ogni verità nelle nozioni eterne. Risposta: Agostino fa osservare: «Se i cosid­ detti filosofi hanno eventualmente insegnato cose vere e conformi alla nostra fede, noi dob­ biamo rivendicarle da essi a nostro vantaggio, come da possessori illegittimi. Infatti le dottri­ ne dei pagani contengono favole fallaci e su­ perstiziose, che ciascuno di noi uscendo dal paganesimo è tenuto a schivare». E per tale motivo Agostino, che era stato formato alle dottrine dei Platonici, quando trovava nei loro scritti delle cose conformi alla fede, le rite­ neva, mentre sostituiva con dottrine migliori quanto vi riscontrava di opposto alla nostra fede. Ora Platone, come si è visto sopra, rite­ neva che le forme delle cose, da lui chiamate idee, sussistessero per se stesse, indipendente­ mente dalla materia, affermando che il nostro intelletto conosce tutte le cose mediante la par­ tecipazione di esse. Cosicché la materia cor­ porea sarebbe diventata pietra per causa della partecipazione dell' idea-pietra, e il nostro intelletto avrebbe conosciuto la pietra median­ te la partecipazione della medesima idea. Ma non sembra conciliabile con la fede [l' opinio­ ne] che le forme delle cose sussistano separate da esse e senza la materia, come volevano i Platonici; i quali, come riferisce Dionigi, so­ stenevano che «la vita per se stessa», o la «Sa­ pienza per se stessa>>, sono sostanze creatrici. Quindi Agostino, invece delle idee platoniche, affermò che nella mente divina esistono le no-

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etiam anima humana omnia cognoscit. Cum ergo quaeritur utrum anima humana in ratio­ nibus aeternis ornni a cognoscat, dicendum est quod aliquid in aliquo dicitur cognosci dupli­ citer. Uno modo, sicut in obiecto cognito; sicut aliquis videt in speculo ea quorum ima­ gines in speculo resultant. Et hoc modo ani­ ma, in statu praesentis vitae, non potest videre omnia in rationibus aeternis; sed sic in ratio­ nibus aeternis cognoscunt omnia beati, qui Deum vident et omnia in ipso. Alio modo di­ citur aliquid cognosci in aliquo sicut in cogni­ tionis principio; sicut si dicamus quod in sole videntur ea quae videntur per solem. Et sic necesse est dicere quod anima humana omnia cognoscat in rationibus aetemis, per quarum participationem omnia cognoscimus. Ipsum enim lumen intellectuale quod est in nobis, nihil est aliud quam quaedam participata similitudo luminis increati, in quo continentur rationes aeternae. Unde in Psalmo 4 [6-7], di­ citur, multi dicunt, quis ostendit nobis bona ? Cui quaestioni Psalmista respondet, dicens, signatum est super nos lumen vultus tui, Do­ mine. Quasi dicat, per ipsam sigillationem

divini luminis in nobis, omnia nobis demons­ trantur. Quia tamen praeter lumen intellectua­ le in nobis, exiguntur species intelligibiles a rebus acceptae, ad scientiam de rebus mate­ rialibus habendam; ideo non per solam parti­ cipationem rationum aeternarum de rebus materialibus notitiam habemus, sicut Platoni­ ci posuerunt quod sola idearum participatio sufficit ad scientiam habendam. Unde Augus­ tinus dicit, in 4 De Trin. [ 1 6], nwnquid quia philosophi documentis certissimis persuadent aeternis rationibus omnia temporalia fieri, propterea potuerunt in ipsis rationibus per­ spicere, vel ex ipsis colligere quot sint anima­ l i u m gen era , qua e semina sing u l or u m ? Nonne ista omnia per locorum ac temporum historiam qua esierunt? Quod autem Augusti­ nus non sic intellexerit omnia cognosci in ra­ tionibus aeternis, vel in incommutabili ve­ rifate, quasi ipsae rationes aetemae videantur,

patet per hoc quod ipse dicit in libro Octogin­ ta trium Q. [46], quod rationalis anima non omnis et quaelibet, sed quae sancta et pura fuerit, asseritur il/i visioni, scilicet rationum aeternarum, esse idonea; sicut sunt animae

beatorum. Et per haec patet responsio ad obiecta.

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zioni di ogni cosa creata, e che in forza di tali nozioni tutti gli esseri ricevono la loro forma, e l'anima nostra conosce tutte le cose. Quando perciò si domanda se l'anima umana conosca tutto nelle nozioni eterne, bisogna ricordare che due sono i sensi in cui si dice che una cosa è conosciuta in un'altra. Primo, come inclusa in un oggetto conosciuto: nel modo cioè in cui chi guarda uno specchio vede in esso le cose che vi si specchiano. E in questo senso l'ani­ ma, nello stato della vita presente, non può vedere le cose nelle nozioni eterne; ma in que­ sto modo le vedono i beati, i quali vedono Dio, e in lui tutte le cose. - Secondo, si può di­ re che una cosa è conosciuta in un'altra in quanto quest'ultima ne è il ptincipio di cono­ scenza: come se si dicesse che è visto nel sole quanto si vede per mezzo del sole. E in questo senso bisogna dire che I' anima conosce tutto nelle nozioni eterne, poiché in forza della loro partecipazione noi conosciamo tutte le cose. Infatti la stessa luce intellettuale che è in noi non è altro che un'immagine partecipata della luce increata, in cui sono contenute le nozioni eterne. Quindi nel Sal è detto: Molti dicono: chi cifarà vedere il bene?; a questa domanda così risponde il Salmista: Risplende su di noi, Signore, la luce del tuo volto. Quasi per dire: tutte le cose ci sono mostrate mediante il sigil­ lo della luce divina che è in noi. Ma siccome per poter avere la conoscenza delle realtà materiali, oltre alla luce intellettuale che è in noi, sono richieste anche le specie intellettive ricevute dalle cose, noi non abbiamo la cono­ scenza delle realtà materiali mediante la sola partecipazione delle nozioni eterne, come vo­ levano i platonici, i quali pensavano che la so­ la partecipazione delle idee bastasse alla cono­ scenza. Per cui in proposito Agostino dice: «Forse che i filosofi, i quali insegnano con argomenti validissimi che tutte le cose tempo­ rali sono fatte secondo le nozioni eterne, han­ no potuto scorgere in queste medesime nozio­ ni , oppure desumere da esse, quanti siano i generi degli animali e quali i semi dei singoli esseri? Non raggiunsero forse tali nozioni at­ traverso l'indagine dei luoghi e dei tempi?». Che poi Agostino, nell'affermare che tutte le cose sono conosciute «nelle nozioni eterne», o «nella verità incommutabile», non abbia inte­ so sostenere che queste nozioni sono cono­ sciute direttamente, risulta da quanto scrive

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La conoscenza dell 'anima unita al co1po rispetto alle realtà matelia/i ad essa infèriori

Q. 84, A. 5

egli stesso: «Non ogni anima razionale, ma solo quella che è stata santa e pura», come è l'anima dei beati, «è idonea a quella visione», cioè alla visione mediante le nozioni eterne. E così sono evidenti le risposte da dare alle difficoltà. Articulus

6

Articolo

6

Utrum intellectiva cognitio accipiatur a rebus sensibilibus

La conoscenza intellettiva deriva dalle realtà sensibili?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod in­ tellectiva cognitio non accipiatur a rebus sensibilibus. l . Dicit enim Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [9], quod non est expectanda sinceli­ tas veritatis a corporis sensibus. Et hoc probat dupliciter. Uno modo, per hoc quod omne

Sembra di no. Infatti: l . Agostino dice: «Non bisogna aspettarsi una sincera verità dai sensi del corpo». E lo prova in due modi. Primo, dal fatto che «quanto è oggetto dei sensi si trasforma ininterrottamen­ te; e ciò che è instabile non può essere perce­ pito». Secondo, dal fatto che «possiamo avere l'impressione delle immagini di tutto ciò che sentiamo mediante il corpo anche quando le cose sono assenti dai sensi, p. es. nel sonno o nei momenti di alienazione; inoltre con i sensi non siamo capaci di discernere se effettiva­ mente sentiamo le realtà sensibili, o le loro immagini fallaci. Ora, nulla può dirsi percepi­ to se non viene distinto da ciò che è falso». Quindi Agostino conclude che non si deve aspettare la verità dai sensi. Ma la conoscenza intellettiva include la percezione della verità. Quindi non dobbiamo aspettare dai sensi la conoscenza intellettiva. 2. Agostino scrive: «Non si creda che il corpo possa agire sullo spirito, mettendo lo spirito di fronte all'azione del corpo in condizione di materia: poiché chi agisce è sotto tutti gli aspetti superiore a chi subisce l' azione». E conclude che «non il corpo produce l'imma­ gine del cotpo nello spirito, ma lo spirito la produce in se stesso». Quindi la conoscenza intellettiva non deriva dalle realtà sensibili. 3. Gli effetti non possono oltrepassare la virtù della loro causa. Ma la conoscenza intellettiva si estende al di là delle realtà sensibili: abbia­ mo infatti l ' intellezione di cose non percepì­ bili dai sensi. Quindi la conoscenza intelletti­ va non deriva dalle realtà sensibili. In contrario: il Filosofo dimostra che i sensi sono il principio di tutta la nostra conoscenza. Risposta: sulla presente questione tre furono le opinioni dei filosofi. Democrito insegna, come riferisce Agostino, che «l'unica causa di ogni nostra conoscenza consiste nel fatto che dai

quod cmporeus sensus attingit, sine ulla inter­ missione temporis commutatur, quod autem non manet, percipi non potest. Allo modo, per hoc quod omnia quae per cmpus sentimus, etiam cum non adsunt sensibus, imagines tamen eorum patimur, ut in somno vel furore; non autem sensibus discernere valemus utntm ipsa sensibilia, ve l imagines eorum falsas sentiamus. Nihil autem percipi potest quod a falso non discernitur. Et sic concludit quod non est expectanda veritas a sensibus. Sed co­ gnitio intellectualis est apprehensiva veritatis. Non ergo cognitio intellectualis est expectanda a sensibus. 2. Praeterea, Augustinus dicit, 12 Super Gen.

[16], non est putandum facere aliquid corpus in spiritum, tanquam spiritus corpori facienti m a teriae vice subdatur, omni enim m o do praestantior est quifacit, ea re de qua aliquid facit. Unde concludit quod imaginem cmpo­ ris non corpus in spiritu, sed ipse spiritus in seipso facit. Non ergo intellectualis cognitio a sensibilibus derivatur.

3. Praeterea, effectus non se extendit ultra vir­ tutem suae causae. Sed intellectualis cognitio se extendit ultra sensibilia, intelligimus enim quaedam quae sensu percipi non possunt. lntellectualis ergo cognitio non derivatur a rebus sensibilibus. Sed contra est quod philosophus probat, l Met. [ 1 ,2], et in fine Post. [2, 1 5,5], quod principium nostrae cognitionis est a sensu. Respondeo dicendum quod circa istam quaes­ tionem triplex fuit philosophorum opinio.

Q. 84,A. 6

La conoscenza de/L 'anima unita al cotpo rispetto alle realtà materiali ad essa inferiori

Democritus enim posuit quod nulla est alia

causa cuiuslibet nostrae cognitionis, nisi cwn ab his corporibus quae cogitamus, veniunt atque intrant imagines in animas nostras; ut Augustinus dicit in epistola sua ad Dioscorum [Ep. 1 18,4]. Et Aristoteles etiam dicit, in libro De somn. et vigil. [De divinat. 2], quod De­ mocritus posuit cognitionem fieri per idola et dejluxiones. Et huius positionis ratio fuit, quia tam ipse Democritus quam alii antiqui natura­ les non ponebant intellectum differre a sensu, ut Aristotele.� dicit in libro De an. [3,3 , 1 ] . Et ideo, quia sensus immutatur a sensibili, arbi­ trabantur omnem nostram cognitionem fieri per solaro i mmutationem a sensibilibus. Quam quidem immutationem Democritus as­ serebat fieri per imaginum defluxiones. Plato vero e contrario posuit intellectum differre a sensu; et intellectum quidem esse virtutem immaterialem organo corporeo non utentem in suo actu. Et quia incorporeum non potest immutari a corporeo, posuit quod cognitio in­ tellectualis non fit per immutationem intellec­ tus a sensibilibus, sed per participationem formarum intelligibilium separatarum, ut dic­ tum est [aa. 4-5]. Sensum etiam posuit vir­ tutem quandam per se operantem. Unde nec ipse sensus, cum sit quaedam vis spiritualis, immutatur a sensibilibus, sed organa sensuum a sensibilibus immutantur, ex qua immuta­ tione anima quodammodo excitatur ut in se species sensibilium formet. Et hanc opinio­ nem tangere videtur Augustinus, 1 2 Super Gen. [24] , ubi dicit quod corpus non sentit,

sed anima per corpus, quo velut nuntio utitur ad formandum in seipsa quod extrinsecus nuntiatur. Sic igitur secundum Platonis opi­ nionem, neque intellectualis cognitio a sensi­ bili procedit, neque etiam sensibilis totaliter a sensibilibus rebus; sed sensibilia excitant ani­ mam sensibilem ad sentiendum, et sirniliter sensus excitant animam intellectivam ad intel­ ligendum. Aristoteles autem media via pro­ cessit. Posuit enim [De an. 3,3,3] cum Platone intellectum differre a sensu. Sed sensum po­ suit propriam operationem non habere sine communicatione corporis ; ita quod sentire non sit actus animae tantum, sed coniuncti. Et similiter posuit de omnibus operationibus sensitivae partis. Quia igitur non est inconve­ niens quod sensibilia quae sunt extra animam, causent aliquid in coniunctum, in hoc Aristo-

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corpi, sui quali s i volge i l nostro pensiero, partono le immagini ed entrano nelle nostre anime». E anche Aristotele ricorda che De­ mocrito spiegava la conoscenza «mediante immagini e deflussi». - E la ragione di questa teoria sta nel fatto che tanto Democrito quanto gli antichi naturalisti ritenevano che l'intelletto non differisse dal senso, come attesta Aristo­ tele. Siccome dunque il senso viene alterato dall'oggetto sensibile, ritenevano che ogni no­ stra conoscenza avvenisse solo mediante l'alte­ razione prodotta dalle realtà sensibili, altera­ zione che Democrito sosteneva prodursi me­ diante emanazioni di immagini. Platone, al contrario, stabilì che l'intelletto è distinto dal senso, e che esso è una potenza immateriale, la quale nei suoi atti non si serve di un organo corporeo. E poiché ciò che è incorporeo non può essere alterato dalle realtà corporee, pensò che la conoscenza intellettiva non avvenisse mediante un'alterazione dell'intelletto dovuta alle realtà sensibili, ma per la partecipazione di forme intelligibili separate, come si è spiegato. Pensava poi che anche il senso fosse una fa­ coltà capace di agire per se stessa. E così nep­ pure il senso, ridotto a essere una potenza im­ materiale, sarebbe trasmutato dalle realtà sensi­ bili, ma sarebbero alterati soltanto gli organi della sensibilità, e da questa alterazione l'ani­ ma sarebbe sollecitata a formare in se stessa le specie delle realtà sensibili. E sembra che a una tale opinione voglia accennare Agostino quan­ do scrive: >.

minus clamat, quanto minus desiderat.

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La locuzione degli angeli

Q. 1 07, A. 5

Articulus 5

Articolo 5

Utrurn locutionern unius angeli ad alterum omnes cognoscant

Il parlare di un angelo con l'altro è conosciuto da tutti?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod locutionem unius angeli ad alterum omnes cognoscant. l . Quod enim unius hominis locutionem non omnes audiant, facit inaequalis loci distantia. Sed in locutione angeli nihil operatur localis distantia, ut dictum est [a. 4]. Ergo uno angelo loquente ad alterum, omnes percipiunt. 2. Praeterea, omnes angeli communicant in virtute intelligendi. Si ergo conceptus mentis unius ordinatus ad alterum cognoscitur ab uno, pari ratione cognoscitur ab aliis. 3. Praeterea, illuminatio est quaedam species locutionis. Sed illuminatio unius angeli ab al­ tero, pervenit ad omnes angelos, quia, ut Dio­ nysius dicit 15 cap. Cael. Hier. [3], unaquae­

Sembra che la locuzione di un angelo con l'altro sia conosciuta da tutti. Infatti: l . n fatto che non tutti odono il parlare di un uomo con un altro dipende dalla distanza di luogo. Ma nel parlare degli angeli la distanza locale non influisce in alcun modo, come si è spiegato. E così, quando un angelo parla al­ l' altro, è inteso da tutti. 2. La capacità di intendere è comune a tutti gli angeli. Se quindi il pensiero di un angelo è capito da colui a cui è indirizzato, sarà capito anche dagli altri. 3. L'illuminazione è una specie di locuzione. Ma quando un angelo illumina l'altro, la sua illuminazione giunge a tutti gli angeli: poiché, come dice Dionigi: «Ciascuna sostanza cele­ ste comunica alle altre l'intellezione ricevuta>>. Quindi anche la locuzione di un angelo con l'altro giunge a tutti. In contrario: all'uomo è possibile parlare sol­ tanto a un altro uomo. Molto più dunque ciò deve essere possibile all'angelo. Risposta: il pensiero di un angelo può essere percepito da un altro, come si è spiegato, per il fatto che il soggetto pensante lo indirizza a un altro con la sua volontà. Ora, può esserci un motivo per cui un pensiero viene indirizzato a uno e non a un altro. Quindi il pensiero di un angelo potrà essere conosciuto da uno e non dagli altri. E così la locuzione di un angelo con un altro non sarà percepita dagli altri non per colpa della distanza locale, ma perché così è stato determinato volontariamente, come si è detto. Soluzione delle difficoltà: l , 2. Abbiamo così risposto alla prima e alla seconda difficoltà. 3. L'illuminazione riguarda le verità che ema­ nano dalla prima regola della verità, che è la causa universale di tutti gli angeli: perciò le illuminazioni sono comuni a tutti. La locuzio­ ne invece può riguardare cose che si riferisco­ no direttamente all'esercizio della volontà creata, il che è proprio di ciascun angelo: non è quindi necessario che tali locuzioni siano rivolte a tutti.

que caelestis essentia intelligentiam sibi tra­ ditam aliis communicat. Ergo et locutio unius angeli ad alterum, ad omnes perducitur. Sed contra est quod unus homo potest alteri soli loqui. Multo igitur magis hoc in angelis esse potest. Respondeo dicendum quod, sicut supra [aa. 1-2] dictum est, conceptus mentis unius angeli percipi potest ab altero, per hoc quod ille cuius est conceptus, sua voluntate ordinat ipsum ad alterum. Potest autem ex aliqua causa ordinari aliquid ad unum, et non ad alterum. Et ideo potest conceptus unius ab ali­ quo uno cognosci, et non ab aliis. Et sic locu­ tionem unius angeli ad alterum potest perci­ pere unus absque aliis, non quidem impedien­ te distantia locali, sed hoc faciente volontaria ordinatione, ut dictum est. Unde patet responsio ad primum et secundum. Ad tettium dicendum quod illuminatio est de his quae emanant a prima regula veritatis, quae est principium commune omnium ange­ lorum, et ideo illuminationes sunt omnibus communes. Sed locutio potest esse de his quae ordinantur ad principium voluntatis creatae, quod est proprium unicuique angelo, et ideo non oportet quod huiusmodi locutiones sint omnibus communes.

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

Q. 1 08, A. l

QUAESTIO l 08

QUESTIONE l 08

DE ORDINATIONE ANGELORUM SECUNDUM HIERARCHIAS ET ORDINES

VORDINAMENTO DEGLI ANGELI IN GERARCHIE E ORDINI

Deinde considerandum est de ordinatione an­ gelorum secundum hierarchias et ordines, dic­ tum est enim [q. 1 06 a. 3] quod superiores in­ feriores illuminant, et non e converso. Et circa hoc quaeruntur octo. Primo, utrum omnes an­ geli sint unius hierarchiae. Secundo, utrum in una hierarchia sit unus tantum ordo. Tertio, utrum in uno ordine sint plures angeli. Quarto, utrum distinctio hierarchiarum et ordinum sit a natura. Quinto, de nominibus et proprietatibus singulorum ordinum. Sexto, de comparatione ordinum ad invicem. Septimo, utrum ordines durent post diem iudicii. Octavo, utrum homi­ nes assumantur ad ordines angelorum.

Possiamo ora considerare l' ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini: poiché abbiamo detto che quelli superiori illuminano gli infe­ riori, e non viceversa. Su tale questione di­ scuteremo otto quesiti: l . Gli angeli costitui­ scono tutti una sola gerarchia? 2. In una ge­ rarchia c'è soltanto un ordine? 3. In un ordine ci sono più angeli? 4. La distinzione delle ge­ rarchie e degli ordini proviene dalla natura? 5. Quali sono i nomi e le proprietà dei singoli ordini? 6. Qual è il rapporto degli ordini fra di loro? 7. Gli ordini permangano dopo il giorno del giudizio? 8. Gli uomini vengono aggregati agli ordini angelici?

Articulus l

Articolo l

Utrum omnes angeli sint unius hierarchiae

Thtti gli angeli costituiscono una sola gerarchia?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod ornnes angeli sint unius hierarchiae. l . Cum enim angeli sint supremi inter creatu­ ras, oportet dicere quod sint optime dispositi. Sed optima dispositio est multitudinis secun­ dum quod continetur sub uno ptincipatu; ut patet per philosophum, 1 2 Met. [ 1 1 , 1 0, 1 4] , et in 3 Poi. [4,2,2]. Cum ergo hierarchia nihil sit aliud quam sacer principatus, videtur quod omnes angeli sint unius hierarchiae. 2. Praeterea, Dionysius dicit, in 3 cap. Cael. Hier. [ 1 ] , quod hierarchia est ordo, scientia et actio. Sed omnes angeli conveniunt in uno ordine ad Deum, quem cognoscunt, et a quo in suis actionibus regulantur. Ergo ornnes an­ geli sunt unius hierarchiae. 3. Praeterea, sacer principatus, qui dicitur hie­ rarchia, invenitur in hominibus et angelis. Sed omnes homines sunt unius hierarchiae. Ergo etiam ornnes angeli sunt unius hierarchiae. Sed contra est quod Dionysius, 6 cap. Cael. Hier. [2], distinguit tres hierarchias angelorum. Respondeo dicendum quod hierarchia est sacer principatus, ut dictum est [arg. 1 ] . In nomine autem principatus duo intelliguntur, scilicet ipse princeps, et multitudo ordinata sub principe. Quia igitur unus est Deus prin­ ceps non solum omnium angelorum, sed

Sembra di sì. Infatti: l . Essendo gli angeli le creature supreme, bisogna ritenere che il loro ordinamento sia ottimo. Ma ottimo è l'ordinamento della mol­ titudine che sottostà a un principato unico, come dimostra il Filosofo. Non essendo dun­ que la gerarchia altro che un sacro principato, sembra evidente che tutti gli angeli costitui­ scano una sola gerarchia. 2. Dionigi dice: «La gerarchia è un ordina­ mento, una conoscenza e un atto». Ma tutti gli angeli convengono nell'essere ordinati a Dio, che essi conoscono e da cui sono regolati nelle loro azioni. Quindi tutti gli angeli appar­ tengono a una sola gerarchia. 3. Il sacro principato, chiamato gerarchia, si trova ugualmente negli uomini come negli angeli . Ma tutti gli uomini appartengono a una sola gerarchia. Quindi anche gli angeli appartengono a una sola gerarchia. In contrario: Dionigi distingue tre gerarchie di angeli. Risposta: la gerarchia, come si è detto, è un sacro principato. Ma il termine principato sta a indicare sia il principe, sia la moltitudine or­ dinata sotto di lui. Poiché dunque l ' unico principe è Dio, il quale è il capo non solamen­ te di tutti gli angeli, ma altresì degli uomini e

Q. 1 08, A. l

L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

etiam hominum, et totius creaturae; ideo non solum omnium angelorum, sed etiam totius rationalis creaturae, quae sacrorum particeps esse potest, una est hierarchia, secundum quod Augustinus dicit, in 12 De civ. Dei [ l ]

duas esse civitates, hoc est societates, unam in bonis angelis et hominibus, alteram in ma­ lis. Sed si consideretur principatus ex parte multitudinis ordinatae sub principe, sic unus principatus dicitur secundum quod multitudo uno et eodem modo potest gubemationem principis recipere. Quae vero non possunt secundum eundem modum gubernari a prin­ cipe, ad diversos principatus pertinent, sicut sub uno rege sunt diversae civitates, quae di­ versis reguntur legibus et ministris. Manifes­ tum est autem quod homines allo modo divi­ nas illuminationes percipiunt quam angeli, nam angeli percipiunt eas in intelligibili puri­ tate, homines vero percipiunt eas sub sensibi­ lium similitudinibus, ut Dionysius dicit l cap. Cael. Hier. [2] . Et ideo oportuit distingui hu­ manam hierarchiam ab angelica. Et per eun­ dem modum in angelis tres hierarchiae distin­ guuntur. Dictum est enim supra [q. 55 a. 3], dum de cognitione angelorum ageretur, quod superiores angeli habent universaliorem cognitionem veritatis quam inferiores. Huius­ modi autem universalis acceptio cognitionis secundum tres gradus in angelis distingui po­ test. Possunt enim rationes rerum de quibus angeli illuminantur, consideraTi tripliciter. Pri­ mo quidem, secundum quod procedunt a primo principio universali, quod est Deus, et iste modus convenit primae hierarchiae, quae immediate ad Deum extenditur, et quasi in vestibulis Dei collocatur, ut Dionysius dicit 7 cap. Cael. Hier. [2] . Secundo vero, prout huiusmodi rationes dependent ab universali­ bus causis creatis, quae iam aliquo modo multiplicantur, et hic modus convenit secun­ dae hierarchiae. Tertio autem modo, secun­ dum quod huiusmodi rationes applicantur sin­ gulis rebus, et prout dependent a propriis cau­ sis, et hic modus convenit infimae hierar­ chiae. Quod plenius patebit, cum de singulis ordinibus agetur [a. 6]. Sic igitur distinguun­ tur hierarchiae ex parte multitudinis subiectae. Unde manifestum est eos errare, et contra in­ tentionem Dionysii loqui, qui ponunt in divi­ nis personis hierarchiam quam vocant super­ caelestem. In divinis enim personis est qui-

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di tutto il creato, ne segue che una sola è pure la gerarchia non solo di tutti gli angeli, ma anche di tutte le creature razionali, atte a partecipare delle cose sacre, come si può ca­ pire dalle espressioni di Agostino che parla di «due città o società, l'una degli angeli e degli uomini buoni, l'altra dei cattivi». - Se invece consideriamo il principato in rapporto alla moltitudine ordinata sotto il principe, allora si può parlare di un solo principato quando la moltitudine può essere governata con un uni­ co e identico regime. Le cose invece che non possono sottostare a un unico e identico regi­ me appartengono a principati distinti: infatti sotto un medesimo re si possono trovare città diverse, governate da leggi e da magistrati differenti. Ora, è evidente che gli uomini per­ cepiscono le illuminazioni divine in maniera differente dagli angeli: mentre infatti gli ange­ li le percepiscono nella loro pura intelligibi­ lità, gli uomini le percepiscono attraverso im­ magini sensibili, come insegna Dionigi. Quin­ di era bene distinguere la gerarchia umana da quella angelica. E in base allo stesso criterio anche negli angeli si distinguono tre gerar­ chie. Nel trattare infatti della conoscenza de­ gli angeli si disse che i superiori hanno una conoscenza della verità più universale di quel­ la degli angeli inferiori. Ora, una tale univer­ salità di conoscenza può essere distinta in tre gradi. Infatti le nozioni delle cose intorno a cui gli angeli vengono illuminati possono es­ sere considerate da tre punti di vista. Primo, in quanto emanano dal primo principio uni­ versale che è Dio: e questo modo di conosce­ re compete alla prima gerarchia che si trova a contatto immediato con Dio, e «quasi dimora nei vestiboli della Divinità>>, come dice Dio­ nigi. Secondo, in quanto tali nozioni dipen­ dono dalle cause universali create, che inclu­ dono già una certa molteplicità: e questo mo­ do di conoscere conviene alla seconda gerar­ chia. Terzo, in quanto tali nozioni vengono applicate alle singole cose, e in quanto dipen­ dono dalle loro cause particolari : e questo modo di conoscere conviene alla gerarchia in­ fima. Ma tutto ciò sarà messo in piena luce quando tratteremo dei singoli ordini. Così dunque si distinguono le gerarchie in rapporto alla moltitudine governata. Sbagliano perciò manifestamente, e vanno contro il pensiero di Dionigi, quanti pongono nelle persone divine

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

dam ordo naturae, sed non hierarchiae. Nam, ut Dionysius dicit 3 cap. Cael. Hier. [2], ordo

hierarchiae est alios quidem purgari et illumi­ nari et peljìci, alios autem purgare et illumi­ nare et peljìcere. Quod absit ut in divinis per­ sonis ponamus. Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de principatu ex parte principis, quia optimum est quod multitudo regatur ab uno principe, ut philosophus in praedictis locis intendit. Ad secundum dicendum quod, quantum ad cognitionem ipsius Dei, quem omnes uno modo, scilicet per essentiam, vident, non distinguuntur in angelis hierarchiae, sed quan­ tum ad rationes rerum creatarum, ut dictum est [in co.] . Ad tertium dicendum quod omnes homines sunt unius speciei, et unus modus intelligendi est eis connaturalis, non sic autem est in angelis. Unde non est similis ratio.

Articulus

2

Utrum in una hierarchia sint plures ordines Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in una hierarchia non sint plures ordines. l . Multiplicata enim definitione, multiplicatur et definitum. Sed hierarchia, ut Dionysius dicit [DCH 3, 1 ], est ordo. Si ergo sunt multi ordines, non erit una hierarchia, sed multae. 2. Praeterea, diversi ordines sunt diversi gra­ dus. Sed gradus in spiritualibus constituuntur secundum diversa dona spiritualia. Sed in an­ gelis omnia dona spiritualia sunt communia, quia nihil ibi singulariter possidetur [Magis­ ter, Sent. 2,9]. Ergo non sunt diversi ordines angelorum. 3. Praeterea, in ecclesiastica hierarchia distin­ guuntur ordines secundum purgare, illumina­ re et perficere, nam ordo diaconorum est pur­ gativus, sacerdotum illuminativus, episcopo­ rum perfectivus, ut Dionysius dicit 5 cap. Be­ cles. Hier. [ l ,6]. Sed quilibet angelus purgat, illuminat et perficit. Non ergo est distinctio ordinum in angelis. Sed contra est quod apostolus dicit ad Eph. l [21], quod Deus constituit Christum hominem

supra omnem Principatum et Potestatem et Virtutem et Dominationem; qui sunt diversi

Q. 1 08, A. l

una gerarchia da essi denominata sopraceleste. Infatti tra le persone divine vi è ordine di natu­ ra, ma non di gerarchia. Secondo l ' insegna­ mento di Dionigi, infatti: «L'ordine di gerar­ chia fa sì che mentre gli uni sono purificati, il­ luminati e perfezionati, gli altri invece purifi­ chino, illuminino e perfezionino». Ma non sia mai che si pensi tutto ciò delle persone divine. Soluzione delle difficoltà: l . L'argomento vale per il principato considerato in rapporto al principe: infatti, come intende provare il Filo­ sofo nei passi citati, è cosa ottima per la mol­ titudine essere governata da un unico principe. 2. In rapporto alla conoscenza immediata di Dio, che tutti vedono allo stesso modo, cioè per essew..a, non si distinguono gerarchie negli an­ geli: queste invece si distinguono, come è stato detto, in rapporto alle nozioni delle realtà create. 3. Gli uomini appartengono tutti alla medesi­ ma specie, e una sola è la maniera di conosce­ re ad essi connaturale; non così invece negli angeli. Quindi il confronto non regge. Articolo

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In una gerarchia ci sono più ordini? Sembra di no. Infatti : l . Le suddivisioni di un termine che serve a definire suddividono anche il termine defini­ to. Ma la gerarchia è un ordine, come dice Dionigi. Se quindi vi sono molti ordini, non vi sarà una sola gerarchia, ma molte. 2. Ordini diversi sono gradi diversi. Ora, nel mondo degli spiriti i gradi sono stabiliti in base ai diversi doni spirituali. Ma negli angeli tutti i doni spirituali sono comuni, poiché «nulla tra essi è partecipato con esclusività». Quindi non vi sono diversi ordini di angeli. 3. Nella gerarchia ecclesiastica gli ordini si distinguono in base alle tre funzioni: purifica­ re, illuminare e perfezionare; poiché, come dice Dionigi, l'ordine dei Diaconi purifica, l ' ordine dei Sacerdoti illumina e l'ordine dei Vescovi peifeziona. Ma ogni angelo purifica, illumina e perfeziona. Quindi non si dà distin­ zione di ordini negli angeli. In contrario: in EfPaolo dice che Dio costituì Cristo uomo sopra ogni Principato e Potestà e Virtù e Dominazione; e questi sono ordini diversi di angeli, alcuni dei quali appartengo­ no alla medesima gerarchia, come si vedrà in seguito.

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

ordines angelorum, et quidam eorum ad unam hierarchiam pertinent, ut infra [a. 6] patebit. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 1 ] , una hierarchia est unus principatus, idest una multitudo ordinata uno modo sub principis gubematione. Non autem esset mul­ titudo ordinata, sed confusa, si in multitudine diversi ordines non essent. Ipsa ergo ratio hie­ rarchiae requirit ordinum diversitatem. Quae quidem diversitas ordinum secundum diversa offida et actus consideratur. Sicut patet quod in una civitate sunt diversi ordines secundum diversos actus, nam alius est ordo iudican­ tium, alius pugnantium, alius laborantium in agris, et sic de aliis. Sed quamvis multi sint unius civitatis ordines, omnes tamen ad tres possunt reduci , secundum quod quaelibet multitudo perfecta habet principium, medium et finem. Unde et in civitatibus triplex ordo hominum invenitur, quidam enim sunt supre­ mi, ut optimates; quidam autem sunt intimi, ut vilis populus; quidam autem sunt medii, ut populus honorabilis. Sic igitur et in qualibet hierarchia angelica ordines distinguuntur secundum diversos actus et officia; et omnis ista diversitas ad tria reducitur, scilicet ad summum, medium et infimum. Et propter hoc in qualibet hierarchia Dionysius [DCH 6] ponit tres ordines. Ad primum ergo dicendum quod ordo dupli­ citer dicitur. Uno modo, ipsa ordinatio com­ prehendens sub se diversos gradus, et hoc modo hierarchia dicitur ordo. Allo modo dici­ tuT ordo gradus unus, et sic dicuntur plures ordines unius hierarchiae. Ad secundum dicendum quod in societate angelorum omnia possidentur communiter; sed tamen quaedam excellentius habentur a quibusdam quam ab ali i s . Unumquodque autem perfectius habetur ab eo qui potest illud communicare, quam ab eo qui non potest, sicut perfectius est calidum quod potest cale­ facere, quam quod non potest; et perfectius scit qui potest docere, quam qui non potest. Et quanto perfectius donum aliquis communica­ re potest, tanto in perfectiori gradu est, sicut in perfectiori gradu magisterii est qui potest docere altiorem scientiam. Et secundum hanc similitudinem consideranda est diversitas gra­ duum vel ordinum i n angeli s , secundum diversa officia et actus. Ad tertium dicendum quod inferior angelus

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Risposta: secondo quanto si è detto, una gerar­ chia costituisce un unico principato, vale a dire una sola moltitudine ordinata con un solo regime, sotto il governo di un solo principe. Ora, una moltitudine non sarebbe ordinata, ma confusa, se in essa non vi fossero diversi ordi­ ni. Quindi il concetto stesso di gerarchia esige una diversità di ordini. E questa diversità di ordini si fonda sulla diversità degli uffici e delle attività. Come avviene anche nella socie­ tà civile, dove troviamo diversi ordini in base alle diverse attività: altro è infatti l'ordine dei magistrati, altro quello dei militari e altro quel­ lo degli agricoltori, e via dicendo. Ma sebbene gli ordini civili siano molti, essi nondimeno possono ridursi tutti a tre, considerando che ogni comunità perfetta presenta un principio, un termine medio e un fine. Cosicché in qual­ siasi stato o città si riscontra un triplice ordine di persone: vi sono infatti quelle di grado più elevato, come i patrizi, altre di grado infimo, come il popolo minuto, altre di grado interme­ dio, come la classe media. - Così dunque si possono distinguere gli ordini anche in ciascu­ na gerarchia angelica in base alle attività e alle funzioni [degli angeli] ; e tutta questa diversità si riduce ai tre gradi : supremo, medio e infi­ mo. E questa è la ragione per cui Dionigi pone tre ordini in ciascuna gerarchia. Soluzione delle difficoltà: l . Il termine «ordi­ ne» ha due accezioni. La prima [generica] in­ dica tutto l'ordinamento che abbraccia sotto di sé diversi gradi: e secondo tale accezione si dice che la gerarchia è un ordine. La seconda indica un solo grado: e secondo questa acce­ zione si dice che esistono più ordini in una medesima gerarchia. 2. Nella società angelica tutto è posseduto in comune, ma alcuni doni sono posseduti i n modo più eccellente dagli uni che dagli altri. Infatti qualunque cosa sarà sempre posseduta più perfettamente da chi può comunicarla piuttosto che da chi non lo può: come, p. es., un corpo capace di riscaldare sarà più caldo di un corpo caldo ma senza questa capacità, e chi può anche insegnare sarà più dotto di chi invece non ne è ancora capace. E quanto più perfetto è il dono che uno può comunicare, tanto più perfetto è il grado in cui egli si trova: come si trova in un grado superiore di inse­ g n amento chi è capace di i nsegnare una scienza più alta. Ora, la diversità di gradi o di

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

est superior supremo homine nostrae hierar­ chiae; secundum illud Matth. 1 1 [ 1 1 ] , qui

minor est in regno caelorum, maior est ilio, scilicet Ioanne Baptista, quo nullus maior inter natos mulierum surrexit. Unde minor angelus caelestis hierarchiae potest non solum purgare sed illuminare et perficere, et altiori modo quam ordines nostrae hierarchiae. Et sic secundum distinctionem harum actionum non distinguuntur caelestes ordines ; sed secundum alias differentias actionum.

Articulus 3

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ordini negli angeli va considerata, secondo questa analogia, in base alla diversità dei loro uffici e funzioni. 3. L'infimo angelo è sempre superiore all'uo­ mo più elevato della nostra gerarchia, secon­ do le parole di Mt: Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui, cioè di Giovanni Bat­ tista, del quale tra i nati di donna nessuno è sorto di più grande. Per conseguenza l'infimo angelo della gerarchia celeste può non soltan­ to purificare, ma anche illuminare e perfezio­ nare, e in un modo più alto di quanto non fac­ ciano gli ordini della nostra gerarchia. E così gli ordini celesti non si distinguono in base alla distinzione di queste funzioni, ma in base ad altre differenze della loro attività. Articolo 3

Utrum in uno ordine sint plures angeli

In un ordine ci sono più angeli?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod i n uno ordine non sint plures angeli . l . Dictum est enim supra [q. 50 a . 4] ornnes angelos inaequales esse ad invicem. Sed unius ordinis esse dicuntur quae sunt aequa­ lia. Ergo plures angeli non sunt unius ordinis. 2. Praeterea, quod potest sufficienter fieri per unum, superfluum est quod fiat per multa. Sed illud quod pertinet ad unum officium angelicum, sufticienter potest fieri per unum angelum; multo magis quam per unum solem sufficienter fit quod pertinet ad officium solis, quanto perfectior est angelus caelesti corpore. Si ergo ordines distinguuntur secundum offi­ cia, ut dictum est [a. 2], superfluum est quod sint plures angeli unius ordinis. 3. Praeterea, supra [arg. l ] dictum est quod omnes angeli sunt inaequales. Si ergo plures angeli sint unius ordinis, puta tres vel quatuor, infimus superioris ordinis magis conveniet cum supremo inferioris quam cum supremo sui ordinis. Et sic non videtur quod magis sit unius ordinis cum hoc, quam cum illo. Non igitur sunt plures angeli unius ordinis. Sed contra est quod lsaiae 6 [3] dicitur, quod Seraphim clamabant alter ad alterum. Sunt ergo plures angeli in uno ordine Scraphim. Respondeo dicendum quod ille qui perfecte cognoscit res aliquas, potest usque ad minima et actus et virtutes et naturas earum distingue­ re. Qui autem cognoscit eas imperfecte, non potest distinguere nisi in universali, quae qui-

Sembra di no. Intàtti: l . Si è detto sopra che gli angeli sono tutti disuguali tra loro. Si dicono invece di un solo ordine esseri tra loro uguali. Quindi non esi­ stono più angeli di un solo ordine. 2. Ciò che può essere compiuto perfettamente da uno solo è superfluo farlo compiere da molti. Ma le mansioni spettanti a un ufficio angelico possono essere espletate perfetta­ mente da un unico angelo molto meglio di quanto l'unico sole non faccia perfettamente l'ufficio del sole: e ciò tanto più quanto più l'angelo supera in perfezione un corpo cele­ ste. Se dunque, come si è detto, gli ordini si distinguono in base agli uffici, è superfluo che vi siano più angeli di un medesimo ordine. 3. Gli angeli, come fu dimostrato, sono disu­ guali. Se quindi esistono più angeli di uno stesso ordine, p. es. tre o quattro, l'infimo del­ l 'ordine superiore sarà più vicino a quello su­ premo dell' ordine inferiore che non a quello supremo del proprio ordine. E allora non si vede perché esso debba appartenere a un ordi­ ne piuttosto che all'altro. Quindi non esistono più angeli in uno stesso ordine. In contrario: in fs è detto che i Serafini grida­ vano l 'uno all'altro. Quindi esistono più an­ geli nel solo ordine dei Serafini. Risposta: chi ha la conoscenza perfetta di un dato genere di cose è in grado di distinguere sino ai minimi particolari gli atti, le potenze e le nature delle medesime. Chi invece ne ha una

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

dem distinctio fit per pauciora. Sicut qui im­ perfecte cognoscit res naturales, distinguit earum ordines in universali , ponens in uno ordine caelestia corpora, in alia corpora infe­ riora inanimata, in alia plantas, in alia anima­ lia, qui autem petfectius cognosceret res natu­ rales, posset distinguere et in ipsis corporibus caelestibus diversos ordines, et in singulis alia­ rum. Nos autem imperfecte angelos cognosci­ mus, et eorum officia, ut Dionysius dicit 6 cap. Cael. Hier. [ l ] . Unde non possumus distingue­ re officia et ordines angelorum, nisi in com­ munì; secundum quem modum, multi angeli sub uno ordine continentur. Si autem perfecte cognosceremus officia angelorum, et eorum distinctiones, perfecte sciremus quod quilibet angelus habet suum proprium officium et suum proprium ordinem in rebus, multo magis quam quaelibet stella, etsi nos lateat. A d primum ergo d i cendum quod omnes angeli unius ordinis sunt aliquo modo aequa­ les, quantum ad communem similitudinem secundum quam constituuntur in uno ordine, sed simpliciter non sunt aequales. Unde Dionysius dicit, 10 cap. Cael. Hier. [2], quod in uno et eodem ordine angelorum, est acci­ pere primos, medios et ultimos. Ad secundum dicendum quod illa specialis distinctio ordinum et oftìciomm secundum quam quilibet angelus habet proprium offi­ cium et ordinem, est nobis ignota. Ad tertium dicendum quod, sicut in superficie quae partim est alba et partim nigra, duae par­ tes quae sunt in confinio albi et nigri, magis conveniunt secundum situm quam aliquae duae partes albae, minus tamen secundum qualitatem; ita duo angeli qui sunt in terminis duorum ordinum, magis secum conveniunt secundum propinquitatem naturae, quam unus eorum cum aliquibus aliis sui ordinis; minus autem secundum idoneitatem ad simi­ lia officia, quae quidem idoneitas usque ad aliquem certum terminum protenditur.

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conoscenza imperfetta deve limitarsi a distin­ zioni generiche, che si fondano su pochi ele­ menti. Come chi conosce imperfettamente gli esseri materiali distingue i loro ordini generica­ mente, ponendo in un ordine i corpi celesti, in un altro i corpi inferiori inanimati, in un altro le piante e in un altro gli animali; chi invece li conoscesse perfettamente sarebbe in grado di distinguere ordini diversi tra gli stessi corpi ce­ lesti, e così tra gli alni ticordati. Ora, noi posse­ diamo una conoscenza impertetta degli angeli e dei loro uffici, come dice Dionigi. Quindi possiamo distinguere gli uffici e gli ordini degli angeli soltanto in generale, per cui veniamo a raggruppare molti angeli sotto un unico ordine. Se invece conoscessimo perfettamente gli uffi­ ci degli angeli e le loro distinzioni, allora cono­ sceremmo perfettamente che ciascun angelo, più di una qualsiasi stella, ha un proprio ufficio e un proprio ordine nel creato, per quanto [attualmente] a noi rimanga ignoto. Soluzione delle difficoltà: l. Tutti gli angeli di uno stesso ordine sono uguali in qualche modo, rispetto cioè a quella particolarità che li costitui­ sce in un solo ordine, ma in senso assoluto non sono uguali. Ed è per questo che Dionigi ritiene possibile distinguere in un medesimo ordine di angeli i primi, gli intermedi e gli ultimi. 2. La distinzione specifica degli ordini e degli uffici, in forza della quale ogni angelo ha il suo proprio ufficio e il suo proprio ordine, è a noi ignota. 3. In una superficie che sia per metà bianca e per metà nera le due parti contigue del bianco e del nero sono localmente più vicine tra di loro di quanto possano esserlo due parti della zona bianca, però sono più lontane tra loro per qualità: e così due angeli che stiano ai confini di due ordini sono più vicini tra di loro per affinità di natura di quanto non lo sia uno di loro con qualche altro del proprio ordine; non però per idoneità a uffici consimili, idoneità che si estende entro un ambito determinato.

