La guerra al cinema. I film di guerra nel cinema italiano dal 1944 al 1996 [Vol. 1] 8880631314, 9788880631316

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La guerra al cinema. I film di guerra nel cinema italiano dal 1944 al 1996 [Vol. 1]
 8880631314, 9788880631316

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Gianfranco Casadio

LA GUERRA AL CINEMA I film di guerra nel cinema italiano Volume primo

GINO Di lAURENIIISr.

ALBERTO SORDI • VITTORIO GASSMAN

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LONGO EDITORE RAVENNA

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19. Gianfranco Casadio

La guerra al cinema. I film di guerra nel cinema italiano dal 1944 al 1996 Voi. I

Dal Risorgimento alla seconda guerra mondiale

Musica, cinema, immagine e teatro Collana diretta da Gianfranco Casadio

LA GUERRA AL CINEMA I film di guerra nel cinema italiano dal 1944 al 1996 Voi. I Dal Risorgimento alla seconda guerra mondiale Voi. II Dalla seconda guerra mondiale alla Resistenza

Gianfranco Casadio

LA GUERRA AL CINEMA I film di guerra nel cinema italiano dal 1944 al 1996 Volume primo

Dal Risorgimento alla seconda guerra mondiale

LONGO EDITORE RAVENNA

Questo volume viene pubblicato in occasione della rassegna cinematografica «La guerra al cinema. Il cinema italiano del dopoguerra», organizzata dall’Assessora¬ to Beni Culturali e Spettacolo della Provincia di Ravenna, dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’E¬ tà Contemporanea di Ravenna, in collaborazione con la Cineteca Nazionale, la Cineteca del Comune di Bologna e con il contributo della Regione Emilia Ro¬ magna.

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ISBN 88-8063-131-4 Questo volume è stampato in carta «Palatina» Fabriano © Copyright 1997 A. Longo Editore snc Via P. Costa, 33 - 48100 Ravenna Tel. (0544) 217026 - Fax 217554 e-mail: [email protected] All rights reserved Printed in Italy

Premessa

Prosecuzione ideale e completamento de II grigio e il nero1 in cui figu¬ ravano, tra gli altri, tutti i film di contenuto bellico prodotti dal cinema ita¬ liano nel periodo compreso tra il 1931 e il 1943, questa nuova opera com¬ prende tutti i film prodotti nel dopoguerra, o meglio, dal 1944 al 1996. Poiché la mole del materiale raccolto era piuttosto considerevole, ben 413 film, si è ritenuto di suddividerlo in due volumi. Il primo comprende i film che vanno dal Risorgimento alla guerra di Spagna, includendo anche un capitolo con i film commedia e quelli drammatici a sfondo bellico per un totale di 228, il secondo contiene quelli sulla seconda guerra mondiale e la Resistenza, incluso un capitolo riguardante le guerre che non hanno direttamente coinvolto l’Italia, se non dal punto di vista cinematografico, per un totale di 185 film. Se a questi aggiungiamo quelli sullo stesso argomento prodotti durante il fascismo, si raggiunge la ragguardevole cifra di 583, un genere secondo solo ai film commedia che, secondo Enrico Giacovelli2, sono stati, dal 1930 al 1990, ben 962 (anche se, a dire il vero, nell’elenco che Giacovelli fornisce, con la commedia vengono classificati anche i film comici, le far¬ se, i film-rivista, i film-parodia degli anni Sessanta, i film di canzoni, quelli musicali - esclusi i film opera -, le commedie rosa, di costume, sa¬ tiriche e all’italiana). Un genere che spesso è stato trasversale ad altri ge¬ neri, quali quello bellico, quello di ambiente militare, di satira politica (quindi anche quella sul fascismo o il nazismo, qui compresi), ecc. Si tratta perciò di un dato di difficile raffronto se si pensa che i film, indicati in questi volumi come di genere bellico o assimilabile, sono effet¬ tivamente ascrivibili a questo genere, anche se gli autori, per svolgerne la trama, hanno scelto, oltre al genere drammatico, anche la strada della co¬ micità, della satira o della musica.

1 G. Casadio,

Il grigio e il nero. Spettacolo e propaganda nel cinema italiano degli

anni Trenta (1931-1943), Ravenna, Longo, 1989. 2 E. Giacovelli, La commedia all’italiana, Roma, Gremese, 1990.

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Premessa

La suddivisione dei capitoli secondo la tipologia di guerra, oltre a scandire la temporalità storica degli avvenimenti da metà Ottocento ad og¬ gi, dà continuità all’impostazione adottata per il volume II grigio e il nero, rendendo più omogenea la consultazione dei tre volumi che così si com¬ pendiano. Come si vedrà la parte del leone la fanno i film sulla seconda guerra mondiale e sulla Resistenza (163 film), mentre poco visitata è stata la pri¬ ma guerra mondiale (solo 25 film), quasi ignorata la guerra di Libia (1 film), quella per la conquista dell'Impero (3 film) e di Spagna (3 film). Ugualmente numerosi i film commedia e quelli drammatici di argomento bellico, come pure i film su fascismo e antifascismo, senza dimenticare che anche il Risorgimento, argomento molto caro al cinema fascista, viene abbondantemente visitato anche in età repubblicana (28 film). Anche le guerre altrui hanno offerto spunti interessanti al cinema italiano, e così so¬ no nati film sulle guerre in Palestina, Algeria e Congo o sulla Legione Straniera, sul Viet Nam e l’Afghanistan (19 film). Per quanti sforzi abbia fatto per cercare di individuare segnali di neutra¬ lità nelle pellicole esaminate, soprattutto nei film degli anni del primo de¬ cennio di democrazia, non sono riuscito a trovare film del tutto privi di re¬ torica o che non fossero tesi ad esaltare il valore, la patria, la fede negli ideali; si riscontra, insomma, una sorta di alone di santità che appare in tutti i film di propaganda bellica, vizietto comune alle cinematografie di tutto il mondo. Certo vi sono anche alcuni film controcorrente, antimilitaristi e antieroici, subito colpiti, allora come dopo, dalla censura e tacciati di disfatti¬ smo o, peggio, di vilipendio delle Forze Armate o addirittura della Patria. Anche i film sulla Resistenza degli anni Quaranta e Cinquanta sono pieni di retorica, la stessa che si respira nei film del periodo fascista, solo di segno opposto, ben lontani da quel Paisà che resta - forse caso unico nella cinematografia bellica del nostro paese - privo di quella melensaggi¬ ne un po’ retorica di cui invece è pregno il tanto decantato Roma città aperta dello stesso Rossellini. Come per i precedenti volumi, ad ogni capitolo segue la filmografia critica dei film con i cast & credits, la trama, la critica contemporanea. Nei pochi casi in cui non è stato possibile reperire le recensioni su quoti¬ diani o sulle riviste specializzate, sono ricorso ancora una volta alle Se¬ gnalazioni Cinematografiche del Centro Cattolico Cinematografico. La bibliografia e l’indice generale - che raccoglie i titoli dei film compresi nei due volumi - saranno invece in calce al secondo volume. Le fotografie che illustrano i volumi sono tratte da riviste dell’epoca o riprodotte direttamente da manifesti e locandine recuperati nel corso della ricerca dei film o depositati presso l’Archivio Cinematografico della Pro¬ vincia di Ravenna. Gianfranco Casadio

I. IL RISORGIMENTO

Il 1943 è stato un anno denso di avvenimenti drammatici e fondamen¬ tali per la storia del nostro Paese. Tutto iniziò il 10 luglio con lo sbarco alleato in Sicilia; il 25 luglio segnò la caduta di Mussolini in seguito alla riunione del Gran Consiglio del fascismo che votò l’ordine del giorno Grandi, che esautorava il Duce e trasferiva le funzioni statutarie e costitu¬ zionali del Paese al Sovrano e al Parlamento. L’immediata reazione nazi¬ sta portò all’occupazione dell’Italia fino a Salerno dove si stabilì, per un certo tempo, dal Tirreno alTAdriatico, la linea del fronte. Il 9 settembre, alle prime avvisaglie dell’invasione, il governo Badoglio e il re fuggirono a Brindisi e Mussolini, liberato dalla sua prigionia sul Gran Sasso dove era stato relegato da Badoglio, fondò, il 12 settembre, la Repubblica Sociale Italiana, contrapposizione nordista al Regno del Sud. In tutta questa confusione, così come finì l’esercito italiano, anche il cinema si dissolse all’improvviso l’8 settembre. Dalla nascita di Cinecittà, nel 1937, quasi tutta la produzione cinema¬ tografica, sia di Stato che privata, era concentrata nella capitale e que¬ st’ultima, con l’armistizio, la fuga del governo e del re e con i tedeschi al¬ le porte, era nel caos più totale. I tedeschi si affannarono ad arraffare, per inviarle in Germania, tutte le attrezzature cinematografiche che poterono trovare, con la scusa di metterle al sicuro dalla vicinanza del fronte; cerca¬ rono di mantenere una parvenza di legalità acquistandole, ma i metodi usati furono espropriativi, causando forti danni all’industria cinematogra¬ fica italiana. Nonostante tutto, il Ministro della Cultura Popolare della RSI, Fernan¬ do Mezzasoma e Luigi Freddi, presidente di Cinecittà, della CINES e dell’ENIC, riuscirono a salvare parte delle strumentazioni cinematografiche e a trasferirle al Nord rifondando, a Venezia, l’industria cinematografica na¬ zionale'.

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Cfr. L. Freddi, Il cinema, Roma, L’Arnia, 1949.

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Capitolo primo

Durante i 600 giorni di vita della repubblica di Mussolini furono rea¬ lizzati trenta film tra medio e lungometraggi ma, di questi - forse rispec¬ chiando il pessimismo dei promotori di quella effìmera repubblica -, solo quattro erano di argomento bellico o propagandistico; per contro, al Sud, bisognerà aspettare la liberazione di Roma perché Rossellini realizzi Ro¬ ma città aperta, il primo film dell’Italia democratica. Il complesso clima politico in cui si trovava il nostro Paese all’indo¬ mani della Liberazione; la rinascita dei partiti che per più di vent’anni era¬ no stati posti al bando dal regime fascista e che formarono il primo gover¬ no democratico del dopoguerra con spirito ciellennistico (peraltro di breve durata); la restaurazione conservatrice che portò al governo la Democrazia Cristiana e che segnò la fine di quello spirito di rinnovamento che aveva animato la Resistenza e le speranze che da questa erano nate, furono de¬ terminanti per le scelte e gli orientamenti che la produzione cinematogra¬ fica nazionale ebbe per molti anni. A tutto questo si deve aggiungere il clima intemazionale e la posizione che l’Italia venne ad assumere negli schieramenti occidentali e orientali. Assorbita nel Patto Atlantico, con l’inizio della guerra fredda tra i pae¬ si occidentali e i paesi comunisti, l’Italia, col suo governo democristiano affiancato da liberali e socialdemocratici, iniziò una politica conservatrice che durò ininterrottamente fino al 1963 e cessò solo con l’ingresso dei so¬ cialisti al governo. In questo clima politico, e tenendo conto anche delle ristrettezze in cui il Paese si trovava, con gli studi cinematografici quasi tutti distrutti dalle bombe alleate e con scarse e antiquate attrezzature2, i produttori si getta¬ rono con coraggio al lavoro e, oltre ai generi classici della commedia, del comico, del film musicale o di quello drammatico, si sentirono attratti dal film storico-patriottico che poteva interessare un vastissimo pubblico, in¬ dipendentemente dalle idee politiche di ciascuno, perché la storia può es¬ sere letta da varie angolazioni anche nel cinema, a seconda della forma¬ zione culturale e politica del soggettista, degli sceneggiatori e del regista. Riallacciandosi ad un filone fortemente sostenuto dalla cinematografia fascista3, il cinema della giovane Repubblica Italiana si sente anch’esso attratto da soggetti legati al Risorgimento. Il patriottismo, utile rifugio di tutti i nazionalismi, siano essi democratici o totalitari, è stato - ed è tut¬ tora - fonte di ispirazione per scrittori, poeti, musicisti e artisti in tutti i paesi del mondo ed elemento di facile presa su un pubblico sia colto che

Per un approfondimento sullo stato in cui si trovava il cinema italiano all'indomani della fine della guerra e sulla politica del governo italiano nei confronti dell’industria ci¬ nematografica, confronta Alcune considerazioni su politica e industria del cinema italiano nel dopoguerra, in G. Casadio, Adultere fedifraghe innocenti. La donna del «neorealismo popolare» nel cinema italiano degli anni Cinquanta, Ravenna, Longo, Ravenna, 1990. 3 Cif. Scipione l’Africano e il film storico, in G. Casadio, Il grigio e il nero..., cit.

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Il Risorgimento

popolare. Il cinema non poteva quindi mancare di rappresentarlo sullo schermo. Perciò quale miglior argomento poteva degnamente rappresenta¬ re la vocazione nazionalistica degli italiani più del Risorgimento? *

*

*

Dal 1947 al 1990 sono stati prodotti in Italia, se si escludono tutti i film puramente in costume, 28 film sul Risorgimento in cui le varie guerre di indipendenza sono poste in primo piano rispetto alla vicenda. Fino al 1962, quando Visconti realizza II Gattopardo, con le eccezioni di La pat¬ tuglia sperduta di Piero Nelli nel 1952 e di Senso sempre di Visconti nel 1953, i film risorgimentali sono di un conformismo e di una retorica di ca¬ rattere prettamente scolastico e possono essere perfettamente sovrapponi¬ bili ad analoghi film girati durante il fascismo; poi qualcosa cambia e ap¬ paiono i film di Vancini, dei Taviani e di Magni che guardano alla storia con occhio diverso, critico e polemico. Domenico Meccoli nel volume da lui curato sul Risorgimento nel tea¬ tro e nel cinema italiano, così si esprime a proposito di questo genere ci¬ nematografico tanto frequentato dai cineasti di tutti i tempi: Un terzo capitolo [i primi due sono riferiti al cinema muto e al cinema del pe¬ riodo fascista, n.d.a.\, tuttora aperto, si svolge negli anni del dopoguerra, in un’atmosfera profondamentre mutata per il nostro cinema, al quale la folgo¬ rante apparizione della scuola neorealistica schiude orizzonti e prospettive nuove, propone orientamenti tematici e modi espressivi inusitati, offre una li¬ bertà di ricerca critica e di approfondimento storico di cui mai esso aveva go¬ duto in passato. [...] Quel che interessa il nostro discorso è che le aperture realizzate dal nuovo cinema italiano, la libertà da esso conquistata, la maturità conseguita non tanto sul piano del linguaggio quanto sul piano essenziale del¬ la consapevolezza dei propri compiti e delle responsabilità storiche ad esso pertinenti, non sembrano investire se non con grande ritardo, e pur sempre in maniera sporadica e incompleta, l’annosa vicensa dei rapporti tra il cinema e la nostra storia nazionale dell’ultimo secolo4.

Il terzo capitolo del cinema risorgimentale si apre con Cuore, che Dui¬ lio Coletti realizza nel 1947. Il clima mutato del dopoguerra, come sottoli¬ neava Meccoli, che vede l’esplosione della scuola neorealista iniziata con Rossellini, soprattutto con Paisà più che con Roma città aperta, offre nuovi modi espressivi e una libertà di ricerca e approfondimenti critici sul versante storico che mai prima di quel momento erano stati possibili. Purtuttavvia Coletti, legato ad una visione culturale che affonda le sue radici

4 D. Meccoli (a cura di), Il Risorgimento italiano nel teatro e nel cinema, Roma, Editalia, 1961, p. 158.

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nel passato e da cui non riuscirà mai a staccarsi, ci presenta un film ecces¬ sivamente legato al mondo deamicisiano e non riesce ad uscire dai canoni convenzionali che la tradizione scolastica ha, per decenni, inculcato nelle menti di tanti giovani. Come pure l’iconografia risorgimentale, tramanda¬ taci dalle illustrazioni del Fattori, ha pieno spazio nelle immagini del film che ci vengono proposte senza alcuna interpretazione critica. Anche la re¬ citazione dei pur bravi attori che compongono il cast appartiene alla scuo¬ la d’altri tempi e che nulla ha a che fare con le nuove forme espressive che si sono venute ad affermare con il neorealismo. La figura di Garibaldi e l’epopea garibaldina - temi per eccellenza del cinema risorgimentale - dopo i due classici degli anni Trenta e Quaranta, 1860 di Blasetti e Un garibaldino al convento di De Sica, ritornano nel 1949, in occasione del centenario della Repubblica Romana, con il film di Mario Costa Cavalcata d’eroi. Il film, pur molto debole nell’impianto sto¬ rico, presenta ricostruzioni estremamente realistiche soprattutto nelle parti relative ai combattimenti tra garibaldini e guardie papaline e francesi. Tut¬ tavia anche questo film risente ancora della tradizione e della retorica tipi¬ che del film storico italiano. Nel 1952 Goffredo Alessandrini riprende il tema garibaldino con il film Camicie rosse, in cui dirige la moglie Anna Magnani in una splendida interpretazione, a volte segnata però da una ec¬ cessiva esuberanza dell’attrice, che non manca di usare accenti romane¬ schi per rivolgersi a Peppino (Garibaldi) o a i suoi luogotenenti, dimenti¬ cando le origini sudamericane del personaggio da lei interpretato. Ales¬ sandrini abbandonerà poi la direzione di film, ufficialmente per dissapori con la produzione, ma in effetti per contrasti con la moglie da cui si sepa¬ rerà appunto nel corso della lavorazione del film. Il film sarà poi ultimato da Francesco Rosi. Altra storia garibaldina la troviamo nell’episodio Ga¬ ribaldina del film a episodi Cento anni d’amore che Lionello De Felice realizza nel 1953. Anche questo film non nasconde nostalgie ottocente¬ sche e un romanticismo di stampo melodrammatico che ben si discosta, come del resto tutti i film fin qui esaminati, da qualsiasi spunto neorealista. Nel 1960 in occasione del centenario dell’unità d’Italia Roberto Rossellini realizza Viva l’Italia. Un film che avrebbe potuto essere antiretori¬ co e realistico, scevro dalle enfatizzazioni tipiche del film storico-risorgi¬ mentale che caratterizzavano le pellicole realizzate fino ad allora. Purtrop¬ po così non è stato. Solo parzialmente l’opera di Rossellini appare riusci¬ ta. Infatti, per quell’ambiguità che gli è peculiare, Rossellini evita di pren¬ dere decisamente le parti di uno dei contendenti, rimanendo sospeso tra la tendenza antiretorica e la voglia di fare un film epico. Ne risulta un «com¬ promesso fra il westren nazional-popolare e un cronachismo minuto e pe¬ dante»5.

5 G. Fink, «Cinema Nuovo», n. 150, mar./apr. 1961.

Il Risorgimento

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Due anni dopo, nel 1962, l’epopea garibaldina viene rivista con occhio completamente diverso da Luchino Visconti ne II Gattopardo. Anche se l’attenzione del regista è più attenta a cogliere il doloroso, ma inevitabile passaggio da tutto ciò che appartiene al passato - un mondo legato ai pri¬ vilegi di casta e di censo (rappresentato dal Regno Borbonico) - a ciò che identifica il futuro, che si schiude ad una speranza e ad un rinnovamento integrale (rappresentato dal Regno d’Italia), l’epopea garibaldina viene vi¬ sta con un pizzico di spirito anarchico e di giovanile entusiasmo nella fi¬ gura di Tancredi, il giovane nipote prediletto del principe di Salina. Ancor più di Visconti, che ad ogni modo, sia in Senso che ne II Gatto¬ pardo, osserva il Risorgimento con spirito marxista, Florestano Vancini ci presenta nel 1972 una visione poco idilliaca e per nulla edificante delle imprese garibaldine, realizzando il film Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato. Partendo da un fatto di cronaca, Vancini rappresenta la figura di Nino Bixio come un essere odioso e cru¬ dele, rozzo e ignorante, che si è macchiato dell’uccisone di cittadini inno¬ centi per dare un inutile esempio di rigore a tutta la Sicilia, finendo con rinfangare, coprendolo di vergogna, il mito garibaldino. Ultimo film a sfondo garibaldino è In nome del popolo sovrano che Luigi Magni realizza nel 1990. Nel film è ancora la Repubblica Romana che langue ma, come in tutti film di Magni, più che la storia in sé sono le vicende umane dei protagonisti che emergono dal racconto. Supportato da una certa ironia (vedi il personaggio di Alberto Sordi), il film riesce a rac¬ contare un’epopea popolare sfrondata da qualsiasi forma di retorica, ri¬ creando un clima di sincera vena patriottica, incrociando l’amore per la Patria con l’anticlericalismo, l’amore fra un uomo e una donna con la fede in Dio. Un motivo ripreso frequentemente in questi anni è quello della lotta condotta nell’Italia meridionale contro la dominazione dei Borboni, ma dà luogo ad opere di diverso livello che puntano di preferenza sugli elementi avventurosi e romanzeschi offerti da una letteratura di carattere popolare, in cui brigantag¬ gio e patriottismo, cospirazione Carbonara e intrigo amoroso s’intrecciano as¬ siduamente, approdando a risultati di autentico carattere feuilletonesco6.

Ecco allora che Guido Brignone ci propone, con La sepolta viva nel 1948, un film che si rifà al feuilleton ottocentesco in cui l’innocenza, la virtù e la bontà, rappresentate dalla contessina Èva, vengono perseguitate fino al trionfo finale in cui il bene, dopo tante sofferenze, riesce a trionfa¬ re sul male. Il bene, naturalmente, è rappresentato da Giorgio, conte napo¬ letano arruolatosi con Garibaldi, mentre il male è personificato da Federi¬ co, pure lui conte, ma fedele ai Borboni. Nel 1950 Brignone propone un

6 D. Meccoli, Il Risorgimento..., cit., p. 162.

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altro film a tema borbonico, Il Conte di Sant’Elmo. Un film decisamente scadente dove il personaggio del conte è una specie di Zorro che ha come avversario il ministro della polizia borbonica e che dopo rocambolesche avventure finisce per salvarsi su una nave piemontese assieme alla figlia, che ama riamato, del ministro suo rivale. Di segno completamente diverso è il film di Pietro Germi II brigante di Tacca del Lupo del 1952. In questo film viene analizzato non solo il fe¬ nomeno del «brigantaggio», comprendendovi anche i movimenti patriottici dei partigiani borbonici, ma anche l’ottusità e l’incapacità degli ufficiali piemontesi chiamati a sedare le sommosse e a riportare la pace fra le po¬ polazioni del Sud dell’Italia. Il risultato del film di Germi non è dei mi¬ gliori. Ottimo come film western, grazie anche ad un paesaggio da New Mexico e ad una musica tipica (i bersaglieri sono il Settimo Cavalleggeri e il brigante Raffa Raffa è una sorta di pistolero messicano, o di indomito capo apache, a capo di una banda di desperados), è deludente dal punto di vista storico, rimanendo sempre alla superficie dei problemi senza mini¬ mamente sfiorarli. Sempre del 1952, e ancora contro i borbonici, è il film Eran trecento... di Gian Paolo Callegari. Si tratta della triste vicenda di Carlo Pisacane, presa a pretesto per imbastire una storia che ha per protagonisti un brigan¬ te e la sua fidanzata, che sarà poi la «spigolatrice di Sapri». Ancora nel 1952, e sempre per rimanere in argomento, Carlo Ludovico Bragaglia diri¬ ge Il segreto delle tre punte in cui il problema dei patrioti borbonici è af¬ frontato solo parzialmente. In una Sicilia da poco liberata da Garibaldi e annessa al Regno d’Italia, Bragaglia ci mostra un partito borbonico attivo, collegato alle bande dei cosiddetti briganti, nelle cui file viene introdotta una talpa col compito di smascherare i fiancheggiatori dei borbonici, per catturarli e distruggerne il movimento. Purtroppo il soggetto si rivela so¬ prattutto un pretesto per imbastire l’ennesima storia d’amore. Anche Mario Camerini affronta il tema del brigantaggio con il fdm 7 briganti italiani nel 1961. Nel film Camerini tratteggia la figura del bri¬ gante napoletano Carbone che, dapprima lusingato dai borbonici, viene da questi abbandonato e decide di consegnarsi ai piemontesi, ma prima che ciò avvenga i borbonici, timorosi che egli riveli ai piemontesi gli in¬ trighi di cui è al corrente, lo uccidono. Ancora sulla sfortunata avventura di Carlo Pisacane è il film di Ennio Lorenzini Quanto è bello lo murire acciso del 1976. Qui il personaggio risorgimentale, ucciso dai contadini salernitani al suo sbarco sulla terra ferma, somiglia per certi versi a Che Guevara. Di fronte al rifiuto di appoggio da parte dei liberali napoletani che diffidano di lui e dei suoi compagni, Pisacane-Guevara cerca lo scontro con i borbonici convinto che il popolo non possa che sollevarsi ed unirsi a lui ma viene sconfitto, e sarà proprio quel popolo che avrebbe dovuto seguirlo d’impulso che finirà con l’uccidere lui e i suoi compagni superstiti. Film pesantemente ideologizzato, finisce per diventare troppo

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didattico e rigidamente orientato. L’ultimo film della serie è O’ re del 1988 di Luigi Magni, narrazione della patetica fine della monarchia di Francesco II di Borbone. Ancora una volta Magni offre nel suo film due piani di rappresentazione: «la com¬ media sentimentale e d’intreccio per i protagonisti e il teatro didattico per il coro; in altre parole, la pièce di carattere e la drammaturgia epica»7. Sempre in clima meridionalistico, ma precedente alle vicende garibal¬ dine e alle successive lotte di brigantaggio e normalizzazione nell’ex Re¬ gno Borbonico, è il film di Paolo e Vittorio Taviani Allosanfan del 1974. Sebbene i riferimenti della vicenda facciano pensare alla spedizione di Sa¬ pri, il film è ambientato nell’epoca immediatamente successiva alla caduta di Napoleone e quindi in piena restaurazione. Allosanfan concede poco o nulla alla cassetta e tuttavia è un film popolare; è di facile comprensione, e tuttavia continua un’analisi molto acuta [...] Ogni genere di spettatore ne esce contento: l’uomo della strada, che chiede avven¬ ture, e l’intellettuale che vi ritrova i dubbi della sinistra italiana di oggi, tenta¬ ta di ritirarsi, vinta dagli agi, nel quieto grembo dei piaceri e degli affetti fa¬ migliali8.

