649 66 26MB
Italian Pages 392 Year 1984
S. TOMMASO O' AQùINO
LA SOMMA TEOLOGICA TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL' EDIZIONE LEONINA
III
LA SS. TRINITÀ (I, qq. 27 - 43)
Edizioni Studio Domenicano della Provincia Domenicana UtriuSQue Lombardiae
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI cg; MCMLXX - Casa Editrice Adriano Sa/ani S.p.A.
© MCMLXXXIV - PDUL Edizioni Studio Domenicano Via dell'Osservanza 72 - 40136 Bologna - ITALIA
Con l'approvazione ecclesiastica e dell'Ordine Tipolitografia S. Francesco ·Via dell'Osservanza, 88 · Bologna,
Stampa Marzo 1988
LA SS. TRINITA (I, qq. 27-43)
INTRODUZIONE I Sintesi dottrinale delle questioni sull'unità di Dio. 1 - L'Angelico Dottore, fin dall'inizio delle sue considerazioni teologiche ci ha avvertiti che « noi non possiamo sapere che cosa è Dio». Però, servendoci di tutto ciò che ci è dato sapere intorno a ciò che vediamo nella natura e nella storia, possiamo acquistare delle nozioni che ci permettono di sapere che cosa egli non è, attribuendo inoltre al principio supremo ogni perfezione positiva manifestata a noi dai suoi effetti. Tutta la .molteplice, mutevole e quasi effimera realtà cosmica dipende necessariamente da un'altra realtà che porta in sè la ragione st'essa del suo esistere EJ in sè unisce, trascendendoli, i tre modi dell'e;;sere: l' « entitativo » o reale; l' cc ìntenzionale » o intellettuale; il "tendenziale» o volitivo. Non è difficile riconoscere in questa sintesi tomista un certo riflesso del pensiero di S. Agostino che, raccogliendo le preziose conquiste umane nella ricerca di Dio, dice essere Dio 11 la causa dell'esistere, la ragione del conoscere, l'ordine del vivere"· S. Tommaso è tutto proteso nella elaborazione del concetto di Dio quale può risultare in noi da questo triplice ordine di indagine, ammassando in esso tutto ciò che di bello egli trova sparso altrove. Per questo le pagine dove scolpisce questo concetto hanno una densità trasluminosa difficilmente raggiungibile dal pensiero umano. Come realtà ultra-entitativa, Dio è una purissima attualità che esclude non solo quanto sa di corporeo, ma altresì ogni ombra di potenzialità. Perciò l'Angelico Dottore, poggiando fortemente sul dato della rivelazione biblica, secondo il quale Dio è cc Colui che è», ne salva tutto il valore positivo e ne giustifica tutto il contenuto reale, spiegandola alla intelligenza umana nel modo geniale che fa del suo sistema una sintesi armoniosa nella quale la
8
LA SS. TRINIT A
filo~ofi'.l_, come regina, porta alla teologia, sua imperatrice, i suoi pm preziosi acquisti. Dio, egli dice, è l'essere per sè sussistente e, come tale, racchiude in sè, in modo eminente e come in fonte, quanta perfezione si trova sparsa e disseminata nelle realtà create, o che può essere da noi concepita, senza limitazioni. Egli, per questa pienezza di perfezione, realizza in sè il concetto di bene assoluto che Platone riconobbe veramente degno di Dio come principio supremo. Egli è infinito, immutabile, come colui che esclude ogni limite di spazio e di tempo, ossia è immenso ed eterno; esiste tuttavia in tutte le cose create che, come loro principio distinto e causa efficiente, egli fa esistere. E anche la monade e l'unità assoluta che, per il suo totale e irriducibile contrasto col "non-essere n, è conoscibile anche da noi, ma con diverso lume e in vario grado sia per se stessa che per i suoi riverberi nelle creature. E come può essere conosciuta da noi, così possiamo esprimere con vari nomi questa realtà sovrana. · Quale realtà ullra-intenzianale, ossia ultra-intellettuale, Dio è anche purissima attualità di cognizione, come lo è di entità; senza traccia, quindi, di quelle ombre che l'intendere importa anche nelle più sublimi intelligenze create. Non vi sono cioè in lui quei vari elementi o principii dell'atto conoscitivo (facoltà; specie, atti, oggetto), che caratterizzano la vita intellettuale di ogni spirito creato. Egli, infatti, intenzionalmente, è l'ente assoluto e possiede tutte le varie e molteplici sue partecipazioni, altrove disseminate e composte, nel modo eminentissimo che a lui solo conviene. Egli è la sede delle idee esemplari e la verità assoluta, per l'asso! uta identità tra l'essere e il conoscere, tra l'ordine reale e quello ideale. È pure realtà vivente della cui vita e nella cui vita tutto vive, anche ciò che in sè è privo di vita. Quale realtà ultra-tendenziale o appetitiva o volitiva, Dio w:rualmente esclude da sè ogni distinzione reale di facoltà volitive, abiti virtuosi, pluralità di atti, ma tutto racchiude nel semplicissimo concetto di volere necessario, riguardo al bene asso! uto, e libero, rispetto alle varie e infinite partecipazioni o irradiazioni, che da lui derivano la loro diversa stabilità nell'essere. Quale confluenza. di questo conoscere e volere, egli è anche provvidenza che, dall'eternità, tutto dispone sia nell'ordine naturale, sia nell'ordine soprannaturale. E, come predispone, Dio, che è potenza infinita, eseguisce poi nel tempo il suo programma di azione, manifestandosi quale causa prima che dà A tutto e a tutti l'esistere, e tocca nel più intimo tutte le modalità dell'essere, quale fonte di necessità, contingenza o li-
INTRODUZIONE
9
bertà nei diversi enti che da lui, come da causa universalissima e trascendente, dipendono. Questa prima realtà, sintesi purissima dell'essere, del conoscere e del volere, è, quindi, supremamente beata, ed è la beatitudine di tutti coloro che, riconoscendo la voce di Dio, docilmente seguono la via segnata nella storia. Ad o.!lnuno di questi tre modi d'essere si può riportare tutto quello che la mente umana balbetta quando parla di Dio. Perciò, alcuni teologi lo considerano di preferenza come I'" ente assoluto" ; altri lo contemplano corne purissima "attualità intellettuale» ; altri mettono l'accento 'sulla nozione di «bene sommo". L'Angelico Dottore. per vivificare tutti gli elementi della teolog-ia, si serve del concetto di esse per se subsisteris (I, q. 4, a. 2). In possesso di questa nozione, egli procede, con metodo più squisitamente teologico, alla sistemazione della dottrina trinitaria, nucleo centrale e inequivocabilmente caratteristico del!' insegnamento rivelato dalla parola di Gesù Cristo. In tale nozione confluiscono i due dati della rivelazione biblica (Es., 3, 14) e della contemplazione filosofica di Grecia (ARISTOTELE, 12 M etaphys., c. 9). 2 - Se ben si osserva, alla radice di tutti gli errori e di tutte le eresie trinitarie, c'è una falsa nozione di Dio che rende impossibile o compromette ineluttabilmente la sintesi dottrinale cristiana. L'orientalismo gnostico con la sua torbida nozione di Dio silenzio abissale - nasconde il senso di indeterminatezza che si ritrova, con più elaborato linguaggio, nel neo-platonismo e nella stessa mistica indiana della Brhadàranyaka-Upanishad: « Brahman è l'Autogeno"· D'altra parte, se la materia, essendo intrinsecamente impura, non può essere toccata dal Dio supremo, è necessario porre una serie più o meno lunga di Potenze intermediarie che, fuori di lui, permettano l'organizzazione della materia e il ritorno delle particelle luminose, sparse nel mondo, al focolare centrale della luce divina. L'Angelico Dottore può superare genialmente queste posizioni di compromesso, perchè è in possesso di una luminosissima nozione di Dio che, mentre ne rispetta la trascendenza, non lo separa nè dalla realtà creata nè dalla conoscenza dell'uomo. La vitalità dell'ipsum esse per se subsistens, mentre spiega l'onda vitale che circola nel mondo, conserva la caratteristica che il pensiero di Tommaso d'Aquino le ha impresso; per essa, Dio parimente trascende, unendoli, i due generi d'attualità, sempre distinti nelle creature: quello dell'essere e quello dell'operare, dell'esistere e dell'agire. L'assoluto, Dio, non solo è se stesso, ma questo stesso es~
10
LA SS. TRINITA
stere nella sua purissima attualità non è che vita perenne, sgorgante dagli intimi princip1i di sè ed avente per oggetto tutte le possibili partecipazioni dell'essere; perciò, l'eterno è insieme l'attuale, senz'om:.ira alcuna di indeterminatezza. L'atto creatore col quale l'insegnamento biblico inizia l'ammaestramento dell'uomo intorno a Dio, è il raggio luminoso che spazza via ogni tenebra di indeterminatezza e ogni nebbia di illusione mistica. La creazione, con la sua quasi infinita varietil di enti via via più perfptti, il governo del mondo, che tutta questa sterminata molteplicità di enti fa convergere mirabilmente al medesimo fine, mentre ci mostrano in Dio una vitalità più palese, sono anche gli indizi di quella vita più profonrla, più intima, più vera che sta nascosta nelle latebre della sua imperscrutabile natura. Questa vita intima di Dio non ci può essere nota se non per mezzo della rivelazione, come auto-manifestazione di Dio all'uomo per educarlo alla vita migliore e beata. Essa forma l'oggetto della presente ricerca teologica.
II Il metodo teologico e la documentazione delle questioni trinitarie.
3 - Naturalmente, il metodo che l'Angelico Dottore segue in questa trattazione, sotto un certo aspetto, è differente e, in qualche modo, opposto a quello seguìto nella sezione precedente. Allora si trattava di ciò che deve convenire a Dio considerato come causa prima e quindi come termine dei rapporti che le creature (specialmente le cose sensibili) hanno col loro autore, in forza del principio di causalità. Il processo dimostrativo si appoggiava alla ragione umana, e utilizzava quanto era stato detto in proposito dagli antichi Filosofi, nelle loro invei;>tigazioni sulla causa prima. La fede non ci aveva che una funzione di direzione e di conferma: per questo, pur appartenendo alla stessa scienza teologica, che è sapienza e regina, lo questioni della sezione precedente, presentano quasi la stessa fisionomia che hanno nella metafisica, quando questa s'avvicina alla realtà suprema, con in più la precisione assicurata dai nuovi dati dell'insegnamento divino. Ora, invece, si ha un procedere inverso. Le dimostrazioni si fondano sulla fede e partono dai dati specifici della rivelazione, accettati per fede, e utilizzano le determinazioni del magistero ecclesiastico, l'insegnamento dei Padri e dei Dottori della Chiesa.
INTRODUZIONE
11
La ragione non vi ha che un posto µiolto secondario o, come fu detto, cc ancillare » : essa è tutta protesa nella ricerca delle nozioni analoghe che servano a chiarire in qualche modo alla mente umana, nella trasluminosa tenebra della verità divina, conosciuta per fede ma non veduta, il contenuto fecondo di questa stessa verità rivelata. Come ancella essa non definisce, ma, diretta dalla fede, cerca soltanto di chiarire per noi e difendere dalle impugnazioni quanto la fede stessa insegna. Non si devono perciò prendere come argomenti probativi certi ragionamenti che, supposta la fede, sono fatti in vista della nostra insufficienza a capire, e che lasciano intatto il mistero nella sua inviolabile santità. Per Tommaso d'Aquino la imperscrutabilità non significa inintelligibilità, ma l' intelligibilità non si esaurisce tutta con una dimostrazione solare della ragione filosofica. Il metodo dell'Angeìico Dottore acquista qui e accentua fortemente il modo proprio della teologia. Da ciò deriva il largo uso che egli fa dei " luoghi » o cc topici » propri della teologia: sacra Scrittura, Concili, Padri e Dottori della Chiesa. Questo va tenuto ben presente, affinchè non faccia sgradevole impressione il vedere come certi quesiti siano proposti quasi unicamente perchè qualche Padre della Chiesa ha espresso il suo pensiero in un modo piuttosto che in un altro. 4 - La documentazione positiva di questo trattato non è però eccessiva, anche perchè sarebbe contro la intenzione espressamente enunciata nella Somma. Di questo fatto esiste una ragione più decisiva ed è quella data dal carattere critico del PJ'OCesso tomistico, il quale, avendo già assimilato tutti i dati positivi, pone il suo invariahile utrum ad ogni punto dato, .quasi a segnare la precisa linea di scavo. Per apprezzare nella giusta misura questa documentazione positiva, che non s'affardella, come presso altri autori antichi e moderni, ma si presenta cc spedita e pronta ,, a modo di " autorità'" bisogna tener presente i tre giganti della teologia trinitaria che sono Ilario, Agostino e il Damasceno. Le Sentenze di Pietro Lombardo e le opere di altri grandi scolastici formano il patrimonio positivo comune e basta un semplice accenno per richiamare tutta una serie di dati positivi da esa.minare. I personaggi che interloquiscono si presentano quasi tutti col loro nome e le carte pulite. Il gruppo dei filosofi puri è piccolissimo: Aristotele (26 citazioni), Avicenna (1 citazione), Macrobio (1 citazione). Col nome di Trismegisto è citato lo scritto pseudo-ermetico Liber XXIV philosophorum.
Il pensiero degli eretici antitrinitari è esaminato con molta serenità e comprensione dell'umana debolezza. Ario e Sabellio
12
LA SS. TRINITÀ
rappresentano le due ali estreme dell'errore. Eunomio è nominato una volta e, quando si ricorda l' impazientti stoccata di Agostino: «ridicola è la dialettica di Eunomio », che Pietro Lombardo sottolinea volentieri, la calma espressione di Tommaso rivela il diverso modo di vincere. Sotto il nome di Ario (q. 42, a. 2, arg. 1) è citato una volta Candido Ariano il cui pensiero sui dodici modi di generazione è riferito da Mario Vittorino, il celebre retore neo-platonico, del quale Simpliciano raccontò la conversione ad Agostino. Teodoreto [t c. 458, riconciliato con la Chiesa] è giudicato assai severamente, a giudizio di certi critici moderni; ma, siccome si tratta del Filioque e lo stes'3o giudizio è espresso per il Damasceno, forse si potrebbe addolcire la risposta (q. 36, a. 2, ad 3), approfondendo le ricerche con i principii dell'articolo. Lo gnostico Valentino fa una fugace comparsa (q. 34, a. 2, ad 2), ma sufficiente ad allargare la visuale storica del pensiero tomistico, che svela, anche solo in questo particolare, un'eccezionale finezza di penetrazione, appena velata dal riferimento a due autorità: Ilario e Agostino. La posizione di Origene [t 253], anche in questa parte della Somma Teologica, non è simpatica: una volta sola si salva (q. 42, a. 2, ad 4), mentre le altre due apparisce più nella luce dell' « Origenismo,, che nella sua personalità. Una volta è messo insieme con Ario (q. 32, a. 1, ad 1) e un'altra è detto «sorgente degli ariani,, (q. 34, a. 1, ad 1). Ma si può credere che la responsabilità di questo giudizio ris':llga a S. Girolamo il quale nella Lettera a Pammachio e Oceano chiama Origene cc fontem Arii », ed è la identica espressione che si ritrova nella Somma: cc quorum (degli Ariani) fons Origenes invenitur ». È noto che Girolamo cambiò atteggiamento di fronte a Origene sotto linflusso di Epifanio che, per quasi trent'anni [374403], si oppose all' Origenismo, o, come egli dice, agli « Origenisti "· Ora, Epifanio dice appunto che «da lui presero i motivi Ario e quelli che vennero dopo, Anomei ed altri» (Haeres., 64, 4).
L' « invenitur,, dell'Angelico Dottore non è senza speciale significato storico : tale nesso genetico di dottrine « si trova » in una certa rl.ocumentazione, ma egli non esclude anzi invita a precisare l'atteggiamento e il pensiero di Origene, come del resto aveva già fatto Atanasio nel De decretis Nicaenae Synodi (27). Il criterio che idealmente guida e sostiene sempre il pensiero di Tommaso d'Aquino è il magistero della Chiesa, espresso nei quattro grandi Concilii Ecumenici: Niceno [325], Costantinopolitano [381], Efesino [431], Calcedonese [451].
INTRODUZIONE
13
E pure citato, a proposito del Filioque, un certo concilio occidentale, che è quello di Toledo [447]. Tale criterio ha la sua formula nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano che è sempre presente, anche se le citazioni esplicite sono due sole. Più frequenti invece (14 cit.) quelle del così detto simbolo atanasiano, Quicumque; e che, pur non avendo il crisma conciliare e non essendo del grande dottore alessandrino, rimane una « regola della fede » come Io qualifica I' Enchiridion Symbolorum del Denzinger-Bannwart (n. 39 in nota). Non dispiace incontrare in questo trattato anche l'uso della Liturgia, sia per chiarire una espressione del Gloria in excelsis (q. 31, a. 4, ad 4), sia per confermare un insegnamento, col Praefatio della Trinità (q. 28, a. 2). Sempre a proposito del Filioque è citata una Legenda beati Andreae (q. 36, a. 2, ad 4) e la risposta indica rispetto per una mentalità differente dalla latina. 5 - Ora si presenta la :massiccia schiera dei grandi Padri e Dottori della Chiesa: Hario [t 367] con le due opere: De Trinitate e De Synodis ; Ambrogio [t 397] col De Fide ; Girolamo [f 420]; Agostino [f 430] del quale si citano molte opere e specialmente il De Trinitate ; Gregorio Magno [t 604]. Sotto il nome di Agostino, è citato Fulgenzio di Ruspe [t 533] : De Fide ad Petrum, e l'autore del Dialogo LXV quaestionum. J_,a Chiesa orientale greca è rappresentata da Basilio (una citazione fondamentale dell'omelia De Fide); da Dionigi detto l'Areopagita (la regola d'oro è ricordata quattro volte, sempre all'inizio di una ricerca: q. 29, a. 3, arg. 1; q. 32, a. 2, arg. 1; q. 36, a. 2, arg·. 1; q. 39, a. 2, arg. i e ciò non è forse un semplice giuoco dialettico); dal Damasceno [te. 739] col De Fide Orthodoxa. Sotto il nome d1 Girolamo, c'è una citazione di Didimo il cieco [t 398], al quale alcuni attribuiscono pure il Ubro V contro Eunomio citato da Tommaso d'Aquino, secondo l'uso del tempo, rome opera di Basilio. Da Pietro Lombardo (Sentenze, I. IV, d. 13, c. 2) dipende la. citazione del libro attribuito a S. Girolamo: Regulae definitionum contra haereticos (q. 31, a. 2; q. 39, a. 7, arg. i); ma se alla stessa opera appartiene, come pare, la citazione delle Sentenze, I. I, d. 13, c. 4 (riferita nella q. 33, a. 4, ad 2) e che sembra presa dal Trattato dello Spirito Santo di Didimo il cieco, tradotto da S. Girolamo, si può credere che le Regulae defìnitionum fossero una compilazione fatta sull'opera di Didimo, nella traduzione di Girolamo. Queste semplici affermazioni sembrano sufficienti a farci comprendere che il materiale documentario di cui si serve l'Angelico Dottore è criticamente autentico e valido, in generale. Ciò che nel patrimonio comune è indicato con una eti-
LA SS. TRINITÀ
chetta, riconosciuta falsa dalla critica moderna, non indebolisce il contenuto e non compromette la saldezza della costruzione. 6 - Come ultimo gruppo, abbiamo alcuni autori che, o rappresentano il nuovo indirizzo del pensiero teologico nel senso della Scolastica occidentale, oppure col loro affiato mistico hanno costretto il pensiero scolastico a stringere più intimamente i rapporti con i principii > (Mot., 16, 17). Tale interiore luce soave, che piove dall'alto nella mente e nel cuore, ha fatto sì che cc i detti e i fatti del Signore"• nei discepoli e in coloro che da essi li udirono e in
16
LA SS. TRINITÀ
quanti successivamente li accolsero docilmente abbiano sempre prodotto per prima cosa una convinzione profonda quale non potrebbe produrre la più potente dimostrazione, che Gesù di Nazareth è Dio. Così, per quanto l 'affer'mazione possa sembrare paradossale, tutte le eresie trinitarie, prima di essere errori intorno al primo grande mistero della fede cristiana, sono false interpretazioni della persona di Gesù Cristo. Dalla seconda metà del II secolo alla seconda metà del IV, l'indocile pensiero umano, in possesso dei dati fondamentali della fede cristiana, ha seguìto due direzioni caratteristiche per la loro interpretazione: il monarchianismo e il subordinazionismo. La prima direzione mirava a ridurre la Trinità a una rigida unità: Padre, Figlio e Spirito Santo sarebbero stati nomi o modi di un'unica Persona. La seconda mirava a ridurre il Figlio e lo Spirito Santo alla condizione di semplici creature. Ambedue le direzioni erano destinate al fallimento, perchè nessuna delle due procedeva da una cosr,ienza luminosa e precisa della grande novità contenutu nei dati della fede crisliana. 8 - Questa coscienza non mancò, invece, in coloro che, fissi f;Ulla norma della fede contenuta nel Credo - gih esistente come semplice formula a uso dei catecumeni -, cercavano di coglierne il senso, conservandone il valore e sviluppandone il ricco contenuto. Anche sfl quei primi tentativi non furono tutti fortunati e qualche volta u-na espressione meno precisa tradì il pensiero, ciò però non autorizza nessuno a inglobarli nell'uno o nell'altro dei precedenti indirizzi. Il Monarchianismo è quella eresia che afferma l'unità di Dio come unico Principio e nega la divinità personale di Gesù Cl'isto. Esso ebbe due sviluppi e così ci fu il M onarchianismo dinamfro - che i moderni dopo Harnack preferiscono chiamare Adozionismo -, e il M onnrchianismo modalista, che nella sua prima fase è il Patripassianismo, e nell'ultima sua forma è il Modalismo sabelliano. Rappresentanti del Mpnarchianismo dinamico sono Teodoto di Bizanzio un conciatore di pelli, Teodoto banchiere, Artemone e Paolo di Samosata, vescovo dì Antiochia. Rappresentanti del Monarchianismo modalista sono: Noeto e Prassea, difensori del Patripassianismo; Sabellio, la cui opinione, ulteriormente elaborata, venne a esprimere, con la sua propria etichetta (Sabellianesimo), la posizione opposta all'Arianesimo e, come tale, fu ancora modificata e difesa da Marcello d'Ancira [te. :n4]. La prima mossa antitrinitaria non venne da preoccupazioni dottrinali, ma volle essere la giustificazione teorica d'una negazione pratica. Secondo Epifanio (Haeres., 54, i), Teodoto, il
J.l."I
J.Ll.VJ.JU~.l.VJ.,.I..:.
