La letteratura italiana. Storia e testi. Giuseppe Parini. Poesie e prose. Con appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento [Vol. 48]

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LA LETTERATURA ITALIANA STORIA E TESTI DIRETTORI RAFFAELE MATTIOLI • PIETRO PANCRAZI ALFREDO SCHIAPFINI

VOLUME 48

GIUSEPPE PARINI

POESIE E PROSE CON APPENDICE DI POETI SATIRICI E DIDASCALICI DEL SETTECENTO

A CURA

DI LANFRANCO CARETTI

RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO· NAPOLI

TUTTI I DIRITTI RISERVATI • ALL RIGHTS RBSBRVBD PRINTBD IN ITALY

GIUSEPPE PARINI E POETI SATIRICI E DIDASCALICI DEL SETTECENTO

INTRODUZIONE

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I. GIUSEPPE PARINI IL GIORNO

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LE ODI

175

POESIE DI RIPANO EUPILINO

275 307

POESIE VARIE SCRITTI SULLA LINGUA E SULLA POESIA PROSE DI FANTASIA E SCRITTI VARI

447 557

LETTERE

625 Il. POETI SATIRICI

GIOVANNI LORENZO LUCCHESINI LODOVICO SERGARDI GIULIO CESARE CORDARA PIER JACOPO MARTELLO DOMENICO BALESTRIERI GIAN CARLO PASSERONI CLEMENTE BONDI

671 677 709 721 753 763 783

III. POETI DIDASCALICI GIROLAMO BARUFFALDI

805

GIAMBATTISTA ROBERTI

ANTONIO TIRABOSCO

819 837 849 863 887

CARLO CASTONE DELLA TORRE DI REZZONICO

899

LORENZO MASCHERONI

913

NOTA CRITICA AI TESTI

941

INDICE DEI CAPOVERSI

951 955

ZACCARIA BETTI GIAMBATTISTA SPOLVERINI BARTOLOMEO LORENZI

INDICE

INTRODUZIONE

Giuseppe Parini nacque a Bosisio, nella Brianza, da Francesco Maria Parini, commerciante in seta, e Angiola Maria Carpani, il 22 o 23 maggio 1729. Le sue origini popolane e campagnole ebbero un peso non indifferente nella formazione del suo carattere e contribuirono a radicargli quelle virtù di rude schiettezza, di vivace ardore, d'istintiva moralità, che poi, moderate e affinate dall'educazione letteraria ed artistica, costituiranno gli aspetti più cordialmente simpatici e suggestivi della sua personalità, Non si hanno notizie sicure sulla sua infanzia, ma sembra probabile che la sua prima istruzione sia stata affidata a due parroci del paese natale: Carlo Giuseppe Cabiati, morto nel 1736, e Carlo Giuseppe Gilardi, suo successore. A dieci anni fu mandato dal padre a Milano per proseguire gli studi, secondo quanto aveva disposto una vecchia prozia del poeta, Anna Maria Parini, che appunto nel 1739 aveva già espresse le sue volontà testamentarie, in virtù delle quali una parte dei suoi beni era destinata al padre del Parini e una rendita annua era promessa al nipote Giuseppe, a condizione che quest'ultimo continuasse a frequentare le scuole e divenisse sacerdote. A Milano il Parini superò l'esame di ammissione alle scuole Arcimbolde dei Barnabiti, nel settembre 1740, e negli anni 1740-52 frequentò le varie classi di grammatica, umanità, logica, teologia speculativa e morale. Ebbe come insegnante, .tra gli altri, il padre Onofrio Branda, con cui più tardi disputò aspramente nel corso di una celebre polemica. Alle Arcimbolde il Parini non si mostrò certo un allievo modello. Ripeté, infatti, alcune classi, e negli ultimi anni trascurò addirittura di assistere alle lezioni, accontentandosi di ottenere il certificato di frequenza. l\ila le ragioni, che giustificano' questo noviziato così poco brillante, sono molte: la istintiva antipatia del Parini per i mediocri e antiquati metodi pedagogici in uso nelle scuole ecclesiastiche del tempo; le sempre più disagiate condizioni economiche della famiglia, che lo costrinsero a procurarsi denaro copiando carte forensi e impartendo lezioni private; e infine, verso i vent'anni, la salute medesima che cominciò ad affliggere il poeta con i primi sintomi di quel male artritico che doveva poi recargli tormento per tutta la vita. Ma se poco veniva approfittando degl'insegnamenti scolastici, è anche vero che in quegli anni il Parini non mancò comunque di compiere privatamente con le

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proprie forze una personale esperienza culturale, leggendo liberamente, e sempre con avidità curiosa e partecipe, i classici latini (Orazio e Virgilio, soprattutto) e italiani, educandosi sin da allora al gusto e all'amore della poesia. Nel 1752 terminava gli studi alle Arcimbolde e contemporaneamente pubblicava un gruppetto di versi giovanili con il titolo di Alcune poesie di Ripa,zo Eupili110. Questi versi servirono a divulgare il suo nome tra i letterati milanesi e gli valsero ben presto l'ingresso nel1' Accademia dei Trasformati. Le poesie di Ripano Eupilino (novantaquattro componimenti in tutto, tra poesie serie e piacevoli: sonetti petrarcheschi d'amore e religiosi, sonetti berneschi, capitoli ed egloghe piscatorie) sono un documento assai importante, pur coi loro evidenti limiti di forza inventiva e stilistica, della prima educazione letteraria del poeta. Esse ci confermano, infatti, · che il giovane Parini non aveva del tutto perduto i suoi anni, qualunque fosse l' op i..; nione dei suoi maestri barnabiti, e che anzi, al contrario, aveva già saputo avviare e condurre innanzi, sia pure con prudenza e senza slanci avventurosi, un proficuo esercizio poetico, un'attiva sperimentazione dei vari moduli della poesia arcadica, sfoggiando uno stile classicheggiante ancora impersonale, è vero, ma quasi ovunque improntato ad una sostenutezza ferma e sicura, sotto cui si avverte ad ogni passo la fruttuosa lezione dei cinquecentisti. Ha pertanto ragione il Carducci quando definisce Ripano >, perché questi versi giovanili del Parini dimostrano effettivamente una maggiore consonanza con i più lontani modelli dell'Arcadia che non con i suoi esemplari contemporanei. Sotto questo punto di vista, perciò, la giovanile raccolta del 1752 rappresenta un momento senza dubbio positivo, anche per quanto di incondito e irresoluto recava ancora in sé, nell'itinerario artistico del Parini (che è un itinerario di continua e coerente maturazione stilistica), dal momento che proprio con essa il nostro poeta ha pagato il suo tributo ad un clima letterario non facilmente elusibile e nello stesso tempo, sia pure episodicamente, ha saggiato le sue forze e ne ha già dato anche qualche interessante saggio in certa scioltezza di linguaggio, in talune sottili ed eleganti inflessioni di tono, nelle frequenti quanto vivaci espressioni di un umore bizzarro e risentito. Ma soprattutto queste

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rime di Ripano dimostrano che sin dall'inizio il Parini era venuto stabilendo quel legame, tra la sua opera e la tradizione linguistica e la disciplina classica, che costituirà poi una tipica «costante>> della sua poetica e della sua arte, nonostante l'esuberanza di certe sue successive polemiche antiaccademiche e antipuristiche. Nel 1753 il Parini entrava a far parte dell'Accademia dei Trasformati, rinata a nuova vita per iniziativa del conte Giuseppe Maria Imbonati. Questa Accademia, di cui fecero parte numerosi letterati di grido, tra cui il Balestrieri, il Baretti, il Beccaria, il Passeroni, il Tanzi, ed anche uomini di scienza, cercò di conciliare la continuità della tradizione letteraria classica, secondo lo spirito più genuino dell'Arcadia, alla quale si sentiva idealmente collegata, con il rispetto, anzi l'amore, per la letteratura lombarda, la quale, dal Maggi al Balestrieri, aveva già dato segni di ricca vitalità. Quest'Accademia non s'interessava soltanto a problemi strettamente letterari, ma sceglieva i temi delle sue adunanze con libera e spregiudicata varietà. Fra i Trasformati, infatti, si discusse e si scrisse, in versi e in prosa, sul decadimento delle lettere, sulla guerra, sulla carità, sull'ignoranza, sui bachi da seta, sui viaggi, sulla giustizia, sulla botanica, sulla disuguaglianza di stato degli uomini, sulla fisica, sugli arricchiti ecc. In questo ambiente, partecipando con assiduità alla vita dell'Accademia, il Parini trovava modo di conciliare l'originario classicismo e la fedeltà alla tradizione, così evidenti nel suo esordio poetico, con la sua istintiva curiosità, in via di approfondimento e di maturazione, per i vari aspetti della vita contemporanea, con il suo interesse umano per la modernità. All'ombra dell'Accademia dei Trasformati, che ebbe vita fino al 1768, il Parini sostenne due vivaci polemiche linguistiche contro il padre Alessandro Bandiera (1756) e contro il padre Onofrio Branda ( I 760), entrambi accusati dal poeta di intendere la continuità della tradizione linguistica italiana in maniera eccessivamente pedantesca e di farsi difensori, soprattutto il Branda, d'un toscanismo scipito e artificioso. Ricorderemo che alla seconda polemica, la quale si risolse nella difesa della lingua milanese contro le denigrazioni del Branda, presero poi parte molti altri uomini di lettere tra cui i principali Trasformati. Intanto il Parini, che nel 1754 era

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stato ordinato sacerdote (conducendo così a compimento quella che era stata la volontà della prozia più che una sua intima vocazione), entrò come precettore nella casa del duca Gabrio Serbelloni, trovandovi la protezione della duchessa Vittoria, donna di molte virtù e di singolare temperamento. Alle dipendenze di casa Serbelloni il poeta rimase dal 17 54 al 1762, sino a quando cioè se ne allontanò volontariamente in seguito ad un contrasto con la duchessa, la quale aveva schiaffeggiato, in un impeto d'ira, la giovane figlia del maestro di musica Sammartino. L'episodio dello schiaffo e lo sdegno pariniano sono stati forse un po' troppo drammatizzati dai biografi del Parini, soprattutto da quelli a cui non è dispiaciuto dipingere il poeta con un'aureola vagamente ,, giacobina». In realtà non si trattò di cosa grave, nulla che trascendesse una reciprocità d'impulsi repentini (biasimevole quello della signora, generoso quello del poeta), tanto è vero che il Parini si riconciliò ben presto con la duchessa, alla quale continuò ad essere legato, per molti anni ancora, da cordiale amicizia e alla quale dedicò un'ode rimasta incompiuta ( Spesso de' malinconici sapienti). Ma, indipendentemente dal brusco congedo, la lunga permanenza in casa Serbelloni giovò grandemente al Parini perché lo mise direttamente a contatto con la vita aristocratica del tempo, con le sale fastose dei palazzi, i graziosi salotti delle conversazioni intime, i lieti svaghi delle villeggiature, i costumi preziosi e raffinati, la bellezza suggestiva delle donne e il perfetto cerimoniale dei cavalieri. La posizione del Parini rispetto a questo mondo, ricco indubbiamente di fascino e di attrattiva, era quella di un uomo diviso tra due opposti sentimenti. Da un lato egli non riusciva ad evitare di sentirsi istintivamente attratto dalla composta eleganza, dalla disinvolta misura, dal sapiente equilibrio, che tralucevano da quell'ambiente chiaro e luminoso; d'altro lato egli avvertiva una naturale ritrosia ad aderire sentimentalmente a quella vita, che gli si rivelava vuota ed oziosa sotto gli ameni inganni della superficiale leggiadria, una sorta di intima repugnanza ad associarvisi con fiducia e con candido abbandono. Perché quel mondo e quella società potevano, sì, lusingare in vario modo i sensi e il gusto artistico del Parini, fingendo agli occhi suoi un'immagine di classica armonia; e nondimeno non potevano non risvegliare in lui, con l'arida noia e

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il tetro disinganno che si celavano dietro le loro pure e terse parvenze, il suo generoso e severo spirito morale, la sua coscienza ricca di fermenti umanitari e sollecita della giustizia e della uguaglianza. Da questo stato d'ani~o, maturatosi tra il 1754 e il 1762 (in parte attraverso l'esperienza personale a cui si è accennato, e in parte attraverso l'assorbimento, per altro moderato, delle idee innovatrici provenienti dalla Francia e diffusesi rapidamente nell'ambiente milanese), è nato il Giorno, preceduto idealmente da quel Dialogo sopra la nobiltà (1757),'. in cui la polemica antinobiliare è espressa nella sua forma più energica e violenta, sfiorando talvolta l'acrimonia libellistica. Il Gior,zo vide la luce parzialmente negli anni 1763 (Mattino) e 1765 (Mezzogionio). Dalla dedica, premessa al Mattino, appariva eh~ il poeta aveva in animo, in un primo tempo, di completare presto l'opera sua con una terza parte, la Sera. Ma poi questa terza parte si venne sdoppiando in altre due (Vespro e Notte), alle quali il Parini non cessò mai di lavorare, così come non smise di correggere e mutare anche le prime due parti già pubblicate, senza tuttavia decidersi mai a stampare per intero il suo poemetto, nonostante le numerose sollecitazioni ricevute e le sue stesse promesse. Il Vespro e la Notte videro perciò la luce soltanto dopo la morte del poeta, per iniziativa dell'amico Francesco Reina. Questa laboriosa gestazione dell'opera, protrattasi per anni e anni e rimasta senza una risoluzione definitiva, ci rivela almeno due cose: il progressivo esaurirsi nel Parini dell'iniziale stimolo polemico, della giovanile accensione moralistica (così fervidamente esplosa nel Dialogo sopra la nobiltà), e la sua costante insoddisfazione stilistica, il suo desiderio di una sempre più assoluta perfezione poetica. Non solo, infatti, il confronto tra le prime due parti pubblicate e gli autografi delle ultime due, ma anche un esame delle correzioni e varianti che risultano inserite dal Parini nei manoscritti del Mattino e del Me:::4ogiorno, ci confermano lo spostamento dell'interesse pariniano dalla polemica antinobiliare, che pur aveva costituito il primo impulso dell'opera, alla descrizione artistica, nitida e controllata, in perfetto equilibrio ed armonia di toni e di sviluppi, di quel mondo settecentesco. Non è casuale, del resto, che tutte le correzioni del Giorno denuncino l'intento, da parte del poeta, di smorzare o almeno di attenuare in parte quanto

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vi era di più decisamente acceso nella prima stesura, di ricondurre il discorso poetico ad una linea rappresentativa più fluida e coerente. Questo non significa che il Parini non avvertisse più, col passare del tempo, l'antica antinomia tra la vuotezza morale della società aristocratica (ormai sorpresa dal suo occhio vigile di moralista e non facilmente obliabile) e l'eleganza delle sue apparenze, ma piuttosto che l'atteggiamento del poeta si era fatto più distaccato e lucido rispetto alla materia che trattava, che l'artista aveva ormai preso il sopravvento sul polemista e che la sua aspirazione non era tanto rivolta alla efficacia pedagogica dell'opera quanto alla evidenza, alla precisione e alla perfetta riuscita della sua forma artistica. Non gioverà quindi cercare nel G·ior110 (in questa elegantissima favola, in questa sapiente sceneggiatura della commedia che il giovane signore del tempo recitava mirabilmente ogni giorno con raro sincronismo di atteggiamenti) né un documento di poesia civile né la creazione fortemente incisiva, se non addirittura drammatica, di un carattere. Per questa via il Gionzo minaccerebbe di frantumarsi tra le nostre mani in una miriade di scaglie luminose, tanto attraenti quanto disutili o stucchevoli, e potrebbe anche ingenerare l'impressione, che alcuni hanno voluto criticamente suffragare, di un meccanismo arido e intellettualistico, di un puro giuoco e di una marionettistica vicenda. È necessario in sostanza non chiedere al Giorno ciò che esso non può darci, perché incompatibile con la natura per nulla rivoluzionaria ma appena riformistica del suo autore, limitandoci invece a interpretarlo per quello che effettivamente esso è o almeno per quello che esso è sempre più divenuto con gli anni nelle mani consapevoli del suo autore: cioè un'opera essenzialmente letteraria, tutta compenetrata di quell'ideale umanistico dell'arte che costitul il maggiore ideale del Parini. In questo modo molte riserve, già avanzate sul suo conto, verranno a cadere e il poemetto pariniano ci apparirà come uno specchio, quasi perfetto, del mondo settecentesco, ritratto con estrema perizia e con gusto sottile, con inimitabile virtù di mimesi, da una posizione che si è venuta via via disacerbando, permettendo al poeta, proprio per il distacco raggiunto e l'attenzione vigile alla rappresentazione artistica, la diversa e tuttavia duttile e sciolta alternativa della caricatura morale, se non anche della

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sanzione mordente, con gli indugi compiaciuti, le minuzie descrittive, i dorati arabeschi. Nel Giorno il poeta ha descritto la vita oziosa e corrotta della nobiltà milanese del suo tempo, con l'intendimento evidente di ironizzarla sotto l'apparenza di fame invece una glorificazione seria e convinta. Il Mattino contiene la proposizione del poema e quindi l'apostrofe al giovane signore, che è il protagonista· del poema e al quale il Parini si offre come precettore d' amabil rito. Segue la descrizione del risveglio dell'eroe, quando il sole è già alto, delle volubili conversazioni coi maestri di ballo, di canto, di violino e di francese, della prima vestizione e della lunga e laboriosa pettinatura, dell'abbigliamento e dell'ornamento, a cui seguono infine l'uscita dal palazzo del giovane signore e la lunga e frenetica corsa della carrozza che lo conduce al palazzo della dama prediletta. Nel Mezzogiorno l'ambiente si fa più vario e ricco, i personaggi si moltiplicano intorno al protagonista. Siamo alla tavola della dama e le conversazioni s'intrecciano, nei modi più impensati, intorno a vari argomenti: all'arte, al commercio, all'industria e alle scienze, con molta fatuità e con una diffusa ostentazione di spregiudicatezza e di modernità. Tra i tipi più interessanti che siedono a questa mensa, accanto alla felice coppia dei due giovani amanti, e alla figura comicamente paciosa e rassegnata del marito, si distinguono soprattutto il filosofo vegetariano e il carnivoro impenitente. Dal contrasto di questi due personaggi, dal cozzare delle loro opposte disposizioni sentimentali (una, languida e filantropica, che ignora gli uomini e trasforma in idoli le bestie ; e una, sanguigna e cinica, soltanto paga di soddisfare l'appetito) scaturisce l'episodio della «vergine cuccia», che è certo tra i più belli e meglio concertati di tutta l'opera. Dopo il pranzo, ecco il caffè; e intanto, fuori dal palazzo, a contrasto e irrisione di quella obliosa leggerezza, una turba d'infelici e di deformi s'accalca, attratta dalle lusinghe dei profumi e fiduciosa di confortare qui la propria fame. E dopo il caffè, subentra il giuoco fragoroso del tric-trac, suggerito un tempo da Mercurio per permettere i segreti colloqui d'amore tra gli amanti e per eludere la gelosia del marito, ma divenuto poi un puro e disinteressato giuoco di società, almeno da quando la gelosia è stata bandita dal mondo come uno dei tanti inutili pregiudizi che

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la nuova civiltà condanna. Qui ha termine il Mezzogiorno, ma nella stampa del 1765 esso continuava con la descrizione del tramonto e del corso, passata poi ad arricchire la terza parte del poema, il Vespro. In questa terza parte, che si apre con la bellissima scena dell'imbrunire, assistiamo alla corsa della carrozza dei due amanti attraverso la città per le visite di dovere o di curiosità agli amici e alle amiche; e quindi alla descrizione del corso e alla sfilata dei cocchi. È una interessante mostra dei tipi più diversi: dal bellimbusto al nuovo titolato, dalle vecchie madri, che conducono a passeggio le figlie da marito, alle dame della più alta nobiltà. Nel turbine fragoroso e sempre crescente dei cocchi, il poeta sofferma il suo sguardo su quello del suo eroe e ci dipinge il giovane signore intento a passeggiare solitario o a discorrere con una nuova dama, mentre la sua compagna inganna l'attesa circondata dalle premure di altri vagheggini. Nell'ultima parte infine, nella Notte, l'oscurità incalza e il poeta coglie l'occasione per improvvisare un pezzo di grande bravura e di gusto apparentemente preromantico. Al «tenebroso» esordio subentra poi la descrizione del ridotto notturno, della folla d'eroi che lo frequenta e lo anima, delle conversazioni. E infine, a notte alta, l'appariziqne delle carte, la sapiente disposizione delle coppie, la varietà dei giocatori; mentre, a coronamento di una così intensa giornata, circolano, tra gli ospiti, i gelati ristoratori. A proposito del Giorno, gioverà anche osservare che il poemetto pariniano si ricollega, per quanto riguarda lo schema e la materia, alla poesia didascalica del settecento, e anzi fu considerato per molto tempo uno splendido esempio di quel particolare genere letterario. Ma è altrettanto evidente che, a parte la comune esigenza di restituire all'arte un contenuto didattico e un intento educativo, oltre che di rinnovare il tradizionale linguaggio poetico con l'adozione di una materia più seria e concreta e di una terminologia scientifica o addirittura tecnica, l'opera del Parini si distingue risolutamente dalla varia produzione letteraria del suo tempo per un accento morale più netto e profondo, e per un'eleganza e perfezione stilistica, dietro la quale intravedi lo studio indefesso dei classici assai più che la lezione dei contemporanei. Lo stesso si dica per i rapporti con la poesia satirica dell'epoca, che ha in comune con il Giorno

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molti temi e motivi (la vita frivola dei nobili, la moda, il cicisbeismo, l'ignoranza presuntuosa, i giochi ecc.), ma gli resta poi tanto lontana per vigore rappresentativo, felicità di descrizioni e di scorci, umanità e inventiva. 1 Dopo la pubblicazione delle prime due parti del Giorno, nel 1768, il Parini accettò l'incarico, offertogli dal conte Carlo Giuseppe di Firmian, Ministro imperiale, di redigere la Gazzetta di Milano, e nell'anno seguente, sempre per iniziativa del Firmian, fu chiamato a ricoprire la cattedra di eloquenza nelle Scuole Palatine. Dal 1773, soppressa la Compagnia di Gesù e trasformate le Scuole Palatine nel Ginnasio di Brera, il Parini tenne la cattedra di «principi generali di belle lettere applicate alle belle arti». Durante i molti anni d'insegnamento, al quale ' sempre attese con grande fervore e illuminata intelligenza, suscitando ammirazione e affetto tra i discepoli, il Parini venne stendendo vari scritti in prosa che videro la luce soltanto dopo la sua morte, nella edizione delle Opere curata dal Reina. Questi scritti ( raccolte di lezioni, come i Principi generali e particolari delle Belle Lettere applicati alle Belle Arti, discorsi accademici, relazioni e programmi didattici,· scritti critici su autori contemporanei) ci testimoniano nel Parini un assiduo e coerente sviluppo della sua poetica classicistica, non aliena dalle innovazioni, ma sempre intesa ad armonizzare le moderne esigenze, alle quali il poeta non chiudeva l'animo suo, con il rispetto, che egli sentiva vivissimo, della tradizione letteraria e linguistica. Non c'è nulla dunque, in questi scritti pariniani di teoria e di ammaestramento, proprio nulla .di impetuosamente rivoluzionario .e spregiudicato. Il Parini vi si dimostra, anzi, piuttosto alieno dalle posizioni troppo ardite e recise; senza apparire, per questo; un pedante, tanto in lui risulta sempre vigile e appassionata la difesa del lavoro poetico secondo una concezione nobile e severa dell'arte, in cui la moralità e il gusto si associano e si compenetrano vicendevolmente. È del resto evidente che nell'insegnamento del Parini si riflettevano, con grande fedeltà e per 1. In questo volume, oltre alle opere pariniane, il lettore troverà una scelta di poeti satirici e didascalici del settecento, i cui testi sono stati qui pubblicati appunto per mostrare da vicino certe effettive « incidenze II reciproche, tra essi e il Giorno, e per documentare nello stesso tempo la novità sostanziale dell'opera del Parini nei confronti dei 11 generi » letterari a cui essa si apparenta.