Articulus 4

Articolo 4

Utrum distinctio hierarchiarum et ordinum sit a natura in angelis

La distinzione delle gerarchie e degli ordini negli angeli proviene dalla natura?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod distinctio hierarchiarum et ordinum non sit a natura in angelis. l . Hierarchia enim dicitur sacer principatus,

Sembra di no. Infatti: l . Gerarchia significa sacro principato, nella cui definizione Dionigi pone che esso «tende

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

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et in definitione eius Dionysius [DCH 3 , 1 ] ponit quod deiforme, quantum possibile est, similat. Sed sanctitas et deiformitas est in angelis per gratiam, non per naturam. Ergo distinctio hierarchiarum et ordinum in angelis est per gratiam, non per naturam. 2. Praeterea, Seraphim dicuntur ardentes, vel incendentes, ut Dionysius dicit 7 cap. Cael. Hier. [ l ] . Hoc autem videtur ad caritatem per­ tinere, quae non est a natura, sed a gratia, dif­ funditur enim in cordibus nostris per Spiritum Sanctum, qui datus est nobis, ut dicitur ad Rom. 5 [5] . Quod non solum ad sanctos

a rendere, per quanto può, deiforme». Ora, la santità o deiformità si attua negli angeli per mezzo della grazia, non per mezzo della natu­ ra. Quindi anche la distinzione delle gerarchie e degli ordini deriva negli angeli dalla grazia e non dalla natura. 2. Serafino, come spiega Dionigi, significa «ardente» o «infiammante». Ma simili pro­ prietà appartengono evidentemente alla carità, la quale non proviene dalla natura, ma dalla grazia: essa infatti è stata riversata nei nostri

homines pertinet, sed etiam de sanctis angelis dici potest, ut Augustinus dicit 1 2 De civ. Dei

«non riguarda solo gli uomini santi, ma può applicarsi anche ai santi angeli», come dice Agostino. Quindi gli ordini non provengono negli angeli dalla natura, ma dalla grazia. 3. La gerarchia ecclesiastica è modellata su quella celeste. Ma tra gli uomini gli ordini non provengono dalla natura, bensì dal dono della grazia, poiché non dipende dalla natura che uno sia vescovo, un altro sacerdote e un altro diacono. Quindi neppure tra gli angeli gli ordini possono dipendere dalla natura, ma soltanto dalla grazia. In contrario: il Maestro delle Sentenze dice: «Si chiama ordine angelico una moltitudine di spiriti celesti che sono simili tra loro per un qualche dono della grazia, come sono affini per la prutecipazione di cetti doni naturali». Quindi la distinzione degli ordini negli angeli si basa non soltanto sui doni gratuiti, ma anche sui doni naturali. Risposta: l'ordine [gerarchico] di governo, che è l'ordinamento della moltitudine sotto­ posta a un principato, viene desunto per rap­ porto al fine. Ma il fine degli angeli può esse­ re considerato in due modi. Primo, in base alle loro capacità naturali, in quanto cioè essi hanno per fine di conoscere e amru·e Dio con una conoscenza e amore naturali. E in rap­ porto a questo fine gli ordini angelici si distin­ guono in base ai doni naturali. - Secondo, può essere considerato in quanto supera le capacità naturali, consistendo nella visione dell'essenza divina e nella fruizione immobile della sua bontà; e a questo fine gli angeli possono arrivare solo mediante la grazia. Per cui in rapporto a tale fine la distinzione degli ordini si ha negli angeli come coronamento secondo i doni gratuiti, ma come predisposi­ zione secondo i doni naturali: poiché agli

[9]. Ergo ordines in angelis non sunt a natura, sed a gratia. 3. Praeterea, hierarchia ecclesiastica exempla­ tur a caelesti. Sed ordines in hominibus non sunt per naturam, sed per donum gratiae, non enim est a natura quod unus est episcopus, et alius est sacerdos, et alius diaconus. Ergo neque in angelis sunt ordines a natura, sed a gratia tantum. Sed contra est quod Magister dicit, 9 dist. 2 Sent. [2], quod ordo angelorum dicitur multi­

tudo caelestium spirituum, qui inter se aliquo munere gratiae similantw; sicut et naturalium datorwn participatione conveniunt. Distinctio ergo ordinum in angelis est non solum secun­ dum dona gratuita, sed etiam secundum dona naturalia. Respondeo dicendum quod ordo gubematio­ nis, qui est ordo multitudinis sub principatu existentis, attenditur per respectum ad finem. Finis autem angelorum potest accipi dupliciter. Uno modo, secundum facultatem suae na­ turae, ut scilicet cognoscant et ament Deum naturali cognitione et amore. Et secundum re­ spectum ad hunc finem, distinguuntur ordines angelorum secundum naturalia dona. Alio mo­ do potest accipi finis angelicae multitudinis su­ pra naturalem facultatem eorum, qui consistit i n visione divinae essentiae, et in immobili fruitione bonitatis ipsius; ad quem finem per­ tingere non possunt nisi per gratiam. Unde se­ cundum respectum ad hunc finem, ordines dis­ tinguuntur in angelis completive quidem se­ cundum dona gratuita, dispositive autem se­ cundum dona naturalia, quia angelis data sunt dona gratuita secundum capacitatem natura­ lium, quod non est in hominibus, ut supra

cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, come è detto in Rm. E questo testo

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

[q. 62 a. 6 co. et ad 3] dictum est. Unde in ho­ minibus distinguuntur ordines secundum dona gratuita tantum, et non secundum naturam. Et per hoc patet responsio ad obiecta.

angeli, come si disse, i doni gratuiti furono concessi secondo la capacità dei doni naturali, il che non si verifica negli uomini. Ed è que­ sta la ragione per cui negli uomini gli ordini si distinguono soltanto in base ai doni gratuiti, e non in base alla natura. Restano così risolte anche le obiezioni.

Articulus 5

Utrum ordines angelorum convenienter nominentur Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ordi­ nes angelorum non convenienter nominentur. l . Omnes enim caelestes spiritus dicuntur et angeli et virtutes caelestes. Sed nomina com­ muoia inconvenienter aliquibus appropriantur. Ergo inconvenienter nominatur unus ordo Angelorum, et alius Virtutum. 2. Praeterea, esse Dominum est proprium Dei; secundum illud Psal. 99 [3] scitote quo­ niam dominus ipse est Deus. Ergo inconve­ nienter unus ordo caelestium spirituum Do­ minationes vocatur. 3. Praeterea, nomen Dominationis ad guber­ nationem pertinere videtur. Similiter autem et nomen Principatuum, et Potestatum. Inconve­ nienter ergo tribus ordinibus haec tria nomina imponuntur. 4. Praeterea, Archangeli dicuntur quasi prin­ cipes angeli. Non ergo hoc nomen debet im­ poni alii ordini quam ordini Principatuum. 5. Praeterea, nomen Seraphim imponitur ab ardore qui ad caritatem pertinet, nomen autem Cherubim imponitur a scientia. Caritas autem et scientia sunt dona communia omni­ bus angelis. Non ergo debent esse nomina specialium ordinum. 6. Praeterea, throni dicuntur sedes. Sed ex hoc ipso Deus in creatura rationali sedere dicitur, quod ipsum cognoscit et amat. Non ergo debet esse alius ordo Thronorum ab ordine Cherubim et Seraphim. Sic igitur videtur quod inconvenienter ordines angelorum nominentur. Sed contra est auctoritas sacrae Scripturae, quae sic eos nominat. Nomen enim Seraphim ponitur Isaiae 6 [2]; nomen Cherubim Ez. l [cf. 10,15.20]; nomen Thronorum, Col. l [16]; Dominationes autem et Virtutes et Potestates et Principatus ponuntur Eph. l [21]; nomen autem Archangeli ponitur in canonica ludae,

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Articolo 5

Gli ordini angelici sono ben denominati? Sembra di no. Infatti: l . 1\1tti gli spiriti celesti sono Angeli e Virtù celesti. Ma non è giusto assegnare, come pro­ pri ad alcuni, dei nomi che sono comuni a tutti. Quindi non è giusto dare il nome di Angeli e di Virtù a due ordini particolari. 2. Essere Dominus [Signore] è prerogativa di Dio, secondo le parole del Sal: Riconoscete che il Signore è Dio. Non è quindi convenien­ te chiamare Dominazioni uno degli ordini angelici. 3. n nome Dominazione si riferisce indubbia­ mente al governo. E altrettanto si dica dei nomi Principato e Potestà. Non è dunque cosa ragionevole assegnare queste tre deno­ minazioni a tre ordini distinti. 4. Gli Arcangeli sono così chiamati perché sono quasi Angeli Principi. Un tale nome per­ ciò non dovrebbe essere imposto ad alcun altro ordine se non a quello dei Principati. 5. Il nome di Serafini è desunto dall'ardore proveniente dalla carità, e il nome di Chentbini è desunto dalla scienza. Ma la carità e la scienza sono doni comuni a tutti gli angeli. Quindi quei nomi non dovrebbero essere ri­ servati a due soli ordini. 6. Dire troni o seggi è la stessa cosa. Ma si suoi dire che Dio ha sede nella creatura razio­ nale in quanto questa lo conosce e lo ama. Non dovrebbe dunque esserci distinzione tra l'ordine dei Troni e quello dei Cherubini e dei Serafini. Così dunque gli ordini angelici non risultano ben denominati. In contrario: abbiamo l' autorità della sacra Scrittura che così li denomina. Infatti trovia­ mo i Serafini in fs; i Cherubini in Ez; i Troni in Col; le Dominazioni, le 'Virtù, le Potestà e i Principati in Ef; gli Arcangeli in Gd e gli Angeli in moltissimi passi della Scrittura. Risposta: nella denominazione degli ordini angelici bisogna tener presente ciò che affer-

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nomina autem Angelorum in pluribus Scrip­ turae locis. Respondeo dicendum quod in nominatione angelicorum ordinum, considerare oportet quod propria nomina singulorum ordinum proprietates eorum designant, ut Dionysius dici t 7 cap. Cael. Hier. [ 1 ] . Ad videndum autem quae sit proprietas cuiuslibet ordinis, considerare oportet quod in rebus ordinatis tripliciter aliquid esse contingit, scilicet per proprietatem, per excessum, et per participa­ tionem. Per proprietatem autem dicinrr esse aliquid in re aliqua, quod adaequanrr et pro­ portionatur naturae ipsius. Per excessum autem, quando illud quod attribuitur alicui, est minus quam res cui attribuitur, sed tamen convenit illi rei per quendam excessum; sicut dictum est [q. 1 3 a. 2] de omnibus nominibus quae attribuuntur Deo. Per participationem autem, quando illud quod attribuitur alicui, non plenarie invenitur in eo, sed deticienter; sicut sancti homines participative dicunnrr dii . Si ergo aliquid nominari debeat nomine desi­ gnante proprietatem ipsius, non debet nomi­ nati ab eo quod imperfecte participat, neque ab eo quod excedenter habet; sed ab eo quod est sibi quasi coaequatum. Sicut si quis velit proprie nominare hominem, dicet eum sub­ stantiam rationalem, non autem substantiam intellectualem, quod est proprium nomen an­ geli, quia simplex intelligentia convenit ange­ lo per proprietatem, homini vero per partici­ pationem; neque substantiam sensibilem, quod est nomen bruti proprium, quia sensus est minus quam id quod est proprium homini, et convenit homini excedenter prae aliis ani­ malibus. Sic igitur considerandum est in ordi­ nibus angelorum, quod omnes spirituales per­ fectiones sunt omnibus angelis communes et quod omnes abundantius existunt in superio­ ribus quam in inferioribus. Sed cum in ipsis etiam perfectionibus sit quidam gradus, supe­ rior perfectio attribuitur superiori ordini per proprietatem, inferiori vero per participatio­ nem, e converso autem inferior attribuitur inferiori per proprietatem, superiori autem per excessum. Et ita superior ordo a superiori per­ fectione nominatur. Sic igitur Dionysius [DCH 7, l ] exponit ordinum nomina secun­ dum convenientiam ad spirituales perfectio­ nes eorum. Gregorius vero, i n expositione horum nominum, magis attendere videtur

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ma Dionigi, e cioè che «i nomi propri dei singoli ordini designano le loro proprietà». Per discernere poi quale sia la proprietà di ciascun ordine è necessario riflettere che negli esseri disposti gerarchicamente una perfezio­ ne si può trovare in tre modi, cioè in modo proprio, in modo eccedente e in modo parte­ cipato. Una perfezione si trova in modo pro­ prio in un soggetto quando essa è adeguata e proporzionata alla natura del soggetto. Vi si trova invece in modo eccedente quando la perfezione è al disotto del soggetto a cui vie­ ne attribuita, e conviene ad esso in grado sovraeminente; come si disse di tutti i nomi attribuiti a Dio. Vi si trova infine in modo partecipato quando la perfezione suddetta non raggiunge nel soggetto tutta la sua pienezza: come i santi sono chiamati dèi per partecipa­ zione. - Quando dunque a un dato essere si voglia imporre un nome che ne denoti una proprietà intrinseca, questo nome non va desunto né da ciò che esso partecipa imperfet­ tamente, né da ciò che possiede in grado ec­ cedente, ma da ciò che è ad esso commisura­ to. Come volendo denominare con un nome proprio l'uomo lo si dovrà chiamare sostanza razionale, e non sostanza intellettuale, che è il nome proprio dell'angelo: poiché, mentre la semplice intelligenza conviene all' angelo co­ me proprietà, all' uomo conviene solo per par­ tecipazione; né lo si potrà chiamare sostanza sensitiva, che è il nome proprio del bruto, poi­ ché la sensitività è qualcosa di meno di ciò che è proprio dell'uomo ed essa, in confronto agli altri animali, conviene all'uomo in grado eccedente. Venendo ora agli ordini angelici, bisogna considerare che le perfezioni spiritua­ li sono comuni a tutti gli angeli, e negli angeli superiori si trovano in misura più abbondante che negli inferiori. Essendoci tuttavia una gra­ duatoria nelle perfezioni stesse, la perfezione superiore viene attribuita in modo proprio all' ordine superiore e in modo partecipato a quello infeliore; viceversa la perfezione infe­ liore viene attribuita in modo proprio all' ordi­ ne inferiore e in modo sovraeminente a quello superiore. E così gli ordini più alti vengono denominati dalle perfezioni più alte. Con tale criterio dunque, in base cioè alla disposizione degli angeli alle perfezioni spirituali, Dionigi spiega i nomi dei vari ordini. - Gregorio, invece, nella spiegazione di tali nomi si fonda

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

exteriora ministeria. Dicit enim [In Ev. h. 34], quod Angeli dicuntur qui minima nuntiant;

Archangeli, qui summa; Virtutes per quas miracula fiunt; Potestates quibus adversae potestates repelluntur; Principatus, qui ipsis bonis spiritibus praesunt. Ad primum ergo dicendum quod angelus nuntius dicitur. Omnes ergo caelestes spiritus, inquantum sunt manifestatores divinorum, angeli vocantur. Sed superiores angeli habent quandam excellentiam in hac manitestatione, a qua superiores ordines nominantur. Infimus autem angelorum ordo nullam excellentiam supra communem manifestationem addit, et ideo a simplici manifestatione nominatur. Et sic nomen commune remanet infimo ordini quasi proprium, ut dicit Dionysius 5 cap. Cael. Hier. Vel potest dici quod infimus ordo speciali ter dicitur ordo Angelorum, quia immediate nobis annuntiant. Virtus autem dupliciter accipi potest. Uno modo, commu­ niter, secundum quod est media inter essen­ tiam et operationem, et sic omnes caelestes spiritus nominantur caelestes virtutes, sicut et caelestes essentiae [DCH 5]. Alio modo, se­ cundum quod importat quendam excessum fortitudinis, et sic est proprium nomen ordi­ nis. Unde Dionysius dicit, 8 cap. Cael. Hier. [ l ], quod nomen Virtutum significar quandam virilem et inconcussam fortitudinem, primo quidem ad omnes operationes divinas eis con­ venientes; secundo, ad suscipiendum divina. Et ita significat quod sine aliquo timore aggrediuntur divina quae ad eos pertinent, quod videtur ad fortitudinem animi pertinere. Ad secundum dicendum quod, sicut dicit D i o n y s i u s 1 2 cap. D e div. n o m . [ 2 . 4] ,

Dominatio laudatur in Deo singulariter per quendam excessum, sed per participationem, divina eloquia vocant Dominos principaliores omatus, per quos inferiores ex donis eius accipiunt. Unde et Dionysius dicit in 8 cap.

Cael. Hier. [ 1 ], quod nomen Dominationum primo quidem significat quandam libertatem,

quae est a serviZi conditione et pedestri su­ biectione, sicut plebs subiicitur, et a tyrannica oppressione, quam interdum etiam maiores patiuntur. Secundo significat quandam rigi­ dam et injlexibilem gubernationem, quae ad nullum servilem actum inclinatUI; neque ad aliquem actum subiectorum vel oppressorum a tyrannis. Tertio significat appetitum et par-

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sui ministeri esterni. Dice infatti: «Vengono chiamati Angeli quelli deputati alle piccole ambasciate; Arcangeli quelli deputati alle grandi; Virtù quelli incaricati di compiere i miracoli; Potestà quelli chiamati a respingere le forze avverse; Principati quelli che presie­ dono agli stessi spiriti buoni». Soluzione delle difficoltà: l . Angelo vuoi dire messaggero. Perciò tutti gli spiriti celesti, in quanto sono latori dei messaggi di Dio, sono chiamati angeli. Senonché gli angeli superiori godono, in questa manifestazione delle cose divine, di una certa eccellenza, dalla quale gli ordini superiori traggono il loro nome. Invece l'infimo ordine angelico non aggiunge alcuna eccellenza al comune ufficio di messaggero, e quindi viene denominato da esso. E così il no­ me comune diventa quasi proprio dell' ordine infimo, come dice Dionigi. - Si potrebbe però anche pensare che l'infimo ordine è chiamato per antonomasia ordine degli Angeli perché questi ultimi trasmettono a noi direttamente i messaggi divini. Quanto poi al termine Virtù, esso può avere due accezioni. La prima gene­ rica, e allora significa la potenza che è inter­ media tra l'essenza e l 'operazione: e in tal sen­ so tutti gli spiriti celesti sono chiamati virtù celesti, come sono chiamati «essenze celesti». - La seconda in quanto sta a indicare un grado eminente di fortezza: e così essa è il nome proprio di un ordine. Per questo Dionigi dice: «D nome "Virtù" denota una fortezza virile e incrollabile», ordinata a compiere prima di tutto le operazioni divine ad esse convenienti, e in secondo luogo ad accogliere quanto viene da Dio. E così tale nome sta a significare che tali spiriti affrontano senza timore i compiti divini loro affidati : ciò che indubbiamente appartiene alla fortezza d'animo. 2. Dionigi dice: «Si deve celebrare in Dio la Dominazione in modo del tutto singolare e trascendente; ma le sante Scritture conferisco­ no per partecipazione il titolo di Signori [Domini] anche agli ordini principali, da cui gli esseri interiori ricevono parte dei doni di­ vini». Quindi, come afferma sempre lo stesso Autore, il nome Dominazioni significa prima di tutto «libertà dalla condizione servite e da una soggezione avvilente», quale è propria della plebe, «e da un'oppressione tirannica», quale patiscono a volte anche i magnat i . Significa, poi, «una rigida e inflessibile disci-

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ticipationem veri dominii, quod est in Deo. Et similiter nomen cuiuslibet ordinis significat participationem eius quod est in Deo; sicut nomen Virtutum significat participationem divinae virtutis; et sic de aliis. Ad tertium dicendum quod nomen Dominatio­ nis, et Potestatis, et Principatus, diversimode ad gubernationem pertinet. Nam domini est solummodo praecipere de agendis. Et ideo Gregmius [In Ev. h. 34] dicit quod quaedam angelorum agmina, pm eo quod eis cetera ad obediendum subiecta sunt, Dominationes vocantur. Nomen vero potestatis ordinationem quandam designat; secundum illud apostoli ad Rom. 1 3 [2], qui potestati resistit, Dei ordina­ lioni resistit. Et ideo Dionysius [DCH 8 , 1 ] dicit quod nomen potestatis significat quan­ dam ordinationem et circa susceptionem divi­ norum, et circa actiones divinas quas superio­ res in inferiores agunt, eas sursum ducendo. Ad ordinem ergo Potestatum pertinet ordinare quae a subditis sint agenda. Principari vero, ut Gregorius [ibid.] dicit, est inter reliquos prio­ rem existere, quasi primi sint in executione eorum quae imperantur. Et ideo Dionysius dicit, 9 cap. Cael. Hier. [ 1 ], quod nomen Prin­ cipatuum significat ductivum cum ordine sacm. llli enim qui alios ducunt, primi inter eos existentes, principes proprie vocantur secundum illud Psalmi 67 [26], praevenerunt

principes coniuncti psallentibus. Ad quartum dicendum quod Archangeli, secundum Dionysium [DCH 9,2], medii sunt inter Principatus et Angelos. Medium autem comparatum uni extremo, videtur alterum, inquantum participat naturam utriusque, sicut tepidum respectu calidi est frigidum, respectu vero frigidi est calidum. Sic et Archangeli dicuntur quasi principes angeli, quia respectu angelorum sunt principes, respectu vero Prin­ cipatuum sunt angeli. Secundum Gregorium [ibid.] autem, dicuntur Archangeli ex eo quod principantur soli ordini Angelorum, quasi magna nuntiantes. Principatus autem dicuntur ex eo quod principantur omnibus caelestibus virtutibus divinas iussiones explentibus. Ad quintum dicendum quod nomen Seraphim non imponitur tantum a caritate, sed a carita­ tis excessu, quem importat nomen ardoris vel incendii. Unde Dionysius, 7 cap. Cael. Hier. [ 1 ], exponit nomen Seraphim secundum pro­ prietates ignis, in quo est excessus caliditatis.

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plina di governo, che non si piega a compiere alcun atto servile, né di quelli propri a chi è schiavo, né di quelli propri a chi è oppresso da tiranni». Significa, da ultimo, «brama e partecipazione del vero dominio che è in Dio». - E in modo analogo il nome di ciascun ordine significa sempre la partecipazione di ciò che è in Dio, come, p. es., il nome Vtrtù significa la partecipazione della virtù divina; e così per gli altri nomi. 3. I termini Dominazione, Potestà e Principato si riferiscono al governo, ma sotto aspetti di­ versi. Infatti compito proprio di chi è signore [dominus] è solo quello di impartire gli ordini sul da farsi. Per cui Gregorio dice: «Alcune schiere angeliche sono chiamate Dominazioni perché le altre devono sottostare, obbedendo, ad esse». - Potestà invece indica un certo ordi­ namento, secondo il detto di Rm: Chi si op­

pone alla potestà si oppone all 'ordinamento stabilito da Dio. Giustamente, perciò, Dionigi osserva che il termine Potestà designa un ordi­ namento relativo sia alla ricezione dei comandi divini, sia al compimento di quelle azioni che gli angeli superiori esercitano su quelli inferio­ ri, per condurli in alto. Quindi ali' ordine delle Potestà spetta coordinare le cose che devono essere compiute dai subalterni. - Esercitare invece un principato vuoi dire, secondo Grego­ tio, «essere primi tra gli altri», essere cioè quasi i primi neli' eseguire quanto è stato co­ mandato. Per questo Dionigi dice che il nome Principati sta a indicare «coloro che fanno da guida nell'ordinamento sacro». Infatti vengono chiamati propriamente prìncipi coloro che, primi tra gli altri, fanno loro da guida, come di­ ce il Sal: Precedmw i prìncipi uniti ai citaredi. 4. Secondo il pensiero di Dionigi, gli Arcangeli stanno tra i Principati e gli Angeli. Ora, una realtà intermedia, paragonata a uno degli estremi, appare diversa, in quanto partecipa anche la natura dell 'altro estremo: come un corpo tiepido è freddo se viene paragonato a un corpo caldo, mentre è caldo se viene para­ gonato a un corpo freddo. Analogamente gli Arcangeli sono come Angeli Principi in rap­ porto agli Angeli; in rapporto invece ai Princi­ pati sono angeli. - Per Gregorio, invece, essi si chiamano Arcangeli perché esercitano un principato solo sull'ordine degli Angeli, in quanto compiono le grandi ambasciate. I Principati invece sono così chiamati perché

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In igne autem tria possumus considerare. Primo quidem, motum, qui est sursum, et qui est continuus. Per quod significatur quod indeclinabiliter moventur in Deum. Secundo vero, virtutem activam eius, quae est calidum. Quod quidem non simpliciter invenitur i n igne, sed cum quadam acuitate, quia maxime est penetrativus in agendo, et pertingit usque ad minima; et iterum cum quodam superexce­ denti fervore. Et per hoc signiticatur actio huiusmodi angelorum, quam in subditos potenter exercent, eos i n similem fervorem excitantes, et totaliter eos per incendium pur­ gantes. Tertio consideratur in igne claritas eius. Et hoc significat quod huiusmodi angeli in seipsis habent inextinguibilem lucem, et quod alios perfecte illuminant. Similiter etiam nomen Cherubim imponitur a quodam exces­ su scientiae, unde interpretatur plenitudo scientiae. Quod Dionysius exponit [DCH 7, 1 ] quantum ad quatuor, primo quidem, quantum ad perfectam Dei visionem; secundo, quan­ tum ad plenam susceptionem divini luminis; tertio, quantum ad hoc, quod in ipso Deo con­ templantur pulchritudinem ordinis rerum a Deo derivatam; quarto, quantum ad hoc, quod ipsi pieni existentes huiusmodi cognitione, eam copiose in alios effundunt. Ad sextum dicendum quod ordo Thronorum habet excellentiam prae inferioribus ordinibus in hoc, quod immediate in Deo rationes divi­ norum operum cognoscere possunt. Sed Cherubim habent excellentiam scientiae ; Seraphim vero excellentiam ardoris. E t licet in his duabus excellentiis includatur tertia, non tamen in illa quae est Thronorum, inclu­ duntur aliae duae. Et ideo ordo Thronorum distinguitur ab ordine Cherubim et Seraphim. Hoc enim est commune in omnibus, quod excellentia inferioris continetur in excellentia superioris, et non e converso. Exponit autem Dionysius [ibid.] nomen Thronorum, per con­ venientiam ad materiales sedes. In quibus est quatuor considerare. Primo quidem, situm, quia sedes supra terram elevantur. Et sic ipsi angeli qui Throni dicuntur, elevantur usque ad hoc, quod in Deo immediate rationes rerum cognoscant. Secundo in materialibus sedibus consideratur firrnitas, quia in ipsis aliquis fir­ miter sedet. Hic autem est e converso, nam ipsi angeli firmantur per Deum. Tertio, quia sedes suscipit sedentem, et in ea deferri potest.

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esercitano un principato su tutte le virtù cele­ sti che eseguono i comandi divini. 5. n nome di Serafini non viene desunto dalla carità come tale, ma da una sovrabbondanza di carità, come indica l a parola ardore o incendio. Perciò Dionigi lo interpreta in base alle proprietà del fuoco, in cui il calore è i n grado eccedente. Ora, nel fuoco possiamo considerare tre cose. Primo, il suo movimento che tende verso l'alto e che è continuo. E ciò sta a indicare che i Serafini si muovono inva­ riabilmente verso Dio. - Secondo, la sua virtù attiva che è il calore. E questo si trova nel fuoco non in un modo qualsiasi, ma in un grado acuto, giacché esso è sommamente penetrativo nel suo agire, giungendo sino alle intime fibre; ed è inoltre accompagnato da un incontenibile fervore. E ciò serve a indicare I' azione potente esercitata da questi angeli sui loro sottoposti, per eccitarli a un fervore con­ simile e per puritìcarli con il loro incendio. Terzo, nel fuoco va considerato lo splendore. E ciò sta a indicare che questi angeli possie­ dono in se stessi una luce inestinguibile, e che illuminano perfettamente gli altri. Parimenti anche il nome di Chentbini è desunto da una sovrabbondanza di scienza: perciò si fa corri­ spondere a «pienezza di scienza». Pienezza che Dionigi Iiscontra in quattro cose: primo, nella perfetta visione di Dio; secondo, nella piena ricezione del lume divino; terzo, nel tàtto che essi contemplano la bellezza dell'or­ dine dell'universo in Dio stesso; quarto, nel fatto che, essendo essi ripieni di tale scienza, la effondono copiosamente sugli altri. 6. L'eccellenza dell'ordine dei Troni, in rap­ porto agli ordini inferiori, consiste in questo, che essi possono conoscere in Dio immedia­ tamente le ragioni delle opere divine. I Cheru­ bini, i nvece, possiedono l ' eccellenza della scienza e i Serafini l'eccellenza dell'ardore. E sebbene in queste due ultime cose sia inclusa la prima, tuttavia in questa, che è propria dei Troni , non sono incluse le altre due. Quindi I' ordine dei Troni si distingue dall' ordine dei Chembini e dei Serafini. In tutte le cose, infat­ ti, vige il principio che l'eccellenza dei gradi inferiori è contenuta nell'eccellenza dei gradi superiori, e non viceversa. Dionigi inoltre spiega il nome dei Troni per analogia con i troni mateliali. Ora, in questi vanno conside­ rate quattro cose. Primo, la posizione: i troni

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Sic et isti angeli suscipiunt Deum in seipsis, et eum quodammodo ad inferiores ferunt. Quarto, ex figura, quia sedes ex una parte est aperta ad suscipiendum sedentem. Ita et isti angeli sunt per promptitudinem aperti ad suscipiendum Deum, et famulandum ipsi.

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sono elevati sopra la terra. E così gli angeli chiamati Troni sono elevati sino a conoscere immediatamente in Dio le ragioni delle cose. - Secondo, nei troni materiali si considera la loro stabilità: su di essi infatti uno siede acquistando fermezza. Nel caso nostro però si verifica il contrario, poiché questi angeli acquistano la loro stabilità in Dio. - Terzo, il trono accoglie la persona che vi siede e questa può anche essere trasportata. E così questi an­ geli accolgono in se stessi Dio, e in certo qual modo lo portano agli angeli inferiori. - Quar­ to, la forma esterna: il trono è aperto davanti per ricevere chi vi deve sedere. E nello stesso modo anche questi angeli sono aperti, con la loro prontezza, ad accogliere Dio e a prestar­ gli servizio.

Articulus 6

Articolo 6

Utrum convenienter gradus ordinum assignentur

I gradi degli ordini sono ben detenninati?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod in­ convenienter gradus ordinum assignentur. l . Ordo enim praelatorum videtur esse supre­ mus. Sed Dominationes, Principatus et Po­ testates ex ipsis nominibus praelationem quandam habent. Ergo isti ordines debent esse inter omnes supremi. 2. Praeterea, quanto aliquis ordo est Deo pro­ pinquior, tanto est superior. Sed ordo Throno­ rum videtur esse Deo propinquissimus, nihil enim coniungitur propinquius sedenti, quam sua sedes. Ergo ordo 1bronorum est altissimus. 3. Praeterea, scientia est prior quam amor; et intellectus videtur esse altior quam voluntas. Ergo et ordo Cherubim videtur esse altior quam ordo Seraphim. 4. Praeterea, Gregorius [In Ev. h. 34] ponit Principatus supra Potestates. Non ergo collo­ cantur immediate supra Archangelos, u t Dionysius dicit [DCH 6,2]. Sed contra est quod Dionysius [ibid.] ponit, in prima quidem hierarchia. Seraphim ut pri­ mos, Cherubim ut medios, Thronos ut ulti­ mos; in media vero, Dominationes ut primos, Virtutes ut medios, Potestates ut ultimos; in ultima, Principatus ut primos, Archangelos ut medios, Angelos ut ultimos. Respondeo dicendum quod gradus angelico­ rum ordinum assignant et Gregorius [ibid.] et Dionysius [ibid.], quantum ad alia quidem

Sembra di no. Infatti: l . L'ordine più alto è quello di coloro che co­ mandano. Ma le Dominazioni, i Principati e le Potestà, stando ai loro nomi, esercitano un cer­ to dominio. Quindi supremi fra tutti dovreb­ bero essere questi ordini. 2. Un ordine è tanto più alto quanto più è vici­ no a Dio. Ma il più vicino a Dio sembra essere l'ordine dei Troni: poiché nulla è tanto vicino a colui che siede quanto il suo seggio. Quindi l'ordine più alto è quello dei Troni. 3. La scienza è prima dell'amore, e l'intelletto sembra più alto della volontà. Quindi anche l'ordine dei Cherubini sembra essere più alto dell'ordine dei Serafini. 4. Gregorio pone i Principati sopra le Potestà. Quindi il loro posto non è immediatamente sopra gli Arcangeli, come dice Dionigi. In contrario: Dionigi insegna che nella prima gerarchia si succedono nell'ordine i Serafini, i Cherubini e i Troni; nella gerarchia intermedia le Dominazioni, le Virtù e le Potestà; nell'ultima i Principati, gli Arcangeli e finalmente gli Angeli. Risposta: i gradi degli ordini angelici sono stati determinati sia da Gregorio che da Dionigi, i quali concordano tra loro eccetto che per i Principati e le Virtù. Mentre infatti Dionigi col­ loca le Virtù sotto le Dominazioni e sopra le Potestà, e i Principati sotto le Potestà e sopra gli Arcangeli, Gregorio pone i Principati tra le Dominazioni e le Potestà, e le Virtù tra le Po-

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convenienter, sed quantum ad Principatus et Virtutes differenter. Nam Dionysius collocat Virtutes sub Dominationibus et supra Po­ testates, Principatus autem sub Potestatibus et supra Archangelos, Gregorius autem ponit Principatus in medio Dominationum et Po­ testatum, Vrrtutes vero in medio Potestatum et Archangelorum. Et utraque assignatio ful­ cimentum habere potest ex auctoritate aposto­ li. Qui, medios ordines ascendendo enume­ rans, dicit, Eph. l [20-21], quod Deus consti­ tuit illum, scilicet Christum, ad dexteram

suam in caelestibus, supra omnem Principa­ tum et Potestatem et Virtutem et Domina­ tionem, ubi virtutem ponit inter potestatem et dominationem, secundum assignationem D ionysii. Sed ad Col. l [ 1 6] , enumerans eosdem ordines descendendo, dicit, sive

Throni, sive Dominationes, sive Principatus, sive Potestates, omnia per ipsum et in ipso creata sunt, ubi Principatus ponit medios inter Dominationes et Potestates, secundum assig­ nationem Gregorii. Primo igitur videamus rationem assignationis Dionysii. In qua consi­ derandum est quod, sicut supra [a. l ] dictum est, prima hierarchia accipit rationes remm in ipso Deo; secunda vero in causis universali­ bus; tertia vero secundum detetminationem ad speciales effectus. Et quia Deus est finis non solum angelicorum ministeriorum, sed etiam totius creaturae, ad primam hierarchiam pertinet consideratio tinis; ad mediam vero dispositio universalis de agendis; ad ultimam autem applicatio dispositionis ad effectum, quae est operis executio; haec enim tria mani­ festum est in qualibet operatione inveniri. Et ideo Dionysius [DCH 6,2], ex nominibus ordinum proprietates illorum considerans, illos ordines in prima hierarchia posuit, quorum nomina imponuntur per respectum ad Deum, scilicet Seraphim et Cherubim et Thronos. llios vero ordines posuit in media hierarchia, quo­ rum nomina designant communem quandam gubernationem sive dispositionem, scilicet Dominationes, Virtutes et Potestates. Illos vero ordines posuit in tertia hierarchia, quo­ rum nomina designant operis executionem, scilicet Principatus, Angelos et Archangelos. In respectu autem ad finem, tria considerari possunt, nam primo, aliquis considerat fmem; secundo vero, perfectam finis cognitionem accipit; tertio vero, intentionem suam in ipso

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testà e gli Arcangeli. E tanto l'una quanto l'al­ tra determinazione può trovare appoggio nel­ l'autorità di Paolo. Questi infatti, enumerando in linea ascendente gli ordini intermedi in EJ, dice che Dio costituì lui, cioè Cristo, alla sua

destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potestà e Vb1ù e Dominazione: ponendo così le Virtù, come vuole Dionigi, tra le Potestà e le Dominazioni. Invece in Col così enumera gli stessi ordini in linea discendente: Troni, Do­

milwzioni, Principati e Potestà, tutto per mezzo di lui e in lui fu creato: e qui pone i Principati tra le Dominazioni e le Potestà, come fa Gre­ gorio. Vediamo dunque, da prima, il criterio della determinazione fatta da Dionigi. In pro­ posito va ricordato che secondo lui, come già abbiamo detto, la prima gerarchia apprende le ragioni delle cose in Dio stesso, la seconda nelle loro cause universali, la terza nell'appli­ cazione di esse agli effetti particolari. E poiché Dio è il fine non solamente dei ministeri ange­ lici, ma di tutto il creato, alla prima gerarchia spetta considerare il tine, alla gerarchia di mezzo disporre universalmente le cose da fare, all' ultima applicare le di�posizioni agli effetti, e cioè eseguire l'opera. E evidente infatti che queste tre fasi si tiscontrano nel processo di ogni operazione. Quindi Dionigi, che dai nomi degli ordini detiva le loro proprietà, nella prima gerarchia pose quegli ordini i cui nomi indica­ no un rapporto con Dio: cioè i Serafini, i Cherubini e i Troni. Nella gerarchia intermedia pose invece quegli ordini i cui nomi significano un certo universale governo o ordinamento: cioè le Dominazioni, le Virtù e le Potestà. Nella terza gerarchia infine pose quegli ordini i cui nomi designano l'esecuzione dell'opera: cioè i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli. Ora, per quanto riguarda il fme possiamo di­ stinguere tre momenti: ptimo, la considerazio­ ne del fine; secondo, la conoscenza perfetta di esso; terzo, la determinazione ferma dell'inten­ zione su di esso: e di questi tre momenti il se­ condo aggiunge qualcosa al primo e il terzo a entrambi. E siccome Dio è il fine delle creature nella maniera in cui, come dice Aristotele, il comandante è il fine dell'esercito, si può desu­ mere qualche analogia dalle cose umane: infat­ ti ci sono alcuni rivestiti di tanta dignità da poter accedere di persona e familiarmente al re o al comandante; vi sono altri invece che han­ no, in più, il privilegio di essere al corrente dei

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defigit; quorum secundum ex additione se habet ad primum, et tertium ad utrumque. Et quia Deus est finis creaturarum sicut dux est finis exercitus, ut dicitur in 12 Met. [ I 1 , 1 0,2], potest aliquid simile huius ordinis consideraci in rebus humanis, nam quidam sunt qui hoc habent dignitatis, ut per seipsos familiariter accedere possunt ad regem vel ducem; qui­ dam vero super hoc habent, ut etiam secreta eius cognoscant; alii vero insuper circa ipsum semper inhaerent, quasi ei coniuncti. Et se­ cundum hanc similitudinem accipere possu­ mus dispositionem ordinum primae hierar­ chiae. Nam Throni elevantur ad hoc, quod Deum familiariter in seipsis recipiant, secun­ dum quod rationes rerum in ipso immediate cognoscere possunt, quod est proprium totius primae hierarchiae. Cherubim vero superemi­ nenter divina secreta cognoscunt. Seraphim vero excellunt in hoc quod est omnium supre­ mum, scilicet Deo ipsi uniri. Ut sic ab eo quod est commune toti hierarchiae, denomi­ netur ordo Thronorum; sicut ab eo quod est commune omnibus caelestibus spiritibus, de­ nominatur ordo angelorum. Ad gubernationis autem rationem tria pertinent. Quorum pri­ mum est definitio eorum quae agenda sunt, quod est proprium Dominationum. Secundum autem est praebere facultatem ad implendum, quod pertinet ad Virtutes. Tertium autem est ordinare qualiter ea quae praecepta vel defini­ ta sunt, impleri possint, ut aliqui exequantur, et hoc pertinet ad Potestates. Executio autem angelicorum ministeriorum consistit in an­ nuntiando divina. In executione autem cuius­ libct actus, sunt quidam quasi incipientes ac­ tionem et alios ducentes, sicut in cantu prae­ centores, et in bello illi qui alios ducunt et dirigunt, et hoc pettinet ad Principatus. Alii vero sunt qui simpliciter exequuntur, et hoc pertinet ad Angelos. Alii vero medio modo se habent, quod ad Archangelos pertinet, ut supra [a. 5 ad 4] dictum est. Invenitur autem congrua haec ordinum assignatio. Nam semper summum inferioris ordinis affinitatem habet cum ultimo superioris; sicut infima animalia parum distant a plantis. Primus autem ordo est divinarum personarum, qui terminatur ad Spiritum Sanctum, qui est amor procedens, cum quo affinitatem habct supremus ordo pri­ mae hierarchiae, ab incendio amoris denomi­ natus. lnfirnus autem ordo primae hierarchiae

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suoi segreti; altri infine, per un privilegio anco­ ra più alto, stanno sempre intorno a lui, come se fossero suoi congiunti. Ora, in base a questa analogia possiamo comprendere la disposizio­ ne degli ordini nella prima gerarchia. Infatti i Troni sono elevati a tanta dignità da accogliere familiarmente Dio in se stessi, in quanto posso­ no conoscere immediatamente in lui le ragioni delle cose. E questa è una prerogativa comune a tutta la prima gerarchia. I Cherubini, invece, godono di una conoscenza sovraeminente dei segreti divini. I Serafini infine eccellono in ciò che costituisce la suprema pertezione, nell'es­ sere cioè a contatto con Dio ste..c;so. In tal modo l'ordine dei Troni resta denominato da ciò che è comune a tutta la [prima] gerarchia, come da ciò che è comune a tutti gli spiriti celesti è denominato l'ordine degli Angeli. Quanto al governo invece, esso per sua natura ha tre com­ piti. Primo, determinare le cose da fare: e ciò spetta alle Dominazioni. Secondo, concedere il potere di farle: e ciò spetta alle Vtrtù. Terzo, indicare in che modo le cose comandate o de­ terminate possano essere fatte da chi deve ese­ guirle: e ciò spetta alle Potestà. L'esecuzione infine dei ministeri angelici consiste nell'an­ nunziare le cose di Dio. Ora, neli' esecuzione di qualsiasi opera vi sono alcuni che dmmo l'ini­ zio ali' opera e fanno da guida agli altri, come i maestri nel canto e i comandanti in guerra: e questo ufficio appartiene ai Principati. Vi sono altri invece che agiscono quali semplici esecu­ tori: è il compito degli Angeli. Altri infine si trovano in una situazione intermedia: e tali sono gli Arcangeli, come si è già detto. Ora, questa determinazione degli ordini appare con­ veniente. Infatti ciò che è primo nell'ordine inferiore ha sempre una certa affinità con ciò che è ultimo nell'ordine superiore: come av­ viene tra gli infimi esseri del regno animale e i primi del regno vegetale. ll primo ordine asso­ luto è dunque quello delle persone divine, il quale si conclude con lo Spirito Santo, che è l'amore procedente: e con esso ha affinità il su­ premo ordine della prima gerarchia [quello dei Serafini], che deve il suo nome all' incendio dell'amore. Dall'altra parte invece l'ordine più basso della prima gerarchia, quello dei Troni, ha affinità, in forza del suo stesso nome, con le Dominazioni: infatti i Troni sono così denomi­ nati, secondo Gregorio, perché Dio «esercita i suoi giudizi per mezzo di essi», dato che essi

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est Thronorum, qui ex suo nomine habent quandam affinitatem cum Dominationibus, nam Throni dicuntur, secundum Gregorium [ibid.], per quos Deus sua iudicia exercet; ac­ cipiunt enim divinas illuminationes per con­ venientiam ad immediate illuminandum se­ cundam hierarchiam, ad quam pertinet dispo­ sitio divinorum ministeriorum. Ordo vero Po­ testatum affinitatem habet cum ordine Princi­ patuum, nam cum Potestatum sit ordinatio­ nem subiectis imponere, haec ordinario statim in nomine Principatuum designatur, qui sunt primi in executione divinorum ministeriorum, utpote praesidentes gubemationi gentium et regnorum, quod est primum et praecipuum in divinis ministeriis; nam bonum gentis est divi­ nius quam bonum unius hominis [Ethic. 1 ,2,2] . Unde dicitur Dan. 10 [ 1 3], princeps regni Persarum restitit mihi. Dispositio etiam ordinum quam Gregorius ponit, congruitatem habet. Nam cum Dominationes sint detinien­ tes et praecipientes ea quae ad divina ministe­ ria pertinent, ordines eis subiecti disponuntur secundum dispositionem eorum in quos divi­ na ministeria exercentur ut autem Augustinus dicit in 3 De Trin. [4], corpora quodam ordi­

ne reglmtur, inferiora per superiora, et omnia per spiritualem creaturam; et spiritus malus per spiritum bonum. Primus ergo ordo post Dominationes dicitur Principatuum, qui etiam bonis spiritibus principantur. Deinde Po­ testates, per quas arcentur mali spiritus, sicut per potestates terrenas arcentur malefactores, ut habetur Rom. 13 [3-4]. Post quas sunt Vrr­ tutes, quae habent potestatem super corpora­ lem naturam in operatione miraculorum. Post quas sunt Archangeli et Angeli, qui nuntiant hominibus vel magna, quae sunt supra ratio­ nem; vel parva, ad quae ratio se extendere potest. Ad primum ergo dicendum quod in angelis potius est quod subiiciuntur Deo, quam quod inferioribus praesident, et hoc derivatur ex ilio. Et ideo ordines nominati a praelatione non sunt supremi, sed magis ordines nominati a conversione ad Deum. Ad secundum dicendum quod illa propinqui­ tas ad Deum quae designatur nomine Throno­ rum, convenit etiam Cherubim et Seraphim, et excellentius, ut dictum est. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 1 6 a . l ; q . 27 a . 3 ] dictum est, cognitio est secun-

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ricevono le divine illuminazioni per l'attitudine naturale che hanno a illuminare immediata­ mente la seconda gerarchia, a cui compete di disporre i ministeri divini. L'ordine poi delle Potestà è affine ali' ordine dei Principati: aven­ do infatti le Potestà il compito di imporre un ordinamento ai sottoposti, questo viene evoca­ to subito dal nome stesso dei Principati, che sono i primi nell'esecuzione dei divini misteri, come coloro che presiedono al governo dei popoli e dei regni, che è il primo e il principale dei ministeri divini, «essendo il bene del popo­ lo cosa più divina del bene di un singolo indivi­ duo». Per cui è detto in Dn: Il Principe del regno di Persia mi si è opposto. Ma anche la determinazione degli ordini fatta da Gregorio ha la sua convenienza. Essendo infatti le Do­ minazioni quelle che detenninano e comanda­ no quanto concerne i divini ministeri, gli ordini ad esse soggetti vengono ad assumere la dispo­ sizione degli esseri intorno ai quali si esercita­ no i divini ministeri. Ora, come dice Agostino, «gli esseri corporei sono governati con un certo ordine, e cioè gli inferiori per mezzo dei supe­ riori, e tutti per mezzo della creatura spirituale; gli spiriti malvagi, poi, per mezzo degli spiriti buoni». Quindi il primo ordine dopo le Domi­ nazioni è quello dei Principati, che comandano anche agli spiriti buoni. Seguono le Potestà, per mezzo delle quali sono tenuti a freno gli spiriti malvagi: come per mezzo delle potestà terrene sono tenuti a freno i malfattori, come è detto in Rm. Dopo di esse vengono le VIrtù, che hanno potere sui corpi nel compimento dei miracoli. E finalmente gli Arcangeli e gli An­ geli, che annunziano agli uomini o le grandi verità che superano la ragione, o le verità mi­ nori che rientrano nelle sue capacità. Soluzione delle difficoltà: l . Per gli angeli è cosa più nobile la sottomissione a Dio che il dominio sugli inferiori: anzi, quest'ultimo de­ riva da quella. Quindi gli ordini supremi non sono quelli che traggono il loro nome dal co­ mando, ma piuttosto quelli i cui nomi indica­ no il rapporto con Dio. 2. La vicinanza a Dio indicata dal nome dei Troni conviene anche ai Cherubini e ai Serafi­ ni, e in un grado più eccellente, come si è visto. 3. La conoscenza si attua, come si è detto sopra, in quanto l'oggetto viene a trovarsi nel cono­ scente, mentre l'amore si attua in quanto l'a­ mante tende a unirsi alla cosa amata. Ora, gli