conciatore bizantino sunnominato, in una persecuzione aveva rinnegato Gesù Cristo; e a chi più tardi gli rimproverava tale apostasia, dichiarava: "non rinnegai Dio, ma un uomo"· La sua giustificazione di tale affermazione la troviamo riportata da Ippolito: " Gesù è un uomo nato da una vergine secondo la volontà del Padre. Egli visse come tutti gli uomini e, divenuto il più pio, al tempo del battesimo nel Giordano ha accolto il Cristo sceso dall'alto in forma di colomba. Perciò le potenze non hanno operato in lui, se non dopo che in lui rifulse lo Spirito che (Teodoto) dice essere il Cristo» (Philosoph., VII, 35; cfr. X, 23). Il papa Vittore [i90-198] scomunicò Teodoto, ma la sua setta ebbe nuovo sviluppo secondo un programma conservatoci da Eusebio (Hist. Eccl., V, 28). 9 - E: probabile che anche nella teologia di Paolo di Samosata, dal 26CY vescovo di Antiochia, abbiano influito motivi extra-dottrinali, non ultimo quello politico, in grazia della regina Zenobia di Palmira. Sulla base, infatti, di un rigido monoteismo si poteva sperare di conciliare Giudaismo e Cristianesimo, attuando quello che era stato il sogno di Celso e dando soddisfazione alla tendenza monoteista di coloro che, nell'ambito dell'ellenismo, anelavano a farsi una vita spirituale migliore. Il prezzo di tale pacifica convivenza, che sembrava richiesta da una speciosa ragione di Stato, era l'eliminazione della nozione del Verbo come preesistente con la sua personalità propria in Dio, nel modo stesso che suggeriva cc la memorabile confessione di Celso" quando rinf11.cciava ai Cristiani la impossibilità di un Gesù ((Verbo sussistente)) (ORIGENE, Contra Celsum, II, 3i). Tutta la teologia di Paolo di Samosata sembra sviluppata per fondare un tale sincretismo religioso. Nell'interesse della rigorosa unità di Dio, osserva U. Koch, egli ritiene il Verbo come una forza impersonale di Dio identica alla sapienza di Dio e allo Spirito Santo. Questo " Verbo di su ii abita quale principio ispiratore nel " Cristo di giù ,, cioè nel Gesù storico nato dalla Vergine Maria e dallo Spirito Santo, come in un tempio. Ambedue sono uniti non « sostanzialmente'" ma "secondo qualità" : tra loro non esiste una unità personale (" perchè altri è Gesù Cristo e altri il Verbo» e "altro è la sapienza e altro è Gesù Cristo"), ma soltanto "una congiunzione per apprendimento e partecipazione"· Il redentore è essenzialmente uomo e la inabitazione del Verbo in lui differisce da quella nei profeti secondo il grado, non secondo il modo ; però egli è " migliore secondo og-ni aspetto,, e come figlio dell'uomo ha ricevuto da Dio la potP.stà di giudicare e la dignità divina, cosicchè si può chiamarlo
18
LA SS. TlUN lTA
Dio». In questo senso, Harnack e con lui i moderni, dà il nome di Adozionisrno a tale indirizzo. L'aspetto antitrinitario di questa cristologia risulta evidente qualora si rifletta che per Paolo di Samosata non si tratta della inabitazione in Gesù-uomo del Verbo sussistente, come nel posteriore sviluppo nestoriano. Per lui, come nota Harnack, chi si è unito con Gesù è Dio stesso o piuttosto è Gesù che, avendo conosciuto meglio di ogni altro il Padre, meglio di ogni altro ha partecipato la sapienza di Dio e il Verbo "consostanziale » col Padre. Paolo di Samosata fu condannato dal Concilio di Antiochia nel 268, e i Padri riprovarono pure la parola "consostanziale », di cui Paolo si serviva per negare la distinzione personale del Verbo dal Padre (EPlFANIO, Haeres., 65, i; 7:3, 12), non già per affermare - come faranno più tardi i Padri del Concilio di Nicea - la identità di natura del Figlio col Padre. Con ciò la teologia di Paolo di Samosata, secondo l'osservazione di Epifanio, ripeteva nell'ambito del Monarchianismo dinamico, l'errore di Noeto e di Sabellio (Haeres., 65, 1). 10 - Il Monarchianismo modalista intende difendere con l'unità di Dio la divinità personale di Gesù Cristo. Ma non la concepisce come distinta, bensì come identica a quella del Padre. Non per nulla Ippolito si compiace di segnalare la derivazione del pensiero teologico di Noeto dalla filosofia di Eraclito per il quale Dio apparisce come Logos (" Ragione » che dà un senso al mondo, e "Verbo>> che unisce gli opposti). Ippolito (Philosoph., IX, 7-10) insiste forse troppo sul nesso genetico che sembra unire la teologia di Noeto e la filosofia di Eraclito. Ma ciò che egli dice del teologo di Smirne rispecchia una certa somiglianza con la dottrina teologica del filosofo di Efeso. "Uno è il Padre e il Dio dell'universo: egli che tutto ha fatto, quando vuole è nascosto agli esistenti, quando vuole si fa manifesto. Ed è invisibile quando non si fa vedere; visibile quando si fa vedere; ingenerato, quando non è generato; generato, quando è generato da una vergine; impassibile e immortale, quando nè patisce nè muore; poichè s'accostò alla passione, patisce e muore ,. (ibid , X, 27). Così, secondo gli accadimenti nel tempo, il Padre si chiama Figlio, senza nessuna distinzione di persona: " io glorifico un solo Dio, uno solo ne conosco e non un altro, fuori di lui, che sia nato, abbia patito e sia morto» (EPIFANIO, Haeres., 57, i). I presbiteri che lo rimproverano e biasimano il suo errore, oppongono la precisa regola della fede che confessa un solo Dio e insieme riconosce che proprio il Cristo vero Figlio di Dio è colui che patì, morì, risuscitò, ascese al cielo, siede alla destra del Padre e ritornerà alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti (cfr. ibid.).
INTRODUZIONE
19
Dall'Asia la dottrina di Noeto fu divulgata a Roma per opera di Prassea, forse già al tempo del papa Eleuterio (176-100]. Tertulliano quando scrisse l'Adversus Praxeam [dopo il 213] si era già separato dagli psichici (cioè dai cattolici) per entrare nella 3piritualità carismatica del montanismo. Perciò da tutta l'opera spira un'animosilà che va oltre il solito stile del focoso e intollerante africano. Prassea, facendosi propagandista del pensiero di Noeto, aveva osato toccare i feticci di Tertulliano: Montano, Prisca, Massimilla. Di qui il suo violentissimo risentimento. " A Roma, egli [Prassea] combinò due affari del diavolo: scacciò la prof ezia e immise I' eresia; mise in fuga il Paraclito e crocifisse il Padre» (I). Però, bisogna riconoscere a Tertulliano il merito di avere fortemente affermato "l'unità che da sè fa sgorgare la trinità» (III), mentre per il primo mette in rilievo il senso e il valore del termine persona in Dio (VI-VII). Questa prima fase del Monarchianismo modalista va sotto il nome di Patripassianismo, perchè appunto sarebbe stato il Padre a patire in e con Gesù per redimere il mondo. 11 - Il passaggio dal Patripassianismo al vero e proprio Modalismo sembra dovuto all'opera di Sabellio, un africano della Libia che " si stabilì a Roma e divenne moderatore della setta"· Sabellio morì verso il 260, ma il suo pensiero, sviluppato nel Sabellianesimo, ebbe un'ulteriore vitalità durante quasi tutto il IV secolo come posizione antitetica all'eresia ariana. Fedele al motto dei discepoli di Noeto e Prassea: " monarchiam tenemus,, (TERTULLIANO, Adversus Praxeam, III), anche egli afferma la rigorosa unità di Dio; perciò spiega la trinità delle persone che si manifestano nell'economia della redenzione non come riflesso d'una trinità immanente, ma come modificazione esteriore della stessa identica realtà divina. Così, la storia della rivelazione non si svolgerebbe rispecchiando I' immanente vita di Dio, ma attraverso una successione di modi che personificano una triplice azione di Dio. Ecco i principii della setta secondo S. Epifanio (Haeres., 62, 1): "medesimo è il Padre, medesimo il Figlio, medesimo è lo Spirito Santo, così che nell'unica ipostasi ci sono tre denominazioni n, le quali riflettono la successiva energia della medesima realtà. La Trinità non sarebbe, quindi, che il triplice aspetto, la triplice manifestazione della Monade, dell'unità assoluta. Questa si sarebbe manifestata prima nella creazione, quindi nella redenzione e infine nella santificazione. Il Padre non sarebbe che Dio quale creatore e legislatore dell'Antico Testamento; il Figlio sarebbe lo stesso Dio che opera dal!' incarnazione all'ascensione; Io Spirito Santo sarebbe ancora il medesimo Dio che dalla Pentecoste in poi rende giusti e santifica gli uomini.
20
LA SS. TRINITÀ
Si avrebbero perciò tre aspetti, quasi tre maschere (personae nel significato allora corrente di maschere teatrali), con le quali e dietro le quali si nasconde sempre la stessa identica realtà divina: Dio. Secondo il pensiero di Sabellio l'unità di Dio comporta soltanto una trinità di manifestazioni esteriori. Dio è, perciò, tre persone diverse, come l'attore, che si presenta successivamente in teatro con tre diverse maschere sul viso, è tre diversi personaggi e, secondo la diversità della maschera adottata, è detto Achille, Ettore, Agamennone. Questa interpretazione dell'economia della redenzione che, presentata con varie sfumature e ulteriori sviluppi, sembrava la più indicata per salvare il monoteismo cristiano dal pericolo del politeismo pagano, fu rigettata dalla Chiesa perchè non corrispondente ai dati della rivelazione e non conforme alla tradizionale regola della fede. S. Epifanio riferisce la domanda sabelliana alla gente semplice: "o tali, che s' ha a dire? Abbiamo un sol Dio o tre Dei?» (Haeres., 62, 2). E per conto suo risponde: «noi non introduciamo un politeismo, ma predichiamo un unico Principio e predicando l'unico Principio non sbagliamo, noi invece confessiamo la Trinità: Unità nella Trinità e Trinità nell'Unità» (ibid., 3). 12 - L'Arianesimo è l'antitesi del Sabellianesimo; e le lotte dello spirito per linterpretazione del grande mistero cristiano riempiono tutto il IV secolo. Esso potè sembrare, considerato superficialmente, una « cavillazione oziosa di teologi più sottili che pii)) ma, come nota giudiziosamente A. Pincherle, "erano in giuoco non solo problemi, e tra i più ardui, di metafisica e teodicea, bensì il modo stesso di rappresentarsi la redenzione e l'essenza stessa del Cristianesimo». Ario, africano della Libia [256-336], dette il proprio nome a questo indirizzo teologico, ma, se ne consideriamo lintimo contenuto dottrinale, è più esatto parlare di Subordinazionismo. Così si ha il duplice vantaggio di mettere bene in rilievo la posizione delle ipostasi (persone) del Figlio e dello Spirito Santo riguardo al Dio supremo (Padre), e di notare subito che queste divine ipostasi per l'arianesimo non sono in Dio. Il graduale sforzo del pensiero teologico cristiano, in lotta contro il Monarchianismo, aveva successivarnente affermato la divinità personale e distinta riel Verbo Incarnato. Ora, sotto la pressione della dialettica ariana, tenderà tutte le sue energie, per giustificare l'affermazione che tale ipostasi è in Dio-Padre. Ario infatti è il vero autore del Subordinazionismo, e prima di lui non si può parlare di un vero e proprio indirizzo nel senso indicato, anche se certe espressioni di Giustino, Atenagora, Teofi~o di Antiochia, Tertulliano, Clemente Alessandrino, Ori·
INTRODUZlUNt:
;::1
gene, Dionigi di Alessandria e Luciano di Antiochia, hanno l'apparenza del Subordinazionismo. Basta paragonare il simbolo 2° di Antiochia [34i] che risale a S. Luciano, secondo le accurate verifiche di G. Bardy (conservato da Atanasio in ne Synodis, 23 e da Ilario in De Synodis, 29-30), con la professione di fede presentata da Ario a S. Alessandro di Alessandria [320], e conservata da tre autori (ATAN."\srn, De Synodis, 16; EPIFANIO, Haeres., 69, 7-8; ILARIO, Dc Trinitate, IV, 12-13), per rendersi conto dell'abisso incolmabile scavato da A.rio e dai suoi aderenti tra la dottrina cristiana e la sua personale interpretazione. Per cui, mentre Ilario (De Synodis, 32) cerca di interpretare in senso ortodosso l'unità di consonanza tra le divine Persone affermata nel simbolo di Luciano, per la confessione di Ario e dei suoi compagni usa un linguaggio quanto mai forte e la chiama "istituzione mortifera" (De Trinit., IV, 14). Non è pertanto del tutto sicuro che si possa chiamare Luciano "padre dell'Arianesimo"· Quanto ad Origene la questione è assai più complessa, ma dal testo citato da Atanasio nel De dr:cretis Nicacnae Synodi risulta una netta opposizione a chi osa dire: "ci fu un quando in cui il Figlio non era" (27). D'altra parte, la sua nozione di Dio non coincide affatto con quella di Ario, e questo è essenzialissimo per l'ulteriore sviluppo del suo pensiero teologico, anche se la preferenza per qualche elemento "platonico" potè fornire dati di rassomiglianza col pensiero ariano. Del resto i più eccellenti discepoli e ammiratori di Origene furoho Firmiliano di Cesarea in Cappadocia, Gregorio di NeoCesarea nel Ponto (la cui conf ess'ione di fede trasmessa a Basilio formerà il nucleo luminoso da cui si svilupperà la vittoriosa teologia basiliana), Atenodoro Teotecno di Cesarea in Palestina e altri che condannarono Paolo di Samosata nel Concilio erto Porretano o de la Po·1·r~e. nacque a Poltlers nel 1076 e tu succes.5ivamente discepolo di Bernardo di Chartres e di Anselmo d1 Laon. Insegnò parecclll anni a Chartres e poi a Parigi. Fatto vescovo della sua città natia nel tU9, con·
LE RELAZIONI DIVINE
63
Dicitur enim ad aliquid, skut Pater ad Filium: sed haee non secundum substantia.m dicuntur ». Ergo relati non est divina essentia. 2. PRAETEREA, Augustinus dicit, 7 De Trinit. [c. 1]: "Omnis res quae relative dicit.ur, est etia.rn aliquid excepto relativo; sicut homo dominus, et h-0mo servus ». Si igitur relationes aliquae sunt in Deo, oportet esse in Deo aliquid allud praeter relationes. Sed hoc aJiud non potest .esse nisi essentia. ETgo essentia est aliud a relationibus. 3. PMETERfJA, esse relativi est ad aliud se habere ut dic.itur in Praedicamenlis [c. 5, n. 2·i]. Si igitur relatio sit ip.sa divina essentia, sequitnr q11od esse divinae essentiae sit ad ali ud se habere: quod repugnat perfectioni divini esse, quod e.st maxime absolutum et per se subsistens, ut supra [q. 3, a. 4) ostensum est. Non igitur relatio est ipsa essentia divina. SED CONTRA, omnis res quae non est divina esS'entia, est creatura. Sed relatio realiter competit Deo. Si ergo non est divina essentia, e.rit creatura: et ita ei non erit adoratio latriae eXJhibenda: contra quod in Praefatione (de Trinitate] cantatur: cc ut in Peri;onis proprietas, et in maie~tate adoretur aequalitas ». REsPONDEO DICENDlJM quod circa hoc dicitur Gilibertus Porretarn1s errasse, sed errorem suum postmodum in Remensi Concilio revocasse. Dixit enim qu48-1617) rimarrà talmente spaventato da questa
LE RELAZIONI DIVINE
67
nomine significari possit. Unde non sequitur quod in Deo, praeter relationem, sit aliquid aliud secundum rem; soo solum considerata. nominum ratione. Ao TERTI uM DICENDUM quod, si in perfectione divina nihil plus cD'lltineretur quam quod significat nomen relativum, sequeretur quod esse eius esset imperfectum, utpote ad aliquid aliud se habens: s.icut si non contineretur ibi plus quam quod nomine sapientiae signiftcatur, non esset aliquid subsistens. Sed quia divinae essentiae perfectio est maior quam quod significatione alicuius nominis comprehendi possit, non sequitur, si nomen relatiV'llm, ve! quodcumque aliud nomen dictum de Deo, non significat aliquid perfectum, quod divina essentia habeat esse imperfectum: quia divina essentia comprehendit in se omnium generum perfectionem, ut supra [q. 4, a. 2] dictum est. ARTICULUS 3 Utrum relat.iones quae sunt in Deo, realiter ab invicem distinguantur. 1 Sent., d. 26, q. 2,
a. 2 ; De Pot., q. 2, aa. 5, 6.
AD TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod relationes qua.e sunt in Deo, realiter ab invicem non distinguantur. Quaecumque enim uni et eidem sunt eadem, sibi invicem sunt eadem. Sed omnis relatio in Deo existens est idem secundum rem cwn divina essentia. Ergo relationes secundum rem ab invicem non distinguuntur. 2. PRAETEREA, sicut paternitas et filiatiD secundum nominis rationem distinguuntur ab essentia divina, ita et bonitas et potentia. Sed propter huiusmodi rationis distillctionem non est aliqua realis distinctio bonitatis et potentiae divinae. Ergo neque paternitatis et ftliationis. 3. PRAETEREA, in divinis non est distinctio realis nisi secundum originem. Sed una relatio non videtur oriri ex alia. Ergo relationes non distinguuntur realiter ab invicem. SED co~iTRA EST quod dicit Boetius, in libro De Trin., [c. 6], quod 11 substantia n in rlivinis « continet unitatem, relatio multiplicat trinitatem ». Si ergo relationes non distinguuntur ab invicem realiter, tlOll erit in divinis trinitas realis, sed rationis tantum: quod est Sabelliani erroris. RESPONDEO DICENDUM quod ex eo quod aliquid alicui attribuitur, oportet quod attribuantur ei omnia quae sunt de rntirnie i!lius: sicut cuicumque attribuitur homo, oportet quo()lo del!" Apostolo.