Dal Sud al Nord; dal western italiano, legato alle guerre, alle cospira¬ zioni e alle guerriglie nei territori solari e riarsi degli stati borbonici, alle cospirazioni dei carbonari e alle guerre contro gli austriaci nei territori brumosi e grigi degli stati dell’Italia settentrionale, il cinema italiano del dopoguerra continua ad avvicinarsi ai temi risorgimentali, proponendo an¬ che riedizioni di film che spesso erano stati realizzati nel ventennio fasci¬ sta o, addirittura, nell’epoca del muto. È il caso di Romanticismo, che Clemente Fracassi realizza nel 1950. Ennesima riedizione del dramma di Gerolamo Rovetta, realizzato ben quattro volte in epoca muta (nel 1908, 1912, 1913 e 1915), il film di Fra¬ cassi è un melò intriso di ferventi sentimenti patriottici, condito da vicen¬ de sentimentali, scontato negli esiti e senza alcuna ventata di novità. Non si discosta molto nella sostanza neanche l’episodio de II tamburino sardo inserito nel film Altri tempi che Alessandro Blasetti, inaugurando la moda del film ad episodi, realizza nel 1951. La novella deamicisiana viene rac¬ contata da Blasetti nello stesso stile ottocentesco con cui è stata scritta e il modo asciutto, naturale e al tempo stesso violento con cui aveva realizza¬ to 1860 non è che un pallido ricordo a cui non riesce più ad avvicinarsi neanche per un istante. Ci voleva Piero Nelli con La pattuglia sperduta, sua opera prima rea¬ lizzata nel 1952, per mostrarci il Risorgimento con occhio realistico e cru-

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F. De Bernardini, «Segnocinema», n. 37, mar. 1989. 8 G. Grazzini, «Corriere della Sera», 7 sett. 1974.

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do, attraverso le vicende di una pattuglia di soldati piemontesi abbandona¬ ti a se stessi nelle risaie del Vercellese, riuscendo a colpire la sensibilità dello spettatore per il contenuto intimista e psicologico del racconto narra¬ to attraverso dettagli efficaci, buon ritmo e da esperti movimenti di mac¬ china, ma soprattutto per il sapiente ed efficace impiego di attori non pro¬ fessionisti, in puro stile neorealista. Ma se il film di Nelli, pur apprezzabile per il coraggio di affrontare in maniera spregiudicata e anticonformista un argomento «sacro» come quel¬ lo risorgimentale, risentiva delle inevitabili pecche di un esordiente, Senso di Luchino Visconti, apparso l’anno seguente, ci offre una prima, vera le¬ zione di cinema libero da vecchi e consunti conformismi. Senso è sicuramente un melodramma, ma il modo con cui è concepita e narrata la storia d’amore tra la contessa Serpieri e il tenente Mahler non mette mai in secondo piano il grande avvenimento storico che sovrasta e incombe su tutta la vicenda. La battaglia di Custoza, preludio alla nascita dello Stato italiano, ad un certo punto del film, pone in secondo piano il dramma personale dei due protagonisti e, per la prima volta, in un film ri¬ sorgimentale si afferma con prepotenza la presenza dei rivoluzionari ita¬ liani, qui rappresentati dal marchese Ussoni cugino di Livia Serpieri, che combattono al fianco delle truppe regolari. È persino troppo evidente la parabola viscontiana che traspone nei rivoluzionari italiani i partigiani che nel corso della seconda guerra mondiale, a fianco dell’esercito italiano e delle truppe alleate, hanno contribuito a liberare il paese dai tedeschi. Non va dimenticato che il colloquio tra Ussoni e l’ufficiale italiano, in cui il marchese protesta per le limitazioni e gli ostacoli che il comando militare pone ai patrioti perché non prendano parte ai combattimenti, è stato com¬ pletamente eliminato per esplicita richiesta del Ministro della Difesa all’indomani del Festival di Venezia del 1954, dove il film fu presentato9. A titolo di cronaca merita un accenno veloce anche il film di Raffaello Matarazzo Giuseppe Verdi, realizzato nel 1953, in cui la vita artistica del compositore emiliano è solcata da eventi patriottici di cui egli stesso, con le sue musiche, è protagonista, ma in cui la guerra appare solo sui titoli dei giornali. Nel 1955 Guido Salvini realizza II Conte Aquila, biografia di Federico Confalonieri, tratto dal dramma omonimo di Rino Alessi, rifacimento del film Teresa Confalonieri che Guido Brignone aveva realizzato nel 1934. Il

9 Ecco il testo del dialogo censurato dalla versione originale del film, tratto da G. Aristarco, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 52, 10 febb. 1955, p. 112:

«Parliamoci francamente, capitano», dice Ussoni a Meucci. «L’ordine che lei mi ha tra¬ smesso rispecchia la repugnanza di tutto l’esercito a cominciare dal signor generale Lamarmora, per le forze rivoluzionarie. È chiaro che si vogliono escludere queste forze dal¬ la guerra, impedire loro...». Risponde Meucci: «Le nostre forze sono impegnate in durissi¬ mi scontri. L’esito della guerra è sicuro... L’esercito regolare basterà alla patria».

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film non brilla certo per vivacità e inventiva, così legato com’è da una sceneggiatura tutta teatrale e in cui l’azione viene sacrificata alla recita¬ zione e alla staticità delle scene. Un film da dimenticare per la sua mediocrità e la sua vocazione we¬ stern, che ben si legge nelle scene movimentate tipo «assalto al treno», è il film di Guido Malatesta La strada dei giganti, apparso nel 1960. Il pro¬ getto di costruire una ferrovia nel Ducato di Parma, voluto dalla grandu¬ chessa e affidato ad un ingegnere americano, viene ostacolato dagli au¬ striaci e i sudditi della sovrana ingaggiano con costoro una lotta da Far West perché il progetto vada in porto. L’ultimo film «nordista» è Le cinque giornate di Dario Argento, rea¬ lizzato nel 1973. Genere insolito per un mago del terrore, questo film of¬ fre ad Argento lo spunto per rappresentare un fatto storico attraverso le micro storie di due teppistelli da strada, capovolgendone il punto di vista. Ne esce un film che per alcuni versi può apparire qualunquista, ma che fa trasparire quel senso di smarrimento e di rabbia che nel proletariato si ma¬ nifesta allorquando, finito il momento della lotta e dell’eroismo delle mas¬ se in rivolta, tutto si riconduce ad un ritorno conservatore. L’ultimo gruppo di film riguarda la fine del potere temporale dei Papi, la breccia di porta Pia e la presa di Roma. Il primo di questi film, in ordi¬ ne temporale, è Vanina Vanini che Roberto Rossellini realizza nel 1961. Rossellini propone una riduzione dell’opera di Stendhal senza particolari interpretazioni o attualizzazioni - e pare che queste fossero le sue inten¬ zioni - e quindi il suo tentativo di compiere un’operazione analoga a quel¬ la di Visconti con Senso fallisce completamente. A tal proposito scrive Guido Aristarco su «Cinema Nuovo»: Rossellini, seguendo ormai la sua abituale ambiguità, non coglie nel «più ab¬ norme e arretrato» degli ex principati - nello Stato Pontificio «relitto del XVI secolo» - la cronaca di un’epoca e una capitale che tante analogie hanno con la Roma e l’Italia d’oggiIH.

Una buona interpretazione drammatica la offrono Anna Magnani e Marcello Mastroianni nel film di Alfredo Giannetti ...Correva Vanno di grazia 1870, realizzato nel 1971 per il cinema e la televisione, in cui l’au¬ tore «insinua qualche riflessione amara sull’impossibilità delle rivoluzioni in Italia»11. Queste delusioni sono colte dal personaggio interpretato dalla Magnani, fiera rivoluzionaria, che scopre nel popolo che la circonda solo cinismo e indiffemza. Non avrà però il coraggio di dire la verità al marito morente e, nel giorno della liberazione, inventerà per lui che Roma è in¬ sorta e si è ribellata al Papa.

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G. Aristarco, «Cinema Nuovo», n. 153, magg./giu. 1961. 11 T. Kezich, «Panorama», 11 febb. 1972.

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Luigi Magni, sempre sulla fine del potere temporale dei papi, realizza due fdm, uno nel 1977, In nome del papa re e l’altro nel 1980, Arrivano i bersaglieri. Il primo tratta dell’ultima decapitazione per ghigliottina ese¬ guita in Roma il 24 novembre 1868 e di cui furono vittime i patrioti Giu¬ seppe Monti e Gaetano Tognetti; il secondo narra la storia di un nobile fe¬ dele al Papa che rifiuta di arrendersi agli italiani e della love story della figlia con un bersagliere, sullo sfondo della breccia di Porta Pia e dell’u¬ nione di Roma all’Italia. Due film di caratura differente: il primo, ben sce¬ neggiato e con ottimi dialoghi, ha in Manfredi un attore eccellente; il se¬ condo si rivela una commedia di scarso interesse nonostante vi figurino tra i protagionisti attori come Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli e Vittorio Mezzogiorno. La storia dei film risorgimentali e delle guerre in essi esaltate come guerre sante o di liberazione termina per il momento qui. Si tratta di film di differente levatura, ricchi di contrasti e di contraddizioni, con un’altale¬ na continua di opere modestissime e superficialmente rievocative, spesso abbinate a melodrammatiche storie sentimentali e raramente basate su rea¬ listiche ricostruzioni di battaglie storiche, e di altre che offrono interpreta¬ zioni storiche anticonformiste e artisticamente perfette con ricostruzioni estremamente realistiche e violente di eventi bellici per nulla idilliaci, ma tragici come lo sono tutte le guerre. Con tutto ciò è indubbio che la storia del nostro Risorgimento, con le sue luci e le sue ombre, ha interessato e continua ad interessare gli uomini del nostro cinema che ad esso si sono ispirati per trovare nuovi stimoli narrativi.

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CUORE di Duilio Coletti Anno di edizione: 1947 Produzione: Safir; Direttore di produzione: Domenico Forges Davanzati; Sogget¬ to: dal libro omonimo di Edmondo De Amicis; Adattamento: Oreste Biancoli; Sceneggiatura: Vittorio De Sica, Oreste Biancoli, Adolfo Franci, Gaspare Catal¬ do; Aiuto-regia: Giovanni Passante Spaccapietra; Fotografia: Carlo Montuori; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Ivo Battelli; Costumi: Gino Sensani; Musica: Nino Oliviero; Interpreti: Vittorio De Sica, Maria Mercader, Giorgio De Lullo, Ave Ninchi, Luigi Pavese, Armando Migliali, Lamberto Picasso, Guido Notari, Giulio Oppi, Vittorio Sanipoli, Nerio Bernardi, Augusto Mastrantoni, Ar¬ turo Bragaglia, Enzo Turco, Gino Leurini, Pina Piovani, Aristide Garbini, Lucia¬ no De Ambrosiis, Salvo Randone, Fiore Forges Davanzati, Remo Bolsani, Massi¬ mo Randisi, Carlo Delle Piane, Vito Chiari, Enzo Cerusico, Guido Martufi, Mario Siletti, Felice Minotti, Riccardo De Miceli, Carlo Tamberlani, Rina Franchetti, Vanna Polverosi, Toni Ucci, Checco Rissone, Olga Vittoria Gentilli, Franco Nicotra; Durata: 95’. Produzione realizzata negli stabilimenti di Cinecittà. Nastro d’argento, quale miglior attore protagonista, a Vittorio De Sica. LA STORIA: La maestrina «della penna rossa» racconta ad un suo ex allievo, or¬ mai adulto, alcuni episodi della sua vita. Rievoca così la figura del fidanzato, il maestro Perboni, caduto in Africa, figura di socialista che, per dovere verso la Pa¬ tria, va a combattere contro il Negus e a morire per una causa in cui non crede. La narrazione si basa sulle pagine del libro di Edmondo De Amicis, storie di un mondo a noi tanto lontano e che rappresenta in sintesi la vita italiana di fine Otto¬ cento, fervente di lotte sociali, politiche, slanci patriottici e grandi rivolgimenti. LA CRITICA: «Il lavoro riproduce con efficacia il mondo deamicisiano; ma il ritmo eccessivamente lento fa avvertire chiaramente l’origine letteraria. Buona l’interpretazione, specialmente per quanto riguarda i protagonisti; ben curata l’ambientazione [...] ma presenta nel protagonista una figura caratteristica di gen¬ tiluomo d’altri tempi, privo purtroppo di profonde convinzioni religiose». (Anoni¬ mo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXIII, Centro Cattolico Cinematografi¬ co, Roma 1948, p. 140).

LA SEPOLTA VIVA di Guido Brignone Anno di edizione: 1948 Produzione: Flora Film; Direttore di produzione: Folco Laudati; Soggetto: dal ro¬ manzo omonimo di Francesco Mastriani; Sceneggiatura: Fulvio Palmieri, Gherar¬ do Gherardi; Aiuto-regia: Armando Grottini; Fotografia: Mario Albertelli; Mon¬ taggio: Giuseppe Fatigati; Scenografia: Ivo Battelli; Costumi: Maria Baroni; Mu¬ sica: Franco Casavola; Interpreti: Milly Vitale, Paul Muller, Evi Maltagliati, Tina

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Lattanzi, Piero Palermini, Carlo Tamberlani, Enzo Fiermonte, Cesare Polacco, Luigi A. Garrone, Attilio Torelli, Fedele Gentile, Gino Baghetti, Oreste Fares; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Nell’ultimo periodo del regime borbonico, in una villa non lontana da Napoli vivono la contessa Elisa con la figlia Èva e il figlio di primo letto del defunto conte, Federico. Garibaldi sta per sbarcare in Calabria e il conte, fedele ai Borboni, teme che presto arriverà anche a Napoli. Di opposto credo politico è la sorellastra Èva, una fervente garibaldina, innamorata di Giorgio, nipote del conte Copelli, amico di sua madre. Federico è l’amante della governante di casa, per la quale ha speso tutto il suo capitale, tanto da dover chiedere continuamente soldi alla madre e alla sorella. All’ennesima richiesta di denaro la madre rifiuta e il conte tenta di avvelenarla, ma l’intervento di Èva glielo impedisce. Allora la ra¬ gazza viene rinchiusa nei sotterranei della villa e il conte, con la complicità del¬ l’amante, uccide la contessa. La coppia malvagia, appreso che Elisa aveva nomi¬ nato Èva sua erede universale, decide di uccidere anche la ragazza per impadro¬ nirsi dell’eredità. Ma l’arrivo dei garibaldini comandati da Giorgio salva la ragaz¬ za e Federico viene ucciso in duello da Giorgio che sposerà Èva. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro scadente. La vicenda ci fa assistere al trion¬ fo dell’innocenza perseguitata ed alla punizione dei colpevoli. La tendenza è quin¬ di positiva; ma il film contiene scene brutali, situazioni scabrose, malvagità effe¬ rate, che impongono ampie riserve in sede morale». (Anonimo, Segnalazioni cine¬ matografiche, voi. XXV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1949, p. 168).

CAVALCATA D’EROI

di Mario Costa Anno di edizione: 1949 Produzione: Vulcania Compagnia Cinematografica; Produttore: Alberto Attili; Direttore di produzione: Armando Lubrani; Soggetto: Mario Costa; Sceneggiatu¬ ra: Mario Costa, Anton Giulio Majano, Fulvio Palmieri, Piero Ghione, Lamberto Giovagnoli; Aiuto-regia: Piero Ghione; Fotografia: Rodolfo Lombardi; Suono: Enrico Palmieri; Montaggio: Otello Colangeli; Scenografia: Lamberto Giovagno¬ li; Arredamento: Lamberto Giovagnoli; Costumi: Flavio Mogherini, Giulio Ferra¬ ri; Musica: Alessandro Cicognini, Interpreti: Cesare Danova, Vittorio Sanipoli, Carla Del Poggio, Otello Toso, Camillo Pilotto, Paola Borboni, Alfredo Varelli, Carlo Tamberlani, Ugo Sasso, Germana Paolieri, Marco Vicario, Carlo Romano, Ave Ninchi, Attilio Dottesio, Mario Ferrari, Dante Maggio, Giuseppe Spadaro, Arturo Dominici, Fosca Freda, Achille Majeroni, Giorgio Costantini, Antonio Gradoli, Laura Holt, Renzo Giovanpietro, Anita Durante, Afro Poli, Nico Pepe, Diego Pozzetto, Bianca Manenti, Emilio Ghione jr., Leonello Zanchi; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Studi INCIR-De Paolis di Roma. LA STORIA: In seguito alla proclamazione della Repubblica Romana, Papa Pio

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IX fugge da Roma e chiede aiuto alla Francia. Goffredo Mameli, Angelo Mesina e Luciano Manara fanno amicizia con Massimo Ruffo, un pittore esiliato dai Bor¬ boni. Un mattino, i quattro amici mettono in fuga alcuni briganti che avevano as¬ salito la diligenza della contessa Ferreri con a bordo la nipote Giulia. Tra Giulia e Ruffo è subito colpo di fulmine, ma la ragazza è fidanzata al conte Noris, emissa¬ rio del governo francese. Frattanto le truppe del generale Oudinot vengono respin¬ te da quelle della Repubblica Romana; approfittando di una tregua tra i due belli¬ geranti, Giulia fugge di casa e si unisce a Massimo. Al termine della tregua i combattimenti riprendono, ma nonostante l’eroico valore degli italiani, le truppe francesi hanno il sopravvento. I garibaldini si ritirano verso Roma, l’Assemblea Nazionale è costretta a chiedere la resa. Garibaldi con pochi compagni tenta di raggiungere Venezia, tra questi vi sono anche Massimo e Giulia che nel frattempo è stata perdonata dal padre. LA CRITICA: «È un lavoro molto debole. La parte storica è trattata molto super¬ ficialmente. La vicenda è tendenzialmente positiva: la riconciliazione finale sana la situazione dei due innamorati». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXVIII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1950, p. 28).

IL CONTE DI SANT’ELMO di Guido Brignone Anno di edizione: 1950 Produzione: Itala Film; Produttore: Alfredo Giacalone; Direttore di produzione: Mario Bisi, Ignazio Luceri; Soggetto: Ettore M. Margadonna; Sceneggiatura: Al¬ do De Benedetti, Nino Novarese, Guido Brignone; Aiuto-regia: Glauco Lattanzi; Fotografia: Augusto Tiezzi; Suono: Giovanni Rossi; Montaggio: Jolanda Benve¬ nuti; Scenografìa: Ottavio Scotti; Arredamento: Antonio Leonardi; Costumi: Nino Novarese; Musica: Armando Fragna e brani da opere di Giacomo Meyerbeer e Johann Strauss; Canzoni: Armando Fragna, Cesare A. Bixio; Interpreti: Massimo Serato, Anna Maria Ferrerò, Tino Buazzelli, Tina Lattanzi, Carlo Croccolo, Al¬ fredo Varelli, Pierluigi Costantini, Filippo Scelzo, Renato Malavasi, Giorgio Cu¬ ra, Gino Baghetti, Luigi Pavese, Franco Pesce, Nelly Corrady; Durata: 90’. Pro¬ duzione realizzata negli studi della Titanus. LA STORIA: Negli ultimi anni del Regno Borbonico, un grappo di carbonari guidati dal conte di Sant’Elmo e travestiti da banditi fermano e perquisiscono i passeggeri di una diligenza, impadronendosi di documenti dai quali risulta che il Ministro della polizia borbonica è in possesso di un elenco di nomi di carbonari che potrebbe mettere in pericolo tutta l’organizzazione clandestina. Tornato a Na¬ poli il conte si introduce di notte in casa del ministro e riesce ad impossessarsi del documento, ma all’arrivo della polizia si rifugia nella camera della figlia del mi¬ nistro, Lucia, che lo salva e se ne innamora. Intanto i carbonari per fare rilasciare un loro compagno progettano di rapire la ragazza per fare uno scambio. Della rea¬ lizzazione del piano si incarica Don Paolo, portandolo a termine con successo. Il Ministro, dopo aver fatto liberare il prigioniero, fa arrestare il conte a seguito del-

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la denuncia di una cantante, gelosa della ragazza. Condannato a morte, con 1 aiuto di Don Paolo e della cantante pentita il conte si imbarca su una nave piemontese dove Lucia lo sta aspettando. LA CRITICA: «È un lavoro mediocre. Buona la fotografia. Il film esalta l’amor di patria e la generosità d’animo e presenta una simpatica figura di sacerdote; ma l’equivoco personaggio della cantante, la ribellione di Lucia all’autorità patema e qualche vestito non del tutto conveniente impongono una riserva». (Anonimo, Se¬ gnalazioni cinematografiche, Voi. XXIX, Centro Cattolico Cinematografico, Ro¬ ma 1951, p. 147).