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dum quod cognita sunt in cognoscente; amor autem secundum quod amans unitur rei ama­ tae. Superiora autem nobiliori modo sunt in seipsis quam in inferioribus, inferiora vero nobiliori modo in superioribus quam in seip­ sis. Et ideo inferiorum quidem cognitio praee­ minet dilectioni, superiorum autem dilectio, et praecipue Dei, praeeminet cognitioni. Ad quartum dicendum quod, si quis diligenter consideret dispositiones ordinum secundum Dionysium et Gregorium, parum vel nihil dif­ ferunt, si ad rem referantur. Exponit enim Gregorius [ibid. ] Principatuum nomen ex hoc, quod bonis spiritibus praesunt, et hoc convenit Virtutibus, secundum quod in nomi­ ne Virtutum intelligitur quaedam fortitudo dans efficaciam inferioribus spùitibus ad exe­ quenda divina ministeria. Rursus Virtutes, secundum Gregorium, videntur esse idem quod Principatus secundum Dionysium. Nam hoc est primum in divinis ministeriis, miracu­ la facere, per hoc enirn paratur via Annuntia­ tioni Archangelorum et Angelorum. Articulus

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Utrum ordines remanebunt post diem iudicii

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esseri superiori esistono in modo più nobile in se stessi che negli esseri inferiori; al contrario le cose meno nobili acquistano una maniera di es­ sere più alta negli esseri superiori che in se stes­ se. Quindi la conoscenza degli esseri inferiori è più eccellente dell'amore per essi, mentre l'a­ more degli esseri superiori, e specialmente di Dio, è più eccellente della loro conoscenza. 4. Chi esamini diligentemente la determina­ zione degli ordini fatta da Dionigi e quella fat­ ta da Gregorio, si accorgerà che esse differi­ scono poco o nulla quanto alla sostanza. Intatti Gregorio fa derivare il nome dei Principati dal fatto che essi «presiedono agli spiriti buoni»: e ciò compete anche alle Virtù, in quanto il no­ me di Virtù comporta una certa fortezza che dà vigore agli spiriti inferiori, perché eseguano efficacemente i divini ministeri. Inoltre le Vir­ tù di Gregorio sembrano identificarsi con i Principati di Dionigi. Infatti il primo dei mini­ steri divini è il compimento dei miracoli, per­ ché è in questo modo che si apre la strada agli annunzi degli Arcangeli e degli Angeli. Articolo

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Gli ordini rimarranno dopo il giorno del giudizio?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod ordines non remanebunt post diem iudicii. l . Dicit enim apostolus, l ad Cor. 15 [24], quod Christus evacuabit omnem Principatum

Sembra di no. Infatti: l . Paolo in l Cor dice che Cristo,

et Potestatem, cum tradiderit regnum Deo et Patri, quod erit i n ultima consummatione.

alla fine del mondo. Per lo stesso motivo, dun­ que, saranno allora eliminati tutti gli altri ordini. 2. Gli ordini angelici hanno il compito di pu­ rificare, di illuminare e di perfezionare. Ma dopo il giorno del giudizio un angelo non po­ trà più né purificare né illuminare né perfezio­ nare l'altro, poiché gli angeli non faranno altri progressi nella scienza. Quindi gli ordini re­ sterebbero invano. 3. A proposito degli angeli in Eb è detto: sono

Pari ergo ratione, in ilio statu omnes alii ordi­ nes evacuabuntur. 2. Praeterea, ad officium angelicorum ordi­ num pertinet purgare, illuminare et perficere. Sed post diem iudicii unus angelus non pur­ gabit aut illuminabit aut perficiet alium, quia non proficient amplius in scientia. Ergo frus­ tra ordines angelici remanerent. 3. Praeterea, apostolus dicit, ad Heb. l [ 1 4] , de angelis, quod omnes sunt administratorii

spiritus, in ministeriwn missi propter eos qui haereditatem capiunt salutis, ex quo patet quod officia angelorum ordinantur ad hoc, quod homines ad salutem adducantur. Sed omnes electi usque ad diem iudicii salutem consequuntur. Non ergo post diem iudicii remanebunt officia et ordines angelorum. Sed contra est quod dicitur ludic. 5 [20], stel-

quando avrà consegnato il regno a Dio Padre, ridurrà al nulla ogni Principato e Potestà: il che avverrà

tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la sal­ vezza: dal che si deduce che gli uffici angelici sono ordinati a condurre gli uomini alla sal­ vezza. Ma tutti gli eletti avranno conseguito la salvezza il giorno del giudizio. Quindi, dopo il giorno del giudizio non vi saranno più né gli uffici né gli ordini angelici. In contrario: in Gdc è detto: Restando le stelle nelle loro orbite e nel /oro corso, testo che la

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

lae manentes in ordine et cursu suo,

quod exponitur de angelis [Glos. int.] . Ergo angeli semper in suis ordinibus remanebunt. Respondeo dicendum quod in ordinibus ange­ licis duo possunt considerari, scilicet distinctio graduum, et executio officiorum. Distinctio autem graduum est in angelis secundum diffe­ rentiam gratiae et naturae, ut supra [a. 4] dic­ tum est. Et utraque differentia semper in ange­ lis remanebit. Non enim posset naturarum dif­ ferentia ab eis auferri, nisi eis corruptis, diffe­ rentia etiam gloriae erit in eis semper, secun­ dum differentiam meriti praecedentis. Execu­ tio autem officiorum angelicorum aliquo mo­ do remanebit post diem iudicii, et aliquo mo­ do cessabit. Cessabit quidem, secundum quod eorum offida ordinantur ad perducendum ali­ quos ad finem, remanebit autem, secundum quod convenit in ultima finis consecutione. Sicut etiam alia sunt offida militarium ordi­ num in pugna, et in ttiumpho. Ad primum ergo dicendum quod Principatus et Potestates evacuabuntur in illa finali con­ summatione quantum ad hoc, quod alios ad finem perducant, quia consecuto iam fine, non est necessarium tendere in finem. Et haec ratio intelligitur ex verbis apostoli, dicentis, cum tradiderit regnum Deo et Patri, idest, cum perduxerit fideles ad fruendum ipso Deo. Ad secundum dicendum quod actiones ange­ lorum super alios angelos considerandae sunt secundum similitudinem actionum intelligibi­ lium quae sunt in nobis. Inveniuntur autem in nobis multae intelligibiles actiones quae sunt ordinatae secundum ordinem causae et causa­ ti; sicut cum per multa media gradatim in unam conclusionem devenimus. Manifestum est autem quod cognitio conclusionis depen­ det ex omnibus mediis praecedentibus, non solum quantum ad novam acquisiti onem scientiae, sed etiam quantum ad scientiae conservationem. Cuius signum est quod, s i quis oblivisceretur aliquod praecedentium mediorum, opinionem quidem vel fidem de conclusione posset habere, sed non scientiam, ordine causarum ignorato. Sic igitur, cum inferiores angeli rationes divinorum operum cognoscant per lumen supetiorum angelorum, dependet eorum cognitio ex lumine superio­ rum, non solum quantum ad novam acquisi­ tionem scientiae, sed etiam quantum ad co­ gnitionis conservationem. Licet ergo post

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Glossa applica agli angeli. Quindi gli angeli resteranno sempre nei loro ordini. Risposta: negli ordini angelici si possono di­ stinguere due aspetti: la distinzione dei gradi e I' esecuzione degli uffici. Ora, la distinzione dei gradi si basa, negli angeli, sulle differenze di natura e di grazia, come si è spiegato. Orbene, tanto l'una quanto l' altra differenza rimarrà sempre negli angeli. Infatti la diftèrenza di na­ tura potrebbe essere tra loro eliminata soltanto con la loro distruzione; e anche la differenza nella gloria rimarrà sempre in essi, in base alle differenze dei meriti precedenti. L'esercizio invece dei loro uffici in qualche modo resterà e in qualche modo verrà a cessare dopo il giorno del giudizio. Cesserd in quanto gli uffici sono ordinati a condurre altri al loro fine; resterà invece nella misura in cui potrà coesistere con la consecuzione ultima del fine. Come anche altri sono i compiti degli ordini militari durante la battaglia e altri durante il trionfo. Soluzione delle difficoltà: l . Alla fine del mondo i Principati e le Potestà saranno elimi­ nati quanto all'ufficio di condurre altri al loro fine: poiché, una volta che il fine sia conse­ guito, non è più necessario tendere ad esso. E questa tisposta scaturisce dalle parole stesse di Paolo: Quando avrà consegnato il regno a Dio Padre, cioè quando avrà condotto i fedeli al godimento di Dio. 2. Le azioni di un angelo sugli altri angeli vanno considerate secondo l' analogia delle nostre azioni intellettuali. Ora, in noi vi sono molte azioni intellettuali che stanno tra loro nel rapporto di causa e di effetto: quelle, p. es., con le quali giungiamo gradatamente a un'u­ nica conclusio,ne passando attraverso molti termini medi. E evidente d' altra parte che la conoscenza della conclusione dipende da tutti i termini medi precedenti non solo per l'acqui­ sto della scienza, ma anche per la sua con­ servazione. E la riprova di ciò si ha nel tàtto che, qualora uno dimenticasse qualcuno dei termini medi precedenti, egli conserverebbe I' opinione o la tède su quella verità, ma non più una conoscenza scientifica, ignorando or­ mai l'ordine delle cause. - Così dunque, sic­ come gli angeli inferiori conoscono le ragioni delle opere divine mediante il lume derivato loro dagli angeli superiori, la loro conoscenza dipende dal lume degli angeli superiori non solo quanto al nuovo acquisto della scienza,

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iudicium non proficiant inferiores angeli i n cognitione aliquarum rerum, non tamen prop­ ter hoc excluditur quin a superioribus illumi­ nentur. Ad tertium dicendum quod, etsi post diem iu­ dicii homines non sint ulterius ad salutem ad­ ducendi per ministerium angelorum; tamen il­ li qui iam salutem erunt consecuti, aliquam il­ lustrationem habebunt per angelorum offida.

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ma anche quanto alla conservazione della me­ desima. Quindi, sebbene sia vero che gli an­ geli inferiori dopo il giudizio non faranno altri progressi nella conoscenza di certe realtà, tut­ tavia con ciò non si esclude che essi continui­ no a essere illuminati dagli angeli superiori. 3. Quantunque gli uomini dopo il giorno del giudizio non debbano più essere condotti alla salvezza mediante il ministero degli angeli, tuttavia coloro che avranno già raggiunto la salvezza riceveranno ancora delle illumina­ zioni mediante gli uffici degli angeli.

Articulus 8

Articolo 8

Utrum homines assumantur ad ordines angelorum

Gli uomini vengono aggregati agli ordini degli angeli?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod ho­ mines non assumantur ad ordines angelorum. l . Hierarchia enim humana continetur sub intima hierarchiarum caelestium, sicut infima sub media, et media sub prima. Sed angeli infimae hierarchiae nunquam transferentur in mediam aut in primam. Ergo neque homines transferentw· ad ordines angelorum. 2. Praeterea, ordinibus angelorum aliqua offi­ cia competunt, utpote custodire, miracula facere, daemones arcere, et huiusmodi, quae non videntur convenire animabus sanctorum. Ergo non transferentur ad ordines angelorum. 3. Praeterea, sicut boni angeli inducunt ad bonum, ita daemones inducunt ad malum. Sed erroneum est dicere quod animae hominum malorum convertantur in daemones, hoc enim Chrysostomus reprobat, Super Matth. [horn. 28]. Ergo non videtur quod animae sanctorum transferantur ad ordines angelorum. Sed contra est quod Dominus dicit, Matth. 22 [30], de sanctis, quod erunt sicut angeli Dei

Sembra di no. Infatti: l . La gerarchia umana è posta sotto l'ultima delle gerarchie celesti, come l'ultima di que­ ste è al disotto di quella intermedia, e questa è sotto la prima. Ma gli angeli dell'ultima ge­ rarchia non saranno mai promossi alle gerar­ chie superiori. Quindi neppure gli uomini saranno elevati agli ordini degli angeli. 2. Agli ordini angelici competono certi uffici, quali la custodia [degli uomini], il fare miraco­ li, il tenere a freno i demoni e simili, che non si addicono alle anime dei santi. Quindi queste non saranno elevate agli ordini angelici. 3. Come gli angeli buoni spingono al bene, co­ sì i demoni spingono al male. Ma è elToneo ri­ tenere che le anime degli uomini cattivi si tra­ mutino in demoni: e lo riprova esplicitamente il Crisostomo. Quindi le anime dei santi non vengono aggregate agli ordini degli angeli. In contrario: il Signore in Mt, parlando dei santi, dice che saranno come angeli nel cielo. Risposta: come si è spiegato in precedenza, gli ordini degli angeli si distinguono sia in base alle loro condizioni di natura, sia in base ai doni della grazia. Ora, se gli ordini angelici vengono considerati tenendo conto solo del grado della nantra, allora gli uomini in nessun modo potranno essere aggregati a tali ordini: poiché la distinzione di natura sussisterà sempre. Fermandosi dunque a questa consi­ derazione, alcuni pensarono che gli uomini non potranno mai essere innalzati al punto di acquistare un'uguaglianza con gli angeli. Ma ciò è falso: contraddice infatti alla promessa di Cristo, il quale, in Le, dichiara che i figli

in caelo. Respondeo dicendum quod, sicut supra [aa. 4. 7] dictum est, ordines angelorum distin­ guuntur et secundum conditionem naturae, et secundum dona gratiae. Si ergo considerentur angelorum ordines solum quantum ad gra­ dum naturae, sic homines nullo modo assumi possunt ad ordines angelorum, quia semper remanebit naturarum distinctio. Quam qui­ dam considerantes, posuerunt quod nullo modo homines transferri possunt ad aequali­ tatem angelorum. Quod est elToneum, repu­ gnat enim promissioni Christi, dicentis, Lucae

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L 'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini

20 [36], quod filii resurrectionis erunt aequa­ les angelis in caelis. lllud enim quod est ex parte naturae, se habet ut materiale in ratione ordinis, completivum vero est quod est ex dono gratiae, quae dependet ex liberalitate Dei, non ex ordine naturae. Et ideo per do­ num gratiae homines mereri possunt tantam gloriam, ut angelis aequentur secundum sin­ gulos angelorum gradus. Quod est homines ad ordines angelorum assumi. Quidam tamen dicunt quod ad ordines angelorum non assu­ muntur ornnes qui salvantur, sed soli virgines vel perfecti; alii vero suum ordinem consti­ tuent, quasi condivisum toti societati angelo­ rum. Sed hoc est contra Augustinum, qui dicit 12 De civ. Dei [9], quod 1wn enmt duae so­

cietates hominum et angelorum, sed una, quia omnium beatitudo est adhaerere uni Deo. Ad primum ergo dicendum quod gratia angelis datur secundum proportionem naturalium; non autem sic est de hominibus, ut supra [a. 4; q. 62 a. 6] dictum est. Et ideo sicut inferiores angeli non possunt transferri ad naturalem gradum superiorum, ita nec ad gratuitum. Ho­ mines vero possunt ad gratuitum conscende­ re, sed non ad naturalem. Ad secundum dicendum quod angeli, secun­ dum naturae ordinem, medii sunt inter nos et Deum. Et ideo, secundum legem communem, per eos administrantur non solum res huma­ nae, sed etiam omnia corporalia. Homines autem sancti, etiam post hanc vitam, sunt eius­ dem naturae nobiscum. Unde secundum legem communem, non administrant humana, nec rebus vivontm intersunt, ut Augustinus dicit in libro De cura pro mortuis agenda [ 13. 1 6]. Ex quadam tamen speciali dispensatione in­ terdum aliquibus sanctis conceditur, vel vivis vel mortuis, huiusmodi officia exercere, vel miracula faciendo, vel daemones arcendo, vel aliquid huiusmodi; sicut Augustinus in eodem libro dicit [16]. Ad tertium dicendum quod homines ad poe­ nam daemonum transfeni, non est erroneum, sed quidam erronee posuerunt daemones nihil aliud esse quam animas defunctorum. Et hoc Chrysostomus reprobat.

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della risurrezione saranno in cielo uguali agli angeli. Infatti ciò che è dalla parte della natura costituisce nell'ordine soltanto l'elemento materiale, mentre il coronamento dell'ordine deriva dal dono della grazia, la quale dipende dalla liberalità di Dio, e non dalla nobiltà della natura. Quindi gli uomini mediante il dono della grazia possono meritare tanta glo­ ria da uguagliare gli angeli , a qualunque grado questi appartengano. E ciò equivale ad aggregare gli uomini agli ordini degli angeli. Alcuni, tuttavia, vogliono che agli ordini an­ gelici non siano assunti tutti coloro che si sal­ vano, ma solo i vergini e i perfetti: gli altri, in­ vece, costituirebbero un proprio ordine a par­ te, distinto da tutta la società angelica. - Ma tale opinione è contraria a Agostino, il quale dice «che non vi saranno due società, quella degli uomini e quella degli angeli, ma una sola: poiché per tutti la beatitudine consiste nell'adesione all'unico Dio». Soluzione delle difficoltà: l . La grazia è con­ ferita agli angeli nella misura delle loro doti naturali, ma per gli uomini non è così, come si è detto. Quindi gli angeli inferiori non pos­ sono essere trasferiti né al grado di natura né a quello di grazia degli angeli superiori. Gli uomini, invece, possono salire al loro grado di grazia, non però a quello di natura. 2. Gli angeli, secondo l'ordine di natura, stan­ no fra noi e Dio. Quindi essi, secondo la legge comune, amministrano non solamente le cose umane, ma tutte le creature corporee. I santi invece, anche nell'altra vita, restano della no­ stra medesima natura. Essi perciò ordinaria­ mente non amministrano le cose umane, «né come dice Agostino - si interessano delle fac­ cende dei vivi». Tuttavia, per speciale conces­ sione, è dato talvolta ad alcuni santi, durante la vita o dopo la morte, di esercitare tali uffici, come fare miracoli, tenere a freno i demoni e simili, secondo quanto insegna nello stesso libro Agostino. 3. Non è errato ritenere che gli uomini possa­ no condividere le pene dei demoni; alcuni però pretesero che i demoni non fossero altro che anime di defunti. Ed è questo che i l Crisostomo riprova.

L 'ordinamento degli angeli cattivi

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QUAESTIO l 09

QUESTIONE l 09

DE ORDINATIONE MALORUM ANGELORUM

V ORDINAMENTO DEGLI ANGELI CATTIVI

Deinde considerandum est de ordinatione ma­ lorum angelorum. Et circa hoc quaeruntur qua­ tuor. Primo, utrum ordines sint in daemonibus. Secundo, utrum in eis sit praelatio. Tertio, utrum unus illuminet alium. Quarto, utrum subiiciantur praelationi bonorum angelorum.

Studiamo ora l'ordinamento degli angeli cat­ tivi. Sull' argomento si presentano quattro quesiti: l . Tra i demoni esistono degli ordini gerarchici? 2. Tra essi esiste un'autorità? 3. Uno illumina l 'altro? 4. Sono sottoposti all'autorità degli angeli buoni?

Articulus l

Articolo l

Utrum ordines sint in daemonibus

Esistono tra i demoni degli ordini [gerarchici]?

Ad primum sic proceditur. Vìdetur quod ordi­ nes non sint in daemonibus. l. Ordo enirn pertinet ad rationem boni, sicut et modus et species, ut Augustinus dicit in libro De natura boni [3]; et e contrario inordi­ natio pertinet ad rationem mali. Sed in bonis angelis nihil est inordinatum. Ergo in malis angelis non sunt aliqui ordines. 2. Praeterea, ordines angelici sub aliqua hie­ rarchia continentur. Sed daemones non sunt sub aliqua hierarchia, quae est sacer principa­ tus, cum ab omni sanctitate sint vacui. Ergo in daemonibus non sunt ordines. 3. Praeterea, daemones de singulis ordinibus angelorum ceciderunt, ut communiter dicitur. Si ergo aliqui daemones dicuntur esse alicuius ordinis, quia de ilio ordine ceciderunt; videtur quod deberent eis attribui nomina singulorum ordinum. Nunquam autem invenitur quod dicantur Seraphim, vel Throni, vel Domina­ tiones. Ergo, pari ratione, non sunt in aliqui­ bus ordinibus. Sed contra est quod apostolus dicit, ad Eph. ult. [ 1 2], quod est nobis colluctatio adversus

Sembra di no. Infatti: l . L'ordine appartiene all'essenza del bene, come la misura e la specie, secondo quanto insegna Agostino. Mentre, al contrario, all'es­ senza del male appartiene il disordine. Ma nulla di disordinato esiste negli angeli buoni. Quindi neppure negli angeli cattivi ci deve essere qualcosa di ordinato. 2. Gli ordini angelici fanno parte di qualche gerarchia. Ma i demoni, essendo vuoti di ogni santità, non sono sotto qualche gerarchia, che è un principato sacro. Quindi tra di loro non esistono gli ordini. 3. Per comune sentenza si ritiene che i demoni siano angeli decaduti appartenenti a tutti gli ordini angelici. Se dunque alcuni di essi appar­ tengono a un ordine perché da esso decaddero, sembra che si debbano attribuire loro anche i nomi dei rispettivi ordini. Ma i demoni non vengono mai chiamati Serafini, o Troni, o Do­ minazioni. Quindi, per lo stesso motivo, essi non appartengono neppure agli altri ordini. In contrario: Paolo in Ef dice: La nostra bat­

Principes et Potestates, adversus mundi recto­ res tenebrarum harum.

taglia è contro i Principati e le Potestà, con­ tro i dominatori di questo mondo di tenebra.

Respondeo dicendum quod, sicut iam [q. 1 08 aa. 4.7-8] dictum est, ordo angelicus conside­ ratur et secundum gradum naturae, et secun­ dum gradum gratiae. Gratia vero habet dupli­ cem statum, scilicet imperfectum, qui est sta­ tus merendi; et perfectum, qui est status glo­ riae consummatae. Si ergo considerentur or­ dines angelici quantum ad perfectionem glo­ riae, sic daemones neque sunt in ordinibus angelicis, neque unquam fuerunt. Si autem considerentur quantum ad id quod est gratiae imperfectae, sic daemones fuerunt quidem

Risposta: come si è già detto, gli ordini ange­ lici possono essere considerati sia come gradi di natura, sia come gradi di grazia. La grazia, poi, ha un duplice stato: quello i mperfetto, che è lo stato in cui si merita, e quello perfet­ to, che è lo stato della gloria pienamente rag­ giunta. Ora, se gli ordini angelici vengono considerati in rapporto alla perfezione della gloria, allora è vero che i demoni né sono, né mai furono negli ordini angelici. Se invece vengono considerati in rapporto alla grazia nel suo stato imperfetto, allora è vero che i

L 'ordinamento degli angeli cattivi

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aliquando in ordinibus angelorum, sed ab eis ceciderunt; secundum illud quod supra [q. 62 a. 3] posuimus, omnes angelos in gratia crea­ tos fuisse. Si autem considerentur quantum ad id quod est naturae, sic adhuc sunt in ordini­ bus, quia data naturalia non amiserunt, ut Dionysius dicit [DON 4,23]. Ad pri mum ergo dicendum quod bonum potest inveniri sine malo; sed malum non potest inveniri sine bono, ut supra [q. 49 a. 3] habitum est. Et ideo daemones, inquantum habent naturam bonam, ordinati sunt. Ad secundum dicendum quod ordinatio dae­ monum, si consideretur ex parte Dei ordinan­ tis, est sacra, utitur enim daemonibus propter seipsum. Sed ex parte voluntatis daemonum, non est sacra, quia abutuntur sua natura ad malum. Ad tertium dicendum quod nomen Seraphim imponitur ab ardore caritatis, nomen autem Thronorum ab inhabitatione divina, nomen autem Dominationum i mportat libertatem quandam, quae omnia opponuntur peccato. Et ideo peccantibus angelis huiusmodi nomina non attribuuntur. Articulus 2

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demoni appartennero una volta agli ordini an­ gelici, ma decaddero da essi: infatti abbiamo detto sopra che tutti gli angeli furono creati in grazia. Se infine vengono considerati in rap­ porto alla natura, allora è vero che i demoni appattengono sempre ai loro ordini: poiché essi non hanno perduto le loro doti naturali, come insegna Dionigi. Soluzione delle difficoltà: l . n bene può stare senza il male, ma non il male senza il bene, come si è visto. Quindi i demoni, in quanto conservano la bontà della loro natura, sono anche ordinati. 2. L'ordinamento dei demoni è sacro se viene considerato dalla parte di Dio ordinante: poi­ ché egli si serve dei demoni per se stesso. Non è però sacro dalla parte della loro volon­ tà: poiché i demoni abusano della loro natura per ii male. 3. n nome dei Serafini è desunto dall'ardore della carità, il nome dei Troni dall'inabitazio­ ne divina e quello delle Dominazioni implica una certa libertà: cose tutte incompatibili col peccato. Di conseguenza questi nomi non sono mai attribuiti agli angeli prevaricatori. Articolo 2

Utrum in daemonibus sit praelatio

Tra i demoni esiste qualche autorità?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in daemonibus non sit praelatio. l . Omnis enim praelatio est secundum ali­ quem ordinem iustitiae. Sed daemones totali­ ter a iustitia ceciderunt. Ergo in eis non est praelatio. 2. Praeterea, ubi non est obedientia et subiec­ tio, non est praelatio. Haec autem sine con­ cordia esse non possunt; quae in daemonibus nulla est, secundum illud Prov. 1 3 [ I O], inter superbos semper sunt iurgia. Ergo in daemo­ nibus non est praelatio. 3. Praeterea, si in eis est aliqua praelatio, aut hoc pertinet ad eorum naturam, aut ad eorum culpam vel poenam. Sed non ad eorum natu­ ram, quia subiectio et servitus non est ex natura, sed est ex peccato subsecuta. Nec per­ tinet ad culpam vel poenam, quia sic superio­ res daemones, qui magis peccaverunt, inferio­ ribus subderentur. Non ergo est praelatio in daemonibus. Sed contra est quod dicit Glossa, Glossa [ord.], l ad Cor. 15 [24], quandiu durat mun-

Sembra di no. Infatti: l . Ogni autorità si fonda su un ordine di giu­ stizia. Ma i demoni decaddero totalmente dalla giustizia. Quindi tra di essi non esiste autorità alcuna. 2. Dove non esistono obbedienza e sottomis­ sione non può esistere l'autorità. Ma tali cose non possono esistere senza la concordia, che non si trova fra i demoni, secondo il passo di

Pr: Tra i superbi vi sono sempre contese. Quindi tra i demoni non vi è autorità. 3. Se tra di essi vi fosse una qualche autorità, questa dovrebbe fondarsi o sulla loro natura, oppure sulla loro colpa o pena. Ma non può fondarsi sulla loro natura: poiché la subordi­ nazione e la servitù sono conseguenza del peccato. E neppure sulla loro colpa o pena, perché altrimenti i demoni più dotati, che maggiormente peccarono, dovrebbero essere sottoposti agli inferiori. Non esiste perciò autorità fra i demoni. In contrario: commentando il passo di l Cor 15, la Glossa dice: «Finché durerà il mondo,

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L 'ordinamento degli angeli cattivi

dus, angeli angelis, homines hominibus, et daemones daemonibus praesunt. Respondeo dicendum quod, cum actio sequa­ tur naturam rei, quorumcumque naturae sunt ordinatae, oportet quod etiam actiones sub invicem ordinentur. Sicut patet in rebus cor­ poralibus, quia enim inferiora corpora naturali ordine sunt infra corpora caelestia actiones et motus eorum subduntur actionibus et motibus caelestium corporum. Manifestum est autem ex praemissis [a. l ] quod daemonum quidam naturali ordine sub aliis constituuntur. Unde et actiones eorum sub actionibus superiorum sunt. Et hoc est quod rationem praelationis facit, ut scilicet actio subditi subdatur actioni praelati. Sic igitur ipsa naturalis dispositio daemonum requirit quod sit in eis praelatio. Convenit etiam hoc divinae sapientiae, quae nihil in universo inordinatum relinquit, quae

attingi! a fine usque ad finem forti!el; et dis­ ponit omnia suaviter, ut dicitur Sap. 8 [ l ] . Ad primum ergo dicendum quod praelatio daemonum non fundatur super eorum iustitia, sed super iustitia Dei cuncta ordinantis. Ad secundum dicendum quod concordia dae­ monum, qua quidam aliis obediunt, non est ex amicitia quam inter se habeant; sed ex communi nequitia, qua homines odiunt, et Dei iustitiae repugnant. Est enim proprium hominum impiorum, ut eis se adiungant et subiiciant, ad propriam nequitiam exequen­ dam, quos potiores viribus vident. Ad tertium dicendum quod daemones non sunt aequales secundum naturam, unde in eis est naturalis praelatio. Quod in hominibus non contingit, qui natura sunt pares. Quod autem superioribus inferiores subdantur, non est ad bonum superiorum, sed magis ad ma­ lum eorum; quia cum mala facere maxime ad miseriam pertineat, praeesse in malis est esse magis miserum.

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gli angeli avranno autorità sugli angeli, gli uo­ mini sugli uomini e i demoni sui demoni». Risposta: l'operazione segue sempre la natura della cosa: perciò ogni volta che si trovano nature ordinate, devono risultare subordinate anche le loro azioni. E ciò è evidente nelle realtà materiali. Essendo infatti i corpi infe­ riori naturalmente al di sotto dei corpi celesti, ne segue che le operazioni e i moti dei corpi inferiori sono subordinati ai moti dei corpi ce­ lesti. Ma è chiaro, da quanto si è detto, che alcuni demoni sono per natura al disotto di altri. Quindi anche le loro azioni sono subor­ dinate a quelle dei superiori. Ed è questo che costituisce l'autorità, vale a dire la subordina­ zione dell'agire del suddito all' iniziativa di colui che comanda. Quindi la stessa disposi­ zione naturale dei demoni postula che vi sia tra essi un' autorità. - E la cosa è conforme alla sapienza divina, la quale nulla lascia di disordinato nell'universo e che si estende da

un confine ali'altro con forza, e governa tutto soavemente, come è detto in Sap. Soluzione delle difficoltà: l . L' autorità dei demoni non si fonda sulla loro giustizia, ma sulla giustizia di Dio che tutto ordina. 2. La concordia dei demoni, derivante dall'ob­ bedienza degli uni verso gli altri, non deriva dall' amore scambievole, ma dalla loro comu­ ne malvagità, con la quale odian'? gli uomini e si ribellano alla giustizia di Dio. E infatti carat­ teristica degli uomini empi unirsi e assogget­ tarsi a coloro che vedono dotati di maggiore potenza, per dare sfogo alla propria malvagità. 3. I demoni non sono uguali per natura: per­ ciò tra essi esiste una subordinazione naturale. Il che non accade negli uomini, che sono uguali per natura. La subordinazione però degli inferiori ai superiori non ridonda a bene di questi ultimi, ma piuttosto a loro danno: perché, se è già cosa sommamente miserabile fare il male, è cosa ancor più miserabile stare a capo di chi lo compie.

Articulus 3

Articolo 3

Utrum in daemonibus sit illuminatio

Tra i demoni c'è l'illuminazione?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in daemonibus sit illuminatio. l . llluminatio enim consistit in manifestatione veritatis. Sed unus daemon potest alteri veri­ tatem manifestare, quia superiores magis acu-

Sembra di sì. Infatti: l . L'illuminazione consiste nella manifestazione della verità. Ma un demonio è in grado di mani­ festare delle verità a un altro, poiché i demoni superiori sono dotati di una maggiore penetra-

Q. 1 09, A. 3

L 'ordinamento degli angeli cattivi

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mine naturalis scientiae vigent. Ergo superio­ res daemones possunt inferiores illuminare. 2. Praeterea, corpus quod superabundat in lu­ mine, potest illuminare corpus quod in lumi­ ne deficit; sicut sol lunam. Sed superiores daemones magis abundant in participatione luminis naturalis. Ergo videtur quod superio­ res daemones possunt inferiores illuminare. Sed contra, illuminatio cum purgatione est et pertèctione, ut supra [q. 106 a. l sed c.; a. 2 ad l ] dictum est. Sed purgare non convenit daemonibus; secundum illud Eccli. 34 [4], ab immundo quid mundabitur? Ergo etiam ne­ que illuminare. Respondeo dicendum quod in daemonibus non potest esse illuminatio proprie. Dictum est enim supra [q. 107 a. 2] quod illurninatio pro­ prie est manifestatio velitatis, secundum quod habet ordinem ad Deum, qui illuminat omnem intellectum. Alia autem manifestatio velitatis potest esse locutio; sicut cum unus angelus alteri suum conceptum manifestat. Perversitas autem daemonum hoc habet, quod unus alium non intendit ordinare ad Deum, sed magis ab ordine divino abducere. Et ideo unus daemon alium non illuminat; sed unus alii suum con­ ceptum per modum locutionis intimare potest. Ad plimum ergo dicendum quod non quaeli­ bet veritatis manifestatio habet rationem illu­ rninationis, sed solum quae dieta est [in co.]. Ad secundum dicendum quod secundum ea quae ad naturalem cognitionem pertinent, non est necessaria manifestatio veritatis neque in angelis neque in daemonibus, quia, sicut supra [q. 55 a. 2; q. 58 a. 2; q. 79 a. 2] dictum est, statim a principio suae conditionis omnia cognoverunt quae ad naturalem cognitionem pertinent. Et ideo maior plenitudo naturalis luminis quae est in supelioribus daemonibus, non potest esse ratio illuminationis.

zione di conoscenza naturale. Quindi i demoni supeiioii possono illuminare gli infeiioii. 2. Un corpo sovrabbondante di luce può illu­ minare un corpo che ne difetta: come fa, p. es., il sole con la luna. Ma i demoni supeiioii ab­ bondano nella partecipazione del lume natu­ rale. Quindi sembra che essi possano illumi­ nare i demoni inferiori . In contrario: l'azione illuminativa è congiunta con l'azione che pulifica e con quella che per­ feziona, come si è detto. Ma il purificare non compete ai demoni, poiché dall'impuro che cosa sarà purificato ?, come è detto in Sir. Quindi essi sono incapaci anche di illuminare. Risposta: tra i demoni non ci può essere pro­ pliamente illuminazione. Si è detto infatti che l'illuminazione, in senso proprio, è una mani­ festazione della verità in ordine a Dio, che il­ lumina ogni intelligenza. Esiste però un'altra manifestazione della verità, la locuzione, che avviene quando un angelo manifesta all' altro il proprio pensiero. Ora, la perversità dei de­ moni ha questo di proprio, che uno non in­ tende ordinare l' altro a Dio, ma piuttosto stor­ narlo dall' ordine verso Dio. Perciò un demo­ nio non illumina l'altro; tuttavia con la locu­ zione può Iivelargli il proprio pensiero. Soluzione delle difficoltà: l . Non qualsiasi ma­ nifestazione della verità ha carattere di illu­ minazione, ma soltanto quella indicata sopra. 2. Nell' ambito delle conoscenze naturali non è necessaria alcuna manifestazione della veri­ tà, né per gli angeli buoni, né per i demoni: poiché, come si disse, fin dalla loro creazione essi conobbero subito tutto ciò che concerne la conoscenza naturale. Quindi la maggiore pienezza di lume esistente nei demoni supe­ rioli non basta per parlare di illuminazione.

Articulus 4 Utrum boni angeli habeant praelationem super malos

Articolo 4 Gli angeli buoni hanno autorità su quelli cattivi?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod boni angeli non habeant praelationem super malos. l . Praelatio enim angelomm praecipue atten­ ditur secundum illuminationes. Sed mali an­ geli, cum sint tenebrae, non illuminantur a bonis. Ergo boni angeli non habent praelatio­ nem super malos.

Sembra di no. Infatti: l . L' autolità di un angelo sull' altro consiste plincipalmente nell'illuminazione. Ma gli an­ geli cattivi, essendo tenebre, non sono illumi­ nati da quelli buoni. Quindi gli angeli buoni non hanno autorità su quelli cattivi. 2. Le azioni cattive dei sudditi denunziano la

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L 'ordinamento degli angeli cattivi

2. Praeterea, ad negligentiam praesidentis per­

tinere videntur ea quae per subditos male fiunt. Sed daemones multa mala faciunt. Si igitur subsunt praelationi bonorum angelo­ rum, videtur in angelis bonis esse aliqua negligentia. Quod est inconveniens. 3 . Praeterea, praelatio angelorum sequitur naturae ordinem, ut supra [a. 2] dictum est. Sed si daemones de singulis ordinibus cecide­ runt, ut communiter dicitur, multi daemones multis bonis angelis sunt superiores ordine naturae. Non ergo boni angeli praelationem habent super omnes malos. Sed contra est quod Augustinus dicit, 3 De Trin. [4], quod spiritus vitae desertor atque

peccator regitur per spiritum vitae rationalem, pium et iustum. Et Gregorius [In Ev. h. 34] dicit quod Potestates dicuntur angeli quorum ditioni virtutes adversae subiectae sunt. Respondeo dicendum quod totus ordo praela­ tionis primo et originaliter est in Deo, et parti­ cipatur a creaturis secundum quod Deo magis appropinquant, illae enim creaturae super alias influentiam habent, quae sunt perfectio­ res et Deo propinquiores. Maxima autem per­ fectio, et per quam maxime Deo appropin­ quatur, est creaturarum fruentium Deo, sicut sunt sancti angeli, qua perfectione daemones privantur. Et ideo boni angeli super malos praelationem habent, et per eos reguntur. Ad primum ergo dicendum quod per sanctos angelos multa de divinis mysteriis daemoni­ bus revelantur, cum divina iustitia exigit ut per daemones aliqua fiant vel ad punitionem ma­ lorum, vel ad exercitationem bonorum, sicut in rebus humanis assessores iudicis revelant tortoribus eius sententiam. Huiusmodi autem revelationes, si ad angelos revelantes compa­ rentur, illuminationes sunt, quia ordinant eas ad Deum. Ex parte vero daemonum, non sunt illuminationes, quia eas in Deum non ordi­ nant, sed ad expletionem propriae iniquitatis. Ad secundum dicendum quod sancti angeli sunt ministri divinae sapientiae. Unde sicut divina sapientia permittit aliqua mala fieri per malos angelos vel homines, propter bona quae ex eis elicit; ila et boni angeli non totali­ ter cohibent malos a nocendo. Ad tertium dicendum quod angelus qui est inferior ordine naturae, praeest daemonibus, quamvis superioribus ordine naturae; quia virtus divinae iustitiae, cui inhaerent boni an-

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negligenza di chi comanda. Ma i demoni commettono molte malvagità. Se quindi essi sottostanno all' autorità degli angeli buoni, sembra che in questi vi sia negligenza. Il che non si può ammettere. 3. L'autorità fra gli angeli segue l'ordine della natura, come si è visto. Ma se i demoni, come ritiene la sentenza comune, decaddero da tutti gli ordini, molti di essi sono per natura supe­ riori a certi angeli buoni. Quindi gli angeli buoni non hanno autorità su quelli cattivi. In contrario: Agostino dice: «Lo spirito che ha abbandonato Dio e si è costituito peccatore è governato dallo spirito rimasto pio e giu­ sto». - E Gregorio: «Sono chiamati Potestà quegli angeli al cui dominio sono soggette le potenze avverse». Risposta: tutto l'ordinamento dei poteri si tro­ va innanzitutto e originariamente in Dio, e viene partecipato dalle creature nella misura in cui esse si avvicinano a lui: infatti le creatu­ re più perfette e più vicine a Dio predominano su tutte le altre. Ora, la perfezione massima, mediante cui si raggiunge la massima vici­ nanza con Dio, è quella delle creature che godono della fruizione di Dio, come gli ange­ li santi: e di questa perfezione sono privi i demoni. Quindi gli angeli buoni hanno auto­ tità e dominio su quelli cattivi. Soluzione delle difficoltà: l . Gli angeli santi rivelano molte cose ai demoni intorno ai mi­ steri divini, poiché la giustizia divina esige che i demoni compiano certe opere, o come punizione dei cattivi, o come prova per i buo­ ni: come tra gli uomini gli assessori del giudi­ ce notificano la sua sentenza agli esecutori della giustizia. Ora, tali rivelazioni sono illu­ minazioni rispetto agli angeli che le fanno, dato che essi le ordinano a Dio, ma non sono illuminazioni rispetto ai demoni, poiché essi non le ordinano a Dio, bensì all' attuazione della propria iniquità. 2. Gli angeli santi sono ministri della sapienza divina. Come quindi la sapienza divina permet­ te che per mezzo degli angeli o degli uomini cattivi avvenga del male in vista dei beni che essa ne ricava, così anche gli angeli buoni non impediscono del tutto ai cattivi di fare il male. 3. Anche un angelo inferiore per natura può avere autorità sui demoni naturalmente supe­ riori: poiché la potenza della divina giustizia, a cui gli angeli buoni aderiscono, è sempre supe-

L 'ordinamento degli angeli cattivi

Q. 1 09, A. 4

geli, potior est quam virtus naturalis angelo­ rum. Unde et apud homines, :,piritualis iudi­ cat omnia, ut dicitur l ad Cor. 2 [ 1 5]. Et phi­ losophus dicit, in libro Ethic. [ 1 0,5, 10], quod

virtuosus est regula et mensura omnium hu­ manorum actuum. QUAESTIO 1 10

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riore alla potenza naturale degli angeli. Del re­ sto anche tra gli uomini l'uomo spirituale giu­ dica ogni cosa, come è detto in l Cor. E il Fi­ losofo dice: >: ora, fra tutti gli uffici an­ gelici il minimo sembra appunto quello di prendersi cura di quanto interessa la salvezza di un solo individuo. - Secondo, in forma univer­ sale. E questa varia secondo i diversi ordini, poiché una causa è tanto più alta quanto più è universale. Per conseguenza la custodia delle collettività umane spetta all'ordine dei Princi­ pati, o forse agli Arcangeli, il cui nome si­ gnifica Angeli Pnì1cipi: per cui anche Michele, che è un Arcangelo, viene detto in Dn: Lmo dei principi. Salendo, vengono poi le VIrtù, che esercitano la custodia su tutte le nature cor­ poree. Salendo ancora vengono le Potestà, che stanno a guardia dei demoni. Da ultimo poi vengono i Principati, che, secondo Gregorio, fanno da custodi agli spiriti buoni. .

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La custodia degli angeli buoni

Q. 1 1 3, A. 3

Ad primum ergo dicendum quod verbum Chrysostomi potest intelligi, ut loquatur de supremis in ordine infimo angelorum, quia, ut Dionysius [DCH I 0,2] dicit, in quolibet ordi­ ne sunt primi, medii et ultimi. Est autem pro­ babile quod maiores angeli deputentur ad custodiam eorum qui sunt ad maiorem gra­ dum gloriae a Deo electi. Ad secundum dicendum quod non omnes angeli qui mittuntur, habent particularem custodiam super singulos homines; sed qui­ dam ordines habent universalem custodiam, magis vel minus, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod etiam inferiores angeli exercent offida supeliorum, inquantum aliquid de dono eorum participant, et se habent ad superiores sicut executores vututis eorum. Et per hunc modum etiam angeli infi­ mi ordinis possunt et arcere daemones, et miracula facere.

Soluzione delle difficoltà: l . Le parole del Ciisostomo possono Iiferirsi agli angeli su­ premi dell'infimo ordine poiché, come inse­ gna Dionigi, in ciascun ordine vi sono «i su­ premi, gli intermedi e gli infimi». Ora, è pro­ babile che alla custodia di coloro che sono eletti da Dio a un maggior grado di gloria vengano deputati angeli superioli. 2. Non tutti gli angeli che vengono inviati tànno da custodi a individui singoli: poiché vi sono degli ordini che, come si è visto, eserci­ tano una forma di custodia universale più o meno ampia. 3. Anche gli angeli inferiori esercitano gli uffici degli angeli superiori, nella misura in cui partecipano dei loro doni e in quanto, di fronte ad essi, sono come esecutori del loro potere. Intesa quindi la cosa in questo modo, anche gli angeli de li' infimo ordine sono in grado di tenere a freno i demoni e di operare miracoli.

