La Somma Teologica. Terza Parte [Vol. 4]
 9788870948547

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TOMMASO

o'

AQJJINO

LA SOMMA TEOLOGICA TERZA PARTE

Testo latino dell'Edizione Leonina Traduzione italiana a cura dei Frati Domenicani Introduzione di Giuseppe Barzaghi

EDIZIONI STUDIO DOMENICANO

Titolo originale: Summa Theologiae, Tertia Pars. Testo latino: dell'Edizione Leonina, pubblicato in 35 volumi da ESD a partire dal 1984, e integralmente rivisto. Traduzione italiana: curata da Tito Sante Centi, Roberto Coggi, Giuseppe Barzaghi, Giorgio Carbone.

Piano dell'Opera: vol. l , Prima Parte vol. 2, Seconda Parte, Prima Sezione vol. 3, Seconda Parte, Seconda Sezione vol. 4, Terza Parte

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Presentazione

Fin da quando pubblicammo la traduzione italiana di Jean-Pierre Torrell, Amico della verità. Vtta e opere di Tommaso d'Aquino, avevamo annunciato una nuova edizione della Somma teologica. Era il 2006. Subito da più parti iniziarono a manifestarsi segni di interessamento a questa nuova impresa. Dopo anni di attesa e lavoro, quasi costretti, abbiamo rotto gli indugi. Adesso possiamo presentare con gioia e soddisfazione una nuova edizione in quattro agili volumi. Non pubblichiamo il Supplementum, per due ragioni: non è opera di Tommaso, ma di un ignoto compilatore che ispirandosi allo Scritto sulle Sentenze ha completato la Somma lasciata incompiuta da Tommaso; lo Sc1itto sulle Sentenze, che è la matrice del Supplementum, è già stato tradotto e edito da ESD. Il testo latino è quello messo a punto dalla Commissione Leonina, pubblicato nella nostra edi­ zione in 35 volumi. In esso abbiamo inserito tra parentesi quadre i riferimenti agli Autori che Tommaso cita direttamente o, talvolta, indirettamente, controllandoli e integrandoli. Per tali citazio­ ni abbiamo usato abbreviazioni e sigle, la cui esplicitazione si trova nelle pagine che seguono. Inoltre, se nella risposta a un'obiezione Tommaso cita il brano di un'opera, già citato nell'obiezio­ ne a cui sta rispondendo, abbiamo evitato di riprodurre la fonte: il lettore la troverà nell'obiezione iniziale. Per i libri biblici si tenga presente che i riferimenti numerici dei versetti erano assenti nel testo di Tommaso, e che sono stati introdotti dalle edizioni a stampa successive al XVI secolo. Infine, ricordiamo che la suddivisione e quindi la numerazione di alcuni libri di Aristotele, come la Metafisica e la Fisica, sono cambiate rispetto a quelle usate da Tommaso.

La traduzione italiana deriva principalmente dalla prima edizione in lingua italiana curata tra il 1950 e il 1974 in modo prevalente da Tito Sante Centi O. P., pubblicata inizialmente a Firenze da Salani, e poi continuamente ripubblicata a Bologna dalla nostra Casa editrice. Deriva poi anche da una revisione curata nel1996 da Roberto Coggi O. P. Rispetto a queste due traduzioni, l'intervento di curatela di Giuseppe Barzaghi O. P. e Giorgio Carbone O. P. ha apportato alcune innovazioni. La prima consiste nella versione stessa: non è una nuova traduzione, ma semplicemente una revisione delle traduzioni precedenti, revisione che talvolta ha comportato il rifacimento della traduzione mirando a migliorare la comprensione del testo di Tommaso. La seconda novità consiste nell'aver reso in forma inten'Ogativa diretta i titoli di tutti gli articoli, poiché il genere letterario della Somma teologica richiama quello della questione disputata. La terza è la traduzione letterale dei brani bibli­ ci citati da Tommaso: non abbiamo fatto ricorso alle due traduzioni CEI, ma abbiamo tenuto sem­ plicemente conto della Bibbia latina della versione Vulgata, che Tommaso cita alla lettera o a memoria, integralmente o con allusioni riportando solo l'inizio di un brano, secondo la versione parigina o quelle che circolavano nella nostra penisola dopo la metà del XIII secolo. A questo pro­ posito si ricordi che talvolta la numerazione dei versetti della Vulgata è diversa dalla numerazione delle traduzioni moderne. La quarta consiste nell'aver riportato solo nel testo latino e tra parentesi quadre i riferimenti alle opere bibliche, filosofiche e patristiche citate da san Tommaso. Tale scelta è stata motivata dalla volontà di aiutare il lettore a frequentare il testo latino e dalla necessità di non rendere troppo lungo il testo in lingua italiana. n testo sarà disponibile sul sito: www.edizionistudiodomenicano.it, mediante un libro virtuale.

Questa nuova edizione non avrebbe visto la luce senza l'aiuto disinteressato e generoso di alcu­ ne carissime persone. Perciò con soddisfazione e riconoscenza ringraziamo Maria Marconi, Luigi Carbone, Luciana Felici, Alfonso Carbone, Guido Balestrero, Rosalba Barucco, Bruno Viglino, Antonia Salzano e Andrea Acutis. Giorgio Carbone O. P.

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Abbreviazioni e sigle a.: articolo Ab:Abacuc Act.:Atti degli apostoli Agg.:Ageo Am:Amos Ap:Apocalisse di Giovanni Apoc.:Apocalisse di Giovanni arg.: argomento o obiezione At:Atti degli apostoli Bar: Baruc Cant.: Cantico dei Cantici Cat. Aurea: Catena Aurea, Tommaso d'Aquino co.: corpus/corpore, corpo dell'articolo Col.: Lettera ai Colossesi Conc. Cpolit.: Concilio Costantinopolitano Conf.: Confessiones, Agostino Contra Prumen.: Contra epistolam Parmeniani, Agostino Contra Vigil.: Contra Vigilantium, Girolamo l 2 Cor.: Lettere ai Corinzi l 2 Cr: l 2 Cronache Ct: Cantico dei Cantici Dan.: Daniele DCH: De caelesti hierarchia, Dionigi De an.: De anima, Aristotele o Averroè De art. fidei: De articuls fidei, Tommaso d'Aquino De bapt. contra Donat.: De baptismo contra Donatistas, Agostino De cael. hier.: De caeleste hierarchia, Dionigi De caelo: De caelo et mundo, Aristotele De civ. Dei: De civitate Dei, Agostino De cons. Evang.: De consensu Evangelistarum, Agostino De corr.: De correptione et gratia, Agostino De div. nom.: De divinis nominibus, Dionigi De doct. chr.: De doctrina christiana, Agostino De ecci. dogmat.: De ecclesiasticis dogmatibus, Gennadio De ecci. hier.: vedi DEH De ecci. off.: De ecclesiasticis officiis, Isidoro De fide: De fide orthodoxa, Giovanni Damasceno De gener.: De generatione et corruptione, Alistotele De Haeres.: De Haeresibus, Agostino De incamat.: De incamatione, Ambrogio De instit. cleric.: De clericorum institutione, Rabano De lib. arb.: De libero arbitrio, Agostino De mem. et rem.: De memoria et reminiscentia, Aristotele De nat. boni: De natura boni, Agostino De nat. et grat.: De natura et gratia, Agostino De nupt. et concupisc. De nupt. et concupisc. Agostino De off.: De officiis, Ambrogio

De part. an.: De partibus animalium, Aristotele De pece. remiss.: De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulotum, Agostino De praedest.: De praedestinatione, Agostino De quaest. Evang.: De quaestionibus Evangeliorum, Agostino De quatuor volunt.: De quatuor voluntatibus in Christo, Ugo di San Vittore De sacram.: De sacramentis, Ugo di San Vittore De serm. Dom.: De sermone Domini in monte, Agostino De Trin.: De Trinitate: Ilario, Didimo di Alessandria, Ambrogio, Agostino o Boezio De Tuscul. Q.: De Tusculanis Quaestionibus, Cicerone De unic. bapt. contra Petilianum: De unico baptismo contra Petilianum, Agostino De unit. Trin.: De unitate Trinitatis, Vigilio di Tapso De vera et falsa poenit.: De vera et falsa poenitentia, Agostino De vera rei.: De vera religione, Agostino Decretum: Decretum, Graziano DEH: De ecclesiastica hierarchia, Dionigi Deut.: Deuteronomio Dial.: Dialogorum, Gregorio Dig.: Digesta, Corpus Iuris Civilis Dn: Daniele Dt: Deuteronomio Eb: Lettera agli Ebrei Eccle.: Ecclesiaste o Qoèlet Eccli.: Ecclesiastico o Siracide Ef: Lettera agli Efesini Enarr. in Ps.: Enarrationes in Psalmos, Agostino Ench.: Enchiridion, Agostino Ep.: Epistola Eph.: Lettera agli Efesini Es: Esodo Esd.: Esdra Ethic.: Etica a Nicomaco, Aristotele Etymol.: Etymologiae, Isidoro Ex.: Esodo Ez.: Ezechiele Fil: Lettera ai Filippesi Gal.: Lettera ai Galati Gb: Giobbe Gc: Lettera di Giacomo Gdc: Giudici Gdt: Giuditta Gen.: Genesi Ger: Geremia Gl: Gioele Gn: Giona

7 Gs: Giosuè Gv: Vangelo secondo Giovanni

Op. imperf. in Matth.: Opus imperfectum in Mattheum, Pseudo Crisostomo

l 2 Gv: Lettere di Giovanni

Orat.: Oratione

H.: Homilia Hab.: Abacuc

Ord.: Glossa ordinaria Os.: Osea

Hebr.: Lettera agli Ebrei 1: S. Th., Prima Parte, Tommaso d'Aquino

Perih.: Perihermenias sive De interpretatione,

1-ll: S. Th., Seconda Parte, Prima Sezione, Tommaso

d'Aquino ll-ll: S. Th., Seconda Parte, Seconda Sezione,

Tommaso d'Aquino

l 2 Parai.: Paralipomeni, l e 2 Cronache

Aristotele l 2 Petr.: Lettere di Pietro

Phil.: Lettera ai Filippesi Phys.: Physica, Aristotele

Ill: S. Th., Terza Parte, Tommaso d'Aquino

Poi.: Politica, Aristotele

Iac.: Lettera di Giacomo

Post.: Analytica Posteriora, Aristotele

Ier.: Geremia

Pr: Proverbi

In Ev. h.: In Evangelium homiliae, Gregorio Magno

Pro v.: Proverbi

In Ioan. tract: In Ioannis evangelium tractatus, Agostino

Ps.: Salmi

In Luc.: Expositio Evangelii secundum Lucam, Ambrogio In Sent.: Super libros Sententiarum, Alberto, Bonaventura o Tommaso d'Aquino

l 2 Pt: Lettere di Pietro

Q. Evang.: Quaestionum Evangeliorum, Agostino Q. in Heptat.: Quaestionum in Heptateuchum, Agostino

In Som. S.: In Sornnum Scipionis, Macrobio

q.: questione

In Univ. Test.: In Universum Testamentum, Ugo

Qo: Qoèlet o Ecclesiaste

di San Caro Int.: Glossa interlineare

l 2 Re: Libri dei Re (Vulgata: 3 4 Reg.) l 2 Reg.: Libri di Samuele, l 2 Sam

Ioan.: Vangelo secondo Giovanni

3 4 Reg.: Libri dei Re, l 2 Re

l 2 Ioan.: Lettere di Giovanni

Retract.: Retractationum, Agostino

Ios.: Giosuè

Rhet.: Retorica, Aristotele o Cicerone

ls.: Isaia

Rrn: Lettera ai Romani

Iudic.: Giudici

Rom.: Lettera ai Romani

1.: lectio, lezione

s. c.: sed contra

Larn: Larnentazioni

S. Th.: Summa Theologiae, Tommaso d'Aquino

Le: Vangelo secondo Luca

S.: Supplementum

Lev.: Levitico

Sal: Salmi

Lomb.: Glossa di Pietro Lombardo

l 2 Sam: Libri di Samuele (Vulgata: l 2 Reg.)

Luc.: Vangelo secondo Luca

Sap.: Sapienza

Lv: Levitico

Sent.: Sententiarum Libri, Pietro Lombardo, detto

LXX: Bibbia versione greca dei Settanta

il Maestro

l 2 Mac: l 2 Maccabei

Serm. Suppos.: Sermones Supposititii, Agostino

l 2 Mach.: l 2 Maccabei Malach.: Malachia

Sir: Siracide o Ecclesiastico Summa Aurea: Guglielmo di Auxerre

Mare.: Vangelo secondo Marco

Super Ez.: Commento a Ezechiele, Gregorio

Matth.: Vangelo secondo Matteo

Super Gen.: Super Genesim ad litteram, Agostino

Mc: Vangelo secondo Marco

Super loan.: In Ioannis evangelium tractatus, Agostino

Met.: Metaphysica, Aristotele

Tb: Tobia

Meteor.: Meteorologica, Aristotele

l 2 Thess.: Lettere ai Tessalonicesi

Mi: Michea

Thren.: Lamentazioni

Mich.: Michea

Tit.: Lettera a Tito

MI: Malachia

l 2 Tm: Lettere a Timoteo

Mor.: Moralia in Iob, Gregorio Magno

Tob.: Tobia

Mt: Vangelo secondo Matteo

Top.: Topica, Aristotele

Nm: Numeri

l 2 Ts: Lettere ai Tessalonicesi

Num.: Numeri

Tt: Lettera a Tito

Octoginta trium Q.: De diversis quaestionibus LXXXITI, Agostino

Zc: Zaccaria

Zach.: Zaccaria

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Introduzione alla Tertia Pars Il mistero del Logos incarnato e l'esercizio della logica «Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l 'uomo Cristo Gesù» (l

Tm 2, 5).

Trattando di Cristo mediatore, nel quadro della sua funzione riconciliatricet, san Tommaso dice che il mediatore è colui che esercita l'atto del medio e perciò ha la natura del medio. Ora, la natura del medio è quella di essere nel mezzo tra gli estremi, partecipando di entrambi e situandosi gerar­ chicamente sotto il primo e sopra l'ultimo. L'atto del medio, invece, è quello di collegare gli estre­ mi. Perciò, il medio implica tre condizioni: l ) congiungere o collegare gli estremi; 2) parteciparne; 3) esser tra il superiore e l'inferiore. Dunque, il mediatore congiunge in questo modo ciò che è separato. In che modo Cristo manifesta la propria fisionomia di medio per esercitare l'atto del mediatore e riconciliatore tra Dio e l'uomo? Il dogma dell'Incarnazione ci dice che in Cristo la natura umana e la natura divina sussistono nell'unica persona del Logos (unione ipostatica); perciò la fisionomia mediatrice di Cristo può essere valutata da tre punti di vista: quello della natura divina, quello della natura umana e quello della persona composta. A) Secondo la natura divina, Cristo non può essere mediatore perché in quest'ottica non si danno le condizioni del medio: non partecipa degli estremi, perché è uno degli estremi e, in quanto Dio, il Logos non è meno del Padre. B) Secondo la natura umana, Cristo è perfetto mediatore, perché raccoglie in sé tutte l� condi­ zioni del medio. Partecipa degli estremi: di Dio la beatitudine; degli uomini l'infermità. E sotto Dio, per la natura creata e assunta; è sopra gli uomini, per la pienezza della grazia e per l'unione ipostatica. Ricongiunge Dio e l'uomo in forza della riconciliazione. C) Secondo la persona divina del Logos (Verbo), che sussiste nelle due nature - e quindi implica la composizione di queste due nature -, Cristo è mediatore perché congiunge perfettamente l'uomo e Dio, comunicando perfettamente con le due nature e non per semplice pattecipazione. Ma non secondo l'ordine gerarchico, perché la persona del Logos non è inferiore alla persona del Padre. All'obiezione secondo la quale Cristo non può essere mediatore secondo la natura umana, per­ ché questa è uno degli estremi, san Tommaso risponde che essa, in Clisto, non è un estremo, per­ ché,, essendo senza peccato, non è nella condizione della riconciliabilità, della riconciliazione2. E utile sottolineare il fatto che nella trattazione della figura di Cristo e delle sue azioni sacra­ mentali convergono in modo massiccio le dinamiche teoretiche della metafisica, della cosmologia, dell'antropologia, dell'etica e della logica. Il mistero dell'incarnazione è il banco di prova della spequlazione teologica. E come se si verificasse con mano che in Cristo «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2, 3). E dunque, per poter esplorare in modo critico-contemplativo Cristo, occorre avvertire che il suo mistero chiede l'omaggio di tutta la ragione e di tutte le sue abilità di giudizio prospettico. Alla metafisica, per esempio, tocca dirimere il problema dell'immutabilità di Dio e della assun­ zione della natura umana, cioè l'unione della natura umana e della natura divina nell'unica persona del Verbo. Alla cosmologia e all'antropologia compete l'investigazione dei problemi relativi alla possibilità, dalla parte della natura umana, di una vita non divina coinvolta ipostaticamente con Dio; la possibilità della resurrezione e della Ascensione al cielo e le condizioni di un corpo lisorto;

l Cf. In l

Sent. d.l9,l, 5, ql. 2.

2 Cf. lbid. ad l .

IO

Introduzione alla Tertia Pars

come anche, del resto, circa la possibilità dell'azione causale di Cristo nei Sacramenti. Alla morale compete il discorso sulla meritorietà dell'agire di Cristo e il valore salvifico della sua morte e risurrezione. Non si tratta di capire intrinsecamente o dimostrativamente il mistero, quanto piuttosto di capi­ re che cosa si deve escludere razionalmente perché il mistero rivelato non sia annullato e, d'altra , parte, non sia vanificata neppure la cçmsistenza della natura creata. E perciò evidente il grande lavoro della logica in questa impresa. E come se il Logos divino incarnato richiamasse a sé il suo riflesso razionale, cioè la disciplina che in qualche modo porta il suo nome. . - E tale convenienza può n­ levarsi rispetto all'avanzamento dell' uomo nel bene. Primo, quanto alla fede, che acqui­ sta una maggiore sicurezza per il fatto che si crede allo stesso Dio che parla. Per cui Ago­ stino afferma: «Perché l'uomo con più fiducia accedesse alla verità, la Verità stessa, il Figlio di Dio, facendosi uomo gettò le fondamenta della fede». Secondo, quanto alla speranza, che nell'incarnazione trova il suo stimolo più efficace: «Nulla», dice infatti Agostino, «era tanto necessario a infonderei speranza quanto la dimostrazione del grande amore che Dio ci porta. Ma quale segno poteva essere più chia­ ro della degnazione del Figlio di Dio a unirsi con la nostra natura?». Terzo, quanto alla carità, che nell'incarnazione trova il suo mas­ simo incentivo. Da cui le parole di Agostino: «Quale fine più grande ha la venuta del Si­ gnore se non quello di manifestarci l'amore di Dio per noi?». E conclude: «Se poteva costar­ ci l'amare, che almeno non ci costi il riama­ re». Quarto, rispetto al ben operare, nel quale con l'incarnazione Dio stesso si è fatto nostro modello. Infatti Agostino spiega: «Avevamo l'obbligo di seguire non l'uomo che vedeva­ mo, ma Dio che non vedevamo. Per dare quindi all'uomo di poter vedere chi doveva seguire, Dio si fece uomo». Quinto, quanto alla piena partecipazione della divinità, che è la vera beatitudine dell'uomo e il fine della sua vita. E questa piena partecipazione ci vie-

Q. l , A. 2

La convenienza dell 'incarnazione

tionem divinitatis, quae vere est hominis beati­ tudo, et finis humanae vitae. Et hoc collatum est nobis per Christi humanitatem, dicit enim Augustinus, in quodam sermone De nativ. Do­ mini [Serm. suppos. 1 28], factus est Deus homo, ut homo fieret Deus. - Similiter etiam hoc utile fuit ad remotionem mali. Primo enim per hoc homo instruitur ne sibi diabolum praeferat, et eum veneretur, qui est auctor pec­ cati. Unde dicit Augustinus, 13 De Trin. [17],

quando sic Deo coniungi potuit humana na­ tura ut fieret una persona, superbi i!li maligni spiritus non ideo se audeant homini prae­ ponere quia non habent camem. Secundo, quia per hoc instruimur quanta sit dignitas hu­ manae naturae, ne eam inquinemus peccando. Unde dicit Augustinus, in libro De vera reli­ gione [ 1 6] , demonstravit nobis Deus quam

excelsum locum inter creaturas habeat hu­ mana natura, in hoc quod hominibus in vero homine apparuit. Et Leo Papa dicit, in ser­ mone De nativitate [Sermones 2 1 ,3], agnosce, o Christiane, dignitatem tuam, et divinae consors factus naturae, noli in veterem vilita­ tem degeneri conversatione redire. Tertio quia, ad praesumptionem hominis tollendam, gratia Dei, nullis meritis praecedentibus, in homine Christo nobis commendatur, ut dicitur 1 3 De Trinitate [ 17]. Quarto, quia superbia hominis, quae maximum impedimentum est ne inhaereatur Deo per tantam Dei humilitatem redargui potest atque sanari, ut Augustinus dicit ibidem [De Trin. 1 3, 1 7] . - Quinto, ad liberandum hominem a servi tute. Quod quidem, ut Augustinus dicit, 13 De Trin. [ 1 3-

14],fieri debuit sic ut diabolus iustitia lwminis Iesu Christi superaretur, quod factum est Christo satisfaciente pro nobis. Homo autem purus satisfacere non poterat pro toto humano genere; Deus autem satisfacere non debebat; unde oportebat Deum et hominem esse Iesum Christum. Unde et Leo Papa dicit, in sermone De nativ. [Sermones 2 1 ,2], suscipitur a virtute

infirmitas, a maiestate humilitas, ut, quod nostris remediis congntebat, unus atque idem Dei et hominum mediator et mori ex uno, et resurgere posset ex altero. Nisi enim esset verus Deus, non afferret remedium, nisi esset homo verus, IWll praeberet exemplum. Sunt -

autem et aliae plurimae utilitates quae consecu­ tae sunt, supra comprehensionem sensus humani.

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ne conferita attraverso l'umanità di Cristo: in­ fatti «Dio si è fatto uomo perché l'uomo dive­ nisse Dio», scrive Agostino. - Altrettanto uti­ le era l'incarnazione anche per allontanare l'uomo dal male. Primo, in quanto essa per­ suade l'uomo a non stimare il diavolo, che è il primo artefice del peccato, superiore a se stes­ so, e a non prestargli ossequio. Per cui avverte Agostino: «Dal momento che la natura uma­ na poté essere unita a Dio così intimamente da divenire con lui una sola persona, non osi­ no quei superbi spiriti maligni anteporsi al­ l'uomo vantandosi della loro incorporeità». Secondo, l'incarnazione ci insegna quanto sia grande la dignità della natura umana, affinché non la macchiamo peccando. «Dio ci ha mo­ strato quale eminente posto abbia tra le realtà create l a natura umana, apparendo tra gli uomini come un vero uomo», afferma Agosti­ no. E il papa Leone ammonisce: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e fatto partecipe della natura divina non tornare all'antica mi­ seria con un'indegna condotta». Terzo, per di­ stogliere l 'uomo dalla presunzione «Viene esaltata in Cristo uomo la grazia divina, non preceduta da merito alcuno», come rileva Agostino. Quarto, perché, come aggiunge il medesimo Santo, «una così grande umiltà di Dio è in grado di riprendere e di guarire la superbia dell'uomo, che è l'impedimento più grave per la sua adesione a Dio». - Quinto, l'incarnazione giovò a liberare l'uomo dalla schiavitù del peccato. E ciò doveva avvenire, dice Agostino, «in modo che il diavolo fosse vinto dall'uomo Cristo Gesù»: il che avvenne attraverso la soddisfazione offerta da Cristo per noi. Un puro uomo infatti non avrebbe potuto soddisfare per tutto il genere umano; d'altra parte Dio non doveva soddisfare: era quindi necessario che Gesù Cristo fosse Dio e uomo. Da cui le parole di papa Leone: «La potenza assume la debolezza, l a maestà l'abiezione: di modo che in corrispondenza ai nostri bisogni un solo e medesimo mediatore fra Dio e gli uomini potesse morire e risorge­ re grazie agli opposti attributi. Se infatti non fosse vero Dio, non porterebbe il rimedio; se non fosse vero uomo, non ci darebbe l' esem­ pio». - Ci sono poi moltissimi altri vantaggi derivati dall'incarnazione, al di sopra della comprensione umana. Soluzione delle difficoltà: l . L'obiezione si

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La convenienza del/ 'incarnazione

Q. l , A. 2

Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedi t secundum primum modum necessarii, sine quo ad finem perveniri non potest. Ad secundum dicendum quod aliqua satisfactio potest dici sufficiens dupliciter. Uno modo, perfecte, quia est condigna per quandam adaequationem ad recompensationem com­ missae culpae. Et sic hominis puri satisfactio sufficiens esse non potuit, quia tota natura hu­ mana erat per peccatum corrupta; nec bonum alicuius personae, vel etiam plurium, poterat per aequiparantiam totius naturae detrimen­ tum recompensare. Tum etiam quia peccatum contra Deum commissum quandam infinita­ tem habet ex infinitate divinae maiestatis, tanto enim offensa est gravior, quanto maior est ille in quem delinquitur. Unde oportuit, ad condignam satisfactionem, ut actio satisfa­ cientis haberet efficaciam infinitam, ut puta Dei et horninis existens. - Alio modo potest dici satisfactio sufficiens imperfecte, scilicet secundum acceptationem eius qui est ea con­ tentus, quamvis non sit condigna. Et hoc modo satisfactio puri horninis est sufficiens. Et quia omne imperfectum praesupponit ali­ quid perfectum, a quo sustentetur, inde est quod omnis puri hominis satisfactio effica­ ciam habet a satisfactione Christi. Ad tertium dicendum quod Deus, assumendo carnem, suam maiestatem non minuit, et per consequens non rninuitur ratio reverentiae ad ipsum. Quae augetur per augmentum cogni­ tionis ipsius. Ex hoc autem quod nobis appro­ pinquare voluit per camis assumptionem, ma­ gis nos ad se cognoscendum attraxit.

fonda sul primo tipo di necessità, quella cioè di un mezzo indispensabile per ottenere l'effetto. 2. Una soddisfazione può dirsi sufficiente in due modi. Primo, in maniera perfetta, in quan­ to è «condegna>>, ossia compensa adeguata­ mente la colpa commessa. E in questo senso non poteva essere sufficiente la soddisfazione di un puro uomo, poiché tutta la natura umana era stata corrotta dal peccato, e il merito di una o anche di più persone non poteva compensare alla pari il danno di tutta la natura. Inoltre il peccato commesso contro Dio acquista una certa infinità a motivo dell'infinità della maestà divina: l'offesa infatti è tanto maggiore quanto più grande è la persona verso cui si manca; era quindi necessario per una soddisfazione ade­ guata che l ' azione del riparatore avesse un'efficacia infinita, quale è appunto l'azione di un uomo-Dio. - Secondo, una soddisfazione può dirsi sufficiente in maniera imperfetta, ossia relativamente all'accettazione da parte di chi se ne accontenta, anche se non è adeguata. E in questo senso può essere sufficiente la sod­ disfazione di un puro uomo. Thttavia, poiché ogni cosa imperfetta presuppone qualcosa di perfetto su cui reggersi, è dalla soddisfazione di Cristo che prende efficacia la soddisfazione di ogni puro uomo. 3. Dio, assumendo la crune, non ha sminuito la propria maestà, e quindi neppure il motivo del rispetto che gli è dovuto. Anzi, questo risulta accresciuto per la maggiore conoscen­ za che abbiamo di lui: poiché per il fatto stes­ so che ha voluto avvicinarsi a noi assumendo la carne, ci ha attratti a conoscerlo di più.

Articulus 3 Utrum si homo non peccasset, nihilominus Deus incarnatus fuisset

Articolo 3 Dio si sarebbe incarnato anche se l'uomo non avesse peccato?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod, si homo non peccasset, nihilominus Deus incarnatus fuisset. l . Manente enim causa, manet effectus. Sed sicut Augustinus dicit, 1 3 De Trin. [ 1 7], alia multa sunt cogitanda in Christi incarnatione praeter absolutionem a peccato, de quibus dictum est [a. 2]. Ergo, etiam si homo non peccasset, Deus incarnatus fuisset. 2. Praeterea, ad omnipotentiam divinae virtutis pertinet ut opera sua perficiat, et se manifestet

Sembra di sì. Infatti: l . Se rimane la causa, rimane l'effetto. Ma neli' incarnazione di Cristo, come dice Ago­ stino, oltre alla liberazione dal peccato «ci sono da considerare molte altre cause», a cui abbiamo già fatto cenno. Quindi, anche se l' uomo non avesse peccato, Dio si sarebbe ugualmente incarnato. 2. Appartiene ali' onnipotenza divina portare a compimento le sue opere e manifestarsi in qualche effetto infinito. D'altra parte nessuna

Q. l , A. 3

La convenienza dell 'incarnazione

per aliquem infinitum effectum. Sed nulla pura creatura potest dici infinitus effectus, cum sit finita per suam essentiam. In solo autem opere incarnationis videtur praecipue manifestari infinitus effectus divinae poten­ tiae, per hoc quod in infmitum distantia co­ niunguntur, inquantum factum est quod homo esset Deus. In quo etiam opere maxime vide­ tur perfici universum, per hoc quod ultima creatura, scilicet homo, primo principio co­ niungitur, scilicet Deo. Ergo, etiam si homo non peccasset, Deus incamatus fuisset. 3 . Praeterea, humana natura per peccatum non est facta capacior gratiae. Sed post peccatum capax est gratiae unionis, quae est maxima gratia. Ergo, si homo non peccasset, humana natura huius gratiae capax fuisset. Nec Deus subtraxisset naturae humanae bo­ num cuius capax erat. Ergo, si homo non pec­ casset, Deus incarnatus fuisset. 4. Praeterea, praedestinatio Dei est aetema. Sed dicitur, Rom. l [4], de Christo, quod praedestinatus est Filius Dei in virtute. Ergo etiam ante peccatum necessarium erat Filium Dei incarnari, ad hoc quod Dei praedestinatio impleretur. 5. Praeterea, incarnationis mysterium est pri­ mo hornini revelatum, ut patet per hoc quod dixit, hoc mmc os ex ossibus meis, etc. [Gen. 2,23] , quod apostolus dicit esse magnum sacramentum in Christo et Ecclesia, ut patet Eph. 5 [32]. Sed homo non potuit esse prae­ scius sui casus, eadem ratione qua nec ange­ lus, ut Augustinus probat, Super Gen. [ 1 1 , 1 8]. Ergo, etiam si homo non peccasset, Deus incarnatus fuisset. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De verbis Dom. [Serm. ad pop . 1 74,2] , exponens illud quod habetur Luc. 1 9 [ 1 0] , venit Filius hominis quaerere et salvumfacere quod perierat, si homo non peccasse!, Filius hominis non venisset. Et l ad Tm l , su per illud verbum, Christus venit in hunc mundum ut peccatores salvosfaceret [ 1 5], dicit Glossa [ord. et Lomb. ; Augustinus, Serm. ad pop. 1 7 5, l ] , nulla causa veniendi fuit Christo Domino, nisi peccatores salvos facere. Tolle morbos, tolle vulnera, et nulla medicinae est causa. Respondeo dicendum quod aliqui circa hoc diversimode opinantur. Quidam enim dicunt quod, etiam si homo non peccasset, Dei Filius

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pura creatura può costituire un effetto infinito, essendo essa limitata per essenza. Ora, solo nell'opera dell'incarnazione si manifesta un effetto infinito della potenza divina, vale a di­ re il congiungimento di realtà infinitamente distanti fra di loro, giacché l'uomo è divenuto Dio. Nella medesima opera inoltre l'universo sembra raggiungere la sua perfezione, per il fatto che l'ultima creatura, cioè l'uomo, viene congiunta con il primo principio, che è Dio. Quindi, anche se l'uomo non avesse peccato, Dio si sarebbe incarnato. 3. La natura umana non è stata resa dal pecca­ to più capace di ricevere la grazia. Eppure do­ po il peccato essa è in grado di ricevere la grazia dell'unione, che è la massima grazia. Quindi, sarebbe stata capace di questa grazia anche se l'uomo non avesse peccato. Né Dio avrebbe negato alla natura umana un bene di cui essa era capace. Dio quindi si sarebbe in­ carnato anche se l'uomo non avesse peccato. 4. La predestinazione divina è eterna. Ma in Rm l [4] di Cristo è detto che è stato predesti­ nato quale Figlio di Dio con potenza. Perciò anche prima del peccato era necessario che per adempiere la predestinazione divina il Figlio di Dio si incarnasse. 5. n mistero dell'incarnazione fu rivelato al primo uomo, come risulta dalle sue parole: Ora questo è osso delle mie ossa. . . [Gen 2,23], relative al matrimonio, che Paolo considera un grande mistero in riferimento a Cristo e alla Chiesa (Ef 5,32) . Ma l'uomo non poteva conoscere in precedenza la propria caduta, per la stessa ragione per cui non lo poteva l' angelo, come dimostra Agostino. Quindi Dio si sarebbe incarnato anche se l'uomo non avesse peccato. In contrario: Agostino, spiegando il passo di Le 1 9 [ 1 0] : Il Figlio dell 'Uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, di­ chiara: «Se l'uomo non avesse peccato, il Fi­ glio dell'Uomo non sarebbe venuto». Inoltre a commento di l Tm l [ 1 5] : Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, la Glossa aggiunge: «Nessun altro motivo ebbe per ve­ nire tra noi Cristo Signore, se non quello di salvare i peccatori. Togli le malattie, togli le ferite, e non c'è più bisogno di medicina>>. Risposta: ci sono in proposito opinioni diver­ se. Alcuni dicono che il Figlio di Dio si sareb­ be incarnato anche se l'uomo non avesse pec-

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fuisset incarnatus. Alli vero contrarium asse­ runt. Quorum assertioni magis assentiendum videtur. Ea enim quae ex sola Dei voluntate proveniunt, supra omne debitum creaturae, nobis innotescere non possunt nisi quatenus in sacra Scriptura traduntur, per quam divina vo­ luntas innotescit. Unde, cum in sacra Scriptura ubique incarnationis ratio ex peccato primi ho­ minis assignetur, convenientius dicitur incar­ nationis opus ordinatum esse a Deo in reme­ dium peccati, ita quod, peccato non existente, incarnatio non fuisset. Quamvis potentia Dei ad hoc non limitetur, potuisset enim, etiam peccato non existente, Deus incarnari. Ad primum ergo dicendum quod omnes aliae causae quae sunt assignatae, pertinent ad re­ medium peccati. Si enim homo non peccasset, perfusus fuisset lumine divinae sapientiae, et iustitiae rectitudine perfectus a Deo, ad omnia necessaria cognoscenda. Sed quia homo, deserto Deo, ad corporalia collapsus erat, con­ veniens fuit ut Deus, carne assumpta, etiam per corporalia ei salutis remedium exhiberet. Unde dicit Augustinus, super illud Ioan. l [ 1 4], Verbwn carofactwn est, caro te obcaecaverat, caro te sanar, quoniam sic venit Christus ut de carne vitia carnis e,;'(stingueret. Ad secundum dicendum quod in ipso modo productionis rerum ex nihilo divina virtus in­ finita ostenditur. - Ad perfectionem etiam universi sufficit quod naturali modo creatura ordinetur sic in Deum sicut in tìnem. Hoc autem excedit limites perfectionis naturae, ut creatura uniatur Deo in persona. Ad tertium dicendum quod duplex capacitas attendi potest in humana natura. Una quidem secundum ordinem potentiae naturalis. Quae a Deo semper impletur, qui dat unicuique rei secundum suam capacitatem naturalem. Alia vero secundum ordinem divinae potentiae, cui omnis creatura obedit ad nutum. Et ad hoc pertinet i sta capacitas. Non autem Deus omnem talem capacitatem naturae replet, alioquin, Deus non posset facere in creatura nisi quod tacit; quod thlsum est, ut in primo [q. 25 a. 5; q. 105 a. 6] habitum est. - Nihil autem prohibet ad aliquid maius humanam naturam productam esse post peccatum, Deus enim permittit mala fieri ut inde aliquid me­ lius eliciat. Unde dicitur Rom. 5 [20], ubi abundavit iniquitas, superabundavit et grafia. Unde et i n benedictione Cerei Paschalis

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cato. Altri invece affermano il contrario. E quest'ultima opinione pare che sia da preferir­ si. Le cose infatti che dipendono dalla sola volontà di Dio, al di sopra di tutto ciò che è dovuto alle creature, non possono venire alla nostra conoscenza se non attraverso la sacra Scrittura, nella quale la volontà divina ci è manifestata. Siccome dunque nella sacra Scrittura il motivo dell' incarnazione viene sempre posto nel peccato del primo uomo, è meglio dire che l'opera dell'incarnazione fu disposta da Dio a rimedio del peccato, in modo che, se non ci fosse stato il peccato, non ci sarebbe stata l'incarnazione. La poten­ za di Dio però non è racchiusa in questi limiti: Dio infatti si sarebbe potuto incarnare anche se non ci fosse stato il peccato. Soluzione delle difficoltà: l . Tutti gli altri mo­ tivi assegnati all'incarnazione rientrano nei ri­ medi del peccato. Se infatti l'uomo non aves­ se peccato sarebbe stato illuminato dalla luce della sapienza divina e perfezionato da Dio nella rettitudine della santità, per l'acquisto di ogni conoscenza necessaria. Ma poiché l'uo­ mo, abbandonando Dio, era caduto al livello delle realtà materiali, fu opportuno che Dio, assunta la crune, gli offrisse il mezzo per sal­ varsi anche attraverso le realtà materiali. Per questo, commentando Gv l [14]: Il Verbo si jèce carne, Agostino annota: «La carne ti ave­ va accecato, la carne ti risana. Poiché Cristo venne apposta per estinguere nella carne i vizi della carne». 2. L' infinita potenza di Dio si manifesta già nel modo di produrre le cose dal nulla. - Al compimento poi dell' universo basta che le cose create siano ordinate naturalmente a Dio come al loro fine. Che invece una creatura venga unita a Dio nella persona oltrepassa i limiti della perfezione naturale. 3. Si possono riscontrare nella natura umana due capacità. La prima al livello della sua potenza naturale. E tale capacità viene sempre soddisfatta da Dio, che provvede a ciascuna cosa secondo le sue capacità naturali. La seconda invece al livello della potenza divina, alla quale ogni creatura obbedisce al primo cenno. E a quest'ordine appartiene la capacità umana di cui si parla nell'obiezione. Ora, Dio non asseconda sempre tale capacità della creatura, altrimenti egli non potrebbe fare nelle cose se non ciò che fa, il che è falso,

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La convenienza dell 'incarnazione

[Missale S.O.P. 1 53] dicitur, ofelix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem. Ad quartum dicendum quod praedestinatio praesupponit praescientiam futurorum. Et ideo, sicut Deus praedestinat salutem alicuius hominis per orationem aliorum implendam, ita etiam praedestinavit opus incarnationis in remedium humani peccati. Ad quintum dicendum quod nihil prohibet alicui revelari eftectus cui non revelatur cau­ sa. Potuit ergo primo homini revelari incarna­ tionis mysterium sine hoc quod esset prae­ scius sui casus, non enim quicumque cogno­ scit effectum, cognoscit et causam.

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come si è visto nella Prima Parte. - Nulla poi impedisce che la natura umana dopo il pecca­ to sia stata innalzata a un livello superiore: Dio infatti permette il male per trame un bene maggiore. Per cui in Rm 5 [20] è detto: Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. E nella benedizione del Cero pasquale si canta: «0 felice colpa, che meritasti di avere un tale e così grande Redentore!». 4. La predestinazione presuppone la previsio­ ne del futuro. Come dunque Dio predestina che la salvezza di una determinata persona si abbia a compiere per le preghiere di altri, così pure predestinò l'incarnazione a rimedio del peccato umano. 5. Nulla impedisce che si riveli un effetto a chi non ha avuto la rivelazione della causa. n mistero dell'incarnazione poté dunque essere rivelato al primo uomo senza che egli fosse consapevole della sua futura caduta: infatti non sempre chi conosce un effetto ne conosce anche la causa.

Articulus 4 Utrum Deus principalius incarnatus fuerit in remedium actualium peccatorum quam in remedium originalis peccati

Articolo 4 Dio si è incarnato per rimediare più ai peccati attuali che al peccato originale?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Deus principalius incarnatus fuerit in reme­ dium actualium peccatorum quam in reme­ dium originalis peccati. l . Quanto enim peccatum est gravius, tanto magis humanae saluti adversatur, propter quam Deus est incarnatus. Sed peccatum ac­ tuale est gravius quam originale peccatum, minima enim poena debetur originali peccato, ut Augustinus dicit, Contra Iulianum [5, 1 1] . Ergo principalius incarnatio Christi ordinatur ad deletionem actualium peccatorum. 2. Praeterea, peccato originali non debetur poe­ na sensus, sed solum poena damni, ut in se­ cundo [1-11 q. 87 a. 5 arg. 2] habitum est. Sed Christus venit pro satistactione peccatorum poe­ nam sensus patì in cruce, non autem poenam damni, quia nullum defectum habuit divinae visionis aut fruitionis. Ergo principalius venit ad deletionem peccati actualis quam originalis. 3. Praeterea, sicut Chrysostomus dicit, in 2 De compunctione cordis, hic est affectus se11li fi­

Sembra di sì. Infatti: l . Quanto più un peccato è grave, tanto più ostacola la salvezza umana, per la quale Dio si è incarnato. Ma il peccato attuale è più gra­ ve del peccato originale: a questo intatti è an­ nessa una pena minima, come dice Agostino. L' incarnazione di Cristo è perciò ordinata principalmente a cancellare i peccati attuali. 2. n peccato originale non merita la pena del senso, ma solo la pena del danno, come si è visto nella Seconda Parte. Ora, per la soddi­ sfazione dei peccati Cristo è venuto a soffrire la pena del senso sulla croce, ma non la pena del danno: mai infatti gli mancò la visione o la beatitudine divina. Venne dunque a togliere più il peccato attuale che quello originale. 3. n Crisostomo osserva che «Un servo fedele è propenso a considerare come personali i benefici comuni che il suo padrone ha con­ cesso a tutti: Paolo infatti, quasi parlasse sol­ tanto di sé, scrive: Mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20)». Ma i nostri peccati personali sono quelli attuali, poiché l 'origina­ le è un «peccato comune». Dobbiamo quindi

delis, ut beneficia Domini sui quae communi­ ter omnibus data sunt, quasi sibi soli praestita

La convenienza del/ 'incarnazione

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reputet, quasi enim de se solo loquens Paulus ita scribit, ad Gal. 2 [20], dilexit me, et tradi­ dit semetipsum pro me. Sed propria peccata nostra sunt actualia, originale enim est com­ mune peccatwn. Ergo hunc affectum debe­ mus habere, ut aestimemus eum principaliter propter actualia peccata venisse. Sed contra est quod loan. l [29] dicitur, ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi. Respondeo dicendum quod certum est Chri­ stum venisse in hunc mundum non solum ad delendum illud peccatum quod traductum est originaliter in posteros, sed etiam ad deletio­ nem omnium peccatorum quae postmodum superaddita sunt, non quod omnia deleantur (quod est propter defectum hominum, qui Clnisto non inhaerent, secundum illud Ioan. 3 [19], venit lux in mundum, et dilexerunt homi­ nes magis tenebras quam lucem), sed quia ipse exhibuit quod sufficiens fuit ad omnem deletionem. Unde dicitur Rom. 5 [15-16], non sicut delictum, sic et donwn, nam iudicium ex uno in condemnationem, grafia autem ex multis delictis in iustificationem. Tanto autem principalius ad alicuius peccati deletionem Christus venit, quanto illud peccatum maius est. Dicitur autem maius aliquid dupliciter. Uno modo, intensive, sicut est maior albedo quae est intensior. Et per hunc modum maius est peccatum actuale quam originale, quia plus habet de ratione voluntarii, ut in secundo [l-ll q. 82 a. l arg. 2] dictum est. Alio modo dicitur aliquid maius extensive, sicut dicitur maior albedo quae est in maiori superficie. Et hoc modo peccatum originale, per quod totum genus humanum inficitur, est maius quolibet peccato actuali, quod est proprium singularis personae. Et quantum ad hoc, Christus principalius venit ad tollendum originale pec­ catum, inquantum bonum gentis divinius est quam bonum unius, ut dicitur in l Ethic. [2,8]. Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de intensiva magnitudine peccati. Ad secundum dicendum quod peccato origi­ nali in futura retributione non debetur poena sensus, poenalitates tamen quas sensibiliter in hac vita patimur, sicut famem, sitim, mortem et alia huiusmodi, ex peccato originali proce­ dunt. Et ideo Christus, ut piene pro peccato originali satisfaceret, voluit sensibilem dolo­ rem pati, ut mortem et alia huiusmodi in seipso consummaret. -

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avere la pia convinzione che Dio sia venuto principalmente per i [nostri] peccati attuali. In contrario: in Gv l [29] è detto: Ecco l'agnel­ lo di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo. Risposta: è certo che Cristo venne in questo mondo a distruggere non solo il peccato origi­ nale, ma anche tutti i peccati che si sono aggiunti in seguito: non nel senso che tutti siano cancellati (e ciò per colpa degli uomini, che non aderiscono a Cristo, come è detto in Gv 3 [ 1 9]: La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce), ma nel senso che egli fece quanto bastava alla loro cancellazione. Per cui in Rm 5 [ 1 5 s.] è detto: Il dono di grazia non è come la caduta: infatti il giudizio partì da un solo atto per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione. - Tuttavia quan­ to più grande è un peccato, tanto più la sua distruzione ha motivato la venuta di Cristo. Ora, una cosa può dirsi più grande in due modi. Primo, intensivamente: come è più grande la bianchezza che è più intensa. E in questo senso il peccato attuale è più grande del peccato originale, essendo più volontario, come si è detto nella Seconda Parte. Secondo, una cosa può dirsi più grande in estensione: come una bianchezza più grande è quella che occupa una superficie maggiore. E in questo senso il peccato originale che contagia tutto il genere umano è più grande di qualsiasi pec­ cato attuale, che è proprio di una persona. E sotto questo aspetto è vero che Cristo è venu­ to principalmente a togliere il peccato origi­ nale, essendo «il bene della società più divino del bene individuale», come dice Aristotele. Soluzione delle difficoltà: l . L'argomentazione si basa sulla grandezza intensiva del peccato. 2. Al peccato originale non è riservata la pena del senso nella sanzione futura, tuttavia gli vanno attribuite le pene sensibili che soffriamo in questa vita, come la fame, la sete, la morte e simili. Perciò Cristo, al fine di dare una soddi­ sfazione adeguata per il peccato originale, volle soffrire il dolore sensibile, per consuma­ re in se stesso la morte e le altre sofferenze. 3. Come spiega nello stesso passo il Crisosto­ mo, Paolo diceva quelle parole «non per re­ stringere gli amplissimi benefici di Cristo dif­ fusi nel mondo, ma per indicare che Cristo si era sacrificato per lui come per tutti. Che

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La convenienza del/ 'incarnazione

Ad tertium dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus ibidem [De compunctione 2] inducit, verba illa dicebat apostolus, non quasi dimi­

nuere volens amplissima et per orbem terra­ rum diffusa Christi munera, sed ut pro omnibus se solum indicaret obnoxium. Quid enim interest si et aliis praestitit, cum quae tibi sunt praestita ita integra sunt et ita pe1jecta quasi nulli a/ii ex his aliquidfuerit praestitwn? Ex hoc ergo quod aliquis debet sibi reputare benetìcia Christi praestita esse, non debet existimare quod non sint praestita aliis. Et ideo non excluditur quin principalius venerit abolere peccatum totius naturae quam peccatum unius personae. Sed illud peccatum commune ita perfecte curatum est in unoquoque ac si in eo solo esset curatum. - Et praeterea, propter unionem caritatis, totum quod omnibus est im­ pensum, unusquisque debet sibi adscribere.

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importa infatti che anche gli altri siano stati beneficati quando i benefici prestati a te sono così integri e perfetti come se nessun altro ne avesse goduto qualcosa?». Il dover quindi at­ tribuire a sé i benefici di Cristo non significa dover negare che siano stati fatti agli altri. Perciò non si esclude che egli sia venuto più per distruggere il peccato di tutta la natura che i peccati personali. Ma quel peccato comune è stato curato in ciascuno tanto perfettamente quanto sarebbe stato curato in uno solo. - Del resto, a motivo del vincolo della carità, cia­ scuno deve sentire come fatto a se stesso ciò che è stato fatto per tutti.

Articulus 5 Utrum conveniens fuisset Deum incarnari a principio humani generis

Articolo 5 Era conveniente che Dio si incarnasse agli inizi del genere umano?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod con­ veniens fuisset Deum incarnari a principio humani generis. l . Incarnationis enim opus ex immensitate divinae caritatis processit, secundum illud Eph. 2 [4-5] , Deus, qui dives est in misericordia,

Sembra di sì. Infatti: l . L'opera dell'incarnazione proviene dall'im­ mensità della carità divina, come è detto in Ef 2 [4 s.]: Dio, ricco di misericordia, per la sua

propter nimiam caritatem suam qua dilexit nos, cum essemus momti peccatis, convivifica­ vit nos in Christo. Sed caritas non tardat subvenire amico necessitatem patienti, secun­ dum illud Prov. 3 [28], ne dicas amico tuo,

vade et revertere, cras dabo tibi; cum statim possis dare. Ergo Deus incarnationis opus differre non debuit, sed statim a principio per suam incamationem humano generi subvenire. 2. Praeterea, l Tm l [ 1 5] dicitur, Christus

venir in hunc mundum peccatores salvosface­ re. Sed plures salvati fuissent si a principio humani generis Deus incarnatus fuisset, pluri­ mi enim, ignorantes Deum, in suo peccato pe­ rierunt in diversis saeculis. Ergo convenien­ tius fuisset quod a principio humani generis Deus incamatus fuisset. 3. Praeterea, opus gratiae non est minus ordi­ natum quam opus naturae. Sed natura initium sumit a peifectis, ut dicit Boetius, in libro De consolatione [3, 10]. Ergo opus gratiae debuit a principio esse perfectum. Sed in opere in-

immensa carità con cui ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere in Cristo. Ma la carità non tarda a soccorrere l'amico che è nel bisogno, come è detto in Pr 3 [28]: Non dire al tuo amico: Va ', ripassa, te lo darò domani; quando puoi dare subito. Dio dunque non doveva differire l'opera del­ l ' incarnazione, ma soccorrere con essa il genere umano sin dagli inizi. 2. In l Tm l [ 1 5] è detto: Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori. Ma se ne sa­ rebbero salvati di più se Dio si fosse incarnato agli inizi del genere umano, poiché moltissi­ mi nel volgere dei secoli perirono nei loro peccati ignorando Dio. Quindi sarebbe stato più conveniente che Dio si fosse incarnato agli inizi del genere umano. 3. Il piano della grazia non è meno ordinato del piano della natura. Ma «la natura parte dalla perfezione», come dice Boezio. Quindi il piano della grazia doveva essere perfetto sin dall' inizio. D'altra parte la perfezione della grazia si ha nell'opera dell'incarnazione, co­ me è detto i n Gv l [ 14] : Il Verbo si fece

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carnationis consideratur perfectio gratiae, se­ cundum illud, Verbum caro factwn est [Ioan. 1 ,14], et postea subditur [Ioan. 1 , 14], plenum gratiae et veritatis. Ergo Christus a principio humani generis debuit incarnari. Sed contra est quod dicitur Gal. 4 [4] , at ubi venit plenitudo temporis, misit Deus Filium suum, factum ex muliere, ubi dicit Glossa [Lomb.; cf. ord.; Ambrosiaster, In Gal., super 4,4] quod plenitudo temporis est quod praefi­ nitum fuit a Deo Patre quando mitteret Filium suum. Sed Deus sua sapientia omnia definivit. Ergo convenientissimo tempore Deus est incarnatus. Et sic non fuit conveniens quod a principio humani generis Deus incarnaretur. Respondeo dicendum quod, cum opus incar­ nationis principaliter ordinetur ad reparatio­ nem naturae humanae per peccati abolitio­ nem manifestum est quod non fuit conveniens a principio humani generis, ante peccatum, Deum incarnatum fuisse, non enim datur me­ dicina nisi iam infirmis. Unde ipse Dominus dicit, Matth. 9 [ 1 2- 1 3], non est opus valenti­ bus medicus, sed male habentibus, non enim veni vocare iustos, sed peccatores. - Sed non etiam statim post peccatum conveniens fuit Deum incarnari. Primo quidem, propter con­ ditionem humani peccati, quod ex superbia provenerat, unde eo modo erat homo liberan­ dus ut, humiliatus, recognosceret se liberatore indigere. Unde super illud Gal. 3 [ 1 9], ordi­ nata per angelos in manu mediatoris, dicit Glossa [ord. et Lomb.] , magno consilio factum est ut, post hominis casum, non illico Dei Filius mitteretw: Reliquit enim Deus prius hominem in liberiate arbitrii, in lege na­ turali, ut sic vires naturae suae cognosceret. Ubi cum deficeret, legem accepit. Qua data, invaluit morbus, non legis, sed naturae vitio, ut ita, cognita sua infirmitate, clamaret ad medicum, et gratiae quaereret auxilium. - Se­ cundo, propter ordinem promotionis in bo­ num, secundum quem ab impertecto ad per­ fectum proceditur. Unde aposto1us dicit, l ad Cor. 15 [46-47], non prius quod spirituale est, sed quod animale, deinde quod spirituale. Primus hmno de terra, terrenus, secundus ho­ mo de caelo, caelestis. - Tertio, propter digni­ tatem ipsius Verbi incarnati. Quia super illud Gal. 4 [4], ubi venit plenitudo temporis, dicit Glossa [Lomb.; cf. ord.; Augustinus, In Ioan. tract. 3 1 super 7,30] , quanto maior iudex

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carne, cui segue: pieno di grazia e di verità. Cristo dunque si sarebbe dovuto incarnare agli inizi dell'umanità. In contrario: in Gal 4 [4] è detto: Quando ven­ ne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Fi­ glio, nato da donna, e la Glossa spiega che «la pienezza del tempo è il momento prestabilito da Dio Padre per mandare il suo Figlio». Ora, Dio ha stabilito tutto con sapienza. Perciò egli si è incarnato nel tempo più opportuno. Quin­ di non sarebbe stato conveniente che Dio si in­ carnasse ai primordi dell'umanità. Risposta: essendo l ' incarnazione ordinata principalmente alla riparazione della natura umana con la distruzione del peccato, è chia­ ro che non sarebbe stato conveniente che Dio si fosse incarnato ai primordi dell'umanità prima del peccato: la medicina infatti viene somministrata solo agli ammalati. Perciò il Signore stesso dice: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccato­ ri (Mt 9, 1 2). - Ma non sarebbe stato conve­ niente neppure che Dio si fosse incarnato subito dopo il peccato. Primo, per la natura del peccato dell' uomo, che proveniva dalla superbia: per cui si doveva liberare l'uomo in modo tale che, umiliato, riconoscesse di avere bisogno di un liberatore. Per questo la Glossa, spiegando Gal 3 [ 1 9]: Promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore, dice: «Molto sapientemente fu disposto che dopo la caduta dell'uomo non fosse mandato sull'i­ stante il Figlio di Dio. Prima infatti Dio lasciò l'uomo in balìa della sua libertà sotto la legge naturale, perché conoscesse così le forze della propria natura. Avendo egli fallito nella prova, gli fu data la Legge. E con questa il male peg­ giorò, non per un difetto della Legge, ma per la corruzione della natura: così, conosciuta la propria insufficienza, egli avrebbe invocato il medico e cercato il soccorso della grazia». ­ Secondo, per l'ordinato progresso nel bene, che esige di procedere dall'imperfetto al per­ fetto. Per cui dice Paolo: Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è di terra, il secondo uomo viene dal cielo, è celeste (l Cor 1 5,46 s.). - Terzo, per la di­ gnità stessa del Verbo Incarnato. Infatti sul passo di Gal 4 [4]: Quando venne la pienezza del tempo, la Glossa osserva: «Quanto più

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La convenienza del/ 'incarnazione

veniebat, tanto praeconum series longior praecedere debebat. Quarto, ne fetVor fidei temporis prolixitate tepescerel. Quia circa finem mundi refrigescet caritas multorum, et Luc. 1 8 [8] dicitur, cum Filius hominis veniet, putasne invenietfidem super terram? Ad primum ergo dicendum quod caritas non differt amico subvenire, salva tamen negotio­ rum opportunitate et personarum conditione. Si enim medicus statim a principio aegritudi­ nis medicinam daret infirmo, minus profice­ ret, vel magis laederet quam iuvaret. Et ideo etiam Dominus non statim incarnationis re­ medium humano generi exhibuit, ne illud conternneret ex superbia, si prius suam infir­ mitatem non cognosceret. Ad secundum dicendum quod Augustinus ad hoc respondet, in libro De sex quaestionibus Paganorum [ep. 102 Ad Deogratias], dicens, qu. 2, quod lune voluit Christus hominibus apparere, et apud eos praedicari suam doctri­ nam, quando et ubi sciebat esse qui in ewn fuerant credituri. His enim temporibus, et his in locis, tales homines in eius praedicatione futuros esse sciebat quales, non quidem omnes, sed tamen multi in eius corporali praesentia fuerunt, qui nec in eum, suscitatis mortuis, credere voluerunt. Sed hanc responsionem reprobans idem Augustinus dicit, in libro De perseverantia [9], mmquid possumus dicere Tyrios aut Sidonios, talibus apud se virtutibus factis, credere noluisse, aut credituros non fuisse si fierent, cum ipse Do­ minus eis attestetur quod acturi essent ma­ gnae humilitatis poenitentiam, si in eis facta essent divinarum illa signa virtutum? - Pmin­ de, ut ipse solvens subdit [De dono perseve­ rantia 1 1 ], sicut apostolus ait [Rom. 9, 1 6], non est volentis neque currentis, sed miseren­ tis Dei, qui his quos praevidit, si apud eos facta essent, suis miraculis creditums, quibus voluit subvenit, aliis autem non subvenit, de quibus in sua praedestinatione, occulte quidem sed iuste, aliud iudicavit. Ita miseri­ cordiam eius in his qui liberantur, et verita­ tem in his qui puniuntur sine dubitatione credamus. Ad tertium dicendum quod perfectum est prius imperfecto, in diversis quidem, tempore et natura, oportet enim quod perfectum sit quod alia ad perfectionem adducit, sed in uno et eodem imperfectum est prius tempore, etsi -

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grande era il giudice venturo, tanto più lunga era la serie dei messaggeri che lo dovevano precedere». - Quarto, perché il fervore della fede non si intiepidisse per la lunghezza del tempo. Poiché verso la fine del mondo l 'amore di molti si raffredderà [Mt 24, 1 2], e in Le 1 8 [8] è detto: Il Figlio dell'Uomo, quando verrà, tmverà lafede sulla terra? Soluzione delle difficoltà l . La carità non indu­ gia a soccmTere l'amico, tuttavia sceglie il momento più opportuno in base alle circostan­ re e alla condizione delle persone. Se intatti il medico desse al malato la medicina subito all'i­ nizio della malattia, otterrebbe di meno, oppure lo danneggerebbe più che aiutarlo. Perciò anche il Signore non somministrò subito all'u­ manità il Iimedio dell'incarnazione, perché non lo disprezzasse per superbia, non avendo anco­ ra preso coscienza della propria debolezza. 2. All'obiezione Agostino diede in un plimo tempo la seguente risposta: «Cristo volle appa­ rire tra gli uomini e predicare la sua dottrina quando e dove sapeva che sarebbero vissuti i futuri credenti. Egli prevedeva infatti che in quei tempi e in quei luoghi tutti sarebbero stati increduli alla sua parola quanto lo furono, se non tutti, certamente molti fra coloro che lo udirono di persona, i quali non vollero credere in lui neppure vedendolo far risorgere dei morti». - Ma in seguito lo stesso Santo così scrisse riprovando questa soluzione: «Possia­ mo forse dire che i cittadini di Tiro e di Sidone si sarebbero rifiutati di credere con tali mira­ coli, quando il Signore medesimo attesta che avrebbero fatto penitenza con grande umiltà se quei segni della divina potenza fossero stati compiuti in mezzo a loro?». - «Perciò», egli conclude, «si deve affermare con Paolo che ciò "non dipende né da chi vuole, né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia". Dio dunque, tra quanti previde che avrebbero pre­ stato fede ai suoi miracoli se questi fossero stati compiuti in loro presenza, soccorse quelli che volle e non soccorse gli altri, di cui dispo­ se diversamente nella sua predestinazione con atto occulto ma giusto. Cosicché dobbiamo Iiconoscere senza esitazione la sua misericor­ dia in coloro che vengono liberati, e la sua giustizia in coloro che vengono puniti». 3. In cose diverse tra loro è vero che il perfet­ to viene prima dell'imperfetto in ordine di tempo e di natura, essendo il perfetto ciò che

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La convenienza del/ 'incarnazione

Q. l , A. 5

sit posterius natura. Sic ergo imperfectionem naturae humanae duratione praecedit aetema Dei perfectio, sed sequitur ipsam consumma­ ta perfectio in unione ad Deum.

porta le altre cose alla perfezione, ma in una medesima cosa ciò che è imperfetto precede il perfetto in ordine di tempo, sebbene lo se­ gua in ordine di natura. Così dunque l'imper­ fezione della natura umana è preceduta dal­ l' eterna perfezione di Dio, ma precede il rag­ giungimento della perfezione sua propria, che consiste nell'unione con lui.

Articulus 6 Utrum incarnationis opus differri debuerit usque in finem mondi

Articolo 6 L'incarnazione doveva essere differita alla fine del mondo?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod incamationis opus differri debuerit usque in finem mundi. l. Dicitur enim in Psalmo [91 , 1 1], senectus mea in misericordia uberi, idest, in novissimo, ut Glossa [Lomb.; cf. int.] dicit. Sed tempus incamationis est maxime tempus misericor­ diae, secundum illud Psalmi [91 , 14], quoniam venit tempus miserendi eius. Ergo incamatio debuit differri usque in finem mundi. 2. Praeterea, sicut dictum est [a. 5 ad 3], per­ fectum, in eodem tempore, est posterius im­ perfecto. Ergo id quod est maxime perfectum, debet esse ultimo in tempore. Sed summa perfectio humanae naturae est in unione ad Verbum, quia in Christo complacuit omnem plenitudinem divinitatis inhabitare, ut aposto­ lus dicit, Col. l [ 1 9]. Ergo incamatio debuit differri usque in finem mundi. 3. Praeterea, non est conveniens fieri per duo quod per unum fieri potest. Sed unus Christi adventus sufficere poterat ad salutem huma­ nae naturae, qui erit in fine mundi. Ergo non oportuit quod antea veniret per incamatio­ nem. Et ita incarnatio differri debuit usque in finem mundi. Sed contra est quod dicitur Habacuc 3 [2], in medio annorum notum facies. Non ergo de­ buit incarnationis mysterium, per quod mun­ do innotuit, usque in tinem mundi differri. Respondeo dicendum quod, sicut non fuit conveniens Deum incarnari a principio mundi, ita non fuit conveniens quod incarnatio dif­ ferretur usque in finem mundi. Quod quidem apparet, primo, ex unione divinae et humanae naturae. Sicut enim dictum est [a. 5 ad 3], perfectum uno modo tempore praecedit im­ perfectum, in eo enim quod de imperfecto fit perfectum, imperfectum tempore praecedit

Sembra di sì. Infatti: l . Nel Sal [9 1 , 1 1 ] è detto: La mia vecchiaia sarà 1icolma di misericordia, e la Glossa per vecchiaia intende «gli ultimi tempi». Ma il tempo dell'incarnazione è in sommo grado il tempo della misericordia, secondo l' espres­ sione del Sal [91 ,14]: Perché è venuto il tempo di usar/e misericordia. L' incarnazione quindi doveva essere differita alla fine del mondo. 2. Come si è detto, in una stessa realtà la perfe­ zione è posteriore ali' imperfezione in ordine di tempo. Perciò quanto è assolutamente perfetto deve essere temporalmente ultimo. Ma la suprema perfezione della natura umana si ha nell'unione con il Verbo, poiché piacque a Dio di fare abitare in Cristo tutta la pienezza della divinità, come dice Paolo (Col 1 , 1 9). L'incar­ nazione dunque doveva essere rimandata alla fine del mondo. 3. Non conviene fare in due volte ciò che può esser tatto in una volta sola. Ma alla salvezza della natura umana poteva bastare una sola ve­ nuta di Cristo: quella che si avrà alla fine del mondo. Non era quindi necessario che egli ve­ nisse prima con l'incarnazione. Così questa ve­ nuta doveva essere rinviata alla fine del mondo. In contrario: in Ab 3 [2] è detto: Nel corso de­ gli anni lo manifesterai. Quindi il mistero del­ l'incarnazione, con cui Dio si manifestò al mondo, non doveva essere rimandato alla fine dei tempi. Risposta: come non sarebbe stato opportuno che Dio si fosse incarnato agli inizi del mondo, così non sarebbe stato conveniente che l'incarnazione fosse rimandata alla fine. n che risulta evidente innanzitutto in base al fatto stesso dell'unione della natura divina con la natura umana. Come infatti abbiamo detto, l'imperfezione precede nel tempo la perfezio-

Q. l , A. 6

La convenienza dell 'incarnazione

perfectum; in eo vero quod est perfectionis causa efficiens, perfectum tempore praecedit imperfectum. In opere autem incarnationis utrumque concurrit. Quia natura humana in ipsa incarnatione est perducta ad summam perfectionem, et ideo non decuit quod a principio humani generis incarnatio facta fuisset. Sed ipsum Verbum incarnatum est perfectionis humanae causa efficiens, secun­ dum illud Ioan. l [ 1 6], de plenitudine eius omnes accepimus, et ideo non debuit incarna­ tionis opus usque in finem mundi differri. Sed perfectio gloriae, ad quam perducenda est ultimo natura humana per Verbum incarna­ rum, erit in fine mundi. - Secondo, ex effectu humanae salutis. Ut enim dicitur in libro De quaest. Nov. et Vet. Test. [Ambrosiaster, P. l , ex Nov. Test., q. 83], in potestate dantis est quando vel quantum velit misereri. Venit ergo quando et subveniri debere scivit, et gratum futurum beneficium. Cum enim languore quodam humani generis obsolescere coepis­ set cognitio Dei inter homines et mores im­ mutarentur, eligere dignatus est Abraham, in quo forma esset renovatae notitiae Dei et morum. Et cum adhuc reverentia segnior es­ set, postea per Moysen legem litteris dedit. Et quia eam gentes spreverunt non se subiicien­ tes ei, neque hi qui acceperwzt servaverunt, motus misericordia Dominus misit Filium suum, qui, data omnibus remissione peccato­ rum, Deo Patri illos iustificatos offerret. Si autem hoc remedium differretur usque in fi­ nem mundi, totaliter Dei notitia et reverentia et morum honestas abolita fuisset in terris. Tertio apparet quod hoc non fuisset conve­ niens ad manifestationem divinae virtutis, quae pluribus modis homines salvavit, non solum per fidem futuri, sed etiam per fidem praesentis et praeteriti. Ad primum ergo dicendum quod Glossa illa exponit de misericordia perducente ad glo­ riam. Si tamen referatur ad misericordiam exhibitam humano generi per incarnationem Christi, sciendum est quod, sicut Augustinus dicit, in libro Retractationum [ 1 ,26], tempus incarnationis potest comparari iuventuti humani generis, propter vigorem fervoremque fidei, quae per dilectionem operatur, senectuti autem, quae est sexta aetas, propter numerum temporum, quia Christus venit in sexta aerate. Et quamvis in corpo1-e non possit esse simul

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ne in quella realtà che da imperfetta diviene perfetta, ma nel soggetto che è causa efficiente della perfezione il perfetto precede cronologi­ camente l'imperfetto. Ora, nell'incarnazione queste due realtà si incontrano. Poiché in essa la natura umana fu elevata alla suprema perfe­ zione: per cui non conveniva che l'incarnazio­ ne avvenisse agli albori del genere umano. D'altra parte il Verbo incarnato è la causa effi­ ciente della pertezione umana, come è detto in Gv l [ 1 6]: Dalla sua pienezza noi tutti abbia­ mo ricevuto: quindi l'incarnazione non doveva essere procrastinata alla fine del mondo. In­ vece la perfezione della gloria a cui deve esse­ re condotta la natura umana dal Verbo incarna­ to avverrà alla fine del mondo. - Secondo, in base agli effetti della salvezza umana. Come infatti è detto nelle Questioni sul N. T. e A. T. «è a discrezione di chi dona scegliere quando e in quale misura fare misericordia. Perciò [Dio] venne quando stimò necessario soccorrere l'uomo e ritenne che la sua opera fosse ben accetta. Quando infatti un certo languore del genere umano aveva cominciato a cancellare tra gli uomini la conoscenza di Dio e a cor­ rompere i costumi, egli si degnò di chiamare Abramo, perché con lui si avesse l'esempio di un rinnovamento nella religione e nella mora­ le. E poiché il culto divino era ancora troppo trascurato, diede per mezzo di Mosè la legge scritta. Avendola però le genti disprezzata con il rifiuto di assoggettarvisi, e non avendola messa in pratica neppure quelli che l'avevano accolta, mosso da misericordia il Signore mandò il suo Figlio perché, concesso a tutti gli uomini il perdono dei peccati, li offrisse santi­ ficati a Dio Padre». Se però questo rimedio fosse stato rimandato alla fine del mondo, sarebbe sparita del tutto dalla terra la cono­ scenza di Dio, il suo culto e l'onestà dei costu­ mi. - Terzo, per il fatto che la dilazione non sarebbe stata conveniente a manifestare la potenza di Dio; la quale invece ha così salvato gli uomini in molte maniere: non solo con la fede nel Cristo venturo, ma anche con la fede nel Cristo presente e nel Cristo già venuto. Soluzione delle difficoltà: l . Quella Glossa parla della misericordia che conduce alla glo­ ria. Se tuttavia la si vuole riferire alla miseri­ cordia dimostrata verso l'umanità con l'incar­ nazione di Cristo, allora bisognerebbe notare con Agostino che il tempo dell'incarnazione

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La convenienza del/ 'incarnazione

Q. l , A. 6

iuventus et senectus, potest tamen simul esse in anima, illa propter alacritatem, ista propter gravitatem. Et ideo in libro Octoginta trium Q., alicubi [q. 44] dixit Augustinus quod non oportuit divinitus venire magistrum, cuius imitatione humanum genus in mores optimos formaretUJ; nisi tempore iuventutis, alibi [De Genesi contra Manich. l ,23] autem dixit Christum in sexta aetate humani generis, tanquam in senectute, venisse. Ad secundum dicendum quod opus incarnationis non solum est considerandum ut terminus motus de imperfecto ad perfectum, sed ut principium perfectionis in humana natura, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus dicit [In Ioan. h. 28], super illud Ioan. [3,17], non misit Deus Filium suum in mun­ dum ut iudicet mundum, duo sunt Christi adventus, primus quidem, ut remittat peccata; secundus, ut iudicet. Si enim hoc non fecisset, universi simul perditi essent, omnes enim pec­ caverunt, et egent gloria Dei. Unde patet quod non debuit adventum rnisericordiae dif­ ferre usque in finem mundi.

può essere equiparato alla giovinezza dell'u­ manità «per il vigore e il fervore della fede, operante nella carità>>, e alla sua vecchiaia o sesta età «per il numero delle epoche, essendo Cristo venuto nella sesta età del genere uma­ no». E «sebbene nel corpo la gioventù e la senilità non possano essere contemporanee, lo possono essere però nell'anima: la giovinezza per la prontezza, la vecchiaia per la pondera­ zione». Perciò Agostino in un passo afferma che «la venuta dal cielo del Maestro, la cui imitazione doveva portare l'umanità alla per­ fezione morale, non era conveniente se non nell'età della giovinezza», mentre in un altro passo dice che Cristo è venuto nella sesta età, ossia nella vecchiaia del genere umano. 2. L'incarnazione va considerata non soltanto come il termine dello sviluppo dall'imperfetto al perfetto, ma anche come la causa della per­ fezione nella natura umana, secondo le spie­ gazioni date. 3. A proposito di Gv [3,17]: Dio non ha man­ dato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, il Crisostomo commenta: «Due sono le venute di Cristo: la prima per rimettere i peccati, la seconda per giudicare. Se infatti non avesse fatto così, tutti si sarebbero perdu­ ti, poiché tutti hann� peccato e sono privi della gloria di Dio». E chiaro quindi che egli non doveva rimandare la sua venuta di miseri­ cordia alla fine del mondo.

QUAESTI0 2 DE MODO UNIONIS VERBI INCARNATI QUANTUM AS IPSAM UNIONEM

QUESTIONE 2 L'UNIONE DEL VERBO CON LA NATURA UMANA

Deinde considerandum est de modo unionis Verbi incarnati. Et primo quantum ad ipsam unionem; secundo, quantum ad personam assumentem [q. 3]; tertio, quantum ad natu­ ram assumptam [q. 4]. - Circa primum quae­ runtur duodecim. Primo, utrum unio Verbi incarnati sit t'acta in natura. Secundo, utrum sit t'acta in persona. Tertio, utrum sit t'acta in supposito vel hypostasi. Quarto, utrum per­ sona vel hypostasis Christi post incarna­ tionem sit composita. Quinto, utmm sit facta aliqua unio animae et corporis in Christo. Sexto, utrum natura humana fuerit unita Verbo accidentaliter. Septimo, utrum ipsa unio sit aliquid creatum. Octavo, utrum sit

Dobbiamo ora considerare in che modo il Verbo si è unito alla natura umana. Esamine­ remo dunque: primo, l'unione in se stessa; secondo, l'unione rispetto alla persona assu­ mente; terzo, l 'unione rispetto alla natura assunta. - Sul primo argomento si pongono dodici quesiti: l . L'unione del Verpo Incarna­ to è avvenuta nella natura? 2. E avvenuta nella persona? 3. È avvenuta nel supposito o ipostasi? 4. Dopo l'incarnazione la persona o ipostasi di Cristo risulta composta? 5. In Cristo c'è unione fra l'anima e il corpo? 6. La natura umana è stata unita al Verbo acciden­ talmente? 7. L'unione è in se stessa qualcosa di creato? 8. Equivale all'assunzione? 9. È la

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Il modo dell 'unione del Verbo Incarnato

Q. 2, A. l

i d e m quod assumptio. Nono, u trum s i t m a x i m a u n i o n u m . D e c i m o , u trum u n i o duarum naturarum i n Christo fuerit facta per gratiam. Undecimo, utrum eam aliqua merita praecesserint. D uodecimo, utrum aliqua gratia fuerit homini Christo naturalis. Articulus l

massima delle unioni? 1 0. L'unione delle due nature in Cristo è avvenuta per opera della grazia? 1 1 . E stata meritata in qualche modo? 12. La grazia dell'unione ipostatica era natu­ rale per l'umanità di Cristo?

Articolo l

Utrum unio Verbi incarnati sit facta in una natura

L'unione del Verbo Incarnato è avvenuta in una sola natura?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod unio Verbi incarnati sit facta in una natura. l . Dicit enim Cyrillus [ep. 45-46 Ad Succen­ sum; Apologeticus adv. Orient. Episc., anath. 8; Orat. l de recta fide ad religiosissimas re­ ginas], et inducitur in gestis Concilii Chalce­ donensis [P. 2 actio 1 ] , non opm1et intelligere

Sembra di sì. Infatti: l . Cirillo, citato negli atti del Concilio di Cal­ cedonia, dice: «Non dobbiamo pensare a due nature, ma a una sola natura incarnata del Ver­ bo di Dio». Ora, ciò non sarebbe possibile se non ci fosse unità di natura. Quindi l'unione del Verbo Incarnato è avvenuta nella natura. 2. Atanasio afferma: Come l' anima razionale e la carne si uniscono per costituire la natura umana, così Dio e l'uomo si uniscono per costituire un'unica natura. Quindi l' unione si è avuta nella natura. 3. Non possiamo denominare una natura in base a un'altra se in qualche modo ambedue non subiscono una trasformazione reciproca. Ora, ciò avviene per le nature divina e umana in Cristo: infatti Cirillo dice che la natura di­ vina si è «incarnata», e Gregorio Nazianzeno, ripmtato da Giovanni Damasceno, dice che la natura umana è stata «deificata» . Sembra quindi che dalle due nature ne sia stata fatta una sola. In contrario: il Concilio di Calcedonia ha de­ finito: «Professiamo che l'unigenito Figlio di Dio, [incarnato] negli ultimi tempi, è da rico­ noscersi in due nature senza mescolanza, senza mutazione, senza divisione o separazio­ ne, senza che l'unione abbia tolto la diversità delle nature». Perciò l'unione non si è avuta nella natura. Risposta: per chiarire la questione è necessa­ rio considerare il concetto di natura. Bisogna dunque sapere che il termine natura deriva da nascere. Perciò prima esso venne usato per indicare la generazione, cioè la nascita o la propagazione dei viventi: natura equivarrebbe così a «nascitura». Poi il termine fu usato per indicare il principio di questa generazione. Successivamente passò a indicare qualunque principio intrinseco di mutazione, essendo il principio della generazione intrinseco ai vi-

duas naturas, sed unam naturam Dei Verbi incarnatam. Quod quidem non fieret nisi unio

esset in natura. Ergo unio Verbi incarnati facta est in natura. 2. Praeterea, Athanasius dicit [cf. Symb. Qui­ cumque], sicut anima rationalis et caro conve­ niunt in constitutione humanae naturae, sic Deus et homo conveniunt in constitutione alicuius unius naturae. Ergo facta est unio in natura. 3 . Praeterea, duamm naturarum una non deno­ minatur ex altera nisi aliquo modo in invicem transmutentur. Sed divina natura et humana in Christo ab invicem denominantur, dicit enim Cyrillus [ep. 45-46 Ad Succensum; Apologe­ ticus adv. Orient. Episc., anath. 8; Orat. l de recta fide ad religiosissimas reginas] divinam naturam esse incarnatam; et Gregorius Na­ zianzenus dicit [Orat. 45 In Sanctum Pascha; cf. orat. 39 In sancta lumina] naturam huma­ nam esse deificatam; ut patet per Damasce­ num [De fide 3,6. 1 1 . 1 7] . Ergo ex duabus natu­ ris videtur esse facta una natura. Sed contra est quod dicitur in determinatione Concilii Chalcedonensis [P. 2 actio 5], confi­

temur in novissimis diebus Filium Dei unige­ nitum inconfuse, immutabilite1; indivise, inse­ parabiliter agnoscendum, nusquam sublata dijferentia naturarum propter unionem. Ergo

unio non est facta in natura. Respondeo dicendum quod ad huius quaestio­ nis evidentiam, oportet considerare quid sit natura. Sciendum est igitur quod nomen nant­ rae a nascendo est dictum vel sumptum. Unde primo est impositum hoc nomen ad

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Il modo dell 'unione del Verbo Incarnato

significandum generationem viventium, quae nativitas vel pullulatio dicitur, ut dicatur na­ tura quasi nascitura. Deinde translatum est nomen naturae ad significandum principium huius generationis. Et quia principium gene­ rationis in rebus viventibus est intrinsecum, ulterius derivatum est nomen naturae ad si­ gnificandum quodlibet principium intrinse­ cum motus, secundum quod philosophus di­ cit, in 2 Phys. [ l ,2], quod natura est princi­

pium motus in eo in quo est per se et non se­ cundum accidens. Hoc autem principium vel forma est, vel materia. Unde quandoque natu­ ra dicitur forma, quandoque vero materia. Et quia finis generationis naturalis est, in eo quod generatur, essentia speciei, quam signi­ fica! definitio, inde est quod huiusmodi essen­ tia speciei vocatur etiam natura. Et hoc modo Boetius naturam definit, in libro De duabus naturis [ l], dicens, natura est unamquamque rem informans specifica diffe rentia, quae scilicet complet definitionem speciei. Sic ergo nunc loquimur de natura, secundum quod natura significat essentiam, vel quod quid est, sive quidditatem speciei. - Hoc autem modo accipiendo naturam, impossibile est unionem Verbi incarnati esse factam in natura. Triplici­ ter enim aliquid unum ex duobus vel pluribus constituitur. Uno modo, ex duobus perfectis integris remanentibus. Quod quidem fieri non potest nisi in his quorum forma est compositio, vel ordo, vel figura, sicut ex multis lapidibus absque aliquo ordine adunatis per solam com­ positionem fit acervus; ex lapidibus autem et lignis secundum aliquem ordinem dispositis, et etiam ad aliquam figuram redactis, fit do­ mus. Et secundum hoc, posuerunt aliqui unio­ nem esse per modum confusionis, quae scilicet est sine ordine; vel commensurationis, quae est cum ordine. - Sed hoc non potest esse. Primo quidem, quia compositio, ordo vel figura non est forma substantialis, sed accidentalis. Et sic sequeretur quod unio incarnationis non esset per se, sed per accidens, quod infra [a. 6] improbabitur. Secundo, quia ex huiusmodi non fit unum simpliciter, sed secundum quid, remanent enim plura actu. Tertio, quia forma talium non est natura, sed magis ars, sicut forma domus. Et sic non constitueretur una natura in Christo, ut ipsi volunt. - Alio modo fit aliquid ex perfectis, sed transmutatis, sicut ex elementis fit mixtum. Et sic aliqui dixerunt

Q. 2, A. l

venti: e in questo senso il Filosofo dice che la natura è «il principio del moto immanente al soggetto essenzialmente, e non in modo acci­ dentale». Ora, tale principio è o la forma o la materia. Per cui talvolta viene detta natura la forma, talvolta invece la matetia. Inoltre, poi­ ché il termine della generazione naturale è costituito nella cosa generata dalla sua «es­ senza specifica, indicata dalla sua definizio­ ne», si chiama natura anche la stessa essenza specifica. E sotto questo aspetto Boezio la de­ finisce così: «La natura è la ditl'erenza specifi­ ca che informa ciascuna cosa», che cioè com­ pleta la definizione della sua specie. Noi ora dunque parliamo della natura in quanto signi­ fica l'essenza o il ciò che è, cioè la quiddità della specie. - Ora, intendendo in questo mo­ do la natura, è impossibile che l'unione del Verbo incarnato si sia realizzata nella natura. In tre modi infatti da due o più cose può risul­ tarne una sola. Plimo, come da due cose per­ fette che rimangono immutate. E ciò può avvenire solo per quelle cose la cui forma consiste nella disposizione, o nell'ordine, o nella figura: come da molte pietre accumulate a caso nasce un mucchio, mentre disponendo le pietre e le assi con un determinato ordine e secondo una certa figura nasce una casa. E in questo modo alcuni hanno inteso l'incarna­ zione: o come semplice addizione, o come coordinazione delle due nature. - Ma ciò è inammissibile. Primo, perché la disposizione, l'ordine e la figura sono forme accidentali , non sostanziali. D i conseguenza l' incarnazio­ ne sarebbe un'unione non sostanziale, ma accidentale: conclusione che confuteremo più avanti. Secondo, poiché da tale combinazione non risulta un'unità in senso assoluto, ma sotto un certo aspetto: limangono infatti più enti in atto. Terzo, poiché tale forma non deri­ va dalla natura, ma piuttosto dall'arte: come la forma di una casa. E così non verrebbe costituita in Ctisto una sola natura, come essi vorrebbero. - Secondo, [un'unica natura può risultare] da cose perfette, ma trasmutate: co­ me un composto dai suoi elementi. E così per alcuni sarebbe avvenuta l' incarnazione: al modo cioè di una combinazione. - Ma ciò è inammissibile. Primo, poiché la natura divina esclude qualsiasi mutamento, come si è detto nella Prima Parte. Perciò né essa può cam­ biarsi in un'altra cosa, essendo incorruttibile,

Q. 2, A. l

Il modo dell 'unione del Verbo Incarnato

unionem incamationis esse factam per mo­ dum complexionis. - Sed hoc non potest esse. Primo quidem, quia natura divina est omnino immutabilis, ut in Prima Parte [q. 9 aa. 1-2] dictum est. Unde nec ipsa potest converti in aliud, cum sit incorruptibilis, nec aliud in ipsam, cum ipsa sit ingenerabilis. Secundo, quia id quod est commixtum, nulli miscibi­ lium est idem specie, differt enim caro a quolibet elementorum specie. Et sic Christus nec esset eiusdem naturae cum Patre, nec cum matre. Tertio, quia ex his quae plurimum distant non potest fieri commixtio, solvitur enim species unius eorum, puta si quis guttam aquae amphorae vini apponat. Et secundum hoc, cum natura divina in infinitum excedat humanam, non potest esse mixtio, sed rema­ nebit sola natura divina. - Tertio modo fit aliquid ex aliquibus non permutatis, sed im­ perfectis, sicut ex anima et corpore fit homo; et similiter ex diversis membris. - Sed hoc dici non potest de incamationis mysterio. Primo quidem, quia utraque natura est secundum suam rationem perfecta, divina scilicet et humana. Secundo, quia divina et humana na­ tura non possunt constituere aliquid per mo­ dum partium quantitativamm, sicut membra constituunt corpus, quia natura divina est in­ corporea. Neque per modum formae et mate­ riae, quia divina natura non potest esse forma alicuius, praesertim corporei. Sequeretur etiam quod species resultans esset commu­ nicabilis pluribus, et ita essent plures Christi. Tertio, quia Christus neque esset humanae naturae, neque divinae, differentia enim addi­ ta variat speciem, sicut unitas in numeris, sicut dicitur in 8 Met. [7,3,8]. Ad primum ergo dicendum quod illa auctori­ tas Cyrilli exponitur in quinta Synodo [Conc. Cpolit. II coll. 8 can. 8] sic, si quis, unam naturam Dei Verbi incarnatam dicens, non sic accipit sicut patres docuerunt, quia ex divina natura et Immana unione secundum subsistentiam facta, sed ex talibus vocibus naturam unam sive substantiam divinitatis et camis Christi introducere conatur, talis anathema sit. Non ergo sensus est quod in incarnatione ex duabus naturis sit una natura constituta, sed quia una natura Dei Verbi carnem univit in persona. Ad secundum dicendum quod ex anima et corpore constituitur i n unoquoque nostmm

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né altre cose in essa, essendo essa ingenerabi­ le. Secondo, poiché un corpo composto non ha la specie di nessuno dei componenti: la carne infatti differisce specificamente da cia­ scuno dei suoi elementi. E così Cristo non avrebbe né la natura del Padre né quella della madre. Terzo, poiché è impossibile la combi­ nazione fra cose troppo distanti: infatti la più debole si sperde nell'altra, come una goccia d'acqua in un'anfora di vino. Per cui nel no­ stro caso, unendosi la natura umana alla natu­ ra divina che la supera all'infinito, non si avrà una composizione, ma rimarrà soltanto la natura divina. - Terzo, [un'unica natura po­ trebbe risultare] da cose non trasmutate, ma imperfette: cioè come l'uomo dall'anima e dal corpo, oppure dal complesso delle sue membra. - Ma questo non si può dire del mi­ stero dell'incarnazione. Primo, perché tanto l'una quanto l'altra natura, cioè la divina e l'umana, è perfetta nel suo ordine. Secondo, perché la natura divina e quella umana non possono comporsi insieme quali parti quanti­ tative di un tutto, come le membra costitui­ scono un corpo, essendo la natura divina im­ materiale. E neppure come la forma e la ma­ teria, poiché la natura divina non può essere la forma di alcuna cosa, tanto più se materia­ le. Oltretutto poi ne seguirebbe che la specie costituita da tale unione sarebbe comunicabile a più individui, per cui ci potrebbero essere molti Cristi. Terzo, perché Cristo non sarebbe né di natura umana né di natura divina: come nota infatti Aristotele, la differenza aggiunta cambia la specie, come l'unità nei numeri. Soluzione delle difficoltà: l . TI testo di Cirillo viene spiegato nel Quinto Concilio in questo modo: «Se qualcuno, affermando nel Verbo di Dio incarnato una sola natura, non la inten­ de come hanno insegnato i Padri, cioè nel senso che dalla natura divina e dalla natura umana, unite insieme secondo la sussistenza, [è stato fatto un solo Cristo], ma vuole con tali parole introdurre in Cristo una natura o sostanza mista di divinità e di carne, costui sia scomunicato». Il senso non è dunque che nel­ l'incarnazione di due nature se ne sia fatta una sola, ma che dall'unione della carne umana con la natura del Verbo di Dio è risul­ tata una sola persona. 2. Dall'unione dell'anima con il corpo nasce in noi una duplice unità: di natura e di persona.

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duplex unitas, naturae, et personae. Naturae quidem, secundum quod anima unitur corpori, fonnaliter perficiens ipsum, ut ex duabus fiat una natura, sicut ex actu et potentia, vel materia et fonna. Et quantum ad hoc non at­ tenditur similitudo, quia natura divina non po­ test esse corporis fonna, ut in primo [q. 3 a. 8] probatum est. Unitas vero personae constitui­ tur ex eis inquantum est unus aliquis subsi­ stens in carne et anima. Et quantum ad hoc attenditur similitudo, unus enim Christus sub­ sistit in divina natura et humana. Ad tertium dicendum quod, sicut Damasce­ nus dici t [De fide 3, 17], natura divina dicitur incarnata, quia est unita carni personaliter non quod sit in naturam carnis conversa. Similiter etiam caro dicitur deificata, ut ipse dicit [De fide 3, 1 7] , non per conversionem, sed per unionem ad Verbum, salvis suis proprietati­ bus, ut intelligatur caro deificata quia facta est Dei Verbi caro, non quia facta sit Deus.

Nasce l'unità di natura in quanto l'anima si uni­ sce al corpo come sua fonna e perfezione, così che ne risulta una sola natura, come dall'atto e dalla potenza o dalla materia e dalla fonna. Ora, questo aspetto del paragone non è applicabile all'incarnazione, poiché la natura divina non può essere la forma di un corpo, come si è dimostrato nella Prima Parte. L'unità di perso­ na invece risulta dal fatto che è uno solo a sussi­ stere in carne e anima. Ed è questo l' aspetto applicabile del paragone: l'unico Cristo intatti sussiste nella natura divina e in quella umana. 3. Come spiega il Damasceno, la natura divi­ na viene detta incarnata perché si è unita per­ sonalmente alla carne, non perché si sia cam­ biata in carne. E così pure la carne viene detta deificata non per una mutazione, ma per l 'unione con il Verbo, rimanendo intatte le sue proprietà: che la carne sia stata deificata significa dunque che è divenuta la carne del Verbo divino, non che è divenuta Dio.

Articulus 2 Utrum unio Verbi incarnati sit facta in persona

Articolo 2 Nel Verbo Incarnato l'unione è avvenuta nella persona?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod unio Verbi incarnati non sit facta in persona. l . Persona enim Dei non est aliud a natura ipsius, ut habitum est in primo [q. 39 a. 1]. Si ergo unio non est in natura, sequitur quod non sit t'acta in persona. 2. Praeterea, natura humana non est minoris dignitatis in Christo quam in nobis. Personali­ tas autem ad dignitatem pertinet, ut in primo [q. 29 a. 3 ad 2] habitum est. Cum ergo natura humana in nobis propriam personalitatem ha­ beat, multo magis habuit propriam personali­ tatem in Christo. 3. Praeterea, sicut Boetius dicit, in libro De duabus naturis [3], persona est rationalis na­ turae individua substantia. Sed Verbum Dei assumpsit naturam humanam individuam, natura enim universalis non sistit secundum se, sed in nuda contemplatione consideratur, ut Damascenus dicit [De fide 3, I I ] . Ergo hu­ mana natura habet suam personalitatem. Non ergo videtur quod sit facta unio in persona. Sed contra est quod in Chalcedonensi Synodo [P. 2 actio 5] legitur, non in duas personas partitum aut divisum, sed unum et eundem Filium unigenitum Dominum nostrum Iesum

Sembra di no. Infatti: l . La persona in Dio non è nulla di diverso dalla sua natura, come si è detto nella Prima Parte. Se dunque l' unione non è avvenuta nella natura, non è avvenuta neppure nella persona. 2. La natura umana non ha in Cristo meno dignità che in noi. Ma la personalità implica dignità, come si è detto nella Prima Parte. Dato quindi che la natura umana possiede in noi la propria personalità, tanto più la deve possedere in Cristo. 3. Secondo Boezio «la persona è una sostanza individuale di natura razionale». Ma il Verbo di Dio ha assunto una natura umana indivi­ duale: infatti «la natura universale non sussi­ ste, ma è astratta», come dice il Damasceno. Quindi la natura umana [di Cristo] ha la sua personalità. Dunque non sembra che l'unione sia avvenuta nella persona. In contrario: il Concilio di Calcedonia dichiara: «Professiamo un solo e medesimo Figlio uni­ genito, il Signore nostro Gesù Cristo, non distinto o diviso in due persone». L'unione dunque del Verbo [con la carne] è avvenuta nella persona.

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Il modo dell 'unione del Verbo Incarnato

Christum confitemur. Ergo facta est unio Verbi in persona. Respondeo dicendum quod persona aliud significat quam natura. Natura enim significat essentiam speciei, quam significar definitio [Phys. 2, 1 ,2]. Et si quidem his quae ad ratio­ nem speciei pertinent nihil aliud adiunctum inveniri posset, nulla necessitas esset distin­ guendi naturam a supposito naturae, quod est individuum subsistens in natura illa, quia unumquodque individuum subsistens in na­ tura aliqua esset omnino idem cum sua na­ tura. Contingit autem in quibusdam rebus subsistentibus inveniri aliquid quod non perti­ net ad rationem speciei, scilicet accidentia et principia individuantia, sicut maxime apparet in his quae sunt ex materia et forma compo­ sita. Et ideo in talibus etiam secundum rem differt natura et suppositum, non quasi ornni­ no aliqua separata, sed quia in supposito includitur ipsa natura speciei, et superad­ duntur quaedam alia quae sunt praeter ratio­ nem speciei. Unde suppositum significatur ut totum, habens naturam sicut partem forma­ lem et perfectivam sui. Et propter hoc in com­ positis ex materia et forma natura non praedi­ catur de supposito, non enim dicimus quod hic homo sit sua humanitas. Si qua vero res est in qua omnino nihil est aliud praeter ratio­ nem speciei vel naturae suae, sicut est in Deo, ibi non est aliud secundum rem suppositum et natura, sed solum secundum rationem intel­ ligendi, quia natura dicitur secundum quod est essentia quaedam; eadem vero dicitur suppositum secundum quod est subsistens. Et quod est dictum de supposito, intelligendum est de persona in creatura rationali vel intel­ lectuali, quia nihil aliud est persona quam rationalis naturae individua substantia, se­ cundum Boetium [De duabus nat. 3]. Omne igitur quod inest alicui personae, sive perti­ neat ad naturam eius sive non, unitur ei in persona. Si ergo humana natura Verbo Dei non unitur in persona, nullo modo ei unitur. Et sic totaliter tollitur incarnationis fides, quod est subruere totam fidem christianam. Quia igitur Verbum habet naturam humanam sibi unitam, non autem ad suam naturam divinam pertinentem consequens est quod unio sit facta in persona Verbi, non autem in natura. Ad primum ergo dicendum quod, licet in Deo -

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Risposta: la persona indica qualcosa di diver­ so dalla natura. Infatti la natura significa «l'essenza specifica espressa dalla definizio­ ne». Ora, se l'essenza specifica esistesse da sola senza alcunché di aggiunto, non ci sareb­ be bisogno di distinguere la natura dal suppo­ sito della natura, che è un individuo sussisten­ te in essa, poiché ogni individuo sussistente in una natura si identificherebbe totalmente con la sua natura. Invece in alcune realtà sussi­ stenti si riscontrano degli aspetti che non appartengono alla natura specifica, vale a dire gli accidenti e i principi individuanti, come appare evidentissimo negli esseri composti di matetia e forma. In essi quindi la natura e il supposito diffetiscono anche realmente, non come realtà separate, ma perché il supposito implica la natura specifica e le altre proptietà non specificanti. Per cui il supposito indica il tutto che possiede la natura specifica come sua parte formale e pert"ettiva. E così nelle realtà composte di materia e forma la natura non può essere predicata del supposito: non diciamo infatti che quest'uomo è la sua uma­ nità. Se però una realtà non possiede proprietà distinte dalla specie o natura, come accade in Dio, allora il supposito e la natura non si distinguono tra loro realmente, ma solo se­ condo i nostri concetti: poiché con il termine «natura>> indichiamo l'essenza, mentre con il termine «supposito» indichiamo la stessa na­ tura in quanto sussistente. Ora, quanto si è detto del supposito va inteso della persona nell'ambito delle creature razionali o intellet­ tuali: poiché la persona non è altro che «una sostanza individuale di natura razionale», se­ condo la definizione di Boezio. - Così dun­ que tutto ciò che si trova in una persona, sia che appartenga alla sua natura, sia che non vi appartenga, è unito ad essa nella persona. Se dunque la natura umana non è unita al Verbo di Dio nella persona, non gli è unita in alcun modo. Ma così si elimina totalmente la fede nell'incarnazione: il che significa distruggere tutta la fede ctistiana. Poiché dunque il Verbo ha la natura umana unita a sé, senza però che appartenga alla sua natura divina, ne conse­ gue che l'incarnazione si è attuata nella perso­ na del Verbo e non nella natura. Soluzione delle difficoltà: l . Sebbene in Dio la natura e la persona non siano realmente distinte, tuttavia non hanno per noi il medesi-

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non sit aliud secundum rem natura et persona, differt tamen secundum modum significandi, sicut dictum est [in co.], quia persona signifi­ cat per modum subsistentis. Et quia natura humana sic unitur Verbo ut Verbum in ea subsistat, non autem ut aliquid addatur ei ad rationem suae naturae, vel ut eius natura in aliquid transmutetur, ideo unio facta est in persona, non in natura. Ad secundum dicendum quod personalitas necessario intantum pertinet ad dignitatem alicuius rei et perfectionem, inquantum ad dignitatem et perfectionem eius pertinet quod per se existat, quod in nomine personae intel­ ligitur. Dignius autem est alicui quod existat in aliquo se digniori, quam quod existat per se. Et ideo ex hoc ipso humana natura dignior est in Christo quam in nobis, quia in nobis, quasi per se existens, proptiam personalitatem habet in Chtisto autem existit in persona Ver­ bi. Sicut etiam esse completivum speciei per­ tinet ad dignitatem formae, tamen sensitivum nobilius est in homine, propter coniunctionem ad nobiliorem formam completivam, quam sit in bruto animali, in quo est forma completiva. Ad tertium dicendum quod Dei Verbum non assumpsit naturam hwnanam in universali, sed in atomo, idest in individuo, sicut Dama­ scenus dici t [De fide 3, 1 1 ], alioquin oporteret quod cuilibet homini conveniret esse Dei Verbum, sicut convenit Chtisto. Sciendum est tamen quod non quodlibet individuum in genere substantiae, etiam in rationali natura, habet rationem personae, sed solum illud quod per se existit, non autem illud quod existit in alio perfectioti. Unde manus Socra­ tis, quamvis sit quoddam individuum, non est tamen persona, quia non per se existit, sed in quodam perfectiori, scilicet in suo toto. Et hoc etiam potest significati in hoc quod persona dicitur substantia individua, non enim manus est substantia completa, sed pars substantiae. Licet igitur humana natura sit individuum quoddam in genere substantiae, quia tamen non per se separatim existit, sed in quodam perfectiori, scilicet in persona Dei Verbi, con­ sequens est quod non habeat personalitatem propriam. Et ideo facta est uni o in persona.

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mo significato, come si è detto, poiché la per­ sona indica la sussistenza. Ora, essendo la natura umana unita al Verbo in modo che il Verbo sussista in essa senza che venga ag­ giunto qualcosa alla sua natura, o che questa venga mutata, ne segue che l'unione è avve­ nuta nella persona e non nella natura. 2. La personalità in tanto appartiene alla di­ gnità e alla perfezione di un soggetto in quan­ to alla dignità e alla pert'ezione di questo ap­ partiene il fatto di esistere per sé, il che viene espresso dal termine persona. Ora, si Iiceve una maggiore dignità dall'esistere in un ente superiore che dall'esistere per se stessi. Così la natura umana è più nobile in Cristo che in noi, poiché in noi, sussistendo per se stessa, ha la sua proptia personalità, mentre in Cristo esiste nella persona del Verbo. Come anche per una forma è ragione di dignità l'essere completiva della specie, e tuttavia la sensibi­ lità è più nobile nell'uomo, per la sua unione a una forma completiva più alta, di quanto lo sia nei bruti, nei quali è una forma completiva. 3. Come dice il Damasceno, «il Verbo di Dio non assunse la natura umana universale, bensì una natura individuale»: altrimenti ogni uomo sarebbe il Verbo di Dio come lo è Cristo. Tuttavia va ricordato che non ogni individuo di ordine sostanziale, anche se razionale, ha il carattere di persona, ma solo l'individuo che esiste per sé (non invece quello che esiste in un supposito più perfetto). Per questo la mano di Socrate, pur essendo una parte individuale, non è tuttavia una persona, poiché non esiste per sé, ma in un essere più perfetto, cioè nel suo tutto. Il che appare anche dalla definizio­ ne di persona come «Sostanza individuale»: infatti la mano non è una sostanza completa, ma parte di una sostanza. Sebbene quindi la natura umana [di Cristo] sia un individuo di ordine sostanziale, in quanto tuttavia non esi­ ste per sé, ma in una individualità superiore, cioè nella persona del Verbo, conseguente­ mente non possiede una personalità propria. E così l'unione è avvenuta nella persona.

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Articulus 3 Utrum unio Verbi incarnati sit facta in supposito, sive in hypostasi

Articolo 3 L'unione del Verbo Incarnato è avvenuta nel supposito o ipostasi?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod unio Verbi incarnati non sit facta in supposito, sive in hypostasi. l . Dicit enim Augustinus, in Ench. [35.38], divina substantia et /1Umana utrumque est unus Dei Filius, sed aliud propter Verbum, et aliud propter hominem. Leo Papa etiam dicit, in Epistola ad Flavianum [ep. 28,4], unum horum coruscat miraculis, et aliud succumbit iniuriis. Sed omne quod est aliud et aliud, differt supposito. Ergo unio Verbi incarnati non est facta in supposito. 2. Praeterea, hypostasis nihil est aliud quam substantia particularis, ut Boetius dicit, in li­ bro De duabus naturis [3] . Manifestum est autem quod in Christo est quaedam alia sub­ stantia particularis praeter hypostasim Verbi, scilicet corpus et anima et compositum ex eis. Ergo in Christo est alia hypostasis praeter hypostasim Verbi Dei. 3. Praeterea, hypostasis Verbi non continetur in aliquo genere, neque sub specie, ut patet ex his quae in Prima Parte [q. 3 a. 5; q. 30 a 4 ad 3] dieta sunt. Sed Christus, secundum quod est factus homo, continetur sub specie humana, dicit enim Dionysius, l cap. De div. nom. [4], intra nostram factus esi naturam qui omnem ordinem secundum omnem naturam super­ substantialiter excedit. Non autem continetur sub specie humana nisi sit hypostasis quaedam humanae speciei. Ergo in Christo est alia hypostasis praeter hypostasim Verbi Dei. Et sic idem quod prius. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 li­ bro [De fide 4], in Domino nostro Iesu Chri­ sto duas naturas cognoscimus, unam autem hypostasim. Respondeo dicendum quod quidam, ignoran­ tes habitudinem hypostasis ad personam, licet concederent in Christo unam solam perso­ naro, posuerunt tamen aliam hypostasim Dei et aliam hominis, ac si unio sit facta in perso­ na, non in hypostasi. Quod quidem apparet erroneum tripliciter. Primo, ex hoc quod per­ sona supra hypostasim non addit nisi deterrni­ natam naturam, scilicet rationalem; secundum quod Boetius dicit, in libro De duabus naturis [3], quod persona est rationalis naturae

Sembra di no. Infatti: l . Agostino dice: «La sostanza divina e la sostanza umana sono ambedue il medesimo e unico Figlio di Dio: ma una cosa [aliud] a motivo del Verbo e un'altra [aliud] a motivo dell'uomo». E anche il papa Leone scrive: «L'una delle due cose risplende per i miraco­ li, l'altra soccombe alle ingiurie». Ma tutte le cose che si contrappongono [come aliud et aliud] differiscono come suppositi. Quindi nell'incarnazione del Verbo non c'è unità di supposito. 2. L' ipostasi non è altro che «una sostanza particolare», come scrive Boezio. Ma è chiaro che in Cristo esiste qualche altra sostanza par­ ticolare oltre ali' ipostasi del Verbo, cioè il corpo, l'anima e il loro composto. Quindi in Cristo c'è un'altra ipostasi, oltre a quella del Verbo. 3. L'ipostasi del Verbo non è compresa in alcun genere o specie, come risulta da quanto si è detto nella Prima Parte. Invece Cristo come uomo è compreso nella specie umana: scrive infatti Dionigi che «è apparso nella nostra natura colui che essenzialmente sor­ passa ogni ordine creato in ogni suo aspetto». Ma non è compresa nella specie umana se non una determinata ipostasi della medesima. Perciò in Cristo c'è un'altra ipostasi, oltre a quella del Verbo di Dio. In contrario: il Damasceno scrive: «Nel Si­ gnore nostro Gesù Cristo riconosciamo due nature, ma una sola ipostasi». Risposta: alcuni, ignorando i rapporti tra ipo­ stasi e persona, sebbene concedessero in Cri­ sto una sola persona, ammisero tuttavia un'i­ postasi divina e un'altra umana, quasi che l'unione implicasse unità di persona, ma non di ipostasi. Il che è erroneo per tre motivi. Pri­ mo, perché la persona non aggiunge all'ipo­ stasi se non la qualificazione della natura, cioè la razionalità, essendo la persona, come dice Boezio, «una sostanza individuale di natura razionale». Perciò attribuire un'ipostasi propria alla natura umana in Cristo è lo stesso che attribuirle una persona propria. Per questo i santi Padri, nel Quinto Concilio celebrato presso Costantinopoli, condannarono entram-

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individua substantia. Et ideo idem est attri­ buere propriam hypostasim humanae naturae in Christo, et propriam personam. Quod intelli­ gentes sancti patres, utrumque in Concilio quinto, apud Constantinopolim celebrato, damnaverunt, dicentes [coli. 8 can. 5], si quis introducere conetur in mysterio Christi duas subsistentias seu duas personas, talis anathe­ ma sit, nec enim adiectionem personae vel sub­ sistentiae suscepit sancta Trinitas, incarnato uno de sancta Trinitate, Deo Verbo. - Sub­ sistentia autem idem est quod res subsistens, quod est proprium hypostasis, ut patet per Boetium, in libro De duabus naturis [3]. Se­ cundo quia, si detur quod persona aliquid addat supra hypostasim in quo possit fieri unio, hoc nihil est aliud quam proprietas ad dignitatem pertinens, secundum quod a quibusdam [Bonaventura, In Sent. l , d. 23, a. l , q. l ] dicitur quod persona est hypostasis pmprietate distincta ad dignitatem pertinente. Si ergo facta sit unio in persona et non i n hypostasi, consequens erit quod non sit facta unio nisi secundum dignitatem quandam. Et hoc est, approbante Synodo Ephesina [ 1,26,3], damnatum a Cyrillo sub his verbis [ep. 17 Ad Nestorium, anath. 3, seu interprete Mario Mercatore] , si quis in uno Christo dividit subsistentias post adunationem, sola copu­ lans eas coniunctione quae secundum digni­ tatem vel auctoritatem est vel secundum potentiam, et non magis concursu secundum adunationem naturalem, anathema sit. Tertio, quia tantum hypostasis est cui attribuuntur operationes et proprietates naturae, et ea etiam quae ad naturae rationem pertinent in concreto, dicimus enim quod hic homo ratio­ cinatur, et est risibilis, et est animai rationale. Et hac ratione hic homo dicitur esse suppo­ situm, quia scilicet supponitur his quae ad horninem pertinent, eorum praedicationem recipiens. Si ergo sit alia hypostasis in Christo praeter hypostasim Verbi, sequetur quod de aliquo alio quam de Verbo verificentur ea quae sunt hominis, puta esse natum de Virgi­ ne, passum, crucifixum et sepultum. Et hoc etiam damnatum est, approbante Concilio Ephesino [l ,26,4], sub his verbis, si quis per­ sonis duabus vel subsistentiis eas quae sunt in evangelicis et apostolicis Scripturis imparti­ tur voces, aut de Christo a sanctis dictas, aut ab ipso de se; et quasdam quidem velut homi-

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be le asserzioni dicendo: «Se qualcuno ten­ terà di introdurre nel mistero di Cristo due sussistenze o due persone, sia scomunicato, poiché la Trinità santa non ha ricevuto una persona o una sussistenza in più per l'incar­ nazione della persona divina del Verbo». Ma sussistenza è lo stesso che realtà sussistente, ed è proprio dell' ipostasi essere tale, come spiega Boezio. - Secondo, perché supposto che la persona aggiunga all'ipostasi un ele­ mento valido per l'unione, esso non sarebbe altro che una proprietà riguardante la dignità propria della persona, essendo questa definita da alcuni come «un'ipostasi il cui carattere distintivo è la dignità». Se dunque l'incarna­ zione è un'unità di persona e non di ipostasi, ciò significa che l'unione non è stata attuata se non per un legame di dignità. E questo è l'errore condannato da S. Cirillo con l'appro­ vazione del Concilio di Efeso: «Se qualcuno nell'unico Cristo divide dopo l'incarnazione le sussistenze dicendole unite solo nella di­ gnità o nell'autorità o nella potenza, senza ammettere l'unione naturale, costui sia sco­ municato». - Terzo, perché soltanto all'ipo­ stasi si attribuiscono le operazioni, le pro­ prietà naturali e tutte le cose che spettano alla natura in concreto: diciamo infatti che que­ st'uomo ragiona, ride, è un animale ragione­ vole. Ed è per tale motivo che quest'uomo viene detto supposito, in quanto cioè è sotto­ posto a tutte le cose che sono proprie dell'uo­ mo, ricevendone l'attribuzione. Se dunque ci fosse in Cristo un'altra ipostasi oltre all'ipo­ stasi del Verbo, ne conseguirebbe che ciò che è proprio della natura umana, come l'essere nato dalla Vergine, l ' avere patito, l'essere stato crocifisso e sepolto, si sarebbe compiuto in un soggetto distinto dal Verbo. E anche questo errore è stato condannato nel Concilio di Efeso: «Se qualcuno attribuisce a due per­ sone o sussistenze le parole delle Scritture evangeliche e apostoliche dette di Cristo, o dagli agiografi o da lui stesso, e alcune le applica all' uomo, inteso come distinto dal Verbo di Dio, altre invece al solo Verbo del Padre, perché degne di Dio, costui sia scomu­ nicato». - Così dunque risulta che è un'eresia condannata da tempo porre in Cristo due ipo­ stasi o due suppositi, oppure negare che l'incarnazione sia avvenuta nell'unità dell'i­ postasi o supposito. Nel medesimo Concilio

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ni praeter illud ex Deo Verbum specialiter intellecto applicat, quasdam vero, velut Deo decibiles, soli ex Deo Patre lkrbo, anathema sit. Sic igitur patet esse haeresim ab olim damnatam dicere quod in Christo sunt duae hypostases vel duo supposita, sive quod unio non sit facta in hypostasi vel supposito. Unde in eadem Synodo [Synodus Ephesina l ,26,2] legitur, si quis non confitetur carni secundum subsistentiam unitum ex Deo Parre Verbum, unumque esse Christwn cum sua carne, eun­ dem scilicet Dewn et hominem, anathema sit. Ad primum ergo dicendum quod, sicut ac­ cidentalis diffcrentia facit alterum, ita diffe­ rentia essentialis facit aliud. Manifestum est autem quod alteritas, quae provenit ex dif­ ferentia accidentali, potest ad eandem hypo­ stasim vel suppositum in rebus creatis perti­ nere, eo quod idem numero potest diversis accidentibus subesse, non autem contingit in rebus creatis quod idem numero subsistere possit diversis essentiis vel naturis. Unde sicut quod dicitur alterum et alterum in creaturis, non significat diversitatem suppositi, sed solum divcrsitatem formarum accidentalium; ita quod Christus dicitur aliud et aliud, non importat diversitatem suppositi sive hypostasis, sed diversitatem naturarum. Unde Gregorius Nazianzenus dicit, in Epistola ad Chelido­ nium [ep. 1 0 1 ], aliud et aliud sunt ea ex quibus Salvator est, non alius autem et alius. Dico vero aliud et aliud e contrario quam in Trinitate habet. /bi enim alius et alius dici­ mus, ut non subsistentias confundamus, non aliud autem et aliud. Ad secundum dicendum quod hypostasis significat substantiam particularem non quo­ cumque modo, sed prout est in suo comple­ mento. Secundum vero quod venit in unionem alicuius magis completi, non dicitur hyposta­ sis, sicut manus aut pes. Et similiter humana natura in Christo, quamvis sit substantia parti­ cularis, quia tamen venit in unionem cuiusdarn completi, scilicet totius Christi prout est Deus et homo, non potest dici hypostasis vel suppo­ situm, sed illud completum ad quod concurrit, dicitur esse hypostasis vel suppositum. Ad tertium dicendum quod etiam in rebus creatis res aliqua singularis non ponitur in ge­ nere vel specie ratione eius quod pertinet ad eius individuationem, sed ratione naturae, quae secundum formam determinatur, cum indivi-

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perciò si legge: «Se qualcuno non riconosce che il Verbo di Dio Padre, unito alla carne secondo la sussistenza, è con la sua carne un unico Cristo, cioè un unico uomo-Dio, sia scomunicato». Soluzione delle difficoltà: l. Come una diffe­ renza accidentale viene espressa in latino con il pronome alter [diverso qualitativamente], così una differenza essenziale viene espressa con il pronome aliud [un'altra cosa] . Ora, è certo che nelle creature un'alterazione acci­ dentale può compiersi in una medesima ipo­ stasi, poiché essa può accogliere diversi acci­ denti rimanendo numericamente identica; non accade invece fra le realtà create che una co­ sa, rimanendo numericamente la stessa, possa sussistere in essenze o nature diverse. Come quindi nelle realtà create alter et alter non significa diversità di suppositi, ma solo diver­ sità di forme accidentali, così aliud et aliud in Cristo non comporta diversità di suppositi o di ipostasi, ma diversità di nature. Da cui le parole di Gregorio Nazianzeno: «Le realtà di cui è costituito i l Salvatore sono aliud et aliud, ma non alius et alius [cioè due soggetti distinti] . Dico aliud et aliud, al contrario di quanto si verifica nella Trinità. In essa infatti diciamo alius et alius, per non confondere le sussistenze [o persone], ma non possiamo dire aliud et aliud». 2. L' ipostasi indica una sostanza particolare non in qualsiasi modo, ma in quanto è nella sua completezza. Ora, quando una tale so­ stanza viene a far parte di un essere già com­ pleto, come avviene per la mano o per il pie­ de, non può dirsi ipostasi. Parimenti la natura umana in Cristo, sebbene sia una sostanza particolare, tuttavia, venendo a far parte di un essere completo, cioè di tutto Cristo in quanto Dio e uomo, non può dirsi ipostasi o supposi­ lo, ma si dice ipostasi o supposito quel tutto completo di cui fa parte. 3. Anche nel mondo creato le singole cose vengono classificate in un genere o in una specie non in ragione della loro individualità, ma in ragione della loro natura, che dipende dalla forma; mentre l'individuazione dipende piuttosto dalla materia, nelle realtà composte. Così dunque diciamo che Cristo appartiene alla specie umana in ragione della natura as­ sunta, non in ragione della sua ipostasi.

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duatio magis sit secundum materiam in rebus compositis. Sic igitur dicendum est quod Christus est in specie humana ratione naturae assumptae, non ratione ipsius hypostasis. Articulus 4 Utrum persona Christi sit composita

Articolo 4 La persona di Cristo è composta?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod persona Christi non sit composita. l . Persona enim Christi non est aliud quam per­ sona vel hypostasis Verbi, ut ex dictis [a. 2] patet. Sed in Verbo non est aliud persona et na­ tura, ut patet ex his quae dieta sunt in Prima Par­ te [q. 39 a. 1]. Cum ergo natura Verbi sit sim­ plex, ut in primo [q. 3 a 7] ostensum est, im­ possibile est quod persona Christi sit composita. 2. Praeterea, omnis compositio videtur esse ex partibus. Sed divina natura non potest habere rationem partis, quia omnis pars habet ratio­ nem impertecti. Ergo impossibile est quod per­ sona Christi sit composita ex duabus naturis. 3. Praeterea, quod componitur ex aliquibus, videtur esse homogeneum eis, sicut ex COipO­ ribus non componitur nisi corpus. Si igitur ex duabus naturis aliquid sit in Christo composi­ tum, consequens erit quod illud non erit perso­ na, sed natura. Et sic in Christo erit facta unio in natura. Quod est contra praedicta [a. 1]. Sed contra est quod Damascenus dicit, 3 libro [De fide 4], in Domino Iesu Christo duas na­ turas cognoscimus, unam autem hypostasim, ex utrisque compositam. Respondeo dicendum quod persona sive hy­ postasis Christi dupliciter considerari potest. Uno modo, secundum id quod est in se. Et sic est omnino simplex, sicut et natura Verbi. Alio modo, secundum rationem personae vel hypostasis, ad quam pertinet subsistere in aliqua natura. Et secundum hoc, persona Christi subsistit in duabus naturis. Unde, licet sit ibi unum subsistens, est tamen ibi alia et alia ratio subsistendi. Et sic dicitur persona composita, inquantum unum duobus subsistit. Et per hoc patet responsio ad primum. Ad secundum dicendum quod illa compositio personae ex naturis non dicitur esse ratione partium, sed potius ratione numeri, sicut omne illud in quo duo conveniunt, potest dici ex eis compositum. Ad tertiu m dicendum quod non in omni compositione hoc verificatur quod illud quod

Sembra di no. Infatti: l . La persona di Cristo non è diversa dalla persona o ipostasi del Verbo, come si è visto. Ma nel Verbo non differiscono la persona e la natura, come si è dimostrato nella Prima Pm1e. Essendo quindi semplice la natura del Verbo, come si è visto sempre nella Prima Pane, è impossibile che la persona di Cristo sia composta. 2. Ogni composto è costituito di parti. Ma la natura divina non può essere una parte, poi­ ché ogni parte è qualcosa di imperfetto. È dunque impossibile che la persona di Cristo sia composta di due nature. 3. Ogni composto è omogeneo con le sue parti: come con dei corpi non si compone che un corpo. Se dunque in Cristo c'è un compo­ sto risultante dalle due nature, esso non sarà una persona, ma una natura. E così in Cristo ci sarà unità di natura, contrariamente a quan­ to abbiamo dimostrato. In contrario: il Damasceno dice: «In Cristo Gesù Signore conosciamo due nature, ma una sola ipostasi composta di entrambe». Risposta: la persona o ipostasi di Cristo può essere considerata sotto due aspetti. Primo, per quello che è in se stessa. E sotto tale aspet­ to è assolutamente semplice, come anche la natura del Verbo. - Secondo, nella sua carat­ teristica di persona o ipostasi, che è quella di sussistere in una determinata natura. E in que­ sto senso la persona di Cristo sussiste in due nature. Sebbene quindi in lui ci sia un solo soggetto sussistente, ci sono tuttavia due ra­ gioni di sussistenza. Per cui si dice che la sua persona è composta in riferimento a questo essere unico sussistente in due nature. Soluzione delle difficoltà: l . È così risolta anche la prima difficoltà. 2. Le due nature compongono la persona di Cristo non come patti, ma come addendi: ciò infatti in cui due cose convengono può dirsi composto di esse. 3. Non ogni composto è omogeneo con le sue

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Il modo dell 'unione del Verbo Incarnato

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componitur sit homogeneum componentibus, sed solum in partibus continui ; nam con­ tinuum non componitur nisi ex continuis. Animai vero componitur ex anima et corpore, quorum neutrum est animai.

parti, ma solo il composto di parti continue: infatti il continuo non è composto che di con­ tinui. Un animale invece si compone di anima e di corpo, che non sono animali.

Articulus 5 Utrum in Christo fuerit unio animae et corporis

Articolo 5 In Cristo c'era l'unione tra l'anima e il corpo?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit unio animae et corporis. l . Ex unione enim animae et corporis in nobis causatur persona vel hypostasis hominis. Si ergo anima et corpus fuerunt in Christo unita, sequitur quod fuerit ex unione eorum aliqua hypostasis constituta. Non autem hypostasis Verbi Dei, quae est aetema. Ergo in Christo erit aliqua persona vel hypostasis praeter hypo­ stasim Verbi. Quod est contra praedicta [a. 2]. 2. Praeterea, ex unione animae et corporis constituitur natura humanae speciei. Dama­ scenus autem dicit, in 3 libro [De fide 3], quod in Domino nosh-o /esu Christo non est communem speciem accipere. Ergo in eo non est facta compositio animae et corporis. 3. Praeterea, anima non coniungitur corpori nisi ut vivificet ipsum. Sed corpus Christi poterat vivificari ab ipso Verbo Dei, quod est fons et principium vitae. Ergo in Christo non fuit unio animae et corporis. Sed contra est quod corpus non dicitur anima­ rum nisi ex unione animae. Sed corpus Christi dicitur animatum, secundum illud quod Ecclesia cantat, animatum corpus assumens, de Virgine nasci dignatus est. Ergo in Christo fuit unio animae et corporis. Respondeo dicendum quod Christus dicitur homo univoce cum hominibus aliis, utpote eiusdem speciei existens, secundum illud apostoli, Phil. 2 [7] , in similitudinem homi­ num factus. Pertinet autem ad rationem spe­ ciei humanae quod anima corpori uniatur, non enim forma constituit speciem nisi per hoc quod sit actus materiae; et hoc est ad quod ge­ neratio terminatur, per quam natura speciem intendit. Unde necesse est dicere quod in Christo fuerit anima unita corpori, et contra­ rium est haereticum, utpote derogans veritati humanitatis Christi. Ad primum ergo dicendum quod ex hac ra­ tione moti fuerunt illi qui negaverunt unio-

Sembra di no. Infatti: l . Dall'unione dell'anima con il corpo viene prodotta in noi la persona o ipostasi umana. Se dunque in Cristo si unirono insieme l'ani­ ma e il corpo, deve esserne risultata un'ipo­ stasi. Ma non I'ipostasi del Verbo, che è eter­ na. Quindi ci sarà in Cristo un'altra persona o ipostasi, oltre a quella del Verbo. E così an­ diamo contro quanto si è già detto. 2. L'unione tra l'anima e il corpo costituisce la natura della specie umana. Ma il Damasce­ no dice che «nel Signore nostro Gesù Cristo non si trova la specie comune». In lui dunque non avvenne l'unione tra l'anima e il corpo. 3. L'anima si unisce al corpo per poterlo vivi­ ficare. Ma il corpo di Cristo poteva ricevere la vita dallo stesso Verbo di Dio, che è la fonte e il principio della vita. In Cristo quindi non ci fu l'unione di anima e corpo. In contrario: il corpo non viene detto animato se non per l'unione con l'anima. Ma il corpo di Cristo è detto animato, come canta la Chie­ sa: «Assumendo un corpo animato, si degnò di nascere dalla Vergine». Quindi in Cristo ci fu l'unione dell'anima con il corpo. Risposta: Cristo è detto uomo nel medesimo senso degli altri uomini, in quanto appartiene alla medesima specie, secondo I' espressione di Paolo: Divenuto simile agli uomini (Fil 2,7). Ma la specie umana esige che l'anima si uni­ sca al corpo, poiché la forma non costituisce la specie se non attuando la materia; e questo è il termine della generazione, con la quale la natura tende alla specie. Qtùndi è necessario dire che in Cristo l'anima si unì al corpo; e il contrario sarebbe un'eresia, poiché neghereb­ be la verità della natura umana di Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . Da questa diffi­ coltà furono mossi coloro che negarono in Cristo l'unione dell'anima con il corpo: cioè per non essere costretti ad ammettere in Cri­ sto una nuova persona o ipostasi, vedendo che

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nem animae et corporis in Christo, ne per hoc scilicet cogerentur personam novam aut hypostasim in Christo inducere; quia videbant quod in puris hominibus ex unione animae ad corpus constituitur persona. Sed hoc ideo in puris hominibus accidit quia anima et corpus sic in eis coniunguntur ut per se existant. Sed in Christo uniuntur ad invicem ut adiuncta alteri principaliori quod subsistit in natura ex eis composita. Et propter hoc ex unione ani­ mae et corporis in Christo non constituitur nova hypostasis seu persona, sed advenit ipsum coniunctum personae seu hypostasi praeexistenti. - Nec propter hoc sequitur quod sit minoris efficaciae unio animae et corporis in Christo quam in nobis. Quia ipsa coniunctio ad nobilius non adimit virtutem aut dignitatem, sed auget, sicut anima sensiti­ va in animalibus constituit speciem, quia con­ sideratur ut ultima forma; non autem in homi­ nibus, quamvis in eis sit nobilior et virtuosior; et hoc per adiunctionem ulterioris et nobilio­ ris perfectionis animae rationalis, ut etiam supra [a. 2 ad 2] dictum est. Ad secundum dicendum quod verbum Dama­ sceni potest intelligi dupliciter. Uno modo, ut referatur ad humanam naturam. Quae quidem non habet rationem communis speciei secun­ dum quod est in uno solo individuo, sed se­ cundum quod est abstracta ab omni individuo, prout in nuda contemplatione consideratur; vel secundum quod est in omnibus individuis. Filius autem Dei non assumpsit humanam naturam prout est in sola consideratione intellectus, quia sic non assumpsisset ipsam rem humanae naturae. Nisi forte diceretur quod humana natura esset quaedam idea sepa­ rata, sicut Platonici [cf. Met. 2,2, 1 6] posuerunt hominem sine materia. Sed tunc Filius Dei non assumpsisset carnem, contra id quod dicitur Luc. 24 [39], Spiritus camem et ossa non habet, sicut me videtis habere. Similiter etiam non p otest dici quod Filius Dei assumpsit humanam naturam prout est i n omnibus individuis eiusdem speciei, quia sic omnes homines assumpsisset. Relinquitur ergo, ut Damascenus postea dicit in eodem libro [De fide 3, 1 1 ], quod assumpserit natu­ ram humanam in atomo, idest in individuo, non quidem in alio individuo, quod sit sup­ positum vel hypostasis illius naturae, quam in persona Filii Dei. - Alio modo potest intelligi

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nei puri uomini in seguito all'unione dell'ani­ ma con il corpo si costituisce la persona. Ma ciò avviene nei puri uomini per il fatto che in essi l'anima e il corpo si congiungono per esi­ stere di per sé. In Cristo invece l'anima e il corpo si uniscono per aggiungersi a un sog­ getto superiore, che sussiste nella natura da essi composta. Per cui dall'unione dell'anima e del corpo non si costituisce in Cristo una nuova ipostasi o persona, ma il composto medesimo si unisce a una persona o ipostasi preesistente. - Né per questo l 'unione tra l'anima e il corpo è in Cristo meno efficace che in noi. n congiungersi infatti di qualcosa a un ente più nobile non menoma di per sé la sua attività o dignità, ma la accresce: come l'anima sensitiva negli animali costituisce la specie perché è l'ultima fonna, mentre non è così negli uomini, sebbene in questi essa sia più nobile e più attiva; e ciò precisamente per l'aggiunta dell'ulteriore e più alta perfezione dell'anima razionale, come si è detto anche sopra. 2. L'affermazione del Damasceno può essere intesa in due modi. Primo, riferendola alla natura umana. Ora, questa si presenta come una specie comune non in quanto viene con­ siderata in un detenninato individuo, ma in quanto è astratta da ogni individuo nella nuda contemplazione, o in quanto si trova in tutti gli individui. Ora, il Figlio di Dio non ha assunto la natura umana così come essa è nella sola considerazione mentale, perché allora non avrebbe assunto la realtà stessa della natura umana. A meno di non dire che la natura umana è una certa idea separata, come l' uomo senza materia ammesso dai Platonici. Ma allora il Figlio di Dio non avrebbe assunto la carne, contro la testimo­ nianza evangelica: Uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che io ho (Le 24,39). Pari­ menti è impossibile che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana come è in tutti gli individui della nostra specie, poiché in tal caso avrebbe assunto tutti gli uomini. Per cui si deve concludere con lo stesso Damasceno che egli assunse una natura umana concreta e individuale, «senza però che questa costituis­ se un individuo, nel senso di supposito o di ipostasi di quella natura, distinto dalla perso­ na del Figlio di Dio» . - Secondo, si può intendere la frase del Damasceno in modo da

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dictum Damasceni ut non referatur ad natu­ ram humanam, quasi ex unione animae et corporis non resultet una communis natura, quae est humana, sed est referendum ad unionem duarum naturarum, divinae scilicet et humanae, ex quibus non componitur aliquid tertium, quod sit quaedam natura communis; quia sic i l l u d esset natum praed icari d e pluribus. Et hoc ibi intendit. Unde subdit [De fide 3,3], neque enim generatus est, neque

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Ad tertium dicendum quod duplex est princi­ pium vitae corporalis. Unum quidem effecti­ vum. Et hoc modo Verbum Dei est principium omnis vitae. Alio modo est aliquid principium vitae fonnaliter. Cum enim vivere viventibus sit esse, ut dicit philosophus, in 2 De an. [4,4]; sicut unumquodque formaliter est per suam fonnam, ita corpus vivit per animam. Et hoc modo non potuit corpus vivere per Verbum, quod non potest esse corporis fonna.

non riferirla alla natura umana, in quanto cioè dall'unione dell'anima con il corpo risulta la natura umana comune, ma riferendola all'u­ nione delle due nature, divina e umana, per dire che essa non dà come risultato un nuovo composto che sarebbe comune, e quindi pre­ dicabile di molti individui. E questo è i l senso del passo citato, come risulta dalle parole che seguono: «Difatti non fu mai generato, né sarà mai generato un altro Cristo, composto di divinità e di umanità, perfetto Dio nella sua divinità e perfetto uomo nella sua umanità>>. 3. Nella vita corporale si possono riscontrare due princìpi. Il primo è la causa efficiente. E in questo senso il Verbo di Dio è il principio di ogni vita. Il secondo è invece il principio for­ male. Siccome infatti, secondo il Filosofo, «per i viventi il vivere è l 'essere», come ogni cosa esiste formalmente in virtù della sua fonna, così il corpo vive in virtù dell'anima. Ora, in questo secondo senso il corpo di Cristo non poteva ricevere la vita dal Verbo, non potendo questi essere la fonna di un corpo.

Articulus 6 Utrum humana natura fuerit unita Verbo Dei accidentaliter

Articolo 6 La natura umana è stata unita al Verbo di Dio accidentalmente?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod huma­ na natura fuerit unita Verbo Dei accidentaliter. l . Dicit enim apostolus, Phil. 2 [7], de Filio Dei, quod habitu inventus est ut homo. Sed habitus accidentaliter advenit ei cuius est, sive accipiatur habitus prout est unum de decem generibus; sive prout est species qualitatis. Ergo humana natura accidentaliter unita est Filio Dei. 2. Praeterea, omne quod advenit alicui post esse completum, advenit ei accidentaliter, hoc enim dicimus accidens quod potest alicui et adesse et abesse praeter subiecti corruptio­ nem. Sed natura humana advenit ex tempore Filio Dei habenti esse perfectum ab aeterno. Ergo advenit ei accidentaliter. 3. Praeterea, quidquid non pertinet ad naturam seu essentiam alicuius rei, est accidens eius, quia ornne quod est vel est substantia, vel est accidens. Sed humana natura non pertinet ad essentiam vel naturam Filii Dei divinam, quia non est facta unio in natura, ut supra [a. l ] dictum est. Ergo oportet quod natura humana accidentaliter Filio Dei advenerit.

Sembra di sì. Infatti : l . Paolo dice del Figlio di Dio che: Fu rico­ nosciuto uomo nell 'abito (Fi/ 2 ,7). Ma l'abito è accidentale per colui che lo ha, tanto come predicamento distinto, quanto come specie della qualità. Quindi la natura umana fu unita al Figlio di Dio accidentalmente. 2. Ciò che un ente acquista dopo aver raggiun­ to la sua completezza è accidentale: chiamia­ mo infatti accidente ciò che una cosa può ave­ re e non avere, senza cessare di essere ciò che è. Ma la natura umana si unì nel tempo al Fi­ glio di Dio, che dall'eternità aveva il suo esse­ re perfetto. Quindi gli si unì accidentalmente. 3. Ciò che non appartiene alla natura o essen­ za di una cosa è per essa un accidente, poiché le cose sono o sostanze o accidenti. Ma la na­ tura umana non appartiene ali' essenza o natu­ ra divina del Figlio di Dio, non essendosi compiuta l'unione secondo la natura, come si è detto sopra. Quindi la natura umana si deve essere unita al Figlio di Dio accidentalmente. 4. Lo strumento si unisce accidentalmente [alla causa principale]. Ma la natura umana

unquam generabitur alius Christus, ex deitate et humanitate, in deitate et humanitate, Deus peifectus, idem et homo peifectus.

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4. Praeterea, instrumentum accidentaliter advenit. Sed nanrra humana in Christo fuit di­ vinitatis instrumentum, dicit enim Damasce­ nus, in 3 libro [De fide 15], quod caro Christi instrumentum divinitatis existit. Ergo videtur quod humana natura fuerit Filio Dei unita accidentaliter. Sed contra est quod illud quod accidentaliter praedicatur, non praedicat aliqu id, sed quantum vel quale vel aliquo modo se habens si igitur humana natura accidentaliter adveni­ ret, cum dicitur Christus esse homo, non praedicaretur aliquid, sed quale aut quantum aut aliquo modo se habens. Quod est contra decretalem Alexandri Papae dicentis [Fragm. Epist. Ad Archiepisc. Remensem; cf. Ap­ pend. Conc. Lateranensis 49,20; cf. Decretai. Gregor. IX, 5,7,7], cum Christus sit peifectus Deus et petfectus homo, qua temeritate audent quidam dicere quod Christus, secun­ dum quod est homo, non est aliquid? Respondeo dicendum quod, ad huius quae­ stionis evidentiam, sciendum est quod circa mysterium unionis duarum naturarum in Chri­ sto, duplex haeresis insurrexit. Una quidem confundentium naturas, sicut Eutychetis et Dioscori, qui posuerunt quod ex duabus natu­ ris est constituta una natura; ita quod confi­ tentur Christum esse ex- duabus naturis, quasi ante unionem distinctis; non autem in duabus naturis, quasi post unionem naturarum distin­ ctione cessante. - Alia vero fuit haeresis Ne­ storii et Theodori Mopsuesteni separantium personas. Posuerunt enim aliam esse perso­ nam Filii Dei, et Filii hominis. Quas dicebant sibi invicem esse unitas, primo quidem, secun­ dum inhabitationem, inquantum scilicet Verbum Dei habitavit in ilio hornine sicut in tempio. Secundo, secundum unitatem affectus, inquantum scilicet voluntas illius horninis est semper conforrnis voluntati Dei. Tertio modo, secundum operationem, prout scilicet dicebant horninem illum esse Dei Verbi instrumentum. Quarto, secundum dignitatem honoris, prout omnis honor qui exhibetur Filio Dei, exhibetur Filio hominis, propter coniunctionem ad Fi­ lium Dei. Quinto, secundum aequivocatio­ nem, idest secundum communicationem norninum, prout scilicet dicimus illum horni­ nem esse Deum et Filium Dei. Manifestum est autem omnes istos modos accidentalem unio­ nem importare. - Quidam autem posteriores

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era in Cristo lo strumento della divinità, come dice il Damasceno. Quindi sembra che la natura umana fosse unita accidentalmente al Figlio di Dio. In contrario: gli attributi accidentali non espri­ mono qualcosa di sostanziale, ma la quantità, le qualità o altre modalità. Se quindi la natura umana fosse unita a Cristo accidentalmente, dicendo che egli è uomo non gli si attribuireb­ be qualcosa di sostanziale, ma una qualità, o una quantità, o qualche altra modalità. Ora, ciò è contro una decretale del papa Alessan­ dro III, il quale dice: «Essendo Cristo perletto Dio e perfetto uomo, con quale temerarietà alcuni osano affermare che Cristo in quanto uomo non è una realtà sostanziale?». Risposta: per risolvere i l problema si deve ricordare che riguardo al mistero dell'unione delle due nature in Cristo sono sorte due ere­ sie. Una è quella di coloro che confondevano le nature, come Eutiche e Dioscoro, i quali ritenevano che da due nature se ne fosse costi­ tuita una sola: per cui Cristo sarebbe compo­ sto «di due nature», distinte prima dell'unio­ ne, ma non sarebbe «in due natme»; come se dopo l'unione la distinzione delle nature fosse cessata. - L'altra fu invece I' eresia di Nestorio e di Teodoro di Mopsuestia, i quali separava­ no le persone. Altra, essi dicevano, è la perso­ na del Figlio di Dio, e altra quella del figlio dell'uomo. E dicevano che le persone sareb­ bero unite in questo modo: primo, «secondo l'inabitazione», in quanto cioè il Verbo di Dio abitava in quell'uomo come in un tempio; secondo, «mediante un'unione affettiva», in quanto cioè la volontà di tale uomo era sem­ pre conforme alla volontà di Dio; terzo, «secondo le operazioni», in quanto cioè quel­ l'uomo sarebbe stato lo strumento del Verbo di Dio; quarto, «secondo la dignità dell'ono­ re»: giacché ogni onore che viene reso al Figlio di Dio risulta comunicato al figlio del­ l'uomo per la sua unione con il Figlio di Dio; quinto, «secondo la trasposizione dei nomi», in quanto cioè affermiamo che quell'uomo è Dio e Figlio di Dio. Ora, è chiaro che tutti questi modi comportano un'unione accidenta­ le. - In queste eresie sono poi caduti per igno­ ranza alcuni maestri posteriori, pur nel tentati­ vo di evitarle. Alcuni di essi infatti ammette­ vano una sola persona in Cristo, ma due ipo­ stasi o due suppositi, dicendo che un certo

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magistri, putantes se has haereses declinare, in eas per ignorantiam inciderunt. Quidam enim eorum concesserunt unam Christi personam, sed posuerunt duas hypostases, sive duo sup­ posita; dicentes hominem quendam, composi­ turo ex anima et corpore, a principio suae conceptionis esse assumptum a Dei Verbo. Et haec est prima opinio quam Magister ponit in sexta distinctione tertii libri Sententiarum [Sent. 3,6,2]. Alii vero, volentes servare unita­ tem personae, posuerunt Christi animam non esse corpori unitam, sed haec duo, separata ab invicem, esse unita Verbo accidentaliter, ut sic non cresceret numerus personarum. Et haec est tertia opinio quam Magister ibidem [Sent. 3,6,4] ponit. - Utraque autem hamm opinionum incidit in haeresim Nestodi . Prima quidem, quia idem est ponere duas hypostases vel duo supposita in Christo, quod ponere duas perso­ nas, ut supra dictum est. Et si fiat vis in no­ mine personae, considerandum est quod etiam Nestorius utebatur unitate personae, propter unitatem dignitatis et honoris. Unde et quinta Synodus [Conc. Cpolit. II coll. 8 can. 5] defi­ nit anathema eum qui dicit unam personam

secundum dignitatem, honorem et adoratio­ nem, sicut Theodonts et Nestorius insanientes conscripserunt. Alia vero opinio incidit in errorem Nestorii quantum ad hoc, quod posuit unionem accidentalem. Non enim diftèrt dice­ re quod Verbum Dei unitum est homini Christo secundum inhabitationem sicut in tempio suo, sicut dicebat Nestorius; et dicere quod unitum fuit Verbum homini secundum induitionem sicut vestimento, sicut dicit tertia opinio. Quae etiam dicit peius aliquid quam Nestorius, quod anima et corpus non sunt unita. - Fides autem Catholica, medium tenens inter praedictas positiones, neque dicit esse unionem factam Dei et hominis secundum essentiam vel naturam; neque etiam secundum accidens; sed medio modo, secundum subsistentiam seu hypostasim. Unde in quinta synodo [Cane. Cpolit. II coll. 8 can. 4] legitur,

cum multis modis unitas intelligatw; qui ini­ quitatem Apollinarii et Eutychetis sequuntur, interemptionem eorum quae convenerunt colentes, (idest, interimentes utramque natu­ ram), unionem secundum confusionem dicunt; Theodori autem et Nestorii sequaces, divisio­ ne gaudentes, affectualem unitatem introdu­ cunt, sancta vero Dei Ecclesia, utriusque

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uomo, composto di anima e di corpo, fu as­ sunto dal Verbo di Dio fin dal primo momen­ to della sua concezione. E questa è la prima sentenza che il Maestro pone nella sesta di­ stinzione del Terzo Libro delle Sentenze. Altri invece, volendo salvare l'unità della persona, dicevano che l'anima di Cristo non era unita al suo corpo, ma che queste due parti, separa­ te l'una dall'altra, si trovavano unite acciden­ talmente al Verbo, così da non moltiplicare le persone. E questa è la terza sentenza che rife­ risce il Maestro. - Ma tutte e due queste opi­ nioni cadono nell'eresia di Nestorio. La prima perché ammettere in Cristo due ipostasi o due suppositi è lo stesso che ammettere due per­ sone, come si è detto sopra. E se si volesse far forza sul termine persona, si deve ricordare che anche Nestorio parlava di unità della per­ sona nel senso di unità nella dignità e nell'o­ nore. Per cui il Quinto Concilio scomunica chi parla di «una sola persona secondo la dignità, l'onore e l'adorazione, come vaneg­ giando scrissero Teodoro e Nestorio». L'altra opinione poi cade nell'errore di Nestorio in quanto ammette un'unione accidentale. Non c'è infatti differenza fra il dire con Nestorio che il Verbo di Dio si unì all' uomo Cristo abi­ tando in lui come in un suo tempio, e dire con la terza sentenza che il Verbo si unì all'uomo rivestendosene come di un indumento. Anzi, tale opinione dice qualcosa di peggio di Nestorio, affermando che l'anima e il corpo non sarebbero uniti. - La fede cattolica dun­ que, tenendo la via di mezzo fra le suddette posizioni, non dice né che l'unione di Dio e dell' uomo è avvenuta nell'essenza o natura, né che è avvenuta in un modo accidentale, ma che è avvenuta in un modo intermedio, secon­ do la sussistenza o ipostasi. Perciò nel Quinto Concilio si legge: «Nella molteplicità dei sen­ si in cui si intende l'unità, coloro che seguono l'eresia di Apollinare e di Eutiche, volendo la distruzione delle realtà che si unirono insie­ me» (cioè sopprimendo ambedue le nature), «parlano di unità di mescolanza; invece i se­ guaci di Teodoro e di Nestorio, parteggiando per la divisione, inventano l'unità affettiva; al contrario la Chiesa santa di Dio, respingendo l ' una e l' altra eresia, professa l' unione del Verbo di Dio con la carne per composizione, cioè secondo la sussistenza>>. - Così dunque risulta chiaro che la seconda delle tre opinioni

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perfidiae impietatem reiiciens unionem Dei Verbi ad carnem secundum compositionem confitetur, quod est secundum subsistentiam. Sic igitur patet quod secunda trium opinionum quas Magister ponit [Sent. 3,6,3], quae asserit unam hypostasim Dei et hominis, non est dicenda opinio, sed sententia Catholicae fidei. Similiter etiam prima opinio, quae ponit duas hypostases; et tertia, quae ponit unionem acci­ dentalem; non sunt dicendae opiniones, sed haereses in Conciliis ab Ecclesia damnatae. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Da­ mascenus dicit, in 3 libro [De fide 26], non necesse autem omnifariam et indefective assi­ mi/ari exempla, quod enim in omnibus simile, idem utique erit, et non exemplum. Et maxime in divinis, impossibile enim simile exemplum invenire et in theologia, idest in deitate perso­ narum, et in dispensatione, idest in mysterio incarnationis. Humana igitur natura in Christo assimilatur habitui, idest vestimento, non quidem quantum ad accidentalem unionem, sed quantum ad hoc, quod Verbum videtur per humanam naturam, sicut homo per vesti­ mentum. Et etiam quantum ad hoc, quod ve­ stimentum mutatur, quia scilicet formatur se­ cundum figuram eius qui induit ipsum, qui a sua forma non mutatur propter vestimentum, et similiter humana natura assumpta a Verbo Dei est meliorata, ipsum autem Verbum Dei non est mutatum; ut exponit Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [q. 73]. Ad secundum dicendum quod i llud quod advenit post esse completum, accidentaliter advenit, nisi trahatur in communionem illius esse completi. Sicut in resurrectione corpus adveniet animae praeexistenti, non tamen accidentaliter, quia ad idem esse assumetur, ut scilicet corpus habeat esse vitale per animam. Non est autem sic de albedine, quia aliud est esse albi, et aliud esse horninis cui advenit albedo. Verbum autem Dei ab aeterno esse completum habuit secundum hypostasim sive personam, ex tempore autem advenit ei natu­ ra humana, non quasi assumpta ad unum esse prout est naturae, sicut corpus assumitur ad esse animae; sed ad unum esse prout est hypostasis vel personae. Et ideo humana na­ tura non unitur accidentaliter Filio Dei. Ad tertium dicendum quod accidens dividitur contra substantiam. Substantia autem, ut patet 5 Met. [4,8,5], dupliciter dicitur, uno modo, -

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esposte dal Maestro, quella che ammette una sola ipostasi nell'uomo-Dio, non va conside­ rata un'opinione, ma è la sentenza della fede cattolica. Al contrario la prima opinione, che ammette due ipostasi, e la terza, che sostiene un'unione accidentale, non vanno considerate opinioni, ma eresie condannate dalla Chiesa. Soluzione delle difficoltà: l . Come dice il Damasceno, «non è necessario che gli esempi si adattino alla pert'ezione, altrimenti si ha l'identità e non la somiglianza. Soprattutto poi nelle cose di Dio: è infatti impossibile tro­ vare tali esempi, sia nella Teologia», a propo­ sito cioè della divinità delle Persone, «sia nel­ l'economia» redentiva, cioè riguardo al miste­ ro dell'incarnazione. La natura umana dun­ que è paragonata in Cristo a un abito, cioè a un vestito, non certo quanto all'unione acci­ dentale, ma perché il Verbo è reso visibile dalla natura umana come l'uomo dal vestito. E anche perché, come nel confezionare un vestito su misura è la stoffa che subisce delle modifiche e non chi indossa il vestito, così la natura umana assunta dal Verbo è stata nobili­ tata mentre il Verbo non si è mutato, come nota Agostino. 2. Ciò che sopravviene a un ente già comple­ to è accidentale, a meno che non venga tratto alla comunione di quell'essere completo. Come nella risurrezione il corpo si unirà al­ l'anima preesistente, ma non in maniera ac­ cidentale: poiché gli verrà comunicato l'es­ sere dell'anima stessa, facendo sì che riceva la vita dall'anima. Ciò invece non accade per la bianchezza, poiché il suo essere è diverso da quello dell' uomo che la riceve. Ora, il Verbo di Dio aveva il suo essere completo come ipostasi o persona da tutta l' eternità, ma nel tempo gli si è aggiunta la natura uma­ na, la quale è stata assunta dal Verbo a condi­ videre l'essere non quanto alla sua natura, come il corpo riceve l'essere dell'anima, ma quanto all'ipostasi o persona. Perciò la natu­ ra umana non è unita al Figlio di Dio i n modo accidentale. 3. L'accidente si contrappone alla sostanza. Ma la sostanza ha un doppio significato, come risulta da Aristotele: quello di essenza o natura e quello di supposito o ipostasi. Per non avere quindi un'unione accidentale basta che l'unione sia avvenuta nell'ipostasi, sebbe­ ne non sia avvenuta nella natura.

Q. 2, A. 6

Il modo dell 'unione del Verbo Incarnato

essentia sive natura; alio modo, pro supposito sive hypostasi. Unde sufficit ad hoc quod non sit unio accidentali s , quod sit facta unio secundum hypostasim, licet non sit facta unio secundum naturam. Ad qumtum dicendum quod non omne quod assumitur ut instrumentum, pertinet ad hypo­ stasim assumentis, sicut patet de securi et gladio nihil tamen prohibet illud quod assumi­ tur ad unitatem hypostasis, se habere ut instru­ mentum, sicut corpus hominis vel membra eius. Nestorius igitur posuit [cf. in co.] quod natura humana est assumpta a Verbo solum per modum instrumenti, non autem ad unita­ tem hypostasis. Et ideo non concedebat quod homo ille vere esset Filius Dei, sed instrumen­ tum eius. Unde Cyrillus dicit, in Epistola ad monachos Aegypti [ep. 1], hunc Emanuelem, idest Christum, non tanquam instrumenti

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4. Lo strumento come tale, p. es. la scure o la spada, non è una parte dell' ipostasi di chi lo adopera; nulla però ci impedisce di adoperare quali strumenti anche delle parti della nostra ipostasi, come il corpo umano o le sue mem­ bra. Nestorio invece diceva che la natura uma­ na fu assunta dal Verbo soltanto come stru­ mento, e non nell'unità dell'ipostasi. Perciò non ammetteva che quell'uomo fosse vera­ mente il Figlio di Dio, ma solo un suo stru­ mento. Per cui Cirillo asserisce: > non perché si sia incarnata in tutte le persone, ma perché alla persona incarnata non manca nulla della perfezione della natura divina.

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L 'unione dalla parte della persona assumente

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incarnata, non quia sit incarnata in omnibus personis, sed quia nihil deest de petfectione divinae naturae personae incarnatae. Ad tertium dicendum quod assumptio quae fit per gratiam adoptionis, terminatur ad quan­ dam participationem divinae naturae secun­ dum assimilationem ad bonitatem illius, se­ cundum illud 2 Petr. l [4], ut divinae consor­ tes naturae, et cetera. Et ideo huiusmodi as­ sumptio communis est tribus personis et ex parte principii et ex parte termini. Sed as­ sumptio quae est per gratiam unionis, est com­ munis ex parte principii, non autem ex parte termini, ut dictum est [in co.].

3. L'assunzione dovuta all'adozione della gra­ zia [santificante] termina a una certa partecipa­ zione della natura di Dio a modo di imitazione della sua bontà, come è detto in 2 Pt l [4]: Per essere partecipi della natura divina. Per­ ciò tale assunzione è comune alle tre persone sia rispetto al principio attivo, sia rispetto al termine. Invece l'assunzione dovuta alla gra­ zia dell'unione [ipostatica] è comune rispetto al principio attivo, ma non rispetto al termine, come si è visto.

Articulus 5 Utrum alia persona divina potuerit humanam naturam assumere, praeter personam Filii

Articolo 5 Un'altra persona diversa dal Figlio avrebbe potuto assumere la natura umana?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod nulla alia persona divina potuit humanam naturam assumere, praeter personam Filii. Per huius­ modi enim assumptionem factum est quod Deus sit Filius hominis. Sed inconveniens esset quod esse Filium conveniret Patri vel Spiritui Sancto, hoc enim vergeret in confusionem divinarum persomuum . Ergo Pater et Spiritus Sanctus camem assumere non possent. 2. Praeterea, per incarnationem divinam ho­ mines sunt assecuti adoptionem filiorum, se­ cundum illud Rom. 8 [15], non accepistis spi­ ritum servitutis iterum in timore, sed spiritum adoptionis filiorum. Sed filiatio adoptiva est participata similitudo filiationis naturalis, quae non convenit nec Patri nec Spiritui Sancto, unde dicitur Rom. 8 [29], quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui. Ergo videtur quod nulla alia persona potuit incarnari praeter personam Filii. 3. Praeterea, Filius dicitur missus, et genitus nativitate temporali, secundum quod incarna­ tus est. Sed Patri non convenit mitti, qui est innascibilis, ut in Prima Parte [q. 32 a. 3; q. 43 a. 4] habitum est. Ergo saltem persona Patris non potuit incarnari. Sed contra, quidquid potest Filius, potest Pa­ ter, alioquin, non esset eadem potentia trium. Sed Filius potuit incamari. Ergo similiter Pater et Spiritus Sanctus. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [aa. 1-2.4], assumptio duo importat, scilicet

Sembra di no. Infatti: l . Per tale assunzione Dio è divenuto Figlio dell'Uomo. Ora, sarebbe disdicevole chiama­ re figlio il Padre o lo Spirito Santo, poiché ciò porterebbe a confondere le persone divine. Quindi il Padre e lo Spirito Santo non poteva­ no assumere la carne. 2. Per l'incarnazione divina gli uomini hanno conseguito la filiazione adottiva, come è detto in Rm 8 [15]: Voi non avete ricevuto uno spiri­ to da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi. Ora, la filiazione adottiva è una somiglianza parteci­ pata della filiazione naturale, che non compete né al Padre né allo Spirito Santo, per cui è detto in Rm 8 [29]: Quelli che da sempre ha cono­ sciuto li ha anche predestinati a divenire conformi all'immagine del Figlio suo. Quindi sembra che nessun'altra persona potesse incar­ narsi all'infuori della persona del Figlio. 3. In forza dell' incarnazione il Figlio deve dirsi mandato e generato nel tempo. Ma il Padre, come si è visto nella Prima Parte, non può essere mandato, essendo innascibile. Quindi almeno la persona del Padre non pote­ va incarnarsi. In contrario: quanto può il Figlio lo può anche il Padre: altrimenti la potenza delle tre perso­ ne non sarebbe la stessa. Ma il Figlio ha potu­ to incarnarsi. Quindi avrebbero potuto farlo anche il Padre e lo Spirito Santo. Risposta: come si è detto, l'assunzione com-

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L 'unione dalla parte della persona assumente

ipsum actum assumentis, et terminum assum­ ptionis. Principium autem actus est virtus di­ vina, terminus autem est persona. Virtus autem divina communiter et indifferenter se habet ad omnes personas. Eadem etiam est communis ratio personalitatis in tribus perso­ nis, licet proprietates personales sint differen­ tes. Quandocumque autem virtus aliqua indif­ ferenter se habet ad plura, potest ad quodlibet eorum suam actionem terminare, sicut patet in potentiis rationalibus, quae se habent ad opposita, quorum utrumque agere possunt. Sic ergo divina virtus potuit naturam huma­ nam unire vel personae Patris vel Spiritus Sancti, sicut univit eam personae Filii. Et ideo dicendum est quod Pater vel Spiritus Sanctus potuit carnem assumere, sicut et Filius. Ad primum ergo dicendum quod filiatio tem­ poralis, qua Christus dicitur Filius hominis, non constituit personam ipsius, sicut filiatio aeterna, sed est quiddam consequens nativita­ tem temporalem. Unde, si per hunc modum nomen filiationis ad Patrem vel Spiritu m Sanctum transferretur, nulla sequeretur confu­ sio divinarum personarum. Ad secundum dicendum quod filiatio adopti­ va est quaedam participata similitudo filiatio­ nis naturalis; sed fit in nobis appropriate a Patre, qui est principium naturalis filiationis; et per donum Spiritus Sancti, qui est amor Patris et Filii; secundum illud Gal. 4 [6], misit

Deus Spiritum Filii sui in corda nostra, cla­ mantem, Abba, Pater. Et ideo sicut, Filio incarnato, adoptivam filiationem accipimus ad similitudinem naturalis filiationis eius; ita, Patre incarnato, adoptivam filiationem recipe­ remus ab eo tanquam a principio naturalis filiationis; et a Spirito Sancto, tanquam a nexu communi Patris et Filii. Ad tertium dicendum quod Patri convenit es­ se innascibilem secundum nativitatem aeter­ nam, quod non excluderet nativitas tempora­ lis. Mitti autem dicitur Filius secundum incar­ nationem, eo quod est ab illo, sine quo iDear­ natio non sufficeret ad rationem missionis.

Q. 3, A. 5

porta due cose: l' atto stesso di chi assume e il termine dell'assunzione. Ora, il principio del­ l' atto è la potenza divina, il termine invece è la persona. Ma la potenza divina è comune e uguale in tutte le persone. Ed è pure identica nelle tre persone la perfezione della persona­ lità, quantunque siano differenti le proprietà personali. Ora, quando una potenza è disposta indifferentemente verso più oggetti, può ter­ minare la sua azione a uno qualsiasi di essi, come si vede nelle facoltà razionali, che nel­ l'ambito delle loro possibilità d' azione posso­ no terminare a oggetti opposti. Così dunque l ' onnipotenza divina poteva unire la natura umana o alla persona del Padre o a quella dello Spirito Santo, come l'unì alla persona del Figlio. Si deve dunque dire che il Padre o lo Spirito Santo potevano assumere la carne alla prui del Figlio. Soluzione delle difficoltà: l . La filiazione tem­ porale per cui Cristo è detto Figlio dell'Uomo non costituisce la sua persona alla maniera della filiazione eterna, ma è una conseguenza della nascita temporale. Perciò l 'attribuire il nome di figlio al Padre o allo Spirito Santo sotto questo aspetto non determinerebbe alcu­ na confusione tra le persone divine. 2. La filiazione adottiva è una certa somi­ glianza prutecipata della filiazione naturale, ma secondo il linguaggio dell' approptiazione si compie in noi per opera del Padre, che è il principio della filiazione naturale, e per la donazione dello Spirito Santo, che è l'amore del Padre e del Figlio, secondo le parole di

Gal 4 [6]: Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Di conseguenza, come per l' incarnazione del Figlio ticeviamo la filiazione adottiva a somi­ glianza della sua filiazione naturale, così, se si fosse incarnato il Padre, riceveremmo la filia­ zione adottiva da lui come dal principio della filiazione naturale, e dallo Spirito Santo come dal vincolo comune del Padre e del Figlio. 3. ll Padre è innascibile rispetto alla genera­ zione eterna, ma ciò non esclude di per sé una nascita temporale. Il Figlio poi nell' incarna­ zione in tanto si dice mandato in quanto pro­ cede dal Padre: senza di che l'incarnazione non comporterebbe una missione.

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L 'unione dalla parte della persona assumente

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Articulus 6 Utnnn duae personae divinae possunt as­ sumere unam et eandem numero naturam

Articolo 6 Due persone divine possono assumere una sola e medesima natura?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod duae personae divinae non possunt assumere unam et eandem numero naturam. l . Hoc enim supposito aut essent unus homo, vel plures. Sed non plures, sicut enim una na­ tura divina in plmibus personis non patitur esse plures deos, ita una humana natura in plu­ ribus personis non patitur esse plures homines. Similiter etiam non possent esse unus homo, quia unus homo est iste homo, qui demonstrat unam personam; et sic tolleretur distinctio trium personarum divinarum, quod est incon­ veniens. Non ergo duae aut tres personae possunt accipere unam naturam humanam. 2. Praeterea, assumptio terminatur ad unita­ tem personae, ut dictum est [a. 4]. Sed non est una persona Patris et Filii et Spiritus Sancti. Ergo non possunt tres personae assumere unam naturam humanam. 3. Praeterea, Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 3], et Augustinus, in l De Trin. [ 1 3] , quod ex incarnatione Filii Dei consequitur quod quidquid dicitur de Filio Dei, dicitur de Filio hominis, et e converso. Si ergo tres per­ sonae assumerent unam naturam humanam, sequitur quod quidquid dicitur de qualibet trium personarum, diceretur de ilio homine, et e converso ea quae dicerentur de ilio homine, possent dici de qualibet trium personarum. Sic ergo id quod est proprium Patris, scilicet generare Filium ab aeterno, diceretur de ilio homine, et per consequens diceretur de Filio Dei, quod est inconveniens. Non ergo est possibile quod tres personae divinae assumant unam naturam humanam. Sed contra, persona incarnata subsistit in dua­ bus naturis, divina scilicet et humana. Sed tres personae possunt subsistere in una natura di­ vina. Ergo etiam possunt subsistere in una natura humana, ita scilicet quod sit una natura humana a tribus personis assumpta. Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est [q. 2 a. 5 ad l], ex unione animae et corporis in Christo non fit neque nova persona neque hypostasis, sed fit una natura assumpta in personam vel hypostasim divi­ naro. Quod quidem non fit per potentiam naturae humanae, sed per potentiam personae

Sembra di no. Infatti: l . In tal caso o sarebbero un solo uomo o più. Ma non potrebbero essere più uomini: come infatti l'unicità della natura divina in più per­ sone esclude una pluralità di dèi, così l'unicità della natura umana in più persone esclude una pluralità di uomini. Similmente non po­ trebbero essere un solo uomo, poiché un sin­ golo uomo è questo uomo, che sta a indicare una sola persona; e così si toglierebbe la di­ stinzione delle tre persone divine, il che è assurdo. Quindi due o tre persone non posso­ no assumere un'unica natura umana. 2. L' assunzione ha per termine l'unità della persona, come si è detto. Ma la persona del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo non è una sola. Quindi le tre persone non possono assumere un' unica natura umana. 3. TI Damasceno e Agostino insegnano che in conseguenza dell'incarnazione del Figlio di Dio si deve predicare del Figlio dell'Uomo tutto ciò che si predica del Figlio di Dio, e viceversa. Se dunque le tre persone assumes­ sero un'unica natura umana, si dovrebbe af­ fermare di quell'uomo tutto ciò che si predica di una qualunque persona divina, e viceversa si dovrebbe affermare di ognuna di queste tutto ciò che si predica di quell'uomo. E così si a:tiermerebbe di quell'uomo, e conseguen­ temente del Figlio di Dio, ciò che è proprio del Padre, ossia il generare il Figlio dall'eter­ nità: il che è inammissibile. Quindi le tre per­ sone divine non possono assumere un'unica natura umana. In contrario: la persona incarnata sussiste in due nature: la divina e l'umana. Ma le tre per­ sone possono sussistere in un'unica natura divina. Quindi possono sussistere anche in un'unica natura umana, in modo cioè che un'unica natura umana sarebbe assunta dalle tre persone. Risposta: come si è detto sopra, dall'unione tra l ' anima e il corpo non si determina in Cristo né una nuova persona né una nuova ipostasi, ma l' assunzione di una natura da parte della persona o ipostasi divina. Il che non avviene però per la potenza della natura umana, ma per quella della persona divina.

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L 'unione dalla parte della persona assumente

divinae. Est autem talis divinarum persona­ rum conditio quod una earum non excludit aliam a communione eiusdem naturae, sed solum a communione eiusdem personae. Quia igitur in mysterio incarnationis tota ra­ tio facti est potentia facientis, ut Augustinus dicit, in Epistola ad Volusianum [ep. 1 37,2]; magis est circa hoc iudicandum secundum conditionem personae assumentis quam se­ cundum conditionem naturae humanae as­ sumptae. Sic igitur non est impossibile divinis personis ut duae vel tres assumant unam natu­ ram humanam. - Esset tamen impossibile ut assumerent unam hypostas i m vel unam personam humanam, sicut Anselmus dicit, in libro De conceptu virginali [2,9], quod plures

personae non possunt assumere unum eundemque hominem. Ad primum ergo dicendum quod, hac posi­ tione facta, quod scilicet tres personae assu­ merent unam humanam naturam, verum esset dicere quod tres personae essent unus homo, propter unam humanam naturam, sicut nunc verum est dicere quod sunt unus Deus, propter unam divinam naturam. Nec ly unus importat unitatem personae, sed unitatem in natura humana. Non enim posset argui ex hoc quod tres personae sunt unus homo, quod essent unus simpliciter, nihil enim prohibet dicere quod homines qui sunt plures simpliciter, sint unus quantum ad aliquid, puta unus populus; sicut Augustinus dicit, 6 De Trin. [3], diver­

sum est natura spiritus hominis et spiritus Dei, sed inhaerendo fit unus spiritus, secun­ dum illud l Cor. 6 [ 1 7], qui adhaeret Deo, unus spiritus est. Ad secundum dicendum quod, illa positione facta, humana natura esset assumpta in unita­ te non unius personae, sed in unitate singula­ rum personarum, ita scilicet quod, sicut divi­ n a natura habet naturalem unitatem cum singulis personis, ita natura humana haberet unitatem cum singulis per assumptionem. Ad tertium dicendum quod circa mysterium incarnationis fuit communicatio proprietatum pertinentium ad naturam, quia quaecumque conveniunt naturae, possunt praedicari de per­ sona subsistente in natura illa, cuiuscumque naturae nomine significetur. Praedicta ergo positione facta, de persona Patris poterunt praedicari et ea quae sunt humanae naturae, et ea quae sunt divinae, et similiter de persona

Q. 3, A. 6

Ora, il rapporto fra le persone divine è tale che l'una esclude l'altra non dall'unità della natura, ma solo dal l ' unità della persona. Poiché dunque nel mistero dell'incarnazione «la spiegazione del fatto è tutta nell'onnipo­ tenza di Dio», come dice Agostino, così tutto va giudicato più in base alle condizioni della persona assumente che in base a quelle della natura umana assunta. Per cui non è assurdo che due o anche tre persone divine assumano un' unica natura umana. - Sarebbe invece assurdo che assumessero un'unica ipostasi o un'unica persona umana, secondo l'afferma­ zione di Anselmo: «Più persone non possono assumere un solo e medesimo uomo». Soluzione delle difficoltà: l . Supposto che le tre persone assumessero un'unica natura uma­ na, sarebbero veramente per l'unità di questa un solo uomo, come ora è vero che sono un solo Dio per l'unità della natura divina. Né l 'unità suddetta comporterebbe un'unità di persona, ma l'unità nella natura umana. Se infatti le tre persone fossero un solo uomo, non si potrebbe concludere che sono una sola per­ sona, poiché nulla impedisce di dire che molti uomini in senso assoluto siano qualcosa di unico in senso relativo, p. es. un solo popolo. Anzi in tal senso, secondo Agostino, «lo spi­ tito dell'uomo e lo spirito di Dio, pur essendo diversi per natura, unendosi formano un solo spirito», come è detto in l Cor 6 [ 1 7] : Chi si

unisce al Signorej01ma un solo spirito con lui. 2. In quell'ipotesi la natura umana sarebbe stata assunta non per essere unita a una sola persona, ma per essere unita a tutte e tre: in modo cioè che come la natura divina è unita alle singole persone per condizione naturale, così la natura umana sarebbe unita alle singo­ le persone per assunzione. 3 . In forza del mistero dell'incarnazione si produce la comunicazione delle proprietà na­ turali: per cui tutti i caratteti di una natura possono essere attribuiti alla persona che sus­ siste in quella natura, qualtmque sia la natura designata da questo o da quel nome. Perciò nella suddetta ipotesi si potrebbero attribuire alla persona del Padre sia i caratteri della nantra umana sia quelli della natura divina. E lo stesso si dica per la persona del Figlio e dello Spirito Santo. Non si potrebbe però at­ tribuire alla persona del Figlio o dello Spirito Santo ciò che conviene in senso esclusivo alla

Q. 3, A. 6

L 'unione dalla parte della persona assumente

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Filii et Spiritus Sancti. Non autem illud quod conveniret personae Patris ratione propriae personae, posset attribui personae Filii aut Spiritus Sancti, propter distinctionem persona­ rum, quae remaneret. Posset ergo dici quod, sicut Pater est ingenitus, ita homo esset ingeni­ tus, secundum quod ly homo supponeret pro persona Patris. Si quis autem ulterius procede­ ret, homo est ingenitus, Filius est homo, ergo Filius est ingenitus, esset fallacia figurae dic­ tionis vel accidentis. Sicut et nunc dicimus Deum esse ingenitum, quia Pater est ingenitus, nec tamen possumus concludere quod Filius sit ingenitus, quamvis sit Deus.

persona del Padre, poiché rimarrebbe intatta la distinzione delle persone. Si potrebbe dire quindi che l' uomo è ingenito come lo è il Pa­ dre, quando il termine uomo sta a indicare la persona del Padre. Se però uno ne ricavasse questo argomento: «L'uomo è ingenito, ma il Figlio è uomo, dunque il Figlio è ingenito», avremmo un sofisma di dizione, o di acciden­ te. Come anche ora diciamo che Dio è ingeni­ to perché il Padre è ingenito, ma non possia­ mo concludere che il Figlio è ingenito, sebbe­ ne sia Dio.

Articulus 7 Utrum una persona divina possit assumere duas naturas humanas

Articolo 7 Un'unica persona divina può assumere due nature umane?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod una persona divina non possit assumere duas naturns humanas. l . Natura enim assumpta in mysterio incarna­ tionis non habet aliud suppositum praeter suppositum personae divinae, ut ex supra [q. 2 aa. 3.6] dictis patet. Si ergo ponatur esse una persona divina assumens duas humanas naturns, esset unum suppositum duarum natu­ rarum eiusdem speciei. Quod videtur impli­ care contradictionem, non enim natura unius speciei multiplicatur nisi secundum distinctio­ nem suppositorum. 2. Praeterea, hac suppositione facta, non pos­ set dici quod persona divina incarnata esset unus homo, quia non haberet unam naturam humanam. Similiter etiam non posset dici quod essent plures homines, quia plures ho­ mines sunt supposito distincti, et ibi esset unum tantum suppositum. Ergo praedicta po­ sitio esset omnino impossibilis. 3. Praeterea, in incarnationis mysterio tota divina natura est unita toti naturae assumptae, idest cuilibet parti eius, est enim Christus

Sembra di no. Infatti: l . La natura umana nel mistero dell'incarna­ zione non ha altro supposito che quello della persona divina, come risulta dalle cose già dette. Se dunque un'unica persona divina as­ sumesse due nature umane, si avrebbe un me­ desimo supposito in due nature della stessa specie. Ma ciò sembra contraddittorio, poiché una natura non si moltiplica nella stessa spe­ cie se non per la distinzione dei supposi ti. 2. In questa ipotesi la persona divina incarnata non potrebbe dirsi un solo uomo, poiché non avrebbe una sola natura umana. Ma non sa­ rebbe neppure più uomini, dato che più uomi­ ni hanno suppositi distinti, mentre nel caso ci sarebbe un solo supposito. Quindi la predetta ipotesi è assolutamente impossibile. 3. Nel mistero dell'incarnazione tutta la natura divina si è unita a tutta la natura assunta, ossia a ciascuna parte di essa: Cristo infatti è «per­ fetto Dio e perfetto uomo, interamente Dio e interamente uomo», come dice il Damasceno. Ma due nature umane non potrebbero unirsi fra loro totalmente, poiché in tal caso l'anima dell'una dovrebbe essere unita al corpo del­ l' altra, e i due corpi dovrebbero compene­ trarsi: il çhe porterebbe anche a confondere le nature. E dunque impossibile che una sola persona divina assuma due nature umane. In contrario: quanto può il Padre lo può anche il Figlio. Ma il Padre dopo l'incarnazione del Figlio può assumere un' altra natura umana numericamente distinta da quella assunta dal

pelfectus Deus et pelfectus homo, lotus Deus et totus homo, ut Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 7]. Sed duae humanae naturae non possent totaliter sibi invicem uniri, quia opor­ teret quod anima unius esset unita corpori alterius, et quod etiam duo corpora essent simul, quod etiam confusionem induceret na­ turarum. Non ergo est possibile quod persona divina duas humanas naturns assumeret.

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L 'unione dalla parte della persona assumente

Sed contra est quod quidquid potest Pater, potest Filius. Sed Pater post incarnationem Filii, potest assumere naturam humanam aliam numero ab ea quam Filius assumpsit, in nullo enim per incamationem Filii est dimi­ nuta potentia Patris vel Filii. Ergo videtur quod Filius, post incamationem, possit aliam humanam naturam assumere, praeter eam quam assumpsit. Respondeo dicendum quod id quod potest in unum et non in amplius, habet potentiam limitatam ad unum. Potentia autem divinae personae est infinita, nec potest limitari ad aliquid creatum. Unde non est dicendum quod persona divina ita assumpserit unam naturam humanam quod non potuerit assumere aliam. Videretur enim ex hoc sequi quod personalitas divinae naturae esset ita comprehensa per unam humanam naturam quod ad eius perso­ nalitatem alia assumi non possit. Quod est im­ possibile, non enim increatum a creato com­ prehendi potest. Patet ergo quod, sive conside­ remus personam divinam secundum virtutem, quae est principium unionis; sive secundum suam personalitatem, quae est terminus unionis, oportet dicere quod persona divina, praeter naturam humanam quam assumpsit possit aliam numero naturam humanam assumere. Ad primum ergo dicendum quod natura crea­ ta perficitur in sua ratione per formam, quae multiplicatur secundum divisionem materiae. Et ideo, si compositio formae et materiae constituat novum suppositum, consequens est quod natura multiplicetur secundum multipli­ cationem suppositorum. Sed in mysterio in­ camationis unio formae et materiae, idest animae et corporis, non constituit novum sup­ positum, ut supra [a. 6] dictum est. Et ideo posset esse multitudo secundum numerum ex parte naturae, propter divisionem materiae, absque distinctione suppositorum. Ad secundum dicendum quod posset videri quod, praedicta positione facta, consequeretur quod essent duo homines, propter duas natu­ rns, absque hoc quod essent ibi duo supposita, sicut e converso tres personae dicerentur unus homo, propter unam naturam humanam as­ sumptam, ut supra [a. 6 ad l ] dictum est. Sed hoc non videtur esse verum. Quia nominibus est utendum secundum quod sunt ad signifi­ candum imposita. Quod quidem est ex consi­ deratione eorum quae apud nos sunt. Et ideo

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Figlio, non essendo in alcun modo diminuita per l'incarnazione del Figlio la potenza del Padre o del Figlio. Sembra quindi che il Fi­ glio dopo la sua incarnazione possa assumere una seconda natura umana. Risposta: chi non può fare che una sola cosa, ha un potere limitato a quella. Ora, il potere della persona divina è infinito, e non può limitarsi a un particolare oggetto creato. Non si può quindi ritenere che una persona divina abbia assunto una sola natura umana in modo tale da non poteme assumere un'altra. Ne seguirebbe infatti che la personalità divina sarebbe tanto assorbita da una sola natura umana da non poterne assumere alcun' altra. Ma ciò è assurdo, poiché l'increato non può essere esaurito dal creato. Di conseguenza, sia considerando la persona divina nella sua po­ tenza, cioè quale principio dell'unione iposta­ tica, sia considerandola nella sua personalità, che è il termine dell'unione, bisogna eviden­ temente affermare che, oltre alla natura uma­ na assunta, essa ne potrebbe assumere un'al­ tra numericamente distinta. Soluzione delle difficoltà: l. La natura creata raggiunge la sua perfezione specifica grazie alla forma, che si moltiplica con la divisione della materia. Quando perciò la composizione tra la forma e la materia costituisce un nuovo supposito, ne segue che la natura si moltiplica secondo la moltiplicazione dei suppositi. Ma nel mistero dell'incarnazione l'unione tra la forma e la materia, cioè fra l'anima e il corpo, non costituisce un nuovo supposito, come si è detto sopra. Ci potrebbe quindi essere una moltiplicazione numerica delle nature a causa della divisione della materia senza distinzione di suppositi. 2. La predetta ipotesi potrebbe far pensare a due uomini, data la presenza di due nature umane, pur non essendoci due suppositi, co­ me viceversa le tre persone, secondo le spie­ gazioni date, sarebbero un solo uomo se aves­ sero assunto un'unica natura umana. Ma ciò sarebbe falso. Infatti i nomi vanno usati se­ condo il loro modo di significare, che si trova determinato dall'uso comune. Di conseguen­ za, per quanto riguarda il modo di significare e di consignificare, bisogna rifarsi a tale uso. Ora, riferendoci ad esso, noi non usiamo mai al plurale il nome che significa una determi­ nata forma se non c'è una pluralità di suppo-

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oportet, circa modum significandi et consigni­ ficandi, considerare ea quae apud nos sunt. In quibus nunquam nomen ab aliqua forma im­ positum pluraliter dicitur nisi propter plurali­ tatem suppositorum, homo enim qui est duo­ bus vestimentis indutus, non dicitur duo ve­ stiti, sed unus vestitus duobus vestimentis; et qui habet duas qualitates, dicitur singulariter aliqualis secundum duas qualitates. Natura autem assumpta quantum ad aliquid se habet per modum indumenti, licet non sit similitudo quantum ad omnia, ut supra [q. 2 a. 6 ad l ] dictum est. Et ideo, si persona divina assume­ ret duas naturas humanas, propter unitatem suppositi diceretur unus homo habens duas naturas humanas. Contingit autem quod plu­ res homines dicuntur unus populus, propter hoc quod conveniunt in aliquo uno, non autem propter unitatem suppositi. Et similiter, si duae personae divinae assumerent unam numero humanam naturam, dicerentur unus homo, ut supra [a. 6 ad l ] dictum est, non propter unitatem suppositi, sed inquantum conveniunt in aliquo uno. Ad tertium dicendum quod divina et humana natura non eodem ordine se habent ad unam divinam personam, sed per prius comparatur ad ipsam divina natura, utpote quae est unum cum ea ab aeterno; sed natura humana comparatur ad personam divinam per posterius, utpote as­ sumpta ex tempore a divina persona, non quidem ad hoc quod natura sit ipsa persona, sed quod persona in natura subsistat, Filius enim Dei est sua deitas, sed non est sua humanitas. Et ideo ad hoc quod natura humana assumatur a divina persona, rclinquitur quod divina natura unione personali uniatur toti naturae assumptae, idest secundum omnes partes eius. Sed duarum naturarum assumptarum esset unifonnis habitu­ do ad personam divinam, nec una assumeret aliam. Unde non oporteret quod una earum totaliter alteri uniretur, idest, omnes partes unius omnibus partibus alterius.

siti: non diciamo infatti che un uomo vestito di due abiti è due vestiti, ma che è uno solo vestito con due abiti; e chi ha due qualità vie­ ne detto qualificato, al singolare, mediante due qualità. Ora, la natura assunta è in certo qual modo un indumento, sebbene il parago­ ne non sia perfetto, come si è detto sopra. Se dunque una persona divina assumesse due nature umane sarebbe, per l'unità del supposi­ to, «Un solo uomo avente due nature umane». - Il fatto poi che più uomini vengano detti un solo popolo, dipende dal loro comunicare in un tutto, non dall' unità del supposito. E simil­ mente, se due persone divine assumessero un' unica natura umana, sarebbero detti un solo uomo, come si è notato sopra, non per l ' unità del supposito, ma per la natura che avrebbero in comune. 3. Le due nature, la divina e l' umana, non hanno con l'unica loro persona divina un rap­ porto di parità: intàtti la natura divina ha con essa un rapporto originario, dato che forma con essa dali' eternità una sola cosa, mentre la natura umana ha con la persona divina un rapporto derivato, essendo stata assunta nel tempo dalla persona divina non certamente perché venisse a identificarsi con la persona, ma perché la persona potesse sussistere nella natura: il Figlio di Dio infatti è la sua divinità, ma non è la sua umanità. Di conseguenza, perché la natura umana sia assunta dalla per­ sona divina bisogna che la natura divina sia unita personalmente a tutta la natura assunta, cioè a tutte le sue parti. Ma se le nature assun­ te fossero due avrebbero un rapporto unifor­ me con la persona divina, né l'una assume­ rebbe l'altra. Non ne verrebbe quindi necessa­ riamente l' unione totale dell' una con l' altra, cioè l ' unione di tutte le parti dell' una con tutte le parti dell' altra.

Articulus 8 Utrum fuerit magis conveniens Filium Dei incarnari quam Patrem vel Spiritum Sanctum

Articolo 8 L'incarnazione del Figlio di Dio è stata più conveniente di quella del Padre o dello Spirito Santo?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod non fuerit magis conveniens Filium Dei incarnari quam Patrem vel Spiritum Sanctum.

Sembra di no. Infatti: l . Con il mistero dell'incarnazione gli uomini sono stati condotti alla vera conoscenza di

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l . Per mysterium enim incarnationis homines ad veram Dei cognitionem sunt perducti, secundum illud loan. 18 [37], in hoc natus sum, et ad hoc veni in mundum, ut testimo­ nium perhiberem veritati. Sed ex hoc quod persona Filii Dei est incarnata, multi impediti fuerunt a vera Dei cognitione, ea quae dicun­ tur de Filio secundum humanam naturam referentes ad ipsam Filii personam, sicut Arius, qui posuit inaequalitatem personarum propter hoc quod dicitur loan. 14 [28], Pater maior me est, qui quidem error non provenis­ set si persona Patris incarnata fuisset; nullus enim existimasset Patrem Filio minorem. Ma­ gis ergo videtur conveniens fuisse quod per­ sona Patris incamaretur quam persona Filii. 2. Praeterea, incarnationis effectus videtur esse recreatio quaedam humanae naturae, secundum illud Gal. 6 [ 1 5], in Christo Iesu neque circumcisio aliquid valer neque prae­ putium, sed nova creatura. Sed potentia creandi appropriatur Patri. Ergo magis decuis­ set Patrem incarnari quam Filium. 3. Praeterea, incamatio ordinatur ad remissio­ nem peccatorum, secundum illud Matth. l [21 ], vocabis nomen eius Iesum, ipse enim sal­ vum faciet populum suum a peccatis eorum. Remissio autem peccatorum attribuitur Spi­ ritui Sancto, secundum illud Ioan. 20 [22-23], accipite Spiritum Sanctum, quorum 1-emise­ ritis peccata, remittentur eis. Ergo magis congruebat personam Spiritus Sancti incarna­ n quam personam Filii. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide l ], in mysterio incarnationis manifestata est sapientia et virtus Dei, sapientia quidem, quia invenit difficillimi solutionem pretii valde decentissimam; virtus autem, quia victum fecit rursus victorem. Sed viitus et sapientia approptiantur Filio, secun­ dum illud l Cor. l [24], Christum Dei vb·tu­ tem et Dei sapientiam. Ergo conveniens fuit personam Filii incarnari. Respondeo dicendum quod convenientissi­ mum fuit personam Filii incarnari. Primo quidem, ex parte unionis. Convenienter enim ea quae sunt similia, uniuntur. lpsius autem personae Filii, qui est Verbum Dei, attenditur, uno quidem modo, communis convenientia ad totam creaturam. Quia verbum artificis, idest conceptus eius, est similitudo exempla­ ris eorum quae ab artifice fiunt. Unde Verbum

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Dio, secondo le parole di Gv 1 8 [37]: Per que­ sto io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Ma a motivo dell'incarnazione del Figlio di Dio molti furono impediti nella conoscenza vera di Dio, poiché attribuirono alla stessa per­ sona del Figlio le cose che gli convengono secondo la natura umana, come fece ad es. Ario, il quale sostenne l'ineguaglianza delle persone basandosi su Gv 14 [28]: Il Pad1-e è più grande di me; errore che non sarebbe sorto se si fosse incarnata la persona del Padre, poi­ ché nessuno avrebbe ritenuto il Padre minore del Figlio. Quindi sembra che fosse più conve­ niente che si incarnasse la persona del Padre invece della persona del Figlio. 2. L'effetto del l ' incarnazione è quasi una seconda creazione della natura umana, come è detto in Gal 6 [ 1 5]: In Cristo Gesù non è la circoncisione che conta, né la non circonci­ sione, ma l 'essere nuova creatura. Ora, la potenza di creare viene appropriata al Padre. Quindi l'incarnazione del Padre sarebbe stata più conveniente di quella del Figlio. 3. L' incarnazione ha per fine la remissione dei peccati, come è detto in Mt l [21 ] : Lo chia­ merai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Ma la remissione dei peccati è attribuita allo Spirito Santo, come è detto in Gv 20 [22]: Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi. Perciò l'incarnazione conveniva più alla persona del­ lo Spirito Santo che alla persona del Figlio. In contrario: il Damasceno dice che «nel mistero dell'incarnazione si è manifestata la sapienza e la potenza di Dio: la sapienza per­ ché ha trovato la più opportuna solvenza per il debito più insolvibile; la potenza invece per­ ché ha reso il vinto a sua volta vincitore». Ma la potenza e la sapienza vengono appropriate al Figlio, secondo le parole di l Cor l [24]: Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio. Quindi era conveniente che si incarnasse la persona del Figlio. Risposta: era convenientissimo che si incar­ nasse la persona del, Figlio. Primo, dal punto di vista dell'unione. E conveniente infatti unire insieme cose simili. Ora, la persona del Figlio, che è il Verbo di Dio, ha innanzitutto una so­ miglianza con la totalità delle creature. Poiché il verbo o concetto dell'artefice è l'immagine esemplare di tutto ciò che egli produce. Quin-

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Dei, quod est aetemus conceptus eius, est similitudo exemplaris totius creaturae. Et ideo, sicut per participationem huius sirnilitu­ dinis creaturae sunt in propri i s speciebus institutae, sed mobiliter; ita per unionem Ver­ bi ad creaturam non participativam sed perso­ nalem, conveniens fuit reparari creaturam in ordine ad aeternam et immobilem petfectio­ nem, nam et artifex per formam artis concep­ tam qua artitìciatum condidit, ipsum, si col­ lapsum fuerit, restaurat. - Alio modo, habet convenientiam specialiter cum humana natu­ ra, ex eo quod Verbum est conceptus aeternae sapientiae a qua omnis sapientia hominum derivatur. Et ideo homo per hoc in sapientia proficit, quae est propria eius perfectio prout est rationalis, quod participat Verbum Dei, sicut discipulus instruitur per hoc quod recipit verbum magistri. Unde et Eccli. l [5] dicitur, fons sapientiae Verbum Dei in excelsis. Et ideo, ad consummatam hominis perfectio­ nem, conveniens fui t ut ipsum Verbum Dei humanae naturae personaliter uniretur. - Se­ cundo potest accipi ratio huius congruentiae ex fine unionis, qui est impletio praedestina­ tionis, eorum scilicet qui praeordinati sunt ad hereditatem caelestem, quae non debetur nisi filiis, secundum i l lud Rom. 8 [ 1 7] , filii et heredes. Et ideo congruum fuit ut per eum qui est Filius naturali s , homines participarent similitudinem huius fi liationis secundum adoptionem, sicut apostolus ibidem [29] dicit,

quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagini Filii eius. - Tertio potest accipi ratio huius congruentiae ex peccato primi parentis, cui per incamationem remedium adhibetur. Peccavit enim primus homo appe­ tendo scientiam, ut patet ex verbis serpentis promittentis homini scientiam boni et mali [Gen. 3,5]. Unde conveniens fuit ut per Ver­ bum verae sapientiae homo reduceretur i n Deum, qui per inordinatum appetitum scien­ tiae recesserat a Deo. Ad primum ergo dicendum quod nihil est quo humana malitia non posset abuti, quando etiam ipsa Dei bonitate abutitur, secundum illud Rom. 2 [4], an divitias bonitatis eius contemnis? Unde et, si persona Patris fuisset incarnata, potuisset ex hoc homo alicuius erroris occasionem assumere, quasi Filius sufficere non potuisset ad humanam naturam reparandam.

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di il Verbo di Dio, che è il suo concetto eterno, costituisce il modello esemplare di tutte le realtà create. Come dunque le creature grazie alla partecipazione a tale modello furono col­ locate nella loro specie, in modo però mutevo­ le, così era conveniente che attraverso un'u­ nione con il Verbo non partecipativa, ma per­ sonale, la creatura fosse risanata in ordine a una perfezione eterna e immutabile: infatti an­ che l' artefice, quando la sua opera ha subìto dei danni, la ripara ricorrendo al modello men­ tale con cui la produsse In secondo luogo il Figlio di Dio ha una particolare somiglianza con la natura umana: poiché il Verbo è il con­ cetto della sapienza eterna, da cui deriva tutta la sapienza umana. Perciò l'uomo, partecipan­ do del Verbo di Dio, progredisce nella sapien­ za, che è la perfezione sua propria in quanto razionale: come un alunno si istruisce acco­ gliendo il verbo del maestro. Per cui in Sir l [5] è detto: Fonte della sapienza è il Verbo di Dio nell'alto dei cieli. E così per il perfeziona­ mento supremo dell' uomo era conveniente che lo stesso Verbo di Dio si unisse personal­ mente alla natura umana. - Una seconda ragione di convenienza può essere desunta dal fine dell ' unione, che è il compimento della predestinazione, ossia la salvezza di coloro che sono stati preordinati all'eredità celeste, la quale non è dovuta se non ai figli, come è det­ to in Rm 8 [ 1 7] : Se siamo figli, siamo anche eredi. Fu perciò conveniente che per opera di colui che è il Figlio naturale gli uomini parte­ cipassero per adozione alla somiglianza di tale filiazione, come è detto: Quelli che da sempre -

ha conosciuto, li ha anche predestinati a dive­ nire conformi all 'immagine del Figlio suo [Rm 8,29] . - Un terzo motivo di convenienza può essere ancora desunto dal peccato del nostro primo padre, a cui l ' incarnazione pone rimedio. Il primo uomo infatti peccò per cupi­ digia di scienza, come risulta dalle parole del serpente che promise all'uomo la conoscenza del bene e del male [Gen 3,5]. Era dunque opportuno che per mezzo del Verbo della vera sapienza fosse ricondotto a Dio quell'uomo che si era allontanato da lui per una disordina­ ta brama di scienza. Soluzione delle difficoltà: l . Non c'è nulla di cui la malizia umana non possa abusare, dal momento che abusa persino della bontà di Dio, secondo le parole di Rm 2 [4]: Ti prendi

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Ad secundum dicendum quod prima rerum creatio facta est a potentia Dei Patris per Ver­ bum. Unde et recreatio per Verbum fieri de­ buit a potentia Dei Patris, ut recreatio crea­ tioni responderet, secundum illud 2 Cor. 5 [ 19], Deus erat in Christo mundum reconci­ lians sibi. Ad tertium dicendum quod Spiritus Sancti proprium est quod sit donum Patris et Filii. Re­ missio autem peccatorum fit per Spiritum San­ ctum tanquam per donum Dei. Et ideo con­ venientius fuit ad iustificationem hominum quod incamaretur Filius, cuius Spiritus Sanctus est donum.

gioco della ricchezza della sua bontà ? Per cui, anche se si fosse incarnata la persona del Padre, l'uomo avrebbe potuto prendere da ciò l'occasione per qualche errore: supponendo ad es. che il Figlio non sarebbe stato in grado di riparare la natura umana. 2. La prima creazione dell'universo fu compiu­ ta dalla potenza di Dio Padre per mezzo del Verbo. Quindi anche la seconda creazione, per corrispondere alla prima, doveva essere com­ piuta per mezzo del Verbo dalla potenza,di Dio Padre, come è detto in 2 Cor 5 [ 1 9]: E stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo. 3. È proprio dello Spirito Santo essere il dono del Padre e del Figlio. Ora, la remissione dei peccati si compie per mezzo dello Spirito Santo come attraverso un dono di Dio. Era dunque più opportuno che per la giustificazio­ ne degli uomini si incarnasse il Figlio, di cui lo Spirito Santo è il dono.

QUAESTI0 4 DE UNIONE EX PARTE ASSUMPTI

QUESTIONE 4 L'UNIONE DALLA PARTE DELLA NATURA ASSUNTA

Deinde considerandum est de unione ex parte assumpti. Circa quod primo considerandum occurrit de his quae sunt a Verbo Dei assumpta; secundo, de coassumptis, quae sunt perfec­ tiones et defectus [q. 7]. Assumpsit autem Filius Dei humanam naturam, et partes eius. Unde circa primum triplex consideratio occur­ rit, prima est, quantum ad ipsam naturam hu­ manam; secunda est, quantum ad partes ipsius [q. 5]; tertia, quantum ad ordinem assumptio­ nis [q. 6]. - Circa primum quaeruntur sex. Pri­ mo, utrum humana natura fuerit magis assum­ ptibilis a Filio Dei quam aliqua alia natura. Secundo, utrum assumpserit personam. Tettio, utrum assumpserit horninem. Quarto, utrum fuisset conveniens quod assumpsisset huma­ nam naturam a singularibus separatam. Quin­ to, utrum fuerit conveniens quod assumpsisset humanam naturam in omnibus singularibus. Sexto, utrum fuerit conveniens quod assumeret humanam naturam in aliquo hornine ex stirpe Adae progenito.

Veniamo ora a parlare dell'unione dalla parte della natura assunta. La trattazione abbraccia due punti: primo, ciò che dal Verbo di Dio è stato assunto; secondo, ciò che è stato co­ assunto, ossia le perfezioni e i limiti. - Ora, ciò che il Figlio di Dio assunse è la natura umana e le sue parti. Perciò bisogna conside­ rare: primo, la natura umana stessa; secondo, le sue parti; terzo, l'ordine della loro assun­ zione. - Sul primo argomento si pongono sei quesiti: l . La natura umana era assumibile dal Figlio di Dio più di ogni altra natura? 2. Il Figlio di Dio ha assunto una persona? 3. Ha assunto un uomo? 4. Sarebbe stato per lui conveniente assumere la natura umana sepa­ rata dagli individui? 5. Sarebbe stato per lui conveniente assum�re tutti gli individui della natura umana? 6. E stato per lui conveniente assumere una natura umana individuale gene­ rata dalla stirpe di Adamo?

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Articulus l Utrum humana natura fuerit magis assumptibilis a Filio Dei quam quaelibet alia natura

Articolo l La natura umana era assumibile da parte del Figlio di Dio più di ogni altra natura?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod hu­ mana natura non fuerit magis assumptibilis a Filio Dei quam quaelibet alia natura. l . Dicit enim Augustinus, in Epistola ad Vo­ lusianum [ep. 1 37,2] , in rebus mirabiliter

Sembra di no. Infatti: l . Dice Agostino che «nei miracoli la spiega­ zione è tutta nell'onnipotenza di Dio». Ma la potenza di Dio operante l'incarnazione, che è il più grande miracolo, non si limita a una sola natura, essendo infinita. Quindi la natura umana non è assumibile da parte di Dio più di ogni altra natura. 2. Si è detto sopra che la somiglianza è una ragione di convenienza ne Il' incarnazione della persona divina. Ma come nella natura razionale c'è la somiglianza d'immagine, così nella natura irrazionale c'è la somiglianza di vestigio. Quindi la creatura irrazionale era assumibile quanto la natura umana. 3. Nella natura angelica si trova un'immagine di Dio più evidente che nella natura umana, co­ me dice Gregorio commentando Ez 28 [ 1 2]: Tu eri un segno di somiglianza. Inoltre nel­ l'angelo c'è il peccato come nell'uomo, come è detto in Gb 4 [ 1 8] : Nei suoi angeli trova perversità. Quindi la natura angelica era assu­ mibile quanto la natura umana. 4. Essendo Dio perfettissimo, tanto più una cosa gli assomiglia quanto più è perfetta. Ma l'universo intero è più perletto delle sue parti, tra le quali c'è la natura umana. Quindi l'uni­ verso i ntero è più assumibile della natura umana. In contrario: in Pr 8 [3 1 ] dalla bocca della Sa­ pienza increata è detto: Ho posto le mie deli­ zie tra i,figli dell'uomo. E così sembra che ci sia una certa convenienza nell'unione del Figlio di Dio con la natura umana. Risposta: si dice assumibile ciò che è adatto a essere assunto dalla persona divina. Ma tale attitudine non va intesa come una potenza passiva naturale, non potendo estendersi que­ st'ultima a ciò che supera l'ordine della natu­ ra, come l 'unione personale della creatura con Dio. Non rimane dunque che intendere l'as­ sumibilità nel senso di una certa convenienza alla suddetta unione. Ora, questa convenienza va considerata secondo due caratteristiche della natura umana: cioè secondo la sua di­ gnità e secondo la necessità. In base alla dignità la convenienza sta nel fatto che la

factis tota ratio facti est potentia facientis. Sed potentia Dei facientis incarnationem, quae est opus maxime mirabile, non limitatur ad unam naturam, cum potentia Dei sit infini­ ta. Ergo natura humana non est magis assum­ ptibilis a Deo quam aliqua alia creatura. 2. Praeterea, similitudo est ratio faciens ad congruitatem incamationis divinae personae, ut supra [q. 3 a. 8] dictum est. Sed sicut in natura rationali invenitur similitudo imaginis, ita in natura irrationali invenitur similitudo vestigii. Ergo creatura irrationalis assumptibi­ lis fuit, sicut humana natura. 3 . Praeterea, in natura angelica invenitur expressior Dei similitudo quam in natura hu­ mana, sicut Gregorius dicit, in Homilia de Centum ovibus [In Ev. h. 2,34] , introducens illud Ez. 28 [ 1 2], tu signaculum similitudinis. lnvenitur etiam in angelo peccatum, sicut in homine, secundum illud lob 4 [ 1 8], in angelis suis reperit pravitatem. Ergo natura angelica fuit ita assumptibilis sicut natura hominis. 4. Praeterea, cum Deo competat summa pertectio, tanto magis est Deo aliquid simile, quanto est magis perfectum. Sed totum uni­ versum est magis perfectum quam partes eius, inter quas est humana natura. Ergo to­ tum universum est magis assumptibile quam humana natura. Sed contra est quod dicitur Prov. 8 [3 1 ] , ex ore Sapientiae genitae, deliciae meae esse cum filiis hominum. Et ita videtur esse quae­ dam congruentia unionis Filii Dei ad huma­ nam naturam. Respondeo dicendum quod aliquid assumpti­ bile dicitur quasi aptum assumi a divina per­ sona. Quae quidem aptitudo non potest intel­ ligi secundum potentiam passivam naturalem, quae non se extendit ad id quod transcendit ordinem naturalem, quem transcendit unio personalis creaturae ad Deum. Unde relinqui­ tur quod assumptibile aliquid dicatur secun-

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dum congruentiam ad unionem praedictam. Quae quidem congruentia attenditur secun­ dum duo in humana natura, scilicet secundum eius dignitatem; et necessitatem. Secundum dignitatem quidem, quia humana natura, in­ quantum est rationalis et intellectualis, nata est contingere aliqualiter ipsum Verbum per suam operationem, cognoscendo scilicet et amando ipsum. Secundum necessitatem autem, quia indigebat reparatione, cum subiaceret originali peccato. Haec autem duo soli huma­ nae naturae conveniunt, nam creaturae irratio­ nali deest congruitas dignitatis; naturae autem angelicae deest congruitas praedictae necessi­ tatis. Unde relinquitur quod sola natura huma­ na sit assumptibilis. Ad primum ergo dicendum quod creaturae denominantur aliquales ex eo quod competit eis secundum proprias causas, non autem ex eo quod convenit eis secundum primas causas et universales, sicut dicimus aliquem morbum esse incurabilem, non quia non potest curari a Deo, sed quia per propria principia subiecti curari non potest. Sic ergo dicitur aliqua creatura non esse assumptibilis, non ad sub­ trahendum aliquid divinae potentiae, sed ad ostendendum conditionem creaturae quae ad hoc aptitudinem non habet. Ad secundum dicendum quod similitudo imaginis attenditur in natura humana secun­ dum quod est capax Dei, scilicet ipsum attin­ gendo propria operatione cognitionis et amo­ ris. Similitudo autem vestigii attenditur solum secundum repraesentationem aliquam ex im­ pressione divina in creatura existentem, non autem ex eo quod creatura irrationalis, in qua est sola talis similitudo possit ad Deum attin­ gere per solam suam operationem. Quod autem deficit a minori, non habet congruita­ tem ad id quod est maius, sicut corpus quod non est aptum perfici anima sensitiva, multo minus est aptum perfici anima intellectiva. Multo autem est maior et perfectior unio ad Deum secundum esse personale quam quae est secundum operationem. Et ideo creatura irrationalis, quae deficit ab unione ad Deum per operationem, non habet congmitatem ut uniatur ei secundum esse personale. Ad tertium dicendum quod quidam dicunt an­ gelum non esse assumptibilem, quia a princi­ pio suae creationis est in sua personalitate perfectus, cum non subiaceat generationi et

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natura umana, in quanto razionale e intellet­ tuale, è naturalmente capace di raggiungere in qualche modo il Verbo stesso con la sua ope­ razione, cioè mediante la conoscenza e l'amore. In base poi alla necessità la conve­ nienza sta nel bisogno che l'uomo aveva di riparazione, essendo soggetto al peccato ori­ ginale. Ora, queste due ragioni di convenien­ za valgono solo per la natura umana: infatti alla creatura irrazionale manca il motivo della dignità, mentre alla natura angelica manca il motivo della necessità. Ne risulta quindi che soltanto la natura umana è assumibile. Soluzione delle difficoltà: l . Le creature ven­ gono qualificate in base alle cause proprie [e non in base alle cause prime e universali] : come una malattia è detta incurabile non rispetto a Dio, ma rispetto alle risorse proprie del malato. Così dunque si dice che una natu­ ra non è assumibile non per sottrarre qualcosa alla potenza divina, ma per rilevare la non attitudine naturale di una data creatura a esse­ re assunta. 2. Nella natura umana si riscontra una somi­ glianza di immagine per il fatto che è capace di Dio, cioè perché è in grado di raggiungerlo con le operazioni della conoscenza e dell'a­ more. La somiglianza di vestigio invece con­ siste solo in un'impronta lasciata da Dio nella creatura; ed è la sola somiglianza che si trova nella creatura irrazionale, la quale è incapace di raggiungere Dio con la sua attività. Ora, ciò che è incapace del meno non ha attitudine al più: come un corpo che non può ricevere l'a­ nima sensitiva, tanto meno può ricevere quel­ la intellettiva. Ma l' unione con Dio nell'esse­ re personale è molto più grande e perfetta del­ l'unione mediante la propria attività. E così la creatura irrazionale, che è incapace di un'u­ nione operativa con Dio, non ha l'attitudine a unirsi con lui neli' essere personale. 3. Alcuni dicono che l'angelo non era assumi­ bile poiché, non essendo generabile e corrutti­ bile, era dotato di una personalità perfetta fin dal primo istante della sua creazione. Per cui non era assumibile all'unione con la persona divina senza la distruzione della sua persona­ lità: cosa questa contraria sia all'incorruttibi­ lità della natura angelica, sia alla bontà del­ l' assumente, alla quale non compete di viola­ re le perfezioni della creatura assunta. Ma non sembra che questo argomento escluda del

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corruptioni. Unde non potuisset in unitatem divinae personae assumi nisi eius personalitas destrueretur, quod neque convenit incorrupti­ bilitati naturae eius; neque bonitati assumen­ tis, ad quam non pertinet quod aliquid perfec­ tionis in creatura assumpta corrumpat. Sed hoc non videtur totaliter excludere congruita­ tem assumptionis angelicae naturae. Potest enim Deus producendo novam angelicam naturam, copulare eam sibi in unitate perso­ nae, et sic nihil praeexistens ibi corrumpere­ tur. Sed, sicut dictum est [in co.], deest con­ gruitas ex parte necessitatis, quia, etsi natura angelica in aliquibus peccato subiaceat, est tamen eius peccatum irremediabile ut in Pri­ ma Parte [q. 64 a. 2] habitum est. Ad quartum dicendum quod pe1fectio universi non est perfectio unius personae vel suppositi, sed eius quod est unum sub positione vel ordi­ ne. Cuius plurimae partes non sunt assump­ tibiles, ut dictum est [in co.]. Unde relinquitur quod solum natura humana sit assumptibilis.

tutto l' assumibilità della natura angelica. Dio infatti può creare una nuova natura angelica e insieme unirla a sé personalmente, senza così dover distruggere alcunché di preesistente. Ma come si è detto, manca la convenienza dalla parte della necessità: sebbene infatti la natura angelica sia soggetta al peccato, tutta­ via il suo peccato non è rimediabile, come si è spiegato nella Prima Parte. 4. La perfezione dell'universo non è come quella di una singola persona o supposito, ma è la perfezione di un tutto che ha soltanto un'unità di composizione o di ordine. E mol­ tissime tra le parti che lo compongono non sono assumibili, come si è detto. Resta dun­ que che solo la natura umana è assumibile.

Articulus 2 Utrum Filius Dei assumpserit personam

Articolo 2 Il Figlio di Dio ha assunto una persona [umana]?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Filius Dei assumpserit personam. l . Dicit enim Damascenus, in 3 libro [De fide 1 1], quod Filius Dei assumpsit humanam na­ turam in atomo, idest, in individuo. S ed individuum rationalis naturae est persona, ut patet per Boetium, in libro De duabus naturis [3]. Ergo Filius Dei personam assumpsit. 2. Praeterea, Damascenus dicit [De fide 3,6] quod Filius Dei assumpsit ea quae in natura nostra plantavit. Plantavit autem ibi persona­ litatem. Ergo Filius Dei assumpsit personam. 3. Praeterea, nihil consumitur nisi quod est. Sed Innocentius III dicit, in quadam decretali, quod persona Dei consumpsit personam hominis. Ergo videtur quod persona hominis fuit prius assumpta. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De fide ad Petrum [Fulgentius, 1 7], quod Deus naturam hominis assumpsit, 1wn personam. Respondeo dicendum quod aliquid dicitur assumi ex eo quod ad aliquid sumitur. Unde illud quod assumitur oportet praeintelligi assumptioni, sicut id quod movetur localiter praeintelligitur ipsi motui. Persona autem non

Sembra di sì. Infatti: l . ll Damasceno dice che il Figlio di Dio «ha assunto la natura umana in un essere concre­ to», cioè in un individuo. Ma «un individuo di natura razionale» è una persona, come risulta da Boezio. Quindi i l Figlio di Dio assunse una persona. 2. ll Damasceno scrive che il Figlio di Dio «ha assunto quanto aveva inserito nella nostra natu­ ra». Ma egli aveva inserito in noi la personalità. Quindi il Figlio di Dio assunse una persona. 3. Una cosa non può essere consumata se non esiste. Ma Innocenzo III dice in una decretale che «la persona di Dio ha consumato la per­ sona dell'uomo». Quindi sembra che la per­ sona umana sia stata prima assunta. In contrario: Agostino [Fulgenzio] afferma che Dio assunse la natura dell'uomo, non la persona. Risposta: essere assunto equivale a «essere preso per essere unito a qualcosa». Quindi ciò che viene assunto precede concettualmente l'assunzione, come il soggetto che si muove localmente precede il movimento stesso. Ora, nella natura umana assunta la persona non pre-

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praeintelligitur in humana natura assumptioni, sed magis se habet ut terminus assumptionis, ut supra [q. 3 aa. 1 -2] dictum est. Si enim praeintelligeretur, vel oporteret quod corrum­ peretur, et sic frustra esset assumpta. Vel quod remaneret post unionem, et sic essent duae personae, una assumens et alia assumpta; quod est erroneum, ut supra [q. 2 a. 6] osten­ sum est. Unde relinquitur quod nullo modo Filius Dei assumpsit humanam personam. Ad primum ergo dicendum quod naturam humanam assumpsit Filius Dei in atomo, idest, in individuo quod non est aliud a supposito increato quod est persona Filii Dei. Unde non sequitur quod persona sit assumpta. Ad secundum dicendum quod naturae as­ sumptae non deest propria personalitas prop­ ter defectum alicuius quod ad peifectionem humanae naturae pertineat, sed propter additionem alicuius quod est supra humanam naturam, quod est unio ad divinam personam. Ad tertium dicendum quod consumptio ibi non importat destructionem alicuius quod prius fuerat, sed impeditionem eius quod aliter esse posset. Si enim humana natura non esset assumpta a divina persona, natura hu­ mana propriam personalitatem haberet. Et pro tanto dicitur persona consumpsisse personam, licet improplie, quia persona divina sua unio­ ne impedivit ne humana natura propriam per­ sonalitatem haberet.

cede l'assunzione, ma ne è il termine, come si è detto sopra. Se infatti preesistesse, o dovrebbe essere distrutta, e allora sarebbe inutile la sua assunzione, oppure dovrebbe rimanere dopo l ' unione, e si avrebbero così due persone, l'assumente e l'assunta: il che è un'eresia, come si è visto sopra. Quindi resta che il Figlio di Dio in nessun modo assunse una persona umana. Soluzione delle difficoltà: l . Si dice che il Fi­ glio di Dio assunse la natura umana «in un es­ sere concreto» nel senso che la assunse >, come dice lo stesso Santo. Quindi il Figlio di Dio non assunse la natura umana separata dai singolari. Risposta: la natura dell'uomo o di qualunque altra realtà sensibile, al di fuori dell'essere che ha nei singolari, può essere pensata in due modi: primo, come esistente per se stessa sen­ za materia, come sostenevano i Platonici; se­ condo, come esistente nell'intelletto, o umano o divino. - Ora, come dimostra il Filosofo, [la natura umana] non può esistere per se stessa, poiché alla natura specifica delle realtà sensi­ bili appartiene per definizione la materia sen­ sibile: come la carne e le ossa rientrano nella definizione dell' uomo. Perciò è impossibile che la natura umana esista senza la materia sensibile. - Tuttavia, anche se la natura urna-

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sicut carnes et ossa in definitione hominis. Unde non potest esse quod natura humana sit praeter materiarn sensibilem. - Si tarnen esset hoc modo subsistens natura humana, non fuisset conveniens ut a Verbo Dei assumere­ tuT. Primo quidem, quia assumptio ista termi­ natur ad personam. Hoc autem est contra rationem fmmae communis, ut sic in persona individuetur. Secundo, quia naturae communi non possunt attribui nisi operationes commu­ nes et universales, secundum quas homo nec meretur nec demeretur, cum tamen illa as­ sumptio ad hoc facta sit ut Filius Dei in natura assumpta nobis mereretur. Tertio quia natura sic existens non est sensibilis, sed intelligi­ bilis. Filius autem Dei assumpsit humanam naturarn ut hominibus in ea visibilis appare­ ret, secundum illud Baruch 3 [38], post haec

in terris visus est, et cum hominibus conversa­ tus est. - Similiter etiam non potuit assumi natura humana a Filio Dei secundum quod est in intellectu divino. Quia sic nihil aliud esset quarn natura divina, et per hunc modum, ab aeterno esset in Filio Dei humana natura. Similiter non convenit dicere quod Filius Dei assumpserit humanam naturam prout est in intellectu humano. Quia hoc nihil aliud esset quam si intelligeretur assumere naturarn hu­ manam. Et sic, si non assumeret eam in re­ rum natura, esset intellectus falsus. Nec aliud esset quam fictio quaedam incamationis, ut Darnascenus dicit [De tide 3,1 1]. Ad primum ergo dicendum quod Filius Dei incarnatus est communis omnium Salvator, non communitate generis vel speciei, quae attribuitur naturae ab individuis separatae, sed communitate causae, prout Filius Dei incar­ natus est universalis causa salutis humanae. Ad secundum dicendum quod per se homo non invenitur in rerum natura ita quod sit praeter singularia, sicut Platonici [cf. Met. 2,2, 1 6] posuerunt. - Quamvis quidam [cf. Octoginta trium Q. 46] dicant quod Plato non intellexit hominem separatum esse nisi in intellectu divino. Et sic non oportuit quod assumeretur a Verbo, cum ab aeterno sibi affuerit. Ad tertium dicendum quod natura humana, quamvis non sit assumpta in concreto ut sup­ positum praeintelligatur assumptioni, sic tamen assumpta est in individuo, quia as­ sumpta est ut sit in individuo.

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na sussistesse in tal modo, non sarebbe stato conveniente che venisse assunta dal Verbo di Dio. Primo, poiché l'assunzione termina alla persona. Ora, che una natura universale si individualizzi in una persona è contro la sua universalità. Secondo, poiché a una natura universale non si possono attribuire se non operazioni comuni e universali, con le quali l'uomo né merita né demerita, mentre l' as­ sunzione del Verbo avvenne affinché il Figlio di Dio meritasse per noi nella natura assunta. Terzo, poiché una natura così sussistente non è sensibile, ma intelligibile. Invece il Figlio di Dio assunse la natura umana per presentarsi con essa in maniera visibile agli uomini, secondo le parole di Bar 3 [38]: Per questo

apparve visibilmente sulla terra e ha vissuto insieme agli uomini. - Similmente la natura umana non poteva essere assunta dal Figlio di Dio nel modo in cui esiste nell'intelletto divi­ no. Perché così non sarebbe altro che la natu­ ra divina: e in questo modo la natura umana sarebbe stata unita al Figlio di Dio da tutta l'eternità. - Parimenti è impossibile dire che il Figlio di Dio ha assunto la natura umana così com'è nell'intelletto umano. Ciò infatti ridur­ rebbe l'assunzione della natura umana al solo pensiero dell'assunzione. n quale sarebbe un pensiero falso, se non gli corrispondesse an­ che un' assunzione reale. E non si avrebbe altro che «una certa incarnazione fittizia», come dice il Damasceno. Soluzione delle difficoltà: l . il Figlio di Dio incarnato è il salvatore universale non secon­ do l'universalità generica o specifica che vie­ ne attribuita a una natura separata dagli indi­ vidui, ma secondo l'universalità causale, giac­ ché il Figlio di Dio incarnato è la causa uni­ versale della salvezza di tutti gli uomini. 2. Non esiste nella realtà l'uomo per sé, sepa­ rato dai singolari, come supponevano i Plato­ nici. - Sebbene alcuni sostengano che Platone intendeva l 'uomo separato come esistente solo nell'intelletto divino. Ma in tal caso non era necessario che un simile uomo fosse as­ sunto dal Verbo, avendolo egli presso di sé dali' eternità. 3. Sebbene la natura umana non sia stata assunta nella concretezza di un supposito preesistente all'assunzione, tuttavia fu assunta in condizioni di individualità, poiché fu as­ sunta per esistere in un individuo.

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Articulus 5 Utrum Filius Dei humanam naturam assumere debuit in omnibus individuis

Articolo 5 Il Figlio di Dio doveva assumere la natu­ ra umana in tutti i suoi individui?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Fi­ lius Dei humanam naturam assumere debuit in omnibus individuis. l . Id enim quod primo et per se assumptum est, est natura humana. Sed quod convenit per se alicui naturae, convenit omnibus in eadem natura existentibus. Ergo conveniens fuit ut natura humana assumeretur a Dei Verbo in omnibus suppositis. 2. Praeterea, incarnatio divina processit ex divina caritate, ideo dicitur Ioan. 3 [ 1 6], sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigeni­ tum daret. Sed caritas facit ut aliquis se com­ municet amicis quantum possibile est. Possi­ bile autem fuit Filio Dei ut plures naturas ho­ minum assumeret, ut supra [q. 3 a. 7] dictum est, et, eadem ratione, omnes. Ergo conve­ niens fuit ut Filius Dei assumeret naturam in omnibus suis suppositis. 3. Praeterea, sapiens operator perficit opus suum breviari via qua potest. Sed brevior via fuisset si omnes homines assumpti fuissent ad naturalem filiationem, quam quod per unum Filium naturalem multi in adoptionem filio­ rum adducantur, ut dicitur Gal. 4 [5]. Ergo natura humana debuit a Filio Dei assumi in omnibus suppositis. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 1 1], quod Filius Dei non as­ sumpsit humanam naturam quae in specie consideratur, neque enim omnes hypostases eius assumpsit. Respondeo dicendum quod non fuit conve­ niens quod humana natura in omnibus suis suppositis a Verbo assumeretur. Primo qui­ dem, quia tolleretur multitudo suppositorum humanae naturae, quae est ei connaturalis. Cum enim in natura assumpta non sit consi­ derare aliud suppositum praeter personam as­ sumentem, ut supra [a. 3; q. 2 a. 6] dictum est; si non esset natura humana nisi assumpta, sequeretur quod non esset nisi unum supposi­ turo humanae naturae, quod est persona assu­ mens. - Secundo, quia hoc derogaret dignitati Filii Dei incarnati, prout est primogenitus in multis fratribus secundum humanam natu­ ram, sicut est primogenitus omnis creaturae secundum divinam. Essent enim tunc omnes

Sembra di sì. Infatti: l . La natura umana fu assunta direttamente e per se stessa. Ma ciò che spetta a una natura per se stessa spetta a tutti gli individui che in essa sussistono. Era dunque conveniente che la natura umana fosse assunta dal Verbo di Dio in tutti i suoi suppositi. 2. L'incarnazione divina procedette dalla divi­ na carità, come è detto in Gv 3 [ 16]: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito. Ma la carità porta a comunicarsi agli amici per quanto è possibile. Ora al Figlio di Dio, secondo le spiegazioni date, era possibile assumere più nature umane: quindi anche tutte, per la medesima ragione. Era dunque conveniente che il Figlio di Dio assu­ messe la natura umana in tutti i suoi suppositi. 3. Un abile artigiano porta a compimento il suo lavoro per la via più breve. Ma l'assume­ re tutti gli uomini alla filiazione naturale sa­ rebbe stata una via più breve che per mezzo di un solo Figlio naturale condurre molti alla filiazione adottiva (Gal 4,5). Quindi la natura umana doveva essere assunta dal Figlio di Dio in tutti i suoi suppositi. In contrario: il Damasceno afferma che il Fi­ glio di Dio «non assunse la natura umana nella sua specie, e neppure in tutte le sue ipostasi». Risposta: non era conveniente che la natura umana fosse assunta dal Verbo in tutti i suoi suppositi. Primo, perché ciò avrebbe impedito nella natura umana la molteplicità dei suppo­ siti, che le è connaturale. Non esistendo infatti nella natura assunta altro supposito all'infuori della persona assumente, come si è detto sopra, se fosse stato assunto ogni individuo della natura umana ne sarebbe seguita l'esi­ stenza di un solo supposito della natura uma­ na, che sarebbe appunto la persona assumen­ te. - Secondo, perché ciò diminuirebbe la di­ gnità del Figlio di Dio incarnato, il quale è il primogenito tra molti fratelli [Rm 8,29] se­ condo la natura umana, come è il primogenito di ogni creatura [Co/ 1 , 1 5] secondo la natura divina. Nel caso, infatti, gli uomini avrebbero avuto tutti la stessa dignità. - Terzo, perché era conveniente che a un solo supposito divi­ no incarnato corrispondesse l'assunzione di

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homines aequalis dignitatis. - Tertio, quia conveniens fuit quod, sicut unum suppositum divinum est incamatum, ita unam solam nato­ ram humanam assumeret, ut ex utraque parte unitas inveniatur. Ad primum ergo dicendum quod assumi con­ veni t secundum se humanae naturae, quia scilicet non convenit ei ratione personae, sicut naturae divinae convenit assumere ratione per­ sonae. Non autem quia convenit ei secundum se sicut pertinens ad principia essentialia eius, vel sicut naturalis eius proprietas, per quem modum conveniret omnibus eius suppositis. Ad secundum dicendum quod dilectio Dei ad homines manifestatur non solum in ipsa as­ sumptione humanae naturae, sed praecipue per ea quae passus est in natura humana pro aliis hominibus, secundum illud Rom. 5 [8 sqq.],

commendar autem Deus suam caritatem in nobis, quia, cum inimici essemus, Christus pro nobis mortuus est. Quod locum non haberet si in omnibus hominibus naturam humanam assumpsisset. Ad tertium dicendum quod ad brevitatem viae quam sapiens operator observat, pertinet quod non faciat per multa quod sufficienter potest fieri per unum. Et ideo convenientissi­ mum fui t quod per unum hominem a l i i omnes salvarentur. Articulus 6

Utrum fuerit conveniens ut Filius Dei humanam naturam assumeret ex stirpe Adae Ad sextum sic proceditur. Videtur quod non fuerit conveniens ut Fi lius Dei humanam naturam assumeret ex stirpe Adae. l . Dicit enim apostolus, ad Hebr. 7 [26] ,

decebat ut esset nobis pontifex segregatus a peccatoribus. Sed magis esset a peccatoribus segregatus si non assumpsisset humanam naturam ex stirpe Adae peccatoris. Ergo vide­ tur quod non debuit de stirpe Adae naturam humanam assumere. 2. Praeterea, in quolibet genere nobilius est principium eo quod est ex principio. Si igitur assumere voluit humanam naturam, magis debuit eam assumere in ipso Adam. 3. Praeterea, gentiles fuerunt magis peccato­ res quam Iudaei, ut dicit Glossa [int.], Gal. 2 [ 15], super illud: nos natura Iudaei, non ex

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una sola natura umana, in modo che ci fosse l'unità da entrambe le parti. Soluzione delle difficoltà: l . Si dice che l'es­ sere assunta spetta alla natura umana per se stessa nel senso che ciò non le spetta in ragio­ ne della persona, come al contrario spetta alla natura divina l' assumere in ragione della per­ sona. Non invece nel senso che l' assunzione dipenda dai princìpi essenziali della natura umana, o le convenga come una sua proprietà naturale: perché allora converrebbe a tutti i suoi suppositi. 2. L' amore di Dio verso gli uomini si manife­ sta non solo nell'assunzione stessa della natu­ ra umana, ma principalmente in ciò che egli ha patito nella natura umana per gli altri uomini, come è detto in Rm 5 [8]: Dio dimo­

stra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. n che non sarebbe avvenuto se avesse assunto la natura umana in tutti gli uomini. 3. La brevità della via che distingue un saggio artefice esige che egli non usi molti mezzi dove ne basta uno solo. Era dunque conve­ nientissimo che per mezzo di un solo uomo fossero salvati tutti gli altri.

Articolo 6

È stato conveniente per il Figlio di Dio assumere una natura umana dalla stirpe di Adamo?

Sembra di no. Infatti: l . In Eb 7 [26] è detto:

Ci occorreva un som­ mo sacerdote separato dai peccatori. Ma que­ sti sarebbe stato maggiormente separato dai peccatori se non avesse assunto la natura u­ mana dalla stirpe di Adamo peccatore. Quindi sembra che non dovesse prendere una natura umana dalla stirpe di Adamo. 2. In ogni ordine di cose il principio è più no­ bile delle sue derivazioni. Se dunque [il Ver­ bo] voleva prendere una natura umana, la doveva assumere piuttosto in Adamo stesso. 3. I Pagani erano più peccatori dei Giudei, come dice la Glossa su Gal 2 [ 1 5] : Noi per

nascita siamo Giudei e non Pagani peccatori. Se dunque [il Figlio di Dio] voleva assumere la natura umana dai peccatori, la doveva pren-

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gentibus peccatores. Si ergo ex peccatoribus naturam humanam assumere voluit, debuit eam magis assumere ex gentilibus quam ex stirpe Abrahae, qui fuit iustus. Sed contra est quod Luc. 3 [23 sqq.] generatio Domini reducitur usque ad Adam. Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in 13 De Trin. [ 1 8], poterat Deus homi­ nem aliunde suscipere, non de genere illius Adae qui suo peccato obligavit genus huma­ num. Sed melius iudicavit et de ipso quod victum fuerat genere assumere hominem Deus, per quem generis humani vinceret ini­ micum. Et hoc propter tria. Primo quidem, quia hoc videtur ad iustitiam pertinere, ut ille satisfaciat qui peccavit. Et ideo de natura per ipsum corrupta debuit assumi id per quod sa­ tisfactio erat implenda pro tota natura. Secun­ do, hoc etiam pertinet ad maiorem hominis dignitatem, dum ex ilio genere victor diaboli nascitur quod per diabolum fuerat victum. Tertio, quia per hoc etiam Dei potentia magis ostenditur, dum de natura corrupta et infirma assumpsit id quod in tantam virtutem et digni­ tatem est promotum. Ad primum ergo dicendum quod Christus de­ buit esse a peccatoribus segregatus quantum ad culpam, quam venerat destruere, non quantum ad naturam, quam venerat salvare; secundum quam debuit per omnia fratribus assimilari, ut idem apostolus dicit, Hebr. 2 [ 1 7] . Et in hoc etiam mirabilior est eius inno­ centia, quod de massa peccato subiecta natura assumpta tantam habuit puritatem. Ad secundum dicendum quod, sicut dictum est [ad 1 ], oportuit eum qui peccata venerat tollere, esse a peccatoribus segregatum quantum ad culpam, cui Adam subiacuit, et quem Christus a suo delicto eduxit, ut dicitur Sap. I O [2] . Oportebat autem eum qui mundare omnes ve­ nerat, non esse mundandum, sicut et in quolibet genere motus primum movens est immobile secundum illum motum, sicut primum alterans est inalterabile. Et ideo non fuit conveniens ut assumeret humanam naturam in ipso Adam. Ad tertium dicendum quod, quia Christus debebat esse maxime a peccatoribus segrega­ tus quantum ad culpam, quasi summam inno­ centiae obtinens, conveniens fuit ut a primo peccatore usque ad Christum perveniretur mediantibus quibusdam iustis, in quibus per­ fulgerent quaedam insignia futurae sanctitatis.

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dere dai Pagani più che dalla stirpe di Abra­ mo, che era giusto. In contrario: in Le 3 [23] la genealogia del Signore risale fino ad Adamo. Risposta: come osserva Agostino, «Dio pote­ va farsi uomo senza prendere l'umanità dalla stirpe di quell'Adamo che aveva ridotto in schiavitù con la sua colpa il genere umano». Ma preferì assumere dalla stessa stirpe che era stata sconfitta l'uomo con il quale avrebbe sconfitto il nemico del genere umano. E ciò per tre motivi. Primo, perché è giusto che soddisfi chi ha peccato. Perciò è dalla nanrra che Adamo aveva corrotto che doveva essere assunto quanto sarebbe servito alla completa riparazione di tutta la natura. Secondo, perché ridonda anche a maggiore onore dell'uomo che il vincitore del diavolo nasca da quella stirpe che era stata vinta dal diavolo. Terzo, perché ciò mette in maggior rilievo la potenza di Dio: questi infatti assunse da una natura corrotta e inferma lo strumento che fu elevato a una così grande virtù e dignità. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo doveva essere separato dai peccatori quanto alla colpa che era venuto a distruggere, non quanto alla natura che era venuto a salvare: nella quale invece doveva essere in tutto simile ai fratelli, come dice lo stesso Apostolo in Eb 2 [ 1 7]. E in ciò risulta ancora più mirabile la sua inno­ cenza, in quanto cioè una natura assunta da una massa soggetta al peccato ebbe una così grande purezza. 2. Secondo le spiegazioni date, colui che era venuto a togliere i peccati doveva essere sepa­ rato dai peccatori quanto alla colpa, alla quale Adamo soggiacque, e dalla quale Cristo lo liberò, come è detto in Sap 10 [2]. Ora, con­ veniva che non avesse bisogno di purificazio­ ne colui che era venuto a purificare tutti gli altri: come anche in ogni genere di moto i l primo motore è immobile secondo quel moto, come il primo alterante è inalterabile. Non era dunque conveniente che [il Figlio di Dio] assumesse la natura umana in Adamo stesso. 3. Poiché Cristo doveva essere assolutamente separato dai peccatori quanto alla colpa, rag­ giungendo il vertice dell'innocenza, era op­ portuno che dal primo peccatore si arrivasse a lui attraverso una serie di giusti nei quali splendessero alcuni segni della santità futura. A tale scopo inoltre Dio istituì nel popolo da

Q. 4, A. 6

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Propter hoc etiam in populo ex quo Christus erat nasciturus instituit Deus quaedam sancti­ tatis signa, quae incoeperunt in Abraham, qui primus promissionem accepit de Christo, et circumcisionem in signum foederis consum­ mandi, ut dicitur Gen. 17 [1 1].

cui Cristo sarebbe nato dei segni di santità, che ebbero inizio con Abramo, il quale per primo ricevette la promessa di Cristo, e fu cir­ conciso a testimonianza di un'alleanza dure­ vole, come è detto in Gen 17 [ I l ].

QUAESTI0 5 DE ASSUMPTIONE PARTIUM HUMANAE NATURAE

QUESTIONE 5 L'ASSUNZIONE DELLE PARTI DELLA NATURA UMANA

Deinde considerandum est de assumptione par­ tium humanae naturae. - Et circa hoc quaerun­ tur quatuor. Primo, utrum Filius Dei debuerit as­ sumere verum corpus. Secundo, utrum assume­ re debuerit cotpus terrenum, scilicet camem et sanguinem. Tertio, utrum assumpserit animam. Quarto, utrum assumere debuerit intellectum.

Dobbiamo ora considerare l'assunzione delle parti della natura umana. - Si pongono in merito quattro quesiti: l. Il Figlio di Dio do­ veva assumere un vero corpo? 2. Doveva as­ sumere un corpo terreno, cioè la carne e il sangue? 3. Ha assunto un'anima? 4. Doveva assumere un intelletto?

Articulus l Utrum Filius Dei assumpserit verum corpus

Articolo l Il Figlio di Dio ha assunto un vero corpo?

Ad prirnum sic proceditur. Videtur quod Fi­ lius Dei non assumpserit verum corpus. l . Dicitur enim Phil. 2 [7] quod in similitudi­ nem hominum factus est. Sed quod est se­ cundum veritatem, non dicittu· esse secundum sirnilitudinem. Ergo Filius Dei non assumpsit verum corpus. 2. Praeterea, assumptio corporis in nullo dero­ gavit dignitari divinitatis, dicit enim Leo Papa, in sermone De nativitate [Sermones 2 1 ,2], quod nec inferiorem naturam consumpsit glo­

Sembra di no. Infatti: l . In Fil 2 [7] è detto: Egli divenne simile agli uomini. Ma non si dice simile ciò che è reale. Quindi il Figlio di Dio non assunse un vero corpo. 2. L'assunzione del corpo non tolse nulla alla grandezza della divinità: dice infatti il papa Leone che «né la glorificazione distrusse la na­ tura inferiore, né l'assunzione diminuì la natura superiore». Ma la grandezza o dignità di Dio esige proprio questo: di essere assolutamente senza corpo. Quindi sembra che mediante l'assunzione Dio non si sia unito a un corpo. 3. Le figure devono corrispondere alle realtà figurate. Ma le apparizioni nell'Antico Testa­ mento, che erano segni e figure dell'apparizio­ ne di Cristo, erano visioni immaginarie e non dovute a corpi reali, come appare evidente da ls 6 [ l ] : Vidi il Signore seduto... Quindi sembra che anche l'apparizione del Figlio di Dio nel mondo non sia avvenuta in un corpo reale, ma solo secondo l'immaginazione. In contrario: Agostino dice: «Se era un fanta­ sma il corpo di Cristo, egli ha ingannato. E se ha ingannato, non è la Verità. Ma Cristo è la Verità. Quindi il suo corpo non era un fanta­ sma». E chiaro quindi che egli assunse un corpo vero.

rificatio, nec superiorem minuit assumptio. Sed hoc ad dignitatem Dei pertinet quod sit omnino a corpore separatus . Ergo videtur quod per assumptionem non fuerit Deus cor­ pori unitus. 3. Praeterea, signa debent respondere signatis. Sed apparitiones Veteris Testamenti, quae fuerunt signa et tigurae apparitionis Christi, non fuerunt secundum corporis veritatem, sed secundum imaginariam visionem, sicut patet Isaiae 6, vidi Dominum sedentem, et cetera. Ergo videtur quod etiam apparitio Filii Dei in mundum non fuerit secundum corporis verita­ tem, sed solum secundum imaginationem. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro Octoginta trium Q. [ 14] , si phantasma fuit

co1pus Christi, fefellit Christus. Et si fefellit,

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L 'assunzione delle parti della natura umana

veritas non est. Est autem veritas Christus. Ergo non phantasma fuit corpus eius. Et sic patet quod verum corpus assumpsit. Respondeo dicendum quod, sicut dicitur in libro De ecclesiasticis dogmatibus [Genna­ dius, 2], natus est Dei Filius non putative, quasi imaginatum corpus habens, sed corpus verum. Et huius ratio triplex potest assignari. Quarum prima est ex ratione humanae natu­ rae, ad quam pertinet verum corpus habere. Supposito igitur ex praemissis [q. 4 a. l ] quod conveniens fuerit Filium Dei assumere huma­ nam naturam, consequens est quod verum corpus assumpserit. Secunda ratio sumi potest ex bis quae in mysterio incarnationis sunt acta. Si enim non fuit verum corpus eius sed phan­ tasticum, ergo nec veram mortem sustinuit; nec aliquid eorum quae de eo Evangelistae narrant, secundum veritatem gessit, sed solum secundum apparentiam quandam. Et sic etiam sequitur quod non fuit vera salus hominis subsecuta, oportet enim effectum causae proportionari. Tertia ratio potest surni ex ipsa dignitate personae assumentis, quae cum sit veritas, non decuit ut in opere eius aliqua fictio esset. Unde et Dominus bune errorem per seipsum excludere dignatus est, Luc. 24, cum discipuli, conturbati et conterriti, putabant se spiritum videre [37], et non verum corpus, et ideo se eis palpandum praebuit, dicens [39], palpate et videte, quia spiritus carnem et ossa non habet, sicut me videtis habere. Ad primum ergo dicendum quod sirnilitudo illa exprimit veritatem humanae naturae in Christo, per modum quo omnes qui vere in humana natura existunt, sirniles specie esse di­ cuntur. Non autem intelligitur sirnilitudo phan­ tastica. Ad cuius evidentiam, apostolus subiungit [8] quodfactus est obediens usque ad mo11em, mol1em autem cmcis, quod fieri non potuisset si fuisset sola sirnilitudo phantastica. Ad secundum dicendum quod per hoc quod Filius Dei verum corpus assumpsit, in nullo est eius dignitas dirninuta. Unde Augustinus dicit, in libro De fide ad Petrum [Fulgentius, 2], exinanivit seipsum, formam servi accipiens, ut fiere! servus, sed fonnae Dei plenitudinem non amisit. Non enim Filius Dei sic assumpsit verum corpus ut forma corporis fieret, quod repugnat divinae simplicitati et puritati, hoc enim esset assumere corpus in unitate naturae, quod est impossibile, ut ex supra [q. 2 a. l]

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Risposta: il Figlio di Dio, come si legge nel De Ecclesiasticis Dogmatibus, non nacque in modo fittizio, come se avesse un corpo appa­ rente, ma con un corpo vero. E se ne possono addurre tre ragioni. La prima è desunta dalla stessa natura umana, per la quale è necessario un corpo vero. Supposto dunque, in base a quanto abbiamo detto, che era conveniente l'assunzione della natura umana da parte del Figlio di Dio, ne segue che egli assunse un corpo vero. - La seconda ragione si basa sugli avvenimenti compiutisi nel mistero dell'in­ carnazione. Se infatti il corpo di Cristo non fosse stato vero, ma immaginario, egli non avrebbe subìto una vera morte, e tutto quanto riferiscono di lui gli Evangelisti egli lo avreb­ be compiuto non in realtà, ma solo in appa­ renza. Per cui non ne sarebbe seguita la vera salvezza dell'uomo, dato che l'effetto deve corrispondere alla causa. - La terza ragione si basa sulla dignità della persona assumente la quale, essendo la Verità, non può operare in modo finto. Per cui il Signore stesso si degnò di respingere questo errore (Le 24,37 .39) quando i discepoli stupiti e spaventati pensa­ vano di vedere un fantasma, e non un corpo reale; egli infatti si lasciò toccare dicendo: Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho. Soluzione delle difficoltà: l . Quella somi­ glianza esprime la realtà della natura umana in Cristo nel modo in cui si dicono simili nella specie tutti coloro che hanno veramente la natura umana. Non si tratta dunque di una somiglianza apparente. Infatti per escluderla Paolo aggiunge [8] che sifece obbediente fino alla mol1e, e alla mo11e di croce: il che sareb­ be stato impossibile se si fosse trattato solo di un'apparenza. 2. Con l'assumere un vero corpo il Figlio di Dio non sminuì in nulla la propria dignità. Per cui Agostino [Fulgenzio] scrive: «Annientò se stesso prendendo la forma di schiavo per esserlo veramente, ma non perse la pienezza della natura di Dio». Infatti il Figlio di Dio non assunse un vero corpo divenendone la forma, il che ripugna alla semplicità e purità divina: ciò equivarrebbe infatti ad assumere un corpo nell ' unità della natura, il che è impossibile, come risulta da quanto detto. Salva invece la distinzione della natura, egli assunse il corpo nell'unità della persona.

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dictis patet. Sed, salva distinctione naturae, assumpsit in unitate personae. Ad tertium dicendum quod figura respondere debet quantum ad similitudinem, non quan­ tum ad rei veritatem, si enim per omnia esset similitudo, iam non esset signum, sed ipsa res, ut Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 26]. Conveniens igitur fuit ut apparitiones Veteris Testamenti essent secundum apparentiam tan­ tum, quasi figurae, apparitio autem Filii Dei in mundo esset secundum corporis veritatem, quasi res figurata sive signata per illas figuras. Unde apostolus, Col. 2 [ 1 7], quae sunt umbra futurorum, corpus autem Christi.

3. La corrispondenza di una figura sta nella somiglianza, non nell'identità: «Se infatti la corrispondenza fosse totale, non sarebbe più un segno, ma la cosa stessa», come fa notare il Damasceno. Era dunque conveniente che le visioni dell'Antico Testamento, essendo delle figure, fossero solo apparenti, e che invece l'apparizione del Figlio di Dio nel mondo si compisse nella verità del corpo, trattandosi della realtà rappresentata da quelle figure. Per cui Paolo dice: Queste cose sono ombra delle future, mentre Cristo è il corpo (Co/ 2, 1 7).

Articulus 2 Utrum Christus habuerit corpus carnale, sive terrestre

Articolo 2 Cristo ha avuto un corpo di carne, ossia terrestre?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus non habuerit corpus carnale, sive terrestre, sed caeleste. l . Dicit enim apostolus, l Cor. 1 5 [47], primus homo de terra, terrenus, secundus homo de caelo, caelestis. Sed primus homo, scilicet Adam, fuit de terra quantum ad corpus, ut patet Gen. 2 [7] . Ergo etiam secundus homo, scilicet Christus, fuit de caelo quantum ad co1pus. 2. Praeterea, l Cor. 1 5 [50] dicitur, caro et sanguis regnum Dei non possidebunt. Sed regnum Dei principaliter est in Christo. Ergo in ipso non est caro et sanguis, sed magis corpus caeleste. 3. Praeterea, omne quod est optimum est Deo attribuendum. Sed inter omnia corpora corpus nobilissimum est caeleste. Ergo tale corpus debuit Christus assumere. Sed contra est quod Dominus dicit Luc. 24 [39], Spiritus carnem et ossa non habet, sicut me videtis habere. Caro autem et ossa non sunt ex materia caelestis corporis, sed ex infe­ rioribus elementis. Ergo corpus Christi non fuit corpus caeleste, sed carneum et terrenum. Respondeo dicendum quod eisdem rationibus apparet quare corpus Christi non debuit esse caeleste, quibus ostensum est [a. l ] quod non debuit esse phantasticum. Primo enim, sicut non salvaretur veritas humanae naturae in Christo si corpus eius esset phantasticum, ut posuit Manichaeus [cf. infra, q. 1 6 a. l ] ; ita etiam non salvaretur si poneretur caeleste, sicut posuit Valentinus. Cum enim forma

Sembra di no. Infatti: l . Paolo dice: Il primo uomo tratto dalla terra è di terra; il secondo uomo venuto dal cielo, è celeste (l Cor 1 5,47). Ma il primo uomo, cioè Adamo, quanto al corpo venne dalla terra, come risulta da Gen 2 [7] . Quindi anche il secondo uomo, cioè Cristo, quanto al corpo venne dal cielo. 2. In l Cor 1 5 [5 0] è detto: La carne e il san­ gue non erediteranno il regno di Dio. Ma il regno di Dio è principalmente in Cristo. In lui dunque non c'è né la carne né il sangue, bensì piuttosto un corpo celeste. 3. A Dio dobbiamo sempre attribuire l' otti­ mo. Ma di tutti i corpi il più nobile è il corpo celeste. Cristo dunque dovette assumere un tale corpo. In contrario: il Signore dice: Un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho (Le 24,39). Ma la carne e le ossa non sono formate con la materia dei corpi celesti, bensì con gli elementi inferiori. Quindi il corpo di Cristo non fu un corpo celeste, ma di carne e di terra. Risposta: le medesime ragioni con le quali si è dimostrato che il corpo di Cristo non doveva essere apparente chiariscono anche perché non doveva essere celeste. Primo, perché co­ me la realtà della natura umana di Cristo non si salverebbe se il suo corpo, secondo l'opi­ nione dei Manichei, fosse immaginario, così non si salverebbe neppure se, con Valentino, lo ritenessimo celeste. Essendo infatti la for-

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hominis sit quaedam res naturalis, requirit de­ terminatam materiam, scilicet cames et ossa, quae in hominis definitione poni oportet, ut patet per philosophum, in 7 Met. [6, 1 1 ,2.6]. ­ Secundo, quia hoc etiam derogaret veritati eorum quae Christus in corpore gessit. Cum enim corpus caeleste sit impassibile et incor­ ruptibile, ut probatur in l De caelo [3,4-5], si Filius Dei corpus caeleste assumpsisset, non vere esuriisset nec sitiisset, nec etiam passio­ nem et mortem sustinuisset. - Tertio, etiam hoc derogat veritati divinae. Cum enim Filius Dei se ostenderet hominibus quasi corpus car­ neum et terrenum habens, fuisset falsa de­ monstratio si corpus caeleste habuisset. Et ideo in libro De ecclesiasticis dogmatibus [Gennadius, 2] dicitur, natus est Filius Dei carnem ex Virginis corpore trahens, et non de caelo secum afferens. Ad primum ergo dicendum quod Christus dicitur dupliciter de caelo descendisse. Uno modo, ratione divinae naturae, non ita quod divina natura esse in caelo defecerit; sed quia in infimis novo modo esse coepit, scilicet se­ cundum naturam assumptam; secundum illud Ioan. 3 [ 1 3], nemo ascendit in caelum nisi qui

descendit de caelo, Filius hominis, qui est in caelo. Allo modo, ratione corporis, non quia -

i p s u m corpus Christi secundum suam substantiam de caelo descenderit; sed quia virtute caelesti, idest Spiritus Sancti, est eius corpus formatum. Unde Augustinus dicit, Ad Orosium [Dial. quaest. sexag. quinq., q. 4], exponens auctoritatem inductam, caelestem

dico Christwn, quia non ex humano concep­ tus est semine. Et hoc etiam modo Hilarius exponit, in libro De Trinitate [ 1 0]. Ad secundum dicendum quod caro et sanguis non accipiuntur ibi pro substantia carnis et sanguinis, sed pro corruptione carnis et san­ guinis. Quae quidem i n Christo non fui t quantum ad culpam. Fuit tamen a d tempus quantum ad poenam, ut opus nostrae redem­ ptionis expleret. Ad tertium dicendum quod hoc ipsum ad maximam Dei gloriam pertinet quod corpus infinnum et tetTenum ad tantam sublimitatem provehit. Unde i n Synodo Ephesina [2, 1 ] legitur verbum sancti Theophili dicentis,

qualiter artificum optimi non pretiosis tantum materiebus artem ostendentes in admiratione sunt, sed, vilissimum lutum et terram dissolu-

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ma dell'uomo una certa realtà naturale, esige una determinata materia, ossia la carne e le ossa, che vanno poste nella definizione del­ l'uomo, come insegna il Filosofo. - Secondo, ciò contrasterebbe anche con la verità di quanto Cristo compì nel suo corpo. Se infatti il Figlio di Dio avesse assunto un corpo cele­ ste, essendo questo impassibile e incorruttibi­ le, come dimostra Aristotele, non sarebbero state vere la sua fame, la sua sete, la sua pas­ sione e la sua morte. - Terzo, con ciò vetTeb­ be pregiudicata anche la veracità divina. Se infatti il Figlio di Dio si fosse presentato agli uomini come avente un corpo di carne e tetTe­ stre mentre aveva invece un corpo celeste, la sua manifestazione sarebbe stata falsa. Da cui le parole del De Ecclesiasticis Dogmatibus: Il Figlio di Dio nacque traendo la carne dal corpo della Vergine, non già portandola con sé dal cielo. Soluzione delle difficoltà: l . In due sensi si dice che Cristo venne dal cielo. Primo, a motivo della natura divina: non perché la natura divina abbia cessato di essere in cielo, ma perché cominciò a esistere sulla terra in un modo nuovo, cioè secondo la natura as­ sunta, come è detto in Gv 3 [ 1 3] : Nessuno è

mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo. Secondo, a motivo del corpo: non perché la stessa sostanza del corpo di Cristo sia discesa dal cielo, ma perché il suo corpo venne for­ mato per virtù celeste, cioè dallo Spirito Santo. Per cui Agostino, spiegando il passo citato di Paolo, scrive: «Dico che Cristo è ce­ leste perché non fu concepito da seme uma­ no». E alla stessa maniera si esprime Ilario. 2. Nel testo riferito le parole carne e sangue non indicano la sostanza della carne e del san­ gue, ma la loro corruzione. E questa non ci fu in Cristo come conseguenza della colpa. Ci fu tuttavia temporaneamente come pena, affinché egli compisse l'opera della nostra redenzione. 3. Proprio questo ridonda alla massima gloria di Dio: l' avere egli tanto sublimato un corpo debole e terreno. Per cui negli atti del Con­ cilio di Efeso è riferito questo brano di Teo­ filo: «Come i migliori artisti non solo si fanno ammirare esercitando la loro abilità sulle materie preziose, ma si rendono ancora più lodevoli usando anche del vilissimo fango e della terra informe, così l'ottimo di tutti gli

Q. 5, A. 2

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tam plerumque assumentes, suae disciplinae demonstrantes virtutem, multo magis laudan­ tur; ita omnium optimus artifex, Dei Verbum, non aliquam pretiosam materiam corporis caelestis apprehendens ad nos venit, sed in luto magnitudinem suae artis ostendit.

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artisti, il Verbo di Dio, non venne tra noi prendendo la materia preziosa di un qualche corpo celeste, ma nel fango mostrò la gran­ dezza della sua arte».

Articulus 3 Utrum Filius Dei animam assumpserit

D Figlio di Dio ha assunto l'anima?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Filius Dei animam non assumpserit. l . Ioannes enim, incarnationis mysterium tradens, dixit [Ioan. 1 , 14], Verbum carofactum est, nulla facta de anima mentione. Non autem dicitur caro factum eo quod sit in carnem conversum, sed quia carnem assumpsit. Non ergo videtur assumpsisse animam. 2. Praeterea, anima necessaria est cOI-pori ad hoc quod per eam vivificetur. Sed ad hoc non fuit necessaria corpori Chtisti, ut videtur, quia ipsum Dei Verbum est, de quo in Psalmo [35, 10], Domine, apud te est fons vitae. Su­ perfluum igitur fuisset animam adesse, Verbo praesente. Deus autem et natura nihil fntstra faciunt, ut etiam philosophus dicit, in l De caelo [4, 8 ] . Ergo videtur quod Filius Dei animam non assumpsit. 3. Praeterea, ex unione animae ad corpus con­ stituitur natura communis, quae est species humana. In Domino aurem Iesu Christo non est communem speciem accipere, ut Dama­ scenus dicit, in 3 libro [De fide 3]. Non igitur assumpsit animam. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De agone christiano [21 ] non eos audiamus qui solum corpus humanum dicunt esse susceptum a Verbo Dei; et sic audiunt quod dictum est, Verbwn caro factum est, ut negent illttm hominem vel animam, vel aliquid hominis habuisse nisi camem solam. Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro De haeresibus [49.55], opinio primo fui t Arii [cf. Athanasium, Contra Apollinarium 2,3; 1 , 1 5 ; Epiphanium, Adv. Haeres. 2,2,69; De Haeres. 49; Theodoretum, Haeret. Fabul. Compend. 4, 1 ] , et postea Apollinaris [cf. De Haeres. 55; Leonem Ma­ gnum, Sermones 24,5], quod Filius Dei so­ lam carnem assumpserit, absque anima, po­ nentes quod Verbum fuerit carni loco animae. Ex quo sequebatur quod i n Christo non

Sembra di no. Infatti: l. Giovanni presenta il mistero dell'incarnazio­ ne dicendo soltanto: Il Verbo si fece carne [ 1 , 14], senza accennare all'anima. Ora, si dice che egli si è fatto carne non perché si è mutato in carne, ma perché ha assunto la carne. Quindi non sembra che abbia assunto l'anima. 2. L'anima è necessaria al corpo per vivificar­ lo. Ma tale necessità non sussisteva per il corpo di Cristo, come sembra, essendo egli lo stesso Verbo di Dio, del quale nel Sal 35 [ l O] è detto: E in te, Signore, la fonte della vita. Quindi con la presenza del Verbo l 'anima sarebbe stata superflua. Ora, «Dio e la natura non fanno nulla di inutile», come dice anche il Filosofo. Quindi sembra che il Figlio di Dio non abbia assunto l'anima. 3. L'unione tra l'anima e il corpo costituisce la natura comune, che è la specie umana. «Ma in Gesù Cristo Signore», come dice il Damasceno, «non c'è una specie comune». Quindi egli non assunse l'anima. In contrario: Agostino dice: «Non diamo retta a coloro che dicono assunto dal Verbo di Dio solo il corpo umano, e che intendono le paro­ le: Il Verbo si fece came in modo da negare che quell'uomo abbia avuto l'anima, o qua­ lunque altra cosa umana che non fosse la carne». Risposta: come dice Agostino, prima Ario e poi Apollinare pensarono che il Figlio di Dio avesse assunto la carne senza l'anima, poiché il Verbo avrebbe fatto nella carne le veci del­ l'anima. Dal che seguiva che in Cristo non c'erano due nature, ma una soltanto, poiché è l'unione dell'anima con la carne che costitui­ sce la natura umana. - Ma questa opinione è insostenibile per tre motivi. Primo, perché contraddice all'autolità della Scrittura, nella quale il Signore parla della sua anima: L'ani­ ma mia è triste fino alla morte (Mt 26,38), e ancora: Ho il potere di dare la mia anima

Articolo 3

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fuerunt duae naturae, sed una tantum, ex anima enim et carne una natura humana con­ stituitur. - Sed haec positio stare non potest, propter tria. Primo quidem, quia repugnat auctoritati Scripturae, in qua Dominus de sua anima facit mentionem, Matth. 26 [38], tristis est anima mea usque ad mortem; et Ioan. l O [ 1 8] , potestatem habeo ponendi animam meam. Sed ad hoc respondebat Apollinaris [cf. Theophilum Alexandtinum, Ep. ad Totius Aegypti Episc, anni 402, interprete Hierony­ mo; Cyrillum Alexandrinum, De i ncarn. Dom. 19; Octoginta trium Q., q. 80] quod in his Verbis anima metaphorice sumitur, per quem modum in Veteri Testamento Dei anima commemoratur, Tsaiae T, Calendas vestras et solemnitates odivit anima mea. Sed, sicut dicit Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [80], Evangelistae in evangelica narratione narrant quod miratus est Iesus, et iratus, et contri­ status, et quod esuriit. Quae quidem ita demonstrant eum veram animam habuisse, sicut ex hoc quod comedit et dormivit et fati­ gatus est, demonstratur habuisse verum corpus humanum. Alioquin, si et haec ad metaphoram referantur, cum similia legantur in Veteri Testamento de Deo, peribit fides evangelicae narrationis. Aliud est enim quod prophetice nuntiatur in figuris, aliud quod secundum rerum proprietatem ab Evangelistis historice scribitur. - Secundo, derogat prae­ dictus error utilitati incamationis, quae est liberatio hominis. Ut enim argumentatur Au­ gustinus, in libro Contra Felicianum [Vigilius Tapsensis, De unit. Trin. 1 9, sive 1 3], si, ac­ cepta carne, Filius Dei animam omisit, aut, innoxiam sciens, medicinae indigentem non credidit; aut, a se alienam putans, redemptio­ nis beneficio 1wn donavit; aut, ex roto insa­ nabilem iudicans, curare nequivit; aut ut vilem, et quae nullis usibus apra videretw; abiecit. Horum duo blasphemiam important in Deum. Quomodo enim dicetur omnipotens, si curare non potuit desperatam ? A u t quomodo omnium Deus, s i non ipse fecit animam nostram? Duobus vero aliis, in uno animae causa nescitw; in altero meritum non tenetw: Aut intelligere causam putandus est animae qui eam, ad accipiendum legem habitu insitae rationis instructam, a peccato voluntariae transgressionis nititur separare ? Aut quomodo eius generositatem novit qui -

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(Gv l O, 1 8). - Apollinare però replicava che nei testi citati l'anima ha un senso metaforico, come quando nell'Antico Testamento si parla dell'anima di Dio, come in Is l [ 1 4] : I vostri noviluni e le vostre feste so1w in odio all'ani­ ma mia. Tuttavia, come osserva Agostino, gli Evangelisti riferiscono che Gesù si meravi­ gliava, si adirava, si contristava, sentiva fame. n che dimostra che egli aveva una vera anima, così come il fatto che mangiasse e dormisse e si sentisse stanco dimostra che aveva un vero corpo umano. Altrimenti, se volgiamo i n metafore queste affermazioni perché l'Antico Testamento dice di Dio cose simili, viene negata la veridicità del Vangelo. Altro è infatti ciò che viene annunziato profeticamente per mezzo di figure, e altro ciò che viene scritto storicamente dagli Evangelisti secondo la realtà degli avvenimenti. - Secondo, il suddet­ to errore contrasta con l'utilità dell'incarnazio­ ne, che è la liberazione dell'uomo. Come in­ fatti argomenta Agostino [Vigilio di Tapso], «Se prendendo la carne il Figlio di Dio omise di assumere l'anima, o non la credette biso­ gnosa di medicina stimandola innocente, o non la volle beneficiare della redenzione non ritenendola cosa sua, o non poté curarla giudi­ candola assolutamente insanabile, o la respin­ se come cosa di nessun prezzo e di nessuna utilità. Ora, di queste affermazioni due sono delle bestemmie contro Dio. Come infatti lo si potrebbe dire onnipotente se non poté soccor­ rere l'anima disperata? O come lo si potrebbe chiamare Dio di tutte le cose se non fece l ' anima nostra? Delle altre due ipotesi una ignora lo stato dell'anima, l'altra la sua prezio­ sità. Dimostra forse di capire lo stato dell'ani­ ma chi tenta di separarla dalla colpa di una volontaria trasgressione, mentre per il dono della ragione essa è suscettibile di ricevere la legge? O come si riconosce la nobiltà dell'ani­ ma dicendo che è stata disprezzata per abie­ zione? Se guardi alla sua origine, l'anima vale più della carne; ma se guardi al peccato, è più colpevole, essendo intelligente. Io poi so che Cristo è la sapienza perfetta, e non dubito che la sua sia una sapienza misericordiosissima: con la prima quindi non poté disprezzare l'anima, che vale di più ed è capace di saggez­ za, e con la seconda la assunse perché più gra­ vemente ferita». - Terzo, questa tesi va contro la verità stessa dell'incarnazione. Infatti la

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ignobilitatis vitio dicit despectam? Si origi­ nem attendas, pretiosior est animae substan­ tia, si transgressionis culpam, propter intelli­ gentiam peior est causa. Ego autem Christum et peifectam sapientiam scio, et piissimam esse non dubito, quorum primo, meliorem et prudentiae capacem non despexit; secundo, eam quae magis fuerat vulnerata, suscepit. -

Tertio vero, haec positio est contra ipsam in­ carnationis veritatem. Caro enim et ceterae partes hominis per animam speciem sortiun­ tur. Unde, recedente anima, non est os aut caro nisi aequivoce, ut patet per philosophum, 2 De an. [ 1 ,9] et 7 Met. [6, 10, 1 1]. A d primum ergo dicendum quod cum dicitur, Verbum caro factum est, caro ponitur pro toto homine, ac si diceret, Verbum homo factum est, sicut lsaiae 40 [5] dicitur, videbit omnis caro salutare Dei nostri. Ideo autem totus homo per carnem significatur, quia, ut dicitur in auctoritate inducta, quia per carnem Filius Dei visibilis apparuit, unde subditur [Ioan. 1 ,14] et vidimus gloriam eius. Vel ideo quia, ut Augustinus dicit, in libro Octoginta trium

Q. [80], in tota illa unitate susceptionis prin­ cipale Verbum est, extrema autem atque ulti­ ma caro. Volens itaque Evangelista commen­ dare pro nobis dilectionem humilitatis Dei, Verbum et carnem nominavi!, omittens ani­ mam, quae est Verbo injeri01; carne praestan­ tior. Rationabile etiam fuit ut nominaret car­ nem, quae, propter hoc quod magis distat a Verbo, minus assumptibilis videbatur. Ad secundum dicendum quod Verbum est fans vitae sicut prima causa vitae effectiva. Sed anima est ptincipium vitae corpori tan­ quam forma ipsius. Forma autem est effectus agentis. Unde ex praesentia Verbi magis con­ cludi posset quod corpus esset animatum, sicut ex praesentia ignis concludi potest quod corpus cui ignis adhaeret, sit calidum. Ad tertium dicendum quod non est inconve­ niens, immo necessarium dicere quod in Chri­ sto fuit natura quae constituitur per animam corpori advenientem. Damascenus autem [De fide 3,3] negat in Domino lesu Christo esse communem speciem quasi aliquid tertium resultans ex unione divinitatis et humanitatis.

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carne e le altre parti dell' uomo ricevono la loro natura specifica dall'anima. Tanto è vero che, separate dali' anima, le ossa e la carne sono ossa e carne solo in senso improprio, come insegna il Filosofo. Soluzione delle difficoltà: l . Nella frase: Il Verbo si fece carne, il termine carne sta per tutto l'uomo, come se si dicesse: «il Verbo si fece uomo»; cioè, come è detto in ls 40 [5] : Ogni carne vedrà la salvezza di Dio. E il motivo per cui la carne è stata posta a indicare tutto l ' uomo sta nel fatto che con essa i l Figlio di Dio apparve visibile. n testo citato infatti continua: «E noi abbiamo visto la sua glori a» . Oppu re la ragi one, come dice Agostino, sta nel fatto che «nella totalità di questa unione il Verbo sta al primo posto, la carne invece all'ultimo ed estremo. Volendo dunque l'Evangelista esaltare dinanzi a noi l'amore che Dio ha per l'umanità, ha nomina­ to il Verbo e la carne omettendo l' anima, che è inferiore al Verbo, ma superiore alla carne». Era poi ragionevole che nominasse la carne anche perché, data la sua maggiore distanza dal Verbo, sembrava meno assumibile. 2. Il Verbo è la fonte della vita quale sua prima causa efficiente. L'anima invece è prin­ cipio di vita per il corpo in quanto ne è la forma. Ora, la forma è un effetto della causa efficiente. Per cui, data la presenza del Verbo, si potrebbe a maggior ragione concludere che il corpo di Cristo ha un'anima: come dalla presenza del fuoco si può concludere che il corpo a cui il fuoco aderisce è caldo. 3. Non è errato, anzi è necessario affermare che in Cristo c'era la natura costituita dall' u­ nione dell' anima con il corpo. n Damasceno intende solo negare che in Gesù Cristo Signo­ re ci sia la specie comune quale terzo elemen­ to risultante dali ' unione tra l a divinità e l'umanità.

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Articulus 4 Utrum Filius Dei assumpsit mentem humanam, sive intellectum

Articolo 4 Il Figlio di Dio ha assunto la mente, cioè l'intelligenza umana?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Filius Dei non assumpsit mentem humanam, sive intellectum. l . Ubi enim est praesentia rei, non requiritur eius imago. Sed homo secundum mentem est ad imaginem Dei, ut dicit Augustinus, in libro De Trin. [ 1 2,7]. Cum ergo in Christo fuerit praesentia ipsius divini Verbi, non oportuit ibi esse mentem humanam. 2. Praeterea, maior lux offuscat minorem. Sed Verbum Dei, quod est lux illuminans omnem hominem venientem in hunc mundum, ut dicitur Ioan. l [9], comparatur ad mentem si­ cut lux maior ad minorem, quia et ipsa mens quaedam lux est, quasi lucerna illuminata a prima luce, Prov. 20 [27], lucerna Domini spiraculum hominis. Ergo in Christo, qui est Verbum Dei, non fuit necessarium esse men­ tem humanam. 3. Praeterea, assumptio humanae naturae a Dei Verbo dicitur eius incamatio. Sed intel­ lectus, sive mens humana, neque est caro neque est actus camis, quia nullius corporis actus est, ut probatur in 3 De an. [4,4]. Ergo videtur quod Filius Dei humanam mentem non assumpserit. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De tìde ad Petrum [Fulgentius, 14], firmis­ sime rene, et nullatenus dubites, Christum, Filium Dei, habentem nostri generis camem et animam rationalem Qui de came sua dicit, palpate et videte, quia spiritus camem et ossa non habet, sicut me videtis habere, Luc. 24 [39] . Animam quoque se ostendit habere, dicens, ego pono animam meam, et iterum sumo eam, loan. 1 0 [ 1 7]. Intellectum quoque se ostendit habere, dicens, discite a me, quia mitis sum et humilis corde, Matth. 1 1 [29]. Et de ipso per prophetam Dominus dicit, ecce intelliget puer meus, Isaiae 52 [ 1 3]. Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro De Haeres. [55], Apollinaristae [cf. supra a. 3] de anima Christi a Catholica Ecclesia dissenserunt, dicentes, sicut Ariani [cf. supra a. 3], Christum carnem solam sine anima suscepisse. In qua quaestione testi­ moniis evangelicis vieti, mentem defuisse animae Christi dixerunt, sed pro hac ipsum

Sembra di no. Infatti: l. Dove è presente la realtà non è necessaria la sua immagine. Ma in virtù della mente l ' uomo è a immagine di Dio, come dice Agostino. In Cristo perciò, essendo presente lo stesso Verbo divino, non era necessaria la mente umana. 2. Una luce intensa fa scomparire una luce più debole. Ma il Verbo di Dio, il quale è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, come è detto in Gv l [9], sta alla mente umana come una luce più forte sta a una luce più tenue: infatti anche la mente è una luce, al modo di una lampada illuminata dalla prima luce, secondo l'espressione di Pr 1 0 [27]: Lo spirito dell'uomo è una lucerna del Signore. Quindi in Cristo, che è il Verbo di Dio, non c'era bisogno della mente umana. 3. L'assunzione della natura umana da parte del Verbo di Dio viene detta incarnazione del Verbo. Ma l'intelligenza o mente umana, non essendo l'atto di un corpo, non è né carne né un atto della carne, come dimostra Aristotele. Sembra dunque che il Figlio di Dio non abbia assunto la mente umana. In contrario: Agostino [Fulgenzio] esorta: «Ritieni fermissimamente, senza ombra di dubbio, che Cristo Figlio di Dio ha la carne della nostra stirpe e l'anima razionale. Egli dice della sua carne: Toccate e vedete: un fantasma non ha came e ossa come vedete che io ho (Le 24,39). E dimostra di avere l ' anima dicendo: Offro la mia anima e la riprendo di nuovo ( Gv 1 0, 17). Dimostra infi­ ne di avere anche l'intelletto dicendo: Impa­ rate da me, che sono mite e umile di cuore (Mt 1 1,29). E di lui dice il Signore per bocca del profeta: Ecco, il mio servo avrà intelligenza (fs 52, 1 3)». Risposta: come dice Agostino, gli Apollinari­ sti dissentirono dalla Chiesa cattolica riguardo ali' anima di Cristo affermando, come gli Ariani, che Cristo aveva preso soltanto la carne senza l ' anima. «Contraddetti in tale questione dalle testimonianze evangeliche, dissero che ali' anima di Cristo mancava la mente [o anima razionale], di cui il Verbo stesso avrebbe fatto le veci». - Ma questo

L 'assunzione delle parti della natura umana

Q. 5, A. 4

Verbum in eafuisse. - Sed haec positio eisdem rationibus convincitur sicut et praedicta. Primo enim, hoc adversatur narrationi evan­ gelicae, quae commemorat eum fuisse rnira­ tum, ut patet Matth. 8 [ 1 0] . Admiratio autem absque ratione esse non potest, quia importat collationem effectus ad causam; dum scilicet aliquis videt effectum cuius causam ignorat, et quaerit , ut dicitur i n principio Met. [l ,2,8. 1 1 ]. Secundo, repugnat utilitati incar­ nationis, quae est iustificatio horninis a pecca­ to. Anima enim humana non est capax pec­ cati, nec gratiae iustificantis, nisi per mentem. Unde praecipue oportuit mentem humanam assumi. Unde Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 6], quod Dei Verbum assumpsit cor­ pus et animam intellectualem et rationalem, et postea subdit [De fide 3,6], totus toti unitus est, ut toti mihi salutem gratificet idest, gratis faciat, quod enim inassumptibile est, incura­ bile est. Tertio, hoc repugnat veritati incar­ nationis. Cum enim corpus proportionetur animae sicut materia propriae formae, non est vera caro humana quae non est perfecta anima humana, scilicet rationali et ideo, si Christus animam sine mente habuisset, non habuisset veram carnem humanam, sed car­ nem bestialem, quia per solam mentem anima nostra differt ab anima bestiali . Unde dicit Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [80], quod secundum bune errorem sequeretur quod Filius Dei beluam quandam cum figura humani cotporis suscepisset. Quod iterum repugnat veritati divinae, quae nullam patitur fictionis falsitatem. Ad primum ergo dicendum quod, ubi est ipsa res per sui praesentiam non requiritur eius imago ad hoc quod suppleat locum rei, sicut, ubi erat imperator, milites non venerabantur eius imaginem. Sed tamen requiritur cum praesentia rei imago ipsius ut perficiatur ex ipsa rei praesentia, sicut imago in cera perfici­ tur per impressionem sigilli, et imago hominis resultat i n speculo per eius praesentiam. Unde, ad perticiendam humanam mentem, necessarium fuit quod eam sibi Verbum Dei univit. Ad secundum dicendum quod lux maior evacuat lucem minorem alterius corporis illuminantis, non tamen evacuat, sed perficit lucem corporis illuminati. Ad praesentiam enim solis stellarum lux obscuratur, sed aeris -

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errore va confutato per gli stessi motivi sopra ricordati. Primo, perché contraddice il raccon­ to evangelico, che parla del meravigliarsi di Cristo (Mt 8, l 0). Ora, la meraviglia non può darsi senza intelligenza, poiché implica il confronto dell'effetto con la causa: nasce cioè in colui che, vedendo un effetto di cui ignora la causa, è spinto a ricercarla, come dice Aristotele. - Secondo, perché compromette l'utilità dell'incarnazione, che è la liberazione dell'uomo dal peccato. Infatti l'anima umana non è capace né del peccato né della grazia giustificante se non per la sua intelligenza. L'assunzione della mente umana era quindi p articolarmente necessaria . Per cui i l Damasceno afferma che «il Verbo di Dio assunse il corpo e l' anima intellettuale e razionale»; e poi soggiunge: «Si è unito tutto a tutto, per elargire la salvezza a tutto quello che io sono: poiché ciò che non fu assunto non può essere risanato». - Terzo, perché è incompatibile con la verità dell'incarnazione. Stando i nfatti i l corpo ali' anima come la materia alla propria forma, non può essere vera carne umana quella che non viene perfe­ zionata dall'anima razionale umana. Se quin­ di Cristo avesse avuto un'anima priva di intel­ ligenza, non avrebbe avuto una vera carne di uomo, ma di bestia, differendo l'anima nostra da quella delle bestie solo per l'intelligenza. Per cui dice Agostino che secondo questo errore il Figlio di Dio «avrebbe assunto una bestia con la figura di un corpo umano». E ciò ripugna ancora una volta alla veracità divina, che non sopporta la falsità della finzione. Soluzione delle difficoltà: l . Dove è presente la realtà in se stessa non è necessaria la sua immagine per fame le veci: come i soldati non veneravano l'immagine dell'imperatore dove egli era presente. L'immagine e la cosa sono però necessariamente simultanei quando l'immagine risulta dalla presenza stessa della cosa: come l'impronta nella cera viene im­ pressa dal sigillo, e l'immagine di un uomo in uno specchio si ha quando egli è presente. Allo ste..so modo dunque l'unione del Verbo di Dio con la mente umana era necessaria per il perfezionamento di quest'ultima. 2. Una luce forte fa scomparire la luce debole di un'altra sorgente luminosa, però non atte­ nua, ma anzi rinvigorisce la luce del corpo illu­ minato. Come alla presenza del sole scompare

L 'assunzione delle parti della natura umana

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lumen perficitur. lntellectus autem seu mens hominis est quasi lux illuminata a luce divini Verbi . Et ideo per lucem divini Verbi non evacuatur mens hominis, sed magis perficitur. Ad tertium dicendum quod, licet potentia intellectiva non sit alicuius corporis actus, ipsa tamen essentia animae humanae, quae est forma corporis, requiritur quod sit nobi­ lior, ad hoc quod habeat potentiam intelligen­ di. Et ideo necesse est ut corpus melius dispo­ situm ei respondeat.

Q. 5, A. 4

la luce delle stelle, ma cresce il chiarore dell'a­ ria. Ora, l'intelligenza o mente dell'uomo è come una luce derivata dalla luce del Verbo divino. Perciò la luce del Verbo divino non fa scomparire, ma rafforza la ragione umana. 3. Sebbene la facoltà intellettiva non sia l'atto di alcun corpo, tuttavia l'essenza stessa dell' a­ nima umana, che è la forma di un corpo, deve essere più nobile per avere tale facoltà. È quindi necessario che alla potenza intellettiva corrisponda un corpo meglio disposto.

QUAESTI0 6

QUESTIONE 6

DE ORDINE ASSUMPTIONIS

L'ORDINE DELL'ASSUNZIONE

Deinde considerandum est de ordine assump­ tionis praedictae. Et circa hoc quaeruntur sex. Primo, utrum Filius Dei assumpserit camem mediante anima. Secundo, utrum assumpserit animam mediante spiritu, sive mente. Tertio, utrum anima Christi fuerit prius assumpta a Verbo quam caro. Quarto, utrum caro fuerit prius a Verbo assumpta quam animae unita. Quinto, utmm tota humana natura sit assump­ ta mediantibus partibus. Sexto, utrum sit as­ sumpta mediante gratia.

Dobbiamo ora esaminare l'ordine tra le parti nell'assunzione della natura umana. In propo­ sito si pongono sei quesiti: l . Il Figlio di Dio ha assunto il corpo mediante l'anima? 2. Ha assunto l'anima mediante lo spirito, o mente? 3. L'anima di Cristo è stata assunta dal Verbo prima della carne? 4. La carne è stata assunta dal Verbo prima di essere unita all' anima? 5. La natura umana � stata assunta per mezzo delle sue parti? 6. E stata assunta mediante la grazia?

Articulus l

Articolo l

Utrum Filius Dei assumpserit carnem mediante anima

Il Figlio di Dio ha assunto il corpo mediante l'anima?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Filius Dei non assumpserit carnem mediante anima. l . Perfectior enim est modus quo Filius Dei unitur humanae naturae et partibus eius, quam quo est in omnibus creaturis. Sed in creaturis est immediate per essentiam, praesentiam et potentiam. Ergo multo magis Filius Dei uni­ tur carni, et non mediante anima. 2. Praeterea, anima et caro unita sunt Dei Verbo in unitate hypostasis seu personae. Sed corpus immediate pertinet ad personam sive hypostasim hominis, sicut et anima. Quinim­ mo magis videtur se de propinquo habere ad hypostasim hominis corpus, quod est materia quam anima, quae est forma, quia principium individuationis, quae importatur in nomine hypostasis, videtur esse materia. Ergo Filius Dei non assumpsit carnem mediante anima. 3. Praeterea, remoto medio, separantur ea quae

Sembra di no. Infatti: l . ll modo in cui il Figlio di Dio si unisce alla natura umana e alle sue parti è più perfetto di quello per cui è presente in tutte le creature. Ma nelle creature egli si trova in modo imme­ diato per essenza, presenza e potenza. Quindi a maggior ragione il Figlio di Dio è unito alla sua carne immediatamente, e non mediante l'anima. 2. L' anima e il corpo furono uniti al Verbo di Dio in unità di ipostasi o di persona. Ma il corpo appartiene alla persona o ipostasi uma­ na in maniera immediata alla pari dell'anima. Anzi il corpo, che è la materia, sembra avere con l' ipostasi umana un rapporto più imme­ diato di quanto lo abbia l' anima, che è la for­ ma: infatti il principio di individuazione, in­ cluso nel concetto di ipostasi, è la materia. Quindi il Figlio di Dio non ha assunto la car­ ne mediante l'anima.

Q. 6, A. l

L 'ordine del!'assunzione

per medium coniunguntur, sicut, remota super­ ficie, cessaret color a corpore, qui inest corpori per superficiem. Sed, separata per mortem anima, adhuc remanet unio Verbi ad camem, quod infra [q. 50 a. 2] patebit. Ergo Verbum non coniungitur carni mediante anima. Sed contra est quod Augustinus dicit, in Epi­ stola ad Volusianum [ep. 137,2], ipsa magni­

tudo divinae virtutis animam sibi rationalem, et per eandem corpus humanwn, totumque omnino hominem, in melius mutandum, coaptavit.

Respondeo dicendum quod medium dicitur respectu principii et finis. Unde, sicut princi­ pium et finis important ordinem, ita et me­ dium. Est autem duplex ordo, unus quidem temporis ; alius autem naturae. Secundum autem ordinem temporis, non dicitur in myste­ rio incamationis aliquid medium, quia totam naturam humanam simul sibi Dei Verbum univit, ut infra [aa. 3-4] patebit. Ordo autem naturae inter aliqua potest attendi dupliciter, uno modo, secundum dignitatis gradum, sicut dicimus angelos esse medios inter homines et Deum; alio modo, secundum rationem causa­ litatis, sicut dicimus mediam causam existere inter primam causam et ultimum effectum. Et hic secundus ordo aliquo modo consequitur primum, sicut enim dicit Dionysius, 1 3 cap. De cael. hier. [3], Deus per substantias magis propinquas agit in ea quae sunt magis remota. Si ergo attendamus gradum dignitatis, anima media invenitur inter Deum et carnem. Et secundum hoc, potest dici quod Filius Dei univit sibi carnem mediante anima. Sed se­ cundum ordinem causalitatis, ipsa anima est aliqualiter causa camis uniendae Filio Dei. Non enim esset assumptibilis nisi per ordi­ nem quem habet ad animam rationalem, secundum quam habet quod sit caro humana, dictum est enim supra [q. 4 a. l ] quod natura humana prae ceteris est assumptibilis. Ad primum ergo dicendum quod duplex ordo consideraci potest inter creaturam et Deum. Unus quidem, secundum quod creaturae cau­ santur a Deo et dependent ab ipso sicut a principio sui esse. Et sic, propter infinitatem suae virtutis, Deus immediate attingit quamli­ bet rem, causando et conservando. Et ad hoc pertinet quod Deus immediate est in omnibus per essentiam, potentiam et praesentiam. Alius autem ordo est secundum quod res

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3. Due cose si separano se viene tolto il mez­ zo che le univa: come, rimossa la superficie, sparirebbe dal corpo il colore, che gli inerisce mediante la superficie. Ma l' unione del Verbo con il suo corpo perdura, come vedremo [q. 50, a. 2], anche dopo la separazione dell'a­ nima dovuta alla morte. Quindi il Verbo non si unisce al corpo mediante l'anima. In contrario: Agostino afferma: «La potenza infinita di Dio unì a sé l' anima razionale, e per mezzo di essa il corpo umano e l' uomo tutto intero, per redimerlo». Risposta: ciò che è intermedio sta fra un prin­ cipio e un termine. Perciò, come il principio e il termine, così anche ciò che è intermedio implica un ordine. Ma l'ordine può essere di due specie: di tempo o di natura. Ora, secondo l'ordine del tempo non c'è nel mistero dell'in­ carnazione qualcosa di intermedio: infatti, come si vedrà in seguito, il Verbo di Dio unì a sé tutta la natura umana simultaneamente. L'ordine poi di natura può essere considerato sotto due aspetti: primo, rispetto al grado di nobiltà: come diciamo ad es. che gli angeli sono intermedi fra l'uomo e Dio; secondo, ri­ spetto alla causalità: e così tra la prima causa e l'ultimo effetto poniamo la causa intermedia. E questo secondo tipo di ordine deriva sempre in qualche modo dal primo. Dice infatti Dio­ nigi che Dio per mezzo delle sostanze a lui più vicine opera su quelle più lontane. Rispet­ to dunque al grado di nobiltà l'anima si trova fra Dio e il corpo. E in questo senso possiamo dire che il Figlio di Dio ha unito a sé il corpo mediante l ' anima. Ma anche secondo l'ordine della causalità l'anima è in qualche modo cau­ sa dell'unione del Figlio di Dio con la carne. Il corpo infatti non sarebbe assumibile al di fuori del rapporto che lo unisce all'anima ra­ zionale facendone un corpo umano: poiché, come si è visto, spetta alla natura umana di essere assumibile più di ogni altra. Soluzione delle difficoltà: l . Fra le creature e Dio si possono riscontrare due tipi di ordine. Il primo consiste nella dipendenza causale delle creature da Dio quale principio del loro essere. E da questo punto di vista, per l'infini­ tà della sua virtù nel produrre e nel conservare le creature, Dio raggiunge senza intermediari qualsiasi cosa. In questo modo dunque Dio si trova immediatamente in tutte le cose per es­ senza, potenza e presenza. n secondo tipo di

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L 'ordine dell 'assunzione

reducuntur in Deum sicut in finem. Et quan­ tum ad hoc, invenitur medium inter creaturam et Deum, quia inferiores creaturae reducuntur in Deum per superiores, ut dicit Dionysius, in libro De cael. hier. [4,3]. Et ad hunc ordinem pertinet assumptio humanae naturae a Verbo Dei quod est terminus assumptionis. Et ideo per animam unitur carni. Ad secundum dicendum quod, si hypostasis Verbi Dei constitueretur simpliciter per natu­ ram humanam, sequeretur quod corpus esset ei vicinius, cum sit materia, quae est indivi­ duationis principium, sicut et anima, quae est forma specifica, propinquius se habet ad naturam humanam. Sed quia hypostasis est prior et altior quam humana natura, tanto id quod est in humana natura propinquius se habet, quanto est altius. Et ideo propinquior est Verbo Dei anima quam corpus. Ad tertium dicendum quod nihil prohibet aliquid esse causam alicuius quantum ad apti­ tudinem et congruitatem, quo tamen remoto, id non tollitur, quia, etsi fieri alicuius depen­ deat ex aliquo, postquam tamen est in facto esse, ab eo non dependet. Sicut, si inter aliquos amicitia causaretur aliquo mediante, eo rece­ dente adhuc amicitia remanet, et si aliqua in matrimonium ducitur propter pulchritudinem, quae facit congmitatem in muliere ad copu­ lam coniugalem, tamen, cessante pulchritudi­ ne, adhuc durat copula coniugalis. Et sirnili­ ter, separata anima, remanet unio Verbi Dei ad camem.

Q. 6, A. l

ordine consiste invece nel ritorno di tutte le co­ se a Dio come al loro [ultimo] fine. E su que­ sta via troviamo fra le creature e Dio degli intermediari: poiché le creature inferiori ritor­ nano a Dio per mezzo delle creature superiori, come afferma Dionigi. Ora, l'assunzione della natura umana da parte del Verbo di Dio, che è il termine dell'assunzione, rientra in quest'or­ dine. Perciò egli poteva unirsi al corpo me­ diante l'anima. 2. Se l'ipostasi del Verbo di Dio risultasse direttamente dalla natura umana, allora il cor­ po sarebbe più affine all' ipostasi, essendo co­ stituito di materia, che è il principio dell'indi­ viduazione: come anche l'anima, che è la forma specifica, è più affine alla natura uma­ na. Ma poiché nel nostro caso l' ipostasi è preesistente e superiore alla natura umana, di conseguenza le parti di quest'ultima sono tanto più vicine all' ipostasi divina quanto più sono elevate. E così l'anima è più vicina al Verbo di quanto lo sia il corpo. 3. Nulla impedisce che una cosa intervenga nella produzione di un effetto come disposi­ zione congrua, senza tuttavia che venendo essa a mancare sparisca anche l'effetto: seb­ bene infatti quest'ultimo ne dipenda nel dive­ nire, non ne dipende tuttavia nell'essere una volta che è realizzato. Come un'amicizia nata per opera di un intermediario può durare an­ che senza di lui; e se una donna viene sposata per la sua bellezza, che la rende più adatta al matrimonio, il vincolo coniugale continua an­ che quando la bellezza viene meno. Allo stes­ so modo dunque l 'unione del Verbo di Dio con il corpo può continuare anche dopo la separazione dell'anima.

Articulus 2 Utrum Filius Dei assumpserit animam mediante spirito

D Figlio di Dio ha assunto l'anima

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Filius Dei non assumpsit animam mediante spiri tu. l . Idem enim non cadit medium inter ipsum et aliquid aliud. Sed spiritus, sive mens, non est aliud in essentia ab ipsa anima, ut in Prima Parte [q. 77 a. l ad l ] dictum est. Ergo Filius Dei non assumpsit animam mediante spiritu, sive mente. 2. Praeterea, id quo mediante facta est as-

Sembra di no. Infatti: l . Una cosa non può mai essere intermedia fra se stessa e un'altra cosa. Ma lo spirito, o mente, non si distingue in realtà dali' anima stessa, come si è detto nella Prima Parte. Quindi il Figlio di Dio non assunse l'anima mediante lo spitito, o mente. 2. Ciò che ha avuto funzione di mezzo nel­ l' assunzione sembra più assumibile. Ma lo spirito, o mente, non è più assurnibile dell'a-

Articolo 2

mediante lo spirito?

Q. 6, A. 2

L 'ordine del!'assunzione

sumptio, videtur magis assumptibile. Sed spi­ ritus, sive mens, non est magis assumptibilis quam anima, quod patet ex hoc quod spiritus angelici non sunt assumptibiles, ut supra [q. 4 a. l ] dictum est. Ergo videtur quod Filius Dei non assumpserit animam mediante spirito. 3. Praeterea, posterius assumitur a primo me­ diante priori. Sed anima nominat ipsam es­ sentiam, quae est prior naturaliter quam ipsa potentia eius quae est mens. Ergo videtur quod Filius Dei non assumpserit animam me­ diante spirito vel mente. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De agone christiano [ 1 8], invisibilis et incom­

mutabilis veritas per spiritum animam, et per animam corpus accepit. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. l ], Filius Dei dicitur assumpsisse camem anima mediante, tum propter ordinem digni­ tatis, tum etiam propter congruitatem assum­ ptionis. Utrumque autem horum invenitur si comparemus intellectum, qui spiritus dicitur, ad ceteras animae partes. Non enim anima est assumptibilis secundum congruitatem nisi per hoc quod est capax Dei, ad imaginem eius existens, quod est secundum mentem, quae spiritus dicitur, secundum illud Eph. 4 [23], renovamini spiritu mentis vestrae. Similiter etiam intellectus, inter ceteras partes animae, est superior et dignior et Deo similior. Et ideo, ut Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 6], unitum est carni per medium intellectum Ver­ bum Dei, intellectus enim est quod est animae

purissimum; sed et Deus est intellectus. Ad primum ergo dicendum quod, si intellec­ tus non sit aliud ab anima secundum essen­ tiam, distinguitur tamen ab aliis partibus ani­ mae secundum rationem potentiae. Et secun­ dum hoc competit sibi ratio medii. Ad secundum dicendum quod spiritui angeli­ co non deest congruitas ad assumptionem propter defectum dignitatis, sed propter irre­ parabilitatem casus. Quod non potest dici de spirito humano, ut patet ex his quae in Prima Parte [q. 64 a. 2] dieta sunt. Ad tertium dicendum quod anima inter quam et Dei Verbum ponitur medium intellectus, non accipitur pro essentia animae, quae est omnibus potentiis communis, sed pro po­ tentiis inferioribus, quae sunt omni animae communes.

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nima, come risulta dal fatto che gli spiriti an­ gelici non sono assumibili, secondo quanto si è detto sopra. Quindi sembra che il Figlio di Dio non abbia assunto l'anima mediante lo spirito. 3. Ciò che segue viene assunto mediante ciò che precede. Ma l'anima indica l'essenza, la quale in ordine di natura precede la mente, che è una sua potenza. Quindi sembra che il Figlio di Dio non abbia assunto l'anima me­ diante lo spirito, o mente. In contrario: Agostino dice che «la Verità in­ visibile e immutabile prese I' anima mediante lo spirito, e il corpo mediante l'anima>>. Risposta: il Figlio di Dio assunse il corpo me­ diante l'anima per rispettare sia un ordine di nobiltà che un ordine di attitudine, come si è detto. Ma questi motivi valgono anche per l'intelletto, o spirito, in confronto alle altre parti dell'anima. Infatti quanto all'attitudine o convenienza l'anima non è assumibile se non perché è capace di Dio, essendo fatta a sua im­ magine, il che è proprio della mente, che viene detta spirito, secondo le parole di Ef 4 [23]:

Rinnovatevi nello spirito della vostra mente. E così pure l'intelletto è di tutte le altre parti dell' anima la più elevata, la più degna e la più simile a Dio. Perciò, come dice il Dama­ scena, il Verbo di Dio si unì alla carne per mezzo dell'intelletto, «poiché l'intelletto è la parte più pura dell'anima; anzi, anche Dio è intelletto». Soluzione delle difficoltà: l . Se l' intelletto non si distingue dall'anima quanto all'essen­ za, si distingue però dalle altre parti dell'ani­ ma in quanto è una potenza. E sotto questo aspetto ha funzione di mezzo. 2. Allo spirito angelico manca la conveniente assumibilità non per un difetto di nobiltà, ma per l' iiTeparabilità della sua colpa. Il che non si può dire dello spirito umano, come risulta da quanto detto nella Prima Parte. 3. L'anima per la quale l'intelletto fa da inter­ mediario rispetto al Verbo di Dio non indica l'essenza dell'anima, che è comune a tutte le potenze, ma le potenze inferiori, che sono comuni a qualunque anima.