88
LA SOMMA TEOLoGICA, I, q. 29, aa. 3-4
quale si ammette in Dio. Per questo Riccardo di S. Vittore, volendo correggere questa definizione disse che la persona, -in quantò attribuita a Dio, è 11 l' incomunicabile esistenza della natura divina 11. 1 ARTICOLO 4 Se il termine persona significhi relazione. 1
SEMBRA che il termine persona non significhi in Dio relazione ma sostanza. Infatti: 1. S. Agostino afferma: «Quando diciamo persona del Padre non diciamo altro che sostanza del Padre, giacchè egli è detto persona in ordine a se stes·so e non in ordine al Figlio». 2. [Quando si domanda] il quid si 1foerca l'essenza. Ma, come dice S. Agostino nello ste>'so libr•o, quando si dice: "Sono tre che fanno testimonianza in cielo: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo u e si chiede: «Tre che cosa?» si risponde: "Tre persone"· Perciò il termine persona significa l'essenza. 3. Secondo il Filosofo., il nome significa la de.finizione della cosa da esso designata : ma la definiz.ione di persona è « sostanza indàvid uadi natura ragionevole n, rome si è detto. Perciò il nome persona significa la sostanza. 4. Sia negli uomini, sia negli angeli la pe:rsona non significa relazi>one, ma qualcosa di assoluto. Se dunque in Dio significasse relazione, si applicherebbe equivocamente a Dio, agli angeli e agli uomini. IN CONTRARIO: Boezio afferma che ogni nome appartenente alle persone significa relazione. Ma nessun nome appartiene più alla persona che lo stesso nome di persona, esso perciò significa relazione. • RISPONDO: Circa il significato del nome persona applicato a Dio può portare difftc-01tà il fatto che, contro l'indole dei nomi asSIOluti, si dice al plurale delle tre persone,• mentre per altro non è un nome che esprima un rapporto, come lo esprimono i nomi relativi. Perciò ad alcuni• parve che il nome persona, semplicemente in forza della parola, in Dio significasse l'essenza, come il nome Dio e il nome sapiente ; ma poi, in seguito alle difficoltà degli eretici, per decisione di un Concilio• fu adattato a prendere il posto dei relativi e specialmente se usato al plurale o col partitivo, come quando diciamo t're persone, oppure altra è la persona del Padre, altra quella del Figlio. Nel singolare invera che sia diverso dal Padre ; ma ciò è contrario a S. Agostino il quale afferma che con l'espressione tre persone «non vogliamo intendere alcuna diversità"· 2. Tutti quelli che si distinguono per essere tra loro altri e altri, differiscono in qualche oosa. Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Padre, ne segue che è difterente dal Padre. Ora, questo è contrario a quanto dice S. Ambrogio: " il Padre e il Figlio sono una stessa co·sa nella deità, e non c'è tra loro differenza di sostanza nè alcun'altra diversità n. 3. Alieno [estraneo] deriva dal latino alius [altro). Ma il Figlio non è alieno rispetto al Padre: infatti S. Ilario afferma che nelle persone divine "non e' è nulla di diverso, nulla di alieno, nulla di separabile n. Perciò il Figlio non è un altro rispetto al Padre. 4. Alius [altro) e aliud [altra cosa] hanno lo stesso significato e differiscono solo per il genere diverso. Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Pad•re, pare che sia anche un'altra cosa rispetto al Padre. IN CONTRARIO: S. Agostino dice: • «una è l'essenza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, nella quale non è altra cosa il Padre, altra cosa il Figlio e altra cosa lo Spirito Santo; sebbene come persona altro sia il Padre, altro il Figlio e altro lo Spirito Santn "· RISPONDO: Siccome, al dire di S. Giroilamo, col parlare imp.reciso si finisce col cadere nell'eresia, parlando della SS. Trinità bisogna procedere con cautela e modestia: perchè, secondo S. Agostino, "in nessun altro soggetto l'errore è più pericoloso, nè La ricerca più faticosa, nè più fruttuosa la scoperta n. Quando trattiamo della Trinità dobbiamo evitare, stand-0 nel giusto mezzo, due opposti errro.ri: quello di Ari.o, che ammetteva con la trinità delle persone anche una trinità di nature; e quello di Sabellio che ammetteva l'unità di natura oltre l'unità di persona. ' In altre parole. trinità non è !"astratto di trino; infatti, mentre trinità o triade è Il numero concreto delle persone che si trovano nell'essenza divina, Il termine trino invece è un aggettivo della stessa essenza e sta a indicare che in essa (nella su.a unità) vi sono tre persone. 2 Avendo Gesù detto: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gtov., 10, 30), qm l'A. si domanda se Il Figlio sia lo stesso che Il Padre. La risposta è che Il F1glio è un altro rispetto al Padre, ma non un'altra cosa, diversa per natura: «Est alius a Patre, non tamen aliud "· E dottrina di fede definita nel 1215 dal IV Concili Lateranense contro l'abate Ginccllino da Fiore (DENZ., 432). - L'espressione "un altro" è presa da S. Gregorio Nazianzeno (Eptst., 1), però la dottrina è del Vangelo, donde risulta la d!stinzicme delle perwne nell'unità cli natura: •lo pregherò
MODI DI ESPRIMERE UNITÀ E PLURALITÀ
115
sit trina: quia sequeretur, si trinitas esset trina, quod tria essent supposita trinitatis ; sicut curo dicltur, Deua est tr'inus, sequitur quod.
sunt tria supposita Deitatis. ARTICULUS 2 Utrum Filius sit alius a Patre. I Sent., d.
o.
q. 1, a. t: d. 19, q. 1, a. 1, ad 2; d. 24, q. 2, a. 1 : De Pot., q. 9, a. 8.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Filius non sit alius a Patre. Alius enim est relativum diversitatis substantiae. Si igitur Filius est alius a Patre, videtur quod sita Patre diversus. Quod est contra Augustinum, 7 De Trin. [c. 4], ubi dicit quod, cum dicimus tres personas, «non diversitatem intelligere volumus ». 2. PRAETEREA, quicumque sunt alii ab invicem, aliquo modo ab invicem differunt. Si igitur Filius est alius a Patre, sequitur quod sit diff erens a Patre. Quod est contra Ambrosium, in 1 De Fide [c. 21, ubi ait: «Pater et Filiut< deitatc unum sunt, nec est ibi substantiae differentia, neque ulla diversitas n. 3. PRAETEREA, ab a!io alicnum dicitur. Sed Filius non est alienus a Patre: dicit enim Hilarius, in 7 De Trin. [n. 39], quod in divinis personis « nihil est diversum, nihil alienum, nihil separabile». Ergo Filius non est alius a Patre. 4. PRAETEREA, alius et. aliud idem siguifìcant, seà sola generis consignificathme differunt. Si ergo Filius est alius a. Patre, videtur sequi quod Filius sit aliuc.ì a Patre. SEo CONTRA EST quod Augustinus dicit, in libro De Fide ad Petrurn [c. 1]: cc Una est enim essentia Patris et Filii et Spiritus Sancti, in qua non est aliud Pater, aliud Filius, aliud Spiritus Sanctus; quamvis personaliter sit alius Pater, alius Filiu.s, alius Spiritus Sanctus». RESPONDEO DICENDUM quod, quia ex verbis inordinate prolatis incurritur haeresis, ut Hieronymus dicit [cfr. 4 Sent., d. 13], ideo cum de Trinitate loquimur, cum cautela et modestia est agendum: quia, ut Augustinus dicit, in 1 De Trin. [c. 3], « nec periculosius alicubi erratur, nec laboriosius aliquid quaeritur, nec fructuosius aliquid invenitur "· Oportet autem in his quae de Trini tate loquimur, duos errores oppositos cavere, temperate inter utrumque procedentes: scilicet errorem Arii, qui posuit cum triuitate personairum trinitatem substantiarum ; et errorem Sabellii, qui posuit cum unitate essentiae unitatem personae. il Padre ed egli vi darà un altro Confortatore .... • (Gtov., 14, 16; •Io ed i~ Padre slamo una cosa sola'" ibid., 10, 30). - Ag·ostino bellamente commenta: "Gesù non disse è una cosa sola, come dicono I Sabelliani, ma siamo una cosa sola• (5 De Trintt., c. 9). Cosi pure S. Ilario: "Io e Pad1·e sono termini indicanti soggetti (res); una cosa sola (unum) invece si riferi.sce all'unica natura,, (7 De Trtnlt,.
c. 25).
• La traduzione del termine altus postano dei gluochi di dialettica; lingua latina non sono esattamente • Il testo non è di Agostino ma è genzio di Ruspe [ 468-533).
non è sempre tacile, quando su perchè le sfumature che esso le stesse dell'agg€ttlvo italiano tolto dal De f!de ad Petrum (c.
di esso s' im· prende nella altro.
1) di S. Ful-
116
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 31, a. 2
Per sfuggire all'errore di Ario dobbiamo evitare, pal"lando di Dio, i termini diversità e differenza per non compromettere l'unità dell'essenza: possiamo invece usare il termine distinzione, 1 data ]'opposizione relativa [delle persone]. Per cui, se in qualche testo autentico della Scrittura ci imbattiamo nelle parnle diversità e differenza. applica.te alle persone divine, le dOtbbiamo intendere come significanti distinzione. - Per non ledere la semplicità dell'essenza divina sono da evitare i termini separazione e divisione, propria di un tutto suddiviso in parti. Per non compromettere l'uguaglianza è da evitare la parola disparità. E infine per non sopprimere la somiglianza si devono evitare i termini alieno e discrepante. S. Ambrogio infatti dice che nel Padre e nel Figlio "vi è un'unica divinità senza discrepanza». E S. Ilario, come si è riferito, afferma che in Dio , cioè col tre, " ci industriamo di magnificare il Dio uno, superiore a tutte le perfezioni delle cose create "· - E S. Agostino riferisce: " Ed io lessi costà », cioè nei libri dei Platonici, "non con le stesse parole, ma in sostanza le stesse cose, convalidate da molte e diverse ragioni, che in principio era. il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio», e altre simili cose egli seguita a narrare: e con tali parole si indica esattamente la pluralità delle Persone divine. - Anche la Glossa 2 (spiegando il fatto] che i maghi di Faraone fallirono al terzo segno• [aggiunge]: cioè mancarono della cognizione della terza Persona, ossia dello Spirito Santo ; • dunque 1 L'intento dell'articolo è duplice: a) Indagare se la mente umana da sola, senza la rivelazione, sia in grado di scoprire il mistero della SS. Trinità, un solo Dio in tre persone; b) rispondere al quesito: supposta la rivelazione del dogma, la nostra mente è in grado di capirlo? Riesce cioè a vedere come in Dio si >, suibdit [v. 3]: « Dixit Deus, Fiat lux"• ad manifestationem divini V.erbi; et postea dixit [v. 4]: "Vidit Deus lucem, quod esset bona"• ad ostendendum approbatkmem divini amoris; et simi!iter in aliis operibus Evv. 6 ss.]. ·- Alio modo, et principalius, ad recte sentiendum de salute !!eneris humani, quue perfì.citur per Filium incarnatum, et per dohum Spiritus Sancti.
ARTICULUS 2
Utrum sint ponendae notiones in divinis. I Sent., d. 33, a. 2. AD SECUNDUM SIC PROCEDITL'R. Videtur quod non sint ponendae notiones in divinis. Dicit enim Dionysius, in 1 cap. De Div. Nom. [Iect. 1], quod "non est audendum dicer·e aliquid de Doo, praeter ea quae nobis ex sacris eloquiis sunt expressa "· Sed de notionibus nulla fit mentio in eloquiis sacrae Scripturae. Ergo non sunt ponendae notiones in divinis. ·
• In questo articolo e net due seguenti si parla di quella cognizione che noi, supposta la fede, possiamo avere delle Persone divine; di quella cognizione cioè riguardante non già la semplice esistenza, ma l'essenza stessa della SS. Trinità. Si parla quindi delle noztont, ossia, di quelle caratteristiche che ci manifestano o rendono noie le srngole Persone divine. mettendo in rilievo le ragioni discriminanti di ognuna, quali sono la lnnascibiìltà, 1a paternità, la filiazione, la spirazione, e la processione. Circa il slgnlficato del termine • nozione• e l'uso del vo· cabolo vedi Introd., p. 31.
136
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 32, a. 2
2. Tutto ciò che si a.ttrfilmisce a Dio appartiene o 11;ll'unità dell'essenza o alla trinità delle persone. Ora, le nozioni non appartengono nè all'unità dell'essenza nè alla trinità delle persone. Infatti non si predkano delle nozioni gli attributi dell'essenza, poichè non si dice che la paternità è sapiente o che crea ; e neppure quelli delle persone; poichè non diciamo che la pat'ernità genera o che la fìliazione è generata. Perciò le nozioni non si devono attriibuire a Dio. 3. Poichè ciò che è semplice si conosce per se stesso, non gli si devono attribuire dei termini astratti [come le nozioni] che sono [soltanto] mezzi peir conoscere. Ora le persone divine sono semplicissime. Non si devono dunque ammettere delle nozioni n_ella divinità. IN CONTRARIO: Dice S. Giovanni Damasceno: " Rileviamo la differenza delle ipostasi n, cioè delle persone, «dalle tre proprietà di paternità, filiazione e processione"· Perciò in Dio si devono ammettere le proprietà e le nozioni. 1 RISPONDO: Prevostino, 2 badando alla semplicità delle Persone divine, pensò che a Dio non si dovessero attribuire le nozioni, e dove le trovava prendeva l'astratto per il concreto: perchè, come usiamo dire, prego la tua btnignita, invece di te benigno, così quando si parla di paternità, in Dio, si intenderebbe Dìo Padre. Però, cc-.me si è già dimostrato, ne.I parlare di Dio non si pre-giudica affatto alla sua semplicità con l'uso dei termini astratti e concreti ; perché denominiamo le cose come le conosciamo. Ora, il nostro intelletto non può giungere alla semplicità divina come va considerata in se stessa : e perciò le cose divine le apprende e le denomina secondo la sua natura, ctoè come portano le cose sensibili dalle quali dipende il suo conoscere.. In que·ste per indie.are le sole forme usiamo termini astratti: invece per indicare le cose &ussistenti usiamo t·ermini concreti. Perciò, come si è detto, le cooe divine, a motivo della loro semplicità, le designa.mo con termini astratti: e a motivo della loro sussistenza e completezza, con termini concreti. E poi necessario esprimere all'astratto o aJ. concreto non solo i termini essenziali, dicendo Deità e Dio, sapienza e sapiente ; ma anche quelli personali, dicendo paternità e padre. A questo ci obhligano principalmente due motivi. Primo, le obbiezioni degli eretici. Infatti noi professiamo che il Padre, il Figlio· e lo Spirito Santo sono un Dio solo e tre Persone; allora, come alla domanda: che cos'è che li fa essere un solo Dio?, si risponde che è la natura o deità, cosi si dovette ricorrere ad altri termini astratti con i quali si potesse rispondere in forza. di che cosa le persone si distinguono. Tali sono appunto le proprietà o nozioni, espresse all'astratto, come la paternità e la filiazione. Per questo in Dio la natura si esprime oome quid [o sostanza], la persona invece come quis [o slllbietto], e la proprietà come quo [ovvero come fovma]. Secondo, perchè in Dio una stessa persona, LI Padre, dice relazione a due persone, cioè al Figlio e allo Spirito Santo. Ora, non 1 SI possono trovare testi analoghi In S. Basilio (,4dv. Eunom .. II, 28), In S. Cirillo Alessandrino (De SS. Trtn., Dlal. 1), In S. Gregorio Nazlanzeno (Or., 25, 16), In S. Ag.ostino (5 De Trtntt., c. 6), ecc. - Quesit'ultimo ad esemµio cosi scrive: • .... Altra è !a noz1one con cui si Intende Genitore, ed altra quella con cui si Intende Ingenito • (1. cit.).
LA NOSTRA CONOSCENZA DELLE PERSONE DIVINE
137
2. PRAETEREA, quidquid ponitur in divinis, aut pertinet ad unitatem essentiae, aut ad trinitatem personarum. Sed notiones non pertinent ad unitatem essentiae, nec ad trinitatem personarum. De notionibus enim neque praedicantur ea quae sunt essentiae; non enim dicimus quod paternitas sit sapiens vel creet: neque etiam ea qua.e sunt personae ; non enim dicimus quod paternitas generet et fìliatio generetur. Ergo non sunt ponendae notiones in divinis. 3. PRAETEREA, in simplicibus non sunt ponenda aliqua abstracta, quae sint principia cognoscendi: quia cognoscuntur seipsis. Sed divinae personae sunt simplicissimae. Ergo non sunt ponendae in divinis personis notiones. SED CONTRA EST quod dicit Ioannes Damascenus [De Fide Orth., l. 3, c. 5]: « Differentiam hypostaseon n, idest personarum, "in tribus proprietatibus, idest paternali et filiali et processionali, recognoscl· mus ». Sunt ergo ponendae proprietates et notiones in divinis. RESPONDEO DICENDUM quod Praepositivus, attendens simplicitatem personarum, dixit non esse ponendas proprietates et notiones in divinis: et sicubi inveniantur, exponit abstractum pro concreto: sicut enim consuevimus dicere, Rogo benignitatem tuam, idest te benignum, ita cum dicitur in divinis paternitas, intelligitur Deus Pater. Sed, sicut ostensum est supra [q. 3, a. ·3, ad 1; q. 13, a. 1, ad 2], divinae simplicitati non praeiudicat quod in divinis utamur nominibus concretis et abstractis. Quia secundum quod intelligimus, sic nominamus. Intellectus autem noster non potest pertingere ad ipsam simplicitatem divinam, secundum quod in se est considera.nda: et ideo secundum modum suum divina apprehendit et norninat, idest secundum quod invenitur in rebus sensibilibus, a quibus cognitionem accipit. In quibus, ad significandum simplices formas, nominibus abstractis utimur: ad si.gnificandum vero res subsistentes, utimur nomin~bus concretis. Unde et divina, sicut supra [ibid.] dictum est, ra.tione simplicitatis, per nomina abstracta significamus: ratione vero e.ubsistentiae et complementi, per nomina concreta. Oportet autem non solum nomina essentialia in abstracto et in concreto significare, ut cum dicimus deitatem et Deu.m, vel sapientiam et sapientem ; sed etiam personalia, ut dicamus paternitatem et Patrem. Ad quod duo praecipue nos cogunt. Primo quidem, haereticorum instantia. Cum enim confiteamur Patrem et Filium et Spiritum Sanctum esse unum Deum et tres P'lrsonas, quaerentibus quo sunt unus Deus, et quo sunt tres personae, sicut respondetur quod sunt essentia vel deitate unum, ita oportuit esse aliqua nomina abstracta, quibus responderi possit personas distingui. Et huiusmodi sunt propri:etates vel notiones in abstracto significatae, ut paternitas et filiatio. Et ideo essentia significatur in divinis ut quid, persona vero ut quis, proprietas autem ut quo. Secundo, quia una persona invenitur in divinis referri ad duas personas, scilicet persona Patris ad personam Filii et personam • Gugltelmo Prevosttno o Prepostttvo di Cremona, celebre dottore della Università di Parigi, che florl nel primo quarto del secolo XIII. Lascjò molti scritti, tra I quali ha un partioolare valore la Somma contro gU erettct, e la Somma Teologtca. Mori Cancelliere di Parigi circa ll 1210 (cfr. CAYRt F., Patrologta e storta a~ua Tcologta, Roma, 1938, vol. II, p. 505, nota t).
138
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 32, a. 2
[può riferirsi a queste due persòne] con una sola relazione: perchè allora anche il Figlio e lo Spirito Santo si riferirebbero al Padre con una stessa relazione; e così ne seguirebbe che il Figlio e lo Spirito Santo non sono due persone distinte, poichè le so·le relazioni distinguono le persone della Trinità. E non si può neppur dire con Prevostino che, come Dio ha riferimento alle creature in un modo solo, mentre le creature si riferiscono a lui in dive·rsi modi, così. il Padre con un'unica relazkme si riferisce al Figlio e allo Spirito Santo, mentre questi due si riferiscono a lui con due relazioni. Perchè non si può dire che due relazioni sono specificamente diverse, se nel termine correlativo corrisponde loro una sola relazione, poichè la relazione consiste essenzialmente nel suo riferirsi all'altro termine: difatti le relazioni di padrone e di padre sono distinte, come sono distinte quelle di servo e di figlio. Ora, tutte le creature si riferiscono a Dio con la stessa specifica relazione, quella cioè di s.ue creature; invece il Figlio e lo Spirito SantD non si riferiscono al Padre con relazioni di identica natura: e quindi il paragone non regge. Di più, come aibbiamo già spiegato, non c' è motivo di ammettere che la relazione di Dio alle creature sia reale: che poi quelle di ra!5ione siano molte non presenta inconvenienti. Invece la relazione del Padre al Figlio e allo Spirito Santo deve essere reale. Perciò è necessario che alle due relazioni del Figlio e dello Spirito Santo C(}l Padre corrispondano nel Padre due relazioni, una al Figlio e l'altra allo Spirito Santo. Di conseguenza, non essendo che una la persona del Padre, si dovettero indicare separatamente con termini astratti le relazioni, den è inammissibile. 3. Se essendo tre le persone, le nozioni sono cinque, è necessario che in qualche persona vi siano due o più nozioni ; cosl nella persona del Padre si ammette la innascibilità, la paternità e la spirazione comune. Ora, queste tre nozioni differiscono o realmente o concettualmente. Se differiscono realmente, allora la pu 0:"'11 · del Padre è composta di più cose. Se differiscono soltanto concettualmente, allora una si potrà predicate dell'altra, e come diciamo che la bontà di Dio è la sua sapienza, non differendo realmente .una dall'altra, COS'Ì potremmo diTe che la Spirazione comune è la Paternità: ma questo non si può ammettere. Dunque le nozioni non possono essere cinque. IN coNTR\RIO: 1. Pare che siano più [di cinque]. Infatti come ammettiamo la nozione di innascibilità dal fatto che il Padre non procede da ne·ssuno, così si deve ammettere una sesta nozione per il fatto che dallo Spirito Santo non procede un'altra persona. 2. Come è comune al Padre e al Figlio che da essi proceda Io Spirito Santo, così è comune al Figlio e allo Spirito Santo il procedere dal Pad·re. Perciò, come si ammette una noz.ione comune al Padre e al Figlio [la spirazione comune], cosi se ne deve ammettere anche una c-0mune al Fip:lio e allo Spirito Santo [la comune processione]. RISPONDO: Si chiama nozione la ragione formale che serve a conoscere una persona divina. Ora, la pluralità delle persor1P rlivine dipende dall'origine. Il concetto di origine importa un principio [a quo alins] e un termine [qui ab alio]: •e da questi due Iati si può conoscere u:na peTsona. Ora, non si viene a conoscere la persona del Padre perchè deriva da un altro, ma nPrrhP nnn dPrivn ·'· n. E da questo lato la sua nozione è la innascibilità. In quanto poi da lui derivano altri, [il Padre l si manifesta in d11P modi. P1'rd1è, in quanto da lui procede il Figlio si rende noto mediante la nozione di paternità: e in quanto da lui p!'ocede lo Spirito Santo si rende noto mediante la nozi.one di spira.zione comune. Coo.ì pure si viene a conoscere il Figlio per il fatto che nascendo deriva da un al't.ro: cioè si rende noto mediante la fìliazione. E si rende noto ano stesso modo del Padre, cioè mediante la spirazione comune, in quanto un altro, cioè lo Spirito Santo, procede da lui. Si viene poi a cono1 Sul numero delle n-0zionl si è dlscusS-O assai. Prima di S. Tommaso I pareri del teologi erano vari. L'Angelico segue l'opinione di Pietro Lombardo.