Articulus 4 Utrum omnibus hominibus angeli ad custodiam deputentur

Articolo 4 L'angelo custode è assegnato a tutti gli uomini?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non omnibus hominibus angel i ad custodiam deputentur. l . Dicitur enim de Christo, Phil. 2 [7], quod est in similitudinem hominum factus, et habitu inventus ut homo. Si igitur omnibus homini­ bus angeli ad custodiam deputantur, etiam Christus angelum custodem habuisset. Sed hoc videtur inconveniens, cum Christus sit maior omnibus angelis. Non ergo omnibus hominibus angeli ad custodiam deputantur. 2. Praeterea, omnium hominum primus fuit Adam. Sed sibi non competebat habere ange­ lum custodem, ad minus in statu innocentiae, quia tunc nullis periculis angustiabatur. Ergo angeli non praeficiuntur ad custodiam omni­ bus hominibus. 3. Praeterea, hominibus angeli ad custodiam deputannrr, ut per eos manuducantur ad vitam aetemam, et incitentur ad bene operandum, et muniantur contra insultus daemonum. Sed ho­ mines praesciti ad damnationem, nunquam perveniunt ad vitam aetemam. Infideles etiam, etsi interdum bona opera faciant, non tamen bene faciunt, quia non recta intentione faciunt, fides enim intentionem dirigit, ut Augustinus dicit [Enarr. in Ps. 3 1 ,2] . Antichristi etiam

Sembra di no. Infatti: l . In Fil si dice di Cristo:

Divenuto simile agli uomini e apparso in forma umana. Ora, se

fosse vero che l'angelo custode è assegnato a tutti gli uomini, avrebbe avuto l'angelo custo­ de anche Cristo. Ma ciò non si può ammette­ re, essendo Ciisto superiore a tutti gli angeli. Quindi l ' angelo custode non è assegnato a tutti gli uomini. 2. n primo di tutti gli uomini fu Adamo. Ma a lui non era necessario l' angelo custode, per lo meno nello stato d'innocenza, poiché allora egli non era minacciato da alcun pericolo. Quindi non a tutti gli uomini viene dato un angelo preposto alla custodia. 3. Gli uomini vengono affidati alla custodia degli angeli per essere condotti alla vita eter­ na, per essere stimolati al bene e per essere premuniti contro gli assalti dei demoni. Ma i preconosciuti alla dannazione non giungeran­ no mai alla vita eterna. Gli infedeli poi, seb­ bene talvolla compiano opere buone, tuttavia non le compiono mai bene, poiché non le compiono con retta intenzione: infatti, stando all' insegnamento di Agostino, è «la fede che fa retta l'intenzione». E anche la venuta del­ l' Anticristo avverrà nel/ 'azione di Satana, co-

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La custodia degli angeli buoni

adventus erit secundum operationem Satanae, ut dicitur 2 ad Thess. 2 [9]. Non ergo ornnibus hominibus angeli ad custodiam deputantur. Sed contra est auctoritas Hieronyrni supra [a. 2 sed c.] inducta, qui dicit quod unaquaeque ani­ ma ad sui custodiam habet angelum deputatum. Respondeo dicendum quod homo in statu vi­ tae istius constitutus, est quasi in quadam via, qua debet tendere ad patriam. In qua quidem via multa pericula homini imminent, tum ab interiori, tum ab exteriori; secundum illud Psalmi 141 [4], in via hac qua ambulabam, abscondenmt laqueum mihi. Et ideo sicut ho­ minibus per viam non tutam ambulantibus dantur custodes, ita et cuilibet homini, quan­ diu viator est, custos angelus deputatur. Quan­ do autem iam ad terminum viae pervenerit, iam non habebit angelum custodem; sed ha­ bebit in regno angelum conregnantem, in in­ ferno daemonem punientem. Ad primum ergo dicendum quod Christus, se­ cundum quod homo, immediate regulabatur a Verbo Dei, unde non indigebat custodia ange­ lorum. Et iterum secundum animam erat comprehensor; sed ratione passibilitatis cor­ poris, erat viator. Et secundum hoc, non debe­ batur ei angelus custos, tanquam supetior; sed angelus minister, tanquam inferior. Unde dici­ tur Matth. 4 [ 1 1 ], quod accesserunt angeli et ministrabant ei. Ad secundum dicendum quod homo in statu innocentiae non patiebatur aliquod periculum ab interiori, quia interius erant ornni a ordina­ ta, ut supra [q. 95 aa. 1.3] dictum est, sed imminebat ei periculum ab exteriori, propter insidias daemonum; ut rei probavit eventus. Et ideo indigebat custodia angelorum. Ad tertium dicendum quod, sicut praesciti et in:fideles, et etiam Antichristus, non privantur interiori auxilio naturalis rationis; ita etiam non privantur exteriori auxilio toti naturae humanae divinitus concesso, scilicet custodia angelorum. Per quam etsi non iuventur quan­ tum ad hoc quod vitam aetemam bonis operi­ bus mereantur, iuvantur tamen quantum ad hoc, quod ab aliquibus malis retrahuntur, qui­ bus et sibi ipsis et aliis nocere possunt. Nam et ipsi daemones arcentur per bonos angelos, ne noceant quantum volunt. Et similiter Anti­ christus non tantum nocebit, quantum vellet.

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me è detto in 2 Ts. Quindi non tutti gli uomini godono della custodia degli angeli. In contrario: c'è l'autorità citata di Girolamo, il quale dice: «Ciascun'anima ha un angelo deputato alla sua custodia>>. Risposta: finché vive in questo mondo, l'uo­ mo si trova come su una strada che deve con­ durlo alla patria. Ma lungo tale strada molti pericoli incombono su di lui, sia dall'interno che dall'esterno, come è detto nel Sal: Nel sentiero dove camminavo mi hanno teso un laccio. Quindi, come si dà una scorta alle per­ sone che devono transitare per strade malsicu­ re, così si dà un angelo custode a ogni uomo, finché dura il suo stato di viatore. Quando in­ vece sarà giunto al termine della strada, allora l'uomo non avrà più un angelo custode, ma avrà in cielo un angelo conregnante, o nell' in­ ferno un demonio tormentatore. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo, in quanto uomo, era governato immediatamente dal Ver­ bo di Dio, perciò non aveva bisogno della cu­ stodia degli angeli. Inoltre, pur essendo ancora viatore a causa della passibilità del corpo, con l'anima era già comprensore. Anche per que­ sto motivo, dunque, a lui non conveniva la sor­ veglianza di un angelo custode, quasi fosse a lui superiore, ma piuttosto il ministero degli angeli, a lui inferiori. Infatti è detto in Mt: gli angeli gli si accostarono e lo servivano. 2. Nello stato di innocenza l'uomo non corre­ va alcun pericolo dali' interno, poiché all'in­ temo tutto era ordinato in lui, come si è visto. Però gli sovrastavano pericoli dali' esterno per le insidie dei demoni, come provarono gli eventi. Quindi aveva bisogno della custodia degli angeli. 3. I preconosciuti, gli infedeli e l'Anticristo, come non sono privati dell'aiuto interno della ragione naturale, così non sono neppure pri­ vati dell'aiuto esterno concesso da Dio a tutto il genere umano, e cioè della custodia da parte degli angeli. E sebbene non ne ricevano un aiuto al punto di meritare la vita eterna con le buone opere, tuttavia sono in tal modo por­ tati a evitare dei mali con i quali potrebbero danneggiare se stessi e gli altri. Infatti perfino gli stessi demoni sono tenuti a freno dagli angeli buoni, affinché non arrechino tutto il danno che vorrebbero. E così pure l' Anticri­ sto non potrà nuocere quanto vorrebbe.

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La custodia degli angeli buoni

Q. 1 1 3, A. 5

Articulus 5 Utrum angelus deputetur homini ad custodiam a sua nativitate

Articolo 5 L'angelo custode è assegnato all'uomo fin dalla nascita?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod angelus non deputetur homini ad custodiam a sua nativitate. l . Angeli enim mittuntur in ministerium, pmpter eos qui haereditatem capiunt salutis, ut apostolus, ad Heb. [ 1 , 14] dicit. Sed homi­ nes incipiunt haereditatem capere salutis, quando baptizantur. Ergo angelus deputatur homini ad custodiam a tempore baptismi, et non a tempore nativitatis. 2. Praeterea, homines ab angelis custodiuntur, inquantum ab eis illuminantur per modum doctrinae. Sed pueri mox nati non sunt capa­ ces doctrinae, quia non habent usum rationis. Ergo pueris mox natis non deputantur angeli custodes. 3. Praeterea, pueri in materno utero existentes habent animam rationalem aliquo tempore, sicut et post nativitatem ex utero. Sed cum sunt in materno utero, non deputantur eis angeli ad custodiam, ut videtur, quia neque etiam ministri Ecclesiae eos sacramentis imbuunt. Non ergo statim a nativitate homini­ bus angeli ad custodiam deputantur. Sed contra est quod Hieronymus dicit [in a. 2 sed c.], quod unaquaeque anima, ab ortu nativitatis, habet in custodiam sui angelum deputatum. Respondeo dicendum quod, sicut Origenes dicit Super Matth. [ 1 3], super hoc est duplex opinio. Quidam enim dixerunt quod angelus ad custodiam homini deputatur a tempore Baptismi, alii vero quod a tempore nativitatis. Et hanc opinionem Hieronymus [in a. 2 sed c.] approbat; et rationabiliter. Beneficia enim quae dantur homini divinitus ex eo quod est Christianus, incipiunt a tempore Baptismi; si­ cut perceptio Eucharistiae, et alia huiusmodi. Sed ea quae providentur homini a Deo, in­ quantum habet naturam rationalem, ex tunc ei exhibentur, ex quo nascendo talem naturam accipit. Et tale beneficium est custodia ange­ lorum, ut ex praemissis [aa. 1 .4] patet. Unde statim a nativitate habet homo angelum ad sui custodiam deputatum. Ad primum ergo dicendum quod angeli mit­ tuntur in ministerium, efficaciter quidem propter eos solos qui haereditatem capiunt

Sembra di no. Infatti: l. Gli angeli sono spiriti incaricati di un mini­ stem, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza, come è detto in Eb. Ma gli uomini incominciano a ricevere l'eredità della salvezza quando sono battezzati. Quindi l ' angelo custode è assegnato ali ' uomo al momento del battesimo, e non al momento della nascita. 2. Gli uomini sono custoditi dagli angeli in quanto sono da essi illuminati per via di inse­ gnamento. Ma i bambini appena nati non sono capaci di ricevere l'insegnamento, non avendo ancora l'uso di ragione. Quindi l'angelo custo­ de non è assegnato ai bambini appena nati. 3. I bambini esistenti nel seno materno, ad un certo momento, hanno l'anima razionale, come l'hanno dopo la nascita. Ma, mentre sono nel seno materno, non sembra che siano affidati alla custodia di un angelo: infatti i ministri della Chiesa non amministrano loro i sacramenti. Quindi gli angeli custodi non vengono assegna­ ti agli uomini subito dopo la nascita. In contrmio: Girolamo dice: «Ciascun'anima, fin dalla nascita, ha un angelo deputato alla sua custodia>>. Risposta: come Origene riferisce, ci sono in proposito due opinioni. Alcuni dicevano che l'angelo custode è assegnato all'uomo al mo­ mento del battesimo, altri invece al momento della nascita. Girolamo difende la seconda opinione, e con ragione. Infatti i benefici lar­ giti da Dio all'uomo in quanto cristiano han­ no inizio dal momento del battesimo, p. es. la ricezione dell'Eucaristia e altre cose del gene­ re. Invece le cose che Dio nella sua provvi­ denza concede all'uomo in quanto ha un'ani­ ma razionale gli vengono concesse fin dal momento in cui, con la nascita, egli entra in possesso di tale natura. Ora, la custodia degli angeli è un beneficio di questo genere, come risulta chiaro dalle cose dette sopra. Quindi l'uomo ha un angelo deputato alla sua custo­ dia dal momento della nascita. Soluzione delle difficoltà: l . Se si considera l'effetto finale della custodia degli angeli, che è il raggiungimento della salvezza, è vero che gli angeli sono inviati efficacemente in mini-

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La custodia degli angeli buoni

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salutis, si consideretur ultimus effectus custo­ diae, qui est perceptio haereditatis. Nihilomi­ nus tamen et aliis ministerium angelorum non subtrahitur, quamvis in eis hanc efficaciam non habeat, quod perducantur ad salutem. Ef­ ficax tamen est circa eos angelorum ministe­ rium, inquantum a multis malis retrahuntur. Ad secundum dicendum quod officium custo­ diae ordinatur quidem ad illuminationem doc­ trinae, sicut ad ultimum et principalem effec­ tum. Nihilominus tamen multos alios effectus habet, qui pueris competunt, scilicet arcere daemones, et alia nocumenta tam corporalia quam spiritualia prohibere. Ad tertium dicendum quod puer quandiu est in materno utero, non totaliter est a matre separa­ tus, sed per quandam colligationem est quo­ dammodo adhuc aliquid eius, sicut et fructus pendens in arbore, est aliquid arboris. Et ideo probabiliter dici potest quod angelus qui est in custodia matris, custodiat prolem in matris utero existentem. Sed in nativitate, quando separatur a matre, angelus ei ad custodiam deputatur, ut Hieronymus dicit [in a 2 sed c.].

stero solo nel caso di coloro che ricevono l 'eredità della salvezza. Thttavia tale ministe­ ro angelico non è negato agli altri, sebbene ri­ guardo a loro non abbia l'efficacia di condurli alla salvezza. Conserva comunque una certa efficacia anche riguardo a loro, in quanto li preserva da molti mali. 2. La custodia è ordinata, come a suo ultimo e precipuo effetto, a illuminare l'uomo per via di insegnamento. Thttavia essa opera anche molti altri effetti necessari ai bambini, quali, p. es., tenere a freno i demoni e impedire altri danni, sia corporali che spirituali. 3. Finché è nel seno materno il bambino non è del tutto separato dal la madre, ma per il legame che a lei lo unisce è ancora qualcosa della madre: come il frutto che pende dall'al­ bero è qualcosa dell'albero. Si può quindi ritenere come opinione probabile che l'angelo che custodisce la madre custodisca pure i l bambino chiuso nel suo seno. Alla nascita invece, quando esso si separa dalla madre, gli viene assegnato un angelo custode particola­ re, come insegna Girolamo.

Articulus 6 Utrum angelus custos quandoque deserat hominem

Articolo 6 L'angelo custode talora abbandona l'uomo?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod ange­ lus custos quandoque deserat hominem cuius custodiae deputatur. l . Dicitur enim ler. 5 1 [9], ex persona angelo­

Sembra di sì. Intàtti: l . In Ger si legge come detto dagli angeli: Ab­

rum, curavimus Babylonem, et non est curata, derelinquamus ergo eam. Et Isaiae 5 [5], auf eram sepem eius, et erit in conculcationem; Glossa [int.], idest angelorum custodiam. 2. Praeterea, principalius custodit Deus quam

angelus. Sed Deus aliquando hominem dere­ linquit; secundum illud Psalmi 2 1 [3 ] , Deus,

Deus meus, respice in me, quare me dereli­ quisti ? Ergo multo magis angelus custos hominem derelinquit. 3. Praeterea, sicut dicit Damascenus [De fide

2,3], angeli, cum sunt hic nobiscum, non sunt in caelo. Sed aliquando sunt in caelo. Ergo aliquando nos derelinquunt. Sed contra, daemones nos semper impugnant; secundum illud 1 Petri 5 [8], adversarius ves­

ter diabolus tanquam leo rugiens circuit, quaerens quem devoret. Ergo multo magis boni angeli semper nos custodiunt.

biamo curato Babilonia, ma non è guarita, ab� bandoniamola dunque. E in /s: Toglierò la sua siepe e sarà data in pascolo: toglierò, cioè, «la custodia degli angeli», come spiega la Glossa. 2. Custodisce più Dio che l'angelo. Ma Dio qualche volta abbandona l'uomo, secondo le parole del Sal: Dio, Dio mio, guardami, per­ ché mi hai abbandonato? Quindi molto più l'angelo potrà abbandonare l'uomo. 3. Il Damasceno dice: «Quando gli angeli stanno qui con noi, non stanno in cielo». Ma qualche volta essi stanno in cielo. Quindi qualche volta ci abbandonano. In contrario: i demoni ci tànno guerra conti­ nuamente, come è detto in l Pr. n vostm avver­

sario, il diavolo, come leone ruggente va in gim cercando chi divorare. Quindi con maggiore continuità ci custodiscono gli angeli buoni. Risposta: da quanto si è detto è evidente che la custodia degli angeli rientra nel piano ese­ cutivo della provvidenza divina nei riguardi

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La custodia degli angeli buoni

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Respondeo dicendum quod custodia angelo­ rum, ut ex supra [a. 2] dictis patet, est quae­ dam executio divinae providentiae circa ho­ mines facta. Manifestum est autem quod nec homo, nec res aliqua, totaliter divinae provi­ dentiae subtrahitur, inquantum enim aliquid participat de esse, intantum subditur universa­ li providentiae entium. Sed intantum Deus, secundum ordinem suae providentiae, dicitur hominem derelinquere, inquantum permittit hominem patì aliquem defectum vel poenae vel culpae. Similiter etiam dicendum est quod angelus custos nunquam totaliter dimittit ho­ minem, sed ad aliquid interdum eum dimittit; prout scilicet non impedit quin subdatur alicui tribulationi, vel etiam quin cadat in peccatum, secundum ordinem divinorum iudiciorum. Et secundum hoc Babylon et domus lsrael ab angelis derelictae dicuntur, quia angeli earum custodes non impediverunt quin tribulationi­ bus subderentur. Et per hoc patet solutio ad primum et secundum. Ad tertium dicendum quod angelus, etsi inter­ dum derelinquat hominem loco, non tamen de­ relinquit eum quantum ad effectum custodiae, quia etiam cum est in caelo, cognoscit quid circa hominem agatur; nec indiget mora tempo­ ris ad motum localem, sed statim potest adesse.

dell'uomo. È chiaro d'altra parte che né l'uo­ mo né alcun'altra creatura può essere sottratta del tutto alla provvidenza divina: poiché nella misura in cui una cosa partecipa dell' essere dipende dall'universale provvidenza delle co­ se. Ora, si dice che Dio abbandona l'uomo nel senso che Dio, secondo il piano della sua provvidenza, permette la caduta dell'uomo in una colpa o in una pena. - Similmente anche l'angelo custode non abbandona mai del tutto l'uomo, ma talora lo abbandona in quanto non impedisce, secondo il piano divino, una sua tribolazione o un suo peccato. E in questo senso la Scrittura dice che Babilonia e la casa d'Israele furono abbandonate dagli angeli, in quanto cioè i loro angeli custodi non impedi­ rono che cadessero nelle tJ.ibolazioni. Soluzione delle difficoltà: l , 2. E con ciò sono risolte pure la prima e la seconda difficoltà. 3. Benché l'angelo talvolta abbandoni l'uomo localmente, mai però lo abbandona quanto all' effetto della sua custodia: poiché, anche stando in cielo, egli è a conoscenza di quanto accade all'uomo, e non ha bisogno di alcun lasso di tempo per muoversi, ma può essergli vicino all'istante.

Articulus 7 Utrum angeli doleant, de malis eorum quos custodiunt

Articolo 7 Gli angeli provano dolore per i mali dei loro protetti?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod an­ geli doleant de malis eorum quos custodiunt. l . Dicitur enim Isaiae 33 [7], angeli pacis amare jlebunt. Sed tletus est signum doloris et tristitiae. Ergo angeli tristantur de malis hominum quos custodiunt. 2. Praeterea, tristitia est, ut Augustinus dicit [De civ. Dei 1 4, 1 5], de his quae nobis no/enti­ bus accidunt. Sed perditio hominis custoditi est contra voluntatem angeli custodis. Ergo tristantur angeli de perditione hominum. 3. Praeterea, sicut gaudio contrariatur tristitia, ita poenitentiae contrariatur peccatum. Sed angeli gaudent de peccatore poenitentiam agente, ut habetur Lucae 15 [7]. Ergo tristan­ tur de iusto in peccatum cadente. 4. Praeterea, super illud Num. 18 [12]; quid­ quid offerunt primitiarum etc., dicit Glossa Origenis; trahuntur angeli in iudicium, utrum

Sembra di sì. Infatti: l . In /s è detto: gli Angeli della pace piange­ ranno amaramente. Ma il pianto è segno di do­ lore e di tristezza. Quindi gli angeli si rattrista­ no dei mali degli uomini che hanno in custodia 2. La tristezza, al dire di Agostino, trae origine da «ciò che accade contro la volontà». Ma la perdizione della persona custodita è contro la volontà dell'angelo custode. Quindi gli angeli si rattristano della perdizione degli uomini. 3. Come la tristezza è contraria alla gioia, così la penitenza è contraria al peccato . Ma gli angeli gioiscono del peccatore che fa peniten­ za, come è detto in Le. Quindi si rattristano pure del giusto che cade in peccato. 4. A proposito del passo di Nm: Tutto ciò che viene ojfe11o come primizia ..., la Glossa di Ori­ gene dice: «Gli Angeli sono tratti in giudizio af­ finché sia palese se gli uomini perirono per ne-

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malis propter quae in iudicium tractus est. Ergo angeli dolent de peccatis hominum. Sed contra, ubi est tristitia et dolor, non est perfecta felicitas, unde dicitur Apoc. 21 [4],

gligenza propria o per negligenza degli angeli». Ma è ragionevole che uno si dolga dei mali a causa dei quali è tratto in giudizio. Quindi gli angeli si dolgono dei peccati degli uomini. In contrmio: dove sono tristezza e dolore non c'è felicità petfetta, per cui è detto in Ap: Non

mors ultra non erit, neque luctus, neque cla­ mor, neque ullus dolor. Sed angeli sunt per­

ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né alcun dolore. Ma gli angeli sono petfetta­

fecte beati. Ergo de nullo dolent. Respondeo dicendum quod angeli non dolent neque de peccatis, neque de poenis hominum. Tristitia enim et dolor, secundum Augustinum [ibid.], non est nisi de his quae contrariantur voluntati. Nihil autem accidit in mundo quod sit contrarium voluntati angelorum et aliorum beatorum, quia voluntas eorum totaliter in­ haeret ordini divinae iustitiae; nihi1 autem fit in mundo, nisi quod per divinam iustitiam fit aut permittitur. Et ideo, simpliciter loquendo, nihil fi.t in mundo contra voluntatem beato­ rum. Ut enim philosophus dicit in 3 Ethic. [ 1 ,5 ] , illud dicitur simpliciter voluntarium, quod aliquis vult in particulari, secundum quod agitur, consideratis scilicet omnibus quae circumstant, quamvis in universali con­ sideratum non esset voluntarium, sicut nauta non vult proiectionem mercium in mare, ab­ solute et universaliter considerando, sed im­ minente periculo salutis hoc vult. Unde magis est hoc voluntarium quam involuntarium, ut ibidem dicitur. Sic igitur angeli peccata et poenas hominum, universaliter et absolute lo­ quendo, non volunt, volunt tamen quod circa hoc ordo divinae iustitiae servetur, secundum quem quidam poenis subduntur, et peccare permittuntur. Ad primum ergo dicendum quod verbum illud Isaiae potest intelligi de angelis, idest nuntiis, Ezechiae, qui fleverunt propter verba Rabsacis; de quibus habetur lsaiae 37 [2 sqq.] . Et hoc secundum litteralem sensum. Secundum vero allegoricum, angeli pacis sunt apostoli et alii praedicatores, qui t1ent pro peccatis homi­ num. Si vero secundum sensum anagogicum exponatur de angelis beatis, tunc metaphorica erit locutio, ad designandum quod angeli volunt in universali hominum salutem. Sic enim Deo et angelis huiusmodi passiones attribuuntur. Ad secundum patet solutio per ea quae dieta sunt [in co.]. Ad tertium dicendum quod tam in poenitentia

mente beati. Quindi non si dolgono di nulla. Risposta: gli angeli non provano dolore né dei peccati né delle pene degli uomini. Infatti la tristezza e il dolore, come dice Agostino, trag­ gono origine solo da ciò che contraria la volon­ tà. Ora, nel mondo non accade nulla che sia contrario alla volontà degli angeli e degli altri beati : poiché la loro volontà aderisce total­ mente all' ordine della divina giustizia, e nel mondo avviene soltanto ciò che è conforme alla divina giustizia o è da essa tollerato. Quin­ di, parlando in senso assoluto, nulla si compie nel mondo che sia contrario alla volontà dei beati. Come infatti insegna il Filosofo, si dice volontario in senso assoluto ciò che uno vuole in concreto, attese cioè tutte le circostanze par­ ticolari, anche se considerando la cosa in uni­ versale egli non la vorrebbe: il navigante, p. es., non vuole il gettito in mare della mercanzia se si considera la cosa in sé e astrattamente, ma lo vuole nell'imminenza di un grave pericolo di morte. Quindi, come osserva sempre Aristote­ le, un tale atto è più volontario che involon­ tario. Ora, in modo analogo anche gli angeli, parlando in senso astratto e assoluto, non vo­ gliono i peccati e le pene degli uomini; voglio­ no però che in ciò sia salvo l'ordine della giu­ stizia divina, secondo il quale alcuni sono sot­ toposti alla pena, ed è permesso che pecchino. Soluzione delle diffi coltà: l . Le parole di Isaia si possono riferire agli angeli, o messaggeri, di Ezechia, che piansero a causa dei discorsi di Rabsace, di cui si parla in /s. E ciò secondo il senso letterale. In senso allegorico, inve­ ce, gli angeli della pace sono gli apostoli e gli altri predicatori che piangono sui peccati del popolo. - In senso anagogico, infine, quelle parole si possono applicare agli angeli beati, ma allora hanno evidentemente un significato metaforico, per indicare il desiderio generico che hanno gli angeli di vedere salvi tutti gli uomini. Infatti solo in tal senso possono esse­ re attribuite a Dio e agli angeli simili passioni. 2. La risposta è chiara da quanto si è detto.

ex ipsontm negligentia, an hominum ignavia lapsi sint. Sed quilibet rationabiliter dolet de

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hominum, quam in peccato, manet una ratio gaudii angelis, scilicet impletio ordinis divi­ nae providentiae. Ad quartum dicendum quod angeli ducuntur in iudicium pro peccatis hominum, non quasi rei, sed quasi testes, ad convincendum homi­ nes de eorum ignavia.

3. Sia che gli uomini facciano penitenza, sia che cadano in peccato, unico rimane il motivo del gaudio degli angeli, e cioè l'adempimento deli' ordine della divina provvidenza. 4. Gli angeli sono tratti in giudizio a motivo dei peccati degli uomini non come rei, ma co­ me testimoni, per convincere gli uomini della loro negligenza.

Articulus 8 Utrum inter angelos possit esse pugna seu discordia

Articolo 8 Tra gli angeli può esserci lotta o discordia?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod inter angelos non possit esse pugna seu discordia. l . Dicitur enim Iob 25 [2], qui facit concor­ diam in sublimibus. Sed pugna opponitur concordiae. Ergo in sublimibus angelis non est pugna. 2. Praeterea, ubi est perfecta caritas et iusta praelatio, non potest esse pugna. Sed hoc totum est in angelis. Ergo in angelis non est pugna. 3. Praeterea, si angeli dicuntur pugnare pro eis quos custodiunt, necesse est quod unus angelus foveat unam partem, et alius aliam. Sed si una pars habet iustitiam, e contra alia pars habet iniustitiam. Ergo sequitur quod angelus bonus sit fautor iniustitiae, quod est inconveniens. Ergo inter bonos angelos non est pugna. Sed contra est quod dicitur Dan. I O [ 1 3], ex persona Gabrielis, princeps regni Persarum restitit mihi viginti et uno diebus. Hic autem princeps Persarum erat angelus regno Persarum in custodiam deputatus. Ergo tmus bonus ange­ lus resistit alii , et sic inter eos est pugna Respondeo dicendum quod i sta quaestio movetur occasione horum verborum Danielis. Quae quidem Hieronymus exponit [In Dan. super 10, 1 3] , dicens principem regni Persa­ rum esse angelum qui se opposuit liberationi populi Israelitici, pro quo Daniel orabat, Ga­ briele preces eius Deo praesentante. Haec au­ tem resistentia potuit fieri, quia princeps ali­ quis daemonum Iudaeos in Persidem ductos ad peccatum induxerat, per quod impedimen­ tum praestabatur orationi Danielis, pro eodem populo deprecantis. Sed secundum Grego­ rium, 17 Mor. [ 1 2], princeps regni Persarum bonus angelus fuit, custodiae regni illius de­ putatus. Ad videndum igitur qualiter unus an­ gelus alteri resistere dicitur, considerandum est quod divina iudicia circa diversa regna et

Sembra di no. Infatti: l . In Gb si parla di Colui che mette concordia nelle altezze. Ma la lotta si oppone alla con­ cordia. Quindi nelle altezze angeliche non ci può essere lotta. 2. Non ci può essere lotta dove c'è la perfetta carità e un giusto regime. Ma negli angeli si trova tutto questo. Quindi tra gli angeli non ci può essere lotta. 3. Ammesso che gli angeli custodi lottino fra di loro a favore dei loro protetti, è necessario che, mentre un angelo favorisce una parte, l'altro favorisca l'altra. Ma se una parte sta nel­ la giustizia, l'altra sta certamente nell'ingiusti­ zia. Quindi seguirebbe che un angelo buono sarebbe fautore dell'ingiustizia, il che è as­ surdo. Quindi tra gli angeli buoni non vi è lotta. In contrario: in Dn sono poste sulla bocca di Gabriele queste parole: Il principe del regno di Persia mi si è opposto per ventun giorni. Ma questo principe dei Persiani era l'angelo incaricato della custodia del regno dei Persia­ ni. Quindi un angelo può resistere all'altro, e così c'è lotta fra di loro. Risposta: la presente questione fu occasionata dalle parole appena citate. Ora, Girolamo, nel­ l'interpretarle, afferma che il principe del regno dei Persiani era un angelo che si oppose alla libe­ razione del popolo ebreo per il quale Daniele pregava, mentre Gabriele presentava a Dio le sue preghiere. Ma questa resistenza si sarebbe verifi­ cata perché, avendo tm principe dei demoni in­ dotto al peccato i Giudei deportati in Persia, tale peccato impediva l'esaudimento delle preghiere di Daniele per il suo popolo. Secondo Gregorio, invece, il principe del regno dei Persiani era l'angelo buono incaricato della custodia di quel regno. Per farci dunque un'idea di come possa verificarsi che un angelo buono resista all'altro, è necessario considerare che i divini giudizi ri-

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diversos homines, per angelos exercentur. In suis autem actionibus angeli secundum divi­ nam sententiam regulantur. Contingit autem quandoque quod in diversis regnis, vel in di­ versis hominibus, contraria merita vel demeri­ ta inveniuntur, ut unus alteri subdatur aut praesit. Quid autem super hoc ordo divinae sapientiae habeat, cognoscere non possunt nisi Deo revelante, unde necesse habent super his sapientiam Dei consulere. Sic igitur in­ quantum de contrarii s meritis et sibi repu­ gnantibus, divinam consulunt voluntatem, re­ sistere sibi invicem dicuntur, non quia sint eo­ rum contrariae voluntates, cum in hoc ornnes concordent, quod Dei sententia impleatur; sed quia ea de quibus consulunt, sunt repugnantia. Et per hoc patet solutio ad obiecta.

guardanti i regni e gli uomini vengono attuati per mezzo degli angeli. Ora, gli angeli, nel loro ope­ rare, si regolano sui voleri di Dio. Può però tal­ volta accadere che nei diversi regni e nei diversi uomini si trovino dei meriti o demeriti contrari, per cui uno è superiore o inferiore all'altro. Ma gli angeli non possono conoscere che cosa in proposito richieda l'ordine della sapienza divina se non in base a una rivelazione di Dio: quindi gli angeli si trovano nella necessità di consultare la sapienza di Dio in proposito. Ora, in quanto gli angeli consultano la volontà di Dio su meriti contrari e contrastanti, si dice che si fanno mutua re.o;;istenza: non perché le loro volontà siano in contrasto, essendo tutti gli angeli d'accordo nel volere attuato il volere divino, ma perché sono in urto tra loro le cose intorno a cui si consultano. E da ciò appare chiara la risposta alle difficoltà.

QUAESTIO 1 1 4 DE DAEMONUM IMPUGNATIONE

QUESTIONE 1 1 4 VOSTILITA DEI DEMONI

Deinde considerandum est de impugnatione daemonum. Et circa hoc quaeruntur quinque. Primo, utrum homines a daemonibus impu­ gnentur. Secundo, utrum tentare sit proprium diaboli. Tertio, utrum omnia peccata homi­ num ex impugnatione sive tentatione daemo­ num proveniant. Quarto, utrum possint vera miracul a facere ad seducendu m . Quinto, utrum daemones qui ab hominibus superan� tur, ab impugnatione hominum arceantur.

Passiamo a trattare dell' ostilità dei demoni. Intorno ad essa poniamo cinque problem i: l . L'uomo è combattuto dai demoni? 2. Ten­ tare è proprio del diavolo? 3. Tutti quanti i peccati dell'uomo hanno origine dagli assalti o tentazioni dei demoni? 4. I demoni possono fare dei veri miracoli a scopo di seduzione? 5. Un demonio sconfitto è costretto a cessare dalla lotta contro l'uomo?

Articulus l

Articolo l Vuomo è combattuto dai demoni?

Utrum homines impugnentur a daemonibus Ad primum sic proceditur. Videtur quod ho­ mines non impugnentur a daemonibus. l . Angeli enim deputantur ad hominum custo­ diam, missi a Deo. Sed daemones non mittun� tur a Deo, cum daemonum intentio sit perdere animas, Dei autem salvare. Ergo daemones non deputantur ad hominum impugnationem. 2. Praeterea, non est aequa conditio pugnae, ut infirmus contra fortem, ignarus contra astu­ tum exponatur ad bellum. Sed homines sunt infirmi et ignari; daemones autem potentes et astuti. Non est ergo permittendum a Deo, qui est omnis iustitiae auctor, ut homines a dae­ monibus impugnentur.

Sembra di no. Infatti: l . Gli angeli sono incaricati della custodia del­ l'uomo in quanto inviati da Dio. Ma i demoni non sono inviati da Dio: poiché, mentre l'in­ tenzione di Dio è di salvare le anime, quella dei demoni è di perderle. Quindi i demoni non sono incaricati di combattere l'uomo. 2. Non vi sono giuste condizioni di lotta se il debole è esposto a combattere contro il forte e l'ignaro contro l'astuto. Ma mentre gli uomini sono deboli e ignari, i demoni sono potenti e astuti. Quindi non dovrebbe essere permesso da Dio, autore di ogni giustizia, che gli uomi­ ni siano combattuti dai demoni. 3. Per tenere esercitato l' uomo basta la lotta

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L 'ostilità dei demoni

3. Praeterea, ad exercitium hominum sufficit impugnatio camis et mundi. Sed Deus per­ mittit electos suos impugnari propter eorum exercitium. Ergo non videtur necessarium quod a daemonibus impugnentur. Sed contra est quod apostolus dicit, ad Eph. 6 [12], quod non est 1wbis colluctatio adversus car­ nem et sanguinem, sed adversus Principes et Po­ testates, adversus mundi rectm-es tenebmrnm ha­ rnm, contra spùitualia nequiriae in caelesribus. Respondeo dicendum quod circa impugnatio­ nem daemonum duo est considerare, scilicet ipsam impugnationem, et impugnationis ordi­ nem. Impugnatio quidem ipsa ex daemonum malitia procedit, qui propter invidiam profec­ tum hominum impedire nituntur; et propter su­ perbiam divinae potestatis similitudinem usur­ pant, deputando sibi rninistros detenninatos ad horninum impugnationem, sicut et angeli Deo ministrant in detenninatis officiis ad hominum salutem. Sed ordo impugnationis ipsius est a Deo, qui ordinate novit malis uti, ad bona ea ordinando. Sed ex parte angelorurn, tam ipsa custodia quam ordo custodiae reducitur ad Deum, sicut ad primum auctorem. Ad primum ergo dicendum quod mali angeli impugnant homines dupliciter. Uno modo, instigando ad peccatum. Et sic non mittuntur a Deo ad impugnandum, sed aliquando per­ mittuntur, secundum Dei iusta iudicia. Ali­ quando autem impugnant homines puniendo. Et sic mittuntur a Deo; sicut missus est spiri­ tus mendax ad puniendum Achab regem Israel, ut dicitur 3 Reg. ult. [20 sqq.]. Poena enim refertur in Deum, sicut in primum auc­ torem. Et tamen daemones ad puniendum missi, alia intentione puniunt, quam rnittantur, nam ipsi puniunt ex odio vel invidia; rnittun­ tur autem a Deo propter eius iustitiarn. Ad secundum dicendum quod ad hoc quod non sit inaequalis pugnae conditio, fit ex parte horninis recompensatio, principaliter quidem per auxilium divinae gratiae; secundario autem per custodiam angelorurn. Unde 4 Reg. [6,16], Elisaeus dixit ad ministrum suum, noli rimere, plures enim nobiscum sunt, quam cum illis. Ad tertium dicendum quod infinnitati huma­ nae sufficeret ad exercitium impugnatio quae est a carne et mundo, sed malitiae daemonum non sufficit, quae utroque utitur ad hominum impugnationem. Sed tamen ex divina ordina­ tione hoc provenit in gloriam electorum.

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che gli muovono la carne e il mondo. Ma Dio permette che i suoi eletti siano combattuti per tenerli esercitati. Quindi non è necessario che siano combattuti dai demoni. In contrario: in Ef Paolo dice: La nostra bat­ taglia non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i domi­ natori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Risposta: nella lotta che i demoni muovono all'uomo vanno considerate due cose: la lotta in se stessa e l'ordine a cui soggiace. La lotta in se stessa procede dalla malizia dei demoni, i quali per invidia cercano di impedire ogni profitto dell'uomo nel bene, e per orgoglio cercano di usurpare una somiglianza del divino potere con l' assegnare a se stessi determinati ministri subalterni nella lotta contro l'uomo, come an­ che gli angeli servono Dio in detenninati uffici per la salvezza degli uomini. L'ordine invece a cui soggiace la lotta è stabilito da Dio, che sapientemente sa servirsi del male a profitto del bene. - Nel caso degli angeli, al contrario, tanto la custodia quanto l'ordine di essa si ricollegano a Dio come al loro primo principio. Soluzione delle difficoltà: l . Gli angeli cattivi combattono l'uomo in due modi. Primo, me­ diante l'istigazione al peccato. E in questa funzione essi non sono inviati da Dio, anche se talvolta Dio, nei suoi giusti giudizi, permette tale attività. Secondo, mediante la punizione. E per questo compito sono mandati da Dio: come fu mandato uno spirito mendace a punire Acab, re d'Israele, come è detto in l Re. La pena infatti viene riportata a Dio come al suo primo autore. Thttavia i demoni inviati a punire puniscono con un'intenzione diversa da quella con cui sono inviati: poiché, mentre essi puniscono mossi da odio o da invidia, Dio invece li manda mosso dalla sua giustizia. 2. Affinché le condizioni della lotta non siano ingiuste c'è un compenso a favore dell'uomo, principalmente mediante l'aiuto della grazia divina, e secondariamente mediante la custo­ dia degli angeli. Per cui Eliseo disse al pro­ prio servo: Non temere, perché i nostri sono più numerosi dei loro (2 Re). 3. Alla debolezza umana basterebbero certa­ mente per l'esercizio le tentazioni della carne e del mondo; non bastano però alla malizia dei demoni, la quale si serve e dell'una e dell'altro per combattere l'uomo. Ciò tuttavia, per divina disposizione, ridonda a gloria degli eletti.

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L 'ostilità dei demoni

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Articulus 2 Utrum tentare sit proprium diaboli

Articolo 2 Tentare è proprio del diavolo?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod tentare non sit proprium diaboli. l . Dicitur enim Deus tentare; secundum illud Gen. 22 [ 1 ] , tentavit Deus Abraham. Tentat etiam caro, et mundus. Et etiam homo dicitur tentare Deum, et hominem. Ergo non est pro­ prium daemonis tentare. 2. Praeterea, tentare est ignorantis. Sed dae­ mones sciunt quid circa homines agatur. Ergo daemones non tentant. 3. Praeterea, tentatio est via in peccatum. Pec­ catum autem in voluntate consistit. Cum ergo daemones non possint voluntatem hominis immutare, ut per supra [q. 1 1 1 a. 2] dieta pa­ tet; videtur quod ad eos non pertineat tentare. Sed contra est quod dicitur l ad Thess. 3 [5], ne forte tentaverit vos is qui tentat; Glossa [int.], idest diabolus, cuius officiwn est tentare. Respondeo dicendum quod tentare est proprie experimentum sumere de aliquo. Experimen­ tum autem sumitur de aliquo, ut sciatur ali­ quid circa ipsum, et ideo proximus finis cuius­ libet tentantis est scientia. Sed quandoque ulterius ex scientia quaeritur aliquis alius fi­ nis, vel bonus vel malus, bonus quidem, sicut cum aliquis vult scire qualis aliquis sit, vel quantum ad scientiam vel quantum ad virtu­ tem, ut eum promoveat; malus autem, quando hoc scire vult, ut eum decipiat vel subvertat. Et per bune modum potest accipi quomodo tentare diversis diversimode attribuatur. Ho­ mo enim tentare dicitur, quandoque quidem ut sciat tantum, et propter hoc, tentare Deum dicitur esse peccatum; quia homo, quasi incer­ tus, experiri praesumit Dei virtutem. Quan­ doque vero tentat ut iuvet, quandoque vero, ut noceat. Diabolus autem semper tentat ut no­ ceat, in peccatum praecipitando. Et secundum hoc, dicitur proprium officium eius tentare, nam etsi homo aliquando sic tentet, hoc agit inquantum est minister diaboli. Deus autem tentare dicitur ut sciat, eo modo loquendi quo dicitur scire quod facit alios scire. Unde dici­ tur Deut. 1 3 [3], tenta! vos Dominus Deus vester, ut palamfiat utrum diligatis eum. Caro autem et mundus dicuntur tentare instrumen­ taliter, seu materialiter, inquantum scilicet po­ test cognosci qualis sit homo, ex hoc quod sequitur vel repugnat concupiscentiis carnis,

Sembra di no. Infatti: l . Si dice che Dio tenti, come in Gen è detto: Dio tentò Abramo. Tentano inoltre la carne e il mondo. E anche l'uomo può tentare Dio o un altro uomo. Quindi tentare non è proprio del demonio. 2. Tentare è proprio di chi ignora [e vuoi sa­ pere]. Ma i demoni sanno già quanto accade tra gli uomini. Quindi i demoni non tentano. 3. La tentazione porta al peccato. Ma il pecca­ to ha sede nella volontà. Siccome dunque i demoni non possono influire direttamente sul volere dell' uomo, come si è visto sopra, non sembra che essi possano tentare. In contrario: commentando il passo di l Ts: Per timore che il tentatore vi avesse tentati, la Glossa spiega: «Cioè i l diavolo, che ha il compito di tentare». Risposta: tentare, propriamente, vuoi dire sot­ toporre una cosa a esperimento. E tale e­ sperimento ha lo scopo di meglio conoscere la cosa stessa: poiché lo scopo immediato di ogni tentazione è la conoscenza. Talvolta pe­ rò, dopo l'acquisto della conoscenza, si mira a un altro scopo ancora, che può essere buono o cattivo: buono nel caso in cui uno intenda scoprire le qualità di una persona, sia nel campo del sapere che nel campo della virtù, per aiutarla ad avanzare ulteriormente; catti­ vo, invece, quando uno vuole scoprire tutto ciò per poterla ingannare e rovinare. Da tali premesse si può comprendere come la tenta­ zione venga attribuita a soggetti diversi i n modo diverso. Prendiamo l'uomo: si dice che egli tenta talvolta con l' unico scopo di sapere; ed è per questo che si dice che è un peccato il tentare Dio, perché allora l'uomo, come dubi­ tandone, presume di mettere alla prova l a potenza d i Dio. Altre volte, invece, l'uomo tenta con lo scopo o di giovare o di nuocere. Al contrario il diavolo tenta sempre per nuo­ cere, trascinando al peccato. Ed è appunto tentare in questo modo che è ufficio proprio del diavolo: poiché, sebbene talvolta tenti così anche l'uomo, in tal caso quest'ultimo agisce quale ministro del diavolo. - Dio invece tenta per conoscere, ma nel senso in cui si dice che viene a conoscere colui che produce in altri la conoscenza. Così infatti è detto in Dt: Il Si-

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L 'ostilità dei demoni

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et ex hoc quod contemnit prospera mundi et adversa; quibus etiam diabolus utitur ad ten­ tandum. Et sic patet solutio ad primum. Ad secundum dicendum quod daemones sciunt ea quae exterius aguntur circa homines, sed interiorem hominis conditionem solus Deus novit, qui est spirituum ponderator [Prov. 16,2], ex qua aliqui sunt magis proni ad unum vitium quam ad aliud. Et ideo diabolus tentat explorando interiorem conditionem hominis, ut de ilio vitio tentet, ad quod homo magis pronus est. Ad tertium dicendum quod daemon, etsi non possit immutare voluntatem, potest tamen, ut supra [q. 1 1 1 aa. 3-4] dictum est, aliqualiter immutare inferiores hominis vires; ex quibus etsi non cogitur voluntas, tamen inclinatur.

gnore vostro Dio vi mette alla prova, perché sia manifesto se lo amate o no. - La carne e il mondo, poi, tentano anch'essi, ma strumen­ talmente o materialmente: in quanto cioè si può conoscere quale sia una persona dal fatto che asseconda o respinge le voglie della carne, e dal fatto che disprezza le cose pro­ spere e avverse del mondo; e di queste cose si serve anche il diavolo per tentare. Soluzione delle difficoltà: l . Così resta sciolta anche la prima difficoltà. 2. I demoni conoscono ciò che accade este­ riormente agli uomini, ma l'intimo stato del­ l ' uomo, per cui alcuni sono p i ù inclini a un vizio che a un altro, lo conosce solo Dio, che scruta gli spiriti. E per questo motivo il diavolo tenta cercando di esplorare l'intimo stato dell'uomo, per poterlo poi spingere a quel vizio verso cui è più inclinato. 3. Sebbene il demonio non possa esercitare un influsso diretto sulla volontà, come si vide a suo tempo, può tuttavia esercitarlo sulle poten­ ze inferiori dell'uomo dalle quali la volontà, pur restando libera, viene però inclinata.

Articulus 3 Utrum omnia peccata procedant ex tentatione diaboli

Articolo 3 Thtti i peccati provengono dalle tentazioni del diavolo?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod omnia peccata procedant ex tentatione diaboli. l . Dicit enim Dionysius, 4 cap . De div. nom. [ 1 8], quod multitudo daemonum est causa omnium malorum et sibi et aliis. Et Damasce­ nus dicit [De fide 2,4] quod omnis malitia et omnis immunditia a diabolo excogitatae sunt. 2. Praeterea, de quolibet peccatore dici posset quod Dominus de Iudaeis dicit, Ioan. 8 [44], vos ex patre diabolo estis. Hoc autem est inquantum ipsi ex diaboli suggestione peccabant. Omne ergo peccatum est ex suggestione diaboli. 3. Praeterea, sicut angeli deputantur ad custo­ diam hominum, ita daemones ad impugnatio­ nem. Sed omnia bona quae facimus, ex sug­ gestione bonorum angelorum procedunt, quia divina ad nos mediantibus angelis perferunmr. Ergo et omnia mala quae facimus, proveniunt ex suggestione diaboli. Sed contra est quod dicitur in libro De eccl. dogmat. [82], non omnes cogitationes nostrae malae a diabolo excitantw; sed aliquoties ex nostri arbitrii motu emergunt.