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L 'ordine dell 'assunzione

Q. 6, A. 3

Articulus 3 Utrum anima Christi fuerit prius assumpta a Verbo quam caro

Articolo 3 Vanima di Cristo è stata assunta dal Verbo prima della carne?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ani­ ma Christi fuerit prius assumpta a Verbo quam caro. l . Filius enim Dei assumpsit carnem me­ diante anima, ut dictum est [a. 1 ] . Sed prius pervenitur ad medium quam ad extremum. Ergo Filius Dei prius assumpsit animam quam corpus. 2. Praeterea, anima Christi est dignior angelis, secundum illud Psalmi [96,7], adorate eum, omnes angeli eius. Sed angeli creati sunt a principio, ut in Primo [q. 46 a. 3] habitum est. Ergo et anima Christi. Quae non fui t ante creata quam assumpta, dicit enim Damasce­ nus, in 3 libro [De fide 27], quod nunquam neque anima neque co1pus Christi pmpriam habuerunt hypostasim praeter Verbi hy­ postasim. Ergo videtur quod anima fuerit ante assumpta quam caro, quae est concepta in utero virginali. 3. Praeterea, Ioan. l [ 14] dicitur, vidimus eum plenum gratiae et veritatis, et postea [ 1 6] se­ quitur, de plenitudine eius omnes accepimus, idest, omnes fideles quocumque tempore, ut Chrysostomus exponit [In Ioan. h. 1 4] . Hoc autem non esset nisi Christus habuisset pleni­ tudinem gratiae et veritatis ante omnes sanctos qui fuerunt ab origine mundi, quia causa non est posterior causato. Cum ergo plenitudo gratiae et veritatis fuerit in anima Christi ex unione ad Verbum, secundum illud quod ibidem [ 14] dicitur, vidimus gloriam eius quasi Unigeniti a Patre, plenum gratiae et veritatis; consequens videtur quod a princi­ pio mundi anima Christi fuisset a Verbo Dei assumpta. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 4 libro [De fide 6], non, ut quidam mentiuntur; ante eam quae est ex Virgine incamationem, intellectus est unitus Deo Verbo, et ex lune vo­ catus est Christus. Respondeo dicendum quod Origenes posuit in suo Peri Archon [ 1 ,7-8; 2,8-9] omnes ani­ mas a principio fuisse creatas, inter quas etiam posuit animam Christi creatam. Sed hoc quidem est inconveniens, scilicet, si po­ natur quod fuerit tunc creata sed non statim Verbo unita, quia sequeretur quod anima illa

Sembra di sì. Infatti: l . n Figlio di Dio assunse il corpo per mezzo dell'anima, come si è detto. Ma ciò che è in­ termedio precede il termine. Quindi il Figlio di Dio assunse l'anima prima del corpo. 2. L'anima di Cristo è più nobile degli angeli, come è detto nel Sal 96 [7]: Adoratelo voi tutti suoi angeli. Ma gli angeli furono creati fin dal principio, come si è detto nella Prima Pm1e. Quindi anche l'anima di Cristo. Essa però non fu creata prima di essere assunta poiché, come afferma il Damasceno, «né l'anima né il corpo di Cristo ebbero mai altra ipostasi che quella del Verbo». Sembra quindi doveroso asserire che l ' anima fu assunta prima della carne, la quale fu concepita poi nel seno verginale. 3. In Gv l [ 14] è detto: Lo abbiamo visto pieno di grazia e di verità, e poi [ 1 6]: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, cioè tutti i fedeli di ogni tempo, come spiega il Crisostomo. Ma ciò non sarebbe vero se Cri­ sto non avesse avuto la pienezza della grazia e della verità prima di tutti i santi esistiti fin dal­ l ' origine del mondo, poiché la causa non viene dopo l'effetto. Poiché dunque la pienez­ za della grazia e della verità fu nell'anima di Cristo per l'unione con il Verbo, secondo le parole di Gv [ 1 , 14]: Abbiamo visto la sua glo­ ria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità, per conseguenza sembra che l'anima di Cristo sia stata assunta dal Ver­ bo di Dio fin dal principio del mondo. In contrario: il Damasceno dice: «Non è vero, come erroneamente dicono alcuni, che prima dell'incamazione nel seno della Vergine l'ani­ ma intellettiva fu unita al Dio Verbo, e che da quel momento fu chiamata Cristo». Risposta: Origene riteneva che tutte le anime fossero state create fin dal principio, e tra que­ ste anche l'anima di Cristo. Ma ciò è inam­ missibile se si intende che sia stata creata allora senza essere subito unita al Verbo, poi­ ché in tal caso quell'anima avrebbe dovuto avere per un certo tempo una propria sussi­ stenza indipendentemente dal Verbo. E così, al momento dell'assunzione da parte del Ver­ bo, o non si sarebbe unita secondo la sussi-

Q. 6, A. 3

L 'ordine del!'assunzione

habuisset aliquando propriam subsistentiam sine Verbo. Et sic, cum fuisset a Verbo as­ sumpta, vel non esset facta unio secundum substinentiam; vel corrupta fuisset subsisten­ tia animae praeexistens. - Similiter etiam est inconveniens si ponatur quod anima illa fuerit a principio Verbo unita, et postmodum in utero Virginis incarnata. Quia sic eius anima non videretur eiusdem esse naturae cum nostris, quae simul creantur dum corporibus infunduntur. Unde Leo Papa dicit, in Epistola ad Iulianum [ep. 35,3], quod non alterius naturae erat caro quam nostra, nec a/io illi quam ceteris hominibus est anima inspirata principio. Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra [a. l ] dictum est, anima Christi dicitur esse medium in unione carnis ad Verbum secun­ dum ordinem naturae. Non autem oportet ex hoc quod fuerit medium ex ordine temporis. Ad secundum dicendum quod, sicut Leo Papa in eadem Epistola [ep. 35 Ad Iulian. 3], dicit, anima Christi excellit non diversitate generis, sed sublimitate virtutis. Est enim eiusdem generis cum nostris animabus, sed excellit etiam angelos secundum plenitudinem gra­ tiae et veritatis. Modus autem incarnationis respondet animae secundum proprietatem sui generis, ex quo habet, cum sit corp01is forma, ut creetur simul dum corpori infunditur et unitur. Quod non competit angelis, quia sunt substantiae omnino a corporibus absolutae. Ad tertium dicendum quod de plenitudine Christi omnes homines accipiunt secundum fidem quam habent in ipsum, dicitur enim Rom. 3 [22], quod iustitia Dei est per fidem Iesu Christi in omnes et super olWles qui cre­ dunt in ipsum. Sicut autem nos in ipsum credi­ mus ut incarnatum, ita antiqui crediderunt in ipsum ut nasciturum, habentes enim eundem spiritum credimus, ut dicitur 2 Cor. 4 [ 1 3] . Habet autem fides quae est i n Christum virtutem iustificandi ex proposito gratiae Dei, secundum illud Rom. 4 [5 ] , ei qui non operatur, credenti autem in eum qui iustificat impium, fides reputatur ad iustitiam secun­ dum propositum gratiae Dei. Unde, quia hoc propositum est aeternum, nihil prohibet per fidem Iesu Christi aliquos iustificari ante­ quam eius anima esset piena gratia et veritate.

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stenza, oppure avrebbe dovuto perdere la sus­ sistenza preesistente. - Ma è altrettanto im­ possibile dire che quell'anima fu unita al Ver­ bo fin dal principio, e poi nel seno della Ver­ gine fu infusa nella carne. In tal caso infatti la sua anima non sarebbe della stessa natura della nostra, che viene creata nel medesimo istante in cui è infusa nel corpo. Per cui il papa Leone dice: «La carne [di Cristo] non era di natura diversa dalla nostra, né l'anima ebbe in lui un altro principio diverso da quello degli altri uomini». Soluzione delle difficoltà: l . Come si è detto sopra, l'anima di Cristo fa da intermediaria nell'unione fra la carne e il Verbo in ordine di natura. Ma ciò non esige che sia stata inter­ medimia anche in ordine di tempo. 2. L'anima di Cristo, come dice il papa Leo­ ne, «eccelle non per div�rsità di specie, ma per sublimità di virtù». E infatti della stessa specie delle nostre anime, ma trascende anche gli angeli per pienezza di grazia e di verità [Gv 1 , 14] . Ora, il modo dell' incarnazione è conforme al carattere generico della natura dell'anima la quale, essendo la forma di un corpo, deve essere creata nel preciso istante in cui viene infusa e unita al corpo. Il che non accade negli angeli, essendo essi sostanze prive di ogni corporeità. 3. Dalla pienezza di Ctisto tutti gli uomini ricevono secondo la fede che hanno in lui: infatti in Rm 3 [22] è detto: La giustizia di Dio è per mezzo della fede in Gesù Cristo in tutti e per tutti quelli che credono in lui. Ora, come noi crediamo in Cristo incarnato, così gli antichi credevano in lui nascituro, essendo essi animati dallo stesso spirito di fede, come è detto in 2 Cor 4 [ 1 3]. La fede in Cristo rice­ ve poi la virtù di giustificare dalla gratuita volontà di Dio, come è detto in Rm 4 [5]: A chi non opera, ma crede in colui che giustifi­ ca l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia secondo il decreto della grazia di Dio. Di conseguenza, essendo questo decreto eterno, nulla i mpedisce che per mezzo della fede in Gesù Cristo alcuni venis­ sero giustificati prima che la sua anima fosse piena di grazia e di verità.

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L 'ordine dell 'assunzione

Q. 6, A. 4

Articulus 4 Utrum caro Christi fuit prius a Verbo assumpta quam animae unita

Articolo 4 Il corpo di Cristo è stato assunto dal Verbo prima di essere unito all'anima?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod caro Christi fuit primo a Verbo assumpta quam animae unita. l . Dicit enim Augustinus, in libro De fide ad Petruro [Fulgentius, 18] , .firmissime tene, et

Sembra di sì. Infatti: l . Agostino [Fulgenzio] raccomanda: «Ritieni fermissimamente, senza ombra di dubbio, che la carne di Cristo non fu concepita nel seno della Vergine separata dalla divinità prima di essere assunta dal Verbo». Ma il corpo di Cristo sembra che sia stato concepito prima di essere unito all' anima razionale, poiché la disposizione della materia precede, in via di generazione, la forma specifica. Quindi il corpo di Cristo fu assunto prima di essere unito all'anima. 2. Come l ' anima è una parte della natura umana, così anche il corpo. Ma l'anima uma­ na non ebbe in Cristo un principio di esisten­ za diverso da quello degli altri uomini, come risulta dal testo sopra citato del papa Leone. Quindi neppure il corpo di Cristo cominciò a esistere in modo diverso dal nostro. In noi pe­ rò la carne viene concepita prima dell'esisten­ za dell'anima razionale. Perciò fu così anche per Cristo. Quindi la sua carne fu assunta dal Verbo prima dell'unione con l'anima. 3. Come si legge nel libro De causis, «la cau­ sa prima agisce sull'effetto più della causa se­ conda, e prima di essa si congiunge all'effet­ to». Ma l'anima di Cristo sta al Verbo come la causa seconda sta alla causa prima. Quindi il Verbo si unì al corpo prima dell'anima. In contrario: il Damasceno scrive: «Nel me­ desimo istante il Verbo di Dio si fece carne, la carne ebbe un'anima, l'anima fu razionale e intellettuale». Perciò l'unione del Verbo con il corpo non prevenne l'unione di questo con l'anima. Risposta: il corpo umano è assumibile dal Verbo per il rapporto in cui sta con l'anima razionale, che è la sua forma. Ma tale rappor­ to non lo ha prima di ricevere l'anima razio­ nale, poiché non appena la materia viene disposta a una forma, subito riceve quella forma: per cui in un medesimo istante giunge a compimento l' alterazione preparatoria e viene introdotta la forma sostanziale. Quindi il corpo non doveva essere assunto prima di essere un corpo umano, il che avvenne al mo­ mento dell' i nfusione dell'anima razionale. Come dunque l'anima non fu assunta prima

nullatenus dubites, non carnem Christi sine divinitate conceptam in utero Virginis ante­ quam susciperetur a Verbo. Sed caro Christi videtur prius fuisse concepta quam animae rationali unita, quia materialis dispositio prius est in via generationis quam forma completi­ va. Ergo prius fuit caro Christi assumpta quam animae unita. 2. Praeterea, sicut anima est pars naturae hu­ manae, ita et corpus. Sed anima humana non habuit aliud principium sui esse in Christo quam in aliis hominibus, ut patet ex auctori­ tate Leonis Papae supra [a. 3 ; ep. 35 Ad lulian. 3] inducta. Ergo videtur quod nec cor­ pus Christi aliter habuit principium essendi quam in nobis. Sed in nobis ante concipitur caro quam adveniat anima rationalis. Ergo etiam ita fuit in Christo. Et sic caro prius fuit a Verbo assumpta quam animae unita. 3. Praeterea, sicut dicitur in libro De causis [ 1 ] , causa prima plus influir in causatum, et prius unitur ei quam causa secunda. Sed anima Christi comparatur ad Verbum sicut causa secunda ad primam. Prius ergo Verbum est unitum carni quam anima. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 li­ bro [De fide 2], simul Dei Verbi caro, simul caro animata, rationalis et intellectualis. Non ergo unio Verbi ad camem praecessit unio­ nem ad animam. Respondeo dicendum quod caro humana est assumptibilis a Verbo secundum ordinem quero habet ad animam rationalem sicut ad propriam formam. Hunc autem ordinem non habet antequam anima rationalis ei adveniat, quia simul duro aliqua materia fit propria alicuius formae, recipit illam formam; unde in eodem instanti terminatur alteratio in quo in­ troducitur forma substantialis. Et inde est quod caro non debuit ante assumi quam esset caro humana, quod factum est anima rationali adveniente. Sicut igitur anima non est prius assumpta quam caro, quia contra naturam

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animae est ut prius sit quam empori uniatur; ita caro non debuit prius assumi quam anima, quia non prius est caro humana quam habeat animam rationalem. Ad primum ergo dicendum quod caro huma­ na sortitur esse per animam. Et ideo ante ad­ ventum animae non est caro humana, sed potest esse dispositio ad carnem humanam. In conceptione tamen Christi Spiritus Sanctus, qui est agens intìnitae virtutis, simul et mate­ riam disposuit et ad perfectum perduxit. Ad secundum dicendum quod forma actu dat speciem, materia autem, quantum est de se, est in potentia ad speciem. Et ideo contra ra­ tionem formae esset quod praeexisteret natu­ rae speciei, quae perficitur per unionem eius ad matedam, non autem est contra naturam materiae quod praeexistat naturae speciei. Et ideo dissimilitudo quae est inter originem no­ stram et originem Christi secundum hoc quod caro nostra prius concipitur quam animetur, non autem caro Christi, est secundum id quod praecedit naturae complementum, sicut et quod nos concipimur ex semine viri, non autem Christus. Sed differentia quae esset quantum ad originem animae, redundaret in diversitatem naturae. Ad tertium dicendum quod Verbum Dei per prius intelligitur unitum carni quam anima per modum communem quo est in ceteris creaturis per essentiam, potentiam et praesen­ tiam, prius tamen dico, non tempore, sed na­ tura. Prius enim intelligitur caro ut quoddam ens, quod habet a Verbo, quam ut animata, quod habet ab anima. Sed unione personali prius secundum intellectum oportet quod caro uniatur animae quam Verbo, quia ex unione ad animam habet quod sit unibilis Verbo in persona; praesertim quia persona non inve­ nitur nisi in rationali natura.

del corpo, essendo innaturale per l'anima esi­ stere prima dell'unione con esso, così il corpo non doveva essere assunto pdma dell'anima, non essendo esso un corpo umano prima di avere l'anima razionale. Soluzione delle difficoltà: l . ll corpo umano ri­ ceve l'esistenza per mezzo deli' anima. Quindi prima dell'infusione dell'anima non è un corpo umano, ma può avere una disposizione al cor­ po umano. Tuttavia nel concepimento di Cristo lo Spirito Santo, che è un agente di potenza infinita, conferì in un medesimo istante alla materia sia la disposizione che la perfezione. 2. La forma conferisce la specificazione in at­ to, la materia invece ha di per sé con la specifi­ cazione un rapporto potenziale. Sarebbe quin­ di innaturale per la forma preesistere alla spe­ cie che si costituisce in forza dell'unione della forma con la materia, mentre non è innaturale per la materia preesistere alla specie. Con­ seguentemente la dissomiglianza tra Cristo e noi nell'origine, in quanto cioè il nostro corpo, a differenza di quello di Cristo, viene concepi­ to prima che animato, e viene concepito attra­ verso il seme virile, non riguarda il costitutivo della natura, ma ciò che lo precede. Invece una differenza relativa all'origine dell'anima im­ plicherebbe una differenza di natura. 3. Se consideriamo il Verbo di Dio nel suo comune modo di essere in tutte le creature per essenza, potenza e presenza, allora egli è uni­ to al corpo prima che all'anima: però secondo una priorità non di tempo, ma di natura. Infat­ ti il corpo, prima di essere animato dall'ani­ ma, è un ente derivato dal Verbo. Se invece consideriamo l'unione ipostatica, allora il cor­ po è unito ali' anima prima che al Verbo, poi­ ché il corpo diventa unibile ipostaticamente al Verbo mediante la sua unione con l'anima, specialmente se pensiamo che la persona non si trova che in una natura razionale.

Articulus 5 Utrum Filius Dei assumpserit totam naturam humanam mediantibus partibus

Articolo 5 Il Figlio di Dio ha assunto l 'intera natura umana mediante le parti?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Fi­ lius Dei assumpserit totam naturam humanam mediantibus partibus. l . Dicit enim Augustinus, in libro De agone christiano [ 1 8], quod invisibilis et incommuta-

Sembra di sì. Infatti: l . Agostino dice che «la Verità invisibile e immutabile prese l'anima mediante lo spirito e il corpo mediante l'anima, e così assunse tutto l'uomo». Ma lo spirito, l'anima e il cor-

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L 'ordine dell 'assunzione

bilis veritas per spiritum animam, per ani­ mam corpus, et sic totum hominem assumpsit. Sed spiritus, anima et corpus sunt partes to­ tius hominis. Ergo totum hominem assumpsit mediantibus partibus. 2. Praeterea, ideo Dei Filius carnem assumpsit mediante anima, quia anima est Deo similior quam corpus. Sed partes humanae naturae, cum sint simpliciores videntur esse similiores ei, qui est simplicissimus, quam totum. Ergo assumpsit totum mediantibus partibus. 3. Praeterea, totum resultat ex unione partium. Sed uni o intelligitur ut terminus assumptionis, partes autem praeintelliguntur assumptioni. Ergo assumpsit totum per partes. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 16], in Domino Iesu Christo non partes partium intuemur, sed quae pmxi­ me compommtur, idest deitatem et humanita­ tem. Humanitas autem est quoddam totum, quod componitur ex anima et corpore sicut ex partibus. Ergo Filius Dei assumpsit partes mediante toto. Respondeo dicendum quod, cum dicitur aliquid medium in assumptione incamationis, non designatur ordo temporis, quia simul facta est assumptio totius et omnium partium. Osten­ sum est [aa. 3-4] enim quod simul anima et corpus sunt ad invicem unita ad constituen­ dam naturam humanam in Verbo. Designatur autem ibi ordo naturae. Unde per id quod est prius natura, assumitur id quod est posterius. - Est autem aliquid prius in natura dupliciter, uno modo ex parte agentis, alio modo ex par­ te materiae; hae enim duae causae praeexi­ stunt rei. Ex parte quidem agentis, est simpli­ citer primum id quod primo cadit in eius in­ tentione, sed secundum quid est primum illud a quo incipit eius operatio, et hoc ideo, quia intentio est prior operatione. Ex parte vero materiae, est prius illud quod prius existit in transmutatione materiae. - In incarnatione autem oportet maxime attendere ordinem qui est ex parte agentis, quia, ut Augustinus dicit, in Epistola ad Volusianum [ep. 1 37,2], in talibus rebus tota ratio facti est potentia fa­ cientis. Manifestum est autem quod secun­ dum intentionem facientis prius est comple­ tum quam incompletum, et per consequens, totum quam partes. Et ideo dicendum est quod Verbum Dei assumpsit partes humanae naturae mediante toto. Sicut enim corpus

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po sono le parti dell'uomo intero. Quindi as­ sunse tutto l'uomo mediante le parti. 2 n Figlio di Dio assunse il corpo mediante l'anima perché l'anima assomiglia a Dio più del corpo. Ma le parti della natura umana, essendo più semplici, assomigliano più del­ l ' intero uomo a colui che è semplicissimo. Quindi egli assunse il tutto mediante le parti. 3. n tutto risulta dall'unione delle parti. Ma l'u­ nione va concepita come termine dell'assun­ zione, le parti invece come presupposto. Quin­ di [il Verbo] assunse il tutto mediante le parti. In contrario: il Damasceno dice: «In Gesù Cristo Signore non vediamo le parti delle par­ ti, ma solo quelle che si uniscono direttamen­ te, cioè la divinità e l'umanità». Ora, l'uma­ nità è un tutto che ha come parti l'anima e il corpo. Quindi il Figlio di Dio assunse le parti mediante il tutto. Risposta: quando nell'incarnazione qualcosa viene considerato come realtà intermedia non si fa questione di tempo, poiché l'assunzione del tutto e delle singole parti avvenne simulta­ neamente. Si è già detto infatti che l'anima e il corpo si unirono contemporaneamente �l Verbo per costituire in lui la natura umana. E in causa invece l'ordine di natura. Per cui me­ diante ciò che per natura precede viene assun­ to ciò che segue. - Ma la precedenza di natura può essere intesa in due modi: primo, dalla parte dell'agente; secondo, dalla parte della materia: queste due cause infatti preesistono all'effetto. Dalla parte dell'agente viene prima in senso assoluto ciò che è primo nell'inten­ zione, mentre in senso relativo viene prima ciò che dà l'avvio alla sua operazione: e que­ sto perché l'intenzione precede l'operazione. Dalla parte invece della materia la precedenza spetta a ciò che ha una priorità nella trasfor­ mazione della materia. - Ora, nell' incarnazio­ ne l'ordine che più si impone è quello dell'a­ gente poiché, come dice Agostino, «in fatti di tal genere tutta la ragione sta nella potenza dell'agente». Ora, è evidente che nell' inten­ zione dell' agente il completo viene prima dell'incompleto, e quindi il tutto prima delle parti. Perciò dobbiamo concludere che il Ver­ bo di Dio assunse le parti della natura umana mediante il tutto. Come infatti assunse il cor­ po per il suo rapporto con l'anima razionale, così assunse l'anima e il corpo per il loro rap­ porto con la natura umana.

L 'ordine del!'assunzione

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assumpsit propter ordinem quem habet ad animam rationalem, ita assumpsit corpus et animam propter ordinem quem habent ad humanam naturam. Ad primum ergo dicendum quod ex verbis illis nihil datur intelligi nisi quod verbum, as­ sumendo partes humanae naturae, assumpsit totam humanam naturam. Et sic assumptio partium prior est in via operationis intellectu, non tempore. Assumptio autem naturae est prior in via intentionis, quod est esse prius simpliciter, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod Deus ita est simplex quod etiam est perfectissimus. Et ideo totum est magis simile Deo quam partes, inquantum est perfectius. Ad tertium dicendum quod unio personalis est ad quam terminatur assumptio, non autem unio naturae, quae resultat ex coniunctione partium.

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Soluzione delle difficoltà: l . Le parole citate si­ gnificano solo che il Verbo, assumendo le parti della natura umana, assunse tutta la natura u­ mana. E in questo senso l'assunzione delle par­ ti ha una precedenza nel nostro modo di conce­ pire le cose, anche se non in ordine di tempo. L'assunzione della natura ha però la preceden­ za nell'ordine dell' intenzione: e questa è la precedenza pura e semplice, come si è detto. 2. Dio è insieme semplice e perfettissimo. Perciò il tutto assomiglia a Dio più delle parti, in quanto è più perfetto. 3. Il termine del l ' assunzione non è l ' unità della natura che risulta dal congiungimento delle parti, ma l'unione ipostatica.

Articulus 6

Articolo 6

Utrum Filius Dei assumpserit humanam naturam mediante gratia

Il Figlio di Dio ha assunto la natura umana mediante la grazia?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod Filius Dei assumpserit humanam naturam mediante gratia. l . Per gratiam enim unimur Deo. Sed humana natura in Christo maxime fuit unita. Ergo illa unio facta fuit per gratiam. 2. Praeterea, sicut corpus vivit per animam, quae est eius perfectio, ita anima per gratiam. Sed humana natura redditur congrua ad as­ sumptionem per animam, ut dictum est. Ergo et anima redditur congrua ad assumptionem per gratiam. Ergo Filius Dei assumpsit ani­ mam mediante gratia. 3. Praeterea, Augustinus, 1 5 De Trin. [ I l ] , di­ cit quod Verbum incamatum est sicut verbum nostrum in voce. Sed verbum nostrum unitur voci mediante spiritu. Ergo Verbum Dei uni­ tur carni mediante Spiritu Sancto, et ita me­ diante gratia, quae Spiritui Sancto attribuitur, secundum illud l ad Cor. 1 2 [4] , divisiones

Sembra di sì. Infatti: l . La grazia ci unisce a Dio. Ma in Cristo si ebbe la massima unione della natura umana con Dio. Quindi l'unione ipostatica avvenne per mezzo della grazia. 2. Come il corpo vive in virtù dell' anima, che è la sua perfezione, così l' anima in virtù della grazia. Ma la natura umana diventa assurnibi­ le in forza dell'anima. Quindi il Figlio di Dio assunse l'anima mediante la grazia. 3. Agostino dice che il Verbo si incarnò come la nostra parola si incarna nella voce. Ma la nostra parola si unisce alla voce mediante lo spirito. Quindi il Verbo di Dio si unisce alla carne mediante lo Spirito Santo, e quindi mediante la grazia, che è appropriata allo Spirito Santo, come è detto in l Cor 12 [4] : \1

gratiarum sunt, idem autem Spiritus.

sono diversità di grazie, ma uno solo è lo Spirito. In contrario: la grazia è un accidente dell'ani­ ma, come si è visto nella Seconda Parte. Ma

Sed contra est quod gratia est quoddam ac­ cidens animae, ut in Secunda Parte [1-ll q. 1 10 a. 2 ad 2] habitum est. Unio autem Verbi ad humanam naturam est facta secundum subsi­ stentiam, et non secundum accidens ut ex su­ pra [q. 2 a. 6] dictis patet. Ergo natura huma­ na non est assumpta mediante gratia.

l 'unione del Verbo con la natura umana av­ venne secondo la sussistenza, e non secondo un accidente, come risulta da quanto detto. Quindi la natura umana non fu assunta me­ diante la grazia. Risposta: in Cristo si devono distinguere due grazie: quella dell'unione e quella abituale.

Ill

L 'ordine dell 'assunzione

Respondeo dicendum quod in Christo ponitur gratia unionis, et gratia habitualis. Gratia ergo non potest intelligi ut medium in assumptione humanae naturae, sive loquamur de gratia unionis, sive de gratia habituali. Gratia enim unionis est ipsum esse personale quod gratis divinitus datur humanae naturae in persona Verbi, quod quidem est terminus assumptio­ nis. Gratia autem habitualis pertinens ad spe­ cialem sanctitatem illius hominis, est effectus quidam consequens unionem, secundum illud Ioan. l [ 14], vidimus gloriam eius quasi Uni­ geniti a Patre, plenum gratiae et veritatis; per quod datur intelligi quod hoc ipso quod ille homo est Unigenitus a Patre, quod habet per unionem, habet plenitudinem gratiae et verita­ tis. - Si vero intelligatur gratia ipsa voluntas Dei aliquid gratis faciens vel donans, sic unio facta est per gratiam, non sicut per medium, sed sicut per causam efficientem. Ad primum ergo dicendum quod unio nostra ad Deum est per operationem, inquantum scilicet eum cognoscimus et amamus. Et ideo talis unio est per gratiam habitualem, inquan­ tum operatio perfecta procedit ab habitu. Sed unio naturae humanae ad Verbum Dei est se­ cundum esse personale, quod non dependet ab aliquo habitu, sed immediate ab ipsa natura. Ad secundum dicendum quod anima est per­ fectio substantialis corpmis, gratia vero est perfectio animae accidentalis. Et ideo gratia non potest ordinare animam ad unionem per­ sonalem, quae non est accidentalis, sicut anima corpus. Ad tertium dicendum quod verbum nostrum unitur voci mediante spiritu, non quidem sicut medio formali, sed sicut per medium movens, nam ex verbo concepto interius procedit spiri­ tus, ex quo formatur vox. Et similiter ex Ver­ bo aeterno procedit Spiritus Sanctus, qui for­ mavit corpus Christi ut infra [q. 32 a. l ] pa­ tebit. Non autem ex hoc sequitur quod gratia Spiritus Sancti sit formale medium in unione praedicta.

Q. 6, A. 6

Ora, né l'una né l'altra possono essere consi­ derate quali mezzi nell'assunzione della natu­ ra umana. Infatti la grazia dell'unione è lo stesso essere personale concesso gratuitamen­ te alla natura umana da Dio nella persona del Verbo, che è il termine dell'assunzione. La gra­ zia abituale invece, data per la santità propria di quell'uomo, è un effetto conseguente all'unio­ ne, secondo la testimonianza di Gv l [ 14] :

Abbiamo visto la sua gloria come di Unigeni­ to dal Padre, pieno di grazia e di verità: il che significa che quell'uomo ha la pienezza della grazia e della verità proprio perché in forza dell'unione è l'Unigenito del Padre. - Se in­ vece con il nome di grazia si intende solo la volontà di Dio in quanto fa o dona qualcosa gratuitamente, allora l'unione avvenne me­ diante la grazia; però non come mezzo, ma come causa efficiente. Soluzione delle difficoltà: l . La nostra unione con Dio si attua mediante l'operazione, cioè in quanto noi lo conosciamo e lo amiamo. E a tale unione è necessaria la grazia abituale, poiché è dall'abito che l'operazione procede in modo perfetto. L'unione invece della natu­ ra umana con il Verbo di Dio si attua secondo l'essere personale, che non dipende da alcun abito, ma immediatamente dalla stessa natura. 2. L' anima è la perfezione sostanziale del corpo; la grazia invece è una perfezione acci­ dentale dell'anima. Perciò la grazia non può abilitare l ' anima all'unione ipostatica, che non è accidentale, come invece fa l'anima con il corpo. 3. Lo spirito nell'unire la nostra parola alla voce non funge da intermediario formale, ma da intermediario efficiente: infatti dalla parola pensata interiormente procede lo spirito, che forma la voce. E similmente dal Verbo eterno procede lo Spirito Santo, che ha formato il corpo di Cristo, come vedremo. Ma da ciò non segue che la grazia dello Spirito Santo sia il mezzo formale di detta unione.

Q. 7, A. l

La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

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QUAESTI0 7 DE GRATIA CHRISTI SECUNDUM QUOD EST SINGULARIS HOMO

QUESTIONE ? LA GRAZIA DI CRISTO IN QUANTO UOMO SINGOLARE

Deinde considerandum est de coassumptis a Filio Dei in humana natura. Et primo, de bis quae pertinent ad perfectionem; secundo, de bis quae pertinent ad defectum [q. 14]. Circa primum consideranda sunt tria, primo, de gra­ tia Christi; secundo, de scientia eius [q. 9]; ter­ tio, de potentia ipsius [q. 1 3] . - De gratia autem Christi considerandum est dupliciter, primo quidem, de gratia eius secundum quod est singularis homo; secundo, de gratia eius se­ cundum quod est caput Ecclesiae [q. 8]. Nam de gratia unionis iam [q. 2] dictum est. - Circa primum quaeruntur tredecim. Plimo, utrum in anima Christi sit aliqua gratia habitualis. Se­ cundo, utrum in Christo fuerint virtutes. Tertio, utrum in eo fuerit fides. Quarto, utrum fuerit in eo spes. Quinto, utrum in Christo fuerint dona. Sexto, utrum in Christo fuerit timoris donum. Septimo, utrum in Christo fuerint gratiae gratis datae. Octavo, utrum in Christo fuerit prophetia. Nono, utrum in eo fuerit plenitudo gratiae. De­ cimo, utrum talis plenitudo sit propria Christi. Undecimo, utrum Christi gratia sit infinita. Duodecimo, utrum potuerit augeri. Tertiodeci­ mo, qualiter haec gratia se habeat ad unionem.

Passiamo ora a considerare le realtà coassunte dal Figlio di Dio assieme alla natura umana. Prima quelle che riguardano la perfezione, poi quelle che riguardano l' impetfezione. Riguar­ do alla perfezione dobbiamo esaminare tre co­ se: innanzitutto la grazia di Cristo; poi la sua scienza; infine la sua potenza. - La grazia di Cristo va poi considerata sotto due aspetti: pri­ mo, in quanto riguarda Cristo come uomo sin­ golare; secondo, in quanto lo riguarda come capo della Chiesa. Infatti della grazia dell'unio­ ne abbiamo già parlato. - Sulla grazia di Cristo in quanto uomo singolare si pongono tredici quesiti: l . Nell'anima di Cristo c'era la grazia abituale? 2. In Cristo c'erano le virtù? 3. Cristo ha avuto la fede? 4. Ha avuto la speranza? 5. Ha avuto i doni? 6. Ha avuto il dono del timore? 7. Ha avuto le grazie gratis datae? 8. Ha avuto la profezia? 9. Ha avuto la pienez­ za della grazia? 1 0. Tale pienezza è propria di çristo? I l . La grazia di Cristo è infinita? 12. E potuta crescere? 13. Quali sono i rapporti tra questa grazia e l'unione?

Articulus l Utrum in anima assumpta a Verbo fuerit gratia habitualis

Articolo l Nell'anima assunta dal Verbo c'era la grazia abituale?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in anima assumpta a Verbo non fuerit gratia habitualis. l . Gratia enim est quaedam participatio divi­ nitatis in creatura rationali, secundum illud 2 Petr. l [4], per quem magna et pretiosa nobis promissa donavit, ut divinae simus consortes naturae. Christus autem Deus est non participative, sed secundum veritatem. Ergo in eo non fuit gratia habitualis. 2. Praeterea, gratia ad hoc est necessaria ho­ mini ut per eam bene operetur, secundum il­ lud l Cor. 1 5 [ 1 0], abundantius omnibus la­ boravi, non autem ego, sed gratia Dei me­ cum; et etiam ad hoc quod homo consequatur vitam aetemam, secundum illud Rom. 6 [23], gratia Dei vita aeterna. Sed Christo, ex hoc solo quod erat naturalis Filius Dei, debebatur

Sembra di no. Infatti: l . La grazia è nella creatura razionale una partecipazione della divinità, secondo le paro­ le di 2 Pt l [4]: Egli ci ha donato i beni gran­ dissimi e preziosi che erano stati promessi, perchéfossimo per loro mezzo partecipi della natura divina. Ma Cristo non è Dio per parte­ cipazione, bensì per proprietà di natura. Quindi in lui non c'era la grazia abituale. 2. La grazia è necessaria all ' uomo quale mezzo per compiere il bene, come è detto in l Cor 1 5 [ 1 0] : Ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me; e anche come mezzo per conseguire la vita eterna, secondo le parole di Rm 6 [23]: La grazia di Dio è la vita eterna. Ma a Cristo l'eredità della vita eterna spettava già per il solo fatto di essere il Figlio naturale di Dio.

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

hereditas vitae aetema. Ex hoc etiam quod erat Verbum, per quod facta sunt omnia, aderat ei facultas omnia bona operandi. Non igitur secundum humanam naturam indigebat alia gratia nisi unione ad Verbum. 3. Praeterea, illud quod operatur per modum instrumenti, non indiget habitu ad proprias operationes, sed habitus fundatur in principali agente. Humana autem natura in Christo fuit sicut instntmentum deitatis, ut dicit Damasce­ nus, in 3 libro [De fide 1 5]. Ergo in Christo non debuit esse aliqua gratia habitualis. Sed contra est quod dicitur Isaiae 1 1 [2] , requiescet super eum Spiritus Domini, qui quidem esse in homine dicitur per gratiam ha­ bitualem, ut in Prima Parte [q. 43 a. 3] dictum est. Ergo in Christo fuit gratia habitualis. Respondeo dicendum quod necesse est ponere in Christo gratiam habitualem, propter tria. Primo quidem, propter unionem animae illius ad Verbum Dei. Quanto enim aliquod recepti­ vum propinquius est causae influenti, tanto magis participat de intluentia ipsius. Influxus autem gratiae est a Deo, secundum illud Psalrni [83, 1 2], gratiam et gloriam dabit Do­ minus. Et ideo maxime fuit conveniens ut anima illa reciperet influxum divinae gratiae. - Secundo, propter nobilitatem illius animae, cuius operationes oportebat propinquissime attingere ad Deum per cognitionem et amo­ rem. Ad quod necesse est elevari humanam naturam per gratiam. - Tertio, propter habitu­ dinem ipsius Christi ad genus humanum. Christus enim, inquantum homo, est mediator Dei et hominum, ut dicitur l Tm 2 [5]. Et ideo oportebat quod haberet gratiam etiam in alias redundantem, secundum illud Ioan. l [ 1 6], de plenitudine eius omnes accepimus, gratiam pro grafia. Ad primum ergo dicendum quod Christus est verus Deus secundum personam et naturam divinam. Sed quia cum unitate personae remanet distinctio naturarum, ut ex supra [q. 2 aa. 1-2] dictis patet, anima Christi non est per suam essentiam divina. Unde oportet quod fiat divina per participationem, quae est se­ cundum gratiam. Ad secundum dicendum quod Christo, se­ cundum quod est naturalis Filius Dei, debetur hereditas aetema, quae est ipsa beatitudo in­ creata, per increatum actum cognitionis et amoris Dei, eundem scilicet quo Pater cogno-

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Per il fatto poi che era il Verbo, mediante il quale tutte le cose sono state create [Gv 1 ,3], aveva il potere di compiere ogni bene. Quindi secondo la natura umana non aveva bisogno di altra grazia oltre a quella dell'unione con il Verbo. 3. Ciò che opera come strumento non ha biso­ gno di abiti per le proprie operazioni: l'abito infatti ha come soggetto l'agente principale. Ora, la natura umana era in Cristo «lo strumen­ to della divinità>>, come dice il Damasceno. In Cristo dunque non c'era bisogno di alcuna grazia abituale. In contrario: in Is 1 1 [2] è detto: Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, il quale si dice presente nell'uomo mediante la grazia abitua­ le, come si è esposto nella Prima Parte. Quin­ di in Cristo c'era la grazia abituale. Risposta: per tre ragioni è necessario ammet­ tere in Cristo la grazia abituale. Primo, per l'unione esistente tra la sua anima e il Verbo di Dio. Quanto più infatti un soggetto perfetti­ bile è vicino alla causa influente, tanto più ne risente l'influsso. Ora, l'influsso della grazia viene da Dio, come è detto nel Sal 83 [ 12]: Il Signore darà grazia e gloria. Perciò era som­ mamente conveniente che l'anima di Cristo ricevesse l'influsso della grazia divina. - Se­ condo, per la nobiltà della sua anima, le cui operazioni di conoscenza e di amore doveva­ no avere il più intimo contatto con Dio. ll che richiede l ' elevazione della natura umana mediante la grazia. - Terzo, per la relazione dello stesso Cristo con il genere umano. Cri­ sto infatti in quanto uomo è il mediatore fra Dio e gli uomini, come è detto in l Tm 2 [5]. Era quindi necessario che avesse una grazia traboccante anche sugli altri, secondo le paro­ le di Gv l [ 1 6]: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo è vero Dio secondo la persona e la natura divina. Rima­ nendo però con l'unità della persona la distin­ zione delle nature, come si è già spiegato, l'anima di Cristo non è divina nella sua essen­ za. Deve quindi diventare divina per parteci­ pazione, ossia mediante la grazia. 2. A Cristo in quanto Figlio naturale di Dio spetta l'eredità eterna, cioè la stessa beatitudi­ ne increata, consistente nell'atto increato di cognizione e di amore di Dio, quel medesimo atto cioè con cui il Padre conosce e ama se

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scit et amat seipsurn. Cuius actus anima capax non erat, propter differentiam naturae. Unde oportebat quod attingeret ad Deurn per acturn fruitionis creatum. Qui quidem esse non potest nisi per gratiam. - Similiter etiam, inquantum est Verbum Dei, habuit facultatem omnia bene operandi operatione divina. Sed quia, praeter operationem divinam, oportet ponere operatio­ nem humanam, ut infra [q. 1 9 a. l ] patebit; oportuit in eo esse habitualem gratiam, per quam huiusmodi operatio in eo esset pertecta. Ad tertium dicendum quod humanitas Christi est instrumentum divinitatis, non quidem sicut instrumentum inanimatum, quod nullo modo agit sed solum agitur, sed tanquam in­ strumentum animatum anima rationali, quod ita agit quod etiam agitur. Et ideo, ad conve­ nientiam actionis, oportuit eum habere gra­ tiam habitualem.

stesso. Ma di tale atto l'anima non era capace, data la differenza di natura. Era quindi neces­ sario che questa fosse elevata a Dio mediante un atto beatifico creato. E ciò non è possibile se non mediante la grazia. - Similmente come Verbo di Dio aveva il potere di bene operare in tutto con l'operazione divina. Ma poiché, co­ me risulterà in seguito, oltre all'attività divina occorre ammettere in Cristo un'attività umana, era necessario che in lui ci fosse la grazia abi­ tuale per rendere perfetta quest'ultima. 3. L'umanità di Cristo è stnunento della divi­ nità non al modo di uno strumento inanimato, che non è per nulla attivo, ma soltanto passivo, bensì al modo di uno strumento animato dall'a­ nima razionale, che è insieme movente e mos­ so. Quindi per la congruità del suo agire era necessario che egli avesse la grazia abituale.

Articulus 2 Utrum in Christo fuerint virtutes

Articolo 2 In Cristo c'erano le virtù?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerint virtutes. l . Christus enim habuit abundantiam gratiae. Sed gratia sufficit ad omnia recte agendum, secundum illud 2 Cor. 1 2 [9], sufficit tibi gra­ fia mea. Ergo in Christo non fuerunt virtutes. 2. Praeterea, secundurn philosophum, 7 Ethic. [ 1 ,1 ], virtus dividitur contra quendam heroicum sive divinum habitum, qui attribuitur homini­ bus divinis. Hoc autem maxime convenit Christo. Ergo Christus non habuit virtutes, sed aliquid altius virtute. 3. Praeterea, sicut in Secunda Parte [1-11 q. 65 aa. 1 -2] dictum est, virtutes omnes simul habentur. Sed Christo non fuit conveniens habere simul omnes virtutes, sicut patet de liberalitate et magnificentia, quae habent actum suum circa divitias, quas Christus contempsit, secundum illud Matth. 8 [20],

Sembra di no. Infatti: l . Cristo aveva l 'abbondanza della grazia. Ma la grazia è sufficiente per compiere bene ogni azione, come è detto in 2 Cor 1 2 [9]: 1i basta la mia grazia. Quindi in Cristo non c'erano le virtù. 2. Secondo il Filosofo la virtù si contrappone all' «abito eroico o divino», che viene attribui­ to agli uomini divini. Ma esso spettava som­ mamente a Cristo. Egli dunque non aveva le virtù, ma qualcosa di meglio. 3. Come si è detto nella Seconda Parte, le vir­ tù sono possedute tutte insieme. Ma in Cristo non ci potevano essere tutte le virtù: come è chiaro per la liberalità e la magnificenza, che presuppongono le ricchezze, che Cristo inve­ ce disprezzò, come è detto in Mt 8 [20] :

Filius hominis non habet ubi caput suum reclinet. Temperantia etiam et continentia sunt circa concupiscentias pravas, quae in Christo non fuerunt. Ergo Christus non habuit virtutes. Sed contra est quod super illud Psalmi [ 1,2], sed in lege Domini voluntas eius, dicit Glossa [Lomb.; cf. ord.; Cassiodorum, Exp. in Psalt. l ,2], hic ostenditur Christus plenus omni bono. Sed bona qualitas mentis est virtus. Ergo Christus fuit plenus omni virtute.

Il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo. E anche la temperanza e la continenza vengo­ no esercitate nei riguardi delle concupiscenze cattive, che in Cristo non c'erano. Quindi Cri­ sto non aveva le virtù. In contrario: la Glossa, sul Sal l [2]: Ma nella legge del Signore è la sua volontà, osserva: «Qui si presenta il Cristo pieno di ogni bontà>>. Ma la virtù è «una buona qualità della men­ te». Quindi Cristo era pieno di ogni virtù. Risposta: nella Seconda Parte abbiamo detto che le virtù perfezionano le potenze dell'ani-

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Respondeo dicendurn quod, sicut in Secunda Parte [1-11 q. 1 10 a. 4] habitum est, sicut gratia respicit essentiam animae, ita virtus respicit eius potentiam. Unde oportet quod, sicut po­ tentiae animae derivantur ab eius essentia, ita virtutes sunt quaedam derivationes gratiae. Quanto autem aliquod principium est perfec­ tius, tanto magis imprimit suos effectus. Un­ de, cum gratia Christi fuerit perfectissima, consequens est quod ex ipsa processerint virtutes ad perticiendum singulas potentias animae, quantum ad omnes animae actus. Et ita Christus habuit omnes virtutes. Ad primum ergo dicendum quod gratia suf­ ficit homini quantum ad omnia quibus ordi­ natur ad beatitudinem. Horum tamen quae­ dam perficit gratia immediate per seipsam, sicut gratum tacere Deo, et alia huiusmodi, quaedam autem mediantibus virtutibus, quae ex gratia procedunt. Ad secundum dicendum quod habitus ille heroicus vel divinus non differt a virtute com­ muniter dieta nisi secundum perfectiorem modum, inquantum scilicet aliquis est dispo­ situs ad bonum quodam altiori modo quam communiter omnibus competat. Unde per hoc non ostenditur quod Christus non habuit virtutes, sed quod habuit eas perfectissime, ultra communem modum. Sicut etiam Plati­ nus posuit [cf. In Som. S. l ,8] quendam sublimem modum virtutum, quas esse dixit purgati animi. Ad tertium dicendum quod liberalitas et ma­ gniticentia commendantur circa divitias in­ quantum aliquis non tantum appretiatur divi­ tias quod velit eas retinere praetermittendo id quod fieri oportet. Ille autem minime divitias appretiatur qui penitus eas contemnit et abiicit propter perfectionis amorem. Et ideo in hoc ipso quod Christus omnes divitias contempsit, ostendit in se summum gradum liberalitatis et magnificentiae. Licet etiam liberalitatis actum exercuerit, secundum quod sibi conveniens erat faciendo pauperibus erogati quae sibi dabantur, unde, cum Dominus dixit Iudae, loan. 1 3 [27], quod facis, fac citius, discipuli i ntellexerunt Dominum mandasse quod egenis aliquid daret [29]. - Concupiscentias autem pravas Christus omnino non habuit, sicut infra [q. 1 5 a. 2] patebit. Propter hoc tamen non excluditur quin habuerit tempe­ rantiam, quae tanto perfectior est in homine

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ma, come la grazia perfeziona la sua essenza. Per cui è necessario che come le potenze del­ l' anima derivano dalla sua essenza, così le virtù siano come delle derivazioni della gra­ zia. Ora, più una causa è perfetta e più influi­ sce sugli effetti. Di conseguenza, essendo stata la grazia di Cristo perfettissima, da essa necessariamente scaturirono le virtù perfettive delle singole potenze dell'anima quanto a tutte le sue operazioni. Quindi Cristo aveva tutte le virtù. Soluzione delle difficoltà: l . La grazia basta ali 'uomo per tutte quelle cose che devono condurlo alla beatitudine. Ma alcune di tali cose la grazia le produce direttamente da se stessa, come renderei accetti a Dio e altre simili; altre invece le ottiene per mezzo delle virtù, che scaturiscono dalla grazia. 2. Quell'abito eroico o divino differisce dalla virtù comune solo per la perfezione, in quanto cioè abilita al bene in misura superiore al nor­ male. Per cui ciò non significa che Cristo non avesse le virtù, ma che le aveva in modo perfet­ tissimo al di là della misura comune. Come an­ che Platino ammetteva un grado sublime di virtù, che diceva essere proprio dell' «animo purificato». 3. La liberalità e la magnificenza vengono rac­ comandate nei riguardi delle ricchezze in quanto non ce le fanno apprezzare tanto da farci trascurare per esse il nostro dovere. Ma tanto meno le apprezza colui che le disprezza del tutto e le rifiuta per amore della pert'ezio­ ne. Perciò Cristo, per il fatto stesso di disprez­ zare tutte le ricchezze, dimostrò di possedere in sommo grado la liberalità e la magnificen­ za. Tuttavia egli esercitò la liberalità come gli si addiceva, facendo cioè distribuire ai poveri le offerte che gli pervenivano: per cui, quando il Signore disse a Giuda: Quello che fai, fallo presto, i discepoli pensarono che gli avesse comandato di dare qualcosa ai poveri (Gv 1 3,27.29). - Cristo poi non aveva in alcun modo le concupiscenze cattive, come vedre­ mo. Ma ciò non significa che egli non avesse la temperanza, che è tanto più perfetta quanto più uno è libero dalle concupiscenze disordi­ nate. Per cui il temperante, secondo il Filoso­ fo, differisce dal continente per il fatto che il temperante non ha le concupiscenze cattive, mentre il continente le reprime. Stando dun­ que a questo significato della continenza inte-

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quanto magis pravis concupiscentiis caret. Unde, secundum philosophum, in 7 Ethic. [9,6], temperatus in hoc differt a continente, quod temperatus non habet pravas concu­ piscentias, quas continens patitur. Unde, sic accipiendo continentiam sicut philosophus accipit, ex hoc ipso quod Christus habuit omnem virtutem, non habuit continentiam, quae non est virtus, sed aliquid minus virtute.

so dal Filosofo, per il fatto stesso che Cristo aveva tutte le virtù segue che non aveva la continenza, che non è una virtù, ma qualcosa di meno.

Articulus 3 Utrum in Christo fuerit fides

Articolo 3 Cristo aveva la fede?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in Christo fuerit fides. l . Fides enim est nobilior virtus quam virtutes morales, puta temperantia et l iberali tas. Huiusmodi autem virtutes fuerunt in Christo, ut dictum est [a. 2]. Multum ergo magis fuit in eo fides. 2. Praeterea, Christus non docuit virtutes quas ipse non habuit, secundum illud Act. l [ 1 ] , coepit Iesus facere et docere. Sed de Christo dicitur, Hebr. 12 [2], quod est auctor et con­ summatorfidei. Ergo in eo maxime fuit fides. 3 . Praeterea, quidquid est imperfectionis excluditur a beatis. Sed in beatis est fides, nam su per illud Rom. l [ 1 7] , iustitia Dei revelatur in eo ex fide in fidem, dicit Glossa [ord. et Lomb.], de fide verhorum et spei in fidem rerum et speciei. Ergo videtur quod etiam in Christo fuerit fides, cum nihil imper­ fectionis importet. Sed contra est quod dicitur Hebr. 1 1 [ 1 ], quod fides est argumentum non apparentium. Sed Christo nihil fuit non apparens, secundum illud quod dixi t ei Petrus, Ioan. 21 [ 1 7], tu omnia nosti. Ergo in Christo non fuit fides. Respondeo dicendum quod, sicut in Secunda Parte [TI-TI q. 4 a. l ] dictum est, obiectum fidei est res divina non visa. Habitus autem virtutis, sicut et quilibet alius, recipit speciem ab obiecto. Et ideo, excluso quod res divina non sit visa, excluditur ratio fidei. Christus autem in primo instanti suae conceptionis piene vidit Deum per essentiam, ut infra [q. 34 a. 4] patebit. Unde fides in eo esse non potuit. Ad primum ergo dicendum quod fides est nobilior virtutibus moralibus, quia est circa nobiliorem materiam, sed tamen i mportat quendam defectum in comparatione ad illam materiam, qui defectus in Christo non fuit. Et

Sembra di sì. Infatti: l . La fede è una virtù più nobile delle virtù morali, per es. della temperanza e della libera­ lità. Ma queste virtù c'erano in Cristo, come si è detto. Molto più dunque c'era in lui la fede. 2. Cristo non insegnava delle virtù che egli stesso non avesse, come è detto in At l [ 1 ] : Gesù cominciò a fare e a insegnare. M a in Eh 12 [2] è detto di Cristo che è autore e per­ fezionatore della fede. Quindi in lui la fede ci fu in grado sommo. 3. Tutto ciò che comporta imperfezione va escluso dai beati. Ma nei beati c'è la fede. Infatti alle parole di Rm l [ 17]: In lui si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, la Glossa aggiunge: «Dalla fede nelle parole di speran­ za alla fede nelle realtà manifestate». Quindi sembra che anche in Cristo ci fosse la fede, non implicando essa alcuna imperfezione. In contrario: in Eh 1 1 [ l ] è detto: La fede è prova delle cose che non si vedono. Ma a Cristo nulla era ignoto, secondo quanto Pietro gli disse: Tu sai tutto (Gv 2 1 , 1 7). In Cristo dunque non c'era la fede. Risposta: l'oggetto della fede, come si è detto nella Seconda Parte, è la realtà divina non evidente. Ora l'abito della fede, come anche ogni altro, riceve la sua specificazione dal­ l'oggetto. Se dunque si toglie l' inevidenza della realtà divina, viene meno la fede. Ma Cristo fin dal primo istante del suo concepi­ mento ebbe la piena visione dell'essenza di Dio, come vedremo. Quindi non ci poteva essere in lui la fede. Soluzione delle difficoltà: l . La fede è più nobile delle virtù morali perché ha un oggetto più alto; tuttavia il modo in cui lo attinge comporta una certa imperfezione, che i n

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ideo non potuit in eo esse fides, licet fuerint in eo virtutes morales, quae in sui ratione huius­ modi defectum non important per compara­ tionem ad suas materias. Ad secundum dicendum quod meritum fidei consistit in hoc quod homo, ex obedientia Dei, assentit istis quae non videt, secundum illud Rom. l [5], ad obediendum fide i in omnibus gentibus pro nomine eius. Obedien­ tiam autem ad Deum pienissime habuit Chri­ stus, secundum illud Phil. 2 [8], factus est obediens usque ad mortem. Et sic nihil ad meritum pertinens docuit quod ipse excellen­ tius non impleret. Ad tertium dicendum quod, sicut Glossa [ord. et Lomb. super Rom. 1 , 17; cf. Q. Evang. 2,39 super Matth. 17 ,5] ibidem dicit, fides proprie est qua creduntur quae non videntur. Sed fides quae est rerum visarum, improprie dicitur, et secundum quandam sirnilitudinem, quantum ad certitudinem aut firmitatem adhaesionis.

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Cristo non c'era. Quindi in lui non ci poteva essere la fede, sebbene ci fossero le virtù morali, che non comportano tale imperfezio­ ne relativamente al loro oggetto. 2. n merito della fede consiste in questo, che l' uomo per obbedienza a Dio ritiene come vero ciò che non gli è evidente, come è detto in Rm l [5] : Per ottenere l 'obbedienza alla

fede da parte di tutte le genti a gloria del suo nome. Ora, Cristo ebbe una pett'ettissima ob­ bedienza verso Dio, come è detto in Fil 2 [8]: Si è fatto obbediente fino alla morte. È quindi vero che egli non insegnò nulla di meritorio che egli stesso non eseguisse in un modo più eccellente. 3. Come dice la Glossa nel medesimo passo, «la fede consiste propriamente nel credere le cose che non si vedono». Perciò quella che ha per oggetto le realtà evidenti viene detta fede in senso improprio, e per una certa somiglian­ za nella certezza o fermezza dell'assenso.

Articulus 4 Utrum in Christo fuerit spes

Articolo 4 Cristo aveva la speranza?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in Christo fuerit spes. l . Dicitur enim in Psalmo [30,2] ex persona Christi, secundum Glossam [cf. int.], in te, Do­ mine, speravi. Sed virtus spei est qua homo sperat in Deum. Ergo virtus spei fuit in Christo. 2. Praeterea, spes est expectatio futurae beatitudinis, ut in Seconda Parte [ll-11 q. 17 a. l ad 2; a. 5; a. 6 arg. 2] habitum est. Sed Chri­ stus aliquid expectabat ad beatitudinem perti­ nens, videlicet gloriam corporis. Ergo videtur quod in eo fuit spes. 3 . Praeterea, unusquisque potest sperare id quod ad eius perfectionem pertinet, si sit futu­ rum. Sed aliquid erat futurum quod ad perfec­ tionem Christi pertinet, secundum illud Eph. 4 [ 1 2], ad consummationem sanctorum, in

Sembra di sì. Infatti: l . La Glossa attribuisce a Cristo le parole del Sal 30 [2]: In te, Signore, ho sperato. Ma la speranza è la vittù per cui l'uomo spera in Dio. Quindi in Cristo c'era la virtù della speranza. 2. La speranza è l'attesa della beatitudine futura, come si è detto nella Seconda Parte. Ma Cristo attendeva qualcosa di inerente alla sua beatitudine, cioè la gloria del corpo. Quindi sembra che in lui ci fosse la speranza. 3. Per ognuno può essere oggetto di speranza ciò che in futuro contribuirà alla sua perfezio­ ne. Ma alla perfezione di Cristo c'era qualco­ sa da aggiungere in futuro, come è detto in Ef 4 [ 1 2] : Per il pe!fezionamento dei santi

opus ministerii, in aedificationem corporis Christi. Ergo videtur quod Christo compete­ bat habere spem. Sed contra est quod dicitur Rom. 8 [24] , quod videt quis, quid sperat? Et sic patet quod, sicut fides est de non visis, ita et spes. Sed fides non fuit in Christo, sicut dictum est [a. 3]. Ergo nec spes. Respondeo dicendum quod, sicut de ratione fidei est quod aliquis assentiat his quae non

nell 'opera del ministero, per l 'edificazione del corpo di Cristo. Quindi sembra che a Cristo si addicesse la speranza. In contrario: in Rm 8 [24] è detto: Cià che uno già vede, come potrebbe ancora �perarlo? E così è chiaro che al pari della fede anche la speranza è di cose non evidenti. Ma in Cristo non c'era la fede, come si è detto. Quindi neppure la speranza. Risposta: come la fede consiste nell'assenso a ciò che non si vede, così la speranza consiste nell'attesa di ciò che ancora non si possiede.

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videt, ita de ratione spei est quod aliquis expectet id quod nondum habet. Et sicut fides, inquantum est virtus theologica, non est de quocumque non viso, sed solum de Deo, i ta etiam spes, inquantum est virtus theologica, habet pro obiecto ipsam Dei fruitionem, quam principaliter homo expectat per spei virtutem. Sed ex consequenti ille qui habet virtutem spei, potest etiam i n aliis divinum auxilium expectare, sicut et ille qui habet virtutem fidei, non solum credit Deo de rebus divinis, sed de quibuscumque aliis sibi divinitus revelatis. - Christus autem a principio suae conceptionis piene habuit fruitionem divinam, ut infra [q. 34 a. 4] dicetur. Et ideo virtutem spei non habuit. Habuit tamen spem respectu aliquorum quae nondum erat adep­ tus, licet non habuit fidem respectu quorum­ cumque. Quia, licet piene cognosceret omnia, per quod totaliter fides excludebatur ab eo, non tamen adhuc piene habebat omnia quae ad eius perfectionem pertinebant, puta im­ mortalitatem et gloriam corporis, quam pote­ rat sperare. Ad primum ergo dicendum quod hoc non dici­ tur de Christo secundum spem quae est virtus theologica, sed eo quod quaedam alia speravit nondum habita, sicut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod gloria corpotis non pertinet ad beatitudinem sicut in quo prin­ cipaliter beatitudo consistat, sed per quandam redundantiam a gloria animae, ut in Secunda Parte [l-Il q. 4 a. 6] dictum est. Unde spes, se­ cundum quod est virtus theologica, non respi­ cit beatitudinem corporis, sed beatitudinem animae, quae in divina fruitione consistit. Ad tertium dicendum quod aedificatio Eccle­ siae per conversionem fidelium non pertinet ad perfectionem Christi qua in se perfectus est, sed secundum quod alios ad participatio­ nem suae perfectionis inducit. Et quia spes di­ citur proprie respectu alicuius quod expecta­ tur ab ipso sperante habendum, non proprie potest dici quod virtus spei Christo conveniat ratione inducta.

E come la fede in quanto virtù teologale non si riferisce a qualunque cosa non vista, ma a Dio soltanto, così anche la speranza in quanto virtù teologale ha per oggetto il godimento stesso di Dio, che è per l'uomo la principale attesa della virtù della speranza. Però chi ha la virtù della speranza può conseguentemente attendere l'aiuto divino anche per altre cose, come anche chi ha la virtù della fede crede a Dio non solo nelle realtà divine, ma in qua­ lunque altra cosa che Dio gli abbia rivelato. Ora, Cristo fin dal principio del suo concepi­ mento ebbe il pieno godimento di Dio, come vedremo. Quindi non aveva la virtù della spe­ ranza. Tuttavia aveva la speranza rispetto ad alcuni beni non ancora conseguiti, quantun­ que non avesse la fede in alcun modo. E ciò perché, sebbene conoscesse tutto perfetta­ mente, per cui la fede era totalmente impedi­ ta, non possedeva però ancora pienamente tutto ciò che era destinato alla sua perfezione: per es. l'immortalità e la gloria del corpo, che poteva sperare. Soluzione delle difficoltà: l . Quelle parole si riferiscono a Cristo non quanto alla virtù teo­ logale della speranza, ma quanto all'attesa di alcuni beni non ancora da lui posseduti, come si è detto. 2. La gloria del corpo appartiene alla beatitu­ dine non come suo elemento principale, ma per una certa ridondanza della gloria dell'ani­ ma, come si è spiegato nella Seconda Parte. Per cui la speranza, quale virtù teologale, non ha per oggetto la beatitudine del corpo, ma quella dell'anima, che consiste nel godimento di Dio. 3. L'edificazione della Chiesa mediante la conversione dei fedeli contribuisce alla perfe­ zione di Cristo non nel senso che lo perfezio­ ni personalmente, ma in quanto comunica ad altri la sua perfezione. E siccome la speranza si dice propriamente di ciò che uno spera per sé, non ci si può valere del motivo addotto per attribuire a Cristo la virtù della speranza in senso proprio.

Articulus 5 Utrum in Christo fuerint dona

Articolo 5 Cristo aveva i doni?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerint dona. l . Sicut enim communiter dicitur, dona dantur

Sembra di no. Infatti: l . Come si dice comunemente, i doni vengo­ no dati in aiuto alle virtù. Ma ciò che è perfet-

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in adiutorium virtutum. Sed id quod est in se perfectum, non indiget exteriori auxilio. Cum igitur in Christo fuerint virtutes perfectae, videtur quod in eo non fuerunt dona. 2. Praeterea, non videtur esse eiusdem dare dona et recipere, quia dare est habentis, acci­ pere autem non habentis. Sed Christo conve­ nit dare dona, secundum illud Psalmi [67, 1 9], dedit dona hominibus. Ergo Christo non convenit accipere dona Spiritus Sancti. 3. Praeterea, quatuor dona videntur pertinere ad contemplationem viae scilicet sapientia, scientia, intellectus et consilium, quod pertinet ad prudentiam, unde et philosophus, i n 6 Ethic. [3, 1 ] , numerat ista inter virtutes intellec­ tuales. Sed Christus habuit contemplationem patriae. Ergo non habuit huiusmodi dona. Sed contra est quod dicitur Isaiae 4 [ l ], appre­ hendent septem mulieres virum unum, Glossa [ord.; Hieronymus, In Isaiam 2 super 4, 1 ] , idest, septem dona Spiritus Sancii Christum. Respondeo dicendum quod, sicut in Secunda Parte [l-Il q. 68 a. l ] dictum est, dona proprie sunt quaedam perfectiones potentiarum animae secundum quod sunt natae moveri a Spiritu Sancto. Manifestum est autem quod anima Christi perfectissime a Spiritu Sancto moveba­ tur secundum illud Luc. 4 [ l ], lesus, plenus Spi­ ritu Sancto, regressus est a lordane, et agebatur a Spiritu in desertum. Unde manifestum est quod in Christo fuerunt excellentissime dona Ad primum ergo dicendum quod illud quod est perfectum secundum ordinem suae natu­ rae, indiget adiuvari ab eo quod est altioris naturae, sicut homo, quantumcumque perfec­ tus, indiget adiuvari a Deo. Et hoc modo vir­ tutes indigent adiuvari per dona, quae perfi­ ciunt potentias animae secundum quod sunt motae a Spiritu Sancto. Ad secundum dicendum quod Christus non secundum idem est recipiens et dans dona Spiritus Sancti, sed dat secundum quod Deus, et accipit secundum quod homo. Unde Gre­ gorius dicit, in 2 Mor. [56], quod Spiritus Sanctus humanitatem Christi nunquam dese­ ruit, ex cuius divinitate procedit. Ad tertium dicendum quod in Christo non solum fuit cognitio patriae, sed etiam cognitio viae, ut infra [q. 1 5 a. IO] dicetur. Et tamen etiam in patria sunt per aliquem modum dona Spiritus Sancti, ut in Secunda Parte [I-II q. 68 a. 6] habitum est.

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to in se stesso non ha bisogno di aiuto ester­ no. Poiché dunque in Cristo le virtù erano perfette, sembra che in lui non ci fossero i doni. 2. Il dare e il ricevere suppongono soggetti diversi, poiché il dare è di chi ha e il ricevere di chi non ha. Ma a Cristo compete di dare i doni, come è detto nel Sal 67 [ 1 9] : Diede doni agli uomini. Quindi a Cristo non si addi­ ce di ricevere i doni dello Spirito Santo. 3. Quattro doni si riferiscono alla conoscenza propria dei viatori: la sapienza, la scienza, l'intelletto e il consiglio, che rientra nella pru­ denza; tanto che anche il Filosofo pone queste cose tra le virtù intellettuali. Ma Cristo aveva la conoscenza propria dei comprensori. Quin­ di non aveva tali doni. In contrario: a proposito di fs 4 [ 1 ] : Sette donne avranno un uomo solo, la Glossa spie­ ga: «Cioè i sette doni dello Spirito Santo pos­ sederanno Cristo». Risposta: come si è detto nella Seconda Pmte, i doni sono propriamente dei perfezionamenti delle potenze dell'anima in ordine alle mozio­ ni dello Spirito Santo. Ora, è evidente che I' anima di Cristo era mossa perfettissima­ mente dallo Spirito Santo, come è detto in Le 4 [ 1 ] : Gesù, pieno di Spirito Santo, si al­ lontanò dal Giorqano e fu condotto dallo Spi­ rito nel deserto. E chiaro dunque che in Cri­ sto c'erano i doni nella maniera più eccelsa. Soluzione delle difficoltà: l . Ciò che è perfet­ to secondo la propria natura ha bisogno del­ I' aiuto di ciò che ha una natura superiore: come all'uomo, per quanto perfetto, è neces­ sario il soccorso di Dio. E in questo senso le virtù richiedono l'aiuto dei doni, che perfezio­ nano le potenze deli' anima in ordine alla mozione dello Spirito Santo. 2. Cristo riceve e dà i doni dello Spirito Santo non sotto il medesimo aspetto, ma li dà in quanto Dio e li riceve in quanto uomo. Perciò Gregorio dice che «lo Spirito Santo, proce­ dente dalla divinità di Cristo, non abbandonò mai la sua umanità». 3. In Cristo non c'era solo la conoscenza pro­ pria della patria beata, ma anche la conoscen­ za propria deila vita presente, come si dirà in seguito. Tuttavia anche in cielo ci sono i doni dello Spirito Santo in un certo modo, come si è detto nella Seconda Parte.

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

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Articulus 6 Utrum in Christo fuerit donum timoris

Articolo 6 Cristo aveva il dono del timore?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuit donum timoris. l . Spes enim potior videtur quam timor, nam spei obiectum est bonum, timoris vero malum, ut in Seconda Parte [1-11 q. 40 a. l ; q. 41 a. 2; q. 42 a. l ] habitum est. Sed in Christo non fuit virtus spei, ut supra [a. 4] habitum est. Ergo etiam non fuit in eo donum timoris. 2. Praeterea, dono timoris timet aliquis vel se­ parationem a Deo, quod pertinet ad timorem castum; vel puniri ab ipso, quod pertinet ad timorem seJVilem; ut Augustinus dicit, Super canonicam Ioan. [tract. 9 super 4, 1 8] . Sed Christus non timuit separari a Deo per pecca­ tum, neque puniri ab eo propter culpam suam, quia impossibile erat eum peccare, ut infra [q. 1 5 a. l ] dicetur; timor autem non est de impos­ sibili. Ergo in Christo non fuit donum timoris. 3. Praeterea, l Ioan. 4 [ 1 8] dicitur, peifecta caritas foras mittit timorem. Sed in Christo fuit perfectissima caritas, secundum illud Eph. 3 [ 1 9], supereminentem scientiae carita­ tem Christi. Ergo in Christo non fuit donum timori s. Sed contra est quod dicitur Is. 1 1 [3], replebit

Sembra di no. Infatti: l . La speranza è migliore del timore, poiché l'oggetto della speranza è il bene e quello del timore il male, come si è spiegato nella Se­ conda Parte. Ma in Cristo non c'era la virtù della speranza, come si è detto sopra. Quindi non c'era in lui neppure il dono del timore. 2. Con il dono del timore si teme o la separa­ zione da Dio, e questo è il timore «Casto», o la punizione di Dio, e questo è il timore «ser­ vile», come dice Agostino. Ma Cristo non te­ meva di separarsi da Dio con il peccato, né di essere da lui punito per una colpa propria, poiché era impossibile che egli peccasse, co­ me si dirà in seguito, e d'altra parte il timore dell'impossibile non esiste. Quindi Cristo non aveva il dono del timore. 3. In l Gv 4 [ I 8] è detto: L'amore peifetto scaccia il timore. Ma in Cristo c'era l'amore più perfetto, secondo l'espressione di Ef 3 [ 1 9]:

L'amore di Cristo che s01passa ogni cono­ scenza. Quindi Cristo non aveva il dono del timore. In contrario: in ls I I [3] è detto: Lo Spirito

eum Spiritus timoris Domini.

del timore del Signore lo riempirà. Risposta: come si è detto nella Seconda Parte,

Respondeo dicendum quod, sicut in Secunda Parte [1-11 q. 42 a. l ] dictum est, timor respicit duo obiecta, quorum unum est malum terribile; aliud est ille cuius potestate malum potest inferri, sicut aliquis timet regem in­ quantum habet potestatem occidendi. Non au­ tem timeretur ille qui habet potestatem, nisi haberet quandam eminentiam potestatis, cui de facili resisti non possit, ea enim quae in promptu habemus repellere, non timemus. Et sic patet quod aliquis non timetur nisi propter suam eminentiam. - Sic igitur dicendum est quod in Christo fuit timor Dei, non quidem secundum quod respicit malum separationis a Deo per culpam; nec secundum quod respicit malum punitionis pro culpa; sed secundum quod respicit ipsam divinam eminentiam, prout scilicet anima Chrisli quodam affectu reverentiae movebatur in Deum, a Spirito Sancto acta. Unde Hebr. 5 [7] dicitur quod in omnibus exauditus est pro sua reverentia. Hunc enim affectum reverentiae ad Deum Christus, secundum quod homo, prae ceteris

il timore riguarda due oggetti: il male che spaventa e la persona che lo può intliggere, come uno teme il re perché ha il potere di uc­ cidere. Ma la persona non incuterebbe timore se il suo potere non avesse un'eminenza tale per cui non gli si può resistere con facilità: infatti non temiamo ciò che possiamo agevol­ mente respingere. E così una persona non viene temuta se non per la sua superiorità. Si deve dunque concludere che Cristo aveva il timore di Dio non in quanto esso riguarda il male della separazione da Dio a motivo della colpa, né il male della punizione per la colpa, ma in quanto ha per oggetto l'eminenza stes­ sa di Dio, in quanto cioè l'anima di Cristo era mossa dallo Spirito Santo a un sentimento di riverenza verso Dio. Per cui in Eh 5 [7] è detto che egli in tutto fu esaudito per la sua riverenza. Infatti questo sentimento di rive­ renza verso Dio Cristo come uomo Io ebbe più di ogni altro. Così la Scrittura gli attribui­ sce la pienezza del timore del Signore. Soluzione delle difficoltà: l . Gli abiti delle

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

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habuit pleniorem. Et ideo ei attribuit Scriptura plenitudinem timoris Domini. Ad primum ergo dicendum quod habitus vir­ tutum et donorum proprie et per se respiciunt bonum, malum autem ex consequenti, perti­ net enim ad rationem virtutis ut opus bonum reddat, ut dicitur in 2 Ethic. [6,2]. Et ideo de ratione doni timoris non est illud malum quod respicit timor, sed eminentia illius boni, scili­ cet divini, cuius potestate aliquod malum in­ fligi potest. Spes autem, secundum quod est virtus, respicit non solum actorem boni, sed etiam ipsum bonum inquantum est non habi­ tum. Et ideo Christo, quia iam habebat per­ fectum beatitudinis bonum, non attribuitur virtus spei, sed donum timoris. Ad secundum dicendum quod ratio illa proce­ dit de timore secundum quod respicit obiec­ tum quod est malum. Ad tertium dicendum quod perfecta caritas foras mittit timorem servilem, qui respicit principaliter poenam. Sic autem timor non fuit in Christo.

virtù e dei doni hanno per oggetto proprio e principale il bene; il male invece per via di conseguenza: la virtù infatti ha il compito di «rendere buona l ' opera» , come dice Aristotele. Perciò il dono del timore non ha per oggetto il male temuto, bensì l'eminenza della bontà di Dio, che ha il potere di infligge­ re il male. Al contrario la speranza, come virtù, riguarda non solo l'autore del bene, ma anche il bene stesso in quanto assente. A Cristo dunque, che già possedeva il bene per­ tetto della beatitudine, non si attribuisce la virtù della speranza, ma il dono del timore. 2. L'obiezione parla del timore in quanto ha per oggetto il male. 3. L'amore perfetto elimina il timore servile, che riguarda principalmente la punizione. Ma Cristo non aveva il timore in questo senso.

Articulus 7 Utrum in Christo fuerint gratiae gratis datae

Articolo 7 Cristo aveva le grazie

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuetint gratiae gratis datae. l . Ei enim qui habet aliquid secundum pleni­ tudinem, non competit illud habere secundum participationem. Sed Christus habuit gratiam secundum plenitudinem, secundum illud Ioan. l [ 1 4], plenum gratiae et veritatis. Gra­ tiae autem gratis datae videntur esse quaedam participationes divisim et particulariter diver­ sis attributae, secundum illud l Cor. 1 2 [4], divisiones gratiarum sunt. Ergo videtur quod in Christo non fuerint gratiae gratis datae. 2. Praeterea, quod debetur alicui, non videtur esse gratis ei datum. Sed debitum erat homini Christo quod sermone sapientiae et scientiae abundaret, et potens esset in virtutibus t'acien­ dis, et alia huiusmodi quae pertinent ad gra­ tias gratis datas, cum ipse sit Dei virtus et Dei sapientia, ut dicitur l Cor. l [24]. Ergo Chri­ sto non fuit conveniens habere gratias gratis datas. 3. Praeterea, gratiae gratis datae ordinantur ad utilitatem fidelium, secundum illud l Cor. 1 2

Sembra di no. Infatti: l . Chi ha una perfezione nella sua pienezza, non la può avere parzialmente. Ma Cristo ave­ va la grazia nella sua pienezza, secondo le pa­ role di Gv l [14]: Pieno di grazia e di verità. Ora, le grazie gratis datae sono doni parziali distribuiti fra persone diverse, come è detto in

[7], unicuique datur manifestatio Spiritus ad

gratis datae?

l Cor 1 2 [4] : Ci sono diversità di grazie.

Dunque sembra che Cristo non avesse le gra­ zie gratis datae. 2. Non è grazia ciò che è posseduto per diritto. Ma a Cristo come uomo spettavano i carismi della parola di sapienza e di scienza, il potere di fare i miracoli e altre simili qualità che appartengono alle grazie gratis datae, essendo egli la potenza e la sapienza di Dio, come è detto in l Cor l [24]. Quindi non era conve­ niente che Cristo avesse le grazie gratis datae. 3. Le grazie gratis datae hanno per scopo il be­ ne dei fedeli, secondo le parole di l Cor 1 2 [7]:

A ognuno è data la manifestazione dello Spirito per l'utilità comune. Ma non serve al bene degli altri un abito o una disposizione che non venga esercitata, come è detto i n

Q. 7, A. 7

La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

utilitatem. Non autem videtur ad utilitatem pertinere habitus, aut quaecumque dispositio, si homo non utatur, secundum illud Eccli. 20 [32], sapientia abscondita, et thesaurus invi­ sus, quae utilitas in utrisque? Christus autem non legitur usus fuisse omnibus gratiis gratis datis, praesertim quantum ad genera lingua­ rum. Non ergo in Christo fuerunt omnes gra­ tiae gratis datae. Sed contra est quod Augustinus dicit, in Epi­ stola ad Dardanum [ep. 187,1 3], quod sicut in capite sunt omnes sensus, ita in Christo fue­ runt omnes gratiae. Respondeo dicendum quod, sicut in Secunda Parte [I-II q. 1 1 1 a. 4] habitum est, gratiae gratis datae ordinantur ad fidei et spiritualis doctrinae manifestationem. Oportet autem eum qui docet, habere ea per quae sua doctri­ na manifestetur, aliter sua doctrina esset inuti­ lis. Spiritualis autem doctrinae et fidei primus et principalis doctor est Christus, secundum illud Hebr. 2 [3-4], cwn initium accepisset enuntiari a Domino, per eos qui audierunt in nos confirmata est, contestante Deo signis et prodigiis, et cetera. Unde manifestum est quod in Chri sto fuerunt excellentissime omnes gratiae gratis datae, sicut in primo et principali doctore fidei. Ad primum ergo dicendum quod, sicut gratia gratum faciens ordinatur ad actus meritorios tam interiores quam exteriores, ita gratia gratis data ordinatur ad quosdam actus exte­ riores fidei manifestativos, sicut est operatio miraculorum, et alia huiusmodi. In utraque autem gratia Christus plenitudinem habuit, inquantum enim divinitati unita erat eius ani­ ma, plenam efficaciam habebat ad omnes praedictos actus perficiendos. Sed alii sancti, qui moventur a Deo sicut instrumenta non unita, sed separata particulariter efficaciam recipiunt ad hos vel illos actus perficiendos. Et ideo in aliis sanctis huiusmodi gratiae divi­ duntur, non autem in Christo. Ad secundum dicendum quod Christus dici­ tur Dei virtus et Dei sapientia, inquantum est aetemus Dei Filius. Sic autem non competit sibi habere gratiam, sed potius esse gratiae largitorem. Competit autem sibi gratiam habere secundum humanam naturam. Ad tertium dicendum quod donum linguarum datum est apostolis quia mittebantur ad do­ cendas omnes gentes. Christus autem in una

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Sir 20 [32]: Sapienza nascosta e tesoro invisi­ bile: a che servono l'una e l'altro ? Ora, non si legge che Cristo abbia esercitato tutte le grazie gratis datae, specialmente quanto all'uso delle lingue. Quindi Cristo non aveva tutte le grazie gratis datae. In contrario: Agostino pone in Cristo tutte le grazie, come nel capo ci sono tutti i sensi. Risposta: come si è notato nella Seconda Parte, le grazie gratis datae sono mezzi per la manifestazione della tede e dell'insegnamen­ to religioso. Ora, chi insegna deve possedere i mezzi per comunicare la sua dottrina, altri­ menti questa sarebbe inutile. Ma il primo e principale maestro della dottrina religiosa e della fede è Cristo, come è detto in Eb 2 [3]:

La salvezza è stata promulgata all 'inizio dal

Signore, ed è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l 'avevano udita, mentre Dio testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi. È chiaro dunque che in Cristo, quale primo e principale maestro della fede, c'erano tutte le grazie gratis datae nella maniera più eccelsa. Soluzione delle difficoltà: l . Come la grazia santificante è il mezzo per compiere atti meri­ tori interni ed esterni, così la grazia gratis data è il mezzo per compiere alcuni atti ester­ ni dimostrativi della fede: come fare miracoli e altre cose simili. Ora, Ctisto aveva la pie­ nezza di entrambe le grazie: in quanto infatti la sua anima era unita alla divinità, aveva una perfetta attitudine a produrre tutti quegli atti. Invece gli altri santi, che Dio usa come stru­ menti non congiunti, ma separati, ricevono poteri particolari per questa o quella operazio­ ne. Quindi negli altri santi, a differenza di Cristo, tali grazie si trovano divise. 2. Cristo è denominato potenza e sapienza di Dio in quanto è l 'eterno Figlio di Dio. Ma sotto tale aspetto non gli si addice di ricevere la grazia, bensì di esserne il donatore. Riceve invece la grazia secondo la natura umana. 3. n dono delle lingue fu concesso agli apo­ stoli perché mandati a istntire tutte le genti [Mt 28, 1 9]. Cristo invece volle predicare per­ sonalmente solo in mezzo al popolo dei Giudei, come dice egli stesso: Non sono stato

inviato che alle pecore perdute della casa di Israele (Mt 1 5,24), e come afferma Paolo: Dico che Cristo si è fatto servitore dei circon­ cisi (Rm 15,8). Non c'era dunque bisogno che

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

Q. 7, A. 7

sola Iudaeorum gente voluit personaliter prae­ dicare, secundum quod ipse dicit, Matth. 1 5 [24] , non sum missus nisi a d oves quae perierunt domus Israel; et apostolus dicit, Rom. 15 [8], dico Ieswn Christum ministrum fuisse circwncisionis. Et ideo non oportuit quod loqueretur pluribus linguis. Nec tamen defuit ei omnium linguarum notitia, cum etiam occulta cordium non essent ei ab­ scondita, ut infra dicetur, quomm voces quae­ cumque sunt signa. Nec tamen inutiliter hanc notitiam habuit, sicut non inutiliter habet habitum qui eo non utitur quando non est opportunum.

parlasse più lingue. E nondimeno ebbe la co­ noscenza di tutte le lingue, non essendogli na­ scosti, come vedremo, neppure gli intimi se­ greti dei cuori, di cui le parole di ogni idioma sono i segni. Né tale conoscenza era inutile in lui, come non è inutile un abito per uno che non lo adopera quando non ne ha bisogno.

Articulus 8 Utrum in Christo fuerit prophetia

Articolo 8 Cristo aveva la profezia?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit prophetia. l . Prophetia enim importat quandam obscuram et imperfectam notitiam, secundum illud Num. 1 2 [6], si quisfoerit inter vos propheta Domini, per somnium aut in visione loquar ad eum. Sed Christus habuit plenam et perfectam noti­ tiam, multo magis quam Moyses, de quo ibi subditur [8] quod palam, et non per aenigmata Deum vidit. Non ergo debet in Christo poni prophetia. 2. Praeterea, sicut fides est eomm quae non videntur, et spes eomm quae non habentur, ita prophetia est eomm quae non sunt praesentia, sed distant, nam propheta dicitur quasi procul fans. Sed in Christo non ponitur fides neque spes, ut supra [aa. 3-4] dictum est. Ergo etiam prophetia non debet poni in Christo. 3 . Praeterea, propheta est inferioris ordinis quam angelus, unde et de Moyse, qui fuit su­ premus prophetamm, ut dictum est in Secun­ da Parte [II-Il q. 174 a. 4], Act. 7 [38] dicitur quod locutus est cum angelo in solitudine. Sed Christus non est minoratus ab angelis secundum notitiam animae, sed solum secun­ dum cmporis passionem, ut dicitur Hebr. 2 [9] . Ergo videtur quod Christus non fuit propheta. Sed contra est quod de eo dicitur, Deut. 1 8 [ 1 5], prophetam suscitabit vobis Deus de fra­ tribus vestris. Et ipse de se dicit, Matth. 1 3 [57] et Ioan. 4 [44], non est propheta sine honore nisi in patria sua. Respondeo dicendum quod propheta dicitur

Sembra di no. Infatti: l . La profezia è una conoscenza oscura e im­ perfetta, come è detto in Nm 1 2 [6] : Se in mezzo a voi ci sarà un profeta del Signore, gli parlerò in sogno o in visione. Ma Cristo aveva una conoscenza piena e perfetta, molto più di Mosè, del quale sta scritto [Nm 1 2,8] che: Apertamente e non con enigmi vide il Si­ gnore. Quindi non c'è motivo per ammettere in Cristo la profezia. 2. Come la fede è di cose non viste e la spe­ ranza di cose non possedute, così la profezia è di cose non presenti, ma distanti: infatti profeta deriva da procul fans [che parla da lontano]. Ma Cristo non aveva né la fede né la speranza, come si è visto sopra. Quindi va esclusa in lui anche la profezia. 3. Il profeta è inferiore all' angelo, per cui lo stesso Mosè, che fu il più grande dei profeti, come si è notato nella Seconda Parte, parlò con un angelo nel deserto (At 7 ,38). Ora, Cristo è stato inferiore agli angeli non quanto alla conoscenza dell'anima, ma solo quanto alla morte che ha sofferto, come risulta da Eb 2 [9]. Dunque sembra che egli non fosse un profeta. In contrario: in Dt 1 8 [ 1 5] è predetto di Cri­ sto: Dio susciterà per te un profeta fra i tuoi fratelli. E di sé egli dice: Un profeta non è di­ sprezzato se non nella sua patria (Mt 13,57; Gv 4,44). Risposta: si dà il nome di profeta a colui che «parla» o «vede da lontano», nel senso che conosce e predice avvenimenti lontani dalla

La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

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quasi procul fans, vel procul videns, inquan­ tum scilicet cognoscit et loquitur ea quae sunt procul ab hominum sensibus; sicut etiam Augustinus dicit, 16 Contra Faustum [ 1 8]. Est autem considerandum quod non potest dici aliquis propheta ex hoc quod cognoscit et an­ nuntiat ea quae sunt aliis procul, cum quibus ipse non est. Et hoc manifestum est secun­ dum locum et secundum tempus. Si enim aliquis in Gallia existens cognosceret et an­ nuntiaret aliis in Gallia existentibus ea quae tunc in Syria agerentur, propheticum esset, sicut Elisaeus ad Giezi dixit 4 Reg. 5 [26], quomodo vir descenderat de curru et occur­ rerat ei. Si vero aliquis in Syria existens ea quae sunt ibi annuntiaret non esset hoc pro­ pheticum. Et idem apparet secundum tempus. Propheticum enim fuit quod Isaias praenun­ tiavit quod Cyrus, Persarum rex, templum Dei esset reaedificaturus, ut patet Isaiae 44 [28], non autem fuit propheticum quod Esdras hoc scripsit [l Esd. 1,3], cuius tempo­ re factum est. Si igitur Deus aut angeli, vel etiam beati, cognoscunt et annuntiant ea quae sunt procul a nostra notitia, non pertinet ad prophetiam, quia in nullo nostrum statum at­ tingunt. Chtistus autem ante passionem no­ strum statum attingebat, inquantum non solum erat comprehensor, sed etiam viator. Et ideo propheticum erat quod ea quae erant procul ab aliorum viatorum notitia, et cogno­ scebat et annuntiabat. Et hac ratione dicitur in eo fuisse prophetia. Ad primum ergo dicendum quod per illa ver­ ba non ostenditur esse de ratione prophetiae aenigmatica cognitio, quae scilicet est per somnium et in visione, sed ostenditur compa­ ratio aliorum prophetarum, qui per somnium et in visione perceperunt divina, ad Moysen, qui palam et non per aenigmata Deum vidit; qui tamen propheta est dictus, secundum illud Deut. 34 [10], non surrexit ultra propheta in lsrael sicut Moyses. Potest tamen dici quod, etsi Christus habuit plenam et apertam no­ titiam quantum ad partem intellectivam, ha­ buit tamen in parte imaginativa quasdam si­ militudines, in quibus etiam poterat speculari divina, inquantum non solum erat compre­ hensor, sed etiam viator. Ad secundum dicendum quod fides est eorum quae non videntur ab ipso credente. Similiter spes est eorum quae non habentur ab ipso -

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percezione umana, come spiega anche Ago­ stino. Si deve però notare che uno non può dirsi profeta se conosce e annunzia cose lon­ tane dagli altri, senza trovarsi nelle loro con­ dizioni. E ciò vale sia per il luogo che per il tempo. Se infatti uno stando in Francia cono­ scesse e svelasse ad altri che stanno in Fran­ cia gli avvenimenti che accadono allora in Siria, farebbe una profezia: come Eliseo nel dire a Giezi che un uomo era disceso dal carro e gli veniva incontro (2 Re 5,26). Se invece uno stando sul posto parlasse di ciò che accade in Siria, non farebbe una profezia. E altrettanto vale per il tempo. Ci fu infatti profezia quando Isaia preannunziò che Ciro re dei Persiani avrebbe riedificato il tempio di Dio, come si ha in /s 44 [28] ; non ci fu in­ vece profezia quando Esdra riferì l'avveni­ mento nel tempo in cui si compì [l Esd l ,3]. Se dunque Dio o gli angeli o i beati conosco­ no e annunziano avvenimenti lontani dalle nostre conoscenze non c'è profezia, poiché essi non si trovano in alcun modo nelle no­ stre condizioni. Cristo invece prima della sua morte partecipava del nostro stato, essendo non solo comprensore, ma anche viatore. Quindi faceva delle profezie quando cono­ sceva e manifestava cose lontane dalla cono­ scenza degli altri viatori. Per questo motivo dunque si dice che egli avesse la profezia. Soluzione delle difficoltà: l . Il testo citato non dice che la profezia è una conoscenza enigmatica quale si ha nel sogno e nella vi­ sione, ma fa un confronto tra gli altri profeti, che vedevano le cose divine in sogno e in visione, e Mosè, che vide Dio apertamente e senza enigmi; e tuttavia Mosè è detto profeta, come risulta da Dt 34 [ 1 0] : Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè. - Ma si può anche rispondere che, sebbene Cristo avesse una conoscenza piena e aperta nell'ordine intellettivo, tuttavia nella fantasia aveva delle immagini, nelle quali poteva anche contem­ plare le cose divine, in quanto era non solo comprensore, ma anche viatore. 2. La fede è di cose non viste dal credente stesso. Come pure la speranza è di cose non possedute da colui stesso che spera. Invece la profezia è di cose lontane dalla conoscenza di tutti gli uomini con i quali il profeta vive e comunica nello stato di via. Perciò la fede e la speranza sono incompatibili con la perfe-

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sperante. Sed prophetia est eorum quae sunt procul a communi hominum sensu, cum quibus propheta conversatur et communicat in statu viae. Et ideo fides et spes repugnant perfectioni beatitudinis Christi, non autem prophetia. Ad tertium dicendum quod angelus, cum sit comprehensor, est supra prophetam qui est purus viator, non autem supra Christum, qui simul fuit viator et comprehensor.

zione della beatitudine di Cristo; non così invece la profezia. 3. L'angelo, essendo comprensore, è superio­ re al profeta, che è soltanto viatore, ma non è superiore a Cristo, che era insieme viatore e comprensore.

Articulus 9 Utrum fuerit in Christo gratiae plenitudo

Articolo 9 Cristo aveva la pienezza della grazia?

Ad nonum sic proceditur. Videtur quod non fuerit in Christo gratiae plenitudo. l . A gratia enim derivantur virtutes, ut i n Secunda Parte [1-ll q . 1 1 0 a. 4 ad l ] dictum est. Sed in Christo non fuerunt omnes virtu­ tes, non enim fuit in eo fides neque spes, ut ostensum est [aa. 3-4]. Ergo in Christo non fuit gratiae plenitudo. 2. Praeterea, sicut patet ex his quae in Secun­ da Parte [1-11 q. 1 1 1 a. 2] dieta sunt, gratia di­ viditur in operantem et cooperantem. Operans autem gratia dicitur per quam iustificatur im­ pius. Quod quidem non habuit locum in Chri­ sto, qui nunquam subiacuit alicui peccato. Ergo in Christo non fuit plenitudo gratiae. 3. Praeterea, Iac. l [ 1 7] dicitur, omne datum optimum, et omne donum pe1jectum, de sursum est, descendens a Patre luminum. Sed quod descendit, habetur particulariter, et non piene. Ergo nulla creatura, nec etiam anima Christi, potest habere plenitudinem donorum gratiae. Sed contra est quod dicitur Ioan. l [ 14], vidi­ mus eum plenum gratiae et veritatis. Respondeo dicendum quod piene dicitur ha­ beri quod totaliter et perfecte habetur. Totali­ tas autem et perfectio potest attendi dupliciter. Uno modo, quantum ad quantitatem eius in­ tensivam, puta si dicam aliquem piene habere albedinem, si habeat eam quantumcumque nata est haberi. Alio modo, secundum virtu­ tem, puta si aliquis dicatur piene habere vi­ taro, quia habet eam secundum omnes effec­ tus vel opera vitae. Et sic piene habet vitam homo, non autem brutum animai, vel pianta. - Utroque autem modo Christus habuit gra­ tiae plenitudinem. Primo quidem, quia habuit eam i n summo, secundum perfectissimum

Sembra di no. Infatti: l . Dalla grazia scaturiscono le virtù, come si è detto nella Seconda Parte. Ma in Cristo non c'erano tutte le virtù: mancavano infatti in lui la fede e la speranza, come si è dimostrato. Quindi in Cristo non c'era la pienezza della grazia. 2. Come risulta dalla Seconda Parte, la grazia si divide in operante e cooperante. Ora, si dice operante la grazia che giustifica il peccatore. Ma la giustificazione non ebbe luogo in Cri­ sto, che non fu mai soggetto al peccato. Quin­ di Cristo non ebbe la pienezza della grazia. 3. In Gc l [ 17] è detto: Ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto discende dall 'alto, dal Padre della luce. Ma ciò che discende è rice­ vuto parzialmente, e non con pienezza. Quin­ di nessuna creatura, neppure l'anima di Cri­ sto, può avere la pienezza dei doni di grazia. In contrario: in Gv l [14] è detto: Lo abbiamo visto pieno di grazia e di verità. Risposta: avere la pienezza di una cosa vuoi dire possederla totalmente e perfettamente. Ma la totalità e la perfezione possono essere considerate sotto due aspetti. Primo, quanto all ' intensità: avrebbe, p. es., pienamente la bianchezza chi ne avesse tanta quanta se ne può avere. Secondo, quanto alla virtualità: ha, p. es., la pienezza della vita chi ne possiede tutti gli effetti o le opere. E così ha la pienezza della vita l'uomo, non i bruti né le piante. Ora, sotto ambedue gli aspetti Cristo ebbe la pienezza della grazia. Primo, perché l'aveva nel grado sommo e nel modo più perfetto in cui la si può avere. E ciò si spiega innanzi tutto per l'intimità fra l'anima di Cristo e la fonte della grazia. Si è detto infatti che quanto più un essere ricettivo è vicino alla causa influen-

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

modum qui potest haberi. Et hoc quidem ap­ paret primo, ex propinquitate animae Christi ad causam gratiae. Dictum est enim [a. l ] quod, quanto aliquod receptivum propinquius est causae influenti, abundantius recipit. Et ideo anima Christi, quae propinquius coniun­ gitur Deo inter ornnes creaturas rationales, recipit maximam influentiam gratiae eius. Se­ cundo, ex comparatione eius ad eftèctum. Sic enim recipiebat anima Christi gratiam ut ex ea quodammodo transfunderetur in alios. Et ideo oportuit quod haberet maximam gratiam, sicut ignis, qui est causa caloris in omnibus calidis, est maxime calidus. - Similiter etiam quantum ad virtutem gratiae, piene habuit gratiam, quia habuit eam ad omnes operatio­ nes vel effectus gratiae. Et hoc ideo, quia conferebatur ei gratia tanquam cuidam uni­ versali principio in genere habentium gratias. Virtus autem primi principii alicuius generis universaliter se extendit ad omnes effectus illius generis, sicut sol, qui est universalis cau­ sa generationis, ut dicit Dionysius, 4 cap. De div. nom. [4], eius virtus se extendit ad omnia quae sub generatione cadunt Et sic secunda plenitudo gratiae attenditur in Christo, in­ quantum se extendit eius gratia ad ornnes gra­ tiae effectus, qui sunt virtutes et dona et alia huiusmodi. Ad primum ergo dicendum quod fides et spes nominant effectus gratiae cum quodam de­ fectu qui est ex parte recipientis gratiam, in­ quantum scilicet fides est de non visis, et spes de non habitis. Unde non oportet quod in Christo, qui est auctor gratiae, fuerint defectus quos important fides et spes. Sed quidquid est perfectionis in fide et spe, est in Christo multo perfectius. Sicut in igne non sunt omnes modi caloris defectivi ex defectt1 subiecti, sed quid­ quid pertinet ad perfectionem caloris. Ad secundum dicendum quod ad gratiam operantem per se pertinet tàcere iustum, sed quod iustum tàciat ex impio, hoc accidit ei ex parte subiecti, in quo peccatum invenitur. Anima Christi igitur iustificata est per gratiam operantem, inquanttlm per eam facta est iusta et sancta a principio suae conceptionis, non quod ante fuerit peccatrix, aut etiam non iusta.

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te, tanto più ne riceve. Così dunque l'anima di Cristo, che è unita a Dio più intimamente di tutte le creature razionali, riceve da lui la mas­ sima effusione di grazia. Secondo, in rapporto all'effetto. Poiché l'anima di Cristo riceveva la grazia con il compito di farla rifluire sugli altri. Perciò occorreva che avesse la grazia al massimo grado: come il fuoco, che causa il calore nelle altre cose, è caldo in sommo gra­ do. - Parimenti anche riguardo alla virtualità della grazia egli ne ebbe la pienezza: poiché l'ebbe per tutte le operazioni e per tutti gli ef­ fetti ad essa propri. E ciò perché la grazia venne conferita a lui quale principio universa­ le nei riguardi di tutti coloro che la ricevono. Ora, la virtù del ptimo principio in ogni ordi­ ne di cose si estende a tutti gli effetti di quel­ l ' ordine: come il sole, che secondo Dionigi è la causa di ogni generazione, estende il suo potere a tutti i fenomeni della generazione. E così la seconda pienezza della grazia in Cristo viene intesa nel senso che la sua grazia si estende a tutti i suoi eftètti, che sono le virtù, i doni e altre simili cose. Soluzione delle difficoltà: l . La fede e la spe­ ranza sono effetti della grazia connessi con alcune imperfezioni dalla parte del soggetto, in quanto cioè la fede è di cose non viste e la speranza di cose non possedute. Non era quindi necessario che in Cristo, autore della grazia, ci fossero i difetti propri della fede e della speranza. Tutto ciò invece che c'è di perfezione nella fede e nella speranza si trova in Cristo in un modo molto più perfetto. Co­ me nel fuoco non si riscontrano le deficienze del calore che dipendono dal soggetto in cui esso si trova, ma tutto ciò che costituisce la perfezione del calore. 2. n compito della grazia operante è di per sé quello di rendere giusto l'uomo; che invece lo renda giusto da peccatore che era dipende dal soggetto che si trova in stato di peccato. Ora, l'anima di Cristo fu giustificata dalla grazia operante in quanto da essa fu resa giusta e santa fin dal principio del suo concepimento, senza che prima fosse peccatrice o anche sol­ tanto non giusta. 3. [Manca nell'Edizione Leonina].

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

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Articulus l O Utrum plenitudo gratiae sit propria Christi

Articolo 1 0 La pienezza della grazia è esclusiva di Cristo?

Ad decimum sic proceditur. Vìdetur quod ple­ nitudo gratiae non sit proptia Christi. l . Quod enim est proprium alicui, sibi soli convenit. Sed esse plenum gratia quibusdam aliis attribuitur, dicitur enim, Luc. l [28], Bea­ tac Virgini, ave, gratia piena, Dominus te­ cum; dicitur etiam, Act. 6 [8], Stephanus autem plenus grafia etfortitudine. Ergo pleni­ tudo gratiae non est proptia Chtisti. 2. Praeterea, id quod potest communicari aliis per Chtistum, non videtur proptium Christo. Sed plenitudo gratiae potest communicari per Chtistum aliis, dicit enim apostolus, Eph. 3 [19], ut impleamini in omnem plenitudinem Dei. Ergo plenitudo gratiae non est propria Chtisto. 3 . Praeterea, status viae videtur proportionari statui patriae. Sed in statu patriae etit quae­ dam plenitudo, quia in illa caelesti patria, ubi est plenitudo omnis boni, licet quaedam data sint excellente1; nihil tamen possidetur singu­ lariter, ut patet per Gregorium, in Hornilia De centum ovibus [In Ev. h. 2,34]. Ergo in statu viae gratiae plenitudo habetur a singulis ho­ minibus. Et ita plenitudo gratiae non est propria Christo. Sed contra est quod plenitudo gratiae attribui­ tur Chtisto inquantum est Unigenitus a Patre, secundum illud Ioan. l [ 1 4], vidimus eum, quasi Unigenitum a Parre, plenum gratiae et veritatis. Sed esse unigenitum a Patre est pro­ prium Chtisto. Ergo et sibi proprium est esse plenum gratiae et vetitatis. Respondeo dicendum quod plenitudo gratiae potest attendi dupliciter, uno modo, ex parte ipsius gratiae; alio modo, ex parte habentis gratiam. Ex parte quidem ipsius gratiae, dici­ tur esse plenitudo ex eo quod aliquis pertingit ad summum gratiae et quantum ad essentiam et quantum ad virtutem, quia scilicet habet gratiam et in maxima excellentia qua potest haberi, et in maxima extensione ad omnes gratiae effecms. Et talis gratiae plenitudo est propria Christo. - Ex parte vero subiecti, dicitur gratiae plenitudo quando aliquis habet piene gratiam secundum suam conditionem, sive secundum intensionem, prout in eo est intensa gratia usque ad terrninum praefixum ei a Deo, secundum illud Eph. 4 [7], unicuique

Sembra di no. Infatti: l . Ciò che è proptio non compete ad altri. Ma la pienezza della grazia è attribuita ad alcuni al­ tri, p. es. alla Beata Vergine: Ave piena di gra­ zia, il Signore è con te (Le 1 ,28); e a Stefano: Pieno di grazia e dijòrtezza (At 6,8) . Quindi la pienezza della grazia non è propria di Cristo. 2. Non è proprio di Cristo ciò che per suo mezzo può essere comunicato ad altri. Ma la pienezza della grazia può essere comunicata da lui agli altri. Infatti Paolo dice: Affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio (Ej 3, 1 9). Quindi la pienezza della grazia non è propria di Cristo. 3 . Lo stato della vita terrena corrisponde a quello della patria celeste. Ma in cielo vi sarà una certa pienezza, poiché, come scrive Gre­ gorio, «nella patria celeste, dove c'è la pie­ nezza di ogni bene, nulla è posseduto a titolo privato, neppure i doni più grandi». Quindi nella vita ten·ena c'è la pienezza di grazia per tutti gli uomini. E così la pienezza della gra­ zia non è esclusiva di Cristo. In contrario: la pienezza della grazia è ricono­ sciuta a Cristo in quanto è l'Unigenito del Pa­ dre, come è detto in Gv l [ 1 4]: Abbiamo visto la sua gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Ma essere Unigeni­ to del Padre è solo di Cristo. Quindi è proprio soltanto di lui essere pieno di grazia e di verità. Risposta: la pienezza della grazia può essere considerata sotto due aspetti: primo, dalla parte della grazia stessa; secondo, dalla parte di chi la possiede. Ora, dalla parte della grazia stessa ne ha la pienezza chi raggiunge il sommo grado della grazia quanto ali' essenza e quanto alla virtualità: cioè possiede la grazia nella massima eccellenza in cui può essere posse­ duta e nella massima estensione di tutti i suoi effetti. Ora, tale pienezza di grazia è propria solo di Cristo. - Dalla parte invece del sogget­ to si parla di pienezza di grazia quando uno possiede pienamente la grazia secondo la sua condizione, sia quanto all'intensità, nel senso che in lui la grazia raggiunge il limite pre­ stabilito da Dio, secondo le parole di Ef 4 [7]: A ciascuno di noi è stata data la grazia se­ condo la misura del dono di Cristo, sia anche

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nostrum data est grafia secundum mensuram donationis Christi; sive etiam secundum virtutem, inquantum scilicet habet facultatem gratiae ad omnia quae pertinent ad suum statum sive officium, sicut apostolus dicebat, Eph. 3 [8-9], mihi autem, omnium sanctorum minimo, data est gratia haec, illuminare homines, et cetera. Et talis gratiae plenitudo non est propria Christo, sed communicatur aliis per Christum. Ad primum ergo dicendum quod Beata Vrrgo dicitur gratia piena, non ex parte ipsius gra­ tiae, quia non habuit gratiam in summa excel­ lentia qua potest haberi, nec ad omnes ef­ fectus gratiae, sed dicitur fuisse piena gratiae per comparationem ad ipsam, quia scilicet habebat gratiam sufficientem ad statum illum ad quem erat electa a Deo, ut scilicet esset mater Dei. Et similiter Stephanus dicitur plenus gratia, quia habebat gratiam sufficien­ tem ad hoc quod esset idoneus minister et testis Dei, ad quod erat electus. Et eadem ra­ tione dicendum est de aliis. Harum tamen plenitudinum una est plenior alia, secundum quod aliquis est divinitus praeordinatus ad altiorem vel inferiorem statum. Ad secundum dicendum quod apostolus ibi loquitur de illa plenitudine gratiae quae acci­ pitur ex parte subiecti, in comparatione ad id ad quod homo est divinitus praeordinatus. Quod quidem est vel aliquid commune, ad quod praeordinantur omnes sancti, vel aliquid speciale, quod pertinet ad excellentiam ali­ quorum. Et secundum hoc, quaedam pleni­ tudo gratiae est omnibus sanctis communis, ut scilicet habeant gratiam sufficientem ad me­ rendum vitam aetemam, quae in piena Dei fruitione consistit. Et hanc plenitudinem optat apostolus fi.delibus quibus scribit. Ad tertium dicendum quod illa dona quae sunt communia in patria, scilicet visio, compre­ hensio et fruitio, et alia huiusmodi, habent quaedam dona sibi correspondentia in statu viae, quae etiam sunt communia sanctis. Sunt tamen quaedam praerogativae sanctorum, in patria et in via, quae non habentur ab omnibus.

quanto alla virtualità, nel senso che riceve dalla grazia i poteri per tutto ciò che appartie­ ne al suo stato o al suo ufficio, come diceva Paolo: A me, che sono l'infimofra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di illuminare tutti... (Ef 3 , 8 ) . E questa pienezza di grazia non è esclusiva di Cristo, ma viene comunica­ ta ad altri per suo mezzo. Soluzione delle difficoltà: l . Si dice che la Beata Vergine è piena di grazia non quanto alla grazia in se stessa, poiché ella non la pos­ sedeva nella misura massima in cui la si può avere, né quanto a tutti i suoi effetti, ma la si dice piena di grazia in rapporto alla sua per­ sona, in quanto cioè aveva la grazia propor­ zionata allo stato a cui Dio l'aveva eletta, in modo cioè che fosse degna madre di Dio. E così pure Stefano è detto pieno di grazia poi­ ché aveva la grazia sufficiente per poter esse­ re u n degno ministro e testimone di Dio secondo la sua vocazione. E lo stesso si dica per gli altri casi. Di queste pienezze tuttavia una è maggiore dell'altra, secondo lo stato più o meno alto a cui Dio predestinò le singo­ le persone. 2. Paolo nel passo citato parla della pienezza di grazia considerata dalla parte del soggetto in relazione al compito a cui Dio lo ha prede­ stinato. Ora, o esso è un compito comune a cui sono chiamati tutti i santi, o è un compito speciale che ne distingue alcuni. E così una certa pienezza di grazia è comune a tutti i san­ ti, cioè quella sufficiente a meritare la vita eterna, che consiste nel pieno godimento di Dio. Ed è questa pienezza che Paolo augura ai fedeli a cui scriveva. 3. Ai doni che in patria sono comuni, cioè alla visione, al possesso, al gaudio e ad altre cose simili, corrispondono alcuni doni che anche nella vita terrena sono comuni ai santi. Tutta­ via in cielo e sulla terra esistono certi privilegi che non tutti possiedono.

Articulus 1 1 Utrum gratia Christi sit infinita

Articolo 1 1 La grazia di Cristo è infinita?

Ad undecimum sic proceditur. Videtur quod gratia Christi sit infinita.

Sembra di sì. Infatti: l . L'immenso è infinito. Ma la grazia di Cristo

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

l . Omne enim immensum est infinitum. Sed gratia Christi est immensa, dicitur enim loan. 3 [34] , non enim ad mensuram dat Deus Spiritum, scilicet Christo. Ergo gratia Christi est infinita. 2. Praeterea, effectus infinitus demonstrat virtutem infinitam, quae non potest fundari nisi in essentia infinita. Sed effectus gratiae Christi est infinitus, extendit enim se ad salu­ tem totius humani generis; ipse enim est pro­ pitiatio p1v peccatis totius mundi, ut dicitur l loan. 2 [2]. Ergo gratia Christi est infinita. 3. Praeterea, omne finitum per additionem potest pervenire ad quantitatem cuiuscumque rei finitae. Si ergo gratia Christi est finita, posset alterius hominis gratia tantum crescere quod perveniret ad aequalitatem gratiae Christi. Contra quod dicitur Iob 28 [ 1 7], non adaequabitur ei aurum vel vitrum, secundum quod Gregorius ibi exponit [Mor. 1 8,48]. Er­ go gratia Christi est infinita. Sed contra est quod gratia Christi est quiddam creatum in anima. Sed omne creatum est fini­ turo, secundum illud Sap. 1 1 [2 1 ] , omnia in numero, pondere et mensura disposuisti. Ergo gratia Christi non est infinita. Respondeo dicendum quod, sicut ex supra [q. 2 a. 1 0; q. 6 a. 6] dictis patet, in Christo potest duplex gratia considerari. Una quidem est gratia unionis quae, sicut supra dictum est [q. 2 a. l O; q. 6 a. 6], est ipsum uniri persona­ liter Filio Dei, quod est gratis concessum humanae naturae. Et hanc gratiam constat es­ se intinitam, secundum quod ipsa persona Verbi est infinita. - Alia vero est gratia habi­ tualis. Quae quidcm potcst dupliciter conside­ rari. Uno modo, secundum quod est quoddam ens. Et sic necesse est quod sit ens finitum. Est enim in anima Christi sicut in subiecto. Anima autem Christi est creatura quaedam, habens capacitatem finitam. Unde esse gra­ tiae, cum non excedat suum subiectum, non potest esse infinitum. - Alio modo potest con­ siderari secundum propriam rationem gratiae. Et sic gratia ipsa potest dici infinita, eo quod non limitatur, quia scilicet habet quidquid potest pertincre ad rationem gratiae, et non datur ei secundum aliquam certam mensuram id quod ad rationem gratiae pertinet; eo quod, secundum propositum gratiae Dei, cuius est gratiam mensurare, gratia confertur animae Christi sicut cuidam universali principio grati-

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è immensa; infatti in Gv 3 [34] è detto: Dio dà lo Spirito senza misura, e si intende a Cristo. Quindi la grazia di Cristo è infinita. 2. Un effetto infinito suppone un'efficacia infinita, che non si può fondare se non in una natura infinita. Ma l' effetto della grazia di Cristo è infinito, estendendosi alla salvezza di tutto il genere umano; infatti: Egli è vittima di espiazione per i peccati di tutto il mondo (l Gv 2,2). Quindi la grazia di Cristo è infinita. 3. Ogni realtà limitata può raggiungere, cre­ scendo, la grandezza di qualunque altra realtà limitata. Se dunque la grazia di Cristo è limita­ ta, la grazia di un altro uomo potrebbe cre.•.;ce­ re tanto da uguagliarla. Ma contro tale even­ tualità, come spiega Gregorio, valgono le parole di Gb 28 [ 17]: Non la pareggerà l'oro o il cristallo. Quindi la grazia di Cristo è infinita. In contrario: la grazia di Cristo è qualcosa di creato nell'anima. Ma ogni realtà creata è limitata, come è detto in Sap 1 1 [2 1 ] : Tutto hai disposto con numero, peso e misura. Quindi la grazia di Cristo non è infinita. Risposta: come risulta da quanto detto sopra, in Cristo possiamo considerare una duplice grazia. La prima è la grazia dell'unione, che è lo stesso unirsi personalmente al Figlio di Dio, gratuitamente concesso alla natura uma­ na. E questa è una grazia infinita, essendo in­ finita la persona del Verbo. - L'altra invece è la grazia abituale, che può essere considerata sotto due aspetti. Primo, in quanto è una certa entità. E allora è necessariamente un'entità fi­ nita. Infatti ha per soggetto l'anima di Cristo, la quale è una certa creatura, avente una capa­ cità limitata. Perciò l'entità della grazia, corri­ spondendo al suo soggetto, non può essere in­ finita. - Secondo, può essere considerata nella sua stessa natura di grazia. E allora la grazia può dirsi infinita, nel senso che non ha limiti: Cristo infatti possiede tutto ciò che appartiene ali' essenza della grazia senza alcuna re­ strizione, poiché secondo la gratuita volontà di Dio [Rm 4,5], a cui spetta il diritto di misu­ rare la grazia, questa viene conferita all'anima di Cristo come a una certa causa universale di gratificazione della natura umana, come è detto in Ef l [6] : Ci ha gratificati nel suo Figlio diletto. Come se dicessimo che è infini­ ta la luce del sole, non certo nella sua entità, ma nella sua luminosità, avendo essa ogni possibile luminosità.

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ficationis in humana natura, secundum illud Eph. l [6], gratificavit nos in dilecto Filio suo. Sicut si dicamus lucem solis esse infini­ tam, non quidem secundum suum esse, sed secundum rationem lucis, quia habet quidquid potest ad rationem lucis pertinere. Ad primum ergo dicendum quod id quod dicitur, Pater non ad mensuram dat Spiritum Filio, uno modo exponitur de dono quod Deus Pater ab aeterno dedit Filio, scilicet di­ vinarn naturarn, quae est donum infinitum. Unde quaedarn Glossa [int. super loan. 3,34; In Ioan. tract. 1 5 super 4,35] dicit, ibidem, ut tantus sit Filius quantus et Pater. - Alio modo, potest referri ad donum quod datum est humanae naturae, ut uniatur divinae personae, quod est donum infinitum. Unde Glossa dicit ibidem [ord. super loan. 3,34], sicut Pater plenum et peifectum genuit Verbum, sic ple­ num et peJfectum est unitum humanae naturae. - Tertio modo, potest referri ad gra­ tiarn habitualem, inquantum gratia Christi se extendit ad omnia quae sunt gratiae. Unde Augustinus [In loan. tract. 14 super 3,34], hoc exponens, dicit, mensura quaedam divisio do­ norum est, alii enim datur per Spiritum senno sapientiae, a/ii senno scientiae. Sed Christus, qui dat, non ad mensuram accepit. Ad secundum dicendum quod gratia Christi habet infinitum eftèctum tum propter infinita­ tem praedictam [in co.] gratiae; tum propter unitatem divinae personae, cui anima Christi est unita. Ad tertium dicendum quod minus per augmen­ tum potest pervenire ad quantitatem maioris in his quae habcnt quantitatem unius rationis. Sed gratia alterius hominis comparatur ad gratiam Christi sicut quaedam virtus particularis ad universalem. Unde sicut virtus ignis, quantum­ cumque crescat, non potest adaequari virtuti solis; ita gratia alterius hominis, quantumcum­ que crescat, non potest adaequari gratiae Christi.

Soluzione delle difficoltà: l . La frase: «Il Pa­ dre concede lo Spirito al Figlio senza misura>> può riferirsi al dono che Dio Padre ha fatto al Figlio dall'eternità, al dono cioè della natura divina, che è un dono infinito. Per cui la Glos­ sa aggiunge: «Affinché il Figlio sia grande quanto il Padre». - Secondo un'altra spiega­ zione ciò può invece intendersi del dono che fu fatto alla natura umana di essere unita alla persona divina, e che è un dono infinito. Per cui la stessa Glossa in proposito osserva: «TI Verbo si è unito alla natura umana nello stes­ so modo pieno e perfetto con cui lo aveva ge­ nerato il Padre». - Secondo una terza spiega­ zione ciò può infine intendersi della grazia abituale, in quanto essa in Cristo comprende tutto ciò che è propdo della grazia. Per cui Agostino, spiegando quelle parole, afferma: «La misura è una certa divisione dei doni: a uno viene dato dallo Spirito il linguaggio della sapienza, a un altro il linguaggio della scienza. Ma Cristo, che dà, non ha ricevuto su misura>>. 2. La grazia di Cristo produce un effetto infi­ nito sia per l'infinità della grazia stessa, nel senso spiegato [nel corpo], sia per l' unità della persona divina a cui l'anima di Cristo fu unita. 3. Il meno può raggiungere il più con succes­ sivi aumenti se si tratta di quantità della me­ desima natura. Ma la grazia degli altri uomini sta alla grazia di Cristo come un potere parti­ colare a un potere universale. Come quindi il calore del fuoco, per quanto salga, non può mai pareggiare il calore del sole, così la gra­ zia degli altri uomini, per quanto cresca, non potrà mai uguagliare la grazia di Cristo.

Articulus 1 2 Utrum gratia Christi potuerit augeri

Articolo 1 2 La grazia di Cristo poteva aumentare?

Ad duodecimum sic proceditur. Videtur quod gratia Christi potuerit augeri. l . Omni enim finito potest fieri additio. Sed gratia Christi finita fuit, ut dictum est [a. 11]. Ergo potuit augeri.

Sembra di sì. Infatti: l . A ogni cosa limitata si possono fare delle aggiunte. Ma la grazia di Cristo era limitata, come si è detto. Quindi poteva aumentare. 2. L'aumento della grazia dipende dalla po-

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

2.

Praeterea, augmenmm gratiae fi t per vir­ n.tem divinam, secundum illud 2 Cor. 9 [8],

potens est Deus omnem gratiam abundare facere in vobis. Sed virtus divina, cum sit infi­ nita, nullo termino coarctatur. Ergo videtur quod gratia Christi potuerit esse maior. 3. Praeterea, Luc. 2 [52] dicitur quod puer

lesus proficiebat aetate, sapientia et gratia apud Deum et homines. Ergo gratia Christi potuit augeri. Sed contra est quod dicitur loan. l

[ 1 4], vidi­ mus eum, quasi Unigenitum a Patre, plenum gratiae et veritatis. Sed nihil potest esse aut intelligi maius quam quod aliquis sit Unigeni­ tus a Patre. Ergo non potest esse, vel etiam in­ telligi, maior gratia quam illa qua Christus fuit plenus. Respondeo dicendum quod aliquam formam non posse augeri contingit dupliciter, uno modo, ex parte ipsius subiecti; alio modo, ex parte illius formae. Ex parte quidem subiecti, quando subiectum attingit ad ultimum in participatione ipsius formae secundum suum modum sicut si dicatur quod aer non potest crescere in caliditate, quando pertingit ad ultimum gradum caloris qui potest salvari in natura aeris; licet possit esse maior calor in rerum natura, qui est calor ignis. Ex parte autem formae excludimr possibilitas augmen­ ti quando aliquod subiectum attingit ad ulti­ mam perfectionem qua potest talis forma ha­ beri, sicut si dicamus quod calor ignis non potest augeri, quia non potest esse perfectior gradus caloris quam ille ad quem pertingit ignis. - Sicut autem aliarum formarum est ex divina sapientia determinata propria mensura, ita et gratiae, secundum illud Sap. I l [2 1 ],

omnia in numero, pondere et mensura dispo­ suisti. Mensura autem unicuique formae prae­ figitur per comparationem ad suum finem, si­ cut non est maior gravitas quam gravitas terrae, quia non potest esse inferior locus loco terrae. Finis autem gratiae est unio creamrae rationalis ad Deum. Non potest autem esse, nec intelligi, maior unio creaturae rationalis ad Deum quam quae est in persona. Et ideo gratia Christi pertingit usque ad summam mensuram gratiae. Sic ergo manifestum est quod gratia Christi non potuit augeri ex parte ipsius gratiae. - Sed neque ex parte ipsius subiecti. Quia Christus, secundum quod ho­ mo, a primo instanti suae conceptionis fuit

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tenza divina, come è detto in 2 Cor 9 [8]: Dio ha il potere di far abbondare in voi ogni gra­ zia. Ma la potenza divina, essendo infinita, non ha limiti. Quindi sembra che la grazia di Cristo sarebbe potuta essere maggiore. 3. In Le 2 [52] è detto: Il fanciullo Gesù cre­

sceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e agli uomini. Quindi la grazia di Cristo poteva aumentare. In contrario: in Gv l

[ 1 4] è detto: Lo abbiamo visto come Unigenito dal Padre, pieno di gra­ zia e di verità. Ma non può esistere né può immaginarsi qualcosa di più grande che esse­ re l 'Unigenito del Padre. Quindi non può esi­ stere né immaginarsi una grazia più grande di quella di cui Cristo era ricolmo. Risposta: per una perfezione l'impossibilità di crescere può dipendere da due cose: o dal suo soggetto o dalla perfezione stessa. Dal sog­ getto, quando esso raggiunge nella partecipa­ zione della forma suddetta il grado più alto secondo il modo che gli compete: come se si dicesse che l' aria non può aumentare di calo­ re quando raggiunge l ' ultimo grado che è compatibile con la sua natura, sebbene in na­ tura possa esistere un calore maggiore, che è quello del fuoco. Da parte poi della perfezio­ ne c'è l'impossibilità di crescere quando un soggetto possiede quella perfezione nella mi­ sura massima in cui può essere posseduta: come se dicessimo che il calore del fuoco non può crescere per il fatto che non ci può essere un calore più grande. - Ora la sapienza divi­ na, come ha dato una misura a tutte le altre cose, così l'ha data anche alla grazia, come è detto in Sap 1 1 [21 ] : Tutto hai disposto con numero, peso e misura. Ma la misura viene stabilita per ciascuna forma in rapporto al suo fine: come non esiste una gravità maggiore di quella della terra, non potendoci essere un luogo più basso di quello che spetta alla terra. Ora, il fine della grazia è l 'unione della crea­ tura razionale con Dio. Ma non può esistere né si può pensare un'unione della creatura razionale con Dio più intima dell' unione per­ sonale. Perciò la grazia di Cristo tocca il verti­ ce più alto della grazia. E così è chiaro che la grazia di Cristo non poteva crescere dalla parte della grazia stessa. - Ma neppure dalla parte dello stesso soggetto. Poiché Cristo in quanto uomo dal primo istante del suo concepimento fu comprensore in modo vero e pieno. In lui

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

verus et plenus comprehensor. Unde in eo non potuit esse gratiae augmentum, sicut nec in aliis beatis, quorum gratia augeri non potest, eo quod sunt in termino. - Hominum vero qui sunt pure viatores, gratia potest au­ geri et ex parte formae, quia non attingunt summum gratiae gradum, et ex parte subiecti, quia nondum pervenerunt ad terminum. Ad primum ergo dicendum quod, si loquamur de quantitatibus mathematicae, cuilibet finitae quantitati potest fieri additio, quia ex parte quantitatis finitae non est aliquid quod repu­ gnet additioni. Si vero loquamur de quantitate naturali, sic potest esse repugnantia ex parte formae, cui debetur determinata quantitas, sicut et alia accidentia determinata. Unde phi­ losophus dicit 2 De an. [4,8], quod omnium

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quantitati totius caeli non potest fieri additio. Multo igitur magis in ipsis formis considera­ tur aliquis terminus, ultra quem non transgre­ diuntur. Et propter hoc, non oportuit quod gratiae Christi posset fieri additio, quamvis sit finita secundum sui essentiam. Ad secundum dicendum quod, licet virtus divina posset facere aliquid maius et melius quam sit habitualis gratia Christi, non tamen posset facere quod ordinaretur ad aliquid maius quam sit unio personalis ad Filium unigenitum a Patre, cui unioni suftìcienter correspondet talis mensura gratiae secundum definitionem divinae sapientiae. Ad tertium dicendum quod in sapientia et gratia aliquis potest proficere dupliciter. Uno modo, secundum ipsos habitus sapientiae et gratiae augmentatos. Et sic Christus in eis non proficie­ bat. Alio modo, secundum effectus, inquantum scilicet aliquis sapientiora et virtuosiora opera facit. Et sic Christus proficiebat sapientia et gratia, sicut et aetate, quia secundum proces­ sum aetatis perfectiora opera faciebat, ut se verum hominem demonstraret, et in his quae sunt ad Deum et in his quae sunt ad homines.

dunque non ci poteva essere un aumento di grazia, come non ci può essere nemmeno negli altri beati, avendo essi raggiunto il loro termine. - Nei viatori invece la grazia può crescere sia dalla parte della forma, non aven­ dola essi nel grado sommo, sia dalla parte dei soggetti, non avendo essi ancora raggiunto il loro termine. Soluzione delle difficoltà: l . Nella quantità matematica a ogni quantità limitata si posso­ no sempre fare delle addizioni, poiché ciò non ripugna alla quantità finita. Quando inve­ ce si tratta della quantità fisica, ci può essere ripugnanza dalla parte della forma, che è fatta per una quantità determinata, come anche per altri accidenti detenninati. Perciò il Filosofo dice che «di tutte le realtà stabili la natura è il tennine e la ragione della loro grandezza e del loro sviluppo». Per questo alla grandezza del cielo non si può aggiungere nulla. Molto più dunque nelle forme stesse c'è un termine in­ valicabile. E così la grazia di Cristo, sebbene limitata nella sua essenza, non era suscettibile di aumento. 2. Sebbene la potenza divina potesse fare qualcosa di più grande e di più perfetto della grazia abituale di Cristo, non poteva però dare a tale grazia un fine più alto dell'unione per­ sonale con l 'Unigenito del Padre: alla quale unione cotTisponde esattamente tanta misura di grazia quanta ne ha stabilita la sapienza divina. 3. In sapienza e grazia si può progredire in due modi. Primo, con l' aumento degli abiti stessi della sapienza e della grazia: e così Cri­ sto non poteva progredire. Secondo, in rap­ porto agli effetti, in quanto cioè uno compie opere più sapienti e più virtuose. E Cristo pro­ grediva in questo modo nella sapienza e nella grazia, come anche nell'età: poiché secondo lo sviluppo dell' età egli compiva opere più perfette per dimostrarsi veramente uomo, sia nelle relazioni con Dio che nelle relazioni con gli uomini.

Articulus 1 3 Utrum gratia habitualis in Christo subsequatur unionem

Articolo 1 3 La grazia abituale deriva in Cristo dall'unione [ipostatica]?

Ad decimumtertium sic proceditur. Videtur quod grati a hab i t u a li s i n Christo n o n subsequatur unionem.

Sembra di no. Infatti: l . Una cosa non deriva mai da se stessa. Ma la grazia abituale di Cristo si identifica con la

natura constantium est terminus et ratio ma­ gnitudinis et augmenti. Et inde est quod

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La grazia di Cristo in quanto uomo singolare

l . Idem enim non sequitur ad seipsum. Sed haec gratia habitualis videtur eadem esse cum gratia unionis, dicit enim Augustinus, in libro De praedest. [ 15], ea grafia fit ab initio fidei

suae homo quicumque christianus, qua gratia homo ille ab initio suo factus est Christus; quorum duorum primum pertinet ad gratiam habitualem, secundum ad gratiam unionis. Ergo videtur quod gratia habitualis non subse­ quatur unionem. 2. Praeterea, dispositio praecedit perfectio­ nem tempore, vel saltem intellectu. Sed gratia habitualis videtur esse sicut quaedam dispo­ sitio humanae naturae ad unionem persona­ lem. Ergo videtur quod gratia habitualis non subsequatur unionem, sed magis praecedat. 3. Plaeterea, commune est prius proprio. Sed gratia habitualis est communis Christo et aliis hominibus, gratia autem unionis est propria Christo. Ergo prior est, secundum intellectum, gratia habitualis quam ipsa unio. Non ergo sequitur eam. Sed contra est quod dicitur Is. 42 [ 1 ], ecce servus meus, suscipiam ewn, et postea sequi­ tur, dedi Spiritum meum super eum, quod quidem ad donum gratiae habitualis pertinet. Unde relinquitur quod susceptio naturae hu­ manae in unione personae praecedat gratiam habitualem in Christo. Respondeo dicendum quod unio humanae na­ turae ad divinam personam, quam supra [q. 2 a. l O; q. 6 a. 6] diximus esse ipsam gratiam unionis, praecedit gratiam habitualem i n Christo, non ordine temporis, sed naturae et intellectus. Et hoc triplici ratione. Primo quidem, secundum ordinem principiorum utriusque. Principium enim unionis est perso­ na Filii assumens humanam naturam, quae secundum hoc dicitur [loan. 3 , 1 7] missa esse in mundum quod humanam natumm assumpsit. Principium autem gratiae habitualis, quae cum caritate datur, est Spiritus Sanctus, qui secundum hoc dicitur mitti quod per carita­ tem mentem inhabitat. Missio autem Filii, secundum ordinem naturae, prior est missio­ ne Spiritus Sancti, sicut ordine naturae Spiri­ tus Sanctus procedit a Filio et a Patre dilectio. Unde et unio personalis, secundum quam in­ telligitur missio Fil ii, est prior, ordine naturae, gratia habituali, secundum quam intelligitur missio Spiritus Sancti. - Secundo, accipitur ratio huius ordinis ex habitudine gratiae ad

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grazia di unione: dice infatti Agostino: >, è il fine ultimo a cui giungiamo mediante la passione di Cristo. Per cui ciò av­ verrà nella patria beata, non già nello stato di via; nel quale se diciamo di essere senza pec­ cato, inganniamo noi stessi (l Gv l ,8). Ci so­ no però dei peccati, cioè i mortali, da cui sono immuni coloro che sono membra di Cristo per l'unione attuale della carità. Coloro invece che commettono tali peccati non sono membra di Cristo in atto, ma in potenza; se non forse im­ perfettamente mediante la fede informe, che unisce a Cristo sotto un certo aspetto e non puramente e semplicemente, senza cioè far conseguire la vita della grazia, poiché la fede senza le opere è morta (Gc 2,20). Tuttavia co­ storo ricevono da Cristo un certo atto vitale, che è il credere: come se uno riuscisse a muo­ vere in qualche modo un membro paralizzato. 3. I santi patriarchi non praticavano i sacra­ menti della Legge come realtà assolute, ma come immagini e ombre delle cose future. Ora, è identico il moto verso l ' immagine in quanto tale e verso la realtà [che essa rappre­ senta], come spiega il Filosofo. Perciò gli an­ tichi patriarchi, praticando i sacramenti della Legge, andavano verso Cristo con quella me­ desima fede e carità con la quale ci muovia­ mo anche noi. E così i patriarchi apparteneva­ no al medesimo corpo della Chiesa a cui apparteniamo noi.

Articulus 4 Utrum Christus, secundum quod homo, sit caput angelorum

Articolo 4 Cristo come uomo è il capo degli angeli?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Christus, secundum quod homo, non sit caput angelorum. l . Caput enim et membra sunt unius naturae. Sed Christus, secundum quod homo, non est conformis in natura cum angelis, sed solum cum hominibus, quia, ut dicitur Hebr. 2 [16],

Sembra di no. Infatti: l . n capo c le membra sono della stessa natura. Ma Cristo come uomo non è consostanziale agli angeli, bensì solo agli uomini; poiché non

si prende mai cura degli angeli, ma della stir­ pe di Abramo si prende cura (Eh 2, 1 6). Quindi Cristo come uomo non è il capo degli angeli.

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La grazia di Cristo come capo della Chiesa

nusquam angelos apprehendit, sed semen Abrahae apprehendit. Ergo Christus, secun­ dum quod homo, non est caput angelorum. 2. Praeterea, illorum Christus est caput qui pertinent ad Ecclesiam, quae est cmpus eius, ut dicitur Eph. l [23]. Sed angeli non pertinent ad Ecclesiam, nam Ecclesia est congregatio fidelium; fides autem non est in angelis; non enim ambulant per fidem, sed per speciem, alioquin peregrinarentur a Domino, secun­ dum quod apostolus argumentatur, 2 Cor. 5 [6-7]. Ergo Christus, secundum quod homo, non est caput angelorum. 3 . Praeterea, Augustinus dicit, Super Ioan. [tract. 1 9 super 5,26; tract. 23 super 5, 19], quod sicut Verbum quod erat a principio apud Patrem, vivificat animas, ita Verbum caro fac­ tum vivificat corpora, quibus angeli carent Sed Verbum caro factum est Christus secundum quod homo. Ergo Christus, secundum quod homo, non intluit vitam angelis. Et ita, se­ cundum quod homo, non est caput angelorum. Sed contra est quod apostolus dicit, Col. 2 [ 1 0], qui est caput omnis principatus et pote­ statis. Et eadem ratio est de angelis aliorum ordinum. Ergo Christus est caput angelorum. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. l ad 2], ubi est unum corpus, necesse est ponere unum caput. Unum autem corpus similitudinarie dicitur una multitudo ordinata in unum secundum distinctos actus sive offi­ da. Manifestum est autem quod ad unum finem, qui est gloria divinae fiuitionis, ordi­ nantur et homines et angeli. Unde corpus Ec­ clesiae mysticum non solum consistit ex ho­ minibus, sed etiam ex angelis. Totius autem huius multitudinis Christus est caput, quia propinquius se habet ad Deum, et perfectius participat dona ipsius, non solum quam homines, sed etiam quam angeli; et de eius intluentia non solum homines recipiunt, sed etiam angeli. Dicitur enim Eph. l [20 sqq.], quod constituit eum, scilicet Christum Deus Pater, ad dexteram suam in caelestibus, supra omnem principatwn et potestatem et virtutem et dominationem, et omne nomen quod nominatur non solwn in hoc saeculo, sed etiam in futuro, et omnia subiecit sub pedibus eius. Et ideo Christus non solum est caput hominum, sed etiam angelorum. Unde Matth. 4 [ 1 1 ] legitur quod accesserunt angeli et ministrabant ei.

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2. Cristo è capo di coloro che fanno parte della Chiesa, che è il suo corpo (Ef l ,23). Ma gli angeli non fanno parte della Chiesa: que­ sta infatti è la società dei fedeli, e la fede non c'è negli angeli, poiché essi non camminano nella fede, ma nella visione, altrimenti sareb­ bero in esilio, lontano dal Signore, come dice Paolo in 2 Cor 5 [6]. Quindi Cristo in quanto uomo non è il capo degli angeli. 3. Agostino dice che come «il Verbo che era da principio presso il Padre» vivifica le ani­ me, così «il Verbo fatto carne» vivifica i cor­ pi, dei quali gli angeli sono privi. Ma «il Ver­ bo fatto carne» è Cristo in quanto uomo. Quindi Cristo come uomo non comunica la vita agli angeli. E così in quanto uomo non è il capo degli angeli. In contrario: Paolo afferma che Cristo è il capo di ogni principato e di ogni potestà (Co/ 2, 1 0). E ciò vale anche per gli angeli degli altri ordi­ ni. Cristo dunque è il capo degli angeli. Risposta: come si è detto sopra, dove c'è un solo corpo vi deve essere un solo capo. Ora, per analogia noi diciamo corpo una moltitudi­ ne composta in unità secondo operazioni e mansioni diverse. D'altra parte è evidente che tanto gli uomini quanto gli angeli sono desti­ nati a un medesimo fine, che è la gloria della fruizione divina. Perciò del corpo mistico della Chiesa fanno parte non solo gli uomini, ma anche gli angeli. E il capo di tutta questa moltitudine è Cristo, essendo egli più vicino a Dio e ricevendo i suoi doni in un modo più perfetto non solo degli uomini, ma anche de­ gli angeli, ed esercitando egli la sua influenza non solo sugli uomini, ma anche sugli angeli. Infatti in Ef l [20 ss.] è detto che Dio Padre ha fatto sedere Cristo alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni potestà e principato e auto­ rità e potenza e dominazione e ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente, ma anche in quello futuro, e tutto ha sottomesso ai suoi piedi. Perciò Cristo è capo non solo degli uomini, ma anche degli angeli. Per cui anche in Mt 4 [ 1 1 ] è detto: Gli angeli gli si accostarono e lo servivano. Soluzione delle difficoltà: l . L'influsso di Cri­ sto sugli uomini riguarda principalmente le anime, rispetto alle quali gli uomini sono del­ lo stesso genere degli angeli, sebbene non della stessa specie. E in ragione di tale somi­ glianza Cristo può essere detto capo degli

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La grazia di Cristo come capo della Chiesa

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Ad primum ergo dicendum quod influentia Christi super omnes homines principaliter quidem est quantum ad animas, secundum quas homines conveniunt cum angelis in natu­ ra generis, licet non in natura speciei. Et huius conformitatis ratione Christus potest dici caput angelorum, licet deficiat conformitas quantum ad corpora. Ad secundum dicendum quod Ecclesia secun­ dum statum viae est congregatio fidelium, sed secundum statum patriae est congregarlo com­ prehendentium. Christus autem non solum fuit viator, sed etiam comprehensor. Et ideo non solum fidelium, sed etiam comprehendentium est caput, utpote pienissime habens gratiam et gloriam. Ad tertium dicendum quod Augustinus ibi loquitur secundum quandam assimilationem causae ad effectum, prout scilicet res corporalis agit in corpora, et res spiritualis in res spiritua­ les. Tamen humanitas Christi, ex virtute spiri­ tualis naturae, scilicet divinae, potest aliquid causare non solum in spiritibus hominum, sed etiam in spiritibus angelorum, propter maxi­ mam coniunctionem eius ad Deum, scilicet se­ cundum unionem personalem.

angeli, sebbene quanto al corpo gli manchi la somiglianza con essi. 2. La Chiesa sulla terra è la società dei fedeli, ma in cielo è la società dei comprensori. Ora, Cristo non era soltanto viatore, ma anche com­ prensore. Perciò è capo non solo dei fedeli, ma anche dei comprensori, essendo in pieno possesso della grazia e della gloria. 3. Agostino nel passo citato parla secondo una certa corrispondenza tra causa ed eft'etto, in quanto cioè i corpi agiscono sui corpi e le realtà spirituali sulle realtà spirituali. Ma l'u­ manità di Cristo, in virtù della natura divina spirituale, può avere efficacia non solo sugli spiriti umani, ma anche sugli spiriti angelici, per la sua somma unione con Dio, cioè per l'unione ipostatica.

Articulus 5 Utrum sit eadem gratia qua Christus est caput Ecclesiae, cum gratia singolari illius hominis

Articolo 5 La grazia di Cristo come capo della Chiesa e come uomo singolare è identica?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod non sit eadem gratia qua Christus est caput Eccle­ siae, cum gratia singulari illius hominis. l . Dicit enim apostolus, Rom. 5 [15], si unius delicto multi mortui sunt, multo magis gratia Dei et donum in grafia unius hominis lesu Christi in plw·es abundavit. Sed aliud est pec­ catum actuale ipsius Adae, et aliud peccatum originale, quod traduxit in posteros. Ergo alia est gratia personalis, quae est propria ipsius Christi, et alia est gratia eius inquantum est ca­ put Ecclesiae, quae ab ipso ad alios derivatur. 2. Praeterea, habitus distinguuntur secundum actus. Sed ad alium actum ordinatur in Chri­ sto gratia eius personalis, scilicet ad sanctifi­ cationem illius animae, et ad alium actum or­ dinatur gratia capitis, scilicet ad sanctifican­ dum alios. Ergo alia est gratia personalis ipsius Christi, et alia est gratia eius inquantum est caput Ecclesiae.

Sembra di no. Infatti: l. Paolo in Rm 5 [15] scrive: Se per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini. Ma altro è il peccato attuale di Adamo stesso e altro è il peccato originale che egli ha trasmesso ai posteri. Quindi altra è la grazia personale che è propria di Cristo stesso e altra è la sua gra­ zia come capo della Chiesa, che da lui si comunica agli uomini. 2. Gli abiti si distinguono secondo gli atti. Ma è diverso l'atto a cui serve la grazia personale di Cristo, cioè la santificazione della sua ani­ ma, e quello a cui serve la sua grazia di capo, cioè la santificazione degli altri. La grazia personale di Cristo stesso è dunque diversa dalla grazia di lui come capo della Chiesa. 3. Come si è detto sopra, in Cristo si distingue

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La grazia di Cristo come capo della Chiesa

3. Praeterea, sicut supra [q. 7 introd.] dictum est, in Christo distinguitur triplex gratia, scilicet gratia unionis, gratia capitis, et gratia singularis illius hominis. Sed gratia singularis Christi est alia a gratia unionis. Ergo est etiam alia a gratia capitis. Sed contra est quod dicitur Ioan. l [ 1 6] , de plenitudine eius omnes accepimus. Secundum hoc autem est caput nostrum, quod ab eo ac­ cipimus. Ergo secundum hoc quod habet ple­ nitudinem gratiae, est caput nostrum. Pleni­ tudinem autem gratiae habuit secundum quod perfecte fuit in illo gratia personalis, ut supra [q. 7 a. 9] dictum est. Ergo secundum gratiam personalem est caput nostmm. Et ita non est alia gratia capitis, et alia grati a personalis. Respondeo dicendum quod unumquodque agit inquantum est ens actu. Oportet autem quod sit idem actu quo aliquid est actu, et quo agit, et sic idem est calor quo ignis est calidus, et quo calefacit. Non tamen omnis actus quo aliquid est actu, sufficit ad hoc quod sit prin­ cipium agendi in alia, cum enim agens sit praestantius patiente, ut Augustinus dicit, 1 2 Super Gen. [ 1 6], et philosophus, in 3 De an. [5,2], oportet quod agens in alia habeat actum secundum eminentiam quandam. Dictum est autem supra [q. 7 aa. 9- 1 0] quod in anima Christi recepta est gratia secundum maximam eminentiam. Et ideo ex eminentia gratiae quam accepit, competit sibi quod gratia illa ad alios derivetur. Quod pertinet ad rationem ca­ pitis. Et ideo eadem est secundum essentiam gratia personalis qua anima Christi est iustifi­ cata, et gratia eius secundum quam est caput Ecclesiae iustificans alios, differt tamen se­ cundum rationem. Ad primum ergo dicendum quod peccatum originale in Adam, quod est peccatum natu­ rae, derivatum est a peccato actuali ipsius, quod est peccatum personale, quia in eo per­ sona corrupit naturam; qua corruptione me­ diante, peccatum primi hominis derivatur ad posteros, secundum quod natura cmrupta cor­ rumpit personam. Sed gratia non derivatur a Christo in nos mediante natura humana, sed per solam personalem actionem ipsius Chri­ sti. Unde non oportet in Christo distinguere duplicem gratiam, quarum una respondeat naturae, alia personae, sicut in Adam distin­ guitur peccatum naturae et personae. Ad secundum dicendum quod diversi actus

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una triplice grazia: la grazia dell'unione, la grazia capitale e la sua grazia personale. Ma quest'ultima è diversa dalla grazia dell'unione. Quindi è diversa anche dalla grazia capitale. In contrario: in Gv l [ 1 6] è detto: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto. Ma in tanto egli è nostro capo in quanto noi ricevia­ mo da lui. Quindi è nostro capo in quanto ha la pienezza della grazia. Ora, la pienezza della grazia si è realizzata in lui con la pertèzione della sua grazia personale, come si è detto sopra. Quindi è nostro capo per la sua grazia personale. Perciò la sua grazia capitale e la sua grazia personale si identificano. Risposta: ogni ente agisce in quanto è in atto, e necessariamente ciò che lo pone in atto è insieme ciò che lo fa agire: come un medesi­ mo calore costituisce il fuoco e fa sì che riscal­ di. Tuttavia non sempre l'essere in atto basta per agire sulle altre cose: come infatti osserva­ no Agostino e il Filosofo, dovendo essere l'agente superiore al paziente, è necessario che il primo abbia l'atto [o perfezione] in un grado più eminente. Ma abbiamo detto sopra che nell'anima di Cristo la grazia si trova nella massima eccellenza. Perciò l' abbondanza della grazia che ha ricevuto gli consente di comunicarla agli altri. E questa è la sua fun­ zione di capo. Per cui è essenzialmente la medesima grazia quella personale che ha san­ tificato l'anima di Cristo e quella di lui come capo della Chiesa con la quale santifica gli altri; c'è però una differenza concettuale. Soluzione delle difficoltà: l. In Adamo il pec­ cato originale, che è un peccato di natura, derivò dal suo peccato attuale, che è un pec­ cato personale, poiché in lui la persona inqui­ nò la natura; e a causa di questa cormzione il peccato del primo uomo discende nei posteri, trasmettendosi la corruzione dalla natura alla persona. La grazia invece non passa da Cristo a noi attraverso la natura umana, ma [giunge a noi] solo per l'azione personale di Cristo stesso. Perciò non si distingue in Cristo una duplice grazia, una propria della natura e l'al­ tra della persona, come invece si distinguono in Adamo il peccato della natura e il peccato della persona. 2. Atti diversi di cui l'uno è la ragione e la causa dell'altro non comportano una distin­ zione di abiti. Ma l'atto della grazia persona­ le, che consiste nel santificare formalmente

Q. 8, A. 5

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quorum unus est ratio et causa alterius, non diversificant habitum. Actus autem personalis gratiae, qui est Sanctum facere formaliter habentem, est ratio iustificationis aliorum, quae pertinet ad gratiam capitis. Et inde est quod per huiusmodi differentiam non diversi­ ficatur essentia habitus. Ad tertium dicendum quod gratia personalis et gratia capitis ordinantur ad aliquem actum, gratia autem unionis non ordinatur ad actum, sed ad esse personale. Et ideo gratia personalis et gratia capitis conveniunt in essentia habitus, non autem gratia unionis. Quamvis gratia personalis possit quodammodo dici gratia unionis, prout facit congruitatem quandam ad unionem. Et secundum hoc, una per essentiam est gratia unionis et gratia capitis et gratia singularis personae, sed differens sola ratione.

colui che la possiede, è la causa della santifi­ cazione degli altri, compito questo della gra­ zia capitale. Perciò tale differenza lascia iden­ tico sostanzialmente l'abito. 3. La grazia personale e la grazia capitale sono ordinate all'operazione, mentre la grazia del­ l'unione non ha per fine l ' operazione, ma l'esistenza personale. Perciò la grazia persona­ le e la grazia capitale sono essenzialmente un medesimo abito, diversamente dalla grazia del­ l'unione. Sebbene sotto un certo aspetto la gra­ zia personale possa dirsi grazia di unione, dato che in un certo qual modo dispone ad essa. E in questo senso si identificano essenzialmente la grazia dell'unione, quella capitale e quella personale, con differenze solo concettuali.

Articulus 6 Utrum esse caput Ecclesiae sit proprium Christo

È proprio soltanto di Cristo essere

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod esse caput Ecclesiae non sit proprium Christo. l . Dicitur enim l Reg. 1 5 [ 17], cwn esses par­ vulus in oculis tuis, caput in tribubus Israel factus es. Sed una est Ecclesia in Novo et in Veteri Testamento. Ergo videtur quod, eadem ratione, alius homo praeter Christum potest esse caput Ecclesiae. 2. Praeterea, ex hoc Christus dicitur caput Ec­ clesiae quod gratiam influit Ecclesiae membris. Sed etiam ad alios pertinet gratiam aliis praebe­ re, secundum illud Eph. 4 [29], omnis senno malus ab ore vestro non procedat, sed si quis bonus est ad aedificationem fidei, ut det gra­ tiam audientibus. Ergo videtur quod etiam alli quam Christo competat esse caput Ecclesiae. 3 . Praeterea, Christus, ex eo quod praeest Ecclesiae, non solum dicitur caput, sed etiam pastor et ftmdamentum Ecclesiae. Sed non soli sibi Christus retinuit nomen pastoris, secundum illud l Petr. 5 [4], cum apparuerit princeps pastontm, percipietis immarcescibi­ lem gloriae coronam. Nec etiam nomen fun­ damenti, secundum illud Apoc. 2 1 [ 14], mu­ rus civitatis habens ftmdamenta duodecim. Ergo videtur quod nec etiam nomen capitis sibi soli retinuerit. Sed contra est quod dicitur Col. 2 [ 1 9], caput Ecclesiae est ex quo corpus, per nexus et

Sembra di no. Infatti: l . Di Saul è detto: Benché piccolo ai tuoi stessi occhi, sei diventato capo delle tribù d'Israele (l Sam 15,17). Ma la Chiesa è una sola nel Nuovo e nell' Antico Testamento. Quindi sembra che, oltre a Cristo, anche altri possano essere ugualmente capi della Chiesa. 2. Cristo è detto capo della Chiesa in quanto comunica la grazia alle sue membra. Ma anche altri possono comunicare la grazia, come è detto in Ef 4 [29] : Nessuna parola cattiva esca mai dalla vostra bocca, ma piut­ tosto parole buone di edificazione, che diano grazia a chi le ascolta. Quindi sembra che altri, al di fuori di Cristo, possano essere capi della Chiesa. 3. Cristo per la sua preminenza nella Chiesa è detto non solo capo, ma anche pastore [Gv 10, 1 1 ] e fondamento della Chiesa [l Cor 3, 1 1] Ora, Cristo non ha riservato a sé il nome di pastore, poiché in l Pt 5 [4] è detto: Quan­ do apparirà il Principe dei pastori, riceverete la corona di gloria che non appassisce. E nep­ pure l'appellativo di fondamento, poiché in Ap 2 1 [14] è detto: Le mura della città aveva­ no dodicifondamenta. Quindi sembra che non si sia riservato neppure il nome di capo. In contrario: in Col 2 [19] è detto: Dal capo della Chiesa tutto il corpo riceve sostenta-

Articolo 6

il capo della Chiesa?

.

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La grazia di Cristo come capo della Chiesa

coniunctiones subministratum et constructum, cresci! in augmentum Dei. Sed hoc soli Chri­ sto convenit. Ergo solus Christus est caput Ecclesiae. Respondeo dicendum quod caput in alia membra influit dupliciter. Uno modo, quodam intrinseco influxu, prout virtus motiva et sen­ sitiva a capite derivatur ad cetera membra. Alio modo, secundum exteriorem quandam gubernationem, prout scilicet secundum vi­ sum et alios sensus, qui in capite radicantur, dirigitur homo in exterioribus actibus. - In­ terior autem effluxus gratiae non est ab aliquo nisi a solo Christo, cuius humanita>, come è scritto nel De Ecclesiasticis Dogmati­ bus, ma per gli effetti della sua malizia. 2. Come il capo di Cristo è Dio [l Cor 1 1 ,3 ] , e tuttavia Cristo stesso è il capo della Chiesa

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La grazia di Cristo come capo della Chiesa

Q. 8, A. 8

scilicet diabolus, qui est rex super omnesfilios superbiae. Non autem dicitur in eo esse per unionem personalem; nec per intrinsecam ha­ bitationem, quia sola Trinitas menti illabitur, ut dicitur in libro De ecclesiasticis dogmatibus [Gennadius, 83], sed per malitiae effectum. Ad secundum dicendum quod, sicut caput Christi est Deus, et tamen ipse est caput Ec­ clesiae, ut supra [a. l ad 2] dictum est; ita Antichristus est membrum diaboli, et tamen ipse est caput malorum. Ad tertium dicendum quod Antichristus non dicitur caput omnium malorum propter simili­ tudinem influentiae, sed propter similitudinem perfectionis. In eo enim diabolus quasi mali­ tiam suam ducet ad caput, per modum quo di­ citur aliquis ad caput propositum suum duce­ re, cum illud perfecerit.

[Col 1 , 1 8], secondo l'esposizione precedente, così l'Anticristo è membro del diavolo, e tut­ tavia egli stesso è il capo dei cattivi. 3. L'Anticristo non è il capo di tutti i cattivi in ragione dell'influsso, ma per il grado di perfe­ zione. In lui infatti il diavolo p01terà a capo la propria malizia: come si dice che uno porta «a capo» un suo proposito quando ne rag­ giunge il perfetto compimento.

QUAESTI0 9 DE SCIENTIA CHRISTI IN COMMUNI

QUESTIONE 9 LA SCIENZA DI CRISTO IN GENERALE

Deinde considerandum est de scientia Christi. Circa quam duo consideranda sunt, primo, quam scientiam Christus habuerit; secundo, de unaquaque scientiarum ipsius [q. 1 0]. - Circa primum quaeruntur quatuor. Primo, ut.tum Chri­ stus habuerit aliquam scientiam praeter divi­ naro. Secundo, ut.tum habuerit scientiam quam habent beati vel comprehensores. Tertio, ut.tum habuerit scientiam inditam vel infusam. Quarto, utrum habuerit aliquam scientiam acquisitam.

Dobbiamo ora considerare la scienza di Cri­ sto. E in proposito dobbiamo esaminare due cose: innanzitutto quali specie di scienza aves­ se Cristo, poi studiare ciascuna di esse in parti­ colare. - Sul primo punto si pongono quattro quesiti: l . Cristo aveva un'altra scienza olti-e a quella divina? 2. Aveva la scienza dei beati o comprensori? 3. Aveva la scienza infusa? 4. Aveva una qualche scienza acquisita?

Articulus l Utrum in Christo fuerit aliqua scientia praeter divinam

Articolo l Cristo aveva un'altra scienza oltre a quella divina?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit aliqua scientia praeter divinam. l . Ad hoc enim necessaria est scientia ut per eam aliqua cognoscantur. Sed Christus per scientiam divinam cognoscebat omnia. Super­ fluum igitur fuisset quod in eo esset quaedam alia scientia. 2. Praeterea, lux minor per maiorem offusca­ tur. Sed omnis scientia creata comparatur ad scientiam Dei increatam sicut lux minor ad maiorem. Ergo in Christo non refulsit alia scientia quam divina.

Sembra di no. Infatti: l . La scienza è necessaria per conoscere qual­ cosa. Ma con la scienza divina Cristo cono­ sceva tutto. Sarebbe stato dunque superfluo che in lui ci fosse qualche altra scienza. 2. Una piccola luce svanisce dinanzi a una luce più grande. Ma ogni scienza creata sta alla scienza increata di Dio come una piccola luce a una luce più grande. Quindi in Cristo non splendeva altra scienza che non fosse quella divina. 3. L'unione della natura umana con quella divina è un'unione personale, come risulta da

Q. 9, A. l

La scienza di Cristo in generale

3. Praeterea, unio humanae naturae ad divinam facta est in persona, ut ex supra [q. 2 a. 2] dictis patet. Ponitur autem in Christo, secundum quosdam [Alexander Halensis, Summa Theol. 3, 1 3,2], quaedam scientia unionis, per quam scilicet Christus ea quae ad mysterium incarnationis pertinent plenius scivit quam aliquis alius. Cum ergo unio personalis con­ tineat duas naturas, videtur quod in Christo non sint duae scientiae, sed una tantum scientia pertinens ad utramque naturam. Sed contra est quod Ambrosius dicit, in libro De incarnatione [7], Deus in came peifectio­

nem humanae naturae asswnpsit, suscepit sensum hominis, sed non sensum camis infla­ tum. Sed ad sensum hominis pertinet scientia creata. Ergo in eo fuit alia scientia praeter divinam. Respondeo dicendum quod, sicut ex supra [q. 5] dictis patet, Filius Dei humanam natu­ ram integram assumpsit, idest, non corpus solum, sed etiam animam; non solum sensiti­ vam, sed etiam rationalem. Et ideo oportuit quod haberet scientiam creatam, propter tria. Primo quidem, propter animae perfectionem. Anima enim, secundum se considerata, est in potentia ad intelligibilia cognoscenda, est enim sicut tabula in qua nihil est scriptum; et tamen possibile est in ea scribi, propter intellectum possibilem, in quo est omnia fieri, ut dicitur in 3 De an. [4, 1 1 ; 5, 1]. Quod autem est in potentia, est imperfectum nisi reducatur ad actum. Non autem fuit conveniens ut Filius Dei humanam naturam imperfectam assume­ ret, sed perfectam, utpote qua mediante, totum humanum genus erat ad perfectum reducen­ dum. Et ideo oportuit quod anima Christi esset perfecta per aliquam scientiam, quae esset proprie perfectio eius. Et ideo oportuit in Christo esse aliquam scientiam praeter scien­ tiam divinam. Alioquin anima Christi esset imperfectior omnibus animabus aliorum ho­ minum. - Secundo quia, cum quaelibet res sit pmpter suam operationem, ut dicitur in 2 De caelo [3, l ], frustra haberet Christus animam intellectualem, si non intelligeret secundum illam. Quod pertinet ad scientiam creatam. Tertio, quia aliqua scientia creata pertinet ad animae humanae naturam, scilicet illa per quam naturaliter cognoscimus prima princi­ pia, scientiam enim hic large accipimus pro qualibet cognitione intellectus humani. Nihil

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quanto detto sopra. Ma alcuni ammettono in Cristo una certa «scienza dell'unione», con la quale cioè Cristo avrebbe conosciuto meglio di chiunque altro gli aspetti del mistero del­ l'incarnazione. Ora, dal momento che l'unio­ ne personale abbraccia le due nature, sembra che in Cristo non ci siano due scienze, ma una sola appartenente a entrambe le nature. In contrario: Ambrogio afferma: «Dio assunse nella carne la pertezione della natura umana: prese la sensibilità dell'uomo, ma non la sen­ sibilità orgogliosa della carne». Ora, della sensibilità dell'uomo fa parte la scienza crea­ ta. Quindi in Cristo c'era un' altra scienza oltre a quella divina. Risposta: come si è spiegato, il Figlio di Dio ha assunto una natura umana integra, cioè non il corpo soltanto, ma anche I' anima; e non solo quella sensitiva, ma anche quella razionale. Era perciò necessario che avesse una scienza creata per tre motivi. Primo, per la perfezione della sua anima. Questa infatti considerata in se stessa è in potenza a cono­ scere, «come una tavoletta su cui non è scritto nulla», ma su cui tuttavia si può scrivere, data la presenza dell'intelletto possibile «mediante il quale l'anima può diventare ogni cosa», come dice Aristotele. Ora, ciò che è in poten­ za rimane imperfetto se non passa ali' atto. Non era d'altra parte conveniente che il Figlio di Dio assumesse una natura umana imperfet­ ta: doveva invece assumerla perfetta, proprio perché essa doveva servirgli come strumento per riportare alla perfezione tutto il genere umano. Era quindi necessario che l'anima di Cristo fosse arricchita di una scienza che ne fosse la perfezione propria. In Cristo quindi ci doveva essere un'altra scienza oltre a quella divina. Altrimenti l ' anima di Cristo sarebbe stata più impetfetta dell'anima degli altri uo­ mini. - Secondo, perché «essendo ogni cosa ordinata alla sua operazione», come dice Ari­ stotele, Cristo avrebbe inutilmente un'anima intellettiva se non la esercitasse nella cono­ scenza. n che appartiene alla scienza creata. Terzo, poiché c'è una scienza creata che è naturale per l'anima umana, quella cioè con cui conosciamo naturalmente i primi princìpi: il termine scienza infatti è qui preso in senso lato per una qualsiasi conoscenza dell'intellet­ to umano. Ma a Cristo non mancava nulla di ciò che è naturale, avendo egli preso tutta la

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La scienza di Cristo in generale

Q. 9, A. l

Ad secundum dicendum quod, si duo lumina accipiantur eiusdem ordinis, minus offuscatur per maius, sicut lumen solis offuscat lumen candelae, quorum utrumque accipitur i n ordine illuminantis. Sed si accipiatur maius in ordine illuminantis et minus in ordine illumi­ nati, minus lumen non offuscatur per maius, sed magis augetur, sicut lumen aeris per lu­ men solis. Et hoc modo lumen scientiae non offuscatur, sed clarescit in anima Christi per lumen scientiae divinae, quae est lux vera il­

natura umana, come si è detto sopra. Per que­ sto nel Sesto Concilio Ecumenico fu condan­ nata la sentenza di coloro che negavano in Cristo due scienze o due sapienze. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo conosceva tutto con la scienza divina mediante un'opera­ zione increata che è l'essenza stessa di Dio, essendo l ' intellezione di Dio la sua stessa natura, come dice Aristotele. Ma evidente­ mente tale operazione non poteva procedere dall'anima umana di Cristo, che è di un'altra natura. Perciò se l'anima di Cristo non avesse avuto altra scienza che quella divina, non avrebbe conosciuto nulla. E così sarebbe stata assunta invano, «essendo ogni cosa ordinata alla sua operazione». 2. Di due luci la più piccola viene soverchiata dalla più grande se sono dello stesso ordine, come il lume di una candela dalla luce del sole, essendo ambedue sorgenti luminose. Ma se la luce maggiore è illuminante e la minore illuminata, questa non viene soverchiata, ben­ sì potenziata, come la luce dell'aria dalla luce del sole. E in questo modo la luce della scien­ za [creata] non si affievolisce, ma piuttosto si intensifica nell'anima di Cristo per la luce del­ la scienza divina, che è la luce vera che illwni­

luminans omnem hominem venientem in hunc mundum, ut dicitur Ioan. l [9].

na ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1 ,9).

Ad tertium dicendum quod, ex parte unito­ rum, ponitur scientia in Christo et quantum ad naturam divinam et quantum ad humanam, ita quod per unionem, secundum quam est eadem hypostasis Dei et hominis, id quod est Dei attlibuitur homini, et id quod est hominis attribuitur Deo, ut supra [q. 3 a. 6 arg. 3] dictum est. Sed ex parte ipsius unionis non potest poni in Christo aliqua scientia. Nam unio illa est ad esse personale, scientia autem non convenit personae nisi ratione alicuius naturae.

3. In forza delle due nature che si uniscono si riscontra in Cristo sia la scienza della natura divina che quella della natura umana, cosic­ ché in forza dell'unione ipostatica si attribui­ sce all'uomo ciò che è di Dio e a Dio ciò che è dell'uomo, come si è detto sopra. Ma in forza della stessa unione non si può porre in Cristo una nuova scienza. Poiché tale unione è fatta per costituire un'unica persona, mentre la scienza non esiste nella persona se non in dipendenza da una certa natura.

Articulus 2 Utrum in Christo fuerit scientia beatorum vel connprehensorunn

Articolo 2 Cristo aveva la scienza dei beati, o connprensori?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit scientia beatorum vel com­ prehensorum. l . Scientia enim beatorum est per participa­ tionem divini luminis, secundum illud Psalmi [35,10], in lumine tuo videbimus lumen. Sed

Sembra di no. Infatti: l . La scienza dei beati è una partecipazione alla luce di Dio, come è detto nel Sal 35 [ 1 0]: Nella tua luce vedremo la luce. Ma Cristo non partecipava la luce di Dio, dimorando in lui sostanzialmente la divinità stessa, secondo

autem naturalium Christo defuit, quia totam humanam naturam suscepit, ut supra [q. 5] dictum est. Et ideo in Sexta Synodo [actio 4; Agatho, ep. l Ad Augustos Imperatores] damnata est positio negantium in Christo duas esse scientias, vel duas sapientias. Ad primum ergo dicendum quod Christus co­ gnovit omnia per scientiam divinam operatio­ ne increata, quae est ipsa Dei essentia, Dei enim intelligere est sua substantia, ut probatur in 12 Met. [ l i ,9]. Unde hic actus non potuit esse animae humanae Christi, cum sit alterius naturae. Si igitur non fuisset in anima Christi alia scientia praeter divinam, nihil cognovis­ set. Et ita frustra fuisset assumpta, cum res sit

propter suam operationem.

Q. 9, A. 2

La scienza di Cristo in generale

Christus non habuit lumen divinum tanquam participatum, sed ipsam divinitatem in se habuit substantialiter manentem, secundum illud Col. 2 [9], in ipso habitat omnis plenitu­ do divinitatis cmporaliter. Ergo in ipso non fuit scientia beatorum. 2. Praeterea, scientia beatorum eos beatos facit, secundum illud Ioan. 1 7 [3], haec est

vita aetema, ut cognoscant te, verum Deum, et quem misisti, Ieswn Christum. Sed homo ille fuit beatus ex hoc ipso quod fuit Deo unitus in persona, secundum illud Psalmi [64,4], beatus quem elegisti et assumpsisti. Non ergo oportet

ponere in ipso scientiam beatorum. 3. Praeterea, duplex scientia homini competit, una secundum suam natumm; alia supm suam naturam. Scientia autem beatorum, quae in divi­ na visione consistit, non est secundum naturam hominis, sed supra eius naturam. In Christo autem fuit alia supematuralis scientia multo for­ tior et altior, scilicet scientia divina. Non igitur oportuit in Christo esse scientiam beatorum. Sed contra, scientia beatorum in Dei visione vel cognitione consistit. Sed ipse piene co­ gnovit Deum, etiam secundum quod homo, secundum illud Ioan. 8 [55], scio eum, et ser­ monem eius servo. Ergo in Christo fuit scien­ tia beatorum. Respondeo dicendum quod illud quod est in potentia, reducitur in actum per id quod est actu, oportet enim esse calidum id per quod alia calefiunt. Homo autem est in potentia ad scientiam beatorum, quae i n visione Dei consistit, et ad eam ordinatur sicut ad finem, est enim creatura rationalis capax illius beatae cognitionis, inquantum est ad imaginem Dei. Ad hunc autem finem beatitudinis homines reducuntur per Christi humanitatem, secun­ dum illud Hebr. 2 [ 1 0], decebat eum propter

quem omnia et per quem omnia, qui multos filios in gloriam adduxerat, auctorem salutis eorum per passionem consummari. Et ideo oportuit quod cognitio ipsa in Dei visione consistens excellentissime Christo homini conveniret, quia semper causam oportet esse potiorem causato. Ad primum ergo dicendum quod divinitas unita est humanitati Christi secundum perso­ nam, et non secundum naturam vel essen­ tiam, sed cum unitate personae remanet di­ stinctio naturarum. Et ideo anima Christi, quae est pars humanae naturae, per aliquod

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Col 2 [9]: In lui abita corporal­ mente tutta la pienezza della divinità. In lui

le parole di

dUQque non c'era la scienza dei beati. 2. E beatifica quella scienza che rende beati, come è detto in Gv 1 7 [3]: Questa è la vita

eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Ma Cri­

sto uomo era beato per il fatto stesso che era unito ipostaticamente a Dio, secondo le parole del Sal 64 [4]: Beato chi hai scelto e assunto. Quindi non c ' è bisogno di porre i n lui la scienza dei beati. 3. Si possono trovare nell'uomo due tipi di scienza: una naturale e un'altra soprannatura­ le. Ora la scienza dei beati, che consiste nella visione di Dio, non è naturale per l ' uomo, bensì soprannaturale. Ma in Cristo c'era un'al­ tra scienza soprannaturale molto più forte e più alta, cioè la scienza divina. Non era dun­ que necessaria a Cristo la scienza dei beati. In contrario: la scienza dei beati consiste nella visione o cognizione di Dio. Ma Cristo anche come uomo conosceva Dio pienamente, come è detto in Gv 8 [55]: Io lo conosco e osservo la sua parola. Quindi in Cristo c'era la scien­ za dei beati. Risposta: ciò che è in potenza passa ali' atto per mezzo di ciò che è in atto: bisogna infatti che sia caldo ciò mediante cui le altre cose vengono tiscaldate. Ora, l'uomo è in potenza alla scienza dei beati, che consiste nella visio­ ne di Dio, ed è destinato ad essa come al suo fine, essendo la creatura razionale capace di quella conoscenza beata, in quanto fatta a immagine di Dio. Ma gli uomini giungono a questo fine della beatitudine per mezzo del­ l 'umanità di Cristo, come è detto in Eb 2 [ 1 0] :

Era ben giusto che colui per il quale e dal quale sono tutte le cose, volendo portare mol­ ti figli alla gloria, rendesse peifetto mediante la sofferenza l 'autore della loro salvezza. Perciò era necessario che la conoscenza con­ sistente nella visione di Dio si trovasse in Cri­ sto nella maniera più eccellente, poiché la causa deve sempre superare l'effetto. Soluzione delle difficoltà: 1 . La divinità si unì all'umanità di Cristo nella persona, e non nel­ la natura o essenza: per cui con l'unità della persona rimane la distinzione delle nature. E così l'anima di Cristo, che è una parte della natura umana, fu elevata alla scienza beata, con la quale s i vede Dio per essenza, per

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La scienza di Cristo in generale

Q. 9, A. 2

lumen participatum a natura divina perfecta est ad scientiam beatam, qua Deus per essen­ tiam videtur. Ad secundum dicendum quod ex ipsa unione homo ille est beatus beatitudine increata, sicut ex unione est Deus. Sed praeter beatitudinem increatam, oportuit in natura humana Christi esse quandam beatitudinem creatam, per quam anima eius in ultimo fine humanae natu­ rae constitueretur. Ad tertium dicendum quod visio seu scientia beata est quodammodo supra naturam animae rationalis, inquantum scilicet propria virtute ad eam pervenire non potest. Alio vero modo est secundum naturam ipsius, inquantum scilicet per naturam suam est capax eius, prout scilicet ad imaginem Dei facta est, ut supra [in co.] dictum est Sed scientia increata est omnibus modis supra naturam animae humanae.

mezzo di una luce comunicatale dalla natura divina. 2. Per l'unione Cristo uomo è beato della bea­ titudine increata, come per l' unione è Dio. Ma oltre alla beatitudine increata era necessa­ ria nella natura umana di Cristo una beatitudi­ ne creata, che stabilisse la sua anima nel pos­ sesso dell'ultimo fine della natura umana. 3. La visione o scienza beata sotto un certo aspetto è soprannaturale per l'anima raziona­ le, nel senso cioè che essa non la può raggiun­ gere con le proprie forze, ma sotto un altro aspetto è per essa naturale: in quanto cioè l'anima per sua natura ne è capace, essendo stata fatta a immagine di Dio, come si è detto sopra. La scienza increata è invece sotto tutti gli aspetti superiore alla natura dell'anima umana.

Articulus 3 Utrum in Christo sit alia scientia indita, praeter scientiam beatam

Articolo 3 Cristo aveva un'altra scienza infusa oltre a quella beatifica?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in Christo non sit alia scientia indita, praeter scientiam beatam. l . Omnis enim alia scientia creata comparatur ad scientiam beatam sicut imperfectum ad perfectum. Sed, praesente perfecta cognitio­ ne, excluditur cognitio imperfecta, sicut manifesta visio faciei excludit aenigmaticam visionem fidei ut patet l Cor. 1 3 [ 1 0- 1 2] . Cum igitur in Christo fuerit scientia beata, ut dictum est [a. 2], videtur quod non potuerit in eo alia esse scientia indita. 2. Praeterea, imperfectior modus cognitionis disponit ad perfectiorem sicut opinio, quae est per syllogismum dialecticum, disponit ad scientiam, quae est per syllogismum demon­ strativum. Habita autem perfectione, non est ulterius necessaria dispositio, sicut, habito termino, non est necessarius motus. Cum igitur cognitio quaecumque alia creata com­ paretur ad cognitionem beatam sicut imper­ fectum ad perfectum, et sicut dispositio ad terminum, videtur quod, cum Christus ha­ buerit cognitionem beatam, quod non fuerit ei necessarium habere aliam cognitionem. 3. Praeterea, sicut materia corporalis est in potentia ad formam sensibilem, ita intellectus possibilis est in potentia ad formam intelligi-

Sembra di no. Infatti: l . Ogni altra scienza creata sta alla scienza beatifica come l'imperfetto al perfetto. Ma di fronte a una conoscenza perfetta scompare una conoscenza imperfetta, come la visione diretta esclude la visione enigmatica della fede, come risulta da l Cor 13 [10. 1 2]. Dun­ que, visto che Cristo aveva la scienza beatifi­ ca, come si è detto, sembra che non ci potesse essere in lui un'altra scienza infusa. 2. Un modo imperfetto di conoscenza dispone a un modo più perfetto: come l'opinione che si ha attraverso un sillogismo dialettico dispo­ ne alla scienza che si ha attraverso un sillogi­ smo dimostrativo. Ma una volta raggiunta la perfezione, non è più necessmia la disposizio­ ne, come una volta toccato il termine non è più necessario il moto. Ora, poiché qualunque altra conoscenza creata sta alla conoscenza beatifica come l'imperfetto al perletto e come la disposizione al termine, sembra che Cristo, avendo ricevuto la scienza beatifica, non aves­ se bisogno di un'altra scienza. 3. Come la materia corporea è in potenza alle sue forme, così l'intelletto possibile è in po­ tenza alle forme intelligibili. Ma la materia corporea non può ricevere insieme due forme, una più perfetta e l'altra meno. Quindi neppu-

Q. 9, A. 3

La scienza di Cristo in generale

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bilem. Sed materia corporalis non potest si­ mul recipere duas formas sensibiles, unam perfectiorem et aliam minus perfectam. Ergo nec anima potest simul recipere duplicem scientiam, unam perfectiorem et aliam minus perfectam. Et sic idem quod prius. Sed contra est quod dicitur Col. 2 [3], quod in

re l'anima può ricevere una duplice scienza, una più perfetta e l'altra meno. Ritorna così la conclusione precedente. In contrario: in Col 2 [3] è detto: In Cristo

Christo sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae absconditi.

che la natura umana assunta dal Verbo di Dio non avesse imperfezioni. Ma tutto ciò che è in potenza è imperfetto se non passa all' atto. Ora, l'intelletto umano possibile è in potenza a tutti gli intelligibili, e passa all'atto per mez­ zo delle specie intelligibili, che sono come delle forme che lo completano, secondo le spiegazioni di Aristotele. Bisogna quindi am­ mettere in Cristo una scienza infusa, avendo il Verbo di Dio comunicato ali' anima umana di Cristo unita a sé ipostaticamente tutte le spe­ cie intelligibili a cui l'intelletto possibile è in potenza, così come anche agli inizi della crea­ zione lo stesso Verbo di Dio impresse le spe­ cie intelligibili negli angeli, secondo la spie­ gazione di Agostino. Come quindi negli angeli, per usare le espressioni dello stesso Santo, si ammette una duplice scienza, quella «mattutina», con la quale essi conoscono le cose nel Verbo, e quella «vespertina>>, con la quale conoscono le cose nella loro natura per mezzo di specie infuse, così oltre alla scienza divina increata esiste nell' anima di Cristo la scienza beata, con la quale egli conosce il Verbo e le cose nel Verbo, e la scienza infusa, con la quale egli conosce le cose nella loro natura per mezzo di specie intelligibili pro­ porzionate alla mente umana. Soluzione delle difficoltà: l . La visione im­ perfetta della fede è per se stessa opposta alla visione diretta, essendo la fede propriamente di cose non viste, come si è detto nella Secon­ da Parte. Invece la scienza che si ha per mez­ zo di specie infuse non si oppone alla scienza beata. Perciò il paragone non regge. 2. La disposizione può avere con la perfezione due rapporti : primo, di via alla perfezione; secondo, di effetto che da essa deriva. n calore infatti dispone la materia alla forma del fuoco, ma una volta acceso il fuoco il calore non cessa, anzi, rimane come effetto di tale forma. Similmente l' opinione prodotta da un sillogi­ smo dialettico è la via che conduce alla scien­ za che si acquisisce per dimostrazione; tuttavia con tale scienza può rimanere l ' op inione

Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 1], decebat quod natura humana assumpta a Verbo Dei, imperfecta non esset. Omne autem quod est in potentia, est imperfectum nisi reducatur ad actum. Intellectus autem possi­ bilis humanus est in potentia ad omnia intelli­ gibilia. Reducitur autem ad actum per species i ntelligibi1es, quae sunt formae quaedam completivae ipsius, ut patet ex h i s quae dicuntur in 3 De an. [8, 1 ] . Et ideo oportet in Christo scientiam ponere inditam, inquantum per Verbum Dei animae Christi, sibi persona­ liter unitae, impressae sunt species intelligi­ biles ad omnia ad quae est intellectus possi­ bilis in potentia, sicut etiam per Verbum Dei impressae sunt species intelligibiles menti an­ gelicae in principio creationis rerum, ut patet per Augustinum, Super Gen. [2,8]. Et ideo, sicut in angelis, secundum eundem Augu­ stinum [Super Gen. 4,22; De civ. Dei 1 1 ,7], ponitur duplex cognitio, una scilicet matutina, per quam cognoscunt res in Verbo, et alia vespertina, per quam cognoscunt res in pro­ pria natura per species sibi inditas; ita, praeter scientiam divinam increatam, est in Christo, secundum eius animam, scientia beata, qua cognoscit Verbum et res in Verbo; et scientia indita sive infusa, per quam cognoscit res in propria natura per species intelligibiles huma­ nae menti proportionatas. Ad primum ergo dicendum quod visio imper­ fecta fidei in sui ratione includit oppositum manifestae visionis, eo quod de ratione fidei est ut sit de non visis, ut in Secunda Parte [11-11 q. l a. 4] habitum est. Sed cognitio quae est per species inditas, non includit aliquid oppo­ situm cognitionis beatae. Et ideo non est eadem ratio utrobique. Ad secundum dicendum quod dispositio se habet ad perfectionem dupliciter, uno modo, sicut via ducens in perfectionem; alio modo, sicut effectus a perfectione procedens. Per ca1orem enim disponitur materia ad suscipien-

sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. Risposta: era conveniente, come si è detto,

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La scienza di Cristo in generale

Q. 9, A. 3

dum formam ignis, qua tamen adveniente, ca­ lor non cessat, sed remanet quasi quidam effectus talis formae. Et similiter opinio, ex syllogismo dialectico causata, est via ad scientiam, quae per demonstrationem acquiri­ tur, qua tamen acquisita, potest remanere co­ gnitio quae est per syllogismum dialecticum, quasi consequens scientiam demonstrativam quae est per causam; quia ille qui cognoscit causam, ex hoc etiam magis potest cognosce­ re signa probabilia, ex quibus procedit dialec­ ticus syllogismus. Et similiter in Christo si­ mul cum scientia beatitudinis manet scientia indita, non quasi via ad beatitudinem, sed quasi per beatitudinem confirmata. Ad tertium dicendum quod cognitio beata non fit per speciem quae sit similitudo divinae essentiae, vel eorum quae in divina essentia cognoscuntur, ut patet ex his quae in Prima Parte [q. 12 aa. 2.9] dieta sunt, sed talis co­ gnitio est ipsius divinae essentiae immediate, per hoc quod ipsa essentia divina unitur menti beatae sicut intelligibile intelligenti. Quae quidem essentia divina est forma excedens proportionem cuiuslibet creaturae. Unde nihil prohibet quin, cum hac forma superexce­ dente, simul insint rationali menti species intelligibiles proportionatae suae naturae.

appoggiata al sillogismo dialettico, come una conseguenza della scienza dimostrativa deri­ vante dalla conoscenza delle cause: conoscen­ do infatti le cause, per ciò stesso si possono conoscere meglio anche le ragioni probabili di cui si vale il sillogismo dialettico. Parimenti in Cristo, assieme alla scienza beata, rimane la scienza infusa: non come via alla beatitudine, ma come confermata dalla beatitudine. 3 . La conoscenza beatifica non si ha per mezzo di una specie che sia l'immagine del­ l'essenza di Dio, o delle cose che si conosco­ no nell'essenza divina, come risulta da quanto si è detto nella Prima Parte, ma tale cono­ scenza coglie la stessa essenza divina in mo­ do immediato, giacché la stessa essenza divi­ na si unisce alla mente beata come l' intelligi­ bile all'intelletto. L'essenza divina è però una forma che oltrepassa i limiti di qualsiasi crea­ tura. Perciò nulla impedisce che assieme a questa forma sovraeminente l'anima raziona­ le abbia delle specie intelligibili proporziona­ te alla sua natura.

Articulus 4 Utrum in Christo fuerit aliqua scientia experimentalis acquisita

Articolo 4 Cristo aveva una scienza sperimentale acquisita?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit aliqua scientia experimen­ talis acquisita. l . Quidquid enim Christo conveniens fuit, ex­ cellentissime habuit. Sed Christus non habuit excellentissime scientiam acquisitam, non enim institit studio litterarum, quo perfectissime scientia acquiritur; dicitur enim Ioan. 7 [ 15], mi­ rabantur Iudaei, dicentes, quomodo hic litteras scit, cum non didicerit? Ergo videtur quod in Christo non fuerit aliqua scientia acquisita. 2. Praeterea, ei quod est plenum, non potest aliquid superaddi. Sed potentia animae Chri­ sti fuit impleta per species intelligibiles di­ vinitus inditas, ut dictum est [a. 3]. Non ergo potuerunt supervenire eius animae aliquae species acquisitae. 3. Praeterea, in eo qui iam habitum scientiae habet, per ea quae a sensu accipit, non acquiri-

Sembra di no. Infatti: l . Cristo aveva nel modo più eccellente tutto ciò che gli conveniva. Ma Cristo non aveva nel modo più eccellente la scienza acquisita, non essendosi egli applicato allo studio delle lettere, che è il miglior mezzo per acquistare la scienza. Infatti in Gv 7 [ 1 5] è detto: I Giu­ dei erano stupiti e dicevano: Come mai costui conosce le Scritture senza avere studiato? Quindi sembra che Cristo non avesse alcuna scienza acquisita. 2. Ciò che è pieno non può ricevere altro. Ma la potenzialità dell'anima di Cristo fu piena­ mente attuata dalle specie intelligibili infuse direttamente da Dio, come si è detto. Quindi non poteva ricevere altre specie acquisite. 3. In colui che ha già l'abito della scienza non viene acquisito un nuovo abito con le perce­ zioni sensibili, poiché così si avrebbero nel

Q. 9, A. 4

La scienza di Cristo in generale

tur novus habitus, quia sic duae formae eius­ dem speciei simul essent in eodem, sed ha­ bitus qui prius inerat, confirmatur et augetur. Cum ergo Christus habuerit habitum scientiae inditae, non videtur quod per ea quae sensu percepit, aliquam aliam scientiam acquisierit. Sed contra est quod Hebr. 5 [8] dicitur, cum esset Filius Dei, didicit ex his quae passus est, obedientiam, Glossa [int. et Lomb.] , idest, expertus est. Fuit ergo in Christo aliqua expe­ rimentalis scientia, quae est scientia acquisita. Respondeo dicendum quod, sicut ex supra [q. 4 a. 2 arg. 2; q. 5] dictis patet, nihil eorum quae Deus in nostra natura plantavit, defuit humanae naturae assumptae a Verbo Dei. Ma­ nifestum est autem quod in humana natura Deus plantavit non solum intellectum possibi­ lem, sed etiam intellectum agentem. Unde ne­ cesse est dicere quod in anima Christi non solum intellectus possibilis, sed etiam intel­ lectus agens fuerit. Si autem in aliis Deus et natura nihil fntstra fecerunt, ut philosophus dicit, in l De caelo [4,8], multo minus in ani­ ma Christi aliquid fuit frustra. Frustra autem est quod non habet propriam operationem, cum omnis res sit propter suam operationem, ut dicitur in 2 De caelo [3, 1]. Propria autem operatio intellectus agentis est facere species intelligibiles actu, abstrahendo eas a phan­ tasmatibus, unde dicitur in 3 De an. [5,1]. quod intellectus agens est quo est omniafacere. Sic igitur necesse est dicere quod in Christo fue­ runt aliquae species intelligibiles per actionem intellectus agentis in intellectu possibili eius receptae. Quod est esse in ipso scientiam acquisitam, quam quidam [Bonaventura, In Sent. l. 3 d. 14 a. 3 q. 2] experimentalem nominant. - Et ideo, quamvis aliter alibi [In Sent. l. 3 d. 14 a. 3 q. 5 ad 3; d. 1 8 a 3 ad 5] scripserim, dicendum est in Christo scientiam acquisitam fuisse. Quae proprie est scientia secundum modum humanum, non solum ex parte recipientis subiecti, sed etiam ex parte causae agentis, nam talis scientia ponitur in Christo secundum lumen intellectus agentis, quod est humanae naturae connaturale. Scien­ tia autem infusa attribuitur animae humanae secundum lumen desuper infusum, qui modus cognoscendi est proportionatus naturae an­ gelicae. Scientia vero beata, per quam ipsa Dei essentia videtur, est propria et connaturalis soli Deo, ut in Prima Parte [q. 12 a. 4] dictum est.

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medesimo soggetto due forme della stessa natura, ma con esse l'abito già formato si consolida e si sviluppa. Perciò sembra che Cristo, avendo l' abito della scienza infusa, non potesse con le percezioni sensibili acqui­ stare un'altra scienza. In contrario: in Eb 5 [8] è detto: Pur essendo Figlio di Dio, imparò tuttavia l'obbedienza dal­ le cose che pari; e la Glossa interpreta: «spe­ rimentò». C'era dunque in Cristo una scienza sperimentale, che è una scienza acquisita. Risposta: come risulta da quanto detto sopra, nessuna delle cose poste da Dio nella nostra natura mancò alla natura umana assunta dal Verbo di Dio. Ma Dio pose nella natura uma­ na non solo l'intelletto possibile, bensì anche l ' intelletto agente. Perciò bisogna ammettere nell'anima di Cristo non solo l'intelletto possi­ bile, ma anche l'intelletto agente. Ora, se «Dio e la natura non hanno mai fatto nulla di inuti­ le», come osserva il Filosofo, tanto meno c'era qualcosa di inutile nell'anima di Cristo. Ma una cosa che non abbia la sua operazione pro­ pria risulta inutile, essendo «ogni cosa per la sua operazione», come nota il Filosofo. Ora, l'operazione propria dell'intelletto agente è di rendere intelligibile in atto le specie astraendo­ le dai fantasmi: ed è ciò che Aristotele intende quando assegna ali' intelletto agente la funzio­ ne di «fare tutte le cose». Così dunque è ne­ cessario ammettere in Cristo alcune specie intelligibili prodotte dall'azione deli' intelletto agente e accolte dal suo intelletto possibile. E ciò equivale ad ammettere in lui una scienza acquisita, che alcuni chiamano sperimentale. Perciò, sebbene altrove io abbia scritto diver­ samente, bisogna riconoscere in Cristo una scienza acquisita. E questa è una scienza com­ misurata esattamente all'uomo, non solo dalla parte del soggetto ricevente, ma anche dalla parte della causa efficiente: infatti tale scienza viene posta in Cristo secondo il lume dell'in­ telletto agente, che è connaturale alla natura umana. Invece la scienza infusa esiste nell'ani­ ma umana grazie a un lume donato dall'alto, secondo il modo di conoscere proprio della natura angelica. La scienza beatifica poi, che consente la visione della stessa essenza divina, è propria e connaturale a Dio soltanto, come si è detto nella Prima Parte. Soluzione delle difficoltà: l . Dei due modi di acquistare la scienza, cioè la scoperta perso-

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La scienza di Cristo in generale

Q. 9, A. 4

Ad primum ergo dicendum quod, cum duplex sit modus acquirendi scientiam, scilicet inve­ niendo et addiscendo, modus qui est per in­ ventionem est praecipuus, modus autem qui est per disciplinam est secundarius. Unde di­ citur in l Ethic. [6,7] , il/e quidem est optimus qui omnia per seipsum intelligit, bonus autem et ille qui bene dicenti obediet. Et ideo Christo magis competebat habere scientiam acquisi­ tam per inventionem quam per disciplinam, praesertim cum ipse daretur a Deo omnibus in doctorem, secundum illud loel 2 [23 ] , laetamini in Domino Deo vestro, quia dedit vobis Doctorem iustitiae. Ad secundum dicendum quod humana mens duplicem habet respectum. Unum quidem ad superiora. Et secundum hunc respectum, ani­ ma Christi fuit piena per scientiam inditam. Alius autem respectus eius est ad inferiora, idest ad phantasmata, quae sunt nata movere mentem humanam per virtutem intellectus agentis. Oportuit autem quod etiam secun­ dum hunc respectum anima Christi scientia impleretur, non quin prima plenitudo menti humanae sufficeret secundum seipsam; sed oportebat eam perfici etiam secundum com­ parationem ad phantasmata. Ad tertium dicendum quod alia ratio est de habitu acquisito, et de habitu infuso. Nam ha­ bitus scientiae acquiritur per comparationem humanae mentis ad phantasmata, unde secun­ dum eandem rationem non potest alius habi­ tus iterato acquiri. Sed habitus scientiae infu­ sae est alterius rationis, utpote a superiori descendens in animam, non secundum pro­ portionem phantasmatum. Et ideo non est eadem ratio de utroque habitu.

nale e l'insegnamento, il primo è principale, l'altro è secondario. Per cui Aristotele sctive che è «Ottimo chi impara tutto da sé, buono invece chi è docile a un buon insegnante». A Ctisto perciò conveniva maggiormente acqui­ sire la scienza per sua iniziativa che per inse­ gnamento, tanto più che egli veniva dato da Dio come Maestro di tutti, come è detto in G/ 2 [23]: Gioite nel Signore vostro Dio, poi­ ché vi ha dato un Maestro di giustizia. 2. L'intelligenza umana ha due relazioni. Una con le realtà supetioti. E sotto questo aspetto l'anima di Cristo fu ricolmata della scienza infusa. L'altro rapporto invece lo ha con le realtà inferiori, cioè con i fantasmi, che hanno il compito di stimolare l'intelligenza umana per mezzo dell'intelletto agente. Era quindi opportuno che anche sotto questo aspetto l'anima di Cristo fosse ripiena di scienza, non perché la sola scienza infusa non fosse suffi­ ciente alla mente umana, ma perché questa doveva essere resa perfetta anche in rapporto ai fantasmi. 3. L'abito acquisito e l'abito infuso hanno una natura diversa. L'abito della scienza acquisita si forma infatti con il ricorso della mente umana ai fantasmi, e per questa via non è possibile acquistare più volte il medesimo abito. Ma l'abito della scienza infusa ha un'al­ tra origine, discendendo nell'anima dall'alto senza riferimento ai fantasmi. I due abiti per­ ciò non sono sullo stesso piano.

QUAESTIO 1 0 DE SCIENTIA BEATA ANIMAE CHRISTI

QUESTIONE I O LA SCIENZA BEATIFICA DELL'ANIMA DI CRISTO

Deinde considerandum est de qualibet prae­ dictarum scientiarum. Sed quia de scientia divina dictum est in Prima Parte [q. 14], restat nunc videre de aliis, primo, de scientia beata; secundo, de scientia indita [q. 1 1 ]; tertio, de scientia acquisita [q. 1 2]. Sed quia de scientia beata, quae in Dei visione consistit, plura dieta sunt in Ptima Parte [q. 1 2], ideo hic sola illa videntur dicenda quae pertinent ad animam

Passiamo ora a esaminare ciascuna delle sud­ dette scienze. Ma poiché della scienza divina si è parlato nella Prima Parte, ora restano da vedere le altre: primo, la scienza beatifica; secondo, la scienza infusa; terzo, la scienza acquisita. Della scienza beatifica però, che consiste nella visione di Dio, molto è stato detto nella Prima Parte: quindi la trattazione si limita qui ai suoi rapporti con l'anima di

Q. IO, A. l

La scienza beatifica dell 'anima di Cristo

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Christi. - Circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum anima Christi comprehenderit Verbum, sive divinam essentiam. Secundo, utrum co­ gnovelit omnia in Verbo. Tertio, utrum anima Christi in Verbo cognoverit infinita. Quarto, utrum videat Verbum, vel divinam essentiam, clarius qualibet alia creatura.

Cristo. - Su questo argomento si pongono quattro quesiti: l . L'anima di Cristo aveva la comprensione del Verbo, ossia dell'essenza divina? 2. Nel Verbo aveva la conoscenza di ogni cosa? 3. Nel Verbo conosceva infinite cose? 4. Vedeva il Verbo, o l'essenza divina, più chiaramente di qualsiasi altra creatura?

Articulus l Utrum anima Christi comprehenderit et comprehendat Verbum, sive divinam essentiam

Articolo l L'anima di Cristo aveva e ha la comprensione del Verbo, o dell'essenza divina?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod ani­ ma Christi comprehenderit et comprehendat Verbum, sive divinam essentiam. l . Dicit enim Isidorus [Sententiarum 1 ,3] quod Trinitas sibi soli nota est, et homini as­ sumpto. Igitur homo assumptus communicat cum sancta Tlinitate in illa notitia sui quae est sanctae Trinitatis propria. Huiusmodi autem est notitia comprehensionis. Ergo anima Christi comprehendit divinam essentiam. 2. Praeterea, magis est uniri Deo secundum esse personale quam secundum visionem. Sed, sicut Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 6], tota divinitas, in una personantm, est unita humanae naturae in Christo. Multo igitur magis tota natura divina videtur ab anima Christi. Et ita videtur quod anima Christi comprehendat divinam essentiam. 3. Praeterea, illud quod convenit Filio Dei per naturam, convenit Filio hominis per gratiam, ut Augustinus dicit, in libro De Trin. [13] . Sed comprehendere divinam essentiam competit Filio Dei per naturam. Ergo Filio hominis competit per gratiam. Et ita videtur quod ani­ ma Christi per gratiam Verbum comprehendat. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro Octoginta nium Q. [ 1 5], quod se comprehen­ dit, finitum est sibi. Sed essentia divina non est finita in comparatione ad animam Chlisti, cum in infinitum eam excedat. Ergo anima Christi non comprehendit Verbum. Respondeo dicendum quod, sicut ex supra [q. 2 a. l ] dictis patet, sic facta est unio natu­ rarum in persona Chlisti quod tamen proprie­ tas utriusque naturae inconfusa permansit, ita scilicet quod increatum mansit increatwn, et creatum mansit infra limites creaturae, sicut Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 3]. Est autem impossibile quod aliqua creatura com-

Sembra di sì. Infatti: l . Isidoro dice che «la Trinità è nota solo a se stessa e all' uomo assunto». Quindi l'uomo assunto ha in comune con la santa Tiinità la conoscenza che questa ha di se stessa. Ma tale conoscenza è comprensiva. Quindi l'anima di Cristo comprende l'essenza divina. 2. Unirsi a Dio nell'unione ipostatica è più che unirsi a lui nella visione. Ma secondo Gio­ vanni Damasceno «tutta la divinità in una delle persone si è unita alla natura umana in Cristo». Tanto più dunque l'anima di Cristo vede tutta la natura divina. Perciò sembra che l'anima di Cristo comprendesse l'essenza divina. 3. «Ciò che compete al Figlio di Dio per natu­ ra, compete al Figlio dell'Uomo per grazia>>, come dice Agostino. Ma comprendere l'es­ senza divina spetta al Figlio di Dio per natura. Quindi spetta per grazia al Figlio dell'Uomo. E così sembra che l'anima di Cristo abbia per grazia la comprensione del Verbo. In contrario: Agostino dice che «Comprendere è racchiudere nei propri limiti». Ma l'essenza divina non ha i limiti dell'anima umana, e la supera all'infinito. Quindi l'anima di Ciisto non ha la comprensione del Verbo. Risposta: come Iisulta da quanto detto sopra, le due nature si unirono nella persona di Cristo lasciando distinte le proprietà di cia­ scuna, per cui, secondo il Damasceno, «l'in­ creato Iimase increato e il creato si tenne en­ tro i limiti della creatura». Ora, è impossibile che una creatura abbia la comprensione totale dell'essenza divina, come si è spiegato nella Prima Parte, poiché l'infinito non può essere contenuto dal fmito. Quindi l'anima di Cristo in nessun modo ha la comprensione totale dell'essenza divina.

La scienza beatifica dell 'anima di Cristo

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prehendat divinam essentiam, sicut in Prima Parte [q. 1 2 a. 7] dicrnm est, eo quod infinirnm non comprehenditur a finito. Et ideo dicen­ dum quod anima Christi nullo modo compre­ hendit divinam essentiam. Ad primum ergo dicendum quod homo as­ sumptus connumeratur divinae Trinitati in sui cognitione, non ratione comprehensionis, sed ratione cuiusdam excellentissimae cognitionis prae ceteris creatutis. Ad secundum dicendum quod nec etiam in unione quae est secundum esse personale, natura humana comprehendit Verbum Dei, sive naturam divinam, quae quamvis tota unita fue­ rit humanae naturae in una persona Filii, non tamen fuit tota virtus divinitatis ab humana na­ tura quasi circumscripta. Unde Augustinus dicit, in Epistola ad Volusianum [ep. 1 37 ,2],

scire te volo non hoc christianam habere doc­ trinam, quod ita Deus infusus sit cami ut curam gubernandae universitatis vel deseruerit vel amiserit, vel ad illud cmpusculwn quasi con­ tractam collectamque transtulerit. Et sirniliter anima Christi totam essentiam Dei videt, non tamen eam comprehendit, quia non totaliter eam videt, idest, non ita perfecte sicut visibilis est, ut in Prima Parte [q. 12 a. 7] exposirnm est. Ad tertium dicendum quod Verbum illud Au­ gustini est intelligendum de gratia unionis, se­ cundum quam omnia quae dicuntur de Filio Dei secundum naturam divinam, dicuntur de Filio horninis, propter identitatem suppositi. Et secundum hoc, vere potest dici quod Filius ho­ rninis est comprehensor divinae essentiae, non quidem secundum animam, sed secundum di­ vinam naturam. Per quem etiam modum potest dici quod Filius horninis est Creator.

Q. 1 0, A. l

Soluzione delle difficoltà: l . L'uomo assunto viene a partecipare della conoscenza che la Trinità divina ha di se stessa non a motivo della comprensione, ma perché ha una cono­ scenza molto superiore a quella delle altre creature. 2. Neppure nell'unione personale la natura umana comprende il Verbo di Dio o l'essenza divina, poiché sebbene questa nell'unica per­ sona del Figlio si sia unita tutta alla natura umana, tuttavia la divinità non rimase per questo come circoscritta da essa. Per cui dice Agostino, scrivendo a Volusiano: «Voglio che tu lo sappia: la dottrina cristiana non insegna che Dio si è calato nella carne in modo da abbandonare o perdere il governo dell'univer­ so, o in modo da concentrarlo i n quel minu­ scolo corpo». Parimenti anche l ' anima di Cri­ sto vede tutta l ' essenza di Dio, ma non la comprende, poiché non la vede totalmente, cioè così perfettamente come è visibile, se­ condo quanto abbiamo spiegato nella Prima

Parte. 3 . La frase di Agostino va intesa della grazia dell'unione, a motivo della quale tutto ciò che viene detto del Figlio di Dio secondo la sua natura divina viene detto del Figlio del­ l'Uomo, in forza dell'identità del supposito. E in base a ciò possiamo veramente dire che i l Figlio dell' Uomo comprende l'essenza divi­ na: non però con la sua anima, ma con la sua natura divina. E sotto questo aspetto si può anche dire che il Figlio dell'Uomo è Creatore.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum anima Christi in Verbo cognoscat omnia

L'anima di Cristo conosce nel Verbo tutte le cose?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod anima Christi in Verbo non cognoscat omnia. l . Dicitur enim Marci 1 3 [32], de die autem

il/a nemo scit, neque angeli in caelo neque Fi­ lius, nisi Pater. Non igitur omnia scit in Verbo. 2. Praeterea, quanto aliquis perfectius co­ gnoscit aliquod principium, tanto plura in ilio principio cognoscit. Sed Deus perfectius videt essentiam suam quam anima Christi. Ergo plura cognoscit in Verbo quam anima Christi.

Sembra di no. Infatti: l . In Mc 13 [32] è detto:

Quanto poi a quel giorno nessuno lo conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre. Egli quindi non conosce nel Verbo tutte le cose. 2. Quanto meglio si conosce un principio, tante più cose si conoscono in esso. Ma Dio conosce la propria essenza meglio dell'anima di Cristo. Quindi conosce nel Verbo più cose

Q. IO, A. 2

La scienza beatifica dell 'anima di Cristo

Non ergo anima Christi in Verbo cognoscit omnia. 3 . Praeterea, quantitas scientiae attenditur secundum quantitatem scibilium. Si ergo anima Christi sciret in Verbo omnia quae scit Verbum, sequeretur quod scientia animae Christi aequaretur scientiae divinae, creatum videlicet increato. Quod est impossibile. Sed contra est quod, super illud Apoc. 5 [ 1 2], dignus est Agnus qui occisus est accipere divinitatem et scientiam, Glossa [ord.] dicit, idest, omnium cognitionem. Respondeo dicendum quod, cum quaeritur an Christus cognoscat omnia in Verbo, dicen­ dum est quod ly omnia potest dupliciter accipi. Uno modo, proprie, ut distribuat pro omnibus quae quocumque modo sunt vel erunt vel fuerunt, vel facta vel dieta vel co­ gitata a quocumque, secundum quodcumque tempus. Et sic dicendum est quod anima Christi in Verbo cognoscit omnia. Unusquis­ que enim intellectus creatus in Verbo cogno­ scit, non quidem omnia simpliciter, sed tanto plura quanto perfectius videt Verbum, nulli tamen intellectui beato deest quin cognoscat in Verbo omnia quae ad ipsum spectant. Ad Christum autem, et ad eius dignitatem, spectant quodammodo omnia, inquantum ei subiecta sunt omnia. Ipse est etiam omnium iudex constitutus a Deo, quia Filius hominis est, ut dicitur Ioan. 5 [27] . Et ideo anima Christi in Verbo cognoscit omnia existentia secundum quodcumque tempus, et etiam hominum cogitatus, quorum est iudex, ita quod de eo dicitur, Ioan. 2 [25], ipse enim sciebat quid esset in homine; quod potest intelligi non solum quantum ad scientiam divinam, sed etiam quantum ad scientiam animae eius quam habet in Verbo. - Alio modo ly omnia potest accipi magis large, ut extendatur non solum ad omnia quae sunt actu secundum quodcumque tempus, sed etiam ad omnia quaecumque sunt in potentia nunquam reducta ad actum. Horum autem quaedam sunt solum in potentia divina. Et huiusmodi non omnia cognoscit in Verbo ani­ ma Christi. Hoc enim esset comprehendere omnia quae Deus potest facere, quod esset comprehendere divinam virtutem, et per con­ sequens divinam essentiam; virtus enim quaelibet cognoscitur per cognitionem eorum in quae potest. Quaedam vero sunt non solum

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che l'anima di Cristo. E così l'anima di Cristo non conosce nel Verbo tutte le cose. 3. La misura di una scienza è data dal numero dei suoi oggetti. Se dunque l'anima di Cristo conoscesse nel Verbo tutte le cose che cono­ sce il Verbo, la scienza dell'anima di Cristo uguaglierebbe la scienza divina, cioè il creato uguaglierebbe l' increato. Il che è assurdo. In contrario: in Ap 5 [ 1 2] è detto: L'Agnello che fu immolato è degno di ticevere la divi­ nità e la scienza, e la Glossa spiega: «Cioè la conoscenza di tutte le cose». Risposta: nel chiederci se Cristo conosca nel Verbo tutte le cose dobbiamo precisare che l'espressione «tutte le cose» può essere intesa in due modi. Primo, in senso proprio, inclu­ dendo tutte le cose che in qualunque maniera sono, saranno o sono state; o fatte, o dette, o pensate da chiunque in qualsiasi tempo. Ora, entro questi limiti l'anima di Cristo conosce nel Verbo tutte le cose. Infatti ogni intelletto creato può conoscere nel Verbo non tutte le cose in senso assoluto, ma tante più cose quanto più perfettamente vede il Verbo: a nes­ suno dei beati manca però la conoscenza nel Verbo delle cose che lo riguardano. Ora, a Cristo e alla sua dignità si riferiscono in certo qual modo tutte le cose, poiché ogni cosa è stata sottoposta a lui. Inoltre, egli stesso è stato costituito da Dio giudice di tutto, perché è il Figlio dell 'Uomo, come è detto in Gv 5 [27]. Perciò l' anima di Cristo conosce nel Verbo tutte le realtà esistenti di qualunque tempo, e anche i pensieri degli uomini di cui è giudice, come è detto in Gv 2 [25]: Sapeva quello che c 'è in ogni uomo; il che può riferir­ si non solo alla scienza divina, ma anche alla scienza che la sua anima ha nel Verbo. Secondo, l'espressione «tutte le cose» può in­ tendersi in senso più largo, così da abbraccia­ re non solo tutte le cose che sono in atto in qualsiasi tempo, ma anche tutte quelle che so­ no in potenza e mai verranno attuate. Di esse poi alcune sono soltanto nel potere di Dio. E queste l'anima di Cristo non le conosce tutte nel Verbo. Ciò infatti equivarrebbe a com­ prendere tutto quello che Dio può fare, vale a dire ad avere la piena comprensione della vir­ tù divina, e quindi dell'essenza divina. Ogni virtù infatti viene conosciuta in base a ciò che può fare. Altre cose invece sono nel potere non solo di Dio, ma anche delle creature.

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La scienza beatifica dell 'anima di Cristo

in potentia divina, sed etiam in potentia crea­ turae. Et huiusmodi omnia cognoscit anima Christi in Verbo. Comprehendit enim in Ver­ bo omnis creaturae essentiam, et per con­ sequens potentiam et virtutem, et omnia quae sunt in potentia creaturae. Ad primum ergo dicendum quod illud verbum intellexemnt Arius et Eunornius, non quantum ad scientiam animae, quam i n Christo non ponebant, ut supra [q. 5 a. 3] dictum est, sed quantum ad divinam cognitionem Filii, quem ponebant esse minorem Patre quantum ad scientiam. Sed istud stare non potest. Quia per Verbum Dei facta sunt omnia, ut dicitur Ioan. l [3], et, inter alia, facta sunt etiam per ipsum 01nnia tempora. Nihil autem per ipsum factum est quod ab eo ignoretur. - Dicitur ergo nesci­ re diem et horam iudicii, quia non facit scire, interrogatus enim ab apostolis super hoc, Act. l [6-7], hoc eis noluit revelare. Sicut e contra­ rio legitur Gen. 22 [ 1 2], nunc cognovi quod timeas Deum, idest, mmc cognoscere feci. Di­ citur autem Pater scire, eo quod huiusmodi cognitionem tradidit Filio. Unde in hoc ipso quod dicitur, nisi Pater, datur intelligi quod Filius cognoscat, non solum quantum ad di­ vinam naturam, sed etiam quantum ad huma­ nam. Quia, ut Chrysostomus argumentatur [In Matth. h. 77], si Christo homini datum est ut

sciat qua/iter oporteat iudicare, quod est maius; multo magis datum est ei scire quod est minus, scilicet tempus iudicii. - Origenes tamen hoc exponit [In Matth., Commentario­ rum series n . 55 super 24,36] de Christo secundum corpus eius, quod est Ecclesia, quae hoc ipsum tempus ignorat. Quidam autem dicunt hoc esse intelligendum de Filio Dei adoptivo, non de naturali. Ad secundum dicendum quod Deus per­ fectius cognoscit suam essentiam quam ani­ ma Christi, quia eam comprehendit. Et ideo cognoscit omnia non solum quae sunt in actu secundum quodcumque tempus, quae dicitur cognoscere scientia visionis; sed etiam omnia quaecumque ipse potest facere, quae dicitur cognoscere per simplicem intelligentiam, ut in primo [q. 14 a. 9] habitum est. Scit ergo ani­ ma Christi omnia quae Deus in seipso cogno­ scit per scientiam visionis, non tamen omnia quae Deus in seipso cognoscit per scientiam simplicis intelligentiae. Et ita plura scit Deus in seipso quam anima Christi.

Q. 1 0, A. 2

E queste l'anima di Cristo le conosce tutte nel Verbo. Comprende infatti nel Verbo l'essenza di ogni creatura, e quindi la potenza, la virtù e tutto ciò che è in potere delle creature. Soluzione delle difficoltà: l . Ario ed Euno­ mio riferivano quelle parole non alla scienza dell'anima, che non ammettevano in Cristo, come si è detto sopra, ma alla scienza divina del Figlio, che dicevano inferiore al Padre nella scienza. ll che è inammissibile. Poiché

per mezzo del Verbo di Dio sono state create tutte le cose (Gv 1 ,3), e fra le altre sono stati fatti per mezzo di lui anche tutti i tempi. Ora, nulla egli può aver fatto senza averne la cono­ scenza. - Dice dunque di non sapere il giorno e l' ora del giudizio nel senso che non voleva farlo sapere: inten·ogato infatti dagli apostoli su questo, si rifiutò di rivelarlo (At 1 ,6 s.). Come in senso contrario si legge in Gen 22 [ 12]: Ora so che tu temi Dio, cioè «ora l'ho fatto conoscere». Dice dunque che il Padre lo sa proprio perché ha comunicato al Figlio tale conoscenza. Per cui la stessa precisazione «eccetto il Padre» fa capire che il Figlio cono­ sce, non solo con la natura divina, ma anche con quella umana. Poiché, come argomenta il Crisostomo, «Se a Ctisto uomo fu dato di sape­ re il più, cioè come dovesse giudicare, a più forte ragione gli fu dato di conoscere il meno, cioè il tempo del giudizio». - Origene invece riferisce quelle parole al cmpo di Cristo, che è la Chiesa [ Col l ,24] , la quale ignora il tempo in questione. Altri poi dicono che esse vanno riferite al figlio di Dio adottivo, non a quello naturale. 2. Dio conosce la propria essenza meglio del­ l' anima di Cristo, poiché la comprende. Per­ ciò conosce non solo tutte le cose che sono in atto in qualunque momento, con la cosiddetta «scienza di visione», ma anche tutte le cose che egli può fare, e che sono l'oggetto della sua «scienza di semplice intelligenza», come si è spiegato nella Prima Parte. L'anima di Cristo conosce dunque tutte le cose che Dio conosce in se stesso con la scienza di visione, ma non tutte quelle che Dio conosce in se stesso con la scienza di semplice intelligenza. E così Dio conosce in se stesso più cose del­ l' anima di Cristo. 3. La grandezza di una scienza non dipende solo dal numero delle cose conosciute, ma anche dalla chiarezza della conoscenza. Per

Q. IO, A. 2

La scienza beatifica dell 'anima di Cristo

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Ad tertium dicendum quod quantitas scientiae non solum attenditur secundum numerum sci­ bilium, sed etiam secundum claritatem cogni­ tionis. Quamvis igitur scientia animae Christi quam habet in Verbo, parificetur scientiae vi­ sionis quam Deus habet in seipso quantum ad numerum scibilium; scientia tamen Dei exce­ dit in infinitum, quantum ad claritatem cogni­ tionis, scientiam animae Christi. Quia lumen increatum divini intellectus in infinitum exce­ dit lumen creatum quodcumque receptum in anima Christi, non solum quantum ad modum cognoscendi, sed etiam quantum ad numerum scibilium, ut dictum est [in co. et ad 2].

cui, anche se la scienza che l 'anima di Cristo ha nel Verbo uguaglia per numero di oggetti la scienza di visione che Dio ha in se stesso, tuttavia quest'ultima la supera all'infinito per chiarezza di conoscenza. Inoltre il lume in­ creato dell' intelletto divino supera infinita­ mente qualunque lume creato infuso nell'ani­ ma di Cristo non solo quanto al modo di conoscere, ma anche quanto al numero delle realtà conosciute, come si è detto.

Articulus 3 Utrum anima Christi possit cognoscere infinita in Verbo

Articolo 3 V anima di Cristo può conoscere nel Verbo infinite cose?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod anima Christi non possit cognoscere infinita in Verbo. l . Quod enim infinitum cognoscatur, repu­ gnat definitioni infiniti, prout dicitur in 3 Phys. [6,8] quod infinitum est cuius quantita­ tem accipientibus semper est aliquid extra accipere. Impossibile autem est definitionem a definito separari, quia hoc esset contra­ dictoria esse simul. Ergo impossibile est quod anima Christi sciat infinita. 2. Praeterea, infinitorum scientia est infinita. Sed scientia animae Christi non potest esse infinita, est enim capacitas eius finita, cum sit creatura. N on ergo anima Christi potest cognoscere infinita. 3. Praeterea, infinito non potest esse aliquid maius. Sed plura continentur in scientia divina, absolute loquendo, quam in scientia animae Christi, ut dictum est [a. 2]. Ergo anima Christi non cognoscit infinita. Sed contra, anima Christi cognoscit totam suam potentiam, et omnia in quae potest. Potest autem in emundationem infinitorum peccatorum, secundum illud l Ioan. 2 [2], ipse est propitiatio pro peccatis nostris, non autem pro nostris tantum, sed etiam totius mundi. Ergo anima Christi cognoscit infinita. Respondeo dicendum quod scientia non est nisi entis, eo quod ens et verum convertuntur. Dupliciter autem dicitur aliquid ens, uno modo, simpliciter, quod scilicet est ens actu; alio modo, secundum quid, quod scilicet est

Sembra di no. Infatti: l . Che l'infinito sia conosciuto ripugna alla sua definizione data da Aristotele: «L'infinito è una grandezza tale che, per quanto se ne prenda, ne resta sempre fuori qualcosa>>. Ora, è impossibile separare il definito dalla sua definizione, poiché sarebbe come ammettere la possibilità simultanea di cose contradditto­ rie. Quindi è impossibile che l'anima di Cri­ sto conosca infinite cose. 2. La scienza di realtà infinite è infinita. Ma la scienza dell'anima di Cristo non può essere infinita, essendo limitata la sua capacità di creatura. Quindi l ' anima di Cristo non può conoscere infinite cose. 3. Dell'infinito non ci può essere nulla di più grande. Ma nella scienza divina, assolutamente parlando, ci sono molte più cose che nella scien­ za dell'anima di Cristo, come si è detto. Quindi l'anima di Cristo non conosce infinite cose. In contrario: l'anima di Cristo conosce tutta la propria potenza e tutte le cose che sono in suo potere. Ma essa può mondare un'infinità di peccati, come è detto in l Gv 2 [2]: Egli è vit­ tima di espiazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. Quindi l'anima di Cristo cono­ sce infinite cose. Risposta: la scienza ha per oggetto soltanto I' ente, poiché l'ente e il vero sono convertibi­ li. Ma una cosa può dirsi ente in due modi: in modo assoluto [simpliciter], se è un ente in atto, e in modo relativo [secundum quidJ, se è

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ens in potentia. Et quia, ut dicitur in 9 Met. [8,9,6], unumquodque cognoscitur secundum quod est actu, non autem secundum quod est in potentia, scientia primo et principaliter respicit ens actu. Secundario autem respicit ens in potentia, quod quidem non secundum seipsum cognoscibile est, sed secundum quod cognoscitur illud in cuius potentia existit. Quantum igitur ad primum modum scientiae, anima Christi non scit infinita. Quia non sunt infinita in actu, etiam si accipiantur omnia quaecumque sunt in actu secundum quod­ cumque tempus, eo quod status generationis et corruptionis non durat in infinitum; unde est certus numerus non solum eorum quae sunt absque generatione et corruptione, sed etiam generabilium et corruptibilium. Quan­ tum vero ad alium modum sciendi, anima Christi in Verbo scit infinita. Scit enim, ut dictum est [a. 2], omnia quae sunt in potentia creaturae. Unde, cum in potentia creaturae sint infinita, per bune modum scit infinita, quasi quadam scientia simplicis intelligentiae, non autem scientia visionis. Ad primum ergo dicendum quod infinitum, sicut in Prima Parte [q. 7 a. l ] dictum est, dupliciter dicitur. Uno modo, secundum ratio­ nem formae. Et sic dicitur infmitum negative, scilicet id quod est f01ma vel actus non limi­ tatus per materiam ve! subiectum in quo reci­ piatur. Et huiusmodi infinitum, quantum est de se, est maxime cognoscibile, propter per­ fectionem actus, licet non sit comprehensibile a potentia finita creaturae, sic enim dicitur Deus infinitus. Et tale infinitum anima Christi cognoscit, licet non comprehendat. - Alio modo dicitur infinitum secundum potentiam materiae. Quod quidem dicitur privative, ex hoc scilicet quod non habet formam quam natum est habere. Et per bune modum dicitur infinitum in quantitate. Tale autem infinitum ex sui ratione est ignotum, quia scilicet est quasi materia cum privatione formae, ut dicitur in 3 Phys. [6, 10] ; omnis autem cogni­ tio est per formam vel actum. Sic igitur, si huiusmodi infinitum cognosci debeat secun­ dum modum ipsius cogniti, impossibile est quod cognoscatur, est enim modus ipsius ut accipiatur pars eius post partem, ut dicitur in 3 Phys. [6,2]. Et hoc modo verum est quod eius quantitatem accipientibus, scilicet parte accepta post partem, semper est aliquid extra

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ente in potenza. E poiché, come dice Ari­ stotele, ogni cosa viene conosciuta in quanto è in atto e non in quanto è in potenza, la scienza ha innanzitutto e principalmente co­ me oggetto l'ente in atto. Secondariamente poi ha per oggetto l'ente in potenza, che è co­ noscibile non in se stesso, ma tramite l'ente in cui si trova in potenza. - Quanto dunque al primo tipo di scienza, l'anima di Cristo non conosce infinite cose. Poiché non esistono in ano infinite cose, neppure mettendo insieme tutti gli enti in atto di qualsiasi tempo, dato che lo stato della generazione e della corru­ zione non deve durare all'infinito: per cui esi­ stono in numero determinato non solo quelle realtà che non si generano e non si corrompo­ no, ma anche quelle generabili e corruttibili. Quanto invece al secondo tipo di scienza l'anima di Cristo conosce nel Verbo infinite cose. Conosce infatti, come si è detto, tutte le cose che sono in potere delle creature. Essen­ do dunque tali cose infinite, egli le conosce tutte come con una certa scienza di semplice intelligenza, e non con una scienza di visione. Soluzione delle difficoltà: l . Come si è detto nella Prima Parte, ci sono due specie di infi­ nità. La prima è di ordine formale, ed è l'infi­ nito negativo, cioè la fanna o l'atto non limi­ tati dalla materia o dal soggetto ricevente. E tale infinito è per se stesso sommamente co­ noscibile, a motivo della perfezione dell'atto, sebbene non possa venire compreso dalla ca­ pacità limitata della creatura: così infatti si dice infinito Dio. Ora, l'anima di Cristo cono­ sce, ma non comprende questo infinito. L'altra specie è invece l'infinito secondo la potenzialità della materia. E viene detto priva­ tivo, non avendo il soggetto la forma che gli compete. Tale è l'infinito che si riscontra nel­ la quantità. Ora, questo infinito non è per se stesso oggetto di conoscenza, essendo come una materia priva di forma, come dice Ari­ stotele, mentre ogni conoscenza deriva dalla forma o dall'atto. Se dunque tale infinito do­ vesse venire conosciuto come si presenta, ne sarebbe impossibile la conoscenza, dato che si presenta per parti, una dopo l'altra, come nota Aristotele. E allora è vero che «per quan­ to grande si pensi» una serie di parti, «ne resta sempre fuori qualcosa». Ma come le realtà materiali possono venire apprese dall'intellet­ to in modo immateriale, e le molteplici come

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accipere. Sed sicut materialia possunt accipi ab intellectu immaterialiter, et multa unite, ita infinita possunt accipi ab intellectu non per modum infiniti, sed quasi finite, ut sic ea quae sunt in seipsis infinita, sint intellectui cogno­ scentis finita. Et hoc modo anima Christi scit infinita, inquantum scilicet scit ea, non discur­ rendo per singula, sed in aliquo uno; puta in aliqua creatura in cuius potentia praeexistunt infinita; et principaliter in ipso Verbo. Ad secundum dicendum quod nihil prohibet aliquid esse infinitum uno modo quod est alio modo finitum, sicut si imaginemur in quantita­ tibus superficiem quae sit secundum longitu­ dinem infinita secundum latitudinem autem finita. Sic igitur, si essent infiniti homines nu­ mero, haberent quidem infinita esse secundum aliquid, scilicet secundum multitudinem, se­ cundum tamen rationem essentiae non habe­ rent infinitatem, eo quod omnis essentia esset limitata sub ratione unius speciei. Sed illud quod est simpliciter infinitum secundum es­ sentiae rationem, est Deus, ut in Prima Parte [q. 7 a. 2] dictum est, proprium autem obiec­ tum intellectus est quod quid est, ut dicitur in 3 De an. [6,7], ad quod pertinet ratio speciei. Sic igitur anima Christi, propter hoc quod habet capacitatem finitain, id quod est simpli­ citer infinitum secundum essentiam, scilicet Deum, attingit quidem, sed non comprehendit, ut dictum est [a. 1 ]. Id autem infinitum quod in creaturis est in potentia, potest comprehendi ab anima Christi, quia comparatur ad ipsam secundum essentiae rationem, ex qua parte in­ finitatem non habet. Nam etiam intellectus no­ ster intelligit universale, puta naturam generis vel speciei, quod quodammodo habet infinita­ tem, inquantum potest de infinitis praedicari. Ad tertium dicendum quod id quod est infini­ tum omnibus modis, non potest esse nisi unum, unde et philosophus dicit, in l De caelo [7,5], quod quia corpus est ad omnem partem dimensionatum, impossibile est plura esse corpora infinita. Si tamen aliquid esset infinitum uno modo tantum, nihil prohiberet esse plura talia infinita, sicut si intelligeremus plures lineas infinitas secundum longitudinem protractas in aliqua superficie finita secundum latitudinem. Quia igitur infinitum non est substantia quaedam, sed accidit rebus quae dicuntur infinitae, ut dicitur in 3 Phys. [5,3]; sicut infinitum multiplicatur secundum diversa

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se fossero una sola, così le realtà infinite pos­ sono venire apprese dall'intelletto non come infinite, ma per riduzione al finito: in modo cioè che, pur essendo infinite in se stesse, per l'intelletto che le conosce Iisultano finite. E in questo modo I'anima di Cristo conosce infinite cose, non passando dall'una all'altra, ma rac­ cogliendole in un'unità superiore: p. es. in una qualche creatura la cui potenza abbraccia in­ finite cose, e principalmente nel Verbo stesso. 2. Nulla impedisce che una cosa sia infinita sotto un aspetto e finita sotto un altro: come nell'ordine della quantità si può immaginare una superficie infinita per lunghezza e finita per larghezza. E anche gli uomini, se fossero infiniti di numero, costituirebbero un'infinità relativa, cioè quanto al numero, non però quanto all'essenza, poiché ogni essenza rima­ ne sempre limitata entro i confini della sua specie. Ciò che invece è assolutamente infini­ to per la sua essenza è Dio, come si è detto nella Prima Parte. Ora, l'oggetto proprio del­ l'intelligenza, come dice Aristotele, è l'essen­ za, a cui compete la specificazione. Così dun­ que l'anima di Cristo, essendo dotata di una capacità finita, conosce l'infinito per essenza, cioè Dio, ma non ne ha la comprensione, come si è detto. L'infinito potenziale invece, che si riscontra nelle creature, può essere compreso dall'anima di Cristo, poiché si pre­ senta ad essa dal lato dell'essenza, che non è infinita. Infatti anche la nostra intelligenza coglie l'universale, p. es. la natura del genere o della specie, che ha una certa infinità, po­ tendo essere predicata di infiniti individui. 3. Ciò che è infinito sotto tutti gli aspetti non può essere che unico: per cui il Filosofo dice che non ci possono essere più corpi infiniti, dato che ognuno di essi si estenderebbe in tutte le direzioni. Se invece si tratta di realtà infinite sotto un aspetto soltanto, allora vi potrebbero essere più infiniti in quel genere: come possono essere molte le linee di lun­ ghezza infinita tracciate su di una superficie di larghezza limitata. Poiché dunque l'infinito non è una qualche sostanza, ma un accidente delle cose che vengono dette infinite, come dice Aristotele, moltiplicandosi i soggetti di un infinito si moltiplicano necessariamente le sue proprietà, così da ritrovarsi in tutti i sog­ getti. Ora, una proprietà dell'infinito è quella che non vi è nulla di più grande. Se quindi

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subiecta, i t a necesse est quod proprietas infiniti multiplicetur, ita quod conveniat unicuique eorum secundum illud subiectum. Est autem quaedam proprietas infiniti quod infinito non sit aliquid maius. Sic igitur, si accipiamus unam lineam infinitam, in illa non est aliquid maius infinito. Et similiter, si ac­ cipiamus quamcumque aliarum linearum in­ finitarum, manifestum est quod uniuscuiusque earum partes sunt intinitae. Oportet igitur quod omnibus illis infinitis non sit aliquid maius in illa linea, tamen in alia linea et in tertia erunt plures partes, etiam infinitae, praeter istas. Et hoc etiam videmus in numeris accidere, nam species numerorum parium sunt infinitae, et similiter species numerorum im­ parium; et tamen numeli et pares et impares sunt plures quam pares. - Sic igitur dicendum quod infinito simpliciter quoad omnia, nihil est maius, infinito autem secundum aliquid determinatum, non est aliquid maius in illo ordine, potest tamen accipi aliquid maius extra illum ordinem. Per hunc igitur modum infinita sunt in potentia creaturae, et tamen plura sunt in potentia Dei quam in potentia creaturae. Et similiter anima Christi scit infinita scientia simplicis intelligentiae, plura tamen scit Deus secundum hunc intelligentiae modum.

prendiamo una linea infinita, in essa non c'è nulla di più grande della sua infinità. E pari­ menti in ciascuna delle altre linee infinite le parti sono infinite. Quindi in ognuna di esse non c'è nulla di più grande dell' infinità di tutte le sue parti. Tuttavia in una seconda e in una terza linea ci sono molte altre parti, pure infinite. E ciò si riscontra anche nei numeri : infatti i numeli pari sono infiniti, e altrettanto i numeri dispari; e tuttavia i pari e i dispari insieme sono più dei pari. - Concludendo: dell'infinito in senso assoluto non c'è nulla di più grande; di un infinito invece che è tale sotto un aspetto determinato non c'è nulla di più grande sotto quell ' aspetto, ma ci può essere qualcosa di più grande al di fuori di esso. In questo senso dunque nella potenza delle creature ci sono infinite cose, e tuttavia nella potenza di Dio ce ne sono più che in quella delle creature. E similmente l'anima di Cristo conosce infinite cose con la scienza di semplice intelligenza, e tuttavia Dio nel me­ desimo modo ne conosce di più.

Articulus 4 Utrum anima Christi perfectius videat Verbum quam quaelibet alia creatura

Articolo 4 Vanima di Cristo vede il Verbo meglio di ogni altra creatura?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod anima Christi non perfectius videat Verbu m quam quaelibet alia creatura. l . Perfectio enim cognitionis est secundum medium cognoscendi, sicut perfectior est cognitio quae habetur per medium syllogismi demonstrativi, quam quae habetur per me­ dium syllogismi dialectici . Sed omnes beati vident Verbum immediate per ipsam divinam essentiam, ut in Prima Parte [q. 1 2 a. 2] dictum est. Ergo anima Christi non pertectius videt Verbum quam quaelibet alia creatura. 2. Praeterea, perfectio visionis non excedit potentiam visivam. Sed potentia rationalis animae, qualis est anima Christi, est infra potentiam intellectivam angeli, ut patet per Dionysium, 4 cap. De cael. hier. [2] . Ergo anima Christi non perfectius videt Verbum quam angeli.

Sembra di no. Infatti: l . La perfezione della conoscenza dipende dal mezzo conoscitivo: come la conoscenza che si acquista con il sillogismo dimostrativo è più perfetta di quella che si acquista con il sillogismo dialettico. Ma tutti i beati vedono il Verbo con immediatezza nella stessa essen­ za divina, come si è detto nella Prima Parte. Quindi l ' anima di Cristo non vede i l Verbo più perfettamente di ogni altra creatura. 2. La visione non supera in perfezione la po­ tenza visiva. Ma la potenza dell'anima razio­ nale, e quindi dell' anima di Cristo, è inferio­ re alla potenza intellettiva dell' angelo, come spiega Dionigi. Quindi l'anima di Cristo non vede il Verbo meglio degli angeli. 3. Dio vede i l suo Verbo infinitamente me­ glio dell' anima. Ci sono dunque infiniti gradi intermedi fra il modo in cui Dio vede il suo

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3 . Praeterea, Deus i n infinitum perfectius videt Verbum suum quam anima. Sunt ergo infiniti gradus medii inter modum quo Deus videt Verbum suum, et inter modum quo anima Christi videt ipsum. Ergo non est asserendum quod anima Christi perfectius videat Verbum, vel essentiam divinam, quam quaelibet alia creatura. Sed contra est quod apostolus dicit, Eph. l [20-21 ] , quod Deus constituit Christwn in cae­ lestibus super omnem principatum et potestatem et virtutem et dominationem, et omne nomen quod nominatur, non solum in hoc saeculo, sed etiam infutwv. Sed in caelesti gloria tanto aliquis est superior quanto perfec­ tius cognoscit Deum. Ergo anima Christi per­ fectius videt Deum quam quaevis alia creatura. Respondeo dicendum quod divinae essentiae visio convenit omnibus beatis secundum parti­ cipationem luminis derivati ad eos a fonte Verbi Dei, secundum illud Eccli. l [5] , .fons sapientiae Verbum Dei in excelsis. Huic autem Verbo Dei propinquius coniungitur anima Christi, quae est unita Verbo in persona, quam quaevis alia creatura. Et ideo plenius recipit influentiam luminis in quo Deus videtur ab ipso Verbo, quam quaecumque alia creatura. Et ideo prae ceteris creaturis perfectius videt ipsam primam veritatem, quae est Dei essen­ tia. Et ideo dicitur Ioan. l [ 14], vidimus gloriam eius, quasi Unigeniti a Pa11-e, plenum non solum gratiae, sed etiam veritatis. Ad primum ergo dicendum quod perfectio cognitionis, quantum est ex parte cogniti, attenditur secundum medium, sed quantum est ex parte cognoscentis, attenditur secun­ dum potentiam vel habitum. Et inde est quod etiam inter homines per unum medium unus perfectius cognoscit aliquam conclusionem quam alius. Et per hunc modum anima Christi, quae abundantiori impletur lumine, perfectius cognoscit divinam essentiam quam alii beati, licet omnes Dei essentiam videant per seipsam. Ad secundum dicendum quod visio divinae essentiae excedit naturalem potentiam cuiusli­ bet creaturae, ut in Prima Parte [q. 12 a. 4] dictum est. Et ideo gradus in ipso attenduntur magis secundum ordinem gratiae, in quo Christus est excellentissimus, quam secun­ dum ordinem naturae, secundum quem natura angelica praefertur humanae.

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Verbo e il modo in cui lo vede l ' anima di Cristo. Non si può quindi dire che l'anima di Cristo veda il Verbo o l'essenza divina me­ glio di ogni altra creatura. In contrario: Paolo dice: Dio ha costituito Cristo alla sua destra nei cieli al di sopra di ogni principato e potestà, di ogni virtù e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente, ma anche in quello futuro (Ef l ,20). Ora, nella gloria celeste si è tanto più grandi quan­ to meglio si conosce Dio. Quindi l'anima di Cristo vede Dio più perfettamente di ogni altra creatura. Risposta: la visione dell'essenza divina è resa possibile a tutti i beati dalla partecipazione del lume di cui è fonte i l Verbo di Dio, secondo le parole di Sir l [5] : La sorgente della sapienza è il Verbo di Dio nel cielo. Ma l'anima di Cristo, che è unita ipostaticamente al Verbo, è a lui più vicina di ogni altra crea­ tura. Perciò essa riceve la luce del Verbo che comunica la visione di Dio più di qualsiasi creatura, e quindi vede la prima Verità che è l'essenza di Dio meglio delle altre creature. Per cui in Gv l [ 14] è detto: Noi abbiamo visto la sua gloria, come di Unigenito dal Padre, pieno non solo di grazia, ma anche di verità. Soluzione delle difficoltà: l . La perfezione della conoscenza dipende dal mezzo per quanto riguarda l' oggetto conosciuto, ma dipende dalla potenza o dall'abito per quanto riguarda il soggetto conoscente. E così avvie­ ne che anche tra gli uomini, pur con l'uso di uno stesso mezzo conoscitivo, uno coglie meglio di un altro una determinata conclusio­ ne. Per tale motivo dunque l'anima di Cristo, essendo inondata di una luce più abbondante, conosce l'essenza divina meglio degli altri beati, sebbene tutti la vedano in se stessa. 2. La visione dell'essenza divina sorpassa la capacità naturale di qualsiasi creatura, come si è detto nella Prima Parte. Perciò il suo grado dipende più dalla grazia, nella quale Cristo eccelle, che dalla natura, per la quale l'angelo è superiore all'uomo. 3. Come non ci può essere una grazia supe­ riore a quella di Cristo a motivo dell'unione ipostatica, come si è detto sopra, così non ci può essere una visione di Dio più perfetta della sua; sebbene assolutamente parlando,

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Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 7 a. 1 2] dictum est de gratia quod non potest esse maior gratia quam gratia Christi per respectum ad unionem Verbi, idem etiam dicendum est de perfectione divinae visionis, licet, absolute considerando, possit aliquis gradus esse sublimior secundum infinitatem divinae potentiae.

cioè in rapporto all'infinita potenza di Dio, possa darsi una visione superiore.

QUAESTIO 1 1 DE SCIENTIA INDITA VEL INFUSA ANIMAE CHRISTI

QUESTIONE 1 1 LA SCIENZA INFUSA DELU ANIMA DI CRISTO

Deinde considerandum est de scientia indita vel infusa animae Christi. - Et circa hoc quae­ runtur sex. Primo, utrum per hanc scientiam Christus sciat omnia. Secundo, utrum hac scientia uti potuerit non convertendo se ad phantasmata. Tertio, utrum haec scientia fuerit collativa. Quarto, de comparatione huius scientiae ad scientiam angelicam. Quinto, utrum fuerit scientia habitualis. Sexto, utrum fuerit distincta per diversos habitus.

Passiamo ora a considerare la scienza infusa dell' anima di Cristo. - Sull'argomento si pon­ gono sei quesiti: l . Con questa scienza Cristo conosce tutte le cose? 2. Ha potuto usare di questa scienza senza ricorrere ai fantasmi? 3. Questa scienza era discorsiva? 4. ll con­ fronto fra questa scienza e la scienza angelica; 5. Era allo stato di abito conoscitivo? 6. Era distinta in più abiti di scienza?

Articulus l Utrum secundum scientiam inditam vel infusam Christus cognoverit omnia

Articolo l Con la scienza infusa Cristo ha conosciuto tutte le cose?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod se­ cundum hanc scientiam Christus non cogno­ verit omnia. l . Haec enim scientia indita est Christo ad perfectionem potentiae intellectus eius. Sed intellectus possibilis animae humanae non videtur esse in potentia ad omnia simpliciter, sed ad illa sola in quae potest reduci in actum per intellectum agentem, qui est pro­ prium activum ipsius, quae quidem sunt co­ gnoscibilia secundum rationem naturalem. Ergo secundum hanc scientiam non cognovit ea quae naturalem rationem excedunt. 2. Praeterea, phantasmata se habent ad intel­ lectum humanum sicut colores ad visum, ut dicitur in 3 De an. [7,3]. Sed non pertinet ad perfectionem virtutis visivae cognoscere ea quae sunt ornnino absque colore. Ergo neque ad perfectionem intellectus humani pertinet cognoscere ea quorum non possunt esse phantasmata, sicut sunt substantiae separatae. Sic igitur, cum huiusmodi scientia fuerit in Christo ad perfectionem animae intellectivae

Sembra di no. Intàtti: l . Questa scienza fu data a Cristo per attuare le facoltà del suo intelletto. Ma l'intelletto possibile dell'anima umana non è in potenza in senso assoluto a tutte le cose, bensì soltanto a quelle rispetto a cui può essere attuato dal­ l'intelletto agente, che è il suo proprio princi­ pio attivo: e queste sono le verità conoscibili dalla ragione naturale. Quindi con la scienza infusa Cristo non conosceva le cose che supe­ rano la ragione naturale. 2. I fantasmi stanno all'intelligenza umana come i colori alla vista, secondo Aristotele. Ma per la perfezione della vista non si richie­ de la conoscenza delle cose totalmente prive di colore. Perciò neppure per la perfezione dell'intelligenza umana si richiede la cono­ scenza delle cose di cui non si può avere il fantasma, come sono le sostanze separate. Quindi, esistendo la scienza infusa in Cristo in vista della perfezione della sua anima intel­ lettiva, sembra che con tale scienza egli non conoscesse le sostanze separate.

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ipsius, videtur quod per huiusmodi scientiam non cognoverit substantias separatas. 3. Praeterea, ad perfectionem intellectus non pertinet cognoscere singularia. Vìdetur igitur quod per huiusmodi scientiam anima Christi non cognoverit singularia. Sed contra est quod dicitur Isaiae I l [2-3], quod replebit eum Spiritus sapientiae et intel­ lectus, scientiae et consilii, sub quibus com­ prehenduntur omnia cognoscibilia. Nam ad sapientiam pertinet cognitio divi norum omnium; ad intellectum autem pertinet cogni­ tio ornnium immaterialium; ad scientiam au­ tem pertinet cognitio ornnium conclusionum; ad consilium autem cognitio omnium agibi­ lium. Ergo videtur quod Christus, secundum scientiam sibi inditam per Spiritum Sanctum, habuerit ornnium cognitionem. Respondeo dicendum quod, sicut prius [q. 9 a. l ] dictum est, conveniens fui t ut anima Christo per omnia esset perfecta, per hoc quod omnis eius potentialitas sit reducta ad actum. Est autem considerandum quod in anima humana, sicut in qualibet creatura, conside­ ratur duplex potentia passiva, una quidem per comparationem ad agens naturale; alia vero per comparationem ad agens primum, qui potest quamlibet creaturam reducere in actum aliquem altiorem, in quem non reducin.u· per agens naturale; et haec consuevit vocari poten­ tia obedientiae in creatura. Utraque autem potentia animae Christi fuit reducta in actum secundum hanc scientiam divinitus inditam. Et ideo secundum eam anima Christi primo quidem cognovit quaecumque ab homine cognosci possunt per virtutem luminis intel­ lectus agentis, sicut sunt quaecumque perti­ nent ad scientias humanas. Secundo vero per hanc scientiam cognovit Christus omnia illa quae per revelationem divinam hominibus innotescunt, sive pertineant ad donum sapien­ tiae, s ive ad donum prophetiae, sive ad quodcumque donum Spiritus Sancti. Omnia enim ista abundantius et plenius ceteris cogno­ vit anima Christi. Ipsam tamen Dei essentiam per hanc scientiam non cognovit, sed solum per primam, de qua supra [q. 1 0] dictum est. Ad primum ergo dicendum quod illa ratio procedit de actione naturali animae intellecti­ vae, quae scilicet est per comparationem ad agens naturale, quod est intellectus agens. Ad secundum dicendum quod anima humana

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3. Alla perfezione dell'intelligenza non serve conoscere i singolari. Quindi sembra che con la scienza infusa l'anima di Cristo non cono­ scesse i singolari. In contrario: in /s 1 1 [2] è detto: Lo riempirà lo Spirito di sapienza e di intelligenza, di scienza e di consiglio, nei quali termini sono compresi tutti gli oggetti conoscibili. Infatti la sapienza riguarda la conoscenza di tutte le realtà divine, l'intelligenza la conoscenza di tutte le realtà spirituali, la scienza la conoscen­ za di tutte le conclusioni, il consiglio la cono­ scenza di tlltte le cose da fare. Quindi sembra che Cristo con la scienza infusagli dallo Spiri­ to Santo avesse la conoscenza di tutte le cose. Risposta: come si è detto sopra, era conve­ niente che Cristo avesse un'anima assoluta­ mente perfetta mediante l'attuazione di ogni sua potenzialità. Ma nell'anima umana, come in ogni creatura, c'è una duplice potenza pas­ siva: una attuabile dagli agenti naturali, l'altra attuabile dal primo agente, il quale può portare qualsiasi creatura ad azioni superiori a quelle a cui essa è portata dagli agenti naturali: e que­ sta potenza nella creatura prende il nome di «potenza obbedienziale». Ora, ambedue le potenzialità dell'anima di Cristo furono attuate dalla scienza infusa in essa da Dio. Perciò con tale scienza l'anima di Ctisto conobbe in pri­ mo luogo tutte le cose che l'uomo può cono­ scere con il lume dell'intelletto agente, quali sono tutte le verità delle scienze umane. In secondo luogo poi con la medesima scienza Cristo conobbe tutte le cose che sono note agli uomini per rivelazione divina: o mediante il dono della sapienza, o mediante quello della profezia, o mediante qualunque altro dono dello Spirito Santo. Infatti tutte queste cose l'anima di Cristo le conosceva più e meglio di tutti gli altri. L'essenza di Dio invece non la conosceva con la scienza infusa, ma solo con la scienza beata, di cui si è già parlato. Soluzione delle difficoltà: l . L'argomento vale per l'attività naturale dell'anima intellet­ tiva, quella cioè che si svolge per opera del­ l'agente naturale, che è l'intelletto agente. 2. Nello stato della vita presente l' anima umana, essendo in certo qual modo legata al corpo, così da non poter intendere senza l' aiu­ to dei fantasmi, non può conoscere le sostan­ ze separate. Ma dopo questa vita l ' anima separata potrà conoscere in qualche modo

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in statu huius vitae, quando quodammodo est ad cotpus obligata, ut sine phantasmate intelli­ gere non possit, non potest intelligere substan­ tias separatas. Sed post statum huius vitae, anima separata poterit aliqualiter substantias separatas per seipsam cognoscere, ut in Prima Parte [q. 89 a. 2] dictum est. Et hoc praecipue manifestum est circa animas beatorum. Chri­ stus autem, ante passionem, non solum fuit viator, sed etiam comprehensor. Unde anima eius poterat cognoscere substantias separatas, per modum quo cognoscit anima separata. Ad tertium dicendum quod cognitio singula­ rium non pertinet ad perfectionem animae intellectivae secundum cognitionem specula­ tivam, pertinet tamen ad perfectionem eius secundum cognitionem practicam, quae non perficitur absque cognitione singularium, in quibus est operatio, ut dicitur in 6 Ethic. [7,7]. Unde ad prudentiam requiritur memoria prae­ teritorum, cognitio praesentium, et providen­ tia futurorum, ut Tullius dicit, in sua Rhetori­ ca [2,53]. Quia igitur Christus habuit plenitu­ dinem prudentiae, secundum donum consilii, consequens est quod cognovit omnia singula­ ria praeterita, praesentia et futura.

direttamente le sostanze separate, come si è detto nella Prima Parte. E ciò vale principal­ mente per le anime dei beati. Ora, Cristo prima della morte non era soltanto viatore, ma anche comprensore. Perciò la sua anima poteva conoscere le sostanze separate nel modo in cui le conosce l'anima separata. 3 . La conoscenza dei singolari non rientra nella perfezione della scienza speculativa del­ l ' anima, ma rientra nella perfezione della scienza pratica, che non viene raggiunta senza la conoscenza dei singolari, nell'ambito dei quali si svolgono le nostre attività, come nota Aristotele. Per cui alla prudenza occorre «la memoria delle cose passate, la conoscenza delle presenti, la previsione delle future», come scrive Cicerone. Poiché dunque Cristo grazie al dono del consiglio aveva la pienezza della prudenza, egli conosceva tutti i singolari passati, presenti e futuri.

Articulus 2 Utrum anima Christi potuerit intelligere secundum scientiam inditam vel infusam non convertendo se ad phantasmata

Articolo 2 L'anima di Cristo può fare uso della scienza infusa senza ricorrere ai fantasmi?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod anima Christi non potuerit intelligere secun­ dum hanc scientiam nisi convertendo se ad phantasmata. l . Phantasmata enim comparantur ad animam intellectivam sicut colores ad visum, ut dicitur in 3 De anima [7,3]. Sed potentia visiva Chri­ sti non potuit exire in actum nisi convertendo se ad colores. Ergo etiam neque anima eius intellectiva potuit aliquid intelligere nisi con­ vertendo se ad phantasmata. 2. Praeterea, anima Christi est eiusdem naturae cum animabus nostris, alioquin ipse non esset eiusdem speciei nobiscum; contra id quod apostolus dicit, Phil. 2 [7], quod est in si­ militudinem hominumfactus. Sed anima nostra non potest intelligere nisi convertendo se ad phantasmata. Ergo nec etiam anima Christi. 3. Praeterea, sensus dati sunt homini ut deser­ viant intellectui. Si igitur anima Christi intelli-

Sembra di no. Infatti: l . I fantasmi stanno all'anima intellettiva co­ me i colori alla vista, dice Aristotele. Ma la vista di Cristo non poteva esercitarsi senza l'aiuto dei colori. Quindi neppure la sua ani­ ma intellettiva poteva intendere senza il ricor­ so ai fantasmi. 2. L'anima di Cristo è della medesima natura delle nostre anime, altrimenti egli non sarebbe della nostra specie, e ciò sarebbe contro quan­ to dice Paolo in Fil 2 [7]: Egli fu reso simile agli uomini. Ma la nostra anima non può in­ tendere se non rivolgendosi ai fantasmi. Quin­ di neppure l'anima di Cristo. 3. I sensi sono stati dati all'uomo perché ser­ vano all'intelligenza. Se dunque l'anima di Cristo poteva conoscere senza il ricorso ai fantasmi che derivano dai sensi, questi sareb­ bero stati inutili nell' anima di Cristo: il che è inammissibile. Perciò sembra che l'anima di

Q. l l, A. 2

La scienza infusa de/l'anima di Cristo

gere potuit absque conversione ad phantasma­ ta, quae per sensus accipiuntur, sequeretur quod sensus frustra fuissent in anima Christi, quod est inconveniens. Videtur igitur quod anima Christi non potuerit intelligere nisi convertendo se ad phantasmata. Sed contra est quod anima Christi cognovit quaedam quae per phantasmata cognosci non possunt, scilicet substantias separatas. Potuit igitur intelligere non convertendo se ad phantasmata. Respondeo dicendum quod Christus in statu ante passionem fuit simul viator et comprehen­ sor, ut infra [q. 1 5 a. 10] magis patebit. Et praecipue quidem conditiones viatoris habuit ex parte corporis, inquantum fuit passibile, conditiones vero comprehensoris maxime habuit ex parte animae intellectivae. Est autem haec conditio animae comprehens01is, ut nullo modo subdatur suo corpori aut ab eo dependeat, sed totaliter ei dominetur, unde et post resurrectionem ex anima gloria redundabit in corpus. Ex hoc autem anima hominis viato­ ris indiget ad phantasmata converti, quod est corpori obligata, et quodammodo ei subiecta et ab eo dependens. Et ideo animae beatae, et ante resurrectionem et post, intelligere possunt absque conversione ad phantasmata. Et hoc quidem oportet dicere de anima Cluisti, quae piene habuit facultatem comprehensoris. Ad primum ergo dicendum quod similitudo illa quam philosophus ponit [De an. 3,7,3], non attenditur quantum ad omnia. Manife­ stum est enim quod finis potentiae visivae est cognoscere colores, finis autem potentiae in­ tellectivae non est cognoscere phantasmata, sed cognoscere species intelligibiles, quas ap­ prehendit a phantasmatibus et in phantasmati­ bus, secundum statum praesentis vitae. Est igitur similitudo quantum ad hoc ad quod aspicit utraque potentia, non autem quantum ad hoc in quod utriusque potentiae conditio terminatur. Nihil autem prohibet, secundum diversos status, ex diversis rem aliquam ad suum tinem tendere, finis autem proprius alicuius rei semper est unus. Et ideo, licet visus nihil cognoscat absque colore, intellec­ tus tamen, secundum aliquem statum, potest cognoscere absque phantasmate, sed non absque specie intelligibili. Ad secundum dicendum quod, licet anima Christi fuerit eiusdem naturae cum animabus

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Cristo non potesse conoscere se non ricorren­ do ai fantasmi. In contrario: l'anima di Cristo conosceva al­ cune cose che non possono essere conosciute per mezzo dei fantasmi, cioè le sostanze sepa­ rate. Quindi poteva conoscere senza ricorrere ai fantasmi. Risposta: prima della morte Cristo era insieme viatore e comprensore, come spiegheremo meglio in seguito. E aveva le condizioni del viatore specialmente nel corpo passibile, le condizioni invece del comprensore particolar­ mente nell'anima intellettiva. Ora, l'anima del comprensore si trova nella condizione di non essere soggetta al corpo in alcun modo, di non dipendere da esso e di comandarlo a suo pia­ cere, per cui dopo la risurrezione la gloria del­ l' anima ridonderà anche nel corpo. Invece l'anima dell'uomo viatore ha bisogno di vol­ gersi ai fantasmi per il fatto che risulta legata al corpo, e in qualche modo ad esso soggetta e da esso condizionata. Perciò le anime beate prima e dopo la risurrezione possono conosce­ re senza servirsi dei fantasmi. Altrettanto quin­ di bisogna dire dell'anima di Cristo, che aveva perfettamente la facoltà del comprensore. Soluzione delle difficoltà: l . Il paragone fatt� dal Filosofo non vale in senso assoluto. E infatti chiaro che il fine della vista è di cono­ scere i col01i, mentre il fine dell'intelligenza non è di conoscere i fantasmi, bensì le specie intelligibili che essa apprende dai fantasmi e nei fantasmi nel corso della vita presente. C'è dunque somiglianza nel senso che i colori e i fantasmi cadono sotto l 'una e l'altra facoltà, ma non nel senso che siano anche il termine dell'una e dell'altra. Ora, nulla impedisce che una certa cosa, trovandosi in stati diversi, possa perseguire il suo fine in modi diversi: il suo fine proprio rimane comunque identico. Mentre quindi la vista non può conoscere nul­ la senza i colori, l'intelletto in qualche stato può conoscere senza i fantasmi ; non però senza le specie intelligibili. 2. Sebbene l'anima di Cristo fosse della stessa natura delle nostre anime, era tuttavia in uno stato, quello dei comprensori, che le nostre anime ora non hanno in atto, ma solo nella speranza. 3. L'anima di Cristo, pur potendo intendere senza rivolgersi ai fantasmi, aveva però la possibilità di servirsene. Quindi i sensi in lui

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La scienza infusa dell 'anima di Cristo

Q. 1 1 , A. 2

nostris, habuit tamen aliquem statum quem animae nostrae non habent nunc in re, sed so­ lum in spe, scilicet statum comprehensionis. Ad tertium dicendum quod, licet anima Christi potuerit intelligere non convertendo se ad phan­ tasmata, poterat tamen intelligere se ad phan­ tasmata convertendo. Et ideo sensus non fue­ runt frustra in ipso, praesertim cum sensus non dentur homini solum ad scientiam intellec­ tivam, sed etiam ad necessitatem vitae animalis.

non erano inutili; tanto più che essi sono dati all'uomo non solo per la conoscenza intellet­ tiva, ma anche per le necessità materiali della vita.

Articulus 3 Utrum anima Christi habuerit scientiam inditam seu infusam per modum collationis

Articolo 3 La scienza infusa dell'anima di Cristo era discorsiva?

Ad tertium sic proceditur. Vìdetur quod ani­ ma Christi non habuit hanc scientiam per modum collationis. l . Dicit enim Damascenus, in 3 libro [De fide 14; cf. 2,22], in Chrislo non dicimus consilium neque eleclionem. Non autem removentur haec a Christo nisi inquantum important collatio­ nem et discorsum. Ergo videtur quod in Chri­ sto non fuerit scientia collativa vel discorsiva. 2. Praeterea, homo indiget collatione et di­ scursu rationis ad inquirenda ea quae ignorat. Sed anima Christi cognovit omnia, ut supra [a. l] dictum est. Non igitur fuit in eo scientia discorsiva vel collativa. 3. Praeterea, scientia animae Christi se habuit per modum comprehensorum, qui angelis conformantur, ut dicitur Matth. 22 [30]. Sed i n angelis non est scientia discorsiva seu collativa, ut patet per Dionysium, 7 cap. De div. nom. [2]. Non ergo in anima Christi fuit scientia discorsiva seu collativa. Sed contra, Christus habuit animam rationa­ lem, ut supra [q. 5 a. 4] habitum est. Propria autem operatio animae rationalis est conferre et discuiTere ab uno in aliud. Ergo in Christo fuit scientia discorsiva vel collativa. Respondeo dicendum quod aliqua scientia potest esse discorsiva vel collativa dupliciter. Uno modo, quantum ad scientiae acquisitio­ nem, sicut accidit in nobis, qui procedimus ad cognoscendum unum per aliud, sicut effectus per causas, et e converso. Et hoc modo scien­ tia animae Christi non fuit discursiva vel colla­ tiva, quia haec scientia de qua nunc loquimur, fuit sibi divinitus indita, non per investiga­ tionem rationis acquisita. - Alio modo potest dici scientia discorsiva vel collativa quantum

Sembra di no. Infatti: l . Dice il Damasceno: . Ma non venerare tale unione è un atto di empietà. Quindi è cosa empia dire che la sua scienza ha ricevuto aggiunte. In contrario: in Le 2 [52] è detto: Gesù cre­ sceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. E Ambrogio spiega che «cre­ sceva secondo la sapienza umana». Ma la sapienza umana è quella che si acquista alla maniera dell'uomo, cioè con il lume dell'in­ telletto agente. Cristo dunque progrediva in questa scienza. Risposta: la scienza può progredire in due modi. Primo, in maniera essenziale, in quan­ to cioè cresce l'abito stesso della scienza. Se­ condo, in rapporto all'effetto: come quando ad es. uno con l'identico abito di scienza pri­ ma dimostra di conoscere cose minori, e poi cose maggiori e più sottili. - Ora, in questo secondo modo è chiaro che Cristo progrediva nella scienza e nella grazia di pari passo con

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La scienza acquisita o sperimentale dell 'anima di Cristo

Hoc autem secundo modo, manifestum est quod Christus in scientia et gratia profecit, sicut et in aetate, quia scilicet, secundum augmentum aetatis, opera maiora faciebat, quae maiorem sapientiam et gratiam demon­ strabant. Sed quantum ad ipsum habitum scientiae, manifestum est quod habitus scien­ tiae infusae in eo non est augmentatus, cum a principio plenarie sibi fuerit omnis scientia infusa. Et multo minus scientia beata in eo augeri potuit. De scientia autem divina quod non possit augeri, supra in Prima Parte [q. 14 a. 15 ad 2] dictum est. - Si igitur, praeter ha­ bitum scientiae infusum, non sit in anima Christi habitus aliquis scientiae acquisitae, ut quibusdam videtur, et mihi aliquando visum est [In Sent. l. 3 d. 14 a. 3 q. 5 ad 3; d. 18 a. 3 ad 5]; nulla scientia in Christo augmentata fuit secundum suam essentiam, sed solum per experientiam, idest per conversionem specie­ rum intelligibilium inditarum ad phantasmata. Et secundum hoc, dicunt quod scientia Christi profecit secundum experientiam, convertendo scilicet species intelligibiles inditas ad ea quae de novo per sensum accepit. - Sed quia inconveniens videtur quod aliqua naturalis actio intelligibilis Christo deesset, cum extra­ here species intelligibiles a phantasmatibus sit quaedam naturalis actio hominis secundum intellectum agentem, conveniens videtur hanc etiam actionem in Christo ponere. Et ex hoc sequitur quod in anima Christi aliquis habitus scientiae fuit qui per huiusmodi abstractio­ nem specierum potuerit augmentari, ex hoc scilicet quod intellectus agens, post primas species intelligibiles abstractas a phantasmati­ bus, poterat etiam alias abstrahere. Ad primum ergo dicendum quod tam scientia infusa animae Christi, quam scientia beata, fuit effectus agentis infinitae vittutis, qui po­ test simul totum operari, et ita i n neutra scientia Christus profecit, sed a principio ha­ buit eam perfectam. Sed scientia acquisita est tantum ab intellectu agente, qui non simul totum operatur, sed successive. Et ideo se­ cundum hanc scientiam Christus non a princi­ pio scivit omnia, sed paulatim et post aliquod tempus, scilicet in perfecta aetate. Quod patet ex hoc quod Evangelista simul dicit eum pro­ fecisse scientia et aerate. Ad secundum dicendum quod haec etiam scientia i n Christo fui t semper perfecta

Q. 12, A. 2

l'età, poiché secondo il progresso dell'età compiva opere sempre più grandi, che dimo­ stravano una maggiore sapienza e grazia. Quanto invece ali' abito della scienza, certa­ mente non aumentava in lui l ' abito della scienza infusa, avendola egli ricevuta tutta pienamente fin dal principio. E molto meno poteva crescere in lui la scienza beata. Che poi la sua scienza divina non potesse progre­ dire l ' abbiamo già dimostrato nella Prima Parte. - Se quindi nell'anima di Cristo, oltre all' abito della scienza infusa, non ci fosse un qualche abito di scienza acquisita, come alcuni ritengono e come anch'io una volta ritenevo, allora nessuna scienza sarebbe aumentata in Cristo in maniera essenziale, ma solo in rapporto al suo esercizio, ossia in rapporto all'applicazione delle specie intelli­ gibili infuse ai singoli fantasmi. E in base a ciò si spiegherebbe il progresso sperimentale nella scienza di Cristo: nel senso cioè che egli applicava le sue specie intelligibili infuse alle nuove conoscenze che riceveva dai sensi. - Ma poiché sembra sconveniente che a Cristo mancasse un'attività naturale dell'in­ telligenza, e d'altra parte astrarre le specie intelligibili dai fantasmi è un'attività naturale dell'intelletto agente dell'uomo, è bene am­ mettere in Cristo anche tale operazione. Dal che segue che nell'anima di Cristo c'era un abito di scienza aumentabile mediante l ' a­ strazione delle specie, in quanto cioè l'in­ telletto agente, dopo le prime specie intelligi­ bili astratte dai fantasmi, poteva astrarne altre ancora. Soluzione delle difficoltà: l . Tanto la scienza infusa dell' anima di Cristo quanto la sua scienza beata erano l'effetto di un agente di potenza infinita, che può ottenere tutto simul­ taneamente: perciò Cristo non progredì in nessuna delle due scienze, ma le ebbe perfette fin dal principio. Invece la scienza acquisita nasce solo dall' intelletto agente, che non svol­ ge la sua operazione tutta insieme, ma per fasi successive. E così con questa scienza Cristo non conobbe nmo fin dal principio, ma gra­ dualmente e dopo un certo tempo, cioè nel­ l' età perfetta. Il che appare chiaro dal fatto che l'Evangelista unisce i due progressi «del­ la scienza e dell'età>>. 2. Anche la scienza acquisita era sempre per­ fetta in Cristo secondo la sua età, sebbene non

Q. 12, A. 2

La scienza acquisita o sperimentale dell 'anima di Cristo

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secundum tempus, licet non fuerit perfecta simpliciter et secundum naturam. Et ideo potuit habere augmentum. Ad tertium dicendum quod verbum Damasce­ ni intelligitur quantum ad illos qui [cf. Abae­ lardum, Sic et Non 76] dicunt simpliciter factam fuisse additionem scientiae Christi, scilicet secundum quamcumque eius scien­ tiam; et praecipue secundum infusam, quae causatur in anima Christi ex unione ad Ver­ bum . Non autem intelligitur de augmento scientiae quae ex naturali agente causatur.

fosse perfetta in senso assoluto e in maniera essenziale. Perciò essa poteva aumentare. 3. La dichiarazione del Damasceno vale con­ tro quelli che pongono nella scienza di Cristo un progresso assoluto, cioè di ogni sua scien­ za, e particolarmente di quella infusa, che è prodotta nella sua anima dall'unione con il Verbo. Non vale invece per la crescita della scienza dovuta a una causa naturale.

Articulus 3 Utrum Christus aliquid ab hominibus didicerit

Articolo 3 Cristo ha imparato qualcosa dagli uomini?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Christus aliquid ab hominibus didicerit. l . Dicitur enim Luc. 2 [46-47] quod invene­

Sembra di sì. Infatti: l . In Le 2 [46 s.] è detto che: Lo trovarono nel

runt eum in Tempio in medio doctorum, in­ terrogantem illos et re:;pondentem. Interrogare vero et respondere est addiscentis . Ergo Christus ab hominibus aliquid didicit. 2. Praeterea, acquirere scientiam ab homine docente videtur esse nobilius quam acquirere a sensibus, quia in anima hominis docentis sunt species intelligibiles in actu, in rebus autem sensibilibus sunt species intelligibiles solum in potentia. Sed Christus accipiebat scientiam experimentalem ex rebus sensibili­ bus, ut dictum est [a. 2; q. 9 a. 4]. Ergo multo magis poterat accipere scientiam addiscendo ab hominibus. 3 . Praeterea, Christus secundum scientiam experimentalem a principio non omnia scivit, sed in ea profecit, ut dictum est [a. 2]. Sed quilibet audiens sermonem significativum alicuius, potest addiscere quod nescit. Ergo Christus potuit ab hominibus aliqua addiscere quae secundum hanc scientiam nesciebat. Sed contra est quod dicitur Isaiae 55 [4], ecce,

testem populis dedi eum, ducem ac praecepto­ rem gentibus. Praeceptoris autem non est doceri, sed docere. Ergo Christus non accepit aliquam scientiam per doctrinam alicuius hominis. Respondeo dicendum quod in quolibet genere id quod est primum movens non movetur secundum illam speciem motus, sicut primum alterans non alteratur. Christus autem constitutus est caput Ecclesiae, quinimmo

tempio, in mezzo ai dottori, mentre li interro­ gava e rispondeva. Ma ascoltare e interrogare è proprio di chi impara. Quindi Cristo imparò qualcosa dagli uomini. 2. Apprendere da un uomo che insegna è una cosa più nobile che apprendere dai sensi, poi­ ché nell'anima di chi insegna ci sono le spe­ cie intelligibili in atto, mentre nelle realtà sen­ sibili le specie intelligibili sono soltanto in potenza. Ma Cristo apprendeva la scienza sperimentale dalle realtà sensibili, come si è detto [a. 2; q. 9, a. 4]. Quindi molto più pote­ va apprendere la scienza imparando dagli uomini. 3. Cristo con la scienza sperimentale da prin­ cipio non conosceva tutto, ma progrediva in essa, come si è spiegato. Ora, ascoltando chi parla sensatamente, chiunque può apprendere ciò che non sa. Quindi Cristo poteva imparare dagli uomini cose che non conosceva con la sua scienza sperimentale. In contrario: in /s 55 [4] è detto: Ecco, l'ho

costituito testimone fra i popoli, guida e mae­ stro alle nazioni. Ma il maestro insegna, non impara. Quindi Cristo non apprese dall'inse­ gnamento umano alcuna scienza. Risposta: in ogni specie di moto il primo motore non riceve da alcuno il movimento che comunica: come anche il primo principio dell'alterazione non subisce alterazioni. Ora, Cristo fu costituito capo della Chiesa, anzi di tutti gli uomini, come si è visto sopra, affin­ ché tutti gli uomini ricevessero per mezzo di

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La scienza acquisita o sperimentale dell 'anima di Cristo

Q. 12, A. 3

omnium hominum, ut supra [q. 8 a. 3] dictum est, ut non solum omnes homines per ipsum gratiam acciperent, sed etiam ut ornnes ab eo doctrinam veritatis reciperent. Unde ipse dicit, Ioan. 1 8 [37], in hoc natus sum, et ad hoc veni in mundum, ut testimonium perhibeam verita­ ti. Et ideo non fuit conveniens eius dignitati ut a quocumque hominum doceretur. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Origenes dicit, Super Luc. [interprete Hieronymo, h. 19], Dominus intenvgabat, non ut aliquid disceret, sed ut interrogatus erudire!. Ex uno quippe doctrinae fonte manat et intenvgare et respon­ dere sapienter. Unde et ibidem [Luc. 2,47] in Evangelio sequitur quod stupebant omnes qui eum audiebant super prudentia et responsis eius. Ad secundum dicendum quod ille qui addiscit ab homine non accipit inmediate scientiam a speciebus intelligibilibus quae sunt in mente ipsius, sed mediantibus sensibilibus vocibus, tanquam signis intellectualium conceptionum. Sicut autem voces ab homine formatae sunt signa intellectualis scientiae ipsius, ita creaturae a Deo conditae sunt signa sapientiae eius, unde Eccli. l [ 1 0] dicitur quod Deus effimdit sapien­ tiam suam super omnia opera sua. Sicut igitur dignius est doceri a Deo quam ab homine, ita dignius est accipere scientiam per sensibiles creaturas quam per hominis doctrinam. Ad tertium dicendum quod Iesus proficiebat in scientia experimentali sicut etiam in aetate, ut dictum est [a. 2]. Sicut autem aetas opportuna requiritur ad hoc quod homo accipiat scientiam per inventionem, ita etiam ad hoc quod accipiat scientiam per disciplinam. Dominus autem nihil fecit quod non congrueret eius aetati. Et ideo audiendis doctrinae sermonibus non accommodavit auditum nisi ilio tempore quo poterat etiam per viam experientiae talem scientiae gradum attigisse. Unde Gregorius dicit, Super Ez. [ 1 ,2], duodecimo anno aetatis suae dignatus est homines intenvgare in terra, quia, iuxta rationis usum, doctrinae sermo non suppetit nisi in aetate peifecta.

lui non solo la grazia, ma anche la dottrina della verità. Per cui egli stesso dice: Per que­ sto io sono nato e per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità (Gv 1 8,37). Perciò non era conveniente alla sua dignità che egli ricevesse insegnamenti da qualche uomo. Soluzione delle difficoltà: l . Origene spiega così quel testo evangelico: «Il Signore non interrogava per apprendere, ma per istruire interrogando. Poiché da una medesima fonte di dottrina sgorga la sapienza di interrogare e quella di rispondere». Per cui nel medesimo passo evangelico seguono le parole: «Tutti quelli che lo udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte». 2. Chi impara da un uomo non apprende la scienza per ricezione immediata delle specie intelligibili che sono nella mente di chi inse­ gna, ma per mezzo delle parole sensibili, che sono i segni delle idee della mente. Ora, come le parole dell'uomo sono come i segni della sua scienza intellettuale, così le creature sono i segni della sapienza di Dio, per cui è detto che il Signore ha effuso la sua sapienza su tutte le sue opere (Sir 1 , 10). Come dunque è più nobile essere istruiti da Dio che dagli uomini, così è più nobile apprendere dalle creature sensibili che dall'insegnamento del­ l'uomo. 3. Gesù progrediva nella sua scienza speri­ mentale di pari passo con l' età, come si è detto. Ma come si richiede l ' età adatta per apprendere di propria iniziativa, così la si ri­ chiede anche per apprendere mediante l' inse­ gnamento. Ora, il Signore non fece nulla che non convenisse alla sua età. Perciò non prestò orecchio a discorsi di insegnamento se non neli' età in cui poteva anche per via di espe­ rienza aver raggiunto un pari grado di scienza. Per cui Gregorio scrive: «Nel dodicesimo an­ no di età si degnò in terra di interrogare gli uomini, poiché secondo il normale sviluppo della ragione l'insegnamento non viene dato che nell'età perfetta».

Articulus 4 Utrum Christus ab angelis scientiam acceperit

Articolo 4 Cristo ha appreso dagli angeli?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Christus ab angelis scientiam acceperit.

Sembra di sì. Infatti: l . In Le 22 [43] è detto: A Cristo apparve un

Q. l2, A. 4

La scienza acquisita o sperimentale dell 'anima di Cristo

l . Dicitur enim Luc. 22 [43] quod apparuit Christo angelus de caelo conforlans ewn. Sed confortatio fit per verba exhortatoria docentis, secundum illud Iob 4 [3-4], ecce, docuisti plu­

rimos, et manus lassas roborasti, vacillantes confinnavenmt sennones tui. Ergo Christus ab angelis doctus est. 2. Praeterea, Dionysius dicit, 4 cap. De cael. hier. [4], video enim quod et ipse Iesus, super­

caelestium substantiarum supersubstantialis substantia, ad nostram intransmutabiliter veniens, obedienter subiicitur Patris et Dei per angelos formationibus. Videtur igitur quod ipse Christus ordinationi legis divinae subiici voluerit, per quam homines, mediantibus an­ gelis, erudiuntur. 3. Praeterea, sicut corpus humanum naturali or­ dine subiicitur corporibus caelestibus, ita etiam humana mens angelicis mentibus. Sed corpus Christi subiectum fuit impressionibus caele­ stium corporum, passus est enim calorem in aestate et fìigus in hieme, sicut et alias humanas passiones. Ergo et eius mens humana subiace­ bat illuminationibus supercaelestium spirituum. Sed contra est quod Dionysius dicit, 7 cap. De cael. hier. [3], quod supremi angeli ad ipsum

Iesum quaestionem faciunt, et ipsius divinae operationis pro nobis scientiam discunt, et eas ipse Iesus sine medio docet. Non est autem eiusdem docere et doceri. Ergo Christus non accepit scientiam ab angelis. Respondeo dicendum quod anima humana, sicut media inter substantias spirituales et res corporales existit, ita duobus modis nata est perfici, uno quidem modo, per scientiam ac­ ceptam ex rebus sensibilibus; alio modo, per scientiam inditam sive impressam ex illumina­ tione spiritualium substantiarum. Utroque autem modo anima Christi fuit perfecta, ex sensibilibus quidem, secundum scientiam ex­ perimentalem, ad quam quidem non requiritur lumen angelicum, sed sufficit lumen intellectus agentis; ex impressione vero superiori, secun­ dum scientiam infusam, quam est immediate adeptus a Deo. Sicut enim supra communem modum creaturae anima illa unita est Verbo in unitate personae, ita, supra communem mo­ dum hominum, immediate ab ipso Dei Verbo repleta est scientia et gratia, non autem me­ diantibus angelis, qui etiam ex influentia Verbi rerum scientiam in sui principio acceperunt, sicut in 2 libro Super Gen. [8] Augustinus dicit

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angelo dal cielo a confortarlo. Ma il conforto si dà istruendo con parole di esortazione, come è detto in Gb 4 [3] : Ecco, tu hai istntito

molti, e a mani fiacche hai ridato vigore; le tue parole hanno sorretto chi vacillava. Cristo dunque fu istruito dagli angeli. 2. Dionigi scrive: «Vedo che Gesù stesso, sostanza che trascende le sostanze sopracele­ sti, disceso tra noi senza alcun cambiamento, si sottomette obbediente alle istruzioni che Dio Padre gli trasmette per mezzo degli ange­ li». Quindi sembra che anche Cristo abbia voluto sottostare alla disposizione della legge divina per cui gli uomini sono istruiti da Dio per mezzo degli angeli. 3. Come il corpo umano per ordine di natura è soggetto ai corpi celesti, così anche l' intelli­ genza umana alle intelligenze angeliche. Ma il corpo di Cristo fu soggetto agli influssi dei corpi celesti, soffrendo il caldo nell'estate e il freddo nell'inverno, come anche le altre passi­ vità umane. Quindi anche la sua intelligenza soggiaceva alle illuminazioni degli spiriti so­ pracelesti. In contrario: Dionigi afferma che gli angeli su­ premi «hanno spiegazioni da chiedere a Gesù stesso, e apprendono da lui la sua divina opera­ zione a nostro favore: ed egli li istruisce da sé senza intermediari». Ora, chi insegna non im­ para. Quindi Cristo non apprese dagli angeli. Risposta: l ' anima umana, essendo posta in mezzo tra le sostanze spirituali e le realtà cor­ porali, ha due modi di perfezionarsi: uno per mezzo della scienza appresa dalle realtà sen­ sibili, l' altro per mezzo della scienza impressa dall'illuminazione delle sostanze spirituali. Ora, l'anima di Cristo raggiunse la perfezione in entrambi i modi: attraverso le realtà sensi­ bili con la scienza sperimentale, a cui non occorre l'illuminazione angelica, ma basta la luce dell'intelletto agente, e attraverso le co­ municazioni dall' alto con la scienza infusa, che ebbe direttamente da Dio senza interme­ diari. Come infatti quell' anima fu unita al Verbo di Dio con l'unione ipostatica sorpas­ sando le possibilità comuni delle creature, così al di sopra delle comuni possibilità uma­ ne fu ricolmata di scienza e di grazia dallo stesso Verbo di Dio in persona, senza la me­ diazione degli angeli, i quali agli inizi della loro esistenza ricevettero anch'essi dal Verbo la scienza delle cose, come scrive Agostino.

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La scienza acquisita o sperimentale dell 'anima di Cristo

Q. 12, A. 4

Ad primum ergo dicendum quod illa conforta­ tio angeli non fuit per modum instructionis, sed ad demonstrandum proprietatem humanae naturae. Unde Beda dicit, Super Luc. [6, super 22,43], in documento utriusque naturae, et an­ geli ei ministrasse, et eum conjonasse dicuntur. Creator enim suae creaturae non eguit praesi­ dio, sed, homo factus, sicut propter nos tristis est, ita propter nos confortatur; ut scilicet in nobis fides incamationis ipsius confirmetur. Ad secundum dicendum quod Dionysius dicit Christum angelicis fonnationibus fuisse su­ biectum, non ratione sui ipsius, sed ratione eorum quae circa eius incamationem ageban­ tur, et circa ministrationem in infantili aetate constituti. Unde ibidem subdit quod per me­ dios angelos nuntiatur loseph a Parre dispen­ sata lesu ad Aegyptum recessio, et rursum ad ludaeam de Aegypto traductio. Ad tertium dicendum quod Filius Dei assumpsit corpus passibile, ut infra [q. 14 a. l ] dicetur, sed animam perfectam scientia et gratia [q. 14 a. l ad l ; a. 4]. Et ideo corpus eius fuit conve­ nienter subiectum impressioni caelestium cor­ porum, anima vero eius non fuit subiecta im­ pressioni caelestium spirituum.

Soluzione delle difficoltà: l. Lo scopo del conforto angelico non era di istruire, ma di dimostrare la realtà della natura umana di Cristo. Per cui Beda scrive: «Si dice che gli angeli lo hanno servito e confortato per com­ provare l'esistenza delle due nature. Quale Creatore infatti non aveva bisogno dell'aiuto di alcuna sua creatura; ma una volta fatto uomo, come per noi soffre, così per noi riceve conforto»: aftinché cioè in noi si raft'orzi la fede nella sua incarnazione. 2. Dionigi dice che Cristo «Sottostava alle illuminazioni angeliche» non personalmente, ma in ragione degli episodi riguardanti la sua incarnazione e della condotta che gli angeli dovevano seguire nella sua infanzia. Infatti egli così continua nel testo citato: «Mediante gli angeli fu annunziato dal Padre a Giuseppe di fuggire in Egitto, e successivamente di ritornare in Giudea>>. 3. Il Figlio di Dio, come vedremo, assunse un corpo passibile, ma insieme un'anima dotata di scienza e di grazia. Per cui era giusto che il suo corpo fosse soggetto ali' influsso dei corpi celesti mentre la sua anima non era soggetta all'influsso degli spiriti celesti.

QUAESTIO 1 3 DE POTENTIA ANIMAE CHRISTI

QUESTIONE 1 3 LA POTENZA DELL'ANIMA DI CRISTO

Deinde considerandum est de potentia animae Christi. - Et circa hoc quaeruntur quatuor. Pri­ mo, utrum habuerit omnipotentiam simpliciter secundo, utrum habuerit omnipotentiam re­ spectu corporalium creaturarum. Tertio, utrum habuerit omnipotentiam respectu proprii cor­ poris. Quarto, utrum habuerit omnipotentiam respectu executionis propriae voluntatis.

Abbiamo ora da considerare la potenza del­ l'anima di Cristo. - Su di essa ci chiediamo quattro cose: l . Ha avuto l' onnipotenza asso­ luta? 2. Ha avuto l'onnipotenza sulle creature materiali? 3. Ha avuto l'onnipotenza sul pro­ prio corpo? 4. Ha avuto l'onnipotenza rispetto al compimento della propria volontà?

Articulus l Utrum anima Christi habuerit omnipotentiam

Articolo l L'anima di Cristo ha avuto l'onnipotenza?

Ad primum sic proceditur. Vìdetur quod ani­ ma Christi habuit omnipotentiam. l . Dicit enim Ambrosius, Super Luc. [ord.; cf. Bedam, H. 1 , 1 ] , potentiam quam Dei Filius naturaliter habet, homo erat ex tempo­ re accepturus. Sed hoc praecipue videtur esse secundum animam, quae est potior pars

Sembra di sì. Infatti: l . Ambrogio scrive: «L'uomo avrebbe rice­ vuto nel tempo l' onnipotenza che il Figlio di Dio ha per n atura». Ma ciò riguarda principalmente l 'anima, che è la parte più nobile dell'uomo. Poiché dunque il Figlio di Dio ebbe l ' onnipotenza dali' eterni tà,

Q. 13, A. l

La potenza dell'anima di Cristo

hominis. Cum ergo Filius Dei ab aeterno omnipotentiam habuerit, videtur quod anima Christi ex tempore omnipotentiam acceperit. 2. Praeterea, sicut potentia Dei est infinita, sic et eius scientia. Sed anima Christi habet omnium scientiam eorum guae scit Deus quo­ dammodo, ut supra [q. IO a. 2] dictum est. Er­ go etiam habet omnem potentiam. Et ita est omnipotens. 3 . Praeterea, anima Christi habet omnem scientiam. Sed scientiarum quaedam est pra­ ctica, quaedam speculativa. Ergo habet eorum quae scit scientiam practicam, ut scilicet sciat facere ea quae scit. Et sic videtur quod omnia facere possit. Sed conn·a est, quod proprium est Dei, non potest alicui creaturae convenire. Sed pro­ prium est Dei esse omnipotentem, secundum illud Ex. 1 5 [2], iste Deus meus, et glorificabo eum; et postea [3] subditur, omnipotens nomen eius. Ergo anima Christi, cum sit crea­ tura, non habet omnipotentiam. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 2 a. l ; q. I O a. l ] dictum est, in mysterio incar­ nationis ita facta est unio in persona quod tamen remansit distinctio naturarum, utraque scil icet natura retinente id quod sibi est proprium. Potentia autem activa cuiuslibet rei sequitur formam ipsius, guae est principium agendi. Forma autem vel est ipsa natura rei, sicut in simplicibus, vel est constituens ipsam rei naturam, sicut in his quae sunt composita ex materia et forma. Unde manifestum est quod potentia activa cuiuslibet rei consequitur naturam ipsius. Et per hunc modum omnipo­ tentia consequenter se habet ad divinam natu­ ram. Quia enim natura divina est ipsum esse Dei incircumscriptum, ut patet per Dionysium, 5 cap. De div. nom. [4], inde est quod habet potentiam activam respectu omnium guae possunt habere rationem entis, quod est habere omnipotentiam, sicut et quaelibet alia res habet potentiam activam respectu eorum ad quae se extendit perfectio suae nattrrae, sicut calidum ad calefaciendum. CUm igitur anima Christi sit pars humanae naturae, impossibile est quod habeat omnipotentiam. Ad primum ergo dicendum quod homo acce­ pit ex tempore omnipotentiam quam Filius Dei habuit ab aeterno, per ipsam unionem personae, ex qua factum est ut, sicut homo di­ citur Deus, ita dicatur omnipotens, non quasi

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sembra che l'anima di Cristo l ' abbia rice­ vuta nel tempo. 2. La potenza di Dio è infinita, come anche la sua scienza. Ma l'anima di Cristo ha in un certo modo la scienza di tutte le cose che Dio conosce, come si è detto sopra. Quindi ha anche la potenza su tutte le cose. E così è onnipotente. 3. L'anima di Cristo ha ogni specie di scienza. Ma le scienze si dividono in pratiche e specula­ tive. Quindi delle cose che conosce speculati­ vamente ha la scienza pratica, cioè le può fare. E così sembra che possa fare tutte le cose. In contrario: ciò che è proprio di Dio non è attribuibile ad alcuna creatura. Ma l' onnipo­ tenza è propria di Dio, secondo le parole di Es 15 [2]: E il mio Dio, e lo glorificherò; a cui segue: onnipotente è il suo nome. Quindi I' anima di Cristo, essendo una creatura, non ha l' onnipotenza. Risposta: come si è detto sopra, nel mistero dell'incarnazione l'unione ipostatica è avve­ nuta in modo da lasciare distinte le nature, conservando all'una e all'altra quanto ciascu­ na ha di proprio. Ora, la potenza attiva di ogni cosa dipende dalla sua forma, che è il princi­ pio dell'operazione. La forma poi o è la stessa natura, come negli esseri semplici, o è il costi­ tutivo della natttra, come nelle cose composte di materia e forma. Perciò è chiaro che la potenza attiva di ogni ente dipende dalla sua natura. Così dunque l' onnipotenza consegue alla natura divina. Essendo infatti la natura divina lo stesso essere incircoscritto di Dio, come afferma Dionigi, essa ha conseguente­ mente la potenza attiva su tutte le cose che possono essere, cioè l' onnipotenza, come anche qualsiasi essere ha la potenza attiva su quelle cose a cui si estende la perfezione della sua natura: come ad es. il caldo può riscalda­ re. Siccome dunque l'anima di Cristo è una parte della natura umana, è impossibile che abbia l' onnipotenza. Soluzione delle difficoltà: l . L' onnipotenza che il Figlio di Dio aveva dall'eternità, l'uo­ mo l'ha ricevuta nel tempo in forza dell'unio­ ne ipostatica, grazie alla quale come l'uomo [Cristo] è detto Dio, così è detto anche onni­ potente: non nel senso che l'onnipotenza del­ l'uomo, come anche la divinità, sia distinta da quella del Figlio di Dio, ma nel senso che in lui è identica la persona di Dio e dell'uomo.

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sit alia omnipotentia hominis quam Filii Dei sicut nec ali a deitas; sed eo quod est una persona Dei et hominis. Ad secundum dicendum quod alia ratio est de scientia, et de potentia activa, sicut quidam [Sent. l. 3, d. 14 c. l ; cf. Summa Aurea 3,1,5,1] dicunt. Nam potentia activa consequitur ipsam naturam rei, eo quod actio consideratur ut egrediens ab agente. Scientia autem non semper habetur per ipsam essentiam scientis, sed potest haberi per assimilationem scientis ad res scitas secundum similitudines susceptas. Sed haec ratio non videtur sufficere. Quia sicut aliquis potest cognoscere per similitudinem susceptam ab alio, ita etiam potest agere per formam ab alio susceptam, sicut aqua vel ferrum calefacit per calorem susceptum ab igne. Non igitur per hoc prohibetur quin, sicut anima Christi per similitudines omnium rerum sibi a Deo inditas potest omnia cognoscere, ita per easdem similitudines possit ea facere. - Est ergo ulterius considerandum quod id quod a superiori natura in inferiori recipitur, habetur per inferiorem modum, non enim calor in eadem perfectione et virtute recipitur ab aqua qua est in igne. Quia igitur anima Christi inferioris naturae est quam divina natura, similitudines rerum non recipiuntur in ipsa anima Christi secundum eandem perfectionem et virtutem secundum quam sunt in natura divina. Et inde est quod scientia animae Christi est inferior scientia divina, quantum ad modum cognoscendi, quia Deus perfectius cognoscit quam anima Christi; et etiam quantum ad numerum scitorum, quia anima Christi non cognoscit omnes res quas Deus potest facere, quae tamen Deus cognoscit scientia simplicis intelligentiae; licet cognoscat omnia praesentia, praeterita et futura, quae Deus cognoscit scientia visionis. Et similiter similitudines re­ rum animae Christi inditae non adaequant virtutem divinam in agendo, ut scilicet possint omnia agere quae Deus potest; vel etiam eo modo agere sicut Deus agit, qui agit per virtu­ tem intinitam, cuius creatura non est capax. Nulla autem res est ad cuius cognitionem aliqualiter habendam requiratur virtus infinita, licet aliquis modus cognoscendi sit virtutis i nfinitae, quaedam tamen sunt quae non possunt fieri nisi a virtute infinita sicut creatio et alia huiusmodi, ut patet ex his quae in Prima Parte [q. 45 a. 5 ad 3; q. 65 a. 3 ad 3; q. 25 a. 3

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2. Non si può parlare, dicono alcuni, della potenza attiva come si parla della scienza. Infatti la potenza attiva di una cosa deriva dalla sua natura, poiché l 'azione si presenta come derivante dall'agente, mentre la scienza non deriva sempre dall' essenza stessa del soggetto, ma può nascere dal conformarsi del soggetto alle realtà conosciute mediante rap­ presentazioni conoscitive. - Questa però è una risposta insufficiente. Se intatti si può co­ noscere per mezzo di immagini ricevute da altri, si può anche agire per mezzo di forme date da altri: come l'acqua e il ferro riscalda­ no con il calore comunicato dal fuoco. Così dunque non si spiegherebbe come mai l'ani­ ma di Cristo, mentre può conoscere tutte le cose con le idee di tutte le cose che Dio ha infuso in essa, non possa anche con le mede­ sime idee fare tutte le cose. - C'è quindi da aggiungere che una perfezione, passando da una natura superiore a una inferiore, diminui­ sce: il calore infatti non ha nell'acqua la me­ desima forza che ha nel fuoco. Poiché dunque l ' anima di Cristo è di natura inferiore a quella divina, le idee delle cose non conservano nel­ l' anima di Cristo la medesima perfezione e virtù che hanno nella natura divina. E ciò spiega come mai l a scienza del l ' anima di Cristo sia inferiore alla scienza divina: sia quanto al modo di conoscere, poiché Dio co­ nosce più perfettamente dell'anima di Cristo, sia anche quanto al numero delle cose cono­ sciute, poiché l'anima di Cristo non conosce tutte le cose che Dio può tare e che Dio tutta­ via conosce con la scienza di semplice intelli­ genza, sebbene l ' anima di Cristo conosca tut­ te le cose presenti, passate e future che Dio conosce con la scienza di visione. Similmente dunque le idee delle cose infuse nell'anima di Cristo non adeguano tutta la virtù divina nel­ l ' agire: nel senso cioè di poter fare tutto ciò che può tare Dio, o anche di agire alla manie­ ra in cui agisce Dio, il quale opera con una potenza infinita, di cui la creatura non è capa­ ce. Ora, non c'è cosa alcuna che per essere conosciuta in qualche modo richieda una virtù infinita, sebbene ci sia un modo di cono­ scere che esige una potenza infinita; ci sono invece delle cose che non possono essere fatte se non da una potenza infinita, quali la crea­ zione e altre opere simili, come si è visto nella Prima Parte. Perciò l 'anima di Cristo, essen-

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ad 4] dieta sunt. Et ideo anima Christi, cum sit creatura et virtutis finitae, potest quidem omnia cognoscere, sed non per omnem modum, non autem potest omnia facere, quod pertinet ad rationem omnipotentiae et inter cetera, mani­ festum est quod non potest creare seipsam. Ad tertium dicendum quod anima Christi ha­ buit et scientiam practicam et speculativam, non tamen oportet quod omnium illorum ha­ beat scientiam practicam quorum habuit scien­ tiam speculativam. Ad scientiam enim specula­ tivam habendam sufficit sola conformitas vel assimilatio scientis ad rem scitam, ad scientiam autem practicam requiritur quod formae rerum quae sunt in intellectu sint factivae. Plus autem est habere formam et imprimere formam habi­ tam in alterum, quam solum habere formam, sicut plus est lucere et illuminare quam solum lucere. Et inde est quod anima Christi habet quidem speculativam scientiam creandi, scit enim qualiter Deus creat, sed non habet huius modi scientiam practicam, quia non habet scientiam creationis factivam.

do tma creatura di potenza limitata, può certa­ mente conoscere tutte le cose, sebbene non perfettamente; non può invece fare tutte le co­ se, poiché ciò richiede l' onnipotenza. Fra l'al­ tro poi è chiaro che non può creare se stessa. 3. L'anima di Cristo aveva la scienza pratica e la scienza speculativa, ma non aveva necessa­ riamente la scienza pratica di tutte quelle cose che conosceva speculativamente. Infatti per la scienza speculativa basta la conformazione del soggetto alla cosa conosciuta, mentre per la scienza pratica si richiede che le idee delle cose presenti neli' intelligenza siano forme operative. Ora, avere una fonna e comunicar­ la ad altri è più che averla soltanto: come ri­ splendere e illuminare è più che risplendere soltanto. Perciò l'anima di Cristo ha la scien­ za speculativa della creazione in quanto sa co­ me Dio crea, ma non ne ha la scienza pratica, poiché non ha una conoscenza fattiva della creazione.

Articulus 2 Utrum anima Christi habeat omnipoten­ tiam respectu immutationis creaturarum

Articolo 2 L'anima di Cristo ha l'onnipotenza per trasformare le creature?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod anima Christi habeat omnipotentiam respectu immutationis creaturarum. l . Dicit enim ipse Matth. 26 [ 1 8], data est mihi omnis potestas in caelo et in terra. Sed nomine caeli et terrae intelligitur omnis crea­ tura, ut patet cum dicitur, Gen. l [ l ], in prin­ cipio creavi! Deus caelum et terram. Ergo vi­ detur quod anima Christi habeat omnipoten­ tiam respectu immutationis creaturarum. 2. Praeterea, anima Christi est perfectior qua­ libet creatura. Sed quaelibet creatura potest moveri ab aliqua alia creatura, dicit enim Au­ gustinus, in 3 De Trio. [4], quod sicut corpora

Sembra di sì. Infatti: l . Egli stesso dice: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra (Mt 28,1 8). Ma l'espressione in cielo e in ten"Cl abbraccia tutte le creature, come risulta da Gen l [ 1] : In principio Dio creò il cielo e la terra. Quindi sembra che l'a­ nima di Cristo abbia l'onnipotenza per trasfor­ mare le creature. 2. L'anima di Cristo è più perfetta di ogni crea­ tura. Ma qualsiasi creatura può sottostare ali' in­ flusso di qualche altra creatura; dice infatti Agostino che «come i corpi più materiali e meno nobili sono mantenuti nell'ordine dai corpi più sottili e più potenti, così tutti i corpi [sono mantenuti nell'ordine] dallo spirito razio­ nale di vita, e lo spirito razionale disertore e peccatore dallo spirito razionale pio e giusto». Ora, all'anima di Cristo sottostanno anche gli stessi spiriti supremi, che essa illumina, come scrive Dionigi. Quindi sembra che l'anima di Cristo abbia l' onnipotenza per trasformare le creature. 3 . L'anima di Cristo aveva nel modo più ampio la grazia dei miracoli o delle virtù

grossiora et inferiora per subtiliora et poten­ tiora quodam ordine reguntu1; ita omnia corpora per spiritum vitae rationalem; et spiritus vitae rationalis desertor atque pecca­ tar per spiritum vitae rationalem, pium et iustum. Anima autem Christi etiam ipsos su­ premos spiritus movet, illuminando eos, ut dicit Dionysius, 7 cap. De cael. hier. [3]. Ergo videtur quod anima Christi habeat omnipo­ tentiam respectu immutationis creaturarum.