ROMANTICISMO di Clemente Fracassi Anno di edizione: 1950 Produzione: Golden Film; Produttore: Carlo Ponti, Dino De Laurentis; Soggetto: tratto dal dramma omonimo di Gerolamo Rovetta; Sceneggiatura: Renato Castel¬ lani, Carlo Musso, Fulvio Palmieri; Aiuto-regia: Antonio Altoviti; Fotografia: Aldo Tonti; Suono: Biagio Fiorelli; Montaggio: Mario Bonotti; Scenografìa: Enri¬ co Palmieri; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Maria De Matteis; Musica: En¬ zo Masetti; Direzione musicale: Fernando Previtali; Interpreti: Amedeo Nazzari, Tamara Lees, Fosco Giachetti, Clara Calamai, Antonio Annaloro, Nyta Dover, Harry Feist, Fulvia Franco, Olga Vittoria Gentilli, Enrico Glori, Paul Muller, Fi¬ lippo Scelzo, Corrado Nardi, Alessio Ruggeri, Rio Nobile; Durata: 88’. Produzio¬ ne realizzata negli Studi della Ponti-De Laurentis. LA STORIA: A Como, nel 1858, un medico, Ansperti, affiliato alla Giovane Ita¬ lia, viene arrestato dalla polizia austriaca, processato, condannato a morte e giu¬ stiziato. Gli sforzi del suo amico, il conte Lamberti, presso il governatore di Mila¬ no sono stati inutili. Lamberti investito dal dottor Ansperti di continuare la lotta al suo posto, per meglio mascherare l’attività clandestina, accetta dal governatore un ufficio di responsabilità nell’Amministrazione austriaca. La moglie, la contes¬ sa Anna, crede che il marito sia un filo austriaco e prende sempre più le distanze da lui. Attratta da un giovane esule polacco sta per fuggire con lui, ma la moglie del medico defunto le dice la verità e la fa distogliere dal proposito. Il giovane polacco per vendicarsi del conte, lo denuncia alla polizia. Deciso a soffocare lo scandalo, il governatore offre al conte la possibilità di salvarsi e di fuggire a Tori¬ no. Il conte Lamberti finge di accettare, ma consegna il salvacondotto al nipote e si fa arrestare dai gendarmi austriaci. LA CRITICA: «È un film di normale fattura, tratto dall’omonimo dramma di Gerolamo Rovetta. Ispirato ad elevati sentimenti di patriottismo e di amore per la libertà, il film è tendenzialmente positivo». (Anonimo, Segnalazioni cinematogra¬ fiche, voi. XXIX, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1951, p. 121).

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IL TAMBURINO SARDO di Alessandro Blasetti (episodio del film Altri tempi) Anno di edizione: 1951 Produzione: Cines; Direttore di produzione: Vittorio Forges Davanzati; Soggetto: da un’idea di Alessandro Blasetti ispirata alla novellistica dell’800, nel caso spe¬ cifico, ad una novella di Edmondo De Amicis; Sceneggiatura: Oreste Biancoli, Alessandro Blasetti, Vitaliano Brancati, Gaetano Carancini, Suso Cecchi D’Ami¬ co, Alessandro Continenza, Italo Dragosei, Brunello Rondi, Vinicio Marinucci, Augusto Mazzetti, Filippo Mercati, Turi Vasile, Giuseppe Zucca, Aldo De Bene¬ detti; Aiuto-regia: Isa Bartalini; Fotografia: Carlo Montuori; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Veniero Colasanti; Arredamento: Franco Lolli; Costumi: Vernerò Colasanti; Musica: Alessandro Cicognini; Interpreti: Enzo Cerusico, Vit¬ torio Vaser, Attilio Tosato, Guido Celano, Ugo Sasso, Ivonne Cocco, Pietro Tor¬ di, Aldo Vasco, Vanda Tiburzi, Angelo Marussi, Rio Nobile, André Hildebrand, Gianni Luda, Ugo Hassan, Domenico Meccoli, Giuseppe Brunetti; Altri interpreti comuni a più episodi: Salvatore Costa, Armando Annuale, Antonio Pierfederici, Rosanna Galli, Gianna Perea Labia, Romolo Purgatorio, Arnaldo Piacenti, Rita Del Comò; Durata: 100’ (l’intero film). Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Quarto episodio del film Altri tempi. Racconta la storia di un ra¬ gazzino, tamburino dell’esercito piemontese, che divide le sorti dei componenti di un drappello di soldati assediati dagli austriaci. Il ragazzo sfugge al controllo del suo comandante e corre a cercare rinforzi. Riuscirà dove gli adulti hanno fallito, ma rimarrà gravemente ferito e perderà una gamba. Il Comandante, raggiuntolo all’ospedale, si metterà sull’attenti di fronte al piccolo eroe. LA CRITICA: «Blasetti preparava per la Cines, insieme con Golfiero Colonna, uno Zibaldone n. 1 che ha, e ormai lo sanno tutti, lo scopo di raccogliere, dentro una forma unitaria data dal clima, dal ‘tempo’, dal costume, da certi ‘fics' dei personaggi, una decina di racconti di nostri scrittori tutti vivi attorno alla fine del¬ l’Ottocento e i primi del Novecento: una antologia letteraria diremo, cinematogra¬ fata. La cosa farà molto piacere a Pancrazi, a Bargellini, ai cultori del fondo quie¬ tamente provinciale e non sciocco del nostro Ottocento: di cui, letterariamente, si va facendo anno per anno la discoperta. ‘Zibaldone’, mi diceva Blasetti, ‘Zibaldo¬ ne fa pensare anche a Leopardi, e anche a qualcosa di raccogliticcio, in senso dispregiativo (ma il termine, per ora solamente provvisorio, ha un valore di miscel¬ lanea) che è più avventuroso, più cinquecentesco anche». (Renato Giani, Tempo di zibaldone e ritratto dell’italiano, in «CINEMA», n. 74, 15 nov. 1951, pp. 267268). OSSERVAZIONI: Il film aveva come sottotitolo Zibaldone n. 1.

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IL BRIGANTE DI TACCA DI LUPO di Pietro Germi Anno di edizione: 1952 Produzione: Rovere Film - Cines - Lux Film; Direttore di produzione: Antonio Muso; Soggetto: dalla novella omonima di Riccardo Bacchelli; Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Pietro Germi, Fausto Tozzi; Aiuto-regia: Marcello Giannini, Ottorino Vidotto; Fotografia-. Leonida Barboni; Suono: Aldo Calpini; Montaggio: Rolando Benedetti; Scenografia: Carlo Egidi; Costumi: Andrea Fantacci; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Amedeo Nazzari, Cosetta Greco, Saro Urzì, Fausto Tozzi, Aldo Bufi Landi, Alfredo Bini, Vincenzo Musolino, Oscar Andriani, Amedeo Trilli, Natale Cirino, Paolo Reale, Vittorio Scarabello, Aldo Lorenzon, Sergio Bergonzelli, Lilli Cerasoli, Pietro Fumelli, Gianni Latini, Rena¬ to Terra, Oreste Romoli, Piero Beldi, Dino Maronetto, Saro Arcidiacono, Ettore Jannetti, Giuseppe Carraretto; Durata: 97’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: A una compagnia di bersaglieri viene affidato il compito di cattu¬ rare il bandito Raffa Raffa, partigiano dei Borboni. Il capitano vorrebbe usare le maniere forti, ma il commissario di polizia, ex borbonico, preferirebbe una tattica più politica. Il capitano, sordo ai suggerimenti del funzionario, inizia una dura azione di rastrellamento in cui cadono vittime da ambo le parti. In una di queste azioni viene catturata Zitamaria, una giovane che ha subito la violenza del bandi¬ to, ma costei durante la notte fugge e ritorna a casa. Dopo giorni di faticose marce e combattimenti, il commissario informa il comandante dei bersaglieri che, con l’aiuto di Zitamaria e di suo marito, è riuscito a scoprire il covo del bandito. I bersaglieri, ormai ridotti a pochi uomini, giungono sul posto indicato e iniziano a combattere con i banditi. Ormai prossimi ad essere sopraffatti, vengono salvati dall’arrivo dei rinforzi. Raffa Raffa viene ucciso in un duello rusticano dal marito offeso e i bersaglieri, dopo aver reso onore ai caduti, fraternizzano con la popola¬ zione. LA CRITICA: «Di una pagina di storia italiana, che andava studiata in ogni suo aspetto anche negativo, Germi ha scelto soltanto i lati esteriori, individuando nelle imprese del capitano Giordani (Sgaralli) e dei suoi bersaglieri la possibilità di ri¬ fare - protetto dall’etichetta di un’Italia ufficiale - una vicenda epico avventurosa tipo “western”, con precisi riferimenti a Ford (riferimenti che del resto sono ri¬ scontrabili in altri suoi film). Nella storia di Bacchelli egli anzi tutto ha visto il motivo della guerra civile americana tra sudisti e nordisti, e poi cose, fatti e per¬ sone della lotta secessionista e di quella contro gli indiani quali comunemente ap¬ paiono nei film di Ford e di altri: agguati, imboscate, banditi e ufficiali tutti di un pezzo. Persino il paesaggio è da Massacro di Fort Apache; e da “western” sono i motivi musicali, i cori, il ballo dopo l’uccisione di Raffa-Raffa. Non manca nep¬ pure “l’arrivano i nostri!” preceduto dall’immancabile tromba» (Guido Aristarco, Il mestiere del critico, in «Cinema», n. 1, 15 die. 1952, p. 26).

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CAMICIE ROSSE di Goffredo Alessandrini Anno di edizione: 1952 Produzione: Produzione Grandi Film (P.G.F.); Direttore di produzione: Pietro Bigema, Vittorio Musy Glori; Soggetto: Enzo Biagi, Renzo Renzi; Sceneggiatura: Enzo Biagi, Renzo Renzi, Mario Serandrei, Sandro Bolchi; Direttore di produzio¬ ne: Pietro Bigema, Vittorio Musy Glori; Aiuto-regia: Siro Marcellini, Nanni Loy, Rinaldo Ricci; Fotografia: Leonida Barboni, Mario Parapetti, Marco Scarpelli; Suono: Bruno Brunacci, Raffaele Del Monte; Montaggio: Mario Serandrei; Sceno¬ grafia: Alfredo Montori; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Piero Gherardi; Musica: Enzo Masetti; Interpreti: Raf Vallone, Anna Magnani, Serge Reggiani, Carlo Ninchi, Michel Auclair, Jacques Semas, Alain Cuny, Gino Leurini, Enzo Cerusico, Cesare Fantoni, Emma Baron, Pietro Tordi, Piero Pastore, Luigi Esposito, Marisa Natale, Andrea Mioni, Carlo Duse, Rodolfo Lodi, Bruno Smith, Luca Cortese, Felice Minotti, Attilio Dottesio, Peppino De Martino, Giu¬ lio Battiferri, Ciro Berardi, Joop Van Hulsen, Attilio Torelli, Franco Pesce, Gio¬ vanni Loy, Renzo Borelli; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA; La difesa di Roma appare ormai impresa disperata; Garibaldi deci¬ de di continuare la lotta accorrendo in soccorso di Venezia. Seguito da quattromi¬ la uomini, Garibaldi inizia la marcia attraverso gli Appennini. Borbonici e au¬ striaci inseguono i garibaldini aiutati da un traditore che si nasconde nelle file dei patrioti. Sobillati dal traditore, molti uomini disertano. L’arrivo di Anita a fianco dell’eroe ridà fiducia ai garibaldini che si riuniscono a San Marino, dove gli au¬ striaci propongono condizioni di resa tanto dure che Garibaldi le rifiuta e, sciolta la legione, con pochi uomini tenta di raggiungere Venezia via mare. Molti garibal¬ dini sbandati sono passati per le armi dagli austriaci, Anita muore nelle valli nei pressi di Ravenna e Garibaldi riesce a stento a sfuggire alla cattura. LA CRITICA: «Il film, eccessivamente frammentario, è tecnicamente pregevole; ma le storiche figure di Garibaldi e di Anita non sono presentate nella giusta lu¬ ce». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXII, Centro Cattolico Ci¬ nematografico, Roma 1952, p. 42). OSSERVAZIONI: Il film fu terminato da Francesco Rosi per abbandono da parte di Alessandrini per dissapori con la produzione. Sottotitolo Anita Garibaldi.

ERAN TRECENTO... di Gian Paolo Callegari Anno di edizione: 1952 Produzione: I Films Pandora; Produttore: Sonio Coletti; Direttore di produzione: Armando Franci; Soggetto: Gian Paolo Callegari; Sceneggiatura: Gian Paolo Cai-

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legari, Giusppe Mangione, Leopoldo Trieste, Arnaldo Marrosu; Aiuto-regia: Al¬ berto Cardone; Fotografia: Vincenzo Seratrice; Montaggio: Giancarlo Cappelli; Scenografia: Virgilio Marchi; Arredamento: Ferdinando Ruffo; Costumi: Ferdi¬ nando Ruffo; Musica: Giovanni Fusco; Interpreti: Rossano Brazzi, Myriam Bru, Franca Marzi, Peter Trent, Paola Barbara, Antonio Cifariello, Rosella Lanfranchi, Fiorella Ferrerò, Maria Belfadel, Roberto Mauri, Marco Guglielmi, Fabrizio Franchi, Franco Pesce, Armando Guameri, Fiorella Falchi; Durata: 84’. Produ¬ zione realizzata negli Studi INCIR di Roma. LA STORIA: Nel 1857, gruppi armati si battono in Calabria, sotto la guida di «Volpintesta», contro i borbonici. Sotto quel nome di battaglia si cela Paolo, l’in¬ tendente di Don Franco, un signorotto del luogo, che dopo uno scontro con i sol¬ dati è costretto a darsi alla macchia e a lasciare la fidanzata Lucia. Quest’ultima, per la propria incolumità, è costretta ad accettare l’ospitalità dell’ex padrone del fidanzato che, nonostante sia un liberale, è fratello di un generale borbonico. Ma Don Franco nottetempo penetra nella stanza della ragazza e tenta di baciarla. Il tempestivo intervento di Paolo salva la ragazza dalla situazione incresciosa e la conduce con sé in montagna. All’approssimarsi dello sbarco di Pisacane, tutti i patrioti vengono mobilitati sotto il comando di Paolo. Ad essi si unisce Don Fran¬ co, il cui fratello è stato ucciso e che, pentito, chiede scusa a Lucia, che sarà poi la spigolatrice che indicherà la strada a Pisacane. Ma la popolazione, aizzata dai borbonici, invece di unirsi ai patrioti passa dalla parte dei soldati e truciderà i «ri¬ belli». Paolo, scampato al massacro, si rifugia sui monti e ne discenderà per unirsi ai Mille di Garibaldi. LA CRITICA: «È un lavoro molto debole. I tentativi di violenza di Don Franco ed il personaggio equivoco di una governante, innamorata del signorotto, impon¬ gono riserve» (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1952, p. 102). OSSERVAZIONI: Il film aveva come sottotitolo La spigolatrice di Sapri. Ros¬ sella Lanfranchi e Fabrizio Franchi sono rispettivamente gli attori Luisa Rivelli e Franco Fabrizi.

LA PATTUGLIA SPERDUTA di Piero Nelli Anno di edizione: 1952 Produzione: Fida-Vides Cinematografica; Produttore: Franco Cristaldi; Direttore di produzione: Giancarlo Fuortes; Soggetto: Franco Cristaldi, Yvon De Begnac, Oscar Navarro, Piero Nelli; Sceneggiatura: Franco Cristaldi, Yvon De Begnac, Oscar Navarro, Piero Nelli; Aiuto-regia: Mario Maffei; Fotografìa: Alfieri Canavero; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Giovanni Canavero; Scenografia: Alberto Da Corte, Arturo Midana; Costumi: Carla Simonetti; Consulenza storico-militare: Piero Pieri: Musica: Goffredo Petrassi; Direzione musicale: Giovanni Fusco; In¬ terpreti: Sandro Isola, Giuseppe Aprà, Giuseppe Raumer, Giorgio Luzzatti, Anni-

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baie Biglioni, Giuseppe Natta, Giovanni Cellerini, Benito Dall’Aglio, Oscar Na¬ varro, Filippo Posca; Durata: 86’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Ci¬ necittà. LA STORIA: Durante la guerra del 1849, una pattuglia di soldati dell’esercito sardo viene tagliata fuori dal grosso delle truppe piemontesi a causa dell’avanzata austriaca ed abbandonata a se stessa. La pericolosa avventura degli otto uomini, persi nelle risaie del Vercellese, si conclude alle porte di Novara dove l’evidenza della sconfitta fa crollare le ultime speranze di un’impossibile vittoria. LA CRITICA: «La pattuglia sperduta di Nelli si presenta come un’operazione degna di una certa considerazione, nonostante le molte ingenuità narrative e le evidenti discontinuità stilistiche. [...] Il fondamentale errore del film consiste in un mancato equilibrio dei diversi elementi che l’autore ha voluto trattare: ed è in¬ fatti evidente lo squilibrio tra una prima parte, la migliore di tono intimista e psi¬ cologico e prevalentemente descrittiva, ed una seconda, esteriormente orientata sui consueti motivi avventurosi. [...] Pure, nonostante le molte ingenuità, gli evi¬ denti scompensi strutturali e i palesi squilibri di ritmo, il film è meritevole di una certa considerazione: per la presenza di sequenze decisamente felici (come la fuga del tenente nella notte, dagli esperti movimenti della camera e del serrato ritmo di montaggi; come l’invasione delle truppe austriache, narrata attraverso dettagli ef¬ ficaci e ritorni di preciso effetto ritmico; come la fucilazione, dall’accorto impie¬ go delle angolazioni e del taglio dell’inquadratura); per l’uso fin troppo scaltrito dei mezzi espressivi e per lo studio talora attento dei rapporti ritmici; per l’effica¬ ce impiego di interpreti non professionisti» (Nino Ghelli, I Film, in «Bianco e Nero», n. 7, lug. 1954, pp. 67-69).

IL SEGRETO DELLE TRE PUNTE di Carlo Ludovico Bragaglia Anno di edizione: 1952 Produzione-. Panaria Film; Produttore: Francesco Albata; Direttore di produzione: Silvio Clementelli; Soggetto: Age [Agenore Incocci] e [Furio] Scarpelli; Sceneg¬ giatura: Age e Scarpelli; Aiuto-regia: Mario Mariani; Fotografia: Mario Albertelli; Montaggio: Roberto Cinquini; Suono: Umberto Picistrebi; Scenografia: Gianni Polidori; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Ales¬ sandro Cicognini; Interpreti: Massimo Girotti, Roldano Lupi, Luciana Vedovelli, Umberto Spadaro, Tamara Lees, Nancy Clark, Gildo Bocci, Angelo Dessy, Piero Pastore, Giuseppe Chinnici, Ignazio Leone, Gianni Luda, Jone Morino, André Hildebrand, Arturo Bragaglia, Paola Quattrini; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Un avvocato siciliano che ha combattuto con Garibaldi fa ritorno nella sua isola ormai annessa all’Italia. Sulla diligenza che lo riporta a casa vi so¬ no, tra gli altri, la sorella del duca di Melia, capo del partito borbonico, e un emissario dei Borboni. AH’improvviso i briganti assaltano la diligenza, ma il tem-

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pestivo intervento di un drappello di soldati italiani mette in fuga i banditi. I pas¬ seggeri vengono condotti al posto di blocco e perquisiti, ma remissario dei Bor¬ boni tenta la fuga e viene ucciso. Il comandante dei soldati riconosce nell’avvoca¬ to un vecchio amico e gli propone di assumere l’identità dell’uomo ucciso per in¬ filtrarsi nelle file dei cospiratori. L’avvocato accetta e scopre il luogo dove i bor¬ bonici si sono dati convegno: avvisa il comando italiano che organizza subito una trappola, ma una spia infiltratasi nel comando fa scattare una contromossa dei borbonici, che attirano i soldati in un’imboscata. Il comandante italiano viene uc¬ ciso e l’avvocato, non essendoci più nessuno che conosce la verità, viene scam¬ biato per il congiurato di cui ha preso il posto, processato e condannato a morte. Sarà la testimonianza di un brigante che lo scagionerà definitivamente. LA CRITICA: «È un film di normale fattura, cui l’indole dell’argomento confe¬ risce un certo interesse. Il film, che si conclude col trionfo dell’innocenza, è ten¬ denzialmente positivo». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1952, p. 146). OSSERVAZIONI: Il film aveva come sottotitolo I cospiratori della Conca d’Oro.

GARIBALDINA di Lionello De Felice (episodio del film Cento anni d’amore) Anno di edizione: 1953 Produzione: Cines; Direttore di produzione: Elio Scardamaglia; Soggetto: dal rac¬ conto omonimo di Guido Gozzano; Adattamento: Giorgio Prosperi, Lionello De Felice; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Oreste Biancoli, Eduardo De Filippo, Franco Brusati, Suso Cecchi D’Amico, Alba De Cespedes, Giuseppe Marotta, Vit¬ torio Nino Novarese, Giorgio Prosperi, Guido Rocca, Pietro Paolo Trompeo, Fa¬ brizio Sarazani, Vincenzo Talarico, Gino Visentini, Lionello De Felice; Aiuto-re¬ gia: Marcello Baldi; Fotografia: Aldo Tonti; Suono: Bruno Brunacci; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Franco Lolli; Arredamento: Ottorino Volpe; Costu¬ mi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Nino Rota; Interpreti: Aldo Fabrizi, Franco Interlenghi, Irene Galter, Carlo Ninchi, Nietta Zocchi, Turi Pandolfmi, Nico Pe¬ pe; Altri interpreti comuni a più episodi: Adriana Danieli, Carla Arrigoni, Nando Di Claudio, Emilio Petacci, Alberto Plebani, Antonio Nicotra, Vittorio Braschi; Durata: 100’ (tutto il film). Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Durante la campagna del 1867 i garibaldini occupano Monteroton¬ do e un giovane soldato con un sottufficiale si recano nella canonica del paese per impiantarvi un osservatorio. Col parroco vive una giovane nipote che presto fami¬ liarizza con il garibaldino. A causa di un incidente il ragazzo viene ferito e la gio¬ vane lo cura con amore, ma gli eventi precipitano; i pontifici riconquistano Mon¬ terotondo e i due garibaldini debbono lasciare il paese senza essere visti. Sarà il parroco che, nonostante i suoi ospiti siano degli «invasori», li aiuterà a mettersi in salvo.

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LA CRITICA: «Blasetti docet. Anche il suo ex assistente Lionello De Felice, ha infilato la strada del film ad episodi, con Cento anni d’amore, le cui caratteristi¬ che costituiscono una via di mezzo tra quelle di Altri tempi (1952) e quelle di Amori di mezzo secolo (1954). Al film di Blasetti questo è apparentato: a) dal re¬ care la firma di un unico regista; b) dal fondarsi quasi esclusivamente su testi let¬ terari; c) dal non nascondere nostalgie ottocentesche. Viceversa, all’infelice film diretto a dieci mani l’opera di De Felice si collega per il fatto di voler raccontare unicamente storie d’amore. Si comincia con “l’amore romantico’’, che sarebbe poi quello gozzaniano; del poeta di Nonna Speranza si è preso a prestito, non sen¬ za concedersi certe libertà, un racconto, Garibaldina, ambientato nel 1867. Sulla base di esso De Felice ha raccontato, con una notevole indulgenza macchiettistica, l’amore tra un giovane seguace di Garibaldi e la nipote di un prete papalino di Monterotondo, durante i vani tentativi di Garibaldi per conquistare Roma. [...] Ancora una volta si tratta di un film casuale, il quale allinea (senza cercare artifi¬ ciosi collegamenti, questo è il suo piccolo gesto di coraggio) pretesti attinti, senza troppa finezza, da una letteratura di secondo e terzo piano. Il De Felice aveva pa¬ lesato, fin dal suo primo film, Senza bandiera (1951) un certo possesso del me¬ stiere. Sarebbe ora che si cercasse migliori occasioni per affinarlo». (Giulio Cesa¬ re Castello, Film di questi giorni, in «Cinema», n. 130, 15 apr. 1954, pp. 182-183).