Sembra di sì. Infatti: l . Dionigi dice: «La moltitudine dei demoni è la causa di mtti i mali per loro e per gli altri». E il Damasceno: «Ogni malizia e ogni im­ monda passione fu escogitata dal diavolo». 2. A ogni peccatore potrebbero applicarsi le parole rivolte dal Signore ai Giudei (Gv 8): Voi avete per padre il diavolo. Ma il motivo di ciò era che essi peccavano per suggestione del diavolo. Quindi ogni peccato proviene dalla suggestione del diavolo. 3. Come gli angeli sono incaricati di custodire l'uomo, così i demoni sono incaricati di com­ batterlo. Ma mtto il bene che noi operiamo proviene dai suggerimenti degli angeli buoni: poiché le cose divine ci vengono comunicate per mezzo degli angeli. Quindi anche il male che operiamo proviene tutto dalla suggestione del diavolo. In contrario: nel libro De Ecci. Dogmat. è det­ to: >. 2. Come dice il Filosofo: «Se ci muoviamo noi, si muove pure tutto ciò che è in noi». Ma il fato, secondo Boezio, è «una disposizione inerente agli esseri mutevoli». Quindi il fato è mutevole. 3. Se il fato fosse immutabile, gli eventi che da esso dipendono si verificherebbero stabil­ mente e necessariamente. Ma tali sarebbero soprattutto le cose contingenti, che vengono attribuite, appunto, al fato. Quindi nella natura non ci sarebbe più alcun evento contingente, ma tutto accadrebbe per [intrinseca] necessità. In contrario: Boezio afferma che il fato è una disposizione immutabile. Risposta: il coordinamento delle cause secon­ de, che noi chiamiamo fato, può venire consi-

Articolo 3

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l/fato

dupliciter considerati, uno modo, secundum ipsas causas secundas, quae sic disponuntur seu ordinantur; alia modo, per relationem ad pri­ mum principium a quo ordinantur, scilicet Deum. Quidam ergo posuerunt ipsam seriem seu dispositionem causmum esse secundum se necessarimn, ita quod omnia ex necessitate con­ tingerent; propter hoc, quod quilibet effectus habet causmn, et causa posita necesse est effec­ tum poni. Sed hoc patet esse falsum, per ea quae supra [q. 1 15 a. 6] dieta sunt. Alii vero e contrario posuerunt fatum esse mobile, etimn secundum quod a divina providentia dependet. Unde Aegyptii dicebant quibusdmn sacrificiis fatum posse mutari, ut Gregorius Nyssenus [Nemesius, De nat. horn. 36] dicit. Sed hoc supra [q. 23 a. 8] excluswn est, quia immobili­ tati divinae providentiae repugnat. Et ideo di­ cendum est quod fatum, secundum considera­ tionem secundmum causmum, mobile est, sed secundum quod subest divinae providentiae, immobilitatem sortitur, non quidem absolutae necessitatis, sed conditionatae; secundum quod dicimus hanc conditionalem esse veram vel necessarimn, si Deus praescivit hoc futurum, erit. Unde cum Boetius dixisset fati seriem esse mobilem, post pauca subdit, quae cum ab

immobilis pmvidentiae pmficiscatur exordiis, ipsam quoque immutabilem esse necesse est. Et per hoc patet responsio ad obiecta.

Q. 1 1 6, A. 3

derato sotto due aspetti: primo, in rapporto alle cause seconde, che vengono così disposte o ordinate; secondo, in rapporto al primo principio da cui sono coordinate, e cioè in rapporto a Dio. Alcuni, dunque, pensarono che la medesima serie o coordinazione delle cause seconde fosse necessaria in se stessa, per cui tutto accadrebbe in maniera necessa­ ria; e la ragione di ciò sarebbe che, avendo ogni effetto la sua causa, posta la causa ver­ rebbe posto necessariamente anche l' e1fetto. Ma è evidente che ciò è falso, in forza di quanto si è già dimostrato. Altri, al contrario, ritennero che il fato fosse mutevole anche in quanto dipende dalla provvidenza divina. Per cui gli Egiziani, come riferisce Gregorio Nis­ seno, affermavano che il fato può essere mu­ tato con certi sacrifici. - Ma anche questa sentenza è stata già confutata, in quanto ripu­ gna all'immutabilità della provvidenza divina. Bisogna perciò a1fermare che il fato, conside­ rato in rapporto alle cause seconde, è mutevo­ le; considerato invece in rapporto alla provvi­ denza divina, acquista immutabilità, non già di necessità assoluta, ma condizionata: nel senso cioè in cui dicimno che è vera e neces­ saria questa proposizione: «Se Dio sa che una cosa deve accadere, essa accadrà». Per cui Boezio, dopo aver detto che «la trama del fato è mutevole», aggiunge poco dopo: «Ma poi­ ché esce dalle scaturigini dell'immutabile provvidenza, è necessario che sia immutabile anch'essa». E così si è risposto anche alle obiezioni.

Articulus 4 Utrum omnia fato subdantur

Articolo 4 Tutte le cose sono soggette al fato?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod omnia fato subdantur. l . Dicit enim Boetius, in 4 De consol. [6],

Sembra di sì. Infatti: l . Boezio dice: «La trama del fato muove i cieli e gli astri, tempera tra loro gli elementi e li combina con alterne trasformazioni, rinno­ va tutti gli esseri che nascono e muoiono con riproduzioni di feti e di semi somiglianti, stringe le azioni e le vicende degli uomini con l'indissolubile catena delle cause». Non vi è nulla quindi che sfugga alla trmna del fato. 2. Agostino osserva che il fato è una realtà in quanto dice rapporto alla volontà e alla potenza di Dio. Ma la volontà di Dio è causa di tutto ciò che avviene, come afferma lo stesso Agostino. Quindi tutte le cose sono soggette al fato.

series fati caelum et sidera movet, elementa in se invicem temperai, et alterna fmmat trans­ mutatione; eadem nascentia occidentiaque omnia per similesfoetuum seminumque reno­ vat pmgressus; haec actus fortunasque homi­ num indissolubili causarum connexione con­ stringit. Nihil ergo excipi videtur, quod sub fati serie non contineatur. 2. Praeterea, Augustinus dicit, in 5 De civ. Dei [ 1 .8], quod fatum aliquid est, secundum quod ad voluntatem et potestatem Dei refer-

Q. l l6, A. 4

1258

l/fato

tur. Sed voluntas Dei est causa omnium quae fiunt, ut Augustinus dicit in 3 De Trio. [ 1 ] . Ergo omnia subduntur fato. 3. Praeterea, fatum, secundum Boetium [ibid.], est dispositio rebus nwbilibus inhaerens. Sed omnes creaturae sunt mutabiles, et solus Deus vere immutabilis, ut supra habitum est. Ergo in omnibus creaturis est fatum. Sed contra est quod Boetius dicit, in 4 De consol. [6], quod quaedam quae sub provi­

dentia locata sunt, fati seriem superant. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 2] dictum est, fatum est ordinatio secundarum causarum ad effectus divinitus provisos. Quaecumque igitur causis secundis subdun­ tur, ea subduntur et fato. Si qua vero sunt quae immediate a Deo fiunt, cum non sub­ dantur secundis causis, non subduntur fato; sicut creatio rerum, glorificatio spiritualium substantiarum, et alia huiusmodi. Et hoc est quod Boetius [ibid.] dicit, quod ea quae sunt

primae divinitati propinqua, stabiliter fixa, fatalis ordinem mobilitatis excedunt. Ex quo etiam patet quod quanto aliquid longius a prima mente discedit, nexibus fati maioribus implicatur; quia magis subiicitur necessitati secundarum causarum. Ad primum ergo dicendum quod omnia illa quae ibi tanguntur, fiunt a Deo mediantibus causis secundis ; et ideo sub fati serie conti­ nentur. Sed non est eadem ratio de omnibus aliis, ut supra [in co.] dictum est. Ad secundum dicendum quod fatum refertur ad voluntatem et potestatem Dei, sicut ad pri­ mum principium. Unde non oportet quod quidquid subiicitur voluntati divinae vel potes­ tati, subiiciatur fato, ut dictum est [in. co.] . Ad tertium dicendum quod, quamvis omnes creaturae sint aliquo modo mutabiles, tamen aliquae earum non procedunt a causis creatis mutabilibus. Et ideo non subiiciuntur fato, ut dictum est [in. co.].

3. Secondo Boezio, il fato è «una disposizio­ ne inerente agli esseri mutevoli». Ma tutte le creature sono mutevoli, e solo Dio è veramen­ te immutabile, come fu dimostrato. Quindi il fato è in tutte le creature. In contrario: Boezio dice: «Alcune cose, che sono poste sotto la provvidenza, trascendono la serie causale del fato». Risposta: come si è detto, il fato è il coordi­ namento delle cause seconde in ordine agli effetti predisposti dalla provvidenza divina. Quindi tutto quanto è soggetto alle cause se­ conde è pure soggetto al fato. Se però vi sono degli effetti prodotti immediatamente da Dio, essi non sono soggetti al fato: come, ad es., la creazione delle cose, la glorificazione delle sostanze spirituali e altro del genere. Ed è quanto dice lo stesso Boezio: «Gli esseri vici­ ni alla suprema divinità sono stabilmente fissi, e trascendono l'ordine della mobilità dei fati». Il che dimostra ancora che «quanto più un cosa si allontana dalla mente suprema, tanto più si trova stretta dai legami del fato»: perché è più soggetta alla necessità imposta dalle cause seconde. Soluzione delle difficoltà: l . Gli effetti accen­ nati sono prodotti da Dio mediante le cause seconde, perciò non sfuggono alla trama del fato. Non è invece la stessa cosa per tutti gli altri effetti, come si è detto. 2. li fato dice rapporto alla volontà e alla po­ tenza di Dio come al primo principio. Quindi non è necessario che quanto è sottoposto alla volontà o alla potenza di Dio sia sottoposto anche al fato, come si è visto. 3. Per quanto sia vero che tutte le creature sono in qualche modo mutevoli, tuttavia alcu­ ne di esse non hanno origine da cause create mutevoli. Quindi non sono soggette al fato, come si è spiegato.

QUAESTIO 1 1 7

Q�JESTIONE 1 1 7

DE HIS QUAE PERTINENT AD ACTIONEM HOMINIS

LE ATTIVITA CAUSALI DELVUOMO

Postea considerandum est de his quae pertinent ad actionem horninis, qui est compositus ex spirituali et corporali creatura. Et primo consi­ derandum est de actione horninis; secundo, de

Passiamo ora a trattare quanto concerne le attività causali dell'uomo, che è una creatura composta di spirito e di materia. Tratteremo dapprima della causalità attiva dell ' uomo, quindi della propagazione dell ' uomo dagli

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Le attività causali de/l 'uomo

Q. 1 1 7, A. l

propagatione hominis ex homine [q. 1 1 8] . Circa primum quaeruntur quatuor. Primo, utrum unus homo possit docere alium, cau­ sando in ipso scientiam. Secundo, utrum homo possit docere angelum. Tertio, utrum homo per virtutem suae animae possit immu­ tare materiam corporalem. Quarto, utrum anima hominis separata possit movere corpo­ ra motu locali.

altri uomini. Sulla prima questione poniamo quattro quesiti: l . Un uomo può insegnare all' altro, causando in lui la scienza? 2. Un uomo può insegnare a un angelo? 3. L' uomo può trasmutare la materia corporea con la virtù della sua anima? 4. L' anima umana separata può muovere i corpi con moto locale?

Articulus l

Articolo l Un uomo può insegnare all'altro?

Utrum unus homo possit alium docere Ad primum sic proceditur. Vìdetur quod ho­ mo non possit alium docere. l . Dicit enim Dominus, Matth. 23 [8], nolite vocari Rabbi; ubi dicit Glossa [int.] Hierony­ mi, ne divinum honorem hominibus tribuatis. Esse ergo magistrum pertinet proprie ad divi­ num honorem. Sed docere est proprium ma­ gistri. Homo ergo non potest docere, sed hoc est proprium Dei. 2. Praeterea, si homo alium docet, hoc non est nisi inquantum agit per scientiam suam ad causandum scientiam in alio. Sed qualitas per quam aliquis agit ad faciendum sibi simile, est qualitas activa. Ergo sequitur quod scientia sit qualitas activa, sicut et calor. 3. Praeterea, ad scientiam requiritur lumen in­ telligibile, et species rei intellectae. Sed neu­ trum istorum potest causare unus homo i n alio. Ergo unus homo non potest docendo causare scientiam in alio. 4. Praeterea, doctor nihil agit ad discipulum nisi quod proponit ei quaedam signa, vel vocibus aliquid significando, vel nutibus. Sed proponendo signa non potest aliquis alium docere, causando in eo scientiam. Quia aut proponit signa rerum notarum; aut rerum ignotarum. Si rerum notarum, ille ergo cui signa proponuntur, iam habet scientiam, et eam non acquirit a magistro. Si autem rerum ignotarum, per huiusmodi signa nihil addiscit, sicut si aliquis proponeret alicui Latino verba graeca, quorum significationem ignoraret, per hoc eum docere non posset. Nullo ergo modo unus homo potest, alium docendo, scientiam in eo causare. Sed contra est quod apostolus dicit, l ad Tim. 2 [7], in quo positus sum ego praedica­

tor et apostolus, doctor gentium in fide et veritate.

Sembra di no. Infatti: l . TI Signore in Mt dice: Non vi fate chiamare Rabbi; cioè, come spiega la Glossa di Girolamo: «Non date l'onore divino agli uomini». Quin­ di essere maestro è una prerogativa divina. Ma l' insegnamento è il compito proprio del maestro. Quindi l 'uomo non può insegnare, ma ciò è proprio di Dio. 2. Un uomo, per insegnare a un altro, dovreb­ be agire positivamente con la sua scienza cau­ sando la scienza nell'altro. Ma la qualità di cui uno si serve per produrre un effetto consi­ mile è una qualità attiva. Quindi ne viene che la scienza dovrebbe essere una qualità attiva, come i l calore. 3. Per avere la scienza si richiede la luce intel­ lettuale e la specie intelligibile dell' oggetto conosciuto. Ma nessuna delle due cose può essere prodotta da un uomo nell'altro. Quindi un uomo, con l'insegnamento, non può cau­ sare la scienza in un altro. 4. L'insegnante non fa altro che proporre al­ l'alunno dei segni, esprimendosi o con le pa­ role o con dei gesti. Ma proponendo dei segni uno non può insegnare a un altro, causando in lui la scienza. Infatti o propone segni di cose note, o di cose ignote. Se di cose note, allora colui al quale i segni sono proposti possiede già la scienza, e perciò non l'acquista dall'inse­ gnante. Se di cose ignote, allora il discepolo non impara nulla: come chi proponesse a un latino delle parole greche, di cui questi ignoras­ se il significato, non riuscirebbe a istruirlo. In nessun modo, dunque, un uomo può causare in un altro la scienza mediante l'insegnamento. In contrario: Paolo in l Tm dice: lo sono stato costituito predicatore e apostolo [di questa testimonianza], maestro dei pagani nella fede

e nella verità.

Q. 1 17, A. l

Le attività causali del/ 'uomo

Respondeo dicendum quod circa hoc diversae fuerunt opiniones. Averroes enim, in Com­ ment. 3 De an. [5], posuit unum intellectum possibilem esse omnium hominum, ut supra [q. 76 a. 2] dictum est. Et ex hoc sequebatur quod eaedem species intelligibiles sint om­ nium hominum. Et secundum hoc, ponit quod unus homo per doctrinam non causat aliam scientiam in altero ab ea quam ipse habet; sed communicat ei eandem scientiam quam ipse habet, per hoc quod movet eum ad ordinan­ dum phantasmata in anima sua, ad hoc quod sint disposita convenienter ad intelligibilem apprehensionem. Quae quidem opinio quan­ tum ad hoc vera est, quod est eadem scientia in discipulo et magistro, si consideretur iden­ titas secundum unitatem rei scitae, eadem enim rei veritas est quam cognoscit et disci­ pulus et magister. Sed quantum ad hoc quod ponit esse unum intellectum possibilem om­ nium hominum, et easdem species intelligibi­ les, differentes solum secundum diversa phan­ tasmata; falsa est eius opinio, ut supra [q. 76 a. 2] habitum est. Alia est opinio Platonico­ rum, qui posuerunt quod scientia inest a prin­ cipio animabus nostris per participationem f01marum separatarum, sicut supra [q. 84 a. 3] habitum est; sed anima ex unione corporis impeditur ne possit considerare libere ea quo­ rum scientiam habet. Et secundum hoc, disci­ pulus a magistro non acquirit scientiam de novo, sed ab eo excitatur ad considerandum ea quorum scientiam habet; ut sic addiscere nihil aliud sit quam reminisci. Sicut etiam ponebant quod agentia naturalia solummodo disponunt ad susceptionem formarum, quas acquirit materia corporalis per participatio­ nem specierum separatarum. Sed contra hoc supra [q. 79 a. 2; q. 84 a. 3] ostensum est quod intellectus possibilis animae humanae est in potentia pura ad intelligibilia, secundum quod Aristoteles dicit in 3 De an. [4, 1 1 ] . Et ideo aliter dicendum est, quod docens causat scientiam in addiscente, reducendo ipsum de potentia in actum, sicut dicitur in 8 Phys. [4,6] . Ad cuius evidentiam, considerandum est quod effectuum qui sunt ab exteriori prin­ cipio, aliquis est ab exteriori principio tantum; sicut forma domus causatur in materia solum ab arte. Aliquis autem effectus est quandoque quidem ab exteriori principio, quandoque autem ab interiori; sicut sanitas causatur in

1260

Risposta: su questo problema si sono avute diverse opinioni. Averroè, come già riferim­ mo, parte dal presupposto che esiste un unico intelletto possibile per tutti gli uomini, dal che segue che le specie intelligibili di tutti gli uo­ mini sarebbero le stesse. E in base a queste premesse, egli afferma che un uomo, inse­ gnando a un altro, non causa in esso una scienza [numericamente] distinta dalla pro­ pria, ma gli comunica quella medesima da sé posseduta, facendo sì che l' altro ordini i fanta­ smi della sua anima nella maniera richiesta per l'apprensione intellettuale. - Ora, tale opi­ nione è vera nel senso che è identica la scienza del maestro e del discepolo in rapporto ali' og­ getto conosciuto: infatti il maestro e il disce­ polo conoscono un'identica verità oggettiva. Ma essa è falsa, come si è già visto, in quanto pone un unico intelletto possibile per tutti gli uomini, e le stesse specie intelligibili, che sa­ rebbero differenti solo in rapporto ai diversi fantasmi. Altra è invece l'opinione dei Platoni­ ci i quali ritenevano, come già si disse, che la scienza fosse innata nelle nostre anime fin da principio, per una partecipazione intellettuale delle [idee o] forme separate, ma che l'anima, per la sua unione con il corpo, venisse impedi­ ta dal poter contemplare liberamente gli og­ getti di cui ha la scienza. E secondo questa opinione il discepolo non acquisterebbe una nuova scienza grazie al maestro, ma sarebbe soltanto da lui stimolato a considerare gli oggetti di cui possiede già la scienza, per cui l' imparare non sarebbe altro che un ricordare. Proprio come, [nell'ordine fisico], essi diceva­ no che gli agenti naturali si limiterebbero a disporre la ricezione delle forme, che la mate­ ria corporea acquisterebbe per una partecipa­ zione delle specie separate. - Ma contro que­ sta opinione fu dimostrato che l'intelletto pos­ sibile dell'anima umana è soltanto in pote� agli intelligibili, come afferma Aristotele. E necessario perciò dire altrimenti, e cioè che l'insegnante causa la scienza nell'alunno, por­ tandolo dalla potenza all'atto, come dice Ari­ stotele. E per averne l'evidenza bisogna consi­ derare che, tra gli effetti prodotti da princìpi estrinseci, ve ne sono alcuni che procedono esclusivamente da una causa estrinseca: la for­ ma della casa, p. es., è causata nella materia esclusivamente dall' arte. Ve ne sono altri, invece, che procedono a volte da un principio

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Le attività causali de/l 'uomo

infirmo quandoque ab exteriori principio, sci­ licet ab arte medicinae; quandoque autem ab interiori principio ut cum aliquis sanatur per virtutem naturae. Et in talibus effectibus sunt duo attendenda. Primo quidem, quod ars imi­ tatur naturam in sua operatione, sicut enim natura sanat infirmum alterando, digerendo, et expellendo materiam quae causat morbum, ita et ars. Secundo attendendum est, quod principium extetius, scilicet ars, non operatur sicut principale agens, sed sicut coadiuvans agens principale, quod est principium inte­ rius, confortando ipsum, et ministrando ei in­ strumenta et auxilia, quibus utatur ad effec­ tum producendum, sicut medicus confortat naturam, et adhibet ei cibos et medicinas, qui­ bus natura utatur ad finem intentum. Scientia autem acquiritur in homine et ab interiori principio, ut patet in eo qui per inventionem propriam scientiam acquirit; et a principio ex­ tenori, ut patet in eo qui addiscit. Inest enim unicuique homini quoddam principium scien­ tiae, scilicet lumen intellectus agentis, per quod cognoscuntur statim a principio natu­ raliter quaedam universalia principia omnium scientiarum. Cum autem aliquis huiusmodi universalia principia applicat ad aliqua parti­ cularia, quorum memoriam et experimentum per sensum accipit; per inventionem propriam acquirit scientiam eorum quae nesciebat, ex notis ad ignota procedens. Unde et quilibet docens, ex his quae discipulus novit, ducit eum in cognitionem eorum quae ignorabat; secundum quod dicitur in l Post. [ 1 , 1 ], quod

omnis doctrina et omnis disciplina ex prae­ existenti fit cognitione. Ducit autem magister discipulum ex praecognitis in cognitionem ignotorum, dupliciter. Primo quidem, propo­ nendo ei aliqua auxilia vel instrumenta, qui­ bus intellectus eius utatur ad scientiam acqui­ rendam, puta cum proponit ei aliquas propo­ sitiones minus universales, quas tamen ex praecognitis discipulus diiudicare potest; vel cum proponit ei aliqua sensibilia exempla, vel similia, vel opposita, vel aliqua huiusmodi ex quibus intellectus addiscentis manuducitur in cognitionem veritatis ignotae. Alio modo, cum confortat intellectum addiscentis ; non quidem aliqua virtute activa quasi superioris naturae, sicut supra [q. 1 06 a. l ; q. 1 1 1 a. l ] dictum est d e angelis illuminantibus, quia omnes humani intellectus sunt unius gradus

Q. 1 1 7, A. l

estrinseco e a volte da un principio intrinseco: come la guarigione dell'ammalato è causata qualche volta da un principio estrinseco, cioè dali' arte della medicina, qualche altra volta, invece, da un principio intrinseco, come quan­ do uno guarisce per virtù della natura. Ora, negli effetti di questo genere vanno osservate due cose. Innanzitutto che l'arte nelle sue fun­ zioni imita la natura: come infatti la natura opera la guarigione del malato alterando, smaltendo ed espellendo la materia patogena, così fa anche l'arte. Secondo, che il principio estrinseco, vale a dire l'arte, non opera come agente principale, ma come sussidio dell'a­ gente principale, che è il principio intrinseco, rafforzandolo e somministrandogli mezzi e aiuti che servono per raggiungere lo scopo: come fa appunto il medico che rinvigotisce la natura e le appresta cibi e medicine, di cui essa si serve per conseguire l'effetto voluto. Ora, la scienza può essere acquistata dall'uomo sia mediante un principio intrinseco, come è evi­ dente nel caso di chi acquista la scienza con la propria ricerca personale, sia mediante u n principio, estrinseco, come nel caso di chi va a scuola. E infatti innato in ciascun uomo un principio di scienza, e cioè il lume dell' intel­ letto agente, per mezzo del quale fin da princi­ pio vengono subito conosciuti naturalmente alcuni princìpi universali di tutte le scienze. Quando perciò uno applica tali princìpi uni­ versali agli oggetti particolari, di cui ha ricor­ do o esperienza per mezzo dei sensi, acquista con la propria ricerca personale la scienza di ciò che ignorava, procedendo dal noto all ' i­ gnoto. Per cui anche qualsiasi insegnante porta il discepolo a conoscere ciò che ignorava fa­ cendolo partire da quanto già sapeva; secondo appunto il detto del Filosofo: «Ogni dottrina e ogni disciplina vengono acquisite partendo da una conoscenza preesistente». Ora, il maestro porta i l discepolo alla conoscenza di ciò che ignora, partendo dalle cose conosciute, in due modi. Primo, proponendogli aiuti e sussidi adatti al suo intelletto per l ' acquisto della scienza: come quando, p. es., gli propone delle proposizioni meno generiche e universali, che però il discepolo può giudicare con nozioni già possedute; oppure come quando gli porta degli esempi sensibili, analoghi o contrari, o ancora altre cose del genere, per mezzo delle quali l'intelletto del discepolo è guidato come

Q. 1 17, A. l

Le attività causali del/ 'uomo

in ordine nanrrae; sed inquantum proponit dis­ cipulo ordinem principiorum ad conclusiones, qui forte per seipsum non haberet tantam vir­ tutem collativam, ut ex principiis posset con­ clusiones deducere. Et ideo dicitur in l Post. [2,4] , quod demonstratio est syllogismus faciens scire. Et per hunc modum ille qui de­ monstrat, auditorem scientem facit. Ad primum ergo dicendum quod, sicut iam [in co.] dictum est, homo docens solummodo exterius ministerium adhibet, sicut medicus sanans, sed sicut natura interior est principalis causa sanationis, ita et interius lumen intellec­ tus est principalis causa scientiae. Utrumque autem horum est a Deo. Et ideo sicut de Deo dicitur [Ps. l 02,3], qui sanat omnes infirmita­ tes tuas; ita de eo dicitur [Ps. 93, 1 0] , qui docet hominem scientiam, inquantum lumen vultus eius super nos signatur [Ps. 4,7], per quod nobis omnia ostenduntur. Ad secundum dicendum quod doctor non causat scientiam in discipulo per modum agentis naturalis, ut Averroes obiicit [ibid.]. Unde non oportet quod scientia sit qualitas activa, sed est pdncipium quo aliquis dirigitur in docendo, sicut ars est pdncipium quo ali­ quis dirigitur in operando. Ad tertium dicendum quod magister non cau­ sat lumen intelligibile in discipulo, nec directe species i ntelligibiles, sed movet discipulum per suam doctrinam ad hoc, quod ipse per vir­ tutem sui intellectus formet intelligibiles con­ ceptiones, quarum signa sibi proponit extedus. Ad quartum dicendum quod signa quae magister discipulo proponit, sunt rerum nota­ rum in universali, et sub quadam confusione; sed ignotarum in particulari, et sub quadam distinctione. Et ideo cum quisque per seipsum scientiam acquirit, non potest dici docere seipsum, vel esse sui ipsius magister, quia non praeexistit in eo scientia completa, qualis requiritur in magistro.

1262

per mano alla conoscenza delle verità che ignora. - Secondo, corroborando l'intelletto dell'alunno: non certo mediante una virtù atti­ va quasi di natura superiore, analoga a quella degli angeli illuminanti, di cui si è parlato so­ pra - poiché tutti gli intelletti umani sono di un medesimo grado nell'ordine naturale -, ma mostrando all'alunno la connessione esistente fra i princìpi e le conclusioni, dato che egli forse non avrebbe da solo una capacità dialet­ tica tale da saper dedurre le conclusioni dai princìpi. Per cui Aristotele chiama la dimo­ strazione «Un sillogismo che produce la scien­ za>>. E in questo modo chi dà una dimostrazio­ ne produce la scienza nell'uditore. Soluzione delle difficoltà: l . Si è già spiegato che l'uomo, nell'insegnare, esercita soltanto una funzione esterna, come il medico nel gua­ rire; ma come la natura è la causa principale della guarigione, così pure la causa principale della scienza è l' interna luce intellettuale. Ora, queste due cose procedono da Dio. Quindi, come nel Sal è detto di Dio che gua­ risce tutte le tue malattie; così pure che inse­ gna all'uomo il sapere, in quanto la luce del suo volto risplende su di noi, quella luce me­ diante la quale conosciamo tutte le cose. 2. n maestro non causa la scienza nell'alunno nel modo di un agente naturale, come preten­ deva Averroè. Quindi non è necessario che la scienza sia una qualità attiva: è invece il prin­ cipio che guida nell'insegnamento, così come l'arte è il principio che guida nella composi­ zione di un'opera. 3. Il maestro non causa nel discepolo né la luce intellettuale né, direttamente, le specie intelligibili, ma col suo insegnamento eccita il discepolo a formare, mediante la luce del pro­ pdo intelletto, quei concetti che corrispondo­ no ai segni da lui presentati esternamente. 4. I segni che il maestro propone all'alunno si riferiscono a cose vagamente e confusamente già note, ma ignote nei loro particolari e nella loro esattezza. Per cui, quando uno acquista la scienza da sé, non si può dire che insegna a se stesso, o che è maestro di se stesso: non pree­ siste infatti in lui la scienza già formata, quale è richiesta nel maestro.

1 263

Le attività causali de/l 'uomo

Q. 1 1 7, A. 2

Articulus 2 Utrum homines possint docere angelos

Articolo 2 Gli uomini possono insegnare agli angeli?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod homines possint docere angelos. l . Dicit enim apostolus, ad Eph. 3 [ 1 0] , ut

Sembra di sì. Infatti: l . In Ef Paolo dice: Perché sia manifestata

innotescat prindpibus et potestatibus in cae­ lestibus per Ecclesiam multiformis sapientia Dei. Sed Ecclesia est congregatio hominum fidelium. Ergo angelis per homines aliqua innotescunt. 2. Praeterea, angeli superiores, qui immediate de divinis a Deo illuminantur, inferiores ange­ los instruere possunt, ut supra [q. 106 a. l ; q. 1 12 a. 3] dictum est. Sed aliqui homines immediate de divinis per Dei Verbum sunt in­ structi; sicut maxime patet de apostolis, se­ cundum illud ad Heb. l [2], novissime, diebus istis, locutus est nobis in Filio. Ergo aliqui homines aliquos angelos docere potuerunt. 3. Praeterea, inferiores angeli a superioribus instruuntur. Sed quidam homines superiores sunt aliquibus angelis, cum ad supremos ordi­ nes angelorum aliqui homines assumantur, ut Gregorius dicit in quadam homilia [In Ev. h. 34]. Ergo aliqui inferiores angeli per aliquos homines de divinis instrui possunt. Sed contra est quod Dionysius dicit, 4 cap. De div. nom. [cf. DCH 4,2], quod ornnes divinae illuminationes perferuntur ad homines me­ diantibus angelis. Non ergo angeli instruuntur per homines de divinis. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 107 a. 2] habitum est, inferiores angeli loqui qui­ dem possunt superioribus angelis, manifestan­ do eis suas cogitationes; sed de rebus divinis superiores ab inferioribus nunquam illumi­ nantur. Manifestum est autem quod eo modo quo inferiores angeli superioribus subduntur, supremi homines subduntur etiam infimis angelorum. Quod patet per id quod Dominus dicit, Matth. 1 1 [ 1 1 ] , inter natos mulierum

ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Prin­ cipati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio. Ma la Chiesa è l'assemblea degli uomini fedeli. Quindi alcune verità vengono notifica­ te agli angeli per mezzo degli uomini. 2. Gli angeli superiori, che sono illuminati sulle realtà divine immediatamente da Dio, possono istruire quelli inferiori, come si è vi­ sto. Ma alcuni uomini furono istruiti sulle realtà divine immediatamente dal Verbo di Dio, come è evidente nel caso degli apostoli, secondo il passo di Eb: Ultimamente, in que­

sti giorni Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Quindi alcuni uomini furono in grado di insegnare agli angeli. 3. Gli angeli inferiori sono istruiti dai superiori. Ma ci sono degli uomini che sono superiori a certi angeli, dato che, come afferma Gregorio, alcuni uomini vengono assunti ai supremi or­ dini degli angeli. Quindi questi angeli inferio­ ri possono essere istruiti sulle realtà divine da alcuni uomini. In contrario: Dionigi affe1ma che tutte le illumi­ nazioni divin� giungono agli uomini per tramite degli angeli. E impossibile quindi che gli angeli siano istruiti sulle realtà divine dagli uomini. Risposta: come si è spiegato sopra, gli angeli inferiori possono parlare a quelli superiori per manifestare loro i propri pensieri, ma gli an­ geli superiori non sono mai illuminati da quelli inferiori sulle realtà divine. Ora, è evi­ dente che gli stessi uomini più sublimi sono soggetti agli angeli dell'infimo grado, come gli angeli inferiori sono sottoposti a quelli superiori. E ciò risulta chiaro dalle parole del Signore in Mt: Tra i nati di donna non è sorto

non sun·exit maior loanne Baptista; sed qui minor est in regno caelorum, maior est ilio.

uno più grande di Giovanni il Battista; tutta­ via il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Quindi sulle realtà divine gli

Sic igitur de rebus divinis ab hominibus angeli nunquam illuminantur. Cogitationes tamen suorum cordium homines angelis per modum locutionis manifestare possunt, quia secreta cordium scire solius Dei est. Ad primum ergo dicendum quod Augustinus, 5 Super Gen. [ 19], sic exponit illam apostoli auctoritatem. Praemiserat enim apostolus

angeli non sono mai illuminati dagli uomini. Thttavia gli uomini possono rivelare agli an­ geli i segreti del loro cuore a modo di locuzio­ ne: poiché la conoscenza [diretta] dei segreti del cuore è prerogativa di Dio. Soluzione delle difficoltà: l . Agostino così interpreta l' autorità di Paolo di Ef A me che sono l 'infimo fra tutti i santi è stata concessa

Q. 1 17, A. 2

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Le attività causali del/ 'uomo

[Eph. 3,8-9], mihi, omnium sanctorum mini­ mo, data est grafia haec, illuminare omnes quae sit dispensatio sacramenti absconditi a saeculis in Deo. lta dico absconditi, ut tamen innotesceret principibus et potestatibus in cae­ lestibus, per Ecclesiam scilicet, multiformis sapientia Dei. Quasi dicat, ita hoc sacramen­ tum erat absconditum hominibus, ut tamen Ecclesiae caelesti, quae continetur in principi­ bus et potestatibus, hoc sacramentum notum esset a saeculis, non ante saecula, quia ibi pri­

mitus Ecclesia jùit, quo post resurrectionem et ista Ecclesia hominum congreganda est. Potest tamen et aliter dici, quod illud quod absconditum est, non tantum in Deo innotescit angelis, verum etiam hic eis apparet, cum effi­ citur atque propalatur, ut Augustinus ibidem subdit. Et sic dum per apostolos impleta sunt Christi et Ecclesiae mysteria, angelis aliqua apparuerunt de huiusmodi mysteriis, quae ante erant eis occulta. Et per hunc modum potest intelligi quod Hieronymus dicit [In Eph. super 3,10] , quod, apostolis praedicantibus, angeli aliqua mysteria cognoverunt, quia scilicet per praedicationem apostolorum huiusmodi mys­ teria explebantur in rebus ipsis, sicut praedi­ cante Paulo convertebantur gentes; de quo apostolus ibi loquitur. Ad secundum dicendum quod apostoli in­ struebantur immediate a Verbo Dei, non secundum eius divinitatem, sed inquantum eius humanitas loquebatur. Unde ratio non sequitur. Ad tertium dicendum quod aliqui homines, etiam in statu viae, sunt maiores aliquibus angelis, non quidem actu, sed virtute; inquan­ tum scilicet habent caritatem tantae virtutis, ut possint mereri maiorem beatitudinis gradum quam quidam angeli habeant. Sicut si dica­ mus semen alicuius magnae arboris esse maius virtute quam aliquam parvam arborem, cum tamen multo minus sit in actu.

questa grazia: di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nasco­ sto da secoli in Dio. E Agostino commenta: «Intendo quel nascosto in modo che tuttavia la infinitamente varia sapienza di Dio fosse nota ai PJ.incipati e alle Potestà dei Cieli, per mezzo della Chiesa». Quasi volesse dire: questo mistero era sì nascosto agli uomini, era però noto alla Chiesa celeste, compresa nei Principati e nelle Potestà, «fin dal pJ.incipio dei secoli, non prima dei secoli : perché al­ l'inizio la Chiesa fu là dove, dopo la risurre­ zione, andrà a radunarsi anche questa Chiesa degli uomini». Si può tuttavia interpretare an­ che diversamente, e dire che «ciò che è nasco­ sto è reso noto agli angeli non soltanto in Dio, m a anche nel mondo, mentre si attua e s i manifesta alla luce», come aggiunge l o stesso Agostino. Mentre infatti i misteri di CJ.isto e della Chiesa si compivano per mezzo degli apostoli, agli angeli si facevano palesi alcuni aspetti di tali misteri che prima rimanevano loro occulti. - E in tal senso si può spiegare quanto dice Girolamo, che cioè mediante la predicazione degli apostoli gli angeli veniva­ no a conoscenza di alcuni misteri: e ciò per­ ché mediante la predicazione degli apostoli tali misteri avevano compimento, come ad es. la conversione dei gentili per opera della pre­ dicazione di Paolo, alla quale accenna appun­ to, in quel luogo, l'Apostolo. 2. Gli apostoli venivano istruiti immediata­ mente dal Verbo di Dio, non però secondo la divinità, ma in quanto parlava la sua umanità. Quindi l'argomento non vale. 3. Alcuni uomini, anche nel loro stato di via­ tori, sono più grandi di certi angeli, ma non in maniera attuale, bensì virtuale: poiché essi possiedono una carità di tale virtù da poter meritare un grado di gloria superiore a quello posseduto da alcuni angeli. Come se si dices­ se che il seme di un grande albero è virtual­ mente maggiore di un arboscello, pur essendo attualmente più piccolo.

3

Articulus 3 Utrum homo per virtutem animae possit corporalem materiam immutare

L'uomo, con la virtù della sua anima, può trasmutare la materia corporea?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod homo per virtutem animae possit corporalem mate­ riam immutare.

Sembra di sì. Infatti: l . Gregorio dice: «I santi operano i miracoli a volte per mezzo della preghiera, a volte col

Articolo

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Le attività causali de/l 'uomo

l . Dicit enim Gregorius, 2 Dial. [30], quod

sancti miracula aliquando ex prece faciunt, aliquando ex potestate, sicut Petrus, qui Ta­ bitham mortuam arando suscitavit, Ananiam et Saphiram mentientes morti increpando tra­ didit. Sed in operatione miraculomm fit ali­ qua immutatio materiae corporalis. Ergo homines virtute suae animae possunt mate­ riam corporalem immutare. 2. Praeterea, super illud ad Gal. 3 [ l ], quis vos fascina vit veritati non obedire? dicit Glossa [ord.] quod quidam habent oculos urentes,

qui solo aspectu inficiunt alios, et maxime pueros. Sed hoc non esset, nisi virtus animae posset materiam corporalem immutare. Ergo homo per virtutem suae animae potest mate­ riam corporalem immutare. 3. Praeterea, corpus humanum est nobilius quam alia inferiora corpora. Sed per appre­ hensionem animae humanae immutatur cor­ pus humanum ad calorem et frigus, ut patet in irascentibus et timentibus; et quandoque etiam haec immutatio pervenit usque ad aegritudinem et mortem. Ergo multo magis anima hominis potest sua virtute materiam corporalem immutare. Sed contra est quod dicit Augustinus, in 3 De Trin. [8], quod materia corporalis soli Deo

obedit ad nutum. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 1 10 a. 2] dictum est materia corporalis non immutatur ad formam, nisi vel ab agente ali­ quo composito ex materia et forma; vel ab ipso Deo, i n quo virtualiter et materia et forma praeexistit, sicut in primordiali causa utriusque. Unde et de angelis supra [ibid.] dictum est quod materiam corporalem immu­ tare non possunt naturali virtute, nisi appli­ cando corporalia agentia ad effectus aliquos producendos. Multo igitur minus anima sua virtute naturali potest immutare materiam c orporalem, nisi mediantibus aliquibus corporibus. Ad primum ergo dicendum quod sancti di­ cuntur miracula facere ex potestate gratiae, non naturae. Quod patet per illud quod Gre­ gorius ibidem dicit, qui filii Dei ex potestate

sunt, ut dicit loannes, quid mirum si signa facere ex potestate valeant? Ad secundum dicendum quod fascinationis causam assignavit Avicenna [De an. 4,4] ex hoc, quod materia corporalis nata est obedire

Q. 1 1 7, A. 3

loro potere: come Pietro pregando risuscitò da morte Tabita, e rimproverandoli consegnò alla morte Anania e Saffira mentitori». Ma alle opere miracolose si accompagna sempre una trasmutazione della materia. Quindi l'uomo con la virtù della sua anima può trasmutare la materia corporea. 2. A proposito del passo di Gal: Chi vi ha

ammaliati, così da non obbedire alla verità?, la Glossa dice: «Alcune persone hanno occhi tanto ardenti che col solo sguardo influiscono sugli altri, specialmente sui bambini». Ma ciò non avverrebbe se la virtù deli' anima non po­ tesse trasmutare la materia corporea. Quindi l'uomo ha il potere di trasmutare la materia con la virtù della sua anima. 3. Il corpo umano è più nobile degli altri corpi inferiori. Ma in forza di certi turbamen­ ti dell'anima il corpo umano subisce delle alterazioni, riscaldandosi o raffreddandosi, come appare chiaro in chi subisce un accesso d'ira o di paura; e talvolta simili alterazioni possono condurre alla malattia e alla morte. Quindi sarà ancora più facile per l ' anima dell'uomo trasmutare con la sua virtù la ma­ teria corporea. In contrario: Agostino dice: «La materia cor­ porea è sottomessa i n modo totale solo a Dio». Risposta: come si è già spiegato, la materia corporea si trasmuta, cambiando forma, solo in due casi: o per opera di un agente compo­ sto di materia e forma, o per opera di Dio stesso, nel quale sia la materia che la forma preesistono virtualmente, come nella loro causa primordiale. Per cui, anche a proposito degli angeli, si è detto che essi non possono trasmutare la materia corporea con la loro virtù naturale, ma possono soltanto applicare gli agenti naturali per produrre gli effetti voluti. Molto meno, dunque, potrà trasmutare la materia con la sua virtù naturale l'anima, a meno che non si serva di qualche corpo. Soluzione delle difficoltà: l . I santi operano i miracoli col potere che deriva loro dalla gra­ zia, non dalla natura. E ciò appare chiara­ mente da quanto Gregorio aggiunge: «C'è forse da meravigliarsi se, col loro potere, ope­ rano dei miracoli coloro che, come dice Gio­ vanni, hanno il potere di essere figli di Dio?». 2. Avicenna spiegò la causa della malìa dicen­ do che la materia corporea obbedisce natural-

Q. 1 1 7, A. 3

Le attività causali del/ 'uomo

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spirituali substantiae magis quam contrariis agentibus in natura. Et ideo quando anima fuerit fortis in sua imaginatione, corporalis materia immutatur secundum eam. Et hanc dicit esse causam oculi fascinantis. Sed supra [q. 1 10 a. 2] ostensum est quod materia cor­ poralis non obedit substantiae spirituali ad nutum, nisi soli creatori. Et ideo melius dicen­ dum est, quod ex forti imaginatione animae immutantur spiritus corporis coniuncti. Quae quidem immutatio spirituum maxime fit in oculis, ad quos subtiliores spiritus perveniunt. Oculi autem inficiunt aerem continuum usque ad determinatum spatium, per quem modum specula, si fuerint nova et pura, contrahunt quandam impuritatem ex aspectu mulieris menstruatae, ut Aristoteles dicit in libro De somn. et vig. [2]. Sic igitur cum aliqua anima fuerit vehementer commota ad malitiam, sicut maxime in vetulabus contingit, efficitur se­ cundum modum praedictum aspectus eius venenosus et noxius, et maxime pueris, qui habent corpus tenerum, et de facili recepti­ vum impressionis. Possibile est etiam quod ex Dei permissione, vel etiam ex aliquo facto oc­ culto, cooperetur ad hoc malignitas daemo­ num, cum quibus vetulae sortilegae aliquod foedus habent. Ad tettium dicendum quod anima corpori hu­ mano unitur ut forma, et appetitus sensitivus, qui obedit aliqualiter rationi, ut supra [q. 8 1 a. 3] dictum est, est actus alicuius organi cor­ poralis. Et ideo oportet quod ad apprehensio­ nem animae humanae, commoveatur appeti­ tus sensitivus cum aliqua operatione corpora­ li. Ad exteriora vero corpora immutanda ap­ prehensio animae humanae non sufficit, nisi mediante immutatione proprii corporis, ut dictum est [ad 2].

mente più alla sostanza spirituale che agli agenti contrari della natura. Per cui, quando un'anima ha un forte potere d'immaginazio­ ne, sotto il suo influsso la materia corporea si trasmuta. E così spiega il malocchio. - Sen­ nonché sopra si è dimostrato che la materia corporea obbedisce al cenno del solo Crea­ tore, e non delle sostanze spirituali. Quindi è meglio dire che, in forza di un'intensa imma­ ginazione dell'anima, si verifica un'alterazio­ ne degli spiriti vitali nel corpo ad essa con­ giunto: alterazione che avviene soprattutto ne­ gli occhi, dove affluiscono gli spiriti più sotti­ li. Gli occhi poi, a loro volta, influenzano l'a­ ria circostante entro un certo raggio: infatti Aristotele insegna che gli specchi nuovi e tersi rimangono offuscati dallo sguardo di una donna mestruata. Quando perciò un'anima è portata violentemente alla malvagità, come accade specialmente i n certe vecchie, lo sguardo diventa, nel modo descritto, velenoso e malefico, soprattutto verso i bambini, che hanno un corpo ,ancora tenero e facilmente influenzabile. - E però anche possibile che, per una permissione di Dio o per qualche altro fatto occulto, vi cooperi la malvagità dei demoni, con i quali le vecchie fattucchiere hanno dei patti. 3 . L'anima si unisce al corpo umano come forma, e l'appetito sensitivo, che, come si è detto, obbedisce in qualche modo alla ragio­ ne, è l'atto di un organo corporeo. Quindi è necessario che dietro certi turbamenti dell' a­ nima umana resti turbato anche l' appetito sensitivo, con un'alterazione fisica. Invece per trasmutare i corpi esterni i turbamenti dell' a­ nima non giovano se non dopo la trasmuta­ zione del proprio corpo, come si è spiegato.

Articulus 4 Utrum anima hominis separata possit corpora saltem localiter movere

Articolo 4 V anima umana separata può muovere i corpi di moto locale?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ani­ ma hominis separata possit corpora saltem localiter movere. l . Substantiae enim spirituali naturaliter obe­ dit corpus ad motum localem, ut supra [q. 1 10 a. 3] dictum est. Sed anima separata est sub­ stantia spiritualis. Ergo suo imperio potest exteriora corpora movere.