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3. Praeterea, anima Christi habuit pienissime gratiam miraculorum seu virtutum, sicut et ceteras gratias. Sed omnis immutatio creatu­ rae potest ad gratiam miraculorum pertinere, cum etiam miraculose caelestia corpora a suo ordine immutata fuerint, sicut probat Diony­ sius, in Epistola ad Polycarpum [ep. 7,2]. Er­ go anima Christi habuit omnipotentiam re­ spectu immutationis creaturarum. Sed contra est quod eiusdem est transmutare creaturas cuius est conservare eas. Sed hoc est solius Dei, secundum illud Hebr. l [3], por­ fans omnia verbo vinutis suae. Ergo solius Dei est habere omnipotentiam respectu im­ mutationis creaturarum. Non ergo hoc conve­ nit animae Christi. Respondeo dicendum quod hic duplici distin­ ctione est opus. Quarum prima est ex parte transmutationis creaturarum, quae triplex est. Una quidem est naturalis, quae scilicet fit a proprio agente secundum ordinem naturae. Alia vero est miraculosa, quae fit ab agente supernaturali, supra consuetum ordinem et cursum naturae, sicut resuscitatio mortuorum. Tertia autem est secundum quod omnis crea­ tura vertibilis est in nihil. - Secunda autem di­ stinctio est accipienda ex parte animae Chri­ sti, quae dupliciter considerari potest. Uno modo, secundum propriam naturam et virtu­ tem, sive naturalem sive gratuitam. Alio mo­ do, prout est instrumentum Verbi Dei sibi personaliter uniti. - Si ergo loquamur de anima Christi secundum propriam naturarn et virtutem, sive naturalem sive gratuitam, po­ tentiam habuit ad illos effectus faciendos qui sunt animae convenientes, puta ad gubernan­ dum corpus, et ad disponendum actus huma­ nos; et etiam ad illuminandum, per gratiae et scientiae plenitudinem, omnes creaturas ra­ tionales ab eius perfectione deficientes, per modum quo hoc est conveniens creaturae ra­ tionali. - Si autem loquamur de anima Christi secundum quod est instrumentum Verbi sibi uniti, sic habuit instrumentalem virtutem ad omnes immutationes miraculosas faciendas ordinabiles ad incarnationis finem, qui est instaurare omnia, sive quae in caelis sive quae in terris sunt. - Immutationes vero crea­ turarum secundum quod sunt vertibiles in nihil, correspondent creationi rerum, prout scilicet producuntur ex nihilo. Et ideo, sicut solus Deus potest creare, ita solus potest creaturas

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[l Cor 12,10], come anche le altre grazie. Ma nella grazia dei miracoli rientra il cambiamento di qualsiasi creatura, avendo i miracoli cambia­ to anche l'ordine dei corpi celesti, come dimo­ stra Dionigi. Quindi l'anima di Cristo aveva l'onnipotenza per trasformare le creature. In contrario: trasformare le creature spetta a chi ha il potere di conservarle. Ma ciò compe­ te soltanto a Dio, che, secondo Eh l [3], sostiene tutto con la potenza della sua pamla. Quindi soltanto Dio ha l' onnipotenza di cam­ biare le creature. Questa perciò non spetta all'anima di Cristo. Risposta: qui sono necessarie due distinzioni. La prima riguarda le mutazioni delle creature, che sono di tre specie. Ci sono le mutazioni naturali, che vengono fatte da un agente natu­ rale secondo l'ordine della natura. Ci sono poi le mutazioni miracolose, che vengono fatte da un agente soprannaturale al di là dell'ordine e del corso consueto della natura: come la risur­ rezione dei morti. Ci sono infine le mutazioni che consistono nel ridurre le cose al nulla. - La seconda distinzione riguarda l'anima di Cristo, che può essere considerata sotto due punti di vista. Primo, sotto l'aspetto della sua virtù, sia naturale che gratuita. Secondo, in quanto essa è lo strumento del Verbo di Dio, a cui è unita personalmente. - Se dunque consideriamo l'anima di Cristo nella sua essenza e vittù, sia di natura che di grazia, essa aveva il potere di produrre gli effetti che sono di competenza del­ l'anima: poteva ad es. dirigere il corpo e gli atti umani; e anche illuminare con la pienezza della grazia e della scienza tutte le creature razionali inferiori alla sua perfezione, nel modo che si addice alle creature razionali. - Se inve­ ce l'anima di Cristo viene considerata come strumento congiunto del Verbo, allora essa aveva la virtù strumentale per produrre tutte le mutazioni miracolose ordinabili al fine dell'in­ carnazione, che è di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra [Ef 1,10]. - La mutazione poi delle cose che consiste nel loro annientamento è parallela alla loro creazione che le produce dal nulla. E come soltanto Dio può creare, così soltanto Dio può ridurre al nulla le creature, come pure soltanto Dio le conserva nell'essere perché non cadano nel nulla. Dobbiamo quindi concludere che l'anima di Cristo non ha l'onnipotenza quanto alla trasformazione delle creature.

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in nihilum redigere, qui etiam solus eas in esse conservat, ne in nihilum decidant. Sic ergo dicendum est quod anima Christi non habet omnipotentiam respectu immutationis creaturarum. Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicit Hieronymus [In Matth. 4, super 28, 1 8], illi potestas data est qui pau/o ante crucifixus et sepultus in tumulo, qui postea resurrexit, idest, Christo secundum quod homo. Dicitur autem sibi omnis potestas data ratione unionis, per quam factum est ut homo esset omnipotens, ut supra [a. l ad l ] dictum est. Et quamvis hoc ante resurrectionem innotuerit angelis, post resurrectionem innotuit omnibus hominibus, ut Remigius dicit [cf. Cat. Aurea In Matth. 28,4 super 1 8]. Tunc autem dicuntur resfieri, quan­ do innotescunt. Et ideo post resurrectionem Dominus dicit sibi potestatem esse datam in caelo et in terra. Ad secundum dicendum quod, licet omnis creatura sit mutabilis ab alia creatura, praeter supremum angelum, qui tamen potest illumi­ naci ab anima Christi; non tamen omnis immu­ tatio quae potest fieri circa creaturam, potest fieri a creatura; sed quaedam immutationes possunt fieri a solo Deo. Quaecumque tamen immutationes creaturarum possunt tìeri per creaturas, possunt etiam fieli per animam Chri­ sti secundum quod est instrumentum Verbi. Non autem secundum propliam naturam et vir­ tutem, quia quaedam huiusmodi immutatio­ num non pertinent ad animam, neque quantum ad ordinem naturae neque quantum ad ordi­ nem gratiae. Ad tertium dicendum quod, sicut dictum est in Secunda Parte [11-11 q. 178 a. l ad 1], gratia virtutum, seu miraculorum, datur animae ali­ cuius sancti, non ut proplia virtute eius, sed ut per virtutem divinam huiusmodi miracula fiant. Et haec quidem gratia excellentissime data est animae Chlisti, ut scilicet non solum ipse miracula faceret, sed etiam hanc gratiam in alios transfunderet. Unde dicitur, Matth. 10 [ l ], quod, convocatis duodecim discipulis, de­ dit illis potestatem spirituum immundontm, ut eiicerent eos; et curarent omnem languorem et omnem infirmitatem.

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Soluzione delle difficoltà: l . Come spiega Girolamo, «il potere fu dato a colui che poco plima era stato crocifisso e sepolto, e che poi risuscitò», cioè a Ciisto in quanto uomo. Ora, ogni potere gli fu dato in forza dell'unione ipostatica, che rese quell'uomo onnipotente, come si è detto sopra. E sebbene ciò fosse noto agli angeli prima della risurrezione, di­ venne noto a tutti gli uomini solo dopo di es­ sa, come nota Remigio. Ora, si usa dire che le cose avvengono quando sono conosciute. Per questo dunque il Signore dopo la Iisurrezione disse di avere ricevuto ogni potere in cielo e in terra. 2. Sebbene ogni creatura possa essere mutata da un'altra creatura, eccetto l'angelo supre­ mo, il quale però può essere illuminato dall'a­ nima di Cristo, tuttavia non tutte le mutazioni possibili nelle creature sono producibili dalla creatura, poiché alcune possono essere opera­ te solo da Dio. Tutte le mutazioni però che una creatura può operare nelle creature posso­ no essere operate anche dall'anima di Ciisto, in quanto strumento del Verbo. Non però in forza della propria natura e virtù, dato che alcune di tali mutazioni non rientrano nelle capacità dell'anima, né secondo l'ordine della natura, né secondo l'ordine della grazia. 3. Come si è detto nella Seconda Parte, la grazia delle vittù o dei miracoli viene conces­ sa all'anima di qualche santo non nel senso che tali miracoli vengano compiuti per sua propria virtù, ma per la potenza di Dio. E questa grazia fu data all'anima di Cristo in modo eccellentissimo, al punto che egli pote­ va non solo fare dei miracoli, ma anche tra­ smettere tale potere ad altli. Per cui è detto in Mt 1 0 [ l ] che chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di inje1mità.

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La potenza del/ 'anima di Cristo

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Articulus 3 Utrum anima Christi habuerit omnipotentiam respectu proprii corporis

Articolo 3 L'anima di Cristo ha avuto l'onnipotenza rispetto al proprio corpo?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ani­ ma Cluisti habuerit omnipotentiam respectu proprii corporis. l . Dicit enim Damascenus, in 3 libro [De fide 20], quod omnia naturalia fuerunt Christo vo­

Sembra di sì. Infatti: l . li Damasceno scrive che «tutti i fenomeni naturali furono volontari in Cristo: ebbe fame volontariamente, ebbe sete volontariamente, ebbe timore volontariamente, morì volonta­ riamente». Ma Dio viene detto onnipotente perché «ha fatto tutto ciò che ha voluto». Quindi sembra che l'anima di Cristo avesse l'onnipotenza riguardo alle operazioni natura­ li del proprio corpo. 2. La natura umana era più perfetta in Cristo che in Adamo, nel quale per la giustizia origi­ nale che egli aveva nello stato di innocenza il corpo stava completamente sottomesso all'a­ nima, così che nulla poteva accadere nel corpo contro la volontà dell'anima. Quindi a maggior ragione l'anima di Cristo aveva l'on­ nipotenza rispetto al suo corpo. 3. In forza dell' immaginazione dell'anima il corpo subisce naturalmente delle alterazioni, e tanto più quanto più è forte l'immaginazio­ ne, come si è visto nella Prima Parte. Ma l'anima di Cristo era perfettissima sia nell'im­ maginazione che nelle altre facoltà. Quindi l'anima di Ctisto era onnipotente rispetto al proprio corpo. In contrario: in Eh 2 [ 1 7] è detto che Cristo doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, e specialmente nelle cose riguardanti la condi­ zione della natura umana. Ma è condizione della natura umana che la salute del corpo, la sua nutrizione e la sua crescita non dipendano dal comando della ragione o della volontà, giacché le realtà naturali sono soggette solo a Dio, che è l'autore della natura. Quindi nep­ pure in Cristo c'era tale dipendenza. Perciò l'anima di Cristo non era onnipotente riguar­ do al proprio corpo. Risposta: come si è detto, l'anima di Cristo può essere considerata da due punti di vista. Primo, nella sua propria natura e virtù. E sotto questo aspetto, come non poteva cambiare nei corpi esterni il corso e l'ordine della natura, così non poteva cambiare nel proprio corpo le leggi naturali, avendo l'anima per sua natura dei rapporti determinati con il corpo. - Secon­ do, si può considerare l ' anima di Cristo in quanto strumento unito i postaticamente al

luntaria, volens enim esurivit, volens sitivit, volens timuit, volens mortuus est. Sed ex hoc Deus dicitur omnipotens quia omnia quaecum­ que voluit, fecit [Ps. 1 1 3, I l ] . Ergo videtur quod anima Christi habuit omnipotentiam respectu naturalium operationum proprii corporis. 2. Praeterea, in Christo fuit perfectius humana natura quam in Adam, in quo, secundum ori­ ginalem iustitiam quam habuit in statu inno­ centiae, corpus habebat omnino subiectum animae, ut nihil in corpore posset accidere contra animae voluntatem. Ergo multo magis anima Christi habuit omnipotentiam respectu sui corporis. 3. Praeterea, ad imaginationem animae natura­ liter corpus immutatur; et tanto magis, quanto anima fuerit fortioris imaginationis; ut in Prima Parte [q. 1 17 a. 3 ad 2-3] habitum est. Sed anima Christi habuit virtutem perfectis­ simam, et quantum ad imaginationem, et quantum ad alias vires. Ergo anima Cluisti fuit omnipotens in respectu ad corpus proprium. Sed contra est quod dicitur Hebr. 2 [ 1 7], quod debuit per omnia fratribus assimilmi, et prae­ cipue in his quae pertinent ad conditionem humanae naturae. Sed ad conditionem hu­ manae naturae pertinet quod valetudo corpo­ ris, et eius nutritio et augmentum, imperio ra­ tionis, seu voluntati, non subdantur, quia natu­ ralia soli Deo, qui est auctor naturae, subdun­ tur. Ergo nec in Christo subdebantur. Non igitur anima Christi fuit omnipotens respectu proprii corporis. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 2], anima Christi potest dupliciter conside­ rari. Uno modo, secundum propriam virtutem et naturam. Et hoc modo, sicut non poterat immutare exteriora corpora a cursu et ordine naturae, ita etiam non poterat immutare pro­ prium corpus a naturali dispositione, quia ani­ ma, secundum propriam naturam, habet de­ terminatam proportionem ad suum corpus. Alio modo potest considerari anima Christi

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La potenza dell'anima di Cristo

secundum quod est instrumentum unitum Verbo Dei in persona. Et sic subdebatur eius potestati totaliter omnis dispositio proprii corpori s. Quia tamen virtus actionis non proprie attribuitur instrumento, sed principali agenti, talis omnipotentia attribuitur magis ipsi Verbo Dei quam animae Christi. Ad primum ergo dicendum quod verbum Damasceni est intelligendum quantum ad voluntatem divinam Christi. Quia, sicut ipse in praecedenti capitolo [De fide 3, 1 9] dicit,

beneplacito divinae voluntatis permittebatur cami pati et operari quae propria. Ad secundum dicendum quod non pertinebat hoc ad originalem iustitiam quam Adam habuit in statu innocentiae, quod anima ho­ minis haberet virtutem transmutandi corpus proprium in quamcumque formam, sed quod posset ipsum conservare absque nocumento. Et hanc etiam virtutem Christus assumere potuisset, si voluisset. Sed, cum sint tres status hominum, scilicet innocentiae culpae et gloriae; sicut de statu gloriae assumpsit com­ prehensionem, et de statu innocentiae immu­ nitatem a peccato, ita et de statu culpae as­ sumpsit necessitatem subiacendi poenalitati­ bus huius vitae, ut infra [q. 14 a. 2] dicetur. Ad tertium dicendum quod imaginationi, si fortis fuerit, naturaliter obedit corpus quan­ tum ad aliqua. Puta quantum ad casum de trabe in alto posita; quia imaginatio nata est esse principium motus localis, ut dicitur in 3 De an. [9,5; 10,1]. Similiter etiam quantum ad alterationem quae est secundum calorem et frigus, et alia consequentia, eo quod ex imagi­ natione consequenter natae sunt consequi passiones animae, secundum quas movetur cor, et sic per commotionem spirituum totum corpus alteratur. Aliae vero dispositiones cor­ porales, quae non habent naturalem ordinem ad imaginationem, non transmutantur ab ima­ ginatione, quantumcumque sit fortis, puta figura manus vel pedis, vel aliquid simile.

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Verbo di Dio. E sotto questo aspetto essa ave­ va l'onnipotenza su ogni disposizione del suo corpo. Siccome però la virtù operativa non viene attribuita propriamente allo strumento, ma all' agente principale, ne viene che tale onnipotenza va attribuita più allo stesso Verbo di Dio che all'anima di Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . L' affermazione del Damasceno va riferita alla volontà divina di Cristo. Poiché, come egli dice in preceden­ za, «per beneplacito della volontà divina era concesso alla carne di patire e di operare nel modo ad essa connaturale». 2. La giustizia originale di Adamo nello stato di innocenza non comportava che l' anima umana potesse mutare il proprio corpo in qua­ lunque modo, ma che lo potesse conservare senza alcun danno. E questa facoltà l'avrebbe potuta assumere anche Cristo, se avesse volu­ to. Ma essendo tre gli stati dell'umanità, vale a dire di innocenza, di colpa e di gloria, Cristo, come assunse dello stato di gloria la compren­ sione e dello stato di innocenza l'immunità dal peccato, così dello stato di colpa prese la necessità di soggiacere alle penalità della vita presente, come si dirà in seguito. 3. A una forte immaginazione il corpo in al­ cuni casi obbedisce naturalmente. Ad es. quan­ do si cade da una trave molto elevata da terra, essendo l'immaginazione per natura principio del moto locale, come dice Aristotele. E così pure nelle alterazioni riguardanti il caldo e il freddo, e in quelle che ne derivano, poiché ali' immaginazione seguono spontaneamente le passioni dell'anima, che agitano il cuore e alterano così tutto il corpo mediante la com­ mozione degli spiriti. Invece sulle altre dispo­ sizioni del corpo che non hanno cappotti natu­ rali con l'immaginazione questa non influisce neppure quando è forte: p. es. sulla configu­ razione della mano o del piede, o su altre cose simili.

Articulus 4 Utrum anima Christi habuerit omnipotentiam respectu executionis propriae voluntatis

Articolo 4 L'anima di Cristo ha avuto l'onnipotenza nell'attuare la propria volontà?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ani­ ma Christi non habuerit omnipotentiam re­ spectu executionis propriae voluntatis.

Sembra di no. Infatti: l . In Mc 7 [24] è detto: Entrato in una casa,

voleva che nessuno lo sapesse,

ma

non poté

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La potenza dell'anima di Cristo

l . Dicitur enim Mare. 7 [24] quod, ingressus domum, neminem voluit scire sed non potuit latere. Non ergo potuit exequi in omnibus propositum suae voluntatis. 2. Praeterea, praeceptum est signum volunta­ tis, ut in Prima Parte [q. 19 a. 1 2] dictum est. Sed Dominus quaedam facienda praecepit quorum contraria acciderunt, dicitur enim Matth. 9 [30-3 1 ] quod caecis illuminatis com­ minatus est Iesus, dicens, videte ne aliquis sciar, illi autem egressi diffamaverunt illum per totam terram illam. Non ergo in omnibus potuit exequi propositum suae voluntatis. 3. Praeterea, id quod aliquis potest facere, non petit ab alio. Sed Dominus petivit a Patre, arando, illud quod fieri volebat, dicitur enim Luc. 6 [ 12] quod exivit in montem orare, et erat pernoctans in oratione Dei. Ergo non potuit exequi in omnibus propositum suae voluntatis. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De quaest. Nov. et Vet. Test. [Ambrosiaster, P. l , ex Nov. Test., q. 77], impossibile est ut Salvatoris voluntas 11011 impleatu1; nec potest velle quod scitfieri non debere. Respondeo dicendum quod anima Christi dupliciter aliquid voluit. Uno modo, quasi per se implendum. Et sic, dicendum est quod quidquid voluit, potuit. Non enim conveniret sapientiae eius ut aliquid vellet per se tàcere quod suae voluntati non subiaceret. - Alio modo voluit aliquid ut implendum virtute divina, sicut resuscitationem proprii corporis, et alia huiusmodi miraculosa opera. Quae qui dem non poterat propria virtute, sed secundum quod erat instmmentum divinitatis, ut dictum est [a. 2]. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro De quaest. Nov. et Vet. Test. [Ambrosiaster, P. l , ex Nov. Test., q. 77], quodfactum est, hoc voluisse dicendus est Christus. Advertendum est enim quod illud in finibus gestum est ge11tilium, quibus adhuc tempus praedicandi non erat. Ultro tamen venientes ad fidem non suscipere invidiae erat. A suis ergo noluit praedicari, requiri autem se voluit. Et ita factum est. Vel potest dici quod haec voluntas Christi non fuit de eo quod per eum fiendum erat, sed de eo quod erat fiendum per alias, quod non subiacebat humanae voluntati ipsius. Unde in epistola Agathonis Papae [ep. l Ad Augustos

Q. 1 3, A. 4

restare nascosto. Quindi non era in grado di attuare sempre ciò che voleva. 2. n comando è un segno della volontà, come si è visto nella Prima Parte. Ma il Signore in alcuni casi comandò una cosa e avvenne il contrario: infatti ai ciechi guariti raccomandò in tono severo: Badate che nessuno lo sappia! Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione (Mt 9,30). Quindi non sempre poteva attuare la sua volontà. 3. Non si chiede ad altri ciò che si può tàre da sé. Ma il Signore pregando chiese al Padre ciò che voleva che si compisse: infatti è detto in Le 6 [ 1 2] che se ne andò sulla montagna a pregare, e passò la notte pregando Dio. Quindi non poteva attuare in tutto la propria volontà. In contrario: Agostino dichiara: «È impossibi­ le che non si compia la volontà del Salvatore; né egli può volere una cosa che sa che non deve avvenire». Risposta: l'anima di Cristo poteva volere una cosa in due modi. Primo, per compierla essa stessa. E in questo senso bisogna dire che essa poteva tutto ciò che voleva. Disdirebbe infatti alla sapienza di Cristo che egli volesse compiere ciò che non sottostava alla sua volontà. - Secondo, per attuarla mediante la potenza divina: come [avvenne per] la risurre­ zione del proprio corpo e altri miracoli simili. E queste cose non poteva realizzarle per virtù propria, ma solo come strumento della divi­ nità, secondo le spiegazioni date. Soluzione delle difficoltà: l. Possiamo rispon­ dere con Agostino che «in quel caso avvenne ciò che Cristo voleva. Si deve infatti notare che l'episodio si svolse nel territorio dei paga­ ni, dove non era ancora giunto il tempo della predicazione. D'altra parte il non accogliere quanti venivano spontaneamente alla fede sarebbe stato odioso. Non voleva dunque che i suoi parlassero di lui: voleva però essere ricercato. E così avvenne». - Oppure si può dire che questa volontà di Cristo aveva per oggetto una cosa che doveva essere realizzata non da lui stesso, ma da altri, il che non cade­ va sotto il potere della sua volontà umana. Ed è questo il pensiero espresso nell'Epistola di papa Agatone, accolta dal VI Concilio Ecu­ menico: «Com'era possibile che sulla terra il Creatore e Redentore di tutte le cose non riu­ scisse a nascondersi a suo piacere? A meno

La potenza dell'anima di Cristo

Q. l3, A. 4

Imperatores ], quae est recepta in Sexta Syno­ do [Conc. Cpolit. III actio 4], legitur, ergone

ille omnium conditor ac redemptor, in terris latere volens, non potuit, nisi hoc ad hu­ manam eius voluntatem, quam temporaliter dignatus est assumere, redigatur? Ad secundum dicendum quod, sicut dicit Gre­ gorius, 19 Mor. [23], per hoc quod Dominus praecepit taceri virtutes suas, servis suis se

sequentibus exemplum dedit, ut ipsi quidem virtutes suas occultari desiderent, et tamen, ut alii eorum exemplo proficiant, prodantur inviti. Sic ergo praeceptum illud designabat voluntatem ipsius qua humanam gloriam refugiebat, secundum illud loan. 8 [50] , ego gloriam meam non quaero. Volebat tamen absolute, praesertim secundum divinam vo­ luntatem, ut publicaretur miraculum factum, propter aliorum utilitatem. Ad tertium dicendum quod Christus orabat etiam pro his quae virtute divina fienda erant, et pro his etiam quae humana voluntate erat facturus. Quia virtus et operatio animae Christi dependebat a Deo, qui operatur in omnibus velle etpeljìcere, ut dicitur Phil. 2 [ 13].

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che ciò non si riferisca alla sua volontà uma­ na, che egli si degnò di assumere». 2. Con Gregorio Magno possiamo spiegare il silenzio imposto da Gesù sui suoi miracoli «come un esempio dato da lui ai suoi servi perché anch'essi desiderino che le loro virtù rimangano occulte, pur facendole risplendere involontariamente a profitto spirituale degli altri». Il suo divieto dunque indicava la sua volontà di fuggire la gloria umana, come è detto in Gv 8 [50]: lo non cerco la mia gloria. Voleva però di volontà assoluta, specialmente secondo la volontà divina, che il miracolo compiuto fosse divulgato per l' utilità degli altri. 3. Cristo pregava sia per gli eventi che dove­ vano essere compiuti dalla potenza divina, sia per quelli che egli avrebbe compiuto con la sua volontà umana. Infatti la potenza e l' ope­ razione dell'anima di Cristo dipendevano da Dio, che suscita in tutti il volere e l'operare, come è detto in Fil 2 [ 1 3] .

QUAESTIO 1 4 DE DEFECTffiUS CORPORIS QUOS CHRISTUS IN HUMANA NATURA ASSUMPSIT

QUESTIONE 1 4 I DIFETTI CORPORALI ASSUNTI DA CRISTO NELLA NATURA UMANA

Deinde considerandum est de defectibus quos Christus in humana natura assumpsit. Et pri­ mo, de defectibus corporis; secundo, de defec­ tibus animae [q. 15]. - Circa primum quaerun­ tur quatuor. Primo, utmm Filius Dei assumere debuerit in humana natura corporis defectus. Secundo, utrum assumpserit necessitatem his defectibus subiacendi. Tertio, utrum hos defec­ tus contraxerit. Quarto, utmm omnes huiusmo­ di defectus assumpserit.

Passiamo ora a considerare i difetti che Cristo assunse nella sua natura umana. Prima i difet­ ti del corpo, poi i difetti dell' anima. - Sul pri­ mo argomento si pongono quattro quesiti: l . n Figlio di Dio doveva assumere nella sua natura umana i difetti del corpo? 2. Ha assun­ to la necessità di soggiacere a tali difetti? 3. Ha contratto questi difetti? 4. Li ha assunti tutti?

Articulus

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Articolo

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Utrum Filius Dei debuerit assumere na­ turam humanam cum corporis defectibus

Il Figlio di Dio ha dovuto assumere la natura umana con i difetti corporali?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Filius Dei non debuit assumere naturam humanam cum corporis defectibus. l . Sicut enim anima unita est Verbo Dei per­ sonaliter, ita et corpus . Sed anima Christi

Sembra di no. Infatti: l . Al pari dell' anima, anche il corpo fu unito ipostaticamente al Verbo di Dio. Ma l'anima di Cristo aveva ogni perfezione, sia di grazia che di scienza, come si è visto sopra. Quindi

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I difetti corporali assunti da Cristo

habuit omnimodam perfectionem, et quantum ad gratiam et quantum ad scientiam, ut supra [q. 7 a. 9; qq. 9- 1 2] dictum est. Ergo etiam corpus eius debuit esse omnibus modis per­ fectum, nullum in se habens defectum. 2. Praeterea, anima Christi videbat Verbum Dei ea visione qua beati vident, ut supra [q. 9 a. 2] dictum est, et sic anima Christi erat beata. Sed ex beatitudine animae glorificatur corpus, dicit enim Augustinus, in Epistola ad Diosco­ rum [ 1 1 8,3], tam potenti natura Deus fecit

animam ut ex eius pienissima beatitudine redundet etiam in inferiorem naturam, quae est corpus, non beatitudo, quae fruentis et in­ telligentis est propria, sed plenitudo sanitatis, idest incomtptionis vigor. Corpus igitur Christi fuit incorruptibile, et absque omni defectu. 3 . Praeterea, poena consequitur culpam. Sed in Christo non fuit aliqua culpa, secundum il­ lud l Petr. 2 [22], qui peccatum non fecit. Er­ go nec defectus corporales, qui sunt poenales, in eo esse debuerunt. 4. Praeterea, nullus sapiens assurnit id quod impedit illum a proprio fine. Sed per huius­ modi defectus corporales multipliciter videtur impediri finis incamationis. Primo quidem, quia propter huiusmodi infirrnitates hornines ab eius cognitione impediebantur, secundum illud Isaiae 53 [2-3], desideravimus eum;

despectum et novissimum virorum, virum dolorum et scientem infirmitatem, et quasi absconditus est vultus eius et despectus; unde nec reputavimus ewn. Secundo, quia sancto­ rum

patrum desiderium non videtur impleri, ex quorum persona dicitur Isaiae 5 1 [9] ,

consurge, consurge, induere fortitudinem, brachium Domini. Tertio, quia congruentius per fortitudinem quam per infirrnitatem vide­ batur potestas diaboli posse superari, et hu­ mana infirmitas posse sanari. Non ergo vi­ detur conveniens fuisse quod Filius Dei hu­ manam naturam assumpserit cum corporali­ bus infirmitatibus sive defectibus. Sed contra est quod dicirur Hebr. 2 [ 1 8], in eo in

quo passus est ipse et tentatus, potens est et eis qui tentantur auxiliari. Sed ad hoc venit ut nos adiuvaret, unde et David dicebat [Ps. 120, 1],

levavi oculos meos in montes, zmde veniet auxiliwn mihi. Ergo conveniens fuit quod Filius Dei camem assumpserit humanis infir­ rnitatibus subiacentem, ut in ea posset pati et tentari, et sic auxilium nobis ferre.

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anche il suo corpo avrebbe dovuto essere per­ fetto in ogni modo, senza alcun difetto. 2. L'anima di Cristo aveva la visione beatifica del Verbo di Dio, come si è detto sopra, ed era perciò beata. Ma la beatitudine dell'anima rende glolioso il corpo, secondo le parole di Agostino: «Dio ha fatto l'anima tanto potente che dalla pienezza della sua beatitudine ridon­ da anche sulla natura inferiore del corpo non la beatitudine, che è propria di una sostanza capace di fruizione e dotata di intelligenza, ma la pienezza della salute, cioè il vigore del­ l' incorruttibilità». Quindi il corpo di Cristo era incorruttibile e senza alcun difetto. 3. La pena è una conseguenza della colpa. Ma in Cristo non c'era colpa alcuna, come è detto in l Pt 2 [22] : Egli non commise peccato. Quindi non ci dovevano essere in lui neppure i difetti corporali, che sono delle penalità. 4. Chi è saggio non assume ciò che lo ostaco­ la nel conseguire il proprio tine. Ma i difetti corporali impedivano il fine dell'incarnazione per più motivi. Primo, poiché essi toglievano agli uomini la possibilità di conoscerlo, secondo le parole di Is 53 [2]: Noi l 'abbiamo

desiderato. Disprezzato e ultimo tra gli uomi­ ni, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la fac­ cia, era disprezzato; per ciò non ne avevamo alcuna stima. Secondo, perché così non veni­ va accolto il desiderio dei padri dell'Antico Testamento, a nome dei quali si dice in Is 5 1 [9] : Svegliati, svegliati, rivèstiti di forza, o braccio del Signore. Terzo, poiché con la forza si poteva rintuzzare il potere del diavolo e sanare l ' infermità dell' uomo meglio che con la debolezza. Quindi non era conveniente che il Figlio di Dio assumesse la natura uma­ na con le infermità o i difetti corporali. In contrario: in Eh 2 [ 1 8] è detto: Proprio

perché ha patito ed è stato tentato personal­ mente, è capace di venire in aiuto a quelli che sono tentati. Ma egli doveva venire pro­ plio per aiutarci, per cui anche Davide diceva [Sal 1 20, 1 ] : Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l 'aiuto. Era dunque conve­ niente che il Figlio di Dio assumesse la carne soggetta alle debolezze umane, perché in essa potesse soffrire ed essere tentato, e così venir­ ci in aiuto. Risposta: era conveniente che il corpo assunto dal Figlio di Dio soggiacesse alle debolezze e

Q. 14, A. l

I difetti corporali assunti da Cristo

Respondeo dicendum conveniens fuisse cor­ pus assumptum a Filio Dei humanis infirmita­ tibus et defectibus subiacere, et praecipue propter tria. Primo quidem, quia ad hoc Filius Dei, carne assumpta, venit in mundum, ut pro peccato humani generis satisfaceret. Unus autem pro peccato alterius satisfacit dum poenam peccato alterius debitam in seipsum suscipit. Huiusmodi autem defectus corpora­ les, scilicet mors, fames et sitis, et huiusmodi, sunt poena peccati, quod est in mundum per Adam introductum, secundum illud Rom. 5 [12], per unum hominem peccatum intravit in mwulum, et per peccatum mors. Unde conve­ niens fuit, quantum ad finem incarnationis, quod huiusmodi poenalitates in nostra carne susciperet, vice nostra, secundum illud Isaiae 53 [4], vere languores nostms ipse tulit. - Se­ cundo, propter fidem incarnationis adstruen­ dam. Cum enim natura humana non aliter esset nota hominibus nisi prout huiusmodi corporalibus defectibus subiacet, si sine his defectibus Filius Dei naturam humanam as­ sumpsisset, videretur non fuisse verus homo, nec veram carnem habuisse, sed phantasticam, ut Manichaei dixerunt [cf. infra q. 1 6 a. 1]. Et ideo, ut dicitur Phil. 2 [7], exinanivit semetip­ sum, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus et habitu inventus ut homo. Unde et Thomas per aspectum vulnerum ad fidem est revocatus, ut dicitur Ioan. 20 [26 sqq.]. - Tertio, propter exemplum patientiae, quod nobis exhibet passiones et defectus hu­ manos fortiter tolerando. Unde dicitur Hebr. 1 2 [3], sustinuit a peccatoribus adversus se­ metipsum contradictionem, ut non fatigemini, animis vestris dejicientes. Ad primum ergo dicendum quod satisfactio pro peccato alterius habet quidem quasi mate­ riam poenas quas aliquis pro peccato alterius sustinet, sed pro principio habet habitum ani­ mae ex quo inclinatur ad volendum satisfacere pro alio, et ex quo satistactio efficaciam habet; non enim esset satisfactio efficax nisi ex cari­ tate procederet, ut infra [S. q. 14 a. 2] dicetur. Et ideo oportuit animam Christi perfectam esse quantum ad habitus scientiarum et virtu­ tum, ut haberet facultatem satisfaciendi, et quod corpus eius subiectum esset infirmi­ tatibus, ut ei satisfactionis materia non deesset. Ad secundum dicendum quod, secundum naturalem habitudinem quae est inter animam

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alle deficienze umane, e questo principalmen­ te per tre motivi. Primo, perché il Figlio di Dio, assumendo la carne, venne nel mondo precisamente per espiare il peccato del genere umano. Ma uno espia per il peccato di un altro quando assume su di sé la pena dovuta al peccato altrui. Ora, i difetti corporali quali la morte, la fame, la sete e simili, sono pene del peccato, che fu introdotto nel mondo da Adamo, come è detto in Rm 5 [ 1 2] : A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mon­ do, e con il peccato la morte. Era quindi con­ veniente al tine dell' incarnazione che Cristo nella nostra carne prendesse tali penalità in nostra vece, secondo le parole di Is 53 [4]: Si è addossato i nostri dolori. Secondo, per facilitare la fede nell'incarnazione. Non es­ sendo infatti la natura umana conosciuta dagli uomini se non come soggetta a questi difetti corporali, qualora il Figlio di Dio avesse as­ sunto una natura umana priva di essi, si sareb­ be dubitato che egli fosse un vero uomo e avesse preso una carne vera e non fantastica, come dissero i Manichei. Per cui è detto in Fil 2 [7]: Spogliò se stesso assume1ulo la con­ dizione di servo, divenendo simile agli uomini e apparendo in forma umana. Cosicché lo stesso Tommaso fu ricondotto alla fede dalla costatazione delle ferite, come tiferisce Gv 20 [26] . - Terzo, per darci un esempio di pa­ zienza, sopportando con fortezza le sofferenze e i difetti umani. Per cui è detto in Eh 12 [3]: Egli ha sopportato contro di sé una così grande ostilità da parte dei peccatori perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Soluzione delle difficoltà: l . Bisogna ricorda­ re che la soddisfazione per il peccato altrui ha come elemento materiale le pene che uno sopporta per l'altro, ma come elemento for­ male ha la disposizione d'animo che inclina a volere tale soddisfazione e le dona efficacia, non avendo essa alcun valore se non procede dalla carità, come si vedrà in seguito. Era quindi necessario che in Cristo l'anima fosse perfetta negli abiti della scienza e delle virtù per poter soddisfare, e che il suo corpo fosse soggetto alle infermità per avere la materia della soddisfazione. 2. Secondo il naturale rapporto tra l'anima e il corpo, la gloria dell'anima rifluisce nel corpo; ma in Cristo tale rapporto era a discrezione della sua volontà divina, la quale impediva -

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I difetti corporali assunti da Cristo

et corpus, ex gloria animae redundat gloria ad corpus, sed haec naturalis habitudo in Christo subiacebat voluntati divinitatis ipsius, ex qua factum est ut beatitudo remaneret in anima et non derivaretur ad corpus, sed caro pateretur quae conveniunt naturae passibili; secundum illud quod dicit Damascenus [De fide 3, 19], quod beneplacito divinae voluntatis permitte­

batur carni pati et operari quae propria. Ad tertium dicendum quod poena semper sequitur culpam, actualem vel originalem, quandoque quidem eius qui punitur; quando­ que autem alterius, pro quo ille qui patitur poenas satisfacit. Et sic accidit in Christo, secundum illud Isaiae 53 [5], ipse vulneratus

est propter iniquitates nostras; attritus est propter scelera nostra. Ad quartum dicendum quod infirmitas as­ sumpta a Christo non impedivit finem incar­ nationis, sed maxime promovit, ut dictum est [in co.]. Et quamvis per huiusmodi infirmita­ tes absconderetur eius divinitas, manifestaba­ tur tamen humanitas, quae est via ad divinita­ tem perveniendi, secundum illud Rom. 5 [ 1 2], accessum habemus ad Deum per lesum Christwn. Desiderabant autem antiqui patres in Christo, non quidem fortitudinem corpora­ lem, sed spiritualem, per quam et diabolum vicit et humanam infirmitatem sanavit.

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che la beatitudine dell' anima rifluisse nel corpo, volendo che esso soffrisse come soffre una natura passibile, secondo il pensiero espresso dal Damasceno: «Il beneplacito della volontà divina lasciava alla carne di pati­ re e di operare conformemente alla propria natura». 3. La pena è sempre la conseguenza di una colpa, attuale od originale, commessa talora da chi espia, talora da un altro, per cui si offre la soddisfazione. E questo è il caso di Cristo, secondo le parole di /s 53 [5]: Egli è stato tra­

fitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. 4. La debolezza assunta da Cristo non ha impedito il fine dell'incarnazione, ma lo ha sommamente favorito, come si è detto. E se tali debolezze nascondevano la sua divinità, ne manifestavano però l'umanità, che è la via per giungere alla divinità, stando a Rm 5 [ 1 ] :

Noi abbiamo accesso a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Quanto poi agli antichi padri, essi non desideravano in Cristo la forza mate­ riale, ma quella spirituale, che egli usò per vincere il diavolo e per guarire la debolezza umana.

Articulus 2 Utrum Christus ex necessitate defectibus corporis subiacuerit

Articolo 2 Cristo soggiaceva ai difetti corporali per necessità?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus non ex necessitate his defectibus subiacuerit. l . Dicitur enim Isaiae 53 [7], oblatus est quia ipse voluit, et loquitur de oblatione ad passio­ nem. Sed voluntas opponitur necessitati. Ergo Christus non ex necessitate subiacuit corporis defectibus. 2. Praeterea, Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 20], nihil coactum in Christo considera­ tut; sed omnia voluntaria. Sed quod est volun­ tarium, non est necessarium. Ergo huiusmodi defectus non fuerunt ex necessitate in Christo. 3. Praeterea, necessitas infertur ab aliquo poten­ tiori. Sed nulla creatura est potentior quam ani­ ma Christi, ad quam pertinebat proprium corpus conservare. Ergo huiusmodi detèctus seu infir­ mitates non fuerunt in Christo ex necessitate.

Sembra di no. Infatti: l . In /s 53 [7], parlando della sua passione, è detto: È stato immolato perché egli stesso lo ha voluto. M a la volontà e la necessità si oppongono. Quindi Cristo non soggiacque ai difetti corporali per necessità. 2. li Damasceno dice che «in Cristo non ci sono costrizioni, ma tutto è volontario». Ora, ciò che è volontario non è necessario. Quindi quei difetti non erano necessari in Cristo. 3. La necessità viene da una forza maggio­ re. Ma nessuna creatura è più forte dell' ani­ ma di Cristo, alla quale apparteneva di con­ servare il proprio corpo. Quindi quei difetti o quelle debolezze non si trovavano in Cri­ sto necessariamente. In contrario: Paolo dice: Dio mandò il suo

Figlio in una carne simile a quella del peccato

Q. 14, A. 2

I difetti corporali assunti da Cristo

Sed contra est quod apostolus dicit, Rom. 8 [3], misit Deus Filium suum in similitudinem camis peccati. Sed conditio carnis peccati est quod habeat necessitatem moriendi, et susti­ nendi alias huiusmodi passiones. Ergo talis necessitas sustinendi hos defectus fuit i n carne Christi. Respondeo dicendum quod duplex est neces­ sitas. Una quidem coactionis, quae fit ab agente extrinseco. Et haec quidem necessitas contrariatur et naturae et voluntati, quorum utrumque est principium inttinsecum. Alia autem est necessitas naturalis, quae conse­ quitur principia naturalia, puta formam, sicut necessarium est ignem calefacere; vel mate­ riam, sicut necessarium est corpus ex con­ trariis compositum dissolvi. - Secundum igi­ tur hanc necessitatem quae consequitur ma­ teriam, corpus Chtisti subiectum fuit necessi­ tati mortis, et aliorum huiusmodi defectuum. Quia, sicut dictum est [cf. De tìde 3 , 1 9] , beneplacito divinae voluntatis Christi carni permittebatur agere et patì quae propria, haec autem necessitas causatur ex principiis humanae camis, ut dictum est [I-II q. 85 a. 6]. - Si autem loquamur de necessitate coactionis secundum quod repugnat naturae corporali, sic iterum corpus Christi, secundum conditio­ nem propriae naturae, necessitati subiacuit et clavi perforantis et flagelli percutientis. Se­ cundum vero quod necessitas talis repugnat voluntati, manifestum est quod in Christo non fuit necessitas horum defectuum, nec per respectum ad voluntatem divinam; nec per respectum ad voluntatem humanam Christi absolute, prout sequitur rationem deliberati­ vam; sed solum secundum naturalem motum voluntatis, prout scilicet naturaliter refugit mortem et corporis nocumenta. Ad primum ergo dicendum quod Christus di­ citur oblatus quia voluit, et voluntate divina, et voluntate humana deliberata, licet mors es­ set contra naturalem motum voluntatis huma­ nae, ut dicit Damascenus [De fide 3,23-24]. Ad secundum patet responsio ex dictis [in co.]. Ad tertium dicendum quod nihil fuit potentius quam anima Christi absolute, nihil tamen prohibet aliquid fuisse potentius quantum ad hunc effectum; sicut clavus ad perforandum. Et hoc dico secundum quod anima Christi consideratur secundum propriam naturam et virtutem.

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(Rm 8,3). Ma per la carne del peccato è legge la necessità di morire e di subire altre simili sofferenze. Quindi nella carne di Cristo c'era la necessità di avere questi difetti. Risposta: c'è una duplice necessità. Una di coazione, proveniente da una causa estrinse­ ca. E questa necessità si oppone tanto alla natura quanto alla volontà, che sono ambedue princìpi intrinseci. L'altra invece è la necessità di natura, proveniente dai princìpi naturali: p. es. dalla forma, come per il fuoco la necessità di scaldare, o dalla materia, come per un cor­ po composto di elementi contrari la necessità di corrompersi. - In base perciò a questa ne­ cessità che consegue alla materia il corpo di Cristo era soggetto alla morte e ad altri difetti del genere. Poiché, come si è detto, «il bene­ placito della volontà divina lasciava al corpo di Cristo di patire e di operare conformemen­ te alla propria natura>>, e una tale necessità proviene appunto dai princìpi costitutivi del corpo umano. - Se poi parliamo della neces­ sità di coazione in quanto si oppone alla natu­ ra del corpo, allora ugualmente il corpo di Cristo era soggetto per la sua condizione na­ turale alla necessità di sentire le perforazioni dei chiodi e i colpi dei flagelli. In quanto inve­ ce la necessità di coazione si oppone alla vo­ lontà, è chiaro che Cristo subiva necessaria­ mente quei difetti non tispetto alla sua volon­ tà divina, né rispetto alla sua volontà umana deliberata, ma solo rispetto all'istinto naturale della volontà, a cui ripugna per sua natura la morte e ogni male corporeo. Soluzione delle difficoltà: l . Si dice che Cri­ sto «è stato immolato perché lo ha voluto» sia quanto alla volontà divina, sia quanto alla volontà umana deliberata, pur essendo la morte contraria ali' istinto naturale della vo­ lontà umana, come dice il Damasceno. 2. È così risolta anche la seconda difficoltà. 3. Nulla era più forte dell'anima di Cristo in senso assoluto, ma ciò non esclude che per certi determinati effetti qualcosa prevalesse contro di essa, come i chiodi nel perforare. E dico questo se consideriamo l'anima di Cristo secondo la natura e la potenza che le sono proprie.

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I difetti corporali assunti da Cristo

Q. 14, A. 3

Articulus 3 Utrum Christus defectus corporales contraxerit

Articolo 3 Cristo ha contratto i difetti corporali?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Christus defectus corporales contraxit. l . lllud enim contrahere dicimur quod simul cum natura ex origine trahimus. Sed Christus simul cum natura humana defectus et infimùta­ tes corporales per suam originem traxit a matre, cuius caro huiusmodi defectibus subiacebat. Ergo videtur quod hos defectus contraxit. 2. Praeterea, illud quod ex principiis naturae causatur, simul cum natura trahitur, et ita con­ trahitur. Sed huiusmodi poenalitates causantur ex principi is n aturae humanae. Ergo eas Christus contraxit. 3. Praeterea, secundum huiusmodi defectus Christus aliis hominibus similatur ut dicitur Hebr. 2 [ 1 7] . Sed alii homines huiusmodi defectus contraxerunt. Ergo videtur quod etiam Christus huiusmodi defectus contraxit. Sed contra est quod huiusmodi defectus con­ trahuntur ex peccato, secundum illud Rom. 5 [ 1 2], per unum hominem peccatum intravit in hunc mundum, et per peccatum mors. Sed in Christo non habuit locum peccatum. Ergo huiusmodi defectus Christus non contraxit. Respondeo dicendum quod in verbo con­ trahendi intelligitur ordo effectus ad causam, ut scilicet illud dicatur contrahi quod simul cum sua causa ex necessitate trahitur. Causa autem martis et horum defectuum in humana natura est peccatum, quia per peccatum mors intravit in mundum, ut dicitur Rom. 5. Et ideo illi proprie dicuntur hos defectus contrahere qui ex debito peccati hos defectus incurrunt. Chri­ stus autem hos defectus non habuit ex debito peccati, quia, ut Augustinus dicit, exponens illud loan. 3 [3 1 ], qui de sursum venir, super omnes est, de sursum venir Christus, idest de altitudine humanae naturae, quam habuit ante peccatum primi hominis. Accepit enim natu­ ram humanam absque peccato in illa puritate in qua erat in statu innocentiae. Et simili modo potuisset assumere humanam naturam absque defectibus. Sic igitur patet quod Christus non contraxit hos defectus, quasi ex debito peccati eos suscipiens, sed ex propria voluntate. Ad primum ergo dicendum quod caro Vrrginis concepta fuit in otiginali peccato, et ideo hos defectus contraxit. Sed caro Christi ex Vrrgine

Sembra di sì. Infatti: l . Si contrae ciò che si trae dalla generazione insieme con la natura. Ma Cristo insieme con la natura umana trasse per generazione i difet­ ti e le debolezze corporali dalla madre, la cui carne aveva quei difetti. Quindi sembra che abbia contratto tali difetti. 2. Ciò che discende dai ptincìpi naturali deri­ va dalla natura: e così è contratto. Ma queste penalità vengono dai princìpi della natura umana. Quindi Cristo le contrasse. 3. Secondo questi difetti Cristo divenne simile agli altri uomini, come è detto in Eb 2 [17]. Ma gli altri uomini quei difetti li hanno con­ tratti. Quindi sembra che anche Cristo li abbia contratti. In contrario: secondo Paolo questi difetti sono contratti per il peccato: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e con il peccato la morle (Rm 5 , 1 2). Ma in Cristo non ci fu il peccato. Quindi Cristo non contrasse questi difetti. Risposta: il verbo con-trarre esprime la di­ pendenza di un effetto dalla sua causa, nel senso cioè che si contrae quanto è tratto ne­ cessariamente insieme con la sua causa. Ma la causa della morte e degli altti mali nella na­ tura umana è il peccato, poiché per il peccato la morte è entrata nel mondo (Rm 5, 1 2). Perciò contraggono propriamente questi mali coloro che li incorrono per il contagio del peccato. Ora, Cristo non aveva questi difetti per il contagio del peccato, poiché, come dice Agostino a commento di Gv 3 [3 1 ] : Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti, «Ctisto è venu­ to dall' alto, cioè dalle altezze della natura umana, di cui era dotato il primo uomo anco­ ra innocente». Prese infatti una natura umana senza peccato nella purezza che aveva nello stato di innocenza. E ugualmente avrebbe potutç assumere una natura umana senza di­ fetti. E chiaro dunque che Cristo non contras­ se quei difetti come se li dovesse ricevere a causa del peccato, ma li assunse di sua spon­ tanea volontà. Soluzione delle difficoltà: l . Il corpo della Vergine fu concepito nel peccato otiginale, e perciò contrasse questi difetti. Invece il corpo

Q. 14, A. 3

I difetti corporali assunti da Cristo

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assumpsit naturam absque culpa. Et similiter potuisset naturam assumere absque poena, sed voluit suscipere poenam propter opus nostrae redemptionis implendum, sicut dictum est [a. 1 ] . Et ideo habuit huiusmodi defectus, non contrahendo, sed volontarie assumendo. Ad secundum dicendum quod causa mortis et aliorum corporalium defectuum in humana natura est duplex. Una quidem remota, quae accipitur ex patte principiorum materialium humani corporis, inquantum est ex contrariis compositum. Sed haec causa impediebatur per originalem iustitiam. Et ideo proxima causa mortis et aliorum defectuum est pecca­ rum, per quod est subtracta originalis iustitia. Et propter hoc, quia Christus fuit sine peccato, dicitur non contraxisse huiusmodi defectus, sed volontarie assumpsisse. Ad tertium dicendum quod Christus in huius­ modi defectibus assimilatus est aliis homini­ bus quantum ad qualitatem defectuum, non autem quantum ad causam. Et i deo non contraxit huiusmodi defectus, sicut et alii.

di Cristo prese dalla Vergine la natura senza la colpa. E ugualmente avrebbe potuto prendere la natura senza la pena, ma volle assumere la pena per portare a compimento l'opera della nostra redenzione, come si è detto. Perciò questi difetti non li contrasse, ma li assunse volontariamente. 2. La morte e le altre miserie corporali nella natura umana hanno due cause. Una remota, in base ai princìpi materiali del corpo umano, il quale è composto di elementi contrari. Ma questa causa era resa inefficace dalla giustizia originale. Perciò la causa prossima della morte e degli altri mali è il peccato, che ci ha privati della giustizia originale. Cristo dun­ que, essendo senza peccato, non contrasse questi difetti, ma li assunse liberamente. 3. Cristo fu simile agli altri uomini quanto alla natura dei difetti, non quanto alla loro ori­ gine. Egli quindi non li contrasse al modo degli altri.

Articulus 4 Utrum Christus omnes defectus corporales hominum assumere debuerit

Articolo 4 Cristo ha dovuto assumere tutti i difetti fisici degli uomini?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Christus omnes defectus corporales hominum assumere debuit. l . Dicit enim Damascenus [De fide 3,6. 1 8], quod est inassumptibile, est incurabile. Sed Christus venerat omnes detectus nostros curare. Ergo omnes defectus nostros assumere debuit. 2. Praeterea, dictum est [a. l ad l ] quod ad hoc quod Christus pro nobis satisfaceret, debuit habere habitus perfectivos in anima et defectus in corpore. Sed ipse ex parte animae assumpsit plenitudinem omnis gratiae. Ergo ex parte corporis debuit assumere omnes defectus. 3. Praeterea, inter omnes defectus corporales praecipuum locum tenet mors. Sed Christus mortem assumpsit. Ergo multo magis omnes defectus alios assumere debuit. Sed contra est quod contraria non possunt simul fieri in eodem. Sed quaedam infirmita­ tes sunt sibi ipsis contrariae, utpote ex con­ trariis principiis causatae. Ergo non potuit esse quod Christus omnes infirmitates huma­ nas assumeret.

Sembra di sì. Infatti: l . Il Damasceno scrive: «Ciò che non è assu­ mibile, non fu sanato». Ma Cristo era venuto a sanare tutti i nostri mali. Quindi li dovette assumere tutti. 2. Abbiamo detto che, al fine di soddisfare per noi, Cristo doveva avere nell'anima gli abiti che la rendessero perfetta, e nel corpo i difetti. Ma egli nell'anima assunse la pienez­ za di ogni grazia. Quindi nel corpo doveva assumere tutti i difetti. 3. Di tutti i difetti corporali il più grave è la morte. Ma Cristo assunse la morte. Quindi molto più doveva assumere tutti gli altri difetti. In contrario: gli opposti non possono coesi­ stere nello stesso soggetto. Ma alcuni difetti sono in contrasto con altri, derivando da princìpi contrari. Quindi Cristo non poteva assumere tutte le miserie umane. Risposta: come si è detto, Cristo assunse i di­ fetti umani per espiare il peccato dell'uomo: e ciò esigeva nella sua anima la pienezza del­ la scienza e della grazia. Quindi Cristo do-

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I difetti corporali assunti da Cristo

Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 1], Christus humanos defectus assumpsit ad satisfaciendum pro peccato humanae naturae, ad quod requirebatur quod perfectio­ nem scientiae et gratiae haberet in anima. llios igitur defectus Christus assumere debuit qui consequuntur ex peccato communi totius naturae, nec tamen repugnant perfectioni scientiae et gratiae. - Sic igitur non fuit con­ veniens ut omnes defectus seu intirmitates humanas assumeret. Sunt enim quidam de­ fectus qui repugnant perfectioni scientiae et gratiae, sicut ignorantia, pronitas ad malum, et difficultas ad bonum. - Quidam autem defectus sunt qui non consequuntur commu­ niter totam humanam naturam propter pecca­ tum primi parentis, sed causantur in aliquibus hominibus ex quibusdam particularibus cau­ sis, sicut lepra et morbus caducus et alia huiusmodi. Qui quidem defectus quandoque causantur ex culpa hominis, puta ex inordina­ tione victus, quandoque autem ex defectu vir­ tutis formativae. Quorum neutrum convenit Christo, quia caro eius de Spiritu Sancto con­ cepta est, qui �c;;t infinitae sapientiae et virtu­ tis, errare et deficere non valens; et ipse nihil inordinatum in regimine suae vitae exercuit. Sunt autem tertii defectus qui in omnibus ho­ minibus communiter inveniuntur ex peccato primi parentis, sicut mors, fames, sitis, et alia huiusmodi. Et hos defectus omnes Christus suscepit. Quos Damascenus [De fide 3,20; cf. 1 , 1 1 ] vocat natura/es et indetractibiles pas­ siones, naturales quidem, quia consequuntur communiter totam humanam naturam; inde­ tractibiles quidem, quia defectum scientiae et gratiae non important. Ad primum ergo dicendum quod omnes par­ ticulares defectus hominum causantur ex cor­ ruptibilitate et passibilitate corporis, superad­ ditis quibusdam particularibus causis. Et ideo, dum Christus curavit passibilitatem et corrup­ tibilitatem corporis nostri per hoc quod eam assumpsit, ex conseguenti omnes alios de­ fectus curavit. Ad secundum dicendum quod plenitudo omnis gratiae et scientiae animae Christi se­ cundum se debebatur, ex hoc ipso quod erat a Verbo Dei assumpta. Et ideo absolute omnem plenitudinem sapientiae et gratiae Christus assumpsit. Sed defectus nostros dispensative assumpsit, ut pro peccato nostro satisfaceret,

Q. 14, A. 4

veva assumere quei difetti che sono con­ seguenza del peccato comune a tutta la natu­ ra, ma che tuttavia non si oppongono alla pienezza della scienza e della grazia. - Non era dunque conveniente che prendesse tutte le infermità umane. Alcune infatti ripugnano alla perfezione della scienza e della grazia, come l'ignoranza, l'inclinazione al peccato e la difficoltà a praticare il bene. - Altre mi­ serie poi non derivano dal peccato originale come difetti comuni a tutta la natura umana, ma provengono da certe cause particolari e si trovano in alcuni uomini soltanto, come la lebbra, il mal caduco e altre cose simili. E queste infermità sono causate talora da colpe personali, p. es. da un'alimentazione disor­ dinata, talora invece da vizi di generazione. Ma nulla di tutto ciò vi fu in Cristo, poiché la sua crune fu concepita per opera dello Spirito Santo il quale, infinito in sapienza e potenza, non è capace né di errori né di deficienze; e d'altra parte Cristo stesso non introdusse mai alcun disordine nella sua vita. - C'è infine un terzo gruppo di mali che si trovano univer­ salmente in tutti gli uomini come effetti del peccato originale: come la morte, la fame, la sete e altre cose simili. E questi difetti Cristo li assunse tutti. Il Damasceno li chiruna «pas­ sioni naturali senza minorazione»: naturali in quanto comuni a tutta la natura umana; senza minorazione in quanto non implicanti una diminuzione della scienza o della grazia. Soluzione delle difficoltà: l . Tutti i difetti particolari degli uomini provengono dalla corruttibilità e passibilità del corpo, e insieme da alcune cause speciali. Perciò Cristo sa­ nando, con la loro assunzione, la passibilità e la corruttibilità del nostro corpo, sanò con­ seguentemente tutti gli altri difetti. 2. La pienezza di ogni grazia e di ogni scien­ za competeva ali' anima di Cristo di per sé, per il fatto stesso che era stata assunta dal Verbo di Dio. Cristo perciò assunse la scien­ za e la grazia in tutta la loro estensione. In­ vece egli assunse i nostri difetti funzional­ mente, per espiare il nostro peccato, non per­ ché gli spettassero in assoluto. Non occorreva dunque che li assumesse tutti, ma solo quelli che bastavano per espiare il peccato di tutta la natura umana. 3. La morte derivò a tutti gli uomini dal pec­ cato del loro capostipite; non così invece al-

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I difetti corporali assunti da Cristo

Q. l4, A. 4

non quia ei secundum se competerent. Et ideo non oportuit quod omnes assumeret, sed solum illos qui sufficiebant ad satisfaciendum pro peccato totius humanae naturae. Ad tertium dicendum quod mors in omnes homines devenit ex peccato primi parentis, non autem quidam alii defectus, licet sint morte rninores. Unde non est sirnilis ratio.

QUAESTIO 1 5 DE DEFECTIBUS PERTINENTIBUS AD ANIMAM QUOS CHRISTUS IN HUMANA NATURA ASSUMPSIT Deinde considerandum est de defectibus perti­ nentibus ad animam. - Et circa hoc quaeruntur decem. Primo, utrum in Christo fueiit pecca­ tum. Secundo, utrum in eo fuerit fomes pecca­ ti. Tertio, utrum in eo fuerit ignorantia. Quarto, utrum anima eius fuerit passibilis. Quinto, utrum in eo fuerit dolor sensibilis. Sexto, utrum in eo fuerit tristitia. Septimo, utrum in eo fuerit timor. Octavo, utrum in eo fuerit admiratio. Nono, utrum in eo fueiit ira. Deci­ mo, utrum simul fuerit viator et comprehensor.

cuni altri difetti, sebbene minori della morte. Perciò l' argomento non regge.

QUESTIONE 1 5

I DIFETTI DELL'ANIMA ASSUNTI DA CRISTO NELLA NATURA UMANA Esaminiamo ora i difetti riguardanti l'anima Su di essi poniamo dieci quesiti: l . In Cristo c'era il peccato? 2. C'era il fomite del peccato? 3. C'era l'ignoranza? 4. La sua anima era pas­ sibile? 5. Egli era soggetto al dolore sensibile? 6. Era soggetto alla tristezza? 7. Era soggetto al timore? 8. Provava meraviglia? 9. Sentiva l'ira? 10. Era insieme viatore e comprensore?

Articulus l

Articolo l

Utrum in Christo fuerit peccatum

In Cristo c'era il peccato?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Christo fuerit peccatum. l . Dicitur enim in Psalmo, Deus, Deus meus,

ut quid dereliquisti? Longe a salute mea ver­ ba delictorum meorum. Haec autem verba dicuntur ex persona ipsius Christi, ut patet ex hoc quod i pse ea i n cruce protulit. Ergo videtur quod in Christo fuerint delicta. 2. Praeterea, Rom. 5 [ 1 2] dicit apostolus quod in Adam omnes peccaverunt, scilicet quia in eo originaliter fuerunt. Sed etiam Christus originaliter fuit in Adam. Ergo in eo peccavit. 3. Praeterea, apostolus dicit, Hebr. 2 [ 1 8], quod

in eo in quo Christus passus est et tentatus, po­ tens est et his qui tentantur auxiliari. Sed ma­ xime indigebamus auxilio eius contra pecca­ tum. Ergo videtur quod in eo fuerit peccatum. 4. Praeterea, 2 Cor. 5 [2 1 ] dicitur quod Deus eum qui non noverat peccatum, scilicet Chri­ stum, pro nobisfecit peccatum. Sed illud vere est quod a Deo factum est. Ergo in Christo vere fuit peccatum.

Sembra di sì. Infatti: l . Nel Sal 2 1 [2] è detto:

Dio, Dio mio, per­ ché mi hai abbandonato ? Il grido dei miei peccati allontana da me la salvezza. Ma queste parole sono dette i n persona di Cristo, come risulta dal fatto che egli le proferì sulla croce [Mt 27,46] . Quindi sembra che i n Cristo c i fossero dei peccati. 2. Paolo dice che tutti hanno peccato in Adamo (Rm 5, 1 2), in quanto cioè erano in lui come nella loro origine. Ma anche Cristo era originalmente in Adamo. Quindi peccò in lui. 3. In Eb 2 [ 1 8] è detto che Cristo, avendo sof­

feno ed essendo stato tentato personalmente, è capace di venire in aiuto a quelli che sono tentati. Ma questi avevano bisogno del suo aiuto specialmente contro il peccato. Quindi sembra che in lui ci sia stato il peccato. 4. In 2 Cor 5 [21 ] è detto che Dio ha fatto

diventare peccato in nostro favore colui che non aveva conosciuto il peccato, cioè Cristo.

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

5. Praeterea, sicut Augustinus dicit, in libro De agone christiano [1 1], in homine Christo se nobis ad exemplum praebuit Filius Dei. Sed homo indiget exemplo non solum ad recte vivendum, sed etiam ad hoc quod poeni­ teat de peccatis. Ergo videtur quod in Christo debuit esse peccatum, ut, de peccatis poeni­ tendo, poenitentiae nobis daret exemplum. Sed contra est quod ipse dicit, Ioan. 8 [46], quis ex vobis arguet me de peccato? Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 14 a. l ] dictum est, Christus suscepit defectus nostros ut pro nobis satisfaceret; et veritatem humanae naturae comprobaret; et ut nobis exemplum virtutis fieret. Secundum quae tria manifestum est quod defectum peccati assu­ mere non debuit. Primo enim, peccatum nihil operatur ad satisfactionem, quinimmo virtu­ tem satisfactionis impedit; quia, ut dicitur Eccli. 34 [23], dona iniquorum non probat Altissimus. Similiter etiam ex peccato non de­ monstratur veritas humanae naturae, quia peccatum non pertinet ad humanam naturam, cuius Deus est causa; sed magis est contra na­ turam per seminationem diaboli introductum, ut Damascenus dicit [De fide 3,20] . Tertio, peccando exempla virtutum praebere non potuit, cum peccatum contrarietur virtuti. Et ideo Christus nullo modo assumpsit defectum peccati, nec originalis nec actualis, secundum illud quod dicitur l Petr. 2 [22], qui peccatum non fecit, nec inventus est do/us in ore eius. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Da­ mascenus dicit, in 3 libro [De fide 25], dicitur aliquid de Christo, uno modo, secundum proprietatem naturalem et hypostaticam, sicut dicitur quod factus est homo, et quod pro nobis passus est; alio modo, secundum pro­ prietatem personalem et habitudinalem, prout scilicet aliqua dicuntur de ipso in persona nostra quae sibi secundum se nullo modo conveniunt. Unde et inter septem regulas Tichonii [De septem. Reg. l ], quas ponit Au­ gustinus in 3 De doct. chr. [3 1], prima ponitur de Domino et eius corpore, cum scilicet Christi et Ecclesiae una persona aestimatur. Et secundum hoc, Christus ex persona membrorum suorum loquens dicit, verba delictorum meorum, non quod in ipso capite delicta fuerint. Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, 10 Super Gen. [20], non omni modo

Q. 1 5, A. l

Ma ciò che Dio opera si compie davvero. In Cristo dunque c'era veramente il peccato. 5. Come afferma Agostino, . Perciò Cristo non era in Adamo quanto alla forza genetica del seme, ma solo quanto alla mate­ ria fecondabile. Quindi Cristo ebbe da Ada­ mo la natura umana non attivamente, ma solo materialmente; attivamente invece l'ebbe dal­ lo Spirito Santo: come anche lo stesso Adamo ebbe il corpo materialmente dal fango della terra, e attivamente da Dio [Gen 2,7]. Cristo dunque non peccò in Adamo, perché fu in lui solo materialmente. 3. Cristo ci fu di aiuto soddisfacendo per noi con le sue tentazioni e sofferenze. Il peccato i nvece non contribuisce alla soddisfazione, ma piuttosto la impedisce, come si è detto. Non bisognava dunque che egli avesse in sé il peccato, ma che ne fosse totalmente immune; altrimenti la pena da lui subita sarebbe stata dovuta al suo proprio peccato. 4. Dio ha fatto diventare peccato Cristo non già permettendone il peccato, ma facendolo vittima per il peccato: come è detto anche in Os 4 [8] che i sacerdoti mangeranno i peccati del popolo, dal momento che a norma della legge [Lv 6,26] mangiavano le vittime immo­ late per il peccato. E nello stesso senso è detto in /s [53,6]: Il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti; in quanto cioè lo conse­ gnò perché fosse vittima dei peccati di tutti gli uomini. - Oppure si può dire che lo fece pec­ cato nel senso che lo fece con una carne somigliante a quella del peccato (Rm 8,3). E ciò a motivo del corpo passibile e mortale che egli assunse. 5. L'esempio lodevole che dà il penitente non è quello del suo peccato, ma quello della volontarietà con cui ne sopporta la pena. Perciò Cristo ha offerto ai penitenti l'esempio più grande subendo volontariamente la pena per i peccati degli altri, senza alcun peccato suo proprio.

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

Q. 1 5, A. 2

Articulus 2 Utrum in Christo fuerit fomes peccati

Articolo 2 In Cristo c'era il fomite del peccato?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in Christo fuerit fomes peccati. l . Ab eodem enim principio derivatur fomes peccati, et passibilitas corporis sive mortali­ tas, scilicet ex subtractione originalis iustitiae, per quam simul inferiores vires animae sub­ debantur rationi, et corpus animae. Sed in Christo fuit passibilitas corporis et mortalitas. Ergo etiam in eo fuit fomes peccati. 2. Praeterea, sicut Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 1 9], beneplacito divinae volun­

Sembra di sì. Infatti: l . n fomite del peccato e la passibilità o mortalità del corpo hanno la stessa origine: dipendono cioè dalla perdita della giustizia originale, che te­ neva le potenze inferiori sottomesse alla ragione e il corpo sottomesso all'anima. Ma in Cristo c'era la passibilità e la mortalità del corpo. Quindi c'era in lui anche il tornite del peccato. 2. Come dice il Damasceno, «il beneplacito della volontà divina lasciava alla carne di Cristo di patire e di operare conformemente alla sua natura». Ma è conforme alla natura della carne che essa desideri quanto le piace. Poiché dunque, come spiega la Glossa, i l fornite non è nient'altro che il desiderio, sem­ bra che in Cristo ci fosse il fomite del peccato. 3. A causa del fomite la carne ha desideri opposti a quelli dello spirito (Gal 5, 1 7). Ma lo spirito si dimostra tanto più forte e più meritevole di premio quanto più trionfa sul nemico, cioè sulla concupiscenza della carne, poiché non riceverà la corona se non chi avrà lottato secondo le regole (2 Tm 2, 5) . Ora, Cristo aveva uno spirito straordinariamente forte, vittorioso e meritevole di premio, come di lui è detto in Ap 6 [2]: Gli fu data la coro­

tatis permittebatur caro Christi pati et opera­ ri quae propria. Sed proprium est carni ut

concupiscat delectabilia sibi. Cum ergo nihil aliud sit fomes quam concupiscentia, ut dici­ tur in Glossa [int. et Lomb.] , Rom. 7 [8], videtur quod in Christo fuerit fomes peccati. 3. Praeterea, ratione fomitis caro concupiscit adversus spiritum, ut dicitur Gal. 5 [ 1 7] . Sed tanto spiritus ostenditur esse fortior et magis dignus corona, quanto magis super hostem, scilicet concupiscentiam carnis, dominatur, secundum illud 2 Tim. 2 [5], 1wn coronabitur nisi qui legitime certaverit. Christus autem habuit fortissimum et victoriosissimum spiri­ turo, et maxime dignum corona, secundum illud Apoc. 6 [2], data est ei corona, et exivit vincens, ut vinceret. Videtur ergo quod in Christo debuerit esse maxime fomes peccati. Sed contra est quod dicitur Matth. l [20], quod in ea natum est, de Spiritu Sancto est. Sed Spiritus Sanctus excludit peccatum, et incli­ nationem peccati, quae importatur nomine fomitis. Ergo in Christo non fuit fomes peccati. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 7 aa. 2-9] dictum est, Christus perfectissime habuit gratiam et omnes virtutes. Virtus autem moralis quae est in irrationali parte animae, eam facit rationi esse subiectam, et tanto magis quanto perfectior fuerit virtus, sicut temperantia concupiscibilem, et fortintdo et mansuetudo irascibilem, ut in Secunda Parte [I-II q. 56 a. 4] dictum est. Ad rationem autem fomitis pertinet inclinatio sensualis appetitus in id quod est contra rationem. Sic igintr patet quod, quanto virtus fuerit magis in aliquo perfecta, tanto magis debilitatur in eo vis fornitis. Cum igitur in Christo fuerit virtus secundum perfectissi­ mum gradum, consequens est quod in eo fo-

na, ed egli uscì vittorioso per vincere ancora. Quindi sembra che in Cristo ci dovesse essere il fornite nel massimo grado. In contrario: in Mt l [20] è detto: Quel che è ge­ nerato in lei viene dallo Spirito Santo. Ma lo Spirito Santo esclude il peccato e l'inclinazione al peccato implicita nel termine «fomite». Quindi in Cristo non c'era il fomite del peccato. Risposta: come si è detto sopra, Cristo aveva nel modo più perfetto la grazia e tutte le virtù. Ma la virtù morale, estendendosi alla parte irrazionale dell'anima, la rende sottomessa alla ragione, e tanto meglio quanto più perfet­ ta è la virtù: così la temperanza soggioga l'appetito concupiscibile, e la fortezza e la mansuetudine l'appetito irascibile, come si è visto nella Seconda Parte. Ora, il fomite con­ siste nell'inclinazione dell'appetito sepsitivo a oggetti che sono contro la ragione. E chiaro perciò che quanto più cresce in una persona la virtù, tanto più si smorza in essa la violenza del fomite. Poiché dunque in Cristo la virtù raggiungeva il vertice più alto, ne segue che

Q. l 5, A. 2

I difetti dell 'anima assunti da Cristo

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mes peccati non fuerit, cum etiam iste defectus non sit ordinabilis ad satisfaciendum, sed potius inclinat ad contrarium satisfactioni. Ad primum ergo dicendum quod inferiores vires pertinentes ad sensibilem appetitum, naturaliter sunt obedibiles rationi, non autem vires corporales, vel humorum corporalium, vel etiam ipsius animae vegetabilis, ut patet in l Ethic. [ 1 3 , 1 8] . Et ideo perfectio virtutis, quae est secundum rationem rectam, non ex­ cludit passibilitatem corporis, excludit autem fomitem peccati, cuius ratio consistit in resi­ stentia sensibilis appetitus ad rationem. Ad secundum dicendum quod caro naturaliter concupiscit id quod est sibi delectabile, con­ cupiscentia appetitus sensitivi, sed caro ho­ minis, qui est animai rationale, hoc concupi­ scit secundum modum et ordinem rationis. Et hoc modo caro Christi, concupiscentia appeti­ tus sensitivi, naturaliter appetebat escam et potum et somnum, et alia huiusmodi quae se­ cundum rationem rectam appetuntur, ut patet per Damascenum, in 3 libro [De fide 14]. Ex hoc autem non sequitur quod in Christo fuerit fomes peccati, qui importat concupiscentiam delectabilium praeter ordinem rationis. Ad tertium dicendum quod fortitudo spiritus aliqualis ostenditur ex hoc quod resistit con­ cupiscentiae carnis sibi contrariantis, sed maior fortitudo spiritus ostenditur si per eius virtutem totaliter comprimatur, ne contra spi­ ritum concupiscere possit. Et ideo hoc com­ petebat Christo, cuius spiritus summum gra­ dum fortitudinis attigerat. Et licet non susti­ nuerit impugnationem interiorem ex parte fomitis, sustinuit tamen exteriorem impugna­ tionem ex parte mundi et diaboli, quos supe­ rando victoriae coronam promeruit.

in lui non c'era il fomite del peccato; tanto più che questo difetto non è un mezzo di soddisfazione, ma piuttosto inclina a ciò che è contrario alla soddisfazione. Soluzione delle difficoltà: l . Le facoltà infe­ riori dell ' appetito sensitivo sono atte per natura a obbedire alla ragione; non così inve­ ce le potenze del corpo, o gli umori e anche le facoltà dell'anima vegetativa, come spiega Aristotele. Quindi la virtù perfetta, che è una rettitudine razionale, non esclude la passibilità del corpo; esclude però il fomite del peccato, che consiste nella resistenza dell'appetito sen­ sitivo alla ragione. 2. Il corpo per sua natura desidera ciò che gli è piacevole con l' appetito sensitivo, ma il corpo dell'uomo, che è un animale razionale, sottomette questi suoi desideri al governo e all'ordine della ragione. Così dunque il corpo di Cristo con l ' appetito sensitivo cercava naturalmente il cibo, la bevanda, il sonno e altre cose simili che sono consentite dalla retta ragione, come risulta dal Damasceno; ma da ciò non segue che in Cristo ci sia stato il fomite del peccato, che è la ricerca del pia­ cere fuori dell'ordine razionale. 3. Lo spirito dimostra una certa fortezza resi­ stendo alla concupiscenza della carne quando questa gli si oppone, ma dimostra una fortez­ za maggiore quando la reprime così totalmen­ te da eliminarne le brame disordinate. E que­ sta era appunto la condizione di Cristo, il cui spirito aveva raggiunto il sommo grado della fortezza. Sebbene poi egli non abbia dovuto sostenere il combattimento interiore del fomi­ te, subì però la lotta esterna del mondo e del diavolo, trionfando dei quali meritò la corona della vittoria.

Articulus 3 Utrum in Christo fuerit ignorantia

Articolo 3 In Cristo c'era l'ignoranza?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in Christo fuerit ignorantia. l . Illud enim vere fuit in Christo quod sibi competit secundum humanam naturam, licet non competat secundum divinam, sicut passio et mors. Sed ignorantia convenit Christo se­ cundum humanam naturam, dicit enim Da­ mascenus, i n 3 l ibro [De fide 2 1 ], quod ignorantem et servilem assumpsit naturam. Ergo ignorantia vere fuit in Christo.

Sembra di sì. Infatti: l . In Cristo esisteva veramente ciò che gli competeva secondo la natura umana, anche se non gli competeva secondo la natura divina: ad es. la passione e la morte. Ma l'ignoranza competeva a Cristo secondo la natura umana. Infatti il Damasceno afferma che «egli assun­ se una natura ignorante e servile». Quindi in Cristo c'era veramente l'ignoranza. 2. Ignorante è chi non conosce qualcosa. Ma

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

2. Praeterea, aliquis dicitur ignorans per noti­ tiae defectu m . Sed aliqua notitia defu i t Christo, dicit enim apostolus, 2 Cor. 5 [21], eum qui non novit peccatum, pro nobis pec­ catumfecit. Ergo in Christo fuit ignorantia. 3. Praeterea, Isaiae 8 [4] dicitur, antequam sciat puer vocare patrem suum et matrem suam, auferetur fortitudo Damasci. Puer autem ille est Christus. Ergo in Christo fuit aliquarum rerum ignorantia. Sed contra, ignorantia per ignorantiam non tollitur. Christus autem ad hoc venit ut igno­ rantias nostras auferret, venit enim ut illumi­ naret his qui in tenebris et in umbra martis sedent. Ergo in Christo ignorantia non fuit. Respondeo dicendum quod, sicut in Christo fuit plenitudo gratiae et vùtutis, ita in ipso fuit plenitudo omnis scientiae, ut ex praemissis [q. 7 aa. 2.5.7-8; qq. 9- 12] patet. Sicut autem in Christo plenitudo gratiae et virtutis excludit peccati fomitem, ita plenitudo scientiae exclu­ dit ignorantiam, quae scientiae opponitur. Un­ de, sicut in Christo non fuit fomes peccati, ita non fuit in eo ignorantia. Ad primum ergo dicendum quod natura a Christo assumpta potest dupliciter considera­ n. Uno modo, secundum rationem suae spe­ ciei. Et secundum hoc dicit Damascenus eam esse ignorantem et servilem. Unde subdit [De fide 3,2 1 ] , nam serva est quidem hominis natura eius qui fecit ipsam, Dei, et non habet futurorum cognitionem. Alio modo potest considerari secundum illud quod habet ex unione ad hypostasim divinam, ex qua habet plenitudinem scientiae et gratiae, secundum illud loan. l [ 14], vidimus eum, quasi Unige­ nitum a Patre, plenum gratiae et veritatis. Et hoc modo natura humana in Christo ignoran­ tiam non habuit. Ad secundum dicendum quod Christus dici­ tur non novisse peccatum, quia nescivit per experientiam. Scivit autem per simplicem notitiam. Ad tertium dicendum quod propheta ibi lo­ quitur de humana Christi scientia. Dicit ergo, antequam sciat puer, scilicet secundum hu­ manitatem, vocare patrem suum, Ioseph, qui pater fuit putative, et matrem suam, scilicet Mariam, auferetur fortitudo Damasci. Quod non est sic intelligendum quasi aliquando fuetit homo et hoc nesciverit, sed, antequam sciat, idest, antequam fiat homo scientiam

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qualcosa era ignoto a Cristo. Infatti Paolo dice: Colui che non aveva conosciuto pecca­ to, Dio lo trattò da peccato in nostro favore (2 Cor 5,21). Quindi in Cristo c'era l'ignoranza. 3. In /s 8 [4] è detto: Prima che il bambino sappia chiamare suo padre e sua madre, sarà tolta via la fortezza di Damasco. Ma quel bambino è Cristo. Quindi in Cristo c' era l'ignoranza di qualcosa. In contrario: l'ignoranza non toglie l'ignoran­ za. Ma Cristo è venuto a togliere la nostra ignoranza: è venuto infatti per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nel/'ombra della morte [Le 1 ,79]. Quindi in Cristo non c'era l'ignoranza. Risposta: come in Cristo c'era la pienezza della grazia e della virtù, così pure c'era la pienezza di ogni scienza, secondo le spiega­ zioni date. Ma come in Cristo la pienezza della grazia e della virtù esclude il fomite del peccato, così la pienezza della scienza esclu­ de l'ignoranza, che si oppone alla scienza. Quindi come in Cristo non c'era il fomite del peccato, così non c'era l'ignoranza. Soluzione delle difficoltà: l . La natura assun­ ta da Cristo può essere considerata da due punti di vista. Primo, nel suo essere specifico. E in questo senso il Damasceno la chiama «ignorante e servile». E spiega: «La natura dell' uomo è serva di Dio che l'ha creata, e ignora le cose future». Secondo, può essere considerata in rapporto alla sua unione con l'ipostasi divina, che le conferisce la pienezza della scienza e della grazia, come è detto in Gv l [14]: Lo abbiamo visto come Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. E in questo senso la natura umana in Cristo esclu­ deva l'ignoranza. 2. Si dice che Cristo non conobbe il peccato per non averlo commesso personalmente. Lo conosceva però nazionalmente. 3. Quel testo di Isaia parla della scienza uma­ na di Cristo. Dice infatti: Prima che il bambi­ no, secondo la natura umana, sappia chiama­ re suo padre, cioè Giuseppe, padre di lui putativamente, e sua madre, Maria, sarà tolta via la fortezza di Damasco. n che non va inte­ so nel senso che Cristo nella sua umanità ab­ bia ignorato tali cose, ma prima che sappia, cioè prima che egli diventando uomo si formi una scienza umana, sarà tolta via la fortezza di Damasco e le spoglie di Samaria, dal re

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habens humanam, auferetur vel, ad litteram, fortitudo Damasci et �polia Samariae, per regem Assyriorum; vel, spiritualiter, quia, nondum natus, populum suum sola invocatio­ ne salvabit, ut Glossa [int. super Is. 8,4; Hie­ ronymus, In Isaiam 3 super 8,4 ] Hieronymi exponit. - Augustinus tamen, in Sermone de Epiph. [Serm. ad pop. 202,2], dicit hoc esse completum in adoratione Magorum. Ait enim, antequam per humanam carnem humana verba proferret, accepit virtutem Damasci, scilicet divitias, in quibus Damascus praesu­ mebat in divitiis autem principatus auro defertur. Spolia vero Samariae iidem ipsi erant. Samaria namque pro idololatria poni­ tur, illic enim populus ad idola colenda con­ versus est. Haec ergo prima spolia puer idololatriae detra.,r:it. Et secundum hoc intelli­ gitur, antequam sciat puer, idest, antequam ostendat se scire.

degli Assiri, se si prende il testo in senso lette­ rale; oppure, in senso figurale, «ancor prima di nascere salverà il suo popolo con la sola invocazione del suo nome», come spiega una Glossa di Girolamo. Agostino invece dice che tale profezia si è avverata nell' adorazione dei Magi. Scrive infatti: «Prima che nella sua car­ ne umana pronunziasse parole umane, rice­ vette in dono la potenza di Damasco, cioè le ricchezze di cui Damasco andava orgogliosa: ora, tra le ricchezze l'oro occupa il primo po­ sto. Le spoglie poi di Samaria erano i Magi stessi. Poiché la Samaria rappresenta i popoli idolatri, essendo il popolo di quella regione passato al culto degli idoli. Essi dunque erano le prime spoglie che il bambino strappava all'idolatria>>. Le parole prima che il bambino sappia hanno allora i l senso: «prima che mostri di sapere».

Articulus 4 Utrum anima Christi fuerit passibilis

Articolo 4 Vanima di Cristo era passibile?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod anima Christi non fuerit passibilis. l . Nihil enim patitur nisi a fortiori, quia agens est praestantius patiente, ut patet per Augusti­ num, 1 2 Super Gen. [ 1 6] ; et per philoso­ phum, in 3 De an. [5,2]. Sed nulla creatura fuit praestantior quam anima Christi. Ergo anima Christi non potuit ab aliqua creatura pati. Et ita non fuit passibilis, frustra enim fuisset in eo potentia patiendi, si a nullo pati potuisset. 2. Praeterea, Tullius in libro De Tuscul. Q. [3, l 0], dici t quod passiones animae sunt quaedam aegritudines. Sed in anima Christi non fuit aliqua aegritudo, nam aegritudo animae sequitur peccatum, ut patet per illud Psalmi [40,5], sana animam meam, quia pec­ cavi tibi. Ergo in Christo non fuerunt animae passiones. 3. Praeterea, passiones animae videntur idem esse cum fomite peccati, unde apostolus, Rom. 7 [5], vocat eas passiones peccatontm. Sed in Christo non fuit fomes peccati, ut supra [a. 2] dictum est. Ergo videtur quod non fuerint in eo animae passiones. Et ita anima Christi non fuit passibilis. Sed contra est quod in Psalmo [87,4] dicitur ex persona Christi, repleta est malis anima

Sembra di no. Infatti: l . Non si patisce se non da parte di una forza superiore, essendo «l'agente superiore al pa­ ziente», come osservano Agostino e il Filoso­ fo. Ma nessuna creatura era più nobile dell'a­ nima di Cristo. Quindi l'anima di Cristo non poteva patire da parte di alcuna creatura. E così non era passibile, poiché inutilmente avrebbe avuto la capacità di patire se poi non avesse subito l'azione di alcuna creatura. 2. Cicerone chiama «Una specie di malattia>> le passioni dell'anima. Ma nell'anima di Cristo non c'era alcuna infermità, poiché questa sup­ pone il peccato, come risulta dal Sal 40 [5]: Risana la mia anima, perché contro di te ho peccato. In Cristo dunque non c'erano le pas­ sioni dell'anima. 3. Le passioni dell'anima sono tutt'uno con il fornite del peccato, tanto che Paolo le chiama passioni peccaminose (Rm 7 ,5). Ma in Cristo non c'era il fomite del peccato, come si è detto sopra, e quindi neppure le passioni dell'anima. Quindi l'anima di Cristo non era passibile. In contrario: nel Sa/ 87 [4] è detto in nome di Cristo: La mia anima è colma di mali, il che non significa certamente di peccati ma, come dice la Glossa, di mali umani, «cioè di do­ lori». Quindi l'anima di Cristo era passibile.

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

mea, non quidem peccatis, sed humanis ma­ lis, idest doloribus, ut Glossa [int. et Lomb.; Enarr. in Ps. 87 super v. 4] ibidem exponit. Sic igitur anima Christi fuit passibilis. Respondeo dicendum quod animam in corpo­ re constitutam contingit pati dupliciter, uno modo passione corporali; alio modo, passione animali. Passione quidem corporali patitur per corporis laesionem. Cum enim anima sit forma corporis, consequens est quod unum sit esse animae et corporis, et ideo, corpore per­ turbato per aliquam corpoream passionem, necesse est quod anima per accidens pertur­ betur, scilicet quantum ad esse quod habet in corpore. Quia igitur corpus Christi fuit passi­ bile et mortale, ut supra [q. 14 aa. 1 -2] habi­ tum est, necesse fuit ut etiam anima eius hoc modo passibilis esset. - Passione autem ani­ mali patì dicitur anima secundum operatio­ nem quae vel est propria animae, vel est prin­ cipalius animae quam corporis. Et quamvis etiam secundum intelligere et sentire dicatur hoc modo anima aliquid patì, tamen, sicut in Secunda Parte [I-II q. 22 a. 3; q. 41 a. l ] dictum est, propriissime dicuntur passiones animae affectiones appetitus sensitivi, quae in Christo fuerunt, sicut et cetera quae ad naturam horninis pertinent. Unde Augustinus dicit, 14 De civ. Dei [9], ipse Dominus, in fonna servi agere vitam dignatus, humanitus adhibuit eas, ubi adhibendas esse iudicavit. Neque enim in quo verum erat hominis c01pus et verus hominis animus, falsus erat humanus affectus. - Sciendum tamen quod huiusmodi passiones aliter fuerunt in Christo quam in nobis, quantum ad tria. Primo quidem, quantum ad obiectum. Quia in nobis plerumque huiusmodi passiones feruntur ad illicita, quod in Christo non fuit. Secundo, quantum ad principium. Quia huiusmodi passiones frequenter in nobis praeveniunt iudicium rationis, sed in Christo omnes motus sensitivi appetitus oriebantur secundum di­ spositionem rationis. Unde Augustinus dicit, 14 De civ. Dei [9], quod hos motus, certis­ simae dispensationis grafia, ita cum voluit Christus suscepit animo humano, sicut cum voluitfactus est homo. Tertio, quantum ad ef­ fectum. Quia in nobis quandoque huiusmodi motus non sistunt in appetitu sensitivo, sed trahunt rationem. Quod in Christo non fuit, quia motus naturaliter humanae carni conve-

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Risposta: l'anima unita al corpo può patire in due modi: per passione corporale e per pas­ sione animale o psichica. Per passione cor­ porale patisce quando il corpo subisce una lesione. Essendo infatti l'anima la forma del corpo, ambedue hanno un solo essere, per cui se qualche danno colpisce il corpo ne risente indirettamente anche l'anima, per l'essere che ha in comune con il corpo. Poiché dunque il corpo di Cristo era passibile e mmtale, come si è visto sopra, era necessario che anche la sua anima fosse passibile in questo primo modo. - Si dice invece che I'anima patisce di passione animale o psichica quando patisce per operazioni che o sono proprie deli'anima, o sono più deli' anima che del corpo. Dobbia­ mo tuttavia precisare che, sebbene si possano chiamare passioni psichiche anche l'intendere e il sentire, tuttavia in senso rigoroso, come si è spiegato nella Seconda Parte, si dicono pas­ sioni dell ' anima gli affetti del l ' appetito sensitivo: e questi c'erano in Cristo, come an­ che tutte le altre proprietà delia natura umana. Per cui dice Agostino: «ll Signore, degnan­ dosi di vivere in forma di servo, fece uso delle passioni alia maniera umana, quando lo riten­ ne opportuno. Né tali passioni erano apparenti in lui, che aveva un vero corpo umano e una vera anima umana». - Bisogna però notare che queste passioni si trovavano in Cristo in un modo diverso dal nostro sotto tre aspetti. Primo, per l'oggetto. Poiché in noi il più delle volte queste passioni si volgono a cose ille­ cite: il che non avveniva in Cristo. Secondo, per la causa. Poiché tali passioni spesso in noi prevengono il giudizio della ragione, mentre in Cristo tutti i movimenti dell'appetito sensi­ tivo nascevano dal comando della ragione. Per cui Agostino dice che «per la grazia di una sicurissima libertà Cristo assumeva nel suo animo queste passioni quando voleva, co­ me quando ha voluto si è tàtto uomo». Terzo, per l'effetto. Poiché in noi a volte tali passioni non si arrestano all'appetito sensitivo, ma trascinano la ragione. n che non avveniva in Cristo, poiché tutti i moti attinenti alia carne umana erano contenuti per sua volontà nel­ l'appetito sensitivo, in modo tale che la sua ragione non ne veniva minimamente intralcia­ ta. Per cui Girolamo scrive che «il Signore, per dimostrare la realtà dell'uomo assunto, soffrì una vera tristezza; ma per escludere un

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nientes sic ex eius dispositione in appetito sensitivo manebant quod ratio ex his nullo modo impediebatur facere quae conveniebant. Unde Hieronymus dicit, Super Matth. [4 super 26,37] , quod Dominus noster, ut veritatem assumpti probaret hominis, vere quidem contristatus est, sed, ne passio in animo illius dominaretur, per propassionem dicitur quod coepit contristari, ut passio perfecta intelligator quando animo, idest ra­ tioni, dominatur; propassio autem, quando est inchoata in appetito sensitivo, sed ulterius non se extendit. Ad primum ergo dicendum quod anima Chri­ sti poterat quidem resistere passionibus, ut non ei supervenirent, praesertim virtute divi­ na. Sed propria voluntate se passionibus subiiciebat, tam corporalibus quam animalibus. Ad secundum dicendum quod Tullius ibi loquitur secundum opinionem Stoicorum [cf. 1-11 q. 24 a. 2], qui non vocabant passiones quoscumque motus appetitus sensitivi, sed solum inordinatos. Tales autem passiones manifestum est in Christo non fuisse. Ad tertium dicendum quod passiones pecca­ forum sunt motus appetitus sensitivi in illicita tendentes. Quod non fuit in Christo, sicut nec fomes peccati.

qualche dominio della passione sul suo animo si dice che cominciò a rattristarsi, per una propassione», i ndicando con il termine passione ciò che domina l'animo, cioè la ra­ gione, e con il termine propassione il senti­ mento che nasce nell' appetito sensitivo, ma senza sconfinare al di fuori. Soluzione delle difficoltà: l . L'anima di Cristo poteva impedire l'insorgere delle passioni, spe­ cialmente con la sua potenza divina. Si sot­ tometteva tuttavia liberamente sia alle soffe­ renze del corpo che alle passioni dell'anima. 2. Cicerone parla secondo l'opinione degli Stoici, i quali chiamavano passioni non già tutti i movimenti dell'appetito sensitivo, ma solo quelli disordinati . Ora, è chiaro che tali passioni non potevano trovarsi in Cristo. 3. Le «passioni peccaminose» sono i movi­ menti dell'appetito sensitivo tendenti alle co­ se illecite. E questi in Cristo non ci potevano essere, come neppure il fomite del peccato.

Articulus 5 Utrum in Christo fuerit verus dolor sensibilis

Articolo 5 In Cristo c'era il vero dolore sensibile?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit verus dolor sensibilis. l . Dicit enim Hilarius, in l O De Trin., cum pro Christo mori vita sit, quid ipse in mortis sacramento doluisse aestimandus est, qui pro se morientibus vitam rependit? Et infra dicit, unigenitus Deus hominem verum, non defi­ ciens a se Deo, sumpsit, in quo, quamvis aut ictus incideret, aut vulnus descenderet, aut nodi concurrerent, aut suspensio elevaret, afferrent quidem haec impetum passionis, non tamen dolorem inferrent. Non igitur in Christo fuit verus dolor. 2. Praeterea, hoc proprium videtur esse carni in peccato conceptae, quod necessitati doloris subiaceat. Sed caro Christi non est cum peccato concepta, sed ex Spirito Sancto in utero virginali. Non ergo subiacuit necessitati patiendi dolorem.

Sembra di no. Infatti: l . Dario scrive: «Se morire per Cristo è vive­ re, come si fa a pensare che nel mistero della morte egli abbia sofferto, mentre premia con la vita quelli che muoiono per lui?». E dopo aggiunge: «Dio unigenito, senza cessare di essere Dio, si è fatto vero uomo: perciò rag­ giunto dai colpi, coperto di ferite, caricato di catene, sospeso alla croce, può ricevere da tutto questo passione, ma non dolore». In Cristo dtmque non c'era il vero dolore. 2. Soggiacere alla necessità del dolore è pro­ prio della carne concepita nel peccato. Ma la carne di Cristo non fu concepita nel peccato, bensì per opera dello Spirito Santo in un seno verginale. Quindi non soggiaceva alla neces­ sità di patire il dolore. 3. n gaudio della contemplazione delle cose divine diminuisce il senso del dolore, per cui

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

3. Praeterea, delectatio contemplationis divino­ diminuit sensum doloris, unde et martyres i n passionibus suis tolerabilius dolorem sustinuerunt ex consideratione divini amoris. Sed anima Christi summe delectabatur in contemplatione Dei, quem per essentiam vide­ bat, ut supra [q. 9 a. 2] dictum est. Non ergo poterat sentire aliquem dolorem. Sed contra est quod Isaiae 53 [4] dicitur, vere languores nostms ipse tulit, et dolores nostms ipse portavit. Respondeo dicendum quod, sicut patet ex his quae in Secunda Parte [1-11 q. 35 a. 7] dieta sunt, ad veritatem doloris sensibilis requiritur laesio corporis et sensus laesionis. Corpus autem Christi laedi poterat, quia erat passibile et mortale, ut supra [q. 1 4 aa. 1 -2] habitum est. Nec defuit ei sensus laesionis, cum anima Christi perfecte haberet omnes potentias natu­ rales. Unde nulli dubium debet esse quin in Christo fuerit verus dolor. Ad primum ergo dicendum quod in omnibus illis verbis, et similibus Hilarius a carne Chri­ sti non veritatem doloris, sed necessitatem ex­ eludere intendit. Unde post praemissa verba subdit [De Trin. l 0], neque enim, cum sitivit aut esurivit aut flevit, bibisse Dominus aut manducasse aut doluisse monstratus est, sed ad demonstrandam c01poris veritatem colpo­ ris consuetudo suscepta est, ita ut, naturae nostrae consuetudine, consuetudini sit corporis satisfactum. Ve/, cum potum aut cibum accepit, non se necessitati c01poris, sed consuetudini tribuit. Et accepit necessita­ tem per comparationem ad causam primam horum defectuum, quae est peccatum, ut su­ pra [q. 14 aa. 1 .3] dictum est, ut scilicet ea ratione dicatur caro Christi non subiacuisse necessitati horum defectuum, quia non fuit in ea peccatum. Unde subdit [De Trin. 1 0] , habuit enim, scilicet Christus, c01pus, sed originis suae pmprium, neque ex vitiis humanae conceptionis existens, sed in fonnam c01poris nostri, virtutis suae potestate, subsistens. Quantum tamen ad causam propi nquam horum defectuum, quae est compositio con­ trariorum, caro Christi subiacuit necessitati horum defectuum, ut supra [q. 1 4 a. 2] habitum est. Ad secundum dicendum quod caro in peccato concepta subiacet dolori non solum ex neces­ sitate naturalium principiorum, sed etiam ex rum

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anche i martiri nelle loro passioni sopportava­ no meglio il dolore considerando l 'amore divino. Ma l'anima di Cristo godeva somma­ mente della contemplazione di Dio, che vede­ va nella sua essenza, come si è detto sopra. Quindi non poteva sentire alcun dolore. In contrario: in /s 53 [4] è detto: Egli si è caricato veramente delle nostre sofferenze e dei nostri dolori. Risposta: come risulta da quanto si è detto nella Seconda Parte, perché ci sia un vero dolore sensibile occorre una lesione del corpo e la sensazione di essa. Ora, il corpo di Cristo poteva subire lesioni, essendo passibile e mortale, come si è visto sopra. Né gli manca­ va la sensazione delle lesioni, avendo l'anima di Cristo perfetto possesso di tutte le potenze naturali. Quindi non si può dubitare che in Cristo ci fosse un vero dolore. Soluzione delle difficoltà: l . In quei testi e in altri simili Ilario non intende escludere dalla carne di Cristo la realtà del dolore, ma la necessità. Tanto che dopo le parole citate spiega: «Infatti quando il Signore ebbe fame, o sete, o pianse, non simulò di mangiare, o di bere, o di piangere, ma per dimostrare la realtà del suo corpo assunse le abitudini del corpo e le soddisfece alla nostra maniera. Oppure quando accettava di bere o di mangia­ re non lo faceva per una necessità del suo corpo, ma per adattarsi all'uso comune». E la «necessità» che esclude è quella del peccato, quale causa prima di quei difetti, come si è detto sopra: cioè la carne di Cristo non sotto­ stava alla necessità di quei difetti, non essen­ doci in essa il peccato. Per cui soggiunge che Cristo «aveva un corpo, ma di origine singo­ lare, non viziosamente concepito alla maniera umana, ma fatto dalla sua potenza a somi­ glianza del nostro corpo». Quanto però alla causa prossima di quei difetti, che è la com­ posizione di elementi contrari, la carne di Cristo soggiaceva alla loro necessità, come si è già spiegato. 2. La carne concepita nel peccato soggiace necessariamente al dolore non solo in forza dei suoi princìpi naturali, ma anche in pena del peccato. Ora, quest'ultima necessità man­ cava in Cristo, essendoci solo la necessità dei princìpi naturali. 3. Come si è detto sopra, la divinità di Cristo faceva sì che in via straordinaria la beatitudi-

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necessitate reatus peccati. Quae quidem ne­ cessitas in Christo non fuit, sed solum neces­ sitas naturalium principiorum. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 14 a. l ad 2] dictum est, virtute divinitatis Christi dispensative sic beatitudo in anima contineba­ tur quod non derivabatur ad corpus, ut eius passibilitas et mortalitas tolleretur. Et, eadem ratione, delectatio contemplationis sic conti­ nebatur in mente quod non derivabatur ad vires sensibiles, ut per hoc dolor sensibilis excluderetur.

ne della sua anima non rifluisse nel corpo, così da togliere la sua passibilità e mortalità. E per lo stesso motivo il gaudio della contem­ plazione era così circoscritto nell' anima da non discendere nelle facoltà sensitive e non impedire il dolore sensibile.

Articulus 6 Utrum in Christo fuerit tristitia

Articolo 6 In Cristo c'era la tristezza?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit tristitia. l. Dicitur enim de Christo, Isaiae 42 [4], non

Sembra di no. Infatti: l . In fs 42 [4] è detto di Cristo: Non sarà tri­

erit tristis neque turbulentus. 2. Praeterea, Prov. 12 [21 ] dicitur, non contri­ stabit iustum quidquid ei acciderit. Et huius rationem S toici assignabant [cf. Arnim, Fragmenta 3,9,3; cf. infra, q. 46 a. 6 arg. 2], quia nullus tristatur nisi de arnissione bono­ rum suorum, iustus autem non reputat bona sua nisi iustitiam et virtutem, quas non potest arnittere. Alioquin, subiaceret iustus fortunae, si pro amissione bonorum fortunae tristaretur. Sed Christus fuit maxime iustus, secundum illud Ier. 23 [6]. Hoc est nomen quod voca­ bunt eum, Dominus fustus noster. Ergo in eo non fuit tristitia. 3 . Praeterea, philosophus dicit, in 7 Ethic. [ 1 3, 1 ], quod omnis tristitia est malum et fu­ giendum. Sed nullum malum vel fugiendum fuit in Christo. Ergo in Christo non fuit tristitia 4. Praeterea, sicut Augustinus dicit, 14 De civ. Dei [6. 1 5], tristitia est de his quae nobis no­ lentibus accidunt. Sed nihil passus est Chri­ stus contra suam voluntatem, dicitur enim Isaiae 53 [7], oblatus est quia ipse voluit. Ergo in Christo non fuit tristitia. Sed contra est quod dicit Dominus, Matth. 26 [38], tristis est anima mea usque ad mortem. Et Ambrosius dicit, 2 De Trin. [7], ut homo,

tristitiam habuit, suscepit enim tristitiam meam. Confidenter tristitiam nomino, qui crucem praedico. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 5 ad 3], delectatio divinae contemplationis i ta per d ispensationem d i v inae virtutis

ste né turbolento. 2. In Pr 12 [21 ] è detto: Qualsiasi cosa acca­ drà non rattristerà il giusto. E gli Stoici spie­ gavano questo fatto dicendo che ci si rattrista soltanto della perdita dei propri beni, e d'altra parte il giusto considera suoi beni solo la giu­ stizia e la virtù, che non può perdere. Altri­ menti il giusto sarebbe in balìa della fortuna, se si rattristasse per la perdita dei beni di fortu­ na. Ma Cristo era sommamente giusto, secon­ do le parole di Ger 23 [6] : Questo sarà il

nome con cui lo chiameranno: Signore nostro Giusto. Quindi non c'era in lui la tristezza. 3. Il Filosofo asserisce che ogni tristezza è «Un male e da fuggirsi». Ma in Cristo non c'era alcuna cosa cattiva o da fuggirsi. Quindi in Cristo non c'era la tristezza. 4. Agostino dice che «la tristezza ha per og­ getto le cose che accadono contro la nostra volontà». Ma Cristo non ha sofferto nulla contro l � sua volontà, poiché in fs 53 [7] è detto: E stato immolato perché egli stesso lo ha voluto. Quindi in Cristo non c'era la tristezza. In contrario: il Signore stesso dice: La mia anima è triste fino alla morte (Mt 26,38). E Ambrogio scrive: «Ebbe la tristezza come uomo: prese infatti la mia tristezza. E senza esitazione dico tristezza, poiché predico la croce». Risposta: come si è detto sopra, il gaudio della contemplazione di Dio per intervento della potenza divina era così circoscritto nell' anima di Cristo da non giungere alle

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

retinebatur in mente Christi quod non deriva­ batur ad vires sensitivas, ut per hoc dolor sensibilis excluderetur. Sicut autem dolor sensibilis est in appetito sensitivo, ita et tristi­ tia, sed est differentia secundum motivum, si­ ve obiectum. Nam obiectum et motivum do­ loris est laesio sensu tactus percepta, sicut cum aliquis vulneratur. Obiectum autem et motivum tristitiae est nocivum seu malum in­ terius apprehensum, sive per rationem sive per imaginationem, sicut in Seconda Parte [I-II q. 35 aa. 2.7] habitum est, sicut cum aliquis tristatur de amissione gratiae vel pecu­ niae. - Potuit autem anima Christi interius ap­ prehendere aliquid ut nocivum, et quantum ad se, sicut passio et mors eius fuit, et quantum ad alios, sicut peccatum discipulorum, vel etiam ludaeorum occidentium ipsum. Et ideo, sicut in Christo potuit esse verus dolor, ita in eo potuit esse vera tristitia, alio tamen modo quam in nobis est, se-cundum illa tria quae sunt assignata supra [a. 4], cum communiter de Christi passione Ioqueremur. Ad primum ergo dicendum quod tristitia re­ movetur a Christo secundum passionem per­ fectam, fuit tamen in eo initiata, secundum propassionem. Unde dicitur Matth. 26 [37], coepit contristari et moestus esse. Aliud enim est contristari, aliud incipere contristati, ut Hieronymus ibidem [In Matth. 4 super 26,37] dicit. Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, 1 4 De civ. Dei [ 8 ] , pro tribus perturbationibus, scilicet cupiditate, laetitia et timore, Stoici tres eupathias, idest bonas pas­ siones, in anima sapientis posuerunt, scilicet pro cupiditate voluntatem, pro laetitia gau­ dium, pro metu cautionem. Sed pro tristitia negaverunt aliquid posse esse in animo sapientis, quia tristitia est de malo quod iam accidit; nullwn autem malum aestimant posse accidere sapienti. Et hoc ideo est quia non credebant aliquid esse bonum nisi honestum, quod homines bonos facit; nec aliquid esse malum nisi inhonestum, per quod homines mali fiunt. - Quamvis autem honestum sit principale hominis bonum, et inhonestum principale hominis malum, quia haec perti­ nent ad ipsam rationem, quae est principalis in homine; sunt tamen quaedam secondaria hominis bona, quae pertinent ad ipsum cor­ pus, vel ad exteriores res corpori deservientes.

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facoltà sensitive e da non impedire quindi il dolore sensibile. Ma come il dolore sensibile, così anche la tristezza ha sede nell'appetito sensitivo, con una differenza però quanto al motivo od oggetto. Infatti l' oggetto e il motivo del dolore è una lesione percepita dal tatto, per esempio una ferita. Invece l'oggetto e il motivo della tristezza è un danno o un male percepibile interiormente con la ragione o con l'immaginazione, come si è visto nella Seconda Parte: come la tristezza di aver perso la grazia o il danaro. - Ora, l'anima di Cristo poteva percepire interiormente qualcosa di nocivo per sé, come la passione e la morte, e per gli altri, come il peccato dei discepoli, o dei Giudei che lo uccidevano. Quindi come in Cristo ci poteva essere un vero dolore, così ci poteva essere una vera tristezza: diversamente però da noi, per quelle tre ragioni già ricorda­ te quando abbiamo parlato della passibilità di Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . La tristezza in Cristo va negata come passione vera, ma non come propassione. Per cui in Mt 26 [37] è detto: Cominciò a provare tristezza e ango­ scia. Ora «altro è rattristarsi, altro cominciare a rattristarsi», come osserva Girolamo. 2. Come scrive Agostino, «gli Stoici al posto dei tre turbamenti dell'animo», cioè del desi­ derio, del godimento e del timore, «ponevano nell'animo del sapiente tre eupatie», o buone passioni, cioè «la volontà al posto del deside­ rio, il gaudio al posto del godimento, la pru­ denza al posto del timore. Ma non ammette­ vano che ci potesse essere qualcosa nell'ani­ mo del sapiente al posto della tristezza, poi­ ché essa è sentita per un male che è già acca­ duto, e d'altra parte nessun male, dicono, può accadere al sapiente». E questo perché giudi­ cavano buono solo ciò che è onesto e che rende buoni, cattivo invece solo ciò che è disonesto e che rende cattivi. Ora, per quanto sia vero che l'onestà è il bene principale del­ l'uomo e la disonestà il suo male principale, trattandosi di cose che riguardano la ragione, che è l'elemento primario dell'uomo, nmavia esistono dei beni umani secondari che riguar­ dano il corpo stesso, o cose esterne utili al corpo. Ora, in base a ciò può sorgere nell'ani­ mo del sapiente la tristezza dalla parte del­ l' appetito sensitivo per la percezione di questi mali: senza però che tale tristezza turbi la

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

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Et secundum hoc, potest in animo sapientis esse tristitia, quantum ad appetitum sensiti­ vum, secundum apprehensionem huiusmodi malorum, non tamen ita quod ista tristitia per­ turbet rationem. Et secundum hoc etiam intel­ ligitur quod non contristabit iustum quidquid ei acciderit, quia scilicet ex nullo accidente eius ratio perturbatur. Et secundum hoc tristitia fuit in Christo, secundum propassio­ nem, non secundum passionem. Ad tertium dicendum quod omnis tristitia est malum poenae, non tamen semper est malum culpae, sed solum quando ex inordinato affectu procedit. Unde Augustinus dicit, 14 De civ. Dei [9], cum rectam rationem sequan­ tur istae affectiones, et quando et ubi oportet adhibentur, quis eas tunc morbidas aut vitio­ sas passiones audeat dicere? Ad quartum dicendum quod nihil prohibet aliquid esse contrarium voluntati secundum se quod tamen est volitum ratione finis ad quem ordinatur, sicut medicina amara non est secundum se volita, sed solum secundum quod ordinatur ad sanitatem. Et hoc modo mors Christi et eius passio fuit, secundum se considerata, involuntaria et tristitiam causans, licet fuerit voluntaria in ordine ad finem, qui est redemptio humani generis.

ragione. E in questo senso è vero che . Ma Cristo era sommamente magnani­ mo. Quindi in Cristo non c'era la meraviglia 3. Nessuno si meraviglia di ciò che è capace di fare. Ma Cristo era capace delle più grandi cose. Quindi sembra che non si meravigliasse di nulla. In contrario: in Mt 8 [ 10] è detto che Gesù, ascoltando le parole del centurione restò meravigliato. Risposta: propriamente suscita meraviglia una cosa nuova e insolita. Ora, per Cristo non ci poteva essere nulla di nuovo e di insolito quanto alla sua scienza divina, e neppure quanto alla sua scienza umana con la quale conosceva le cose nel Verbo o con le idee infuse. Ci poteva essere invece per lui qualco­ sa di nuovo e di insolito rispetto alla scienza sperimentale, a cui ogni giorno si potevano presentare delle novità. Se quindi parliamo di Cristo secondo la scienza divina, la scienza beata o la scienza infusa, in lui non c'era la meraviglia. Se invece parliamo di lui secondo la scienza sperimentale, allora ci poteva esse­ re in lui la meraviglia. Ed egli assunse questo sentimento a nostra istruzione, cioè per mo­ strarci che anche noi ci dobbiamo meraviglia­ re di ciò di cui egli stesso si meravigliava. Per cui Agostino ha scritto: «La meraviglia del Signore ci insegna il dovere di meravigliarci, poiché noi abbiamo bisogno anche di questa emozione. Sentimenti simili non sono dunque in lui segni di turbamento, ma lezioni di un maestro». Soluzione delle difficoltà: l. Sebbene Cristo sapesse tutto, nondimeno alla sua scienza sperimentale si potevano presentare delle novità atte a provocare la meraviglia. 2. Cristo restò meravigliato della fede del cen­ turione non perché fosse una cosa grande in rapporto a lui, ma [perché lo era] in rapporto agli altri. 3. Cristo poteva fare nltto con la sua potenza divina, secondo la quale in lui non ci poteva essere la meraviglia, che poteva trovarsi in lui solo secondo la scienza umana sperimentale, come si è detto. -

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

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Articulus 9 Utrurn in Christo fuerit ira

Articolo 9 In Cristo c'era l'ira?

Ad nonum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit ira. l . Dicitur enim Iac. l [20] , ira enim viri iustitiam Dei non operatur. Sed quidquid fuit in Christo ad iustitiam Dei pertinuit, ipse enimfactus est nobis iustitia a Deo, ut dicitur l Cor. l [30]. Ergo videtur quod in Christo non fuerit ira. 2. Praeterea, ira mansuetudini opponitur, ut patet in 4 Ethic. [5, 1]. Sed Christus fuit maxi­ me mansuetus. Ergo in Christo non fuit ira. 3. Pl-aeterea, Gregorius dicit, in 5 Mor. [45], quod ira per vitium excaecat oculum mentis; ira vero per zelum ipsum turbar. Sed in Chri­ sto mentis oculus non fuit neque excaecatus neque turbatus. Ergo in Christo non fuit ira per vitium, nec ira per zelum. Sed contra est quod Ioan. 2 [ 17] dicitur de eo esse impletum quod in Psalmo [68, 10] legitur, zelus domus tuae comedit me. Respondeo dicendum quod, sicut in Secunda Parte [1-11 q. 46 a. 3 ad 3; 11-11 q. 158 a. 2 ad 3] dictum est, ira est effectus tristitiae. Ex tristitia enim alicui illata consequitur in eo, circa sensitivam partem, appetitus repellendi illatam iniuriam vel sibi vel aliis. Et sic ira est passio composita ex tristitia et appetitu vindi­ ctae. Dictum est [a. 6] autem quod in Christo tristitia esse potuit. Appetitus etiam vindictae quandoque est cum peccato, quando scilicet aliquis vindictam quaerit sibi absque ordine rationis. Et sic ira in Christo esse non potuit, hoc enim dicitur ira per vitium [Mor. 5,45]. Quandoque vero talis appetitus est sine pec­ cato, immo est laudabilis, puta cum aliquis appetit vindictam secundum ordinem iusti­ tiae. Et hoc vocatur ira per zelum [Mor. 5,45], dicit enim Augustinus, Super Ioan. [tract. 10 super 2,17], quod zelo domus Dei comeditur qui omnia perversa quae videt cupit emenda­ re; et, si emendare non possit, tolerat et ge­ mit. Et talis ira fuit in Christo. Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicit Gregorius, in 5 Mor. [45], ira dupliciter se habet in homine. Quandoque enim praevenit rationem, et trahit eam secum ad operandum. Et tunc proprie ira dicitur operari, nam opera­ tio attribuitur principali agenti. Et secundum hoc intelligitur quod ira viri iustitiam Dei non

Sembra di no. Infatti: l . In Gc l [20] è detto: L'ira dell'uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio. Ma tutto in Cristo era giustizia davanti a Dio, poi­ ché egli stesso è divenuto per noi giustizia per opera di Dio (l Cor 1 ,30). Quindi in Cristo non c'era l'ira. 2. L' ira si oppone alla mansuetudine, come risulta da Aristotele. Ma Cristo era mansuetis­ simo. Quindi in lui non ci poteva essere l'ira. 3. Gregorio Magno scrive che «l'ira prodotta dal vizio acceca l'occhio della mente, mentre l ' ira prodotta dallo zelo lo turba». Ma in Cristo l' occhio della mente non fu mai né accecato né turbato. Quindi in Cristo non ci fu mai l'ira né per vizio né per zelo. In contrario: in Gv 2 [ 1 7] è detto che in lui si adempì quanto si legge nel Sal 68 [ I O] : Lo zelo per la tua casa mi divora. Risposta: come si è detto nella Seconda Parte, l'ira è un effetto della tristezza. Infatti la tri­ stezza suscitata in una persona accende nella sua sensibilità il desiderio di respingere il male subìto da essa stessa o da altri. L' ira è così una passione composta di tristezza e di desiderio di vendetta. Ora, abbiamo detto che in Cristo ci poteva essere la tristezza. Quanto poi al desiderio di vendetta, esso qualche volta è peccaminoso: quando cioè la vendetta è cercata contro l'ordine della ragione. E in questo senso l'ira non poteva trovarsi in Cri­ sto: si tratta infatti del vizio dell' ira. Altre volte invece tale desiderio di vendetta non è peccaminoso, ma anzi è lodevole: p. es. quan­ do si cerca la vendetta secondo giustizia. E questa è «l'ira per zelo», di cui Agostino scri­ ve che «è divorato dallo zelo della casa di Dio chi brama di correggere i mali che vede, e se non lo può fare, li tollera gemendo». E tale ira ci fu in Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . Come dice Gre­ gorio Magno, l'ira si comporta nell'uomo in due modi. A volte previene la ragione e la trascina ad agire. E allora si dice che è pro­ priamente l'ira che «opera», poiché l'opera­ zione è attribuita all'agente principale. E in questo senso è vero che «l'ira dell'uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio». A volte invece l'ira segue la ragione e le serve

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

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Quandoque vero ira sequitur ratio­ nem, et est quasi instrumentum ipsius. Et tunc operatio, quae est iustitiae, non attribuitur irae, sed rationi. Ad secundum dicendum quod ira quae trans­ greditur ordinem rationis mansuetudini oppo­ nitur, non autem ira quae est moderata, ad medium reducta per rationem. Nam mansue­ tudo medium tenet in ira. Ad tertium dicendum quod in nobis, secundum naturalem ordinem, potentiae animae mutuo se impediunt, ita scilicet quod, cum unius poten­ tiae operatio fuerit intensa, alterius operatio debilitetur. Et ex hoc procedit quod motus irae etiam si sit secundum rationem moderatus, utcumque impedit oculum animae contem­ plantis. Sed i n Christo, per moderationem divinae virtutis, unicuique potentiae permitte­ batur agere quod erat ei proprium, ita quod una potentia ex alia non impediebatur. Et ideo, sicut delectatio mentis contemplantis non impediebat tristitiam vel dolorem inferioris partis, ita etiam e converso passiones inferioris partis in nullo impediebant actum rationis.

da strumento. E allora l ' operazione che è secondo giustizia non è attribuita all'ira, ma alla ragione. 2. L' ira che viola l'ordine razionale si oppone alla mansuetudine; non invece l' ira che è mo­ derata dalla ragione e contenuta nel giusto mezzo. Infatti è la mansuetudine che segna il giusto mezzo dell' ira. 3. In noi secondo l'ordine di natura le potenze dell'anima si ostacolano a vicenda, nel senso che quanto più intensamente agisce l ' una, tanto più si affievolisce l'operazione dell'altra. E da ciò deriva che il moto dell 'ira, per quanto moderato dalla ragione, impedisce sempre un poco la contemplazione dell' anima. Ma in Cristo, sotto la direzione della divinità, «ogni potenza aveva la libertà di agire secondo la sua natura» senza che l ' una impedisse l ' altra. Perciò come in lui il gaudio della contempla­ zione della mente non impediva nella parte inferiore la tristezza e il dolore, così al contra­ rio le passioni della parte inferiore non impe­ divano in nulla l'attività razionale.

Articulus l O Utrum Christus fuerit simul viator et comprehensor

Articolo 1 0 Cristo era insieme viatore e comprensore?

Ad decimum sic proceditur. Videtur quod Chri­ stus non fuerit simul viator et comprehensor. l . Viatori enim competit moveri ad finem beatitudinis, comprehensori autem competit in fine quiescere. Sed non potest simul eidem convenire quod moveatur ad finem, et quod quiescat in fine. Ergo non potuit simul esse quod Christus esset viator et comprehensor. 2. Praeterea, moveri ad beatitudinem, aut eam obtinere, non competit homini secundum cor­ pus, sed secundum animam. Unde Augusti­ nus dicit, in Epistola ad Dioscorum [ 1 1 8,3], quod ad inferiorem naturam, quae est corpus,

Sembra di no. Infatti: l . Chi cammina verso la felicità finale è via­ tore; chi invece si riposa nel fine raggiunto è comprensore. Ma non è possibile che uno cammini verso la meta e insieme l'abbia già raggiunta. Cristo dunque non poteva essere insieme viatore e comprensore. 2. Tendere alla beatitudine o raggiungerla non è compito del corpo, ma dell'anima. Per cui Agostino scrive che «alla parte inferiore, os­ sia al corpo, non ridonda dall'anima la beati­ tudine stessa dell' anima capace di godere e di intendere». Ma Cristo, sebbene avesse un cor­ po passibile, con l'anima tuttavia godeva pie­ namente di Dio. Quindi Cristo non era viato­ re, ma soltanto comprensore. 3. I santi che sono con l'anima in cielo e con il corpo nel sepolcro godono nell'anima della beatitudine, sebbene i loro corpi soggiacciano alla morte, e tuttavia non sono detti viatori, ma solo comprensori . Quindi per lo stesso motivo, sebbene il corpo di Cristo fosse mor­ tale, dato però che la sua anima godeva di Dio

operatur.

redundat ab anima non beatitudo, quae pro­ pria est fruentis et intelligentis. Sed Christus, licet haberet corpus passibile, tamen secun­ dum mentem piene Deo fruebatur. Non ergo Christus fuit viator, sed purus comprehensor. 3 . Praeterea, sancti, quorum animae sunt in caelo et corpora in sepulcris, fruuntur quidem beatitudine secundum animam, quamvis eorum corpora morti subiaceant, et tamen non dicuntur viatores, sed salurn comprehensores. Ergo, pari

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I difetti dell 'anima assunti da Cristo

ratione, licet corpus Christi fuerit mortale, quia tamen mens eius Deo fruebatur, videtur quod fuerit pumr.; comprehensor, et nullo modo viator. Sed contra est quod dicitur Ier. 14 [8], quasi

colonus futurus es in terra, et quasi viator de­ clinans ad manendum. Respondeo dicendum quod aliquis dicitur viator ex eo quod tendit in beatitudinem, com­ prehensor autem dicitur ex hoc quod iam bea­ titudinem obtinet, secundum illud l Cor. 9 [24], sic currite ut comprehendatis; et Phil. 3 [12], sequor autem, si quo modo comprehen­ dam. Hominis autem beatitudo petfecta con­ sistit in anima et corpore, ut in secunda parte [I-II q. 4 a. 6] habitum est, in anima quidem, quantum ad id quod est ei p roprium, secundum quod mens videt et fruitur Deo; in corpore vero, secundum quod corpus resurget

spirituale, et in virtute et in gloria et in incor­ ruptione, ut dicitur l Cor. 15 [42 sqq.]. Chri­ stus autem, ante passionem, secundum men­ tem piene videbat Deum, et sic habebat beati­ tudinem quantum ad id quod est proprium animae. Sed quantum ad alia deerat ei beati­ tudo, quia et anima eius erat passibilis, et corpus passibile et mortale, ut ex supra dictis [a. 4; q. 14 aa. 1-2] patet. Et ideo simul erat comprehensor, inquantum habebat beatitu­ dinem animae propriam, et simul viator, inquantum tendebat in beatitudinem secun­ dum id quod ei de beatitudine deerat. Ad primum ergo dicendum quod impossibile est moveri ad finem et quiescere in fine se­ cundum idem. Sed secundum diversa nihil prohibet hoc, sicut aliquis homo simul est sciens quantum ad ea quae iam novit, et ad­ discens quantum ad ea quae nondum novit. Ad secundum dicendum quod beatitudo prin­ cipaliter et proprie consistit in anima se­ cundum mentem, secundario tamen, et quasi instrumentaliter, requiruntur ad beatitudinem corporis bona; sicut philosophus dicit, in l Ethic. [8, 15], quod exteriora bona organice deserviunt beatitudini. Ad tertium dicendum quod non est eadem ratio de animabus sanctorum defunctorum et de Christo, propter duo. Primo quidem, quia ani­ mae sanctorum non sunt passibiles, sicut fuit anima Christi. Secundo, quia corpora non agunt aliquid per quod in beatitudinem tendant, sicut Christus, secundum corporis passiones, in beati­ tudinem tendebat quantum ad gloriam corporis.

Q. 1 5, A.

IO

sembra che egli fosse semplicemente com­ prensore, e per nulla viatore. In contrario: in Ger 14 [8] è detto: Tu sarai

come uno straniero nel paese e come un viandante [viator] che cerca Wl giaciglio. Risposta: si dice viatore chi tende alla beatitu­ dine e comprensore chi l'ha già raggiunta, secondo le parole di l Cor 9 [24] : Correte in modo da conquistare il premio; e di Fil 3 [ 1 2] : Mi sforzo di correre per conquistarlo. Ma la beatitudine perfetta dell'uomo si ri­ ferisce all'anima e al corpo, come si è visto nella Seconda Parte: all'anima per quello che le è proprio, e che consiste nel vedere Dio e nel godere di lui, al corpo invece in quanto esso risorgerà spirituale, pieno di forza, glorioso e incorruttibile (l Cor 15,42). Ora, Cristo, prima della morte, con la sua intelli­ genza vedeva Dio petfettamente, e così aveva la beatitudine propria dell'anima. Ma quanto al resto la beatitudine gli mancava, poiché la sua anima era passibile e il corpo passibile e mortale, come risulta dalle cose già dette. Quindi era comprensore quanto al possesso della beatitudine propria dell'anima, e insie­ me viatore in quanto tendeva alla beatitudine per ciò che di essa gli mancava. , Soluzione delle difficoltà: l . E impossibile camminare verso una meta e averla già rag­ giunta sotto il medesimo aspetto. Ma non è impossibile sotto aspetti diversi: come uno può essere maestro quanto alle cose che già conosce, e discepolo quanto a quelle che non conosce ancora. 2. La beatitudine principalmente e propria­ mente riguarda la parte spirituale dell'anima, ma secondariamente e quasi strumentalmente richiede i beni del corpo, che secondo il Filosofo concorrono alla beatitudine appunto «come strumenti». 3. Due sono i motivi per cui non c'è parità fra Cristo e le anime sante dei defunti. Primo, perché le anime sante non sono passibili co­ me lo era l'anima di Cristo. Secondo, perché i corpi dei defunti non fanno nulla per tendere alla beatitudine, mentre Cristo con le soffe­ renze fisiche tendeva alla beatitudine rispetto alla gloria del suo corpo.

Q. l6, A. l

Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

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QUAESTIO 1 6 DE HIS QUAE CONVENIUNT CHRISTO SECUNDUM ESSE ET FIERI

QUESTIONE 1 6 CIÒ CHE È ATTRffiUIBILE A CRISTO SECONDO L'ESSERE E IL DIVENIRE

Deinde considerandum est de his quae con­ sequuntur unionem. Et primo, quantum ad ea quae conveniunt Christo secundum se; secun­ do, de his quae conveniunt Christo per compa­ rationem ad Deum Patrem [q. 20]; tertio, de his quae conveniunt Christo quantum ad nos [q. 25]. - Circa primum duplex consideratio occurrit, primo quidem, de his quae conve­ niunt Christo secundum esse et fieri; secundo, de his quae conveniunt Christo secundum rationem unitatis [q. 1 7] . - Circa primum quaeruntur duodecim. Primo, utrum haec sit vera, Deus est homo. Secundo, utrum haec sit vera, homo est Deus. Tertio, utmm Chtistus possit dici homo dominicus. Quarto, utrum ea quae conveniunt Filio hominis, possint praedi­ cari de Filio Dei, et e converso. Quinto, utrum ea quae conveniunt Filio hominis, possint praedicari de divina natura; et de humana ea quae conveniunt Filio Dei. Sexto, utrum haec sit vera, Filius Dei factus est homo. Septimo, utmm haec sit vera, homo factus est Deus. Octavo, utrum haec sit vera, Christus est crea­ tura. Nono, utmm haec sit vera, iste homo, demonstrato Christo, incoepit esse, vel, fuerit semper. Decimo, utrum haec sit vera, Chri­ stus, secundum quod homo, est creatura. Undecimo, utrum haec sit vera, Christus, se­ cundum quod homo, est Deus. Duodecimo, utrum haec sit vera, Christus, secundum quod homo, est hypostasis ve! persona.

Passiamo ora a considerare le conseguenze logiche dell'unione ipostatica. Primo, rispetto a Cristo in se stesso; secondo, rispetto alle sue relazioni con Dio Padre; terzo, rispetto alle sue relazioni con noi. - Rispetto a Ctisto in se stesso esamineremo due cose: primo, ciò che gli è attribuibile secondo l'essere e il divenire; secondo, ciò che gli è attribuibile sotto l'aspet­ to dell'unità. - Sul primo di ,questi argomenti si pongono dodici quesiti: ! . E vera la proposi­ zione: «Dio è uomo»? 2. E vero che «Un uo­ mo è Dio»? 3. Cristo può essere detto «uomo del Signore»? 4. Le proprietà del Figlio del­ l'Uomo possono essere attribuite al Figlio di Dio, e viceversa? 5. Le proprietà del Figlio dell'Uomo sono attribuibili alla natura divina, e quelle del Figlio di Dio alla natura umana? 6. E vera la propo�izione: «ll Figlio di Dio si è fatto uomo»? 7. E vera la proposizione: «Un uomo è divenuto Dio»? 8. E vera la proposi­ zione: «Cristo è una creatura>>? 9. Si può af­ fermare di Cristo che «quest'uomo ha comin­ ciatq a essere», oppure che «è sempre stato»? l O. E vera la proposizione: «C�sto, in quanto uomo, è una creatura»? 1 1 . E vera la pro­ posi�ione: «Cristo, in quanto uomo, è Dio»? 1 2. E vera la proposizione: «Cristo, in quanto uomo, è un'ipostasi o persona»?

Articolo l

Articulus l Utrum haec sit vera: Deus est homo

È vera la proposizione: Dio è uomo?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod haec sit falsa, Deus est homo. 1 . Omnis enim propositio affirmativa in mate­ ria aliqua remota est falsa. Sed haec propo­ sitio, Deus est homo, est in materia remota, quia formae significatae per subiectum et praedicatum sunt maxime distantes. Cum er­ go praedicta propositio sit affirmativa, videtur quod sit falsa. 2. Praeterea, magis conveniunt tres personae ad invicem quam humana natura et divina. Sed in mysterio Trinitatis una persona non

Sembra di no. Infatti: l . È falsa ogni proposizione affermativa in materia remota. Ma questa proposizione: Dio è uomo è in materia remota, poiché le forme significate dal soggetto e dal predicato sono infinitamente distanti. Dunque la proposizio­ ne, essendo affermativa, sembra falsa. 2. Sono più vicine le tre persone fra di loro che la natura umana alla natura divina. Ma nel mistero della Trinità una persona non si dice dell'altra: non diciamo infatti che il Pa­ dre è i l Figlio, o viceversa. Quindi sembra che

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

praedicatur de alia, non enim dicimus quod Pater est Filius, vel e converso. Ergo videtur quod nec humana natura possit praedicari de Deo, ut dicatur quod Deus est homo. 3 . Praeterea, Athanasius dicit [cf. Symb. Quicumque] quod, sicut anima et caro unus est homo, ita Deus et homo unus est Christus. Sed haec est falsa, anima est corpus. Ergo et haec est falsa, Deus est homo. 4. Praeterea, sicut in prima parte [q. 39 a. 4] ha­ bitum est, quod praedicatur de Deo non rela­ tive sed absolute, convenit toti Trinitati et sin­ gulis personis. Sed hoc nomen homo non est relativum, sed absolutum. Si ergo vere prae­ dicatur de Deo, sequitur quod tota Trinitas et quaelibet persona sit homo. Quod patet esse falsum. Sed contra est quod dicitur Phil. 2 [6-7], qui, cum in fonna Dei esset, exinanivit semetipsum, fonnam se1vi accipiens, in similitudinem homi­ numfactus et habitu inventus ut homo. Et sic il­ le qui est in forma Dei, est homo. Sed ille qui est in forma Dei, est Deus. Ergo Deus est homo. Respondeo dicendum quod ista propositio, Deus est homo, ab omnibus Christianis con­ ceditur, non tamen ab omnibus secundum eandem rationem. Quidam enim hanc propo­ sitionem concedunt non secundum propriam acceptionem homm terrninomm. Nam Mani­ chaei [cf. Conf. 5, 10; De Haeres. 46; De art. fidei] Verbum Dei dicunt esse horninem, non quidem verum, sed similitudinarium, in­ quantum dicunt Filium Dei corpus phantasti­ cum assumpsisse, ut sic dicatur Deus esse ho­ mo sicut cuprum figuratum dicitur homo, quia habet similitudinem hominis. Similiter etiam ilii [cf. supra, q. 2 a. 6] qui posuemnt quod in Christo anima et corpus non fuemnt unita, non posuerunt quod Deus sit verus ho­ mo, sed quod dicatur homo figurative, ratione partium. Sed utraque harum opinionum supra [q. 2 a. 6; q. 5 aa. 1 -2] improbata est. - Alii vero e converso ponunt veritatem ex parte ho­ minis, sed negant veritatem ex parte Dei. Dicunt enim Christum, qui est Deus homo, esse Deum, non naturaliter, sed participative, scilicet per gratiam, sicut et omnes sancti viri dicuntur dii, excellentius tamen Christus prae aliis, propter gratiam abundantiorem. Et secundum hoc, cum dicitur, Deus est homo, ly Deus non supponit verum et naturalem Deum. Et haec est haeresis Photini, quae

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neanche la natura umana possa essere predi­ cata di Dio, dicendo che Dio è uomo. 3. Atanasio dice che «come l'anima e il corpo costituiscono un unico uomo, così Dio e l'uo­ mo costituiscono un solo Cristo». Ma è falsa la proposizione: l'anima è il corpo. Quindi è falsa anche questa: Dio è uomo. 4. Come si è visto nella Prima Parte, ciò che si dice di Dio in senso non relativo, ma asso­ luto, spetta a tutta la Trinità e a ciascuna per­ sona. Ma il nome uomo non è relativo, bensì assoluto. Se dunque lo si predica di Dio in senso vero, ne segue che tutta la Trinità e cia­ scuna persona è uomo. Il che è manifesta­ mente falso. In contrario: in Fil 2 [6] è detto: Pur essendo [Cristo] in forma di Dio, spogliò se stesso assumendo la condizione di servo; e divenuto simile agli uomini apparve in fonna umana. E così si dice che colui che è in forma di Dio è uomo. Ma colui che è in forma di Dio è Dio. Quindi Dio è uomo. Risposta: la proposizione: Dio è uomo è am­ messa da tutti i Cristiani, ma non con Io stes­ so significato. Alcuni infatti non prendono i tennini di questa proposizione in senso pro­ prio. I Manichei infatti dicono che il Verbo di Dio non è un uomo vero, ma metaforico, avendo il Figlio di Dio assunto un corpo im­ maginario: Dio cioè sarebbe uomo come lo sarebbe una statua di bronzo di forma umana. Parimenti anche quanti negarono in Cristo l'unione tra l'anima e il corpo negarono che Dio sia un vero uomo, essendo egli uomo in senso figurato, a motivo delle parti [anima e corpo] assunte. Ma ambedue queste opinioni sono state confutate sopra. - Altri al contrario ammettono la verità dalla parte dell'uomo, ma la negano dalla parte di Dio. Dicono infatti che Cristo, uomo-Dio, non è Dio per natura, ma per partecipazione, cioè per grazia, come anche i santi sono detti dèi [Sal 8 1 ,6; Gv 1 0,34], sebbene Cristo Io sia in un modo più eccellente degli altri, per la maggiore abbondanza della grazia. Secondo questa opi­ nione dunque, quando diciamo che Dio è uomo, la parola Dio non sta per il Dio vero e reale. E questa è l'eresia di Foti no, che abbia­ mo già confutata. - Altri poi danno un senso proprio tanto al soggetto quanto al predicato della nostra proposizione, riconoscendo che Cristo è vero Dio ed è vero uomo, ma non

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

sopra [q. 2 a. 1 1 ; cf. a. 1 0] improbata est. ­ Alii vero concedunt hanc propositionem cum veritate utriusque termini, ponentes Christum et verum Deum esse et verum hominem, sed tamen veritatem praedicationis non salvant. Dicunt enim quod homo praedicatur de Deo per quandam coniunctionem, vel dignitatis, vel auctoritatis, vel etiam affectionis aut inha­ bitationis. Et sic posuit Nestorius [cf. supra q. 2 a. 6] Deum esse hominem, ut per hoc nihil aliud signiticetur quam quod Deus est homini coniunctus tali coniunctione quod ho­ mo inhabitetur a Deo, et uniatur ei secundum affectum, et secundum participationem aucto­ ritatis et honoris divini. Et in similem errorem incidunt qui [Archiepiscopi Senonensis; cf. supra q. 2 a. 6] ponunt duas hypostases vel duo supposita in Christo. Quia non est possi­ bile intelligi quod duorum quae sunt secun­ dum suppositum vel hypostasim distincta, unum proprie praedicetur de alio, sed solum secundum quandam figurativam locutionem, inquantum in aliquo coniunguntur; puta si dicamus Petrum esse Ioannem, quia habent aliquam coniunctionem ad invicem. Et hae etiam opiniones supra [q. 2 aa. 3.6] reproba­ tae sunt. - Unde, supponendo, secundum veritatem Catholicae fidei, quod vera natura divina unita est cum vera natura humana, non solum in persona, sed etiam in supposito vel hypostasi, dicimus esse veram hanc proposi­ tionem et propriam, Deus est homo, non solum propter veritatem terminorum, quia scilicet Christus est verus Deus et verus ho­ mo; sed etiam propter veritatem praedicatio­ nis. Nomen enim significans naturam com­ munem in concreto potest supponere pro quolibet contentorum in natura communi, sicut hoc nomen homo potest supponere pro quolibet homine singolari. Et ita hoc nomen Deus, ex ipso modo suae significationis, potest supponere pro persona Filii Dei, ut in prima parte [q. 39 a. 4] habitum est. De quolibet autem supposito alicuius naturae po­ test vere et proprie praedicari nomen si­ gnificans illam naturam in concreto, sicut de Socrate et Platone proprie et vere praedicatur homo. Quia ergo persona Filii Dei, pro qua supponit hoc nomen Deus, est suppositum natu­ rae humanae, vere et proprie hoc nomen homo potest praedicari de hoc nomine Deus, se­ cundum quod supponit pro persona Filii Dei.

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salvano la verità della proposizione. Dicono infatti che l 'uomo può predicarsi di Dio in quanto può essere unito a lui in forza della dignità, dell' autorità, dell'amore o dell'ina­ bitazione di cui fruisce. E questo sarebbe il senso della proposizione: Dio è uomo secon­ do Nestorio; significherebbe cioè soltanto che Dio si è unito all'uomo in modo da abitare in lui, e che gli si unisce nell'amore, e che gli pattecipa la sua autorità e dignità divina. E in tale errore cadono coloro che ammettono in Cristo due ipostasi o due suppositi. Poiché non è possibile che di due entità distinte tra loro per supposito o ipostasi l'una sia detta dell'altra in senso proprio, ma [ciò può avve­ nire] solo in senso figurato per qualche loro rapporto: come quando si dice che Pietro è Giovanni perché [i due] hanno qualcosa in comune. E anche queste opinioni le abbiamo già confutate. - Accettando quindi, secondo la verità della fede cattolica, che la vera na­ tura divina si è unita a una vera natura umana, non solo nella persona ma anche nel sup­ posito o ipostasi, diciamo che questa pro­ posizione: Dio è uomo è vera e non metafo­ rica; e non solo per la verità dei suoi termini, perché cioè Cristo è vero Dio e vero uomo, ma anche per la verità della predicazione. In­ fatti un nome indicante al concreto una natura comune può stare per qualunque supposito appartenente a quella natura: come uomo può dirsi di qualunque individuo umano. E anche il nome Dio, stando al suo significato, può stare per la persona del Figlio di Dio, come si è visto nella Prima Parte. Reciprocamente poi, a qualsiasi supposito di una natura si può dare in senso vero e proprio il nome che in­ dica al concreto quella natura: come a Socrate e a Platone si può dare il nome di uomo in senso vero e proprio. Poiché dunque la perso­ na del Figlio di Dio, indicata con il nome Dio, è un supposito della natura umana, il nome uomo può essere attribuito in senso vero e proprio al nome Dio, in quanto significante la persona del Figlio di Dio. Soluzione delle difficoltà: l . Si dice che una proposizione è in materia remota quando il suo soggetto e il suo predicato significano due forme diverse che non possono trovarsi in un solo e medesimo supposito. Ma quando due forme possono appartenere al medesimo sup­ posito, allora non siamo in materia remota,

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

Ad primum ergo dicendum quod, quando for­ mae diversae non possunt convenire in unum suppositum, tunc oportet quod propositio sit in materia remota cuius subiectum significat unam illarum formarum, et praedicatum aliam. Sed quando duae formae possunt con­ venire in unum suppositum, non est materia remota, sed naturalis vel contingens, sicut cum dico, album est musicum. Natura autem divina et humana, quamvis sint maxime distantes, tamen conveniunt per incamationis mysterium in uno supposito, cui neutra illarum inest per accidens, sed secundum se. Et ideo haec propositio, Deus est homo, non est neque in materia remota neque in materia contingenti, sed in materia naturali. Et praedicatur homo de Deo, non per accidens, sed per se, sicut de sua hypostasi, non quidem ratione formae signifi­ catae per hoc nomen Deus; sed ratione suppo­ siti, quod est hypostasis humanae naturae. Ad secundum dicendum quod tres personae divinae conveniunt in natura, distinguuntur tamen in supposito, et ideo non praedicantur de invicem. In mysterio autem incamationis naturae quidem, quia distinctae sunt, de invi­ cem non praedicantur secundum quod signifi­ cantur in abstracto, non enim natura divina est humana, sed quia conveniunt in supposito, praedicantur de invicem in concreto. Ad tettium dicendum quod anima et caro si­ gnificantur ut in abstracto, sicut divinitas et humanitas. In concreto vero dicuntur anima­ tum et cameum, sive corporeum, sicut ex alia parte Deus et homo. Unde utrobique abstrac­ tum non praedicatur de abstracto, sed solum concretum de concreto. Ad quartum dicendum quod hoc nomen homo praedicatur de Deo ratione unionis in persona, quae quidem unio relationem importat Et ideo non sequitur regulam eorum nominum quae absolute praedicantur de Deo ab aeterno.

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ma in materia naturale o contingente, come quando dico: ciò che è bianco è musica. Ora, la natura divina e la natura umana, per quanto siano lontanissime fra loro, tuttavia nel miste­ ro dell'incarnazione sussistono in un mede­ simo supposito, e ambedue appartengono a quest'ultimo sostanzialmente e non acciden­ talmente. Così dunque questa proposizione: Dio è uomo non è né in materia remota né in materia contingente, ma in matetia naturale. E il predicato uomo è dato a Dio non acciden­ talmente, ma sostanzialmente: non certo per la forma indicata dal nome Dio, bensì per il supposito divino, che è l'ipostasi di una natu­ ra umana. 2. Le tre persone divine hanno una medesima natura, ma suppositi distinti: perciò l'una non può essere predicata dell' altra. Invece nel mistero dell'incarnazione le nature, essendo distinte tra loro, non sono certamente predica­ te l'una dell'altra in astratto, dato che la natu­ ra divina non è umana, ma sono predicate l'una dell'altra in concreto, avendo un mede­ simo supposito. 3. Anima e corpo hanno un significato astratto, come divinità e umanità. In concreto invece si dice animato e corporeo, come si dice Dio e uomo. Perciò in ambedue i casi l'astratto non può essere predicato dell' astratto, mentre il concreto può essere predicato del concreto. 4. li termine uomo è dato a Dio per l'unione ipostatica, che implica una relazione. Perciò non segue la regola degli attributi divini asso­ luti, che competono a Dio dall'eternità.

Articulus 2 Utrum haec sit vera: homo est Deus

È vera la proposizione: un uomo è Dio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod haec sit falsa, homo est Deus. l . Deus enim est nomen incommunicabile. Sed Sap. 14 [2 1 ] reprehenduntur idololatrae de hoc quod istud nomen Deus, quod est in­ communicabile, lignis et lapidibus imposue­ runt. Ergo pari ratione, videtur esse inconve-

Sembra di no. Infatti: l . Il nome Dio è incomunicabile. Ora, i n Sap 14 [2 1 ] gli idolatri sono ripresi perché imposero a pietre e a legni il nome incomuni­ cabile di Dio. Quindi è pure sconveniente che il nome di Dio sia dato a un uomo. 2. Ciò che è vero del predicato, è vero del

Articolo 2

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

niens quod hoc nomen Deus praedicetur de homine. 2. Praeterea, quidquid praedicatur de praedi­ cato, praedicatur de subiecto. Sed haec est ve­ ra, Deus est Pater, vel, Deus est Trinitas. Si ergo haec sit vera, homo est Deus; videtur etiam quod haec sit vera, homo est Pater, vel, homo est Trinitas. Quas quidem patet esse falsas. Ergo et primam. 3. Praeterea, in Psalmo [80, l O] dicitur, non erit in te Deus recens. Sed homo est quiddam recens, non enim Chtistus semper fuit homo. Ergo haec est falsa, homo est Deus. Sed contra est quod dicitur Rom. 9 [5], ex quibus est Christus secundum camem, qui est super omnia Deus benedictus in saecula. Sed Christus secundum carnem est homo. Ergo haec est vera, homo est Deus. Respondeo dicendum quod, supposita veritate utriusque naturae, divinae scilicet et humanae, et unione in persona et hypostasi, haec est vera et propria, homo est Deus, sicut et ista, Deus est homo. Hoc enim nomen homo potest supponere pro qualibet hypostasi humanae naturae, et ita potest supponere pro persona Filii, quam dicimus esse hypostasim humanae naturae. Manifestum est autem quod de perso­ na Filii Dei vere et proprie praedicatur hoc nomen Deus, ut in prima parte [q. 39 a. 4] habitum est. Unde relinquitur quod haec sit vera et propria, homo est Deus. Ad primum ergo dicendum quod idololatrae attribuebant nomen deitatis lapidibus et lignis secundum quod in sua natura considerantur, quia putabant in illis aliquid numinis esse. Nos autem non attribuimus nomen deitatis homini secundum humanam naturam, sed secundum suppositum aetemum, quod est etiam per unionem suppositum humanae na­ turae, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod hoc nomen Pater praedicatur de hoc nomine Deus secun­ dum quod hoc nomen Deus supponit pro per­ sona Patris. Sic autem non praedicatur de per­ sona Filii, quia persona Filii non est persona Patris. Et per consequens non oportet quod hoc nomen Pater praedicetur de hoc nomine homo, de quo praedicatur hoc nomen Deus, inquan­ tum scilicet homo supponit pro persona Filii. Ad tertium dicendum quod, licet humana natu­ ra in Christo sit quiddam recens, tamen sup­ positum humanae naturae non est recens, sed

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soggetto. Ma è vera la proposizione: Dio è il Padre, o: Dio è la Trinità. Se dunque è vera la proposizione: un uomo è Dio, deve essere vera anche la proposizione: un uomo è il Padre, o: un uomo è la Trinità, che sono inve­ ce palesemente false. Perciò è falsa anche la prima proposizione. 3. Nel Sal 80 [ l O] è detto: Non ci sia in mezzo a voi alcun Dio recente. Ma in Cristo l'uomo è qualcosa di recente, non essendo egli stato uomo da sempre. Quindi è falsa la proposi­ zione: un uomo è Dio. In contrario: in Rm 9 [5] è detto che dagli Israeliti proviene Cristo secondo la came, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei se­ coli. Ma Cristo secondo la carne è un uomo. Quindi è vero che un uomo è Dio. Risposta: una volta accettata la verità di en­ trambe le nature, divina e umana, e dell'unio­ ne ipostatica, la proposizione: un uomo è Dio è vera e propria come l ' altra: Dio è uomo. Infatti il termine uomo può stare per qualsiasi ipostasi della natura umana, e quindi può sta­ re per la persona del Figlio di Dio, che è l'ipostasi della natura umana assunta. Ora, la persona del Figlio di Dio è detta Dio in senso vero e proprio, come si è visto nella Prima Parte. Quindi è vera ed esatta la proposizione: un uomo è Dio. Soluzione delle difficoltà: l . Gli idolatri attri­ buivano il nome di Dio alle pietre e al legno considerando queste cose nella loro materiali­ tà, poiché credevano che avessero qualcosa di divino. Invece noi non diamo il nome di Dio a un uomo per la sua natura umana, ma per il supposito eterno, che mediante l'unione è an­ che il supposito della natura umana assunta, come si è detto. 2. n nome Padre è predicato del nome Dio in quanto quest'ultimo sta per la persona del Padre. Ma in questo senso non può essere predicato della persona del Figlio, non essen­ do questi la persona del Padre. Perciò non segue che Padre possa essere predicato del termine uomo, di cui si predica il nome Dio, giacché uomo sta per la persona del Figlio. 3. Sebbene in Cristo la natura umana sia qual­ cosa di recente, nondimeno il supposito di questa natura umana non è recente, ma eter­ no. E poiché i l nome Dio non è attribuito all'uomo a causa della natura umana, ma a causa del supposito, non ne segue che noi

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

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aetemum. Et quia hoc nomen Deus non praedi­ catur de homine ratione humanae naturae, sed ratione suppositi, non sequitur quod ponamus Deum recentem. Sequeretur autem si ponere­ mus quod homo supponit suppositum creatum, secundum quod oportet dicere eos [cf. supra q. 2 a 6] qui in Christo ponunt duo supposita.

un Dio recente. Lo ammetterem­ mo invece se uomo stesse qui per un supposi­ to creato, secondo I' opinione di quanti pongo­ no in Cristo due suppositi.

Articulus 3 Utrum Christus possit dici

Articolo 3 Cristo può essere detto

homo dominicus

uomo del Signore?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Chri­ stus possit dici homo dominicus. l . Dicit enim Augustinus, in libro Octoginta trium Q. [36], monendum est ut illa bona ex­ pectentur quaefuerunt in ilio homine dominico. Loquitur autem de Christo. Ergo videtur quod Christus sit homo dominicus. 2. Praeterea, sicut dominium convenit Christo ratione divinae naturae, ita etiam humanitas pertinet ad humanam naturam. Sed Deus dicitur humanatus, ut patet per Damascenum, in 3 libro [De fide 1 1], ubi dicit quod huma­ natio eam quae ad hominem copulationem demonstrat. Ergo pari ratione, potest demon­ strative dici quod homo ille sit dominicus. 3. Praeterea, sicut dominicus denominative dicitur a Domino, ita divinus dicitur denomi­ native a Deo. Sed Dionysius [DEH 4,3 , 1 0] Christum nominat divinissimum Iesum. Ergo, pari ratione, potest dici quod Christus sit homo dominicus. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro Retract. [ 1 , 1 9] , non video utrum recte dicatur homo dominicus Iesus Christus, cum sit utique Dominus. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a 2] dictum est, cum dicitur homo Christus Iesus, designatur suppositum aeternum, quod est persona Filii Dei, propter hoc quod unum suppositum est utriusque naturae. De persona autem Filii Dei praedicatur Deus et Dominus essentialiter. Et ideo non debet praedicari deno­ minative; quia hoc derogat veritati unionis. Unde, cum dominicus dicatur denominative a Domino, non potest vere et proprie dici quod homo ille sit dominicus, sed magis quod sit Do­ minus. - Si autem per hoc quod dicitur homo Christus Iesus, designaretur suppositum ali­ quod creatum, secundum illos [cf. supra q. 2 a. 6] qui ponunt i n Christo duo supposita,

Sembra di sì. Infatti: l. Scrive Agostino: «Bisogna raccomandare la speranza dei beni che erano in quell'uomo del Signore». E parla di Cristo. Quindi sem­ bra che Cristo sia l'uomo del Signore. 2. Come a Cristo la natura divina dà di essere Signore, così la natura umana dà di essere uomo. Ma si dice che Dio è umanato, come risulta dal Damasceno, per il quale «l'umana­ zione dimostra l'unione con l'uomo». Quindi si può dire ugualmente che quell'uomo è l'uomo del Signore. 3. L'aggettivo dominicus viene da Dominus [Signore] , come divino viene da Dio. Ma Dionigi chiama Cristo «divinissimo Gesù». Quindi si può anche dire che Cristo è homo dominicus, cioè l'uomo del Signore. In conuario: Agostino conegge se stesso scri­ vendo: «Non mi sembra che Gesù Cristo pos­ sa dirsi esattamente uomo dominicus, o del Signore, essendo egli il Signore». Risposta: come si è detto sopra, con l' espres­ sione: «l'uomo Cristo Gesù» indichiamo il supposito eterno che è la persona del Figlio di Dio, poiché c'è un solo supposito per ambe­ due le nature. Ma la persona del Figlio di Dio è detta Dio e Signore essenzialmente. Quindi non può essere denominata Dio in modo deri­ vato, poiché ciò sarebbe contrario alla realtà dell'unione ipostatica. Essendo dunque do­ minicus una denominazione derivata da Do­ minus, non si può dire in senso vero e proprio che quell'uomo sia del Signore [dominicus], ma si deve dire che è il Signore [Dominus]. ­ Al contrario, se con l'espressione «l'uomo Cristo Gesù» intendessimo un supposito crea­ to, alla maniera di coloro che pongono in Cri­ sto due suppositi, allora quell'uomo potrebbe essere detto del Signore, in quanto reso par­ tecipe degli onori divini, come sostenevano i

ammettiamo

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

posset dici homo ille dominicus, inquantum sumitur ad participationem honoris divini; sicut Nestoriani posucrunt [cf. Ncstorium, apud Cy­ rillum Alexandrinum, Dial. Cum Nestorio; Da­ mascenum, Dc fide 3,2]. - Et hoc etiam modo humana natura non dicitur essentialiter dea, sed deificata, non quidem per conversionem ipsius in divinam naturam, scd per coniunctionem ad divinam naturam in una hypostasi; ut patet per Damascenum, in 3 libro [De fide 1 1 . 1 7]. Ad primum ergo dicendum quod Augustinus illa verba, et similia, retractat in libro Retract. Unde post praedicta verba libri Retract. [ 1 , 19] subdit, hoc ubicumque dixi, scilicet quod Christus Iesus sit homo dominicus, dixisse me nollem. Postea quippe vidi non esse dicen­ dum, quamvis nonnulla ratione posset de­ fendi, quia scilicet posset aliquis dicere quod dicitur homo dominicus ratione humanae naturae, quam significat hoc nomen homo, non autem ratione suppositi. Ad secundum dicendum quod illud unum sup­ positum quod est divinae et humanae naturae, primo quidem fuit divinae naturae, scilicet ab aeterno, postea autem ex tcmpore per incama­ tionem factum est suppositum humanae natu­ rae. Et hac ratione dicitur humanatum, non quia assumpserit hominem; sed quia assumpsit humanam naturam. Non autem sic est e converso quod suppositum humanae naturae assumpserit divinam naturam. Unde non potest dici homo deificatus, vel dominicus. Ad tertium dicendum quod hoc nomen divinum consuevit praedicari etiam de his de quibus praedicatur essentialiter hoc nomen Deus, dicimus enim quod divina essentia est Deus, ratione identitatis; et quod essentia est Dei si­ ve divina, propter diversum modum signifi­ candi; et Verbum divinum, cum tamen Ver­ bum sit Deus. Et similiter dicimus personam divinam, sicut et personam Platonis, propter diversum modum significandi. Sed dominicus non dicitur de his de quibus dominus praedi­ catur, non enim consuevit dici quod aliquis homo qui est dominus, sit dominicus. Sed illud quod qualitercumque est domini, domi­ nicum dicitur, sicut dominica voluntas vel dominica manus, vel dominica possessio. Et ideo ipse homo Christus, qui est Dominus, non potest dici dominicus, sed potest caro eius dici dominica caro, et passio eius potest dici dominica passio.

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Nestoriani. - Per la medesima ragione la sua natura umana non è detta divina in senso asso­ luto, ma deificata: non certo nel senso che sia stata mutata nella natura divina, ma nel senso che fu unita alla natura divina in una me­ desima ipostasi, come spiega il Damasceno. Soluzione delle difficoltà: l . Agostino nelle sue Ritrattazioni ha corretto quella e altre si­ mili espressioni. Per cui aggiunge: «Dovun­ que io abbia detto questo», che cioè Gesù Cristo è l'uomo del Signore, «vorrei non aver­ lo detto. Poiché in seguito mi sono accorto che non lo si può dire, pur potendosi trovare qualche giustificazione», qualora cioè si dia al sostantivo uomo il significato di natura umana e non di supposito. 2. L'unico supposito che ha la natura divina e umana, prima, cioè dall'eternità, era un suppo­ sito di natura divina, e poi nel tempo, con l'in­ carnazione, è divenuto un supposito di natura umana. E in questo senso si dice umanato: non perché abbia assunto un uomo, ma perché ha assunto una natura umana. Però non è vero il contrario, cioè che un supposito di natura umana abbia assunto la natura divina. Perciò non può dirsi uomo deificato o dominicus. 3. L'aggettivo divino è usato anche in quei casi nei quali si predica essenzialmente il nome Dio: diciamo, p. es., che «l'essenza divina è Dio», per identità; e che «l'essenza è quella di Dio», cioè «divina», data la diversa maniera di significare; come pure diciamo «il Verbo di­ vino», sebbene il Verbo sia Dio. E ugualmente diciamo «la persona divina>>, come anche «la persona di Platone», per il modo diverso di significare. Invece l'aggettivo dominicus non è usato per quelle realtà a cui si addice il termi­ ne dominus: un uomo che è dominus non è infatti detto dominicus. Si dice invece domini­ cus ciò che è del signore in qualunque modo, come la volontà, la mano, il possesso. Perciò Cristo stesso, che è il Signore, non può essere detto dominicus, mentre può essere detta dominica [cioè del Signore] la sua carne e la sua passione.

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

Q. 1 6, A. 4

Articulus 4 Utrum quae sunt humanae naturae de Deo dici possint

Articolo 4 Le proprietà della natura umana sono attribuibili a Dio?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ea quae sunt humanae naturae, de Deo dici non possint. l . Impossibile est enim opposita de eodem praedicari. Sed ea quae sunt humanae naturae, sunt contratia his quae sunt propria Dei, Deus enim est increatus, immutabilis et aetemus; ad humanam autem naturam pertinet ut sit creata, temporalis et mutabilis. Non ergo ea quae sunt naturae humanae, possunt dici de Deo. 2. Praeterea, attribuere Deo ea quae ad defec­ tum pertinent, videtur derogare divino honori, et ad blasphemiam pertinere. Sed ea quae sunt humanae naturae, defectum quendam continent, sicut mori, pati, et alia huiusmodi. Ergo videtur quod nullo modo ea quae sunt humanae naturae, possint dici de Deo. 3. Praeterea, assumi convenit humanae natu­ rae. Non autem hoc convenit Deo. Non ergo ea quae sunt humanae naturae, de Deo dici possunt. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 li­ bro [De fide 4], quod Deus suscepit ea quae sunt carnis idiomata, idest proprietates, dum

Sembra di no. Infatti: l . È impossibile dare a un medesimo soggetto attributi opposti. Ma le proprietà della natura umana sono opposte alle proprietà di Dio: infatti Dio è increato, immutabile ed eterno, mentre è proprio della natura umana di essere creata, temporale e mutevole. Quindi le pro­ prietà della natura umana non possono essere attribuite a Dio. 2. Attribuire a Dio dei difetti è come mancargli di rispetto e bestemmiarlo. Ma le proprietà del­ la natura umana contengono dei difetti, come morire, patire e altre cose simili. Quindi sem­ bra che le proprietà della natura umana non possano in alcun modo essere attribuite a Dio. 3. La natura umana è assumibile, mentre Dio non lo è. Quindi non si può dire di Dio ciò che è vero della natura umana. In contrario: il Damasceno afferma che Dio «ha assunto le proprietà del corpo, potendosi dire che Dio è passibile, e che il Dio della gloria è stato crocifisso». Risposta: sull' argomento ci fu un contrasto fra i Nestoriani e i Cattolici. Infatti i Nestoriani volevano introdurre una separazione fra gli attributi di Cristo, in modo da non riferire a Dio gli attributi della natura umana e all'uomo quelli della natura divina. Per cui Nestorio di­ ceva: «Se qualcuno tenta di attribuire al Verbo di Dio le sofferenze, sia anatema». Attri­ buivano invece ciò che appartiene ad ambedue le nature a quei nomi che possono indicare l'una e l' altra: per esempio Cristo, o Signore. Quindi dicevano che Ctisto è nato dalla Ver­ gine e che è sempre stato, ma non ammet­ tevano che Dio fosse nato dalla Vergine, o che quell'uomo fosse sempre stato. - Al contrario i Cattolici sostenevano che tutti gli attributi di Cristo, dovuti a lui o per la natura divina o per la natura umana, possono essere predicati sia di Dio che dell'uomo. Per cui Cirillo afferma: «Se qualcuno divide tra due persone o sostan­ ze», cioè ipostasi, «le espressioni usate dai Vangeli e dagli scritti apostolici, o quelle ado­ perate dai santi per Cristo, o da Cristo stesso per sé, e crede di doverne applicare alcune al­ l ' uomo e alcune al Verbo soltanto, sia scomu­ nicato». E la ragione è che, essendo una sola

Deus passibilis nominatur, et Deus gloriae crucifixus est. Respondeo dicendum quod de hac quaestione diversitas fuit inter Nestorianos et Catholicos. Nestoriani enim voces quae dicuntur de Christo dividere volebant hoc modo, ut ea quae pertinent ad humanam naturam, non dicerentur de Deo; nec ea quae pertinent ad divinam naturam, dicerentur de homine. Unde Nestorius dixit [Anathematismi XII, interprete Mario Mercatore, anath. 1 2], si quis Dei Verbo passiones tentat tribuere, anathema sit. Si qua vero nomina sunt quae pertinere possunt ad utrarnque naturam, de talibus praedicabant ea quae sunt utriusque naturae, sicut hoc nomen Christus, vel Dominus. Unde concedebant Christum esse natum de Vrrgine, et fuisse ab aeterno, non tamen concedebant vel Deum natum de Virgine, vel hominem ab aeterno fuisse. - Catholici vero posuerunt huiusmodi quae dicuntur de Christo, sive secundum divinam naturam sive secundum humanam, dici posse tam de Deo quam de homine. Unde Cyrillus dixit [ep. 17 Ad Nestorium, anath. 4,

Q. l6, A. 4

Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

sive apud Synodum Ephesinam 1 ,26], si quis duabus personis seu substantiis, idest hypostasibus, eas quae in evangelicis et apostolicis sunt conscriptionibus dividit voces, vel ea quae de Christo a sanctis dicuntur, vel ab ipso Christo de semetipso; et aliquas quidem ex his homini applicandas crediderit, aliquas soli Verbo deputaverit, anathema sit. Et huius ratio est quia, cum sit eadem hyposta­ sis utriusque naturae, eadem hypostasis suppo­ nitur nomine utriusque naturae. Sive ergo di­ catur homo, sive Deus, supponitur hypostasis divinae et humanae naturae. Et ideo de homine dici possunt ca quae sunt divinae naturae, et de Deo possunt dici ea quae sunt humanae natu­ rae. - Sciendum tamen quod in propositione in qua aliquid de aliquo praedicatur, non solum attenditur quid sit illud de quo praedicatur praedicatum, sed etiam secundum quid de illo praedicetur. Quamvis igitur non distinguantur ea quae praedicantur de Christo, distinguuntur tamen quantum ad i d secundum quod utrumque praedicatur. Nam ea quae sunt di­ vinae naturae, praedicantur de Christo secun­ dum divinam naturam, ea autem quae sunt humanae naturae, praedicantur de eo se­ cundum humanam naturam. Unde Augustinus dicit, in l De Trin. [1 1 ], distinguamus quod in Scripturis sonat secundum formam Dei et quod secundum formam servi. Et infra [De Trin. 1 , 1 3], quid pmpter quid, et quid secun­ dum quid dicatur, prudens et diligens et pius lector intelligit. Ad primum ergo dicendum quod opposita praedicari de eodem secundum idem est im­ possibile, sed secundum diversa, nihil pro­ hibet. Et hoc modo opposita praedicantur de Christo, non secundum idem, sed secundum diversas naturas. Ad secundum dicendum quod, si ea quae ad defectum pertinent Deo attribuantur secun­ dum divinam naturam, esset blasphemia, qua­ si pertinens ad diminutionem honoris ipsius, non autem pertinet ad Dei iniuriam si at­ tribuantur ei secundum naturam assumptam. Unde in quodam sennone Ephesini Concilii [3, 1 0; Theodotus Ancyranus, h. 2 In Natalem Salv.] dicitur, nihil putat Deus iniuriam quod est occasio salutis hominibus, nihil enim abiectorum quae elegit pmpter nos, iniuriam facit illi naturae quae non potest esse subiec­ ta iniuriis, pmpria vem facit inferiora ut sal-

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l'ipostasi di ambedue le nature, è la medesi­ ma ipostasi che è indicata dai nomi di entram­ be. Sia dunque che si dica uomo o Dio, ci si riferisce sempre all'ipostasi della natura divi­ na e della natura umana. Perciò dell'uomo si possono dire le proprietà della natura divina, e di Dio quelle della natura umana. - Bisogna però avvertire che in una proposizione affer­ mativa non ha importanza solo l'attribuzione che è fatta al soggetto, ma anche il modo dell'attribuzione. Sebbene quindi fra le realtà attribuite a Cristo non si faccia alcuna distin­ zione, bisogna tuttavia distinguere il modo in cui esse gli sono attribuite. Infatti gli attributi divini gli spettano per la natura divina, mentre gli attributi umani gli spettano per la natura umana. Per cui Agostino afferma: «Distin­ guiamo nella Scrittura fra ciò che si riferisce alla fonna di Dio e ciò che si rifetisce alla for­ ma di servo». E aggiunge: «Perché e come ogni cosa sia detta, lo può capire il lettore prudente, diligente e pio». , Soluzione delle difficoltà: l . E impossibile dare a un medesimo soggetto attributi opposti sotto il medesimo aspetto, ma non sotto aspetti diversi. E così si predicano di Cristo cose opposte non dal medesimo punto di vi­ sta, ma secondo le diverse nature. 2. Attribuire a Dio dei difetti secondo la natura divina sarebbe una bestemmia, poiché si detrarrebbe qualcosa al suo onore; non si of­ fende invece Dio se tali difetti gli sono attri­ buiti secondo la natura assunta. Perciò in un discorso tenuto al Concilio di Efeso si legge: «Dio non reputa come un'offesa ciò che è oc­ casione di salvezza per gli uomini, poiché nes­ suna delle abiezioni che volle per noi offende quella natura che è inviolabile, e che ha fatto sua una natura inferiore per salvare la nostra. Se dunque le cose abiette e vili non ledono la natura di Dio, ma operano la salvezza degli uomini, come puoi dire oltraggiose per Dio le cose che causano la nostra salvezza?». 3. L'essere assunta non riguarda la natura umana nel suo supposito, ma in se stessa. Quindi ciò non può dirsi di Dio.

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

Q. 1 6, A. 4

vet naturam nostram. Quando ergo quae abiecta et vilia sunt Dei naturam non iniu­ riantur, sed salutem hominibus operantur, quomodo dicis ea quae causa nostrae salutis sunt, iniuriae occasionem Deofuisse? Ad tertium dicendum quod assumi convenit humanae naturae non ratione suppositi, sed ratione sui ipsius. Et ideo non convenit Deo. Articulus 5 Utrum ea quae sunt humanae naturae possint dici de natura divina

Articolo 5 Le proprietà della natura umana sono attribuibili alla natura divina?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ea quae sunt humanae naturae, possint dici de natura divina. l . Ea enim quae sunt humanae naturae, prae­ dicantur de Filio Dei, et de Deo. Sed Deus est sua natura . Ergo ea quae sunt n aturae humanae, possunt praedicari de divina natura. 2. Praeterea, caro pertinet ad naturam huma­ nam. Sed, sicut dicit Damascenus, in 3 libro [De fide 6], dicimus naturam Verbi incama­ tam esse, secundum beatos Athanasium et Cyrillwn. Ergo videtur quod, pari ratione, ea quae sunt humanae naturae, possint dici de divina natura. 3. Praeterea, ea quae sunt divinae naturae, con­ veniunt humanae naturae in Christo, sicut co­ gnoscere futura, et habere salutiferam virtutem. Ergo videtur quod, pari ratione ea, quae sunt humanae naturae, possint dici de divina natura. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 4], deitatem quidem dicentes, non nominamus de ea quae humanitatis idio­ mata, idest proprietates, non enim dicimus dei­ tatem passibilem vel creabilem. Deitas autem est divina natura. Ergo ea quae sunt humanae naturae, non possunt dici de divina natura Respondeo dicendum quod ea quae sunt pro­ prie unius, non possunt vere de aliquo praedi­ cari nisi de eo quod est idem illi, sicut risibile non convenit nisi ei quod est homo. In myste­ rio autem incamationis non est eadem divina natura et humana, sed est eadem hypostasis utriusque naturae. Et ideo ea quae sunt unius naturae, non possunt de alia praedicari, secun­ dum quod in abstracto significantur. Nomina vero concreta supponunt hypostasim naturae. Et ideo indifferenter praedicari possunt ea quae ad utramque naturam pertinent, de no­ minibus concretis sive, illud nomen de quo

Sembra di sì. Infatti: l . Le proprietà della natura umana sono attri­ buite al Figlio di Dio e a Dio. Ma Dio è la sua natura. Quindi le proprietà della natura umana sono attribuibili alla natura divina. 2. La carne appartiene alla natura umana. Ma il Damasceno si esprime così: «Diciamo che la natura del Verbo si è incarnata, secondo i santi Atanasio e Cirillo». Quindi sembra che a pari diritto le proprietà della natura umana siano attribuibili alla natura divina. 3. Gli attributi divini spettano in Cristo alla natura umana: come conoscere il futuro e avere un potere salvifico. Quindi sembra che a pari didtto gli attributi umani siano predica­ bili della natura divina. In contrario: il Damasceno scrive: «Parlando della divinità non applichiamo ad essa le proprietà dell'umanità: non diciamo infatti che la divinità è passibile o creata». Ma la divinità è la natura divina. Quindi le proprietà della natura umana non possono essere attri­ buite alla natura divina. Risposta: ciò che è proprio di una certa cosa non può dirsi in senso vero di un'altra che non si identifichi con la prima: come risibile non si dice che dell'uomo. Ora, nel mistero dell'incamazione la natura divina e la natura umana non sono una medesima natura, ma è l'ipostasi di entrambe le nature che è identica. Quindi le propdetà di ciascuna natura non sono attribuibili all'altra se sono espresse con termini astratti. Invece i termini concreti stan­ no per l' ipostasi della natura. Quindi si pos­ sono liberamente predicare dei nomi concreti le proprietà di ambedue le nature: sia che tali nomi indichino o l'una e l'altra natura, come il nome Cristo, che esprime insieme «sia la divinità cdsmante che l 'umanità crismata»,

Q. 16, A. 5

Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

dicuntur det intelligere utramque naturam, sicut hoc nomen Christus in quo intelligitur et divinitas ungens et humanitas uncta; sive solum divinam naturam, sicut hoc nomen Deus, vel Filius Dei; sive solum naturam hu­ manam, sicut hoc nomen homo, vel Iesus. Unde Leo Papa dicit, in Epistola ad Palaesti­ nos [ep. 124,7], non interest ex qua Christus substantia nominetw; cum inseparabiliter manente unitate personae, idem sit et totus hominis Filius pmpter camem, et totus Dei Filius propter unam cum Patre divinitatem. Ad primum ergo dicendum quod in divinis realiter est idem persona cum natura, et ratio­ ne huius identitatis, divina natura praedicatur de Filio Dei . Non tamen est idem modus significandi. Et ideo quaedam dicuntur de Filio Dei quae non dicuntur de divina natura, sicut dicimus quod Filius Dei est genitus, non tamen dicimus quod divina natura sit genita, ut in prima parte [q. 39 a. 5] habitum est. Et similiter in mysterio incarnationis dicimus quod Filius Dei est passus, non autem dici­ mus quod natura divina sit passa. Ad secundum dicendum quod incarnatio ma­ gis importat unionem ad carnem quam camis proprietatem. Utraque autem natura est in Christo unita alteri in persona, ratione cuius unionis et natura divina dicitur incarnata, et humana natura deificata, ut supra [q. 2 a. l ad 3] dictum est. Ad tertium dicendum quod ea quae sunt divi­ nae naturae, dicuntur de humana natura, non secundum quod essentialiter competunt divi­ nae naturae, sed secundum quod participative derivantur ad humanam naturam. Unde ea quae participari non possunt a natura humana, sicut esse increatum aut omnipotentem, nullo modo de humana natura dicuntur. Divina autem natura nihil participative recipit ab humana natura. Et ideo ea quae sunt humanae naturae, nullo modo possunt dici de divina.

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sia che indichino la sola natura umana, come Lwmo o Gesù. Per cui il papa Leone afferma: «Non interessa con quale natura si indichi Cristo: restando infatti ferma e inviolabile l'unità della persona, l' identico individuo è totalmente Figlio dell'Uomo per la carne e to­ talmente Figlio di Dio per la medesima divi­ nità che ha con il Padre». Soluzione delle difficoltà: l . In Dio la persona e la natura si identificano realmente, e in ra­ gione di questa identità la natura divina è at­ tribuita al Figlio di Dio. Tuttavia c'è distinzio­ ne nel modo di significare. Per cui si fanno al Figlio di Dio delle attribuzioni che non con­ vengono alla natura divina: diciamo ad es. che il Figlio di Dio è generato, ma non dicia­ mo che è generata la natura divina, come si è spiegato nella Prima Parte. E similmente nel mistero dell'incarnazione diciamo che il Fi­ glio di Dio ha patito, ma non diciamo che ha patito la natura divina. 2. L'incarnazione indica più l'unione con la carne che una proprietà della carne. Ora, entrambe le nature sono unite in Cristo ipo­ staticamente, per cui in forza di tale unione la natura divina è detta incarnata e la natura umana deificata, come si è visto sopra 3. Le proprietà divine sono attribuite alla na­ tura umana non nel senso assoluto in cui competono alla natura divina, ma nella misu­ ra in cui sono partecipate alla natura umana. Perciò gli attributi che non sono comunicabili alla natura umana, come increato e onnipo­ tente, in nessun modo si possono predicare di quest'ultima. Ora, la natura divina non riceve nulla dalla natura umana per partecipazione. Quindi le proprietà della natura umana non sono in alcun modo attribuibili alla natura divina.

Articolo 6

Articulus 6 Utrum haec sit vera: Deusjactus est homo

È vera la proposizione: Dio si èfatto uomo?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod haec si t falsa, Deusjactus est homo. l . Cum enim homo significet substantiam, fieri hominem est fieri simpliciter. Sed haec est falsa, Deus factus est simpliciter. Ergo haec est falsa, Deusfactus est homo.

Sembra di no. Infatti: l . Dato che il termine uomo indica una sostan­ za, farsi uomo è farsi in senso assoluto. Ma è falsa la proposizione: Dio si è fatto in senso assoluto. Quindi è falsa la proposizione: Dio si èfatto uomo.

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

2. Praeterea, fieri hominem est mutari. Sed Deus non potest esse subiectum mutationis, secundum illud Malach. 3 [6], ego Dominus, et non mutor. Ergo videtur quod haec sit falsa, Deusfactus est homo. 3. Praeterea, homo, secundum quod de Christo dicitur, supponit personam Filii Dei. Sed haec est falsa, Deus factus est persona Filii Dei. Ergo haec est falsa, Deusfactus est homo. Sed contra est quod dicitur Ioan. l [ 1 4] , Verbum caro factum est. Et sicut Athanasius dicit, in Epistola ad Epictetum, quod dixit Verbum caro factum est, simile est ac si diceretw; homo factus est. Respondeo dicendum quod unumquodque dicitur esse factum illud quod de novo incipit praedicari de ipso. Esse autem hominem vere praedicatur de Deo, sicut dictum est [a. l ], ita tamen quod non convenit Deo esse hominem ab aeterno, sed ex tempore per assumptionem humanae naturae. Et ideo haec est vera, Deus factus est homo. Diversimode tamen intelligi­ tur a diversis, sicut et haec, Deus est homo, ut supra [a. l ] dictum est. Ad primum ergo dicendum quod fieri homi­ nem est fieri simpliciter in omnibus his in quibus humana natura incipit esse in supposi­ to de novo creato. Deus autem dicitur factus homo ex eo quod humana natura incoepit esse in supposito divinae naturae ab aeterno praeexistente. Et ideo Deum fieri hominem non est Deum fieri simpliciter. Ad secundum dicendum quod, sicut dictum est [in co.], fieri importat quod aliquid praedi­ cetur de novo de altero. Unde quandocumque aliquid de novo praedicatur de altero cum mutatione eius de quo dicitur, tunc fieri est mutari. Et hoc convenit omnibus quae absolu­ te dicuntur, non enim potest albedo aut magni­ tudo de novo advenire alicui nisi per hoc quod de novo mutatur ad albedinem vel ma­ gnitudinem. Ea vero quae relative dicuntur, possunt de novo praedicari de aliquo absque eius mutatione, sicut homo de novo fit dexter absque sua mutatione, per motum illius qui fit ei sinister. Unde in talibus non oportet omne quod dicitur fieri, esse mutatum, quia hoc potest accidere per mutationem alterius. Et per hunc modum Deo dicimus, Domine, refugium factus es nobis [Ps. 89,1 ] . - Esse autem homi­ nem convenit Deo ratione unionis, quae est relatio quaedam. Et ideo esse hominem prae-

Q. 1 6, A. 6

2. Farsi uomo è mutare. Ma Dio non può essere soggetto a mutamenti, come è detto in Mi 3 [6] : Io sono il Signore, non cambio. Quindi sembra falsa la proposizione: Dio si è fatto uomo. 3. Usandola per Cristo, la parola uomo sta per la persona del Figlio di Dio. Ma è falsa la pro­ posizione: Dio si è fatto la persona del Figlio di Dio. Quindi è falsa la proposizione: Dio si è fatto uomo. In contrario: in Gv l [ 14] è detto: Il Verbo si fece carne. E Atanasio spiega: «Dire che il Verbo si è fatto carne equivale a dire che si è fatto uomo». Risposta: si dice che una cosa è stata fatta ciò che di essa si può iniziare a predicare. Ora, si può predicare con verità che Dio è uomo, co­ me si è visto, e questa attribuzione non gli spetta dall'eternità, ma dal momento dell'as­ sunzione della natura umana. Perciò è vera la proposizione: Dio si è fatto uomo. Essa però, secondo quanto abbiamo detto, è intesa in maniera diversa dalle varie eresie, come an­ che la proposizione: Dio è uomo. Soluzione delle difficoltà: l . Farsi uomo è farsi in senso assoluto per quei soggetti in cui la natura umana comincia a esistere in un supposito creato ex novo. Ma noi diciamo che Dio si è fatto uomo in quanto la natura umana da lui assunta cominciò a esistere in un sup­ posito di natura divina preesistente dall' eter­ nità. Quindi farsi uomo non significa nel caso di Dio farsi in senso assoluto. 2. Come si è detto, il farsi comporta per un soggetto un nuovo predicato. Perciò ogni volta che il nuovo predicato si basa su un mutamento del soggetto, allora il farsi è un mutare. E ciò accade sempre nelle predicazio­ ni assolute: una cosa infatti non può divenire bianca o grande come non era prima se non per un suo cambiamento che la porti alla bianchezza o alla grandezza. Invece i predica­ ti relativi possono nascere senza mutamenti del soggetto: come un uomo senza spostarsi viene a trovarsi a destra perché un altro gli si è messo a sinistra. In simili ca..i, dunque, ciò che diviene non sempre cambia, giacché può divenire per il cambiamento altrui. Ed è in questo senso che diciamo a Dio [Sal 89, 1]: Signore, ti sei fatto nostro rifugio. - Ora, Dio è uomo per l 'unione, che è una relazione. Quindi essere uomo è un predicato nuovo che

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Ciò che è attribuibile a Cristo secondo l 'essere e il divenire

dicanrr de novo de Deo absque eius mutatio­ ne, per mutationem humanae naturae, quae assumitur in divinam personam. Et ideo, cum dicitur, Deus factus est homo, non intelligitur aliqua mutatio ex parte Dei, sed solum ex par­ te humanae naturae. Ad tertium dicendum quod homo supponit personam Filii Dei, non nudam, sed prout subsistit in humana natura. Et quamvis haec sit falsa, Deus factus est persona Filii, est tamen haec vera, Deus factus est homo, ex eo quod unitus est humanae naturae. Articulus 7 Utrum haec sit vera:

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Dio acquisisce senza mutazione da parte sua, ma per un mutamento della natura umana che è assunta dalla persona divina. Quando dun­ que diciamo che Dio si è fatto uomo non poniamo alcun cambiamento in Dio, ma solo nella nanrra umana. 3 . Il termine uomo indica la persona del Figlio di Dio non in assoluto, ma in quanto sussiste nella natura umana. E sebbene sia tàlso affermare che Dio si è fatto la persona del Figlio, è vero tuttavia che Dio si è fatto uomo, essendosi unito alla natura umana. Articolo 7

homo factus est Deus

È vera la proposizione: un uomo è divenuto Dio?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod haec sit vera, homofactus est Deus. l . Dicitur enim Rom. l [2-3], quod ante pro­ misera! per prophetas suos in Scripturis sanc­ tis de Filio suo, quifactus est ei ex semine Da­ vid secundum carnem. Sed Christus secun­ dum quod homo est ex semine David secun­ dum camem. Ergo homo factus est Filius Dei. 2. Praeterea, Augustinus dicit, in l De Trin. [ 1 3], talis erat illa susceptio quae Deum ho­ minem faceret, et hominem Deum. Sed ratio­ ne illius susceptionis haec est vera, Deus factus est homo. Ergo similiter haec est vera, homo factus est Deus. 3. Praeterea, Gregorius Nazianzenus dicit, in Epistola ad Chelidonium [ep. 1 0 1 Ad Cledo­ nium], Deus quidem humanatus est, homo autem de(ficatus, vel quomodolibet aliter no­ minaverit. Sed Dcus ca rationc dicitur huma­ natus, quia est homo factus. Ergo homo ea ratione dicitur deificatus, quia est factus Deus. Et ita haec est vera, homofactus est Deus. 4. Praeterea, cum dicitur, Deus factus est homo, subiectum factionis vel unitionis non est Deus, sed humana natura, quam significat hoc nomen homo. Sed illud videtur esse subiectum factionis cui factio attribuinrr. Ergo haec magis est vera, homo jàctus est Deus, quam ista, Deusfactus est homo. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 2], non hominem deificatum didnuts, sed Deum humanatum. Idem autem est fieri Deum quod deificari. Ergo haec est falsa, homofactus est Deus. Respondeo dicendum quod propositio ista,

Sembra di sì. Infatti: l . In Rm l [2] è detto che Dio aveva già pro­ messo [il Vangelo] per meZ20 dei suoi profeti nelle Sacre Scritture riguardo al Figlio suo, il quale è divenuto tale per lui secondo la came dalla stirpe di Davide. Ma Cristo viene dalla stirpe di Davide secondo la carne in quanto uo­ mo. Quindi un uomo è divenuto Figlio di Dio. 2. Agostino scrive: «Quell'assunzione era tale da far divenire Dio uomo e l'uomo Dio». Ma in forza di tale assunzione è vero che Dio è diventato uomo. Quindi è anche vero che un uomo è diventato Dio. 3. Gregorio Nazianzeno afferma: «Dio si è umanato e l'uomo è stato deificato, o in qual­ siasi altro modo lo si voglia dire». Ma si dice che Dio si è umanato in quanto si è fatto uo­ mo. Quindi l'uomo può dirsi deificato in quanto è divenuto Dio. Quindi è vera la pro­ posizione: un uomo è divenuto Dio. 4. Quando si dice che Dio si è fatto uomo, il soggetto che diviene o si unisce non è Dio, ma la natura umana indicata dalla parola uomo. Ora, sembrerebbe più giusto attribuire il farsi al soggetto che diviene. Quindi la pro­ posizione: un uomo è divenuto Dio è più vera della proposizione: Dio è diventato uomo. In contrario: il Damasceno dice: >. 4. Quando si dice che «Cristo è qualcosa di identico al Padre», qualcosa sta per la natura divina, che è predicata anche in astratto del Padre e del Figlio. Quando invece si dice che «Cristo è qualcosa di diverso dal Padre», il termine qualcosa sta non per la natura umana in astratto, ma per la natura umana in concre­ to; però in quanto esiste non in un supposito determinato, ma in un supposito indetermina­ to: in quanto cioè sottostà alla natura, ma non alle proprietà individuanti. Quindi non segue che Cristo sia altro e altro, oppure che sia una dualità: poiché il supposito della natura urna-

Q. l7, A. l

L 'unità di Cristo quanto all 'essere

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mana secundum quod significatur in abstracto, sed secundum quod significarnr in concreto; non quidem secundum suppositum distincrnm, sed secundum suppositum indistinctum; prout scilicet substat narnrae, non autem proprietati­ bus individuantibus. Et ideo non sequitur quod Chrisrns sit aliud et aliud, vel quod sit duo, quia suppositum humanae naturae in Christo quod est persona Filii Dei, non ponit in numerum cum narnra divina, quae praedi­ catur de Patre et Filio. Ad quinrnm dicendum quod in mysterio divi­ nae Trinitatis natura divina praedicatur in abstracto de tribus personis, et ideo simpliciter potest dici quod tres personae sint unum. Sed in mysterio incarnationis non praedicanrnr am­ bae naturae in abstracto de Cluisto, et ideo non potest simpliciter dici quod Christus sit duo. Ad sextum dicendum quod duo dicitur quasi habens dualitatem, non quidem in aliquo alio, sed in ipso de quo duo praedicanrnr. Fit autem praedicatio de supposito, quod importatur per hoc nomen Christus. Quamvis igirnr Chrisrns habeat dualitatem naturarum, quia tamen non habet dualitatem suppositorum, non potest dici esse duo. Ad septimum dicendum quod altentm impor­ tat diversitatem accidentis, et ideo diversitas accidentis suftìcit ad hoc quod aliquid simpli­ citer dicatur alterum. Sed aliud importat di­ versitatem substantiae. Substantia autem dici­ tur non solum natura, sed etiam supposirnm, ut dicitur in 5 Met. [4,8,5]. Et ideo diversitas naturae non sufficit ad hoc quod aliquid simpliciter dicatur aliud, nisi adsit diversitas secundum suppositum. Sed diversitas naturae facit aliud secundum quid, scilicet secundum naturam, si non adsit diversitas suppositi.

na in Cristo, che è la persona del Figlio di Dio, non si compone numericamente con la natura divina che è predicata del Padre e del Figlio. 5. Nel mistero della Trinità la natura divina è attribuita in astratto alle tre persone, per cui si può dire in senso assoluto che «le tre persone sono una cosa sola>>. Invece nel mistero del­ l' incarnazione le due nature non si predicano di Cristo in astratto, per cui non si può dire in senso assoluto che «Cristo è una dualità». 6. L'aggettivo numerale due significa che la cosa stessa a cui esso è attribuito ha una dua­ lità. Ora, l'attribuzione è fatta al supposito indicato con il nome Cristo. Sebbene dunque sia vero che Cristo ha una dualità di nature, non si può dire tuttavia che sia due, non aven­ do una dualità di suppositi. 7. Alter implica una diversità accidentale, e questa diversità basta a far denominare altro qualcosa. Invece aliud implica una diversità sostanziale. Ora, è sostanza non solo la natu­ ra, ma anche il supposito, come osserva Ari­ stotele. Quindi la diversità di natura senza la diversità di supposito non è sufficiente a costi­ tuire un'altra cosa [aliud] in senso assoluto. Però questa diversità di natura senza diversità di supposito rende un'altra cosa [aliud] in senso relativo, cioè quanto alla natura.

Articulus 2 Utrum in Christo sit tantum unum esse

Articolo 2 In Cristo c'è un unico essere?

Ad secundum sic proceditur. Vidernr quod in Christo non sit tantt101 unum esse, sed duo. l . Dicit enim Damascenus, in 3 libro [De fide 1 3- 1 5], quod ea quae consequuntur narnram in Christo duplicantur. Sed esse consequitur narnram, esse enim est a forma. Ergo in Chri­ sto sunt duo esse. 2. Praeterea, esse Filii Dei est ipsa divina na­ tura, et est aeternum. Esse autem hominis Christi non est divina natura, sed est esse tem-

Sembra di no. Infatti: l . Il Damasceno insegna che è duplice in Cristo tutto ciò che è attinente alla natura. Ma l'essere è attinente alla narnra, poiché deriva dalla forma. Quindi in Cristo c'è un duplice essere. 2. L'essere del Figlio di Dio è la stessa natura divina ed è eterno. Ma l'essere umano in Cristo non è la natura divina, bensì un essere tempo­ rale. Quindi in Cristo non c'è un unico essere.

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L 'unità di Cristo quanto ali 'essere

porale. Ergo in Christo non est tantum unum esse. 3. Praeterea, in Trinitate, quamvis sint tres personae, est tamen unum esse, propter unita­ tem naturae. Sed in Christo sunt duae naturae, quamvis sit una persona. Ergo in Christo non est unum esse tantum, sed duo. 4. Praeterea, in Christo anima dat aliquod esse corpori, cum sit forma eius. Sed non dat sibi esse divinum, cum sit increatum. Ergo in Christo est aliud esse praeter esse divinum. Et sic in Christo non est tantum unum esse. Sed contra, unumquodque, secundum quod dicitur ens, dicitur unum, quia unum et ens convertuntur. Si ergo in Christo duo essent esse, et non tantum unum, Christus esset duo, et non unum. Respondeo dicendum quod, quia in Christo sunt duae naturae et una hypostasis, necesse est quod ea quae ad naturam pertinent i n Christo sint duo, quae autem pertinent ad hypostasim in Christo sint unum tantum. Esse autem pertinet ad hypostasim et ad naturam, ad hypostasim quidem sicut ad id quod habet esse; ad naturam autem sicut ad id quo aliquid habet esse; natura enim significatur per modum formae, quae dicitur ens ex eo quod ea aliquid est, sicut albedine est aliquid album, et humanitate est aliquis homo. Est autem considerandum quod, si aliqua forma vel natura est quae non pertineat ad esse personale hypostasis subsistentis, illud esse non dicitur esse illius personae simpliciter, sed secundum quid, sicut esse album est esse Socratis, non inquantum est Socrates, sed inquantum est albus. Et huiusmodi esse nihil prohibet multiplicari in una hypostasi vel persona, aliud enim est esse quo Socrates est albus, et quo Socrates est musicus. Sed illud esse quod pertinet ad ipsam hypostasim vel personam secundum se impossibile est in una hypostasi vel persona multiplicari, quia im­ possibile est quod unius rei non sit unum es­ se. - Si igitur humana natura adveniret Filio Dei, non hypostatice vel personaliter, sed ac­ cidentaliter, sicut quidam posuerunt, oporteret ponere in Christo duo esse, unum quidem secundum quod est Deus; aliud autem secun­ dum quod est homo. Sicut in Socrate ponitur aliud esse secundum quod est albus, aliud secundum quod est homo, quia esse album non pertinet ad ipsum esse personale Socratis.

Q. 1 7, A. 2

3. Nella Trinità, sebbene ci siano tre persone, c'è però un unico essere per l'unità di natura. Ma in Cristo ci sono due nature, pur con una sola persona. Quindi in Cristo non c ' è un unico essere, ma due. 4. In Cristo l ' anima, essendo la forma, dà l 'essere al corpo. Ma non gli dà l'essere divi­ no, che è increato. Quindi c'è in Cristo un al­ tro essere oltre a quello divino. E così in Cri­ sto non c'è un unico essere. In contrario: ogni ente in quanto ente è uno, poiché l'ente e l'uno sono tra loro convertibili. Se dunque in Cristo l'essere fosse duplice e non unico, Cristo sarebbe due enti e non uno. Risposta: poiché in Cristo le nature sono due e unica è l' ipostasi, necessariamente è duplice in lui ciò che riguarda la natura, e unico ciò che riguarda l' ipostasi. Ora, l'essere riguarda sia l' ipostasi che la natura: l'ipostasi come il soggetto che ha l 'essere, la natura come il principio in forza del quale tale essere è pos­ seduto; la natura infatti la indichiamo come forma, e questa è detta ente perché una cosa esiste in forza di essa: come in forza della bianchezza una cosa è bianca e in forza del­ l'umanità un uomo è uomo. Si deve poi os­ servare che se una forma o natura non fa parte dell'essere personale dell' ipostasi sussistente, allora l' essere di tale forma non è attribuito alla persona in senso assoluto, ma in senso relativo: come Socrate è detto bianco non in quanto è Socrate, ma in quanto è bianco. E nulla impedisce che questo essere [accidenta­ le] possa essere molteplice in una medesima ipostasi o persona: infatti l'essere per cui So­ çrate è bianco non è quello per cui è musico. E invece impossibile che l ' essere apparte­ nente in senso assoluto all' ipostasi o persona sia in essa molteplice, poiché una medesima cosa non può avere che un unico essere. - Se dunque la natura umana si fosse unita al Fi­ glio di Dio non ipostaticamente o personal­ mente, ma accidentalmente, come alcuni hanno sostenuto, allora bisognerebbe porre in Cristo un duplice essere, uno in quanto è Dio e uno in quanto è uomo. Così come in Socra­ te l 'essere per cui è bianco si distingue dal­ I' essere per cui è uomo, non appmtenendo l' essere della bianchezza allo stesso essere personale di Socrate. L' essere invece dotato di un capo, l' essere corporeo e l' essere animato appartengono alla medesima persona di So-

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L 'unità di Cristo quanto all 'essere

Esse autem capitatum, et esse corporeum, et esse animatum, totum pertinet ad unam per­ sonam Socratis, et ideo ex omnibus his non fit nisi unum esse in Socrate. Et si contingeret quod, post constitutionem personae Socratis, advenirent Socrati manus vel pedes vel oculi, sicut accidit in caeco nato, ex his non accre­ sceret Socrati aliud esse, sed solum relatio quaedam ad huiusmodi, quia scilicet diceretur esse non solum secundum ea quae prius habebat, sed etiam secundum ea quae post­ modum sibi adveniunt. - Sic igitur, cum hu­ mana natura coniungatur Filio Dei hypostati­ ce vel personaliter, ut supra [q. 2 a. 6] dictum est, et non accidentaliter, consequens est quod secundum humanam naturam non adveniat sibi novum esse personale, sed solum nova habitudo esse personalis praeexistentis ad na­ turam humanam, ut scilicet persona illa iam dicatur subsistere, non solum secundum naturam divinam, sed etiam humanam. Ad primum ergo dicendum quod esse conse­ quitur naturam, non sicut habentem esse, sed sicut qua aliquid est, personam autem, sive hypostasim, consequitur sicut habentem esse. Et ideo magis retinet unitatem secundum uni­ tatem hypostasis, quam habeat dualitatem secundum dualitatem naturae. Ad secundum dicendum quod illud esse aetemum Filii Dei quod est divina natura, fit esse hominis, inquantum humana natura assu­ mitur a Filio Dei in unitate personae. Ad tertium dicendum quod, sicut in prima parte [q. 50 a. 2 ad 3; q. 75 a. 5 ad 4] dictum est, quia persona divina est idem cum natura, in personis divinis non est aliud esse personae praeter esse naturae, et ideo tres personae non habent nisi unum esse. Haberent autem triplex esse, si in eis esset aliud esse personae, et aliud esse naturae. Ad quartum dicendum quod anima in Christo dat esse corpori inquantum facit ipsum actu animatum, quod est dare ei complementum naturae et speciei. Sed si intelligatur corpus perfectum per animam absque hypostasi ha­ bente utrumque, hoc totum compositum ex anima et corpore, prout signiticatur nomine humanitatis, non significatur ut quod est, sed ut quo aliquid est. Et ideo ipsum esse est per­ sonae subsistentis, secundum quod habet ha­ bitudinem ad talem naturam, cuius habitudi­ nis causa est anima inquantum perficit huma­ nam naturam informando corpus.

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crate, per cui tutte queste cose insieme costi­ tuiscono l 'unico essere di Socrate. E se acca­ desse a Socrate, quando la sua persona si è già costituita, di acquistare mani o piedi od occhi, come accadde al cieco nato, queste acquisizioni non aggiungerebbero un nuovo essere a Socrate, ma solo delle nuove relazio­ ni, poiché egli verrebbe a esistere non solo con le membra che già possedeva, ma anche con quelle che gli si sono aggiunte in seguito. - Così dunque, poiché la natura umana, come si è detto sopra, si è unita al Figlio di Dio in maniera ipostatica o personale, e non acciden­ tale, ne segue che la natura umana non gli fa acquistare un nuovo essere personale, ma solo una nuova relazione verso la natura umana dell'essere personale preesistente, in modo cioè che quella persona ormai sussista non solo secondo la natura divina, ma anche se­ condo la natura umana. Soluzione delle difticoltà: l . L'essere conse­ gue alla natura non perché questa sia il sogget­ to che lo possiede, ma poiché essa è il prin­ cipio in forza del quale una cosa lo possiede; alla persona o ipostasi invece consegue come a ciò che lo possiede. Perciò l'essere conserva l'unità dell'unica ipostasi piuttosto che assu­ mere la dualità a motivo delle due nature. 2. L'essere eterno del Figlio di Dio che è la natura divina diventa l'essere deli' uomo, in quanto la natura umana è assunta dal Figlio di Dio nell'unità della persona. 3. Come si è detto nella Prima Parte, nelle persone divine non c'è altro essere all'infuori di quello della natura, dato che la persona divina si identifica con la natura: quindi le tre persone hanno un unico essere. Avrebbero invece un triplice essere se l'essere della per­ sona si distinguesse dali' essere della natura. 4. L' anima in Cristo dà l'essere al corpo in quanto lo rende animato in atto: lo completa cioè nell'ordine della natura specifica. Ma se immaginiamo un corpo perfezionato da un'a­ nima senza un'ipostasi che possegga l'uno e l'altra, allora il composto di anima e di corpo indicato con il termine umanità non significa un soggetto che esiste, ma il principio per cui un dato soggetto esiste. Perciò l'essere appar­ tiene alla persona sussistente, in quanto dice re­ lazione con tale natura: e di questa relazione è causa l'anima, in quanto essa porta la natura u­ mana al suo compimento informando il corpo.

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L 'unità di Cristo quanto alla volontà

Q. 1 8, A. l

QUAESTIO 1 8 DE UNITATE CHRISTI QUANTUM AD VOLUNTATEM

QUE�TIONE 1 8 VUNITA DI CRISTO QUANTO ALLA VOLONTÀ

Deinde considerandum est de unitate quantum ad voluntatem. - Et circa hoc quaeruntur sex. Primo, utrum in Christo sit alia voluntas divina, et alia humana. Secundo, utrum in humana natura Christi sit alia voluntas sensualitatis, et alia rationis. Tertio, utrum in Christo fuerint ex parte rationis plures voluntates. Quarto, utrum in Christo fuerit liberum arbitrium. Quinto, utrum humana voluntas Christi fuerit omnino confor­ mis divinae voluntati in volito. Sexto, utrum in Christo fuerit aliqua contrarietas voluntatum.

Veniamo ora a esaminare il problema del­ l'unità rispetto alla volontà. - Sull'argomento si pongono sei quesiti: l . In Cristo la volontà divina e quella umana sono distinte? 2. La natura umana di Cristo ha due volontà, una sensitiva e l'altra razionale? 3. In Cristo c'era­ no più volontà di ordine razionale? 4. In Cri­ sto c'era il libero arbitrio? 5. La volontà uma­ na di Cristo era conforme in tutto alla volontà divina? 6. In Cristo c'era conflitto fra le varie volontà?

Articulus l Utrum sint duae voluntates, una divina et alia humana

Articolo l In Cristo ci sono due volontà, una divina e l'altra umana?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Christo non sint duae voluntates, una divina et alia humana. l . Voluntas enim est primum movens et impe­ rans in unoquoque volente. Sed in Christo primum movens et imperans fuit voluntas divina, quia 01nnia humana in Chtisto move­ bantur secundum voluntatem divinam. Ergo viden1r quod in Christo non fuerit nisi una voluntas, scilicet divina. 2. Praeterea, instrumentum non movetur pro­ pria voluntate, sed voluntate moventis. Sed na­ tura humana in Christo fui t instrumentum divinitatis eius. Ergo natura humana in Christo non movebatur propria voluntate, sed divina. 3. Praeterea, illud solum multiplicatur in Chri­ sto quod pertinet ad naturam. Voluntas autem non videtur ad naturam pertinere, quia ea quae sunt naturalia, sunt ex necessitate; quod autem est voluntarium, non est necessarium. Ergo voluntas est una tantum in Christo. 4. Praeterea, Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 14], quod aliqualiter ve/le non est natu­ rae, sed nostrae intelligentiae scilicet perso­ nalis. Sed omnis voluntas est aliqualis volun­ tas, quia non est in genere quod non est in aliqua eius specie. Ergo omnis voluntas ad personam pertinet. Sed in Christo fuit tantum et est una persona. Ergo in Christo est tantum una voluntas. Sed contra est quod Dorninus dicit, Luc. 22 [42], Pate1; si vis, transfer calicem istum a me.

Sembra di no. Infatti: l . La volontà è i l principio che muove e comanda in ogni soggetto volente. Ma in Cri­ sto il principio movente e imperante era la vo­ lontà divina, poiché tutte le operazioni umane venivano compiute in lui secondo la volontà divina. Quindi sembra che in Cristo ci fosse una sola volontà, quella divina. 2. Lo strumento non è mosso da una volontà propria, ma da quella dell'agente principale. Ora, la natura umana era in Cristo «uno stru­ mento della sua divinità». Quindi la natura umana in Cristo non era mossa dalla volontà pro.Pria, ma dalla volontà divina. 3. E molteplice in Cristo solo ciò che si riferi­ sce alla natura. Ma la volontà non si riferisce alla natura. Infatti le realtà naturali sono ne­ cessarie, mentre quelle volontarie non lo so­ no. Quindi la volontà in Cristo è una sola. 4. Il Damasceno dice che «volere in un certo modo non dipende dalla natura, bensì dalla nostra intelligenza», che è personale. Ma il volere è sempre un volere in un certo modo, poiché «non appartiene al genere ciò che non appartiene a qualcuna delle sue specie». Quindi ogni volere è personale. Ma in Cristo c'era e c'è una sola persona. Quindi in Cristo c'è un'unica volontà. In contrario: il Signore ha pregato così: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Le 22,42). E Ambrogio commenta: «Come

Q. l 8, A. l

L 'unità di Cristo quanto alla volontà

Veruntamen non mea voluntas, sed tua fiat. Quod inducens Ambrosius, in libro Ad Gra­ tianum imperatorem [De fide 2,7], dicit, sicut

susceperat voluntatem meam, suscepit tristi­ tiam meam. Et, Super Lucam [ 1 0 super 22,42], dicit, voluntatem suam ad hominem retulit, Patris, ad divinitatem. Voluntas enim hominis est temporalis, voluntas divinitatis aetema. Respondeo dicendum quod quidam posuerunt in Christo esse unam solam voluntatem, sed ad hoc ponendum diversimode moti esse videntur. Apollinaris enim non posuit animam intellectualem in Christo, sed quod Verbum esset loco animae [cf. supra q. 5 a. 3], vel etiam loco intellectus. Unde, cum voluntas sit in ratione, ut philosophus dicit, in 3 De anima [9 ,3] , sequebatur quod in Christo non esset voluntas humana, et ita in eo non esset nisi una voluntas. Et similiter Eutyches, et omnes qui posuerunt unam naturam compositam i n Christo [cf. supra, q. 2 a. 6], cogebantur ponere u nam voluntatem i n eo. Nestorius etiam [cf. supra q. 2 a. 6], qui posuit unionem Dei et hominis esse factam salurn secundurn affectum et voluntatem, posuit unam voluntatem in Chri­ sto. - Postmodum vero Macarius Antiochenus patriarcha [cf. Conc. Cpolit. III, actio I l ] , et Cyrus Alexandtinus [cf. Conc. Cpolit. ID, actio 13], et Sergius Constantinopolitanus [cf. Conc. Cpolit. III, actio 1 2, ep. Sergii ad Honorium], et quidam eorum sequaces, po­ suerunt in Christo unam voluntatem, quamvis ponerent duas naturas in Christo secundum hypostasim unitas, quia opinabantur quod hu­ mana natura in Christo nunquam movebatur proprio motu, sed salurn secundum quod erat mota a divinitate, ut patet in Epistola synodica Agathonis Papae [ep. 3]. Et ideo in sexta sy­ nodo, apud Constantinopolim celebrata [actio 1 8], determinatum est oportere dici quod in Christo sint duae voluntates, ubi sic legitur,

iuxta quod olim pmphetae de Christo, et ipse nos erudivit, et sanctorum patrum nobis tradidit symbolum, duas voluntates natura/es in eo, et duas natura/es operationes praedica­ mus. - Et hoc necessarium fuit dici. Mani­ festum est enim quod Filius Dei assumpsit humanam naturam perfectam, ut supra [q. 4 a. 2 arg. 2; q. 5; q. 9 a. l ] ostensum est. Ad perfectionem autem humanae naturae pettinet voluntas, quae est naturalis eius potentia, sicut

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aveva assunto la mia volontà, così assunse la mia tristezza». E altrove dice: «Egli riferisce la sua volontà all'umanità, quella del Padre alla divinità. Infatti la volontà umana è tem­ porale, la volontà divina eterna>>. Risposta: alcuni posero in Cristo una sola vo­ lontà, ma mossi da ragioni diverse. Apollinare infatti riteneva che Cristo non avesse l'anima intellettiva, ma che il Verbo facesse le veci dell'anima, o anche dell'intelletto. Ne seguiva perciò che in Cristo non ci sarebbe stata la volontà umana, poiché «la volontà è una fa­ coltà razionale», come dice il Filosofo: e così in lui non ci sarebbe stata che una sola vo­ lontà. E similmente Eutiche, e tutti coloro che posero in Cristo una sola natura composta, fu­ rono costretti a poiTe in lui una sola volontà. Così pure Nestorio, insegnando che l'unione tra Dio e l'uomo si era attuata solo secondo l'amore e la volontà, poneva una sola volontà in Cristo. - In seguito i patriarchi Macario di Antiochia, Ciro di Alessandria, Sergio di Co­ stantinopoli e alcuni loro seguaci sostennero l'esistenza in Cristo di una sola volontà, seb­ bene ammettessero in lui due nature unite ipostaticamente: poiché pensavano che la natura umana in Cristo non si muovesse mai di sua iniziativa, ma solo in quanto mossa dalla divinità, come risulta dall'Epistola sino­ dale del papa Agatone. Perciò nel sesto Con­ cilio ecumenico, celebrato a Costantinopoli, fu definito che si devono ammettere in Cristo due volontà con queste parole: «In conformità con quanto hanno insegnato riguardo a Cristo i profeti e Cristo stesso, e in conformità col Simbolo dei santi padri, noi professiamo due volontà naturali in lui e due operazioni natu­ rali». - E questa dichiarazione era necessaria. Infatti sappiamo che i l Figlio di Dio ha preso una natura umana perfetta, come si è spiega­ to. Ma alla perfezione della natura umana appartiene la volontà, che è una sua facoltà naturale, al pari dell' intelligenza, come si è visto nella Prima Parte. Per cui è necessario affermare che il Figlio di Dio nella natura umana ha assunto la volontà umana. Ma assu­ mendo la natura umana il Figlio di Dio non subì alcuna minorazione negli attributi della natura divina, alla quale compete di avere la volontà, come si è visto nella Prima Parte. Quindi si deve dire che ci sono in Cristo due volontà, una divina e l'altra umana.

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L 'unità di Cristo quanto alla volontà

et intellectus, ut patet ex his quae in prima parte [q. 79 a. l ad 2; q. 80 a. 2] dieta sunt. Unde necesse est dicere quod Filius Dei hu­ manam voluntatem assumpserit in natura hu­ mana. Per assumptionem autem humanae naturae nullam diminutionem passus est Fi­ lius Dei in his quae pertinent ad divinam na­ turam, cui competit voluntatem habere, ut in prima parte [q. 1 9 a. l ] habitum est. Unde ne­ cesse est dicere quod in Christo sint duae voluntates, una scilicet divina et alia humana. Ad primum ergo dicendum quod quidquid fuit in humana natura Christi, movebatur nutu divinae voluntatis, non tamen sequitur quod in Christo non fuerit motus voluntatis pro­ prius naturae humanae. Quia etiam aliorum sanctorum p i ae voluntates moventur se­ cundum voluntatem Dei, quae operatur in eis et ve/le et perficere, ut dicitur Phil . 2 [ 1 3] . Licet enim voluntas non possit interius mo­ veri ab aliqua creatura, interius tamen mo­ vetur a Deo, ut in prima parte [q. 1 05 a. 4; q. 1 06 a. 2; q. 1 1 1 a. 2] dictum est. Et sic etiam Christus secundum voluntatem huma­ nam sequeb atur volun tatem divinam, secundum illud Psalmi 39 [9], utfacerem vo­ luntatem nwm, Deus meus, volui. Unde Au­ gustinus dicit, Contra Maximinum [2,20], ubi dixit Filius Patri [Matth. 26,39], non quod ego

volo, sed quod tu vis, quid te adiuvat quod tua verba subiungis, et dicis, ostendit vere suam voluntatem subiectam suo genitori, quasi nos negemus hominis voluntatem voluntati Dei debere esse subiectam? Ad secundum dicendum quod proprium est instrumenti quod moveatur a principali agente, diversimode tamen, secundum proprietatem naturae ipsius. Nam instrumentum inani­ matum, sicut securis aut serra, movetur ab arti:fice per motum solum corporalem. Instru­ mentum vero animatum anima sensibili mo­ vetur per appetitum sensitivum, sicut equus a sessore. Instrumentum vero animatum anima rationali movetur per voluntatem eius, sicut per i mperium Domini movetur servus ad aliquid agendum, qui quidem servus est sicut instrumentum animatum, ut philosophus dicit, in l Poi. [2,4; cf. Ethic. 8, 1 1 ,6]. Sic ergo natu­ ra humana in Christo fuit instrumentum divi­ nitatis ut moveretur per propriam voluntatem. Ad tertium dicendum quod ipsa potentia vo­ luntatis est naturalis, et consequitur naturam

Q. l 8, A. l

Soluzione delle difficoltà: l . Thtto ciò che era umano in Cristo si svolgeva secondo la volon­ tà divina, ma ciò non significa che in lui la vo­ lontà umana non abbia avuto le sue operazioni naturali. Dato che anche la pia volontà degli altri santi si muove secondo la volontà di Dio,

la quale suscita in essi il volere e l'operare (Fil 2, 13). Sebbene intàtti la volontà non possa essere mossa interiormente da alcuna creatura, è tuttavia mossa interiormente da Dio, come si è spiegato nella Prima Parte. E così anche Cristo con la sua volontà umana seguiva la volontà divina, come è detto nel Sal 39 [9]:

Mio Dio, ho voluto compiere la tua volontà. Per cui Agostino argomenta così : «>; il che ci fa capire

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L 'unità di Cristo quanto alla volontà

Sed contra est quod Ambrosius dicit, in 2 Ad Gratianum imperatorem [De fide 7], mea est

voluntas quam suam dixit, quia, ut homo, suscepit tristitiam meam, ex quo datur intelli­ gi quod tristitia pertineat ad humanam volun­ tatem in Christo. Sed tristitia pertinet ad sen­ sualitatem, ut in secunda parte [l-II q. 23 a. l ; q. 25 a. l ] habitum est. Ergo videtur quod in Christo sit voluntas sensualitatis, praeter vo­ luntatem rationis. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 4 a. 2 arg. 2; q. 5 a. 9; q. 9 a. l ] dictum est, Filius Dei humanam naturam assumpsit cum omnibus quae pertinent ad perfectionem ipsius naturae. In humana autem natura includitur etiam natura animalis, sicut in specie includitur genus. Unde oportet quod Filius Dei cum hu­ mana natura assumpserit etiam ea quae perti­ nent ad perfectionem naturae animalis. Inter quae est appetitus sensitivus, qui sensualitas dicitur. Et ideo oportet dicere quod in Christo fuit sensualis appetitus, sive sensualitas. Sciendum est autem quod sensualitas, sive sensualis appetitus, inquantum est natus obe­ dire rationi, dicitur rationale per panicipatio­ nem, ut patet per philosophum, in l Ethic. [ 1 3, 1 8]. Et quia voluntas est in ratione, ut dic­ tum est [arg. 1], pari ratione potest dici quod sensualitas sit voluntas per participationem. Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de voluntate essentialiter dieta, quae non est nisi in parte intellectiva. Sed voluntas participative dieta potest esse in parte sensiti­ va, inquantum obedit rationi. Ad secundum dicendum quod sensualitas si­ gnificatur per serpentem, non quantum ad na­ turam sensualitatis, quam Christus assumpsit, sed quantum ad corruptionem fornitis, quae in Christo non fuit. Ad tertium dicendum quod, ubi est unum prop­ ter altentm, ibi tantum unum esse videtur, sicut superficies, quae est visibilis per colorem, est unum visibile cum colore. Et similiter, quia sensualitas non dicitur voluntas nisi quia participat voluntatem rationis, sicut est una natura humana in Christo, ita etiam ponitur una voluntas humana in Christo.

Q. l 8, A. 2

che la tristezza appartiene alla volontà umana di Cristo. Ma la tristezza appartiene alla sen­ sualità, come si è visto nella Seconda Parte. Quindi in Cristo c'è la volontà della sensuali­ tà, oltre alla volontà della ragione. Risposta: come si è detto sopra, il Figlio di Dio ha assunto la natura umana con tutti gli ele­ menti che appartengono alla sua perfezione. Ma nella natura umana è inclusa anche la na­ tura animale, come il genere nella specie. Per­ ciò il Figlio di Dio con la natura umana as­ sunse anche gli elementi che appartengono alla perfezione della natura animale. E tra questi c'è l'appetito sensitivo, che è detto sensualità. Quindi in Cristo c'era l' appetito sensitivo, o sensualità. - Dobbiamo poi notare che la sen­ sualità, o appetito sensitivo, in quanto è capace di obbedire alla ragione è detto «razionale per partecipazione», come mostra il Filosofo. E poiché, come si è detto, «la volontà è nella ra­ gione», si può concludere che la sensualità è una «volontà per partecipazione». Soluzione delle difficoltà: l . L'argomento vale per la volontà vera e propria, che è sol­ tanto nella parte intellettiva. Ma la volontà che è tale per partecipazione può trovarsi an­ che nella parte sensitiva, in quanto questa ob­ bedisce alla ragione. 2. La sensualità è rappresentata dal serpente non quanto alla natura sensibile che Cristo ha assunto, ma quanto alla corruzione del forni­ te, che in Cristo non c'era. 3. «Dove una cosa è relativa a un'altra, le due ne formano una sola>>, come la superficie e il colore che la rende visibile costituiscono un unico oggetto visibile. Similmente dunque, dato che la sensualità è detta volontà solo in quanto partecipa della volontà razionale, co­ me si pone in Cristo una sola natura umana, così si pone in lui anche una sola volontà umana.

Q. l 8, A. 3

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Articulus 3 Utrum in Christo fuerint duae voluntates quantum ad rationem

Articolo 3 In Cristo c'erano due volontà di ordine razionale?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in Christo fuerunt duae voluntates quantum ad rationem. l . Dicit enim Damascenus, in 2 libro [De fide 22], quod duplex est hominis voluntas, na­ turalis, quae vocatur thelesis; et rationalis, quae vocatur bulesis. Sed Christus in humana natura habuit quidquid ad perfectionem hu­ manae naturae pertinet. Ergo utraque praedic­ tamm voluntatum fuit in Christo. 2. Praeterea, vis appetitiva diversificatur in homine secundum diversitatem virtutis appre­ hensivae, et ideo, secundum differentiam sen­ sus et intellectus, diversificatur in homine ap­ petitus sensitivus et intellectivus. Sed similiter quantum ad apprehensionem hominis ponitur differentia rationis et intellectus, quorum utmmque fuit in Christo. Ergo fuit in eo duplex voluntas, una intellectualis, et alia rationalis. 3 . Praeterea, a quibusdam [De quatuor vo­ lunt.] ponitur in Christo voluntas pietatis. Quae non potest poni nisi ex parte rationis. Ergo in Christo ex parte rationis sunt plures voluntates. Sed contra est quod in quolibet ordine est unum primum movens. Sed voluntas est pri­ mum movens in genere humanomm actuum. Ergo in uno homine non est nisi una voluntas proprie dieta, quae est voluntas rationis. Chri­ stus autem est unus homo. Ergo in Christo est tantum una voluntas humana. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. l ad 3], voluntas quandoque accipitur pro potentia, et quandoque pro actu. Si ergo vo­ luntas accipiatur pro actu, sic oportet in Chri­ sto ex parte rationis ponere duas voluntates, idest, duas species actuum voluntatis. Volun­ tas enim, ut in seconda parte [l-II q. 8 aa. 2-3] dictum est, et est tinis, et est eorum quae sunt ad tinem, et alio modo fertur in utrumque. Nam in finem fertur simpliciter et absolute, sicut in id quod est secundum se bonum, in id autem quod est ad finem, fertur cum quadam comparatione, secundum quod habet bonita­ tem ex ordine ad aliud. Et ideo alterius ratio­ nis est actus voluntatis secundum quod fertur in aliquid secundum se volitum, ut sanitas, quod a Damasceno [De fide 2,22] vocatur

Sembra di sì. Infatti: l . li Damasceno scrive che nell'uomo ci sono due volontà: una naturale, che è detta thelesis, e una razionale, che è detta bulesis. Ma Cristo aveva nella sua natura umana tutto ciò che appartiene alla sua perfezione. Quindi in Cristo c'erano entrambe le volontà. 2. La facoltà appetitiva si distingue nell'uomo in base alle facoltà conoscitive corrispondenti, per cui in base alla differenza tra senso e in­ telletto si ha nell'uomo la distinzione tra ap­ petito sensitivo e intellettivo. Ma nella cono­ scenza umana c'è anche la distinzione tra ragione e intelletto, che erano ambedue pre­ senti in Cristo. Quindi in lui c'erano due vo­ lontà, una intellettiva e l'altra razionale. 3. Alcuni pongono in Cristo una «volontà della pietà». Essa però non può trovarsi che nella parte razionale. Quindi nell'ordine ra­ zionale ci sono in Cristo più volontà. In contrario: in ogni ordine di cose il primo movente è uno solo. Ma la volontà è il primo movente degli atti umani. Quindi in ciascun uomo c'è una sola volontà propriamente det­ ta, che è la volontà razionale. Ora, Cristo è un unico uomo. Quindi in Cristo c'è una sola volontà umana. Risposta: come si è già notato, la volontà può significare o la potenza o la sua operazione. Ora, in quest'ultimo senso bisogna ammettere in Cristo nella parte razionale due volontà, ossia due specie di atti volitivi. La volontà infatti, come si è detto nella Seconda Pane, ha per oggetto tanto il fine quanto i mezzi utili a raggiungerlo, e a questi due oggetti si volge in due modi diversi. Al fine senza riser­ ve, come a un bene assoluto, ai mezzi invece mediante un confronto che ne rilevi la bontà relativa. Perciò l'atto della volontà che ha per oggetto un bene assoluto, come ad es. la salu­ te, atto che viene denominato dal Damasceno thelesis, ossia «Volontà assoluta», e dai mae­ stri «volontà come natura», è specificamente diverso dall' atto della volontà che ha per og­ getto dei beni strumentali, come il voler pren­ dere una medicina, atto che i l Damasceno chiama bulesis, ossia «volontà deliberativa», e i maestri chiamano «volontà come ragione».

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L 'unità di Cristo quanto alla volontà

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thelesis, idest simplex voluntas, et a magistris vocatur voluntas ut natura, et alterius rationis est actus voluntatis secundum quod fertur in aliquid quod est volitum solum ex ordine ad alterum, sicut est sumptio medicinae, quem quidem voluntatis actum Damascenus vocat bulesim [De fide 2,22], idest consiliativam voluntatem, a magistris [cf. De quatuor vo­ lunt.] autem vocatur voluntas ut ratio. Haec autem diversitas actus non diversificar poten­ tiam, quia uterque actus attenditur ad unam rationem communem obiecti, quod est bo­ num. Et ideo dicendum est quod, si loquamur de potentia voluntatis, in Christo est una sola voluntas humana essentialiter et non partici­ pative dieta. Si vero loquamur de voluntate quae est actus, sic distinguitur in Christo vo­ luntas quae est ut natura, quae dicitur thelesis; et voluntas ut ratio, quae dicitur bulesis. Ad primum ergo dicendum quod illae volun­ tates non diversificantur secundum potentiam, sed solum secundum differentiam actus, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod etiam intellec­ tus et ratio non sunt diversae potentiae, ut in prima parte dictum est [q. 79 a. 8]. Ad tertium dicendum quod voluntas pietatis non videtur esse aliud quam voluntas quae consideratur ut natura, inquantum scilicet re­ fugit alienum malum absolute consideratum.

Questa diversità esistente fra gli atti non mol­ tiplica però la facoltà volitiva, avendo ambe­ due gli atti come oggetto formale comune il bene. Perciò bisogna concludere che, se par­ liamo della facoltà volitiva, in Cristo c'è un'u­ nica volontà umana, propria ed essenziale. Se invece parliamo di atti volitivi, allora distin­ guiamo in Cristo la volontà che opera come natura, e che è detta thelesis, e la volontà che opera come ragione, e che è detta bulesis. Soluzione delle difficoltà: l . Le due volontà di cui parla il Damasceno non sono due facol­ tà volitive, ma solo atti diversi di una stessa facoltà, come si è detto. 2. Neppure l' intelligenza e la ragione sono facoltà diverse, come si è detto nella Prima Parte. 3. La «volontà della pietà» non è distinta dalla volontà come natura, non essendo al­ tro che il dispiacere del male altrui conside­ rato in assoluto.

Articulus 4 Utrum in Christo fuerit liberum arbitrium

Articolo 4 In Cristo c'era il libero arbitrio?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in Christo non fuerit liberum arbitrium. l . Dicit enim Damascenus, in 3 libro [De fide 14] , gnomen autem (idest sententiam, vel mentem, vel cogitationem) et proaeresin (idest electionem) in Domino dicere impossi­ bile est, si proprie loqui volumus. Maxime autem in his quae sunt fidei est proprie lo­ quendum. Ergo in Christo non fuit electio. Et per consequens nec liberum arbitrium, cuius actus est electio. 2. Praeterea, philosophus dicit, in 3 Ethic. [2, 1 7], quod electio est appetitus praeconsi­ liati. Sed consilium non videtur fui sse in Christo, quia non consiliamur de quibus certi sumus; Christus autem certitudinem habuit de omnibus. Ergo in Christo non fuit electio. Et sic, nec liberum arbitrium.

Sembra di no. Infatti: l . Come dice il Damasceno, propriamente parlando non si può attribuire al Signore né la gnome (cioè la sentenza, o riflessione, o cogi­ tazione), né la proaeresis (cioè la scelta). Ora, nelle cose di fede bisogna parlare con somma proprietà di linguaggio. Quindi in Cristo non c'era la scelta, e per conseguenza neppure il libero arbitrio, di cui la scelta è l'atto. 2. TI Filosofo dice che la scelta è «il desiderio di cose predeliberate mediante il consiglio». Ma in Cristo non c'era il consiglio, dato che esso non serve quando siamo certi, e Cristo aveva la certezza su tutto. Quindi in Cristo non c'era la scelta. E così neppure il libero arbitrio. 3. ll libero arbitrio è indeterminato. Ma la volontà di Cristo era determinata al bene, non potendo peccare, come si è detto sopra.

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L 'unità di Cristo quanto alla volontà

3 . Praeterea, liberum arbitrium se habet ad utrumque. Sed voluntas Christi fui t determinata ad bonum, quia non potuit pecca­ re, sicut supra [q. 1 5 aa. 1-2] dictum est. Ergo in Christo non fuit liberum arbitrium. Sed contra est quod dicitur Isaiae 7 [ 1 5 ] ,

butyrum et mel comedet, ut sciat reprobare malum et eligere bonum, quod est actus liberi arbitrii. Ergo in Christo fuit liberum arbitrium. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 3] dictum est, in Christo fuit duplex actus volun­ tatis, unus quidem quo eius voluntas ferebatur in aliquid sicut secundum se volitum, quod pertinet ad rationem finis; alius autem secun­ dum quem eius voluntas ferebatur in aliquid per ordinem ad aliud, quod pertinet ad ratio­ nem eius quod est ad finem. Differt autem, ut philosophus dicit, in 3 Ethic. [2,9], electio a voluntate in hoc, quod voluntas, per se lo­ quendo, est ipsius finis; electio autem eorum quae sunt ad finem. Et sic simplex voluntas est idem quod voluntas ut natura, electio autem est idem quod voluntas ut ratio, et est proprius actus liberi arbitrii, ut in prima parte [q. 83 a. 3; I-II q. 1 3 a. l ] dictum est. Et ideo, cum in Christo ponatur voluntas ut ratio, ne­ cesse est ibi ponere electionem, et per conse­ quens liberum arbitrium, cuius actus est elec­ tio, ut in prima parte [q. 83 a. 3; I-II q. 1 3 a. l ] habitum est. Ad primum ergo dicendum quod Damascenus excludit a Christo electionem secundum quod intelligit in nomine electionis importari dubi­ tationem. Sed tamen dubitatio non est de ne­ cessitate electionis, quia etiam Deo competit eligere, secundum illud Eph. l [4], elegit nos in ipso ante mundi constitutionem; cum tamen in Deo nulla sit dubitatio . Accidit autem dubitatio electioni, inquantum est in natura ignorante. Et idem dicendum est de aliis de quibus fit mentio in auctoritate praedicta. Ad secundum dicendum quod electio prae­ supponit consilium, non tamen sequitur ex consilio nisi iam determinato per iudicium; il­ lud enim quod iudicamus agendum post in­ quisitionem consilii, eligimus, ut dicitur in 3 Ethic. [3, 1 9]. Et ideo, si aliquid iudicetur ut agendum absque dubitatione et inquisitione praecedente, hoc sufficit ad electionem. Et sic patet quod dubitatio, sive inquisitio, non per se pertinet ad electionem, sed solum secun­ dum quod est in natura ignorante.

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Quindi in Cristo non c'era il libero arbitrio. In contrario: in fs 7 [ 1 5] è detto: Mangerà burro e miele finché 1wn imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene, che sono atti del libero ar­ bitrio. Quindi in Cristo c'era il libero arbitrio. Risposta: stando alle cose già dette, c'erano in Cristo due atti di volontà: uno per cui voleva in se stesso un certo oggetto come fine, un altro per cui voleva qualcosa come mezzo in ordine ad altro. Ora, come dice il Filosofo, c'è questa differenza tra la scelta e la volontà: che la volontà propriamente parlando ha per oggetto il fine stesso, mentre la scelta riguar­ da i mezzi ordinati al fine. E così la semplice volontà si identifica con la volontà come natura, mentre la scelta si identifica con la vo­ lontà come ragione, ed è l'atto proprio del li­ bero arbitrio, come si è detto nella Prima Parte. Poiché dunque in Cristo c'è la volontà come ragione, è necessario porre in lui la scelta e quindi il libero arbitrio, il cui atto è la scelta, come si è visto nella Prima Parte. Soluzione delle difficoltà: l . Il Damasceno esclude da Cristo la scelta in quanto essa può comportare un dubbio nel giudizio. Ma il dubbio non è essenziale alla scelta, poiché an­ che Dio compie delle scelte, secondo le pa­ role di Ef l [4]: In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo; eppure in Dio non ci sono dubbi . La scelta invece è dubbiosa quando si accompagna accidentalmente all'ignoranza. E altrettanto si dica degli altri atti menzionati. 2. La scelta presuppone il consiglio, ma non nasce dal consiglio se questo non si è già con­ cluso con il giudizio: poiché noi scegliamo di fare ciò che giudichiamo da farsi dopo l'inda­ gine del consiglio, come scrive Aristotele. Se quindi si può emettere il giudizio senza farlo precedere dal dubbio e dall'indagine, ciò ba­ sta per la scelta. E così è chiaro che il dubbio e l'indagine non appartengono necessaria­ mente alla scelta, ma vi si riscontrano soltanto in una natura che ignora. 3. La volontà di Cristo, quantunque sia deter­ minata al bene, non è però determinata ai sin­ goli beni. Cristo poteva dunque operare delle scelte con il suo libero arbitrio confermato nel bene, come fanno i beati.

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Ad tertium dicendum quod voluntas Christi, licet sit determinata ad bonum, non tamen est determinata ad hoc vel illud bonum. Et ideo pertinebat ad Christum eligere per liberum ar­ bitrium confirmatum in bono, sicut ad beatos. Articulus 5

Articolo 5

Utrum voluntas humana in Christo voluerit aliud quam quod Deus vult

Con la sua volontà umana, Cristo ha voluto cose diverse da quelle volute da Dio?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod vo­ luntas humana in Christo non voluerit aliud quam quod Deus vult. l . Dicitur enim in Psalmo [39,9], ex persona Christi, ut facerem voluntatem tuam, Deus meus, volui. Sed ille qui vult voluntatem ali­ cuius facere, vult quod ille vult. Ergo videtur quod voluntas humana Christi nihil aliud voluerit quam voluntas ipsius divina. 2. Praeterea, anima Christi habuit pert'ectissi­ mam caritatem, quae etiam comprehensionem nostrae scientiae excedit, secundum illud Eph. 3 [ 1 9], supereminentem scientiae caritatem Christi. Sed caritatis est facere quod homo idem velit quod Deus, unde et philosophus, in 9 Ethic. [4, 1], dicit quod unum de amicabilibus est eadem ve/le et eligere. Ergo voluntas huma­ na in Christo nihil aliud voluit quam divina. 3. Praeterea, Christus fuit verus comprehensor. Sed sancti qui sunt comprehensores in patria, nihil aliud volunt quam quod Deus vult. Alioquin, non essent beati, quia non haberent quidquid vellent, beatus enim est qui habet quidquid vult et nihil mali vult, ut dicit Augu­ stinus, in libro De Trin. [ 1 3,5]. Ergo Christus nihil aliud voluit secundum voluntatem huma­ nam quam quod voluit voluntas divina. Sed contra est quod Augustinus dicit, Contra Maximinum [2,20], in hoc quod Christus ait [Matth. 26,39], non quod ego volo, sed quod

Sembra di no. Infatti: l . Nel Sal 39 [9] in persona di Cristo è detto:

tu, aliud se ostendit voluisse quam Pater. Quod nisi Immano corde non posset, cum inji1mitatem nostram in suum, non divinum, sed humanwn tram:figuraret affectum. Respondeo dicendum quod sicut dictum est [aa. 2-3 ] , in Christo secundum humanam naturam ponitur multiplex voluntas, scilicet voluntas sensualitatis, quae participative vo­ luntas dicitur; et voluntas rationalis, sive consideretur per modum naturae, sive per mo­ dum rationis. Dictum est autem supra [q. 1 3

Mio Dio, io ho desiderato compiere la tua volontà. Ma chi vuole compiere la volontà di un altro, vuole ciò che vuole l' altro. Quindi sembra che la volontà umana di Cristo non volesse se non quanto era voluto dalla sua vo­ lontà divina. 2. L'anima di Cristo aveva una carità pert'et­ tissima, che sorpassa anche la nostra com­ prensione, secondo le parole di Ef 3 [ 1 9] :

La carità di Cristo che sorpassa ogni cono­

scenza. Ma la carità fa sì che l'uomo voglia ciò che vuole Dio, tanto che il Filosofo consi­ dera come uno dei segni dell'amicizia «il vo­ lere e lo scegliere le medesime cose». Quindi la volontà umana in Cristo non voleva se non quanto voleva la volontà divina. 3. Cristo era veramente comprensore. Ma i santi comprensori in cielo non vogliono se non ciò che vuole Dio. Altrimenti non sareb­ bero beati, poiché non avrebbero tutto ciò che vogliono: «è beato infatti chi ha tutto ciò che vuole e non vuole nulla di male», scrive Ago­ stino. Quindi Cristo con la sua volontà umana non voleva nulla che non volesse con la sua volontà divina. In contrario: Agostino afferma che «Cristo dicendo: Non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu, dimostra di volere qualcosa di di­ verso da ciò che voleva il Padre. Ma non avrebbe potuto fare ciò se non con il suo cuo­ re umano: avendo egli trasferito la nostra de­ bolezza nei suoi sentimenti umani, non in quelli divini». Risposta: come si è detto sopra, ci sono in Cristo due volontà umane, la volontà di sen­ sualità, che è detta volontà per partecipazione, e la volontà razionale, sia come volontà di natura che come volontà di ragione. Ma si è pure detto che per una speciale disposizione il

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a. 3 ad l ; q. 14 a. l ad 2] quod, ex quadam di­ spensatione, Filius Dei, ante suam passionem, permittebat carni agere et pati quae sunt ei propria. Et similiter permittebat omnibus viri­ bus animae agere quae propria. Manifestum est autem quod voluntas sensualitatis refugit naturaliter dolores sensibiles et corporis lae­ sionem. Similiter etiam voluntas ut natura re­ pudiat ea quae naturae sunt contraria, et quae sunt secundum se mala, puta mortem et alia huiusmodi. Haec tamen quandoque voluntas per modum rationis eligere potest ex ordine ad finem, sicut etiam in aliquo puro homine sensualitas eius, et etiam voluntas absolute considerata, refugit ustionem, quam voluntas secundum rationem elegit propter finem sani­ tatis. Voluntas autem Dei erat ut Christus dolores et passiones et mortem pateretur, non quod ista essent a Deo volita secundum se, sed ex ordine ad finem humanae salutis. Unde patet quod Christus, secundum voluntatem sensualitatis, et secundum voluntatem rationis quae consideratur per modum naturae, aliud poterat velle quam Deus. Sed secundum vo­ luntatem quae est per modum rationis, sem­ per idem volebat quod Deus. Quod patet ex hoc ipso quod dicit [Matth. 26,39], non sicut ego volo, sed sicut tu. Volebat enim, secun­ dum rationis voluntatem, divinam voluntatem impleri, quamvis aliud dicat se velle secun­ dum aliam eius voluntatem. Ad primum ergo dicendum quod Christus vo­ lebat ut voluntas patris impleretur, non autem secundum voluntatem sensualitatis cuius mo­ tus non se extendit usque ad voluntatem Dei; neque per voluntatem quae consideratur per modum naturae, quae fertur in aliqua obiecta absolute considerata, et non in ordine ad divi­ nam voluntatem. Ad secundum dicendum quod conformitas vo­ luntatis humanae ad voluntatem divinam at­ tenditur secundum voluntatem rationis, se­ cundum quam etiam voluntates amicorum concordant, inquantum scilicet ratio considerar aliquod volitum in ordine ad voluntatem amici. Ad tertium dicendum quod Christus simul fuit comprehensor et viator, inquantum scili­ cet per mentem fruebatur Deo, et habebat car­ nem passibilem. Et ideo ex parte camis passi­ bilis poterat in eo aliquid accidere quod repu­ gnaret naturali voluntati ipsius, et etiam ap­ petitui sensitivo.

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Figlio di Dio, prima della sua morte, «lascia­ va alla carne di operare e di patire in confor­ mità alla sua natura». E similmente consenti­ va a tutte le facoltà dell'anima di operare se­ condo la propria tendenza. Ora, si sa che la volontà di sensualità rifugge naturalmente dai dolori sensibili e dalle lesioni corporali. E parimenti anche alla volontà come natura ripugnano tutte le cose che sono contrarie alla natura e cattive per se stesse, quali la morte e altre cose simili. Tuttavia in certi casi la vo­ lontà come ragione può volere queste cose quali mezzi per il raggiungimento di un fine: p. es. un'ustione, che la sensibilità e la volon­ tà naturale di ogni uomo comune spontanea­ mente rifiuta, diviene oggetto della volontà come mezzo per ottenere la guarigione. Ora, la volontà di Dio era che Cristo soffrisse i dolori, la passione e la morte: anche se queste cose Dio le voleva non per se stesse, ma in ordine alla salvezza umana. È chiaro dunque che Cristo secondo la volontà di sensualità e quella razionale considerata come natura poteva volere cose diverse da quelle che voleva Dio. Invece secondo la volontà come ragione voleva sempre ciò che voleva Dio. Il che risulta dalle sue stesse parole [Mt 26,39]: Non come voglio io, ma come vuoi tu. Infatti voleva con la volontà razionale che si compis­ se la volontà divina, sebbene dicesse di volere qualcos'altro con l'altra sua volontà. Soluzione delle difficoltà: Cristo voleva che la volontà del Padre si compisse, ma non voleva questo con la volontà di sensualità, la quale non può elevarsi fino alla volontà di Dio, e neppure con la volontà come natura, che ha per oggetto dei beni considerati per se stessi e non in ordine alla volontà divina. 2. La conformità della volontà umana con la volontà divina si rifetisce alla volontà come ragione: è in essa infatti che si accordano an­ che le volontà degli amici, in quanto la ragio­ ne considera l'oggetto della volontà in rap­ porto alla volontà dell'amico. 3. Cristo era insieme comprensore e viatore: godeva cioè di Dio con la mente e insieme ave­ va una carne passibile. Di conseguenza gli po­ teva accadere dalla parte della sua carne pas­ sibile qualcosa che ripugnava alla sua volontà come natura, e anche all'appetito sensitivo.

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Articulus 6 Utrum in Christo fuerit contrarietas voluntatum

Articolo 6 Tra le volontà di Cristo esistevano dei contrasti?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod in Christo fuerit contrarietas voluntatum. l . Contrarietas enim voluntatum attenditur secundum contrarietatem obiectorum, sicut et contrarietas motuum attenditur secundum contrarietatem terminorum, ut patet per philo­ sophum, in 5 Phys. [5,3]. Sed Christus secun­ dum diversas voluntates contraria volebat, nam secundum voluntatem divinam volebat mortem, quam refugiebat secundum volun­ tatem humanam. Unde Athanasius dicit, in libro Adversus Apollinarium [De incarn. Ver­ bi et contra Arianos, n. 21], quando Christus dixit [Matth. 26,39], Pater si possibile est, transeat a me ca/ix iste, et tamen non mea, sed tua voluntasfiat, et iterum [Matth. 26,41 ; Mare. 1 4,38], spiritus promptus est, caro autem infinna, duas voluntates hic ostendit, I1Umanam, quae propter infinnitatem camis refugiebat passionem; et divinam eius, promptam ad passionem. Ergo in Christo fuit contrarietas voluntatum. 2. Praeterea, Gal. 5 [ 1 7] dicitur quod caro concupiscit adversus spiritum, et spiritus ad­ versus camem. Est igitur contrarietas volunta­ tum quando Spiritus concupiscit unum, et ca­ ro aliud. Sed hoc fuit in Christo, nam per voluntatem caritatis, quam Spiritus Sanctus in eius mente faciebat, volebat passionem, se­ cundurn illud lsaiae 53 [7], oblatus est quia ipse voluit; secundum autem carnem, passio­ nem refugiebat. Ergo erat in eo contrarietas voluntatum. 3. Praeterea, Luc. 22 [43] dicitur quod, factus in agonia, prolixius orabat. Sed agonia vi­ detur importare quandam impugnationem animi in contraria tendentis. Ergo videtur quod in Christo fuerit contrarietas voluntatis. Sed contra est quod in determinatione Sextae Synodi [actio 1 8] dicitur, praedicamus duas natura/es voluntates, non contrarias, iuxta quod impii asserunt haeretici [cf. Conc. Cpolit. III, actio 1 2, ep. Sergii Cpolit. ad Honorium; actio 1 1 , ex libello Macarii ad Constantinum]; sed sequentem humanam eius voluntatem, et non resistentem vel reluc­ tantem, sed potius subiectam divinae eius atque omnipotenti voluntati.

Sembra di sì. Infatti: l . I contrasti di volontà dipendono dalla contra­ rietà degli oggetti, come la contrarietà dei mo­ vimenti dalla contrarietà dei loro termini, se­ condo l'insegnamento del Filosofo. Ma Cristo con le sue varie volontà voleva cose contrarie: con la volontà divina infatti voleva la morte, che ripugnava alla sua volontà umana. Per cui Atanasio scrive: «Quando Cristo diceva: Pa­ dre, se è possibile passi da me questo calice; però non la mia, ma la tua volontà sia fatta; e ancora: Lo spirito è pronto, ma la carne è debole, mostra due volontà: l'umana, che per la debolezza della carne rifuggiva dalla passio­ ne, e la divina, disposta a subirla>>. Quindi tra le volontà di Cristo c'erano dei contrasti. 2. In Gal 5 [ 17] è detto: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne. C'è dunque contrarietà tra le volontà quando lo spirito desidera una cosa e la carne un'altra. Ma ciò accadeva in Cristo: infatti con la volontà di carità, ispirata nella sua anima dallo Spirito Santo, voleva la passione, secondo le parole di ls 53 [7]: È stato immola­ to perché egli stesso lo ha voluto, mentre con la sua carne rifuggiva dalla passione. C'era quin­ di in lui un contrasto di volontà. 3. In Le 22 [43] è detto: Entrato in agonia, pregava più intensamente. Ma l'agonia sem­ bra comportare una lotta dello spirito tra impulsi contrari. Quindi sembra che in Cristo ci fossero dei contrasti di volontà. In contrario: nella definizione del Sesto Con­ cilio sta scritto: «Professiamo [in Cristo] due volontà naturali non contrarie, come le hanno pensate alcuni empi eretici: poiché la sua volontà umana segue sempre quella divina e onnipotente, senza resistenze e lotte, ma con sottomissione». Risposta: c'è contrarietà o contrasto solo quan­ do l'opposizione riguarda l'identica cosa sotto il medesimo aspetto. Se invece l'opposizione è secondo aspetti diversi e in cose diverse, allora non si può parlare di contmrietà né di contrad­ dizione: p. es. un uomo può essere bello e sano nelle mani e non nei piedi. - Perché dunque esista una contrarietà di voleri su una data cosa bisogna prima di tutto che il contrasto la

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Respondeo dicendum quod contrarietas non potest esse nisi oppositio attendatur in eodem et secundum idem. Si autem secundum diver­ sa, et in diversis existat diversitas, non sufficit hoc ad rationem contrarietatis, sicut nec ad rationem contradictionis, puta quod homo sit pulcher aut sanus secundum manum, et non secundum pedem. - Ad hoc igitur quod sit contrarietas voluntatum in aliquo, requiritur, primo quidem, quod secundum idem atten­ datur diversitas voluntatum. Si enim unius voluntas sit de aliquo fiendo secundum quan­ dam rationem universalem, et alterius voluntas sit de eodem non fiendo secundum quandam rationem particularem, non est omnino contra­ rietas voluntatum. Puta, si rex vult suspendi latronem in bonum reipublicae, et aliquis eius consanguineus velit eum non suspendi propter amorem privatum, non erit contrarietas volun­ tatis, nisi forte se in tantum extendat voluntas boni privati ut bonum publicum velit impedire ut conservetur bonum privatum; tunc enim secundum idem attenderetur repugnantia vo­ luntatum. - Secundo autem requiritur ad con­ trarietatem voluntatis, quod sit circa eandem voluntatem. Si enim homo vult unum secun­ dum appetitum intellectus, et aliud secundum appetitum sensitivum, non est hic aliqua con­ trarietas, nisi forte appetitus sensitivus in tan­ tum praevaleat quod vel immutet vel saltem retardet appetitum rationis; sic enim iam ad ipsam voluntatem rationis perveniet aliquid de motu contrario appetitus sensitivi. - Sic igitur dicendum est quod, licet voluntas naturalis et voluntas sensualitatis in Christo aliquid aliud voluerit quam divina voluntas et voluntas ra­ tionis ipsius, non tamen fuit ibi aliqua contra­ rietas voluntatum. Primo quidem, quia neque voluntas eius naturalis, neque voluntas sensua­ litatis, repudiabat illam rationem secundum quam divina voluntas, et voluntas rationis hu­ manae in Christo, passionem volebant. Volebat enim voluntas absoluta in Christo salutem hu­ mani generis, sed eius non erat velle hoc in ordine ad aliud. Motus autem sensualitatis ad hoc se extendere non valebat. - Secundo, quia neque volunlas divina, neque voluntas rationis in Christo, impediebatur aut retardabatur per voluntatem naturalem, aut per appetitum sen­ sualitatis. Similiter autem nec e converso vo­ luntas divina, vel voluntas rationis in Christo, refugiebat aut retardabat motum voluntatis na-

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riguardi sotto il medesimo aspetto. Se infatti la volontà di uno vuole una data cosa per una ragione universale, e un altro non la vuole per un interesse particolare, non c'è per nulla con­ trarietà di volontà. Se un re, p. es., vuole per il bene comune l'impiccagione di un brigante, mentre un suo consanguineo non la vuole per un suo affetto personale, non c'è contrarietà di volontà; a meno che la volontà del bene privato non prevalga in modo tale da impedire il bene comune: perché allora I ' opposizione delle volontà verrebbe a cadere sul medesimo ogget­ to. - Secondo, la contrarietà dei voleri richiede che si tratti dello stesso tipo di volontà. Se infatti si vuole una cosa con l'appetito raziona­ le e un'altra con l' appetito sensitivo, non c'è alcuna contrarietà; a meno che l 'appetito sensi­ tivo non prevalga tanto da influenzare o da intralciare I' appetito razionale: perché allora la volontà razionale subirebbe l'influsso del moto contrario esistente nell' appetito sensitivo. Così dunque dobbiamo dire che, sebbene la volontà come natura e la volontà di sensualità abbiano avuto in Cristo oggetti diversi da quelli della volontà divina e della sua volontà come ragione, non c' era tuttavia per questo alcun contrasto di volontà. Primo, perché né la sua volontà come natura né quella di sensualità respingevano il motivo per cui la volontà divi­ na e quella umana come ragione volevano invece la passione. La volontà naturale infatti voleva in Cristo la salvezza del genere umano, ma non poteva volere una cosa in ordine a un'altra. L' appetito sensitivo poi non poteva estendersi fino a quel punto. - Secondo, perché né la volontà divina né quella di ordine ra­ zionale venivano impedite o ritardate in Cristo dalla volontà naturale o dall' appetito sensitivo. Ed era vero anche l'inverso: infatti né la volon­ tà divina né quella razionale combattevano o ritardavano in Cristo le operazioni della volon­ tà naturale e dell' appetito sensitivo. Piaceva intatti a Cristo, secondo la sua volontà divina e secondo la sua volontà razionale, che la volon­ tà naturale e l'appetito sensitivo operassero in lui secondo la loro natura. - Da ciò risulta dunque che in Cristo non c'era alcun contrasto od opposizione tra le volontà. Soluzione delle difficoltà: l . Che la volontà umana in Cristo volesse qualcosa di diverso da ciò che voleva la sua volontà divina dipen­ deva dalla stessa volontà divina, la quale a

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turalis humanae, et motum sensualitatis in Christo. Placebat enim Christo secundum vo­ luntatem divinam, et secundum voluntatem ra­ tionis, ut voluntas naturalis in ipso et voluntas sensualitatis secundum ordinem suae naturae moverentur. - Unde patet quod in Christo nulla fuerit repugnantia vel contrarietas voluntatum. Ad primum ergo dicendum quod hoc ipsum quod aliqua voluntas humana in Christo aliud volebat quam eius voluntas divina, procedebat ex ipsa voluntate divina, cuius beneplacito nanrra humana propriis motibus movebatur in Christo, ut Damascenus dicit [De fide 3,14. 19]. Ad secundum dicendum quod in nobis per concupiscentiam camis impeditur aut retar­ datur concupiscentia spiritus, quod in Christo non fuit. Et ideo in Christo non fuit contrarie­ tas carnis ad spiritum, sicut in nobis. Ad tertium dicendum quod agonia non fuit in Christo quantum ad partem animae rationa­ lem, secundum quod importat concertationem voluntatum ex diversitate rationum proceden­ tem, puta cum aliquis secundum quod ratio considerar unum, vult hoc, et secundum quod considerat aliud, vult contrarium. Hoc enim contingit propter debilitatem rationis, quae non potest diiudicare quid sit simpliciter me­ lius. Quod in Christo non fuit, quia per suam rationem iudicabat simpliciter esse melius quod per eius passionem impleretur voluntas divina circa salutem generis humani. Fuit ta­ men in Christo agonia quantum ad partem sensitivam, secundum quod importar timorem infortunii imminentis, ut dicit Damascenus, in 3 libro [De fide 23].

suo beneplacito lasciava che la natura umana si muovesse secondo le proprie tendenze, come dice il Damasceno. 2. In noi la concupiscenza della carne impedi­ sce o ritarda l'attività dello spirito, cosa che in Cristo non poteva avvenire. Perciò in Cristo non c'era contrarietà fra la carne e lo spirito come in noi. 3. L'agonia non toccava la parte razionale del­ l'anima di Cristo, e non consisteva perciò in un contrasto di desideri derivante da una di­ versità di motivi: come quando p. es. si vuole qualcosa per un motivo e il contrario per un altro. Ciò infatti accade per la debolezza della ragione, che non è in grado di giudicare che cosa sia meglio in assoluto. Ma ciò in Cristo non accadeva, poiché egli con la sua intelli­ genza giudicava che fosse meglio in assoluto che con la sua passione si compisse la volontà divina per la salvezza del genere umano. L' a­ gonia di Cristo riguardava invece la sua parte sensitiva, e consisteva nel timore del male im­ minente, come dice il Damasceno.

QUAESTIO 1 9 DE UNITATE OPERATIONIS CHRISTI

QUESTIONE 1 9 L'UNITÀ DI CRISTO IN RAPPORTO ALLE SUE OPERAZIONI

Deinde considerandum est de unitate opera­ tionis Christi. - Et circa hoc quaeruntur qua­ tuor. Primo, utrum in Christo sit una operatio divinitatis et humanitatis, vel plures. Secundo, utrum in Christo sint plures operationes se­ cundum humanam naturam. Tertio, utrum Christus secundum humanam operationem aliquid sibi meruerit. Quarto, utrum per eam aliquid meruerit nobis.

Passiamo ora a trattare dell'unità di Cristo in rapporto alle sue operazioni. - Sull'argomen­ to si pongono quattro quesiti: l . In Cristo la divinità e l'umanità hanno un'unica operazio­ ne? 2. In Cristo ci sono più operazioni se­ condo la natura umana? 3. Con le sue opera­ zioni umane, Cristo ha meritato per sé? 4. Con esse ha meritato per noi?

Q. l9, A. l

L 'unità di Cristo in rapporto alle sue operazioni

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Articulus l Utrurn in Christo sit tantum una operatio divinitatis et humanitatis

Articolo l In Cristo la divinità e l'umanità hanno un'unica operazione?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Christo sit tantum una operatio divinitatis et humanitatis. l . Dicit enim Dionysius, 2 cap. De div. nom. [6], discreta autem est benignissima circa nos Dei operatio per hoc quod, secundum nos, ex nobis, integre vereque humanatum est Ver­ bum quod est supra substantiam, et operari et pati quaecumque humanae eius divinaeque operationi congruunt, ubi unam operationem nominat humanam et divinam, quae in graeco dicitur theandrica, idest deivirilis. Videtur igitur esse una operatio composita in Christo. 2. Praeterea, principalis agentis et instrumenti est una sola operatio. Sed humana natura in Christo fuit instrumentum divinae, ut supra [q. 2 a. 6 arg. 4; q. 7 a. l ad 3; q. 8 a. l ad l ; q. 1 8 a. l ad 2] dictum est. Ergo eadem opera­ tio est divinae et humanae naturae in Christo. 3. Praeterea, cum in Christo duae naturae in una hypostasi vel persona sint, necesse est unum et idem esse quod pertinet ad hyposta­ sim vel personam. Sed operatio pertinet ad hypostasim vel personam, nihil enim operatur nisi suppositum subsistens; unde et, secun­ dum philosophum [Met. 1 , 1 ,6], actus sunt singularium. Ergo in Christo est una et eadem operatio divinitatis et humanitatis. 4. Praeterea, sicuti esse est hypostasis subsi­ stentis, ita etiam et operari. Sed propter unita­ tem hypostasis est in Christo unum esse, ut supra dictum est [q. 17 a. 2]. Ergo et propter eandem unitatem est in Christo una operatio. 5. Praeterea, ubi est unum operatum, ibi est una operatio. Sed idem operatum erat divinitatis et humanitatis, sicut sanatio leprosi, vel suscitatio mortui. Ergo videtur quod in Christo sit una tantum operatio divinitatis et humanitatis. Sed contra est quod Ambrosius, in 2 libro Ad Gratianum imperatorem [De tide 8], dicit, quem ad modwn eadem operatio diversae est potestatis? Nunquid sic potest minor quemad­ modum maior operari ? Aut una operatio potest esse ubi diversa est substantia ? Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 1 8 a. l ] dictum est, haeretici qui posuerunt i n Christo unam voluntatem, posuerunt [cf. De fide 3 , 1 5] etiam in ipso unam operationem.

Sembra di sì. Infatti: l . Dionigi scrive: «Si è fatta conoscere la mi­ sericordiosa operazione divina nei nostri ri­ guardi per il fatto che, come noi e a partire da noi, il Verbo trascendente ogni sostanza si è veramente e integralmente umanato, facendo e soffrendo ogni cosa come si addiceva alla sua operazione umano-divina»; e nomina una sola operazione umano-divina, che in greco si dice teandrica. Dunque sembra che in Cristo ci fosse una sola operazione composta. 2. L'agente principale e lo strumento compio­ no insieme una sola operazione. Ma la natura umana era in Cristo uno strumento della natu­ ra divina, come si è detto sopra. Quindi in Cristo la natura divina e la natura umana han­ no una stessa operazione. 3. Essendoci in Cristo due nature in una sola ipostasi o persona, bisogna porre un unico essere appartenente all'ipostasi o persona. Ma l'operazione è attribuita all'ipostasi o persona, poiché è sempre il supposito sussistente che opera; per cui, come dice il Filosofo, «gli atti appartengono ai singolari concreti». Quindi la divinità e l'umanità hanno in Cristo un'unica e identica operazione. 4. L'operare, come l'essere, spetta all'ipostasi sussistente. Ma per l'unità d'ipostasi c'è in Cristo un solo essere, come si è detto sopra. Quindi per la medesima unità c'è in Cristo anche una sola operazione. 5. Se unica è l'opera, unica è anche l'opera­ zione. Ora, l'opera compiuta insieme dalla di­ vinità e dall'umanità, come la guarigione di un lebbroso [Mt 8,3] o la risurrezione di un morto [Mt 9,25], era unica. Quindi sembra che in Cristo l'umanità e la divinità avessero un'unica operazione. In contrario: Ambrogio si domanda: «Come possono princìpi diversi produrre un'identica operazione? Può un principio inferiore opera­ re come un principio superiore? Ci può essere unità di operazione dove le sostanze sono diverse?». Risposta: come si è detto sopra, gli eretici che ponevano in Cristo una sola volontà poneva­ no in lui anche una sola operazione. E per capire meglio il loro errore bisogna tenere

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Et ut eorum opinio erronea melius intelliga­ tur, considerandum est quod, ubicumque sunt plura agentia ordinata, inferius movetur a su­ periori, sicut in homine corpus movetur ab anima, et inferiores vires a ratione. Sic igitur actiones et motus inferioris principii sunt ma­ gis operata quaedam quam operationes, id autem quod pettinet ad supremum princi­ pium, est proprie operatio. Puta si dicamus in homine quod ambulare, quod est pedum, et palpare, quod est manuum, sunt quaedam ho­ minis operata, quorum unum operatur anima per pedes, aliud per manus, et quia est eadem anima operans per utrumque, ex parte ipsius operantis, quod est primum principium mo­ vens, est una et indifferens operatio; ex parte autem ipsorum operatorum differentia inve­ nitur. Sicut autem in homine puro corpus mo­ vetur ab anima, et appetitus sensitivus a ratio­ nali, ita in Domino Iesu Christo humana na­ tura movebatur et regebatur a divina. Et ideo dicebant quod eadem est operatio et indif­ ferens ex parte ipsius divinitatis operantis sunt tamen diversa operata, inquantum scilicet di­ vinitas Christi aliud agebat per seipsam, sicut quod portabat omnia verbo virtutis suae; aliud autem per naturam humanam, sicut quod corporaliter ambulabat. Unde in Sexta Synodo [actio l 0] inducuntur verba Severi haeretici sic dicentis [ep. l Ad Sergium], ea

quae agebantur et operabantur ab uno Christo, multum differunt. Quaedam enim sunt Deo decibilia, quaedam humana. Veluti, corporaliter vadere super terram profecto humanum est, cruribus vero vexatis, et am­ bulare super terram penitus non valentibus, sanwn gressum donare Deo decibile est. Sed unum, scilicet incarnatwn Verbum, hoc et illud operatum est et nequaquam hoc quidem huius, hoc vero huius est naturae. Neque, eo quod diversa sunt operamenta, ideo duas operatrices naturas atque fonnas iuste defi­ niemus. - Sed in hoc decipiebantur. Quia actio eius quod movetur ab altero, est duplex, una quidem quam habet secundum propriam formam; alia autem quam habet secundum quod movetur ab alio. Sicut secmis operatio secundum propriam formam est incisio, secundum autem quod movetur ab artifice, operatio eius est facere scamnum. Operatio igitur quae est alicuius rei secundum suam formam, est propria eius; nec pertinet ad

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presente che dovunque c'è una serie ordinata di cause agenti, la causa inferiore è mossa da quella superiore, come nell' uomo il corpo dall'anima, e le potenze inferiori dalla ragio­ ne. Così dunque le azioni e i movimenti com­ piuti dalle cause inferiori, più che operazioni, sono opere, mentre è propriamente opera­ zione ciò che compie la causa suprema. Nel­ l'uomo, p. es., il camminare dei piedi e il pal­ pare delle mani sono opere dell'uomo com­ piute dall'anima, l'una per mezzo dei piedi e l'altra per mezzo delle mani; e siccome è la stessa anima che compie l'una e l'altra cosa, dalla parte dell'operante che è il primo princi­ pio movente si ha una sola operazione indiffe­ renziata, mentre dalla parte delle opere stesse c'è diversità. Ora, come in un puro uomo il corpo è mosso dall'anima e l'appetito sensiti­ vo da quello razionale, così nel nostro Signo­ re Gesù Cristo la natura umana veniva mossa e governata dalla natura divina. Essi quindi dicevano che dalla parte della divinità stessa operante c'è una sola operazione indifferen­ ziata, ma le opere sono diverse, in quanto cioè la divinità di Cristo certe cose le faceva diret­ tamente, come sostenere tutto con la potenza della sua parola [Eh 1 ,3], altre invece le face­ va per mezzo della natura umana, come carnminare corporalmente. Per cui nel Sesto Concilio sono riportate le parole dell'eretico Severo che diceva: «C'è molta diversità tra le opere che compiva un solo e medesimo Cti_­ sto. Alcune sono degne di Dio, altre umane. E certamente umano camminare corporalmente, è divino invece concedere di camminare a delle gambe rattrappite, incapaci ormai di muovere un passo. Ma l'una e l'altra cosa fu­ rono compiute da un unico soggetto, cioè dal Verbo incarnato, e in nessun modo si possono attribuire distintamente le due opere alle due diverse nature. Né sarebbe giusto ammettere due nature o forme operanti a motivo della differenza delle opere». - Ma qui essi si in­ gannavano. Poiché due sono le azioni di un agente che è mosso da un al tro : l ' una dipendente dalla propria forma, l'altra dal­ l'impulso di chi lo muove. Come l'operazio­ ne di una scure secondo la sua fonna è di tagliare, mentre l'operazione che compie in quanto è mossa dall'artigiano è di fare, ad es., una sedia. L'operazione dunque che appartie­ ne a una certa cosa secondo la sua forma è la

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moventem, nisi secundum quod utitur huius­ modi re ad suam operationem, sicut calefa­ cere est propria operatio ignis; non autem fabri, nisi quatenus utitur igne ad calefacien­ dum ferrum. Sed illa operatio quae est rei so­ lum secundum quod movetur ab alio, non est alia praeter operationem moventis ipsum, sicut facere scamnum non est seorsum operatio securis ab operatione artificis. Et ideo, ubi­ cumque movens et motum habent diversas formas seu virtutes operativas, ibi oportet quod sit alia propria operatio moventis, et alia propria operatio moti, licet motum participet operationem moventis , et movens utatur operatione moti, et sic utrumque agit cum communione alterius. - Sic igitur in Christo humana natura habet propriam formam et virtutem per quam operatur et similiter divina. Unde et humana natura habet propriam operationem distinctam ab operatione divina, et e converso. Et tamen divina natura utitur operatione naturae humanae sicut operatione sui instrumenti, et similiter humana natura participat operationem divinae naturae, sicut i n strumentum parti c i pat operati o n e m principalis agentis. E t hoc est quod dicit Leo Papa, in Epistola ad Flavianum [28,4], agit utraque forma, scilicet tam natura divina quam humana in Christo, cum alterius com­

munione, quod proprium est, Verbo scilicet operante quod Verbi est, et came exequente quod camis est. - Si vero esset una tantum operatio divinitatis et humanitatis in Christo, oporteret dicere vel quod humana natura non haberet propriam formam et virtutem (de divina enim hoc dici est impossibile), ex quo sequeretur quod in Christo esset tantum divina operatio, vel oporteret dicere quod ex virtute divina et humana esset conflata i n Christo u n a virtus. Quorum utrumque est impossibile, nam per primum horum ponitur natura humana in Christo esse imperfecta; per secundum vero ponitur confusio naturarum. Et ideo rationabiliter in Sexta Synodo haec opinio est condemnata, in cuius determina­ tione dicitur [actio 1 8], duas natura/es opera­

tiones indivise, inconvertibilite1; inconfuse, inseparabiliter, in eodem Domino lesu Chri­ sto, vem Deo nosnv, glorificamus, hoc est, di­ vinam operationem et humanam. Ad primum ergo dicendum quod Dionysius ponit in Christo operationem theandricam,

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sua operazione propria, e non appartiene al­ l 'agente principale se non in quanto questi se ne serve per agire egli stesso: come lo scalda­ re è un' operazione del fuoco e non del fabbro, il quale però usa il fuoco per scaldare il ferro. Invece l' operazione che appartiene a una cer­ ta cosa solo in quanto è mossa da un'altra si identifica con l'operazione dello stesso agente principale: come il fare una sedia non è per la scure un'operazione distinta da quella dell'ar­ tigiano. Perciò dovunque l'agente principale e quello strumentale hanno forme o virtù opera­ tive diverse, bisogna distinguere un' opera­ zione propria del l ' agente principale e una propria dell' agente strumentale, sebbene que­ st'ultimo partecipi all'operazione dell' agente principale, e questo si serva dell'operazione dello strumento, per cui ciascuno opera in comunione con l' altro. - In Cristo dunque la natura umana ha la propria forma e virtù ope­ rativa, e così pure la natura divina. Perciò la natura umana ha un' operazione propria di­ stinta dall'operazione divina, e viceversa. Tht­ tavia la natura divina si serve dell'operazione della natura umana come di uno strumento; e a sua volta la natura umana partecipa all'ope­ razione della natura divina come lo stmmento partecipa ali' operazione dell' agente princi­ pale. E questo è il pensiero del papa Leone: «Compie ciascuna forma», cioè la natura di­ vina e la natura umana in Cristo, «in comu­ nione con l'altra ciò che le è proprio: il Verbo compie le azioni proprie del Verbo, e la carne compie le azioni proprie della carne». - Se invece ci fosse in Cristo una sola operazione umano-divina, ne verrebbe o che la natura umana non ha una propria forma e virtù (della natura divina infatti è assurdo dirlo), per cui allora in Cristo ci sarebbe soltanto l'operazio­ ne divina, o che in Cristo la virtù divina e la virtù umana si sono fuse i n un' unica virtù. Tutte e due conseguenze ugualmente inaccet­ tabili: la prima perché porrebbe in Cristo una natura umana imperfetta; la seconda perché confonderebbe le due nature. - Giustamente perciò questo errore fu condannato dal Sesto Concilio, nei cui decreti si legge: «Noi ono­ riamo nel Signore nostro Gesù Cristo, nostro vero Dio, due operazioni naturali», cioè l'o­ perazione divina e l 'operazione umana, «sen­ za divisioni, senza trasposizioni, senza confu­ sioni, senza separazioni».

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idest divinam-virilem, vel divinam-humanam, non per aliquam confusionem operationum seu virtutum utriusque naturae, sed per hoc quod divina operatio eius utitur humana eius operatione, et humana operatio participat virtutem divinae operationis. Unde, sicut ipse dicit i n quadam Epistola [ep. 4 ] , super hominem operabatur ea quae sunt hominis, quod monstrat Vìrgo supernaturaliter conci­ piens, et aqua terrenorum pedum sustinens gravitatem. Manifestum est enim quod conci­ pi est humanae naturae, similiter et ambulare, sed utrumque fuit in Christo supematuraliter. Et similiter divina operabatur humanitus, sicut cum sanavit leprosum tangendo. Unde in eadem Epistola [ep. 4 Ad Caium Mon.] subdit, sed, Deo homine facto, nova quadam Dei et hominis operatione. - Quod autem intelligat duas esse operationes in Christo, unam divinae naturae, aliam autem humanae, patet ex his quae dicit in 2 cap. De div. nom. [6] , ubi dicit quod his, quae pertinent ad humanam eius operationem, Pater et Spiritus Sanctus nulla ratione communicant, nisi quis dixerit secundum benignissimam et miseri­ cordem voluntatem, inquantum scilicet Pater et Spititus Sanctus ex sua misericordia volue­ runt Christum agere et pati humana. Addit autem, et omnem sublimissimam et ine.ffabi­ lem Dei operationem quam operatus est secundum nos factus incommutabilis eo quod Deus et Dei Verbum. Sic igitur patet quod alia est eius operatio humana, i n qua Pater et Spiritus Sanctus non communicant nisi se­ cundum acceptationem misericordiae suae, et alia est eius operatio inquantum est Dei Ver­ bum, in qua communicant Pater et Spiritus Sanctus. Ad secundum dicendum quod instrumentum dicitur aliquid ex eo quod movetur a prin­ cipali agente, quod tamen, praeter hoc, potest habere propriam operationem secundum suam formam, ut de igne dictum est [in co.]. Sic igitur actio instrumenti inquantum est instrumentum, non est alia ab actione princi­ palis agentis, potest tamen habere aliam ope­ rationem prout est res quaedam. Sic igitur operatio quae est humanae naturae in Christo, inquantum est instrumentum divinitatis, non est alia ab operatione divinitatis, non enim est alia salvatio qua salvat humanitas Christi, et divinitas eius. Habet tamen humana natura in

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Soluzione delle difficoltà: l . Dionigi pone in Cristo un' operazione teandrica o umano­ divina non nel senso che le operazioni o le virtù delle due nature siano fuse insieme, ma nel senso che l'operazione divina si serve di quella umana, e questa partecipa della virtù dell'operazione divina. Cosicché, come dice egli stesso, «egli compiva le azioni umane in modo sovrumano, come dimostrano la sua concezione soprannaturale da parte d�lla Ver­ gine e il suo camminare sulle acque». E chiaro infatti che l'essere concepito riguarda la natura umana, come anche il camminare, ma l 'una e I' altra cosa avvenne in Cristo in modo so­ prannaturale. E similmente egli compiva le operazioni divine in maniera umana, come quando risanò il lebbroso toccandolo [Mt 8,3]. Per cui Dionigi aggiunge: «Essendosi Dio fatto uomo, si ha una nuova operazione di Dio e dell'uomo insieme». - Che poi egli intenda che le operazioni in Cristo sono due, una della natura divina e una della natura umana, risulta da quanto scrive nel De Divinis Nominibus, dove afferma che «a queste cose», a quelle cioè che riguardano la sua operazione umana, «il Padre e lo Spirito Santo non partecipano in alcun modo se non per la loro benignissima e misericordiosa volontà>>, avendo cioè voluto il Padre e lo Spirito Santo, per la loro misericor­ dia, che Cristo operasse e soffrisse umana­ mente. E aggiunge: «[Partecipano] invece alle operazioni divine altissime e ineffabili che egli, fattosi simile a noi, ma senza subire alcun mutamento, compiva come Dio e Verbo di Dio». Così dunque risulta chiaro che altra è la sua operazione umana, a cui il Padre e Io Spirito Santo non partecipano se non con la loro benevola accettazione, e altra è la sua operazione di Verbo di Dio, che egli ha in comune con il Padre e con lo Spirito Santo. 2. Lo strumento è qualcosa che è mosso da un agente principale, e che tuttavia può avere un'operazione propria dipendente dalla sua forma, come si è detto a proposito del fuoco. Perciò l' azione dello strumento in quanto è strumento non si distingue dall'azione dell'a­ gente principale; tuttavia lo strumento può compiere un'operazione distinta in quanto è una realtà per sé stante. In Cristo dunque l'operazione della natura umana in quanto è strumento della divinità non è distinta dall'o­ perazione della divinità: non c'è infatti una

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Christo, inquantum est natura quaedam, quandam propriam operationem praeter divi­ nam, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod operrui est hyposta­ sis subsistentis, sed secundum formam et naturam, a qua operatio speciem recipit. Et ideo a diversitate formarum seu naturarum est diversa species operationum, sed ab unitate hypostasis est unitas secundum numerum quantum ad operationem speciei. Sicut ignis habet duas operationes specie differentes, scilicet illuminare et calefacere, secundum differentiam lucis et caloris, et tamen est una numero illuminatio ignis semel illuminantis. Et similiter in Christo oportet quod sint duae operationes specie differentes, secundum eius duas naturas, quaelibet tamen operationum est una numero in Christo, semel facta, sicut una ambulatio et una sanatio. Ad quartum dicendum quod esse et operari est personae a natura, aliter tamen et aliter. Nam esse pertinet ad ipsam constitutionem personae, et sic quantum ad hoc se habet in ratione termini. Et ideo unitas personae requi­ rit unitatem ipsius esse completi et personalis. Sed operatio est quidam effectus personae secundum aliquam formam vel naturam. Unde pluralitas operationum non praeiudicat unitati personali. Ad quintum dicendum quod aliud est pro­ prium operatum operationis divinae, et opera­ tionis humanae in Christo, sicut operatum proprium divinae operationis est sanatio le­ prosi, operatum autem proprium humanae naturae est eius contactus. Concurrunt tamen ambae operationes ad unum operatum secun­ dum quod una natura agit cum communione alterius, ut dictum est [in co.].

salvezza compiuta dall'umanità di Cristo e un'altra compiuta dalla sua divinità. Thttavia la natura umana, in quanto è una determinata natura, ha in Cristo un' operazione propria distinta da quella divina, come si è detto. 3. L'operare è proprio dell' ipostasi sussisten­ te, ma secondo la forma e la natura che speci­ fica l'operazione. Perciò la diversità di specie delle operazioni dipende dalla diversità delle forme o nature, mentre l'unità numerica delle operazioni specifiche dipende dall' unità del­ l 'ipostasi. Il fuoco, p. es., ha due operazioni specificamente diverse, cioè illuminare e scal­ dare, secondo la differenza che c'è fra la luce e il calore, e tuttavia il fuoco, una volta acce­ so, effettua un'illuminazione numericamente unica. E similmente in Cristo ci devono esse­ re due operazioni specificamente differenti secondo le sue due nature, ma ciascuna ope­ razione nel momento in cui si produce ha in Cristo un'unità numerica: come unico è il suo camminare e unico i l suo guarire gli infermi. 4. L'essere e l' agire sono condizionati nella persona dalla natura, ma in modi diversi. In­ fatti l 'essere appartiene alla stessa costituzio­ ne della persona, per cui come tale ha funzio­ ne di termine. Perciò l ' unità della persona richiede l'unità dell'essere stesso, completo e personale. Invece l' operazione è un effetto che la persona produce in dipendenza da una forma o natura. Per cui la pluralità delle ope­ razioni non impedisce l' unità della persona. 5. Altra è l'opera propria dell'operazione di­ vina in Cristo e altra è quella della sua opera­ zione umana: come l 'opera propria dell' ope­ razione divina è il guarire il lebbroso, mentre l ' opera propria deli' operazione umana è il toccarlo. Tuttavia ambedue le operazioni con­ corrono insieme a una stessa opera, in quanto ciascuna delle due nature agisce in comunio­ ne con l' altra, come si è detto.

Articulus 2 Utrum in Christo sint plures humanae operationes

Articolo 2 In Cristo ci sono più operazioni umane?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in Christo sint plures humanae operationes. l . Christus enim, inquantum homo, commu­ nicat cum plantis in natura nutritiva, cum ani­ malibus autem in natura sensitiva, cum ange­ lis vero i n natura intellectiva, sicut et ceteri

Sembra di sì. Infatti: l . Cristo in quanto uomo ha in comune con le piante la natura vegetativa, con gli animali la natura sensitiva e con gli angeli la natura in­ tellettiva, alla pari degli altri uomini. Ma altra è l'operazione della pianta in quanto pianta e

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homines. Sed alia est operatio plantae inquan­ tum est pianta, et alia animalis inquantum est animai. Ergo Christus, inquantum est homo, habet plures operationes. 2. Praeterea, potentiae et habitus distin­ guuntur secundum actus. Sed in anima Christi fuerunt diversae potentiae et diversi habitus. Ergo diversae operationes. 3. Praeterea, instrumenta debent esse propor­ tionata operationibus. Corpus autem huma­ num habet diversa membra di1ferentia secun­ dum formam. Ergo diversis operationibus accommodata. Sunt igitur in Christo diversae operationes secundum humanam naturam. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 li­ bro [De fide 15-16], operatio sequitur naturam. Sed in Christo est tantum una humana natura. Ergo in Christo fui t tantum una operatio humana. Respondeo dicendum quod, quia homo est id quod est secundum rationem, illa operatio dicitur esse simpliciter humana quae a ratione procedit per voluntatem, quae est rationis appetitus. Si qua autem operatio est in homi­ ne quae non procedit a ratione et voluntate, non est simpliciter operatio humana, sed convenit homini secundum aliquam partem humanae naturae, quandoque quidem secun­ dum ipsam naturam elementi corporalis, sicut ferri deorsum; quandoque vero secundum virtutem animae vegetabilis, sicut nutriri et augeri ; quandoque vero secundum partem sensitivam, sicut videre et audire, imaginari et memorari, concupiscere et irasci. Inter quas operationes est differentia. Nam operationes animae sensitivae sunt aliqualiter obedientes rationi, et ideo sunt aliqualiter rationales et humanae, inquantum scilicet obediunt rationi, ut patet per philosophum, in l Ethic. [ 1 3 , 1 8] . Operationes vero quae sequuntur animam ve­ getabilem, vel etiam naturam elementalis corporis, non subiiciuntur rationi, unde nullo modo sunt rationales, nec humanae simplici­ ter, sed solum secundum partem humanae na­ turae. - Dictum est autem supra [a. l ] quod quando agens inferius agit per propriam for­ mam, tunc est alia operatio inferioris agentis et superioris, quando vero agens inferius non agit nisi secundum quod est motum a superio­ ri agente, tunc est eadem operatio superioris agentis et inferioris. Sic igitur in quocumque homine puro alia est operatio elementalis et

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dell'animale in quanto animale. Quindi in Cri­ sto in quanto uomo c'erano più operazioni. 2. Le potenze e gli abiti si distinguono secon­ do le operazioni. Ma nell' anima di Cristo c'erano diverse potenze e diversi abiti. Quindi c'erano diverse operazioni. 3. Gli strumenti devono essere proporzionati alle operazioni. Ma il corpo umano ha mem­ bra di varie forme. Queste perciò servono a operazioni differenti. Quindi in Cristo ci sono operazioni umane diverse. In contrario: il Damasceno afferma che «l' o­ perazione segue la natura». Ma in Cristo c'è una sola natura umana. Quindi in Cristo c'è una sola operazione umana. Risposta: essendo l' uomo tale per la ragione, si dice propriamente operazione umana quella che è compiuta dalla ragione mediante la vo­ lontà, che è l' appetito razionale. Quanto poi alle operazioni che l' uomo compie indipen­ dentemente dalla ragione e dalla volontà, esse non sono propriamente umane, ma lo sono soltanto in parte, in quanto cioè impegnano qualche elemento della natura umana: o il so­ lo corpo secondo la sua natura, come avviene nel tendere al basso; o le facoltà vegetative, come nel nutrirsi e nel crescere ; o la parte sensitiva, come nel vedere, udire, immagina­ re, ricordare, desiderare e adirarsi . Ma tra queste operazioni vi è una differenza. Infatti le operazioni della vita sensitiva obbediscono in qualche modo alla ragione: per cui sono parzialmente razionali e umane, nella misura appunto in cui obbediscono alla ragione, come insegna il Filosofo. Invece le operazioni della vita vegetativa e quelle che dipendono dalla composizione elementare del corpo non sottostanno alla ragione, per cui non sono in alcun modo razionali, né propriamente uma­ ne, ma riguardano solo una parte della natura umana. - Ora, abbiamo già detto che quando un agente inferiore opera in forza della pro­ pria forma, la sua operazione si distingue da quella dell' agente superiore; quando invece l'agente inferiore non opera se non in quanto è mosso da quello superiore, allora si ha un'u­ nica operazione per ambedue. Così dunque in ogni puro uomo le operazioni fisiche e vege­ tative sono distinte da quelle della volontà, che sono quelle propriamente umane. E al­ trettanto si dica dell' operazione dell' anima sensitiva quando non è mossa dalla ragione,

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animae vegetabilis ab operatione voluntatis, quae est proprie humana. Similiter etiam ope­ ratio animae sensitivae quantum ad id quod non movetur a ratione, sed quantum ad id quod movetur a ratione, est eadem operatio partis sensitivae et rationalis. Ipsius autem ani­ mae rationalis est una operatio, si attendamus ad ipsum principium operationis, quod est ratio vel voluntas, diversificatur autem secun­ dum respectum ad diversa obiecta; quam quidem diversitatem aliqui [cf. Albertum, In Sent., 3, 1 7, 5, ad 4] appellaverunt diversita­ tem operatorum, magis quam operationum, iudicantes de unitate operationis solum ex par­ te operativi principii; sic enim nunc quaeritur de unitate vel pluralitate operationum in Christo. - Sic igitur in quolibet puro homine est tantum una operatio quae proprie humana dicitur, praeter quam tamen sunt in homine puro quaedam aliae operationes, quae non sunt proprie humanae, sicut dictum est. Sed in homine lesu Christo nullus erat motus sensitivae partis qui non esset ordinatus a ratione. Ipsae etiam operationes naturales et corporales aliqualiter ad eius voluntatem pertinebant, inquantum voluntatis eius erat ut caro eius ageret et pateretur quae sunt sibi propria, ut dictum est supra [q. 1 8 a. 5]. Et ideo multo magis est una operatio in Christo quam in quocumque alio homine. Ad primum ergo dicendum quod operatio partis sensitivae et nutritivae non est proprie humana, sicut dictum est [in co.]. Et tamen in Christo huiusmodi operationes fuerunt magis humanae quam in aliis. Ad secundum dicendum quod potentiae et habitus diversificantur per comparationem ad obiecta, et ideo diversitas operationum hoc modo respondet diversis potentiis et habitibus sicut etiam respondet diversis obiectis. Talem autem diversitatem operationum non intendi­ mus excludere ab humanitate Christi, sicut nec eam quae est secundum aliud tempus, sed solum illam quae est secundum primum principium activum, ut dictum est [in co.].

mentre quando è mossa dalla ragione è unica l 'operazione della parte sensitiva e di quella razionale. L'operazione poi dell'anima razio­ nale è unica se ne consideriamo il principio, che è la ragione o volontà; è invece moltepli­ ce se ne consideriamo i diversi oggetti; i quali secondo alcuni danno una diversità di opere piuttosto che di operazioni, giudicando tali autori l'unità dell'operazione solo dalla parte del principio operativo: è infatti in questo sen­ so preciso che noi ora ci occupiamo dell'unità o pluralità delle operazioni in Cristo. - In un puro uomo dunque c'è una sola operazione propriamente umana, tuttavia ci sono alcune altre operazioni impropriamente umane, co­ me si è detto. In Gesù Cristo come uomo, invece, non c'era alcun movimento della parte sensitiva che non fosse diretto dalla ragione. E anche le stesse operazioni naturali e fisiche seguivano in qualche modo la sua volontà, poiché era questa che «lasciava alla sua carne d'agire e di patire in conformità alla sua na­ tura», come si è detto sopra. Perciò in Cristo I' operazione è molto più unitaria che in qua­ lunque altro uomo. Soluzione delle difficoltà: l . Le operazioni del­ la parte sensitiva e vegetativa non sono pro­ priamente umane, come si è detto. E tuttavia in Cristo erano più umane che negli alni 2. Le potenze e gli abiti si distinguono secon­ do gli oggetti, per cui la diversità delle opera­ zioni corrisponde a quella delle potenze e degli abiti come anche a quella degli oggetti. Ora, noi non intendiamo escludere dall'uma­ nità di Cristo una tale diversità, né quella che dipende dalla diversità del tempo, ma solo la diversità che deriva dal primo principio ope­ rativo, come si è detto. 3. [Manca nell'Edizione Leonina].

Articulus 3 Utrum actio humana Christi potuerit ei esse meritoria

Articolo 3 L'azione umana di Cristo può essere meritoria per lui?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod actio humana Christi non potuit ei esse meritoria.

Sembra di no. Infatti: l . Cristo prima della morte era comprensore

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L 'unità di Cristo in rapporto alle sue operazioni

l . Christus enim ante mortem fuit compre­ hensor, sicut et modo est. Sed comprehensoris non est mereri, caritas enim comprehensoris pertinet ad praemium beatitudinis, cum se­ cundum eam attendatur fruitio; unde non vi­ detur esse principium merendi, cum non sit idem meritum et praemium. Ergo Christus ante passionem non merebatur, sicut nec mo­ do meretur. 2. Praeterea, nullus meretur id quod est sibi debitum. Sed ex hoc quod Christus est Filius Dei per naturam, debetur sibi hereditas aeter­ na, quam alii homines per bona opera meren­ tur. Non ergo Christus aliquid sibi mereri potuit, qui a principio fuit Filius Dei. 3. Praeterea, quicumque habet id quod est principale, non proprie meretur id quod ex il­ lo habito sequitur. Sed Christus habuit glo­ riam animae, ex qua secundum communem ordinem sequitur gloria corporis, ut Augusti­ nus dicit, in Epistola ad Dioscorum [ 1 28,3], in Christo tamen dispensative factum est quod gloria animae non derivaretur ad corpus. Non ergo Christus meruit gloriam corporis. 4. Praeterea, manifestatio excellentiae Christi non est bonum ipsius Christi, sed eorum qui eum cognoscunt, unde et pro praemio promit­ titur dilectoribus Christi ut eis manifestetur, secundum illud Ioan. 14 [2 1 ] , si quis diligit me, diligetur a Patre meo, et ego diligam eum, et manifestabo ei meipsum. Ergo Christus non meruit manifestationem suae altitudinis. Sed contra est quod apostolus dicit, Phil. 2 [8-9], factus est obediens usque ad mmtem, p1vpter quod et Deus exaltavit illum. Meruit ergo obediendo suam exaltationem, et ita aliquid sibi meruit. Respondeo dicendum quod habere aliquod bonum per se est nobilius quam habere illud per aliud, semper enim causa quae est per se, potior est ea quae est per aliud, ut dicitur in 8 Phys. [5,7]. Hoc autem dicitur aliquis habere per seipsum, cuius est sibi aliquo modo causa. Prima autem causa omnium bonorum nostro­ rum per auctoritatem est Deus, et per hunc modum nulla creatura habet aliquid boni per seipsam, secundum illud l Cor. 4 [7], quid habes quod non accepisti ? Potest tamen se­ cundario aliquis esse causa sibi alicuius boni habendi, inquantum scilicet in hoc ipso Deo cooperatur. Et sic ille qui habet aliquid per meritum proprium, habet quodammodo illud

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come lo è anche ora. Ma il comprensore non può meritare: infatti la sua carità fa parte del premio della beatitudine e costituisce la misu­ ra del gaudio, per cui non può essere princi­ pio di merito, non potendosi identificare fra di loro il merito e il premio. Quindi Cristo prima della morte non poteva meritare, come non lo può neppure attualmente. 2. Nessuno merita ciò che gli è già dovuto. Ma a Cristo, essendo egli il Figlio di Dio per natura, è dovuta l'eredità eterna, che gli altri uomini meritano con le buone opere. Quindi Cristo, che fin da principio era Figlio di Dio, non poteva meritare nulla per sé. 3. Chi possiede già l'elemento principale di una cosa, non può meritare ciò che da esso deriva. Ma Cristo aveva la gloria dell'anima, a cui segue, secondo l'ordine comune, la gloria del corpo, come dice Agostino, sebbene in Cristo fosse disposto che la gloria dell'anima non ridondasse nel corpo. Quindi Cristo non meritò la gloria del corpo. 4. La manifestazione della grandezza di Cristo non è un bene per lui, ma per coloro che lo vengono a conoscere, tanto che la sua mani­ festazione è promessa in premio a coloro che lo amano, secondo le parole di Gv 1 4 [2 1 ] : Se uno m i ama, sarà amato dal Padre mio, e anch 'io lo amerò e mi manifesterò a lui. Quindi Ctisto non meritò la manifestazione della sua grandezza. In contrario: Paolo dice: [Cristo] si fece ob­ bedientefino alla morte: per questo Dio lo ha esaltato (Fi/ 2,8). Quindi egli con l' obbedien­ za meritò la propria esaltazione: e così meritò qualcosa per sé. Risposta: avere un bene da sé è una cosa più nobile che riceverlo da altri, poiché, come dice Aristotele, «la causa che agisce da sé è migliore di quella che deve ad altri la sua efficacia». Ma uno ha da sé ciò di cui i n qualche modo è egli stesso causa. Ora, la prima causa assoluta di tutti i nostri beni è Dio, e nessuna creatura sotto questo punto di vista possiede alcun bene da sé, come è detto in l Cor 4 [7]: Che cos'hai che tu non abbia ricevuto? Tuttavia uno può essere a se stesso causa seconda di qualche bene cooperando con Dio. E così chi ha qualcosa per merito proprio lo ha in qualche modo da se stesso. Quindi possedere un bene per proprio merito è più nobile che possederlo senza merito. -

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L 'unità di Cristo in rapporto alle sue operazioni

per seipsum. Unde nobilius habetur id quod habetur per meritum quam id quod habetur si­ ne merito. - Quia autem omnis perfectio et nobilitas Christo est attribuenda, consequens est quod ipse per meritum habuit illud quod alii per meritum habent, nisi sit tale quid cuius carentia magis dignitati Christi et per­ fectioni praeiudicet quam per meritum accre­ scat. Unde nec gratiam, nec scientiam, nec beatitudinem animae, nec divinitatem meruit, quia, cum meritum non sit nisi eius quod nondum habetur, oportet quod Christus aliquando istis caruisset; quibus carere magis diminuit dignitatem Christi quam augeat meritum. Sed gloria corporis, vel si quid aliud huiusmodi est, minus est quam dignitas me­ rendi, quae pertinet ad vi.ttutem caritatis. Et ideo dicendum est quod Christus gloriam corporis, et ea quae pertinent ad exteriorem eius excellentiam, sicut est ascensio, venera­ tio, et alia huiusmodi, habuit per meritum. Et sic patet quod aliquid sibi mereri potuit. Ad primum ergo dicendum quod fruitio, quae est actus caritatis, pertinet ad gloriam animae, quam Christus non meruit. Et ideo, si per caritatem aliquid meruit, non sequitur quod idem sit meritum et praemium. Nec tamen per caritatem meruit inquantum erat caritas comprehensoris, sed inquantum erat viatoris, nam ipse fuit simul viator et comprehensor, ut supra [q. 1 5 a. I O] habitum est. Et ideo, quia nunc non est viator, non est in statu merendi. Ad secundum dicendum quod Christo, secun­ dum quod est Deus et Dei Filius per naturam, debetur gloria divina et dominium omnium sicut primo et supremo Domino. Nihilominus tamen debetur ei gloria sicut homini beato, quam quantum ad aliquid debuit habere sine merito, et quantum ad aliquid cum merito, ut ex supra [in co.] dictis patet. Ad tertium dicendum quod redundantia glo­ riae ex anima ad corpus est ex divina ordina­ tione secundum congruentiam humanorum meritorum, ut scilicet, sicut homo meretur per actum animae quem exercet in corpore, ita etiam remuneretur per gloriam animae redun­ dantem ad corpus. Et propter hoc non solum gloria animae, sed etiam gloria corporis cadit sub merito, secundum illud Rom. 8 [ I l ] , vivificabit mortalia corpora nostra, propter inhabitantem Spiritum eius in nobis. Et ita potuit cadere sub merito Christi.