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accordo spontaneo, tanto le istanze moderate dell'illuminismo italiano quanto lo spirito riformista da cui era animato lo stesso governo austriaco e da cui, in quegli anni, era confortato di speranze l'animo di molti intellettuali milanesi. Se si esaminano, infatti, con una certa attenzione anche le pagine più ardite e polemiche di questi scritti pariniani, come quelle sui motivi della decadenza delle lettere o sui programmi didattici, così ricche fra l'altro di attacchi veementi contro la pessima educazione impartita negli istituti ecclesiastici, si dovrà convenire che quelle pagine trovavano nella legislazione governativa del tempo non un termine di contrasto, un argine o una censura, bensì una piena rispondenza, quando non addirittura una sollecitazione. Nel 1777 il Parini venne accolto nell'Arcadia di Roma con il nome pastorale di Darisbo Elidonio e contemporaneamente divenne membro della Società patriottica di Milano. Nel 1791, oltre all'insegnamento, ebbe l'incarico di soprintendente delle Scuole pubbliche con un compenso finalmente dignitoso che gli permise di uscire da quelle ristrettezze economiche che lo avevano sempre angustiato. In quello stesso anno il Gambarelli pubblicò la prima raccolta delle Odi, allo scopo di evitare che questi componimenti pariniani continuassero a circolare separatamente, spesso guasti o male racconci. L'edizione del Gambarelli, che raccoglieva ventidue odi, non dovette però accontentare il Poeta che, a quanto dichiara il Reina, pensava di provvedere egli stesso a un libro delle sue migliori poesie. E forse lo avrebbe fatto se non fosse intervenuta la morte. La volontà del poeta fu poi attuata dal Reina e più tardi dal Bernardoni, con due raccolte (la prima di venti odi e ]a seconda di diciannove, essendo state escluse Le nozze) ordinate cronologicamente, in cui non figurano alcuni componimenti che il Gambarelli aveva incluso nella sua silloge, mentre ve ne apparvero altri che il Parini aveva scritto dopo il 1791. Il lavoro delle Odi pariniane si estende dal 1757 (La vita rustica) al 1795 (Alla Musa) e ci rivela la medesima costante insoddisfazione già rilevata a proposito del Giorno. Anche per le Odi, infatti, ci accade di osservare che il poeta non si decise mai a pubblicarle personalmente in un libro organico che recasse la sua sanzione definitiva (nel caso del Gambarelli si trattò, tutt'al più, di un tacito consenso),

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mentre le varie stampe e i manoscritti denunciano, nell'ambito di ogni ode, l'esercizio più o meno esteso della lima, le tracce dei pentimenti e delle variazioni. Come per il Giorno (la cui revisione interna s'intreccia appunto con la stesura delle grandi liriche pariniane), anche per le Odi si può dire che l'arte del Parini si sviluppi secondo una linea ascendente di sempre maggiore maturità e perfezione, con una inclinazione evidente verso un temperamento dei toni, verso un linguaggio sempre più sereno e pacato, nello sforzo di realizzare un sicuro equilibrio tra occasione sentimentale e forma espressiva. Anche in seno alle Odi, dunque, il moralista e l'umanista, l'uomo e il letterato, hanno cercato di realizzare un comune accordo, di bilanciare, senza sopraffarsi a vicenda, le reciproche istanze: l'intento didattico, cioè, e l'amore della parola. L'incontro di queste due esigenze, non contrastanti tra loro ma complementari (riflessi ugualmente schietti e naturali della personalità pariniana), non poteva realizzarsi felicemente, sulla pagina, se non attraverso il rifiuto delle molli cadenze arcadiche e l'assorbimento delle definizioni morali in un discorso poetico vigorosamente espressivo, i cui ritmi non obbedissero più soltanto esternamente ad una troppo facile e spiritualmente esangue cantabilità, ma si sforzassero piuttosto di raggiungere una musica più alta e sostenuta, oppure si snodassero in modi teneramente affabili, sobrii e commossi. Anche nelle prime odi tuttavia, come nelle prime parti del Giorno, queste due esigenze non si rivelano sempre armoniosamente fuse. Accade spesso, al contrario, che le sentenze vi si allineino un po' troppo seccamente, con un accento forzatamente perentorio, senza riuscire a disciogliere certa loro durezza e senza filtrare interamente i loro residui polemici. E questo è visibile, più o meno, non solo nelle odi pi-1:1 giovanili ma in quasi tutte quelle dichiaratamente sociali e civili (dalla Salubrità dell'aria all'Impostura, dalla Educazione all'J,znesto del vaiuolo, dal Bisog110 alla Caduta ecc.}, anche se è vero che il poeta ha cercato di non venire mai meno, neppure in questi casi, al suo ideale di misura e di saggezza, costringendosi a contenere l'espressione in forme pacate ed esatte, mitigando la sua eloquenza in toni affettuosi e temperati. E anche quando la polemica sembrerebbe prendergli la mano e minacciare di esagitarne il linguaggio, il freno dell'arte contribui-

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sce a conservare alle parole una rara prec1s1one, un lucido rilievo, al di là dei risentimenti e dello sdegno morale. Ma è certo, comunque, che il Parini ha dato la migliore prova delle sue singolari virtù liriche, soprattutto nelle odi intime o personali: in quelle ispirate dalla bellezza femminile (Il pericolo, Il do,zo, Il messaggio) e in quella dedicata Alla Musa, che è stata giustamente considerata come il suo testamento morale e poetico. Particolarmente nel Messaggio, quell'equilibrio tra ispirazione, tono e linguaggio, costantemente perseguito dal Parini come la vera fedele misura di se stesso, è più che altrove felicemente raggiunto. Qui infatti, dietro l'eleganza e il nitore delle immagini, brilla un fuoco sapientemente frenato, mentre il gioco galante, reso con una perizia estrema d'arcade consumato, si anima di una vibrazione interiore che nasce dall'amore intenso della bellezza, illeggiadrito da un'ombra di virile melanconia. Nel 1796, con la venuta dei Francesi a Milano, il Parini fu chiamato a far parte della nuova Municipalità, nel cui seno rappresentò la parte moderata con quella dignità e quella dirittura che sempre egli pose in ogni atto della sua vita. Essendosi più volte opposto a tutti quei provvedimenti che gli sembrassero contrastare con la sua coscienza e dignità di cittadino, oppure che apparissero al suo spirito equilibrato e riflessivo come atti di intollerabile demagogia, fu ben presto esonerato dall'ufficio. Si ritirò pertanto in sdegnosa solitudine, sgomento di fronte all'incalzare di avvenimenti che egli non riusciva a comprendere nelle loro più profonde ragioni e che minacciavano di lacerare, ai suoi occhi, quell'ordine e quelPequilibrio che egli aveva sempre sognato come condizione essenziale del vivere sociale e come norma indispensabile del suo lavoro di artista. Quando nel 1799 gli Austriaci fecero ritorno a Milano era ormai troppo avanzato in età ed infermo per riprendere la vita pubblica. La morte poi lo colse, di lì a poco, nella mattinata del I 5 agosto 1799. Dopo il giudizio del De Sanctis, inteso a dar rilievo soprattutto all'accento morale dell'opera pariniana e a circoscriverne la pura forza poetica, gli studi del Carducci hanno contribuito a ricondurre entro limiti assai più moderatamente eroici la personalità del Parini, sostituendo l'immagine di un impetuoso e ardito rinnovatore con quella di un letterato peri-

INTRODUZIONE

tissimo e sapiente.· Sulla traccia del Carducci si è poi venuta facendo sempre più viva tra gli studiosi l'esigenza di superare o almeno di equilibrare i termini dell'antitesi tra il Parini uomo e il Parini artista, evitando di porre l'uno a contrasto con l'altro, e mostrando invece, da vicino, che quel dissidio può essere soddisfacentemente sanato a condizione che si rinunci a forzare, oltre i suoi termini effettivi, il moralismo pariniano, limitandolo ad una costante e profonda aspirazione alla misura, alla moderazione e al buon senso: ad una sorta, insomma, di illuminata saggezza. Sotto questo punto di vista la poesia del Parini appare perfettamente in accordo con tale necessità interiore, costantemente commisurata ad essa. Perché la vera inclinazione del nostro poeta non fu certo quella di sovvertire la società né la tradizione letteraria del suo tempo, ma tutt'al più quella di rinnovare seriamente dall'interno l'una e l'altra, liberandole da ciò che di caduco e di artificioso le immiseriva, di comporre anzi, nella sua coscienza, le antitesi vivaci di un'età quanto mai problematica, per poterla poi riflettere nitidamente, sia pure con arguto e talvolta anche amaro sorriso, oppure con fervida eloquenza o con commossa partecipazione, nel cristallo, sempre limpido e terso, dei suoi versi perfetti.

* BIBLIOGRAFIA Per la bibliografia pariniana, si veda: G. CARDUCCI, Saggio di bibliografia pariniana (sino al 1903), nel voi. Storia del a Giorno» di G. Parù,i, Dologna 1892, e quindi nel voi. XIII delle Opere, Bologna 1903 (ora XVI della nuova edizione, Dologna 1937); E. BERTANA, ll I centenario di G. Parini, in 11Giorn. st. d. lett. it.>11 xxxvi (1900); L. VALMAGGI, Rassegna parinia,za, ibidem, LXVIII (1916); G. MAZZONI, Tutte le opere di G. Parini, Firenze 1925 (contiene molte indicazioni bibliografiche sino al 1925, pp. LI-LVI); G. DusTIC0, Bibliografia di G. Parini (sino al 1929), Firenze 1929; G. ZICCARDI, Rassegna pariniana, nel • Giom. st. d. lctt. it. 11, xcv (1930); G. NATALI, Il Settecento, l\tlilano, 1944-47 2 (utile anche per gli autori che figurano nell' a appendice• di questo volume). Per la vita e le opere in generale: C. CANTÙ, L'abate Pari1li e la Lombardia nel secolo passato, l\tlilano 1854; V. BonT0LOITI, G. Parini, vita, opere e tempi, Milano 1900; E. BELLORINI, La vita e le opere di

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INTRODUZIONE

G. Pari11i, Livorno 1918; G. MAZZONI, G. Paritli, Firenze 1929; A. ÙTTOLINI, Parini, Milano 1929; G. N.o\TALI, G. Parini, Firenze 1931; C. A. VIANELLO, La giovi11ezza di Pari11i, Verri e Beccaria, l\!Iilano 1933. Saggi critici: U. FoscOLO, Saggio sullo stato della letteratura italiana nel primo ventnmio del sec. XIX: G. Parini, nel voi. Opere illedite e post11me, XI delle Opere, Firenze; F. DE SANCTIS, G. Parini, nel voi. Nuovi saggi critici, Napoli 1879; G. CARDUCCI, Il Pari11i maggiore e Il Pari11i minore (voli. XVI e XVII delle Opere, Bologna 1937); E. BERTANA, Studi pariuia,ii, Aquila 1929; D. PETRINI, La poesia e Z-arte di G. Parini, Bari 1930; R. SPONGANO, La poetica del se11sismo e la poesia del Pari11i, Messina-Milano 1933; G. CITANNA, G. Pari11i, nel voi. Il roma,iticismo e la poesia italiana. Dal Pari1li al Carducci, Bari 1935 (seconda ed., 1949); G. ZICCARDI, G. Pari11i (studi sulla lirica pariniana), nel voi. Forme di vita e d'arte nel Settecento, Firenze 1935 (seconda ed., 1947); L. SALVATORELLI, Il pemiero politico ita/ia,io dal I700 al I8oo (importante per il pensiero politico del P.), Torino 1935 (quarta ed. riv., 1943); A. M0MIGLIAN0, Il Parini discusso, nel vol. Studi di poesia, Bari 1938; M. CILENTO, L'Arcadia in Parini, MessinaMilano 1938; G. DE RoBERTJS, Il segno del Parini, nel vol. Saggi, Firenze 1939; G. GETTO, Umanesimo lirico di G. Parini, negli 11 Annali della Scuola normale di Pisa,,, 3-4, 1947; W. BINNI, La sintesi parinia11a, nel voi. Preromanticismo italimio, Napoli 1948; M. FuBINI, Arcadia e illuminismo nell'opera di G. Parini, nello « Spettatore italiano», 2 e 3, 1949 (e quindi nel voi. Questioni e correnti di storia letteraria, Milano 1949); R. BRACCESI, Il problema del Parù,i, negli cc Atti dcli' Accademia dei Lincei», S. VIII, voi. II, 9 (1950); P. PANCRAZI, Sul Parini, nel voi. Nel giardino di Candido, Firenze 1950. Opere: Opere di G. Parini, a cura di F. REINA, Milano 1801-1804; Tutte le opere edite e inedite di G. Parini, a cura di G. IVIAZZONI, Firenze 1925; Prose, a cura di E. BELLORINI, Bari 1913-15, e Poesie, a cura dello stesso, Dari 1929; A. CHIARI, Sulle Odi di G. Pari11i, discorso critico (contiene il testo critico delle Odi), Milano 1943. Tra i commenti del Giorno, vanno ricordati quelli di A. BORGOGNONI (V erona 1891), G. ALBINI (Firenze 1900), A. MoMIGLIANO (Catania 1925), G. FERRETTI ( Milano-Roma-Napoli 1925 ). Tra i commenti delle Odi, quelli di F. SALVERAGLIO (Bologna 1882), A. D'A:,,.:coNA (Firenze 1884), G. FINZI (Torino 1903), A. DERT0LDI ( Firenze 1911). Tra i commenti del Gior110 e delle Odi insieme, quelli di G. MAZZONI (Firenze 1897), G. NATALI (Milano 1905), M. SCHERILLO (Milano 1906), E. BELLORINI (Napoli 1920), G. BROGNOLIGO (Napoli 1927), R. SP0NGANO (Torino 1936), D. GuERRI e \V. BINNI (Firenze 1945), A. COLOMBO {Firenze 1950).

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GIUSEPPE PARINI

IL GIORNO

Il Parini pubblicò nel I763

la prima parte del poema col titolo Il Mattino, poemetto (Milano, Agnelli) e nel I765 la seconda parte col titolo Il Mezzogiorno, poemetto (Milano, Galeazzi). Allora pensava a tre poemetti, di cui l'ultimo, La Sera, appena cominciato; e già nel z766 prometteva una ristampa migliorata dei, primi due con l'aggiunta di quello nuooo («Questa Sera è appena cominciata . .. sarebbe mia intenzione di fare un'ediz,.-one elegante di tutte e tre i poemetti· ... Se Ella dunque si. risente di f aria io mi esibisco di darle La Sera terminata per il prindp,.-o della ventura Primavera, e insieme gli altri due Poemetti co"etti in molti luoghi, e migliorati», Lettera a Paolo Colombani, IO settembre I766). In realtà non ne fece nulla e continuò a co"eggere e a modificare i primi due poemetti e a condurre innanzi l'ultima parte dell'opera, che poi decise di dividere in due: Il Vespro e La Notte. Nel I79I parve deciso finalmente a pubblicare per intero il poema («Nella primavera ventura spero e quasi tengo per certo d'avere in pronto due poemetti, per séguito e per termine di quelli altri antichi due, che hanno avuto la fortuna di non dispiacere . . . I due primi uscirebbero co"etti, variati in qualche parte ed accresciuti. Cosi tutti e quattro verrebbero ad essere nuooi e ridotti in un solo poema, che a'lJTebbe per titolo Il Giorno». Lettera a G. B. Bodoni, I8 ottobre z79I); ma anche questa volta, quale che ne si·a stata la ragione, noti diede nulla alle stampe. Soltanto dopo la sua morte Il Giorno vide la luce nella sua i11tegrità, avendo F. Reina npubblicato, nel volume primo delle Opere del poeta (Milano, Stamperia del Genio Tipografico, rBoz-04), i primi due poemetti, secondo le edizioni del '63 e '65 (salvo l'ultima parte del Mezzogiorno, vv. I095-r376, che era entrata a far parte, nell'ultimo disegno dell'opera, del Vespro), e avendo stampato per la prima volta gli altri due poemetti, ancora i11editi e ,.-ncompleti sulla scorta degli" autografi pariniani da lui acquistati. Da quel momento il testo Rei11a del Giorno costitul il testo tradizionale del poema e ad esso si. nlecero, più o meno, i successivi editori. Criteri alquanto diversi· da quelli del Rei11a hanno seguito invece, nel nostro secolo, i due pn"ndpali editon· del Pan,"ni,

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IL GIORNO

Jl,fazzoni e Bel/orini, ai quali si deve u11 nuovo esame delle carte autografe e U'lla più attenta discussione del problema testuale del Giorno. Intorno a questo problema, quale oggi si prospetta a u11. edi'tore moderno, e alla lezione adottata per questa ristampa, si veda la Nota critica ai testi, in fondo al volume.

ALLA MODA 1

Lungi da queste carte i cisposi occhi già da un secolo rintuzzati, 2 lungi i fluidi 3 nasi de' malinconici vegliardi. Qui non si tratta di gravi ministeri4 nella patria esercitati, non di severe leggi, non di annoiante domestica economia, misero appannaggio5 della canuta età. A te, vezzosissima dea, che con si dolci redine oggi temperi e governi la nostra brillante gioventù, a te sola questo piccolo libretto si dedica e si consagra. Chi è che te, qual sommo nume, oggimai non riverisca ed onori, poiché in sì breve tempo se' giunta a debellar la ghiacciata Ragione, il pedante Buon Senso e l'Ordine seccagginoso, 6 tuoi capitali nemici, ed hai sciolto dagli antichissimi lacci questo secolo avventurato ?7 Piacciati adunque di accogliere sotto alla tua protezione (che forse non n'è indegno) questo piccolo poemetto. 8 Tu il reca su i pacifici altari,9 ove le gentili dame e gli amabili garzoni sagrificano a sé medesimi le mattutine ore. Di questo solo egli è vago, e di questo solo andrà superbo e contento. Per esserti più caro, egli ha scosso il giogo della servile rima, e se ne va libero in versi sciolti, 10 sapendo che tu di questi specialmente ora godi e ti compiaci. Esso non aspira all'immortalità, come altri libri, troppo lusingati da' loro autori, che tu, repentinamente sopravvenendo, hai sepelliti neJI'oblio. Siccome egli è per te nato, e consagrato a te sola, così fie pago di vivere quel solo momento, 11 che tu ti mostri sotto un medeII testo del Mattino è quello dell'ed. 1763. Nelle note sono collocate le varianti seriori del ms. Ambrosiano, IV, 3-4 (ms. A). 1. La 1v'loda: è la dea del mondo nobiliare. Questa dedica apparve nell'ed. 1 63 del iv/attino, ma non fu poi riprodotta dal P. nel ms. A né negli altri autografi del poemetto. 2. rfotw::zati: indeboliti. 3.jluidi: facili alle secrezioni; con la caratteristica goccia pendula. 4. ministeri: uffici. 5. appan,raggio: privilegio. 6. seccagginoso: tedioso. 7. avventurato: di felice fortuna. È il gran secolo dei lumi. 8. poemetto: è il Mattillo, non l'intero poema. Dianzi l'aveva definito «piccolo libretto». 9. pacifici altari: le« toilettes D. 10. libero in versi sciolti: i versi sciolti (cndecasi11abi senza rima) erano venuti di moda soprattutto dopo la pubblicazione dei versi sciolti dei « tre eccellenti autori», Frugoni, Algarotti e Bettinelli (Venezia 1757). Ma il P. in realtà si rifece piuttosto, come ebbe egli stesso a dichiarare al Reinn, all'endecasillabo sciolto del Femia del Martello, attraverso il quale egli mirava all'esametro virgiliano. 11. q11el solo momento ecc.: allude alla veloce mutevolezza della moda.

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simo aspetto, e pensi a cangiarti, e risorgere in più graziose forme. Se a te piacerà di riguardare con placid'occhio questo Mattino, forse gli succederanno il Mezzogiorno e la Sera; 12 e il loro autore si studierà di comporli ed ornarli in modo, che non men di questo abbiano ad esserti cari.

J~. 11 Mezzogiorno e la Sera: secondo H primitivo disegno dell'opera, modificato poi dal P. con la divisione della Sera in due parti: Vespro e Notte.

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IL MATTINO

Giovin signore, o a te scenda per lungo di magnanimi lombi ordine il sangue purissimo, celeste, o in te del sangue · emendino il difetto i compri onori e le adunate in terra o in mar ricchezze dal genitor frugale in pochi lustri, me precettor d'amabil rito ascolta. Come ingannar questi noiosi e lenti giorni di vita, cui sì lungo tedio e fastidio insoffribile accompagna, or io t'insegnerò. Quali al mattino, quai dopo il mezzodì, quali la sera esser debban tue cure apprenderai, se in mezzo a gli ozi tuoi ozio ti resta pur di tender gli orecchi a' versi miei. Già l'are a Vener sacre e al giocatore Mercurio ne le Gallie e in Albione devotamente hai visitate, e porti pur anco i segni del tuo zelo impressi: ora è tempo di posa. In vano Marte a sé t'invita: ché ben folle è quegli che a rischio de la vita onor si merca, e tu naturalmente il sangue aborri. Né i mesti de la dea Pallade studi ti son meno odiosi: avverso ad essi

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r-32. Dedica e proposizione. Questi versi apparvero ncWed. '63 del Mattino, ma non furono poi riprodotti dal P. in nessuno degli autografi del poemetto. Il P. intendeva probabilmente di rifarli. 1-3. o a te •.. o ir, te: sia che a te .•. sia che in te. 2. magr,animi lombi: nobili antenati. 4. compri onori: i titoli nobiliari acquistati col denaro. 6. frugale: spilorcio. 7. amabil rito: le amabili usanze della moda, osservate dai giovani nobili con religiosa cura. 14-1 s: se ... pur: se pure. 16-18: are a V ener ecc. : le case di piacere e le case da gioco di Francia e d'Inghilterra. Allusione alla moda dei viaggi e alla vita scioperata dei giovani nobili del tempo. 19. i segni del tuo zelo: le tracce del vizio. 24. i mesti ecc.: gli studi letterari e scientifici.

GIUSEPPE PARINI

ti feron troppo i queruli ricinti ove l'arti migliori e le scienze, cangiate in mostri e in vane orride larve, fan le capaci volte echeggiar sempre di giovanili strida. Or primamente odi quali il mattino a te soavi cure debba guidar con facil mano. Sorge il mattino in compagnia dell'alba innanzi al sol, che di poi grande appare su l'estremo orizzonte a render lieti gli animali e le piante e i campi e !'onde. Allora il buon villan sorge dal caro letto cui la fedel sposa e i minori suoi figlioletti intiepidir la notte; poi, sul collo recando i sacri arnesi che prima ritrovar Cerere e Pale, va, col bue lento innanzi, al campo, e scuote lungo il picciol sentier da' curvi rami il rugiadoso umor che, quasi gemma, i nascenti del sol raggi rifrange. Allora sorge il fabbro, e la sonante officina riapre, e all'apre torna l'altro dì non perfette, o se di chiave ardua e ferrati ingegni all'inquieto ricco !'arche assecura, o se d'argento e d'oro incider vuol gioielli e vasi per ornamento a nuove spose o a mense. Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo, qual istrice pungente, irti i capegli al suon di mie parole ? Ah, non è questo, signore, il tuo mattin. Tu col cadente sol non sedesti a parca mensa, e al lume dell'incerto crepuscolo non gisti

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26. queruli ricinti: le aule risonanti dei lamenti degli scolari, educati a suon di nerbo. 41. Cerere e Pale: le dee delle biade e della pastorizia. 42. Ms. A: move seguendo i lenti bovi ecc. 44-45. Ms. A: fresca rugiada che di gemme al paro - la nascente del sol luce rifrange. 46. fabbro: artefice. 48. 1•altro di non per/ette: non compiute il giorno innanzi. 49. ardua: di costruzione complicata e quindi difficile a contraffare. - ingegni: congegni, 50. arche: scrigni. 57. mensa: ms. A, cena.

IL GIORNO

ieri a corcarti in male agiate piume, come dannato è a far rumile vulgo. A voi, celeste prole, a voi, concilio di semidei terreni, altro concesse Giove benigno: e con altr'arti e leggi per novo calle a me convien guidarvi. Tu tra le veglie e le canore scene e il patetico gioco oltre più assai producesti la notte; e, stanco al fine, in aureo cocchio, col fragor di calde precipitose rote e il calpestìo di volanti corsier, !unge agitasti il queto aere notturno, e le tenèbre con fiaccole superbe intorno apristi, siccome allor che il siculo terreno dall'uno all'altro mar rimbombar féo Pluto col carro a cui splendeano innanzi le tede de le Furie anguicrinite. Così tornasti a la magion; ma quivi a novi studi ti attendea la mensa cui ricoprien pruriginosi cibi e licor lieti di francesi colli o d'ispani o di toschi, o ]'ongarese bottiglia a cui di verde edera Bacco concedette corona, e disse: - Siedi de le mense reina. - Alfine il Sonno

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ieri a posar, qual nei, tuguri suoi - entro a rigide coltri il vulgo vile. 63. benigno: a voi benigno. 64. Ms. A: ••• a me guidarvi è d'uopo. 65. canore scene: il teatro dell'opera. 66. patetico: che suscita tante emozioni. 67. producesti: protraesti. 68. calde: accese dalla corsa precipitosa. Ricorda l'oraziano «fervidis rotis» (Odi, I, 1, vv. 3-4). 70. lrmge: fin di lontano. 72. superbe: violente e altère. Le fiaccole erano portate dai lacchè, i quali precedevano, correndo a piedi, il cocchio dei signori. 73-76. Plutone rapì in Sicilia Proserpina, figlia di Cerere, traendola all'inferno sul suo carro. Il P. immagina che le tre furie (Aletto, Megera e Tesifone) gli facessero scorta, a guisa di lacchè. 74. dall'uno all'altro mar: dallo Ionio al Tirreno. 76. tede: fiaccole. - atiguicrinite: con serpi in luogo di capelli. 77-78. Ms. A: Tal ritornasti a i gran palagi e quivi - cari conforti a te porgea ecc. 79. pruriginosi: stuzzicanti. So. lieti: spiritosi, inebrianti. 81-82. ongarese bottiglia: il Tokai, il migliore dei vini. 59-60. Ms.

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GIUSEPPE PARINI

ti sprimacciò le morbide coltrici di propria mano; ove te accolto, il fido servo calò le seriche cortine; e a te soavemente i lumi chiuse il gallo, che li suole aprire altrui. Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi non sciolga da' papaveri tenaci Morfeo prima che già grande il giorno tenti di penetrar fra gli spiragli de le dorate imposte, e la parete pingano a stento in alcun lato i raggi del sol, eh' eccelso a te pende sul capo. Or qui principio le leggiadre cure denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo sciorre il mio legno, e co' precetti miei te ad alte imprese ammaestrar cantando. Già i valletti gentili udir lo squillo del vicino metal cui da lontano scosse tua man col propagato moto; e accorser pronti a spalancar gli opposti schermi a la luce, e rigidi osservaro che con tua pena non osasse Febo entrar diretto a saettarti i lumi. Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia alli origlieri, i quai lenti gradando all'omero ti fan molle sostegno; poi, coll'indice destro, lieve lieve sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua

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85-86. l\.1s. A: ti sprimacciò di propria man le coltrici- molle cedenti ecc. 87. seriche: ms. A, ombrifere. 91-92. Ms. A.: dai tenaci papaveri Morfèo - prima non solva ecc. 9 I. papaveri tenaci: quiete profonda, che tenacemente tiene legati i sensi dell'uomo. 92. Morfea: figlio del Sonno. Ma qui vale per il sonno stesso. 93. Ms. A: fra ,!li spiragli pe11etrar contenda. 96. eccelso: già alto nel cielo. 98. quinci: di qui, da questo punto. 99. sciorre il mio legno: sciogliere In mia nave, farla salpare. Il P., dopo il lungo esordio, si accinge ad iniziare il poema. 102-104. Ms. A: de' penduli metalli, a cui da lunge - moto improvviso la tua destra impresse; - e corser ecc. I 04- I 05. opposti schermi: le imposte. 105. rigidi: con scrupoloso zelo. 106. Febo: il sole. 107. diretto: direttamente. 108-110. Ms. A: Ergi dunque il bel fianco, e sl ti appoggia - alli origlier che lenti degradando - poi ecc. 109. origlieri: guanciali. 112. Ms. A: sovra gli occhi trascorri, e ne dilegua.