LA NOSTRA CONOSCENZA DELLE PERSONE DIVINE 141
ARTICULUS 8 Utrum sint quinque notionea. De Pot., q. 9,
a.
I Sent., d. 26, q. 2, 9, ad 21, 27; q. 10,
a. a.
3; d. 28, q. 1, a. 1; 5, .ad 12; Compend. Theol.,
cc.
tf1
a.
AD TERTIUM SIC PROSEDITUR. Videtur quod non sint quinque notiones. Propriae enim notiones personarum sunt relationes quibus distinguuntur. Sed relationes in divinis non sunt nisi quatuor, ut supra [q. 28, a. 4] dictum est. Ergo et notiones sunt tantum quatuor. 2. PRAETF.REA, propter hoc quod in divinis est una essentia, dicitur Deus unus: propte.r hoc autem quod ffill1t tres personae, dicitur Deus trinus. Si ergo in divinis sunt quinque notiones, dicetur quinus: qu-0d est inconveniens. 3. PRAETEREA, si, tribus personis existentibus in divinis, sunt quinque notiones, oporiet quod in aliqua personarum sint aliquae notiones duae vel plures; sicut in persona Patris ponitur innascibilitas et patemitas et communis spiratio. Aut igitur istae tres notiones differunt re, aut non. Si differunt re, sequitur quod persona Patris sit composita ex pluribus rebus. Si autem differunt ratione tantum, sequitur quod una earum possit de alia praedicari, ut dicamus quod, sicut bonitas divina est eius sapientia propter indifferentiam rei, ita communis spiratio sit paternitas: quod non conceditur. Igitur non sunt quinque notiones. SED CONTRA, videtur quod sint plures. Quia sicut Pater a nullo est, et secundL:m hoc accipitur notio quae dicitur innascibilitas, ita a Spiritu Sancto non est alia persona. Et secundum hoc oportebit accipere sextam notionem. PRAETEREA, sicut Patri et Filio commune est quod ab eis procedat Spiritus Sanctus, ita commune est Filio et Spiritui Sancta quod procedant a Patre. Ergo, sicut una natio ponitur communis Patri et Filio, ita debet poni una natio communis Filio et Spiritui Sancta. REsPONDEO DJr.ENDUM quod natio dicitur id quod est propria ratio cognoscendi divinam personam. Divinae autem personae multiplicantur secundum originem. Ad originem autem pertinet a quo alius, et qui ab al10: et secundum hos duos modos potest inn-0tescere persona. Igitur persona Patris non potest innotescere per hoc quod sit ab alio, sed per hoc quod a nullo est: et sic ex hac parte eius natio est innascibnitas. Sed inquantum aliquis est ab eo, innotescit dupliciter. Quia inquantum Filius est ab eo, innotescit notione paternitatis: inq11antum autem Spiritus Sanctus est ab eo, innotescit notione communis spirationis. Filius autem potest innotescere per hoc quod est ab alio nascendo: et sic innotescit per fìliationem. Et per hoc ouod est alius ab eo, scilicet Spiritus Sanctus: et per hoc innotescit eodem modo sicut et Pater, scilicet communi spiratione. Spiritus Sanctus autem innotescere potest per hoc quod est ab alio vel 2 L'origine o processione implica necessariamente che vi sia un soggetto che prore1e c1a un altro; e pertanto Include un procedente, ossia un soggel-t.o che at1bia oMgine da un altro, ed un originante, che dia origine ; vale a dire, In termini di scuola, esige un prtnctptum e un ex prtnctpto.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q.
142
~.
a. 3
scere lo Spirito Santo in quanto procede da un altro o da altri: e così ci si rende noto mediante la processione. Ma non [si viene a conoscere] per il fatto che altri prvceda da lui: perchè nes.siuna persona divina da lui procede. - Dunque in Di-0 ci sono cinque nozioni, cioè l'innascibilità, la paternità, la fìliazione, la spirazione comune e la processione. Di queste solo quattro sono relazioni, perchè I' innascibilità è una relazione solo per riduzione, come si dirà in seguito. Quattro sole sono anche le proprietà: perchè la spirazione comune, per ciò stesso che conviene a due persone, non è una proprietà. Tre soltanto sono nozi-0ni personali, cioè costitutive delle persone, vale a dire paternità, fil.iazione e processione: giacchè la spirazione comune e I' innascibilità sono nozioni di persone, ma non personali, come meglio si spiegherà in seguito. ' SOLLZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Oltre le quattro relazioni bisogna ammettere, come S'i è spiegato, un'altra nozione [1' innascibilitàj. 2. L'essenza divina e le persone divine sono espresse come cose; ma le nozioni sono come ragioni formali che notificano le persone. Perciò, sebbene si dica che Dio è uno per l'unità dell'essenza, e trino per la trinità delle persone, non si può dire cinquino per le cinque nozioni. · 3. Siccome soltanto l'oppooizione delle relazioni produce pluralità rea.!e in Dio, più proprietà di una stessa persona non si distinguono realmente perchè tra loro non esiste opposizione di relazioni. Tuttavia non si predicano l'una dell'altra, perchè stanno a indicare formalità diverse della stessa Persona; come anche non diciamo che l'attributo di potenza è l'attributo della scienza, sebbene diciamo che la scienza è la potenza. 4. Come aLbiamo visto, la persona importa dignità, perciò non si può ritenere come nozione dello Spirito Santo il non procedere da lui altra Persona. Questo non conferisce nulla alla sua dignità, come [all'oppo·sto) mette in evidenza l'autorità del Padre il non essere da altri. 5. Il Figlio e lo Spirito Santo non hanno in comune un unico e speciale modo di essere originati dal Padre; come [al contrario) il Padre e il Figlio hanno in comun€ un modo speciale di produITe lo Spirito Santo. Ora, ciò che è causa di cognizione [di una persona] deve essere qualche cosa di speciale, perciò il paragone non torna. 2 1
Donde 11 seguente schema riassuntivo:
Dtsttn ttve delle persone: NDZIOlll
Costttuttve delle persone:
l
lnnascibilità Paternità Filiazione Spirazione Processione
I
Paternità Filiazione Processione
I Figlio Padre Padre e Flgl1o Spirito Santo Padre Figlio Spirito Santo
Padre Figlio Spirito Santo . • Mentre sta per chiudersi la parte generale del trattato - abbia.mo gtà esaminato le procuriont [q. 27], le reiaztont [q. 28] e, genericamente le persone [qq. 29-32] PROPllETA
InnascibUità e pat.ernltà t Fil1a.zione Processione .
LA NOSTRA CONOSCENZA DELLE PERSONE DIVINE
143
a.b aliis: et sic innotescit processione. Non autem per hoc quod alius sit ab oo: quia nulla divina persona procedit ab eo. - Sunt igitur quinque notiones in divinis: scilicet innascibiU1tas, paternitas, filiatio, communis spiratio et processio. Harum autem tantum quatuor sunt relationes: nam innascibilitas non est relatio nisi per reducti-0nem, ut infra [q. 33, a. 4, ad 3) dicetur. Quatuor aut.em tantum proprietates sunt: nam communis spiratio non est proprietas, quia convenit duabus personis. Tres autem sunt notiones personales, idest constituentes personas, scilicet paternitas, filiatio et processio: nam communis spiratio et innascibilitas dicuntur notiones personarum, non autem personales, ut infra [q. 40, a. 1, ad 1] magis patebit. AD PRIMLM ERGO DICENDUM quod praeter quatuor relationes oportet ponere aliam notionem, ut dictum est [in corp.]. AD SECUNDUM DICENDUM quod essentia in divinis significatur ut res quaedam ; et similiter personae significantur ut res quaedam ; sed notiones signifìcantur ut rationes notifìcantes personas. Et idea, licei dicatur Deus unus propter unitatem essentiae, et trinus propter trinitatem personarum; non tamen dicitur quinus propter quinque notiones. Au TERTIUM DICENDUM quod, cum sola oppositio relativa faciat pluralitatem realem in divinis, plures praprietates unius personae, curo non apponantur ad invicem relative, non differunt realiter. Nec tamen de invicem praedicantur: quia significantur ut diversae ratio. nes personarum. Sicut etiam non dicimus quod attributum potentiae sit attributum scientiae, licet dicamus quod scientia sit potentia. AD QUARTUM DICENDUM quod, cum persona importet dignitatem, ut supra [q. 29, a. 3, ad 2] dictum est, non potest accipi notio aliqua Spiritus Sancii ex hoc quod nulla persona est ab ipso. Hoc enim non pertinet ad dignitatem ipsius; sicut pertinet ad auctoritatem Patris quod sit a nuìlo. AD QUINTUM DICENDLM quod Filius et Spiritus Sanctus non canveniunt in uno speciali modo existendi a Patre ; sicut Pater et Filius conveniunt in uno speciali modo producendi Spiritum Sanctum. Id autem quod est principium innotescendi, oportet esse aliquid speciale. Et ideo non est simile. è bene dare uno sguardo d' insieme, per ammira.re la coerenza del pensiero di S. Tommasò In questa difficile sintesi teologica. In Dio, come in ogni soggetto intèllettuale vi son-0 due processioni mentall, quella del Verbo, la quale ha anche funzione di generazione, e quella dell'Amore, che manca di tale funzione o formalità. Queste due processioni però, quantun . . que noi le esprimiamo come azioni e passioni, p. es., generare ed essere gene. rato, non sono che semplici relazioni, come sono quelle che si trovano in ogni agire da cui sia bandito il moto. - Esse sono quattro, due per ogni processione ed hanno nomi propri: sono la paternità, la fil.i azione, la spirazione e la processione. Sono tutte reali, ma per l'unica re:tltà della sostanza divina, perchè questa unisce In sè, trascendendoli, anche I due ordini dell'essere e del riferirsi. Tre di queste, ossia la paternità, la filiazione e la pr()O($sione, sono per di più mutuamente op[l-Oste. Per questa loro mutua opposizione svolgono rispetto alla natura o sostanza divina quella stessa funzione che la materia slgnata o determinata esercjta verso la nostra natura umana. Perciò ciascuna di esse tndlvl· dua, Isola, e, per dire cosi, distacca, non una parte, ma tutta la sostanza divina In un soggetto distinto che, costituito da una natura razionale, è perfettamente autonomo nell'essere e nell'agire, è persona. Per queste tre relazioni opposte risultano cosi in Dio tre Persone di un tipo speciale, diverso da quello a noi noto della perwna umana, perchè a differenza di questa si moltiplica senza moltipll-
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 32, a.. -'
ARTICOLO
-I,
Se siano permeue opinioni contrastanti circa le nozionL SEMBRA clle non siano permesse opinioni contrastanti circa le nozioni. Infatti: 1. S. Agostino dice che "in nessun altro caso è tanto pericoloso l'errore,, come in materia di Trinità, alla quale materia certamente appartengono le nozioni. Ma non si dànno opinioni in contrasto senza che si abbia l'errore. Quindi non è lecita la libertà di opinione sulle nozioni. · 2. Mediante le nozioni si conoscono le persone, come abbiamo spiegato. Ma circa le persone non è lecito seguire opinioni contrastanti. Dunque neppure circa le nozioni. IN l.ONTRARIO: Negli articoli di fede non vi è nulla che riguarrdi le nozioni. Dunque a proposito di nozioni è lecito pensarla in un modo o in un altro. RISPONDO: Una cosa può appartenere alla fede in due modi. Primo, direttamente: in qualità di oggetto principale deLla rivela:done divina, come l'unità e la trinità di Dio, l'incarnazione del Figlio di Dio, e simili. E [naturalmente] è eresia sostenere un'opinione sbagliata su tali argomenti: specialmente S·e vi si unisce la pertinacia. - Indirettamente invece appartengono alla fede quelle cose dalla cui negazione deTiva qualche conseguenza contraria alla fede; come, p. es., se qualcuno negasse che Samuele fu figlio di Eleana: infatti ne verrebbe che la divina Scrittura contiene degli errori. Perciò su quello rhe appartiene alla fede in queo.to secondo modo uno può seguire opinioni erronee, seuza pericolo di eresia, quando non è chiarito, o non è stato ancora dete.rminato che da esse segue qualche cosa di contrario alla fede: tanto più se non vi aderisce con pertinacia. M:a se è chiaro, e specinlmente se è stato determinato dalla Chiesa, che da tali idee deriva qualche tf.I., 11, tl). - Giustamente pertanto S. Cirillo Alessandrino esclama: •Questo nobile a11pellatlvo di Padre è Il nome che designa ciò che è proprio di Dio" (In loann., 11, 7). • Allude alla sentenza d1 Gilberto Porretano di cui ha parlato nella q 28, a. 2.
152
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 33, aa. 2-3
Cristo dal quale prende nome ogni paternità' in cielo e in terra ». È chiaro che la generazione viene specificata dal suo tennine, che è la forma [o natura] dell'essere generato. E quanto più questa è vicina alla natura del generante, tanto più vera e perfetta risulta la generazione; come difatti la generazi>. Quod sic apparet. Manifestum est enim quod generatio accipit speciem a termino, qui est forma generati. Et quanto haec fuerit propinquior formae generantis, tanto verfor et perfectior est generatio ; sicut generatio univoca. est. perfectior quam non univoca: nam de ra.Hone generantis est, quod generet sibi simile secundum formam. linde hoc ipsum quod in generatìone divina est ea.dem numero forma generantis et geniti, in rebus autem creatis non est eadem numero, sed spede tantum, ostendit quod generatio, et per consiequens paternitas, per prius sit in Deo quam in creaturis. Unde hoc ipsum quod in divinis est distinctio geniti a generante secundum relationem tantum, ad veritatem divinae generationis et paternitatis pertinet.
ARTICULUS 3 Utrum hoc nomen Pater dicatur in divinis per prius secundum quod personaliter sumitur. AD TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod hoc nomen Pater non dicatur in. divinis per prius secundum quod personaliter sumitur. Comrnune enirn, secundum intellectum, est prius proprio. Sed hoc nomen Pater, secundum quod personaliter sumitur, est proprium personae Patris: secundum vero quod sumitur essentìalìter, est commune t.oti Trinitati, nam toti Trinitati dicimus Pater noster. Ergo per prius dicitur Pater essentia.liter sumptum, quam personaliter. 2. PRAETEREA, in bis quae sunt eiusdem rationis, non est praedicatio per prius et posterius. Sed paternitas et filiatio secundum unam rationem videntur dici secundum quod persona divina est Pater Filii, et secundum quod tota Trinitas est Pater noster vel creatura.e: cum, secundum Basilium [Horn. 15, De Fide], accipere sH t:ommune creatura.e et Filio. Ergo non per prius dicitur Pater in divinis secundum quod sumitur essentialiter, quam secundum quod sumitur personaliter. 3. PRAETEREA, inter ea qua.e non dicuntur secundum rationem unam, non potest esse comparatio. Sed Filius cornparatur creaturae in ratione fìliationis vel generationis, secundum illud Coloss. 1, 15: 11 Qui est imago Dei invisibilis, primogenitus omnis creaturae n. Ergo non per prius dicitur in divinis paternitas personaliter sumpta, quam essentialiter; sed secundum rationem eandem. • TI nome di padre dato a Dio è usato ora come nome proprio della prima persona, or·1 comP nome comune che conviene ugualmente alle tre persone divine. Nel primo caso padre è nome personale, come, p. es., nel testo p8.olino: "Io piego le ginocchia davanti al Padre del Signor no.). non avendo egli l'essere da altra persona,, ..• (I De Ftde Orth.,
c. 9).
QUESTIONE 34 La persona del Figlio. E passiamo a considerare la persona del Figlio. Ad essa sono dati tre nomi: 1 Figlio, Verbo e Immagine. Però il termine Figlio è già chiarito in quello di Padre. Quindi non resta da considerare che i termini di Verbo e di Immagine. A proposito del Verbo si pongono tre quesiti: 1. Se Verbo in Dio sia nome essenziale o personale; 2. Se sia nome esclusivo del Figlio; 3. Se nel termine Verbo sia incluso anche un rapporto con le crea... ture. ARTICOLO 1 Se in Dio il nome Verbo sia personale.
SEMBRA che Verbo in Dio non sia nome personale. Infatti: 1. I nomi personali, p. es., Padre o Figlio, si attribu1scono a Dio presi nel loro senso proprio. Ma, come di-Oe Origene, Verbo si attribuisce a Dio solo in senso metaforico. Perciò in Dio non è nome personale. 2. Secondo S. Agostino, ((il Verbo è cognizione con amore•>. E secondo S. Anselmo, (( per lo Spirito sommo il dire non è che un intuire pensando». Ma cognizione, pensamento, e intuito si attribuiscono a Dio come termini essenziali. Perciò Verbo non si attribuisce a Dio come termine personale. 3. È proprio del Verbo essere detto. Eppure, come insegna S. Anselmo allo stesso modo che intende il Padre, intende il Figlio e intende lo Spirito Santo : cosi dice il Padre, dice il Figlio e dice lo Spirito Santo. E, parimente ciascuno di essi è detto. Perciò il noma Verbo appartiene all'essenza divina, e non a una persona. 4. Nessuna delle persone divine è fatta. Ma il Verbo divino è qualche cosa di fatto; perchà nei Salmi sta scritto: ((fuoco, grandine, neve, gelo, vento di procella, CJhe fanno il suo [di Dio] Vevbo11. Dunque verbo non è nome di una Persona divina. IN coNTR~RTO: Insegna S. Agostino: 2 ((Come il Figlio dice relazione al Padre ... , cosi il Verbo dice relazione a colui di cui è il Verbo'" Ma Figlio è nome personale, perchè relativo. Dunque anche Verbo.• i Qui si accenna al principali. Però nella liturgia se ne riscontrano altri ancora: ·svllmdore, Oriente, Bracci di Dio, Candore della luce etJerna, Sapienza di Dio, ecc. - Sul motivo per cui si dànno vari nomi alla Seconda Persona, vedi a. 2, ad 3. • S. Tommaso, come meglio risulterà In seguito (a. 2, ad 3), accetta la formula agostiniana: «Ilo FtUm quo Verllum et eo Verllum quo Fatu1o (cfr. 7 De Trtn ••
QUAESTIO 3-i De persona Filii tn tres arttcuws dtvtsa.
Deinde considerandum est de persona Filii [cfr. q. 33, Prol.]. Attribuuntur autem tria nomina Filio, scilicet Filius, Verbum et Imago. Sed ratio Fìlii ex ratione Patris consideratur. Unde restat considerandum de Ve_rbo et Imagine. Circa Verbum quaeruntur tria. Primo: utrum Vel'lbum dicatur essentialiter in divinis, vel personaliter. Secundo: utrum sit proprium nomen Filii. Tertio: utrum in nomine Verbi importetur respectu.s a.d creatw·a.s. ARTICULUS 1 Utrum Verbum in divinis sit nomen personale. 1-11, q. 93, a. 1, a.d 2; t Sent., d. ~. q. 2, a. 2, qc. 1; De Pot., q. 9, a. 9, ad 7; De Vertt., q. 4, a. 2; a. 4, ad 4.
AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Verbum in divinis non sit nomen personale. Nomina enim personalia proprie dicuntur in divinis, ut Pater et Filius. Sed verbum metaphorice dicitur in divinis, ut Origines dicit, Super loannem [c. 1, 11 In principio erat Verbum,, ]. Ergo verbum non est personale in divinis. 2. PRAETEREA, secundum Augustinum, in libro De Trin. [l. 9, c. 10], 11 verbum est notitia curr::--amore ». Et secundum Anselmum, in Monoi. [c. 63], "diceva summ0 spiritui nihil aliud est quam cogitand0 intueri '" Sed notitia et cogitatio et intuitus in divinis essentialiter dicuntur. Ergo verbum non dicitur personaliter in divinis. 3. PRAETEREA, de ratione verbi est quod dicatur. Sed, secundum Anselmum [ibid., cc. 62, 63], sicut Pater est intelligens, et Filius est intelligens, et Spiritus Sanctus est intelligens ; ita Pater est dicens, Filius est dicens, et Spiritus Sanctus est dicens. Et similiter quilibet eorum dicitur. Ergo nomen vel'lbi essentialiter dicitur in divinis, et non personaliter. 4. PRAETEREA, nulla persona divina est facta. Sed verbum Dei est aliquid factum: dicitur enim in Psalmo 148, 8: « Ignis, grando, nix, glacies, spiritus procellarum, quae faciunt verbum eius "· Ergo verbum non est nomen personale in divinis. SED CONTRA EST quod dicit Augustinll!S, in 7 De Trin. [c. 2]: 11 Sicut Filius refertur ad Patrem, ita et Verbum ad id cuius est Verbum n. Sed Filius e.st nomen personale: quia relative dicitur. Ergo et Verbum. c. 2). - s. Bonaventura Invece dando maggior rilievo alla ftllazlone, dirà: • Eo quo Ftitus eo est lmngo et eo tvso Verbum • (ctr. In I Seni., d. 31, P. II, a. t, q. 2). • :r;: dottrina di fede, rivelata nel prologo giovanneo: • .... Il Verbo si è fatto
carne ... 11 Verbo Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità" (1, 14). Pereto O IV Concillo romano del 379 fulminava l'anatema contro chiunque ne.gasse che O
164
LA SO'.\L\IA TEOLOGICA, I, q. 34, a. 1
RISPONDO: Se il termine Verbo si prende in senso proprio, in Dio è nome personale e in ncssun modo essenziale. Per capire questo si deve notare che noi prendiamo il termine verbo in tre sensi propri; un quarto senso è improprio o metaforico. Più comunemente, e in mod-0 più ovvio, chiamiamo verbo [cioè parola] ciò che si esprime con suoni vocali. Ma questo proviene dal nostro interno per i due elementi che si riscontrano nel ve.rbo esterno, cioè la voce e il suo sign.iAcato. Infatti, secondo il Filosofo, la voce s.igniAca il concetto della mente; ed essa a sua volta nasce dall' immagi1:azione. Ma suoni vocali che non significano nulla non si posso110 chiamare parola [ve1'bo]. Perciò la voce esteriore è detta verbo [o pa.rolal perchè esprime l' interno concetto della mente. Di qui si ha che primariamente e soprattutto si dice vel'bo l' interno concetto della mente; secondariamente la voce che lo esprime; e in terzo luogo il fantasma della voce [che servirà ad esprimerlo]. Queste tre accezioni di verbo sono indicate dal Damasceno, quando afferma che si chiama "verbo quel moto naturale della mente, per cui essa è in atto, pensa ed intende, e che ne è come la luce e lo splendore » : prima accezione. «Ancora, verbo è ciò che» non s.i proferisce con la bocca, ma ·" si pronunzia nel cuore n : terza accezione. " Finalmente verbo è ancora l'angelo >>, cioè il nunzio, " dell' intelligenza n : seconda accezione. 1 - In sPnso traslato poi, o metaforico, si dice verbo [o parola 1, quarta accezione, la stessa cosa significata o fatta mediante la· parnla: come quando per indicar·~ semplicemente un fatto o per accennare a un comando siamo soliti dire: questo è il verbo che ti ho detto, o [il verbo] che fu comandato dal re. l\Ia in Dio verbo in senso proprio vale per concetto dell'intelletto. Perciò S. Ago·stino afferma: « Chi è in grado di ca.pire cosa sia il verbo non solo prima che risuoni, ma anche prima che il suono si rivesita di un'immagine nella fantasia, può già intravedere una certa sembianza di quel Ve.rbo, del quale fu detto: In principio· era il Verbo"· Ora, Io stesso verbo mentale ha la proprietà di procedere da altri, cioè dalla cognizfone di chi lo ha concepito. Quindi se verbo si applica a Dio in senso proprio, significa un soggetto che procedè da altri: e questa è una caratteristica dei nomi personali, perchè le Persone divine si distinguono appunto dalle origini, come abbiamo già spiegato. Perciò si deve dire che il nome Verbo, applicato a Dio in senso proprio, non è nome essenziaJ.e, ma soltanto nome personale. 2 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli Ariani, che fan capo ad Ori gene, sostennero che il Figlio è diverso dal Padre nella sostanza. 3 Quindi
Verbo è Figllo di Dio (cfr. DENZ., 66; 70; 214; 225; 283; 1597). - Tra i Padri s. Ata· nasio in modo speciale difende questo domma polemizzando contro i Sabelliani (cfr. Enchir. Patr., 788); così pure S. Agostino contro gli Ariani (In Ioann., tract. 1, n. 101. i "I tre significati dl !.Oyo< aocettati dal Damasccno non pare che combinino cosi facilmente con i tre significati di verbum tra lti da s. Agostino. Il primo designa riiuttt>sto la ragione ln esercizio; e 11 8econdo, il concetto"· (SOM. FRANC., La Trinìté, II, p. 312). 2 In breve, il termine verbo. quando vier.e applicato a Oio, è un nome nPrSO· nale di su.a propria natura e non solo per semplice adattamento o uso, polchè vi. significa ciò che procede da altri, cioè da un principio; e come tale non può es· sere che una persona. La spi€gazione qui data precisa e sviluppa meravigliosamente la dottrina scolastica del verbo mentale appllcata alla teologia. Abbiamo
LA PERSONA DEL FIGLIO
165
REsPONDF.O mcENDUM quod nomen Verbi in divinis, si proprie sumatur, est nomen personale, et nullo modo essentiale. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod 'l.'erbum tripliciter quidem in nobis proprie dicitur: quarto autem modo, dicitur improprie si ve figurative. Manifestius autem et communius in nobis dicitur verbum quod voce profertur. Quod quidem ab interiori procedit quantum ad duo qua.e in verbo exteriori inveniuntur, sdlicet vox ipsa, et s1gnificatio vocis. \'ox enim significat iutellectus concepturn, secundum Philosophum, in libro 1 i'criherm. [c. 1, lect. 2]: et iterum vox ex irnaginatione procedit, ut in libro De Anima ll. 2, c. 8, lect. 18] dicitur. Vox autem quae non est significativa, verbum dici non potest. Ex hoc ergo dicitur verbum vox exterior, quia significai interiorem mentis conceptum. Sic igitur primo et principaliter interior mentis conceptus vertbum dicitur: secundario vero, ipsa vox interioris conceptus sip nificativa: tertio vero, ipsa irnaginatio vocis verbum dicitur. Et hos tres modos verbi ponit Damascenus [De Fide Orth.] in 1 lilbro, cap. 13, dicens quod "ve.rbum n dicitur "naturalis intellectus motus, secundum quem movetur et intelligit et cogitat, velut lux et splendor '" quantum ad primurn: "rursus verbum est quod » non verbo profertur, sed "in corde pronuntiatur n, quantum ad tertium: "rursus etiam verbum est angelus», idest nuntius, "intelligentiae », quantum ad secundum. - Dicitur autem figurative quarto modo verbum, id quod verbo significatur vel efficitur: s.icut consuevimus dicere, hoc est verbum quod dixi libi, ve! quod ma.ndavit rex, demonstrato aliquo facto quod verbo significatum est ve! Siimpliciter ennntiantis, ve! etiam imperantis. Dicitur autem proprie verbum in Dea, seostino afferma che il Verbo è cc sapienza generata »: che poi si identifica con il concetto di chi conosce, concetto che a sua volta si può dire cc notizia generata». - Allo stesso modo si può spiegare [la frase di S. Anselmo cioè] che dire, per lddio, è cc un intuire pensando">, nel senso che mediante lintuizione del pensiero divino viene concepito il Verbo di Dio. Pe'l'ò, propriamente parlando, al Verbo di Dio non si può applicare con proprietà il termine pensamento. Dic'~ infatti S. Agostino: cc il Verbo di Dio si dice Verbo, e non pensamento; affinchà non si creda che in Dio ci sia qualcosa di mutevole, che ora prenda forma pei: diventare verbo e ora la lasci, a così :!ambi di forme sPnza ritenerne alcuna"· Il pensare, infatti, consiste nella ricerca del vero, la quale non può tr-0varsi in Dio. E quando è giunto alla verità, lintelletto non investiga più, ma si ferma a contemplarla. Quindi Anselmo prende pensare in senso improprio come sinonimo di contemplare.• 3. In Dio sia il Verbo, sia il dire, si riferiscono, come termini propri, alle persone e non all'essenza. Perciò, come il Verbo non è comune al Padre, al Figlio, e a.Uo S-pirito Santo cosi non è vero che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo S-Ono un solo dicente. Perciò S. Agostino afferma: cc In Dio non S'i deve intend-ere che ciascuno sia il dicente di quel Verbo coeterno 11. Ma l'essere detto conviene ad • L'Intelletto preso come pensiero o atto della mente, Implica In Dio una mera relazione di ragione all'oggetto pensato. Considerato Invece come facoltà o potenza Intellettiva è qualcosa di assoluto o di non relativo.
LA ·PERSONA DEL FIGLIO
167
in diversitate substantiae. Unde conati sunt, cum Filius Dei Verbum dicitur, astruere non esse proprie dictum ; ne, sub ratione verbi procedentis, cogerentur fateri Filium Dei non esse extra subetantiam Patris ; nam ver:bum interius sic a dicente procedit, quod in ipso manet. - Sed necesse est, si ponitur verbum Dei metaphorice dictum, quod ponatur verbum Dei proprie dictum. Non enim potest aliquid metaphorice verbum dici, nisi ratione ma.nifestationis: quia velmanifestat sicut verbum, vel est verbo manifestatum. Si autem est manifestatum verbo, oportet ponere verbum quo manifestetur. Si autem dicitur verhum quia exterius manifestat, ea quae exterius manifestant, non dicuntur verba nisi inquantum significant interiorem mentis conceptum, quem aliquis etiam per exteriora signa manifestat. Etsi ergo verbum aliquando dicatur metaphorit:.e in divinis, tamen oportet ponere Verbum proprie dictum, quod personaliter dicatur. AD SEt:UNDUM DICENDUM quod nihil eorum qua.e ad intellectum pertinent, personaliter dicitur in divinis, nisi solum Verbum: solum enim verbum significat aliquid ab alio emanans. Id enim quod intellectus in concipiendo format, est verbum. Intellectus autem ipse, secundum quod est per speciem intelligibilem in actu, consideratur absolute. Et similiter intelligere, quod ita se habet ad intellectum in actu, sicut esse ad ens in actu: non enim intelligere significat actionem ab intelligente exeuntem, sed in intelligente manentem. Cum ergo dicitur quod verbum est notitia, non accipitur nofitia pro actu cognoscentis, vel pro aliquo eius habitu: sed pro eo quod intellectu~ concipit cognoscendo. Un de et Augustinus dicit [7 De Trin., c. 2] quo'fi.. Verbum est "sapientia genita,,: quod nihil aliud est qiuam ipsa conceptio sapientis: quae etiam pari modo "notitia genita,, dici potest. - Et per eundern modum potest intelligi quod dicere Deo sit "cogitando intueri », inqu[J.ntum scilicet intuitu cogitationis divinae concipitur Verbum Dei. Cogitationis tamen nomen Dei Verbo proprie non convenit: dicit enim Augustinus, 15 De Trin. [c. 16]: "Ita didtur illud Verbum Dei, ut cogitati non dicatur; ne aliquid esse quasi vo1ubile credatur in Deo, quod nunc accipiat formam ut verhnm sit, eamque dimittere possit, atque informiter qUv donde eone] il cui principio era l'Abi55o e il Sllenzio. L'Abisso lo diceva il padre, e 11 Sllenzio La madre. Dall'accoppiamento di essi sarebbero derivati l' lntelletto e la Verità, donde a onore d"I padre sarebbero venuti tuori otto eoni. Dall'Intelletto e dalla Verità procedettero 11 Verbo e la Vita, e ne nacquero dieci eoni. Dal Verbo poi e dalla Vita finalmente procedettero l'Uomo e la. Chiooa, donde dodici eoni. Quindi complessivamente trenta eoni che banno per principio l'Abisso e Il Sllenzlo • (De Haeres., n. 11).
170
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 34, a. 2
3. I nmi propri di una persona esprim-0no qualche proprietà djllla medesima. Se dunque Verbo è nome proprio del Figlio, deve indicare una di lui rroprietà. E allora verrebbero ad jJSSerci in Dio più proprietà di quante già abbiamo determinato. 4. Chiunque intende, intenùendo produce il vel1bo. Ora, [anche] il Figlio intende. Dunque vi sarà anche un verbo del Figlio. E allora essere Ve1bo non sarà una qualifica propria del Figlio. 5. S. Paolo afferma che il Figlio " tutto sostiene con il verbo della ma potenza»: dalle quali parole S. Basilio deduce che lo Spirito Santo è il verbo del Figlio. Perciò l'essere Verbo non è proprio esclusivamente deì Figlio. IN CONTRARIO: S. Agostino dice: "Verbo non indica che il Figlio». RISPONDO: Verbo, applicato a Dio in senso proprio, è un termine o nome proprio della persona del Figlio. Infatti esso significa una emanazione intellettuale: e la persona che in Dio procede per emanazione intellettual€ si dice Figlio, e tale emanazione è detta generazione, come si è già spiegato sopra. Resta quindi che in Dio soltanto il Figlio propriamente si dice Verbo. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In noi non è la stessa cosa il nostro essere e il nostro intendere: e quindd ciò che in noi ha la natura di intelligibile non appartiene all'essenza nostra. Invece in Dio il suo essere si identifica con il suo intendere: cosicchè il Verbo di Dio non è un aecidente o un effetto per lui ; ma appartiene alla sua stessa natura. E quindi è necessario che sia qualche cosa di sussistente; perchè tutto quello che si trova nell'essenza divina è cosa suooistente. Perciò il Damasceno dice che il Verbo divino 11 è sostanziale ed ente ipostatico: gli altri verbi invece», cioè i nostri, 1 "sono proprietà dell'anima». 2. L'errore di Valentino, secondo quanto riferisce S. Ilario, non fu condannato perchè costui aveva detto che il Figlio è dal Padre per emissione, come maliziosamente dicevano gli Ariani: ma per il modo speciale di emissione che egli ammetteva, come risulta da S. Agostino. 3. Nel nome di Verbo è indicata la stessa piropriietà che in quello di Figlio; cosicchè S. Agostino può affermare: usi dice Verbo per lo stesso motivo per cui si dice Figlio». La nascita infatti, che è la proprietà personale del Figlio, viene indicata con diversi nomi per esprimere sotto vari aspetti tutta la di lui perfezione. Infatti per indica.re che [il Figlio] è consostanziale al Padr.e lo si dice Figlio ; per indicare che egli è eteirno come il Padre è chiamato splendore ; per mettere in evidenza la perfetta somiglianza [col Padre], è detto immagine; e per sottolineare la perfetta immaterialità della sua generazione viene chiamato Verbo. Pokhè non era possibile trovare un nome che da solo esprimesse tutti questi a.petti. 4. L'intendere appartiene al Figlio, come gli appartiene di essere Dio: perchè, come si è detto, l' intendere è un attributo divino essenziale. Però egli è Dio generato e non Dio generante. E quindi iJ Figlio intende, ma non quale generatore di un verbo, bensì quale \'el'ib-0 procedente; in Dio infatti il Verbo non si distingue realmente 1 I tre verllt a cul allude il Damasceno. In oontrapposlzlone al Verbo dlvlno, sono 11 nostro verbo mentale, quello immaginato e quello orale ; In altri termiru:
· LA PERSONA DEL FIGLIO
17ì
3. PRAETEREA, omne nomen proprium alieuius personae significa.t proprietatem a.liquam eius. Si igitur Verbum sit proprium nomen Filii, significa.bit aliquam prprietatem eius. Et sic erunt plures proprietates in divinis quam supra [q. 32, a. 3] enumeratae sunt. 4. PRAETERE.\, quicumque intelligit, intelligendo concipit verbum. Sed Filius intelligit. Ergo Filii est aliquod verbum. Et sic non est proprium Filii esse Verbum. 5. PRAETEREA, Hebr. 1, 3 dicitur de Filio, "portans omnia verbo virtutis suae »: ex quo Basilius accipit [5 Contra Eunomium, c. 11J quod Spiritus Sanctus sit verbum Filii. Non est ergo proprium Filii esse Verbum. SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, 6 De Trin. [c. 2]: cc Verbum solus Filius accipitur ». RESPONDEO DICENDUM quod Verbum proprie dictum in divinis personaliter accipitur, et est proprium nomen personae Filii. Significat enim quandam emanationem intellectus: persona autem qu ae procedit in divinis secundum emanationem intellectus, dicitur Filius, et huiusmodi processio dicitur generatio, ut supra [q. 27, a. 2] ostensum est. Unde relinquitur quod solus Filius proprie dica.tur Verbum in divinis. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod in nobis non est idem esse et intelligere: unde illud quod habet in nobis esse intelligi!bile, non pertinet ad naturam nostram. Sed esse Dei est ipsum eius intelligere: unde Verbum Dei non est aliquod accidens in ipso, vel aliquis effectus eius ; sed pertinet ad ipsam naturam eius. Et ideo oportet quod sit aliquid subsistens : quia quidquid est in natura Dei, subsistit. Et ideo Damascenus dicit [De Fide Orth.,(l. 1, c. 13] quod Verbum Dei " est substantial e, et in hypostasi ens . reliqua vero verba », scilicet nostra, "virtutes S1Unt animae '" AD SECUNDUM DlCENDUM quod non propter hoc error Valentini est damnatus, quia Filium dixit prolatione natum, ut Ariani calumniabantur, sicut Hilarius refert, 6 De Trin. [n. 9]: sed propter varium modum prolationis quem posuit, sicut patet per Augustinum in libro De Haeresibus [Ioc. cit. in arg.]. AD TERTIUM DICENDL'M quod in nomine Verbi eadem proprietas importatur quae in nomine Filii: unde dicit Augustinus [7 De Trinit., c. 2]: "eo dicitur Ver, "naturae suae potestate eiicere se daemonia demonstrans " ; aliquando Spiritum Sanctum, ut ibi [Ioel., 2, 29; Act., 2, 17], "Effundam de Spiritu meo super omnem carnem ». Ergo hoc nomen Spiritus Sanctus non est proprium alicuius divinae personae. 2. PRAETER&A, nomina divinarum personarum ad aliquid dicuntur, ut Boetius dicit, in libro ne Trinit. [c. 5]. Sed hoc nomen Spirit11s Sanctus non dicitur ad aliquid. Ergo hoc nomen non est proprium divinae personae. 3. PRAETEREA, qui a Filius est nomen a.I icuius divinae persona e, non potest dici Fi!ius huius ve! illius. Dicitur antem spiritus huius vel illius hominis. Ut enim habetur Num. '·11, 17: "Dixit Dominus ad Moysen: Auferam de spiritu tuo, tradamque eis »; et 4 Reu. 2, 15: del Padre. Tale Sptrtto è detto Santo perchè procede dal Padre per mezzo del Figlio. E come tale appare quale compimento della vita trinitaria; ossia li fine (n',t,, -) delle comunicazioni della vita divina. Orbene, siccome la santità è ciò che dà l'ultimo compimento a.Ila natura razi.>nale, il nnme di Spilifo 5111110 è il nome che meglio rispecchia le caratteristiche personali della terza Persona (cfr. DB RtGNON, op. cit., voi. IV. pp. 320 ss,). - Un 'altra ragione per cui la terza Persona è detta santa·, secondo i Padri greci, è eh.e essa manifesta ed etronde nel mondo la santità divina, portando le creature a oonta.tto con Dio.