Sembra di sì. Infatti: l . Quanto al moto locale il corpo obbedisce naturalmente alle sostanze spirituali, come si è detto. Ma l'anima è una sostanza spirituale. Quindi essa può, col suo comando, muovere i corpi esterni. 2. Come si legge nell'Itinerario di Clemente, Niceta raccontava a Pietro che Simon Mago,

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Le attività causali de/l 'uomo

2. Praeterea, i n Itinerario Clementis [De gestis Petri 27] dicitur, narrante Niceta ad Petrum, quod Simon magus per magicas artes pueri a se interfecti animam retinebat, per quam magicas operationes efficiebat. Sed hoc esse non potuisset sine aliqua corporum trans­ mutatione, ad minus locali. Ergo anima sepa­ rata habet virtutem localiter movendi corpora. Sed contra est quod philosophus dicit, in libro l De an. [3,22] quod anima non potest move­ re quodcumque corpus, sed solummodo proprium. Respondeo dicendum quod anima separata sua naturali virtute non potest movere aliquod corpus. Manifestum est enim quod, cum anima est corpori unita, non movet corpus nisi vivificatum, unde si aliquod membrum corporis mortificetur, non obedit animae ad motum localem. Manifestum est autem quod ab anima separata nullum corpus vivificatur. Unde nullum corpus obedit ei ad motum localem, quantum est ex virtute suae naturae, supra quam potest aliquid ei conferri virtute divina. Ad primum ergo dicendum quod substantiae quaedam spirituales sunt, quarum virtutes non determinantur ad aliqua corpora, sicut sunt angeli, qui sunt naturaliter a corporibus abso­ luti, et ideo diversa corpora eis possunt obedi­ re ad motum. Si tamen alicuius substantiae separatae virtus motiva determinetur naturali­ ter ad movendum aliquod corpus, non poterit illa substantia movere aliquod corpus maius, sed minus, sicut, secundum philosophos, motor inferioris caeli non posset movere cae­ lum superius. Unde cum anima secundum suam naturam determinetur ad movendum corpus cuius est forma, nullum aliud corpus sua naturali virtute movere potest. Ad secundum dicendum quod, sicut dicit Augustinus 10 De civ. Dei [ 1 1], et Chrysosto­ mus Super Matth. [horn. 28], frequenter dae­ mones simulant se esse animas mortuorum, ad confirmandum gentilium errorem, qui hoc credebant. Et ideo credibile est quod Simon magus illudebatur ab aliquo daemone, qui simulabat se esse animam pueri quem ipse occiderat.

Q. 1 1 7, A. 4

ucciso un bambino, ne tratteneva con arti ma­ giche l'anima presso di sé e se ne serviva per compiere le sue stregonerie. Ma ciò non sa­ rebbe potuto accadere senza una trasmuta­ zione almeno locale dei corpi. Quindi le ani­ me separate hanno la virtù di muovere local­ mente i corpi. In contrario: il Filosofo afferma che l ' anima non può muovere qualsiasi corpo, ma solo il proprio. Risposta: l'anima separata, con la sua virtp naturale, non può muovere nessun corpo. E evidente infatti che, quando l'anima è unita al corpo, muove soltanto il corpo da essa vivifi­ cato: per cui, quando un membro del corpo viene a perdere la sua vitalità, non esegue più il moto locale comandato dali' anima. Ora, è chiaro che nessun corpo è vivificato dall'ani­ ma separata. Stando quindi sul piano delle capacità naturali , nessun corpo compie un moto locale sotto il comando dell'anima; tut­ tavia, su un piano superiore, l'anima può rice­ vere dei poteri particolari dalla virtù divina. Soluzione delle difficoltà: l . Ci sono delle sostanze spirituali la cui virtù non è ristretta a dei corpi determinati, come gli angeli, che per loro natura non sono legati ai corpi: ad essi perciò possono obbedire diversi corpi quanto al moto locale. Quando invece la virtù di una sostanza spirituale è determinata a muovere un dato corpo, essa non può muo­ veme un altro maggiore, ma solo uno mi­ nore: come, secondo i filosofi, il motore di un cielo più basso non potrebbe muovere il cielo superiore. Poiché dunque l'anima per sua natura è determinata a muovere solo il corpo di cui è forma, essa con la sua virtù naturale non può muovere alcun altro corpo. 2. Come dicono Agostino e il Crisostomo, spesso i demoni simulano di essere le anime dei trapassati per confermare l'errore dei Pa­ gani che avevano questa credenza. Quindi può darsi che Simon Mago restasse giocato da qualche demonio, che fingeva di essere l'anima del bambino da lui ucciso.

Q. 1 1 8, A. l

La propagazione del genere umano rispetto ali 'anima

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QUAESTIO 1 1 8 DE TRADUCTIONE HOMINIS EX HOMINE QUANTUM AD ANIMAM

QUESTIONE 1 1 8 LA PROPAGAZIONE DEL GENERE UMANO RISPETTO ALU ANIMA

Deinde considerandum est de traductione ho­ minis ex homine. Et primo, quantum ad ani­ mam; secundo, quantum ad corpus [q. 1 19]. Circa primum quaeruntur tria. Primo, utrum anima sensitiva traducatur cum semine. Se­ cundo, utmm anima intellectiva. Tertio, utrum omnes animae fuerint simul creatae.

Trattiamo ora della propagazione del genere umano. Primo, rispetto all' anima; secondo, rispetto al corpo. Sul primo argomento si pon­ gono tre quesiti : l . L'anima, sensitiva è tra­ smessa mediante il seme? 2. E così anche per l'anima intellettiva? 3. Le anime sono state create tutte insieme?

Articulus l Utrum anima sensitiva traducatur sum semine

Articolo l Vanima sensitiva è trasmessa

Ad primum sic proceditur. Videtur quod a­ nima sensitiva non traducatur cum semine, sed sit per creationem a Deo. l . Omnis enim substantia perfecta guae non est composita ex materia et forma, si esse incipiat, hoc non est per generationem, sed per creationem, quia nihil generatur nisi ex materia. Sed anima sensitiva est substantia perfecta, alioquin non posset movere corpus, et cum sit forma corporis, non est ex materia et fotma composita. Ergo non incipit esse per generationem, sed per creationem. 2. Praeterea, principium generationis in rebus viventibus est per potentiam generativam; guae, cum numeretur inter vires animae vege­ tabilis, est infra animam sensitivam. Nihil autem agit ultra suam speciem. Ergo anima sensitiva non potest causari per vim generati­ varo animalis. 3. Praeterea, generans generat sibi simile, et sic oportet quod forma generati sit actu in causa generationis. Sed anima sensitiva non est actu in semine, nec ipsa nec aliqua pars eius, quia nulla pars animae sensitivae est nisi in aliqua parte corporis; in semine autem non est aliqua corporis particula, quia nulla parti­ cula corporis est quae non tiat ex semine, et per virtutem seminis. Ergo anima sensitiva non causatur ex semine. 4. Praeterea, si in semine est aliquod princi­ pium activum animae sensitivae, aut illud principium manet, generato iam animali; aut non manet. Sed manere non potest. Quia vel esset idem cum anima sensitiva animalis gene­ rati, et hoc est impossibile, quia sic esset idem generans et generatwn, faciens et factum. Vel

Sembra di no. Infatti: l . Ogni sostanza perfetta non composta di ma­ teria e forma, se comincia a esistere, viene al­ l' esistenza per creazione, non per generazione: poiché tutto ciò che è generato è generato dal­ la materia. Ma l ' anima sensitiva è una so­ stanza perfetta, altrimenti non potrebbe muo­ vere il corpo; ed essendo forma del corpo, non è composta di materia e forma. Quindi viene al­ l' esistenza per creazione, non per generazione. 2. Negli esseti viventi il ptincipio della genera­ zione risiede nella potenza generativa, e questa, appartenendo alle potenze dell'anima vegetati­ va, sta al di sotto dell'anima sensitiva. Ma nes­ sun essere agisce al di là della propria specie. Quindi l'anima sensitiva non può essere causa­ ta dalla potenza generativa dell'animale. 3. n generante tende a generare un essere con­ simile, per cui è necessatio che la forma del ge­ nerato si trovi in atto nella causa generante. Ma I'anima sensi tiva non si trova in atto nel seme, né tutta né in parte: poiché ogni parte dell'ani­ ma sensitiva si trova soltanto in una conispon­ dente parte del corpo, e invece nel seme non si trova una determinata parte del corpo, non esi­ stendo parte alcuna del corpo che non sia for­ mata dal seme e per virtù del seme. Quindi l'anima sensitiva non è causata dal seme. 4. Posto che nel seme si trovi un principio attivo dell'anima sensitiva, esso, una volta ge­ nerato l'animale, o perdura o viene a estin­ guersi. Ma esso non può perdurare. Perché o si identificherebbe con l'anima sensitiva del­ l' animale generato, o sarebbe qualcosa di diverso. Ma la prima ipotesi è impossibile, perché si avrebbe l'identificazione del gene-

mediante il seme?

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La propagazione del genere umano rispetto all 'anima

esset aliquid aliud, et hoc etiam est impossibi­ le, quia supra [q. 76 a. 4] ostensum est quod in uno animali non est nisi unum principium for­ male, quod est una anima. S i autem non manet, hoc etiam videtur impossibile, quia sic aliquod agens ageret ad corruptionem sui ipsius, quod est impossibile. Non ergo anima sensitiva potest generati ex semine. Sed contra, ita se habet virtus quae est i n semine, ad animalia quae ex semine generan­ tur, sicut se habet virtus quae est in elementis mundi, ad animalia quae ex elementis mundi producuntur, sicut quae ex putrefactione gene­ rantur. Sed in huiusmodi animalibus animae producuntur ex virtute quae est in elementis; secundum illud Gen. l [20], producant aquae reptile anùnae viventis. Ergo et animalium quae generantur ex semine, animae producun­ tur ex virtute quae est in semine. Respondeo dicendum quod quidam posuerunt animas sensitivas animalium a Deo creari. Quae quidem positio conveniens esset, s i anima sensitiva esset res subsistens, habens per se esse et operationem. Sic enim, sicut per se haberet esse et operationem, ila per se deberetur ei fieri. Et cum res simplex et subsi­ stens non possit fieri nisi per creationem, sequeretur quod anima sensitiva procederet in esse per creationem. Sed ista radix est falsa, scilicet quod anima sensitiva per se habeat esse et operationem, ut ex superioribus [q. 75 a. 3] patet, non enim corrumperetur, corrupto corpore. Et ideo, cum non sit forma subsi­ stens, habet se in essendo ad modum aliarum formarum corporalium, quibus per se non debetur esse, sed esse dicuntur inquantum composita subsistentia per eas sunt. Unde et ipsis compositis debetur fieri. Et quia gene­ rans est simile generato, necesse est quod naturaliter tam anima sensitiva, quam aliae huiusmodi formae, producantur in esse ab ali­ quibus corporalibus agentibus transmutanti­ bus materiam de potentia in actum, per ali­ quam virtutem corpoream quae est i n eis. Quanto autem aliquod agens est potentius, tanto potest suam actionem diffundere ad magis distans, sicut quanto aliquod corpus est magis calidum, tanto ad remotius calefactio­ nem producit. Corpora igitur non viventia, quae sunt inferiora naturae ordine, generant quidem sibi simile, non per aliquod medium, sed per seipsa; sicut ignis per seipsum generat

Q. 1 1 8, A. l

rante col generato, del producente col prodot­ to. E ugualmente impossibile è la seconda, poiché, come fu dimostrato, in un animale non vi è che un unico principio fonnale, cioè l'unica sua anima. - D'altra parte è impossi­ bile che non abbia a perdurare: perché allora si avrebbe un agente che agisce per distrugge­ re se stesso, il che è assurdo. Quindi l'anima sensitiva non può essere causata dal seme. In contrario: la virtù che è nel seme sta agli animali generati dal seme come la virtù che si trova negli elementi sta agli animali prodotti dagli elementi, quali sono quelli originati dalla putrefazione. Ma le anime di questi animali sono prodotte dalle virtù che sono negli elemen­ ti, come si arguisce dalle parole di Gen: Pro­ ducano le acque animali viventi striscianti. Quindi anche le anime degli animali generati dal seme sono prodotte dalla virtù che è nel seme. Risposta: alcuni pensarono che le anime sen­ sitive degli animali siano create da Dio. E questa opinione potrebbe essere accettata se l'anima sensitiva fosse una realtà sussistente, dotata di esistenza e di attività autonome. In tal caso infatti, avendo esistenza e operazioni di per sé, dovrebbe anche essere prodotta di per sé. E poiché una realtà semplice e sussi­ stente non potrebbe essere prodotta altro che per creazione, si dovrebbe concludere che l'anima sensitiva viene ali' esistenza per crea­ zione. Tuttavia questo presupposto, che cioè l'anima sensitiva abbia un'esistenza e un agi­ re autonomi, è falso, come è evidente da quanto si disse in precedenza: se infatti così fosse, essa non dovrebbe perire con la distru­ zione del corpo. Non essendo dunque una forma sussistente, essa si comporta nell'esi­ stere alla maniera delle altre forme corporee, alle quali non compete un'esistenza autono­ ma, ma che vengono dette esistere solo in quanto, per mezzo di esse, esistono i compo­ sti sussistenti. Quindi anche il divenire com­ pete solo a tali composti. E poiché il generan­ te è simile al generato, è necessario che tanto l'anima sensitiva quanto le altre forme affini ricevano naturalmente l'esistenza da agenti corporei atti a mutare la materia dalla potenza all'atto, mediante una virtù corporea esistente in essi. Ora, quanto più un agente è forte, tanto più largo è il suo raggio d'azione: come quanto più un corpo è caldo, tanto più lontano spinge il suo calore. I corpi non viventi dun-

Q. 1 1 8, A. l

La propagazione del genere umano rispetto aLI 'anima

ignem. Sed corpora viventia, tanquam poten­ tiora, agunt ad generandum sibi simile et sine medio, et per medium. Sine medio quidem, in opere nutlitionis, in quo caro generat camem, cum medio vero, in actu generationis, quia ex anima generantis derivatur quaedam virtus activa ad ipsum semen animalis vel plantae, sicut et a principali agente derivatur quaedam vis motiva ad instrumentum. Et sicut non refert dicere quod aliquid moveatur ab instru­ mento, vel a principali agente; ita non refert dicere quod anima generati causetur ab anima generantis, vel a virtute derivata ab ipsa, quae est in semine. Ad primum ergo dicendum quod anima sen­ sitiva non est substantia perfecta per se subsi­ stens. Et de hoc supra [q. 75 a. 3] dictum est, nec oportet hic iterare. Ad secundum dicendum quod virtus generati­ va non generat solum in virtute propria, sed in virtute totius animae, cuius est potentia. Et ideo virtus generativa plantae generat plan­ tam; virtus vero generativa animalis generat animai. Quanto enim anima fuerit perfectior, tanto virtus eius generativa ordinatur ad per­ fectiorem effectum. Ad tertium dicendum quod illa vis activa quae est in semine, ex anima generantis deri­ vata, est quasi quaedam motio ipsius animae generantis, nec est anima, aut pars animae, nisi in virtute; sicut in serra vel securi non est forma lecti, sed motio quaedam ad talem for­ mam. Et ideo non oportet quod ista vis activa habeat aliquod organum in actu; sed fundatur in ipso spiritu incluso in semine, quod est spumosum, ut attestatur eius albedo. In quo etiam spiritu est quidam calor ex virtute cae­ lestium corporum, quorum etiam virtute agentia inferiora agunt ad speciem, ut supra [q. 1 15 a. 3 ad 2] dictum est. Et quia in huius­ modi spiritu concurrit virtus animae cum vir­ tute caelesti, dicitur quod homo generat homi­ nem, et sol [Phys. 2,2, 1 1 ] . Calidum autem elementare se habet instrumentaliter ad virtu­ tem animae, sicut etiam ad virtutem nutliti­ vam, ut dicitur in 2 De an. [4,8. 1 6]. Ad quartum dicendum quod in animalibus perfectis, quae generantur ex coitu, virtus activa est in semine maris, secundum philo­ sophum in libro De generat. animai. [2,4] ; materia autem foetus est illud quod ministra­ tur a femina. In qua quidem materia statim a

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que, che occupano l'infimo grado nella natu­ ra, possono generare un effetto consimile solo direttamente, senza strumenti intermedi ; co­ me il fuoco genera direttamente dell' altro fuoco. I corpi viventi invece, avendo una maggiore potenza, possono generare sia diret­ tamente, sia servendosi di realtà intermedie. Agiscono direttamente nel processo nutritivo, in cui la carne genera altra carne; si servono invece di realtà intermedie nell'atto della ge­ nerazione: poiché l'anima del generante co­ munica una certa virtù attiva al seme dell'ani­ male o della pianta, come fa l'agente princi­ pale che imprime l'impulso allo strumento. E come l'effetto viene attribuito indifferente­ mente allo strumento e all'agente principale, così è indifferente dire che l'anima del gene­ rato è causata dall'anima del generante, o dal­ la virtù derivata da essa e racchiusa nel seme. Soluzione delle difficoltà: l . L'anima sensiti­ va non è una sostanza completa di per sé sus­ sistente. Ciò è stato già dimostrato e non è necessario ripeterlo. 2. La potenza generativa non genera solamente per virtù propria, ma in virtù di tutta l'anima, di cui è una facoltà. Quindi la potenza generativa di una pianta genera una pianta e quella di un animale un animale. Quanto più infatti l'anima è perfetta, tanto più la sua virtù generativa è ordinata a un effetto di maggiore perfezione. 3. La potenza attiva racchiusa nel seme e che proviene dali' anima del generante è come un impulso dell'anima stessa del generante, ma non è attualmente l'anima, né una sua parte: allo stesso modo in cui nella sega o nell'ascia non vi è attualmente la forma del letto, ma l'impulso a tale forma. Quindi non è necessa­ rio che tale potenza attiva abbia un determina­ to organo in atto, ma essa è racchiusa nello spirito vitale incluso nel seme, il quale è ap­ punto spumoso, come attesta la sua bianchez­ za. E in tale spirito è contenuto pure un certo calore derivato dalla virtù dei corpi celesti, poiché, come si è detto, gli agenti inferiori agiscono in ordine alla specie anche in virtù di essi. E proprio perché in tale spirito la virtù dell'anima si incontra con la virtù celeste, si suoi dire che «l'uomo è generato dall'uomo e dal sole». Invece il calore degli elementi fun­ ge da strumento rispetto alla virtù generativa dell' anima, come pure rispetto alla sua virtù nutritiva, secondo quanto insegna Aristotele.

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La propagazione del genere umano rispetto all 'anima

principio est anima vegetabilis, non quidem secundum actum secundum, sed secundum actum primum, sicut anima sensitiva est in dormientibus. Cum autem incipit attrahere alimentum, tunc iam actu operatur. Huiusmo­ di igitur materia transmutatur a virtute quae est in semine maris, quousque perducatur in actum animae sensitivae, non ita quod ipsa­ met vis quae erat in semine, fiat anima sensi­ tiva; quia sic idem esset generans et genera­ tum; et hoc magis esset simile nutritioni et augmento, quam generationi, ut philosophus dicit [De gener. 1 ,5,10]. Postquam autem per virtutem principii activi quod erat in semine, producta est anima sensitiva in generato quantum ad aliquam partem eius principalem, tunc iam illa anima sensitiva prolis incipit operari ad complementum proprii corporis, per modum nuttitionis et augmenti. Virtus autem activa quae erat in semine, esse desinit, dissoluto semine, et evanescente spiritu qui inerat. Nec hoc est inconveniens, quia vis ista non est principale agens, sed instrumentale; motio autem instrumenti cessat, effectu iam producto in esse.

Q. 1 1 8, A. l

4. Negli animali perfetti, che sono generati dal rapporto sessuale, la virtù attiva, stando a quanto insegna il Filosofo, risiede nel seme del maschio, mentre dalla femmina è sommi­ nistrata la materia del feto. Ora, in tale mate­ ria vi è subito, fin da principio, l'anima vege­ tativa, non in atto secondo, ma in atto primo, come l'anima sensitiva in chi dorme. Quando invece essa inizia ad attrarre l'alimento, allora agisce già attualmente. Tale materia dunque subisce una trasmutazione grazie alla virtù racchiusa nel seme del maschio, fino a che non raggiunge l'atto dell'anima sensitiva: non però nel senso che la virtù presente nel seme passi a diventare l'anima sensitiva, poiché in tal caso il generante e il generato verrebbero a essere la stessa cosa, e il processo avrebbe più carattere di nutrizione e di crescita che non di generazione, come osserva il Filosofo. Quan­ do però, in virtù del principio attivo del seme, si è prodotta nel generato l'anima sensi tiva quanto a una sua parte principale, allora l'ani­ ma sensitiva della prole comincia ad agire in ordine al compimento del proprio corpo, mediante gli atti della nutrizione e dello svi­ luppo. La virtù attiva del seme, poi, cessa di esistere una volta che si sia dissolto il seme e sia svanito lo spirito in esso racchiuso. E in questo fatto non vi è nulla di anormale, poi­ ché tale virtù non è un agente principale, ma strumentale, e d'altra parte la mozione dello strumento cessa quando l'effetto è già stato prodotto nell'essere. -

Articulus 2 Utrum anima intellectiva causetur ex semine Ad secundum sic proceditur. Videtur quod anima intellectiva causetur ex semine. l . Dicitur enim Gen. 46 [26], cunctae animae

quae egressae sunt de femore lacob, sexagin­ ta sex. Sed nihil egreditur de femore hominis,

nisi inquantum causatur ex semine. Ergo anima intellectiva causatur ex semine. 2. Praeterea, sicut supra [q. 76 a. 3] ostensum est, in homine est una et eadem anima secun­ dum substantiam, intellectiva, sensitiva et nu­ tritiva. Sed anima sensitiva in homine genera­ tur ex semine, sicut in aliis animalibus, unde et philosophus dicit in libro De generat. animai. [2,3], quod non simul fit animai et homo, sed

Articolo 2 L'anima intellettiva è causata dal seme? Sembra di sì. Infatti: l. In Gen è detto: Dal femore di Giacobbe uscilvno in tutto sessantasei anime. Ma nulla esce dal femore di un uomo se non in quanto è causato dal seme. Quindi l'anima intelletti­ va è causata dal seme. 2. Come si è dimostrato, nell'uomo vi è so­ stanzialmente un'unica e identica anima, che è insieme intellettiva, sensitiva e nutritiva. Ma nell' uomo l ' anima sensitiva è generata dal seme, come negli altri animali: per cui anche il Filosofo insegna che non si produce insie­ me l'animale e l'uomo, ma prima si produce l'animale con l'anima sensitiva. Quindi anche l'anima intellettiva è causata dal seme.

Q. 1 1 8, A. 2

La propagazione del genere umano rispetto aLI 'anima

prius fit animai habens animam sensitivam. Ergo et anima intellectiva causatur ex semine. 3. Praeterea, unum et idem agens, est cuius actio terminatur ad formam, et materiam, alioquin ex fonna et matelia non fieret unum simpliciter. Sed anima intellectiva est forma corporis humani, quod formatur per virtutem seminis. Ergo et anima intellectiva per vittu­ tem seminis causatur. 4. Praeterea, homo generat sibi simile secun­ dum speciem. Sed species humana constitui­ tur per animam rationalem. Ergo anima ratio­ nalis est a generante. 5. Praeterea, inconveniens est di cere quod Deus cooperetur peccantibus. Sed si animae rationales crearentur a Deo, Deus interdum cooperaretur adulteris, de quorum illicito coitu proles interdum generatur. Non ergo animae rationales creantur a Deo. Sed contra est quod dicitur in libro De ecci. dogmat. [ 1 4] , quod animae rationales non

seminantur per coitum. Respondeo dicendum quod impossibile est virtutem activam quae est in materia, extende­ re suam actionem ad producendum immate­ rialem effectum. Manifestum est autem quod principium intellectivum in homine est plinci­ pium transcendens materiam, habet enim operationem in qua non communicat corpus. Et ideo impossibile est quod virtus quae est in semine, sit productiva intellectivi principii. Similiter etiam quia virtus quae est in semine agit in virtute animae generantis, secundum quod anima generantis est actus corporis, utens ipso corpore in sua operatione. In ope­ ratione autem intellectus non communicat corpus. Unde virtus intellectivi principii, prout intellectivum est, non potest ad semen perveni­ re. Et ideo philosophus, in libro De generat. ani­ mal. [2,3], dicit, relinquitur intellectus solus de foris advenire. Similiter etiam anima intellecti­ va, cum habeat operationem sine corpore, est subsistens, ut supra [q. 75 a. 2] habitum est, et ita sibi debetur esse et fieri. Et cum sit imma­ terialis substantia, non potest causari per generationem, sed solum per creationem a Deo. Ponere ergo animam intellectivam a generante causali, nihil est aliud quam ponere eam non subsistentem; et per consequens cor­ rompi eam cum corpore. Et ideo haereticum est dicere quod anima intellectiva traducatur cum semine.

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3. Unico deve essere l'agente di quell' atto che ha di mira la forma e la materia: altrimenti dalla forma e dalla materia non risulterebbe un essere dotato di unità essenziale. Ma l'ani­ ma intellettiva è la forma del corpo umano, il quale è causato dalla virtù del seme. Quindi anche l' anima intellettiva sarà causata dalla virtù del seme. 4. L'uomo genera un suo simile secondo la specie. Ma la specie umana è costituita dall' a­ nima razionale. Quindi l'anima razionale pro­ ced� dal generante. 5 . E assurdo affermare che Dio coopera al peccato. Ma se le anime razionali fossero create da Dio, Dio coopererebbe con gli adul­ teri, dal cui illecito rapporto qualche volta nasce la prole. Quindi le anime razionali non sono create da Dio. In contrario: si legge nel De Ecclesiasticis Dogmatibus: «Le anime razionali non sono prodotte dal rapporto sessuale». Risposta: è impossibile che la virtù attiva della materia possa arrivare a produrre un effetto i mmateriale. Ora, è evidente che il plincipio intellettivo dell'uomo è un principio che tra­ scende la materia: ha infatti un'operazione indipendente dal corpo. Quindi è impossibile che la virtù del seme possa produrre il prin­ cipio intellettivo. Inoltre la virtù del seme agi­ sce in virtù dell'anima del generante in quanto questa è atto del corpo e usa il corpo nel suo agire. Ma nelle operazioni dell' intelletto il cor­ po rimane estraneo. Quindi la virtù del princi­ pio intellettivo, in quanto è intellettivo, non può influire sul seme. E per questo il Filosofo dice: «Rimane che l'intelletto solo viene dal di fuori». Infine, avendo l'anima intellettiva una sua operazione specifica indipendente dal corpo, essa è sussistente, come si è dimostrato: e così le è dovuto un esistere e un divenire au­ tonomi. Trattandosi poi di una sostanza imma­ teriale, essa non può essere causata per gene­ razione, ma solo per creazione da parte di Dio. Sostenere quindi che l ' anima i ntellettiva è causata dal generante equivale a sostenere che essa non è sussistente, e che per conse�enza si corrompe alla corruzione del corpo. E per­ ciò eretico affermare che l'anima intellettiva viene trasmessa con il seme. Soluzione delle difficoltà: l . Nel testo citato è presa per sineddoche la parte per il tutto, cioè l'anima per tutto l'uomo.

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La propagazione del genere umano rispetto all 'anima

Ad primum ergo dicendum quod in auctorita­ te illa ponitur per synecdochen pars pro toto, idest anima pro toto homine. Ad secundum dicendum quod aliqui dixerunt quod operationes v itae quae apparent i n embryone, non sunt ab anima eius, sed ab anima matris; vel a virtute formativa quae est in semine. Quorum utrumque falsum est, opera enim vitae non possunt esse a principio extrinseco, sicut sentire, nutriri et augeri. Et ideo dicendum est quod anima praeexistit in embryone a principio quidem nutritiva, post­ modum autem sensitiva, et tandem intellecti­ va. Dicunt ergo quidam quod supra animam vegetabilem quae primo inerat, supervenit alia anima, quae est sensitiva; et supra illam iterum alia, quae est intellectiva. Et sic sunt in homine tres animae, quarum una est i n potentia ad aliam. Quod supra [q. 7 6 a . 3] improbatum est. Et ideo alii dicunt quod illa eadem anima quae primo fuit vegetativa tan­ tum, postmodum, per actionem virtutis quae est i n semine, perducitur ad hoc quod fiat etiam sensitiva; et tandem perducitur ad hoc ut ipsa eadem fiat intellectiva, non quidem per virtutem activam seminis, sed per virtu­ tem superioris agentis, scilicet Dei deforis illustrantis. Et propter hoc dicit philosophus quod intellectus venit ab extrinseco. Sed hoc stare non potest. Primo quidem, quia nulla forma substantialis recipit magis et minus; sed superadditio maioris perfectionis facit aliam speciem, sicut additio unitatis faci t aliam speciem i n numeris. Non est autem possibile ut una et eadem forma numero sit diversarum specierum. Secundo, quia seque­ retur quod generatio animalis esset motus continuus, paulatim procedens de imperfecto ad perfectum; sicut accidit in alteratione. Tertio, quia sequeretur quod generatio homi­ nis aut animalis non sit generatio simpliciter, quia subiectum eius esset ens actu. Si enim a principio in materia prolis est anima vegeta­ bilis, et postmodum usque ad perfectum pau­ latim perducitur; erit semper additio perfec­ tionis sequentis sine corruptione perfectionis praecedentis. Quod est contra rationem gene­ rationis simpliciter. Quarto, quia aut id quod causatur ex actione Dei, est aliquid subsi­ stens, et ita oportet quod sit aliud per essen­ tiam a forma praeexistente, quae non erat subsistens; et sic redibit opinio ponentium

Q. l l 8, A. 2

2. Alcuni ritennero che le azioni vitali costata­ bili nell'embrione non provengano dali' anima di questo, ma dall'anima della madre, oppure dalla virtù plasmatrice del seme. - Ma le due supposizioni sono false: infatti le azioni vitali, come il sentire, il nutrirsi e il crescere, non possono provenire da un principio estrinseco. Quindi bisogna ammettere che nell'embrione preesiste già l'anima, prima nutritiva, poi sen­ sitiva e infine intellettiva. Altri dicono dunque che dopo l'anima vegetativa, presente fin da principio, sopraggiunge un'altra anima, cioè la sensitiva, e dopo questa un' altra ancora, cioè l ' intellettiva. E così nell'uomo vi sarebbero tre anime, di cui l'una sarebbe in potenza all'altra. - Ma anche questa posizione è stata confutata in precedenza. Quindi altri affermano che la medesima anima, che da principio era soltanto vegetativa, in seguito, per l' azione della virtù del seme, è condotta a diventare anche sensiti­ va; e infine è portata a diventare anima intel­ lettiva, non già per la virtù attiva del seme, ma per la virtù di un agente superiore, cioè di Dio, che dal di fuori verrebbe a illuminarla. E que­ sta sarebbe la ragione per cui il Filosofo affer­ ma che l ' intelletto viene dal di fuori. - Ma tutto ciò non regge. Primo, perché nessuna forma sostanziale è suscettibile di aumento e di diminuzione, ma l' aggiunta di una perfezio­ ne maggiore muta la specie, come l'aggiunta di un'unità muta la specie del numero. Ora, non è possibile che un ' unica e medesima forma appartenga a specie diverse. - Secondo, perché ne seguirebbe che la generazione ani­ male sarebbe un moto continuo, procedente da ciò che è imperfetto a ciò che è perfetto, come accade nell' alterazione. - Terzo, perché la generazione dell' uomo o dell'animale non sarebbe più una generazione in senso stretto, dato che il loro soggetto sarebbe già in atto. Ammesso infatti che nella materia della prole vi sia fin da principio l'anima vegetativa, e che poi a poco a poco questa venga portata a uno stato più perfetto, si avrebbe sempre l' ag­ giunta di una perfezione seguente senza la distruzione della precedente. E ciò è contro il concetto di generazione in senso stretto. Quarto, perché ciò che verrebbe causato da Dio o è qualcosa di sussistente, e allora do­ vrebbe essere essenzialmente diverso dalla forma preesistente, che non ha sussistenza, e si ricadrebbe nell'opinione di coloro che ammet-

Q. 1 1 8, A. 2

La propagazione del genere umano rispetto aLI 'anima

plures animas in corpore. Aut non est aliquid subsistens, sed quaedam perfectio animae praeexistentis, et sic ex necessitate sequitur quod anima intellectiva corrumpatur, corrup­ to corpore; quod est impossibile. Est autem et alius modus dicendi, secundum eos qui ponunt unum intellectum in omnibus. Quod supra [q. 76 a. 3] improbatum est. Et ideo dicendum est quod, cum generatio unius semper sit corruptio altetius, necesse est di­ cere quod tam in homine quam in animalibus aliis, quando perfectior forma advenit, fit cor­ ruptio prioris, ita tamen quod sequens forma habet quidquid habebat pri ma, et adhuc amplius. Et sic per multas generationes et corruptiones pervenitur ad ultimam formam substantialem, tam in homine quam in aliis animalibus. Et hoc ad sensum apparet in ani­ malibus ex putrefactione generatis. Sic igitur dicendum est quod anima intellectiva creatur a Deo i n tine generationis humanae, quae simul est et sensitiva et nutritiva, corruptis formis praeexistentibus. Ad tertium dicendum quod ratio illa locum habet in diversis agentibus non ordinatis ad invicem. Sed si sint multa agentia ordinata, nihil prohibet virtutem supetiotis agentis per­ tingere ad ultimam formam; virtutes autem inferiorum agentium pertingere solum ad ali­ quam materiae dispositionem; sicut virtus seminis disponit matetiam, virtus autem ani­ mae dat formam, in generatione animalis. Manifestum est autem ex praemissis [q. 1 05 a. 5; q. 1 1 0 a. l ] quod tota natura corporalis agit ut instrumentum spiritualis virtutis; et praecipue Dei. Et ideo nihil prohibet quin for­ marlo corporis sit ab aliqua virtute corporali, anima autem intellectiva sit a solo Deo. Ad quartum dicendum quod homo generat sibi simile, inquantum per virtutem seminis eius disponitur materia ad susceptionem talis formae. Ad quintum dicendum quod in actione adul­ terorum, illud quod est naturae, bonum est, et huic cooperatur Deus. Quod vero est inordi­ natae voluptatis, malum est, et huic Deus non cooperanrr.

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tono una pluralità di anime nel corpo; o non sarebbe qualcosa di sussistente, ma un certo perfezionamento dell ' anima preesistente: e allora I' anima intellettiva verrebbe a subire la corruzione del corpo, il che è inammissibile. Vi sarebbe poi anche un altro punto di vista, quello, cioè, di coloro che ammettono un solo intelletto per tutti gli uomini, ma esso è stato già confutato sopra. Dobbiamo perciò conclu­ dere che tanto nell' uomo quanto negli altri animali, al sopraggiungere della forma più perfetta si opera la corruzione della forma pre­ cedente, poiché la generazione di una cosa implica sempre la corruzione di un' altra: i n modo però che l a forma seguente abbia tutte le perfezioni della precedente, e qualcosa in più. E così, attraverso varie generazioni e conuzio­ ni, si giunge all 'ultima forma sostanziale, tanto nell'uomo quanto negli altri animali. E ciò appare anche sensibilmente negli animali generati dalla putrefazione. Quindi bisogna affermare che l'anima intellettiva è creata da Dio al termine della generazione umana, con la scomparsa delle forme preesistenti, e che essa è insieme sensitiva e nutritiva. 3. L' argomento vale per agenti diversi non or­ dinati tra loro. Se però i vari agenti sono ordi­ nati tra loro, nulla impedisce che la virtù del­ l'agente superiore giunga fino all' ultima for­ ma, mentre la virtù degli agenti inferiori rag­ giunge solo una certa disposizione della mate­ ria: come nella generazione dell'animale la virtù del seme dispone la ma�ria, mentre la virtù dell'anima dà la forma. E chiaro poi, da quanto si è detto in precedenza, che tutta la natura corporea agisce come strumento delle potenze spirituali, e specialmente di Dio. Quindi nulla impedisce che la formazione del corpo dipenda da una potenza corporea, e l'a­ nima intellettiva sia invece prodotta soltanto da Dio. 4. L'uomo genera un suo simile per il fatto che la virtù del suo seme dispone la materia alla ricezione di tale forma. 5 . Nell' operato degli adulteri quanto viene dalla natura è buono: e a ciò Dio coopera. Quanto invece è effetto del piacere disordina­ to è cattivo: e a ciò Dio non coopera.

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La propagazione del genere umano rispetto all 'anima

Q. 1 1 8, A. 3

Articulus 3

Articolo 3

Utrum animae humanae fuerint creatae simul a principio mundi

Le anime umane sono state create tutte insieme fin dal principio del mondo?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ani­ mae humanae fuerint creatae simul a princi­ pio mundi. l . Dicitur enim Geo. 2 [2], requievit Deus ab omni opere quod pafl·arat. Hoc autem non esset, si quotidie novas animas crearet. Ergo omnes animae sunt simul creatae. 2. Praeterea, ad perfectionem universi maxi­ me pertinent substantiae spirituales. Si igitur animae simul crearentur cum corporibus, quotidie innumerabiles spitituales substantiae perfectioni universi adderentur, et sic univer­ sum a principio fuisset imperfectum. Quod est contra illud quod dicitur Geo. 2 [2], Deum

omne opus suum complesse. 3. Praeterea, finis rei respondet eius ptincipio. Sed anima intellectiva remanet, destructo cor­ pore. Ergo incoepit esse ante corpus. Sed contra est quod dicitur in libro De ecci. dogmat. [ 1 4. 1 8] , quod simul anima creatur

cum cmpore. Respondeo dicendum quod quidam [Otige­ nes, De princ. l ,6.8] posuerunt quod animae intellectivae accidat uniri corpori, ponentes eam esse eiusdem conditionis cum substan­ tiis spiritualibus quae corpori non uniuntur. Et ideo posuerunt animas hominum simul a principio cum angelis creatas. Sed haec opi­ n i o falsa est. Primo quidem, quantum ad radicem. Si enim accidentaliter conveniret animae corpori uniri, sequeretur quod homo, qui ex ista unione constituitur, esset ens per accidens; vel quod anima esset homo, quod falsum est, ut supra [q. 75 a. 4] ostensum est. Quod etiam anima humana non sit eiusdem naturae cum angelis, ipse diversus modus in­ telligendi ostendit, ut supra [q. 55 a. 2; q. 85 a. l ] ostensum est, homo enim intelligit a sensibus accipiendo, et convertendo se ad phantasmata, ut supra [q. 84 aa. 6-7; q. 85 a. l ] ostensum est. Et ideo indiget uniri cor­ pori, quo indiget ad operationem sensitivae partis. Quod de angelo dici non potest. Secundo apparet falsitas in ipsa positione. Si enim animae naturale est cm-poti uniti, esse sine corpore est sibi contra naturam, et sine corpore existens non habet suae naturae per­ fectionem. Non fuit autem conveniens u t

Sembra di sì. Infatti: l. In Gen è detto: Dio

si riposò da tutto il

Ma ciò non sarebbe vero se ogni giorno creasse nuove anime. Quindi le anime furono create tutte insieme. 2. Alla petfezione dell'universo concorrono specialmente le sostanze spitituali. Ma se le anime fossero create assieme ai corpi, alla perfezione dell'universo sarebbero aggiunte ogni giorno innumerevoli sostanze spitituali, e così l' universo da ptincipio sarebbe stato imperfetto. Il che contraddice il passo di Gen:

lavoro che aveva fatto.

Dio portò a compimento tutte le sue opere. 3. La fine di una cosa corrisponde al suo prin­ cipio. Ma l'anima intellettiva rimane dopo la distruzione del corpo. Quindi essa cominciò a esistere prima del corpo. In contrario: nel De Ecclesiasticis Dogmati­ bus è detto: «L'anima è creata insieme con il corpo». Risposta: alcuni dissero che l ' unione con i l corpo è u n fatto accidentale pe r I' anima intel­ lettiva, mettendo questa alla pari delle sostanze spitituali che non si uniscono ai corpi. Quindi affermarono che le anime degli uomini furono create da principio insieme con gli angeli. Ma questa opinione è falsa. Prima di tutto nei suoi presupposti. Se infatti l' unione con il corpo fosse per l'anima un fatto accidentale, seguireb­ be che l'uomo, il quale è costituito proprio da questa unione, sarebbe un ente accidentale [per accidens] ; oppure che l ' anima sarebbe tutto l'uomo, il che è falso, come fu già dimostrato. Che poi l'anima umana non sia della stessa natura degli angeli lo dimostra lo stesso loro modo diverso di conoscere, come si è detto so­ pra: l ' uomo infatti conosce con dipendenza oggettiva dai sensi e volgendosi ai fantasmi, come fu spiegato. E per questo l'anima ha biso­ gno di unirsi al corpo, che le è indispensabile per l'attività della parte sensitiva. n che non può dirsi dell'angelo. In secondo luogo l'opinione è falsa in se stessa. Se è vero infatti che è naturale per l'anima l' unione con il corpo, lo stare senza il corpo è per essa contro natura, ed esistendo senza il corpo essa non ha la perfezione della sua natura. Ora, non è ragionevole pensare che Dio abbia cominciato la sua opera partendo da

Q. 1 1 8, A. 3

La propagazione del genere umano rispetto aLI 'anima

Deus ab imperfectis suum opus inchoaret, et ab his quae sunt praeter naturam, non enim fecit hominem sine manu aut sine pede, quae sunt partes naturales hominis. Multo igitur minus fecit animam sine corpore. Si vero ali­ quis dicat quod non est naturale animae cor­ pori uniri, oportet inquirere causam quare sint corporibus unitae. Oportet autem dicere quod aut hoc sit factum ex eius voluntate; aut ex alia causa. Si ex eius voluntate, videtur hoc esse inconveniens. Primo quidem, quia haec voluntas irrationabilis esset, si non indi­ geret corpore, et vellet ei uniri, si enim eo indigeret, naturale esset ei quod corpori uni­ retur, quia natura non deficit in necessariis [De an. 3,9] . Secundo, quia nulla ratio esset quare animae a principio mundi creatae, post tot tempora voluntas accesserit ut nunc cor­ pori uniatur. Est enim substantia spiritualis supra tempus, utpote revolutiones caeli exce­ dens. Tertio quia videretur a casu esse quod haec anima huic corpori uniretur, cum ad hoc requiratur concursus duarum voluntatum, scilicet animae advenientis, et hominis gene­ rantis. Si autem praeter voluntatem ipsius corpori unitur, et praeter eius naturam; opor­ tet quod hoc sit ex causa violentiam inferen­ te, et sic erit ei poenale et triste. Quod est secundum errorem Origenis, qui posuit ani­ mas incorporari propter poenam peccati. Un­ de cum haec omnia sint inconvenientia, sim­ pliciter contitendum est quod animae non sunt creatae ante corpora, sed simul creantur cum corporibus infunduntur. Ad primum ergo dicendum quod Deus dicitur cessasse die septimo, non quidem ab omni opere, cum dicatur Ioan. 5 [ 1 7], Pater meus usque modo operatur; sed a novis rerum generibus et speciebus condendis, quae in operibus primis non aliquo modo praeextite­ rint. Sic enim animae quae nunc creantur, praeextiterunt secundum similitudinem spe­ ciei in primis operibus, in quibus anima Adae creata fuit. Ad secundum dicendum quod perfectioni universi, quantum ad numerum individuorum, quotidie potest addi aliquid, non autem quan­ tum ad numerum specierum. Ad tertium dicendum quod hoc quod anima remanet sine corpore, contingit per corporis corruptionem, quae consecuta est ex peccato. Unde non fuit conveniens quod ab hoc incipe-

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esseri imperfetti e da realtà contro natura: egli infatti non fece l'uomo senza le mani e senza i piedi, che sono parti naturali dell'uomo. Molto meno dunque ha fatto l'anima senza il corpo. Se poi qualcuno volesse sostenere che non è naturale per l'anima l'unione con il corpo, biso­ gnerà trovare allora una ragione che giustifichi questa unione. E bisognerà dire che ciò avviene o per volontà dell'anima, o per un'altra causa. Ma se avviene per volontà dell'anima, le incon­ gruenze sono evidenti . Primo, perché tale volontà sarebbe irragionevole, qualora l'anima non avesse bisogno del corpo e tuttavia volesse unirsi con esso: se infatti ne avesse bisogno, l'unione con il corpo sarebbe per essa un'esi­ genza di natura, dato che «la natura non viene meno nelle cose necessarie». Secondo, perché non si può trovare alcuna ragione che spieghi come mai un'anima, creata fin dal principio del mondo, si decida solo adesso a unirsi col corpo, dopo tanto tempo. Infatti una sostanza spirituale è posta al di sopra del tempo, in quanto trascen­ de il moto delle sfere celesti . Terzo, perché l ' anima verrebbe a unirsi per puro caso con questo determinato corpo: infatti si richiedereb­ be l ' incontro di due volontà, e cioè della volontà dell'anima che sopraggiunge e dell'uo­ mo generante. - Se invece l'anima viene unita al corpo senza la sua volontà e contro la sua natura, ciò dovrà dipendere da una causa che vuole infliggere una violenza, e quindi l'unione sarebbe per l'anima una pena e un motivo di tri­ stezza. E ciò corrisponde all'errore di Origene, il quale riteneva che le anime umane entrano nei corpi in pena di un loro peccato. Essendo quindi tutte queste posizioni insostenibili, biso­ gna senz'altro affermare che le anime non furo­ no create prima dei corpi, ma sono create nel momento in cui vengono infuse nei corpi. Soluzione delle difficoltà: l . Sta scritto che Dio cessò di operare il giorno settimo non nel senso che abbia terminato qualsiasi attività, poiché in Gv è detto: Il Padre mio opera sem­ pre, ma nel senso che cessò dal creare nuovi generi e nuove specie di esseri che in nessun modo preesistevano nelle prime opere. Ora, le anime che vengono create adesso pree­ si stevano secondo la somiglianza specifica nelle prime opere, tra le quali si trova la crea­ zione dell'anima di Adamo. 2. Alla perfezione dell'universo può essere aggiunto qualcosa ogni giorno quanto al nu-

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La propagazione del genere umano rispetto all 'anima

rent Dei opera, quia, sicut scriptum est Sap. l

[ 1 3- 1 6], Deus mortem non fecit, sed impii manibus et verbis accersierunt eam.

Q. 1 1 8, A. 3

mero degli individui, non però quanto al nu­ mero delle specie. 3. L'anima rimane priva del corpo a motivo della conuzione del corpo, che è una conse­ guenza del peccato. Quindi non era conve­ niente che Dio iniziasse così la sua opera: infatti sta scritto in Sap: Dio non ha creato la

morte, ma gli empi invocano su di sé la morte con gesti e con parole. QUAESTIO

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QUESTIONE

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DE PROPAGATIONE HOMINIS QUANTUM AD CORPUS

LA PROPAGAZIONE DEL GENERE UMANO RISPETTO AL CORPO

Deinde considerandum est de propagatione hominis quantum ad corpus. Et circa hoc quaeruntur duo. Primo, utrum aliquid de ali­ mento convertatur in veritatem humanae na­ turae. Secundo, utrum semen, quod est huma­ nae generationis principium, sit de superfluo alimenti.

Resta da considerare, da ultimo, la propa­ gazione del genere umano rispetto al corpo. Discuteremo in proposito due quesiti: l . Una parte dell'alimento si trasforma nel vero es­ sere dell'uomo? 2. n seme, che è il principio della generazione umana, proviene dal super­ fluo dell'alimento?