IL GIORNO

quel che riman de la cimmeria nebbia, e de' labbri formando un picciol arco, dolce a vedersi, tacito sbadiglia. Oh~ se te in si gentile atto mirasse il duro capitan, qualor tra l'armi, sgangherando le labbra, innalza un grido lacerator di ben costrutti orecchi, onde a le squadre vari moti impone; se te mirasse allor, certo vergogna avria di sé, più che Minerva il giorno che, di flauto sonando, al fonte scòrse il turpe aspetto de le guance enfiate. Ma già il ben pettinato entrar di nuovo tuo damigello i' veggo; egli a te chiede quale oggi più de le bevande usate sorbir ti piaccia in preziosa tazza: iodiche merci son tazze e bevande: scegli qual più desii. S' oggi ti giova porger dolci allo stomaco fomenti, sì che con legge il natural calore v'arda temprato e al digerir ti vaglia, scegli il brun cioccolatte, onde tributo ti dà il guatimalese e il caribbèo, c'ha di barbare penne avvolto il crine; ma, se noiosa ipocondria t'opprime,

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11 3. cimmeria nebbia: la nebbia del sonno. La dimora del sonno era collocata dagli antichi tra i Cimmerii, abitatori di una regione perennemente nebbiosa presso il mar d' Azof. 116. Oh ... gentile: ms. A, Ahi .•• vezzoso. 118. Ms. A: sgangherando la bocca un grido innalza. 122-124. Minerva, avendo provocato le risa di Giunone e di Venere suonando il flauto in presenza degli Dei, si recb solitaria ad una fonte e quivi, nello specchio dell'acqua, vistasi brutta per le guance enfiate, vergognosa e sdegnata gettb lungi da sé lo strumento (Ovidio, Fasti, Vl, vv. 697 sgg.). 125-127. Ms. A: Ma il damigel ben pettinato i crini - ecco s'i11noltra, · e con sommessi accenti - chiede qual più ecc. 128. ti piaccia: ms. A, tu goda. 129. indiche: orientali in genere. 130. ti giova: ti piace. 13 I. fomenti: bevande calde. 132. con le{!ge: con misura. 133. temprato: regolato. I 34. Ms. A: tu il ciocco/atte eleggi ecc. I 35. ti dà: ms. A, ti diè. - guatimalese .•• caribbèo: abitanti, rispettivamente, del Guatemala e delle Antille, isole del mar dei Caraibi, da cui proveniva il cacao. 137. ipocondria: afflizione più psichica che fisica; nevrastenia.

GIUSEPPE PARINI

o troppo intorno a le vezzose membra adipe cresce, de' tuoi labbri onora la nettarea bevanda ove abbronzato fuma et arde il legume a te d'Aleppo giunto e da Moca, che di mille navi popolata mai sempre insuperbisce. Certo fu d'uopo che dal prisco seggio uscisse un regno, e con ardite vele, fra straniere procelle e novi mostri e teme e rischi ed inumane fami, superasse i confin per lunga etade inviolati ancora; e ben fu dritto se Cortes e Pizzarro umano sangue non istimar quel ch'oltre l'Oceàno scorrea le umane membra, onde, tonando e fulminando, alfin spietatamente balzaron giù da' loro aviti troni re messicani e generosi Incassi; poiché nuove così venner delizie, o gemma de gli eroi, al tuo palato. Cessi '1 cielo però, che in quel momento che la scelta bevanda a sorbir prendi,

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138. vezzose: ms. A, divine. 140. nettarea bevanda: il caffè, che è bevanda sì squisita da essere paragonata alla bevanda degli dei (nettare). - abbronzato: abbrustolito. 141. Ms. A: arde e fumica il grano ecc. 141-142. Aleppo .•. Moca: porti della Siria e dell'Arabia da cui proveniva i] caffè. 144. prisco seggio: antichi confini. 145. un regno: la Spagna. - ardite: ms. A, audaci. Allude alla scoperta deWAmerica. Nell' bmesto del vaiuolo incontri. 632. gli oracoli attenda: attenda le tue sentenze quasi fossero il responso d'un oracolo.

GIUSEPPE PARINI

si temerario che in suo cor ti beffi qualor, partendo da si begli studi, del tuo paese l'ignoranza accusi, e tenti aprir col tuo felice raggio la gotica caligine che annosa siede su gli occhi a le misere genti ? Così non mai ti venga estranea cura questi a troncar sì preziosi istanti in cui, non meno de la docil chioma, coltivi ed orni il penetrante ingegno. Non pertanto avverrà che tu sospenda quindi a pochi momenti i cari studi, e che ad altro ti volga. A te quest'ora condurrà il merciaiuol che in patria or torna, pronto inventar di lusinghiere fole, e liberal di forestieri nomi a merci che non mai varcaro i monti. Tu a lui credi ogni detto: e chi vuoi ch'osi unqua mentire ad un tuo pari in faccia? Ei fia che venda, se a te piace, o cambi mille fregi e gioielli a cui la moda di viver concedette un giorno intero tra le folte d'inezie illustri tasche. Poi lieto se n'andrà, con l'una mano pesante di molt' oro; e in cor gioiendo, spregerà le bestemmie imprecatrici e il gittato lavoro e i vani passi del calzolar diserto e del drappiere; e dirà lor: - Ben degna pena avete, o troppo ancor religiosi servi

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634. begli: ms. A, gravi. 636. aprir: diradare. 637. gotica: medievale, barbarica. - caligine: tenebra. 641-642. Ms. A: in cui del pari e a la dorata chioma - splendor dài novo ed al celeste ingeg110. 644. qui11di a pochi momenti: di lì a poco. Ms. A: quindi a poco il versar de' libri amati. 646. merciaiuol: mercante. 653. fregi: ninnoli. - gioielli: ms. A, lavori. 655. folte: ricolme. 659. gittato: buttato via. rimasto senza compenso. - vani passi: inutili viaggi per tentare di farsi pagare. 660. diserto: trascurato, al momento dei pagamenti; e perciò rovinato. - drappiere: è il sarto dei vv. 161-164. 662. religiosi: fedeli, ossequienti.

IL GIORNO

de la Necessitade, antiqua, è vero, madre e donna dell'arti, or nondimeno fatta cenciosa e vile. Al suo possente amabil vincitor v'era assai meglio, o miseri, ubbidire. Il Lusso, il Lusso oggi sol puote dal ferace corno versar su l'arti a lui vassalle applausi e non contesi mai premi e dovizie. L'ora fia questa ancor che a te conduca il dilicato miniator di belle, ch'è de la corte d'Amatunta e Pafo stipendiato ministro, atto a gli affari sollecitar dell'amorosa dea. Impaziente or tu l'affretta e sprona, perché a te porga il desiato avorio che de le amate forme impresso ride; o che il pennel cortese ivi dispieghi l'alme sembianze del tuo viso, ond'abbia tacito pasco, allor che te non vede, la pudica d'altrui sposa a te cara; o che di lei medesma al vivo esprima l'imagin vaga; o, se ti piace, ancora ~'altra fiamma furtiva a te presenti con più largo confin le amiche membra.

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663. Necessitade: l'utilità, il bisogno. 664. don11a: signora. 666.vincitor: il Lusso, come dirà poco appresso. 668-670./erace conio ecc.: il Lusso è rappresentato con la cornucopia, cioè con il corno dell'abbondanza, da cui versa applausi e ricchezze sopra quelle arti che, a lui fedeli (vassalle), si dedicano esclusivamente alla produzione di ornamenti e di oggetti voluttuari. Qui il P. intende opporre Jtagricoltura all'industria e al commercio. 670. 11011 contesi ecc.: ricompense non stiracchiate, ma pronte e sollecite. 671. Ms. A: L'ore fie11 queste at1cor clie a te ,re vegna. 673. La corte di Venere in Cipro, dove si trovano le due città di Amatunta e Pafo. Ms. A: cl,e de la corte d'Amat1111ta 1,scio. 674-675. Il miniatore era spesso prezzolato intermediario di faccende amorose tra le dame e i loro cavalier serventi. 676-677. Ms. A: Or tll l'affretta impazie11te e spro11a - sl cl,e a te ecc. 677. avorio: la miniatura in avorio. 678. ride: per il disegno leggiadro e per i colori. 680. alme: divine. 681. tacito pasco: mutn e solinga consolazione. 684. Ms. A: il vago aspetto ecc. 68 s. fiamma: ms. A, beltà. -furtiva: amata nascostamente. 685-686. a te presenti ecc.: te ne ritragga con libertà la figura intera. 686. Dopo questo verso nel ms. A ne seguono undici (Doma11 fie 4

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GIUSEPPE PARINI

Ma poi che al fine a le tue luci esposto fia il ritratto gentil, tu cauto osserva se bene il simulato al ver risponda, vie più rigido assai se il tuo sembiante esprimer denno i colorati punti che l'arte ivi dispose. Oh quante mende scorger tu vi saprai! Or brune troppo a te parran le guance; or fia ch'ecceda mal frenata la bocca; or qual conviensi al camuso etiòpe il naso fia. Ti giovi ancora d'accusar sovente il dipintor che non atteggi industre l'agiti membra e il dignitoso busto, o che con poca legge a la tua imago dia contorno o la posi o la panneggi. È ver, che tu del grande di Crotone non conosci la scuola, e mai tua mano non abbassassi a la volgar matita che fu nell'altra età cara a' tuoi pari cui sconosciute ancora eran più dolci e più nobili cure a te serbate. Ma che non puote quel d'ogni pr.ecetto gusto trionfator, che all'ordin vostro in vece di maestro il ciel concesse, et onde a voi coniò le altere menti,

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poi . •. a cui se' caro.) i quali corrispondono ai vv. 734-744 dell'ed. '63. 687-688. Ms. A: Ed ecco al.fin che a le tue luci esposto - fia il ritratto gentil. Or ecc. 689. il simulato: l'immagine. - risponda: ms. A, s'adegua. 690. Assai più severo giudice qualora si tratti del tuo stesso ritratto. 692-693. Questi due versi si riducono ad uno nel ms. A: che l'arte ivi dispose. Or brune troppo... 696. al camuso etiòpe: al negro dal naso schiacciato. 697. Ms. A: Anco sovente d'accusar ti piaccia. 698. industre: con arte sapiente. Ms. A: ardito. 700. Ms. A: o che mal tra le leggi a la tua forma. 701. posi: atteggi. 702. grande di Crotone: allude probabilmente al grande pittore greco Zeusi, il quale era di Eraclea ma dipinse la sua famosa Elena a Crotone. Ma qui si intende la pittura in genere. 703. mano: ms. A, destra. 704. matita: arte del disegno. 706. sconosciute: ms. A, non gustate. 708. precetto: ms. A, scienza. 708-709. gusto trio11fator: il gusto innato, il quale non ha bisogno d'alcuna regola (d'ogni precetto ... trionfator). ordin vostro: alla gente del vostro rango, alla nobiltà. 71 1. et onde: e

IL GIORNO

acciò che possan de' volgari ingegni oltrepassar la paludosa nebbia, e d'aere più puro abitatrici, non fallibili scérre il vero e il bello? Perciò qual più ti par loda, riprendi, non men fermo d'allor che a scranna siedi Rafael giudicando, o l'altro eguale che del gran nome suo l'Adige onora; e a le tavole ignote i noti nomi grave comparti di color che primi fur tra' pittori. Ah! s'altri è sl procace ch'osi rider di te, costui paventi l'augusta maestà del tuo cospetto: si volga a la parete; e mentr' ei cerca por freno in van, col morder de le labbra, allo scrosciar de le importune risa che scoppian da' precordi, violenta convulsione a lui deformi il volto, e lo affoghi aspra tosse; e lo punisca di sua temerità. Ma tu non pensa ch'altri ardisca di te rider giammai; e mai sempre imperterrito decidi. Or l'immagin compiuta intanto serba, perché in nobile arnese un di si chiuda· con opposto cristallo, ove tu facci sovente paragon di tua beltade

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con il quale gusto. 712. Ms. A: .•. dell'uman co11fine. 714. aere: ms. A1 etere. 715. scé"e: discernere. 717. a scranna siedi: siedi in cattedra. 718. Rafael: Raffaello Sanzio da Urbino (1483-1520). - l'altro: Paolo Caliari di Verona, detto il Veronese (1528-1588).- egilah: ms. A, egregio. 721. comparti: attribuisci. - primi: più celebri. 722. Ms. A: Juro nell'arte ecc. -procace: sfacciato. 731. non pensa: non pensare. Forma non frequente ma non del tutto insolita nel P. (ancora nel Mattino, v. 896: 110n ..• sdegna, e v. 901: non isdegna; e nel Me:::::rogionio, v. 1045: piiì. non soffri). 733. Dopo questo verso· il ms. A prosegue con altri (Or giunta è al fi.11 ••• ) corrispondenti ai vv. 74S sgg. dell'ed. 163. Quest'ultima ha qui invece gli undici versi che il ms. A anticipa in altro luogo. Cfr. nota al v. 686. 734-735. Ms. A: Doman fie pio che la concessa imago - entro arnese gentil per te ecc. 735. nobile ar11ese: medaglione a due facce.

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GIUSEPPE PARINI

con la beltà de la tua dama, o agli occhi degl'invidi la tolga e in sen l'asconda sagace tabacchiera, o a te riluca sul minor dito fra le gemme e l'oro; o de le grazie del tuo viso dèsti soavi rimembranze al braccio avvolta de la pudica altrui sposa a te cara. Ma giunta è al fin del dotto pettin l' opra. Già il maestro elegante intorno spande da la man scossa un polveroso nembo, onde a te innanzi tempo il crine imbianchi. D,orribil piato risonar s'udio già la corte d'Amore. I tardi vegli grinzuti osar coi giovani nipoti contendere di grado in faccia al soglio del comune signor. Rise la fresca gioventude animosa, e d'agri motti libera punse la senil baldanza. Gran tumulto nascea; se non che Amore, ch'ogni diseguaglianza odia in sua corte, a spegner mosse i -perigliosi sdegni : e a quei che militando incanutiro, suoi servi, impose d'imitar con arte i duo bei fior che in giovenile gota educa e nutre di sua man natura: indi fe' cenno: e in un balen fur visti mille alati ministri alto volando scoter le piume, e lieve indi fiocconne

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738. agli occhi: ms. A, a i guardi. 740. ragace: perché sa celare in sé l'immagine o rivelarla con opportuna avvedutezza. 741. fra le gemme e l'oro: incastonata in un anello. 742.. dèsti: susciti. 743. al braccio avvolta: incastonata in un braccialetto. 745. dotta: esperta. 747. un polveroso nembo: la cipria. 749-771. L'origine del belletto e della cipria. È la seconda •favola» del Giorno. La prima è quella di Amore e Imene (vv. 313-386). 749. piato: litigio. 752. contendere di grado: disputare sull I ordine di precedenza. 7 sJ. signor: Amore. Ms. A: lor dio. 754. agri: pungenti. 755. libera: liberamente. 759. milita11do: nelle battaglie amorose. 760. impose d'imitar: ms. A 1 apprese a simular. - con arte: con l'artificio del beHetto. 761. i duo bei fior ecc.: i rosei colori d'un viso giovanile. 764. alati mi11istri: gli amorini. 765. 1\1s. A: scoter lor piume, onde fioccò leggera.

IL GIORNO

candida polve che a posar poi venne su le giovani chiome; e in bianco volse il biondo, il nero e l'odiato rosso. L'occhio cosi nell'amorosa reggia più non distinse le due opposte etadi, e solo vi restò giudice il tatto. Or tu adunque, o signor, tu che se' il primo fregio ed onor dell'amoroso regno, i sacri usi ne serba. Ecco che sparsa pria da provvida man, la bianca polve in piccolo stanzin con l' aere pugna, e degli atomi suoi tutto riempie egualmente divisa. Or ti fa' core, e in seno a quella vorticosa nebbia animoso ti avventa. Oh bravo! oh forte! Tale il grand'avo tuo tra 'l fumo e 'l foco orribile di Marte, furiando gittossi allor che i palpitanti lari de la patria difese, e ruppe e in fuga mise l'oste feroce. Ei non pertanto, fuliginoso il volto e d'atro sangue asperso e di sudore, e co' capegli stracciati ed irti, da la mischia uscio spettacol fero a' cittadini istessi per sua man salvi; ove tu, assai più dolce e leggiadro a vedersi, in bianca spoglia uscirai quindi a poco a bear gli occhi de la cara tua patria, a cui dell'avo il forte braccio e il viso almo, celeste del nipote dovean portar salute.

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766. candida po/ve: In cipria. 768. odiato rosso: i capelli rossi generalmente detestati. 773. amoroso regno: ms. A, acidalio regno (cioè il regno di Venere, dal nome della fonte greca in cui la dea soleva bagnarsi). 774-778. Ecco c/ie ecc.: per ottenere una imbiancatura dei capelli perfettamente unifonne il giovin signore entrava in un apposito stanzino nel quale l'aria era impregnata di cipria. 781-782. tra 'l fumo ecc.: nelle battaglie. 782. furiando: cfr. v. 525. 783. palpitanti lari: i numi tutelari, ansiosamente partecipi della battaglia. 785. oste: nemico. 786. /11liginoso il volto: con il volto annerito dal fumo. atro: scuro, nero. 789. /ero: fiero, terribile. 790. dolce: ms. A, vago. 792. q11indi a poco: dopo poco.

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GIUSEPPE PARINI

Ella ti attende impaziente, e mille anni le sembra il tuo tardar poch 'ore. È tempo ornai che i tuoi valletti al dorso con lieve man ti adattino le vesti cui la Moda e 'l Bongusto in su la Senna t'abbian tessute a gara, e qui cucite abbia ricco sartor, che in su lo scudo mostri intrecciato a forbici eleganti il titolo di M onsieur. Non sol dia leggi a la materia la stagion diverse; ma sien, qual si conviene al giorno e all'ora, sempre vari il lavoro e la ricchezza. Fero genio di Marte, a guardar posto de la stirpe de' numi il caro fianco, tu al mio giovane eroe la spada or cingi; lieve e corta non già, ma, qual richiede la stagion bellicosa, al suol cadente, e di triplice taglio annata e d'elsa immane. Quanto esser può mai sublime l'annoda pure, onde l'impugni all'uopo la furibonda destra in un momento: né disdegna-r con le sanguigne dita di ripulire et ordinar quel nodo onde l'elsa è superba: industre studio

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796-797. Questi due versi mancano nel ms. A. 796. Ella: la patria. 798-807. Questi versi sono ampiamente rielaborati nel ms. A, nel quale segue poi un frammento che non si trova nell'ed. 1 63 ( Vieni, o fior de gli eroi ... ). Ho riportato per intero nell'Appendice, p. 156, tanto il rifacimento dei vv. 798-807 quanto il nuovo frammento. 800. in su la Senna: Parigi. 802. scudo: insegna. 805. a la materia: all'abbigliamento, che deve mutare non solo sotto l'impero delle stagioni ma anche secondo le convenienze del giorno e dell'ora. 808-828. Questi versi sono collocati più innanzi nel ms. A. Quest'ultimo, dopo l'aggiunta del nuovo frammento, riportato nell'Appendice, riprende col v. 829 dell'ed. '63 (Figlie de la Memoria • .• ). 808: guardar: proteggere. 809. stirpe de' numi: nobiltà. 810-811. Ms. A: al mio giova11e eroe cigni la spada - corta e lieve ecc. 812. stagion bellicosa: detto ironicamente, ché dal 1748 al 1796 regnò in Italia la pace più perfetta. 81 J. triplice taglio: lama triangolare. 8 14. sublime: in alto. 816. Ms. A: la destra furibonda ecc. 817. né disdegnar ecc.: sempre rivolto al • genio di Marte». Perciò le sanguigne dita sono quelle del dio della guerra e non quelle del giovin signore, come ha pensato taluno. 8 I 8. nodo: ms. A, nastro.

IL GIORNO

è di candida mano; al mio signore dianzi donollo, e gliel appese al brando, la pudica d'altrui sposa a lui cara. Tal del famoso Artù vide la corte le infiammate d'amor donzelle ardite ornar di piume e di purpuree fasce i fatati guerrieri, onde più ardenti gisser poi questi ad incontrar periglio in selve orrende tra i giganti e i mostri. Figlie de la Memoria, indite suore, che invocate scendeste, e i feri nomi de le squadre diverse e de gli eroi annoveraste ai grandi che cantaro . Achille, Enea, e il non minor Buglione, or m'è d'uopo di voi: tropp'ardua impresa, e insuperabil senza vostr'aita, fia ricordare al mio signor di quanti leggiadri arnesi graverà sue vesti pria che di sé medesmo esca a far pompa. Ma qual tra tanti e sl leggiadri arnesi si felice sarà, che pria d'ogn'altro, signor, venga a formar tua nobil soma? Tutti importan del par. Veggo l'astuccio, di pelle rilucente ornato e d'oro, sdegnar la turba, e gli occhi tuoi primiero occupar di sua mole: esso a mill'uopi opportuno si vanta, e in grembo a lui, atta agli orecchi, ai denti, ai peli, all'ugne,

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822. Ms. A: l'altrui fida consorte a lui si cara. 823. Artù: il re Artù; la cui corte (la celebre Tavola Rotonda) ispirò tanti romanzi cavallereschi. 826. fatati: protetti da magici sortilegi. 826-827. Ms. A: .•• guerrier, d che poi lieti - correan mortale ad incontrar periglio. 827. gisser: andassero. 829. suore: sorelle. Le Muse erano figlie altro semideo), che esce dalla nube nella quale era avvolto ed appare, bellissimo, a Didone (Eneide, I, vv. 586-591). Anche per il giovin signore, come per Enea, la donatrice di bellezza è Venere. 479. Ed. '65: ed ai lievi cal::ari ecc. 482. Ed. '65: lami di passeggiare; anca potrai. 484. ilrerpicarti: su un alto predellino. 486. versarle: riversarti. - salir: ed. 1 65, sonar. 488. si turbi: per In gelosia. 490. a custodirla in tanto: ed. •6s, a custodir la bella. 491. rimase: ed. 1 65, lasciasti. 9

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GIUSEPPE PARINI

sospendete la notte: e i fatti egregi del mio giovin signor splender lasciate al chiaro giorno. Ma la notte segue sue leggi inviolabili, e declina con tacit'ombra sopra l'emispero; e il rugiadoso piè lenta movendo, rimescola i color vari infiniti, e via gli sgombra con l'immenso lembo di cosa in cosa: e suora de la morte un aspetto indistinto, un solo volto al suolo, ai vegetanti, a gli animali, ai grandi ed a la plebe equa permette; e i nudi insieme e li dipinti visi de le belle confonde e i cenci e l'oro: né veder mi concede all' aere cieco qual de' cocchi si parta o qual rimanga solo ali' ombre segrete : e a me di mano tolto il pennello, il mio signore avvolge per entro al tenebroso umido velo.

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499. sgombra: ed. '65, spazza. - lembo: velo. 502. vegetanti: vegetali. Ma il participio ce ne suggerisce la vita. 503. equa: giustamente. Con la stessa imparzialità della morte, di cui è sorella. 504. nudi: non imbellettati. 508. segrete: maliziosa allusione ai segreti colloqui che continuano a svolgersi col favore delle tenebre. 509. Ed. '65: toglie il pennello,· e il mio signore ecc.

IV

LA NOTTE

Né tu contenderai,

benigna Notte, che il mio giovane illustre io cerchi e guidi con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già, di tenebre involta e di perigli, sola, squallida, mesta alto sedevi su la timida terra. Il debil raggio de le stelle remote e de' pianeti che nel silenzio camminando vanno rompea gli orrori tuoi sol quanto è d'uopo a sentirli assai più. Terribil ombra giganteggiando si vedea salire su per le case e su per l'alte torri di teschi antiqui seminate al piede: e upupe e gufi e mostri avversi al sole svolazzavan per essa, e con ferali stridi portavan miserandi auguri: e lievi dal terreno e smorte fiamme sorgeano in tanto; e quelle smorte fiamme di su, di giù vagavano per l'aere orribilmente tacito ed opaco; e al sospettoso adultero, che lento col cappel su le ciglia, e tutto avvolto entro al manto, sen gìa con l'armi ascose,

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Il testo della Notte è quello del ms. Ambrosiano, IV, 17. Il Mazzoni, sulla scorta del Reina, prosegue oltre il v. 673 (dove ha termine PAmbrosiano IV, 17) con altri versi tratti dal ms. Ambrosiano, IV, 12. Io seguo il Bellorini, limitandomi a riprodurre il testo del primo ms. e collocando invece nell'Appendice (pp. 160 e 163) i due frammenti derivati dal secondo ms., i quali costituiscono l'aggiunta del Mazzoni e più precisamente i vv. 674-756 e 757-808 della sua edizione. 3. estremi: è l'ultima parte del poema. 4-29. È la celebre descrizione della notte che tanto piacque al Carducci e che i critici moderni più cautamente considerano come un omaggio del poeta neoclassico al gusto preromantico, così diffuso ormai nel suo tempo. 6. timida: cosi appare la terra se veduta dall'alto seggio della Notte. 13. seminate: perché i teschi sono immaginati insepolti. 14. upupe: non sono, come credeva il P., uccelli notturni. Così anche il Foscolo nei Sepolcri, v. 82. 15.ferali: funerei. 17-18. e lievi ecc.: i fuochi fatui.

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GIUSEPPE PARINI

colpieno il core e lo strignean d'affanno. E fama è ancor che pallide fantasime lungo le mura de i deserti tetti spargean lungo, acutissimo lamento, cui di lontano per lo vasto buio i cani rispondevano ululando. Tal fusti, o Notte, allor che gl' inclit' avi, onde pur sempre il mio garzon si vanta, eran duri ed alpestri; e con l'occaso cadean dopo lor cene al sonno in preda; fin che l'aurora sbadigliante ancora li richiamasse a vigilar su l'opre de i per novo cammin guidati rivi e su i campi nascenti; onde poi grandi furo i nipoti e le cittadi e i regni. Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, ecco del gioco, ecco del fasto i geni, che trionfanti per la notte scorrono, per la notte che sacra è al mio signore. Tutto davanti a lor, tutto s'irradia di nova luce. Le inimiche tenebre fuggono riversate; e l'ali spandono sopra i covili, ove le fere e gli uomini da la fatica condannati dormono. Stupefatta la Notte intorno vedesi riverberar più che dinanzi al sole auree cornici, e di cristalli e spegli pareti adorne, e vesti varie, e bianchi omeri e braccia, e pupillette mobili, e tabacchiere preziose, e fulgide fibbie ed anella, e mille cose e mille. Cosl l'eterno caos, allor che Amore

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26. deserti tetti: case abbandonate. 31. onde: dei quali. 32. con l'occaso: al tramonto. 36. guidati rivi: canali irrigatori. 37. campi nascenti: campi nei quali si maturano le nuove messi. 40. del fasto i geni: le divinità che proteggono il gioco e il lusso. 45. riversate: rovesciate, ricacciate indietro. 55-60. Il P. rinnova il mito secondo cui Amore trasse l'ordine universale delle cose dal Caos fecondato.