SENSO di Luchino Visconti Anno di edizione: 1953 Produzione: Lux Film; Direttore di produzione: Claudio Forges Davanzati; Sog¬ getto: dal romanzo omonimo di Arrigo Boito; Sceneggiatura: Luchino Visconti, Suso Cecchi D’Amico; Collaborazione alla sceneggiatura: Carlo Alianelli, Gior¬ gio Bassani, Giorgio Prosperi; Collaborazione ai dialoghi: Tennesee Williams, Paul Bowles; Aiuto-regia: Aldo Trionfo, Giancarlo Zagni; Fotografia: G.R. Aldo [Aldo Graziati], Robert Krasker; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Vittorio Trentino, Aldo Calpini; Scenografia: Ottavio Scotti, Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Marcel Escoffier, Piero Tosi; Colore: Johan Craig, Neil Binney; Musi¬ ca: Arthur Bruckner; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Alida Valli, Massimo Girotti, Farley Granger, Rina Morelli, Marcella Mariani, Heinz Moog, Christian Marquand, Sergio Fantoni, Tino Bianchi, Ernst Nadhemy, Tonio Selwart, Marianna Leibl, Nando Cicero, Goliarda Sapienza, Renato Terra, Cristoforo De Hartungen, Spartaco Naie, Mimmo Palmara, Tony De Mitri, Winni Riva, Al¬ do Bajocchi, Ivy Nicholson, Claudio Coppetti, Mario Valente, Ottone Candiani, Durata: 115’. Produzione realizzata negli Studi Scalerà di Venezia e Titanus di Roma e, in esterni, a Verona, Venezia, Aldeno e dintorni di Rovereto, Valeggio e Custoza. LA STORIA: Alla vigilia della battaglia di Custoza la contessa Livia Serpieri di Venezia si innamora follemente di un giovane tenente dell’esercito austriaco, Franz Mahler. La passione acceca la bella ma non più giovane contessa, al punto che non si accorge che il giovane tenente è un individuo senza scrupoli, che ap-

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profitta della sua debolezza per estorcerle la somma necessaria per pagare un me¬ dico compiacente che certifichi il suo esonero dal servizio militare. Nonostante il suo zelo patriottico Livia consegnerà a Franz il denaro dei patrioti italiani, ricevu¬ to dal cugino marchese Ussoni, nobile rivoluzionario, che doveva servire per le spese di guerra del movimento clandestino. Franz una volta avuto il denaro spari¬ sce dalla vita della contessa che lo cerca disperatamente finché lo trova in compa¬ gnia di una prostituta. Spinta dalla gelosia e dal desiderio di vendetta, Livia de¬ nuncia il tenente al comando austriaco, rivelando l’inganno con cui Franz ha otte¬ nuto l’esonero. La legge di guerra non perdona, il tenente viene fucilato e Livia impazzisce. LA CRITICA: «La storia d’amore di Livia e di Franz si svolge unitaria, quasi in¬ curante, mentre sta per nascere una nazione, mentre c’è qualcuno che vive nel ve¬ ro e nel giusto, e l’azione di tutti questi qualcuno viene a fare da elemento mora¬ lizzatore di fronte alla lotta di individui soli. E la battaglia di Custoza, questa pa¬ gina in cui più esplode la carica umana del regista e di G.R. Aldo, - il peso della sequenza, - va vista in rapporto alla storia d’amore, come altro elemento dialetti¬ co e moralizzante. Nasce il rapporto con l’esterno, con gli altri individui, e in questo rapporto, in questo interesse per un determinato periodo della vita naziona¬ le, Senso assume il suo carattere di film storico, non inteso nell’accezione comune del termine. [...] C’è un analogo atteggiamento, un’analoga importanza data all’e¬ lemento morale (filosofico), e se vogliamo anche soggettivo, autobiografico; in certa misura c’è per così dire, nel personaggio di Ussoni a esempio, - nel perso¬ naggio positivo — uno specchio dell’autore, un momento della propria evoluzione, una ricerca di un equilibrio della propria forte e complessa personalità; di qui, co¬ me in Tolstoj, il formarsi e il consolidarsi della coscienza, tesa a un sempre mag¬ gior perfezionamento e apertura. [...] Fedele alla realtà storica [...] Visconti sottolinea l’eco di nuovi problemi e di nuove esigenze, la necessità “che in Italia abbia luogo una riforma intellettuale e morale legata alla critica del Risorgimento come ‘conquista règia’ e non movimento popolare». Il colloquio di Ussoni e Meucci completamente eliminato dopo Venezia su richiesta del Ministro della Difesa tende a far luce sulla minoranza italiana, ‘eroica’, règia che “combattè più per impedire che il popolo intervenisse nella lotta e la facesse diventare sociale, che non contro i nemici dell’unità’’; mostra, come gli scritti di Ettore Rota sulla Nuo¬ va Rivista Storica, come “i volontari fossero mal visti e sabotati dalle autorità piemontesi’’, e come queste pensassero di poter vincere gli austriaci con le sole forze regolari. - “Parliamoci francamente, capitano”, dice Ussoni a Meucci. “L’ordine che lei mi ha trasmesso rispecchia la repugnanza di tutto l’esercito a cominciare dal signor generale Lamarmora, per le forze rivoluzionarie. È chiaro che si vogliono escludere queste forze dalla guerra, impedire loro...”. Risponde Meucci: “Le nostre forze sono impegnate in durissimi scontri. L’esito della guer¬ ra è sicuro... L’esercito regolare basterà alla patria”. In questo senso film storico più formativo non esiste nella storia del nostro cinema». (Guido Aristarco, Il me¬ stiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 52, 10 febb. 1955, p. 112). OSSERVAZIONI: A G.R. Aldo fu assegnato il nastro d’argento per la miglior fotografia alla memoria: morì infatti in un incidente stradale vicino a Padova du¬ rante le riprese del film e fu sostituito dall’americano Krasker.

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IL CONTE AQUILA di Guido S alvini Anno di edizione: 1955 Produzione: Salvini Film; Produttore: Guido Salvini; Direttore di produzione'. Li¬ bero Solaroli; Soggetto: dal dramma omonimo di Rino Alessi; Sceneggiatura: Guido Salvini, Giuseppe Di Martino; Aiuto-regia: Franco Cirino; Fotografia: Anchise Brizzi; Montaggio: Dolores Tamburini; Suono: Bruno Brunacci, Oscar De Arcangeli; Scenografia: Pier Luigi Pizzi; Arredamento: Mario Rapini; Costumi: Carla Jacobelli; Musica: Bruno Nicolai; Interpreti: Rossano Brazzi, Valentina Cortese, Paolo Stoppa, Elena Zareschi, Mario Ferrari, Tino Buazzelli, Carlo Tamberlani, Carlo Lombardi, Leonardo Cortese, Franco Mezzera, Anna Miserocchi, Corrado Nardi, Tullio Altamura, Renato De Carmine, Linda Sini, Luigi Vannucchi, Silvano Tranquilli, Maria Omodei, Guido Riva, Marika Rowsky, Margherita Bagni, Anita Donà, Ezio Rossi; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Nel 1821 il conte Federico Confalonieri prepara l’insurrezione contro gli austriaci nel Lombardo-Veneto, sperando nell’appoggio del Piemonte. Viene arrestato e la polizia austriaca tenta di estorcergli informazioni precise sui piani militari che i piemontesi avevano preparato con i patrioti lombardi. Il giudi¬ ce austriaco tenta di servirsi, con l’inganno, della moglie del conte, Teresa, gio¬ cando sulla gelosia di questa nei confronti del marito. Sfruttando una antica pas¬ sione del conte per una contessa polacca, l’astuto giudice spera di ottenere da Te¬ resa Confalonieri le informazioni sperate. Ma la contessa rifiuta di denunciare il marito e, saputo della condanna a morte di Federico, si reca a Vienna per implora¬ re la pietà dell’imperatrice. Teresa riesce nel suo intento e la condanna a morte viene commutata in ergastolo. A causa del fermo rifiuto a collaborare facendo ri¬ velazioni sul suo passato di patriota il conte viene rinchiuso allo Spilberg, mentre Teresa, affranta dal dolore, muore di disperazione pronunciando il nome dell’amato marito. LA CRITICA: «Non si tratta di un film vero e proprio, ma di un’opera teatrale filmata. Manca l’azione e la vicenda, che si svolge attraverso il dialogo, appare inquadrata in ambienti, che ricordano con troppa evidenza il teatro di posa, men¬ tre gli esterni sono ricavati da antiche stampe. Gli attori recitano con dignità, ma con scarsa convinzione; il colore lascia a desiderare». (Anonimo, Segnalazioni ci¬ nematografiche, voi. XXXVII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1955, p. 194).

LA STRADA DEI GIGANTI di Guido Malatesta Anno di edizione: 1960

Produzione: Tiberius Film; Produttore: Roberto Capitani; Soggetto: Guido Mala-

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testa; Sceneggiatura: Guido Malatesta, Arpad De Riso; Aiuto-regia: Guido Zurli; Fotografia: Enzo Serafin; Montaggio: Gino Talamo; Scenografia: Saverio D Eu¬ genio; Costumi'. Maria Luisa Panaro; Musica'. Guido Robuschi, Gian Stellari, In¬ terpreti: Don Megowan, Chelo Alonso, Hildegarde Neri, Ivo Gammi, Dario Michaelis, Nerio Bernardi, Jole Fierro, Paul Muller, Mario Passante, Daniele Vargas, Fedele Gentile, Amedeo Trilli, Carlo Pisacane, Renato Tontini, Mara Fiè, Gian¬ franco Pinelli, Benito Stefanelli, Mimmo Poli, Renato Malavasi; Durata: 100’. Produzione realizzata, in esterni, a Caserta. LA STORIA: A metà ’800, in pieno Risorgimento, la granduchessa di Parma, ha in progetto di costruire una ferrovia che attraversi gli Appennini fino ai confini del Piemonte. Chiama un ingegnere americano che si mette al lavoro, subito osta¬ colato e sabotato dagli austriaci. Una spia austriaca, la contessina Stella von Kruger, è inviata al cantiere con Pincarico di ostacolare i lavori, ma la bella spia s’in¬ namora dell’ingegnere e passa al nemico. LA CRITICA: «Al film è stata volutamente conferita una intonazione e una an¬ datura da western; non mancano infatti le scene movimentate e di un certo valore spettacolare. Malgrado varie manchevolezze, la storia si fa seguire con qualche interesse ed è servita, oltre che da una onesta interpretazione, anche da un buon colore su schermo grande». (UfmbertoJ T[ani], «Intermezzo», n. 14/15, 15 ago. 1960, p. 7).

VIVA L’ITALIA di Roberto Rossellini Anno di edizione: 1960 Produzione: Cinematografica Rire - Cineriz - Tempo Film - Galatea - Francinex; Direttore di produzione: Oscar Brazzi; Soggetto: Sergio Amidei, Antonio Petrucci, Luigi Chiarini, Carlo Alianello; Sceneggiatura: Sergio Amidei, Diego Fabbri, Antonio Petrucci, Roberto Rossellini, Antonello Trombadori; Aiuto-regia: Renzo Rossellini jr; Fotografia: Luciano Trasatti; Montaggio: Roberto Cinquini; Suono; Enzo Magli, Oscar Di Santo; Scenografia: Gepi Mariani; Costumi: Marcella De Marchis; Consulente militare: Remo De Angelis; Effetti speciali: Franco Cuppini; Musica: Renzo Rossellini; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Ren¬ zo Ricci, Paolo Stoppa, Franco Interlenghi, Giovanna Ralli, Amedeo Buzzanca, Evar Maran, Wando Tress, Ugo D’Alessio, Carlo Gazzabini, Remo De Angelis, Franco Lantieri, Attilio Dottesio, Amedeo Girad, Marco Mariani, Luigi Borghese, Alberto Archetti, Aldo Vinci, Armando Guamieri, Gerard Herter, Leonardo Bot¬ ta, Giovanni Petrucci, Giuseppe Lo Presti, Raimondo Croce, Sveva Caracciolo D’Acquara, Ignazio Balsamo, Nando Angelini, Piero Braccialini, Vittorio Botto¬ ne, Brano Scipioni, Renato Montalbano, Tina Louise; Durata: 112’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Epopea garibaldina: dallo sbarco a Marsala alla conquista della Si¬ cilia, dallo sbarco in Calabria alla conquista di Napoli, abbandonata dal re borbo-

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nico in fuga. I successi dovuti alla travolgente avanzata di Garibaldi e dei suoi vo¬ lontari non conoscono soste: sul Volturno si svolge la battaglia decisiva per la conquista di Roma, ma disegni politici più grandi della visione unitaria di Gari¬ baldi lo costringono a fermarsi e a consegnare il regno delle due Sicilie a Vittorio Emanuele II. Senza poter portare a termine la sua missione l’eroe del due mondi si ritirerà in volontario esilio a Caprera. LA CRITICA: «Diffidiamo per inveterata abitudine delle occasioni celebrative, ma ritornare oggi, in pieno clima Italiasessantuno, alla pagina più gloriosa e leg¬ gendaria del nostro primo Risorgimento poteva essere un’occasione importante [...] Ma ci si avvede subito, fin dalle prime sequenze di Viva l’Italia, che Rossellini è rimasto a metà strada fra la tendenza epico-spettacolare e la vocazione mo¬ dernamente antiretorica: anche stilisticamente, il film non riesce a trovare un suo linguaggio, appare un fastidioso compromesso fra il western nazionale-popolare e un cronachismo minuto e pedante. Purtroppo entrambe le direzioni sono poi intese da Rossellini nel senso più banale e pedestre: l’epica significa canti popolari e nu¬ goli di polvere, la “cronaca” antiretorica (il film avrebbe dovuto intitolarsi Paisà 1860) si riduce a mostrarci l’eroe dei due mondi con i reumatismi, Bandi che pre¬ para il caffè, e i garibaldini che fanno uno spuntino nel bel mezzo dello scontro di Calatafimi. [...] Il fallimento di Viva VItalia è imputabile alla sua natura di com¬ promesso. Ma non si tratta di compromesso soltanto stilistico o narrativo. La cri¬ tica ha già rilevato con quali criteri sia stata formata 1’“equipe” degli sceneggia¬ tori del film (due cattolici, due rappresentanti delle “sinistre”) e si è divertita a sottolineare i frutti evidenti del “do ut des”: si combatte il mito del Risorgimento come conquista sabauda, ma si sorvola o si equivoca volutamente sulla posizione della Chiesa e del papato; si parla “bene” di Garibaldi e “male” di Vittorio Emanuele II, ma si finiscono poi per dare tutte le colpe a Cavour, che fra l’altro è l’uomo delle leggi Siccardi e della “libera Chiesa in libero Stato”. [...] Per quan¬ to riguarda il resto si può trovare una prudente e decolorata, ma riconoscibile ap¬ plicazione della tesi dell’Omodeo, il Risorgimento come frutto di una “discor¬ dia” occasionalmente concorde, del convergere casuale di forze contrastanti. In questo senso, e sia pure nei limiti accennati, Viva l’Italia può essere persino un film utile, se paragonato a certi testi scolastici retoricamente “unitari” e sfaccia¬ tamente monarchici». (Guido Fink, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 150, mar./apr. 1961, pp. 156-157). OSSERVAZIONI: Il film fu realizzato per celebrare il 1° centenario dell’unità d’Italia.

I BRIGANTI ITALIANI di Mario Camerini Anno di edizione: 1961 Produzione: Fair Film - Orsay Film; Produttore: Mario Cecchi Gori; Direttore di produzione: Pio Angeletti; Soggetto: dal libro omonimo di Mario Monti; Adatta¬ mento: Luciano Vincenzoni; Sceneggiatura: Mario Camerini, Ghigo De Chiara,

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Diego Fabbri, Luciano Vincenzoni, Ivo Penili, Carlo Romano; Aiuto-regia: Ar¬ mando Crispino, Leo Pescarolo; Fotografia: Mario Montuori; Suono: Luigi Salvi; Montaggio: Giuliana Attenni; Scenografia: Piero Zuffi; Arredamento: Riccardo Dominici; Costumi: Piero Zuffi; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Direzione musicale: Carlo Savina: Interpreti: Vittorio Gassman, Ernest Borgnine, Rosanna Schiaffino, Katy Jurado, Philippe Leroy, Mario Feliciani, Donato Castellaneta, Carlo Pisacane, Renato Terra, Ignazio Balsamo, Alfonso Mathis, Carlo Taranto, Guido Celano, Carlo Giuffrè, Lawrence Montaigne, Amedeo Girad, Dario Michaelis, Bernard Blier, Micheline Presle, Akim Tamiroff; Durata: 108’. Produzio¬ ne realizzata negli Studi Safa-Palatino. LA STORIA: Nel corso della campagna contro il brigantaggio del 1861, il bri¬ gante napoletano Carbone fa prigioniero un colonnello dei bersaglieri. I borbonici, promettendo a Carbone ogni appoggio logistico, lo promuovono ufficiale e lo in¬ caricano di organizzare una specie di esercito irregolare con il compito di arginare i successi dei piemontesi. Il bandito, però, accorgendosi di essere stato tradito dai borbonici che lo usano per i propri fini senza mai avere avuto l’intenzione di pre¬ stargli il minimo aiuto, decide di costituirsi ai piemontesi. Non farà in tempo per¬ ché i borbonici lo uccideranno prima. LA CRITICA: «I briganti italiani recupera Gassman, ma nella versione dramma¬ tica che Camerini fu tra i primi a proporre con La figlia del capitano. La vicenda del brigante napoletano che, abbandonato dai lealisti, si costituisce ai piemontesi ma viene ucciso dai baroni, raccontata in un tono impacciatamente serio, recupera verso la fine un elemento cameriniano col protagonista che attende di diventare padre e per il futuro del figlio fa la sua scelta.» (Sergio Grmek Germani, Mario Camerini, in «Il castoro cinema», n. 84, die. 1980, p. 129). OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. In Francia circolò con il titolo Les guerilleros.

VANINA VANINI di Roberto Rossellini Anno di edizione: 1961 Produzione: Zebra Film - Orsay Film; Produttore: Moris Ergas; Direttore di pro¬ duzione: Manolo Bolognini; Soggetto: dal racconto omonimo di Stendhal (MarieHenri Beyle), inserito nella raccolta «Chroniques italiennes»; Scenografia: Franco Solinas, Diego Fabbri, Antonello Trombadori, Jean Gruault, Roberto Rossellini; Aiuto-regia: Renzo Rossellini jr, Franco Rossellini; Fotografia: Luciano Trasatti; Suono: Oscar De Arcangelis; Montaggio: Mario Serandrei, Daniele Alabisio; Sce¬ nografia: Luigi Scaccianoce; Arredamento: Riccardo Domenici; Costumi: Danilo Donati; Musica: Renzo Rossellini; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Inter¬ preti: Sandra Milo, Laurent Terzieff, Martine Carol, Paolo Stoppa, Isabelle Corey, Fernando Cicero, Nerio Bernardi, Olimpia Cavalli, Antonio Pierfederici, Jean Gruault, Evaristo Maran, Leonardo Botta, Mimmo Poli, Enrico Glori, Nando

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Tamberlani, Carlo Gazzabini, Claudio Biava, Attilio Dottesio; Durata: 120’. Pro¬ duzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. Presentato alla XXII Mostra In¬ temazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1961. LA STORIA: Il carbonaro Pietro Missirilli, prigioniero in Castel Sant’Angelo nella Roma del 1823, evade e, con la complicità della contessa Vitelleschi, trova rifugio nel palazzo del principe Vanini. La figlia del principe, Vanina, si innamora di lui e, nonostante il giovane la inviti a non seguirlo, decide di fuggire con lui in Romagna dove lo attendono i suoi compagni di lotta. Vanina, però vedendosi tra¬ scurata da Pietro, impegnato nella lotta politica, nel trentativo ingenuo di averlo tutto per sé denuncia alle autorità papaline il complotto eversivo, ottenendo per il giovane amato un salvacondotto in cambio della delazione. Ma Pietro per non es¬ sere creduto un traditore dai compagni preferirà seguirli sul patibolo, rifiutando la libertà ottenuta a così caro prezzo. LA CRITICA: «Rossellini, seguendo ormai la sua abituale ambiguità, non coglie nel “più abnorme e arretrato” degli ex principati - nello Stato Pontificio “relitto del XVI secolo” - la cronaca di un’epoca e una capitale che tante analogie hanno con la Roma e ITtalia d’oggi. Il probabile tentativo di seguire l’esempio del Vi¬ sconti di Senso si rivela pertanto velleitario, naufraga in un “non Senso”, nel film in costume e non storico. I personaggi vengono davvero distrutti (per altre vie, e senza gli intendimenti di Robbe-Grillet e Resnais). Vanina si rifugia qui, alla fine, in un convento: non ritorna a Roma e non sposa il principe Livio Savelli cui, se gli “avessero dato da leggere un romanzo, lo avrebbe gettato via dopo venti pagi¬ ne lamentando un forte mal di capo”». (Guido Aristarco, Venezia 1961, in «Cine¬ ma Nuovo», n. 153, magg./giu. 1961, p. 406).

IL GATTOPARDO di Luchino Visconti Anno di edizione: 1962 Produzione: Titanus - S.N. Pathé Cinema - S.C.G.; Produttore: Goffredo Lom¬ bardo; Produttore esecutivo: Pietro Notarianni; Direttore di produzione: Enzo Provenzale, Giorgio Adriani; Soggetto: dal romanzo omonimo di Giuseppe Torna¬ si di Lampedusa; Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Enrico Medioli, Pasqua¬ le Festa Campanile, Massimo Franciosa, Luchino Visconti; Aiuto-regia: Rinaldo Ricci, Albino Cocco; Fotografia: Giuseppe Rotunno; Suono: Mario Messina; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Mario Garbuglia; Arredamento: Gior¬ gio Pes, Laudomia Hercolani; Costumi: Piero Tosi; Consulente uniformologico: Magg. Alessandro Gasparinetti; Musica: Nino Rota e un valzer inedito di Giusppe Verdi; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Alain Delon, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Romolo Valli, Lucilla Morlacchi, Ida Galli, Pierre Clementi, Carlo Valenzano, Anna Maria Bottini, Mario Girotti, Serge Reggiani, Brock Fuller, Ivo Garrani, Giuliano Gemma, Leslie French, Ottavia Piccolo, Rina De Liguoro, Lola Braccini, Marino Masè, Tina Lattanzi, Olimpia Cavalli, Valerio Ruggeri, Carlo Lolli, Rosalino Bua, Vittorio Duse, Mar-

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cella Rovena, Carmelo Aitale, Franco Gulà, Vanni Materassi, Giovanni Malisenda, Anna Maria Surdo, Giuseppe Stagnitti, Stelvio Rosi, Maurizio Merli, Carlo Palmucci, Dante Posani, Augusto Pesarmi, Lou Castel, Winnie Riva, Howard W. Rubien, Alina Zalewska; Durata: 206’. Produzione realizzata interamente in Sici¬ lia a Palermo (Palazzo Gangi, Piazza S. Euno), Ciminna, Boscogrande e, per gli interni nelle sale del palazzo Chigi all’Ariccia. Vincitore nel 1963 della Palma d’Oro al 16° Festival di Cannes; vincitore nel 1964 di tre Nastri d’Argento: per la fotografia a colori (Rotunno), per la scenografia (Garbuglia) e per i costumi (Tosi). LA STORIA: Il principe di Salina, un aristocratico vecchio stampo, permette a malincuore al nipote prediletto, Tancredi, di arruolarsi volontario con Garibaldi, ormai alle porte di Palermo. Sente che il vecchio mondo a cui appartiene è ormai alla fine e che sta per iniziare un’era nuova, di cui Tancredi è parte e nella quale non ci può essere posto per lui. Salina apprende da padre Pirrone, un gesuita de¬ voto alla famiglia, che la figlia Concetta è segretamente innamorata di Tancredi, ma le speranze della virtuosa fanciulla svaniscono all’apparizione di Angelica, la figlia del sindaco, don Calogero Sedara, dalla bellezza conturbante. Il principe si rende conto che l’amore tra il nipote e la giovane borghese è l’inizio di quei mu¬ tamenti che portano all’inarrestabile declino dell’aristocrazia e aU’affermarsi di una nuova borghesia che ne prenderà progressivamente il posto. Il fidanzamento tra i due giovani, che simbolicamente sancisce il passaggio del testimone tra due generazioni, viene posto in risalto dal sontuoso ballo che si conclude con l’uscita di scena del principe di Salina da protagonista assoluto della storia della sua terra. LA CRITICA: «Visconti ha capito benissimo che l’altezza poetica della figura creata dal Lampedusa soverchiava, per coerenza artistica, le idee espresse dal per¬ sonaggio; il suo sforzo, semmai, è stato di accentuare nel principe di Salina la consapevole malinconia di stare assistendo al crollo di un mondo senza ritorno, e di essere un po’ il simbolo di quella età di trapasso dal vecchio al nuovo, in cui la nausea della vita si veste di disperato orgoglio. Lungi dall’infierire su Fabrizio [Salina], Visconti l’ha dunque affrontato e restituito con grande rispetto. A tutto ciò non è estranea la sua predilezione per i caratteri colti nei momenti di crisi (e dite voi quale crisi più grave di quella provocata, in un principe siciliano, dalla caduta dei Borboni e dall’annessione dell’isola al regno d’Italia), ma nemmeno quella nostalgia di aristocratico per le forti personalità, siano esse patrizie o ple¬ bee, che percorre tutta l’opera di Visconti, impietoso verso le classi di mezzo. So¬ lo che, per non assumere tutto il significato del Gattopardo nel personale tormen¬ to del principe, ha dato al film una più precisa cornice storica, inserendolo in quella crisi del Risorgimento che per la storiografia di derivazione marxista si identifica con l’equivoco fondamentale della storia unitaria italiana; e con ciò ov¬ viamente portando avanti un suo discorso cominciato da una parte con La terra trema (il risveglio della Sicilia), dall’altra con Senso (lo sfacelo morale dell’ari¬ stocrazia): due film che in certo modo vengono a sboccare nel Gattopardo come due fiumi a una foce; che è, appunto, la speranza che qualcosa può mutare, nella vita, e particolarmente in Italia, ove le classi dirigenti di ieri e di oggi passino la mano o si rinnovino». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 28 mar. 1963).