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Ora, siccome a Cristo va attribuita ogni perfe­ zione e nobiltà, certamente egli possedette per merito tutto ciò che gli altri hanno per merito, a meno che non si tratti di un bene la cui ca­ renza disdica alla dignità e alla perfezione di Cristo più di quanto non ne accresca il merito. Per questo egli non meritò né la grazia, né la scienza, né la beatitudine dell' anima, né la divinità: poiché, potendosi meritare solo ciò che ancora non si ha, egli ne avrebbe dovuto in precedenza essere privo, e la privazione ne avrebbe compromesso la dignità più di quan­ to il merito non avesse potuto accrescerla. Al contrario la gloria del corpo e altri beni consi­ mili sono inferiori alla dignità del merito, che appartiene alla virtù della carità. Per cui bi­ sogna dire che Cristo meritò la gloria del cor­ po, e quelle cose che riguardano la sua eccel­ lenza esterna, come l'ascensione, il culto e altre cose simili. Dal che risulta che egli pote­ va meritare qualcosa per sé. Soluzione delle difficoltà: l . La fruizione, che è un atto della carità, fa parte della gloria dell'anima, che Cristo non meritò. Se quindi con la sua carità egli meritò qualcosa, non si confonde per questo il merito con il premio. Essendo egli tuttavia, come si è già detto, via­ tore e comprensore, non meritava con la ca­ rità di comprensore, ma con quella di viatore. Quindi ora, non essendo più viatore, non è in condizione di meritare. 2. A Cristo come Dio e Figlio di Dio spettano per natura la gloria divina e il dominio univer­ sale, come al primo e supremo Signore. Inol­ tre a lui è dovuta un'altra gloria in quanto uo­ mo beato, e questa doveva riceverla in parte senza merito e in parte con il merito, secondo le spiegazioni date. 3. La ridondanza della gloria dall'anima al corpo è stata disposta da Dio in armonia con i meriti umani: come cioè l'uomo merita con azioni che si compiono per l'influsso dell'ani­ ma sul corpo, così è anche premiato con la ridondanza della gloria dell'anima sul corpo. Per cui cade sotto il merito non solo la gloria dell'anima, ma anche la gloria del corpo, come è detto in Rm 8 [ 1 1 ] : Darà la vita anche ai nostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in noi. Quindi la gloria del corpo poteva essere meritata da Cristo. 4. La manifestazione della grandezza di Cri­ sto è un bene per lui quanto all'essere che

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Ad quartum dicendum quod manifestatio ex­ cellentiae Christi pertinet ad bonum eius se­ cundum esse quod habet in notitia aliorum, quamvis principalius pertineat ad bonum eorum qui eum cognoscunt secundum esse quod habent in seipsis. Sed hoc ipsum refertur ad Christum, inquantum sunt eius membra.

acquista nella conoscenza degli altri, sebbene principalmente sia un bene per coloro che con la conoscenza di lui si arricchiscono di un nuovo essere. Ma anche questo torna a gloria di Cristo, trattandosi delle sue membra.

Articulus 4 Utrum Christus aliis mereri potuerit

Articolo 4 Cristo poteva meritare per gli altri?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Christus aliis mereri non potuit. l . Dicitur enim Ez. 1 8 [20], anima quae pec­ caverit ipsa morietur. Ergo, pari ratione, ani­ ma quae meretur ipsa remunerabitur. Non est ergo possibile quod Christus aliis meruerit. 2. Praeterea, de plenitudine gratiae Christi omnes accipiunt, ut dicitur Ioan. l [ 1 6] . Sed alii homines, habentes gratiam Christi , non possunt aliis mereri, dicitur enim Ez. 14 [20] quod, si jùerint in civitate Noe, Daniel et /oh, filium etfiliam non liberabunt, sed ipsi iustitia sua liberabunt animas suas. Ergo nec Christus potuit aliquid nobis mereri. 3. Praeterea, merces quam quis meretur, debetur sectmdum iustitiam, et non secundum gratiam, ut patet Rom. 4 [4]. Si ergo Christus meruit salutem nostram, sequitur quod salus nostra non sit ex gratia Dei, sed ex iustitia, et quod iniuste agat cum eis quos non salvat, cum meritum Christi ad omnes se extendat. Sed contra est quod dicitur Rom. 5 [ 1 8], sicut per unius delictum in omnes homines in con­ demnationem, sic et per unius iustitiam in omnes homines in iustijicationem vitae. Sed demeritum Adae derivatur ad condemnatio­ nem aliorum. Ergo multo magis meritum Christi ad alios derivatur. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 8 aa. 1 .5] dictum est, in Christo non solum fuit gratia sicut in quodam homine singulari, sed sicut in capite totius Ecclesiae, cui omnes uniuntur sicut capiti membra, ex quibus constituitur mystice una persona. Et exinde est quod meritum Christi se extendit ad alios, inquantum sunt membra eius, sicut etiam in uno homine actio capitis aliqualiter pertinet ad omnia membra eius, quia non solum sibi sentit, sed omnibus membris. Ad primum ergo dicendum quod peccatum singularis personae non nocet nisi sibi ipsi.

Sembra di no. Infatti: l . In Ez 18 [20] è detto: L'anima che peccherà morirà. Quindi per lo stesso motivo l'anima che merita sarà premiata. Non è dunque possi­ bile che Cristo abbia meritato per gli altri. 2. In Gv l [ 1 6] è detto: Dalla pienezza della grazia di Cristo tutti ricevono. Ma gli uomini che ricevono la grazia di Cristo non possono meritare per gli altri; infatti in Ez 1 4 [20] è detto: Anche se in mezzo a quella terra cifos­ sem Noè, Daniele e Giobbe, non salverebbe­ ro né figli né figlie: soltanto essi si salvereb­ bero per la loro giustizia. Quindi neppure Cristo poteva meritare per noi. 3. Come risulta da Rm 4 [4], la mercede che uno merita gli è dovuta per giustizia, 1wn per grazia. Se dunque Cristo ha meritato la nostra salvezza, ne segue che questa non ci viene dal­ la grazia di Dio, ma dalla giustizia, e che Dio agisce ingiustamente con quelli che non salva: poiché il merito di Cristo si estende a tutti. In contrario: in Rm 5 [ 1 8] è detto: Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. Ma il demerito di Adamo porta alla condanna di tutti. Quindi molto più il merito di Cristo può rifinire sugli altri. Risposta: stando alle spiegazioni date sopra, Cristo non aveva soltanto la grazia come uo­ mo singolo, ma anche come capo di tutta la Chiesa, a cui tutti si uniscono come le membra al capo per formare insieme misticamente una sola persona. Da ciò consegue dunque che il merito di Cristo si estende agli altri, in quanto sono sue membra: come anche in un uomo l'azione della testa in qualche modo giova a tutte le sue membra, poiché essa sente non solo per sé, ma anche per tutte le membra. Soluzione delle difficoltà: l . il peccato di una

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L 'unità di Cristo in rapporto alle sue operazioni

Sed peccatum Adae, qui constitutus est a Deo principium totius naturae, ad alios per camis propagationem derivatur. Et similiter meritum Christi, qui est a Deo constitutus caput omnium hominum quantum ad gratiam, se extendit ad omnia eius membra. Ad secundum dicendum quod alii de plenitu­ dine Christi accipiunt, non quidem fontem gratiae, sed quandam particularem gratiam. Et ideo non oportet quod alii homines possint aliis mereri, sicut Christus. Ad tertium dicendum quod, sicut peccatum Adae non derivatur ad alios nisi per camalem generationem, ita meritum Christi non deriva­ tur ad alios nisi per regenerationem spiritua­ lem, quae fit in Baptismo, per quam Christo incorporamur, secundum illud Gal. 3 [27],

omnes quotquot in Christo baptizati estis, Christum induistis. Et hoc ipsum est gratiae, quod homini conceditur regenerari in Christo. Et sic salus hominis est ex gratia.

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persona privata nuoce solo a lei stessa, ma il peccato di Adamo, che Dio ha costituito prin­ cipio di tutta la natura [umana], si comunica agli altri con la generazione. Similmente il merito di Cristo, che Dio ha costituito capo di tutti gli uomini quanto alla grazia, si estende a tutte le sue membra. 2. Gli uomini ricevono dalla pienezza di Cristo non una fonte di grazia, ma una grazia indi­ viduale. Perciò non segue che gli uomini siano in grado di meritare per gli altri come Cristo. 3. Come il peccato di Adamo non si propaga negli altri se non per mezzo della generazione corporale, così il merito di Cristo non è parte­ cipato agli altri se non per mezzo della rige­ nerazione spirituale, che avviene nel battesi­ mo e che ci incorpora a Cristo, secondo le pa­ role di Gal 3 [27]: Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. E anche questa rigenerazione in Cristo concessa al­ l'uomo è dovuta alla grazia. Perciò la salvez­ za dell'uomo viene dalla grazia.

QUAESTI0 20 DE SUBIECTIONE CHRISTI AD PATREM

QUESTIONE 20 LA SOTTOMISSIONE DI CRISTO AL PADRE

Deinde considerandum est de his quae conve­ niunt Christo per comparationem ad Patrem. Quorum quaedam dicuntur de ipso secundum habitudinem ipsius ad Patrem, puta quod est ei subiectus; quod ipsum oravit; quod ei in sacer­ dotio ministravit. Quaedam vero dicuntur, vel dici possunt, secundum habitudinem Patris ad ipsum, puta, si Pater eum adoptasset; et quod eum praedestinavit. Primo igitur consideran­ dum est de subiectione Christi ad Patrem; secundo, de eius oratione [q. 2 1 ] ; tertio, de ipsius sacerdotio [q. 22]; quarto, de adoptione, an ei conveniat [q. 23]; quinto, de eius praede­ stinatione [q. 24]. - Circa primum quaeruntur duo. Primo, utrum Christus sit subiectus Patri. Secundo, utrum sit subiectus sibi ipsi.

Passiamo ora a considerare i rapporti esistenti fra Cristo e il Padre. Di essi alcuni riguardano l'atteggiamento di Cristo verso il Padre: il fat­ to, p. es., che gli è sottomesso, che lo ha pre­ gato, che lo ha servito con il suo sacerdozio. Altri invece riguardano atteggiamenti reali o possibili del Padre verso Cristo: ci si chiede ad es. se il Padre lo abbia adottato, o predesti­ nato. Parleremo dunque: primo, della sotto­ missione di Cristo al Padre; secondo, della sua preghiera; terzo, del suo sacerdozio; quar­ to, deli' eventuale adozione; quinto, della sua predestinazione. - Sul primo argomento si pongono due quesiti: l . Cristo è sottomesso al Padre? 2. È sottomesso a se stesso?

Articulus l Utrum sit dicendum Christum esse subiectum Patri

Articolo l Si può dire che Cristo è sottomesso al Padre?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod non sit dicendum Christum esse subiectum Patri. l . Omne enim quod subiicitur Deo Patri, est

Sembra di no. Infatti: l . Ogni cosa che è sottomessa a Dio Padre è una creatura: poiché, come si legge nel De ec-

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La sottomissione di Cristo al Padre

creatura, quia, ut dicitur i n l ibro De eccl. dogmat. [4], in Trinitate nihil est serviens ne­ que subiectum. Sed non est simpliciter dicen­ dum quod Christus sit creatura, ut supra [q. 16 a. 8] dictum est. Ergo etiam non est simpliciter dicendum quod Christus sit Deo Patri subiectus. 2 . Praeterea, ex hoc dicitur aliquid Deo subiectum, quod est eius dominio serviens. Sed humanae naturae in Christo non potest attribui servitus, dicit enim Damascenus, in 3 libro [De ti de 2 1 ] , sciendum quod n eque servam ipsam, humanam scilicet naturam Christi, dicere possumus. Servitutis enim et dominationis nomen non naturae sunt cogni­ tiones, sed eornm quae ad aliquid, quemad­ modum paternitatis et filiationis. Ergo Chri­ stus secundum humanam naturam non est subiectus Dea Patri. 3 . Praeterea, l Cor. 1 5 [28] dicitur, cum autem subiecta fuerint illi omnia, tunc ipse Filius subiectus erit il/i qui sibi subiecit omnia. Sed, sicut dicitur Hebr.2 [8] , nunc necdum videmus ei subiecta omnia. Ergo nondum ipse est subiectus Patri , qui ei subiecit omnia. Sed contra est quod dicitur Ioan. 14 [28], Pater maior me est. Et Augustinus dicit, in l De Trio. [7], non immerito Scriptura utrum­ que dicit, aequalem Patri Filium; et Patrem maiorem Filio. lllud enim propter formam Dei, hoc autem propter formam servi, sine ulla conjitsione intelligitur. Sed minor est subiectus maiori. Ergo Christus, secundum formam servi, est Patri subiectus. Respondeo dicendum quod cuilibet habenti aliquam naturam conveniunt ea quae sunt propria illius naturae. Natura autem humana ex sui conditione habet triplicem subiectionem ad Deum. U nam qui de m secundum gradum bonitatis, prout scilicet natura divina est ipsa essentia bonitatis, ut patet per Dionysium, l cap. De div. nom. [5]; natura autem creata habet quandam participationem divinae boni­ tatis, quasi radiis illius bonitatis subiecta. Secundo, humana natura subiicitur Dea quan­ tum ad Dei potestatem, prout scilicet humana natura, sicut et quaelibet creatura, subiacet operationi divinae dispositionis. Tertio modo, specialiter humana natura Dea subiicitur per proprium suum actum, inquantum scilicet propria voluntate obedit mandatis eius. - Et

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clesiasticis dogmatibus, «nella Trinità nessu­ no è servo né sottoposto». Ma non si può dire in senso assoluto che Cristo è una creatura, come si è visto precedentemente. Quindi non si può neppure dire in senso assoluto che Cristo è sottomesso al Padre. 2. È sottomesso a Dio ciò che serve al suo dominio. Ma non si può attribuire la servitù alla natura umana di Cristo: dice infatti il Da­ masceno che «non possiamo chiamare serva>> la natura umana di Cristo. «Infatti la servitù e i l dominio non sono delle proprietà che appartengono alla natura, ma delle semplici relazioni, come la paternità e la filiazione». Quindi Cristo secondo la natura umana non è sottomesso a Dio Padre. 3. In l Cor 1 5 [28] è detto: Quando tutto gli sarà sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sot­ tomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. Ma, come è detto in Eb 2 [8], al presen­ te non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Quindi anche i l Figlio non è ancora sottomesso al Padre, che gli ha sotto­ messo ogni cosa. In contrario: il Signore stesso dice: Il Padre è piiì. grande di me (Gv 14,28). E Agostino osserva: «Non senza ragione la Scrittura dice tutte e due le cose: che il Figlio è uguale al Padre, e che il Padre è più grande del Figlio. La prima cosa infatti si spiega per la forma di Dio, la seconda per la forma di servo, senza alcuna confusione». Ma il più piccolo è sotto­ messo al più grande. Quindi Cristo secondo la forma di servo è sottomesso al Padre. Risposta: a chiunque possiede una certa natu­ ra si possono attribuire le proprietà di tale natura. Ma la natura umana ha per se stessa una triplice sottomissione a Dio. Una secondo il grado della bontà: per il fatto cioè che la natura divina è l'essenza stessa della bontà, come risulta da Dionigi, mentre la natura creata ha una certa partecipazione della bontà divina, essendo quasi soggetta all'irradiazione di quella bontà. Secondo, la natura umana è sottomessa a Dio per il potere che Dio eserci­ ta su di essa, essendo la natura umana, come anche ogni creatura, sottomessa alle disposi­ zioni della provvidenza divina. Terzo, la natu­ ra umana è sottomessa a Dio in modo spe­ ciale per sua propria iniziativa, in quanto cioè con la sua volontà obbedisce alle leggi divine. - E Cristo ha espressamente riconosciuto in

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hanc triplicem subiectionem ad Patrem Chri­ stus de seipso confitetur. Primam quidem, Matth. 19 [ 1 7], quid me interrogas de bono ? Unus est bonus Deus. Ubi Hieronymus dicit [In Matth. 3 super 1 9, 1 7] quod, quia eum

magistrum vocaverat bonum, et non Deum ve/ Dei Filium confessus era!, dixit quamvis sanctum hominem in comparatione Dei non esse bonum. Per quod dedit intelligere quod ipse, secundum humanam naturam, non per­ tingebat ad gradum bonitatis divinae. Et quia

in his quae non mole magna sunt, idem est es­ se maius quod melius, ut Augustinus dicit, in 6 De Trin. [8] ; ex hac ratione Pater dicitur secundum humanam naturam. - Secunda autem subiectio Christo attribuitur, inquantum omnia quae circa humanitatem Christi acta sunt, divina dispositione gesta creduntur. Unde dicit Dionysius, 4 cap. De cael. hier. [4], quod Christus subiicitur Dei Patris ordinationibus. Et haec est subiectio servitutis, secundum quod omnis creatura Deo servit, eius ordinationi subiecta, secun­ dum illud Sap. 1 6 [24], creatura tibi Factori deserviens. Et secundum hoc etiam Filius Dei, Phil. 2 [7], dicitur fonnam servi acci­ piens. - Tertiam etiam subiectionem attribuit sibi ipsi, Ioan. 8 [29], dicens, quae placita sunt ei, facio semper. Et haec est subiectio obedientiae. Unde dicitur Phil. 2 [8] quod

maior Christo

factus est obediens Patri usque ad mortem. Ad primum ergo dicendum quod, sicut non est simpliciter intelligendum quod Christus sit creatura, sed solum secundum humanam naturam, sive apponatur ei determinatio sive non, ut supra [q. 1 6 a. 8] dictum est; ita etiam non est simpliciter intelligendum quod Christus sit subiectus Patri, sed solum secundum humanam naturam, etiam si haec detennina­ tio non apponatur. Quam tamen convenientius est apponere, ad evitandum errorem Arii, qui posuit Filium rninorem Patre [cf. supra, q. 10 a. 2 ad l ; q. 1 6 a. 8]. Ad secundum dicendum quod relatio servitu­ tis et dominii fundatur super actione et pas­ sione, inquantum scilicet servi est moveri a domino secundum imperium. Agere autem non attribuitur naturae sicut agenti, sed perso­ nae, actus enim suppositorum sunt et singula­ rium, secundum philosophum [Met. l , l ,6]. Attribuitur tamen actio naturae sicut ei secun­ dum quam persona vel hypostasis agit. Et

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se stesso questa triplice sottomissione al Pa­ dre. La prima dicendo: Perché mi interroghi

su ciò che è buon o ? Uno solo è buono (Mt 19, 17). E Girolamo commenta: «Dato che l ' aveva chiamato maestro buono, e non lo aveva riconosciuto come Dio, o come Figlio di Dio, disse che l 'uomo, per quanto santo, non è buono a confronto di Dio». Il che faceva capire che egli secondo la sua natura umana rimaneva al di sotto della bontà divina. E dato che «nelle cose che non hanno quantità l'esse­ re più grande si identifica con l' essere mi­ gliore», come dice Agostino, per questa ra­ gione il Padre è detto «più grande di Cristo» secondo la natura umana. La seconda sot­ tornissione invece è attribuita a Cristo in quan­ to la provvidenza divina ha disposto tutti gli avvenimenti relativi alla sua umanità. Per cui Dionigi afferma che Cristo «è sottoposto alle disposizioni di Dio Padre». E questa è la sot­ tomissione della servitù, secondo la quale ogni creatura serve a Dio [Gdt 1 6, 1 7], essendo soggetta ai suoi ordini, secondo le parole di Sap 16 [24] : La creazione obbedisce a te, suo Creatore. E in questo senso è anche detto che il Figlio stesso di Dio ha assunto la fonna di servo (Fil 2,7). - Cristo attribuisce poi a se stesso anche la terza sottomissione, dicendo: -

Io faccio sempre ciò che gli è gradito (Gv 8 ,29) . E questa è la sottomissione dell'ob­ bedienza. Per cui si dice che: Egli si è fatto obbediente al Padre fino alla morte (Fil 2,8).

Soluzione delle difficoltà: l. Come non si può dire che Cristo è una creatura senza restrizio­ ni, ma soltanto secondo la natura umana, e questa restrizione va sottintesa anche se non è espressa, come si è visto, così non si può dire che Cristo è soggetto al Padre in senso assolu­ to, ma solo secondo la natura umana, anche se la restrizione non è fatta esplicitamente. Però è meglio esprimerla, per evitare l 'errore di Ario, il quale riteneva il Figlio inferiore al Padre. 2. La relazione di servitù e di dominio si basa sull'azione e sulla passione, essendo proprio del servo muoversi per comando del padrone. Ora, l'operare non è attribuito alla natura co­ me al soggetto agente, ma alla persona, poi­ ché «le azioni sono proprie dei suppositi e degli individui», come insegna il Filosofo. Nondimeno l 'operare è attribuito alla natura come al principio secondo il quale la persona

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La sottomissione di Cristo al Padre

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ideo, quamvis non proprie dicatur quod natu­ ra sit domina vel serva, potest tamen proprie dici quod aliqua hypostasis vel persona sit domina vel serva secundum hanc vel illam naturam. Et secundum hoc, nihil prohibet Christum dicere Patri subiectum, vel servum, secundum humanam naturam. Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in l De Trin. [8], tunc Christus tradet regnum Deo et Patri, quando iustos, in quibus nunc regnar per fidem, perducturus est ad speciem, ut scilicet videant ipsam essentiam communem Patri et Filio. Et tunc totaliter erit Patri subiectus non solum in se, sed etiam in membris suis, per plenam participationem divinae bonitatis. Tunc etiam omnia erunt piene ei subiecta per finalem impletionem suae voluntatis de eis. Licet etiam modo sint omnia ei subiecta quantum ad potestatem, secundum illud Matth. 28 [ 1 8], data est mihi omnis potestas in caelo et in terra, et cetera.

o ipostasi agisce. Sebbene quindi non sia esat­ to dire che la natura è signora o serva, tuttavia si dice con proprietà di linguaggio che un'i­ postasi, o persona, è signora o serva secondo una determinata natura. E in questo senso nulla impedisce di affermare che Cristo è sog­ getto al Padre, o è suo servo, secondo la natu­ ra umana. 3. Come spiega Agostino, «Cristo riconse­ gnerà il regno al suo Dio e Padre quando i giusti, nei quali adesso regna con la tede, rag­ giungeranno per mezzo di lui la visione», ossia vedranno la stessa essenza divina comu­ ne al Padre c al Figlio. E allora egli sarà total­ mente soggetto al Padre, poiché lo sarà non solo in se stesso, ma anche nelle sue membra, ammesse alla partecipazione piena della bontà divina. Allora anche le cose stesse nella loro totalità gli saranno soggette per il compi­ mento finale della sua volontà i n esse. Sebbene anche adesso tutte le cose siano sog­ gette al suo potere, secondo le sue stesse parole: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra (Mt 28, 1 8).

Articulus 2 Utrum Christus sit sibi ipsi subiectus

Articolo 2 Cristo è soggetto a se stesso?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus non sit sibi ipsi subiectus. l . Dicit enim Cyrillus, in Epistola Synodica [ep. 1 7 Ad Nestorium], quam scilicet Synodus Ephesina [ 1 ,26] recepit, neque, inquit, ipse Christus sibi servus est neque Dominus. Fatuum enim est, magis autem et impium, ita dicere vel sapere. Et hoc etiam asseruit Dama­ scenus, in 3 libro [De fide 2 1 ], dicens, unum enim ens Christus twn potest servus esse sui ipsius et Dominus. Sed intantum dicitur servus Patris Christus, inquantum est ei subiectus. Ergo Christus non est subiectus sibi ipsi. 2. Praeterea, servus refertur ad dominum. Sed relatio non est alicuius ad seipsum, unde et Hilarius dicit, in libro De Trin. [7], quod nihil est sibi simile aut aequale. Ergo Christus non potest dici servus sui ipsius. Et per conse­ quens, nec sibi esse subiectus. 3. Praeterea, sicut anima rationalis et caro unus est homo, ita Deus et homo unus est Christus, ut Athanasius dicit [cf. Symb. Qui­ cumque]. Sed homo non dicitur subiectus sibi ipsi, vel servus sui ipsius, aut maior seipso,

Sembra di no. Infatti: l . Cirillo in una sua Epistola Sinodica, accolta cioè dal Concilio di Efeso, scrive: «Cristo non è né servo né Signore di se stesso. Sarebbe stolto, anzi empio, dirlo o pensarlo». E lo as­ serisce anche il Damasceno: «Cristo, essendo un unico ente, non può essere servo e Signore di se stesso». Ma in tanto Cristo può dirsi servo del Padre in quanto è a lui soggetto. Quindi Cristo non è soggetto a se stesso. 2. «Servo» è relativo a «signore». Ma nessuno ha relazione con se stesso, tanto che Ilario af­ ferma: «Niente è simile o uguale a se stesso». Quindi Cristo non può dirsi servo di se stesso, e di conseguenza neppure sottomesso a se stesso. 3. Secondo la formula di Atanasio, «Come l'anima razionale e il corpo costituiscono un unico uomo, così Dio c l'uomo sono un unico Cristo». Ma non si può dire che l'uomo sia soggetto a se stesso, o servo di se stesso, o più grande di se stesso, per il fatto che il suo cor­ po è soggetto ali' anima. Quindi neppure Cri­ sto può dirsi soggetto a se stesso per il fatto

Q. 20, A. 2

La sottomissione di Cristo al Padre

propter hoc quod corpus eius subiectum est animae. Ergo neque Christus dicitur subiectus sibi ipsi propter hoc quod eius humanitas subiecta est divinitati ipsius. Sed contra est quod Augustinus dicit, in l De Trin. [7], veritas ostendit, secundum istum modum, quo scilicet Pater maior est Christo secundum humanam naturam, etiam seipso

minorem Filium. 2. Praeterea, sicut ipse argumentatur ibidem [Augustinus, De Trin. 1 ,7], sic accepta est a Filio Dei forma servi ut non amitteretur torma Dei. Sed secundum formam Dei quae est com­ munis Patri et Filio, Pater est Filio maior se­ cundum humanam naturam. Ergo etiam Filius maior est seipso secundum humanam naturam. 3. Praeterea, Christus, secundum humanam naturam, est servus Dei Patris secundum illud Ioan. 20 [ 1 7] , ascendo ad Patrem meum et

Patrem vestrum, Deum meum et Deum ve­ strum. Sed quicumque est servus Patris, est servus Filii, alioquin non omnia quae sunt Patris essent Filii. Ergo Christus est servus sui ipsius, et sibi subditus. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. l ad 2], esse dominum et servum attribuitur personae vel hypostasi secundum aliquam na­ turam. Cum ergo Christus dicitur esse Dominus vel servus sui ipsius, vel quod Verbum Dei est Dominus hominis Christi, hoc potest intelligi dupliciter. Uno modo, ut intelligatur hoc esse dictum ratione alterius hypostasis vel personae, quasi alia sit persona Verbi Dei dominantis, et alia hominis servientis, quod pertinet ad haere­ sim Nestorii. Unde in condemnatione Nestorii dicitur in Synodo Ephesina [ l ,26,6; Cyrillus Alexandrinus, ep. 17 Ad Nestorium 6], si quis

dicit Deum vel Dominwn esse Christi ex Deo Parre Verbum, et non eundem magis confitetur simul Deum et hominem, utpote Verbo carne facto, secundwn Scripturas [loan. 1, 14], ana­ thema sit. Et hoc modo negatur a Cyrillo [cf. ep. 1 7 Ad Nestorium, apud Synodum Ephesinam 1,26] et Damasceno [De fide 3,21]. Et sub eodem sensu negandum est Christum esse minorem seipso, vel esse sibi ipsi subiec­ tum. - Alia modo potest intelligi secundum diversitatem naturarum in una persona vel hypostasi. Et sic dicere possumus, secundum unam earum, in qua cum Patre convenit, simul eum cum Patre praeese s et dominari, secundum vero alteram naturam, in qua nobiscum conve-

274

che la sua umanità è soggetta alla Sl!a divinità. In contrario: l . Agostino scrive: «E evidente che da questo punto di vista», cioè della supe­ riorità del Padre rispetto a Cristo considerato nella sua natura umana, «il Figlio è inferiore a se stesso». 2. Come argomenta il medesimo Santo, il Fi­ glio di Dio assunse la forma di servo in modo da non perdere la forma di Dio. Ma per la sua forma di Dio, che è comune al Padre e al Fi­ glio, il Padre è più grande del Figlio conside­ rato nella sua natura umana. Quindi anche il Figlio è più grande di se stesso da questo punto di vista. 3. Ctisto secondo la natura umana è servo di Dio Padre, come è detto in Gv 20 [ 17]: A­ scendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Ma chi è servo del Padre è servo del Figlio, altrimenti tutto ciò che è del Padre non sarebbe del Figlio. Quindi Cristo è servo e suddito di se stesso. Risposta: come si è detto, l'essere signore e servo è attribuito alla persona o ipostasi in una determinata natura. Quando dunque si dice che Cristo «è Signore o servo di se stesso», oppure che «il Verbo di Dio è Signore dell' uomo Cristo», queste affermazioni possono essere intese in due modi. Primo, nel senso che esista una seconda ipostasi o persona, come se la persona del Verbo di Dio a cui compete il dominio sia distinta da quella dell'uomo servo: il che rientra nell'eresia di Nestorio. Per cui nella condanna di Nestorio al Concilio di Efeso si legge: «Se qualcuno dice che il Verbo di Dio Padre è Dio o Signore di Cristo, e non professa invece che uno solo è Dio e uomo insieme, come Verbo fatto carne, secondo le Scritture, sia scomunicato». E così vanno intese le parole di Cirillo e del Damasceno. In questo senso dunque bisogna negare che Cristo sia «minore di se stesso», o che sia «soggetto a se stesso». ­ Secondo, riferendosi alla diversità delle nature i n una sola persona o ipostasi . E allora possiamo dire che egli secondo la natura per cui è uguale al Padre presiede e domina insieme con il Padre, mentre secondo la natura per cui è uguale a noi è sottoposto e serve. E in questo senso Agostino dice che il Figlio è «inferiore a se stesso». - Bi sogna però osservare che, essendo il termine Cristo un nome di persona, come anche il termine Figlio, d i per sé e i n senso assoluto può essere

La sottomissione di Cristo al Padre

275

Q. 20, A. 2

nit, ipsum subesse et servire. Et secundum hunc modum dicit Augustinus [De Trin. l ,7] Filium esse seipso minorem. Sciendum tamen quod, cum hoc nomen Christus sit nomen personae, sicut et hoc nomen Filius, illa per se et absolute possunt dici de Christo guae conveniunt ei ratione suae personae, guae est aeterna, et maxime huiusmodi relationes, guae magis pro­ prie videntur ad personam vel hypostasim pertinere. Sed ea guae conveniunt sibi secun­ dum humanam naturam, sunt ei potius attri­ buenda cum detenninatione. Ut videlicet dica­ mus Christum simpliciter esse Maximum, et Dominum, et Praesidentem, quod autem sit subiectus, vel servus, vel minor, est ei attribuen­ dum cum determinatione, scilicet, secundum humanam naturam. Ad primum ergo dicendum quod Cyrillus et Damascenus negant Christum esse dominum sui ipsius, secundum quod per hoc importatur pluralitas suppositorum, quae requiritur ad hoc quod aliquis simpliciter sit dominus alicuius. Ad secundum dicendum quod simpliciter quidem oportet esse alium dominum et alium servum, potest tamen aliqua ratio dominii et servitutis servari prout idem est dominus sui ipsius secundum aliud et aliud. Ad tertium dicendum quod, propter diversas partes hominis, quarum una est superior et alia inferior, dicit etiam philosophus, in 5 Ethic. [ 1 1 ,9], quod iustitia hominis est ad seipsum, inquantum irascibilis et concupisci­ bilis obediunt rationi. Secundum etiam hunc modum unus homo potest dici sibi subiectus et serviens, secundum diversas sui partes. Ad alia autem argumenta patet responsio ex dictis. Nam Augustinus asserit Filium seipso minorem, vel sibi subiectum, secundum hu­ manam naturam, non secundum diversitatem suppositorum.

attribuito a Cristo ciò che gli spetta in forza della sua persona, che è eterna, e specialmente l e rel azioni di cui stiamo parlando, che appartengono più propriamente alla persona o ipostasi, mentre quelle cose che gli spettano secondo la natura umana gli vanno attribuite piuttosto con le debite restrizioni. Diremo quindi in senso assoluto che Cristo è Massimo e Signore e Sovrano, mentre invece che sia soggetto o servo o minore lo diremo con la restrizione: «secondo la sua natura umana». Soluzione delle difficoltà: l . Cirillo e il Da­ masceno negano che Cristo sia Signore di se stesso nel senso in cui ciò comporterebbe una pluralità di suppositi, che è richiesta perché uno possa dirsi in senso assoluto signore di un altro. 2. In senso assoluto il signore e il servo sono due persone distinte; tuttavia un certo concet­ to di signoria e di servitù può essere applicato a una stessa persona che sia padrona e serva di sé secondo aspetti diversi. 3. A causa delle diverse parti dell'uomo, delle quali una è superiore all'altra, anche il Filoso­ fo parla di una «giustizia dell'uomo verso se stesso», in quanto l'irascibile e il concupiscibi­ le obbediscono alla ragione. E nel medesimo senso uno stesso uomo può dirsi soggetto a sé, o servo di sé, secondo le sue diverse parti. La tisposta poi da dare alle altre argomentazioni risulta da quanto si è detto. Infatti Agostino afferma che il Figlio è inferiore a se stesso o soggetto a se stesso secondo la natura umana, non secondo una diversità di suppositi.

QUAESTI0 2 1 DE ORATIONE CHRISTI

QUESTIONE 2 1 LA PREGHIERA DI CRISTO

Deinde considerandum est de oratione Chri­ sti. - Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum Christo conveniat orare. Secundo, utrum conveniat sibi secundum suam sensua­ litatem. Tertio, utrum conveniat sibi orare pro seipso, an tantum pro aliis. Quarto, utrum omnis oratio eius sit exaudita.

Passiamo ora a considerare la preghiera di Cristo. - Sull'argomento si pongono quattro quesiti: l . Cristo può pregare? 2. Lo può con la sua sensualità? 3. Può pregare per se stesso, o solo per gli altri? 4. Ogni sua preghiera è stata esaudita?

-

Q. 2 l , A. l

La preghiera di Cristo

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Articulus l Utrum Christo competat orare

Articolo l Cristo può pregare?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Christo non competat orare. l . Nam, sicut dicit Damascenus [De fide 3,24], oratio est petitio decentium a Deo. Sed, cum Christus omnia facere posset, non videtur ei convenire quod aliquid ab aliquo peteret. Ergo videtur quod Christo non conveniat arare. 2. Praeterea, non oportet arando petere illud quod aliquis scit pro certo esse futurum, sicut non oramus quod sol oriatur cras. Neque etiam est conveniens quod aliquis orando petat quod scit nullo modo esse futurum. Sed Christus sciebat circa omnia quid esset futurum. Ergo non conveniebat ei aliquid arando petere. 3. Praeterea, Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 24], quod orario est ascensus intellectus in Deum. Sed intellectus Christi non indigebat ascensione in Deum, quia semper intellectus eius erat Dea coniunctus, non salurn secundum unionem hypostasis, sed etiam secundum frui­ tionem beatitudinis. Ergo Christo non conve­ niebat orare. Sed contra est quod dicitur Luc. 6 [ 1 2],factum est in illis diebus, exiit in montem orare, et erat pemoctans in oratione Dei. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est in secunda parte [II-II q. 83 aa. 1 -2], oratio est quaedam explicatio propriae voluntatis apud Deum, ut eam impleat. Si igitur in Christo esset una tantum voluntas, scilicet divina, nullo modo sibi competeret arare, quia voluntas divina per seipsam est effectiva eorum quae vult, secundum illud Psalmi [ 1 34,6], omnia quaecumque voluit Dominus fecit. Sed quia in Christo est alia voluntas divina et alia humana; et voluntas humana non est per seipsam efficax ad implendum ea quae vult, nisi per virtutem divinam, inde est quod Christo, secundum quod est homo et humanam voluntatem ha­ bens, competit arare. Ad primum ergo dicendum quod Christus po­ terat perficere 01nnia quae volebat secundum quod Deus, non autem secundum quod homo, quia, secundum quod homo, non habuit om­ nipotentiam, ut supm [q. 1 3 a. l] habitum est. Nihilominus tamen, idem ipse Deus existens et homo, voluit ad Patrem orationem porrigere, non quasi ipse esset impotens, sed propter no­ stram instructionem. Primo quidem, ut osten-

Sembra di no. Infatti: l . Secondo la definizione del Damasceno, «la preghiera è la domanda di cose convenienti ri­ volta a Dio». Ma non era ragionevole che Cristo, potendo compiere da sé ogni cosa, chiedesse qualcosa ad altri. Quindi sembra che a Cristo non convenisse pregare. 2. Pregando non si possono chiedere cose che certamente accadranno: non si prega, p. es., che domani sorga il sole. E neppure si può chiedere nella preghiera ciò di cui si è certi che non avverrà in alcun modo. Ma Cristo conosceva tutto il futuro. Quindi non aveva nulla da chiedere con la preghiera. 3. Secondo un'altra definizione del Damasce­ no, «la preghiem è l'elevazione della mente a Dio». Ma l'intelligenza di Cristo non aveva bi­ sogno di elevarsi a Dio: poiché era sempre unita a lui, non solo a motivo dell'unione ipo­ statica, ma anche secondo la fruizione della beatitudine. Quindi Cristo non poteva pregare. In contrario: in Le 6 [ 1 2] è detto: In quei gior­ ni Gesù si recò sul monte a pregare, e tra­ scorse la notte pregando Dio. Risposta: come si è detto nella Seconda Parte, la preghiera è una certa manifestazione della nostra volontà a Dio, perché egli la adempia. Se dunque in Cristo ci fosse un'unica volontà, cioè quella divina, in nessun modo gli si po­ trebbe attribuire la preghiera, poiché la volon­ tà divina è da sola capace di attuare ciò che vuole, secondo le parole del Sa/ 1 34 [6]: Tutto ciò che vuole, il Signore lo compie. Ma poi­ ché in lui ci sono due volontà, la divina e l'u­ mana, e la volontà umana non è capace di realizzare da sé ciò che vuole senza il ricorso alla potenza divina, ne segue che Cristo, in quanto uomo dotato di volontà umana, può pregare. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo poteva fa­ re tutto ciò che voleva in quanto Dio, ma non in quanto uomo, poiché in quanto uomo non aveva l' onnipotenza, come si è detto. Tutta­ via, essendo insieme Dio e uomo, volle rivol­ gere la preghiem al Padre non per una sua im­ potenza, ma per nostra istruzione. Primo, per farci capire che egli procede dal Padre. Per cui egli stesso dichiara: Ho detto queste cose, cioè le parole della preghiera, per la gente che

277

La preghiera di Cristo

11 [42], propter populum qui circumstat dixi, scilicet verba orationis, ut credant quia tu me misisti. Unde Hilarius, in l O De Trin., dicit, non prece eguit, nobis oravit, ne Filius ignora­ retur. Secundo, ut nobis exemplum daret. Un­ de Ambrosius dicit, Super Luc. [5 super 6,1 2], noli insidiatrices aperire aures, ut putes Filium Dei quasi infilmwn rogare, ut impetret quod implere non possit. Potestatis enim auctm; obedientiae magiste1; ad praecepta virtutis suo nos informat exemplo. Unde et Augustinus dici t, In Ioan. [tr. l 04, super 17, l ] , poterat Dominus in fmma servi, si hoc opus esset, orare silentio. Sed ita se Patri voluit exhibere precatorem, ut meminisset nostrum se esse doctorem. deret se esse a Patre. Unde ipse dicit, Ioan.

Ad secundum dicendum quod, inter alia quae Christus scivit futura, scivit quaedam esse fienda propter suam orationem. Et huiusmodi non inconvenienter a Deo petiit. Ad tertium dicendum quod ascensio nihil est aliud quam motus in id quod est sursum. Motus autem, ut dicitur in 3 De an. [7, l ], dupliciter dicitur. Uno modo, proprie, secundum quod importat exitum de potentia in actum, prout est actus impeifecti. Et sic ascendere competit ei quod est potentia sursum et non actu. Et hoc modo, ut Damascenus dicit, in 3 libro [De fide

24], intellectus humamts Christi non eget a­ scensione in Deum, cum sit semper Deo unitus et secundum esse personale, et secundum beatam contemplationem. Allo modo dicitur motus actus peifecti, idest existentis in actu, sicut intelligere et sentire dicuntur quidam motus. Et hoc modo intellectus Christi semper ascendit in Deum, quia semper contemplatur ipsum ut supra se existentem. Articulus 2 Utrum Christo conveniat orare secundum suam sensualitatem Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christo conveniat orare secundum suam sen­ sualitatem. l . Dicitur enim in Psalmo [83,3], ex persona Christi, cor meum et cam mea exultaverunt in Deum vivum. Sed sensualitas dicitur appetitus carnis. Ergo Christi sensualitas potuit ascen­ dere in Deum vivum exultando, et pari ratio­ ne, orando.

Q. 2 1 , A. l

mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato (Gv 1 1 ,42) . E Ilario commenta: «Non aveva bisogno di pregare, ma lo fece per noi, perché non ignorassimo il Figlio». Secondo, per darci l'esempio. Per cui scrive Ambrogio: «Cerca di non fraintendere, pen­ sando che il Figlio di Dio preghi come un debole per impetrare ciò che non può fare. Essendo infatti autore del potere e maestro di obbedienza, ci forma con il suo esempio ai precetti della virtù». E Agostino: «TI Signore nella sua forma di servo avrebbe potuto pre­ gare in silenzio, se fosse stato necessario. In­ vece volle mostrare apertamente che pregava il Padre, per ricordare in tal modo che era no­ stro maestro». 2. Cristo sapeva che tra le cose future a lui note alcune sarebbero avvenute per la sua preghiera. E di queste appunto era convenien­ te fare domanda a Dio. 3. L'elevazione è un movimento verso l'alto. Ma il moto, come dice Aristotele, può essere preso in due sensi. Primo, in senso proprio come passaggio dalla potenza all' atto, quale «atto di un ente imperfetto». E in questo senso l ' elevazione spetta a chi è in alto potenzial­ mente e non attualmente. Sotto questo aspetto dunque, come nota il Damasceno, «l' intelli­ genza umana di Cristo non ha bisogno di sali­ re a Dio, poiché è sempre unita a Dio per l'u­ nione ipostatica e la contemplazione beata>>. Secondo, il moto può significare «l'atto di un ente perfetto», cioè esistente in atto, ossia co­ me si dicono moto il conoscere e il sentire. E in questo senso l' intelligenza di Cristo si eleva sempre verso Dio: poiché egli lo contempla sempre come superiore a se stesso.

Articolo 2 Cristo può pregare con la sua sensualità? Sembra di sì. Infatti : l . In nome di Cristo nel

Sal 83 [3] è detto: Il mio cuore e la mia carne hamw esultato nel Dio vivente. Ma la sensualità è l 'appetito del­ la carne. Quindi la sensibilità o sensualità di Cristo poteva elevarsi al Dio vivo con esultan­ za, e quindi pregare. 2. Può pregare chi può desiderare ciò che chiede. Ma Cristo chiedeva qualcosa che la

La preghiera di Cristo

Q. 2 l , A. 2

2. Praeterea, eius videtur esse orare cuius est desiderare illud quod petitur. Sed Christus petivit aliquid quod desideravit sensualitas, cum dixit, transeat a me ca/ix iste, ut habetur Matth. 26 [39]. Ergo sensualitas Christi oravit. 3. Praeterea, magis est uniri Deo in persona quam ascendere in Deum per orationem. Sed sensualitas fuit assumpta a Deo in unitate personae, sicut et quaelibet pars humanae naturae. Ergo multo magis potuit ascendere in Deum orando. Sed contra est quod Phil. 2 [7] dicitur quod Filius Dei, secundum naturam quam assumpsit, est in similitudinem hominum factus. Sed alii hornines non orant secundum sensualitatem. Ergo nec Christus oravit secundum sensua­ litatem. Respondeo dicendum quod orare secundum sensualitatem potest dupliciter intelligi. Uno modo, sic quod oratio sit actus sensualitatis. Et hoc modo Christus secundum sensualitatem non oravit. Quia eius sensualitas eiusdem na­ turae et speciei fuit in Christo et in nobis. In nobis autem non potest orare duplici ratione. Primo quidem, quia motus sensualitatis non potest sensualia transcendere, et ideo non po­ test in Deum ascendere, quod requiritur ad orationem. Secundo, quia oratio importat quandam ordinationem, prout aliquis desiderat aliquid quasi a Deo implendum, et hoc est solius rationis. Unde oratio est actus rationis, ut in secunda parte [Il-II q. 83 a. l ] habitum est. ­ Alio modo potest dici aliquis orare secundum sensualitatem, quia scilicet eius ratio arando Deo proposuit quod erat in appetitu sensualita­ tis ipsius. Et secundum hoc, Christus oravit secundum sensualitatem, inquantum scilicet eius oratio exprimebat sensualitatis affectum, tanquam sensualitatis advocata. Et hoc, ut nos de tribus instrueret. Primo, ut ostenderet se veram humanam naturam assumpsisse, cum omnibus naturalibus affectibus. Secundo, ut ostenderet quod hornini licet, secundum natu­ ralem affectum, aliquid velle quod Deus non vult. Tertio, ut ostendat quod proprium affec­ tum debet homo divinae voluntati subiicere. Unde Augustinus dicit, in Ench. [glossa ord. et Lomb. super ps. 32, l ; Enarr. in Ps. 32,2, l super v. l ], sic Christus, hominem gerens, ostendit ,

privatam quandam hominis voluntatem, cum dicit [Matth. 26,39], transeat a me calix iste. Haec enim erat humana voluntas, proprium

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sua sensualità desiderava, implorando: Passi da me questo calice (Mt 26,39). Quindi la sensualità di Cristo pregava. 3 . Essere unito ipostaticamente a Dio è più che elevarsi a lui con la preghiera. Ma la sen­ sualità fu assunta ipostaticamente da Dio, co­ me anche le altre parti della natura umana. Quindi molto più poteva elevarsi a Dio con la preghiera. In contrario: in Fil 2 [7] è detto che il Figlio di Dio secondo la natura assunta è divenuto si­ mile agli uomini. Ma gli altri uomini non pre­ gano con la loro sensualità. Quindi neppure Cristo. Risposta: pregare con la sensualità, o appetito sensitivo, può essere inteso in due modi. Pri­ mo, nel senso che la preghiera sia un atto del­ le facoltà sensitive. E in questo senso Cristo non pregava con la sua sensualità. Poiché questa aveva la stessa natura specifica della nostra. Ora, in noi essa non è capace di pre­ gare, per due ragioni. Primo, perché il moto della sensualità non può trascendere le realtà sensibili, e quindi non può elevarsi a Dio, come invece richiede la preghiera. Secondo, poiché la preghiera implica un coordinamen­ to, in quanto uno desidera qualcosa come realizzabile da Dio, e tale coordinamento è proprio della ragione. Per cui la preghiera è un atto della ragione, come si è spiegato nella Seconda Parte. Secondo, pregare con la sensualità può essere inteso nel senso che la ragione sottoponga a Dio nella preghiera ciò che la sensualità desidera. E in questo senso Cristo pregava con la sua sensualità, in quanto la sua preghiera, quasi facendosi avvocata della sensualità, ne interpretava gli affetti. E questo per darci un triplice insegnamento. Primo, per dimostrare che egli aveva assunto una vera natura umana con tutte le affezioni naturali. Secondo, per mostrare che è lecito avere secondo gli affetti naturali delle tenden­ ze contrarie a ciò che Dio vuole. Terzo, per mostrare che l ' uomo deve sottomettere la propria sensualità alla volontà divina. Per cui Agostino scrive: «Cristo vivendo da uomo manifesta la sua personale volontà umana con le parole: Passi da me questo calice. Si tratta­ va infatti di una volontà umana con un suo desiderio particolare. Ma poiché egli vuole che l'uomo sia retto e tenda a Dio soggiunge: -

Però non come voglio io, ma come vuoi tu,

279

La preghiera di Cristo

aliquid, et tanquam privatum, volens. Sed quia rectum vult esse hominem, et ad Deum dirigi, subdit [Math. 26,39], veruntamen non sicut ego volo, sed sicut tu, ac si dicat, vide te in me, quia potes aliquid proprium velle, etsi Deus aliud velit. Ad primum ergo dicendum quod caro exultat in Deum vivum, non per actum camis ascen­ dentem in Deum, sed per redundantiam a cor­ de in carnem, inquantum appetitus sensitivus sequitur motum appetitus rationalis. Ad secundum dicendum quod, licet sensualitas hoc voluerit quod ratio petebat, hoc tamen orando petere non erat sensualitatis, sed ratio­ nis, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod unio in persona est secundum esse personale, quod pertinet ad quamlibet partem humanae naturae. S ed ascensio orationis est per actum qui non conve­ nit nisi rationi, ut dictum est [in co.]. Unde non est similis ratio.

Q. 2 1 , A. 2

quasi dicesse: "Specchiati in me: poiché tu puoi volere per te una cosa anche quando Dio ne vuole un'altra"». Soluzione delle difficoltà: l . La carne esulta nel Dio vivente non con un atto della carne ascendente a Dio, ma per una ridondanza dal cuore alla carne, nel senso che l'appetito sen­ sitivo segue il moto dell'appetito razionale. 2. Sebbene la sensualità volesse ciò che la ragione domandava, chiederlo però con la preghiera non competeva alla sensualità, ma alla ragione, come si è detto. 3. L'unione ipostatica è l'unione nell'essere personale che si comunica a ciascuna parte della natura umana. Invece l'elevazione della preghiera è un atto che può compiere soltanto la ragione, come si è detto. Per cui il paragone non regge.

Articulus 3 Utrum Christo conveniens fuerit pro se orare

Articolo 3 Cristo ha potuto pregare per se stesso?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Chri­ sto non fuerit conveniens pro se orare. l . Dicit enim Hilarius, in 1 0 De Trin., cum

Sembra di no. Infatti: l . Scrive llario: >, è un parlare improprio; e in questo caso il termine adozione sta a indicare l'unione della natura umana con la persona del Figlio. 2. n paragone di Agostino va riferito a ciò che precede la grazia, nel senso cioè che come ogni uomo riceve senza meriti la grazia di diventare cristiano, così quell'uomo ebbe senza meriti la grazia di essere Cristo. Ma c'è una differenza quanto al fine della grazia, poiché Cristo per la grazia di unione è Figlio naturale, mentre gli altri per la grazia abituale sono figli adottivi. E la grazia abituale in Cristo non lo rende da non-figlio figlio adottivo, ma è un certo effetto prodotto nella sua anima dalla filiazione natu­ rale, secondo le parole di Gv l [14]: Abbiamo

vidimus gloriam eius quasi Unigeniti a Patre, plenum gratiae et veritatis.

non è attribuito solo alla persona, ma anche alla natura: il che non si può dire della filia­ zione. Quindi il paragone non regge.

Ad tettium dicendum quod esse creaturam, et etiam servitus vel subiectio ad Deum, non solum respicit personam, sed etiam naturam, quod non potest dici de filiatione. Et ideo non est similis ratio.

visto la sua gloria come di Unigenito dal Pa­ dre, pieno di grazia e di verità. 3. L'essere creatura, servo o suddito di Dio

QUAESTI0 24 DE PRAEDESTINATIONE CHRISTI

QUESTIONE 24 LA PREDESTINAZIONE DI CRISTO

Deinde considerandum est de praedestina­ tione Christi. - Et circa hoc quaeruntur qua­ tuor. Primo, utrum sit praedestinatus. Secun­ do, utrum sit praedestinatus secundum quod homo. Tertio, utrum eius praedestinatio sit exemplar praedestinationis nostrae. Quarto, utrum sit causa praedestinationis nostrae.

Consideriamo ora la predestinazione di Cri­ sto. - In proposito si pongono quattro quesiti: l . Cristo è stato predestinato? 2. È stato pre­ destinato in quanto uomo? 3. La sua predesti­ nazione è l'esemplare della nostra? 4. Egli è la causa della nostra predestinazione?

Articulus l Utrum Christo conveniat praedestinatum esse

Articolo l A Cristo si può attribuire la predestinazione?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Christo non conveniat praedestinatum esse.

Sembra di no. Infatti: l . L'oggetto della predestinazione è sempre la

30 1

La predestinazione di Cristo

Q. 24, A. l

l . Terminus enim cuiuslibet praedestinationis videtur esse adoptio filiorum, secundum illud Eph. l [5], praedestinavit nos in adoptionem filiorum. Sed Christo non convenit esse filium adoptivum, ut dictum est [q. 23 a. 4] . Ergo Christo non convenit praedestinatum esse. 2. Praeterea, in Christo duo est considerare, scilicet naturam humanam, et personam. Sed non potest dici quod Christus est praedesti­ natus ratione naturae humanae, quia haec est falsa, humana natura est Filius Dei. Similiter etiam neque ratione personae, quia illa perso­ na non habet ex gratia quod sit Filius Dei, sed ex natura; praedestinatio autem est eorum quae sunt ex gratia, ut in prima parte [q. 23 a. 2 ad 4; a. 5] dictum est. Ergo Christus non est prae­ destinatus Filius Dei. 3. Praeterea, sicut illud quod est factum non semper fuit, ita et illud quod fuit praedestina­ tum, eo quod praedestinatio antecessionem quandam importat. Sed, quia Christus semper fuit Deus et Filius Dei, non proprie dicitur quod homo ille sitfactus Filius Dei. Ergo, pa­ ri ratione, non debet dici quod Christus sit

Ma come si è detto, Cristo non può essere figlio adottivo. Quindi Cristo non può essere stato predestinato. 2. In Cristo ci sono due cose da considerare: la natura umana e la persona. Ma non si può dire che Cristo fu predestinato secondo la natura umana, essendo falsa la proposizione: la natu­ ra umana è il Figlio di Dio. E neppure secondo la persona, poiché alla sua persona la filiazione divina compete non per grazia, ma per natura, mentre la predestinazione è relativa alle cose che riguardano la grazia, come si è detto nella Prima Parte. Quindi Cristo non fu predestinato a essere Figlio di Dio. 3. Le cose predestinate, come quelle fatte, non sono esistite sempre, poiché la predesti­ nazione implica l'idea di antecedenza. Ora, essendo Cristo sempre stato Dio e Figlio di Dio, non si può dire in senso proprio che Cristo come uomo è stato fatto Figlio di Dio. Quindi per lo stesso motivo non si può dire neppure che Cristo fu predestinato a essere

praedestinatus Filius Dei.

Figlio di Dio.

Sed contra est quod apostolus dicit, Rom. l [4], de Christo loquens, qui praedestinatus est

In contrario: Paolo, parlando di Cristo, dice:

Filius Dei in virtute. Respondeo dicendum quod, sicut patet ex his quae in prima parte [q. 23 a. 2] dieta sunt, praedestinatio, proprie accepta, est quaedam divina praeordinatio ab aeterno de his quae per gratiam Dei sunt fienda in tempore. Est autem hoc in tempore factum per gratiam unionis a Deo, ut homo esset Deus et Deus esset homo. Nec potest dici quod Deus ab aeterno non praeordinaverit hoc se facturum in tempore, quia sequeretur quod divinae menti aliquid accideret de nova. Et oportet dicere quod ipsa unio naturamm in persona Christi cadat sub aetema Dei praedestinatione. Et ratione huius Christus dicitur esse praedestinatus. Ad primum ergo dicendum quod apostolus i b i loquitur de praedestinatione qua nos praedestinamur ut simus filii adoptivi. Sicut autem Christus singulari modo prae aliis est Dei Filius naturalis, ita quodam singulari modo est praedestinatus. Ad secundum dicendum quod, sicut dicit Glossa [ord. et Lomb.] Rom. l [4], quidam [Summa Aurea, p. 3, tr. l , c. 2, q. 4; cf. Hay­ monem, In Rom. super 1 ,4] dixerunt praede-

filiazione adottiva, secondo le parole di Ef1 [5]:

Ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi.

Eglifu predestinato a essere Figlio di Dio con potenza (Rm 1 ,4). Risposta: come risulta dalla Prima Parte, la predestinazione è l'atto con il quale Dio predi­ spone nell'eternità le cose da attuare nel tem­ po per mezzo della sua grazia. Ora, che un uomo fosse Dio e Dio fosse un uomo è un fat­ to che si è compiuto nel tempo per mezzo della grazia dell ' unione ipostatica. E d' altra parte non si può dire che Dio non abbia predi­ sposto dali' eternità il compimento di questa sua opera nel tempo, altrimenti bisognerebbe ammettere una novità neli' intelligenza divina. Quindi anche l'unione delle due nature nel­ l ' unica persona di Cristo cade sotto l' eterna predestinazione di Dio. In questo senso dun­ que si dice che Cristo fu predestinato. Soluzione delle difficoltà: l . Nel testo citato Paolo parla della nostra predestinazione a figli adottivi. Come in Cristo però c'è una filiazio­ ne divina naturale che lo distingue da tutti gli altri, così c'è anche una predestinazione tutta particolare. 2. Alcuni, seguendo un testo della Glossa, dissero che la predestinazione va attribuita alla natura e non alla persona, nel senso cioè

Q. 24, A. l

La predestinazione di Cristo

stinationem illam intelligendam esse de natu­ ra, non de persona, quia scilicet humanae na­ turae facta est haec gratia ut uniretur Filio Dei in unitate personae. - Sed secundum hoc locu­ tio apostoli [Rom. 1,4] est impropria, propter duo. Primo quidem, ratione communi. Non enim dicimus naturam alicuius praedestinari, sed personam, quia praedestinari est dirigi in salutem, quod quidem est suppositi agentis propter beatitudinis tinem. Secundo, ratione speciali. Quia esse Filium Dei non convenit humanae naturae, est enim haec falsa, natura humana est Filius Dei. Nisi forte quis velit sic exponere, extorta expositione, qui praedesti­ natus est Filius Dei in virtute, idest, praedesti­

natum est ut Immana natura uniretur Filio Dei in persona. - Relinquitur ergo quod praedesti­

natio attribuatur personae Christi, non quidem secundum se, vel secundum quod subsistit in divina natura; sed secundum quod subsistit in humana natura. Unde, cum praedixisset [3] apostolus, qui factus est ei ex semine David secundum camem, subiunxit [Rom. 1,4], qui praedestinatus est Filius Dei in virtute, ut daret intelligere quod, secundum hoc quod est factus ex semine David secundum carnem, est praedestinatus Filius Dei in virtute. Quamvis enim sit naturale illi personae secundum se consideratae quod sit Filius Dei in vittute, non tamen est ei naturale secundum naturam humanam, secundum quam hoc sibi competit per gratiam unionis. Ad tertium dicendum quod Origenes, Super epistolam ad Rom. [l super 1,4], dicit hanc esse litteram apostoli, qui destinatus est Filius Dei in virtute, ita quod non designetur aliqua antecessio. Et sic nihil habet difficultatis. Alii [Hugo de S. Victore, Quaest. in Epist. Pauli, In Phil., q. 9; glossa Lomb. super Rom. 1,4; Summa Aurea 3,1,3,1; cf. glossa ord. super Rom. 1,4] vero antecessionem quae de­ signatur in hoc participio praedestinatus, referunt, non ad id quod est esse Filius Dei, sed ad eius manifestationem, secundum illum consuetum modum loquendi in Scripturis quo res dicuntur fieri quando innotescunt, ut sit sensus quod Christus praedestinatus est manifestari Filius Dei. Sed sic non proprie praedestinatio accipitur. Nam aliquis dicitur proprie praedestinari secundum quod dirigitur in finem beatitudinis. Beatitudo autem Christi non dependet ex nostra cognitione. -Et ideo

302

che la natura umana avrebbe ricevuto la gra­ zia di essere unita al Figlio di Dio nell'unità della persona. -Ma allora l'affermazione di Paolo sarebbe impropria per due motivi. Pri­ mo, per una ragione generale. Infatti non si dice predestinata la natura di qualcuno, ma la sua persona, poiché essere predestinato signi­ fica essere guidato alla salvezza, e ciò tiguar­ da il supposito che agisce per il fine della bea­ titudine. Secondo, per una ragione particolare. Poiché essere figlio di Dio non compete alla natura umana: è infatti falsa la proposizione: la natura umana è Figlio di Dio. A meno che del testo: Egli fu predestinato a essere Figlio di Dio con potenza non si voglia dare questa spiegazione forzata: «Fu predestinato che la natura umana fosse unita personalmente al Figlio di Dio».-Perciò non rimane che attri­ buire la predestinazione alla persona di Cri­ sto, non per se stessa, o in quanto sussiste nella natura divina, ma in quanto sussiste nella natura umana. Per cui Paolo, dopo aver detto [3] che Cristo è nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, aggiunge che fu

predestinato a essere Figlio di Dio con poten­ za per far capire che sotto l'aspetto per il quale è nato dalla stirpe di Davide secondo la carne è stato anche predestinato a essere Figlio di Dio con potenza. Per quanto infatti essere Figlio di Dio con potenza sia naturale per quella persona considerata in se stessa, non lo è tuttavia se essa è considerata nella sua natura umana, la quale ha ricevuto tale privilegio per mezzo della grazia dell'unione. 3. Otigene dice che il senso letterale del testo di Paolo sarebbe il seguente: «Egli è stato destinato a essere Figlio di Dio con potenza», togliendo così l'idea di anteriorità. E allora non ci sono difficoltà. - Altri invece rifetisco­ no l'anteriotità implicita nel participio prede­ stinato non alla stessa filiazione divina, ma alla sua manifestazione, secondo il modo ordinatio di esptimersi della Sctittura, per cui si dice che «le cose accadono nel momento in cui sono conosciute»; in modo che il senso sarebbe: «Ctisto fu predestinato a farsi cono­ scere come Figlio di Dio». Ma allora non si tratta più di una vera predestinazione. Poiché essere predestinato vuoi dire essere guidato al fine della beatitudine. Ora, la beatitudine di Cristo non dipende dalla conoscenza che noi abbiamo di lui. -Perciò è meglio dire che

La predestinazione di Cristo

303

melius dicendum est quod illa antecessio quam importat hoc participium praedestina­ tus, non refertur ad personam secundum seipsam, sed ratione humanae naturae, quia scilicet persona illa etsi ab aeterno fuerit Filius Dei, hoc tamen non fuit semper, quod subsistens in natura humana fuerit Filius Dei. Unde dicit Augustinus, in libro De praedest.

[ 1 5], praedestinatus est Iesus ut qui futurus erat secundum camem filius David, esset tamen in virtute Filius Dei. Et est conside­ randum quod, licet hoc participium praedesti­ natus importet antecessionem, sicut et hoc participium factus, aliter tamen et aliter. Nam -

fieri pertinet ad ipsam rem secundum quod in se est, praedestinari autem pertinet ad ali­ quem secundum quod est in apprehensione alicuius praeordinantis. Id autem quod subest alicui formae vel naturae secundum rem, potest apprehendi vel prout est sub forma illa, vel etiam absolute. Et quia absolute non con­ venit personae Christi quod incoeperit esse Filius Dei, convenit autem ei secundum quod intelligitur vel apprehenditur ut in natura humana existens, quia scilicet hoc aliquando incoepit esse quod in natura humana existens esset Filius Dei, ideo magis est haec vera, Christus est praedestinatus Filius Dei, quam ista, Christus estfactus Filius Dei. Articulus

2

Q. 24, A. l

l'anteriorità inclusa nel participio predestina­ to si riferisce alla persona non in se stessa, ma

con riferimento alla sua natura umana; sebbe­ ne infatti quella persona sia stata il Figlio di Dio dall'eternità, non è però eterno il fatto che una persona sussistente nella natura uma­ na sia il Figlio di Dio. Per cui Agostino spie­ ga: «Gesù, che doveva essere figlio di Davide secondo la carne, fu predestinato a essere Figlio di Dio con potenza». - Dobbiamo poi notare che i due participi predestinato e fatto comportano due tipi diversi di antecedenza. Poiché essere fatto si riferisce alla cosa come è in se stessa, mentre essere predestinato si riferisce a qualcuno in quanto esistente nel pensiero di chi lo predestina. Ora, ciò che ha realmente una certa forma o natura può essere considerato o rispetto a quella data forma che possiede, o anche in modo assoluto. E poiché non si può dire che la persona di Cristo ha cominciato a essere Figlio di Dio in modo assoluto, mentre si può affermarlo in quanto egli è inteso o appreso come esistente nella natura umana, poiché a un certo momento cominciò a essere vero che un esistente nella natura umana era il Figlio di Dio, ne segue che è più vero dire che Cristo fu predestinato a essere Figlio di Dio che non dire: Cristo è

stato fatto Figlio di Dio. Articolo

2

Utrum haec sit falsa:

La proposizione che dice:

Christus, secundum quod homo, est praedestinatus esse Filius Dei

Cristo in quanto uomo fu predestinato a essere Figlio di Dio è falsa?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod haec sit falsa, Christus, secundum quod ho­

Sembra di sì. Infatti: l. Ciascuno è nel tempo ciò che Dio lo ha predestinato a essere, poiché la predestinazio­ ne divina è infallibile. Se dunque Cristo in quanto uomo fu predestinato a essere Figlio di Dio, vuoi dire che egli è Figlio di Dio in quanto uomo. Ma ciò è falso. Quindi è falsa anche la proposizione suddetta. 2. Ciò che spetta a Cristo in quanto uomo spetta a ciascun uomo, essendo egli della stes­ sa specie degli altri uomini. Se dunque Cristo in quanto uomo fu predestinato a essere Fi­ glio di Dio, lo è anche ogni uomo. Ma ciò è fals_o. Quindi anche la proposizione suddetta. 3. E predestinato nell'eternità ciò che deve accadere nel tempo. Ma la proposizione: il Figlio di Dio si è fatto uomo è più vera della

mo,

est praedestinatus esse Filius Dei.

l. Hoc enim est unusquisque secundum aliquod tempus quod est praedestinatus esse, eo quod praedestinatio Dei non fallitur. Si er­ go Christus, secundum quod homo, est prae­ destinatus Filius Dei, videtur sequi quod sit Filius Dei secundum quod homo. Hoc autem est falsum. Ergo et primum. 2. Praeterea, illud quod convenit Christo se­ cundum quod homo, convenit cuilibet homi­ ni, eo quod ipse est unius speciei cum aliis horninibus. Si ergo Christus, secundum quod homo, est praedestinatus esse Filius Dei, se­ quetur quod cuilibet homini hoc conveniat. Hoc autem est tàlsum. Ergo et primum.

Q. 24, A. 2

La predestinazione di Cristo

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3. Praeterea, hoc ab aeterno praedestinatur quod est aliquando fiendum in tempore. Sed magis est haec vera, Filius Dei factus est ho­ mo, quam ista, homo factus est Filius Dei. Er­ go magis est haec vera, Christus, secundum

proposizione, un uomo è divenuto Figlio di Dio. Quindi è più vera la proposizione: Cristo come Figlio di Dio fu predestinato a essere uomo, che la proposizione inversa: Cristo come uomofu predestinato a essere Figlio di Dio.

quod Filius Dei, est praedestinatus esse homo, quam e converso, Christus, secundum quod homo, praedestinatus est esse Filius Dei.

In contrario: Agostino scrive: «Diciamo che

Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro De praedest. [ 1 5], ipsum Dominum gloriae,

inquantum homo factus est Dei Filius, prae­ destinatum esse dicimus. Respondeo dicendum quod in praedestinatio­ ne duo possunt considerari. Unum quidem ex parte ipsius praedestinationis aetemae, et se­ cundum hoc importat antecessionem quan­ dam respectu eius quod sub praedestinatione cadit. Alio modo potest considerari secundum effectum temporalem, qui quidem est aliquod gratuitum Dei donum. Dicendum est ergo quod secundum utrumque istorum attribuitur praedestinatio Christo ratione solius humanae naturae, nam humana natura non semper fuit Verbo unita; et ei etiam per gratiam hoc est collatum, ut Filio Dei in persona uniretur. Et ideo solum ratione naturae humanae praede­ stinatio competit Christo. Unde Augustinus dicit, in libro De praedest. [ 1 5], praedestinata

est ista humanae naturae tanta et tam ce/sa et summa subvectio, ut quo attolleretur altius non haberet. Hoc autem dicimus convenire alieni secundum quod homo, quod convenit ei ratione humanae naturae. Et ideo dicendum est quod Christus, secundum quod homo, est praedestinatus esse Filius Dei. Ad primum ergo dicendum quod, cum dici­ tur, Christus, secundum quod homo, est prae­ destinatus esse Filius Dei, haec determinatio secundum quod homo potest referri ad actum significatum per participium dupliciter. Uno modo, ex parte eius quod materialiter cadit sub praedestinatione. Et hoc modo est falsa. Est enim sensus quod praedestinatum sit ut Christus, secundum quod homo, sit Filius Dei. Et in hoc sensu procedit obiectio. - Alio modo, potest referri ad ipsam propriam rationem actus, prout scilicet praedestinatio importat in sui ratione antecessionem et effectum gratui­ tum. Et hoc modo convenit Christo praedesti­ natio ratione humanae naturae, ut dictum est [in co.]. Et secundum hoc dicitur praedestina­ tus secundum quod homo.

lo stesso Signore della gloria fu predestinato, in quanto il Figlio di Dio si è fatto uomo». Risposta: la predestinazione può essere consi­ derata sotto due punti di vista. Primo, dal punto di vista dello stesso atto eterno con il quale Dio predestina: e sotto questo aspetto la predestinazione precede ciò che è predestina­ to. Secondo, dal punto di vista di ciò che la predestinazione produce nel tempo, e che consiste in un dono gratuito di Dio. Ora, am­ bedue gli aspetti nella predestinazione di Cri­ sto riguardano solo la sua natura umana: infatti la natura umana non fu sempre unita al Verbo, e di essere unita personalmente al Fi­ glio di Dio le fu concesso per grazia. Perciò soltanto in forza della natura umana si attri­ buisce a Cristo la predestinazione. Per cui di­ ce in proposito Agostino: «Questa assunzione della natura umana che la elevava a un grado tanto grande, tanto alto e tanto sublime da non poter essere innalzata ulterionnente, è stata l'oggetto di una predestinazione». Ora, noi diciamo che conviene a qualcuno in quan­ to uomo ciò che gli spetta in ragione della natura umana. Perciò dobbiamo dire che Cri­

sto in quanto uomo fu predestinato a essere Figlio di Dio.

Soluzione delle difficoltà: l . Nella proposi­ zione: Cristo in quanto uomo fu predestinato a essere Figlio di Dio, la limitazione in quan­ to uomo può riferirsi all'atto della predestina­ zione in due modi. Primo, come oggetto ma­ teriale della predestinazione. E in questo sen­ so è falsa. Significherebbe infatti: fu predesti­

nato che Cristo in quanto uomo sia Figlio di Dio. E questo è il senso presupposto dal­ l'obiezione.- Secondo, l'espressione in quan­ to uomo può riferirsi ali' atto stesso della pre­ destinazione, cioè in quanto quest'ultima im­ plica nel suo concetto anteriorità e grantità. E in questo senso la predestinazione è attribuita a Cristo in ragione della sua natura umana, come si è detto. E così egli può dirsi predesti­ nato in quanto uomo. 2. In due modi una cosa può essere attribuita all'uomo in forza della sua natura. Primo, nel

305

La predestinazione di Cristo

Ad secundum dicendum quod aliquid potest convenire alicui homini ratione humanae na­ turae dupliciter. Uno modo, sic quod humana natura sit causa illius, sicut esse risibile con­ venit Socrati ratione humanae naturae, ex cuius principiis causatur. Et hoc modo prae­ destinatio non convenit nec Christo nec alteri homini ratione humanae naturae. Et in hoc sensu procedit obiectio. - Alio modo dicitur aliquid convenire alicui ratione humanae na­ turae, cuius humana natura est susceptiva. Et sic dicimus Christum esse praedestinatum ratione humanae naturae, quia praedestinatio refertur ad exaltationem humanae naturae in ipso, sicut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro De praedest. [15], ipsa est illa

ineffabiliter facta hominis a Deo Verbo su­ sceptio singularis, ut Filius hominis simul prop­ ter susceptum hominem, et Filius Dei propter suscipientem unigenitum Deum, veraciter et proprie diceretur. Et ideo, quia illa susceptio sub praedestinatione cadit tanquam gratuita, utrumque potest dici, quod et F ilius Dei praedestinatus sit esse homo, et Filius hominis praedestinatus sit esse Filius Dei. Quia trunen gratia non est facta Filio Dei ut esset homo, sed potius humanae naturae ut Filio Dei uniretur, magis proprie potest dici quod Christus,

Q. 24, A. 2

senso che la natura umana sia la causa dell'at­ tribuzione: come la risibilità spetta a Socrate in ragione della natura umana, essendone una conseguenza. E in questo senso la predestina­ zione non è attribuibile né a Cristo né ad alcun altro uomo in ragione della natura uma­ na. E l'obiezione suppone questo senso. - Se­ condo, una cosa può essere attribuita a un uomo per la sua natura in quanto quest'ultima è capace di riceverla. E in questo senso dicia­ mo che Cristo fu predestinato secondo la na­ tura umana: poiché la predestinazione, come si è visto, ha per oggetto l'esaltazione in lui della natura umana. 3. Come dice Agostino, «l'ineffabile assun­ zione dell'uomo da parte del Dio Verbo è tanto singolare che Cristo può essere chiruna­ to in senso vero e proprio Figlio dell'Uomo a causa dell'uomo assunto, e Figlio di Dio per l'Unigenito Dio che lo ha assunto». Perciò, cadendo tale assunzione, in quanto gratuita, sotto la predestinazione, si può dire l'una e l'altra cosa: che il Figlio di Dio fu predestina­ to a essere uomo, e che il Figlio dell'Uomo fu predestinato a essere Figlio di Dio. Dato però che la grazia non fu fatta al Figlio di Dio per­ ché fosse uomo, ma piuttosto alla natura uma­ na perché fosse unita al Figlio di Dio, dire che

secundum quod homo, est praedestinatus esse Filius Dei, quam quod Christus, secundum quod Filius Dei, sitpraedestinatus esse homo.

Cristo in quanto uomo fu predestinato a esse­ re Figlio di Dio è meglio che dire: Cristo in quanto Figlio di Dio fu predestinato a essere uomo.

Articulus 3 Utrum Christi praedestinatio sit exemplar nostrae praedestinationis

Articolo 3 La predestinazione di Cristo è l'esemplare della nostra?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Christi praedestinatio non sit exemplar nostrae prae­ destinationis. l. Exemplar enim praeexistit exemplato. Nihil autem praeexistit aeterno. Cum ergo praedestinatio nostra sit aeterna, videtur quod praedestinatio Christi non sit exemplar no­ strae praedestinationis. 2. Praeterea, exemplar ducit in cognitionem exemplati. Sed non oportuit quod Deus duce­ retur in cognitionem nostrae praedestinationis ex aliquo alio, cum dicatur Rom. 8 [29], quos praescivit, hos et praedestinavit. Ergo prae­ destinatio Christi non est exemplar nostrae praedestinationis.

Sembra di no. Infatti: l. L'esemplare esiste prima dell'immagine. Ma nulla esiste prima di ciò che è eterno. Es­ sendo dunque la nostra predestinazione eter­ na, sembra che la predestinazione di Cristo non sia il suo esemplare. 2. L'esemplare conduce alla conoscenza del­ l'immagine. Ma Dio non aveva bisogno di nulla che lo conducesse a conoscere la nostra predestinazione, poiché è detto che ha prede­

stinato quelli che aveva preconosciuto (Rm 8,29). Quindi la predestinazione di Cristo

non è l'esemplare della nostra. 3. L'esemplare e l'immagine si corrispondo­ no. Ma la predestinazione di Cristo è diversa

Q. 24, A. 3

La predestinazione di Cristo

3. Praeterea, exemplar est conforme exemplato. Sed alterius rationis videtur esse praedestinatio Christi quam praedestinatio nostra, quia nos praedestinamur in filios adoptivos, Christus autem est praedestinatus Filius Dei in virtute, ut dicitur Rom. l [4]. Ergo eius praedestinatio non est exemplar nostrae praedestinationis. Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro De praedest. [1 5], est praeclarissimum lumen

praedestinationis et gratiae ipse Salvatm; ipse mediator Dei et hominum, homo Christus Iesus. Dicitur autem lumen praedestinationis

et gratiae inquantum per eius praedestinatio­ nem et gratiam manifestatur nostra praedesti­ natio, quod videtur ad rationem exemplaris pertinere. Ergo praedestinatio Christi est exemplar nostrae praedestinationis. Respondeo dicendum quod praedestinatio du­ pliciter potest considerari. Uno modo, secun­ dum ipsum actum praedestinantis. Et sic praedestinatio Christi non potest dici exem­ plar nostrae praedestinationis, uno enim mo­ do, et eodem actu aeterno, praedestinavit Deus nos et Christum. - Alio modo potest praedestinatio considerari secundum id ad quod aliquis praedestinatur, quod est praede­ stinationis terminus et effectus. Et secundum hoc praedestinatio Christi est exemplar no­ strae praedestinationis. Et hoc dupliciter. Pri­ mo quidem, quantum ad bonum ad quod praedestinamur. Ipse enim praedestinatus est ad hoc quod esset Dei Filius naturalis, nos autem praedestinamur ad :filiationem adoptio­ nis, quae est quaedam participata similitudo filiationis naturalis. Unde dicitur Rom. 8 [29],

quos praescivit, hos et praedestinavit confor­ mes fieri imaginis Filii eius. - Alio modo, quantum ad modum consequendi istud bo­ num, quod est per gratiam. Quod quidem in Christo est manifestissimum, quia natura hu­ mana in ipso, nullis suis praecedentibus meri­ tis, unita est Filio Dei. Et de plenitudine gra­ tiae eius nos omnes accepimus, ut dicitur loan. [ 1 , 1 6]. Ad primum ergo dicendum, quod illa ratio procedit ex parte ipsius actus praedestinantis. Et similiter dicendum ad secundum. Ad tertium dicendum quod non est necessa­ rium quod exemplatum exemplari quantum ad omnia conformetur, sed sufficit quod ali­ qualiter exemplatum imitetur suum exemplar.

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dalla nostra, poiché noi veniamo predestinati a essere figli adottivi, mentre Cristo fu pre­ destinato a essere Figlio di Dio con potenza (Rm 1,4). Quindi la sua predestinazione non è l'esemplare della nostra. In contrario: Agostino sclive: «Splendida luce di predestinazione e di grazia è il Salvatore stesso, lo stesso mediatore fra Dio e gli uo­ mini, l'uomo Cristo Gesù». Ora, questi è det­ to luce di predestinazione e di grazia per il fatto che dalla sua predestinazione e dalla sua grazia si viene a conoscere la nostra predesti­ nazione. Ma proprio in ciò consiste la funzio­ ne dell'esemplare. Quindi la predestinazione di Cristo è l'esemplare della nostra. Risposta: la predestinazione può essere con­ siderata sotto due aspetti. Plimo, quale atto di Dio che predestina. E sotto questo aspetto la predestinazione di Cristo non può dirsi l'esem­ plare della nostra, poiché allo stesso modo e con un identico atto eterno Dio ha predestinato noi e Cristo. - Secondo, si può considerare la predestinazione in quanto ha un termine e un effetto in colui che è predestinato. E sotto que­ sto aspetto la predestinazione di Cristo è I'esemplare della nostra per due ragioni. In pri­ mo luogo per il bene a cui veniamo predesti­ nati. Cristo infatti fu predestinato a essere Fi­ glio naturale di Dio, mentre noi veniamo pre­ destinati alla filiazione adottiva, che è una par­ tecipazione analogica della filiazione naturale. Per cui è detto: Quelli che da sempre ha co­

nosciuto li ha anche predestinati a essere con­ formi all'immagine del Figlio suo (Rm 8,29).­ I n secondo luogo p e r il modo in cui è conseguito questo bene, cioè per grazia Il che è evidentissimo in Cristo, essendo stata la natu­ ra umana unita in lui al Figlio di Dio senza alcun suo merito precedente. E dalla pienezza

della sua grazia noi tutti abbiamo ricevuto, come è detto in Gv l [16].

Soluzione delle difficoltà: l. L'obiezione par­ te dalla predestinazione intesa come atto dello stesso predestinante. 2. Altrettanto si dica per la seconda difficoltà. 3. Non è necessario che l'immagine riproduca l'esemplare sotto ogni aspetto, ma basta una certa somiglianza.

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La predestinazione di Cristo

Q. 24, A. 4

Articulus 4 Utrurn praedestinatio Christi sit causa nostrae praedestinationis

Articolo 4 La predestinazione di Cristo è la causa della nostra?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod praedestinatio Christi non sit causa nostrae praedestinationis. l . Aeternum enim non habet causam. Sed praedestinatio nostra est aeterna. Ergo praede­ stinatio Christi non est causa nostrae praedesti­ nationis. 2. Praeterea, illud quod dependet ex simplici Dei voluntate, non habet aliam causam nisi Dei voluntatem. Sed praedestinatio nostra ex simplici voluntate Dei dependet, dicitur enim Eph. l [Il], praedestinati secundum proposi­

Sembra di no. Infatti: l . Ciò che è eterno non ha causa. Ma la nostra predestinazione è eterna. Quindi la predesti­ nazione di Cristo non è la causa della nostra. 2. Ciò che dipende dalla sola volontà di Dio non ha altra causa che la volontà di Dio. Ma la nostra predestinazione dipende dalla sola volontà di Dio; infatti è detto in Ef l [11]:

rum eius, qui omnia operatur secundum con­ silium voluntatis suae. Ergo praedestinatio Christi non est causa nostrae praedestinationis. 3. Praeterea, remota causa, removetur effectus. Sed, remota praedestinatione Christi, non removetur nostra praedestinatio, quia etiam si Filius Dei non incamaretur, erat alius modus possibilis nostrae salutis, ut Augustinus dicit, in libro De Trin. [13,10]. Praedestinatio ergo Christi non est causa nostrae praedestinationis. Sed contra est quod dicitur Eph. l [5], prae­

destinavit nos in adoptionem filiorum per Ie­ sum Christum. Respondeo dicendum quod, si consideretur praedestinatio secundum ipsum praedestina­ tionis actum, praedestinatio Christi non est causa praedestinationis nostrae, cum uno et eodem actu Deus praedestinaverit Christum et nos. Si autem consideretur praedestinatio se­ cundum terminum praedestinationis, sic prae­ destinatio Christi est causa nostrae praedesti­ nationis, sic enim Deus praeordinavit nostram salutem, ab aeterno praedestinando, ut per lesum Christum compleretur. Sub praedestina­ tione enim aeterna non salurn cadit id quod est fiendum in tempore, sed etiam modus et ordo secundum quod est complendum ex tempore. Ad primum ergo et secundum dicendum quod rationes illae procedunt de praedestina­ tione secundum praedestinationis actum. Ad tertium dicendum quod, si Christus non fuisset incamandus, Deus praeordinasset ho­ mines salvari per aliam causam. Sed quia praeordinavit incamationem Christi, simul cum hoc praeordinavit ut esset causa nostrae salutis.

Predestinati secondo il piano di colui che tut­ to opera efficacemente confmme alla sua vo­ lontà. Quindi la predestinazione di Cristo non

è la causa della nostra.

3. Tolta la causa, si toglie anche l'effetto. Ma tolta la predestinazione di Cristo, non si toglie la nostra, poiché, anche se non si fosse incarna­ to il Figlio di Dio, sarebbe stato possibile un altro modo di realizzazione della nostra salvez­ za, come dice Agostino. Quindi la predestina­ zione di Cristo non è la causa della nostra. In contrario: in F;f l [5] è detto: [Dio] ci ha

predestinati a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo. Risposta: considerata come atto, la predesti­ nazione di Cristo non è la causa della nostra, poiché con un solo e identico atto Dio ha pre­ destinato Cristo e noi. Considerata invece nel suo termine, la predestinazione di Cristo è la causa della nostra: Dio infatti ha predisposto la nostra salvezza predestinando dall'eternità che essa fosse compiuta per opera di Gesù Cristo. Infatti cade sotto la predestinazione eterna non solo ciò che deve compiersi nel tempo, ma anche il modo e l'ordine del suo compimento. Soluzione delle difficoltà: l , 2. Le prime due difficoltà derivano dalla predestinazione con­ siderata come atto. 3. Se Cristo non si fosse dovuto incarnare, Dio avrebbe predisposto che gli uomini fosse­ ro salvati per un'altra via. Ma avendo egli predisposto l'incarnazione di Cristo, predi­ spose insieme che essa fosse la causa della nostra salvezza.

Q. 25, A. l

Il culto di Cristo QUAESTI025

308 QUESTIONE 25

DE ADORATIONE CHRISTI

IL CULTO DI CRISTO

Deinde considerandum est de his quae perti­ nent ad Christum in comparatione ad nos. Et primo, de adoratione Christi, qua scilicet nos eum adoramus; secundo, de hoc quod est mediator noster ad Deum [q. 26].- Circa pri­ mum quaeruntur sex. Primo, utrum una et eadem adoratione sit adoranda divinitas Christi et eius humanitas. Secundo, utrum caro eius sit adoranda adoratione latriae. Tertio, utrum adoratio latriae sit exhibenda imagini Christi. Quarto, utrum sit exhibenda cruci Christi. Quinto, utrum sit exhibenda matri eius. Sexto, de adoratione reliquiarum sanctorum.

Veniamo ora a esaminare le relazioni tra Cri­ sto e noi. Prima parleremo del culto che noi tributiamo a Cristo, poi di Cristo come nostro mediatore presso Dio. - Sul primo argomento si pongono sei quesiti: l . All'umanità e alla divinità di Cristo è dovuto l'identico culto? 2. Al suo corpo è dovuto il culto di latria? 3. Il culto d( latria è dovuto alle immagini di_ Cri­ sto? 4. E dovuto alla croce di Cristo? 5. E do­ vuto a sua Madre? 6. Il culto delle reliquie dei santi.

Articulus l

Articolo l

Utrum eadem adoratione adoranda sit humanitas Christi et eius divinitas

Ali 'umanità e alla divinità di Cristo è dovuto l'identico culto?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod non eadem adoratione adoranda sit humanitas Christi et eius divinitas. l . Divinitas enim Christi est adoranda, quae est communis Patri et Filio, unde dicitur Ioan. 5 [23], omnes honorificent Filùun sicut hono­ rificant Patrem. Sed humanitas Christi non est communis ei et Patii. Ergo non eadem adora­ tione adoranda est humanitas Christi et eius divinitas. 2. Praeterea, honor est proprie praemium virtu­ tis, ut philosophus dicit, in 4 Ethic. [3,15]. Me­ retur autem virtus praemium suum per actum. CUm igitur in Christo sit alia operatio divinae et humanae naturae, ut supra [q. 19 a. l] habi­ tum est, videtur quod alio honore sit adoranda humanitas Christi, et alio eius divinitas. 3. Praeterea, anima Christi, si non esset Verbo unita, esset veneranda propter excellentiam sapientiae et gratiae quam habet. Sed nihil dignitatis est ei subtractum per hoc quod est unita Verbo. Ergo natura humana est quadam propria veneratione adoranda, praeter venera­ tionem quae exhibetur divinitati ipsius. Sed contra est quod in capitulis Quintae Synodi [Conc. Cpolit. ll, 8,9] sic legitur, si quis

Sembra di no. Infatti: l . L a divinità di Cristo deve essere adorata poiché è comune al Padre e al Figlio, secondo le parole di Gv 5 [23]: Tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Ma l'umanità di Cri­ sto non è comune a lui e al Padre. Quindi al­ l'umanità di Cristo non è dovuto il medesimo culto che alla sua divinità. 2. L'onore è «il premio della virtù», come dice il Filosofo. Ma la virtù merita il suo premio con le azioni. Poiché dunque in Cristo l' ope­ rare della natura divina è diverso da quello della natura umana, come si è visto sopra, sem­ bra che il culto dovuto alla sua umanità sia diverso da quello dovuto alla sua divinità. 3. L'anima di Cristo, se non fosse unita al Verbo, sarebbe degna di venerazione per l'eccellenza del suo sapere e della sua grazia. Ma l'unione con il Verbo non diminuisce in nulla la sua dignità. Quindi la natura umana di Cristo merita un culto proprio, diverso da quello che si tributa alla sua divinità. In contrario: negli Atti del quinto Concilio si legge: «Se qualcuno dice che Cristo è da adorarsi nelle due nature con due culti diversi, e non onora con un medesimo culto Dio Ver­ bo incarnato insieme con la sua carne, come è stato trasmesso alla Chiesa di Dio fin dal prin­ cipio, sia scomunicato». Risposta: in colui che onoriamo possiamo considerare due cose: il soggetto che è onora-

in duabus naturis adorati dicit Christum, ex quo duae adorationes introducuntur, sed non una adoratione Deum Verbum incarnatum cum propria ipsius carne adorat, sicut ab initio Dei Ecclesiae traditum est, talis anathema sit.

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Il culto di Cristo

Respondeo dicendum quod in eo qui honora­ tur, duo possumus considerare, scilicet eum cui honor exhibetur, et causam honoris. Pro­ prie autem honor exhibetur toti rei subsistenti, non enim dicimus quod manus horninis hono­ retur, sed quod homo honoretur. Et si quando­ que contingat quod dicatur honorari manus vel pes alicuius, hoc non dicitur ea ratione quod huiusmodi partes secundum se honoren­ tur, sed quia in istis partibus honoratur totum. Per quem etiam modum aliquis homo potest honorari in aliquo exteriori, puta in veste, aut in imagine, aut in nuntio.- Causa autem ho­ noris est id ex quo ille qui honoratur habet aliquam excellentiam, nam honor est reveren­ tia alicui exhibita propter sui excellentiam, ut in secunda parte [ll-ll q. 1 03 a. l] dictum est. Et ideo, si in uno homine sunt plures causae honoris, puta praelatio, scientia et virtus, erit quidem illius horninis unus honor ex parte eius qui honoratur, plures tamen secundum causas honoris, homo enim est qui honoratur et propter scientiam, et propter virtutem. Cum igitur in Christo una sit tantum persona divinae et humanae naturae, et etiam una hypostasis et unum suppositum, est quidem una eius adoratio et unus honor ex parte eius qui adoratur, sed ex parte causae qua honora­ tur, possunt dici esse plures adorationes, ut scilicet alio honore honoretur propter sapien­ tiam increatam, et propter sapientiam crea­ tam. - Si autem ponerentur in Christo plures personae seu hypostases, sequeretur quod simpliciter essent plures adorationes. Et hoc est quod in synodis reprobatur. Dicitur enim in capitulis Cyrilli [ep. 17 Ad Nestorium 8, sive i n t er p r e t e Mar i o Mer c a t o r e; apud Synodum Ephesinam 1 ,26], si quis audet di­

cere asswnptum hominem coadorari oportere Deo Verbo, quasi alterum alteri, et non magis una adoratione honorificat Emmanuelem, secundum quod factum est caro Verbum, anathema sit.

Ad primum ergo dicendum quod in Trinitate sunt tres qui honorantur, sed una est causa honoris. In mysterio autem incamationis est e converso. Et ideo alio modo est unus honor Trinitatis, et alio modo est unus honor Christi. Ad secundum dicendum quod operatio non est quae honoratur, sed est ratio honoris. Et ideo per hoc quod in Christo sunt duae operationes, non ostenditur quod sint duae

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to e la causa per cui è onorato. Propriamente dunque l'onore è tributato al soggetto sussi­ stente nella sua integrità: non diciamo infatti che si onora la mano di un uomo, ma l'uomo. E se capita di onorare la mano o il piede di qualcuno, non è che queste parti siano onorate per se stesse, ma in esse si onora tutta la per­ sona. E in questo modo un uomo può essere onorato persino in qualcosa di esterno: p. es. nella veste, in un'immagine o in un suo mes­ saggero.- La causa poi dell'onore è ciò che costituisce l'eccellenza della persona che è onorata, essendo l'onore il rispetto che si di­ mostra a qualcuno per la sua eccellenza, co­ me si è detto nella Seconda Parte. Se dunque in un uomo ci sono più titoli di onore, p. es. la prelatura, la scienza e la virtù, l'onore che gli è reso sarà uno solo dalla parte di colui che è onorato, ma molteplice dalla parte dei motivi o cause per cui egli è onorato: è sempre l'uo­ mo infatti che è onorato sia per la scienza che per la virtù. - Essendo dunque in Cristo unica la persona della natura divina e di quella umana, e unica l'ipostasi o supposito, il culto e l'onore è uno solo in ragione della persona; tenendo però conto delle cause per cui essa è onorata, possiamo parlare di onori diversi: altro è p. es. l'onore che è tributato alla sua sapienza increata, e altro è l'onore che è tribu­ tato alla sua sapienza creata. - Se invece si ammettessero in Cristo più persone o ipostasi, allora si avrebbero culti molteplici in senso assoluto. Ed è questo che è condannato nei Concili. Si legge infatti nei capitoli redatti da Cirillo: «Se qualcuno osa dire che l'uomo as­ sunto deve essere coadorato con il Dio Verbo, come se l'uno fosse distinto dall'altro, e non tributa invece la medesima adorazione al­ l'Emmanuele, in quanto è il Verbo fatto car­ ne, sia scomunicato». Soluzione delle difficoltà: l. Nella Trinità so­ no tre le persone che sono onorate, ma unica è la causa dell'onore. Nel mistero dell'incar­ nazione invece accade il contrario. Perciò l'u­ nità di culto nella Trinità e in Cristo si giusti­ fica diversamente. 2. L'operazione non è l'oggetto del culto, ma ne è la causa. TI fatto dunque che in Cristo ci siano due operazioni non dimostra che ci siano due culti, ma che ci sono due cause di culto. 3. Se l'anima di Cristo non fosse unita al Ver­ bo di Dio, sarebbe la sua parte principale, e

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adorationes, sed quod sint duae adorationis causae. Ad tertium dicendum quod anima Christi, si non esset unita Dei Verbo esset id quod est prin­ cipalissimum in homine ilio. Et ideo sibi prae­ cipue deberetur honor, quia homo est quod est potissimum in eo. Sed quia anima Christi est unita personae digniori, illi personae praecipue debetur honor cui anima Christi unitur. Nec per hoc tamen diminuitur dignitas animae Christi, sed augetur ut sopra [q. 2 a. 2 ad 2] dictum est.

quindi l'onore sarebbe dovuto principalmente ad essa, poiché l'uomo consiste soprattutto nella sua parte principale. Ma poiché l'anima di Cristo fu unita a una persona più degna, l'o­ nore è dovuto principalmente a quella persona a cui l'anima di Cristo fu unita. Ciò però non diminuisce la dignità dell'anima di Cristo, ma anzi la accresce, come si è detto sopra.

Articulus 2 Utrum humanitas Christi sit adoranda adoratione latriae

Articolo 2 All'umanità di Cristo è dovuto il culto di latria?

Ad secundum sic proceditur. V idetur quod humanitas Christi non sit adoranda adoratione latriae. l . Quia super illud Psalmi [98,5], adorate

Sembra di no. Infatti: l. Commentando il Sal 98 [5]: Adorate lo sgabello dei suoi piedi, perché è santo, la Glossa ci ammonisce: «Noi adoriamo la car­ ne assunta dal Verbo di Dio senza commette­ re peccato: nessuno infatti mangia spiritual­ mente la sua carne senza prima adorarla; non però con l'adorazione di latria, che è dovuta solo al Creatore». Ma la carne è parte dell'u­ manità. Quindi l'umanità di Cristo non va adorata con il culto di latria. 2. A nessuna creatura è dovuto il culto di latria: i Pagani infatti sono rimproverati per­ ché hanno venerato e adorato la creatura (Rm 1 ,25). Ma l'umanità di Cristo è una crea­ tura. Quindi non merita il culto di latria. 3. TI culto di latria è dovuto a Dio in ricono­ scimento del suo supremo dominio, come è detto in Dt 6 [13]: Adorerai il Signore tuo Dio e servirai a lui solo. Ma Cristo in quanto uomo è minore del Padre. Quindi alla sua umanità non si deve il culto di latria. In contrario: il Damasceno scrive: «Dopo che Dio Verbo si è incarnato, noi adoriamo la carne di Cristo, non per se stessa, ma per il Verbo di Dio che le si è unito ipostaticamente». E commentando i l Sal 98 [5]: Adorate lo sgabello dei suoi piedi, la Glossa dice: «Chi adora il corpo di Clisto non mira alla terra, ma a colui del quale esso è sgabello, e per l'onore a lui dovuto adora lo sgabello». Ma il Verbo incarnato è adorato con il culto di latria Quindi anche il suo corpo e la sua umanità. Risposta: come si è detto sopra, l'onore è do­ vuto all'ipostasi sussistente, anche se la causa dell'onore può essere qualcosa di non sussi-

scabellum pedwn eius quoniam sanctum est, dicit Glossa [ord. et Lomb.], caro a �rho Dei assumpta sine impietate adoratur a nobis, quia nemo spiritualiter carnem eius manducat nisi prius adoret; non illa dico adoratione quae latria est, quae soli Creatori debetur. Caro autem est pars humanitatis. Ergo humanitas Christi non est adoranda adoratione latriae. 2. Praeterea, cultus latriae nulli creaturae debetur, ex hoc enim reprobantur gentiles quod coluerunt et servierunt creaturae, ut di­ citur Rom. l [25]. Sed humanitas Christi est creatura. Ergo non est adoranda adoratione latriae. 3. Praeterea, adoratio latriae debetur Deo in recognitionem maximi dominii, secundum illud Deut. 6 [13], Dominum Deum tuum adorabis, et il/i soli servies. Sed Christus, secundum quod homo, est minor Patre. Ergo humanitas eius non est adoratione latriae adoranda. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 4 li­ bro [De fide 3], adoratur autem caro Christi,

incarnato Deo Verbo, non propter seipsam, sed propter unitum ei secundum hypostasim Verbum Dei. Et super illud Psalmi, adorate scabellum pedum eius, dicit Glossa [ord. et Lomb.; Enarr. in Ps. 98 super v. 5], qui adorat corpus Christi, non terram intuetw; sed illum potius cuius scabellum est, in cuius honore scabellum adorar. Sed Verbum incarnatum adoratur adoratione latriae. Ergo etiam corpus eius, sive eius humanitas.

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Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. l] dictum est, honor adorationis debetur hypostasi subsistenti, tamen ratio honoris potest esse aliquid non subsistens, propter quod honoratur persona cui illud inest. Adoratio igitur humanitatis Christi dupliciter potest intelligi. Uno modo, ut sit eius sicut rei adoratae. Et sic adorare carnem Christi nihil est aliud quam adorare Verbum Dei incarna­ rum, sicut adorare vestem regis nihil est aliud quam adorare regem vestitum. Et secundum hoc, adoratio humanitatis Christi est adoratio latriae. - Alio modo potest intelligi adoratio humanitatis Christi quae fit ratione humanita­ tis Christi perfectae omni munere gratiarum. Et sic adoratio humanitatis Christi non est adoratio latriae, sed adoratio duliae. Ita scilicet quod una et eadem persona Christi adoretur adoratione latriae propter suam divinitatem et adoratione duliae propter per­ fectionem humanitatis. - Nec hoc est incon­ veniens. Quia ipsi Deo Patri debetur honor latriae propter divinitatem, et honor duliae propter dominium quo creaturas gubemat. Unde super illud Psalrni [7,1], Domine Deus meus in te speravi, dicit Glossa [int. et Lomb.],

Domine omnium per potentiam, cui debetur dulia. Deus omnium per creationem, cui de­ betur latria. Ad primum ergo dicendum quod glossa illa non est sic intelligenda quasi seorsum adoretur caro Christi ab eius divinitate, hoc enim posset contingere solum hoc modo, si esset alia hypostasis Dei et horninis. Sed quia, ut dicit Damascenus [De fide 4,3], si dividas subtilibus

intelligentiis quod videtur ab eo quod intelligi­ tur, inadorabilis est ut creatura, scilicet adora­

tione latriae. Et tunc sic intellectae ut separatae a Dei Verbo, debetur sibi adoratio duliae, non cuiuscumque, puta quae communiter exhibetur aliis creaturis; sed quadam excellentiori, quam hyperduliam vocant. Et per hoc etiam patet responsio ad secundum et tertium. Quia adoratio latriae non exhibetur humanitati Christi ratione sui ipsius, sed ratio­ ne divinitatis cui unitur, secundum quam Christus non est minor Patre.

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stente in possesso della persona che è onorata.

n culto dell'umanità di Cristo può quindi es­ sere considerato sotto due aspetti. Primo, come culto reso all'oggetto dell'adorazione. E in questo senso adorare l'umanità di Cristo è lo stesso che adorare il Verbo di Dio incarnato, come onorare la veste di un re è onorare il re che la indossa. Sotto questo aspetto dunque il culto reso all'umanità di Cristo è un culto di latria. - Secondo, il culto dell'umanità di Cristo può essere considerato in rapporto alla natura umana di Cristo, perfezionata con ogni dono di grazia. E allora il culto reso all'umani­ tà di Cristo non è di latria, ma di dulia. In modo cioè che l'unica e medesima persona di Cristo è onorata con il culto di latria per la sua divinità, e con il culto di dulia per le perfezioni della sua umanità. - Né ciò presenta inconve­ nienti. Infatti allo stesso Dio Padre è dovuto il culto di latria in ragione della divinità, e il culto di dulia in ragione del suo dominio nel governo delle creature. Per cui, spiegando le parole del Sal? [ l]: Signore mio Dio, in te ho sperato, la Glossa osserva: «Signore di tutte le cose per la potenza, a cui è dovuto il culto di dulia. Dio di tutte le cose per la creazione, a cui è dovuto il culto di latria>> . Soluzione delle difficoltà: l. Quella Glossa non va intesa nel senso che la carne di Cristo debba essere adorata separatamente dalla sua divinità: ciò infatti potrebbe avvenire solo se ci fossero due ipostasi, la divina e l'umana. Piuttosto, come nota il Damasceno, «Se dividi con sottili concetti ciò che è visto da ciò che è appreso intellettualmente, Cristo non è adora­ bile come creatura>> con culto di latria. E allo­ ra, se si considera l'umanità di Cristo come separata dal Verbo, le è dovuto il culto di du­ lia: non quella comune che è resa alle altre creature, ma una più eccellente, chiamata

iperdulia. 2 e 3 . Ciò basta per rispondere anche alla seconda e alla terza obiezione. Infatti il culto di latria non è reso all'umanità di Cristo per se stessa, ma in ragione della divinità a cui essa è unita, e per la quale Cristo non è mino­ re del Padre.

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Articulus 3 Utrum imago Christi sit adoranda adoratione latriae

Articolo 3 Alle immagini di Cristo è dovuto il culto di latria?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ima­ go Christi non sit adoranda adoratione latriae. l . Dicitur enim Ex. 20 [4], non facies tibi sculptile, neque omnem similitudinem. Sed nulla adoratio est facienda contra Dei prae­ ceptum. Ergo imago Christi non est adoranda adoratione latriae. 2. Praeterea, operibus gentilium non debemus communicare, ut apostolus dicit, Eph. 5 [11] . Sed genliles de hoc praecipue inculpantur, quia commutaverunt gloriam incorruptibilis

Sembra di no. Infatti: l. In Es 20 [4] è detto: Non tifarai idolo né im­ magine alcuna. Ma non si può prestare culto alcuno contro il divieto di Dio. Quindi alle im­ magini di Cristo non si deve il culto di latria. 2. Non dobbiamo partecipare alle opere dei gentili, come ricorda Paolo (Ef 5,11 ) . Ma i Pagani sono incolpati principalmente del fatto che hanno scambiato la gloria dell 'incorrutti­

Dei in similitudinem imaginis corruptibilis hominis, ut dicitur Rom. l [23]. Ergo imago

non va adorata con culto di latria. 3. A Cristo è dovuto il culto di latria per la sua divinità, non per la sua umanità. Ma al­ l'immagine della divinità impressa nella sua anima razionale non è dovuto il culto di latria. Quindi molto meno ali' immagine materiale che rappresenta l'umanità dello stesso Cristo. 4. Nel culto divino si deve praticare solo ciò che fu istituito da Dio, tanto che anche Paolo, nel tramandare la dottrina sul sacrificio della Chiesa, scrive: lo ho ricevuto dal Signore quel­

Christi non est adoranda adoratione latriae. 3. Praeterea, Christo debetur adoratio latriae ratione divinitatis, non ratione humanitatis. Sed imagini divinitatis eius, quae animae rationali est impressa, non debetur adoratio latriae. Ergo multo minus imagini corporali, quae repraesentat humanitatem ipsius Christi. 4. Praeterea, nihil videtur in cullu divino fa­ ciendum nisi quod est a Deo institutum, unde et apostolus, l Cor. Il [23], traditurus doctri­ nam de sacrificio Ecclesiae, dicit, ego accepi a Domino quod et tradidi vobis. Sed nulla tra­ ditio in Scriptura invenitur de adorandis ima­ ginibus. Ergo imago Christi non est adoratio­ ne latriae adoranda. Sed contra est quod Damascenus [De fide 4,16] inducit Basilium dicentem [De Spirito Sancto 18], ùnaginis honor ad prototypum pervenir, idest exemplar. Sed ipsum exemplar, scilicet Christus, est adorandus adoratione latriae. Ergo et eius imago. Respondeo dicendum quod, sicut philosophus dicit, in libro De mem. et rem. [l], duplex est motus animae in imaginem, unus quidem in imaginem ipsam secundum quod est res quaedam; alio modo, in imaginem inquantum est imago alterius. Et inter hos motus est haec differentia, quia primus motus, quo quis mo­ vetur in imaginem prout est res quaedam, est alius a motu qui est in rem, secundus autem motus, qui est in imaginem inquantum est imago, est unus et idem cum ilio qui est in rem. Sic igitur dicendum est quod imagini Christi inquantum est res quaedam, puta li­ gnum sculptum vel pictum, nulla reverentia

bile Dio con l'immagine dell 'uomo corrutti­ bile (Rm 1,23). Quindi l'immagine di Cristo

lo che a mia volta vi ho trasmesso (l Cor

11,23). Ma nella Scrittura non si trova alcuna tradizione sul culto delle immagini. Quindi le immagini di Cristo non vanno adorate con culto di latria. In contrario: il Damasceno cita queste parole di Basilio: «L'onore reso all'immagine si in­ dirizza al prototipo», cioè all'esemplare. Ma l'esemplare, cioè Cristo, merita il culto di la­ tria. Quindi anche la sua immagine. Risposta: come dice il Filosofo, due sono i moti dell'anima verso l'immagine: il primo verso l'immagine come cosa a sé stante, il se­ condo verso l'immagine come rappresenta­ zione di un'altra cosa. Ora, tra i moti suddetti c'è questa differenza: che il primo è un moto distinto da quello che si volge alla cosa rap­ presentata, mentre il secondo si identifica con tale moto. Perciò bisogna dire che a un'im­ magine di Cristo in quanto è una cosa a sé stante, p. es. una scultura in legno o una pit­ tura, non si deve nessun culto, poiché questo spetta solo a una natura razionale. Quindi ad essa va tributato un culto solo in quanto è un'immagine. E così è identico il culto verso Cristo e verso la sua immagine. Poiché dun-

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exhibetur, quia reverentia debetur non nisi ra­ tionali naturae. Relinquitur ergo quod exhi­ beatur ei reverentia solum inquantum est ima­ go. Et sic sequitur quod eadem reverentia ex­ hibeatur imagini Christi et ipsi Christo. Cum igitur Christus adoretur adoratione latriae, consequens est quod eius imago sit adoratio­ ne latriae adoranda. Ad primum ergo dicendum quod non prohibe­ tur ilio praecepto tacere quamcumque sculptu­ ram vel similitudinem, sed tacere ad adoran­ dum, unde subdit [5], non adorabis ea neque co/es. Et quia, sicut dictum est [in co.], idem est motus in imaginem et in rem, co modo prohibetur adoratio quo prohibetur adoratio rei cuius est imago. Unde ibi intelligitur prohiberi adoratio imaginum quas gentiles faciebant in venerationem deorum suorum, idest Daemo­ num, ideoque praemittitur [3], non habebis deos alienos coram me. Ipsi autem Deo vero, cum sit incorporeus, nulla imago corporalis poterat poni, quia, ut Damascenus dicit [De fi­ de 4,16], insipientiae summae est et impietatis figurare quod est divinum. Sed quia in Novo Testamento Deus factus est homo, potest in sua imagine corporali adorari. Ad secundum dicendum quod apostolus prohi­ bet communicare operibus infructuosis genti­ lium, communicare autem eorum utilibus ope­ ribus apostolus non prohibet. Adoratio autem imaginum est inter infructuosa opera compu­ tanda quantum ad duo. Primo quidem, quan­ tum ad hoc quod quidam eorum adorabant ipsas imagines ut res quasdam, credentes in eis aliquid numinis esse, propter responsa quae Daemoncs in cis dabant, et alios mirabiles huiusmodi effectus. Secundo, propter res qua­ rum erant imagines, statuebant enim imagines aliquibus creaturis, quas in eis veneratione la­ triae venerabantur. Nos autem adoramus ado­ ratione latriae imaginem Christi, qui est verus Deus, non propter ipsam imaginem, sed prop­ ter rem cuius imago est, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod creaturae rationali debetur reverentia propter seipsam. Et ideo, si creaturae rationali, in qua est imago, exhibe­ retur adoratio latriae posset esse erroris occa­ sio, ut scilicet motus adorantis in homine sisteret inquantum est res quaedam, et non ferretur in Deum, cuius est imago. Quod non potest contingere de imagine sculpta vel picta in materia insensibili.

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que a Cristo va tributato il culto di latria, an­ che alle sue immagini si deve il medesimo culto. Soluzione delle difficoltà: l . Quel divieto non proibisce di fare qualunque scultura o imma­ gine, ma di farle a scopo di culto, per cui si aggiunge [5]: Non adorerai tali cose né ad es­ se presterai culto. Siccome dunque, stando a quanto si è detto, è identico il moto verso l'immagine e verso la cosa rappresentata, ne viene che l'adorazione delle immagini è proi­ bita come quella delle cose che esse rappre­ sentano. Per cui nel testo citato è proibita l'adorazione delle immagini che i gentili face­ vano per il culto delle loro divinità, ossia dei demoni; si premette infatti [3]: Non avrai altri dèi difivnte a me. Del Dio vero poi, essendo esso incorporeo, non si poteva fare alcuna immagine materiale, poiché, come dice il Da­ masceno, «è cosa sommamente stolta ed em­ pia raffigurare ciò che è divino». Ma poiché nel Nuovo Testamento Dio si è incarnato, può essere adorato nella sua immagine corporea. 2. Paolo proibisce di partecipare alle opere infruttuose dei Pagani, ma non proibisce di partecipare a quelle utili. Ora, l'adorazione delle immagini è da ritenersi un'opera infrut­ tuosa per due motivi. Primo, perché alcuni tra i Pagani adoravano le immagini stesse come cose a sé stanti, credendo che in esse ci fosse qualcosa di divino a causa dei responsi che i demoni davano per mezzo di esse, e di altri simili prodigi. Secondo, per le cose che rap­ presentavano: infatti tali immagini rappresen­ tavano delle creature, alle quali essi prestava­ no un culto di latria. Noi invece onoriamo con culto di latria le immagini di Cristo, che è ve­ ro Dio, e non per le immagini stesse, ma per la realtà che raffigurano, come si è detto. 3. La creatura razionale è per se stessa suscet­ tibile di culto. Se dunque a una creatura razio­ nale quale immagine di Dio si prestasse un culto di latria, ciò potrebbe essere occasione di errore, poiché l'adorazione potrebbe fermarsi all'uomo come cosa a sé stante, senza rag­ giungere Dio, di cui esso è l'immagine. Ciò invece non può accadere con un'immagine scolpita o dipinta su una materia insensibile. 4. Gli apostoli, per una familiare assistenza dello Spirito Santo, tramandarono alle Chiese l'osservanza di alcuni usi che non sono riferiti nei loro scritti, ma sono contenuti nella prati-

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Il culto di Cristo

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Ad quartum dicendum quod apostoli, fami­ liari instinctu Spiritus Sancti, quaedam Eccle­ siis tradiderunt servanda quae non reliquerunt in scriptis, sed in observatione Ecclesiae per successionem fidelium sunt ordinata. Unde ipse dicit, 2 Thess. 2 [ 1 5], state, et tenete tra­

ca della Chiesa conservata dalla successione ininterrotta dei fedeli. Per cui lo stesso Paolo raccomanda: State saldi e mantenete le tradi­

ditiones quas didicistis, sive per sermonem, scilicet ab ore prolatum, sive per epistolam,

queste tradizioni c'è l' adorazione delle imma­ gini di Cristo. Si dice infatti che san Luca stesso abbia dipinto un'immagine di Cristo, che si trova a Roma.

scilicet scripto transmissam. Et inter huius­ modi traditiones est imaginum Christi adora­ tio. Unde et beatus Lucas dicitur depinxisse imaginem Christi, quae Romae habetur.

zioni che avete apprese, sia dalla nostra paro­ la, cioè oralmente, sia dalla nostra lettera (2 Ts 2,15), cioè per iscritto. E nell'insieme di

Articulus 4 Utrum crux Christi sit adoranda adoratione latriae

Articolo 4 Alla croce di Cristo è dovuto il culto di latria?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod crux Christi non sit adoranda adoratione latriae. l . Nullus enim pius filius veneratur contume­ liam patris sui, puta flagellum quo flagellatus est, vel lignum in quo erat suspensus, sed ma­ gis illud abhorret. Christus autem in ligno cru­ cis est opprobriosissimam mortem passus, se­ cundum illud Sap. 2 [20], morte twpissima condemnemus eum. Ergo non debemus cru­ cem venerari, sed magis abhorrere. 2. Praeterea, humanitas Christi adoratione la­ triae adoratur inquantum est unita Filio Dei in persona. Quod de cruce dici non potest. Ergo crux Christi non est adoranda adoratione latriae. 3. Praeterea, sicut crux Christi fuit instrumen­ tum passionis eius et martis, ita etiam et mul­ ta alia, puta clavi, corona et lancea, quibus tamen non exhibemus latriae cultum. Ergo vi­ detur quod crux Christi non sit adoratione latriae adoranda. Sed contra, illi exhibemus adorationem latriae in quo ponimus spem salutis. Sed in cruce Christi ponimus spem, cantat enim Ecclesia,

Sembra di no. Infatti: l. Nessun figlio, se è pio, onora ciò che è stato di offesa a suo padre: p. es. i flagelli con i quali è stato colpito, o il legno sul quale fu ucciso, ma piuttosto li aborrisce. Ora, Cristo sul legno della croce patì la morte più oltraggiosa, secon­ do le parole di Sap 2 [20]: Condanniamolo a una nwrte infame. Quindi non dobbiamo ono­ rare la croce, ma piuttosto aborrirla 2. L'umanità di Cristo è adorata con culto di latria in quanto è unita ipostaticamente al Fi­ glio di Dio. Ma ciò non può dirsi della croce. Quindi alla croce di Cristo non è dovuto il culto di latria. 3. Come la croce fu strumento della passione e morte di Cristo, così lo furono anche molte altre cose: p. es., i chiodi, la corona, la lancia, ai quali tuttavia non prestiamo un culto di latria. Quindi sembra che neppure alla croce di Cristo sia dovuta l'adorazione di latria. In contrario: noi tributiamo l'adorazione di latria a quelle cose in cui riponiamo la speran­ za della nostra salvezza. Ma nella croce di Cristo noi riponiamo la nostra speranza, poi­ ché la Chiesa canta: «Ave, o Croce, unica speranza, in questo tempo di passione ac­ cresci ai fedeli la grazia, ai peccatori concedi il perdono». Quindi alla croce di Cristo è dovuto il culto di latria. Risposta: come si è detto in precedenza, l'ono­ re o rispetto è dovuto di per sé solo alle crea­ ture razionali, mentre a quelle prive di co­ scienza non si deve onore e rispetto se non in riferimento a una natura razionale. E tale ri­ ferimento si può avere in due modi: primo,

o crux, ave, spes unica, hoc passionis tempo­ re, auge piis iustitiam, reisque dona veniam.

Ergo crux Christi est adoranda adoratione latriae. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 3] dictum est, honor seu reverentia non debetur nisi rationali creaturae, creaturae autem insen­ sibili non debetur honor vel reverentia nisi ra­ tione naturae rationalis. Et hoc dupliciter, uno modo, inquantum repraesentat naturam ratio­ nalem; alio modo, inquantum ei quocumque modo coniungitur. Primo modo consueverunt

315

Il culto di Cristo

homines venerari regis imaginem, secundo modo, eius vestimentum. Utrumque autem venerantur homines eadem veneratione qua venerantur et regem. - Si ergo lo quamur de ipsa cruce in qua Christus crucifixus est, utro­ que modo est a nobis veneranda, uno modo scilicet inquantum repraesentat nobis figuram Christi extensi in ea; alio modo, ex contactu ad membra Christi, et ex hoc quod eius san­ guine est petfusa. Unde utroque modo adora­ tur eadem adoratione cum Christo, scilicet adoratione latriae. Et propter hoc etiam cru­ cem alloquimur et deprecamur, quasi ipsum crucifixum. - Si vero lo quamur de effigie crucis Christi in quacumque alia materia, puta lapidis ve! ligni, argenti ve! auri, sic venera­ mur crucem tantum ut imagine m Christi, quam veneramur adoratione latriae, ut supra [a. 3] dictum est. Ad primum ergo dicendum quod in cruce Christi, quantum ad opinionem vel intentio­ nem infidelium, consideratur opprobrium Christi, sed quantum ad eftectum nostrae sa­ lutis, consideratur virtus divina ipsius, qua de hostibus triumphavit, secundum illud Col. 2 [14-15], ipsum tulit de medio, affigens illud

cruci, et spolians principatus et potestates, traduxit confidenter, palam triumphans illos in semetipso. Et ideo dicit apostolus, l Cor. l [18], verbum crucis pereuntibus quidem stultitia est, his autem qui salvi fiunt, idest nobis, virtus Dei est. Ad secundum dicendum quod crux Christi, licet non fuerit unita Verbo Dei in persona, fuit tamen ei unita aliquo alio modo, scilicet per repraesentationem et contactum. Et hac sola ratione exhibetur ei reverentia. Ad tertium dicendum quod, quantum ad ratio­ nem contactus membrorum Christi, adoramus non solum crucem, sed etiam omnia quae sunt Christi. Unde Damascenus dicit, in 4 libro [De fide 1 1 ], pretiosum lignum, ut sanctificatum

contactu sancti corporis et sanguinis, decenter adorandum; clavos, indumenta, lanceam; et sacra eius tabemacula. Ista tamen non repraesentant imaginem Christi, sicut cntx, quae dicitur signum Filii hominis, quod appa­ re bit in caelo, ut dicitur Matth. 24 [30]. ldeoque mulieribus dixit angelus [Mare. I 6,6],

Iesum quaeritis Nazarenum crucifixum, non dixit, lanceatum, sed, crucifixum. Et inde est quod imaginem crucis Christi veneramur in

Q. 25, A. 4

poiché esse rappresentano una creatura razio­ nale; secondo, perché in qualche modo sono unite ad essa. Nel primo modo gli uomini hanno preso l'abitudine di onorare le immagini dei re, nel secondo le loro vesti. Ma in am­ bedue i casi l'onore è quello stesso che è tribu­ tato ai re. - Se dunque parliamo della croce stessa sulla quale Cristo fu confitto, essa merita il nostro culto per tutte e due le ragioni indica­ te: sia perché ci rappresenta la figura di Cristo disteso su di essa, sia perché venne a contatto con le sue membra e fu bagnata dal suo sangue. Per ambedue i motivi dunque essa è adorata con il medesimo culto reso a Cristo, cioè con il culto di latria. E per questo motivo noi anche invochiamo la Croce, e ci raccoman­ diamo ad essa come allo stesso Crocifisso. Se invece si tratta dell' immagine della croce di Cristo, fatta in qualunque altra materia, p. es. in pietra, legno, argento, oro, allora essa merita il culto solo quale immagine di Cristo, che vene­ riamo con culto di latria, come si è detto sopra. Soluzione delle difficoltà: l . Nella croce di Cristo è considerata la sua infamia secondo l 'opinione e l'intenzione degli increduli, ma in rapporto alla nostra salvezza si rivela nella croce la potenza divina di Cristo che ha trionfato dei suoi nemici, secondo le parole di Col 2 [14]: Ha tolto di mezzo il documento

scritto del nostro debito inchiodandolo alla croce; e avendo privato della loro forza i principati e le potestà, ne ha fatto pubblico spettacolo dietm al corteo trionfale di Cristo. Per cui lo stesso Apostolo dice: La parola della cmce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi{ è potenza di Dio (l Cor 1,18). 2. E vero che la croce di Cristo non fu unita ipostaticamente al Verbo di Dio, tuttavia in qualche modo gli fu unita per rappresentazio­ ne e per contatto. E sono queste le sole ragio­ ni per le quali noi rendiamo ad essa onore. 3. La ragione del contatto con le membra di Cristo vale per l 'adorazione non solo della croce, ma anche di tutte le cose che apparten­ gono a Cristo. Per cui il Damasceno scrive: «Giustamente dobbiamo adorare il legno pre­ zioso santificato dal contatto del sacro corpo e sangue, i chiodi, le vesti, la lancia e i luoghi sacri che lo hanno accolto». Queste cose tut­ tavia non ci rappresentano l'immagine di Cristo come la croce, che è detta il segno del

Q. 25, A. 4

Il culto di Cristo

quacumque materia, non autem imaginem clavorum, vel quorumcumque huiusmodi.

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Figlio dell' Uomo, e che apparirà nel cielo (Mt 24,30). Per questo l' angelo [Mc 16,6] disse alle donne: Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso; non «il trapassato dalla lancia», ma il crocifisso. E questo è il motivo per cui veneriamo in qualunque materia le immagini della croce di Cristo, e non invece le immagi­ ni dei chiodi o di qualsiasi altro oggetto.

Articulus 5 Utrum mater Dei sit adoranda adoratione latriae

Articolo 5 Alla Madre di Dio è dovuto il culto di latria?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ma­ ter Dei sit adoranda adoratione latriae. l . Videtur enim idem honor exhibendus esse matri regis et regi, unde dicitur 3 Reg. 2 [19] quod positus est thronus matri regis, quae sedit ad dexteram eius. Et Augustinus dicit, in Ser­ mone de Assumpt. [De Assumpt. B.M.V. 6],

Sembra di sì. Infatti: l . Sembra che alla madre di un re sia dovuto il medesimo culto che è dovuto al re; infatti in l Re 2 [ 19] è detto che Salomone fece porre

thronum Dei, thalamum Domini caeli, atque tabernaculum Christi, dignum est ibi esse ubi est ipse. Sed Christus adoratur adoratio ne latriae. Ergo et mater eius. 2. Prneterea, Damascenus dicit, in 4 libro [De fi­ de 16], quod honor matris refertur adfilium. Sed filius adoratur adoratione latriae. Ergo et mater. 3 . Praeterea, coniunctior est Christo mater eius quam crux. Sed crux adoratur adoratione latriae. Ergo et mater eadem adoratione est adoranda. Sed contra est quod mater Dei est pura crea­ tura. Non ergo ei debetur adoratio latriae. Respondeo dicendum quod, quia latria soli Deo debetur, non debetur creaturae prout creaturam secundum se veneramur. Licet autem creaturae insensibiles non sint capaces venerationis secundum seipsas, creatura ta­ men rationalis est capax venerationis secun­ dum seipsam. Et ideo nulli purae creaturae rationali debetur cultus latriae. Cum ergo Beata Virgo sit pure creatura rationalis, non debetur ei adoratio latriae, sed solum venera­ tio duliae, eminentius tamen quam ceteris creaturis, inquantum ipsa est mater Dei. Et ideo dicitur quod debetur ei, non qualiscum­ que dulia, sed hyperdulia. Ad primum ergo dicendum quod matri regis non debetur aequal i s honor h onori qui debetur regi. Debetur tamen ei quidam honor consimilis, ratione cuiusdam excellentiae. Et hoc significant auctoritates inductae.

un trono anche per sua madre, che sJ assise alla sua destra. E Agostino scrive: «E giusto

che il trono di Dio, il talamo del Signore del cielo, il tabernacolo di Cristo, sia dove è lui stesso». Ma Cristo è onorato con il culto di latria. Quindi anche sua Madre. 2. Il Damasceno afferma che «l'onore reso alla madre si riferisce al figlio». Ma il Figlio è adorato con il culto di latria. Quindi anche la Madre. 3. A Cristo è più unita sua Madre che la cro­ ce. Ma la croce è adorata con culto di latria. Quindi anche la Madre deve essere adorata allo stesso modo. In contrario: la Madre di Dio è una pura creatu­ ra. Non le spetta dunque l'adorazione di latria. Risposta: il culto di latria, essendo dovuto solo a Dio, non va attribuito ad alcuna creatu­ ra, se si intende onoraria per se stessa. Ora, mentre le creature iiTazionali non sono suscet­ tibili di venerazione per se stesse, lo sono in­ vece le creature razionali. Quindi a nessuna creatura razionale spetta il culto di latria. Es­ sendo dunque la beata Vergine una pura crea­ tura razionale, non le è dovuto il culto di la­ tria, ma il culto di dulia soltanto, in modo superiore però alle altre creature, in quanto essa è la Madre di Dio. Si dice perciò che le è dovuto non un culto di dulia qualsiasi, ma di

iperdulia. Soluzione delle difficoltà: l . Alla madre di un re non sono dovuti gli stessi onori dovuti al re. Le spettano però, data la sua eccellenza, degli onori consimili. E questo è il valore dei testi citati.

Il culto di Cristo

317

Q. 25, A. 5

Ad secundum dicendum quod honor matris refertur ad filium, quia ipsa mater est propter filium honoranda. Non tamen eo modo quo honor imaginis refertur ad exemplar, quia ipsa imago, prout in se consideratur ut res quaedam, nullo modo est veneranda. Ad tertium dicendum quod crux, prout ipsa in se consideratur, ut dictum est [in co.; a. 4], non est capax honoris. Sed Beata Virgo est secundum seipsam capax venerationis. Et ideo non est similis ratio.

2. L'onore reso alla madre ridonda sul figlio perché la madre stessa va onorata a motivo del figlio. Non però come ridonda sull'esem­ plare l'onore reso all' immagine, poiché l'im­ magine considerata come cosa a sé stante non è in alcun modo onorabile. 3. Come si è detto, la croce, considerata in se stessa, non è suscettibile di onore. Invece la beata Vergine è onorabile per se stessa. Quin­ di il confronto non regge.

Articulus 6 Utrum sanctorum reliquiae aliquo modo sint adorandae

Articolo 6 Sono da venerare le reliquie dei santi?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod sanc­ torum reliquiae nullo modo sint adorandae. l. Non enim est aliquid faciendum quod pos­ sit esse erroris occasio. Sed adorare mortuo­ rum reliquias videtur ad errorem gentilium pertinere, qui mortuis hominibus honorificen­ tiam impendebant. Ergo non sunt sanctorum reliquiae honorandae. 2. Praeterea, stultum videtur rem insensibilem venerrui Sed sanctorum reliquiae sunt insen­ sibiles. Ergo stultum est eas venerari. 3 . Praeterea, corpus mortuum non est eiusdem speciei cum corpore vivo, et per con­ sequens non videtur esse numero idem. Ergo videtur quod post mortem alicuius sancti, corpus eius non sit adorandum. Sed contra est quod dicitur in libro De ec­ clesiast. dogmat. [73], sanctorum corpora, et

Sembra di no. Infatti: l . Non dobbiamo fare nulla che sia occasione di errore. Ma onorare le reliquie dei morti può somigliare ali' errore dei gentili che praticava­ no il culto dei morti. Quindi non si devono onqrare le reliquie dei santi. 2. E stolto venerare delle realtà insensibili. Ma le reliquie dei santi sono delle realtà insensibili. Quindi è stolto venerarle. 3. Un corpo morto è specificamente diverso da un corpo vivo, e quindi non è numerica­ mente identico. Quindi sembra che dopo la morte i l corpo dei santi non debba essere venerato. In contrario: nel De ecclesiasticis dogmatibus si legge: , come spiega Ago­ stino. Quindi essere mediatore fra Dio e gli uomini non è esclusivo di Cristo. 3. Il mediatore ha l'ufficio di intercedere pres­ so una persona a favore di un'altra. Ma lo Spi­

rito Santo intercede per noi con gemiti ine­ sprimibili presso Dio, come è detto in Rm 8 [26]. Quindi lo Spirito Santo è mediatore fra Dio e gli uomini. Ciò pertanto non è proprio di Cristo. In conuario: in l Tm 2 [5] è detto: Uno solo è

il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cri­ sto Gesù.

Risposta: l'ufficio proprio del mediatore è di unire coloro presso i quali egli esercita questa funzione: infatti gli estremi si uniscono nel punto intermedio. Ma unire perfettamente fra loro gli uomini e Dio è opera di Cristo, che ha riconciliato gli uomini � on Dio, secondo le parole di 2 Cor 5 [ 1 9]: E stato Dio a riconci­ liare a sé il mondo in Cristo. Perciò solo Cristo è il mediatore perfetto fra Dio e gli uo­ mini, in quanto con la sua morte ha riconcilia­ to con Dio il genere umano. Per cui Paolo, dopo aver detto: Uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù [l Tm 2,5], aggiunge: Che ha dato se stesso in riscatto per tutti [6]. Nulla proibisce però che altri possano essere detti mediatori fra Dio e gli uomini sotto un certo aspetto, in quanto cioè cooperano a tale unione in modo disposi­ tivo o ministeriale. Soluzione delle difficoltà: l . I profeti e i

Q. 26, A. l

Cristo mediatorefra Dio e gli uomini

Ad primum ergo dicendum quod prophetae et sacerdotes veteris legis dicti sunt mediatores inter Deum et homines dispositive et ministeria­ liter, inquantum scilicet praenuntiabant et prae­ figurabant verum et perfecnun Dei et hominum mediatorem. Sacerdotes vero novae legis pos­ sunt dici mediatores Dei et hominum inquan­ tum sunt ministri veri mediatoris, vice ipsius salutaria sacramenta hominibus exhibentes. Ad secundum dicendum quod angeli boni, ut Augustinus dicit, in 9 De civ. Dei [ 13], non recte possunt dici mediatores inter Deum et homines. Cwn enim utrwnque habeant cum

Deo, et beatitudinem et imm011alitatem, nihil autem horum cwn lwminibus miseris et morta­ libus, quomodo non potius remoti sunt ab ho­ minibus, Deoque coniuncti, quam inter utrosque medii constituti? Dionysius tamen di­ cit eos esse medios, quia, secundum gradum naturae, sunt infra Deum et supra homines constituti. Et mediatoris officium exercent, non quidem principaliter et perfective, sed ministe­ rialiter et dispositive, unde Matth. 4 [1 1 ] dicitur quod accesserunt angeli et ministrabant ei, sci­ li ce t Christo. - Daemones autem habent quidem cum Deo immortalitatem, cum homini­ bus vero miseriam. Ad hoc ergo se inte1ponit

medius daemon immortalis et miser; ut ad im­ mo11alitatem beatam transire non sinat [De civ.

Dei 9,15], sed perducat ad miseriam immorta­ lem. Unde est sicut malus medius, qui separat amicos [ibid.]. - Christus autem habuit cum Deo communem beatitudinem, cum hominibus autem mortalitatem. Et ideo ad hoc se intelpo­ suit medium ut, mortalitate transacta, ex mor­

tuis faceret immortales, quod in se resurgendo monstravit; et ex miseris beatos efficeret, unde nunquam ipse discessit [ibid.]. Et ideo ipse est bonus mediator; qui reconciliat inimicos [ibid.].

Ad tertium dicendum quod Spiritus Sanctus, cum sit per omnia Deo aequalis, non potest dici medius vel mediator i nter Deum et homines, sed solus Christus, qui, licet secun­ dum divinitatem aequalis sit Patri, tamen se­ cundum humanitatem minor est Patre, ut dictum est [cf. Symb. "Quicumque"] . Unde, super illud Gal. 3 [20], Christus est mediator, dicit Glossa [Lomb.; cf. ord.], non Pater ve! Spiritus Sanctus. Dicitur autem Spiritus Sanc­ tus inte1pellare pro nobis, quia ipse interpellare nos facit [cf. glossa int. et Lomb., super Rom. 8,26; Augustinus, Ep. 194 Ad Sixtum 4].

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sacerdoti dell'antica legge furono detti media­ tori fra Dio e gli uomini in maniera dispositi­ va e ministeriale, in quanto cioè prefigurava­ no e rappresentavano il mediatore vero e per­ fetto fra Dio e gli uomini. I sacerdoti della nuova legge possono dirsi invece mediatori fra Dio e gli uomini in quanto sono ministri del vero mediatore quali suoi vicari, conferen­ do agli uomini i sacramenti della salvezza. 2. Come precisa Agostino, non è esatto chia­ mare gli angeli buoni mediatori fra Dio e gli uomini. «Avendo essi infatti in comune con Dio la beatitudine e l'immortalità e nulla in comune con gli uomini, che sono miseri e mortali, come non considerarli distanti dagli uomini e vicini a Dio, piuttosto che interme­ diari fra i due estremi?». Dionigi tuttavia li chiama mediatori perché secondo il grado della loro natura sono al di sotto di Dio e al di sopra degli uomini. Ed esercitano anche l'ufficio di mediatori, ma non come mediatori principali e perfetti, bensì in modo ministeria­ le e dispositivo, per cui in Mt 4 [ 1 1 ] è detto che a Cristo si accostarono degli angeli e lo servivano. - Quanto poi ai demoni, essi han­ no l'immortalità in comune con Dio e l'infeli­ cità in comune con gli uomini. «Ed è per que­ sto che il demonio immortale e infelice si intromette come mediatore, per impedirci di giungere all'immortalità beata�> e trascinarci invece nell'infelicità eterna. E dunque «Un mediatore cattivo, che separa gli amici». Cristo invece ebbe in comune con Dio la bea­ titudine e con gli uomini la mortalità. Perciò «Si interpose quale mediatore affinché me­ diante la sua morte potesse rendere immortali i morti dandone una prova nella sua risurre­ zione, e rendere i miseri beati di quella beati­ tudine da cui egli non si era mai separato». E dunque «il mediatore buono che riporta la pace tra i nemici». 3. Lo Spirito Santo, essendo in tutto uguale a Dio, non può essere detto medio o mediatore fra Dio e gli uomini: ciò spetta invece solo a Cristo il quale, pur essendo «per la divinità uguale al Padre», tuttavia «per l'umanità è minore del Padre», come si è detto. Per cui, spiegando il passo di Gal 3 [20] : Cristo è mediatore, la Glossa aggiunge: «Non già il Padre o lo Spirito Santo». Si dice poi che lo Spirito Santo «intercede per noi» in quanto ci fa pregare.

Cristo mediatorefra Dio e gli uomini

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Q. 26, A. 2

Articulus 2

Articolo 2

Utrum Christus sit mediator Dei et hominum secundum quod homo

Cristo è mediatore fra Dio e gli uomini in quanto uomo?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus non sit mediator Dei et hominum secundum quod homo. l . Dicit enim Augustinus, in libro Contra Felicianum [De unit. Trin. 12], una est Christi

Sembra di no. Infatti: l . Scrive Agostino [Vigilio di Tapso]: «Una sola è la persona di Cristo, per impedire che Cristo sia diviso, e non sia una sola sostanza; per non togliere di mezzo la sua mediazione e ridurlo a essere o soltanto Figlio di Dio o sol­ tanto Figlio dell' uomo». Ma egli non è Figlio di Dio e dell'uomo unicamente in quanto uo­ mo, bensì in quanto Dio e uomo. Perciò non si deve neppure dire che è mediatore fra Dio e gli uomini soltanto come uomo. 2. Cristo, come è uguale al Padre e allo Spirito Santo in quanto Dio, così è uguale agli uomini in quanto uomo. Ma per la sua uguaglianza con il Padre e lo Spirito Santo non può essere detto mediatore in quanto è Dio, per cui la Glossa, commentando il passo di l Tm 2 [5] : Mediatore fra Dio e gli uomini... , afferma: prima che concepisse il Figlio di Dio. Il che non può essere inteso se non della puri­ ficazione dal fomite: ella infatti non aveva peccati attuali, come dice Agostino. Quindi la santificazione nel seno materno non l' aveva liberata dal fomite. In contrario: in Ct 4 [7] è detto: Tutta bella sei, amica mia, nessuna macchia è in te. Ma il fo­ mite è una macchia, almeno della carne. Quin­ di nella Beata Vergine non c'era il fomite. Risposta: su questo punto ci sono diverse opinioni. Infatti alcuni hanno sostenuto che nella santificazione ricevuta dalla Beata Ver­ gine nel seno materno le fu tolto completa­ mente il fomite. Altri invece dicono che il fo­ mite le rimase come difficoltà a compiere il bene, ma le fu tolto come proclività al male. Altri ancora dicono che il fomite le fu tolto come difetto personale che sospinge al male e rende difficile il bene, ma le rimase come difetto della natura, cioè come causa della

pulchra es, amica mea, et macula non est in te.

Fomes autem ad maculam pertinet, saltem carnis. Ergo in Beata Virgine fomes non fuit. Respondeo dicendum quod circa hoc sunt di­ versae opiniones. Quidam [cf. Petrum Cel­ lensem, ep. 1 7 1 Ad Nicolaum Mon.] enim dixerunt quod in ipsa sanctificatione Beatae Virginis, qua fuit sanctificata in utero, totaliter fuit ei fomes subtractus. Quidam [Petrus Cel­ lensis, ep. 1 73 Ad Nicolaum Mon.] vero di­ cunt quod remansit fomes quantum ad hoc quod facit difticultatem ad bonum, sublatus tamen fuit quantum ad hoc quod tàcit pronita-

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La santificazione della Beata Vergine

tem ad malum. Alii [Alexander Halensis, 3,9,2,5; 3, 1 ; 2, 1 ] vero dicunt quod sublatus fuit fomes inquantum pertinet ad corruptio­ nem personae, prout impellit ad malum et difficultatem facit ad bonum, remansit tamen inquantum pertinet ad corruptionem naturae, prout scilicet est causa traducendi originale peccatum in prolem. Alii [Albertus Magnus, I n Sent. 3 , 3 ,6; B onaventura, In Sent. 3,3, l ,2,2] vero dicunt quod in prima sanctifi­ catione remansit fomes secundum essentiam, sed ligatus fuit, in ipsa autem conceptione Filii Dei fuit totaliter sublatus. - Ad horum autem intellectum, oportet considerare quod fomes nihil aliud est quam inordinata concu­ piscentia sensibilis appetitus, habitualis ta­ men, quia actualis concupiscentia est motus peccati. Dicitur autem concupiscentia sensua­ litatis esse inordinata, inquantum repugnat rationi, quod quidem fit inquantum inclinat ad malum, vel difticultatem facit ad bonum. Et ideo ad ipsam rationem fomitis pertinet quod inclinet ad malum, vel difficultatem facit in bono. Unde ponere quod remanserit fomes in Beata Virgine non inclinans ad malum, est ponere duo opposita. - Similiter etiam videtur oppositionem implicare quod remanserit fomes inquantum pertinet ad corruptionem naturae, non autem inquantum pertinet ad corruptionem personae. Nam secundum Au­ gustinum, in libro De nuptiis et concupiscen­ tia [ 1 ,24], libido est quae peccatum originale transmittit in prolem. Libido autem importat inordinatam concupiscentiam, quae non tota­ liter subditur rationi. Et ideo, si totaliter fomes subtraheretur inquantum pertinet ad corrup­ tionem personae, non posset remanere in­ quantum pertinet ad corruptionem naturae. Restat igitur ut dicamus quod vel totaliter fo­ mes fuerit ab ea sublatus per primam sanctifi­ cationem, vel quod fuerit ligatus. Posset ta­ men intelligi quod totaliter fuit sublatus fo­ mes hoc modo, quod praestitum fuerit Beatae Vrrgini, ex abundantia gratiae descendentis in ipsam, ut talis esset dispositio virium animae in ipsa quod inferiores vires nunquam move­ rentur sine arbitrio rationis, sicut dictum est [q. 15 a. 2], fuisse in Christo, quem constat peccati fomitem non habuisse; et sicut fuit in Adam ante peccatum per originalem iusti­ tiam; ita quod, quantum ad hoc, gratia sancti­ ficationis in Virgine habuit vim originalis

Q. 27, A. 3

trasmissione del peccato originale alla prole. Altri infine pensano che nella prima santifica­ zione il fomite rimase in lei essenzialmente, ma fu legato; e che le venne tolto completa­ mente quando essa concepì il Figlio di Dio. Ora, per capire la cosa si deve considerare che i l fomite altro non è che la concupiscenza abituale disordinata dell' appetito sensibile: poiché la concupiscenza attuale è il moto peccaminoso. Ora, la concupiscenza dei sensi è disordinata in quanto contrasta con la ragio­ ne: o inclinando al male, o suscitando diffi­ coltà nel bene. Perciò anche il fomite consiste nell'inclinare al male e nel rendere difficile il bene. Per cui ammettere che nella Beata Ver­ gine sia rimasto un fomite che però non la inclinava al male, significa ammettere due co­ se opposte. - E uguale opposizione c'è nel­ l' ammettere che il fomite sia rimasto come difetto della natura e non come difetto della persona. Come spiega infatti Agostino, è la libidine che trasmette alla prole il peccato originale. Ma la libidine comporta il disordine della concupiscenza che non sta totalmente soggetta alla ragione. Se dunque il fomite è estinto del tutto come difetto della persona, non potrebbe sussistere più neppure come difetto della natura. - Perciò dobbiamo dire che il fomite nella prima santificazione o fu totalmente eliminato, o fu legato. Si potrebbe tuttavia spiegare la sottrazione totale del fo­ mite dicendo che alla Beata Vergine fu con­ cessa, per la pienezza della sua grazia, tanta armonia tra le facoltà della sua anima che le potenze inferiori non operavano mai senza l'arbitrio della ragione: come si è detto che avveniva in Cristo, il quale era certamente esente dal fomite del peccato, e anche in Ada­ mo prima che peccasse, quale effetto della giustizia originale; e allora la grazia della santificazione avrebbe raggiunto nella Vergi­ ne il livello della giustizia originale. Ora questa interpretazione, per quanto sembri contribuire alla dignità della Vergine Madre, tuttavia toglie qualcosa alla grandezza di Cri­ sto, la cui virtù è indispensabile a tutti per essere liberati dalla schiavitù primitiva. E sebbene prima dell' incarnazione di Cristo alcuni per la fede in lui siano stati liberati nello spirito da quella schiavitù, tuttavia la liberazione nel corpo sembra che non si sia dovuta verificare se non dopo l'incarnazione,

Q. 27, A. 3

La santificazione della Beata Vergine

iustitiae. Et quamvis haec positio ad dignita­ tem Virginis matris pertinere videatur, derogat tamen in aliquo dignitati Christi, absque cuius virtute nullus a prima damnatione liberatus est. Et quamvis per fidem Christi aliqui ante Christi incarnationem sint secundum Spiri­ tum ab illa damnatione liberati, tamen quod secundum camem aliquis ab illa damnatione liberetur, non videtur fieri debuisse nisi post incarnationem eius in qua primo debuit im­ munitas darnnationis apparere. Et ideo, sicut ante immortalitatem carnis Christi resurgentis nullus adeptus fuit camis immortalitatem, ita inconveniens etiam videtur dicere quod ante camem Christi, in qua nullum fuit peccatum, caro Virginis matris eius, vel cuiuscumque alterius, fuerit absque fomite, qui dicitur /ex carnis, sive membrorum [Rom. 7,23.25]. - Et ideo melius videtur dicendum quod per san­ ctificationem in utero non fuit sublatus Vrrgini fomes secundum essentiam, sed remansit li­ gatus, non quidem per actum rationis suae, sicut in viris sanctis, quia non statim habuit usum liberi arbitrii adhuc in ventre matris existens, hoc enim speciale privilegium Chri­ sti fuit; sed per gratiam abundantem quam in sanctificatione recepit, et etiam perfectius per divinam providentiam sensualitatem eius ab omni inordinato motu prohibentem. Postmo­ dum vero, in ipsa conceptione carnis Christi, in qua primo debuit refulgere peccati immu­ nitas, credendum est quod ex prole redunda­ verit in matrem totaliter a fomite subtractio. Et hoc signiticatur Ez. 43 [2], ubi dicitur,

ecce, gloria Dei Israel ingrediebatur per viam orientalem, idest per Beatam Virginem, et ter­ ra, idest caro ipsius, splendebat a maiestate eius, scilicet Christi. Ad primum ergo dicendum quod mors et huiusmodi poenalitates de se non inclinant ad peccatum. Unde etiam Christus, licet as­ sumpserit huiusmodi poenalitates, fomitem tamen non assumpsit. Unde etiam in Beata Vrrgine, ut Filio conformaretur, de cuius ple­ nitudine gratiam accipiebat, primo quidem fuit l igatus fomes, et postea sublatus, non autem fuit liberata a morte et aliis huiusmodi poenalitatibus. Ad secundum dicendum quod infirmitas car­ nis ad fomitem pertinens est quidem in san­ ctis viris perfectae virtutis occasio, non tamen causa sine qua perfectio haberi non possit.

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alla quale erano riservate le primizie di quella immunità. Come dunque prima dell'immorta­ lità del corpo di Cristo nessuno ebbe l'immor­ talità corporale, così non sarebbe stato oppor­ tuno che prima della carne di Cristo, che era immune da qualsiasi peccato, la carne della sua Vergine madre, o di chiunque altro, fosse immune dal fomite, che è detto legge della came, o delle membra [Rm 7,23.25]. - Quin­ di è meglio ritenere che al momento della santificazione nel seno materno il fomite non fu tolto alla Vergine nella sua essenza, ma rimase legato: non per un atto della sua ragio­ ne, come avviene nei santi adulti, poiché essa non ebbe nel seno materno l' uso del libero arbitrio, essendo questo uno speciale privile­ gio di Cristo, ma a motivo della pienezza di grazia che le fu concessa nella sua santifi­ cazione, e più ancora grazie alla divina prov­ videnza, la quale teneva lontano dalla sua sensibilità ogni moto disordinato. In seguito però, nel concepimento della carne di Cristo, in cui doveva innanzitutto risplendere l' im­ munità dal peccato, è da credere che la piena estinzione del fornite sia ridondata dalla prole nella madre. E ciò è espresso figuratamente dalle parole di Ez 43 [2]: La gloria del Dio di

Israele entrava attraverso la via orientale, cioè attraverso la Beata Vergine, e la terra, cioè la carne di lei, risplendeva della sua maestà, cioè di Cristo.

Soluzione delle difficoltà: l . La morte e le al­ tre penalità di per sé non inclinano al peccato. Anche Cristo perciò, sebbene le abbia assun­ te, non assunse tuttavia il fomite. E così pure nella Beata Vergine, affinché fosse simile al Figlio, dalla cui pienezza riceveva la grazia [Gv 1 , 1 6] , il fomite fu prima legato e poi tolto; ella non fu invece liberata dalla morte né dalle altre simili penalità. 2. La debolezza della carne, che fa parte del fornite, offre ai santi l'occasione di perfezio­ nare la propria virtù, ma non è un fattore indi­ spensabile della perfezione. Perciò nella Beata Vergine basta ammettere la perfezione della virtù e la pienezza della grazia, senza che sia necessario porre in lei tutte le occasio­ ni della perfezione. 3. Lo Spirito Santo operò nella Beata Vergine due purificazioni. La prima in preparazione al concepimento di Cristo: e questa non fu una purificazione dalla colpa o dal fomite, ma rac-

La santificazione della Beata Vergine

33 1

Sufficit autem in Beata Vrrgine ponere perfec­ tam virtutem et abundantiam gratiae, nec in ea oportet ponere omnem occasionem perfectionis. Ad tertium dicendum quod Spiritus Sanctus in Beata Virgine duplicem purgationem fecit. Unam quidem quasi praeparatoriam ad Christi conceptionem, quae non fuit ab aliqua impu­ ritate culpae vel fomitis, sed mentem eius magis in unum colligens et a multitudine sustollens. Nam et angeli purgari dicuntur, in quibus nulla impuritas invenitur, ut Dionysius dicit, 6 cap. De ecci. hier. [3 ,6]. Aliam vero purgationem operatus est in ea Spiritus San­ ctus mediante conceptione Christi, quae fuit opus Spiritus Sancti. Et secundum hoc potest dici quod purgavit eam totaliter a fomite.

Q. 27, A. 3

colse e concentrò maggiormente il suo spirito sottraendolo alle distrazioni. Infatti in questo senso si parla di purificazione anche per gli angeli, nei quali non ci sono impurità, come dice Dionigi. La seconda purificazione invece fu operata in lei dallo Spirito Santo mediante il concepimento di Cristo. E allora essa fu liberata totalmente dal fornite.

Articulus 4

Articolo 4

Utrum per sanctificationem in utero fuerit Beata Virgo praeservata ab omni peccato actuali

Grazie alla santificazione nel seno materno la Beata Vergine è stata preservata da ogni peccato attuale?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod per sanctificationem in utero non fuerit B eata Vrrgo praeservata ab omni peccato actuali. l. Quia, ut dictum est [a. 3], post primam sanctificationem fomes peccati remansit in Vrrgine. Motus autem fornitis, etiam si ratio­ nem praeveniat, est peccatum veniale, licet le­ vissimum, ut Augustinus dicit, in libro De Trin. [cf. Sent. 2,24,9]. Ergo in Beata Virgine fuit aliquod peccatum veniale. 2. Praeterea, super illud Luc. 2 [ 3 5], tuam ipsius animam pertransibit gladius, dicit Au­ gustinus, in libro De quaest. novi et veteris test. [Ambrosiaster, p. l , ex Nov. Test., q. 73], quod Beata Virgo in morte Domini stupore quodam dubitavit. Sed dubitare de fide est peccatum. Ergo Beata Virgo non fuit praeser­ vata immunis ab omni peccato. 3 . Praeterea, Chrysostomus, Super Matth. [h. 44], exponens illud [Matth. 1 2,47], ecce

Sembra di no Infatti: l . Dopo la prima santificazione rimase nella Vergine il fornite del peccato, come si è detto. Ma il moto del fornite, anche se previene la ragione, è un peccato veniale, per quanto «leg­ gerissimo», come afferma Agostino. Quindi nella Beata Vergine ci fu qualche peccato veniale. 2. Commentando le parole di Le 2 [ 3 5]: Una spada trafiggerà la tua anima, Agostino scrive che la Beata Vergine «nella morte del Signore dubitò, sopraffatta dallo stupore». Ma dubitare in materia di fede è peccato. Quindi la Beata Vergine non fu immune da ogni peccato. 3 . Giovanni Crisostomo così commenta i l passo: Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti (Mt 12,47): «Evidente­ mente lo facevano solo per vanagloria». E sul passo di Gv 2 [ 3]: Non hanno vino, osserva: «Voleva ingraziarseli e mettersi in vista per mezzo del Figlio; e forse era spinta da qual­ che sentimento umano, come i fratelli di lui quando gli dicevano: "Mostrati al mondo"». E poco dopo aggiunge: «Non aveva ancora di lui l'opinione giusta>> . Ma tutto ciò è peccato. Quindi la Beata Vergine non fu preservata immune da ogni peccato. In contrario: Agostino scrive: «Per l 'onore di Cristo non voglio fare questioni di sorta sulla beata Vergine Maria quando si tratta di pec-

mater tua et fratres tui foris stant quaerentes te, dicit, manifestum est quoniam solum ex vana gloria hoc faciebant. Et Ioan. II, super illud, vinum non habent, dicit idem Chryso­ stomus [In Ioan. h. 2 1] quod volebat illis ponere gratiam, et seipsam clariorem facere per Filium; et fortassis quid humanum patiebatur, quemadmodum et fratres eius dicentes, manifesta teipsum mundo. Et post pauca subdit [In Ioan. h. 2 1], nondum enim

Q. 27, A. 4

La santificazione della Beata Vergine

quam oportebat de eo opinionem habebat.

Quod totum constat esse peccatum. Ergo Beata Vrrgo non fuit praeservata immunis ab omni peccato. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De natura et gratia [36], de sancta Virgine Ma­

ria, pmpter honorem Christi, nullam pmrsus, cum de peccatis agitur; habere volo quaestio­ nem. Inde enim scimus quod ei plus gratiae collatum fuerit ad vincendum ex omni parte peccatum, quod concipere et parere meruit ewn quem constat nullum habuisse peccatum.

Respondeo dicendum quod illos quos Deus ad aliquid eligit, ita praeparat et disponit ut ad id ad quod eliguntur inveniantur idonei, secundum illud 2 Cor. 3 [6], idoneos nos fecit ministros Novi Testamenti. Beata autem Vrrgo fuit electa divinitus ut esset mater Dei. Et ideo non est dubitandum quod Deus per suam gratiam eam ad hoc idoneam reddidit, secundum quod angelus ad eam dicit [Luc. l ,30], invenisti gratiam apud Deum, ecce, concipies, et cetera. Non autem fuisset idonea mater Dei, si pec­ casset aliquando. Tum quia honor parentum redundat in prolem, secundum illud Prov. 1 7 [6], gloria .filiorum patres eontm. Unde et, pe r oppositum, ignominia matris ad Filium redun­ dasset. Tum etiam quia singularem affinitatem habuit ad Chtistum, qui ab ea carnem accepit. Dicitur autem 2 Cor. 6 [ 15], quae conventio Chrisli ad Belial? Tum etiam quia singulari modo Dei Filius, qui est Dei Sapientia [l Cor. 1 ,24], in ipsa habitavit, non solum in anima, sed in utero. Dicitur autem Sap. l [4], in

malevolam animam non intrabit Sapientia, nec habitabit in corpore subdito peccatis. - Et

ideo simpliciter fatendum est quod B eata Virgo nullum actuale peccatum commisit, nec mortale nec veniale, ut sic impleatur quod dicitur Cant. 4 [7], tota pulchra es, amica mea, et macula non est in te, et cetera. Ad primum ergo dicendum quod in Beata Vrr­ gine, post sanctificationem in utero, remansit quidem fomes, sed ligatus, ne scilicet prorumperet in aliquem motum inordinatum, qui rationem praeveniret. Et licet ad hoc operaretur gratia sanctificationis, non tamen ad hoc sufficiebat, alioquin, virtute illius gratiae hoc ei fuisset praestitum ut nullus motus posset esse in sensualitate eius non ratione praeventus, et sic fomitem non habuisset, quod est contra supra [a. 3] dieta. Unde oportet dicere quod

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cari. Sappiamo infatti che a lei, per aver meri­ tato di concepire e partorire colui che fu senza peccato, fu conferita una grazia maggiore per­ ché vincesse sotto ogni aspetto il peccato». Risposta: quelli che Dio sceglie per un com­ pito speciale, li prepara e li dispone in modo che siano idonei ai loro doveri, secondo le parole di 2 Cor 3 [6]: Ci ha resi ministri ido­ nei del Nuovo Testamento. Ma la Beata Vergi­ ne fu scelta per essere la madre di Dio. Non si può quindi dubitare che Dio con la sua grazia l'abbia resa idonea a ciò, secondo le parole dell' angelo: Hai trovato grazia presso Dio: ecco, tu concepirai .. [Le 1 ,30 s.] . Ma ella non sarebbe stata degna madre di Dio se avesse tal­ volta peccato. Sia perché l' onore dei genitori ridonda sui figli, come è detto in Pr 1 7 [6]: Onore dei figli i loro padri, per cui all' op­ posto la colpa della madre sarebbe ricaduta sul Figlio. Sia anche perché ella aveva un'affi­ nità singolare con Cristo, che da lei prese il corpo. Ora, in 2 Cor 6 [ 1 5] è detto: Quale in­ tesa tra Cristo e Beliar? Sia ancora perché in lei abitò in modo del tutto singolare, non solo nell' anima, ma anche nel seno verginale, il Figlio eterno, che è la Sapienza di Dio [l Cor 1 ,24], di cui è detto in Sap l [4]: La Sapienza .

non entra in un 'anima che opera il male, né abita in un corpo schiavo del peccato. -

Dobbiamo quindi affermare in modo assoluto che la Beata Vergine non commise mai alcun peccato attuale né mortale né veniale, così da avverare le parole di Ct 4 [7]: Tutta bella sei,

amica mia, nessuna macchia è in te.

Soluzione delle difficoltà: l . Nella Beata Ver­ gine dopo la santificazione nel seno materno rimase il fomite, ma legato, così da non pro­ rompere in alcun moto disordinato che pre­ venisse la ragione. E sebbene a ciò contribuis­ se già la grazia della santificazione, questa tuttavia non bastava: altrimenti tale grazia avrebbe eliminato dal suo appetito sensitivo ogni movimento antecedente alla ragione, e così ella non avrebbe avuto il fomite, contro quanto si è detto sopra. Dobbiamo quindi affermare che il dominio completo del fomite era opera in lei della divina provvidenza, la quale faceva sì che dal fomite non provenisse alcun moto disordinato. 2. La profezia di Simeone è riferita da Orige­ ne e da altri dottori al dolore che la Beata Ver­ gine ebbe a soffrire nella passione di Cristo.-

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La santificazione della Beata Vergine

complementum illius ligationis fuit ex divina providentia, quae non permittebat aliquem motum inordinatum ex fomite provenire. Ad secundum dicendum quod illud verbum Si­ meonis, Origenes [In Luc., interprete Hierony­ mo, h. 17], et quidam a1ii doctores, exponunt de dolore quem passa est in Christi passione. Ambrosius autem per gladium dicit [In Luc. 2 super 2,35] significari prudentiam Mariae, non

ignaram mysterii caelestis. Wvum enim est ver­ bum Dei et validum, acutius omni gladio ancipiti. - Quidam vero gladium dubitationem intelligunt. Quae tamen non est intelligenda dubitatio infidelitatis, sed admirationis et discussionis. Dicit enim Basilius, in Epistola ad Optimum [260], quod Beata Wrgo, assi­

stens cruci et aspiciens singula, post testimo­ nium Gabrielis, post ineffabilem divinae conceptionis notitiam, post ingentem miraculo­ rum ostensionem, animo fluctuabat, ex una

Q. 27, A. 4

Ambrogio dice poi che la spada significa «la conoscenza di Maria, non ignara del mistero celeste. Viva infatti, forte e più tagliente di una spada a doppio taglio è la parola di Dio». - Per alcuni però la spada sarebbe il dubbio. Non però il dubbio dell'incredulità, ma quello della meraviglia e della ricerca. Dice infatti Basilio: «La Beata Vergine ai piedi della cro­ ce non perdeva nulla di vista, e ripensando alla testimonianza di Gabtiele, ali' ineftàbile messaggio della concezione divina, alla straordinaria manifestazione dei miracoli, era ondeggiante»: da una parte cioè lo vedeva soffrire cose indegne, dall'altra considerava le sue meraviglie. 3. Queste parole di Giovanni Crisostomo vanno troppo lontano. A meno che non si in­ tenda che il sentimento di vanagloria tipreso dal Signore non fosse in lei, ma nell'opinione che se ne potevano fare gli altri.

scilicet parte videns eum patì abiecta, et ex alia parte considerans eius mirifica. Ad tertium dicendum quod in verbis illis Chry­ sostomus excessit. Possunt tamen exponi ut intelligatur in ea Dominum cohibuisse, non inordinatum inanis gloriae motum quantum ad ipsam, sed id quod ab aliis posset existimari. Articulus 5 Utrum Beata Virgo per sanctificationem in utero obtinuerit gratiae plenitudinem

Articolo 5 La santificazione nel seno materno ha dato alla Beata Vergine la pienezza della grazia?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Beata Virgo per sanctificationem in utero non obti­ nuerit gratiae plenitudinem, sive perfectionem. l . Hoc enim videtur pertinere ad privilegium Christi, secundum illud Ioan. l [ 1 4], vidimus

Sembra di no. Infatti: l . La pienezza della grazia è privilegio di Cristo, secondo Gv l [ 14]: Lo abbiamo visto

come Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Ma i privilegi di Cristo non sono

Christi, non sunt alteri attribuenda. Ergo Bea­ ta Virgo plenitudinem gratiarum non accepit in sanctificatione. 2. Praeterea, ei quod est plenum et perfectum, non restat aliquid addendum, quia pe1jectum est cui nihil deest, ut dicitur in 3 Phys. [6,8]. Sed Beata Vrrgo postmodum additionem gratiae suscepit, quando Christum concepit, dictum est enim ei, Luc. l [35], Spiritus Sanctus superve­ niet in te. Et iterum, quando in gloriam est as­ sumpta. Ergo videtur quod non habuerit in sua prima sanctificatione plenitudinem gratiarum.

attribuibili ad altri. Quindi la Beata Vergine non ottenne nella santificazione la pienezza della grazia. 2. A ciò che è pieno e perfetto non resta da aggiungere nulla, come dice Aristotele, poi­ ché «è perfetto ciò a cui non manca nulla>>. Ma la Beata Vergine ricevette in seguito gra­ zie ulteriori: cioè quando concepì Cristo, poi­ ché è detto in Le l [35]: Lo Spirito Santo scenderà su di te; e quando fu assunta in cie­ lo. Quindi, sembra che nella sua prima santifi­ cazione non avesse la pienezza della grazia. 3. «Dio non tà nulla di inutile», come dice Aristotele. Ma la Beata Vergine avrebbe avu-

eum, quasi Unigenitum a Patre, plenum gra­ tiae et veritatis. Sed ea quae sunt propria

Q. 27, A. 5

La santificazione della Beata Vergine

Deus non facit aliquid ftustra, ut dicitur in l De coelo et mundo [4,8]. Frustra autem habuisset quasdam gratias, cum earum usum nunquam exercuerit, non enim legitur eam docuisse, quod est actus sapientiae; aut miracula fecisse, quod est actus gratiae gratis datae. Non ergo habuit plenitudinem gratiarum. Sed contra est quod angelus ad eam dixit, ave, gratia piena. Quod exponens Hierony­ mus, in Sermone de assumptione [ ep. 9 Ad Paulam et Eustoch.], dicit, bene, grafia piena, 3. Praeterea,

quia ceteris per partes praestatur; Mariae vero se totam simul infudit gratiae plenitudo.

Respondeo dicendum quod, quanto aliquid magis appropinquat principio in quolibet genere, tanto magis participat effectum illius principii, unde dicit Dionysius, 4 cap. De cael. hier. [ l ], quod angeli, qui sunt Deo pro­ pinquiores, magis participant de bonitatibus divinis quam homines. Christus autem est principium gratiae, secundum divinitatem quidem auctoritative, secundum humanitatem vero instrumentaliter, un de et Ioan. l [ 17] dicitur, gratia et veritas per Iesum Christum facta est. Beata autem Virgo Maria propin­ quissima Christo fuit secundum humanita­ tem, quia ex ea accepit humanam naturam. Et ideo prae ceteris maiorem debuit a Christo plenitudinem gratiae obtinere. Ad primum ergo dicendum quod unicuique a Deo datur gratia secundum hoc ad quod eligitur. Et quia Christus, inquantum est homo, ad hoc fuit praedestinatus et electus ut esset praedestinatus Filius Dei in virtute sanctificationis, hoc fuit proprium sibi, ut ha­ beret talem plenitudinem gratiae quod redun­ daret in omnes, secundum quod dicitur Ioan. l [16], de plenitudine eius nos omnes accepi­ mus. Sed Beata Virgo Maria tantam gratiae obtinuit plenitudinem ut esset propinquissima auctori gratiae, ita quod eum qui est plenus omni gratia, in se reciperet; et, eum pariendo, quodammodo gratiam ad omnes derivaret. Ad secundum dicendum quod in rebus natu­ ralibus primo quidem est perfectio disposi­ tionis, puta cum materia est perfecte ad formam disposita. Secundo autem est perfec­ tio formae, quae est potior, nam et ipse calor est perfectior qui provenit ex forma ignis, quam ille qui ad formam ignis disponebat. Tertio autem est perfectio finis, sicut cum ignis habet perfectissime suas qualitates, cum

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to inutilmente certe grazie, non avendole mai esercitate: infatti non consta che abbia inse­ gnato, esercitando il dono della sapienza, o che abbia compiuto miracoli, esercitando così una grazia gratis data. Quindi non ebbe la pienezza della grazia. In contrario: l'angelo le disse: Ave, piena di grazia (Le l ,28). E Girolamo nota: «Vera­ mente piena di grazia, perché agli altri la gra­ zia è suddivisa, mentre in Maria si riversa tutta insieme nella sua pienezza». Risposta: quanto più si è vicini a una causa, tanto più se ne risentono gli effetti, come scri­ ve Dionigi notando che gli angeli, in quanto più prossimi a Dio, partecipano delle perfe­ zioni divine più degli uomini. Ora, Cristo è il principio della grazia: secondo la divinità co­ me causa principale, secondo l'umanità inve­ ce come causa strumentale, secondo le parole di Gv l [17]: La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Ma la Beata Vergi­ ne era vicinissima a Cristo secondo la natura umana, che egli prese da lei. Essa quindi do­ vette ricevere da Cristo una pienezza di grazia superiore a quella di tutti gli altri. Soluzione delle difficoltà: l . Dio dona a cia­ scuno la grazia che gli compete secondo il compito per cui lo sceglie. Poiché dunque Cri­ sto, in quanto uomo, fu predestinato e scelto per essere Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santificazione [Rm 1,4], egli ebbe come privilegio personale tanta pienezza di grazia da farla poi ridondare su tutti, come è detto in Gv l [1 6]: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto. Invece la Beata Vergine Maria ottenne tanta pienezza di grazia da essere vicinissima ali'autore della grazia: in modo da accogliere in sé colui che è pieno di ogni grazia, e dandolo alla luce far giungere in certo qual modo la [sua] grazia a tutti. 2. Nell'ordine naturale prima c'è la perfezio­ ne dispositiva, p. es. quella della materia rispetto alla forma. Al secondo posto si ha la perfezione superiore della forma: infatti il calore proveniente dal fuoco è più forte di quello che ha disposto la legna a prendere fuoco. Al ter.lo posto poi c'è la perfezione del fine raggiunto: come quando il fuoco, salito al suo luogo naturale, esplica tutte le sue qualità. - Similmente nella Beata Vergine ci fu una triplice perfezione di grazia. Prima quella dispositiva, che la rese idonea a essere madre

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La santificazione della Beata Vergine

ad locum suum pervenerit. - Et similiter in Beata V irgine fuit triplex perfectio gratiae. Prima quidem quasi dispositiva, per quam reddebatur idonea ad hoc quod esset mater Christi, et haec fuit perfectio sanctificationis. Secunda autem perfectio gratiae fuit in Beata V irgine ex praesentia Filii Dei in eius utero incarnati. Tertia autem perfectio est finis, quam habet in gloria. - Quod autem secunda perfectio sit potior quam prima, et tertia quam secunda, patet quidem, uno modo, per libera­ tionem a malo. Nam primo, in sua sanctifica­ tione fuit liberata a culpa originali; secundo, in conceptione Filii Dei fuit totaliter mundata a fomite; tertio vero, in sui glorificatione fuit liberata etiam ab omni miseria. - Alio modo, per ordinem ad bonum. Nam primo, in sua sanctificatione adepta est gratiam inclinantem eam ad bonum; in conceptione autem Filii Dei consummata est ei gratia confirmans eam in bono; in sui vero glorificatione consumma­ ta est eius gratia perficiens eam in fruitione omnis boni. Ad tertium dicendum quod non est dubitan­ dum quin Beata Virgo acceperit excellenter et donum sapientiae, et gratiam virtutum, et etiam gratiam prophetiae, sicut habuit Chri­ stus. Non tamen accepit ut haberet omnes usus harum et similium gratiarum, sicut ha­ buit Christus, sed secundum quod convenie­ bat conditioni ipsius. Habuit enim usum sapientiae in contemplando, secundum illud Luc. 2 [ 19], Maria autem conseJVabat omnia verba haec, conferens in corde suo. Non autem habuit usum sapientiae quantum ad docendum, eo quod hoc non conveniebat sexui muliebri, secundum illud l Tim. 2 [ 1 2], docere autem mulieri non pennitto. Miraculo­ rum autem usus sibi non competebat dum vi­ veret, quia tunc temporis confirmanda erat doctrina Christi miraculis; et ideo soli Christo et eius discipulis, qui erant baiuli doctrinae Christi, conveniebat miracula tacere. Propter quod etiam de Ioanne Baptista dicitur, Ioan. 10 [41], quod signum fecit nullum, ut scilicet omnes in Christo intenderent. Usum autem prophetiae habuit, ut patet in cantico quod feci t [Luc. l ,46] , magnificat anima mea

Dominum.

Q. 27, A. 5

di Cristo, e questa fu la perfezione prodotta dalla sua santificazione. La seconda perfezio­ ne di grazia fu invece prodotta dalla presenza in lei del Figlio di Dio incarnato nel suo seno. La terza perfezione poi è quella finale, che ella possiede nella gloria. - Che poi la secon­ da perfezione sia superiore alla prima, e la terza alla seconda, risulta innanzi tutto dalla progressiva liberazione dal male. Infatti dap­ prima, nella sua santificazione, ella fu liberata dal peccato originale; in secondo luogo, nel concepimento del Figlio di Dio, fu totalmente liberata dal fomite; in terzo luogo infine, nella sua glorificazione, fu liberata da ogni umana miseria. - E ciò risulta anche dal progresso nel bene. Infatti nella sua prima santificazione ottenne la grazia che la inclinava al bene; nel concepimento del Figlio di Dio ebbe la con­ sumazione della grazia che la confermava nel bene; nella glorificazione infine ebbe il coro­ namento della grazia che la costituiva nel godimento di ogni bene. 3. Non si può dubitare che la Beata Vergine, come Cristo, abbia ricevuto in modo eccellen­ te sia il dono della sapienza, sia la grazia dei miracoli e della profezia. Ma l'uso di queste e di altre grazie simili non fu concesso a lei nel medesimo modo che a Cristo, bensì come conveniva alla sua condizione. Ebbe infatti l'esercizio del dono della sapienza nella con­ templazione, come risulta da Le 2 [19]: Maria

serbava tutte queste cose meditando/e nel suo cuore. Non ebbe invece l'uso della sapienza nell'insegnare, poiché ciò non si addiceva a una donna, secondo le parole di l Tm 2 [ 1 2]:

Non concedo ad alcuna donna di insegnare.

Non era poi opportuno che compisse miracoli durante la sua vita, poiché allora i miracoli avevano il compito di confermare la dottrina di Cristo: perciò era bene che facessero mira­ coli soltanto Cristo e i suoi discepoli, che erano i portatori dell'insegnamento cristiano. Per questo anche di Giovanni Battista è detto che non fece alcun miracolo (Gv 10,41 ), per­ ché tutti si volgessero a Cristo. Ebbe invece l'uso della profezia, come risulta dalle parole: L'anima mia magnifica il Signore... [Le 1 ,46].

Q. 27, A. 6

La santificazione della Beata Vergine

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Articulus 6 Utrurn sanctificari in utero, post Christurn, propriurn fuerit Beatae Virginis

Articolo 6 La santificazione nel seno materno è stata, a parte quella di Cristo, un privilegio della Beata Vergine?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod san­ ctificari in utero, post Christum, proprium fuerit Beatae Virginis. l . Dictum est [a. 4] enim quod propter hoc Beata Virgo in utero fuit sanctificata, ut red­ deretur idonea ad hoc ut esset mater Dei. Sed hoc est proprium sibi. Ergo ipsa sola fui t sanctificata i n utero. 2. Praeterea, aliqui videntur propinquius ac­ cessisse ad Christum quam Ieremias et Ioan­ nes Baptista, qui dicuntur sanctificati in utero. Nam Christus specialiter dicitur filius David et Abraham, propter promissionem eis spe­ cialiter factam de Christo. Isaias etiam ex­ pressissime de Christo prophetavit. Apostoli etiam cum ipso Christo conversati sunt. Nec tamen leguntur sanctificati in utero. Ergo etiam neque Ieremiae et Ioanni Baptistae con­ venit sanctificari in utero. 3. Praeterea, Iob de seipso dicit, Iob. 3 1 [ 1 8],

Sembra di sì. Infatti: l . Abbiamo detto che la Beata Vergine fu san­ tificata nel seno materno per essere idonea alla maternità divina. Ma questo è un suo pri­ vilegio. Quindi essa sola fu santificata nel seno materno. 2. Altri personaggi sembrano essere stati più vicini a Cristo di Geremia e di Giovanni Bat­ tista, che si dicono santificati nel seno mater­ no. Infatti Cristo è detto propriamente figlio di Davide e di Abramo [Mt 1 , 1 ], per la pro­ messa speciale loro fatta [Gen 22, 1 8; 26,4]. Isaia poi fece su Cristo le profezie più esplici­ te [fs 53]. Gli apostoli inoltre hanno vissuto con Cristo in persona. Eppure nessuno di que­ sti si dice che fu santificato nel seno materno. Quindi nemmeno Geremia e Giovanni Bat­ tista lo dovettero essere. 3. Giobbe dice di sé: La misericordia crebbe

ab infantia crevit mecum miseratio, et de ute­ ro egressa est mecum. Et tamen propter hoc non dicimus eum sanctificatum in utero. Ergo etiam neque Ioannem Baptistam et Ieremiam cogimur dicere sanctificatos in utero. Sed contra est quod de Ieremia dicitur, Ier. l [5], antequam exires de ventre, sanctificavi te. Et de loanne Baptista dicitur, Luc. l [ 1 5] ,

Spiritu Sancto replebitur adhuc ex utero matris suae.

Respondeo dicendum quod Augustinus, in Epistola ad Dardanum [ 1 87,7], dubie videtur loqui de horum sanctificatione in utero. Potuit enim exsultatio Ioannis in utero, ut ipse dicit, esse significatio rei tantae, scilicet quod mu­ lier esset mater Dei, a maioribus cognoscen­

dae, non a parvulo cognitae. Unde in Evan­ gelio non dicitur, credidit infans in utero eius, sed, exsultavit, videmus autem exsultationem non solum parvulorwn, sed etiam pecorum esse. Sed haec inusitata extitit, quia in utero. Et ideo, sicut solent miracula fieri, facta est divinitus in infante, non humanitus ab infante. Quamquam, etiam si usque adeo est in ilio puero acceleratus usus rationis et voluntatis ut intra viscera materna iam posset agnosce­ re, credere et consentire, ad quod in aliis

con me fin dall 'infanzia, e dal seno di mia madre è uscita con me (Gb 3 1 , 1 8). Eppure per questo non si dice che egli sia stato santificato nel seno materno. Quindi nemmeno di Gio­ vanni Battista e di Geremia siamo obbligati a dire che furono santificati nel seno materno. In contrario: di Geremia è detto: Prima che tu

uscissi dal seno materno, ti avevo santificato (Ger 1,5). E di Giovanni Battista è detto: Sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (Le 1 , 1 5).

Risposta: Agostino sembra mostrare qualche incertezza sulla santificazione dei due profeti nel seno materno. Scrive infatti che l'esultanza di Giovanni nel seno materno «poteva indicare il grande avvenimento», che cioè una donna era madre di Dio, «per farlo conoscere agli adulti, senza però che lo conoscesse il bambi­ no. Il Vangelo infatti non dice: "Credette il bambino nel seno di lei", ma esultà, e questo non è solo dei bambini, ma anche degli anima­ li. Era però un fatto straordinario che esultasse nel seno. E allora diciamo che, come tutti i miracoli, fu un mimcolo compiuto da Dio nel bambino, e non un atto umano del bambino stesso. Sebbene tra i miracoli della potenza divina ci possa essere anche questo: che quel bambino abbia ricevuto con tale anticipo l'uso

337

La santificazione della Beata Vergine

parvulis aetas expectatur ut possint, et hoc in miraculis habendum puto divinae potentiae.

-

Sed quia expresse in Evangelio dicitur quod

Spiritu Sancto replebitur adhuc ex utero matris suae; et de Ieremia expresse dicitur, antequam exires de vulva, sanctificavi te; asserendum videtur eos sanctificatos in utero, quamvis in utero usum liberi arbitrii non ha­ buerunt (de quo Augustinus quaestionem movet); sicut etiam pueri qui sanctiticantur per Baptismum, non statim habent usum liberi arbitrii. - Nec est credendum aliquos alios sanctificatos esse in utero, de quibus Scriptura mentionem non facit. Quia huius­ modi ptivilegia gratiae, quae dantur aliquibus praeter legem communem, ordinantur ad utilitatem aliorum, secundum illud l Cor. 1 2

[7], unicuique datur manifestatio Spiritus ad utilitatem, quae nulla proveniret ex sanctifica­

tione aliquorum i n utero, nisi Ecclesiae innotesceret. - Et quamvis iudiciorum Dei non possit ratio assignari, quare scilicet huic et non alii hoc munus grati ae conferat, conveniens tamen videtur fuisse utrumque istorum sanctificari in utero, ad praefiguran­ dam sanctificationem per Chtistum fiendam. Primo quidem, per eius passionem, secundum illud Hebr. 13 [ 1 2], Iesus, ut sanctificaret per

suum sanguinem populum, extra portam pas­ sus est. Quam quidem passionem Ieremias verbis et mysteriis apertissime praenuntiavit, et suis passionibus expressissime praefiguravit. Secundo, per Baptismum, l Cor. 6 [ 1 1], sed abluti estis, sed sanctificati estis. Ad quero quidem Baptismum Ioannes suo Baptismo homines praeparavit. Ad primum ergo dicendum quod Beata Vrr­ go, quae fuit a Deo electa in matrem, amplio­ rem sanctificationis gratiam obtinuit quam loannes Baptista et leremias, qui sunt electi ut speciales praefiguratores sanctificationis Christi. Cuius signum est quod Beatae Vrrgini praestitum est ut de cetero non peccaret mor­ taliter nec venialiter, aliis autem sanctificatis creditur praestitum esse ut de cetero non pec­ carent mortaliter, divina eos gratia protegente. Ad secundum dicendum quod quantum ad alia potuerunt sancti esse Christo coniunctio­ res quam Ieremias et Ioannes Baptista. Qui tamen fuerunt ei coniunctissimi quantum ad expressam figuram sanctificationis ipsius, ut dictum est [in co. et ad 1].

Q. 27, A. 6

della ragione e della volontà da poter conosce­ re, credere e assentire nelle viscere materne, mentre gli altri devono aspettare l ' età per poterlo fare». - Siccome però il Vangelo dice espressamente di Giovanni che sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre, e di Geremia è detto espressamente: Prima che tu

uscissi dal seno materno, ti avevo santificato,

dobbiamo affermare che essi furono santificati nel seno materno, pur non avendo allora l'uso del libero arbitrio (del che discute Agostino), come neppure lo hanno subito i bambini santi­ ficati dal battesimo. - E non dobbiamo credere che siano stati santificati nel seno materno altri di cui la Scrittura non parla. Poiché i privilegi della grazia che sono dati ad alcuni fuori della legge comune sono destinati al bene del pros­ simo, secondo le parole di l Cor 1 2 [7]: La

manifestazione dello Spirito è data a ciascuno per l 'utilità comune; utilità che non proverreb­

be in alcun modo dalla santificazione di alcuni nel seno materno se ciò non fosse conosciuto dalla Chiesa. - E sebbene sia impossibile stabilire la ragione delle decisioni di Dio, per­ ché cioè conferisca la grazia a questo e non a quello, tuttavia sembra che Giovanni e Gere­ mia siano stati santificati nel seno materno allo scopo di prefigurare la santificazione che Cri­ sto avrebbe compiuto. Innanzitutto per mezzo della sua passione, come è detto in Eb 1 3 [ 1 2]:

Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della pona. Ora, Geremia rappresenta la passione di Cristo, avendola preannunziata nella maniera più esplicita con parole e con simboli, e avendola perfettamente prefigurata con le sue sofferenze personali. Secondo, per mezzo del battesimo: Ma siete stati lavati, siete stati santificati (l Cor 6, 1 1). Ora, Giovanni preparò gli uomini a questo battesimo mediante il proprio battesimo. Soluzione delle difficoltà: l . La Beata Vergi­ ne, che fu scelta per essere la madre di Dio, ebbe una grazia santificante superiore a quella di Giovanni Battista e di Geremia, che furono scelti come simboli anticipatori della santifi­ cazione operata da Cristo. E il segno di questa superiorità è che alla Beata Vergine fu con­ cesso di non peccare mai né mortalmente né venialmente; agli altri due invece si crede che sia stato concesso soltanto di non peccare mortalmente, sotto la protezione della grazia divina.

La santificazione della Beata Vergine

Q. 27, A. 6

Ad tertium dicendum quod miseratio de qua Iob loquitur, non significat virtutem infusam, sed quandam inclinationem naturalem ad actum huius virtutis.

338

2. Sotto altri aspetti ci poterono essere dei santi uniti a Cristo più di Geremia e di Gio­ vanni Battista. Ma questi furono più vicini a lui giacché, come si è detto, prefigurarono più espressamente la santificazione da lui operata. 3. La misericordia di cui parla Giobbe non è la virtù infusa, ma un' inclinazione naturale all'esercizio di questa virtù.

QUAESTI0 28

QUESTIONE 2&

DE VIRGINITATE MATRIS DEI

LA VERGINITA DELLA MADRE DI DIO

Deinde considerandum est de virginitate Ma­ tris Dei. - Et circa hoc quaeruntur quatuor. Pri­ mo, utrum fuelit virgo in concipiendo. Secun­ do, utrum fuerit virgo in partu. Tertio, utrum permanserit virgo post partum. Quarto, utrum votum virginitatis emiserit.

Veniamo ora a considerare la verginità della Madre di Dio. - �ull' argomento si pongono quattro que�iti: l . E stata vergine nel concepi­ mento? 2. E stata vergine nel parto? 3 . Ri­ mase vergine dopo il parto? 4. Fece voto di verginità?

Articulus l Utrum mater Dei fuerit virgo in concipiendo Christum

Articolo l La Madre di Dio è stata vergine nel concepire Cristo?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod mater Dei non fuerit virgo in concipiendo Christum. l . Nulla enim proles quae habet patrem et matrem, ex virgine matre concipitur. Sed Christus non solum dicitur habere matrem, sed etiam patrem, dicitur enim L uc. 2 [33 ], erant

Sembra di no. Infatti: l . L a prole che ha un padre e una madre non è concepita verginalmente dalla madre. Ora, a Cristo si attribuisce non solo una madre, ma anche un padre; infatti è detto in Le 2 [33]:

pater et mater eius mirantes super his quae di­ cebantur de ilio. Et infra eodem dicit [48], ec­ ce, ego et pater tuus dolentes quaerebamus te. Ergo Christus non est conceptus ex virgine matre. 2. Praeterea, Matth. l [ l sqq.] probatur quod Christus fuerit filius Abrahae et David, per hoc quod Ioseph ex David descendit. Quae quidem probatio nulla videtur esse si loseph pater Christi non fuisset. Ergo videtur quod m a t e r C h r i s t i e u m ex semine I o s e p h conceperit. E t ita non videtur fuisse virgo i n concipiendo. 3 . Praeterea, dicitur Gal. 4 [4], misit Deus Filium suum factum ex muliere . Mulier autem, consueto modo loquendi, dicitur quae est viro cognita. Ergo Christus non fuit conceptus ex virgine matre. 4. Praeterea, e o r u m quae s u n t e i u s d e m speciei, e s t idem modus generationis, quia

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. E più sotto [48] : Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercava­ mo. Quindi Cristo non fu concepito da una

madre vergine. 2. In Mt l [l ] è provato che Cristo era figlio di Abramo e di Davide per la ragione che Giu­ seppe discendeva da Davide. Ma questo argo­ mento non varrebbe se Giuseppe non fosse stato il padre di Cristo. Dunque la madre di Cristo lo ha concepito con il seme di Giu­ seppe. E così non sembra che fosse vergine nel concepire Cristo 3. In Gal 4 [4] è detto: Dio mandò il suo Figlio nato da donna (ex muliere). Ma il ter­ mine mulier fa pensare normalmente a una donna che si è unita a un uomo. Quindi Cristo non fu concepito da una madre vergine. 4. I viventi che appartengono a una medesima specie sono generati alla stessa maniera, poi­ ché la generazione è specificata dal suo termi­ ne, come anche ogni moto. Ma Cristo era

339

La verginità della Madre di Dio

Q. 28, A. l

generarlo recipit speciem a termino, sicut et ceteri motus. Sed Christus fuit eiusdem spe­ ciei cum aliis hominibus, secundum illud Phil. 2 [7], in similitudinem hominum factus, et habitu inventus ut homo. Cum ergo alii homines generentur ex commixtione maris et feminae, videtur quod etiam Christus simili modo fuerit generatus. Et ita non videtur fuisse conceptus ex virgine matre. 5. Praeterea, quaelibet forma naturalis habet materiam sibi determinatam, extra quam esse non potest. Materia autem formae humanae videtur esse semen maris et feminae. Si ergo corpus Christi non fuerit conceptum ex semi­ ne maris et feminae, non vere fuisset corpus humanum, quod est inconveniens. Videtur igitur non fuisse conceptus ex virgine matre. Sed contra est quod dicitur Isaiae 7 [ 14], ecce,

della medesima specie degli altri uomini, secondo le parole di Fil 2 [7] : Divenne simile agli uomini e apparve in fonna umana. Poi­ ché dunque gli altri uomini sono generati at­ traverso l'unione fra l'uomo e la donna, anche Cristo fu generato alla stessa maniera. Quindi non sembra che sia stato concepito da una madre vergine. 5. Ogni forma naturale ha una materia deter­ minata, senza della quale non può esistere. Ma la materia della forma umana è il seme dell'uomo e della donna. Se dunque il corpo di Cristo non fosse stato concepito da tale se­ me, non sarebbe un vero corpo umano: il che è inammissibile. Quindi sembra che non sia stato concepito da una madre vergine. In contrario: in ls 7 [1 4] è detto: Ecco, la ver­

virgo concipiet.

Risposta: dobbiamo assolutamente credere che la Madre di Cristo concepì in modo ver­ ginale, poiché la dottrina contraria è l'eresia degli Ebioniti e di Cerinto, che ritenevano Cristo un puro uomo, nato dall'unione dei due sessi. - E del concepimento verginale di Cristo si possono addurre quattro motivi di convenienza. Primo, perché fosse salvata la dignità del Padre celeste che mandava il suo Figlio nel mondo. Essendo infatti Cristo vero e naturale figlio di Dio, non era conveniente che avesse un altro padre, e che una prerogati­ va di Dio fosse comunicata ad altri. - Secon­ do, poiché ciò conveniva alle proprietà perso­ nali del Figlio che fu inviato nel mondo. Egli infatti è il Verbo di Dio. Ora, il verbo è conce­ pito senza alterazione o corruzione della men­ te: anzi, un'alterazione di questo genere im­ pedisce la concezione del verbo mentale. Poi­ ché dunque la carne fu assunta per essere la carne del Verbo di Dio, era conveniente che anch'essa fosse concepita senza alcuna corru­ zione della madre. - Una terza ragione di convenienza è fornita dalla dignità della natu­ ra umana di Cristo, nella quale non doveva esserci posto per il peccato, dato che per mez­ zo di essa veniva tolto il peccato del mondo, secondo le parole di Gv l [29]: Ecco l'Agnel­ lo di Dio, cioè l'innocente, che toglie il pec­ cato del mondo. Ma non era possibile che da una natura già corrotta dall'atto coniugale na­ scesse una carne immune dal peccato di origi­ ne. Infatti Agostino scrive che nel matrimonio di Maria e di Giuseppe «mancò soltanto l'atto

Respondeo dicendum quod simpliciter confi­ tendum est matrem Christi Virginem concepis­ se, contrarium enim pertinet ad haeresim Ebio­ nitarum et Cerinthi, qui Christum purum ho­ minem arbitrantur, et de utroque sexu eum natum putaverunt. - Quod Christus sit concep­ tus ex Virgine, conveniens est propter quatuor. Primo, propter mittentis Patris dignitatem conservandam. Cum enim Christus sit verus et naturalis Dei Filius, non fuit conveniens quod alium patrem haberet quam Deum, ne Dei dignitas transferretur ad alium. - Secundo, hoc fuit conveniens proprietari ipsius Filii, qui mittitur. Qui quidem est Verbum Dei. Verbum autem absque omni corruptione cordis conci­ pitur, quinimmo cordis corruptio perfecti ver­ bi conceptionem non patitur. Quia igitur caro sic fuit a Verbo Dei assumpta ut esset caro Verbi Dei, conveniens fuit quod etiam ipsa sine corruptione matris conciperetur. - Tertio, hoc fuit conveniens dignitati humanitatis Christi, in qua locum peccatum habere non debuit, per quam peccatum mundi tollebatur, secundum illud Ioan. l [29], ecce, Agnus Dei, scilicet innocens, qui tollit peccatum mundi. Non poterat autem esse quod in natura iam corrupta ex concubitu caro nasceretur sine in­ fectione originalis peccati. Unde Augustinus dicit, in libro De nuptiis et concupiscentia [ 1 , 1 2], solus nuptialis concubitus ibi nonfuit, scilicet in matrimonio Mariae et Ioseph, quia

in carne peccatifieri non poterat sine ulla car­ nis concupiscentia, quae accidit ex peccato,

gine concepirà.

La verginità della Madre di Dio

Q. 28, A. l

sine qua concipi voluit qui futurus erat sine peccato. Quarto, propter ipsum finem -

incarnationis Christi, qui ad hoc fuit ut ho­ mines renascerentur in filios Dei, non ex vo­

luntate camis, neque ex voluntate viri, sed ex Deo, idest ex Dei virtute. Cuius rei exemplar apparere debuit in ipsa conceptione Christi. Unde Augustinus, in libro De sancta Virgi­ nitate [6] , oportebat caput nostrum, insignì

miraculo, secundum corpus nasci de Virgine, ut significare! membra sua de virgine Ecc/e­ sia secundum spiritum nascitura. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Beda dicit, Super Luc. [ l super 2,33], pater Salvato­

ris appellatur loseph, non quod vere, iuxta Photinianos, pater fuerit ei, sed quod, ad fa­ mam Mariae conservandam, pater sit ab hominibus existimatus. Unde et Luc. 3 dicitur, ut putabatw; filius loseph. Vel, sicut Augusti­ nus dici t, in libro De bono coniugali [cf. De consensu Evangelist. 2, l], eo modo pater Chri­ sti dicitur Ioseph quo et vir Mariae intelligitut;

sine commixtione carnis, ipsa copulatione coniugii, multo videlicet coniunctius quam si esset aliunde adoptatus. Neque enim propterea non erat appellandus loseph pater Christi quia non eum concumbendo genuerat, quan­ doquidem pater esset etiam ei quem, non ex sua coniuge procreatum, aliunde adoptasset. Ad secundum dicendum quod, sicut Hierony­ mus dicit, Super Matth. [ l super 1 , 1 8], cum

loseph non sit pater Domini Salvatoris, ordo generationis eius usque ad loseph deducitur, primo quidem, quia non est consuetudinis Scripturarum ut mulierum in generationibus ordo texatur. Deinde, ex una tribu.fuit Maria et loseph. Unde ex lege eam accipere cogebatur ut propinquam. Et, ut Augustinus dicit, in libro De nuptiis et concupiscentia [ l , 1 1 ], fuit gene­ rationum series usque ad loseph perducenda, ne in ilio coniugio virili sexui, utique potiori, fieret iniuria, cum veritati nihil deperiret, quia ex semine David et loseph erat et Maria. Ad tertium dicendum quod, sicut Glossa [Lomb. et ord. super Gal. 4,4; cf. Contra Fau­ stum 23,7] dicit ibidem, mulierem pro femina

posuit, more locutionis Hebraeorum. Usus enim Hebraeae locutionis mulieres dicit, non virginitate corruptas, sedfeminas.

Ad quartum dicendum quod ratio illa habet locum in his quae procedunt in esse per viam naturae, eo quod natura, sicut est determinata

340

coniugale: poiché esso non poteva essere compiuto senza una certa concupiscenza car­ nale, che deriva dal peccato e senza la quale volle essere concepito colui che non avrebbe avuto alcun peccato». La quarta ragione di convenienza si trova nel fine stesso dell'incar­ nazione di Cristo, che era di far rinascere gli uomini a figli di Dio non da volere di carne, -

né da volere di uomo, ma da Dio [Gv 1 , 1 3],

cioè per la potenza di Dio. Ora, il modello di questa rinascita doveva apparire nel concepi­ mento stesso di Cristo. Per cui Agostino scri­ ve: «Conveniva che per un insigne miracolo il nostro capo nascesse secondo la carne da una vergine, per indicare che le sue membra sa­ rebbero nate secondo lo spirito da quella ver­ gine che è la Chiesa». Soluzione delle difficoltà: l . Stando a Beda, «Giuseppe è chiamato padre del Salvatore non perché lo fosse veramente, come pensavano i Fotiniani, ma perché, al fine di salvaguardare il buon nome di Maria, passasse come padre agli occhi della gente». Intatti in Le 3 [23] è detto: Perché fosse ritenuto figlio di Giuseppe. Op­ pure, come spiega Agostino, Giuseppe è detto padre di Cristo per la stessa ragione per cui è detto «sposo di Maria, senza unione carnale, ma in forza del solo matrimonio: cioè molto più congiunto a Ctisto che se lo avesse adot­ tato. E non è vero che Giuseppe non doveva essere chiamato padre di Cristo per il motivo che non lo aveva generato: infatti sarebbe sta­ to padre anche di un estraneo, non nato dalla sua sposa, che però egli avesse adottato». 2. Come osserva Girolamo, «Sebbene Giusep­ pe non sia il padre del Signore nostro Salvato­ re, tuttavia la genealogia di Cristo è condotta fino a Giuseppe» innanzitutto perché «non è consuetudine delle Scritture tessere le genea­ logie rifacendosi alle donne. Poi perché Maria e Giuseppe erano della stessa tribù. Per cui Giuseppe era obbligato dalla legge per ragioni di parentela a prenderla in moglie». E ancora, come dice Agostino, «la genealogia doveva discendere fino a Giuseppe perché in tale ma­ trimonio non soffrisse alcuna minorazione il sesso maschile, che è il più nobile, mentre nulla soffriva la verità, essendo Giuseppe e Maria della stirpe di Davide». 3. Come spiega la Glossa, Paolo «adopera alla maniera ebraica il nome mulier al posto di femina. Poiché l'uso ebraico chiama mulieres

34 1

La verginità della Madre di Dio

Q. 28, A. l

ad unum effecturn, ita est etiam determinata ad unum modum producendi illum. Sed cum virtus supematuralis divina possit in infinita, sicut non est determinata ad unum effectum, ita non est determinata ad modum producendi quemcumque effectum. Et ideo, sicut virtute divina fieri potuit ut primus homo de limo ter­ rae formaretur, ita etiam fieri potuit ut divina virtute corpus Christi formaretur de Virgine absque virili semine. Ad quintum dicendum quod, secundum phi­ losophum, in libro De generatione animalium [ 1 ,2; 2,4; 4, 1 ] , semen maris non est sicut materia in conceptione animalis, sed salurn sicut agens, sola autem femina materiam subministrat in conceptu. Unde per hoc quod semen maris defuit in conceptione corporis Christi, non sequitur quod defuerit ei debita materia. - Si tamen semen maris esset ma­ teria fetus concepti in animalibus, manifestum tamen est quod non est materia permanens in eadem forma, sed materia transmutata. Et quamvis virtus naturalis non possit transmuta­ re ad certam formam nisi determinatam mate­ riam, virtus tamen divina, quae est infinita, potest transmutare omnem materiam i n quamcumque formam. Unde, sicut transmu­ tavit limum terrae in corpus Adae, ita in cor­ pus Christi transmutare potuit materiam a matre ministratam, etiam si non esset suffi­ ciens materia ad naturalem conceptum.

tutte le donne, non solo quelle che hanno per­ duto la verginità>>. 4. La ragione addotta vale per le cose che ven­ gono ali' esistenza per via naturale, poiché la natura, come è fissa a un determinato effetto, così ha pure un modo immutabile di produrlo. Ma essendo la potenza soprannaturale di Dio infinita, come non si restringe a un solo effet­ to, così non ha limiti nel modo di produrlo. Se quindi la potenza divina poté formare il primo uomo «dal fango della terra», poté anche for­ mare il corpo di Cristo da una vergine senza il seme virile. 5. Secondo il Filosofo il seme dell'uomo non funge da materia nella concezione fisica, ma soltanto da principio attivo, mentre la donna somministra la materia. Così dunque, pur mancando nella concezione del corpo di Cri­ sto il seme maschile, non segue per questo che gli venne a mancare la dovuta materia. Anche ammesso tuttavia che il seme maschile sia la materia per la concezione del feto, esso certamente non conserva la stessa torma, ma subisce delle trasformazioni. Ora, sebbene la natura non possa dare una determinata forma se non a una determinata materia, Dio invece con la sua potenza infinita può dare a qualun­ que materia qualunque forma. Per cui, come trasformò il fango della terra nel corpo di Adamo, così poté trasformare nel corpo di Cristo la materia somministrata dalla madre, anche supposto che non fosse una materia sufficiente per una concezione naturale.

Articulus 2 Utrum mater Christi fuerit virgo in partu

Articolo 2 La Madre di Cristo è stata vergine nel parto?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod mater Christi non fuerit virgo in partu. l. Dicit enim Ambrosius, Super Luc. [2 super 2,23], qui vulvam sanctificavit alienam ut na­

Sembra di no. Infatti: l . Dice Ambrogio: «Colui che ha santificato il seno di un'altra donna per fame nascere un profeta, ha pure aperto il seno di sua madre per uscime immacolato». Ma non si può aprire un seno senza sacrificame la verginità. Quindi la madre di Cristo non fu vergine nel parto. 2. Nel mistero di Cristo non ci doveva essere nulla che potesse far sembrare immaginario il suo corpo. Ma passare attraverso una porta chiusa non è proprio di un corpo vero, bensì di un corpo immaginario, poiché due corpi non possono compenetrarsi. Quindi il corpo di Cristo non doveva uscire dal seno materno

sceretur pmpheta, hic est qui aperuit matris suae vulvam ut immaculatus exiret. Sed apertio vulvae virginitatem excludit. Ergo mater Christi non fuit virgo in partu. 2. Praeterea, nihil in mysterio Christi esse debuit per quod corpus eius phantasticum appareret. Sed hoc non videtur vero corpori, sed phantastico convenire, ut possit per clausa transire, eo quod duo corpora simul esse non possunt. Non igitur debuit ex matris utero

Q. 28, A. 2

La verginità della Madre di Dio

clauso corpus Christi prodire. Et ita non de­ cuit quod esset virgo in partu. 3. Praeterea, sicut Gregorius dicit, in homilia Octavarum Paschae [In Ev. h. 2 26], per hoc quod, ianuis clausis, ad discipulos post resur­ rectionem intravit Dominus, ostendit co1pus

suum esse eiusdem narurae et alrerius gloriae,

et sic per clausa transire videtur ad gloriam corporis pertinere. Sed corpus Christi in sua conceptione non fuit gloriosum, sed passibile, habens similitudinem camis peccati, ut apo­ stolus dicit, Rom. 8 [3]. Non ergo exivit per Virginis uterum clausum. Sed contra est quod in quodam sermone Ephesini Concilii [p. 3, c. 9; Theodotus Ancy­ ranus, h. l In natalem Salv.] dicitur, natura

post partum nescit ulterius virginem. Gratta vero et parientem ostendit, et matrem fecit, et virginitati non nocuit. Fuit ergo mater Christi virgo etiam in partu. Respondeo dicendum quod absque omni dubio asserendum est matrem Christi etiam in partu V irginem fuisse, nam propheta non solum dicit [Is. 1 2, 1 4], ecce, Wrgo concipiet, sed addit, et parietfilium. Et hoc quidem con­ veniens fuit propter tria. Primo quidem, quia hoc competebat proprietati eius qui nasce­ batur, quod est Verbum Dei. N am verbum non solum in corde absque cotruptione conci­ pitur, sed etiam absque corruptione ex corde procedit. Unde, ut ostenderetur quod illud corpus esset ipsius Verbi Dei, conveniens fuit ut de incorrupto V irginis utero nasceretur. Unde in sermone quodam Ephesini Concilii [p. 3, c. 9; Theodotus Ancyranus, h. l In natalem Salv.] legitur, quae parit carnem

puram, a virginitate cessar. Sed quia natum est carne Verbwn, Deus custodir virginitarem, seipsum ostendens per hoc Verbum. Neque enim nostrum verbum, cum paritur, corrumpit mentem, neque Deus Verbum substantiale, partum eligens, peremit virginitatem [Syno­ sus Ephesina, p. 3, c. 9; Theodotus Ancyra­ nus, h. l In natalem Salv.]. - Secundo, hoc est conveniens quantum ad effectum incarnatio­ nis Christi. N am ad hoc venit ut nostram corruptionem tolleret. Unde non fuit conve­ niens ut Virginitatem matris nascendo cor­ rumperet. Unde Augustinus dicit, in quodam sermone de nativitate Domini [Serm. suppos., serm. 12l],fas non erat ut per eius adventum

violaretur inregritas, qui venerar sanare

342

senza aprirlo. E così non conveniva che la madre rimanesse vergine nel parto. 3. Come scrive Gregorio, il Signore, entrando dai suoi discepoli a porte chiuse dopo la risur­ rezione, «dimostrò che il suo corpo aveva la medesima natura e un nuovo stato di gloria»: il che vuoi dire che passare attraverso le porte chiuse è proprio di un corpo glorioso. Ma il corpo di Cristo nel suo concepimento non era glorioso, bensì passibile, con una carne simile a quella del peccato, come dice Paolo i n Rm 8 [3]. Quindi esso non uscì dal seno della Vergine senza aprirlo. In contrario: in un sermone del Concilio di Efeso si legge: «La natura non conosce vergi­ nità dopo il parto. La grazia invece ha fatto di una donna una partoriente e una madre senza violarne la verginità». Quindi la madre di Cristo fu vergine anche nel parto. Risposta: senza alcun dubbio dobbiamo affer­ mare che la madre di Cristo fu vergine anche nel parto, poiché il Profeta non dice solo: Ecco, la vergine concepirà, ma aggiunge: e partorirà un figlio [/s 1 2,14] . E ciò era con­ veniente per tre ragioni. Primo, perché si ad­ diceva alla proprietà personale del Verbo di Dio che nasceva. Infatti il verbo mentale non solo è concepito senza alterazione della mente, ma anche esce da essa senza cor­ romperla. Per dimostrare quindi che quel cor­ po apparteneva allo stesso Verbo di Dio, era conveniente che nascesse dal seno incorrotto della Vergine. Così si legge infatti in propo­ sito in un sermone del Concilio di Efeso: sua zia materna. «Infatti nella Scrittura si riscontrano quattro specie di fratelli: di natura, di nazionalità, di parentela, di affetto». Per cui i fratelli del Signore non sono fratelli per natura, come se fossero nati dalla stessa madre, ma fratelli per parentela, quali suoi consanguinei. Quanto poi a Giusep­ pe, c'è da credere, come osserva Girolamo, che sia rimasto vergine, poiché «non consta dalla Scrittura che abbia preso un'altra moglie, né a un santo può attribuirsi la fornicazione». 6. Maria madre di Giacomo e di Giuseppe non è la madre del Signore, che il Vangelo suole indicare soltanto con la sua dignità di madre di Gesù [Gv 2,1 ], ma è Maria moglie di Alfeo, il cui figlio è Giacomo il Minore, chiamato ilfratello del Signore [Gal l l 9] ,

.

La verginità della Madre di Dio

Q. 28, A. 4

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Articulus 4 Utrum Mater Dei virginitatem voverit

Articolo 4 La Madre di Dio ha fatto voto di verginità?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Mater Dei virginitatem non voverit. l . Dicitur enim Deut. 7 [14], non erit apud te sterilis utriusque sexus. Sterilitas autem sequi­ tur virginitatem. Ergo servatio virginitatis erat contra praeceptum veteris legis. Sed adhuc lex vetus habebat statum antequam Christus na­ sceretur. Ergo non potuit licite Beata Virgo virginitatem vovere pro tempore ilio. 2. Praeterea, apostolus, l Cor. 7 [25], dicit, de

Sembra di no. Infatti: l. In Dt 7 [14] si legge: Non ci sarà in mezzo a te né maschio né femmina sterile. Ma la ver­ ginità porta con sé la sterilità. Quindi l'osser­ vanza della verginità è contro il precetto del­ l'antica legge. Ora, l'antica legge conservava tutto il suo vigore prima della nascita di Cristo. Quindi la Beata Vergine non poteva in quel tempo fare lecitamente il voto di verginità. 2. Paolo dice: Quanto alle vergini non ho

virginibus autem praeceptum Domini non habeo, consilium autem do. Sed perfectio

alcun comando del Signore, ma do un consi­ glio (l Cor 7 ,25). Ora, la perfezione dei con­ sigli doveva cominciare da Cristo, che è ilfine della legge, come dice Paolo (Rm 10,4). Non

consiliorum a Christo debuit inchoari, qui est

finis legis, ut apostolus dicit, Rom. 1 0 [4] . Non ergo conveniens fuit quod Virgo votum virginitatis emitteret. 3. Praeterea, Glossa Hieronymi [ord. et Lomb.; cf. Augustinus, De bono viduitatis 9] dicit, l Tim. 5 [ 1 2] , quod voventibus virginitatem

non solum nubere, sed etiam ve/le nubere dam­ nabile est. Sed mater Christi nullum peccatum

damnabile commisit, ut supra [q. 27 a. 4] habitum est. Cum ergo desponsata fuerit, ut habetur Luc. l [27], videtur quod ipsa virgini­ tatis votum non emiserit. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De sancta Virginitate [4], annuntianti angelo

Maria respondit, quomodo fiet istud, "quo­ niam virum non cognosco? " Quod profecto non diceret, nisi se virginem Deo ante vovisset. Respondeo dicendum quod, sicut in secunda parte [11-11 q. 88 a 6] habitum est, perfectionis opera magis sunt laudabilia si ex voto celebrantur. Virginitas autem in matre Dei praecipue debuit pollere, ut ex supra [aa 1 -3] dictis rationibus patet. Et ideo conveniens fuit ut virginitas eius ex voto esset Deo consecrata. Verum quia tempore legis oportebat genera­ tioni insistere tam mulieres quam viros, quia secundum carnis originem cultus Dei propaga­ batur antequam ex ilio popolo Christus nasce­ retur, mater Dei non creditur, antequam desponsaretur loseph, absolute virginitatem vovisse, licet eam in desiderio habuetit, super hoc tamen voluntatem suam divino commisit arbitrio. Postmodum vero, accepto sponso, se­ cundum quod mores illius temporis exigebant, simul cum eo votum virginitatis emisit.

era quindi conveniente che la Vergine emet­ tesse il voto di verginità. 3. Girolamo [Glossa] afferma che «per una donna che ha fatto voto di verginità è peccato non solo sposarsi, ma anche desiderare di sposarsi». Ora, la madre di Cristo non com­ mise alcun peccato, come si è visto sopra. Poiché essa dunque, secondo Le l [27] , era fidanzata, sembra che non abbia emesso il voto di verginità. In contrario: Agostino dice: «All'angelo del­ l'annunciazione Maria rispose: Come è possi­ bile? Non conosco uomo. Il che certamente non avrebbe detto se prima non si fosse votata a Dio nella verginità». Risposta: come si è detto nella Seconda Parle, le opere della perfezione sono più lodevoli se sono compiute per voto. Ora, nella Madre di Dio la verginità doveva avere uno splendore straordinario, come risulta dalle ragioni ripor­ tate sopra. Era perciò conveniente che la sua verginità fosse consacrata a Dio con un voto. Siccome però sotto la legge tanto le donne quanto gli uomini dovevano attendere alla procreazione, poiché con essa si propagava il culto di Dio prima che da quel popolo nasces­ se Cristo, non è pensabile che la Madre di Dio, prima di fidanzarsi con Giuseppe, abbia fatto il voto di verginità in modo assoluto, sebbene desiderasse la verginità, ma su que­ sto punto rimise la sua volontà all'arbitrio di­ vino. In seguito poi, dopo aver preso un fidan­ zato come esigevano gli usi del tempo, insie­ me con lui emise il voto di verginità.

La verginità della Madre di Dio

349

Ad primum ergo dicendum quod, quia vide­ batur esse lege prohibitum non dare operam ad relinquendum semen super terram, ideo non simpliciter virginitatem vovit Dei geni­ trix, sed sub conditione, si Deo placeret. Post­ quam autem ei innotuit hoc esse Deo accep­ tum, absolute vovit, antequam ab angelo an­ nuntiaretur. Ad secundum dicendum quod, sicut gratiae plenitudo pertècte quidem fuit in Christo, et tamen aliqua eius inchoatio praecessit i n matre; ita etiam observatio consiliorum, quae per gratiam Dei fit, perfecte quidem incoepit in Christo, sed aliquo modo fuit inchoata in Vrrgine Matre eius. Ad tertium dicendum quod verbum illud apo­ stoli est intelligendum de illis qui absolute ca­ stitatem vovent. Quod quidem mater Dei non fecit antequam Ioseph desponsaretur. Sed post desponsationem, ex communi voluntate, simul cum sponso suo votum virginitatis emisit.

Q. 28, A. 4

Soluzione delle difficoltà: l . Poiché si crede­ va che la legge proibisse di non lasciare prole sulla terra, la Madre di Dio fece il voto di verginità non in modo assoluto, ma sotto la condizione che esso piacesse a Dio. Quando però in seguito venne a conoscere che tale vo­ to era accetto a Dio, lo fece in forma assoluta, prima di ricevere l' annunzio dall' angelo. 2. Come la perfetta pienezza di grazia fu pro­ pria di Cristo, e tuttavia se ne ebbe una certa anticipazione nella madre, così anche l'osser­ vanza dei consigli, che deriva dalla grazia di Dio, fu inaugurata da Cristo in modo perfetto, ma in qualche modo ebbe inizio nella Vergine sua madre. 3. Il testo di Paolo va riferito a coloro che fan­ no il voto di castità in forma assoluta, cosa che la Madre di Dio non fece prima di fidan­ zarsi con Giuseppe. Dopo il fidanzamento però emise il voto di verginità insieme con il suo fidanzato, per comune accordo.

QUAESTI0 29

QUESTIONE 29

DE DESPONSATIONE MATRIS DEI

LO SPOSALIZIO DELLA MADRE DI DIO

Deinde considerandum est de desponsatione Matris Dei. - Et circa hoc quaeruntur duo. Primo, utrum Christus debuelit de desponsata nasci. Secundo, utrum fuerit verum matrimo­ nium inter Matrem Domini et Ioseph.

Veniamo ora a considerare lo sposalizio della Madre di Dio. - Sull' argomento si pongono due quesiti: l . Cristo doveva nascere da una donna sposata? 2. C'è stato un vero matrimo­ nio fra la Madre del Signore e Giuseppe?

Articulus l

Articolo l

Utrum Christus debuerit de Virgine desponsata nasci

Cristo doveva nascere da una Vergine sposata?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Christus non debuerit de Virgine desponsata nasci. l. Desponsatio enim ad camalem copulam ordinatur. Sed Mater Domini nunquam voluit carnali viri copula uti , quia hoc derogaret virginitati mentis ipsius. Ergo non debuit esse desponsata. 2. Praeterea, quod Christus ex Virgine nasce­ retur, miraculum fuit, unde Augustinus dicit, in Epistola ad Volusianum [ 1 37,2], ipsa Dei

Sembra di no. Infatti: l. Le nozze hanno per fine l'unione coniuga­ le. Ma la Madre del Signore non volle mai usarne, poiché ciò pregiudicava la verginità della sua anima. Quindi non doveva sposarsi. 2. La nascita verginale di Cristo fu un miraco­ lo, per cui Agostino scrive: «Dalle inviolate viscere verginali della madre trasse le mem­ bra del bambino quella stessa virtù divina che nell'età adulta le fece entrare a porte chiuse. Non se ne può conoscere il modo, altrimenti non sarebbe un miracolo; non se ne può avere un esempio, poiché è un fatto unico». Ma i miracoli, essendo fatti per confermare la fede, devono essere palesi. Poiché dunque lo sposa-

virtus per inviolata matris virginea viscera membra infantis edu.xit, quae per clausa ostia membra iuvenis introduxit. Huius si ratio quaeritur, non erit mirabile, si exemplum

Q. 29, A. l

Lo sposalizio della Madre di Dio

poscitur, non erit singulare. Sed miracula,

quae fiunt ad confirmationem fidei, debent es­ se manifesta. Cum igitur per desponsationem hoc miraculum fuerit obumbratum, videtur non fuisse conveniens quod Christus de de­ sponsata nasceretur. 3 . Praeterea, lgnatius martyr, ut dicit Hierony­ mus, Super Matth. [ l super 1 , 1 8], hanc cau­ sam assignat desponsationis matris Dei, ut

pmtus eius celaretur diabolo, dum ewn putat non de virgine, sed de uxore generatum. Quae

quidem causa nulla esse videtur. Tum quia Diabolus ea quae corporaliter fiunt perspi­ cacitate sensus cognoscit. Tum quia per multa evidentia signa postmodum daemones aliqualiter Christum cognoverunt, unde dicitur Mare. l [23-24], quod lwmo in spiritu immun­

do exclamavit, dicens, "quid nobis et tibi, lesu Nazarene? Venisti perdere nos? Scio quia sis Sanctus Dei " . Non ergo videtur conveniens

fuisse quod mater Dei fuisset desponsata. 4. Praeterea, aliam rationem assignat Hierony­ mus [In Matth. l super 1 , 1 8], ne /apidaretur mater Dei a ludaeis sicut adultera. Haec autem ratio nulla esse videtur, si enim non esset desponsata, non posset de adulterio con­ demnari. Et ita non videtur rationabile fuisse quod Christus de desponsata nasceretur. Sed contra est quod dicitur Matth. l [ 1 8], cum esset desponsata mater eius Maria loseph; et Luc. l [26-27], missus est Gabriel angelus ad

Mariam, virginem desponsatam viro cui nomen erat loseph.

Respondeo dicendum quod conveniens fuit Christum de desponsata virgine nasci, tum propter ipsum; tum propter matrem; tum etiam propter nos. Propter ipsum quidem Christum, quadruplici ratione. Primo quidem, ne ab infidelibus tamquam illegitime natus abiiceretur. Unde Ambrosius dicit, Super Luc. [2 super 1 ,26] , quid ludaeis, quid Herodi

posset adscribi, si natum viderentur ex adulterio persecuti? Secundo, ut consueto modo eius genealogia per virum describe­ retur. Unde dicit Ambrosius, Super Luc. [3 super 3,23], qui in saeculum venit, saeculi

debuit more describi. Viri autem persona quaeritw; qui in senatu et reliquis curiis civi­ tatum generis asserit dignitatem Consuetudo etiam nos instruit Scripturarum, quae semper viri originem quaerit. Tertio, ad tutelam pueri nati, ne diabolus contra eum vehementius

350

lizio occultava questo miracolo, sembra che non fosse conveniente che Cristo nascesse da una vergine sposata. 3. Ignazio Martire, come riferisce Girolamo, spiega il matrimonio della Madre di Dio con questa ragione: «Perché il suo parto rimanes­ se celato al diavolo, che avrebbe ritenuto Cri­ sto generato non da una vergine, ma da una sposa». Ma questa ragione non regge. Sia per­ ché il diavolo con la sua perspicacia conosce tutto ciò che avviene fisicamente. Sia perché in seguito i demoni conobbero in qualche mo­ do Cristo con l'aiuto di molti indizi evidenti; per cui è detto in Mc l [23] che un uomo pos­

seduto da uno spirito immondo si mise a gri­ dare: "Che c 'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? lo so chi tu sei: il San­ to di Dio " . Quindi non sembra conveniente che la Madre di Dio fosse sposata. 4. Girolamo adduce un'altra ragione: «Affin­ ché la Madre di Dio non fosse lapidata dai Giudei come adultera» . Ma è una ragione vana: perché, se essa non fosse stata sposata, non poteva essere condannata per adulterio. E così non sembra ragionevole che Cristo na­ scesse da una donna sposata. In contrario: in Mt l [ 1 8] è detto: Essendo

Maria, sua Madre, promessa sposa di Giu­ seppe; e in Le l [26]: L'angelo Gabriele fu mandato da Dio a una vergine, promessa sposa di un uomo chiamato Giuseppe. Risposta: che Cristo nascesse da una vergine sposata era conveniente sia per lui, sia per la madre, sia anche per noi. Riguardo a Cristo ciò era conveniente per quattro ragioni. Pri­ mo, perché gli infedeli non lo respingessero come un illegittimo. Per cui Ambrogio osser­ va: «Che cosa si potrebbe rimproverare ai Giudei, che cosa a Erode, se avessero avuto il pretesto di perseguitare un figlio illegittimo?». Secondo, perché la sua genealogia fosse ordinata seguendo la discendenza maschile, nel modo consueto. Da cui le parole di Am­ brogio: «Colui che è venuto in questo mondo doveva essere registrato secondo gli usi del mondo. Ora, è la persona dell'uomo che nel senato e nelle altre assemblee cittadine porta il nome della famiglia. E anche la consuetu­ dine delle Scritture ce lo insegna, poiché esse cercano la discendenza maschile». Terzo, per la sicurezza del bambino, affinché il diavolo non agisse contro di lui con più malizia. Per

35 1

Lo sposalizio della Madre di Dio

nocumenta procurasset. Et ideo lgnatius [cf. Hieronymum, In Matth. l su per l , 1 8] dicit ipsam fuisse desponsatam ut partus eius dia­ bolo celaretur. Quarto, ut a Ioseph nutriretur. Unde et pater eius dictus est [Luc. 2,33.48], quasi nutritius. - Fuit etiam conveniens ex parte Virginis. Primo quidem, quia per hoc redditur immunis a poena, ne scilicet lapida­ retur a ludaeis tanquam adultera, ut Hierony­ mus dicit [In Matth. l , super l , 18]. Secundo, ut per hoc ab infamia liberaretur. Unde dicit Ambrosius Super Luc. [2 super l ,27], quod

desponsata est ne temeratae virginitatis adu­ reretur infamia, cui gravis alvus con·uptelae videretur insigne praeferre. Tertio, ut ei a

Ioseph ministerium exhiberetur, ut Hieronymus dicit [In Matth. l , super 1 , 1 8]. - Ex pmte etiam nostra hoc fuit conveniens. Primo quidem, quia testimonio Ioseph comprobatum est Christum ex virgine natum. Unde Ambrosius dicit, Super Luc. [2 super l ,27], locupletior testis

pudoris maritus adhibetut; qui posset et dolere iniuriam et vindicare opprobrium si non agnosceret sacramentum. Secundo, quia i p s a verba V i rg i n i s magis c redi b i l i a redduntur, suam virginitatem asserentis. Unde Ambrosius dici t, Super Luc. [2 super l ,27],

fides Mariae verbis magis asseritu1; et mendacii causa removetur. Videtur enim culpam obumbrare voluisse mendacio in­ nupta praegnans, causam autem mentiendi desponsata non habuit, cum coniugii praemium et grafia nuptiarum partus sitfemi­ narum. Quae quidem duo pertinent ad fir­

mitatem fidei nostrae. Tertio, ut tolleretur excusatio virginibus quae, propter incautelam suam, non vitant infarniam. Unde Ambrosius dicit [In Luc. 2 super l ,27], non decuit virgi­

nibus sinistra opinione viventibus ve/amen excusationis relinqui, quod infamia mater quoque Domini ureretur. Quarto, quia per hoc significatur universa Ecclesia, quae, cum vir­ go sit, desponsata tamen est uni viro Christo, ut Augustinus dicit, in libro De sancta Vrrgi­ nitate [ 1 2]. Potest etiam quinta ratio esse quia, quod mater Domini fuit desponsata et virgo, in persona ipsius et virginitas et matrimonium honoratur, contra haereticos alteri horum detrahentes. Ad primum ergo dicendum quod Beata Vrrgo mater Dei ex familiari instinctu Spiritus Sancti credenda est desponsari voluisse, confidens

Q. 29, A. l

cui Ignazio afferma che la vergine fu sposata «perché la sua prole rimanesse celata al diavolo». Quarto, perché Giuseppe provve­ desse al sostentamento di Cristo. Per cui egli è anche detto suo padre nutrizio. - Era poi conveniente anche per la Vergine. Primo, perché in tal modo essa venne sottratta a ogni castigo legale: «Perché non fosse lapidata dai Giudei come adultera», dice Girolamo. Se­ condo, perché in tal modo veniva protetta da ogni infamia. Scrive infatti Ambrogio: «Si sposò per non essere segnata dali' infamia che accompagna la perdita della verginità». Terzo, perché così le fu assicurata l ' assistenza di Giuseppe, come dice Girolamo. - Infine ciò era opportuno anche per noi. Primo, perché la testimonianza di Giuseppe garantisce che Cristo è nato da una vergine. Da cui le parole di Ambrogio: «Come testimonio validissimo del pudore si presenta lo sposo, che poteva querelarsi del torto subito e vendicarsi dell'of­ fesa se fosse stato ali' oscuro del mistero». Secondo, perché diventano più attendibili le parole stesse della Vergine relative alla pro­ pria verginità. Scrive infatti Ambrogio: «La fede nelle parole di Maria ha più fondamento, e sparisce ogni motivo di menzogna. Si po­ trebbe infatti pensare che una donna non spo­ sata e gravida volesse coprire la sua colpa con una menzogna; invece una donna maritata non aveva ragione di mentire, essendo la fi­ gliolanza, per una donna, premio del matri­ monio e dono delle nozze». Queste due ragio­ ni dunque valgono a conferma della nostra fede. Terzo, perché non avessero scuse le nu­ bili che incautamente si espongono all' infa­ mia. Da cui le parole di Ambrogio: «Non era opportuno che alle vergini viventi in cattiva reputazione rimanesse come parvenza di scu­ sa il fatto che anche la Madre del Signore fosse stata infamata». Quarto, poiché ciò è un simbolo della Chiesa universale, che «pur essendo vergine è tuttavia sposata a Cristo, suo unico sposo», come dice Agostino. S i può infine aggiungere, come quinta ragione del fatto che la Madre del Signore fu sposa e vergine, l'intenzione di onorare nella sua per­ sona tanto la verginità quanto il matrimonio: e ciò contro quegli eretici che condannano o l 'una o l'altro. Soluzione delle difficoltà: l . Si deve credere che la Beata Vergine Madre di Dio fu spinta a

Lo sposalizio della Madre di Dio

Q. 29, A. l

de divino auxilio quod nunquam ad camalem copulam perveniret, hoc tamen divino com­ misit arbitrio. Unde nullum passa est virgi­ nitatis detrimentum. Ad secundum dicendum quod, sicut Ambro­ sius dicit, Super Luc. [2 super 1 ,27], maluit

Dominus aliquos de suo ortu quam de matris pudore dubitare. Sciebat enim teneram esse virginis verecundiam, et lubricam famam pudoris, nec putavit ortus sui fidem matris iniuriis adstntendam. Sciendum tamen quod

miraculorum Dei quaedam sunt de quibus est fides, sicut miraculum Virginei partus, et resurrectionis Domini, et etiam sacramenti altaris. Et ideo Dominus voluit ista occultiora esse, ut fides eorum magis meritoria esset. Quaedam vero rniracula sunt ad fidei compro­ bationem. Et ista debent esse manifesta. Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in 3 De Trin. [9], diabolus multa potest v i rtute suae n aturae, a quibus tamen prohibetur virtute divina. Et hoc modo potest dici quod virtute suae naturae diabolus co­ gnoscere poterat matrem Dei non fuisse cor­ ruptam, sed virginem, prohibebatur tamen a Deo cognoscere modum partus divin i . Quod autem postmodum eum aliqualiter co­ gnovit diabolus esse Filium Dei, non obstat, quia iam tempus erat ut Christus suam vittu­ tem contra diabolum ostenderet, et persecu­ tionem ab eo concitatam pateretur. Sed in infantia oportebat impediri malitiam diaboli, ne eum acrius persequeretur, quando Christus nec pati disposuerat, nec virtutem suam ostendere, sed in omnibus aliis infantibus se similem exhibebat. Unde Leo Papa, in ser­ mone de Epiphania [Sermones 34,3], dicit quod Magi invenerunt puerum lesum quan­

titate parvum, alienae opis indigentem, fandi impotentem, et in nullo ab humanae infantiae generalitate discretum. Ambrosius tamen, -

Super Luc., videtur magis referre ad membra diaboli. Praemissa enim hac ratione, scilicet de fallendo principem mundi, subdit [2 super l ,27], sed tamen magis fefellit principes

saeculi. Daemonum enim malitia facile etiam occulta deprehendit, at vero qui saecularibus vanitatibus occupantur, scire divina non possunt. A d quartum dicendum quod iudicio adulterorum lapidabatur secundum legem non solum illa quae iam erat desponsata vel nupta,

352

sposarsi da un impulso segreto dello Spirito Santo, nella certezza che con l ' aiuto divino non sarebbe mai giunta all'unione carnale; ri­ mettendosi tuttavia in ciò alla volontà divina. Cosicché la sua verginità non ebbe alcun detrimento. 2. Come scrive Ambrogio, «il Signore preferì che qualcuno dubitasse della sua nascita [pro­ digiosa] piuttosto che dell'onestà di sua ma­ dre. Sapeva infatti quanto è delicato il pudore di una vergine e fragile la sua fama di purez­ za, e non giudicò di dover stabilire la verità della propria nascita [prodigiosa] con l'infa­ mia della propria madre». Quanto poi ai mira­ coli divini, dobbiamo avvertire che alcuni di essi sono oggetto di fede: come il miracolo del parto verginale, della risurrezione del Signore, e anche del Sacramento dell'altare. Per cui il Signore li ha voluti occultare mag­ giormente, affinché la fede in essi fosse più meritoria. Altri miracoli invece sono prove della fede. E questi devono essere palesi. 3. Come rileva Agostino, il demonio può fare molte cose con le sue capacità naturali, ma questo potere è limitato dalla potenza divina. E così possiamo dire che il demonio poteva conoscere naturalmente che la Madre di Dio non era stata violata nella sua verginità, ma Dio gli impedì di conoscere il modo della na­ scita di Cristo. - Che poi in seguito il demo­ nio sia venuto a conoscere in qualche modo che Cristo era il Figlio di Dio non fa diffi­ coltà, poiché era ormai giunto il tempo in cui Cristo doveva mostrare il suo potere contro il demonio e affrontare le persecuzioni da lui sollevate. Nell'infanzia invece bisognava im­ pedire alla malizia del demonio di persegui­ tarlo con troppa durezza, non avendo per allora disposto Cristo né di soffrire, né di mostrare il suo potere, volendo piuttosto es­ sere uguale in tutto agli altri bambini. Per cui dice il papa Leone che «i Magi trovarono il bambino Gesù piccolo, bisognoso dell'assi­ stenza altrui, incapace di parlare, che non si scostava in nulla dalla comune situazione dell'infanzia». - Ambrogio invece riferisce l ' ignoranza suddetta piuttosto agli uomini membra del demonio. Dopo avere infatti rife­ rito la ragione suddetta, relativa all'inganno del principe di questo mondo, soggiunge: «l più ingannati però sono stati i grandi di questo secolo. Poiché la malizia dei demoni

Lo sposalizio della Madre di Dio

353

sed etiam illa quae in domo patris custodieba­ tur ut virgo quandoque nuptura. Unde dicitur Deut. 22 [20-21], si non est in puella inventa

virginitas, lapidibus obruent eam viri civitatis illius, et morietur, quia fecit nefas in lsrael, ut fornicaretur in domo patris sui. Vel potest dici, secundum quosdam, quod Beata Virgo erat de stirpe sive parentela Aaron, unde erat cognata Elisabeth, ut dicitur Luc. l [36]. Vir­ go autem de genere sacerdotali propter stu­ prum occidebatur, legitur enim Lev. 2 1 [9],

sacerdotis filia si deprehensa fuerit in stupro, et violaverit nomen patris sui, jlammis exure­ tur. Quidam referunt verbum Hieronymi ad lapidationem infarniae.

Q. 29, A. l

scopre con facilità anche le cose occulte, mentre coloro che si fanno sopraffare dalle vanità del secolo non possono conoscere le realtà divine». 4. Secondo la legge doveva subire la lapida­ zione degli adulteri non solo la donna già fidanzata o sposata, ma anche quella che viveva come nubile nella sua casa paterna. Infatti in Dt 22 [20] è detto: Se la giovane

non è stata trovata in stato di verginità, la gente della sua città la lapiderà, così che muoia, perché ha commesso un 'infamia in Israele, disonorandosi in casa del padre. Op­

pure, secondo alcuni, si può dire che la Beata Vergine era della stirpe o della famiglia di Aronne, e quindi parente di Elisabetta, come è detto in Le l [36]. Ora, una vergine di stirpe sacerdotale, se si lasciava violare, era con­ dannata a morte: si legge infatti in Lv 21 [9]:

Se la .figlia di un sacerdote si disonora prosti­ tuendosi, disonora suo padre; sarà arsa con il fuoco. Alcuni [infine] intendono la lapida­

zione di cui parla Girolamo nel senso di una lapidazione morale.

Articulus 2 Utrum inter Mariam et Ioseph fuerit verum matrimonium

Articolo 2 Tra Maria e Giuseppe c'è stato un vero matrimonio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod inter Mariam et Ioseph non fuerit verum matrimonium. l . Dicit enim Hieronymus, Contra Helvi­ dium, quod Ioseph Mariae custos fuit, potius quam maritus eius. Sed si fuisset verum ma­ trimonium, vere Ioseph maritus eius fuisset. Ergo videtur quod non fuerit verum mattimo­ nium inter Mariam et Ioseph. 2. Praeterea, super illud Matth. l [ 1 6], lacob genuit loseph virum Mariae, dicit Hierony­ mus [In Matth. 1 ] , cum virum audieris, suspi­

Sembra di no. Infatti: l . Girolamo dice che Giuseppe «fu custode piuttosto che marito di Maria». Ma se fosse stato un vero mattimonio, Giuseppe sarebbe stato veramente suo marito. Quindi sembra che non ci sia stato un vero mattimonio tra Maria e Giuseppe. 2. Girolamo sulle parole di Mt l [ 1 6] : Gia­

cio tibi non subeat nuptiarum, sed recordare consuetudinis Scripturarum, quod sponsi viri et sponsae vocantur uxores. Sed verum ma­ trimonium non efficitur ex sponsalibus, sed ex nuptiis. Ergo non fuit verum matrimonium inter Beatam Vrrginem et Ioseph. 3 . Praeterea, Matth. l [ 19] dicin1r, Ioseph, vir

eius, cum esset iustus, et nollet eam tradu­ cere, idest, in domum suam ad cohabitatio­ nem assiduam, voluit eam occulte dimittere, idest, tempus nuptiarum mutare, ut Remigius

cobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, osserva: «Quando senti sposo, non ti venga il sospetto delle nozze, ma ricorda l'uso delle Scritture di chiamare sposi i fidanzati e spose le fidanzate». Ma un matrimonio non si ha con il fidanzamento, bensì con le nozze. Quindi non ci fu un vero matrimonio tra la Beata Vergine e Giuseppe. 3. In Mt l [ 1 9] è detto: Giuseppe, suo sposo,

che era giusto e non voleva portarla in casa sua, si intende «per tenerla definitivamente con sé», pensò di rimandar/a in segreto, cioè

«di rimandare il giorno delle nozze», come interpreta Remigio. Quindi sembra che, non essendo state ancora celebrate le nozze, il loro

Q. 29, A. 2

Lo sposalizio della Madre di Dio

exponit [apud Thomam, Cat. Aurea In Matth. 1 , 1 0, super v. 1 8, ex glossa] . Ergo videtur quod, nondum nuptiis celebratis, nondum esset verum matrimonium, praesertim cum, post matrimonium contractum, non liceat alicui sponsam dimittere. Sed contra est quod Augustinus dicit, in 2 De consensu Evangelist. [2, 1 ] , non est fas ut

Ioseph ob hoc a coniugio Mariae separan­ dum Evangelista putaret (cum dixit Ioseph vi­ rum Mariae), quod non ex eius concubitu, sed Virgo peperit Christum. Hoc enim exemplo manifeste insinuatur fidelibus coniugatis, etiam servata pari consensu continentia, posse pennanere vocarique coniugium, non permixto cmporis sexu.

Respondeo dicendum quod matrimonium si­ ve coniugium dicitur verum ex hoc quod suam perfectionem attingit. Duplex est autem rei perfectio, prima et secunda. Prima quidem pertectio in ipsa forma rei consistit, ex qua speciem sortitur, secunda vero perfectio con­ sistit in operatione rei, per quam res aliquali­ ter suum finem attingit. Forma autem matri­ monii consistit in quadam indivisibili co­ niunctione animorum, per quam unus coniu­ gum indivisibiliter alteri fidem servare tene­ tur. Finis autem matrimonii est proles gene­ randa et educanda, ad quorum plimum perve­ nitur per concubitum coniugalem; ad secun­ dum, per alia opera vili et uxoris, quibus sibi invicem obsequuntur ad prolem nutriendam. - Sic igitur dicendum est quod, quantum ad primam perfectionem, omnino verum fuit matrimonium Virginis matris Dei et Ioseph, quia uterque consensit in copulam coniuga­ lem; non autem expresse in copulam carna­ lem, nisi sub conditione, si Deo placeret. Un­ de et angelus vocat Mariam coniugem Ioseph, dicens ad loseph, Matth. l [20], noli timere accipere Mariam coniugem tuam. Quod ex­ ponens Augustinus, in libro De nuptiis et con­ cupiscentia [ 1 , 1 1 ] , dicit, coniux vocatur ex

prima desponsationis fide, quam concubitu nec cognoverat, nec fuerat cogniturus. -

Quantum vero ad secundam perfectionem, quae est per actum matlimonii, si hoc refe­ ratur ad camalem concubitum, per quem pro­ les generatur, non fuit i llud matrimonium consummatum. Unde Ambrosius dicit, Super Luc. [2 super l ,27] , non te moveat quod Ma­

riam Scriptura coniugem vocat. Non enim

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non fosse un vero matrimonio, specialmente perché dopo la celebrazione del matrimonio non è lecito ad alcuno rimandare la moglie. In contrario: Agostino dice che «non è possi­ bile che l'Evangelista», il quale chiama Giu­ seppe sposo di Maria [Mt 1 , 16], «ritenesse di dover negare tra Maria e Giuseppe un vero matrimonio per non avere essa generato Cri­ sto da lui, ma in modo verginale. Ciò infatti fa capire chiaramente ai ctistiani coniugati che il matrimonio rimane e conserva il suo nome anche quando di comune accordo si osserva la continenza e non c'è unione sessuale». Risposta: il matrimonio o coniugio è detto ve­ ro quando raggiunge la sua perfezione. Ma una cosa può avere due perfezioni. La prima consiste nella forma che dà alla cosa la sua natura specifica, la seconda invece consiste nell'operazione per cui la cosa raggiunge il suo fine. Ora, la forma del matrimonio con­ siste nell'indivisibile unione degli animi, che obbliga ciascuno dei coniugi a mantenersi perpetuamente fedele all' altro. n fine poi del matrimonio consiste nella generazione e nel­ l' educazione della prole: la pii ma mediante l'atto coniugale, la seconda mediante le altre attività per mezzo delle quali il marito e la moglie si aiutano a vicenda per nutrire la pro­ le. - Ora, rispetto alla prima perfezione i l ma­ trimonio tra la Vergine Madre di Dio e Giu­ seppe fu verissimo, poiché ambedue diedero il consenso all'unione coniugale; non invece espressamente all'atto coniugale se non sotto la condizione: «Se piacesse a Dio». Per cui anche l ' angelo chiama Maria sposa di Giu­ seppe, dicendo a quest' ultimo: Non temere di prendere con te Maria, tua sposa (Mt l ,20). E Agostino commenta: «Per la fedeltà già pro­ messa nel fidanzamento è chiamata sposa la donna che Giuseppe non aveva e non avrebbe sessualmente conosciuto». - Rispetto invece alla seconda perfezione, che dipende dagli atti propri del matrimonio, se ci riferiamo al­ l'unione sessuale, attraverso la quale si genera la prole, quel matrimonio non fu consumato. Per cui osserva Ambrogio: «Non ti meravi­ gliare che la Scrittura chiami sposa Maria: non è per toglierle la verg i n i tà, ma per attestare il legame del matrimonio e la celebra­ zione delle nozze». Tuttavia tale matrimonio ebbe anche questa seconda perfezione quanto all'educazione della prole. Scrive infatti Ago-

355

Lo sposalizio della Madre di Dio

virginitatis ereptio, sed coniugii testificatio nuptiantm celebratio declaratur. Habuit ta­ -

men illud matrimonium etiam secundam perfectionem quantum ad prolis educationem. Unde Augustinus dicit, in libro De nuptiis et concupiscentia [ 1 , 1 1 - 1 2] , omne nuptiarum

bonum impletum est in illis parentibus Christi, proles, fides et sacramentum. Prolem cognoscimus ipsum Dominum Iesum; fidem, quia nullum adulterium; sacramentwn, quia nullum divortium. Solus ibi nuptialis concubi­ tus nonfuit.

Ad primum ergo dicendum quod Hieronymus accipit ibi maritum ab actu matrimonii con­ summati. Ad secundum dicendum quod nuptias Hiero­ nymus vocat nuptialem concubitum. Ad tertium dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus dicit, Super Matth. [cf. Op. imperf. In Matth. h. l , super 1 , 17], Beata Virgo sic fuit desponsata Ioseph quod etiam esset domi habita. Nam sicut in ea quae in domo viri

concipit, intelligitur conceptio maritalis, sic in ea quae extra domum concipit, est suspecta coniunctio. Et ita non esset sufficienter provi­

sum famae Beatae Virginis per hoc quod fuit desponsata, nisi etiam fuisset domi habita. Unde quod dicit, et nollet eam traducere, me­ lius intelligitur, idest, no/let eam diffamare in publicum, quam quod intelligatur de traductio­ ne in domum. Unde et Evangelista subdit quod voluit occulte dimittere eam. Quamvis tamen esset domi habita propter primam despon­ sationis tidem, nondum tamen intervenerat solemnis celebratio nuptiarum, propter quod etiam nondum camaliter convenerant. Unde, sicut Chrysostomus dicit [In Matth. h. 4], non

dicit Evangelista, "antequam duceretur in domum sponsi ", etenim intus erat in domo. Consuetudo enim erat veteribus multoties in domo desponsatas habere. Et ideo etiam angelus dicit Ioseph [Matth. l ,20], ne timeas accipere Mariam coniugem tuam, idest, ne timeas nuptias eius solemniter celebrare. Licet alii dicant quod nondum erat in domum introducta, sed solum desponsata. Primum tamen magis consonat Evangelio.

Q. 29, A. 2

stino: «Tutti i beni del matrimonio si ebbero nei genitori di Cristo: la prole, la fedeltà, il sa­ cramento. La prole sappiamo che è lo stesso S ignore Gesù� la fedeltà, poiché non vi fu adulterio� il sacramento, poiché non vi fu divorzio. Vi mancò soltanto l' unione carnale». Soluzione delle difficoltà: l . Girolamo col termine «marito» intende in quel testo colui che ha consumato il matrimonio. 2. Girolamo col termine «nozze» intende l'at­ to coniugale. 3. Come dice il Crisostomo, la Beata Vergine era sposata a Giuseppe e abitava già in casa sua. «Come infatti la donna che concepisce in casa del marito si presume che concepisca dal marito, così invece quella che concepisce fuori è sospettata di relazione illecita». Non sarebbe stata quindi sufficientemente difesa la reputazione della Beata Vergine con il sempli­ ce fatto del matrimonio, se essa non fosse stata anche tenuta in casa da Giuseppe. Perciò le parole: Non voleva pmtarla, si interpretano meglio così: «Non voleva esporla all' infamia pubblica», piuttosto che: «Non voleva portar­ la in casa>>. Infatti l'Evangelista aggiunge che voleva rimandar/a in segreto. Tuttavia, sebbe­ ne fosse tenuta in casa a seguito della prima promessa di fidanzamento, non era intervenu­ ta ancora la solenne celebrazione delle nozze, per cui non avevano ancora avuto rapporti coniugali. Infatti, come scrive il Crisostomo, «l' Evangelista non dice: "Prima che fosse condotta in casa dello sposo", poiché ci stava già. Era infatti consuetudine frequente presso gli antichi di tenere in casa le fidanzate». Da cui le parole dell' angelo a Giuseppe: Non

temere di prendere con te Maria tua sposa,

cioè: «Non temere di celebrare solennemente le nozze con lei». Altri invece sostengono che non era stata ancora pottata in casa, ma solo fidanzata. Tuttavia la prima interpretazione concorda meglio col Vangelo.

Q. 30, A. l

L 'annunciazione della Beata Vergine

356

QUAESTI0 30 DE ANNUNTIATIONE BEATAE VIRGINIS

QUESTIONE 30 L'ANNUNCIAZIONE DELLA BEATA VERGINE

Deinde considerandum est de annuntiatione Beatae Virginis. - Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum conveniens fuerit ei an­ nuntiari quod in ea generandum erat. Secun­ do, per quem erat ei annuntiandum. Tertio, per quem modum ei annuntiari debebat. Quarto, de ordine Annuntiationis.

Passiamo ora a considerare l'annunciazione della Beata Vergine. - Su di essa ci poniamo quattro quesiti: l . Era conveniente che le fos­ se annunziato quanto doveva compiersi in lei? 2. Chi doveva annunziarglielo? 3. In che mo­ do doveva esserle annunziato? 4. L'ordine dell'annunciazione.

Articulus l Utrum fuerit necessarium Beatae Virgini annuntiari quod in ea fiendum erat

Articolo l Era necessario che alla Beata Vergine fosse annunziato quanto doveva avvenire in lei?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod non fuerit necessarium Beatae Virgini annuntiari quod in ea fiendum erat. l . Annuntiatio enim ad hoc solum necessarium videbatur ut Virginis consensus haberetur. Sed consensus eius non videtur necessarius fuisse, quia conceptus Virginis praenuntiatus fuit prophetia praedestinationis quae sine nostro completur arbitrio, ut dicit quaedam Glossa [ord.], Matth. l [22]. Non ergo necessarium fuit quod talis Annuntiatio tìeret. 2. Praeterea, Beata Virgo incarnationis fidem habebat, sine qua nullus esse poterat in statu salutis, quia, ut dicitur Rom. 3 [22], iustitia Dei est per.fidem Iesu Christi. Sed de eo quod aliquis per certitudinem credit, non indiget ul­ terius instrui. Ergo Beatae Virgini non fuit ne­ cessarium ut ei incarnatio Filii annuntiaretur. 3 . Praeterea, sicut Beata Virgo corporaliter Christum concepit, ita quaelibet sancta anima concipit ipsum spiritualiter, unde apostolus dicit, Gal. 4 [ 1 9] , filioli mei, quos iterum

Sembra di no. Infatti: l . L'annunciazione era necessaria soltanto per ottenere il consenso della Vergine. Ma il suo consenso non era necessario, essendo stato il concepimento della Vergine già vaticinato con una profezia di predestinazione, la quale, come dice una Glossa, «si avvera senza il nostro arbitrio». Quindi non era necessaria tale annunciazione. 2. La Beata Vergine aveva fede neli' incarna­ zione, senza della quale fede nessuno poteva essere in stato di salvezza, come è detto in Rm 3 [22] che la giustizia di Dio si ha per la fede in Gesù Cristo. Ma nessuno ha bisogno di essere ulteriormente informato di quanto crede con certezza di fede. Quindi non era necessario alla Beata Vergine che le fosse annunziata l'incarnazione del Figlio. 3. Come la Beata Vergine concepì Cristo cor­ poralmente, così ogni anima santa lo concepi­ sce spiritualmente, secondo le parole di Paolo:

parturio, donec formetur Christus in vobis.

Sed illis qui spiritualiter debent ipsum conci­ pere, talis conceptio eis non annuntiatur. Ergo nec Beatae Virgini fuit annuntiandum quod esset in utero conceptura Filium Dei. Sed contra est quod habetur Luc. l [3 1 ], quod angelus di xi t ei, ecce, concipies in utero et pa­

riesfilium.

Respondeo dicendum quod congruum fuit Beatae Virgini annuntiari quod esset Christum conceptura. Primo quidem, ut servaretur con­ gruus ordo coniunctionis Filii Dei ad Virgi­ nem, ut scilicet prius mens eius de ipso

Figlioli miei, che io di nuovo partorisco, fin­ ché sia formato Cristo in voi (Gal 4, 1 9). Ma a

coloro che lo devono concepire spiritualmen­ te non è annunziata tale concezione. Quindi neppure si doveva annunziare alla Beata Vergine che avrebbe concepito nel suo seno il Figlio di Dio. In contrario: in Le l [3 1 ] risulta che l'angelo le disse: Ecco, tu concepirai un figlio e lo

partorirai.

Risposta: era opportuno che alla Beata Vergine fosse annunziato il concepimento di Cristo. Primo, per salvare il debito ordine nell'unione del Figlio di Dio con la Vergine: in modo cioè

357

L 'annunciazione della Beata Vergine

instrueretur quam carne eum conciperet. Unde Augustinus dicit, in libro De virginitate [3],

beatior Maria est percipiendo fidem Christi, quam concipiendo camem Christi. Et postea subdit, materna propinquitas nihil Mariae profuisset, nisi felicius Christum corde quam carne gestasset. Secundo, ut posset esse

certior testis huius sacramenti, quando super hoc divinitus erat instructa. Tertio, ut vo­ luntaria sui obsequii munera Deo oft'erret, ad quod se promptam obtulit, dicens [Luc. l ,38], ecce ancilla Domini. Quarto, ut ostenderetur esse quoddam spirituale matrimonium inter Filium Dei et humanam naturam. Et ideo per Annuntiationem expetebatur consensus Vrrgi­ nis loco totius humanae naturae. Ad primum ergo dicendum quod prophetia praedestinationis completur sine nostro arbi­ trio causante, non tamen sine nostro arbitrio consentiente. Ad secundum dicendum quod Beata Virgo expressam fidem habebat incarnationis futu­ rae, sed, cum esset humilis, non tam alta de se sapiebat. Et ideo super hoc erat instruenda. Ad tertium dicendum quod spiritualem con­ ceptionem Christi, quae est per fidem, praece­ dit Annuntiatio quae est per fidei praedicatio­ nem, secundum quod fides est ex auditu, ut dicitur Rom. 10 [ 17]. Nec tamen propter hoc aliquis pro certo scit se gratiam habere, sed scit veram fidem esse quam accipit.

Q. 30, A. l

che essa prima di concepirlo nella carne lo concepisse, nella mente. Per cui Agostino dichiara: «E più beata Maria nel ricevere la fede di Cristo che nel concepire la carne di Cristo». E poi aggiunge: «L'intimità materna non avrebbe giovato in nulla a Maria se ella non avesse sentito più gioia nel portare Cristo nel suo cuore che nel suo seno». Secondo, perché la Vergi n e potesse essere u n a testimone più consapevole d i questo mistero, dopo esserne stata istruita da Dio. Terzo, per­ ché offrisse a Dio l'omaggio volontario della sua devozione, come fece con prontezza di­ cendo [Le 1 ,38]: Eccomi, sono la serva del Signore. Quarto, per manifestare l'esistenza di un certo matrimonio spirituale tra il Figlio di Dio e la natura umana. Per cui attraverso l'annunciazione si attendeva il consenso della Vergine a nome di tutta la natura umana. Soluzione delle difficoltà: l . La profezia di predestinazione si avvera senza che il nostro arbitrio ne sia la causa, ma non senza che il nostro arbitrio vi acconsenta. 2. La Beata Vergine aveva una fede esplicita nell'incarnazione futura, ma nella sua umiltà non aveva un' idea così alta di sé. Per cui doveva essere informata al riguardo. 3. La concezione spirituale di Cristo mediante la fede è preceduta dall' annunzio fatto per mezzo della predicazione, secondo quanto è detto in Rm 1 0 [17] : La fede viene dall'ascolto. Tuttavia questo annunzio non dà la certezza di essere in grazia, ma la certezza che è vera la fede annunziata.

Articulus 2 Utrum Beatae Virgini debuerit Annuntiatio fieri per angelum

Articolo 2 L'annunzio alla Beata Vergine doveva essere fatto da un angelo?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Beatae Virgini non debuerit Annuntiatio fieri per angelum. l . Supremis enim angelis fit revelatio imme­ diate a Deo, ut dicit Dionysius, 7 cap. De cael. hier [3]. Sed mater Dei est super omnes angelos exaltata. Ergo videtur quod imme­ diate a Deo debuerit sibi annuntiari incama­ tionis mysterium, et non per angelum. 2. Praeterea, si in hoc oportebat servari com­ munem ordinem, secundum quem divina ho­ minibus per angelos revelantur, similiter divi­ na ad mulierem per virum deferuntur, unde et

Sembra di no. Infatti: l . Agli angeli supremi Dio fa le sue rivelazio­ ni senza intermediari, come dice Dionigi. Ma la Madre di Dio fu esaltata al di sopra di tutti gli angeli. Quindi sembra che il mistero del­ l'incarnazione le dovesse essere rivelato da Dio direttamente, e non da un angelo. 2. Se in questa circostanza era opportuno rispettare l'ordine generale per cui le realtà divine sono comunicate agli uomini per mezzo degli angeli, si doveva anche rispettare l'ordine per cui è l'uomo che fa conoscere alla donna le realtà divine, per cui Paolo dice:

Q. 30, A. 2

L 'annunciazione della Beata Vergine

358

apostolus dicit,

l Cor. 1 4 [34-35], mulieres in ecclesiis taceant, et si quid velint discere, do­ mi viros suos interrogent. Ergo videtur quod

Le

Beatae Virgini debuit annuntiari mysterium incarnationis per aliquem virum, praesertim quia Ioseph, vir eius, super hoc fuit ab angelo instructus, ut legitur Matth. l [20-2 1 ] . 3 . Praeterea, nullus potest congrue annuntiare quod ignorat. Sed supremi angeli non piene cognoverunt incarnationis mysterium, unde Dionysius 7 cap. De cael. hier. [3], ex eorum persona dicit esse intelligendarn quaestionem quae ponitur Isaiae 63 [ l ] , quis est iste qui venit de Edom ? Ergo videtur quod per nullum angelum potuit convenienter Annuntiatio incamationis fieri. 4. Praeterea, maiora sunt per maiores nuntios annuntianda. Sed mysterium incarnationis est maximum inter omnia alia quae per angelos sunt hominibus annuntiata. Ergo videtur quod, si per aliquem angelum annuntiari debuit, quod annuntiandum fuit per aliquem de su­ premo ordine. Sed Gabriel non est de su­ premo ordine, sed de ordine Archangelorum, qui est penultimus, unde cantat Ecclesia [in Festo Purificationis B .M.V., die 2 Februarii, Ad Matutinum, Responsorium 9], Gabrielem

dell' incarnazione doveva essere annunziato alla Beata Vergine da un uomo; tanto più che Giuseppe, suo sposo, ne fu informato da un angelo, come si legge in Mt l [20]. 3. Nessuno può annunziare ciò che non cono­ sce. Ma gli angeli supremi non conoscevano pienamente il mistero dell' incarnazione, tanto che Dionigi attribuisce ad essi la domanda riferita in /s 63 [ l ] : Chi è costui che viene da Edom ? Quindi sembra che nessun angelo fosse in grado di annunziare adeguatamente l'incarnazione. 4. Più grande è il messaggio e più grande de­ ve essere il messaggero. Ma il mistero dell'in­ carnazione è il più grande fra tutti quelli che gli angeli hanno annunziato agli uomini. Se esso quindi doveva essere annunziato da un angelo, doveva essere affidato a un angelo dell'ordine supremo. Ma Gabriele non è del­ l'ordine supremo, bensì dell'ordine degli ar­ cangeli, che è il penultimo, come si rileva dal­ le parole della liturgia: «Sappiamo che a te ha parlato da parte di Dio l' arcangelo Gabriele». Quindi l'annunciazione non fu fatta conve­ nientemente attraverso l 'arcangelo Gabriele. In contrario: in Le l [26] è detto: L'angelo

Archangelum scimus divinitus te esse affatum. Non ergo huiusmodi Annuntiatio per Gabrie­ lem Archangelum convenienter facta est. Sed contra est quod dicitur Luc. l [26], mis­ sus est Gabriel angelus a Deo, et cetera. Respondeo dicendum quod conveniens fuit matri Dei annuntiari per angelum divinae incarnationis mysterium, propter tria. Primo quidem, ut in hoc etiarn servaretur divina or­ dinatio, secundum quarn mediantibus angelis divina ad homines perveniunt. Unde dicit Dionysius, 4 cap. De cael. hier. [4] , quod

divinum Iesu benignitatis mysterium angeli primum edocti sunt, postea per ipsos ad nos cognitionis gratia transivit. Sic igitur divinis­ simus Gabriel Zachariam quidem docebat prophetam esse futurum ex ipso, Mariam autem, quomodo in ipsa fieret thearchicum ineffabilis Dei formationis mysterium.

-

Secundo, hoc fuit conveniens reparationi hu­ manae, quae futura erat per Christum. Unde Beda dici t, in Homi lia [H. l , l In Festo An­ nuntiat. B .M.V.], aptum humanae restauratio­

nis principium ut angelus a Deo mitteretur ad Virginem partu consecrandam divino, quia

donne nelle assemblee tacciano, e se vo­ gliono imparare qualcosa interroghino a casa i loro mariti (l Cor 14,34). Quindi il mistero

Gabriele fu inviato da Dio...

Risposta: per tre motivi era conveniente che alla Madre di Dio il mistero dell' incarnazione divina fosse annunziato da un angelo. Primo, perché anche in quell'occasione fosse rispet­ tata la disposizione di Dio di comunicare i misteri divini agli uomini mediante gli angeli. Per cui scrive in proposito Dionigi: «Del mi­ stero divino della bontà di Gesù furono per primi edotti gli angeli, e poi attraverso di essi passò a noi la grazia di conoscerlo. Così dun­ que il divinissimo Gabriele informò Zaccaria che un profeta sarebbe nato da lui, e spiegò a Maria come in lei si sarebbe compiuto il su­ premo mistero della concezione dell'ineffabi­ le Dio». - Secondo, ciò conveniva alla rigene­ razione dell' uomo che Cristo avrebbe com­ piuto. «Era giusto», spiega infatti Beda, «che la salvezza dell'uomo avesse inizio con l'in­ vio di un angelo alla Vergine che doveva es­ sere consacrata dalla maternità divina: poiché la causa primordiale della rovina dell'uomo fu l 'invio del serpente da parte del diavolo

359

L 'annunciazione della Beata Vergine

prima perditionis humanae fuit causa cum serpens a Diabolo mittebatur ad mulierem spiritu superbiae decipiendam. Tertio, quia -

hoc congruebat virginitati matris Dei. Unde Hieronymus dicit in sermone Assumptionis [ep. 9 Ad Paulam et Eustoch.], bene angelus ad

Virginem mittitur, quia semper est angelis co­ gnata virginitas. Profecto in carne praeter car­ nem vivere non terrena vita est, sed caelestis. Ad primum ergo dicendum quod mater Dei superior erat angelis quantum ad dignitatem ad quam divinitus eligebatur. Sed quantum ad statum praesentis vitae, inferior erat angelis. Quia etiam ipse Christus, ratione passibilis vitae, modico ab angelis minoratus est, ut di­ citur Hebr. 2 [9] . Sed quia tamen Christus fuit viator et comprehensor, quantum ad cognitio­ nem divinorum non indigebat ab angeli s instrui. Sed mater Dei nondum erat in statu comprehensorum. Et ideo de divino conceptu per angelos instruenda erat. Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, in sermone De assumptione [De asuumpt. B.M.V 4], Beata Virgo Maria vera existimatione ab aliquibus generalibus ex­ cipitur. Quia nec conceptus multiplicavit, nec sub viri, idest mariti, potestate fuit, quae in­

tegerrimis visceribus de Spiritu Sancto Chri­ stum suscepit. Et ideo non debuit mediante

viro instrui de mysterio incarnationis, sed mediante angelo. Propter quod etiam ipsa prius est instructa quam Ioseph, nam ipsa instructa est ante conceptum, Ioseph autem post eius conceptum. Ad tertium dicendum quod, sicut patet ex auctoritate Dionysii inducta [DCH 4,4; 7,3], angeli incarnationis mysterium cognoverunt, sed tamen interrogant, perfectius scire cupien­ tes a Christo huius mysterii rationes, quae sunt incomprehensibiles omni creato intellectui . Unde Maximus dicit [Maximus Confessar, Quaest., interrog.et resp., interrog. 42] quod

utnmz angeli cognoverint fitturam incamatio­ nem, ambigere non opmtet. Latuit autem eos investigabilis Domini conceptio, atque modus qualiter totus in Genitore, totus manebat in omnibus, nec non et in Virginis cellula.

Ad quartum dicendum quod quidam [Bemar­ dus, De laudibus Virg. Matris l ; cf. In Univ. Test., super Luc. l ,26] dicunt Gabrielem fuisse de supremo ordine, propter hoc quod Grego­ rius dicit [In Ev. h. 2,34], summum angelum

Q. 30, A. 2

alla donna per ingannarla con uno spirito di superbia». - Terzo, ciò era in armonia con la verginità della Madre di Dio. Da cui le parole di Girolamo: «Era giusto che alla Vergine fos­ se mandato un angelo, poiché c'è sempre sta­ ta una parentela fra la verginità e gli angeli . E certamente non è una vita terrena, ma celeste, quella per cui si vive nella carne al di sopra della carne». Soluzione delle difficoltà: l . La Madre di Dio era superiore agli angeli per la dignità a cui Dio l'aveva eletta, ma era inferiore agli angeli quanto allo stato della vita presente. Poiché anche Cristo, a motivo della sua vita pa>. - Alcuni però dico­ no che la Beata Vergine, abituata alle appari­ zioni angeliche, non si turbò per la vista del­ l' angelo, ma per lo stupore di sentire ciò che l'angelo le diceva, poiché non pensava di se stessa cose tanto grandi. L'Evangelista infatti non dice che si turbò alla vista dell'angelo, ma a quelle parole [Le 1 ,29]. Articolo 4

Utrum Annuntiatio fuerit convenienti ordine perfecta

V annunciazione è stata fatta con il debito ordine?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod An­ nuntiatio non fuerit convenienti ordine per­ fecta [Luc. 1 ,26] . l . Dignitas enim matris Dei dependet ex prole concepta. Sed causa prius debet manifestari

Sembra di no. Infatti: l . La dignità della Madre di Dio dipende dal concepimento della prole. Ora, la causa deve essere manifestata prima dell'effetto. Quindi I' angelo doveva annunziare alla Vergine il

L 'annunciazione della Beata Vergine

363

quam effectus. Ergo primo debuit angelus Virgini annuntiare conceptum prolis, quam eius dignitatem exprimere eam salutando. 2. Praeterea, probatio aut praetermitti debet, in his quae dubia non sunt, aut praemitti, in his quae dubia esse possunt. Sed angelus pri­ mo videtur annuntiasse id de quo Virgo dubi­ taret, et dubitando quaereret, dicens, quomo­ do fiet isrud? [Luc. 1,34] et postea probatio­ nem adiunxit, tum ex exemplo Eli sabeth, tum ex Dei omnipotenti a. Ergo i n conven i enti ordine Annuntiatio per angelum est effecta. 3. Praeterea, maius non potest sufficienter probari per minus. Sed mai us fuit virginem parere quam vetulam. Ergo non fuit suffi ciens probatio angeli probantis conceptum Virginis ex conceptu senis. Sed contra est quod dicitur Rom. 1 3 [ l ], quae a Deo sunt, ordinata sunt. Angelus autem missus est a Deo ad hoc quod Virgini annun­ tiaret, ut dicitur L uc. l [26]. Ergo ordinatissi­ me fuit Annuntiatio per angelum completa. Respondeo dicendum quod Annuntiatio con­ gruo ordine per angelum est perfecta. Tri a enim angelus intendebat circa Virginem. Pri­ mo quidem, reddere mentem eius attentam ad tantae rei consi derati onem. Quod quidem fecit eam salutando quadam nova et insolita salutatione. Unde Origenes dicit, Super L uc. [interprete Hieronymo h. 6], quod, si scivisset

ad alium quempiam similem factum esse sermonem (utpote quae habebat legis scientiam), nunquam eam, quasi peregrina, talis salutatio terruisset. In qua quidem salu­

tatione praemisit idoneitatem eius ad concep­ tum, in eo quod dixit, grafia piena; expressit conceptum, in eo quod dixit, Dominus tecum; et praenuntiavit honorem consequentem, cum dixit, benedicta tu in mulieribus. Secundo autem, intendebat eam instruere de mysterio incarnationis, quod i n ea erat implendum. Quod quidem fecit praenuntiando conceptum et partum, dicens, ecce, concipies in utero, etc.; et ostendendo dignitatem proli s conceptae, cum dixit, hic erit magnus; et etiam demon­ strando modum conceptionis, cum dixit, Spiri­ tus Sanctus superveniet in te. Tertio, inten­ debat ani mum eius inducere ad consensum. Quod qui dem feci t exemplo Eli sabeth; et ratione ex divina omnipotentia sumpta. Ad primum ergo di cendum quod ani mo humili nihil est mirabilius quam auditus suae -

-

Q. 30, A. 4

concepimento della prole prima di esprimere la sua dignità con quel saluto. 2. La prova o va omessa, nelle cose non dub­ bie, oppure va premessa, in quelle che posso­ no essere dubbie. Invece l'angelo prima sem­ brò annunziare ciò che avrebbe suscitato il dubbi o della Vergi ne, per cui ella chi ese: Come avverrà questo?, e poi aggiunse la pro­ va, tratta sia dall'esempio di E lisabetta, sia dall'onnipotenza di Dio. Quindi l'annuncia­ zione dell'Angelo non fu fatta con il dovuto ordine. 3. n più non può essere provato con il meno. Ma la maternità di una vergine è più straordi­ naria della maternità di una donna anziana. Quindi l' argomento portato dali'angelo non era sufficiente a provare la concezione della Vergine. In contrari o: in Rm 1 3 [ l ] è detto: Ciò che viene da Dio, è con ordine. Ma l'angelo fu mandato da Dio perché annunciasse alla Ver­ gine, come è detto in Le l [26]. Quindi l' an­ nunci azi one dell'angelo fu fatta i n modo ordinatissimo. Risposta: l' annunciazione fu compiuta dal­ l' angelo nel modo conveni ente. Egli infatti aveva tre compiti riguardo alla Vergine. Pri­ mo, quello di rendere la sua intelli genza attenta alla considerazi one di un avvenimento così grande. Il che fece salutandola in manie­ ra nuova e insolita. Per cui Origene scrive che «se le fosse stato noto (con la conoscenza che aveva della legge) che un simile saluto era già stato rivolto ad altri, esso non le sarebbe sembrato strano e non l'avrebbe turbata». Ora, in quel saluto l'angelo pose al primo po­ sto l'idoneità della Vergine al concepimento con le parole: Piena di grazia; poi parlò del concepimento con le parole: Il Signore è con te, e finalmente dichiarò l'onore che ne sareb­ be deri vato dicendo: Benedetta tu tra le donne. - li secondo compito era invece quello di istruirla sul mistero dell'incarnazione che doveva compiersi in lei. E ciò egli fece prean­ nunziando la concezione e il parto: Ecco, tu concepirai..., poi esaltando la grandezza del figlio: Egli sarà grande, e finalmente spiegan­ do il modo della concezione: Lo Spirito Santo scenderà su di te. - Il terzo compito infine era quello di indurre la sua volontà al consenso. E ciò fece sia con l'esempio di Elisabetta, sia argomentando in base all' onnipotenza divina.

Q. 30, A. 4

L 'annunciazione della Beata Vergine

excellentiae. Admiratio autem maxime atten­ tionem animi facit. Et ideo angelus, volens mentem Virginis attentam reddere ad auditum tanti mysterii, ab eius laude incoepit. Ad secundum dicendum quod Ambrosius expresse dicit, Super Luc. [2 super 1 ,34], quod Beata Virgo de verbis angeli non dubitavit. Dicit enim, temperatior est Mariae responsio

quam verba sacerdotis. Haec ait, quomodofiet istud? Ille respondit, unde hoc sciam? Negat ille se credere, qui negat se scire ista. Non dubitat esse faciendum quod, quomodo fieri possit, inquirit. Augustinus tamen videtur dicere quod dubitaverit. Dicit enim, in libro Quaestionum veteris et novi Test. [Ambrosias­ ter, p. l , ex Nov. Test., q. 5 1], ambigenti Ma­

riae de conceptu, possibilitatem angelus prae­ dicat. Sed talis dubitatio magis est admirationis quam incredulitatis. Et ideo angelus probatio­ nem inducit, non ad auferendam infidelitatem, sed ad removendam eius admirationem. Ad tertium dicendum quod, sicut Ambrosius dicit, in Hexaemeron [cf. Chrysostomum, In Genesim h. 49; cf. etiam Ambrosium, In Luc. 2 super 1 ,39; 6, super 8,49; cf. In Hexaem. 5,20], ob hoc multae steriles praevenerunt, ut partus credatur virginis. Et ideo conceptus Elisabeth sterilis inducitur, non quasi suf­ ficiens argumentum, sed quasi quoddam fi­ gurale exemplum. Et ideo, ad confirmationem huius exempli, subditur argumentum efficax ex omnipotentia divina. QUAESTIO 3 1 DE MATERIA DE QUA CORPUS SALVATORIS CONCEPTUM EST Deinde considerandum est de ipsa conceptio­ ne Salvatoris. Et ptimo, quantum ad matetiam de qua corpus eius conceptum est; secundo, quantum ad conceptionis auctorem [q. 32]; tertio, quantum ad modum et ordinem con­ ceptionis [q. 33]. - Circa ptimum quaeruntur octo. Primo, utrum caro Christi fuerit sumpta ab Adam. Secundo, utrum fuerit sumpta de David. Tertio, de genealogia Christi quae in Evangeliis ponitur. Quarto, utrum decuerit Chtistum nasci de femina quinto, utrum fuerit de purissimis sanguinibus Virginis corpus eius formatum. Sexto, utrum caro Christi fue­ rit i n antiquis patribus secundum aliquid

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Soluzione delle difficoltà: l . Per un'anima umile non c'è nulla di più sorprendente che sentir proclamare la propria eccellenza. Ora, la sorpresa è la cosa che rende più attenti. Perciò l'angelo, volendo attirare l'attenzione della Vergine ali' ascolto di un così grande mistero, cominciò dalle sue lodi. 2. Ambrogio dichiara espressamente che la Beata Vergine non dubitò delle parole dell'an­ gelo. Dice infatti: «La Iisposta di Mruia è più misurata della risposta del sacerdote. Essa do­ manda: Come avverrà questo ? L'altro invece chiede: Come posso conoscere questo ? Ora, rifiuta di credere chi dice di non sapere. Non dubita invece che una cosa avvenga chi do­ manda come essa potrà avvenire». Agostino al contrario sembra ritenere che la Vergine abbia dubitato. Dice infatti: «A Mru·ia che era in dubbio circa il fatto del concepimento, l'angelo ne assicura la possibilità». Ma si trat­ ta di un dubbio di meraviglia piuttosto che di incredulità. Perciò l'angelo adduce la prova non per togliere l'incredulità, ma per rimuo­ vere lo stupore della Vergine. 3. Come osserva Ambrogio [Crisostomo], «la Scrittura riporta molti casi precedenti di sterili perché si credesse alla maternità di una vergi­ ne». Quindi la concezione della stetile Elisa­ betta è invocata non come un argomento pro­ balivo, ma come un esempio figurale. Per cui a confermare questo esempio l'angelo aggiunge l'argomento decisivo dell' onnipotenza divina. QUESTIONE 3 1 LA MATERIA A PARTIRE DALLA QUALE FU CONCEPITO IL CORPO DEL SALVATORE Passiamo ora a considerare il concepimento del Salvatore. Ptima parleremo della matetia a partire dalla quale il suo corpo fu concepito; secondo, dell'autore del concepimento; terzo, del suo modo e del suo ordine. - Sul ptimo argomento si pongono otto quesiti: l . !_,a car­ ne di Cristo è derivata da Adamo? 2. E deri­ vata da Davide? 3. Circa la genealogia di Cri­ sto riferita dai Vangeli; 4. Era conveniente che Cristo nascesse da una donna? 5. Il suo corpo è stato formato con il sangue più puro della Vergine? 6. La carne di Cristo era pre­ sente matetialmente negli antichi patriarchi?

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La materia a partire dalla quale fu concepito il corpo del Salvatore

signatum. Septimo, utrum caro Christi in pa­ tribus fuerit peccato obnoxia. Octavo, utrum fuerit decimata in lumbis Abrahae. Articulus l

Q. 3 l , A. l

7. La carne di Cristo nei padri è stata soggetta al peccato? 8. Essa ha pagato le decime in Abramo? Articolo l

Utrum caro Christi fuerit sumpta ex Adam

La carne di Cristo è derivata da Adamo?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod caro Christi non fuerit sumpta ex Adam. l. Dicit enim apostolus, l Cor. 15 [47], pri­

Sembra di no. Infatti: l . Paolo dice: Il primo uomo tratto dalla terra è

mus lwmo de terra, terrenus, secundus homo de caelo, caelestis. Primus autem homo est

Adam, secundus homo est Christus. Ergo Christus non est ex Adam, sed habet ab eo distinctam miginem. 2. Praeterea, conceptio Christi debuit esse maxime miraculosa. Sed maius est miracu­ lum formare corpus hominis ex limo terrae quam ex materia humana, quae de Adam trahitur. Ergo videtur quod non fuit conve­ niens Christum ab Adam carnem assumpsis­ se. Ergo videtur quod corpus Christi non debuit formari de massa humani generis deri­ vata ab Adam, sed de aliqua alia materia. 3 . Praeterea, peccatum in hunc mundum intravit per hominem unum, scilicet Adam, quia ornnes in eo gentes originaliter peccave­ runt, ut patet Rom. 5 [ 1 2]. Sed si corpus Chri­ sti fuisset ab Adam sumptum, ipse etiam in Adam originaliter fuisset quando peccavit. Ergo peccatum originale contraxisset. Quod non decebat Christi puritatem. Non ergo cor­ pus Christi est formatum de materia sumpta ab Adam. Sed contra est quod apostolus dicit, ad Hebr. 2 [ 1 6], nusquam angelos apprehendit, scilicet Filius Dei, sed semen Abrahae apprehendit. S e m e n autem Abrahae s u mptum est ab Adam. Ergo corpus Christi fuit formatum de materia ex Adam sumpta. Respondeo dicendum quod Christus huma­ nam naturam assumpsit ut eam a corruptione purgaret. Non autem purgatione indigebat hu­ mana natura nisi secundum quod infecta erat per originem vitiatam qua ex Adam descen­ debat. Et ideo conveniens fuit ut camem su­ meret ex materia ab Adam derivata, ut ipsa natura per assumptionem curaretur. Ad primum ergo dicendum quod secundus homo, idest Christus, dicitur esse de caelo non quidem quantum ad materiam corporis,

ten·eno, il secondo uomo che viene dal cielo è celeste (l Cor 1 5,47). Ma il primo uomo è

Adamo e il secondo è Cristo. Quindi Cristo non viene da Adamo, ma ha un'origine diversa 2. Il concepimento di Cristo doveva essere il più miracoloso possibile. Ma formare u n corpo umano dal fango della terra è u n mira­ colo maggiore che formarlo dalla materia umana trasmessa da Adamo. Perciò non era conveniente che Cristo assumesse la carne da Adamo. Quindi sembra che il corpo di Cristo non dovesse essere formato dalla massa del genere umano discendente da Adamo, ma da un' altra materia. 3. Il peccato è entrato in questo mondo per colpa di un solo uomo, cioè di Adamo, per­ ché in lui hanno peccato in origine tutte le genti, come risulta da Rm 5 [ 1 2]. Ma se i l corpo d i Cristo fosse stato preso da Adamo, anche Cristo in origine sarebbe stato i n Adamo quando questi peccò. Perciò avrebbe contratto il peccato originale. Il che però disdiceva al l a santità di Cristo. Quindi il corpo di Cristo non fu desunto dalla materia di Adamo. In contrario: in Eb 2 [16] è detto che il Figlio di Dio non ha assunto la natura angelica, ma il seme di Abramo. Ora, il seme di Abramo viene da Adamo. Quindi il corpo di Cristo è stato formato con la materia desunta da Adamo. Risposta: Cristo assunse la natura umana per purificarla dalla corruzione. Ma la natura umana non aveva bisogno di purificazione se non perché era stata macchiata nella sorgente corrotta di Adamo, da cui discendeva. Perciò era conveniente che Cristo prendesse la carne dalla materia derivante da Adamo, per risana­ re mediante l' assunzione la natura stessa. Soluzione delle difficoltà: l . Il secondo uomo, cioè Cristo, si dice che viene dal cielo non per la materia del suo corpo, ma per la virtù che

Q. 3 l, A. l

La materia a partire dalla qualefit concepito il corpo del Salvatore

sed vel quantum ad virtutem formativam cor­ poris; vel etiam quantum ad ipsam eius divi­ nitatem. Secundum autem materiam corpus Christi fuit terrenum, sicut et corpus Adae. Ad secundum dicendum quod, sicut supra [q. 29 a. l ad 2] dictum est, mysterium incar­ nationis Christi est quiddam miraculosum, non sicut ordinatum ad confirmationem fidei, sed sicut articulus fidei. Et ideo in mysterio incamationis non requiritur quid sit maius mi­ raculum, sicut in miraculis quae fiunt ad con­ tirmationem tidei, sed quid sit divinae sa­ pientiae convenientius, et magis expediens humanae saluti, quod requiritur in omnibus quae fidei sunt. Vel potest dici quod in myste­ rio incarnationis non solum attenditur mira­ culum ex materia conceptus, sed magis ex modo conceptionis et partus, quia scilicet vir­ go concepit et peperit Deum. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 1 5 a. ad 2] dictum est, corpus Christi fuit i n Adam secundum corpulentam substantiam, quia scilicet ipsa materia corporalis corporis Christi derivata est ab Adam, non autem fuit ibi secun­ dum seminalem rationem, quia non est con­ cepta ex virili semine. Et ideo non contraxit originale peccatum sicut et ceteri, qui ab Adam per viam virilis seminis derivantur. Articulus 2

366

lo ha formato, o anche per la sua natura divi­ na. Invece quanto alla materia il suo corpo era terreno come quello di Adamo. 2. Come si è detto sopra, il mistero dell'incar­ nazione non è un miracolo che deve confer­ mare la nostra fede, ma un suo articolo. Per­ ciò nel mistero dell'incarnazione non conta la grandezza del miracolo, come nei prodigi che avvengono a conferma della fede, ma conta la convenienza rispetto alla sapienza divina e alla salvezza umana, come in tutti gli articoli della nostra fede. Oppure si può rispondere che nel mistero dell 'incarnazione il miracolo non riguarda tanto la materia del concepimen­ to, quanto piuttosto il suo modo e quello del parto: poiché fu una vergine a concepire e a partorire Dio. 3. Come si è detto sopra, il corpo di Cristo fu in Adamo nella sua materialità, in quanto la materia stessa del corpo di Cristo discendeva da Adamo, ma non fu in lui secondo la forza genetica del seme, poiché la carne di Cristo non fu concepita da seme umano. Perciò egli non contrasse il peccato originale, come inve­ ce lo contraggono gli altri che discendono da Adamo seminalmente.

Articolo 2

Utrum Christus sumpserit carnem de semine David

Cristo ha desunto il corpo dal seme di Davide?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus non sumpserit camem de semine David. l . M atthaeus enim, genealogiam Chris t i texens, eam a d Ioseph perduxit. loseph autem non fuit pater Christi, ut supra [q. 28 a. l ad 1 -2] ostensum est. Non ergo videtur quod Christus de genere David descenderit. 2. Praeterea, Aaron fuit de tribu levi, ut patet Ex. 6 [ 1 6], Maria autem, mater Christi, co­ gnata dicitur Elisabeth, quae est filia Aaron, ut patet Luc. l [v. 5,36]. Cum ergo David de tribu luda fuerit, ut patet Matth. l [3 sqq.], videtur quod Christus de semine David non descenderit. 3. Praeterea, Ier. 22 [30] dicitur de Iechonia,

Sembra di no. Infatti: l . Matteo [ 1 ] , tessendo la genealogia di Cri­ sto, la fa arrivare fino a Giuseppe. Ma Giu­ seppe non fu padre di Cristo, come si è visto sopra. Quindi non sembra che Cristo discen­ desse da Davide. 2. Aronne era della tribù di Levi, come risulta da Es 6 [ 1 6] . Ora Maria, madre di Cristo, è detta parente di Elisabetta, che era figlia di Aronne [Le l ,5.36]. Poiché dunque Davide era della tribù di Giuda, sembra che Cristo non discendesse dalla sua stirpe. 3. Di Ieconia è detto: Registrate quest'uomo

scribe virum istum sterilem, nec enim erit de semine eius vir qui sedeat super solium Da­ vid. Sed de Christo dicitur Isaiae 9 [7], super

come sterile: infatti non ci sarà nessun uomo della sua stirpe che siederà sul tlvno di Davi­ de (Ger 22,30). Di Cristo invece è detto: Sie­ derà sul tJvno di Davide (ls 9,7). Quindi Cri­ sto non era della stirpe di leconia. Conse­ guentemente neppure della stirpe di Davide,

367

La materia a partire dalla qualefu concepito il corpo del Salvatore

solium David sedebit.

Ergo Christus non fuit de semine Iechoniae. Et per consequens nec de genere David, quia Matthaeus a David per Iechoniam seriem generationis perducit. Sed contra est quod dicitur Rom. l [3], quifac­

tus est ei ex semine David secundum camem. Respondeo dicendum quod Christus speciali­ ter duorum antiquorum patrum filius dicitur esse, Abrahae scilicet et David, ut patet Mat­ th. l [ l ] . Cuius est multiplex ratio. Prima quidem, quia ad hos specialiter de Christo re­ promissio t'acta est. Dictum est enim Abra­ hae, Gen. 22 [ 1 8] , benedicentur in semine tuo omnes gentes te1me, quod apostolus de Chri­ sto exponit, dicens, Gal. 3 [ 1 6] , Abrahae

dictae sunt promissiones, et semini eius. Non dicit "et seminibus ", quasi in multis, sed, quasi in uno, "et semini tuo ", qui est Chri­ stus. Ad David autem dictum est [Ps. 1 3 1 , 1 1], de fructu ventris tui ponam super sedem tuam. Unde et populi Iudaeorum, ut regem honorifice suscipientes, dicebant, Matth. 2 1 [9], hosanna Filio David. - Secunda ratio est

quia Christus futurus erat rex, propheta et sacerdos. Abraham autem sacerdos fuit, ut patet ex hoc quod Dominus dixit ad eum, Gen. 15 [9], sume tibi vaccam triennem, et cetera. Fuit etiam propheta, secundum i d quod dicitur Gen. 20 [7] , propheta est, et orabit pro te. David autem rex fuit et prophe­ ta. - Tertia ratio est quia in Abraham primo incoepit circumcisio [Gen. 17, 1 0], in David autem maxime manifestata est Dei electio, secundum illud quod dicitur l Reg. 1 3 [ 1 4],

quaesivit sibi Dominus virum iuxta cor suum. Et ideo utriusque filius Christus specialissime dicitur, ut ostendatur esse in salutem circum­ cisioni et electioni gentilium. Ad primum ergo dicendum quod obiectio fuit Fausti Manichaei [apud Augustinus, Contra Faustum 23,3], volentis probare Christum non esse filium David, quia non est conceptus ex Ioseph, usque ad quem seriem generationis Matthaeus perducit. Contra quod Augustinus respondet, 23 libro Contra Faustum [8 9] , quod, cum idem Evangelista dicat virum Ma­ -

riae esse Ioseph, et Christi matrem Virginem esse, et Christwn ex semine David, quid restat nisi credere Mariam non fuisse extraneam a cognatione David; et eam Ioseph coniugem non frustra appellatam, propter animo rum confoederationem, quamvis ei non fuerit

Q. 3 l , A. 2

poiché Matteo [ 1 ,6] fa derivare la genealogia di Cristo da Davide attraverso Ieconia. In contrario: in Rm l [3] è detto: [Cristo] è

nato dalla stirpe di Davide secondo la carne. Risposta: come risulta da Mt l [ 1 ] , Cristo è chiamato a titolo speciale figlio di due antichi padri, cioè di Abramo e di Davide. E le ra­ gioni sono molteplici. La prima è che a loro i n modo speciale fu promesso i l Messia. Infatti ad Abramo fu detto: Saranno benedet­

te nella tua discendenza tutte le nazioni della terra (Gen 22, 1 8). E Paolo riferisce a Cristo tale profezia scrivendo: È ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. La Scrittura non dice "e ai tuoi discendenti", come se si trattasse di molti, ma dice "e alla tua discendenza ", come a uno solo, cioè a Cristo (Gal 3, 1 6). A Davide poi fu detto: Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono [Sa/ 1 3 1 , 1 1 ] . Per cui le folle dei Giudei,

tributando a Cristo onori regali, lo acclama­ rono con le paro l e : Osanna al Figlio di Davide [Mt 2 1 ,9]. - La seconda ragione è che Cristo sarebbe stato re, profeta e sacerdote. Ora, Abramo fu sacerdote, come risulta dali' ordine che Dio gli diede: Prendimi una giovenca di tre anni... [Gen 1 5,9]. Fu inoltre profeta, secondo quelle parole: Egli è un profeta: preghi egli per te [Gen 20,7]. Davide poi fu re e profeta. - La terza ragione è che in Abramo ebbe inizio per la prima volta la cir­ concisione [Gen 17, 1 0], mentre in Davide si manifestò con la massima evidenza la scelta di Dio, secondo le parole di l Sam 1 3 [ 1 4] : Il

Signore si è già scelto un uomo secondo il suo cuore. Perciò Cristo è chiamato in modo

specialissimo figlio dell'uno e dell' altro per far capire che egli è la salvezza tanto dei Circoncisi quanto degli eletti fra i Gentili. Soluzione delle difficoltà: l . Era questa l'o­ biezione del manicheo Fausto, il quale voleva provare che Cristo non sarebbe stato figlio di Davide, poiché non fu concepito per opera di Giuseppe, col quale si chiude la genealogia di Matteo. Ma contro questo argomento Agosti­ no risponde: «S iccome per i l medesimo Evangelista Giuseppe era lo sposo di Maria, la madre di Cristo era vergine e Cristo discen­ deva dalla stitpe di Davide, che cosa rimane da pensare se non che Maria apparteneva alla stirpe di Davide, che essa con ragione è chia­ mata sposa di Giuseppe per l ' unione degli

Q. 3 1 , A. 2

La materia a partire dalla qualefit concepito il corpo del Salvatore

carne commixtus; et quod potius propter dignitatem virilem ordo generationum ad Ioseph perducitur? Sic ergo nos credimus etiam Mariam fuisse in cognatione David, quia Scripturis credimus, quae utrumque di­ cunt, et Christum ex semine David secundum camem, et eius matrem Mariam, non cum vi­ ro concumbendo, sed virginem. Ut enim dicit Hieronymus, Super Matth. [ l super 1 , 1 8], ex una tribu fuit loseph et Maria, unde et secundum legem eam accipere cogebatur ut propinquam. Propter quod et simul censentur in Bethlehem, quasi de una stirpe generati. Ad secundum dicendum quod buie obiectioni Gregorius Nazianzenus [Carmina 1 , 1 , 1 8; cf. Beda, In Luc. l , super 1 ,36] respondet dicens quod hoc nutu superno contigit, ut regium genus sacerdotali s t i rpi i u n geretur, u t Christus, qui rex est et sacerdos, ab utrisque nasceretur secundum carnem. Unde et Aaron, qui fuit primus sacerdos secundum legem, duxit ex tribu Iudae coniugem E l isabeth, filiam Aminadab. Sic ergo potuit fieri ut pater Elisabeth aliquam uxorem habuerit de stirpe David, ratione cuius Beata Virgo Maria, quae fuit de stirpe David, esset Elisabeth cognata. Vel potius e converso quod pater B eatae Mariae, de stirpe David existens, uxorem ha­ buerit de stirpe Aaron. - Vel, sicut Augustinus dicit, 23 Contra Faustum [9] , si Ioachim, pater Mariae, de stirpe Aaron fuit (ut Faustus haereticus per quasdam Scripturas apocry­ phas asserebat) [apud Aug., Contra Faustum 23,4; cf. Evang. infantiae 1 -4], credendum est quod mater Ioachi m fuerit de stirpe David, vel etiam uxor eius, ita quod per aliquem modum dicamus Mariam fuisse de progenie David. Ad tertium dicendum quod per illam auctori­ tatem propheticam, sicut Ambrosius dicit, Su­ per Luc. [3 super 3,28], non negatur ex semi­

ne lechoniae posteros nascituros. Et ideo de semine eius Christus est. Et quod regnavit Christus, non contra prophetiam est, non enim saeculari honore regnavit; ipse enim dixit [Ioan. 1 8,36], "regnum meum non est de hoc mundo ".