IL GIORNO

sopra posovvi e il fomentb con l'ale, sentì il genera tor moto crearsi; sentì schiuder la luce; e sé medesmo vide meravigliando, e i tanti aprirsi tesori di natura entro al suo grembo. O de' miei studi glorioso alunno, tu seconda me dunque, or ch'io t'invito glorie novelle ad acquistar là dove o la veglia frequente o l'ampia scena i grandi eguali tuoi, degna de gli avi e de i titoli loro e di lor sorte e de i pubblici voti, ultima cura dopo le tavolette e dopo i prandi e dopo i corsi clamorosi occùpa. Or dove, ahi dove senza me t'aggiri, lasso! da poi che in compagnia del sole t'involasti pur dianzi a gli occhi miei? Qual palagio ti accoglie; o qual ti copre da i nocenti vapor ch'Espero mena tetto arcano e solingo ; o di qual via I' ombre ignoto trascorri, ove la plebe affrettando tenton s'urta e confonde ? Ahimè, tolgalo il ciel, forse il tuo cocchio, ove il varco è più angusto, il cocchio altrui incontrò violento: e qual de i duo retroceder convegna, e qual star forte dispùtano gli aurighi alto gridando.

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56. fomentò: riscaldò, fecondò. Cfr. Vespro, v. 132. 62. seconda me: assecondami, seguimi. 62-69. Intendi: « io ti invito ad acquistarti nuove glorie là dove la conversazione (veglia frequente) o il teatro (ampia sce11a), ultima occupazione (c11ra) della giornata dei giovani signori, dopo la toeletta, il pranzo e la passeggiata sul corso, occupazione davvero conveniente alle loro glorie domestiche, alle loro ricchezze, attira a sé tutti i tuoi pari (egr,ali t11oi) •· 68. tavolette: cfr. la nota al v. 470 del Mattino. 74. noce11ti vapor: la umidità nociva della notte, ma forse anche le esalazioni malsane delle risaie e delle marcite. Cfr. La salllbrità dell'aria, vv. 97-114. - Espero: la stella della sera. 75. tetto arcano e solingo: maliziosa allusione agli amorosi convegni clandestini. 77. Non c'era ancora l'illuminazione. Ogni cittadino, di notte, doveva esser provvisto di lanterna. A Milano le prime lampade pubbliche, fisse ai muri, cominciarono nel 1786.

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GIUSEPPE PARINI

Sdegna, invitto garzon, sdegna d'alzare fra il rauco suon di Stentori plebei tu' amabil voce; e taciturno aspetta, sia che a l'un piaccia rovesciar dal carro lo suo rivale, o rovesciato anch'esso perigliar tra le rote; e te per l'alto de lo infranto cristal mandar carpone. Ma l'avverso cocchier d'un picciol urto pago sen fugge o d'un resister breve: al fin libero andrai. Tu non pertanto doman chiedi vendetta; alto sonare fa il sacrilego fatto; osa, pretendi, e i tribunali minimi e i supremi sconvolgi, agita, assorda: il mondo s'empia del grave caso; e per un anno almeno parli di te, de' tuoi corsier, del cocchio e del cocchiere. Di sì fatte cose voi progenie d'eroi famosi andate ne le bocche de gli uomini gran tempo. Forse ciarlier fastidioso indugia te con la dama tua nel vuoto corso. Forse a nova con lei gara d'ingegno tu mal cauto venisti: e già la bella teco del lungo repugnar s'adira; già la man che tu baci, arretra, e tenta liberar da la tua; e già minaccia ricovrarsi al suo tetto, e quivi sola involarse ad ognuno in fin che il sonno venga pietoso a tranquillar suoi sdegni. Tu in van chiedi mercé; di mente in vano tu a lei te stesso sconsigliata incolpi: ella niega placarse. Il cocchio freme dell'alterno clamore ; e il cocchio in tanto

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84. Stentori: uomini dotati di voce fortissima. Stentore è un personaggio delP Iliade che aveva voce per cinquonta. 104. gara d'ingegno: battibecco. 106. rep11gnar: contraddire. uo. involarse: sottrarsi. u2-113. di mente in vano ecc.: invano ti accusi, al suo cospetto, di avere un cervello sconsigliato. Inutilmente ti dai della bestia.

IL GIORNO

giace immobil fra l'ombra: e voi, sue care gemme, il bel mondo impaziente aspetta. Ode il cocchiere al fin d'ambe le voci un comando indistinto; e bestemmiando sferza i corsieri, e via precipitando ambo vi porta; e mal sa dove ancora. Folle! Di che temei? Sperdano i venti ogni augurio infelice. Ora il mio eroe fra l'amico tacer del vuoto corso lieto si sta la fresca òra godendo che dal monte lontan spira e consola. Siede al fianco di lui lieta non meno l'altrui cara consorte. Amor nasconde la incauta face; e il fiero dardo alzando allontana i maligni. O nume invitto, non sospettar di me; eh' io già non vegno invido esplorator, ma fido amico de la coppia beata, a cui tu vegli. E tu, signor, tronca gl'indugi. Assai fur gioconde quest'ombre allor che prima nacque il vago desio che te congiunse all'altrui cara sposa, or son due lune. Ecco il tedio a la fin serpe tra i vostri così lunghi ritiri: e tempo è ormai che in più degno di te pubblico agone splendano i geni tuoi. Mira la Notte che col carro stellato alta sen vola per l'eterea campagna; e a te col dito mostra Tèseo nel ciel, mostra Polluce, mostra Bacco ed Alcide e gli altri egregi

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116-117. sue care gnnme: cfr. Mattino, v. 157. 118. ambe le voci: le voci pacificate degli amanti suonano ora all'unisono, e non più a contrasto come dianzi (alterno clamore, v. 115). 125. òra: aura, la brezza che viene dalle Alpi. 133. a cui: in favore della quale. 137. or son due lune: due mesi or sono. 138. serpe: s'insinua. 141. i geni tuoi: sono quelli già indicati al v. 40. 144-145. Questi nomi di eroi, divenuti astri, rappresentano le costellazioni della Nave degli Argonauti (Teseo), dei Gemelli (Polluce), della Capra Amaltea (Bacco), di Ercole (Alcide). Ma qui il P. intende soltanto richiamare alla memoria del giovin signore l'esempio di illustri e gloriosi personaggi assunti in cielo.

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che per mille d'onore ardenti prove colà fra gli astri a sfolgorar saliro. Svégliati a i grandi esempi; e meco affretta. Loco è, ben sai, ne la città famoso, che splendida matrona apre al notturno concilio de' tuoi pari, a cui la vita fora senza di ciò mal grata e vile. I vi le belle e di feconda prole indite madri ad obliar sen vanno fra la sorte del gioco i tristi eventi de la sorte d'amore, onde fu il giorno agitato e sconvolto. I vi le grandi avole auguste e i genitor leggiadri de' già celebri eroi il senso e l'onta volgon de gli anni a rintuzzar fra l'ire magnanime del gioco. Ivi la turba de la feroce gioventù divina scende a pugnar con le mutabil'arme di vaghi giubboncei, d'atti vezzosi, di bei modi del dir stamane appresi; mentre la vanità fra il dubbio marte nobil furor ne' forti petti inspira; e con vario destin dando e togliendo la combattuta palma, alto abbandona i leggieri vessilli all'aure in preda. Ecco che già di cento faci e cento gran palazzo rifulge. Multiforme popol di servi baldanzosamente sale, scende, s'aggira. Urto e fragore di rote, di flagelli e di cavalli,

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148. affretta: affrettati. 149. Verso di intonazione epica, dov'è evidente la reminiscenza dantesca (111/erno, XVIII, v. 1 ). 153-154. di feconda prole ecc.: sono dunque già nonne! 157-158. le grandi ecc.: le bisnonne e gli agghindati nonni e bisnonni (genitor: i mariti di quelle madri e di quelle avole). 159. il senso e l'onta: l'afflizione e la vergogna che ad essi provengono dall'età. 160. rintuzzar: soffocare, dimenticare. - ire: forti emozioni. 162.feroce: animosa. 163. nmtabil'arme: che mutano col mutare della moda. 166. / ra il drtbbio mar te: nella incerta battaglia delle eleganze. 169. la combattuta palma: la contesa vittoria. 172. Multiforme: per la varietà delle livree. 175.fiagelli: fruste.

IL GIORNO

che vengono, che vanno, e stridi e fischi di gente, che domandan, che rispondono, assordan l'aria all'alte mura intorno. Tutto è strepito e l_uce. O tu, che porti la dama e il cavalier dolci mie cure, primo di carri guidator, qua volgi; e fra il denso di rote arduo cammino con olimpica man splendi; e d'un corso subentrando i grand'atrii, a dietro lascia qual pria le porte ad occupar tendea. Quasi a propria virtù, plauda al gran fatto il generoso eroe: plauda la bella che con Pagil pensier scorre gli aurighi de le dive rivali; e novi al petto sente nascer per te teneri orgogli. Ma il bel carro s'arresta: e a te, signore, a te, prima di lei sceso d'un salto, affidata la dea, lieve balzando, col sonante calcagno il suol percote. Largo dinanzi a voi fiammeggi e grondi, sopra l'ara de' numi ad arder nato, il tesoro dell'api: e a lei da tergo pronta di servi mano a terra proni lo smisurato lembo alto sospenda: somma felicità che lei sepàra da le ricche viventi, a cui per anco, misere! sopra il suol l'estrema veste sibila per la polvere strisciando.

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176. fischi: segnali per chiamare le carrozze. 181. primo ecc. : il cocchiere del giovin signore. 183. olimpica: degna di reggere i carri vittoriosi nelle corse d,Olimpia, e perciò appunto sicura di sé e ferma. - d,,m corso: di gran carriera, d,infilata. 184. subentrando i grand,atrii: entrando nel cortile attraverso gli atri. Costruzione latina. 184-185. a dietro lascia ecc.: làsciati alle spalle le carrozze che intendevano precederti. 188. sco"e: esamina e quindi giudica. - gli aurighi: sono i cocchieri delle amiche, sconfitti nell,audace rincorsa. 197. il tesoro dell' api: i ceri, destinati ad ardere sugli altari degli dei e quindi anche nei palazzi dei nobili o semidei. 198. 111a110: drappello, schiera. 199. lo smisurato lembo: la coda del vestito. Cfr. Mezzogiorno, vv. 345-346. 201. ricche viventi: le altre donne arricchitesi recentemente. Torna qui la differenza sociale tra la vera gentildonna e quelle di dubbia origine. Cfr. Vespro, vv. 437-443. 202. estrema veste: l'estremità del vestito.

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Ahi, se fresco sdegnuzzo i vostri petti dianzi forse agitò, tu chino e grave a lei porgi la destra; e seco innoltra quale ibero amador quando, raccolta dall'un lato la cappa, contegnoso scorge l'amanza a diportarsi al vallo, dove il tauro, abbassando i corni irati, spinge gli uomini in alto; o gemer s'ode crepitante giudeo per entro al foco. Ma no; ché l'amorosa onda pacata oggi siede per voi: e, quanto è d'uopo a vagarvi, il piacer solo la increspa una lieve aleggiando aura soave. Snello adunque e vivace offri a la beJla mollemente piegato il destro braccio. Ella la manca v'inserisca. Premi tu col gomito un poco. Anch'ella un poco ti risponda premendo ; e a la tua lena dolce peso a portar tutta si doni, mentre a piccioli salti ambo affrettate per le sonanti scale alto celiando. Oh come al tuo venir gli archi e le volte de' gran titoli tuoi forte rimbombano I Come a quel suon volubili le porte cedono spalancate; ed a quel suono degna superbia in corti bolle, e face l'anima eccelsa rigonfiar più vastal Entra in tal forma; e del tuo grande ingombra gli spazi fortunati. Ecco di stanze ordin lungo a voi s'apre. Altra di servi

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ibero amador: amante spagnolo. 208. contegnoso: con sussiego e con gravità tutta spagnola. 209. Conduce l'amante a divertirsi alla corrida. 211-212. o gemer s' ode ecc.: il luogo dove si ardevano gli ebrei e gli eretici. Questa sorta di barbarico spettacolo era chiamato • auto da fé » e ad esso il P. ha dedicato un suo componimento in versi sciolti: L'auto da fé (cfr., in questo volume, p. 342). 213-216. È la tranquilla bonaccia in cui s'acquieta, salvo qualche opportuno soffio di brezza, la relazione amorosa. Cfr. Mezzogiomo, vv. 112-121. 221. lena: impeto gagliardo. 227. volubili: che girano sui cardini. 231. del tuo grande: della tua magnificenza. 233. Altra: una delle stanze (l'anti207.

IL GIORNO

infimo gregge alberga, ove tra lampi di molteplice lume acceso e spento, e fra sempre incostanti ombre, schiamazza il sermon patrio e la facezia e il riso dell'energica plebe. Altra di vaghi zazzerati donzelli è certa sede, ove accento stranier misto al natio molle susurra: e s'apparecchia in tanto copia di carte e multiforme avorio, arme l'uno a la pugna, indice l'altro d'alti cimenti e di vittorie illustri. Al fin più interna, e di gran luce e d'oro e di ricchi tapeti aula superba, sta servata per voi, prole de' numi. Io, di razza mortale ignoto vate, come ardirò di penetrar fra i cori de' semidei, ne lo cui sangue in vano gocciola impura cercherla con vetro indagator colui che vide a nuoto per l'onda genitale il picciol uomo? Qui tra i servi m'arresto; e qui da loro nuove del mio signor virtudi ascose tacito apprenderò. Ma tu sorridi, invisibil Camena; e me rapisci invisibil con te fra li negati ad ognaltro profano aditi sacri.

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camera). Metti in correlazione altra diseroi(v. 233) e altra di vaghi zazzerati donzelli (vv. 238-239). 234-236. ove tra lampi ecc.: nell'anticamera si alternano luci e ombre, a seconda del sollevarsi e dell'abbassarsi delle tende, ogni volta che si annunzia un nuovo arrivato. 237. il sermon patrio: il dialetto milanese, il vivace e gustoso et meneghino D. 239. don:zelli: paggi, in parte stranieri. 241. molle: mollemente. È la mollezza della lingua straniera confrontata con la crudezza energica del dialetto plebeo (energica plebe, v. 238). 242. multiforme avorio: le marchette con cui si segnavano i punti. 246. tapeti: cosi è scritto nell'autografo. Va conservato perché è un evidente latinismo grafico (tapete, -etu) e anche francese (tapis). 246. aula: è il grande salone riservato ai nobili. 25 I. vetro: microscopio. 252-253. colui che vide ecc.: Antonio van Leuwenhoeck, olandese, nato il 1632 e morto nel 1723, perfezionò il microscopio. Qui il P. gli attribuisce il merito di avere per primo scoperto, negli spermatozoi, l'origine della generazione umana. 257. Camena: Musa. 259. aditi sacri: i sacri recessi dei semidei.

GIUSEPPE PARINI

Già il mobile de, seggi ordine augusto sovra i tiepidi strati in cerchio volge: e fra quelli eminente i fianchi estende il grave canapè. Sola da un lato la matrona del loco ivi si posa; e con la man che lungo il grembo cade, lentamente il ventaglio apre e socchiude. Or di giugner è tempo. Ecco le snelle e le gravi per molto adipe dame, che a passi velocissimi s,affrettano nel gran consesso. I cavalieri egregi lor camminano a lato: ed elle, intorno a la sede maggior vortice fatto di sé medesme, con sommessa voce brevi note bisbigliano; e dileguansi dissimulando fra le sedie umìli. Un tempo il canapè nido giocondo fu di risi e di scherzi, allor che l'ombre abitar gli fu grato ed i tranquilli del patagio recessi. Amor primiero trovò l'opra ingegnosa. - Io voglio - ei disse dono a le amiche mie far d'un bel seggio, che tre ad un tempo nel suo grembo accoglia. Cosi, qualor de gl'importuni altronde volga la turba, sederan gli amanti l'uno a lato dell'altro, ed io con loro. Disse, percosse ambe le palme; e l'ali apri volando impaziente all'apra. Ecco il bel fabbro lungo pian dispone di tavole contesto e molli cigne;

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260. mobile . . . ordine: la disposizione delle poltrone mutava secondo le circostanze e le convenienze. 261. tiepidi strati: i soffici tappeti. 262. eminente: più alto. 272. sede maggior: il canapè. 275. sedie umili: piccole e modeste rispetto al canapè, che era la sede maggior (v. 272) ed eminente (v. 262). 276-350. La favola del canapè. 277. ri .. si: il P. scrisse cosl, invece di risa, forse perché ebbe nell'orecchio il francese les ris; cosi come, nel v. 246, scrisse tapeti tenendo presente il francese tapis. 279-280. Amor primiero trovò: Amore scoperse per primo. 282. tre: i due amanti e lo stesso Amore (v. 285) o l'amica compiacente (arbitra sagace, vv.311 ..312). 289. contesto: fabbri .. cato. - cigne: cinghie.

IL GIORNO

a reggerlo vi dà vaghe colonne che del silvestre Pane i piè leggieri imitano scendendo: al dorso poi v'alza pattllo appoggio; e il volge a i lati come far soglion flessuosi acanti, o ricche coma d'arcade montone. Indi, predando a le vaganti aurette l'ali e le piume, le condensa e chiude in tumido cuscin, che tutta ingombri la macchina elegante; e al fin l'adorna di molli sete e di vernici e d'oro. Quanto il dono d'Amor piacque a le belle! Quanti pensier lor balenaro in mentel Tutte il chiesero a gara: ognuna il volle ne le stanze più interne: applause ognuna a la innata energia del vago arnese, mal repugnante e mal cedente insieme sotto a i mobili fianchi. lvi sedendo si ritrasser le amiche; e da lo sguardo de' maligni lontane, a i fidi orecchi si mormoraro i delicati arcani. I vi la coppia de gli amanti, a lato dell'arbitra sagace, o i nodi strinse, o calmò l'ira, e nuove leggi apprese. lvi sovente l'amador faceto raro volume all'altrui cara sposa lesse spiegando; e con sorrisi arguti fe' tra i fogli notar lepida imago. Il fortunato seggio invidia mosse de le sedie minori al popol vario:

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291. I piedi del dio Pane erano caprini; e cosi quelli del canapè. 293. patulo: ampio. 293-295. Le spalliere laterali erano piegate come la foglia det1•acanto nei capitelli corinzi, oppure come le coma delrariete. È cosl descritto un mobile in perfetto stile rococò. 297. f ali e le pi"me: le piume delle ali dei volatili. 305-306. innata energia ecc.: è t•energia propria del canapè dovuta alle sue cinghie elastiche, le quali cedono e insieme resistono sotto il peso dei corpi in continuo movimento. J 12. arbitra sagace: la saggia amica intermediaria. Cfr. la nota al v. 282. 3 1 5. raro: difficile a trovarsi perché proibito. Doveva trattarsi di qualche libro licenzioso. 317. lepida: lasciva.

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e fama è che talora invidia mosse anco a i talami stessi. Ah, perché mai, vinto da insana ambizione, uscìo fra lo immenso tumulto e fra il clamore de le veglie solenni I Avvi due geni fastidiosi e tristi, a cui dier vita l'Ozio e la Vanità, che, noti al nome di Puntiglio e di Noia, erran cercando gli alti palagi e le vigilie illustri de la prole de' numi. Un ne le mani porta verga fatale, onde sospende ne' miseri percossi ogni lor voglia; e di macchine al par, che l'arte inventi, modera !'alme a suo talento e guida: l'altro piove da gli occhi atro vapore; e da la bocca sbadigliante esala alito lungo, che, sembiante a i pigri soffi dell'austro, si dilata e volve, e d'inane torpor le menti occùpa. Questa del canapè coppia infelice allor prese l'imperio; e i risi e i giochi ed Amor ne sospinse. II trono è questo ove le madri de le madri eccelse de' primi eroi esercitan lor tosse; ove l'inclite mogli, a cui beata rendon la vita titoli distinti, sbadigliano distinte. Ah, se tu sai, fuggi ratto, o signor, fuggi da tanto pernicioso influsso ; e là fra i seggi de le più miti dèe, quindi remoto, con l'alma gioventù scherza e t'allegra.

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322. usdo: il soggetto è sempre il canapè. 326. al nome: sotto il nome. 328. tJigilie: veglie. 329. Un: uno dei due geni, cioè il Puntiglio. 331. voglia: forza di volontà. 333. modera: governa. 334. l'altro: l'altro genio, cioè la Noia. 336. pigri: che rendono pigri, che intorpidiscono. 337. atlstro: lo Scirocco. 339. infelice: malefica. 340. risi: cfr. nota al v. 277. 341. sospinse: cacciò. 346. distinte: con dignità. 349. miti: arrendevoli e scherzose. - _remoto: lontano dal canapè, dove siedono le vecchie puntigliose e noiose. 321. talami: letti matrimoniali.

IL GIORNO

Quanta folla d'eroi! Tu, che modello d'ogni nobil virtù, d'ogn'atto eccelso esser dei fra' tuoi pari, i pari tuoi a conoscere apprendi; e in te raccogli quanto di bello e glorioso e grande sparse in cento di loro Arte o N attira. Altri di lor ne la carriera illustre stampa i primi vestigi; altri gran parte di via già corse; altri a la meta è giunto. In vano il vulgo temerario a gli uni di fanciulli dà nome; e quelli adulti questi già vegli di chiamare ardisce: tutti son pari. Ognun folleggia e scherza; ognun giudica e libra; ognun del pari l'altro abbraccia e vezzeggia, in ciò soltanto non simili tra lor: che ognun sua cura ha diletta tra l'altre, onde più brilli. Questi è l'almo garzon che con maestri da la scutica sua moti di braccio desta sibili egregi; e l'ore illustra l'acre agitando de le sale immense, onde i prischi trofei pendono e gli avi. L'altro è l'eroe che da la guancia enfiata e dal torto oricalco a i trivi annuncia suo talento immortal, qualor dall'alto de' famosi palagi emula il suono di messagger che frettoloso arrive. Quanto è vago a mirarlo allor che in veste cinto spedita, e con le gambe assorte

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356. Arte o Natura: cfr. Mezzogiorno, vv. 603-607. 362. fJegli: vecchi. 364.giudica e libra: pesa e confronta, e quindi giudica.Cfr.Mezzogiomo, v. 839. 368-369. con maestri . •. moti di braccio: con abilissimi movimenti del braccio. 369. sciltica: frusta. 370. l'ore illustra: rende celebri questi momenti della sua esibizione. 372. Dalle pareti della sala pendono le panoplie e i ritratti degli avi. 374. torto oricalco: la tromba del postiglione. - trivi: crocicchi delle vie. Qui genericamente: vie, piazze. 379. spedita: succinta. Riferito a veste del verso precedente. assorte: assorbite, interamente calzate.

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in ampio cuoio, cavalcando a i campi rapisce il cocchio, ove la dama è assisa e il marito e l'ancella e il figlio e il canel Quegli or esce di là dove ne' fòri si ministran bevande, ozio e novelle. Ei v'andò mattutin, partinne al pranzo, vi tornò fino a notte: e già sei lustri volgon da poi che il bel tenor di vita giovinetto intraprese. Ah chi di lui può sedendo trovar più grati sonni, o più lunghi sbadigli, o più fiate d'atro rapè solleticar ]e nari, o a voce popolare orecchi e fede prestar più ingordo e declamar più forte? Ecco che il segue del figliuol di Maia il più celebre alunno, al cui consiglio nel gran dubbio de' casi ognaltro cede; sia che dadi versati, o pezzi eretti, o giacenti pedine, o brevi o grandi carte mescan la pugna. Ei sul mattino le stupide emicranie o l'aspre tossi molce giocando a le canute dame. Ei, già tolte le mense, i nati or ora giochi a le belle declinanti insegna. Ei, la notte, raccoglie a sé d'intorno schiera d'eroi, che nobil estro infiamma d'apprender l'arte, onde l'altrui fortuna vincasi e domi; e del soave amico nobil parte de' campi all'altro ceda. Vuoi su lucido carro in dì solenne gir trionfante al corso? Ecco quell'uno

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383. Jòri: piazze. Ma qui: caffè pubblici, com'è spiegato nel verso seguente. 391. atro rapi: il tabacco Rapè, nero e forte. Cfr. Mattino, v. 921. 394. figlillol di Maia: Mercurio, dio del gioco. 397-399. Sia che si disputi (mescan la pug,aa) ai dadi o agli scacchi, alla dama o alle carte grandi e piccine. 400. swpide: che istupidiscono 401. molce: raddolcisce, mitiga. 403. belle declinanti: le dame ormai avviate verso la vecchiaia. 408. nobil: notevole. - ceda: si trasferisca. 410. quell'11no: l'unico. 380. ampio cuoio: gr-andi stivaloni.