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... CORREVA L’ANNO DI GRAZIA 1870 di Alfredo Giannetti Anno di edizione: 1971 Produzione: Garden Cinematografica - Excelsior 151 - RAI TV; Produttore: Gio¬ vanni Bertolucci, Bendicò; Direttore di produzione: Mario Cotone; Soggetto: Al¬ fredo Giannetti; Sceneggiatura: Alfredo Giannetti, Giuseppe Mangione, Bendicò; Aiuto-regia: Gabriele Polverosi; Fotografia: Leonida Barboni; Suono: Mario Dallimonti; Montaggio: Renato Cinquini; Scenografia: Francesco Bronzi; Arreda¬ mento: Osvaldo Desideri; Costumi: Maria Baronj; Musica: Ennio Morricone e brani di Schubert, Verdi; Direzione Musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Mario Carotenuto, Osvaldo Ruggeri, Duilio Cruciani, Aldo Cecconi, Gioacchino Pallavicini, Dino Mele, Giulio Paradisi, Siila Bettini, Alberto Sartoris, Luciano Bonanni, Linda De Felice, Winni Riva, Fiona Florens, Eugenio Cappabianca, Alberto Hammerman Zolyas, Alessandro Vagoni, Gastone Bertolucci, Franco Balducci, Massimo Sarchielli, Pina Cei, Elvira Corte¬ se, Gina Mascetti, Lauretta Torchio; Durata: 110’. LA STORIA: Al crepuscolo del potere temporale dei papi, Antonio Parenti è pri¬ gioniero politico a Roma. Pur essendo malato, con la moglie costretta a mandare avanti la famiglia da sola, si rifiuta di chiedere la grazia al Papa come molti suoi compagni di lotta hanno fatto. Quando finalmente i bersaglieri entrano a Roma per Porta Pia, la moglie di Antonio, approffittando della confusione generale, cor¬ re al carcere e libera il marito. Ma ormai è troppo tardi; minato dal male, egli muore mentre la moglie gli racconta - inventandole per fargli piacere - le gesta eroiche del popolo, unico protagonista della liberazione di Roma. LA CRITICA: «La spiegazione del perché Anna Magnani è una grande attrice trascurata, o quanto meno sottoccupata, non sta tutta nella distrazione cronica del cinema italiano. La Magnani è l’ultima gloriosa incarnazione di quel naturalismo interpretativo che per decenni fu la forza del nostro teatro: [...] L’ha capito benis¬ simo Alfredo Giannetti curando per lei i tre grossi bozzetti già presentati alla TV, con prevedibile richiamo sul cuore delle masse; ai quali si aggiunge adesso questo film cinetelevisivo, girato quindi un po’ in economia, dove l’autore insinua qual¬ che riflessione amara sull’impossibilità delle rivoluzioni in Italia. Alla viglia della breccia di Porta Pia, Mastroianni langue nelle prigioni del papa mentre di fuori sua moglie deve imparare l’arte di arrangiarsi: fiera anticlericale, finisce per man¬ dare il figlioletto in seminario; sinceramente barricadera, scopre nel popolo che la circonda solo cinismo e indifferenza. Non oserà però rivelarlo al marito morente, nel giorno della liberazione, e inventerà per lui che Roma si è ribellata davvero. Tolta questa nota insolita, il resto appartiene alla convenzione del film in costume ed è raccomandabile solo ai fans di Nannarella». (Tullio Kezich, «Panorama», 11 febb. 1972). OSSERVAZIONI: Il film, prodotto essenzialmente per la televisione, ebbe una breve circolazione anche nelle sale cinematografiche. Bendicò è Silvia D’Amico Bendicò.

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BRONTE: CRONACA DI UN MASSACRO CHE 1 LIBRI DI STORIA NON HANNO RACCONTATO di Florestano Vancini Anno di edizione: 1972 Produzione: Alfa Cinematografica - Rai-Tv - Histria Film; Produttore: Mario Gallo; Direttore di produzione: Gorazd Roncar; Soggetto: Benedetto Benedetti, Fabio Carpi, Florestano Vancini, da «Atti del Processo di Brente del 1860», «Atti del Processo di Catania del 1863» e da Scritti di Benedetto Radice, Nino Bixio, Ippolito Nievo, Giulio Cesare Abba, Napoleone Colajanni, Denis Mack Smith, S.F. Romano, Giorgio Candeloro e Francesco Grandi; Sceneggiatura: Nicolas Ba¬ dalucco, Fabio Carpi, Leonardo Sciascia, Florestano Vancini; Fotografia: Nenad Jovicic; Montaggio: Roberto Perpignani; Scenografia: Mario Scisci; Arredamen¬ to: Vincenzo Eusebi; Costumi: Silvana Pantani; Musica: Egisto Macchi; Interpre¬ ti: Ivo Garrani, Mariano Rigido, Anna Maria Chio, Edda Di Benedetto, Grazia Di Marzà, Ilija Dzuvalekovski, Rudolf Kukic’, Misdrag Loncar, Biserka Alibegovic, Anna Maria Lanciaprima, Andjelko Stimac, Loris Bazzocchi, Slobadan Dimitrijevic, Zvonimir Jelacic, Franco Aloisi, Giuliano Petrelli, Janez Skof, Raniero Brumini, Asim Bukva, Bert Soltar, Empedocle Buzzanca, Stojan Arandjelovic, An¬ drea Aureli, Filippo Scelzo, Mico Cundari, Pietro Fumelli, Aldo Cecconi, Ernesto Colli, Nereo Scaglia, Paolo Binelli; Durata: 109’. Produzione realizzata in esterni in Jugoslavia. LA STORIA: Nel 1860, a Brente nel Catanese, il circolo che raccoglie i notabili della città, all’indomani dell’arrivo dei garibaldini, cerca di adattarsi al nuovo corso politico mantenendo i vecchi privilegi. L’avvocato Lombardo, liberale, inse¬ diatosi in municipio su mandato del governatore di Catania, cerca di mantenere calmi gli animi del popolo, ma la furia dei contadini sfruttati per secoli, alimenta¬ ta da facinorosi carbonari (tra cui Calogero Gasparazzo) ha il sopravvento e porta all’eccidio di quindici notabili. Lombardo riesce a stento ad impedire a Gasparaz¬ zo di attaccare i soldati del colonnello Pulè, inviati da Bixio per sedare la rivolta; ciononostante Bixio, arrivato personalmente alla testa di un forte contingente di garibaldini, deciso a dare una punizione esemplare a tutta la Sicilia, fa arrestare centocinquanta persone, tra cui lo stesso Lombardo e istituisce un tribunale spe¬ ciale con l’incarico di processare i cinque maggiori indiziati. Tra i cinque prescel¬ ti vi sono Lombardo e lo scemo del paese, riducendo così il processo ad una farsa, simile a quelli del regime borbonico. Gli imputati vengono tutti giudicati colpevo¬ li e, in nome della necessità di ristabilire l’ordine e l’autorità, sono tutti fucilati, macchiando di vergogna il mito garibaldino. LA CRITICA: «Quasi nessuno, che non abbia compiuto studi speciali o abbia letto la novella “Libertà” di Verga, sa infatti cosa accadde, nell’agosto 1860, in quella cittadina siciliana dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala e i suoi primi de¬ creti in vista d’una più equa distribuzione delle terre. Accaddero cose funeste e ingloriose, che tornavano troppo a disdoro della leggenda garibaldina e del mito risorgimentale per essere consegnate ai libri di scuola. [...] Bronte consente di ar¬ ricchire le nostre nozioni di storia patria e insieme di ripensare al tragico rapporto

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corrente fra rivoluzione e repressione. Il bravo Vancini, preferendo ricostruire i fatti anziché inventarli, ha compiuto un lavoro onestamente didascalico e robusta¬ mente realistico. Confermando che tutta la storia è cementata di violenza, il film finisce però col trasmettere un senso d’angoscia: ieri e oggi l’ingiustizia è destina¬ ta a trionfare, la vera libertà è irragiungibile. La cronaca di Vancini è svelta e in¬ cisiva, con forti sequenze drammatiche; buone l’interpretazione di Ivo Garrani, il moderato vittima dell’illusione di controllare gli ultrasinistri, e quella di Mariano Rigillo, che fa di tutto, e ci riesce, per renderci odiosa la memoria di Nino Bixio. Picciotti e carusi sono in prevalenza jugoslavi, e anche Brente è ricostruita in ter¬ ra istriana». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 20 magg. 1972).

LE CINQUE GIORNATE di Dario Argento Anno di edizione: 1973 Produzione: S.E.D.A. Spettacoli; Produttore: Salvatore Argento; Direttore di pro¬ duzione: Giuseppe Mangogna; Soggetto: Enzo Ungari, Dario Argento, Luigi Coz¬ zi; Sceneggiatura: Dario Argento, Nanni Balestrini; Aiuto-regia: Sofia Scandurra; Fotografia: Luigi Kuveiller; Suono: Amedeo Casati; Montaggio: Franco Fraticel¬ li, Scenografia: Giuseppe Bassan; Arredamento: Maurizio Garrone; Costumi: Elena Mannini; Effetti sonori: Luciano e Massimo Anzellotti; Maestro d’armi: Bruno Ukmar; Effetti speciali: Aldo Gasparri; Musica: Giorgio Gaslini e brani di Bach, Verdi, Gounod, Rossini; Interpreti: Adriano Celentano, Enzo Cerusico, Marilù Tolo, Luisa De Santis, Glauco Onorato, Carla Tato, Sergio Graziani, Ennio Greg¬ gia, Germano Altomanni, Dante Martini, Salvatore Baccaro, Loredana Martinez, Guglielmo Bardella, Fulvio Mingozzi, Loredana Benacca, Ivana Monti, Ugo Bo¬ logna, Stefano Oppedisano, Luca Bonicalzi, Renato Paracchi, Guerrino Crivello, Tom Felleghi, Claudio Sforzini, Antonio Guerra, Emilio Marchesini, Angiolino Manfredi; Durata: 126’. LA STORIA: Durante le Cinque Giornate di Milano (18-23 marzo 1848) un pic¬ colo delinquente e un panettiere si trovano, loro malgrado, coinvolti nei moti antiaustriaci. Approffitando della grande confusione che regna in città, i due perso¬ naggi, intuendo di poter approffittare della situazione, si arruolano nelle schiere del barone Tranzunto. Assistono così a varie atrocità e stupidità sia nelle file au¬ striache che in quelle italiane. Il ladruncolo cade prigioniero degli austriaci e vie¬ ne processato. Sfuggito al plotone d’esecuzione, ritrova l’amico fornaio e insieme assistono al brutale omicidio di un soldato austriaco e al tentativo di stupro della ragazza milanese che si trovava con lui. Il fornaio allora aggredisce l’assasino e lo uccide ma, catturato dai suoi compagni, viene a sua volta ucciso lasciando solo il suo compare mentre gli austriaci si ritirano da Milano. LA CRITICA: «Film intellettuale travestito da spettacolo plebeo o prodotto mer¬ cantile intinto di intellettualismo? In Le cinque giornate c’è un’idea vitale, quella della storia patria vista alla rovescia; e c’è anche, garantita dalla firma di Nanni Balestrini in sceneggiatura, l’adesione all’ideologia dei “proletari senza rivolu-

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zione”. “Io ho idea che ci hanno fregato”, proclama Celentano al popolo milane¬ se, tirando le somme delle gloriose giornate: ed è una netta denuncia contro chi ha strumentalizzato il furore e l’eroismo delle masse in rivolta a fini di trasformismo conservatore. Purtroppo l’imbastitura ideologica non basta a cucire insieme un campionario di scampoli dalle provenienze più diverse: si va dalla commedia al¬ l’italiana (il modello è La grande guerra di Monicelli) alla vecchia farsa accelera¬ ta, dai massacri dello spaghetti western alle repressioni efferate di Miklòs Jancsò, dall’erotismo a buon mercato ai brividi da film dell’orrore. Dario Argento (L’uc¬ cello dalle piume di cristallo) è un cineasta dotato e lo dimostra a tratti anche nel¬ le Cinque giornate, soprattutto nella rapprsentazione popolaresca e stracciona del¬ le barricate e degli scontri. Tuttavia la narrazione risulta troppo rapsodica e di¬ spersa; e nelle smagliature del film, tra un episodio e l’altro, ha anche modo di in¬ serirsi un vago malumore qualunquistico (a che serve ribellarsi? tanto, tutto toma come prima) che non era certo nelle intenzioni dell’autore». (Tullio Kezich, «Pa¬ norama», 7 febb. 1974).

ALLOSANFAN di Paolo e Vittorio Taviani Anno di edizione: 1974 Produzione: Una Coop. Cinematografica; Produttore: Giuliani G. De Negri; Di¬ rettore dì produzione: Giuseppe Francone; Soggetto: Paolo e Vittorio Taviani; Sceneggiatura: Paolo e Vittorio Taviani; Aiuto-regia: Ferruccio Castronuovo; Fo¬ tografia: Giuseppe Ruzzolini; Suono: Sergio Buzi; Montaggio: Roberto Perpignani; Scenografia: Giovanni Sbarra; Arredamento: Adriana Bellone; Costumi: Lina Nerli Taviani; Effetti sonori: Alvaro Gramigna, Fernando Caso; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Marcello Mastroianni, Lea Massari, Mismy Farmer, Laura Betti, Claudio Cassinelli, Bruno Cirino, Ben¬ jamin Lev, Renato De Carmine, Luisa De Santis, Stanko Molnar, Alderica Casati, Biagio Pelligra, Ermanno e Francesca Taviani, Michael Berger, Raul Cabrerà, Roberto Frau, Cirylle Spiga, Pier Giovanni Anchisi, Luis La Torre, Carla Manci¬ ni, Bruna Righetti; Durata: 115’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Ci¬ necittà. LA STORIA: Fulvio Imbriani esce dal carcere di Milano nel 1816, dopo aver scontato una condanna dovuta alla sua appartenenza alla setta segreta dei «Fratelli Sublimi». Tornato a casa Charlotte, la sua donna, lo invita ad unirsi a lei e ad altri rivoluzionari per partecipare ad una spedizione nel Sud dell’Italia. Ma un’imbo¬ scata, dovuta alla delazione della sorella di Imbriani, causa la morte di Charlotte e di molti cospiratori. Imbriani decide di emigrare in America, ma i membri della sua setta gli comunicano che la spedizione nel Sud si farà ugualmente e gli affida¬ no del denaro perché acquisti le armi per la spedizione. Deciso a spezzare il suo legame con i vecchi compagni e far fallire l’operazione, Imbriani finge di essere stato aggredito e derubato del denaro. Imbarcato ugualmente dai compagni sulla nave che li porta al Sud, Imbriani progetta l’ultimo tradimento che porterà all’an¬ nientamento del drappello di rivoluzionari. Rimasto vivo con l’unico supertiste,

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Allosanfàn, Imbriani sarà ucciso per errore dai soldati dei quali era stato compli¬ ce. LA CRITICA: «Allosanfàn concede poco o nulla alla cassetta e tuttavia è un film popolare; è di facile comprensione, e tuttavia continua un’analisi molto acuta; gli interpreti sono bravi (bravissime le donne), e tuttavia valgono specialmente come simboli. Ogni genere di spettatore ne esce contento: l’uomo della strada, che chie¬ de avventure, e l’intellettuale che vi ritrova i dubbi della sinistra italiana di oggi, tentata di ritirarsi, vinta dagli agi, nel quieto grembo dei piaceri quotidiani e degli affetti familiari. Fulvio, il protagonista, è il suo simbolo, seppure l’azione si svol¬ ga nel primo Ottocento, all’indomani della Restaurazione. [...] Quasi spaccato in due (il rinvio alla spedizione di Sapri è solo un pretesto), Allosanfàn tocca mo¬ menti di alta intelligenza registica soprattutto nella prima parte, quando si diffon¬ de, fissandosi sui comportamenti e le atmosfere, e abbondando in primi piani, nel¬ l’enfasi dei caratteri e dell’ambiente aristocratico. Serviti da una sapienza dram¬ maturgica inconsueta, e giocando sui chiaroscuri, qui i Taviani raggiungono la vetta: Fulvio rivela a poco a poco la sua ambiguità, e bello spicco hanno certe fi¬ gure soltanto in apparenza di contorno (una vecchia balia, la sorella, un nipotino ostile, il figlioletto che ha intuito la natura perversa del padre), contrapposte al¬ l’ingenuo entusiasmo dei Fratelli Sublimi, idealizzati con fresca simpatia. Poi, nella seconda metà, pur continuando con quella sciutezza intensa che è la dote massima dei Taviani, il film cala di tono, un po’ troppo preoccupato della macchi¬ na avventurosa. Ma si riprende e canta nel finale, tutto incentrato sul delirio di Allosanfàn, espresso in una danza popolare (il “saltarello”) in cui si profetizza l’abbraccio fra popolo e ribelli, guidata dal contadino Vanni Peste. Scena ispirata al più corretto realismo socialista, e tuttavia purgata di quel tono visionario, ai li¬ miti con la magìa, che dà a tutto il film un forte sostegno poetico, e ha gli altri suoi nuclei nelle scene del carnevale, dell’apparizione dell’amico affogato, del co¬ lera». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 7 sett. 1974)

QUANTO È BELLO LO MURIRE ACCISO di Ennio Lorenzini Anno di edizione: 1976 Produzione: Coop. Autori, Attori e Tecnici Associati; Soggetto: Stefano Calanchi, Ennio Lorenzini; Sceneggiatura: Stefano Calanchi, Aldo De Jaco, Gianni Toti, Ennio Lorenzini; Fotografia: Gualtiero Manozzi; Montaggio: Roberto Perpignani; Scenografia: Marco Dentici; Costumi: Lina Nerli Taviani; Musica: Roberto De Simone; Interpreti: Stefano Satta Flores, Giulio Brogi, Alessandro Haber, Elio Marconato, Barbara Betti, Laura De Marchi, Bruno Corazzali, Angela Goodwin, Sandro Tuminelli, Giuseppe Scacella,; Durata: 85’. LA STORIA: Il film, che prende il titolo da una canzone popolare, è il racconto della gloriosa e sfortunata avventura che nel giugno 1857 vide protagonista Carlo Pisacane. Partito da Genova insieme a trenta volontari, dirottò la nave su cui viaggiava, arruolò i galeotti e sbarcò nel Salernitano. Ma appena sbarcato si rese

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conto che l’impresa era destinata a fallire a causa del mancato appoggio dei libe¬ rali napoletani, che non volevano mescolarsi con quella marmaglia male assortita. Ciononostante non desistette, convinto che il suo esempio sarebbe stato raccolto dal popolo, e cercò lo scontro con i borbonici. Fu sconfitto sul campo e i contadi¬ ni, credendo gli uomini di Pisacane dei briganti, si accanirono fino allo sterminio contro i superstiti della battaglia. LA CRITICA: «Fra le ipotesi del film, due sono suggestive. Che il maggiore del¬ l’esercito borbonico mandato a reprimere la spedizione abbia, se non condiviso, intuito le ragioni dei rivoluzionari, e che in un gruppo di braccianti randagi perse¬ guitati dalle autorità, almeno uno abbia raccolto la fiaccola di Pisacane. Sono, l’u¬ no e l’altro, luoghi canonici d’un certo cinema politico (va da sé che Pisacane è assomigliato per qualche verso a Che Guevara), ma inseriti con naturalezza in un racconto che vuole dare, di quella pagina di storia, una immagine dialettica. Nes¬ suno può negare che, ridotto in pillole, il Risorgimento fu anche questo seminar dubbi nelle coscienze. Più vicino al Bronte di Vancini che a\YAllosanfàan dei Taviani, Lorenzini fa un cinema didattico che è nel contempo una cronaca del Sud e d’ogni terzo mondo, e una ballata metaforica sui meccanismi della storia. Squadra il racconto in blocchi, contrapponendo alla rigidità della parte centrale un lirico finale, ma esprime il succo psicologico e ideologico d’ogni situazione, e lo trasfi¬ gura coll’ambientazione in uno scabro paesaggio lucano e con un prestigioso cor¬ redo musicale, costituito in prevalenza da cori popolari, elaborati da Roberto De Simone sulla scorta di vecchi motivi meridionali, che danno all’immagine epici accenti e vi aggiungono colore». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 5 mar. 1976).