186
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 36, a.
t
trove: 11 Lo spirito di Elia si è posato sopra Eliseo». Pare dunque che Spirito Santo non sia nome proprio di una persona divina. IN CONTRARIO: Dice la sacra Scrittura: « Sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo"· 1 «Tre che oosa ? ,, si domanda S. Agostino, e risponde: « Tre persone "· Dunque Spirito Santo è nome di una persona divina. 2 RISPONDO: In Dio ci sono due p.rocessiioni; la seconda però, q11ella dell'amore, non ha nome proprio, come si è detto sopra. Quindi anche le relazioni che ne sorgono mancano di nome proprio, come abbiamo già s.piegato. Da ciò deriva che neppure la persona che procede secondo questa processione può avere, per lo stesso motivo, un 11ome proprio. Però come per indicare quelle relazioni furono dall'uso adottati alcuni nomi comuni, cioè processione e spirazione, che propriamente significano più gli atti nozionali che le relazioni ; oosì per designare la persona divina che procede per processione d'amore, fu adottato secondo l'uso della Scrittura il nome di Spirito
Santo. E di '.}Uesto si possono trovare due motivi di convenienza. Primo, la comunanza della persona, chiamata Spirito Santo. Infatti, spiega S. Agostino: « PGichè lo Spirito Santo è comune alle due [persone], è chiamato propriamente con denominazioni comuni ad entrambi: difatti il Padre è Spirito, e. il Figlio è Spirito; il Padre è santo, il Figlio è santo"· - Secondo, il significato proprio [di Spirito Santo]. Nel mondo fisico spirito significa impulso e moto, tant' è vero. che chiamiamo spirito il fiato e il vento. Ora, è pro•prio dell'amore muovere e spingere la volontà di chi ama verso la cosa amata. La santità poi si attribuisce a quelle cose che sono ordinate a Dio. Perciò convenientemente è detta Spirito Santo la persona divina che procede come l'amore con cui Dio si ama. 3 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Se l'espressione spirito santo si considera come due parole distinte, allora è comune a tutta la Trinità. Perchè con la parola spirito si indica l'immaterialità della sostanza divina: infatti nel mondo fisico spirito [vento o fiato] è una sostanza invisibile e di minima densità, perciò a tutte le sostanze immateriali ed invisibili diamo il nome di spirito. Con l'aggettivo santo, poi, si indica la purezza della bontà divina. - Invece, considerando l'espressione Spirito Santo come una parola sola, la Chiesa, per la ragione già detta, I' ha adottata per designare una delle tre divine persone, quella che proc·ede secondo la processione dell'amo.re. 2. Sebbene Spirito Santo non sia un termine relativo, tuttavia si usa come se lo fosse, in quanto fUJ adottato per designare una persona distinta dalle altre per sola relazione. - Si potrebbe però anche scorgere in questo termine una relazione se Spirito si prendesse nel senso di spirato. • 1 I protestanti, com'è noto, rigettano come spuria la pericope 1• Gtov., li. 7-8; cosi pure molti eminenti studiosi cattolici (cfr. p. 98, nota 1). - Altrl invoc.e la ritengono "come canonica " (cfr. M. SALES, n Nuovo Testamento, Torino, 1929, vol. 2, I' Lett. dt s. Gtovannt, Introd.). 2 Che questo nome si approprii alla terza Persona risulta da vari testi della sacra Scrittura: • Lo Spirito Santo scenderà In te .... • (Luca, 1, 85) ; •Quel che è nato In lei è opera dello Spirito Santo .... " (Mat., 1, IO); a La bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata.... » (Mat., 12, 31); • ..•. Battezzate nel nome del Padre e del Flglio e dello Spirito Santo• (Mat., 28, 19), eec.
LA PERSONA DELLO SPIRITO SANTO
187
. Ergo Spiritus Sanctus non videtur esse proprium nomen alicuius divinae personae. SED CONTRA EST quod dicitur 1 Ioan. uU. [5, 7): « Tres sunt qui testimonium dant in caelo, Pater, Verbum et Spiritus Sanctusn>. Ut autem Augustinus dicit, 7 De Trini I. [cc. 4, 6; cfr. I. 5, c. 9], cum quaeritur, " Quid tres? » dicimus, « Tres personae "· E.rgo Sp1ritus Sanctus est nomen divinae personae. RESPONDEO DICENDUM quod, cum sint duae processiones in divinis, altera earum, quae est per modum arnoris, non haJbet proprium nomen, ut supra [q. 27, a. 4, ad 3] dictum est. Unde et re1ationes quae secundum huiusmodi processionem accipiuntur, innominatae sunt, ut etiam supra [q. 28, a. 4] dictum est. Propter quod et nomen personae hoc modo procedentis, eadem ratione, non ha.bet proprium nomen. Sed sicut sunt accommodata a1iqua nomina, ex usu loquentium, ad significandum praedictas relationes, cum nominamus eas nomin~cessionis et spirationis, quae, secundum proprietatem significationis, magis videntur significare actus notionales quam re1ationes ; ita ad significandum divinam personam quae procedit per modum amoris, accommodatum est, ex usu Scripturae, hoc nomen Spiritus Sanctus. Et huius quideim convenientiae ratio sumi potest ex duobus. Pl'imo quidem, ex ipsa communitate eius quod dicitur Spiritus Sanctus. Ut enim Augustimis dicit, 15 De Trinit. [c. 19; cfr. l. 5, c. 11]: na procede proprtamente dalla prima? Secondo S. Tommaso, si dice che lo Spirito Santo pro-
LA PERSONA DELLO SPIRITO SANTO
201
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod in qualibet actione est duo considerare: scilicet suppositum agens, et virtutem qua agit; sicut ignis calefacit calore. Si igitu.r in Patre et Filio consideretur virtus qua spirant Spiriturn Sancturn, non cadit ilbi aliquod medium ; quia haec virtus est una et eadem. Si autem considerentur ipsae personae spirantes, sic, cum Spiritus Sanctus communiter procedat a Patre et Filio, invenitur Spiritus Sanctus immediate a Patre procedere, inquantum est ab eo ; et mediate, inquanturn est a Filio. Et sic dicitur procedere a Patre per Filium. Sicut etiam Abel processit immediate a'b Adam, inquantum Adam fuit pater eius; et mediate, inquantum Eva fuit mater eius, quae processit ab Adam ; licet hoc exemplum materialis processionis ineptum videatur ad significandam immaterialem processionem divinarutn personarum. AD SECUNDUM DICENDUM quod, si Filius acciperet a Patre aliam . virtutem numero ad spirandum Spiritum Sanctum, sequeretur quod esset sicut causa secunda et instrumentalis: et sic magis procederet a Patre quam a Filio. Sed una et eadem numero virtus spirativa est in Patre et Filio: et ideo aequaliter procedit ab utroque. Licet aliquando dicatur principaliter vel proprie procedere de Patre, propter hoc quod Filius habet hanc virtutem a Patre. AD TERTIUM DICENDUM quod, sicut generatio Filii est coaeterna generanti, unde non prius fuit Pater quam gigneret Filium ; ita processio Spiritus Sancti est ooaeterna suo principio. Unde non fnit prius Filius genitus, quam Spiritus Sanctus procederet: sed utrumque aeternum est. AD QTiARTUM DICENDUM quod, cum aliquis dicitur per aliquid operari, non semper recipitur conversio: non enim dicimus quod martellus operetur per fabrum. Dic.imus a.utem quod ballivus operatur per regem: quia ballivi est agere, cum sit dominus sui actus. Martelli autem non est agere, sed solum agi: unde non designatur nisl ut instrumeintum. Dicitur autem ballivus operari per regem, quamvis haec praepositio per denotet medium, quia quanto suppositum est prius in agendo, tanto virtus eius est immediatior effectui: quia virtus causae primae coniungit causam secundam suo effectui: unde et prima principia dicuntur immediata in demonstrativis scientiis. Sic igitur, inquantum ballivus est medius secundum ordinem suppositorum ageniium, dicitur rex operari per iballivum: secundum ordinem vero virtutum, dicitur ballivus operarj per regem, quia virtus regis facit quod actio ballivi consequatur effectum. - Ordo autem non attenditur inter Patrem et Filium quantum ad virtutem; sed solum quantum ad supposita. Et ideo dicitur quod Pater spirat per Filium, et non e converso.
cede prtnctpalmente dal Padre • non perchè proceda più da lui che dal Figlio, ma perchè la seconda persona ha dal Padre di poter spirare lo Spirito Santo"'· S. Girolamo poi affenna che lo Spinto Santo procede propriamente dal Padre, perchè Il Padre h,1 da se stesso, e non da altri, che lo Spirito Santo PIX>Ceda da lui ; mentre il Figlio lo ha dal Padre (cfr. I Sent., d. 12, q. 1, a. 2). • Si veda il testo di Agostino 15 De Trtntt., c. 26; cfr. anche nota precedente. • I primi principil si dicono immediati perchè generano l'evidenza, non già mediante una dimostrazione, ma con la semplice comprensione dei termini che formano l'enunziato. - Alla loro emcacla nell'ordine conoscitivo S. Tommaso pa. ragona l'emcacla della causa prima nell'ordine reale. Infatti chi dà emcacia alle cause intermedie se non l'influsso della causa prima?
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 36, a. '
ARTICOLO' Se il Padre e il Figlio siano un unico principio dello Spirito Santo. 1
SEMBRA che il Padre e il Figlio non siano un unico principio dello Spirito Santo. Infatti: 1. Non pare che lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figlio in quanto sono una cosa sola. Non [in quanto sono tali] nella natura, perchè allora lo Spirito Santo che ha anch'egli la medesima natura procederebbe da se stesso. Non [in quanto lo sono] in qualche proprietà, perchè evidentemente una stessa proprietà non può convenire a due persone. Perciò lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figiio in quanto sono distinti. Quindi essi non formano un solo principio dello Spirito Santo. 2. Quando si dice che il Padre e il Figlio sono un solo principio dello Spirito Santo, non si può indicare con ciò un'unità personale: perchè allora sarebbero una sola persona. E neppure un'unità di proprietà: perchè se per un'unica proprietà il Padre e il Figlio sono un unico principio, ver le due proprietà esistenti nel Padre questi sarebbe due principii, uno del Figlio e l'altro dello Spirito Santo, il che è inammissibile. Dunque il Padre e il Figlio non sono un unico principio dello Spirito Santo. 3. Il Figlio non è unito al Padre più dello Spirito Santo. Ma il Padre e lo Spirito Santo non formano un unico principio di persona divina. Quindi [non lo formano] neppure il Padre e il Figlio. 4. Se il Padre e il Figlio non sono che un unico principio dello Spirito Santo, quest'unico [principio] o è il Padre o non è il Padre. Ma nessuna delle due cose si può ammettere: perchè se fosse il Padre, allora il Figlio sarebbe identico al Pad:re ; e se non fosse il Padre, ne verrebbe che il Padre non è il Padre. Perciò non si può dire che il Padre e il Figlio formino un unico principio dello Spirito Santo. 5. Se il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo, evidentemente si può anche dire il rovescio, e cioè che l'unico principio dello Spirito Santo è Padre e Figlio. Ma questo è falso: perchè principio o sta per la persona del Padre o per quella del Figlio ; e in tutti e due i casi la proposizione è falsa. Perciò è falsa anche la reciproca, cioè che il Padre e il Figlio sono un unico principio deUo Spirito Santo.
6. L'unità di due cose nella sostanza le rende identiche. Se dunque il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo ne segue che sono uno stesso e identico principio. Ma questa affermazione molti la negano. Perciò non si deve ammettere che il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo. 7. Si dice che il Padre, il Figlio e lo Spirito Sant°' sono un unico Creatore, perchè sono un unico principio delle creature. Ma il Padre 1 FC>Zlo attribuisce ai cattolici l'opinione che lo Spirito Santo risulta da due principll indipendenti, come un lago riempito da due corsi d'acqua. - s. Ago-
LA PERSONA DELLO SPIRITO SANTO
ARTICULUS 4 Utrum Pater et Filius sint unum principium Spiritus SanctL I Sent., d. 11,
aa. 2, 4; d. 29, a. 6; 4 Cont. Gent., c. 25.
AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Pater et Filius non sint unum principium Spiritus Sancti. Quia Spiritus Sanctus non videtur a Patre et Filio procedere inquantum sunt unum: neque in natura, quia Spiritus Sanctus sic etiam procederet a seipso, qui est unum cum eis in natura ; neque etiam inquantum sunt unum in aliqua proprietate, quia una proprietas non potest esse duorum suppositorum, ut videtur. Ergo Spiritus Sanctus procedit a Patre et Filio ut sunt plures. Non ergo Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sa.ncti. 2. PMETEREA, cum dicitur, Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, non potest ibi designari unitas personalis: quia sic Pater et Filius essent una persona. Neque etiam unitas proprietatis: quia si propter unam proprietatem Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, pari ratione, propter duas proprietates Pater videtur esse duo principia Filii et Spiritus Sancti ; quod est inconveniens. Non ergo Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti. 3. PRAETEREA, Filius non magis convenit cum Patre quam Spiritus Sanctus. Sed Spiritus Sanctus et Pater non sunt unum principium respectu alicuius divinae personae. Ergo neque Pater et Filius. 4. PRAETEREA, si Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, aut unum quod est Pater; aut unum quod non est Pateir. Sed neutrum est dare: quia si unum quod est Pater, sequitur quod Filius sit Pater ; si unum quod non est Pater, sequitur quod Pater non est Pater. Non ergo dicendum est quod Pater et Filius sint unum principium Spiritus Sancti. 5. PRAETEREA, si Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, videtur e converso dicendum quod unum principium Spiritus Sancti sit Pater et Filius. Sed haec videtur esse falsa: qllld.a hoc quod dico principium, oportet quod supponat vel pro persona Patris, vel pro persona Filii ; et utroque modo est falsa. Ergo etiam haec est falsa, Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti. 6. PRAETEREA, unum in substantia facit idem. Si igitur Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti, sequitur quod sint idem principium. Sed hoc a multis negatur. Ergo non est concedendum quod Pater et Filius sint unum principium Spiritus Sancti. 7. PRAETEREA, Pater et Filius et Spiritus Sanctus, quia sunt unum principium creatura.e, dicuntur esse unus Creator. Sed Pater et Fi-
stlno prevedendo l'errore, si domandava: •Ci saranno cosl due prtnciplt t Guudlamocl bene dall'affermarlo. Ma se è prl·nclplo U Padre ed è principio n Fl· gllo, come non saranno due prlncipii? Allo stesso modo che confessando Dio 11 Padre e mo Il Figlio, non diciamo però che sono due dèl • (In Ioann., tract. 39, 2). - S. Tommaso esamina con circospezione le formule teologiche legate a questa soluzione.
204
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 86, a. 4
e il Figlio, per molti [teologi], 1 non sono uno ma due spiratori. E qiuesto è conforme a quanto dice S. Ilario, che lo Spi,rito Santo "si deve rit.enere denivato dal Padre e dal Figlio come da S'UOi autori"· Perciò il Padre e il Figlio non sono un principio unico dello Spirito Santo. IN CONTRARIO: Dice S. Agostino che il Padre e il Figlio sono un solo principio, e non due principii dello Spirito Santo. 2 RrsPONDO: n Padre e il Figlio sono in tutto e per tutto una stessa cosa, eccetto in quello in cui mette distinzione l'opposizione 9elle relazioni. Ora, siccome nell'essere principio dello Spirito Santo non e' è questa opposizione tra loro, ne segue che il Padre e il Figlio sono un solo principio dello Spirito Santo. Tuttavia alcuni dicono che l'espressione, il Padre e il Figlio sono un solo principio deUo Spirito Santo, è impro1)ria. Perchè il termine principio, pre.so al singolare, non significando persone ma proprietà, 3 sarebbe usato come aggettivo : e siccome un aggettivo non si può determinare con un altro aggettivo, sostengono che non si può dire che il Padire .e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo: a meno che quell'uno [unum] non si prenda come avverbio, in modo da dare questo senso: [il Padre e il Figlio] sono unitamente, cioè con un unico procedimento, principio [dello Spirito Santo]. - Ma allora si potrebbe analogamente dire che il Padre è due principii, cioè del Figlio e dello Spirito Santo, perchè lo è con due diversi procedimenti. Perciò riteniamo che sebbene il termine principio significhi una proprietà, tuttavia la significa come sostantivo: nel modo che si usano i termini padre e fiqlio, anche parlando delle creature. Perciò, come tutti i sostantivi, riceve il nmhero dal concetto stesso che esprime. 1 Dunque a quel modo che il Padre e il Figli.o sono un unico Dio per l'unità del concetto espresso dal termine Dio ; cosi sana un unico principio dello Spirito Santo per l'unità della proprietà indi. cata dal termine principio. SOLl'ZIONE DELLE ll!FFICOLT.~: 1. Se si bada alla virtù spirativa, [si può dire che] lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio in quanto sono una còsa sola per tale virtù spirativa, che, come Fii dirà in seguito, in un certne dalla generazione che procede da uno. E l'unità del due sa· rebbe allora principalmente di carattere affettivo: concordia nel comunicare a un terzo la divinità. Questi teologi mirano cosi a stabilire due sptratorl (vedi p. 204, nota 1). S. Tommaso Invece preferisce insistere sul fatto che qui abbiamo una untca spiraztone, e quindi un solo principio sptratore. Perciò egli preferirà illu· strare H mistero della sece>nda processione, partende> dall'analogia dell'amore che un essere spirituale porta a se stesso. Cosi il Dottorn Angelico sa di essere più aderente alle formule di S. Agostino (cfr. 5 De Trtntt .. c. 14).
QUAESTIO 37 De nomine Spiritus Sancti quod est amor tn duos arttculos dtvtsa.
Deinde quaeritur de nomine Amoris [cfr. q. 36, Prol.]. Et circa hoc quaeruntur duo. Primo: utrum sit proprium nomen Spiritus Sancti. Secundo: utrum Pater et Filius diligant se Spi.ritu Sancto. ARTICULUS 1 Utrum Amor sit proprium nomen Spiritus SanctL 1 Sent., d. 10, a. 1, ad 4; d.
cn, , q. 2, a. 2, qc, 2.
AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Amor non sit proprium nomen Spiritus Sancti. Dicit enim Augustinus, 15 De Trinit. [c. 17]: 11 Nescio cur, sicut sapientia dicitur et Pater et Filiu·s et Spiritus Sanctus, et simul omnes non tre& sed una sapientia, non ita et caritas dicatur Pater et Filius et Spiritus Sanctus, et simul omnes una caritas n. Sed nullum nomen quod de singulis personis praedicatur et de omnitbus in communi singulariter, est nomen proprium alicuius personae. Ergo hoc nomen amor non est proprium Spiritus Sancti. 2. PRAETERElA, Spiritus Sanctus est persona sUJbsistens. Sed amor non significatur ut persona subsistens: sed ut a.etio quaedam ah amante transiens in amatum. Ergo amor non est proprium nomoo Spiritus Sancti. 3. PRAETEREA, amo·r est nexus amantium: quia secundum Dionysium, 4 cap. De Div. Nom. [lect. 12], e8't "quaedam vis unitiva n. Sed nexus est medium inter ea quae connectit: non autem aliquid ab eis procedens. Cum igitur Spiritus Sanctus procedat a Patre et Filio, sicut ostensum est [q. 36, a. 2], videtur quod non s.it amor aut nexus Patris et Filii. 4. PRAETEREA, cuiuslibet arnantis est aliquis amor. Sed Spiritus Sanctus est amans. Ergo eius est aliquis amor. Si igi'tur Spiritus Sanctus est amor, erit amor amoris, et spiritus a spiritu. Quod est inconveniens. SED co~TRA EST quod Gregorius dicit, in Homilia Pentecostes [Homil. :m fn E'l!!ang.]: «Ipse Spiritus Sanctus est Amor». I
I
• Il +ome Amore preso in senso personale, come frutto o termine della processione dell'amore, è proprio della terza Persona. Per quanto la Scrittura non ne parli e5plicltamente, tuttavia vi si trovano qua e là accenni: "Carissimi, amiamoci l'~'altro perchè la carità è da Dio. E chi ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha cono&eiuto Dio perché Dio è amore" (I' Giov., 4, 7-8) ; •l'amore tno s'è riversato nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato .. (Rom., 5, 5). - Secondo I Padri greci invece, lo Spirito Santo, per quanto riceva varie denominazioni, ha però un sol nome proprio; e questo è Spirtto Santo (cfr. DE Ri:GNON, op. cit., voi. IV, p, 352). - I latini, ad es., Ambrogio, Agostino, Gregorio Magno, ecc., dànno come nome proprio della terza Persona anche 11 nome Amore o Carttà. Lo stesso nome si ritrova nella Liturgia: •Veni creator Spiritus.... fons
210
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. :rl, a.. 1
RISPONDO: Il termine amore parlando di Dio può riferirsi all'essenza o alle persone. Se riferito a una persona è nome proprio dello Spirito Santo; come Verbo è nome proprio del Figlio. Per chiarire la cosa si deve tener presente che in Dio ci sono, come si è detto sopra, due processioni: una Q_i ordine intellettivo, cioè la processione del Verbo; l'altra di ordine volitivo, cioè la processione dell'Amore. Siccome però la prima ci è più nota, per indicare le singole cose che ad essa si riferivano furono trovati nomi adatti ; ma non fu così invece per la processione d'ordine v-0litivo. E allora, per indicare la persona procedente, siamo obbligati ad usare delle circonlocuzioni: e anche le relazioni che sorgono da tale process.ione le indichiamo, eome si è detto, con i nomi di processione e di spirazione ; i quali, però, propriamente presi, sono nomi che indicano più l'origine che la relazione. Tuttavia le due processioni si devono analizzare allo stesso modo. 1 Infatti, quando uno intende qualcosa si· forma in lui un concetto mentale di ciò che intende, cioè il verbo ; così, per ciò stesso che uno ama qualcosa, risulta in lui, nel suo affetto, un'impressione, per così dire, dell'oggetto amato, in forza della quale l'amato si dice nell'amante, 2 come la c>0sa intesa in chi la intende. Perciò quando uno intende e ama se medesimo, è in se steso;o non solo perchè identico a se medesimo, ma anche perchè oggetto d.ella propria intelligenza e del proprio amore. Ora, per quanto riguarda l' intelletto furono trovate parole adatte per indicare il rapporto della mente che intende con la cooo. capita, come appare evidente dal termine intelligere, e se ne trovarono anche altre per indicare l'emanazione dell'idea, cioè dicere e verbum. Per questo, nel parlare di Dio, inteUigere, che non indica un rapporto con il verbo mentale procedente [dal!' intelligenza], si usa soltanto come termine essenziale: mentre Verbo, che significa ciò che procede, si usa solo come termine personale; e dicere, che indica la relazione tra il principio del Verbo e il Verbo stesso, è riservato per la nozione.• - Invece per quanto riguarda la volontà, oltre ai termini diligere e amare, che stanno a indicare la relazione di chi ama virus, ignis, ca1'ttas et spirital!s unctlo .... ». C-Osl si legge pure in un Simbolo dl fede del Concilio di Toledo del 675: " [Lo Spirito Santo] è conosciuto come la carità e la santità di entrambi [cioè, del Padre e del Figlio]" (DENZ., 277). - Lo stesso concetto illustra poeticamente con meravigliosi versi l'Alighieri: e Ne la profonda e chiara sussistenza de I'a.lto lume parvermi tre giri di tre colori e d'una. oontenenza; e l'un da l'altro come iri da. lri parea. refiesso, e 'l terzo parea loco che quinci e quindi lgualmente si Ispiri. • (Paradiso, XXXIII, 115-120.)