IL GIORNO

che al lavor ne presieda. E legni e pelli e ferri e sete e carpentieri e fabbri a lui son noti: e per l'Ausonia tutta è noto ei pure. Il càlabro di feudi e d'ordini superbo, i duchi e i prenci che pascon Mongibello, e fin gli stessi gran nipoti romani a lui sovente ne commetton la cura: ed ei sen vola d'una in altra officina in fin che sorga, auspice lui, la fortunata mole. Poi di tele ricinta, e contro ali' onte de la pioggia e del sol ben forte annata, mille e più passi l'accompagna ei stesso fuor de le mura; e con soave sguardo la segue ancor sin che la via declini. Vedi giugner colui che di cavalli invitto domator divide il giorno fra i cavalli e la dama. Or de la dama la m~n tiepida preme; or de' cavalli liscia i dorsi pilosi, ovver col dito tenta a terra prostrato i ferri e l'ugna. Aimè, misera lei, quando s'indìce fiera altrove frequente! Ei l'abbandona; e per monti inaccessi e valli orrende trova i lochi remoti, e cambia o merca. Ma lei beata poi, quand'ei sen torna sparso di limo ; e novo fasto adduce di frementi corsieri; e gli avi loro e i costumi e le patrie a lei soletta molte lune ripete! Or vedi l'altro

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416. Mongibello: l'Etna. Qui allude ai nobili che hanno i loro beni· in Sicilia. 420. auspice lui: sotto la sua direzione. 421. onte: offese, danni. 43 I. a te"a prostrato: inginocchiato. 432-433. quando s'in-

dice ecc. : quando altrove viene indetta una fiera di cavalli che richiama a sé molta gente. 435. cambia o nzerca: scambia o acquista cavalli. 437. sparso di limo: sudicio di fango. 438-440. e gli avi ecc.: ritornato dal viaggio, il fanatico dei cavalli va ripetendo per vari mesi alla dama, lasciata sola dal marito, l'origine e la genealogia dei corsieri da lui acquistati. Ma si può anche intendere: alla dama, che è rimasta sola per vari mesi (soletta molte lrlne). Prima, dunque, l'ha abbandonata per seguire i cavalli e quindi la ripaga della lunga vigilia con quelle equine dissertazioni I IO

GIUSEPPE PARINI

di cui più diligente o più costante non fu mai damigella o a tesser nodi o d'aurei drappi a separar lo stame. A lui turgide ancora ambe le tasche son d'ascose materie. Eran già queste prezioso tapeto in cui distinti d'oro e lucide lane i casi apparvero d'Ilio infelice: e il cavalier, sedendo nel gabinetto de la dama, ormai con ostinata man tutte divise in fili minutissimi le genti d'Argo e di Frigia. Un fianco solo avanza de la bella rapita; e poi l'eroe, pur giunto al fin di sua decenne impresa, andrà superbo al par d'ambo gli Atridi. Ma chi I' opre diverse o i vari ingegni tutti esprimer porìa, poi che le stanze folte già son di cavalieri e dame? Tu per quelle t'avvolgi. Ardito e baldo vanne, torna, ti assidi, ergiti, cedi, premi, chiedi perdono, odi, domanda, sfuggi, accenna, schiamazza, entra e ti mesci a i divini drappelli; e a un punto empiendo ogni cosa di te, mira e conosci. Là i vezzosi d'Amor novi seguaci lor nascenti fortune ad alta voce confidansi all'orecchio; e ridon forte; e saltellando batton palme a palme: sia che a leggiadre imprese Amor li guidi fra le oscure mortali: o che gli assorba

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442. tesser nodi: intrecciare nodi con un cordoncino, in modo da far frange o reticelle. 443. separar lo stame: è l'operazione inversa al tesser nodi. Sciogliere i fili di tessuti preziosi: sfilacciare. 446. tapeto: cfr. la nota al v. 246. 448 Ilio: Troia. È un arazzo nel quale era raffigurata la guerra di Troia. 451-452. le genti d'Argo e di Frigia: i Greci e i Troiani. 453. la bella rapita: Elena. - l'eroe: è il nobile signore che ama i lavori donneschi e in essi cerca la sua gloria. 454. decenne impresa: l'impresa della sfilacciatura ·è durata dieci anni, tanto quanto la guerra di Troia che era raffigurata nell'arazzo. 455. Atridi: Agamennone e Menelao, superbi dopo la vittoria sui Troiani. 461. perdono: scusa. Riflesso del pardon francese. 470. oscure mortali: le dame borghesi.

IL GIORNO

de le dive lor pari entro a la luce. Qui gli antiqui d'Amor noti campioni, con voci esili e dall'ansante petto fuor tratte a stento, rammentando vanno le superate al fin tristi vicende. Indi gl'imberbi eroi, cui diede il padre la prima coppia di destrier pur ieri, con animo viril celiano al fianco di provetta beltà, che a i risi loro alza scoppi di risa, e il nudo spande che, di veli mal chiuso, i guardi cerca che il cercarono un tempo. Indi gli adulti, a la cui fronte il primo ciuffo appose fallace parrucchier, scherzan vicini a la sposa novella; e di bei motti tendonle insidia, ove di lei s'intrichi l'alma inesperta e il timido pudore. Folli! Ché a i detti loro ella va incontro valorosa così come una madre di dieci eroi. V'ha in altra parte assiso chi di lieti racconti ovver di fole non ascoltate mai raro promette a le dame trastullo; e ride e narra e ride ancor, benché a le dame in tanto sovra l'arco de' labbri aleggi e penda insolente sbadiglio. Avvi chi altronde con fortunato studio in novi sensi le parole converte ; o i simil suoni pronto a colpir, divinamente scherza. Alto al genio di lui plaude il ventaglio de le pingui matrone, a cui la voce

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471. dive lor pari: le vere dame dell'aristocrazia. 478. con animo viril: dandosi l'aria di uomini fatti. 479. provetta: matura. -risi: cfr. la nota al v. 277. 480. il 11udo: le nudità del seno. 481. i guardi cerca: si studia di provocare gli sguardi, di attirare l'attenzione. 484. Jallace: abile ad ingannare, simulando capelli veri coi falsi. 491. /ok: favolette, scherzi, battute di spirito. 496-499. Awi chi altronde ecc.: c'è anche chi sa usare le parole in significato diverso dal proprio, creando cosi gustosi equivoci e doppi sensi; oppure afferrare parole di identico suono e diverso significato, e trame motivo di scherzo. t la tecnica dei calembours. so 1 - 502. a· cui la tJoce ecc. : alle dame anziane, non ancora smaliziate,

GIUSEPPE PARINI

di vernacolo accento anco risponde; ma le giovani madri al latte avvezze di più nuove dottrine, il sottil naso aggrizzan fastidite; e pur col guardo chieder sembran pietade a i belli spirti che lor siedono a lato; e a cui gran copia d'erudita efemeride distilla volatile scienza entro a la mente. Altri altrove pugnando audace innalza sovra d'ognaltro il palafren ch'ei sale, o il poeta o il cantor che lieti ei rende de le sue mense. Altri dà vanto ali' else lucido e bello de la spada, ond'egli solo, e per casi non più visti, al fine fu dal più dotto anglico artier fornito. Altri grave nel volto ad altri espone qual per l'appunto a gran convito apparve ordin di cibi: ed altri stupefatto, con profondo pensier, con alte dita conta di quanti tavolieri a punto grande insolita veglia andò superba. Un fra l'indice e il medio inflessi alquanto, molle ridendo, al suo vicin la gota preme furtivo: e l'un da tergo all'altro il pendente cappe! sotto all'ascella ratto invola; e del colpo a sé dà plauso.

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piace il dialetto e perciò esse approvano quegli scherzi rozzi di parole che dovevano evidentemente fondarsi più sul vernacolo che sull'italiano. 503-504. al latte avvezze ecc.: ormai abituate al linguaggio, ben più sottile e arguto, del1a cultura francese. 506. pietade: un aiuto, un sollievo. Le dame più giovani non apprezzano gli scherzi grossolani di cui s'è detto dianzi, e si volgono perciò agli spiriti più raffinati perché provvedano essi a guidare altrimenti la conversazione. 508. efemeride: giornale. Allude alla voga dei periodici di letteratura e di scienza che si andava affermando nel '700. 509. volatile: evanescente, che entra da una parte ed esce daU-altra. s I o. pugnando: disputando, discutendo. s13. else: elsa. 5 16. anglico artier: armaiuolo inglese. Già dall'Inghilterra il giovin signore faceva venire la lente (Mattino, v. 873) e i ricami (Mezzogiorno, vv. 441-442). 520. alte: levate in alto. 524. molle ridendo: ridendo con aria melensa. 526. pendente cappel: unn sorta di cappello schiacciato che s'usava portare sotto il braccio. In Lqmbardia si chiamava schiscetta e in Toscana schiaccino o addirittura sottobracci110.

IL GIORNO

Qual d'ogni lato i molti servi in tanto e seggi e tavolieri e luci e carte, suppellettile augusta, entran portando ? e sordo stropicciar di mossi scanni, e cigolìo di tavole spiegate odo vagar fra le sonanti risa di giovani festivi e fra le acute voci di dame cicalanti a un tempo, come intorno a selvaggio antico moro sull'imbrunir del dì garrulo stormo di frascheggianti passere novelle ? Sola in tanto rumor tacita siede la matrona del loco: e chino il fronte e increspate le ciglia, i sommi labbri appoggia in sul ventaglio, arduo pensiere macchinando tra sé. Medita certo come al candor, come al pudor si deggia la cara figlia preservar, che torna doman da i chiostri ove il sermon d'Italia pur giunse ad obliar, meglio erudita de le galliche grazie. Oh qual dimane ne i genitor, ne' convitati, a mensa ben cicalando ecciterai stupore, bella fra i lari tuoi vergin straniera! Errai. Nel suo pensier volge di cose l'alta madre d'eroi mole più grande: e nel dubbio crudel col guardo invoca de lè amiche l'aita; e a sé con mano il fido cavalier chiede a consiglio. Qual mai del gioco a i tavolier diversi ordin porrà, che de le dive accolte

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529. l11ci: candelabri. 532. tavole spiegate: tavolini a cerniera, apribili e chiudibili. 535. a un tempo: tutte insieme. 536. moro: gelso. 538. frascheggianti; che amano saltellare tra le frasche. Ma il P. deve avere anche maliziosamente pensato all'altro se·nso di frascheggiare (spettegolare volubilmente). 540. il JroP1te: cfr. la nota al v. 130 del Vespro. 541. i sommi labbri: la sommità delle labbra o, meglio, il labbro superiore. 545. cara figlia: cfr. Mezzogiorno, v. 570. 547. pur: finalmente.

GIUSEPPE PARINI

nulla obliata si dispetti; e nieghi più qui tornare ad aver scorno ed onte ? Come, con pronto antiveder, del gioco il dissimil tenore a i geni eccelsi assegnerà conforme; ond'altri poi non isbadigli lungamente, e pianga le mal gittate ore notturne; e lei de lo infelice oro perduto incolpi? Qual paro e quale al tavolier medesmo e di campioni e di guerriere audaci fia che tra loro a tenzonar congiunga: sl che giammai per miserabil caso, la vetusta patrizia, essa e lo sposo ambo di regi favolosa stirpe, con lei non scenda al paragon che al grado per breve serie di scrivani or ora fu de' nobili assunta, e il cui marito gli atti e gli accenti ancor serba del monte? Ma che non può sagace ingegno e molta d'anni e di casi esperienza? Or ecco ella compose i fidi amanti; e lungi de la stanza nell'angol più remoto il marito costrinse, a dl sl lieti sognante ancor d'esser geloso. Altrove le occulte altrui, ma non fuggite all'occhio dotto di lei, benché nascenti a pena, dolci cure d'amor, fra i meno intenti o i meni acuti a penetrar nell'alte dell'animo latèbre, in grembo al gioco

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559. ri dispetti: si indispettisca. 561-566. La dama è preoccupata di riuscire a distribuire i giocatori in modo che il diverso tenore del gioco, ora impetuoso ed ora cauto, sia conforme alle inclinazioni di ciascuno di essi. Eviterà cosi, infatti, che il giocatore audace si annoi ad un tavolo troppo tranquillo e che, d'altra parte, il giocatore prudente non si rammarichi troppo d'essersi scontrato con un avversario più forte e spregiudicato. 567.paro: coppia. 572./avolosa: celebre. 573. lei: colei. 573-575. che al grado ecc.: che soltanto di recente ha raggiunto il titolo nobiliare. Si tratta di nobiltà di toga (per breve serie di scrivani), intorno alla quale si veda il Vespro, vv. 421-426. 579. compose: mise insieme. 58 I. costrinse: relegò. 581-582. a di d lieti ecc.: cfr. Mezzogiorno, vv. 162-202. 585. nieno intenti: distratti. 586-587. nell' alte dell'animo latlbre: nei profondi segreti del cuore.

IL GIORNO

pose a crescer felici: e già in duo cori grazia e mercé de la bell'opra ottiene. Qua gl'illustri e le illustri; e là gli estremi ben seppe unir de' novamente compri feudi, e de' prischi gloriosi nomi cui mancò la fortuna. Anco le piacque accozzar le rivali, onde spiarne i mal chiusi dispetti. Anco per celia più secoli adunò, grato aspettando e per gli altri e per sé riso dall'ire settagenarie, che nel gioco accense fien, con molta raucedine e con molto tentennar di parrucche e cuffie alate. Già per l'aula beata a cento intorno dispersi tavolier seggon le dive, seggon gli eroi, che dell'Esperia sono gloria somma o speranza. Ove di quattro un drappel si raccoglie: e dove un altro di tre soltanto. I vi di molti e grandi fogli dipinti il tavolier si sparge: qui di pochi e di brevi. Altri combatte; altri sta sopra a contemplar gli eventi de la instabil fortuna e i tratti egregi del sapere o dell'arte. In fronte a tutti grave regna il consiglio: e li circonda maestoso silenzio. Erran sul campo agevoli ventagli, onde le dame cercan ristoro aWagitato spirto dopo i miseri casi. Erran sul campo lucide tabacchiere. Indi sovente

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591. novammte: recentemente. 59S. mal chiusi: mal repressi. 596. più secoli: più vecchi insieme. 598. settagenarie: settuagenarie. 600. cuffie alate: le cuffie, con ali alle due parti per proteggere le orecchie, che portavano le vecchie. 603. Esperia: Italia. 604-608. Ove di quattro ecc. : alcuni ospiti si riuniscono a gruppi di quattro per il gioco dei •tarocchi•, con molte e grandi carte (fogli dipinti), altri invece si riuniscono a gruppi di tre per il gioco delle •ombre•, con poche e piccole carte. 611. del sapere o dell'arte: probabile allusione, oltre alla sapienza onesta del giocatore, anche all'arte del barare. Cfr. v. 407. 612. consiglio: riflessione. 613. sul campo: sul tappeto verde. 614. agevoli: agili, maneggevoli.

GIUSEPPE PARINI

un'util rimembranza, un pronto avviso con le dita si attigne: e spesso volge i destini del gioco e de la veglia un atomo di polve. Ecco sen ugne la panciuta matrona intorno al labbro le calugini adulte: ecco sen ugne le nari delicate e un po' di guancia la sposa giovinetta. In vano il guardo d'esperto cavalier, che già su lei medita nel suo cor future imprese, le domina dall'alto i pregi ascosi: e in van d'un altro, timidetto ancora, il pertinace piè l'estrema punta del bel piè le sospigne. Ella non sente o non vede o non cura. Entro a que' fogli, eh' ella con man sì lieve ordina o turba, de le pompe muliebri a lei concesse or s'agita la sorte. Ivi è raccolto il suo cor, la sua mente. Amor sorride; e luogo e tempo a vendicarsi aspetta. Chi la vasta quiete osa da un lato . . romper con voci successive, or aspre, or molli, or alte, ora profonde, sempre con tenore ostinato, al par di secchi che scendano e ritornino piagnenti dal cupo alveo dell'onda; o al par di rote che sotto al carro pesante, per lunga odansi strada scricchiolar lontano ? L'ampia tavola è questa, a cui s'aduna quanto mai per aspetto e per maturo senno il nobil concilio ha di più grave

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618. un pronto avviso: una buona idea subitanea, una repentina illuminazione. 621. un atomo di polve: una presa di tabacco. 623. le calugini adulte: la peluria ormai folta. 628. pregi ascosi: le celate bellezze del seno. 630. pertinace: ostinato. 634-635. de le pompe ecc.: arrischia al gioco tutto il denaro che le è stato assegnato dal marito per racquisto dei suoi abbigliamenti. 637. Amore attende che la dama non abbia più denari, perché allora essa sarà più arrendevole verso i suoi corteggiatori. 641. con tenore osti11ato: con suono persistente. 643. dal cupo alveo dell'onda: dal fondo di un pozzo.

IL GIORNO

o fra le dive socere o fra i nonni o fra i celibi già da molti lustri memorati nel mondo. In sul tapeto sorge grand'urna, che poi scossa in volta la dovizia de' numeri comparte fra i giocator cui numerata è innanzi d'immagini diverse alma vaghezza. Qual finge il vecchio che con man la negra sopra le grandi porporine brache veste raccoglie; e rubicondo il naso di grave stizza alto minaccia e grida, l'aguzza barba dimenando. Quale finge colui che con la gobba enorme e il naso enorme e la forchetta enorme le cadenti lasagne avido ingoia. Quale il multicolor zanni leggiadro che, col pugno posato al fesso legno, sovra la punta dell'un piè s'innoltra; e la succinta natica rotando, altrui volge faceto il nero ceffo. Né d'animali ancor copia vi manca, o al par d'umana creatura l'orso ritto in due piedi, o il miccio, o la ridente simmia, o il caro asinello, onde a sé grato e giocatrici e giocator fan speglio.

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651-655. È il gioco della «cavagnola,i, una specie di tombola con cartelle figurate. 651. tapeto: cfr. la nota al v. 246. 652. in volta: a turno, girando da un giocatore all'altro. 653. la dovizia de' numeri: il gran numero complessivo dei numeri. 656-668. Qual • .• Quale • .• Quale . . • ecc.: in una di queste cartelle è rappresentato Pantalone, vecchio e stizzoso, vestito di nero e di rosso (maschera veneziana); in un'altra cartello è rappresentato Pulcinella, enormemente nasuto e gibboso, mentre mangia avidamente i maccheroni (maschera napoletana); in un'altra cartella ancora, è rappresentato Zanni o Arlecchino, con la veste multicolore, la spatola di legno e la mascherina nera sul volto (maschera bergamasca). 673. Qui ha termine il ms. Ambrosiano, IV, 17. Per il proseguimento della Notte, quale si pub ricavare dal ms. Ambrosiano, IV, 12, si veda l'Appendice (p. 160).

APPENDICE FRAMMENTI VARI ! APPUNTI DEL «GIORNO»

I

(Mattino) ... o di lugùbri panni ravvolto il garrulo forense cui de' paterni tuoi campi e tesori il periglio s'affida; o il tuo castaldo che già con l'alba a la città discese, bianco di gelo mattu tin la chioma. Così zotica pompa i tuoi maggiori al dì nascente si vedean dintorno: ma tu, gran prole, in cui si féo scendendo e più mobile il senso e più gentile, ah sul primo tornar de' lievi spirti all'uficio diurno, ah non ferirli d'imagini sì sconce! Or come i detti di costor soffrirai barbari e rudi; come il penoso articolar di voci smarrite, titubanti al tuo cospetto; e, tra l'obliquo profondar d'inchini, del calzar polveroso in su i tapeti le impresse orme indecenti ?

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Sono i vv. 131-149 del ms. Ambrosiano IV, 3-4 (ms. A). Sono nuovi rispetto all'ed. '63. Cfr. la nota al v. 164 del Mattino. 1-2. lugùbri panni: abiti neri. 2. ga"ulo forenst: l'avvocato. 4. il ptriglio: la responsabilità amministrativa, resa difficile dagli sperperi del giovin signore. 7. :,otica pompa: rozza processione di gente. 10. mobile: pronto a reagire, schifiltoso. - gentile: delicato. 17. obliquo: sgraziato.

IL GIORNO

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II

(Mattino)

Ogni cosa è già pronta. All'un de' lati crepitar s' odon le fiammanti brage ove si scalda industrioso e vario di ferri arnese a moderar del fronte gl'indocili capei. Stuolo d' Amori invisibil sul foco agita i vanni, e per entro vi soffia, alto gonfiando ambe le gote. Altri di lor v'appressa pauroso la destra, e prestamente ne rapisce un de' ferri; altri rapito tenta com'arda, in su l'estrema cima sospendendo! dell'ala, e cauto attende pur se la piuma si contragga o fume; altri un altro ne scote, e de le ceneri filigginose il ripulisce e terge. Tali a le vampe dell'etnea fucina, sorridente la madre, i vaghi Amori eran ministri all'ingegnoso fabbro: e sotto a i colpi del martel frattanto l'elmo sorgea del fonda tor latino. All'altro lato con la man rosata Como e di fiori inghirlandato il crine i bissi scopre ove di idali arredi almo tesor la tavoletta espone. I vi e nappi eleganti e di canori cigni morbide piume; ivi raccolti di lucide odorate onde vapori;

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Sono i vv. 438-484 del ms. A. Sono nuovi rispetto atred. 1 63. Cfr. la nota al v. 474 del Mattino. 3-4. vario di ferri arnese: l'armamentario dei ferri per arricciare i capelli. 4. del fronte: della fronte. Cfr. nota al v. 130 del Vespro. 10. rapisce: porta via in fretta. - rapito: dopo averlo tolto dal fuoco. 16-20. Ricorda la fabbricazione delle armi di Enea (fondator latino) ad opera di Vulcano (ingegnoso fabbro), per ordine di Venere, nella fucina dell'Etna. La fonte è in Virgilio (Eneide, canto VIII), ma gli Amorini sono un 1 invenzione pariniana. 22. Como: dio dei banchetti. Cfr. nota al v. 822 del Mezzogiorno. Ma qui più propriamente deve intendersi come il dio della toeletta. 23. idali: di Venere.

GIUSEPPE PARINI

ivi di polvi fuggitive al tatto color diversi o ad imitar d'Apollo raurato biondo o il biondo cenerino che de le sacre Muse in su le spalle casca ondeggiando tenero e gentile. Che se a nobil eroe le fresche labbra repentino spirar di rigid 'aura offese alquanto, v'è stemprato il seme de la fredda cucurbita; e se mai pallidetto ei si scorga, è pronto all'uopo arcano a gli altri eroi vago cinabro. Né quando a un semideo spuntar sul volto pustula temeraria osa pur fosse, multiforme di nèi copia vi manca, ond'ei l'asconda in sul momento, ed esca più periglioso a saettar co i guardi le belle inavvedute, a guerrier pari che, già poste le bende a la ferita, più glorioso e furibondo insieme sbaragliando le schiere entra nel folto.

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III

(Mattino)

Non vedi ornai qual con solerte mano rechin di vesti a te pubblico arredo i damigelli tuoi ? Rodano e Senna le tesserono a gara, e qui cucille opulento sartor cui su lo scudo serpe intrecciato a forbici eleganti il titol di monsù ; né sol dà leggi a la materia la stagion diverse,

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28. fuggitive al tatto: impalpabili. 36. cucurbita: la zucca, con i cui semi si facevano pomate. 38. cinabro: belletto. 41. nèi: nèi artificiali, fatti con pezzetti di taffettà nero. Sono i vv. 811-854 del ms. A. I primi 10 versi sono un rifacimento dei vv. 798-807 dell'ed. '63; gli altri, invece, sono nuovi. Cfr. la nota ai vv. 798-807 del Mattino.

IL GIORNO

ma qual più si conviene al giorno e all'ora vari sono il lavoro e la ricchezza. Vieni, o fior de gli eroi, vieni: e qual suole nel più dubbio de' casi alto monarca avanti al trono suo convocar lento di satrapi concilio a cui nell'ampia calvizie de la fronte il senno appare; tal di limpidi spegli a un cerchio in mezzo grave t'assidi, e lor sentenza ascolta. Un giacendo al tuo piè mostri qual deggia liscia e piana salir su per le gambe la docil calza: un sia presente al volto, un dietro al capo: e la percossa luce quinci e quindi tornando, a un tempo solo tutto al giudizio de' tuoi guardi esponga l'apparato dell'arte. Intanto i servi a te sudino intorno; e qual, piegate le ginocchia in sul suol, prono ti stringa il molle piè di lucidi fermagli; e qual del biondo crin, che i nodi eccede su le schiene ondeggiando, in negro velo i tesori raccoglia; e qual già pronto venga spiegando la nettarea veste. Fortunato garzone, a cui la moda in fioriti canestri e di vermiglia seta coperti preparò tal copia d'ornamenti e di pompe! Ella pur ieri a te dono ne féo. La notte intera faticaron per te cent'aghi e cento; e di percossi e ripercossi ferri per le tacite case andò il rimbombo: ma non invan, poi che di novo fasto oggi superbo nel bel mondo andrai; e per entro l'invidia e lo stupore passerai de' tuoi pari, eguale a un dio, folto bisbiglio sollevando intorno.

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t 4. satrapi: consiglieri. 2 I. percossa l11ce: luce riflessa. 22. a 1,n tempo solo: contemporaneamente. 31. ,iettarea veste: veste profumata. 38. /erri: ferri da stiro.

GIUSEPPE PARINI IV

(Mattino)

Volgi, o invitto campion, volgi tu pure il generoso piè dove la bella e de gli eguali tuoi scelto drappello sbadigliando t'aspetta all'alte mense. Vieni, e godendo, nell'uscire, il lungo ordin superbo di tue stanze ammira. Or già siamo all'estreme: alza i bei lumi a le pendenti tavole vetuste che a te degli avi tuoi serbano ancora gli atti e le forme. Quei che in duro dante strigne le membra, e cui sì grande ingombra traforato collar le grandi -spalle, fu di macchine autor; cinse d'invitte mura i penati; e da le nere torri signoreggiando il mar, verso le aduste spiagge la predatrice Africa spinse. Vedi quel magro a cui canuto e raro pende il crin da la nuca, e l'altro a cui su la guancia pienotta e sopra il mento serpe triplice pelo? Ambo s'adornano di toga magistral cadente a i piedi: l'uno a Temi fu sacro: entro a' licei la gioventù pellegrinando ei trasse a gli oracoli suoi; indi sedette nel senato de' padri; e le disperse leggi raccolte, ne fe' parte al mondo: l'altro sacro ad Igeia. Non odi ancora, presso a un secol di vita, il buon vegliardo

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Sono i vv. 1099-1148 del ms. A. Sono nuovi rispetto all'ed. 1 63. Cfr. la nota ai vv. 1039-1065 del Mattino. . 5-6. lungo ordin: lunga sfilata. 7. estreme: le ultime stanze. 8. pendenti tavole: i quadri. 1 o. dante: pelle di daino. 12.. tra/orato colla,: collare di trina. 14. i penati: la città nada. - nere torri: torri litoranee. 15. aduste: torride. 16. predatrice: nido di predoni (i barbareschi). 20. triplice pelo: baffi e pizzo. 22. l'1lno ecc.: uno fu magistrato. - Temi era la dea della giustizia. - licei: atenei. 24. oracoli: lezioni. 2 7. l'altro ecc. : un altro fu medico. - Jgeia: era la dea della salute. 28. presso ecc.: ormai vicino a diventare centenario.

IL GIORNO

di lui narrar quel che da' padri suoi nonagenari udi, com' ei spargesse su la plebe infelice oro e salute, pari a Febo suo nume? Ecco quel grande a cui sì fosco parruccon s'innalza sopra la fronte spaziosa; e scende di minuti botton serie infinita lungo la veste. Ridi ? Ei novi aperse studi a la patria; ei di perenne aita i miseri dotò ; portici e vie stese per la cittade; e da gli ombrosi lor lontani recessi a lei dedusse le pure onde salubri, e ne' quadrivi e in mezzo a gli ampli fòri alto le fece salir scherzando a rinfrescar la state, madre di morbi popolari. Oh come ardi a tal vista di beato orgoglio, magnanimo garzon! Folle! A cui parlo? Ei già più non m'ascolta: odiò que' ceffi il suo sguardo gentil: noia lui prese di si vieti racconti: e già s'affretta giù per le scale impaziente.