IN NOME DEL PAPA RE di Luigi Magni Anno di edizione: 1977 Produzione: Juppiter Generale Cinematografica; Produttore: Franco Committeri; Direttore di produzione: Gino Santarelli; Soggetto: dal libro «I segreti del proces¬ so Monti e Tognetti», pubblicato a Milano nel 1869; Sceneggiatura: Luigi Magni; Aiuto-regia: Maurizio Mein; Fotografia-. Danilo Desideri; Suono: Luciano Welisch; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Scenografia: Lucia Mirisola; Arredamen¬ to: Renato Ventura; Costumi: Lucia Mirisola; Effetti sonori: Renato Marinelli; Musica: Armando Trovajoli; Interpreti: Nino Manfredi, Danilo Mattei, Carmen Scarpitta, Giovannella Grifeo, Carlo Bagno, Gabriella Giacobbe, Salvo Randone, Ettore Manni, Camillo Milli, Rosalino Cellamare, Giovanni Rovini, Renata Zamengo, Luigi Basagaluppi, Guglielmo Spoletini, Nino Dal Fabbro, Giovanni Cianfriglia, Carlo Castroni, Enrico Fedeli, Giovanni Di Luzio, Alessandro Febi, Tito Mancini; Durata: 107’. Produzione realizzata in interni ed esterni a Pienza (SI). LA STORIA: A Roma nel 1867, sotto il regno di Pio IX, monsignor Colombo, magistrato papalino, ha deciso di dimettersi perché è stanco di emettere condanne

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a morte nei confronti di chi non condivide la politica del papa. Poco prima che consegni la lettera di dimissioni, a Roma avviene un fatto grave: un gruppo di carbonari fa saltare in aria la caserma degli zuavi uccidendone ventitré. Tra i so¬ spetti ci sono Giuseppe Monti, Gaetano Tognetti e Cesare Costa, quest’ultimo fi¬ glio naturale dello stesso monsignor Colombo e della contessa Flaminia. Suppli¬ cato dalla contessa, il monsignore ferma la lettera di dimissioni e tenta di salvare dalla mannaia il giovane carbonaro, che rifiuta di subire sorte diversa da quella dei suoi compagni. H monsignore allora fa sequestrare il giovane Cesare e lo fa rinchiudere nella propria cantina. I famigliari degli altri due condannati protestano con lui per il diverso trattamento riservato ai loro ragazzi; allora monsignor Co¬ lombo tenta di prodigarsi anche per gli altri; nel frattempo però il marito della contessa, credendo che il giovane Cesare sia l’amante della moglie, lo uccide. A monsignor Colombo non resta per prodigarsi per la salvezza degli altri due, ma nulla può la sua arringa accorata contro il volere del papa nero che impedisce a Pio IX di graziare i condannati che saliranno sul patibolo. LA CRITICA: «La collaborazione fra Luigi Magni e Nino Manfredi discende dallo spettacolo teatrale Rugantino e si è articolata in vari momenti cinematogra¬ fici improntati a uno spirito romanzesco e anticlericale: Nell’anno del Signore, l’episodio II santo soglio (da Signore e signori, buonanotte) e ora In nome del Pa¬ pa Re. Stavolta Manfredi è un giudice ecclesiastico amareggiato che vorrebbe mollare tutto prima dell’arrivo dei bersaglieri: ma improvvisamente, mentre la città ribolle di attentati e di violenze, si scopre padre di un giovane sul quale in¬ combe la condanna a morte. Intorno a un fatto storico, l’ultima decapitazione ese¬ guita in Roma, regante Pio IX il 24 novembre 1868 (ne furono vittime, come nel film, Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti), Magni inventa il racconto di una crisi di coscuienza che fa rivoltare il protagonista contro la tirannia del papa e dei ge¬ suiti. Non tutto risulta credibile, tuttavia, nelle tergiversazioni di don Colombo che Manfredi impersona da gande attore senza purtroppo arrischiare nessuna nota antipatica, Né sembra convincente l’equazione, che l’autore tenta di stabilire, fra i tempi cupi del Papa Re e i giorni nostri. Architettato con estro, dialogato con estrema bravura, il film non appare altrettanto ben girato. Di grande risalto è il personaggio del perpetuo, il bonario cameriere veneto del protagonista, interpreta¬ to stupendamente da Carlo Bagno». (Tullio Kezich, «Panorama», 20 die. 1978).

ARRIVANO I BERSAGLIERI di Luigi Magni Anno di edizione: 1980 Produzione: Factory Cinematografica - Italian International Film; Produttore: Mauro Berardi, Fulvio Lucisano; Soggetto: Luigi Magni; Sceneggiatura: Luigi Magni; Fotografia: Danilo Desideri; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Scenogra¬ fia: Lucia Mirisola; Costumi: Lucia Mirisola; Musica: Armando Trovajoli; Inter¬ preti: Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli, Ombretta Colli, Giovannella Grifeo, Enrico Papa, Vittorio Mezzogiorno, Pippo Franco, Mariano Rigillo, Carlo Bagno; Dura¬ ta: 100’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà.

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LA STORIA: Il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrano a Roma, ma Don Prospe¬ ro non vuole arrendersi e si barrica in casa. Accoglie uno zuavo ferito e lo na¬ sconde nel suo palazzo, senza sapere che ha ucciso suo figlio arruolatosi segretamente nei bersaglieri. Inoltre, la principessa, sua moglie, fa gli occhi dolci al nuo¬ vo venuto, che il principe vorrebbe fare sposare alla giovane figlia. Costei però è innamorata di un garibaldino, compagno d’armi del fratello. Un infarto coglie di sorpresa il principe e si scopre che, sotto le spoglie dell’attuale lealista papalino si nasconde un uomo che da giovane era stato un patriota che aveva combattuto con i piemontesi; ma questo ormai non interessa più a nessuno: la moglie è diventata l’amante dello zuavo, mentre la figlia amoreggia con il garibaldino fatto entrare di nascosto dalla cameriera. Colto da disperazione Don Prospero, prima di morire, si vendicherà uccidendo lo zuavo traditore. LA CRITICA: «Commediuccia di poco sugo, nonostante la qualità degli interpre¬ ti, che segna una battuta d’arresto per il regista Luigi Magni, autore stavolta di un’insalata mista in costume dell’Ottocento: una satira, nientemeno, della breccia di Porta Pia, ma nella quale s’impasticciano comicità e melodramma, pochade e cappa e spada, mangiapretismo e schermaglia politica, senza un’idea unitaria e con stile fiacco. Per cui, al confronto, In nome del papa re sembra un capolavo¬ ro». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 8 nov. 1980.

O’ RE di Luigi Magni Anno di edizione: 1988 Produzione: Clemi Cinematografica - Titanus Produzione; Produttore: Giovanni Di Clemente; Soggetto: Luigi Magni; Sceneggiatura: Luigi Magni; Fotografia: Franco Di Giacomo; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Musica: Nicola Piovani; Interpreti: Giancarlo Giannini, Omelia Muti, Carlo Croccolo, Lue Merenda, Cor¬ rado Pani, Cristina Marsillach, Annamaria Ackermann, Francesco Tavassi, Massi¬ mo Abate, Sergio Solli, Isabella Perricone, Eleonora Pariante, Mary Hubert, Tina Bonavita, Anna Kanakis, Franco Pistoni; Durata: 110’. Produzione realizzata ne¬ gli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie Francesco II di Borbo¬ ne si rifugia con la corte a Roma. Qui il re vive una vita malinconica, oramai ras¬ segnato alla perdita del trono, mentre la regina spera ancora nella riconquista del regno e nella nascita di un erede al trono. Ma il popolo non si muove, molti rego¬ lari dell esercito borbonico passano nelle file di quello italiano e i briganti non so¬ no certamente affidabili per la corona. L’erede al trono finalmente arriva, è una femmina, ma muore presto. Con lei muoiono tutte le speranze di riconquista del trono e di un erede che continui la dinastia. LA CRITICA: «Magni stavolta tralascia di ricorrere al “grande attore” romane¬ sco per i mezzi toni calibratissimi di Giancarlo Giannini. La rappresentazione del¬ la corte partenopea, seppure in esilio, contribuisce ad una direzione di attori deci-

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samente distanziata e pensosa rispetto alle canoniche ed ai triclini nei quali imper¬ versava il ciclone Manfredi. La distanza è ribadita dalla dimensione “scenica” che la regia continuamente confessa: i riferimenti alla pittura napoletana ottocen¬ tesca (De Nittis, Morelli, Pitloo, Palizzi), il “coro” dei guitti, Pulcinella in testa, tesi a rasserenare la coppia regale, le porzioni di dialogo assai esplicite nel comu¬ nicare al pubblico problemi, esiti, retroscena della Storia. Tali piani di finzione non toccano i duetti della coppia protagonista, dove prevalgono invece il senti¬ mento e la partecipazione emotiva. Si configurano pertanto due livelli della messa in scena: la commedia sentimentale e d’intreccio per i protagonisti e il teatro di¬ dattico per il coro; in altre parole, la pièce di carattere e la drammaturgia epica. [...] Nei momenti in cui la Storia entra in salotto o il salotto si trasferisce all’e¬ sterno, lo spettatore è chiamato a confondere le chiavi di lettura con possibili esiti di spiazzamento». (F.flavio] De Be.[mardinis], Segnofilm, in «Segnocinema», n. 37, mar. 1989, p. 28).

IN NOME DEL POPOLO SOVRANO

di Luigi Magni Anno di edizione: 1990 Produzione: Erre Produzioni - RAI Due; Produttore: Angelo Rizzoli; Soggetto: Luigi Magni, Arrigo Pertacco; Sceneggiatura'. Luigi Magni; Fotografia: Giuseppe Lanci; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Scenografia: Lucia Mirisola; Costumi: Lucia Mirisola; Musica: Nicola Piovani: Interpreti: Luca Barbareschi, Serena Grandi, Nino Manfredi, Jacques Perrin, Elena Sofia Ricci, Alberto Sordi, Massi¬ mo Wertmuller, Carlo Crocolo, Luigi De Filippo, Gianni Boangura, Elena Berera, Gianni Garko, Roberto Herlitzka, Costantino Meloni, Monia Rosati, Benedetto Fanna, Lorenzo Flaherty; Durata: 115’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Nel 1849, dopo l’avvento della Repubblica Romana, Pio IX è co¬ stretto a lasciare Roma e a rifugiarsi a Gaeta. Pochi mesi dopo le truppe francesi ed austriache attaccano la giovane Repubblica con l’intento di rimettere sul trono il papa. La marchesa Cristina Arquati, di fede repubblicana e moglie di Eufemio, divenuta l’amante del capitano Giovanni Livraghi (nobile milanese accorso in soccorso della morente Repubblica e grande amico del frate Ugo Bassi) tenta di raggiungere il giovane amante dopo che i repubblicani sconfitti hanno abbandona¬ to Roma fuggendo verso il Nord. Ma Livraghi e Bassi, che si era unito a lui nella fuga, vengono arrestati a Comacchio e condannati a morte. Vani sono i tentativi della marchesa di salvare l’amante implorando l’aiuto di un alto prelato suo ami¬ co, e i due patrioti vengono fucilati. Stessa sorte subiscono Ciceruacchio e suo fi¬ glio, per mano degli austriaci, in nome di Pio IX che toma a regnare a Roma. In¬ tanto Cristina e il marito si riconciliano e decidono di raggiungere insieme i pie¬ montesi per continuare a combattere per l’unità d’Italia. LA CRITICA: «Un padre barnabita in camicia rossa, un nobile milanese roman¬ tico e il popolano Ciceruacchio si battono — ognuno per le sue ragioni - sulle bar-

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Capitolo primo

ricate della Repubblica Romana per difendere il sogno di giustizia e libertà. Fini¬ ranno davanti al plotone d’esecuzione, con la benedizione del Santo Padre e una lapide alla memoria. La ricostruzione storica degli avvenimenti romani del 1849 potrà anche infastidire i filologi, ma sul piano cinematografico è impeccabile: perché Magni è il solo regista italiano che cerchi di trarre un epos nazional-popo¬ lare dalle vicende della nostra storia patria. I personaggi ci sono, le scene di mas¬ sa anche. E certe “attualizzazioni” non sono affatto da buttar via. Per non dire di Sordi, che nei panni del marchese bigotto, trasformista e papalino, ci dà il suo più bel personaggio da dieci anni a questa parte». (Gi.fanni] Ca.[nova], Tuttofilm dall’A alla Z, in «Segnocinema», n. 51, sett./ott. 1991, p. 49).

IL

LA GUERRA DI LIBIA E LA GRANDE GUERRA

Se il fascismo non amò mettere in scena la guerra di Libia e la grande guerra, non è che la fine del regime abbia portato ad una «rivalutazione», in termini cinematografici, di questi due conflitti. Ciononostante il cinema italiano del dopoguerra è stato sicuramente meno avaro di film sulla prima guerra mondiale e si è azzardato, sia pure con un solo film, a gettare uno sguardo anche sulla guerra Italo-Turca. La reticenza del cinema fascista ad utilizzare la grande guerra come un’antologia di episodi eroici da uti¬ lizzare dal punto di vista ideologico è comprensibile, se si considerano i macroscopici errori degli alti comandi che hanno portato al disastro di Caporetto e alle conseguenti «decimazioni» come medicina per galvanizzare 10 spirito combattivo dei soldati italiani; meno comprensibile invece è il motivo per cui non si è utilizzata la guerra di Libia come spunto propa¬ gandistico, soprattutto nel periodo a ridosso della guerra per la conquista dell’Impero. Fatto sta che negli anni Trenta e Quaranta non si realizza nessuna fiction su quel conflitto e anche il cinema del primo periodo, quello muto, non si discosta molto da questa scelta, fatta eccezione per II ticolore di Elvira Notari del 1913. L’unico film prodotto dopo la Liberazione sulla guerra di Libia è Tri¬ poli bel suol d’amore che Ferruccio Cerio realizza nel 1952. Si tratta più che altro di una commedia con elementi di satira, ma più spesso di farsa, affidata alle imprese di Alberto Sordi, Maurizio Arena, Mirko Ellis e Gianni Rizzo, i quattro bersaglieri (così si chiamerà il film nella riedizio¬ ne apparsa negli anni Settanta) in lotta per la figlia del maresciallo e che finirà in tragedia e in epopea con un finale eroicamente degno dei più stucchevoli film patriottici. Tralasciando i film in cui la guerra di Libia, ma anche le altre guerre e 11 fascismo, sono ricordati dalle canzoni sceneggiate, quali Canzoni di mezzo secolo di Domenico Paolella del 1952 oppure l’ultimo episodio di Un giorno in Pretura di Stefano Vanzina del 1953 (in cui il pretore, Peppino De Filippo, riconosce, in un’imputata, una ex soubrette che aveva co-

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Capitolo secondo

nosciuto al fronte, nel 1917, in uno spettacolo per militari), il primo film del dopoguerra che ha come argomento la prima guerra mondiale è II cai¬ mano del Piave del 1950 di Giorgio Bianchi. Il film pone in primo piano l’attività degli uomini del controspionaggio italiano che, agendo nei .terri¬ tori occupati dagli austriaci, riescono a fornire ai comandi italiani le infor¬ mazioni necessarie per preparare la grande offensiva della fine di ottobre 1918, che porterà alla liberazione di Trento e Trieste e alla fine della guer¬ ra. Di stile prettamente melodrammatico, con l’immancabile love story, il film contiene interessanti documentari di guerra abilmente integrati all’intemo della fiction che rimane comunque molto modesta, nonostante la presenza di Gino Cervi. Altro film di genere spionistico è, sempre nello stesso anno, Piume al vento di Ugo Amadoro. Qui l’eroina di turno è la giovane proprietaria di una villa che dapprima ospita i bersaglieri in ritirata verso il Piave, poi le truppe austriache che li inseguono. Grazie alle sue informazioni passate ai comandi italiani, le nostre truppe possono iniziare la vittoriosa offensiva finale. Tranne qualche scena di azione ben condotta, il film risente dell’at¬ mosfera melò che sovrasta il cinema italiano degli anni Cinquanta. Nel 1952 Fausto Saraceni realizza Fratelli d’Italia, uno dei due film biografici dedicati agli eroi della prima guerra mondiale. Il film racconta la storia degli ultimi anni della vita di Nazario Sauro, ma una impostazio¬ ne storica superficiale, assieme ad un’ancor più precaria realizzazione tec¬ nica (si tratta dell’unico film realizzato da Saraceni, se si eccettuano due film documentari, di cui uno realizzato in collaborazione con Ennio De Concini), fanno del film, per usare un eufemismo, un’opera molto pove¬ ra. L’altro film biografico è Bella non piangere, del 1955, di David Car¬ bonari, un altro esordiente che non andò oltre questo suo primo film. Aiu¬ to di Coletti (che peraltro non fu estraneo alla realizzazione del film), Car¬ bonari offre, con questo suo lavoro, una sconsolante ricostruzione retorica della vita di Enrico Toti, mal interpretata, mal diretta e anche mal fotogra¬ fata. Persino l’uso del documentario di guerra non offre nessun elemento di originalità, presentando brani già visti e rivisti in altri film. Un altro film che si adagia sulla retorica del «Fiume Sacro» è La leg¬ genda del Piave che Riccardo Freda realizza nel 1952. Regista di opere spettacolari di carattere popolare ed esperto in scene di massa, Freda tenta con questo film la via del pattriottismo, ma il risultato è deludente. Il film, costruito su un soggetto molto debole e nonostante la presenza di un buon cast, è mal recitato, diretto ancor peggio e eccessivamente retorico. Nel 1953 Fernando Cerchio porta sugli schermi una canzone filmata. Addio, mia bella signora!, da cui trae motivi di struggente passione tra due giovani innamorati nel turbine della prima guerra mondiale. Il film scade nel pietismo più becero quando mostra il povero Gino Cervi senza gambe, perse eroicamente sul Carso, e l’estremo sacrificio di Alba Amova

La guerra di Libia e la grande guerra

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che rinuncia al bel Francioli per curare l’anziano mutilato. Non poteva mancare un film a episodi anche su questo tema: nel 1953 Guido Leoni propone il suo Di qua di là dal Piave. Film d’esordio del re¬ gista, si snoda in quattro episodi: «La Mariola», «Angiolina, bella Angio¬ lina», «Il povero soldato», «Di qua di là dal Piave» che dà il titolo al film. I primi tre episodi, pur essendo ambientati all’epoca della grande guerra, sono brevi commediole che riguardano le vicende, sentimentali e non, di alcuni soldati e delle loro ragazze e, tutto sommato, sono abbastanza riu¬ sciti. Il quarto invece, è più strettamente attinente al tema; anche se è pre¬ sente l’aspetto sentimentale, è costruito con i soliti consunti canoni con¬ venzionali della retorica patriottica, che disturbano tutto l’impianto del film. Ancora del 1953 è un episodio del già citato film collettivo Amori di mezzo secolo; si tratta di Guerra 1915-1918 di Pietro Germi. Qui la reto¬ rica è più attenuata e la vicenda d’amore dei due protagonisti, finita tragi¬ camente per l’eroica morte del personaggio maschile immolatosi per la Patria, gode di maggiore attenzione da parte del regista che dirige con pe¬ rizia i bravi Albino Cocco, al suo esordio, e Maria Pia Casilio. Continuando a sfornare opere retoriche e prive di validi contenuti criti¬ ci, con poche pagine di buon cinema, nel 1954, Mario Amendola e Rugge¬ ro Maccari realizzano La campana di San Giusto. Melò fra i melò, questo film aggiunge alla più vieta retorica patriottarda tutti gli ingredienti relati¬ vi al feuilleton ottocentesco, accumulando disgrazie e accidenti complica¬ tissimi, con l’unico scopo di far piangere le platee. Sempre nel 1954, ispiratosi ad un fatto di cronaca, Pino Mercanti rea¬ lizza I cinque dell’Adamello. La ricostruzione che il regista fa della vita dei cinque alpini i cui corpi furono rinvenuti congelati nei ghiacciai dell’Adamello è puramente di fantasia, ma lo spunto è interessante e, a parte il finale con gli onori ai caduti, il suono del silenzio fuori ordinanza ed al¬ tri piccoli episodi del genere, si può dire che, pur avendo perso una buona occasione, il film non è peggiore di tanti altri che lo hanno preceduto. Con tanto melodramma che domina a svantaggio della storia o della cronaca, non poteva mancare un film di Raffaello Matarazzo che, proprio in quegli anni, aveva rilanciato il melò con il cosiddetto «neorealismo d’appendice», realizzando i tanto citati film della coppia Nazzari-Sanson: Catene, Tormento, 1 figli di nessuno, ecc. Infatti nel 1954, sempre della serie di cui sopra, Matarazzo realizza Guai ai vinti!, in cui le due poverel¬ le di turno, Lea Padovani e Anna Maria Ferrerò, vengono violentate e messe incinte dalla soldataglia austriaca. Una sceglie di abortire per non fare conoscere al marito in guerra la sua vergogna, l’altra decide di parto¬ rire sfidando tutti e perdendo l’amore del fidanzato, pure lui soldato. Pa¬ gherà con la vita questo suo «sacrificio» e in un clima quasi di santità il fidanzato, pentito, la sposerà in extremis. Il tutto fra squilli di fanfare, ac¬ clamazioni ai «Savoia!», e piume al vento.

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Ritroviamo il clima retorico e moralistico, che dominerà fino ai tardi anni Cinquanta i film sulla prima guerra mondiale, anche nell’episodio Purificazione del film Cento anni d’amore di Lionello De Felice. Non ba¬ sta infatti l’interpretazione di Eduardo De Filippo e il fatto che la pièce sia tratta dall’atto unico di Guido Rocca per salvarne la sorte. Un altro film avvilente, dal punto di vista storico, ed eccessivo anche dal punto di vista del genere melodrammatico è il film Trieste cantico d’amore di Max Calandri del 1954. Film di serie C, dominato dal cantante Antonio Basurto, fortunatamente circolò poco e quindi causò danni limita¬ ti all’immagine del cinema italiano. Finalmente nel 1959 appare un film che, in un certo senso, fa giustizia di quelli realizzati fino ad allora sulla prima guerra mondiale. Si tratta de La grande guerra di Mario Monicelli. In effetti, La grande guerra, ed è stato ampiamente notato, è il primo film ita¬ liano che apra veramente un discorso su di un momento della storia recente d’Italia, di cui il cinema nostrano ha quasi sempre taciuto, e se ne ha parlato lo ha fatto con la lingua pastosa e sgrammaticata della pellicoletta mezza clandestina. Se la narrativa ci ha dato, prima del ’40, «Scarpe al sole» di Mo¬ nelli, «Trincee» di Carlo Salsa, «Nostro Purgatorio» di Baldini, larghi fram¬ menti rievocativi di Bacchelli, per citare i primi nomi che ci vengono in men¬ te, il cinema, se si eccettua forse il film di Marco Elter [si tratta di Le scarpe al sole, che Elter ha realizzato nel 1935, n.d.a.], tratto appunto da «Scarpe al sole» di Monelli (esempio se non altro di sincerità) ha trascolorato puntual¬ mente verso altri temi ed altre voci. Dell’Italia di Cadorna e di Diaz dell’at¬ tacco frontale e del «sacro egoismo», di Caporetto e del Piave, dei saldati pi¬ docchiosi e testardi che s’abbarbicarono alle povere trincee deH’Hermada e del Mrzli, del Carso e del Sabotino, non una parola1. Monicelli invece, pur con alcuni limiti, ci mostra con il suo film, attra¬ verso una miriade di episodi frammentati e di personaggi a volte anche negativi, una realtà cruda e spesso piena di assurdità, come è appunto quella della guerra e di coloro che amano farla con mentalità da ragionieri o, peggio ancora, improvvisando. Il grande affresco che ne esce viene le¬ gato dalle avventure di due personaggi, antieroi per eccellenza, che nono¬ stante la loro vigliaccheria sapranno morire da eroi, ma più per amor pro¬ prio e per dispetto verso gli austriaci, che per amor di patria. La cosa, an¬ cora una volta, non piacque alla censura, a certi ambienti militari e a qual¬ che critico, ma il film ebbe un successo enorme anche grazie all’eccezio¬ nale interpretazione di due attori come Gassman e Sordi che - e questo ci sembra vero soprattutto per Sordi - hanno dato in questo film il meglio di se stessi.

I

C.G. Fava, «Corriere Mercantile», ott. 1959.

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Scriveva Aristarco su «Cinema Nuovo» che La grande Guerra ha avu¬ to il dovere morale di rimuovere quelle pietre con le quali si cerca di nascondere le pagine «proibite» della nostra storia e per fare conoscere ai giovani anche quei «vermi» che esse pietre nascondono e nutrono. Monicelli [...] ha costrui¬ to un grosso film spettacolare con alcune idee dentro, volte appunto a rimuo¬ vere luoghi comuni e miti di una retorica dannunziana e ufficiale, il concetto astratto di patria2.