Articulus l Utrum aliquid de alimento convertatur in veritatem humanae naturae

Una parte dell'alimento si trasforma nel vero essere della natura umana?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod nihil de ali mento transeat in veritatem humanae naturae. l . Dicitur enim Matth. 1 5 [ 17], omne quod in

os intrat, in ventrem vadit, et per secessum emittitur. Sed quod emittitur, non transit in veritatem humanae naturae. Ergo nihil de ali­ mento in veritatem humanae naturae transit. 2. Praeterea, philosophus, in l De generat. [5,14], distinguit camem secundum speciem, et secundum materiam; et dicit quod caro secun­ dum materiam advenit et recedit. Quod autem ex alimento generatur, advenit et recedit. Ergo id in quod alimentum convertitur, est caro secundum materiam, non autem caro secun­ dum speciem. Sed hoc pertinet ad veritatem humanae naturae, quod pertinet ad speciem eius. Ergo alimentum non transit in veritatem humanae naturae. 3. Praeterea, ad veritatem humanae naturae pertinere videtur humidum radicale; quod si deperdatur, restituì non potest, ut medici di­ cunt. Posset autem restituì, si alimentum con­ verteretur in ipsum humidum. Ergo nutrimen-

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Sembra di no. Infatti: l . In Mt è detto: Ogni

cosa che entra nella bocca passa nel ventre e di là viene espulsa. Ma ciò che viene espulso non passa nel vero essere dell ' uomo. Quindi l ' al i mento non passa nel vero essere dell'uomo. 2. n Filosofo distingue tra la carne secondo la specie e la carne secondo la materia; e dice che la carne secondo la materia «viene e va via». Ora, ciò che è generato dall' alimento viene e va via. Quindi l' alimento si trasforma nella carne secondo la materia e non nella carne secondo la specie. Ma al vero essere dell'uomo appartengono gli elementi propri della specie. Quindi l' alimento non passa nel vero essere dell'uomo. 3. Al vero essere dell'uomo sembra apparte­ nere evidentemente l'umido radicale il quale, come affermano i medici, non può essere ricuperato quando si è perduto. Potrebbe invece essere ricuperato se il nutrimento si trasformasse in tale umido. Quindi il nutri­ mento non passa nel vero essere dell a natura umana.

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La propagazione del genere umano rispetto al corpo

tum non convertitur in veritatem humanae naturae. 4. Praeterea, si alimentum transiret in verita­ tem humanae naturae, quidquid in homine deperditur, restaurari posset. Sed mors homi­ nis non accidit nisi per deperditionem ali­ cuius. Posset igitur homo per sumptionem ali­ menti in perpetuum se contra mortem tueri. 5. Praeterea, si alimentum in veritatem huma­ nae naturae transiret, nihil esset in homine quod non posset recedere et reparari, quia id quod in homine generatur ex alimento, et recedere et reparari potest. Si ergo homo diu viveret, sequeretur quod nihil quod in eo fuit materialiter in principio suae generationis, finaliter remaneret in ipso. Et sic non esset idem homo numero per totam vitam suam, cum ad hoc quod aliquid sit idem numero, requiratur identitas materiae. Hoc autem est inconveniens. Non ergo alimentum transit in veritatem humanae naturae. Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro De vera rel. [40], alimenta carnis corrupta,

idest amittentia fonnam suam, in membrorum fabricam migrant. Sed fabrica membrorum pertinet ad veritatem humanae naturae. Ergo alimenta transeunt i n veritatem humanae naturae. Respondeo dicendum quod, secundum philo­ sophum, 2 Met. [ 1 , 1 ,5], hoc modo se habet

unumquodque ad veritatem, sicut se habet ad esse. lllud ergo pertinet ad veritatem naturae alicuius, quod est de constitutione naturae ipsius. Sed natura dupliciter considerari potest, uno modo, in communi, secundum rationem speciei; alio modo, secundum quod est in hoc individuo. Ad veritatem igitur naturae alicuius in communi consideratae, pertinet forma et materia eius in communi accepta, ad ve­ ritatem autem naturae in hoc particulari consi­ deratae, pertinet materia individualis signata, et forma per huiusmodi materiam individuata. Sicut de veritate humanae naturae in commu­ ni, est anima humana et corpus, sed de verita­ te humanae naturae in Petro et Martino, est haec anima et hoc corpus. Sunt autem quae­ dam, quorum formae non possunt salvari nisi in una materia signata, sicut forma solis non potest salvari nisi in materia quae actu sub ea continetur. Et secundum hunc modum, aliqui posuemnt quod forma humana non potest sal­ vari nisi in materia quadam signata, quae selli-

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4. Se l'alimento passasse a far parte del vero essere dell'uomo, tutto ciò che nell'uomo si logora potrebbe essere riparato. Ma la morte dell' uomo dipende unicamente dal logoramen­ to di qualcosa. Quindi l'uomo col nutrimento potrebbe difendersi perpetuamente dalla morte. 5 . Se l' alimento passasse a far parte del vero essere dell'uomo, non vi sarebbe nulla nel­ l'uomo che non possa essere perduto e quindi riparato: poiché quanto nell'uomo è generato dall'alimento può essere perduto e riparato. Se dunque un uomo vivesse a lungo, alla fine non si troverebbe in lui nulla di ciò che egli posse­ deva materialmente al principio della sua ge­ nerazione. E così non sarebbe numericamente lo stesso uomo nel corso della sua vita, perché a ciò è richiesta l'identità della materia. Ma ciò è inammissibile. Quindi l 'alimento non si trasforma nel vero essere dell'uomo. In contrario: Agostino dice: «Gli alimenti del corpo, disfacendosi, cioè perdendo le loro forme, passano nella struttura delle membra». Ma la struttura delle membra appartiene al vero essere dell'uomo. Quindi l ' alimento si trasforma nel vero essere dell'uomo. Risposta: secondo il Filosofo, «ogni cosa sta alla verità come sta all'essere». Quindi appar­ tiene al vero essere di una cosa ciò che entra nella costituzione della sua natura. Ma la natu­ ra può essere consi derata in due modi : i n universale, nella sua nozione d i specie, e i n particolare, nel singolo individuo. A l vero essere di una natura considerata nella sua universalità appartengono dunque la sua for­ ma e la sua materia prese in astratto, mentre al vero essere di una natura considerata in questo particolare individuo appartengono la materia [concreta] individuale e la forma individuata da tale materia: come il vero essere della na­ tura umana in universale richiede l ' anima umana e il corpo, mentre i l vero essere del­ l'uomo considerato, p. es., in Pietro e in Marti­ no, esige quest'anima e questo corpo. Vi sono però alcuni esseri le cui forme non possono sussistere che in una sola materia determinata: come la forma del sole non può trovarsi che in quella materia che attualmente informa. Ora, alcuni hanno affermato in modo analogo che la forma umana non può salvarsi se non in una data materia, e precisamente in quella materia che fu da principio attuata da tale forma nel primo uomo. Di modo che tutto ciò che viene

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La propagazione del genere umano rispetto al corpo

cet a principio fuit tali forma formata in primo homine. lta quod quidquid aliud praeter illud quod ex primo parente in posteros derivatur, additum fuerit, non pertinet ad veritatem hu­ manae naturae, quasi non vere accipiat for­ mam humanae naturae. Sed illa materia quae in primo homine fotmae humanae fuit subiec­ ta, in seipsa multiplicatur, et hoc modo multi­ tudo humanorum corporum a corpore primi hominis derivatur. Et secundum hos, alimen­ tum non convertitur in veritatem humanae naturae, sed dicunt quod alimentum accipitur ut quoddam fomentum naturae, idest ut resi­ stat actioni caloris naturalis, ne consumat humidum radicale; sicut plumbum vel stan­ num adiungitur argento, ne consumatur per ignem. Sed haec positio est multipliciter irra­ tionabilis. Primo quidem, quia eiusdem ratio­ nis est quod aliqua forma possit fieri in alia materia, et quod possit propriam materiam deserere, et ideo omnia generabilia sunt cor­ ruptibilia, et e converso. Manifestum est au­ tem quod forma humana potest deficere ab hac materia quae ei subiicitur, alioquin corpus humanum corruptibile non esset. Unde relin­ quitur quod et alii materiae advenire possit, aliquo alio in veritatem humanae naturae transeunte. Secundo, quia in omnibus quorum materia invenitur tota sub uno individuo, non est nisi unum individuum in una specie, sicut patet in sole et luna, et huiusmodi. Sic igitur non esset nisi unum individuum humanae speciei. Tertio, quia non est possibile quod multiplicatio materiae attendatur nisi vel se­ cundum quantitatem tantum, sicut accidit in rarefactis, quorum materia suscipit maiores dimensiones; vel etiam secundum substan­ tiam materiae. Sola autem eadem substantia materiae manente, non potest dici quod sit multiplicata, quia idem ad seipsum non con­ stituit multitudinem, cum necesse sit omnem multitudinem ex aliqua divisione causari. Unde oportet quod aliqua alia substantia materiae adveniat, vel per creationem, vel per conversionem alterius in ipsam. Unde relin­ quitur quod non potest aliqua materia multi­ plicari, nisi vel per rarefactionem, sicut cum ex aqua fit aer; vel per conversionem alterius rei, sicut multiplicatur ignis per additionem lignorum; vel per creationem materiae. Sed manifestum est multiplicationem materiae i n humanis corporibus non accidere per rarefac-

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aggiunto dai posteri a quanto essi derivano da Adamo non entrerebbe a far parte del vero essere umano, perché non acquisterebbe la vera forma della natura umana. S i avrebbe invece l'aumento autonomo di quella materia che nel primo uomo fu soggetta alla forma umana: e in questo modo si spiegherebbe il moltiplicarsi dei corpi umani dal corpo del primo uomo. Quindi, secondo costoro, l ' ali­ mento non si convertirebbe nel vero essere dell'uomo, ma esso verrebbe preso come un certo combustibile della natura, per resistere cioè all' azione del calore naturale, che consu­ ma l' umido radicale: come all'argento si ag­ giunge il piombo o lo stagno per non farlo consumare dal fuoco. Ma questa tesi è irragio­ nevole per molti motivi. Primo, perché per una forma la possibilità di passare in un' altra materia corrisponde alla possibilità di abban­ donare la materia che attualmente informa: per cui tutti gli esseti generabili sono corrutti­ bili, e viceversa. Ora, è evidente che la forma umana può abbandonare la materia particolare in cui si trova: in caso contrario il corpo uma­ no non sarebbe corruttibile. Quindi è pure pos­ sibile che essa passi a informare un'altra mate­ ria, e che qualcosa di estrinseco passi a far parte del vero essere dell'uomo. - Secondo, perché in tutti gli esseri corporei la cui materia è posseduta tutta da un solo individuo, non esiste che un solo individuo per ogni specie: come è evidente per il sole, per la luna e per altri esseri consimili. Quindi, ammessa tale tesi, anche nella specie umana non ci sarebbe che un solo individuo. - Terzo, perché non è possibile che l'aumento della materia si com­ pia al di fuori di questi due modi: o secondo la sola quantità, come avviene nei corpi soggetti a rarefarsi, che crescono e diminuiscono di vo­ lume, o anche secondo la sostanza della mate­ ria. Ma se l 'identica sostanza della materia rimane sola, non si può affermare che essa si sia moltiplicata: infatti nessuna cosa, tinché re­ sta identica a se stessa, può costituire una plu­ ralità, poiché ogni pluralità dipende necessa­ riamente da una divisione. Quindi è necessario che sopraggiunga dall'esterno dell'altra mate­ ria, o per creazione o per trasformazione di altre cose. Quindi, in definitiva, una materia non si può moltiplicare che in tre modi: o per rarefazione, come quando dall' acqua si produ­ ce i l vapore; o per trasformazione di altre

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tionem, quia sic corpora hominum perfectae aetatis essent i mperfectiora quam corpora puerorum. Nec iterum per creationem novae materiae, quia secundum Gregorium [Mor.

32, 1 2], omnia sunt simul creata secundum substantiam materiae, licet non secundum speciem formae. Unde relinquitur quod multi­ plicatio corporis humani non fit nisi per hoc, quod alimentum convertitur in veritatem hu­ mani corporis. Quatto, quia cum homo non differat ab animalibus et plantis secundum animam vegetabilem, sequeretur quod etiam corpora animalium et plantarum non multipli­ carentur per conversionem alimenti in corpus nutritum, sed per quandam multiplicationem. Quae non potest esse naturalis, cum materia secundum naturam non extendatur nisi usque ad certam quantitatem; nec iterum inveniatur aliquid naturaliter crescere, nisi per rarefactio­ nem, vel conversionem alterius in ipsum. Et sic totum opus generativae et nutritivae, quae dicuntur vires naturales, esset miraculosum. Quod est omnino inconveniens. Unde alii dixerunt quod forma humana potest quidem fieri de novo in aliqua alia materia, si conside­ retur natura humana in communi, non autem si accipiatur prout est in hoc individuo, in quo forma humana fixa manet in quadam materia determinata, cui ptimo imptimitur in genera­ tione huius individui, ita quod illam materiam nunquam deserit usque ad ultimam individui corruptionem. Et hanc materiam dicunt prin­ cipaliter pertinere ad veritatem humanae natu­ rae. Sed quia huiusmodi materia non sufficit ad quantitatem debitam, requiritur ut adveniat alia materia per conversionem alimenti in sub­ stantiam nutriti, quantum sufficiat ad debitum augmentum. Et hanc materiam dicunt secun­ dario pertinere ad veritatem humanae naturae, quia non requiritur ad primum esse individui, sed ad quantitatem eius. Iam vero si quid aliud advenit ex alimento, non pertinet ad veritatem humanae naturae, proprie loquendo. Sed hoc etiam est inconveniens. Primo quidem, quia haec opi nio iudicat de materia corporum viventium, ad modum corporum inanimato­ rum; in quibus etsi sit virtus ad generandum simile in specie, non tamen est virtus in eis ad generandum aliquid sibi simile secundum individuum; quae quidem virtus in cotporibus viventibus est virtus nutritiva. Nihil ergo per virtutem nutritivam adderetur corporibus vi-

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sostanze, come il fuoco si propaga con l' ag­ giunta della legna; o per creazione di nuova materia. Ora, è evidente che l'aumento della materia nei corpi umani non avviene per rare­ fazione: perché altrimenti i corpi degli uomini di età perfetta sarebbero più imperfetti dei cor­ pi dei bambini. E neppure avviene per crea­ zione di nuova materia: poiché, come insegna Gregorio: «Tutte le cose furono create insieme quanto alla sostanza della materia, sebbene non quanto alla specie delle loro forme». Quindi non rimane da concludere se non che l'aumento del corpo si compie mediante la tra­ sformazione degli alimenti nella vera sostanza del corpo umano. - Quarto, perché, non essen­ dovi differenza tra l'uomo e gli animali e le piante quanto all' anima vegetativa, ne segui­ rebbe che anche i corpi degli animali e delle piante non aumenterebbero in forza della tra­ sformazione degli alimenti nel loro essere, ma per una specie di moltiplicazione. Questa però non potrebbe essere naturale: sia perché l a materia, per legge d i natura, non può estender­ si oltre una ben definita quantità, sia perché non esiste un essere corporeo che cresca se non per rarefazione o per trasformazione di altro in se stesso. E così tutte le funzioni delle facoltà generativa e nutritiva, che sono deno­ minate facoltà naturali, sarebbero miracolose. Cosa, questa, assolutamente inammissibile. Altri perciò sostengono che la forma umana può certamente passare a esistere in una nuova materia, se però la natura umana viene consi­ derata in universale; non invece se viene con­ siderata come esistente in questo individuo, nel quale la forma umana resterebbe come fis­ sata in una certa materia determinata, alla qua­ le è originariamente impressa al momento della generazione dell'individuo, in modo da non abbandonarla se non alla dissoluzione dell'individuo stesso. E questa materia dicono che apparterrebbe principalmente al vero esse­ re dell'uomo. Poiché però tale materia non basta al debito sviluppo dell'individuo, si ri­ chiederebbe l'aggiunta di altra materia, otte­ nuta mediante la conversione degli alimenti nella sostanza dell' individuo, nella misura ap­ punto necessaria al suo sviluppo. E questa ma­ teria, essi dicono, apparten-ebbe al vero essere dell' uomo solo in modo secondario: perché non sarebbe richiesta al primo essere dell'indi­ viduo, ma solo alla sua debita quantità. Che se

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ventibus, si alimentum in veritatem naturae ipsorum non converteretur. Secundo quia vir­ tus activa quae est in semine, est quaedam impressio derivata ab anima generantis, sicut supra [q. 1 1 8 a. l ] dictum est. Unde non potest esse maioris virtutis i n agendo, quam ipsa anima a qua derivatur. Si ergo ex virtute semi­ nis vere assumit aliqua materia formam natu­ rae humanae, multo magis anima in nutrimen­ tum coniunctum poterit veram formam natu­ rae humanae imprimere per potentiam nutriti­ vam. Tertio, quia nutrimento indigetur non solum ad augmentum, alioquin terminato aug­ mento necessarium non esset, sed etiam ad restaurandum illud quod deperditur per actio­ nem caloris naturalis. Non autem esset restau­ ratio, nisi id quod ex alimento generatur, suc­ cederet in locum deperditi. Unde sicut id quod primo inerat, est de veritate humanae naturae, ita et id quod ex alimento generatur. Et ideo, secundum alios, dicendum est quod alimen­ tum vere convertitur in veritatem humanae naturae, inquantum vere accipit speciem car­ nis et ossis et huiusmodi partium. Et hoc est quod dicit philosophus in 2 De an. [4, 13; De gener. l ,38], quod alimentum nutrir inquan­

tum est potentia caro. Ad primum ergo dicendum quod Dominus non dicit quod totum quod in os intrat, per secessum emittatur, sed omne, quia de quoli­ bet cibo aliquid impurum per secessum emit­ titur. Vel potest dici quod quidquid ex alimen­ to generatur, potest etiam per calorem natura­ lem resolvi, et per poros quosdam occultos emitti, ut Hieronymus exponit [In Matth. super 1 5 , 17]. Ad secundum dicendum quod aliqui per car­ nem secundum speciem intellexerunt id quod primo accipit speciem humanam, quod sumi­ tur a generante, et hoc dicunt semper manere, quousque i ndividuum durat. Carnem vero secundum materiam dicunt esse quae genera­ tur ex alimento, et hanc dicunt non semper permanere, sed quod sicut advenit, ita absce­ dit. Sed hoc est contra intentionem Aristote­ lis. Dicit enim ibi quod, sicut in unoquoque habentium speciem in materia, puta in ligno et lapide, ita et in carne hoc est secundum speciem, et illud secundwn materiam. Mani­ festum est autem quod praedicta distinctio locum non habet in rebus inanimatis, quae non generantur ex semine, nec nutriuntur.

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poi dagli alimenti derivasse qualche altra cosa, essa non apparterrebbe propriamente al vero essere dell'uomo. Ma anche questa tesi è illo­ gica. Primo, perché giudica della materia dei corpi viventi alla stregua della materia dei corpi inanimati nei quali, benché vi sia una forza atta a generare un essere specificamente simile, non vi è però una virtù capace di gene­ rare un essere ad essi consimile nella loro indi­ vidualità: virtù che invece nei corpi viventi è la potenza nutritiva. La potenza nutritiva non verrebbe dunque ad aggiungere nulla ai corpi viventi se gli alimenti non si trasformassero nel loro vero essere. - Secondo, perché la virtù attiva che risiede nel seme è una specie di impulso impresso dall' anima del generante, come si è spiegato. Ora, questa virtù non può possedere nell' azione maggiore capacità della stessa anima da cui deriva. Se quindi è possi­ bile che per la virtù del seme una materia acquisti la vera forma dell'essere umano, tanto più sarà possibile che l 'anima, con la sua po­ tenza nutritiva, imprima la vera forma dell'es­ sere umano ali' alimento col quale è a contatto. - Terzo, perché si ha bisogno dell' alimento non solo per lo sviluppo - che altrimenti, ter­ minata la fase dello sviluppo, non sarebbe più necessario -, ma anche per riparare le perdite causate dal calore naturale. Ora, non vi sareb­ be riparazione se ciò che viene generato dagli alimenti non dovesse sostituire ciò che si è perduto. Quindi, come faceva parte del vero essere umano ciò che vi era prima, così fa par­ te di esso anche ciò che viene generato dagli alimenti. Per conseguenza, stando alla sen­ tenza di altri, è necessario affermare che gli alimenti si trasformano realmente nel vero es­ sere dell'uomo, in quanto realmente acquista­ no la natura della carne, delle ossa e delle altre sue parti. E questo è quanto insegna Aristotele quando dice: , p. es. nel legno o nella pietra, «così pure nella carne si verifica che altra cosa è ciò che è secondo la specie e altra cosa ciò che è secondo la mate­ ria». Ora, è evidente che la predetta distinzio­ ne non può aver luogo negli esseri inanimati, che non hanno origine dal seme e non s i nutrono. Siccome poi ciò che viene generato dagli alimenti viene aggiunto al corpo che si nutre come l 'acqua al vino, secondo l' esem­ pio portato dal Filosofo, è impossibile che l 'essere di ciò che viene aggiunto rimanga di­ stinto dall'essere che riceve l ' aggiunta, essen­ dosi già formato un solo essere in forza di una vera composizione. Quindi non vi è alcuna ragione perché l'uno debba essere consumato dal calore naturale e l' altro debba rimanere. Perciò bisogna spiegare la cosa alttimenti, e dire che questa distinzione del Filosofo non riguarda carni diverse, ma una medesima car­ ne considerata diversamente. Se infatti la car­ ne viene considerata secondo la specie, se­ condo, cioè, quanto è formale in essa, allora è vero che essa permane sempre: poiché sem­ pre permane la natura della carne e la sua intrinseca costituzione. Se invece la carne vie­ ne considerata secondo la materia, allora non permane sempre, ma si consuma e viene ripa­ rata a poco a poco: come avviene, ad es., per il fuoco di una fornace, la cui forma permane sempre mentre la materia continuamente si consuma, e dell' altra viene a sostituirla. 3 . All'umido radicale si sogliono attribuire tutti gli elementi su cui si fonda la virtù della specie. E questi, una volta perduti, non pos­ sono più essere sostituiti: come non potreb­ bero essere più sostituiti un piede o una gam­ ba amputati. L' umido alimentare è invece quello che non è giunto ancora a possedere perfettamente la natura della specie, ma ten­ de ad essa: come sono il sangue e altre cose del genere. Per cui, anche se queste vengono perdute, la virtù della specie rimane sempre

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La propagazione del genere umano rispetto al corpo

vero aliqua materia convertitur i n ignem praeexistentem, dicitur ignis nutriri. Unde si tota materia simul amittat speciem ignis, et alia materia convertatur in ignem, erit alius ignis numero. Si vero, paulatim combusto uno ligno, aliud substituatur, et sic deinceps quousque omnia prima consumantur, semper remanet idem ignis numero, quia semper quod additur, transit in praeexistens. Et simili­ ter est intelligendum in corporibus viventibus, in quibus ex nutrimento restauratur id quod per calorem naturalem consumitur.

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nella sua radice, che non viene per questo eliminata. 4. Tutte le facoltà di un corpo passibile si indeboliscono con la continua attività, essen­ do agenti soggetti anch'essi alla passibilità. Quindi la facoltà di assimilazione da principio è tanto forte da essere capace di assimilare non solo quanto basta a riparare le perdite, ma anche quanto serve allo sviluppo. In seguito, invece, riesce ad assimilare solo quanto serve a riparare le perdite: e allora lo sviluppo ces­ sa. Poi non arriva più neppure a questo: e allora ha inizio il deperimento. Finalmente, scomparsa totalmente tale virtù, l ' animale muore. Come, per usare l'esempio del Filoso­ fo, la forza del vino che trasforma l'acqua ad esso mescolata s i snerva gradatamente con l ' aggiunta di altra acqua, fino a che il vino diventa del tutto acquoso. 5. Come spiega il Filosofo, quando una data materia, incendiandosi, acquista la forma del fuoco, s i dice che viene generato un fuoco nuovo; quando invece una materia si trasfor­ ma in un fuoco preesistente, allora si dice che viene alimentato il fuoco vecchio. Quindi, nel caso in cui tutta la vecchia materia perdesse simultaneamente la specie del fuoco e questa venisse presa da un'altra materia, si avrebbe un fuoco numericamente diverso. Nel caso invece in cui, bruciato a poco a poco un le­ gno, se ne sostituisse un altro, e così di segui­ to fino a che i primi siano tutti consumati, re­ sterà sempre numericamente lo stesso fuoco: perché la legna aggiunta si trasforma in ciò che preesisteva. E lo stesso avviene nei corpi viventi, nei quali gli alimenti risarciscono le perdite dovute al calore naturale.

Articulus 2 Utrum semen sit de superfluo alimenti

dal superfluo dell'alimento?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod semen non sit de superfluo alimenti, sed de substantia generantis. l . Dicit enim Damascenus [De fide l ,8] quod generatio est opus naturae ex substantia generantis producens quod generatur. Sed id quod generatur, generatur ex semine. Ergo semen est de substantia generantis. 2. Praeterea, secundum hoc filius assimilatur patri, quod ab eo aliquid accipit. Sed si semen

Sembra che il seme non provenga dal super­ fluo dell' alimento, ma dalla sostanza del ge­ nerante. Infatti: l. Il Damasceno dice che la generazione «è l'opera della natura che produce il nuovo es­ sere dalla sostanza del generante». Ma ciò che è generato, è generato dal seme. Quindi il seme proviene dalla sostanza del generante. 2. Il figlio ha la somiglianza del padre in quanto riceve qualcosa da lui. Ma se il seme

Articolo 2

n seme proviene

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La propagazione del genere umano rispetto al corpo

ex quo aliquid generatur, sit de superfluo ali­ menti; nihil acciperet aliquis ab avo et praece­ dentibus, in quibus hoc alimentum nullo mo­ do fuit. Ergo non assimilaretur aliquis avo et praecedentibus, magis quam aliis hominibus. 3. Praeterea, alimentum hominis generantis quandoque est ex carnibus bovis, vel porci, et aliorum huiusmodi. Si igitur semen esset de superfluo alimenti, homo generatus ex semine maiorem affinitatem haberet cum bove et porco, quam cum patre et aliis consanguineis. 4. Praeterea, Augustinus dicit, l O Super Gen. [20], quod nos fuimus in Adam non solum

secundum seminalem rationem, sed etiam secundwn corpulentam substantiam. Hoc au­ tem non esset, si semen esset ex superfluo ali­ menti. Ergo semen non est superfluo alimenti. Sed contra est quod philosophus probat multi­ pliciter, in libro De generat. animai. [ 1 , 1 8] , quod semen est super:fluum alimenti. Respondeo dicendum quod ista quaestio aliqua­ liter dependet ex praemissis [a. l ; q. 1 1 8 a. 1]. Si enim in natura humana est virtus ad com­ municandum suam formam materiae alienae non solum in alio, sed etiam in ipso; manifes­ tum est quod alimentum, quod est in princi­ pio dissimile, in fine fit simile per formam communicatam. Est autem naturalis ordo ut aliquid gradatim de potentia reducatur in ac­ tum, et ideo in his quae generantur, invenimus quod primo unumquodque est imperfectum, et postea perficitur. Manifestum est autem quod commune se habet ad proprium et determina­ rum, ut impertectum ad pertectum, et ideo vi­ demus quod in generatione animalis prius ge­ neratur animai, quam homo vel equus. Sic igi­ tur et ipsum alimentum primo quidem accipit quandam v irtutem communem respectu omnium partium corporis, et in fine determi­ natur ad hanc partem vel ad illam. Non autem est possibile quod accipiatur pro semine id quod iam conversum est in substantiam mem­ brorum, per quandam resolutionem. Quia illud resolutum, si non retineret naturam eius a quo resolvitur, tunc iam esset recedens a natura generantis, quasi in via corruptionis existens; et sic non haberet virtutem convertendi aliud in similem naturam. Si vero retineret naturam eius a quo resolvitur, tunc, cum esset contrac­ tum ad determinatam partem, non haberet vir­ tutem movendi ad naturam totius, sed solum ad naturam partis. Nisi forte quis dicat quod

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da cui viene generato il nuovo essere apparte­ nesse al sovrappiù del l ' alimento, uno non riceverebbe nulla dal nonno e dai proavi, nei quali tale alimento non poteva trovarsi. Quin­ di nessuno dovrebbe rassomigliare più al non­ no o ai suoi proavi che ad altri uomini. 3. L' alimento del generante può provenire dalle carni di bue o di maiale o di altri animali simili. Ammesso quindi che il seme derivasse dal sovrappiù dell'alimento, l'individuo gene­ rato dal seme avrebbe più affinità con il bue o con il maiale che non con il padre e con gli altri consanguinei. 4. Secondo Agostino, noi saremmo esistiti in Adamo «non solo quanto alla ragione semina­ le, ma anche quanto alla sostanza corporea». Ma ciò non potrebbe vedficarsi se il seme deri­ vasse dal superfluo dell'alimento. Quindi il seme non proviene dal superfluo dell'alimento. In contrario: il Filosofo prova con molti argo­ menti che «il seme è il sovrappiù dell'alimento». Risposta: la presente questione dipende in parte dalle cose già viste. Se è vero infatti che I' essere umano possiede la virtù di comunica­ re la propria forma a dell' altra materia non solo in un altro essere, ma anche nel proprio, è evidente che l'alimento, il quale da ptinci­ pio è dissimile, diventa alla fine simile in for­ za della forma ad esso comunicata. Ora, l' or­ dine naturale vuole che una cosa sia portata dalla potenza all' atto gradatamente: quindi negli esseri prodotti per generazione noi ri­ scontriamo che ognuno di essi inizialmepte è impert"etto e in seguito diventa pert"etto. E poi evidente che il generico sta al proptio e al de­ terminato come l'imperfetto sta al perfetto: perciò vediamo che nella generazione dell'a­ nimale esso viene generato prima dell'uomo o del cavallo. Così dunque anche l' alimento prima acquista una virtù generica in ordine a tutte le parti del corpo, e in seguito Iiceve una determinazione in ordine a questa o a quella parte. Non è possibile quindi che divenga se­ me ciò che già si è convertito nella sostanza delle membra, quasi tornasse a separarsene. Perché tale elemento separato, se non conser­ vasse più la natura del soggetto da cui si è se­ parato, già si troverebbe avulso dalla natura del generante e quasi sulla via della corruzio­ ne: e così non potrebbe avere la virtù di tra­ sformare altre cose in tale natura. - Se invece conservasse ancora la natura di ciò da cui s i

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La propagazione del genere umano rispetto al corpo

esset resolutum ab omnibus partibus corporis, et quod retineat naturam omnium partium. Et sic semen esset quasi quoddam parvum ani­ mal in actu; et generatio animalis ex animali non esset nisi per divisionem, sicut lutum generatur ex luto, et sicut accidit in animalibus quae decisa vivunt. Hoc autem est inconve­ niens. Relinquitur ergo quod semen non sit decisum ab eo quod erat actu totum; sed ma­ gis sit in potentia totum, habens vittutem ad productionem totius corporis, derivatam ab anima generantis, ut supra [ibid.] dictum est. Hoc autem quod est in potentia ad totum, est illud quod generatur ex alimento, antequam convertatur in substantiam membromm. Et ideo ex hoc semen accipitur. Et secundum hoc, virtus nutritiva dicitw· deservire generati­ vae, quia id quod est conversum per virtutem nutritivam, accipitur a vittute generativa u t semen. E t huius signum ponit philosophus [De gen. anim. 1 , 1 8], quod animalia magni corporis, quae indigent multo nutrimento, sunt pauci seminis secundum quantitatem sui cor­ poris, et paucae generationis; et similite r homincs pingues sunt pauci seminis, propter eandem causam. Ad ptimum ergo dicendum quod generatio est de substantia generantis in animalibus et plantis, inquantum semen habet virtutem ex forma generantis, et inquantum est in potentia ad substantiam ipsius. Ad secundum dicendum quod assimilatio generantis ad genitum non fit propter mate­ riam, sed propter formam agentis, quod gene­ rat sibi simile. Unde non oportet ad hoc quod aliquis assimiletur avo, quod materia corpora­ lis seminis fuerit in avo; sed quod sit in semi­ ne aliqua virtus derivata ab anima avi, me­ diante patre. Et similiter dicendum est ad tertium. Nam affinitas non attenditur secundum materiam, sed magis secundum derivationem formae. Ad quartum dicendum quod verbum Augusti­ m non est sic intelligendum, quasi in Adam actu fuerit aut seminalis ratio huius hominis propinqua, aut corpulenta eius substantia, sed uttumque fuit in Adam secundum originem. Nam et materia corporalis, quae ministrata est a matre, quam vocat corpulentam substan­ tiam, derivatur originaliter ab Adam, et simili­ ter virtus activa exi stens in semine patris, quae est huius hominis propinqua ratio semi-

Q. 1 1 9, A. 2

separa, allora, avendo ricevuto una determina­ zione per una parte speciale, non potrebbe più agire in ordine alla natura del tutto, ma solo in ordine alla natura di una parte. - A meno che non si voglia ritenere che esso si separi come un prodotto di tutte le parti del corpo, conser­ vando perciò la natura di tutte le parti. In tal caso però il seme ven·ebbe a essere quasi un piccolo animale in atto: e allora la generazio­ ne di un animale dall' altro non avverrebbe altro che per scissione, come il fango è gene­ rato dal fango, e come accade in quegli ani­ mali che, fatti a pezzi, continuano a vivere. Ma ciò è inammissibile. Diciamo dunque che il seme non è scisso da ciò che era il tutto in atto, ma piuttosto è il tutto in potenza, avente in sé la virtù di produrre tutto il corpo: virtù derivata, come si è detto, dall' anima del gene­ rante. Ma questo tutto potenziale può essere soltanto ciò che è generato dall' alimento pri­ ma che si trasformi nella sostanza delle mem­ bra. Quindi è da qui che è preso il seme. E per tale motivo si dice che la potenza nutri­ tiva è al servizio di quella generativa: poiché ciò che è trasmutato dalla potenza nutritiva è assunto come seme dalla potenza generativa. E il Filosofo trova un segno di ciò nel fatto che gli animali di grossa corporatura, avendo bisogno di molto nutrimento, sono scarsi di seme e poco fecondi in rapporto alla mole del loro corpo; e anche gli uomini pingui sono scarsi di seme per lo stesso motivo. Soluzione delle difficoltà: l . Negli animali e nelle piante la generazione deriva dalla sostan­ za del generante in quanto il seme trae la sua virtù dalla forma del generante, e in quanto è in potenza alla sostanza [o natura] del medesimo. 2. La rassomiglianza del generante col gene­ rato non viene raggiunta per mezzo della ma­ teria, ma per mezzo della fmma dell'agente, che tende a produrre un essere consimile. Per­ ché dunque uno abbia somiglianza col suo nonno non è necessario che la materia corpo­ rea del seme si trovasse già nel nonno, ma ba­ sta che nel seme vi sia una virtù derivata dal­ l'anima del nonno, attraverso il padre. 3. Vale la stessa risposta. Infatti l' affinità non dipende dalla materia, bensì dalla derivazione della forma. 4. L' affermazione di Agostino non va interpre­ tata nel senso che in Adamo sia esistita già in atto o la ragione seminale prossima di questo

Q. 1 19, A. 2

La propagazione del genere umano rispetto al corpo

nalis. Sed Christus dicitur fuisse in Adam secundum corpulentam substantiam, sed non secundum seminalem rationem. Quia materia corporis eius, quae ministrata est a matre vir­ gine, derivata est ab Adam, sed virtus activa non est derivata ab Adam, quia corpus eius non est formatum per vittutem virilis seminis, sed operatione Spiritus Sancti. Talis enim par­ tus decebat eum, qui est super omnia bene­ dictus Deus in saecula. Amen.

1286

individuo o la sua sostanza corporea, ma nel senso che sia l'una che l'altra esistevano in Adamo come nella loro sorgente. Infatti anche la materia corporea che viene somministrata dalla madre, e che egli chiama «sostanza cor­ porea», deriva originariamente da Adamo; e similmente deriva da lui la virtù attiva che è nel seme paterno, e che è la ragione serninale pros­ sima di questo individuo. Si dice invece che Cristo fu in Adamo secondo la sostanza cor­ porea, ma non secondo la ragione seminate. E ciò perché la materia del suo corpo, che venne somministrata dalla Vergine madre, de­ rivava da Adamo, ma non derivava da Adamo la virtù attiva, poiché il corpo di Cristo non fu formato per virtù di seme virile, ma per opera dello Spirito Santo. «Tale generazione infatti conveniva a Colui che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen».

1 287 Schema della Prima Parte

Dio in se stesso A. Nell'unità della natura l . L'esistenza: q. 2

2. Gli attributi entitativi

a. Le perfezioni di Dio (qq. 3- 1 1) b. La nostra conoscenza di Dio, i nomi divini (qq. 12- 1 3)

3. Gli attributi operativi

a. in riferimento all' intelletto (qq. 14- 1 8) b. in riferimento alla volontà (qq. 1 9-24) c. in riferimento alla potenza (q. 25) d. La beatitudine di Dio (q. 26)

B. Nella trinità delle persone

l . Origine e processione delle persone (qq. 27-28)

2. Le persone divine in se stesse

a. Considerazioni generali (qq. 29-32) b. Le singole persone (qq. 33-38)

3. Le persone divine in rapporto a. all'essenza (q. 39) b. alle relazioni (q. 40) c. agli atti nozionali (q. 4 1 ) 4 . Confronti reciproci tra l e persone a. Uguaglianza (q. 42) b. Missioni (q. 43) Dio rispetto alle creature A. La creazione in generale (qq. 44-49) B. Le diverse creature l . Gli angeli (qq. 50-64) 2. Gli esseri materiali (qq. 65-74) 3. L'uomo

a. relativamente alla sua natura (qq. 75-89) b. relativamente alla sua origine (qq. 90- 1 02)

C. D governo divino (qq. 103-1 19)

1 289

INDICE

Presentazione

5

Abbreviazioni e sigle

6

Introduzione alla Somma Teologica

9

Introduzione alla Prima Pars

17

Testo e traduzione Prologo

25

Q. 1 La dottrina sacra: quale essa sia e a quali cose si estenda A. l Oltre alle discipline filosofiche è necessario ammettere un' altra scienza? A. 2 La dottrina sacra è una scienza? A. 3 La dottrina sacra è una scienza unica? A. 4 La dottrina sacra è una scienza pratica? A. 5 La dottrina sacra è superiore alle altre scienze? A. 6 Questa dottrina è sapienza? A. 7 Dio è il soggetto di studio di questa scienza? A. 8 Questa dottrina procede con argomentazioni razionali? A. 9 La sacra Scrittura deve fare uso di metafore? A. l O U n medesimo testo della sacra Scrittura ha più sensi?

25 26 27 28 29 30 32 34 35 37 39

Q. 2 Trattato su Dio, l'esistenza di Dio A. l È per sé evidente che Dio esiste? A. 2 Si può dimostrare che Dio esiste? A. 3 Esiste Dio?

41 42 44 45

Q. 3 La semplicità di Dio A. l Dio è un corpo? A. 2 In Dio c'è composizione di forma e di materia? A. 3 Dio si identifica con la sua essenza o natura? A. 4 In Dio l'essenza e l'essere sono la stessa cosa? A. 5 Dio è contenuto in qualche genere? A. 6 In Dio ci sono accidenti? A. 7 Dio è del tutto semplice? A. 8 Dio entra in composizione con gli altri esseri?

48 49 52 53 55 56 58 59 61

Q. 4 La perfezione di Dio A. l Dio è perfetto? A. 2 In Dio si trovano le perfezioni di tutte le cose? A. 3 Una creatura può essere simile a Dio?

63 63 65 67

1290

Q. 5 Il bene in generale A. l Il bene differisce realmente dall'ente? A. 2 n bene è concettualmente anteriore all'ente? A. 3 Ogni ente è buono? A. 4 n bene ha il carattere di causa finale? A. 5 La nozione di bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine? A. 6 n bene è diviso convenientemente in onesto, utile e dilettevole? Q. 6 La bontà di Dio A. l La bontà conviene a Dio? A. 2 Dio è il sommo bene? A. 3 Essere buono per essenza è proprio di Dio? A. 4 Tutte le cose sono buone per la bontà di Dio? Q. 7 L'infinità di Dio A. l Dio è infinito? A. 2 Qualche altra cosa oltre a Dio può essere i nfinita per essenza? A. 3 Si può dare un infinito attuale in estensione? A. 4 Si può dare nella realtà un infinito numerico? Q. 8 La presenza di Dio nelle cose A. l Dio è in tutte le cose? A. 2 Dio è dappertutto? A. 3 Dio è dappertutto per essenza, per presenza e per potenza? A. 4 È proprio di Dio essere dappertutto? Q. 9 L'immutabilità di Dio A. l Dio è del tutto immutabile? A. 2 L'essere immutabile è una proprietà esclusiva di Dio?

69 69 71 73 74 76 78 80 80 81 83 84 86 86 87 89 92 94 94 95 97 100 102 1 02 1 04

Q. 10 L'eternità di Dio A. l La definizione di eternità data da Boezio è una buona definizione? A. 2 Dio è eterno? A. 3 Essere eterno è una proprietà esclusiva di Dio? A. 4 L'eternità differisce dal tempo? A. 5 Che differenza c'è tra evo e tempo? A. 6 C'è soltanto un evo?

1 06

Q. 11 L'unità di Dio A. l L'uno aggiunge qualcosa all' ente? A. 2 C'è opposizione tra l'uno e i molti? A. 3 Dio è uno? A. 4 Dio è sommamente uno?

1 18

Q. 12 La nostra conoscenza di Dio A. Un intelletto creato può vedere Dio nella sua essenza? A. 2 L'essenza di Dio è vista dall'intelletto creato per mezzo di una qualche immagine? A. 3 L'essenza di Dio può essere vista con gli occhi corporei? A. 4 Un intelletto creato può vedere l' essenza divina con le sue forze naturali? A. 5 L'intelletto creato, per vedere l'essenza di Dio, necessita di un qualche lume creato? A. 6 Tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno la vede più perfettamente di un altro?

1 07 1 08 1 10 111 1 13 1 16

1 18 121 1 23 1 24 126 1 26 1 28 1 30 1 32 1 35 1 36

1 29 1 A.

7

A.

8

A.

9

A.

IO A. I l A. 1 2 A. 1 3

Q. l3

Coloro che vedono Dio nella sua essenza lo comprendono? Coloro che vedono Dio per essenza vedono in lui tutte le cose? Le cose viste in Dio sono viste mediante alcune immagini? Coloro che vedono Dio per essenza vedono simultaneamente tutto ciò che vedono i n lui? In questa vita qualcuno può vedere Dio per essenza? In questa vita possiamo conoscere Dio con l a ragione naturale? Mediante l a grazia s i h a una conoscenza d i Dio più alta?

1 38 141 143 144 146 148 149

I nomi di Dio

151

A. l A Dio conviene un nome? A. 2 Qualche nome detto di Dio ne significa l'essenza? A. 3 Qualche nome si dice di Dio in senso proprio? A. 4 I nomi che si attribuiscono a Dio sono sinonimi? A. 5 I nomi attribuili a Dio e alle creature sono attribuiti in senso univoco? A. 6 I nomi si dicono prima delle creature che di Dio? A. 7 I nomi che comportano relazione alle creature vengono attribuiti a Dio a partire dal tempo? A. 8 n nome Dio è un nome che indica la natura? A. 9 Il nome Dio è comunicabile? A. I O ll nome Dio h a un significato univoco nelle sue diverse applicazioni? A. I l Il nome Colui che è è il nome più proprio di Dio? A. 1 2 Rispetto a Dio si possono formare delle proposizioni affermative?

1 52

Q. l4 La scienza di Dio A. l In Dio c'è scienza? A. 2 Dio conosce se stesso? A. 3 Dio comprende se stesso? A. 4 Il conoscere stesso di Dio è la sua sostanza? A. 5 Dio conosce le cose distinte da sé? A. 6 Dio conosce le cose con una conoscenza propria? A. 7 La scienza di Dio è discorsiva? A. 8 La scienza di Dio è causa delle cose? A. 9 Dio ha la scienza delle cose che non sono? A. I O Dio conosce il male? A. I l Dio conosce i singolari? A. 1 2 Dio può conoscere infinite cose? A. 1 3 La scienza di Dio s i estende ai futuri contingenti? A. 1 4 Dio conosce i giudizi e l e proposizioni? A. 1 5 La scienza di Dio è variabile? A. 1 6 Dio ha una scienza speculativa delle cose?

1 54 1 57 1 58 1 60 1 63 1 65 170 171 174 176 178 1 80 181 1 83 1 85 1 86 1 88 1 90 1 93 1 95 1 96 1 98 199 201 204 208 209 21 1

Q. lS Le idee A. l Esistono le idee? A. 2 Ci sono più idee? A. 3 Per tutte le cose che Dio intende ci sono delle idee distinte?

213

Q. 16 La verità A. l La verità è soltanto nell'intelletto? A. 2 La verità è soltanto nell'intelletto che unisce o che separa i concetti?

218

213 214 217

219 22 1

1292 A.

3

A. 4 A.

5

A. 6 A. 7 A.

8

Il vero e l' ente si identificano? Il bene precede concettualmente i l vero? Dio è la verità? C'è una sola verità secondo la quale tutte le cose sono vere? La verità creata è eterna? La verità è immutabile?

Q. 17 La falsità A. l La falsità è nelle cose? A. 2 Nei sensi c'è falsità? A. 3 La falsità è nell' intelletto? A. 4 Il vero e il falso sono contrari? Q. 18 La vita di Dio A. l Il vivere appartiene a tutti gli esseri che sono in natura? A. 2 La vita è un'operazione? A. 3 A Dio conviene la vita? A. 4 Tutte le cose sono vita in Dio? Q. 19 La volontà di Dio A. l In Dio c'è la volontà? A. 2 Dio vuole altre cose oltre a se stesso? A. 3 Dio vuole necessariamente tutto ciò che vuole? A. 4 La volontà di Dio è causa delle cose? A. 5 Si può assegnare una causa alla volontà divina? A. 6 La volontà di Dio si compie sempre? A. 7 La volontà di Dio è mutevole? A. 8 La volontà di Dio rende necessarie le cose che vuole? A. 9 Dio vuole il male? A. l O Dio ha il libero arbitrio? A. I l In Dio si deve distinguere una volontà di segno? A. 1 2 È conveniente stabilire cinque segni della volontà d i Dio? Q. 20 L'amore di Dio In Dio c'è l'amore? A. A. 2 Dio ama tutte le cose? A. 3 Dio ama ugualmente tutte le cose? A. 4 Dio ama sempre di più le cose migliori? Q. 21 La giustizia e la misericordia di Dio A. l In Dio c'è la giustizia? A. 2 La giustizia di Dio è verità? A. 3 La misericordia si addice a Dio? A. 4 In tutte le opere di Dio ci sono la misericordia e la giustizia? Q. 22 La provvidenza di Dio A. l In Dio ci può essere la provvidenza? A. 2 Tutte le cose sono soggette alla divina provvidenza? A. 3 Dio provvede direttamente a tutte le cose? A. 4

La provvidenza rende necessarie le cose governate?