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(Mezzogiorno) Già de le fere e degli augelli il giorno, e de' pesci notanti, e de' fior vari, degli alberi, e del vulgo, al suo fin corre. Di sotto al guardo dell'immenso Febo sfugge l'un Mondo; e a berne i vivi raggi Cuba s'affretta, e il Messico, e .l'altrice

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37-38. ei di pernine aita ecc.: egli beneficò, con lasciti perpetui, i poveri. 40. dedr,sse: fece affluire. 43. salir scherzando: zampillare. - state: il caldo estivo. 44. morbi popolari: mali contagiosi, epidemie. 49. vieti: no10s1. Sono i vv. u95-1219 del Mezzogiorno secondo la lezione primitiva dell'ed. '65. Cfr. la nota al v. 1194 del Mezzogiorno e quella ai vv. 1-25 del Vespro.

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di molte perle California estrema. Già da' maggiori colli e da l'eccelse torri il Sol manda gli ultimi saluti ali' Italia fuggente; e par che brami rivederti, o Signore, anzi che l'Alpe o l' Apennino o il mar curvo ti celi agli occhi suoi. Altro finor non vide che di falcato mietitore i fianchi su le campagne tue piegati e lassi, e su le armate mura or fronti or spalle carche di ferro, e su le aeree capre degli edifici tuoi man scabre e arsicce, e villan polverosi innanzi ai carri gravi del tuo ricolto, e sui canali e sui fertili laghi irsute braccia di remigante che le alterne merci al tuo comodo guida ed al tuo lusso, tutt'ignobili oggetti. Or colui vegga che, da tutti servito, a nullo serve.

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Signor, che fai? Così dell'opre altrui inoperoso spettator non vedi già la sacra del gioco ara disposta a te pur anco? E nell'aurato bronzo che d'attiche colonne il grande imìta i lumi sfavillanti, a cui nel mezzo lusingando gli eroi sorge di carte elegante congerie intatta ancora? Ecco s'asside la tua dama, e freme ornai di tua lentezza; eccone un'altra, ecco l'eterno cavalier con lei,

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Sono i vv. 674-756 della Notte secondo l'edizione del Mazzoni. Derivano dal ms. Ambrosiano IV, 12. Cfr. la nota al v. 673 della Notte. 4. a te: per te. s. il grande: la grandezza. 8. congerie: mazzo. 1 1. eterno: che non si stacca mai da lei.

IL GIORNO

che ritto in piè del tavolino al labbro più non chiede che te; e te co i guardi, te con le palme desiando affretta. Questi, or volgon tre lustri, a te simìle corre di gloria il generoso stadio de la sua dama al fianco. A lei l'intero giorno il vide vicino, a lei la notte innoltrata d'assai. Varia tra loro fu la sorte d'amor, mille le guerre, mille le paci, mille i furibondi, scapigliati congedi, e mille i dolce palpitanti ritorni, al caro sposo noti non sol, ma nel teatro e al corso lunga e trita novella. Alfine Amore, dopo tanti travagli, a lor nel grembo molle sonno chiedea, quand'ecco il Tempo tra la coppia felice osa indiscreto passar volando; e de la dama un poco, dove il ciglio ha confin, riga la guancia con la cima dell'ale, all'altro svelle parte del ciuffo che nel liquid'aere si conteser di poi l'aure superbe. Al fischiar del gran volo, a i dolci lai de gli amanti sferzati, Amor si scosse, il nemico sentì, l'armi raccolse, a fuggir cominciò. - Pietà di noi, pietà! - gridan gli amanti - or se tu parti, come sentir la cara vita, o come : più lunghi desiarne i giorni e l'ore? Né già in van si gridò. La gracil mano verso l'omero armato Amor levando, rise un riso vezzoso; indi un bel mazzo de le carte che Felsina colora

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12. labbro: orlo. 15. or volgon tre lustri: da quindici anni. 16. Segue la gloriosa professione del cavalier servente. 22. scapigliati: per la disperazione. - dolce: doJcemente. 30. riga la guancia: forma le prime rughe. 3 1-32. svelle parte del ciuffo: dirada i capelli. 34. volo: il volo del Tempo. 44. Felsi.11a: Bologna, celebre per le sue carte da gioco. II

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tolse da la faretra, e - Questo, - ei disse a voi resti in mia vece. - Oh meravigliai Ecco que' fogli, con diurna mano e notturna trattati, anco d'amore sensi spirano e moti. Ah se un invito, ben comprese giocando e ben rispose il cavalier, qual de la dama il fiede tenera occhiata che nel cor discende; e quale a lei voluttuoso in bocca da una fresca rughetta esce il sogghigno! Ma se i vaghi pensieri ella disvia sol un momento, e il giocatore avverso util ne tragge, ah! il cavaliere allora freme geloso, si contorce tutto ... fa irrequieto scricchiolar la sedia; e male e violento aduna, e male mesce i discordi de le carte semi, onde poi l'altra giocatrice a manca ne invola il meglio: e la stizzosa dama i due labbri aguzzando il pugne e sferza con atroce implacabile ironia, cara a le belle multilustri. Or ecco sorger fieri dispetti, acerbe voglie, lungo aggrottar di ciglia, e per più giorni a la veglia, al teatro, al corso, in cocchio, trasferito silenzio. Al fin, chiamato un per gran senno e per veduti casi Nestore tra gli eroi famoso e chiaro, rompe il tenor de le ostinate menti con mirabil di mente arduo consiglio. Così, ad onta del tempo, or lieta or mesta l'alma coppia d'amarsi anco si finge,

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47-48. con diurna ecc.: cfr. Orazio (Ai Pisani, vv. 268-269): Vos exemplaria Graeca - nocturna versate manu, versate diurna. 49. invito: tacita sollecitazione al compagno perché intenda qual gioco debba fare. 50. rispose: corrispose a quell'invito, assecondò i piani della dama. 51. fiede: ferisce. 61. semi: i vari gruppi delle carte (coppe, bastoni, spade, denari nelle carte italiane; cuori, fiori, quadri, picche nelle carte francesi). 66. multilustri: attempate. 70. trasferito: a lungo mantenuto. 72. Nestore: eroe saggio dell'Iliade.

IL GIORNO

così gusta la vita. Egual ventura t'è serbata, o· signor, se ardirà mai, ch'io non credo però, Jtalato veglio smovere alcun de' preziosi avori onor de' risi tuoi, sì che le labbra si ripieghino a dentro, e il gentil mento oltre i confin de la bellezza ecceda.

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(Notte) Ma d'ambrosia e di nettare gelato anco a i vostri palati almo conforto, terrestri deitadi, ecco sen viene; e cento Ganimedi, in vaga pompa e di vesti e di crin, lucide tazze ne recan taciturni; e con leggiadro e rispettoso inchin, tutte spiegando dell'omero virile e de' bei fianchi le rare forme, lusingar son osi de le Cinzie terrene i guardi obliqui. Mira, o signor, che a la tua dama un d'essi lene s'accosta e con sommessa voce e mozzicando le parole alquanto, onde pur sempre al suo signor somigli, a lei di gel voluttuoso annuncia copia diversa. I vi è raccolta in neve la fragola gentil che di lontano

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79. alato veglio: il Tempo. So. avori: i denti. 81. risi: cfr. la nota al v. 277 della Notte. Sono i vv. 7 57-808 della Notte secondo l'edizione del Mazzoni. Derivano, come quelli dell'Appendice VI, dal ms. Ambrosiano IV, 12. Cfr. la nota al v. 673 della Notte. 3. terrestri deitadi: gli invitati. 4. Ganimedi: camerieri. Ganimede era il coppiere degli dei. s. crin: la parrucca. 9. lusingar son osi: osano provocare. 10. Cim:ie terrene: le castissime dame. Cinzia era la vergine Diana. - i guardi obliqt1i: sguardi di sottecchi, sbirciatine maliziose. 12. lene: con riguardo. 16-28. La varià serie dei gelati: di fragola, di limone, di crema, di ananasso, di caffè e di cioccolato.

GIUSEPPE PARINI

pur col soave odor tradì se stessa; v'è il salubre limon; v'è il molle latte; v'è con largo tesor culto fra noi pomo stranier che coronato usurpa loco a i pomi natii; v'è le due brune odorose bevande che pur dianzi, di scoppiato vulcan simili al corso, fumanti, ardenti, torbide, spumose, inondavan le tazze; ed or congeste sono in rigidi coni a :fieder pronte di contraria dolcezza i sensi altrui. Sorgi tu dunque, e a la tua dama intendi a porger di tua man, scelto fra molti, il sapor più gradito. I suoi desiri ella scopre a te solo: e mal gradito o mal lodato almen giugne il diletto, quando al senso di lei per te non giunge. Ma pria togli di tasca intatto ancora candidissimo lin che sul bel grembo di lei scenda spiegato, onde di gelo inavvertita stilla i cari veli e le frange pompose in van minacci di macchia disperata. Umili cose e di picciol valore al cieco vulgo queste forse parran, che a te dimostro con sì nobili versi, e spargo ed orno de' vaghi fiori de lo stil ch'io colsi ne' recessi di Pindo; e che già mai da poetica man tocchi non furo. Ma di sì crasso error, di tanta notte già tu non hai l'eccelsa mente ingombra, signor, che vedi di quest'opre ordirsi de' tuoi pari la vita, e sorger quindi

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20. culto: coltivato. 2 I. usurpa: prende il posto, sostituisce. 22. pomi natii: frutta nostrane. 22-23. le due brune ecc.: il caffè e il cioccolato. 24. scoppiato fJUlcan: la lava. 26. congeste: gelate. 28. i senti: il palat(?. 34. per te: per tuo mezzo. 40. disperata: irreparabile. 45. ne' recessi di Pindo: nel regno della poesia. Pindo era il monte sacro alle Muse. 47. notte: cieca ignoranza. 49. opre: occupazioni.

IL GIORNO

la gloria e lo splendor di tanti eroi che poi prosteso il cieco vulgo adora. VIII

(Notte)

Poi che tant' opre e gloriose hai solo fatte in un giorno, almo signore, or vieni meco e discendi ne la valle inferna. Né il lusingante con la cetra Orfeo, né l'armato di clava Ercole invitto, ambo di mostri domatori un giorno, sarien sì chiaro a scintillar saliti là per la volta dell'etereo polo, se non tentato giù per l' ombre eterne lasciato avesser l'ultimo periglio. Né di te degno e dell'eterna Clio saria il tuo vate, se de gli altri al paro poi non guidasse il suo cantato eroe, felice temerario, in faccia a Pluto. Vergine furibonda e scapigliata de le cui voci profetanti tutta ululava l'euboica riviera ne' prischi tempi, e che guidasti a Dite il timoroso de gli dèi troiano, tu predinne le sorti e tu ne assisti mentre, d'un semideo guidando i passi, scendo, uom mortale, e penetrar son oso

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52. prosteso: prosternato.

Questi versi si trovano, sotto forma di frammento isolato, nel ms. Ambrosiano, IV, 12. Non è facile dire dove il P. intendesse introdurlo, ma par certo che fosse destinato alla Notte. 4- 10. Orfeo ed Ercole furono entrambi all'inferno ed entrambi dominarono le fiere, l'uno ammansendole col canto e l'altro vincendole con la sua forza. Per queste loro imprese furono assunti in cielo come costellazioni. Cfr. anche la Notte, vv. 143-147. 11. eterna: etematrice. - Clio: musa della storia e della poesia eroica. 14. Pl11to: Plutone, re dell'inferno. I 5-23. Invocazione alla Sibilla, la quale guidò Enea nel regno di Plutone (Dite). 17. euboica riviera: la riviera di Cuma, colonia dell'Eubea. 19. timoroso: rispettoso. È il piw virgiliano.

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i ridotti dell' ombre e il regno avaro. Ma, oh Dio! già mi trasformo; ecco ecco un velo ampio, nero, lugùbre a me d'intorno 2s si diffonde, mi copre. In grembo ad esso si rannicchian le braccia, e veggio a pena zoppicarmi del piè la punta estrema sotto spoglie novelle. Orrida giubba 30 di negro velo anch'essa a me dal capo scende sul dorso, e si dilata e cela e mento e gola e petto. Ahimè, il sembiante sorge privo di labbra, esangue, freddo e di squallore sepolcral coperto. IX (APPUNTI PER IL VESPRO E PER LA NOTTE)

Cavagnola, 1 fichetti, 2 cartelle, tu ttissimo. 3 Matrone, sibille, polla,4 caduta. Scompiglio, ordini per terra, mormorazione, amori. Il marito una volta assisteva la moglie. Di poi il servente la dama, ora non più. Forastieri. Le milanesi gli rispondono con lingua e pronuncia milanese. Le dotte in francese facendo pompa ecc. 5 Al teatro gli altri vanno per sollevarsi dalle fatiche. Tu solo vi vai per coronar con l'estrema le fatiche del giorno. 23. i ridotti dell•ombre: i recessi dei morti.-avaro: che non restituisce ciò che detiene. 24. mi trasformo: il P. si muta in pipistrello. 28. zop-

picarmi: allusione alla infermità da cui il P. era afflitto. Essa costituisce l'ultima superstite traccia del suo aspetto umano, sotto le nuove spoglie . Questi Appunti si trovano nel ms. Ambrosiano IV, 12, in parte scritti a penna e in parte a matita. Si riferiscono quasi interamente al Vespro e alla Notte. 1. Cavagnola: il gioco della • cavagnola • o sorta di tombola. Cfr. nota ai vv. 651-655 della Notte. 2.. fichetti: segnalini d'avorio con cui si registravano i punti. Si infiggevano nei fori appositi dopo ogni colpo favorevole. 3. tuttisnmo: probabilmente sta ad indicare una carta o una combinazione di carte che permetteva di vincere tutta la posta in gioco. 4. polla: forse è francesismo da poule, che è la posta di ciascun giocatore. 5. Per questo «appunto» (da Forastieri n pompa) cfr. Notte, vv. 500-509.

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Gli attori applaudi non quando il meritano, ma quando te ne vien capriccio. Il vulgo adoperi la ragione e quel senso che perciò è detto comune; ma le voglie repentine sieno sole la tua norma. Celibi. Marito colla sua bella. Bandò o nastro da notte ricamato a caratteri amorosi dalla bella. Collare o anello tessuto de' capelli della bella. Nella platea discendi talora, accomunati co' musici buffoni mutoli ecc. Degna talora gli uomini di talento; ma come lione ecc. 1 Carte rapidamente mescolate. Così lesta scorrea Penelope colla spola ecc. Picciole dame usano etichetta fra loro, ma son dimenticate dalle grandi. 2 Tabacchiera con figure oscene.3 Le dame o ne ridono o non arrossiscono. Seder pesante. Così piuma leggera che accrebbe leggerezza e nobiltà ai capi delle dame, piomba come sasso nel vuoto. Araldici nuovi.• Maraviglia de' posteri, pensando che tu abbi fatto ogni giorno tante cose per tanti anni. Morte dell'eroe, funerali, apoteosi. Inferno, mostri vari, ombre pallide, tutti uguali. Giudici sedendo distribuiscon le pene. Tolgono agli uni il frutto de 1 lor peccati, dànno ad altri un premio che tornerà in loro danno ecc. 5 Donne di teatro. Amor guarda le dame e sorride ecc. Cavalier savio, dama savia. Una serie di «appunti» (da Al teatro gli altri vanno .•• , sino a com~ lione) che doveva servire al P. per la descrizione del teatro da includere nella Notte. 2. Picciole dame: sono le dame borghesi, di cui il P. discorre tante volte nel Vespro e nella Notte. 3. A una simile tabacchiera si accenna in una variante del Mattino. Cfr. nota ai vv. 919-928 del Mattino. 4. Araldici nuovi: sono i nobili di data recente, di cui parla più volte il P. nel Vespro e nella Notte. 5. Questa serie di a appunti» (da Marav,-glia de' posteri . •. , sino a in loro danno) si riferisce ad una progettata descrizione della discesa del giovin signore all'inferno da includere nella Notte. Vedine una traccia verseggiata nell'Appendice VIII. 1.

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Caratteri di donne da visitare in teatro. In palco non ceder la mano, tornando ripigliarla. Nel partir dal palco cerchi dello staffiere per la mantiglia, la metta alla dama, ne acconci le code nel cappuccio. Porti il sacco, lo levi, lo adatti, segga in faccia alla dama, pulisca il cannocchiale, esibisca diavolottP ecc., porti ambasciate ecc. 2 Il vulgo attenda al grande ed utile commercio, ma il cavaliere tagli.J Giovinetti usciti di collegio parlano d'architettura, d'elettricità ecc. Novellista, lettor di romanzi, filosofo ciarliero, pratico d' etichette, frequentator di funzioni, anecdotista, 4 decidente di musica, metodico, libertino, suppletor di serventi, direttor di forastieri. Imbecille che dà dei pranzi, fa de' piccoli servigi, è alla moda. Felice finché ciò farà, altrimenti sarà dimenticato. Imbecille che ripete ciò che dicono i rispettati. 5 Tu sarai in collegio, uscirai, ti daranno un birbino 6 ecc. Ercole uccise Lino battendogli della cetra sul capo. 7 Cavalieri che mantengon donne. Cavalieri sbrici 8 che fanno la corte alle donne mantenute dagli altri. Cavalieri che dànno ciarle e protezione alle donne di teatro non potendo dare altro. 9 x. diavolotti: sorta di confetti. 2. Anche questa serie di u appunti» ( da Donne di teatro •.. , sino a porti ambasciate) doveva servire al P. per la descrizione del teatro da includere nella Notte. Cfr. p.167n. I. 3. tagli: divida il mazzo delle carte in mazzetti minori e quindi li rimescoli. 4. anecdotista: cosl è scritto nel ms. Cfr. Notte, vv. 490-499, dove sono descritti un narratore di noiosissimi aneddoti e un freddurista da strapazzo. 5. Una serie di u appunti» (da Giovinetti usciti . .. , sino a i rispettati) che forse il P. intendeva inserire nella vagheggiata descrizione del teatro oppure nell'elenco dei tipi che figura nella Notte (vv. 426-455). 6. birbino: carrozzino. 7. Lino era figlio di Apollo e di Tersicore. Maestro di Ercole, fu dall'allievo ucciso a colpi di cetra dopo di essersi reso noioso coi suoi rimproveri. Volevn forse il P. sviluppare il tema dei rapporti tra il giovin signore e il suo precettore? 8. sbrici: gretti, meschini. 9. Questo" appunto» ci richiama i vv. 944-956 del Mattino.

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Dame guardano ai ballerini, cavalieri alle ballerine. La dama che dispone i giochi ebbe cura d'unir l'amante all'amata, d'allontanare il marito seccante e privo di dama, relegandolo nell'angolo più remoto della stanza. Si accorse d'altri nascenti amori d'altri, e li collocò insieme co' più semplici e meno abili a notare ogni cosa. Unì insieme i più illustri. Destinò colle dame decadute le nuove araldiche, e co' cavalieri decaduti il marito di lei, il quale ancora fa sonar la pronuncia de' monti onde scese. Talora mise allo stesso tavolino le rivali per il piacere di vederne le smorfie. Là collocò due dame sessagenarie, con due cavalieri sessagenari per sentire il coro delle loro tossi. 1 Suocera che parla d'economia, la nuora ne sorride guardando in viso a' giovani. Le avide brame con argentee piume volano intorno, insieme a' piccioli sdegni ed all'oblio che farà svanire dalla tavoletta i segni della matita. Il teatro è un alveare, i palchi le celle, i giovani le api che fanno il mèle. 2 Alla partoriente parlar de' nuovi araldici. 3 Cattiva aria del ridotto. 4 Una volta i fanciulli si divertivano, e i padri attendevano agli studi. Ora il contrario. Uscirà di collegio e apprenderà i giochi ecc. 5 Al corso. Descrizione di cocchieri, cacciatori6 ecc. Cadetti ecc. Anecdotista7 galante. J. Una serie di «appunti» (da La dama che dispone • •. , sino a loro tossi) che ci richiama i vv. 578-600 della Notte. 2. Altro « appunto 11 per la descrizione del teatro. 3. Ci richiama la visita alla puerpera che è nel Vespro (vv. 304 sgg.). 4. ridotto: la parte del teatro dove ci si ritrova per discorrere durante gli intervalli. 5. Questi «appunti» riguardano forse lo sviluppo della visita alla puerpera. Cfr. nota al v. 349 del Vespro. 6. cacciatori: servi montati dietro la carrozza. Cfr. Vespro, vv. 419-420. 7. Anecdotista: cfr. p. 168 n. 4.

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Bugiardo. Osceni e plebei nel discorso. Nel Vespro. Frattanto ch'io scrivo la moda si cangia. Divien lecito passar giornalmente di bella in bella. Qui si raccolgon varie dame. Pensa a cercar se qualcuna tra loro ti aggrada. Questa ecc. Nella conversazione. Amori che nascono. Amori che finiscono. Gelosie, dispetti ecc. Maschere, Chauve souris, 1 Armadi ecc. Svegliarsi all'improvviso e applaudire a chi stona. Parlar forte dalla platea al palco. a Marito, servente, amante occulto, aspirante accidentale. Godere in un punto colla vista gli spettacoli, coll'udito la musica, coll'olfatto gli odori, col gusto gli sporgimenti, col tatto del ginocchio la dama. 3 Nel vespro della partoriente. Dame e cavalieri protettori de' birbanti. Primogeniti, cadetti, princìpi di musica, architettura, ecc. M acte puer 'Oirtute nova: sic itur ad astra. Dis genite, et geniture Deos. ♦ Vos o patritius sanguis, cui vivere par est occipiti coeco, posticae occu"ite sannae. s Vespro. Necessità della nobiltà. Collegi, uscita da essi, birbino, 6 carrozzino ecc. 1. Chauve 1ouri1: pipistrello. Forse una sorta di nera mascheratura. Si veda la II trasformazione» nell'Appendice V I I I, vv. 24-34. 2. Ancora la descrizione del teatro. 3. Vedi nota precedente. 4. Virgilio, E11eide, IX, vv. 641-642. Il P. scrisse a memoria. Il testo virgiliano è realmente: Macte nova virtute, puer ecc. 5. Persio, Satire, I, vv. 61-62. 6. birbino: cfr. p. 168 n. 6.

IL GIORNO

Viene e fugge il tuttissimo, 1 deità benefica. Fortunata la dama che lo coglierà. Domattina chiamerà la mercantessa di mode, a cui farà baci e carezze, mentre nella campagna d'inverno fa un freddo inchino alla moglie del medico o del pretore. Dialetto della cavagnola. 2 Collegio. I figli in collegio lasciano giovani i padri ecc. Nuovi araldici mettono i figli in collegio e se ne lagnano gli illustri ecc. 3 Teatro. Ma che non muta l'età? Si rivolgono i regni mentre che io canto, e si cambiano le mode galanti. Collegio.4 Parlata sulla materia e l'uso della nobiltà e della fortuna. Argomenti sofistici in contrario. Notte. Infinita licenza contro al nemico. Paragone co' prìncipi. Le dame subalterne fanno la corte alle superiori. Confidenze da padre a figlio. s Cacciatori.6 Cabriole. 7 Donne ed uomini a cavallo. Lista de' visitanti. Accademia. Cavaliere che straccia dopo i-accademia il libro di conclusioni matematiche, inorridito di quelle cifre ecc. 1. tuttissimo: ancora la carta •prende tutto•. Cfr. p. 166 n. 3. 2. t il gergo del gioco della u cavagnola •· Cfr. p. 166 nn. 1, 2, 3 e 4. 3. Ancora un probabile sviluppo della visita alla puerpern. Cfr. p. 169n. 5. 4. Vedi nota precedente. 5. Vedi nota precedente. 6. Cfr. p. 169 n. 6. 7. Dal francese cabriolet, sorta di vettura in uso nel sec. xvu.

GIUSEPPE PARINI

Dama o cavaliere invita ecc. Radunati e dato il segno del trasferirsi ecc. non si muovono, dicendo che hanno tempo di seccarsi ecc. Alla recita parlano, gridano ecc. Il recitante si dispetta del non essere ascoltato ecc. Stanno più attenti alla musica ecc. Cercan di fuggire ecc. Termina non rimanendovi più di cinque o sei persone. Quando recita il figlio dell'invitante i padri o gli amici tacciono, salvo ciarlare quando recita il figlio altrui. 1

Questa serie di« appunti» (da Accademia sino n il.figlio altrui) sembra che debba riferirsi allo sviluppo della visita alla puerpera (cfr. p. 169 n. s e p. 171 nn. 3, 4 e 5) o comunque ad un episodio sconosciuto del Vespro. I.

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LA VITA RUSTICA

Per che turbarmi l'anima, o d'oro e d'onor brame, se del mio viver Atropo presso è a troncar lo stame ? e già per me si piega sul remo il nocchier brun colà donde si niega che più ritorni alcun? Queste che ancor ne avanzano ore fugaci e meste, belle ci renda e amabili la libertade agreste. Qui Cerere ne manda le biade, e Bacco il vin: qui di fior s'inghirlanda bella Innocenza il crin. So che felice stimasi il possessor d'un'arca

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Il P. scrisse le Odi tra il 1757 e il 1795. Esse furono episodicamente pubblicate in fogli volanti e in giornali letterari, ma soprattutto si diffusero attraverso copie manoscritte. Nel 1791 A. Gambarelli curò la prima edizione organica delle Odi (Milano, Marelli). Questa raccolta non piacque al P. che pensò di procurarne una egli stesso, togliendo componimenti che non vi andavano stampati e aggiungendo le odi scritte dopo il 1791. Ma la morte lo colse prima che egli potesse realizzare il suo progetto. Si deve perciò al Reina, come già per il Giorno, la prima pubblicazione integrale delle Odi (volume secondo delle Opere). Per una rapida storia del testo e per la lezione qui adottata, si veda la Nota al testo in fondo al volwne. L'ode La vita r11stica fu probabilmente composta nel 1758 o poco prima. Uscì nelle Rime de gli Arcadi (Roma, Giunchi, 1780, voi. XII I), senza titolo e col nome arcadico del P., Darisbo Elidonio, e quindi nelPed. Gambarelli col titolo La vita rustica. Il titolo Su la libertd campestre, adottato da alcuni editori, figura soltanto nell'indice della stampa 1780. Cfr. a p. 267 la prima redazione dell'ode. 3. Atropo: una delle tre Parche (Cloto, Lachesi, Atropo). Spetta ad essa il compito di spezzare il filo della vita. 6. nocchier brun: Caronte, traghettatore delle anime al regno infernale. 7-8. Questi versi traducono il catulliano: .. unde negant redire quemquam (Cannina, III, v. 12). 13-14. Cerere dea delle biade e Bacco dio del vino. 18. arca: scrigno.