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animi e non per l ' unione carnale, e che l a genealogia venne protratta fino a Giuseppe soprattutto per la superiore dignità maschile? Così dunque noi crediamo che anche Maria era della famiglia di Davide, poiché crediamo alle Scritture che attestano ambedue le cose: che cioè Cristo era della stirpe di Davide se­ condo la carne e che Maria fu sua madre non per l'unione carnale con lo sposo, ma rima­ nendo vergine». Come infatti scrive Girola­ mo, «Giuseppe era della medesima tribù di Maria, per cui la legge lo obbligava a pren­ derla in moglie come parente. Ed è per questo che essi sono anche censiti insieme a Betlem­ me, in quanto appartenenti a un'unica stirpe». 2. A questa difficoltà Gregorio Nazianzeno [Beda] risponde che per volontà divina furono unite insieme una famiglia regale e una fami­ glia sacerdotale, affinché Cristo, che è re e sacerdote, nascesse secondo la carne dall'una e dall'altra. Per cui anche Aronne, che fu il primo sacerdote della legge, prese in moglie dalla tribù di Giuda Elisabetta, figlia di Ami­ nadab [Es 6,23] . Può darsi dunque che il padre di Elisabetta avesse avuto per moglie una della stirpe di Davide, per cui la Beata Vergine Maria, che era della famiglia di Davi­ de, risultava parente di Elisabetta. Oppure, al contrario, il padre della Beata Mmia, che era della stirpe di Davide, potrebbe avere sposato una della stirpe di Aronne. - Oppure, come pensa Agostino, se Gioacchino, padre di Ma­ ria, era della stirpe di Aronne (come l'eretico Fausto asserisce, basandosi sugli apocrifi), c'è da ritenere che la madre o la moglie di Gioac­ chino fosse della stirpe di Davide, per cui possiamo dire in qualche modo che Maria discendeva da Davide. 3. Come osserva Ambrogio, la profezia citata «non dice che dalla stirpe di leconia non sarebbero nati dei discendenti. Cristo perciò è della sua stirpe. Né contraddice la profezia il fatto che Cristo sia re, poiché non lo è alla maniera terrena, avendo egli detto: Il mio

regno non è di questo mondo».

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La materia a partire dalla quale fu concepito il corpo del Salvatore Articulus 3

Q. 3 1 , A. 3

Articolo 3

Utrum genealogia Christi convenienter ab Evangelistis texatur

La genealogia di Cristo è ben redatta dagli Evangelisti?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ge­ nealogia Christi inconvenienter ab Evange­ listis texatur [Matth. l ; Luc. 3,3]. l . Dicitur enim Isaiae 53 [8] de Christo, gene­ rationem eius quis enarrabit? Ergo non fuit Christi generatio enarranda. 2. Praeterea, impossibile est unum hominem duos patres habere. Sed Matthaeus dicit [Matth. 1 , 1 6; Luc. 3,23] quod Iacob genuit Ioseph, vi­ mm Mariae, Luca>. Quindi, come spiega il Crisostomo, «quante benedizioni discesero su Iehu, per avere egli fatto giustizia della ca­ sa di Acab e di Gezabele, altrettante maledi­ zioni si rovesciarono sulla casa di loram, at­ tirate dalla figlia dell'empio Acab e di Geza­ bele, tanto che i suoi figli furono radiati dal numero dei re fino alla quarta generazione, secondo la minaccia di Es 20 [5] : Punirò l'iniquità dei padri nei figli fino alla terza e alla qua11a generazione». Bisogna poi con­ siderare che anche altri re, i nseriti nella genealogia di Cristo, furono peccatori, ma la loro empietà non fu continua. E lo rileva il libro Questioni del Nuovo e dell'Antico Testa­ mento dicendo: «Salomone conservò il regno per i meriti di suo padre, Roboamo per i meri­ ti di suo nipote Asa, figlio di Abia. L'empietà invece dei tre re [Ioas, Amasia e Azaria] non ebbe interruzioni». 5. Come dice Girolamo, «nella genealogia del Salvatore non si ricordano donne sante, bensì donne che la Scrittura condanna, a significare che egli venendo per i peccatori e nascendo da peccatrici, avrebbe cancellato i peccati di tutti». E così è ricordata Tamar, riprovevole per i l peccato con il suocero; Raab, che era una prostituta; Rut, che era una straniera; infi­ ne Betsabea, moglie di Uria, che fu adultera. Quest'ultima però non è ticordata col suo nome, ma con quello del marito, sia per indi­ care il suo peccato, essendo essa consapevole dell'adulterio e dell'omicidio, sia per richia­ mare il peccato di Davide rammentando il marito della donna. Luca invece non fa cenno -

Q. 3 l , A. 3

La materia a partire dalla qualefit concepito il corpo del Salvatore

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dendum quod et alli reges fuerunt peccatores, qui in genealogia Christi ponuntur, sed non fuit eorum continua impietas. Nam, ut dicitur in libro Quaest. Novi et Vet. Test. [Ambro­ siaster, p. l , ex Nov. Test., q. 85], Salomon merito patris sui remissus in regno est, Ro­ boam merito Asae, filii Abiae, filii sui. Horum autem trium continuafuit impietas. Ad quintum dicendum quod, sicut Hieronymus dicit, Super Matth. [ l super 1 ,3], in genealo­ gia Salvatoris nulla sanctarum mulierum as­ sumitur, sed eas quas Scriptura reprehendit, ut qui propter peccatores venerat, de peccato­ ribus nascens, omnium peccata deleret. Unde ponitur Thamar, quae reprehenditur de soce­ rino concubitu; et Rahab, quae fuit meretrix; et Ruth, quae fuit alienigena; et Bethsabee, uxor Uriae, quae fuit adultera. Quae tamen proprio nomine non ponitur, sed ex nomine viri designatur, tum propter peccatum ipsius, quia fuit adulterii et homicidii conscia; tum etiam ut, nominato viro, peccatum David ad memoriam revocetur. Et quia Lucas Christum designare intendit ut peccatorum expiatorem, talium mulierum mentionem non facit. Fratres autem Iudae commemorat, ut ostendat eos ad Dei populum pertinere, cum tamen Ismael, frater Isaac, et Esau, frater Iacob, a populo Dei fuerint separati ; propter quod in generatione Christi non commemorantur. Et etiam ut superbiam de nobilitate excludat, multi enim fratrum Iudae ex ancillis nati fuerunt, sed omnes simul erant patriarchae et tribuum principes. Phares autem et Zaram simul nominantur, ut Ambrosius dicit, Super Luc. [3 super 3,23], quia per eos gemina de­ scribitur vita populorum, una secundum legem, quae significatur per Zaram; altera per fidem, quae significatur per Phares. Fratres autem Iechoniae ponit, quia omnes regnave­ runt diversis temporibus, quod in aliis regibus non acciderat. Vel quia eorum similis fuit et iniquitas et miseria.

di queste donne perché intende presentare Cristo come espiatore dei peccati. - Matteo poi ricorda i fratelli di Giuda per mostrare che appartengono al popolo di Dio, mentre man­ cano nella genealogia di Cristo Ismaele, fra­ tello di !sacco, ed Esaù, fratello di Giacobbe, in quanto esclusi da tale popolo. E anche per condannare l'orgoglio nobiliare. Infatti molti dei fratelli di Giuda erano nati da schiave, ma ciò nonostante furono ugualmente patriarchi e capi di tribù. Fares e Zara sono poi nominati insieme poiché, come scrive Ambrogio, «rap­ presentano la duplice vita dei popoli: una secondo la legge», raffigurata da Zara, «l'altra secondo la fede», raffigurata da Fares. Matteo infine ricorda i fratelli di Ieconia giacché tutti regnarono in tempi diversi, il che non era accaduto per gli altri re. Oppure perché furo­ no simili nel peccato e nella sventura.

Articulus 4 Utrum materia corporis Christi debuerit esse assumpta de femina

Articolo 4 La materia del corpo di Cristo doveva essere tratta da una donna?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ma­ teria corporis Christi non debuit esse assump­ ta de femina. l . Sexus enim masculinus est nobilior quam

Sembra di no. Infatti: l . li sesso maschile è più nobile del sesso femminile. Ora, c'era la massima convenien­ za che Cristo assumesse ciò che è perfetto

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La materia a partire dalla qualefu concepito il corpo del Salvatore

sexus femininus. Sed maxime decuit ut Christus assumeret id quod est perfectum in humana natura. Ergo non videtur quod debuerit de fe­ mina camem assumere, sed magis de viro, si­ cut Heva de costa viri formata est [Gen. 2,2 1 ] . 2. Praeterea, quicumque ex femina concipitur, utero feminae includitur. Sed Deo, qui caelum et terram implet, ut dicitur Ier. 23 [24], non competit ut parvo feminae utero includatur. Er­ go videtur quod non debuit concipi de femina. 3. Praeterea, illi qui concipiuntur ex t'emina, quandam immunditiam patiuntur, ut dicitur lob 25 [4], nunquid iustificari potest homo compa­ ratus Deo ? Aut apparere mundus natus de muliere? Sed in Christo nulla immunditia esse debuit, ipse enim est Dei sapientia, de qua dicitur, Sap. 7 [25], quod nihil inquinatum in illam incurrit. Ergo non videtur quod debuerit camem assumpsisse de femina. Sed contra est quod dicitur Gal. 4 [4], misit Deus Filium suumfactum ex muliere. Respondeo dicendum quod, licet Filius Dei camem humanam assumere potuerit de qua­ cumque materia voluisset, convenientissi­ mum tamen fuit ut de femina camem accipe­ ret. Primo quidem, quia per hoc tota humana natura nobilitata est. Unde Augustinus dicit, in libro Octoginta trium Q. [ 1 1], hominis libe­ ratio in utroque sexu debuit apparere. Ergo, quia virum oportebat suscipere, qui sexus honorabilior est, conveniens erat ut feminei sexus liberatio hinc appareret quia ille vir de femina natus est. Secundo, quia per hoc veritas incarnationis adstruitur. Unde Ambro­ sius dicit, in libro De incarnatione [6], multa secundum naturam invenies, et ultra naturam. Secundum conditionem etenim naturae in utero, feminei scilicet corporis,jùit; sed supra conditionem virgo concepit, virgo generavi!, ut crederes quia Deus erat qui innovabat na­ turam; et homo erat, qui secu11dwn naturam 11ascebatur ex homine. Et Augustinus dicit, in Epistola ad Volusianum [ 1 37, 3 ], si omnipo­ tens Deus hominem, ubicumque fonnatum, 11011 ex materno utero crearet, sed repentinum inferTet aspectibus, nonne opinionem confir­ maret erroris; nec hominem verwn suscepisse ullo modo crederetur; et, dum omnia mù·abi­ liter facit, auferret quod misericorditerfecit? Nunc vero ita inter Deum et hominem media­ tor apparuit ut, in unitate personae copulans utramque naturam, et solita sublimaret -

Q. 3 l , A. 4

nella natura umana. Quindi, sembra che egli non dovesse assumere la carne da una donna, ma piuttosto da un uomo, come da una costo­ la dell'uomo fu formata Eva. 2. Chiunque è concepito da una donna rimane chiuso nel suo seno. Ma Dio che riempie il cielo e la terra (Ger 23,24) non può chiudersi nel piccolo seno di una donna. Quindi, sem­ bra che non dovesse essere concepito da una donna. 3. Quanti sono concepiti da una donna con­ traggono una certa impurità, come è detto in Gb 25 [4]: Quale uomo può esser mai giusti­ ficato a conftvnto di Dio ? O apparire puro quando è nato da donna? Ma in Cristo non ci doveva essere alcuna impurità, essendo egli la Sapienza di Dio [l Cor 1 ,24], di cui si legge che nulla di contaminato si infiltra in essa (Sap 7,25). Quindi, sembra che Cristo non dovesse assumere il corpo da una donna. In contrario: in Gal 4 [4] è detto: Dio mandò il suo Figlio, nato da donna. Risposta: per quanto il Figlio di Dio avesse potuto assumere la carne umana da qualun­ que materia, a suo piacimento, tuttavia era convenientissimo che la assumesse da una donna. Primo, perché in tal modo fu nobilitata tutta la natura umana. Da cui le parole di Agostino: «La liberazione dell'umanità dove­ va manifestarsi in ambedue i sessi. Se dunque era opportuno che [il Verbo] assumesse un uomo, perché è il sesso più nobile, conveniva tuttavia che la liberazione del sesso femminile apparisse nel fatto che quell'uomo era nato da una donna». - Secondo, perché ciò dà risalto alla verità dell'incarnazione. Per cui Ambro­ gio scrive: «Trovi molte cose naturali e altre soprannaturali. Secondo le leggi della natura Cristo è stato racchiuso nel seno», di una donna, «ma al di là delle leggi di natura una vergine lo ha concepito e una vergine lo ha partorito: affinché tu lo credessi Dio, veden­ dolo cambiare la natura; e lo credessi uomo, perché nato da una donna secondo le leggi naturali». E Agostino scrive: «Se Dio onnipo­ tente non avesse prodotto nell'utero materno l'uomo assunto, ma lo avesse formato in qua­ lunque altro modo, presentandolo improvvi­ samente, non avrebbe forse confermato l'er­ rore di chi nega che egli abbia assunto un ve­ ro uomo, e non avrebbe forse eliminato l'a­ spetto misericordioso di ciò che compiva in

Q. 3 l, A. 4

La materia a partire dalla qualefit concepito il corpo del Salvatore

Ter­ tio, quia per hunc modum completur omnis diversitas generationis humanae. Narn primus homo productus est ex limo terrae sine viro et femina; Heva vero producta est ex viro sine femina; ceteri vero homines producuntur ex viro et femina. Unde hoc quartum quasi Chri­ sto proprium relinquebatur, ut produceretur ex femina sine viro. Ad primum ergo dicendum quod sexus ma­ sculinus est nobilior quarn femineus, ideo hu­ manarn naturarn in masculino sexu assumpsit. Ne tamen sexus femininus contemneretur, congruum fuit ut camem assumeret de femi­ na. Unde Augustinus dicit, in libro De agone christiano [ 1 1 ], nolite vos ipsos contemnere,

insolitis, et insolita solitis temperaret.

-

viri, Filius Dei virum suscepit. Nolite vos ipsas contemnere, feminae, Filius Dei natus est exfemina.

Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, 23 libro Contra Faustum [ 1 0], qui hac obiectione utebatur, non piane, inquit,

Catholica fides, quae Christum, Dei Filium, natum secundum carnem credit ex Virgine ullo modo eundem Dei Filium sic in utero mulieris includit quasi extra non sit, quasi caeli et terrae administrationem deseruerit, quasi a patre recesserit. Sed vos, Manichaei, corde ilio quo nihil potestis nisi corporalia phantasmata cogitare, ista omnino non capitis. Ut enim dicit in Epistola ad Volusia­ num [ 1 37,2], hominum iste sensus est nihil nisi corpora valentium cogitare, quorum nullum potest esse ubique totum, quoniam per innumerabiles partes aliud alibi habeat necesse est. Longe aliud est natura animae quam cmporis. Quanto magis Dei, qui crea­ tar est animae et corporis. Novit ubique totus esse, et nullo contineri loco; novit venire, non recedendo ubi erat; novit abire, non deseren­ do quo venerat. Ad tertium dicendum quod in conceptione viri ex femina non est aliquid immundum inquan­ tum est opus Dei, unde dicitur Act. 10 [15],

quod Deus creavit, tu ne commune dixeris,

idest immundum. Est tamen aliqua ibi im­ munditia ex peccato proveniens, prout cum libidine aliquis concipitur ex commixtione maris et feminae. Quod tamen in Christo non fuit, ut supra [q. 28 a. l ] ostensum est. Si tamen aliqua ibi esset immunditia, ex ea non inquinaretur Dei Verbum, quod nullo modo

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modo miracoloso? Invece il mediatore fra Dio e l'uomo, unendo in una sola persona le due nature, comparve in modo da sublimare l'abituale con l'insolito, e attenuare l'insolito con l'abituale». - Terzo, perché vengono così a completarsi i modi diversi della generazione umana. Infatti Adamo fu plasmato dal fango della terra [Gen 2,7] senza l'intervento del­ l'uomo e della donna; Eva fu tratta dall'uomo senza il concorso della donna; gli altri uomini nascono dal concorso dell'uomo e della don­ na. Rimaneva dunque un quarto modo riser­ vato a Cristo: di nascere da una donna senza il concorso dell'uomo. Soluzione delle difficoltà: l . Il sesso maschile è più nobile di quello femminile, e perciò Cri­ sto assunse la natura umana nel sesso maschi­ le. Ma perché il sesso femminile non fosse esposto al disprezzo, era bene che egli assu­ messe la carne da una donna. Da cui le parole di Agostino: «Uomini, non mancate di stima verso voi stessi: il Figlio di Dio ha assunto un uomo. Donne, non mancate di stima verso voi stesse: il Figlio di Dio è nato da una donna». 2. Contro Fausto, che avanzava questa obie­ zione, Agostino risponde: «L a fede cattolica, la quale crede che Cristo, Figlio di Dio, è nato da una Vergine secondo la carne, certamente non intende chiudere il Figlio di Dio nel seno di una donna così da escludere la sua presen­ za altrove, come se egli avesse abbandonato il governo del cielo e della terra e si fosse allon­ tanato dal Padre. Piuttosto voi, o Manichei, non comprendete in alcun modo questi miste­ ri, avendo un cuore incapace di superare le immagini corporee». E altrove ribadisce il concetto: «Sono uomini capaci soltanto di rappresentarsi dei corpi, nessuno dei quali può essere tutto in ogni luogo, poiché neces­ sariamente distribuisce in più luoghi le sue innumerevoli parti. Ma la natura dell'anima è ben diversa da quella del corpo. Quanto più dunque la natura di Dio, che è il Creatore del­ l'anima e del corpo! Egli sa essere tutto do­ vunque senza essere contenuto in alcun luo­ go, sa venire senza abbandonare il luogo dov'era, sa andarsene senza abbandonare il luogo che prima occupava>>. 3. Nella concezione di un uomo da parte di una donna non c'è nulla di impuro, se ciò è considerato come opera di Dio, secondo le parole di A t 10 [ 1 5]: Ciò che Dio ha creato, tu

377

La materia a partire dalla quale fu concepito il corpo del Salvatore

est mutabile. Unde Augustinus dicit, in libro Contra quinque haereses [inter opera Aug., c. 5],

dicit Deus, Creator hominis, quid est quod te pennovet in mea nativitate? Non sum libidi­ nis conceptus cupiditate. Ego matrem de qua nasceret; feci. Si solis radius cloacarum sor­ des siccare novit, eis inquinari non novit mul­ to tnagis splendor lucis aetemae quocumque radiaverit mundare potest, ipse pollui non potest.

Q. 3 l , A. 4

non lo chiamerai profano, cioè impuro. C'è tuttavia una qualche impurità a causa del pec­ cato, in quanto il concepimento avviene attra­ verso l' unione tra l' uomo e la donna accom­ pagnata dalla libidine. Questo però non è il caso di Cristo, come si è visto sopra. Tuttavia, posto anche che ci fosse una qualche impu­ rità, essa non avrebbe potuto colpire il Verbo di Dio, che è assolutamente immutabile. Da cui le parole di Agostino: «Dio, Creatore del­ l'uomo, domanda: Che cosa ti turba nella mia nascita? Non sono stato concepito per impul­ so di libidine. Ho fatto io la madre da cui sarei nato. Se i raggi del sole possono asciu­ gare la melma delle fogne senza imbrattarsi, molto più lo splendore dell'eterna luce può purificare tutto ciò che essa irradia senza esserne macchiato».

Articulus 5

Articolo 5

Utrum caro Christi fuerit concepta ex purissimis sanguinibus Virginis

La carne di Cristo è stata tratta dal più puro sangue della Vergine?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod caro Christi non fuerit concepta ex purissimis sanguinibus Virginis. l . Dicitur enim in Collecta [In Festo Annun­ tiat. B .M . V.] quod Deus Verbum suum de Virgine camem sumere voluit. Sed caro differt a sangu ine. Ergo corpus Christi non est sumptum de sanguine Virginis. 2. Praeterea, sicut mulier formata est miracu­ lose de viro, ita corpus Christi miraculose formatum est de Virgine. Sed mulier non dici­ tur esse formata de sanguine viri, sed magis de carne et ossibus eius, secundum illud quod dicitur Gen. 2 [23], hoc nunc os ex ossibus meis, et caro de carne mea. Ergo videtur quod nec etiam corpus Christi formati debue­ rit de sanguine Virginis, sed de carnibus et ossibus eius. 3. Praeterea, corpus Christi fuit eiusdem speciei cum corporibus aliomm hominum. Sed corpora aliorum hominum non formantur ex purissimo sangui ne, sed ex semine et sanguine menstruo. Ergo videtur quod nec etiam corpus Christi fuerit conceptum ex purissimis sanguinibus Virginis. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 2], quod Filius Dei construxit

Sembra di no. Infatti: l . In una preghiera di colletta si dice che Dio «volle che il suo Verbo assumesse la carne dalla Vergine». Ma la carne non è il sangue. Quindi il corpo di Cristo non fu preso dal san­ gue della Vergine. 2. Come Eva fu formata miracolosamente dal corpo di Adamo, così il corpo di Cristo fu for­ mato miracolosamente dalla Vergine. Ma non si dice che Eva fu formata dal sangue di Adamo, bensì dalla sua carne e dalle sue ossa, come è detto in Gen 2 [23 ] : Essa è carne dalla mia carne e ossa dalle mie ossa. Quin­ di, sembra che neppure il corpo di Cristo dovesse essere formato dal sangue della Vergine, ma dalle sue carni e dalle sue ossa. 3. n corpo di Cristo era della medesima spe­ cie del corpo degli altri uomini. Ma il corpo degli altri uomini non si forma dal sangue più puro, bensì dal seme e dal sangue mestruale. Quindi, sembra che neppure il corpo di Cristo sia stato concepito dal sangue più puro della Vergine. In contrruio: il Damasceno dichiara che «il Figlio di Dio con il casto e più puro sangue della Vergine si costruì un corpo animato dal­ l'anima razionale». Risposta: come si è già notato, nel concepi­ mento di Cristo fu naturale il nascere da una

sibi ipsi ex castis et purissimis sanguinibus Virginis carnem animatam anima rationali.

Q. 3 l , A. 5

La materia a partire dalla qualefit concepito il corpo del Salvatore

Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 4] dictum est, in conceptione Christi fuit secun­ dum conditionem naturae quod est natus ex fernina, sed supra conditionem naturae quod est natus ex virgine. Habet autem hoc natura­ lis conditio, quod i n generatione animalis femina materiam ministret, ex parte autem maris sit activum principium in generatione, sicut probat philosophus, in libro De genera­ tione animalium [ 1 ,2.20; 2,4; 4, 1 ] . Femina autem quae ex mare concipit, non est virgo. Et ideo ad supernaturalem modum generatio­ nis Christi pertinet quod activum principium in generatione illa fuerit virtus supernaturalis divina, sed ad naturalem modum generationis eius pertinet quod materia de qua corpus eius conceptum est, sit conforrnis materiae quam aliae feminae subministrant ad conceptionem prolis. Haec autem materia, secundum philo­ sophum, in libro De generat. animai. [ 1 ,19], est sanguis mulieris, non quicumque, sed per­ ductus ad quandam ampliorem digestionem per virtutem generativam matris, ut sit mate­ ria apta ad conceptum. Et ideo ex tali materia fuit corpus Christi conceptum. Ad primum ergo dicendum quod, cum Beata Virgo fuerit eiusdem naturae cum aliis ferni­ nis, consequens est quod habuerit carnem et ossa eiusdem naturae. Carnes autem et ossa in aliis ferninis sunt actuales corporis partes, ex quibus constituitur integritas corporis, et ideo subtrahi non possunt sine corruptione corpo­ ris vel derninutione. Christus autem, qui vene­ rat corrupta reparare, nullam corruptionem aut deminutionem integritati matris eius infer­ re debuit. Et ideo non debuit corpus Christi fonnari de carne vel ossibus Virginis, sed de sanguine, qui nondum est actu pars, sed est potentia totum, ut dicitur in libro De generat. animai. [ 1 , 1 9; cf. De part. an. 3,5 ]. Et ideo dicitur carnem de Virgine sumpsisse, non quod materia corporis fuerit actu caro, sed sanguis, qui est potentia caro. Ad secundum dicendum quod, sicut in prima parte [q. 92 a. 3 ad 2] dictum est, Adam, quia institutus erat ut principium quoddam huma­ nae naturae, habebat in suo corpore aliquid carnis et ossis quod non pertinebat ad integri­ tatem personalem ipsius, sed solum inquan­ tum erat naturae humanae principium. Et de tali formata est mulier, absque viri detri­ mento. Sed nihil tale fuit in corpore Virginis,

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donna, ma fu soprannaturale il nascere da una vergine. Ora, è legge naturale che nella gene­ razione la donna somministri la materia e l 'uomo ne sia invece il principio attivo, come dimostra il Filosofo. Ma la donna che conce­ pisce dietro il concorso dell'uomo non è ver­ gine. Perciò il carattere soprannaturale della generazione di Cristo implica che in essa il principio attivo sia stata la virtù pretematurale di Dio, mentre il suo aspetto naturale implica che la materia con cui fu concepito il suo corpo sia uguale alla materia che le altre don­ ne somministrano per il concepimento della prole. Ora, secondo il Filosofo, questa mate­ ria è il sangue della donna, elaborato però dalla virtù generativa della madre per render!o atto al concepimento. Tale quindi fu la mate­ ria con cui fu concepito il corpo di Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . La Beata Vergi­ ne, avendo la stessa natura delle altre donne, aveva conseguentemente la carne e le ossa della medesima natura. Ma la carne e le ossa nelle altre donne, essendo parti in atto del loro corpo, ne costituiscono l'integrità, per cui non possono essere sottratte senza che il corpo resti distrutto o minorato. Ora Cristo, venuto a reintegrare le cose corrotte, non doveva far subire all'integrità di sua madre alcuna corru­ zione o rninorazione. Perciò il corpo di Cristo non doveva essere formato con la carne e con le ossa della Vergine, bensì col sangue, il quale non è ancora una parte in atto del corpo, ma è tutto il corpo in potenza, come dice Ari­ stotele. Così, quando si dice che Cristo prese la carne dalla Vergine, non si vuoi dire che la materia del suo corpo fosse carne in atto, ma carne in potenza, cioè sangue. 2. Come si è detto nella Prima Parte, Adamo, essendo destinato a essere il principio dell'u­ manità, possedeva nel suo corpo della cmne e delle ossa che non appartenevano alla sua integrità personale, ma alla sua funzione di principio dell'umanità. E da questa materia fu formata la donna, senza menomazione per l'uomo. Invece nel corpo della Vergine non c'era nulla di simile, da cui potesse formarsi il corpo di Cristo senza che fosse compromesso il corpo della madre. 3. Il seme della donna non è atto alla genera­ zione, ma è un seme imperfetto, la cui imper­ fezione è conseguente all'impertèzione della potenza generativa della donna. Perciò tale

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La materia a partire dalla quale fu concepito il corpo del Salvatore

ex quo corpus Christi posset formari sine corruptione materni corporis. Ad tertium dicendum quod semen feminae non est generationi aptum, sed est quiddam imperfectum in genere seminis, quod non po­ tuit produci ad perfectum seminis comple­ mentum, propter imperfectionem virtutis femineae. Et ideo tale semen non est materia quae de necessitate requiratur ad conceptum, sicut philosophus dicit, in libro De generat. animai. [ 1 ,20]. Et ideo in conceptione Christi non fuit, praesertim quia, licet sit imperfectum in genere seminis, tamen cum quadam con­ cupiscentia resolvitur, sicut et semen maris; in illo autem conceptu virginali concupiscentia locum habere non potuit. Et ideo Damascenus dicit [De fide 3,2] quod corpus Christi non seminaliter conceptum est. - Sanguis autem menstruus, quem feminae per singulos menses emittunt, impuritatem quandam naturalem habet corruptionis, sicut et cetet-ae supertluita­ tes, quibus natura non indiget, sed eas expellit. Ex tali autem menstruo corruptionem habente, quod natura repudiat, non formatur conceptus, sed hoc e.o:;t purgamentum quoddam illius puri sanguinis qui digestione quadam est praepara­ tus ad conceptum, quasi purior et perfectior alio sanguine. Habet tamen impuritatem libi­ dinis in conceptione aliorum hominum, in­ quantum ex ipsa commixtione maris et femi­ nae talis sanguis ad locum generationi con­ gruum attrahitur. Sed hoc in conceptione Christi non fuit, quia operatione Spiritus Sancti talis sanguis in utero Virginis adunatus est et formatus in prolem. Et ideo dicitur corpus Christi ex castissimis et purissimis sanguini­ bus Virginisfonnatum [De fide 3,2]. Articulus 6 Utrum corpus Christi fuerit secundum aliquid signatum in Adam et in aliis patribus Ad sextum sic proceditur. Videtur quod cor­ pus Christi fuerit secundum aliquid signatum in Adam et in aliis patribus. l. Dicit enim Augustinus, 10 Super Gen. [20], quod caro Christi fuit in Adam et Abraham secundum corpulentam substantiam. Sed corpulenta substantia est quiddam signatum. Ergo caro Christi fuit in Adam et Abraham et in aliis patribus secundum aliquid signatum.

Q. 3 l , A. 5

seme non è una materia necessaria per il con­ cepimento, come insegna il Filosofo. Quindi nella concezione di Cristo esso fu escluso: soprattutto perché, sebbene imperfetto come seme, tuttavia è emesso, al pari di quello maschile, con una certa concupiscenza. Ora, nella concezione verginale la concupiscenza era esclusa. Per questo dunque il Damasceno afferma che il corpo di Cristo fu concepito in maniera «non seminale». n sangue mestrua­ le poi che le donne perdono tutti i mesi ha una certa impurità naturale, come anche le altre cose che la natura elimina come superflue. Ora, il concepimento non si compie con que­ sto sangue mestruale corrotto, che la natura espelle: anzi, questo costituisce lo spurgo di quel sangue puro, preparato per il concepi­ mento, e che è più puro e più perfetto dell'al­ tro sangue. Esso tuttavia nella concezione degli altri uomini porta il marchio della libidi­ ne, in quanto a seguito dell'unione sessuale affluisce dove si compie la generazione. Ma ciò non avvenne nel concepimento di Cristo, poiché esso affluì nel seno della Vergine e fu trasformato in prole per opera dello Spirito Santo. Per cui si dice che il corpo di Cristo «venne formato dal più casto e puro sangue della Vergine». -

Articolo 6 corpo di Cristo è stato presente in modo determinato in Adamo e negli altri patriarchi?

D

Sembra di sì. Infatti: l . Agostino afferma che la carne di Cristo era in Adamo e in Abramo «secondo la sostanza corporea». Ma la sostanza corporea è qualco­ sa di determinato. Quindi la carne di Cristo era in Adamo, in Abramo e negli altri patriar­ chi secondo un elemento determinato. 2. In Rm l [3] è detto: Cristo fu fatto dal seme di Davide secondo la carne. Ma il seme di

Q. 3 l, A. 6

La materia a partire dalla qualefit concepito il corpo del Salvatore

2. Praeterea, Rom. l [3] dicinrr quod Christus factus est ex semine David secwuium camem. Sed semen David fuit aliquid signatum in ipso. Ergo Christus fuit in David secundum aliquid signatum, et eadem ratione in aliis patribus. 3. Praeterea, Christus ad humanum genus affi­ nitatem habet inquantum ex humano genere camem assumpsit. Sed si caro illa non fuit se­ cundum aliquid signatum in Adam, nullam videnrr habere affi nitatem ad humanum genus, quod ex Adam derivanrr, sed magis ad alias res, unde materia camis eius assumpta est. Videnrr ergo quod caro Christi fuerit in Adam et aliis patribus secundum aliquid signatum. Sed contra est quod Augustinus dicit, l O Super Gen. [ 1 9-20], quocumque modo Christus fuit in Adam et Abraham, alli homines ibi fuerunt, sed non convettitur. Alii autem homines non fuerunt in Adam et Abraham s ecundum aliquam materiam signatam, sed solum secun­ dum originem, ut in prima parte [q. 1 1 9 a. l ; a. 2 ad 4] habitum est. Ergo neque Christus fuit in Adam et Abraham secundum aliquid signa­ turo, et, eadem ratione, nec in aliis patribus. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 5 ad l] dictum est, materia corporis Christi non fuit caro et os Beatae Virginis, nec aliquid quod fuerit actu pars corporis eius, sed san­ guis, qui est potentia caro. Quidquid autem fuit in Beata Virgine a parentibus acceptum, fuit actu pars corporis Beatae Virginis. Unde illud quod fuit in Beata Virgine a parentibus acceptum, non fuit materia corporis Christi. Et ideo dicendum est quod corpus Christi non fui t in Adam et aliis p atribus secundum aliquid signatum, ita scilicet quod aliqua pars corporis Adae, vel alicuius alterius, posset designari determinate, ut diceretur quod ex hac materia formabitur corpus Christi, sed fui t ibi secundum originem, sicut et caro aliorum hominum. Corpus enim Christi habet relationem ad Adam et alios patres mediante corpore matris eius. Unde nullo alio modo fuit in patribus corpus Christi quam corpus matris eius, quod non fuit in patribus secun­ dum materiam signatam, sicut nec corpora aliorum hominum, ut in prima parte [q. 1 1 9 a. l ; a. 2 ad 4] dictum est. Ad primum ergo dicendum quod, cum dicitur Christus fuisse in Admn secundum corpulen­ tam substantiam, non est intelligendum hoc modo, quod corpus Christi in Adam fuerit

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Davide era in lui una parte determinata. Quin­ di Cristo era in Davide determinatamente, e così pure negli altri patriarchi. 3. Cristo appartiene al genere umano in quan­ to assunse la came dal genere umano. Ora, se la sua came non fosse stata determinatamente presente in Adamo, non apparterrebbe in alcun modo al genere umano che ne discende, ma piuttosto alle altre cose da cui è desunta la matelia della sua came. Quindi, sembra che la carne di Cristo fosse determinatamente in Adamo e negli altri patriarchi. In contrario: Agostino afferma che gli altri uomini furono presenti in Adamo e in Abra­ mo in tutti quei modi in cui ci fu Cristo; non però viceversa. Ora, gli altri uomini erano in Adamo e in Abrmno non per la materia deter­ minata del loro corpo, ma per la loro origine, come si è visto nella Prima Parte. Quindi neppure Clisto fu presente in questo modo in Adamo, in Abramo e negli altri patriarchi. Risposta: come si è detto sopra, la materia del corpo di Cristo non furono la came e le ossa della Beata Vergine, né alcuna cosa che fosse una parte in atto del suo corpo, ma il sangue, che è came in potenza. Invece quanto la Beata Vergine prese dai suoi genitori era in atto una parte attuale del suo corpo. Perciò nulla di quanto la Beata Vergine ricevette dai genitori poteva essere la materia del corpo di Cristo. Quindi il corpo di Cristo non era in Adamo e negli altri patriarchi secondo un elemento determinato, per cui si potesse indicare in essi una determinata parte materiale come «la materia da cui si sarebbe formato il corpo di Cristo», ma c'era secondo l' oligine, alla pari della carne degli altri uomini: infatti il corpo di Cristo ha relazione con Adamo e con gli al­ tri patriarchi mediante il corpo di sua madre. Quindi esso non era nei patriarchi in maniera diversa da come c'era il corpo di sua madre, il quale non fu presente in essi secondo una materia determinata, come neppure i corpi degli altri uomini, secondo le spiegazioni date nella Prima Parte. Soluzione delle difficoltà: l. Quando si dice che Clisto era in Adamo «secondo la sostanza corporea>> non bisogna intendere che il corpo di Cristo fosse in Adamo una vera sostanza corporea, ma che la sostanza materiale del corpo di Cristo, ossia la materia che egli prese dalla Vergine, era i n Adamo come nel suo

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La materia a partire dalla quale fu concepito il corpo del Salvatore

Q. 3 l , A. 6

quaedam corpulenta substantia, sed quia corpulenta substantia corporis Christi, idest materia quam sumpsit ex Vrrgine, fuit in Adam sicut in principio activo, non autem sicut in principio materiali; quia scilicet per virtutem generativam Adae, et aliorum ab Adam descendentium usque ad Beatam Virginem, factum est ut illa matetia taliter praepararetur ad conceptum corporis Clrristi. Non autem fuit materia illa formata in corpus Christi per virtutem seminis ab Adam derivatam. Et ideo Christus dicitur fuisse in Adam originaliter secundum corpulentam substantiam, non autem secundum seminalem rationem. Ad secundum dicendum quod, quamvis cor­ pus Christi non fuerit in Adam et in aliis patribus secundum seminalem rationem, cor­ pus tamen Beatae Virginis, quod ex semine maris est conceptum, fuit in Adam et in aliis patribus secundum rationem seminalem. Et ideo, mediante Beata Virgine, Christus se­ cundum camem dicitur esse ex semine David per modum originis. Ad tertium dicendum quod Christus habet affinitatem ad humanum genus secundum si­ militudinem speciei. Similitudo autem speciei attenditur, non secundum materiam remotam, sed secundum materiam proximam, et secundum principium activum, quod generat sibi simile in specie. Sic igitur affinitas Clrristi ad humanum genus sufficienter conservatur per hoc quod corpus Clrristi formatum est ex sanguinibus Virginis, derivatis secundum originem ab Adam et aliis patribus. Nec refert ad hanc affi nitatem undecumque materia il­ lorum sanguinum sumpta fuerit, sicut nec hoc refert in generatione aliorum hominum, sicut in prima parte [q. 1 19 a. 2 ad 3] dictum est.

principio attivo, non come nel suo principio materiale: in quanto cioè la virtù generativa di Adamo e degli altri suoi discendenti fino alla B eata Vergine preparò tale materia al concepimento del corpo di Cristo. Però tale materia non diventò corpo di Cristo sotto l'influsso genetico del seme trasmesso da Adamo. Per questo si dice che Cristo fu originariamente i n Adamo secondo l a sostanza corporea, ma non secondo la ragione seminate. 2. Sebbene il corpo di Cristo non fosse in Adamo e negli altri patriarchi secondo la ragione seminale, tuttavia il corpo della Beata Vergine, concepito mediante seme maschile, fu in Adamo e negli altri patriarchi anche secondo la ragione seminate. E così si può dire che mediante la Beata Vergine Cristo secondo la carne discende originariamente dal seme di Davide. 3 . Cristo appartiene al genere umano per l'uguaglianza nella specie. Ma l'uguaglianza nella specie non dipende dalla materia remo­ ta, ma dalla materia prossima e dal principio attivo, che genera un individuo della medesi­ ma specie. Perciò l'appartenenza di Cristo al genere umano è efficacemente assicurata dal fatto che il corpo di Cristo venne formato dal sangue della Vergine, il quale per via di origi­ ne derivava da Adamo e dagli altri patriarchi. E per tale affinità non ha importanza l'origine della materia di quel sangue, come non l'ha neppure nella generazione degli altri uomini, secondo le spiegazioni date nella Prima Parte.

Articulus 7 Utrum caro Christi in antiquis patribus peccato infecta fuerit

Articolo 7 La carne di Cristo negli antichi patriarchi è stata macchiata dal peccato?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod caro Christi i n antiquis patribus peccato infecta non fuerit. l. Dicitur enim Sap. 7 [25] quod in divinam sapientiam nihil inquinatwn incurrit. Clrristus autem est Dei sapientia, ut dicitur l ad Cor. l [24] . Ergo caro Christi nunquam peccato inquinata fuit. 2. Praeterea, Damascenus dicit, in 3 libro [De

Sembra di no. Infatti: l . In Sap 7 [25] è detto che nella Sapienza divina non si infiltra nulla di contaminato. Ma Cristo è la Sapienza di Dio (l Cor 1 ,24). Quindi la carne di Cristo non fu mai macchia­ ta dal peccato. 2. Giovanni Damasceno dice che Cristo «as­ sunse le primizie della nostra natura». Ma la carne umana nello stato primitivo non era

Q. 3 l , A. 7 fide

La materia a partire dalla qualefit concepito il corpo del Salvatore

2. 1 1 ], quod Christus primitias nostrae

naturae assumpsit.

Sed in primo statu caro humana non erat peccato infecta. Ergo caro Christi non fuit infecta nec in Adam nec in aliis patribus. 3. Praeterea, Augustinus dicit, 10 Super Gen. [20], quod natura humana semper habuit, cum vulnere, vulneris medicinam. Sed id quod est infectum, non potest esse vulneris medicina, sed magis ipsum indiget medicina. Ergo semper in natura humana fuit aliquid non infectum, ex quo postmodum est corpus Christi formatum. Sed contra est quod corpus Christi non refertur ad Adam et ad alios patres nisi mediante cor­ pore Beatae Virginis, de qua camem assum­ psit. Sed corpus Beatae Vrrginis totum fuit in originali conceptum, ut supra [q. 14 a. 3 ad l ] dictum est, et ita etiam, secundum quod fuit in patribus, fuit peccato obnoxium. Ergo caro Christi, secundum quod fuit in patribus, fuit peccato obnoxia. Respondeo dicendum quod, cum dicimus Christum, vel eius camem, fuisse in Adam et i n aliis patribus, comparamus ipsum, vel carnem eius, ad Adam et ad alios patres. Manifestum est autem quod alia fuit conditio patrum, et alia Christi, nam patres fuerunt subiecti peccato, Chtistus autem fuit omnino a peccato immunis. Dupliciter ergo i n hac comparatione erTare contingit. Uno modo, ut attribuamus Christo, vel carni eius, conditio­ nem quae fuit in patribus, puta si dicamus quod Christus in Adam peccavit quia in eo aliquo modo fuit. Quod falsum est, quia non eo modo in eo fuit ut ad Christum peccatum Adae per­ tineret; quia non derivatur ab eo secundum concupiscentiae legem, sive secundum ratio­ nem seminalem, ut supra [a. l ad 3; a 6 ad l ; q. 1 5 a. l ad 2] dictum est. - Alio modo contingit errare, si attribuamus ei quod actu fuit in patribus, conditionem Christi, vel carnis eius, ut scilicet, quia caro Christi, secundum quod in Christo fuit, non fuit peccato obnoxia, ita etiam in Adam et in aliis patribus fuit aliqua pars corporis eius quae non fui t peccato obnoxia, ex qua postmodum corpus Christi formaretur; sicut quidam posuerunt [Hugo de S. Victore, De sacram. 2, 1 ,5]. Quod quidem esse non potest. Primo, quia caro Christi non fuit secundum aliquid signatum in Adam et in aliis patribus, quod posset distingui a reliqua

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macchiata dal peccato. Quindi l a carne di Cristo non fu inquinata né in Adamo, né negli altri patriarchi. 3. Agostino afferma che «la natura umana ebbe sempre assieme alle ferite la medicina del peccato». Ma ciò che è infetto non può essere un rimedio, avendo piuttosto bisogno esso stesso di medicina. Quindi nella natura umana ci fu sempre qualcosa di non infetto da cui poi si formò il corpo di Cristo. In contrario: il corpo di Cristo si riporta ad Adamo e agli altri patriarchi solo mediante i l corpo della Beata Vergine, dalla quale egli prese la carne. Ma il corpo della Beata Vergi­ ne fu concepito tutto nel peccato originale, come si è detto sopra; e così pure fu soggetto al peccato nella sua preesistenza nei patriar­ chi. Quindi la carne di Cristo secondo la sua presenza nei patriarchi fu soggetta al peccato. Risposta: quando diciamo che Cristo, o la sua carne, preesisteva in Adamo e negli altri pa­ triarchi, noi paragoniamo Cristo o la sua car­ ne con Adamo e con gli altri patriarchi. Ma è chiaro che altra era la condizione dei patriar­ chi e altra quella di Cristo: i patriarchi infatti erano soggetti al peccato, mentre Cristo ne era del tutto immune. Due sono quindi i pos­ sibili errori in questo confronto. n primo con­ siste nell ' attribuire a Cristo o alla sua carne la medesima condizione dei patriarchi: dicendo p. es. che Cristo peccò in Adamo, essendo stato in qualche modo presente in lui. n che è falso, poiché Cristo non preesistette in Ada­ mo in modo da essere contaminato dal suo peccato: infatti non discende da lui secondo la legge della concupiscenza, né secondo la ragione seminale, come si è detto sopra. - n secondo errore consiste nell' attribuire la con­ dizione di Cristo o della sua carne a elementi che preesistevano in atto nei patriarchi: di­ cendo p. es., con qualche autore, che siccome la carne di Cristo non era in lui soggetta al peccato, così anche nel corpo di Adamo e degli altri patriarchi c'era una particella non soggetta al peccato, da cui poi si sarebbe for­ mato il corpo di Cristo. Ora, ciò è impos­ sibile. Primo, perché la carne di Cristo, come si è visto, non preesisteva in Adamo e negli altri patriarchi come materia determinata, così che potesse venire distinta dal resto del corpo come il puro dall'impuro. Secondo, perché la carne umana risulta macchiata dal peccato a

383

La materia a partire dalla qualefu concepito il corpo del Salvatore

eius carne sicut purum ab impuro, sicut iarn supra [a. 6] dictum est. Secondo qui a, cum caro humana peccato inficiatur ex hoc quod est per concupiscentiam concepta, sicut tota caro alicuius hominis per concupiscentiam concipitur, ita etiam tota peccato inquinatur. Et ideo dicendum est quod tota caro antiquorum patrum fuit peccato obnoxia, nec fuit in eis aliquid a peccato immune, de quo postmodum corpus Christi tormaretur. Ad primum ergo dicendum quod Christus non assumpsit carnem humani generis subditam peccato, sed ab omni infectione peccati mundatam. Et ideo in Dei sapientiam

nihil inquinatum incurrit.

Ad secundum dicendu m quod Christus dicitur primitias nostrae naturae assumpsisse, quantum ad similitudinem conditionis, quia scilicet assumpsit carnem peccato non infec­ tam, sicut fuerat caro hominis ante peccatum. Non autem hoc intelligitur secundum conti­ nuationem puritatis, ita scilicet quod illa caro puri hominis servaretur a peccato immunis usque ad formationem corporis Christi. Ad tertium dicendum quod in humana natura, ante Christum, erat vulnus, idest infectio ori­ ginalis peccati, in actu. Medicina autem vul­ neris non erat ibi actu, sed solum secundum virtutem originis, prout ab illis patribus pro­ paganda erat caro Christi.

Q. 3 l , A. 7

motivo del suo concepimento accompagnato dalla concupiscenza: per cui, come si estende a tutto il corpo dell'uomo il concepimento, così si estende a tutto il corpo anche l'inqui­ namento del peccato. Perciò la carne degli antichi patriarchi era totalmente soggetta al peccato, né c'era in essi qualcosa di immune dal peccato da cui in seguito sarebbe stato formato il corpo di Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo assunse una carne umana non infetta dal peccato, ma completamente pura. Qtùndi, «nella Sapienza di Dio non si infiltra alcunché di contaminato». 2. Si dice che Cristo assunse le primizie della nostra natura per la somiglianza delle due condizioni: assunse cioè una carne non mac­ chiata dal peccato, come era stata la carne dell'uomo prima della sua caduta. Ma ciò non significa che la carne umana si sia trasmessa pura, cioè immune dal peccato, sino alla for­ mazione del corpo di Cristo. 3. Nella natura umana prima di Cristo la feri­ ta, cioè l'infezione del peccato originale, esi­ steva in atto. La medicina invece non esisteva in atto, ma solo in potenza, giacché da quei patriarchi doveva provenire la carne di Cristo.

Articulus 8 Utrum Christus fuerit in lumbis Abrahae decimatus

Articolo 8 Cristo ha pagato le decime in Abramo?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod Christus fuerit in lumbis Abrahae decimatus. l . Dicit enim apostolus, ad Hebr. 7 [9- 1 0], quod Levi, pronepos Abrahae, decimatus fuit in Abraham, quia, eo decimas dante Melchise­ dech, adhuc levi erat in lumbis eius. Similiter Christus erat in lumbis Abrahae quando deci­ mas dedit. Ergo ipse etiam Christus decimatus fuit in Abraham. 2. Praeterea, Christus est ex semine Abrahae secundum carnem quam de matre accepit. Sed mater eius fuit decimata in Abraham. Ergo, pari ratione, Christus. 3. Praeterea, illud in Abraham decimabatur quod indigebat curatione, ut Augustinus dicit, 1 0 Super Gen. [20]. Curatione autem indi­ gebat omnis caro peccato obnoxia. Cum ergo

Sembra di sì. Infatti: l . In Eb 7 [6] è detto che levi, pronipote di A­ bramo, pagò le decime in Abramo, poiché era presente nei suoi lombi quando Abramo offrì le decime a Melchisedech. Ora, quando Abramo le pagò anche Cristo era nei suoi lombi. Quindi anche Cristo pagò le decime in Abramo. 2. Cristo viene dal seme di Abramo secondo la carne che prese dalla madre. Ma sua madre pa­ gò le decime in Abramo. Perciò anche Clisto. 3. Come dice Agostino, «pagò le decime in Abramo tutto ciò che aveva bisogno di guari­ gione». Ma di guarigione aveva bisogno tutta la carne soggetta al peccato. Essendo stata dunque la carne di Cristo soggetta al peccato, come si è detto, sembra che dovesse pagare le decime in Abramo.

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La materia a partire dalla qualefit concepito il corpo del Salvatore

caro Christi fuerit peccato obnoxia, sicut dicturn

est [a. 7], videtur quod caro Christi in Abraham fuerit decimata. 4. Praeterea, hoc non videtur aliquo modo de­ rogare dignitati Christi. Nihil enim prohibet, patre alicuius pontificis decimas dante alicui sacerdoti, filium eius pontificem maiorem esse simplici sacerdote. Licet ergo dicatur Christus decimatus, Abraham decimas dante Melchise­ dech, non tamen propter hoc excluditur quin Christus sit maior quam Melchisedech. Sed contra est quod Augustinus dicit, l O Super Gen. ad litt. [20] , quod Christus ibi, scilicet in Abraham, decimatus non est, cuius

caro inde non fervorem vulneris, sed mate­ riam medicaminis traxit. Respondeo dicendum quod, secundum inten­ tionem apostoli [Hebr. 7,6], oportet dicere quod Christus in lumbis Abrahae non fuerit decimatus. Probat enim apostolus maius esse sacerdotium quod est secundum ordinem Melchisedech, sacerdotio levitico, per hoc quod Abraham decimas dedit Melchisedech, adhuc levi existente in lumbis eius, ad quem pertinet legale sacerdotium. Si autem Christus etiam in Abraham decimatus esset, eius sacer­ dotium non esset secundum ordinem Melchi­ sedech, sed minus sacerdotio Melchisedech. Et ideo dicendum est quod Christus non est decimatus in lumbis Abrahae, sicut Levi. Quia enim ille qui decimas dat, novem sibi retinet et decimum alii attribuit, quod est per­ fectionis signum, inquantum est quodarnmodo terminus omnium numerorum, qui procedunt usque ad decem; inde est quod ille qui decimas dat, protestatur se imperfectum et perfectionem ali i attribuere. Imperfectio autem humani generis est propter peccatum, quod indiget perfectione eius qui a peccato curat. Curare autem a peccato est solius Christi, ipse enim est Agnus qui tollit peccatum mundi, ut dicitur Ioan. l [29] . Figuram autem eius gerebat Melchisedech, ut apostolus probat, Hebr. 7. Per hoc ergo quod Abraham Melchisedech decimas dedit, praefiguravit se, velut in pec­ cato conceptum, et omnes qui ab eo descensuri erant ea ratione ut peccatum originale con­ traherent, indigere curatione quae est per Christum. Isaac autem et Iacob et Levi, et omnes alii, sic fuerunt in Abraham ut ex eo derivarentur non solum secundum corpulen­ tam substantiam, sed etiam secundum ratio-

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4. La cosa del resto non sembra affatto me­ nomare la dignità di Cristo. Nulla infatti im­ pedisce che un pontefice, superiore a un sem­ plice sacerdote, sia figlio di un padre che ha pagato le decime a un semplice sacerdote. Anche ammettendo quindi che Cristo abbia pagato le decime quando Abramo le diede a Melchisedech, non si esclude che Cristo sia superiore a Melchisedech. In contrario: Agostino dichiara che «Cristo allora», cioè in Abramo, «non pagò le deci­ me: poiché da lui la sua carne non prese il bruciore della ferita, ma solo la materia del medicamento». Risposta: secondo l'intendimento della Scrit­ tura, bisogna dire che Cristo non pagò le de­ cime nei lombi di Abramo. Infatti essa dimo­ stra la superiorità del sacerdozio di Melchise­ dech sul sacerdozio levitico in base al fatto che Abramo pagò le decime a Melchisedech quando Levi, a cui è riservato il sacerdozio legale, era ancora nei suoi lombi. Ora, se anche Cristo avesse offerto le decime i n Abramo, i l suo sacerdozio non sarebbe secon­ do l 'ordine di Melchisedech, ma inferiore ad esso. Per cui bisogna dire che Cristo non ha pagato le decime, come Levi, nei lombi di Abramo. - Siccome infatti chi paga le decime si tiene nove parti e cede ad altri la decima, che sta a indicare la perfezione, quale termine di tutti i numeri che salgano fino al dieci, ne segue che colui che paga la decima riconosce l'imperfezione propria e la perfezione altrui. Ora, l ' i mperfezione del genere umano di­ pende dal peccato, che ha bi sogno della perfezione di colui che è in grado di cancel­ larlo. Ma risanare dal peccato è competenza di Cristo soltanto, essendo egli l 'Agnello che toglie i peccati del mondo (Gv l ,29). E Mel­ chisedech ne era una figura, come è provato i n Eh 7 . Offrendo dunque l e decime a Melchisedech, Abramo veniva a dichiarare che lui, concepito nel peccato, e tutti coloro che sarebbero discesi da lui in modo da con­ trarre il peccato originale, avevano bisogno di essere risanati da Cristo. Thttavia Isacco, Gia­ cobbe, Levi e tutti gli alni discendenti erano in Abramo in modo da discendere da lui non solo secondo la sostanza corporea, ma anche secondo la ragione seminale, che trasmette il peccato originale. Tutti quindi pagarono le decime in Abramo, cioè furono rappresentati

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La materia a partire dalla quale fu concepito il corpo del Salvatore

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nem seminalem, per quam originale contrahi­ tur. Et ideo omnes in Abraham sunt decimati, idest praefigurati indigere curatione quae est per Clnistum. Solus autem Christus sic fuit in Abraham ut ab eo derivaretur non secundum rationem seminalem, sed secundum coxpulen­ tam substantiam. Et ideo non fuit in Abraham sicut curatione indigens, sed magis sicut vulneris medicina. Et ideo non fuit in lumbis Abrahae decimatus. Et per hoc patet responsio ad primum. Ad secundum dicendum quod, quia Beata Virgo fuit in originali concepta, fuit in Abra­ ham sicut curatione indigens. Et ideo fuit ibi decimata, velut inde descendens secundum seminalem rationem . De corpore autem Christi non est sic, ut dictum est [in co.]. Ad tertium dicendum quod caro Christi dicitur fuisse in antiquis patribus peccato obnoxia, secundum qualitatem quam habuit in ipsis parentibus, qui fuerunt decimati. Non autem secundum qualitatem quam habet prout est actu in Christo, qui non est decimatus. Ad quartum dicendum quod sacerdotium leviti­ cum secundum carnis originem derivabatur. Unde non minus fuit in Abraham quam in Levi. Unde per hoc quod Abraham decimas dedit Melchisedec tanquam maiori, ostenditur sacer­ dotium Melchisedec, inquantum gerit figuram Christi, esse maius sacerdotio levitico. Sacerdo­ tium autem Christi non sequitur camis origi­ nem, sed gratiam spiritualem. Et ideo potest esse quod pater dedit decimas alicui sacerdoti tanquam minor maiori, et tamen filius eius, si sit pontifex, est maior ilio sacerdote, non propter carnis originem, sed propter gratiam spiritualem, quam habet a Christo.

da lui come bisognosi di essere risanati da Cristo. Invece il solo Cristo fu presente in Abramo in modo da discendere da lui non secondo la ragione seminale, ma solo secondo la sostanza coxporea. Perciò egli non fu in Abramo come bisognoso di guarigione, ma piuttosto come «medicina del peccato». Quindi non offrì le decime nei lombi di Abramo. Soluzione delle difficoltà: l . E così anche la prima difficoltà è risolta. 2. La Beata Vergine, essendo stata concepita nel peccato originale, era presente in Abramo come bisognosa di guarigione. Quindi pagò in lui le decime, in quanto discendente da lui secondo la ragione seminale. Il che non avvenne invece per il corpo di Cristo, come si è appena detto. 3. Si può dire che la carne di Cristo fu sogget­ ta al peccato nei patriarchi nello stato in cui si trovava in essi, che pagarono le decime, ma non già nello stato in cui si trova attualmente in Cristo, che non le pagò. 4. n sacerdozio levitico si trasmetteva secondo l'origine carnale. Perciò esso non esisteva in Abramo meno che in Levi. n fatto quindi che Abramo offrl le decime a Melchisedech come a un suo superiore indica che il sacerdozio di Melchisedech, in quanto è figura di Cristo, supera il sacerdozio levitico. Invece il sacerdo­ zio di Cristo non dipende dalla discendenza carnale, ma dalla grazia soprannaturale. E così può darsi che un padre offra le decime a un sacerdote come l'inferiore al superiore, e tutta­ via suo figlio, se è pontefice, è superiore a quel sacerdote, non per l'origine carnale, ma per la grazia spirituale ricevuta da Cristo.

QUAESTIO 32 DE PRINCIPIO ACTIVO IN CONCEPTIONE CHRISTI

QUESTIONE 32 IL PRINCIPIO ATTIVO DEL CONCEPIMENTO DI CRISTO

Deinde considerandum est de principio activo in conceptione Christi. - Et circa hoc quaerun­ tur quatuor. Primo, utmm Spiritus Sanctus fuerit principium activum conceptionis Christi. Secundo, utrum possit dici quod Christus sit conceptus de Spiritu Sancto. Tertio, utrum pos­ sit dici quod Spiritus Sanctus sit pater Christi secundum carnem. Quarto, utrum Beata Virgo aliquid active egerit in conceptione Christi.

Passiamo ora a parlare del principio attivo nel concepimento di Cristo. - Ci porremo quattro quesiti: l . Lo Spirito Santo è stato il principio attivo del concepimento di Cristo? 2. Si può dire che Cristo fu concepito di Spirito Santo? 3. Si può dire che lo Spirito Santo è padre di Cristo secondo la carne? 4. La Beata Vergine ha avuto in qualche modo un ruolo attivo nel concepimento di Cristo?

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Ilprincipio attivo del concepimento di Cristo

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Articulus l Utrum efficere conceptionem Christi debeat attribui Spiritui Sancto

Articolo l Uopera del concepimento di Cristo va attribuita allo Spirito Santo?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod effi­ cere conceptionem Christi non debeat attribui Spiritui Sancto. l . Quia, ut Augustinus dicit, in l De Trin. [4-5; cf. 4,2 1 ; Ench. 38], indivisa sunt opera Tri­

Sembra di no. Infatti: l. Agostino afferma che «le opere della Trini­ tà sono comuni, come è comune [alle tre per­ sone] l'essenza». Ma il concepimento di Cri­ sto è un'opera divina. Quindi, sembra che non si debba attribuire allo Spirito Santo più che al Padre o al Figlio. 2. Paolo dice: Quando venne la pienezza del

nitatis, sicut et indivisa est essentia Trinitatis.

S ed efficere conceptionem Christi est quoddam opus divinum. Ergo videtur quod non magis sit attribuendum Spiritui Sancto quam Patri vel Filio. 2. Praeterea, apostolus dicit, Gal. 4 [4], cum

venit plenitudo temporis, misit Deus Filium suum factum ex muliere, quod exponens Augustinus, 4 De Trin. [ 1 9], dicit, eo utique missum, quo factum ex muliere. Sed missio Filii attribuitur praecipue Patri, ut in prima parte [q. 43 a. 8] habitum est. Ergo et concep­ tio, secundum quam factus est ex muliere, debet praecipue Patri attribui . 3 . Praeterea, Prov. 9 [ l ] dicitur, sapientia aedi­ ficavit sibi domum. Est autem sapientia Dei ipse Christus, secundum illud l Cor. l [24], Christum Dei virtutem et Dei sapientiam. Do­ mus autem huius sapientiae est corpus Christi, quod etiam dicitur templum eius, secundum illud Ioan. 2 [21], hoc autem dicebat de tempio corporis sui. Ergo videtur quod efficere con­ ceptionem corporis Christi debeat praecipue at­ tribui Filio. Non ergo Spiritui Sancto. Sed contra est quod dicitur Luc. l [35], Spiri­ tus Sanctus superveniet in te, et cetera. Respondeo dicendum quod conceptionem corporis Christi tota Trinitas est operata, attri­ buitur tamen hoc Spiritui Sancto, triplici ra­ tione. Primo quidem, quia hoc congruit cau­ sae incamationis quae consideratur ex parte Dei. Spiritus enim Sanctus est amor Patris et Filii, ut in prima parte [q. 37 a. l ] habitum est. Hoc autem ex maximo Dei amore provenit, ut Filius Dei carnem sibi assumeret in utero virginali, unde dicitur Ioan. 3 [ 1 6], sic Deus

dilexit mundum ut Filiwn suum Unigenitum daret. Secundo, quia hoc congruit causae -

incarnationis ex parte naturae assumptae. Quia per hoc datur intelligi quod humana natura assumpta est a Filio Dei in unitatem personae non ex aliquibus meritis, sed ex sola gratia, quae Spiritui Sancto attribuitur, secun-

tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna (Gal 4,4). E Agostino commenta: «Fu appun­ to mandato in quanto fu formato da una donna». Ma la missione del Figlio va attribui­ ta principalmente al Padre, come si è visto nella Prima Parte. Quindi anche il concepi­ mento, secondo il quale egli fu fatto da una donna, va attribuito principalmente al Padre. 3. In Pr 9 [ l ] è detto: La Sapienza si è costruita una casa. Ma la Sapienza di Dio è Cristo stes­ so, secondo le parole di l Cor l [24]: Cristo Potenza di Dio e Sapienza di Dio. Ora, la casa di questa Sapienza è il corpo di Cristo, che è detto anche suo tempio: Egli parlava del tem­ pio del suo corpo (Gv 2,21). Quindi il concepi­ mento del corpo di Cristo va attribuito princi­ palmente al Figlio, e non allo Spirito Santo. In contrario in Le l [35] è detto: Lo Spirito

Santo scenderà su di te... Risposta: il concepimento del corpo di Cristo fu opera di tutta la Trinità, ma è attribuito allo Spirito Santo per tre motivi. Primo, perché ciò si addiceva alla causa dell'incarnazione dalla parte di Dio. Infatti lo Spirito Santo è l'amore tra il Padre e il Figlio, come si è visto nella Prima Parte. Ora, l'assunzione della carne da parte del Figlio di Dio nel seno della Vergine proviene dal più grande amore di Dio, come è detto in Gv 3 [ 1 6] : Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito. - Se­ condo, perché ciò si addiceva alla causa del­ l'incarnazione dalla parte della natura assun­ ta. Così infatti si comprende che la natura umana fu assunta dal Figlio di Dio nell'unità della persona non per qualche suo merito, ma per sola grazia; la quale grazia è attribuita appunto allo Spirito Santo, secondo le parole di l Cor 12 [4] : Vi sono diversità di grazie, ma uno solo è lo Spirito. Per cui Agostino scrive: «ll modo in cui Cristo nacque dallo

Il principio attivo del concepimento di Cristo

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dum illud l Cor. 1 2 [4], divisiones gratiantm sunt, idem autem Spiritus. Unde Augustinus dicit, in Ench. [40], iste modus quo est natus Christus de Spiritu Sancto, insinuar nobis gratiam Dei, qua homo, nullis praecedentibus meritis, ex ipso primo exordio naturae suae quo esse coepit, Verbo Dei copularetur in tantam unitatem personae ut idem ipse esset Filius Dei. Tertio, quia hoc congruit tennino -

incarnationis. Ad hoc enim terminata est incamatio ut homo ille qui concipiebatur, esset sanctus et Filius Dei. Utrumque autem horum attribuitur Spiritui Sancto. Nam per ipsum efficiuntur homines filii Dei, secundum illud Gal. 4 [6], quoniam estis Filii Dei, misit Deus

Spirintm Filii sui in corda nostra, clamantem, abba, Pater. lpse est etiam Spiritus sanctifìca­ tionis, ut dicitur Rom. l [4]. Sicut ergo alii per

Spiritum Sanctum sanctificantur spiritualiter ut sint fi1ii Dei adoptivi, ita Christus per Spiritum Sanctum est in sanctitate conceptus ut esset Filius Dei naturalis. Unde Rom. l [4] , secun­ dum unam glossam [int. et Lomb.], quod praernittitur, qui praedestinatus est Filius Dei in virntte, manifestatur per id quod immediate sequitur, secundum Spirintm sanctificationis, idest, per hoc quod est conceptus de Spirint Sancto. Et ipse angelus annuntians, per hoc quod praerniserat [Luc. 1 ,35], Spiritus Sancnts supen,eniet in te, concludit, ideoque et quod nascetw· ex te sanctum, vocabitur Filius Dei. Ad primum ergo dicendum quod opus con­ ceptionis commune quidem est toti Trinitati, secundum tamen modum aliquem attribuitur singulis personis. Nam Patri attribuitur aucto­ ritas respectu personae Filii, qui per huiusmo­ di conceptionem sibi assumpsit; Filio autem attribuitur ipsa camis assumptio; sed Spiritui Sancto attribuitur formatio corporis quod assumitur a Filio. Nam Spiritus Sanctus est Spiritus Fi1ii, secundum illud Gal. 4 [6], misit Deus Spiritum Filii sui. Sicut autem virtus animae quae est in semine, per Spiritum qui i n semine concluditur, format corpus i n generatione aliorum horninum; ita virtus Dei, quae est ipse Filius, secundum illud l ad Cor. l [24], Christum Dei virtutem, per Spiritum Sanctum corpus formavit quod assumpsit. Et hoc etiam verba angeli demonstrant dicentis [Luc. l ,35], Spiritus Sanctus superveniet in te, quasi ad praeparandam et formandam materiam corporis Christi; et virtus Altissimi,

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Spirito Santo ci ricorda la grazia di Dio per la quale un uomo, senza aver acquisito alcun merito, fin dal primo momento della sua esi­ stenza fu unito così intimamente al Verbo di Dio nell'unità della persona da identificarsi col Figlio di Dio». - Terzo, perché ciò si addi­ ceva al termine dell'incarnazione. Questa in­ fatti mirava a far sì che l'uomo che veniva concepito fosse santo e Figlio di Dio. Ora, am­ bedue queste cose sono attribuite allo Spirito Santo. Grazie a lui infatti gli uomini diventano figli di Dio, come è detto in Gal 4 [6]: E che

voi siete .figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà, Padre. Inoltre lo Spirito Santo è anche Spirito di santificazione (Rm 1 ,4). Come dunque gli altri sono santifi­

cati soprannaturalmente per opera dello Spiri­ to Santo perché siano figli adottivi di Dio, così Cristo per opera dello Spirito Santo fu concepito nella santità perché fosse Figlio na­ turale di Dio. Pertanto le parole di Rm l [4]:

Predestinato a essere Figlio di Dio con poten­ za trovano la loro spiegazione, dice una Glos­ sa, in quelle che seguono: secondo lo Spirito di santificazione; cioè: «perché fu concepito

di Spirito Santo». E lo stesso angelo dell'an­ nunciazione, dopo aver detto: Lo Spirito Santo scenderà su di te, conclude: Per questo

l'essere santo che nascerà da te sarà chiama­ to Figlio di Dio [Le 1 ,35].

Soluzione delle difficoltà: l . n concepimento è un'opera comune a tutta la Trinità, ma sotto certi aspetti è attribuibile a ciascuna persona. Al Padre infatti si attribuisce l' autorità sulla persona del Figlio, il quale con tale concepi­ mento assunse la natura umana; al Figlio invece si attribuisce la stessa assunzione della carne; allo Spirito Santo infine si attribuisce la formazione del corpo assunto dal Figlio. E ciò perché lo Spirito Santo è lo Spirito del Figlio, come è detto in Ga/ 4 [6]: Dio mandò lo Spirito del Figlio suo. Ora, come nella ge­ nerazione degli altri uomini il corpo è formato dalla virtù deli' anima, presente nel seme me­ diante gli spiriti vitali posseduti dal seme stes­ so, così la potenza di Dio, che secondo l Cor l [24] è il Figlio medesimo: Cristo, potenza di Dio, mediante lo Spirito Santo formò il corpo che assunse. E ciò è indicato anche dalle parole dell' angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te [Le 1,35], quasi a preparare

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idest Christus, obumbrabit tibi, "idest, corpus humanitatis in te accipiet incorporeum lumen divinitatis, umbra enim a lumine fonnatur et corpore ", ut Gregorius dicit, 1 7 Mor. [20]. Altissimus autem intelligitur Pater, cuius vir­ tus est Filius. Ad secundum dicendum quod missio refertur ad personam assumentem, quae a Patre mittitur, sed conceptio refertur ad corpus assumptum, quod operatione Spiritus Sancti formatur. Et ideo, licet missio et conceptio sint idem subiecto, quia tamen differunt ratione, missio attribuitur Patri, efficere autem conceptionem Spiritui Sancto, sed carnem assumere Filio attribuitur. Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro De quaest. Vet. et Nov. Test. [cf. Ambrosiaster, p. l , ex Nov. Test., q. 52] , quaestio ista gemina ratione potest intelligi. Primo enim domus Christi Ecclesia est, quam aedificavit sibi sanguine suo. Deinde potest et corpus eius dici domus eius, sicut dicitur templum eius. Factum autem Spiritus Sancti Filii Dei est, propter naturae et voluntatis unitatem.

e a formare la materia del corpo di Cristo, e la potenza dell'Altissimo, cioè Cristo, ti coprirà con la sua ombra, «ossia», secondo Gregorio, «prenderà corpo umano in te l'incorporea luce della divinità, poiché l'ombra nasce dalla luce e da un corpo». L' Altissimo poi è il Padre, di cui il Figlio è la potenza. 2. La missione si riferisce alla persona che si incarna e che è mandata dal Padre, mentre il concepimento si riferisce al corpo che è stato assunto, e che è formato per opera dello Spirito Santo. Quindi, sebbene la missione e il concepimento in concreto siano la stessa cosa, tuttavia, data la diversità dei loro aspetti, si attribuisce la missione al Padre, il concepi­ mento allo Spirito Santo e l'assunzione della carne al Figlio. 3. n testo citato, come dice Agostino, «può essere inteso in due modi. Primo, nel senso che la casa di Cristo sia la Chiesa da lui edifi­ cata con il proprio sangue. Secondo, può dirsi sua casa anche il suo corpo: come è detto suo tempio. Ora, ciò che è opera dello Spirito Santo è anche opera del Figlio di Dio, a moti­ vo dell'unità di natura e di volontà».

Articulus 2 Utrum Christus debeat dici conceptus de Spirito Sancto

Articolo 2 Si deve dire che Cristo fu concepito di Spirito Santo?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus non debeat dici conceptus de Spiritu Sancto. l . Quia super illud Rom. 1 1 [36], ex ipso et per ipsum et in ipso sunt omnia, dicit Glossa [ord. et Lomb.; De nat. boni 27] Augustini, attendendum quod non ait "de ipso ", sed "ex ipso". Ex ipso enim caelum sunt et terra, quia fecit ea. Non autem de ipso, quia non de substantia sua. Sed Spiritus Sanctus non formavit corpus Christi de substantia sua. Ergo Christus non debet dici conceptus de Spiritu Sancto. 2. Praeterea, principium activum de quo ali­ quid concipitur, se habet sicut semen in gene­ ratione. Sed Spiritus Sanctus non se habuit sicut semen in conceptione Christi. Dicit enim Hieronymus, in Exposit. Catholicae ti­ dei [cf. Pelagium, Libellus Fidei ad Innocen­ tium], non, sicut quidam sceleratissimi opi­ nantur, Spiritum Sanctum dicimus fuisse pro semine, sed potentia et virtute Creatoris dici-

Sembra di no. Infatti: l . TI passo di Rm 1 1 [36] : Da lui [ex ipso] e per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose è così commentato da Agostino [Glossa]: «Osservate che non dice "de ipso", ma "ex ipso". Poiché il cielo e la terra sono stati fatti da lui, avendoli egli creati, ma non di lui, poiché non li ha fatti della sua stessa sostanza». Ma lo Spirito Santo non ha plasmato il corpo di Cristo con la sua propria sostanza. Quindi non si deve dire che Cristo fu concepito di Spirito Santo. 2. n principio attivo della concezione si com­ porta come il seme nella generazione. Ma lo Spirito Santo non fece le parti del seme nella concezione di Cristo. Scrive infatti Girolamo [Pelagio]: «Noi non diciamo, come pensava­ no alcuni scelleratissimi, che lo Spirito Santo abbia fatto le veci del seme, ma diciamo che il corpo di Cristo fu prodotto», o formato, «dalla potenza del Creatore». Quindi non si deve dire che Cristo fu concepito di Spirito Santo.

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mus esse operatum, idest formatum, corpus Christi. Non ergo debet dici quod Christus sit conceptus de Spiritu Sancto. 3. Praeterea, nihil unum de duobus formatur nisi aliquo modo commixtis. Sed corpus Christi formatum est de Virgine Maria. Si ergo Christus dicatur conceptus de Spiritu Sancto, videtur quod facta sit commixtio quaedam Spiritus Sancti et materiae quam Virgo ministravit, quod patet esse falsum. Non ergo Christus debet dici conceptus de Spirito Sancto. Sed contra est quod dicitur Matth. l [1 8],

antequam convenirent, inventa est in utero habens de Spiritu Sancto.

Respondeo dicendum quod conceptio non attribuitur soli corpori Christi, sed etiam ipsi Christo ratione ipsius corporis. In Spiritu autem Sancto duplex habitudo consideratur respectu Christi. Nam ad ipsum Filium Dei, qui dicitur esse conceptus, habet habitudinem consubstantialitatis, ad corpus autem eius habet habitudinem causae efficientis. Haec autem praepositio de utramque habitudinem designat, sicut cum dicimus hominem aliquem de suo patre. Et ideo convenienter di­ cere possumus Christum esse conceptum de Spiritu Sancto, hoc modo quod efficacia Spi­ ritus Sancti referatur ad corpus assumptum, consubstantialitas ad personam assumentem. A d primum ergo dicendum quod corpus Christi, quia non est consubstantiale Spiritui Sancto, non proprie potest dici de Spiritu Sancto conceptum, sed magis ex Spiritu Sancto, sicut Ambrosius dicit, in libro De Spiritu Sancto [2,5], quod ex aliquo est, aut

ex substantia aut ex potestate eius est, ex substantia, sicut Filius, qui a Patre est; ex potestate, sicut ex Deo omnia, quo modo et in utem habuit Maria ex Spiritu Sancto. Ad secundum dicendum quod super hoc videtur esse quaedam diversitas Hieronymi ad quosdam alios doctores, qui asserunt Spiritum Sanctum in conceptione fuisse pro semine. Dicit enim Chrysostomus, Super Matth. [cf. Op. imperf. in Matth., h. l super l ,20] ,

unigenito Dei in Virginem ingressum prae­ cessit Spiritus Sanctus, ut, praecedente Spi­ ritu Sancto, in sanctificationem nascatur Christus secundum corpus, divinitate ingre­ diente pm semine. Et Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 2], obumbravit super ipsam Dei

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3. Di due cose non se ne fa una sola se non mescolandole insieme in qualche modo. Ma il COlpO di Cristo è stato formato dalla Vergi­ ne Maria. Se dunque si dice che Cristo fu concepito di Spirito Santo, bisogna ammette­ re che lo Spirito Santo si sia mescolato alla materia somministrata dalla Vergine, il che è falso. Quindi non si deve dire che Cristo fu concepito di Spirito Santo. In contrario: in Mt l [18] è detto: Prima che andassem a vivere insieme, [Maria] si tmvò

incinta per opera dello Spirito Santo. Risposta: il concepimento non riguarda sol­ tanto il corpo di Cristo, ma Cristo stesso in ragione del suo corpo. Ora, lo Spirito Santo ha con Cristo due diversi rapporti. Con il Figlio stesso di Dio, che è stato concepito, ha un rapporto di consostanzialità; con il suo corpo invece ha un rapporto di causalità efficiente. Ora, la preposizione di [de] indica ambedue i rapporti, come quando diciamo che uno ha tutto «di suo padre». Possiamo quindi dire giustamente che Cristo fu conce­ pito di Spirito Santo, riferendo la causalità efficiente dello Spirito Santo al corpo assunto e la consostanzialità alla persona assumente. Soluzione delle difficoltà: l. Il corpo di Cristo, non essendo consostanziale allo Spirito Santo, non può dirsi propriamente concepito di Spirito Santo, ma piuttosto «per opera dello Spirito Santo». Da cui le parole di Ambrogio: «Ciò che viene da qualcuno [ex aliquo] viene o dalla sua sostanza o dalla sua potenza: dalla sostanza, come il Figlio che procede dal Padre; dalla potenza, come tutte le cose che vengono da Dio, e come anche Maria ricevet­ te nel suo seno ciò che veniva dallo Spirito Santo». 2. Su questo punto sembra che vi sia una certa discordanza fra Girolamo e alcuni altri dottori, i quali affermano che lo Spirito Santo nella concezione avrebbe fatto le veci del seme. Dice infatti il Crisostomo: «All'Unige­ nito di Dio, che stava per entrare nella Vergi­ ne, fece strada lo Spirito Santo, perché Cristo nascesse nella santità secondo il corpo, ope­ rando la divinità al posto del seme». E il Da­ masceno scrive: «La Sapienza e la Potenza di Dio scese su di lei, come seme divino». - Ma le cose si possono conciliare con facilità. Considerando infatti nel seme la virtù attiva, il Crisostomo e il Damasceno paragonano al

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Sed hoc de facili solvitur. Quia secundum quod in semine intelligitur virtus activa, sic Chrysosto­ mus et Damascenus comparant semini Spiri­ rum Sanctum, vel etiam Filium, qui est virtus Altissimi. Secundum autem quod in semine intelligitur substantia corporalis quae in con­ ceptione transmutatur, negat Hieronymus Spi­ ritum Sanctum fuisse pro semine. Ad tertium dicendum quod, sicut dicit Augus­ tinus, in Ench. [40], non eodem modo dicitur Christus conceptus aut natus de spiritu sancto, et de Maria Virgine, nam de Maria Virgine materialiter, de spiritu sancto effective. Et ideo non habuit hic Iocum commixtio.

seme lo Spirito Santo, oppure il Figlio, che è «la Potenza dell' Altissimo». Considerando invece nel seme la sostanza materiale, che nella concezione è trasformata, Girolamo nega che Io Spirito Santo abbia fatto le veci del seme. 3. Come nota Agostino, Cristo non è detto concepito e nato di Spirito Santo nello stesso senso in cui è detto concepito e nato da Maria Vergine: infatti da Maria Vergine ebbe l a materia del concepimento, e dallo Spirito Santo il principio efficiente. Quindi non ci fu alcuna mescolanza.

Articulus 3 Utrum Spiritus Sanctus debeat dici pater Christi secundum humanitatem

Articolo 3 Si deve dire che lo Spirito Santo è padre di Cristo secondo l'umanità?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Spiri­ tus Sanctus debeat dici pater Christi secun­ dum humanitatem. l . Quia secundum philosophum, in libro De generat. animai. [ 1 ,2; 2,4; 4, 1 ] , pater dat

Sembra di sì. Infatti: l . Secondo il Filosofo «il padre dà il principio attivo nella generazione, mentre la madre somministra la materia». Ma la Beata Vergine è detta Madre di Cristo per la materia che somministrò nel suo concepimento. Quindi, sembra che anche lo Spirito Santo possa dirsi padre di Ctisto per essere stato i l principio attivo del suo concepimento. 2. Come le anime degli altri santi sono fonnate dallo Spirito Santo, così pure il corpo di Cristo venne fonnato dallo Spirito Santo. Ma gli altri santi per la suddetta fonnazione sono detti figli di tutta la Trinità, e quindi anche dello Spirito Santo. Quindi, sembra che Cristo debba dirsi figlio dello Spirito Santo, i n quanto i l suo corpo fu fonnato dallo Spirito Santo. 3. Si dice che Dio è nostro padre perché ci ha fatti, come è detto in Dt 32 [6]: Non è lui tuo

sapientia et virtus, velut divinum semen.

-

principium activum in generatione, mater ve­ ro ministrat materiam. Sed Beata Virgo dici­ tur mater Christi propter matetiam quam in conceptione eius ministravit. Ergo videtur quod etiam Spiritus Sanctus possit dici pater eius, propter hoc quod fuit principium acti­ vum in conceptione ipsius. 2. Praeterea, sicut mentes aliorum sanctorum formantur per Spiritum Sanctum, ita etiam corpus Christi est per Spiritum Sanctum for­ matum. Sed alii sancti, propter praedictam formationem, dicuntur filii totius Trinitatis, et per consequens Spiritus Sancti. Videtur ergo quod Christus debeat dici filius Spiritus Sancti, inquantum corpus eius est Spiritu Sancto fonnatum. 3 . Praeterea, Deus dicitur Pater noster se­ cundum hoc quod nos fecit, secundum illud Deut. 32 [6], nonne ipse est Pater tuus, qui possedit et fecit et creavit te? Sed Spiritus Sanctus fecit corpus Christi, ut dictum est [aa. 1 -2]. Ergo Spiritus Sanctus debet dici pater Christi secundum corpus ab ipso fonnatum. Sed contra est quod Augustinus dicit, i n Ench. [40] , natus est Christus de Spiritu

Sancto non sicut filius, et de Maria Virgine sicutfilius.

padre, che ti ha costituito, che ti ha fatto e che ti ha creato? Ma, come si è detto, lo Spirito Santo produsse il corpo di Cristo. Quindi lo Spirito Santo deve dirsi padre di Cristo secon­ do il corpo da lui formato. In contrario: Agostino dichiara che «Cristo nacque dallo Spirito Santo non come figlio; dalla Vergine Maria invece come figlio». Risposta: i nomi di padre, madre e figlio deri­ vano dalla generazione, ma non da qualunque generazione, bensì soltanto da quella dei vi­ venti, e principalmente degli animali. Non diciamo infatti che il fuoco generato è figlio

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Il principio attivo del concepimento di Cristo

Respondeo dicendum quod nomina pater­ nitatis et matemitatis et filiationis generatio­ nem consequuntur, non tamen quamlibet, sed proprie generationem viventium, et praecipue animalium. Non enim dicimus quod ignis generatus sit filius ignis generantis, nisi forte secundum metaphoram , sed hoc s o l u m dicimus in animalibus quorum generatio est magis perfecta. Nec tamen omne quod i n animalibus generatur, tiliationis accepit no­ men, sed solum illud quod generatur in simi­ litudine generantis. Unde, sicut Augustinus dicit [Ench. 39], non dicimus quod capillus qui nascitur ex homine, sit filius hominis; nec etiam dicimus quod homo qui nascitur sit filius seminis, quia nec capillus habet simili­ tudinem hominis; nec homo qui nascitur ha­ bet similitudinem seminis, sed hominis gene­ rantis. Et si quidem perfecta sit similitudo, erit perfecta filiatio, tam in divinis quam in hu­ manis. Si autem sit similitudo imperfecta, est etiam filiatio irnperfecta. Sicut in homine est quaedam similitudo Dei imperfecta, et in­ quantum creatus est ad imaginem Dei, et in­ quantum creatus est secundum similitudinem gratiae. Et ideo utroque modo potest homo dici filius eius, et quia, scilicet, est creatus ad irnaginem eius; et quia est ei assimilatus per gratiam. - Est autem considerandum quod illud quod de aliquo dicitur secundum perfec­ tam rationem, non est dicendum de eo secun­ dum rationem imperfectam, sicut, quia Socra­ tes dicitur naturaliter homo secundum pro­ priam rationem hominis, nunquam dicitur ho­ m o secundum i llam significationem qua pictura hominis dicitur homo, licet forte ipse assimiletur alteri homini. Christus autem est Filius Dei secundum perfectam rationem fi­ liationis. Unde, quamvis secundum humanam naturam sit creatus et iustificatus non tamen debet dici filius Dei neque ratione creationis, neque ratione iustificationis, sed solum ratio­ ne generationis aetemae, secundum quam est Filius Patris solius. Et ideo nullo modo debet dici Christus filius Spiritus Sancti, nec etiam totius Trinitatis. Ad primum ergo dicendum quod Christus conceptus est de Maria Virgine materiam ministrante in similitudinem speciei. Et ideo dicitur filius eius. Christus autem, secundum quod homo, conceptus est de Spiritu Sancto sicut de activo principio, non tamen secun-

Q. 32, A. 3

del fuoco generante, se non forse per metafo­ ra; lo diciamo invece solo degli animali, la cui generazione è più perfetta. E tuttavia nemme­ no negli animali prende il nome di figlio tutto ciò che è generato, ma solo ciò che è generato a somiglianza del generante. Per cui, come osserva Agostino, non diciamo che è figlio dell'uomo un capello nato da lui, e neppure che l'uomo è figlio del seme umano, poiché né il capello assomiglia all'uomo, né l'uomo al seme, ma al suo genitore. Una somiglianza perfetta dà poi una filiazione perfetta, sia in Dio che negli uomini, mentre una somiglian­ za imperfetta dà una filiazione imperfetta. Co­ me nell'uomo c'è una certa somiglianza im­ perfetta con Dio, sia in quanto egli è stato creato a immagine di Dio, sia in quanto ha ricevuto il dono creato della grazia. Perciò l'uomo può dirsi figlio di Dio per ambedue le ragioni: sia perché creato a sua immagine, sia perché reso simile a lui mediante la grazia. Ora, dobbiamo ricordare che un attributo non può predicarsi nella sua accezione imperfetta di uno a cui esso spetta in maniera perfetta: come di Socrate, che è uomo per natura e in senso proprio, non si potrà mai dire che è uomo nel senso di uomo dipinto, anche se per caso assomigliasse a u n altro uomo. Ora, Cristo è Figlio di Dio in senso pieno. Di con­ seguenza, sebbene secondo la natura egli sia stato creato e giustificato, tuttavia non può dirsi figlio di Dio per la creazione, ma solo per la generazione eterna, in base alla quale è Figlio solo del Padre. Quindi in nessun modo si deve dire che Cristo è figlio dello Spirito Santo, e neppure di tutta la Trinità. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo fu conce­ pito da Maria Vergine con la somministra­ zione della materia i n vista di una somi­ glianza specifica. Perciò può dirsi suo figlio. Al contrario Cristo in quanto uomo fu conce­ pito di Spirito Santo in quanto questi operò quale principio attivo, ma non secondo quella somiglianza specifica che c'è tra un uomo e suo padre. Perciò Cristo non può dirsi figlio dello Spirito Santo. 2. Gli uomini formati soprannaturalmente dallo Spirito Santo non possono essere detti figli di Dio nel senso di una filiazione perfet­ ta, ma sono figli di Dio secondo una filiazione imperfetta, dovuta alla somiglianza della gra­ zia, che è un dono di tutta la Trinità. Per Cristo

Q. 32, A. 3

Il principio attivo del concepimento di Cristo

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dum similitudinem speciei, sicut homo nasci­ tur de patre suo. Et ideo Christus non dicitur filius Spiritus Sancti. Ad secundum dicendum quod homines qui spiritualiter formantur a Spiritu Sancto, non possunt dici filii Dei secundum pelfectam rationem filiationis. Et ideo dicuntur filii Dei secundum filiationem imperfectam, quae est secundum similitudinem gratiae, quae est a tota Trinitate. Sed de Christo est alia ratio, ut dictum est [in co.]. Et similiter dicendum est ad tertium.

invece la cosa è diversa, secondo le spiegazio­ ni date. 3. È così risolta anche la terza difficoltà.

Articulus 4 Utrum Beata Virgo aliquid active egerit in conceptione corporis Christi

Articolo 4 La Beata Vergine ha svolto in qualche modo un ruolo attivo nel concepimento del corpo di Cristo?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Bea­ ta Vrrgo aliquid active egerit in conceptione corporis Christi. l . Dicit enim Damascenus, in 3 libro [De fide 2], quod Spiritus Sanctus supervenit Virgini,

Sembra di sì. Intàtti: l . Il Damasceno dice che «lo Spirito Santo discese sulla Vergine per purificarla e renderla capace sia di ricevere che di generare il Verbo di Dio». Ma la capacità passiva di generare l' aveva già dalla natura, come ogni donna. Quindi le donò la capacità attiva di generare. Così dunque essa agì come principio attivo nel concepimento di Cristo. 2. Tutte le potenze dell'anima vegetativa sono potenze attive, come dice il Commentatore. Ma la potenza generativa, tanto nel maschio quanto nella femmina, appartiene ali' anima vegetativa. Quindi essa opera attivamente sia nel maschio che nella femmina nella conce­ zione della prole. 3. La donna nel concepimento somministra la materia dalla quale si forma naturalmente il corpo della prole. Ora, la natura è principio intrinseco di operazione. Quindi, sembra che nella materia stessa che la Beata Vergine somministrò per il concepimento di Cristo ci fosse un principio attivo. In contrario: il principio attivo nella genera­ zione è detto ragione seminate. Ma, come di­ ce Agostino, il corpo di Cristo «ricevette dal­ la Vergine la sola materia corporea, e fu con­ cepito sotto l' influsso divino, senza alcuna ra­ gione seminale umana». Quindi la Beata Ver­ gine non ebbe alcun influsso attivo nel conce­ pimento del corpo di Cristo. Risposta: alcuni sostengono che la Beata Ver­ gine nel concepimento di Cristo ebbe una parte attiva, sia per virtù naturale che per virtù

purgans ipsam, et virtutem susceptivam Verbi Dei tribuens, simul autem et generativam.

Sed virtutem generativam passivam habebat a natura, sicut et quaelibet femina. Ergo dedit ei virtutem generativam activam. Et sic aliquid active egit in conceptione Christi. 2. Praeterea, omnes virtutes animae vegetabi­ lis sunt virtutes activae, sicut Commentator dicit, in 2 De an. [Comm. 33; cf. comm. 52]. Sed potentia generativa, tam in mare quam in femina, pertinet ad animam vegetabilem. Er­ go, tam in mare quam in femina, active opera­ tur ad conceptum prolis. 3. Praeterea, femina ad conceptionem prolis materiam ministrat ex qua naturaliter corpus prolis formatur. Sed natura est principium mo­ tus intrinsecum. Ergo videtur quod in ipsa ma­ teria quam Beata Virgo ministravit ad concep­ tum Christi, fuit aliquod principium activum. Sed contra est quod principium activum in generatione dicitur ratio seminalis. Sed, sicut Augustinus dicit, l O Super Gen. [20], corpus Christi in sola materia corporali, per divinam

conceptionis formationisque rationem, de Virgine assumptum est, non autem secundum aliquam rationem seminalem humanam. Ergo

Beata Virgo nihil active fecit in conceptione corporis Christi. Respondeo dicendum quod quidam dicunt

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Il principio attivo del concepimento di Cristo

Beatam Virginem aliquid active esse opera­ tam in conceptione Christi [Alexander Halen­ sis, Summa Theol. 3,8, 1 ,3; Bonaventura, In Sent. 3,4,3, l ; cf. Albertum Magnum, In Sent. 3,3,2], et naturali virtute, et supematurali [Bo­ naventura, In Sent. 3,4,3,2]. Naturali quidem virtute, quia ponunt quod in qualibet materia naturali est aliquod activum principium. Alio­ quin, credunt quod non esset transmutatio na­ turalis. - In quo decipiuntur. Quia transmuta­ tio dicitur naturalis propter principium intrin­ secum non solum activum, sed etiam passi­ vum, expresse enim dicit philosophus, in 8 Phys. [4,6], quod in gravibus et levibus est principium passivum motus naturalis, et non activum. Nec est possibile quod materia agat ad sui formationem, quia non est actu. Nec est etiam possibile quod aliquid moveat seipsum, nisi dividatur in duas partes, quarum una sit movens et alia sit mota, quod in solis animatis contingit, ut probatur in 8 Phys. [4,3]. - Supematurali autem virtute, quia di­ cunt ad matrem requiri quod non solum materiam ministret, quae est sanguis men­ struus; sed etiam semen, quod, commixtum virili semini, habet virtutem activam in gene­ ratione. Et quia in Beata Virgine nulla fuit facta resolutio seminis, propter integerrimam eius virginitatem, dicunt quod Spùitus Sanctus supematuraliter ei tribuit virtutem activam in conceptione corporis Christi, quam aliae matres habent per semen resolutum. - Sed hoc non potest stare. Quia, cum quaelibet res sit pmpter suam operationem, ut dicitur 2 De caelo [3, 1 ] ; natura non distingueret ad opus generationis sexum maris et feminae, nisi esset distincta operatio maris ab operatione feminae. In generatione autem distinguitur operatio agentis et patientis. Unde relinquitur quod tota virtus activa sit ex parte maris, pas­ sio autem ex parte feminae. Propter quod in plantis, in quibus utraque vis commiscetur, non est distinctio maris et feminae. - Quia igitur Beata Virgo non hoc accepit ut esset pater Christi, sed mater, consequens est quod non acceperit potentiam activam in concep­ tione Christi, sive aliquid egerit, ex quo sequi­ tur ipsam patrem fuisse Christi; sive nihil ege­ rit, ut quidam [cf. Bonaventura, In Sent. 3,4,3, 1 ] dicunt, ex quo sequitur huiusmodi potentiam activam sibi frustra fuisse collatam. Et ideo dicendum est quod in ipsa conceptio-

Q. 32, A. 4

soprannaturale. Per virtù naturale, poiché a loro parere in ogni materia naturale è insito un principio attivo. Altrimenti, dicono, non sarebbero possibili le trasmutazioni naturali. Qui però si ingannano. Poiché le trasmuta­ zioni sono dette naturali non esclusivamente per il loro principio intrinseco attivo, ma anche per quello passivo. Il Filosofo dice in­ fatti espressamente che i corpi gravi e leggeri hanno del loro moto un principio naturale passivo e non attivo. Inoltre non è possibile che la materia concorra attivamente alle pro­ prie trasformazioni, non essendo in atto. E neppure è possibile che una cosa muova se stessa, a meno che non la si divida in due parti, di cui una muove e l'altra è mossa: il che capita soltanto nelle realtà animate, come dimostra Aristotele. - L'avrebbe poi avuta per virtù soprannaturale giacché essi ritengono che la madre debba somministrare non solo la materia che consiste nel sangue mestruale, ma anche il seme, che unendosi al seme virile eserciterebbe un ruolo attivo nella generazio­ ne. E poiché nella Beata Vergine, per la sua integerrima verginità, non vi fu alcuna emis­ sione di seme, dicono che lo Spirito Santo nel concepimento del corpo di Cristo le avrebbe donato soprannaturalmente quella potenza attiva che le altre madri hanno con l' emissio­ ne del seme. - Ma ciò non è ammissibile. Poiché, «essendo ogni cosa in vista della sua operazione», come nota Aristotele, la natura non distinguerebbe nella generazione il sesso maschile e quello femminile se il maschio e la femmina non avessero operazioni diverse. Ora, nella generazione la funzione dell'agente è distinta da quella del paziente. E così tutta la potenza attiva è nel padre e quella passiva nella madre. Per questo nelle piante, dove le due potenze sono mescolate, non c'è distin­ zione tra maschio e femmina. - Siccome dunque la Beata Vergine non ricevette di es­ sere padre di Cristo, ma madre, conseguente­ mente non ricevette la potenza attiva nel concepirlo: sia perché se l'avesse esercitata sarebbe stata padre di Cristo, sia perché se non l'avesse esercitata, come dicono alcuni, tale potenza attiva le sarebbe stata concessa inutilmente. In conclusione, nel concepi­ mento di Cristo la Beata Vergine non ebbe alcuna funzione attiva, ma si limitò a som­ ministrare la materia. Tuttavia essa operò

Il principio attivo del concepimento di Cristo

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ne Christi Beata Vrrgo nihil active operata est, sed solam materiam ministravit. Operata ta­ men est ante conceptionem aliquid active, praeparando materiam ut esset apta conceptui. Ad primum ergo dicendum quod illa concep­ tio tria privilegia habuit, scilicet, quod esset sine peccato originali ; quod esset non puri hominis, sed Dei et hominis; item quod esset conceptio virginis. Et haec tria habuit a Spiritu Sancto. Et ideo dicit Damascenus, quantum ad primum, quod Spiritus Sanctus supervenit Virgini purgans ipsam, idest, praeservans ne cum peccato originali conciperet. Quantum ad secundum, dicit, et virtutem susceptivam Verbi Dei tribuens, idest, ut conciperet Verbum Dei. Quantum autem ad tertium, dicit, simul et generativam, ut, scilicet, manens virgo posset generare, non quidem active sed passive, sicut aliae matres hoc consequuntur ex semine viri. Ad secundum dicendum quod potentia generativa in femina est imperfecta respectu potentiae generativae quae est in mare. Et ideo, sicut in artibus ars inferior disponit materiam, ars autem superior inducit formam, ut dicitur in 2 Physic. [2, 10]; ita etiam virtus generativa feminae praeparat materiam, virtus vero activa maris f01mat materiam praeparatam. Ad tertium dicendum quod ad hoc quod transmutatio sit naturalis, non requiritur quod in materia sit principium activum, sed solum passivum, ut dictum est [in co.].

attivamente prima del concepimento prepa­ rando l a materia, perché fosse adatta alla concezione. Soluzione delle difficoltà: l . Quel concepi­ mento ebbe tre privilegi: di essere senza i l peccato originale; d i avere pe r oggetto non un semplice uomo, ma Dio e l'uomo; di essere verginale. E questi tre privilegi li ebbe dallo Spirito Santo. Per questo il Damasceno nota, a proposito del primo, che lo Spirito Santo «discese nella Vergine per purificarla», cioè per preservarla, in modo che non concepisse col peccato originale. A proposito del secon­ do dice che «la rese capace di ricevere il Ver­ bo di Dio», cioè di concepirlo. E accennando al terzo parla di «Capacità di generare» : in quanto cioè le diede, pur rimanendo essa vergine, questo potere di generare; non però attivamente, ma passivamente, come le altre madri ottengono ciò dal seme maschile. 2. Nella donna la potenza generativa è imper­ fetta rispetto alla potenza generativa dell'uo­ mo. Come quindi nelle arti, secondo Aristote­ le, l ' inferiore dispone la materia e la superiore dà la forma, così la potenza generativa femmi­ nile prepara la materia, mentre la potenza atti­ va maschile dà la forma alla materia preparata. 3 . Per una trasformazione naturale non s i richiede che nella materia sia insito u n princi­ pio attivo, ma basta quello passivo, come si è detto.

QUAESTIO 33 DE MODO ET ORDINE CONCEPTIONIS CHRISTI

QUESTIONE 33 IL MODO E VORDINE DEL CONCEPIMENTO DI CRISTO

Deinde considerandum est de modo et ordine conceptionis Christi. - Et circa hoc quaerun­ tur quatuor. Primo, utrum corpus Christi in primo instanti conceptionis fuerit formatum. Secundo, utrum in primo instanti conceptio­ nis fuerit animatum. Tertio, utrum in primo instanti conceptionis fuerit a Verbo assum­ ptum. Quarto, utrum conceptio illa fuerit na­ turalis vel miraculosa.

Passiamo ora a considerare il modo e l'ordine del concepimento di Cristo. - Sull'argomento si pongono quattro quesiti: l . TI corpo di Cristo è stato formato nel primo istante del suo con­ cepimento? 2. In quell'istante ha ricevuto l'a­ nima? 3. E stato assunto dal Verbo in quel­ l'istante? 4. Tale concepimento è stato naturale o miracoloso?

Articulus l

Articolo l

Utrum corpus Christi fuerit formatum in primo instanti conceptionis

D corpo di Cristo è stato formato nel primo istante del suo concepimento?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod cor-

Sembra di no. Infatti:

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Il modo e l 'ordine del concepimento di Cristo

pus Christi non fuerit formatum i n primo instanti conceptionis. l . Dicitur enim loan. 2 [20], quadraginta et sex annis aedificatwn est templum hoc, quod exponens Augustinus, in 4 De Trin. [5], dicit,

hic numerus peifectioni dominici corporis aperte congruit. Et in libro Octoginta trium Q. [56] dicit, non absurde quadraginta sex annis dicitur fabricarum esse Templum, quod corpus eius figurabat, ut, quot anni .fuenmt in fabricatione Templi, tot dies .fuerint in corpo­ ris dominici perfectione. Non ergo in primo instanti conceptionis corpus Christi fuit per­ fecte formatum. 2. Praeterea, ad formationem corporis Christi requirebatur motus localis, quo purissimi san­ guines de corpore Vrrginis ad locum congruum generationi pervenirent. Nullum autem corpus potest moveri localiter in instanti, eo quod tempus motus dividitur secundum divisionem mobilis, ut probatur in 6 Phys. [4,6]. Ergo corpus Christi non fuit in instanti formatum. 3. Praeterea, corpus Christi formatum est ex purissimis sanguinibus Virginis, ut supra [q. 3 1 a. 5] habitum est. Non autem potuit esse materia illa in eodem instanti sanguis et caro, quia sic materia simul fuisset sub duabus formis. Ergo aliud fuit instans in quo ultimo fuit sanguis, et aliud in quo primo fuit caro formata. Sed inter quaelibet duo instantia est tempus medium. Ergo corpus Christi non fuit in instanti formatum, sed per aliquod tempus. 4. Praeterea, sicut potentia augmentativa re­ quirit determinatum tempus in suo actu, ita etiam virtus generativa, utraque enim est potentia naturalis ad vegetabilem animam pertinens. Sed corpus Christi fuit determinato tempore augmen tatum , sicut et alioru m hominum corpora, dicitur enim Luc. 2 [52], quod proficiebat aetate et sapientia. Ergo videtur quod, pari ratione, formatio corporis eius, quae pertinet ad vim generativam, non fuerit in instanti, sed determinato tempore quo aliorum hominum corpora formantur. Sed contra est quod Gregorius dicit, 1 8 Mor.

[52], angelo nuntiante, et Spiritu adveniente, mox Verbum in utero, mox intra uterum Verbum caro. Respondeo dicendum quod in conceptione corporis Christi tria est considerare, primo quidem, motum localem sanguinis ad locum generationis; secundo, formationem corporis

Q. 33, A. l

l . In Gv 2 [20] è detto: Questo Tempio è stato costruito in quarantasei anni; e Agostino spiega: «Tale numero è chiaramente confor­ me alla perfezione del corpo del Signore». Ed egli stesso altrove scrive: «Non senza motivo è scritto che ci vollero quarantasei anni per costruire il Tempio, che era simbolo del corpo del Signore: affinché quanti furono gli anni impiegati nella costruzione del Tempio, altret­ tanti fossero i giorni necessari alla perfetta formazione di quel corpo». Quindi nel primo istante del suo concepimento il corpo di Cri­ sto non fu perfettamente formato. 2. Per la formazione del corpo di Cristo era ri­ chiesto un moto locale, dovendo il sangue più puro della Vergine affluire nel luogo proprio della generazione. Ora, nessun corpo si muove localmente in un istante, poiché, come insegna Aristotele, il tempo del moto è diviso secondo la divisione del soggetto mobile. Perciò i l corpo di Cristo non fu formato in un istante. 3. n corpo di Cristo fu formato dal sangue più puro della Vergine, come si è visto. Ora, quel­ la materia non poté essere nello stesso istante sangue e crune: poiché in tale ipotesi la mate­ ria sarebbe esistita sotto due forme. Perciò l'ultimo istante in cui essa era sangue fu diver­ so dal primo istante in cui era carne. Ma tra due istanti c'è sempre un tempo intermedio. Quindi il corpo di Cristo non fu formato in un istante, ma lungo il decorso di un dato tempo. 4. Come richiede un determinato tempo nel suo atto la facoltà accrescitiva, così lo richiede anche la facoltà generativa: ambedue infatti sono facoltà naturali dell ' anima vegetativa. Ora, il corpo di Cristo si sviluppò in un deter­ minato tempo, come anche il corpo degli altri uomini. Infatti, in Le 2 [52] è detto che cresce­ va in età e in sapienza. Quindi, per lo stesso motivo sembra che la formazione del suo corpo, che appartiene alla facoltà generativa, non sia avvenuta in un istante, ma nel tempo che è richiesto normalmente per tutti gli altri uomini. In contrario: Gregorio afferma: «All' annuncio dell'angelo e con la venuta dello Spirito San­ to, subito il Verbo si trovò nel seno, e fatto carne». Risposta: nel concepimento del corpo di Cri­ sto vanno considerati tre momenti: primo, il flusso locale del sangue verso il luogo della generazione ; secondo, la formazione del

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IL modo e l 'ordine del concepimento di Cristo

ex tali materia; tertio, augmentum quo perdu­ citur ad quantitatem petfectam. In quorum medio ratio conceptionis consistit, nam pri­ mum est conceptioni praeambulum; tertium autem conceptionem consequitur. - Primum autem non potuit esse in instanti, quia hoc est contra ipsam rationem motus localis corporis cuiuscumque, cuius partes successive subin­ trant locum. - Similiter et tertium oportet esse successivum. Tum quia augmentum non est sine motu locali. Tum etiam quia procedit ex virtute animae iam in corpore formato ope­ rantis, quae non operatur nisi in tempore. Sed ipsa formatio corporis, in qua principa­ liter ratio conceptionis consistit, fuit in instan­ ti, duplici ratione. Primo quidem, propter vir­ tutem agentis i nfinitam, scilicet Spiritus Sancti, per quem corpus Christi est fonnatum, ut supra [q. 32 a. l ] dictum est. Tanto enim aliquod agens citius potest materiam dispo­ nere, quanto fuerit maioris virtutis. Unde agens infinitae virtutis potest in instanti mate­ riam disponere ad debitam formam. - Secun­ do, ex parte personae Filii, cuius corpus for­ mabatur. Non enim erat congruum ut corpus humanum assumeret nisi formatum. Si autem ante formationem petfectam aliquod tempus conceptionis praecessisset, non posset tota conceptio attribui Filio Dei, quae non attri­ buitur ei nisi ratione assumptionis. Et ideo in primo instanti quo materia adunata pervenit ad locum generationis, fuit perfecte formatum corpus Christi et assumptum. Et per hoc dicitur ipse Filius Dei conceptus, quod aliter dici non posset. Ad primum ergo dicendum quod verbum Au­ gustini utrobique non refertur ad solam forma­ tionem corporis Christi, sed ad formationem simul cum detenninato augmento usque ad tempus partus. Unde secundum rationem illius numeri dicitur perfici tempus novem mensium, quo Christus fuit in utero Vrrginis. Ad secundum dicendum quod motus ille localis non comprehenditur infra ipsam con­ ceptionem, sed est conceptioni praeambulus. Ad tertium dicendum quod non est assignare ultimum instans in quo materia illa fuit san­ guis, sed est assignare ultimum tempus, quod continuatur, nullo interveniente medio, ad pri­ mum instans in quo fuit caro Christi formata. Et hoc instans fuit tenninus temporis motus localis materiae ad locum generationis.

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corpo da tale materia; terzo, l'aumento fino alla quantità petfetta. Ora, il concepimento consiste nel secondo momento: infatti il pri­ mo prepara il concepimento e il terzo lo se­ gue. La prima fase non poté verificarsi in un istante: poiché ciò sm·ebbe contro la nozione stessa del moto locale, in cui le parti suben­ trano in un determinato luogo successiva­ mente. - Così pure la terza fase deve attuarsi in maniera successiva: sia perché non ci può essere aumento senza moto locale, sia perché essa è un effetto dell'anima che opera nel corpo già formato, e l'anima opera solo nel tempo. - La formazione del corpo invece, nella quale principalmente consiste il conce­ pimento, avvenne in un istante, e ciò per due motivi. Primo, per il potere infinito della cau­ sa agente, cioè dello Spirito Santo, per opera del quale il corpo di Cristo fu formato, come si è detto sopra. Infatti quanto più una causa è efficace, tanto più rapidamente dispone la materia. Per cui la causa che ha un potere infinito può in un istante disporre la materia a ricevere la forma. - Secondo, tenuto conto della persona del Figlio, di cui veniva formato il corpo. Infatti non era conveniente che egli assumesse un corpo non petfettamente for­ mato. Ora, se il concepimento avesse prece­ duto di un certo tempo la perfetta formazione del corpo, non si potrebbe attribuire al Figlio di Dio tutto il concepimento, il quale invece gli è attribuito solo in forza dell'assunzione. Perciò nel primo istante in cui la materia radunata giunse nel luogo della generazione, il corpo di Cristo fu petfettamente formato e unito al Verbo. Solo in questo senso infatti, e non altrimenti, si può dire che il Figlio di Dio fu concepito. Soluzione delle difficoltà: l . Le due spiega­ zioni di Agostino non riguardano la sola for­ mazione del corpo di Cristo, ma la forma­ zione e insieme il congruo sviluppo fino al momento del parto. Per cui secondo il simbo­ lismo di quel numero si dice che viene a com­ pletarsi il tempo di nove mesi, durante i quali Cristo rimase nel seno della Vergine. 2. Quel movimento locale non è incluso nel concepimento, ma lo precede. 3. Non si può stabilire l'ultimo istante in cui la materia era ancora sangue, ma si può stabi­ lire l'ultimo tempo continuo che si ricollega senza alcun intervallo al primo istante in cui -

Il modo e l 'ordine del concepimento di Cristo

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Ad quartum dicendum quod augmentum fit per potentiam augmentativam ipsius quod augetur, sed formatio corporis fit per poten­ tiam generativam, non eius qui generatur, sed patris generantis ex semine, in quo operatur vis formativa ab anima patris derivata. Corpus autem Christi non fuit formatum ex semine viri, sicut supra [q. 3 1 a. 5 ad 3] dictum est, sed ex operatione Spiritus Sancti. Et ideo talis debuit esse formatio ut Spiritum Sanctum de­ ceret. Sed augmentum corporis Christi fuit factum secundum potentiam augmentativam animae Christi, quae cum sit specie confor­ mis animae nostrae, eodem modo debuit cor­ pus illud augmentari sicut et alia corpora ho­ minum augmentantur, ut ex hoc ostenderetur veritas humanae naturae.

Articulus

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Utrum corpus Christi fuerit animatum in primo instanti conceptionis Ad secundum sic proceditur. Videtur quod corpus Christi non fui t animatum in primo instanti conceptionis. l . Dicit enim Leo Papa, in Epistola ad lulia­ num [35,3], non alterius naturae erat caro

Christi quam nostrae, nec alio il/i quam cete­ ris hominibus anima est inspirata principio.

Sed aliis hominibus non infunditur anima in primo instanti suae conceptionis. Ergo neque corpori Christi anima debuit infundi in primo instanti suae conceptionis. 2. Praeterea, anima, sicut quaelibet forma naturalis, requirit determinatam quantitatem in sua materia. Sed in primo instanti concep­ tionis corpus Christi non habui t tantam quan­ titatem quantam habent corpora aliorum ho­ minum quando animantur, alioquin, si conti­ nue fuisset postmodum augmentatum, vel citius fuisset natum; vel in sua nativitate fuis­ set maioris quantitatis quam ali i infantes. Quorum primum est contra Augustinum, 4 De Trin. [5 ] , ubi probat eum spatio novem mensium in utero Virginis fuisse, secundum autem est contra Leonem Papam, qui, in Sermone Epiphaniae [Sermones 34,3], dicit,

invenerunt puerum Iesum in nullo ab humanae infantiae generalitate discretum.

Q. 33, A. l

fu formata la carne di Cristo. E questo istante segnò il termine del movimento della materia verso il luogo della generazione. 4. L'aumento avviene in forza delle facoltà accrescitive di colui che cresce, ma la forma­ zione del corpo è frutto della facoltà generati­ va non di chi è generato, bensì del padre che genera mediante il seme, in cui opera la virtù generativa derivante dall' anima del padre. Però il corpo di Cristo non fu formato con seme virile, come si è detto sopra, ma per opera dello Spirito Santo. Fu dunque necessa­ rio che tale formazione fosse degna dello Spirito Santo. Lo sviluppo invece del corpo di Cristo avvenne in forza della facoltà accresci­ tiva dell'anima, per cui, essendo questa speci­ ficamente uguale alla nostra, quel corpo dove­ va crescere alla stessa maniera del corpo degli altri uomini, perché fosse così manifesta la realtà della natura assunta. Articolo 2 n corpo di Cristo ha ricevuto l'anima

nel primo istante del suo concepimento? Sembra di no. Infatti: l . Papa Leone scrive: «La natura della carne di Ctisto non era diversa dalla nostra, né in lui fu infusa l'anima in un momento diverso da quello degli altri uomini». Ma negli altri uo­ mini l'anima non è infusa nel primo istante del concepimento. Quindi neppure nel corpo di Cristo dovette essere infusa in quel momento. 2. L' anima, come ogni fonna naturale, esige nella sua materia una determinata quantità. Ora, nel primo istante del concepimento i l corpo d i Ctisto non aveva quella quantità che hanno i corpi degli altri uomini quando ricevo­ no l'anima: altrimenti, continuando poi a cre­ scere, sarebbe nato più presto, oppure sarebbe nato più grande degli altri bambini. Ma la prima ipotesi va contro l'opinione di Agosti­ no, il quale ritiene che il corpo di Cristo sia rimasto nove mesi nel seno della Vergine. La seconda invece va contro papa Leone, il quale afferma: «[I Magi] trovarono il bambino Gesù che non differiva in nulla dagli altri bambini». Quindi il corpo di Cristo non ricevette l'anima nel primo istante del suo concepimento. 3. Dove c'è un prima e un poi ci devono esse­ re istanti diversi. Ora, secondo Aristotele, nel­ la generazione dell' uomo è necessario un

Q. 33, A. 2

IL modo e l 'ordine del concepimento di Cristo

Non ergo corpus Christi fuit animatum in pri­ mo instanti suae conceptionis. 3. Praeterea, ubicumque est prius et posterius, oportet esse plura instantia. Sed secundum philosophum, in libro De generat. animai. [2,3], in generatione hominis requiritur prius et posterius, prius enim est vivum, et postea animai, et postea homo. Ergo non potuit animatio Christi perfici in primo instanti conceptionis. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 2], simul caro, simul Dei Verbi

caro, simul caro animata anima rationali et intellectuali.

Respondeo dicendum quod, ad hoc quod conceptio ipsi Filio Dei attribuatur, ut in Sym­ bolo [Symb. Apost.] confitemur, dicentes, qui conceptus est de Spiritu Sancto; necesse est dicere quod ipsum corpus, dum conciperetur, esset a Verbo Dei assumptum. Ostensum est autem supra [q. 6 aa. I -2] quod Verbum Dei assumpsit corpus mediante anima, et animam mediante spiritu, idest intellectu. Unde opor­ tuit quod in primo instanti conceptionis cor­ pus Christi esset animatum anima rationali. Ad primum ergo dicendum quod ptincipium inspirationis animae potest considerari dupli­ citer. Uno modo, secundum dispositionem corporis. Et sic non ab alia principio inspirata est anima corpori Christi, et corporibus aliorum hominum. Sicut enim statim, formato corpore alterius hominis, infunditur anima, ita fuit in Christo. Alia modo potest considerari dictum principium salurn secundum tempus. Et sic, quia prius tempore formatum fuit per­ fecte corpus Christi, prius tempore fuit etiam animatum. Ad secundum dicendum quod anima requirit debitam quantitatem in materia cui infunditur, sed ista quantitas quandam latitudinem habet, quia et in maiori et minori quantitate salvatur. Quantitas autem corporis quam habet cum primo sibi infunditur anima, proportionatur quantitati perfectae ad quam per augmentum perveniet, ita scilicet quod maiorum homi­ num maiorem quantitatem corpora habent in prima animatione. Christus autem in perfecta aetate habuit decentem et mediocrem quanti­ tatem, cui proportionabatur quantitas quam corpus eius habuit in tempore quo aliorum hominum corpora animantur; minorem tamen habuit in principio suae conceptionis. Sed

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prima e un poi: infatti uno prima è vivente, poi animale e infine uomo. Quindi Cristo non poté ricevere l ' anima nel primo istante del suo concepimento. In contrario: il Damasceno afferma: «Nel medesimo istante fu crune, carne del Verbo di Dio, carne informata da un'anima razionale e intellettuale». Risposta: perché si possa attribuire il conce­ pimento allo stesso Figlio di Dio, come pro­ fessiamo nel Simbolo con le parole: «II quale fu concepito di Spirito Santo», è necessario affermare che il corpo fu assunto dal Verbo di Dio nel medesimo istante in cui veniva conce­ pito. Ma sopra abbiamo dimostrato che il Verbo di Dio assunse il corpo mediante l'ani­ ma, e l'anima mediante lo spirito, cioè l'intel­ ligenza. Quindi era necessario che il corpo di Cristo fosse informato dali' anima razionale nel primo istante del suo concepimento. Soluzione delle difficoltà: I. Il momento del­ l'infusione dell'anima può essere considerato sotto due aspetti. Primo, in rapporto alle di­ sposizioni del corpo. E in questo senso l'ani­ ma di Cristo, come l'anima degli altri uomini, fu infusa quando il corpo era formato. Secon­ do, in rapporto al tempo soltanto. E in que­ st'altro senso, come il corpo di Cristo fu for­ mato in modo perfetto in un tempo più breve di quello degli altri uomini, così ricevette an­ che l'anima prima di essi. 2. L'anima esige la dovuta quantità nella mate­ ria in cui è infusa; ma questa quantità ha una certa ampiezza, in quanto ammette un più e un meno. Ora, la quantità del corpo al momento dell' infusione dell'anima è proporzionata a quella perfetta che raggiungerà con la crescita: di modo che gli uomini più corpulenti hanno un corpo più voluminoso al momento dell'in­ fusione dell'anima. Ora, Cristo all'età perfetta ebbe una giusta corporatura media, alla quale si proporzionava quella del suo corpo al tempo in cui il corpo degli altri uomini suole ricevere l'infusione dell'anima; tuttavia la ebbe minore al momento del concepimento. Non però così piccola da non poter costituire un vero corpo animato: infatti l'anima è infusa in una equiva­ lente quantità di materia nel caso di certi uo­ mini di piccola statura. 3. Ciò che dice Aristotele ha luogo nella ge­ nerazione degli altri uomini, giacché il loro corpo è formato e disposto a ricevere l'anima

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Il modo e l 'ordine del concepimento di Cristo

Q. 33, A. 2

tamen illa parva quantitas non erat tam parva ut in ea non posset ratio animati corporis con­ servari, cum in tali quantitate quorundam par­ vorum hominum corpora animentur. Ad tertium dicendum quod in generatione aliorum hominum locum habet quod dicit philosophus [De generat. animai. 2,3], propter hoc quod successive corpus formatur et disponitur ad animam, unde primo, tanquam impertecte dispositum, recipit animam imper­ fectam; et postmodum, quando perfecte est dispositum, recipit animam perfectam. Sed corpus Christi, propter infinitam virtutem agentis, fuit perfecte dispositum in instanti. Unde statim in primo instanti recepit formam perfectam, idest animam rationalem.

per gradi: per cui in un primo momento, fin­ ché la sua disposizione è imperfetta, riceve un'anima imperfetta; poi, quando ha raggiun­ to la perfetta disposizione, riceve l'anima per­ fetta. Ma il corpo di Cristo, grazie all'infinita potenza della causa agente, si trovò perfetta­ mente predisposto all ' istante. Quindi nel primo istante ricevette la forma perfetta, cioè l'anima razionale.

Articulus 3 Utrum caro Christi fuerit concepta, et postmodum assumpta

Articolo 3 D corpo di Cristo è stato prima concepito e poi assunto?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod caro Christi prius fuit concepta, et postmodum assumpta. l. Quod enim non est, non potest assumi. Sed caro Christi per conceptionem esse incoepit. Ergo videtur quod fuerit assumpta a Verbo Dei postquam fuit concepta. 2. Praeterea, caro Christi fuit assumpta a Verbo Dei mediante anima rationali. Sed in termino conceptionis accepit animam ratio­ nalem. Ergo in termino conceptionis fuit as­ sumpta. Sed in termino conceptionis dicitur iam concepta. Ergo prius fuit concepta, et postmodum assumpta. 3. Praeterea, in omni generato prius tempore est id quod est impe1fectum, eo quod est perfectum, ut patet per philosophum, in 9 Met. [8,8,3]. Sed corpus Christi est quiddam generatum. Ergo ad ultimam perfectionem, quae consistit in unione ad Verbum Dei, non statim in primo instanti conceptionis pervenit, sed primo fuit caro concepta, et postmodum assumpta. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De fide ad Petrum [Fulgentius, 1 8; cf. Sent. 3,3,3], firmissime tene, et nullatenus dubites

Sembra di sì. Infatti: l . Ciò che non esiste non può essere assunto. Ma il corpo di Cristo cominciò a esistere col concepimento. Quindi, sembra che sia stato assunto dal Verbo di Dio dopo essere stato concepito. 2. ll corpo di Cristo fu assunto dal Verbo di Dio mediante l'anima razionale. Ora, è al ter­ mine del concepimento che esso ricevette l'anima razionale. Quindi il corpo fu assunto in quel momento. Ma al termine del concepi­ mento il corpo è già concepito. Quindi prima fu concepito, e poi assunto. 3. TI Filosofo insegna che in ogni generazione l'imperfetto precede il perfetto. Ora, il corpo di Cristo è un essere generato. Perciò all'ulti­ ma perfezione, che consiste nell'unione col Verbo di Dio, non giunse subito nel primo istante del suo concepimento, ma prima fu concepito e poi unito al Verbo. In contrario: Agostino dice: «Tieni per certo e senza alcun dubbio che il corpo di Cristo non fu concepito nel seno della Vergine prima di essere unito al Verbo». Risposta: come si è già dimostrato, diciamo più propriamente che «Dio si è fatto uomo», non già che «un uomo è divenuto Dio»: poiché Dio prese ciò che è dell'uomo, ma questo qualcosa di umano non aveva un'esi­ stenza propria prima che fosse preso dal Ver­ bo. Se infatti il corpo di Cristo fosse stato

carnem Christi non fuisse conceptam in utero Virginis priusquam susciperetur a Verbo.

Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 1 6 aa. 6-7] dictum est, proprie dicimus Deum factum esse hominem, non autem proprie

Q. 33, A. 3

IL modo e l 'ordine del concepimento di Cristo

dicimus quod homo factus sit Deus, quia scilicet Deus assumpsit sibi id quod est homi­ nis; non autem praeexstitit id quod est homi­ nis, quasi per se subsistens, antequam susci­ peretur a Verbo. Si autem caro Christi fuisset concepta antequam susciperetur a Verbo, ha­ buisset aliquando aliquam hypostasim praeter hypostasim Verbi Dei. Quod est contra ratio­ nem incarnationis, secundum quam ponimus Verbum Dei esse unitum humanae naturae, et omnibus partibus eius, in unitate hypostasis, nec fuit conveniens quod hypostasim prae­ existentem humanae naturae, vel alicuius partis eius, Verbum Dei sua assumptione destrueret. Et ideo contra fidem est dicere quod caro Christi prius fuerit concepta, et postmodum assumpta a Verbo Dei. Ad primum ergo dicendum quod, si caro Christi non fuisset in instanti formata seu con­ cepta, sed per temporis successionem, oporte­ ret alterum duorum sequi, vel quod assum­ ptum nondum esset caro; vel quod prius esset conceptio carnis quam eius assumptio. Sed quia ponimus conceptionem in instanti esse perfectam, consequens est quod in illa carne simul fuit concipi et conceptum esse. Et sic, ut dicit Augustinus, in libro De fide ad Pe­ trum [Fulgentius, 1 8; cf. Sent. 3,3,3], dicimus

ipsum Dei Verbum suae carnis acceptione conceptum, ipsamque camem Verbi incarna­ tione conceptam. Et per hoc patet responsio ad secundum. Nam simul dum caro illa concipitur, concepta est et animatur. Ad tertium dicendum quod in mysterio incar­ nationis non consideratur ascensus, quasi ali­ cuius praeexistentis proficientis usque ad unio­ nis dignitatem, sicut posuit Photinus haereticus. Sed potius ibi consideratur descensus, secun­ dum quod perfectum Dei Verbum imperfec­ tionem naturae nostrae sibi assumpsit; secun­ dum illud Ioan. 6 [38.51 ], descendi de caelo.

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concepito prima di essere assunto dal Verbo, avrebbe avuto per un certo tempo un' ipostasi distinta da quella del Verbo di Dio. TI che va contro la nozione di incarnazione, secondo la quale affermiamo che il Verbo di Dio si è unito alla natura umana e a tutte le sue parti nell'unità dell'ipostasi. E sarebbe stato inoltre disdicevole che il Verbo di Dio avesse di­ strutto, con la sua unione, l'ipostasi preesi­ stente della natura umana, o di qualcuna delle sue parti. Quindi è contro la fede affermare che il corpo di Cristo prima fu concepito, e poi assunto dal Verbo di Dio. Soluzione delle difficoltà: l . Se il corpo di Cristo fosse stato formato o concepito non in un istante, ma durante un certo periodo di tempo, ne seguirebbe o che l'elemento as­ sunto [dal Verbo] non era ancora carne, oppu­ re che il concepimento della crune era ante­ riore all'unione [con il Verbo]. Siccome inve­ ce noi affermiamo che il concepimento av­ venne in un istante, ne segue che per quel corpo furono simultanei il venir concepito e l'essere già concepito. Diciamo quindi con Agostino che «il Verbo di Dio fu concepito unendosi alla carne, e la medesima carne fu concepita nell'incarnazione del Verbo». 2. In questo modo è risolta anche la seconda difficoltà. Infatti nell'atto del concepimento quel corpo fu insieme concepito e animato. 3. Nel mistero dell'incarnazione non bisogna vedere un'ascesa, come se una creatura preesi­ stente si fosse elevata fino alla dignità dell'u­ nione, opinione questa dell'eretico Fotino, ma piuttosto bisogna vedervi come una discesa, in quanto il perfetto Verbo di Dio prese l'imper­ fezione della nostra natura, secondo le parole di Gv 6 [38.5 1]: Sono disceso dal cielo.

Articulus 4 Utrum conceptio Christi t'uerit naturalis

Articolo 4 D concepimento di Cristo è stato naturale?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod con­ ceptio Christi fuerit naturalis. l . Secundum enim conceptionem carnis Chri­ stus dicitur Filius hominis. Est autem verus et naturalis hominis filius, sicut et verus et naturalis Dei Filius. Ergo eius conceptio fuit naturalis.

Sembra di sì. Infatti: l . Cristo è detto Figlio dell'Uomo secondo il concepimento del suo corpo. Ma egli è vero e naturale figlio dell'uomo, come è vero e natu­ rale Figlio di Dio. Quindi il suo concepimen­ to fu naturale.

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Il modo e l 'ordine del concepimento di Cristo

2. Praeterea, nulla creatura producit opera­ tionem miraculosam. Sed conceptio Christi attribuitur Beatae Virgini, quae est pura crea­ tura, dicitur enim quod Virgo Christum con­ cepit. Ergo videtur quod non sit miracolosa, sed naturalis conceptio. 3 . Praeterea, ad hoc quod aliqua transmutatio sit naturalis, sufficit quod principium pas­ sivum sit naturale, ut supra [q. 32 a. 4] ha­ bitum est. Sed principium passivum ex parte matris in conceptione Christi fuit naturale, ut ex dictis [q. 32 a. 4] patet. Ergo conceptio Christi fuit naturalis. Sed contra est quod Dionysius dicit, in Epi­ stola ad Caium monachum [4] , super ho­

minem operatur Christus ea quae sunt homi­ nis, et hoc monstrat Virgo supernaturaliter concipiens. Respondeo dicendum quod, sicut Ambrosius dicit, in libro De incarnatione [6], multa in

hoc mysterio et secundum naturam invenies, et ultra naturam. Si enim consideremus id

quod est ex parte materiae conceptus, quam mater ministravit, totum est naturale. Si vero consideremus id quod est ex parte virtutis activae, totum est miraculosum. Et quia unumquodque magis iudicatur secundum for­ mam quam secundum materiam; et similiter secundum agens quam secundum patiens, inde est quod conceptio Christi debet dici simpliciter miraculosa et supernaturalis, sed secundum aliquid naturalis. Ad primum ergo dicendum quod Christus di­ citur naturalis Filius hominis inquantum habet naturam humanam veram, per quam est Filius hominis, Iicet eam miraculose habuerit, sicut caecus illuminatus videt naturaliter per poten­ tiam visivam quam miraculose accepit. Ad secundum dicendum quod conceptio attri­ buitur Beatae Virgini, non tanquam principio activo, sed quia ministravit materiam concep­ tui, et in eius utero est conceptio celebrata. Ad tertium dicendum quod principium passi­ vum naturale sufficit ad transmutationem na­ turalem quando naturali et consueto modo movetur a principio activo proprio. Sed hoc in proposito non habet locum. Et ideo conceptio illa non potest dici simpliciter naturalis.

Q. 33, A. 4

2. Nessuna creatura compie miracoli. Ma il concepimento di Cristo è attribuito alla Beata Vergine, che è una pura creatura: si dice infat­ ti che la Vergine concepì Cristo. Quindi, sem­ bra che il suo concepimento non sia stato miracoloso, ma naturale. 3. Come si è visto, perché una trasformazione sia naturale basta che sia tale il suo principio passivo. Ma si è anche visto che nel concepi­ mento di Cristo da parte della madre il princi­ pio passivo era naturale. Quindi il concepi­ mento di Cristo fu naturale. In contrario: Dionigi afferma: «Cristo ha operato in modo sovrumano le opere dell'uo­ mo: e lo dimostra la Vergine che soprannatu­ ralmente Io concepì». Risposta: Ambrogio dice: . Perciò l'uma­ nità di Cristo santifica ed è santificata.

Q. 34, A. 2

La peifezione della prole concepita

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Articulus 2 Utrum Christus, secundum hominem, habuerit usum liberi arbitrii in primo instanti suae conceptionis

Articolo 2 Cristo come uomo ha avuto l'uso del libero arbitrio nel primo istante del suo concepimento?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus, secundum hominem, non habuerit usum liberi arbitrii in primo instanti suae conceptionis. l . Prius est enim esse rei quam agere vel ope­ rari. Usus autem liberi arbitrii est quaedam operatio. Cum ergo anima Christi esse incoe­ perit in primo instanti conceptionis, ut ex praedictis [q. 33 a. 2] patet, videtur esse im­ possibile quod in primo instanti conceptionis habuit usum liberi arbitrii. 2. Praeterea, usus liberi arbitrii est electio. Electio autem praesupponit deliberationem consilii, dicit enim philosophus, in 3 Ethic. [2, 1 7; cf. 6,2,2], quod electio est appetitus praeconsiliati. Ergo videtur impossibile quod in primo instanti suae conceptionis Christus habuerit usum liberi arbitrii. 3. Praeterea, liberurn arbitrium est facultas vo­ luntatis et rationis, ut in prima parte [q. 83 a. 2 arg. 2] habitum est, et ita usus liberi arbitrii est actus voluntatis et rationis, sive intellectus. Sed actus intellectus praesupponit actum sensus, qui esse non potest sine convenientia organorum, quae non videtur fuisse in primo instanti conceptionis Christi. Ergo videtur quod Christus non potuerit habere usum liberi arbitrii in primo instanti suae conceptionis. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De Trin. [cf. Sent. 3,2,3], mox ut Verbum venit

Sembra di no. Infatti: l . L'essere precede l' agire o l'operare. Ma l'uso del libero arbitrio rientra neli' operare. Siccome, dunque, si è detto sopra che l'anima di Cristo cominciò a esistere nel primo istante del suo concepimento, sembra impossibile che in quello stesso istante abbia avuto l'uso del libero arbitrio. 2. L'uso del libero arbitrio implica una scelta. Ma ogni scelta presuppone una deliberazione del consiglio, poiché, secondo Aristotele, la scelta è «il desiderio di cose predeliberate». Quindi, sembra impossibile che nel primo istante del suo concepimento Cristo abbia avuto l'uso del libero arbitrio. 3. Abbiamo detto nella Prima Pane che il li­ bero arbitrio è «una facoltà della volontà e della ragione»: di modo che l'uso del libero arbitrio è un atto della volontà e della ragione o intelletto. Ma l'atto dell'intelletto presuppo­ ne l'atto dei sensi, il quale non può essere esercitato senza una conveniente disposizione degli organi, che non poteva esserci nel primo istante del concepimento di Cristo. Quindi, sembra che Cristo non abbia potuto avere l'uso del libero arbitrio nel primo istante del suo concepimento. In contrario: Agostino afferma: «Appena il Ver­ bo entrò nel seno, senza detrimento della pro­ pria natura, diventò carne e uomo perfetto». Ma l ' uomo perfetto possiede l' uso del libero arbitrio. Quindi Cristo ebbe l'uso del libero arbitrio nel primo istante del suo concepimento. Risposta: come si è già detto, alla natura uma­ na assunta da Cristo conveniva la perfezione spirituale, che egli non acquistò per gradi, ma possedette fin dal principio. Ora, la perfezione ultima non consiste nella potenza o nell'abito, ma nell'operazione: per cui Aristotele chiama quest'ultima «atto secondo». Dobbiamo quin­ di ammettere che Cristo nel primo istante del suo concepimento ebbe quell'operazione del­ l'anima che è possibile avere in modo istan­ taneo. Ora, tale è l'operazione della volontà e dell' intelletto, nella quale consiste l'uso del libero arbitrio. L'operazione infatti dell' intel­ letto e della volontà avviene in un istante, e

in uterum, servata veritate propriae naturae, factum est caro et pe1jectus homo. Sed per­

fectus homo habet usum liberi arbitrii. Ergo Christus habuit in primo instanti suae concep­ tionis usum liberi arbitrii. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. l] dictum est, naturae humanae quam Christus assumpsit, convenit spiritualis perfectio, in quam non profecit, sed eam statim a principio habuit. Perfectio autem ultima non consistit in potentia vel in habitu, sed in operatione, unde in 2 De an. [ l ,5] dicitur quod operati o est actus secundus. Et ideo dicendum est quod Christus in primo instanti suae conceptionis habuit illam operationem animae quae potest in instanti haberi. Talis autem est operatio voluntatis et intellectus, in qua consistit usus

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La perfezione della prole concepita

liberi arbitrii. Subito enim et in instanti perfi­ citur operatio intellectus et voluntatis, multo magis quam visio corporalis, eo quod intel­ ligere, velle et sentire non est motus qui sit actus impeifecti, quod successive perficitur; sed est actus iam peifecti, ut dicitur in 3 De an. [7, 1 ] . Et ideo dicendum est quod Christus in primo instanti suae conceptionis habuit usum liberi arbitrii. Ad primum ergo dicendum quod esse est prius natura quam agere, non tamen est prius tempore, sed, simul cum agens habet esse perfectum, incipit agere, nisi sit aliquid impe­ diens. Sicut ignis, simul cum generatur, inci­ pit calefacere et illuminare. Sed calefactio non terminatur in instanti, sed per temporis successionem, illuminatio autem perficitur in instanti. Et talis operatio est usus liberi ar­ bitrii, ut dictum est [in co.] . Ad secundum dicendum quod, simul cum ter­ rninatur consilium vel deliberatio, potest esse electio. Illi autem qui deliberatione consilii indigent, in ipsa terminatione consilii primo habent certitudinem de eligendis, et ideo statim eligunt. Ex quo patet quod deliberatio consilii non praeexigitur ad electionem nisi propter in­ quisitionem incerti . Christus autem in primo instanti suae conceptionis, sicut habuit plenitu­ dinem gratiae iustificantis ita habuit plenitudi­ nem veritatis cognitae, secundum illud [Ioan. 1 , 14], plenum gratiae et veritatis. Unde, quasi habens omnium certitudinem, potuit statim in instanti eligere. Ad tertium dicendum quod intellectus Christi, secundum scientiam infusam, poterat intelli­ gere etiam non convertendo se ad phantasma­ ta, ut supra [q. I l a. 2] habitum est. Unde po­ terat in eo esse operatio voluntatis et intellec­ tus absque operatione sensus. - Sed tamen potuit in eo esse etiam operatio sensus in pri­ mo instanti suae conceptionis, maxime quan­ tum ad sensum tactus, quo sensu proles con­ cepta sentit in matre etiam antequam animam rationalem obtineat, ut dicitur in libro De ge­ nerat. animai. [2,3]. Unde, cum Christus in primo instanti suae conceptionis habuit ani­ mam rationalem, formato iam et organizato corpore eius, multo magis in eodem instanti poterat habere operationem sensus tactus.

Q. 34, A. 2

più velocemente della visione corporea: poi­ ché l ' atto di intendere, volere e sentire non implica quel movimento che è «l' atto di un essere imperfetto», il quale si compie pro­ gressivamente, ma è «l'atto di una realtà che è già perfetta>>, come insegna Aristotele. Quindi dobbiamo affermare che Cristo nel primo istante del suo concepimento ebbe l ' uso del libero arbitrio. Soluzione delle difficoltà: l . L'essere precede l'operare con una priorità di natura, non di tempo: per cui, non appena l'essere raggiunge la sua perfezione, comincia ad agire, purché non incontri qualche ostacolo. Come il fuoco, non appena è prodotto, comincia a scaldare e a illuminare. Ma il calore non produce l' ef­ fetto istantaneamente, bensì progressivamen­ te; la luce invece rischiara in un istante. E l' uso del libero arbittio è un' operazione di questo genere, come si è detto. 2. La scelta può essere fatta appena è finito il consiglio o deliberazione. Chi però ha biso­ gno della deliberazione del consiglio, sceglie subito dopo aver avuto, col consiglio, la cer­ tezza di ciò che deve scegliere. Dal che risulta chiaro che la deliberazione del consiglio prima della scelta è tichiesta soltanto a causa dell'incertezza. Ma Cristo nel primo istante del suo concepimento, come possedette la pienezza della grazia santificante, così ebbe anche la piena conoscenza della vetità, secon­ do le parole: Pieno di grazia e di verità [ Gv l , 1 4] . Per cui, avendo la certezza di tutte le cose, poté scegliere subito in un istante. 3. L'intelletto di Cristo, in forza della scienza infusa, poteva operare senza volgersi alle immagini sensibili, come si è detto. E così Cristo poteva operare con l'intelletto e con la volontà senza il concorso dei sensi. - Tuttavia nel primo istante del concepimento ci poté essere in lui anche l'attività sensitiva, special­ mente del tatto, che, secondo Aristotele, la prole può esercitare nel seno materno anche prima di ricevere l'anima razionale. Poiché dunque Cristo, nel primo istante del suo con­ cepimento, ebbe u n ' anima razionale e un corpo formato e organico, a maggior ragione poté esercitare fin da allora il senso del tatto.

Q. 34, A. 3

La peifezione della prole concepita

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Articulus 3 Utrum Christus in primo instanti suae conceptionis mereri potuerit

Articolo 3 Nel primo istante del suo concepimento Cristo ha potuto meritare?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Chri­ stus in primo instanti suae conceptionis mere­ ri non potuerit. l . Sicut enim se habet liberum arbitrium ad merendum, ita ad demerendum. Sed diabolus in primo instanti suae creationis non potuit peccare, ut in prima parte [q. 63 a. 5] habitum est. Ergo neque anima Christi in primo instan­ ti suae creationis, quod fuit primum instans conceptionis Christi, potuit mereri. 2. Praeterea, illud quod homo habet in primo instanti suae conceptionis, videtur ei esse na­ turale, quia hoc est ad quod terminatur sua generatio naturalis. Sed naturalibus non mere­ mur, ut patet ex his quae dieta sunt in secunda parte [1-11 q. 1 09 a. 5 ; q. 1 1 4 a. 2] . Ergo videtur quod usus liberi arbitrii quem Christus habuit secundum hominem in primo instanti suae conceptionis, non fuerit meritorius. 3. Praeterea, illud quod semel aliquis meruit, iam facit quodammodo suum, et ita non videtur quod iterum possit illud idem mereri, quia nullus meretur quod suum est. Si ergo Christus in primo instanti suae conceptionis meruit, sequitur quod postea nihil meruerit. Quod patet esse falsum. Non ergo Christus in primo instanti suae conceptionis meruit. Sed contra est quod Augustinus [Paterius, Exp. Vet. et Nov. Test. 1 ,2,40] dicit, Super Ex., non habuit omnino Christus, iuxta ani­ mae meritum, quo potuisset proficere. Potuis­ set autem proficere in merito si in primo instanti suae conceptionis non meruisset. Er­ go in primo instanti suae conceptionis meruit Christus. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. l ] dictum est, Christus i n primo instanti concep­ tionis suae sanctificatus fuit per gratiam. Est autem duplex sanctificatio, una quidem adul­ torum, qui secundum proprium actum sancti­ ficantur; alia autem puerorum, qui non sancti­ ficantur secundum proprium actum fidei, sed secundum fidem parentum vel Ecclesiae. Pri­ ma autem sanctificatio est perfectior quam se­ cunda, sicut actus est perfectior quam habitus; et quod estper se, eo quod est per aliud. Cum ergo sanctitìcatio Christi fuerit perfectissima, quia sic sanctificatus est ut esset aliorum

Sembra di no. Infatti: l . li libero arbitrio si trova nella stessa condi­ zione sia per il merito che per il demerito. Ma il demonio nel primo istante della sua crea­ zione non poté peccare, come si è visto sopra. Quindi neppure l'anima di Cristo poté merita­ re nel primo istante della sua creazione, che era quello del suo concepimento. 2. Ciò che l'uomo ha nel primo istante sem­ bra a lui naturale, essendo il termine della generazione naturale. Ma come è stato già dimostrato, non si può meritare con le forze naturali. Quindi l'uso del libero arbitrio, che Cristo come uomo possedeva nel primo istan­ te del suo concepimento, non poteva essere meritorio. 3. Ciò che uno ha meritato, in certo qual mo­ do lo ha fatto suo, e non si vede come possa meritarlo di nuovo: poiché nessuno merita ciò che è suo. Ammesso quindi che Cristo abbia meritato nel primo istante del suo concepi­ mento, ne segue che dopo non meritò più nulla. Il che è evidentemente falso. Quindi Cristo non acquistò alcun merito nel primo istante del suo concepimento. In contrario: Agostino [Paterio] afferma che Cristo, «per quanto riguarda il merito della sua anima, non ebbe alcuna possibilità di progresso». Ma se non avesse meritato nel primo istante del suo concepimento, sarebbe potuto progredire. Quindi Cristo nel primo istante del suo concepimento poté meritare. Risposta: come si è già detto, Cristo nel pri­ mo istante del suo concepimento fu santifica­ to dalla grazia. Ora, ci sono due tipi di santifi­ cazione: la prima è quella degli adulti, i quali divengono santi con le opere proprie; la se­ conda è quella dei bambini, i quali sono santi­ ficati non secondo un atto di fede loro pro­ prio, ma secondo la fede dei genitori, o della Chiesa. La prima santitìcazione però è più perfetta della seconda: come l'atto è più per­ fetto dell'abito, e «ciò che è da sé è più perfet­ to di ciò che è da altro». Ora, essendo stata la santificazione di Cristo petfettissima, poiché egli fu santificato per santificare gli altri, ne segue che essa avvenne secondo un moto del suo libero arbitrio verso Dio. Ma questo moto

407

La perfezione della prole concepita

sanctificator; consequens est quod ipse secun­ dum proprium motum liberi arbitrii in Deum fuerit sanctificatus. Qui quidem motus liberi arbitrii est meritorius. Unde consequens est quod in primo instanti suae conceptionis Christus meruerit. Ad primum ergo dicendum quod liberum arbitrium non eodem modo se habet ad bo­ num et ad malum, nam ad bonum se habet per se et naturaliter; ad malum autem se habet per modum defectus, et praeter naturam. Sicut autem philosophus dicit, in 2 De caelo [3,1], posterius est quod est praeter naturam,

eo quod est secundum naturam, quia id quod est praeter naturam, est quaedam excisio ab eo quod est secundum naturam. Et ideo liberum arbitrium creaturae in primo instanti creationis potest moveri ad bonum merendo, non autem ad malum peccando, si tamen natura sit integra. Ad secundum dicendum quod id quod homo habet in principio suae creationis secundum communem naturae cursum, est homini natu­ rale, nihil tamen prohibet quin aliqua creatura in principio suae creationis aliquod benefi­ cium gratiae a Deo consequatur. Et hoc modo anima Christi in principio suae creationis con­ secuta est gratiam, qua posset mereri. Et ea ratione gratia illa, secundum quandam simili­ tudinem, dicitur fuisse illi homini naturalis, ut patet per Augustinum, in Ench. [40]. Ad tertium dicendum quod nihil prohibet idem esse alicuius ex diversis causis. Et secundum hoc, Christus gloriam immortalitatis, quam meruit in primo instanti suae conceptionis, potuit etiam posterioribus actibus et passio­ nibus mereri, non quidem ut esset sibi magis debita; sed ut sibi ex pluribus causis deberetur.

Q. 34, A. 3

è meritorio. Quindi Cristo nel primo istante del suo concepimento meritò. Soluzione delle difficoltà: l . n libero arbitrio non è portato al bene e al male alla stessa maniera: poiché la tendenza al bene è assoluta e naturale, mentre quella al male è un difetto, e contro l'ordine della natura. Ora, come dice il Filosofo, «ciò che è estraneo alla natura è posteriore a ciò che è ad essa conforme: poi­ ché ciò che è estraneo è come una decurtazio­ ne di ciò che è conforme alla natura». Suppo­ sta quindi l'integrità naturale, il libero arbitrio della creatura nel primo istante del suo conce­ pimento può muoversi al bene meritando, e non invece al male peccando. 2. Ciò che l'uomo possiede fin dal principio della sua creazione secondo il corso ordinario della natura gli è naturale; nulla però impedi­ sce che qualche creatura al principio della sua creazione ottenga da Dio il beneficio della grazia. E allo stesso modo l'anima di Cristo al principio della sua creazione ottenne la grazia di poter meritare. Per questo diciamo che tale grazia, in un certo senso metaforico, poteva dirsi naturale per l'uomo Cristo, come spiega Agostino. 3. Nulla impedisce che una cosa appartenga a un individuo per diversi motivi. E così Cristo, che aveva meritato la gloria dell'imm01talità nel primo istante del suo concepimento, poté meritarla anche con i successivi atti e patì­ menti: non affinché gli fosse dovuta maggior­ mente, ma affinché gli fosse dovuta per più ragioni.

Articulus 4 Utrum Christus fuerit perfectus comprehensor in primo instanti suae conceptionis

Articolo 4 Cristo è stato un perfetto comprensore fin dal primo istante del suo concepimento?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Christus non fuerit perfectus comprehensor in primo instanti suae conceptionis. l . Meritum enim praecedit praemium, sicut et culpa poenam. Sed Christus in ptimo instanti suae conceptionis meruit, sicut dictum est [a. 3]. Cum ergo status comprehensoris sit principale praemium, videtur quod Christus

Sembra di no. Infatti: l. n merito precede il premio, come la colpa precede il castigo. Ora Cristo nel primo istan­ te del suo concepimento meritò, come si è di­ mostrato. Quindi, essendo lo stato di com­ prensore il premio per eccellenza, sembra che Cristo non fosse comprensore nel primo i­ stante del suo concepimento.

Q. 34, A. 4

La peifezione della prole concepita

in primo instanti suae conceptionis non fuerit comprehensor. 2. Praeterea, Dominus dicit, L uc. 24 [26],

haec oporluit Christum pati, et ita intrare in gloriam suam. Sed glmia pertinet ad statum comprehensionis. Ergo Christus non fuit in statu comprehensoris in primo instanti suae conceptionis, quando adhuc nullam sustinuit passionem. 3. Praeterea, illud quod non convenit nec ho­ mini nec angelo, videtur esse proprium Deo, et ita non convenit Christo secundum quod homo. Sed semper esse beatum non convenit nec homini nec angelo, si enim fuissent con­ diti beati, postmodum non peccassent. Ergo Christus, secundum quod homo, non fuit bea­ tus in primo instanti suae conceptionis. Sed contra est quod dicitur in Psalmo [64,5], beatus quem elegisti et assumpsisti, quod, se­ cundum Glossam [ord. et L omb.; Enarr. in Ps. 64, super v. 5], refertur ad humanam na­ turam Christi, quae assumpta est a Verbo Dei in unitatem personae. Sed in primo instanti conceptionis fuit assumpta humana natura a Verbo Dei. Ergo in primo instanti suae con­ ceptionis Christus, secundum quod homo, fuit beatus. Quod est esse comprehensorem. Respondeo dicendum quod, sicut ex dictis [a. 3] patet, non fuit conveniens ut Christus in sua conceptione acciperet gratiam habitualem tantum absque actu. Accepit autem gratiam non ad mensuram, ut supra [q. 7 a. 1 1] habi­ tum est. Gratia autem viatoris, cum sit defi­ ciens a gratia comprehensoris, habet mensu­ ram minorem respectu comprehensoris. Unde manifestum est quod Christus in primo instan­ ti suae conceptionis accepit non solum tantam gratiam quantam comprehensores habent, sed etiam omnibus comprehensoribus maiorem. Et quia gratia illa non fuit sine actu, consequens est quod actu fuit comprehensor, videndo Deum per essentiam clarius ceteris creaturis. Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra [q. 19 a. 3] dicn1m est, Christus non meruit gloriam animae, secundum quam dicitur comprehensor, sed gloriam corporis, ad quam per suam passionem pervenit. Unde patet responsio ad secundum. Ad tertium dicendum quod Christus, ex hoc quod fuit Deus et homo, etiam in sua humani­ tate habuit aliquid prae ceteris creaturis, ut scilicet statim a principio esset beatus.

408

2. n Signore afferma: Era necessario che Cri­ sto patisse queste sofferenze e così entrasse nella sua gloria (Le 24,26). Ma la gloria ap­

partiene allo stato dei comprensori. Quindi Cristo nel primo istante del suo concepimen­ to, quando ancora non aveva sofferto nulla, non era comprensore. 3. Ciò che non appartiene né all' uomo né all'angelo sembra essere esclusivo di Dio: quindi non può appartenere a Cristo come uo­ mo. Ora, non è dell'uomo né dell'angelo es­ sere beati da sempre: poiché, se fossero stati creati beati, non avrebbero poi peccato. Perciò Cristo come uomo non fu beato nel primo istante del suo concepimento. In contrario: nel Sal 64 [ 5 ] è detto: Beato colui che hai scelto e assunto; parole che, se­ condo la Glossa, si riferiscono alla natura umana di Cristo, che «fu assunta dal Verbo di Dio nell'unità della persona». Ma la natura umana fu assunta dal Verbo di Dio nel primo istante del suo concepimento. Quindi Cristo, come uomo, fu beato fin da allora. Fu cioè comprensore. Risposta: come risulta da quanto detto, non era conveniente che Cristo nel suo concepi­ mento avesse la grazia soltanto in maniera abituale. E si è anche detto che egli ricevette la grazia senza misura [Gv 3,34]. Ora, la gra­ zia dei viatori, essendo più imperfetta di quel­ la dei comprensori, ha anche una misura mi­ nore. Quindi è evidente che Cristo nel primo istante del suo concepimento ricevette tanta abbondanza di grazia quanta ne hanno i com­ prensori, anzi in misura superiore. E poiché tale grazia non era priva deli' atto suo proprio, ne segue che egli fu comprensore in atto, vedendo Dio nella sua essenza in modo più chiaro di tutte le altre creature. Soluzione delle difficoltà: l . Come si è spie­ gato sopra, Cristo non aveva da meritare la gloria dell' anima, per cui egli è detto com­ prensore, ma la gloria del corpo, alla quale ar­ rivp attraverso la sua passione. 2. E così risolta anche la seconda difficoltà. 3. Cristo, essendo Dio e uomo, anche nella sua umanità ebbe qualcosa di più delle altre creature: cioè l' essere beato fin dall'inizio della sua esistenza.

Q. 35, A. l

La nascita di Cristo

409 QUAESTI0 35

QUESTIONE 35

DE NATIVITATE CHRISTI

LA NASCITA DI CRISTO

Consequenter, post Christi conceptionem, agendum est de eius nativitate. Et primo, quan­ tum ad ipsam nativitatem; secundo, quantum ad nati manifestationem. - Circa primum quae­ runtur octo. Primo, utmm nativitas sit naturae, vel personae. Secundo, utrum Christo sit at­ tribuenda alia nativitas praeter aetemam. Tertio, utrum secundum nativitatem temporalem Beata Vrrgo sit mater eius. Quarto, utrum debeat dici mater Dei. Quinto, utrum Christus secundum duas filiationes sit Filius Dei Patris et Vrrginis matris. Sexto, de modo nativitatis. Septimo, de loco. Octavo, de tempore nativitatis.

Dopo aver trattato del concepimento di Cri­ sto, passiamo a considerare la sua nascita. Primo, la nascita in se stessa; secondo, la ma­ nifestazione del bambino. - Sul primo argo­ mento si pongono otto quesiti: l . La nascita deve attribuirsi alla natura o alla persona? 2. A Cristo, oltre a quella eterna, si deve attri­ buire un'altra nascita? 3. La Beata Vergine è sua madre secondo la nascita temporale? 4. Ella può essere detta Madre di Dio? 5. Cri­ sto è Figlio di Dio Padre e della Vergine Ma­ dre con due filiazioni distinte? 6. In che modo egli è nato? 7. Dove? 8. Quando?

Articulus l

Articolo l

Utrum nativitas naturae conveniat magis quam personae

La nascita appartiene più alla natura che alla persona?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod nati­ vitas naturae conveniat magis quam personae. l . Dicit enim Augustinus, in libro De fide ad Petrum [Fulgentius, 2], natura aetema atque

Sembra di sì. Infatti: l . Agostino [Fulgenzio] dice: «La natura eter­ na e divina non potrebbe essere concepita e nascere dalla natura umana se non confor­ mandosi alla natura umana». Perciò essere concepito e nascere secondo la natura umana spetta alla natura divina. Tanto più dunque ciò spetta alla natura umana. 2. Secondo il Filosofo, il nome natura viene da «nascere». Ma i nomi sono imposti secon­ do una convenienza di somiglianza. Quindi, sembra che il nascere spetti più alla natura che alla persona. 3. Propriamente nasce ciò che con la nascita comincia a esistere. Ora, con la nascita di Cristo cominciò a esistere non la sua persona, ma la sua natura umana. Perciò, sembra che la nascita spetti propriamente alla natura, non alla persona. In contrario: il Damasceno dice: «La nascita non è della natura, ma dell' ipostasi». Risposta: si può attribuire la nascita a qualco­ sa in due modi: o come a un soggetto o come a un tennine. Come a un soggetto è attribuita a ciò che nasce, e ciò propriamente non è la natura, ma l' ipostasi. Poiché infatti nascere è un modo di essere generati, come una cosa è generata per esistere, così anche nasce per esistere. Ma proptiamente parlando esistono solo gli enti sussistenti: poiché una forma non sussistente esiste solo giacché per mezzo di essa un dato ente esiste. Ora la persona, o ipo-

divina non posset concipi et nasci ex humana natura, nisi secundum veritatem humanae naturae. Sic igitur naturae divinae convenit

concipi et nasci ratione humanae naturae. Multo magis igitur convenit humanae naturae. 2. Praeterea, secundum philosophum i n 5 M et. [4,4, l ] , nomen naturae a nascendo sumptum est. Sed denominationes fiunt se­ cundum similitudinis convenientiam. Ergo vi­ detur quod nativitas magis pertineat ad na­ turam quam ad personam. 3. Praeterea, illud proprie nascitur quod per nativitatem incipit esse. Sed per nativitatem Christi non incoepit esse persona Christi, sed eius natura humana. Ergo videtur quod na­ tivitas proprie pertineat ad naturam, non ad personam. Sed contra est quod dicit Damascenus, in 3 li­ bro [De fide 4,7], nativitas hypostasis est, non

naturae.

Respondeo dicendum quod nativitas potest at­ tribui alicui dupliciter, uno modo, sicut su­ biecto; alio modo, sicut tennino. Sicut subiec­ to quidem attribuitur ei quod nascitur. Hoc autem proprie est hypostasis, non natura. Cum enim nasci sit quoddam generari, sicut genera­ tur aliquid ad hoc quod sit, ita nascitur aliquid

Q. 35, A. l

410

La nascita di Cristo

ad h oc quod sit. Esse autem proprie rei subsi­ stentis est, nam forma quae non subsistit, di­ citur esse solum quia ea aliquid est. Persona autem, vel hypostasis, significatur per modum subsistentis, natura autem significatur per modum formae in qua aliquid subsistit. Et ideo nativitas, tanquam subiecto proprie nascendi, attribuitur personae vel hypostasi, non naturae. Sed sicut termino, attribuitur nativitas naturae. Terminus enim generationis, et cuiuslibet nativitatis, est forma. Natura autem per mo­ dum formae significatur. Unde nativitas dicitur via in naturam, ut patet per philosophum, 2 Phys. [ 1 , 14], terminatur enim naturae inten­ tio ad formam, seu naturam speciei. Ad primum ergo dicendum quod, propter identitatem quae in divinis est inter naturam et hypostasim, quandoque natura ponitur pro persona vel hypostasi. Et secundum hoc dicit Augustinus naturam divinam esse conceptam et natam, quia scilicet persona Filii est con­ cepta et nata secundum humanam naturam. Ad secundum dicendum quod nullus motus seu mutatio denominatur a subiecto quod movetur, sed a termino motus, a quo speciem habet. Et propter hoc nativitas non denomina­ tur a persona quae nascitur, sed a natura ad quam nativitas tenninatur. Ad tettium dicendum quod natura, proprie loquendo, non incipit esse sed magis persona incipit esse in aliqua natura. Quia, sicut dictum est [in co.], natura significatur ut quo aliquid est, persona vero significatur ut quae habet esse subsistens.

stasi, esprime una realtà sussistente, mentre la natura è indicata al modo di una certa forma in cui quella realtà sussiste. Perciò la nascita è attribuita come al soggetto proprio del nasce­ re alla persona, o ipostasi, e non alla natura. Come al suo tennine però la nascita è attri­ buita alla natura. Infatti il termine della gene­ razione, come di qualunque altra nascita, è la forma. Ora, la natura è concepita a modo di forma. Per questo il Filosofo dice che la na­ scita è come «la via che porta alla natura»: in­ fatti la natura tende alla forma, cioè alla natu­ ra della specie. Soluzione delle difficoltà: l . Data l'identità in Dio fra la natura e l'ipostasi, talvolta si parla di natura nel senso di persona o di ipostasi. E in questo senso Agostino dice che la natura divina è stata concepita ed è nata: in quanto cioè la persona del Figlio è stata concepita ed è nata secondo la natura umana. 2. Nessun moto o mutazione prende il nome dal soggetto che si muove, ma dal termine del movimento, da cui riceve la specificazione. Così dunque la nascita riceve il nome non dalla persona che nasce, ma dalla natura che ne è il termine. 3. Propriamente parlando, la natura non co­ mincia a esistere, ma è piuttosto la persona che comincia a esistere in una data natura. Co­ me infatti si è già detto, la natura si definisce come ciò per cui una cosa esiste, la persona invece come ciò che ha l'essere sussistente.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum Christo sit attribuenda aliqua nativitas temporalis

Si deve attribuire a Cristo una nascita temporale?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christo non sit attribuenda aliqua nativitas temporali s. l . Nasci enim est sicut quidam motus rei non

Sembra di no. Infatti: l. «Il nascere è come il divenire di cose che prima del loro nascere non esistevano, e alle quali il beneficio della nascita dona l'esisten­ za» [Vigilio] . Ora, Cristo esisteva dali' eter­ nità. Quindi non poteva nascere nel tempo. 2. Ciò che è perfetto in sé non ha bisogno di na­ scere. Ma la persona del Figlio di Dio è perfetta fin dali' eternità. Quindi non ha bisogno di na­ scere. E così sembra che non sia nato nel tempo. 3. A rigore il nascere va attribuito alla perso­ na. Ora, in Cristo c'è una sola persona. Quin­ di in lui c'è una sola nascita.

existentis antequam nascatur, id agens benefi­ cio nativitatis, ut sit [cf. De univ. Trin. 15, sive

1 2] . Sed Christus ab aeterno fuit. Ergo non potuit temporaliter nasci. 2. Praeterea, illud quod est in se perfectum, nativitate non indiget. Sed persona Filii Dei ab aeterno fui t perfecta. Ergo non indiget temporali nativitate. Et ita videtur quod non sit temporaliter natus.

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La nascita di Cristo

3. Praeterea, nativitas proprie personae conve­ nit. Sed in Christo tantum est una persona. Ergo in Christo tantum est una nativitas. 4. Praeterea, quod duabus nativitatibus nasci­ tur, bis nascitur. Sed haec videtur esse falsa, Christus est bis natus. Quia nativitas eius qua de Patre est natus, interruptionem non patitur, cum sit aetema. Quod tamen requiritur ad hoc adverbium bis, ille enim dicitur bis currere qui cum interruptione currit. Ergo videtur quod in Christo non sit ponenda duplex nativitas. Sed contra est quod Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 7], confitemur Christi duas nativitates, unam quae est ex Patre, aetemam; et unam quae est in ultimis temporibus propter nos. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 1], natura comparatur ad nativitatem sicut terminus ad motum vel mutationem. Motus autem diversificatur secundum diversitatem terminorum, ut patet per philosophum, in 5 Phys. [5,3]. In Christo autem est duplex natura, quarum unam accepit ab aeterno a Patre, alteram autem accepit temporaliter a matre. Et ideo necesse est attribuere Christo duas nativi­ tates, unam qua aetemaliter natus est a Patre, aliam qua temporaliter natus est a matre. Ad primum ergo dicendum quod haec fuit obiectio cuiusdam Feliciani haeretici, quam Augustinus, in libro Contra Felicianum [De univ. Trin. 1 5, sive 1 2], sic solvit. Fingamus, inquit, sicut plerique volunt, esse in mundo animam generalem, quae sic ineffabili motu semina cuncta vivijicet ut non sit concreta cum genitis, sed vitam praestet ipsa gignendis. Nempe cum haec in uterum, passibilem materiam ad usus suos fonnatura, pe1venerit, unam facit secum esse personam eius rei, quam non eandem constat habere substantiam, et fit, operante anima et patiente materia, ex duabus substantiis unus homo. Sicque animam nasci fatemur ex utero, non quia, antequam nascere/w; quantum ad se atlinel, ipsa penitus non fuisset. Sic ergo, immo sublimius, natus est Filius Dei secundum hominem, eo pacto quo cum corpore nasci docetur et animus, non quia utriusque sit una substantia, sed quia ex utraque fit una persona. Non !amen ab hoc incoepisse initio dicimus Dei Filium, ne temporalem credat aliquis divinitatem. Non ab aeterno Filii Dei novimus camem, ne non veritatem humani corporis, sed quandam eum suscepisse putemus imaginem.

Q. 35, A. 2

4. Chi ha due nascite nasce due volte. Ma questa espressione: «Cristo nacque due volte [bis]» è chiaramente falsa. Poiché la sua nascita dal Padre, essendo eterna, non subisce alcuna interruzione, che invece è implicita nell'avverbio bis. Si può dire infatti che uno ha corso due volte solo se ha interrotto e poi ripreso la corsa. Dunque non sembra che in Cristo si possano ammettere due nascite. In contrario: il Damasceno dice: «Ricono­ sciamo in Cristo due nascite: l'una eterna dal Padre; l'altra in questi ultimi tempi, per noi». Risposta: come si è detto, la natura sta alla na­ scita come il termine sta al moto, o alla mu­ tazione. Ora, come insegna Aristotele, a ter­ mini diversi corrispondono moti diversi. Ma i n Cristo si riscontrano due nature, una ri­ cevuta dal Padre nell'eternità, l'altra dalla ma­ dre nel tempo. Quindi è necessario attribuire a Cristo due nascite: una per cui è nato nel­ l'eternità dal Padre, l'altra per cui è nato nel tempo dalla madre. Soluzione delle difficoltà: l . Questa difficoltà, mossa da un certo eretico di nome Feliciano, è così risolta da Agostino [Vigilio]: «Suppo­ niamo che nel mondo, come vorrebbero cer­ tuni, vi sia un'anima generale, la quale con ineffabile movimento vivifichi tutti i germi in modo tale da non essere prodotta con le cose generate, ma da dare essa stessa la vita a tali cose. Naturalmente, quando quest'anima en­ tra nel seno per formare a suo uso una materia passibile, formerà una sola persona con quella realtà, che tuttavia non ha la sua stessa sostan­ za: e così, subendo la materia l'azione del­ l' anima, da due sostanze risulterà un unico uomo. E in questo senso noi diciamo che l'anima nasce dalla madre: non perché essa, prima di nascere, non esistesse in alcuna ma­ niera. In questo modo dunque, anzi, in ma­ niera più sublime, è nato come uomo il Figlio di Dio, nel senso in cui diciamo che l'anima nasce con il corpo: non perché l'anima e il corpo siano una sola sostanza, ma perché dalla loro unione risulta una sola persona. Thttavia non diciamo che il Figlio di Dio ha cominciato a esistere da quell'istante: affinché nessuno creda che la divinità sia temporale. E neppure affermiamo che la carne di Dio esiste dall'eternità: affinché non si pensi che invece di prendere un vero corpo umano, egli ne abbia assunto solo una certa apparenza».

Q. 35, A. 2

La nascita di Cristo

Ad secundum dicendum quod haec fuit ratio Nestorii [cf. Nestorium, Sermones 1 3, inter­ prete Mario Mercatore, serm. 3], quam solvit Cyrillus, in quadam Epistola [ep. 4 Ad Ne­ storium, sive interprete Mario Mercatore; vel etiam apud Synodum Ephesinam, p. l , c. 8], dicens, non dicimus quod Filius Dei indigue­

rit necessario pmpter se secunda nativitate, post eam quae ex Patre est, est enim fatuum et indoctum existentem ante omnia saecula, et consempiternum Patri, indigere dicere initio ut sit secundo. Quoniam autem, propter nos, et propter nostram salutem, uniens sibi secundum subsistentiam quod est humanum, processit ex muliere, ob hoc dicitur nasci cama/iter. Ad tertium dicendum quod nativitas est per­ sonae ut subiecti, naturae autem ut termini. Possibile est autem uni subiecto plures trans­ mutationes inesse, quas tamen necesse est secundum terminos variari. Quod tamen non dicimus quasi aeterna nativitas sit transmu­ tatio aut motus, sed quia significatur per mo­ dum mutationis aut motus. Ad quartum dicendum quod Christus potest dici bis natus, secundum duas nativitates. Sicut enim dicitur bis currere qui currit duobus temporibus, ita potest dici bis nasci qui semel nascitur in aeternitate, et semel in tempore, quia aeternitas et tempus multo magis diffe­ runt quam duo tempora, cum tamen utrumque designet mensuram durationis.

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2. La seconda difficoltà risale a Nestorio, ed è risolta da Cirillo nel modo seguente: «Non diciamo che il Figlio di Dio, oltre alla sua nascita eterna dal Padre, avesse bisogno per sé di una seconda nascita: è infatti segno di stoltezza e di ignoranza affermare che colui il quale esiste prima di tutti i secoli ed è coeter­ no al Padre abbia bisogno di un inizio per esi­ stere una seconda volta. Diciamo invece che è nato secondo la carne in quanto, per noi e per la nostra salvezza, ha unito personalmente a sé la natura umana ed è nato da una donna». 3. La nascita ha la persona come soggetto e la natura come termine. Ora, in un soggetto ci possono essere varie mutazioni imposte ap­ punto dalla varietà dei termini. Con il che tut­ tavia non si vuoi dire che la nascita eterna sia realmente una trasmutazione o un moto, ma che è concepita come se fosse tale. 4. Possiamo dire che Cristo è nato due volte, in base alle sue due nascite. Come infatti si dice che corre due volte chi corre in due tem­ pi diversi, così si può affermare che nasce due volte chi nasce una volta nell'eternità e una volta nel tempo: poiché l'eternità e il tempo, designanti ambedue una durata, differiscono fra di loro più di due momenti temporali.

Articulus 3 Utrurn secundurn temporalem nativitatem Christi Beata Virgo possit dici mater eius

Articolo 3 La Beata Vergine, secondo la nascita temporale di Cristo, può essere detta sua madre?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod se­ cundum temporalem nativitatem Christi Bea­ ta Virgo non possit dici mater eius. l . Ut enim supra [q. 32 a. 4] dictum est, Beata Virgo Maria nihil active in generatione Christi operata est, sed solam materiam ministravit. Sed hoc non videtur sufficere ad rationem matris, alioquin, lignum diceretur mater lecti aut scamni. Ergo videtur quod Beata Vrrgo non possit dici mater Christi. 2. Praeterea, Christus ex Beata Virgine mira­ culose natus est. Sed miraculosa generatio non sufficit ad rationem maternitatis vel filia­ tionis, non enim dicimus Hevam fuisse filiam

Sembra di no. Infatti: l . Abbiamo già dimostrato che la Beata Vergine Maria nella generazione di Cristo non operò attivamente, ma fornì soltanto la materia. Ora, ciò non sembra sufficiente a farla considerare madre: altrimenti si po­ trebbe anche dire che il legno è madre del Ietto o dello sgabello. Quindi, sembra che la Beata Vergine non possa essere detta madre di Cristo. 2. Cristo nacque dalla Beata Vergine miraco­ losamente. Ma la generazione miracolosa non è sufficiente a fondare la maternità, o la filia­ zione: non diciamo infatti che Eva fu figlia di

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La nascita di Cristo

Adae. Ergo videtur quod nec Christus debeat dici filius Beatae Virginis. 3 . Praeterea, ad matrem pertinere videtur decisio seminis. Sed, sicut Damascenus dicit, in 3 libro, corpus Christi non semina/iter, sed conditive a Spiritu Sancto formatum est. Ergo videtur quod Beata Virgo non debeat dici mater Christi. Sed contra est quod dicitur Matth. l [ 1 8] ,

Christi generatio sic erat. Cum esset despon­ sata mater Jesu Maria Joseph, et cetera.

Respondeo dicendum quod B eata Virgo Maria est vera et naturalis mater Christi. Sicut enim supra [q. 5 a. 2; q. 3 1 a. 5] dictum est, corpus Christi non est de caelo allatum, sicut Valentinus haereticus posuit, sed de Virgine matre sumptum, et ex purissimis sanguinibus eius formatum. Et hoc solum requiritur ad rationem matris, ut ex supra [q. 3 1 a. 5; q. 32 a. 4] dictis patet. Unde Beata Virgo vere est mater Christi. Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra [q. 32 a. 3] dictum est, paternitas seu mater­ nitas et filiatio non competunt in quacumque generatione sed in sola generatione viven­ tium. Et ideo, si aliqua inanimata ex aliqua materia fiant, non propter hoc consequitur in eis relatio maternitatis et filiationis, sed solum in generatione viventium, quae proprie nativi­ las dicitur. Ad secundum dicendum quod, sicut Dama­ scenus dicit, in 3 libro [De fide 7], nativitas temporalis, qua Christus est natus propter nostram salutem, est quodammodo secundum nos, quoniam natus est homo ex muliere, et

tempore conceptionis debito, super nos autem, quoniam non ex semine, sed ex Sancto Spiritu et sancta Vìrgine, super legem concep­ tionis. Sic igitur ex parte matris nativitas illa

fuit naturalis, sed ex parte operationis Spiritus Sancti fuit miraculosa. Unde Beata Virgo est vera et naturalis mater Christi. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 3 1 a . 5 ad 3 ; q . 3 2 a . 4 ] dictum est, resolutio seminis feminae non pertinet ad necessitatem conceptus. Et ideo resolutio seminis non ex necessitate requiritur ad matrem.

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Adamo. Quindi neppure Cristo può dirsi fi­ glio della Beata Vergine. 3. Sembra che nella generazione la madre debba emettere il seme. Il corpo di Cristo invece, come dice il Damasceno, «non venne formato dal seme, ma dall'azione dello Spiri­ to Santo». Quindi, sembra che la Beata Ver­ gine non possa dirsi madre di Cristo. In contrario: in Mt l [ 1 8] è detto: Ecco come

avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa �posa di Giuseppe...

Risposta: la Beata Vergine Maria è la vera e naturale madre di Cristo. Infatti, come si è detto sopra, il corpo di Cristo non discese dal cielo, come insegnò l'eretico Valentino, ma fu desunto dalla Vergine madre, e formato dal suo sangue più puro. Ora, questo solo è ri­ chiesto per essere madre, come si è visto. Quindi la Beata Vergine è veramente madre di Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . Come si è detto sopra, si può parlare di paternità o di materni­ tà, e di filiazione, non in qualunque gene­ razione, ma soltanto in quella degli esseri vi­ venti. Perciò la produzione di cose inanimate da una data materia non stabilisce alcuna rela­ zione reciproca di maternità e di filiazione, ma questa si ha soltanto nella generazione de­ gli esseri viventi, ai quali propriamente com­ pete di nascere. 2. Il Damasceno scrive che Cristo nella sua nascita nel tempo, secondo la quale nacque per la nostra salvezza, in qualche modo «si conformò a noi, nascendo come uomo da una donna e nel tempo richiesto dopo il concepi­ mento; fu invece superiore a noi in quanto nacque non da un seme umano, ma dallo Spi­ rito Santo e dalla Santa Vergine, fuori delle leggi del concepimento naturale». Perciò dalla parte della madre tale nascita fu natura­ le, mentre fu miracolosa dalla parte dell'azio­ ne dello Spirito Santo. Quindi la Beata Ver­ gine è veramente e in senso naturale madre di Cristo. 3. Abbiamo già visto che il seme femminile non è necessario alla concezione. Quindi non è necessario neppure perché vi sia la maternità.

Q. 35, A. 4

La nascita di Cristo

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Articulus 4 Utrum Beata Virgo debeat dici Mater Dei

Articolo 4 Si deve dire che la Beata Vergine è madre di Dio?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Beata Virgo non debeat dici Mater Dei. l . Non enim est dicendum circa divina myste­ ria nisi quod ex sacra Scriptura habetur. Sed nunquam in sacra Scriptura legitur quod sit mater aut genitrix Dei, sed quod sit mater Christi, aut materpuetì, ut patet Matth. l [ 1 8] . Ergo non est dicendum quod Beata Vrrgo sit Mater Dei. 2. Praeterea, Christus dicitur Deus secundum divinam naturam. Sed divina natura non acce­ pit initium essendi ex Virgine. Ergo Beata Virgo non est dicenda Mater Dei. 3 . Praeterea, hoc nomen Deus communiter praedicatur de Patre et Filio et Spiritu Sancto. Si ergo Beata Virgo est Mater Dei, videtur sequi quod Beata Virgo sit mater Patris et Filii et Spiritus Sancti, quod est inconveniens. Non ergo Beata Virgo debet dici Mater Dei. Sed contra est quod in capitulis Cyrilli [ep. 1 7 Ad Nestorium 1 ] , approbatis i n Ephesina Sy­ nodo [p. l , c. 26], legitur, si quis non confite­

Sembra di no. Infatti: l . Nei misteri divini è necessario attenersi al linguaggio della sacra Scrittura. Ora, in nes­ suna parte di essa si legge che la Beata Ver­ gine è madre o genitrice di Dio, ma soltanto che è madre di Gesù, o madre del bambino, come risulta da Mt l [ 1 8] . Quindi, non si può dire che essa è madre di Dio. 2. Cristo è Dio secondo la natura divina. Ma questa non prese inizio dalla Vergine. Quindi la Beata Vergine non può essere detta madre di Dio. 3. n nome Dio è attribuito in modo comune al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Se dunque la Beata Vergine fosse madre di Dio, verrebbe a essere madre del Padre e del Fi­ glio e dello Spirito Santo, il che non è am­ missibile. Quindi non si deve dire che la Bea­ ta Vergine è madre di Dio. In contrario: nei capitoli di Cirillo, approvati dal Concilio di Efeso, si legge: «Se qualcuno non professa che l'Emmanuele è veramente Dio, e che perciò la Santa Vergine è la ma­ dre di Dio, in quanto generò secondo la car­ ne il Verbo nato da Dio, sia scomunicato». Risposta: come si è visto sopra, ogni nome che esprime in forma concreta una natura può essere attribuito a qualsiasi ipostasi [o supposito] di quella natura. Ora, poiché l'in­ carnazione è avvenuta nell'unità dell'iposta­ si, secondo le spiegazioni date, è chiaro che il nome Dio può essere attribuito all'ipostasi che ha insieme la natura umana e quella divina. A questa persona dunque si può attribuire ciò che spetta alla natura divina e a quella umana: sia nel caso che tale persona sia designata con termini indicanti la natura divina, sia nel caso che sia designata con termini indicanti la natura umana. Ora, il concepimento e la nascita sono attribuiti a una persona, o ipostasi, secondo la natura nella quale l 'ipostasi è concepita e nasce. Avendo quindi la persona divina assunto la natura umana fin dall' inizio della conce­ zione, come si è spiegato sopra, è chiaro che può dirsi con verità che Dio è stato con­ cepito ed è nato dalla Vergine. Ma proprio per questo una donna è chiamata madre di

tur Deum esse secundum veritatem Emma­ nuel, et pmpter hoc Dei genitricem sanctam Virginem, genuit enim carnaliter carnem fac­ tam e.t Deo Verbum, anathema sit.

Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 1 6 a . l ] dictum est, omne nomen significans in concreto naturam aliquam, potest supponere pro qualibet hypostasi illius naturae. Cum autem unio incarnationis sit facta in hyposta­ si, sicut supra [q. 2 a. 3] dictum est, manife­ stum est quod hoc nomen Deus potest suppo­ nere pro hypostasi habente humanam natu­ ram et divinam. Et ideo quidquid convenit divinae naturae et humanae, potest attribui illi personae, sive secundum quod pro ea suppo­ nit nomen significans divinam naturam; sive secundum quod pro ea supponit nomen signi­ ficans humanam naturam. Concipi autem et nasci personae attribuitur et hypostasi secun­ dum naturam illam in qua concipitur et na­ scitur. Cum igitur in ipso principio conceptio­ nis fuerit humana natura assumpta a divina persona, sicut praedictum est [q. 33 a. 3], con­ sequens est quod vere posset dici Deum esse conceptum et natum de Virgine. Ex hoc autem dicitur aliqua mulier alicuius mater,

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quod eum concepit et genuit. Unde conse­ quens est quod Beata Virgo vere dicatur mater Dei. Solum enim sic negari posset Beatam Vrrginem esse matrem Dei, si vel humanitas prius fuisset subiecta conceptioni et nativitati quam homo ille fuisset Filius Dei, sicut Pho­ tinus posuit [cf. Athanasium, ep. De Synod., n. 27; Hilarium, De Synod., n. 38; Nestorium, Sermones 1 3, interprete Mario Mercatore, serm. 1 2; Epiphanium, Adv. Haeres. 3, 1 ,7 1 ; Conc. Romanum IV (?), anno 380; cf. Ma­ rium Mercatorem, Appendix ad Contradictio­ nem Xll Anathematismi Nestoriani; Augusti­ num, Serm. ad pop. 1 73,5; De Haeres. 45], vel humanitas non fuisset assumpta in unitatem personae vel hypostasis Verbi Dei, sicut posuit Nestorius [cf. Cyrillum, ep. 17 Ad Nestorium 2, sive apud Synodum Ephesinam, p. l, c. 26, vel etiam interprete M. Mercatore; Explicatio duodecim capitum 2]. Utrumque autem ho­ rum est erroneum. Unde haereticum est ne­ gare Beatam Virginem esse Matrem Dei. Ad primum ergo dicendum quod haec fuit obiectio Nestorii [ep. 2 ad Cyrillum 3, apud Synodum Ephesinam, p. l , c. 9, vel etiam interprete Mercatore; cf. Cyrillum Alexandri­ num, Adv. Blasphemias 1 , 1 ; 2, 1 ; Dial. cum Nestorio]. Quae quidem solvitur ex hoc quod, licet non inveniatur expresse in Scriptura dictum quod Beata Virgo sit mater Dei, invenitur tamen expresse in Scriptura quod Iesus Christus est vents Deus, ut patet l Ioan. 5 [20] ; et quod Beata Virgo est mater Iesu Christi, ut patet Matth. l [ 1 8] . Unde sequitur ex necessitate ex verbis Scripturae quod sit mater Dei. Dicitur etiam Rom. 9 [5], quod ex

Iudaeis est secundum carnem Christus, qui est super omnia Deus benedictus in saecula.

Non autem est ex Iudaeis nisi mediante Beata Virgine. Unde ille qui est super omnia Deus benedictus in saecula, est vere natus ex Beata Vrrgine sicut ex sua Matre. Ad secundum dicendum quod illa est obiectio Nestorii [Sermones 13, interprete Mercatore, serm. 1 .5; apud Cyrillum Alexandrinum, Adv. Nestorii Blasphemias l , l ; cf. Cassianum, De incarn. Christi 2,2; 7,2] . Sed Cyrillus, i n quadam Epistola contra Nestorium [ep. l Ad Mon. Aegypti, seu apud Synodum Ephesinam, p. l , c. 2, n. 1 2], eam solvit sic dicens, sicut ho­

minis anima cum p1vprio corpore nascitur, et tanquam unum reputatur; et si voluerit dicere

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una persona: perché l ' ha concepita e data alla luce. Quindi la Beata Vergine deve essere veramente chiamata madre di Dio. Infatti in due casi soltanto si potrebbe negare che la Beata Vergine sia madre di Dio: nel caso che l' umanità fosse stata concepita e fosse nata prima che quell'uomo fosse Figlio di Dio, come pensava Potino; oppure nel caso che l 'umanità non fosse stata assunta nell'unità della persona o ipostasi del Verbo di Dio, come pensava Nestorio. Ma am­ bedue le ipotesi sono erronee. Quindi è ere­ tico negare che la Beata Vergine sia madre di Dio. Soluzione delle difficoltà: l . L'obiezione è di Nestorio. E può essere risolta facendo notare che, sebbene la Scrittura non dica espressamente che la Beata Vergine è madre di Dio, dice però che Gesù Cristo è vero Dio [l Gv 5,20] e che la Beata Vergine è madre di Gesù Cristo [Mt 1 , 1 8] . Quindi dalle paro­ le della Scrittura segue necessariamente che essa è madre di Dio. Inoltre in Rm 9 [5] è detto: Dai Giudei proviene Cristo secondo la

carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio bene­ detto nei secoli. Ma questi proviene dai Giu­

dei solo mediante la Beata Vergine. Quindi colui che è sopra ogni cosa Dio benedetto nei secoli è nato realmente dalla Beata Ver­ gine come da sua madre. 2. Anche questa diftìcoltà è di Nestorio. E Cirillo la risolve nel modo seguente: «L'ani­ ma dell'uomo nasce insieme con il proprio corpo, e ambedue formano insieme una cosa sola: se dunque qualcuno volesse dire che la madre del corpo non è madre dell' anima, parlerebbe vanamente. Ora, qualcosa del genere lo troviamo anche nella generazione di Cristo. Il Verbo di Dio infatti è nato dalla sostanza di Dio Padre; ma siccome ha assun­ to la carne, è necessario ammettere che se­ condo la carne è nato da una donna». Si deve quindi affermare che la Beata Vergine è madre di Dio non nel senso che sia madre della divinità, ma perché è madre, secondo l 'umanità, di una persona che possiede la divinità e l' umanità. 3. Benché il nome Dio sia comune alle tre persone, spesso designa o la sola persona del Padre, o la sola persona del Figlio o dello Spirito Santo, come si è visto in precedenza. Così dunque, quando diciamo: «La Beata

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quispiam quia est genitrix camis, non tamen et animae genitrix, nimis supeiflue loquitur, tale aliquid gestum percipimus in generatione Christi. Natum est enim ex Dei Patris substan­ tia Dei Verbum, quia vero carnem asswnpsit, necesse est conjìteri quia natum est secundum camem ex muliere. Dicendum est ergo quod

Vergine è madre di Dio», il nome Dio sta a indicare la sola persona incarnata del Figlio.

Articulus 5 Utrum in Christo sint duae filiationes

Articolo 5 In Cristo ci sono due filiazioni?

Ad quinntm sic proceditur. Videtur quod in Christo sint duae filiationes. l . Nativitas enim est causa filiationis. Sed in Christo sunt duae nativitates. Ergo etiam in Christo sunt duae filiationes. 2. Praeterea, filiatio, qua quis dicitur filius alicuius ut matris vel patris, dependet aliquali­ ter ab ipso, quia esse relationis est ad aliud aliqualiter se habere; unde et, interempto uno relativorum, interimitur aliud. Sed filiatio ae­ terna, qua Christus est Filius Dei Patris, non dependet a matre, quia nullum aeternum de­ pendet a temporali. Ergo Christus non est filius matris filiatione aeterna. Aut ergo nullo modo est filius eius, quod est contra praedicta [aa. 3-4], aut oportet quod sit filius eius qua­ dam alia filiatione temporali . Sunt ergo in Christo duae filiationes. 3 . Praeterea, unum relativorum ponitur in definitione alterius, ex quo patet quod unum relativorum specificatur ex alio. Sed unum et idem non potest esse in diversis speciebus. Ergo impossibile videtur quod una et eadem relatio terminetur ad extrema omnino diversa. Sed Christus dicitur Filius Patris aeterni, et matris temporalis, qui sunt termini omnino diversi. Ergo videtur quod non possit eadem relatione Christus dici Filius Patris et matris. Sunt ergo in Christo duae filiationes.

Sembra di sì. Infatti: l. La nascita è causa della filiazione. Ma in Cristo vi sono due nascite. Quindi anche due filiazioni. 2. La filiazione, in virtù della quale uno è detto figlio del padre o della madre, dipende in qual­ che modo dal figlio stesso: poiché la relazione consiste «nel riferirsi di una cosa a un'altra», per cui l'eliminazione di un termine correlativo fa cessare anche l'altro. Ora la filiazione eterna, per cui Cristo è Figlio di Dio Padre, non dipen­ de dalla madre: poiché ciò che è eterno non può dipendere da ciò che è temporale. Quindi Cristo non è figlio della madre quanto alla filia­ zione eterna. Per conseguenza o non è figlio suo per nulla, il che è in contrasto con quanto è stato già provato, oppure lo è in virtù di un'al­ tra filiazione, cioè di quella temporale. Quindi in Cristo ci sono due filiazioni. 3. I termini relativi si trovano l'uno nella defi­ nizione dell'altro: quindi un termine relativo è specificato dall'altro. Ma una stessa cosa non può appartenere a specie diverse. Sembra quindi impossibile che tma medesima relazio­ ne abbia come termine due estremi completa­ mente diversi. Ora, si dice che Cristo è Figlio del Padre, che è eterno, e di una madre tem­ porale, i quali sono termini del tutto diversi. Dunque, non sembra che Cristo possa essere

Beata Virgo dicitur Mater Dei, non quia sit mater divinitatis, sed quia personae habentis divinitatem et humanitatem est mater secun­ dum humanitatem. Ad tertium dicendum quod hoc nomen Deus, quamvis sit commune tribus personis, tamen quandoque supponit pro sola persona Patris, quandoque pro sola persona Filii vel Spiritus Sancti, ut supra [q. 1 6 a. l ; I q. 39 a. 4] ha­ bitum est. Et ita, cum dicitur, Beata Vilgo est Mater Dei, hoc nomen Deus supponit pro sola persona Filii incarnata.

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Sed contra est quod, sicut Damascenus dicit, in 3 l ibro [De fide 1 3- 1 4] , ea quae su n t naturae, multiplicantur in Christo, non autem ea quae sunt personae. Sed filiatio maxime pertinet ad personam, est enim proprietas personalis, ut patet ex bis quae in prima parte [q. 32 a. 3 ; q. 40 a. 2] dieta sunt. Ergo in Christo est una tantum filiatio. Respondeo dicendum quod circa hoc sunt diversae opiniones. Quidam enim, attendentes ad causam filiationis, quae est nativitas, po­ nunt in Christo duas filiationes, sicut et duas nativitates. Alii vero, attendentes ad subiectum filiationis, quod est persona vel hypostasis, ponunt in Christo tantum unam filiationem, sicut et unam hypostasim vel personam. Unitas enim relationis vel eius pluralitas non attenditur secundum terminos, sed secundum causam vel subiectum. Si enim secundum terminos attenditur, oporteret quod quilibet homo in se duas tiliationes haberet, unam qua refertur ad patrem, et aliam qua refertur ad matrem. Sed recte consideranti apparet eadem relatione referri unumquemque ad suum pa­ trem et matrem, propter unitatem causae. Eadem enim nativitate homo nascitur ex patre et matre, unde eadem relatione ad utrumque refertur. Et eadem ratio est de magistro qui docet multos discipulos eadem doctrina; et de Domino qui gubernat diversos subiectos eadem potestate. - Si vero sint diversae causae specie differentes, ex conseguenti videntur relationes specie differre. Unde nihil prohibet plures tales relationes eidem inesse. Sicut, si aliquis est aliquorum magister in grammatica et aliorum in logica, alia est ratio magisterii utriusque, et ideo diversis relationibus unus et idem homo potest esse magister vel diver­ sorum vel eorundem secundum diversas doc­ trinas. - Contingit autem quandoque quod aliquis habet relationem ad plures secundum diversas causas, eiusdem tamen speciei, sicut cum aliquis est pater diversorum filiorum secundum diversos generationis actus. Unde paternitas non potest specie differre, cum actus generationum sint iidem specie. Et quia plures formae eiusdem speciei non possunt simul inesse eidem subiecto, non est possibile quod sint plures patemitates in eo qui est pater plurium filiorum generatione naturali. Secus autem esset si esset pater unius generatione naturali, et alterius per adoptionem. - Mani-

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detto Figlio del Padre e della madre in forza di una stessa relazione. Vi sono perciò in lui due filiazioni. In contrario: il Damasceno osserva che in Cristo si moltiplica ciò che appartiene alla na­ tura, non ciò che è proprio della persona. Ora, la filiazione appartiene in modo specialissimo alla persona: è infatti una proprietà personale, come risulta evidente dalla Prima Parte. Quindi in Cristo c'è una sola filiazione. Risposta: in proposito ci sono varie opinioni. Alcuni infatti, facendo leva sulla causa della filiazione, che è la nascita, pongono in Cristo due filiazioni, poiché due sono le nascite. Altri invece, considerando il soggetto della filiazione, cioè la persona o ipostasi, pongono in Cristo una sola filiazione, essendo unica l 'ipostasi o persona. - L'unità o la pluralità di una relazione infatti non è data dai termini, ma dalla causa o dal soggetto. Poiché, se do­ vesse venire considerata in base ai termini, allora bisognerebbe ammettere due filiazioni in ciascun uomo: una rispetto al padre e una rispetto alla madre. Invece, a ben considerare la cosa, si vede che ciascuno si riferisce al padre e alla madre mediante un'unica rela­ zione, per l'unicità della causa. L'uomo infatti nasce dal padre e dalla madre con una stessa nascita: quindi con essi ha una sola relazione. Ed è ciò che accade anche a un maestro che istruisce molti discepoli con un unico inse­ gnamento; e a un padrone che governa più sudditi con la medesima autorità. - Se invece ci sono delle cause varie e specificamente differenti, allora differiscono anche le relazio­ ni. E così nulla impedirà che queste si trovino in un medesimo soggetto. Come se un mae­ stro ad alcuni insegna la grammatica e ad altri la logica, si avranno due relazioni di insegna­ mento: perciò uno stesso uomo può essere maestro con relazioni diverse, o con degli al­ lievi diversi, o con gli stessi, a cui dà degli in­ segnamenti diversi. - Può capitare tuttavia che uno abbia relazione con molti per cause diverse, ma della stessa specie: come quando uno è padre di diversi figli in forza di diversi atti generativi; per cui la paternità non può differire specificamente, essendo gli atti della generazione della medesima specie. Poiché dunque più forme della stessa specie non possono trovarsi simultaneamente nello stesso soggetto, di conseguenza non è possibile che

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festum est autem quod non una et eadem nati­ vitate Christus est natus ex Patre ab aeterno, et ex matre ex tempore. Nec nativitas est unius speciei . Unde, quantum ad hoc, oporteret dicere in Christo esse diversas fi liationes, unam temporalem et aliam aetemam. Sed quia subiectum filiationis non est natura aut pars naturae, sed solum persona vel hypostasis; in Christo autem non est hypostasis vel persona nisi aetema, non potest in Christo esse aliqua filiatio nisi quae sit i n hypostasi aeterna. Omnis autem relatio quae ex tempore de Deo dicitur, non ponit in ipso Deo aeterno aliquid secundum rem, sed secundum rationem tan­ tum, sicut in prima parte [q. 1 3 a. 7] habitum est. Et ideo filiatio qua Christus refertur ad matrem, non potest esse reali s relatio, sed solum secundum rationem. - Et sic quantum ad aliquid utraque opinio verum dicit. Nam si attendamus ad perfectas rationes fi liationis, oportet dicere duas filiationes, secundum dua­ litatem nativitatum. Si autem attendamus ad subiectum filiationis, quod non potest esse nisi suppositum aeternum, non potest in Christo esse realiter nisi filiatio aeterna. - Dicitur ta­ men relative filius ad matrem relatione quae cointelligitur relationi maternitatis ad Chri­ stum. Sicut Deus dicitur Dominus relatione quae cointelligitur reali relationi qua creatma subiicitur Deo. Et quamvis relatio dominii non sit realis in Deo, tamen realiter est Dominus, ex reali subiectione creaturae ad ipsu m . E t similiter Christus dicitur realiter filius Vrr­ ginis matris ex relatione reali maternitatis ad Christum. Ad primum ergo dicendum quod nativitas temporalis causaret in Christo temporalem fi­ liationem realem, si esset ibi subiectum huius­ modi filiationis capax. Quod quidem esse non potest, ipsum enim suppositum aeternum non potest esse susceptiVtu"D relationis temporalis, ut dictum est [in co.]. Nec etiam potest dici quod sit susceptivum fi liationis temporalis ratione humanae naturae, sicut etiam et tem­ porali s nativitatis, quia oporteret naturam humanam aliqualiter esse subiectam filiationi, sicut est aliqualiter subiecta nativitati; cum enim Aethiops dicitur albus ratione dentis, oportet quod dens Aethiopis sit albedinis subiectum. Natura autem humana nullo modo potest esse subiectum filiationis, quia haec relatio directe respicit personam.

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vi siano più paternità in chi ha dato la vita a più figli con la generazione naturale. La cosa sarebbe invece diversa se uno fosse padre di alcuni con la generazione naturale, e di altri con l'adozione. - Ora, è chiaro che non è con la medesima nascita che Cristo è nato ab aeterno dal Padre e nel tempo dalla madre. Né la nascita è della stessa specie nei due casi. Per cui da questo punto di vista bisogne­ rebbe dire che in Cristo vi sono due filiazioni, una temporale e una eterna. Ma il soggetto della filiazione non è la natura o una sua parte, bensì soltanto la persona o ipostasi; e in Cristo non c'è un' altra ipostasi o persona oltre a quella eterna. Perciò in Cristo non vi può essere un ' altra filiazione oltre a quella del­ l 'ipostasi eterna. Ora, ogni relazione di ordine temporale che è attribuita a Dio aggiunge a Dio eterno un'entità non reale, ma soltanto di ragione, come si è dimostrato nella Prima Parte. Quindi la filiazione che unisce Cristo alla madre non può essere una relazione reale, ma solo di ragione. - E così in qualche modo sono vere ambedue le opinioni. Se infatti con­ sideriamo il concetto preciso di filiazione, al­ lora bisogna ammettere due filiazioni in base alle due nascite. Se invece consideriamo il soggetto della filiazione, il quale non può es­ sere che l' ipostasi eterna, allora in Cristo non può essere reale se non la filiazione eterna. Tuttavia egli è detto figlio rispetto alla madre in forza di una relazione che è concepita si­ multaneamente a quella della maternità verso Cristo. Così come chiamiamo Dio Signore per una relazione che è concepita simultanea­ mente alla relazione reale con cui la creatma sta soggetta a Dio. E benché in Dio la rela­ zione di dominio non sia reale, tuttavia egli è Signore realmente, per la reale sottomissione a lui della creatura. Così dunque Cristo è detto realmente figlio della Vergine madre in virtù della relazione reale di maternità che essa ha con Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . In Cristo la na­ scita temporale causerebbe una reale filia­ zione temporale se vi fosse un soggetto ca­ pace di tale filiazione. Ma questo non ci può essere, come si è già detto. Infatti il supposito eterno non può essere soggetto di relazioni temporali. Né si può affermare che esso rice­ ve una filiazione temporale in forza della sua natura umana, come è soggetto a una nascita

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Ad secundum dicendum quod filiatio aeterna non dependet a matre temporali, sed huic fi­ liationi aeternae cointelligitur quidam respec­ tus temporalis dependens a matre, secundum quem Christus dicitur filius matris. Ad tertium dicendum quod unum et ens se consequuntur, ut dicitur in 4 Met. [3,2,5]. Et ideo, sicut contingit quod in uno extremorum relatio sit quoddam ens, in alia autem non sit ens, sed ratio tantum, sicut de scibili et scien­ tia philosophus dicit, in 5 Met. [4, 1 5,8], ita etiam contingit quod ex parte unius extrerni est una relatio, ex parte autem alterius extrerni sunt multae relationes. Sicut in horninibus ex parte parentum invenitur duplex relatio, una patemitatis et alia matemitatis, quae sunt specie differentes, propter hoc quod alia ratio­ ne pater, et alia mater est generationis princi­ pium (si vero essent plures eadem ratione principium unius actionis, puta cum multi simul trahunt navem, in omnibus esset una et eadem relatio ), ex parte autem prolis est una sola tiliatio secundum rem, sed duplex secun­ dum rationem, in quantum correspondet utrique relationi parentum secundum duos re­ spectus intellectus. Et sic etiam quantum ad aliquid in Christo est tantum una filiatio rea­ lis, quae respicit Patrem aeternum, est tamen ibi alius respectus temporalis, qui respicit ma­ trem temporalem.

temporale: poiché bisognerebbe che la natura umana fosse in qualche modo soggetta alla filiazione, come è soggetta alla nascita. Quan­ do infatti si dice che un Etiope è bianco in ragione dei suoi denti, è necessario che questi denti siano il soggetto della bianchezza. Ma la natura umana in nessun modo può essere il soggetto della filiazione, poiché tale relazione riguarda direttamente la persona. 2. La filiazione eterna non dipende dalla ma­ dre temporale, ma a questa filiazione eterna va unito un certo rapporto temporale che dipende dalla madre, in forza del quale Cristo è detto figlio di sua madre. 3. . - Però, Dio ha

Ad primum ergo dicendum quod, sicut David in Bethlehem natus est [ l Reg. 1 7 , 1 2] , ita etiam Ierusalem elegit ut in ea sedem regni constitueret, et templum Dei ibi aedificaret [2 Reg. 5,5; 7], et sic Ierusalem esset civitas simul regalis et sacerdotalis. Sacerdotium autem Christi, et eius regnum, praecipue con­ summatum est in eius passione. Et ideo con­ venienter Bethlehem elegit nativitati, Ierusa­ lem vero passioni. Simul etiam per hoc homi­ num gloriam confutavit, qui gloriantur de hoc quod ex civitatibus nobilibus originem du­ cunt, in quibus etiam praecipue volunt bono­ rari. Christus autem e converso in civitate ignobili nasci voluit, et in civitate nobili patì opprobrium. Ad secundum dicendum quod Christus flore­ re voluit secundum virtuosam conversatio­ nem, non secundum carnis originem. Et ideo in civitate Nazareth educari voluit et nutriri. In Bethlehem autem voluit quasi peregre nasci, quia, ut Gregorius dicit [In Ev. h. l ,8],

per humanitatem quam assumpserat, quasi in alieno nascebatw; non secundum potestatem, sed secundum naturam. Et, ut etiam Beda dicit [In Luc. l super 2,7], per hoc quod in diveJ-sm·io foca eget, nobis multas mansiones in domo Patris sui praepararet. Ad tertium dicendum quod, sicut dicitur in quodam sermone Ephesini Concilii [p. 3, c. 9; Theodotus Ancyranus, h. l In Natalem Salv.],

si maximam Romam elegisset civitatem, propter potentiam civium mutationem orbis terrarum putarent. Si filius fuisset imperato­ ris, potestati utilitatem adscriberent. Sed ut divinitas cognosceretur orbem transformasse terrarum, pauperculam elegit matrem, paupe­ riorem patriam. - Elegit autem Deus injì1ma mundi ut confundat fortia, sicut dicitur l Cor. l [27]. Et ideo, ut suam potestatem magis ostenderet, in ipsa Roma, quae caput orbis erat, statuit caput Ecclesiae suae, in signum perfectae victoriae, ut exinde fides derivaretur ad universum mundum, secundum illud ls. 26 [5-6], civitatem sublimem humiliabit, et con­ culcabit eam pes pauperis, idest Christi, gres­ sus egenorum, idest apostolorum Petri et Pauli.

scelto ciò che nel mondo è debole per confon­ dere i forti, come è detto in l Cor l [27 ] .

Quindi, pe r manifestare meglio l a sua poten­ za, stabilì a Roma, capitale del mondo, il cen­ tro della sua Chiesa, come segno di completa vittoria, affinché di là la fede si diffondesse su tutta la terra, secondo la profezia di /s 26 [5]:

Umilierà la città sublime e la calpesteranno i piedi del povero, cioè di Cristo, i passi degli indigenti, cioè degli apostoli Pietro e Paolo.

423

La nascita di Cristo

Q. 35, A. 8

Articulus 8 Utrum Christus fuerit congruo tempore natus

Articolo 8 Cristo è nato nel tempo conveniente?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod Christus non fuerit congruo tempore natus. l . Ad hoc enim Christus venerat ut suos in libertatem revocaret. Natus est autem tempore servitutis, quo scilicet totus orbis praecepto Augusti describitur, quasi tributarius factus, ut habetur Luc. 2 [ l sqq.] . Ergo videtur quod non congruo tempore Christus fuerit natus. 2. Praeterea, promissiones de Christo nascituro non gentilibus fuerant factae, secundum illud Rom. 9 [4], quorwn sunt promissa. Sed Chri­ stus natus est tempore quo rex alienigena do­ minabatur, sicut patet Matth. 2 [1], cum natus esset Iesus in diebus Herodis regis. Ergo vide­ tur quod non fuerit congmo tempore natus. 3. Praeterea, tempus praesentiae Christi in mundo diei comparatur, propter id quod ipse est lux mundi, unde ipse dicit, Ioan. 9 [4], me

Sembra di no. Infatti: l . Cristo era venuto al mondo per ridare la li­ bertà ai suoi. E invece nacque in un periodo di schiavitù, quando cioè tutto il mondo veniva censito per ordine di Augusto, in quanto dive­ nuto tributario, come si ha in Le 2 [ l ]. Perciò, non sembra che sia nato nel tempo conveniente. 2. Le promesse sulla nascita di Cristo non erano state fatte ai Gentili, secondo le parole di Rm 9 [4]: [gli Israeliti] possiedono le pro­ messe. Cristo, invece, nacque nel tempo in cui dominava un re straniero, come risulta da Mt 2 [ 1 ] : Essendo nato Gesù al tempo del re Erode. Quindi, non sembra che egli sia nato nel tempo più opportuno. 3. li tempo della presenza di Cristo nel mon­ do può essere paragonato al giorno, in quanto egli è la luce del mondo [Gv 8, 1 2] ; infatti disse: Devo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno (Gv 9,4). Ora, in estate le giornate sono più lunghe che in in­ verno. Quindi, essendo [Cristo] nato in pieno inverno, il 25 dicembre, sembra che non sia nato nel tempo conveniente. In contrario: in Gal 4 [4] è detto: Quando

oportet operari opera eius qui misit me, do­ nec dies est. Sed in aestate sunt dies longiores

quam in hieme. Ergo, cum natus fuerit in pro­ fundo hiemis octo Kalendas Ianuarii, videtur quod non fuerit convenienti tempore natus. Sed contra est quod dicitur Gal. 4 [4], cum

venit plenitudo temporis, misit Deus Filium suum, factum ex muliere, factum sub lege.

Respondeo dicendum quod haec est differentia inter Christum et alios homines, quod alii homines nascuntur subiecti necessitati tempo­ ris, Christus autem, tanquam Dominus et conditor omnium temporum, elegit sibi tempus in quo nasceretur, sicut et matrem et locum. Et quia quae a Deo sunt ordinata swzt, et conve­ nienter disposita, consequens est quod conve­ nientissimo tempore Christus nasceretur. Ad primum ergo dicendum quod Christus ve­ nerat nos in statum libertatis reducere de statu servitutis. Et ideo, sicut mortalitatem nostram suscepit ut nos ad vitam reduceret, ita, ut Beda dicit [In Luc. l , super 2,4], eo tempore

dignatus est incamari qtw, mox natus, censu Caesaris adscriberetur atque, oh nostri libe­ rationem, ipse servitio subderetur. Tempore

etiam ilio, quo totus orbis sub uno principe vivebat, maxime pax fuit in mundo. Et ideo decebat ut illo tempore Christus nasceretur, qui est pax nostra, faciens utraque unum, ut dicitur Eph. 2 [ 14]. Unde Hieronymus dicit,

venne la pieneu.a del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato solto la legge.

Risposta: tra Cristo e gli altri uomini c'è que­ sta differenza, che gli altri uomini nascendo sono soggetti alle necessità del tempo, mentre Cristo, in quanto Signore e Creatore di tutti i tempi, poté scegliere per sé sia il tempo in cui nascere, sia la madre, sia il luogo. E, poiché le opere di Dio sono tutte ordinate e disposte convenientemente, ne segue che Cristo nac­ que nel tempo più opportuno. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo era venuto per darci la libertà togliendoci dalla condizione di schiavitù. Come quindi prese la nostra natura mmtale per Iidarci la vita, così, secondo le parole di Beda, «Si degnò di incarnarsi in un tempo in cui, appena nato, sarebbe stato censito da Cesare, facendosi lui stesso schiavo per la nostra liberazione». Inoltre in quel tem­ po, in cui tutto il mondo era soggetto a un unico principe, regnava una grande pace. Era dunque conveniente che allora nascesse Cristo, il quale è la nostra pace, che ha fatto dei due

Q. 35, A. 8

La nascita di Cristo

Super Isaiam [2 super 2,4], veteres revolva­ mus historias, et inveniemus usque ad vigesi­ mum octavum annum Caesaris Augusti in toto orbe terrarum fuisse discordiam, orto autem Domino, omnia bella cessaverunt, secundum illud Is. 2 [4], non levabit gens contra gentem gladium. Congruebat etiam ut

illo tempore quo unus princeps dominabatur in mundo, Christus nasceretur, qui venerat suos congregare in unwn, ut esset unum ovile et unus pastor, ut dicitur loan. I O [ 1 6]. Ad secundum dicendum quod Christus regis alienigenae tempore nasci voluit, ut impleretur prophetia Iacob dicentis, Gen. 49 [ 1 0], non

auferetur sceptrum de !tula, et dux de femore eius, donec veniat qui mittendus est. Quia, ut Chrysostomus dici t, Super Matth. [cf. Op. imperf. in Matth., h. 2 super 2, l ], quandiu

Iudaica gens sub Iudaicis regibus, quamvis peccatoribus, tenebatur, prophetae mittebantur ad remedium eius. Nunc autem, quando /ex Dei sub potestate regis iniqui tenebatur, na­ scitur Christus, quia magna et desperabilis infinnitas medicum artificiosiorem quaerebat. Ad tertium dicendum quod, sicut dicitur in libro De quaest. Novi et Vet. Test. [Ambrosiaster, p. l , ex Nov. Test., q. 53], tunc Christus nasci

voluit, quando lux diei crementum incipit acci­ pere, ut ostenderetur quod ipse venerat ut ho­

mines crescerent in lucem divinam, secundum illud Luc. l [79], illuminare his qui in tenebris et umbra m011is sedent. Similiter etiam asperi­ tatem hiemis elegit ad nativitatem, ut ex tunc carnis aftlictionem pateretur pro nobis.

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un popolo solo, come è detto in Ef2 [14] . Per

questo Girolamo afferma: «Se guardiamo la storia, troviamo che in tutto il mondo dominò la discordia fino ali' anno 28 di Cesare Augusto. Invece, con la nascita del Signore tutte le guerre cessarono», secondo le parole di /s 2 [4] :

Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo. Di più, era conveniente che Cristo, il quale era venuto per riunire insieme i suoi, perché fossero cioè un solo gregge e un solo Pastore (Gv IO, 1 6), nascesse nel tempo in cui un solo Principe governava il mondo. 2. Cristo volle nascere sotto un re straniero perché si adempisse la profezia di Giacobbe:

Non sarà tolto lo scettro da Giuda, né il co­ mando dal suo femore, finché ven·à colui al quale esso appartiene (Gen 49, 1 0). Poiché, come dice il Crisostomo, «finché il popolo giudaico era governato da re giudei, benché peccatori, venivano mandati come rimedio i profeti. Quando invece la legge di Dio cadde sotto il potere di un re iniquo, venne al mondo Cristo: poiché un'infermità grande e irrime­ diabile esigeva un medico più capace». 3. Come si legge nel libro Questioni del Nuovo e de/l 'Antico Testamento, «Cristo volle nascere quando la luce del giorno comincia a cresce­ re», per indicare che la sua venuta doveva far progredire gli uomini nella luce divina, secon­ do le parole di Le l [79]: Per illuminare quelli

che siedono nelle tenebre e nell'ombra della morte. Cristo scelse poi anche l'asprezza del­

l'inverno per la sua nascita allo scopo di soffri­ re fin da allora fisicamente per noi.

QUAESTIO 36 DE MANIFESTATIONE CHRISTI NATI

QUESTIONE 36 LA MANIFESTAZIONE DI CRISTO ALLA SUA NASCITA

Deinde considerandum est de manifestatione Christi nati. - Et circa hoc quaeruntur octo. Primo, utrum nativitas Christi debuerit omni­ bus esse manifesta. Secundo, utrum debuerit aliquibus manifestaTi. Tertio, quibus manife­ stati debuerit. Quarto, utrum ipse se debuerit manifestare, vel potius manifestaTi per alios. Quinto, per quae alia manifestati debuerit. Sexto, de ordine manifestationum. Septimo, de stella per quam manifestata fuit eius nativitas. Octavo, de veneratione Magorum, qui per stellam nativitatem Christi cognoverunt.

Passiamo ora a considerare la manifestazione di Cristo alla sua nascita. - Sull'argomento si pongono otto quesiti: l . La nascita di Cristo doveva essere manifestata a tutti? 2. Era ne­ cessaria la sua manifestazione ad alcuni? 3. A chi doveva essere manifestata? 4. Cristo dove­ va manifestarsi direttamente o per mezzo di altri? 5. Con quali altri mezzi doveva farsi co­ noscere? 6. L'ordine di queste manifestazioni; 7. La stella che servì a manifestare la sua na­ scita; 8. L'adorazione dei Magi, i quali conob­ bero la nascita di Cristo mediante la stella.

La manifestazione di Cristo alla sua nascita

425

Q. 36, A. l

Articulus l Utrum Christi nativitas debuerit omnibus esse manifesta

Articolo l La nascita di Cristo doveva essere manifestata a tutti?

Ad primum sic proceditur. Vìdetur quod Chri­ sti nativitas debuerit omnibus esse manifesta. l . Impletio enim debet promissioni responde­ re. Sed de promissione adventus Christi dici­ tur in Psalmo [49,3], Deus manifeste veniet. Venit autem per carnis nativitatem. Ergo vide­ tur quod eius nativitas debuit esse toti mundo manifesta. 2. Praeterea, l ad Tim. l [ 1 5] dicitur, Christus

Sembra di sì. Infatti: l . L' adempimento deve corrispondere alla promessa. Ora, circa la promessa della venuta di Cristo è detto nel Sal 49 [3] : Dio verrà in maniera manifesta. Ma egli venne appunto nascendo nella carne. Quindi, sembra che la sua nascita dovesse essere manifesta a tutto il mondo. 2. In l Tm l [ 1 5] è detto: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori. Ora, ciò av­ viene solo in quanto è loro manifestata la gra­ �ia di Cristo, secondo le parole di Tt 2 [ 1 1 ] :

in hunc mw1dum venit peccatores salvos face­ re. Sed hoc non fit nisi inquantum eis gratia Christi manifestatur, secundum illud Tit. 2 [ 1 1-12], apparuit grafia Salvatoris nostri Dei

omnibus hominibus, erudiens nos ut, abne­ gantes impietatem et saecularia desideria, so­ brie et pie et iuste vivamus in hoc saeculo. Er­

go videtur quod Christi nativitas debuerit esse omnibus manifesta. 3. Praeterea, Deus super omnia pronior est ad miserendum, secundum illud Psalmi [144,9],

miserationes eius super omnia opera eius. Sed in secundo adventu, quo iustitias iudica­ bit, veniet omnibus manifestus, secundum illud Matth. 24 [27], sicut fulgur exit ab oriente et paret usque in occidentem, ita erit adventus Filii hominis. Ergo multo magis pri­ mus, quo natus est i n mundo secundum carnem, debuit omnibus esse manifestus. Sed contra est quod dicitur ls. 45 [ 15], tu es

Deus absconditus, Sanctus Israel, Salvator.

Et Is. 53 [3], quasi absconditus est vultus eius

et despectus. Respondeo dicendum quod nativitas Christi non debuit omnibus communiter esse mani­ festa. Primo quidem, quia per hoc impedita fuisset humana redemptio, quae per crucem eius peracta est, quia, ut dicitur l ad Cor. 2 [8],

si cognovissent, nunquam Dominum gloriae crucifixissent. Secundo, quia hoc diminuisset meritum fidei, per quarn venerat homines iu­ stificare, secundum illud Rom. 3 [22], iustitia Dei perfidem Jesu Christi. Si enim manifestis indiciis, Christo nascente, eius nativitas omnibus appareret, iam tolleretur ratio fidei, quae est argumentum non apparentium, ut dicitur Hebr. 1 1 [ 1 ]. Tertio, quia per hoc ve­ nisset in dubium veritas humanitatis ipsius. Unde Augustinus dicit, in Epistola ad Volu-

E apparsa la grazia di Dio e del Salvatore nostro a tutti gli uomini, che ci insegna a rin­ negare l'empietà e i desideri mondani, e a vi­ vere con sobrietà, pietà e giustizia in questo mondo. Perciò, sembra che la nascita di Cri­ sto dovesse essere a tutti manifesta. 3. In Dio predomina su tutto la disposizione a perdonare, come è detto nel Sal 144 [9]: Le sue misericordie [si stendono] su tutte le sue opere. Ma nella seconda venuta, quando giudicherà con rettitudine [Sal 74,3], egli sarà visibile a tutti, secondo le parole di Mt 24 [27]: Come la

folgore viene da oriente e brilla fitw a occi­ dente, così sarà la venuta del Figlio dell 'Uo­ mo. Quindi, a maggior ragione doveva essere manifesta la sua prima venuta, in cui nacque secondo la carne. In contrario: in Is 45 [ 15] è detto: Veramente

tu sei un Dio nascosto, Santo di Israele, Sal­ vatore. E in ls 53 [3]: Il suo volto è quasi na­ scosto e disprezzato. Risposta: la nascita di Cristo non doveva esse­ re manifestata indistintamente a tutti. Primo, perché ciò avrebbe impedito la redenzione degli uomini, che fu attuata con la croce; in­ fatti, in l Cor 2 [8] è detto: Se l 'avessero co­

nosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Secondo, perché ciò avrebbe

sminuito il merito della fede, per mezzo della quale [Cristo] era venuto a giustificare gli uomini, secondo le parole di Rm 3 [22] : La

giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo. Se infatti, quando Cristo nacque, degli indizi palesi avessero rivelato a tutti la sua nascita, non vi sarebbe stato più bisogno della fede, la quale è prova di cose che non si

Q. 36, A. l

La manifestazione di Cristo alla sua nascita

426

sianum [137,3], si nullas ex parvulo in iuven­ tutem mutaret aetates, nullos cibos, nullos caperet somnos, nonne opinionem confirma­ ret erroris, nec hominem verum ullo modo suscepisse crederetw; et, dum omnia mirabili­ terfacit, auferret quod misericorditerfecit? Ad primum ergo dicendum quod auctoritas illa intelligitur de adventu Christi ad iudi­ cium, secundum quod Glossa [int. et Lomb. super ps. 49,3; Enarr. in Ps. 49, super v. 3] ibidem exponit. Ad secundum dicendum quod de gratia Dei Salvatoris erudiendi erant omnes homines ad salutem, non in principio nativitatis eius, sed postea, tempore procedente, postquam operatus esset salutem in medio terrae. Unde, post pas­ sionem et resurrectionem suam, dixit discipulis, Matth. 28 [ 19], euntes, docete omnes gentes. Ad tertium dicendum quod ad iudicium re­ quiritur quod auctoritas iudicis cognoscatur, et propter hoc oportet quod adventus Christi ad iudicium sit manifestus. Sed primus ad­ ventus fuit ad omnium salutem, quae est per fidem, quae quidem est de non apparentibus. Et ideo adventus Christi primus debuit esse occultus.

vedono (Eh 1 1 , l ). Terzo, perché in tal modo sarebbe sorto il dubbio sull'umanità reale di Cristo. Per cui Agostino afferma: «Se da fan­ ciullo non fosse divenuto adolescente, se non avesse preso né cibo né sonno, non si sarebbe forse dato adito all'errore, al punto che nessu­ no avrebbe creduto alla realtà della sua natura umana? E operando tutto prodigiosamente non avrebbe forse distrutto ciò che aveva compiuto misericordiosamente?». Soluzione delle difficoltà: l . Secondo la Glos­ sa quel passo si riferisce alla venuta di Cristo per il giudizio finale. 2. Bisognava che tutti gli uomini fossero istrui­ ti per la loro salvezza sulla grazia di Dio Sal­ vatore non al momento della sua nascita, ma in seguito, dopo che egli avesse operato la salvezza nella nostra terra [Sal 73, 1 2]. Per cui dopo la passione e la risurrezione disse ai suoi discepoli: Andate e ammaestrate tutte le nazioni (Mt 28, 19). 3. Per un giudizio è necessario conoscere l'autorità del giudice: da cui la necessità della manifestazione per quanto riguarda la venuta di Cristo al giudizio. Ma la prima venuta mi­ rava alla salvezza di tutti, salvezza che si attua mediante la fede, la quale ha per oggetto cose che non si vedono. Per questo la prima venuta doveva rimanere nascosta.

Articulus 2 Utrum nativitas Christi aliquibus debuerit manifestari

Articolo 2 La nascita di Cristo doveva essere manifestata ad alcuni?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod nativitas Christi nulli debuerit manifestari. l . Quia, ut dictum est [a l ad 3], hoc erat con­ gruum humanae saluti, ut primus Christi ad­ ventus esset occultus. Sed Christus venerat ut omnes salvaret, secundum illud l Tim. 4 [10], qui est Salvator omnium hominum, maxime fidelium. Ergo nativitas Christi nulli debuit manifestati. 2. Praeterea, ante nativitatem Christi, mani­ festata erat Beatae Virgini [Luc. l ,26] et Ioseph [Matth. l ,20] futura Christi nativitas. Non ergo erat necessarium, Christo nato, eandem aliis manifestari. 3. Praeterea, nullus sapiens manifestat id ex quo turbatio nascitur et detrimentum aliorum. Sed, manifestata Christi nativitate, subsecuta est turbatio, dicitur enim Matth. 2 [3] quod,

Sembra di no. Infatti: l . Per la salvezza degli uomini era opportuno che la prima venuta di Cristo rimanesse nasco­ sta, come si è visto. Ma Cristo era venuto per salvare tutti, secondo le parole di l Tm 4 [10]: Egli è il Salvatore di tutti gli uomini, soprat­ tutto deifedeli. Quindi la nascita di Cristo non doveva essere manifestata a nessuno. 2. Prima che avvenisse, la futura nascita di Cristo era stata manifestata alla Beata Vergine [Le 1 ,26] e a Giuseppe [Mt 1 ,20]. Perciò non era necessario che, una volta avvenuta, fosse manifestata ad altri. 3. Nessun uomo saggio manifesta ciò che può produrre turbamento e danno per gli altri. Ma appena resa nota la nascita di Cristo, si veri­ ficò del turbamento; infatti, in Mt 2 [3] è det­ to: Il re Erode, sentendo della nascita di

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La manifestazione di Cristo alla sua nascita

audiens rex Herodes Christi nativitatem, turba­ tus est, et omnis Ierosolyma cum ilio. Cessit etiam hoc in detrimentum aliorum, quia ex hac occasione Herodes occidit pueros in Bethlehem et in finibus eius a bimatu et infra. Ergo vide­ tur quod non fuetit conveniens Chtisti nativi­ tatem aliquibus manifestati. Sed contra est quod Christi nativitas nulli fuisset proficua si omnibus esset occulta. Sed oportebat Chtisti nativitatem esse proficuam, alioquin frustra natus fuisset. Ergo videtur quod aliquibus manifestari debuetit Christi nativitas. Respondeo dicendum quod, sicut apostolus dicit, Rom. 1 3 [ l ] , quae a Deo sunt, ordinata sunt. Pertinet autem ad divinae sapientiae or­ dinem ut Dei dona, et secreta sapientiae eius, non aequaliter ad omnes, sed immediate ad quosdam perveniant, et per eos ad alios deti­ ventur. Unde et quantum ad resurrectionis mysterium dicitur, Act. I O [40-4 1 ] , quod Deus dedit Chtistum resurgentem manifestum

fieri, non omni populo, sed testibus praeordi­ natis a Deo. Unde hoc etiam debuit circa ipsius nativitatem observari, ut non omnibus Christus manifestaretur, sed quibusdam, per quos posset ad alios devenire. Ad primum ergo dicendum quod, sicut fuisset in praeiudicium salutis humanae si omnibus hominibus Dei nativitas innotuisset, ita etiam et si nulli nota fuisset. Utroque enim modo tollitur fides, tam scilicet per hoc quod aliquid est totaliter manifestum; quam etiam per hoc quod a nullo cognoscitur a quo possit testimo­ nium audiri ; fides enim est ex auditu, ut di­ citur Rom. 1 0 [ 1 7]. Ad secundum dicendum quod Maria et Io­ seph instruendi erant de Christi nativitate an­ tequam nasceretur, quia ad eos pertinebat re­ verentiam habere prolis conceptae in utero, et obsequi nasciturae. Eorum autem testimo­ nium, propter hoc quod erat domesticum, fuisset habitum suspectum circa magnificen­ tiam Chtisti. Et ideo oportuit ut aliis manife­ staretur extraneis, quorum testimonium su­ spectum esse non posset. Ad tertiu m dicendum quod ipsa turbatio subsecuta ex nativitate Christi manifestata congruebat Christi nativitati. Primo quidem, quia per hoc manifestatur caelestis Chtisti di­ gnitas. Unde Gregorius dicit, in Homilia [In Ev. h. 1 ,1 0] , caeli Rege nato, rex terrae turba-

Q. 36, A. 2

Cristo,

restò turbato, e con lui tutta Gerusa­ lemme. n che fu anche di danno agli altri: in­ fatti in seguito a ciò Erodefece uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintomi dai due anni in giù [ 1 6] . Perciò, non sembra che sia

stato conveniente far conoscere ad alcuni la nascita di Cristo. In contrario: la nascita di Cristo non sarebbe giovata a nessuno se fosse rimasta nascosta a tutti. Ma era necessario che essa giovasse a qualcuno, altrimenti Cristo sarebbe nato inu­ tilmente. Perciò, sembra che fosse necessario manifestarla a qualcuno. Risposta: come Paolo dice: Ciò che viene da Dio, èfatto in modo ordinato (Rm 1 3, 1 ). Ora, è proprio della divina sapienza trasmettere i suoi doni e i suoi segreti non a tutti alla stessa ma­ niera, ma direttamente ad alcuni, e per mezzo di questi agli altri. Per cui anche del mistero della risurrezione è detto che Dio volle che

Cristo risorto apparisse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio (At 1 0,40). E lo

stesso doveva succedere per la sua nascita, che cioè fosse palese non a tutti, ma solo ad alcuni, per mezzo dei quali potesse arrivare agli altri. Soluzione delle difficoltà: l . Come la salvez­ za umana sarebbe stata compromessa dalla manifestazione a tutti gli uomini della nascita di Dio, così lo sarebbe stata anche dal na­ scondimento totale. Poiché nell' uno e nell'al­ tro caso è esclusa la fede: nel primo perché la cosa sarebbe già manifesta a tutti; nel secon­ do perché non vi sarebbe nessuno di cui poter udire la testimonianza; infatti, la fede viene dall'ascolto (Rm 1 0, 1 7). 2. Maria e Giuseppe dovevano necessaria­ mente essere istruiti sulla futura nascita di Cristo, poiché dovevano avere rispetto verso il bimbo concepito nel seno materno e assisterlo dopo la nascita. Ma la loro testimonianza sulla grandezza di Cristo, trattandosi di fami­ liari, sarebbe stata sospetta. Era quindi neces­ sario partecipare la cosa ad estranei, la cui testimonianza fosse immune da ogni sospetto. 3 . Il turbamento che seguì la notizia della nascita di Cristo si addiceva a tale nascita. Pri­ mo, perché ciò serviva a manifestare la di­ gnità celeste di Cristo. Da cui le parole di Gregorio: «Alla nascita del Re del cielo un re della terra si turba: poiché la potenza terrena vacilla quando si svela la maestà celeste». Se­ condo, perché ciò prefigurava la potenza di

Q. 36, A. 2

La manifestazione di Cristo alla sua nascita

tw; quia nimirum terrena altitudo confunditur cum celsitudo caelestis aperitur. Secundo, quia per hoc figurabatur iudiciaria Christi potestas. Unde Augustinus dicit, in quodam Sermone Epiphaniae [Serm. ad pop. 200, 1 ] ,

quid erit tribuna/ iudicantis, quando superbos reges cuna terrebat infantis? Terti o, quia per

hoc figurabatur deiectio regni diaboli. Quia, ut Leo Papa dicit, in Sermone Epiphaniae [cf. Op. imperf. in Matth., h. 2 super 2,3], non

tantum Hemdes in semetipso turbatw; quan­ tum diabolus in Hemde. Hemdes enim homi­ nem aestimabat, sed diabolus Deum. Et uterque regni sui successorem timebat, diabo­ lus caelestem, sed Herodes terrenum. Super­

flue tamen, quia Christus non venerat regnum terrenum in terra habere, ut Leo Papa dicit [Sermones 34,2], Herodi loquens, non capit

Christum regia tua, nec mundi Dominus po­ testatis tuae sceptri est contentus angustiis.

-

Quod autem ludaei turbantur, qui tamen magis gaudere debuerant, aut hoc est quia, ut Chrysostomus dicit [cf. Op. imperf. in Matth., h. 2 super 2,3], de adventu iusti non poterant gaudere iniqui, aut volentes favere Herodi, quem timebant; populus enim plus iusto faver eis quos crudeles sustinet [glossa ord., super Matth. 2,3]. - Quod autem pueri ab Herode sunt interfecti, non cessit in eorum det.rimen­ tum, sed in eorum profectum. Dicit enim Au­ gustinus, in Sermone quodam de Epiphania [Serm. ad pop. 373,3], absit ut, ad liberandos

homines Christus veniens, de iliorum praemio qui pro eo interficerentur nihil egerit, qui, pendens in ligno, pro eis a quibus interficie­ batur oravit.

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Cristo giudice: «Che farà mai il suo tribunale di giudice», scrive infatti Agostino, «se la sua culla di bimbo terrorizzava la superbia dei re?». Terzo, perché ciò prefigurava la distru­ zione del regno del diavolo. Per cui papa Leone [Pseudo Crisostomo] scrive che «non fu turbato tanto Erode in se stesso, quanto il demonio in Erode. Questi infatti vedeva [nel fanciullo] un uomo, il demonio invece ci vede­ va Dio. E l'uno e l'altro temeva un successore al proprio regno: il diavolo un successore cele­ ste, Erode un successore terreno». Vanamente però, poiché Cristo non era venuto nel mondo per avere un regno terreno. Da cui l'apostrofe di papa Leone a Erode: «La tua reggia non può ospitare Cristo, né il padrone del mondo si accontenta dei confini del tuo dominio». Che poi i Giudei si turbassero mentre doveva­ no piuttosto godere, secondo Giovanni Cri­ sostomo si spiega per il fatto che «i malvagi non potevano essere contenti della nascita del giusto»; oppure per il fatto che assecondavano Erode, del quale avevano paura. «Il popolo» infatti «asseconda più del giusto coloro dei quali teme la crudeltà>> [Glossa]. - L'uccisione poi dei fanciulli da parte di Erode non fu loro di danno, ma di giovamento. Infatti, Agostino dice: «Lungi da noi il pensare che Cristo, il quale era venuto a liberare gli uomini, non abbia tàtto nulla per ricompensare coloro che sarebbero stati uccisi per causa sua: egli che, inchiodato sulla croce, pregò per i suoi croci­ :fissori».

Articulus 3 Utrum sint convenienter electi illi quibus est Christi nativitas manifestata

Articolo 3 Coloro ai quali fu rivelata la nascita di Cristo sono stati scelti bene?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non sunt convenienter electi illi quibus est Christi nativitas manifestata. l . Dominus enim, Matth. I O [5], mandavit discipulis, in viam gentium ne abieritis, ut scilicet prius manifestaretur ludaeis quam gentilibus. Ergo videtur quod multo minus a principio fuerit revelanda Christi nativitas gentibus, qui ab oriente venenmt, ut habetur Matth. 2 [ l ] . 2 . Praeterea, manifestatio divinae veritatis

Sembra di no. Infatti: l . Il Signore comandò ai discepoli: Non an­ dretefra i Gentili (Mt l 0,5), poiché egli volle manifestarsi ai Giudei prima che ai Gentili. Quindi, sembra che fosse molto meno conve­ niente che la nascita di Cristo fosse manife­ stata subito ai Gentili che venivano dali 'o­ riente, come riferisce Mt 2 [ l ]. 2. La rivelazione della verità divina va fatta soprattutto agli amici di Dio, secondo le pa­ role di Gb 37: La annunzia al suo amico.

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praecipue debet fieri ad Dei amicos, secun­ dum illud lob 37, annuntiat de ea amico suo. Sed Magi videntur esse Dei inimici, dicitur enim Lev. 1 9 [3 1 ], non declinetis ad magos, nec ab ariolis aliquid sciscitemini. Non ergo debuit Christi nativitas Magis manifestati. 3. Praeterea, Christus venerat mundum totum a potestate Diaboli liberare, unde dicitur Malach. l [1 1], ab ortu solis usque ad occa­ sum magnwn est nomen meum in gentibus. Non ergo solum in oriente positis manifestari debuit, sed etiam ubique terrarum debuit aliquibus manifestari. 4. Praeterea, omnia sacramenta veteris legis erant Christi figura. Sed sacramenta veteris legis dispensabantur per ministerium sacerdo­ tum legalium. Ergo videtur quod Magis debue­ rit Christi nativitas manifestati sacerdotibus in tempio, quam pastoribus in agro [Luc. 2,8]. 5. Praeterea, Christus ex virgine matre natus est, et aetate parvulus erat. Convenientius er­ go videtur fuisse quod Christus manifestare­ tur iuvenibus et virginibus, quam senibus et coniugatis vel viduis, sicut Simeoni et Annae [Luc. 2,25]. Sed contra est quod dicitur Ioan. 1 3 [ 1 8], ego scio quos elegerim. Quae autem fiunt secun­ dum Dei sapientiam, convenienter fiunt. Ergo convenienter sunt electi illi quibus est manife­ stata Christi nativitas. Respondeo dicendum quod salus quae erat futura per Christum, ad omnem diversitatem hominum pertinebat, quia, sicut dicitur Col. 3 [ 1 1], in Christo non est masculus et femina, gentilis et Iudaeus, servus et liber, et sic de aliis huiusmodi. Et ut hoc in ipsa Christi nati­ vitate praefiguraretur, omnibus conditionibus hominum est manifestatus. Quia, ut Augusti­ nus dicit, in Sermone de Epiphania [Serm. ad pop. 202, l ], pastores erant Israelitae, Magi genti/es. Il/i prope, isti longe. Utrique tan­ quam ad angularem lapidem concurrerunt. Fuit etiam inter eos alia diversitas, nam Magi fuerunt sapientes et potentes, pastores autem simplices et viles. Manifestatus est etiam iustis, Simeoni et Annae, et peccatoribus, sci­ licet Magis; manifestatus est etiam et viris et mulieribus, scilicet Annae; ut per hoc osten­ deretur nullam conditionem hominum excludi a Christi salute. Ad primum ergo dicendum quod illa manife­ statio nativitatis Christi fuit quaedam praeliba-

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Ma pare che i Magi fossero nemici di Dio, poiché in Lv 1 9 [3 1 ] è detto: Non recatevi dai maghi, né consultate gli indovini. Non era dunque giusto rivelare la nascita di Cristo ai Magi. 3. Cristo era venuto per liberare tutto il mon­ do dal potere del diavolo, infatti in M/ l [ 1 1 ] è detto: Dali'oriente ali 'occidente grande è il mio nome fra le genti. Quindi, doveva mani­ festarsi a uomini non solo dell'otiente, ma an­ che di ogni altra parte del mondo. 4. Thtti i sacramenti della legge antica erano simbolo di Ctisto. Ma essi venivano ammini­ strati dai sacerdoti ebrei. Quindi, sembra che anche la nascita di Ctisto dovesse essere tivela­ ta, più che ai pastori nella campagna [Le 2,8], ai sacerdoti nel tempio. 5. Cristo nacque bambino da una madre ver­ gine. Perciò, sembra più conveniente che si rivelasse ai giovani e alle vergini piuttosto che agli anziani e ai coniugati o alle vedove, come Sirneone e Anna [Le 2,25]. In contrario: in Gv 1 3 [ 1 8] è detto: Io conosco quelli che ho scelto. Ora, ciò che è fatto dalla sapienza di Dio è fatto bene. Perciò coloro ai quali fu rivelata la nascita di Cristo furono scelti bene. Risposta: la salvezza che Cristo doveva portare riguardava tutti gli uomini; poiché, come è detto in Co/ 3 [I l], in Cristo non c'è maschio e femmina, Gentile e Giudeo, schiavo e libero, e nessun'altra ditì'erenza del genere. Ora, affin­ ché ciò fosse prefigurato fin dalla nascita di Cristo, egli si diede a conoscere a uomini di ogni condizione. Infatti, come nota Agostino, «i pastoti erano Israeliti, i Magi pagani. I ptimi vicini, i secondi lontani. E tutti convennero come alla pietra angolare». E vi fu anche un'altra differenza tra di loro: infatti i Magi erano sapienti e potenti, i pastori semplici e di basso rango. E si diede a conoscere anche ai giusti, come Sirneone e Anna, e ai peccatori, cioè ai Magi; inoltre si manifestò agli uomini e alle donne, come ad Anna: perché fosse evidente che nessuna condizione umana era esclusa dalla salvezza portata da Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . La manifestazio­ ne della nascita di Cristo fu un saggio della piena manifestazione futura. Come quindi nella seconda manifestazione la grazia di Cri­ sto fu annunziata da Cristo stesso e dai suoi apostoli prima ai Giudei e poi ai gentili, così

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tio plenae manifestationis quae erat futura. Et sicut in secunda manifestatione primo annun­ tiata est gratia Christi per Christum et eius apostolos Iudaeis, et postea gentilibus; ita ad Christum primo pervenerunt pastores, qui erant primitiae Iudaeorum, tanquam prope existen­ tes; et postea venerunt Magi a remotis, qui fue­ runt primitiae gentium, ut Augustinus dicit [Serm. ad pop. 200,1 ; serm. 202, 1]. Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, in Sermone de Epiphania [Serm. ad pop. 200,3], sicut praevalet imperitia in rusti­

citate pastontm, ita praevalet impietas in sa­ crilegiis magorum. Utrosque tamen sibi ille lapis angularis attribuir, quippe qui venit stulta eligere ut confunderet sapientes, et non vocare iustos, sed peccatores; ut nullus ma­ gnus superbiret, nullus infirmus desperaret. Quidam tamen dicunt quod isti Magi non fuerunt malefici, sed sapientes astrologi, qui apud Persas vel Chaldaeos Magi vocantur. Ad tertium dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus dicit [cf. Op. imperf. in Matth., h. 2 super 2,2], ab oriente venerunt Magi, quia, unde

dies nascitw; inde initium fidei processit, quia fides lumen est animarum. Vel, quia omnes qui ad Christum veniunt, ab ipso et per ipsum veniunt [cf. Remigium Antissiodorensem, h. 7 In Matth. 2, l ], unde dicitur Zach. 6 [ 1 2], ecce vir, Oriens nomen eius. Dicuntur autem ab oriente, ad litteram, venisse, vel quia de ultimis orientis partibus venerunt, secundum quosdam, vel quia de aliquibus vicinis parti­ bus Iudaeae venerunt, quae tamen sunt regioni Iudaeorum ad orientem [cf. Remigium Antis­ siodorensem, h. 7 In Matth. 2, l ; Cat. Aurea, In Matth. 1 , 1 , super v. 2]. Credibile tamen est etiam in aliis partibus mundi aliqua indicia nativitatis Christi apparuisse, sicut Romae fluxit oleum [cf. Eusebium Caesariensem, Chronica 2, interprete Hieronymo, 1 85]; et in Hispania apparuerunt tres soles paulatim in unum coeuntes [cf. Eusebium Caesariensem, Chronica 2, interprete Hieronymo, 184]. Ad quartum dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus dicit [cf. Cat. Aurea 2,3, super v. 8; Theophylactum, In Luc., super 2,8; Origenem, In Luc., interprete Hieronymo, h. 1 2 super 2,8], angelus manifestans Christi nativitatem

non ivit Ierosolymam, non requisivit Scribas et Pharisaeos, erant enim corrnpti, et prae invi­ dia cruciabantur. Sed pastores erant sinceri,

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al [presepe di] Cristo prima giunsero da vici­ no i pastori, che erano le primizie dei Giudei, e poi da lontano i Magi, che, come nota Ago­ stino, erano «le primizie dei gentili». 2. «Come nella rozzezza dei pastori», spiega Agostino, «emerge l'ignoranza, così nei sacri­ legi dei magi emerge l'empietà. Ma colui che era la pietra angolare attira a sé gli uni e gli altri: poiché era venuto "a scegliere le cose stolte per confondere i sapienti", e "a chiama­ re non i giusti, ma i peccatori", affinché nes­ sun grande si insuperbisse, e nessun debole si disperasse». Alcuni tuttavia affermano che questi Magi non erano fattucchieri malvagi, ma sapienti astrologi, i quali dai Persiani e dai Caldei sono chiamati Magi. 3. Secondo il Crisostomo «i Magi vennero dall'oriente poiché l 'inizio della fede si ha dalla parte da cui nasce il sole: la fede è infatti la luce delle anime». Oppure perché coloro che giungono a Cristo vengono da lui e per mezzo di lui, per cui in Zc 6 [ 1 2] è detto: Ec­ co un uomo il cui nome è Oriente. Nel signifi­ cato letterale si dice invece che vennero dal­ l' oriente perché, secondo alcuni, provenivano dalle più remote regioni orientali ; oppure, secondo altri, dalle regioni vicine alla Gittdea, ma situate a oriente di questa regione. E da credere tuttavia che in altre parti del mondo vi siano stati dei segni della nascita di Cristo: a Roma, p. es., si vide scorrere dell'olio, e in Spagna apparvero tre soli che a poco a poco si fusero in uno. 4. Scrive il Crisostomo [Origene] che l'ange­ lo, per annunziare la nascita di Cristo, «non andò a Gerusalemme e non cercò gli Scribi e i Farisei: erano infatti corrotti e rosi dall'invi­ dia. I pastori invece erano sinceri, e praticava­ no lo stile di vita dei patriarchi e di Mosè». Essi inoltre rappresentano i dottori della Chie­ sa, ai quali sono rivelati i misteri di Cristo, che erano tenuti celati ai Giudei. 5. Ambrogio scrive che «la nascita del Signore doveva ricevere la testimonianza non solo dei pastori, ma anche degli anziani e dei giusti»; anche perché la loro testimonianza di persone giuste aveva un credito maggiore.

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antiquam conversationem patriarcharum et Moysen colentes. - Per hos etiam pastores si­ gnificabantur doctores Ecclesiae, quibus Chri­ sti mysteria revelantur, quae latebant Iudaeos. Ad quintum dicendum quod, sicut Ambrosius dicit [In Luc. 2 super 2,25], generatio Domini

non solum a pastoribus, sed etiam a seniori­ bus et iustis accipere debuit testimonium, quo­ rum etiam testimonio, propter iustitiam, magis credebatur. Articulus 4 Utrum Christus per seipsum suam nativitatem manifestare debuerit

Articolo 4 Cristo avrebbe dovuto manifestare la sua nascita da se stesso?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Chri­ stus per seipsum suam nativitatem manifestare debuerit. l . Causa enim quae est per se, semper est po­ tior ea quae est per aliud, ut dicitur in 8 Phys. [5,7]. Sed Christus suam nativitatem manife­ stavit per alios, puta pastoribus per angelos et, Magis per stellam. Ergo multo Magis per seipsum debuit suam nativitatem manifestare. 2. Praeterea, Eccli. 20 [32] dicitur, sapientia

Sembra di sì. Infatti: l . «La causa che agisce da se stessa è sempre superiore a quella che agisce per mezzo di altri», come dice Aristotele. Ma Cristo mani­ festò la sua nascita per mezzo di altri: p. es. ai pastori per mezzo degli angeli, e ai Magi per mezzo della stella. A maggior ragione quindi avrebbe dovuto manifestare la sua nascita da se stesso. 2. In Sir 20 [30] è detto: Sapienza nascosta e

tionis suae piene habuit sapientiae et gratiae thesaurum. Nisi ergo hanc plenitudinem ma­ nitestasset per opera et verba, fuisset frustra ei data sapientia et gratia. Quod est inconve­ niens, quia Deus et natura nihil frustra facit, ut dicitur in l De caelo [4,8]. 3. Praeterea, in libro De infantia Salvatoris [26-41 ] legitur quod Christus in sua pueritia multa miracula fecit. Et ita videtur quod suam nativitatem per seipsum manifestaverit. Sed contra est quod Leo Papa dicit [Sermones 34,3], quod Magi invenerunt puerum Iesum

tesoro della sapienza e della grazia fin dall'i­ nizio del suo concepimento. Se quindi non avesse manifestato tale pienezza con le parole e con le opere, la sapienza e la grazia gli sarebbero state date inutilmente. n che non è ammissibile, poiché «Dio e la natura non fanno niente di inutile», come nota Aristotele. 3. Nel Protovangelo di Giacomo si legge che Cristo fece molti miracoli durante la sua fan­ ciullezza. E così sembra che abbia manifesta­ to la sua nascita da se stesso. In contrruio: papa Leone afferma che i Magi trovarono il bambino Gesù «in niente diverso dalla generalità dei bambini». Ma gli altri bambini non si rivelano da sé. Quindi non era conveniente che Cristo manifestasse da sé la propria nascita. Risposta: la nascita di Cristo era ordinata alla salvezza degli uomini, che si attua mediante la fede. Ora, la vera fede riconosce la divinità e l'umanità di Cristo. Era perciò necessario che la nascita di Cristo fosse manifestata in maniera tale da non pregiudicare la fede nella sua umanità. E ciò avvenne per il fatto che Cristo mostrò in se stesso i segni dell'umana

abscondita, et thesaurus invisus, quae utilitas in utrisque? Sed Christus a principio concep­

nulla ab infantiae humanae generalitate di­ scretum. Sed alii infantes non manifestant seipsos. Ergo neque decuit quod Christus per seipsum suam nativitatem manifestaret. Respondeo dicendum quod nativitas Christi ad humanam salutem ordinabatur, quae qui­ dem est per fidem. Fides autem salutaris divi­ nitatem et humanitatem Christi confitetur. Oportebat igitur ita manifestari nativitatem Christi ut demonstratio divinitatis eius fidei humanitatis ipsius non praeiudicaret. Hoc autem factum est dum Christus in seipso similitudinem infirmitatis humanae exhibuit,

tesoro invisibile, a che servono l 'una e l'altro? Ma Cristo ebbe in maniera perfetta il

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et tamen per Dei creaturas divinitatis virtutem in se monstravit. Et ideo Christus non per seipsum suam nativitatem manifestavit, sed per quasdam alias creaturas. Ad primum ergo dicendum quod in via gene­ rationis et motus oportet per imperfecta ad perfectum perveniri. Et ideo Christus prius manifestatus est per alias creaturas, et postea manifestavit se per seipsum manifestatione pertècta. Ad secundum dicendum quod, licet sapientia abscondita inutilis sit, non tamen ad sapien­ tem pertinet ut quolibet tempore manitèstet seipsum, sed lempore congruo, dicitur enim Eccli. 20 [6], est tacens non habens sensum

loquelae, et est tacens sciens tempus apti tem­ poris. Sic ergo sapientia Christo data non fuit

inutilis, quia seipsam tempore congruo mani­ festavit. Et hoc ipsum quod tempore congruo abscondebatur, est sapientiae indicium. Ad tertium dicendum quod liber ille De infantia Salvatoris [cf. Decretum 1 , 15 can. 3] est apo­ cryphus. Et Chrysostomus, Super Ioan. [h. 21], dicit quod Christus non fecit miracula ante­ quam aquam converteret in vinum, secundum illud quod dicitur Ioan. 2 [ I l ], hoc fecit ini­

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debolezza, e tuttavia mostrò insieme il potere della propria divinità per mezzo delle creature di Dio. E così Cristo fece conoscere la sua nascita non direttamente da se stesso, ma per mezzo di alcune creature. Soluzione delle difficoltà: l . In ordine gene­ tico e di moto è necessario arrivare alla perfe­ zione cominciando dalle cose imperfette. E così Cristo si diede a conoscere prima per mezzo delle creature e in seguito, in maniera perfetta, da se stesso. 2. Benché la sapienza nascosta sia inutile, tut­ tavia è da savi darsi a conoscere non in qua­ lunque momento, ma al tempo opportuno, infatti è detto in Sir 20 [6]: C'è chi tace per­

ché non sa che cosa rispondere; e c'è chi tace perché conosce il momento propizio. Così dunque non fu inutile la sapienza di Cristo,

poiché egli si diede a conoscere al momento opportuno. E il fatto stesso che a suo tempo sia rimasto nascosto, è indizio di sapienza. 3. Quel libro è un apocrifo. E il Crisostomo scrive che Cristo prima di cambiare l'acqua in vino non fece alcun miracolo, secondo le parole di Gv 2 [ 1 1 ] : Così Gesù diede inizio ai suoi segni. «Se egli infatti avesse fatto mira­ coli da bambino, gli Israeliti non avrebbero avuto bisogno che un altro lo facesse loro conoscere; e invece Giovanni Battista dice: Io

tium signorum lesus. Si enim secundum pri­ mam aetatem miracula fecisset, non indiguis­ sent Israelitae a/io manifestante eum, cum tamen Ioannes Baptista dicat, Ioan. l [3 1], ut manifestetur Israeli, proprerea veni in aqua baptizans. Decenter autem non incoepit fa­ cere signa in prima aetate. Aestimassent enim phantasiam esse incarnationem, et ante op­ portunum tempus eum cruci tradidissent, livore liquefacti.

poi Cristo non cominciò a fare miracoli da bambino. Avrebbero infatti considerato l'in­ carnazione un travestimento fantastico; oppu­ re, divorati dall'invidia, lo avrebbero crocifis­ so prima del tempo».

Articulus 5 Utrum nativitas Christi debuerit per angelos et stellam manifestari

Articolo 5 A manifestare la nascita di Cristo dovevano essere gli angeli e una stella?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod non de­ buerit manifestari per angelos Christi nativitas. l . Angeli enim sunt spirituales substantiae, secundum illud Psalmi [103,4], qui facit an­ gelos suos spiritus. Sed Christi nativitas erat secundum carnem, non autem secundum spi­ ritualem eius substantiam. Ergo non debuit per angelos manifestari. 2. Praeterea, maior est affmitas iustorum ad angelos quam ad quoscumque alios, secun­ dum illud Psalmi [33,8], immittet angelus Do-

Sembra di no. Infatti: l . Gli angeli sono sostanze spirituali, secondo le parole del Sal 103 [4]: Dio ha fatto i suoi angeli spiriti. Ora, la nascita di Cristo fu se­ condo la carne, non secondo la sua sostanza spirituale. Quindi non doveva essere rivelata per mezzo degli angeli. 2. I giusti sono più affini agli angeli che a ogni altro essere, secondo le parole del Sal 33 [8]: L'angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva. Ma ai giusti,

sono venuto a battezzare con acqua perché egli si manifestasse a Israele. Giustamente

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accepit a Spiritu Scmcto non visurum se mor­ tem nisi prius videret Christum Domini. Pa­

cioè a Simeone e Anna, la nascita di Cristo non fu rivelata dagli angeli . Quindi non dove­ va esserlo neppure ai pastori. 3. Né doveva essere rivelata ai Magi per mez­ zo di una stella. Ciò infatti poteva essere oc­ casione di errore per costoro, i quali credeva­ no che gli astri influissero sulla nascita degli uomini. Ora, le occasioni di peccato vanno eliminate. Quindi non era conveniente che la nascita di Cristo fosse rivelata per mezzo di una stella. 4. Perché un segno possa significare qualcosa deve essere certo. Ma la stella non era un segno certo della nascita di Cristo. Perciò con essa quest'ultima non fu manifestata in modo conveniente. In contrario: in Dt 32 [4] è detto: Le opere di Dio sono peifette. Ma tale manifestazione fu un' opera divina. Quindi fu attuata con segni convenienti Risposta: come la dimostrazione sillogistica avviene mediante ciò che è più evidente per colui a cui si vuole dimostrare qualcosa, così la manifestazione mediante qualche segno va fatta con ciò che,è familiare a colui al quale essa è ordinata. E evidente d' altra parte che per gli uomini giusti è familiare e abituale es­ sere istruiti dall'istinto interiore dello Spirito Santo, cioè dallo spirito di profezia, senza l'intervento di segni sensibili. Altri invece, de­ diti ad attività materiali, sono condotti alle realtà intellettuali mediante quelle sensibili. Ora, i Giudei solevano ricevere le comunica­ zioni divine mediante gli angeli, per mezzo dei quali avevano ricevuto anche la legge, come è detto in At 7 [53]: Voi avete ricevuto la legge per mano degli angeli. Invece, i Gen­ tili e specialmente gli astrologi solevano os­ servare il corso degli astri. E così ai giusti, cioè ad Anna e a Simeone, la nascita di Cristo fu rivelata per istinto interiore dello Spirito Santo, come è detto in Le 2 [26]: Dallo Spiri­

omant, utrisque ergo "caeli enarrant gloriam Dei " . - Rationabil i ter autem pastoribus,

gi, in quanto persone dedite ad attività mate­ riali, la nascita di Cristo fu manifestata me­ diante apparizioni visibili. E siccome si tratta­ va di una nascita non puramente terrena, ma in qualche modo celeste, sia agli uni che agli altri fu rivelata con segni celesti. Come infatti scrive Agostino, «gli angeli popolano il cielo,

mini in circuitu timentium eum, et eripiet eos.

Sed iustis, scilicet Simeoni et Annae, non est manifestata Christi nativitas per angelos. Ergo nec past01ibus per angelos manifestari debuit. 3. Item, videtur quod nec Magis debuit mani­ festari per stellam [Matth. 2,2.9]. Hoc enim vi­ detur esse erroris occasio quantum ad illos qui existimant sidera nativitatibus hominum do­ minari. Sed occasiones peccandi sunt homini­ bus auferendae. Non ergo fuit conveniens quod per stellam Christi nativitas manitestaretur. 4. Praeterea, signum oportet esse certum, ad hoc quod per ipsum aliquid manifestetur. Sed stella non videtur esse signum certum nativi­ tatis Christi. Ergo inconvenienter fuit Christi nativitas per stellam manifestata. Sed contra est quod dicitur Deut. 32 [4], Dei peifecta sunt opera. Sed talis manifestatio fuit opus divinum. Ergo per convenientia signa fuit effecta. Respondeo dicendum quod, sicut manifesta­ tic syllogistica fit per ea quae sunt Magis nota ei cui est aliquid manifestandum, ita manife­ statio quae fit per signa, debet fieri per ea quae sunt familiaria illis quibus manifestatur. Manifestum est autem quod viris iustis est fa­ miliare et consuetum interiori Spiritus Sancti edoceri instinctu, absque signorum sensibi­ lium demonstratione, scilicet per spiritum prophetiae. Alii vero, corporalibus rebus dedi­ ti, per sensibilia ad intelligibilia adducuntur. Iudaei tamen consueti erant divina responsa per angelos accipere, per quos etiam legem acceperant, secundum illud Act. 7 [53], ac­ ceptis legem in dispositione angelorum. Gen­ tiles vero, et maxime astrologi, consueti sunt stellarum cursus aspicere. Et ideo iustis, sci­ licet S imeoni et Annae, manifestata est Chri­ sti nativitas per interiorem instinctum Spiritus Sancti, secundum illud Luc. 2 [26] responsum

storibus autem et Magis, tanquam rebus cor­ poralibus deditis, manifestata est Christi na­ tivitas per apparitiones visibiles. Et quia nati­ vitas non erat pure terrena, sed quodammodo caelestis, ideo per signa caelestia utrisque na­ tivitas Christi revelatur, ut enim Augustinus dicit, in Sermone de Epiphania [Serm. ad pop. 204] , caelos angeli habitant, et sidera

to Santo gli era stato preannunciato che non avrebbe visto la morte prima di aver veduto il Cristo del Signore. Invece ai pastori e ai Ma­

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tanquam Iudaeis, apud quos frequenter factae sunt apparitiones angelorum, revelata est nati­ vitas Christi per angelos, Magis autem, as­ suetis in consideratione caelestium corporum, manifestata est per signum stellae. Quia, ut Chrysostomus dicit [In Matth. h. 6], per con­

sueta eos Dominus vocare voluit, eis conde­ scendens. - Est autem et alia ratio. Quia, ut Gregorius dicit [In Ev. h . l , l O ], ludaeis, tanquam ratione utentibus, rationale animai, idest angelus, praedicare debuit. Gentiles veJV, qui uti ratione nesciebant ad cogno­ scendum Deum, non per vocem, sedper signa perducuntw: Et sicut Dominum iam loquen­ tem annuntiaverunt gentibus praedicatores loquelltes, ita eum nondum loquelltem e/e­ menta muta praedicaverunt. Est autem et -

alia ratio. Quia, ut Augustinus dicit, in Ser­ mone Epiphaniae [cf. Leonem Magnum, Ser­ mones 33,2] , Abrahae innumerabilis erat

promissa successio non carnis semine, sed fidei fecunditate generanda. Et ideo stellarum multitudini est comparata, ut caelestis pro­ genies speraretur. Et ideo gentiles, in sideri­ bus designati, ortu novi sideris excitantur ut

perveniant ad Christum, per quem efficiuntur semen Abrahae. Ad primum ergo dicendum quod illud mani­ festatione indiget quod de se est occultum, non autem illud quod de se est manifestum. Caro autem eius qui nascebatur erat manifesta, sed divinitas erat occulta. Et ideo convenienter manifestata est illa nativitas per angelos, qui sunt Dei ministri. Unde et cum claritate ange­ lus apparuit, ut ostenderetur quod ille qui nascebatur erat splendor patemae gloriae. Ad secundum dicendum quod i usti non indigebant visibili apparitione angelorum, sed eis sufficiebat i nterior instinctus Spiritus Sancti, propter eorum perfectionem. Ad tertium dicendum quod stella quae nativi­ tatem Christi manifestavit, omnem occasio­ nem erroris subtraxit. Ut enim Augustinus dicit, Contra Faustum [2,5], nulli astmlogi

constituerunt ita nascentium hominum fata sub stellis, ut aliquam stellarum, homine aliquo nato, circuitus sui ordinem reliquisse, et ad eum qui natus est perrexisse asseverent, sicut accidit circa stellam quae demonstravit nativitatem Christi. Et ideo per hoc non con­ firmatur error eorum qui sortem nascentium

hominum astrontm ordini colligari arbitran-

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gli astri lo adornano: quindi gli uni e gli altri narrano la gloria di Dio». - E giusto poi che, ai pastori, in quanto Giudei, presso i quali le apparizioni degli angeli sono frequenti, la nascita di Cristo fosse rivelata per mezzo di angeli; ai Magi invece, abituati a considerare i corpi celesti, fu manifestata per mezzo di una stella. Poiché, come spiega il Crisostomo, «Dio, adattandosi ad essi, li volle chiamare con mezzi ad essi familiari». - C'è poi un'al­ tra ragione, portata da Gregorio: «Ai Giudei, abituati all'uso della ragione, doveva parlare una creatura razionale. I gentili invece, che non sapevano servirsi della ragione per cono­ scere Dio, sono condotti a lui non attraverso la parola, ma con dei segni. E come per annun­ ziare alle genti il Signore già dotato di loquela furono incaricati dei predicatori che parlavano, così per annunziare il Signore ancora infante furono usati dei muti elementi». - Agostino [Leone] porta ancora un terzo motivo: «Ad Abramo era stata promessa una innumerevole discendenza, non carnale, ma frutto della fe­ condità della fede. Per questo essa fu parago­ nata alla moltitudine delle stelle, allo scopo di infondere la speranza di una discendenza cele­ ste». Perciò i Gentili, «indicati nelle stelle, dal sorgere di un nuovo astro sono stimolati» ad andare a Cristo, per mezzo del quale diventa­ no progenie di Abramo. Soluzione delle difficoltà: l . Ha bisogno di essere rivelato ciò che di per sé è occulto, non ciò che è già manifesto. Ora, la carne del neonato era visibile, mentre la sua divinità era occulta. Perciò quella nascita fu rivelata per mezzo degli angeli, che sono i ministri di Dio. E l'angelo apparve circondato di luce per mostrare che il neonato era lo splendore della gloria del Padre [Eh l ,3]. 2. I giusti non avevano bisogno di un'appari­ zione visibile di angeli ma, essendo essi per­ fetti, era loro sufficiente l'istinto interiore del­ lo Spirito Santo. 3. La stella che rivelò la nascita di Cristo eli­ minò ogni occasione di errore. Come infatti dice Agostino, «nessun astrologo mise le sorti umane sotto l'influsso degli astri in modo tale da affermare che una stella, alla nascita di un uomo, avrebbe abbandonato il suo corso per andare verso quell'uomo appena nato»: come invece avvenne per la stella che indicò la na­ scita di Cristo. In questo modo dunque non è

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tur, non autem credunt astrorum ordinem ad hominis nativitatem posse mutari. Similiter etiam, ut Chrysostomus dicit [In Matth. h. 6],

non est hoc astronomiae opus, a stellis scire eos qui nascuntur, sed ab hora nativitatis futura praedicere. Magi autem tempus nativi­ tatis non cognoverunt, ut, hinc sumentes initium, a stellarum motu futura cognosce­ rent, sedpotius e converso. Ad quartum dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus refert [cf. Op. imperf. in Matth. , h. 2 super l ,2], in quibusdam scriptis apocryphis legitur quod quaedam gens in extremo orien­ tis, i uxta Oceanum, quandam scripturam habebat, ex nomine Seth, de hac stella et mu­ neribus huiusmodi offerendis . Quae gens diligenter observabat huius stellae exortum, positis exploratoribus duodecim, qui certis temporibus devote ascendebant in montem. In quo postmodum viderunt eam habentem in se quasi parvuli formam, et super se similitudi­ nem crucis. Vel dicendum quod, sicut dicitur in libro De quaest. Nov. et Vet. Test. [Ambro­ siaster, p. l , ex Nov. Test., q. 62], Magi illi traditionem Balaam sequebantur, qui dixit, "orietur stella ex Iacob " [Num. 24, 1 7]. Un­

de, videntes stellam extra ordinem mundi, hanc esse intelle.xerunt quam Balaamfuturam indicem Regis Iudaeorum prophetaverat. Vel

dicendum, sicut Augustinus dicit, in Setmone de Epiphania [Serm. ad pop. 374], quod ab

angelis aliqua monitione revelationis audie­ runt Magi quod stella Christum natum signi­ ficaret. Et probabile videtur quod a bonis, quando in Christo adorando salus eorum iam quaerebatur. Vel, sicut Leo Papa dicit, in Ser­ mone de Epiphania [Sermones 34,3], praeter illam speciem quae corporeum incitavit obtutum, fttlgentior veritatis radius eorum corda perdocuit quod ad illuminationem fidei pertinebat.

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confermato l 'errore di chi «crede di stabilire un nesso tra il corso degli astri e la sorte di chi nasce: costoro infatti non credono che il corso degli astri possa mutare per la nascita di un uomo». Inoltre, secondo il Crisostomo, «all'a­ stronomia non spetta conoscere in base alle stelle coloro che nascono, ma predire il futuro in base al tempo della loro nascita. Ora, i Magi non conobbero il momento della nascita in modo da prenderlo come punto di partenza per conoscere il futuro in base al movimento delle stelle, ma avvenne piuttosto il contrario». 4. Secondo quanto riferisce il Crisostomo, in certi scritti apocrifi si legge che un popolo del­ l' estremo oriente, vicino ali' oceano, possedeva uno scritto attribuito a Seth, nel quale si parlava di questa stella e dei doni da offrirsi. E tale popolo, nella diligente attesa di questa stella, aveva istituito dodici esploratori, i quali in tem­ pi determinati salivano devotamente sulla mon­ tagna. E di lassù essi in seguito videro la stella avente come la forma di un bambino, e con sopra il segno di una croce. Si può anche dire, secondo il libro Questioni del Nuovo e del­ l'Antico Testamento, che «quei Magi seguirono la tradizione di Balaam», il quale aveva detto: Una stella spunta da Giacobbe [Nm 24, 1 7] . «Vedendo quindi una stella fuori del corso normale del mondo, ticonobbero in essa quella che Balaam aveva profetizzato come segno del Re dei Giudei». Agostino dice inoltre che .

speciem suam pau/o super aetatem vel infra transfonnaret. Articulus 7 Utrum stella quae Magis apparuit, fuerit una de caelestibus stellis

Articolo 7 La stella apparsa ai Magi era una stella del cielo?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod stella quae Magis apparuit [Matth. 2,2.9], fue­ rit una de caelestibus stellis. l . Dicit enim Augustinus, in quodarn Sermone Epiphaniae [cf. Augustinus, Serm. Suppos. 1 32], dum pender ad ubera et vilium patitur

Sembra di sì. Infatti: l . Agostino ha scritto: «Mentre Dio succhia dal seno e sopporta di essere avvolto in pove­ ri panni, improvvisamente una nuova stella rifulge nel cielo». Quindi fu una stella del cielo quella che apparve ai Magi. 2. Dice ancora Agostino: «Gli angeli indica­ no Cristo ai Pastori, la stella ai Magi. Agli uni e agli altri parla la lingua del cielo, poi­ ché aveva cessato di parlare la lingua dei pro­ feti». Ma gli angeli apparsi ai Pastori erano dei veri angeli del cielo. Quindi anche la stel­ la apparsa ai Magi era una vera stella del cielo. 3. Le stelle che non sono in cielo, ma nell'a­ ria, sono dette comete; le quali però non ap­ paiono per la nascita dei re, ma sono piutto­ sto dei presagi della loro morte. Ora, la stella in questione indicava la nascita di un Re; poi­ ché i Magi dissero: Dov 'è il Re dei Giudei

Deus involutnenta pannorum, repente novum de caelo sidus effulsit. Fuit igitur stella caelestis quae Magis apparuit. 2. Praeterea, Augustinus dicit, in Sermone quodam Epiphaniae [Serm. ad pop. 201 , 1 ],

pastoribus angeli, Magis stella Christum de­ monstrat. Utrisque loquitur lingua caelorum, quia lingua cessaverat prophetarum. Sed an­ geli pastoribus apparentes fuerunt vere de caelestibus angelis. Ergo et stella Magis appa­ rens fuit vere de caelestibus stellis. 3. Praeterea, stellae quae non sunt in caelo, sed in aere, dicuntur stellae comatae, quae non apparent in nativitatibus regum, sed Magis sunt indicia mortis eorum. Sed illa stella de­ signabat Regis nativitatem, unde Magi dicunt, Matth. Il, ubi est qui natus est Rex Iudaeo­

rum ? Vidimus enim stellam eius in oriente.

Ergo videtur quod fuerit de caelestibus stellis. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro Contra Faustum [2,5], non ex illis erat stellis

quae ab initio creaturae itinerum suorum ordinem sub Creatoris lege custodiunt, sed, novo Virginis partu, novum sidus apparuit.

Respondeo dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus dicit, Super Matth. [h. 6], quod illa stella

che è nato ? Abbiamo visto la sua stella in oriente (Mt 2,2). Sembra dunque che fosse

una stella del cielo. In contrario: Agostino scrive: «Non era una di quelle stelle che dall'inizio della creazione seguono il loro corso secondo la legge del Creatore, ma col nuovo parto della Vergine apparve un nuovo astro». Risposta: che quella stella, come dice il Cri­ sostomo, non fosse un astro del finnamento, è chiaro per diversi motivi. Primo, perché nessun'altra stella segue la stessa direzione.

439

La manifestazione di Cristo alla sua nascita

quae Magis apparuit non fuerit una caele­ stium stellarum, multipliciter manifestum est. Primo quidem, quia nulla alia stellarum hac via incedit. Haec enim stella ferebatur a Sep­ tentrione in meridiem, ita enim iacet Iudaea ad Persidem, unde Magi venerunt. Secundo, apparet hoc ex tempore. Non enim solum apparebat in nocte, sed etiam in media die. Quod non est virtutis stellae, sed nec etiam lunae. Tertio, quia quandoque apparebat et quandoque occultabatur. Cum enim intrave­ runt lerosolymam, occultavit seipsam, deinde, ubi Herodem reliquerunt, monstravit seipsam. Quarto, quia non habebat continuum motum, sed, cum oportebat ire Magos, ibat; quando autem oportebat stare, stabat; sicut et de co­ lumna nubis erat in deserto [Ex. 40,34; Deut. l ,33]. Quinto, quia non sursum manens partum Virginis demonstrabat, sed deorsum descen­ dens hoc faciebat. Dicitur enim Matth. 2 [9] quod stella quam viderant in oriente, antece­

debat eos, usque dwn veniens staret supra ubi erat puer. Ex quo patet quod verbum Mago­ rum dicentium, vidimus stellam eius in orien­ te, non est sic intelligendum quasi ipsis in

oriente positis stella apparuerit existens in terra Iuda, sed quia viderunt eam in oriente existentem, et praecessit eos usque i n Iu­ daeam (quamvis hoc a quibusdam sub dubio relinquatur) [cf. Remigium Antissiodoren­ sem, h. 7 In Matth. 2,1 ] . Non autem potuisset distincte domum demonstrare nisi esset terrae vicina. Et, sicut ipse dicit, hoc non videtur proprium esse stellae, sed virtutis cuiusdam rationalis. Unde videtur quod haec stella

vù1us invisibilis fuisset in talem apparentiam transjmmata. - Unde quidam [Ps. Augusti­ nus, De mirabilibus Sacrae Scripturae 3,4; cf. Remigium Antissiodorensem, h. 7 In Mat­ th. 2, l ; Cat. Aurea, In Matth. 2, l , super v. 2] dicunt quod, sicut Spiritus Sanctus descendit super baptizatum Dominum in specie colum­ bae, ita apparuit Magis in specie stellae. - Alii [cf. Remigium Antissiodorensem, h. 7 In Matth. 2, l ; Cat. Aurea 2, l, super v. 2] vero dicunt quod angelus qui apparuit pastoribus in specie humana, apparuit Magis in specie stel­ lae. - Probabilius tamen videtur quod fuerit stella de novo creata, non in caelo, sed in aere vicino terrae, quae secundum Dei voluntatem movebatur. Unde Leo Papa dicit, in Setmone Epiphaniae [Sermones 3 1 ,1], tribus Magis in

Q. 36, A. 7

Questa infatti andava da settentrione a mez­ zogiorno: poiché questa è la posizione della Giudea nei confronti della Persia, da dove provenivano i Magi. Secondo, ciò è evidente dal tempo deII' apparizione. Poiché non appa­ riva soltanto di notte, ma anche in pieno gior­ no. li che non succede alle stelle, e neppure alla luna. Terzo, perché a momenti appariva, e a momenti spariva. Quando intàtti i Magi entrarono a Gemsalemme la stella sparì; e riapparve quando essi si allontanarono da Erode. Quarto, perché non aveva un movi­ mento continuo, ma si muoveva quando i Magi dovevano camminare: proprio come la colonna di nube nel deserto [Es 40,34; Dt 1 ,33] . Quinto, perché indicò il parto della Vergine non stando in alto, ma scendendo in basso. Infatti in Mt 2 [9] è detto: La stella

vista da essi in oriente li precedeva, finché, giunta sul luogo dove era il fanciullo, si fermò. Dal che risulta che le parole dei Magi: Abbiamo visto la sua stella in oriente non vanno intese nel senso che dall'oriente aves­ sero visto la stella che si trovava in Giudea, ma che la videro in oriente, ed essa li accom­ pagnò fino in Giudea (benché ciò sia messo i n dubbio da qualcuno). Del resto non avrebbe potuto indicare bene la casa, se non fosse stata vicina alla terra. E come dice lo stesso autore, questo comportamento non sembra quello proprio di una stella, ma «di un potere razionale» . Per cui «sembra che questa stella sia stata una forza invisibile apparsa sotto forma di stella». - Per questo alcuni affermano che lo Spirito Santo, come nel battesimo del Signore scese sotto forma di colomba [Mt 3, 1 6], così apparve ai Magi sotto le apparenze di una stella. - Altri invece sostengono che l'angelo apparso ai Pastori in forma umana [Le 2,9] sia apparso ai Magi sotto forma di stella. È più probabile tut­ tavia che si trattasse di una stella creata al­ lora, non in cielo, ma nell' aria vicina alla terra, la quale si muoveva secondo il volere di Dio. Per cui papa Leone così si esprime: «In una regione dell' oriente apparve a tre Magi una stella dallo splendore nuovo, più luminosa e più bella di tutte le altre, che attraeva a sé Io sguardo e l'animo di chi la guardava, affinché si comprendesse subito che questo fenomeno insolito non mancava di significato». -

Q. 36, A. 7

La manifestazione di Cristo alla sua nascita

regione orientis stella novae claritatis appa­ ruit, quae, illustrior ceteris pulchriorque side­ ribus, in se intuentium oculos animosque converteret, ut confestim adve11eretur non es­ se otiosum quod tam insolitum videbatur.

Ad primum ergo dicendum quod caelum in sacra Scriptura quandoque dicitur aer, secun­ dum illud [Ps. 8,9], volucres caeli et pisces

maris.

Ad secundum dicendum quod ipsi caelestes angeli ex suo officio habent ut ad nos descen­ dant, in ministerium missi. Sed stellae caele­ stes suum situm non mutant. Unde non est si­ milis ratio. Ad tertium dicendum quod, sicut stella non est secuta motum stellarum caelestium, ita nec stellarum comatarum, quae nec de die appa­ rent, nec cursum suum ordinatum mutant. Et tamen non omnino aberat significatio cometa­ rum. Quia caeleste regnum Christi comminuit

440

Soluzione delle difficoltà: l . Talvolta nella sacra Scrittura l'aria è chiamata cielo, come in Sal 8 [9] : Gli uccelli del cielo e i pesci del

mare. 2. Gli angeli del cielo scendono tra noi per il loro ufficio, essendo incaricati di un ministe­ ro. Le stelle del cielo invece non mutano il loro corso. Quindi il paragone non regge. 3. Come la stella non seguì il moto delle altre stelle, così non seguì neppure quello delle comete, le quali né appaiono di giorno, né mutano il loro corso usuale. Thttavia non era escluso il significato ordinario delle comete. Infatti, il regno celeste di Cristo stritolerà e

annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre, come è detto in Dn 2 [44].

et consumpsit universa regna tenue, et ipsum stabit in aetemum, ut dicitur Dan. 2 [44]. Articulus 8 Utrum Magi convenienter venerunt ad Christum adorandum et venerandum

Articolo 8 Era conveniente che i Magi venissero ad adorare e venerare Cristo?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod Ma­ gi non convenienter venerunt ad Christum adorandum et venerandum. l . Unicuique enim regi reverentia debetur a suis subiectis. Magi autem non erant de regno ludaeorum. Ergo, cum ex visione stellae co­ gnoverunt natum esse Regem ludaeorum, vi­ detur quod inconvenienter venerunt ad eum adorandum. 2 Praeterea, stultum est, vivente rege aliquo, extraneum regem annuntiare. Sed in regno Iu­ daeae regnabat Herodes. Ergo stulte fecerunt Magi regis nativitatem annuntiantes. 3. Praeterea, certius est caeleste indicium quam humanum. Sed Magi ducatu caelestis indicii ab oriente venerant in Iudaeam. Stulte ergo egerunt praeter ducatum stellae humanum indicium requirendo, dicentes [Matth. 2,2], ubi

Sembra di no. Infatti: l . A ogni re è dovuto l'ossequio dei propri sudditi. Ora, i Magi non appartenevano al regno dei Giudei. Quando dunque per mezzo della stella conobbero la nascita del Re dei Giudei, sembra che non sarebbero dovuti venire ad adorarlo. 2. È da stolti annunziare la nascita di un altro re quando vive ancora il re legittimo. Ma nel regno di Giuda regnava Erode. Quindi i Magi si comportarono da stolti annunziando la nascita di un re. 3. Un'indicazione celeste è più sicura di un in­ segnamento umano. Ora, i Magi erano venuti dall'oriente in Giudea condotti da un'indica­ zione celeste. Perciò agirono stoltamente quan­ do, dopo aver seguito la stella, cercarono un insegnamento umano domandando [Mt 2,2]:

est qui natus est Rex Judaeorum? 4. Praeterea, munerum oblatio, et adorationis reverentia, non debetur nisi regibus iam re­ gnantibus. Sed Magi non invenerunt Chri­ stum regia dignitate fulgentem. Ergo inconve­ nienter ei munera et reverentiam regiam exhibuerunt.

Dov 'è il Re dei Giudei che è nato? 4. L'offerta dei doni e l 'atto di adorazione sono dovuti soltanto ai re che regnano attual­ mente. Ora, i Magi non trovarono Cristo rive­ stito della dignità regale. Quindi non era op­ portuno che gli offrissero i doni e lo riverisse­ ro come un re.

44 1

La manifestazione di Cristo alla sua nascita

Sed contra est quod dicitur ls. 60 [3], ambula­

bunt gentes in lumine tuo, et reges in splen­ dore ortus tui. Sed qui divino lumine ducun­

tur, non errant. Ergo Magi absque errore Christo reverentiam exhibuerunt. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 3 ad l ; a. 6 arg. 2], Magi sunt primitiae gentium in Christo credentium, in quibus appamit, sicut in quodam praesagio, fides et devotio gentium venientium a remotis ad Christum. Et ideo, sicut devotio et fides gentium est absque errore per inspirationem Spiritus Sancti, ita etiam cre­ dendum est Magos, a Spiritu Sancto inspiratos, sapienter Christo reverentiam exhibuisse. Ad plimum ergo dicendum quod, sicut Augu­ stinus dicit, in Sermone Epiphaniae [Serm. ad pop. 200,1], cum multi reges ludaeorum nati

fuissent atque defuncti, nullum eorum Magi adorandum quaesierunt. Non itaque regi Iudaeorum quales illic esse solebant, hunc tam magnum honorem longinqui, alienigenae, et ab eodem regno prorsus extranei, a se deberi arbitrabantur. Sed talem natum esse didicerunt in qua adorando se salutem quae secundum Deum est consecuturos minime dubitarent [Serm. Suppos. 132]. Ad secundum dicendum quod per illam an­ nuntiationem Magorum praefigurabatur con­ stantia gentium Christum usque ad mortem confi tentium. Unde Chrysostomus dicit, Super Matth. [cf. Op. imperf. in Matth., h. 2 super 2,2], quod, dum considerabant Regem

futurum, non timebant regem praesentem. Adhuc non viderant Christum, et iam parati erant pro eo mori. Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in Sermone Epiphaniae [Serm. ad pop. 200,2], stella quae magos perduxit ad locum

ubi erat cum matre virgine Deus infans, poterat eos ad ipsam perducere civitatem Bethlehem, in qua natus est Christus. Sed ta­ men subrraxit se, donec de civita/e in qua Christus nasceretw; etiam ludaei testimonium perhiberent, ut sic, geminato testimonio con­ finnati, sicut Leo Papa dicit [Sermones 34,2], ardentiori fide expeterent quem et stellae cla­ ritas, et prophetiae manifestabat auctoritas. lta ipsi annuntiant Christi nativitatem, et interrogant locum, credunt et quaerunt, tanquam significantes eos qui ambulant per fidem et desiderant speciem, ut Augustinus dicit, in Sermone Epiphaniae [Serm. ad pop.

Q. 36, A. 8

In contrario: in Is 60 [3] è detto: Cammine­ ranno i popoli alla tua luce, i re allo splen­ dore del tuo sorgere. Ma chi è condotto dalla

luce divina non può sbagliare. Quindi i Magi non si sbagliarono nel prestare ossequio a Cristo. Risposta: come si è già detto, i Magi sono «le plimizie dei gentili» che avrebbero creduto, e in essi apparve come in un presagio la fede e la devozione dei popoli che di lontano sareb­ bero venuti a Ciisto. Come quindi la fede e la devozione delle genti è priva di errore per intlusso dello Spitito Santo, così dobbiamo credere che i Magi, mossi dallo Spirito Santo, abbiano reso omaggio a Ciisto con saggezza. Soluzione delle difficoltà: l . Come dice Ago­ stino, «molti re dei Giudei erano nati e m01ti, e nessuno di essi i Magi erano venuti ad ado­ rare. Questi stranieri dunque, venuti di lontano e completamente estranei a quel regno, non credevano di dover rendere un simile onore al re dei Giudei come a uno dei tanti che c'erano stati, ma conobbero che il neonato era tale da non poter essi dubitare, adorandolo, di ottenere la salvezza che è secondo Dio». 2. Quell'annunzio dei Magi stava a simboleg­ giare la futura costanza dei gentili nel confes­ sare Cristo fino alla morte. Per cui il Crisosto­ mo dice che «pensando al re futuro, non te­ mevano il re presente. Non avevano ancora visto Cristo, ed erano già pronti a dare la vita per lui». 3. Agostino afferma: «La stella che aveva accompagnato i Magi al luogo dove con la madre vergine stava il Dio bambino, li avreb­ be potuti guidare anche a Betlemme, dove Cristo era nato. Tuttavia si nascose fino a che anche i Giudei non ebbero dato la loro testi­ monianza riguardo alla città dove Cristo do­ veva nascere». E questo perché, come af­ ferma papa Leone, «ricevuta conferma da una duplice testimonianza cercassero con fede più viva ciò che il fulgore della stella e l'autorità dei profeti manifestavano». Così essi, nota Agostino, «annunziano» la nascita di Cristo «e domandano» del luogo, «credono e cerca­ no, quasi a simboleggiare coloro che cammi­ nano nella fede e desiderano la visione». I Giudei poi, mostrando loro il luogo della na­ scita di Cristo, «divennero come i costruttori dell'arca di Noè, i quali diedero agli altri un mezzo di salvezza mentre essi perirono nel -

Q. 36, A. 8

La manifestazione di Cristo alla sua nascita

1 99,1 ] . - Iudaei autem, indicantes eis locum nativitatis Christi, similes facti sunt fabris

arcae Noe, qui aliis ubi evaderent praestite­ runt, et ipsi diluvio perierunt. Audierunt et abierunt inquisitores, dixerunt et remanserunt doctores, similes lapidibus miliariis, qui viam ostendunt, ne c ambulant [cf. Augustinum, Serm. ad pop. 373,4]. - Divino etiam nutu factum est ut, aspectu stellae subtracto, Magi humano sensu irent in Ierusalem, quaerentes in civitate regia Regem natum, ut in lerusa­ lem primo nativitas Chtisti publice annuntia­ retur, secundum illud Is. 2 [3], de Sion e.xibit lex, et verbwn Domini de lerusalem, et ut

etiam studio magorum de longe venientium damnaretur pigritia ludaeorum p rope existentium [cf. Remigium Antissiodorensem, h. 7 In Matth. 2, l ].

Ad quartum dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus dicit, Super Matth. [cf. Op. imperf. in Matth., h. 2 super 2, 1 1], si Magi regem ter­

renum quaerentes venissent, fuissent confusi, quia tanti itineris laborem sine causa suscepis­ sent. Unde nec adorassent, nec munera obtulis­ sent. Nunc autem, quia caelestem regem quaerebant, etsi nihil regalis excellentiae in eo viderunt, tamen, solius stellae testimonio con­ tenti, adoraverunt, vident enim hominem, et agnoscunt Deum. Et offerunt munera dignitati Christi congruentia, aurum quidem, quasi regi

magno; thus, quod in Dei sacrificio ponitur immolant ut Deo; myrrha, qua mortuorum corpora condiuntur, praebetur tanquam pro salute omnium morituro [cf. Gregorium Ma­ gnum, In Ev. h. l , l O; cf. etiam Augustinum, Serm. ad pop. 202,2]. Et, ut Gregorius dicit [In Ev. h. l , l 0], instruimur ut nato Regi aurum, per quod significatur sapientia, offeramus, in conspectu eius sapientiae lumine splendentes; thus autem, per quod exprimitur orationis de­ votio, offerimus Deo si per orationum studia Deo redolere valeamus; myrrham, quae signi­ ficar m01tijicationem camis, offerimus si car­ nis vitia per abstinentiam mortificamus.

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diluvio. I Magi che cercavano udirono e anda­ rono; i maestri risposero e non si mossero, divenuti come le pietre miliari, che indicano agli altri la via rimanendo immobili». - Av­ venne inoltre per disposizione divina che i Magi, persa di vista la stella, con criterio u­ mano si recassero a Gerusalemme e chiedes­ sero, nella stessa città regale, del neonato Re, affinché la nascita di Cristo fosse annunziata pubblicamente a Gerusalemme, secondo la parola di fs 2 [3]: Da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola del Signore; e inoltre «perché dallo zelo dei Magi venuti di lontano fosse condannata l'indolenza dei Giu­ dei che erano vicini». 4. Il Crisostomo scrive: «Se i Magi fossero venuti in cerca di un re terreno, sarebbero ri­ masti delusi, avendo intrapreso un così lungo e penoso viaggio per niente». Quindi né l'a­ vrebbero adorato, né gli avrebbero offerto i doni. «Ma siccome cercavano un re celeste, benché non abbiano trovato in lui nulla della maestà regale, contenti della sola testimonian­ za della stella, lo adorarono»: videro infatti un uomo, e lo riconobbero Dio. E gli offrirono i doni appropriati alla dignità di Cristo, come dice Gregorio: «L'oro, come a un grande re; l'incenso, che è usato nei divini sacrifici, per riconoscerlo Dio; la mirra, con cui si imbalsa­ mano i corpi dei defunti, per indicare colui che sarebbe morto per la salvezza di tutti». Inoltre, continua Gregorio, tali cose «ci inse­ gnano a offrire al neonato Re l'oro, rifulgen­ do al suo cospetto per il lume della sapienza, di cui [l'oro] è il simbolo»; l' incenso, «che indica la preghiera devota, innalzando a lui l'aroma delle nostre orazioni»; la mirra, «che indica la mortificazione della carne, mortifi­ cando i vizi carnali con l'astinenza».

443

La circoncisione e le altre osservazioni legali a cuijù sottoposto Cristo da bambino

Q. 37, A. l

QUAESTIO 37 DE CIRCUMCISIONE CHRISTI ET DE ALIIS LEGALIBUS CIRCA PUERUM CHRISTUM OBSERVATIS

QUESTIONE 37 LA CIRCONCISIONE E LE ALTRE OSSERVANZE LEGALI A CUI FU SOTTOPOSTO CRISTO DA BAMBINO

Deinde considerandum est de circumcisione Christi. Et quia circumcisio est quaedam pro­ fessio legis observandae, secundum illud Gal. 5 [3], testificor omni homini circumcidenti se,

Passiamo ora a considerare la circoncisione di Cristo. E poiché questa costituisce come una promessa di osservare la legge, secondo le parole di Ga/ 5 [3] : Dichiaro a chiunque si fa

quoniam debitor est universae legis facien­ dae, simul cum hoc quaerendum est de aliis

legalibus circa puerum Christum observatis. Unde quaeruntur quatuor. Primo, de eius cir­ cumcisione. Secundo, de nominis impositio­ ne. Tertio, de eius oblatione. Quarto, de ma­ tris purgatione.

circoncidere che egli è tenuto a osservare tut­ ta quanta la legge, tratteremo insieme delle altre osservanze a cui fu sottoposto Cristo da bambino. - In proposito esamineremo quattro argomenti: l . La sua circoncisione; 2. L'im­ posizione del nome; 3. La sua presentazione [al tempio]; 4. La purificazione della madre.

Articulus l Utrum Christus debuerit circumcidi

Articolo l Cristo doveva essere circonciso?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod Chri­ stus non debuerit circumcidi. l . Veniente enim veritate, cessat figura. Sed circumcisio fuit Abrahae praecepta in signum foederis quod erat de semine nascituro, ut patet Gen. 17. Hoc autem foedus fuit in Chri­ sti nativitate completum. Ergo circumcisio statim cessare debuit. 2. Praeterea, omnis Christi actio nostra est instructio [cf. Bemardum, De instruct. sacerdo­ tum 6], unde dicitur Ioan. 1 3 [ 1 5], exemplum

Sembra di no. Infatti: l . Sopraggiunta la realtà, il simbolo deve scomparire. Ora, la circoncisione fu imposta ad Abramo [Gen 17] quale segno dell'allean­ za da stipularsi con la sua discendenza. Ma questa alleanza fu attuata con la nascita di Cristo. Perciò con essa doveva subito cessare la circoncisione. 2. «Ogni azione di Cristo è per noi un inse­ gnamento», secondo quelle sue parole: Io vi

dedi vobis, ut, quemadmodwn ego feci vobis, ita et vos faciatis. Sed nos non debemus cir­ cumcidi, secundum illud Gal. 5 [2], si circwn­ cidimini, Christus vobis nihil proderit. Ergo videtur quod nec Christus debuit circumcidi. 3. Praeterea, circumcisio est ordinata in reme­ dium originalis peccati. Sed Christus non contraxit originale peccatum, ut ex supra [q. 4 a. 6 ad 2; q. 14 a. 3; q. 1 5 a. l ] dictis patet. Er­ go Christus non debuit circumcidi. Sed contra est quod dicitur Luc. 2 [21], post­

quam conswnmati sunt dies octo, ut circumci­ deretur puer. Respondeo dicendum quod pluribus de causis Christus debuit circumcidi. Primo quidem, ut ostendat veritatem carnis humanae, contra Manichaeum, qui dixit eum habuisse corpus phantasticum [cf. supra q. 5 a. 2; q. 16 a. l]; et contra Apollinarium, qui dixit corpus Christi esse divinitati consubstantiale [cf. supra q. 5

ho dato l 'esempio, perché come ho fatto io, così facciate anche voi ( Gv 1 3, 1 5). Ma noi non dobbiamo circonciderci, come è detto in Gal 5 [2]: Se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. Quindi, sembra che neppu­

re Cristo dovesse essere circonciso. 3. La circoncisione fu ordinata come rimedio al peccato originale. Ma, come si è detto, Cri­ sto non contrasse questo peccato. Quindi nep­ pure doveva essere circonciso. In contrario: in Le 2 [21 ] è detto: Quando

furono passati otto giorni perchéfosse circon­ ciso il bambino.