' n
perfetto parallell~mo che qui S. Tommaso ha voluto stablllre tra tntellezlone e volizione si trova esclusivamente nella Somma Teologtca. Altrove egli insiste piuttosto nel far notare le divergenze tra le due forme dell"attivltà spi· rituale (cfr. De Vertt., q. 4, a.. 2, ad 7). L'appa1'€nte contraddizione ci porta a pensare che gli elementi risultant.t dall'analisi dell'amore vanno presi non ln senso univoco ma in senso analogico, cioè come aspetti pensabili di quell'attività ml· steriosa che è l'amore, e non come entità definite (cfr. SOM. FRANC., La Trtntté, Il, pp. 401-409). • In merit-O va ricordato quanto si legge nel 4 Cont. Gent .. c. 19: «L'amato è nell'amante, non come somiglianza specifica, a quel modo che la cosa pensata à
IL NOME AMORE
211
REsPONDEO DICENDUM quod nomen amoris in divinis sumi potest et essentialiter et personaliter. Et secundum quod pers-onaliter sumitur, est proprium nomen Spiritus Sancti; sicut Verbum est proprium nomen Filii. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod, cum in divinis, ut supra [q. 27, aa. 1, 3, 5] ostensum est, sint duae processiones, una per modum intellectus, quae est processio verbi; alia per modum voluntatis, quae est processio amoris: quia prima est nol:>is magis nota, aJ singula significanda quae in ea considerari possunt, sunt magis propria nomina adinventa ; non autem in processione voluntatis. Unde et quibusdam circumlocutionibus utimur ad siguifìcandam personam procedentem: et relationes etiam quae accipiuntur secundum hanc processionem, et processionis et spirationis nominibus nominantur, ut supra [ q. 28, a. 4] dictum est; qua.e tamen sunt magis nomina origini.s quam relationis, secundum proprietatem vocabuli. Et tamen similiter utramque processionem considera.TI oportet. Sicut enim ex hoc quod aliquis rem aliquam intelligit, provenit quaedam intellectualis conceptio rei intellectae in intelligente, quae dicitur verbum ; ita ex hoc quod aliquis rem aliquam amat, provenit quaedam impressio, ut ita loquar, rei amatae in affectu amantis, secundurn quam arnatum dicitur esse in amante, sicut et intelle-cturn in intelligente. Ita quod, curn aliquis seipsurn intelligit et amat, est in seipso non so.Jurn per identitatern rei, sed etiam ut intellectum in intelligente, et arnatum in amante. Sed ex parte intellectus, sunt vocabula adinventa ad significandum respecturn intelligentis ad rem intellectam, ut patet in hoc quod dico intelligere: et sunt etiam alia vocabula adinventa ad signifìcandurn processurn intellectualis conception.is, scilicet ipsum dicere, et verbum. Unde in divinis intelligere solum essentialiter dicitur, quia non importat hrubitudinem ad vel'lburn procedens: sed Verbum personaliter dicitur, quia signifìcat id quod procedit: ipsum vero dicere dicitur notionaliter, quia importat habitudinem principii Ver1bi ad Verbum ipsum. - Ex parte autem voluntahis., praeter diligere et amare, quae important habitudinem amantis ad rem amanel pensante•, ma come Inclinazione e In certo senso come • Impulso Interiore• che spinge l'amante verso la cosa amata. • Abbiamo quindi tre serie di nomi e di verbi. Alcuni Indicano Il rapporto che vige tra la mente conoscente e l'oggetto conosciuto: essi sono conoscere e cogntzione ; tntendere e tntelleztone, sapere e sctenza. Detti termini, trasferiti In Dio, si usano solo in senso essenziale, poichè, essendo egli l'essere assoluto che trascende infinitamente I differenziamenti del nostro essere e del nostro conoscere. l'attualità del!' _intendere In Dio non è qualcosa di accessorio, ma costituisce Il suo stesso essere, la sua propria e,;. Spirito Santo si dice legame tra il Padre e il Figlio in quanto è Amore ; infatti il Padre con un unico amore ama se stesso e il Figlio, e inversamente [il Figlio ama cos.ì il Padre], quindi nello Spirito Santo, in quanto Amore, è implicitO! un rapporto del Padre al Figlio, e viceversa, oome di a.mante alla cosa amata. Ma per ciò stesso che il Padre e il Figlio si amano vicendevolmente, è necessario che questo mutuo amore che è lo Spirito Santo proceda da ambedue. Quindi a motivo di tale origine lo Spirito Santo non è un semplice dato intermedio, ma una terza persona nella Trinità. Secondo il predetto rapporto invece è un legame che unisce le due persone e che procede dall'una e dall'altrn. !~. Come non appartiene al Figlio di produrre il verbo quantunque anch'egli intenda, perchè l'intendere gli conviene come a Verbo procedente; così sebbene lo Spirito Santo ami come partecipe dell'essenza divina, tuttavia non gli appartiene di spirare l'amore, che è atto nozionale; perchè egli, anche come partecipe dell'essenza divina, ama in quanto è Amore che procede, non in quanto è amore che S'pira. 2 1 I commentatori dell'Aqujnate hanno parlato di un "pondus » o Inclinazione della volontà, che fa da contrapposto al verbo dell'atto tntellettlvo. L'analogia cosi spiegata tra le due faooltà non ha. convinto I teologi di altre scuQJ.e, i quali
IL NOME AMORE
213
tam, non sunt aliqua vocabula imposita, quae importent habitudinem ipsius impressionis ve.I affect.ionis rei amatae, quae provenit in amante ex hoc quod amat, ad suum principium, aut e converso. Et ideo, propter vocabulorum inopiam, huiusmodi habitudines sjgnificamus vocabuJi.s amoris et dilectionis; sicut si Verbum nominaremus inteUigentiam conceptam, vel sapientiam genitam. Sic igitur, inquantum in amore vel dilectione non importatur nisi habitudo amantis ad 1"em amatam, amor et diligere essentialiter dicuntur, sicut intelligentia et intelligere. Inquantum vevo his vocabulis utimur ad exprimendam habitudinem eius rei quae procedit per modum amoris, ad suum principium, et e converso ; ita quod per amorem intelligatur amor procedens, et per diligere intelligatur spirare amorem procedentern: sic Amor est nomen personae, et diligere ve! amare est verbum notionale, sicut dicere ve! generare. AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod Augustinus loquitur de caritate, secundum quod essentialiter sumitur in divinis, ut dictum est [in corp.]. AD sECUNDUM DICENDUM quod intelligere et velle et amare, licet significentur per modum actionum transeuntium in obiecta, suirt tamen actiones manentes in agentibus, ut supra [q. 14, a. 2; q. 18, a. 3, ad 1] dictum est ; ita tamen quod in ipso agente irnportant hrubitudinem quandam ad obiectum. Unde amor, etiam in nobis, est aliquid manens in amante, et verbum cardi!> manens in dicente ; tamen cum habituùine ad rem verbo expressam, veJ amatarn. Sed in Deo, in quo nullurn est accidens, plus habet: quia tam Verbum quam Amor est subsistens. Cum ergo dicitur quod Spiritus Sanctus est amor Patris in Filium, vel in quidquam aliud, non significatur aliquid transiens in alium ; sed solum habitudo amoris ad rem amatam ; sicut et in Verbo irnpnrtatur habitudo Verbi ad rem Verbo expressam. AD TERTIUM DICENDl;M quod Spiritus Sanctus dicitur esse nexus Patris et Filii, inquantum est Amor: quia, cum Pater amet unica dilectione !'e et Filium, et e converso, importatur in Spiri.tu Sancta, prout est Amor, habitudo Patris ad Filium, et e conveirso, ut amantis ad amaturn. Sed ex hoc ipso quod Pater et Filius se mutuo amant, oportet quod mutuus Amor, qui est Spiritus Sanctus, ab utroque procedat. Secundum igitur originem, Spiritus Sanctus non est me dius, sed tertia in Trinitate persona. Secundum vero praedictam habitudinem, est medius nexus d:uorum, ab utroque procedens. AD QUARTIJM DICENDUM quod, sicut Filio, licet intelligat, non tamen sibi competit producere verl:rnm, qui a intelligere convenit ei ut Verbo procedenti ; ita, licet Spiritus Sanctus amet, essentialiter accipiendo, non tamen convenit ei quod spiret amo.rem, quod est diligere notionaliter sumptum ; quia sic diligit essentialiter ut Amor procedens, non ut a quo procedit amor. preferiscono Illustrare Il mistero partendo dalla dilezione con la quale si amano tra loro le due prime P · one. S. Tommaso e la sua Scuola pur non negando che lo Spirito Santo è 'Amore sostanziale del Padre e del Figlio, pensa che la esplicazione teologica ebba cominciare dall"amore di un essere spirituale verso se stesso. 2 Pier lo Più, nell'Indicare i luoghi paralleli di questo articolo le edizioni si limitano. come fa I Leon)na. al Sententtarum. Nessun arcenno al 4 Coni. Gent., c. 19. SI trascura e si una delle esposizioni più complete della teoria psicologica, sostenuta da S. A ostino e perfezionata dall'Aquinate, per Illustrare il mistero della Trinità.
14- - il!
21'
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 37, a.. 2
ARTICOLO 18
Se il Padre e il Figlio si amino per lo Spirito Santo. 1 SEMBRA che itI Padre e il Figlio non si ainino per 10 Spirito Santo. Infatti: 1. S. Agostino p11ova che il Padre non è sapiente per la sapienza generata. Ma allo stesso modo che il Figlio è la sapienza generata, così lo Spirito Santo, come si è detto, è l'Amore procedente. Perciò il Padre e il Figlio non si amano per l'Amore procedente che è lo Spirito Santo. 2. Quando si dice che il Padre e il Figlio si amano per lo Spirito Santo, il verbo amare si prende o come termine essenziale o come termine nozionale. Se si prende come termine essenziale l'affermazione non può esser vera: perchè allora si potrebbe ugualmente dire che il Padre intende per il Figlio. E così neppure se si prende come termine nozionale : perchè allo stesso modo si potrelhbe dire c}le il Padre e il FigLio spirano per lo Spirito Santo o che il Padre genera per il Figiio. Perciò in nessun modo è vera la proposizione: il Padre e il Figlio si amano per lo Spirito Santo. 3. Per lo stesso amore i.I Padre ama il Figlio, se stesso e noi. Ma il Padre non si ama per lo Spirito Santo. Nessun atto nozionale infatti ritorna sul suo principio ; tanto e vero che non si può dire: il Padre genera o spira se stesso. Quindi non si può neanche dire che ami se stesso per lo Spirito Santo, se amare si prende come termine nozionale. Cosi pure l'amore per cui ama noi [creature] non è evidentemente lo Spirito Santo: perchè tale amore importa una relazione alle creature, quindi appartiene all'essenza [divina, noo ali~ persone]. Dunque la proposizione: il Padre ama il Figlio per io Spirito Santo, è falsa. IN CONTRARIO: Dice S. Agostino che lo Spirito Santo è l'amore «per cui il FigliQ è amato dal Padre e ama il Padre"· 2 RISPONDO: Nella questione la difficoltà sorge dal fatto che nell'enunciato: il Padre a.ma il Figlio per lo Spirito Santo [Spiritu sancto], a causa dell'ablativo che può essere aJblativo di agente, sembra che lo Spirito Santo sia causa dell'amore del Padre e del Figlio ; cosa affatto inammi·ssibile. Per questo alcuni• ritengono che la proposizione, il Padre e il F·iglio si amano per lo Spirito Santo, sia falsa, e che fu ritrattata implicdtamente da S. Agostino nella ritrattazione di quest'altra consimile: ((il Padre è sapiente per la sapienza generata». - Alcuni altri 4 dicono che è un'espressione impropria, che si dovrebbe spie.gare cosi: il Padre ama il Figlio per lo Spirito Santo, cioè mediante l'amore essenziale, che viene attribuito 1 Vale a dire: se 11 Padre e il Figlio, amandosi, si amino per l'amore personale; ossia se amandosi spirino l'Amore che è lo Spirito Santo. - Da notarsi che la preposizione per del quesito è traduzione approssimativa dell'ablativo latino [Spirltu Sancto]. che per la ricchezza dei suol significati si Pre6ta a molte Interpretazioni. Per con&ervare Il quesito nella !rua omogeneità abbiamo preferito tradurre con un per, che è preposizione assa.1 Indeterminata e che si avvicina alle funzioni e ai rapporti che ha lo Spirito Santo rispetto alle altre Persone.
IL NOME AMORE
215
ARTICULUS 2 Utrum Pater et Filius diligant se Spiritu Sancto. I Sent., d. 32, q. 1; De Pot., q. 9, &. 9, ad 13.
Ao SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Pater et Filius non cliligant se Spiritu Sancto. Augustinus enim, in 7 De Trinit. [c. 1], probat quod Pater non est sapiens sapientia genita. Sed sicut Filius esi sapientia genita, ita Spiritus Sanctus est Amor procedens, ut dictum est [a. praec.]. Ergo Pater et Filius non diligunt se Amore procedente, qui est Spiritus Sanotus. 2. PRAETEREA, curo dicitur, Pater et Filius diiigunt se Spiritu Sancta, hoc verbum dilìgere aut sumitur essentialiter, aut notionaliter. Sed non potest esse vera secundum quod sumitur essentialiter: quia pari ratione posset dici quod Pater inteUigit Filio. Neque etiam se-cundum quod sumitur notkmaliter: quia pari ratione posset dici quod Pater et Filius spirant Spiritu Sancto, vel quod Pater generat Fiiia. Ergo nullo modo haec est vera, Pater et Filius diligunt se Spiritu Sancto. 3. PRAETEREA, eodem amore Pater dilig1t .Filium, et se, et nos. Sed
Pater non diligit se Spiritu Sancto. Quia nullus actus notionalis reftectitur super principium actus: non enim poct.est dici quod Pater generat se, vel spirat se. Ergo etiam non potest dici quod diligat se Spiritu Sanc~o, secundum quod ·diligere sumitur ootionaliter. Item, amor quo diligilt nos, non videtur esse Spiritus Sanctus: qui a importatur respectùs ad creaturam, et ita ad essentiam pert.inet. Ergo et haec est falsa, Pater diCigit Filiurn Spiritu Sancta SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, 6 De Trinit. Le. 5], quod Spiritus Sanctus est «quo Genitus a Generante diligitur, Genitoremque S'Uum diligit "· RESPONDEO DICENDUM quod circa hane quaeshonem difficultatem affert quod, cum dicitur, Pater diligit Filium Spiritu Sancta, cum ablativus cons1ruatur in habitudine alicuius causae, videtur quod Spiritus Sanctus sit princtpium diligendi Patri et FiJio ; quod est omnino impossibile. Et ideo quidam dixerunt hanc esse falsam, Pater et Filius diligunt se Spiritu Sancta. Et dicunt hanc esse retractatam ab Augustino in suo simili, cum scilicet retractavit [Retractat., L 1, c. 26] istam, "Pater est sapiens sapientia genita "· - Quidam vero dicunt quod est propositi.o impropria; et est sic exponenda: Pater diligit Filium Spiritu Sancto, id·est amore essentitili, qui appropria• Da questa e da analoghe formule agostiniane è nato il quesito dell'articolo. Quesito che aveva fortemente Impressionato Pietro Lombardo, Il qu,ale.-dlchiarava di non saperlo risolvere (I Seni .• d. 32). Se il Padre intende e~a per il Verbo e per lo Spirito Santo, le due ultime persone non dovranno a ere una priorità sul Padre? Come giustificare q~ste formule? I Maestri medi vali si misero al· l'opera. I • Cosi pensava Pietro di Poitijlrs (t 1205) (Sent., l. 1, c. 21) .11 fedele discepolo di PletJ·o Lombardo e Cancelliere delr Università Parigina. • Tra i sostenitori di questa soluzione, che pos.siamo deftnii:e molto ingegnosa, e che l'Aquinate non re:;.pingerà se non dopo una buona dJs~inzlone, troviamo Alessandro di Hales (Summa Theol., P. Il, o. 460).
216
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q.
~'
a. 2
per appropriazione allo Spirito Santo. - Altri poi 1 hanno detto che quello è un ablativo che indica segno ; e si avrebbe questo senso : lo Spirito Santo è il segno che il Padre ama il Figlio, in quanto da essi procede come amore. - Altri• invece sostengono che è un ablativo che indica causa formale: perchè lo Spirito Santo è l'Amore com cui formalmente &i amano di mutuo amore il Padre e il Figlio. Qualche altro• finalmente ritiene cbe si tratti di un complemento che indica l'effetto formale• e questi si avvicinano di più al vero. A chiarimentn di cruesto è da notare che d'ordinari.o le cose si denominano dalle loro forme [astratte], il bianco p. es., dalla bianchezza e l'uomo dall'umanità; perciò tutto quello da cui una cosa è denomi11ata si presenta sotto l'aspetto di forma. Così se dico: CO· stui è vestito con la 'Ceste, ques1o ablativo [vestimentoj funge da causa to·rmale, quantunq1 ' Considerando attentamente quefit'ultima pericope, possiamo facilmente scor, gere la soluzione tomistica di una questione piuttosto recente nel campo teologico. Data l' ln.slstenza di certe correnti filosofiche moderne nel presentare Dio
PERSO.NE ED ESSENZA
i43
Quandoque ergo hoc nomen Deus supponit pro essentia, ut curo dicitur, Deus creat: quia 'hoc praedicatum competit subiecto ratione formae significatae, quae est deitas. Quandoque vero supponit personam: vel unam tantum, ut cum dicitur, Deus generat; vel duas, ut cum dicitur DP,us SJ:irat ; vel tres, ut cum dicitur, "Regi saeculorum immortali, invisibili, soli Deo » etc., 1 Tim. 1, n. Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod hoc nomen Deus, licet conveniat cum terminis singularibus in hoc, quod forma significata non multiplicatur ; convenit tamen cum terminis communibus in hoc, quod forma significata invenitur in pluribus suppositis. Unde non oportet quod semper supponat pro e'ssentia quam significat. Ao sECUNDUM DICENDUM quod obiectio illa procedit contra illos qui dicebant quod hoc nomen Deus non hrubet naturalem su.ppositionem pro persona. Ao TERTIUM DICENDUM quod aliter se habet hoc nomen Deus ad supponendum pro persona, et hoc nomen homo. Quia enim forma significata per hoc nomen homo, idest humanitas, realiter dividitur in diversis suppositis, per se supponit pro persona; etiamsi nihil addatur quoù determinet ipsum ad personam, quae est suppositum distinctum. Unitas autem sive communitas humanae naturae non est secu!fdum rem, sed solum secundum considerationem: unde iste terminus homo non supponit pro natura communi, nisi propter exigentiam alicu1us additi, ut cum dicitur, homo est species. - S·ed forma significata per hoc nomen Deus, sciUcet essentia divina, e'st una et communis secundum rem. Unde per se supponit pro natura communi: sed ex adiuncto determinatur eius supposrno ad personam. Unde cum dicitur, Deus generat, ratione actus notionalis supponit hoc nomen Deus pro persona Patris. Sed cum dicitur, Deus non generat, nihil additur quod determinet hoc nomen ad personam Filii: unde datur intemgi quod generatio repugnet divinae naturae. Sed si addatur a.Jiquid pertinens ad pers.onam Filii, vera erit locutio; ut si dicatur, De11s genitus non generat. Unde etiam non sequitur, est Deus generans et est Deus non generans, nisi ponatur aliquid pertinens ad personas; ut puta si dicamus, Pater est Deus genera.ns, et Filius est Deus non generans. Et ita non sequitur quod sint plures dii: quia Pater et Filius sunt unus Deus, ut dictum est [a. praec. ]. Ao QUARTUM DICENDUM qu-0d haec est falsa, Pater genuit se Deum: quia ly se, cum sit reciprocum, refert id·em suppositum. Neque est contrarinm quod Augustinus dicit, Ad Maximum [Epist. 170], quod Deus Pater "genuit alternm se'" Quia ly se vel est casus ablativi; ut sit sensus, genuit alterum a se. Vel facit relationem simplicem, et sic refert identitatem naturae: sed est impropria vel emphatica locutio, ut sit sensus, genuit nlterum simillimum sibi. - Similiter et haec est falsa, genuit aliurn Deum. Quia licet Filius sit alius a Patre, ut supra [q. 31, a. 2] dictum est, non tamen est dicendum quod
e
come un essere astratto, vago confuso con l'universo, I teologi si chiedono se Dio sia da considerarsi un essere personale,__E all'unanimità hanno risposto in maniera affermativa. Ma come si spiega qtiesta personalità divina? La ragione cl dice che Dio è persona, in quanto è una sostanza intellettuale singolare, in· tegra, distinta da ogni altra realtà, ma non può afferrare la natura della per· sonalltà divina. Soltanto la fede ci può djre che la personalità misteriosa del· l'unico vero Dio abbraccia tre suppositl divini. Il teologo che parla di un Dio r>CI-sonale non pensa a un'unica Persona indistinta, ma a tre Persone.