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che Pluto abbia propizio di gran tesoro carca: ma so ancor che al potente palpita oppresso il cor sotto la man sovente del gelato timor. Me non nato a percotere le dure illustri porte nudo accorrà, ma libero il regno de la morte. No, ricchezza né onore con frode o con viltà il secol venditore mercar non mi vedrà. Colli beati e placidi che il vago Eupili mio cingete con dolcissimo insensibil pendìo, dal bel rapirmi sento che natura vi diè; ed esule contento a voi rivolgo il piè. Già la quiete a gli uomini sl sconosciuta in seno de le vostr'ombre apprestami caro albergo sereno: e le cure e gli affanni quindi lunge volar scorgo, e gire i tiranni superbi ad agitar. Qual porteranno invidia a me che di fior cinto tra la famiglia rustica

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I 9. Pluto: dio della ricchezza. 20. corea: riempita. 27. acco"à: accoglierà. 3 1. venditore: venale, che tutto tratta a denari. 34. Eupili: nome latino del lago di Pusiano presso cui è Bosisio, in Brianza, patria del P. Non per nulla il P. aveva pubblicato il primo saggio delle sue rime con lo pseudonimo di Ripano (anagramma di Parino) Eupilino. 37. bel: bellezza.

LE ODI

a nessun giogo avvinto, come solea in Anfriso Febo pastor, vivrò; . e sempre con un viso la cetra sonerò I Inni dal petto supplice alzerò spesso a i cieli, sì che lontan si volgano i turbini crudeli: e da noi lunge avvampi l'astro sdegno guerrier, né ci calpesti i campi l'inimico destrier. E te villan sollecito che per nov' orme il tralcio saprai guidar frenandolo col pieghevole salcio: e te che steril parte del tuo terren, di più render farai, con arte che ignota al padre fu : te co' miei carmi a i posteri farò passar felice: di te parlar più secoli s'udirà la pendice. Sotto le meste piante vedransi a riverir le quete ossa compiante i posteri venir. Tale a me pur concedasi chiuder, campi beati, nel vostro almo ricovero i giorni fortunati. Ah quella è vera fama

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53. Anfriso: sulle rive del fiume Anfriso, nella Tessaglia, Apollo (Febo, v. 54) dovette pascolare il gregge del re Admeto. 55. con u11 viso: senza mai turbarsi. 65. sollecito: operoso, vivacemente alacre. 66. per 11ov'orme: con arti nuove. Cfr. vv. 71-72 ( ... co11 arte - che ignota al padre fu). 74. farò passar: tramanderò. 12

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d 1 uom che lasciar pub qui lunga ancor di sé brama dopo l'ultimo di I Il

LA SALUBRITÀ DELL'ARIA

Oh beato terreno del vago Eupili mio, ecco al fin nel tuo seno m'accogli; e del natio aere mi circondi; e il petto avido inondi! Già nel polmon capace urta sé stesso e scende quest'etere vivace che gli egri spirti accende, e le forze rintegra, e l'animo rallegra. Però eh 'austro scortese qui suoi vapor non mena: e guarda il bel paese alta di monti schiena cui sormontar non vale borea con rigid 'aie. Né qui giaccion paludi che dall'impuro letto mandino a i capi ignudi nuvol di morbi infetto: 87. di

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brama: memoria e rimpianto di sé.

L'ode La salubritd dell'aria fu letta dal P. nell'Accademia dei Trasfor.. mati nel corso delle pubbliche letture dell'anno 1759, aJle quali era stato dato come argomento l'aria. Fu composta probabilmente tra il 1756 e il 1759. Fu pubblicata per la prima volta nel 1791 nell'ed. Gambarelli. 2. Eupili: cfr. La vita rustica, v. 34. 7. capace: che si apre ad accogliere quell'aria nativa. 9. vivace: che dà vita. 10. egri: stanchi, fiac• chi. J 1. rintegra: rinnova. 13. a"stro: scirocco. 14. vapor: venti caldi. 15. guarda: protegge. Il soggetto è alta di monti sclrie11a (v. 16). 16. monti: i contrafforti delle Alpi. 18. borea: tramontana. 21. ignudi: indifesi contro la malaria.

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e il meriggio a' bei colli asciuga i dorsi molli. Pèra colui che primo a le triste oziose acque e al fetido limo la mia cittade espose; e per lucro ebbe a vile la salute civile. Certo colui del fiume di Stige ora s'impaccia tra l'orribil bitume onde alzando la faccia bestemmia il fango e l'acque che radunar gli piacque. Mira dipinti in viso di mortali pallori entro al mal nato riso i languenti cultori; e trema, o cittadino, che a te il soffri vicino. Io de' miei colli ameni nel bel clima innocente passerò i dl sereni tra la beata gente che di fatiche onusta è vegeta e robusta. Qui con la mente sgombra, di pure linfe asterso, sotto ad una fresc'ombra

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24. molli: bagnati di rugiada. 25. Pèra ecc. : esordio imprecativo secondo lo stile classico. Il P. ne fa uso soprattutto nel Giorno. Si veda almeno l'episodio della 1t vergine cuccia 1> (Mezzogiorno, vv. 503 sgg.). 26. triste oziose: tristemente stagnanti. 28. la mia cittade: Milano. 29. Disprezzò per denaro. 3 I -J 6. Il P. escogita una sorta di legge

del contrappasso, per cui l'avido speculatore delle risaie sarà condannato, nell'altra vita, a stare immerso nel fango della palude Stige bestemmiando la melma e le acque che in vita l'arricchirono con danno della salute pubblica. 33. bitume: fango tenace. 39. mal: a danno dei coltivatori e dei cittadini. 42. il: il riso, o meglio i luoghi dov'è coltivato. - soffri: tolleri. 44. innocente: che non nuoce, salubre. 50. Lavato nell'acqua pura, purificato.

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celebrerò col verso i villan vispi e sciolti sparsi per li ricolti; e i membri non mai stanchi dietro al crescente pane; e i baldanzosi fianchi de le ardi te villane; e il bel volto giocondo fra il bruno e il rubicondo, dicendo: - Oh! fortunate genti che in dolci tempre quest, aura respirate rotta e purgata sempre da venti fuggitivi e da limpidi rivi. Ben larga ancor natura fu a la città superba di cielo e d, aria pura: ma chi i bei doni or serba fra il lusso e l'avarizia e la stolta pigrizia? Ahi! non bastò che intorno putridi stagni avesse; anzi a turbarne il giorno sotto a le mura stesse trasse gli scelerati rivi a marcir su i prati. E la comun salute sacrificassi al pasto d'ambiziose mute che poi con crudo fasto calchin per l'ampie strade il popolo che cade.

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54, ricolti: campi coltivati. 56. pane: grano. 62. dolci tempre: clima temperato. 7 I. avarizia: avidità di denaro. 72. stolta pigrizia: di contro al lusso e all'avidità degli speculatori sta poi l'indolenza dei cittadini, ignari del male che li sovrasta o indifferenti. 75. giortro: aria. 77. scelerati: funesti. 8 I. ambiziose mllte: lussuose pariglie che i ricchi alimentano con danno della pubblica salute. 82-84. Cfr. Matti,io, vv. 1074-1083.

LE ODI

A voi il timo e il croco e la menta selvaggia l 'aere per ogni loco de' vari atomi irraggia che con soavi e cari sensi pungon le nari. Ma al piè de' gran palagi là il fimo alto fermenta; e di sali malvagi ammorba l'aria lenta che a stagnar si rimase tra le sublimi case. Quivi i lari plebei da le spregiate crete d'umor fracidi e rei versan fonti indiscrete onde il vapor s'aggira, e col fiato s'inspira. Spenti animai, ridotti per le frequenti vie, de gli aliti corrotti empion l'estivo die: spettacolo deforme del cittadin sull'onne! Né a pena cadde il sole che vaganti latrine con spalancate gole lustran ogni confine de la città che desta beve l'aura molesta.

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85. croco: zafferano. 88-90. L'erbe odorose impregnano l'aria, tutt'intorno, delle loro minute particelle e la loro fragranza tocca gradevolmente le narici. 92. fimo: letame. 93. sali: esalazioni. 96. sublimi: alte. 97. lari plebei: case popolari. I Lari erano gli dei protettori della casa. 98. spregiate crete: vasi da notte. 100. indiscrete: senza rispetto degli altri cittadini. 101. onde: dei quali umori. 103-104. Carogne di animali abbandonate nelle strade più frequentate. 107. deforme: orribile e ripugnante. 110. vaga11ti latrine: carri con i quali si provvedeva a portare fuori di città lo sterco. Erano detti " navazze ». 1 1 1. Questi carri procedevano con i coperchi spalancati contro ogni nonna igienica. 112. lustran: percorrono. - ogni co11fine: ogni parte.

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Gridan le leggi è vero; e Temi bieco guata: ma sol di sé pensiero ha l'inerzia privata. Stolto! e mirar non vuoi ne' comun danni i tuoi? Ma dove ahi corro e vago, lontano da le belle colline e dal bel lago e da le villanelle a cui sì vivo e schietto aere ondeggiar fa il petto ? Va per negletta via ognor l1util cercando la calda fantasia che sol felice è quando l'utile unir può al vanto di lunsinghevol canto.

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III

LA IMPOSTURA

Venerabile Impostura, io nel tempio almo a te sacro vo tenton per l'aria oscura; e al tuo santo simulacro cui gran folla urta di gente già mi prostro umilemente. Tu de gli uomini maestra sola sei. Qualor tu detti ne la comoda palestra

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n6. Temi: la dea della giustizia, ]e leggi. -

bieco: biecamente, minacciosamente. I 17-118. Ciascuno si preoccupa solo di sé stesso. 127. negletta via: quella che assegna alla poesia intendimenti civili.

L'ode La impostura fu composta probabilmente nel 1761 per essere letta durante un 1adunanza dell'Accademia dei Trasformati. Fu pubblicata per la prima volta nel 1791, nell'ed. Gambarelli, con varie modifiche rispetto alla stesura primitiva, qui riprodotta a p. 269. 9. comoda: per i precetti che vi si impartiscono.

LE ODI

i dolcissimi precetti, tu il discorso volgi amico al monarca ed al mendico. L'un per via piagato reggi; e fai si che in gridi strani sua miseria giganteggi; onde poi non culti pani a lui frutti la semenza de la flebile eloquenza. Tu dell'altro a Iato al trono con la Iperbole ti posi: e fra i turbini e fra il tuono de' gran titoli fastosi le vergogne a lui celate de la nuda umanitate. Già con Numa in sul Tarpeo désti al Tebro i riti santi onde l'augure poteo co' suoi voli e co' suoi canti soggiogar le altere menti domatrici de le genti. Del Macedone a te piacque fare un dio dinanzi a cui paventando l'orbe tacque: e nell'Asia i doni tui fur che l'Arabo profeta sollevaro a sì gran meta. Ave Dea. Tu come il sole giri e scaldi l'universo.

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13. L'un: il mendicante. 14. gridi strani: lamenti artefatti. 16. noti culti patri: pani non guadagnati col lavoro. 18. flebile: lamentosa. 19. dell'altro a lato: a fianco del monarca. 23-24. Voi, Impostura ed Iperbole, nascondete sotto il fasto le debolezze umane del monarca. 25-30. Il P., come molti suoi contemporanei, riteneva che Numa Pompilio avesse istituito sul Campidoglio (Tarpeo), e quindi donato a Roma (Tebro: Tevere), il collegio degli auguri per potere disporre della volontà dei Romani medinnte la finzione dei vaticini. Le profezie erano lette nel volo e nel canto degli uccelli (v. 28). 31. Macedo11e: Alessandro Magno. Si proclamò figlio di Giove Ammone. 35. Arabo profeta: Maometto (570-632 d. C.). 36. gran meta: quella di essere considerato il profeta di dio (Allah) in terra.

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Te suo nume onora e cole oggi il popolo diverso: e Fortuna a te devota diede a volger la sua rota. I suoi dritti il merto cede a la tua divinitade, e virtù- la sua mercede. Or, se tanta potestade hai qua giù, col tuo favore che non fai pur me impostore ? Mente pronta e ognor ferace d'opportune utili fole have il tuo degno seguace: ha pieghevoli parole; ma tenace e quasi monte incrollabile la fronte. Sopra tutto ei non oblia che sì fermo il tuo colosso nel gran tempio non starìa, se qual base ognor col dosso non reggessegli il costante verosimile le piante. Con quest'arte Cluvieno, che al bel sesso ora è il più caro fra i seguaci di Galeno, si fa ricco e si fa chiaro; ed amar fa, tanto ei vale, a le belle egre il lor male.

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39. cole: rispetta, venera. 40. diverso: d'ogni condizione. 42. la sua rota: la ruota della Fortuna, ossia il destino degli uomini. 43-45. L'Impostura sottrae al merito i suoi diritti e alla virtù la facoltà di concedere premi. 48. pur me: anche me. 49. ferace: fertile. 52. pieghevoli: insinuanti. 53-54. Una vera faccia di bronzo I 56. colosso: statua colossale. 59-60. Una delle forze su cui poggia il successo deU•Jmpostura, è appunto la verosimiglianza delle sue invenzioni. 61. Cluvie110: è il nome di un poetastro ricordato da Giovenale (Satire, I, v. 80). Ma qui il P. lo presenta come un medico ciarlatano, il quale ha incontrato il favore delle dame (bel sesso, v. 62). 63. Galeno: celebre medico greco. 66. egre: ammalate.

LE ODI

Ma Cluvien dal mio destino d'imitar non m'è concesso. Dell'ipocrita Crispino vo' seguir l'orme da presso. Tu mi guida, o Dea cortese, per lo incognito paese. Di tua man tu il collo alquanto sul mane' omero mi premi: tu una stilla ognor di pianto da mie luci aride spremi: e mi faccia casto ombrello sopra il viso ampio cappello. Qual fia allor si intatto giglio ch'io non macchi, e ch'io non sfrondi, da le forche e dall 'esiglio sempre salvo? A me fecondi di quant'oro fien gli strilli de' clienti e de' pupilli! Ma qual arde amabil lume? Ah! ti veggio ancor lontano, Verità, mio solo nume che m'accenni con la mano; e m'inviti al latte schietto eh' ognor bevvi al tuo bel petto. Deh ! perdona. Errai seguendo troppo il fervido pensiere. I tuoi rai del mostro orrendo scopron or le zanne fiere. Tu per sempre a lui mi togli; e me nudo nuda accogli.

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67. dal mio destino: perché il P. era sacerdote e non medico. 69. Crispino: altro personaggio ricordato da Giovenale (Satire, IV, v. 1). Ma anche in Orazio (Satire, I, r, v. 120) appare un Crispino. Qui rappresenta il tipo dell'ipocrita classico, dell'ipocrita per professione. 73-74. Il P. prega la dea che lo trasformi in un perfetto « collotorto». 76. l11ci aride: occhi per nulla commossi. E tuttavia lacrimano! 79. intatto giglio: anima pura e nobile. Bo. Che io non riesca a contaminare e a corrompere. 83. strilli: imprecazioni e pianti. Sono le manifestazioni a cui si abbandonano gli infelici che hanno affidato a Crispino la cura dei loro interessi. 93. mostro orrendo: l'Impostura, orribile quando la Verità ne abbia svelato l'autentico volto.

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GIUSEPPE PARINI IV

LA EDUCAZIONE

Torna a fiorir la rosa che pur dianzi languia; e molle si riposa sopra i gigli di pria. Brillano le pupille di vivaci scintille. La guancia risorgente tondeggia sul bel viso: e quasi lampo ardente va saltellando il riso tra i muscoli del labro ove riede il cinabro. I crin che in rete accolti lunga stagione ahi! foro, sull'omero disciolti qual ruscelletto d'oro forma attendon novella d'artificiose anella. Vigor novo conforta l'irrequieto piede: natura ecco ecco il porta sì che al vento non cede fra gli utili trastulli de' vezzosi fanciulli. O mio tenero verso, di chi parlando vai, che studi esser più terso e polito che mai?

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L'ode La educazione fu composta nel 1764 in occasione dell'undicesimo compleanno e della guarigione di Carlo lmbonati, figlio del conte Giuseppe Maria e di Francesca Bicetti de' Buttinoni. Fu pubblicata per la prima volta nel 1791 nell'ed. Gambarellì. J. la rosa: il colorito roseo della salute ricuperata. 4. i gigli di pria: il pallore della malattia. 12. cinabro: rosso. 18. artificiose a11ella: ricci fatti ad arte, col ferro. 19. conforta: rinvigorisce. 23. 1'tili: a irrobustire il corpo e a svegliare l'intelligenza. 25. tenero: per l'affettuosa commozione del poeta.

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Parli del giovinetto mia cura e mio diletto ? Pur or cessò l'affanno del morbo ond'ei fu grave: oggi l'undecim'anno gli porta il sol, soave scaldando con sua teda i figliuoli di Leda. Simili or dunque a dolce mèle di favi iblei che lento i petti molce scendete, o versi miei, sopra l'ali sonore del giovinetto al core. O pianta di buon seme al suolo al cielo amica che a coronar la speme cresci di mia fatica, salve in si fausto giorno di pura luce adorno. Vorrei di geniali doni gran pregio offrirti; ma chi diè liberali essere a i sacri spirti ? Fuor che la cetra, a loro non venne altro tesoro. Deh per che non somiglio al Tessalo maestro, che di Tetide il figlio

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3 I. Pur: appena. 32. morbo: fu una malattia assai grave e pericolosa, ma non vaiolo come si asserì. Carlo lmbonati ebbe il vaiolo nel tempo stesso in cui morì suo padre, e cioè nel 1768. Quest'ode, invece, è del 1764. 32-36. Carlo era nato il 24 maggio 1753. 35. teda: fiaccola. 36. La costellazione dei Gemelli (Castore e Polluce, figli di Leda). Il sole è in questa costellazione appunto nel mese di maggio. 38. iblei: di Ibla, città siciliana celebre per il suo miele. 39. molce: accarezza, conforta. 41. ali sonore: quelle dei versi. 49. geniali: natalizi. Ma anche: conformi al tuo genio, alla tua inclinazione. Graditi. 51-52. La povertà impedisce ai poeti d'essere generosi di doni quanto vorrebbero. 56-58. Il centauro Chirone fu maestro di Achille, figlio di Teti, sul monte Pelio in Tessaglia.

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guidò sul cammin destrol Ben io ti farei doni più che d'oro e canzoni. Già con medica mano quel Centauro ingegnoso rendea feroce e sano il suo alunno famoso. Ma non men che a la salma porgea vigore all'alma. A lui che gli sedea sopra la irsuta schiena Chiron si rivolgea con la fronte serena, tentando in su la lira suon che virtude inspira. Scorrea con giovanile man pel selvoso mento del precettar gentile; e con l'orecchio intento, d 'Eàcide la prole bevea queste parole: - Garzon, nato al soccorso di Grecia, or ti rimembra per che a la lotta e al corso io t'educai le membra. Che non può un'alma ardita se in forti membri ha vita? Ben sul robusto fianco stai; ben stendi dell'arco il nervo al lato manco onde, al segno ch'io marco, va stridendo lo strale da la cocca fatale.

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62. i,,gegnoso: esperto. 63.feroce: animoso. 65. salma: corpo. 68. irsuta schiena: è la schiena ferina del centauro, metà uomo metà cavallo. 71. Suscitando dalla lira. 77. Achille era nipote di Eaco. 79-80. nato al soccorso di Grecia: Era destino che dalla partecipazione di Achille alla guerra dipendesse la vittoria su Troia. 86-87. ben stendi: riesci a tender bene sul fianco sinistro la corda dell'arco. 88. segno: bersaglio. - marco: indico. 90. Dal volo infallibile.

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Ma in van, se il resto oblio, ti avrò possanza infuso. Non sai qual contro a Dio fe' di sue forze abuso con temeraria fronte chi monte impose a monte? Di Teti odi, o figliuolo, il ver che a te si scopre. Dall'alma origin solo han le lodevol' opre. Mal giova illustre sangue. ad animo che langue. D'Èaco e di Pelèo col seme in te non scese il valor che Tesèo chiari e Tirintio rese: sol da noi si guadagna, e con noi s'accompagna. Gran prole era di Giove il magnanimo Alcide; ma quante egli fa prove, e quanti mostri ancide onde s'innalzi poi al seggio de gli eroi ? Altri le altere cune lascia, o Garzon, che pregi. Le superbe fortune del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago sol di virtù sia pago.

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93-96. Ricorda, esempio di bestiale orgoglio, il tentativo compiuto dai giganti di scalare il cielo, sovrapponendo il monte Pelio al monte Ossa e quindi all'Olimpo. Quei giganti furono fulminati da Giove. 97. Cfr. v. 57. 103-106. Con il sangue del tuo avo Eaco (cfr. v. 77) e del padre Peleo non è sceso in te anche il valore che ha reso illustri Teseo, vincitore del Minotauro e delle Amazzoni, ed Ercole ( Tirintio, perché allevato a Tirinto nell'Argolide). no. Alcide: Ercole, figlio di Giove. 11 s. altere cune: nobili natali. 118. fregi: motivo di vanto. 119. vago: desideroso.

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Onora, o figlio, il Nume che dalttalto ti guarda: ma solo a lui non fume incenso o vittim'arda. È d'uopo, Achille, alzare nelralma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno sieda e sul labbro il vero; e le tue mani siéno qual albero straniero onde soavi unguenti stillin sopra le genti. Per che sì pronti affetti nel core il ciel ti pose ? Questi a Ragion commetti; e tu vedrai gran cose; quindi l'alta rettrice somma virtude elice. Si bei doni del cielo no, non celar, Garzone, con ipocrito velo che a la virtù si oppone. Il marchio ond'è il cor scolto lascia apparir nel volto. Da la lor meta han lode, figlio, gli affetti umani. Tu per la Grecia prode insanguina le mani: qua volgi qua l'ardire de le magnanim'ire. Ma quel più dolce senso onde ad amar ti pieghi tra lo stuol d, armi denso

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123-124. Ma non limitarti agli atti esterni della pietà religiosa. 130-132. La mirra, o altra pianta straniera, da cui stillano preziosi balsami. 135. commetti: affida. 137-138. Dagli ardenti affetti (q11indi) la ragione (alta rettrice) riesce a trarre (elice) atti di grande virtù. 141. ipocrita velo: il velo della falsa modestia. 143. L'impronta che hai nel cuore. 147. prode: valorosamente.

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venga, e pietà non nieghi al debole che cade e a te grida pietade. Te questo ognor costante schermo renda al mendico; fido ti faccia amante e indomabile amico. Cosi, con legge alterna, l'animo si governa. Tal cantava il Centauro. Baci il giovan gli offriva con ghirlande di lauro. E Tetide che udiva a la fera divina plaudìa da la marina.

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L'INNESTO DEL VAIUOLO

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Genovese ove ne vai ? qual raggio brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne non anco esperte de gli ignoti venti? Qual ti affida coraggio

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156. E invoca da te pietà. 157. questo: questo sentimento di pietà. 158. schermo: difensore. 161. Alternando virtù guerriere a sentimenti di generosa pietà. 166. Tetide: Teti, madre di Achille (cfr. vv. 57 e 97), era dea marina. 167./era divina: il centauro Chirone. 168.plaudia: assentiva. L'ode L'innesto del vaiflolo, composta nel 1765, fu pubblicata per la prima volta nell'anno stesso in cui fu scritta ( Milano, Galeazzi ), col titolo: Al signor Dottore Giovammaria Bicetti de' Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promlllga l'innesto del vaiuolo. Giovammaria Bicetti de' Buttinoni (1708-1778), medico e letterato, cognato del conte Giuseppe Maria Imbonati e membro dell'Accademia dei Trasformati, raccolse varie sue lettere, destinate a diffondere l'uso dell'innesto, in un volume pubblicato a Milano nel 1765. Quivi apparve anche l'ode del Parini, ristampata nel 1791 nell'ed. Gambarelli con il titolo: L'Innesto del Vaiuolo. Al Dottore Giammoria Bicetti de' Buttinoni. Il titolo semplificato: L'Innesto del Vaiuolo, è nell'ed. Reina. 1. Genovese: Cristoforo Colombo (1436 ?-1506). 2. antenne: navi. 3-4. Non temi le ali (penne) dei venti sconosciuti, la cui furia nessuno ha ancora sperimentato? 5. affida: ti dà fiducia.

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all'intentato piano de lo immenso oceàno ? Senti le beffe dell'Europa, senti come deride i tuoi sperati eventi. Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice che natura ponesse alruom confine di vaste acque marine, se gli diè mente onde lor freno imporre: e dall'alta pendice insegnogli a guidare i gran tronchi sul mare, e in poderoso canape raccorre i venti onde su !'acque ardito scorre. Cosi l'eroe nocchier pensa, ed abbatte i paventati d'Ercole pilastri, saluta novelli astri; e di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte genti dell'orbe ascoso Io stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito all'Europa che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'uomo è cara questa del viver suo lunga speranza: più dell'oro possanza sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara

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8. le beffe: allude alle derisioni di cui Colombo fu oggetto da parte di molti suoi contemporanei. 10-12. È l'antica credenza che l'uomo non potesse varcare certi )imiti naturali e violare l'oceano. 13. Dal momento che la natura stessa ha dato all'uomo J'intelJigenza per dominare Je acque e percorrerle come vie di comunicazione. 14. alta pe,idice: il monte Pelio, da cui Giasone trasse i tronchi d'albero con i quali costruì la prima nave. Cfr. CatuJlo (LXIV, vv. 1-2): Peliaco q11ondam prognatae vertice pi11us - dic11nt11r liquidas Neptuni 11asse per ,mdas. 17. canape: vela. 20. Le colonne d'Ercole. 21. 11ovelli astri: quelli dell'emisfero australe. 24. Le popolazioni dell'America. 25. porte11toso: giunto miracolosamente dal mare. 27. Sino all'ultimo durò la generale diffidenza e lo scetticismo sulle possibilità di successo dell'impresa di Colombo. 28. oro: aJlude alle ricchezze che la scoperta dell'America recò all'Europa (cfr. v. 26: i suoi tesori).