222 224 225 226 228 230 232 232 234 236 238 239 240 242 244

246 248 249 250 252 255 257 259 262 264 266 268 269 270 272 273 275 277 278 28 1 282 284 285 287 289 289 29 1 295 297

1 293

Q. 23 La predestinazione A. l Gli uomini sono predestinati da Dio? A. 2 La predestinazione risiede nei predestinati? A. 3 Dio riprova qualcuno? A. 4 l predestinati sono eletti da Dio? A. 5 La previsione dei meriti è la causa della predestinazione? A. 6 La predestinazione è infallibile? A. 7 Il numero dei predestinati è determinato? A. 8 La predestinazione può essere aiutata dalle preghiere dei santi? Q. 24

libro della vita l Il libro della vita si identifica con la predestinazione? A. 2 Il libro della vita riguarda soltanto la vita gloriosa dei predestinati? A. 3 Qualcuno può essere cancellato dal libro della vita?

298 299 301 303 304 306 310 312 315

n

317

A.

317

Q. 25 La potenza divina A. l In Dio c'è la potenza? A. 2 La potenza di Dio è infinita? A. 3 Dio è onnipotente? A. 4 Dio può fare che le cose passate non siano state? A. 5 Dio può fare ciò che non fa? A. 6 Dio può fare migliori le cose che fa? Q. 26 La beatitudine di Dio A. l A Dio spetta la beatitudine? A. 2 Dio è beato secondo una beatitudine di indole intellettuale? A. 3 Dio è la beatitudine di ogni beato? A. 4 Nella beatitudine di Dio è inclusa ogni altra beatitudine? Q. 27 La processione delle persone divine A. l In Dio ci sono delle processioni? A. 2 In Dio c'è una processione che possa dirsi generazione? A. 3 In Dio, oltre alla generazione del Verbo, c'è una seconda processione? A. 4 La processione dell' amore in Dio è una generazione? A. 5 In Dio ci sono più di due processioni? Q. 28 Le relazioni divine A. l In Dio ci sono delle relazioni reali ? A. 2 La relazione in Dio è identica alla sua essenza? A. 3 Le relazioni esistenti in Dio si distinguono realmente fra di loro? A. 4 In Dio ci sono soltanto quattro relazioni reali? Q. 29 Le persone divine A. l Definizione della persona A. 2 Persona è la stessa cosa che ipostasi, sussistenza ed essenza? A. 3 Si può attribuire a Dio il nome di persona? A. 4 Il termine persona significa una relazione? Q. 30 La pluralità delle persone in Dio A. l In Dio ci sono più persone? A. 2 In Dio ci sono più di tre persone?

318 320 322 322 324 325 329 330 333 335 335 336 337 338 339 339 342 344 345 347 348 348 35 1 354 355 357 358 360 363 365 368 368 370

1294 A.

3

I termini numerici pongono qualcosa in Dio? nome persona può essere comune alle tre persone?

A. 4 n

Q. 31 I modi di esprimere l'unità e la pluralità in Dio A. l In Dio c'è una trinità? A. 2 n Figlio è un altro rispetto al Padre? A. 3 In Dio a un termine essenziale si può aggiungere la voce restrittiva solo? A. 4 Una voce esclusiva può essere aggiunta a un termine personale? Q. 32 La nostra conoscenza delle persone divine A. l La Trinità delle divine persone può essere conosciuta con la sola ragione naturale? A. 2 In Dio si debbono ammettere delle nozioni? A. 3 Le nozioni sono cinque? A. 4 Sono permesse opinioni contrastanti circa le nozioni?

Q. 33 La persona del Padre A. l Il Padre può essere detto principio? A. 2 Il nome Padre è il nome proprio di una persona divina? A. 3 Parlando di Dio, il nome Padre è usato in primo luogo come nome personale? A. 4 Essere ingenito è una proprietà [esclusiva] del Padre? Q. 34 La persona del Figlio A. l In Dio, il nome Verbo è personale? A. 2 Verbo è un nome proprio del Figlio? A. 3 Nel nome Verbo è incluso un rapporto con le creature?

373 376 378 378 380 382 385 387 387 391 394 396 398 398 399 40 l 404 407 407 41 1 413

Q. 35 Vimmagine A. l Immagine in Dio è un nome personale? A . 2 Immagine è u n nome proprio del Figlio?

415

Q. 3 6 La persona dello Spirito Santo A . l Spirito Santo è il nome proprio di una persona divina? A. 2 Lo Spirito Santo procede dal Figlio? A. 3 Lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio? A. 4 Il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo?

419

Q. 37

415 417

419 421 426 428

Il

432

A.

432

nome Amore che viene dato allo Spirito Santo l Amore è un nome proprio dello Spirito Santo? A. 2 Il Padre e il Figlio si amano per lo Spirito Santo?

Q. 38 Dono quale nome dello Spirito Santo A. l Dono è un nome personale? A. 2 Dono è un nome proprio dello Spirito Santo? Q. 39 Le persone in rapporto all'essenza A. l In Dio, l'essenza e la persona sono la stessa cosa? A. 2 Si può dire che le tre persone sono di un 'unica essenza? A. 3 I nomi essenziali si predicano al singolare delle tre persone? A. 4 I nomi essenziali concreti possono designare le persone? A. 5 I nomi essenziali presi in astratto possono designare le persone? A. 6 Le persone possono essere predicate dei nomi essenziali? A. 7 I nomi essenziali sono da appropriarsi alle persone? A. 8 Gli attributi essenziali sono stati convenientemente appropriati alle persone?

435 438 438 440 442 442 444

447 449 452 455 456 458

1 295

Q. 40 Le persone in rapporto alle relazioni o proprietà A. l In Dio, le relazioni e le persone sono la stessa cosa? A. 2 Le persone si distinguono per le relazioni? A. 3 Astraendo dalle relazioni, le persone possono ancora essere concepite come ipostasi? A. 4 Gli atti nazionali sono presupposti alle proprietà [personali]?

464

Q. 41 Le persone in rapporto agli atti nozionali A. l Alle persone vanno attribuiti gli atti nazionali? A. 2 Gli atti nazionali sono volontari? A. 3 Gli atti nazionali sono dal nulla? A. 4 In Dio c'è una potenza relativa agli atti nazionali? A. 5 La potenza generativa indica l' essenza divina? A. 6 Un atto nazionale può dare origine a più persone?

474

Q. 42 L'uguaglianza e la somiglianza delle persone divine A. l Tra le persone divine c'è uguaglianza? A. 2 La persona che procede, il Figlio per esempio, è coeterna al suo principio? A. 3 Nelle persone divine c'è un ordine di natura? A. 4 Il Figlio è uguale al Padre in grandezza? A. 5 Il Figlio è nel Padre e il Padre nel Figlio? A. 6 Il Figlio è uguale al Padre nella potenza? Q. 43 La missione delle persone divine A. l A qualche persona divina conviene l 'essere inviata? A. 2 La missione è eterna o solo temporale? A. 3 La missione invisibile avviene solo mediante il dono della grazia santificante? A. 4 Il Padre può essere inviato? A. 5 Il Figlio può essere inviato in modo invisibile? A. 6 La missione invisibile è diretta a tutti coloro che sono in grazia? A. 7 Si può attribuire allo Spirito Santo una missione visibile? A . 8 Una persona divina è mandata solo d a quella d a cui procede eternamente? Q. 44 La derivazione delle cose da Dio, causa prima di tutti gli enti A. l È necessario che ogni ente sia stato creato da Dio? A. 2 La materia prima è stata creata da Dio? A. 3 La causa esemplare è qualcosa di distinto da Dio? A. 4 Dio è la causa finale di tutte le cose?

465 467 469 472

474 476 478 482 484 486 488 488 49 1 494 495 497 498 500 500 501 503 505 506 508 510 514 515 515 517 519 521

Q. 45 TI modo di derivare delle cose dal primo principio A. l Creare è fare dal nulla? A. 2 Dio può creare qualcosa? A. 3 La creazione è un'entità reale nelle creature? A. 4 Essere creato è proprio dei composti e dei sussistenti? A. 5 Creare appartiene esclusivamente a Dio? A. 6 Creare è proprietà di una sola persona divina? A. 7 È necessario che nelle creature si trovi un vestigio della Trinità? A. 8 Nelle opere della natura e dell'arte si nasconde un atto creativo?

523

Q. 46 L'inizio della durata delle realtà create A. l L'universo è sempre esistito?

540

523 525 527 529 530 534 536 538

540

1296

Q. 47

Q. 48

A.

2

A.

3

Che il mondo abbia avuto inizio è un articolo di fede? La creazione delle cose è avvenuta all'inizio del tempo?

552

La pluralità e la distinzione delle cose in particolare A. l Il male è un' entità positiva? A. 2 Il male si trova nelle cose?

561

A.

565

3

Q. 49 La causa del male A.

l Il bene può essere causa del male? A. 2 Il sommo bene, che è Dio, è causa del male? A. 3 Esiste un sommo male che sia la causa di ogni male?

Q. SO La sostanza degli angeli considerata in se stessa A. A. A. A. A.

Q. 52

Q. 53

550

La pluralità e la distinzione delle cose in generale A. l La molteplicità e la distinzione delle cose derivano da Dio? A. 2 La disuguaglianza delle cose viene da Dio? A. 3 Esiste un mondo solo? A. 2 bis Tra le creature c'è un ordine di cause agenti?

Il male si trova nel bene come nel proprio soggetto? A. 4 Il male distrugge totalmente il bene? A. 5 Il male è adeguatamente diviso in pena e colpa? A. 6 La pena ha più carattere di male rispetto alla colpa?

Q. Sl

546

l L'angelo è del tutto incorporeo? 2 L'angelo è composto di materia e di forma? 3 Gli angeli sono numerosi? 4 Gli angeli differiscono tra loro specificamente? 5 Gli angeli sono incorruttibili?

Gli angeli e i corpi A. l Gli angeli sono uniti naturalmente a dei corpi? A. 2 Gli angeli possono assumere dei corpi? A. 3 Gli angeli esercitano nei corpi assunti delle operazioni vitali?

552 555 558 559

561 564 567 569 57 1 573 573 576 577 580 581 582 586 589 591 593 593 595 596

Gli angeli in rapporto al luogo A. l L'angelo può essere in un luogo? A. 2 Un angelo può essere simultaneamente in più luoghi? A. 3 Più angeli possono essere simultaneamente nello stesso luogo?

600

Il moto locale degli angeli A. l L'angelo può muoversi localmente? A. 2 L'angelo percorre lo spazio intermedio? A. 3 Il moto degli angeli è istantaneo?

604

Q . 54 La conoscenza degli angeli A.

l L'intellezione dell'angelo è la sua sostanza? A. 2 L'intellezione dell'angelo è il suo essere? A. 3 La potenza intellettiva dell'angelo è la sua essenza? A. 4 Nell'angelo ci sono l'intelletto agente e l'intelletto possibile? A . 5 Negli angeli c'è soltanto l a conoscenza intellettiva? Q. SS D mezzo della conoscenza angelica A.

l Gli angeli conoscono ogni cosa mediante la propria sostanza?

600 601 603

604 607 610 613 613 615 616 618 619 621 621

1 297 A.

2 Gli angeli conoscono mediante specie derivate dalle cose?

623

A.

3 Gli angeli superiori conoscono mediante specie più universali?

625

Q. 56 La conoscenza angelica delle realtà immateriali

628

A.

l L'angelo conosce se stesso?

628

A.

2 Un angelo conosce l 'altro?

630

A.

3 Gli angeli possono conoscere Dio con le proprie forze naturali?

632

Q. 57 La conoscenza angelica delle realtà materiali

634

A.

l Gli angeli conoscono le realtà materiali?

634

A.

2 L'angelo conosce i singolari?

636

A.

3 Gli angeli conoscono le realtà future?

639

A.

4 Gli angeli conoscono i segreti dei cuori?

641

A.

5 Gli angeli conoscono i misteri della grazia?

643

Q. 58 n modo di conoscere degli angeli l L'intelletto angelico è in potenza e successivamente in atto?

A.

2 L'angelo può conoscere simultaneamente molte cose?

647

A.

3 L'angelo conosce servendosi del raziocinio?

649

A. 4 Gli angeli conoscono formulando giudizi affermativi e negativi?

646

65 1

A.

5 Nell'intelletto dell'angelo ci può essere la falsità?

652

A.

6 Negli angeli c'è la conoscenza mattutina e vespertina?

654

A.

7 La conoscenza mattutina e quella vespertina sono una sola conoscenza?

656

Q. 59 La volontà degli angeli

658

A.

l Negli angeli c'è la volontà?

658

A.

2 Negli angeli la volontà è distinta dall'intelletto e dalla natura?

660

A.

3 Negli angeli c'è il libero arbitrio?

662

A.

4 Negli angeli ci sono l'irascibile e il concupiscibile?

664

Q. 60 L'amore o dilezione degli angeli

Q. 61

645

A.

666

A.

l Nell 'angelo c'è l ' amore o dilezione naturale?

A.

2 Negli angeli c'è una dilezione deliberata?

668

A.

3 L'angelo ama se stesso con dilezione naturale e con dilezione deliberata?

670

A.

4 Un angelo ama l 'altro con dilezione naturale come ama se stesso?

67 1

A.

5 Un angelo ama Dio più di se stesso con dilezione naturale?

La creazione degli angeli nel loro essere naturale

666

673 676

A.

l Gli angeli hanno una causa del loro essere?

676

A.

2 Gli angeli sono stati creati da Dio fin dall'eternità?

677

A.

3 Gli angeli sono stati creati prima del mondo corporeo?

679

A. 4 Gli angeli sono stati creati nel cielo empireo? Q. 62 L'elevazione degli angeli allo stato di grazia e di gloria

680 682

A.

l Gli angeli sono stati beati fin dalla loro creazione?

682

A.

2 L'angelo ha avuto bisogno della grazia per volgersi a Dio?

684

A.

3 Gli angeli sono stati creati in grazia?

686

A. 4 Gli angeli beati hanno meritato la loro beatitudine?

688

5 Gli angeli hanno raggiunto la beatitudine subito dopo il primo atto meritorio?

689

A.

6 Gli angeli hanno ricevuto la grazia e la gloria in proporzione alle loro doti naturali?

69 1

A.

7 Negli angeli beati rimangono la conoscenza e la dilezione naturali?

693

A.

1 298 A.

8 L'angelo beato può peccare?

A. 9 Gli angeli beati possono accrescere la loro beatitudine? Q. 63 n peccato degli angeli A.

l Negli angeli può esistere il male della colpa?

696 698 699

A. 2 Negli angeli ci possono essere soltanto i peccati di superbia e di invidia?

701

A.

703

3 Il demonio ha desiderato di essere come Dio?

A. 4 Alcuni demoni sono cattivi per natura? A.

5 II demonio è stato cattivo nel primo istante della sua creazione?

A.

6

A.

7 Il più eccelso degli angeli prevaricatori era il più sublime di tutti gli angeli?

A.

8 Il peccato del primo angelo ha indotto gli altri a peccare?

È trascorso qualche tempo fra la creazione e la caduta dell' angelo?

A . 9 Gli angeli prevaricatori sono stati tanti quanti furono gli angeli rimasti fedeli? Q. 64 La pena dei demoni

705 707 710 71 1 713 715 717

A.

l L'intelletto del demonio è stato privato della conoscenza d i qualsiasi verità?

717

A.

2 La volontà dei demoni è ostinata nel male?

721

A.

3 Nei demoni c'è il dolore?

723

A. 4 La nostra atmosfera è il luogo di pena dei demoni? Q. 65 La creazione dei corpi

725 727

A.

l Le creature corporee provengono da Dio?

727

A.

2 Le creature materiali sono state fatte per la bontà di Dio?

730

A.

3 Le creature materiali sono state create da Dio per mezzo degli angeli?

A. 4 Le forme dei corpi provengono dagli angeli? Q. 66 Vordine della creazione in rapporto alla distinzione

732 734 736

A.

l Lo stato informe della materia ha preceduto in ordine di tempo la sua formazione?

A.

2 La materia informe di tutti i corpi è una sola?

741

A.

3 II cielo empireo è stato creato assieme alla materia informe?

744

A. 4 Il tempo è stato creato assieme alla materia informe? Q. 67 Vopera della distinzione considerata in se stessa A.

Q. 68

694

737

747 749

l Si può parlare propriamente di luce negli esseri spirituali?

749 750

A.

2 La luce è un corpo?

A.

3 La luce è una qualità?

752

A.

4 La produzione della luce è posta convenientemente nel primo giorno?

754

Vopera del secondo giorno

757

A.

l Il firmamento è stato creato nel secondo giorno?

757

A.

2 Ci sono delle acque sopra il firmamento?

761

A.

3 Il firmamento separa le acque dalle acque?

763

A.

4 Esiste un unico cielo?

765

Q. 69 V opera del terzo giorno

È corretto dire che la raccolta delle acque è fatta il terzo giorno? A. 2 È conveniente attribuire al terzo giorno la produzione delle piante? A.

l

Q. 70 Vopera di abbellimento del quarto giorno A.

l Era conveniente che gli astri fossero prodotti nel quarto giorno?

A.

2

A.

3 Gli astri del cielo sono animati?

È bene indicata la causa della produzione degli astri?

767 767 77 1 773 774 777 779

1 299

Q. 71 L'opera del quinto giorno Articolo unico

Q. 72 L'opera del sesto giorno Articolo unico

Q. 73

n

settimo giorno

782 782 785 785

A.

l Il compimento delle opere divine va assegnato al settimo giorno?

788 788

A.

2 Nel settimo giorno Dio si è riposato da ogni sua opera?

79 1

A.

3 La benedizione e la santificazione sono appropriate al settimo giorno?

792

Q. 74 I sette giorni nel loro complesso A. l È sufficiente il numero di questi giorni? A.

2 Tutti questi giorni formano un giorno solo?

793 794 796

A.

3 La Scrittura usa termini adatti nel narrare le opere dei sei giorni?

799

Q. 75 L'uomo, cioè l'essere composto di spirito e di corpo. Primo: la natura dell'anima

A.

Le anime degli animali bruti sono sussistenti?

A.

L'anima è l 'uomo?

803 803 806 808 810

L'anima è composta d i materia e d i forma?

811

L'anima umana è corruttibile?

814

L'anima e l 'angelo sono d i una medesima specie?

817

A.

l L'anima è un corpo?

A.

2 L'anima umana è qualcosa di sussistente?

3 4 A. 5 A. 6 A. 7

Q. 76 L'unione tra l'anima e i l corpo A.

l Il principio intellettivo si unisce al corpo come forma?

819 819

A . 2 I l principio intellettivo s i moltiplica secondo l a molteplicità dei corpi?

825

A.

830 834 838 841 842 844

A. A. A. A. A.

3 4 5 6 7 8

Nell' uomo, oltre all' anima intellettiva, ci sono altre anime essenzialmente diverse? Nell'uomo c'è qualche altra forma oltre all'anima intellettiva?

È conveniente che l ' anima intellettiva sia unita a un simile corpo? L'anima intellettiva è unita al corpo mediante disposizioni accidentali? L'anima è unita al corpo dell'animale mediante un altro corpo? L'anima è tutta intera in ogni parte del corpo?

Q. 77 Le potenze dell'anima in generale A.

l L'essenza dell'anima si identifica con le sue potenze?

A.

2 3 4 5 6 7 8

A. A. A. A. A. A.

Le potenze dell'anima sono più di una? Le potenze si distinguono in base agli atti e agli oggetti? C'è una gerarchia tra le potenze dell'anima? L'anima è il soggetto di tutte le sue potenze? Le potenze dell'anima emanano dalla sua essenza? Nell'anima una potenza ha origine dall' altra? Dopo la separazione dal corpo rimangono nell'anima tutte le sue potenze?

Q. 78 Le potenze dell'anima in particolare A.

l Si debbono distinguere cinque generi di potenze dell' anima,

A.

2

cioè la potenza vegetativa, sensitiva, appetitiva, locomotoria e intellettiva?

848 848 852 853 856 857 859 861 863 864 865

È giusto assegnare come parti della vegetativa le facoltà di nutrizione, di crescita e di generazione?

868

1 300 3 È conveniente distinguere cinque sensi esterni? A. 4 È appropriata l 'enumerazione dei sensi interni?

870

Le potenze intellettive

879 879 881 883 885 888 890 893 895 896 899 90 1 903 904

A.

Q. 79

A.

l L'intelletto è una facoltà dell'anima?

A.

2 3 4 5 6 7 8 9

A. A. A. A. A. A. A.

L'intelletto è una potenza passiva?

È necessario ammettere un intelletto agente? L'intelletto agente fa parte dell'anima? L'intelletto agente è uno solo per tutti? Nella parte intellettiva dell'anima c'è la memoria? La memoria intellettiva è una potenza distinta dall' intelletto? La ragione è una potenza distinta dall'intelletto? La ragione superiore e quella inferiore sono potenze distinte?

A. IO L'intelligenza è una potenza distinta dall'intelletto? A. I l L'intelletto speculativo e quello pratico sono potenze distinte? A.

1 2 La sinderesi è una potenza speciale, distinta dalle altre? A. 1 3 La coscienza è una facoltà?

Q. 80

Q. 81

Le potenze appetitive in generale A.

l L'appetito è una potenza speciale dell'anima?

A.

2 L'appetito sensitivo e quello intellettivo sono potenze distinte?

910 910 A. 2 L'appetito sensitivo s i divide in irascibile e concupiscibile come in due potenze distinte? 9 1 1 913 A. 3 L'irascibile e il concupiscibile obbediscono alla ragione? l La sensualità è una facoltà soltanto appetitiva?

La volontà A.

l La volontà appetisce per necessità qualcosa?

A.

2 A. 3 A. 4 A. 5

Q. 83

906 906 908

La sensualità A.

Q. 82

874

n

L a volontà vuole per necessità tutto ciò che vuole? L a volontà è una potenza superiore all'intelletto? La volontà muove l'intelletto? Nell' appetito superiore si devono distinguere l'irascibile e il concupiscibile?

libero arbitrio

A.

l L'uomo possiede il libero arbitrio?

A.

2 Il libero arbitrio è una potenza? A. 3 Il libero arbitrio è una potenza appetitiva? A. 4 II libero arbitrio è una potenza distinta dalla volontà? Q. 84 La conoscenza dell'anima unita al corpo rispetto alle realtà materiali ad essa inferiori A.

l L'anima conosce i corpi mediante l ' intelletto?

A.

2 3 4 5 6 7 8

A. A. A. A. A. A.

L'anima conosce gli esseri corporei mediante la propria essenza? L'anima conosce tutte le cose per mezzo di idee innate? Le idee derivano nell'anima dalle forme separate? L'anima intellettiva conosce le realtà materiali nelle nozioni eterne? La conoscenza intellettiva deriva dalle realtà sensibili? L'intelletto può avere l'intellezione attuale senza volgersi ai fantasmi? L'atto intellettivo del giudizio è ostacolato dall'assopimento dei sensi?

916 916 918 920 922 924 926 926 929 93 1 932 934 935 938 941 943 946 949 952 954

1301 Q. 85 Modo e ordine dell'intellezione A.

l Il nostro intelletto intende le realtà corporee e materiali astraendole dai fantasmi?

A.

2 3 4 5 6 7 8

A. A. A. A. A. A.

Le specie intelligibili astratte dai fantasmi sono l' oggetto stesso della nostra intellezione? Nella nostra conoscenza intellettiva i primi dati sono quelli più universali?

È possibile conoscere molte cose simultaneamente? Il nostro intelletto conosce componendo e dividendo [i concetti]? L'intelletto può ingannarsi? Uno può intendere una stessa cosa meglio di un altro? L'intelletto conosce gli indivisibili prima delle realtà divisibili?

Q. 86 Gli aspetti della realtà materiale conosciuti dal nostro intelletto A.

l Il nostro intelletto conosce i singolari?

A.

2 Il nostro intelletto può conoscere infinite cose? 3 L' intelletto conosce le realtà contingenti? A. 4 Il nostro intelletto conosce le realtà future? A.

Q. 87

In

A.

che modo l'anima intellettiva conosca se stessa e quanto in essa si trova l L'anima intellettiva conosce se stessa mediante la propria essenza?

A.

2 Il nostro intelletto conosce immediatamente nella loro essenza gli abiti dell'anima? A. 3 L' intelletto conosce il proprio atto? A. 4 L' intelletto conosce l' atto della volontà?

Q. 88

In

che modo l'anima conosca le realtà ad essa superiori

A.

l L' anima umana nella vita presente può avere la conoscenza immediata

A.

2 Il nostro intelletto può raggiungere la conoscenza delle sostanze

A.

3 Dio è il primo oggetto conosciuto dalla mente umana?

delle sostanze immateriali? immateriali mediante la conoscenza delle realtà materiali?

Q. 89 La conoscenza dell'anima separata

A. A. A.

1012 1015 1016 1017

Gli atti della scienza acquisita i n questo mondo rimangono nell' anima separata? L a lontananza impedisce la conoscenza dell' anima separata? L e anime separate conoscono gli avvenimenti d i questo mondo?

l L' anima fa parte della sostanza stessa di Dio?

2 L' anima è venuta all'esistenza per creazione? 3 L' anima intellettiva è prodotta immediatamente da Dio? A. 4 L' anima umana è stata creata prima del corpo?

A.

Q. 91 L'origine del corpo del primo uomo A.

l II corpo del primo uomo è stato formato col fango della terra?

2 II corpo umano è stato prodotto immediatamente da Dio? 3 Al corpo dell 'uomo è stata data una disposizione conveniente? A. 4 Nella Scrittura è descritta convenientemente la produzione del corpo umano? A.

1 000 1 002

l OI l

A.

A.

995

Nell'anima separata rimangono gli abiti scientifici acquistati in vita?

L' anima separata conosce le sostanze separate?

Q. 90 La creazione dell'anima A.

995

L' anima separata conosce tutta la realtà fisica?

l L' anima separata può avere l'intellezione di qualcosa?

2 3 4 5 6 7 8

A.

986 986 990 992 993

L'anima separata conosce i singolari?

A.

A.

978 978 980 982 983

1 004 1004 1008 1010

A. A.

956 957 961 965 969 97 1 973 975 976

1020 1 020 1 022 1 024 1 025 1 027 1 027 1 029 1 032 1 035

1 302 Q. 92 L'origine della donna A. l C'era bisogno di produrre la donna nella prima produzione delle cose? A. 2 Era bene che la donna fosse tratta dall'uomo? A. 3 Era conveniente che la donna fosse formata dalla costola dell'uomo? A. 4 La donna fu formata immediatamente da Dio?

1 036 1 037 1 039 1 040 1042

Q. 93 L'immagine di Dio nell'uomo A. l Nell'uomo c'è l'immagine di Dio? A. 2 L'immagine di Dio si trova anche nelle creature irrazionali? A. 3 L' angelo è a immagine di Dio più dell'uomo? A. 4 L' immagine di Dio si trova in ogni singolo uomo? A. 5 Nell' uomo c'è l' immagine di Dio secondo la Trinità delle persone? A. 6 L' immagine di Dio si trova nell'uomo soltanto in rapporto all'anima intellettiva? A. 7 L'immagine di Dio nell'anima si fonda sugli atti? A. 8 L'immagine della Trinità è nell' anima solo in rappmto a quell'oggetto che è Dio? A. 9 È conveniente distinguere la somiglianza dall'immagine?

1043 1 043 1045 1047 1 049 1050 1052 1 056 1 058 106 1

Q. 94 Lo stato e la condizione del primo uomo quanto ali 'intelletto A. l Il primo uomo ha visto l'essenza di Dio? A. 2 Adamo nello stato di innocenza ha visto le essenze angeliche? A. 3 Il primo uomo possedeva la conoscenza di tutte le cose? A. 4 L'uomo nello stato primitivo poteva cadere in inganno?

l 063 1 064 l 066 1068 1070

Q. 95 Su quanto concerne la volontà del primo uomo, cioè la grazia e l'innocenza A. l Il primo uomo è stato creato in grazia? A. 2 Nel primo uomo c'erano le passioni dell'anima? A. 3 Adamo era dotato di tutte le virtù? A. 4 Le opere del primo uomo avevano un'efficacia meritoria minore delle nostre?

1 073 1073 1075 1077 1 079

Q. 96

108 1 1 08 1 1 084 1 085 1087

Il

A. A. A. A.

dominio dell'uomo nello stato di innocenza l Adamo nello stato di innocenza aveva il dominio sugli animali? 2 L'uomo aveva un dominio s u tutte le altre creature? 3 Gli uomini nello stato di innocenza sarebbero stati tutti uguali? 4 Nello stato di innocenza l'uomo avrebbe avuto un dominio sugli altri uomini?

Q. 97 La conservazione dell'individuo nello stato primitivo dell'uomo A. l L'uomo nello stato di innocenza era immortale? A. 2 L'uomo nello stato di innocenza era passibile? A. 3 L'uomo nello stato di innocenza aveva bisogno di cibo? A. 4 L'uomo sarebbe stato immortale cibandosi dell' albero della vita?

1 088 1089 1 090 1092 1093

Q. 98 Su quanto concerne la conservazione della specie 1 095 A. l Nello stato di innocenza ci sarebbe stata la generazione? 1096 A. 2 Nello stato di innocenza la generazione sarebbe avvenuta mediante il rapporto sessuale? 1097 Q. 99 Le condizioni fisiche della prole che sarebbe stata generata A. l Nello stato di innocenza i neonati avrebbero avuto il perfetto esercizio delle membra? A. 2 Nello stato primitivo sarebbero nate anche le donne?

1 100 1 10 1 1 1 03

Q. 100 Le condizioni morali della prole A. l Gli uomini sarebbero nati nello stato di giustizia [originale]? A. 2 Nello stato di innocenza i bambini sarebbero nati confermati nella giustizia?

1 104 1 104 1 1 06

1 303 Q. 101 Le condizioni della prole rispetto alla scienza

Q. 102

A. l Nello stato di innocenza i bambini sarebbero nati perfetti nel sapere? A. 2 I bambini appena nati avrebbero avuto il perfetto uso di ragione?

1 108 I l 08 1 109

paradiso terrestre, dimora dell 'uomo l Il paradiso è un luogo materiale? 2 Il paradiso era un luogo adatto alla dimora dell'uomo? 3 L'uomo fu posto nel paradiso terrestre per lavorarlo e custodirlo? 4 L'uomo è stato creato nel paradiso terrestre?

1 1 10 1 1 10 1 1 13 1 1 15 1 1 16

n

A. A. A. A. Q. l 03

governo delle cose in generale A. l Il mondo è governato da qualcuno? A. 2 ll fine a cui mira il governo del mondo è fuori di esso? A. 3 n mondo è governato da uno solo? A . 4 L'effetto del governo è unico? A. 5 Tutte le cose sono soggette al governo divino? A. 6 Tutte le cose sono governate immediatamente da Dio? A. 7 Può accadere qualcosa al di fuori dell'ordinamento del governo divino? A. 8 Qualcosa può fare resistenza al governo divino? n

1 1 17 1 1 17 1 1 19 1 12 1 1 123 1 124 1 1 26 1 1 28 1 129

Q. 104 Gli effetti del governo divino in particolare A. l Le creature hanno bisogno di essere conservate da Dio? A. 2 Dio conserva immediatamente ogni creatura? A. 3 Dio può annichilire qualcosa? A. 4 Di fatto qualche cosa viene annichilita?

1 1 30 1 130 1 1 35 1 137 1 1 38

Q. 105 La mozione delle creature da parte di Dio A. l Dio può muovere immediatamente la materia verso la forma? A. 2 Dio può muovere direttamente un corpo? A . 3 Dio muove immediatamente l'intelletto creato? A. 4 Dio può muovere la volontà creata? A. 5 Dio opera in ogni [soggetto] operante? A. 6 Dio può compiere qualcosa fuori dell'ordine stabilito nel creato? A. 7 Tutte le opere compiute da Dio fuori dell'ordine naturale delle cose sono miracoli? A. 8 Un miracolo può essere più grande dell' altro?

1 1 39 1 140 1 14 1 1 143 1 145 1 147 1 149 1 15 1 1 1 52

Q. 106 Mozioni e causalità delle creature A. l Un angelo illumina l'altro? A. 2 Un angelo può muovere la volontà dell' altro? A. 3 Un angelo inferiore può illuminare un angelo superiore? A. 4 L'angelo superiore illumina l'inferiore su tutto ciò che egli conosce?

1 154 1 1 54 1 1 56 1 158 1 1 60

Q. 107 La locuzione degli angeli A. l Un angelo parla con l'altro? A. 2 L'angelo inferiore parla a quello superiore? A. 3 L'angelo parla a Dio? A. 4 La distanza locale influisce sulla locuzione degli angeli? A. 5 Il parlare di un angelo con l'altro è conosciuto da tutti?

1 162 1 1 62 1 1 64 1 165 1 1 67 1 168

Q. 108 L'ordinamento degli angeli in gerarchie e ordini A. l Tutti gli angeli costituiscono una sola gerarchia?

1 1 69 1 1 69

1 304 A. A. A. A. A.

2 3 4 5 6 A. 7 A. 8

In una gerarchia ci sono più ordini? In u n ordine c i sono più angeli? La distinzione delle gerarchie e degli ordini negli angeli proviene dalla natura? Gli ordini angelici sono ben denominati? I gradi degli ordini sono ben determinati? Gli ordini rimarranno dopo il giorno del giudizio? Gli uomini vengono aggregati agli ordini degli angeli?

Q. 109 L'ordinamento degli angeli cattivi A. l Esistono tra i demoni degli ordini [gerarchici]? A. 2 Tra i demoni esiste qualche autorità? A. 3 Tra i demoni c'è l'illuminazione? A. 4 Gli angeli buoni hanno autorità su quelli cattivi?

1 17 1 1 173 1 1 74 1 176 1 181 1 1 85 1 1 87 1 1 89 1 189 1 190 1 19 1 1 192

Q. 110 D governo degli angeli sugli esseri corporei A. l Gli esseri corporei sono governati per mezzo degli angeli? A. 2 La materia corporea obbedisce al cenno degli angeli? A. 3 I corpi obbediscono agli angeli quanto al moto locale? A. 4 Gli angeli possono operare miracoli?

1 194 1 194 1 197 1 199 1 200

Q. 1 1 1 L'azione degli angeli sugli uomini A. l L'angelo può illuminare l'uomo? A. 2 Gli angeli possono influire sulla volontà dell'uomo? A. 3 Gli angeli possono influire sull 'immaginativa dell'uomo? A. 4 Gli angeli possono influire sui sensi dell'uomo?

1 202 1 202 1 204 1 206 1 208

Q. 112 La missione degli angeli A. l Gli angeli sono inviati per ministero? A. 2 Tutti gli angeli sono inviati in ministero? A . 3 Gli angeli inviati sono assistenti? A. 4 Gli angeli della seconda gerarchia sono tutti inviati?

1 209 1 209 1212 1214 1216

Q. 1 13 L a custodia degli angeli buoni A . l L'uomo è custodito dagli angeli? A. 2 Ogni uomo è custodito d a u n angelo particolare? A. 3 La custodia degli uomini è affidata soltanto agli angeli dell'ordine più basso? A. 4 L' angelo custode è assegnato a tutti gli uomini? A. 5 L' angelo custode è assegnato all'uomo fin dalla nascita? A. 6 L' angelo custode talora abbandona l'uomo? A. 7 Gli angeli provano dolore per i mali dei loro protetti? A. 8 Tra gli angeli può esserci lotta o discordia?

1218 1218 1 220 1 222 1223 1225 1 226 1 227 1 229

Q. 114 L'ostilità dei demoni A. l L' uomo è combattuto dai demoni? A. 2 Tentare è proprio del diavolo? A. 3 Tutti i peccati provengono dalle tentazioni del diavolo? A. 4 Il demonio può sedurre l'uomo con dei veri miracoli? A. 5 Il demonio è costretto a desistere dal tentare colui che lo ha sconfitto?

1 230 1 230 1 232 1 233 1 235 1 237

Q. 115 L'attività delle creature materiali A. l Esistono dei corpi attivi?

1 238 1 238

1 305 A. A. A. A. A.

2 3 4 5 6

Nella materia corporea ci sono delle ragioni seminali? I corpi celesti sono causa di quanto compiono quaggiù i corpi inferiori? I corpi celesti sono causa degli atti umani? I corpi celesti possono influire anche sui demoni? I corpi celesti rendono necessarie le cose sottoposte al loro influsso?

1 242 1 244 1 246 1248 1 250

Q. 116 Il fato A. l n fato è una realtà? A. 2 Il fato è nelle realtà create? A. 3 Il fato è immutabile? A. 4 Tutte le cose sono soggette al fato?

1 252 1 253 1 255 1256 1 257

Q. 1 17 Le attività causali dell'uomo A. l Un uomo può insegnare all' altro? A. 2 Gli uomini possono insegnare agli angeli? A. 3 L'uomo, con la virtù della sua anima, può trasmutare la materia corporea? A. 4 L' anima umana separata può muovere i corpi di moto locale?

1 258 1259 1 263 1 264 1 266

Q. 1 18 La propagazione del genere umano rispetto all'anima A. l L' anima sensitiva è trasmessa mediante il seme? A. 2 L'anima intellettiva è causata dal seme? A. 3 Le anime umane sono state create tutte insieme fin dal principio del mondo?

1 268 1 268 1 27 1 1 275

Q. 119 La propagazione del genere umano rispetto al corpo A. l Una parte dell'alimento si trasforma nel vero essere della natura umana? A. 2 Il seme proviene dal superfluo dell'alimento?

1 277 1 277 1 283

Schema della Prima Parte

1 287

1307

OPERE DI TOMMASO D'AQUINO edite da ESD *

Catena aurea, Glossa continua super Evangelia vol. l , Matteo 1 - 12, introd., testo latino e trad. it. , pp. 992; vol. 2, Matteo 13 -28, testo latino e trad. it. , pp. 10 16; vol. 3 , Marco, testo latino e trad. it. , pp. 656. Commento ai Libri di Boezio, Super Boetium De Trinitate, Expositio Libri Boetii

De Ebdomadibus, introd. e trad. it. , pp. 320. Commento ai Nomi Divini di Dionigi, Super Librum Dionysii

de Divinis Nominibus vol. l , Libri I-IV, introd., testo latino e trad. it. , pp. 584; vol. 2 , Libri V-XIII, testo latino e trad. it. , comprende anche De ente et essentia, pp. 568. Commento al Corpus Paulinum, Expositio et lectura super Epistolas Pauli Apostoli vol. l , Romani, introd., testo latino e trad. it., pp. 1024; vol. 2, l Corinzi, introd., testo latino e trad. it. , pp. 928; vol. 3 , 2 Corinz� Galati, introd., testo latino e trad. it., pp. 928; vol. 4, E/esim: Filippes� Colossesi, introd., testo latino e trad. it., pp. 760; vol. 5, Tessalonices� Timoteo, Tito, Filemone, introd., testo latino e trad. it., pp. 720; vol. 6, Ebrei, introd., testo latino e trad. it. , pp. 784 . Commento al Libro di Boezio D e Ebdomadibus. L'essere e la partecipazione, Expositio Libri Boetii

De Ebdomadibus, introd., testo latino e trad. it., pp. 152 . Commento al Libro di Giobbe, Expositio super]oh ad litteram, introd., trad. it., pp. 528. Commento all'Etica Nicomachea di Aristotele, Sententia Libri Ethicorum vol. l , Libri I-V, introd. e trad. it., pp. 672; vol. 2, Libri VI-X, trad. it. , pp. 608.

* Le Opere sono ordinate secondo il titolo dell'edizione italiana. Al titolo dell'edizione italiana segue il titolo della tradizione latina consolidata, segnalato in carattere corsivo. Cf. TORRELL J.-P., Amico

della verità. Vita e opere di Tommaso d'Aquino, ESD, Bologna 2006.

1 308

Commento alla Fisica di Aristotele, Sententia super Physicorum vol. l , Libri l-III, introd., testo latino e trad. it., pp. 640; vol. 2, Libri IV-VI, testo latino e trad. it., pp. 776; vol. 3, Libri, VII-VIII, testo latino e trad. it. , pp. 704. Commento alla Metafisica di Aristotele, Sententia super Metaphysicorum vol. l , Libri l-IV, introd., testo latino e trad. it., pp. 800; vol. 2, Libri V-VIII, testo latino e trad. i t., pp. 840; vol. 3 , Libri IX-XII, testo latino e trad. it., pp. 848. Commento alla Politica di Aristotele, Sententia Libri Poli'ticorum, introd., trad. it., pp. 464. Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, Scriptum super Libros Sententiarum vol.

l , Libro I, dd. 1 -2 1 , introd., testo latino e trad. it., pp. 1 1 04;

vol. 2, Libro I, dd. 22-48, testo latino e trad. it., pp. 1 056; vol. 3 , Libro II, dd. 1 -20, testo latino e trad. i t., pp. 1000; vol. 4, Libro II, dd. 2 1 -44, testo latino e trad. it., pp. 1 120; vol. 5, Libro III, dd. 1 -22, testo latino e trad. it., pp. 1 176; vol.

6, Libro III, dd. 23-40, testo latino e trad. it., pp. 1088;

vol. 7, Libro IV, dd. 1 - 13 , testo latino e trad. it., pp. 1 024; vol.

8, Libro IV, dd. 14-23 , testo latino e trad. it., pp. 1016;

vol.

9, Libro IV, dd. 24-42, testo latino e trad. it., pp. 9 12;

vol. 1 0, Libro IV, dd. 43-50, testo latino e trad. it., pp. 1000. Compendio di teologia, Compendium theologiae, introd., trad. it., pp. 3 84. Credo. Commento al Simbolo degli apostoli, introd., trad. it, pp. 128. Fondamenti dell'ontologia tomista. Il Trattato De ente et essentia, introd., commento, testo latino e trad. it, pp. 320. I Sermoni e le due Lezioni inaugurali, Sermones, Principia "Rigans montes'' , "Hic est liber" , introd., commento e trad. it. , pp. 368. La conoscenza sensibile. Commenti ai libri di Aristotele:

Il senso e il sensibile; La memoria e la reminiscenza, Sentencia Libri De sensu et sensato cuius secundus tractatus est De memoria et reminiscencia, introd. , trad. it., pp. 256. La legge dell'amore. La carità e i dieci comandamenti, In decem preceptis, introd., trad. it., pp. 128. La perfezione cristiana nella vita consacrata: Contro gli avversari del culto di Dio e della vita religiosa,

1 309

La perfezione della vita spirituale, Contro la dottrina di quanti distolgono dalla vita religiosa, Contra impugnantes Dei cultum et religionem, De per/ectione spin'tualis vitae, Contra pestz/eram doctrinam retrahentium homines a religionis ingressu, introd., trad. it., pp. 448. La preghiera cristiana. ll Padre nostro, l'Ave Maria e altre preghiere, introd., trad. it., pp. 128. La Somma contro i Gentili, Summa contra Genti/es vol. l , Libri l-II, introd., testo latino e trad. it. , pp. 784; vol. 2, Libro III, testo latino e trad. it., pp. 640; vol. 3 , Libro IV, testo latino e trad. it. , pp. 464. La Somma Teologica, Summa Theologiae, in 35 volumi, introduzione a ogni sezione, testo latino e trad. it. La Somma Teologica, Summa Theologiae, in 6 volumi, sola traduzione italiana vol. l , Parte I, pp. l 040; vol. 2, Parte I-II, pp. 976; vol. 3, Parte II-II, qq. 1 -79, pp. 616; vol. 4, Parte Il-II, qq. 80- 1 89, pp. 8 1 6; vol. 5, Parte III, pp. 920; vol. 6, Supplemento, pp. 848. La virtù della fede, Summa Theologiae II-II, qq. 1 - 16, introd., trad. it., pp. 248. L'unità dell'intelletto, De unitate intellectus, L'eternità del mondo, De aeternitate mzmdi, introd., testo latino e trad. it., pp. 240. Le Questioni Disputate, Quaestiones Disputatae vol. l , La Verità, De Ventate, introd., testo latino e trad. it., qq. I-IX, pp. 968; vol. 2, La Verità, De Veritate, introd., testo latino e trad. it., qq. X-XX, pp. 896; vol. 3, La Verità, De Veritate, introd., testo latino e trad. it., qq. XXI-XXIX, pp. 992; vol. 4, L'anima umana, De Anima; Le creature spirituali, De spiritualibus creaturis, introd., testo latino e trad. it., pp. 832 ; vol. 5 , L e virtù, De virtutibus in communi, De caritate, De correctione fraterna, De spe, De virtutibus cardinalibus; L' unione del Verbo Incarnato, De unione Verbi Incarnati, introd., testo latino e trad. it., pp. 688; vol. 6, Il male, De malo, intl'Od., testo latino e trad. it., qq. I-VI, pp. 624; vol. 7, Il male, De malo, testo latino e trad. it., qq. VII-XVI, pp. 736; vol. 8, La potenza divina, De potentia Dei, introd., testo latino e trad. it., qq. I-V, pp. 784;

1 3 10

vol.

9, La potenza divina, De potentia Dei, testo latino e trad. it., qq. VI-X, pp. 672;

vol. 1 0, Su argomenti vari, Quaestiones quodlibetales, introd., testo latino e trad. it., qq. VII-XI, pp. 520;

vol. 1 1 , Su argomenti vari, Quaestiones quodlibetales, testo latino e trad. it., qq. I-VI, XII, pp. 848. Logica dell'enunciazione. Commento al libro di Aristotele Peri Hermeneias) Expositio

Libri Peryermenias, introd., trad. it., pp. 264 . Opuscoli politici: Il governo dei principi, Lettera alla duchessa del Brabante, La dilazione nella compravendita, De Regno ad Regem Cypri, Epistola ad Ducissam Brabantiae, De emptione et venditione ad tempus, introd., trad. it., pp. 464. Opuscoli spirituali: Commenti al Credo, Padre Nostro, Ave Maria, Dieci Comandamenti, Ufficio e Messa per la Festa del Corpus Domini, Le preghiere di san Tommaso, Lettera a uno studente,

In Symbolum Apostolorum, In orationem dominicam, In salutationem angelicam, In duo praecepta caritatis et in decem legis praecepta expositio, 0//icium de Pesto Corporis Christi, Piae Preces, Ad ]oannem, introd. , trad. it., pp. 352. Pagine di filosofia: Filosofia della natura, antropologia, gnoseologia, teologia naturale, etica, politica, pedagogia, De Principiis naturae) testo latino e trad. it. , introduzioni e antologia di brani, pp. 224.

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ALTRE OPERE su TOMMASO D'AQUINO edite da ESD }EAN-PIERRE ToRRELL, Amzco della verità. Vita e opere di Tommaso d)Aquino, pp. 568. BATTISTA MONDIN, Dizionario enciclopedico del pensiero di san Tommaso d)Aquino, 2a ed., pp. 764.

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Finito di stampare: gennaio 2014, SAB Snc, Budrio (BO)