Risposta: Cristo doveva essere circonciso per diversi motivi. Primo, per dimostrare che la sua era una vera came umana: contro Mani­ cheo, il quale affermò che Cristo aveva un corpo immaginario; contro Apollinare, il qua­ le riteneva che il corpo di Cristo fosse della stessa natura della divinità; contro Valentino, per il quale Cristo avrebbe portato il suo cor-

Q. 37, A. l

La circoncisione e le altre osservazioni legali a cuifil sottoposto Cristo da bambino

a. 3; q. 1 8 a. l]; et contra Valentinum, qui dixit Christum corpus de caelo attulisse [cf. q. 5 a. 2]. Secundo, ut approbaret circumcisionem, quam olim Deus instituerat. Tertio, ut comprobaret se esse de genere Abrahae, qui circumcisionis mandatum acceperat in signum fidei quam de ipso habuerat. Quarto, ut Iudaeis excusatio­ nem tolleret ne eum reciperent, si esset incir­ cumcisus. Quinto, ut obedientiae virtutem nobis suo commendare! exemplo. Unde et octava die circumcisus est, sicut erat in lege praeceptum. Sexto, ut qui in similitudinem

camis peccati advenerat, remedium quo caro peccati consueverat mundari, non respueret [apud Bedam, Homiliae 1 , 10 In Festo Cir­ cumcisionis Domini; cf. Cat. Aurea, In Luc. 2,6, super v. 21]. Septimo, ut, legis onus in se sustinens, alios a legis onere liberaret, se­ cundum illud Gal. 4 [4-5], misit Deus Filium

suum factum sub lege, ut eos qui sub lege erant redimere!. Ad primum ergo dicendum quod circumcisio, per remotionem camalis pelliculae in membro generationis facta, significabat spoliationem vetustae generationis. A qua quidem vetustate liberamur per passionem Christi. Et ideo veri­ tas huius figurae non fuit piene impleta in Christi nativitate, sed in eius passione, ante quam circumcisio suam virtutem et statum ha­ bebat. Et ideo decuit Christum, ante suam pas­ sionem, tanquam filium Abrahae, circumcidi. Ad secundum dicendum quod Christus cir­ cumcisionem suscepit eo tempore quo erat sub praecepto. Et ideo sua actio in hoc est no­ bis imitanda, ut observemus ea quae sunt no­ stro tempore in praecepto. Quia unicuique negotio est tempus et opportunitas, ut dicitur Eccle. 8 [6]. Et praeterea, ut Origenes dicit,

sicut mortui sumus cum ilio moriente, et con­ surreximus Christo resurgenti, ita circumcisi sumus spirituali circumcisione per Christum. Et ideo carnali circumcisione non indigemus. Et hoc est quod apostolus dicit, Col. 2 [ 1 2], in quo, scilicet Christo, circumcisi estis circumci­ sione non manu facta in exspoliatione corpo­ ris camis, sed in circumcisione Domini nostri Iesu Christi. Ad tertium dicendum quod, sicut Christus propria voluntate mortem nostram suscepit, quae est effectus peccati, nullum in se habens peccatum, ut nos a morte liberaret, et spiritua­ l i ter nos faceret mori peccato; i ta etiam

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po dal cielo. Secondo, per approvare la cir­ concisione, che fu istituita un tempo da Dio. Terzo, per comprovare che egli era della di­ scendenza di Abramo, il quale aveva ricevuto il precetto della circoncisione come segno della sua fede in Cristo. Quarto, per togliere ai Giudei il pretesto di non riceverlo perché in­ circonciso. Qui nto, «per insegnarci con l'esempio la virtù dell'obbedienza». Per cui fu circonciso l 'ottavo giorno, come era pre­ scritto dalla legge [Lv 1 2,3]. Sesto, «affinché colui che era venuto in una carne somigliante a quella del peccato non rigettasse il rimedio con cui la carne del peccato soleva essere purificata>>. Settimo, perché prendendo su di sé il peso della legge, ne alleggerisse gli altri, secondo le parole di Ga/ 4 [4] : Dio mandò il

suo Figlio, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge.

Soluzione delle difficoltà: l . La circoncisione, che consiste neli' asportare la pelli cina del membro della generazione, significava «lo spogliamento della vecchia generazione». Dalla quale vecchiezza fummo liberati grazie alla passione di Cristo. Quindi la verità di quel simbolo fu pienamente compiuta non con la nascita di Cristo, ma con la sua passione, prima della quale la circoncisione conservava la sua forza e il suo valore. Perciò fu con­ veniente che Cristo, prima della sua passione, fosse circonciso come figlio di Abramo. 2. Cristo venne circonciso quando ciò era obbligatorio. Quindi noi dobbiamo imitarlo anche in questo suo modo di agire, nel senso che dobbiamo osservare ciò che al tempo nostro è prescritto. Poiché per ogni cosa c 'è il suo tempo e la sua opportunità (Qo 8,6). Inoltre, scrive Origene, «come siamo morti e risuscitati con Cristo, così per mezzo suo siamo stati anche spiritualmente circoncisi. Quindi non abbiamo bisogno della circonci­ sione corporale». Ed è quanto dice Paolo: Nel quale, cioè in Cristo, siete stati circoncisi, di

una circoncisione però non fatta da mano d'uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della circoncisione di nostro Signore Gesù Cristo ( Co/ 2, 1 1 ).

3. Come Cristo di propria volontà subì la nostra morte, che è un effetto del peccato, pur essendo egli immune dal peccato, per liberar­ ci dalla morte e farci morire spiritualmente al peccato, così subì anche la circoncisione, che

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La circoncisione e le altre osservazioni legali a cuifo sottoposto Cristo da bambino

Q. 37, A. l

circumcisionem, quae est remedium originalis peccati, suscepit absque hoc quod haberet ori­ ginale peccatum, ut nos a legis iugo liberaret, et ut in nobis spiritualem circumcisionem effi­ ceret; ut scilicet, suscipiendo figuram, impleret veritatem.

è un rimedio contro il peccato originale, senza che egli avesse tale peccato, per liberarci dal giogo della legge e operare in noi una circon­ cisione spirituale; egli cioè, per dare compi­ mento alla realtà prefigurata, ne assunse la figura.

Articulus 2 Utrum convenienter fuerit Christo nomen impositum

Articolo 2 Il nome imposto a Cristo era conveniente?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in­ convenienter fuerit Christo nomen impositum. l . Veritas enim evangelica debet praenuntia­ tioni propheticae respondere. Sed prophetae aliud nomen de Christo praenuntiaverunt, dicitur enim Is. 7 [14], ecce, Vir.go concipiet

Sembra di no. Infatti : l. La verità evangelica deve corrispondere alle predizioni dei profeti. Ma i profeti predissero di Cristo un altro nome. Infatti in /s 7 [14] è detto: Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un Figlio, che chiamerà Emmanuele; e in 8

et parietfilium, et vocabitur nomen eius Em­ manuel; et 8 [3], voca nomen eius, Accelera, spolia detrahe, festina praedari; et 9 [6], vo­ cabitur nomen eius, Admirabilis, Consilia­ rius, Deus, Fortis, Pater futuri saeculi, Princeps pacis; et Zach. 6 [ 1 2] dicitur, ecce vir, Oriens nomen eius. Ergo inconvenienter

[3]: Chiamalo: Presto saccheggia, rapido de­ preda; e in 9 [6]: Sarà chiamato: Meraviglio­ so, Consigliere, Dio, Forte, Padre del secolo futuro, Principe della pace; e in Zc 6 [ 1 2] dice: &co wz uomo il cui nome è Oriente. Quindi

vocatum est nomen eius Iesus. 2. Praeterea, Is. 62 [2] dicitur,

nome nuovo, che la bocca del Signore avrà indicato. Ora, il nome di Gesù non è nuovo,

vocabitur tibi nomen novum, quod os Domini nominavi!.

Sed hoc nomen Iesus non est nomen novum, sed pluribus fuit in Veteri Testamento imposi­ rum, ut patet etiam ex ipsa genealogia Christi, Luc. 3 [29]. Ergo videtur quod inconvenienter vocatum est nomen eius Iesus. 3. Praeterea, hoc nomen Iesus salutem signifi­ cat, ut patet per id quod dicitur Matth. l [21 ],

pariet filium, et vocabis nomen eius Iesum, ipse enim salvum facie t populum suum a peccatis eorum. Sed salus per Christum non est facta solum in circumcisione, sed etiam in praeputio, ut patet per apostolum, Rom. 4

[ 1 1 -1 2] . Inconvenienter ergo hoc nomen fuit Christo impositum in sua circumcisione. Sed contra est auctoritas Scripturae, in qua dicitur, Luc. 2 [2 1 ], quod, postquam consum­

mati sunt dies octo, ut circumcideretur puer, vocatwn est nomen eius Iesus.

Respondeo dicendum quod nomina debent proprietatibus rerum respondere. Et hoc patet in nominibus generum et specierum, prout di­ citur 4 Met. [3,7,9], ratio enim quam signifi­ cai nomen, est definitio, quae designat pro­ priam rei naturam. - Nomina autem singula­ rium hominum semper imponuntur ab aliqua

non era giusto che fosse chiamato Gesù.

2. In /s 62 [2] è detto: 1ì si chiamerà con un

poiché lo ebbero tanti nell'Antico Testamen­ to, come si vede nella stessa genealogia di Cristo [Le 3,29]. Perciò, sembra sconveniente che fosse chiamato Gesù. 3. li nome di Gesù significa salvezza, come risulta da Mt l [21 ] : Darà alla luce un figlio,

e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Ora, la salvezza è venuta da Cristo non solo per i circoncisi, m a anche per gli incirconcisi, come dice Paolo in Rm 4 [ 1 1 ]. Quindi non fu opportuno che a Cristo il nome fosse imposto nella sua circoncisione. In contrario: c'è l'autorità della Scrittura, nel­ la quale è detto: Quando furono passati otto

giorni perché fosse circonciso il bambino, fu chiamato Gesù (Le 2,21 ) . Risposta: i nomi delle cose devono corrispon­ dere alle loro proprietà. E nei nomi dei generi e delle specie questo è evidente, come dice il Filosofo: «li concetto significato dal nome è la stessa definizione», che indica la natura propria della cosa. - I nomi invece dei singoli uomini sono sempre imposti in base a una qualche proprietà di colui che riceve il nome. O in base al tempo: come quando si dà il no-

Q. 37, A. 2

La circoncisione e le altre osservazioni legali a cuifil sottoposto Cristo da bambino

proprietate eius cui nomen imponitur. Vel a tempore, sicut imponuntur nomina aliquomm sanctomm his qui in eorum festis nascuntur. Vel a cognatione, sicut cum filio imponitur nomen patris, vel alicuius de cognatione eius; sicut propinqui Ioannis Baptistae volebant eum vocare nomine patris sui Zachariam, non autem I oannem, quia nullus erat in cognatione eius qui vocaretur hoc nomine, ut dicitur Luc. l [59 sqq.]. Vel etiam ab eventu, sicut loseph vocavit primogenitum suum

Manassen, dicens, oblivisci me fecit Deus omnium laborum meorum, Gen. 41 [5 1]. Vel

etiam ex aliqua qualitate eius cui nomen imponitur, sicut Gen. 25 [25] dicitur quod, quia qui primo egressus est de utero matris,

rufus erat, et totus in morem pellis hispidus, vocatum est nomen eius Esau, quod interpretatur rubeus. Nomina autem quae -

imponuntur divinitus aliquibus, semper signi­ ficant aliquod gratuitum donum eis divinitus datum, sicut Gen. 1 7 [5] dictum est Abrahae,

appellaberis Abraham, quia patrem multa­ rum gentium constitui te; et Matth. 1 6 [ 1 8] dictum est Petro, tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam. Quia -

igitur homini Christo hoc munus gratiae col­ latum erat ut per ipsum omnes salvarentur, ideo convenienter vocatum est nomen eius Iesus, idest Salvator, angelo hoc nomen prae­ nuntiante non solum matri, sed etiam Ioseph, quia erat futurus eius nutritius. Ad primum ergo dicendum quod in omnibus illis nominibus quodammodo significatur hoc nomen Iesus, quod est significativum salutis. Nam in hoc quod dicitur [Matth. 1 ,23] Em­

manuel, quod interpretatw; nobiscum Deus,

designatur causa salutis, quae est unio divinae et humanae naturae in persona Filii Dei, per quam factum est ut Deus esser nobiscum. Per hoc autem quod dicitur [Is. 8,3], voca nomen eius, Accelera, spolia detrahe, etc., designatur a quo nos salvaverit, quia a diabolo, cuius spo­ lia absntlit, secundum illud Col. 2 [ 1 5], ex­

spolians principatus et potestates, traduxit confidenter. In hoc autem quod dicitur [Is. 9,6], vocabitur nomen eius Admirabilis, etc., desi­

gnatur via et terminus nostrae salutis, inquan­ tum scilicet admirabili divinitatis consilio et

virtute, ad haereditatem futuri saeculi perdu­ cimur, in quo erit pax peifecta filiorum Dei, sub ipso Principe Deo. Quod vero dicitur

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me di un santo a coloro che nascono nel gior­ no della sua festa. Oppure in base alla paren­ tela: come quando al figlio si dà il nome del padre, o di qualche altro parente. I parenti di Giovanni Battista, p. es., volevano chiamarlo col nome di suo padre Zaccaria, e non Gio­ vanni, poiché non c'era nessuno della paren­ tela che avesse quel nome (Le l ,59). O anche in base a un avvenimento: Giuseppe, p. es.,

chiamò il suo primogenito Manasse, dicendo: Dio mi ha fatto dimenticare ogni affanno (Gen 4 1 ,5 1 ). O infine in base a una qualità

della persona a cui è dato il nome: come in Gen 25 [25] è detto che il primo uscito dal seno materno fu chiamato Esaù, che significa rosso, poiché era rossiccio e tutto ispido come zm mantello di pelo. I nomi poi imposti da Dio significano sempre un dono grantito dato da Dio stesso: ad Abramo, p. es., fu detto: -

Il tuo nome sarà Abraham: perché ti renderò padre di una moltitudine di popoli (Gen 1 7,5); e a Pietro fu detto: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 1 6, 1 8). -

Siccome quindi all ' uomo Cristo era stato assegnato il compito di salvare tutti gli uo­ mini, giustamente fu chiamato Gesù, cioè Salvatore: e questo nome fu indicato dall'an­ gelo non solo alla Madre, ma anche a Giu­ seppe, che doveva esserne il padre nutrizio. Soluzione delle difficoltà: l . Il nome di Gesù, che significa salvezza, in qualche modo è incluso in tutti quei nomi. Infatti, Emmanuele, che significa Dio con noi [Mt 1 ,23], indica la causa della salvezza, cioè l'unione della natu­ ra umana con quella divina nella persona del Figlio di Dio, la quale unione ha fatto sì che «Dio fosse con noi». Dove si dice: Chiamalo: Presto saccheggia, rapido depreda ..., si vuole indicare colui dal quale noi saremmo stati sal­ vati, cioè il diavolo, al quale Cristo ha strap­ pato le spoglie, secondo le parole di Col 2 [ 15]: Avendo spogliato i Principati e le Po­ testà, ne ha fatto pubblico spettacolo. Con le parole poi: Sarà chiamato Meraviglioso .. , è indicata la via e il termine della nostra sal­ vezza: giacché «per meraviglioso consiglio e potere di Dio siamo condotti all'eredità del secolo futuro», dove regnerà «la perfetta pace» dei figli di Dio, «sotto Dio stesso come Principe». L'espressione: Ecco un uomo il cui nome è Oriente, si riferisce, come il nome Emmanuele, al mistero dell'incarnazione, .

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La circoncisione e le altre osservazioni legali a cuifo sottoposto Cristo da bambino

[Zach. 6, 1 2] , ecce vù; Oriens nomen eius, ad idem refertur ad quod primum, scilicet ad incarnationis mysterium, secundum quod

exortum est in tenebris lumen rectis corde.

Ad secundum dicendum quod his qui fuerunt ante Christum potuit convenire hoc nomen Iesus secundum aliquam aliam rationem, puta quia aliquam particularem et temporalem sa­ lutem attulerunt. Sed secundum rationem spi­ ritualis et universalis salutis, hoc nomen est proprium Christo. Et secundum hoc dicitur esse novum. Ad tertium dicendum quod, sicut Gen. 17 legi­ tur, simul Abraham suscepit impositionem nominis a Deo, et circumcisionis mandatum. Et ideo apud ludaeos consuetum erat ut ipso die circumcisionis nomina pueris impone­ rentur, quasi ante circumcisionem perfectum esse non habuerint, sicut etiam nunc pueris in Baptismo nomina imponuntur. Unde super il­ lud Prov. 4 [3], ego filius fui patris mei, tenel­ lus et unigenitus coram matre mea, dicit Glos­ sa [ord.], quare Salomon se unigenitum coram

Q. 37, A. 2

grazie al quale nelle tenebre è spuntata una

luce per i giusti [Sa/ 1 1 1 ,4]. 2. A quelli che vissero prima di Cristo il no­ me di Gesù poté forse convenire per qualche altra ragione: ad es. perché avevano salvato qualcuno nell'ordine temporale. Ma esso è proprio di Cristo nel senso della salvezza spi­ rituale e universale. E in questo senso può dirsi nuovo. 3. Abramo ricevette insieme da Dio il nuovo nome e il precetto della circoncisione [Gen 17]. Per questo presso i Giudei si usava imporre il nome ai bambini lo stesso giorno della cir­ concisione, quasi che prima di questa non fossero ancora esseri completi: come del resto anche oggi diamo il nome ai bambini nel giorno del battesimo. Per questo la Glossa, spiegando Pr 4 [3]: Anch 'io sono stato un fi­

glio per mio padre, tenero e unigenito per mia madre, si domanda: «Per quale altro motivo

matre vocat, quem fratrem uterinum praeces­ sisse Scriptura testatur, nisi quia ille mox na­ tus sine nomine, quasi mmquam esset, de vita decessit? Et ideo Christus, simul cum fuit cir­

Salomone si dichiara unigenito di sua madre, mentre la Scrittura parla espressamente di un precedente fratello uterino, se non perché quello, appena nato, morì senza nome, come se non fosse mai esistito?». Fu quindi per questo motivo che Cristo ricevette il nome al momento della circoncisione.

Articulus 3 Utrum convenienter fuerit Christus in Tempio oblatus

Articolo 3 La presentazione di Cristo al tempio è stata compiuta nel debito modo?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod incon­ venienter fuerit Christus in Tempio oblatus. l. Dicitur enim Ex. 1 3 [2], sanctifica mihi

Sembra di no. Infatti: l . In Es 1 3 [2] è detto: Consacrami ogni pri­

cumcisus, nominis impositionem accepit.

omne primogenitum quod aperit vulvam in filiis Israel. Sed Christus exivit de clauso Vir­

ginis utero, et ita matris vulvam non aperuit. Ergo Christus ex hac lege non debuit in Tem­ pio offerri. 2. Praeterea, illud quod est semper praesens alicui, non potest ei praesentari. Sed Christi humanitas semper fuit Deo maxime praesens, utpote ei semper coniuncta in unitate perso­ nae. Ergo non oportuit quod coram Domino

sisteretur. 3. Praeterea, Christus est hostia principalis, ad quam omnes hostiae veteris legis referuntur sicut figura ad veritatem. Sed hostiae non de­ bet esse alia hostia. Ergo non fuit conveniens ut pro Christo alia hostia offerretur.

mogenito che apre il seno della madre tra i figli d'Israele. Ma Ctisto uscì dal seno chiuso della madre, per cui non aprì il seno materno. Quindi egli non doveva essere offerto al tem­ pio in forza di questa legge. 2. Non si può presentare a qualcuno ciò che gli è sempre presente. Ma l'umanità di Cristo fu sempre presente a Dio, in quanto unita a lui ipostaticamente. Quindi non era necessario che fosse «presentato al Signore». 3. Cristo è la vittima principale, rappresentata come in figura da tutte le vittime dell'antica legge. Ma una vittima non può sostituirne un'altra. Quindi non era giusto che per Cristo fosse offerta un'altra vittima. 4. Tra le vittime legali la principale era l'a­ gnello, che costituiva un sacrificio pe1petuo,

Q. 37, A. 3

La circoncisione e le altre osservazioni legali a cuifil sottoposto Cristo da bambino

4. Praeterea, inter legales hostias praecipue fuit agnus, qui erat iuge sacrificium, ut habe­ tur Num. 28 [3.6]. Unde etiam Christus dici­ tur Agnus, Ioan. l [29], ecce Agnus Dei. Ma­ gis ergo fuit conveniens quod pro Christo of­ ferretur agnus quam par turturum vel duo

pulii columbarum.

Sed in contrarium est auctoritas Scripturae, quae hoc factum esse testatur, Luc. 2 [22 sqq.]. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. l ] , Christus voluit sub lege fieri, ut eos qui sub lege erant redime1-et, et ut iustificatio legis in suis membris spiritualiter imple1-etur. De prole autem nata duplex praeceptum in lege traditur. Unum quidem generale quantum ad omnes, ut scilicet, completis diebus purifica­ tionis matris, offerretur sacrificium pro filio sive pro filia, ut habetur Lev. 1 2 [6 sqq.]. Et hoc quidem sacrificium erat et ad expiationem peccati, in quo proles erat concepta et nata, et etiam ad consecrationem quandam ipsius, quia tunc primo praesentabatur in Tempio. Et ideo aliquid offerebatur in holocaustum, et ali qu i d pro peccato. - Aliud autem praeceptum erat speciale in lege de primoge­ nitis tam in hominibus quam in iumentis, sibi enim Dorninus deputaverat omne primogeni­ tum in Israel, pro eo quod, ad liberationem populi Israel, percusserat primogenita Aegyp­ ti ab homine usque ad pecus, primogenitis fi­ liorum Israel reservatis. Et hoc mandatum po­ nitur Ex. 1 3 [2. 1 2 sqq.]. In quo etiam praefi­ gurabatur Christus, qui est primogenitus in multis fratribus, ut dicitur Rom. 8 [29] . Quia igitur Christus, ex muliere natus, erat primogenitus; et voluit fieri sub lege, haec duo Evangelista Lucas circa eum fuisse ob­ servata ostendit. Primo quidem, id quod per­ tinet ad primogenitos, cum dicit [Luc. 2,22],

tulerunt illum in Ierusalem, ut sisterent eum Domino, sicut scriptum est in lege Domini, quia omne masculinum adaperiens vulvam sanctum Domino vocabitur. Secundo, id quod pertinet communiter ad omnes, cum dicit [Luc. 2,24], et ut darent hostiam, secundum

quod dictum erat in lege Domini, par turtuntm aut duos pullos colwnbarum.

Ad primum ergo dicendum quod, sicut Gre­ gorius Nyssenus dicit [De occursu Dom.], il­

lud legis praeceptum in solo incarnato Deo singulariter et ab aliis differenter impleri vi­ detw: lpse namque solus, ineffabiliter concep-

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come risulta da Nm 28 [3 . 6] . Per cui anche Cristo è chiamato Agnello: Ecco l'Agnello di Dio (Gv 1 ,29). Era quindi più conveniente che per Cristo fosse offerto un agnello, piutto­ sto che una coppia di tortore o di giovani

colombi.

In contrario: c'è l'autorità della Scrittura che

narra il fatto in Le 2 [22]. Risposta: come si è già detto, Cristo volle na­

scere sotto la legge per riscattm-e coloro che erano sotto la legge [Gal 4,4], e perché nelle sue membra la giustificazione della legge si adempisse spiritualmente [Rm 8,4]. Ora, nella

legge vi erano due precetti sui neonati. Uno generale, che valeva per tutti: terminati cioè i giorni richiesti per la purificazione della ma­ dre, si doveva offrire un sacrificio per il figlio o la figlia, secondo la presctizione di Lv 1 2 [6]. E questo sacrificio era offerto sia in espiazione del peccato, nel quale la prole era stata conce­ pita ed era nata, sia per una certa consacra­ zione del bambino, che per la prima volta ve­ niva portato al tempio. E così qualcosa era of­ ferto in olocausto, e qualcosa in espiazione del peccato. n secondo precetto invece era solo per i primogeniti, sia degli uomini che dei giu­ menti. II Signore infatti si era riservato tutti i primogeniti di Israele, poiché nella liberazione di Israele aveva colpito tutti i primogeniti del­ l'Egitto, sia degli uomini che del bestiame, la­ sciando salvi soltanto i primogeniti degli Israeliti [Es 1 2, 1 2- 1 3]. E questa legge è data in Es 1 3 [2. 1 2] , prefigurando Cristo, che è il primogenito tra molti fratelli, come è detto in Rm 8 [29]. - Essendo dunque Cristo nato da una donna, primogenito e volontariamente soggetto alla legge, Luca fa notare che per lui furono osservati questi due precetti. Primo, quello riguardante i primogeniti [Le 2,22]: Lo -

portarono a Gerusalemme per offrirlo al Si­ gnore; come sta scritto nella legge del Si­ gnm-e: "Ogni maschio primogenito sarà chia­ mato santo al Signm-e . Secondo, quello che riguardava tutti [24]: e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi. Soluzione delle difficoltà: l . Secondo Grego­ "

rio Nisseno, «nell' incarnazione di Dio quel precetto della legge fu osservato in maniera singolare e ben diversa dagli altri casi. Egli soltanto infatti, concepito in modo ineffabile e nato in maniera incomprensibile, aprl il seno verginale senza che questo fosse prima stato

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La circoncisione e le altre osservazioni legali a cuifo sottoposto Cristo da bambino

tus ac incomprehensibiliter editus, virginalem uterum aperuit, non antea connubio resera­ tum, servans et post partum inviolabiliter si­ gnaculum castitatis. Unde quod dicit, ape­ riens vulvam, designat quod nihil antea inde intraverat ve! exiverat. Et per hoc etiam spe­ cialiter dicitur masculinus, quia nihil de femi­ neitate culpae portavit [cf. Gregorium Nysse­ num, ibid.]. Singulariter etiam "sanctus ", qui

terrenae contagia corruptelae, immaculati partus novitate, non sensi! [cf. Ambrosium, In Luc. 2, super 2,23]. Ad secundum dicendum quod, sicut Filius Dei non propter seipsum factus est homo et

circumcisus in carne, sed ut nos per gratiam faceret deos, et ut spiritualiter circumcida­ mur; sic propter nos sistitur Domino, ut di­ scamus Deo praesentare nosipsos [cf. Atha­ nasium, Fragm. in Luc., super 2,22; verbote­ nus apud Thomam, Cat. Aurea, In Luc. 2,7, super v. 22]. Et hoc post circumcisionem eius factum est, ut ostendat neminem nisi circum­

cisum vitiis, dignum esse divinis conspectibus [cf. Bedam, In Luc. l , su per 2,22; cf. Cat. Aurea, In Luc. 2,7, super v. 22]. Ad tertium dicendum quod propter hoc ipsum voluit hostias legales pro se offerri, qui erat vera hostia, ut figura veritati coniungeretur, et per veritatem figura approbaretur, contra illos qui Deum legis negant a Christo fuisse in Evangelio praedicatum [cf. De Haeres. 46]. Non enim putandum est, ut Origenes dicit [In Luc., interprete Hieronymo, h. 14; cf. Cat. Aurea, In Luc. 2,7, super v. 23], quod Filium

suum bonus Deus sub lege inimici fecerit, quam ipse non dederat.

Ad quartum dicendum quod Lev. 1 2 [6,8]

praecipitur ut qui possent, agnum pro filio aut filia, simul et turturem sive columbam offer­ rent, qui vero non sufficerent ad offerendum agnum, duos turtures aut duos columbae pul­ los offerrent. Dominus ergo, qui, "cum dives esset, propter nos egenus factus est, ut illius inopia divites essemus , ut dicitur 2 Cor. 8 [9] pro se pauperum hostiam voluit offerri, sicut et in ipsa nativitate pannis involvitur et reclinatur in praesepio [cf. Luc. 2,7]. - Nihi­ "

,

lominus tamen huiusmodi aves figurae con­ gruunt. Turtur enim, quia est avis loquax, praedicationem et confessionem fidei signifi­ cat; quia vero est animai castum, significat castitatem; quia vero est animai solitarium,

Q. 37, A. 3

violato dal connubio, e conservando inviolato il segno della castità anche dopo il parto». Quindi le parole: aprendo il seno significano che prima di allora non era entrato né uscito nulla. E anche la parola maschio ha qui un significato speciale: «poiché in Cristo non ci fu nulla dell'effeminatezza della colpa». Ed era sacro in una maniera particolare, «non avendo sentito il contagio della corruzione terrena per la novità del parto immacolato». 2. Come il Figlio di Dio >. Secondo, perché, se avesse ces­ sato di battezzare mentre Cristo battezzava, «avrebbe suscitato una maggiore gelosia nei suoi discepoli». Terzo, perché, continuando a battezzare, «inviava i suoi seguaci a Cristo». Quarto, perché, secondo Beda [Glossa], «era ancora vigente l'ombra della legge antica; e il precursore non deve cessare [dal suo mini­ stero] finché non è manifestata la verità>>. Soluzione delle difficoltà: l . Col suo battesi­ mo Cristo non era ancora pienamente mani­ festato. Perciò era ancora necessario che Gio­ vanni battezzasse. 2. Il battesimo di Giovanni cessò dopo che fu battezzato Cristo, ma non subito, bensì quan­ do Giovanni fu messo in carcere. Per questo il Crisostomo dice: «Penso che la morte di Gio­ vanni sia stata permessa, e Cristo abbia preso a predicare più intensamente dopo tale morte, affinché la simpatia del popolo si riversasse tutta su Cristo, e non si disperdesse secondo le diverse opinioni che la gente aveva su di lui e su Giovanni». 3. n battesimo di Giovanni era una prepara­ zione non soltanto al battesimo che doveva ricevere Cristo, ma anche al battesimo di Cristo che gli altri dovevano ricevere. E que­ sto compito non era ancora terminato col bat­ tesimo di Cristo.

Articulus 6 Utrum baptizati Baptismo Ioannis fuerint baptizandi Baptismo Christi

Articolo 6 Chi era stato battezzato col battesimo di Giovanni doveva essere ribattezzato con quello di Cristo?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod bapti­ zati Baptismo Ioannis non fuerint baptizandi Baptismo Christi. l. Ioannes enim non fuit minor apostolis, cum de eo scriptum sit, Matth. 1 1 [ 1 1], inter natos

Sembra di no. Infatti: l . Giovanni non era inferiore agli apostoli, dato che di lui si legge: Tra i nati di donna non è

mulierum non surrexit maior loanne Baptista.

ti dagli apostoli non venivano ribattezzati, ma soltanto ricevevano l'imposizione delle mani. Infatti, in At 8 [ 1 6] è detto che alcuni erano stati soltanto battezzati da Filippo ne/ nome del

Sed illi qui baptizabantur ab apostolis, non rebaptizabantur iterum, sed solummodo adde­ batur eis impositio manuum, dicitur enim Act.

sorto uno più grande di Giovanni il Battista (Mt 1 1 , 1 1 ). Ora, quelli che erano stati battezza­

Q. 38, A. 6

Il battesimo di Giovanni

8 [ 1 6- 1 7], quod aliqui tantum baptizati erant a Philippo in nomine Domini Iesu, tunc apostoli, scilicet Petrus et loannes, imponebant manus

super illos, et accipiebant Spiritum Sanctum.

Ergo videtur quod baptizati a Ioanne non debuerint baptizari Baptismo Christi. 2. Praeterea, apostoli fuerunt baptizati Baptismo Ioannis, fuerunt enim quidam eorum discipuli Ioannis, ut patet Ioan. l [37]. Sed apostoli non videntur baptizati Baptismo Christi, dicitur enim loan. 4 [2], quod Iesus non baptizabat, sed discipuli eius. Ergo videtur quod baptizati Baptismo Ioannis non erant baptizandi Bapti­ smo Christi. 3 . Praeterea, minor est qui baptizatur quam qui baptizat. Sed ipse Ioannes non legitur baptizatus Baptismo Christi. Ergo multo mi­ nus illi qui a loanne baptizabantur, indigebant Baptismo Christi baptizari. 4. Praeterea, Act. 1 9 [1-5] dicitur quod Paulus

invenit quosdam de discipulis, dixitque ad eos, si Spiritum Sanctum accepistis credentes? A t illi dixerunt ad eum, sed neque si Spiritus Sanctus est, audivimus. Ille vero ait, in quo baptizati estis? Qui dixenmt, in Ioannis Bap­ tismate. Unde baptizati sunt iterum in nomine Domini nostri Iesu Christi. Sic ergo videtur

quod, quia Spiritum Sanctum nesciebant, quod oportuerit eos iterum baptizari, sicut Hieronymus dicit, Super Ioelem [super 2,28], et in Epistola De viro unius uxoris [ep. 69 Ad Oceanum]; et Ambrosius, in libro De Spirito Sancto [ 1 ,3]. Sed quidam fuerunt baptizati B aptismo loann i s qui habebant plenam notitiam Trinitatis. Ergo non erant baptizandi iterum Baptismo Christi. 5 . Praeterea, Rom. 1 0, super illud, hoc est verbum fide i quod praedicamus [8], dicit Glossa [ord. et Lomb.; In Ioan. tract. 80 super 1 5,3] Augustini, unde est ista virtus aquae ut

corpus tangat et cor abluat, nisifaciente ver­ bo, non quia dicitur, sed quia creditur? Ex

quo patet quod virtus Baptismi dependet ex fide. Sed forma Baptismi Ioannis significavit fidem in qua nos baptizamur, dicit enim Pau­ lus, Act. 19 [4], Ioannes baptizabat Baptismo

poenitentiae populum, dicens in eum qui venturus est post ipsum ut crederent, hoc est, in Iesum. Ergo videtur quod non oportebat baptizatos Baptismo Ioannis iterum baptizari Baptismo Christi. Sed contra est quod Augustinus dicit, In Ioan.

460

Signore Gesù. Allora, gli apostoli, cioè Pietro e Giovanni, imposero loro le mani, e quelli rice­ vettero lo Spirito Santo. Perciò, sembra che i

battezzati da Giovanni non dovessero essere ribattezzati col battesimo di Cristo. 2. Gli apostoli furono battezzati col battesimo di Giovanni: alcuni infatti erano stati suoi discepoli, come risulta da Gv l [37]. Ma non sembra che essi abbiano ricevuto il battesimo di Cristo, poiché è detto che Gesù in persona

non battezzava, ma battezzavano i suoi disce­ poli (Gv 4,2). Perciò chi aveva ricevuto il bat­

tesimo di Giovanni non doveva ricevere quel­ lo di Cristo. 3. Chi è battezzato è inferiore a colui che bat­ tezza. Ora, non consta che Giovanni sia stato battezzato col battesimo di Cristo. Molto me­ no quindi avevano bisogno di ricevere il bat­ tesimo di Cristo coloro che erano stati battez­ zati da Giovanni. 4. In At 19 [ l ] è detto: Paolo incontrò alcuni

discepoli e domandò loro: "Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede? ". Ma essi gli risposero: "Non abbiamo nemme­ no sentito dire che ci sia uno Spirito Santo ". Ed egli disse: "Quale battesimo avete ricevu­ to? ". Risposero: "Il battesimo di Giovanni". Perciò furono battezzati di nuovo nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. Così dunque

sembra che costoro avrebbero dovuto essere ribattezzati perché non conoscevano lo Spirito Santo, secondo l'opinione di Girolamo e di Ambrogio. Ma altri battezzati col battesimo di Giovanni avevano piena conoscenza della Trinità. Quindi non dovevano essere ribattez­ zati col battesimo di Cristo. 5. Spiegando le parole di Rm I O [8]: Questa è

la parola della fede che noi predichiamo,

Agostino [Glossa] si domanda: «Da dove vie­ ne questa virtù dell'acqua, per cui toccando il corpo purifica il cuore, se non dalla parola, non in quanto pronunciata, ma in quanto cre­ duta?». Dal che risulta evidente che la virtù del battesimo deriva dalla fede. Ma la forma del battesimo di Giovanni indicava la fede in cui noi veniamo battezzati: poiché Paolo af­ ferma: Giovanni ha amministrato un battesi­

mo di penitenza, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù (At 19,4). Non era quindi necessario

che i battezzati col battesimo di Giovanni fos­ sero ribattezzati con quello di Cristo.

46 1

Il battesimo di Giovanni

[tract. 5 super l ,33], qui baptizati sunt Bapti­

smate loannis, oportebat ut baptizarentur Baptismate Domini.

Respondeo dicendum quod secundum opi­ nionem Magistri, in 4 Sent. [2,6], illi qui bap­

tizati sunt a loanne nescientes Spiritum Sanctum esse, ac spem ponentes in illius Baptismo, postea baptizati sunt Baptismo Christi, illi vero qui spem non posuerunt in Baptismo Ioannis, et Patrem et Filium et Spiritum Sanctum credebant, non fuerunt postea baptizati, sed, impositione manuum ab apostolis super eos facta, Spiritum Sanctum receperunt. Et hoc quidem verum est quan­ tum ad primam partem, quod multis auctori­ tatibus confirmatur. Sed quantum ad secun­ dam partem, est penitus irrationabile quod dicitur. Primo quidem, quia Baptismus loan­ nis neque gratiam conferebat, neque charac­ terem imprimebat, sed erat solum in aqua, ut ipse dicit, Matth. 3 [ I l ] . Unde baptizati tides vel spes quam habebat in Christum, non po­ terat hunc defectum supplere. Secundo quia, quando in sacramento omittitur quod est de necessitate sacramenti, non solum oportet suppleri quod fuerat omissum, sed oportet totaliter innovari. Est autem de necessitate B aptismi Christi quod fiat non solum in aqua, sed etiam in spiritu sancto, secundum illud Ioan. 3 [5], nisi quis renatus fuerit ex

aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei. Unde illis qui tantum in aqua baptizati erant Baptismo Ioannis, non solum erat supplendum quod deerat, ut scilicet daretur eis Spiritus Sanctus per impositionem manuum, sed erant iterato totaliter baptizandi in aqua et Spiritu Sancto. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Au­ gustinus dicit, In Ioan. [tract. 5 super 1 ,33],

ideo post Ioannem baptizatum est, quia non dabat Baptisma Christi, sed suum. Quod autem dabatur a Petro, et si quod datum est a luda, Christi erat. Et ideo, si quos baptizavit Iudas, non sunt iterum baptizandi, Baptisma enim tale est qualis est ille in cuius potestate datur; non qualis ille cuius ministerio datur [In loan. tract. 5 super 1 ,33]. Et inde est etiam quod baptizati a Philippo diacono, qui Bapti­ smum Christi dabat, non sunt iterum baptiza­ ti, sed acceperunt manus impositionem per apostolos, sicut baptizati per sacerdotes con­ firmantur per episcopos.

Q. 38, A. 6

In contrario: Agostino scrive: «I battezzati col battesimo di Giovanni dovevano essere bat­ tezzati col battesimo del Signore» Risposta: secondo l'opinione del Maestro del­ le Sentenze, «quelli che erano stati battezzati da Giovanni senza conoscere lo Spirito Santo, e che riponevano la loro speranza nel suo bat­ tesimo, furono poi ribattezzati col battesimo di Cristo; quelli invece che non riponevano le loro speranze nel battesimo di Giovanni e credevano nel Padre e nel Figlio e nello Spiri­ to Santo non furono ribattezzati, ma ricevet­ tero lo Spirito Santo con l'imposizione delle mani da parte degli apostoli». Ora, ciò è vero quanto alla prima parte, come risulta compro­ vato da molte testimonianze. La seconda parte invece è del tutto irragionevole. Primo, perché il battesimo di Giovanni non conferiva la grazia né imprimeva il carattere, ma era solo di acqua, come egli stesso affermava [Mt 3, 1 1 ] . Per cui la fede o la speranza in Cristo che il battezzato aveva non poteva sup­ plire a questo difetto. Secondo, perché, quan­ do nell'amministrare un sacramento è omesso ciò che è essenziale, non basta supplire la parte omessa, ma bisogna ripetere tutto il rito. Ora, è essenziale al battesimo di Cristo che sia amministrato non solo con l'acqua, ma anche con lo Spirito Santo, secondo le parole di Gv 3 [5]: Chi non rinasce da acqua e da

Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio. Quindi per chi era stato battezzato nel­

l'acqua soltanto con il battesimo di Giovanni non solo doveva essere supplito ciò che era mancato, cioè doveva essere dato Io Spirito Santo mediante l'imposizione delle mani, ma doveva essere completamente ripetuto il bat­ tesimo nell'acqua e nello Spirito Santo. Soluzione delle difficoltà: l . Come fa osservare Agostino, «dopo Giovanni si battezzò perché egli non dava il battesimo di Cristo, ma il suo. Invece quello dato da Pietro, o anche da Giuda, era di Cristo. Per cui se qualcuno fu battezzato da Giuda, non doveva essere ribattezzato: il battesimo intatti vale in riferimento a colui per il cui potere è conferito, e non in riferimento a colui dal quale è amministrato». Per questo i battezzati dal diacono Filippo, il quale conferi­ va il battesimo di Cristo, non furono ribattezza­ ti, ma ricevettero dagli apostoli [solo] l'imposi­ zione delle mani: come chi è battezzato dal sacerdote è confermato dal vescovo.

Il battesimo di Giovanni

Q. 38, A. 6

Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, ad Seleucianum [ep. 264], intelligi­

mus discipulos Christi fuisse baptizatos, sive Baptismo Ioannis, sicut nonnulli arbitrantur, sive, quod magis credibile est, Baptismo Christi. Neque enim ministerio baptizandi defuit, ut haberet baptizatos servos per quos ceteros baptizaret, qui non defuit humilitatis ministerio quando eis pedes lavit. Ad tertium dicendum quod, sicut Chrysosto­ mus dicit, Su per Matth. [cf. Op. imperf. i n Matth., h . 4 super 3, 1 5] , per hoc quod Christus

Ioanni dicenti, "ego a te debeo baptizari", respondit, "sine modo", ostenditur quia postea Christus baptizavit Ioannem. Et hoc dicit in quibusdam libris apocryphis manifeste scrip­ tum esse. Certum tamen est, ut Hieronymus dicit, Super Matth. [2, super 3, 1 3], quod, sicut Christus baptizatus fuit in aqua a Ioanne, ita loannes a Christo erat in Spiritu baptizandus. Ad quartum dicendum quod non est tota causa quare illi fuerunt baptizati post Baptismum loan­ nis, quia Spiritum Sanctum non cognoverant, sed quia non erant Baptismo Christi baptizati. Ad quintum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, Contra Faustum [ 1 9, 1 3 . 1 8], sacra­ menta nostra sunt signa praesentis gratiae, sa­ cramenta vero veteris legis fuerunt signa gra­ tiae futurae. Unde ex hoc ipso quod Ioannes baptizavit in nomine venturi, datur intelligi quod non dabat Baptismum Christi, qui est sacramentum novae legis.

QUAESTIO 39

DE BAPTIZATIONE CHRISTI Deinde considerandum est de baptizatione Christi. - Et circa hoc quaeruntur octo. Primo, utrum Christus debuerit baptizari. Secundo, utrum debuerit baptizari Baptismo Ioannis. Tertio, de tempore Baptismi. Quarto, de loco. Quinto, de hoc quod sunt ei caeli aperti. Sexto, de spiritu sancto apparente in specie columbae. Septimo, utrum illa columba fuerit verum animai. Octavo, de voce paterni testimonii. Articulus l

462

2.

Come scrive Agostino, «noi crediamo che gli apostoli siano stati battezzati: sia, come pensano alcuni, col battesimo di Giovanni; sia, più probabilmente, con quello di Cristo. Colui infatti che non mancò di servire umil­ mente i suoi apostoli lavando loro i piedi, non avrà rifiutato di servirli battezzandoli, affinché essi potessero battezzare gli altri». 3. Secondo il Crisostomo, «per il fatto che Cristo, alle parole di Giovanni: Sono io che devo essere battezzato da te, rispose: Lascia fare per ora, si dovrebbe pensare che in se­ guito Cristo abbia battezzato Giovanni». E questo, aggiunge sempre il Crisostomo, «q­ sulta espressamente in alcuni libri apocrifi». E certo comunque, nota Girolamo, che «come Cristo fu battezzato da Giovanni con l' acqua, così Giovanni doveva essere battezzato da Cristo nello Spirito». 4. n motivo per cui quelli furono ribattezzati non sta soltanto nel non avere essi conosciuto lo Spirito Santo, ma nel non essere stati anco­ ra battezzati col battesimo di Cristo. 5. Come insegna Agostino, i nostri sacramen­ ti sono segni della grazia presente, mentre i sacramenti dell'antica legge erano segni della grazia futura. E così il fatto stesso che Gio­ vanni battezzasse nel nome di colui che dove­ va venire fa capire che egli non dava il batte­ simo di Cristo, che è un sacramento della nuova legge.

QUESTIONE 39

IL BATTESIMO RICEVUTO DA CRISTO Passiamo ora a parlare del battesimo ricevuto

da Cristo. - In proposito si pongono otto que­

siti: l . Cristo doveva essere battezzato? 2. Do­ veva essere battezzato col battesimo di Giovan­ ni? 3. Quando? 4. Dove? 5. Come a lui si apri­ rono i cieli? 6. Sull'apparizione dello Spirito Santo sotto forma di colomba; 7. Quella co­ lomba era un vero animale? 8. Sulla voce che si udì quale testimonianza del Padre. Articolo l

Utnun fuerit conveniens Christum baptizari

Cristo doveva essere battezzato?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod non fuerit conveniens Christum baptizari.

Sembra di no. Infatti: l . Essere battezzato significa essere lavato.

463

Il battesimo ricevuto da Cristo

Q. 39, A. l

l . Baptizari enim est ablui. Sed Christo non convenit ablui, in quo nulla fuit impuritas. Ergo videtur quod Christum non decuerit baptizari. 2. Praeterea, Christus circumcisionem susce­ pit ut impleret legem. Sed Baptismus non per­ tinebat ad legem. Ergo non debebat baptizari. 3. Praeterea, primum movens in quolibet ge­ nere est immobile secundum illum motum, sicut caelum, quod est primum alterans, non est alterabile. Sed Christus est primum bapti­ zans, secundum illud, super quem videris Spi­

Ma Cristo non aveva bisogno di essere lavato, non avendo impurità alcuna. Quindi, sembra che non dovesse essere battezzato. 2. Cristo subì la circoncisione per osservare la legge. Ma il battesimo non apparteneva alla leg­ ge. Quindi Cristo non doveva essere battezzato. 3. In qualunque genere di cose il primo moto­ re è immobile per quel tipo di moto: come il cielo, che è la causa prima di ogni alterazione, non è alterabile. Ora, Cristo è il primo battez­ zatore, come è detto in Gv l [33]: L'uomo sul

ritum descendentem et manentem, hic est qui baptizat. Ergo Christum non decuit baptizari.

quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito, è colui che battezza. Quindi Cristo non doveva

Ioannem, ut baptizaretur ab eo.

Galilea si recò al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.

Sed contra est quod dicitur Matth. 3 [ 1 3], quod venit Iesus a Galilaea in Iordanem ad Respondeo dicendum quod conveniens fuit Christum baptizari. Primo quidem quia, ut Ambrosius dicit, Super Luc. [2, super 3,21],

baptizatus est Dominus, non mundari volens, sed mundare aquas, ut, ablutae per carnem Christi, quae peccatum non cognovit, Bapti­ smatis vim haberent, et ut sanctificatas relin­ queret postmodum baptizandis, sicut Chryso­

stomus dicit [cf. Op. imperf. in Matth., h. 4 super 3, 1 3]. - Secundo, sicut Chrysostomus dicit, Super Matth. [ibid.], quamvis Christus

non esset peccator, tamen naturam suscepit peccatricem, et similitudinem camis peccati. Propterea, etsi pro se Baptismate non indi­ gebat, tamen in aliis carnalis natura opus ha­ bebat. Et, sicut Gregorius Nazianzenus dicit [Orat. 39 In Sancta Lumina; cf. Cat Aurea, In Luc. 3,7 super v. 21 ], baptizatus est Christus ut totum veteranum Adam immergat aquae. -

Tertio, baptizari voluit, sicut Augustinus dicit, in Sermone de Epiphania [cf. Ambrosium, Serm. de Temp. 12; cf. Maximum Taurinen­ sem, H 30; Serm. Suppos. 1 36], quia voluit facere quod faciendum omnibus imperavit. Et hoc est quod ipse dicit, sic decet nos adimplere omnem iustitiam [Matth. 3, 15]. Ut enim Am­ brosius dicit, Super Luc. [2 super 3,2 1 ], haec

est iustitia, ut quod alterum facere velis, prius ipse incipias, et tuo alios horteris exemplo.

Ad primum ergo dicendum quod Christus non fuit baptizatus ut ablueretur, sed ut ablue­ ret, sicut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod Christus non so­ lum debebat implere ea quae sunt legis veteris, sed etiam inchoare ea quae sunt novae. Et ideo non so1um voluit circumcidi, sed etiam baptizari.

essere battezzato. In contrario: in Mt 3 [ 1 3] è detto: Gesù dalla

Risposta: era conveniente che Cristo fosse battezzato. Ptimo, perché, come dice Ambro­ gio, «il Signore fu battezzato non per essere purificato, ma per purificare le acque, affinché queste, purificate dal corpo di Cristo che non conobbe peccato, acquistassero la virtù richie­ sta dal battesimo», e così «rimanessero con­ sacrate per quelli che sarebbero stati battez­ zati in seguito», secondo l' espressione del Crisostomo. - Secondo, perché, come nota ancora il Crisostomo, «benché Cristo non fos­ se un peccatore, tuttavia aveva preso una na­ tura peccatrice, e una carne somigliante a quella del peccato. Quindi, anche se perso­ nalmente non aveva bisogno del battesimo, tuttavia la natura carnale ne aveva bisogno ne­ gli altri». E così, come dice Gregorio Nazian­ zeno, «Cristo si fece battezzare per immer­ gere nell'acqua tutto il vecchio Adamo». Terzo, Cristo volle essere battezzato, dice Agostino, «perché volle fare ciò che aveva comandato a tutti gli altri». E questo è il si­ gnificato di quelle sue parole: Conviene che così adempiamo ogni giustizia [Mt 3,15]. Co­ me infatti dice Ambrogio, «la giustizia è que­ sta, che tu faccia per primo ciò che pretendi che facciano gli altri, esortandoli con il tuo esempio». Soluzione delle difficoltà: l . Come si è detto, Cristo non fu battezzato per essere lavato, ma per lavare. 2. Cristo doveva non soltanto osservare l' anti­ ca legge, ma anche dare inizio alla nuova. Per cui volle essere non solo circonciso, ma anche battezzato.

Q. 39, A. l

464

Il battesimo ricevuto da Cristo

Ad tertium dicendum quod Christus est pri­ mum baptizans spiritualiter. Et sic non est baptizatus, sed solum in aqua.

3. Cristo fu il primo a battezzare spiritual­ mente. Perciò egli non fu battezzato nello spi­ rito, ma solo nell'acqua.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum Christum decuerit baptizari Baptismo Ioannis

Cristo doveva essere battezzato con il battesimo di Giovanni?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christum non decuerit baptizari Baptismo Ioannis. l . Baptismus enim Ioannis fuit Baptismus poe­ nitentiae. Sed poenitentia Christo non conve­ nit, quia nullum habuit peccatum. Ergo videtur quod non debuit baptizari Baptismo Ioannis. 2. Praeterea, Baptismus Ioannis, sicut dicit Chrysostomus [H. De Bapt. Christi; cf. Cat. Aurea, In Luc. 3,7 super v. 2 1 ], medium fuit

Sembra di no. Infatti: l . n battesimo di Giovanni fu un battesimo di penitenza [Mc l ,4]. Ma Cristo non doveva convertirsi, non avendo alcun peccato. Quin­ di, sembra che non dovesse ricevere il battesi­ mo di Giovanni. 2. Secondo il Crisostomo, il battesimo di Gio­ vanni «era qualcosa di mezzo tra il battesimo dei Giudei e quello di Cristo». Ora, «l'ele­ mento intermedio partecipa della natura dei due estremi» . Poiché dunque Cristo non fu battezzato né col battesimo giudaico né col suo, sembra che per lo stesso motivo non avrebbe dovuto essere battezzato neppure col battesimo di Giovanni . 3. A Cristo va attribuito tutto ciò che nelle cose umane è l 'ottimo. Ma quello di Giovanni non è il battesimo più perfetto. Quindi Cristo non doveva essere battezzato con il battesimo di Giovanni. In contrario: in Mt 3 [ 1 3] è detto: Gesù si recò

inter Baptismum Iudaeorum et Baptismum Christi. Sed medium sapit naturam extremo­

rum. Cum ergo Christus non fuerit baptizatus

B aptismate ludaico, nec etiam Baptismate suo, videtur quod, pari ratione, B aptismate Ioannis baptizari non debuerit. 3. Praeterea, omne quod in rebus humanis est optimum, debet attribui Christo. Sed Bapti­ smus Ioannis non tenet supremum locum inter Baptismata. Ergo non convenit Christum baptizari Baptismo Ioannis. Sed contra est quod dicitur Matth. 3 [ 1 3] , quod venit Iesus in Iordanem ut baptizaretur

a loanne.

Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, In Ioan. [tract. 1 3 super 3,22] , baptiza­

tus Dominus baptizabat non Baptismate quo baptizatus est. Unde, cum ipse baptizaret Baptismo proprio, consequens est quod non fuerit baptizatus suo Baptismate, sed Baptis­ mate Ioannis. Et hoc fuit conveniens, primo quidem, propter conditionem Baptismi Ioan­ nis, qui non baptizavit in Spirito, sed solum in aqua. Christus autem spirituali Baptismate non indigebat, qui a principio suae conceptio­ nis gratia Spiritus Sancti repletus fuit, ut patet ex dictis [q. 34 a. 1 ] . Et haec est ratio Chry­ sostomi [H. De Bapt. Christi ; cf. Cat. Aurea, In Luc. 3,7 super v. 2 1 ] . Secundo, ut Beda dicit [In Mare. l super l ,9], baptizatus est Baptismo Ioannis, ut Baptismo suo Bapti­ smum Ioannis comprobaret. Tertio, sicut Gre­ gorius Nazianzenus dicit [cf. Orat. 3 9 In Sancta Lumina; cf. Cat. Aurea, In Luc. 3,7

al Gimrlano per essere battezzato da Giovanni.

Risposta: come nota Agostino, «il Signore, dopo essere stato battezzato, battezzava, non però col battesimo che aveva ricevuto». Poi­ ché dunque egli battezzava col suo battesimo, ne segue che fu battezzato non con il suo, ma con il battesimo di Giovanni. E ciò fu oppor­ tuno prima di tutto per la qualità del bat­ tesimo di Giovanni, il quale battezzava non nello Spirito, ma soltanto nell' acqua. Ora, Cristo non aveva bisogno del battesimo spiri­ tuale, in quanto ripieno della grazia dello Spi­ rito Santo fin dal principio del suo concepi­ mento, come appare evidente dalle cose già dette. E questa è la ragione invocata dal Cri­ sostomo. Secondo, come dice Beda, Cristo fu battezzato col battesimo di Giovanni «per ap­ provarlo ricevendolo». Terzo, come scrive Gregorio Nazianzeno, «Gesù si fece battezza­ re da Giovanni per santificare il battesimo». Soluzione delle difficoltà: l . Cristo volle farsi battezzare per indurre noi al battesimo con l'esempio. E così, perché lo stimolo fosse più

465

Il battesimo ricevuto da Cristo

super v. 2 1 ] , accedit /esus ad Baptismum Ioannis sanctificaturus Baptismum. Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra [a. l ] dictum est, Christus baptizari voluit ut nos suo exemplo induceret ad Baptismum. Et ideo, ad hoc quod esset efficacior eius induc­ tio, voluit baptizari Baptismo quo manifeste non indigebat, ut homines ad Baptismum ac­ cederent quo indigebant. Unde Ambrosius di­ cit, Super Luc. [2, super 3,2 1 ], nemo refugiat

lavacrum gratiae, quando Christus lavacrum poenitentiae non refugit. Ad secundum dicendum quod Baptismus Iu­ daeorum in lege praeceptus, erat solum figu­ ralis; Baptismus autem Ioannis aliqualiter erat realis, inquantum inducebat homines ad absti­ nendum a peccatis; Baptismus autem Christi habet efficaciam mundandi a peccato et gratiam conferendi. Christus autem neque indigebat percipere remissionem peccatorum, quae in eo non erant; neque recipere gratiam, qua plenus erat. Similiter etiam, cum ipse sit veritas, non competebat ei id quod in sola figura gerebatur. Et ideo magis congruum fuit quod baptizaretur Baptismo medio quam aliquo extremonun. Ad tertium dicendum quod B aptismus est quoddam spirituale remedium. Quanto autem est aliquid magis perfectum, tanto minori re­ medio indiget. Unde ex hoc ipso quod Christus est maxime perfectus, conveniens fuit quod non baptizaretur perfectissimo Baptismo, sicut ille qui est sanus, non indiget efficaci medicina.

Q. 39, A. 2

efficace, volle essere battezzato con un batte­ simo di cui chiaramente non aveva bisogno, affinché gli uomini accorre.lìsero al battesimo ad essi necessruio. Per cui Ambrogio scrive: «Se Cristo non ha schivato il lavacro della peni­ tenza, nessuno rifugga il lavacro della grazia». 2. li battesimo dei Giudei prescritto dalla leg­ ge era soltanto simbolico; invece il battesimo di Giovanni era in qualche modo reale, in quanto induceva gli uomini ad astenersi dal peccato; il battesimo di Cristo poi ha l' effica­ cia di purificare dal peccato e di conferire la grazia. Ora, Cristo non aveva bisogno della remissione dei peccati, che in lui non c'erano; e neppure di ricevere la grazia, di cui era ri­ colmo. Parimenti, essendo egli la verità, non si addiceva a lui ciò che era solo una figura. Era quindi più giusto che fosse battezzato col battesimo intermedio che non con uno degli estremi. 3. Il battesimo è un rimedio spirituale. Ora, quanto più una cosa è perfetta, tanto minore è il rimedio di cui ha bisogno. Per il fatto stesso quindi che Cristo è perfettissimo, era conve­ niente che non fosse battezzato con un batte­ simo perfettissimo: come chi è sano non ha bisogno di medicine efficaci.

Articulus 3 Utrum convenienti tempore Cbristus fuerit baptizatus

Articolo 3 Cristo è stato battezzato all'età conveniente?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non convenienti tempore Christus fuerit baptizatus. l . Ad hoc enim Christus baptizatus est ut suo exemplo alios ad Baptismum provocaret. Sed fideles Christi laudabiliter baptizantur, non so­ lum ante trigesimum annum, sed etiam in in­ fantili aetate. Ergo videtur quod Christus non debuit baptizari in aetate triginta annomm. 2. Praeterea, Christus non legitur docuisse, vel miracula fecisse, ante Baptismum. Sed utilius fuisset mundo si pluri tempore docuisset, in­ cipiens a vigesimo anno, vel etiam prius. Ergo videtur quod Christus, qui pro utilitate homi­ num venerat, ante trigesimum annum debuerat baptizari.

Sembra di no. Infatti: l . Cristo si fece battezzare per spingere gli altri al battesimo con il suo esempio. Ma i fe­ deli è bene che siano battezzati non soltanto prima dei trent'anni, ma anche nell' infanzia. Perciò, sembra che Cristo non dovesse essere battezzato all'età di trent'anni. 2. Non si legge che Cristo abbia insegnato od operato miracoli prima del battesimo. Ora, sarebbe stato più vantaggioso per il mondo se egli avesse insegnato per un periodo di tempo più lungo, cominciando a vent'anni, o anche prima. Quindi, sembra che Cristo, il quale era venuto per i l bene degli uomini, avrebbe dovuto essere battezzato prima dei trent'anni.

Q. 39, A. 3

Il battesimo ricevuto da Cristo

466

3 . Praeterea, indicium sapientiae divinitus infusae maxime debuit manifestari in Christo. Est autem manifestatum in Daniele tempore suae pueritiae, secundum illud Dan. 13 [45],

3. I segni della sapienza infusa dovevano ma­ nifestarsi in Cristo più che in qualsiasi altro. Ora, essi si manifestarono in Daniele durante la fanciullezza, secondo le parole di Dn 1 3

suscitavit Dominus spiritum sanctum pueri iunioris, cui nomen Daniel. Ergo multo magis

[45]: Il Signore suscitò lo spirito di un fan­ ciullo chiamato Daniele. Quindi Cristo a

Christus in sua pueritia debuit baptizari vel docere. 4. Praeterea, Baptismus Ioannis ordinatur ad Baptismum Christi sicut ad finem. Sed finis

est prior in intentione, et postremum in execu­ tione. Ergo vel debuit primus baptizari a Ioan­

ne, vel ultimus. Sed contra est quod dicitur Luc. 3 [2l],factum

est, cum baptizaretur omnis populus, et Iesu baptizato et m-ante, et infra [23] , et ipse Iesus erat incipiens quasi annorum triginta.

Respondeo dicendum quod Christus conve­ nienter fuit in trigesimo anno baptizatus. Pri­ mo quidem, quia Christus baptizabatur quasi ex tunc incipiens docere et praedicare, ad quod requiritur perfecta aetas, qualis est tri­ ginta annorum. Unde et Gen. 4 1 [46] legitur quod triginta annorum erat Ioseph quando suscepit regimen Aegypti. Similiter etiam 2 Reg. 5 [4] legitur de David quod triginta an­ norum erat cum regnare coepisset. Ezechiel etiam in anno trigesimo coepit prophetare, ut habetur Ez. l [ 1 ] . - Secondo quia, sicut Chry­ sostomus dicit, Super Matth. [h . 10], jùturum

erat ut post Baptismum Christi /ex cessare in­ ciperet. Et ideo hac aetate Christus ad Bap­ tismum venit quae potest omnia peccata su­ scipere, ut, lege servata, nullus dicat quod ideo eam solvit quod implere non potuit. -

Tertio, quia per hoc quod Christus in aetate perfecta baptizatur, datur intelligi quod Bap­ tismus parit viros perfectos, secundum illud Eph. 4 [ 1 3], donec occurramus omnes in uni­

tatem fidei et agnitionis Filii Dei, in virum pe1jectum, in mensuram aetatis plenitudinis Christi. Unde et ipsa proprietas numeri ad

hoc pertinere videtur. Consurgit enim tricena­ rius numerus ex ductu temarii in denarium; per temarium autem intelligitur fides Trinita­ tis, per denarium autem impletio mandatorum legis; et in his duobus perfectio vitae christia­ nae consistit. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Grego­ rius Nazianzenus dicit [Orat. 40 In Sanctum Bapt.; cf. Cat. Aurea, In Luc. 3,8 super v. 23], Christus non est baptizatus quasi indigeret

maggior ragione avrebbe dovuto essere bat­ tezzato o insegnare fin dalla sua fanciullezza. 4. li battesimo di Giovanni era ordinato, come al suo fine, a quello di Cristo. Ma «il fine è il primo nell'intenzione e l'ultimo nell'esecu­ zione». Quindi Cristo doveva essere battezza­ to da Giovanni o per primo o per ultimo. In contrario: in Le 3 [2 1 ] è detto: Quando

tutto il popolofu battezzato e mentre Gesù, ri­ cevuto anche lui il battesimo, stava in pre­ ghiera. E poco dopo [23]: Gesù quando inco­ minciò il suo ministero aveva circa trent'anni.

Risposta: era giusto che Cristo fosse battezza­ to all'età di trent'anni. Primo, perché il suo battesimo inaugurava il suo insegnamento e la sua predicazione, per cui si richiede l'età perfetta, qual è appunto quella dei trent'anni. Per questo in Gen 41 [46] si legge che Giu­ seppe aveva trent'anni quando prese in mano le sorti dell'Egitto. E così pure di Davide si legge che aveva trent'anni quando cominciò a regnare (2 Sam 5,4). E anche Ezechiele cominciò a profetare nel trentesimo anno di età (Ez l , l ). - Secondo, perché, come nota il Crisostomo, «dopo il battesimo di Cristo la legge doveva cominciare a cessare. Perciò Cristo si fece battezzare a un'età nella quale poteva addossarsi qualsiasi peccato; affinché, avendo egli osservato la legge, nessuno po­ tesse dire che l' aveva abrogata per non averla potuta osservare». - Terzo, perché, ricevendo Cristo il battesimo a un'età perfetta, si viene a capire che il battesimo causa la perfezione nell'uomo, secondo le parole di Ef 4 [ 1 3] :

Finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo peifetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. E anche i l

numero [degli anni] sembra esprimere questo concetto. Infatti il trenta si ottiene molti­ plicando tre per dieci: ora, il tre significa la fede nella Trinità, il dieci invece l'osservanza dei comandamenti della legge; e in queste due cose consiste la perfezione della vita cristiana Soluzione delle difficoltà: l . Secondo il Na­ zianzeno, Cristo si fece battezzare «non per-

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Il battesimo ricevuto da Cristo

purgatione, nec aliquod illi immineret pericu­ lum differendo Baptismum. Sed cuivis alii non in parvum redundat periculum, si exeat ex hac vita non indutus veste incorruptionis, sci­ licet gratia. Et licet bonum sit post Bapti­ smum munditiam custodire, potius tamen est, ut ipse dicit [cf. Cat. Aurea, In Luc. 3,8 super v. 23 ; cf. Gregorium Nazianzenum, Orat. 40 In Sanctum Bapt.], interdum paulisper macu­

lari, quam gratia omnino cm-ere.

Ad secundum dicendum quod utilitas quae a Christo provenit hominibus praecipue est per fidem et humilitatem, ad quorum utrumque valet quod Christus non in pueritia vel i n adolescentia coepit docere, sed i n perfecta ae­ tate. Ad fidem quidem, quia per hoc ostendi­ tur in eo vera humanitas, quod per temporum incrementa corporaliter profecit, et ne huius­ modi profectus putaretur esse phantasticus, noluit suam sapientiam et virtutem manifesta­ re ante pert'ectam corporis aetatem. Ad humi­ litatem vero, ne ante perfectam aetatem aliquis praesumptuose praelationis gradum et docen­ di officium assumat. Ad tertium dicendum quod Christus propone­ batur hominibus in exemplum omnium. Et ideo oportuit in eo ostendi id quod competit omnibus secundum legem communem, ut scilicet in aetate perfecta doceret. Sed, sicut Gregorius Nazianzenus dicit [Orat. 39 In Sancta Lumina; cf. Cat. Aurea, In Luc. 3,8 super v. 23], non est /ex Ecclesiae quod raro

contingit, sicut nec una hirundo ver facit. Aliquibus enim, ex quadam speciali dispensa­ tione, secundum divinae sapientiae rationem, concessum est, praeter legem communem, ut ante perfectam aetatem officium vel praesi­ dendi vel docendi haberent, sicut Salomon [3 Reg. 3,7], Daniel [Dan. 1 3,45] et Ieremias [ler. 1 ,5]. Ad quartum dicendum quod Christus nec pri­ mus nec ultimus debuit a Ioanne baptizari. Quia, ut Chrysostomus dicit, Super Matth. [cf. Op. imperf. in Matth., h. 4 super 3, 1 3 ; cf. Cat. Aurea, In Matth. 3,6 super v. 1 3], Chri­ stus ad hoc baptizatur ut confirmaret praedi­

cationem et Baptismum Ioannis; et ut testi­ monium acciperet a Ioanne. Non autem cre­ ditum fuisset testimonio Ioannis nisi post­ quam multi fuerunt baptizati ab ipso. Et ideo non debuit primus a Ioanne baptizari. Simi­ liter etiam nec ultimus. Quia, sicut ipse ibi-

Q. 39, A. 3

ché avesse bisogno di essere purificato, o per­ ché incorresse qualche pericolo procrasti­ nando il batt�>, cioè l'uma­ na, «soccombe alle ingiurie»; e tuttavia «l'una agisce in comunicazione con l ' altra» : i n quanto cioè la natura umana è strumento del­ l'azione divina, e l'azione umana riceve il po­ tere dalla natura divina, secondo le spiegazio­ ni date sopra. Soluzione delle difficoltà: l . Le parole: Non vi potéfare alcun prodigio non vanno riferite alla potenza di Dio assoluta, ma a quanto può es­ sere fatto in maniera opportuna: non era infatti opportuno che egli facesse miracoli tra gente incredula. Da cui le parole successive [6]: E si meravigliava della loro incredulità. E in sen­ so analogo è detto in Gen 1 8 [ 1 7]: Non potrò tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare; e ancora [19,22]: Io non possofare nulla finché tu non sia arrivato là. 2. n Crisostomo, spiegando il passo: Presi i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, li benedisse e li spezzò (Mt 1 4, 1 9), dice: «Di Cristo bisognava credere che procedeva dal Padre e che era uguale a lui. Per mostrare quindi queste due verità compiva i miracoli ora col suo potere, ora pregando il Padre. E in quelli di minore importanza eleva gli occhi al cielo, p. es. nella moltiplicazione dei pani, mentre in quelli di maggiore importanza, che sono soltanto opera di Dio, agisce col proprio potere: p. es. quando rimette i peccati e risu­ scita i morti». n fatto poi che nella risurrezio­ ne di Lazzaro egli alzò gli occhi al cielo (Gv 1 1 ,4 1 ) non fu per la necessità di impetrare, ma per darci un esempio. Per cui dice: L'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato. 3. Cristo scacciava i demoni in un modo di­ verso da come li scaccia la virtù diabolica. Infatti per virtù dei demoni superiori questi sono espulsi dai corpi restando padroni del­ l'anima: poiché il demonio non agisce contro il suo regno. Cristo invece espelleva i demoni non soltanto dal corpo, ma ancor più dall'ani­ ma. E così il Signore respinse la bestemmia dei Giudei, i quali affermavano che egli li scacciava per virtù dei demoni: primo, perché Satana non lotta contro se stesso. Secondo, in base all'esempio di altri che li scacciavano in virtù dello Spirito di Dio. Terzo, perché egli

Q. 43, A. 2

I miracoli di Cristo in generale

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qui daemonia eiiciebant per Spiritum Dei. Ter­ tio, quia daemonium expellere non posset nisi ipsum vicisset virtute divina. Quarto, quia nul­ la convenientia in operibus nec in effectu erat sibi et Satanae, cum Satanas dispergere cupe­ ret quos Christus colligebat.

non avrebbe potuto scacciarli se non li avesse già vinti con la potenza divina. Quarto, per­ ché non c'era nulla in comune tra lui e Sata­ na, sia nelle opere che nei loro effetti: poiché Satana cercava di disperdere ciò che Cristo raccoglieva.

Articulus 3 Utrum Christus incoeperit miracula face­ re in nuptiis, mutando aquam in vinum

Articolo 3 Cristo ha iniziato a compiere miracoli alle nozze di Cana?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Christus non incoeperit miracula facere in nuptiis, mu­ tando aquam in vinum. l . Legitur enim in libro De infantia Salvatoris [26-41 ] , quod Christus in sua pueritia multa miracula fecit. Sed miraculum de conversione aquae in vinum fecit in nuptiis trigesimo vel trigesimoprimo anno suae aetatis. Ergo vide­ tur quod non incoeperit tunc miracula facere. 2. Praeterea, Christus faciebat miracula se­ cundum virtutem divinam. Sed virtus divina fuit in eo a principio suae conceptionis, ex tunc enim fuit Deus et homo. Ergo videtur quod a principio miracula fecerit. 3. Praeterea, Christus post Baptismum et ten­ tationem coepit discipulos congregare, ut le­ gitur Matth. 4 [ 1 8 sqq.] et Ioan. l [35 sqq.]. Sed discipuli praecipue congregati sunt ad ipsum propter miracula, sicut dicitur Luc. 5 [4 sqq.], quod Petrum vocavit obstupescentem propter miraculum quod fecerat in captura piscium. Ergo videtur quod ante miraculum quod fecit in nuptiis, fecerit alia miracula. Sed contra est quod dicitur Ioan. 2 [ 1 1 ], hocfe­

Sembra di no. Infatti: l . Nel Protovangelo di Giacomo si legge che Cristo fece molti miracoli nella sua infanzia. Ma Cristo aveva trenta o trentun anni quando alle nozze mutò l'acqua in vino. Quindi non sembra che abbia iniziato allora a fare miracoli. 2. Cristo compiva i miracoli per virtù divina. Ma questa esisteva in lui fin dal principio del suo concepimento: poiché sin da allora egli era Dio e uomo. Quindi sembra che egli abbia fatto miracoli fin da allora. 3. Cristo cominciò a raccogliere i suoi disce­ poli dopo il battesimo e la tentazione, come si legge in Mt 4 [ 1 8] e in Gv l [35]. Ora, i disce­ poli si unirono a lui soprattutto per i miracoli: Luca (5,4) riferisce che egli chiamò Pietro stu­ pefatto per il miracolo della pesca miracolosa. Sembra quindi che prima del miracolo operato alle nozze ne abbia compiuti degli altri. In contrario: in Gv 2 [ 1 1] è detto: Così Gesù

cit initium signontm Jesus in Cana Galilaeae. Respondeo dicendum quod miracula facta sunt a Christo propter confirmationem eius doctrinae, et ad ostendendum virtutem divi­ nam in ipso. Et ideo, quantum ad primum, non debuit ante miracula tacere quam docere inciperet. Non autem debuit incipere docere ante perfectam aetatem, ut supra [q. 39 a. 3] habitum est, cum de Baptismo eius ageretur. Quantum autem ad secundum, sic debuit per miracula divinitatem ostendere ut crederetur veritas humanitatis ipsius. Et ideo, sicut dicit Chrysostomus, Super Ioan. [h. 2 1 ], decenter

non incoepit signa facere ex prima aerate, existimassent enim phantasiam esse incama­ tionem, et ante opportunum tempus crnci eum tradidissent.

diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea. Risposta: i miracoli furono compiuti da Cristo per confermare la sua dottrina e per mostrare la virtù divina che era in lui. Rispetto quindi al primo di tali scopi egli non doveva compie­ re miracoli prima di iniziare l'insegnamento. E d'altra parte non doveva cominciare a inse­ gnare prima di aver raggiunto l'età perfetta, come si è visto parlando del suo battesimo. Rispetto poi ali' altro scopo egli doveva mo­ strare con i miracoli la sua divinità in modo da non pregiudicare la realtà della sua natura umana. Per questo motivo dunque, come nota il Crisostomo, «oppoitunamente egli non co­ minciò a compiere miracoli da bambino, altri­ menti avrebbero considerato l'incarnazione una semplice apparenza, o lo avrebbero cro­ cifisso prima del tempo». Soluzione delle difficoltà: l . A commento delle parole di Giovanni il Battista: Io sono

venuto a battezzare con acqua perché egli

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I miracoli di Cristo in generale

Ad primum ergo dicendum quod, sicut Chry­ sostomus dicit, Super loan. [h. 1 7], ex verbo loannis Baptistae dicentis [Ioan. 1 ,3 1], "ut ma­

nifestetur in Israel, propterea veni ego in aqua baptizans ", manifestum est quod il/a signa quae quidam dicunt in pueritia a Christofacta, mendacia et fictiones sunt. Si enim a prima aetate miracula fecisset Christus, nequaquam neque Ioannes eum ignorasse/, neque reliqua multitudo indiguisset magistro ad manifestan­ dum eum. Ad secundum dicendum quod divina virtus operabatur in Christo secundum quod erat ne­ cessarium ad salutem humanam, propter quam camem assumpserat. Et ideo sic miracula fecit virtute divina ut fidei de veritate carnis eius praeiudicium non fieret. Ad te1tium dicendum quod hoc ipsum ad laudem discipulorum pertinet, quod Christum secuti sunt cum nulla eum miracula facere vi­ dissent, sicut Gregorius dicit, in quadam Ho­ milia [In Ev. h. l ,5]. Et, ut Chrysostomus dicit [h. 23], maxime tunc signa necessarium erat

facere, quando discipuli iam congregati erant et devoti, et attetulentes his quaefiebant. U1ule subditur [Ioan. 2, 1 1 ], "et credidenmt in eum discipuli eius", non quia tunc primum credide­ runt; sed quia tunc diligentius et pe1jectius cre­ didenmt. Vel discipulos vocat eos qui futuri erant discipuli, sicut exponit Augustinus, in li­ bro De cons. Evang. [2, 17].

Q. 43, A. 3

fosse fatto conoscere, a Israele [Gv 1 ,3 1],

il Crisostomo scrive: «E chiaro che quei mira­ coli che secondo alcuni Cristo avrebbe fatto nella sua infanzia sono menzogne e finzioni. Se infatti Cristo avesse fatto miracoli da bam­ bino, né Giovanni avrebbe potuto ignorarlo, né il resto del popolo avrebbe avuto bisogno di un maestro che glielo manifestasse». 2. La virtù divina operava in Cristo secondo che lo esigeva la salvezza degli uomini, per il qual tine egli si era incarnato. Egli quindi operò i miracoli per virtù divina in modo da non pregiudicare la fede nella realtà della sua incarnazione. 3. Come nota Gregorio, ridonda a lode dei discepoli l' aver seguito Cristo «quando anco­ ra non avevano visto alcun miracolo». E il Crisostomo aggiunge che «i miracoli furono necessari soprattutto quando i discepoli erano già radunati attorno a lui, lo seguivano ed era­ no attenti a quanto faceva. Per cui le parole: E i suoi discepoli credettero in lui» non vanno prese nel senso che cominciassero a credere allora, ma che allora credettero «con più fer­ mezza e perfezione». Oppure, stando alla spiegazione di Agostino, l'evangelista chiama discepoli coloro «che sarebbero divenuti di­ scepoli in seguito».

Articulus 4 Utrum miracula quae Christus fecit fuerint sufficientia ad ostendendam divinitatem ipsius

Articolo 4 I miracoli operati da Cristo erano in grado di manifestare la sua divinità?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod mi­ racula quae Christus fecit, non fuerunt suffi.­ cientia ad ostendendam divinitatem ipsius. l . Esse enim Deum et hominem proprium est Christo. Sed miracula quae Christus fecit, etiam ab aliis sunt facta. Ergo videtur quod non fuerint sufficientia ad ostendendam divi­ nitatem ipsius. 2. Praeterea, virtute divinitatis nihil est maius. Sed aliqui fecerunt maiora miracula quam Christus, dicitur enim Ioan. 14 [ 1 2], qui credit

Sembra di no. Infatti: l . È proprio di Cristo essere insieme Dio e uomo. Ma i miracoli da lui operati furono compiuti anche da altri. Quindi sembra che essi non fossero in grado di dimostrare la sua divinità. 2. Non esiste un potere più grande di quello della divinità. Ma alcuni fecero miracoli più grandi di quelli di Cristo; infatti è detto: Chi

in me, opera quae ego facio, et ipse faciet, et malora ho rum facie t. Ergo videtur quod

Quindi sembra che i miracoli operati da Cristo non fossero in grado di provare la sua divinità. 3. n particolare non basta a dimostrare l'uni­ versale. Ma ogni miracolo di Cristo fu un

miracula quae Christus fecit, non fuerint suf­ ficientia ad ostendendum divinitatem ipsius.

crede in me, compirà anche lui le opere che io compio, e ne farà di più grandi (Gv 1 4, 1 2).

Q. 43, A. 4

I miracoli di Cristo in generale

3 . Praeterea, ex particolari non sufficienter ostenditur universale. Sed quodlibet miracu­ lorum Christi fuit quoddam particolare opus. Ergo ex nullo eorum potuit manifestari suffi­ cienter divinitas Christi, ad quam pertinet uni­ versalem virtutem habere de omnibus. Sed contra est quod Dominus dicit, Ioan. 5 [36], opera quae dedit mihi Parer ut faciam,

ipsa testimonium perhibent de me. Respondeo dicendum quod miracula quae Christus fecit, sufficientia erant ad manife­ standum divinitatem ipsius, secundum tria. Primo quidem, secundum ipsam speciem operum, quae transcendebant omnem pote.-;ta­ tem creatae virtutis, et ideo non poterant fieri nisi virtute divina. Et propter hoc caecus illu­ minatus dicebat, Ioan. 9 [32-33], a saeculo

non est auditum quia aperuit quis oculos caeci nati. Nisi esset hic a Deo, non possetfa­ cere quidquam. - Secundo, propter modum

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fatto particolare. Quindi nessuno di essi fu in grado di provare la divinità di Cristo, alla qua­ le compete di avere un potere universale su tutte le cose. In contrario: il Signore dice: Le opere che il

Padre mi ha dato da compiere mi rendono testimonianza (Gv 5,36). Risposta: i miracoli compiuti da Cristo erano in grado di manifestare la sua divinità per tre motivi. Primo, per le opere stesse, che supe­ ravano ogni capacità creata, e quindi non po­ tevano essere compiute se non dalla virtù di Dio. Per cui il cieco guarito diceva: Da che

mondo è mondo, non si è mai sentito dire che tmo abbia apeno gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe po­ tuto far nulla (Gv 9,32 s.). - Secondo, per il

sed, cum esser naturaliter Deus, propriam virtutem super infirmos ostendebat. Et prop­ ter hoc etiam innumerabilia miracula facie­ bar. Unde super illud Matth. 8 [ 1 6], eiiciebat spiritus verbo, et omnes male habentes cura­ vi!, dicit Chrysostomus [In Matth. h. 27], in­ tende quantam multitudinem curatam trans­ curnmt Evangelistae, 11011 unumquemque cu­ ratum enarrantes, sed uno verbo pelagus ineffabile miraculorum inducentes. Et ex hoc

modo in cui egli compiva i miracoli: poiché li faceva per autorità propria, e non già ricor­ rendo come gli altri alla preghiera. Infatti è detto che da lui usciva una forza che sanava tutti (Le 6, 1 9). Il che dimostra, dice Cirillo, che «egli non operava per virtù altrui, ma es­ sendo Dio per natura mostrava il suo potere sugli infermi. E per questo operava anche in­ numerevoli miracoli». Per cui, spiegando il passo: Con la sua pamla scacciò gli spiriti e guarì tutti i malati (Mt 8,1 6), il Crisostomo scrive: «Considera l'immensa moltitudine di guarigioni che gli Evangelisti passano in rassegna senza fermarsi a raccontare ogni guarigione, ma mettendoti davanti con poche parole un oceano ineffabile di miracoli». E in questo modo [Gesù] mostrava di avere una virtù uguale a quella di Dio Padre, secondo le sue stesse parole: Quello che il Padre fa, anche il Figlio lo fa ( Gv 5 , 1 9) ; e ancora:

ostendebatur quod haberet virtutem coaequa­ lem Deo Patri, secundum illud Ioan. 5 [ 1 9],

Come il Padre risuscita i moni e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole

quaecumque Paterfacit, haec et Filius simili­ ter facit; et ibidem [2 1], sicut Pater suscitar monuos et vivificat, sic et Filius quos vult vi­ vificai. - Tertio, ex ipsa doctrina qua se Deum

(5,2 1 ) . - Terzo, per la dottrina stessa che insegnava, con la quale dichiarava di essere Dio: se essa infatti non fosse stata vera, non avrebbe potuto essere confermata con dei miracoli compiuti per virtù divina. Per cui è detto: Che è mai questa dottrina nuova ? Co­

miracula faciendi, quia scilicet quasi propria potestate miracula faciebat, non autem oran­ do, sicut alii. Unde dicitur Luc. 6 [ 1 9], quod virtus de ilio exibat et sa11abat omnes. Per quod ostenditur, sicut Cyrillus dicit [In Luc., super 6, 1 9; cf. Cat. Aurea, In Luc. 6,3 super v. 19], quod non accipiebat alienam virtutem,

dicebat, quae nisi vera esset, non confirmare­ tur miraculis divina virtute factis. Et ideo di­ citur Marci I [27], quaedam doctrina haec

nova? Quia in potestate spiritibus immundis imperar, et obediunt ei? Ad primum ergo dicendum quod haec erat obiectio gentilium. Unde Augustinus dicit, in Epistola ad Volusianum [ 1 37,4] , nulla, in­

quiunt, competentibus signis tantae maiestatis

manda persino agli spiriti immondi e gli ub­ bidiscono! (Mc 1 ,27). Soluzione delle difficoltà: l . Questa era I ' obiezione di certi Pagani. E ad essa così ri­ sponde Agostino: «Essi dicono che nessun miracolo è stato tale da rivelare una così ec­ celsa maestà. Poiché l 'eliminazione degli

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I miracoli di Cristo in generale

indicia claruerunt. Quia larvalis illa purgatio, qua scilicet daemones effugabat, debilium cu­ ra, reddita vita defunctis, si et alia conside­ rentur, Deo parva sunt. Et ad hoc respondet Augustinus [ 1 37 Ad Volus. 4] , fateJmtr et nos talia quidem fecisse prophetas. Sed et ipse Moyses et ceteri prophetae Dominum /esum prophetaverunt, et ei gloriam magnam dede­ runt. Qui propterea rafia et ipse facere voluit, ne esset absurdum, quod per illos fecerat, si ipse non faceret. Sed tamen et aliquid pro­ prium facere debuit, nasci de Virgine, resur­ gere a mortuis, in cae/um ascendere. Hoc Deo qui parum putat, quid plus expectet ignoro. Num, homine assumpto, alium mundum facere debuit, ut eum esse crederemus per quem factus est mundus? Sed nec maior mundus, nec isti aequalis in hoc fieri posset, si autem minorem faceret infra istum, similiter hoc quoque parum putaretur. Quae tamen alii -

fecerunt, Christus excellentius fecit. Unde super loan. 1 5 [24], si opera non fecissem in eis quae nemo alius fecit, etc., dicit Augusti­ nus, nulla in operibus Christi videntur esse

maiora quam suscitatio mortuorum, quod scimus etiam antiquos fecisse prophetas. Fecit tamen aliqua Christus quae nemo alius fecit. Sed respondetur nobis et aliosfecisse quae nec ipse, nec alius fecit. Sed quod tam multa vitia et malas valetudines vexationesque mortalium tanta potestate sanaret, nullus omnino legitur antiquorum fecisse. Ut enim taceatur quod iubendo, sicut occurrebant, salvos singulos fecit, Marcus dicit, quocumque introibat in vicos aut in villas aut in civitates, in plateis ponebant infinnos, et deprecabantur eum ut vel fimbriam vestimenti eius tangerent, et quotquot tangebant eum, salvi fiebant. Haec nemo alius fecit in eis. Sic enim intelligendum est quod ait, in eis, non inter eos, aut coram eis, sed prorsus in eis, quia sanavit eos. Nec tamen alius fecit, quicumque in eis talia opera fecit, quoniam quisquis alius homo aliquid eorum fecit, ipso faciente fecit; haec autem ipse, non illisfacientibttJ� fecit. Ad secundum dicendum quod Augustinus, exponens illud verbum loannis, inquirit, quae sunt ista opera maiora, quae credentes in eum erant facturi? An forte quod aegros, ipsis

transeuntibus, etiam eorum umbra sanabat? Maius est enim quod sanet umbra, quam fimbria. Veruntamen, quando ista Christus

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spettri», cioè l ' espulsione dei demoni, «la guarigione degli infermi, la risurrezione dei morti e altre cose simili, per Dio sono poca cosa». E il Santo risponde: «Ammettiamo anche noi che i profeti hanno fatto tali opere. Però Mosè stesso e gli altri profeti profetizza­ rono il Signore Gesù e altamente lo glorifica­ rono. Ed egli volle compiere opere simili alle loro affinché non sembrasse assurdo, qualora non le avesse compiute lui stesso, che egli era l' autore di quanto questi altri avevano fatto. Però volle fare anche qualcosa di proprio: na­ scere cioè da una Vergine, risorgere dai morti e ascendere al cielo. E se uno pensa che que­ sto è poco per Iddio, non so che cosa voglia di più. Doveva forse, una volta divenuto uomo, creare un mondo nuovo, per far credere che egli è colui per il quale il mondo è stato crea­ to? Ma in questo mondo egli non avrebbe potuto farne uno né più grande né uguale a quello esistente; e se poi ne avesse fatto un al­ tro più piccolo, ciò sarebbe stato considerato troppo poco». - Ma le stesse opere fatte dagli altri, Cristo le ha fatte in maniera più eccel­ lente. Per questo, nel commentare le parole del Signore: Se non avessi fatto in essi delle opere che nessw1 altro ha fatto... (Gv 1 5,24), Agostino scrive: «Nelle opere di Cristo nes­ suna sembra maggiore della risurrezione dei morti: che tuttavia fu compiuta anche dagli antichi profeti. Cristo però fece alcune cose che nessun altro aveva fatto. Ma ci potrebbero rispondere che anche altri fecero alcune cose che né lui né altri fecero. Guarire però con così grande forza tante miserie e malattie e sofferenze dei mortali, non troviamo che l' ab­ bia fatto nessuno degli antichi profeti. Senza contare poi che guariva tutti con il solo co­ mando, non appena gli venivano incontro. Marco [6,56] infatti riferisce: Dovunque giun­

geva, nei villaggi, nelle città e nelle borgate, ponevano i malati sulle piazze e lo pregavano che gli potessero toccare almeno la frangia del mantello. E quanti lo toccavano, guari­ vano. E questo nessun altro lo fece in essi. E giustamente si dice in essi: non "tra di essi", o "davanti ad essi", ma "in essi", poiché in loro egli compì la guarigione. E nessun altro fece in essi tali opere: poiché qualunque altro uo­ mo le abbia compiute, le ha compiute per mezzo suo. Egli invece le compiva da sé, senza il concorso di nessuno».

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I miracoli di Cristo in generale

dicebat, verborum suorum facta e t opera commendabat. Cum enim dixit [Ioan. 1 4, 1 0], Pater in me manens ipse facit opera, quae opera tunc dicebat, nisi verba quae loqueba­ tur? Et eorundem verborumfructus eratfides illorum. Veruntamen, evangelizantibus disci­ pulis, non tam pauci quam illi erant, sed gen­ tes etiam crediderunt [In Ioan. tract. 7 1 super 1 4, 1 0]. Nonne ab ore ipsius dives il/e tristis abscessit, et tamen postea, quod ab ilio audi­ rum non fecit unus, fecerunt multi cum per discipulos loqueretur? Ecce, maiora fecit praedicatus a credentibus, quam locutus au­ dientibus [In Ioan. tract. 72 super 1 4,2]. Verum hoc adhuc movet, quod haec maiora per apostolos fecit, non autem ipsos tantum significans ait, qui credit in me. Audi ergo, qui credit in me, opera quae egofacio, et ipse faciet. Prius ego facio, deinde et ipse faciet, quia facio ut faciat. Quae opera, nisi ut ex impio iustus fiat? Quod utique in ilio, sed non sine ilio Christus operatw: Prorsus maius hoc esse dixerim quam creare caelwn et terram, caelum enim et terra transibunt, praedestina­ torum autem salus et iustificatio pennanebit. Sed in caelis angeli opera sunt Christi. Nun­ quid his operibus maiora facit qui cooperatur Christo ad suam iustificationem? Iudicet qui potest utrwn maius sit iustos creare, quam impios iustificare. Certe, si aequalis est utrum­ que potentiae, hoc maioris est misericordiae. Sed omnia opera Christi intelligere ubi ait, maiora horum faciet, nulla nos necessitas co­ git. Hontm enim forsitan dixit quae illa hora faciebat. Tunc autem verba fidei faciebat, et utique minus est verba praedicare iustitiae, quod fecit praeter nos, quam impium iustifi­ care, quod ita facit in nobis utfaciamus et nos [In Ioan. tract. 72 super 14, 1 2] . Ad tertium dicendum quod, quando aliquod particu1are opus proprium est alicuius agentis, tunc per illud particulare opus probatur tota virtus agentis, sicut, cum ratiocinari sit pro­ prium hominis, ostenditur aliqtùs esse homo ex hoc ipso quod ratiocinatur circa quodcum­ que particulare propositum. Et similiter cum propria virtute miracula facere sit solius Dei, sufficienter ostensum est Christum esse Deum ex quocumque miraculo quod propria virtute fecit.

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2. Agostino, spiegando quelle parole, si do­ manda: «Che cosa sono queste opere più grandi», riservate a quelli che avrebbero cre­ duto in lui? «Forse il fatto che al loro passag­ gio la loro OJl!bra soltanto avrebbe operato la guarigione? E infatti più straordinario che guarisca l'ombra piuttosto che il lembo della veste. E tuttavia quando Cristo diceva queste cose intendeva parlare delle opere e degli eft'etti prodotti dalle sue parole. Quando intat­ ti disse: Il Padre che è in me fa queste opere, a quali opere si riferiva se non a quelle di cui stava parlando? Ora, il frutto delle sue parole era la fede dei discepoli. E tuttavia con la pre­ dicazione dei discepoli non si sarebbero con­ vertite poche persone come loro, ma tutte le genti». «E quel tale ricco non se ne partì da lui triste? E tuttavia ciò che quello non aveva fatto per invito diretto del Signore, in seguito lo fecero molti per le parole dei discepoli. Ecco dunque come [il Signore] fece di più con la predicazione di coloro che credettero in lui che non parlando egli stesso a chi lo ascoltava». - «Resta tuttavia una difficoltà, che cioè queste opere più grandi le fece per mezzo degli apostoli. Ma con le parole: Chi crede in me non indicava soltanto loro. Ascolta dunque: Chi crede in me, compirà anche lui le opere che io faccio. Prima le fac­ cio io, e poi lui: perché io farò in modo che le faccia lui. E di che opere si tratta se non della giustificazione dell'empio? Questa certamen­ te la opera Cristo in lui, ma non senza di lui. E oserei dire che quest' opera è più grande della creazione del cielo e della terra: infatti il cielo e la terra passeranno, ma la salvezza e la giustificazione degli empi resterà. Però gli angeli del cielo sono opera di Cristo. Chi dun­ que coopera con Cristo alla propria giustifica­ zione compie forse un'opera più grande di quella? Giudichi chi può se sia un'opera più grande creare i giusti o giustificare gli empi. Certo, se ambedue le cose esigono un potere uguale, la seconda è però dovuta a una mise­ ricordia più grande». «Tuttavia nelle parole: Ne farà di più grandi non è necessario inclu­ dere tutte le opere di Cristo. Forse egli si ri­ feriva a quelle che stava facendo in quel mo­ mento. Ora, in quel momento egli stava pro­ ferendo parole di fede. E certamente predica­ re parole di giustizia, cosa che fece senza di noi, è meno che giustificare un empio, cosa

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I miracoli di Cristo in generale

che egli opera in noi in modo che la operiamo anche noi». 3. Quando una data opera è propria di un determinato agente, essa è in grado di provare tutta la capacità di quell'agente: come, essen­ do la capacità di ragionare propria dell' uomo, dal fatto che uno ragiona su qualunque argo­ mento particolare si deduce che è un uomo. Allo stesso modo dunque, appartenendo a Dio solo il compiere miracoli per virtù propria, qualunque miracolo compiuto da Cristo per virtù propria basta a provare che egli è Dio.

QUAESTI0 44

QUESTIONE 44

DE SINGULIS MIRACULORUM SPECIEBUS

LE SINGOLE SPECIE DI MIRACOLI

Deinde considerandum est de singulis miracu­ lorum speciebus. - Et primo, de miraculis quae fecit circa spirituales substantias. Secundo, de miraculis quae fecit circa caelestia corpora. Tertio, de miraculis quae fecit circa homines. Quarto, de miraculis quae fecit circa creaturas irrationales.

Veniamo ora a considerare le singole specie di miracoli. - Sull'argomento prenderemo in esame: l . I miracoli che [Cristo] fece sulle so­ stanze spirituali; 2. Quelli che operò sui corpi celesti ; 3. Quell i che operò sugli uomini ; 4. Quelli che operò sulle creature prive di ragione.

Articulus l

Articolo l

Utrum miracula quae Christus fecit circa spirituales substantias fuerint convenientia

Erano convenienti i miracoli operati da Cristo sulle sostanze spirituali?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod miracula quae Christus fecit circa spirituales substantias, non fuerint convenientia. l . Inter spirituales enim substantias, sancti an­ geli praepollent daemonibus, quia, ut Augu­ stinus dicit, in 3 De Trin. [4] , spiritus vitae ra­

Sembra di no. Infatti: l . Fra le sostanze spirituali, gli angeli sono superiori ai demoni : poiché, come dice Ago­ stino, «gli spiriti forniti di intelletto che diser­ tarono e peccarono sono governati da quelli pii e giusti». Ora, non si legge che Cristo ab­ bia fatto miracoli sugli angeli buoni. Quindi non doveva fame neppure sui cattivi. 2. I miracoli di Cristo erano ordinati a manife­ stare la sua divinità. Ma questa non doveva essere manifestata ai demoni, poiché ciò avrebbe impedito il mistero della sua passio­ ne, secondo le parole di l Cor 2 [8] : Se

tionalis desertor atque peccator regitur per spiritum vitae rationalem pium et iustum. Sed Christus non legitur aliqua miracula fecisse circa angelos bonos. Ergo neque etiam circa daemones aliqua miracula tacere debuit. 2. Praeterea, miracula Christi ordinabantur ad manifestandum divinitatem ipsius. Sed divini­ tas Christi non erat daemonibus manifestan­ da, quia per hoc impeditum fuisset mysterium passionis eius, secundum illud l Cor. 2 [8], si

cognovissent, nunquam Dominum gloriae crucifixissent. Ergo non debuit circa daemo­

nes aliqua miracula fecisse. 3. Praeterea, miracula Christi ad gloriam Dei ordinabantur, unde dicitur Matth. 9 [8], quod

l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifis­ so il Signore della gloria. Quindi egli non do­

veva compiere alcun miracolo sui demoni. 3. I miracoli di Cristo erano ordinati alla glo­ ria di Dio: infatti in Mt 9 [8] è detto che le turbe, vedendo il paralitico guarito da Cristo,

furono prese da timore e resero gloria a Dio, che aveva dato agli uomini un tale potere. Ma

Q. 44, A. l

Le singole specie di miracoli

videntes turbae paralyticum sanatum a Chri­ sto, timuerunt et glorificaverunt Deum, qui dedit potestatem talem hominibus. Sed ad daemones non pertinet glorificare Deum, quia

non est speciosa laus in ore peccatoris, ut di­ citur Eccli. 1 5 [9]. Unde et, sicut dicitur Mar­ ci l [34] et Luc. 4 [41 ] , non sinebat daemonia loqui ea quae ad gloriam ipsius pertinebant. Ergo videtur non fuisse conveniens quod circa daemones aliqua miracula faceret. 4. Praeterea, miracula a Christo t'acta ad sa­ lutem hominum ordinantur. Sed quaedam daemonia ab hominibus eiecta fuerunt cum hominum detrimento. Quandoque quidem corporali, sicut dicitur Marci 9 [24-25], quod daemon, ad praeceptum Christi, exclamans et

multum discerpens hominem exiit ab homine, et factus est sicut mortuus, ita ut multi dice­ rent, quia mortuus est. Quandoque etiam cum damno rerum, sicut quando daemones, ad eorum preces, misit in porcos, quos praecipi­ taverunt in mare; unde cives illius regionis

rogaverunt eum ut transiret a .finibus eorum, sicut legitur Matth. 8 [3 1 sqq.] . Ergo videtur inconvenienter fecisse huiusmodi miracula. Sed contra est quod Zach. 13 [2] hoc prae­ nuntiatum fuerat, ubi dicitur, spiritum immun­

dum auferam de terra.

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i demoni non rendono gloria a Dio, come è detto in Sir 1 5 [9] che la sua lode non si addi­ ce alla bocca del peccatore. Per cui, come è detto in Mc l [34] e Le 4 [4 1 ] , egli non per­ metteva ai demoni di parlare di ciò che ri­ guardava la sua gloria. Quindi sembra che non fosse conveniente che facesse miracoli sui demoni. 4. I miracoli furono operati da Cristo per la salvezza degli uomini. Ma alcuni demoni fu­ rono espulsi con detrimento degli stessi uo­ mini. Talvolta con detrimento fisico: come quando al comando di Cristo il demonio, gri­

dando e scuotendo fortemente il fanciullo uscì da lui, e ilfanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: È morto (Mc 9,24 s.).

Altre volte anche con detrimento dei beni: come quando [il Signore] mandò i demoni nei porci, a loro richiesta, e questi precipi­ tarono in mare, per cui gli abitanti di quella regione lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio, come si legge in Mt 8 [3 1 ] . Sembra dunque che quei miracoli non fosse­ ro convenienti. In contrario : ciò era stato profetizzato i n Zc 1 3 [2]: Lo spirito immondofarò sparire dal

paese.

Respondeo dicendum quod miracula quae Christus fecit, argumenta quaedam fuerunt fidei quam ipse docebat. Futurum autem erat ut per virtutem divinitatis eius excluderet dae­ monum potestatem ab hominibus credituris in eum, secundum illud Ioan. 1 2 [3 1 ] , mmc princeps huius mundi eiicietur foras. Et ideo conveniens fuit ut, inter alia miracula, etiam obsessos a daemonibus liberaret. Ad primum ergo dicendum quod homines, sicut per Christum erant a potestate daemonum liberandi, ita per eum erant angelis consocian­ di, secundum illud Col. l [20], pacificans per

Risposta: i miracoli operati da Cristo erano co­ me altrettante prove della fede che egli in­ segnava. Ora Cristo, con la potenza della sua divinità, doveva liberare dal potere del demo­ nio gli uomini che avrebbero creduto in lui, secondo le sue stesse parole: Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori (Gv 1 2,3 1). Perciò era conveniente che, fra gli altri mira­ coli, ci fosse anche la liberazione degli ossessi dal demonio. Soluzione delle difficoltà: l . Come Cristo do­ veva liberare gli uomini dal potere dei de­ moni, così pure doveva associarli agli angeli, secondo le parole di Col l [20] : Rappacifi­

sanguinem crucis eius quae in caelis et quae in ten·is sunt. Et ideo circa angelos alia mira­

cando con il sangue della sua croce le cose che stanno sulla terra e quelle dei cieli. Per­

cula hominibus demonstrare non conveniebat, nisi ut angeli hominibus apparerent, quod quidem factum est in nativitate ipsius, et in resurrectione et in ascensione. Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, 9 De civ. Dei [21 ], Christus tantum

ciò sugli angeli egli non doveva operare altri miracoli se non quelli di farli apparire agli uo­ mini: il che avvenne alla sua nascita, alla ri­ surrezione e ali' ascensione. 2. Rispondiamo con Agostino che «Cristo si fece conoscere dai demoni quel tanto che volle, e tanto volle quanto era opportuno. Ma ad essi si manifestò non come agli angeli santi, cioè non in quanto è vita eterna, bensì

innotuit daemonibus quantum voluit, tantum autem voluit quantum oportuit. Sed innotuit eis, non sicut angelis sanctis, per id quod est

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Le singole specie di miracoli

vita aetema, sed per quaedam temporalia suae virtutis effecta. Et primo quidem, videntes Christum esurire post ieiunium, aestimaverunt eum non esse Filium Dei. Unde, super illud Luc. 4 [3], si Filius Dei es etc., dicit Ambrosius [In Luc. 4 super 4,3], quid sibi vult talis ser­ monis exorsus, nisi quia cognoverat Dei Filium esse venturwn, sed venisse per infirmitatem corporis non putavit ? Sed postmodum, visis miraculis, ex quadam suspicatione coniectu­ ravit eum esse Filium Dei. Unde super illud Marci l [24], scio quia sis Sanctus Dei, dicit Chrysostomus [cf. Cat. Aurea, In Mare. l ,9 super v. 24; Victor Antiochenus (?), Cat. In Mare . , super l ,23] quod non certam aut finnam adventus Dei habebat notitiam. Sciebat tamen ipsum esse Christum in lege promissum, unde dicitur Luc. 4 [41 ], quia sciebant ipsum esse Christum. Quod autem ipsum confiteban­ tur esse Filium Dei, magis erat ex suspicione quam ex certitudine. Unde Beda dicit, Super Luc. [2 super 4,4 1 ] , daemonia filium Dei con.fitentur; et, sicut postea dicitur [Luc. 4,41 ], sciebant eum esse Christwn. Quia, cum ieiunio fatigatum eum diabolus videret, verum hominem intellexit, sed, quia tentando non praevaluit utrum Filius Dei esset, dubitabat. Nunc autem, per signorum potentiam, ve[ intellexit, vel potius suspicatus est esse Filium Dei. Non ideo igitur ludaeis eum crucifigere persuasi!, quia Christum sive Dei Filium non esse putavit, sed quia se morte illius non praevidit esse damnandum. De hoc enim my­ sterio a saeculis abscondito dicit apostolus [ l Cor. 2,8] quod nemo principum huius sae­ culi cognovit, si enim cognovissent, nunquam Dominum gloriae cruciji.xissent. Ad tertium dicendum quod miracula in expul­ sione daemonum non fecit Christus propter utilitatem daemonum, sed propter utilitatem horninum, ut ipsi eum glorificarent. Et ideo prohibuit eos loqui ea quae ad laudem ipsius pertinebant, primo quidem, propter exemplum. Quia, ut dicit Athanasius [Fragm. in Luc., super 4,33; verbotenus apud Thomam, Cat. Aurea, In Luc. 4,7 super v. 34], compescebat eius sermonem, quamvis verafateretw; ut nos assuefaciat ne curemus de talibus, etiam si vera loqui videantur. Nefas est enim ut, cum adsit nobis Scriptura divina, instruamur a diabolo, est enim hoc periculosum, quia veri­ tati frequenter daemones imrniscent menda-

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mediante alcuni segni temporali della sua po­ tenza». E prima di tutto, vedendo Cristo affa­ mato a causa del digiuno, [i demoni] pensaro­ no che egli non fosse il Figlio di Dio. Per cui Ambrogio, spiegando le parole: Se sei il Figlio di Dio... (Le 4,3), dice: «Che cos'altro significa questo esordio se non che [il demo­ nio] sapeva che doveva venire il Figlio di Dio, ma non pensava che sarebbe venuto nella debolezza della carne?». In seguito però, ve­ dendone i miracoli, sospettò che fosse il Fi­ glio di Dio. Per cui il Crisostomo, commen­ tando il passo: lo so chi tu sei: il Santo di Dio (Mc 1 ,24), afferma che « [i l demonio] non aveva una conoscenza certa e sicura della venuta di Dio». Sapeva però che egli era «il Cristo promesso nella legge», come lisulta da Le [4,4 1 ] : Perché [i demoni] sapevano che egli era il Cristo. Per cui, nel dichiararlo Fi­ glio di Dio, più che una certezza essi rivelava­ no un sospetto. Da cui il commento di Beda: «l demoni lo riconoscono Figlio di Dio: e come è detto in seguito sapevano che egli era il Cristo. TI demonio infatti, avendolo visto affranto dal digiuno, lo credette dapprima un puro uomo; ma non riuscendo a vincerlo con la tentazione ebbe il dubbio che potesse esse­ re il Figlio di Dio. Più tardi poi, in seguito ai miracoli, capì, o meglio sospettò tale cosa. Non spinse dunque i Giudei a crocifiggerlo perché non pensava che egli fosse il Cristo o il Figlio di Dio, ma perché non previde che quella morte avrebbe segnato la propria con­ danna. Infatti di questo mistem nascosto dal­ l'etemità Paolo dice che nessuno dei domina­ tori di questo secolo lo conobbe: se infatti l'avessem conosciuto non avrebbero crocifis­ so il Signore della gloria». 3. Cristo compì i miracoli di scacciare i de­ moni non per l'utilità di questi, ma per l'utili­ tà degli uomini, cioè affinché questi lo glorifi­ cassero. E proibì ai demoni di dire cose che ritornavano a suo onore: primo, per darci l'esempio. Poiché, come dice Atanasio, «im­ pediva loro di parlare, benché dicessero la ve­ rità, per insegnarci a non occuparci di loro, anche quando sembra che dicano la verità. Non è infatti lecito, avendo la divina Scrittura, lasciarsi istruire dal diavolo». Ciò inoltre è pericoloso, poiché i demoni spesso frammi­ schiano la menzogna alla verità. Secondo, perché, come dice i l Crisostomo [Cirillo

Q. 44, A. l

Le singole specie di miracoli

eia. Vel, sicut Chrysostomus dici t [cf. Cyril­ l u m Alexandrinum, I n Luc. s uper 4,4 1 ; verbotenus apud Thomam, Cat. Aurea, In Luc. 4,9 super v. 4 1 ] , non oportebat eos subripere officii apostolici gloriam. Nec dece­ bat Christi mysterium lingua fetida publicari, quia non est speciosa laus in ore peccatoris [Eccli. 1 5 ,9]. Tettio quia, ut Beda dicit [cf. Thomam, Cat. Aurea, In Luc. 4,9 super v. 4 1 ; cf. Theophylactum, In Luc. super 4,4 1 ], quia nolebat ex hoc invidiam accendere ludaeo­ rum. Unde etiam ipsi apostoli iubentur retice­ re de ipso, ne, divina maiestate praedicata, passionis dispensario differatur [Beda, In Luc. 2 super 4,4 1 ; verbotenus apud Thomam, Cat. Aurea, In Luc. 4,9 super v. 4 1 ] . A d qumtum dicendum quod Christus specia­ liter venerat docere et miracula facere propter utilitatem hominum, principaliter quantum ad animae salutem. Et ideo permisit daemones quos eiiciebat hominibus aliquod nocumen­ tum inferre, vel in corpore vel in rebus, prop­ ter animae humanae salutem, ad hominum scilicet instructionem. Unde Chrysostomus dicit, Super Matth. [h. 28], quod Christus pemzisit daemonibus in porcos ire, non quasi a daemonibus persuasus, sed primo quidem, ut instruat magnitudinem nocumenti dae­ monum qui hominibus insidiantur; secundo, ut omnes discerent quoniam neque adversus porcos audent aliquid facere, nisi ipse con­ cesserit; tertio, ut ostenderet quod graviora in illos homines operati essent quam in illos porcos, nisi essent divina providentia adiuti. Et propter easdem etiam causas permisit eum qui a daemonibus liberabatur, ad horam gravius affligi, a qua tamen afflictione eum continuo liberavit. Per hoc etiam ostenditur, ut Beda dicit [In Mare. 3 super 9, 1 8], quod saepe, dum converti ad Deum post peccata conamw; maioribus novisque antiqui hostis pulsamur insidiis. Quod facit vel ut odium virtutis incutiat, vel expulsionis suae vindicet iniuriam. Factus est etiam homo sanatus velut mortuus, ut Hieronymus dicit [Ps. Hierony­ mus, In Mare. super 9,25], quia sanatis dici­ tur [Col. 3,3], mortui estis, et vita vestra abscondita est cum Christo in Dea.

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Alessandrino], «non era conveniente che essi usurpassero la gloria dell'ufficio apostolico, né che il mistero di Cristo fosse annunziato da una lingua pestifera», perché non è bella la lode sulla bocca del peccatore [Sir 1 5 ,9]. Ter­ zo, perché, come afferma Beda, «non voleva provocare l'invidia dei Giudei». E così «agli stessi apostoli Gesù proibiva talora di parlare di lui: affinché la predicazione della sua divi­ na maestà non ritardasse il mistero della sua passione». 4. Cristo era venuto in modo speciale per in­ segnare e compiere miracoli in favore degli uomini, e principalmente quanto alla salvezza dell'anima. E così permise che i demoni da lui scacciati recassero danno ai corpi e ai beni degli uomini per l 'utilità delle loro anime, cioè per loro ammaestramento. TI Crisostomo dice infatti che Cristo «permise che i demoni entrassero nei porci non perché pregato da loro», ma per i motivi seguenti: «primo, per mostrare agli uomini quale danno recano loro i demoni; secondo, perché tutti imparassero che i demoni non potevano neppure entrare nei porci senza il suo permesso; terzo, per mostrare che negli uomini essi avrebbero potuto produrre mali peggiori che nei porci, se gli uomini non fossero stati soccorsi dalla provvidenza divina». - E per gli stessi motivi permise che l'uomo che veniva liberato dal demonio fosse momentaneamente tormenta­ to; benché lo abbia liberato subito da questa afilizione. E così è dimostrato anche, secondo Beda, che «quando cerchiamo di convertirci a Dio dopo il peccato veniamo assaliti dal de­ monio con nuove e maggiori insidie. E questo egli lo fa o per disamorarci della virtù, o per vendicare la sua espulsione». L'uomo guarito divenne poi «come morto», afferma Girola­ mo, perché «a coloro che sono gumiti è detto: Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio [Co/ 3,3]».

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Le singole specie di miracoli

Q. 44, A. 2

Articulus 2 Utrum convenienter fuerint a Christo facta miracula circa caelestia corpora

Articolo 2 Erano convenienti i miracoli operati da Cristo sui corpi celesti?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in­ convenienter fuerint a Cluisto facta miracula circa caelestia corpora. l . Ut enim Dionysius dicit, 4 cap. De div. nom. [33], divinae providentiae non est natu­ ram corrumpere, sed salvare. Corpora autem caelestia secundum suam naturam sunt incor­ ruptibilia et inalterabilia, ut probatur in l De caelo [3,4]. Ergo non fuit conveniens ut per Cluistum fieret aliqua mutatio circa ordinem caelestium corporum. 2. Praeterea, secundum motum caelestium corporum temporum cursus designatur, secun­ dum illud Gen. l [ 14], fiant luminaria in fir­

Sembra di no. Infatti: l . Come insegna Dionigi, «è compito della divina provvidenza non distruggere, ma con­ servare la natura». Ora, i corpi celesti per loro natura sono incorruttibili e inalterabili, come insegna Aristotele. Quindi non era giusto che Cristo mutasse in qualche modo l' ordine dei corpi celesti. 2. n tempo è misurato in base al movimento dei corpi celesti, poiché in Gen l [ 1 4] è detto:

mamento caeli, et sint in signa et tempora et dies et annos. Sic ergo, mutato cursu caele­ stium corporum, mutatur temporum distinctio et orda. Sed non legitur hoc esse perceptum ab astrologis, qui contemplantur sidera et com­ putant menses, ut dicitur Is. 47 [ 1 3]. Ergo vide­ tur quod per Christum non fuerit aliqua mu­ tatio facta circa cursum caelestium corporum. 3 . Praeterea, magis competebat Chtisto facere miracula vivens et docens quam moriens, tum quia, ut dicitur 2 ad Cor. 1 3 [4], crucifixus est ex infirmitate, sed vivit ex virtute Dei, secun­ dum quam miracula faciebat; tum etiam quia eius miracula confirmativa erant doctrinae ipsius. Sed in vita sua non legitur Christus aliquod miraculum circa caelestia corpora fe­ cisse, quinimmo Pharisaeis petentibus ab eo signum de caelo, dare renuit, ut habetur Mat­ th. 1 2 [38-39] et 1 6 [ 1 -4]. Ergo videtur quod nec in morte circa caelestia corpora aliquod miraculum facere debuit. Sed contra est quod dicitur Luc. 23 [44-45],

tenebrae factae sunt in universa terra usque ad horam nonam, et obscuratus est sol. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 43 a. 4] dictum est, miracula Christi talia esse de­ bebant ut sufficienter eum Deum esse osten­ derent. Hoc autem non ita evidenter ostendi­ tur per transmutationes corporum inferiorum, quae etiam ab aliis causis moveri possunt, sicut per transmutationem cursus caelestium corporum, quae a solo Deo sunt immobiliter ordinata. Et hoc est quod Dionysius dicit, in Epistola ad Polycarpum [7,2], cognoscere

Ci siano luci nelfinnamento del cielo, e serva­ no da segni per le stagioni, per i giomi e per gli anni. Mutando quindi il corso degli astri, viene a mutare anche la divisione e l'ordine del tempo. Ora, non risulta che sia stato costatato nulla di simile dagli astrologi, i quali contem­ plano le stelle e calcolano i mesi, come è detto in /s 47 [ 1 3]. Non sembra quindi che Cristo abbia mai mutato il corso degli astri. 3. Cristo doveva fare miracoli, più che alla sua morte, durante la sua vita e il suo insegnamen­ to: sia perché eglifu crocifisso per la sua debo­

lezza, ma vive per la potenza di Dio (2 Cor 13,4) con la quale appunto faceva i miracoli, sia perché questi miracoli dovevano conferma­ re il suo insegnamento. Ora, non si trova scritto che Cristo abbia compiuto miracoli sui corpi celesti durante la vita; anzi egli si rifiutò di esaudire i Farisei che chiedevano un segno dal cielo (Mt 1 2,38; 1 6, 1 ). Perciò non avrebbe do­ vuto fare tali miracoli neppure alla sua morte. In contrario: in Le 23 [44] è detto: Sifece buio

su tutta la terra fino all'ora nona, e il sole si oscurò. Risposta: come si è già detto, i miracoli di Cristo dovevano essere tali da manifestare la sua divinità. Ora, questa non è manifestata in modo così evidente dai mutamenti degli es­ seri inferiori, che possono essere mossi anche da altre cause, come invece può esserlo dal mutamento del corso dei corpi celesti, che so­ no regolati solo da Dio in modo immutabile. Ed è quanto dice Dionigi: «Bisogna ricono­ scere che nulla può essere mutato circa l'or­ dine e il movimento degli astri se non inter­ viene colui che tutto compie e muta con la sua parola». Quindi era opportuno che Cristo operasse miracoli anche sui corpi celesti.

Q. 44, A. 2

Le singole specie di miracoli

oportet non aliter aliquando posse aliquid perverti caelestis ordinationis et motus, nisi causam haberet ad hoc moventem qui facit omnia et mutat secundum suum sennonem. Et ideo conveniens fuit ut Christus miracula faceret etiam circa caelestia corpora. Ad primum ergo dicendum quod, sicut corpori­ bus inferioribus naturale est moveri a cae1estibus corporibus, quae sunt superiora se­ cundum naturae ordinem; ita etiam naturale est cuilibet creaturae ut transmutetur a Deo se­ cundum eius voluntatem. Unde Augustinus di­ cit, 26 Contra Faustum [3], et habetur in Glossa [ord. et Lomb.] Rom. 1 1 , super illud [24] ,

contra naturam insertus es etc., Deus, creator et conditor omnium naturarum, nihil contra naturam facit, quia id est cuique rei natura, quod facit. Et ita non corrumpitur natura caelestium corporum cum eorum cursus im­ mutatur a Deo, corrumperetur autem si ab aliqua alia causa immutaretur. Ad secundum dicendum quod per miraculum a Christo factum non est perversus ordo tem­ porum. Nam secundum quosdam, illae tene­ brae, vel solis obscuratio, quae in passione Christi accidit, fuit propter hoc quod sol suos radios retraxit, nulla immutatione facta circa motum caelestium corporum, secundum quem tempora mensurantur. Unde Hierony­ mus dicit, Super Matth. [4 super 27,45] , vi­

derur luminare maius retra.xisse radios suos, ne aut pendentem videret Dominum, aut impii blasphemantes sua luce fruerentur. Talis -

autem retractio radiorum non est sic intelli­ genda quasi sol in sua potestate habeat radios emittere vel retrahere, non enim ex e1ectione, sed ex natura radios emittit, ut dicit Diony­ sius, 4 cap. De div. nom. [ 1 ] . Sed sol dicitur retrahere radios, inquantum divina virtute fac­ tum est ut so1is radii ad tetTam non perveni­ rent. - Origenes autem dicit hoc accidisse per interpositionem nubium. Unde, Super Matth. [Commentariorum series, n. 1 34, super 27,45], dicit, consequens est intelligere quasdam

tenebrosissimas nubes multas et magnas con­ currisse super Jerusalem et terram Judaeae; et ideo factae sunt tenebrae profundae a sexta hora usque ad nonam. Arbitror ergo, sicut et cetera signa quae facta sunt in passione, scili­ cet quod velum est scissum, quod terra tre­ muit, etc., in lerusalem tantummodo facta sunt, ita et hoc, aut si latius voluerit quis

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Soluzione delle difficoltà: l . Come per i corpi inferiori è naturale l'essere mossi da quelli ce­ lesti, che per natura sono superiori, così è na­ turale per qualunque creatura l'essere trasmu­ tata da Dio secondo la sua volontà. Per cui Agostino, commentando il passo: Contro na­ tura sei stato innestato .. [Rm 1 1 ,24], scrive: «Dio, Creatore e Istitutore di ogni natura, non fa nulla contro la natura, poiché ciò che egli fa costituisce la natura di ciascuna cosa». Quindi la natura dei corpi celesti non è alterata per il fatto che Dio muta il loro corso: lo sarebbe invece se esso tosse mutato da altre cause. 2. Col miracolo operato da Cristo non fu tur­ bato l'ordine del tempo. Secondo alcuni infat­ ti quelle tenebre, ossia l'oscuramento del sole avvenuto alla morte di Cristo, si spiegano col fatto che il sole ritrasse i suoi raggi, senza sconvolgere il moto dei corpi celesti che è la misura del tempo. Scrive infatti in proposito Girolamo: «Sembra che l'astro maggiore ab­ bia ritirato i suoi raggi o per non vedere il Signore pendente [dalla croce], o per privare della sua luce gli empi che lo bestemmiava­ no». - Questo ritiro dei raggi però non va in­ teso nel senso che il sole abbia la facoltà di inviare o no i suoi raggi: infatti li emette non per libera scelta, bensì per natura, come dice Dionigi. Si dice invece che il sole ritrasse i suoi raggi nel senso che la virtù divina fece sì che quei raggi non raggiungessero la terra. Origene aft�rma che ciò avvenne a causa del­ le nuvole: «E facile pensare che molte e gran­ di nubi oscurissime si siano addensate sopra Gerusalemme e la Giudea, per cui si produs­ sero profonde tenebre dali' ora sesta fino a nona. E penso che come gli altri prodigi apparsi durante la passione», cioè «lo squar­ ciarsi del velo, il terremoto, ecc., anche que­ sto sia avvenuto solo a Gerusalemme. Oppu­ re, se lo si vuole estendere maggiormente», siccome il testo dice che le tenebre si stesero su tutta la terra, «Si può intendere: su tutto il territorio della Giudea, in analogia con quanto Abdia disse a Elia: Viva il tuo Dio, non c'è .

popolo né regno dove il mio signore non ab­ bia mandato a cercarti [l Re 1 8, 10], per dire che lo avevano cercato presso le popolazioni che erano attorno alla Giudea>>. - Ma in pro­ posito si deve credere piuttosto a Dionigi, il quale da testimone oculare dice che ciò avvenne per un'interposizione della luna tra

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Le singole specie di miracoli

extendere ad terram ludaeae, propter hoc quod dicitur quod tenebraefactae sunt in uni­ versa terra; quod intelligitur de terra ludaea, sicut in 3 libro Regum [3 Reg. 1 8, 1 0] dixit Abdias ad Eliam, vivit Deus tuus, si est gens aut regnum ubi non miserit dominus meus quaerere te, ostendens quod eum quaesive­ runt in gentibus quae sunt circa Iudaeam. Sed circa hoc magis est credendum Dionysio, qui oculata fide inspexit hoc accidisse per interpositionem lunae inter nos et solem. Dicit enim, in Epistola ad Polycarpum [7,2], inopinabiliter soli lunam incidentem videba­ mus, in Aegypto scilicet existentes, ut ibidem dicitur [Dionysius Areopagita, ep. 7 Ad Polyc. 2]. Et designat ibi quatuor miracula. Qumum primum est quod naturalis eclipsis solis per interpositionem lunae nunquam ac­ cidit nisi tempore coniunctionis solis et lunae. Tunc autem erat luna in oppositione ad solem, quintadecima existens, quia erat Pascha Iudaeorum. Unde dicit [ibid.], non enim erat conventus tempus. - Secundum miraculum est quod, cum circa horam sextam luna visa fuisset simul cum sole in medio caeli, in vesperis apparuit in suo loco, idest in oriente, opposita soli. Unde dicit [ibid.], et rursus ipsam vidimus, scilicet lunam, a nona hora, scilicet in qua recessit a sole, cessantibus te­ nebris, usque ad vesperam, supernaturaliter restitutam ad diametrum solis, id est ut dia­ metraliter esset soli opposita. Et sic patet quod non est turbatus consuetus temporum cursus, quia divina virtute factum est et quod ad solem supernaturaliter accederet praeter debitum tempus, et quod, a sole recedens, in locum proprium restitueretur tempore debito. - Tertium miraculum est quod naturaliter eclipsis solis semper incipit ab occidentali parte et pervenit usque ad orientalem, et hoc ideo quia luna secundum proprium motum, quo movetur ab occidente in orientem, est velocior sole in suo proprio motu; et ideo lu­ na, ab occidente veniens, attingit solem et pertransit ipsum ad orientem tendens. Sed tunc luna iam pertransiverat solem, et distabat ab eo per medietatem circuii, in oppositione existens. Unde oportuit quod reverteretur ad orientem versus solem, et attingeret ipsum primo ex parte orientali, procedens versus oc­ cidentem. Et hoc est quod dicit [ib i d . ] , eclipsim etiam ipsam ex oriente vidimus -

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noi e il sole. Scrive infatti nella sua lettera a Policarpo: «Inaspettatamente vedemmo», cioè dall'Egitto dove si trovava, «la luna avvi­ cinarsi al sole». E lileva in ciò quattro prodigi. Il primo fu l'eclissi solare: poiché l'eclissi naturale del sole per l ' interposizione della luna avviene soltanto quando il sole e la luna si incontrano. Invece allora la luna si trovava nella posizione opposta al sole, essendo nel suo quindicesimo giorno: era intàtti la Pasqua dei Giudei. Per questo egli nota che >. - Il Crisostomo aggiunge un quinto miracolo quando dice che «in quel caso le tenebre durarono tre ore, mentre l'eclissi totale di sole dura un momento: non si ferma infatti, come sanno coloro che hanno osservato il fenomeno». Il che fa pensare che la luna si sia fermata davanti al sole. A meno che il tempo dell'oscuramento non vada com­ putato dali' inizio del fenomeno sino alla fine completa dell'eclissi. - Tuttavia, sctive Orige­ ne, «i figli di questo secolo obbiettano: Come mai nessun greco o barbaro registrò un feno­ meno così straordinario?». Egli risponde dun­ que che un certo Flegonte «scrisse nelle sue Cronache che si verificò un'eclissi al tempo di Tiberio Cesare; ma non nota che avvenne in tempo di plenilunio». Per cui questa lacuna può spiegarsi col fatto che gli astrologi del tempo non si cur.rrono di osservare il fenome­ no, non essendo quello tempo di eclissi, ma attribuirono l'oscuramento a qualche pertur­ bazione atmosferica. In Egitto però, dove raramente il cielo è coperto di nubi, se ne accorse Dionigi con i suoi compagni, i quali osservarono quanto poi ci hanno riferito su quell'oscuramento. 3. Era particolarmente necessario mostrare con miracoli la divinità di Cristo quando in lui appariva maggiormente la debolezza della sua natura umana. E così alla sua nascita apparve un nuovo astro nel cielo. Da cui le parole di Massimo: «Se disprezzi il presepio, alza un poco gli occhi e guarda la nuova stella del cielo che annuncia al mondo la nascita del Signore». - Durante la passione poi la debo­ lezza umana di Cristo apparve ancora più grande. Per cui furono necessari allora mira­ coli più strepitosi riguardanti i grandi luminari del mondo. E come nota il Crisostomo, «que­ sto fu il segno che [Cristo] aveva promesso di dare a coloro che lo chiedevano quando rispo­ se: Questa generazione perversa e adultera chiede un segno, ma nessun altro segno le

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ideo in Christi nativitate stella nova in caelo ap­ pamit. Unde Ma:ximus dicit, in Sermone na­ tivitatis [H. 13], si praesepe despicis, erige

paulisper oculos, et novam in caelo stellam, protestantem mundo nativitatem dominicam, contuere. - In passione autem adhuc maior in­

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sarà dato se non quello del profeta Giona, riferendosi alla crocifissione e alla risurrezio­ ne. Era infatti molto più meraviglioso che questo segno apparisse quando egli era croci­ fisso che non quando camminava su questa terra>>.

firmitas circa humanitatem Christi apparuit. Et ideo oportuit ut maiora miracula ostenderentur circa principalia mundi luminaria. Et, sicut Chrysostomus dicit, Super Matth. [h. 88; ver­ botenus apud Thomam, Cat. Aurea, In Matth. 27,9 super v. 45], hoc est signum quod pe­ tentibus promittebat dare, dicens [Matth. 1 2,39], generatio prava et adultera signum

quaerit, et signum non dabitur ei, nisi signum Ionae prophetae, crucem significans et resur­ rectionem. Etenim multo mirabilius est in eo qui cntcifixus erat hoc fieri, quam ambulante eo super terram. Articulus 3 Utrum convenienter circa homines Christus miracula fecerit

Articolo 3 Cristo ha compiuto i miracoli sugli uomini in modo conveniente?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod incon­ venienter circa homines Christus miracula fecit. l . In homine enim potior est anima quam corpus. Sed circa corpora multa miracula fecit Christus, circa animas vero nulla miracula legitur fecisse, nam neque aliquos incredulos ad fidem virtuose convertit, sed admonendo et exteriora miracula ostendendo; neque etiam aliquos fatuos legitur sapientes fecisse. Ergo videtur quod non convenienter sit circa homi­ nes miracula operatus. 2. Praeterea, sicut supra [q. 43 a. 2] dictum est, Chtistus faciebat miracula virtute divina, cuius proprium est subito operari, et perfecte, et absque adminiculo alicuius. Sed Chtistus non semper subito curavit homines quantum ad corpus, dicitur enim Marci 8 [22 sqq.] quod, apprehensa manu caeci, eduxit eum

Sembra di no. Infatti: l . Nell'uomo l ' anima è superiore al corpo. Ora, noi leggiamo che Cristo fece molti mira­ coli sui corpi, ma nessuno sulle anime: egli infatti non convertì alcun incredulo alla fede in modo miracoloso, bensì con l' ammonizio­ ne e con prodigi esterni; e neppure si legge che abbia fatto rinsavire i pazzi. Quindi sem­ bra che i miracoli sugli uomini non siano stati compiuti in modo conveniente. 2. Come si è già detto, Cristo operava i mira­ coli con la potenza di Dio, alla quale conviene operare subito, in maniera perfetta e senza aiuto alcuno. Ora, Cristo non guarì sempre i corpi in un istante: infatti in Mc 8 [22 ss.] è detto che preso il cieco per la mano, lo con­

extra vicum, et exspuens in oculos eius, impositis manibus suis, intermgavit eum si aliquid videret. Et aspiciens ait, video homines velut arbores ambulantes. Deinde iterum imposuit manus super oculos eius, et coepit videre, et restitutus est ita ut videret clare omnia. Et sic patet quod non subito eum curavit, sed primo quidem imperfecte, et per sputum. Ergo videtur non convenienter circa homines miracula fecisse.

dusse fuori del villaggio, e dopo avergli mes­ so della saliva sugli occhi e avergli imposto le mani, gli domandò se vedesse qualcosa. Quello guardando disse: ''Vedo gli uomini come degli alberi che camminano". Quindi gli pose di nuovo le mani sugli occhi e quegli cominciò a vedere e fu guaritp, tanto da vede­ re ogni cosa distintamente. E chiaro dunque che non lo guarì in un istante, ma dapprima in maniera i mperfetta, e con lo sputo. Sembra quindi che non abbia compiuto i miracoli sugli uomini in modo conveniente.

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3 . Praeterea, quae se invicem non conse­ quuntur, non oportet quod simul tollantur. Sed aegritudo corporalis non semper ex peccato causatur, ut patet per illud quod Dominus dicit, Ioan. 9 [2-3], neque hic peccavit, neque paren­ tes eius, ut caecus nasceretur. Non ergo opor­ tuit ut hominibus corpomm curationem quae­ rentibus peccata dimitteret, sicut legitur fecisse circa paralyticum, Matth. 9 [2], praesertim quia sanatio corporalis, cum sit minus quam remis­ sio peccatorum, non videtur esse sufficiens argumentum quod possit peccata dimittere. 4. Praeterea, miracula Christi facta sunt ad confirmationem doctrinae ipsius, et te."ìtimo­ nium divinitatis eius, ut supra [q. 43 a. 4] dic­ tum est. Sed nullus debet impedire finem sui operis. Ergo videtur inconvenienter Christus quibusdam miraculose curatis praecepisse ut nemini dicerent, ut patet Matth. 9 [30] et Mar­ ci 8 [26], praesertim quia quibusdam aliis mandavit ut miracula circa se facta publica­ rent, sicut Marci 5 [19] legitur quod dixit ei quem a daemonibus liberaverat, vade in do­

mum tuam ad tuos, et nuntia eis quanta Dominus tibifecerit. Sed contra est quod dicitur Marci 7 [37], bene omniafecit, et surdosfecit audire, et mutos loqui. Respondeo dicendum quod ea quae sunt ad fi­ nem, debent fini esse proportionata. Christus autem ad hoc in mundum venerat et docebat, ut homines salvos faceret, secundum illud Ioan. 3 [ 17], non enim misit Deus Filium suum in mundum ut iudicet mundum, sed ut salvetur mundus per ipsum. Et ideo conveniens fuit ut Christus, particulariter homines miraculose curando, ostenderet se esse universalem et spiritualem omnium Salvatorem. Ad primum ergo dicendum quod ea quae sunt ad fmem, distinguuntur ab ipso fine. Miracula autem a Christo facta ordinabantur, sicut ad finem, ad rationalis partis salutem, quae con­ sistit in sapientiae illustratione et hominum iustiticatione. Quorum primum praesupponit secundum, quia, ut dicitur Sap. l [4], in ma­ levolam animam non intrabit sapientia, nec habitabit in corpore subdito peccatis. lusti­ ficare autem homines non conveniebat nisi eis volentibus, hoc enim esset et contra rationem iustitiae, quae rectitudinem voluntatis impor­ tat; et etiam contra rationem humanae na­ turae, quae libero arbitrio ad bonum ducenda est, non autem per coactionem. Christus ergo

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3. Non è necessario estirpare insieme mali che non si implicano a vicenda. Ora, l'infermità fi­ sica non è sempre prodotta dal peccato, poiché il Signore dice: Né lui né i suoi genitori hanno peccato, perché nascesse cieco (Gv 9,2). Non era quindi necessario che agli uomini interes­ sati alla guarigione fisica rimettesse i peccati, come fece col paralitico (Mt 9,2): e special­ mente perché, essendo la guarigione fisica inferiore alla remissione dei peccati, non sem­ bra che basti a provare che egli può rimettere i peccati. 4. Come si è detto sopra, Cristo operò mira­ coli per confermare il suo insegnamento e testimoniare la sua divinità. Ma nessuno deve impedire Io scopo del proprio operare. Non sembra quindi ragionevole la proibizione data da Cristo a certi suoi miracolati di parlare della guarigione ottenuta, come risulta da Mt 9 [30] e da Mc 8 [26] ; specialmente se pensiamo che ad altri comandò invece di ren­ dere palesi i miracoli operati su di essi, come fece con colui che aveva liberato dal demo­ nio: Va ' a casa tua, presso i tuoi, e annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto (Mc 5, 1 9). In contrario: in Mc 7 [37] è detto: Hafatto be­ ne ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti! Risposta: i mezzi devono essere proporzionati al fine. Ora, Cristo era venuto nel mondo, e insegnava, per salvare gli uomini, secondo le parole: Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3 , 1 7). Quindi era giusto che Cristo mostrasse di essere il Salvatore universale e spirituale di tutti specialmente guarendo gli uomini in modo miracoloso. Soluzione delle difficoltà: l . I mezzi sono di­ stinti dal fine da raggiungere. Ora, i miracoli operati da Cristo erano dei mezzi ordinati alla salvezza dell'anima, salvezza che consiste nell'illuminazione della sapienza e nella giu­ stificazione. E la prima di queste due cose sup­ pone la seconda, poiché la sapienza non en­ trerà in un 'anima che opera il male, né abiterà in wz corpo schiavo del peccato (Sap 1 ,4). Non era poi opportuno giustificare gli uomini contro la loro volontà: ciò infatti sarebbe contrario alla giustizia, che esige la rettitudine della volontà; e contro la natura umana, che va condotta al bene con il libero arbitrio, non

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virtute divina interius hominem iustificavit, non tamen eis invitis. Nec hoc ad miracula pertinet, sed ad miraculorum finem. Similiter etiam virtute divina simplicibus discipulis sa­ pientiam infudit, unde dicit eis, Luc. 2 1 [ 1 5] ego dabo vobis os et sapientiam cui non po­ terunt resistere et contradicere omnes adver­ sarii vestri. Quod quidem, quantum ad inte­ riorem illuminationem, inter visibilia mira­ cula non numeratur, sed salurn quantum ad exteriorem actum, inquantum scilicet vide­ bant homines eos qui fuerant illiterati et simplices, tam sapienter et constanter loqui. Unde dicitur Act. 4 [ 1 3], videntes Iudaei Petri constantiam et Ioannis, comperto quod homi­ nes essent sine litteris et idiotae, admiraban­ tur. - Et tamen huiusmodi spirituales effectus, etsi a miraculis visibilibus distinguantur, sunt tamen quaedam testimonia doctrinae et vir­ tutis Christi, secundum illud Hebr. 2 [4], con­ testante Deo signis et portentis et variis vir­ tutibus, et Spiritus Sancti distributionibus. Sed tamen circa animas hominum, maxime quantum ad immutandas inferiores vires, Christus aliqua miracula fecit. Unde Hierony­ mus, super illud Matth. 9 [9], surgens secutus est eum, dicit [ I ], fitlgor ipse et maiestas di­ vinitatis occultae, quae etiam in facie reluce­ bat humana, videntes ad se trahere poterat ex primo aspectu. - Et super illud Matth. 21 [ 1 2] , eiiciebat omnes vendentes et ementes, dicit idem Hieronymus [3], mihi inter omnia signa quae feci! Dominus hoc videtur esse mirabilius, quod unus homo, et ilio tempore contemptibilis, potuerit ad unius flagelli verbera, tantam eiicere multitudinem. Igneum enim quiddam atque sidereum radiabat ex oculis eius, et divinitatis maiestas lucebat in facie. Et Origenes dicit, Super Ioan. [In Ioan. t. l 0], hoc esse maius miraculum eo quo aqua conversa est in vinum, eo quod illic subsistit inanimata materia, hic vero tot millium hominum domantur ingenia. - Et super illud loan. 1 8 [6], abierunt retrorsum et cecidenmt in terram, dicit Augustinus [In Ioan. tract. 1 1 2 su per 1 8 ,4] , una vox turba m odiis ferocem annisque terribilem, sine telo ullo, percussit, repulit, stravit, Deus enim latebat in carne. - Et ad idem pertinet quod dicitur Luc. 4 [30] , quod Iesus transiens per medium illorum ibat, ubi dicit Chrysostomus [In Ioan. h. 48] quod stare in medio insidiantium et -

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con la forza. Ora, Cristo giustificò interior­ mente gli uomini col suo potere divino, ma non contro la loro volontà. E questo non è propriamente un miracolo, ma Io scopo dei miracoli. Così pure infuse la sapienza nei di­ scepoli con la sua virtù divina; per cui disse loro: Vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere (Le 2 1 , 1 5). Però questa illu­ minazione interiore non è computata fra i miracoli visibili, ma Io è soltanto il suo aspet­ to esterno, in quanto cioè gli uomini vede­ vano parlare con tanta sapienza e costanza persone prima illetterate e semplici. Per cui in At 4 [ 1 3] è detto: Vedendo, i Giudei, la fran­ chezza di Pietro e di Giovanni, e consideran­ do che erano senza istruzione e popolani, rimanevano stupefatti. - Tuttavia questi effetti spirituali, benché siano distinti dai miracoli visibili, sono come una testimonianza della dottrina e del potere di Cristo, come è detto in Eb 2 [4]: Mentre Dio testimoniava nello stes­ so tempo con segni e prodigi e miracoli d'ogni genere, e doni dello Spirito Santo. Comunque Cristo operò alcuni miracoli [an­ che] sulle anime degli uomini, soprattutto modificando le potenze inferiori. Per cui Gi­ rolamo, spiegando le parole: Alzatosi lo seguì (Mt 9,9), dice: «Lo stesso splendore e la maestà della divinità nascosta, che traspruiva anche dal volto umano, era sufficiente ad at­ trarre a sé al primo sguardo coloro che lo ve­ devano». - E spiegando l'altro passo: Scacciò tutti quelli che vendevano e compravano (Mt 2 1 , 12), aggiunge: «Di tutti i prodigi ope­ rati dal Signore, questo mi pru·e il più straordi­ nario, che cioè un uomo solo, e a quel tempo senza prestigio, abbia potuto, con un flagello, scacciare tanta gente. Infatti i suoi occhi do­ vevano gettare come una fiamma celeste, e sul suo volto doveva brillare una maestà divi­ mt». E Origene afferma «che questo miracolo è più grande di quello di aver mutato l'acqua i n vino: là infatti si tratta di una materia inanimata, qui invece è dominato lo spirito di tante migliaia di uomini». - Commentando poi le parole: Indietreggiarono e caddero a terra (Gv 1 8,6), Agostino dice: «Una sola voce, senza alcuna arma, percosse, respinse, abbatté una turba inferocita e terribilmente armata: poiché sotto le apparenze del corpo era nascosto Dio». - E lo stesso si dica del-

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non apprehendi, divinitatis eminentiam osten­ debat. Et quod dicitur Ioan. 8 [59] , Iesus abscondit se et exivit de Tempio, ubi Augusti­ nus dicit [cf. Cat. Aurea, In Ioan. 8,14 super v. 59, sub nomine Augustini; cf. Theophylac­ tum, In Ioan. super 8,59], non abscondit se in angulo Templi quasi timens, vel post murum aut columnam divertens, sed, caelica pote­ state se invisibilem insidiantibus constituens, per medium illorum exivit. - Ex quibus omnibus patet quod Christus, quando voluit, vit1ute divina animas hominum immutavit, non solum iustificando et sapientiam infun­ dendo, quod pertinet ad miraculorum finem, sed etiam exterius alliciendo vel terrendo vel stupefaciendo, quod pertinet ad ipsa miracula. Ad secundum dicendum quod Christus ve­ nerat salvare mundum non solum virtute di­ vina, sed per mysterium incamationis ipsius. Et ideo frequenter in sanatione infirmorum non sola potestate divina utebatur, curando per modum imperii, sed etiam aliquid ad humanitatem ipsius pertinens apponendo. Unde super illud Luc. 4 [40], singulis manus imponens curabat omnes, dicit Cyrillus [In Luc. super 4,40; verbotenus apud Thomam, Cat. Aurea, In Luc. 4,9 super v. 40], quamvis, ut Deus, potuisset omnes verbo pellere mor­ bos, tangit tamen eos, ostendens propriam camem ejjicacem ad praestanda remedia. Et super illud Marci 8 [23 sqq.], exspuens in oculos eius impositis manibus etc . , dicit Chrysostomus [cf. Cat. Aurea, In Mare. 8,3 super v. 23, sub nomine Chrysostomi; Victor Antiochenus (?), Cat. In Mare. super l ,23], spuit quidem et manus imponit caeco, volens ostendere quod verbum divinum, operationi adiunctum, mirabilia perficit, manus enim operationis est ostensiva, sputum semwnis ex ore prolati. - Et super illud loan. 9 [6], fecit lutum ex sputo et linivit lutum super oculos caeci, dicit Augustinus [In Ioan. tract. 44 super 9,6], de saliva sua lutum fecit, quia Verbum caro factum est. Vel etiam ad significandum quod ipse erat qui ex limo terrae hominem formaverat, ut Chrysostomus dicit [In Ioan. h. 56] . - Est etiam circa m iracula Chri sti consi derandum quod communi ter perfectissima opera faciebat. Unde super illud Ioan. 2 [ 1 0], omnis homo primum bonum vinum ponit, dicit Chrysosto­ mus [In Ioan. h. 22; verbotenus apud Tho-

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l'episodio in cui Gesù, passando in me'Z20 a loro, se ne andò (Le 4,30), a proposito del quale il Crisostomo scrive: «Starsene tra i nemici che lo cercavano a morte e sfuggir lo­ ro di mano, dimostrava la superiorità assoluta della natura divina>>. Quanto poi all'episodio in cui Gesù si nascose e uscì dal Tempio (Gv 8,59), Agostino scrive: «Non si nascose, come uno che ha paura, i n un angolo del Tempio o dietro un muro o una colonna, ma rendendosi con un potere celeste invisibile a quelli che lo cercavano, uscì passando in mezzo a loro». - Da tutti questi fatti risulta dunque chiaro che Cristo, quando volle, mutò per virtù divina le anime degli uomini, non soltanto giustificandole e infondendo loro la sapienza, la qual cosa costituiva lo scopo dei miracoli, ma anche attirandole esteriormente, atterrendole o provocandone lo stupore, cioè compiendo in esse dei veri miracoli. 2. Cristo era venuto a salvare il mondo non con la virtù divina soltanto, ma mediante il mistero della sua incarnazione. Per questo spesso nel guarire gli infermi non usava sol­ tanto la virtù divina comandando la guarigio­ ne, ma si serviva anche di cose appartenenti alla sua umanità. Per cui, commentando le parole: Imponendo le mani a ciascuno di loro, li guariva tutti (Le 4,40), Cirillo scrive: «Ben­ ché come Dio avesse potuto eliminare tutte le malattie con una parola, tuttavia li tocca, per dimostrare che il suo corpo era atto a portare rimedio». - E a proposito del passo: Dopo avergli messo della saliva sugli occhi e impo­ sto le mani... (Mc 8,23), il Crisostomo dice: «Sputò e impose le mani al cieco per indicare che la parola divina unita ali' azione compie meraviglie: la mano infatti indica l'azione, e lo sputo indica la parola che proviene dalla bocca>>. - Agostino poi, commentando il pas­ so: Fece del fango con la saliva e ne spalmò gli occhi del cieco (Gv 9,6), afferma: «Fece del fango con la saliva perché il Verbo si è fatto carne». Oppure si può dire col Crisosto­ mo che con quel gesto volle significare che egli era colui che aveva formato l'uomo «dal fango della terra». - Dei miracoli di Cristo bisogna notare poi che ordinariamente le opere che egli compiva erano perfettissime. Perciò il Crisostomo, nel commentare le pa­ role: Tutti servono da principio il vino buono (Gv 2,1 0), scrive: «I miracoli di Cristo sono

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mam, Cat. Aurea, In Ioan. 2,2 super v. 1 0] , talia sunt Christi miracula ut multo his quae per naturam fiunt, speciosiora et utiliorafiant. Et similiter in instanti infirmis perfectam sani­ tatem conferebat. Unde super illud Matth. 8 [ 1 5], surrexit et ministrabat illis, dicit Hiero­ nymus [ l ], sanitas quae confertur a Domino, tota simul redit. Specialiter autem in ilio caeco contrarium fuit propter infidelitatem ipsius, ut Chrysostomus [cf. Cat. Aurea, In Mare 8,3 super v. 23, sub nomine Chrysosto­ mi; cf. Victorem Antiochenum (?), Cat. In Mare. super 8,24] dicit. Vel, sicut Beda dicit [In Mare. 2 super 8,23], quem uno verbo totum simul curare poterat, paulatim curat, ut magnitudinem humanae caecitatis ostendat, quae vix, et quasi per gradus ad lucem redeat, et gratiam suam nobis indicet, per quam singula pe1jectionis incrementa adiuvat. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 43 a. 2] dictum est, Christus miracula faciebat virtute divina. Dei autem pe1jecta sunt opera, ut dicitur Deut. 32 [4]. Non est autem aliquid perfectum, si finem non consequatur. Finis autem exterioris curationis per Christum factae est curatio animae. Et ideo non conve­ niebat Christo ut alicuius corpus curaret, nisi eius curaret animam. Unde super illud Ioan. 7 [23], totum hominem sanum feci in sabbato, dicit Augustinus [In Ioan. tract. 30 super 7,23], quia curatus est, ut sanus esser in cor­ pore; et credidit, ut sanus esset in anima. Specialiter autem paralytico dicitur [Matth. 9,5], dimittuntur tibi peccata, quia, ut Hiero­ nymus dicit, Super Matth. [ l , super 9,5], da­ tur ex hoc nobis intelligentia propter peccata plerasque evenire corporum debilitates, et ideo forsitan prius dimittuntur peccata, ut, causis debilitatis ablatis, sanitas restituatur. Unde et loan. 5 [ 1 4] dicitur, iam noli peccare, ne deterius tibi aliquid contingat. Ubi, ut dicit Chrysostomus [In Ioan. h. 38], discimus quod ex peccato nata erat ei aegritudo. - Quamvis autem, ut Chrysostomus dicit, Super Matth. [h. 29], quanto anima est potior corpore, tanto peccatum dimittere maius sit quam cor­ pus sanare, quia tamen illud non est manife­ stum, facit minus quod est manifestius, ut de­ monstraret maius et non manifestum. Ad quartum dicendum quod, super i llud Matth. 9, videte ne quis sciar, dicit Chrysosto­ mus [In Matth. h. 32] non esse hoc contra-

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tali da superare di molto in bellezza e utilità le opere della natura». E così anche la guarigio­ ne degli infermi era perfetta e istantanea. Per cui Girolamo, commentando le parole: Si levò e si mise a servirli (Mt 8, 1 5), afferma: «La salute conferita dal Signore ritorna tutta insie­ me». - Si comportò invece diversamente con quel cieco forse a causa della sua incredulità, come dice il Crisostomo. Oppure, come spie­ ga Beda, «egli guarì gradualmente colui che avrebbe potuto curare tutto in una volta per dimostrare la grandezza della cecità umana, che ritorna alla luce con difficoltà e per gradi; o anche per indicare l a sua grazia, con la quale aiuta ogni progresso nella nostra perfezione». 3. Come si è detto, Cristo operava i miracoli con la virtù divina. Ora, le opere di Dio sono peifette (Dt 32,4). Una cosa però non è perfet­ ta se non raggiunge il suo fine, e d'altra parte il tine della guarigione tisica operata da Cristo è sempre la guarigione dell'anima. Quindi non era conveniente che Cristo guarisse il corpo di una persona senza curarne l'anima. Per questo Agostino, commentando le parole: Ho guarito interamente un uomo di sabato ( Gv 7 ,23), osserva: «Con la guarigione riacquistò la salu­ te fisica; con la fede acquistò la salvezza del­ l'anima». - Al paralitico poi fu detto in manie­ ra speciale: Ti sono rimessi i tuoi peccati, «per farci capire», nota Girolamo, «che molte infer­ mità fisiche sono causate dal peccato: e forse sono prima rimessi i peccati affinché, una volta eliminata la causa delle infermità, sia poi restituita la salute». Da cui le parole: Non pec­ care più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio (Gv 5 , 1 4), in base alle quali «si capisce che quella malattia era stata prodotta dal peccato», conclude il Crisostomo. - Benché dunque, come nota lo stesso Santo, «la remissione dei peccati superi la guarigione del corpo nella misura in cui l'anima è supe­ riore al corpo, tuttavia, siccome la prima è un'opera occulta, [Cristo] fece l'opera meno difficile, ma più evidente, per dimostrare ciò che era superiore, ma occulto». 4. Commentando le parole del Signore: Ba­ date che nessuno lo sappia (Mt 9,30), il Cri­ sostomo scrive: «Questa raccomandazione non è contraria a quell'altra: "Va' e annunzia la gloria di Dio". Egli infatti ci vuole insegna­ re a far tacere chi ci vuole lodare per noi stessi.

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rium quod hic dicitur, ei quod alteri dicit [Luc. 9,60], vade et annuntia gloriam Dei. Erudir enim nos prohibere eos qui volunt nos propter nos laudare. Si autem ad Deum glo­ ria refertur, non debemus prohibere, sed magis iniungere ut hocfiat.

Se però questa nostra lode è fatta per glorifi­ care Dio, allora non dobbiamo impedirla, ma anzi incoraggiarht».

Articulus 4 Utrum convenienter fecerit Christus miracula circa creaturas irrationales

Articolo 4 Era conveniente che Cristo operasse miracoli sulle creature prive di ragione?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter fecerit Christus miracula circa creaturas irrationales. l . Bruta enim animalia sunt nobiliora plantis. Sed Christus fecit aliquod miraculum circa plantas, puta cum ad verbum eius est siccata ficulnea, ut dicitur Matth. 2 1 [ 1 9]. Ergo vide­ tur quod Christus etiam circa animalia bruta miracula tacere debuisset. 2. Praeterea, poena non iuste infertur nisi pro culpa. Sed non fuit culpa ficulneae quod in ea Christus fructum non invenit, quando non erat tempus fructuum. Ergo videtur quod inconve­ nienter eam siccaverit. 3. Praeterea, aer et aqua sunt in medio caeli et terrae. Sed Christus aliqua miracula fecit in cae­ lo, sicut supra [a. 2] dictum est. Similiter etiam in terra, quando in eius passione terra mota est. Ergo videtur quod etiam in aere et aqua aliqua miracula tacere debuerit, ut mare dividere, sicut fecit Moyses; vel etiam flumen, sicut fecerunt Iosue et Elias; et ut fierent in aere tonitrua, sicut factum est in monte Sinai quando lex dabatur, et sicut Elias fecit, 3 Reg. 1 8 [45]. 4. Praeterea, opera miraculosa pertinent ad opus gubemationis mundi per divinam provi­ dentiam. Hoc autem opus praesupponit crea­ tionem. Inconveniens ergo videtur quod Chri­ stus in suis miraculis usus est creatione, quan­ do scilicet multiplicavit panes. Non ergo con­ venientia videntur fuisse eius miracula circa irrationales creaturas. Sed contra est quod Christus est Dei sapientia [ l Cor. 1 ,24], de qua dicitur, Sap. 8 [ 1 ], quod

Sembra di no. Infatti: l . Gli animali bruti sono superiori alle piante. Ma Cristo operò dei miracoli sulle piante: p. es. quando fece seccare il fico (Mt 2 1 , 1 9). Sembra quindi che avrebbe dovuto operarli anche sugli animali. 2. Un castigo non è giusto se non c'è una colpa. Ma non fu colpa del fico se in esso Cri­ sto non trovò frutti quando non era il tempo [Mc 1 1 , 1 3] . Quindi non sembra giusto che egli lo abbia fatto seccare. 3. L'aria e l'acqua sono fra il cielo e la terra. Ora, come si è spiegato sopra, Cristo operò dei miracoli nel cielo. Perciò avrebbe dovuto fame anche nell'aria e nell'acqua: p. es. divi­ dendo il mare, come fece Mosè, oppure un fiume, come fecero Giosuè ed Elia; e produ­ cendo tuoni n eli' aria, come avvenne sul monte Sinai quando fu data la legge, e come fece Elia (l Re 1 8,45). 4. I miracoli rientrano nel governo del mondo da parte della provvidenza divina. Ma que­ st' opera suppone sempre la creazione. Non sembra quindi giusto che Cristo nei suoi miracoli ricorresse alla creazione: p. es. quan­ do moltiplicò i pani [Mt 14, 15; 1 5,32]. Quindi sembra che i suoi miracoli sulle creature prive di ragione non fossero convenienti. In contrario: Cristo è la sapienza di Dio [l Cor l ,24], della quale è detto che dispone tutto con bontà (Sap 8,1 ). Risposta: abbiamo già detto che lo scopo dei miracoli di Cristo era quello di far conoscere la sua divina virtù ordinata alla salvezza degli uomini. Ora, rientra nella virtù di Dio che a lui siano soggette tutte le creature. Quindi era ne­ cessario che egli compisse miracoli su tutte le categotie di creature, e non solo sugli uomini, ma anche sulle creature prive di ragione. Soluzione delle difficoltà: l . Gli animali bruti, secondo il genere, sono vicini all' uomo: per

disponit omnia suaviter. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 3] dictum est, miracula Christi ad hoc or­ dinabantur quod virtus divinitatis cognoscere­ tur i n ipso ad hominum salutem. Pertinet autem ad virtutem divinitatis ut omnis crea­ tura sit ei subiecta. Et ideo in omnibus crea-

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Le singole specie di miracoli

turarum generibus miracula eum facere opor­ tuit, et non solum in hominibus, sed etiam in irrationabilibus creaturis. Ad primum ergo dicendum quod animalia bruta propinque se habent secundum genus ad hominem, unde et in eodem die cum homine facta sunt. Et quia circa corpora humana multa miracula fecerat, non oportebat quod circa corpora brutorum animalium aliqua miracula faceret, praesettim quia, quantum ad naturam sensibilem et corporalem, eadem ratio est de hominibus et animalibus, praecipue terrestri­ bus. Pisces autem, cum vivant in aqua, magis a natura hominum differunt, unde et alio die sunt facti. In quibus miraculum Christus fecit in copiosa piscium captura, ut legitur Luc. 5 [4 sqq.] et Ioan. 21 [6], et etiam in pisce quem Petrus coepit et in eo invenit staterem. Quod autem porci in mare praecipitati sunt, non fuit operatio divini miraculi, sed operatio daemo­ num ex permissione divina. Ad secundum dicendum quod, sicut Chryso­ stomus dicit, Super Matth. [h. 67], cum in plantis ve/ bnttis aliquid tale Dominus opera­ tur, non quaeras qualiter iuste siccata estficus, si tempus non erat, hoc enim quaerere est ulti­ mae dementiae, quia scilicet in talibus non in­ venitur culpa et poena, sed miraculum inspice, et admirare miraculi factorem. Nec facit Creator iniuriam possidenti, si creatura sua suo arbitrio utatur ad aliorum salutem, sed magis, ut Hilarius dicit, Super Matth. [2 1 ] , in hoc bonitatis divinae argumentum reperimus. Nam ubi afferre voluit procuratae per se salutis exemplum, virtutis suae potestatem in humanis corporibus ex:ercuit, ubi vero in contumaces formam severitatis constituebat, futuri speciem damno arboris indicavit. Et praecipue, ut Chrysostomus dicit [In Matth. h. 67] , in ficulnea, quae est humidissima, ut miraculum maius appareat. Ad tertium dicendum quod Christus etiam in aqua et in aere fecit miracula quae sibi conve­ niebant, quando scilicet, ut legitur Matth. 8 [26], imperavit ventis et mari, et facta est tranquillitas magna. Non autem conveniebat ei qui ornnia in statum pacis et tranquillitatis revocare venemt, ut vel turbationem aeris, vel divisionem aquarum faceret. Unde apostolus dicit, Hebr. 1 2 [ 1 8], non accessistis ad tracta­ bilem et accessibilem ignem, et turbinem et caliginem et procellam. Circa passionem ta-

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cui anche furono creati nello stesso giorno dell'uomo. Dato quindi che Cristo aveva fatto molti miracoli sui corpi umani, non era neces­ sario farne su quelli degli animali bruti: so­ pmttutto perché quanto alla natura sensibile e corporea non c'è differenza tra gli uomini e gli animali, specialmente terrestri. I pesci in­ vece, siccome vivono nell' acqua, sono più dissimili dalla natura umana: per cui furono anche creati in un giorno diverso. Su di essi dunque Cristo operò prodigi, sia nella pesca miracolosa [Le 5,4; Gv 2 1 ,6], sia nel pesce pescato da Pietro, nel quale questi trovò uno statere [Mt 1 7,26]. Il precipitarsi invece dei porci nel mare non fu un miracolo di Dio, ma un'opera compiuta dal demonio con la per­ missione divina. 2. Rispondiamo col Crisostomo che «quando il Signore opera un prodigio sulle piante o sui bruti, come quando fece inaridire il fico ri­ chiesto di frutti fuori di stagione, non vi è da cercare se ci sia stata o no giustizia: poiché chiedere ciò sarebbe un atto di estrema de­ menza», dato che in questi esseri non esiste né la colpa né la pena; «guarda piuttosto il miracolo e ammirane l'autore». Né il Creato­ re fa un' ingiustizia al padrone dell' albero usando a suo arbitrio di una sua creatura per la salvezza degli altri. Anzi, secondo Ilario, «qui troviamo un altro segno della bontà di Dio. Quando infatti volle offrirei un esempio della salvezza che ci procurava esercitò la virtù del suo potere sui corpi umani; quando invece volle fissare la norma della sua severità verso gli ostinati diede come esempio della rovina futura la distruzione di un albero». E lo fece su di un fico perché, come nota il Criso­ stomo, «essendo esso un albero molto umido, il miracolo apparisse più grande». 3. Anche sull'acqua e sull'aria Cristo compì i miracoli che a lui si confacevano: quando cioè, come si legge in Mt 8 [26]: Comandò ai venti e al mare e sifece una grande bonaccia. Non era infatti conveniente che egli, venuto a portare ovunque la pace e la tranquillità, scon­ volgesse l'aria e dividesse le acque. Per cui è detto: Non vi siete accostati a un luogo tangi­ bile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tene­ bra e tempesta (Eb 1 2, 1 8). Tuttavia durante la sua passione il velo si squarciò [Mt 27,5 1 ] , per indicare l a rivelazione dei misteri della legge; i sepolcri si aprirono, per indicare che

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Le singole specie di miracoli

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men, divisum est velum [Matth. 27,5 1 ] , ad ostendendum reserationem mysteriorum legis; aperta sunt monumenta, ad ostendendum quod per eius mortem mortuis vita daretur; terra nw­ ta est et petrae scissae, ad ostendendum quod lapidea hominum corda per eius passionem emollirentur, et quod totus mundus virtute passionis eius erat in melius commutandus. Ad quartum dicendum quod multiplicatio pa­ num non est facta per modum creationis, sed per additionem extraneae materiae in panes conversae. Unde Augustinus dicit, Super Ioan. [tract. 24 super 6, 1], unde multiplicat de paucis granis segetes, inde in manibus suis multiplicavit quinque panes. Manifestum est autem quod per conversionem grana multipli­ cantur in segetes.

con la sua morte avrebbe restituito la vita ai morti; la terra tremò e le pietre si spezzarono, per indicare che i cuori umani, duri come le pietre, si sarebbero inteneriti, e che tutto il mondo in virtù della sua passione sarebbe stato mutato in meglio. 4. La moltiplicazione dei pani non avvenne per creazione [di nuova materia], bensì per aggiunta di materia estranea mutata in pane. Scrive infatti Agostino: «Come da pochi chic­ chi produce le messi, così ha moltiplicato nel­ le sue mani i cinque pani». Ora, è evidente che la moltiplicazione dei chicchi di grano nelle messi avviene mediante la trasfonnazio­ ne di una materia già esistente.

QUAESTI0 45 DE TRANSFIGURATIONE CHRISTI

QUESTIONE 45 LA TRASFIGURAZIONE DI CRISTO

Deinde considerandum est de transfiguratione Christi. - Et circa hoc quaeruntur quatuor. Pri­ mo, utrum conveniens fuerit Christum transfi­ gurari. Secundo, utrum claritas transfiguratio­ nis fuerit claritas gloriosa. Tertio, de testibus transfigurationis. Quarto, de testimonio pater­ nae vocis.

Passiamo ora a considerare la trasfigurazione di Cristo. - In proposito prenderemo in esame quattro argomenti: l . Era opportuno che Cri­ sto si trasfigurasse? 2. Il fulgore della trasfi­ gurazione era lo splendore della gloria? 3. I testimoni della trasfigurazione; 4. La testi­ monianza della voce del Padre.

Articulus l Utrum fuerit conveniens Christum transfigurari

Articolo l Era opportuno che Cristo si trasfigurasse?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod non fuerit conveniens Christum transfigurari. l . Non enim competit vero corpori ut in di­ versas figuras mutetur, sed corp01i phantastico. Corpus autem Christi non fuit phantasticum, sed verum, ut supra [q. 5 a. l ] habitum est. Ergo videtur quod transfigurari non debuit. 2. Praeterea, figura est in quarta specie quali­ tatis, claritas autem est in tertia, cum sit sensi­ bilis qualitas. Assumptio ergo claritatis a Christo transfiguratio dici non debet. 3 . Praeterea, corporis gloriosi sunt quatuor dotes, ut infra [qq. 82-85] dicetur, scilicet im­ passibilitas, agilitas, subtilitas et claritas. Non ergo magis debuit transfigurari secundum assumptionem claritatis, quam secundum assumptionem aliarum dotium. Sed contra est quod dicitur Matth. 1 7 [2],

Sembra di no. Infatti: l . Un corpo vero, a differenza di un corpo ap­ parente, non prende fonne diverse. Ora, sopra abbiamo detto che il corpo di Cristo non era apparente, ma reale. Quindi sembra che non avrebbe dovuto trasfigurarsi. 2. La figura rientra nella quarta specie della qualità; lo splendore invece appartiene alla terza, essendo una qualità sensibile. Quindi l'assunzione dello splendore da parte di Cri­ sto non può essere detto trasfigurazione. 3. Quattro sono le proprietà del corpo glorioso, come vedremo, cioè: l'impassibilità, l'agilità, la sottigliezza e la chiarezza o splendore. Quin­ di Cristo non doveva trasfigurarsi assumendo lo splendore piuttosto che le altre proplietà. In contrario: in Mt 1 7 [2] è detto: Gesù fu trasfigurato davanti a tre dei suoi discepoli.

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La trasfigurazione di Cristo

Q. 45, A. l

quod Iesus transfiguratus est ante tres disci­ pulorum suorum. Respondeo dicendum quod Dominus discipu­ los suos, praenuntiata sua passione, induxerat eos ad suae passionis sequelam. Oportet autem ad hoc quod aliquis directe procedat in via, quod finem aliqualiter praecognoscat, sicut sagittator non recte iaciet sagittam nisi prius signum prospexerit in quod iaciendum est. Unde et Thomas dixit, Ioan. 1 4 [5], Do­

Risposta: il Signore, dopo aver predetto ai suoi discepoli la sua passione, li invitò a seguirlo. Ora, perché uno possa continuare diritto per la sua strada è necessario che in qualche modo ne conosca il fine in anticipo: come l ' arciere non può l anciare bene l a freccia s e prima non guarda il bersaglio da colpire. Da cui le parole di Tommaso: Signo­

mine, nescimus quo vadis, et quomodo pos­ sumus viam scire ? Et hoc praecipue neces­

larmente necessario quando la via è difficile e ardua, il cammino faticoso, il fine invece at­ traente. Ora Cristo, per mezzo della sua pas­ sione, arrivò alla gloria non solo dell'anima, che già possedeva fin dal principio del suo concepimento, ma anche del corpo, secondo le parole: Non bisognava che il Cristo sop­

sarium est quando via est difficilis et aspera, et iter laboriosum, finis vero iucundus. Chri­ stus autem per passionem ad hoc pervenit ut gloriam obtineret, non salurn animae, quam habuit a principio suae conceptionis, sed etiam corporis, secundum illud Luc. 24 [26],

haec oportuit Christum patì, et ita intrare in gloriam suam. Ad quam etiam perducit eos qui vestigia suae passionis sequuntur, secun­ dum illud Act. 14 [2 1], per multas tribulatio­

nes oportet nos intrare in regnum caelorum.

Et ideo conveniens fuit ut discipulis suis glo­ riam suae claritatis ostenderet (quod est ipsum transfigurari), cui suos configurabit, se­ cundum illud Phil. 3 [2 1 ] , refonnabit corpus

humilitatis nostrae, configuratum cotpori cla­ ritatis suae. Unde Beda dicit, Super Marcum [cf. In Mare. 3 super 8,39], pia provisione factum est ut, contemplatione semper manen­ tis gaudii ad breve tempus delibata, j011ius adversa tolerarent. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Hiero­ nymus dici t, S uper Matth. [3 su per 1 7 ,2] , nemo putet Christum per hoc quod transfigu­ ratus dicitur, pristinam formam etfaciem per­

didisse, vel amisisse corporis veritatem et as­ sumpsisse corpus spirituale vel aereum. Sed quomodo transformatus sit, Evangelista de­ monstrat, dicens [Matth. 17 ,2], "resplenduit facies eius sicut sol, vestimenta autem eius facta sunt alba sicut nix". Ubi splendorfaciei ostenditur, et candor describitur vestium, non substantia tollitur, sed gloria commutatur. Ad secundum dicendum quod figura circa extremitatem corporis consideratur, est enim figura quae termino ve! te1minis comprehen­ ditur. Et ideo omnia illa quae circa extremita­ tem corporis considerantur ad figuram quo­ dammodo pertinere videntur. Sicut autem color, ita et claritas corporis non transparentis

re, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via? (Gv 14,5). E ciò è partico­

portasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria ? (Le 24,26). E a questa gloria egli conduce anche coloro che seguono le orme

qella sua passione, come è detto in At 1 4 [2 1]:

E necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. Era quindi op­ portuno che mostrasse ai suoi discepoli me­ diante l a trasfigurazione la gloria del suo splendore al quale configurerà i suoi, secondo le parole di Fil 3 [2 1 ] : Trasfigurerà il nostro

misero cotpo per conformarlo al suo corpo glorioso. Per cui Beda può affermare: «Cristo

provvide pietosamente a che [i discepoli], do­ po aver gustato per breve tempo la contem­ plazione della gioia eterna, fossero più forti nel sopportare le avversità». Soluzione delle difficoltà: l . «Non si pensi», scrive Girolamo, che trasfigurandosi «Cristo abbia perso la propria forma e fisionomia, o abbia lasciato il suo corpo reale per assumer­ ne uno spirituale o aereo. L'evangelista ci dice invece in quale modo egli si sia trasfigurato: Il

suo volto risplendette come il sole, e le sue vesti divennero candide come la neve. S i parla cioè d i splendore del volto e di candore delle vesti: la sostanza è identica, ma la gloria è diversa». 2. La figura coincide con i limiti esterni del corpo: essa è infatti «ciò che è compreso en­ tro certi limiti». Quindi tutto ciò che riguarda i limiti del corpo appartiene in un certo senso alla figura. Ora, sia il colore che lo splendore di un corpo non trasparente si rivelano sulla sua supertìcie. E così l'assumere lo splendore è detto trasfigurazione.

Q. 45, A. l

La trasfigurazione di Cristo

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in eius superficie attenditur. Et ideo assumptio claritatis transfiguratio dicitur. Ad tertium dicendum quod, inter praedictas quatuor dotes, sola claritas est qualitas ipsius personae in seipsa, aliae vero tres dotes non percipiuntur nisi in aliquo actu vel motu, seu passione. Ostendit igitur Christus in seipso aliqua illarum trium dotium indicia, puta agili­ tatis, cum supra undas maris ambulavit; subtili­ tatis, quando de clauso utero Virginis exivit; im­ passibilitatis, quando de manibus Iudaeorum, vel praecipitare vel lapidare eum volentium, il­ laesus evasit. Nec tamen propter illas transfigu­ ratus dicitur, sed propter solam clruitatem, quae pertinet ad aspectum personae ipsius.

3. D i quelle quattro proprietà soltanto lo splendore appartiene alla persona in se stessa: le altre invece sono percepite solo in qualche atto, oppure in qualche moto o passione. Cristo dunque mostrò in se stesso alcuni indi­ zi delle altre proprietà: p. es. dell' agilità, quando camminò sulle onde del mare, della sottigliezza, quando nacque senza aprire il seno della Vergine, dell'impassibilità, quando uscì illeso dalle mani dei Giudei che lo vole­ vano gettare giù dal monte o lapidare. Tutta­ via in quei casi non si parla di trasfigurazione, ma lo si fa solo quando egli assunse lo splen­ dore, poiché questo riguarda l'aspetto della persona stessa.

Articulus 2 Utrum illa claritas fuerit claritas gloriosa

Articolo 2 Quella luce era lo splendore della gloria?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod illa claritas non fuit claritas gloriosa. l . Dicit enim quaedam Glossa Bedae [int. et ord.; Beda, In Matth. 3 super 17,2; cf. Alexan­ drum Helensem, Summa Theol. 3,2 1 , 1 ,2 et 3,2 1 ,4,1], super illud Matth. 17 [2], transfigu­ ratus est coram eis, in cmpore, inquit, mortali

Sembra di no. Infatti: l . Commentando le parole: Fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,2), Beda afferma: «In un corpo mortale mostrò non l'immortalità, bensì uno splendore simile a quello dell'im­ mortalità futura>>. Ma lo splendore della glo­ ria è quello dell' immortalità. Quindi quello che Cristo mostrò agli apostoli non era lo splendore della gloria. 2. Spiegando le parole: Non morranno prima di avere visto il regno di Dio (Le 9,27), Beda precisa: «cioè la glorificazione del corpo nella rappresentazione immaginaria della felicità futura». Ma l'immagine di una cosa non è la cosa stessa. Quindi non si trattava dello splen­ dore della beatitudine. 3. Lo splendore della gloria sarà circoscritto al corpo umano. Invece quello della trasfigu­ razione apparve non solo nel corpo di Cristo, ma anche nelle sue vesti e nella nube splen­ dente che coprl i discepoli. Quindi non dove­ va essere lo splendore della gloria. In contrario: nel suo commento al passo: Fu trasfigurato davanti a loro (Mt 1 7,2), Girolamo afferma: «Apparve agli apostoli come apparirà nel giudizio finale». E a proposito del passo:

ostendit, non immortalitatem, sed claritatem similem futurae immortalitati. Sed claritas

gloriae est claritas immortalitatis. Non ergo illa claritas quam Christus discipulis ostendit, fuit claritas gloriae. 2. Praeterea, super illud Luc. 9 [27], non

gustabunt mortem nisi videant regnum Dei, dicit Glossa [int.; cf. Alexandrum Halensem, Summa Theol. 3,2 1 ,2] Bedae, idest, glorifica­

tionem corporis in imaginaria repraesentatio­ ne futurae beatitudinis. Sed imago alicuius rei non est ipsa res. Ergo claritas illa non fuit cla­ ritas beatitudinis. 3 . Praeterea, claritas gloriae non est nisi in corpore humano. Sed claritas illa transfigura­ tionis apparuit non solum in corpore Christi, sed etiam in vestimentis eius, et in nube lu­ cida quae discipulos obumbravit. Ergo videtur quod illa claritas non fuit claritas gloriae. Sed contra est quod, super illud Matth. 1 7 [2], transfiguratus est ante eos, dicit Hieronymus [3], qualis futurus est tempore iudicii, talis apostolis apparnit. Et super illud Matth. 1 6 [28],

donec videant Filium hominis venientem in re­ gno stw, dicit Chrysostomus [In Matth. h. 56], volens monstrare quid est illa gloria in qua

Finché non vedranno il Figlio dell ' Uomo venire nel suo regno (Mt 16,28), il Crisostomo commenta: «Volendo mostrare che cos' è quella gloria con la quale verrà, l a manifestò in questa vita, secondo la loro capacità di com­ prenderla: affinché il dolore non li abbattesse neppure alla morte del Signore».

La trasfigurazione di Cristo

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postea ventunts est, eis in praesenti vita reve­ lavit, sicut possibile erat eos discere, ut neque in Domini morte iam doleant. Respondeo dicendum quod claritas illa quam Christus in transfiguratione assumpsit, fuit claritas gloriae quantum ad essentiam, non tamen quantum ad modum essendi. Claritas enim corporis gloriosi derivatur ab animae claritate, sicut Augustinus dicit, in Epistola ad Dioscorum [ep. 1 1 8, c. 3]. Et similiter claritas corporis Christi in transtiguratione derivata est a divinitate ipsius, ut Damascenus dicit [H. l in Transfigurationem; cf. Cat. Aurea, In Luc. 9,6 super v. 29], et a gloria animae eius. Quod enim a principio conceptionis Christi gloria animae non redundaret ad corpus, ex quadam dispensatione divina factum est, ut in corpore passibili nostrae redemptionis exple­ ret mysteria, sicut supra [q. 14 a. l ad 2] dictum est. Non tamen per hoc adempta est potestas Christo derivandi gloriam animae ad corpus. Et hoc quidem fecit, quantum ad claritatem, in transfiguratione, aliter tamen quam in corpore glorificato. Nam ad corpus glorificatum redundat claritas ab anima sicut quaedam qualitas permanens corpus afficiens. Unde fulgere corporaliter non est miraculo­ sum in corpore glorioso. Sed ad corpus Chri­ sti in transfiguratione derivata est claritas a divinitate et anima eius, non per modum qua­ litatis immanentis et afficientis ipsum corpus, sed magis per modum passionis transeuntis, sicut cum aer illurninatur a sole. Unde ille fulgor tunc in corpore Christi apparens rnira­ culosus fuit, sicut et hoc ipsum quod ambula­ vit super undas maris. Unde Dionysius dicit, in Epistola 4, ad Caium, super hominem ope­

ratur Christus ea quae sunt hominis, et hoc monstrat Virgo supernaturaliter concipiens, et aqua instabilis materialium et terrenorum pedum sustinens gravitatem. Unde non est -

dicendum, sicut Hugo de Sancto Victore [cf. Innocentium III, De sacro altaris mysterio 4,1 2; Serm. de Temp. 14; Alexandrum Halen­ sem, Summa Theol. 4,44,3; De sacrarn. 2,8,3; cf. In Univ. Test., super Mare. 9, 1 ] dixit, quod Christus assumpserit dotes claritatis in transfi­ guratione, agilitatis ambulando super mare, et subtilitatis egrediendo de clauso utero Virgi­ nis, quia dos nominat quandam qualitatem immanentem corpori glorioso. Sed miracu­ lose habuit ea quae pertinent ad dotes. Et est

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Risposta: lo splendore assunto da Cristo nella trasfigurazione era lo splendore della gloria quanto all'essenza, ma non quanto al modo di essere. Infatti lo splendore del corpo glorioso emana dallo splendore dell'anima, come af­ ferma Agostino. Ora, anche lo splendore del corpo di Cristo nella trasfigurazione, come insegna il Damasceno, derivò dalla sua divi­ nità e dalla gloria della sua anima. Si dovette infatti a una certa disposizione divina che la gloria dell'anima non ridondasse nel corpo di Cristo fin dal principio del suo concepimento: affinché egli, come si è già detto, attuasse i misteri della nostra redenzione in un corpo passibile. Con ciò però non fu tolto a Cristo il potere di trasmettere la gloria dell'anima al corpo. E questo, per quanto riguarda lo splen­ dore, egli lo fece proprio nella trasfigura­ zione: in maniera diversa però da come avvie­ ne nel corpo glorificato. Infatti al corpo glori­ ficato lo splendore dell'anima deriva come una qualità permanente del corpo. Per cui lo splendore fisico in un corpo glorificato non è miracoloso. Invece nella trasfigurazione dalla divinità e dall'anima derivò al corpo di Cristo uno splendore non a modo di qualità im­ manente e apprutenente al corpo, ma piuttosto a modo di impressione passeggera, come quando l'aria è illuminata dal sole. Ed è per questo che quel fulgore appat'So nel corpo di Cristo fu un fatto miracoloso, come fu un mi­ racolo che Cristo camminasse sulle onde del mare. Da cui le parole di Dionigi: «Ciò che è proprio dell'uomo, Cristo lo compie in modo sovrumano: è quanto dimostra la Vergine che lo concepi sce in modo soprannaturale, e l'acqua instabile che ne sostiene il peso dei piedi materiali e terreni». - Non è quindi giusto affermare con Ugo di San Vittore che Cristo assunse la dote dello splendore nella trasfigurazione, quella dell'agilità cammi­ nando sul mare e quella della sottigliezza uscendo dal seno della Vergine senza aprirlo: poiché il termine dote indica una qualità im­ manente del corpo glorioso. Egli invece in quel caso ottenne miracolosamente ciò che è proprio di quelle doti. E qualcosa di simile si verificò per l'anima nella visione di Dio avuta da Paolo durante il suo rapimento, come si è visto nella Seconda Parte. Soluzione delle difficoltà: l . Quelle parole non dimostrano che lo splendore di Cristo

Q. 45, A. 2

La trasfigurazione di Cristo

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simile, quantum ad animam, de visione qua Paulus vidit Deum in raptu, ut in seconda parte [11-11 q. 175 a. 3 ad 2] dictum est. Ad primum ergo dicendum quod ex ilio verbo non ostenditur quod claritas Christi non fuerit claritas gloriae, sed quod non fuit claritas cor­ poris gloriosi, quia corpus Christi nondum erat immortale. Sicut enim dispensative fac­ tum est ut in Christo gloria animae non re­ dundaret ad corpus, ita fieri potuit dispensati­ ve ut redundaret quantum ad dotem claritatis, et non quantum ad dotem impassibilitatis. Ad secundum dicendum quod illa claritas dicitur imaginaria fuisse, non quin esset vera claritas gloriae, sed quia erat quaedam imago repraesentans illam gloriae perfectionem secundum quam corpus erit gloriosum. Ad tertium dicendum quod, sicut claritas quae erat in corpore Christi repraesentabat futuram claritatem corporis eius, ita claritas vestiment, che Cristo «lo vinces­ se e redimesse l'uomo non con la sola poten­ za della divinità, ma anche con la giustizia e l'umiltà della passione».

Articulus 4 Utrum Christus debuerit pati in cruce

Articolo 4 Era conveniente che Cristo morisse in croce?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Christus non debuerit pati in cruce.

Sembra di no. Infatti: l . La realtà deve corrispondere alla figura.

Q. 46, A. 4

La passione di Cristo

l . Veritas enim debet respondere figurae. Sed in figuram Christi praecessemnt omnia sacri­ ficia Veteris Testamenti, in quibus animalia gladio necabantur, et postmodum igni crema­ bantur. Ergo videtur quod Christus non de­ buerit pati in croce, sed magis gladio vel igne. 2. Praeterea, Damascenus dicit [De fide 1 , 1 1 ; 3,20] quod Christus non debuit assumere detractibiles passiones. Sed mors crucis videtur maxime detractibilis et ignominiosa, unde dicitur Sap. 2 [20], morte turpissima condemnemus eum . Ergo videtur quod Christus non debuit patì mortem crucis. 3. Praeterea, de Christo dicitur, benedictus qui venit in nomine Domini, ut patet Matth. 2 1 [9]. Sed mors crucis erat mors maledictionis, secundum illud Deut. 21 [23], maledictus a Deo est qui pendet in ligno. Ergo videtur quod non fuit conveniens Christum cmcifigi. Sed contra est quod dicitur Phil. 2 [8], factus est obediens usque ad mortem, mortem autem crncis.

Respondeo dicendum quod convenientissi­ mum fuit Christum pati mortem crucis. Primo quidem, propter exemplum virtutis. Dicit enim Augustinus, in libro Octoginta trium q. [25],

sapientia Dei hominem, ad exemplwn quo recte viveremus, suscepit. Pertinet autem ad vitam rectam ea quae non sunt metuenda, 1wn metuere. Sunt autem homines qui, quamvis mortem ipsam non timeant, genus tamen mortis horrescunt. Ut ergo nullum genus mmtis recte viventi homini metuendum esset, illius hominis cruce ostendendum fuit, nihil enim erat, inter omnia genera mortis, illo genere execrabilius etfonnidabilius. - Secun­ do, quia hoc genus mortis maxime conve­ niens erat satisfactioni pro peccato primi parentis, quod fuit ex eo quod, contra manda­ rum Dei, pomum ligni vetiti sumpsit. Et ideo conveniens fuit quod Christus, ad satisfacien­ dum pro peccato ilio, seipsum pateretur ligno affigi, quasi restituens quod Adam sustulerat, secundum i llud Psalmi [68,5], quae non rapui, tunc exsolvebam. Unde Augustinus di­ cit, in quodam Sermone de Passione [cf. Cat. Aurea, In Matth. 27,7 super v. 35; cf. Serm. Suppos. 32], contemsit Adam praeceptum,

accipiens ex arbore, sed quidquid Adam per­ didit, Christus in cruce invenit. - Tertia ratio est quia, ut Chrysostomus dicit, in Sermone de Passione [H. II de Croce et Latrone 2], in

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Ma nei sacrifici dell'Antico Testamento, che prefiguravano Cristo, gli animali venivano uc­ cisi con la spada e quindi bruciati col fuoco. Quindi sembra che Cristo non dovesse subire la crocifissione, ma piuttosto dovesse essere sacrificato con la spada o con il fuoco. 2. D Damasceno afferma che Cristo non do­ veva subire «passioni degradanti». Ma la morte di croce è quanto mai degradante e ob­ brobriosa, per cui a Cristo è riferito il passo di Sap 2 [20] : Condanniamolo alla morte più ignominiosa. Quindi sembra che Cristo non dovesse subire la morte di croce. 3. A Cristo è applicata l'espressione: Bene­

detto colui che viene nel nome del Signore (Mt 21 ,9). Ma la morte di croce era una morte di maledizione, secondo le parole di Dt 2 1 [23]: È maledetto da Dio chi pende dal legno.

Perciò sembra che non fosse conveniente che Cristo subisse la crocifissione. In contrario: in Fil 2 [8] è detto: Cristo si è

fatto obbediente fino alla 1110rte, e alla molte di croce. Risposta: fu convenientissimo che Cristo su­ bisse la morte di croce. Primo, per dare un esempio di virtù. Scrive infatti Agostino: «La sapienza di Dio si è umanata per darci un esempio che ci spinga a vivere rettamente. Ora, rientra nella rettitudine non temere le co­ se che non sono da temersi. Ma ci sono degli uomini che, sebbene non temano la morte in se stessa, hanno tuttavia orrore di certi generi di morte. Perciò, affinché nessun genere di morte spaventasse l'uomo che vive rettamen­ te, fu necessario mostrarlo con la croce di Cristo: poiché fra tutti i generi di morte nessu­ no era più esecrabile e terribile». - Secondo, perché questo genere di morte era il più indi­ cato per soddisfare al peccato dei nostri pro­ genitori, che consistette nel mangiare il frutto dell'albero proibito, contro il precetto di Dio. Era perciò conveniente che per soddisfare a questo peccato Cristo accettasse di essere in­ chiodato all'albero della croce, come per re­ stituire quanto Adamo aveva sottratto, secon­ do le parole del Sal 68 [5] : Restituivo allora quanto non avevo rapito. Da cui l'afferma­ zione di Agostino: «Adamo trasgredì il pre­ cetto prendendo il frutto dall'albero, ma tutto ciò che Adamo venne allora a perdere, Cristo lo ricuperò sulla croce». - Terzo, perché, co­ me dice il Crisostomo, «con la sua crocifis-

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La passione di Cristo

excelso ligno, et non sub tecto passus est, ut etiam ipsius aeris natura mundetur. Sed et ipsa terra simile beneficium sentiebat, decur­ rentis de latere sanguinis stillatione mundata. Et super illud Ioan. 3 [ 14], oportet exaltari Filium Hominis, exaltari audiens, suspensio­ nem intelligas in altum, ut sanctificaret aerem qui sanctificaverat terram ambulando in ea [cf. Theophylactus, In Ioan., super 3 , 1 4 ; verbotenus apud Cat. Auream, I n Ioan. 3,5 super v. 1 4, sub nomine Theophylacti] . Quarta ratio est quia, per hoc quod in ea moritur, ascensum nobis parat in caelum, ut Chrysostomus [cf. Cat. Aurea, In Luc. 23,5 super v. 33, sub nomine Chrysostomi ; cf. Athanasium, Orat. de Incarn. Verbi 25] dicit. Et inde est quod ipse dicit, Ioan. 12 [32-33],

ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. - Quinta ratio est quia hoc competit universali salvationi totius mundi. Unde Gregorius Nyssenus dicit [In Christi Resurrectionem l ; verbotenus apud Cat. Au­ ream, In Luc. 23,5 super v. 33] quod figura

crucis, a medio contactu in quatuor extrema partita, significar virtutem et providentiam eius qui in ea pependit, ubique diffusam . Chrysostomus [cf. Cat. Aurea, In Luc. 23,5 super v. 33, sub nomine Chrysostomi; cf. Athanasium, Orat. de Incarn. Verbi 25] etiam dicit quod in cruce, expansis manibus, mori­

tur, ut altera manu veterem populum, altera eos qui ex gentibus sunt, trahat. - Sexta ratio est quia per hoc genus mortis diversae virtutes designantur. Unde Augustinus dicit, in libro De gratia Vet. et Novi Test. [ep. 1 40 Ad Honorat. 26], non frustra tale genus martis

elegit, ut latitudinis et altitudinis et longitudi­ nis et profunditatis, de quibus apostolus loquitur [Eph. 3, 1 8], magister existeret. Nam latitudo est in eo ligno quod transversum de­ super figitur; hoc ad bona opera pertinet, quia ibi extenduntur manus. Longitudo in eo quod ab ipso ligno usque ad terram conspi­ cuum est, ibi enim quodammodo statur, idest, persistitur et perseveratttr; quod longani­ mitati tribuitur. Altitudo est in ea ligni pane quae ab illa quae transversa figitur, sursum versus relinquitur, hoc est, ad caput cntcifixi, quia bene sperantium supema expectatio est. Iam vero illud ex ligno quod fixum occultatur, unde totum illud exurgit, significar profundi­ tatem gratuitae gratiae. Et, sicut Augustinus

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sione su un alto legno Cristo volle purificare anche l'aria. Inoltre la terra stessa fu in grado di sentire tale beneficio, essendo stata purifi­ cata dal fluire del sangl!e dal suo costato». E a commento del passo: E necessario che il Fi­ glio dell'Uomo sia innalzato (Gv 3, 14), leg­ giamo [Teofilatto]: «Sentendo parlare di in­ nalzamento devi intendere la sua sospensione i n alto per santificare l ' aria, mentre aveva santificato la terra camminando su di essa». ­ Quarto, perché morendo sulla croce Cristo, come spiega il Crisostomo [Atanasio], prepa­ ra per noi la scala del cielo. Per cui Gesù stesso dice: Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutto a me (Gv 1 2,32). - Quinto, per­ ché la crocifissione si addice all'universalità della salvezza di tutto il mondo. Infatti Grego­ rio Nisseno spiega che «la figura della croce, diramando dal centro verso le quattro estremi­ tà, sta a significare la virtù e la sollecitudine universale di colui che volle pendere da essa>>. E il Crisostomo [Atanasio] scrive poi che sul­ la croce Cristo morì «con le mani distese per attrarre con una mano il popolo dell'antico patto, e con l'altra i popoli pagani». - Sesto, perché con questo genere di morte sono indicate le diverse virtù di Cristo. Scrive infat­ ti Agostino: «Cristo scelse un tale genere di mo11e non a caso, ma per essere maestro di quella larghezza, altezza, lunghezza e profon­ dità di cui parla Paolo [Ef3, 1 8]. La larghezza è rappresentata dal legno trasversale: il quale raffigura le opere buone, poiché su di esso sono inchiodate le mani. La lunghezza è rap­ presentata dal legno verticale visibile fino a terra: esso dà il senso della stabilità e della perseveranza, ed è figura della longanimità. L'altezza è rappresentata da quella parte della croce che si eleva al disopra della traversa, cioè sopra il capo del crocifisso: essa indica la superna attesa di coloro che vivono nella santa speranza. E quella parte della croce che viene piantata e nascosta, sostenendo tutto il resto, sta a rappresentare la profondità della grazia gratuitamente otì'erta». E in un altro scritto lo stesso Agostino osserva che «la croce, su cui erano affisse le membra del sup­ pliziato, fu insieme la cattedra dalla quale il maestro insegnava>>. - Settimo, perché questo genere di morte risponde a molte figure [del­ l' Antico Testamento]. E lo rileva Agostino, ri­ cordando che un'arca di legno salvò il genere

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La passione di Cristo

dicit, Super loan. [tract. 1 1 9 super 1 9,26],

lignum in quo .fixa erant membra patientis, etiam cathedra fuit magistri docentis. -

Septima ratio est quia hoc genus mortis pluri­ mis figuris respondet. Ut enim Augustinus dicit, in Sermone de Passione [cf. Cat. Aurea, In Matth. 27,7 super v. 35; cf. Serm. Suppos. 32; De fide 4, I l ], de diluvio aquarum huma­ num genus arca lignea liberavit; de Aegypto Dei populo recedente, Moyses mare virga divisit, et Pharaonem prostravit, et populum Dei redernit; idem Moyses lignum in aquam misit et amaram aquam in dulcedinem com­ mutavit; ex lignea virga de spirituali petra salutaris unda profertur; et, ut Amalec vince­ retur, contra virgam Moyses expansis ma­ nibus extenditur; et lex Dei arcae Testamenti creditur ligneae; ut his omnibus ad lignum crucis, quasi per quosdam gradus, veniatur. Ad primum ergo dicendum quod altare holo­ caustorum, in quo sacrificia animalium offere­ bantur, erat factum de lignis, ut habetur Ex. 27 [1], et quantum ad hoc veritas respondet figu­ rae. Non autem oportet quod quantum, ad

omnia, quia iam non esset similitudo, sed veri­ las, ut Damascenus dicit, in 3 libro [De fide 26] . Specialiter tamen, ut Chrysostomus [cf. Cat. Aurea, In Luc. 23,5 super v. 33, sub no­ mine Chrysostom i ; Athanasium, Orat. de Incam. Verbi 24] dicit, non caput ei amputa­

tur, ut Ioanni; neque sectus est, ut Isaias, ut corpus integrum et indivisibile morti servet, et non fiat occasio volentibus Ecclesiam divide­ re. Loco autem materialis ignis, fuit in holo­ causto Christi ignis caritatis. Ad secundum dicendum quod Christus de­ tractibiles passiones assumere renuit quae pertinebant ad defectum scientiae vel gratiae, aut etiam virtutis. Non autem illas quae perti­ nent ad iniuriam ab exteriori illatam, quinim­ mo, ut dicitur Hebr. 1 2 [2], sustinuit crucem

confusione contempla.

Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, 14 Contra Faustum [4-5], peccatum ma­ ledictum est et per consequens mors et morta­ l i tas ex peccato proveniens, caro autem

Christi mortalis fuit, similitudinem habens camis peccati. Et propter hoc Moyses eam nominat maledictum, sicut et apostolus no­ rninat eam peccatum, dicens, 2 Cor. 5 [2 1 ] , eum qui non noverat peccatum, pro nobis peccatum fecit, scilicet per poenam peccati.

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umano dal diluvio universale. Mosè poi aprì con una verga il Mar Rosso dinanzi al popolo che usciva dall'Egitto, prostrando con essa il Faraone e redimendo il popolo di Dio; e sempre Mosè, immergendo la verga stessa nell'acqua, da amara la rese dolce; e percuo­ tendo con essa la pietra ne fece scaturire l'acqua salutare; e per vincere gli Amaleciti tenne le mani stese su di essa. Inoltre la legge di Dio fu custodita nell'arca dell'Alleanza, che era di legno. E tutte queste figure conducono come tanti graditù al legno della croce. Soluzione delle difficoltà: l . L'altare degli olo­ causti su cui venivano offerti i sacrifici degli animali era di legno, e in ciò abbiamo la cor­ rispondenza fra la realtà e la figura. Ma «non è necessario», nota il Damasceno, «che la cor­ rispondenza sia totale; altrimenti non avrem­ mo una somiglianza, ma la realtà». In partico­ lare però i l Crisostomo [Atanasio] nota che Cristo «non ebbe tagliata la testa come Gio­ vanni Battista, né fu segato a metà come Isaia, per conservare integro e indivisibile il corpo dopo la morte e togliere così ogni pretesto a chl avrebbe cercato di dividere la sua Chlesa. Al posto poi del fuoco materiale, ci fu nel­ l'olocausto di Cristo il fuoco della carità. 2. Cristo rifiutò di subire quelle passioni de­ gradanti che implicano un difetto di scienza, di grazia o di virtù, ma non quelle dovute al­ l 'ingiuria esterna, anzi si sottopose alla croce disprezzando l 'ignominia, come è detto in Eb 12 [2]. 3. Come dice Agostino, il peccato è una ma­ ledizione, per cui sono maledette la morte e la mortalità che ne derivano. «Ora, la carne di Cristo era mortale, essendo simile alla carne del peccato». Per questo Mosè la chiama maledetta, come anche Paolo la chlama pec­ cato, là dove dice: Colui che non aveva cono­

sciuto il peccato, per noi fu fatto peccato (2 Cor 5 ,2 1 ), subendo cioè la pena del pecca­

to. «Né il senso è peggiorato dal fatto che si dice "maledetto da Dio". Se infatti Dio non avesse in odio il peccato, non avrebbe inviato il suo Figlio a subire la morte e a distruggerla. Confessiamo dunque che egli accettò la male­ dizione per noi, come per noi accettò la morte». Per cui in Ga/ 3 [ 1 3] è detto: Cristo ci

riscattati dalla maledizione della legge, divenendo lui stesso maledizione.

ha

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Nec ideo maior invidia est, quia dixit, maledic­ tus est a Deo. Nisi enim Deus peccatwn odis­ set, non ad eam suscipiendam atque tollendam Filium suum mitteret. Confitere ergo ma­ ledictum suscepisse pm nobis, quem confiteris mortuum esse pro nobis [Contra Faustum 14,6]. Unde et Gal. 3 [ 1 3] dicitur, Christus nos redemit de maledicto legis, factus pro nobis maledictum. Articulus 5 Utrum Christus omnes passiones sustinuerit

Articolo 5 Cristo ha sopportato tutte le sofferenze?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Christus omnes passiones sustinuerit. l. Dicit enim Hilarius, in 10 De Trin., Unige­

Sembra di sì. Infatti: l . ilario scrive: «L'Unigenito di Dio, per com­ piere il mistero della sua morte, attestò di ave­ re assommato i n sé le sofferenze di tutti i generi quando, inclinato il capo, spirò». Quindi sembra che egli abbia sopportato tutte le sofferenze umane. 2. In /s 52 [ 1 3] è detto: Ecco, il mio servo

nitus Dei, ad peragendum martis suae sacra­ mentum, consummasse in se omne humana­ rum genus passionum testatur, cum, inclinato capite, emisit spiritum. Videtur ergo quod omnes passiones humanas sustinuerit. 2. Praeterea, ls. 52 [ 1 3-14] dicitur, ecce, intel­

liget servus meus, et exaltabitu1; et elevabitur, et sublimis erit valde. Sicut obstupuerunt super eum multi, sic inglorius erit inter vims aspectus eius, et j01ma eius inter filios homi­ num. Sed Christus est exaltatus secundum hoc

avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato. Come molti si stupirono di lui, così il suo volto sarà privo di gloria tra gli uomini, e sfigurata tra lom la sua persona. Ora, Cri­ sto fu esaltato per il fatto che ebbe ogni grazia e ogni scienza, così da attirare l'ammirazione di molti. Quindi sembra che fosse privo di gloria sopportando ogni sofferenza umana. 3. La passione di Cristo fu ordinata a liberare l'uomo dal peccato, come si è visto sopra. Ma egli venne a liberare gli uomini da ogni gene­ re di peccato. Perciò Cristo doveva soffrire ogni genere di dolori. In contrario: in Gv 1 9 [32] è detto: I soldati

quod habuit omnem gratiam et omnem scien­ tiam, pro quo super eo multi admirantes obstupuerunt. Ergo videtur quod inglorius fue­ rit sustinendo omnem passionem humanam. 3. Praeterea, passio Christi ordinata est ad liberationem hominis a peccato, ut supra [aa. 1 -3; q. 14 a. l] dictum est. Sed Christus venit liberare homines ab omni peccatorum ge­ nere. Ergo debuit pati omne genus passionum. Sed contra est quod dicitur loan. 1 9 [32-33], quod milites primi quidemfregenmt crnra et al­

spezzamno le gambe al primo e poi all'altm che erano stati crocifissi con lui; venuti però da Gesù, non gli spezzarono le gambe. Quin­

ergo passus est omnem humanam passionem. Respondeo dicendum quod passiones huma­ nae possunt considerati dupliciter. Uno modo, quantum ad speciem. Et sic non oportuit Chri­ stum omnem humanam passionem pati, quia multae passionum species sibi invicem con­ trariantur, sicut combustio in igne et submersio in aqua. Loquimur enim nunc de passionibus ab extrinseco illatis, quia passiones ab intrinse­ co causatas, sicut sunt aegritudines corporales, non decuit eum patì, ut supra [q. 1 4 a. 4]

di Cristo non subì nme le sofferenze umane. Risposta: le sofferenze umane possono essere considerate sotto due aspetti. Primo, nella loro specie. E sotto questo aspetto non era ne­ cessario che Cristo subisse tutte le sofferenze umane: poiché molte specie di sofferenze sono incompatibili tra loro, come il rogo e l'annegamento nell'acqua. Qui infatti parlia­ mo solo di sofferenze inflitte dall' esterno: poiché quelle provenienti dall'interno, quali sono le malattie, sono da escludersi in Cristo, come si è visto sopra. - Se invece consideria­ mo tali sofferenze nel loro genere, allora si

terius qui crncifi.\71S est cum eo, ad Iesum autem cum venissent, non fregernnt eius cmra. Non

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La passione di Cristo

dictum est. - Sed secundum genus, passus est omnem passionem humanam. Quod quidem potest considerari tripliciter. Uno modo, ex parte hominum. Passus est enim aliquid et a gentilibus, et a ludaeis; a masculis et feminis, u t patet de ancillis accusantibus Petrum . Passus est etiam a principibus, et a ministris eorum, et popularibus, secundum illud Psalmi [2, 1 -2], quare fremuerunt gentes, et populi

meditati sunt inania ? Astitenmt reges terrae, et principes convenerunt in unum, adversus Dominwn et adversus Christum eius. Passus est etiam a familiaribus et notis, sicut patet de luda eum prodente, et Petro ipsum negante. Alio modo patet idem ex parte eorum in quibus homo potest pati. Passus est enim Chri­ stus in suis amicis eum deserentibus; in fama per blasphemias contra eum dictas; in honore et gloria per irrisiones et contumelias ei illatas; in rebus per hoc quod etiam vestibus spoliatus est; in anima per tristitiam, taedium et timo­ rem; in corpore per vulnera et flagella. - Tertio potest considerari quantum ad corporis mem­ bra. Passus est enim Christus in capite pungen­ tium spinarum coronam; in manibus et pedi­ bus fixionem clavorum; in facie alapas et sputa; et in toto corpore flagella. Fuit etiam passus secundum omnem sensum corporeum, secundum tactum quidem, flagellatus et clavis confixus; secundum gustum, felle et aceto potatus; secundum olfactum, in loco fetido cadaverum mortuorum, qui dicitur Calvariae, appensus patibulo; secundum auditum, lacessi­ tus vocibus blasphemantium et irridentium; se­ cundum visum, videns matrem et discipulum quem diligebat flentes. Ad primum ergo dicendum quod verbum il­ lud Hilarii est intelligendum quantum ad omnia genera passionum, non autem quan­ tum ad omnes species. Ad secundum dicendum quod similitudo ibi attenditur, non quantum ad numerum passio­ num et gratiarum, sed quantum ad magnitu­ dinem utriusque, quia sicut sublimatus est in donis gratiarum super alios, ita deiectus est infra alios per ignominiam passionis. Ad tertium dicendum quod, secundum suffi­ cientiam, una minima passio Christi suffecit ad redimendum genus humanum ab omnibus peccatis. Sed secundum convenientiam, suffi­ ciens fuit quod pateretur omnia genera pas­ sionum, sicut iam dictum est [in co.].

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possono riscontrare in lui tutte le sofferenze umane secondo tre ordini di considerazioni. Primo, dalla parte degli uomini che le inflis­ sero. Infatti egli le subì dalle genti e dai Giu­ dei, dagli uomini e dalle donne, come risulta dalle ancelle che accusarono Pietro. Inoltre le subì dai principi, dai loro ministri e dal volgo, secondo le parole del Sal 2 [ 1 ] : Perché le

genti congiurano, perché invano cospirano i popoli? Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme, contro il Signore e con­ tro il suo Cristo. Inoltre egli patì per mano dei familiari e dei conoscenti, come appare evi­ dente in Giuda che lo tradì, e in Pietro che lo rinnegò. - Secondo, dalla parte delle cose in cui l'uomo può soffrire. Infatti Cristo soffrì nei suoi amici, che lo abbandonarono; nella fama, per le bestemmie dette contro di lui; nell'onore e nella gloria, per le derisioni e gli insulti subìti; nelle cose, in quanto fu spoglia­ to anche delle vesti; nell'anima, per la tristez­ za, la nausea e i l timore; nel corpo, per le ferite e i flagelli. - Terzo, quanto alle membra del corpo. Cristo infatti soffrì nel suo capo la coronazione di spine; nelle mani e nei piedi le trafitture dei chiodi; nel volto gli schiaffi e gli sputi; in tutto il corpo la flagellazione. Inoltre egli soffrì in tutti i sensi del corpo: nel tatto, poiché fu flagellato e crocifisso; nel gusto, poiché fu abbeverato di fiele e di aceto; nel­ l' olfatto, poiché fu appeso al patibolo in un luogo appestato di cadaveri di morti, «il quale era chiamato appunto luogo del teschio»; nel­ l'udito, poiché fu stordito dalle grida di be­ stemmia e di disprezzo; nella vista, vedendo piangere «la madre e il discepolo che amava>>. Soluzione delle difficoltà: l . Le parole di Ila­ rio vanno riferite al genere delle sofferenze, e non a tutte le loro specie. 2. Il paragone usato da Isaia non si riferisce al numero delle sofferenze e delle grazie, ma al­ la loro grandezza: poiché come egli fu innal­ zato al disopra degli altri per i doni di grazia, così fu conculcato al disotto di tutti con l ' i­ gnominia della passione. 3. Secondo la sufficienza, la più piccola soffe­ renza di Cristo sarebbe bastata a redimere il genere umano da tutti i peccati. Secondo la convenienza invece, era sufficiente che egli subisse ogni genere di sofferenza, come si è visto.

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La passione di Cristo

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Articulus 6 Utrum dolor passionis Christi fuerit maior omnibus aliis doloribus

Articolo 6 Il dolore della passione di Cristo ha superato tutti gli altri dolori?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod dolor passionis Christi non fuerit maior omnibus aliis doloribus. l . Dolor enim patientis augetur secundum gra­ vitatem et diutumitatem passionis. Sed quidam martyres graviores passiones et diuturniores sustinuerunt quam Christus, sicut patet de Lau­ rentio, qui est assatus in craticula [cf. lacobum a Voragine, Legenda Aurea 1 1 7, l ; Acta san­ ctorum, Acta S. Laurentii, die 1 0 Augusti]; et de Vìncentio, cuius cames sunt ungulis ferreis laceratae [cf. Tacobum a Voragine, Legenda Aurea 25, 1 ; Acta sanctorum, Acta S. Vmcentii, die 22 Ianuarii 2]. Ergo videtur quod dolor Christi patientis non fuerit maximus. 2. Praeterea, virtus mentis est mitigativa do­ loris, in tantum quod Stoici posuerunt tristitiam in animo sapientis non cadere. Et Aristoteles posuit [Ethic. 2,6,9] quod virtus moralis me­ dium tenet in passionibus. Sed in Christo fuit perfectissima virtus mentis. Ergo videtur quod in Christo fuerit minimus dolor. 3 . Praeterea, quanto aliquod patiens est magis sensibile, tanto maior sequitur dolor passio­ nis. Sed anima est sensibilior quam corpus, cum corpus sentiat ex anima. Adam etiam in statu innocentiae videtur corpus sensibilius habuisse quam Christus, qui assumpsit corpus humanum cum naturalibus defectibus. Ergo videtur quod dolor animae patientis in Purga­ torio vel in Inferno, vel etiam dolor Adae si passus fuisset, maior fuisset quam dolor pas­ sionis Christi. 4. Praeterea, maioris boni amissio causat maiorem dolorem. Sed peccator peccando amittit maius bonum quam Christus patiendo, quia vita gratiae est melior quam vita naturae. Christus etiam, qui amisit vitam post triduum resurrecturus, minus aliquid videtur amisisse quam illi qui amittunt vitam permansuri in morte. Ergo videtur quod dolor Christi non fuerit maximus dolor. 5. Praeterea, innocentia patientis diminuit do­ lorem passionis. Sed Christus innocenter est passus, secundum illud Ier. 1 1 [ 1 9], ego au­ tem quasi agnus mansuetus qui portatur ad victimam. Ergo videtur quod dolor passionis Christi non fuerit maximus.

Sembra di no. Infatti: l . n dolore cresce in proporzione alla gravità e alla durata del supplizio. Ora, certi martiri soffrirono supplizi più gravi e prolungati di quello di Cristo: p. es., Lorenzo fu arrostito su una graticola, e Vincenzo ebbe le carni dila­ niate da unghie di ferro. Quindi sembra che il dolore di Cristo sofferente non sia stato i l massimo. 2. La forza dello spirito mitiga il dolore: tanto che gli Stoici ritenevano che la tristezza non potesse invadere l'animo del sapiente. E Ari­ stotele afferma che la virtù morale conserva il giusto mezzo nelle passioni. Ma in Cristo la virtù dello spirito era perfettissima. Quindi sembra che in Cristo non ci sia stato il mas­ simo dolore. 3. Più il paziente è sensibile e più grave è il dolore che egli prova nella sofferenza. Ora, l'anima è più sensibile del corpo, poiché que­ sto è reso sensibile dall'anima. Inoltre Adamo nello stato di innocenza dovette avere un corpo più sensibile di quello di Cristo, il quale invece assunse un corpo umano soggetto ai limiti naturali. Perciò il dolore delle anime che soffrono nel purgatorio o nell'inferno, e lo stesso dolore di Adamo, qualora avesse dovuto subirlo, sembrano superiori alla soffe­ renza di Cristo. 4. La perdita di un bene più grande causa un dolore più grande. Ora, chi pecca perde un bene più grande di quello sottratto a Cristo dalla sofferenza, poiché la vita della grazia è superiore alla vita naturale. Inoltre Cristo, perdendo la vita per poi risorgere dopo tre giorni, perse meno di coloro che perdono la vita per restare poi preda della morte. Sembra quindi che il dolore di Cristo non sia stato quello più grande. 5. L'innocenza di chi soffre ne diminuisce il dolore. Ma Cristo soffrì da innocente, secon­ do le parole di Ger 1 1 [ 1 9]: Ero come agnello mansueto che è condotto al macello. Quindi sembra che il dolore della passione di Cristo non sia stato il più grande. 6. In tutto ciò che riguarda Cristo non vi fu nulla di superfluo. Ma il più piccolo dei suoi dolori sarebbe bastato per la liberazione urna-

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La passione di Cristo

6. Praeterea, in bis quae Christi sunt, nihil fuit superfluum. Sed minimus dolor Christi suf­ fecisset ad finem salutis humanae, habuisset enim infinitam virtutem ex persona divina. Ergo superfluum fuisset assumere maximum dolorem. Sed contra est quod habetur Thren. l [ 1 2] ex persona Christi, attendite, et videte si est

do/or sicut do/or meus. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 1 5 aa. 5-6] dictum est cum d e defectibus as­ sumptis a Christo ageretur, in Christo patiente fuit verus dolor et sensibilis, qui causatur ex corporali nocivo; et dolor interior, qui causa­ tur ex apprehensione alicuius nocivi, qui tri­ stitia dicitur. Uterque autem dolor in Christo fuit maximus inter dolores praesentis vitae. Quod quidem contingit propter quatuor. Primo quidem, propter causas doloris. Nam doloris sensibilis causa fuit laesio corporalis. Quae acerbitatem habuit, tum propter genera­ litatem passionis, de qua dictum est [a. 5], tum etiam ex genere passionis. Quia mors confixorum in cruce est acerbissima, quia configuntur in locis nervosis et maxime sensi­ bili bus, scilicet in manibus et pedibus; et ipsum pondus corporis pendentis continue auget dolorem; et cum hoc etiam est doloris diuturnitas, quia non statim moriuntur, sicut hi qui sunt gladio interfecti. Doloris autem interioris causa fuit, primo quidem, omnia peccata humani generis, pro quibus satisfacie­ bat patiendo, unde ea quasi sibi adscribit, dicens in Psalmo [21 ,2], verba de lietorum meorum. Secundo, specialiter casus Iudaeo­ rum et aliorum in eius mortem delinquen­ tium, et praecipue discipulorum, qui scanda­ lum passi fuerant in Christi passione. Tertio etiam amissio vitae corporalis, quae natura­ liter est horribilis humanae naturae. - Secun­ do potest magnitudo considerati ex percepti­ bilitate patientis. Nam et secundum corpus erat optime complexionatus, cum corpus eius fuerit formatum m i raculose operatione Spiritus Sancti, sicut et alia quae per miracula facta sunt, sunt aliis potiora, ut Chrysostomus dicit [In Ioan. h. 22] de vino in quod Christus aquam convertit in nuptiis. Et ideo in eo maxime viguit sensus tactus, ex cuius percep­ tione sequitur dolor. Anima etiam, secundum vires interiores, efficacissime apprehendit omnes causas tristitiae. - Tertio magnitudo

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na, poiché avrebbe avuto una virtù infinita in forza della sua persona divina. Quindi sareb­ be stato superfluo sottoporsi al massimo dei dolori. In contrario: è detto in Lam l [ 1 2] parlando a nome di Cristo: Considerate e osservate se

c 'è un dolore simile al mio dolore.

Risposta: come si è già spiegato nel trattare dei limiti assunti da Cristo, in lui ci fu vera­ mente il dolore: il dolore sensibile causato da agenti fisici nocivi, e il dolore interno, o tri­ stezza, causato dalla percezione di cose noci­ ve. E l'uno e l' altro furono in Cristo i più intensi fra tutti i dolori della vita presente. E ciò per quattro motivi. - Primo, per le cause che li produssero. Infatti la causa del suo do­ lore sensibile furono le lesioni corporali. Ora, questa causa fu acerbissima, sia per la totalità delle sofferenze, di cui abbiamo parlato sopra, sia per il loro genere. Poiché la morte dei cro­ cifissi è dolorosissima, essendo essi trafitti in parti nervose e sommamente sensibili, come sono le mani e i piedi; inoltre il peso stesso del corpo aumenta il dolore; e a ciò va ag­ giunta la durata del supplizio, poiché essi non muoiono subito, come quelli che sono uccisi di spada. La causa poi del suo dolore interno furono in primo luogo tutti i peccati del ge­ nere umano, che egli espiava con la sua soffe­ renza, e che in qualche modo volle attribuire a se stesso, secondo le parole del Sal 21 [2]: Il grido dei miei delitti. In secondo luogo egli era afflitto in particolare dal peccato dei Giu­ dei e di quanti peccarono in occasione della sua morte; e specialmente da quello dei disce­ poli, i quali si scandalizzarono della sua pas­ sione. In terzo luogo poi lo affliggeva la per­ dita della vita corporale, che incute natural­ mente orrore alla natura umana. - Secondo, la grandezza del suo dolore viene desunta dalla sensibilità del Cristo sofferente. Egli infatti aveva un corpo di ottima complessione, es­ sendo stato formato miracolosamente per opera dello Spirito Santo: e le cose fatte per miracolo sono superiori alle altre, come nota il Crisostomo a proposito del vino procurato da Cristo alle nozze di Cana. Perciò in lui era acutissimo il senso del tatto, e quindi la perce­ zione del dolore. Inoltre l'anima con le sue facoltà interiori conosceva in maniera effica­ cissima tutte le cause delle sue sofferenze. Terzo, la grandezza del dolore di Cristo può

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doloris Christi patientis potest considerari ex doloris puritate. Nam in aliis patientibus miti­ gatur tristitia interior, et etiam dolor exterior, ex aliqua consideratione rationis, per quan­ dam derivationem seu redundantiam a supe­ rioribus viribus ad inferiores. Quod in Christo patiente non fui t, unicuique enim virium per­ misit agere quod est sibi proprium, sicut Da­ mascenus dicit [De fide 3,19] . - Quarto potest considerari magnitudo doloris Chtisti patien­ tis ex hoc quod passio illa et dolor a Christo fuerunt assumpta voluntarie, propter finem li­ berationis hominum a peccato. Et ideo tantam quantitatem doloris assumpsit quae esset proportionata magnitudini fructus qui inde sequebatur. - Ex his igitur omnibus causis simul consideratis manifeste apparet quod dolor Christi fuit maximus. Ad ptimum ergo dicendum quod ratio illa pro­ cedit ex uno tantum praedictorum, scilicet ex laesione corporali, quae est causa sensibilis do­ loris. Sed ex aliis causis multo magis dolor Christi patientis augetur, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod virtus moralis aliter mitigat tristitiam interiorem, et aliter exteriorem dolorem sensibilem. Tristitiam enim interiorem diminuit directe, in ea me­ dium constituendo sicut in propria materia. Medium autem in passionibus virtus moralis constituit, ut in secunda parte [1-11 q. 64 a. 2; II-II q. 58 a. 1 0] habitum est, non secundum quantitatem rei, sed secundum quantitatem proportionis, ut scilicet passio non excedat regulam rationis. Et quia Stoici reputabant quod nulla tristitia esset ad aliquid utilis, ideo credebant quod totaliter a ratione discordaret, et per consequens quod totaliter esset sapienti vitanda. Sed secundum rei veritatem, tristitia aliqua laudabilis est, ut Augustinus probat, in 14 De civ. Dei [8-9], quando scilicet procedit ex sancto amore, ut puta cum aliquis tristatur de peccatis propriis vel alienis. Assumitur etiam ut utilis ad tinem satisfactioni s pro peccato, secundum illud 2 Cor. 7 [l 0], quae

secundum Deum est tristitia, poenitentiam in salutem stabilem operatur. Et ideo Christus, ut satisfaceret pro peccatis omnium homi­ num, assumpsit tristitiam maximam quantita­ te absoluta, non tamen excedentem regulam rationis. - Dolorem autem exteriorem sensus virtus moralis directe non minuit, quia talis dolor non obedit rationi, sed sequitur corporis

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essere considerata in base alla purezza stessa del suo dolore. Infatti negli altri suppliziati la tristezza interna e lo stesso dolore esterno vengono mitigati da qualche considerazione di ordine razionale, mediante un influsso o ri­ dondanza delle facoltà superiori in quelle in­ feriori. Ma in Cristo ciò non avvenne: poiché, come dice il Damasceno, «egli permise a ciascuna delle sue potenze di agire per conto proprio». - Quarto, la grandezza del dolore di Cristo può essere desunta dal fatto che egli accettò volontariamente la sofferenza, per liberare l ' uomo dal peccato. Perciò egli ac­ cettò quella quantità di dolore che era propor­ zionata ai frutti che dovevano seguime. - Dal­ l'insieme quindi di questi motivi risulta chia­ ramente che quello di Cristo fu il più grande di tutti i dolori. Soluzione delle difficoltà: l . L'argomento tiene conto di un elemento soltanto fra quelli ricordati, cioè della causa atta a produrre il dolore sensibile. Ma il dolore di Cristo fu reso molto più intenso dalle altre cause, come si è spiegato. 2. La virtù morale mitiga in un modo la tristez­ za interiore e in un altro il dolore sensibile. La tristezza interiore infatti la mitiga direttamen­ te, determinando in essa, quale sua materia, il giusto mezzo. Poiché, come si è visto nella Seconda Parte, le virtù morali detetminano il giusto mezzo nelle passioni non secondo una grandezza assoluta, ma secondo una grandez­ za proporzionata, cioè in modo che la passio­ ne non ecceda la norma della ragione. Ora, ritenendo gli Stoici che nessuna tristezza fosse utile, essi pensavano di conseguenza che la tristezza fosse sempre discorde dalla ragione: per cui giudicavano che il sapiente dovesse evitarla del tutto. In realtà i nvece, come dimostra Agostino, alcune volte la tri­ stezza è lodevole: quando cioè deriva da un amore santo, come quando uno ad es. si rattri­ sta dei peccati propri, o di quelli altrui. Ed è anche utile per la soddisfazione dei peccati, secondo le parole di Paolo: La tristezza se­

condo Dio produce un pentimento irrevocabi­ le che porta alla salvezza (2 Cor 7, l 0). E così

Cristo, al fine di soddisfare per i peccati di tutti gli uomini, volle subire la tristezza più grande in modo assoluto, senza però trasgre­ dire la norma della ragione. - La vittù morale non è i nvece i n grado di moderare diretta-

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naturam. Diminuit tamen ipsum indirecte per redundantiam a superioribus viribus in infe­ riores. Quod in Christo non fuit, ut dictum est [in co.; q. 14 a. l ad 2; q. 45 a. 2]. Ad tertium dicendum quod dolor animae se­ paratae patientis pertinet ad statum futurae darnnationis, qui excedit ornne malum huius vitae, sicut sanctorum gloria excedit omne bonum praesentis vitae. Unde, cum diximus Christi dolorem esse maximum, non compa­ ramus ipsum dolori animae separatae. Corpus autem Adae pati non poterat, nisi peccaret et sic fieret mortale et passibile. Et minus dole­ ret patiens quam corpus Christi, propter ra­ tiones praedictas [in co.]. Ex quibus etiam ap­ paret quod etiam si, per impossibile, ponatur quod Adam in statu innocentiae passus fuis­ set, minor fuisset eius dolor quam Christi. Ad quartum dicendum quod Christus non solum doluit pro amissione vitae corporalis pro­ priae, sed etiam pro peccatis omnium aliorum. Qui dolor in Christo excessit ornnem dolorem cuiuslibet contriti. Tum quia ex maiori sapientia et caritate processit, ex quibus dolor contritio­ nis augetur. Tum etiam quia pro ornnium pec­ catis simul doluit, secundum illud Is. 53 [4], vere dolores nostros ipse tulit. Vita autem corporalis Christi fuit tantae dignitatis, et praecipue propter divinitatem unitam, quod de eius amissione etiam ad horam, magis esset dolendum quam de amissione alterius hominis per quantumcumque tempus. Unde et philosophus dicit, in 3 Ethic. [9,4], quod virtuosus plus diligit vitam suam quanto scit eam esse meliorem, et tamen eam exponit propter bonum virtutis. Et similiter Christus vi­ tam suam maxime dilectam exposuit propter bonum caritatis, secundum illud Ier. 12 [7], -

dedi dilectam animam meam in manibus inimicorum eius. Ad quintum dicendum quod innocentia patien­ tis minuit dolorem passionis quantum ad nu­ merum, quia, dum nocens patitur, dolet non solum de poena, sed etiam de culpa; innocens autem solum de poena. Qui tamen dolor in eo augetur ex innocentia, inquantum apprehendit nocumentum illatum ut magis indebitum. Un­ de etiam et alii magis sunt reprehensibiles si eis non compatiuntur, secundum illud Is. 57 [ 1 ],

iustus autem perir, et non est qui recogitet in corde suo.

Ad sextum dicendum quod Christus voluit

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mente il dolore esterno sensibile: poiché que­ sto dolore non obbedisce alla ragione, ma è legato alla natura del corpo. Può tuttavia di­ minuirlo indirettamente per la ridondanza del­ le potenze superiOli in quelle inferiori. n che però non avvenne in Cristo, come si è detto. 3. n dolore delle anime separate condannate alla sofferenza rientra nello stato della danna­ zione futura, che supera qualsiasi male della vita presente, come la gloria dei santi supera ogni bene di questa vita. Perciò, quando affer­ miamo che il dolore di Cristo è il più grande, non lo confrontiamo con quello delle anime separate. n corpo di Adamo poi non poteva soffrire se non in seguito al peccato, per cui sarebbe divenuto mortale e passibile. E allora non avrebbe potuto soffrire più del corpo di Cristo, per le ragioni esposte sopra. Dalle quali si deduce pure che se per impossibile Adamo avesse dovuto soffrire nello stato di innocenza, il suo dolore sarebbe stato inferio­ re a quello di Cristo. 4. Cristo soffriva non solo per la perdita della sua vita corporale, ma anche per i peccati di tutti. E il suo dolore superò ogni dolore di qualsiasi penitente: sia perché derivava da una maggiore carità e sapienza, virtù che accre­ scono direttamente il dolore della contrizione, sia perché egli soffriva simultaneamente per i peccati di tutti, secondo le parole di Is 53 [4]:

Si è veramente addossato i nostri dolori.

-

Inoltre la stessa vita corporale di Cristo era di una così grande nobiltà, specialmente per l'unione ipostatica con la divinità, che per la sua perdita, anche solo momentanea, bisogne­ rebbe dolersi più che per la perdita della vita di qualsiasi altro uomo per un tempo indefini­ to. Per cui anche il Filosofo scrive che l'uomo virtuoso ama di più la sua vita se la riconosce migliore: e tuttavia egli la espone per il bene della virtù. Così dunque Cristo espose la sua vita, che sommamente amava, per il bene della carità, secondo le parole di Ger 12 [7]:

Ho consegnato la mia anima diletta nelle mani dei suoi nemici. 5. L'innocenza del suppliziato diminuisce il

numero delle sofferenze, poiché il colpevole che soffre non si addolora solo per la pena, ma anche per la colpa, mentre l 'innocente soffre solo per la pena. Tuttavia quest'ultimo dolore è accresciuto dali' innocenza: poiché l'innocente apprende il danno inflitto come

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genus humanum a peccatis liberare, non sola potestate, sed etiam iustitia. Et ideo non so­ lum attendit quantam virtutem dolor eius ha­ beret ex divinitate unita, sed etiam quantum dolor eius sufficeret secundum naturam hu­ manam, ad tantam satisfactionem.

più ingiustificato. Per cui anche gli altri sono più reprensibili se non lo compiangono, secondo le parole di /s 57 [1]: Il giusto peri­

sce, e non c 'è nessuno che se ne preoccupi. 6. Cristo volle liberare il genere umano non con la sola potenza, ma anche con la giustizia. Perciò egli non considerò soltanto l'efficacia che il suo dolore aveva per l'unione con la divi­ nità, ma anche la grandezza che esso doveva avere secondo la natura umana per essere pro­ porzionato a una così grande soddisfazione.

Articulus 7 Utrum Christus fuerit passus secundum totam animam

Articolo 7 Cristo ha sofferto con tutta l'anima?

Ad septimum sic proceditur. Videtur quod Christus non fuerit passus secundum totam animam. l . Anima enim patitur, patiente corpore, per accidens, inquantum est corporis actus. Sed anima non est actus corporis secundum quam­ libet partem eius, nam intellectus nullius cor­ poris actus est, ut dicitur in 3 De an. [4,4]. Ergo videtur quod Christus non fuerit passus secundum totam animam. 2. Praeterea, quaelibet potentia animae patitur a suo obiecto. Sed superioris partis rationis obiec­ tum sunt rationes aetemae, quibus inspiciendis et consulendis intendit, ut Augustinus dicit, 1 2 D e Trin. [7]. E x rationibus autem aetemis nullum potuit Christus pati nocumentum, cum in nullo ei contrariarentur. Ergo videtur quod non fuerit passus secundum totam animam. 3. Praeterea, quando passio sensibilis usque ad rationem pertingit, tunc dicitur completa passio. Quae in Christo non fuit, ut Hierony­ mus dicit [In Matth. 4 super 26,37], sed so­ lum propassio. Unde et Dionysius dicit, in Epistola ad Ioannem evangelistam [ep. 1 0], quod passiones sibi illatas patiebatur secun­ dum iudicare solum. Non ergo videtur quod Christus secundum totam animam pateretur. 4. Praeterea, passio dolorem causat. Sed in intellectu speculativo non est dolor, quia de­

Sembra di no. Infatti: l . Quando soffre il corpo, l'anima soffre indi­ rettamente, i n quanto essa è « I ' atto del corpo». Ma l'anima non è l'atto del corpo se­ condo ogni sua parte, poiché l'intelletto, co­ me dice Aristotele, non è l'atto di nessun cor­ po. Quindi sembra che Cristo non abbia sof­ ferto con tutta I' anima. 2. Ogni potenza dell'anima patisce da parte del proprio oggetto. Ma l'oggetto della ragio­ ne superiore sono le «ragioni eterne, che essa ha il compito di contemplare e di consultare», come dice Agostino. Ora, Cristo non poteva subire alcun danno dalla parte delle ragioni eterne, non essendoci in esse alcuna cosa che fosse in contrasto con lui. Quindi sembra che egli non abbia sofferto con tutta l'anima. 3. Quando il patire sensibile arriva fino alla ragione si parla di passione in senso pieno. Questa però, come insegna Girolamo, in Cri­ sto non si verificò, ma si ebbe solo la pmpas­ sione. Per cui Dionigi scrive che «egli subiva le sofferenze che gli erano inflitte solo attra­ verso la conoscenza». Quindi sembra che Cristo non abbia sofferto con tutta l'anima. 4. La sofferenza causa dolore. Ma il dolore non può aver luogo nell'intelletto speculativo poiché, secondo il Filosofo, «al piacere che deriva dalla contemplazione nulla può con­ trapporsi». Quindi sembra che Cristo non abbia sofferto con tutta l'anima. In contrario: nel Sal 87 [4] in persona di Cri­ sto è detto: La mia anima è ricolma di mali. E la Glossa commenta: «Non di vizi, ma di do­ lori, che l' anima condivideva con il corpo; oppure di mali che condivideva con il popolo

lectationi quae est ab eo quod est conside­ rare, nulla tristitia opponitur, ut philosophus

dicit, l Top. [ 1 3,5]. Ergo videtur quod Chri­ stus non pateretur secundum totam animam. Sed contra est quod in Psalmo [87,4] dicitur, ex persona Christi, repleta est malis anima mea, Glossa [int. et Lomb.; in Ps., 87 super v. 4],

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La passione di Cristo

non vitiis, sed doloribus, quibus anima carni compatitur, vel malis, scilicet pereuntis popu­ li, compatiendo. Non autem fuisset anima eius his malis repleta, si non secundum totam animam passus esset. Ergo Christus secun­ dum totam animam passus est. Respondeo dicendum quod totum dicitu r respectu partium. Partes autem animae dicun­ tur potentiae eius. Sic ergo dicitur anima tota patì, inquantum patitur secundum suam es­ sentiam, vel inquantum secundum omnes suas potentias patitur. - Sed considerandum est quod aliqua potentia animae potest pati dupliciter. Uno modo, pa>.

QUESTIONE 47 LA CAUSA EFFICIENTE DELLA PASSIONE DI CRISTO Passiamo ora a considerare la causa efficiente della passione di Cristo. - Sull'argomento si pongono sei quesiti: l . Cristo è stato ucciso da altri o da se stesso? 2. Da quale motivo è stato spinto a subire la morte? 3. Il Padre lo ha abbandonato alla sofferenza? 4. Era più conveniente che egli morisse per mano delle genti o per mano dei Giudei? 5. I suoi ucci­ sori lo hanno conosciuto? 6. Il peccato di coloro che uccisero Cristo. Articolo l Cristo uccise se stesso? Sembra di sì. Infatti: l . Egli stesso dice: Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso (Gv l O, 1 8). Ora, si dice che uno uccide quando toglie la vita. Perciò Cristo non fu ucciso da altri, ma da se stesso. 2. Coloro che sono uccisi da altri vengono meno a poco a poco con l'affievolimento del­ la natura. E ciò si nota soprattutto nei crocifis­ si: poiché, come scrive Agostino, «sospesi al legno morivano con una lenta agonia». Invece in Cristo ciò non avvenne, infatti egli, emesso

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La causa efficiente della passione di Cristo

bantur ligno suspensi. In Christo autem non hoc accidit, nam clamans voce magna emisit spiritum, ut dicitur Matth. 27 [50]. Non ergo Christus est ab aliis occisus, sed a seipso. 3. Praeterea, illi qui ab aliis occiduntur, per violentiam moriuntur, et ita non volontarie, quia violentum opponitur volontario. Sed Au­ gustinus dicit, in 4 De Trin. [ 1 3], quod spiri­ tus Christi non deseruit carnem invitus, sed quia voluit, quando voluit, et quomodo voluit. Non ergo Christus est ab aliis occisus, sed a seipso. Sed contra est quod dicitur Luc. 1 8 [33] ,

postquamjlagellaverint, occident eum.

Respondeo dicendum quod aliquid potest esse causa alicuius effectus dupliciter. Uno modo, directe ad illud agendo. Et hoc modo persecu­ tores Christi eum occiderunt, quia sufficientem causam martis ei intulerunt, cum intentione occidendi ipsum et effectu subsequente; quia scilicet ex illa causa est mors subsecuta. Alio modo dicitur aliquis causa alicuius indirecte, scilicet quia non impedit, cum impedire possit, sicut si dicatur aliquis alium perfundere quia non claudit fenestram, per qurun imber ingredi­ tur. Et hoc modo ipse Christus fuit causa passionis et martis. Poterat enim suam passio­ nem et mortem impedire. Primo quidem, ad­ versarios reprimendo, ut eum aut non vellent, aut non possent interficere. Secondo, quia spi­ ritus eius habebat potestatem conservandi na­ turam carnis suae, ne a quocumque laesivo inflicto opprimeretur. Quod quidem habuit ani­ ma Christi quia erat Verbo Dei coniuncta in unitate personae, ut Augustinus dicit, in 4 De Trin. [13]. Quia ergo anima Christi non repulit a proprio corpore nocumentum illatum, sed voluit quod natura corporalis illi nocumento succumberet, dicitur suam animam posuisse, vel volontarie mortuus esse. Ad primum ergo dicendum quod, cum dici­ tur, nemo tollit animam meam a me, intelligi­ tur, me invito. Quod enim aliquis ab invito aufert, qui resistere non potest, id proprie dicitur tolli. Ad secundum dicendum quod, ut Christus ostenderet quod passio illata per violentiam eius animam non eripiebat, naturam corpora­ lem in eius fortitudine conservavit, ut etiam in extremis positus voce magna clamaret. Quod inter alia miracula martis eius computatur. Unde dicitur Marci 1 5 [39], videns autem

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un alto grido, emise lo spirito (Mt 27 ,50).

Quindi Cristo non fu ucciso dai carnefici, ma da se stesso. 3. Coloro che sono uccisi da altri muoiono di morte violenta, e quindi non muoiono volon­ tariamente, poiché il violento è il contrario del volontario. Ora, Agostino nota che «lo spirito di Cristo non abbandonò la carne suo malgra­ do, ma perché egli lo volle, nel tempo che volle e come volle». Quindi Cristo non fu ucciso dai carnefici, ma da se stesso. In contrario: in Le 18 [33] è detto: Dopo aver­

loflagellato, lo uccideranno.

Risposta: si può essere causa di un effetto in due modi. Primo, agendo per produrlo di­ rettamente. Ed è in questo modo che uccisero Cristo i suoi persecutori: poiché gli inflissero dei supplizi capaci di produrre la morte, con l'intenzione di ucciderlo e conseguendo l'effet­ to, poiché tali supplizi provocarono effettiva­ mente la morte. Secondo, uno può essere causa di un fatto indirettamente, cioè perché non lo impedisce pur avendone la possibilità: come si dice, p. es., che uno bagna un altro perché non chiude la finestra da cui entra l'acqua. E in questo modo si può dire che Cristo stesso fu causa della sua passione e della sua morte. Poteva infatti impedirle. Prima di tutto respin­ gendo gli avversru.i, in modo che non volessero o non potessero ucciderlo. In secondo luogo perché il suo spirito aveva il potere di conser­ vare la natura della propria carne, in modo che non venisse colpita da alcuna ferita. Facoltà questa che derivava all'anima di Cristo dal­ l'unione ipostatica con il Verbo, come nota Agostino. Non avendo quindi l'anima di Cristo allontanato dal proprio corpo i supplizi, ma avendo accettato che la natura corporale vi soccombesse, si può dire che egli offrì la sua vita, o che mmì volontariamente. Soluzione delle difficoltà: l . L' espressione: Nessuno può toglienni la vita, va intesa nel senso di: «contro la mia volontà>>. Si dice intatti propriamente che viene tolto quanto è sottratto a qualcuno che non è in grado di resistere. 2. Per mostrare che la passione inflitta con la violenza non era capace di strappargli la vita, Cristo conservò la natura corporale nel suo vigore, così da poter gridare a gran voce an­ che nel momento supremo. Ciò infatti viene computato tra i miracoli della sua morte. Per cui è detto in Mc 1 5 [39]: Il centurione che gli

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La causa efficiente della passione di Cristo

centurio qui ex adverso stabat, quia sic cla­ mans exspirasset, ait, vere homo hic Filius Dei erat. Fuit etiam et mirabile in Christi

morte quod velocius mortuus fuit aliis qui si­ mili poena afficiebantur. Unde dicitur Ioan. 1 9 [32-33], quod eorum qui cum Christo erant fregerunt crura, ut cito morerentur, ad

Iesum autem cum venissent, invenerunt eum morluum, zmde non fregerunt eius crura. Et Marci 1 5 [44] dicitur quod Pilatus mirabatur si iam obiisset. Sicut enim eius voluntate

natura corporalis conservata est in suo vigore usque ad extremum, sic etiam, quando voluit, subito cessit nocumento illato. Ad tertium dicendum quod Christus simul et violentiam passus est, ut moreretur, et tamen voluntarie mortuus fuit, quia violentia corpori eius illata est, quae tamen tantum corpori eius praevaluit quantum ipse voluit.

Articulus 2 Utrum Christus fuerit ex obedientia mortuus Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus non fuerit ex obedientia mortuus. l . Obedientia enim respicit praeceptum. Sed non legitur Christo fuisse praeceptum quod ipse pateretur. Non ergo ex obedientia passus fuit. 2. Praeterea, illud dicitur ex obedientia aliquis facere quod facit ex necessitate praecepti. Chri­ stus autem non ex necessitate, sed voluntarie passus fuit. Non ergo passus est ex obedientia. 3 . Praeterea, caritas est excellentior virtus quam obedientia. Sed Christus legitur ex cari­ tale passus, secundum illud Eph. 5 [2], am­

bulate in dilectione, sicut et Christus dilexit nos, et tradidit semetipsum pm nobis. Ergo passio Christi magis debet attribui caritati quam obedientiae. Sed contra est quod dicitur Phil. 2 [ 8], factus

est obediens Patri usque ad monem. Respondeo dicendum quod convenientissi­ mum fuit quod Christus ex obedientia patere­ tur. Primo quidem, quia hoc conveniebat iustificationi humanae, ut, sicut per unius ho­

minis inobedientiam peccatores constituti sunt multi, ita per unius hominis obedientiam

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stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio " . Altra cosa mirabile nella morte di Cristo fu poi la maggiore rapidità del trapasso rispetto a quella degli altri condannati alla croce. Per cui in Gv 19 [32] è detto che agli altri crocifissi con Cristo spezzarono le gambe, per affrettarne la morte, mentre venuti

da Gesù e vedendo che era già morlo, non gli spezzarono le gambe. E in Mc 15 [44] è detto: Pilato si meravigliò che fosse già morto. Come infatti per volontà di Cristo la sua vita corporale fu conservata nel pieno vigore sino alla fine, così, quando egli volle, subito cedet­ te alla violenza inflitta. 3. Si deve affermare che nello stesso tempo Cristo soffrì la morte per violenza e tuttavia morì volontariamente: poiché contro il suo corpo fu usata la violenza, la quale tuttavia non prevalse su di esso se non nella misura che egli volle. Articolo 2 Cristo è morto per obbedienza? Sembra di no. Infatti: l. L'obbedienza presuppone un precetto. Ma non risulta che a Cristo sia stato dato il precet­ to di accettare la morte. Quindi egli non è morto per obbedienza. 2. Si dice che uno compie per obbedienza quanto fa per necessità di precetto. Ora, Cristo patì volontariamente, e non per neces­ sità. Quindi non patì per obbedienza. 3. La carità è una virtù superiore all'obbedien­ za. Ma si legge che Cristo ha sofferto a motivo della carità, secondo le parole di Ef 5 [2] :

Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi. Perciò la passione di Cristo va attribuita più alla carità che all'obbedienza. In contrario: in Fi/ 2 [8] è detto: [Cristo] si è

fatto obbediente al Padre fino alla mmte. Risposta: fu sommamente conveniente che Cristo patisse la morte per obbedienza. Pri­ mo, poiché ciò si addiceva alla giustificazione dell'uomo: in modo che, come per la disob­

bedienza di uno solo tutti fumno costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti siano costituiti giusti (Rm 5, 1 9).

-

Secondo, ciò si addiceva alla riconciliazione

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Q. 47, A. 2

iusti constituantur multi, ut dicintr Rom. 5

degli uomini con Dio: poiché siamo stati

[ 1 9] . - Secundo, hoc fuit conveniens recon­ ciliationi Dei ad homines, secundum illud Rom. 5 [ 1 0], reconciliati sumus Deo per mor­ tem Filii eius, inquantum scilicet ipsa mors Christi fuit quoddam sacrificium acceptissi­ mum Deo, secundum illud Eph. [5,2], tradidit

riconciliati con Dio per mezzo della morle del suo Figlio (Rm 5, 1 0); cioè in quanto la morte

semetipsum pro nobis oblationem et hostiam Deo in odorem suavitatis. Obedientia vero

omnibus sacrificiis anteferntr, secundum illud l Reg. 1 5 [22], melior est obedientia quam victimae. Et ideo conveniens fuit ut sacrifi­ cium passionis et mortis Christi ex obedientia procederet. - Tertio, hoc conveniens fuit eius victoriae, qua de morte et auctore mortis triumphavit. Non enim miles vincere potest nisi duci obediat. Et ita homo Chrisnts victo­ riam obtinuit per hoc quod Deo fuit obediens, secundum illud Prov. 2 1 [28] , vir obediens

loquitur victorias.

Ad primum ergo dicendum quod Christus mandantm accepit a Patre ut pateretur, dicitur enim Ioan. 10 [ 1 8], potestatem habeo ponendi

animam meam, et potestatem habeo iterum sumendi eam, et hoc mandatwn accepi a Patre meo, scilicet ponendi animam et sumendi. Ex

quo, ut Chrysostomus dicit [In Ioan. h. 60], non est intelligendum quod prius expectaverit

audire, et opus fuerit ei discere, sed volunta­ rium monstravit processum, et contrarietatis ad Patrem suspicionem destruxit. - Quia ta­ men in morte Christi lex vetus consummata est, secundum illud quod ipse moriens dixit, Ioan. 1 9 [30], conswnmatum est; potest in­ telligi quod patiendo omnia veteris legis prae­ cepta implevit. Moralia quidem, quae in prae­ ceptis caritatis fundanntr, implevit inquantum passus est et ex dilectione Patris, secundum illud Ioan. 1 4 [3 1], ut cognoscat mundus quia

diligo Patrem, et sicut mandatum dedit mihi Pater sicfacio, surgite, eamus hinc, scilicet ad

locum passionis, et etiam ex dilectione proxi­ mi, secundum illud Gal. 2 [20], dilexit me, et tradidit semetipsum pro me. - Caeremonialia vero praecepta legis, quae ad sacritìcia et oblationes praecipue ordinantur, implevit Christus sua passione inquantum omnia an­ tigua sacrificia figurae fuerunt illius veri sacri­ fidi quod Christus obtulit moriendo pro no­ bis. Unde dicitur Col. 2 [ 1 6- 1 7], nemo vos

iudicet in cibo aut in potu, aut in parte diei festi aut Neomeniae, quae sunt umbra futu-

di Cristo fu un sacrificio molto accetto a Dio, come è detto in Ef 5 [2]: Diede se stesso per

noi, come offerta e sacrificio a Dio di soave odore. Ma l'obbedienza viene preferita a tutti i sacrifici, secondo le parole di l Sam 1 5 [22]: L'obbedienza è migliore del sacrificio. Perciò

era conveniente che il sacrificio della passione e morte di Cristo fosse motivato dall' obbe­ dienza. - Terzo, ciò si addiceva alla sua vitto­ ria, con la quale doveva trionfare della morte e dell'autore della morte. Poiché un soldato non può vincere se non obbedisce al coman­ dante. E così l'uomo Cristo non ottenne la vittoria se non perché fu obbediente a Dio, secondo le parole di Pr 21 [28] : L 'uomo

obbediente canta vittorie.

Soluzione delle difficoltà: l . Cristo aveva rice­ vuto dal Padre il precetto di patire, intàtti in Gv 10 [ 1 8] è detto: Ho il potere di offrire la mia

vita e il potere di riprender/a di nuovo: questo comando ho ricevuto dal Padre mio, cioè di offrire la vita e di riprenderla. n che non va inteso, spiega il Crisostomo, nel senso che «prima abbia dovuto ascoltare il comando, e abbia avuto bisogno di apprenderlo: mostrò invece in tal modo che agiva di sua volontà, e tolse ogni sospetto di contrasto» con il Padre. Siccome però nella morte di Cristo l'antica legge ebbe il suo compimento, secondo le pa­ role che egli stesso pronunciò prima di morire: Tutto è compiuto (Gv 1 9,30), è possibile vedere come nella passione egli abbia adempiuto tutti i precetti della legge. Adempì i precetti morali, che si fondano sui precetti della carità, soffrendo per amore del Padre, come egli stesso disse avviandosi al luogo della passione: Perché

il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato, alz.atevi e andiamo via di qui (Gv 14,3 1 ); e per amore del prossimo, secondo le parole di Ga/ 2 [20]: Mi ha amato e ha dato se stesso per me. - Inoltre

con la sua passione Cristo adempì i precetti cerimoniali dell'antica legge, che erano ordinati soprattutto ai sacrifici e alle ablazioni, in quanto tutti gli antichi sacrifici erano figura del vero sacrificio che Cristo offrì morendo per noi. Per cui in Col 2 [ 1 6] è detto: Nessuno vi condanni

più in fatto di cibo o di bevanda o riguardo a feste o noviluni; che sono ombra delle cose

Q. 47, A. 2

La causa efficiente della passione di Cristo

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rorum, corpus autem Christi, eo scilicet quod

future, mentre il corpo è Cristo; poiché Cristo

Chrisms comparamr ad illa sicut corpus ad umbram. - Praecepta vero iudicialia legis, quae praecipue ordinanmr ad satisfaciendum iniuriam passis, implevit Christus sua passio­ ne, quoniam, ut in Psalmo [68,5] dicitur, quae non rapuit, tunc exsolvit, permittens se ligno affigi pro pomo quod de ligno homo rapuerat contra Dei mandatum. Ad secundum dicendum quod obedientia, etsi importet necessitatem respectu eius quod praecipitur, tamen importat voluntatem re­ specm impletionis praecepti. Et talis fuit obe­ dientia Christi. Nam ipsa pa�sio et mors, se­ cundum se considerata, naturali voluntati re­ pugnabat, volebat tamen Christus Dei volun­ tatem circa hoc i mplere, secundum i llud Psalmi [39,9], ut facerem voluntatem tuam, Deus meus, volui. Unde dicebat, Matth. 26 [42], si non potest transire a me calix iste nisi

sta in rapporto a tali cose come il corpo ali' ombra. - E finalmente Cristo con la sua passione adempì i precetti giudiziali della legge, che erano ordinati a riparare le ingiurie: poiché egli restituì quanto non aveva ntbato (Sal 68,5), permettendo la propria affissione ali' albero della croce per il frutto che l'uomo aveva rubato dall'albero contro il comando di Dio. 2. L'obbedienza, sebbene implichi necessità rispetto a ciò che è comandato, mttavia impli­ ca volontarietà rispetto all'adempimento del comando. E tale fu l'obbedienza di Cristo. Infatti la passione e la morte considerate in sé ripugnano alla volontà naturale; tuttavia Cri­ sto voleva compiere in esse la volontà di Dio, secondo le parole del Sal 39 [9]: Mio Dio, se

bibam illum, fiat voluntas tua.

Ad tertium dicendum quod eadem ratione Chrisms passus est ex caritate, et obedientia, quia etiam praecepta caritatis nonnisi ex obe­ dientia implevit; et obediens fuit ex dilectione ad Patrem praecipientem.

Articulus 3 Utrum Deus Pater tradiderit Christum passioni Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Deus Pater non tradiderit Christum passioni. l . Iniquum enim et crudele esse videtur quod innocens passioni et morti tradatur. Sed, sicut dicimr Deut. 32 [4], Deus fidelis et absque ulla iniquitate. Ergo Christum innocentem non tradidit passioni et morti. 2. Praeterea, non videtur quod aliquis a seipso, et ab alio morti tradatur. Sed Christus tradidit semetipsum pro nobis, secundum quod dicitur ls. 53 [ 1 2], tradidit in mortem animam suam. Non ergo videtur quod Deus Pater eum tradiderit. 3 . Praeterea, ludas vituperatur ex eo quod tradidit Christum Iudaeis, secundum illud Ioan. 6 [7 1 -72], unus ex vobis diabolus est,

quod dicebat propter Iudam, qui eum erat traditurus. Similiter etiam vituperantur Iu­

daei, qui eum tradiderunt Pilato, secundum

io l 'ho voluto, è per fare la tua volontà. Ed egli stesso disse: Se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà (Mt 26,42).

3. Cristo affrontò la morte per carità e per obbedienza come per un identico motivo: poi­ ché anche i precetti della carità egli li adempì solo per obbedienza, e fu obbediente a motivo del suo amore verso il Padre che gli dava tali precetti. Articolo 3 Dio Padre ha consegnato Cristo alla sua passione?

Sembra di no. Infatti: l . Sembra iniquo e crudele consegnare alla passione e alla mmte un innocente. Ma, come è detto in Dt 32 [4], Dio è fedele e senza alcu­ na iniquità. Egli quindi non consegnò alla passione e alla morte il Cristo innocente. 2. Non sembra che uno si consegni da sé alla morte e allo stesso tempo sia consegnato da un altro. Ora, Cristo si offrl alla morte da se stesso, attuando la profezia di Is 53 [ 1 2] : Ha consegnato se stesso alla morte. Quindi non sembra che Dio Padre l'abbia consegnato. 3. Giuda è riprovato per aver consegnato Cri­ sto ai Giudei, secondo le parole di Gv 6 [7 1]:

Uno di voi è un diavolo. E parlava di Giuda, che lo avrebbe tradito. E così pure vengono biasimati i Giudei che lo consegnarono a Pilato, secondo la testimonianza di quest'ulti­ mo: La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me ( Gv 1 8,35). E a sua volta

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La causa efficiente della passione di Cristo

quod ipse dicit, loan. 1 8 [35], gens tua et pontifices tui tradidenmt te mihi. Pilatus autem tradidit ipsum ut crucifigeretur, ut habetur Ioan. 19 [ 1 6], non est autem conventio iustitiae cum iniquitate, ut dicitur 2 Cor. 6 [ 14]. Ergo videtur quod Deus Pater Christum non tradi­ derit passioni. Sed contra est quod dicitur Rom. 8 [32] ,

proprio Filio suo non pepercit Deus, sed pro nobis omnibus tradidit illum. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 2] , Christus passus est volontarie ex obedientia Patris. Unde secundum tria Deus Pater tradidit Christum passioni. Uno quidem modo, secundum quod sua aeterna voluntate praeordinavit passionem Christi ad humani generis liberationem, secundum illud quod di­ citur ls. 53 [6], Dominus posuit in eo iniquita­ tem omnium nostrum; et iterum [v. 10], Domi­ nus voluit conterei-e eum in infinnitate. Secon­ do, inquantum inspiravit ei voluntatem patien­ di pro nobis, infundendo ei caritatem. Unde ibidem [v. 7] sequitur, oblatus est quia voluit. Tertio, non protegendo eum a passione, sed exponendo persequentibus. Unde, ut legitur Matth. 27 [46], pendens in cruce Christus di­ cebat, Deus meus, ut quid dereliquisti me ? Quia scilicet potestati persequentium eum ex­ posuit, ut Augustinus dici t [ep. 140 Ad Hono­ rat. 1 1 ]. Ad primum ergo dicendum quod innocentem hominem passioni et morti tradere contra eius voluntatem, est impium et crudele. Sic autem Deus Pater Christum non tradidit, sed inspi­ rando ei voluntatem patiendi pro nobis. In quo ostenditur et Dei severitas, qui peccatum sine poena dimittere noluit, quod significat apostolus dicens [Rom. 8,32], proprio Filio suo non pepercit, et bonitas eius, in eo quod, cum homo sufficienter satisfacere non posset per aliquam poenam quam pateretur, ei satis­ factorem dedit, quod significavit apostolus di­ cens [ibid.], pro nobis omnibus tradidit illum. Et Rom. 3 [25] dicit, quem, scilicet Christum,

per fidem propitiatorem proposuit Deus in sanguine ipsius.

Ad secundum dicendum quod Christus, se­ cundum quod Deus, tradidit semetipsum in mortem eadem voluntate et actione qua et Pa­ ter tradidit eum. Sed inquantum homo, tra­ didit semetipsum voluntate a Patre inspirata. Unde non est contrarietas in hoc quod Pater

Pilato lo consegnò per farlo crocifiggere (Gv 1 9, 1 6). Ora non ci può essere alcun rap­ porto fra la giustizia e l'iniquità (2 Cor 6, 14). Quindi sembra che Dio Padre non abbia con­ segnato Cristo alla passione. In contrario: in Rm 8 [32] è detto: Dio non ha

rispanniato il proprio Figlio, gnato per tutti noi.

ma

lo ha conse­

Risposta: come si è detto, Cristo patì volonta­ riamente in obbedienza al Padre. Perciò si può dire che il Padre ha consegnato Cristo alla passione in tre modi. Primo, perché col suo eterno volere ha preordinato la passione di Cristo alla liberazione del genere umano, secondo le parole di fs 53 [6]: Il Signore fece ricadere su di lui l 'iniquità di noi tutti; e ancora [ 10]: Al Signore è piaciuto prostrar/o con dolori. Secondo, perché ispirò in lui la volontà di soffrire per noi, infondendç>gli la carità. Da cui le parole del profeta [7]: E stato immolato perché lo ha voluto. Terzo, perché non lo sottrasse alla passione, ma lo espose ai persecutori. Da cui la preghiera di Cristo sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai ab­ bandonato? (Mt 27,46); in quanto cioè, come spiega Agostino, lo abbandonò al potere dei persecutOii. Soluzione delle difficoltà: l. Consegnare alla passione e alla morte un innocente contro la sua volontà è cosa empia e crudele. Ma Dio Padre consegnò Cristo non in questo modo, bensì infondendo in lui la volontà di patire per noi. E in ciò si mostra da una parte la severità di Dio, il quale non volle rimettere il peccato senza un castigo, per cui Paolo scrive che Dio non ha rispanniato il pmprio Figlio [Rm 8,32], e dali' altra parte la sua bontà, poiché, non potendo l' uomo soddisfare in misura suf­ ficiente sopportando qualsivoglia castigo, Dio gli provvide un redentore capace di sod­ disfare; per cui Paolo scrive che lo ha conse­ gnato per tutti noi. E in Rm 3 [25] dice che

Dio lo ha prestabilito a servire come stru­ mento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue. 2. In quanto Dio, Cristo consegnò se stesso alla morte con il medesimo atto di volontà con cui lo consegnò il Padre. In quanto uomo invece consegnò se stesso con un volere che era ispirato dal Padre. Non vi è quindi incom­ patibilità fra la consegna di Cristo fatta dal Padre e quella fatta da lui stesso.

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La causa efficiente della passione di Cristo

tradidit Christum, et ipse tradidit semetipsum. Ad tertium dicendum quod eadem actio di­ versimode iudicatur in bono vel in malo, se­ cundum quod ex diversa radice procedit. Pa­ ter enim tradidit Christum, et ipse seipsum, ex caritate, et ideo laudantur. Iudas autem tradi­ dit ipsum ex cupiditate, Iudaei ex invidia, Pi­ latus ex timore mundano, quo timuit Caesa­ rem, et ideo ipsi vituperantur.

Articulus 4 Utrum fuerit conveniens Christum pati a gentilibus Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non fuerit conveniens Christum pati a gentilibus. l . Quia enim per mortem Christi homines erant a peccato liberandi, conveniens videre­ tur ut paucissimi in morte eius peccarent. Pec­ caverunt autem in morte eius Iudaei, ex quorum persona dicitur, Matth. 21 [38], hic est heres; venite, occidamus eum. Ergo vi­ detur conveniens fuisse quod in peccato occi­ sionis Christi gentiles non implicarentur. 2. Praeterea, veritas debet respondere figurae. Sed figuralia sacrificia veteris legis non genti­ les, sed Iudaei offerebant. Ergo neque passio Christi, quae fuit verum sacrificium, impleri debuit per manus gentilium. 3. Praeterea, sicut dicitur Ioan. 5 [ 1 8], ludaei

quaerebant Christum interficere, non solum quia solvebat sabbatum, sed etiam quia Pa­ trem suwn dicebat Dewn, aequalem se Deo faciens. Sed haec videbantur esse solum contra legem Iudaeorum, unde et ipsi dicunt, Ioan. 1 9 [7], secundum legem debet mori, quia Filium Dei se fecit. Videtur ergo conveniens fuisse quod Christus non a gentilibus, sed a Iudaeis pateretur, et tàlsum esse quod dixerunt [Ioan. 1 8,3 1], nobis non licet inteljìcere quem­ quam, cum multa peccata secundum legem morte puniantur, ut patet Lev. 20 [3 1 ] . Sed contra est quod ipse Dominus dicit, Mat­ th. 20 [ 1 9], n·adent eum gentibus ad illuden­

dum etflagellandum et crucifìgendum.

Respondeo dicendum quod in ipso modo pas­ sionis Christi praefiguratus est effectus ipsius. Primo enim passio Christi effectum salutis habuit in Iudaeis, quorum plurimi in morte Christi baptizati sunt, ut patet Act. 2 [4 1 ] et 4

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3. Un identico atto viene giudicato diversa­ mente nella sua bontà o malizia a seconda dei diversi motivi da cui procede. TI Padre infatti consegnò Cristo alla morte mosso dalla carità, e così fece Cristo medesimo [Gv 3,16; Ef5,2]: e per questo sono lodati. Giuda invece lo consegnò per cupidigia [Mt 26, 14], i Giudei per invidia [Mt 27, 1 8], Pilato per un timore mondano, cioè per paura del l ' i mperatore [Gv 19,1 2]: e per questo sono biasimati. Articolo 4 Era conveniente che Cristo venisse ucciso dalle genti? Sembra di no. Infatti: l . Dovendo la passione di Cristo liberare gli uomini dal peccato, sembrerebbe conveniente che soltanto pochissimi si fossero macchiati di peccato nella sua morte. Ora, in essa peccarono i Giudei, a cui vanno attribuite le parole: Costui

è l 'erede: venite, uccidiamo/o (Mt 2 1 ,38).

Quindi sembra conveniente che nel peccato suddetto non fossero implicate le genti. 2. La realtà deve corrispondere alla figura. Ora, i sacrifici figurali dell'antica legge erano offerti non dalle genti, ma dai Giudei. Quindi neppure la passione di Cristo, che era il vero sacrificio, doveva essere compiuta per mano delle genti. 3. Come è detto in Gv 5 [ 1 8], i Giudei cerca­

vano di uccider/o perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facen­ dosi uguale a Dio. Ora, ciò era soltanto con­ tro la legge dei Giudei; da cui la loro protesta:

Secondo la legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio (Gv 1 9,7). Perciò era giu­ sto che Cristo fosse ucciso non dalle genti, ma dai Giudei; ed è falso quanto costoro dis­ sero: A noi non è consentito mettere a morte nessuno (Gv 1 8,3 1 ) , poiché nella legge molti peccati sono puniti con la morte, come risulta da Lv 20 [3 1]. I n contrario: l o stesso Signore dice: Lo conse­

gneranno alle genti perché sia schernito, fla­ gellato e crocifisso (Mt 20, 1 9).

Risposta: nelle circostanze stesse della passio­ ne di Cristo erano prefigurati i suoi effetti. La passione infatti dapprima ebbe un effetto sa­ lutare sui Giudei, molti dei quali dopo la mor­ te di Cristo furono battezzati, come risulta da At 2 [41 ] e 4 [4]. In un secondo tempo poi,

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La causa efficiente della passione di Cristo

[4] . Secondo vero, Iudaeis praedicantibus, effectus passionis Christi transivit ad gentes. Et ideo conveniens fuit ut Christus a Iudaeis patì inciperet, et postea, Iudaeis tradentibus, per manus gentilium eius passio finiretur. Ad primum ergo dicendum quod, quia Chri­ stus, ad ostendendam abundantiam caritatis suae, ex qua patiebatur, in cruce positus ve­ niam persecutoribus postulavit; ut huius peti­ tionis fructus ad Iudaeos et gentiles perveni­ ret, voluit Christus ab utrisque patì. Ad secundum dicendum quod passio Christi fuit sacrificii oblatio inquantum Christus propria voluntate mortem sustinuit ex caritate. Inquan­ tum autem a persecutoribus est passus, non fuit sacrificium, sed peccatum gravissimum. Ad tettium dicendum quod, sicut Augustinus dicit [In loan. tract. 1 14 super 1 8,3 1 ] , ludaei dicentes, nobis non licet inter:ficere quemquam, intellexerunt non sibi licere inter:ficere quem­

quam propterfesti diei sanctitatem, quam ce­ lebrare iam coeperant. Vel hoc dicebant, ut Chrysostomus dicit [In Ioan. h. 83], quia vo­ lebant eum occidi, non tanquam transgresso­ rem legis, sed tanquam publicum hostem, quia regem se fecerat, de quo non erat eorum iudicare. Ve! quia non licebat eis crucifigere, quod cupiebant, sed lapidare, quod in Stepha­ no fecerunt. Vel melius dicendum est quod per Romanos, quibus erant subiecti, erat eis potestas occidendi interdicta.

Articulus 5 Utrum persecutores Christi eum cognoverunt Ad quintum sic proceditur. Videtur quod persecutores Christi eum cognoverunt. l . Dicitur enim Matth. 21 [38], quod agricolae,

videntes Filium, dixerunt intra se, hic est heres, venite, occidamus eum. Ubi dicit Hieronymus [cf. Rabanum Maurum, In Matth. 6 super 21 ,38], manifestissime Dominus probat his ver­

bis ludaeorum principes non per ignorantiam, sed per invidiam Dei Filium crucifixisse. In­ telle.xerunt enim esse illum cui Pater per pro­ phetam dicit [Ps. 2,8], postula a me, et dabo tibi gentes hereditatem tuam. Ergo videtur quod co­ gnoverunt eum esse Christum, vel Filium Dei. 2. Praeterea, Ioan. 1 5 [24] Dominus dixit,

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con la predicazione da parte dei Giudei, l'effetto della passione di Cristo si estese alle genti. Quindi era conveniente che Cristo cominciasse a patire per mano dei Giudei, e in seguito, consegnato da essi, portasse a compimento la passione per mano delle genti. Soluzione delle difficoltà: l . Per mostrare tut­ ta la grandezza della sua carità, per la quale soffriva, Cristo volle sulla croce chiedere per­ dono per i suoi persecutmi; e perché il frutto di tale preghiera giungesse sia ai Giudei che alle genti, volle soffrire per mano degli uni e degli altri. 2. La passione di Cristo fu un sacrificio in quanto Cristo volle subire volontariamente la morte, mosso dalla carità. Ma in quanto la subiva dai persecutori non era un sacrificio, bensì un peccato gravissimo. 3. Come spiega Agostino, i Giudei, dicendo: «A noi non è permesso uccidere nessuno», volevano intendere che ciò «non era loro per­ messo per la santità della festa che avevano già iniziato a celebrare». Oppure, come scrive il Crisostomo, dissero così perché volevano uc­ ciderlo non come trasgressore della legge, ma come nemico pubblico, avendo egli preteso di farsi re: del che essi non potevano giudicare. O perché essi non potevano crocifiggerlo, come desideravano, ma solo lapidario, come fecero con Stefano. Oppure si può dire meglio che il potere di uccidere era stato loro sottratto dai Romani, di cui erano divenuti sudditi. Articolo 5 Cristo è stato conosciuto dai suoi persecutori? Sembra di sì. Infatti: l . In Mt 21 [38] è detto: I vignaioli, visto il

Figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamo/o. E Girolamo [Rabano] commen­

ta: «Con queste parole il Signore dimostra in modo evidentissimo che i principi dei Giudei crocifissero il Figlio di Dio non per ignoran­ za, ma per invidia. Capirono cioè che egli era colui di cui il profeta aveva predetto: Chiedi, e ti darò in eredità tutte le genti». Sembra quindi che costoro abbiano conosciuto che egli era il Cristo, ossia il Figlio di Dio. 2. li Signore dice: Ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio (Gv 1 5,24). Ma ciò che è visto è conosciuto chiaramente.

Q. 47, A. 5

La causa efficiente della passione di Cristo

nunc autem et viderunt et odenmt et me et Pa­ trem meum. Quod autem videtur, manifeste co­ gnoscitur. Ergo Iudaei, cognoscentes Christum, ex causa odii ei passionem intulerunt. 3 . Praeterea, in quodam sermone Ephesini Concilii [3, 10; Theodotus Ancyranus, h. 2 In Natalem Salv.] dicitur, sicut qui chw·tam im­

perialem disrumpit, tanquam imperatoris disrumpens verbum, ad mortem adducitur, sic crucifigens Iudaeus quem viderat, poenas da­ bit tanquam in ipsum Deum Verbum prae­ sumptiones iniiciens. Hoc autem non esset si

eum Dei Filium esse non cognoverunt, quia ignorantia eos excusasset. Ergo videtur quod Iudaei crucifigentes Christum cognoverunt eum esse Filium Dei. Sed contra est quod dicitur l Cor. 2 [8], si co­

gnovissent, nunquam Dominum gloriae cru­ cifixissent. Et Act. 3 [ 1 7] dici t Petrus, Iudaeis loquens, scio quod per ignorantiam fecistis sicut et principes vest1-i. Et Dominus, in cruce pendens, dixit [Luc. 23,34], Pate1; dimitte il­ lis, non enim sciunt quidfaciunt.

Respondeo dicendum quod apud Iudaeos quidam erant maiores, et quidam minores. Maiores quidem, qui eorum principes dice­ ban tur, cognoverunt, ut dici tur i n li bro Quaest. Nov. et Vet. Test. [Ambrosiaster, p. l , ex Nov. Test. q. 66], sicut et daemones cogno­ verunt, eum esse Christum promissum in le­ ge, omnia enim signa videbant in eo quae dixerant futura prophetae. Mysterium autem divinitatis eius ignorabant, et ideo apostolus dixit [ l Cor. 2,8] quod, si cognovissent,

nunquam Dominum gloriae crucifixissent.

Sciendum tamen quod eorum ignorantia non eos excusabat a crimine, quia erat quodam­ modo ignorantia affectata. Videbant enim evidentia signa ipsius divinitatis, sed ex odio et invidia Christi ea pervertebant, et verbis eius, quibus se Dei Filium fatebatur, credere noluerunt. Unde ipse de eis dicit, Ioan. 1 5 [22] , s i non venissem, e t locutus eis non

fuissem, peccatum non haberent, mmc autem excusationem non habent de peccato suo. Et postea subdit [v. 24], si opera nonfecissem in eis quae nemo alius fecit, peccatum non haberent. Et sic ex persona eorum accipi potest quod dicitur Iob 21 [ 1 4], dixerunt Deo, recede a nobis, scientiam viarum tuarum nolumus. - Minores vero, idest populares, qui mysteria Scripturae non noverant, non piene

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Quindi i Giudei, sapendo che egli era il Cri­ sto, spinti dall'odio gli inflissero la morte. 3. Negli atti del Concilio di Efeso si legge: «Come chi strappa un decreto imperiale viene condannato a morte come se avesse strappato la parola dell' imperatore, così i Giudei che crocifissero l'uomo visibile meri­ teranno il castigo come se avessero infierito contro il Verbo di Dio». Ma ciò non avver­ rebbe se essi non avessero conosciuto che egli era il Figlio di Dio: poiché l'ignoranza li avrebbe scusati. Quindi sembra che i Giudei che crocifissero Cristo sapessero che egli era il Figlio di Dio. In contrario: in l Cor 2 [ 8] è detto: Se lo aves­

sero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Pietro inoltre così disse ai Giudei: Io so che voi avete agito per igno­ ranza, così come i vostri capi (At 3, 17). E il Signore, mentre pendeva dalla croce, pregò:

Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno [Le 23,34]. Risposta: parlando dei Giudei bisogna distin­ guere tra i maggiorenti e la gente del popolo. I maggiorenti, che erano detti loro principi, certamente lo conobbero, secondo l' autore delle Questioni del Nuovo e dell'Antico Te­ stamento, come del resto anche i demoni ri­ conobbero che egli era il Cristo promesso: «infatti vedevano avverarsi in lui tutti i segni predetti dai profeti». Essi però non conobbero la sua divinità: per cui Paolo afferma che «se lo avessero conosciuto, non avrebbero croci­ fisso il Signore della gloria». Si noti però che tale ignoranza non li scusava dal delitto: poi­ ché si trattava di un'ignoranza affettata. Essi infatti vedevano i segni evidenti della sua divinità, ma per odio e invidia verso Cristo li travisavano, e non vollero credere alle sue af­ fermazioni con le quali dichiarava di essere il Figlio di Dio. Da cui le parole del Signore: Se

non fossi venuto e non avessi loro parlato non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il /oro peccato (Gv 15,22). E ancora: Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai fatto, sa­ rebbero senza colpa [Gv 15,24]. Per cui si possono applicare ad essi le parole di Gb 2 1 [ 1 4] : Dissero a Dio: Allontanati da noi, non vogliamo conoscere le tue vie. - Il popolo

invece, che non conosceva i misteri della Scrittura, non conobbe pienamente né che

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cognoverunt ipsum esse nec Christum nec Filium Dei, licet aliqui eorum etiam in eum crediderint. Multitudo tamen non credidit. Et si aliquando dubitarent an ipse esset Cluistus, propter signorum multitudinem, et efficaciam doctrinae, ut habetur Ioan. 7 [3 1 .41 sqq.], tamen postea decepti fuerunt a suis principi­ bus ut eum non crederent neque Filium Dei neque Christum. Unde et Petrus eis dixit, scio

egli era il Cristo, né che era il Figlio di Dio: sebbene alcuni del popolo abbiano creduto in lui. E anche se talora essi sospettarono che fosse il Cristo, per la molteplicità dei segni e per l'efficacia del suo insegnamento, come si ha in Gv 7 [3 1 .41], tuttavia furono poi ingan­ nati dai loro capi, al punto che non credevano né che fosse il Figlio di Dio, né che fosse il Cristo. Da cui le parole di Pietro [At 3,17] : So

quod per ignorantiam hoc fecistis, sicut et principes vestri, quia scilicet per principes

che avete agito per ignoranza, così come i vostri capi: cioè perché sedotti da essi.

seducti erant. Ad primum ergo dicendum quod illa verba dicuntur ex persona colonorum vineae, per quos significantur rectores illius populi, qui eum cognoverunt esse heredem, inquantum cognoverunt eum esse Christum promissum in lege. Sed contra hanc responsionem videtur esse quod illa verba Psalmi [2,8], postttla a me et dabo tibi gentes hereditatem tuam, eidem dicuntur cui dicitur [Ps. 2,7], Filius meus es tu, ego hodie genui te. Si ergo cognoverunt eum esse illum cui dictum est, postula a me et dabo tibi gentes hereditatem tuam, sequitur quod cognoverunt eum esse Filium Dei. Cluysosto­ mus [cf. Op. imperf. in Matth., h. 40 super 21 ,38] etiam, ibidem, dici t quod cognovernnt eum esse Filium Dei. Beda [In Luc. 6 super 23,34] etiam dicit, super illud Luc. 23 [34], quia nesciunt quid jàciunt, notandum, inquit,

quod non pm eis orat qui, quem Filium Dei in­ tellexernnt, crncifigere quam confiteri malue­ runt. - Sed ad hoc potest responderi quod

cognoverunt eum esse Filium Dei non per naturam, sed per excellentiam gratiae singula­ ris. Possumus tamen dicere quod etiam verum Dei Filium cognovisse dicuntur, quia evidentia signa huius rei habebant, quibus tamen assentire propter odium et invidiam noluerunt, ut eum cognoscerent esse Filium Dei. Ad secundum dicendum quod ante illa verba praemittitur [loan. 1 5,24], si opera non fecis­

sem in eis quae nemo alius fecit, peccatum non haberent, et postea subditur [ibid.], nunc autem viderunt, et oderunt et me et Patrem meum. Per quod ostenditur quod, videntes

opera Christi mirifica, ex odio processit quod eum Filium Dei non cognoverunt. Ad tertium dicendum quod ignorantia affecta­ ta non excusat a culpa sed magis videtur culpam aggravare, ostendit enim hominem sic vehementer esse affectum ad peccandum

Soluzione delle difficoltà: l . Le parole sud­ dette appartengono ai vignaioli, che nella pa­ rabola rappresentano i capi del popolo, i quali riconobbero in lui l'erede in quanto capirono che egli era il Cristo promesso nell 'antica legge. Però contro questa conclusione sembrano stare le parole del Sal 2 [8]: Chiedi a me, e ti darò in eredità le genti; poiché al Cristo a cui si riferiscono è anche detto [Sal 2,7]: Tu sei mio Figlio, oggi io ti ho generato. Se quindi i capi conobbero che [Gesù] era colui al quale erano state indirizzate le prime parole, ne segue che conobbero anche che era il Figlio di Dio. Inoltre il Crisostomo affer­ ma: «Essi conobbero che era il Figlio di Dio». E Beda, commentando le parole: Per­ ché non sanno quello che fanno, scrive: «Si noti che non prega per quanti capivano che egli era il Figlio di Dio, e preferivano croci­ figgerlo piuttosto che riconoscerlo». - Ma a ciò si può rispondere che essi lo conobbero quale Figlio di Dio non per natura, ma per l'eccellenza della sua grazia singolarissima. Thttavia si può anche dire che lo conobbero come vero Figlio di Dio giacché ciò risultava loro dall'evidenza dei segni; ai quali però per odio e per invidia non vollero anendersi, in modo da riconoscerlo come Figlio di Dio. 2. Le parole suddette erano state precedute dalla frase: Se non avessifatto in mezzo a loro

opere che nessun altro ha mai fatto, sarebbe­ ro senza colpa; e poi si legge: Ora invece hanno visto, e hanno odiato me e il Padre mio. n che dimostra che, pur vedendo essi le

opere mirabili di Cristo, per odio non arriva­ rono a conoscere che egli era il Figlio di Dio. 3. L'ignoranza affettata non scusa dalla colpa, ma piuttosto la aggrava: essa infatti dimostra che uno è così intenzionato a peccare che preferisce rimanere nell'ignoranza per non evitare il peccato. E così i Giudei peccarono

Q. 47, A. 5

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quod vult ignorantiam incorrere ne peccaturn vitet. Et ideo Iudaei peccaverunt, non solum hominis Christi, sed tanquam Dei crucifix.ores. Articulus 6 Utrum peccatum crucifigentium Christum fuerit gravissimum Ad sextum sic proceditur. V idenrr quod pec­ catum crucifigentium Christum non fuerit gravissimum. l . Non enim est gravissimum peccatum quod excusationem habet. Sed ipse Dominus ex­ cusavit peccatum crucifigentium eum, dicens [Luc. 23,34], Pater, ignosce illis, quia ne­ sciunt quid faciunt. Non ergo peccatum eo­ rum fuit gravissimum. 2. Praeterea, Dominus dixit Pilato, Ioan. 19 [11 ], qui tradidit me tibi, maius peccatum ha­ bet. Ipse autem Pilatus fecit Christurn crucifi­ gi per suos ministros. Ergo videtur fuisse maius peccatum ludae proditoris peccato crucifigentium Christum. 3. Praeterea, secundum philosophum, in 5 Ethic. [9,6; 11 ,3], nullus patitur iniustum vo­ lens, et, sicut ipse ibidem [Ethic. 5,9,3] dicit,

nullo patiente iniustum, nullus facit iniustum.

Ergo volenti nullus facit iniusturn. Sed Christus volontarie est passus, ut supra [a. l ; a. 2 ad 2; q. 46 a. 6] habitum est. Non ergo iniustum fecerunt crucitixores Christi. Et ita eorum peccatum non est gravissimum. Sed contra est quod super illud Matth. 23 [32], et vos implete mensuram patntm vestro­ rum, dici t Chrysostomus [cf. Op. imperf. in Matth., h. 45 super 23,32], quantum ad veri­

tatem, excesserunt mensuram patrum suo­ rum. fili enim homines occiderunt, isti Deum crucifixerunt.

Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 5], principes Iudaeorum cognoverunt Christum, et si aliqua ignorantia fuit in eis, fuit ignorantia affectata, quae eos non poterat excusare. Et ideo peccatum eorum fuit gravis­ simum, tum ex genere peccati; tum ex malitia voluntatis. - Minores autem Iudaei gravissi­ me peccaverunt quantum ad genus peccati, in aliquo tamen diminuebatur eorum peccatum propter eorum ignorantiam. Unde super illud Luc. 23, nesciunt quidfaciunt, dicit Beda [In Luc. 6, super 23,34], pro illis rogat qui ne­

scierunt quod fecerunt, zelum Dei habentes,

non solo come crocifissori dell'uomo Cristo, ma come crocifissori di Dio. Articolo 6 D peccato dei crocifissori di Cristo è stato il più grave? Sembra di no. Infatti: l. Non è il più grave un peccato che può esse­ re scusato. Ma il Signore stesso scusò il pec­ cato dei suoi crocifissori con le parole: Padre,

perdona loro, perché non sanno quello che fanno [Le 23,34]. Quindi il loro peccato non fu il più grave. 2. Il Signore disse a Pilato: Chi mi ha conse­

gnato nelle tue mani ha una colpa più grande (Gv 19,11 ). Eppure fu Pilato a far crocifiggere Cristo dai suoi ministri. Quindi sembra che il peccato di Giuda che lo tradì sia stato più grave di quello dei crocifissori. 3. Come afferma il Filosofo, «nessuno patisce ingiustizia se è consenziente»; e ancora: «Quando uno non ne soffre, nessuno gli fa ingiuria». Quindi nessuno fa un'ingiuria a chi vuole subirla. Ora, Cristo patì volontariamen­ te, come si è spiegato sopra. Quindi i suoi crocitissori non commisero un' ingiustizia. Perciò il loro peccato non fu il più grave. In contrario: commentando le parole evange­ liche: 'U>i colmate la misura dei vostri padri (Mt 23,32), il Crisostomo scrive: «Realmente essi passarono la misura dei loro Padri. Quelli infatti avevano ucciso degli uomini, ma questi crocifissero Dio». Risposta: come si è già notato, i capi dei Giudei conobbero [che Gesù era] il Cristo: e se ci fu in essi una certa ignoranza, fu un'ignoranza vo­ luta, che non poteva scusarli. Perciò il loro peccato fu il più grave: sia per il genere del peccato, sia per la malizia della volontà. La massa invece del popolo giudaico commise il peccato più grave quanto al genere del peccato, ma esso fu diminuito in parte dall' ignoranza. Per cui, spiegando le parole: Non sanno quello che fanno, Beda scrive: «Prega per coloro che non sapevano quello che facevano, operando con lo zelo di Dio, ma non secondo la scienza>>. Molto più scusabile poi fu il peccato delle genti, dalle cui mani Cristo fu crocifisso, non avendo essi la conoscenza della legge. Soluzione delle difficoltà: l . La scusa pronun­ ziata dal Signore si riferiva non ai capi dei -

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La causa efficiente della passione di Cristo

sed non secundum scientiam. Multo autem magis fuit excusabile peccatum gentilium per quorum manus Christus crucifixus est, qui legis scientiam non habebant. Ad primum ergo dicendum quod excusatio illa Domini non refertur ad principes Iudaeo­ rum, sed ad minores de populo, sicut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod Iudas tradidit Christum, non Pilato, sed principibus sacer­ dotum, qui tradiderunt eum Pilato, secundum illud Ioan. 1 8 [35], gens tua et pontifices tui tradiderunt te mihi. Horum tamen omnium peccatum fuit maius quam Pilati, qui timore Caesaris Christum occidit; et etiam quam peccatum militum, qui mandato praesidis Christum crucifixerunt; non ex cupiditate, si­ cut Iudas, nec ex invidia et odio, sicut prin­ cipes sacerdotum. Ad tertium dicendum quod Christus voluit quidem suam passionem, sicut et Deus eam voluit, iniquam tamen actionem Iudaeorum noluit. Et ideo occisores Christi ab iniustitia non excusantur. Et tamen ille qui occidit ho­ minem, iniuriam facit non salurn homini, sed etiam Deo et reipublicae, sicut etiam et ille qui occidit seipsum, ut philosophus dicit, in 5 Ethic. [ 1 1 ,3]. Unde David damnavit illum ad mortem qui non timuerat mittere manum ut occideret Christum Domini, quamvis eo pe­ tente, ut legitur 2 Reg. l [6 sqq.]. QUAESTI0 48 DE MODO EFFICIENDI PASSIONIS CHRISTI Deinde considerandum est de effectu passionis Christi. Et primo, de modo efficiendi; secundo, de ipso effectu [q. 49]. - Circa primum quae­ runtur sex. Primo, utrum passio Christi causa­ verit nostram salutem per modum meriti. Se­ cundo, utrum per modum satisfactionis. Tertio, utrum per modum sacrificii. Quarto, utrum per modum redemptionis. Quinto, utrum esse redemptorem sit proprium Christi. Sexto, utrum causaverit effectum nostrae salutis per modum efficientiae.

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Giudei, ma alla gente del popolo, come si è visto. 2. Giuda consegnò Cristo non a Pilato, ma ai principi dei sacerdoti, i quali lo consegnarono a Pilato, secondo le parole di quest'ultimo: La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno conse­ gnato a me (Gv 1 8,35). Ora, il peccato di tutti costoro fu superiore a quello di Pilato, il quale uccise Cristo per paura dell' imperatore, e anche a quello dei soldati, che lo crocifissero per ordine del superiore, e non invece per cupidigia come Giuda, né per invidia o per odio come i principi dei sacerdoti. 3. Certamente Cristo volle la propria passio­ ne, come pure la volle Dio: non volle però l'atto iniquo dei Giudei. Perciò gli uccisori di Cristo non sono scusati della loro ingiustizia. E poi chi uccide un uomo non fa ingiuria a lui soltanto, ma anche a Dio e alla società: come pure chi uccide se stesso, secondo quanto nota il Filosofo. Per questo Davide condannò a morte colui che non aveva provato timore

nello stendere la mano per uccidere il consa­ crato del Signore (2 Sam l ,6), sebbene lo avesse fatto su sua richiesta.

QUESTIONE 48 COME LA PASSIONE DI CRISTO PRODUCA I SUOI EFFETTI Dobbiamo a questo punto esaminare gli effetti della passione di Cristo. E in primo luogo la maniera di produrli; in secondo luogo gli effetti stessi. - Sul primo argomento si pongono sei quesiti: l . La passione di Cristo ha causato la nostra salvezza sotto forma di merito? 2. L'ha prodotta sotto forma di soddisfazione? 3. Sotto forma di sacrificio? 4. Sotto forma di redenzio­ ne o riscatto? 5. Essere Redentore è proprio di Cristo? 6. La passione influisce sulla nostra salvezza come causa efficiente?

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Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

Articulus l Utrum passio Christi causaverit nostram salutem per modum meriti Ad primum sic proceditur. Videtur quod passio Christi non causaverit nostram salutem per modum meriti. l . Passionum enim principia non sunt in no­ bis. Nullus autem meretur vel laudatur nisi per id cuius principium est in ipso. Ergo pas­ sio Christi nihil est operata per modum meriti. 2. Praeterea, Christus ab initio suae conceptio­ nis meruit et sibi et nobis, ut supra [q. 34 a. 3] dictum est. Sed superfluum est iterum mereri id quod alias meruerat. Ergo Christus per suam passionem non meruit nostram salutem. 3. Praeterea, radix merendi est caritas. Sed caritas Christi non fuit magis augmentata in passione quam ante. Ergo non magis meruit salutem nostram patiendo quam ante fecerat. Sed contra est quod, super illud Phil. 2 [9], propter quod et Deus exaltavit illum etc., dicit Augustinus [In Ioan., tract. 104 super 1 7, 1 ],

hwnilitas passionis claritatis est meritum, cla­ ritas humilitatis est praemium. Sed ipse clarifi­ catus est non solum in seipso, sed etiam in suis fidelibus, ut ipse dicit, Ioan. 17 [ l O]. Ergo vide­ tur quod ipse meruit salutem suorum fidelium. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 7 aa. 1 .9; q. 8 aa. 1 .5] dictum est, Christo data est gratia non solum sicut singulari personae, sed inquantum est caput Ecclesiae, ut scilicet ab ipso redundaret ad membra. Et ideo opera Christi hoc modo se habent tam ad se quam ad sua membra, sicut se habent opera alterius hominis in gratia constituti ad ipsum. Mani­ festum est autem quod quicumque in gratia constitutus propter iustitiam patitur, ex hoc ipso meretur sibi salutem, secundum illud Matth. 5 [ 1 0], beati qui persecutionem pa­ tiuntur propter iustitiam. Unde Christus non solum per suam passionem sibi, sed etiam omnibus suis membris meruit salutem. Ad primum ergo dicendum quod passio in­ quantum huiusmodi, habet principium ab exte­ riori. Sed secundum quod eam aliquis volun­ tarie sustinet, habet principium ab interiori. Ad secundum dicendum quod Christus a principio suae conceptionis meruit nobis salu­ tem aeternam, sed ex parte nostra erant impe­ dimenta quaedam, quibus impediebamur

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Articolo l La passione di Cristo ha causato la nostra salvezza sotto forma di merito? Sembra di no. Infatti: l . La causa della nostra passione o sofferenza non risiede in noi. Ora, nessuno può meritare o essere lodato se non per quanto promana da lui stesso. Perciò la passione di Cristo non può aver causato la nostra salvezza sotto forma di merito. 2. Cristo meritò per sé e per noi fin dal suo concepimento, come si è visto sopra. Ma è superfluo meritare di nuovo ciò che si è già meritato. Quindi Cristo con la sua passione non ha meritato la nostra salvezza. 3. La radice del merito è la carità. Ora, la carità di Cristo non crebbe durante la passio­ ne. Quindi con la passione egli non meritò la nostra salvezza più di quanto non l'avesse già meritata in precedenza. In contrario: commentando il passo di Fil 2 [9]: Per questo Dio lo ha esaltato ... , Agostino scrive: «L' umiliazione della passione fu il merito della gloria; e la gloria è il premio del­ l'umiliazione». Ma Cristo fu glorificato non solo in se stesso, bensì anche nei suoi fedeli, come egli stesso dice in Gv 1 7 [ 1 0]. Perciò sembra che egli abbia meritato anche la sal­ vezza dei suoi fedeli. Risposta: come si è spiegato in precedenza, la grazia fu data a Cristo non solo in quanto persona singolare, ma anche in quanto capo della Chiesa, cioè in modo che da lui ridondas­ se sulle sue membra. Perciò le azioni compiute da Cristo stanno tanto a lui quanto alle sue membra come le azioni di un altro uomo costituito in grazia stanno a lui personalmente. Ora, è evidente che qualsiasi uomo costituito in grazia, soffrendo per la giustizia, merita a se stesso la salvezza; e ciò secondo le parole evangeliche: Beati i perseguitati a causa della giustizia (Mt 5, l 0). Quindi Cristo con la sua passione meritò la salvezza non soltanto per sé, ma anche per tutte le sue membra. Soluzione delle difficoltà: l . La passione in quanto tale ha una causa esterna. Ma in quan­ to uno la subisce volontariamente promana dall'interno. 2. Cristo ci meritò la salvezza eterna fin dal suo concepimento; da parte nostra però c'erano degli ostacoli che impedivano di con-

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Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

consequi effectum praecedentium meritorum. Unde, ad removendum illa impedimenta, oportuit Christum pati, ut supra [q. 46 a. 3] dictum est. Ad tertium dicendum quod passio Christi habuit aliquem effectum quem non habuerunt praecedentia merita, non propter maiorem caritatem, sed propter genus operis, quod erat conveniens tali effectui, ut patet ex rationibus supra [q. 46 a. 3] inductis de convenientia passionis Christi. Articulus 2 Utrum passio Christi causaverit nostram salutem per modum satisfactionis Ad secundum sic proceditur. Videtur quod passio Christi non causaverit nostram salutem per modum satisfactionis. l . Eiusdem enim videtur esse satisfacere cuius est peccare, sicut patet in aliis poeniten­ tiae partibus; eiusdem enim est conteri et confiteri cuius est peccare. Sed Christus non peccavit, secundum illud l Petr. 2 [22], qui peccatum non fecit. Ergo ipse non satisfecit propria passione. 2. Praeterea, nulli satisfit per maiorem offen­ sam. Sed maxima offensa fuit perpetrata in Christi passione, quia gravissime peccaverunt qui eum occiderunt, ut supra [q. 47 a. 6] dicn1m est. Ergo videtur quod per passionem Christi non potuil Deo satisfieri. 3. Praeterea, satisfactio importat aequalitatem quandam ad culpam, cum sit actus iustitiae. Sed passio Christi non videtur esse aequalis omnibus peccatis humani generis, quia Chri­ stus non est passus secundum divinitatem, sed secundum camem, secundum illud l Petr. 4 [1], Christo igitur passo in came; anima au­ tem, in qua est peccatum, potior est quam ca­ ro. Non ergo Christus sua passione satisfecit pro peccatis nostris. Sed contra est quod ex persona eius dicitur in Psalmo [68,5], quae non rapui, tunc exsolve­ bam. Non autem exsolvit qui perfecte non satisfecit. Ergo videtur quod Christus patien­ do satisfecerit perfecte pro peccatis nostris. Respondeo dicendum quod ille proprie satis­ facit pro offensa qui e:xhibet offenso id quod aeque vel magis diligit quam oderit offensam. Christus autem, ex caritate et obedientia pa-

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seguire gli effetti di tali meriti. E così per togliere tali ostacoli fu necessario che Cristo patisse, come si è spiegato sopra. 3. La passione di Cristo ebbe degli effetti che non avevano avuto i suoi meriti precedenti non in forza di una maggiore carità, ma per il genere dell'opera, che era proporzionato a tali effetti: come risulta dalle ragioni pottate sopra per affermare la convenienza della passione di Cristo. Articolo 2 La passione di Cristo ha causato la nostra salvezza sotto forma di soddisfazione? Sembra di no. Infatti: l . Soddisfare spetta alla persona stessa che ha commesso il peccato, come appare evidente nelle altre parti della penitenza: la contrizione e la confessione infatti sono atti personali di chi ha peccato. Ma Cristo non commise pec­ cato, come è detto in l Pt 2 [22]. Quindi egli non poté soddisfare con la sua passione. 2. Non si può mai dare soddisfazione con un'offesa più grave. Ma con la passione di Cristo fu perpetrata la più grave offesa poi­ ché, come si è visto sopra, coloro che lo ucci­ sero fecero un peccato gravissimo. Quindi sembra che con la passione di Cristo non si potesse dare soddisfazione a Dio. 3. La soddisfazione esige una certa uguaglian­ za con la colpa, essendo un atto di giustizia. Ma la passione di Cristo non sembra paragona­ bile ai peccati di tutto il genere umano, poiché Cristo patì non nella divinità, bensì nella carne, secondo l'espressione di l Pt 4 [ l ]: Cristo sof­ frì nella carne; ora l'anima, nella quale si tro­ va il peccato, è supeliore alla came. Perciò Cristo con la sua passione non soddisfece per i nostri peccati. In contrario: il Sa/ 68 [5] mette sulla bocca di Cristo queste parole: Pagavo per ciò che non avevo rubato. Ora, non può dire di pagare chi non soddisfa perfettamente. Quindi Cristo con la sua passione soddisfece perfettamente per i nostri peccati. Risposta: soddisfa pienamente per l ' offesa colui che offre all'offeso ciò che questi ama in una misura uguale o ancora maggiore di quanto abbia detestato l 'offesa. Ora Cristo, accettando la passione per carità e per obbe-

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Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

tiendo, maius aliquid Deo exhibuit quam exigeret recompensatio totius offensae huma­ ni generis. Primo quidem, propter magnitudi­ nem caritatis ex qua patiebatur. Secundo, propter dignitatem vitae suae, quam pro satis­ factione ponebat, quae erat vita Dei et homi­ nis. Tertio, propter generalitatem passionis et magnitudinem doloris assumpti, ut supra [q. 46 aa. 5-6] dictum est. Et ideo passio Christi non solum sufficiens, sed etiam super­ abundans satisfactio fuit pro peccatis humani generis, secundum illud l loan. 2 [2], ipse est

propitiatio pro peccatis nostris, non pro nostris autem tantum, sed etiam pro totius mundi. Ad primum ergo dicendum quod caput et membra sunt quasi una persona mystica. Et ideo satisfactio Cluisti ad omnes fideles perti­ net sicut ad sua membra. Inquantum etiam duo homines sunt unum in caritate, unus pro alio satisfacere potest, ut infra [S. q. 1 3 a. 2] patebit. Non autem est similis ratio de confessione et contritione, quia satisfactio consistit in actu exteriori, ad quem assumi possunt instrumenta; inter quae computantur etiam amici. Ad secundum dicendum quod maior fuit cari­ tas Christi patientis quam malitia crucifigen­ tium. Et ideo plus potuit Christus satisfacere sua passione quam crucifixores offendere oc­ cidendo, in tantum quod passio Clu·isti suf­ ficiens fuit, et superabundans, ad satisfacien­ dum pro peccatis crucifigentium ipsum. Ad tertium dicendum quod dignitas carnis Christi non est aestimanda solum secundum carnis naturam, sed secundum personam as­ sumentem, inquantum scilicet erat caro Dei, ex quo habebat dignitatem infinitam.