Monicelli quindi apre una breccia nel conformismo che aveva domina¬ to su questo tema il cinema italiano degli anni Cinquanta e i produttori, fi¬ no ad allora restii a soggetti progressisti, cambiarono strategia. Ma non subito. Infatti Claudio Gora, nel 1960, ritorna con un film melenso, La contessa azzurra, che, se pure ha il pregio di rievocare la Belle époque sullo sfondo di una Napoli che non c’è più, insiste troppo sull’emotività legata ad un soggetto basato sulla nostalgia e su un romanticismo di tipo deamicisiano. Un documentario, o meglio, un film di montaggio, viene realizzato da Guido Guerrasio e Vico D’Incerti nel 1964 con il titolo, ancora una volta retorico. Il Piave mormorò. I due autori, ancora una volta, sprecano il tan¬ to materiale eccellente a loro disposizione non discostandosi dalla tradi¬ zione storica ufficiale e ignorando gli intrighi degli alti comandi, i massa¬ cri, l’incapacità tattica e strategica dei generali, la vita inumana delle trin¬ cee, la disfatta di Caporetto e le folli decimazioni di tanti soldati innocen¬ ti, i morti, i mutilati, ecc. Si tratta di due eccezioni dopo la svolta di Monicelli, infatti Pasquale Festa Campanile nel 1967 ci presenta un film. La ragazza e il generale, che prende la guerra a pretesto per presentarci una commedia in cui gli aspetti patriottici sono superati dall’interesse personale e dalla cupidigia dei personaggi e anche se nel finale il loro disegno sfuma per colpa di una mina, riconducendo ad una morale conservatrice l’esito del racconto, resta pur sempre significativo il fatto che la taglia per la cattura di un generale nemico è più attraente di qualsiasi azione eroica per i due soldati che sono parenti, in un certo senso, del modello inaugurato da Gassman e Sordi qualche anno prima. È la volta poi di Alberto Lattuada, che nel 1968, spostandosi dal fronte italiano a quello francese, si diverte a realizzare un film altamente com¬ merciale che, parafrasando le avventure di Mata Hari, ci mostra una pelli¬ cola patinata dove Suzy Kendall, Fraulein Doktor, la bella spia, soffre da matti ogni volta che tradisce il proprio paese. Non si tratta di pellicola re¬ torica, né patriottica, ma solo di un film di avventure e d’azione. Peccato!

2 G.

Aristarco,

«Cinema Nuovo», n. 141, sett./ott. 1959.

Capitolo secondo

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La scena finale della battaglia di Ypres, dove i tedeschi attaccano le trup¬ pe inglesi e francesi con il lancio di gas asfissianti, è costruita con un rea¬ lismo e una perizia eccezionali e stride con tutto il resto del film. Francesco Rosi nel 1970 rompe tutti gli indugi e porta sugli schermi il romanzo di Emilio Lussu Un anno sull’altipiano, realizzando Uomini con¬ tro. Il film denuncia l’ottusità di certi generali, analizzando il senso di ri¬ bellione degli ufficiali subalterni di fronte agli ordini assurdi dei loro su¬ periori. Il forte senso critico del film contro la violenza che la guerra inge¬ nera, anche alFintemo di uno stesso schieramento, fece insorgere un coro di voci che scontentò un po’ tutti. Le gerarchie militari e i partiti di destra tuonarono contro lo scandalo che offendeva la Patria e l’onore militare, gli storici di destra bollarono il film di falso storico, le sinistre rimasero in¬ soddisfatte perché, se il film presentava la giusta ribellione del tenente Ottolenghi contro il generale Leone, lamentavano che i soldati, che rappre¬ sentavano il popolo - cioè il proletariato - nel film non esistevano, pur essendo presenti in tutte le sequenze. Ecco cosa scriveva «Cinema Nuovo» all’uscita del film: Rosi ha sentito i tempi nuovi radicalizzando l’opposizione di un giovane te¬ nente, coscienza attiva dell’autore; e ha potuto rovesciare i termini della que¬ stione relativa al militarismo degli ufficiali superiori: frasi e atteggiamenti di Leone e di altri responsabili sono raccordati in maniera tale da costruire un quadro che rispecchia la mentalità - l’arroganza e il disprezzo della vita degli altri - di tutta una casta. [...] Contro l’ideologia militarista si denuncia «la guerra dei morti di fame contro i morti di fame», come urla il tenente Ottolenghi prima di venire ucciso per questo dai suoi; lo stesso tenente parlava di una futura rivoluzione socialista. Manca però il discorso su quelle che sono poi state le vittime maggiori della guerra, cioè i soldati. [...] A parte qualche frase risentita mormorata di nascosto contro «quelli» che comandano, non si conosce molto dei fanti. Non si conosce molto, vogliamo dire, non tanto del loro livello di coscienza - che può anche non esser stato troppo alto, - quanto del giudizio storico che ne dà il regista3.

Resta comunque il fatto che anche se Rosi non si addentra nella co¬ scienza dei fanti, come avrebbe voluto la sinistra comunista, e non con¬ danna la violenza in generale ma solo quella che viene dall’alto, come scrive Grazzini sul «Corriere della Sera», Uomini contro è un film che riesce a scuotere efficacemente tutti coloro che avrebbero voluto continua¬ re a mostrarci la prima guerra mondiale come una «guerra santa», lumino¬ sa di martirio e di gloria. Citiamo, solo per dovere di cronaca, il film di Sergio Grieco II sergen¬ te Klems, del 1971, dove la grande guerra è solo il pretesto da cui prende

1 G.

Corbucci,

«Cinema Nuovo», n. 207, sett./ott. 1979.

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le mosse la storia, orientata più verso il Marocco e le avventure della Le¬ gione Straniera che verso i fatti dell’Isonzo e del Piave. Nel 1971 Alfredo Giannetti mette in cantiere, in collaborazione con la RAI, una serie di telefilm che va sotto il titolo di Tre donne. Si tratta di telefilm girati su pellicola e non con telecamere e, anche se non ebbero una regolare distribuzione nelle sale, le tecniche produttive fanno supporre che vi fosse l’intenzione di farlo. Il primo di questi film è La sciantosa, storia di una matura diva che, durante la prima guerra mondiale, mentre tiene uno spettacolo per i soldati, si trova coinvòlta in un bombardamento in cui muore facendo scudo col proprio corpo ad un giovane soldato. Film romantico, in cui la Magnani interpreta con grande generosità il personag¬ gio di una cantante di varietà che non arriva mai al successo e per tutta la vita aspetta il giorno del suo trionfo sulle scene, raggiungendolo non nella finzione scenica, ma nella vita. Un salto indietro ce lo fa fare Romano Scavolini nel 1973 con La pic¬ cola vedetta lombarda, episodio del film Cuore. Di questo film c’è poco da dire: mal diretto e male interpretato, Scavolini ebbe l’idea di portare sullo schermo quattro racconti tratti dal libro Cuore di De Amicis, am¬ bientandoli in epoche diverse da quelle in cui le aveva collocate lo scritto¬ re. Infatti questa «vedetta» viene ambientata nella prima guerra mondiale. Il significato di questa operazione sfugge, anche se il Centro Cattolico Ci¬ nematografico ipotizza che l’autore abbia voluto ritrovare nella «recente storia alcuni valori umanitari e patriottici». Altro film della serie, Porca vacca, di Pasquale Festa Campanile, è del 1982 e ripropone, come per La ragazza e il generale, due soldati sfati¬ cati e desiderosi solo di imboscarsi e una giovane contadina che alla fine diventeranno eroi loro malgrado. Più giocato sulle capacità istrioniche di Renato Pozzetto e Aldo Maccione e sulle generose forme di Laura Antonelli, il film non si solleva molto al di sopra della mediocrità e non dà tempo a nessuno di pensare alla fine eroica della bella Antonelli. Conclude la serie Cuore di Luigi Comencini, realizzato per la RAI nel 1984. Stravolgendo l’impostazione del romanzo di De Amicis, Comencini ci mostra Garrone, Corelli, Enrico, Franti, Precossi, Muratorino e gli altri eroi di Cuore adulti e in divisa militare, alle prese con gli austriaci nelle trincee del Carso, che rievocano, quando possono, i tempi della loro fan¬ ciullezza sui banchi di scuola. Film pensato per la televisione (l’edizione televisiva era suddivisa in sei episodi), nonostante l’operazione di ringio¬ vanimento escogitata da Comencini e Suso Cecchi D’Amico, risulta ec¬ cessivamente retro e poco apprezzabile da un pubblico diverso da quello televisivo. Altri due film hanno per argomento la prima guerra mondiale, e sono Il giorno più corto di Sergio Corbucci del 1962 e La frontiera di Franco Girai di del 1996, ma trattandosi di un film comico e di un film drammati¬ co, trovano spazio in altra parte di questo libro.

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Capitolo secondo

Nessun regista e nessun produttore è più tornato sull’argomento e per¬ tanto un film sulla prima guerra mondiale che guardi con occhio critico, e non di parte, ma egualmente severo e teso solo alla ricostruzione della ve¬ rità storica, senza quell’ipocrisia che per ottant’anni la storia ufficiale si è affannata a stendere su quei tragici fatti, è ancora là da venire. La strada aperta da Monicelli, sia pure in modo ironico, e da Rosi, in modo volutamente provocatorio, è rimasta finora interrotta senza che nessuno abbia avuto la voglia di riaprirla e di ripercorrerla.

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IL CAIMANO DEL PIAVE di Giorgio Bianchi Anno di edizione: 1950 Produzione: Flora Film; Produttore: Leo Cevenini, Vittorio Martino; Direttore di produzione: Folco Laudati; Soggetto: Fulvio Palmieri, Oreste Biancoli, Fabrizio Sarazani; Sceneggiatura: Fulvio Palmieri, Fabrizio Sarazani, Oreste Biancoli; Aiuto-regia: Nicola Morabito; Fotografia: Mario Craveri; Suono: Adolfo Alessan¬ drini; Montaggio: Adriana Novelli; Scenografia: Giovanni Sarazani; Arredamen¬ to: Ferdinando Ruffo; Costumi: Maria Cecchi Baroni; Musica: Enzo Masetti; Di¬ rezione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Milly Vitale, Frank Latimore, Gino Cervi, Francesco Golisano (Geppa), Ludmilla Dudarova, Harry Feist, Gina Falkenberg, Carlo Croccolo, Gianni Glori, Charles Rutherford, Nerio Bernardi, Carlo Mariotti, Gino Leurini, Vittorio André, Bill Barker, Rio Nobile, Francesco Tomolillo, Joop Van Hulsen, Fausto Tozzi, Achille Millo, Giacomo Lauri Volpi, Franco Ferretti, Roberto Spiombi; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi Scale¬ rà. LA STORIA: Il colonnello Torrebruna, che ha sposato in seconde nozze una don¬ na bella ed ambiziosa, è nei servizi segreti e, allo scoppio della guerra del 1915, lascia la moglie e la figlia Lucilla per il fronte. La moglie però è una spia degli austriaci e, dopo la disfatta di Caporetto, accoglie in casa del colonnello lo stato maggiore nemico. Lucilla, che ha scoperto tutto, informa il fidanzato che è agli ordini del colonnello e prenderà il posto di quest’ultimo, rimasto ucciso in uno scontro col nemico. Scoperta, la ragazza viene fatta prigioniera, ma intanto le truppe italiane hanno varcato il Piave e gli austriaci fuggono lasciando nelle mani dei bersaglieri la giovane Lucilla. LA CRITICA: «La vicenda, ispirata a patriottici sensi, è raccontata mediocramente: il film comprende interessanti brani documentari». (Anonimo, Segnalazio¬ ni cinematografiche, voi. XXIX, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1951, p. 139).

PIUME AL VENTO di Ugo Amadoro Anno di edizione: 1950 Produzione: Bucci Film; Produttore: Tullio Bucci; Soggetto: Ugo Amadoro, Ste¬ fano Canzio, Fabrizio Taglioni; Sceneggiatura: Ugo Amadoro, Stefano Canzio, Fabrizio Taglioni; Supervisione: Goffredo Alessandrini; Fotografia: Adalberto Alberimi; Montaggio: Giuseppe Vari; Scenografia: Vittorio Valentini; Musica: Al¬ berto De Castello; Interpreti: Leonardo Cortese, Olga Gorgoni, Cristina Velvet, Dante Maggio, Peter Trent, Mario Ferrari, Enzo Cerusico, Anthony La Penna, Marco Tulli, Renato Malavasi, Silvio Bagolini, Corrado Nardi, Andrea Petricca, Viviane Vallèe, Giorgio Costantini, Nico Pepe, Diego Pozzetto, Berenice Pagno-

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ni, Mario De Angelis, Sergio Rossi, Laurence Lamour; Durata: 84’. Produzione realizzata negli Studi Safa-Palatino. LA STORIA: Nel 1917, a seguito della disfatta di Caporetto, un reggimento di bersaglieri si ritira verso il Piave. Anna Frassoli, proprietaria di una villa in cui i soldati italiani avevano fatto tappa, nonostante l’imminente pericolo dovuto all’ar¬ rivo degli austriaci, rimane al suo posto, assieme al giardiniere, per passare noti¬ zie militari ai nostri comandi. Il capitano Von Toeplitz, arrivato con le prime trup¬ pe austriache, fa requisire la villa per trasformarla in ospedale da campo; porta al¬ la villa la propria amante, una ballerina, e le assegna la camera di Anna. Durante la notte un soldato italiano si reca come di consueto alla villa per avere informa¬ zioni, ma entrato nella stanza di Anna vi trova Marta, la ballerina, che invece di tradirlo aiuta lui ed Anna. In seguito, il soldato ritorna con altri compagni per far saltare un ponte, ma viene catturato dagli austriaci. Marta riuscirà a liberarlo e a permettergli di portare a termine la sua missione. Con questa azione inizia l’of¬ fensiva italiana; Marta viene ferita mortalmente da Von Toeplitz, ma prima di morire riuscirà a sua volta ad ucciderlo, mentre un piccolo patriota viene fucilato per avere suonato le campane della libertà. LA CRITICA: «È, generalmente parlando, un lavoro piuttosto debole; ma com¬ prende qualche sequenza efficace. Il film non manca d’elementi positivi; ma com¬ prende scene di brutalità o non del tutto convenienti, che ne fanno uno spettacolo non adatto ai giovani». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXVIII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1950, p. 218).

SENZA BANDIERA di Lionello De Felice Anno di edizione: 1951 Produzione: Elfo Film; Produttore: Luigi Freddi; Direttore di produzione: Jaco¬ po Comin; Soggetto: Luigi Freddi; Sceneggiatura: Giuseppe Zucca, Franco Brusati, Giorgio Prosperi, Lionello De Felice, Jacopo Comin, Nantas Salvataggio; Aiuto-regia: Matrcello Baldi; Fotografia: Mario Craveri; Suono: Bruno Brunacci; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Franco Lolli; Costumi: Marina Arcangeli; Musica: Renzo Rossellini; Interpreti: Massimo Serato, Vivi Gioi, Umberto Spadaro, Paolo Stoppa, Walter Riila, Hans Moog, Carlo Ninchi, Guido Celano, Mario Ferrari, Carlo Tusco, Luigi Cimara, Camillo Pilotto, Marika Rowsky, Amedeo Trilli, John Pasetti, Fanny Marchiò, Nietta Zocchi, Anna Valpreda, Piero Pastore, Laura Solari, Michael Tor, Sidney Gordon, Claudio Ermelli, Norma Nova, Cesare Rossi, Henry Vidon, Emilio Petacci, Al¬ berto Plebani, Fioria D’Alba, Armando Annuale, Alessio Ruggeri. Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Durante la prima guerra mondiale la Marina Italiana è sottoposta a una serie di gravi sabotaggi, segno della presenza di una efficiente rete di spie nel nostro paese. Il servizio di controspionaggio ha accertato che gli agenti nemici ri-

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cevono ordini dalla Svizzera: viene perciò affidato ad un comandante di Marina il compito di svolgere le indagini necessarie. Con l’aiuto di alcuni collaboratori, l’ufficiale italiano scopre che il capo dello spionaggio nemico è il console austria¬ co di Zurigo, che ha come collaboratori un conte svizzero e un’infermiera. Uno degli ufficiali italiani corteggia l’infermiera e riesce a farsi assumere come came¬ riere. Scopre così che i documenti relativi ai nomi degli agenti nemici in Italia so¬ no custoditi in una cassaforte nella camera da letto del console. I nostri agenti, en¬ trati nel consolato e penetrati nella stanza della cassaforte, con l’aiuto di un cele¬ bre scassinatore fatto giungere appositamente dall’Italia, riescono ad impadronirsi dei documenti e a debellare la rete spionistica nemica nel nostro paese. Per il di¬ sonore il console si toglie la vita. LA CRITICA: «La vicenda, realizzata con molta cura, è condotta in modo da te¬ ner desta l’attenzione dello spettatore». (Anonimo, Segnalazioni cinematografi¬ che, voi. XXX, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1951, p. 163).

FRATELLI D’ITALIA di Fausto Saraceni Anno di edizione: 1952 Produzione: Excelsa film; Produttore: Carlo Ponti, Dino De Laurentis; Direttore di produzione: Isidoro Broggi; Soggetto: Ennio De Concini, Italo Japichino; Sce¬ neggiatura: Ennio De Concini, Italo Japichino; Aiuto-regia: Lucio Pulci; Foto¬ grafia: Tonino Delli Colli; Suono: Biagio Fiorelli, Mario Amari; Montaggio: Giu¬ liana Attenni; Scenografia: Piero Filippone; Musica: Armando Trovajoli; Inter¬ preti: Ettore Manni, Olga Solbelli, Paul Muller, Ennio Girolami, Mario Ferrari, Carlo Hintermann, Fanny Landini, Lilly Cerasoli, Nino Marchetti, Mario Feliciani, Mario Luciani, Pietro Beldi, Sergio Crosia, Andrea Galliani, Marc Lawrence; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Nel 1915 a Capodistria i patrioti italiani sono impazienti che l’Ita¬ lia entri in guerra contro l’Austria; fra questi è Nazario Sauro, capitano della Ma¬ rina mercantile austriaca che, impaziente, fugge a Venezia. Quando l’Italia dichia¬ ra guerra all’Austria, si arruola nella Regia Marina ed ottiene di essere imbarcato come ufficiale di rotta sul sommergibile «G. Pullino». La sua conoscenza delle coste dalmate è di grande utilità alla Patria; nel corso di una di queste ricognizioni nei pressi di una base austriaca, il giovane mozzo trentino Sergio, molto devoto a Sauro, perde la vita. Sulla via del ritorno il «Pullino» si arena sulla costa austriaca e viene fatto saltare dall’equipaggio che, nel tentativo di salvarsi con dei battellini, viene avvistato e poi catturato da una vedetta austriaca. Sauro, che milita sotto falso nome, pur essendo stato riconosciuto, nega di essere l’istriano ricercato dal governo austriaco. La madre finge di non riconoscerlo e impassibile, ma straziata dal dolore, vedrà il figlio avviarsi al patibolo. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro modesto, allestito con mezzi insufficienti: apprezzabile l’interpretazione di Olga Solbelli, nella parte di Anna Sauro. Il lavo-

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ro, che rievocando un episodio eroico della guerra italo-austriaca (1915-1918), esalta col sentimento patriottico i migliori sentimenti umani, è da considerarsi moralmente positivo». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1952, p. 162).

LA LEGGENDA DEL PIAVE di Riccardo Freda Anno di edizione: 1952 Produzione: CO-TU; Produttore: Colamonici-Tupini; Direttore di produzio¬ ne: Manlio Maria Morelli; Soggetto: Riccardo Freda; Sceneggiatura: Giuseppe Mangione, Riccardo Freda; Aiuto-regia: Sante Chimirri; Fotografia: Sergio Pe¬ sce; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Alfredo Montori; Costumi: Camil¬ lo Del Signore; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Ugo Giacomazzi; Interpreti: Gianna Maria Canale, Carlo Giustini, Renato Baldini, Enrico Viarisio, Duccio Sissia, Giorgio Consolini, Luigi De Filippo, Edoardo Toniolo, Elena Cot¬ ta Ramusino, Vittorio Braschi; Durata: 93’. Produzione realizzata negli Studi Titanus. LA STORIA: Il conte Riccardo Dolfin, approffittando della situazione creatasi con lo scoppio della prima guerra mondiale, intesse traffici al limite della legalità, speculando sulle ristrettezze del momento. La moglie, fervente patriota, non rie¬ sce a tollerare di convivere con un approfittatore, e lo abbandona. Rimasto solo, il conte, colpito dalle atrocità conseguenti all’inasprirsi della guerra, cambia atteg¬ giamento, si arruola volontario e parte per il fronte dove compie atti eroici che gli permetteranno,^ guerra finita, di riconquistare il cuore della moglie. LA CRITICA: «È un film mediocre» (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1952, p. 211). OSSERVAZIONI-: A film ultimato la produzione ha inserito nella seconda parte del film diversi spezzoni di cinegiornali dell’epoca esaltanti la vittoria italiana su¬ gli austriaci.

TRIPOLI BEL SUOL D’AMORE di Ferruccio Cerio Anno di edizione: 1952 Produzione: Laura Film; Produttore: Mario Francisci; Direttore di produzio¬ ne: Carlo Bessi; Soggetto: Mario Francisci; Sceneggiatura: Giuseppe Mangione, Sergio Sollima, Alessandro Ferraù; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotogra¬ fia: Mario Montuori; Suono: Bruno Francisci; Montaggio: Mario Bonotti; Sceno¬ grafia: Giulio Bongini; Arredamento: Emma Micucci; Costumi: Veniero Colasan-

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ti; Musica: Franco D’Achiardi; Interpreti: Alberto Sordi, Lyla Rocco, Mirko Ellis, Fulvia Franco, Luigi Pavese, Maurizio Arena, Luciana Pipemo, Mino Doro, Gianni Rizzo, Giannina Chiantoni, Alfredo Varelli, Aldo Bettoni, Enzo Maggio, Pasquale Campagnola, Rosanna Galli, Libero Intorre, Angela Pierro, Marcella Davciland, Cesare Vieri, Claudio Ermelli, Maria Pia Conti, Andrea Checchi, Ric¬ cardo Billi, Mario Riva; Durata: 104’. LA STORIA: Giunto a Roma per la leva militare, Alberto è vittima delle beffe di tre compagni di naia. Renato, Ferruccio e Rudi, e dei rimbrotti di un dispotico maresciallo. Ma Alberto, nonostante tutto, riesce e conquistare il cuore di Maria, figlia di un altro maresciallo, corteggiata dai tre compagni burloni, e finisce per far la pace con loro. Il reggimento di Alberto parte per la Libia e Maria, non po¬ tendo restare lontano da lui, si arruola nelle crocerossine assieme a Nadia, una ballerina innamorata di Renato. Alberto e compagni vengono destinati di presidio a un fortino a cui è diretta una colonna della Croce Rossa della quale fanno parte Maria e Nadia. Gli arabi attaccano la colonna e a stento i suoi componenti vengo¬ no salvati, ma Nadia viene mortalmente ferita e prima di morire sposerà in extre¬ mis Renato. Poi gli arabi sferrano l’attacco finale al ridotto italiano che sta per es¬ sere sopraffatto, quando l’arrivo dei bersaglieri capovolge la situazione e Alberto e Maria potranno guardare con serenità al loro futuro. LA CRITICA: «È un lavoro modesto. Il film, che esalta i migliori sentimenti, è sostanzialmente positivo. Alcune scene di guerra consigliano una riserva». (Ano¬ nimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXV, Centro Cattolico Cinematogra¬ fico, Roma 1954, p. 65). OSSERVAZIONI: Il film è stato successinamente programmato anche con il tito¬ lo I quattro bersaglieri.