244
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 39, aa. 4-5
già spiegato, non si può tuttavia dire che sia un altro Dio ; perchè si lascerel>be capire che i'aggettivo altro va r:iferit-0 al sostantivo Dio ; e allora si indicherebbe una diversità nella natura divina. Alcuni 1 però ammettono la proposizione genera un altro Dio, ma dànno ad altro valore di sostantivo, mentre di Dio ne fanno una semplice apposizione. Però questo è un modo di parlare improprio e si deve evitare, perchè può essere occasione di errore. 5. La frase, Dio genera un Dio che è Dio Padre, è falsa: perché Padre, formando un'apposizione col termine Dio, limita quest-0 nome a designare la persona del Padre ; in modo che si ha questo senso: genera un Dio che è lo stesso Padre; cosicchè il Padre sarebbe generato, il che è falso. Quindi è vero il contrario, che cioè Dio genera un Dio clie non è Dio Padre. - Tuttavia se Padre si prendesse non oome apposizione, ma come predicato di un'altra proposizione sottintesa, in modo da avere questo senso: genera un Dio che è quel Dio che è il Padre, allora l'affermativa sarebbe vera e la negativa falsa. Ma questa è un'interpretazione un po' forzata. Quindi è meglio rigettare senz'altro l'affermativa, ed ammettere come vera la negativa. Prevostino 2 però sosteneva che tanto l'affermativa quanto la negativa sono false. Perchè,. il pronome relativo che nell'affermativa si riferirebbe al soggetto, e neUa negativa si riferirebbe anche alla natura indicata [cioè, all'essenza divina] oltre che al soggetto. Quindi il senso dell'affermativa sarebbe che alla persona del Figlio conviene di essere il Padre. E il senso della negativa, che l' identità con Dio Padre va eliminata o negata non soltanto per la persona del Figlio, ma anche per la sua diirvinità. - Questo però si dimostra irragionevole: perchè, come dice il Filosofo, esattamente la stessa cosa può essere oggetto di affermazione e di negazione. ARTICOLO 5 Se i nomi essenziali presi in astratto possano designare le persone.•
SEMBRA che 1 nomi essenziali presi in astratto possano designare le persone, in modo da giustificare questa pro.posizione: l'essenza ge71.era l'essenz.a. Infatti: 1. S. Agostino dice: «Il Padre e il Figlio sono un'unica sapienza, perchè sono un'unica essenza; e considerati come distinti sono sapienza da sapienza, allo stesso modo che sono essenza da essenza"· 2. All'atto della nostra generazione o del nostro disfacimento si genera e si distrugge quanto è in noi. Ora il Figlio è generato. Dun· que essendoci in lui l'essenza divina, evidentemente anch'essa viene generata. 1 così insegna Guglielmo d'Auxerre nel passo sopra indicato. • Guglielmo Prevostlno [t c. 1210] aspose questa opinione personalissima nella sua opera principale- cioè nella Summa contra haerettcos (cfr SUMMA CANAD.). • Nomi essenziali in astratto sono: Dtvinttà, essenza dtvtna, ecc. Nell'articolo
PERSONE ED ESSENZA
245
sit alius Deus : quia intelligeretur quod hoc adiectivum alius poneret rem suam circa substantivum quod est Deus ; et sic significaretur distinctio deitatis. - Quidam tamen concedunt istam, genuit alium Dcum: ita quod ly alius sit substantivum, et ly Deus appositi ve construatur cum eo. Sed bi.e est improprius modus loquendi, et evitandus, ne detur occasio erroris. AD QUINTUM DICENDUM quod haec est falsa, Deus genuit Deum qui est Deus Pater: quia, cum ly Pater appositive construatur cum Iy Deus, restringit ipsum ad standum pro persona Patris ; ut sit sensus, genuit Deum qui est ipse Pater: et sic Pater esset genitus, quod est falsum. Unde negativa est vera, genuit Deum qui non est Deus Pater. - Si tamen intelligeretur constructio non esse appositiva, sed aliquid esse interponendum ; tunc e converso affirmativa esset vera, et negativa falsa ; ut sit sensus, genuU Deum qui est Deus qui est Pater. Sed haec rsi extorta exposiUo. Unde · meli.us est quod simpliciter affirmativa negetur, et negativa concedatur. Praepositivus tamen dixit quod tam negativa quam affirmativa est falsa. Quia hoc relativum qui in affirmativa potesi referre suppositum: sed in negativa refert et significatum et suppositum. Unde sensus affirmativae est, quod esse Deum Patrem conveniat persona.e Filii. Negativae vero sensus est, quod esse Deum Patrem non tantum removeatur a persona Filii, sed etiam a divinitate eius. - Sed hoc irrationabile videtur: cum, secundum Philosophum [T'eri Hermen., c. 6, !ect. 10], de eodem de quo est affirmatio, possit etiam esse negatio.
ARTICULUS 5 Utrum nomina essentialia in abstracto significata possint supponere IJro persona. I Sent., d. 5, q, t, aa. t, 2; De Un. Verb., a. 1, ad 12; Contra errores Graec., c. t: In Decretai., 2. ·
AD QUINTT.JM SIC PROCEDITUR, Videtur quod nomina essentiaUa in abstracto significata possint supponere pro persona, ita quod haec sit vera, essentia generat essentiam. Dicit enim Augustinus, 7 De Trinit [c. 2]: «Pater et Filius sunt una sapientia, quia una essentia; et singillatim sapientia de sapientia, sicut esS'entia de essentia ». 2. PRAETEREA, generatis nobis vel corruptis, generantur vel corrumpuntur ea quae in nobis sunt. Sed Fi.Jius generatur. Ergo, cum essentia divina sit in Filio, videtur quod essentia divina generetur. si domanda se questi termini possano sostituire i nomi personali nello/ proposizioni che riguardano le Pl'OMS5!oni e le relazjoni trinitarie. Già Pietro ~,ombardo [t 116f:] aveva dn.to una risposta negativa al quesito, riconoscendno l' idea di Persona nell'ordine logie del pensiero, ma se si considerano come appropriati, possono anche essere posteriori agli attributi propri delle varie Persone. Infatti il colore, p. es., si concepisce come posteriOtl'e al corpo considerato oome corpo: ma se si conside~a il corpo come colorato, allora il bianco. si concepisce come autr:riore al corpo bia.nco. mente nei vari Siml'lolt dt fede, dove J.l Padre &I attrlbuiJSCOno ; nomi Dto, orrntpotente, creatore: allo Spirito Santo, si appropria la concezione verginale di Cristo nel seno di Maria, l' lsplrazi-0ne del profeti, la santificazione delle anime, !"assistenza divina della chiesa, ecc. 1 Come meglio s11iegherà In seguito (cfr. I, q. 45, a. 7: q. 93 per intero), I.e vestigia della Trinità, in un modo o nell'altro, si ritrovano In tutte le creature, perchè in tutte e' è qualche cosa che non si può spiegare con i soli attributi di Dio, senza ulteriormente risalire alla Trinità; quando però &i sappia già in antecedenza, per fede, che la causa prima è costituita In tre persone distinte. Infatti non dobbiamo credere che Il mistero della Trinità si possa conoscere per Induzione dalle creature. • L'appropriazione non è già l'attrlbuzlone di una data perfezione assoluta ad una persona divina, come se tale attributo appartenesse a questa. In modo particolare, o In modo ~scluslvo. Cosi Intesa l'appropriazione sarebbe un erTore, polchè una e Identica essendo la natura nelle singole persone, numericamente ldentJ.cl sono pure gli attributi assoluti che essa Importa. Pertanto non può aver luogo l'appropriazione se si parla semplicemente di attribuzione, In quanto espressl, nt Augustinus, 10 De Trinit. [c. I lj, dicit. U,;us ergo quo Pater et Filius se iuvicem fruuntur, convenit cum proprio Spiritus Sa.ncti, inquantum est Amor. Et hoc est quod Augustinus dicit [6 De Trinit., c. 10]: « Illa dilectio, delectatio, felicitas vel beatitudo, usus ab illo appellatus est"· - Usus vero quo nos fruimur Deo, similitudinem habet cum proprio Spiritus Sancti, inquantum est Donum. Et hoc ostendit Augustinus cum dicit [ibid.]: u Est in Trinitate Spiritus Sanctus, Genitoris Genitique suavitas, ingenti largitate atqu-e ubertate nos perfundens "· Et sic patet qual'e aeternitas, species et usus Personis attribuantur vel approprientur, non autem essentia ve! operat'io. Quia in ratione horum, propter sui communitatem, non invenitur aliquid similitudinem habens cum propriis Personarum. Secunda vero consideratio Dei est, inqvantum consideratur ut unus. Et sic Augustinus Patri appropriat unitatem, Filio aequaiitatem, Spiritui Sancta concordiam sive connexionem [cfr. arg. 2]. Quae quidem tria unitatem importare manifestum est: sed differenter. Nam unitas dicitur absolute, non praesupponenS' aliquid aliud. Et ideo appropriatur Patri, qui non praesupponit aliquam personam, cum sit principium non de principio. - Aequalitas autem importat unitat.em in respedu ad alterum: nam aequale est quod habet unam quantitatem cum alio. Et ideo aequalitas app.ropriatur Filio, quì est principium de principto. - Connexio autem irnportat unitatem aliquorum duorum. Unde appropriatur Spiritui Sancto, inquantum est a duobus. Ex quo etiam intelligi potest quod d.icit Augustinus, u tria esse essendo l'ultimo fine. - E facile poi constatare che il termine usus, nel slgnlflcato ad esso attribuito dalla teologia medioevale, trova solo una traduzione ap. prossimativa nella parola utilttà, da noi adottata in mancanza di meglio. 2 come si vede da questo brano e da altri consimili (cfr. q. 36, a. 4, ad 1: 11. 37, a. 1, ad 3; In Joann., c. 1, lect. 1), s. Tommaso non intende abbandonare la reciprocità dell'amore nello stabilire J1 costitutivo formale della spirazione. Più importanti e decisive, a questo proposito sono le parole che seguono: « Se si esclude lo Sp,irlto Santo, che è II ne$SO tra i due, non si potrebbe intendere l'unità di connessione tra il Padre e il Figlio"· Il rilievo è stato già fatto dal P. Robil· Jtarrl T.·A .. o. P. (cfr. Rul. Thom., voi. 5, n. 185), contro la tesi contraria difesa da Pr.Nmo T. L., "Glosses sui· la procession d'amour dans la Trinité "• in Ephem. Theot. lov., 1937, pp. 33-68 17 · li I
262
LA SOl\1l\1A TEOLOGICA, I, q. 39, a. 8
stino che "le tre [persone] sono una unità p~r. il Padre; sono ~guaii per il Figlio, e concordi o connesse per lo Spn-ito Santo». E e~1d~n~e infatti che o=i cosa si attribuisce [di preferenza] a quel pnnc1p10 nel quale a;zitutto essa si trova; così, P: es., si d~ce che !utti i viventi inferiori vivono per l'anima vegetativa, perche essa è 11 loro primo principio vitale. Ora l'unità si riscontra immediatamente nel Padre, anche se, per impossibile, non esistessero le altre Persone. Quindi le altre due l'hanno da lui. - Tolte però le altre Persone, non c'è nel Padre l'uguaglianza: essa sorge non appena si pone il Figlio. Perciò le altre persone che vengono denominate uguali lo devono al Figlio. Non che il Figlio causi l'uguaglianza del Padre, ma perchè se non ci fosse un Figlio uguale al Padre, il Padre non si potrebbe chiamare uguale: giacchè la sua uguaglianza si considera anzitutto in ordine al Figlio. Anche lo Spirito Santo se può dirsi uguale al Padre lo deve al Figlio. - Così pure, se si esch1de lo Spirito Santo, che è il nesso tra i due, non si potrelbbe intendere l'unità di connessione tra il Padre e il Figlio. Per questo si dice che tutte le Persone sono connesse per lo Spirito Santo: e la ragione si è che, soltanto dopo di aver posto lo Spirito Santo, si vede cme possano dirsi connessi il Padre e il Figlio. Dalla terza considerazione che consiste nel prendere in esame lrt efficacia di Dio nel causare si desume la terza appropriazione, quella cioè della potenza, della sapienza e della bontà. Tale appropriazione, se si bada a quanto di positivo si trova [in forza delle loro denominazioni: Padre, Figlio .... ] nelle Persone divine, si fa per via di somiglianza: invece se S'i bada a quanto di negativo [in forza di tali denominazioniJ c' è nelle creature, l'appropriazione viene fatta per via di dissomiglianza. 1 La potenza infatti presenta l'aspetto di principio.· E per questo ha una certa affinità col Padre celeste, che è principio di tutta la divinità. lnvece talora viene a mancare nel padre terreno in conseguenza della vecchiaia. - La sapienza offre una somiglianza col Figlio celeste che, in quanto Verbo, non è altro che il parto della sapienza. Ma talora viene a manca.re nei figli t,eq•. reni, per la loro tenera età. - La bontà, che è il movente e l'oggetto dell'amore, ha una certa analogia con lo Spirito divino che è Amore. Invece si presenta come elemento estraneo allo spirito terreno, 2 in quanto questo implica l'idea di violenza e di urto, secondo le parole della Scrittura: « lo 5pirito dei prepotenti è come una procella che abbatte le muraglie». La virtù infine si appropria al Figlio ed allo Spirito Santo, non nel significato di potenza, ma in quello di effetto della potenza, come le imprese poderose di uno si dicono sue virtù. • Stando alla quarta considerazione, che consiste nel prendere in esame i rapporti esistenti tra Dio e le cose create, abbiamo l'appropriazione di quei termini, ex quo dal quale, per quem per il quale e in quo nel quale. 4 La preposizione ex alcune volte indica un rapporto di causa materiale [ex = di], ma questa causa in Dio non può aver luogo. Altre volte indica un rapporto di causa efficiente [ex = da]. Causalità questa che conviene a Dio a motivo della sua potenza attiva: quindi [l'espressione dal quale] si appropria al Padre come • A questo i:roposito è bene ricordare quanto fu detto a p. 255, nota t. • • Lo spirito terreno • ln questo caso non è 11 vento, ma è piuttosto l' insieme
PERSONE ED ESSENZA
263
unum propter Patrem, aequalia propter Filium, connexa propter Spiritum Sanctum ». Manifestum est enim quod illi attribuitur unumquodque, in quo primo invenitur: sicut omnia inferiora dicuntur vivere propter animam vegetabHem, in qua primo invenitur ratio vitae in istis inferioribus. Unita.ç autem statim invenitur in perS'Ona Patris, etiam, per impossiibile, remotis aliis -Personis. Et ideo aliae Personae a Patre habent unitatem. - Sed /remotis aliis Personis, non invenitur aequalitas in Patre: sed statim, posito Filio, invenitur aequalitas. Et ideo dicuntur omnia aequaJia propter Filium: uon quod Filius sit principium aequalitatis Patri ; sed quia, nisi esset Patri aequalis Filius, Pater aequaliis non posset dici. Aequalitas enim eius primo consideratur ad Filium: hoc enim'\i-psum quod Spiritus Sanctus Patri aequalis est, a Filio habet. - symiliter, exc!uso Spiritu Sancto, qui est duorum nexus, non posset intelligi unitas connexionis inter Patrem et Filium. Et ideo dicuntur omnia esse connexa propter Spiritum Sanctum: quia, posito Spiritu Sancto, invenitur unde Pater et Filius possint dici connexi. Secundum vero tertiam considerationem, qua in Deo sutflcwns virtus consideratur ad causandum, sumitur tertia appropriatio, scilicet potentiae, sapientiae et bonitatis [cfr. arg. 3]. Quae quidem appropriatio fit et secundum rationem simiJitudinis, si consideretnr quod in divinis Personis est: et secundum rationem dissimilitudinis, si considàetur quod in creaturis est. Potentia enim haibet rationem principii. Unde habet similitudinern curn Patre caelesU, qui est principiurn totius divinitatis. Deficit autern interdum patri terreno, propter senectutem. - Sapientia vero sirnilitudinem habet cum Filio caelesti, inquantum est Ve:rbum, quod nihil aliud est quam conceptus sa.pientiae. Deficit autem interdurn filio terreno, propt·er temporis paucitatern. - Bonitas autiem, cum sit ratio et obiectum amoris, habet similitudinem cum Spiritu divino, qui est Amor. Sed repugnantiarn habere Viidetur a.d spiritum terre.num, secundum quod importat violentam quandam impulsionem ; prout dicitur Isa. 25, 4: « spiritus robustorum quasi turbo impellens parietern ». Virtus autem appropriatur Filio et Spil'litui Sancto, non secundum quod virtus dkitur ip.sa potentia rei: s1ed secundum quod interdum virtus dicitur id quod a potentia rei procedit, prout dicimus aliquod virtuosurn factum esse virtutem alicuius agentis. Secundum vero quartam considerationem, prout consideratur Deus in habitudine ad suos eftectus, sumitur illa. a.ppropriatio ex quo, per quem, et in quo [cfr. arg. 4]. Haec enim praepositio ex importat quandoque quidem habitudinem causae materialis, quae locum non habet in divinis: aUquando vero habitudinem causae efftcientis. Quae quidem cornpetit D~o ratione sua.e potentiae activae: unde et appropriatur Patri, sicut et potentia. - Haec vero di quegli sptrttt vttatt che, secondo I fisiologi dell'antichità, sarebbero stati all'origine di tutti i moti passjonali (cfr. Dtz. Tom., "Spirltus •>, 2). a Tanto in italiano che in -latino, quest'accezione del termine vtrtù è piuttosto !orzata e Inusitata. • s. Tommaso (Jui non 11omlna nessun Padre, perchè l'approprtaztone risaliva notoriamente a S. Paolo. Eccone Il testo, che ancora oggi serve come Capitolo del Vespri e delle Lodi nella !est:. della Trinità: " o profondità della ricchczz:i. e sapienza e conoscenza di Dio! oome imperscrutabili sono i suol giudizi, e non rint1·acclablli le ~ue vie ! Chi ha conosciuto il pensiero del Signore T o chi gli
264
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 39, a. 8
la potenza. La preposizione per invece qualche volta designa una causa intermedia, come quando diciamo che il fabbro opera per il martello. Allora il per non è un termine appropriato, ma addirittura prop'l'io ed esclusivo del Figlio, secondo l'espressione evangelica; '"Tutto per lui è stato fatto», Non che iJ Figlio sia strumento, ma perchè è principio derivante da un principio. Altre volte invece [il per] indica un rapporto oon la forma che serve alla causa agente pe.r operare, come quando diciamo che l'artefice opera per la sua arte. In questo senso il per quern viene appropriato al Figlio allo stesso modo che la sapienza e l'arte. - La preposizione in propriamente indica un rapporto di contenenza. Ora, Dio contiene le cose in due modi. Primo, per le loro idee o immagini rappresentative; cioè, in quanto sono in Dio come oggetto della sua scienza. E allora l'espressione in lui andrebbe appropriata al Figlio. Secondo, le cose sono contenute in Dio in quanto egli con la sua bontà le conserva e col suo governo le fa giungere al loro fine. In questo caso l'espressione nel quale va appropriata allo Spirito Santo come la bouta. ' E non è affatto necessario che il rapporto di causa finale, prima fra tutte le cause, sia appropriato al Padre che è principio senza principio: perchè le Persone divine, di cui il Padre è principio, non procedono da lui come tendenti a un fine, essendo ognuna dì loro l'ultimo fine, ma per processione naturale, che è piuttosto rispondente all'attributo essenziale di potenza. Quanto p