Articulus 3 Utrum passio Christi fuerit operata per modum sacrificii Ad tertium sic proceditur. Videtur quod pas­ sio Christi non fuerit operata per modum sacrificii. l . Veritas enim debet respondere figurae. Sed in sacrificiis veteris legis, quae erant figurae Christi, nunquam offerebatur caro humana, quinimmo haec sactiticia nefanda habebantur, secundum illud Psalmi [ 1 05,38], e.ffuderunt

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dienza, offrì a Dio un bene superiore a quello richiesto per compensare tutte le offese del genere umano. Primo, per la grandezza della carità con la quale volle soffrire. Secondo, per la dignità della sua vita, che era la vita del­ l'uomo-Dio, e che egli offriva come soddisfa­ zione. Terzo, per l'universalità delle sue sof­ ferenze e la grandezza dei doloti accettati, di cui sopra abbiamo parlato. Perciò la passione di Cristo fu una soddisfazione non solo sufficiente per i peccati del genere umano, ma anche sovrabbondante, secondo le parole di l Gv 2 [2] : Egli è vittima di espiazione per i

nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il nwndo. Soluzione delle difficoltà: l . n capo e le mem­ bra f01mano come un'unica persona mistica. Perciò la soddisfazione di Cristo appartiene a tutti i suoi fedeli che ne sono le membra. Come anche quando due uomini sono uniti nella carità uno può soddisfare per l'altro, come vedremo in seguito. Non è così invece per la confessione e per la contrizione: poiché [solo] la soddisfa­ zione consiste in un atto esterno che può essere eseguito con degli strumenti, tra i quali possono venire computati anche gli amici. 2. La carità di Cristo sofferente fu superiore alla malizia dei suoi crocifissori. Perciò Ctisto con la sua passione poté soddisfare più di quanto quelli siano stati capaci di offendere uccidendo: cosicché la passione di Cristo fu una soddisfazione sufficiente e sovrabbondante per i peccati stessi di coloro che lo uccisero. 3. La dignità della carne di Cristo non va misurata solo in base alla natura della carne, ma anche in base alla persona che la assunse: in quanto cioè era la carne di Dio; e sotto que­ sto aspetto la sua dignità era infinita. Articolo 3 La passione di Cristo ha agito sotto forma di sacrificio? Sembra di no. Infatti: l . La realtà deve corrispondere alla figura. Ora, nei sacrifici dell'antica legge, che erano figura del sacrificio di Cristo, non si offriva mai della carne umana: anzi, tali sacrifici era­ no ritenuti abominevoli, secondo il rimprove­ ro del Sal l05 [38]: Versarono il sangue inno­

cente, il sangue dei figli e delle figlie sacrifi­ cati agli idoli di Canaan. Quindi sembra che

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Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

sanguinem innocentem, sanguinem filiorum suorum et filiarum, quas sacrificaverunt sculptilibus Chanaan. Ergo videtur quod passio Christi sacrificium dici non possit. 2. Praeterea, Augustinus dicit, in l O De civ. Dei [5], quod sacrificium visibile invisibilis

sacrificii sacramentum, idest sacrum signum, est. Sed passio Christi non est signum, sed magis significatum per alia signa. Ergo vide­ tur quod passio Christi non sit sacrificium. 3 . Praeterea, quicumque offert sacrificium, aliquid sacrum facit, ut ipsum nomen sacrificii demonstrat. llli autem qui Christum occiderunt, non fecerunt aliquod sacrum, sed magnam malitiam perpetraverunt. Ergo passio Christi magis fuit maleficium quam sacrificium. Sed contra est quod apostolus dicit, Eph. 5 [2], tradidit semetipsum pro nobis oblationem

et hostiam Deo in odorem suavitatis. Respondeo dicendum quod sacrificium pro­ prie dicitur aliquid factum in honorem proprie Deo debitum, ad eum placandum. Et inde est quod Augustinus dicit, in I O De civ. Dei [6],

verum sacrificium est omne opus quod agitur ut sancta societate Deo inhaereamus, relatum scilicet ad illum finem boni quo veraciter beati esse possumus. Christus autem, ut ibidem subditur, seipsum obtulit in passione pro nobis, et hoc ipsum opus, quod voluntarie passionem sustinuit, fuit Deo maxime accep­ tum, utpote ex caritate proveniens. Unde ma­ nifestum est quod passio Christi fuit verum sacrificium. Et, sicut ipse postea subdit i n eodem libro [De civ. Dei l 0,20], huius veri

sacrificii multiplicia variaque signa erant sa­ crificia prisca sanctorum, cum hoc unum per multa jìguraretu1; tanquam verbis multis res una diceretur, ut sine fastidio multum com­ mendaretur; et, cum quatuor considerentur in omni sacrificio, ut Augustinus dicit in 4 De Trin. [ 14], scilicet cui offeratw; a quo offera­ tur, quid offeratur, pro quibus offeratur, idem ipse qui unus ventsque mediator per sacrifi­ cium pacis reconciliat nos Deo, unwn cum ilio maneret cui offerebat, unum in se faceret pro quibus offerebat, unus ipse esset qui offe­ rebat, et quod offerebat. Ad primum ergo dicendum quod, licet veritas respondeat figurae quantum ad aliquid, non tamen quantum ad omnia, quia oportet quod vetitas figuram excedat. Et ideo convenienter figura huius sacrificii, quo caro Christi offertur

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la passione di Cristo non possa essere consi­ derata un sacrificio. 2. Agostino insegna che «il sacrificio visibile è il sacramento, o segno sacro, del sacrificio invisibile». Ma la passione di Cristo non è un segno, bensì la realtà stessa significata dagli altri segni. Quindi sembra che la passione di Cristo non sia un sacrificio. 3. Chi offre un sacrificio compie qualcosa di sacro, come dice il nome stesso di sacrificio. Ma quanti uccisero Cristo non fecero qualco­ sa di sacro, bensì perpetrarono una grave ini­ quità. Quindi la passione di Cristo fu piuttosto un maleficio che un sacrificio. In contrario: Paolo dice: [Cristo] ha dato se

stesso per noi, come offerta e sacrificio di soave odore a Dio (Ef5,2). Risposta: il sacrificio è propriamente un'ope­ ra compiuta per rendere a Dio l'onore che a lui solo è dovuto, al fine di placarlo. Da cui le parole di Agostino: «Vero sacrificio è ogni opera compiuta allo scopo di aderire a Dio in una santa società, che tende cioè a quel bene supremo grazie al quale possiamo essere ve­ ramente felici». Ora, Cristo «nella passione offrì se stesso per noi»; e tale azione, cioè l' accettazione volontaria della passione, fu sommamente gradi� a Dio, in quanto proce­ dente dalla carità. E quindi evidente che la passione di Cristo fu un vero sacrificio. E nel medesimo libro il Santo rileva che «di questo vero sacrificio erano segni molteplici e vari i sacrifici dei giusti dell'Antico Testamento, quali parole molteplici esprimenti un'unica cosa, per poterla molto raccomandare senza creare fastidio». «E poiché in ogni sacrificio», scrive ancora Agostino, «Si devono considera­ re quattro cose: a chi viene offerto, da chi vie­ ne offerto, che cosa viene offerto, per chi vie­ ne offerto, così l'unico e vero mediatore volle riconciliarci con Dio mediante il sacrificio di pace, restando una cosa sola con colui al quale lo offriva, unificando in sé gli uomini per i quali lo offriva ed essendo lui stesso l'unico offerente e l'unica vittima». Soluzione delle difficoltà: l . Sebbene la verità corrisponda in parte alla figura, non le cor­ risponde però in tutto: poiché la realtà deve su­ perare la figura che la rappresenta. Era giusto quindi che la figura di questo sacrificio, in cui viene offerta per noi la carne di Cristo, fosse non la carne umana, bensì la carne degli anima-

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Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

pro nobis, fuit caro, non hominum, sed aliorurn animalium significantium camem Christi. Quae est perfectissimum sacrificium. Primo quidem quia, ex eo quod est humanae naturae caro, congrue pro hominibus offertur, et ab eis sumitur sub sacramento. Secundo quia, ex eo quod erat passibilis et mortalis, apta erat immolationi. Tertio quia, ex hoc quod erat sine peccato, efficax erat ad emundanda peccata. Quarto quia, ex eo quod erat caro ipsius offerentis, erat Deo accepta propter caritatem suam camem offerentis. Unde Augustinus dicit, in 4 De Trin. [14], quid tam congruenter

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Ad secundum dicendum quod Augustinus ibi loquitur de sacrificiis visibilibus figuralibus. Et tamen ipsa passio Christi, licet sit aliquid significatum per alia sacrificia figuralia, est tamen signum alicuius rei observandae a nobis, secundum illud l Petr. 4 [ 1 2], Christo

li che prefiguravano tale offerta. La quale costituisce il sacrificio assolutamente perfetto. Primo, perché, trattandosi di un corpo apparte­ nente alla natura umana, giustamente viene of­ ferto per gli uomini, e da essi viene assunto sot­ to il Sacramento. Secondo, perché, essendo una carne passibile e mortale, era adatta all'immo­ lazione. Terzo, perché, essendo senza peccato, la carne di Cristo era capace di purificare dai peccati. Quarto, perché, essendo la carne del­ l'offerente medesimo, era accetta a Dio per la carità con la quale egli la offriva. Di qui le parole di Agostino: «Che cosa gli uomini pote­ vano prendere di più conveniente, da offrire per loro stessi, della carne umana? Che cosa di più adatto all'immolazione di una carne mortale? E che cosa di più puro per la purificazione dai vizi dei mortali della carne concepita senza il conta­ gio della concupiscenza in un seno verginale? Che cosa poi si poteva offrire e accettare con maggiore gradimento che la carne del nostro sacrificio, che è il corpo del nostro sacerdote?». 2. Agostino in quel testo parla dei sacrifici visi­ bili figurali. Tuttavia la passione stessa di Cristo, pur essendo la realtà significata dai sacrifici figurali, sta a significare certe cose che noi dobbiamo osservare, secondo le parole di l Pt 4 [ l ] : Poiché dunque Cristo soffrì nella

igitur passo in carne, et vos eadem cogitatio­ ne armamini, quia qui passus est in carne, desiit a peccatis; ut iam non hominum desi­ deriis, sed voluntati Dei, quod reliquum est in came vivat temporis.

carne, anche voi mmatevi degli stessi sentimen­ ti; chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto definiti­ vamente col peccato, per non servire più alle passioni umane, ma alla volontà di Dio, nel tempo che gli rimane in questa vita mortale.

Ad tertium dicendum quod passio Christi ex parte occidentium ipsum fuit maleficium, sed ex parte ipsius ex caritate patientis fuit sacri­ ficium. Unde hoc sacrificium ipse Christus obtulisse dicitur, non autem illi qui eum occi­ derunt.

3. La passione di Cristo fu un maleficio dalla parte di coloro che lo uccisero, ma dalla parte di colui che la subiva fu un sacrificio. Per cui si dice che questo sacrificio fu offerto da Cristo stesso, non dai suoi crocifissori.

ab homin ibus sumeretur quod pro eis offerretur, quam lutmana caro? Et quid tam aptum huic immolationi quam caro mortalis? Et quid tam mundum pro mundandis vitiis mortalium quam sine contagiane camalis concupiscentiae caro nata in utero et ex utero vb-gina/i? Et quid ram grate offerri et suscipi posset quam caro sacrificii nostri, cmpus effectum sacerdotis nostri?

-

Articulus 4 Utrum passio Christi fuerit operata nostram salutem per modum redemptionis Ad quartum sic proceditur. Videtur quod pas­ sio Christi non fuerit operata nostram salutem per modum redemptionis. l . Nullus enim emit vel redimit quod suum esse non desiit. Sed homines nunquam desie­ runt esse Dei, secundum illud Psalmi [23,1],

Domini est terra et plenitudo eius, orbis ter-

Articolo 4 La passione di Cristo ha causato la nostra salvezza sotto forma di redenzione? Sembra di no. Infatti: l . Nessuno compra o riscatta cose che non hanno mai cessato di appartenergli. Ora, gli uomini non cessarono mai di appartenere a Dio; poiché del Signore è la terra e quanto con­ tiene, l 'universo e i suoi abitanti (Sal 23,1). Quindi sembra che Cristo non ci abbia riscat­ tati con la sua passione.

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Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

rarum et universi qui habitant in eo. Ergo viden.rr quod Christus non redemerit nos sua passione. 2. Praeterea, sicut Augustinus dicit, 1 3 De Trin. [ 1 3], diabolus a Christo iustitia supe­ randus fuit. Sed hoc exigit iustitia, ut ille qui invasit dolose rem alienam, debeat privari, quia fraus et dolus nemini debet patrocinari, ut etiam iura humana [cf. Decretai. Gregor. IX, 3,4,1 2; 1 ,3,16; 2, 14,2] dicunt. Cum ergo dia­ bo1us creaturam Dei, scilicet hominem, dolose deceperit et sibi subiugaverit, viden.rr quod non debuit homo per modum redemptionis ab eius eripi potestate. 3 . Praeterea, quicumque emit aut redimit aliquid, pretium solvit ei qui possidebat. Sed Christus non solvit sanguinem suum, qui dici­ tur esse pretium redemptionis nostrae, diabo1o, qui nos captivos tenebat. Non ergo Chri­ stus sua passione nos redemit. Sed contra est quod dicitur l Petr. l [ 1 8- 1 9],

non corruptibilibus auro vel argento redempti estis de vana vestra conversatione patemae traditionis, sed pretioso sanguine, quasi agni immaculati et incontaminati, Christi. Et Gal. 3 [ 1 3] dicitur, Christus nos redemit de male­ dieta legis, factus pro nobis maledictum.

Dicitur autem pro nobis factus maledictum, inquantum pro nobis passus est in ligno, ut supra [q. 46 a. 4 ad 3] dictum est. Ergo per passionem suam nos redemit. Respondeo dicendum quod per peccatum dupliciter homo obligatus erat. Primo quidem, servitute peccati, quia qui facit peccatum, servus est peccati, ut dicin.rr Ioan. 8 [34]; et 2 Petr. 2 [ 1 9], a qua quis superatus est, huic et servus addictus est. Quia igitur diabolus hominem superaverat inducendo eum ad peccatum, homo servituti diaboli addictus erat. Secundo, quantum ad reatum poenae, quo homo erat obligatus secundum Dei iustitiam. Et haec est servitus quaedam, ad servitutem enim pertinet quod aliquis patian.rr quod non vult, cum liberi hominis sit uti seipso ut vult. - Igitur, quia passio Christi fuit sufficiens et superabundans satisfactio pro peccato et reatu generis humani, eius passio fuit quasi quoddam pretium, per quod liberati sumus ab utraque obligatione. Nam ipsa satisfactio qua quis satisfacit sive pro se sive pro alio, pretium quoddam dicitur quo se redi­ mit a peccato et poena, secundum illud Dan. 4

Q. 48, A. 4

2. Secondo Agostino «il demonio doveva essere sconfitto da Cristo con la giustizia». Ma la giustizia esige che chi ha rapito con l'inganno i beni altrui ne venga privato: poi­ ché «la frode e l ' inganno non devono mai acquisire dei diritti», come dicono anche le leggi civili. Siccome dunque il demonio aveva sottomesso a sé con l'inganno una creatura di Dio, cioè l'uomo, sembra che l'uomo non do­ vesse venire sottratto al suo dominio median­ te un riscatto, o redenzione. 3. Chi compra o riscatta tm oggetto deve dare una somma a chi lo possiede. Ma Cristo non diede il suo sangue, che è il prezzo del nostro riscatto, al demonio, il quale ci teneva in schiavitù. Quindi Cristo con la sua passione non ci ha riscattati o redenti. In contrario: in l Pt l [ 1 8] è detto: Non a

prezzo di cose corruttibili, quali l'argento e l'oro, foste riscattati dalla vostra vuota con­ dotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. E in Gal 3 [ 1 3] : Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi. Ora, si dice che egli divenne maledizione per noi in quanto per noi patì sulla croce, come si è notato sopra. Perciò con la sua passione egli ci ha riscattati. Risposta: in forza del peccato l' uomo aveva contratto due obbligazioni. Innanzitutto quella della schiavitù del peccato: poiché chiunque

commette il peccato è schiavo del peccato (Gv 8,34); e in 2 Pt 2 [ 19] è detto: Uno è schia­ vo di ciò che lo ha vinto. Avendo perciò il de­

monio sconfitto l'uomo inducendolo al peccato, l'uomo si era reso schiavo del demonio. Secon­ do, l'uomo aveva contratto il reato della pena in rapporto alla giustizia di Dio. E anche questa è una specie di schiavitù: poiché rientra nella schiavitù il dover subire ciò che non si vuole, essendo proprio dell'uomo libero il disporre a piacimento di se stesso. - Essendo quindi la passione di Cristo una soddisfazione sufficiente e sovrabbondante per il peccato e per il reato del genere umano, la sua passione fu come il prezzo del riscatto grazie al quale siamo stati liberati da queste due obbligazioni. Infatti la soddisfazione che uno offre per sé o per altri viene considerata come un compenso mediante il quale uno si redime dal peccato e dalla pena, secondo le parole di Dn 4 [24]: Riscatta i tuoi

Q. 48, A. 4

Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

588

[24], peccata tua eleemosynis redime. Christus autem satisfecit, non quidem pecuniam dando aut aliquid huiusmodi, sed dando id quod fuit maximum, seipsum, pro nobis. Et ideo passio Christi dicitur esse nostra redemptio. Ad primum ergo dicendum quod homo dici­ tur esse Dei dupliciter. Uno modo, inquantum subiicitur potestati eius. Et hoc modo nun­ quam homo desiit Dei esse, secundum illud Dan. 4 [22.29], dominatur excelsus in regno

peccati con l'elemosina. Ora, Cristo ha soddi­

hominum, et cuicumque voluerit, dabit illud.

domina sul regno degli uomini, e lo darà a chi vorrà. Secondo, per l'unione con lui mediante la carità. Da cui le parole di Rm 8 [9]: Se uno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.

Alio modo, per unionem caritatis ad eum, se­ cundum quod dicitur Rom. 8 [9], si quis Spi­

ritum Christi non habet, hic non est eius.

-

Primo igitur modo, nunquam homo desiit esse Dei. Secundo modo, desiit esse Dei per peccatum. Et ideo, inquantum fuit a peccato liberatus, Christo passo satisfaciente, dicitur per passionem Christi esse redemptus. Ad secundum dicendum quod homo peccan­ do obligatus erat et Deo et diabolo. Quantum enim ad culpam, Deum offenderat, et diabolo se subdiderat, ei consentiens. Unde ratione culpae non erat factus servus Dei, sed potius, a Dei servitute recedens, diaboli servitutem incurrerat, Deo iuste hoc perrnittente propter offensam in se commissam. Sed quantum ad poenam, principaliter homo erat Deo obliga­ tus, sicut summo iudici, diabolo autem tan­ quam tortori, secundum illud Matth. 5 [25],

ne forte tradat te adversarius tuus iudici, et iudex tradat te ministro, idest angelo poena­ rum crudeli, ut Chrysostomus dicit [cf. Op. imperf. in Matth., h. 1 1 super 5,25]. Quamvis igitur diabolus iniuste, quantum in ipso erat, hominem, sua fraude deceptum, sub servitute teneret, et quantum ad culpam et quantum ad poenam, iustum tamen erat hoc hominem pati, Deo hoc perrnittente quantum ad cul­ pam, et ordinante quantum ad poenam. Et ideo per respectum ad Deum iustitia exigebat quod homo redimeretur, non autem per re­ spectum ad diabolum. Ad tertium dicendum quod, quia redemptio requirebatur ad hominis liberationem per re­ spectum ad Deum, non autem per respectum ad diabolum; non erat pretium solvendum diabolo, sed Deo. Et ideo Christus sanguinem suum, qui est pretium nostrae redemptionis, non dicitur obtulisse diabolo, sed Deo.

sfatto [per noi] non già dando del danaro, o cose simili, ma dando per noi la cosa più grande, cioè se stesso. Si deve quindi dire che la passione di Cristo è il nostro riscatto o redenzione. Soluzione delle difficoltà: l . L'uomo può ap­ partenere a Dio in due modi. Primo, in quanto è soggetto al suo potere. E in questo modo l'uomo non cessò mai di appartenere a Dio, secondo le parole di Dn 4 [22.29]: L'Altissimo

L'uomo quindi non cessò mai di appartenere a Dio nel primo modo. Nel secondo invece smise di appmtenergli col peccato. In quanto dunque fu liberato dal peccato mediante la soddisfazione data da Cristo, si dice che l'uomo fu redento dalla passione di Cristo. 2. Col peccato l'uomo si era obbligato verso Dio e verso il demonio. Con la colpa infatti egli aveva otfeso Dio, e si era sottomesso al demonio, cedendo a lui. Perciò con la colpa egli non era divenuto servo di Dio, avendo rinnegato tale servitù, ma era piuttosto incor­ so nella schiavitù del demonio, permettendo Dio giustamente questo fatto per l ' offesa commessa contro di lui. Quanto al castigo invece, l ' uomo aveva contratto un obbligo innanzitutto verso Dio, quale giudice supre­ mo, e poi verso il demonio, quale giustiziere. E ciò secondo le parole di Mt 5 [25]: Perché il

-

tuo avversario non ti consegni al giudice, e questi al carceriere, «cioè ali' angelo crudele del castigo», come spiega il Crisostomo. Seb­ bene quindi il demonio, da parte sua, tenesse ingiustamente sotto di sé l'uomo, ingannato dalla sua astuzia, sia quanto alla colpa che quanto al castigo, tuttavia era giusto che l'uo­ mo subisse ciò per divina permissione quanto alla colpa, e per divina disposizione quanto al castigo. Perciò la giustizia esigeva che l'uomo venisse redento in rappotto a Dio, non già in rapporto al demonio. 3. Essendo la redenzione, o riscatto, richiesta per la liberazione dell'uomo in riferimento a Dio, e non invece in riferimento al demonio, il prezzo del riscatto doveva essere pagato non al diavolo, ma a Dio. E così si deve dire che Cri­ sto offrl il suo sangue, che è il prezzo della no­ stra redenzione, non al diavolo, ma a Dio.

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Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

Q. 48, A. 5

Articulus 5 Utrum esse Redernptorern sit propriurn Christi

Articolo 5 Essere Redentore è proprio di Cristo?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod esse redemptorem non sit proprium Christi. l . Dicitur enim i n Psalmo, redemisti me, Domine Deus veritatis. Sed esse Dominum Deum veritatis convenit toti Trinitati. Non ergo est proprium Christo. 2. Praeterea, ille dicitur redimere qui dat pretium redemptionis. Sed Deus Pater dedit Filium suum redemptionem pro peccatis no­ stris, secundum illud Psalmi, redemptionem misit Dominus populo suo; Glossa [int. et Lomb.], idest Christum, qui dat redemptio­ nem captivis. Ergo non solum Christus, sed etiam Deus Pater nos redemit. 3. Praeterea, non solum passio Christi, sed etiam aliorum sanctorum, proficua fui t ad nostram salutem, secundum illud Col. l [24],

Sembra di no. Infatti: l. Nel Sal 30 [6] è detto: Tu mi riscatti, Signore, Dio della verità. Ma essere Signore Dio della verità appartiene a tutta la Trinità. Quindi redimere non è proprio di Cristo. 2. Si dice che redime colui che dà il prezzo del riscatto. Ora, Dio Padre ha dato il Figlio suo come redenzione per i nostri peccati, secondo le parole del Sal I l O [9]: Il Signore ha inviato al suo popolo la redenzione, e la Glossa aggiunge: «Cioè Cristo, il quale dà ai prigionieri il riscatto». Perciò non Cristo sol­ tanto, ma anche Dio Padre ci ha redenti. 3. Ha giovato alla nostra salvezza non soltan­ to la passione di Cristo, ma anche quella degli altri santi, come risulta da Col l [24]: Sono

gaudeo in passionibus pro vobis, et adimpleo ea quae desunt passionum Christi in carne mea pro corpore eius, quod est Ecclesia. Ergo non solum Christus debet dici Redemptor, sed etiam alii sancti. Sed contra est quod dicitur Gal. 3 [ 1 3] ,

Christus nos redemit de maledicto legis, fac­ tus pro nobis maledictum. Sed solus Christus

factus est pro nobis maledictum. Ergo solus Christus debet dici noster Redemptor. Respondeo dicendum quod ad hoc quod aliquis redimat, duo requiruntur, scilicet actus solutionis, et pretium solutum. Si enim aliquis solvat pro redemptione alicuius rei pretium, si non est suum, sed alterius, non dicitur ipse redimere principaliter, sed magis ille cuius est pretium. Pretium autem redemptionis nostrae est sanguis Christi, vel vita eius corporalis quae est in sanguine, quam ipse Christus exsolvit. Unde utrumque istorum ad Christum pertinet immediate inquantum est homo, sed ad totam Trinitatem sicut ad causam primam et remotam, cuius erat et ipsa vita Christi sicut primi auctoris, et a qua inspiratum fuit ipsi homini Christo ut pateretur pro nobis. Et ideo esse immediate Redemptorem est pro­ prium Christi inquantum est homo, quamvis ipsa redemptio possit attribui toti Trinitati sicut primae causae. Ad primum ergo dicendum quod Glossa [Lomb. super ps. 30,6; cf. int. super ps. 30,6]

lieto delle sofferenze che soppmto per voi, e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa. Quindi non soltanto Cristo deve dirsi Redentore, ma anche gli altri santi. In contrario: in Gal 3 [ 1 3] è detto: Cristo ci

ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi.

Ora, solo Cristo si è fatto per noi maledizione. Quindi soltanto lui ha diritto al titolo di Redentore. Risposta: per il riscatto si richiedono due cose: l ' atto del pagamento e i l prezzo da pagare. Quando uno infatti per il riscatto di una persona sborsa il danaro di un altro, non si può dire che quella redenzione appartiene in maniera principale a lui, ma piuttosto al proprietario di quel danaro. Ora, il prezzo della nostra redenzione è il sangue di Cristo, ossia la sua vita fisica, che risiede nel sangue, e che Cristo ha pagato. Perciò a Cristo i n quanto uomo appartengono tutte e due le suddette cose in maniera immediata; invece come alla causa prima e remota esse vanno attribuite a tutta la Trinità, a cui apparteneva come alla sua origine prima la vita stessa di Cristo, e dalla quale fu ispirato allo stesso Cristo uomo di patire per noi. E così l'essere Redentore in maniera immediata è proprio di Cristo in quanto uomo; sebbene si possa attribuire la redenzione stessa a tutta la Trinità come alla causa prima.

Q. 48, A. 5

Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

sic exponit, tu, Deus veritatis, redemisti me in Christo clamante [Ps. 30,6], "in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum . Et sic redemptio immediate pertinet ad hominem Christum, principaliter autem ad Deum. Ad secundum dicendum quod pretium re­ demptionis nostrae homo Christus solvit im­ mediate, sed de mandato Patris sicut primor­ dialis auctoris. Ad tertium dicendum quod passiones sancto­ rum proficiunt Ecclesiae, non quidem per modum redemptionis, sed per modum exhor­ tationis et exempli, secundum illud 2 Cor. l [6], sive tribulamur pro vestra exhortatione et "

salute.

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Soluzione delle difficoltà: l . La Glossa così spiega il passo citato: «Th, Signore, Dio della verità, mi hai redento in Cristo il quale ha gridato: Signore, nelle tue mani affido il mio spirito». Per cui la redenzione appartiene im­ mediatamente a Cristo in quanto uomo, a Dio invece come al principio primo. 2. Il prezzo della nostra redenzione fu pagato immediatamente da Cristo come uomo, però sotto il comando del Padre quale autore pri­ mordiale. 3. Le sofferenze dei santi giovano alla Chiesa non sotto forma di redenzione, ma a modo di esortazione e di esempio, secondo le parole di 2 Cor l [6]: Quando siamo tribolati, è per la

vostra consolazione e salvezza.

Articulus 6 Utrum passio Christi fuerit operata nostram salutem per modum efficientiae

Articolo 6 La passione di Cristo è stata la causa efficiente della nostra salvezza?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod passio Christi non fuerit operata nostram salutem per modum efficientiae. l . Causa enim efficiens nostrae salutis est magnitudo divinae virtutis, secundum illud Is. 59 [ 1 ], ecce, non est abbreviata manus eius, ut salvare non possit. Christus autem crucifixus est ex injÌimitate, ut dicitur 2 Cor. 1 3 [4]. Non ergo passio Christi efticienter operata est salutem nostram. 2. Praeterea, nullum agens corporale efficienter agit nisi per contactum, unde etiam et Christus tangendo mundavit leprosum [cf. Matth. 8,2; Mare. 1 ,40; Luc. 5, 12], ut ostenderet carnem suam salutiferam virtutem habere, sicut Chrysostomus [cf. Cyrillum Alexandrinum, In Matth. super 8,3; Theophylactum, In Luc. super 5, 1 3 , apud Cat. Aurea, In Luc . 5,4 super v. 1 3] dici t. Sed passi o Christi non potuit contingere omnes homines. Ergo non potuit efticienter operari omnium hominum salutem. 3. Praeterea, non videtur eiusdem esse operari per modum meriti, et per modum efficientiae, quia ille qui meretur, expectat effectum ab allo. Sed passio Christi operata est nostram salutem per modum meriti. Non ergo per modum efficientiae. Sed contra est quod dicitur l Cor. l [ 1 8] , quod verbum crucis his qui salvi fiunt est virtus Dei. Sed virtus Dei efficienter operatur

Sembra di no. Infatti: l . La causa efficiente della nostra salvezza è la grandezza della virtù divina, secondo le parole di Is 59 [ 1 ] : Non è troppo corta la mano del Signore da non poter salvare; inve­ ce Cristo fu crocifisso per la sua debolezza, come è detto in 2 Cor 1 3 [4]. Quindi la pas­ sione di Cristo non ha causato la nostra sal­ vezza a modo di causa efficiente. 2. Una causa agente corporale non agisce come causa efficiente se non mediante il con­ tatto: infatti Cristo stesso mondò il lebbroso toccandolo, «per mostrare», nota il Crisosto­ mo [Teofilatto ], «che la sua carne aveva una virtù salvifica». Ma la passione di Cristo non poté venire a contatto con tutti gli uomini. Essa quindi non poté produrre la salvezza come causa efficiente. 3. Non sembra che uno possa agire contem­ poraneamente come causa meritoria e come causa efficiente: poiché chi merita attende l'effetto da un altro. Ora, la passione di Cristo ha prodotto la nostra salvezza sotto forma di merito. Quindi non poteva produrla come causa efficiente. In contrario: in l Cor l [ 1 8] è detto: La paro­

la della croce, per quelli che si salvano, è po­ tenza di Dio. Ma la potenza di Dio opera la

nostra salvezza come causa efficiente. Quindi la passione di Cristo sulla croce ha prodotto la nostra salvezza come causa efficiente.

59 1

Come la passione di Cristo produca i suoi effetti

nostram salutem. Ergo passio Christi in cruce efficienter operata est nostram salutem. Respondeo dicendum quod duplex est ef­ ficiens, principale, et instrumentale. Efficiens quidem principale humanae salutis Deus est. Quia vero humanitas Christi est divinitatis instrumentum, ut supra [q. 2 a. 6 arg. 4; q. 1 3 aa. 2-3; q. 1 9 a. l ; q. 43 a. 2] dictum est, ex consequenti omnes actiones et passiones Christi instrumentaliter operantur, in virtute divinitatis, ad salutem humanam. Et secun­ dum hoc, passio Christi efticienter causat salutem humanam. Ad primum ergo dicendum quod passio Chri­ sti, relata ad Christi camem, congruit infirmita­ ti assumptae, relata vero ad divinitatem, consequitW' ex ea infmitam virtutem, secun­ dum illud l Cor. l [25], quod infinnum est Dei, fortius est hominibus; quia scilicet ipsa infirmitas Christi, inquantum est Dei, habet vir­ tutem excedentem omnem virtutem humanam. Ad secundum dicendum quod passio Christi, licet sit corporalis, habet tamen spiritualem vir­ tutem ex divinitate unita. Et ideo per spiritua­ lem contactum efficaciam sortitur, scilicet per fidem et fidei sacramenta, secundum illud apo­ stoli [Rom. 3,25], quem pmposuit pmpitiato­

rem perfidem in sanguine eius.

Q. 48, A. 6

Risposta: la causa efficiente è di due specie: princi pale e strumentale. Ora, la causa efficiente principale della salvezza umana è Dio. Essendo però l'umanità di Cristo «Stru­ mento della divinità», come si è detto, ne se­ gue che tutte le azioni e sofferenze di Cristo producevano strumentalmente, in virtù della divinità, la salvezza dell'uomo. E in questo modo la passione di Cristo è la causa efficien­ te della salvezza umana. Soluzione delle difficoltà: l . La passione di Cristo in rapporto alla sua carne mortale con­ veniva alla debolezza che egli aveva assunto, ma in rapporto alla divinità acquistava una vir­ tù infinita, secondo le parole di l Cor l [25]:

La debolezza di Dio è più forte degli uomini;

in quanto cioè la stessa debolezza di Cristo, appartenendo a Dio, ha una potenza che supera ogni virtù umana. 2. Pur essendo corporale, la passione di Cristo ha tuttavia una virtù di ordine spirituale per la sua unione con la divinità. E così essa rivela la sua efficacia mediante un contatto spiritua­ le: cioè mediante la fede e i sacramenti della fede, secondo le parole di Rm 3 [25] : Dio lo

ha posto come strumento di espiazione per mezzo dellafede, nel suo sangue. 3. La passione di Cristo in rapporto alla sua

Ad tertium dicendum quod passio Christi, se­ cundum quod comparatur ad divinitatem eius, agit per modum efficientiae; inquantum vero comparatur ad voluntatem animae Christi, agit per modum meriti; secundum vero quod consi­ deratur in ipsa carne Christi, agit per modum sa­ tisfactionis, inquantum per eam liberamur a reatu poenae; per modum vero redemptionis, inquantum per eam liberamur a servitute cul­ pae; per modum autem sacrificii, inquantum per eam reconciliamur Deo, ut infra [q. 49] dicetur.

divinità agisce come causa efficiente; in rap­ porto alla volontà dell'anima di Cristo agisce come causa meritoria; in rapporto alla carne stessa di Cristo agisce sotto forma di soddi­ sfazione, in quanto grazie ad essa siamo libe­ rati dal reato della pena; agisce invece sotto forma di redenzione in quanto con essa siamo liberati dalla schiavitù della colpa, e infine agisce sotto forma di sacrificio in quanto per mezzo di essa siamo riconciliati con Dio, come diremo in seguito.

QUAESTI0 49 DE EFFECTIBUS PASSIONIS CHRISTI

QUESTIONE 49 GLI EFFETTI DELLA PASSIONE DI CRISTO

Deinde considerandum est de ipsis effectibus passionis Christi. - Et circa hoc quaeruntur sex. Primo, utrum per passionem Christi si­ mus liberati a peccato. Secundo, utrum per eam simus liberati a potestate diaboli. Tertio, utrum per eam simus liberati a reatu poenae. Quarto, utrum per eam simus Deo reconciliati.

Veniamo ora a considerare gli effetti della passione di Cristo. - Sull'argomento si pon­ gono sei quesiti: l . La passione di Cristo ci ha liberati dal peccato? 2. Ci ha liberati dal pote­ re del demonio? 3. Ci ha liberati dalla pena? 4. Grazie ad essa siamo stati riconciliati con Dio? 5. Ci ha aperto le porte del cielo? 6. Per

Gli effetti della passione di Cristo

Q. 49, A. l

Quinto, utrum per eam sit nobis aperta ianua caeli. Sexto, utrum per eam Christus adeptus fuerit exaltationem.

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mezzo di essa Cristo ha conseguito la propria esaltazione?

Articulus l

Articolo l

Utrum per passionem Christi simus liberati a peccato

La passione di Cristo ci ha liberati dal peccato?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod per passionem Christi non simus liberati a peccato. l . Liberare enim a peccato est proprium Dei secundum illud Is. 43 [25], ego sum qui deleo iniquitates tuas propter me. Christus autem non est passus secundum quod Deus, sed secundum quod homo. Ergo passio Christi non liberavit nos a peccato. 2. Praeterea, corporale non agit in spirituale. Sed passio Christi corporalis est, peccatum autem non est nisi in anima, quae est spiritua­ lis creatura. Ergo passio Christi non potuit nos mundare a peccato. 3. Praeterea, nullus potest liberari a peccato quod nondum commisit, sed quod in poste­ rum est commissurus. Cum igitur multa pec­ cata post Christi passionem sint commissa, et tota die committantur, videtur quod per pas­ sionem Christi non simus liberati a peccato. 4. Praeterea, posita causa suftìcienti, nihil aliud requiritur ad effectum inducendum. Re­ quiruntur autem adhuc alia ad remissionem peccatorum, scilicet Baptismus et poenitentia. Ergo videtur quod passio Christi non sit suf­ tìciens causa remissionis peccatorum. 5. Praeterea, Prov. I O [ 1 2] dicitur, universa delicta operit caritas; et 15 [27] dicitur, per

Sembra di no. Infatti: l . Liberare dai peccati è proprio di Dio, se­ condo le parole di ls 43 [25 ] : Sono io che

misericordiam et fidem purgantur peccata. Sed multa sunt alia de quibus habemus fidem, et quae sunt provocativa caritatis. Ergo passio Christi non est propria causa remissionis pec­ catorum. Sed contra est quod dicitur Apoc. l [5], dilexit

nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo.

Respondeo dicendum quod passio Christi est propria causa remissionis peccatorum, tripli­ citer. Primo quidem, per modum provocantis ad calitatem. Quia, ut apostolus dicit, Rom. 5

[8-9], commendar Deus suam caritatem in nobis, quoniam, cum inimici essemus, Chri­ stus pro nobis mortuus est. Per caritatem autem consequimur veniam peccatorum, secundum illud Luc. 7 [47], dimissa sunt ei

cancello le tue iniquità per riguardo a me. Ora, Cristo ha patito non come Dio, ma come uomo. Quindi la sua passione non ci ha libe­ rati dal peccato. 2. Ciò che è corporeo non può agire su ciò che è spirituale. Ora, la passione di Cristo era corporale, mentre il peccato non può risiedere che nell'anima, che è una creatura spirituale. Quindi la passione di Cristo non poteva mon­ darci dal peccato. 3. Nessuno può essere liberato da dei peccati che non ha ancora commesso, ma che com­ metterà in seguito. Poiché dunque molti pec­ cati furono commessi dopo l a passione di Cristo, e vengono commessi tuttora, sembra che dalla passione di Cristo non siamo liberati dai peccati. 4. Posta la causa proporzionata e sufficiente, non si richiede altro per avere l 'effetto. Invece si richiedono tuttora altre cose per la remis­ sione dei peccati: cioè il battesimo e la peni­ tenza. Sembra quindi che la passione di Cri­ sto non sia una causa sufficiente per la remis­ sione dei peccati. 5. In Pr 10 [12] è detto: L'amore ricopre ogni colpa; e in Pr 1 5 [27]: Con la misericordia e con la fede ci si purifica dai peccati. Ora, la fede ha molti altri oggetti, e la carità molti altri motivi oltre alla passione di Cristo. Quindi la passione di Cristo non è la causa propria della remissione dei peccati. In contrario: in Ap l [5] è detto: Egli ci ama, e

ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue. Risposta: la passione di Cristo è la causa pro­ pria della remissione dei peccati per tre mo­ tivi. Primo, quale incentivo alla calità. Poiché Paolo dice: Dio dimostra il suo amore verso

di noi perché, mentre eravamo ancora nemici, Cristo è morto per noi (Rm 5,8). Ora, con la

calità noi conseguiamo il perdono dei peccati, secondo le parole di Le 7 [47]: Le sono per-

593

Gli effetti della passione di Cristo

peccata multa, quoniam dilexit multum.

-

Secundo, passio Christi causat remissionem peccatorum per modum redemptionis. Quia enim ipse est caput nostrum, per passionem suam, quam ex caritate et obedientia sustinuit, liberavit nos, tanquam membra sua, a peccatis, quasi per pretium suae passionis, sicut si homo per aliquod opus meritorium quod manu exerceret, redimeret se a peccato quod pedibus commisisset. Sicut enim naturale corpus est unum, ex membrorum diversitate consistens, ita tota Ecclesi a, quae est mysticum corpus Christi, computatur quasi una persona cum suo capite, quod est Chri­ stus. - Tertio, per modum efficientiae, inquan­ tum caro, secundum quam Christus passio­ nem sustinuit, est instrwnentum divinitatis, ex quo eius passiones et actiones operantur in virtute divina ad expellendum peccatum. Ad primum ergo dicendum quod, licet Chri­ stus non sit passus secundum quod Deus, ta­ men caro eius est divinitatis instrumentum. Et ex hoc passio eius habet quandam divinam virtutem ad expellendum peccatum, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod passio Christi, licet sit corporalis, sortitur tamen quandam spiritualem virtutem ex divinitate, cuius caro ei unita est insuumentum. Secundum quam quidem virtutem passio Christi est causa remissionis peccatorum. Ad tertium dicendum quod Christus sua pas­ sione a peccatis nos liberavit causaliter, idest, instituens causam nostrae liberationis, ex qua possent quaecumque peccata quandocumque remitti, vel praeterita vel praesentia vel futura, sicut si medicus faciat medicinam ex qua possint etiam quicumque morbi sanari, etiam in futurum. Ad quartum dicendum quod, quia passio Christi praecessit ut causa quaedam universa­ lis remissionis peccatorum, sicut dictum est [ad 3], necesse est quod singulis adhibeatur ad deletionem propriorum peccatorum. Hoc autem tit per Baptismum et poenitentiam et alia sacramenta, quae habent virtutem ex pas­ sione Christi, ut infra [q. 62 a. 5] patebit. Ad quintum dicendum quod etiam per fidem applicatur nobis passio Christi ad percipien­ dum fructum ipsius, secundum illud Rom. 3 [25], quem proposuit Deus propitiatorem per fidem in sanguine eius. Fides autem per quam

Q. 49, A. l

donati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. - Secondo, la passione di Cristo causa

l a remissione dei peccati sotto forma di redenzione. Essendo egli infatti il nostro capo, con la sua passione, accettata per amore e obbedienza, ha liberato dal peccato noi che siamo le sue membra, offrendo tale passione come prezzo del riscatto: come se uno riscattasse se stesso da un peccato commesso con i piedi mediante un' opera meritoria compiuta con le mani. Come infatti è unico il corpo fisico formato di membra diverse, così la Chiesa, che è il corpo mistico di Cristo, costituisce come un'unica persona insieme con il suo capo, che è Cristo. - Terzo, a modo di efficienza: poiché il corpo nel quale Cristo ha subìto la passione è «strumento della divinità», per cui i suoi patimenti e le sue azioni agiscono con la virtù di Dio nell'eli­ minazione del peccato. Soluzione delle difficoltà: l . È vero che Cri­ sto non soffrì come Dio, tuttavia la sua carne era strumento della divinità. E così la sua passione partecipa della potenza divina nel­ l' eliminazione del peccato, come si è detto. 2. La passione di Cristo, pur essendo corpora­ le, riceve tuttavia una certa virtù spirituale grazie alla divinità a cui la carne è unita come uno strumento. Ed è in forza di questa virtù che la passione di Ctisto causa la remissione dei peccati. 3. Con la sua passione Cristo ci ha liberati dai nostri peccati in maniera causale, cioè isti­ tuendo la causa di tale liberazione, in modo che potessero venire rimessi tutti i peccati in qualsiasi momento, siano essi passati, presen­ ti o futuri: come se un medico preparasse una medicina capace di guarire qualsiasi malattia, anche in futuro. 4. Dato che la passione di Cristo fu posta nel tempo come una certa causa universale per la remissione dei peccati, come si è detto, è ne­ cessario che essa venga applicata ai singoli per la remissione dei loro peccati. E ciò avviene mediante il battesimo, la penitenza e gli altri sacramenti, i quali devono le loro virtù alla passione di Cristo, come vedremo in seg_uito. 5. E anche attraverso la fede che la passione di Cristo ci viene applicata in modo che pos­ siamo riceverne i frutti, secondo le parole di Rm 3 [25]: Dio lo ha posto come strumento di

Q. 49, A. l

Gli effetti della passione di Cristo

a peccato mundamur, non est fides informis, quae potest esse etiam cum peccato, sed est fides fom1ata per caritatem, ut sic passio Chri­ sti nobis applicetur non solum quantum ad intellectum, sed etiam quantum ad affectum. Et per hunc etiam modum peccata dimittuntur ex virtute passionis Christi.

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espiazione per mezzo della fede, nel suo san­ gue. Ora, la fede con la quale siamo mondati

dal peccato non è la fede infom1e, che può coesistere con il peccato, ma la fede infmma­ ta dalla carità: per cui la passione di Cristo ci viene applicata non solo quanto all' intelligen­ za, ma anche quanto alla volontà. E anche in questo modo i peccati vengono rimessi in vir­ tù della passione di Cristo.

Articulus 2 Utrum per passionem Christi simus liberati a potestate diaboli

Articolo 2 La passione di Cristo ci ha liberati dal potere del demonio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod per passionem Christi non simus l iberati a potestate diaboli. l . Ille enim non habet potestatem super aliquos, in quibus nihil sine permissione alte­ rius facere potest. Sed diabolus nunquam po­ tuit aliquid in nocumentum hominum facere nisi ex pem1issione divina, sicut patet lob l et 2 quod, potestate divinitus accepta, eum pri­ mo in rebus, et postea in corpore laesit. Et similiter Matth. 8 [3 1 -32] dicitur quod dae­ mones, nisi Christo concedente, non potue­ runt porcos intrare. Ergo diabolus nunquam habuit in hominibus potestatem. Et ita per passionem Christi non sumus a potestate dia­ boli liberati. 2. Praeterea, diabolus potestatem suam in ho­ minibus exercet tentando et corporaliter ve­ xando. Sed hoc adhuc in hominibus operatur, post Christi passionem. Ergo non sumus per passionem Christi ab eius potestate liberati. 3. Praeterea, virtus passionis Christi in per­ petuum durat, secundum illud Hebr. IO [14],

Sembra di no. Infatti. l . Non ha alcun potere sugli altri chi non può esercitarlo senza il pem1esso altrui. Ma il de­ monio non poté mai far nulla contro l'uomo senza una permissione divina: come è eviden­ te nel caso di Giobbe (Gb l e 2), che fu colpi­ to, in seguito a tale permissione, prima negli averi e poi nel corpo. E anche in Mt 8 [3 1 ] è detto che i demoni non poterono entrare nei porci se non con il pem1esso di Cristo. Quindi il demonio non ha mai avuto potere sugli uo­ mini. E così la passione di Cristo non ha potu­ to liberarci dal potere del demonio. 2. n demonio esercita il suo potere sull'uomo tentandolo e vessandolo fisicamente. Ma que­ sto egli continua a farlo anche dopo la passio­ ne di Cristo. Quindi tale passione non ci ha liberati dal suo potere. 3. La virtù della passione di Cristo dura in perpetuo, secondo le parole di Eb l O [ 1 4] :

una oblatione consummavit sancti.ficatos in sempiternum. Sed liberatio a potestate diaboli

nec est ubique, quia in multis partibus mundi adhuc sunt idololatrae, nec etiam erit semper, quia tempore Antichristi maxime suam pote­ statem exercebit in hominum nocumentum, de quo dicitur, 2 ad Thess. 2 [9- 10], quod eius

adventus erit secundum operationem Satanae in omni virtute et signis et prodigiis mendaci­ bus, et in omni seductione iniquitatis. Ergo videtur quod passio Christi non sit causa libe­ rationis humani generis a potestate diaboli. Sed contra est quod Dominus dicit, Ioan. 12 [3 1-32], passione imminente, nunc princeps

huius mundi eiicietur foras, et ego, si exalta-

Con un 'unica oh/azione ha resi peifetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, la liberazione dal potere del demonio non si è avuta ovunque, poiché in molte parti del mondo ci sono ancora gli idolatri; e neppure sarà perpetua, poiché al tempo dell'Anticristo il demonio eserciterà più che mai il suo male­ fico potere sugli uomini, come è detto in 2 Ts

2 [9] : La venuta dell 'Anticristo sarà nella potenza di Satana, con ogni specie di porten­ ti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno. Perciò la passione di Cristo non sembra avere causato la liberazio­ ne del genere umano dal potere del demonio. In contrario: nell' imminenza della passione i l S ignore dice: Ora il principe di questo

mondo sarà gettato fuori; e io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12,3 1 ).

595

Gli effetti della passione di Cristo

tus fuero a terra, omnia traham ad meipsum.

Est autem exaltatus a terra per crucis passio­ nem. Ergo per eius passionem diabolus est a potestate hominum eiectus. Respondeo dicendum quod circa potestatem quam diabolus i n homines exercebat ante Christi passionem, tria sunt consideranda. Pri­ mum quidem est ex parte hominis, qui suo peccato meruit ut i n potestatem traderetur diaboli, per cuius tentationem fuerat supe­ ratus. Aliud autem est ex parte Dei, quem homo peccando offenderat, qui, per suam iustitiam, hominem reliquerat potestati diabo­ li. Tertium autem est ex parte ipsius diaboli, qui sua nequissima voluntate hominem a con­ secutione salutis impediebat. - Quantum igitur ad primum, homo est a potestate diaboli liberatus per passionem Christi, inquantum passio Christi est causa remissionis peccato­ rum, ut dictum est [a. l ] . Quantum autem ad secundum, dicendum quod passio Christi nos a potestate diaboli liberavit, inquantum nos Deo reconciliavit, ut in fra [a. 4] dicetur. Quantum vero ad tertium, passio Christi nos a diabolo liberavit, inquantum in passione Chri­ sti excessit modum potestatis sibi traditae a Deo, machinando in mortem Christi, qui non habebat meritum mortis, cum esset absque peccato. Unde Augustinus dicit, in 1 3 De Trin. [ 1 4], iustitia Christi diabolus victus est,

quia, cum in eo nihil morte dignum inveniret, occidit eum tamen; et utique iustum est ut debitores quos tenebat, liberi dimittantur, in eum credentes quem sine ullo debito occidit. Ad primum ergo dicendum quod non dicitur sic diabolus in homines potestatem habuisse quasi posset eis nocere Deo non pennittente. Sed quia iuste pennittebatur nocere homini­ bus, quos tentando ad suum consensum perduxerat. Ad secundum dicendum quod diabolus etiam nunc quidem potest, Deo permittente, homi­ nes tentare quantum ad animam, et vexare quantum ad corpus, sed tamen praeparatum est homini remedium ex passione Christi, quo se potest tueri contra hostis impugnationes, ne deducatur in interitum mortis aeternae. Et quicumque ante passionem Christi diabolo resistebant, per fidem passionis Christi hoc facere poterant, licet, passione Christi non­ dum peracta, quantum ad aliquid nullus po­ tuerit diaboli manus evadere, ut scilicet non

Q. 49, A. 2

Ma egli fu elevato da terra con la morte di croce. Quindi la sua passione ha privato il demonio del suo potere sugli uomini. Risposta: nel potere che il demonio esercitava sugli uomini prima della passione di Cristo si devono considerare tre cose. Primo, in rap­ porto all'uomo si deve notare che questi col suo peccato aveva meritato di essere conse­ gnato in potere del demonio, alla cui tentazio­ ne aveva ceduto. Secondo, in rapporto a Dio, che l ' uomo aveva offeso col peccato, va notato che egli per giustizia aveva abbando­ nato l'uomo al potere del demonio. Terzo, in rapporto al demonio stesso si deve tenere presente che questi con la sua perversa volon­ tà impediva all'uomo di conseguire la salvez­ za. - Ora, quanto al primo punto l'uomo fu liberato dal potere del demonio mediante la passione di Cristo in quanto la passione causò la remissione dei peccati, come si è spiegato sopra. Quanto al secondo punto si deve invece concludere che la passione di Cristo ci ha liberati dal potere del demonio in quanto ci ha riconciliati con Dio, come vedremo in se­ guito. Quanto infine al terzo punto va notato che la passione di Cristo ci ha liberati dal po­ tere del demonio in quanto questi nella pas­ sione di Cristo passò i limiti del potere a lui concesso da Dio, tramando la morte di Ctisto, che era immune dalla morte, essendo senza peccato. Da cui le parole di Agostino: «>. 3. Cristo volle conservare nel proprio corpo le cicatrici non solo per confermare la fede dei discepoli, ma anche per altri motivi. Dai quali risulta che quelle cicatrici rimarranno in lui per sempre. Per cui Agostino scrive: «Credo che i l corpo del Signore sia i n cielo così com'era quando ascese al cielo». E Gregorio dice che «Se uno pensa che nel corpo di Cri­ sto dopo la risurrezione si sia potuto mutare qualcosa, contro le parole veridiche di Paolo, riconduce Cristo alla morte. E chi oserebbe affermarlo, se non quello stolto che negasse la vera Iisurrezione della carne?». Perciò è evi­ dente che le cicatrici mostrate da Cristo nel suo corpo dopo la risurrezione non furono più eliminate neppure in seguito.

patet quod cicatrices quas Christus post resur­ rectionem in suo corpore ostendit, nunquam postmodum ab ilio corpore sunt remotae.

QUAESTI0 55

QUESTIONE 55

DE MANIFESTATIONE RESURRECTIONIS

LA MANIFESTAZIONE DELLA RISURREZIONE

Deinde considerandum est de manifestatione resurrectionis. - Et circa hoc quaeruntur sex. Primo, utrum resun-ectio Christi omnibus ho­ minibus manifestari debuerit, an solum quibus­ dam specialibus hominibus. Secundo, utrum fuisset conveniens quod, eis videntibus, resur­ geret. Tertio, utrum post resurrectionem debue­ rit cum suis discipulis conversari . Quarto, utrum fuerit conveniens quod suis discipulis in

Veniamo ora a considerare la manifestazione della Iisurrezione. - Sull'argomento si pon­ gono sei quesiti: l. La risurrezione di Cristo doveva essere manifestata a tutti gli uomini, oppure solo a delle persone qualifi cate? 2. Avrebbe dovuto tisorgere davanti ai loro occhi? 3 . Avrebbe dovuto convivere con i suoi discepoli dopo la Iisurrezione? 4. È stato conveniente l 'apparne ai suoi discepoli sotto

La manifestazione della risurrezione

657

Q. 55, A. l

aliena effigie appareret. Quinto, utrum resurrec­ tionem suam argumentis manifestare debuerit. Sexto, de sufficientia illorum argumentorum.

sembianze diverse? 5. Avrebbe dovuto mani­ festare con delle prove la sua risurrezione? 6. Tali prove sono state sufficienti?

Articulus l

Articolo l La risurrezione di Cristo doveva essere manifestata a tutti?

Utrum resurrectio Christi debuerit omnibus manifestari Ad primum sic proceditur. Videtur quod resur­ rectio Christi debuerit omnibus manifestari. l . Sicut enim publico peccato debetur poena publica, secundum illud l Tim. 5 [20], pec­ cantem coram omnibus argue; ita merito pu­ blico debetur praemium publicum. Sed cla­

ritas resurrectionis est praemium humilitatis passionis, ut Augustinus dicit, Super Ioan. [tract. 104 super 17, 1 ] . Cum ergo passio Chri­ sti fuerit omnibus manifestata, eo publice patiente, videtur quod gloria resurrectionis ipsius omnibus manifestari debuerit. 2. Praeterea, sicut passio Christi ordinatur ad nostram salutem, ita et eius resurrectio, se­ cundum illud Rom. 4 [25], resurrexit propter iusti.ficationem nostram. Sed illud quod ad communem utilitatem pertinet, omnibus de­ bet manifestari. Ergo resurrectio Christi om­ nibus debuit manifestari , et non specialiter quibusdam. 3. Praeterea, illi quibus manifestata est resur­ rectio, fuerunt resurrectionis testes, unde dici­ tur Act. 3 [ 1 5], quem Deus suscitavi! a mor­ tuis, cuius nos testes sumus. Hoc autem testi­ monium ferebant publice praedicando. Quod quidem non convenit mulieribus, secundum illud l Cor. 14 [34] , mulieres in Ecclesiis taceant; et l Tirn. 2 [ 12], docere mulie1i non permitto. Ergo videtur quod inconvenienter resurrectio Christi manifestata fuerit primo mulieribus quam hominibus communiter. Sed contra est quod dicitur Act. I O [40-4 1 ] ,

quem Deus suscitavit tenia die, et dedit eum manifestum fieri, non omni populo, sed testi­ bus praeordinatis a Deo. Respondeo dicendum quod eorum quae co­ gnoscuntur, quaedam cognoscuntur communi lege naturae; quaedam autem cognoscuntur ex speciali munere gratiae, sicut ea quae divinitus revelantur. Quorum quidem, ut Dionysius dicit, in libro De cael. hier. [3], haec est lex divinitus instituta, ut a Deo immediate su­ perioribus revelentur, quibus mediantibus de­ ferantur ad inferiores, sicut patet in ordi-

Sembra di sì. Infatti: l. Come a un peccato pubblico è dovuta una pena pubblica, secondo le parole di l Tm 5 [20] : I colpevoli riprendi/i alla presenza di tutti, così a un merito pubblico è dovuto un premio pubblico. Ma «la gloria della risurre­ zione è il premio per l 'ignominia della passio­ ne», dice Agostino. Essendo stata quindi manifestata a tutti la passione di Cristo, aven­ dola egli sotferta in pubblico, sembra che la gloria della sua risurrezione dovesse venire manifestata a tutti. 2. Come è ordinata alla nostra salvezza la pas­ sione di Cristo, così è ad essa ordinata anche la sua risurrezione, come è detto in Rm 4 [25]: È risolto per la nostra giustificazione. Ma ciò che riguarda l 'utilità di tutti deve essere mani­ festato a tutti. Perciò la risurrezione di Cristo doveva essere manifestata a tutti, e non solo a persone particolari. 3. Quelli che ne ebbero la manifestazione fu­ rono i testimoni della risurrezione di Cristo, infatti in At 3 [ 1 5] è detto: Dio lo ha risuscita­ to dai mm1i, e di ciò noi siamo testimoni. Ma questa testimonianza avveniva con la predica­ zione pubblica, che è negata alle donne, stan­ do alle parole di l Cor 14 [34] : Le donne nelle assemblee tacciano e di l Tm 2 [ 1 2] :

Non concedo a nessuna donna di insegnare. Quindi sembra non opportuno che la risurre­ zione di Cristo fosse manifestata prima alle donne che agli uomini in genere. In contrario: in At I O [40] è detto: Dio lo ha

risuscitato il terzo giorno, e volle che appa­ risse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio. Risposta: tra le cose che si conoscono alcune rientrano nelle comuni capacità della natura, altre i nvece vengono apprese per un dono speciale della grazia, come quelle che sono ri­ velate da Dio. Ora, a proposito di queste ulti­ me, come insegna Dionigi, Dio ha stabilito questa legge: che esse vengano rivelate im­ mediatamente da Dio agli esseri superiori, e

Q. 55, A. l

La manifestazione della risurrezione

natione caelestium spirituum. Ea vero quae pertinent ad futuram gloriam, communem ho­ minum cognitionem excedunt, secundum illud Is. 64 [4] , oculus non vidit, Deus, absque te, quae preparasti diligentibus te. Et ideo huius­ modi ab homine non cognoscuntur nisi divi­ nitus revelata, sicut apostolus dicit, l Cor. 2

[10], nobis revelavit Deus per Spiritum suum. Quia igitur Christus resurrexit gloriosa resur­ rectione, ideo eius resurrectio non omni popu­ lo manifestata est, sed quibusdam, quorum testimonio deterretur in aliorum notitiam. Ad primum ergo dicendum quod passio Chri­ sti peracta est in corpore adhuc habente natu­ ram passibilem, quae communi lege nota est omnibus. Et ideo passio Christi omni populo immediate manifestari potuit. Resurrectio autem Christi facta est per gloriam Patris, ut apostolus dicit, Rom. 6 [4]. Et ideo immedia­ te manifestata est, non omnibus, sed quibus­ dam. Quod autem publice peccantibus publi­ ca poena imponitur, intelligendum est de poe­ na praesentis vitae. Et similiter publica merita publice praemiari oportet, ut alii provocentur. Sed poenae et praemia futurae vitae non pu­ blice omnibus manifestantur, sed specialiter illis qui ad hoc praeordinati sunt a Deo. Ad secundum dicendum quod resurrectio Chri sti, sicut est ad communem omnium salutem, ita in notitiam omnium pervenit, non quidem sic quod i mmediate omnibu s manifestaretur; sed quibusdam, per quorum testimonium deferretur ad omnes. Ad tertium dicendum quod mulieri non per­ mittitur publice docere in Ecclesia, permittitur autem ei privatim domestica aliquos admoni­ tione instruere. Et ideo, sicut Ambrosius dicit, Super Luc. [ l O, super 24,9], ad eos femina mittitur qui domestici sunt, non autem mittitur ad hoc quod resurrectionis testimonium ferat ad populum. Ideo autem primo mulieribus apparuit, ut mulier, quae primo initium mortis ad hominem detulit, primo etiam initia resur­ gentis Christi in gloria nuntiaret. Unde Cyril­ lus dicit [In Ioann. 1 2, l , super 20, 17; verbote­ nus apud Cat. Aurea, In Luc. 24, l super v. 8],

femina, quae quondam fuit mortis ministra, venerandum resurrectionis mysterium prima percepit et nuntiat. Adeptum est iginu· femi­ neum genus et ignominiae absolutionem, et maledictionis repudium. Simul etiam per -

hoc ostenditur quod, quantum ad statum

658

mediante il loro ministero a quelli inferiori, come risulta evidente nell'ordinamento degli spiriti celesti. Ma le cose relative alla gloria futura superano la conoscenza comune degli uomini, secondo le parole di ls 64 [4]: Occhio

non vide, o Dio, eccetto te, che cosa hai pre­ parato per coloro che ti amano. Perciò tali cose non sono conosciute dall'uomo se non per rivelazione divina, come dice Paolo: A noi

Dio le ha rivelate per mezzo del suo Spirito (l Cor 2, 1 0). Poiché dunque Cristo risorse con una risurrezione gloriosa, questa doveva essere manifestata non a tutto il popolo, ma ad alcuni, attraverso la cui testimonianza giungesse a tutti gli altri. Soluzione delle difficoltà: l . La passione di Cristo si compì su di un corpo che aveva an­ cora una natura passibile, che è conosciuta da tutti secondo la legge comune. Perciò poté essere manifestata immediatamente a tutto il popolo. La risurrezione di Cristo invece si compì per mezzo della gloria del Padre, co­ me dice Paolo (Rm 6,4). Quindi non fu ma­ nifestata immediatamente a tutti, ma solo ad alcuni. Quanto poi alla pena pubblica inflitta ai pubblici peccatori, si noti che si tratta della pena limitata alla vita presente, cioè a un am­ bito nel quale anche i meriti pubblici vanno premiati pubblicamente, per incoraggiare gli altri. Le pene e i premi della vita futura invece non vengono manifestati pubblicamente a tut­ ti, ma in un modo speciale a coloro che Dio ha designato a tale scopo. 2. Essendo la risurrezione di Cristo preordina­ ta alla salvezza di tutti, essa giunse alla cono­ scenza di tutti: però non in modo da essere manifestata immediatamente a tutti, ma ad alcuni, che con la loro testimonianza l' avreb­ bero poi comunicata a tutti. 3. Alla donna non è permesso di insegnare in chiesa pubblicamente, però le è concesso di istruire privatamente con l' ammonizione fa­ miliare. Per cui Ambrogio rileva che «la don­ na viene mandata a quelli che erano di casa», ma non viene mandata a testimoniare la risur­ rezione dinanzi al popolo. Cristo poi volle apparire per primo alle donne perché, come la donna era stata la prima a portare all'uomo il germe della morte, così fosse anche la prima ad annunziare gli albori della gloria nel Cristo risorto. Da cui le parole di Cirillo: «La donna, che un tempo era stata quasi lo strumento

Q. 55, A. l

La manifestazione della risurrezione

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gloriae pertinet, nullum detrimentum patietur sexus femineus, sed, si maiori caritate ferve­ bunt, maiori etiam gloria ex visione divina potientur, eo quod mulieres, quae Dominum arctius amaverunt, in tantum ut ab eius sepul­ cro, discipulis etiam recedentibus, non rece­ derent, primo viderunt Dominum in gloriam resurgentem.

della morte, fu la prima a costatare e ad an­ nunziare il mistero della santa risurrezione. E così il sesso femminile fu redento dall' infa­ mia e dalla maledizione». - E ciò serve anche a dimostrare che nello stato della gloria futura le donne non avranno alcuna minorazione dal loro sesso, ma, se saranno più ferventi nella carità, godranno anche di una gloria superiore nella visione di Dio: e questo perché le don­ ne, che avevano amato il Signore più ardente­ mente, al punto «di non abbandonare il sepol­ cro mentre i discepoli lo abbandonavano», vi­ dero per prime il Signore risorto nella gloria.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum conveniens fuerit quod discipuli viderent Christum resurgere

Sarebbe stato conveniente che i discepoli assistessero alla risurrezione di Cristo?

Ad secundum sic proceditur. Videtur conve­ niens fuisse quod discipuli viderent Christum resurgere. l . Ad discipulos enim pertinebat resurrectio­ nem Christi testificari, secundum illud Act. 4

Sembra di sì. Infatti: l . I discepoli avevano il compito di testimo­ niare la risurrezione di Cristo, secondo le pa­ role di At 4 [33]: Con grande forza gli apo­

[33], virtute magna reddebant apostoli testi­ monium resurrectionis /esu Christi, Domini nostri. Sed certissimum est testimonium de visu. Ergo conveniens fuisset ut ipsam resur­ rectionem Christi viderent. 2. Praeterea, ad certitudinem fidei habendam, discipuli ascensionem Christi viderunt, secun­ dum illud Act. l [9], videntibus illis, elevatus est. Sed similiter oporteret de resurrectione Christi certam fidem habere. Ergo videtur quod, discipulis videntibus, debuerit Christus resurgere. 3. Praeterea, resurrectio Lazari quoddam indi­ cium fuit futurae resurrectionis Christi. Sed, discipulis videntibus, Dominus Lazarum su­ scitavit. Ergo videtur quod etiam Christus resurgere debuerit, discipulis videntibus. Sed contra est quod dicitur Marci 1 6 [9] ,

resurgens Dominus mane prima sabbati, ap­ paruit primo Mariae Magdalenae. Sed Maria Magdalena non vidit eum re..>. Se quindi anche in una sola apparizione Cristo si fosse mostrato diverso da quello che era, verrebbe infirmato tutto ciò che i discepoli videro dopo la sua risurrezio­ ne. Non essendo dunque ciò ammissibile, ne viene che Cristo non doveva apparire sotto sembianze diverse. In contrario: in Mc 1 6 [ 1 2] è detto: In seguito

post haec, duobus ex eis ambulantibus osten­ sus est in alia effigie, euntibus in villam.

apparve sotto un altm aspetto a due di lom che andavano verso la campagna.

Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [aa. 1-2], resurrectio Christi manifestanda fuit hominibus per modum quo eis divina revelan­ tur. Innotescunt autem divina homi nibus secundum quod diversimode sunt affecti. Nam illi qui habent mentem bene dispositam, secundum veritatem divina percipiunt. Illi

Risposta: come si è visto sopra, la risurre­ zione di Cristo fu manifestata agli uomini secondo il modo in cui vengono rivelati ad essi i misteri di Dio. Ora, i misteri di Dio ven­ gono rivelati diversamente secondo le dispo­ sizioni di chi li riceve. Quelli infatti che han­ no l'anima ben disposta percepiscono le cose

veritas non est; est autem Veritas Christus.

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La manifestazione della risurrezione

autem qui habent mentem non bene disposi­ tam, divina percipiunt cum quadam confusio­ ne dubietatis vel erroris, animalis enim homo non percipit ea quae sunt Spiritus Dei, ut dici­ tur l Cor. 2 [ 14]. Et ideo Christus quibusdam, ad credendum dispositis, post resurrectionem apparuit in sua effigie. Dlis autem in alia ef­ figie apparuit qui iam videbantur circa fidem tepescere, unde dicebant [Luc. 24,21 ] , nos sperabamus quia ipse esset redempturus Israel. Unde Gregorius dicit, in Homilia [In Ev. h. 2,23], quod talem se eis exhibuit in corpore qualis apud illm; erat in mente. Quia enim adhuc in eorum cordibus peregrinus erat a fide, ire se longius finxit, scilicet ac si esset peregrinus. Ad primum ergo dicendum quod, sicut Au­ gustinus dicit, in libro De quaest. Evang. [2,5 1 super Luc. 24,28] , non omne quod fingimus, mendacium est. Sed quando id fingimus quod nihil significar, tunc est men­ dacium. Cum autem fictio nostra refertur ad aliquam significationem, non est mendacium, sed aliqua figura veritatis. Alioquin omnia quae a sapientibus et sanctis viris, ve/ etiam ab ipso Domino, figurate dieta sunt, men­ dacia reputabuntur, quia, secundum usitatum intellectum, non consisti! veritas in talibus dictis. Sicut autem dieta, ita etiam finguntur facta sine mendacio, ad aliquam rem significandam. Et ita factum est hic, ut dictum est [in co.]. Ad secundum dicendum quod, sicut Augusti­ nus dicit, in libro De cons. Evang. [3,25], Dominus poterat transformare carnem suam, ut alia re vera esset effigies ab il/a quam solebant intueri, quandoquidem et ante passionem suam transformatus est in monte, utfacies eius claresceret sicut sol. Sed non ita nunc factum est. Non enim incongruenter accipimus hoc impedimentum in oculis eorum a Satana fuisse, ne agnosceretur Iesus. Unde Luc. 24 [ 1 6] dicitur quod oculi eorum tene­ bantur, ne eum agnoscerent. Ad tertium dicendum quod ratio illa sequere­ tur si ab alienae effigiei aspectu non fuissent reducti ad vere videndum Christi effigiem. Sicut enim Augustinus ibidem [De cons. Evang. 3,25] dicit, tantum a Christo facta est permissio, ut scilicet praedicto modo oculi eorum tenerentur, usque ad sacramentum pa­ nis, ut, unitate corporis eius participata,

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divine secondo verità. Quelli invece che non hanno l'anima ben disposta le percepiscono con una mescolanza di dubbi e di errori: in­ fatti, l'uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio (l Cor 2, 14). E così Cri­ sto a coloro che erano disposti a credere ap­ parve dopo la risurrezione nelle sue proprie sembianze. Apparve invece sotto altre sem­ bianze a coloro che erano ormai tiepidi nella fede; essi infatti confessarono [Le 24,21 ] : Noi speravamo che jòsse lui a liberare Israele. E Gregorio scrive che «Si mostrò loro fisica­ mente come se lo figuravano nel pensiero. Es­ sendo egli infatti nei loro cuori ancora come uno straniero lontano dalla fede, mostrò di voler andare più lontano», come se fosse ve­ ramente un pellegrino. Soluzione delle difficoltà: l . Come spiega Agostino, «non tutto ciò che simuliamo è menzogna, ma lo è solo quando ciò che vo­ gliamo simulare non ha alcun altro significa­ to. Quando invece ciò che raffiguriamo o simuliamo si riferisce a una cosa che viene significata, allora non è una menzogna, ma una figura della verità. Altrimenti tutto ciò che fu detto in termini figurali dai sapienti, dai santi e dal Signore stesso sarebbe da considerarsi menzogna, poiché secondo l'in­ terpretazione ovvia la verità non si accorda con quelle espressioni. Ora invece, come sen­ za menzogna possono avere un valore figura­ le le parole, così possono averlo anche dei fatti, per indicare una certa cosa». Ed è ap­ punto il caso nostro, come si è detto. 2. «TI Signore», spiega Agostino, «poteva tra­ sformare il suo corpo così da presentare delle sembianze diverse da quelle che in lui appari­ vano abitualmente: come anche prima della sua passione si trasfigurò sul monte, tanto che il suo volto risplendeva come il sole. Ciò però non avvenne nel nostro caso. Non è infatti da escludere che l'impedimento posto ai loro occhi perché non riconoscessero Gesù dipen­ desse da Satana>>. Per cui in Le 24 [16] è detto: I loro occhi erano impediti di riconoscer/o. 3. L'argomento sarebbe valido se da quelle sembianze diverse quei discepoli non fossero stati condotti a scorgere il vero sembiante di Cristo. Infatti, come spiega ancora Agostino, «quella pennissione di Cristo», cioè che i loro occhi non potessero riconoscerlo, «durò tino al sacramento del pane: in modo da far capire

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La manifestazione della risurrezione

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removeri intelligatur impedimentum inimici, ut Christus possit agnosci. Unde ibidem subditur [3,25] quod aperti sunt oculi eorum et cognoverunt eum [Luc. 24,3 1 ] non quod ante clausis oculis ambularent; sed inerat aliquid quo non sinerentur agnoscere quod videbant, quod scilicet caliga et aliquis hu­ mor so/et efficere.

che la partecipazione all'unità del suo corpo rimuoveva l ' impedimento posto dal nemico per cui non potevano riconoscere Cristo». Per questo nel Vangelo [Le 24, 3 1 ] si legge che allora si aprirono loro gli occhi e lo riconob­ bero: «non che prima camminassero a occhi chiusi, ma c'era qualcosa che, a modo di neb­ bia o di umore lacrimale, non permetteva loro di riconoscere ciò che vedevano».

Articulus 5 Utrum Christus veritatem resurrectionis debuerit argumentis declarare

Articolo 5 Cristo doveva mostrare la realtà della risurrezione con delle prove?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Christus veritatem resurrectionis non debuerit argumentis declarare. l . Dicit enim Ambrosius [De fide 1 , 1 3] , tolle argumenta ubi fides quaeritur. Sed circa re­ surrec tionem Christi quaeritur fides. Non ergo habent locum argumenta. 2. Praeterea, Gregorius dicit [In Ev. h. 2,26],

Sembra di no. Infatti: l . Ambrogio dice: «Togli le prove dove si richiede la fede». Ma per la risurrezione di Cristo si richiede la fede. Quindi non c'è po­ sto per le prove. 2. Gregorio insegna: . 3. Come dice Gregorio, «lo stare seduto ap­ partiene al giudice; invece lo stare in piedi è di chi combatte e soccorre. Perciò Stefano, trovandosi nel combattimento, vide in piedi colui che lo aiutava. Marco invece dopo l'a­ scensione lo descrive seduto: poiché dopo la gloria di quell' ascensione ricomparirà alla fine del mondo come giudice».

Articulus 2

Articolo 2

Utrum sedere ad dexteram Dei Patris conveniat Christo secundum quod Deus

Sedere alla destra del Padre compete a Cristo in quanto Dio?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod sedere ad dexteram Dei Patris non conveniat Christo secundum quod Deus. l . Christus enim, secundum quod est Deus, est dextera Patris. Sed non videtur idem esse dextera alicuius, et ille qui sedet ad dexteram eius. Ergo Chri stus, secundum quod est Deus, non sedet ad dexteram Patris. 2. Praeterea, Marci 16 [ 1 9] dicitur quod Do­

Sembra di no. Infatti: l . In quanto Dio, Cristo è la destra del Padre. Ma essere la destra di una persona non sem­ bra che possa identificarsi con colui che siede alla sua destra. Quindi Cristo in quanto Dio non siede alla destra del Padre. 2. In Mc 1 6 [ 1 9] è detto che il Signore Gesù

minus Iesus assumptus est in caelum, et sedet a dextris Dei. Christus autem non est as­ sumptus in caelum secundum quod Deus. Er­ go etiam neque secundum quod Deus, sedet a dextris Dei. 3. Praeterea, Christus, secundum quod Deus, est aequalis Patri et Spiritui Sancto. Si ergo Christus, secundum quod Deus, sedet ad dexteram Patris, pari ratione et Spiritus San­ ctus sedebit ad dexteram Patris et Filii, et ipse Pater ad dexteram Filii. Quod nusquam invenitur.

fu assunto in cielo, e siede alla destra di Dio. Ora, Cristo non fu assunto in cielo come Dio. Perciò neppure siede alla destra di Dio in quanto tale. 3. Cristo in quanto Dio è uguale al Padre e allo Spirito Santo. Se dunque in quanto Dio egli sedesse alla destra del Padre, anche lo Spirito Santo dovrebbe sedere alla destra del Padre e del Figlio, e il Padre stesso alla destra del Figlio. Il che è inaudito. In contrario: il Damasceno insegna: «Noi chia­ miamo destra del Padre la gloria e l'onore della divinità, in cui il Figlio di Dio esiste prima dei secoli come Dio e consostanziale al Padre».

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La sessione di Cristo alla destra del Padre

Sed contra est quod Damascenus dicit [De fide 4,2], quod dexteram Patris dicimus glo­ riam et honorem divinitatis, in qua Dei Fi­ lius exstitit ante saecula ut Deus et Patri consubstantialis. Respondeo dicendum quod, sicut ex praedic­ tis [s. c.; a. l , in co. et ad l ] patet, nomine dexterae tria intelligi possunt, uno modo, secundum Damascenum [De fide 4,2], gloria divinitatis; alio modo, secundum Augustinum [De Symb. 4], beatitudo Patris; tertio modo, secundum eundem [Ps. Augustinum, serm. l De Symb. 7], iudiciaria potestas. Sessio autem, ut dictum est [a. 1], vel habitationem, vel regiam vel iudiciariam dignitatem desi­ gnat. Unde sedere ad dexteram Patris nihil aliud est quam simul cum Pat:J.·e habere glo­ riam divinitatis, et beatitudinem, et iudicia­ riam potestatem, et hoc immutabiliter et regaliter. Hoc autem convenit Filio secundum quod Deus. Unde manifestum est quod Chri­ stus, secundum quod Deus, sedet ad dexteram Patris, ita tamen quod haec praepositio ad, quae transitiva est, solam distinctionem perso­ nalem i mportat et originis ordinem, non autem gradum naturae vel dignitatis, qui nul­ lus est in divinis personis, ut in prima parte [q. 42 aa. 3-4] habitum est. Ad primum ergo dicendum quod Filius dicitur dextera Patris appropriate, per modum quo etiam dicitur virtus Patris. Sed dextera Patris secundum tres signiticationes praedictas [in co.] est aliquid commune tribus personis. Ad secundum dicendum quod Christus, secundum quod homo, assumptus est ad divi­ num honorem, qui in praedicta sessione de­ signatur. Sed tamen ille honor divinus conve­ ni t Christo, inquantum est Deus, non per aliquam assumptionem, sed per aeternam originem. Ad tertium dicendum quod nullo modo potest dici quod Pater sedeat ad dexteram Filii vel Spiritus Sancti, quia Filius et Spiritus Sanctus trahunt originem a Patre, et non e converso. Sed Spiri tus Sanctus proprie potest dici sedere ad dexteram Patris vel Filii secundum sensum praedictum [in co.], licet secundum quandam appropriationem attribuatur Filio, cui appropriatur aequalitas, sicut Augustinus dicit [De doct. chr. l ,5] quod in Patre est unitas, in Filio aequalitas, in Spiritu Sancto unitatis aequalitatisque connexio.

Q. 58, A. 2

Risposta: dalle cose già dette risulta che il termine destra può indicare tre cose: primo, stando al Damasceno, «la gloria della divi­ nità»; secondo, stando a Agostino, «la beati­ tudine del Padre»; terzo, stando a un' altra spiegazione del medesimo, «il potere di giu­ dice». Sedersi invece può indicare, come si è detto, o la dimora, o la dignità di re o di giudice. Perciò «sedere alla destra del Padre» non significa altro che avere con il Padre la gloria della divinità, la beatitudine e il potere di giudicare, e ciò in maniera immutabile e regale, Ora, tutto ciò spetta al Figlio in quanto Dio. E chiaro quindi che Cristo siede alla destra del Padre in quanto Dio: però la prepo­ sizione ad [alla], che ha valore transitivo, qui implica solo la distinzione delle persone e l'ordine di origine, non già una gradazione di natura o di dignità, che nelle persone divine non esiste in alcun modo, come si è visto nella Prima Parte. Soluzione delle difficoltà: l . ll Figlio è chia­ mato destra del Padre per appropriazione, al­ lo stesso modo in cui è detto potenza del Pa­ dre. Ma la destra del Padre, nei tre significati descritti sopra, è un attributo comune alle tre persone divine. 2. Cristo in quanto uomo è stato assunto all' o­ nore divino, indicato dali' insediamento sud­ detto. Tuttavia tale onore divino spetta a Cristo in quanto Dio non per un'investitura, ma per la sua origine eterna. 3. In nessun modo si può affermare che i l Padre siede alla destra del Figlio o dello Spiri­ to Santo: poiché il Figlio e lo Spirito Santo traggono la loro origine dal Padre, e non vice­ versa. Si può dire invece in senso proprio che lo Spirito Santo siede, nel senso indicato, alla destra del Padre o del Figlio: sebbene ciò per una certa appropriazione venga attribuito al Figlio, a cui viene appropriata l'uguaglianza, secondo le parole di Agostino: «Nel Padre si ha l ' unità, nel Figlio l 'uguaglianza, nello Spirito Santo la connessione dell'unità e del­ l'uguaglianza».

Q. 58, A. 3

La sessione di Cristo alla destra del Padre

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Articulus 3 Utrum sedere ad dexteram Patris conveniat Christo secundum quod homo

Articolo 3 Sedere alla destra del Padre si addice a Cristo in quanto uomo?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod sede­ re ad dexteram Patris non conveniat Christo secundum quod homo. l . Ut enim Damascenus dicit [De fide 4,2] dexteram Patris dicimus gloriam et honorem divinitatis. Sed honor et gloria divinitatis non convenit Christo secundum quod homo. Ergo videtur quod Christus, secundum quod homo, non sedeat ad dexteram Patris. 2. Praeterea, sedere ad dexteram regnantis subiectionem excludere videtur, quia qui se­ det ad dexteram regnantis, quodammodo illi conregnat. Christus autem, secundum quod homo, est subiectus Patri, ut dicitur l Cor. 1 5 [28]. Ergo videtur quod Christus, secundum quod homo, non sit ad dexteram Patris. 3. Praeterea, Rom. 8, super illud [34], qui est ad dexteram Dei, exponit Glossa [Lomb.; cf. int.], idest, aequalis Patri in honore quo Deus Pater est; ve/, ad dexteram Patris, idest in potioribus bonis Dei. Et super illud Hebr. l [3], seder ad dexteram Dei in excelsis, Glossa [Lomb.; cf. int.], idest, ad aequalitatem Patris, super omnia et loco et dignitate. Sed esse aequalem Deo non convenit Christo secun­ dum quod homo, nam secundum hoc ipse di­ cit, Ioan. 14 [28], Pater maior me est. Ergo videtur quod sedere ad dexteram Patris non conveniat Christo secundum quod homo. Sed contra est quod Augustinus dicit, in Ser­ mone de Symbolo [Ps. Augustinus, serm. l ,7], ipsam dexteram intelligite potestatem quam accepit ille homo susceptus a Deo, ut veniat iudicaturus qui prius venerat iudicandus. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 2], nomine dexterae Patris intelligitur vel ipsa gloria divinitatis ipsius, vel beatitudo aetema eius, vel potestas iudiciaria et regalis. Haec autem praepositio ad quendam ad dex­ teram accessum designat, in quo designatur convenientia cum quadam distinctione, ut so­ pra [a. 2; I q. 93 a. l ] dictum est. Quod quidem potest esse tripliciter. Uno modo, ut sit convenientia in natura et distinctio in per­ sona. Et sic Christus, secundum quod Filius Dei, sedet ad dexteram Patris, quia habet eandem naturam cum Patre. Unde praedicta conveniunt essentialiter Filio sicut et Patri. Et

Sembra di no. Infatti: l. Come nota il Damasceno, «noi chiamiamo destra del Padre la gloria e l'onore della divi­ nità>>. Ma l'onore e la gloria della divinità non si addicono a Cristo in quanto uomo. Sembra quindi che Cristo non sieda alla destra del Padre in quanto uomo. 2. Sedere alla destra di chi regna esclude la dipendenza: poiché chi siede alla destra del re in qualche modo regna assieme a lui. Cristo invece in quanto uomo è sottomesso al Padre, come è detto in l Cor 15 [28] . Perciò sembra che in quanto uomo Cristo non sia alla destra del Padre. 3. Commentando Rm 8 [34]: Il quale è alla de­ stra del Padre, la Glossa aggiunge: «Cioè uguale al Padre nell'onore per cui Dio è Padre; oppure nel godimento dei più grandi beni di Dio». E commentando Eh l [3]: Siede alla de­ stra di Dio nell'alto dei cieli, aggiunge: «Cioè nell'uguaglianza del Padre, sopra tutte le cose per luogo e per dignità>>. Ma essere uguale a Dio non può appartenere a Cristo in quanto uo­ mo, poiché sotto tale aspetto egli stesso affer­ mava: Il Padre è più grande di me (Gv 1 4,28). Quindi sembra che sedere alla destra del Padre non si addica a Cristo in quanto uomo. In contrario: Agostino [Pseudo Agostino] in­ segna: «Per destra dovete intendere il potere che l'uomo assunto [dal Verbo] ha ricevuto da Dio per venire a giudicare, dopo che è venuto per essere giudicato». Risposta: l'espressione destra del Padre, se­ condo le spiegazioni date, può indicare o la gloria della divinità di Cristo, o la sua beatitu­ dine eterna, oppure il potere di giudice e di re. Però la preposizione ad [alla] indica un certo accesso alla destra, che sta a indicare una con­ formità accompagnata da una certa distinzio­ ne, come si è già notato sopra. E ciò può avvenire in tre modi. Primo, mediante la con­ formità di natura e la distinzione di persona. Ed è così che Cristo in quanto Figlio di Dio siede alla destra del Padre, poiché ha l'identi­ ca natura con il Padre. E in questo senso gli stessi attributi spettano essenzialmente al Fi­ glio come al Padre. Il che significa essere nell'uguaglianza del Padre. - Secondo, me-

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hoc est esse in aequalitate Patris. - Alia mo­ do, secundum gratiam unionis, quae importat e converso distinctionem naturae et unitatem personae. Et secundum hoc Christus, secun­ dum quod homo, est Filius Dei, et per conse­ quens sedens ad dexteram Patris, ita tamen quod ly secundum quod non designet condi­ tionem naturae, sed unitatem suppositi, ut su­ pra [q. 1 6 aa. 1 0- 1 1 ] expositum est. - Tertio modo potest praedictus accessus intelligi se­ cundum gratiam habitualem, quae abundan­ tior est in Christo prae omnibus aliis creaturis, in tantum quod ipsa natura humana in Christo est beatior ceteris creaturis, et super omnes alias creaturas habens regiam et iudiciariam potestatem. - Sic igitur, si ly secundum quod designet conditionem naturae, Christus, se­ cundum quod Deus, sedet ad dexteram Patris, idest in aequalitate Patris. Secundum autem quod homo, sedet ad dexteram Patris, idest in bonis patemis potioribus prae ceteris creaturis, idest in maiori beatitudine, et habens iudiciariam potestatem. Si vero Iy secun­ dum quod designet unitatem suppositi, sic etiam, secundum quod homo, sedet ad dexte­ ram Patris secundum aequalitatem honoris, inquantum scilicet eodem honore veneramur ipsum Filium Dei cum eadem natura as­ sumpta, ut supra [q. 25 a. l ] dictum est. Ad primum ergo dicendum quod humanitas Christi, secundum conditiones suae naturae, non habet gloriam vel honorem deitatis, quem tamen habet ratione personae cui unitur. Unde ibidem Damascenus subdit [De fide 4,2], in qua, scilicet gloria deitatis, Dei Filius existens -

ante saecula ut Deus et Patri consubstantialis sedet, conglorificata ei carne eius. Adoratur enim una hypostasis una adoratione cum carne eius, ab omni creatura. Ad secundum dicendum quod Christus, secun­ dum quod homo, subiectus est Patri prout ly secundum quod designat conditionem natu­ rae. Et secundum hoc, non competit ei sedere ad dexteram Pattis secundum rationem ae­ qualitatis, secundum quod est homo. Sic autem competit ei sedere ad dexteram Patris secundum quod per hoc designatur excel­ lentia beatitudinis, et iudiciaria potestas super omnem creaturam. Ad tertium dicendum quod esse in aequalitate Patris non pertinet ad ipsam naturam huma­ nam Christi, sed salurn ad personam assu-

Q. 58, A. 3

diante la grazia dell'unione ipostatica: la qua­ le al contrario implica distinzione di natura e unità di persona. E in questo senso Cristo in quanto uomo è Figlio di Dio, per cui siede alla destra del Padre: però allora l'espressione in quanto non indica la condizione della natu­ ra, ma l'unità del supposito, come si è spiega­ to a suo tempo. - Terzo, l'accesso può essere inteso secondo la grazia abituale, che in Cri­ sto è più abbondante che in tutte le altre crea­ ture, per cui la stessa natura umana è in lui più beata che nelle altre creature, e sopra ogni altra creanrra esercita un potere regale e giu­ diziario. - Se dunque l'espressione in quanto vuole designare la condizione della natura, allora Cristo siede «alla destra del Padre», ossia >. 3. Si dà al battezzato la veste candida non per­ ché non gli sia permesso di usare altre vesti, ma in segno della gloriosa risurrezione alla quale gli uomini sono rigenerati mediante il battesi­ mo, e in segno della purità di vita che devono mantenere dopo di esso, secondo le parole di Rm 6 [4]: Camminiamo in novità di vita. 4. I riti che si riferiscono alla solennità del sacramento, sebbene non siano indispensabili, non sono tuttavia supert1ui, in quanto concor­ rono al decoro del sacramento, come si è spiegato.

Articolo 1 1

È giusto parlare di tre battesimi, cioè di acqua, di sangue e di Spirito?

Sembra di no. Infatti: l . Paolo insegna che una è la fede, uno il bat­ tesimo [Ef 4,5]. Ma la fede non può essere che unica. Quindi non ci devono essere tre battesimi. 2. n battesimo è un sacramento, come risulta dalle cose già dette. Ma soltanto il battesimo

Q. 66, A. 1 1

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Il sacramento del battesimo

2 . Praeterea, Baptismus est quoddam sacra­ mentum, ut ex supra [q. 65 a. l ] dictis patet. Sed salurn Baptismus aquae est sacramen­ tum. Ergo non debent poni alii duo Baptismi. 3. Praeterea, Damascenus, in 4 libro [De fide 9], determinat plura alia genera Baptismatum. Non ergo salurn debent poni tria Baptismata. Sed contra est quod, super illud Hebr. 6 [2], Baptismatum doctrinae, dicit Glossa [ord. et Lomb.] , pluraliter dicit, quia est Baptismus

aquae, poenitentiae, et sanguinis. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 2 ad l ; a. 9 ad l ; q. 62 a. 5] dictum est, Bapti­ smus aquae efficaciam habet a passione Christi, cui aliquis configuratur per Baptismum; et ulterius, sicut a prima causa, a Spirito Sancto. Licet autem effectus dependeat a prima causa, causa tamen superexcedit effectum, nec de­ pendet ab effectu. Et ideo, praeter Baptismum aquae, potest aliquis consequi sacramenti effectum ex passione Christi, inquantum quis ei conformatur pro Christo patiendo. Unde dicitur Apoc. 7 [ 14], hi sunt qui venerunt ex

tribulatione magna, et lavenmt stolas suas et dealbaverunt eas in sanguine Agni. Eadem -

etiam ratione aliquis per virtutem Spiritus Sancti consequitur effectum Baptismi, non solum sine Baptismo aquae, sed etiam sine B aptismo sanguinis, inquantum scilicet ali­ cuius cor per Spiritum Sanctum movetur ad credendum et diligendum Deum, et poeniten­ dum de peccatis; unde etiam dicitur Baptismus poenitentiae. Et de hoc dicitur ls. 4 [4], si

abluerit Dominus sordes filiarum Sion, et sanguinem Ierusalem laverit de medio eius, in spiritu iudicii et spiritu ardoris. Sic igitur -

utrumque aliorum Baptismatum nominatur B aptismus, in quantum supplet vice m Baptismi. Unde dicit Augustinus, in 4 libro De unico B aptismo parvulorum [cf. De bapt. contra Donat. 4,22; cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 34 Baptismi vicem], Baptismi

vicem aliquando implere passionem, de latrone ilio cui non baptizato dictum est, hodie mecum eris in Paradiso, beatus Cyprianus non leve documentum assumit. Quod etiam atque etiam considerans, invenio non tantum passionem pro nomine Christi id quod ex Baptismo deerat posse supplere, sed etiam fidem conversionemque cordis, si forte ad celebrandum mysterium Baptismi in angustiis temporum succurri non potest.

di acqua è un sacramento. Non si devono quindi ammettere altri due battesimi. 3. TI Dama">ceno propone molte altre specie di battesimi. Quindi non si deve parlare di tre battesimi soltanto. In contrario: commentando Eh 6 [2] : La dot­ trina dei battesimi, la Glossa spiega: «Usa il plurale perché c'è il battesimo di acqua, di penitenza e di sangue». Risposta: come si è visto sopra, il battesimo di acqua deriva la sua efficacia dalla passione di Cristo, alla quale da esso veniamo configu­ rati ; inoltre, come dalla causa prima, la deriva dallo Spirito Santo. Ora, sebbene l'effetto di­ penda dalla causa prima, questa tuttavia tra­ scende l'effetto e non dipende da esso. Quindi al di fuori del battesimo di acqua uno può ottenere l'effetto del sacramento dalla passio­ ne di Cristo in quanto viene a lui configurato soffrendo per Cristo. Per cui in Ap 7 [ 14] è detto: Questi sono colmv che vengono dalla

grande tribolazione, e hanno lavato le loro vesti rendendo/e candide nel sangue del­ l 'Agnello. E ugualmente uno può ottenere -

per virtù dello Spirito Santo l' effetto del bat­ tesimo non solo senza il battesimo di acqua, ma anche senza il battesimo di sangue: in quanto cioè il suo cuore viene mosso dallo Spirito Santo a credere in Dio, ad amarlo e a pentirsi dei suoi peccati. E questo si chiama appunto anche bauesimo di penitenza. Di esso così è detto in Is 4 [4]: Quando il Signo­

re avrà lavato le brutture delle figlie di Sion, e avrà pulito l 'interno di Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato con lo spirito di giustizia e di ardore. Così dunque ciascuno -

di questi ultimi due battesimi viene detto battesimo in quanto supplisce il battesimo [sacramentale] . Da cui le parole di Agostino: «Che il martirio qualche volta faccia le veci del battesimo lo sostiene validamente Cipria­ no prendendo argomento da quel ladro non battezzato a cui fu detto: Oggi sarai con me nel Paradiso. E io, pensandoci bene, trovo che non solo la passione per il nome di Cristo può supplire a ciò che manca dalla parte del battesimo, ma anche la fede e la conversione del cuore, se eventualmente per la strettezza del tempo non si può ricorrere alla celebrazio­ ne del sacramento». Soluzione delle difficoltà: l . Gli altri due battesimi sono compresi nel battesimo di

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Il sacramento del battesimo

Q. 66, A. 1 1

Ad primum ergo dicendum quod alia duo Baptismata includuntur in Baptismo aquae, qui efficaciam habet et ex passione Christi et ex Spiritu Sancto. Et ideo per hoc non tollitur unitas Baptismatis. Ad secundum dicendum quod, sicut supra [q. 60 a. l ] dictum est, sacramentum habet ra­ tionem signi. Alia vero duo conveniunt cum Baptismo aquae, non quidem quantum ad rationem signi, sed quantum ad effectum Baptismatis. Et ideo non sunt sacramenta. Ad tertium dicendum quod Damascenus ponit quaedam Baptismata figuralia. Sicut di­ luvium, quod fuit signum nostri Baptismi quantum ad salvationem fidelium in Ecclesia, sicut tunc paucae animae salvae factae sunt in arca, ut dicitur l Petr. 3 [20]. Ponit etiam transin1m maris rubri, qui significat nostrum Baptisma quantum ad liberationem a servitute peccati; unde apostolus dicit, l Cor. 10 [2], quod omnes baptizati sunt in nube et in mari. Ponit etiam ablutiones diversas quae fiebant in veteri lege, praefigurantes nostrum Baptisma quantum ad purgationem peccatorum. Ponit etiam Baptismum Ioannis, qui fuit praepara­ torius ad nostrum Baptisma.

acqua, che ha efficacia sia dalla passione di Cristo che dallo Spirito Santo. Essi perciò non compromettono l'unità del battesimo. 2. Come si è detto, il sacramento ha natura di segno. Ora, gli altri due battesimi concordano con il battesimo di acqua non quanto al se­ gno, ma quanto all'effetto del battesimo. Essi quindi non sono sacramenti. 3. li Damasceno richiama alcune figure del battesimo, come il diluvio, che fu un segno del nostro battesimo quanto alla salvezza dei fedeli nella Chiesa, dato che allora poche persone furono salvate ne/l'arca (l Pt 3,20). E parla anche del passaggio del Mar Rosso, che significava il nostro battesimo quanto alla liberazione dalla schiavitù del peccato, per cui Paolo dice che tutti furono battezzati nella nube e nel mare (l Cor 1 0,2). Tratta poi anche delle diverse abluzioni che erano fatte nell'antica legge, prefiguranti il nostro battesi­ mo quanto alla puriticazione dei peccati. Parla infine anche del battesimo di Giovanni, che fu preparatorio al nostro battesimo.

Articulus 1 2 Utrum Baptismus sanguinis sit potissimus inter tria Baptismata

Articolo 1 2 n battesimo di sangue è il principale dei tre battesimi?

Ad duodecimum sic proceditur. Videtur quod Baptismus sanguinis non sit potissimus inter tria Baptismata. l . Baptismus enim aquae imprimit characte­ rem. Quod quidem Baptismus sanguinis non facit. Ergo Baptismus sanguinis non est potior quam Baptismus aquae. 2. Praeterea, Baptismus sanguinis non valet sine Baptismo t1arninis, qui est per caritatem, dicitur enim l Cor. 1 3 [3], si tradidero corpus meum ita ut ardeam, caritatem autem non ha­ buero, nihil mihi prodest. Sed Baptismus fla­ minis valet sine B aptismo sanguinis, non enim soli martyres salvantur. Ergo Baptismus sanguinis non est potissimus. 3 . Praeterea, sicut Baptismus aquae habet efficaciam a passione Christi, cui, secundum praedicta [a. I l ], respondet Baptismus san­ guinis, ita passio Christi efficaciam habet a Spiritu Sancto, secundum illud Hebr. 9 [14], sanguis Christi, qui per Spiritum Sanctum

Sembra di no. Infatti: l . Il battesimo di acqua imprime il carattere. Non così invece il battesimo di sangue. Quin­ di il battesimo di sangue non è superiore al battesimo di acqua. 2. n battesimo di sangue non vale senza il bat­ tesimo dello Spirito, che si ha in virtù della carità; infatti è detto: Se dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, nien­ te mi giova (/ Cor 1 3,3). Al contrario il batte­ simo dello Spirito vale anche senza il battesi­ mo di sangue: infatti non si salvano soltanto i martiri. Quindi il battesimo di sangue non è il più importante. 3. Come il battesimo di acqua deriva la sua efficacia dalla passione di Cristo, alla quale corrisponde il battesimo di sangue, così la passione di Cristo deriva la sua efficacia dallo Spirito Santo, poiché il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito Santo offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscien-

Q. 66, A. 1 2

Il sacramento del battesimo

obtulit semetipsum pro nobis, emundabit conscientias nostras ab operibus mortuis, et cetera. Ergo Baptismus flaminis potior est quam Baptismus sanguinis. Non ergo Bapti­ smus sanguinis est potissimus. Sed contra est quod Augustinus, Ad Fortuna­ rum [cf. De ecci. dogm. 74; cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 37 Catechumemum], lo­ quens de comparatione Baptismatum, dicit,

baptizatus confitetur fidem suam coram sa­ cerdote, martyr coram persecutore. /Ile post confessionem suam aspergitur aqua, hic san­ guine. /Ile per impositionem manus pontificis recipit Spiritum Sanctum, hic templum ef­ ficitur Spiritus Sancti. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 1 1], effusio sanguinis pro Christo, et opera­ rio interi or Spiritus Sancti, dicuntur Baptismata inquantum efficiunt effectum Baptismi aquae. Baptismus autem aquae efficaciam habet a passione Christi et a Spiritu Sancto, ut dictum est [a. 1 1]. Quae quidem duae causae operan­ tur in quolibet horum trium Baptismatum, excellentissime autem in Baptismo sanguinis. Nam passio Christi operatur quidem in Bapti­ smo aquae per quandam figuralem repraesen­ tationem; in Baptismo autem flaminis vel poe­ nitentiae per quandam affectionem; sed in Baptismo sanguinis per imitationem operis. Si­ militer etiam virtus Spiritus Sancti operatur in Baptismo aquae per quandam virtutem laten­ tem; in Baptismo autem poenitentiae per cor­ dis commotionem; sed in Baptismo sanguinis per potissimum dilectionis et affectionis fervo­ rem, secundum illud Ioan. 1 5 [ 1 3], maiorem

hac dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis. Ad primum ergo dicendum quod character est et sacramentum. Non autem dicimus quod Baptismus sanguinis praeeminentiam habeat secundum rationem sacramenti, sed quantum ad sacramenti effectum. Ad secundum dicendum quod effusio sangui­ nis non habet rationem Baptismi si sit sine ca­ ntate. Ex quo patet quod Baptismus sanguinis includit Baptismum flaminis, et non e conver­ so. Unde ex hoc probatur perfectior. Ad tertium dicendum quod Baptismus sangui­ nis praeeminentiam habet non solum ex parte passionis Christi, sed etiam ex parte Spiritus Sancti, ut dictum est [in co.]. res

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za dalle opere morte... (Eb 9,1 4). E così il bat­ tesimo dello Spirito è superiore al battesimo di sangue, che quindi non è il principale. In contrario: Agostino [Gennadio], confron­ tando i vari battesimi, scrive: «II battezzato confessa la fede dinanzi al sacerdote, il marti­ re dinanzi al persecutore. Il primo dopo la sua confessione [di fede] viene asperso con l'ac­ qua; il secondo col sangue. li primo riceve lo Spirito Santo per l'imposizione della mano del pontefice, il secondo diviene tempio dello Spirito Santo». Risposta: come si è detto sopra, l'effusione del proprio sangue per Cristo e l'azione inte­ riore dello Spirito Santo sono dette battesimi in quanto producono l'effetto del battesimo di acqua. Ora, il battesimo di acqua deve la sua efficacia alla passione di Cristo e allo Spirito Santo, come si è visto. E queste due cause operano in ciascuno dei tre battesimi, ma nella maniera più eccellente nel battesimo di sangue. Infatti la passione di Cristo opera nel battesimo di acqua mediante una certa rappre­ sentazione figurativa, nel battesimo di Spirito o di penitenza mediante un certo affetto, ma nel battesimo di sangue mediante l'imitazione dell'opera. E similmente anche la virtù dello Spirito Santo nel battesimo di acqua opera mediante una certa virtù latente, nel battesimo di penitenza tramite la commozione del cuo­ re, ma nel battesimo di sangue mediante il più intenso fervore dell'amore e dell'affetto, se­ condo le parole del Signore: Nessuno ha un

amore più grande di chi dà la propria vita per i suoi amici (Gv 1 5, 1 3). Soluzione delle difficoltà: l . Il carattere è res et sacramentwn. Ora, noi non diciamo che il battesimo di sangue è superiore sotto l'aspetto del sacramento, ma quanto agli effetti del sacramento. 2. L'effusione del sangue non ha carattere di battesimo se avviene senza la carità. Dal che risulta che il battesimo di sangue include il battesimo dello spirito, e non viceversa. E ciò dimostra che è superiore. 3. Come si è già spiegato, il battesimo di san­ gue è superiore non solo dalla parte della pas­ sione di Cristo, ma anche dalla parte dello Spirito Santo.

Q. 67, A. l

I ministri del battesimo

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QUAESTI0 67 DE MINISTRIS PER QUOS TRADITUR SACRAMENTUM BAPTISMI

QUESTIONE 67 I MINISTRI DEL BATTESIMO

Deinde considerandum est de ministris per quos traditur sacramentum Baptismi. - Et circa hoc quaeruntur octo. Primo, utrum ad diaconum pertineat baptizare. Secundo, utrum pertineat ad presbyterum, vel solum ad episcopum. Tertio, utrum laicus possit sacramentum Baptismi conferre. Quarto, utrum hoc possit tacere mu­ lier. Quinto, utrum non baptizatus possit bap­ tizare. Sexto, utrum plures possint simul bap­ tizare unum et eundem. Septimo, utrum necesse sit esse aliquem qui baptizatum de sacro fonte recipiat. Octavo, utrum suscipiens aliquem de sacro fonte obligetur ad eius instructionem.

Passiamo ora a considerare i ministri che con­ feriscono il sacramento del battesimo. - Sul­ l'argomento si pongono otto quesiti: l . Bat­ tezzare è ufficio del diacono? 2. È compe­ tenza del sacerdote o soltanto del vescovo? 3. Un laico può conferire il sacramento del battesimo? 4. Lo può conferire una donna? 5. Un non battezzato può battezzare? 6. Più persone possono battezzare insieme una sola e medesima persona? 7. Ci deve essere qual­ cuno a rilevare dal sacro fonte il battezzato? 8. Chi rileva dal sacro fonte il battezzato è obbligato alla sua istruzione?

Articulus l Utrum ad officium diaconi pertineat baptizare

Articolo l Battezzare è ufficio del diacono?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod ad officium diaconi pertineat baptizare. l . Simul enim iniungitur a Domino officium praedicandi et baptizandi, secundum illud Matth. 28 [ 1 9], euntes, docete omnes gentes, baptizantes eos, et cetera. Sed ad officium diaconi pertinet evangelizare [cf. Decretum, p. l , d. 25, c an. l Perlectis]. Ergo videtur quod etiam ad officium diaconi pertineat baptizare. 2. Praeterea, secundum Dionysium, 5 cap. De ecci. hier. [l ,6-7], purgare pertinet ad officium diaconi. Sed purgatio a peccatis maxime fit per B aptismum, secundum i llud Eph. 5 [26] ,

Sembra di sì. Infatti: l . Il Signore ha imposto simultaneamente l'ufficio di predicare e di battezzare dicendo:

mundans eam lavacro aquae in verbo vitae. Ergo videtur quod baptizare pertineat ad diaconem. 3. Praeterea, de beato Laurentio legitur [cf. Ia­ cobum a Voragine, Legenda Aurea 1 1 7, l ; Acta sanctorum, Acta S . Laurentii, die l Oa Augusti] quod, cum ipse esset diaconus, plurimos baptizabat. Ergo videtur quod ad diacones pertinet baptizare. Sed contra est quod Gelasius [ep. Ad Episc. Lucaniae, c. 7] Papa dicit, et habetur in Decre­ tis, 93 d. [Decretum, p. l , d. 93, can. 1 3 Diaconos propriam], diacones propriam con­ stituimus observare mensuram. Et infra [Gela­ sius, ep. Ad Episc. Lucaniae, c. 7; cf. Decre­ tum, p. l , d. 93, can. 1 3 Diaconos propriam],

Andate e ammaestrate tutte le nazioni, bat­ tezzandole ... (Mt 28, 1 9). Ma evangelizzare è ufficio del diacono. Quindi sembra che sia ufficio del diacono anche battezzare. 2. Secondo Dionigi, purificare è ufficio del diacono. Ma la purificazione dei peccati av­ viene principalmente attraverso il battesimo, stando alle parole di Ef5 [26] : Purificando/a

per mezzo del lavacro dell 'acqua nella paro­ la di vita. Quindi sembra che battezzare spet­ ti al diacono. 3. Di san Lorenzo si legge che nella sua qua­ lità di diacono amministrò moltissimi battesi­ mi. Quindi sembra che battezzare spetti ai diaconi. In contrario: papa Gelasio ha ordinato: «Ai diaconi comandiamo di stare nei loro limiti». E più avanti: «Senza l'autorizzazione del ve­ scovo o del sacerdote non osino battezzare se non nel caso di estrema necessità, quando i predetti ministri sono troppo lontani». Risposta: come le proprietà e gli uffici degli ordini celesti sono desunti dai loro nomi, se­ condo quanto insegna Dionigi, così anche dal nome degli ordini ecclesiastici si può desu­ mere che cosa spetta a ciascuno di essi. Ora, diacono è l'equivalente di ministro, appunto

Q. 67, A. l

I ministri del battesimo

absque episcopo vel presbytero baptizare non audeant, nisi, praedictis ordinibus longius constitutis, necessitas extrema compellat. Respondeo dicendum quod, sicut caelestium ordinum proprietates et eorum officia ex eorum nominibus accipiuntur, ut dicit Diony­ sius, 7 cap. De cael. hier. [ l ; cf. 8, 1 ; 9, 1 ] ; ita etiam ex nominibus ecclesiasticorum ordinum accipi potest quid ad unumquemque pertineat ordinem. Dicuntur autem diacones quasi ministri, quia videlicet ad diacones non perti­ net aliquod sacramentum principaliter et qua­ si ex proprio officio praebere, sed ministe­ rium adhibere aliis maioribus in sacramen­ torum exhibitione. Et sic ad diaconem non pertinet quasi ex proprio officio tradere sacra­ mentum Baptismi, sed i n collatione huius sacramenti et aliorum assistere et ministrare maioribus. Unde Isidorus dicit [ep. l Ad Leu­ defredum; cf. Decretum, p. l , d. 25, can. l Perlectis], ad diaconum pertinet assistere et ministrare sacerdotibus in omnibus quae aguntur in sacramentis Christi, in Baptismo scilicet, in chrismate, in patena et calice. Ad primum ergo dicendum quod ad dia­ conum pertinet recitare Evangelium in ec­ clesia, et praedicare ipsum per modum cate­ chizantis, unde et Dionysius dicit [De ecci. hier. 5, l ,6] quod diaconi habent officium super immundos, inter quos ponit catechu­ menos [ibid. 3 , 3 ,6] . Sed docere, i d est exponere Evangelium, pertinet proprie ad epi­ scopum, cuius actus est perficere, secundum Dionysium, 5 cap. De eccl. hier. [ 1 ,6; 1 ,7] ; perficere autem idem est quod docere. Unde non sequitur quod ad diacones pertineat officium baptizandi. Ad secundum dicendum quod, sicut Dionysius dicit, 2 cap. De ecci. hier. [ 1 ,3], Baptismus non solum habet vim purgativam, sed etiam illuminativam virtutem. Et ideo excedit offi­ cium diaconi, ad quem pertinet solum purga­ re, scilicet vel repellendo immundos, vel di­ sponendo eos ad sacramenti susceptionem. Ad tertium dicendum quod, quia Baptismus est sacramentum necessitatis, permittitur diaco­ nibus, necessitate urgente in absentia maiorum, baptizare, sicut patet ex auct01itate Gelasii super [s. c.] inducta. Et hoc modo beatus Laurentius, diaconus existens, baptizavit.

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perché non è competenza dei diaconi ammi­ nistrare come celebranti principali e quasi per loro ufficio proprio qualche sacramento, ma è loro compito servire agli altri superiori nella celebrazione dei sacramenti. Perciò al diacono non compete per ufficio di dare il sa­ cramento del battesimo, ma gli compete nel conferimento di questo e degli altri sacra­ menti di assistere e di servire ai ministri su­ periori. Da cui le parole di Isidoro: «È del diacono assistere e fare da ministro ai sacer­ doti in tutti i riti dei sacramenti cristiani, cioè nel battesimo, nella cresima, nella patena e nel calice». Soluzione delle difficoltà: l. Spetta al diacono leggere il Vangelo in chiesa e predicarlo co­ me catechista: per cui Dionigi scrive che i diaconi hanno competenza sui non mondi, tra i quali pone i catecumeni. Ma insegnare, cioè spiegare il Vangelo, spetta propriamente al vescovo, la cui funzione, sempre secondo Dionigi, è di «perfezionare»: perfezionare in­ fatti equivale a insegnare. Non segue perciò che ai diaconi spetti l'ufficio di battezzare. 2. Come osserva Dionigi, il battesimo ha una virtù non solo «purificativa», ma anche «illu­ minativa>>. Quindi supera l'ufficio del diaco­ no, a cui spetta solo di purificare, o allonta­ nando i non ancora mondi, o disponendoli a ricevere il sacramento. 3. Essendo il battesimo un sacramento di as­ soluta necessità, si permette ai diaconi, in caso di bisogno, di battezzare in assenza dei ministri superiori: come risulta dal testo so­ pra citato di Gelasio. E fu così che san Lo­ renzo battezzò essendo diacono.

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Q. 67, A. 2

I ministri del battesimo

Articulus 2 Utrum baptizare pertineat ad officium presbyterorum, vel solum episcoporum

Articolo 2 Battezzare è ufficio del sacerdote?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod baptizare non pertineat ad officium presbyte­ rorum, sed solum episcoporum. l . Quia, sicut dictum est [a. l , arg. l ; q. 66 a. 5 arg. 2], sub eodem praecepto iniungitur, Matth. 28 [ 1 9], officium docendi et baptizandi. Sed docere, quod est perficere, pertinet ad officium episcopi, ut patet per Dionysium, 5 et 6 cap. De eccl. hier. [5, 1 ,6; 6, 1 ,3]. Ergo et bap­ tizare pertinet tantum ad officium episcopi. 2. Praeterea, per Baptismum annumeratur aliquis populo Christiano, quod quidem vide­ tur ad officium solius principis pertinere. Sed principatum in Ecclesia tenent episcopi, ut dicitur in Glossa [ord.; Beda, In Luc. 3, super 1 0, 1 ] Luc. 1 0 [ l ], qui etiam tenent locum apo­ stolorum, de quibus dicitur in Psalmo [44,1 7],

Sembra di no. Infatti: l . Come si è detto, in uno stesso precetto si in­ giunge di insegnare e di battezzare (Mt 28, 1 9). Ma insegnare, ossia «perfezionare», spetta all'ufficio del vescovo, come risulta da Dioni­ gi. Quindi anche battezzare spetta solo all'uf­ ficio del vescovo. 2. Col battesimo uno viene ascritto al popolo cristiano: e ciò spetta soltanto all'ufficio del principe. Ma il principato nella Chiesa è tenu­ to dai vescovi, come dice la Glossa, poiché essi occupano il posto degli apostoli, dei quali è scritto nel Sal 44 [ 17]: Li costituirai principi su tutta la terra. Quindi sembra che battezza­ re sia ufficio esclusivo dei vescovi. 3. Isidoro dice che «è competenza del vesco­ vo la consacrazione delle basiliche, l'unzione degli altari, la confezione del crisma, il confe­ rimento degli ordini ecclesiastici e la benedi­ zione delle sacre vergini». Ma il sacramento del battesimo è supeliore a tutte queste cose. Quindi sembra che molto più l'ufficio di bat­ tezzare competa solamente al _vescovo. In contrario: Isidoro scrive: «E evidente che il battesimo è stato affidato ai soli sacerdoti». Risposta: i sacerdoti sono ordinati proprio per consacrare il sacramento del Corpo di Clisto, come si è detto sopra. Ora, l'Eucaristia è il sacramento dell'unità ecclesiastica, secondo le parole di l Cor 1 0 [ 1 7]: Poiché c 'è un solo

constitues eos principes super omnem terram. Ergo videtur quod baptizare pertineat solum ad officium episcopi. 3. Praeterea, Isidorus dicit [ep. l Ad Leude­ fredum; cf. Decretum, p. l , d. 25, can. l Perlectis] quod ad episcopum pertinet basili­

carum consecratio, unctio altaris, et confectio chrismatis, ipse ordines ecclesiasticos distri­ buir, et sacras virgines benedicit. Sed his omnibus maius est sacramentum Baptismi. Ergo videtur quod multo magis ad officium solius episcopi pertinet baptizare. Sed contra est quod Isidorus dicit, in libro De officiis [2,25], constat Baptisma solis sacer­

dotibus esse traditum. Respondeo dicendum quod sacerdotes ad hoc consecrantur ut sacramentum corporis Christi conficiant, sicut supra [q. 65 a. 3] dictum est. Illud autem est sacramentum ecclesiasticae unitatis, secundum illud apostoli , l Cor. l O [ 1 7], unus panis et unum corpus mutri sumus,

omnes qui de uno pane et de uno calice parti­ cipamus. Per Baptismum autem aliquis fit particeps ecclesiasticae unitatis, unde et accipit ius accedendi ad mensam Domini. Et ideo, sicut ad sacerdotem pertinet consecrare Eu­ charistiam, ad quod principaliter ordinatur sa­ cerdotium, ita ad proprium officium sacerdotis pertinet baptizare, eiusdem enim videtur esse operari totum, et partem in toto disponere. Ad primum ergo dicendum quod utrumque

pane, noi, pur essendo molti, siamo un co1po solo: tutti infatti partecipiamo dell 'unico pane e dell'unico calice. Ma con il battesimo uno diventa partecipe dell'unità ecclesiastica, e di conseguenza acquista anche il dilitto di accostarsi alla mensa del Signore. Come quindi è di competenza del sacerdote consa­ crare l'Eucaristia, alla quale principalmente è ordinato il sacerdozio, così è ufficio proprio del sacerdote battezzare: è infatti compito del­ l' identica causa produrre il tutto e disporre in esso le parti. Soluzione delle difficoltà: l . Agli apostoli, di cui i vescovi fanno le veci, il Signore ingiunse entrambi gli uffici di insegnare e di bat­ tezzare: ma in due modi diversi . Infatti in­ giunse loro l'ufficio di insegnare perché lo compissero personalmente come ufficio prin-

Q. 67, A. 2

I ministri del battesimo

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officium, scilicet docendi et baptizandi, Do­ minus apostolis iniunxit, quorum vicem ge­ runt episcopi, aliter tamen et aliter. Nam of­ ficium docendi commisit eis Christus ut ipsi per se illud exercerent, tanquam principalissi­ mum, unde et ipsi apostoli dixerunt, Act. 6 [2], non est aequum nos relinquere Verbum Dei et ministrare mensis. Officium autem baptizandi commisit apostolis ut per alios exercendum, unde et apostolus dici t, l Cor. l [ 1 7], non misit me Christus baptizare, sed evange/izare. Et hoc ideo quia in baptizando nihil operatur meritum et sapientia ministri, sicut in docen­ do, ut patet ex supra [q. 64 a. l ad 2; aa. 5.9] dictis. In cuius etiam signum, nec ipse Domi­ nus baptizavit, sed discipuli eius, ut dicitur Ioan. 4 [2]. - Nec tamen per hoc excluditur quin episcopi possint baptizare, quia quod potest potestas inferior, potest et superior. Unde et apostolus ibidem [ l Cor. 1 , 14. 1 6] dicit se quosdam baptizasse. Ad secundum dicendum quod in qualibet republica ea quae sunt minora, pertinent ad minora offida, maiora vero maioribus reser­ vantur, secundum illud Ex. 1 8 [22], quidquid maius fuerit, referent ad te, et ipsi tantwnmodo minora iudicent. Et ideo ad minores principes civitatis pertinet disponere de infimo populo, ad summos autem pertinet disponere ea quae pertinent ad maiores civitatis. Per Baptismum autem non adipiscitur aliquis nisi intìmum gradum in populo Christiano. Et ideo baptizare pertinet ad minores principes Ecclesiae, idest presbyteros, qui tenent locum septuaginta duorum discipulorum Christi, ut dicit Glossa [ord.; Beda, In Luc. 3, super 10,1] Luc. 10. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 65 a 3] dictum est, sacramentum Baptismi est po­ tissimum necessitate, sed quantum ad perfec­ tionem, sunt quaedam alia potiora, quae epi­ scopis reservantur.

cipalissimo, per cui gli stessi apostoli dissero: Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense (At 6,2). L'uffi­ cio di battezzare invece lo impose agli apostoli perché lo esercitassero per mezzo di altri, per cui Paolo dice: Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo (l Cor 1 , 17). E ciò perché nel battezzare, secondo quanto si è detto sopra, nulla opera il merito o la sapienza del ministro, come invece accade nell' insegnamento. E ne è un segno il fatto che nemmeno il Signore battezzò, ma i suoi discepoli, come è detto in Gv 4 [2]. - Non si esclude tuttavia che i vescovi possano battez­ zare: poiché ciò che può la potestà inferiore, lo può anche quella superiore. Paolo infatti nel testo citato [l Cor 1 ,14. 1 6] dice di avere battezzato alcuni. 2. In ogni Stato gli affari di minor conto spet­ tano alle autorità minori, mentre quelli di maggior conto sono riservati alle autorità su­ periori, come è detto in Es 1 8 [22]: Quando vi sarà una questione importante la sottopor­ ranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Spetta quindi alle autorità mi­ nori dello Stato quanto riguarda gli strati più umili della popolazione, e alle autorità supe­ riori quanto riguarda la classe dirigente. Ora, con il battesimo non si acquista che l'ultimo posto nel popolo cristiano. Quindi battezzare spetta alle autorità minori della Chiesa, cioè ai presbiteri, che tengono il posto dei settanta­ due discepoli di Cristo, come dice la Glossa. 3 . Il sacramento del battesimo, come si è detto, è il più importante quanto a necessità, ma quanto a perfezione ce ne sono altri che lo superano, e che sono riservati ai vescovi.

Articulus 3 Utrum laicus baptizare possit

Articolo 3 Un laico può battezzare?

Ad tertium sic proceditur. Vìdetur quod laicus baptizare non possit. l . Baptizare enim, sicut dictum est [a. 2], pro­ prie pertinet ad ordinem sacerdotalem. Sed ea quae sunt ordinis, non possunt committi non habenti ordinem. Ergo videtur quod laicus, qui non habet ordinem, baptizare non possit.

Sembra di no. Infatti: l . Battezzare spetta propriamente all'ordine sacerdotale, come si è detto. Ma le competen­ ze di un ordine non possono essere attribuite a chi è privo di tale ordine. Quindi sembra che un laico, che non ha l'ordine, non possa battezzare .

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I ministri del battesimo

2. Praeterea, maius est baptizare quam alia sacramentalia Baptismi perficere, sicut cate­ chizare et exorcizare et aquam baptismalem benedicere. Sed haec non possunt fieri a !ai­ cis, sed solum a sacerdotibus. Ergo videtur quod multo minus laici possint baptizare. 3. Praeterea, sicut Baptismus est sacramen­ tum necessitatis, ita et poenitentia. Sed laicus non potest absolvere in foro poenitentiali. Ergo neque potest baptizare. Sed contra est quod Gelasius Papa [ep. Ad Episc. Lucaniae, c. 7; cf. Decretum, p. l , d. 93, can. 1 3 Diaconos propriam] et Isidorus [De ecci. off. 2,25; cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 1 9 Constat baptisma] dicunt, quod

baptizare, necessitate imminente, laicis chri­ stianis plerumque conceditur. Respondeo dicendum quod ad misericordiam eius qui vult omnes homines salvos fieri, perti­ net ut in his quae sunt de necessitate salutis, ho­ mo de facili remedium inveniat. Inter omnia autem alia sacramenta maximae necessitatis est Baptismus, qui est regeneratio hominis i n vitam spiritualem, quia pueris aliter subveniri non potest; et adulti non possunt aliter quam per Baptismum plenam remissionem consequi et quantum ad culpam et quantum ad poenam. Et ideo, ut homo circa remedium tam neces­ sarium defectum pati non possit, institutum est ut et materia Baptismi sit communis, scilicet aqua, quae a quolibet haberi potest; et minister Baptismi etiam sit quicumque, etiam non ordi­ natus; ne propter defectum Baptismi homo salutis suae dispendium patiatur. Ad primum ergo dicendum quod baptizare pertinet ad ordinem sacerdotalem secundum quandam convenientiam et solemnitatem, non autem hoc est de necessi tate sacramenti. Unde etiam si extra necessitatis articulum lai­ cus baptizet, peccat quidem, tamen sacramen­ tum Baptismi confert, nec est rebaptizandus ille qui sic est baptizatus. Ad secundum dicendum quod illa sacramenta­ lia Baptismi pertinent ad solemnitatem, non autem ad necessitatem Baptismi. Et ideo fieri non debent nec possunt a laico, sed solum a sa­ cerdote, cuius est solemniter baptizare. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 65 aa. 3-4] dictum est, poenitentia non est tantae necessitatis sicut Baptismus, potest enim per contritionem suppleri defectus sacerdotalis ab­ solutionis quae non liberat a tota poena, nec

Q. 67, A. 3

2. Battezzare è più che compiere gli altri sa­ cramentali del battesimo, come catechizzare, esorcizzare e benedire l ' acqua battesimale. Ora, questi atti non possono essere compiuti dai laici, ma solo dai sacerdoti. Quindi sembra che molto meno i laici possano battezzare. 3. Come è un sacramento di necessità i l batte­ simo, così lo è pure la penitenza. Ma un laico non può assolvere in foro penitenziale. Quin­ di non può nemmeno battezzare. In contrario: papa Gelasio e lsidoro dicono che «battezzare, in caso di necessità, è con­ cesso comunemente ai laici cristiani». Risposta: alla misericordia di colui che vuole la salvezza di tutti gli uomini [l Tm 2,4] si ad­ dice di facilitare all'uomo l'uso delle cose ne­ cessarie alla salvezza. Ma fra tutti i sacra­ menti è della massima necessità il battesimo, che è la rigenerazione dell'uomo alla vita so­ prannaturale: infatti ai bambini non si può provvedere altrimenti, e gli adulti non posso­ no se non con il battesimo conseguire la piena remissione sia della colpa che della pena. Quindi, perché l'uomo non venga a mancare di un rimedio tanto necessario, fu stabilito sia che la sua materia fosse comune, cioè fosse l 'acqua, che tutti possono avere, sia che il mi­ nistro potesse essere chiunque, anche chi non è ordinato, affinché nessuno rischi la sua sal­ vezza per la mancanza del battesimo. Soluzione delle difficoltà: l . Battezzare spetta all'ordine sacerdotale per ragioni di convenien­ za e di solennità, ma queste ragioni non toc­ cano la validità del sacramento. Quindi un laico, anche se battezza fuori del caso di neces­ sità, benché pecchi, conferisce tuttavia il sa­ cramento del battesimo, e chi è stato battezzato in questo modo non deve essere ribattezzato. 2. I sacramentali suddetti riguardano la solen­ nità, non la validità del battesimo. Quindi non devono né possono essere compiuti da un laico, ma solo dal sacerdote, a cui spetta bat­ tezzare solennemente. 3. La penitenza, come si è detto sopra, non è così strettamente necessaria quanto il battesi­ mo: si può infatti supplire con la contrizione alla mancanza dell' assoluzione sacerdotale, che non libera da tutta la pena e non viene data ai bambini. Non c'è quindi parità con il battesimo, il cui effetto non può essere suppli­ to con alcun altro mezzo.

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I ministri del battesimo

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etiam pueris adhibetur. Et ideo non est simile de Baptismo, cuius effectus per nihil aliud suppleri potest. Articulus 4 Utrum mulier possit baptizare

Articolo 4 Una donna può battezzare?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod mu­ lier non possit baptizare. l . Legitur enim in Carthaginensi Concilio [Conc. Cathaginense IV, anno 398, can. 991 00; cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 20 Mulier], mulier, quamvis docta et sancta, viros in conventu docere, vel alios baptizare non praesumat. Sed nullo modo licet mulieri doce­ re in convento, secundum illud l Cor. 14 [35], turpe est mulieri in ecclesia loqui. Ergo videtur quod nec etiam aliquo modo liceat mulieri baptizare. 2. Praeterea, baptizare pertinet ad officium praelationis, unde a sacerdotibus habentibus curam animarum debet accipi Baptismus. Sed hoc non potest competere feminae, secundum illud l Tim. 2 [ 1 2], docere mulieri non pennit­ to, nec dominari in viros, sed subditam esse. Ergo mulier baptizare non potest. 3. Praeterea, in spirituali regeneratione videtur aqua habere locum materni uteri, ut Augusti­ nus dicit [In Ioan. tract. 1 1 super 3,4], super illud Ioan. 3 [4], nunquid homo potest in ven­ trem matris suae iterato introire et renasci? ille autem qui baptizat, videtur magis habere Patris officium. Sed hoc non competit mulieri. Ergo mulier baptizare non potest. Sed contra est quod Urbanus Papa [Urbanus Il, Epist. et Privilegia 27 1 Ad Vitalem Brixiensem; cf. Sent. 4,42,4] dicit, et habetur in Decretis 30, q. 3 [Decretum, p. 2, causa 30, q. 3, can. 4 Super quibus], super quibus consuluit nos tua dilectio, hoc videtur nobis hac sententia respondendum, ut Baptismus sit si, necessitate instante, femina puerum in nomine Trinitatis baptizaverit. Respondeo dicendum quod Christus est qui principaliter baptizat, secundum illud loan. l [33], super quem videris Spùitum descendentem et manentem, hic est qui baptizat. Dicitur autem Col. 3 [Gal. 3,28] quod in Christo non est masculus neque femina. Et ideo, sicut masculus 1aicus potest baptizare, quasi minister Christi, ita etiam et tèmina. Quia tamen caput mulielis est vir, et caput viri Chlistus, ut dicitur l Cor. 1 1 [3];

Sembra di no. Infatti: l . Si legge in un Concilio di Cartagine: «La donna, anche dotta e santa, non osi istruire gli uomini nell'assemblea, né battezzare alcuno». Ma insegnare nell' assemblea non è permesso alla donna in alcun modo, come è detto in l Cor 14 [35]: È sconveniente per una donna parlare in assemblea. Quindi sembra che anche battezzare non sia permesso alla donna in alcun modo. 2. L'atto di battezzare è legato al potere di giurisdizione, per cui il battesimo deve essere conferito dai sacerdoti che hanno cura d'ani­ me. Ma ciò non può competere alla donna, come è detto in l Tm 2 [ 1 2] : Non concedo ad alcuna donna di insegnare né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteg­ giamento tranquillo. La donna quindi non può battezzare. 3. Nella rigenerazione soprannaturale l'acqua sembra fare le parti del grembo materno, co­ me dice Agostino commentando Gv 3 [4] : Può forse l'uomo rientrare nel grembo di sua madre e rinascere? Chi battezza invece sem­ bra fare piuttosto l'ufficio del padre. Ma ciò non si addice alla donna. Quindi la donna non può battezzare. In contrario: papa Urbano dice: «Sui quesiti a noi sottoposti dalla tua dilezione pi pare di dover rispondere in questo modo: E valido il battesimo se una donna in caso di urgenza battezza un bambino nel nome della Trinità». Risposta: l'agente principale del battesimo è Cristo, come è detto in Gv l [33]: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza. Ora, in Col 3 [Gal 3,28] è detto: In Cristo non c'è né maschio né femmi­ na. Quindi, come un laico maschio può battez­ zare quale ministro di Cristo, così anche una donna. Tuttavia, essendo l 'uomo il capo della donna e Cristo il capo dell'uomo (l Cor 1 1 ,3), la donna non deve battezzare se è disponibile un uomo, né un laico se è presente un chieri­ co, né un chierico se è presente un sacerdote. Quest'ultimo invece può battezzare anche se

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I ministri del battesimo

Q. 67, A. 4

è presente un vescovo, poiché si tratta di una

non debet mulier baptizare si adsit copia viri. Sicut nec laicus praesente clerico, nec clericus praesente sacerdote. Q u i tamen potest baptizare praesente episcopo, eo quod hoc pertinet ad officium sacerdotis. Ad primum ergo dicendum quod, sicut mulieri non permittitur publice docere, potest tamen privata doctrina vel monitione aliquem instrue­ re� ita non permittitur publice et solemniter baptizare, sed tamen potest baptizare in neces­ sitatis articulo. Ad secundum dicendum quod, quando Bapti­ smus solemniter et ordinate celebratur, debet aliquis sacramentum Baptismi suscipere a pre­ sbytero curam animarum habente, vel ab aliquo vice eius. Hoc tamen non requiritur in articulo necessitatis, in quo potest mulier baptizare. Ad tertium dicendum quod in generatione car­ nali masculus et femina operantur secundum virtutem propriae naturae, et ideo femina non potest esse principium generationis activum, sed passivum tantum. Sed in generatione spiri­ tuali neuter operatur virtute propria, sed instru­ mentaliter tantum per virtutem Christi. Et ideo eodem modo potest et vir et mulier in casu ne­ cessitatis baptizare. S i tamen mulier extra casum necessitatis baptizaret, non esset rebap­ tizandus, sicut et de laico dictum est [a. 3 ad 1]. Peccaret tamen ipsa baptizans, et alii qui ad hoc cooperarentur, vel Baptismum ab ea susci­ piendo, vel ei baptizandum aliquem offerendo.

competenza del suo ufficio. Soluzione delle difficoltà: l . Come la donna non può insegnare pubblicamente, ma può tuttavia istruire qualcuno con insegnamenti o avvertimenti privati, così non può battezzare pubblicamente e solennemente, ma lo può in caso di necessità. 2. Quando il battesimo viene celebrato solen­ nemente e gerarchicamente, deve essere con­ ferito da un sacerdote in cura d' anime o da un suo sostituto. Ma ciò non è obbligatorio in caso di necessità, quando appunto può battez­ zare una donna. 3. Nella generazione fisica l'uomo e la donna operano secondo la virtù della loro natura, e quindi la donna non può essere principio atti­ vo di generazione, ma solo passivo. Nella generazione soprannaturale invece nessuno dei due opera per virtù propria, bensì stru­ mentalmente per virtù di Cristo. Di conse­ guenza sia l'uomo che la donna possono alla pari conferire il battesimo in caso di necessità. Se tuttavia la donna battezzasse anche fuori del caso di necessità, non si dovrebbe ripetere il battesimo, come è stato detto anche nei riguardi del laico. Peccherebbero però sia la donna che battezza, sia gli altri che cooperano con lei, o ricevendone il battesimo, o presen­ tandole qualcuno da battezzare.

Articulus 5 Utrum ille qui non est baptizatus, possit sacramentum Baptismi conferre

Articolo 5 Chi non è battezzato può battezzare?

Ad quintum sic proceditur. Vìdetur quod ille qui non est baptizatus, non possit sacramen­ tum Baptismi conferre. l . Nullus enim dat quod non habet. Sed non­ baptizatus non habet sacramentum Baptismi. Ergo non potest ipsum conferre. 2. Praeterea, sacramentum Baptismi confert aliquis inquantum est minister Ecclesiae. Sed ille qui non est baptizatus, nullo modo pertinet ad Ecclesiam, scilicet nec re nec sacramento. Ergo n o n potest s acramen t u m B aptismi conferre. 3 . Praeterea, maius est sacramentum conferre quam suscipere. Sed nonbaptizatus non potest alia sacramenta suscipere. Ergo multo minus potest aliquod sacramentum conferre.

Sembra di no. Infatti: l . Nessuno dà ciò che non ha. Ma il non bat­ tezzato non ha il sacramento del battesimo. Quindi non lo può dare. 2. Uno conferisce il sacramento del battesimo in quanto è ministro della Chiesa. Ma chi non è battezzato non appartiene alla Chiesa in alcun modo, cioè né realmente né sacramen­ talmente. Non può quindi conferire il sacra­ mento del battesimo. 3. Conferire un sacramento è più che ricever­ lo. Ma il non battezzato non può ricevere gli altri sacramenti . Quindi tanto meno potrà conferirne qualcuno. In contrario: Isidoro dice: >. Soluzione delle difficoltà: l . Cristo non fu battezzato per essere rigenerato lui, ma per

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Ad primum ergo dicendum quod Christus non est baptizatus ut ipse regeneraretur, sed ut alios regeneraret. Et ideo ipse post Baptismum non indiguit paedagogo tanquam parvulus. Ad secundum dicendum quod in generatione carnali non requiritur ex necessitate nisi pater et mater, sed ad facilem partum, et educa­ tionem pueri convenientem, requiritur obste­ trix et nutrix et paedagogus. Quorum vicem implet in Baptismo ille qui puerum de sacro fonte levat. Unde non est de necessitate sacra­ menti, sed unus solus potest in aqua baptiza­ re, necessitate imminente. Ad tertium dicendum quod baptizatus non su­ scipitur a patrino de sacro fonte propter imbe­ cillitatem corporalem, sed propter imbecilli­ tatem spiritualem, ut dictum est [in co.].

Q. 67, A. 7

rigenerare gli altri. Quindi dopo il battesimo non aveva bisogno, come i bambini, di un precettore. 2. Nella generazione fisica non si richiede di necessità se non il padre e la madre; tuttavia per agevolare il parto e fornire una convenien­ te educazione al bambino occorrono l' ostetri­ ca, la nutrice e il precettore, dei quali tiene le veci nel battesimo colui che rileva il bambino dal sacro fonte. Questi perciò non è indispen­ sabile per la validità del sacramento, ma in caso di necessità uno può battezzare da solo. 3. n battezzato non viene rilevato dal padrino al sacro fonte per la sua incapacità fisica, ma per la sua debolezza spirituale, come si è detto.

Articulus 8

Articolo 8

Utmm ille qui suscipit aliquem de sacro fonte obligetur ad eius instructionem

Chi rileva uno dal sacro fonte è tenuto a istruirlo?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod ille qui suscipit ali quem de sacro fonte, non obligetur ad eius instructionem. l . Quia nullus potest instruere nisi instructus. Sed etiam quidam non instructi sed simplices admittuntur ad aliquem de sacro fonte susci­ piendum. Ergo ille qui suscipit baptizatum, non obligatur ad eius instructionem. 2. Praeterea, filius magis a patre instruitur quam ab alio extraneo, nam filius habet a pa­ tre, esse et nutrimentum et disciplinam, ut philosophus dicit, 8 Ethic. [ 1 2,5]. Si ergo ille qui suscipit baptizatum, tenetur eum instrue­ re, magis esset conveniens quod pater carnalis filium suum de B aptismo suscipiat quam alius. Quod tamen videtur esse prohibitum, ut habetur in Decretis, 30, q. l , cap. Pervenit et Dictum est [Decretum, p. 2, causa 30, q. l , can. l Pervenit; can. 4 Dictum est] . 3. Praeterea, plures magis possunt instruere quam unus solus. Si ergo ille qui suscipit aliquem baptizatum, teneretur eum instruere, magis deberent plures suscipere quam unus solus. Cuius contrarium habetur in decreto Leonis Papae [cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 1 0 1 Non plures], non plures, inquit, ad

Sembra di no. Infatti: l . Nessuno può istruire se non ha istruzione. Ma anche persone non istruite e semplici sono ammesse a rilevare i battezzati dal sacro fonte. Quindi chi rileva il battezzato dal sacro fonte non è obbligato a istruirlo. 2. Un tiglio può essere istruito meglio dal proprio padre che da un estraneo; poiché il figlio, come dice il Filosofo, riceve dal padre «la vita, il nutrimento e l ' educazione». Se quindi chi rileva il battezzato fosse tenuto a istruirlo, nessuno meglio del padre stesso potrebbe rilevare il proprio figlio dal sacro fonte. n che invece sembra proibito, come si riscontra nel Decreto. 3. Più persone possono istruire meglio di una sola. Se dunque chi rileva un battezzato fosse tenuto a istruirlo, questi dovrebbe essere rileva­ to non da uno solo, bensì da molti. Papa Leone però ordina il contrario: «Non si presentino più persone a rilevare dal battesimo il bambino, bensì uno solo, un uomo o una donna>>. In contrario: Agostino ammonisce: «Innanzi tutto ricordo a voi, uomini e donne che nel battesimo avete rilevato dei figli spirituali, che vi consideriate quali garanti presso Dio di quelli che avete pubblicamente rilevato dal fonte». Risposta: ognuno è obbligato a compiere l'ufficio assunto. Ma sopra abbiamo detto che chi rileva uno dal sacro fonte si assume l'uf-

suscipiendum de Baptismo infantem quam unus accedant, sive vir sive mttlier. Sed contra est quod Augustinus dicit, i n quodam Sermone Paschali [Serm. suppos. l 68;

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I ministri del battesimo

verbotenus apud Decrenun, p. 3 De cons., d. 4, can. 105 Vos ante omnia], vas ante omnia, tam

viros quam mulieres, qui filios in Baptismate suscepistis, moneo ut vas cognoscatis fideius­ sores apud Deum e.xstitisse pro illis quos visi estis de sacrofonte suscipere. Respondeo dicendum quod unusquisque obli­ gatur ad exequendum officium quod accipit. Dictum est autem [a. 7] quod ille qui suscipit aliquem de sacro fonte, assumit sibi officium paedagogi. Et ideo obligatur ad habendam curam de ipso, si necessitas immineret, sicut eo tempore et loco in quo baptizati inter infi­ dele.. nutriuntur. Sed ubi nutriuntur inter Ca­ tholicos Christianos, satis possunt ab hac cura excusari, praesumendo quod a suis parentibus diligenter instruantur. Si tamen quocumque modo sentirent contrarium, tenerentur secun­ dum suum modum saluti spiritualium filio­ rum curam impendere. Ad primum ergo dicendum quod, ubi immi­ neret periculum, oporteret esse aliquem doctum in divinis, sicut Dionysius dicit [De ecci. hier. 7,3, 1 1], qui baptizandum de sacro fonte susci­ peret. Sed ubi hoc periculum non imminet, propter hoc quod pueri nutriuntur inter Catho­ licos, admittuntur quicumque ad hoc offi­ cium, quia ea quae pertinent ad Christianam vitam et fidem, publice omnibus nota sunt. Et tamen ille qui non est baptizatus non potest suscipere baptizatum, ut est declaratum in Concilio Maguntino [cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 102 In baptismate; Theodorus Cantuariensis, Poenitentiale 4], licet nonbap­ tizatus possit baptizare, quia persona bapti­ zantis est de necessitate sacramenti, non autem persona suscipientis, sicut dictum est [a. 7 ad 2]. Ad secundum dicendum quod, sicut est alia generatio spiritualis a carnali, ita etiam debet esse alia disciplina, secundum illud Hebr. 12 [9], patres quidem carnis nostrae habuimus

eruditores, et reverebamur eos. Non multo magis obtemperabimus Patri spirituum, et vivemus? Et ideo alius debet esse pater spiri­ tualis a patre carnali, nisi necessitas contra­ rium exigat. Ad tertium dicendum quod confusio discipli­ nae esset nisi esset unus principalis instructor. Et ideo in Baptismo unus debet esse principa­ lis susceptor. Alii tamen possunt admitti quasi coadiutores.

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ficio di istitutore. Quindi è obbligato ad aver cura di lui, se la necessità lo richiede: come nei tempi e nei luoghi in cui i battezzati si trovano a vivere in mezzo agli infedeli. Se invece vivono tra cristiani cattolici, i padrini possono essere dispensati da questo impegno, presumendosi che i battezzati siano diligente­ mente istruiti dai propri genitori. Se tuttavia per un motivo qualunque essi sono persuasi del contrario, sono tenuti secondo le loro possibilità ad attendere alla salvezza dei loro figli spirituali. Soluzione delle difficoltà: l . Se sovrastasse un qualche pericolo, dovrebbe essere «un uomo istruito nelle cose divine» a rilevare dal sacro fonte il battezzato, come dice Dionigi. Dove invece questo pericolo non esiste, per il fatto che i bambini vivono in mezzo ai cattoli­ ci, tutti sono ammessi a questo ufficio, poiché le cose riguardanti la vita e la fede cristiana sono conosciute pubblicamente da chiunque. Tuttavia non può fare da padrino chi non è battezzato, come è stato dichiarato nel Conci­ lio di Magonza, sebbene un non battezzato possa battezzare: e ciò perché il battezzante, come si è visto, è indispensabile per il sacra­ mento, mentre non lo è il padrino. 2. Come la generazione spirituale è diversa da quella camale, così deve essere diversa anche la disciplina, come è detto in Eh 1 2 [9] :

Abbiamo avuto come correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati. Non ci sottometteremo perciò molto di più al Pa­ dre degli spiriti per avere la vita ? Quindi il padre spirituale deve essere diverso dal padre carnale, a meno che la necessità non esiga il contrario. 3. Se non ci fosse un educatore principale, si avrebbe confusione nell'educazione. Quindi nel battesimo il padrino principale deve esse­ re uno solo. Altri tuttavia possono essere am­ messi come coadiutori.

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Coloro che ricevono il battesimo

Q. 68, A. l

QUAESTI0 68 DE SUSCIPIENTIBUS BAPTISMUM

QUESTIONE 68 COLORO CHE RICEVONO IL BATTESIMO

Deinde considerandum est de suscipientibus Baptismum. Et circa hoc quaeruntur duodecirn. - Primo, utrum omnes teneantur ad suscipien­ dum Baptismum. Secundo, utrum aliquis possit salvari sine Baptismo. Tertio, utrum Baptismus sit difterendus. Quarto, utrum peccatores sint baptizandi. Quinto, utrum peccatoribus baptiza­ tis sint imponenda opera satisfactoria. Sexto, utrum requiratur contessio peccatorum. Septi­ mo, utrum requiratur intentio ex parte baptizati. Octavo, utrum requiratur fides. Nono, utrum pueti sint baptizandi. Decimo, utrum pueri Iudaeorum sint baptizandi invitis parentibus. Undecimo, utrum aliqui sint baptizandi in maternis uteris existentes. Duodecimo, utrum furiosi et amentes sint baptizandi.

Dobbiamo ora parlare di coloro che ricevono il battesimo. - A tale riguardo si pongono dodici quesiti: l . Tutti sono tenuti a ricevere il bat­ tesimo? 2. Qualcuno può salvarsi senza il battesimo? 3. Il battesimo va differito? 4. Si debbono battezzare i peccatori? 5. Ai peccatori battezzati si debbono i mporre delle opere soddistattorie? 6. Si richiede la confessione dei peccati? 7. Si richiede l'intenzione da parte del battezzando? 8. Si richiede la fede? 9. Si debbono battezzare i bambini? 10. I bambini degli Ebrei debbono essere battezzati contro la volontà dei genitori? 1 1 . In qualche caso si deve battezzare il bambino nell'utero materno? 1 2. Si debbono battezzare i furiosi e i pazzi?

Articulus 1 Utrum teneantur omnes ad susceptionem Baptismi

Articolo 1 Thtti sono tenuti a ricevere il battesimo?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod non teneantur omnes ad susceptionem Baptismi. l . Per Clnistum enirn non est hominibus arc­ tata via salutis. Sed ante Christi adventum po­ terant homines salvari sine Baptismo. Ergo etiam post Christi adventum. 2. Praeterea, Baptismus maxime videtur esse institutus in remedium peccati originalis. Sed ille qui est baptizatus, cum non habeat originale peccatum, non videtur quod possit transfundere in prolem. Ergo filii baptizato­ rum non videntur esse baptizandi. 3. Praeterea, Baptismus datur ad hoc quod aliquis per gratiam a peccato mundetur. Sed hoc consequuntur illi qui sunt sanctificati in utero, sine Baptismo. Ergo non tenentur ad suscipiendum Baptismum. Sed contra est quod dicitur Ioan. 3 [5], nisi

Sembra di no. Infatti: l . Cristo non ha reso più stretta agli uomini la via della salvezza. Ma prima della venuta di Cristo gli uomini si potevano salvare senza il battesimo. Quindi anche dopo la sua venuta. 2. n battesimo fu istituito principalmente co­ me rimedio del peccato originale. Ma chi è battezzato, essendo libero dalla colpa origina­ le, non la può trasmettere alla sua prole. Quindi sembra che i figli dei battezzati non debbano essere battezzati. 3. Si dà il battesimo per liberare dal peccato mediante la grazia. Ma questo effetto coloro che sono santificati nel seno materno lo otten­ gono senza il battesimo. Essi quindi non sono tenuti a ricevere il battesimo. In contrario: in Gv 3 [5] è detto: Se uno non

quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei. Et in libro De ecci. dogm. [74] dicintr, baptizatis tantum iter salutis esse credimus. Respondeo dicendum quod ad illud homines tenentur sine quo salutem consequi non possunt. Manifestum est autem quod nullus salutem potest consequi nisi per Christum, unde et apostolus dicit, Rom. 5 [ 1 8], sicut per

rinasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio. E nel libro De Ec­ clesiasticis Dogmatibus è detto: «Noi credia­ mo che la via della salvezza è aperta solo ai battezzati». Risposta: gli uomini sono tenuti a ciò che è indispensabile per conseguire la salvezza. È chiaro d'altra parte che nessuno può conse­ guire la salvezza se non per mezzo di Cristo. Per cui Paolo dice: Come per la colpa di uno

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Coloro che ricevono il battesimo

unius delictum in omnes homines in con­ demnationem, sic et per unius iustitiam in omnes homines in iusti.ficationem vitae. Ad hoc autem datur B aptismus ut aliquis, per ipsum regeneratus, incorporetur Christo, factus membrum ipsius, unde dicitur Gal. 3 [27], quicumque in Christo baptizati estis, Christum induistis. Unde manifestum est quod omnes ad Baptismum tenentur; et sine eo non potest esse salus hominibus. Ad primum ergo dicendum quod nunquam hornines potuerunt salvari, etiam ante Christi adventum, nisi fierent membra Christi, quia, ut dicitur Act. 4 [ 1 2], non est aliud nomen datum hominibus in quo oporteat nos salvos fieri. Sed ante adventum Christi, homines Christo incorporabantur per fidem futuri ad­ ventus, cuius fidei signaculum erat circumci­ sio, ut apostolus dicit, Rom. 4 [I l ] . Ante vero quam circumcisio institueretur, sola fide, ut Gregorius dicit [Mor. 4,3], cum sacrificiorum oblatione, quibus suam fidem antiqui patres profitebantur, hornines Christo incorporaban­ tur. Post adventum etiam Christi, homines per fidem Christo incorporantur, secundum illud Eph. 3 [ 1 7] habitare Christum per fidem in cordibus vestris. Sed alio signo manifestatur fides rei iam praesentis quam demonstrabatur quando erat futura, sicut aliis verbis significa­ tur praesens, praeteritum et futurum. Et ideo, licet ipsum sacramentum B aptismi non semper fuerit necessarium ad salutem, fides tamen, cuius Baptismus sacramentum est [cf. supra q. 66 a. l], semper necessaria fui t. Ad secundum dicendum quod, sicut in secun­ da parte [l-II q. 8 1 a. 3 ad 2] dictum est, illi qui baptizantur, renovantur per Baptismum secundum spiritum, corpus tamen remanet subiectum vetustati peccati, secundum illud Rom. 8 [ I O] , corpus quidem mortuum est propter peccatwn, spiritus vero vivit propter iusti.ficationem. Unde Augustinus probat, in libro Contra lulianum [6, 1 7 ; cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 35 Si quidquid], quod non baptizatur in homine quidquid in eo est. Manifestum est autem quod homo non ge­ nerat generatione carnali secundum spiritum, sed secundum carnem. Et ideo filii baptizato­ rum cum peccato originali nascuntur. Unde indigent baptizari. Ad tettium dicendum quod illi qui sunt san­ ctificati in utero, consequuntur quidem gratiam

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solo si è riversata su tutti gli uomini la con­ danna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giusti­ ficazione che dà vita (Rm 5, 1 8). Ora, il batte­ simo viene dato proprio per questo: perché l'uomo da esso rigenerato sia incorporato a Cristo, divenendo suo membro; per cui è detto: Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo (Gal 3 ,27 ). Perciò è evidente che tutti gli uomini sono tenuti al battesimo, e senza di esso non ci può essere salvezza. Soluzione delle difficoltà: l . Mai gli uomini poterono salvarsi, nemmeno prima della ve­ nuta di Cristo, senza divenire sue membra, poiché non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possia­ mo essere salvati (A t 4, 1 2). Prima di Cristo però gli uomini erano incorporati a lui me­ diante la fede nella sua venuta futura, e di tale fede era sigillo la circoncisione, come osserva Paolo (Rm 4, 1 1 ). E prima ancora che fosse istituita la circoncisione gli uomini erano incorporati a Cristo, come dice Gregorio, «con la sola fede», che era professata dagli antichi patriarchi con l'offerta dei sacrifici. Ora, anche dopo la venuta di Cristo gli uomini sono incorporati a lui per mezzo della fede, come è detto: Cristo abiti mediante la fede nei vostri cuori (Ef3, 17). Ma è diverso il modo di manifestare la fede in una realtà quando essa è presente e quando è ancora futura: come indichiamo con parole diverse quanto accade ora, quanto è già accaduto e quanto accadrà. Sebbene quindi il sacramento del battesimo non sia sempre stato necessario alla salvezza, tuttavia la fede, di cui il battesi­ mo è il sacramento, fu sempre necessaria. 2. I battezzati, come si è visto nella Seconda Parte, vengono dal battesimo rinnovati nello spirito, ma il loro corpo rimane soggetto alla vecchia legge del peccato, come è detto: Il cor­ po è molto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione (Rm 8,10). E Agostino ne deduce che «non tutto nell'uomo viene battezzato». Ora, è chiaro che l 'uomo nella generazione carnale non genera secondo lo spirito, ma secondo la carne. Perciò i figli dei battezz.ati nascono con il peccato originale. Quindi hanno bisogno del battesimo. 3. Coloro che sono santificati nel seno mater­ no ricevono senza dubbio la grazia che li libe-

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Coloro che ricevono il battesimo

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emundantem a peccato originali, non tamen ex hoc ipso consequuntur characterem, quo Christo configurentur. Et propter hoc, si aliqui nunc sanctificarentur in utero, necesse esset eos baptizari, ut per susceptionem characteris aliis membris Christi conformarentur.

ra dal peccato originale, ma non per questo ricevono il carattere che li configura a Cristo. Se dunque attualmente qualcuno fosse santifi­ cato nel seno materno, dovrebbe ugualmente essere battezzato, per conformarsi con l'acqui­ sto del carattere alle altre membra di Cristo.

Articulus 2 Utrum sine Baptismo aliquis possit salvari

Articolo 2 Uno può salvarsi senza il battesimo?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod sine Baptismo nullus possit sal vari. l . Dicit enim Dominus, Ioan. 3 [5], nisi quis

renatus fuerit ex aqua et Spiritu Scmcto, non potest introire in regnum Dei. Sed illi soli salvantur qui regnum Dei intrant. Ergo nullus potest salvari sine Baptismo, quo aliquis regeneratur ex aqua et Spiritu Sancto. 2. Praeterea, in libro De ecci. dogm. [74] dici­ tur, nullum catechumenum, quamvis in bonis

operibus defimctum, aetemam vitam habere credimus, excepto martyrio, ubi tota sacra­ menta Baptismi complentur. Sed si aliquis sine Baptismo possit salvari, maxime hoc ha­ beret locum in catechumenis bona opera ha­ bentibus, qui videntur habere fidem per di­ lectionem operantem. Videtur ergo quod sine Baptismo nullus possit salvati. 3 . Praeterea, sicut supra [a. l ; q. 65 a. 4] dictum est, Baptismi sacramentum est de ne­ cessitate salutis. Necessarium autem est sine quo non potest aliquid esse, ut dicitur in 5 Met. [4,5, l ]. Ergo videtur quod sine Baptis­ mo nullus possit consequi salutem. Sed contra est quod Augustinus dicit, Super Lev. [Q. in Heptat. 3,84 super Lev. 2 1 , 1 5],

invisibilem sanctificationem quibusdam af­ fuisse et profuisse sine visibilibus sacramen­ tis, visibilem vero sancti.ficationem, quae fit sacramento visibili, sine invisibili posse ades­ se, sed non prodesse. Cum ergo sacramentum Baptismi ad visibilem sanctificationem perti­ neat, videtur quod sine sacramento Baptismi aliquis possit salutem consequi per invisibi­ lem sanctificationem. Respondeo dicendum quod sacramentum Baptismi dupliciter potest alicui deesse. Uno modo, et re et voto, quod contingit in illis qui nec baptizantur nec bapti zari volunt. Quod manifeste ad contemptum sacramenti perti­ net, quantum ad illos qui habent usum liberi arbitrii . Et ideo hi quibus hoc modo deest

Sembra di no. Infatti: l . Il Signore dice: Se

uno non rinasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5). Ora, si salvano soltanto

coloro che entrano nel regno di Dio. Quindi nessuno si può salvare senza il battesimo, che lo rigenera con l' acqua e con lo Spirito Santo. 2. Nel libro De Ecclesiasticis dogmatibus si legge: «Noi crediamo che nessun catecumeno abbia la vita eterna anche se è morto in buona condotta, eccetto il caso del martirio, dove il sacramento del battesimo trova tutta la sua pienezza». Ma se qualcuno si potesse salvare senza il battesimo, ciò sarebbe vero massima­ mente dei catecumeni di buoni costumi, i quali mostrano di possedere la fede che opera me­ diante la carità [Gal 5,6]. Quindi sembra che nessuno si possa salvare senza il battesimo. 3. Come si è detto sopra, il sacramento del battesimo è necessario per salvarsi. Ma il ne­ cessario è «ciò senza di cui una cosa non può essere», come spiega Aristotele. Quindi sem­ bra che nessuno possa conseguire la salvezza senza il battesimo. In contrario: Agostino scrive: «Ad alcuni la santificazione invisibile fu concessa e giovò senza i sacramenti visibili; al contrario la san­ tificazione visibile, operata dai sacramenti vi­ sibili, può essere concessa ma non può giova­ re senza la santificazione invisibile». Poiché dunque il sacramento del battesimo appartie­ ne alla santificazione visibile, uno può conse­ guire la salvezza mediante la santificazione invisibile, senza il sacramento del battesimo. Risposta: si può essere senza battesimo in due modi. Primo, di fatto e di proposito, come ca­ pita a coloro che non sono battezzati né vo­ gliono esserlo. E allora si ha evidentemente il disprezzo del sacramento da parte di coloro che hanno l'uso del libero m·bitrio. Perciò chi è senza battesimo in questo modo non può conseguire la salvezza, poiché né sacramen-

Q. 68, A. 2

Coloro che ricevono il battesimo

Baptismus, salutem consequi non possunt, quia nec sacramentaliter nec mentaliter Chri­ sto incorporantur, per quem solum est salus. Alio modo potest sacramentum B aptismi alicui deesse re, sed non voto, sicut cum aliquis baptizari desiderat, sed aliquo casu praevenitur morte antequam B aptismum suscipiat. Talis autem sine Baptismo actuali salutem consequi potest, propter desiderium Baptismi, quod procedit ex fide per dilectio­ nem operante, per quam Deus interius homi­ nem sanctiticat, cuius potentia sacramentis visibilibus non alligatur. Unde Ambrosius dicit [De obitu Valent. Consol.] de Valentinia­ no, qui catechumenus mortuus fuit, quem

regeneraturus eram, amisi, veruntamen ille gratiam quam poposcit, non amisit. Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicitur l Reg. 1 6 [7], homines vident ea quae parent, Dominus autem intuetttr cor. llle autem qui desiderat per Baptismum regenerari ex aqua et Spiritu Sancto, corde quidem regeneratus est, licet non corpore, sicut et apostolus dicit, Rom. 2 [29], quod circumcisio cordis est in

spiritu, non in littera; cuius laus non ex homi­ nibus, sed ex Deo est. Ad secundum dicendum quod nullus pervenit ad vitam aeternam nisi absolutus ab omni cul­ pa et reatu poenae. Quae quidem universalis absolutio fit in perceptione Baptismi, et in martyrio, propter quod dicitur quod in marty­ rio omnia sacramenta Baptismi comp/entur, scilicet quantum ad plenam liberationem a culpa et poena. Si quis ergo catechumenus sit habens desiderium Baptismi (quia aliter in bonis operibus non moreretur, quae non possunt esse s i n e fide per dilectionem operante), talis decedens non statim pervenit ad vitam aeternam, sed patietur poenam pro peccatis praeteritis, ipse tamen salvus erit sic quasi per ignem, ut dicitur l Cor. 3 [ 1 5] Ad tertium dicendum quod pro tanto dicitur sacramentum Baptismi esse de necessitate salutis, quia non potest esse hominis salus nisi saltem in voluntate habeatur, quae apud .

Deum reputatur profacto.

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talmente né intenzionalmente è incorporato a Cristo, nel quale soltanto è possibile la salvez­ za. - Secondo, uno può essere senza battesi­ mo di fatto, ma non di proposito: p. es. quan­ do uno desidera di essere battezzato, ma vie­ ne accidentalmente prevenuto dalla morte pri­ ma di ricevere il battesimo. Ora, costui può conseguire la salvezza senza il battesimo at­ tuale grazie al desiderio del battesimo, il qua­ le nasce dalla jède che opera mediante la ca­ rità [Gal 5,6], attraverso la quale l'uomo vie­ ne santificato interiormente da Dio, il cui potere non è vincolato ai sacramenti. Ed è quanto dice appunto Ambrogio parlando di Valentiniano, che era morto da catecumeno: «lo ho perduto lui che stavo per rigenerare, ma lui non ha perduto la grazia che aveva domandato». Soluzione delle difficoltà: l . L'uomo guarda

l 'apparenza, ma il Signore guarda il cuore (l Sam 1 6,7). Ora, chi desidera di essere rige­ nerato ne/l'acqua e nello Spirito Santo è rige­ nerato di fatto nel suo intimo anche quando manca l'abluzione esterna; e in questo senso Paolo dice che la vera circoncisione è quella

del cuore, nello spirito e non nella lettera: quella la cui gloria non viene dagli uomini, ma da Dio (Rm 2,29). 2. Nessuno giunge alla vita etema se non è assolto da ogni colpa e da ogni debito di pena. Ora, questa assoluzione generale si ha nell'at­ to del battesimo e nel martirio, per cui si dice che nel martirio «il sacramento del battesimo trova tutta la sua pienezza», cioè la totale libe­ razione dalla colpa e dalla pena. Se dunque muore un catecumeno col desiderio del batte­ simo (altrimenti non morirebbe in stato di buona condotta, dato che questa non ci può essere senza la fede che opera mediante la carità), egli non ottiene subito la vita eterna, ma sconterà la pena dovuta ai suoi peccati;

tuttavia si salverà come attraverso il fuoco, come è detto in l Cor 3 [ 1 5]. 3. In tanto si dice che il battesimo è necessa­ rio per salvarsi in quanto uno non può avere la salvezza se non riceve il battesimo almeno col desiderio, il quale «dinanzi a Dio vale come l'opera compiuta>> [Agostino].

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Coloro che ricevono il battesimo

Q. 68, A. 3

Articulus 3 Utrum Baptismus sit differendus

Articolo 3 Il battesimo va differito?

Ad tertium sic proceditur. Vìdetur quod Bap­ tismus sit differendus. l . Dicit enim Leo Papa [cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 1 2 Duo tempora], duo tempo­

Sembra di sì. Infatti: l . Papa Leone ammonisce: «Per il battesimo sono stati assegnati per legge dal romano pontefice due tempi, cioè la Pasqua e la Pentecoste. Perciò avvertiamo la Vostra Dile­ zione di non aggiungere altri giorni a questa prescrizione». Quindi sembra che non si deb­ ba battezzare subito una persona, ma differire il battesimo fino ai periodi suddetti. 2. Negli atti del Concilio Agatense si legge: «I Giudei, la cui perfidia torna spesso al vo­ mito, se vogliono convertirsi al cattolicesimo se ne stiano per otto mesi sulla soglia della Chiesa tra i catecumeni; e soltanto allora, se dimostrano di convertirsi con retta intenzione, ricevano la grazia del battesimo». Non si deve quindi dare subito il battesimo, ma rimandar­ lo per un certo tempo. 3. Come è detto in /s 27 [9]: Questo è tutto il frutto: l'eliminazione del peccato. Ma il pec­ cato viene tolto, o anche diminuito, in misura maggiore se il battesimo viene dilazionato. Primo, poiché coloro che peccano dopo il bat­ tesimo peccano più gravemente, come è detto i n Eh l O [29]: Di quanto maggior castigo

ra, idest Pascha et Pentecoste, ad baptizan­ dum a Romano pontifice legitima praefixa sunt. Unde dilectionem vestram monemus ut nullos alios dies huic observationi misceatis. Vìdetur ergo quod oporteat non statim aliquos baptizari, sed usque ad praedicta tempora Baptismum differri. 2. Praeterea, in Concilio Agathensi [anno 506, can. 34; cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 93 Iudaei quorum] l eg itur, Iudaei, quorum perfidia frequenter ad vomitum redit,

si ad leges catholicas venire voluerint, octo menses inter catechumenos ecclesiae limen introeant, et, si pura fide venire noscantw; tunc demum Baptismi gratiam mereantur. Non ergo statim sunt homines baptizandi, sed usque ad certum tempus est differendum Baptisma. 3. Praeterea, sicut dicitur Is. 27 [9], iste est omnis fructus, ut auferatur peccatum. Sed magis videtur auferri peccatum, vel etiam di­ minuì, si Baptismus differatur. Primo quidem, quia peccantes post Baptismum gravius peccant, secundum illud Hebr. l O [29], quan­

to magis putatis deteriora mereri supplicia qui sanguinem testamenti pollutum duxerit, in quo sanctificatus est, scilicet per Baptismum? Secundo, quia Baptismus tollit peccata prae­ terita, non autem futura, unde, quanto Bap­ tismus magis differtur, tanto plura peccata tol­ let. Vìdetur ergo quod Baptismus debeat diu differri. Sed contra est quod dicitur Eccli. 5 [8], ne

tardes converti ad Dominum, et ne differas de die in diem. Sed perfecta conversio ad Deum est eorum qui regenerantur in Christo per Baptismum. Non ergo Baptismus debet dif­ ferri de die in diem. Respondeo dicendum quod circa hoc di­ stinguendum est utrum sint baptizandi pueri vel adulti. Si enim pueri sint baptizandi, non est differendum Baptisma. Primo quidem, quia non expectatur in eis maior instructio, aut etiam plenior conversio. - Secundo, propter periculum mortis, quia non potest alio

pensate che sarà ritenuto degno chi avrà rite­ nuto profano il sangue dell 'alleanza, nel quale è stato santificato, cioè mediante il bat­ tesimo? Secondo, poiché il battesimo cancella i peccati passati, ma non i futuri: per cui quanto più lo si rimanda, tanti più peccati esso toglie. Sembra quindi che il battesimo vada differito a lungo. In contrario: in Sir 5 [8] è detto: Non tardare

a convertirti al Signore, e non rimandare di giorno in giorno. Ma la perfetta conversione a Dio è quella di quanti sono rigenerati in Cri­ sto mediante il battesimo. Non si deve quindi rimandare il battesimo di giorno in giorno. Risposta: nella presente questione bisogna distinguere tra battezzandi bambini e battez­ zandi adulti. Infatti quando si tratta del batte­ simo dei bambini non bisogna differire il bat­ tesimo. Primo, poiché non si attende da essi una maggiore istruzione, o una più completa conversione. - Secondo, per il pericolo di morte, non potendosi venire in loro aiuto con alcun altro mezzo all'infuori del sacramento del battesimo. - Gli adulti invece possono

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Coloro che ricevono il battesimo

remedio subveniri nisi per sacramentum Bap­ tismi. - Adultis vero subveniri potest per so­ lum B aptismi desiderium, ut supra [a. 2] dictum est. Et ideo adultis non statim cum convertuntur, est sacramentum Baptismi con­ ferendum, sed oportet differre usque ad ali­ quod certum tempus. Primo quidem, propter cautelam Ecclesiae, ne decipiatur, ficte acce­ dentibus conferens, secundum illud l Ioan. 4 [ 1 ] , nolite omni spiritui credere, sed probate spiritus si ex Deo sunt. Quae quidem probatio sumitur de accedentibus ad B aptismum, quando per aliquod spatium eorum fides et mores examinantur. - Secundo, hoc e..•;t neces­ sarium ad utilitatem eorum qui baptizantur, quia aliquo temporis spatio indigent ad hoc quod piene instruantur de fide, et exercitentur in his quae pertinent ad vitam christianam. Tertio, hoc est necessarium ad quandam reve­ rentiam sacramenti, dum in solemnitatibus praecipuis, scilicet Paschae et Pentecostes, homines ad Baptismum admittuntur, et ita de­ votius sacramentum suscipiunt. - Haec tamen dilatio est praetermittenda duplici ratione. Primo quidem, quando illi qui sunt baptizan­ di, apparent perfecte instructi in fide et ad Baptismum idonei, sicut Philippus statim baptizavit eunuchum, ut habetur Act. 8 [36]; et Petrus Comelium et eos qui cum ipso erant, ut habetur Act. 10 [47-48]. - Secundo, pro­ pter infirmitatem, aut aliquod periculum mor­ tis. Unde Leo Papa dici t [cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 1 6 Hi qui; Leo Magnus, ep. 16 Ad Univ. Episc. 5], hi qui necessitate

mortis, aegritudinis, obsidionis et persecutio­ nis et naufragii, urgentw; omni tempore de­ bent baptizari. - Si tamen aliquis praeveniatur

morte, articulo necessitatis sacramentum ex­ eludente, dum expectat tempus ab Ecclesia institutum, salvatur, licet per ignem, ut supra [a. 2 ad 2] dictum est. Peccat autem si ultra tempus ab Ecclesia statutum differret accipere Baptismum, nisi ex causa necessaria et licen­ tia praelatorum Ecclesiae. Sed tamen et hoc peccatum cum aliis deleri potest per succe­ dentem contritionem, quae supplet vicem Baptismi, ut supra [q. 66 a. 2] dictum est. Ad primum ergo dicendum quod illud man­ datum Leonis Papae de observandis duobus temporibus in Baptismo, intelligendum est, e.xcepto tamen periculo mortis (quod semper in pueris est timendum), ut dictum est [in co.].

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avvalersi del semplice desiderio del batte­ simo, come si è detto sopra. Perciò agli adulti non si deve conferire il battesimo appena si convertono, ma è bene differirlo per un certo tempo. Primo, a tutela della Chiesa, perché essa non soffra inganno concedendo il batte­ simo a persone mal disposte, come è detto in l Gv 4 [ l ] : Non prestate fede a ogni ispirazio­

ne, ma mettete alla prova le ispirazioni per saggiare se provengono da Dio. Ora, la prova

di coloro che si accostano al battesimo si ha quando la loro fede e i loro costumi sono esa­ minati per un certo periodo. - Secondo, ciò è necessario per il bene di quelli che sono bat­ tezzati, poiché essi hanno bisogno di un certo tempo per istruirsi perfettamente nella fede e per esercitarsi nelle pratiche della vita cristia­ na. - Terzo, la dilazione è necessaria per il decoro del sacramento: se infatti gli uomini sono ammessi al battesimo nelle solennità principali, cioè a Pasqua e a Pentecoste, essi lo ricevono con più devozione. - Tuttavia questa dilazione non va applicata in due casi. Primo, quando i battezzandi si mostrano per­ fettamente istruiti nella fede e preparati al bat­ tesimo: come Filippo battezzò subito l'Eunuco [At 8,36], e Pietro battezzò Cornelio e quanti erano con lui [At 10,47]. - Secondo, in caso di malattia o di qualche altro pericolo mor­ tale. Perciò papa Leone scrive: «Coloro che versano in pericolo di morte per malattia, assedio, persecuzione o naufragio, vanno battezzati in qualsiasi momento». - Se qual­ cuno tuttavia viene rapito dalla morte in cir­ costanze che ne rendono impossibile il batte­ simo, mentre sta aspettando il tempo stabilito dalla Chiesa, si salva, sebbene «attraverso il fuoco», come si è detto sopra. Pecca invece chi ritarda il battesimo oltre il tempo assegna­ to dalla Chiesa, a meno che non lo faccia per motivi di necessità e con la licenza dei supe­ riori ecclesiastici. Tuttavia anche questo pec­ cato può essere rimesso insieme con gli altri mediante la contrizione, che fa le veci del bat­ tesimo, come si è detto sopra. Soluzione delle difficoltà l . L'ordine di papa Leone di osservare i due tempi del battesimo vale per gli adulti, «eccetto il caso di pericolo di morte» (che è sempre da temersi per i bam­ bini), come si è detto. 2. La prassi relativa ai Giudei fu stabilita a tutela della Chiesa, perché essi non corrompa-

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Coloro che ricevono il battesimo

Ad secundum dicendum quod illud de lu­ daeis est statutum ad Ecclesiae cautelam, ne simplicium fidem corrumpant, si non fuerint piene conversi . Et tamen, ut ibidem [Conc. Agathense, anno 506, can. 34; cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 4, can. 93 Iudaei quorum] subditur, si infra tempus praescriptum ali­

quod periculum infirmitatis incurrerint, de­ beni baptizari. Ad tertium dicendum quod Baptismus per gratiam quam confert non solum removet peccata praeterita, sed etiam impedit peccata futura ne fiant. Hoc autem considerandum est, ut homines non peccent, secundarium est ut levius peccent, vel etiam ut eorum peccata mundentur; secundum illud l Ioan. 2 [ 1 -2],

filioli mei, haec scribo vobis ut non peccetis. Sed et si quis peccaverit, advocatum habemus apud patrem Iesum Christum iustum, et ipse est propitiatio pro peccatis nostris.

no la fede dei semplici con una conversione incompleta. Thttavia, come soggiunge lo stes­ so Concilio, «Se durante l' attesa prescritta essi incorrono in qualche infermità, si deve loro concedere il battesimo». 3. n battesimo, con la grazia che conferisce, non solo toglie i peccati passati, ma impedi­ sce anche che ne siano commessi per il futu­ ro. E questa è la cosa più importante: che gli , uomini non pecchino. E invece una cosa secondaria che essi pecchino più leggermen­ te, o anche che i loro peccati siano rimessi, come è detto in I Gv 2 [ 1 ]: Figlioli miei, vi

scrivo queste cose perché non pecchiate. Ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvoca­ to presso il Padre, Gesù Cristo giusto. Egli è la vittima di espiazione per i nostri peccati.

Articulus 4

Articolo 4

Utrum peccatores sint baptizandi

Si debbono battezzare i peccatori?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod peccatores sint baptizandi. l . Dicitur enim Zach. 1 3 [ 1 ] , in die illa erit

fons patens domui David et habitantibus Ieru­ salem in ablutionem peccatoris et menstrua­ tae, quod quidem intelligitur de fonte bapti­ smali. Ergo videtur quod sacramentum Bapti­ smi sit etiam peccatoribus exhibendum. 2. Praeterea, Dominus dicit, Matth. 9 [ 1 2], non

est opus valentibus medicus, sed male habenti­ bus. Male autem habentes sunt peccatores. Cum igitur spiritualis medici, scilicet Christi, medicina sit Baptismus, videtur quod peccato­ ribus sacramentum Baptismi sit exhibendum. 3. Praeterea, nullum subsidium peccatoribus debet subtrahi . Sed peccatores baptizati ex ipso charactere baptismali spiritualiter adiu­ vantur, cum sit quaedam dispositio ad gra­ tiam. Ergo videtur quod sacramentum Bap­ tismi sit peccatoribus exhibendum. Sed contra est quod Augustinus dicit [Serm. ad pop. 1 69, 1 1 ], qui creavit te sine te, non iustificabit te sine te. Sed peccator, cum ha­ beat voluntatem non dispositam, non coope­ ratur Deo. Ergo frustra adhibetur sibi Bap­ tismus ad iustificationem. Respondeo dicendum quod aliquis potest dici peccator dupliciter. Uno modo, propter ma-

Sembra di sì. Infatti: l . In Zc 1 3 [ l ] è detto:

In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccatore e la donna impura; e ciò si riferisce al fonte battesimale. Quindi sembra che il sacramento del battesimo debba essere dato anche ai peccatori. 2. Il Signore dice: Non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati (Mt 9, 1 2). Ora, i malati sono appunto i peccatori. Essendo quindi il battesimo la medicina del medico spi­ rituale, cioè di Cristo, sembra che ai peccatori debba essere dato il sacramento del battesimo. 3. Nessun sussidio va rifiutato ai peccatori. Ma i peccatori battezzati trovano un aiuto spi­ rituale nello stesso carattere battesimale, es­ sendo esso una disposizione alla grazia. Quin­ di sembra che ai peccatori debba essere dato il sacramento del battesimo. In contrario: Agostino insegna: «Chi ti ha creato senza di te, non ti giustificherà senza di te». Ma il peccatore, non avendo la volontà ben disposta, non coopera con Dio. Quindi il battesimo non gli serve per la giustificazione. Risposta: uno può dirsi peccatore in due sensi diversi. Primo, per la macchia e il reato della colpa passata. E a tali peccatori va conferito il

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Coloro che ricevono il battesimo

culam et reatum praeteritum. Et sic peccatori­ bus est sacramentum Baptismi conferendum, quia est ad hoc specialiter institutum ut per ipsum peccatorum sordes mundentur, secun­ dum illud Eph. 5 [26], mundans eam, scilicet Ecclesiam, lavacro aquae in verbo vitae. Alio modo potest dici aliquis peccator ex voluntate peccandi et proposito persistendi in peccato. Et sic peccatoribus non est sacra­ mentum Baptismi conferendum. Primo qui­ dem, quia per Baptismum homines Christo incorporantur, secundum illud Gal. 3 [27], quicumque in Christo baptizati estis, Chri­ stum induistis. Quandiu autem aliquis habet voluntatem peccandi, non potest esse Christo coniunctus, secundum illud 2 Cor. 6 [ 14], quae participatio iustitiae cum iniquitate ? Unde et Augustinus dicit, in libro De poeni­ tentia [Serm. ad pop. 35 1 ,2], quod nullus suae voluntatis arbiter constitutus potest novam vitam inchoare, nisi eum veteris vitae poeni­ teat. - Secundo, quia in operibus Christi et Ecclesiae nihil debet fieri frustra. Frustra autem est quod non pertingit ad finem ad quem est ordinatum. Nullus autem habens voluntatem peccandi simul potest a peccato mundari, ad quod ordinatur Baptismus, quia hoc esset ponere contradictoria esse simul. Tertio, quia in sacramentalibus signis non debet esse aliqua falsitas. Est autem signum falsum cui res significata non respondet. Ex hoc autem quod aliquis lavandum se praebet per Baptismum, significatur quod se disponat ad interiorem ablutionem. Quod non contingit de eo qui habet propositum persistendi in peccato. Unde manifestum est quod talibus sacramentum Baptismi non est conferendum. Ad primum ergo dicendum quod illud ver­ bum est intelligendum de peccatoribus qui habent voluntatem recedendi a peccato. Ad secundum dicendum quod spiritualis me­ dicus, scilicet Christus, dupliciter operatur. Uno modo, interius per seipsum, et sic prae­ parat voluntatem hominis ut bonum velit et malum odiat. Alio modo operatur per mini­ stros, exterius adhibendo sacramenta, et sic operatur perficiendo id quod est exterius in­ choatum. Et ideo sacramentum Baptismi non est exhibendum nisi ei in quo interioris con­ versionis aliquod signum apparet, sicut nec medicina corporalis adhibetur infirmo nisi in eo aliquis motus vitalis appareat.

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sacramento del battesimo: poiché esso fu istituito particolarmente a questo scopo, cioè per mondare le sozzure dei peccati, secondo le parole di Ef 5 [26]: Purificando la Chiesa per mezzo del lavacm dell'acqua nella pamla di vita. - Secondo, uno può dirsi peccatore per la volontà di peccare e per i l proposito di persistere nel peccato. E a tali peccatori il sacramento del battesimo non va conferito. Primo, poiché mediante il battesimo gli uorni­ ni sono incorporati a Cristo, come è detto in Gal 3 [27] : Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Ma finché uno ha la volontà di peccare, non può essere unito a Cristo, poiché è detto: Quale rapporto ci può essere tra la giustizia e l 'iniquità ? (2 Cor 6,14). Perciò Agostino dice: «Nessuno che sia padrone della propria volontà può iniziare una nuova vita se non si pente della vita passata». - Secondo, poiché nelle funzio­ ni di Cristo e della Chiesa non ci deve essere nulla di inutile. Ma è inutile ciò che non rag­ giunge il fine a cui è ordinato. Ora, nessuno che abbia la volontà di peccare può ottenere la purificazione dai peccati, che è il fine del battesimo: infatti ciò equivmTebbe a porre insieme due cose contraddittorie. - Terzo, poi­ ché nei riti sacramentali va esclusa qualsiasi falsità, e d'altra patte è un segno falso quello a cui non conisponde la realtà significata. Ora, il fatto che uno si presenti per essere lavato nel battesimo significa che è disposto all'abluzio­ ne interiore. n che invece non accade in chi ha il proposito di persistere nel peccato. È evi­ dente quindi che a tali persone non va conces­ so il sacramento del battesimo. Soluzione delle difficoltà: l . Il testo si rife­ risce a quei peccatori che hanno la volontà di recedere dal peccato. 2. Il medico spirituale, cioè Cristo, agisce in due modi. Primo, da se stesso interiormente: e così prepara la volontà umana a volere il bene e a odiare il male. Secondo, per mezzo dei suoi ministri, applicando esteriormente i sa­ cramenti: e allora egli opera portando a termi­ ne quanto è stato iniziato esteriormente. Per­ ciò il sacramento del battesimo non va con­ cesso se non a coloro nei quali appare qual­ che segno di conversione interiore; come an­ che una medicina corporale non viene data a un infermo se in lui non si manifesta qualche segno di vita.

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Q. 68, A. 4

Coloro che ricevono il battesimo

Ad tertium dicendum quod Baptismus est Fides autem informis non sufficit ad salutem, nec ipsa est fundamen­ tum, sed sola fides formata, quae per dilectio­ nem operatur, ut Augustinus dicit, in libro De fide et operibus [ 1 6] . Unde nec sacramentum Baptismi salutem conferre potest cum volun­ tate peccandi, quae fidei formam excludit. Non autem est per impressionem characteris baptismalis aliquis disponendus ad gratiam, quandiu apparet in eo voluntas peccandi, quia, Deus neminem ad virtutem compellit, sicut Damascenus dicit [De fide 2,30].

fidei sacramentum.

3 . n battesimo è >, a causa del pericolo di morte.

QUAESTI0 69

QUESTIONE 69

DE EFFECTIBUS BAPTISMI

GLI EFFETTI DEL BATTESIMO

Deinde considerandum est de effectibus Bapti­ srni. - Et circa hoc quaeruntur decem. Primo, utrum per Baptismum auferantur omnia pecca­ ta. Secundo, utrum per Baptismum liberetur homo ab omni poena. Tertio, utrum Baptismus auferat poenalitatem huius vitae. Quarto, utrum per Baptismum conferantur homini gratiae et virtute..>. - La terza è il contrassegno che è dato al combattente, come anche per le battaglie ma­ teriali i soldati sono contrassegnati con i di­ stintivi dei loro comandanti. E questo è indica­ to dalle parole: «lo ti segno con il segno della croce», cioè con il segno con il quale trionfò il nosttv Re, come è detto in Co/ 2 [ 1 5]. Soluzione delle difficoltà: l . Come si è detto sopra, a volte attraverso il ministero degli apostoli era dato l'effetto di questo sacramen­ to, ossia la pienezza dello Spirito Santo, con alcuni miracoli visibili fatti da Dio, il quale può conferire l'effetto di un sacramento senza il sacramento. E in quei casi non era necessa­ ria né la materia né la forma di questo sacra­ mento. - A volte invece gli apostoli davano questo sacramento come ministri dei sacra­ menti. E allora usavano sia la materia che la forma prescritte da Cristo. Infatti molti riti che gli apostoli osservavano nel conferire i sa­ cramenti non sono stati tramandati dalle Scrit­ ture, che sono destinate indifferentemente a tutti. Per cui Dionigi afferma: «Non è giusto che gli interpreti della Scrittura traggano fuori dall'arcano e mettano sotto gli occhi di tutti le invocazioni efficaci», cioè le parole con le quali si compiono i sacramenti, «O il loro sen­ so mistico, o le meraviglie che Dio compie at­ traverso di esse, ma queste cose ci sono in­ segnate senza pubblicità>>, cioè occultamente,

89 1

Il sacramento della cresima, o confermazione

Q. 72, A. 4

salutis causa. Et ideo in idem redit quod dici­ tur chrismate salutis, et sancti.ficationis. Ad tertium dicendum quod B aptismus est regeneratio in spiritualem vitam, qua homo vivit in seipso. Et ideo non ponitur in forma Baptismi nisi ipse actus ad ipsum hominem pertinens sanctificandum. Sed hoc sacramen­ tum non solum ordinatur ad hoc quod homo sanctificetur in seipso, sed exponitur cuidam pugnae exteriori. Et ideo non solum fit mentio de interiori sanctificatione, cum dicitur, con­ firmo te chrismate salutis, sed etiam consi­ gnatur homo exterius, quasi vexillo crucis, ad pugnam exteriorem spiritualem, quod signifi­ catur cum dicitur, consigno te signa crucis. In ipso autem verbo baptizandi, quod ablutio­ nem significat, potest intelligi et materia, quae est aqua abluens, et effectus salutis. Quae non intelliguntur in verbo confirmandi, et ideo oportuit haec ponere. Dictum est autem supra [q. 66 a. 5 ad l ] quod hoc quod dicitur, ego, non est de necessitate formae baptismalis, quia intelligitur in verbo primae personae. Apponitur tamen ad exprimendam intentio­ nem. Quod non est ita necessarium in confir­ matione, quae non exhibetur nisi ab excellenti ministro, ut infra [a. 1 1] dicetur.

«dalla nostra sacra tradizione». Così Paolo stesso, parlando della celebrazione dell'Euca­ ristia, scrive: Tutte le altre cose le sistemerò alla mia venuta (l Cor I l ,34). 2. La santità è la causa della salvezza. Dire quindi «crisma della santificazione» è lo stes­ so che dire «crisma della salvezza». 3. Il battesimo è la tigenerazione alla vita spi­ rituale, per cui l'uomo vive in se stesso. Perciò non si pone nella forma del battesimo se non l'unico atto che si riferisce alla santificazione personale dell'uomo. Invece il sacramento della confermazione è destinato a santificare l'uomo non soltanto in se stesso, ma anche in vista della lotta esterna. Per questo si menzio­ na non solo la santificazione interna con le parole: «TI confermo con il crisma della sal­ vezza», ma si contrassegna anche esterior­ mente l'uomo con il segno della croce per il combattimento spirituale esterno, dicendo: >, come accade a coloro che ricevono inde­ gnamente il corpo di Cristo. - Inoltre, secon­ do Agostino, «si deve ritenere che prima il Si­ gnore distribuì a tutti i suoi discepoli il sacra­ mento del suo corpo e del suo sangue, Giuda compreso, secondo la narrazione di Luca, e poi avvenne quanto riferisce Giovanni, che cioè il Signore mostrò chi era il traditore por­ gendogli un boccone di pane intinto». Articolo 3 Cristo ha consumato e offerto ai discepoli il proprio corpo in stato di impassibilità? Sembra di sì. Infatti: l . Commentando Mt 1 7 [2] : Si trasfigurò dinanzi a Iom, la Glossa afferma: «Ai discepoli nella Cena diede quel corpo che aveva per natu­ ra, non mortale però, né passibile». E com­ mentando Lv 2 [5] : Se la tua offerta sarà un 'ablazione cotta sulla teglia, la Glossa dice: «La croce, forte più di tutte le cose, rese la carne di Cristo atta a essere mangiata, mentre prima della passione sembrava non commesti­ bile». Ora, Cristo diede il suo corpo come atto a essere mangiato. Quindi lo diede quale esso fu dopo la passione, cioè impasibile e immortale. 2. Ogni corpo passibile soffre se è toccato e masticato. Se dunque il corpo di Cristo fosse stato passibile, avrebbe sofferto nell' essere toccato e masticato dai discepoli. 3. Le parole sacramentali non sono più effica­ c i ora, quando le proferisce i l sacerdote i n nome d i Cristo, d i quando furono pronunziate da Cristo stesso. Ma ora in virtù delle parole

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L 'uso che Cristofece di questo sacramento nella sua prima istituzione

do fuerunt prolata ab ipso Christo. Sed nunc virtute verborum sacramentalium in altari consecratur corpus Christi impassibile et im­ mortale. Ergo multo magis tunc. Sed contra est quod, sicut Innocentius 3 dicit [De sacro Altaris mysterio 4, 12], tale corpus tunc dedit discipulis quale habuit. Habuit autem tunc corpus passibile et mortale. Ergo corpus passibile et mortale discipulis dedit. Respondeo dicendum quod Hugo de Sancto Victore [cf. Innocentius III, De sacro Altaris Mysterio 4, 1 2; Serm. de Temp., serm. 1 4] posuit quod Christus ante passionem diversis temporibus quatuor dotes corporis glorificati assumpsit, scilicet subtilitatem in nativitate, quando exivit de clauso utero Virginis; agilita­ tem, quando siccis pedibus super mare ambu­ lavit; claritatem, in transfiguratione; impassibi­ litatem, in cena, quando corpus suum tradidit discipulis ad manducandum. Et secundum hoc, dedit discipulis suis corpus impassibile et immortale. - Sed, quidquid sit de aliis, de quibus supra [q. 28 a. 2 ad 3; q. 45 a. 2] dictum est quid sentiri debeat, circa impassibilitatem tamen impossibile est esse quod dicitur. Mani­ festum est enim quod idem verum corpus Christi erat quod a discipulis tunc in propria specie v idebatur, et i n specie sacramenti sumebatur. Non autem erat impassibile secun­ dum quod in propria specie videbatur, quinim­ mo erat passioni paratum. Unde nec ipsum corpus quod in specie sacramenti dabatur, impassibile erat. - Impassibili tamen modo erat sub specie sacramenti quod in se erat passibile, sicut invisibiliter quod in se erat visibile. Sicut enim visio requirit contactum corporis quod videtur ad circumstans medium visionis, ita passio requirit contactum corporis quod patitur ad ea quae agunt. Corpus autem Christi, secundum quod est sub sacramento, ut supra [a. l ad 2; q. 76 a. 5] dictum est, non comparatur ad ea quae circumstant mediantibus propriis dimensionibus, quibus corpora se tangunt, sed mediantibus dimensionibus specierum panis et vini. Et ideo species illae sunt quae patiuntur et videntur, non autem ipsum corpus Christi. Ad primum ergo dicendum quod Christus di­ citur non dedisse in cena corpus suum mortale et passibile, quia non dedit corporali et pas­ sibili modo. Crux autem facit carnem Christi aptam manducationi, inquantum hoc sacra­ mentum repraesentat passionem Christi.

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sacramentali il corpo di Cristo sull' altare è consacrato impassibile e immortale. Quindi tanto più allora. In contrario: come dice Innocenza III, «[Cristo] diede ai suoi discepoli il suo corpo quale egli allora lo possedeva>>. Ma allora possedeva un corpo passibile e mortale. Quindi diede ai suoi discepoli il suo corpo passibile e mortale. Risposta: Ugo di San Vittore [Innocenza lll] sostenne che Cristo prima della passione, in circostanze diverse, assunse le quattro doti del corpo glorificato: la sottigliezza alla nascita, quando uscì dal seno della Vergine }asciandolo i ntatto; l ' agilità quando camminò a piedi asciutti sul lago; la luminosità nella trasfigura­ zione; l'impassibilità nella Cena, quando diede il suo corpo in cibo ai discepoli. E così avreb­ be dato ai suoi discepoli il proprio corpo in stato di impassibilità e di immortalità. - Ma qualsiasi cosa si dica delle altre doti, di cui ab­ biamo già parlato in precedenza, non si può in ogni modo accettare questa tesi rispetto all'im­ passibilità. Infatti era certamente il vero e iden­ tico corpo di Cristo quello che vedevano allora i discepoli nella sua specie e quello che era ricevuto sotto le specie del sacramento. Ora, esso non era impassibile nella specie propria in cui lo vedevano, ché anzi era pronto per la pas­ sione. Quindi nemmeno il corpo di Cristo sotto la specie del sacramento era impassibile. - Tuttavia quel corpo, che in se stesso era pas­ sibile, si trovava in modo impassibile sotto le specie sacramentali : come vi si trovava in mo­ do invisibile, pur essendo in se stesso visibile. Come infatti la visione richiede il contatto fra l'oggetto visibile e il mezzo interposto, così la passione richiede il contatto fra il corpo pas­ sibile e gli oggetti che agiscono su di esso. Ora il corpo di Cristo, secondo il modo in cui è presente nel sacramento, e di cui abbiamo par­ lato sopra, non è in relazione con l'ambiente circostante mediante le proprie dimensioni, con le quali i corpi si toccano fra loro, ma me­ diante le dimensioni delle specie del pane e del vino. Di conseguenza a patire e a essere viste sono le specie, non il corpo stesso di Cristo. Soluzione delle difficoltà: l . Si dice che Cristo nella Cena diede il suo corpo non mortale e passibile nel senso che non lo diede in modo fisico e cruento. La croce poi rese la carne di Cristo atta a essere mangiata in quanto questo sacramento rappresenta la passione di Cristo.

Q. 8 1 , A. 3

L 'uso che Cristofece di questo sacramento nella sua prima istituzione

Ad secundum dicendum quod ratio illa proce­ deret si corpus Christi sicut erat passibile, ita passibili modo fuisset sub sacramento. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 76 a. 4] dictum est, accidentia corporis Christi sunt in hoc sacramento ex reali concomitantia, non autem ex vi sacramenti, ex qua est ibi sub­ stantia corporis Christi. Et ideo virtus verbo­ rum sacramentalium ad hoc se extendit ut sit sub hoc sacramento corpus, Christi scilicet, quibuscumque accidentibus realiter in eo existentibus.

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2. L' argomento varrebbe se il corpo di Cristo, che allora era passibile, fosse stato anche pre­ sente nell'Eucaristia in modo passibile. 3. Gli accidenti del corpo di Cristo, come si disse sopra, sono presenti in questo sacramen­ to per naturale concomitanza, non già in forza del sacramento, i l quale rende presente la sostanza del corpo di Cristo. Perciò la virtù delle parole sacramentali ha il compito di ren­ dere presente nel sacramento il corpo di Cristo con tutti gli accidenti che esso real­ mente possiede.

Articulus 4

Articolo 4

Utrum, si hoc sacramentum tempore mortis Christi fuisset servatum in pyxide, vel ab aliquo apostolorum consecratum, ibi moreretur

Cristo sarebbe morto nell'Eucaristia qualora al momento della sua morte questa fosse stata conservata in una pisside, o consacrata da un apostolo?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod, si hoc sacramentum tempore martis Christi fuis­ set servatum in pyxide, vel ab aliquo aposto­ lorum consecratum, non ibi moreretur. l . Mors enim Christi accidit per eius passio­ nem. Sed Christus impassibili modo etiam tunc erat in hoc sacramento. Ergo non poterat mori in hoc sacramento. 2. Praeterea, in morte Christi separatus fuit sanguis eius a corpore. Sed in hoc sacramento simul est corpus Christi et sanguis. Ergo Chri­ stus in hoc sacramento non moreretur. 3 . Praeterea, mors accidit per separationem animae a corpore. Sed in hoc sacramento continetur tam corpus Christi quam anima. Ergo in hoc sacramento non poterat Christus mori. Sed contra est quod idem Christus qui erat in cruce, fuisset in sacramento. Sed in cruce moriebatur. Ergo et in sacramento conservato moreretur. Respondeo dicendum quod corpus Christi idem in substantia est in hoc sacramento et in propria specie, sed non eodem modo, nam in propria specie contingit circumstantia corpora per proprias dimensiones, non autem prout est in hoc sacramento, ut supra [a. 3] dictum est. Et ideo quidquid pertinet ad Christum se­ cundum quod est in se, potest attribui ei et in propria specie et in sacramento existenti, sicut vivere, mori, dolere, animatum vel inanima­ tum esse, et cetera huiusmodi. Quaecumque vero conveniunt ei per comparationem ad

Sembra di no. Infatti: l . La morte di Cristo avvenne mediante la sua passione. Ma Cristo anche allora si trovava in questo sacramento i n modo i mpassibil e . Quindi non sarebbe potuto morire i n questo sacramento. 2. Nella morte di Cristo il suo sangue fu sepa­ rato dal corpo. Ma in questo sacramento sono presenti insieme il corpo e il sangue di Cristo. Quindi Cristo in questo sacramento non sa­ rebbe motto. 3. La morte avviene per la separazione dell'a­ nima dal corpo. Ma in questo sacramento sono presenti tanto il corpo quanto l ' anima di Cristo. Quindi in questo sacramento Cristo non poteva morire. In contrario: nel sacramento ci sarebbe stato lo stesso Cristo che era sulla croce. Ma sulla croce egli allora moriva. Quindi sarebbe morto anche nel sacramento. Risposta: in questo sacramento e sotto la pro­ pria specie il corpo di Cristo è identico nella sostanza, ma non si trova nello stesso modo: infatti nella propria specie esso viene a con­ tatto con i corpi circostanti mediante le pro­ prie dimensioni, il che non avviene nell'Eu­ caristia, come si è visto sopra. Quindi tutto ciò che è vero di Cristo quanto alla sua so­ stanza gli può essere attribuito sia nella pro­ pria specie che nella presenza eucaristica: come vivere, morire, soffrire, essere animato o inanimato e altre cose simili. Tutto ciò che al contrario è vero di lui per i suoi rapporti

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L 'uso che Cristofece di questo sacramento nella sua prima istituzione

corpora extrinseca, possunt ei attribui in pro­ pria specie existenti, non autem prout est in sacramento, sicut irrideri, conspui, crucifigi, flagellari, et cetera huiusmodi. Unde quidam metrice dixerunt [apud Albertum, In Sent. 4, 1 2, 14], pyxide servato poteris sociare do­

lorem innatum, sed non illatus convenir il/i.

Ad primum ergo dicendum quod, sicut di­ ctum est [in co.], passio convenit corpori pas­ so per comparationem ad agens extrinsecum. Et ideo Christus, secundum quod est sub sa­ cramento, patì non potest. Potest tamen mori. Ad secundum dicendum quod, sicut supra [q. 76 a. 2] dictum est, sub specie panis est corpus Christi ex vi consecrationis, sanguis autem sub specie vini. Sed nunc quidem, quando realiter sanguis Christi non est separa­ tus ab eius corpore, ex reali concomitantia et sanguis Christi est sub specie panis simul cum corpore, et corpus sub specie vini simul cum sanguine. Sed, si in tempore passionis Christi, quando realiter sanguis fuit separatus a corpore, fuisset hoc sacramentum consecra­ tum, sub specie panis fuisset solum corpus, et sub specie vini fuisset solus sanguis. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 76 a. l ad l ] dictum est, anima Christi est in hoc sacramento ex reali concomitantia, quia non est sine corpore, non autem ex vi consecra­ tionis. Et ideo, si tunc fuisset hoc sacramen­ tum consecratum vel servatum quando anima erat a corpore realiter separata, non fuisset anima Christi sub hoc sacramento, non prop­ ter defectum virtutis verborum sed propter aliam dispositionem rei.

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con i corpi esterni gli può essere attribuito se è considerato nella propria specie, non invece nella sua presenza eucaristica: s i esclude quindi che egli possa essere deriso, coperto di sputi, crocifisso, flagellato e altre cose simili. Per cui sono giustificati quei versi : >. Ma in forza dell'ordinazione i l sacerdote può consacrare l' Eucaristia. Quindi gli eretici, gli scismatici e gli scomu­ nicati, rimanendo intatta in essi l'ordinazione, possono consacrare l'Eucaristia. Risposta: alcuni hanno asserito che gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati, essendo fuori della Chiesa, non sono in grado di consacrare il sacramento eucaristico. - Ma i n ciò si ingannano. Come infatti osserva Agostino, «altro è non avere una cosa, altro è averla abusivamente»; e così pure «altro è non dare e altro è dare malamente». Coloro dunque che, stabiliti nella Chiesa, ricevettero il potere di consacrare l'Eucaristia con l'ordinazione sa­ cerdotale, ne hanno certamente la facoltà, ma non la esercitano lecitamente se in seguito si sono separati dalla Chiesa con l'eresia, lo sci­ sma o la scomunica. Coloro invece che sono ordinati in tale stato di separazione, né ricevo­ no lecitamente il potere sacerdotale, né lo esercitano lecitamente. Che però gli uni e gli altri lo possiedano validamente risulta dal fatto, notato anche da Agostino, che quando ritornano all'unità della Chiesa non sono di nuovo ordinati, ma sono accolti nell' ordine che hanno. E poiché la consacrazione del­ l' Eucaristia è un atto connesso col potere d' ordine, di conseguenza coloro che sono separati dalla Chiesa per eresia, scisma o sco­ munica possono validamente consacrare l'Eucaristia, la quale consacrata da essi con­ tiene il vero corpo e sangue di Cristo; tuttavia non consacrano lecitamente, ma commettono un peccato. Quindi non ricevono il frutto del sacrificio, che è il sacrificio spirituale. Soluzione delle difficoltà: l . I testi citati e altri simili vanno intesi nel senso che fuori della Chiesa il sacrificio non è affetto lecitamente. Quindi fuori della Chiesa non ci può essere il sacrificio spirituale, che è il vero sacrificio quanto al frutto, sebbene ci sia il sacrificio vero quanto alla validità del sacramento; allo stesso modo in cui sopra si disse che il pecca­ tore riceve il corpo di Cristo sacramentalmen­ te, ma non spiritualmente. 2. Gli eretici e gli scismatici sono autoriZ7..ati a conferire soltanto il battesimo, poiché possono battezzare lecitamente in caso di necessità. In nessun caso invece possono lecitamente consa­ crare l'Eucaristia, o conferire gli altri sacramenti.

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smus permittitur esse ratus haereticis et schi­ smaticis, quia possunt licite baptizare in arti­ culo necessitatis. In nullo autem casu licite possunt Eucharistiam consecrare, vel alia sa­ cramenta conferre. Ad tertium dicendum quod sacerdos in Missa in orationibus quidem loquitur in persona Ec­ clesiae, in cuius unitate consistit. Sed in conse­ cratione sacramenti loquitur in persona Christi, cuius vicem in hoc gerit per ordinis potestatem. Et ideo, si sacerdos ab unitate Ecclesiae prae­ cisus Missam celebret, quia potestatem ordinis non amittit, consecrat verum corpus et sangui­ nero Christi, sed quia est ab Ecclesiae unitate separatus, orationes eius efficaciam non habent.

3. Nelle preghiere della messa il sacerdote parla in nome della Chiesa a cui è unito, ma nel consacrare l'Eucaristia parla in nome di Cristo, di cui fa allora le veci per il potere d'ordine. Quindi il sacerdote separato dali' u­ nità della Chiesa, non avendo perduto il pote­ re d'ordine, consacra validamente il corpo e il sangue di Cristo; essendo però separato dal­ l'unità della Chiesa, le sue preghiere non han­ no efficacia.

Articulus 8 Utrum sacerdos degradatus possit hoc sacramentum conficere

Articolo 8 Un sacerdote degradato ha la capacità di consacrare questo sacramento?

Ad octavum sic proceditur. Videtur quod sa­ cerdos degradatus non possit hoc sacramen­ tum conficere. l . Nullus enim conficit hoc sacramentum nisi per potestatem consecrandi quam habet. Sed degradatus non habet potestatem consecrandi, licet habeat potestatem baptizandi, ut dicit canon [Decretum, p. 2, causa l , q. l , app. ad can. 97 Quod quidam] . Ergo videtur quod presbyter degradatus non possit Eucharistiam consecrare. 2. Praeterea, ille qui aliquid dat, potest etiam auferre. Sed episcopus dat presbytero po­ testatem consecrandi ordinando ipsum. Ergo etiam potest ei auferre degradando ipsum. 3. Praeterea, sacerdos per degradationem aut amittit potestatem consecrandi, aut solam executionem. Sed non solam executionem, quia sic non plus amitteret degradatus quam excommunicatus, qui executione caret. Ergo videtur quod amittit potestatem consecrandi. Et ita videtur quod non possit conficere hoc sacramentum. Sed contra est quod Augustinus, in 2 Contra Parmen. [ 1 3] probat quod apostatae a fide non carent Baptismate, per hoc quod per poenitentiam redeuntibus non restituitur, et ideo non posse amitti iudicatur. Sed similiter degradatus, si reconcilietur, non est iterum ordinandus. Ergo non amisit potestatem con­ secrandi. Et ita sacerdos degradatus potest conficere hoc sacramentum.

Sembra di no. Infatti: l . Nessuno compie questo sacramento se non perché ha il potere di consacrare. Ma un ca­ none afferma che «il degradato non ha il pote­ re di consacrare, sebbene abbia quello di bat­ tezzare». Quindi sembra che il sacerdote de­ gradato non abbia il potere di consacrare l'Eucruistia. 2. Chi dà una cosa, la può anche togliere. Ma il vescovo con l'ordinazione dà al sacerdote il potere di consacrare. Quindi glielo può anche togliere degradandolo. 3. n sacerdote con la degradazione perde o il potere di consacrare, o solo l'esercizio di esso. Ma non ne perde solo l'esercizio, perché allo­ ra il degradato non perderebbe nulla di più dello scomunicato, al quale è proibito l' eser­ cizio. Quindi perde il potere di consacrare. E così sembra che non sia in grado di compiere questo sacramento. In contrario: Agostino prova che gli «aposta­ ti» dalla fede «non perdono il battesimo» per il fatto che «quando ritornano pentiti esso non è reiterato, il che sta a indicare che è ritenuto indelebile». Ma anche il sacerdote degradato, se è riconciliato, non va ordinato di nuovo. Quindi non ha perduto il potere di consacrare. E così un sacerdote degradato è in grado di consacrare questo sacramento. Risposta: il potere di consacrare l'Eucaristia appartiene al carattere dell'ordine sacerdotale. Ma il carattere, essendo dato con una consa-

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Respondeo dicendum quod potestas conse­ crandi Eucharistiam pertinet ad characterem sacerdotalis ordinis. Character autem quilibet, quia cum quadam consecratione datur, indele­ bilis est, ut supra [q. 63 a. 5] dictum est, sicut et quarumcumque rerum consecrationes per­ petuae sunt, nec amitti nec reiterari possunt. Unde manifestum est quod potestas consecran­ di non amittitur per degradationem. Dicit enim Augustinus, in 2 Contra Parmen. [ 1 3], utrum­ que, scilicet baptismus et ordo, sacramentum

est, et quadam consecratione utrumque homini datur, et illud cum baptizatur, et illud cum ordinatw: Ideo non licet a Catholicis utrumque iterari. Et sic patet quod sacerdos degradatus

potest conficere hoc sacramentum. Ad primum ergo dicendum quod canon ille non loquitur assertive, sed inquisitive, sicut ex circumstantia litterae haberi potest. Ad secundum dicendum quod episcopus non dat potestatem sacerdotalis ordinis propria virtute, sed instrumentaliter, sicut minister Dei, cuius effectus per hominem tolli non po­ test, secundum illud Matth. 1 9 [6], quos Deus coniun.xit, honw non separet. Et ideo episco­ pus non potest hanc potestatem auferre, sicut nec ille qui baptizat potest auferre characterem baptismalem. Ad tertium dicendum quod excommunicatio est medicinalis. Et ideo excommunicatis non aufertur executio sacerdotalis potestatis quasi in perpetuum, sed ad correctionem, usque ad tempus. Degradatis autem aufertur executio quasi in perpetuum condernnatis. Articulus 9 Utrum aliquis licite possit communionem recipere a sacerdotibus haereticis vel excommunicatis, vel etiam peccatoribus, et ab eis Missam audire Ad nonum sic proceditur. Videtur quod ali­ quis licite possit communionem recipere a sa­ cerdotibus haereticis vel excommunicatis, vel etiam peccatoribus, et ab eis Missam audire. l . Sicut enim Augustinus, Conh11 Petilianum [3,9; cf. Decretum, p. 2, causa l , q. l , can. 36 Neque in homine], dicit, neque in homine

bono neque in homine malo aliquis Deifugiat sacramenta. Sed sacerdotes, quamvis sint peccatores et haeretici vel excommunicati, verum conficiunt sacramentum. Ergo videtur

Q. 82, A. 8

crazione, è sempre indelebile, come si è visto, così come è perpetua, indelebile e irr�petibile la consacrazione di qualsiasi cosa. E chiaro quindi che il potere di consacrare non è per­ duto con la degradazione. Scrive infatti Ago­ stino: «L' uno e l' altro», cioè i l battesimo e l 'ordine, «sono sacramenti, e sono conferiti ali ' uomo mediante una consacrazione: sia quando si battezza, sia quando si ordina. Per­ ciò di nessuno dei due è lecita ai cattolici la ripetizione». È evidente quindi che un sacer­ dote degradato ha la capacità di consacrare questo sacramento. Soluzione delle difficoltà: l . Quel canone non si esprime in tono di asserzione, ma di interro­ gazione, come si può desumere dal contesto. 2. Il vescovo non dà i l potere dell' ordine sacerdotale per virtù propria, ma strumental­ mente, quale ministro di Dio; e l' effetto di Dio non può essere cancellato dall' uomo, secondo le parole: Quello che Dio ha con­

giunto, l 'uomo non lo separi (Mt 1 9,6).

Quindi il vescovo non può togliere questo potere: come chi battezza non può togliere il carattere battesimale. 3 . La scomunica è una pena medicinale. Perciò agli scomunicati l' uso del potere sacer­ dotale non è tolto in perpetuo, ma tempora­ neamente, a scopo di correzione. Ai degradati invece ciò è inflitto in perpetuo come una condanna definitiva.

Articolo 9

È lecito ricevere la comunione da sacerdoti eretici, scomunicati o peccatori, e ascoltare la loro messa? Sembra di sì. Infatti: l. Agostino scrive: «Nessuno rifugga dai sa­ cramenti di Dio, né in un ministro buono, né in uno cattivo». Ora i sacerdoti, anche se sono peccatori , eretici o scismatici, compiono un vero sacramento. Quindi sembra che non si debba evitare di ricevere la comunione da loro, né di ascoltare la loro messa. 2. ll corpo vero di Cristo è figurativo del suo corpo mistico, come si è visto sopra. Ora, i suddetti sacerdoti consacrano il vero corpo di

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Il ministro di questo sacramento

quod non sit vitandum ab eis communionem accipere vel eorum Missam audire. 2. Praeterea, corpus Christi verum figurativum est corporis mystici, sicut supra [q. 67 a. 2; q. 73 a. l arg. 2] dictum est. Sed a praedictis sacerdotibus verum corpus Christi consecratur. Ergo videtur quod illi qui sunt de corpore my­ stico, possint eorum sactificiis communicare. 3 . Praeterea, multa peccata sunt graviora quam fomicatio. Sed non est prohibitum au­ dire Missas sacerdotum aliter peccantium. Ergo etiam non debet esse prohibitum audire Missas sacerdotum fomicariorum. Sed contra est quod canon dicit, 32 d. [Decre­ tum, p. l , d. 32, can. 5 Nullus missam] , nullus

audiat Missam sacerdotis quem indubitanter concubinam novit habere. - Et Gregolius dicit, in 3 Dial. [3 1 ; cf. Decretum, p. 2, causa l , q. l , can. 7 1 Superveniente] , quod pater perjidus

Arianum episcopwn misit ad filium, ut ex eius manu sacrilegae consecrationis communionem acciperet, sed vir Deo devotus Ariano episcopo venienti exprobravit ut debuit.

Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. 5 ad l ; a. 7] dictum est, sacerdotes, si sint hae­ retici vel schismatici vel excommunicati, vel etiam peccatores, quamvis habeant potesta­ tem consecrandi Eucharistiam, non tamen ea recte utuntur, sed peccant utentes. Quicumque autem communicat alicui in peccato, ipse particeps peccati efficitur, unde et in Secunda canonica Ioannis [v. 1 1 ] legitur quod qui dixerit ei, ave, scilicet haeretico, communicat operibus illius malignis. Et ideo non licet a praedictis communionem accipere aut eorum Missam audire. - Differt tamen inter prae­ dictas sectas. Nam haeretici et schismatici et excommunicati sunt per sententiam Ecclesiae executione consecrandi privati. Et ideo peccat quicumque eorum Missam audit vel ab eis accipit sacramenta. - Sed non ornnes peccato­ res sunt per sententiam Ecclesiae executione huius potestatis privati. Et sic, quamvis sint suspensi quantum est ex sententia divina, non tamen quantum ad alios ex sententia Eccle­ siae. Et ideo, usque ad sententiam Ecclesiae, licet ab eis communionem accipere et eorum Missam audire. Unde super illud l Cor. 5 [ 1 1 ] , cwn huiusmodi nec cibum sumere, dicit Glossa Augustini [glossa Lomb.; cf. ord.; Au­ gustinus, Serm. ad pop. 35 1 ,4], hoc dicendo,

noluit hominem ab homine iudicari ex

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Cristo. Quindi sembra che quelli che appar­ tengono al corpo mistico possano partecipare al loro sacrificio. 3. Molti peccati sono più gravi della fornica­ zione. Ma non è proibito ascoltare la messa di sacerdoti colpevoli di altli peccati. Quindi non deve essere proibito nemmeno di ascoltare la messa di sacerdoti fornicatori. In contrario: un canone stabilisce: «Nessuno ascolti la messa di un sacerdote che risulti con certezza colpevole di concubinato». - E Gre­ gorio riferisce che «Un perfido genitore man­ dò a un suo figlio un vescovo ariano, perché dalle sue mani sacrileghe egli licevesse la co­ munione eucaristica; ma il figlio, fedele a Dio, quando gli si presentò il vescovo ariano lo rimproverò come doveva». Risposta: i sacerdoti, che siano eretici, scisma­ tici o scomunicati, o anche peccatori, sebbene abbiano il potere di consacrare l'Eucaristia, come si è detto sopra, tuttavia non esercitano tale potere lecitamente, bensì peccano eserci­ tandolo. Ora, chiunque comunica con un altro nel peccato ne viene a condividere la colpa, per cui si legge in 2 Gv [ 1 1 ] che: Chi saluta [l' eretico] partecipa alle sue opere perverse. Quindi non è lecito ricevere la comunione dai suddetti sacerdoti, né ascoltare la loro messa. Tra queste categorie però c'è qualche differen­ za. Infatti gli eretici, gli scismatici e gli sco­ municati sono privati dell'esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa, per cui pecca chiunque ascolti la loro messa o riceva da essi i sacramenti. - Invece non tutti i pecca­ tori sono privati dell'esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa. Sebbene dunque siano sospesi per sentenza divina di fronte alla propria coscienza, tuttavia non lo sono per sen­ tenza ecclesiastica di fronte agli altri. Perciò fino alla sentenza della Chiesa è lecito ricevere la comunione da essi e ascoltare la loro messa. Per cui Agostino [Glossa] commenta così l Cor 5 [ 1 1 ] : Con questi tali non dovete nep­ pure mangiare insieme: «Così dicendo egli proibiva che un uomo fosse giudicato da un altro uomo per un semplice sospetto, o per un' indebita usurpazione di giudizio, volendo piuttosto [che fosse giudicato] in base alla legge di Dio, secondo la disciplina della Chie­ sa: o mediante la confessione spontanea, oppu­ re mediante l'accusa e la discussione». Soluzione delle difficoltà: l . Rifuggendo dal-

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Il ministro di questo sacramento

arbitrio suspicionis, vel etiam extraordinario usurpato iudicio, sed potius ex lege Dei, secundum ordinem Ecclesiae, sive ultra confessum, ve! accusatum et convictum. Ad primum ergo dicendum quod in hoc quod refugimus aU(lire talium sacerdotum Missam aut ab eis communionem recipere, non refugi­ mus Dei sacramenta, sed potius ea veneramur, unde hostia a talibus sacerdotibus consecrata est adoranda, et, si reservetur, licite potest sumi a sacerdote legitimo. Sed refugimus culpam indigne ministrantium. Ad secundum dicendum quod unitas corporis mystici est fructus corporis veri percepti. llli autem qui indigne percipiunt vel ministrant, privantur fructu, ut supra [a. 7; q. 80 a. 4] dictum est. Et ideo non est sumendum ex eo­ rum dispensatione sacramentum ab eis qui sunt in unitate Ecclesiae. Ad tertium dicendum quod, licet fornicatio non sit gravior ceteris peccatis, tamen ad eam sunt homines proniores, propter carnis concupiscen­ tiam. Et ideo specialiter hoc peccatum a sacerdotibus prohibitum est ab Ecclesia, ne aliquis audiat Missam concubinarii sacerdotis. Sed hoc intelligendum est de notorio, vel per sententiam quae fertur in convictum, vel confes­ sionem in iure factam, vel quando non potest peccatum aliqua tergiversatione ce/ari [De­ cretai. Gregor. IX, l. 3, t. 2, c. l O Quaesitum est]. Articulus l O Utrum liceat sacerdoti omnino a consecratione Eucharistiae abstinere Ad decimum sic proceditur. Vìdetur quod li­ ceat sacerdoti omnino a consecratione Eucha­ ristiae abstinere. l . Sicut enim ad officium sacerdotis pertinet Eucharistiam consecrare, ita etiam baptizare et in aliis sacramentis ministrare. Sed sacerdos non tenetur ministrare in aliis sacramentis, nisi propter curaro animarum susceptam. Ergo videtur quod nec etiam teneatur Eucharistiam consecrare, si curaro non habeat animamm. 2. Praeterea, nullus tenetur facere quod sibi non licet, alioquin esset perplexus. Sed sacerdoti peccatori, vel etiam excommunicato, non licet Eucharistiam consecrare, ut ex supra [a. 5 ad l ; a. 7] dictis patet. Ergo videtur quod tales non teneantur ad celebrandum. Et ita nec alii, alioquin ex sua culpa commodum reportarent.

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l'ascoltare la messa di tali sacerdoti, o dal rice­ vere la comunione dalle loro mani, non rifug­ giamo dai sacramenti di Dio, ma piuttosto li rispettiamo: per cui l'ostia consacrata da tali sacerdoti deve essere adorata, e se è conservata può essere lecitamente consumata da un sacer­ dote legittimo. Rifuggiamo però dalla colpa di chi esercita indegnamente il ministero. 2. L'unità del corpo mistico è frutto della rice­ zione del vero corpo di Ctisto. Ma quelli che lo ricevono o lo amministrano indegnamente perdono tale frutto, come si è detto sopra. Per­ ciò quanti sono nell'unità della Chiesa non de­ vono ricevere il sacramento da questi minislri. 3. Sebbene la fornicazione non sia più grave di altri peccati, tuttavia gli uomini sono ad essa maggiormente proclivi, per la concupi­ scenza della carne. Per questo la Chiesa proi­ bisce in modo particolare tale peccato ai sacerdoti, vietando di ascoltare la messa di un sacerdote concubinario. - Ma ciò va inteso del concubinario riconosciuto come tale, o «per una sentenza» di regolare condanna, o «in seguito a una confessione resa in giudi­ zio», oppure «quando il peccato non può essere celato in alcun modo».

Articolo 10

È lecito a un sacerdote astenersi completamente dal consacrare l 'Eucaristia?

Sembra di sì. Infatti: l . È ufficio del sacerdote sia consacrare l'Eu­ caristia che battezzare e amministrare gli altri sacramenti. Ma il sacerdote non è tenuto ad amministrare gli altri sacramenti, se non è in cura d'anime. Quindi, se non è in cura d'ani­ me, sembra che non sia tenuto neppure a con­ sacrare l'Eucaristia. 2. Nessuno è tenuto a fare ciò che non gli è lecito: altrimenti uno si troverebbe in stato di perplessità. Ma a dei sacerdoti peccatori o scomunicati non è lecito consacrare l'Euca­ ristia, come si è detto sopra. Quindi costoro non sono tenuti a celebrare. E così non sono tenuti neppure gli altri: altrimenti quelli rice­ verebbero un vantaggio dalla loro colpa.

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Il ministro di questo sacramento

3. Praeterea, dignitas sacerdotalis non perditur per subsequentem infirmitatem, dicit enim Gelasius Papa [Gelasius I, Ep. fragm., fragm. 9 Ad Palladium], et habetur in Decretis, d. 55 [Decretum, p. 50, d. 55, can. 1 2 Praecepta canonum], praecepta canonum sicut non pa­ tiuntur venire ad sacerdotium debiles corpo­ re, ita, si quis in eo fuerit constitutus ac tunc fuerit sauciatus, amittere non potest quod tempore suae sinceritatis accepit. Contingit autem quandoque quod ordinati in sacerdotes incurrunt aliquos defectus ex quibus a cele­ bratione impediuntur, sicut est lepra, vel mor­ bus caducus, vel aliquid huiusmodi. Non ergo videtur quod sacerdotes ad celebrandum teneantur. Sed contra est quod Ambrosius dicit, in quadam Oratione [cf. Anselmum, Orationes, orat. 33], grave est quod ad mensam tuam mundo corde et manibus innocentibus non venimus, sed gravius est si, dum peccata metuimus, etiam sacrificiwn non reddamus. Respondeo dicendum quod quidam dixerunt quod sacerdos potest ornnino licite a consecra­ tione abstinere, nisi teneatur ex cura sibi com­ m issa celebrare pro populo et sacramenta praebere. - Sed hoc irrationabiliter dicitur. Quia unusquisque tenetur uti gratia sibi data cum fuetit opportunum, secundum illud 2 Cor. 6 [1], hortamur vos ne in vacuum gratiam Dei recipiatis. Opportunitas autem sacrificium offerendi non salurn attenditur per compara­ tionem ad fideles Chtisti, quibus oportet sa­ cramenta ministrari, sed principaliter per comparationem ad Deum, cui in consecratione huius sacramenti sactificium offertur. Unde sacerdoti, etiam si non habeat curam ani­ marum, non licet omnino a celebratione ces­ sare, sed saltem videtur quod celebrare tenetur in praecipuis festis, et maxime in illis diebus in quibus fideles communicare consueverunt. Et hinc est quod 2 Mach. 4 [ 14] dicitur contra quosdam sacerdotes quod iam non circa altaris officia dediti erant, contemplo tempio et sacrificiis neglectis. Ad ptimum ergo dicendum quod alia sacra­ menta perficiuntur in usu fidelium. Et ideo in illis ministrare non tenetur nisi ille qui super fideles suscipit curam. Sed hoc sacramentum perficitur in consecratione Eucharistiae, in qua sacrificium Deo offertur, ad quod sacer­ dos obligatur ex ordine iam suscepto.

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3. La dignità sacerdotale non è perduta col sopraggiungere di un'infermità; dice infatti papa Gelasio: «Le leggi ecclesiastiche interdi­ cono il sacerdozio a chi è fisicamente meno­ mato; se però qualcuno vi è stato elevato e poi Iimane mutilato, non può perdere quanto ave­ va ricevuto nel tempo in cui era integro». Ora, capita talvolta che i sacerdoti ordinati incorra­ no in alcuni difetti che impediscono loro di celebrare: p. es. nella lebbra, nel mal caduco o in altre malattie simili. Quindi non sembra che i sacerdoti siano tenuti a celebrare. In contrario: Ambrogio [Anselmo] osserva: «È grave che alla sua mensa non veniamo con cuore mondo e con mani innocenti, ma sarebbe ancora più grave se giungessimo al punto di non celebrare il sacrificio, temendo di peccare». Risposta: alcuni hanno affermato che il sacer­ dote può lecitamente astenersi del tutto dal celebrare, a meno che non sia tenuto a cele­ brare per il popolo a lui affidato e ad ammini­ strare i sacramenti. - Ma tale opinione non è ragionevole. Poiché tutti sono obbligati a fare uso della grazia loro concessa, quando I ' op­ portunità lo Iichiede, secondo la raccomanda­ zione di 2 Cor 6 [ l ] : Vi esortiamo a non acco­ gliere invano la grazia di Dio. Ora, l' opportu­ nità di offrire il sacrificio non va considerata solo in rapporto ai fedeli cristiani, ai quali si devono amministrare i sacramenti, ma ptinci­ palmente in rapporto a Dio, al quale con la consacrazione di questo sacramento si offre il sacrificio. n sacerdote quindi, anche se non ha cura di anime, non può astenersi del tutto dal celebrare, ma è tenuto a farlo almeno nelle feste principali, e specialmente in quei giorni in cui i fedeli hanno l'abitudine di comunicar­ si. Per questo 2 Mac 4 [ 1 4] lamenta che alcu­ ni sacerdoti non si dedicavano più al servizio de/l 'altare, disprezzando il tempio e trascu­ rando i sacrifici. Soluzione delle difficoltà: l . Gli altri sacra­ menti sono compiuti mentre sono ammini­ strati ai fedeli, per cui non è tenuto ad ammi­ nistrarli se non chi assume la cura dei fedeli. L'Eucaristia invece si compie nella consacra­ zione, nella quale si offre un sacrificio a Dio: al che il sacerdote è obbligato in forza dell'or­ dine sacro che ha ricevuto. 2. Un sacerdote peccatore, se è stato privato dell'esercizio dell'ordine per sempre o per un dato tempo da una sentenza ecclesiastica, è

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Ad secundum dicendum quod sacerdos pecca­ tor, si per sententiam Ecclesiae sit executione ordinis privatus vel simpliciter vel ad tempus, redditus est impotens ad sacrificium offeren­ dum, et ideo obligatio tollitur. Hoc autem cedit sibi in detrimentum spiritualis fructus, magis quam in emolumentum. Si vero non sit pri­ vatus potestate celebrandi, non solvitur obli­ gatio. Nec tamen est perplexus, quia potest de peccato poenitere et celebrare. Ad tertium dicendum quod debilitas vel aegri­ tudo superveniens ordini sacerdotali ordinem non tollit, executionem tamen ordinis impedit quantum ad consecrationem Eucharistiae. Quandoque quidem propter impossibilitatem executionis, sicut si privetur oculis aut digitis, aut usu linguae. Quandoque autem propter pe­ riculum, sicut patet de eo qui patitur morbum caducum, vel etiam quamcumque alienatio­ nem mentis. Quandoque propter abominatio­ nem, sicut patet de leproso, qui non debet publice celebrare. Potest tamen dicere Missam occulte, nisi lepra adeo invaluerit quod per corrosionem membrorum eum ad hoc reddi­ derit impotentem.

reso incapace di offrire il sacrificio, per cui l ' obbligo viene a cessare. Ma ciò non si risol­ ve in un vantaggio, bensì in una privazione di frutti spirituali. Se uno invece non è stato pri­ vato della facoltà di celebrare, non è liberato dall'obbligo suddetto. E tuttavia non cade in perplessità, potendo pentirsi del suo peccato e celebrare. 3. Un'invalidità o una malattia successiva al­ l 'ordinazione sacerdotale non toglie l'ordine, ma ne impedisce l'esercizio quanto alla con­ sacrazione dell'Eucaristia. A volte per l'im­ possibilità fisica di consacrare: per la perdita, ad es., degli occhi, delle dita o dell'uso della lingua. A volte per ragioni di pericolo: come in chi soffre di epilessia, o di qualunque altra alienazione mentale. A volte per il disgusto che ciò provocherebbe: come ad es. nel caso di un lebbroso, che non deve celebrare in pub­ blico. Può tuttavia celebrare la messa privata­ mente: a meno che la lebbra non sia tanto avanzata da renderlo incapace di celebrare per la corrosione delle membra.

QUAESTIO 83 DE RITU HUIUS SACRAMENTI

QUESTIONE 83 IL RITO DI QUESTO SACRAMENTO

Deinde considerandum est de ritu huius sa­ cramenti. - Et circa hoc quaeruntur sex. Pri­ mo, utrum in celebratione huius mysterii Christus immoletur. Secundo, de tempore celebrationis. Tertio, de loco, et aliis quae per­ tinent ad apparatum huius celebrationis. Quarto, de his quae in celebratione huius mysterii dicuntur. Quinto, de his quae circa celebrationem huius mysterii fiunt. Sexto, de defectibus qui circa celebrationem huius sa­ cramenti occurrunt.

Veniamo infine a considerare il rito di questo sacramento. - Su questo tema esamineremo sei argomenti: l . Nella celebrazione di que­ sto sacramento c'è l'immolazione di Cristo? 2. Il tempo della celebrazione; 3. Il luogo e le altre cose che si riferiscono all' apparato di questa celebrazione; 4. Le parole che accom­ pagnano la celebrazione di questo mistero; 5. Le cerimonie che sono compiute nella celebrazione di questo mistero; 6. I difetti che possono capitare nella celebrazione di questo sacramento.

Articulus l

Articolo l

Utrum in celebratione huius sacramenti Christus immoletur

Nella celebrazione di questo sacramento Cristo è immolato?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod in celebratione huius sacramenti Christus non immoletur. l . Dicitur enim Hebr. I O [ 14], quod Christus

Sembra di no. Infatti: l . In Eb 1 0 [ 1 4] è detto che Cristo

una oblatione consummavit in sempitemum

zione fu la sua immolazione. Quindi Cristo

con un'u­ nica ablazione ha reso peifetti per sempre quelli che sono santificati. Ora, quell' obla­

Il rito di questo sacramento

Q. 83, A. l

sanctificatos. Sed illa oblatio fuit eius immo­ larlo. Ergo Christus non immolatur in celebra­ tione huius sacramenti. 2. Praeterea, immolatio Christi facta est in cruce, in qua tradidit semetipsum oblationem et hostiam Deo in odorem suavitatis, ut dicitur Eph. 5 [2]. Sed in celebratione huius mysterii Christus non crucifigitur. Ergo nec immolatur. 3 . Praeterea, sicut Augustinus dicit, 4 De Trin. [ 14], in immolatione Christi idem est sa­ cerdos et hostia. Sed in celebratione huius sacramenti non est idem sacerdos et hostia. Ergo celebratio huius sacramenti non est Christi immolatio. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro Sententiarum Prosperi [cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 2, can. 52 Semel; Augustinus, ep. 98 Ad Bonifacium], semel immolatus est in se­ metipso Christus, et tamen quotidie immo­ latur in sacramento. Respondeo dicendum quod duplici ratione celebrarlo huius sacramenti dicitur Christi im­ molarlo. Primo quidem quia, sicut Augustinus dicit, ad Simplicianum [De divers. quaest. ad Simplic. 2,3], solent imagines earum rerum nominibus appellari quarum imagines sunt, sicut cum, intuentes tabulam aut parietem pictum, dicimus, ille Cicero est, ille Sallustius. Celebratio autem huius sacramenti, sicut supra [q, 76 a. 2 ad l; q. 79 a. l] dictum est, imago est quaedam repraesentativa passionis Christi, quae est vera immolatio. Unde Am­ brosius dici t, super Epistolam ad Hebr. [cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 2, can. 53 In Christo semel], in Christo semel oblata est hostia ad salutem sempitemam potens. Quid ergo nos? Nonne per singulos dies offerimus ad recordationem mortis eius? Ali o modo, quantum ad effectum passionis, quia scilicet per hoc sacramentum participes efficimur fructus dominicae passionis . Unde et i n quadam dominicali oratione secreta dicitur, quoties huius hostiae commemoratio celebra­ tur, opus nostrae redemptionis exercetur. Quantum igitur ad primum modum, poterat Christus dici immolari etiam in figuris veteris testamenti, unde et in Apoc. 1 3 [8] dicitur, quorum nomina non sunt scripta in libro vitae Agni, qui occisus est ab origine mundi. Sed quantum ad modum secundum, proprium est huic sacramento quod in eius celebratione Christus immoletur. -

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non si immola nella celebrazione di questo sacramento. 2. L'immolazione di Cristo si compì sulla croce, dove egli diede se stesso per noi a Dio in offe11a e sacrificio di soave odore (Ef 5,2). Ma nella celebrazione di questo mistero Cri­ sto non è crocifisso. Quindi non è neppure immolato. 3. Come dice Agostino, nell'immolazione di Cristo si identificano il sacerdote e la vittima. Ma nella celebrazione di questo sacramento il sacerdote e la vittima non si identificano. Quin­ di la celebrazione di questo sacramento non è un'immolazione di Cristo. In contrario: Agostino scrive: «Una volta sola Cristo fu immolato in se stesso, e tuttavia ogni giorno è immolato nel sacramento». Risposta: la celebrazione di questo sacramen­ to può essere considerata un'immolazione di Cristo per due motivi. Primo, poiché, come osserva Agostino, «si è soliti denominare le immagini delle cose con il nome delle cose stesse: guardando p. es. un quadro o una pare­ te dipinta diciamo: "Quello è Cicerone, quello è Sallustio"». Ora, la celebrazione di questo sacramento, come si disse sopra, è un'imma­ gine rappresentativa della passione di Cristo, che è una vera immolazione. Da cui le parole di Ambrogio: «In Cristo fu offerta una volta sola la vittima efficace per l'eterna salvezza. Noi dunque che cosa facciamo? Non offria­ mo forse il sacrificio ogni giorno, quale com­ memorazione della sua morte?». - Secondo, per i suoi legami con gli effetti della passione: cioè in quanto mediante questo sacramento diveniamo partecipi del frutto della passione del Signore. Per cui leggiamo in un'orazione segreta domenicale: «Ogni volta che celebria­ mo questo memoriale del sacrificio del Si­ gnore, si compie l'opera della nostra reden­ zione». In base dunque al primo motivo si può dire che Cristo era immolato anche nelle figure del l ' Antico Testamento, per cui in Ap 13 [8] è detto: I nomi dei quali non sono scritti nel libro della vita dell 'Agnello, il quale è stato immolato fin dall 'origine del mondo. Per il secondo motivo invece l'immo­ lazione di Cristo è propria della celebrazione di questo sacramento. Soluzione delle difficoltà: l . Come dice Am­ brogio, «unica è la vittima>>, quella che Cristo ha offerto e che noi offriamo, «e non molte, -

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Ad primum ergo dicendum quod, sicut Am­ brosius ibidem [cf. Decretum, p. 3 De cons., d. 2, can. 53 In Christo semel] dicit, una est hostia, quam scilicet Christus obtulit et nos offerimus, et twn multae, quia seme[ oblatus

est Christus, hoc autem sacrificium exemplum est illius. Sicut enim quod ubique offertur unum est corpus et non multa cmpora, ita et unum sacrificium.

Ad secundum dicendum quod, sicut celebra­ rio huius sacramenti est imago repraesentativa passionis Christi, ita altare est repraesentati­ vum crucis ipsius, in qua Christus in propria specie immolatus est. Ad tertium dicendum quod, per eandem ratio­ nem, etiam sacerdos gerit imaginem Christi, in cuius persona et virtute verba pronuntiat ad consecrandum, ut ex supra [q. 82 aa. 1 .3] dictis patet. Et ita quodammodo idem est sa­ cerdos et hostia. Articulus 2 Utrum convenienter sit determinatum tempus celebrationis huius mysterii Ad secundum sic proceditur. Videtur quod i nconvenienter sit determinatum tempus celebrationis huius mysterii. l . Hoc enim sacramentum est repraesentati­ vum Dominicae passionis, ut dictum est [a. 1]. Sed commemorarlo Dominicae passionis fi t in Ecclesia semel in anno, dicit enim Augustinus, Super Psalmos [Enarr. in Ps. 2 1 ,2 super v. 1],

quoties Pascha celebratur, nunquid toties Chri­ stus occiditur? Sed tamen anniversaria recar­ dalia repraesentat quod olim factum est, et sic nos facit moveri tanquam videamus Dominum in cruce praesentem. Ergo hoc sacramentum non debet celebrari nisi semel in anno. 2. Praeterea, passio Christi commemoratur in Ecclesia sexta feria ante Pascha, non autem in festo Natalis. Cum ergo hoc sacramentum sit commemorativum dominicae passionis, vi­ detur inconveniens quod in die Natalis ter celebratur hoc sacramentum, in Parasceve autem totaliter intermittitur. 3 . Praeterea, in celebratione huius sacramenti Ecclesia debet imitari institutionem Christi. Sed Christus consecravit hoc sacramentum hora serotina [cf. Matth. 26,20; Mare. 14, 17; Luc. 22, 14; l Cor. 1 1 ,23]. Ergo videtur quod tali hora debeat hoc sacramentum celebrari.

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essendosi Cristo immolato una volta sola, ed essendo questo sacrificio modellato su quello. Come infatti unico è il corpo che è offerto in ogni luogo, e non molti corpi, così pure unico è il sacrificio». 2. Come la celebrazione di questo sacramento è l' immagine rappresentativa della passione di Cristo, così l ' altare rappresenta la sua croce, sulla quale Cristo fu immolato nel suo aspetto proprio. 3. Per la stessa ragione anche il sacerdote è immagine di Cristo, in persona e in virtù del quale egli pronuncia le parole della consacra­ zione. E così i n un certo modo abbiamo l'identità fra il sacerdote e la vittima, come si è già notato.

Articolo

2

È stato opportunamente stabilito il tempo della celebrazione di questo mistero? Sembra di no. Infatti: l . Questo sacramento rappresenta la passione del Signore, come si è detto. Ma la comme­ morazione della passione del Signore è fatta nella Chiesa una sola volta ali' anno; scrive infatti Agostino: «Forse che Cristo non è uc­ ciso ogni volta che è celebrata la Pasqua? Ma il ricordo annuale rappresenta ciò che accad­ de allora, e ci commuove come se vedessimo il Signore pendere dalla croce». Quindi que­ sto sacramento non va celebrato che una volta all'anno. 2. La passione di Cristo è commemorata dalla Chiesa il Venerdì santo, e non nella festa di Natale. Essendo quindi l 'Eucaristia comme­ morativa della passione del Signore, non è opportuno che nel giorno del Natale si celebri tre volte questo sacramento, e che il Venerdì santo invece lo si ometta del tutto. 3. Nella celebrazione di questo sacramento la Chiesa deve imitare la sua istituzione fatta da Cristo. Ma Cristo consacrò questo sacramen­ to nelle ore serali . Quindi sembra che esso debba essere celebrato la sera. 4. Papa Leone scrive a Dioscoro, vescovo di Alessandria, che è permesso celebrare la mes­ sa >. Oppure questi tre segni stanno a indicare il prezzo di tale vendita, ossia i trenta danari. Si aggiungono poi due segni di croce alle parole: «Perché diventi per noi il corpo e il sangue ... », per indicare Giuda il traditore e Cristo tradito. - Terzo, ci fu la predizione della passione di Cristo fatta nella Cena. E a indicarla si tanno per la terza volta due segni di croce: uno alla consacrazione del corpo, l'altro alla consacrazione del sangue, quando nei due casi si dice: «Benedisse». - Quarto, ci fu il compimento della passione stessa. E qui, per rappresentare le cinque piaghe di Cristo, ci sono cinque segni di croce alle parole: «Ostia pura, ostia santa, ostia immacolata, pane santo della vita eterna e calice dell'eter­ na salvezza». - Quinto, si rappresenta la distensione del corpo di Gesù sulla croce, l'effusione del sangue e il tiutto della passione con tre segni di croce alle parole: «[Quanti riceveremo] il corpo e il sangue siamo ripieni di ogni grazia e benedizione ... ». - Sesto, sono rappresentate le tre orazioni che Gesù fece sulla croce. La prima per i persecutori, quan­ do disse: «Padre, perdona loro»; la seconda per la propria liberazione dalla morte, quando disse: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; la terza per conseguire la glo­ ria, quando disse: «Padre, nelle tue mani con­ segno il mio spirito». E per esprimere tutto ciò si fanno tre segni di croce alle p arol e: «Santifichi, vivifichi, benedici ...». - Settimo, sono ricordate le tre ore che Cristo rimase sulla croce, cioè dall'ora sesta all'ora nona. E a indicare ciò si fa di nuovo un triplice segno di croce alle parole: «Per Cristo, con Ciisto e in Cristo». - Ottavo, si ricorda la separazione della sua anima dal corpo con le due successi­ ve croci tracciate fuori del calice. - Nono, si commemora la risurrezione avvenuta nel terzo giorno per mezzo dei tre segni di croce alle parole: «La pace del Signore sia sempre con voi». - Più brevemente però si può dire che, dipendendo la consacrazione di questo sacra­ mento, il gradimento e il frutto di questo sacrificio dalla virtù della croce di Cristo, ogni volta che si accenna a una di queste cose il sacerdote traccia un segno di croce.

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illud Thren. 3 [41 ] , levemus corda nostra cum manibus ad Deum in caelum. Et Ex. 1 7 [ 1 1 ] dicitur quod, cum levaret Moyses manus, vin­ cebat lsrael. - Quod autem manus interdum iungit, et inclinat se, suppliciter et humiliter orans, designat humilitatem et obedientiam Christi, ex qua passus est. - Digitos autem iungit post consecrationem, scilicet pollicem cum indice, quibus corpus Christi consecra­ tum tetigerat, ut, si qua particula digitis adhaeserat, non dispergatur. Quod pertinet ad reverentiam sacramenti. Ad sextum dicendum quod quinquies se sa­ cerdos vertit ad populum, ad designandum quod Dominus die resun·ectionis quinquies se manifestavit, ut supra [q. 55 a. 3 arg. 3 ] dictum est in tractatu de resurrectione Christi. Salutat autem septies populum, scilicet quin­ que vicibus quando se convertit ad populum, et bis quando se non convertit, scilicet ante praefationem cum dicit, Dominus vobiscum, et cum dicit, pax Domini sit semper vobi­ scum, ad designandum septiformem gratiam Spiritus Sancti. Episcopus autem celebrans in festis i n prima salutatione dicit, pax vobis, quod post resurrec tionem dixit Dominus [Luc. 24 , 3 6 ; I oan . 20, 1 9 . 2 1 . 26 ] , c u i u s personam repraesentat episcopus praecipue. Ad septimum dicendum quod fractio hostiae tria significat, primo quidem, ipsam divisio­ nem corporis Christi, quae t'acta est in pas­ sione; secundo, distinctionem corporis mysti­ ci secundum diversos status; tertio, distribu­ tionem gratiarum procedentium ex passione Christi, ut Dionysius dicit, 3 cap. De eccl. hier. [3, 1 3] . Unde talis fractio non induci t divisionem Christi. Ad octavum dicendum quod, sicut Sergius Papa [cf. Amalarium, De ecci. off. 3,35] dicit, et habetur in Decreti s, De consecr. , d. 2 [Decretu m , p. 3 De con s . , d. 2, can. 22 Triforme est] , triforme est corpus Domini.

Pars oblata in calicem missa cmpus Christi quod iam resurrexit, demonstrat, scilicet

ipsum Christum, et Beatam Virginem, vel si qui alii sancti cum corporibus sunt in gloria.

Pars comesta ambulans adhuc super terram,

quia scilicet viventes in terra sacramento uniuntur; et passionibus conteruntur, sicut panis comestus atteritur dentibus. Pars in

altari usque ad finem Missae remanens est corpus Christi in sepulcro remanens, quia

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4. n sacerdote dopo la consacrazione non fa i segni di croce per benedire e per consacrare, ma solo per ricordare la virtù della croce e le circostanze della passione di Cristo, come risulta da quanto abbiamo già detto. 5. I gesti che il sacerdote fa nella messa non sono gesti ridicoli, avendo un significato sim­ bolico. Quando infatti il sacerdote dopo la consacrazione stende le braccia vuole indica­ re le braccia di Cristo distese sulla croce. Quando invece alza le mani per pregare vuole indicare che la sua orazione in favore del popolo è diretta a Dio, come è detto in Lam 3 [4 1 ] : Alziamo con le mani i nostri cuori a Dio verso il cielo. E in Es 1 7 [ 1 1 ] è detto: Quando Mosè alzava le mani, Israele vinceva. - Il fatto poi che il sacerdote talvolta congiunga le mani e si inchini pregando supplichevolmente e umilmente designa l'umiltà e l'obbedienza con le quali Cristo accettò la sua passione. n sacerdote infine dopo la consacrazione tiene congiunte le dita, cioè il pollice e l 'indice con i quali ha toccato i l corpo consacrato di Cristo, perché se dei frammenti vi fossero rimasti attaccati, non vadano dispersi. Il che rientra nel rispetto dovuto al sacramento. 6. Il sacerdote si rivolge verso il popolo cin­ que volte per ricordare che il Signore nel gior­ no della risurrezione apparve cinque volte, come dicemmo sopra trattando della risurre­ zione di Cristo. Saluta invece il popolo sette volte, cioè le cinque in cui si volta e le altre due in cui non si volta, ossia prima del prefa­ zio, quando dice: «ll Signore sia con voi», e quando dice: «La pace del Signore sia sempre con voi», per indicare i sette doni dello Spiri­ to Santo. Invece il vescovo, quando celebra nelle festività, nel primo saluto dice: «La pace sia con voi», come disse il Signore dopo la ri­ surrezione [ Gv 20, 1 9] : infatti è principalmen­ te il vescovo che ne rappresenta la persona. 7. La frazione dell' ostia significa tre cose: primo, le ferite inferte nella passione al corpo di Cristo; secondo, la distinzione del corpo mistico nei diversi stati; terzo, la distribuzione delle grazie derivate dalla passione di Cristo, come scrive Dionigi. Perciò tale frazione non implica alcuna divisione in Cristo. 8. «Il corpo del Signore», secondo le parole di papa Sergio, riferite dal Decreto, «può trovar­ si in tre condizioni. La porzione del l ' ostia messa nel calice significa il corpo del Signore -

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Q. 83, A. 5

usque in finem saeculi corpora sanctorum in sepulcris erunt, quorum tamen animae sunt vel in Purgatorio vel in Caelo. Hic tamen ritus non servatur modo, ut scilicet una pars serve­ tur usque in finem Missae. Manet tamen eadem significatio partium. Quam quidam metrice expresserunt, dicentes, hostia dividi­

tur in partes, tincta beatos piene, sicca notat vivos, servata sepultos. Quidam tamen di­ -

cunt quod pars in calicem missa significat eos qui vivunt in hoc mundo; pars autem extra calicem servata significat piene beatos quan­ tum ad animam et corpus ; pars autem co­ mesta significat ceteros. Ad nonum dicendum quod per calicem duo possunt significari. Uno modo, ipsa passio, quae repraesentatur in hoc sacramento. Et secundum hoc, per partem in calicem missam significantur illi qui adhuc sunt participes passionum Christi. Alio modo, potest signifi­ cari fruitio beata, quae etiam in hoc sacra­ mento praefiguratur. Et ideo i l l i quorum corpora iam sunt in piena beatitudine, signifi­ cantur per partem in calicem missam. Et est notandum quod pars in calicem missa non debet populo dari in supplementum commu­ nionis, quia panem intinctum non porrexit Christus nisi Iudae proditori. Ad decimum dicendum quod vinum, ratione suae humiditatis, est ablutivum. Et ideo sumitur post perceptionem huius sacramenti, ad abluendum os, ne aliquae reliquiae re­ maneant, quod pert i n e t ad reveren t i a m sacramenti. Unde extra, De celebrat. Miss., cap. Ex parte [Decretai. Gregor. IX, l. 3, t. 4 1 , c . 5 Ex parte vestra] , sacerdos vino os

peifundere debet postquam totum percepit sacramentum, nisi cum eodem die Missam aliam debuerit celebrare, ne, si forte vinum peifusionis acciperet, celebrationem aliam impedire!. Et eadem ratione perfundit vino digitos quibus corpus Christi tetigerat. Ad undecimum dicendum quod veritas quan­ tum ad aliquid debet respondere figurae, quia scilicet non debet pars hostiae consecratae de qua sacerdos et ministri, vel etiam populus communicat, in crastinum reservari. Unde, ut habetur De consecr., d. 2 [Decretum, p. 3 De cons., d. 2, can. 23 Tribus gradibus], Clemens Papa statuit [Ps. Clemens I, ep. Decretai. II Ad Iac . , et apud Isidorum Mercatorem, Decretai. Collecti o ] , tanta holocausta in

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già risorto», ossia Cristo stesso, la santa Ver­ gine e altri santi che siano già eventualmente nella gloria con il loro corpo. «La porzione che è mangiata rappresenta quanti peregrina­ no ancora sulla terra»: poiché questi sono uniti mediante il sacramento, e sono triturati dalle sofferenze come il pane mangiato è tri­ turato dai denti. «La porzione che rimane sul­ l' altare sino alla fine della messa significa il cmpo di Cristo che giace nel sepolcro: poiché sino alla fine del mondo i colpi dei santi sta­ ranno nei sepolcri», mentre le loro anime sono in purgatorio o in cielo. Oggi però que­ st'ultimo rito di serbare una porzione dell'o­ stia sino alla fine della messa non si osserva più. Tuttavia il simbolismo delle tre porzioni rimane. E alcuni lo hanno espresso metrica­ mente: «L' ostia è divisa in parti: in tinta nel sangue evoca i beati, asciutta i viventi, serbata i sepolti». - Altri invece spiegano che la parte immessa nel calice signitica coloro che vivo­ no in questo mondo, la parte serbata fuori del calice quanti hanno conseguito la pienezza della beatitudine con il COlpO e con l'anima, la parte mangiata tutti gli altri. 9. Il calice può avere due significati. Primo, può indicare la passione, che è rappresentata i n questo sacramento. E allora la porzione dell'ostia immessa nel calice indica quelli che sono ancora partecipi delle sofferenze di Cristo. Secondo, può anche indicare il posses­ so della beatitudine, che pure è simboleggiata da questo sacramento. E allora la porzione immessa nel calice rappresenta coloro che con il COlpO sono già nella pienezza della bea­ titudine. E da notare poi che la parte lasciata cadere nel calice non può essere distribuita al popolo per completare la comunione, poiché Cristo non porse il pane intinto se non a Giuda il traditore. 10. n vino, essendo liquido, è capace di lava­ re, per cui è assunto dopo la comunione euca­ ristica per l' abluzione della bocca in modo che non vi rimangano frammenti, come esige il rispetto dovuto al sacramento. Da cui la prescrizione dei Canoni: «Il sacerdote, dopo aver prese entrambe le specie eucaristiche, deve sempre lavarsi la bocca con il vino; eccetto il caso in cui nello stesso giorno debba dire un' altra messa, affinché il vino dell' abluzione non impedisca la seconda cele­ brazione». E per il medesimo motivo si lava

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altario offerantur, quanta populo sufficere debeant. Quod si remanserint, in crastinum non reserventur, sed cum timore et tremore clericorum diligentia consumantur. Quia ta­ men hoc sacramentum quotidie sumendum est, non autem agnus paschalis quotidie sumeba­ tur; ideo oportet alias hostias consecratas pro infirmis conservare. Unde in eadem distinctio­ ne [Decretum, p. 3 De cons., d. 2, can. 93 Presbyter Eucharistiam] legitur, presbyter Eucharistiam semper habeat paratam, ut, quando quis infinnatus fuerit, statim eum communicet, ne sine communione moriatur. Ad duodecimum dicendum quod in solemni celebratione Missae plures debent adesse. Unde Soter Papa dicit, ut habetur De consecr., d. l [Decretum, p. 3 De cons., d. l , can. 6 1 Hoc quoque], hoc quoque statutum est, ut nullus presbyterorum Missarum solemnia ce­ lebrare praesumat, nisi, duobus praesentibus sibique respondentibus, ipse tertius habeatur, quia, cum pluraliter ab eo dicitur, Dominus vobiscum, et illud in secretis, arate pro me, apertissime conveni! ut ipsi respondeatur sa­ lutationi. Unde et, ad maiorem solemnitatem, ibidem [Decretum, p. 3 De cons., d. l , can. 59 Episcopus Deo] statutum legitur quod episco­ pus cum pluribus Missarum solemnia pera­ gat. In Missis tamen privatis sufficit unum habere ministrum, qui gerit personam totius populi Catholici, ex cuius persona sacerdoti pluraliter respondet.

con il vino le dita con le quali ha toccato il corpo di Cristo. 1 1 . La realtà deve corrispondere alla figura in qualche punto: in quanto cioè non si deve con­ servare per il giorno dopo una parte dell'ostia consacrata che è servita alla comunione del sacerdote, dei ministri o anche del popolo. Da cui la disposizione di papa Clemente riferita dal Decreto: «La materia del sacrificio sia cor­ rispondente al bisogno del popolo. Se ne avan­ za non sia serbata per il domani, ma con timo­ re e tremore sia consumata dai chierici». Tuttavia, poiché questo sacramento, a diffe­ renza dell'agnello pasquale, deve essere rice­ vuto quotidianamente, è necessario conservare per gli infermi delle altre ostie consacrate. Quindi lo stesso Decreto ordina: «ll sacerdote abbia sempre pronta l'Eucaristia, per cui se qualcuno si ammala lo possa comunicare subito, impedendo così che muoia senza la comunione». 1 2. Alla celebrazione solenne della messa devono prendere parte più persone. Da cui la disposiziotte di papa Sotero riportata dal Decreto: «E stato pure stabilito che nessun sacerdote osi celebrare la messa se non alla presenza di due persone che vi assistano e rispondano; poiché dicendo egli al plurale: "ll Signore sia con voi", e nella parte segreta: "Pregate, fratelli", è evidentemente opportuno che il suo saluto abbia una risposta». E così nello stesso Decreto è prescritto che il vescovo per una maggiore solennità celebri la messa alla presenza di molti. Tuttavia nelle messe private basta avere un solo inserviente, che rappresenta tutto il popolo cattolico risponden­ do al sacerdote in nome di esso al plurale.

Articulus 6 Utrum possit sufficienter occurri defectibus qui circa celebrationem huius sacramenti occurrunt, statuta Ecclesiae observando

Articolo 6 Si può rimediare sufficientemente ai difetti che possono capitare nella celebrazione eucaristica, osservando le prescrizioni della Chiesa?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod non possit sufficienter occurri defectibus qui circa celebrationem huius sacramenti occurrunt, statuta Ecclesiae observando. l . Contingit enim quandoque quod sacer­ dos, ante consecrationem vel post, moritur vel alienatur, vel aliqua alia infirmitate praepe-

Sembra di no. Infatti: l . Talvolta accade che il sacerdote celebrante prima o dopo la consacrazione muoia, impaz­ zisca o sia colto da qualche malore, per cui non può ricevere il sacramento e condurre a termine la messa. Quindi sembra che si possa stare alla prescrizione della Chiesa, che ordi-

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ditur ne sacramentum sumere possit et Mis­ sam perficere. Ergo videtur quod non pos­ sit impleri statutum Ecclesiae quo praecipitur quod sacerdos consecrans suo sacrificio communicet. 2. Praeterea, contingit quandoque quod sacer­ dos, ante consecrationem vel post, recolit se aliquid comedisse vel bibisse, vel alicui mortali peccato subiacere, vel etiam excommunica­ tioni, cuius prius memoriam non habebat. Ne­ cesse est ergo quod ille qui est in tali articulo constitutus, peccet mortaliter contra statutum Ecclesiae faciens, sive sumat sive non sumat. 3 . Praeterea, contingit quandoque quod in cali­ cem musca aut aranea vel aliquod animai ve­ nenosum cadit post consecrationem; vel etiam cognoscit sacerdos calici venenum esse im­ missum ab aliquo malevolo causa occidendi ipsum. In quo casu, si sumat, videtur peccare mortaliter, se occidendo vel Deum tentando. Similiter, si non sumat, peccat, contra statutum Ecclesiae faciens. Ergo videtur esse perplexus et subiectus necessitati peccandi. Quod est inconveniens. 4. Praeterea, contingit quod per negligentiam ministri aut aqua non ponitur in calice, aut etiam nec vinum, et hoc sacerdos advertit. Ergo in hoc etiam casu videtur esse perplexus, sive sumat cotpus sine sanguine, quasi imper­ fectum faciens sacrificium; sive non sumens nec corpus nec sanguinem. 5. Praeterea, contingit quod sacerdos non re­ colit se dixisse verba consecrationis, vel etiam alia quae in consecratione huius sacramenti dicuntur. Videtur ergo peccare in hoc casu, sive reiteret verba super eandem materiam, quae forte iam dixerat; sive utatur pane et vino non consecratis quasi consecratis. 6. Praeterea, contingit quandoque, propter frigus, quod sacerdoti dilabitur hostia in cali­ cem, sive ante fractionem sive post. In hoc ergo casu non poterit sacerdos implere ritum Ecclesiae vel de ipsa fractione, vel etiam de hoc quod sola tertia pars mittatur in calicem. 7. Praeterea, contingit quandoque quod per negligentiam sacerdotis sanguis Christi ef­ funditur; vel etiam quod sacerdos sacramen­ tum sumptum vomit; aut quod etiam hostiae consecratae tandiu conserventur quod putre­ fiant; vel etiam quod a muribus corrodantur; vel etiam qualitercumque perdantur. In quibus casibus non videtur posse buie sacramento

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na al sacerdote consacrante di comunicare al proprio sacrificio. 2. Talvolta accade che il sacerdote prima o do­ po la consacrazione si ricordi di aver mangiato o bevuto qualcosa, oppure di essere in peccato mortale, o di essere incorso in una scomunica di cui prima non si ricordava. È inevitabile quindi che chi si trova in tale situazione pecchi mortalmente, poiché agirà comunque contro le prescrizioni ecclesiastiche, tanto se si comu­ nica quanto se non si comunica. 3. Talvolta capita che una mosca o un ragno o un animale velenoso cada nel calice dopo la consacrazione; oppure il sacerdote viene a sapere che nel calice è stato versato del veleno da un malintenzionato per ucciderlo. Nel qual caso se si comunica pecca mortalmente: o per­ ché si uccide, o perché tenta Dio. E così pure, se non si comunica, pecca contravvenendo alla prescrizione della Chiesa. Quindi sembra che sia in una situazione di perplessità, e sia costretto a peccare. n che è inammissibile. 4. Talvolta accade che per negligenza del ministro l ' acqua non è versata, o addirittura neppure il vino, e alla fine il sacerdote se ne accorge. E anche in questo caso egli rimane perplesso: tanto se assume il corpo senza il sangue, compiendo un sacrificio imperfetto, quanto se non assume né il corpo né il sangue. 5. Può accadere che il sacerdote non si ricordi se ha pronunziato le parole della consacrazione, oppure le altre parole prescritte nella celebra­ zione di questo sacramento. E in tal caso sem­ bra che egli pecchi tanto se ripete sulla medesi­ ma materia le parole che forse ha già detto, quanto se si comunica con del pane e del vino non consacrati come se fossero consacrati. 6. Talvolta succede che per il freddo l'ostia cada di mano al sacerdote nel calice, o prima o dopo la frazione. In tal caso dunque il sacerdo­ te non potrà attenersi al rito della Chiesa riguardante la frazione dell'ostia, o alla norma di metteme dentro il calice solo una terza parte. 7. Talvolta succede che per negligenza del sacerdote si versi il sangue di Cristo; oppure che il sacerdote vomiti il sacramento dopo la comunione, o che le ostie consacrate siano serbate così a lungo da putrefarsi, o addirittu­ ra che siano rose dai topi, o vadano comun­ que in rovina. Nei quali casi non è possibile tributare a questo sacramento la debita rive­ renza secondo le prescrizioni della Chiesa.

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debita reverentia exhiberi secundum Ecclesiae statuta. Non videtur ergo quod his defectibus seu periculis occurri possit, salvis Ecclesiae statutis. Sed contra est quod, sicut Deus, sic Ecclesia

non praecipit aliquid impossibile. Respondeo dicendum quod periculis seu de­ fectibus circa hoc sacramentum evenientibus dupliciter potest occurri. Uno modo, praeve­ niendo, ne scilicet periculum accidat. Alio modo, subsequendo, ut scilicet id quod accidit emendetur, vel adhibendo remedium, vel saltem per poenitentiam eius qui negligenter egit circa hoc sacramentum. Ad primum ergo dicendum quod, si sacerdos morte aut infirmitate gravi occupetur ante con­ secrationem corporis et sanguinis Domini, non oportet ut per alium suppleatur. - Si vero post incoeptam consecrationem hoc acciderit, puta consecrato corpore ante consecrationem sanguinis, vel etiam consecrato utroque, debet Missae celebritas per alium expleri. Unde, ut habetur in Decretis, 7, q. l , cap. Nihil [Decre­ tum, p. 2., causa 7, q. l , can. 16 Nihil contra ordinis] , in Toletano Concilio [Conc. To­ letanum VII, anno 646, can. 2] legitur, cen­

suimus convenire ut, cum a sacerdotibus Mis­ sarum tempore sacra mysteria consecrantur, si aegritudinis accidit cuiuslibet eventus quo coeptum nequeat expleri mysterium, sit libe­ rum episcopo vel presbytem alteri consecra­ tionem exequi incoepti officii. Non enim aliud competit ad supplementum initiatis mysteriis quam aut incipientis aut subsequentis bene­ dictione sint completa sacerdotis, quia nec peifecta videri possunt nisi pe1jecto ordine compleantur. Cum enim omnes simus unum in Christo, nihil contrarium diversitas persona­ rumforma!, ubi efficaciam pmsperitatis unitas fidei repraesentat. Nec tamen quod naturae languoris causa consulitw; in praesumptionis pemiciem convertatur. Nullus, absque patenti pmventu molestiae, minister vel sacerdos, cum coeperit, impeifecta officia praesumat omnino relinquere. Si quis hoc temerarie praesumpse­ rit, excommunicationis sententiam sustinebit. Ad secundum dicendum quod, ubi difficultas occurrit, semper est accipiendum illud quod habet minus de periculo. Maxime autem peri­ culosum circa hoc sacramentum est quod est contra perfectionem ipsius sacramenti, quia hoc est immane sacrilegium. Minus autem est

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Quindi non sembra possibile rimediare suffi­ cientemente a tali difetti o pericoli stando alle prescrizioni della Chiesa. In contralio: la Chiesa, come Dio, «non pre­ sclive nulla di impossibile». Risposta: ai pericoli o difetti possibili nei ri­ guardi di questo sacramento si può ovviare in due modi. Primo, prevenendoli, perché non accadano. Secondo, provvedendo adegua­ mente dopo che sono accaduti : cioè coiTeg­ gendo il difetto o con l'impiego del rimedio opportuno, o almeno con l ' espiazione da parte di chi si è reso colpevole di negligenza circa questo sacramento. Soluzione delle difficoltà: l . Se il sacerdote è colpito dalla morte o da una grave malattia prima della consacrazione del corpo o del san­ gue del Signore, non è necessario che un altro lo supplisca. - Se invece ciò accade dopo che la consacrazione ha già avuto inizio, p. es. quando è già stato consacrato il corpo e non ancora il sangue, o dopo la consacrazione del­ l'uno e dell'altro, allora la celebrazione della messa deve essere telTOÌnata da un altro sacer­ dote. Perciò nei Canoni di un Concilio di Toledo si legge: «Stabiliamo che quando i sacerdoti consacrano i santi misteri nella cele­ brazione della messa, qualora accada un fatto di malattia tale da impedire ai sacerdoti di ter­ minare il mistero iniziato, si lasci libertà al vescovo o a un altro sacerdote di completare la consacrazione iniziata. Poiché i misteli iniziati non possono essere condotti a telTnine se non con la benedizione di un sacerdote che inizia o che prosegue: essi infatti non possono essere compiuti se non sono completati secondo l'ordine stabilito. Poiché infatti tutti siamo una sola cosa in Cristo, la diversità di persone non porta alcun ostacolo dove l'identità della fede garantisce l'efficacia dello stesso effetto. Si badi però che la norma richiesta dali' infelTllÌtà della natura non ingeneri un peccato di pre­ sunzione. Nessun ministro o sacerdote quindi osi in alcun modo lasciare incompiuti i misteri iniziati senza un malore evidente. E se qualcu­ no temerariamente oserà farlo, sarà colpito da sentenza di scomunica». 2. Nelle difficoltà dobbiamo attenerci sempre al pericolo minore. Ora, riguardo a questo sacramento il pericolo più grave è costituito dall' incompletezza del sacramento: poiché questo è un enorme sacrilegio. Di minore

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illud quod pertinet ad qualitatem sumentis. Et ideo, si sacerdos, post consecrationem in­ coeptam, recordetur aliquid comedisse vel bibisse, nihilominus debet perficere sacrifi­ cium et sumere sacramentum. - Sirniliter, si recordetur se peccatum aliquod comrnisisse, debet poenitere cum proposito confitendi et satisfaciendi, et sic non indigne, sed fructuose sumere sacramentum. - Et eadem ratio est si se meminerit excommunicationi cuicumque subiacere. Debet enim assumere propositum absolutionem petendi, et sic per invisibilem pontificem, Iesum Christum, absolutionem consequitur quantum ad hunc actum, quod peragat divina mysteria. - Si vero ante conse­ crationem alicuius praedictorum sit memor, tutius reputarem, maxime in casu manducatio­ nis et excommunicationis, quod Missam incoeptam desereret, nisi grave scandalum timeretur. Ad tertium dicendum quod, si musca vel aranea in calicem ante consecrationem cecide­ rit, aut etiam venenum deprehenderit esse immissum, debet effundi, et, abluto calice, denuo aliud vinum poni consecrandum. - Si vero aliquid horum post consecrationem acciderit, debet animai caute capi, et diligenter lavari, et comburi, et ablutio, simul cum cine­ ribus, in sacrarium mitti. - Si vero venenum ibi adesse deprehenderit immissum, nullo modo debet sumere nec alii dare ne calix vitae vertatur in mortem, sed debet diligenter in aliquo vasculo ad hoc apto cum reliquiis con­ servari. Et, ne sacramentum remaneat imper­ fectum, debet vinum apponere in calice, et de­ nuo resumere a consecratione sanguinis, et sacrificium perficere. Ad quartum dicendum quod, si sacerdos, ante consecrationem sanguinis et post consecratio­ nem corporis, percipiat aut vinum aut aquam non esse in calice, debet statim apponere et consecrare. - Si vero hoc post consecrationis verba perceperit, quod aqua desit, debet nihilominus procedere, quia appositio aquae, ut supra [q. 74 a. 7] dictum est, non est de necessitate sacramenti. Debet tamen puniri ille ex cuius negligentia hoc contingit. Nullo autem modo debet aqua vino iam consecrato misceri, quia sequeretur corruptio sacramenti pro aliqua parte, ut supra [q. 77 a. 8] dictum est. - Si vero percipiat post verba consecratio­ nis quod vinum non fuerit positum in calice, si

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entità sono invece i difetti dalla parte di chi lo riceve. Se quindi il sacerdote, iniziata la con­ sacrazione, si ricorda di aver mangiato o be­ vuto qualcosa, deve ugualmente portare a ter­ mine il sacrificio e assumere il sacramento. Parimenti, se si ricorda di avere commesso un peccato, deve pentirsene con il proposito di confessarsi e di riparare: e allora non riceve il sacramento indegnamente, ma con frutto. - E la stessa cosa vale se si rammenta di essere stato colpito da una scomunica. Deve intàtti fare il proposito di chiederne l'assoluzione: e così dall'invisibile Pontefice Gesù Cristo sarà assolto in ordine al compimento dei divini misteri. - Se invece il sacerdote si ricordasse di tali cose prima della consacrazione, stime­ rei cosa più sicura, specialmente in caso di violazione del digiuno e di scomunica, inter­ rompere la celebrazione della messa iniziata, eccetto il pericolo di un grave scandalo. 3. Se una mosca o un ragno cade nel calice prima della consacrazione, oppure se il sacer­ dote si accorge che c'è stato messo del vele­ no, deve gettare via tutto e, purificato il calice, porre di nuovo dell'altro vino da consacrare. - Se invece ciò accade dopo la consacrazione, l'insetto deve essere preso con cautela, lavato diligentemente e bruciato, gettando poi le ceneri e l'acqua dell'abluzione nel sacrario. Se invece avvette che vi è stato messo del veleno, il sacerdote non deve berlo né darlo ad altri, affinché il calice di vita non si cambi in morte, ma deve riporlo in un vaso adatto e conservarlo nel tabernacolo. Poi, perché il sacramento non rimanga incompleto, deve versare nel calice dell'altro vino, e, ricomin­ ciando dalla consacrazione del sangue, porta­ re a termine il sacrificio. 4. Se il sacerdote prima della consacrazione del sangue e dopo la consacrazione del corpo si accorge che nel calice non c'è vino o non c'è acqua, deve subito metterli e consacrare. - Se invece si accorge della mancanza dell'acqua dopo le parole della consacrazione, deve anda­ re avanti, poiché l'aggiunta dell'acqua non è necessaria alla validità del sacramento, come si è detto sopra. Chi però è colpevole del fatto, deve essere punito. In nessun modo comunque si deve aggiungere dell'acqua al vino già con­ sacrato: poiché ne seguirebbe la parziale corru­ zione del sacramento, come si è visto. - Se in­ vece dopo le parole della consacrazione il sa-

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quidem hoc percipiat ante sumptionem corpo­ ris, debet, deposita aqua si ibi fuerit, imponere v i n u m cum aqu a , et resumere a verb i s consecrationis sanguinis. - S i vero hoc perce­ perit post sumptionem corporis, debet appone­ re aliam hostiam iterum simul consecrandam cum sanguine. Quod ideo dico quia, si diceret sola verba consecrationis sanguinis, non servaretur debitus ordo consecrandi, et, sicut dicitur in praedicto capitulo Toletani Concilii [Conc. Toletanum VII, anno 646, can. 2; cf. Decretum, p. 2, causa 7, q. l , can. 1 6 Nihil contra ordinis], peifecta videri non possunt sacrifìcia nisi pe1jecto ordine compleantur. Si vero inciperet a consecratione sanguinis et repeteret omnia verba consequentia, non competerent nisi adesset hostia consecrata, cum in verbis illis occurrant quaedam dicenda et fienda non solum circa sanguinem, sed etiam circa corpus. Et debet in fine sumere hostiam iterum consecratam et sanguinem, non obstante etiam si prius sumpserit aquam quae erat in calice, quia praeceptum de pertec­ tione sacramenti maioris est ponderis quam praeceptum quod hoc sacramentum a ieiunis sumatur, ut supra [ad 2] dictum est. Ad quintum dicendum quod, licet sacerdos non recolat se dixisse aliqua eorum quae dicere debuit, non tamen debet ex hoc mente perturbari . Non enim qui multa dicit, recolit omnium quae dixit, nisi forte in dicendo aliquid apprehenderit sub ratione iam dicti sic enim aliquid efficitur memorabile. Unde, s i aliquis attente cogitet illud quod dicit, non tamen cogitet se dicere illud, non multum recolit postea se dixisse. Sic enim fit aliquid obiectum memoria, inquantum accipitur sub ratione praeteriti , sicut dicitur in libro De memoria [Aristoteles, 1 ] . - Si tamen sacerdoti probabiliter constet se aliqua omisisse, s i quidem non sunt d e necessitate sacramenti, n o n aestimo quod propter hoc debeat resumere immutando ordinem sacrificii, sed debet ulterius procedere. - Si vero certificetur se omisi sse aliquid eorum quae sunt de necessitate sacramenti, scilicet formam conse­ crationis, cum forma sit de necessitate sacra­ menti sicut et materia, idem videtur faciendum quod dictum est [ad 4] in defectu materiae, ut scilicet resumatur a forma consecrationis, et cetera per ordinem reiterentur, ne mutetur ordo sacrificii.

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cerdote si accorge che nel calice non è stato messo il vino, se lo avverte prima della comu­ nione del corpo deve, buttando via l ' acqua eventualmente infusa nel calice, mettere nel ca­ lice vino con acqua e ricominciare dalle parole della consacrazione del sangue. - Se invece lo avverte dopo la comunione del corpo, allora deve prendere un'altra ostia e consacrarla insie­ me con il sangue. E dico questo perché, se pro­ nunziasse soltanto le parole della consacrazio­ ne del sangue, non osserverebbe il debito ordi­ ne nella consacrazione, e d'altra parte, come nota il citato Concilio di Toledo, «i sacrifici non possono dirsi compiuti se non sono completati secondo l'ordine stabilito». Iniziare infatti dalla consacrazione del sangue e ripetere tutto il re­ sto di seguito sarebbe fuori luogo in mancanza dell' ostia consacrata, poiché tali preghiere comportano delle parole e delle azioni che si ri­ feriscono non solo al sangue, ma anche al cor­ po. E alla fine egli deve comunicarsi di nuovo con la seconda ostia consacrata e con il sangue, anche se avesse bevuto l'acqua eventualmente presente nel calice: poiché la norma relativa al­ la completezza del sacramento è più grave del­ la norma che prescrive il digiuno per la comu­ nione sacramentale, come si è detto sopra 5. Il sacerdote, anche se non ricorda di aver detto tutto quanto doveva dire, non deve per questo turbat'Si. Infatti chi dice molte cose non può ricordare tutto, se non forse quando pro­ nunciando una parola si accorge di averla già detta: è così infatti che una cosa detta diviene oggetto di memoria. Se dunque uno pensa attentamente alle parole che dice, ma non pensa al fatto che le dice, dopo non ricorda bene se le ha dette. Infatti una cosa diviene oggetto di memoria in quanto è appresa come passata, secondo la spiegazione che dà Aristo­ tele. - Se dunque il sacerdote ha coscienza di avere omesso qualcosa che non è indispensabi­ le al sacramento, penso che non debba per que­ sto ricominciare da capo cambiando l 'ordine del sacrificio, ma che debba proseguire. - Se invece è certo di avere omesso qualcosa di essenziale, ossia la forma della consacrazione, essendo questa necessaria al sacramento quan­ to la materia, deve fare come si è detto sopra in caso di difetto della materia: deve cioè ripren­ dere dalla forma della consacrazione e ripetere per ordine tutto il resto, per non cambiare l'ordine del sacrificio.

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Ad sextum dicendum quod fractio hostiae consecratae, et quod pars una sola mittatur in calicem, respicit corpus mysticum, sicut et admixtio aquae significar populum. Et ideo horum praetennissio non facit imperfectionem sacrificii, ut propter hoc sit necesse aliquid reiterare circa celebrationem huius sacramenti. Ad septimum dicendum quod, sicut legitur De consecr., d. 2 [Decretum, p. 3 De cons., d. 2, can. 27 Si per negligentiam], ex Decreto Pii Papae [cf. Theodorum, Poenitentiale 5 1], si per

negligentiam aliquid stillaverit de sanguine in tabula quae terrae adhaeret, lingua lambetur et tabula radetur. Si vero non fuerit fabula, terra radetur, et igni comburetur, et cinis intra altare condetu1: Et sacerdos quadraginta dies poeniteat. Si autem super altare stillaverit ca/ix, sorbeat minister stillam. Et tribus diebus poeniteat. Si super linteum altaris, et ad aliud stilla pervenerit, quatuor diebus poeniteat. Si usque ad tertium, novem diebus poeniteat. Si usque ad qua11um, viginti diebus poeniteat. Et linteamina quae stilla tetigit, tribus vicibus lavet ministe1; calice subtus posito, et aqua ablutionis sumatur et iuxta altare recondatur. Posset etiam sumi in patu a ministro, nisi propter abominationem dimitteretur. Quidam autem ulterius partem illam linteaminum incidunt et comburunt, et cinerem in altario vel sacrario reponunt. - Subditur autem ibidem [Decretum, p. 3 De cons., d. 2, can. 28 Si quis per ebrietatem], ex Poenitentiali [De remediis pece., c. De ebrietate] Bedae presbyteri, si quis

per ebrietatem ve/ voracitatem Eucharistiam evomuerit, quadraginta diebus poeniteat; clerici vel monachi, seu diaconi ve/ presbyteri, sexaginta diebus; episcopus nonaginta. Si autem infirmitatis causa evomuerit, septem diebus poeniteat. Et in eadem distinctione -

[Decretum, p. 3 De cons., d. 2, can. 94 Qui bene] legitur, ex Concilio Aurelianensi [cf. Theodorum, Poenitentiale 55], qui non bene

custodierit sacrificium, et mus ve/ aliquod aliud animai in ecclesia comederit, quadra­ ginta diebus poeniteat. Qui autem perdiderit illud in ecclesia, aut pars eius ceciderit et non inventa fuerit, triginta diebus poeniteat. Et -

eadem poenitentia videtur dignus sacerdos per cuius negligentiam hostiae consecratae putre­ fiunt. - Praedictis autem diebus debet poeni­ tens ieiunare et a communione cessare. Pensa­ tis tamen conditionibus negotii et personae, po-

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6. La frazione dell'ostia consacrata e l'immissio­ ne di una sua parte nel calice si riferisce al corpo mistico: così come l'aggiunta dell' acqua sta a significare il popolo. Perciò l'omissione di que­ ste cose non rende incompleto il sacrificio, in modo che a motivo di ciò si debba 1ipetere qual­ cosa nella celebrazione di questo sacramento. 7. Come si legge nel Decreto, che riferisce un testo di papa Pio I, «se per negligenza delle gocce di sangue cadono sul pavimento di legno a contatto con la terra, si lambiscano con la lin­ gua e si raschi il pavimento. Se poi manca il tavolato si raschi la terra, la si bruci e si depositi la cenere sotto l'altare. n sacerdote poi faccia penitenza per quaranta giorni. Se invece qual­ che goccia del calice è stata versata sull'altare, il ministro sorbisca le gocce. E faccia penitenza per tre giorni. Se il sangue è stato versato sulle tovaglie dell'altare ed è passato fino alla secon­ da tovaglia, faccia penitenza per quattro giorni. Se fino alla terza, faccia penitenza per nove giorni. Se fino alla quarta, faccia penitenza per venti giorni. Le tovaglie poi su cui è stato versa­ to il sangue siano lavate per tre volte dal mini­ stro tenendo sotto il calice, e l'acqua di questa abluzione sia raccolta e sia riposta presso l'altare». Potrebbe però anche essere bevuta dal ministro, se non ci fosse il pericolo di vomito. Alcuni inoltre tagliano la parte delle tovaglie dove si è versato il sangue e la bruciano, ripo­ nendo le ceneri sotto l'altare, o nel sacrario. Nello stesso Decreto sono poi riportate le nor­ me di un penitenziale di Beda: «Se uno per ubriachezza o intemperanza vomita l'Eucari­ stia, faccia quaranta giorni di penitenza; i chieri­ ci, i monaci e i sacerdoti ne facciano sessanta; il vescovo novanta. Se uno però la vomita per malattia, faccia sette giorni di penitenza>>. - n medesimo Decreto riporta poi le prescrizioni di un Concilio di Orléans: «Chi non ha conservato a dovere il sacramento, per cui in chiesa un topo o un altro animale lo mangia, faccia qua­ ranta giorni di penitenza. Chi perde l'Eucaristia in chiesa o ne ta cadere tma parte che non è più trovata, faccia trenta giorni di penitenza». E la stessa penitenza merita il sacerdote per la cui trascuratezza le ostie consacrate vanno in putre­ fazione. - Nei suddetti giorni di penitenza il penitente deve poi digiunare e astenersi dalla comunione. Tuttavia, tenendo conto delle circo­ stanze riguardanti il fatto e le persone, la peni­ tenza suddetta può essere aggravata o diminuì-

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Il rito di questo sacramento

Q. 83, A. 6

test minui vel addì ad poenitentiam praedic­ tam. - Hoc tamen observandum est, quod, ubi­ cumque species integrae inveniuntur, sunt reverenter observandae, vel etiam sumendae, quia, manentibus speciebus, manet ibi corpus Christi, ut supra [q. 76 a 6 ad 3 ; q. 77 aa. 4-5] dictum est. Ea vero in quibus inveniuntur, comburenda sunt si commode tìeri potest, cinere in sacrario recondito, sicut de rasura tabulae dictum est.

ta. - Si abbia in ogni modo sempre cura di con­ servare rispettosamente o anche di consumare le specie eucaristiche ogni volta che sono trova­ te integre: poiché sotto le specie, finché esse durano, rimane presente il corpo di Cristo, come si disse sopra. Gli oggetti poi dove le spe­ cie vengono a trovarsi siano bruciati, se ciò può essere fatto senza difficoltà, e la cenere sia ripo­ sta nel sacrario, come si è detto a proposito della raschiatura del pavimento di legno.

QUAESTIO 84 DE POENITENTIA SECUNDUM QUOD EST SACRAMENTUM

IL SACRAMENTO

QUESTIONE 84

DELLA PENITENZA

Consequenter considerandum est de sacramen­ to poenitentiae. Circa quod primo consideran­ dum est de ipsa poenitentia; secundo, de eftectu ipsius [q. 86]; tertio, de partibus eius [q. 90]; quarto, de suscipientibus hoc sacramentum [S. q. 1 6] ; quinto, de potestate ministrorum [S. q. 1 7]; sexto, de solemni ritu huius sacra­ menti [S. q. 28]. - Circa primum duo sunt con­ sideranda, primo, de poenitentia secundum quod est sacramentum; secundo, de poenitentia secundum quod est virtus [q. 85]. - Circa pri­ mum quaeruntur decem. Primo, utrum poeni­ tentia sit sacramentum. Secundo, de propria materia eius. Tertio, de forma ipsius. Quarto, utrum impositio manus requiratur ad hoc sacra­ mentum. Quinto, utrum hoc sacramentum sit de necessitate salutis. Sexto, de ordine eius ad alia sacramenta. Septimo, de institutione eius. Octavo, de duratione ipsius. Nono, de continui­ tate eius. Decimo, utrum possit iterari.

Veniamo ora a parlare del sacramento della penitenza. Tratteremo dunque: primo, della penitenza in se stessa; secondo, dei suoi effetti; terzo, delle sue parti; quarto, di coloro che ricevono questo sacramento; quinto, del potere di coloro che lo amministrano; sesto, del rito solenne di questo sacramento. - Sul primo argomento dobbiamo esaminare: primo, la penitenza in quanto sacramento; secondo, la penitenza in quanto virtù. - Sul primo punto si pongono dieci quesiti: l . La penitenza è un sa­ cramento? 2. Quale ne è la matelia? 3. Quale la forma? 4. In questo sacramento è stretta­ mente richiesta l ' i mposizione delle mani? 5. Questo sacramento è indispensabile per la salvezza? 6. Quale relazione ha con gli altri sacramenti? 7. La sua istituzione; 8. Quanto deve durare la penitenza? 9. Deve essere conti­ nua? 1 0. Può essere reiterata?

Articulus l Utrum poenitentia sit sacramentum

Articolo l La penitenza è un sacramento?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod poe­ nitentia non sit sacramentum. l . Gregorius [cf. Etymol. 6, 19] enim dicit, et ha­ betur in Decretis, l , q. l [Decretum, p. 2, causa l , q. l , can. 84 Multi saecularium], sacramenta

Sembra di no. Infatti: l . Gregorio, come rifelisce anche il Decreto, afferma: «Sacramenti sono il battesimo, la cresima, il corpo e il sangue di Ctisto; e que­ ste cose sono denominate sacramenti poiché in esse, sotto il velo di realtà corporee, la virtù divina compie segretamente la nostra salvez­ za>>. Ma ciò non si riscontra nella penitenza: poiché non sono adoperate in essa delle realtà corporee sotto le quali la virtù divina compi­ rebbe l'opera della salvezza. Quindi la peni­ tenza non è un sacramento.

sunt baptisma, chrisma, corpus et sanguis Christi, quae ob id sacramenta dicuntur quia sub tegumento co1poralium rerum divina virtus secretius operatur salutem. Sed hoc non contin­

git in poenitentia, quia non adhibentur aliquae res corporales sub quibus divina virtus operetur salutem. Ergo poenitentia non est sacramentum.