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or condanna il cimento, or resiste all'evento di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza i novi mondi al prisco mondo avvezza. Come biada orgogliosa in campo estivo cresce di santi abbracciamenti il frutto. Ringiovanisce tutto nell'aspetto de' figli il caro padre; e dentro al cor giulivo contemplando la speme de le sue ore estreme, già cultori apparecchia artieri e squadre a la patria d'eroi famosa madre. Crescete, o pargoletti; un dì sarete tu forte appoggio de le patrie mura, e tu soave cura, e lusinghevol'esca a i casti cori. Ma, oh dio, qual falce miete de la ridente messe le sì dolci promesse ? O quai d'atroce grandine furori ne sfregiano il bel verde e i primi fiori ? Fra le tenere membra orribil siede tacito seme: e d'improvviso il desta una furia funesta, de la stirpe de gli uomini flagello. Urta al di dentro, e fiede con liévito mortale;

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33. cime11to: l'esperimento dell'innesto, con cui si tentava di debellare il vaiuolo. 34. Non si lascia persuadere neppure dalla dimostrazione evidente. 35. doppio tesor: salute e bel1ezza, perché il vaiuolo uccide oppure deturpa. 37. orgogliosa: rigogliosa. 38. santi abbracciame11ti: nozze consacrate, legittime. Cfr. Tasso, Ger. lib., VI, 77 (Ond'egli te d'abbracciamenti onesti-lieta/aria). 44-45. Va preparando per la patria contadini (cultori), operai (artieri) e soldati (squadre). 46-49. pargoletti: per esemplificare, il P. si rivolge a un giovinetto e ad una fanciulla. Il primo diventerà, quando sia necessario, un valoroso difensore della patria; l'altra, dal canto suo, susciterà dolci affetti e un vivo desiderio di sé (1"singhevol' esca) nei cuori dei giovani onesti che aspireranno a farla loro sposa. 56. tacito seme: il germe nascosto del vaiuolo. 59. fiede: ferisce. 60. liévito: fermento. 13

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e la macchina frale o al tutto abbatte, o le rapisce il bello, quasi a statua d'eroe rivai scarpello. Tutti la furia indomita vorace, tutti una volta assale a i più verd'anni: e le strida e gli affanni da i tuguri conduce a' regi tetti; e con la man rapace ne le tombe condensa prole d'uomini immensa. Sfugge talun, è vero, a i guardi infetti; ma palpitando peggior fato aspetti. Oh miseri! che val di medic'arte né stud~ oprar né farmachi né mani ? Tutti i sudor son vani quando il morbo nemico è su la porta; e vigor gli comparte de la sorpresa salma la non perfetta calma. Oh debil'arte, oh mal secura scorta che il male attendi, e no 'l previeni accorta I Già non l'attende in oriente il folto popol che noi chiamiam barbaro e rude; ma sagace delude il fiero inevitabile demòne. Poi che il buon punto ha colto

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61-63. Il vaiuolo deturpa la bellezza dei giovani corpi con la stessa vandalica furia con cui uno scultore geloso potrebbe guastare la statua perfetta di un suo rivale. 61.Jrale: fragile. 64. Il vaiuolo non risparmia nessuno: né poveri ne ricchi. Cfr. Orazio, Odi, I, 1v, vv. 1314 (Pallida Mors aequo pulsat pede pauperum tabernas - regumque turres). 69. condensa: raduna e stipa. 71-72. Qualcuno sfugge all'insidia, ma deve poi attendersi una sorte peggiore. Il P. allude forse al fatto che il vaiuolo è più spietato quando coglie in età avanzata. Ma pub anche riferirsi alle conseguenze del vaiuolo: deturpazione, cecità ecc., le quali devono considerarsi anche peggiori della morte stessa. 77-79. Lo sconcerto del corpo (salma), assalito di sorpresa, conferisce vigore al morbo. 83. popol: i Cinesi e i Circassi. Cfr. vv. 95-99. 84. sagace: abilmente. - delude: previene e rende vano. 86-90. Il vaiuolo va affrontato nel momento più opportuno (cioè nell'età della fanciullezza) e reso inefficace inoculando il germe. Cosi si provoca ad arte una modesta ed innocua fermentazione vaiolosa, tale da immunizzare

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onde il mostro conquida, coraggioso lo sfida; e lo astrigne ad usar ne la tenzone l'armi che ottuse tra le man gli pone. Del regnante velen spontaneo elegge quel ch'è men tristo; e macolar ne suole la ben amata prole che non più recidiva in salvo torna. Però d'umano gregge va Pechino coperto; e di femmineo merto tesoreggia il Circasso, e i chiostri adorna ove la Dea di Cipri orba soggiorna. O 1Vlontegù, qual peregrina nave, barbare terre misurando e mari, e di popoli vari disseppellendo antiqui regni e vasti, e a noi tornando grave di strana gemma e d'auro, . portò sì gran tesauro che a pareggiare non che a vincer basti quel che tu dall 'Eussino a noi recasti ?

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contro le insidie maggiori. Le armi quindi del vaiuolo non possono essere del tutto eliminate, ma si possono però opportunamente spuntare. 91. regnante velen: il vaiuolo, ormai ampiamente diffuso. - spontaneo elegge: il popolo orientale (v. 83) sceglie spontaneamente. 92. men tristo: meno fiero. - macolar: contaminare. È l'operazione dell'innesto. 94. non più recidiva: che non si ammala più. 95-99. Perciò Pechino è una città cosi popolosa e perciò i Circassi accumulano tanto oro (tesoreggia) per mezzo della bellezza delle loro donne (non deturpate dal vaiuolo come tante europee), che essi vendono ai mussulmani per i loro harem (chiostri), dove signoreggia un amore (la Dea di Cipri è Venere) esclusivamente lussurioso, cioè senza alcuna luce di spiritualità (orba). 100. Montegù: Maria Wortley Montagu (16891762), scrittrice inglese, trovandosi a Costantinopoli col marito, ambasciatore inglese in Turchia, osservò l'uso della vaccinazione contro il vaiuolo e ne promosse l'introduzione in Inghilterra. 101. misurando: percorrendo. Qui sarà da intendersi: costeggiando terre e percorrendo mari. 103. disseppellendo: restituendo alla luce, scoprendo. Allude alle antiche civiltà e ai tesori che i primi viaggiatori e conquistatori rivelarono in America. 105. strana: esotica, non mai veduta ancora. 107-108. Nessun gran tesoro fu mai portato in Europa il quale possa anche soltanto pareggiare quello che la Montagu ha recato dalla Turchia (Eussino: Mar Nero).

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Rise l 'Anglia la Francia Italia rise al rammentar del favoloso i11nesto: e il giudizio molesto de la falsa ragione incontro alzasse. In van l'effetto arrise a le imprese tentate; ché la falsa pietate contro al suo bene e contro al ver si mosse, e di lamento femminile armosse. Ben fur preste a raccor gl'infausti doni che, attraversando l'oceàno aprico, lor condusse Americo; e ad ambe man li trangugiaron pronte. De' lacerati troni gli avanzi sanguinosi, e i frutti velenosi strinser gioiendo; e da lo stesso fonte de la vita succhiar spasimi ed onte. Tal del folle mortai tale è la sorte: contra ragione or di natura abusa; or di ragion mal usa contra natura che i suoi don gli porge. Questa a schifar la morte insegnò madre amante a un popolo ignorante; e il popol colto, che tropp'alto scorge, contro a i consigli di tal madre insorge.

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11 r. molesto: dannoso, perché ostacola il propagarsi della verità. I 13. l' effetto: il successo. 115. falsa pietate: la pietà per i bambini che devono sottostare all'innesto (falsa perché evita un piccolo male ed espone ad un grande pericolo). 117. lamento femminile: i lamenti delle madri che si oppongono all'intervento del medico. I 18. fur preste: le nazioni europee (cfr. v. 109) furono invece pronte. - infausti doni: i prodotti naturali (tabacco, spezie ecc.), i quali produssero, per il troppo abuso, pessime conseguenze. 119. aprico: aperto al sole, immenso. 120. Americo: Amerigo Vespucci (1451-1512): ma qui sta per tutti gli esploratori e i conquistatori dell'America. 122-123. Allude alle crudeli conquiste del Messico e del Perù. Cfr. Mattino, vv. 149-155. 125-126. Dall'America derivarono anche atroci e vergognose malattie infettive. 128. di natura: dei doni della natura. I 31. schifar: schivare, eYitare. 134-135. I popoli civili d'Europa, che pretendono di saper vedere molto lontano, si ribellano ai consigli della natura.

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Sempre il novo ch'è grande appar menzogna, mio BICETTI, al volgar de bile ingegno: ma imperturbato il regno de' saggi dietro all'utile s'ostina. Minaccia né vergogna noi frena, noi rimove; prove accumula a prove; del popolare error l'idol rovina, e la salute a i posteri destina. Così I'Anglia la Francia Italia vide drappel di saggi contro al vulgo armarse. Lor zelo indomit'arse, e di popolo in popolo s'accese. Contro all'armi omicide non più debole e nudo; ma sotto a certo scudo il tenero garzon cauto discese; e il fato inesorabile sorprese. Tu sull 'orme di quelli ardito corri tu pur, BICETTI; e di combatter tenta la pietà violenta che a le insubriche madri il core implìca. L'umanità soccorri; spregia l'ingiusto soglio ove s'arman d'orgoglio la superstizion del ver nemica, e l'ostinata folle scola ,. antica. Quanta parte maggior d'almi nipoti coltiverà nostri felici campi!

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136. il novo ch'è grande: ciò che costituisce veramente una grande novità scientifica, e non le piccole novità futili. 138-144. Serenamente, senza cedere di fronte alle minacce o alla ostilità beffarda (vergogna), lo stuolo dei sapienti persevera nel cercare e ricercare nuove vie onde alleviare le umane sofferenze, e infine riesce a vincere le false credenze popolari e a preparare per i posteri un più sicuro destino. 149. armi omicide: quelle del vaiuolo. 1 s1. certo: saldo, sicuro. - scudo: la difesa rappresentata dall'innesto. 152. cauto: reso prudente. 153. sorprese: prevenne. 157. inst1briche: lombarde (gli Insubri abitarono un tempo la Lombardia). - implìca: impaccia, lega. 159. ingiusto soglio: trono usurpato. 161-162. Le false dottrine del volgo, i pregiudizi dei medici.

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E quanta fia che avvampi d'industria in pace o di coraggio in guerra! Quanta i soavi moti propagherà d'amore, e desterà il languore del pigro Imene che infecondo or erra, contro all 'util comun di terra in terra! Le giovinette con le man di rosa idalio mirto coglieranno un giorno: all'alta quercia intorno i giovinetti fronde coglieranno; e a la tua chioma annosa cui per doppio decoro già circonda l'alloro intrecceran ghirlande, e canteranno: - Questi a morte ne tolse o a lungo danno. Tale il nobile plettro in fra le dita mi profeteggia armonioso e dolce, nobil plettro che molce il duro sasso dell'umana mente; e da lunge lo invita con lusinghevol suono verso il ver, verso il buono; né mai con laude bestemmiò nocente o il falso in trono o la viltà potente.

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167-171. Quanti più saranno i giovani che si innamoreranno e desidereranno il matrimonio (Imene), mentre ora le deturpazioni del vaiuolo rendono rari i matrimoni contrariamente a quanto sarebbe necessario. 173. idalio: di Venere, a cui era consacrata la città !dalia in Cipro. 175-180. Le giovinette offriranno a Bicetti il mirto, come premio della salvata bellezza; mentre i giovinetti gli offriranno fronde di quercia (antico onore civico), come premio delle vite salvate. 177. doppio decoro: Bicetti era medico e letterato. 183. mo/ce: raddolcisce. 188. Né mai esaltò a torto con malefica lode. Lode malefica (laude nocente) è appunto quella rivolta alle cose false e vili (cfr. v. 189), e perciò usarla equivale a bestemmiare.

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IL BISOGNO

Oh tiranno signore de' miseri mortali, oh male, oh persuasore orribile di mali bisogno, e che non spezza tua indomita fierezza I Di valli adamantini cinge i cor la virtude; ma tu gli urti e rovini: e tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti o strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente strappi Ragion dal soglio; e il regno de la mente occupi pien d'orgoglio, e ti poni a sedere tiranno del pensiere. Con le folgori in mano la Legge alto minaccia; ma il periglio lontano non scolora la faccia

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L'ode Il bisogno fu composta nel 1766. In essa vedi il riflesso evidente delle polemiche del tempo sulla giustizia, ma soprattutto del libro Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, che era uscito nel 1764. L'ode fu pubblicata in un foglio volante (Milano, Galeazzi) nell'anno stesso in cui fu composta. Recava come titolo: Canzone dedicata all'ill"strissimo signor Don Pierantonio Wirtz de Rudenz del Senato dell'illustrissima, e potentissima Rep"bblica di Unteroalden, commissario regge,1te del contado di Locar110, e s11e pertinenze ecc. L'ode fu poi ristampata nel 1791 nell'ed. Gambarelli con il titolo Il Bisogno. Nell'ed. Reina, in nota: Al Signor Wirtz Pretore nel I765 per la Repr1bblica Elvetica, il qi,ale acquistassi lode singolare coll'amministrazione della giustizia criminale, e co' provvedimenti atti a prevenire i delitti. 1. tira11no: tirannico. 3-4. Cfr. Virgilio: malesuada /ames (Eneide, VI, v. 276). 7. valli adamantini: bastioni fortissimi. 14. soglio: trono. 21. il pmglio lo11tano: il pericolo della punizione, che è ancora lontano e al quale si può sempre sperare di sottrarsi.

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di chi senza soccorso ha il suo peso sul dorso. Al misero mortale ogni lume s'ammorza: ver la scesa del male tu lo strascini a forza : ei di sé stesso in bando va giù precipitando Ahi! l'infelice allora i comun patti rompe; ogni confine ignora; ne' beni altrui prorompe; mangia i rapiti pani con sanguinose mani. Ma quali odo lamenti e stridor di catene; e ingegnosi stromenti veggo d'atroci pene là per quegli antri oscuri cinti d'arridi muri? Colà Temide armata tien giudizi funesti su la turba affannata che tu persuadesti a romper gli altrui dritti, o padre di delitti. Meco vieni al cospetto del nume che vi siede. No non avrà dispetto che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto anco il Bisogno è accolto.

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26. lume: lume di ragione. 29. di sé stesso in bando: fuori di sé. 32. Rompe i patti che regolano la convivenza sociale e che si ritenevano fondati sul comune consenso dei cittadini. 39. ingegnosi: allude alla particolare ingegnosità con cui erano costruiti gli strumenti di tortura, coi quali si riusciva a strappare confessioni ai rei e spesso anche agli innocenti. 43. Temide armata: dea della giustizia, con la spada. 46. persuadesti: inducesti. 50. nume: la Giustizia. 53. lieto: benigno.

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O ministri di Temi, le spade sospendete : da i pulpiti supremi qua l'orecchio volgete. Chi è che pietà niega al Bisogno che prega? - Perdon, - dic' ei - perdono a i miseri crociati. lo son Pautore io sono de' lor primi peccati. Sia contro a me diretta la pubblica vendetta. Ma quale a tai parole giudice si commove? Qual dell'umana prole a pietade si move ? Tu, VIRTZ, uom saggio e giusto ne dai l'esempio augusto: tu cui sl spesso vinse dolor de gl'infelici che il Bisogno sospinse a por le rapitrici mani nell'altrui parte o per forza o per arte: e il carcere temuto lor lieto spalancasti: e dando oro ed aiuto, generoso insegnasti come senza le pene il fallo si previene.

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55. I giudici (Temi: cfr. v. 43). 57. Gli alti seggi dei tribunali. 6z. cruciati: tormentati. Allude alle sofferenze morali che trassero gli infelici in colpa, come poi è detto nei vv. 63-64. 66. La punizione inflitta dalle leggi. 71. Il P. scrisse l'ode in onore del Wirtz quando questi lasciò il suo ufficio, nel quale brillò per doti di umana pietà. L'invito a scrivere gli venne dal prete ticinese G. B. Galli. 77. parte: proprietà. 78. O con la violenza o con la frode. Cfr. vv. 34-36. 83. Anche senza punire.

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LA MUSICA

Aborro in su la scena un canoro elefante che si strascina a pena su le adipose piante, e manda per gran foce di bocca un fil di voce. Ahi pèra lo spietato genitor che primiero tentò di ferro armato l'esecrabile e fiero misfatto onde si duole la mutilata prole! Tanto dunque de' grandi può l'ozioso udito, che a• rei colpi nefandi sen corra il padre ardito, peggio che fera od angue crudel contro al suo sangue? Oh misero mortale, ove cerchi il diletto ? Ei tra le placid'ale di natura ha ricetto :

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L'ode La musica fu composta nell'anno 1769 o poco dopo. Fu pubblicata per la prima volta nel 1791 nell'ed. Gambarelli. Nelle stampe ha il titolo La musica, ma nell'ed. Bemardoni (Milano 1814) c'è questa nota: « Quest'ode aveva già per titolo La evirazione». 2. Un cantante d'opera grosso come un elefante. 5. granfoce: l'enorme apertura della bocca spalancata. 7. Il consueto esordio imprecativo. Cfr. La salubrità dell'aria, v. 25. I 1. misfatto: l'evirazione, la quale dall'oriente passò nello Stato romano e quindi fu diffusa sotto il pretesto che per mezzo suo si ottenevano ottime voci di soprano. Era ancora in uso nel 1700. Ma era in corso una vivace polemica contro di essa. Il 16 agosto 1769 nella Gazzetta di Milano apparve una notizia attribuita allo stesso P., compilatore del giornale, nella quale era detto che il nuovo pontefice Clemente XIV aveva intenzione di proibire l'evirazione e di permettere che anche le donne cantassero nei teatri di Roma. In realtà l'evirazione rimase nell'uso, e solo più tardi le voci femminili sostituirono del tutto quelle 11 bianche» degli evirati.

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là con avida brama susurrando ti chiama. Ella feminea gola ti diede onde soave l'aere se ne vola or acuto ora grave; e donò forza ad esso di rapirti a te stesso. Tu non però contento de' suoi doni, prorompi contro a lei violento, e le sue leggi rompi; cangi gli uomini in mostri, e lor dignità prostri. Barbara gelosìa nel superbo oriente so che pietade oblia ver la misera gente che da lascivo inganno assecura il tiranno: e folle rito al nudo ultimo Caffro impone il taglio atroce e crudo onde al molle garzone il decimo funesto anno sorge si presto. Ma a te in mano lo stile, italo genitore, pose cura più vile

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23-24. Egli (il diletto) ti chiama a sé, sussurrando, con ardente desiderio (o, anche, con dolci lusinghe). 26. ti diede: ti ha offerto per il tuo piacere. - onde: dalla quale (feminea gola). - soave: soavemente. 27. aere: suono, voce. 30. Di portarti fuori di te stesso, estraniandoti dai tuoi pensieri. Cfr. La vita rwtica, v. 37. 35. mostri: esseri mostruosi. 40-42. Gli eunuchi, i quali assicurano al loro tirannico signore la fedeltà delle sue donne. Gli eunuchi sono infatti custodi vigili ed evidentemente insospettabili. 43-48. Si narra che tra alcuni selvaggi dell'Africa meridionale (ultimo Caffro) si usasse, per rito religioso, evirare parzialmente ragazzi di dieci anni. 49. stile: lo strumento dell'evirazione. sJ. cura: intenzione, proposito.

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del geloso furore: te non error, ma vizio spinge all'orrido ufizio. Arresta empio I Che fai ? Se tesoro ti preme, nel tuo figlio non l'hai? Con le sue membra insieme, empio! il viver tu furi a i nipoti venturi. Oh cielo[ E tu consenti d'oro sì cruda fame ? Né più il foco rammenti di Pentapoli infame le cui orribil 'opre il nero asfalto copre ? No. Del tesor che aperto già ne la mente pingi tu non andrai per certo lieto come ti fingi, padre crudel ! Suo dritto de' aver il tuo delitto. L'oltraggio ch'or gli è occulto il tuo tradito figlio 'ricorderassi. adulto; con dispettoso ciglio da la vista fuggendo del carnefice orrendo. In vano in van pietade tu cercherai ; ché l'alma

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52. geloso furore: quello che spinge gli orientali a creare gli eunuchi. Cfr. vv. 37-42. 53. error: la superstizione dei selvaggi. Cfr. vv.43-48.fJizio: cupidigia di denaro. 58. Mutilandolo. 59.furi: rubi. 61-62. E tu, o cielo, permetti una così crudele brama di denaro (che è poi il vizio del v. 53). 63-66. Allude alle cinque città corrottissime di cui si parla nella Bibbia (Soddoma, Gomorra, Adama, Seboim e Segor). Di queste cinque città (Pentapoli) quattro furono bruciate dal fuoco divino, e quindi ricoperte con le acque bituminose del Mar Nero (il nero asfalto), a causa dei loro peccati contro natura. 67. aperto: disponibile dinanzi a te. 70. fingi: immagini. 71-72. Suo dritto ecc.: il tuo delitto deve avere la punizione che giustamente merita. 77-78. Rifuggendo dal padre che fu per lui un crudele carnefice.

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in lui depressa cade con la troncata salma; ed impeto non trova che a virtude la mova. Misero! A lato a i regi ci sederà cantando fastoso d'aurei fregi; mentre tu mendicando andrai canuto e solo per l'italico suolo. Per quel suolo che vanta gran riti e leggi e studi; e nutre infamia tanta che a gli Affricani ignudi, ben che tant'alto saglia, e a i barbari lo agguaglia.

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Quell'ospite è gentil che tiene ascoso a i molti bevitori entro a i dogli paterni il vino annoso frutto de, suoi sudori; e liberale allora sul desco il reca di bei fiori adorno, quando i Lari di lui ridenti intorno degno straniere onora: e versata in cristalli empie la stanza insolita di Bacco alma fragranza.

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81. depressa: avvilita. 82. Con il corpo mutilato. 83. impeto: forza, energia. 93-96. Sebbene si vanti d'esser civile, il suolo italico tiene in vita un 'usanza così barbara che lo rende uguale ai selvaggi. L'ode La laurea fu composta nel 1777, in occasione della laurea in giurisprudenza di Maria Pellegrina Amoretti. Fu pubblicata nell'anno stesso in cui fu scritta (Milano, Marelli). Recava il titolo: Per la laurea in ambe le leggi con/erita nella Regia Universitd di Pavia alla Signora Pellegrina Amoretti d'Oneglia. L'ode fu poi ristampata nel 1791 nell'ed. Gambarelli con il titolo La laurea. 3. dogli: vasi. 7. Lari: la casa. 10. insolita: quel vino è offerto di rado.

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Tal io la copia che de i versi accolgo entro a la mente sordo niego a le brame dispensar del volgo che vien di fama ingordo. In van l'uomo che splende di beata ricchezza, in van mi tenta si che il bel suono de le lodi ei senta che dolce al cor discende : e in van de' grandi la potenza e l'ombra di facili speranze il sen m'ingombra. Ma quando poi sopra il cammin de i buoni mi comparisce innanti alma che ornata de' suoi propri doni merta l'onor de i canti, allor da le segrete sedi del mio pensiero escono i versi, atti a volar di viva gloria aspersi del tempo oltra le mete: e donator di lode accorto e saggio io ne rendo al valor debito omaggio. Ed or che la risorta insubre Atene, con strana meraviglia, le lunghe trecce a coronar ti viene, o di Pallade figlia, io rapito al tuo merto fra i portici solenni e l 'alte menti m'innoltro, e spargo di perenni unguenti il nobile tuo serto: né mi curo se a i plausi onde vai nota pinge ingenuo rossor tua casta gota.

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11. copia: abbondanza. 14. Viene a sollecitare i miei versi, desjderoso di trarne rinomanza. I 9. ombra: protezione. 27. di viva gloria aspersi: resi incorruttibili dal perenne unguento della gloria. Cfr. vv. 37-38. 28. Eternamente. 3 1. la risorta insubre Atene: l'Atene lombarda (insubre: cfr. L'innesto del vaiuolo, v. 157) è Pavia, di cui il governo aveva da poco potenziato le scuole e l'Università in particolare. 34. Pallade: Minerva, dea della sapienza, 35. Preso da ammirazione per i tuoi meriti eccezionali. 36. portici: le navate della chiesa del Gesù, dove si tenne la cerimonia della laurea dell'Amoretti, - alte menti: i professori dell'Università pavese ed anche gli altri uomini di scienza convenuti in quel luogo. 37-38. spargo ecc.: rendo immortale con i

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Ben so che donne valorose e belle a tutte l'altre esempio veggon splender lor nomi a par di stelle d'eternità nel tempio: e so ben che il tuo sesso tra gli ufizi a noi cari e l'umil'arte puote innalzarsi; e ne le dotte carte immortalar sé stesso. Ma tu gisti colà, vergin preclara, ove di molle piè l'orma è più rara. Sovra salde colonne antica mole sorge augusta e superba, sacra a colei che dell'umana prole, frenando, i dritti serba. I vi la Dea si asside custodendo del vero il puro foco; ivi breve sul marmo in alto loco il suo volere incide: e già da quello stile aureo, sincero, apprendea la giustizia il mondo intero. Ma d 'ignari cultor turbe nemiche con temerario piede osaro entrar ne le campagne apriche ove il gran tempio siede: e la serena piaggia occuparon così di spini e bronchi che fra i rami intricati e i folti tronchi a pena il sol vi raggia; e l'acre inerte per le fronde crebre v'alza dense all'intorno atre tenèbre.

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miei versi la laurea (serto) che tu hai conseguito. Cfr. vv. 26-27. 46. Allude agli uji,...j, della madre, della sposa e delle figlie (le amorose cure che confortano l'uomo) e alle faccende domestiche. 49. gisti: sei giunta. 50.mollepiè: piede femminile. 51.111ole: tempio. 53-54.Allude alla Giustizia, la quale protegge il buon diritto degli uomini frenandone i malvagi istinti. 57. Questo verso indica la concisione (breve: brevemente), la durevolezza (sul marmo) e l'altezza dei principi (in alto loco) che caratterizzano le leggi romane. 59. Il diritto romano. 61-70. Allude alla confusione che hanno generato nel campo del diritto, originariamente libero e sgombro, i giuristi ignoranti o quelli troppo cavillosi. 66. bronchi: sterpi. 69. crebre: folte.

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Ben tu, di Saffo e di Corinna al pari, o donne altre famose, per li colli di Pindo ameni e vari potevi coglier rose: ma tua virtù s'irrìta ove sforzo virile a pena basta; e nell'aspro sentier che al piè contrasta ti cimentasti ardita qual già vide a i perigli espor la fronte fiere vergini armate il Termodonte. Or poi, tornando dall'eccelsa impresa, qui sul dotto Tesino scoti la face al sacro foco accesa del bel tempio divino: e dall'arguta voce tal di raro saper versi torrente che il corso a seguitar de la tua mente vien l'applauso veloce, abbagliando al fulgor de' raggi tui la invidia che suol sempre andar con lui. Chi può narrar qual dal soave aspetto e da' verginei labri piove ignoto fin ora almo diletto su i temi ingrati e scabri ? Ecco la folta schiera de' giovani vivaci a te rivolta vede sparger di fior, mentre t'ascolta, sua nobile carriera: e al novo esempio