Q. 84, A. 1

Il sacramento della penitenza

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2. Praeterea, sacramenta Ecclesiae a ministris Christi exhibentur, secundum illud l Cor. 4 [1],

2. I sacramenti della Chiesa sono distribuiti dai ministri di Cristo, come risulta da l Cor 4 [1]:

sic nos existùnet homo ut ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei. Sed poeni­ tentia non exhibetur a ministris Christi, sed interius a Deo hominibus inspiratur, secun­ dum illud Ier. 3 1 [ 1 9], postquam convertisti me, egi poenitentiam. Ergo videtur quod poe­ nitentia non sit sacramentum. 3. Praeterea, in sacramentis de quibus supra diximus, est aliquid quod est sacramentum tantum, aliquid quod est res et sacramentum, aliquid vero quod est res tantum, ut ex prae­ missis [q. 66 a. l ; q. 73 a. l ad 3] patet. Sed hoc non invenitur in poenitentia. Ergo poeni­ tentia non est sacramentum. Sed contra est quod, sicut baptismus adhibetur ad purificandum a peccato, ita et poenitentia, unde et Petrus dixit Simoni, Act. 8 [22], poeni­ tentiam age ab hac nequitia tua. Sed baptismus est sacramentum, ut supra [q. 65 a. l ] dictum est. Ergo pari ratione et poenitentia. Respondeo dicendum quod, sicut Gregorius [cf. Etymol. 6, 1 9; cf. Decretum, p. 2, causa l , q. l , can. 84 Multi saecularium] dicit, in capite supra dicto, sacramentum est in aliqua celebra­ tione, cwn res gesta itafit ut aliquid significati­ ve accipiamus quod sancte accipiendum est. Manifestum est autem quod in poenitentia ita res gesta fit quod aliquid Sanctum significatur, tam ex parte peccatoris poenitentis, quam ex parte sacerdotis absolventis, nam peccator poenitens per ea quae agit et dicit, significat cor suum a peccato recessisse; similiter etiam sa­ cerdos per ea quae agit et dicit circa poeniten­ tem, significat opus Dei remittentis peccatum. Unde manifestum est quod poenitentia quae in Ecclesia agitur, est sacramentum. Ad primum ergo dicendum quod nomine cor­ poralium rerum intelliguntur large etiam ipsi exteriores actus sensibiles, qui ita se habent in hoc sacramento sicut aqua in baptismo vel chrisma in contirmatione. Est autem atten­ dendum quod in illis sacramentis in quibus confertur excellens gratia, quae superabundat omnem facultatem humani actus, adhibetur aliqua corporalis materia exterius; sicut in baptismo, ubi fit piena remissio peccatorum et quantum ad culpam et quantum ad poe­ nam; et in confirmatione, ubi datur Spiritus Sancti plenitudo; et in extrema unctione, ubi confertur perfecta sanitas spiritualis; quae

Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, la pe­ nitenza non è impartita dai ministri di Cristo, ma è ispirata interiormente da Dio, secondo le parole di Ger 3 1 [ 1 9] : Dopo che tu mi hai convertito, ho fatto penitenza. Perciò sembra che la penitenza non sia un sacramento. 3. Nei sacramenti che abbiamo esaminato finora c'è un elemento che è sacramentum tantum, un altro che è res et sacramentum e un terzo che è res tantum. Ma ciò non si ri­ scontra nella penitenza. Quindi la penitenza non è un sacramento. In contrario: come il battesimo, così anche la penitenza è adibita per purificare dai peccati. Per cui Pietro disse a Simon [Mago]: Fa ' pe­ nitenza di questa tua iniquità (At 8,22). Ma il battesimo è un sacramento. Quindi per lo stesso motivo lo è pure la penitenza. Risposta: come dice Gregorio nel testo citato sopra, «il sacramento consiste in una cerimo­ nia in cui si riceve simbolicamente ciò che va ricevuto santamente». Ora, è chiaro che nella penitenza si compie una cerimonia tale da significare qualcosa di sacro, sia da parte del peccatore penitente, sia da patte del sacerdote che assolve: il penitente infatti con quanto fa e dice esprime l'idea che il suo cuore si è allontanato dal peccato, e similmente il sacer­ dote con i gesti e con le parole che indirizza al penitente esprime l'azione di Dio che rimette i peccati. Perciò è evidente che la penitenza praticata nella Chiesa è un sacrmnento. Soluzione delle difficoltà: l . Per realtà corpo­ ree si intendono in senso Iato anche gli atti estemi sensibili, che stanno a questo sacra­ mento come l'acqua sta al battesimo o il cri­ sma sta alla cresima. Si deve però notare che in quei sacramenti nei quali è conferita una grazia superiore a ogni capacità dell ' atto umano è impiegata una materia estema: come nel battesimo, in ctù si ha la piena remissione dei peccati sia quanto alla colpa che quanto alla pena, nella cresima, in cui è conferita la pienezza dello Spirito Santo, e nell'estrema unzione, in cui è conferita la perfetta guari­ gione spirituale. E questa grazia proviene dalla virtù di Cristo come da un principio estrinseco. Per cui, se in questi sacramenti si riscontrano degli atti umani, essi non sono

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Il sacramento della penitenza

Q. 84, A. l

provenit ex virtute Christi quasi ex quodam extrinseco principio. Unde si qui actus hu­ mani sunt in talibus sacramentis, non sunt de essentia materiae sacramentorum, sed dispo­ sitive se habent ad sacramenta. In illis autem sacramentis quae h abent effectum cor­ respondentem humanis actibus, ipsi actus hu­ mani sensibiles sunt loco materiae, ut accidit in poenitentia et matrimonio. Sicut etiam in medicinis corporalibus quaedam sunt res exterius adhibitae, sicut emplastra et electua­ ria; quaedam vero sunt actus sanandorum, puta exercitationes quaedam. Ad secundum dicendum quod in sacramentis quae habent corporalem materiam, oportet quod illa materia adhibeatur a ministro Eccle­ siae, qui gerit personam Christi, in signum quod excellentia virtutis in sacramento operan­ tis est a Christo. In sacramento autem poeniten­ tiae, sicut dictum est [ad 1 ] , sunt actus humani pro materia, qui proveniunt ex inspiratione interna. Unde materia non adhibetur a ministro, sed a Deo interius operante, sed complemen­ tum sacramenti exhibet minister, dum poeniten­ tem absolvit. Ad tertium dicendum quod etiam in poeni­ tentia est aliquid quod est sacramentum tan­ tum, scilicet actus exercitus tam per peccato­ rem poenitentem, quam etiam per sacerdotem absolventem. Res autem et sacramentum est poenitentia interior peccatoris. Res autem tantum et non sacramentum est remissio pec­ cati. Quorum primum totum simul sumptum est causa secundi; primum autem et secundum sunt causa tertii.

essenziali al sacramento, ma agiscono in esso come cause dispositive. Invece in quei sacra­ menti che hanno un effetto corrispondente agli atti umani, gli stessi atti sensibili umani fungono da materia: e ciò avviene nella peni­ tenza e nel matrimonio. Come anche nelle medicine corporali ce ne sono alcune che consistono in rimedi esterni, come le pomate e gli sciroppi, e altre invece che consistono in atti dei pazienti medesimi, come certi esercizi fisici. 2. Nei sacramenti la cui materia è un elemen­ to materiale è necessario che tale materia sia applicata dal ministro della Chiesa, il quale agisce in nome di Cristo, per indicare che l'eccellenza della virtù operante nel sacra­ mento proviene da Cristo. Invece nel sacra­ mento della penitenza, come si è già notato, la materia è costituita dagli atti umani, i quali provengono da un'ispirazione interiore. E così la materia non è applicata dal ministro, bensì da Dio che agisce interiormente; i l ministro però dà a l sacramento l a sua struttura completa, assolvendo il penitente. 3. Anche nella penitenza c'è qualcosa che è sacramentum tantum, ed è l'atto esterno del penitente e del sacerdote che lo assolve. La res et sacramentum è invece la penitenza inte­ tiore del penitente, mentre la res tantum è la remissione dei peccati. E la prima di queste tre cose, presa nella sua totalità, è causa della seconda; la prima poi e la seconda insieme sono causa della terza.

Articulus 2 Utrum peccata sint propria materia huius sacramenti

Articolo 2 I peccati sono la materia propria di questo sacramento?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod pec­ cata non sint propria materia huius sacramenti. l . Materia enim in aliis sacramentis per aliqua verba sanctificatur, et sanctificata effectum sacramenti operatur. Peccata autem non pos­ sunt sanctificari, eo quod contrariantur ef­ fectui sacramenti, qui est gratia remittens pec­ cata. Ergo peccata non sunt materia propria huius sacramenti. 2. Praeterea, Augustinus dicit, i n libro De poenitentia [Serm. ad pop. 35 1 ,2], nullus po­

Sembra di no. Infatti: l . Negli altri sacramenti la materia è santifica­ ta mediante alcune parole, e così santificata produce l'effetto sacramentale. Ma i peccati non possono essere santificati, essendo in­ compatibili con l'effetto del sacramento, che è la grazia che rimette i peccati. Quindi i pec­ cati non sono la materia propria di questo sacramento. 2. Agostino scrive: «Nessuno può iniziare una nuova vita se la sua penitenza non si estende a tutta la vita dell'uomo vecchio». Ora, alla vita

test inchoare novam vitam nisi eum veteris

Q. 84, A. 2

Il sacramento della penitenza

vitae poeniteat. Sed ad vetustatem vitae perti­

nent non salurn peccata, sed etiam poenalita­ tes praesentis vitae. Non ergo peccata sunt propria materia poenitentiae. 3. Praeterea, peccatorum quoddam est origi­ nale, quoddam mortale, quoddam veniale. Sed poenitentiae sacramentum non ordinatur contra originale peccatum, quod tollitur per baptismum; neque etiam contra veniale, quod tollitur per tunsionem pectoris, et aquam be­ nedictam, et alia huiusmodi. Ergo peccata non sunt propria materia poenitentiae. Sed contra est quod apostolus dicit, 2 Cor. 1 2 [21 ], non egerunt poenitentiam super immun­

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dell'uomo vecchio appartengono non solo i peccati, ma anche le penalità della vita pre­ sente. Quindi i peccati non sono la materia propria della penitenza. 3. Il peccato si distingue in originale, mortale e veniale. Ma il sacramento della penitenza non è ordinato contro il peccato originale, che è tolto dal battesimo, e neppure contro quello veniale, che è rimesso dal battersi i l petto, dali'acqua benedetta e da altri sacramentali. Quindi i peccati non sono la materia propria della penitenza. In contrario: Paolo scrive: Essi non hannofatto

ditia et fornicatione et impudicitia quam gesserunt.

penitenza dei peccati di impurità, di fomica­ zione e di dissolutezza che hanno commesso (2 Cor 1 2,21 ).

Respondeo dicendum quod duplex est mate­ ria, scilicet proxima et remota, sicut statuae proxima materia est metallum, remota vero aqua. Dictum est [a. l ad 1 -2] autem quod proxima materia huius sacramenti sunt actus poenitentis, cuius materia sunt peccata, de quibus dolet, et quae confitetur, et pro quibus satisfacit. Unde relinquitur quod remota ma­ teria poenitentiae sunt peccata, non auentan­ da, sed detestanda et destruenda. Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de proxima materia sacramenti. Ad secundum dicendum quod vetus et morta­ lis vita est obiectum poenitentiae, non ratione poenae, sed ratione culpae annexae. Ad tertium dicendum quod poenitentia quo­ dammodo est de quolibet peccatorum genere, non tamen eodem modo. Nam de peccato actuali mortali est poenitentia proprie et princi­ paliter, proprie quidem, quia proprie dicimur poenitere de his quae nostra voluntate commi­ simus; principaliter autem, quia ad deletionem peccati mortalis hoc sacramentum est insti­ tutum. - De peccatis autem venialibus est quaedam poenitentia proprie, inquantum sunt nostra voluntate facta, non tamen contra haec principaliter est hoc sacramentum institutum. De peccato vero originali poenitentia nec principaliter est, quia contra ipsum non or­ dinatur hoc sacramentum, sed magis bapti­ smus, nec etiam proprie, quia peccatum origi­ nale non est nostra voluntate peractum; nisi forte inquantum voluntas Adae reputatur nostra, secundum modum loquendi quo apo­ stolus dicit, Rom. 5 [ 1 2], in quo omnes pecca­ verunt. Inquantum tamen accipitur poeniten-

Risposta: ci sono due tipi di materia, cioè prossima e remota: come la materia prossima di una statua è il metallo, quella remota inve­ ce l' [elemento] acqua. Ora, abbiamo già nota­ to che la materia prossima di questo sacra­ mento è costituita dagli atti del penitente: i quali hanno per materia i peccati di cui egli si pente, e che confessa, e per i quali è pronto a soddisfare. Perciò rimane che la materia re­ mota della penitenza sono i peccati, non da compiere, ma da detestare e da distruggere. Soluzione delle difficoltà: l . La difficoltà si fonda sulla materia prossima del sacramento. 2. La vita mottale dell'uomo vecchio è ogget­ to della penitenza non nel suo aspetto di pena, ma per la colpa omessa. 3. La penitenza in qualche modo ha per og­ getto tutti i generi di peccati, però non tutti nella stessa misura. Infatti il peccato attuale mortale è l'oggetto proprio e principale della penitenza: proprio, poiché ci pentiamo pro­ priamente di quanto abbiamo commesso per nostra volontà; principale, invece, poiché que­ sto sacramento fu istituito per cancellare il peccato mortale. - Dei peccati veniali si ha invece certamente una penitenza in senso pro­ prio, poiché essi sono commessi per nostra volontà, però questo sacramento non fu isti­ tuito principalmente contro di essi. - Il pecca­ to originale infine non è oggetto della peni­ tenza né principale, poiché contro di esso è ordinato non questo sacramento, bensì il bat­ tesimo, né proprio, poiché il peccato originale non fu compiuto per volontà nostra, se non forse in quanto è considerata nostra la volontà di Adamo, secondo le parole di Paolo: In lui

Il sacramento della penitenza

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Q. 84, A. 2

tia large pro quacumque detestatione rei prae­ teritae, potest dici poenitentia de peccato ori­ ginali, sicut loquitur Augustinus in libro De poenitentia [Serm. ad pop. 35 1 ,2].

tutti abbiamo peccato (Rm 5 , 1 2). Thttavia, prendendo il termine penitenza nel senso di una qualsiasi detestazione del passato, si può parlare di penitenza anche per il peccato ori­ ginale: ed è in questo senso che parla Agosti­ no nel De Poenitentia.

Articulus 3 Utrum haec sit forma huius sacramenti,

ego te absolvo

Articolo 3 Le parole: «Io ti assolvo» sono la forma di questo sacramento?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod haec non sit forma huius sacramenti, ego te absolvo [cf. Martene, De antiquis ecci. ritibus 1 ,6,7]. l . Formae enim sacramentorum ex institutione Christi et usu Ecclesiae habentur. Sed Christus non legitur hanc formam instituisse. Neque etiam in communi usu habetur, quinimmo in quibusdam absolutionibus quae in Ecclesia publice fiunt, sicut in prima [cf. Breviarium S.O.P. 4] et completorio [ibid.] et in cena Do­ mini [cf. Martene, De antiquis ecci. ritibus 4,22,2], absolvens non utitur oratione indicati­ va, ut dicat, ego vos absolvo, sed oratione de­ precativa, cum dicit, misereatur vestri omnipo­ tens Deus, vel, absolutionem tribuat vobis om­ nipotens Deus. Ergo haec non est forma huius sacramenti, ego te absolvo. 2. Praeterea, Leo Papa [ep. l 08 Ad Theodo­ rum 2] dicit, indulgentia Dei nisi supplicatio­ nibus sacerdotum nequit obtineri. Loquitur autem de indulgentia Dei quae praestatur poenitentibus. Ergo forma huius sacramenti debet esse per modum deprecationis. 3. Praeterea, idem est absolvere a peccato quod peccatum remittere. Sed solus Deus peccatum remittit, qui etiam solus interius a peccato mundat, ut Augustinus dicit, Super Ioan [cf. Sent. 4, 1 8,5] . Ergo videtur quod solus Deus a peccato absolvat. Non ergo de­ bet dicere sacerdos, ego te absolvo, sicut non dicit, ego tibi peccata remitto. 4. Praeterea, sicut Dominus dedit potestatem discipulis absolvendi a peccatis, ita etiam de­ dit eis potestatem curandi infirmitates, scilicet ut daemonia eiicerent et ut languores cura­ rent, ut habetur Matth. 1 0 [ l ] et Luc. 9 [ 1]. Sed sanando infmnos apostoli non utebantur his verbis, ego te sano, sed, sanet te Dominus lesus Christus [Act. 9,34]. Ergo videtur quod sacerdotes, habentes potestatem apostolis a Christo traditam, non debeant uti hac forma

Sembra di no. Infatti: l . La forma dei sacramenti è desunta dall'isti­ tuzione di Cristo e dall'uso della Chiesa Ora, non si riscontra nella Scrittura che Cristo abbia istituito questa formula. Ed essa non risulta nemmeno dall'uso comune: anzi, in certe asso­ luzioni fatte pubblicamente nella Chiesa, come in quelle di Prima e di Compieta, e in quella del Giovedì Santo, non si usa la formtùa indi­ cativa: «lo ti assolvo», ma quella deprecativa: «Dio onnipotente abbia misericordia di voi», oppure: «Dio onnipotente vi conceda l' assolu­ zione». Quindi le parole: «lo ti assolvo» non sono la forma di questo sacramento. 2. Papa Leone affenna: «Il perdono di Dio non può aversi che mediante le preghiere del sacer­ dote». Ma egli parla del perdono di Dio otierto ai penitenti. Quindi la forma di questo sacra­ mento deve essere una formula deprecatotia. 3. Assolvere dai peccati equivale a rimetterli. Ora, come scrive Agostino, «solo Dio, che è in grado di purificare interiormente dal pecca­ to, rimette la colpa». Quindi solo Dio può assolvere dai peccati. Perciò il sacerdote non deve dire: «Io ti assolvo», come non dice: «Io ti rimetto i peccati». 4. Il Signore, come diede ai suoi discepoli il potere di assolvere dai peccati, così diede loro anche quello di curare le infermità, cioè di cac­ ciare i demoni e di curare le malattie (Mt l O, l ; Le 9, 1 ). Ma nel guarire i malati gli apostoli non usavano la formula: «lo ti guarisco», bensì quest'altra: TI guarisca il Signore Gesù Cristo (At 9,34). Quindi sembra che i sacer­ doti, esercitando il potere conferito da Cristo agli apostoli, debbano usare non la formula: «lo ti assolvo», ma la formula: «Cristo ti dia l'assoluzione». 5. Alcuni di coloro che fanno uso di questa formula la spiegano in questo senso: «lo ti assolvo, cioè ti dichiaro assolto». Ma il sacer-

Il sacramento della penitenza

Q. 84, A. 3 verborum, ego te absolvo, praebeat tibi Christus.

sed,

absolutionem

5 . Praeterea, quidam hac forma utentes sic eam exponunt, ego te absolvo, idest, absolu­ tum ostendo. Sed neque hoc sacerdos facere potest, nisi ei divinitus reveletur. Unde, ut le­ gitur Matth. 1 6, antequam Petro diceretur [ 1 9] , quodcumque solveris super terram, erit etc., dictum est ei [ 1 7] , beatus es, Simon Bar

lana, quia caro et sanguis non revelavit tibi, sed Pater meus, qui in caelis est. Ergo videtur

quod sacerdos cui non est facta revelatio, praesumptuose dicat, ego te absolvo, etiam si exponatur, idest, absolutum ostendo. Sed contra est quod, sicut Dominus dixit disci­ pulis, Matth. 28 [ 1 9] , euntes, docete omnes gentes, baptizantes eos, ita dixit Petro, Matth. 1 6 [ 1 9], quodcumque solveris. Sed sacerdos, auctoritate illorum verborum Christi fretus, di­ cit, ego te baptizo. Ergo, eadem auctoritate, di­ cere debet in hoc sacramento, ego te absolvo. Respondeo dicendum quod in qualibet re per­ fectio attribuitur formae. Dictum est autem supra [a. l ad 2] quod hoc sacramentum perficitur per ea quae sunt ex parte sacerdotis. Unde oportet quod ea quae sunt ex parte poe­ nitentis, sive sint verba sive facta, sint quaedam materia huius sacramenti, ea vero quae sunt ex prute sacerdotis, se habent per modum fonnae. Cum autem sacramenta novae legis efficiant quodfigurant, ut supra [q. 62 a. l ad l ] dictum est; oportet quod forma sacramenti significet id quod in sacramento agitur, proportionaliter materiae sacramenti. Unde forma Baptismi est [cf. supra q. 66 a. 5], ego te baptizo, et forma confirmationis [cf. supra q. 72 a. 4],

consigno te sigllO cntcis et confirmo te chri­ smate salutis, eo quod huiusmodi sacramenta perficiuntur in usu materiae. In sacramento autem Eucharistiae, quod consistit in ipsa consecratione materiae, exprimitur veritas consecrationis, cum dicitur, hoc est corpus meum. Hoc autem sacramentum, scilicet poe­ nitentiae, non consistit in consecratione ali­ cuius materiae, nec in usu alicuius materiae sanctificatae, sed magis in remotione cuius­ dam materiae, scilicet peccati, prout peccata dicuntur esse materia poenitentiae, ut ex supra [a. 2] dictis patet. Talis autem remotio signi­ ficatur a sacerdote cum dicitur, ego te absol­ vo, nam peccata sunt quaedam vincula, se­ cundum illud Prov. 5 [22], iniquitates suae

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dote non è in grado di fare ciò senza una rive­ lazione divina. Infatti in Mt 1 6 [ 1 9] si legge che a Pietro, prima delle parole: Tutto ciò che scioglierai sulla terra ... , era stato detto: Beato

te, Simone figlio di Giona, poiché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli [ 1 7]. Perciò sembra una

presunzione da parte del sacerdote a cui non è stata fatta una rivelazione l' affermare: «lo ti assolvo», anche nel senso di: «lo ti dichiaro assolto». In contrario: il Signore, come disse ai disce­ poli: Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole (Mt 28, 1 9), così disse a Pietro: Tutto ciò che scioglierai (Mt 1 6, 1 9). Ora il sacerdote, forte di quelle parole di Cristo, af­ ferma: «Io ti battezzo». Quindi per la medesi­ ma autorità egli in questo sacramento deve affermare: «lo ti assolvo». Risposta: il perfezionamento in ogni genere di cose va attribuito alla forma. Ora, sopra abbiamo notato che questo sacramento è completato dagli atti del sacerdote, per cui quanto proviene dal penitente, sia che si tratti di parole o di gesti, costituisce la materia di questo sacramento, mentre quanto proviene dal sacerdote ha funzione di forma. E poiché i sacramenti della nuova legge, come si è detto sopra, «producono ciò che significano», è necessario che la forma del sacramento signi­ fichi quanto nel sacramento si compie rispetto alla materia sacramentale. Per cui la forma del battesimo è: «Io ti battezzo», e quella della cresima: «lo ti segno con il segno della croce e ti confermo con il crisma della salvez­ za», poiché questi sacramenti consistono nel­ l ' uso della materia. Invece nel sacramento dell'Eucaristia, che consiste nella stessa con­ sacrazione della materia, è espressa la realtà della consacrazione con le parole: «Questo è il mio corpo». Ma il sacramento di cui parlia­ mo, cioè la penitenza, non consiste nella con­ sacrazione di una qualche materia, e neppure nell'uso di una materia già santificata, bensì nell' eliminazione di una certa materia, cioè del peccato, nel senso in cui i peccati, come si è notato sopra, sono la materia della peniten­ za. Ora, tale eliminazione è indicata dal sacer­ dote con la formula: «lo ti assolvo» [ossia sciolgo] ; infatti i peccati sono delle catene, secondo le parole di Pr 5 [22] : Le sue iniquità

imprigionano l'empio, e uno è catturato nelle

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Il sacramento della penitenza

capiunt impium, et funibus peccatorum suo­ rum quisque constringitur. Unde patet quod

haec est convenientissima fanna huius sacra­ menti, ego te absolvo. Ad primum ergo dicendum quod ista fanna sumitur ex ipsis verbis Christi quibus Petro dixit [Matth. 1 6, 1 9], quodcumque solveris super terram, et cetera. Et tali forma utitur Ecclesia in sacramentali absolutione. Huius­ modi autem absolutiones in publico factae non sunt sacramentales, sed sunt orationes quaedam ordinatae ad rernissionem venialium peccatorum. Unde in sacramentali absolutio­ ne non sufficeret dicere, misereatur tui omni­ potens Deus, vel, absolutionem et remissio­ nem tribuat tibi Deus, quia per haec verba sacerdos absolutionem non significat fieri, sed petit ut fiat. - Praemittitur tamen etiam in sacramentali absolutione talis oratio, ne impe­ diatur effectus sacramenti ex parte poeniten­ tis, cuius actus materialiter se habent in hoc sacramento, non autem in baptismo vel i n confinnatione. Ad secundum dicendum quod verbum Leonis Papae est intelligendum quantum ad depreca­ tionem quae praemittitur absolutioni. Non autem removet quin sacerdotes absolvant. Ad tertium dicendum quod solus Deus per auctoritatem et a peccato absolvit et peccata remittit. Sacerdotes autem utrumque faciunt per ministerium, inquantum scilicet verba sa­ cerdotis in hoc sacramento instrumentaliter operantur, sicut etiam in aliis sacramentis; nam virtus divina est quae interius operatur in omnibus sacramentalibus signis, sive sint res sive sint verba, sicut ex supra [q. 62 a. l ; q. 64 a. l ] dictis patet. Unde et Dominus utrumque expressit, nam Matth. 1 6 [ 1 9] dixit Petro, quodcumque solveris super terram, etc.; et loan. 20 [23] dixit discipulis, quorum remi­ seritis peccata, remittuntur eis. Ideo tamen sa­ cerdos potius dicit, ego te absolvo, quam, ego tibi peccata remitto, quia hoc magis congruit verbis quae Dominus dixit virtutem clavium ostendens, per quas sacerdotes absolvunt. Quia tamen sacerdos sicut minister absolvit, convenienter apponitur aliquid quod pertineat ad primam auctoritatem Dei, scilicet ut dica­ tur, ego te absolvo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, vel, per virtutem passionis Christi, vel, auctoritate Dei, sicut Dionysius exponit, 13 cap. De cael. hier. [4]. Quia tamen

funi dei suoi peccati.

Q. 84, A. 3

Perciò è evidente che la fonnula: «lo ti assolvo» costituisce la fanna più conveniente di questo sacramento. Soluzione delle difficoltà: l . Questa fanna è desunta dalle parole stesse dette da Cristo a Pietro: «Tutto ciò che scioglierai sulla terra», ecc. E la Chiesa si serve di questa formula nell' assoluzione sacramentale. Invece le altre assoluzioni date in pubblico non sono sacra­ mentali , ma sono preghiere ordinate alla remissione dei peccati veniali. Perciò nell'as­ soluzione sacramentale non basterebbe dire: «Dio onnipotente abbia misericordia di te»; oppure: «Dio ti conceda l ' assoluzione e la remissione», poiché con tali parole il sacerdo­ te non indica che l' assoluzione è accordata, ma chiede che lo sia. - Tuttavia questa pre­ ghiera è premessa all'assoluzione sacramen­ tale perché l' effetto del sacramento non sia impedito da parte del penitente, i cui atti in questo sacramento costituiscono la materia, a differenza del battesimo e della cresima. 2. Le parole di papa Leone si riferiscono alla preghiera che precede l'assoluzione, ma esse non escludono l 'assoluzione sacerdotale pro­ priamente detta. 3. Solo Dio assolve e rimette i peccati in forza della sua autorità. I sacerdoti invece fanno l'una e l' altra cosa in modo rninisteriale: cioè in quanto le parole del sacerdote in questo sacramento agiscono strumentalmente, come anche negli altri sacramenti; poiché è sempre la virtù divina ad agire interionnente in tutti i segni sacramentali, siano essi cose o parole, come risulta dalle spiegazioni date. Per cui anche il Signore espresse l ' una e l'altra cosa: a Pietro infatti disse: Qualunque cosa scio­ glierai sulla terra ... (Mt 1 6, 19), mentre ai di­ scepoli disse: A chi rimetterete i peccati, sa­ ranno rimessi ( Gv 20,23). Tuttavia il sacerdo­ te dice: «Io ti assolvo», e non: «>. Ora, la ricompensa dell'opera del peni­ tente è la piena remissione dei peccati, sia quanto alla colpa che quanto alla pena: una volta raggiunta la quale non è necessario che uno insista nella penitenza esterna. Ciò non esclude però la continuità di quella penitenza di cui abbiamo parlato. 2. Del dolore e della gioia possiamo parlare in due sensi diversi. Primo, in quanto sono pas­ sioni dell' appetito sensitivo. E in questo senso non possono mai trovarsi insieme, poiché sono del tutto incompatibili: o dalla parte del­ l' oggetto, p. es. quando riguardano la stessa

Q. 84, A. 9

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Il sacramento della penitenza

secundum quod sunt passiones appetitus sen­ sitivi. Et sic nullo modo possunt esse simu1, eo quod sunt omnino contrariae, vel ex parte obiecti, puta cum sunt de eodem; vel saltem ex parte motus cordis, nam gaudium est cum di­ latatione cordis, tristitia vero cum constrictio­ ne. Et hoc modo loquitur philosophus in 9 Ethic. [4, 10]. - Alio modo loqui possumus de gaudio et tristitia secundum quod consistunt in simplici actu voluntatis, cui aliquid placet vel displicet. Et secundum hoc, non possunt habe­ re contrarietatem nisi ex parte obiecti, puta cum sunt de eodem et secundum idem. Et sic non possunt simul esse gaudium et tristitia, quia non potest simul idem secundum idem piacere et displicere. Si vero gaudium et tristi­ tia sic accepta non sint de eodem et secundum idem, sed vel de diversis vel de eodem secun­ dum diversa, sic non est contrarietas gaudii et tristitiae. Unde nihil prohibet hominem simul gaudere et tristari, puta, si videamus iustum aftligi, simu1 placet nobis eius iustitia, et displi­ cet afflictio. Et hoc modo potest alicui displice­ re quod peccavit, et piacere quod hoc ei displi­ cet cum spe veniae, ita quod ipsa tristitia sit ma­ teria gaudii. Unde et Augustinus dicit, in libro De poenitentia [De vera et falsa poenit. 1 3] ,

semper doleat poenitens, et de dolore gaudeat. - Si tamen tristitia nullo modo compateretur sibi gaudium, per hoc non tolleretur habitualis continuitas poenitentiae, sed actualis. Ad tertium dicendum quod, secundum philo­ sophum, in 2 Ethic. [6,9], ad virtutem pertinet tenere medium in passionibus. Tristitia autem quae in appetitu poenitentis sensitivo conse­ quitur ex displicentia voluntatis, passio quae­ dam est. Unde moderanda est secundum vir­ tutem, et eius superfluitas est vitiosa, quia in­ ducit in desperationem. Quod significat apo­ stolus ibidem dicens, ne maiori tristitia ab­ sorbeatur qui eiusmodi est. Et sic consolatio de qua ibi apostolus loquitur, est moderativa tristitiae, non autem totaliter ablativa.

cosa, o almeno dalla parte del moto del cuore: la gioia infatti è accompagnata dalla dilatazio­ ne del cuore, la tristezza invece dal suo restrin­ gimento. Ed è in questo senso che parla il Filosofo nel testo citato. - Secondo, possiamo parlare della gioia e del dolore in quanto si limitano al semplice atto della volontà, a cui qualcosa piace o dispiace. E in questo senso non possono avere contrarietà se non dalla parte dell'oggetto, p. es. in rapporto alla stessa cosa e sotto il medesimo aspetto. Ora, da que­ sto lato non è possibile la coesistenza della gioia e del dolore: poiché la stessa cosa sotto il medesimo aspetto non può contemporanea­ mente piacere e dispiacere. Se però la gioia e il dolore così considerati riguardano non la stessa cosa sotto il medesimo aspetto, ma cose diverse, oppure la stessa cosa sotto aspetti diversi, allora non c'è incompatibilità tra la gioia e il dolore. Quindi nulla impedisce che uno insieme goda e si addolori: se vediamo, p. es., che una persona onesta è perseguitata, pro­ viamo piacere della sua onestà e dispiacere della sua tribolazione. Ora, allo stesso modo uno può provare dispiacere di avere peccato e insieme rallegrarsi di questo dispiacere, a cui si accompagna la speranza del perdono, per cui il dolore stesso diventa oggetto di gioia. Da cui l'esortazione di Agostino: «Il penitente sempre si dolga, e goda del suo dolore». - Del resto, anche se la tristezza o dolore non fosse compatibile in alcun modo con la gioia, que­ st'u1tima eliminerebbe la continuità della peni­ tenza attuale, non di quella abituale. 3. La virtù, come spiega il Filosofo, ha il com­ pito di tenere il giusto mezzo nelle passioni. Ora la tristezza, che nell'appetito sensitivo ac­ compagna il dispiacere della volontà, è una passione. Quindi va moderata secondo la vir­ tù, e il suo eccesso è un vizio, poiché porta alla disperazione. Alla qual cosa accenna Paolo, in quel testo, con le parole: Perché egli non soc­ comba sotto un dolore troppo forte. Perciò la consolazione di cui parla Paolo modera la tri­ stezza, o dolore, ma non la elimina totalmente.

Articulus 10 Utrum sacramentum poenitentiae debeat iterari

può essere ricevuto più volte?

Ad decimum sic proceditur. Videtur quod sa­ poenitentiae non debeat iterari.

Sembra di no. Infatti: l . In Eh 6 [4.6] è detto: Quelli che sono stati

cramentum

Articolo l O

D sacramento della penitenza

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Il sacramento della penitenza

l . Dicit enim apostolus, Hebr. 6 [4.6], impossi­ bile est eos qui semel illuminati sunt, et gu­ staverunt donum caeleste, et participes facti sunt Spiritus Sancti, et prolapsi sunt, rursus renovari adpoenitentiam. Sed quicumque poe­

nituerunt, sunt illuminati, et acceperunt donum Spiritus sancti. Ergo quicumque peccat post poenitentiam, non potest iterato poenitere. 2. Praeterea, Ambrosius dicit, in libro De poe­ nitentia [2, 1 0], reperiuntur qui saepius agen­

dam poenitentiam putant. Qui lu.;ruriantur in Christo. Nam, si vere poenitentiam agerent, iterandam postea non putarent, quia, sicut unum est baptisma, ita una poenitentia. Sed

baptismus non iteratur. Ergo nec poenitentia. 3. Praeterea, miracula quibus Dominus infir­ mitates corporales sanavit, significant sanatio­ nes spiritualium infirmitatum, quibus scilicet homines liberantur a peccatis. Sed non legitur quod Dominus aliquem caecum bis illumina­ verit, vel aliquem leprosum bis mundaverit, aut aliquem mortuum bis suscitaverit. Ergo videtur quod nec alicui peccatori bis per poe­ nitentiam veniam largiatur. 4. Praeterea, Gregorius dicit, i n Homilia Quadragesimae [In Ev. h. 2,34], poenitentia

est anteacta peccata deflere, et flenda iterum non committere. Et Isidorus dicit, in libro De summo bono [Sent. 2, 16], irrisor est, et non poenitens, qui adhuc agit quod poenitet. Si

ergo aliquis vere poeniteat, iterum non pecca­ bit. Ergo non potest quod poenitentia iteretur. 5. Praeterea, sicut baptismus habet efficaciam ex passione Christi, ita et poenitentia. Sed baptismus non iteratur, propter unitatem pas­ sionis et mortis Christi. Ergo pari ratione et poenitentia non iteratur. 6. Praeterea, Gregorius [In Ps. 1 1 8, serm. 8, super v. 58] dicit, facilitas veniae incentivum praebet delinquendi. Si ergo Deus frequenter veniam praebet per poenitentiam, videtur quod ipse incentivum praebeat hominibus de­ linquendi, et sic videtur delectari in peccatis. Quod eius bonitati non congmit. Non ergo potest poenitentia iterari. Sed contra est quod homo inducitur ad miseri­ cordiam exemplo divinae misericordiae, se­ cundum illud Luc. 6 [36], estote misericordes, sicut et Pater vester misericors est. Sed Do­ minus hanc misericordiam discipulis imponit, ut saepius remittant fratribus contra se pec­ cantibus, unde, sicut dicitur Matth. 18 [21-22],

Q. 84, A. IO

una volta illuminati, che hamw gustato il do­ no celeste, che sono diventati partecipi dello Spirito Santo, se cadono è impossibile ricon­ durli a penitenza. Ora, quanti hanno fatto

penitenza sono stati illuminati, e hanno rice­ vuto i l dono dello Spiri to Santo. Quindi chiunque pecca dopo la penitenza non può pentirsi una seconda volta. 2. Ambrogio scrive: «Si trovano di quelli che ritengono di poter fare più volte penitenza. So­ no coloro che nella religione cristiana si danno ai bagordi. Se intatti essi tacessero penitenza davvero, non crederebbero di poterla reiterare: poiché come unico è il battesimo, così unica è la penitenza». Ma il battesimo non può essere ripetuto. Quindi neppure la penitenza. 3. I miracoli compiuti dal Signore per gumire le malattie del corpo stanno a significare la gua­ rigione delle malattie spirituali, cioè la purifi­ cazione dai peccati. Ora, nel Vangelo non si ri­ scontra che il Signore abbia ridato due volte la vista a un cieco, o che abbia mondato due volte lo stesso lebbroso, o risuscitato due volte un morto. Sembra quindi che a nessun peccatore sia concesso due volte il perdono dei peccati. 4. Gregorio insegna: «La penitenza consiste nel piangere i peccati commessi, e nel non più commettere cose degne di pianto». E Isidoro scrive: «E un derisore e non un penitente colui che torna a compiere ciò di cui si è pen­ tito». Se quindi uno è pentito davvero, non pecca di nuovo. Quindi la penitenza non può essere reiterata. 5. La penitenza deve la sua efficacia alla passio­ ne di Cristo, come il battesimo. Ma il battesimo non può essere ripetuto per l'unità della passio­ ne e della morte di Cristo. Quindi per lo stesso motivo non si può ripetere la penitenza. 6. Ambrogio scrive: «La facilità del perdono è un incentivo a peccare». Se quindi Dio offrisse spesso il perdono attraverso la peni­ tenza, darebbe egli stesso agli uomini un incentivo a peccare: e così mostrerebbe di gradire il peccato. n che è incompatibile con la sua bontà. Perciò la penitenza non può essere ripetuta. In contrario: l'uomo è indotto alla misericor­ dia dall'esempio della misericordia di Dio, se­ condo le parole: Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro (Le 6,36). Ora, il Signore impone ai discepoli una misericor­ dia che spinge a perdonare più volte i fratelli

Q. 84, A. l O

Il sacramento della penitenza

quoties peccaverit in me fra­ ter meus, dimittam ei usque septies? Respon­ dit Iesus, non dico tibi usque septies, sed usque septuagesies septies. Ergo etiam Deus

Petro quaerenti,

saepius per poenitentiam veniam peccantibus praebet, praesertim cum doceat nos petere [Matth. 6, 1 2] , dimitte nobis debita nostra

sicut et nos dimittimus debitoribus nostris.

Respondeo dicendum quod circa poenitentiam erraverunt quidam dicentes non posse homi­ nem per poenitentiam secundo consequi veniam peccatorum. Quorum quidam, scilicet Novatiani, hoc in tantum extenderunt quod dixerunt post primam poenitentiam quae agitur in baptismo, peccantes non posse per poenitentiam iterato restituì. - Alii vero fue­ runt haeretici, ut Augustinus dicit, in libro De poenitentia [De vera et falsa poenit. 5], qui post baptismum dicebant quidem esse utilem poenitentiam, non tamen pluries, sed semel tantum. - Videntur autem huiusmodi errores ex duobus processisse. Primo quidem, ex eo quod errabant circa rationem verae poeniten­ tiae. Cum enim ad veram poenitentiam caritas requiratur, sine qua non delentur peccata, credebant quod caritas semel habita non possit amitti, et per consequens quod poenitentia, si sit vera, nunquam per peccatum tollatur, ut sit necesse eam iterari. - Sed hoc improbatum est in secunda parte [II-II q. 24 a. 1 1], ubi osten­ sum est quod caritas semel habita, propter li­ bertatem arbitrii, potest amitti; et per conse­ quens post veram poenitentiam potest aliquis peccare mortaliter. - Secundo, ex eo quod errabant circa aestimationem gravitatis pec­ cati. Putabant enim adeo grave esse peccatum quod aliquis committit post veniam impetra­ tam, quod non sit possibile ipsum remitti. In quo quidem errabant et ex parte peccati, quod, etiam post remissionem consecutam, potest esse et gravius et levius etiam quam fuerit ipsum primum peccatum remissum, et multo magis contra intinitatem divinae misericor­ diae, quae est super omnem numerum et magnitudinem peccatorum, secundum illud Psalmi [50,3], misere1-e mei, Deus, secundum

magnam misericordiam tuam, et secundum multitudinem miserationum tuarum, de/e iniquitatem meam. Unde reprobatur verbum Caini dicentis, Gen. 4 [ 1 3], maior est iniquitas mea quam ut veniam merear. Et i deo misericordia Dei peccantibus per poenitentiam

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che peccano contro di loro. Infatti a Pietro il quale chiedeva: Quante volte dovrò perdona­

re al mio fratello, se pecca contro di me ? Fino a sette volte ?, Gesù rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,21). Perciò anche Dio offre più volte il perdono ai peccatori con la penitenza; soprat­ tutto quando ci esorta a chiedere: Rimetti a

noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori [Mt 6, 1 2] . Risposta: a proposito della penitenza alcuni hanno errato aftennando che con essa l'uomo non può ottenere una seconda volta il perdono dei peccati. Alcuni di costoro, cioè i Novazia­ ni, arrivarono al punto di insegnare che dopo la prima penitenza che si compie nel battesi­ mo il peccatore non può più risorgere median­ te la penitenza. - Ci furono invece altri eretici, come riferisce Agostino, i quali ammettevano l'utilità della penitenza dopo i l battesimo, però non più di una volta. - Ora, questi errori sem­ bra che siano derivati da due motivi. Primo, dal fatto che costoro si i ngannavano sulla natura della vera penitenza. Includendo infatti quest'ultima la carità, senza della quale non c'è remissione dei peccati, essi credevano che, una volta avuta la carità, questa non potesse mai essere perduta: per cui anche la penitenza, se è vera, non sarebbe mai tolta dal peccato, così da doversi necessariamente reiterare. Ma questo errore è stato già confutato nella Seconda Patte, dove abbiamo dimostrato che la carità posseduta può essere perduta per l ' instabilità del libero arbitrio: per cui anche dopo una vera penitenza uno può peccare mortalmente. - Secondo, dal fatto che si ingannavano nel valutare la gravità del pecca­ to. Pensavano infatti che il peccato commesso dopo il perdono ottenuto fosse così grave da non poter essere rimesso. E in ciò si inganna­ vano sia relativamente al peccato, il quale anche dopo i l perdono ottenuto può essere più grave o meno grave del primo peccato rimes­ so, sia, e più ancora, riguardo all'infinità della misericordia divina, che è sopra ogni numero e grandezza dei peccati, secondo l'espressione del Sal 50 [3]: Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nel tuo grande amore can­ cella il mio peccato. Da cui la riprovazione delle parole di Caino ( Gen 4, 1 3) : La mia colpa è troppo grande per ottenere perdono.

Quindi la misericordia di Dio è offerta ai pec-

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Il sacramento della penitenza

Q. 84, A. lO

veniam praebet absque ullo tennino. Unde di­ citur 2 Parai. ult. [cf. Orat. Manasse 6], im­

catori senza alcuna limitazione. Per cui è detto: Immensa e insondabile è la misericor­

mensa et investigabilis misericordia promis­ sionis tuae super malitias hominum. Unde

dia della tua promessa circa i peccati degli uomini. Perciò è evidente che la penitenza può

manifestum est quod poenitentia est pluries iterabilis. Ad primum ergo dicendum quod, quia apud ludaeos erant secundum legem quaedam lavacra instituta, quibus pluries se ab immun­ ditiis purgabant [Lev. 1 5; Mare. 7,3], crede­ bant aliqui ludaeorum quod etiam per Iava­ crum baptisrni aliquis pluries purificari possit. Ad quod excludendum, apostolus scribit Hebraeis quod impossibile est eos qui seme! sunt illuminati, scilicet per baptismum, rursum renovari ad poenitentiam, scilicet per baptismum, qui est lavacrum regenerationis et renovationis Spiritus Sancti, ut dicitur ad Tit. 3 [5]. Et rationem assignat ex hoc quod per baptismum homo Christo commoritur, unde sequitur [Hebr. 6,6], rursum crucifigen­

essere ripetuta più volte. Soluzione delle difficoltà: l . Dato che presso i Giudei esistevano delle abluzioni istituite dal­ la legge con le quali essi si purificavano ripe­ tutamente dalle loro impurità, alcuni Giudei credevano che ci si potesse purificare più volte anche con l'abluzione del battesimo. Per dissipare dunque questo errore nella lettera agli Ebrei sta scritto che è impossibile ricon­

tes in semetipsis Filium Dei.

Ad secundum dicendum quod Ambrosius loquitur de poenitentia solemni, quae in Ec­ clesia non iteratur, ut infra [S . q. 28 a. 2] dicetur. Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro De poenitentia [De vera et falsa poenit. 5], multos caecos in diverso tempore

Dominus illuminavi!, et multos debiles con­ fortavi!, ostendens in diversis illis eadem saepe peccata dimitti, ut quem prius sanavit leprosum, alio tempore illuminar caecum. Ideo enim tot sanavit caecos, claudos et aridos, ne desperet saepe peccator. Ideo non scribitur aliquem nisi seme[ sanasse, ut quisque timeat se iungi peccato. Medicum se vocat, et non sanis, sed male habentibus op­ portunum, sed qualis hic medicus qui malum iteratum nesciret curare ? Medicorum enim est centies infi17nttm centies curare. Qui ce­ teris minor esset, si a/ii possibilia ignorare!. Ad quartum dicendum quod poenitere est anteacta peccata detlere et tlenda non com­ mittere simul dum jlet, vel actu vel proposito. Ille enim est irrisor et non poenitens qui, simul dum poenitet, agit quod poenitet, pro­ ponit enim iterum se facturum quod gessit, vel etiam actualiter peccat eodem vel alio genere peccati. Quod autem aliquis postea peccat, vel actu vel proposito, non excludit quin prima poenitentia vera fuerit. Nunquam

durre di nuovo a penitenza coloro i quali furono una volta illuminati mediante il batte­ simo, il quale è un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo (Tt 3,5).

E se ne assegna la ragione dal fatto che con il battesimo l'uomo muore insieme con Cristo. Per cui si aggiunge: Crocifiggendo di nuovo in se stessi il Figlio di Dio [Eh 6,6]. 2. Ambrogio parla in quel testo della peniten­ za pubblica o solenne, che la Chiesa non usa ripetere, come vedremo. 3. Come spiega Agostino, «il Signore rese la vista a molti ciechi e guarì molti storpi in tempi diversi per mostrare in questa moltepli­ cità che spesso sono rimessi anche gli stessi peccati: per cui illumina quel cieco che prima aveva sanato dalla lebbra. Guarì dunque tanti ciechi, zoppi e paralitici perché il peccatore non abbia a disperarsi. E d'altra parte non si legge che abbia guarito qualcuno più di una volta, affinché tutti temano di contaminarsi col peccato. Egli si dà 1' appellativo di medico, e dice di essere venuto non per i sani, ma per i malati: e tuttavia che medico sarebbe, se non sapesse curare il male più di una volta? Infatti è proprio dei medici curare cento volte chi cento volte si ammala. Ora, egli sarebbe un medico meno capace se non sapesse fare ciò che è possibile agli altri». 4. Fare penitenza significa piangere i peccati commessi e non commettere in atto o nell'in­ tenzione, mentre le si piangono, cose degne di pianto. Poiché è derisore e non penitente colui che mentre si pente compie ciò di cui si pente: infatti egli si propone di compiere ciò che ha già compiuto, oppure anche cade attualmente in un peccato dello stesso o di un altro genere. Il fatto invece che in seguito uno pecchi, sia con l'atto che con il desiderio, non esclude che

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Il sacramento della penitenza

Q. 84, A. 1 0

enim veritas prioris actus excluditur per acturn contrarium subsequentem, sicut enim vere cucurrit qui postea sedet, ita vere poenituit qui postea peccat. Ad quintum dicendum quod baptismus habet virtutem ex passione Christi sicut quaedam spiritualis regeneratio, cum spirituali morte praecedentis vitae. Statutum est autem hominibus seme/ mori, et semel nasci. Et ideo semel tantum debet homo baptizari . Sed poenitentia habet virtutem ex passione Christi sicut spiritualis medicatio, quae frequenter iterari potest. Ad sextum dicendum quod Augustinus, in libro De poenitentia [De vera et falsa poenit. 5], dicit quod constar Deo multum displicere

peccata, qui semper praesto est ea destruere, ne solvatur quod creavit, ne corrumpatur quod amavit, scilicet per desperationem.

QUAESTIO

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la penitenza precedente fosse sincera, poiché la sincerità di un atto precedente non è mai esclu­ sa dall' atto contrario successivo: come infatti corre realmente chi poi si siede, così può pen­ tirsi veramente chi poi ricade nel peccato. 5. n battesimo riceve dalla passione di Cristo la virtù di produrre una rigenerazione spiri­ tuale, con la morte spirituale alla vita prece­ dente. Ora, è stabili/o per gli uomini che muoiano una sola volta [Eb 9,27], e che na­ scano una sola volta. Per questo l' uomo può essere battezzato una sola volta. La penitenza invece riceve dalla passione di Cristo la virtù propria di una medicina spirituale, che può essere somministrata più volte. 6. Agostino nota che «a Dio dispiacciono tanto i peccati proprio per il fatto che è sem­ pre pronto a distruggerli, affinché non vada in rovina ciò che ha creato, e non si corrompa», per la disperazione, «ciò che ha amato».

QUESTIONE

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DE POENITENTIA SECUNDUM QUOD EST VIRTUS

LA PENITENZA IN QUANTO È UNA VIRTÙ

Deinde considerandum est de poenitentia se­ cundum quod est virtus. - Et circa hoc quae­ runtur sex. Primo, utrum poenitentia sit virtus. Secundo, utrum sit virtus specialis. Tertio, sub qua specie virtutis contineatur. Quarto, de subiecto eius. Quinto, de causa ipsius. Sexto, de ordine eius ad alias virtutes.

Passiamo ora a considerare la penitenza in quanto è una virtù. - In proposito tratteremo sei ,argomenti: l . La penitenza è una virtù? 2. E una virtù specificamente distinta? 3. In quale virtù specifica rientra? 4. Dove risiede? 5. Quale ne è la causa? 6. n suo rapporto con le altre virtù.

Articulus l

Articolo l

Utrum poenitentia sit virtus

La penitenza è una virtù?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod poe­ nitentia non sit virtus. l . Poenitentia enim est quoddam sacramen­ tum aliis sacramentis connumeratum, ut ex supra [q. 65 a. l ; q. 84 a. l ] dictis patet. Sed nullum aliud sacramentorum est virtus. Ergo neque poenitentia est virtus. 2. Praeterea, secundum philosophum, in 4 Ethic. [9, 1 ] , verecundia non est virtus, tum quia est passio habens corporalem immuta­ tionem; tum etiam quia non est dispositio pelfecti, cum sit de turpi acto, quod non habet locum in homine virtuoso. Sed similiter poe­ nitentia est quaedam passio habens corpora­ lem immutationem, scilicet ploratum, sicut

Sembra di no. Infatti: l . La penitenza è uno dei sette sacramenti, come si è visto sopra. Ora, nessun altro sacra­ mento è una virtù. Quindi non lo è neppure la penitenza. 2. Secondo il Filosofo la vergogna non può essere detta una virtù, sia perché è una passio­ ne implicante un' alterazione fisiologica, sia perché non è una «disposizione di chi è per­ fetto», in quanto nasce in rapporto ad atti tur­ pi, che non possono trovarsi in un uomo vir­ tuoso. Ma anche la penitenza è una passione accompagnata da un' alterazione fisiologica, cioè dal pianto, secondo le parole di Grego­ rio: «Fare penitenza significa piangere i pec-

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La penitenza in quanto è una virtù

Gregorius dicit [In Ev. h. 2,34] quod poenite­ Est etiam de turpibus factis, scilicet de peccatis, quae non habent locum in homine virtuoso. Ergo poenitentia non est virtus. 3 . Praeterea, secundum philosophum, i n 4 Ethic. [3,3], nullus est stultus eorum qui sunt secundum virtutem. Sed stultum videtur do­ lere de commisso praeterito, quod non potest non esse, quod tamen pertinet ad poeniten­ tiam. Ergo poenitentia non est virtus. Sed contra est quod praecepta legis dantur de actibus virtutum, quia legislator intendit cives facere virtuosos, ut dicitur in 2 Ethic. [ l ,5]. Sed praeceptum divinae legis est de poenitentia, se­ cundum illud Matth. 3 [2], poenitentiam agite, et cetera. Ergo poerùtentia est virtus. Respondeo dicendum quod, sicut ex dictis [q. 84 a. 8; a. l O ad 4] patet, poenitere est de aliquo a se prius facto dolere. Dictum est autem supra [q. 84 a. 9 ad 2] quod dolor vel tristitia dupli­ citer dicitur. Uno modo, secundum quod est passio quaedam appetitus sensitivi. Et quantum ad hoc, poenitentia non est virtus, sed passio. Alio modo, secundum quod consistit in volun­ tate. Et hoc modo est cum quadam electione. Quae quidem si sit recta, necesse est quod sit actus virtutis, dicitur erùm in 2 Ethic. [6, 1 5] quod virtus est habitus electivus secundwn ra­ tionem rectam. Pertinet autem ad rationem rectam quod aliquis doleat de quo dolendum est. Quod quidem observatur in poenitentia de qua nunc loquimur, nam poenitens assumit moderatum dolorem de peccatis praeteritis, cum intentione removendi ea. Unde mani­ festum est quod poenitentia de qua nunc lo­ quimur, vel est virtus, vel actus virtutis. Ad primum ergo dicendum quod, s i c u t dictum es t [q. 84 a . l ad 1 -2; aa . 2.7], in sa­ cramento poenitentiae materialiter se habent actus humani, quod non contingit in baptismo vel confirmatione. Et ideo, cum virtus sit principium alicuius actus, potius poenitentia est virtus, vel cum virtute, quam baptismus vel confirmatio. Ad secundum dicendum quod poenitentia, secundum quod est passio, non est virtus, ut dictum est [in co.]. Sic autem habet corpora­ lem transmutationem adiunctam. Est autem virtus secundum quod habet ex parte volunta­ tis electionem rectam. - Quod tamen magis potest dici de poenitentia quam de verecun-

re est peccata praeterita piangere.

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cati commessi». Inoltre ha per oggetto delle azioni vergognose, cioè i peccati, che non possono riscontrarsi in un uomo virtuoso. Quindi la penitenza non è una virtù. 3. TI Filosofo afferma che «nessuno è stolto tra le persone virtuose». D' altra pmte sembra da stolti il dolersi di ciò che si è commesso in passato, poiché il passato non può non essere: il che invece appmtiene alla perùtenza. Perciò la penitenza non è una virtù. In contrario: i precetti della legge hanno per oggetto gli atti delle virtù: poiché, come dice il Filosofo, «il legislatore tende a rendere vir­ tuosi i cittadini». Ora, un precetto della legge di Dio riguarda la penitenza: Fate penitenza ... (Mt 3,2). Quindi la penitenza è una virtù. Risposta: come si è già visto, fare perùtenza significa dolersi di un' azione propria com­ messa precedentemente. Abbiamo però anche detto che il dolore, o tristezza, si presenta sotto due aspetti. Primo, quale passione del­ l' appetito sensitivo. E da questo lato la perù­ tenza non è una virtù, ma una passione. - Se­ condo, quale atto della volontà. E sotto questo aspetto essa è dovuta a una certa scelta. Scelta che necessariamente è un atto di virtù, quan­ do è retta: poiché, come insegna Aristotele, la virtù è «un abito elettivo confonne alla retta ragione». Ora, spetta alla retta ragione far sì che uno si addolori di ciò di cui si deve dole­ re. Ed è appunto ciò che si riscontra nella penitenza di cui parliamo: infatti il perùtente concepisce un dolore ragionevole dei peccati commessi, con l ' i ntenzione di rimuoverli . Perciò è evidente che la penitenza di cui par­ liamo o è una virtù, oppure è un atto di virtù. Soluzione delle difficoltà: l . Nel sacramento della perùtenza, come si è notato sopra, gli atti umani costituiscono la materia: il che non avviene nel battesimo o nella cresima. Essen­ do quindi la virtù principio di atti umani, la perùtenza, a preferenza del battesimo o della cresima, o è una virtù, oppure si accompagna a una virttl. 2. La penitenza in quanto passione non è una virtù, come si è detto. Ora, è così che essa implica un' alterazione fisiologica. È invece una virtù in quanto implica, quale atto della volontà, una scelta retta. - E ciò può dirsi più della perùtenza che della vergogna. Quest' ulti­ ma infatti riguarda un' azione turpe attuale, mentre la perùtenza riguarda un'azione turpe

La penitenza in quanto è una virtù

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dia. Nam verecundia respicit turpe facturn ut praesens , poenitentia vero respicit turpe factum ut praeteritum. Est autem contra per­ fectionem virtutis quod aliquis in praesenti habeat turpe factum, de quo oporteat eum ve­ recundari. Non autem est contra perfectionem virtutis quod aliquis prius commiserit turpia facta, de quibus oporteat eum poenitere, cum ex vitioso fiat aliquis virtuosus. Ad tertium dicendum quod dolere de eo quod prius factum est cum hac intentione conandi ad hoc quod factum non fuerit, esset stultum. Hoc autem non intendit poenitens, sed dolor eius est displicentia seu reprobatio facti prae­ teriti cum intentione removendi sequelam ip­ sius, scilicet offensam Dei et reatum poenae. Et hoc non est stultum.

già passata. Ora, è incompatibile con la perfe­ zione della virtù che uno abbia attualmente un agire turpe, di cui si è costretti a vergognarsi, mentre non è incompatibile con la perfezione della virtù il fatto che nel passato uno abbia commesso delle azioni turpi di cui debba fare penitenza, quando da vizioso diventa virtuoso. 3. Addolorarsi del passato con l'intenzione di voler far sì che non sia avvenuto sarebbe certa­ mente una stoltezza. Ma il penitente non mira a questo, poiché il suo dolore è il dispiacere del passato con l'intenzione di eliminarne le conseguenze, cioè l' offesa di Dio e il debito della pena. E questa non è una stoltezza.

Articulus 2 Utrum poenitentia sit specialis virtus

Articolo 2 La penitenza è una virtù specificamente distinta?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod poenitentia non sit specialis virtus. l . Eiusdem enim rationis videtur esse gaudere de bonis prius actis, et dolere de malis perpe­ tratis. Sed gaudium de bono prius facto non est specialis virtus, sed est quidam affectus /auda­ bilis ex caritate proveniens, ut patet per Augu­ stinum, 14 De civ. Dei [9], unde et apostolus, l Cor. 13 [6], dicit quod caritas non gaudet su­ per iniquitate, congaudet autem veritati. Ergo pari ratione poenitentia, quae est dolor de peccatis praeteritis, non est specialis virtus, sed est quidam affectus ex caritate proveniens. 2. Praeterea, quaelibet virtus specialis habet materiam specialem, quia habitus distin­ guuntur per actus, et actus per obiecta. Sed poenitentia non habet materiam specialem, sunt enim eius materia peccata praeterita circa quamcumque materiam. Ergo poenitentia non est specialis virtus. 3 . Praeterea, nihil expellitur nisi a suo con­ trario. Sed poenitentia expellit omnia peccata. Ergo contrariatur omnibus peccatis. Non est ergo specialis virtus. Sed contra est quod de ea datur speciale legis praeceptum, ut supra [a. l s. c.] habitum est. Respondeo dicendum quod, sicut in secunda parte [1-11 q . 54 aa. 2-3 ; 11-11 q . 58 a. l ] habitum est, species habituum distinguuntur secundum species actuum, et ideo ubi occurrit

Sembra di no. Infatti: l . Godere del bene fatto e dolersi del male commesso sono atti della stessa natura. Ora, la gioia per il bene compiuto non è una virtù spe­ cificamente distinta, ma tra le parti della giustizia. Quindi la peni­ tenza è tra le specie della giustizia. Risposta: come si è già notato, la penitenza deve la sua natura di virtù speciale non solo al fatto che uno si pente del male commesso, perché allora basterebbe la carità, ma al fatto che il penitente si pente del peccato commes­ so in quanto è offesa di Dio, col proposito di riparare. Ora, la riparazione di un'offesa non si ha con la sola cessazione dell'offesa, ma esige anche un certo compenso, il quale si riscontra nelle offese verso gli altri, come anche la retribuzione: solo che il compenso viene dalla parte di colui che ha offeso, p. es. mediante la soddisfazione, mentre la retribu­ zione viene dalla parte di colui che ha ricevu­ to l'offesa. Ma l 'uno e l'altra sono materia della giustizia: poiché sono ambedue delle commutazioni. Perciò è evidente che la peni­ tenza in quanto virtù è tra le parti della giusti­ zia. - Si deve però ricordare che, secondo il Filosofo, esistono due tipi di giustizia: quella assoluta e quella relativa [secundum quid]. La prima è quella esistente tra uguali: poiché la giustizia è una certa uguaglianza. Ed egli la denomina «giustizia politica», o «civile»: poi­ ché tutti i cittadini sono uguali in quanto per­ sone libere, soggette immediatamente al prin-

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La penitenza in quanto è una virtù

autem secundum quid dicitur quod est inter illos quorum unus est sub potestate alterius, sicut servus sub Domino, filius sub patre, uxor sub viro. Et tale iustum consideratur in poe­ nitentia. Unde poenitens recurrit ad Deum, cum emendationis proposito, sicut servus ad dominum, secundum illud Psalmi [ 1 22,2],

sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum, ira oculi nostri ad Dominum Deum nostrum, donec misereatur nostri; et sicut filius ad patrem, secundum illud Luc. 15 [ 1 8], Pater, peccavi in caelum et coram te; et sicut uxor ad virum, secundum illud Ier. 3 [1],for­ nicata es cum amatoribus multis, tamen revenere ad me, dicit Dominus. Ad primum ergo dicendum quod, sicut in 5 Ethic. [ 1,15] dicitur, iustitia est ad alterum. llle autem ad quem est iustitia, non dicitur esse materia iustitiae, sed magis res quae distri­ buuntur vel commutantur. Unde et materia poenitentiae non est Deus, sed actus humani quibus Deus offenditur vel placatur, sed Deus se habet sicut ille ad quem est iustitia. Ex quo patet quod poenitentia non est virtus theologi­ ca, quia non habet Deum pro materia vel pro obiecto. Ad secundum dicendum quod medium iusti­ tiae est aequalitas quae constituitur inter illos inter quos est iustitia, ut dicitur in 5 Ethic. [5, 17] . In quibusdam autem non potest per­ fecta aequalitas constitui, propter alterius ex­ cellentiam, sicut inter filium et patrem, inter hominem et Deum, ut philosophus dicit, in 8 Ethic. [ 1 4,4] . Unde in talibus i lle qui est deficiens, debet facere quidquid potest, nec tamen hoc erit sufficiens, sed solum secundum acceptationem superioris. Et hoc significatur per excessum qui attribuitur poenitentiae. Ad tertium dicendum quod, sicut est commu­ tati o quaedam in beneficiis, cum scilicet aliquis pro beneficio recepto gratiam rependit, ita etiam est commutatio i n offensis, cum aliquis pro ofì'ensa in alterum commissa vel invitus punitur, quod pertinet ad vindicativam iustitiam; vel voluntarie recompensat emen­ dam, quod pertinet ad poenitentiam, quae respicit personam peccatoris sicut iustitia vin­ dicativa personam iudicis. Unde manifestum est quod utraque sub iustitia commutativa continetur. Ad quartum dicendum quod poenitentia, licet directe sit species iustitiae, comprehendit

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cipe. - Si ha invece una giustizia secundum quid tra coloro che sono sottoposti l'uno al­ l' altro: come tra schiavo e padrone, tra figlio e padre, tra moglie e marito. E questa è appunto la giustizia che si riscontra nella penitenza. Infatti il penitente ricorre a Dio col proposito di riparare come lo schiavo ricorre al padrone, secondo le parole del Sal 122 [2]: Come gli

occhi dei servi alla mano dei loro padroni, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio; oppure come il figlio al padre, come è detto in Le 1 5 [ 1 8] : Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; oppure come la moglie al marito, come è detto in Ger 3 [ 1 ] : 1i sei disonorata con molti amanti, ma torna pure a me, dice il Signore.

Soluzione delle difficoltà: l . La giustizia, come spiega Aristotele, «dice relazione ad altri». Ora, colui al quale si riferisce la giustizia non si dice che è la materia di questa virtù, ma la materia di essa è data piuttosto dalle cose che sono distribuite o commutate. Quindi anche la materia della penitenza non è Dio, bensì gli atti umani che offendono o placano Dio; Dio è invece nella condi,zione di colui al quale la giu­ stizia si riferisce. E quindi evidente che la peni­ tenza non è una virtù teologale, non avendo Dio per materia, ossia per oggetto. 2. n giusto mezzo della giustizia consiste nel­ l' uguaglianza che deve essere stabilita fra coloro in cui si riscontra un rapporto di giusti­ zia, come dice Aristotele. Ma tra certe perso­ ne non si può riscontrare una perfetta ugua­ glianza, per l'eccellenza di una di esse: p. es., come spiega il Filosofo, tra il figlio e il padre, o tra l' uomo e Dio. In questi casi dunque l' in­ feriore deve fare tutto quello che può, e tutta­ via ciò non sarà sufficiente se non in base all'accettazione del superiore. E ciò è indicato dall'eccesso che è attribuito alla penitenza. 3. Come c'è un contraccambio nei benefici, quando cioè per un beneficio ricevuto uno accorda una grazia, così c'è anche un contrac­ cambio nelle offese: come quando per un' of­ fesa arrecata uno è punito contro la sua volon­ tà, il che spetta alla giustizia vendicativa, op­ pure dà volontruiamente una Iicompensa per il castigo meritato, il che spetta alla penitenza, che riguarda la persona del peccatore come la giustizia vendicativa riguarda la persona del giudice. Perciò è evidente che entrambe rien­ trano nella giustizia commutativa.

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La penitenza in quanto è una virtù

tamen quodammodo ea quae pertinent ad omnes virtutes. Inquantum enim est iustitia quaedam hominis ad Deum, oportet quod participet ea quae sunt virtutum theologica­ rum, quae habent Deum pro obiecto. Unde poenitentia est cum fide passionis Christi, per quam iustificamur a peccatis; et cum spe ve­ niae; et cum odio vitiorum, quod pertinet ad caritatem. - Inquantum vero est virtus moralis, participat aliquid pmdentiae, quae est directiva omnium virtutum moralium. - Sed ex ipsa ra­ tione iustitiae non solum habet id quod iu­ stitiae est, sed etiam ea quae sunt temperantiae et fortitudinis, inquantum scilicet ea quae de­ lectationem causant ad temperantiam perti­ nentem, vel terrorem incutiunt, quem fortitudo moderatur, in commutationem iustitiae ve­ niunt. Et secundum hoc ad iustitiam pertinet et abstinere a delectabilibus, quod pertinet ad temperantiam; et sustinere dura, quod pertinet ad fortitudinem.

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4. La penitenza, sebbene direttamente sia tra le specie della giustizia, tuttavia abbraccia in qual­ che modo tutte le virtù. Poiché in quanto è giu­ stizia verso Dio viene necessariamente a parte­ cipare certi aspetti delle virtù teologali, che hanno Dio per oggetto. Per cui la penitenza è accompagnata dalla fede nella passione di Cristo, per cui siamo giustificati dal peccato, dalla speranza nel perdono, e infine dall'odio del peccato, che fa parte della carità. - Invece in quanto virtù morale ha una certa partecipazione della pmdenza, che ha il compito di dirigere tutte le virtù morali. - Ma anche sotto l'aspetto stesso della giustizia la penitenza non ha solo i compiti della giustizia, bensì anche quelli della temperanza e della fortezza: poiché quanto pro­ duce il piacere ed è oggetto della temperanza, e quanto incute timore ed è regolato dalla fortez­ za, diventa materia di commutazione, ossia di giustizia. E sotto questo aspetto rientra nella giustizia sia l'astenersi dai piaceri, che è compi­ to della temperanza, sia il sopportare le soffe­ renze, che è compito della fortezza.

Articulus 4 Utrum subiectum poenitentiae sit proprie voluntas

n soggetto proprio della penitenza

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod subiectum poenitentiae non sit proprie voluntas. l . Poenitentia enim est tristitiae species. Sed tristitia est in concupiscibili, sicut et gaudium. Ergo poenitentia est in concupiscibili. 2. Praeterea, poenitentia est vindicta quae­ dam, ut Augustinus dicit, in libro De poeni­ tentia [De vera et falsa poenit. 8]. Sed vindic­ ta videtur ad irascibilem pertinere, quia ira est appetitus vindictae. Ergo videtur quod poeni­ tentia sit in irascibili. 3. Praeterea, praeteritum est proprium obiectum memoriae, secundum philosophum, in libro De memoria [ l ] . Sed poenitentia est de prae­ terito, ut dictum est [a. l ad 2-3]. Ergo poeni­ tentia est in memoria sicuti in subiecto. 4. Praeterea, nihil agit ubi non est. Sed poeni­ tentia excludit peccata ab omnibus viribus animae. Ergo poenitentia est in qualibet vi animae, et non in voluntate tantum. Sed contra, poenitentia est sacrificium quod­ dam, secundum illud Psalmi [50,1 9], sacrifi­ cium Deo spiritus contribulatus. Sed offerre sacrificium est actus voluntatis, secundum

Sembra di no. Infatti: l . La penitenza è una specie di tristezza. Ma la tristezza, al pari della gioia, risiede nel con­ cupiscibile. Quindi la penitenza risiede nel concupiscibile. 2. Agostino scrive che la penitenza «è una forma di vendetta». Ora, la vendetta sembra appartenere all'irascibile, poiché l'ira è «una brama di vendetta>>. Quindi sembra che la penitenza sia nell'irascibile. 3. n passato è l'oggetto proprio della memoria, come insegna il Filosofo. Ma, stando alle spie­ gazioni date, la penitenza ha di mira il passato. Perciò la penitenza risiede nella memoria. 4. Nessuna cosa può agire dove non si trova. Ora, la penitenza esclude il peccato da tutte le facoltà dell'anima. Essa quindi non risiede solo nella volontà, ma in tutte le facoltà del­ l'anima. In contrario: la penitenza è una specie di sa­ crificio, secondo le parole del Sal 50 [ 1 9]: Uno spirito contrito è sacrificio a Dio. Ma l'offerta del sacrificio è un atto della volontà, secondo il Sal 53 [8]: Volontariamente ti offri-

Articolo 4

è la volontà?

La penitenza in quanto è una virtù

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illud Psalmi [5 3,8], voluntarie sacrificabo tibi. Ergo poenitentia est in voluntate. Respondeo dicendum quod de poenitentia dupliciter loqui possumus. Uno modo, secun­ dum quod est passio quaedam. Et sic, cum sit species tristitiae, est in concupiscibili sicut in subiecto. Alio modo, secundum quod est vir­ tus. Et sic, sicut dictum est [a. 3], est species iustitiae. Iustitia autem, ut in secunda parte [II-II q. 58 a. 4; I-II q. 56 a. 6] dictum est, habet pro subiecto appetitum rationis, qui est voluntas. Unde manifestum est quod poeni­ tentia, secundum quod est virtus, est in volun­ tate sicut in subiecto. Et proprius eius actus est propositum emendandi Deo quod contra eum commissum est. Ad primum ergo dicendum quod ratio illa pro­ cedit de poenitentia secundum quod est passio. Ad secundum dicendum quod vindictam expe­ tere ex passione de alio pertinet ad irascibilem. Sed appetere vel tacere vindictam ex ratione de se vel de alio, pertinet ad voluntatem. Ad tertium dicendum quod memoria est vis apprehensiva praeteriti. Poenitentia autem non pertinet ad vim apprehensivam, sed ad appetitivam, quae praesupponit actum appre­ hensivae. Unde poenitentia non est in memo­ ria, sed supponi t eam. Ad quartum dicendum quod voluntas, sicut in prima parte [q. 82 a. 4; l-II q. 9 a. l ] habitum est, movet omnes alias potentias animae. Et ideo non est inconveniens si poenitentia, in voluntate existens, aliquid in singulis potentiis animae operatur.

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Quindi la penitenza risiede nella volontà. Risposta: due sono i sensi in cui possiamo parlare di penitenza. Primo, in quanto è una passione. E in questo senso essa è tra le spe­ cie della tristezza e risiede nel concupiscibile. Secondo, in quanto è una virtù. E in quest'al­ tro senso, come si è visto, è tra le specie della giustizia. Ora la giustizia, come si è notato nella Seconda Pane, risiede nell'appetito del­ la ragione, che è la volontà. Perciò è evidente che la penitenza, in quanto è una virtù, risiede nella volontà. E il suo atto proprio è il propo­ sito di correggere per Dio quanto si è com­ messo contro di lui. Soluzione delle difficoltà: l . L' argomento si riferisce alla penitenza in quanto passione. 2. Bramare la vendetta contro qualcuno appar­ tiene all' irascibile, ma desiderare e compiere la vendetta contro se stessi, o contro altri, mossi dalla ragione, appartiene alla volontà. 3. La memoria è la facoltà che conosce il pas­ sato. Ora, la penitenza non appartiene alle facoltà conoscitive, ma a quelle appetitive, che presuppongono la conoscenza. Quindi la penitenza non risiede nella memoria, ma la presuppone. 4. La volontà, come si è visto nella Prima Pane, muove tutte le altre potenze dell' anima. Perciò nulla i mpedisce che la penitenza, avendo sede nella volontà, influisca su ciascu­ na delle facoltà dell'anima.

rò un sacrificio.

Articulus 5

Articolo 5

Utrum principium poenitentiae sit ex timore

La penitenza deriva dal timore?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod prin­ cipium poenitentiae non sit ex timore. l . Poenitentia enim incipit in displicentia pec­ catorum. Sed hoc pertinet ad caritatem, ut su­ pra [a. 2 ad l ; a. 3] dictum est. Ergo poeniten­ tia magis oritur ex amore quam ex timore. 2. Praeterea, ad poenitentiam homines provo­ cantur per expectationem regni caelestis, secundum illud Matth. 4 [ 17] [3,2], poeniten­

Sembra di no. Infatti: l . La penitenza ha inizio con il pentimento dei peccati. Ma questo appartiene alla carità, come si è detto sopra. Quindi la penitenza nasce più dall'amore che dal timore. 2. Gli uomini sono spinti alla penitenza dal­ l'attesa del regno dei cieli, secondo le parole di Mt 4 [ 17] : Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino. Ora, il regno dei cieli è oggetto della speranza. Quindi la penitenza deriva più dalla speranza che dal timore. 3 . n timore è uno degli atti interni dell'uomo. La penitenza i nvece sembra un' opera non

tiam agite, appropinquabit enim regnum cae­ lorum. Sed regnum caelorum est obiectum

spei. Ergo poenitentia magis procedit ex spe quam ex timore.

Q. 85, A. 5

La penitenza in quanto è una virtù

3 . Praeterea, timor est interior actus hominis. Poenitentia autem non videtur esse ex opere ho­ minis, sed ex opere Dei, secundum illud Ier. 3 1 [ 1 9], postquam convertisti me, egi poeniten­ tiam. Ergo poenitentia non procedit ex timore. Sed contra est quod Is. 26 [ 1 7] dicitur, sicut

quae concipit, cum appropinquaverit ad par­ tum, dolens e/amat in doloribus suis, sic facti sumus, scilicet per poenitentiam, et postea subditur, secundum aliam litteram [ls. 26, 1 8 LXX], a timore tuo, Domine, concepimus, et

parturivimus, et peperimus spiritum salutis, idest poenitentiae salutaris, ut per praemissa [ls. 26] patet. Ergo poenitentia procedit ex timore. Respondeo dicendum quod de poenitentia loqui possumus dupliciter. Uno modo, quan­ tum ad habitum. Et sic immediate a Deo in­ funditur, sine nobis principaliter operantibus, non tamen sine nobis dispositive cooperanti­ bus per aliquos actus. - Alio modo possumus loqui de poenitentia quantum ad actus quibus Deo operanti in poenitentia cooperamur. Quorum actuum primum principium est Dei operatio convertentis cor, secundum illud Thren. 5 [2 1 ], converte nos, Domine, ad te, et convertemur. Secundus actus est motus fidei. Tertius actus est motus timoris servilis, quo quis timore suppliciorum a peccatis retrahitur. Quartus actus est motus spei, quo quis, sub spe veniae consequendae, assumit propositum emendandi. Quintus actus est motus caritatis, quo alicui peccatum displicet secundum seipsum, et non iam propter supplicia. Sextus actus est motus timoris filialis, quo, propter reverentiam Dei, aliquis emendam Deo voluntarius offert. - Sic igitur patet quod actus poenitentiae a timore serviti procedit sicut a primo motu affectus ad hoc ordinante, a timore autem filiali sicut ab immediato et proximo principio. Ad primum ergo dicendum quod peccatum prius incipit homini displicere, maxime pec­ catori, propter supplicia, quae respicit timor servilis, quam propter Dei offensam vel pec­ cati turpitudinem, quod pertinet ad caritatem. Ad secundum dicendum quod in regno caelo­ rum appropinquante intelligitur adventus regis non solum praemiantis, sed etiam pu­ nientis. Unde et, Matth. 3 [7], Ioannes Bapti­ sta dicebat, progenies viperarum, quis demon­

stravit vobisfugere a ventura ira?

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dovuta all'uomo, ma a Dio, stando a Ger 3 1 [ 1 9] : Dopo che tu mi hai convertito, ho fatto penitenza. Perciò la penitenza non deriva dal timore. In contrario: è detto in Is 26 [ 1 7] : Come una

donna incinta che sta per partorire grida nei dolori, così siamo stati noi diftvnte a te, cioè mediante la penitenza; e poco dopo il testo così continua secondo u n ' altra versione [LXX] : Per il tuo timore, o Signore, noi ab­

biamo concepito, abbiamo partorito e abbia­ mo generato lo spirito di salvezza, cioè di salutare penitenza, come si rileva da ciò che precede [cap. 26]. Quindi la penitenza deriva dal timore. Risposta: della penitenza noi possiamo parlare da due punti di vista. Primo, in quanto è un abito. E sotto questo aspetto essa è infusa im­ mediatamente da Dio «senza di noi» come operanti principali, però non senza di noi quali cooperanti nell' ordine dispositivo mediante certi atti. - Secondo, possiamo parlare della penitenza in riferimento agli atti con i quali cooperiamo con Dio operante nella penitenza. Ora, il principio primo di questi atti è l' ope­ razione di Dio che converte il nostro cuore, come è detto in Lam 5 [2 1 ] : Convertici a te, Signore, e ci convertiremo. Il secondo atto è un moto di fede. n terzo è un moto di timore servile, con il quale uno si ritrae dal peccato per il timore dei castighi. n quarto è un moto di speranza, per cui uno concepisce il proposi­ to di emendarsi nella speranza di conseguire il perdono. n quinto è un moto di carità, con cui si detesta il peccato per se stesso, e non più per i castighi. n sesto è un moto di timore filiale, con cui uno offre volontariamente a Dio il pro­ prio emendamento per il rispetto a lui dovuto. - Così dunque risulta che l' atto della peniten­ za deriva dal timore servile come dal primo moto affettivo che ad essa ci ordina, mentre deriva dal timore filiale come dal suo principio prossimo e immediato. Soluzione delle difficoltà: l . Il peccato co­ mincia a dispiacere all' uomo, soprattutto se peccatore, prima per i castighi, che sono l'og­ getto del timore servile, che non per l'offesa di Dio o per la nefandezza del peccato, che sono l' oggetto della carità. 2. L'avvicinarsi del regno di Dio implica la venuta del re che non solo premia, ma anche punisce. Da cui le parole di Giovanni Battista:

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La penitenza in quanto è una virtù

Q. 85, A. 5

Ad tertiurn dicendum quod etiam ipse motus timoris procedit ex actu Dei convertentis cor, unde dicitur Deut. 5 [29], quis det eos talem habere mentem ut timeant me? Et ideo per hoc quod poenitentia a timore procedit, non excluditur quin procedat ex actu Dei conver­ tentis cor.

Razza di vipere, chi vi ha suggerito di sottrar­ vi all'ira imminente? (Mt 3,7). 3. Anche lo stesso moto del timore deriva dal­ l' atto di Dio che converte il cuore. Per cui in Dt 5 [29] è detto: Chi darà loro un cuore tale per cui mi temano? Quindi il fatto che la penitenza proceda dal timore non esclude che proceda dall'atto con cui Dio converte il cuore.

Articulus 6 Utrum poenitentia sit prima virtutum

Articolo 6 La penitenza è la prima tra le virtù?

Ad sextum sic proceditur. Vìdetur quod poe­ nitentia sit prima virtutum. l . Quia super illud Matth. 3 [2], poenitentiam agite, dicit Glossa [ord.], prima virtus est per poenitentiam punire veterem hominem et vitia odire. 2. Praeterea, recedere a termino prius esse videtur quam accedere ad terminum. Sed omnes aliae virtutes pertinere videntur ad ac­ cessum ad terminum, quia per omnes homo ordinatur ad bonum agendum. Poenitentia autem videtur ordinari ad recessum a malo. Ergo poenitentia videtur prior esse omnibus aliis virtutibus. 3. Praeterea, ante poenitentiam est peccatum in anima. Sed simul cum peccato nulla virtus animae inest. Ergo nulla virtus est ante poeni­ tentiam, sed ipsa videtur esse prima, quae aliis aditum aperit excludendo peccatum. Sed contra est quod poenitentia procedit ex fide, spe et caritate, sicut iam [a. 5] dictum est. Non ergo poenitentia est prima virtutum. Respondeo dicendum quod in virtutibus non attenditur ordo temporis quantum ad habitus, quia, cum virtutes sint connexae, ut in se­ cunda parte [l-II q. 65 a. 3] habitum est, omnes simul incipiunt esse in anima. Sed dicitur una eamm esse prior altera ordine naturae, qui consideratur ex ordine actuum, secundum scilicet quod actus unius virtutis praesupponit actum alterius virtutis. - Secun­ dum hoc ergo dicendum est quod actus quidam laudabiles etiam tempore praecedere possunt actum et habitum poenitentiae, sicut actus fi.dei et spei informium, et actus timoris servilis. Actus autem et habitus caritatis simul sunt tempore cum actu et habitu poenitentiae, et cum habitibus aliarum virtutum, nam, sicut in secunda parte [1-11 q. l 1 3 aa. 7-8] habitum est, in iustificatione impii simul est motus

Sembra di sì. Infatti: l . Commentando Mt 3 [2] : Fate penitenza, la Glossa afferma: «La prima virtù consiste nel punire con la penitenza l'uomo vecchio e nel­ l' odiarne i vizi». 2. L'abbandono del punto di partenza sembra debba precedere il raggiungimento del termi­ ne di arrivo. Ma tutte le altre virtù sembrano riguardare questo raggiungimento del termine di arrivo: poiché esse ordinano tutte l'uomo a ben operare. Invece la penitenza ordina al­ l' abbandono del male. Quindi la penitenza sembra precedere tutte le altre virtù. 3. Piima della penitenza c'è il peccato nell'a­ nima. Ora, nessuna virtù può stare nell'anima assieme al peccato. Quindi nessuna virtù può esistere prima della penitenza, ma essa è la plima, che apre la porta alle altre escludendo il peccato. In contrario: la penitenza, come si è detto, de­ riva dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Quindi la penitenza non è la prima tra le virtù. Risposta: tra le virtù non c'è un ordine crono­ logico rispetto alla loro esistenza come abiti: essendo infatti tra loro connesse, come si è spiegato nella Seconda Parte, tutte le virtù cominciano a esistere nell'anima simultanea­ mente. Si dice invece che l'una precede l'altra in ordine di natura rispetto agli atti: cioè in quanto l'atto di una virtù presuppone l'atto di un'altra. - Ora, sotto questo aspetto si deve affermare che cerli atti lodevoli possono pre­ cedere l'atto e l'abito della penitenza anche cronologicamente: come l'atto della fede e della speranza informi, e l'atto del timore ser­ vite. Invece l'atto e l'abito della carità coinci­ dono cronologicamente con l'atto e con l'abi­ to della penitenza, e con gli abiti delle altre virtù: come infatti si è già visto nella Seconda Parte, nella giustificazione dell'empio il moto

Q. 85, A. 6

La penitenza in quanto è una virtù

liberi arbitrii in Deum, qui est actus fidei per caritatem formatus, et motus liberi arbitrii in peccatum, qui est actus poenitentiae. Horum tamen duorum actuum primus naturaliter praecedit secundum, nam actus poenitentiae virtutis est contra peccatum ex amore Dei, unde primus actus est ratio et causa secondi. Sic igitur poenitentia non est simpliciter pri­ ma virtutum, nec ordine temporis nec ordine naturae, quia ordine naturae simpliciter prae­ cedunt ipsam virtutes theologicae. - Sed quantum ad aliquid est prima inter ceteras virtutes ordine temporis, quantum ad actum eius qui primus occurrit in iustificatione impii. Sed ordine naturae videntur esse aliae virtutes priores, sicut quod est per se prius est eo quod est per accidens, nam aliae virtutes per se videntur esse necessariae ad bonum hominis, poenitentia autem supposito quodam, scilicet peccato praeexistenti; sicut etiam dictum est [q. 65 a. 4] circa ordinem sacramenti poeni­ tentiae ad alia sacramenta praedicta. Ad primum ergo dicendum quod Glossa illa loquitur quantum ad hoc quod actus poeniten­ tiae primus est tempore inter actus aliarum virtutum. Ad secundum dicendum quod in motibus successivis recedere a termino est prius tem­ pore quam pervenire ad terminum; et prius natura quantum est ex parte subiecti, sive se­ cundum ordinem causae materialis. Sed se­ cundum ordinem causae agentis et finalis, prius est pervenire ad terminum, hoc enim est quod primo agens intendit. Et hic ordo prae­ cipue attenditur in actibus animae, ut dicitur in 2 Phys. [9,3]. Ad tertium dicendum quod poenitentia aperit aditum virtutibus expellendo peccatum per virtutem fidei et caritatis, quae sunt naturaliter priores. lta tamen aperit eis aditum quod ipsae simul intrant cum ipsa, nam in iustificatione impii simul cum motu liberi arbitrii in Deum et in peccatum, est remissio culpae et infusio gratiae, cum qua simul infunduntur omnes virtutes, ut in seconda parte [1-11 q. 65 aa. 3.5] habitum est.

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del libero arbitrio verso Dio è simultaneo al­ l' atto di fede informato dalla carità e al moto del libero arbitrio contro il peccato, che è l'at­ to della penitenza. Tuttavia il primo di questi due atti precede per natura il secondo: poiché l'atto della virtù della penitenza si volge con­ tro il peccato sotto la mozione dell'amore di Dio, per cui il primo atto è causa del secondo. Così dunque la penitenza in senso assoluto non è la prima tra le virtù, né in ordine di tempo né in ordine di natura: poiché in ordine di natura la precedono in senso assoluto le virtù teologali. - Thttavia in un certo senso è la prima tra le virtù in ordine di tempo per quel suo atto che si presenta come primo nella giustificazione dell' empio. Ma in ordine di natura le altre virtù la precedono, poiché ciò che è per se precede ciò che è per acci­ dens: infatti le altre virtù sono per se, cioè essenzialmente, necessarie al bene dell'uomo, mentre la penitenza lo è solo in forza di una supposizione, cioè supposto un peccato pre­ cedente; come si è già notato sopra a proposi­ to dell'ordine del sacramento della penitenza rispetto agli altri sacramenti. Soluzione delle difficoltà: l . La Glossa si rife­ risce al fatto che l'atto della penitenza è primo cronologicamente rispetto agli atti delle altre virtù. 2. Nei moti progressivi l'abbandono del punto di partenza precede cronologicamente il ter­ mine di arrivo, e lo precede [anche] in ordine di natura se è considerato dal lato del sogget­ to, cioè secondo l'ordine della causa materia­ le. Ma secondo l'ordine della causa agente e finale è prima il raggiungimento del termine di arrivo: poiché è questo che muove l'inten­ zione dell'agente. E quest'ordine è quello che maggiormente interessa quando si tratta degli atti dell'anima, come nota il Filosofo. 3. La penitenza apre la porta alle virtù scac­ ciando il peccato mediante le virtù della fede e della carità, che per natura la precedono. Tuttavia apre loro la porta in modo da farle entrare insieme con essa: infatti nella giustifi­ cazione dell'empio il moto del libero arbitrio verso Dio e contro il peccato è simultaneo al­ la remissione della colpa e all'infusione della grazia, assieme alla quale sono infuse tutte le virtù, come si è spiegato nella Seconda Parte.

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L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

Q. 86, A. l

QUAESTIO 86 DE EFFECTU POENITENTIAE QUANTUM AD REMISSIONEM PECCATORUM MORTALIUM

QUESTIONE 86 VEFFETTO DELLA PENITENZA QUANTO ALLA REMISSIONE DEI PECCATI MORTALI

Deinde considerandum est de effectu poeni­ tentiae. Et primo, quantum ad remissionem peccatorum mortalium; secundo, quantum ad remissionem peccatorum venialium [q. 87] ; tertio, quantum ad reditum peccatorum dimis­ sorum [q. 88]; quarto, quantum ad restitutio­ nem virtutum [q. 89]. - Circa primum quae­ runtur sex. Primo, utrum peccata mortalia per poenitentiam auferantur. Secundo, utrum possint sine poenitentia tolli. Tertio, utrum possit remitti unum sine alio. Quarto, utrum poenitentia auferat culpam remanente reatu. Quinto, utrum remaneant reliquiae peccato­ rum. Sexto, utrum auferre peccatum sit effec­ tus poenitentiae inquantum est virtus, vel inquantum est sacramentum.

Passiamo ora a considerare l'effetto della pe­ nitenza. Primo, quanto alla remissione dei peccati mortali; secondo, quanto alla remis­ sione dei peccati veniali ; terzo, quanto alla possibile reviviscenza dei peccati perdonati; quarto, quanto al ricupero delle virtù. - Sul primo argomento si pongono sei quesiti: l . I peccati mortalJ sono cancellati attraverso la penitenza? 2. E possibile cancellarli senza la penitenza? 3. Può essere rimesso un peccato senza la remissione degli altri? 4. La peniten­ za può togliere la colpa lasciando l'obbliga­ zione alla pena? 5. Rimangono le scorie del peccato? 6. Togliere il peccato è l'effetto della penitenza in quanto è una virtù o in quanto è un sacramento?

Articulus l Utrum per poenitentiam removeantur omnia peccata

Articolo l Attraverso la penitenza sono cancellati tutti i peccati?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod per poenitentiam non removeantur omnia peccata. l . Dicit enim apostolus, Hebr. 1 2 [ 1 7], quod Esau non invenit locum poenitentiae, quamvis cum lacrimis inquisisset eam, Glossa [int. et Lomb.], idest, non invenit locum veniae et be­ nedictionis per poenitentiam. Et 2 Mach. 9 [ 1 3] dicitur de Antiocho, orabat scelestus ille Dominum, a quo non erat misericordiam con­ secutunts. Non ergo videtur quod per poeni­ tentiam omnia peccata tollantur. 2. Praeterea, dicit Augustinus, in libro De serm. Dom. in monte [ 1 ,22], quod tanta est labes illius peccati (scilicet, cum post agnitio­ nem Dei per gratiam Christi, oppugnar aliquis fratemitatem, et adversus ipsam gra­ tiam invidiae facibus agitatur), ut deprecandi humilitatem subire non possit, etiam si pec­ catum suum mala conscientia agnoscere et annuntiare cogatur. Non ergo omne pec­ catum potest per poenitentiam tolli. 3. Praeterea, Dominus dicit, Matth. 12 [32], qui dixerit contra Spiritum Sanctum verbum, non remittetur ei neque in hoc saeculo neque in futuro. Non ergo omne peccatum remitti potest per poenitentiam.

Sembra di no. Infatti: l. In Eb 12 [ 17] è detto che Esaù non ottenne il perdono, sebbene lo chiedesse con /e lacrime. E la Glossa spiega: «Cioè non ottenne il perdono e la benedizione mediante il pentimento». E di An­ tioco si legge: Quell'empio si mise a pregare quel Signore che ormai non avrebbe più avuto mi­ sericordia di lui (2 Mac 9, I 3). Quindi non sembra che tutti i peccati siano eliminati dalla penitenza. 2. Agostino ha scritto che «tanta è la sozzura di questo peccato (che cioè uno dopo aver cono­ sciuto Dio per la grazia di Cristo arrivi a minac­ ciare la concordia fraterna muovendosi col fuoco dell'invidia contro la grazia medesima), che uno non può sopportare l'umiltà della pre­ ghiera, anche se è costretto dalla cattiva coscien­ za a riconoscere e a denunciare il proprio pecca­ to». Perciò non tutti i peccati possono essere cancellati dalla penitenza. 3. n Signore dice: A chi avrà parlato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questo secolo, né in quello futuro (Mt 12,32). Quindi non tutti i peccati possono essere rimessi con la penitenza. In contrario: in Ez 1 8 [22] è detto: Non ricorderò più nessuna delle colpe che egli ha commesso.

Q. 86, A. l

L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

Sed contra est quod dicitur Ez.

1 8 [22], omnium iniquitatwn eius quas operatus est, non recor­ dabor amplius.

Respondeo dicendum quod hoc quod aliquod peccatum per poenitentiam tolli non possit, posset contingere dupliciter, uno modo, quia aliquis de peccato poenitere non posset; alio modo, quia poenitentia non posset delere peccatu m . Et primo quidem modo, n o n possunt deleri peccata Daemonum, e t etiam horninum damnatorum, quia afl'ectus eorum sunt in malo confirmati, ita quod non potest eis displicere peccatum inquantum est culpa, sed solum displicet eis inquantum est poena quam patiuntur; ratione cuius aliquam poe­ n itentiam, sed i n fructuosam habent, se­ cundum illud Sap. 5 [3], poenitentiam agen­ tes, et prae angustia spiritus gementes. Unde talis poenitentia non est cum spe veniae, sed cum desperatione. - Tale autem non potest esse peccatum aliquod hominis viatoris, cuius liberum arbitrium flexibile est ad bonum et ad malum. Unde dicere quod aliquod peccatum sit in hac vita de quo aliquis poenitere non possit, est erroneum. Primo quidem, quia per hoc tolleretur Iibertas arbitrii. - Secundo, quia derogaretur virtuti gratiae, per quam moveri potest cor cuiuscumque peccatoris ad poeni­ tendum, secundum illud Prov. 21 [ I ] cor regis

in manu Dei, et quocumque voluerit vertet illud. - Quod autem secundo modo non possit per veram poenitentiam aliquod peccatum rernitti , est etiam erroneum. Primo quidem, quia repugnat divinae misericordiae, de qua dicitur, Ioel 2 [ 1 3], quod benignus et miseri­

cors est, et multae misericordiae, et praesta­ bilis super malitia. Vinceretur quodammodo

enim Deus ab homine, si homo peccatum vellet deleri, quod Deus delere non vellet. Secundo, quia hoc derogaret virtuti passionis Christi, per quam poenitentia operatur, sicut et cetera sacramenta, cum scriptum sit, l Ioan. 2 [2], ipse est propitiatio pro peccatis

nostris, non solum nostris, sed etiam totius mundi. - Unde simpliciter dicendum est quod

omne peccatum in hac vita per poenitentiam deleri potest. Ad primum ergo dicendum quod Esau non vere poenituit. Quod patet ex hoc quod dixit [Gen. 27,41], venient dies luctus patris mei, et occidam Iacob fratrem meum. Sirniliter etiam nec Antiochus vere poenituit. Dolebat enim

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Risposta: l'incapacità della penitenza a can­ cellare un certo peccato potrebbe dipendere da due motivi: primo, dal fatto che uno non è in grado di pentirsene; secondo, dal fatto che la penitenza non è in grado di cancellare il peccato. Per il ptimo motivo sono certamente incancellabili i peccati dei demoni e dei dan­ nati: poiché il loro affetto è confetmato nel male, e quindi ad essi il peccato non può di­ spiacere in quanto colpa, ma dispiace solo in quanto si traduce nel castigo di cui soffrono. Per cui essi hanno un certo pentimento, però infruttuoso, come è detto in Sap 5 [3]: Presi

dal pentimento, gemeranno per l 'angoscia dell'animo. E così tale penitenza non è ac­

compagnata dalla speranza del perdono, ma dalla disperazione. - Ora, non può essere di tal genere il peccato di un uomo viatore, il cui libero arbitrio è flessibile al bene e al male. Affermare quindi che esiste nella vita presen­ te qualche peccato di cui sia impossibile pen­ tirsi, è un errore. Primo, perché in tal modo si negherebbe il libero arbitrio. - Secondo, per­ ché si farebbe oltraggio alla grazia, la quale è in grado di muovere a penitenza il cuore di qualsiasi peccatore, come è detto in Pr 2 1 [ l] :

Il cuore del re è nelle mani del �ignore, che lo

dirige dovunque egli vuole. - E erroneo inol­ tre pensare che un peccato non possa essere rimesso dalla vera penitenza per il secondo motivo. Innanzitutto perché ciò è incompati­ bile con la misericordia di Dio, che è miseri­ cordioso e benigno, tardo all 'ira e ricco di benevolenza (G/ 2,1 3). Infatti Dio in qualche

modo sarebbe superato dall'uomo, se l'uomo desiderasse la cancellazione del peccato e Dio non la volesse. - In secondo luogo poi perché ciò verrebbe a menomare la virtù della pas­ sione di Cristo, che dà efficacia alla penitenza come anche agli altri sacramenti; sta scritto infatti: Egli è vittima di espiazione per i nostri

peccati; e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (l Gv 2,2). - Si

deve quindi affermare in modo assoluto che in questa vita tutti i peccati possono essere cancellati per mezzo della penitenza. Soluzione delle difficoltà: l . Esaù non si pentì sinceramente, come risulta da quelle sue parole: Si avvicineranno i giorni del lutto per

mio padre, e allora ucciderò mio fratello Giacobbe [Gen 27,4 1 ]. E similmente non fu vera neppure la penitenza di Antioco. Si pentì

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L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

de culpa praeterita non propter offensam Dei, sed propter infirmitatem corporalem quam patiebatur. Ad secundum dicendum quod illud verbum Augustini sic est intelligendum, tanta est labes illius peccati ut deprecandi humilitatem subire non possit, scilicet, de facili, secundum quod dicitur ille non posse sanati qui non potest de facili sanari. Potest tamen hoc fieri per virtu­ tem divinae gratiae, quae etiam interdum in pmfimdum maris convertir, ut dicitur in Psal­ mo [67,23]. Ad tertium dicendum quod illud verbum vel blasphemia contra Spiritum Sanctum est fi­ nalis impoenitentia, ut Augustinus dicit, in libro De verbis Domini [Serm. ad pop. 7 1 , 1 2 13.21], quae penitus inemissibilis est, quia post finem huius vitae non est remissio pec­ catorum. Vel, si intelligatur per blasphemiam Spiritus Sancti peccatum quod fit ex certa malitia, vel etiam ipsa blasphemia Spiritus Sancti, dicitur non remitti, scilicet de facili, quia tale non habet in se causam excusationis; vel quia pro tali peccato punitur aliquis et in hoc saeculo et in futuro; ut in secunda parte [ll-II q. 14 a 3] expositum est. -

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infatti della sua colpa passata non per l'offesa di Dio, ma per la malattia del corpo di cui sof­ friva [2 Mac 9,5]. 2. Le parole di Agostino: «È tanta la sozzura di questo peccato che uno non sopporta l'u­ miltà della preghiera», vanno intese nel senso che ciò non è facile: come quando si dice che non può guarire colui che non può guarire facilmente. Tuttavia ciò è sempre possibile per la virtù della divina grazia, che talora jà tornare dagli abissi del mare (Sa/ 67,23). 3. In quel testo «parlare» o «bestemmiare» contro lo Spirito Santo equivale, secondo Agostino, a cadere nell'impenitenza finale: e questa è assolutamente imperdonabile, poi­ ché, finita la vita presente, non c'è remissione dei peccati. Se invece per bestemmia contro lo Spirito Santo si intende un peccato di vera malizia, oppure la bestemmia diretta contro lo Spirito Santo, allora si dice che tale colpa non è rimessa, cioè non lo è «facilmente», perché in se stessa non ha attenuanti; oppure giacché per tale peccato si è puniti sia in questa vita che in quella futura, come si è visto nella Seconda Parte. Articolo 2

Articulus 2 Utrum sine poenitentia peccatum remitti possit

n peccato può essere rimesso

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod sine poenitentia peccatum remitti possit. l . Non enim est minor virtus Dei circa adul­ tos quam circa pueros. Sed pueris peccata di­ mittit sine poenitentia. Ergo etiam et adultis. 2. Praeterea, Deus virtutem suam sacramentis non alligavit. Sed poenitentia est quoddam sacramentum. Ergo virtute divina possunt peccata sine poenitentia dimitti. 3. Praeterea, maior est misericordia Dei quam misericordia hominis. Sed homo interdum remittit offensam suam homini etiam non poenitenti, unde et ipse Dominus mandat, Matth. 5 [44], diligite inimicos vestms, bene­ facile his qui oderunt vos. Ergo multo magis Deus dimittit offensam suarn hominibus non poenitentibus. Sed contra est quod Dominus dicit, Ier. 1 8 [8], si poenitentiam egerit gens il/a a malo quod fecit, agam et ego poenitentiam a malo quod cogitavi utfacerem ei. Et sic e converso vide-

Sembra di sì. Infatti: l. Sugli adulti Dio non ha un potere meno grande che sui bambini. Ora, egli rimette i peccati ai bambini senza penitenza. Quindi anche agli adulti. 2. Dio non ha legato la sua viitù esclusivamen­ te ai sacramenti. Ma la penitenza è un sacra­ mento. Quindi per la virtù di Dio i peccati possono essere rimessi senza la penitenza. 3. La misericordia di Dio è superiore a quella degli uomini. Ma l'uomo talora perdona le offese anche a chi non ne è pentito. Per cui lo stesso Signore comanda: Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano (Mt 5,44). Perciò molto di più Dio perdona l'offesa agli uomini senza che ne facciano penitenza. In contrario: il Signore dice: Se questo popo­ lo si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di fargli (Ger 1 8,8). E così, inversamente, sembra che,

senza la penitenza?

Q. 86, A. 2

L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

tur quod, si homo poenitentiam non agat, quod Deus ei non remittat offensam. Respondeo dicendum quod impossibile est peccatum actuale mortale sine poenitentia re­ mitti, loquendo de poenitentia quae est virtus. Cum enim peccatum sit Dei offensa, eo modo Deus peccatum remittit quo remittit offensam in se commissam. Offensa autem directe op­ ponitur gratiae, ex hoc enim dicitur aliquis alteri esse otl'ensus, quod repellit eum a gratia sua. Sicut autem habitum est in secunda parte [I-ll q. 1 10 a. 1 ], hoc interest inter gratiam Dei et gratiam hominis, quod gratia hominis non causat, sed praesupponit bonitatem, veram vel apparentem, in homine grato, sed gratia Dei causat bonitatem in homine grato, eo quod bona voluntas Dei, quae in nomine gratiae intelligitur, est causa boni creati. Unde potest contingere quod homo remittat offensam qua offensus est alicui, absque aliqua immutatione voluntatis eius, non autem potest contingere quod Deus remittat offensam alicui absque immutatione voluntatis eius. Offensa autem peccati mortalis procedit ex hoc quod voluntas hominis est aversa a Deo per conversionem ad aliquod bonum commutabile. Unde requiritur ad remissionem divinae offensae quod vo­ luntas hominis sic immutetur quod convertatur ad Deum, cum detestatione praedictae con­ versionis et proposito emendae. Quod pertinet ad rationem poenitentiae secundum quod est virtus. Et ideo impossibile est quod peccatum alicui remittatur sine poenitentia secundum quod est virtus. - Sacramentum autem poeni­ tentiae, sicut supra [q. 84 a. l ad 2; a. 3] dictum est, perficitur per officium sacerdotis ligantis et solventis. Sine quo potest Deus peccatum re­ mittere, sicut remisit Christus mulieri adulte­ rae, ut legitur Ioan. 8 [ 1 1 ], et peccatrici, ut legitur Luc. 7 [47-48]. Quibus tamen non re­ misit peccata sine virtute poenitentiae; nam, sicut Gregorius dicit, in Homilia [In Ev. h. 2,33], per gratiam traxit intus, scilicet ad poenitentiam, quam per m isericordiam suscepitforis. Ad primum ergo dicendum quod in pueris non est nisi peccatum originale, quod non consistit in actuali deordinatione voluntatis, sed in quadam habituali deordinatione naturae, ut in secunda parte [1-11 q. 82 a. l] habitum est. Et ideo remittitur eis peccatum cum habituali im­ mutatione per infusionem gratiae et virtutum,

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se l'uomo non fa penitenza, Dio non perdoni l 'offesa. Risposta: è impossibile che un peccato attuale mortale sia rimesso senza penitenza, se par­ liamo della penitenza virtù. Essendo infatti il peccato un'offesa di Dio, Dio rimette il pec­ cato nel modo in cui perdona l'offesa com­ messa contro di lui. Ora, l'offesa si contrap­ pone direttamente alla grazia: si dice infatti che si resta offesi riguardo a un altro per il fatto che lo si respinge dalla propria grazia. Ora, come si è spiegato nella Seconda Parte, fra la grazia di Dio e la grazia dell'uomo c'è questa differenza, che la grazia dell' uomo non causa, ma presuppone la bontà, vera o apparente, in colui che ne è l'oggetto, mentre la grazia di Dio causa la bontà in quest'ulti­ mo, essendo il ben volere di Dio, implicito nel termine grazia, causa del bene della crea­ tura. Può quindi capitare che un uomo perdo­ ni l'offesa subìta senza che l'offensore cambi i l suo malvolere verso di lui, ma non può capitare che Dio perdoni l'offesa a qualcuno senza mutame la volontà. Ora, l'offesa del peccato mortale deriva dal fatto che la volontà dell'uomo si è distolta da Dio volgendosi a un bene [temporale] commutabile. Quindi per la remissione dell'offesa di Dio si richiede che la volontà dell'uomo sia mutata in modo da convertirsi a Dio, detestando la perversione predetta e facendo il proposito di emendarsi. Il che rientra pella natura della penitenza in quanto virtù. E quindi impossibile che a uno sia rimesso il peccato senza la penitenza virtù. - Invece il sacramento della penitenza, come si è spiegato sopra, è compiuto attraverso il ministero del sacerdote che lega e assolve. Ora, Dio può rimettere il peccato senza di esso: e fu così che Cristo perdonò all'adultera (Gv 8, 1 1 ), e alla peccatrice (Le 7,47). Ma ad esse Dio non rimise i peccati senza la virtù della penitenza: poiché, come scrive Grego­ rio, «egli attirò interiormente con la grazia», alla penitenza, «colei che esternamente accol­ se con la misericordia». Soluzione delle difficoltà: l . Nei bambini non c ' è che il peccato originale, il quale non implica un disordine attuale della volontà, ma un disordine abituale della natura, come si è spiegato nella Seconda Parte. E così è loro rimesso il peccato mediante un mutamento non di atti, ma solo di abiti, mediante l'infu-

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L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

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non autem cum actuali. Sed adulto in quo sunt actualia peccata, quae consistunt in deordina­ tione actuali voluntatis, non remittuntur pec­ cata, etiam in Baptismo, sine actuali immuta­ tione voluntatis, quod fit per poenitentiam. Ad secundum dicendum quod ratio illa procedit de poenitentia secundum quod est sacramentum. Ad tertium dicendum quod misericordia Dei est maioris virtutis quam misericordia homi­ nis in hoc, quod immutat voluntatem horninis ad poenitendum, quod misericordia hominis facere non potest.

sione della grazia e delle virtù. Invece all'a­ dulto in cui si riscontrano dei peccati attuali, i quali consistono nel disordine attuale della volontà, i peccati non sono rimessi nemmeno nel battesimo senza un mutamento della volontà: il che avviene con la penitenza. 2. La difficoltà vale per la penitenza in quanto sacramento. 3. La misericordia di Dio ha una virtù supe­ riore rispetto alla misericordia dell'uomo per il fatto che muove la volontà dell'uomo al pentimento, mentre la misericordia dell'uomo non può farlo.

Articulus 3 Utrum possit per poenitentiam unum peccatum sine allo remitti

Articolo 3 La penitenza può rimettere un peccato senza rimettere gli altri?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod possit per poenitentiam unum peccatum sine allo remitti. l . Dicitur enim Amos 4 [7], plui super unam civitatem, et super alteram non plui, pars una compiuta est, et pars super quam non plui, aruit. Quod exponens Gregorius, Super Ez. [ 1 , 1 0], dicit, cum il/e qui proximum odit ab aliis vitiis se corrigit, una et eadem civitas ex parte compluitur, et ex parte arida manet, quia sunt qui, cum quaedam vitia resecant, in aliis graviter perdurant. Ergo potest unum peccatum per poenitentiam remitti sine alio. 2. Praeterea, Ambrosius dicit, super Beati immaculati [cf. Decretum, p. 2, causa 33, q. 3 De poenit., d. 3, can. 4 1 Prima consolatio], prima consolatio est, quia non obliviscitur misereri Deus, secunda per punitionem, ubi, et si fides desit, poena satisfacit et relevat. Potest ergo aliquis relevari ab aliquo peccato manente peccato infidelitatis. 3. Praeterea, eorum quae non necesse est esse simul, unum potest auferri sine alio. Sed pec­ cata, ut in secunda parte [1-11 q. 73 a. l ] ha­ bitu m est, non sunt connexa, et ita unum eorum potest esse sine alio. Ergo unum eorum potest rernitti sine alio per poenitentiam. 4. Praeterea, peccata sunt debita quae nobis relaxari petimus cum dicimus in Oratione Dominica [Matth. 6, 1 2], dimitte nobis debita nostra. Sed homo quandoque dimittit debi­ tum unum sine alio. Ergo etiam Deus per poenitentiam dimittit unum peccatum sine alio.

Sembra di sì. Infatti: l . In Am 4 [7] è detto: Facevo piovere sopra una città e non sopra un 'altra; un campo era bagnato dalla pioggia mentre l'altro, su cui non pioveva, seccava. E Gregorio, spiegando la frase, afferma: «Quando chi odia il prossi­ mo si corregge dagli altri vizi, è come una medesima città che in una parte riceve la pioggia e nell'altra rimane ali' asciutto: poiché vi sono alcuni che, pur eliminando certi vizi, si ostinano in altri». Quindi è possibile che la penitenza rimetta un peccato senza rimettere gli altri. 2. Ambrogio scrive: «La prima consolazione sta nel fatto che Dio non tralascia di usare misericordia; la seconda sta nella punizione, nella quale, anche se manca la fede, la pena serve a soddisfare e a risollevare». Quindi uno può essere liberato da un peccato pur restando nel peccato di incredulità. 3. Quando più cose non hanno la necessità di stare insieme, si può togliere l ' una senza togliere 1' altra. Ora i peccati, come si è spie­ gato nella Seconda Parte, non sono connessi così da non poter fare a meno l'uno dell'altro. Perciò la penitenza può rimetteme uno senza rimettere gli altri. 4. I peccati sono dei debiti di cui nel Padre nostro chiediamo il condono: Rimetti a noi i nostri debiti. Ma l'uomo talora rimette un debito senza rimettere gli altri. Quindi anche Dio può rimettere per la penitenza un peccato senza rimettere gli altri. 5. I peccati sono perdonati agli uomini per

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L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

5. Praeterea, per dilectionem Dei relaxantur hominibus peccata, secundum illud Ier. 3 1 [3], in caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te miserans. Sed nihil prohibet quin Deus dili­ gat hominem quantum ad unum, et sit ei of­ fensus quantum ad aliud, sicut peccatorem di­ ligit quantum ad naturam, odit autem quan­ tum ad culpam. Ergo videtur possibile quod Deus per poenitentiam remittat unum pecca­ rum sine alio. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De poenitentia [De vera et falsa poenit. 9], sunt plures quos poenitet peccasse, sed non omnino, reservantes sibi quaedam in quibus delectentur, non animadvertentes Dominum simul mutum et surdum a daemonio liberasse, per hoc docens nos nunquam nisi de omnibus sanari. Respondeo dicendum quod impossibile est per poenitentiam unum peccatum sine alio re­ mitti. Primo quidem, quia peccatum remittitur inquantum tollitur Dei offensa per gratiam, unde in secunda parte [I-II q. 109 a. 7; q. 1 13 a. 2] habitum est quod nullum peccatum potest remitti sine gratia. Omne autem pec­ catum mortale contrariatur gratiae, et excludit eam. Unde impossibile est quod unum pecca­ rum sine alio remittatur. - Secundo quia, sicut ostensum est [a. 2] , peccatum mm1ale non potest sine vera poenitentia remitti, ad quam pertinet deserere peccatum inquantum est contra Deum. Quod quidem est commune omnibus peccatis mortalibus. Ubi autem eadem ratio est et idem effectus. Unde non potest esse vere poenitens qui de uno peccato poenitet et non de alio. Si enim displiceret ei illud peccatum quia est contra Deum super omnia dilectum, quod requiritur ad rationem verae poenitentiae, sequeretur quod de omni­ bus peccatis poeniteret. Unde sequitur quod impossibile sit unum peccatum remitti sine alio. - Tertio, quia hoc esset contra perfectio­ nem misericordiae Dei, cuius pe1jecta sunt opera, ut dicitur Deut. 32 [4] . Unde cuius miseretur, totaliter miseretur. Et hoc est quod Augustinus dicit, in libro De poenitentia [De vera et falsa poenit. 9], quaedam impietas infidelitatis est ab ilio qui iustus et iustitia est, dimidiam sperare veniam. Ad primum ergo dicendum quod verbum illud Gregorii non est intelligendum quantum ad remissionem culpae, sed quantum ad

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l'amore che Dio ha verso di loro, come è det­ to in Ger 3 1 [3] : Ti ho amato di amore eterno, per questo ti ho attratto con misericordia. Ora, nulla impedisce che Dio ami un uomo per una data cosa restando adirato con lui per un'altra: come nel peccatore egli ama la natu­ ra e odia la colpa. Perciò è possibile che per la penitenza Dio rimetta un peccato senza rimet­ tere gli altri. In contrario: Agostino ha scritto: «Ci sono alcuni che si pentono di aver peccato, però non completamente, poiché si riservano delle colpe di cui godono, senza notare che il Signore liberò dal demonio uno che era insie­ me sordo e muto, insegnandoci così che noi non saremo affatto guatiti se non Io saremo da tutti i peccati». Risposta: è impossibile che con la penitenza sia rimesso un peccato senza che siano rimessi anche gli altri. Primo, poiché un peccato è rimesso in quanto l'offesa di Dio è eliminata dalla grazia: infatti nella Seconda Pmte abbia­ mo spiegato che nessun peccato può essere rimesso senza la grazia. Ma ogni peccato mor­ tale è �ontrario alla grazia e incompatibile con essa. E quindi impossibile che un peccato sia rimesso senza che Io siano anche gli altri. Secondo, poiché il peccato mortale, come si è notato sopra, non può essere rimesso che mediante una vera penitenza, la quale implica l'abbandono del peccato quale offesa di Dio. E questo è un aspetto comune a tutti i peccati mortali. Ma un identico principio produce il medesimo effetto. Quindi uno non può pentir­ si veramente di un peccato senza pentirsi degli altri. Se infatti egli si pente di un peccato in quanto è contro Dio amato sopra ogni cosa, il che è richiesto dalla nozione della vera peni­ te� ne segue che egli si pentirà di tutti i pec­ cati. E quindi impossibile che sia rimesso un peccato senza la remissione degli altri. - Ter­ zo, poiché ciò sarebbe incompatibile con la perfezione della misericordia di Dio, le cui opere sono pe1jette (Dt 32,4). Se dunque egli perdona, perdona totalmente. Da cui le parole di Agostino: «Sperare un perdono dimezzato da colui che è giusto ed è la stessa giustizia, è un'empietà che rientra nell'incredulità». Soluzione delle difficoltà: l . Quelle parole di Gregorio non si riferiscono alla remissione della colpa, ma alla cessazione dal peccato: poiché talvolta chi è abituato a commettere

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L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

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cessationem ab actu, quia interdum ille qui plura peccata consuevit committere, deserit unum, non tamen aliud. Quod quidem fit auxilio divino, quod tamen non pertingit usque ad remissionem culpae. Ad secundum dicendum quod in verbo illo Ambrosii fides non potest accipi qua creditur in Christum, quia, ut Augustinus dicit [In Ioan. tract. 89], super illud Ioan. 1 5 [22], si non venissem et locutus eis non fuissem, peccatum non haberent, scilicet infidelitatis, hoc enim est peccatum quo tenentur cuncta peccata. Sed accipitur fides pro conscientia, quia interdum per poenas qua� quis patienter sustinet, consequitur remissionem peccati cuius conscientiam non habet. Ad tettium dicendum quod peccata, quamvis non sint connexa quantum ad conversionem ad bonum commutabile, sunt tamen connexa quantum ad aversionem a bono incommutabi­ li, in qua conveniunt omnia peccata mortalia. Et ex hac parte habent rationem offensae, quam oportet per poenitentiam tolli. Ad quartum dicendum quod debitum exterio­ ris rei, puta pecuniae, non contrariatur amici­ tiae, ex qua debitum remittitur. Et ideo potest unum dimitti sine alio. Sed debitum culpae contrariatur amicitiae. Et ideo una culpa vel offensa non remittitur sine altera. Ridiculum etiam videretur quod aliquis ab homine ve­ niam peteret de una offensa et non de alia. Ad quintum dicendum quod dilectio qua Deus diligit hominis naturam, non ordinatur ad bonum gloriae, a qua impeditur homo per quodlibet mortale peccatum. Sed dilectio gratiae, per quam fit remissio peccati morta­ lis, ordinat hominem ad vitam aeternam, se­ cundum illud Rom. 6 [23], gratia Dei vita aeterna. Unde non est similis ratio.

molti peccati ne abbandona uno, ma non un altro. TI che avviene grazie all'aiuto di Dio, aiuto che però non arriva fino alla remissione della colpa. 2. In quel testo di Ambrogio la «fede» non è la virtù per cui crediamo in Cristo: poiché Agostino, spiegando Gv 15 [22]: Se nonfossi venuto e non avessi parlato loro, non avreb­ bero contratto il peccato, cioè il peccato di incredulità, scrive: «Questo è il peccato che tiene insieme tutti i peccati». «Fede» sta qui invece al posto di «coscienza»: poiché capita che uno consegua la remissione dei peccati di cui non ha coscienza mediante le pene che pazientemente sopporta. 3 . Sebbene i peccati non siano connessi in quanto si volgono al bene commutabile, sono però connessi in quanto distolgono dal bene incommutabile: aspetto questo che è comune a tutti i peccati mortali . Ed è sotto questo aspetto che essi sono un' oftèsa che deve esse­ re eliminata dalla penitenza. 4. n debito di beni esterni, p. es. di danaro, non è incompatibile con l'amicizia, che spin­ ge a condonarlo. Per cui è possibile condona­ re un debito senza condonarne un altro. Ma il debito della colpa è incompatibile con l'ami­ cizia. Perciò una colpa o un'offesa non può venire rimessa senza le altre. E sarebbe ridi­ colo che anche a un uomo si chiedesse il per­ dono di un'offesa senza chiederlo per le altre. 5. L'amore con cui Dio ama la natura di un uomo non è ordinato al bene della gloria, dalla quale l' uomo è distolto con qualsiasi peccato mortale. Invece l'amore di grazia, da cui deriva la remissione del peccato mortale, ordina l'uomo alla vita eterna, come è detto: La grazia di Dio è la vita eterna (Rm 6,23). Quindi il paragone non regge.

Articulus 4 Utrum remissa culpa per poenitentiam, remaneat reatus poenae

Articolo 4 Dopo che è stata rimessa la colpa con la penitenza rimane un reato o debito di pena?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod, remissa culpa per poenitentiam, non remaneat reatus poenae. l . Remota enim causa, removetur effectus. Sed culpa est causa reatus poenae, ideo enim est aliquis dignus poena quia culpam commi­ sit. Ergo, remissa culpa, non potest remanere reatus poenae.

Sembra di no. Infatti: l . Eliminata la causa, si elimina anche l'effet­ to. Ma la colpa è la causa del debito della pena: poiché uno è degno di pena proprio per­ ché ha commesso una colpa. Perciò, una volta eliminata la colpa, non può rimanere un debi­ to di pena.

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2. Praeterea, sicut apostolus dicit, Rom. 5 [ 1 5 sqq . ] , donum Christi e s t efficacius quam peccatum. Sed peccando homo simul incurrit culpam et poenae reatum. Ergo multo magis per donum gratiae simul remittitur culpa et tollitur poenae reatus. 3. Praeterea, remissio peccatorum fit in poeni­ tentia per virtutem passionis Christi, secun­ dum illud Rom. 3 [25], quem proposuit Deus

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2. Come dice Paolo (Rm 5,15), il dono di Cri­ sto ha più efficacia del peccato. Ora, l'uomo col peccato incorre simultaneamente nella colpa e nel debito della pena. Quindi a maggior ragione col dono della grazia sono rimessi simultaneamente la colpa e il debito della pena. 3. La remissione dei peccati si ottiene nella penitenza per virtù della passione di Cristo, come è detto: Dio lo ha prestabilito a servire

propitiatorem per fidem in sanguine ipsius, propter remissionem praecedentium delicto­ rum. Sed passio Christi sufficienter est sati­

come stntmento di espiazione per mezzo della fede nel suo sangue, per la remissione dei pec­ cati passati (Rm 3 ,25). Ma la passione di

sfactoria pro omnibus peccatis, ut supra [q. 48 a. 2; q. 49 a. 3] habitum est. Non ergo post remissionem culpae remanet aliquis reatus poenae. S ed contra est quod, 2 Reg . 1 2 [ 1 3 - 14] , dicitur quod, cum David poenitens dixisset ad Nathan, peccavi Domino, dixit Nathan ad illum, Dominus quoque transtulit peccatum

Cristo basta a soddisfare per tutti i peccati, co­ me si è visto sopra. Quindi dopo la remissione della colpa non rimane alcun debito di pena. In contrario: in 2 Sam 1 2 [ 1 3] è detto che, quando D avide penitente disse a N atan : Ho peccato contro il Signore, Natan gli rispose:

tuum, non morieris. Veruntamen filius qui natus est tibi, morte morietur, quod fuit in

poenam praecedentis peccati, ut ibidem dicitur. Ergo, remissa culpa, remanet reatus alicuius poenae. Respondeo dicendum quod, sicut in secunda parte [1-11 q. 87 a. 4] habitum est, in peccato mortali sunt duo, scilicet aversio ab incommu­ tabili bono, et conversio ad commutabile bonum inordinata. Ex parte igitur aversionis ab incommutabili bono, consequitur peccatum mortale reatus poenae aetemae, ut qui contra aetemum bonum peccavit, in aetemum punia­ tur. Ex parte etiam conversionis ad bonum commutabile, inquantum est inordinata, con­ sequitur peccatum mortale reatus alicuius poenae, quia inordinatio culpae non reducitur ad ordinem iustitiae nisi per poenam; iustum est enim ut qui voluntati suae plus indulsit quam debuit, contra voluntatem suam aliquid patiatur, sic enim erit aequalitas; unde et Apoc. 1 8 [7] dicitur, quantum glorificavit se et

in deliciis jùit, tantum date illi tmmentum et luctum. Quia tamen conversio ad bonum

commutabile finita est, non habet ex hac parte peccatum mortale quod debeatur ei poena aetema. Unde, si sit inordinata conversio ad bonum commutabile sine aversione a Deo, sicut est in peccatis venialibus, non debetur peccato poena aeterna, sed temporali s . Quando igitur per gratiam remittitur culpa, tollitur aversio animae a Deo, inquantum per

Il Signore ha perdonato il tuo peccato: tu non morirai. Tuttavia il figlio che ti è nato dovrà morire; e ciò come pena del peccato prece­ dente, come si legge nello stesso punto. Perciò, rimessa la colpa, rimane il debito di una certa pena. Risposta: come si è visto nella Seconda Parte, nel peccato mortale vanno considerate due cose: l' allontanamento dal bene [eterno] incommutabile e la conversione [o adesione] disordinata al bene commutabile [o tempora­ le] . Per l ' allontanamento quindi dal bene incommutabile il peccato mortale è accompa­ gnato dal debito della pena eterna, in modo che colui che ha peccato contro il bene eterno sia punito per l'eternità. Invece per la disordi­ nata conversione al bene commutabile il pec­ cato mortale è accompagnato dal debito di un' altra pena: poiché il disordine della colpa non è riassorbito nell' or�ine della giustizia che mediante una pena. E infatti giusto che colui che ha concesso alla propria volontà più del dovuto, soffra qualcosa di contrario alla sua volontà. E così si ottiene l'uguaglianza. Per cui è detto in Ap 1 8 [7]: Tutto ciò che ha

speso per la sua gloria e il suo lusso, restitui­ teglielo in tanto tormento e afflizione. Tutta­

via, poiché l 'adesione al bene commutabile non è infinita, da questo lato il peccato non merita una pena eterna. Per cui nel caso di una conversione disordinata a un bene tempo­ rale senza allontanamento da Dio, come acca­ de nei peccati veniali, il peccato merita una pena non eterna, ma temporale. - Quando

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gratiam anima Deo coniungitur. Unde et per consequens simul tollitur reatus poenae aeter­ nae. Potest tamen remanere reatus alicuius poenae temporalis. Ad primum ergo dicendum quod culpa mor­ talis utrumque habet, et aversionem a Deo et conversionem ad bonum creatum, sed, sicut in secunda parte [1-11 q. 71 a. 6] habitum est, aversio a Deo est ibi sicut formale, conversio autem ad bonum creatum est ibi sicut ma­ teriale. Remoto autem formali cuiuscumque rei, tollitur species, sicut, remoto rationali, tollitur species humana. Et ideo ex hoc ipso dicitur culpa mortalis remitti, quod per gratiam tollitur aversio mentis a Deo, simul cum reatu poenae aetemae. Remanet tamen id quod est materiale, scilicet inordinata conver­ sio ad bonum creatum. Pro qua debetur reatus poenae temporalis. Ad secundum dicendum quod, sicut in secun­ da parte [1-11 q. 1 1 1 a. 2] habitum est, ad gra­ tiam pertinet operari in homine iusti:ficando a peccato, et cooperari homini ad recte ope­ randum. Remissio igitur culpae et reatus poenae aeternae pertinet ad gratiam operan­ tem, sed remissio reatus poenae temporalis pertinet ad gratiam cooperantem, inquantum scilicet homo, cum auxilio divinae gratiae, patienter poenas tolerando, absolvitur etiam a reatu poenae temporalis. Sicut igitur prius est effectus gratiae operantis quam cooperantis, ita etiam prius est remissio culpae et poenae aeternae quam piena absolutio a poena tem­ porali, utrumque enim est a gratia, sed pri­ mum a gratia sola, secundum ex gratia et ex libero arbitrio. Ad tertium dicendum est quod passio Christi de se sufficiens est ad tollendum omnem reatum poenae non solum aeternae, sed etiam temporalis, et secundum modum quo homo participat virtutem passionis Christi, percipit etiam absolutionem a reatu poenae. In bap­ tismo autem homo participat totaliter virtutem passionis Christi, utpote per aquam et Spiritum Christo commortuus peccato et in eo rege­ neratus ad novam vitam. Et ideo in baptismo homo consequitur remissionem reatus totius poenae. In poenitentia vero consequitur virtu­ tem passionis Christi secundum modum pro­ priorum actuum, qui sunt materia poenitentiae, sicut aqua baptismi, ut supra [q. 84 a. l ad l ] dictum est. Et ideo non statim per primum

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dunque mediante la grazia è rimessa la colpa, finisce l 'allontanamento dell'anima da Dio, poiché con la grazia l'anima si unisce a lui. E così è per ciò stesso eliminato il debito della pena eterna. Può tuttavia restare il debito di una qualche pena temporale. Soluzione delle difficoltà: l . La colpa mortale presenta tutti e due questi aspetti: l'allonta­ namento da Dio e l'adesione o conversione al bene creato; però, come si è spiegato nella Seconda Parte, l' allontanamento da Dio è l'elemento formale del peccato, mentre la conversione al bene creato è l'elemento mate­ riale. Ora, se è eliminato l'elemento formale di una cosa, questa perde la sua natura speci­ fica: come eliminando la razionalità si elimi­ na la specie umana. Perciò si dice che la colpa mortale è rimessa per il fatto che con la grazia è tolto l'allontanamento dell'anima da Dio e insieme il reato o debito della pena eterna. Ri­ mane però l'elemento materiale, cioè l'ade­ sione disordinata al bene creato: per cui si ha un debito di pena temporale. 2. Come si è visto nella Seconda Parte, è compito della grazia operare nell'uomo giu­ stificando dal peccato, e cooperare con l'uo­ mo nel ben operare. Perciò la remissione della colpa e del debito della pena eterna ap­ partiene alla grazia operante, mentre la remis­ sione del debito della pena temporale spetta alla grazia cooperante, in quanto cioè l'uomo, sopportando con pazienza le sue pene me­ diante l'aiuto della grazia, è sciolto dal debito della pena temporale. Come quindi l'effetto della grazia operante precede quello della gra­ zia cooperante, così la remissione della colpa e della pena eterna precede la piena remissio­ ne della pena temporale. Entrambi gli effetti derivano perciò dalla grazia: ma il primo dalla sola grazia, mentre il secondo deriva insieme dalla grazia e dal libero arbitrio. 3. La passione di Cristo è sufficiente per se stessa a eliminare qualsiasi debito di pena non solo eterna, ma anche temporale: e nella mi­ sura in cui l'uomo partecipa la virtù della pas­ sione di Cristo, partecipa anche l ' affran­ camento dal debito della pena. Ora, nel batte­ simo l' uomo partecipa pienamente la virtù della passione di Cristo, giacché mediante l'acqua e lo Spirito Santo viene a morire al peccato insieme con Cristo, ed è rigenerato in lui a una vita nuova. Perciò nel battesimo l'uo-

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actum poenitentiae, quo remittitur culpa, solvitur reatus totius poenae, sed completis omnibus poenitentiae actibus.

mo ottiene la remissione di tutta la pena. Nella penitenza invece partecipa la virtù della pas­ sione di Cristo secondo la misura dei propri atti, i quali, come si è visto sopra, sono la materia della penitenza, come l'acqua lo è del battesimo. E così il debito di tutta la pena non è subito rimesso con il primo atto di penitenza con cui è rimessa la colpa, ma solo dopo che sono stati compiuti tutti gli atti della penitenza.

Articulus 5 Utrum, remissa culpa mortali, tollantur omnes reliquiae peccati

Articolo 5 Con il perdono della colpa mortale sono eliminate tutte le scorie del peccato?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod, re­ missa culpa mortali, tollantur omnes reliquiae peccati. l . Dicit enim Augustinus, in libro De poeni­ tentia [De vera et falsa poenit. 9], nunquam

Sembra di sì. Infatti: l . Agostino afferma: «Il Signore non ha mai guarito nessuno senza liberarlo completamen­ te: guarì infatti per intero quell'uomo in gior­ no di sabato poiché ne liberò il corpo da ogni infermità e l'anima da ogni infezione». Ma le scorie del peccato rientrano nelle infermità del peccato. Quindi non sembra possibile che una volta perdonata la colpa rimangano le scorie del peccato. 2. Secondo Dionigi il bene è più efficace del male: poiché il male non agisce che in virtù del bene. Ora, col peccato l ' uomo contrae simultaneamente tutta l'iniezione della colpa. Quindi a maggior ragione con la penitenza egli è liberato da tutte le scorie del peccato. 3. L' opera di Dio è più efficace dell' opera dell'uomo. Ma con l'esercizio delle [buone] opere deli' uomo le scorie dei peccati opposti sono eliminate. Molto più dunque esse sono eliminate con la remissione della colpa, che è opera di Dio. In contrario: in Mc 8 [22] si legge che il cieco illuminato dal Signore prima ebbe la restitu­ zione di una vista imperfetta, per cui disse:

Dominus aliquem sanavit quem omnino non liberavit, totum enim hominem sanavit in sabbato, quia corpus ab amni infirmitate, et animam ab amni contagiane. Sed reliquiae peccati pertinent ad infirmitatem peccati . Ergo non videtur possibile quod, remissa culpa, remaneant reliquiae peccati. 2. Praeterea, secundum Dionysium, 4 cap. De div. nom. [20] , bonum est efficacius quam malum, quia malum non agit nisi in virtute boni. Sed homo peccando simul totam infec­ tionem peccati contrahit. Ergo multo magis poenitendo liberatur etiam ab omnibus pecca­ ti reliquiis. 3. Praeterea, opus Dei est efficacius quam opus hominis. Sed per exercitium humano­ rum operum ad bonum tolluntur reliquiae peccati contrarii. Ergo multo magis tolluntur per remissionem culpae, quae est opus Dei. Sed contra est quod Marci 8 [22 sqq.] legitur quod caecus illuminatus a Domino, primo restitutus est ad impertectum visum, unde ait, video homines velut arbores ambulare; dein­ de restitutus est perfecte, ita ut videret dare omnia. Illuminatio autem caeci significat liberationem peccatoris. Post primam ergo remissionem culpae, qua peccator restituitur ad visum spiritualem, adhuc remanent in eo reliquiae aliquae peccati praeteriti. Respondeo dicendum quod peccatum mortale ex parte conversionis inordinatae ad bonum commutabile quandam dispositionem causat i n a n i m a ; vel etiam habitum, s i actus

Vedo gli uomini come alberi che camminano,

e in seguito fu guarito pertettamente, così da vedere a distanza ogni cosa. Ora, la guarigio­ ne del cieco vuole significare il prosciogli­ mento del peccatore. Perciò dopo la prima remissione della colpa, con cui al peccatore è restituita la vista spirituale, rimangono in lui alcune scorie del peccato commesso. Risposta: il peccato mortale con la sua ade­ sione disordinata al bene creato produce nel­ l'anima una ce1ta disposizione; o anche un'a­ bitudine, se l' atto è ripetuto più volte. Ora, la colpa del peccato mortale, come si è detto

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L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

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frequenter iteretur. Sicut autem dictum est [a. 4 ad 1 ] , culpa mortalis peccati remittitur inquantum tollitur per gratiam aversio mentis a Deo. Sublato autem eo quod est ex parte aversionis, nihilominus remanere potest id quod est ex parte conversionis inordinatae, cum hanc contingat esse sine illa, sicut prius [a. 4 ad l ] dictum est. Et ideo nihil prohibet quin remissa culpa, remaneant dispositiones ex praecedentibus actibus causatae, quae dicuntur peccati reliquiae. Remanent tamen debilitatae et diminutae, ita quod homini non dominentur. Et hoc magis per modum dispositionum quam per modum habituum, sicut etiam remanet fomes post baptismum. Ad primum ergo dicendum quod Deus totum hominem perfecte curat, sed quandoque su­ bito, sicut socrum Petri statim restituit per­ fectae sanitati, ita ut surgens ministraret ei, ut legitur Luc. 4 [39] ; quandoque autem suc­ cessive, sicut dictum est de caeco illuminato, Marci 8. Et ita etiam spiritualiter quandoque tanta commotione convertit cor hominis ut subito perfecte consequatur sanitatem spiri­ tualem, non solum remissa culpa, sed sublatis omnibus peccati reliquiis, ut patet de Magda­ lena, Luc. 7 [47 sqq.] . Quandoque autem prius remittit culpam per gratiam opemntem, et postea per gmtiam coopemntem successive tollit peccati reliquias. Ad secundum dicendum quod peccatum etiam quandoque statim inducit debilem di­ spositionem, utpote per unum actum causa­ tam, quandoque autem fortiorem, causatam per multos actus. Ad tertium dicendum quod uno actu humano non tolluntur omnes reliquiae peccati, quia, ut dicitur in Praedicamentis [8, 17] , pravus, ad meliores exercitationes deductus, ad modicum aliquid proficiet, ut melior sit, multiplicato autem exercitio, ad hoc pervenit ut sit bonus virtute acquisita. Hoc autem multo efficacius facit divina gratia, sive uno sive pluribus actibus.

sopra, è rimessa in quanto la grazia toglie l'allontanamento dell'anima da Dio. Ma eli­ minato quanto si riferisce all'allontanamento, può rimanere ancora quanto si riferisce alla conversione disordinata: poiché quest'ultima può sussistere anche senza l'allontanamento da Dio, come si è notato. Perciò nulla impedi­ sce che, eliminata la colpa, rimangano le disposizioni causate dagli atti precedenti, che sono dette scorie [o reliquie] del peccato. Tuttavia esse rimangono debilitate e affievoli­ te, così da non dominare sull'uomo. E ciò più a modo di disposizione che di abito: come avviene anche per il fornite dopo il battesimo. Soluzione delle difficoltà: l . Dio guarisce tutto l'uomo perfettamente: ma talora lo fa subito, come restituì subito la perfetta salute alla suocera di Pietro, per cui levatasi all 'i­ stante la donna cominciò a servir/o (Le 4,39); talora invece lo fa gradualmente, cioè come fece col cieco a cui rese la vista (Mc 8,22). E così anche spiritualmente talora egli converte con tanta commozione il cuore di un uomo da fargli conseguire ali' istante una perfetta guari­ gione spirituale, non solo con la remissione della colpa, ma anche con l'eliminazione di tutte le scorie del peccato: come avvenne nel caso della Maddalena (Le 7,47). Altre volte invece prima rimette la colpa con la grazia operante, e poi gradualmente elimina le scorie del peccato con la grazia cooperante. 2. Anche il peccato talora non produce da principio che una disposizione debole, i n quanto causata da u n unico atto; talora invece ne produce una più forte, causata da una mol­ teplicità di atti. 3. Con un solo atto umano non si possono eli­ minare tutte le scorie del peccato: poiché, come dice Aristotele, «il perverso, ricondotto a prati­ che più oneste, progredirà poco nel migliora­ mento»; insistendo però nell'esercizio arriverà a essere buono con la virtù acquisita. Questo però può tarlo con molta maggiore efficacia la grazia di Dio, sia con uno che con molti atti.

Articulus 6 Utrum remissio culpae sit effectus poenitentiae secundum quod est virtus

Articolo 6 La remissione della colpa è un effetto della penitenza in quanto virtù?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod re­ missio culpae non sit effectus poenitentiae secundum quod est virtus.

Sembra di no. Infatti: l . La penitenza è considerata una virtù in quanto è principio di atti umani. Ma gli atti

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L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

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l . Dicitur enim poenitentia virtus secundum quod est principium humani actus. Sed huma­ n i actus non operantur ad remissionem culpae, quae est effectus gratiae operantis. Ergo remissio culpae non est effectus poeni­ tentiae secundum quod est virtus. 2. Praeterea, quaedam aliae virtutes sunt excellentiores poenitentia. Sed remissio cul­ pae non dicitur effectus alicuius alterius virtu­ tis. Ergo etiam non est effectus poenitentiae secundum quod est virtus. 3. Praeterea, remissio culpae non est nisi ex virtute passionis Christi, secundum illud Hebr.

umani non influiscono sulla remissione della colpa, che è un effetto della grazia operante. Quindi la remissione della colpa non è un effetto della penitenza in quanto virtù. 2. Altre virtù sono più eccellenti della peni­ tenza. Eppure la remissione della colpa non è detta effetto di nessuna di esse. Quindi non può dirsi neppure effetto della penitenza in quanto virtù. 3. La remissione della colpa non si ha che in virtù della passione di Cristo, poiché senza

9 [22], sine sanguinis effusione non fit remis­ sio. Sed poenitentia inquantum est sacramen­

passione di Cristo in quanto sacramento, co­ me anche gli altri sacramenti, secondo le spie­ gazioni date. Perciò la remissione della colpa è un effetto della penitenza non i n quanto virtù, bensì in quanto sacramento. In contrario: propriamente è causa di una data cosa quanto è indispensabile perché essa possa esistere, dato che ogni effetto dipende dalla propria causa. Ora, come si è già notato, la remissione dei peccati può derivare da Dio senza il sacramento della penitenza, ma non senza la penitenza in quanto virtù. Per cui anche prima dei sacramenti della nuova legge Dio rimetteva i peccati a chi faceva penitenza. Quindi la remissione della colpa è un effetto della penitenza in quanto virtù. Risposta: la penitenza è una virtù in quanto è principio di certi atti umani. Ora, gli atti umani del penitente costinriscono come la materia nel sacramento della penitenza. Ma ogni sacramen­ to produce il suo eftetto non solo in virtù della forma, bensì anche in virtù della materia: poiché entrambe le cose costituiscono tm tmico sacra­ mento, come si è detto sopra. Come quindi nel battesimo la remissione della colpa non dipende solo dalla virtù della forma, dalla quale anche la stessa acqua ottiene la sua virtù, così anche la remissione della colpa è effetto della penitenza principalmente per il potere delle chiavi eserci­ tato dai ministri, dai quali, secondo le spiegazio­ ni date, deriva ciò che è formale in questo sacra­ mento; tuttavia secondariamente deriva anche dali' efficacia degli atti del penitente che rientra­ no nella virtù della penitenza, sia pure in quanto tali atti sono ordinati in qualche modo alle chia­ vi della Chiesa Perciò è evidente che la remis­ sione della colpa è effetto della penitenza in quanto virtù; più principalmente però è effetto della penitenza in quanto sacramento.

tum, operatur in virtute passionis Christi, sicut et cetera sacramenta, ut ex supra [a. 4 ad 3; q . 62 a . 5] dictis patet. Ergo remissio culpae non est effectus poenitentiae inquantum est virtus, sed inquantum est sacramentum. Sed contra, illud est proprie causa alicuius sine quo esse non potest, omnis enim effectus dependet a sua causa. Sed remissio culpae po­ test esse a Deo sine poenitentiae sacramento, non autem sine poenitentia secundum quod est virtus, ut supra [a. 2; q. 84 a. 5 ad 3] dictum est. Unde et ante sacramenta novae le­ gis poenitentibus Deus peccata remittebat. Ergo remissio culpae est eftèctus poenitentiae secundum quod est virtus. Respondeo dicendum quod poenitentia est virtus secundum quod est principium quorundam actuum humanorum. Actus autem humani qui sunt ex parte peccatoris, materialiter se habent in sacramento poenitentiae. Omne autem sacra­ mentum producit effectum suum non solum vir­ tute formae, sed etiam virtute materiae, ex utroque enim est unum sacramentum, ut supra [q. 60 a. 6 ad 2] habitum est. Unde, sicut remissio culpae fit in Baptismo non solum vir­ tute formae, ex qua et ipsa aqua virtutem recipit; ita etiam remissio culpae est effectus poeni­ tentiae, principalius quidem ex vittute clavium, quam habent ministri, ex quorum parte accipitur id quod est formale in hoc sacramento, ut supra [q. 84 a. 3] dictum est; secundario autem ex vi actuum poenitentis pertinentium ad virtutem poenitentiae, tamen prout hi actus aliqualiter or­ dinantur ad claves Ecclesiae. Et sic patet quod remissio culpae est effectus poenitentiae secundum quod est virtus, principalius tamen secundum quod est sacramentum.

spargimento di sangue non esiste perdono (Eh 9,22). Ma la penitenza opera in virtù della

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L 'effetto della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali

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Ad primum ergo dicendum quod effectus gratiae operantis est iustificatio impii, ut in secunda parte [I-II q. 1 1 1 a. 2; q. 1 1 3] dictum est. In qua, ut ibidem dictum est, non solum est gratiae infusio et remissio culpae, sed etiam motus liberi arbitrii in Deum, qui est actus fidei formatae, et motus liberi arbitrii in peccatum, qui est actus poenitentiae. Hi tamen actus humani sunt i b i ut effectu s gratiae operantis simul producti cum remissione cul­ pae. Unde remissio culpae non fit sine actu poenitentiae virtutis, licet sit effectus gratiae operanti s. Ad secundum dicendum quod in iustificatione impii non solum est actus poenitentiae, sed etiam actus fidei , ut dictum est [ad 2; 1-11 q. 1 1 3 a. 4] . Et ideo remissio culpae non ponitur effectus solum poenitentiae virtutis, sed principalius fidei et caritatis. Ad tertium dicendum quod ad passionem Christi ordinatur actus poenitentiae virtutis et per fidem et per ordinem ad claves Ecclesiae. Et ideo utroque modo causat remissionem culpae virtute passionis Christi. Ad id autem quod in contrarium obiicitur, dicendum est quod actus poenitentiae virtutis habet quod sine eo non possit fieri remissio culpae, inquantum est inseparabilis effectus gratiae, per quam ptincipaliter culpa remittitur, quae etiam operatur in omnibus sacramentis. Et ideo per hoc non potest concludi nisi quod gratia est principalior causa remissionis culpae quam poenitentiae sacramentum. Sciendum tamen quod etiam in veteri lege et in lege naturae erat aliqualiter sacramentum poeniten­ tiae, ut supra [q. 84 a. 7 ad 1-2] dictum est.

Soluzione delle difficoltà: l . Come si è spie­ gato nella Seconda Parte, la giustificazione dell'empio è un effetto della grazia operante. Ma in tale giustificazione, come si disse, non rientra solo l' infusione della grazia e la remis­ sione della colpa, bensì anche i l moto del libero arbitrio, sia quello verso Dio, che è un atto della fede formata, sia quello contro il peccato, che è un atto della virtù della peni­ tenza. Tuttavia questi atti umani si presentano qui come effetti della grazia operante, prodot­ ti insieme con la remissione della colpa. Quindi la remissione della colpa non avviene senza gli atti della virtù di penitenza, pur essendo un effetto della grazia operante. 2. Nella giustificazione dell'empio abbiamo non solo un atto di penitenza, ma anche un atto di fede, come si è notato sopra. Perciò la remissione della colpa non è solo effetto della penitenza in quanto virtù, ma prima ancora della fede e della carità. 3. Gli atti della penitenza in quanto virtù sono legati alla passione di Cristo tanto mediante la fede quanto mediante il potere delle chiavi esistente nella Chiesa. Quindi essi per en­ trambi i motivi causano la remissione della colpa in virtù della passione di Cristo. 4. [S. c.]. In tisposta all'argomento in contrario va detto che l'atto della virtù di penitenza deve la sua indispensabilità per la remissione della colpa al fatto che è un effetto inseparabile della grazia, da cui principalmente deriva la remis­ sione della colpa, e che opera in tutti i sacra­ menti. Perciò da questo tatto non si può con­ cludere se non che la grazia è la causa prin­ cipale della remissione della colpa, più ancora del sacramento della penitenza. Si noti però che anche nell' antica legge e nella legge di natura esisteva in qualche modo il sacramento della penitenza, come sopra si è accennato.

QUAESTIO 87 DE REMISSIONE VENIALIUM PECCATORUM

QUESTIONE 87 LA REMISSIONE DEI PECCATI VENIALI

Deinde considerandum est de remissione ve­ nialium peccatorum. - Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum sine poenitentia pec­ catum veniale possit dimitti. Secundo, utrum possit dimitti sine gratiae infusione. Tertio, utrum peccata venialia remittantur per asper-

Veniamo ora a esaminare la remissione dei pec­ cati veniali. - Sull'argomento si pongono quat­ tro quesiti: l . Il peccato veniale può essere timesso senza la penitenza? 2. Può essere per­ donato senza l'infusione della grazia? 3. I pec­ cati veniali sono rimessi con l'aspersione del-

Q. 87, A. l

La remissione dei peccati veniali

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sionem aquae benedictae, et tunsionem pecto­ ris, et orationem dominicam, et alia huiusmodi. Quarto, utrum veniale possit dimitti s i ne mortali.

l'acqua benedetta, col battersi il petto, con la preghiera del Signore e con altre pratiche del genere? 4. Un peccato veniale può essere rimesso restando nell'anima il peccato mortale?

Articulus l Utrum veniale peccatum possit remitti sine poenitentia

Articolo l D peccato veniale può essere rimesso

Ad primum sic proceditur. Vìdetur quod ve­ niale peccatum possit remitti sine poenitentia. l . Pertinet enim, ut supra [q. 84 a. 10 ad 4] dictum est, ad rationem verae poenitentiae quod non solum homo doleat de peccato praeterito, sed etiam proponat cavere de futuro. Sed sine tali proposito peccata venialia dimittuntur, cum certum sit homini quod sine peccatis venialibus praesentem vitam ducere non possit. Ergo pec­ cata venialia possunt remitti sine poenitentia. 2. Praeterea, poenitentia non est sine actuali displicentia peccatorum. Sed peccata venialia possunt dimitti sine displicentia eorum, sicut patet in eo qui dormiens occideretur propter Christum; statim enim evolaret, quod non con­ tingit manentibus peccatis venialibus. Ergo pec­ cata venialia possunt remitti sine poenitentia. 3 . Praeterea, peccata venialia opponuntur fervori catitatis, ut in secunda parte [ll-ll q. 54 a. 3] dictum est. Sed unum oppositorum tollitur per aliud. Ergo per fervorem caritatis, quem contingit esse sine actuali displicentia peccati venialis, fit remissio peccatorum venialium. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De poenitentia [cf. Decretum, p. 2, causa 33, q. 3 De poenit., d. l , can. 8 1 Tres sunt; cf. Augustinus, Ep. 265 Ad Seleucianam; Serm. ad pop. 35 1 ,3 ; cf. Sent. 4, 1 6,5], quod est

Sembra di sì. Infatti : l . Come si è notato sopra, la penitenza vera implica non solo che uno si penta del peccato commesso, ma che inoltre proponga di evitar­ lo in futuro. Ora, i peccati veniali sono rimes­ si senza tale proposito, essendo certo che un uomo non può trascorrere la vita presente senza peccati veniali. Quindi i peccati veniali possono essere rimessi senza la penitenza. 2. Non c'è penitenza senza dispiacere attuale dei peccati commessi. Ma i peccati veniali possono essere perdonati senza che se ne abbia dispiacere: come è evidente nel caso di chi fosse ucciso per Cristo durante il sonno. Costui infatti volerebbe subito in cielo, il che non potrebbe avvenire se restassero i peccati veniali. Quindi i peccati veniali possono veni­ re rimessi senza la penitenza. 3. I peccati veniali sono incompatibili col fer­ vore della carità, come si è visto nella Secon­ da Parte. Ma gli opposti si escludono a vicen­ da. Quindi col fervore della carità, che può prodursi anche senza il dolore attuale del pec­ cato veniale, si può avere la remissione dei peccati veniali. In contrario: Agostino afferma che «c'è nella Chiesa una penitenza quotidiana per i peccati veniali». Ora, questa sarebbe inutile se i pec­ cati veniali potessero essere rimessi senza la penitenza. Risposta: come si è già notato, la remissione della colpa è compiuta mediante l'unione con Dio, dal quale ogni colpa più o meno separa. Ora, tale separazione è perfetta col peccato mortale, imperfetta con quello veniale: poiché col peccato mortale l'anima è distolta total­ mente da Dio, trattandosi di un atto incompa­ tibil e con la carità, mentre col peccato veniale l ' affetto dell' uomo è trattenuto dall' andare verso Dio con prontezza. Perciò entrambi i peccati sono rimessi con la penitenza, poiché entrambi introducono nella volontà umana il disordine di un attaccamento sregolato al

quaedam poenitentia quae quotidie agitur in Ecclesia pro peccatis venialibus. Quae frustra

esset si sine poenitentia peccata venialia pos­ sunt dimitti. Respondeo dicendum quod remissio culpae, sicut dictum est [q. 86 a. 4], fit per coniunctio­ nem ad Deum, a quo aliqualiter separat culpa. Sed haec separatio perfecte quidem fit per pec­ catum mortale, imperfecte autem per peccatum veniale, nam per peccatum mortale mens omnino a Deo avertitur, utpote contra caritatem agens; per peccatum autem veniale retardatur affectus hominis ne prompte in Deum feratur. Et ideo utrumque peccatum per poenitentiam quidem remittitur, quia per utrumque deordi-

senza la penitenza?

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La remissione dei peccati veniali

natur voluntas hominis per i mmoderatam conversionem ad bonum creatum, sicut enim peccatum mortale remitti non potest quandiu voluntas peccato adhaeret, i ta etiam nec peccatum veniale, quia, manente causa, manet effectus. Exigitur autem ad remissionem pec­ cati mortalis perfectior poenitentia, ut scilicet homo actualiter peccatum mortale commissum detestetur quantum in ipso est, ut scilicet dili­ gentiam adhibeat ad rememorandum singula peccata mortalia, ut singula detestetur. Sed hoc non requiritur ad remissionem venialium pec­ catorum. Non tamen sufficit habitualis displi­ centia, quae habetur per habitum caritatis vel poenitentiae virtutis, quia sic caritas non com­ pateretur peccatum veniale, quod patet esse fal­ sum. Unde sequitur quod requiratur quaedam virtualis displicentia, puta cum aliquis fertur hoc modo secundum affectum in Deum et res divinas ut quidquid ei occurrat quod eum ab hoc motu retardaret, displiceret ei, et doleret se hoc commisisse, etiam si actu de ilio non co­ gitaret. Quod tamen non sufficit ad remissio­ nem peccati mortalis, nisi quantum ad peccata oblita post diligentem inquisitionem. Ad primum ergo dicendum quod homo in gratia constitutus potest vitare ornn ia peccata mortalia et singula; potest etiam vitare singula peccata venialia, sed non omnia; ut patet ex his quae in secunda parte [1-11 q. 74 a. 3 ad 2; q. l 09 a. 8] dieta sunt. Et ideo poenitentia de peccatis mortalibus requirit quod homo propo­ nat abstinere ab omnibus et singulis peccatis mortalibus. Sed ad poenitentiam peccatorum venialium requiritur quod proponat abstinere a singulis, non tamen ab omnibus, quia hoc infir­ mitas huius vitae non patitur. Debet tamen habere propositum se praeparandi ad peccata venialia minuenda, alioquin esset ei periculum deficiendi, cum desereret appetitum proficiendi, seu tollendi impedimenta spiritualis profectus, quae sunt peccata venialia. Ad secundum dicendum quod passio pro Christo suscepta, sicut supra [q. 66 a. 1 1 ] dictum est, obtinet vim Baptismi. Et ideo purgat ab omni culpa et mortali et veniali, nisi actuali­ ter voluntatem peccato invenerit inhaerentem. Ad tertium dicendum quod fervor caritatis vir­ tualiter implicat displicentiam venialium pecca­ torum, ut supra [in co.] dictum est.

Q. 87, A. l

bene creato: come infatti i l peccato mortale non può essere rimesso finché la volontà ade­ risce al peccato, così non può esserlo il pecca­ to veniale, poiché, finché rimane la causa, rimane anche l'effetto. Per la remissione del peccato m01tale si richiede però una peniten­ za più perfetta: si richiede cioè che uno detesti attualmente il peccato per quanto gli è possi­ bile, ossia che usi diligenza nel ricordare i sin­ goli peccati mortali, per detestarli singolar­ mente. Ciò i nvece non è richiesto per l a remissione dei peccati veniali. Tuttavia non basta il dispiacere abituale, che è implicito nel possesso degli abiti della carità e della peni­ tenza: poiché altrimenti la carità dovrebbe essere incompatibile col peccato veniale, il che è evidentemente falso. Si richiede quindi un certo dispiacere virtuale: p. es. che uno abbia un tale affetto verso Dio e le cose di Dio che proverebbe dispiacere per tutto ciò che potrebbe ritardare il suo moto verso di lui, e sentirebbe dolore per aver commesso cose del genere, anche se attualmente non ci pensa. n che invece non basta per la remissione dei peccati mortali, eccetto il caso di quelli di­ menticati dopo una diligente ricerca. Soluzione delle difficoltà: l . L' uomo in grazia può evitare tutti e singoli i peccati mortali; e può evitare anche i singoli peccati veniali, ma non tutti, come risulta da quanto abbiamo detto nella Seconda Parte. La penitenza quin­ di dei peccati mortali richiede che l ' uomo proponga di astenersi da tutti e singoli i pec­ cati mortali. Invece per la penitenza dei pec­ cati veniali basta che proponga di astenersi dai singoli, ma non da tutti : poiché la debo­ lezza della vita presente non rende possibile la cosa. Tuttavia si deve avere il proposito di disporsi a diminuire i peccati veniali: altri­ menti ci si espone al pericolo di mancare, abbandonando il desiderio di progredire e di togliere quegli ostacoli al progresso spirituale che sono i peccati veniali. 2. La morte sofferta per Cristo raggiunge il valore del battesimo, come si è visto. Essa perciò purifica da qualsiasi colpa mortale e veniale, a meno che non trovi la volontà attualmente aderente al peccato. 3. Il fervore della carità implica virtualmente i l dispiacere dei peccati veniali, come si è notato qui sopra.

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La remissione dei peccati veniali

Q. 87, A. 2 Articulus 2

Articolo 2

Utrum ad remissionem venialium pecca­ torum requiratur gratiae infusio

Per la remissione dei peccati veniali si richiede l'infusione della grazia?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod ad remissionem venialium peccatorum requira­ tur gratiae in:fusio. l . Effectus enim non est sine propria causa. Sed propria causa remissionis peccatorum est gratia, non enim ex meritis propriis hominis peccata propria remittuntur; unde dicitur Eph. 2 [4-5] , Deus, qui dives est in misericordia,

Sembra di sì. Infatti: l . Un effetto non può mai prodursi senza la propria causa. Ora, la causa propria della re­ missione dei peccati è la grazia: poiché non è per i nostri meriti che ci sono rimessi i peccati, come si rileva da Ef2 [4] : Dio, ricco di miseri­

propter nimiam caritatem qua dilexit nos, cum essemus mortui peccatis, convivificavit nos in Christo, cuius gratia salvati estis. Ergo

peccata venialia non remittuntur sine gratiae infusione. 2. Praeterea, peccata venialia non remittuntur sine poenitentia. Sed in poenitentia infunditur gratia, sicut et in aliis sacramentis novae legis. Ergo peccata venialia non remittuntur sine gratiae infusione. 3 . Praeterea, peccatum veniale maculam quandam animae infert. Sed macula non au­ fertur nisi per gratiam, quae est spiritualis ani­ mae decor. Ergo videtur quod peccata ve­ nialia non remittantur si ne gratiae infusione. Sed contra est quod peccatum veniale adve­ niens non tollit gratiam, neque etiam diminuit eam, ut in seconda parte [II-II q. 24 a. 1 0] habitum est. Ergo, pari ratione, ad hoc quod peccatum veniale remittatur, non requiritur novae gratiae infusio. Respondeo dicendum quod unumquodque tollitur per suum oppositum. Peccatum autem veniale non contrariatur habituali gratiae ve] caritati, sed retardat actum eius, inquantum nimis haeret homo bono creato, Iicet non contra Deum, ut in seconda parte [1-ll q. 87 a. 5; q. 89 a. 2] habitum est. Et ideo ad hoc quod pecca­ turo tollatur, non requiritur aliqua habitualis gratia, sed sufficit aliquis motus gratiae vel caritatis ad eius remissionem. Quia tamen in habentibus usum liberi arbitrii, in quibus so­ Iom possunt esse peccata venialia, non con­ tingit esse infusionem gratiae sine actuali mo­ tu liberi arbitrii in Deum et in peccatum; ideo, quandocumque de novo gratia infunditur, peccata venialia remittuntur. Ad primum ergo dicendum quod etiam re­ missio peccatorum venialium est effectus gra­ tiae, per actum scilicet quem de novo elicit,

cordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia itifatti siete stati salvati. Quindi i peccati veniali non

sono rimessi senza l'infusione della grazia. 2. I peccati veniali non sono rimessi senza la penitenza. Ma nella penitenza è infusa la gra­ zia, come anche in tutti gli altri sacramenti della nuova legge. Quindi i peccati veniali non sono rimessi senza l'infusione della grazia. 3. Il peccato veniale infligge all'anima una macchia. Ora, la macchia non è cancellata che dalla grazia, che è la bellezza spirituale dell'anima. Quindi i peccati veniali non sono rimessi senza un'infusione di grazia. In contrario: il peccato veniale non toglie dal­ l'anima la grazia, e neppure la diminuisce, come si è spiegato nella Seconda Pm1e. Quin­ di, per lo stesso motivo, per la remissione del peccato veniale non si richiede l' infusione di una nuova grazia. Risposta: ogni cosa è eliminata dal suo con­ trario. Ma il peccato veniale non è contrario né alla grazia né alla carità, limitandosi a ri­ tardame gli atti, per il fatto che uno si attacca troppo a un bene creato, senza però andare contro Dio, come si è spiegato nella Seconda Parte. Perché dunque tale peccato sia elimi­ nato non si richiede l' infusione di una grazia abituale, ma un moto attuale della grazia o della carità è sufficiente per la sua remissione. Tuttavia, non potendo esistere in coloro che hanno l'uso del libero arbitrio, cioè nei soli capaci di commettere dei peccati veniali, un'infusione di grazia senza un moto attuale del libero arbitrio verso Dio e contro il pecca­ to, ne segue che ogniqualvolta si ha in essi una nuova infusione di grazia, si produce [anche] la remissione dei peccati veniali. Soluzione delle difficoltà: l . Anche la remis­ sione dei peccati veniali è un effetto della gra­ zia, però mediante il nuovo atto che essa pro-

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La remissione dei peccati veniali

Q. 87, A. 2

non autem per aliquid habituale de novo animae infusum. Ad secundum dicendum quod veniale pec­ catum nunquam remittitur sine aliquali actu poenitentiae virtutis, explicito scilicet vel implicito, ut supra [a. l ] dictum est. Potest tamen remitti veniale peccatum sine poeni­ tentiae sacramento, quod in absolutione sa­ cerdotis formaliter perficitur, ut supra [q. 84 a. l ad 2; a. 3; q. 86 a. 2] dictum est. Et ideo non sequitur quod ad remissionem venialis requiratur gratiae infusio, quae licet sit in quolibet sacramento, non tamen in quolibet actu virtutis. Ad tertium dicendum quod, sicut in corpore contingit esse maculam dupliciter, uno modo per privationem eius quod requiritur ad deco­ rem, puta debiti coloris aut debitae propor­ tionis membrorum, alio modo per superin­ ductionem alicuius impedientis decorem, puta luti aut pulveris; ita etiam in anima inducitur macula uno modo per privationem decoris gratiae per peccatum mortale, alio modo per inclinationem inordinatam affectus ad aliquid temporale; et hoc fit per peccatum veniale. Et ideo ad tollendam maculam mortalis peccati requiritur infusio gratiae, sed ad tollendam maculam peccati venialis, requiritur aliquis actus procedens a gratia per quem removeatur inordinata adhaesio ad rem temporalem.

duce, e non mediante un'altra grazia abituale infusa neli' anima. 2. n peccato veniale, come si è notato sopra, non è mai rimesso senza un qualche atto della penitenza virtù, o esplicito o implicito. Può tuttavia essere rimesso senza la penitenza sacramento, la quale formalmente raggiunge il compimento nell' assoluzione del sacerdote, secondo le spiegazioni date. Non ne segue quindi che per la remissione del peccato veniale si richieda un'infusione di grazia; infu­ sione che, pur ritrovandosi in ogni sacramento, non si ritrova tuttavia in ogni atto di virtù. 3. Nel corpo la macchia può prodursi in due modi: primo, mediante la privazione di quan­ to la bellezza richiede, p. es. del debito colore o della debita proporzione delle membra; secondo, mediante la sovrapposizione di qualcosa che impedisce lo splendore della bellezza, quali il fango e la polvere. E così anche nell'anima la macchia può prodursi o mediante la privazione del decoro della grazia col peccato mortale, o mediante l' inclinazio­ ne disordinata dell' affetto verso un bene tem­ porale: e ciò accade col peccato veniale. Per togliere quindi la macchia del peccato morta­ le si richiede l' infusione della grazia, ma per togliere la macchia del peccato veniale basta un atto che, derivando dalla grazia, tolga l'attaccamento disordinato al bene temporale.

Articulus 3 Utrum peccata venialia remittantur per aspersionem aquae benedictae, et episcopalem benedictionem, et alia huiusmodi

Articolo 3 I peccati veniali sono rimessi dall'aspersione dell'acqua benedetta, dalla benedizione episcopale e da altre pratiche di questo genere?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod pec­ cata venialia non remittantur per aspersionem aquae benedictae, et episcopalem benedictio­ nem, et alia huiusmodi. l . Peccata enim venialia non remittuntur sine poenitentia, ut dictum est [a. 1]. Sed poeniten­ tia per se sufficit ad remissionem venialium peccatorum. Ergo ista nihil operantur ad huius­ modi remissionem. 2. Praeterea, quodlibet istorum relationem ha­ bet ad unum peccatum veniale, et ad omnia. Si ergo per aliquod istorum remittitur peccatum veniale, sequetur quod pari ratione remittantur omnia. Et ita per unam tunsionem pectoris, vel per unam aspersionem aquae benedictae,

Sembra di no. Infatti: l . I peccati veniali non sono rimessi che me­ diante la penitenza, come si è visto. Ma la pe­ nitenza basta da sola a rimettere i peccati ve­ niali. Quindi tali pratiche non hanno alcun influsso in questa remissione. 2. Ognuna di queste pratiche si rivolge a un solo peccato veniale nello stesso modo in cui si rivolge a tutti. Se quindi con una di esse è rimesso un peccato, per lo stesso motivo sono rimessi tutti. E così con un solo percuotimento del petto, o con una sola aspersione di acqua benedetta, uno sarebbe purificato da tutti i peccati veniali. n che sembra inammissibile. 3. I peccati veniali comportano un debito di

Q. 87, A. 3

La remissione dei peccati veniali

redderetur homo immunis ab omnibus peccatis venialibus. Quod videtur inconveniens. 3. Praeterea, peccata venialia inducunt reatum alicuius poenae, licet temporalis, dicitur enim, l Cor. 3 [ 1 2. 1 5] , de eo qui superaedificat

lignum, faenum et stipulam, quod salvus erit, sic tamen quasi per ignem. Sed huiusmodi

per quae dicitur peccatum veniale remitti, vel nullam vel minimam poenam in se habent. Ergo non sufticiunt ad plenam remissionem venialium peccatorum. Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro De poenitentia [cf. Decretum, p. 2, causa 33, q. 3 De poenit., d. l , can. 8 1 Tres sunt; cf. Augustinus, ep. 265 Ad Seleucianam; Serm. ad pop. 35 1 ,3; cf. Sent. 4, 1 6,5], quod pro levibus peccatis pectora nostra tundimus, et dicimus [Matth. 6, 1 2], dimitte nobis debita nostra. Et ita videtur quod tunsio pectoris et oratio dominica causent rem issionem peccatorum. Et eadem ratio videtur esse de aliis. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. 2], ad remissionem venialis peccati non requiritur novae gratiae infusio, sed sufficit aliquis actus procedens ex gratia quo homo de­ testetur peccatum vel explicite, vel saltem im­ plicite, sicut cum aliquis ferventer movetur in Deum. Et ideo triplici ratione aliqua causant re­ missionem venialium peccatorum. Uno modo, inquantum in eis infunditur gratia, quia per in­ fusionem gratiae tolluntur peccata venialia, ut supra [a. 2] dictum est. Et hoc modo per Eucha­ ristiam et extremam unctionem, et universaliter per omnia sacramenta novae legis, in quibus confertur gratia, peccata venialia remittuntur. Secundo, inquantum sunt cum aliquo motu de­ testationis peccatorum. Et hoc modo confessio generalis, tunsio pectoris, et oratio dominica operantur ad remissionem venialium peccato­ rum, nam in Oratione Dominica petimus [Mat­ th. 6,1 2], dimitte nobis debita nostra. - Tertio, inquantum sunt cum aliquo motu reverentiae in Deum et ad res divinas. Et hoc modo bene­ dictio episcopalis, aspersio aquae benedictae, quaelibet sacramentalis unctio, oratio in Ec­ clesia dedicata, et si qua alia sunt huiusmodi, operantur ad remissionem peccatorum. Ad primum ergo dicendum quod omnia ista causant remissionem peccatorum venialium in­ quantum inclinant animam ad motum poeni­ tentiae, qui est detestatio peccatorum, vel impli­ cite vel explicite.

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pena, anche se temporale: poiché di colui che sopraedifica con legno, fieno o paglia si dice che sarà salvo, però come attraverso il fuoco [l Cor 3, 1 2. 1 5] . Invece queste pratiche che dovrebbero rimettere i peccati veniali non im­ plicano di per sé alcuna pena, o soltanto una pena insignificante. Quindi esse non bastano alla piena remissione dei peccati veniali. In contrario: Agostino dice che per i peccati non gravi «ci battiamo il petto, o diciamo: "Rimetti a noi i nostri debiti"». Quindi è evi­ dente che il battersi il petto e il recitare l'ora­ zione del Signore producono la remissione dei peccati veniali. E la stessa ragione vale per le altre pratiche suddette. Risposta: per la remissione del peccato venia­ le, come si è visto sopra, non si richiede una nuova infusione di grazia, ma basta un atto derivante dalla grazia con cui si detesti esplici­ tamente, o almeno implicitamente, il peccato, come quando uno si muove con fervore verso Dio. Perciò una pia pratica può influire sulla remissione dei peccati veniali in tre modi. Pri­ mo, in quanto con essa è infusa la grazia: poi­ ché, come si è notato sopra, con l'infusione della grazia sono cancellati i peccati veniali. E in questo modo i peccati veniali sono rimessi dall'Eucaristia, dall'estrema unzione e da tutti i sacramenti della nuova legge. - Secondo, in quanto tali pratiche sono accompagnate da un moto di detestazione dei peccati. Ed è in que­ sto modo che giovano alla remissione dei peccati veniali la recita del Confiteor, l' atto di battersi il petto e la preghiera del Padre no­ stro: infatti in questa preghiera noi chiediamo: Rimetti a noi i nostri debiti. Terzo, in quan­ to tali pratiche sono legate a un moto di rive­ renza verso Dio e verso le cose di Dio. E in questo modo influiscono sulla remissione dei peccati la benedizione episcopale, l'aspersio­ ne dell'acqua benedetta, una qualsiasi unzio­ ne rituale, il pregare in una chiesa consacrata e altre pratiche del genere. Soluzione delle difficoltà: l. Tutte queste pra­ tiche causano la remissione dei peccati veniali in quanto inclinano l'anima, in maniera impli­ cita o esplicita, a quel moto di penitenza che è la detestazione del peccato. 2. Per loro natura queste pratiche contribui­ scono a rimettere tutti i peccati veniali. Tutta­ via la remissione di qualche peccato veniale può essere impedita dall'attaccamento attuale -

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La remissione dei peccati veniali

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Ad secundum dicendum quod omnia ista, quantum est de se, operantur ad remissionem omnium venialium peccatorum. Potest tamen impediri remissio quantum ad aliqua peccata venialia, quibus mens actualiter inhaeret, sicut etiam per fictionem impeditur aliquando ef­ fectus baptismi. Ad tertium dicendum quod per praedicta tol­ luntur quidem peccata venialia quantum ad culpam, tum virtute alicuius sanctiticationis, tum etiam virtute caritatis, cuius motus per praedicta excitatur. Non autem per quodlibet praedictorum semper tollitur totus reatus poe­ nae, quia sic qui esset omnino immunis a peccato mortali, aspersus aqua benedicta sta­ tim evolaret. Sed reatus poenae remittitur per praedicta secundum motum fervoris in Deum, qui per praedicta excitatur quandoque magis, quandoque minus.

che l'anima ha verso di esso: come talvolta le c attive disposizioni i mpediscono anche l'effetto del battesimo. 3. Le pratiche suddette eliminano i peccati veniali quanto alla colpa, sia per la virtù di qualche rito santificante, sia per l'influsso della carità che è da esse eccitata. Non è detto però che ciascuna di esse elimini sempre tutto il debito della pena: poiché in tal caso chiun­ que si trovi senza peccato mortale potrebbe volare subito in cielo con l'aspersione dell'ac­ qua benedetta. n reato o debito della pena è invece rimesso dalle pratiche suddette in pro­ porzione del fervore verso Dio, che può deri­ vare da esse in misura maggiore o minore.

Articulus 4 Utrum veniale peccatum possit remitti sine mortali

Articolo 4 Un peccato veniale può essere rimesso restando nell'anima il peccato mortale?

Ad quartum sic proceditur. Vìdetur quod ve­ niale peccatum possit remitti sine mortali. l. Quia super illud Ioan. 8 [7], qui sine peccato est vestrum, p1imus in illam /apidem mittat, dicit quaedam Glossa [De vera et falsa poenit. 20] quod omnes il/i erant in peccato mortali, venia­ lia enim eis dimittebantur per caeremonias. Ergo veniale peccatum potest remitti sine mortali. 2. Praeterea, ad remissionem peccati venialis non requiritur gratiae infusio. Requiritur au­ tem ad remissionem mortalis. Ergo veniale peccatum potest remitti sine mortali. 3. Praeterea, plus distat veniale peccatum a mortali quam ab alio veniali. Sed unum veniale potest dimitti sine alio, ut dictum est [a. 3 ad 2]. Ergo veniale potest dimitti sine mortali. Sed contra est quod dicitur Matth. 5 [26], non exibis inde, scilicet de carcere, in quem intro­ ducitur homo pro peccato mortali, donec reddas novissimum quadrantem, per quem significatur veniale peccatum. Ergo veniale peccatum non remittitur sine mortali. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 86 a. 3] dictum est, remissio culpae cuiuscumque nunquam fit nisi per virtutem gratiae, quia, ut apostolus dicit, Rom. 4 [2 sqq.], ad gratiam Dei pertinet quod Deus alicui non imputat peccatum, quod Glossa [int. et Lomb.] ibi

Sembra di sì. Infatti: l . Commentando Gv 8 [7] : Chi di voi è senza

peccato, scagli per primo la pietra contro di lei, una Glossa affetma che «essi erano tutti in peccato mortale: infatti i peccati veniali erano loro rimessi dalle cerimonie rituali». Quindi il peccato veniale può essere rimesso senza che lo sia il mortale. 2. Per la remissione del peccato veniale non si richiede l'infusione della grazia. Questa inve­ ce è richiesta per la remissione del mortale. Perciò si può ottenere la remissione del primo senza la remissione del secondo. 3. Un peccato veniale è meno affine a un pec­ cato mortale che a un altro peccato veniale. Eppure una colpa veniale può essere rimessa senza la remissione di altre colpe veniali, come si è notato. Quindi il peccato veniale può essere rimesso senza il mortale. In contrario: in Mt 5 [26] è detto: Non uscirai di là, cioè dal carcere in cui un uomo è rin­ chiuso col peccato mortale, finché tu non abbia pagato ji1w all'ultimo spicciolo, che sta a significare il peccato veniale. Quindi il pec­ cato veniale non è rimesso senza la remissio­ ne del mortale. Risposta: come si è già notato, in nessuno si ha la remissione della colpa se non in forza della

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Q. 87, A. 4

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exponit de veniali. llle autem qui est in pecca­ to mortali , caret gratia Dei. Unde nullum peccatum veniale sibi remittitur. Ad primum ergo dicendum quod venialia ibi dicuntur irregularitates sive immunditiae quas contrahebant secundum legem. Ad secundum dicendum quod, licet ad remis­ sionem peccati venialis non requiratur nova infusio habitualis gratiae, requiritur tamen aliquis gratiae actus. Qui non potest esse in eo qui subiacet peccato mortali. Ad tertium dicendum quod peccatum veniale non excludit omnem actum gratiae, per quem possunt omnia peccata venialia dimitti. Sed peccatum mortale excludit totaliter habitum gratiae, sine quo nullum peccatum mortale vel veniale remittitur. Et ideo non est similis ratio.

grazia; poiché, come dice Paolo, si deve alla grazia di Dio che a qualcuno Dio non imputi il peccato (Rm 4,2); frase che la Glossa riferisce al peccato veniale. Ora, chi è in peccato morta­ le è privo della grazia di Dio. Perciò a lui non può essere rimesso alcun peccato veniale. Soluzione delle difficoltà: l . Per colpe veniali in quel testo si intendono le irregolarità o im­ purità che erano contratte a norma della legge. 2. Sebbene per la remissione del peccato veniale non si richieda una nuova infusione di grazia abituale, si richiede però un atto deri­ vante dalla grazia. E questo non ci può essere in chi è soggetto al peccato mortale. 3. Un peccato veniale non esclude mai ogni attività della grazia, mediante la quale posso­ no essere rimessi tutti i peccati veniali. Invece il peccato mortale esclude del tutto l ' abito della grazia, senza del quale non c'è remissio­ ne dei peccati né mortali né veniali. Perciò il paragone non regge.

QUAESTIO 88 DE REDITU PECCATORUM POST POENITENTIAM DIMISSORUM

QUESTIONE 88 IL RITORNO DEI PECCATI RIMESSI DOPO LA PENITENZA

Deinde considerandum est de reditu peccato­ rum post poenitentiam dimissorum. Et circa hoc quaemntur quatuor. - Primo, utmm pecca­ ta per poenitentiam dirnissa redeant simpliciter per sequens peccatum. Secundo, utmm aliquo modo per ingratitudinem redeant specialius secundum quaedam peccata. Tertio, utmm re­ deant in aequali reatu. Quarto, utmm illa ingra­ titudo per quam redeunt, sit speciale peccatum.

Passiamo quindi a considerare il ritorno, dopo la penitenza, dei peccati rimessi. - Sull'argo­ mento si pongono quattro quesiti: l. I peccati rimessi con la penitenza, assolutamente par­ lando, ritornano con un peccato successivo? 2. Ritornano per l ' ingratitudine, soprattutto nel caso di certi peccati? 3 . Ritornano con lo stesso grado di colpevolezza? 4. L' ingratitudi­ ne per cui ritornano è un peccato speciale?

Articulus l

Articolo

l

Utrum peccata dimissa redeant per sequens peccatum

I peccati rimessi ritornano con un peccato successivo?

Ad primum sic proceditur. Vìdetur quod pec­ cata dirnissa redeant per sequens peccatum. l . Dicit enim Augustinus, in libro l De Bapti­ smo [ 12], redire dimissa peccata ubi fraterna

Sembra di sì. Infatti: l . Agostino afferma: «Che tornino i peccati perdonati quando manca la somma carità lo insegna in modo molto aperto il Signore nel Vangelo, nella parabola di quel servo al quale il padrone addebitò di nuovo il debito condo­ nato per non avere egli voluto condonarlo al suo conservo». Ma la carità fraterna è elimi­ nata con qualsiasi peccato mortale. Quindi con qualsiasi peccato mortale successivo ri­ tornano i peccati rimessi con la penitenza.

caritas non est, apertissime Dominus in Evan­ gelio docet in ilio servo a quo dimissum debi­ tum Dominus petiit eo quod il/e conservo suo debitum nollet dimittere. Sed fraterna caritas tollitur per quodlibet peccaturn mortale. Ergo per quodlibet sequens mortale peccatum re­ deunt peccata prius per poenitentiam dimissa.

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Il ritorno dei peccati rimessi dopo la penitenza

2. Praeterea, super illud Luc. 1 1 [24], reveltar in domum meam unde exivi, dicit Beda [In Luc. 4, super 1 1 ,24], timendus est il/e versiculus, non exponendus, ne culpa quam in nobis extinctam credebamus, per incuriam nos vacantes oppri­ ma!. Hoc autem non esset nisi rediret. Ergo culpa per poenitentiam dimissa redit 3 . Praeterea, Ez. 1 8 [24] Dominus dicit, si averlerit se iuslus a iuslilia sua elfeceril iniqui­ tatem, omnes iustitiae eius quas fecerat, non recordabuntur amplius. Sed inter alias iustitias quas fecit, etiam praecedens poenitentia con­ currit, cum supra [q. 85 a. 3] dictum sit poeni­ tentiam esse partem iustitiae. Ergo, postquam poenitens peccat, non imputatur ei praecedens poenitentia, per quam consecutus est veniam peccatorum. Redeunt ergo illa peccata. 4. Praeterea, peccata praeterita per gratiam te­ guntur, ut patet per apostolum, Rom. 4 [2 sqq.], inducentem illud Psalmi [3 1 , 1], beali quorum remissae sunt iniquitates et quorum tecta sunt peccata. Sed per peccatum mortale sequens gratia tollitur. Ergo peccata quae fuerant prius commissa, remanent detecta. Et ita videtur quod redeant. Sed contra est quod apostolus dicit, Rom. 1 1 [29], sine poenitentia sunt dona Dei, et vocatio. Sed peccata poenitentis sunt remissa per do­ num Dei. Ergo per peccatum sequens non redeunt dimissa peccata, quasi Deus de dono remissionis poeniteat. 2. Praeterea, Augustinus dicit, in libro Re­ sponsionum Prosperi [Responsio ad Capitola Gallorum l ,2; cit. e Decretum, p. 2, causa 33, q. 3 De poenit., d. 4, can. 14 Qui recedit], qui recedit a Christo et alienatus a gratia finir hanc vitam, quid nisi in perditionem vadit? Sed non in id quod dimissum est recidit, nec pro originali peccato damnabitur. Respondeo dicendum quod, sicut supra [q. 86 a. 4; I-II q. 87 a. 4] dictum est, in peccato mortali sunt duo, scilicet aversio a Deo, et conversio ad bonum creatum. Quidquid autem est aversionis in peccato mortali secundum se consideratum, est commune omnibus peccatis mortalibus, quia per quodlibet peccatum mor­ tale homo avertitur a Deo. Unde et per con­ sequens macula, quae est per privationem gra­ tiae, et reatus poenae aeternae, communia sunt omnibus peccatis mortalibus. Et secundum hoc intelligitur id quod dicitur Iac. 2 [ 10], qui offendit in uno,factus est omnium reus. Sed ex

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2. Commentando Le 1 1 [24]: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito, Beda scrive: «Questo versetto merita da parte nostra più timore che commento: affinché la colpa che credevamo estinta in noi non abbia a oppri­ merei per la nostra incuria». Ma ciò non acca­ drebbe se non ritornasse. Perciò le colpe ri­ messe con la penitenza possono tornare. 3. ll Signore dice: Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l 'iniquità, tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate (Ez 1 8,24). Ma fra queste opere giuste rientra anche la penitenza precedente: avendo noi già spiegato che la penitenza è una parte della giustizia. Quando dunque chi si è pentito pecca di nuovo, non gli è più contata la penitenza pre­ cedente, con la quale aveva conseguito il perdo­ no dei peccati. Quindi quei peccati ritornano. 4. I peccati passati sono ricoperti dalla grazia, come dice Paolo (Rm 4,2), i l quale cita i l Sal 3 1 [ 1 ] : Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa, e copelto il peccato. Ma col peccato mortale successivo la grazia sparisce. Quindi i peccati commessi in precedenza rimangono scoperti. Perciò sembra che ritornino. In contrario: l . Paolo dice: l doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm I l ,29). Ora, i peccati di chi ha fatto penitenza sono stati ri­ messi per un dono di Dio. Quindi per un pec­ cato successivo i peccati rimessi non ritornano, come se Dio si pentisse del perdono accordato. 2. Agostino [Prospero] insegna: «Chi abban­ dona Cristo e finisce questa vita privo della grazia, dove va se non alla perdizione? Però non ricade in ciò che gli era stato rimesso, né si dannerà per il peccato originale». Risposta: come si è detto, nel peccato mortale si devono distinguere due aspetti: l'allontana­ mento da Dio e la conversione, o adesione, a un bene creato. Ora, tutto ciò che di allonta­ namento si trova nel peccato mortale, consi­ derato in se stesso, è comune a tutti i peccati mortali: poiché ogni peccato mortale allonta­ na l'uomo da Dio. Per cui la macchia, consi­ stente nella privazione della grazia, e il reato della pena eterna, sono comuni a nmi i pecca­ ti mortali. Dal che si comprendono le parole di Gc 2 [10] : Chi trasgredisce la legge in un punto solo, diventa colpevole di tutto. Ma sot­ to l'aspetto della conversione i peccati mortali sono tra loro diversi, e talvolta contrari. Perciò è evidente che dal lato della conversio-

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Il ritorno dei peccati rimessi dopo la penitenza

parte conversionis, peccata mortalia sunt di­ versa, et interdum contraria. - Unde mani­ festum est quod ex parte conversionis pecca­ rum mortale sequens non facit redire peccata mortalia prius abolita. Alioquin sequeretur quod homo per peccatum prodigalitatis re­ duceretur in habitum vel dispositionem avari­ tiae prius abolitae et sic contrarium esset causa sui contrarii, quod est impossibile. - Sed con­ siderando in peccatis mortalibus id quod est ex parte aversionis absolute, per peccatum mor­ tale sequens homo ptivatur gratia et tit reus poenae aeternae, sicut et prius erat. - Verum, quia aversio in peccato mortali ex conversione quodammodo diversitatem induit per compa­ rationem ad diversas conversiones sicut ad diversas causas, ita quod sit alia aversio et alia macula et alius reatus prout consurgit ex alio actu peccati mortalis, hoc ergo in quaestionem vertitur, utrum macula et reatus poenae aeter­ nae, secundum quod causabantur ex actibus peccatorum prius dimissorum, redeant per peccatum mortale sequens. - Quibusdam igitur visum est quod simpliciter hoc modo redeant. - Sed hoc non potest esse. Quia opus Dei per opus hominis irritari non potest. Re­ missio autem priorum peccatorum est opus divinae misericordiae. Unde non potest irritari per sequens peccatum hominis, secundum illud Rom. 3 [3], mmquid incredulitas illorum fidem Dei evacuavit? - Et ideo alii, ponentes peccata redire, dixerunt quod Deus non remit­ tit peccata poenitenti postmodum peccaturo secundum praescientiam, sed solum secun­ dum praesentem iustitiam. Praescit enim eum pro his peccatis aeternaliter puniendum, et tamen per gratiam facit eum praesentialiter iustum. - Sed nec hoc stare potest. Quia, si causa absolute ponatur, et effectus ponitur absolute. Si ergo absolute non fieret pecca­ torum remissio, sed cum quadam conditione in futurum dependente, per gratiam et gratiae sacramenta, sequeretur quod gratia et gratiae sacramenta non essent sufficiens causa remis­ sionis peccatorum. Quod est erroneum, utpote derogans gratiae Dei. - Et ideo nullo modo potesl esse quod macula el realus praeceden­ tium peccatorum redeant secundum quod ex talibus actibus causabantur. - Contingit autem quod sequens actus peccati virtualiter continet reatum prioris peccati, inquantum scilicet aliquis secondo peccans ex hoc ipso videtur

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ne il peccato mortale successivo non fa torna­ re i peccati mortali prima cancellati. Altri­ menti ne seguirebbe che uno col peccato di prodigalità riacquisterebbe l'abito dell' avari­ zia, o la disposizione ad essa, che prima era stato cancellato: e così un contrario sarebbe causato dal suo contrario, il che è impossibile. - Se consideriamo invece nei peccati mortali solo l'aspetto dell'allontanamento, allora col peccato successivo l'uomo è privato della gra­ zia e diventa reo della pena eterna come lo era prima. - Siccome però nel peccato mortale l'allontanamento acquista in qualche modo la sua gravità in rapporto al diverso lipo di con­ versione, per cui l' allontanamento risulta di­ verso come diversa è la macchia e il reato del­ la pena eterna secondo che deriva da questo o da quell'atto di peccato mortale, nasce la que­ stione se la macchia e il reato della pena eter­ na in quanto erano l' effetto dei peccati già rimessi tornino per il peccato mortale succes­ sivo. - Alcuni dunque ritengono che essi ri­ tornino in questo modo puramente e sempli­ cemente. - Ma ciò è impossibile. Poiché l'opera di Dio non può mai essere annullata dall' opera dell'uomo. Ora, la remissione dei peccati precedenti è opera della misericordia di Dio. Quindi non può essere annullata dal peccato successivo dell'uomo, secondo le pa­ role di Rm 3 [3]: Forse che la loro incredulità può annullare la fedeltà di Dio? - Altri per­ ciò, ponendo che i peccati ritornino, dissero che Dio non rimetterebbe i peccati al peniten­ te quando nella sua prescienza sa che egli peccherà di nuovo, ma si limiterebbe ad ac­ cordargli la giuslizia presente. Infatti Dio sa già che costui dovrà essere punito eternamen­ te per quei peccati, e tuttavia con la sua grazia lo rende presentemente giusto. - Ma anche questa tesi è insostenibile. Se infatti una causa è posta in modo assoluto, anche l'effetto sarà incondizionato. Se dunque la remissione dei peccati compiuta dalla grazia e dai sacramenti non fosse incondizionata, ma dipendente da una condizione futura, ne seguirebbe che la grazia e i sacramenti non sarebbero causa efficace della remissione dei peccali. n che è un errore, poiché reca ingiuria alla grazia di Dio. - Non è quindi possibile in alcun modo che la macchia e il reato dei peccati preceden­ ti ritornino in quanto effetti di tali atti. - Può capitare invece che un atto peccaminoso sue-

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Il ritorno dei peccati rimessi dopo la penitenza

gravius peccare quam prius peccaverat; secun­ dum illud Rom. 2 [5], secundum duritiam tuam et cor impoenitens thesaurizas tibi iram in die irae, ex hoc solo scilicet quod con­ tenmitur Dei bonitas, quae ad poenitentiam expectat; multo autem magis contemnitur Dei bonitas si, post remissionem prioris peccati, secundo peccatum iteretur; quanto maius est beneficium peccatum remittere quam susti­ nere peccatorem. Sic igitur per peccatum se­ quens poenitentiam redit quodammodo reatus peccatorum prius dimissorum, non inquantum causabatur ex illis peccatis prius dimissis, sed inquantum causatur ex peccato ultimo perpe­ trato, quod aggravatur ex peccatis priori bus. Et hoc non est peccata dimissa redire simpliciter, sed secundum quid, inquantum scilicet virtua­ liter in peccato sequenti continentur. Ad primum ergo dicendum quod illud verbum Augustini videtur esse intelligendum de reditu peccatorum quantum ad reatum poenae aeter­ nae i n se consideratum, quia scilicet post poenitentiam peccans incurrit reatum poenae aeternae sicut et prius; non tamen omnino propter eandem rationem. Unde Augustinus, in libro De responsionibus Prosperi [Respon­ sio ad Capitula Gallorum 2; cf. Decretum, p. 2, causa 33, q. 3 De poenit., d. 4, can. 14 Qui recedit], cum dixisset quod non in id quod remissum est recidit, nec pro originali peccato damnabitur, subdit, qui tamen ea morte affici­ tur quae ei propter peccata dimissa debeba­ tur, quia scilicet incurrit mortem aeternam, quam meruerat per peccata praeterita. Ad secundum dicendum quod in illis verbis non intendit Beda dicere quod culpa prius di­ missa hominem opprimat per reditum praete­ riti reatus, sed per iterationem actus. Ad tertium dicendum quod per sequens pecca­ turo iustitiae priores oblivioni traduntur in­ quantum erant meritoriae vitae aeternae, non tamen inquantum erant impeditivae peccati. Unde, si aliquis peccet mortaliter postquam restituit debitum, non efficitur reus quasi debi­ tum non reddidisset. Et multo minus traditur oblivioni poenitentia prius acta quantum ad remissionem culpae, cum remissio culpae ma­ gis si t opus Dei quam hominis. Ad quartum dicendum quod gratia simpliciter tollit maculam et reatum poenae aeternae, tegit autem actus peccati praeteritos, ne scilicet propter eos Deus hominem gratia privet et

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cessivo contenga virtualmente il reato di un peccato precedente: poiché uno che pecca di nuovo, per ciò stesso viene a peccare più gra­ vemente di prima; secondo le parole di Rm 2 [5]: Con la tua durezza e il tuo cuore impeni­ tente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira, e ciò per il solo fatto che è disprezza­ ta la bontà di Dio, che ci spinge alla conver­ sione [4]; ma la bontà di Dio è disprezzata molto di più se dopo la remissione del primo peccato si torna di nuovo a peccare: nella misura appunto in cui è un beneficio più gran­ de rimettere il peccato che avere pazienza con i l peccatore. Perciò col peccato successivo alla penitenza ritorna in qualche modo il reato dei peccati già rimessi: non in quanto causato da questi, ma in quanto causato dall'ultima colpa perpetrata, che è aggravata dai peccati precedenti. E questo non è un ritorno dei pec­ cati precedenti puro e semplice, ma sotto un certo aspetto, cioè in quanto sono contenuti virtualmente nel peccato successivo. Soluzione delle difficoltà: l . Quel testo di Agostino va inteso del ritorno dei peccati quanto al reato [o debito] della pena eterna considerato in assoluto: cioè per il fatto che chi pecca dopo la penitenza incorre nel reato della pena eterna come prima; sebbene non vi incorra per la medesima ragione. Per cui Ago­ stino, dopo aver detto che «non ricade nel pec­ cato già rimesso, né si danna per quello ori­ ginale», aggiunge: «Tuttavia egli è colpito da quella stessa morte che gli era dovuta per i peccati rimessi»: incorre cioè nella morte eter­ na, che aveva meritato con i peccati passati. 2. Beda con le parole suddette non intende dire che la colpa già rimessa opprime l'uomo con il ritorno del reato precedente, ma con il ripetersi dell'atto peccaminoso. 3. TI peccato successivo fa dimenticare gli atti precedenti di giustizia in quanto erano merito­ ri della vita eterna, non in quanto erano un impedimento al peccato. Per cui, se uno pecca mortalmente dopo aver restituito un debito, non ridiventa debitore come se non lo avesse restituito. E molto meno è dimenticata la penitenza già compiuta quanto alla remis­ sione della colpa, essendo quest'ultima opera più di Dio che dell'uomo. 4. La grazia elimina in modo assoluto la mac­ chia e il reato della pena eterna; copre invece gli atti passati del peccato, facendo sì che a

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Il ritorno dei peccati rimessi dopo la penitenza

reum habeat poenae aeternae. Et quod gratia semel facit, perpetuo manet.

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motivo di essi Dio non privi l'uomo della sua grazia e non lo consideri meritevole della pena eterna. E ciò che la grazia ha fatto una volta, rimane in perpetuo.

Articulus 2

Articolo 2

Utrum aliquo modo per ingratitudinem redeant specialius secundum quaedam peccata

Le colpe rimesse ritornano specialmente per l'ingratitudine che c'è in quattro generi di peccati?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod pec­ cata dimissa non redeant per ingratitudinem quae specialiter est secundum quatuor genera peccatorum, scilicet secundum odium frater­ num, apostasiam a fide, contemptum confessio­ nis, et dolorem de poenitentia habita [quod docuit Praepositinus, Summa, p. 2 De actio­ nibus exterioribus, cap. Nunc de redditu peccati dicendum est; cf. Guilelmum Altissiodo­ rensem, Sumrna Aurea, p. 4, cap. Utrum pecca­ ta redeant], secundum quod quidam metrice dixerunt, fratres odit, apostata fit, spernitque

Sembra che le colpe rimesse non ritornino specialmente per l ' ingratitudine che c ' è in quattro generi di peccati, cioè neli' odio tra fratelli, nell'apostasia dalla fede, nel disprez­ zo della confessione e nel dolersi della peni­ tenza fatta, per cui alcuni in versi hanno detto: «odia il fratello, diviene apostata, disprezza la confessione, si duole del pentimento, ritorna­ no le colpe precedenti». Infatti: l . L'ingratitudine è tanto più grave quanto più grave è il peccato che uno commette contro Dio dopo il beneficio della remissione delle colpe. Ora, ci sono dei peccati più gravi di quelli indicati: come la bestemmia contro Dio e il peccato contro lo Spirito Santo. Quindi sembra che le colpe rimesse non ritornino per l 'ingratitudine che si verifica secondo i pecca­ ti suddetti più che per quella che si verifica secondo altri peccati. 2. Rabano Mauro [Pietro Lombardo] aftetma: «Dio consegnò il servo iniquo agli aguzzini fi­ no a che non avesse soddisfatto tutto il debito perché non solo sono imputati all 'uomo i pec­ cati commessi dopo il battesimo, ma anche quello originale, rimesso nel battesimo». Ma tra i debiti sono annoverati anche i peccati veniali, compresi in quelle parole: «Rimetti a noi i nostri debiti». Perciò anche i peccati veniali ritornano con l'ingratitudine. Quindi per lo stes­ so motivo sembra che i peccati rimessi in prece­ denza possano tornare anche per i peccati veniali, e non solo per i peccati suddetti. 3. L'ingratitudine è tanto maggiore quanto più grande è il beneficio a cui segue il peccato. Ma è un beneficio di Dio anche la stessa innocenza per cui evitiamo il peccato. Scrive infatti Agostino: «Attribuisco alla tua grazia tutti i peccati che non ho commesso». Ma l 'innocenza è un dono più grande della remis­ sione di tutti i peccati. Perciò chi pecca per la prima volta dopo aver conservato l 'innocenza non è meno ingrato verso Dio di chi pecca

fateri, poenituisse piget, prisrina culpa redit. l . Tanto enim est maior ingratitudo quanto gravius est peccatum quod quis contra Deum committit post beneficium remissionis pecca­ torum. Sed quaedam alia peccata sunt his graviora, sicut blasphemia contra Deum, et peccatum in Spiritum Sanctum. Ergo videtur quod peccata dimissa non redeant magis se­ cundum ingratitudinem commissam secun­ dum haec peccata, quam secundum alia. 2. Praeterea, Rabanus [verbotenus sub nomine Rabani, apud Sent. 4,22, l ; cf. Decretum, p. 2, causa 33, q. 3 De poenit., d. 4, can. l Si ludas] dicit, nequam servum tradidit Deus tonoribus

quoadusque redderet universum debitum, quia non solum peccata quae post Baptismum ho­ mo egit reputabuntur ei ad poenam, sed origina/ia, quae ei sunt dimissa in Baptismo.

Sed etiam inter debita peccata venialia compu­ tantur, pro quibus dicimus [in Orat. Dominica: cf. Matth. 6, 1 2: Luc. 1 1 ,4], dimitte nobis debi­ ta nostra. Ergo ipsa etiam redeunt per ingrati­ tudinem. Et pari ratione videtur quod per pec­ cata venialia redeant peccata prius dimissa, et non solum per praedicta peccata. 3. Praeterea, tanto est maior ingratitudo quan­ to post maius benetìcium acceptum aliquis peccat. Sed beneficium Dei est etiam ipsa innocentia, qua peccatum vitamus, dicit enim Augustinus, in 2 Conf. [7], gratiae tuae de-

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Il ritorno dei peccati rimessi dopo la penitenza

puto quaecumque peccata non feci. Maius autem donum est innocentia quam etiam re­ missio omnium peccatorum. Ergo non minus est ingratus Deo qui primo peccat post inno­ centiam, quam qui peccat post poenitentiam. Et ita videtur quod per ingratitudinem quae fit secundum peccata praedicta, non maxime redeant peccata dimissa. Sed contra est quod Gregorius dicit, 1 8 Mor. [cf. Dial. 4,60; cf. Decretum, causa 33, q. 3 De poenit., d. 4, can. 2 Ex dictis; cf. Sent. 4,22, 1 ] , ex dictis evangelicis constai quia, si quod in nos delinquitur ex corde non dimitti­ mus, et illud rursus exigetur quod nobis iam per poenitentiam dimissum fuisse gaudeba­ mus. Et ita propter odium fratemum speciali­ ter peccata dimissa redeunt per ingratitudi­ nem. Et eadem ratio videtur de aliis. Respondeo dicendum quod, sicut supra [a. l ] dictum est, peccata dimissa per poenitentiam redire dicuntur inquantum reatus eorum, ratione ingratitudinis, virtualiter continetur in peccato sequenti. Ingratitudo autem potest committi dupliciter. Uno modo, ex eo quod aliquid fit contra beneficium. Et hoc modo per omne peccatum mortale quo Deum offendit, redditur homo ingratus Deo, qui peccata remisit. Et sic per quodlibet peccatum mortale sequens redeunt peccata prius dimissa, ratione ingratitudinis. - Alio modo committitur ingra­ titudo non solum faciendo contra ipsum be­ neficium, sed etiam taciendo contra formam beneficii praestiti. Quae quidem forma, si attendatur ex parte benetactoris, est remissio debitorum. Unde contra hanc formam facit qui fratri petenti veniam non remittit, sed odium tenet. - Si autem attendatur ex parte poeni­ tentis, qui recipit hoc beneficium, invenitur duplex motus liberi arbitrii. Quorum primus est motus liberi arbitrii in Deum, qui est actus fidei formatae, et contra hoc facit homo apostatando a fide, secundus autem, motus liberi arbitrii in peccatum, qui est actus poeni­ tentiae. Ad quam primo pertinet, ut supra [q. 85 aa. 2-3] dictum est, quod homo dete­ stetur peccata praeterita, et contra hoc facit ille qui dolet se poenituisse. Secundo pertinet ad actum poenitentiae ut poenitens proponat se subiicere clavibus Ecclesiae per confessionem, secundum illud Psalmi [3 1 ,5], dixi, confitebor adversum me iniustitiam meam Domino, et ut remisisti impietatem peccati mei. Et contra

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dopo la penitenza. E così sembra che i peccati perdonati non ritornino in modo speciale per l'ingratitudine implicita nei peccati suddetti. In contrario: Gregorio scrive: «Risulta dalle parole evangeliche che ci verrà richiesto di nuovo quanto gioivamo di aver cancellato con la penitenza, se noi non perdoneremo di cuore le offese ricevute». Quindi i peccati rimessi ritornano per l'ingratitudine specialmente a motivo dell'odio fraterno. E lo stesso va detto degli altri peccati ricordati. Risposta: come si è visto sopra, si dice che i peccati rimessi con la penitenza ritornano in quanto il loro reato [o debito di pena] è conte­ nuto virtualmente nel peccato successivo a motivo dell'ingratitudine. Ora, si può avere l'ingratitudine in due modi. Primo, per il fatto che si fa qualcosa contro il beneficio ricevuto. E in questo senso con qualsiasi colpa mortale, con cui si offende Dio, l'uomo si rende ingrato verso colui che gli aveva rimesso i peccati. E così con qualsiasi peccato successivo ritorna­ no i peccati già rimessi, a motivo dell'ingrati­ tudine. - Secondo, l'ingratitudine può essere commessa non solo agendo contro lo stesso beneficio, ma anche agendo contro la forma­ lità stessa del beneficio concesso. Ora, dalla parte del benefattore quest'ultima è la condo­ nazione del debito. Perciò agisce contro que­ sta f01malità colui che non perdona al fratello che chiede scusa, ma gli conserva odio. Dalla parte invece del penitente, il quale riceve questo beneficio, si riscontrano due moti del libero arbitrio. n primo è il moto del libero arbitrio verso Dio, che consiste nell'atto della fede formata: e contro di esso agisce colui che apostata dalla fede; il secondo è il moto del libero arbitrio contro il peccato, che è l'atto della penitenza Ora, sopra abbiamo visto che questa porta a detestare prima di tutto i peccati passati: e contro questa disposizione agisce colui che si duole del pentimento avuto. In secondo luogo la penitenza porta il penitente a sottomettersi alle chiavi della Chiesa con la confessione, secondo le parole del Sal 3 1 [5]: Ho detto: Confesserò al Signore la mia colpa, e tu hai rimesso la malizia del mio peccato. E contro questo atteggiamento agisce colui che trascura di confessarsi come si era proposto. Per questo dunque si dice che è specialmente l'ingratitudine di questi peccati che fa tornare le colpe perdonate in precedenza.

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Il ritorno dei peccati rimessi dopo la penitenza

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hoc facit ille qui contemnit confiteri, secun­ dum quod proposuerat. Et ideo dicitur quod specialiter ingratitudo horum peccatorum facit redire peccata prius dimissa. Ad primum ergo dicendum quod hoc non di­ citur specialiter de istis peccatis quia sint ce­ teris graviora, sed quia directius opponuntur beneficio remissionis peccatorum. Ad secundum dicendum quod etiam peccata venialia et peccatum originale redeunt modo praedicto [in co.], sicut et peccata mortalia, inquantum contemnitur Dei beneficium quo haec peccata sunt remissa. Non tamen per pec­ catum veniale aliquis incurrit ingratitudinem, quia homo, peccando venialiter, non facit con­ tra Deum, sed praeter ipsum. Et ideo per pecca­ ta venialia nullo modo peccata dirnissa redeunt. Ad tertium dicendum quod beneficium ali­ quod habet pensari dupliciter. Uno modo, ex quantitate ipsius beneficii. Et secundum hoc, innocentia est maius Dei beneticium quam poenitentia, quae dicitur secunda tabula post naufragium. - Allo modo potest pensari bene­ ficium ex parte recipientis, qui minus est di­ gnus, et sic magis sibi fit gratia. Unde et ipse magis est ingratus si contemnat. Et hoc modo beneficium remissionis culpae est maius, in­ quantum praestatur totaliter indigno. Et ideo ex hoc sequitur maior ingratitudo.

Soluzione delle difficoltà: l . L'effetto di cui si parla è attribuito in modo speciale a tali colpe non perché siano più gravi delle altre, ma per­ ché più direttamente si oppongono al benefi­ cio della remissione dei peccati. 2. Anche i peccati veniali e il peccato origina­ le si può dire che ritornano nel modo indicato sopra, come anche i peccati mortali: in quanto è disprezzato il beneficio di Dio che consiste nella loro remissione. Tuttavia col peccato veniale non si incorre nell'ingratitudine: poi­ ché, peccando venialmente, l'uomo non agi­ sce contro Dio, ma [solo] prescinde da lui. Perciò in nessun modo i peccati rimessi pos­ sono tornare in seguito ai peccati veniali. 3. Un beneficio può essere misurato in due modi. Primo, in base alla grandezza del bene­ ficio stesso. E da questo lato l ' innocenza è un beneficio di Dio superiore alla penitenza, che è denominata «la seconda tavola dopo il nau­ fragio». - Secondo, il beneficio può essere misurato in rapporto a chi lo riceve, e a questo titolo la grazia fatta a chi è meno degno è più grande. Per cui anche chi la disprezza è più ingrato. E in questo senso è superiore il bene­ ficio della remissione della colpa, in quanto è offerto a chi ne è del tutto indegno. Da ciò deriva quindi una maggiore ingratitudine.

Articulus 3 Tertio, utrurn redeant in aequali reatu

Articolo 3 Ritornano con lo stesso grado di colpevolezza?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod per ingratitudinem peccati sequentis consurgat tantus reatus quantus fuerat peccatorum prius dimissorum. l . Quia secundum magnitudinem peccati est magnitudo beneficii quo peccatum remittitur; et per consequens magnitudo ingratitudinis qua hoc beneficium contemnitur. Sed secun­ dum quantitatem ingratitudinis est quantitas reatus consequentis. Ergo tantus reatus surgit ex ingratitudine sequentis peccati quantus fuit reatus omnium praecedentium peccatorum. 2. Praeterea, magis peccat qui offendit Deum quam qui offendit hominem. Sed servus ma­ numissus ab aliquo Domino reducitur in ean­ dem servitutem a qua prius fuerat liberatus, vel etiam in graviorem. Ergo multo magis ille qui contra Deum peccat post liberationem a

Sembra di sì. Infatti: l . Come la grandezza del beneficio con cui è rimesso il peccato equivale alla grandezza del peccato rimesso, così pure di conseguenza an­ che l ' ingratitudine con cui si disprezza tale beneficio. Ma la gravità del reato conseguente dipende dalla grandezza dell'ingratitudine. Quindi dall'ingratitudine del peccato succes­ sivo deriva un reato pari a quello di tutti i pec­ cati commessi in precedenza. 2. Chi offende Dio pecca più di chi offende un uomo. Ora, uno schiavo liberato che si rende colpevole è condannato a una schiavitù identica a quella da cui era stato liberato, o anche a una più grave. Molto più quindi sarà soggetto a un reato di pena pari a quello pre­ cedente colui che pecca contro Dio dopo la liberazione dal peccato.

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peccato, reducitur in tantum reatum poenae quantum primo habuerat. 3. Praeterea, Matth. 1 8 [34] dicitur quod iratus dominus tradidit eum, cui replicantur peccata dimissa propter ingratitudinem, tortoribus, quoadusque redderet universum debitwn. Sed hoc non esset nisi consurgeret ex ingratitudine tantus reatus quantus fuit omnium praeterito­ rum peccatorum. Ergo aequalis reatus per ingratitudinem redit. Sed contra est quod dicitur Deut. 25 [2], pro mensura peccati erit et plagarum modus. Ex quo patet quod ex parvo peccato non consur­ git magnus reatus. Sed quandoque mortale peccatum sequens est multo minus quolibet peccatorum prius dimissorum. Non ergo ex peccato sequenti redit tantus reatus quantus fuit peccatorum prius dimissorum. Respondeo dicendum quod quidam dixerunt quod ex peccato sequenti, propter ingratitu­ dinem, consurgit tantus reatus quantus fuit reatus omnium peccatorum prius dimissorum, supra reatum proprium huius peccati. - Sed hoc non est necesse. Quia supra [a. l ] dictum est quod reatus praecedentium peccatorum non redit per peccatum sequens inquantum sequebatur ex actibus praecedentium pecca­ torum, sed inquantum consequitur actum se­ quentis peccati. Et ita oportet quod quantitas reatus redeuntis sit secundum gravitatem pec­ cati subsequentis. Potest autem contingere quod gravitas peccati subsequentis adaequat gravitatem omnium praecedentium peccato­ rum, sed hoc non semper est necesse, sive loquamur de gravitate eius quam habet ex sua specie, cum quandoque peccatum sequens sit simplex fornicatio, peccata vero praeterita fuerunt homicidia vel adulteria seu sactilegia; sive etiam loquamur de gravitate quam habet ex ingratitudine annexa. Non enim oportet quod quantitas ingratitudinis sit absolute aequalis quantitati beneficii suscepti, cuius quantitas attenditur secundum quantitatem peccatorum prius dimissorum. Contingit enim quod contra idem beneficium unus est multum ingratus, vel secundum intensionem contemptus beneficii, vel secundum gravita­ tem culpae contra benefactorem commissae; alius autem parum, vel quia minus contemnit, vel quia minus contra benefactorem agit. Sed proportionaliter quantitas ingratitudinis adae­ quatur quantitati beneficii, supposito enim

Q. 88, A. 3

3. In Mt 1 8 [34] si dice di colui al quale furono addebitati di nuovo i peccati per l'ingratitudine che il padrone lo diede in mano agli aguzzini,

finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Ma ciò non sarebbe avvenuto se dall'ingratitu­ dine non derivasse un reato pari a quello di tutti i peccati precedenti. Perciò con l'ingrati­ tudine ritorna un reato della stessa gravità. In contrario: in Dt 25 [2] è detto: Secondo la

misura del peccato sarà la misura del castigo. Dal che risulta evidente che da un piccolo peccato non deriva un grave reato. Ora, spes­ so il peccato mortale successivo è molto mi­ nore di qualsiasi peccato perdonato in prece­ denza. Quindi dal peccato successivo non detiva un reato pari a quello dei peccati che erano stati rimessi. Risposta: alcuni hanno affermato che dal pec­ cato successivo, a motivo dell'ingratitudine, deriva un reato di pena pari a quello di tutti i peccati che erano stati perdonati, oltre al reato proprio di tale nuovo peccato. - Ma ciò non segue necessariamente. Abbiamo infatti già spiegato che il reato dei peccati precedenti non torna col peccato successivo in forza de­ gli atti delle colpe precedenti, ma solo come conseguenza dell'atto peccaminoso successi­ vo. Perciò è indispensabile che la gravità del reato che ritorna sia secondo la gravità del nuovo peccato. Ora, può anche capitare che la gravità di quest'ultimo sia pari alla gravità di tutti i peccati precedenti; ma ciò non è sempre necessario, sia che si parli della gravità speci­ fica, poiché talora il peccato successivo è una semplice fornicazione mentre quelli prece­ denti erano forse omicidi, adulteri o sacrilegi, sia che si parli della gravità derivante dall'in­ gratitudine annessa. Infatti non è necessario che la misura dell'ingratitudine sia pari alla grandezza del beneficio ricevuto, che è misu­ rato in base alla gravità dei peccati perdonati. Capita infatti che rispetto al medesimo bene­ ficio uno sia molto ingrato, o per l'intensità del disprezzo verso di esso, o per la gravità della colpa commessa contro il benefattore, mentre un altro lo sia poco, o perché ha meno disprezzo, o perché agisce meno contro il suo benefattore. Proporzionalmente però la gra­ vità dell'ingratitudine si adegua alla grandez­ za del beneficio: supposto cioè l'identico disprezzo per il beneficio ricevuto, o l'identi­ ca offesa del benefattore, l'ingratitudine è tan-

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aequali contemptu beneficii, vel offensa bene­ factoris, tanto erit gravior ingratitudo quanto beneficium fuit maius. - Unde manifestum est quod non est necesse quod propter ingrati­ tudinem semper per peccatum sequens redeat tantus reatus quantus fuit praecedentium pec­ catorum, sed necesse est quod proportionali­ ter, quanto peccata prius dimissa fuerunt plura et maiora, tanto redeat maior reatus per qua­ lecumque sequens peccatum mortale. Ad primum ergo dicendum quod beneficium rernissionis culpae recipit quantitatem absolu­ tam secundum quantitatem peccatorum dirnis­ sorum. Sed peccatum ingratitudinis non reci­ pit quantitatem absolutam secundum quan­ titatem beneficii, sed secundum quantitatem contemptus vel offensae, ut dictum est [in co.]. Et ideo ratio non sequitur. Ad secundum dicendum quod servus manurnis­ sus non reducitur in pristinam servitutem pro qualicumque ingratitudine, sed pro aliqua gravi. Ad tertium dicendum quod illi cui peccata di­ rnissa replicantur propter subsequentem ingra­ titudinem, redit universum debitum, inquan­ tum quantitas peccatorum praecedentium proportionaliter invenitur in ingratitudine subsequenti, non autem absolute, ut dictum est [in co.].

to più grave quanto maggiore è stato il benefi­ cio. - Perciò è evidente che il peccato succes­ sivo non sempre implica necessariamente, per l ' ingratitudine commessa, un reato pari a quello dei peccati rimessi in precedenza, ma implica proporzionalmente che quanto più numerosi e gravi erano stati i peccati rimessi, tanto maggiore sia il reato che ritorna con qualsiasi peccato mortale successivo. Soluzione delle difficoltà: l . ll beneficio del perdono della colpa riceve la sua grandezza assoluta in base alla gravità dei peccati perdo­ nati, ma il peccato di ingratitudine non riceve la sua grandezza assoluta in base alla gran­ dezza del beneficio, bensì in base a quella del disprezzo o dell' offesa, come si è notato. Quindi la conclusione non segue. 2. Lo schiavo affrancato non è costretto alla schiavitù di prima per qualsiasi ingratitudine, ma per un'ingratitudine grave. 3. A colui al quale per l'ingratitudine succes­ siva sono riaddebitati i peccati già rimessi è accollato tutto il dovuto per il fatto che la gra­ vità dei peccati precedenti si riscontra nell' in­ gratitudine successiva: in maniera però pro­ porzionale, non assoluta, come si è detto.

Articulus 4 Utrum illa ingratitudo per quam redeunt, sit speciale peccaturn

Articolo 4 L'ingratitudine per cui ritornano è un peccato speciale?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in­ gratitudo ratione cuius sequens peccatum fa­ cit redire peccata prius dimissa, sit speciale peccatu m. l . Retributio enim gratiarum pertinet ad con­ trapassum, quod requiritur in iustitia, ut patet per philosophum, in 5 Ethic. [5,6]. Sed iustitia est specialis virtus. Ergo ingratitudo est spe­ ciale peccatum. 2. Praeterea, 1\1llius, in 2 Rhet. [53], ponit quod grafia est specialis virtus. Sed ingratitu­ do opponitur gratiae. Ergo ingratitudo est spe­ ciale peccatum. 3. Praeterea, specialis effectus a speciali causa procedit. Sed ingratitudo habet specialem effectum, scilicet quod facit aliqualiter redire peccata prius dimissa. Ergo i ngratitudo est speciale peccatum. Sed contra est. Id quod sequitur omnia peccata,

Sembra di sì. Infatti: l . D rendimento di grazie, come spiega il Filo­ sofo, rientra nella «legge del contrappasso», che è richiesta dalla giustizia. Ma la giustizia è una virtù specificamente distinta. Quindi l'ingra­ titudine è un peccato specificamente distinto. 2. Cicerone insegna che la gratitudine è una virtù speciale. Ma l' ingratitudine si contrap­ pone alla gratitudine. Quindi l'ingratitudine è un peccato speciale. 3. Un effetto speciale deriva da una causa spe­ ciale. Ma l'ingratitudine ha un effetto specia­ le, che è quello di far tornare in qualche modo i peccati rimessi. Perciò l 'ingratitudine è un peccato specificamente distinto. In contrario: ciò che accompagna qualsiasi peccato non può essere un peccato specifica­ mente distinto. Ma con qualsiasi peccato mortale si diventa ingrati verso Dio, come si è

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Il ritorno dei peccati rimessi dopo la penitenza

non est speciale peccanun. Sed per quodcum­ que peccatum mortale aliquis efficitur Deo ingratus, ut ex praemissis [a. 2] patet. Ergo ingratitudo non est speciale peccatum. Respondeo dicendum quod ingratitudo pec­ cantis quandoque est speciale peccatum; quan­ doque non, sed est circumstantia generaliter consequens ornne peccatum mortale quod con­ tra Deum committitur. Peccatum enim speciem recipit ex intentione peccantis, unde, ut philo­ sophus dicit, in 5 Ethic. [2,4], il/e qui moecha­ tur ut furetw; magis est fur quam moechus. Si igitur aliquis peccator in contemptum Dei et suscepti beneficii aliquod peccatum committit, illud peccatum trahitur ad speciem ingratitudi­ nis, et haec ingratitudo peccantis est speciale peccatum. Si vero aliquis intendens aliquod peccatum committere, puta homicidium aut adulterium, non retrahatur ab hoc propter hoc quod pertinet ad Dei contemptum, ingratitudo non erit speciale peccatum, sed traheretur ad speciem alterius peccati sicut circumstantia quaedam. Ut autem Augustinus dicit, in libro De nat. et gratia [29], non ornne peccatum est ex contemptu, et tamen in omni peccato Deus contemnitur in suis praeceptis. Unde manife­ stum est quod ingratitudo peccantis quandoque est speciale peccatum, sed non semper. Et per hoc patet responsio ad obiecta. Nam primae rationes concludunt quod ingratitudo secundum se sit quaedam species peccati. Ultima autem ratio concludit quod ingratitudo secundum quod invenitur in omni peccato, non sit speciale peccatum.

Q. 88, A. 4

detto sopra. Quindi l'ingratitudine non è un peccato specificamente distinto. Risposta: l'ingratitudine di chi pecca in certi casi è un peccato specificamente distinto, in certi altri invece è solo una circostanza aggra­ vante comune a tutti i peccati mortali commessi contro Dio. n peccato infatti riceve la sua specie dali'intenzione di chi pecca: per cui, come dice il Filosofo, «chi commette adulterio per rubare è più ladro che adultero». Se quindi un peccato­ re commette un peccato per disprezzo verso Dio e verso il beneficio ricevuto, il suo peccato riveste la specie dell'ingratitudine: e allora ab­ biamo un peccato specificamente distinto. Se uno invece, volendo commettere un peccato, p. es. un omicidio o un adulterio, non desiste per il fatto che esso implica il disprezzo di Dio, allora l'ingratitudine non è un peccato speciale, ma rientra nella specie dell'altro peccato come una sua circostanza. Dice infatti Agostino che non ogni peccato deriva dal disprezzo, e tuttavia in ogni peccato Dio è disprezzato nei suoi co­ mandamenti. Per cui è evidente che l'ingra­ titudine di chi pecca talvolta è un peccato speci­ ficamente distinto, ma non sempre. Sono così risolte anche le difficoltà. Infatti le prime U-e concludono a ragione che l'ingratitu­ dine è di per sé un peccato specificamente distinto, menu-e l'ultimo argomento conclude che l'ingratitudine in quanto è presente in ogni colpa non può essere un peccato speciale.

QUAESTIO 89 DE RECUPERATIONE VIRTUTUM PER POENITENTIAM

IL RECUPERO DELLE VIRTU

Deinde considerandum est de recuperatione virtutum per poenitentiam. - Et circa hoc quaenmtur sex. Primo, utrum per poeniten­ tiam restituantur virtutes. Secundo, utrum re­ stituantur in aequali quantitate. Tertio, utrum restituatur poenitenti aequalis dignitas. Quar­ to, utnun opera virtutum per peccatum morti­ ficentur. Quinto, utrum opera mortificata per peccatum per poenitentiam reviviscant. Sexto, utrum opera mortua, idest absque caritate facta, per poenitentiam vivificentur.

Veniamo ora a considerare il recupero delle virtù mediante la penitenza. - Sull'argomento si pongono sei quesiti: l . Mediante la peniten­ za ci sono restituite le virtù? 2. Sono restituite nello stesso grado? 3. Al penitente è restituito lo stesso grado di dignità? 4. Gli atti virtuosi compiuti in precedenza sono «mortificati» dal peccato? 5. Le opere «mmtificate» dal pecca­ to possono rivivere con la penitenza? 6. Le opere morte, cioè compiute senza la carità, possono essere rese vive dalla penitenza?

QUESTIONE 89

,

MEDIANTE LA PENITENZA

Q. 89, A. l

Il recupero delle virtù mediante la penitenza

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Articulus l Utrum per poenitentiam virtutes restituantur

Articolo l Mediante la penitenza sono restituite le virtù?

Ad primum sic proceditur. Vìdetur quod per poenitentiam virtutes non restituantur. l . Non enim possent virtutes amissae per poe­ nitentiam restituì nisi poenitentia virtutes cau­ saret. Sed poenitentia, cum sit virtus, non po­ test esse causa omnium virtutum, praesertim cum quaedam virtutes sint naturaliter priores poenitentia, ut supra [q. 85 a. 6] dictum est. Ergo per poenitentiam non restituuntur. 2. Praeterea, poenitentia in quibusdam actibus poenitentis consistit. Sed virtutes gratuitae non causantur ex actibus nostris, dicit enim Augusti­ nus, in libro De lib. arb. [2,19], quod virtutes Deus in nobis sine nobis operatur. Ergo videtur quod per poenitentiam non restituantur virtutes. 3. Praeterea, habens virtutem sine difficultate et delectabiliter actus virtutum operatur, unde philosophus dicit, in l Ethic. [8, 1 2], quod non est iustus qui non gaudet fusta operatione. Sed multi poenitentes adhuc difficultatem patiuntur in operando actus virtutum. Non ergo per poe­ nitentiam restituuntur virtutes. Sed contra est quod, Luc. 1 5 [22], pater man­ davit quod filius poenitens indueretur stola prima, quae, secundum Ambrosium [In Luc. 7 super 1 5,22], est amictus sapientiae, quam simul consequuntur omnes virtutes, secundum illud Sap. 8 [7], sobrietatem et iustitiam docet, pntdentiam et virtutem, quibus in vita nihil est utilius hominibus. Ergo per poenitentiam omnes virtutes restituuntur. Respondeo dicendum quod per poenitentiam, sicut dictum est supra [q. 86 aa. 1 .6], remittuntur peccata. Remissio autem peccatorum non potest esse nisi per infusionem gratiae. Unde relin­ quitur quod per poenitentiam gratia homini in­ fundatur. Ex gratia autem consequuntur omnes virtutes gratuitae, sicut ex essentia animae fluunt omnes potentiae, ut in seconda parte [1-11 q. 1 10 a. 4] habitum est. Unde relinquitur quod per poenitentiam omnes virtutes restituantur. Ad primum ergo dicendum quod eodem modo poenitentia restituit virtutes per quem modum est causa gratiae, ut iam [in co.] dictum est. Est autem causa gratiae inquantum est sacramen­ tum, nam inquantum est virtus, est magis gra­ tiae effectus. Et ideo non opottet quod poeni­ tentia, secundum quod est virtus, sit causa

Sembra di no. Infatti: l . Le virtù perdute non possono essere restitui­ te se non perché la penitenza è capace di cau­ sarle. Ma la penitenza, essendo una virtù, non può essere la causa di tutte le virtù: soprattutto se pensiamo che alcune sono per natura supe­ riori alla penitenza, come si è visto. Quindi esse non sono restituite dalla penitenza. 2. La penitenza consiste in certi atti del peni­ tente. Ora, le virtù soprannaturali non sono causate dai nostri atti: infatti Agostino affer­ ma che le virtù «Dio le causa in noi senza di noi». Sembra quindi che le virtù non siano restituite dalla penitenza. 3. Chi possiede una virtù opera senza diffi­ coltà e con piacere: per cui il Filosofo afferma che «non è giusto colui che non gode del suo atto di giustizia». Ora, molti penitenti sentono difficoltà nel compiere gli atti virtuosi. Quindi dalla penitenza non sono restituite le virtù. In contrario: in Le 15 [22] si legge che il padre comanda che il figlio pentito sia rivestito con il vestito più bello, che secondo Ambrogio è «la veste della sapienza>>, la quale è accompagnata da tutte le virtù, secondo le parole di Sap 8 [7]: Essa insegna la temperanza e la giustizia, la prudenza e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita. Quindi dalla peni­ tenza sono restituite tutte le virtù. Risposta: come si è visto sopra, con la peni­ tenza sono rimessi i peccati. Ma la remissione dei peccati non può aversi senza l'infusione della grazia. Quindi mediante la penitenza è infusa nell'uomo la grazia. Ma dalla grazia derivano tutte le virtù infuse, come dali' essen­ za dell' anima promanano tutte le potenze, secondo le spiegazioni date nella Seconda Parte. Si deve perciò concludere che con la penitenza sono restituite tutte le virtù. Soluzione delle difficoltà: l . La penitenza, come si è già notato, restituisce le virtù in quanto è causa della grazia. Ma essa è causa della grazia in quanto sacramento: poiché in quanto virtù la penitenza è più effetto che causa della grazia. Perciò non segue che la penitenza in quanto virtù sia causa di tutte le altre virtù, ma che essa è causata dal sacra­ mento insieme con gli abiti delle altre virtù.

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Il recupero delle virtù mediante la penitenza

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omnium aliarum virtutum, sed quod habitus poenitentiae simul cum habitibus aliarum virtutum per sacramentum causetur. Ad secundum dicendum quod in sacramento poenitentiae actus humani se habent materia­ liter, sed formalis vis huius sacramenti dependet ex virtute clavium. Et ideo virtus clavium effec­ tive causat gratiam et virtutes, insbUmentaliter tamen. Sed actus primus poenitentis se habet ut ultima dispositio ad gratiam consequendam, scilicet contritio, alii vero sequentes actus poe­ nitentiae procedunt iam ex gratia et virtutibus. Ad tertium dicendum quod, sicut supra [q. 86 a. 5] dictum est, quandoque post primum actum poenitentiae, qui est contritio, remanent quaedam reliquiae peccatorum, scilicet dispo­ sitiones ex prioribus actibus peccatorum causa­ tae, ex quibus praestatur difficultas quaedam poenitenti ad operandum opera virtutum, sed quantum est ex ipsa inclinatione caritatis et aliarum virtutum, poenitens opera virtutum de­ lectabiliter et sine difficultate operatur; sicut si virtuosus per accidens difficultatem pateretur in executione actus virtutis propter somnum aut aliquam corporis dispositionem.

2. Nel sacramento della penitenza gli atti umani costituiscono la materia, ma il princi­ pio formale di que.o;t; o sacramento sta nel pote­ re delle chiavi. Quindi il potere delle chiavi è la causa efficiente della grazia e delle virtù, anche se in maniera strumentale. Invece i l primo atto del penitente, cioè la contrizione, costituisce come l'ultima disposizione al con­ seguimento della grazia, mentre gli atti suc­ cessivi derivano già dalla grazia e dalle virtù. 3. Come si è già detto, talora dopo il primo atto della penitenza, che è la contrizione, rimangono [nell'anima] certe scorie dei pec­ cati, cioè delle disposizioni causate dagli atti peccaminosi precedenti, in seguito alle quali nascono per il penitente certe difficoltà nel compiere gli atti viituosi; ma per quanto di­ pende dall'inclinazione della carità e delle al­ tre virtù, il penitente compie gli atti virtuosi con piacere e senza difficoltà. Si tratta cioè di una difficoltà accidentale, simile a quella di una persona virtuosa che nel compiere un atto di viitù fosse disturbata dal sonno o da un'al­ tra indisposizione corporale.

Articulus 2 Utrum post poenitentiam resurgat homo in aequali virtute

Articolo 2 Dopo la penitenza l'uomo risorge nello stesso grado di virtù?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod post poenitentiam resurgat homo in aequali virtute. l . Dicit enim apostolus, Rom. 8 [28], diligen­ tibus Deum omnia cooperantur in bonum, ubi dicit Glossa Augustini [glossa Lomb.; cf. ord.; De corr. 9] quod hoc adeo verum est ut, si qui horum devient et exorbitent, hoc ipsum Deus faciat eis in bonum proficere. Sed hoc non esset si homo resurgeret in minori virtute. 2. Praeterea, Ambrosius [cf. Ps. Augustinum, Hypognosticon 3,9] dicit quod poenitentia optima res est, quae omnes defectus revocai ad peifectum. Sed hoc non esset nisi virtutes in aequali quantitate recuperarentur. Ergo per poe­ nitentiam semper recuperatur aequalis virtus. 3. Praeterea, super illud Gen. l [5] , factum est vespere et mane dies unus, dicit Glossa [cf. Super Gen. l , 17], vespertina lux est a qua quis cecidit, matutina in qua resurgit. Sed lux matutina est maior quam vespertina. Ergo aliquis resurgit in maiori gratia vel caritate

Sembra di sì. Infatti: l . Paolo dice: Tutto concorre al bene per co­ loro che amano Dio (Rm 8,28), e la Glossa, tratta da Agostino, spiega che ciò è tanto vero «che se alcuni di essi deviano ed escono fuori di strada, Dio fa sì che anche questo giovi al loro bene». Ora, ciò non avverrebbe se uno risorgesse in un grado inferiore di virtù. 2. Ambrogio [Pseudo Agostino] afferma che «la penitenza è quell'ottima cosa che convo­ glia verso la perfezione tutti i difetti». Ora, ciò non avverrebbe se le virtù non fossero recu­ perate nello stesso grado di prima. Quindi mediante la penitenza si ricupera sempre una virtù dello stesso grado. 3. Commentando Gen l [5]: Fu sera e fu mat­ tina: primo giorno, la Glossa dice: «La luce vespertina è quella che la caduta ci fa perdere, la luce mattutina è quella nella quale si risor­ ge». Ma la luce mattutina è superiore alla vespertina. Quindi si risorge con una grazia o carità superiore a quella perduta. n che sem-

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Il recupero delle virtù mediante la penitenza

quam prius habuerat. Quod etiam videtur per id quod apostolus dicit, Rom. 5 [20], ubi

abundavit delictum, superabundavit et grafia. Sed contra, caritas proficiens vel perfecta maior est quam caritas incipiens. Sed quando­ que aliquis cadit a caritate proficiente, resurgit autem in caritate incipiente. Ergo semper resurgit homo in minori etiam virtute. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est [a. l ad 2] , motus liberi arbitrii qui est i n iustificatione impii, est ultima dispositio ad gratiam, unde in eodem instanti est gratiae infusio cum praedicto motu liberi arbitrii, ut in secunda parte [I-II q. 1 1 3 a. 8] habitum est. In quo quidem motu comprehenditur actus poenitentiae, ut supra [q. 86 a. 6 ad l ] dictum est. Manifestum est autem quod formae quae possunt recipere magis et minus, intenduntur et remittuntur secundum diversam dispositio­ nem subiecti, ut in secunda parte [1-11 q. 52 aa. 1 -2] habitum est. Et inde est quod, se­ cundum quod motus liberi arbitrii in poeni­ tentia est intensior vel remissior, secundum hoc poenitens consequitur maiorem vel mino­ rem gratiam. - Contingit autem intensionem motus poenitentis quandoque proportionatam esse maiori gratiae quam illa a qua cecidit per peccatum; quandoque vero aequali; quando­ que vero minori. Et ideo poenitens quando­ que resurgit in maiori gratia quam prius ha­ buerat; quandoque autem in aequali; quando­ que etiam in minori. Et eadem ratio est de virtutibus, quae ex gratia consequuntur. Ad primum ergo dicendum quod non amni­ bus diligentibus Deum cooperatur in bonum hoc ipsum quod per peccatum a Dei amore cadunt, quod patet in his qui cadunt et nun­ quam resurgunt, vel qui resurgunt iterum ca­ suri, sed i n his qui secundum propositum vocati sunt sancti, scilicet praedestinatis, qui, quotiescumque cadunt, finaliter tamen resur­ gunt. Cedit igitur eis in bonum hoc quod ca­ dunt, non quia semper in maiori gratia resur­ gant, sed quia resurgunt in permanentiori gra­ tia, non quidem ex parte ipsius gratiae, quia, quanto gratia est maior, tanto de se est perma­ nentior; sed ex parte hominis, qui tanto stabi­ lius in gratia permanet quanto est cautior et humilior. Unde et Glossa ibidem [Lomb. ; cf. ord.; De corr. 9] subdit quod ideo proficit eis in bonum quod cadunt, quia humiliores

redeunt, et quia doctioresfiunt.

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bra anche concordare con quanto dice Paolo:

Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia (Rm 5,20).

In contrario: la carità dei proficienti o dei per­ fetti è superiore a quella degli incipienti. Ora, capita che uno cada mentre possiede la carità dei proficienti, e risorga con la carità degli incipienti. Quindi l'uomo risorge sempre con un grado inferiore di virtù. Risposta: il moto del libero arbitrio che si riscontra nella giustificazione del peccatore è l 'ultima disposizione dell' uomo alla grazia, come si è rilevato sopra: per cui nello stesso istante si ha l'infusione della grazia e il predet­ to moto del libero arbitrio, come si è visto nella Seconda Parte; nel quale moto si riscon­ tra l 'atto della penitenza, secondo le spiegazio­ ni date in precedenza. Ora, è evidente che le forme suscettibili di una maggiore o minore intensità sono di un grado maggiore o minore secondo la diversa disposizione del soggetto, come s i è spiegato nella Seconda Parte . Perciò, a seconda che il moto del libero arbi­ trio nella penitenza è più intenso o più debole, il penitente consegue una grazia maggiore o minore. - Ora, accade che l'intensità del moto suddetto è proporzionata a una grazia talora superiore, talora uguale e talora inferiore a quella da cui il penitente era decaduto col pec­ cato. Perciò il penitente talora tisorge con una grazia superiore a quella precedente, talora con una grazia uguale, talora anche con una grazia inferiore. E lo stesso si dica delle virtù che accompagnano la grazia. Soluzione delle difficoltà: l . Non per tutti colo­ ro che amano Dio coopera al bene il fatto di decadere dall' amore di Dio con il peccato, come è evidente nel caso di coloro che cadono e non risorgono più, oppure risorgono per cadere di nuovo, ma solo «per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno», cioè per i predestinati; i quali, per quante volte cadano, tuttavia alla tine risorgono. Perciò la caduta torna a loro vantaggio non perché risorgano con una grazia più grande, ma perché risorgo­ no con una grazia più duratura: e ciò non dalla parte della grazia, la quale quanto più è grande, tanto più è duratura, ma dalla parte del sogget­ to, il quale tanto più è stabile nella grazia quan­ to più è cauto e umile. Per cui la Glossa riferita aggiunge che la caduta torna a loro vantaggio «perché si rialzano più umili e più prudenti».

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Il recupero delle virtù mediante la penitenza

Ad secundum dicendum quod poenitentia, quantum est de se, habet virtutem reparandi omnes defectus ad perfectum, et etiam promo­ vendi in ulteriorem statum, sed hoc quando­ que impeditur ex parte hominis, qui remissius movetur in Deum et in detestationem peccati. Sicut etiam in Baptismo aliqui adulti con­ sequuntur maiorem vel minorem gratiam, secundum quod diversimode se disponunt. Ad tertium dicendum quod illa assimilatio utriusque gratiae ad lucem vespertinam et matutinam fit propter similitudinem ordinis, quia post lucem vespertinam sequuntur tene­ brae noctis, post lucem autem matutinam sequitur lux diei, non autem propter maiorem vel minorem similitudinem quantitatis. - lllud etiam verbum apostoli intelligitur de gratia, quae exsuperat omnem abundantiam humano­ rum peccatorum. Non autem hoc est verum in omnibus, quod quanto abundantius peccavit, tanto abundantiorem gratiam consequatur, pensata quantitate habitualis gratiae. Est ta­ men superabundans gratia quantum ad ipsam gratiae rationem, quia magis gratis beneficium remissionis magis peccatori confertur. - Quam­ vis quandoque abundanter peccantes abundan­ ter dolent, et sic abundantiorem habitum gra­ tiae et virtutum consequuntur, sicut patet in Magdalena. Ad id vero quod in contrarium obiicitur, dicen­ dum quod una et eadem gratia maior est profi­ ciens quam incipiens, sed in diversis hoc non est necesse. Unus enim incipit a maiori gratia quam alius habeat in statu protèctus, sicut Gre­ gorius dicit, in 2 Dial. [l], pmesentes et secuturi

omnes cognoscant, Benedictus puer a quanta peifectione conversionis gratiam incoepisset.

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2. La penitenza ha di per sé la virtù di riparare alla perfezione tutti i difetti, e anzi di promuo­ vere a uno stato superiore: ciò però è talora impedito da pat1e dell' uomo, che si muove con poco impegno nella ricerca di Dio e nella detestazione del peccato. Come anche nel bat­ tesimo gli adulti conseguono una grazia mag­ giore o minore a seconda del diverso modo con cui vi si dispongono. 3. La comparazione dell'una e dell'altra grazia alla luce vespertina e a quella mattutina è lega­ ta alla somiglianza nell'ordine di successione, poiché alla luce vespertina seguono le tenebre della notte, mentre alla luce mattutina segue la luce del giorno, ma non è legata alla maggiore o minore somiglianza rispetto all' intensità. Le parole di Paolo poi vanno riferite alla gra­ zia, che supera tutta l'abbondanza dei peccati dell'uomo. Ma non è vero in ogni caso che quanto più uno ha peccato tanta più grazia riceve, rispetto alla quantità della grazia abi­ tuale. Si ha tuttavia una grazia sovrabbondante rispetto alla nozione stessa di grazia: poiché per un più grande peccatore il beneficio del perdono è maggiormente gratuito. - Capita tuttavia in certi casi che quanti hanno mag­ giormente peccato concepiscano un dolore maggiore: e allora essi conseguono un più liceo abito di grazia e di virtù, come è eviden­ te nel caso della Maddalena. 4. [S. c.] . All'argomento in contrario si deve tispondere che nell' identico uomo la grazia del proficiente è superiore a quella dell'inci­ piente, ma in uomini diversi ciò non è neces­ sario. Infatti uno può iniziare da una grazia maggiore di quella di un proficiente, come dice Gregorio: «Conoscano gli uomini presen­ ti e futuri con quanta perfezione Benedetto fanciullo abbia iniziato a vivere nella grazia dello stato religioso».

-

Articulus 3 Utrum per poenitentiam restituatur homo in pristinam dignitatem

Articolo 3 La penitenza ricostituisce l'uomo nella dignità precedente?

Ad tertium sic proceditur. Videtur quod per poenitentiam non restituatur homo in pristi­ nam dignitatem. l . Quia super illud Amos 5 [ 1 -2], W1;go Israel cecidit, dicit Glossa [ord.; cf. Hieronymum, In Amos 2, super 5,2], non negat ut resurgat, sed

Sembra di no. Infatti: l . Commentando Am 5 [ 1 ] : È caduta la ve�;gi­ ne d'Israele, la Glossa spiega: «ll profeta non nega che essa possa risorgere, ma che possa tisorgere vergine: poiché la pecora, una volta smarrita, anche se è riportata sulle spalle del Pastore non ha mai tanta gloria quanta ne ha

ut resU1;gere vil;go possit, quia semel obermns

Q. 89, A. 3

Il recupero delle virtù mediante la penitenza

ovis, etsi repo11etur in humeris pastoris, non habet tantam gloriam quantam quae nun­ quam erravit. Ergo per poenitentiam non re­

cuperat homo pristinam dignitatem. 2. Praeterea, Hieronymus dici t [cf. Decretum, p. l , d. 50, can. 30 Quicumque dignitatem; cf. Basilium Magnum, ep. 1 99 Ad Amphilo­ chium, can. 27; Conc. in Trullo, anno 692, can. 26], quicumque dignitatem divini gradus

non custodiunt, contenti fiant animam salva­ re, reverti enim in pristinum gradum difficile est. Et Innocentius Papa [Innocentius l, -

ep. 6 Ad Agapitum, Macedonium et Maura­ nium; cf. Decretum, p. l , d. 50, can. 60 Cano­ nes] dici t quod apud Nicaeam constituti ca­

nones poenitentes etiam ab infimis clericorum officiis excludunt. Non ergo per poenitentiam homo recuperat pristinam dignitatem. 3. Praeterea, ante peccatum potest aliquis ad maiorem gradum ascendere. Non autem hoc post peccatum conceditur poenitenti, dicitur enim Ez. 44 [1 0. 13], Levitae qui recessenmt a

nunquam appropinquabunt mihi, ut sacer­ dotiofimgantur. Et, sicut habetur in Decretis, d.

me,

50 [Decretum, p. l , d. 50, can. 52 H i qui altario], in Hilerdensi Concilio [anno 524, can. 5] legitur, hi qui sancto altario deserviunt, si

subito jlenda debilitate camis corruerint, et, Domino respiciente, poenituerint, officiorum suorum /oca recipiant, nec possint ad altiora offida ulterius promoveri. Non ergo poenitentia restituit hominem in pristinam dignitatem. S ed contra e s t quod, sicut i n eadem d i ­ stinctione [Decretum, p. l, d . 50, can. 1 6 Tua sanctitas l ] legitur, Gregorius, scribens Se­ cundino [Registrum 9, indict. 2, ep. 52], dixit,

post dignam satisfactionem, credimus homi­ nem posse redire ad suum honorem. Et in Concilio Agathensi [anno 506, can. 2; cf. De­ cretum, p. l , d. 50, can. 2 1 Contumaces] le­ gitur, contumaces clerici, prout dignitatis or­

do permiserit, ab episcopis corrigantur, ita ut, cum eos poenitentia correxerit, gradum suum dignitatemque recipiant.

Respondeo dicendum quod homo per pecca­ turo duplicem dignitatem amittit, unam quan­ tum ad Deum, aliam vero quantum ad Ecclc­ siam. Quantum autem ad Deum, amittit du­ plicem dignitatem. Unam principalem, qua scilicet computatus erat inter filios Dei per gratiam. Et hanc dignitatem recuperat per poenitentiam. Quod significatur Luc. 15 [22]

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quella che non si smarrì mai». Quindi con la penitenza non si può ricuperare la dignità precedente. 2. Girolamo afferma: «Coloro che non hanno custodito la dignità della loro vita divina, si accontentino di salvare la loro anima: poiché tornare al grado di prima è una cosa difficile». - E papa Innocenzo scrive che «i canoni di Nicea escludono i penitenti anche dagli uffici più umili dei chierici». Perciò con la peniten­ za l'uomo non può ricuperare la dignità che aveva in precedenza. 3. Prima del peccato uno ha la possibilità di salire a un grado superiore. Ma ciò non è con­ cesso al penitente dopo il peccato, poiché in Ez 44 [ 1 0. 1 3] è detto: l ieviti che si sono al­

lontanati da me non si avvicineranno più a me per servùmi come sacerdoti. Da cui la di­ sposizione del Concilio di Lerida inserita nei canoni del Decreto: «Coloro che addetti al servizio dell' altare hanno ceduto d'improv­ viso alla fragilità della carne, e per la miseri­ cordia di Dio se ne sono pentiti, riprendano i loro posti nelle funzioni sacre, però non siano promossi a uffici superiori». Quindi la peni­ tenza non restituisce l' uomo alla sua dignità precedente. In conn·ario: nella medesima distinzione del Decreto è riferito il seguente testo di Gregorio: «Dopo una degna soddi sfazione, crediamo che uno possa riprendere la sua dignità». E nel Concilio di Agde fu decretato: «l chierici con­ tumaci, per quanto la loro dignità lo permette, devono essere puniti dai loro vescovi: cosic­ ché, dopo essere stati corretti dalla penitenza, rientrino in possesso del loro grado e della loro dignità». Risposta: l'uomo col peccato viene a perdere una duplice dignità: una presso Dio, l' altra presso la Chiesa. Presso Dio egli perde una duplice dignità. Una principale, per cui era considerato tra ifigli di Dio [Sap 5,5] a motivo della grazia. E questa dignità è recuperata con la penitenza. Ciò è significato nella parabola del figliol prodigo, al quale dopo il pentimento il padre comanda che siano restituiti il vestito più bello, l'anello e i calzari (Le 15,22). - Per­ de poi una dignità secondaria, cioè l'innocen­ za: della quale nella parabola evangelica ricor­ data si gloriava il figlio maggiore con quelle parole: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando [Le 15,29].

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Il recupero delle virtù mediante la penitenza

de tilio prodigo, cui pater poenitenti iussit restituì stolam primam et anulum et calcea­ menta. - Aliam vero dignitatem amittit secun­ dariam, scilicet innocentiam, de qua, sicut ibi­ dem legitur, gloriabatur filius senior, dicens, ecce, tot annis servio tibi, et nunquam man­ datum tuum praeterivi. Et hanc dignitatem poenitens recuperare non potest. - Recuperat tamen quandoque aliquid maius. Quia, ut Gregorius dicit, in Homilia de centum ovibus [In Ev. h. 2,34], qui errasse a Deo se conside­ rant, damna praecedentia lucris sequentibus recompensant. Maius ergo gaudium de eis fit in caelo, quia et du.x in praelio plus eum mili­ tem diligit qui post fugam reversus hostem fortiter premit, quam illum qui nunquam terga praebuit et nunquam aliquidfortiterfe­ cit. - Dignitatem autem ecclesiasticam homo per peccatum perdit, qui indignum se reddit ad ea quae competunt dignitati ecclesiasticae exercenda. Quam quidem recuperare prohi­ bentur, uno modo, quia non poenitent. Unde Isidorus ad Misianum Episcopum [ep. 4 Ad Massonam Episc.] scribit, sicut in eadem distinctione legitur, cap. Domino [Decretum, p. l , d. 50, can. 28 Domino], illos ad pristinos gradus canones redire p raecipiunt quos poenitentiae praecessit satisfactio, ve/ condi­ gna peccatorum confessio. At contra hi qui a vitio corruptionis non emendantur, nec gra­ dum honoris, nec gratiam recipiunt commu­ nionis. - Secondo, quia poenitentiam negli­ genter agunt. Unde in eadem distinctione, cap. Si quis diaconus, dicitur [Decretum, p. l , d . 50, can. 29 S i quis diaconus], cum in aliquibus nec compunctio humilitatis, nec instantia orandi appareat, nec ieiuniis vel lectionibus eos vacare videamus, possumus agnoscere, si ad pristinos honores redirent, cum quanta negligentia permanerent. - Ter­ tio, si commisit aliquod peccatum habens ir­ regularitatem aliquam admixtam. Unde i n eadem distinctione, ex Concilio Martin i Papae, dicitur [Decretum, p. l , d . 50, can. 8 Si qui s viduam], si quis viduam, vel ab a/io relictam du.xerit, non admittatur ad clerum. Quod si irrepserit, deiiciatur. Similiter si homicidii autfacto aut praecepto aut consilio aut defensione, post Baptismum, conscius fuerit. Sed hoc non est ratione peccati, sed ratione irregularitatis. - Quarto, propter scan­ dalum. Unde i n eadem distinctione legitur,

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E questa dignità il penitente non può recupe­ rarla. - Talora però egli ricupera qualcosa di più grande. Poiché, come scrive Gregorio, «Coloro che considerano le loro defezioni da Dio, ricompensano con i guadagni successivi le perdite precedenti. Quindi di essi si fa più festa in cielo: poiché anche il comandante, nel combattimento, ama quel soldato che, tornato indietro dopo aver tentato la fuga, incalza coraggiosamente il nemico, più di quello che non ha mai voltato le spalle al nemico, ma nemmeno ha compiuto qualche grande atto di coraggio». - Inoltre col peccato un uomo può perdere la sua dignità presso la Chiesa, ren­ dendosi indegno di esercitare quei compiti che sono inerenti alla dignità ecclesiastica. E questa è proibito riacquistarla in determinati casi. Primo, poiché alcuni non fanno peniten­ za. Da cui le parole di Isidoro, riferite dal Decreto: «< canoni prescrivono di riabilitare nel loro grado gerarchico coloro che hanno soddisfatto per le loro colpe, e le hanno con­ fessate. Coloro invece che non si sono emen­ dati dal peccato non devono ottenere né il loro grado, né la grazia della comunione ecclesia­ stica». - Secondo, poiché alcuni ne fanno penitenza con poco impegno. Da cui le parole dei Canoni: «Quando nei chierici penitenti non si riscontra né la compunzione dell'u­ miltà, né l'assiduità nella preghiera, nei digiu­ ni o nelle buone letture, possiamo arguire con quanta negligenza si comporterebbero se tor­ nassero alle loro dignità precedenti». - Terzo, nel caso che uno abbia commesso un peccato a cui è annessa qualche irregolarità. Da cui il canone del Concilio tenuto da papa Martino: «Se uno ha sposato una vedova o una donna lasciata da altri, non sia ammesso nel clero. E se vi si è intromesso, sia espulso. E lo stesso si faccia qualora dopo il battesimo uno si sia reso responsabile di omicidio, o col fatto, o col comando, o col consiglio, anche se per difesa». Ma in quest'ultimo caso l'esclusione non è dovuta al peccato, bensì all'irregolarità. - Quarto, a motivo dello scandalo. Per cui nella stessa distinzione del Decreto si leggono le seguenti espressioni di Rabano Mauro: «Coloro che pubblicamente sono stati convin­ ti di spergiuro, di furto, di fornicazione o di altri crimini, siano degradati a norma dei canoni: poiché è uno scandalo per il popolo di Dio avere sopra di sé tali persone. A coloro

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Il recupero delle virtù mediante la penitenza

cap. De bis vero [Decreturn, p. l , d. 50, can. 34 De his vero], Rabanus [Poenitentiale 1 0]

dicit, hi qui deprehensi vel captifuerint publi­ ce in periurio, furto aut fornicatione, et cete­ ris criminibus, secundum canonum sacrorwn instituta a proprio gradu decidant, quia scan­ dalum est populo Dei tales personas superpo­ sitas habere. Qui autem de praedictis peccatis absconse a se commissis sacerdoti confiten­ tur, si se per ieiunia et eleemosynas vigilias­ que et sacras orationes purgaverint, his etiam, gradu proprio servato, spes veniae de misericordia Dei promittenda est. Et hoc

etiam dicitur extra, De qualitate ordinand. [Decretai. Gregor. IX, l. l , t. l l , c, 17 Quaesi­ tum], cap. Quaesitum, si crimina ordine iudi­

ciario comprobata, vel alias notoria non fuerint, praeter reos homicidii, post poeniten­ tiam in susceptis vel iam suscipiendis ordini­ bus impedire non possunt.

Ad primum ergo dicendum quod eadem ratio est de recuperatione virginitatis et de recupe­ ratione innocentiae, quae pertinet ad secun­ dariam dignitatem quoad Deum. Ad secundum dicendum quod Hieronymus in verbis illis non dicit esse impossibile, sed dicit esse difficile hominem recuperare post pec­ catum pristinum gradum, quia hoc non conce­ ditur nisi petfecte poenitenti, ut dictum est [in co. ] . Ad statuta autem canonum qui hoc prohibere videntur, respondet Augustinus, Bonifacio scribens [ep. 1 85,10], ut constituere­

tur in Ecclesia ne quisquam post alicuius criminis poenitentiam clericatum accipiat, vel ad clericatum redeat, vel in clericatu maneat, non desperatione indulgentiae, sed rigore factum est disciplinae. Alioquin contra claves datas Ecclesiae disputabitur, de quibus dictum est [cf. Matth. 1 6, 1 9; Ioan. 20,23], quaecum­ que solveritis super terram, erunt soluta et in caelo. Et postea subdit [ep. 1 85 Ad Bonifa­ cium l 0], nam et Sanctus David de criminibus egit poenitentiam, et tamen in honore suo perstitit. Et beatum Petnun, quando amaris­ simas lacrimasfitdit, utique Dominum negasse poenituit, et tamen apostolus pennansit. Sed non ideo putanda est supervacua posteriontm diligentia, qui, ubi saluti nihil detrahebatw; humilitati aliquid addidernnt, experti, ut credo, aliquorum fictas poenitentias per affectatas honornm potentias. Ad tertium dicendum quod illud statutum

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invece che confessano al sacerdote peccati di questo genere da loro commessi segretamen­ te, se sono disposti a fame penitenza median­ te digiuni, elemosine, veglie e preghiere, si deve promettere la speranza del perdono per la misericordia di Dio». Nei Canoni inoltre si legge: «Se i crimini non sono stati provati con una sentenza giudiziaria, o non sono altrimen­ ti notori, all'infuori del caso di omicidio non possono impedire, dopo la penitenza, di rice­ vere gli ordini o di esercitarli se già ricevuti». Soluzione delle difficoltà: l . La verginità, alla pari dell' innocenza, è irreparabile, rientrando nella dignità secondaria di fronte a Dio. 2. Girolamo nelle parole riferite non dice che è impossibile, ma che è difficile che uno dopo il peccato riacquisti il grado di prima: poiché ciò non è concesso se non a chi compie una perfetta penitenza, come si è visto. Alle pre­ scrizioni dei Canoni poi che sembrano proibi­ re questa riabilitazione, Agostino fa il seguen­ te commento: «La disposizione presa dalla Chiesa di vietare di ricevere il clericato, di tornare ad esso o di rimanervi dopo che si è espiato un crimine con la penitenza, non è dovuta alla mancanza di fiducia nel perdono, ma al rigore della disciplina. Altrimenti si metterebbe in discussione il potere delle chia­ vi dato alla Chiesa con quelle parole: Qualun­

que cosa scioglierete sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli». E poco dopo aggiunge:

«Infatti anche il santo re Davide fece peniten­ za dei suoi delitti, e tuttavia rimase nella sua dignità. E Pietro, dopo aver versato amarissi­ me lacrime ed essersi pentito di aver rinnega­ to il Signore, rimase pur sempre apostolo. Tuttavia non si deve reputare inutile il rigore degli antichi i quali, senza togliere nulla alla certezza della salvezza, aggiunsero qualcosa a vantaggio dell'umiltà: sapendo essi per espe­ rienza, così io penso, che alcuni fingono delle penitenze per il miraggio degli onori». 3. Le norme ricordate si riferiscono solo a coloro che sono stati assoggettati a una peni­ tenza pubblica, e quindi non possono essere promossi a un grado superiore. Infatti Pietro fu costituito pastore del gregge di Cristo dopo il suo rinnegamento, come risulta da Gv 2 1 [ 1 5]. Per cui il Crisostomo scrive che «Pietro dopo i l rinnegamento e i l pentimento mostrò di avere una maggiore confidenza verso Cristo. Egli infatti, che nell'ultima cena non aveva

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Il recupero delle virtù mediante la penitenza

Q. 89, A. 3

intelligitur de illis qui publicam poenitentiam agunt, qui postmodum non possunt ad maiorem provehi gradum. Nam et Petrus post negationem pastor ovium Christi constitutus est, ut patet Ioan. 2 1 [ 1 5 sqq.] . Ubi dicit Chrysostomus [In Ioan. h. 88] quod Petrus

osato interrogarlo, ma aveva incaricato di ciò Giovanni, dopo aver ricevuto la presidenza sui fratelli non solo non incarica un altro di interrogarlo su quanto riguardava lui, ma in­ terroga direttamente il Maestro su ciò che riguardava Giovanni».

Articulus 4 Utrum opera virtutum in caritate facta mortificari possint

Articolo 4 Gli atti virtuosi compiuti nella carità possono essere «mortificati»?

Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ope­ ra virtutum in caritate facta mortificari non possunt. l . Quod enim non est, immutari non potest. Sed mortificatio est quaedam mutati o de vita in mortem. Cum ergo opera virtutum, postquam facta sunt, iam non sint, videtur quod ulterius mortificari non possunt. 2. Praeterea, per opera virtutis in caritate tàcta homo meretur vitam aetemam. Sed subtrahe­ re mercedem merenti est iniustitia, quae non cadit in Deum. Ergo non potest esse quod opera virtutum in caritate facta per peccatum sequens mortificentur. 3. Praeterea, fortius non corrumpitur a debi­ liori. Sed opera caritatis sunt fortiora quibusli­ bet peccatis, quia, ut dicitur Prov. 10 [ 1 2], universo delicta operit caritas. Ergo videtur quod opera in caritate facta per sequens mor­ tale peccatum mmtificari non possunt. Sed contra est quod dicitur Ez. 1 8 [24], si aver­

Sembra di no. Infatti: l . Ciò che non esiste non può essere mutato. Ma il subire la morte è una mutazione dalla vita alla morte. Poiché dunque gli atti virtuosi dopo essere stati compiuti non esistono più, sembra che non possano essere «mortificati». 2. Con gli atti virtuosi compiuti nella carità l 'uomo merita la vita eterna. Ora, sottrarre la mercede a chi l'ha meritata è un'ingiustizia, che è inconcepibile in Dio. Quindi è impossi­ bile che gli atti virtuosi compiuti nella carità siano «mortificati» dal peccato che li segue. 3. Ciò che è più potente non può essere distrutto da ciò che è più debole. Ma le opere della carità sono più forti di tutti i peccati : poiché, come è detto in Pr 10 [ 1 2], la carità copre tutte le colpe. Perciò le opere compiute nella carità non possono venire «mortificate» da un peccato mortale successivo. In contrario: in Ez 18 [24] si legge: Se il giu­

post negationem et poenitentiam ostendit se habere maiorem fiduciam ad Christum. Qui enim in cena non audebat interrogare, sed Ioanni interrogationem commisit, huic postea et praepositura fratrum eredita est, et non solum non committit alteri intenvgare quae ad ipsum pertinent, sed de reliquo ipse pro loanne magistrum intenvgat.

terit se iustus a iustitia sua, omnes iustitiae eius quasfecerat, non recordabuntur.

Respondeo dicendum quod res viva per mor­ tem perdit operationem vitae, unde per quan­ dam similitudinem dicuntur res mortificari quando impediuntur a proprio suo effectu vel operatione. Effectus autem operum virtuoso­ rum quae in caritate fiunt, est perducere ad vi­ tam aetemam. Quod quidem impeditur per pec­ catum mmtale sequens, quod gratiam tollit. Et secundum hoc, opera in caritate facta dicuntur mortificari per sequens peccatum mortale.

sto si allontana dalla giustizia, tutte le opere giuste da luifatte saranno dimenticate.

Risposta: un essere vivo perde con la morte le operazioni della vita: per cui si dice metafori­ camente che certe cose sono «mortificate» quando se ne impedisce I' effetto o I' operazio­ ne. Ora, l'effetto degli atti virtuosi compiuti nella carità è quello di condurre alla vita eter­ na. Il che è impedito dal peccato mortale suc­ cessivo, che toglie la grazia. Per questo moti­ vo dunque si dice che le opere compiute nella carità sono «mortificate» dal peccato mortale successivo.

Q. 89, A. 4

Il recupero delle virtù mediante la penitenza

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Ad primum ergo dicendum quod, sicut opera peccatorum transeunt actu et manent reatu, ita opera in caritate facta, postquam transeunt actu, manent merito in Dei acceptatione. Et secundum hoc mortificantur, inquantum impe­ ditur homo ne consequatur suam mercedem. Ad secundum dicendum quod sine iniustitia potest subtrahi merces merenti quando ipse reddiderit se indignum mercede per culpam sequentem. Nam et ea quae homo iam acce­ pit, quandoque iuste propter culpam perdit. Ad tertium dicendum quod non est propter fortitudinem operum peccati quod mortifican­ tur opera prius in caritate facta, sed est propter libertatem voluntatis, quae potest a bono in malum deflecti.

Soluzione delle difficoltà: l . Come gli atti peccaminosi passano quanto all'atto, ma ri­ mangono quanto al reato, così gli atti compiu­ ti nella carità, dopo essere passati quanto al loro atto, rimangono quanto al melito nel gra­ dimento di Dio. Ed è sotto questo aspetto che essi sono «mortificati»: giacché l 'uomo è impedito dal conseguire la sua mercede. 2. Si può sottrarre senza ingiustizia la merce­ de quando chi l'ha melitata se ne è reso inde­ gno con una colpa successiva. Infatti talvolta uno può perdere giustamente per una colpa anche ciò che aveva già conseguito. 3. Le opere compiute nella carità non sono «mortificate» per la potenza delle opere del peccato, ma per la libertà del volere che può deflettere dal bene verso il male.

Articulus 5 Utrum opera mortificata per peccatum per poenitentiam reviviscant

Articolo 5 Le opere «mortificate» dal peccato rivivono con la penitenza?

Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ope­ ra mortificata per peccatum per poenitentiam non reviviscant. l . Sicut enim per poenitentiam subsequentem remittuntur peccata praeterita, ita etiam per peccatum sequens mottificantur opera prius in caritate fàcta. Sed peccata dimissa per poe­ nitentiam non redeunt, ut supra [q. 88 a. 1 ] dictum est. Ergo videtur quod etiam opera mortificata per caritatem non reviviscant. 2. Praeterea, opera dicuntur mortificari ad simi­ litudinem animalium quae mmiuntur, ut dic­ tum est [a. 4] . Sed animai mortuum non potest iterum vivificari. Ergo nec opera mortificata possunt iterum per poenitentiam reviviscere. 3. Praeterea, opera in caritate facta merentur gloriam secundum quantitatem gratiae vel ca­ ritatis. Sed quandoque per poenitentiam ho­ mo resurgit in minori gratia vel caritate. Ergo non consequetur gloriam secundum merita priorum operum. Et ita videtur quod opera mortificata per peccatum non reviviscant. Sed contra est quod, super illud Ioel 2 [25], reddam vobis annos quos comedit locusta, dicit Glossa [int.], non patiar perire uberta­ tem quam cum perturbatione animi amisistis. Sed illa ubertas est meritum bonorum ope­ rum, quod fuit perditum per peccatum. Ergo per poenitentiam reviviscunt opera meritoria prius fàcta.

Sembra di no. Infatti: l . Come i peccati passati sono Iimessi dalla penitenza che li segue, così anche le opere compiute nella carità sono annullate o «morti­ ficate» dal peccato successivo. Ma i peccati rimessi non ritornano con la penitenza, come si è dimostrato sopra. Quindi sembra che nean­ che le opere mmtificate Iivivano per la carità. 2. Si dice che le opere sono «mortificate» a somiglianza degli animali che muoiono, come si è detto. Ma un animale morto non può essere di nuovo vivificato. Quindi neppure le opere «mortificate» possono rivivere con la penitenza. 3. Le opere compiute nella carità melitano la gloria secondo la misura della grazia e della carità. Ma talora con la penitenza uno risorge con una grazia o carità inferiore a quella di prima. Quindi non può conseguire la gloria secondo i meriti delle opere precedenti. E così sembra che le opere «mortificate» dal peccato non rivivano. In contrario: commentando G/ 2 [25]: W com­ penserò delle annate che ha divorato la locu­ sta, la Glossa afferma: «Non permetterò che perisca l 'abbondanza che la perturbazione della vostra anima vi ha fatto perdere». Ma tale abbondanza è il merito delle opere buone, che fu perduto per il peccato. Quindi con la penitenza rivivono le opere meritorie compiu­ te prima del peccato.

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Il recupero delle virtù mediante la penitenza

Respondeo dicendurn quod quidam dixerunt quod opera meritoria per peccatum sequens mortificata non reviviscunt per poenitentiam sequentem, considerantes quod opera illa non remanent, ut iterum vivificari possent. - Sed hoc impedire non potest quin vivificentur. Non enim habent vim perducendi in vitam aeter­ nam, quod pertinet ad eorum vitam, solum secundum quod actu existunt, sed etiam postquam actu esse desinunt secundum quod remanent in acceptatione divina. Sic autem remanent, quantum est de se, etiam postquam per peccatum mortificantur, quia semper Deus illa opera, prout facta fuerunt, acceptabit, et sancti de eis gaudebunt, secundum illud Apoc. 3 [ I l ] , tene quod habes, ne alius accipiat co­ ronam tuam. Sed quod isti qtù ea fecit non sint efficacia ad ducendum ad vitam aetemam, pro­ venit ex impedimento peccati supervenientis, per quod ipse redditur indignus vita aetema. Hoc autem impedimentum tollitur per poeni­ tentiam, i nquantum per eam remittuntur peccata. Unde restat quod opera prius mortifi­ cata per poenitentiam recuperant efficaciam perducendi eurn qui fecit ea in vitam aetemam, quod est ea reviviscere. Et ita patet quod opera mortificata per poenitentiam reviviscunt. Ad primum ergo dicendum quod opera peccati per poenitentiam abolentur secundum se, ita scilicet quod ex eis ulterius, Deo indulgente, nec macula nec reatus inducitur. Sed opera ex caritate t'acta non abolentur a Deo, in cuius acceptatione remanent, sed impedimentum accipiunt ex parte hominis operantis. Et ideo, remoto impedimento quod est ex parte homi­ nis, Deus implet ex parte sua illud quod opera merebantur. Ad secundum dicendum quod opera in caritate facta non mortificantur secundum se, sicut dictum est, sed salurn per impedimentum superveniens ex parte operantis. Animalia autem moriuntur secundum se, inquantum privantur principio vitae. Et ideo non est simile. Ad tertium dicendurn quod ille qui per poeni­ tentiam resurgit in minori caritate, consequetur quidem praemium essentiale secundum quantitatem caritatis in qua invenitur, habebit tamen gaudium maius de operibus in prima ca­ ritate factis quam de operibus quae in secunda fecit. Quod pertinet ad praemium accidentale.

Q. 89, A. 5

Risposta: alcuni hanno affermato che le opere meritorie mortificate dal peccato non rivivono con la penitenza successiva, tenuto conto del fatto che tali opere non rimangono, così da poter essere poi di nuovo vivificate. - Ma ciò non può impedire la loro reviviscenza. Esse infatti hanno il potere di condurre alla vita eter­ na, nella qual cosa consiste la loro vita, non solo in quanto esistono attualmente, ma anche dopo che hanno cessato di esistere, in quanto rimangono nell'accettazione di Dio. E qui esse rimangono per loro natura anche dopo che sono state mortificate dal peccato: poiché tali opere in quanto furono fatte saranno sempre accette a Dio, e i santi ne godranno, secondo le parole di Ap 3 [ I l ] : Tzeni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. Che poi esse non siano capaci di condurre alla vita eterna colui che le compì, deriva dall' impedimento del peccato successivo, che rese costui indegno della vita eterna. Ma tale impedimento è tolto dalla penitenza, poiché con essa sono rimessi i peccati. Perciò ne segue che le opere già «mor­ tificate» ricuperano con la penitenza la capacità di condurre alla vita eterna colui che le ha compiute: il che significa che esse rivivono. È quindi evidente che le opere «mortificate» rivi­ vono con la penitenza. Soluzione delle difficoltà: l . Le opere del pec­ cato sono distrutte in se stesse dalla penitenza: in modo che, per la misericordia di Dio, di esse non rimane né la macchia né il reato. Invece le opere compiute nella carità non sono distrutte da Dio, nella cui accettazione rimangono, ma solo incontrano un impedimento dalla parte dell' uomo. E così, tolto questo impedimento dalla parte dell'uomo, Dio compie da parte sua ciò che le opere meritavano. 2. Le opere compiute nella carità non muoiono in se stesse, come si è già notato, ma solo per l ' impedimento sorto dalla parte di chi le ha compiute. Invece gli animali muoiono per se stessi, poiché sono privati del principio vitale. Perciò il paragone non regge. 3. Colui che mediante la penitenza risorge con una carità minore, conseguirà il premio essenziale secondo la misura della carità in cui si troverà a morire; tuttavia avrà una gioia più grande per le opere compiute nel primo periodo vissuto nella carità che per quelle compiute nel secondo: il che rientra nel pre­ mio accidentale.

Il recupero delle virtù mediante la penitenza

Q. 89, A. 6

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Articulus 6 Utrum per poenitentiam subsequentem etiam opera mortua vivificentur

Articolo 6 Le opere morte sono anch'esse vivificate dalla penitenza successiva?

Ad sextum sic proceditur. Videtur quod per poenitentiam subsequentem etiam opera mortua, quae scilicet non sunt in caritate facta, vivificentur. l . Difficilius enim videtur quod ad vitam per­ veniat illud quod fuit mortificatum, quod nun­ quam fit secundum naturam, quam illud quod nunquam fuit vivum, vivificetur, quia ex non vivis secundum naturam viva aliqua generan­ tur. Sed opera mortificata per poenitentiam vivificantur, ut dictum est [a. 5]. Ergo multo magis opera mortua vivificantur. 2. Praeterea, remota causa, removetur effectus. Sed causa quare opera de genere bonorum si­ ne caritate facta non fuerunt viva, fuit defectus caritatis et gratiae. Sed iste defectus tollitur per poenitentiam. Ergo per poenitentiam opera mortua vivificantur. 3. Praeterea, Hieronymus dicit [In Agg. super 1 ,5], si quando videris inter multa opera pec­

Sembra di sì. Infatti: l . È più difficile che torni in vita ciò che ha subito la morte, il che non si verifica mai in natura, piuttosto che sia vivificato ciò che non fu mai vivo: poiché da realtà non vive sono generati per natura certi viventi. Ma le opere «mortificate» dal peccato sono vivificate dalla penitenza, come si è visto. Quindi a maggior ragione sono vivificate le opere morte. 2. Eliminata la causa, si elimina anche l'effetto. Ora, la causa per cui le opere buone compiute senza la carità non furono vive, fu la mancanza della carità e della grazia. Ma questa mancanza viene a cessare con la penitenza. Quindi con la penitenza le opere morte rivivono. 3. Girolamo scrive: «Quando vedi che uno tra molte opere cattive compie qualche opera buona, non devi credere che Dio sia tanto ingiusto da dimenticare per le molte cose cat­ tive le poche buone». Ma ciò appare soprat­ tutto quando con la penitenza sono cancellate le colpe passate. Sembra quindi che in seguito alla penitenza Dio ricompensi le opere buone compiute in stato di peccato: il che significa vivificarle. In contrario: Paolo dice: Se anche distribuissi

catorum facere quemquam aliqua quae iusta sunt, non est tam iniustus Deus ut propter multa mala obliviscatur paucorum bonorum. Sed hoc videtur maxime quando mala praeteri­ ta per poenitentiam tolluntur. Ergo videtur quod post poenitentiam Deus remuneret priora bona in statu peccati tàcta, quod est ea vivificari. Sed contra est quod apostolus dicit, l Cor. 1 3 [3], si distribuero in cibos pauperum omnes

facultates meas, et si tradidero corpus meum ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest. Hoc autem non esset si

saltem per poenitentiam s ubsequentem vivificarentur. Non ergo poenitentia vivificat opera prius mortua. Respondeo dicendum quod opus aliquod di­ citur mortuum dupliciter. Uno modo, effective, quia scilicet est causa mortis. Et secundum hoc, opera peccati dicuntur opera mortua, se­ cundum illud Hebr. 9 [ 14], sanguis Christi

emundabit conscientias nostras ab operibus mortuis. Haec igitur opera mortua non vivifi­

tutte le mie sostanze ai poveri e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova (l Cor 1 3,3). Ora, ciò non avverrebbe se almeno con la penitenza suc­

cessiva tali opere potessero essere vivificate. Perciò la penitenza non ridà vita alle opere morte. Risposta: un' opera può dirsi morta in due modi. Primo, in senso effettivo: cioè perché causa la morte. E in questo senso si dicono morti gli atti peccaminosi, come è detto in Eb 9 [ 14]: Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza dalle opere morte. Perciò queste opere morte non sono vivificate dalla penitenza, ma piuttosto eliminate, come è detto in Eb 6 [ 1 ] : Non getteremo di nuovo le

cantur per poenitentiam, sed magis abolentur, secundum illud H e br. 6 [ l ] , non rursus

fondamenta della penitenza sulle opere mor­ te. Secondo, le opere possono dirsi morte in

iacientes jùndamentwn poenitentiae ab operi­ bus mortuis. Alio modo dicuntur opera

senso privative: nel senso cioè che mancano della vita spirituale che deriva dalla carità, mediante la quale l'anima è unita a Dio, di cui essa vive come il corpo mediante l 'anima.

-

mortua privative, scilicet quia carent vita spirituali, quae est ex caritate, per quam anima

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Il recupero delle virtù mediante la penitenza

Deo coniungitur, ex quo vivit sicut corpus per animam. Et per hunc modum etiam fides quae est sine caritate, dicitur mortua, secundum illud Iac. 2 [20], jides sine operibus mortua est. Et per hunc etiam modum omnia opera quae sunt bona ex genere, si sine caritate fiant, dicuntur mortua, inquantum scilicet non pro­ cedunt ex principio vitae; sicut si dicamus sonum citharae vocem mortuam dare. Sic igitur differentia mortis et vitae in operibus est secundum comparationem ad principium a quo procedunt. Opera autem non possunt iterum a principio procedere, quia transeunt, et iterum eadem numero assumi non possunt. Unde impossibile est quod opera mortua iterum fiant viva per poenitentiam. Ad primum ergo dicendum quod in rebus na­ turalibus taro mortua quam mortificata carent principio vitae. Sed opera dicuntur mortificata non ex parte principii a quo processerunt, sed ex parte impedimenti extrinseci. Mortua autem dicuntur ex parte principii. Et ideo non est similis ratio. Ad secundum dicendum quod opera de genere bonorum sine caritate facta dicuntur mortua propter defectum caritatis et gratiae sicut principii. Hoc autem non praestatur eis per poenitentiam subsequentem, ut ex tali princi­ pio procedant. Unde ratio non sequitur. Ad tertium dicendum quod Deus recordatur bonorum quae quis facit in statu peccati, non ut remuneret ea in vita aetema, quod debetur solis operibus vivis, idest ex caritate factis, sed remunerat temporali remuneratione. Sicut Gregorius dicit, in Homilia de divite et Lazaro [In Ev. h. 2,40], quod, nisi dives ille aliquod bonum egisset et in praesenti saeculo remune­ rationem accepisset, nequaquam ei Abraham diceret, recepisti bona in vita tua. Vel hoc etiam potest referri ad hoc quod patietur tolerabilius iudicium. Unde dicit Augustinus, i n libro De patientia [26] , non possumus dicere schismatico melius fuisse ei ut, Chri­ stum negando, nihil eorum pateretur quae passus est confitendo, ut illud quod ait apo­ stolus [ l Cor. 1 3,3], si tradidero corpus meum ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest, intelligatur ad regnum caelontm obtinendum, non ad extremi iudicii supplicium tolerabilius subeundum. -

Q. 89, A. 6

E in questo senso anche la fede priva della carità è detta morta, come è detto in Gc 2 [20] : La fede senza le opere è morta. E in questo stesso senso anche tutte le opere che sono buone nel loro genere, se sono state compiute senza la carità, devono dirsi morte: poiché esse non derivano da un principio vita­ le; come se dicessimo che la cetra dà una voce morta. Perciò la distinzione tra opere morte e opere vive è fatta in base al principio da cui procedono. Ora, le opere non possono tornare di nuovo a procedere dal loro princi­ pio: poiché passano, e non è possibile ripeter­ le nella loro i dentità numerica. Quindi è impossibile che le opere morte ridiventino vive mediante la penitenza. Soluzione delle difficoltà: l . In natura sia gli esseri morti che quelli mortificati [cioè so­ praffatti dalla morte] mancano del principio vitale. Invece le opere sono dette mortificate non in base al principio da cui promanarono, bensì per un impedimento estrinseco, mentre sono dette morte in riferimento al loro princi­ pio. Perciò il paragone non regge. 2. Le opere buone fatte senza la carità sono dette morte per la mancanza della grazia e della carità quale loro principio. Ora, il fatto di derivare da tale principio non può essere loro fornito dalla penitenza successiva. Quin­ di l'argomento non vale. 3. Dio si ricorda del bene che uno compie in stato di peccato per ricompensarlo non già nella vita eterna, che è dovuta solo alle opere vive, cioè fatte nella carità, ma con una ricom­ pensa di ordine temporale. Per cui Gregorio, nel commentare la parabola del ricco e del povero Lazzaro, afferma che «Se quel ricco non avesse fatto in vita nessun bene, mai più Abramo gli avrebbe detto: Tu hai ricevuto dei beni nella tua vita». Oppure i l suddetto ricordo può riferirsi a una certa mitigazione della condanna. Da cui le parole di Agostino: «Non possiamo dire che per uno scismatico [martirizzato] sarebbe stato meglio rinnegare Cristo, senza soffrire ciò che ha sofferto con­ fessandolo: per cui le parole di Paolo: Quan­ d'anche consegnassi il mio corpo allefiamme, se non ho la carità niente mi giova, vanno ri­ ferite al conseguimento del regno dei cieli, non già alla mitigazione del supplizio inflitto nell'ultimo giudizio». -

Le parti della penitenza in generale

Q. 90, A. l

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QUAESTI0 90

QUESTIONE 90

DE PARTIBUS POENITENTIAE IN GENERALI

LE PARTI DELLA PENITENZA IN GENERALE

Deinde considerandum est de partibus poeni­ tentiae. Et primo, in generali; secundo, in spe­ ciali de singulis [S. q. 1 ] . - Circa primum quae­ runtur quatuor. Primo, unum poenitentia habeat partes. Secundo, de numero partium. Tertio, quales partes sint. Quarto, de divisione eius in partes subiectivas.

Passiamo ora a considerare le parti della peni­ tenza. Primo, in generale; secondo, in partico­ lare le singole parti. - Sul primo tema esami­ neremo quattro punti: l . La penitenza ha delle parti? 2. li loro numero; 3. Quali sono? 4. La divisione della penitenza in parti soggettive.

Articulus l

Articolo l

Utrum poenitentiae debeant partes assignari

Alla penitenza si debbono assegnare delle parti?

Ad primum sic proceditur. Videtur quod poenitentiae non debent partes assignari. l . Sacramenta enim sunt in quibus divina virtus secretius operatur salutem [cf. Etymol. 6,19]. Sed virtus divina est una et simplex. Non ergo poenitentiae, cum sit sacramentum, debent partes assignari. 2. Praeterea, poenitentia est virtus, et est sa­ cramentum. Sed ei inquantum est virtus, non assignantur pmtes, cum virtus sit habitus qui­ dam, qui est simplex qualitas mentis. Similiter etiam ei poenitentiae inquantum est sacra­ mentum, non videtur quod partes sint assignan­ dae, quia Baptismo et aliis sacramentis non assignantur partes. Ergo poenitentiae nullae debent partes assignari. 3. Praeterea, poenitentiae materia est peccatum, ut supra [q. 84 aa. 2-3] dictum est. Sed peccato non assignantur partes. Ergo etiam nec poeni­ tentiae sunt partes assignandae. Sed contra est quod partes sunt ex quibus per­ fectio alicuius integratur. Sed poenitentiae perfectio integratur ex pluribus, scilicet ex con­ tritione, confessione et satisfactione. Ergo poe­ nitentia habet partes. Respondeo dicendum quod partes rei sunt in quas materialiter totum dividitur, habent enim se partes ad totum sicut materia ad formam; unde in 2 Phys. [3,5] partes ponuntur in genere causae materiali s, totum autem in genere causae formalis. Ubicumque igitur ex pmte matedae invenitur aliqua pluralitas, ibi est invenire par­ tium rationem. Dictum est autem supra [q. 84 a l ad 1-2; a. 2] quod in sacramento poeniten­ tiae actus humani se habent per modum mate­ riae. Et ideo, cum plures actus humani requi-

Sembra di no. Infatti : l . I sacramenti sono dei riti nei quali «la virtù di Dio opera misteriosamente la salvezza». Ma la virtù di Dio è una e semplice. Quindi alla penitenza, che è un sacramento, non si devono assegnare delle parti. 2. La penitenza è virtù e sacramento. Ma in quanto è una virtù non può avere delle parti: infatti la virtù è un abito, che è una qualità semplice dell'anima. E lo stesso si dica della penitenza in quanto sacramento: poiché al battesimo e agli altri sacramenti non sono assegnate delle parti. Perciò alla penitenza in nessun modo vanno assegnate delle parti. 3. La materia della penitenza è il peccato, come si è detto sopra. Ora, al peccato non so­ no assegnate delle parti. Quindi esse non van­ no assegnate neppure alla penitenza. In contrario: le parti sono gli elementi che concorrono a integrare la perfezione di una cosa. Ora, la perfezione della penitenza è inte­ grata da più elementi, cioè dalla contrizione, dalla confessione e dalla soddisfazione. Quin­ di la penitenza ha delle parti. Risposta: le parti sono gli elementi in cui un tutto si divide materialmente: poiché le parti stanno al tutto come la materia alla forma; per cui Aristotele considera le parti nel genere della causa materiale, e il tutto nel genere del­ la causa formale. Perciò, dovunque si riscon­ tra dal lato della materia una certa pluralità, là è possibile riscontrm·e delle parti. Ora, come si è visto sopra, nel sacramento della peniten­ za gli atti umani costituiscono come la mate­ ria. Siccome quindi alla perfezione della peni­ tenza si richiedono diversi atti umani, cioè la

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Q. 90, A. l

Le parti della penitenza in generale

rantur ad perfectionem poenitentiae, scilicet contritio, confessio et satisfactio, ut infra [a. 2] patebit, consequens est quod sacramentum poenitentiae habeat partes. Ad primum ergo dicendum quod quodlibet sa­ cramentum habet simplicitatem ratione virtutis divinae, quae in eo operatur. Sed virtus divina, propter sui magnitudinem, operati potest et per unum et per multa, ratione quorum alicui sacramento possunt partes assignari. Ad secundum dicendum quod poenitentiae se­ cundum quod est virtus, non assignantur partes, actus enim humani, qui multiplicantur in poeni­ tentia, non comparantur ad habitum virtutis sicut partes, sed sicut effectus. Unde relinquitur quod partes assignentur poenitentiae inquantum est sacramentum, ad quod actus humani com­ parantur ut materia. In aliis autem sacrrunentis materia non sunt actus humani, sed aliqua res exterior, una quidem simplex, ut aqua vel oleum; sive composita, ut chrisma. Et ideo aliis sacramentis non assignantur partes. Ad tertium dicendum quod peccata sunt mate­ ria remota poenitentiae, inquantum scilicet sunt ut materia vel obiectum humanorum actuum, qui sunt propria materia poenitentiae prout est sacramentum.

contrizione, la confessione e la soddisfazione, come vedremo, è chiaro che il sacramento della penitenza ha delle parti Soluzione delle difficoltà: l . I sacramenti sono tutti dotati di semplicità rispetto alla virtù di­ vina che opera in essi. Ma la vittù di Dio, a motivo della sua grandezza, può agire per mez­ zo di uno strumento sia unico che molteplice: e in base a questa molteplicità si possono riscon­ trare delle parti in un dato sacramento. 2. Le parti non sono assegnate alla penitenza in quanto è una virtù: poiché gli atti umani, che nella penitenza sono molteplici, non sono parti rispetto ali'abito della virtù, bensì suoi effetti. Perciò le parti sono assegnate alla pe­ nitenza in quanto è un sacramento nel quale gli atti umani hanno funzione di materia. Ora, negli altri sacramenti la materia non è costi­ tuita dagli atti umani, bensì da realtà esterne: o semplici, come l ' acqua e l ' olio, oppure composte, come il crisma. Per questo negli altri sacramenti non si parla di parti. 3. I peccati sono la materia remota della peni­ tenza: in quanto cioè sono la materia o l' ogget­ to degli atti umani, i quali sono la materia pro­ pria della penitenza in quanto è un sacramento.

Articulus 2 Utrum convenienter assignentur partes poenitentiae contritio, confessio et satisfactio

Articolo 2

della penitenza, la contrizione, la confessione e la soddisfazione?

Ad secundum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter assignentur partes poenitentiae contritio, confessio et satisfactio. l . Contritio enim est in corde, et sic pertinet ad interiorem poenitentiam. Confessio autem est in ore, et satisfactio in opere, et sic duo ultima pertinent ad poenitentiam exteriorem. Poenitentia autem interior non est sacramen­ tum, sed sola poenitentia exterior, quae sensui subiacet. Non ergo convenienter assignantur hae partes sacramento poenitentiae. 2. Praeterea, in sacramento novae legis confer­ tur gratia, ut supra [q. 62 aa. 1 .6] habitum est. Sed in satisfactione non confertur aliqua gra­ tia. Ergo satisfactio non est pars sacramenti. 3. Praeterea, non est idem fructus rei et pars. Sed satisfactio est fructus poenitentiae, secun­ dum illud Luc. 3 [8],jacite vobis dignosfructus poenitentiae. Ergo non est pars poenitentiae.

Sembra di no. Infatti: l . La contrizione si produce nel cuore: e così rientra nella penitenza interiore. La confessio­ ne invece si ha nella bocca, e la soddisfazione nell'opera: per cui questi due ultimi elementi appartengono alla penitenza esteriore. Ora, la penitenza interiore non è un sacramento, ma lo è solo la penitenza esteriore, che cade sotto i sensi. Perciò tali parti non sono conveniente­ mente assegnate al sacramento della penitenza. 2. Nei sacran1enti della nuova legge è conferi­ ta la grazia, come si è visto sopra. Ma nella soddisfazione non è conferita alcuna grazia. Quindi la soddisfazione non è una parte di questo sacramento. 3. I frutti non si identificano con le parti di una cosa. Ma la soddisfazione è un frutto della penitenza, secondo l'esortazione evan­ gelica: Fate degnifrutti di penitenza (Le 3,8).

È esatto assegnare, come parti

Q. 90, A. 2

Le parti della penitenza in generale

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4. Praeterea, poenitentia ordinatur contra pec­

Essa quindi non è una parte della penitenza.

catum. Sed peccatum potest perfici solum in corde per consensum, ut in secunda parte [1-11 q. 72 a. 7] habitum est. Ergo et poenitentia. Non ergo debent poenitentiae partes poni confessio oris et satisfactio operis. Sed contra, videtur quod debeant poni plures partes poenitentiae. Pars enim hominis ponitur non solum corpus, quasi materia, sed etiam anima, quae est forma. Sed tria praedicta, cum sint actus poenitentis, se habent sicut materia, absolutio autem sacerdotis se habet per mo­ dum formae. Ergo absolutio sacerdotis debet poni quarta pars poenitentiae. Respondeo dicendum quod duplex est pars, ut dicitur in 5 Met. [4,25, 1 .3], scilicet pars essen­ tiae, et pars quantitatis. Partes quidem essentiae sunt, naturaliter quidem, forma et materia, logice autem, genus et differentia. Hoc autem modo quodlibet sacramentum distinguitur in materiam et formam sicut in partes essentiae, unde et supra [q. 60 aa. 4.6] dictum est quod sacramenta consistunt in rebus et verbis. - Sed quia quantita