ADDIO, MIA BELLA SIGNORA! di Fernando Cerchio Anno di edizione: 1953 Produzione: Gladio Film; Produttore: Ottavio Poggi; Direttore di produzio¬ ne: Ottavio Poggi; Soggetto: Ottavio Poggi dalla canzone omonima di Simi e Ne¬ ri; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Fernando Cerchio, Ottavio Poggi; Aiuto-regia: Fabio De Agostini; Fotografia: Vincenzo Seratrice; Suono: Tullio Parmeggiani; Montaggio: Antonietta Zita; Scenografia: Ernest Krombergs; Arredamento: Ernest Krombergs; Costumi: Rosanna Pistoiese; Musica: Franco D’Achiardi; Interpreti: Gino Cervi, Alba Amova, Armando Francioli, Silvio Bagolini, Luigi Pavese, Franco Fabrizi, Maria Zanoli, Sergio Bergonzelli, Walter Clift-Luce, Graziella De Roc, Giacomo Rondinella; Durata: 95’. LA STORIA: Il giovane Guido conosce Cristina, una bella sconosciuta, e se ne innamora. In seguito scopre che la donna è la moglie di un colonnello, il conte Riccardo Saluzzo. Guido soffre della scoperta e cerca di dimenticare Cristina; ma

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nel 1915 scoppia la guerra e il colonnello viene richiamato in servizio; Guido e Cristina si incontrano ad una festa universitaria e Guido rinnova la sua corte nei confronti della ragazza che non sembra dispiacersene. Dopo qualche tempo arriva la notizia che il colonnello è caduto in combattimento; venuto meno così ogni ostacolo, i due giovani decidono di sposarsi dopo che per la giovane vedova sarà trascorso il periodo di lutto. Ma il colonnello non è morto e toma all’improvviso, con i segni della guerra sul suo corpo: gli sono state amputate le gambe. Cristina, con la morte nel cuore, decide di lasciare Guido e di consacrarsi al marito, ma il colonnello, che ha capito tutto, cerca di togliersi la vita. Cristina però arriva in tempo, lo salva e giura di rimanere al suo fianco per tutta la vita. Guido disperato si arruola volontario per il fronte. LA CRITICA: «È un lavoro mediocre». (Anonimo, Segnalazioni cionematografiche, voi. XXXIV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1953, p. 191).

DI QUA DI LÀ DAL PIAVE di Guido Leoni Anno di edizione: 1953 Produzione'. Faretra Film; Produttore: Fulvia Faretra; Ispettore di produzio¬ ne: Aldo Budini; Soggetto: Rodolfo Sonego, Ivo Perilli, Ennio De Concini; Sce¬ neggiatura: Ivo Perilli, Dino De Palma, Luigi Malerba, Franco Solinas, Sergio Pieri, Guido Leoni, Roberto Sonego, Ugo Guerra, Fede Amaud; Supervisore: Ser¬ gio Grieco; Aiuto-regia: Dino De Palma; Fotografia: Sergio Pesce; Suono: Leo¬ poldo Rosi; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Flavio Mogherini; Arreda¬ mento: Arrigo Breschi; Costumi: Adriana Monaco; Musica: Carlo Innocenzi; Canzoni: Dino De Palma, Carlo Innocenzi; Interpreti: 1° episodio «La Mariola»: Piero Lulli, Piero Tordi, Patrizia Lari; 2° episodio: «Angiolina, bella Angiolina»: Delia Scala, Giusppe Taffarel; 3° episodio «Il povero soldato»: Marisa Merlini, Carlo Croccolo; 4° episodio «Di qua di là dal Piave»: Milly Vitale, Emo Crisa; interpreti comuni ai quattro episodi: Amedeo Trilli, Mario Pisu, Oscar Andriani, Franco Migliacci, Vincenzo Milazzo, Mario Valente, Mirko Testi, Mario Merlini; Durata: 90’. LA STORIA: I quattro episodi riguardano storie di soldati nella prima guerra mondiale. 1° episodio: Mario, scambiato per un ballerino, va a casa di Angiolina che, in procinto di conseguire il diploma di danza, gli mostra la sua abilità. Chia¬ rito l’equivoco, Mario è cacciato, ma poi ci sarà un lieto fine. 2° episodio: Una ra¬ gazza, per ottenere alcune ore di permesso al fidanzato, inventa un sacco di bugie, creando molti problemi al povero soldato; ma l’intervento del capellano salva la situazione. 3° episodio: Pasquale è scartato ripetutamente alla visita militare e si rassegna a girare i villaggi come cantastorie. Undici anni dopo riuscirà finalmente ad arruolarsi. 4" episodio: Un colonnello rievoca un’avventura amorosa avuta da tenente al tempo della prima guerra mondiale. LA CRITICA: «I primi tre episodi, tenuti su un tono leggero e piacevole, sono

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abbastanza riusciti; mentre il quarto, ispirato ad un patriottismo di maniera, appa¬ re convenzionale». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXV, Cen¬ tro Cattolico Cinematografico, Roma 1954, p. 90). OSSERVAZIONI: La canzone II primo amore di De Palma-Innocenzi, è cantata da Giacomo Rondinella.

GUERRA 1915-1918 di Pietro Germi (episodio del film collettivo Amori di mezzo secolo) Anno di edizione: 1953 Produzione: Roma Film - Excelsa Film; Produttore: Glauco Pellegrini; Direttore di produzione: Silvio Clementelli; Soggetto: Carlo Infascelli; Sceneggiatura: Ore¬ ste Biancoli, Giuseppe Mangione, Vinicio Marinucci, Rodolfo Sonego, Roberto Rossellini, Carlo Infascelli, Vincenzo Talarico, Antonio Pietrangeli, Ettore Scola, Alessandro Continenza; Aiuto-regia: Marcella Rossignotti, Guido Turilli, Mauro Morassi, Marcello Caracciolo Di Laurino; Fotografia: Tonino Delli Colli; Suono: Ovidio Del Grande; Montaggio: Dolores Tamburini, Rolando Benedetti; Sceno¬ grafia: Mario Chiari; Arredamento: Beni Montresor; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Alberto Paoletti; Interpreti: Maria Pia Casilio, Albino, Cocco, Lauro Gazzolo, Gustavo Serena, Amedeo Trilli, Fara Libassi, Assunta Radico, Ettore Jannetti; Altri interpreti comuni a più episodi: Renato Malavasi, Augusto Di Giovanni, Armando Annuale, Attilio Martella, Amerigo Santarelli, Mauro Carbonoli; Durata: 103’ (tutto il film). Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Siamo nel 1917, l’anno più duro della prima guerra mondiale, e Carmela e Antonio, due giovanissimi paesani abruzzesi, si sposano e ben presto Carmela rimane incinta. Ma dopo la disfatta di Caporetto anche Antonio viene chiamato alle armi. I due si lasciano col cuore spezzato e Antonio raggiunge la li¬ nea del fronte. Il destino crudele fa sì che Antonio venga ucciso lo stesso giorno in cui Carmela dà alla luce il loro bambino. LA CRITICA: «Il produttore Carlo Infascelli, proseguendo nel suo programma di “celebrazione” dei trascorsi cinquant’anni, ad uso delle platee “nostalgiche”, ha ora sfornato Amori di mezzo secolo. Data la mobilitazione di un quintetto di regi¬ sti più o meno accreditati e degni di stima (Glauco Pellegrini, Pietro Germi, Ma¬ rio Chiari, esordiente nella responsabilità direttoriale, ma già illustre nel campo scenografico, Roberto Rossellini, Antonio Pietrangeli), era lecito attendersi un prodotto meno abboracciato rispetto al dittico, tristemente noto e fortunato, delle Canzoni. Il risultato è invece di una indigenza di gusto e di fantasia tale da priva¬ re il film d’ogni ragione sia pur epidermicamente spettacolare. Collegati dai soliti montaggi retrospettivi di materiale variamente rappresentativo di un costume, compilati a cura di Vinicio Marinucci sulla stanca falsariga del Romanzo di un ’epoca (1942) di Luciano Emmer, i cinque raccontini che costituiscono il film

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oscillano dall’illustrazione oleografica nel gusto della Domenica del Corriere allo sketch d’avanspettacolo [...] Per Pietro Germi si è rispolverato il repertorio della retorichetta patriottica, con l’episodio di un contadino che si immola nella prima guerra mondiale, lasciando a casa la mogliettina ed un pargolo in vana attesa. (A questo episodio, che è quello diretto con maggior pulizia, giova la fresca interpre¬ tazione di M.P. Casilio e Albino Cocco)». (Giulio Cesare Castello, Film di questi giorni, in «Cinema», n. 128, 28 febb. 1954, pp. 116-117). OSSERVAZIONI: Il film si componeva di cinque episodi; gli altri erano: L’amo¬ re romantico di Glauco Pellegrini, Girandola 1910 di Antonio Pietrangeli, Dopo¬ guerra 1920, di Mario Chiari, Napoli 1943 di Roberto Rossellini. In ogni episodio gli attori principali cambiavano rimanendo fissi quelli di secondo piano.

LA CAMPANA DI SAN GIUSTO

di Mario Amendola, Ruggero Maccari Anno di edizione: 1954 Produzione: Glomer Film; Direttore di produzione: Vittorio Musy Glori; Sogget¬ to: Giuseppe Maggi dalla canzone patriottica di Colombino e Arona; Sceneggiatu¬ ra: Mario Amendola, Ruggero Maccari; Fotografia: Alvaro Mancori; Suono: Adriano Taloni; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Vittorio Valenti; Arreda¬ mento: Mario Martinelli; Musica: Vincenzo Falcomatà; Interpreti: Andrea Chec¬ chi, Gaby André, Roldano Fupi, Mirella Uberti, Piero Fulli, Franco Pastorino, Nino Marchetti, Scilla Vannucci, Renato Malavasi, Sandro Ruffilli, Feo Garvaglia, Nino Marchesini, Ciccio Barbi, Fili Parvo, Amina Pirani Maggi, Silvana Fabbri, Cesare Polacco, Edoardo Toniolo, Sergio Sauro, Furio Meniconi; Durata: 95’. FA STORIA: A Trieste, nel 1917, poco prima della liberazione della città, Ro¬ berto, che ha sposato Cinzia, la figlia di un vecchio patriota, viene richiamato alle armi. Non volendo vestire la divisa austriaca, varca il confine e si arruola nell’e¬ sercito italiano. Inviato in missione nel porto di Trieste, rimane ferito e si rifugia nella sua villa. Qui incontra il patriota Visentin, camuffato da ufficiale austriaco. Il maggiore Von Rudolf però scopre Roberto e se ne serve per ricattare Cinzia alla quale fa la corte. Roberto e Visentin cercano di intervenire ma le cose stanno pre¬ cipitando quando, i bersaglieri entrano in Trieste e una fucilata uccide il perfido maggiore. Purtroppo un’altra fucilata, questa volta austriaca, uccide Paoletto, il cantante cieco innamorato della sorella di Cinzia, Stella, fra le cui braccia muo¬ re. LA CRITICA: «Questo film vorrebbe essere un lavoro patriottico; mentre in realtà è tutto impregnato soltanto di retorica. Malgrado gli sforzi degli interpreti, i personaggi non appaiono uomini veri, ma semplici fantocci: il racconto cinemato¬ grafico procede sciatto, senza alcuna preoccupazione di stile. (Anonimo, Segnala¬ zioni cinematografiche, voi. XXXV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1954, p. 162).

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I CINQUE DELL’ADAMELLO di Pino Mercanti Anno di edizione: 1954 Produzione: Cinemontaggio, Produttore: Otello Colangeli; Direttore di produzio¬ ne: Antonio Morelli; Soggetto: Luigi Emmanuele; Sceneggiatura: Giuseppe Zuc¬ ca, Giorgio Prosperi, Luigi Emmanuele, Franco Rossi, Guido Leoni, Pino Mer¬ canti; Aiuto-regia: Luigi Emmanuele, Edmondo Affronti; Fotografia: Romolo Garroni; Suono: Raffaelle Del Monte, Paolo Pallottino; Montaggio: Otello Colan¬ geli; Scenografia: Peppino Piccolo; Arredamento: Francesco Contardi; Costumi: Peppino Piccolo; Musica: Nello Segurini; Interpreti: Fausto Tozzi, Nadia Gray, Franco Balducci, Mario Colli, Dario Michaelis, Walter Santesso, Attilio Bossio, Saro Urzì, Piera Simoni, Rita Rosa, Guido Celano, Fedele Gentile, Mariolina Cappellano, Dina Perbellini, Cristina Pali, Michele Malaspina, Rosolino Bua, Ni¬ no Marchesini, Anna Silena, Andrea Volo, Ileana Bua, Vittorio André, Ilena Mon¬ tanari, Giorgio Costantini, Armando Guameri, Teddy Reno, Carla Boni, Roberto Colangeli, Monella Ghedratti; Durata: 95’. LA STORIA: Sui ghiacciai delTAdamello vengono ritrovate le salme intatte di cinque alpini caduti nella prima guerra mondiale. Sono i resti di una pattuglia che dopo avere compiuto un’azione di guerra è stata sorpresa da una valanga. Alla squadra di recupero è aggregato anche un giornalista, figlio di una delle vittime. Fervente socialista, egli si fa gioco del sacrificio dei caduti provocando vivaci reazioni tra i presenti. Una nuova valanga mette in seria difficoltà i soccorritori e disperde di nuovo le salme, ma gli uomini del soccorso rendono egualmente onore ai caduti. LA CRITICA: «Dal punto di vista tecnico e artistico è un lavoro mediocre. La tesi non è negativa; ma il film presenta un groviglio di idee e di principi, non chiaramente espressi». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1954, p. 190).

GUAI AI VINTI! di Raffaello Matarazzo Anno di edizione: 1954 Produzione: GE.S.I. Cinematografica; Produttore: Maleno Malenotti; Direttore di produzione: Valentino Brosio; Soggetto: dal romanzo «Vae Victis» di Annie Vivanti; Sceneggiatura: Achille Campanile, Mario Monicelli, Piero Pierotti, Gio¬ vanna Soria, Raffaello Matarazzo; Aiuto-regia: Sivio Amadio; Fotografia: Tino Santoni; Suono: Mario Messina; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Al¬ berto Boccianti; Arredamento: Mario Rappini; Costumi: Dina Di Bari; Musica: Renzo Rossellini; Interpreti: Lea Padovani, Anna Maria Ferrerò, Clelia Matania, Rolf Tasna, Pierre Grossey, Camillo Pilotto, Gualtiero Tumiati, Paola Quattrini, Marcella Rovena, Isa Querio, Teresa Franchini, Bianca Doria, Anita Durante, Go-

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iella Gori, Edoardo De Santis, Andreina Zani, Rosetta Pasquini, Aleardo Ward, Irene Cefaro, Bianca Maria Ferrari, Mario Del Monaco; Durata: 103’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Durante il primo conflitto mondiale due donne vengono violentate dai soldati austriaci e rimangono incinte. Una di loro, per la vergogna e il timore che il marito un giorno possa sapere la verità, tenta il suicidio, poi abortisce; 1 al¬ tra, fidanzata, decide invece di portare a termine la gravidanza. Questa sua scelta però non viene compresa e tutti, compreso il suo fidanzato, la respingono. Fuggita dal paese, resta gravemente ferita. Solo poco prima che la ragazza muoia il fidan¬ zato si ricrederà e la sposerà in extremis, promettendole di prendersi cura del bambino. LA CRITICA: «Elementi patriottici di facile lega si mescolano al racconto, sul quale è posta all’inizio una lunga premessa di carattere moraleggiante a proposito dei figli della colpa, il cui scopo ci sembra sia di avvertire il pubblico che il film non se la prende con gli austriaci del 1914-1918 in particolare ma con la guerra in genere. Prudenza eccessiva. O non piuttosto la solita ipocrisia? Quella ipocrisia che, a un certo punto, non sappiamo più se è nei film (in tutti i film di questo tipo cosiddetto popolare) perché è nel pubblico (e non si vuole scandalizzarlo) o è nel pubblico perché da anni, da sempre addirittura, è nei film e dai film il pubblico si è ormai abituato ad accettarla come una insostituibile legge». (Guido Cattivelli, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 47, 25 nov. 1954, p. 353).

PURIFICAZIONE di Lionello De Felice (episodio del film Cento anni d’amore) Anno di edizione: 1954 Produzione: Cines; Direttore di produzione: Elio Scardamaglia; Soggetto: dal¬ l’atto unico omonimo di Guido Rocca; Adattamento: Giorgio Prosperi, Lionello De Felice; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Oreste Biancoli, Eduardo De Filippo, Franco Brasati, Suso Cecchi D’Amico, Alba De Cespedes, Giuseppe Marotta, Vittorio Nino Novarese, Giorgio Prosperi, Guido Rocca, Pietro Paolo Trompeo, Fabrizio Sarazani, Vincenzo Talarico, Gino Visentini, Lionello De Felice; Aiuto¬ regia: Marcello Baldi; Fotografia: Aldo Tonti; Suono: Brano Branacci; Montag¬ gio: Mario Serandrei; Scenografia: Franco Lolli; Arredamento: Ottorino Volpe; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Teo Usuelli; Canzoni: Eldo Di Lazza¬ ro ; Interpreti: Eduardo De Filippo, Angiolina Faranda, Titina De Filippo, Giuliet¬ ta Masina; Altri interpreti comuni a più episodi: Adriana Danieli, Carla Arrigoni, Nando Di Claudio, Emilio Petacci, Alberto Plebani, Antonio Nicotra, Vittorio Braschi; Durata: 100’ (tutto il film). Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Mentre infuria la prima guerra mondiale, un attendente parte per consegnare l’ultima lettera del suo tenente, caduto in combattimento, alla ragazza

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da lui adorata. Ma scopre che la ragazza non è degna di tanto amore e riparte sen¬ za consegnare la lettera. LA CRITICA: «“L’amore borghese’’ sarebbe quello di un giovane ufficiale il quale va a morire al fronte, durante la guerra 1914-18, conservando il ricordo pu¬ ro di una fanciulla, la quale nel frattempo, per interesse, si dà alla bella vita. Fatto che viene scoperto dall’attendente del caduto, giunto a recarle un messaggio po¬ stumo. Retorichetta, bozzettismo da tre soldi alimentano il raccontino, che prende le mosse dall’atto unico di Gino Rocca Purificazione». (Giulio Cesare Castello, Film di questi giorni, in «Cinema», n. 130, 15 apr. 1954, p. 182).

TRIESTE CANTICO D’AMORE di Max Calandri Anno di edizione: 1954 Produzione: Livorno Film; Produttore: Giuseppe Palumbo; Soggetto: Max Calan¬ dri; Sceneggiatura: Paola Ojetti, Max Calandri; Aiuto-regia: Raimondo Toscano; Fotografia: Tony Frenguelli; Musica: Nino Oliviero; Interpreti: Nora Visconti, Antonio Basurto, Vera Carmi, Nerio Bernardi, Diana Bil Orsini, Peter Trent, Vasito Bastino, Liliana Bonfatti, Alberto Sorrentino, Nino Marchesini, Yvonne Coc¬ co, Vando Trese, Scilla Vannucci, Franco Pastorino, Marcella Davilland, France¬ sco Di Marco, Lilian Deis; Durata: 85’. LA STORIA: Durante il periodo di occupazione di Trieste, dopo la seconda guer¬ ra mondiale, un sottufficiale americano di origine italiana fa la conoscenza di una ragazza triestina e fra i due nasce una storia d’amore. Ma la nonna della ragazza, saputo il nome del giovane, assume un atteggiamento ostile nei suoi confronti. In¬ fatti il giovane altri non è se non il figlio di un italiano, divenuto poi celebre can¬ tante, che durante la prima guerra mondiale era stato protagonista, a Trieste, di un’azione di spionaggio a favore dell’Italia. In quell’occasione aveva conosciuto e amato, ricambiato, la giovane contessina di Sant’Elmo, oggi nonna della ragazza. Il conte di Sant’Elmo però, che con il giovane irredento collaborava attivamente all’azione antiaustriaca, era stato scoperto, catturato e condannato a morte e alla figlia era stato fatto credere, a torto, che a tradirlo era stato il suo giovane inna¬ morato. Avvertito da un amico di quello che sta accadendo a suo figlio, il cantante lascia New York e raggiunge Trieste dove affronta la vecchia innamorata e, chia¬ rito ogni equivoco, i due giovani potranno sposarsi. LA CRITICA: «Il film, che ha come premessa una grottesca contraffazione della storia di Trieste durante la prima guerra mondiale, è anche esteticamente un lavo¬ ro molto debole». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1954, p. 99).

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Capitolo secondo

BELLA NON PIANGERE

di David Carbonari Anno di edizione: 1955 Produzione: Excelsa Film; Direttore di produzione: Evaristo Signorini; Soggetto: Ugo Mattone, Franco Solinas, Ennio De Concini; Supervisione: Duilio Coletti; Aiuto-regia: Giuseppe Scoponi; Fotografia: Luciano Trasatti; Suono: Giulio Tagliacozzo; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Franco Lolli; Arredamento: Vittorio Rossi; Costumò. Franco Laurenti; Musica: Nino Rota; Interpretò. Ettore Manni, Maria Fiore, Memmo Carotenuto, Beatrice Mancini, Emma Baron, Aldo Bufi Landi, Carlo Delle Piane, Anita Durante, Turi Pandolfini, Linda Sini, Euge¬ nio Caladini, Renato Tontini, Paolo Pannelli, Armando Annuale, Tiziana Delfi, Rodolfo Lodi, Floriana Nucci; Durata: 88’. Produzione realizzata negli Studi Scalerà. LA STORIA: Enrico Toti è un giovane irrequieto, che non riesce a mantenere a lungo un posto di lavoro. Esortato dalla sua ragazza trova un posto alle ferrovie dove, per salvare un ladruncolo, cade in malo modo e deve subire l’amputazione di una gamba. Enrico per non essere di peso alla sua ragazza si allontana da lei e allo scoppio della prima guerra mondiale tenta di arruolarsi. A causa del suo stato la domanda viene respinta, ma in seguito all’intervento del Duca d’Aosta viene fi¬ nalmente accettato. Come ex bersagliere ciclista gli viene affidato l’incarico di postino al fronte. Durante un violento attacco nemico, benché ferito, Toti, conti¬ nua a far fuoco con la mitragliatrice finché, finite le munizioni, sale sulla trincea e scaglia la sua stampella verso il nemico. Colpito a morte, cade con il sorriso sulle labbra. LA CRITICA: «È un lavoro modesto. Le scene, nelle quali abbonda la retorica, riescono generalmente poco interessanti. La parte migliore è costituita da pezzi di repertorio, del resto già sfruttati. La caratterizzazione dei personaggi è manchevo¬ le, semplicistica la regia, dilettantesca la recitazione, scadente la fotografia». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXVII, Centro Cattolico Cine¬ matografico, Roma 1955, p. 147).

LA GRANDE GUERRA

di Mario Monicelli Anno di edizione: 1959 Produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica - Gray Film; Produttore: Dino De Laurentiis; Direttore di produzione: Alfredo De Laurentiis, Giorgio Adriani; Soggetto: Age e Scarpelli, Luciano Vincenzoni, Mario Monicelli; Sceneggiatura: Age e Scarpelli, Luciano Vincenzoni, Mario Monicelli; Aiuto-regia: Mario Maffei; Dialoghi: Age e Scarpelli; Fotografia: Giuseppe Rotunno, Roberto Gerardi, Leonida Barboni; Suono: Roy Mangano; Montaggio: Adriana Novelli; Scenogra¬ fia: Mario Garbuglia; Costumi: Danilo Donati; Musica: Nino Rota: Interpreti: Al-

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berto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Folco Lulli, Bernard Blier, Ro¬ molo Valli, Livio Lorenzon, Nicola Arigliano, Tiberio Murgia, Mario Valdemarin, Achille Compagnoni, Geronimo Meynier, Vittorio Sanipoli, Carlo D’Angelo, Fer¬ ruccio Amendola, Marcello Giorda, Elsa Vazzoler, Guido Celano, Gerard Herter, Luigi Fainelli, Tiberio Mitri, Mario Feliciani, Mario Mazza, Mario Colli, Gianni Baghino, Mario Frera, Gian Luigi Polidoro, Leandro Punturi, Edda Ferronao; Du¬ rata: 129’. Produzione realizzata in esterni in provincia di Udine: a Gemona del Friuli, a Venzone, a Sella Sant’Agnese e nei pressi di Roma. Vincitore del Leone d’Oro (ex aequo con il film II generale della Rovere di Roberto Rossellini) alla XX Mostra Intemazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nel 1959. Vincitore di due Nastri d’Argento nel 1960 per la migliore scenografia, a Mario Garbuglia, e per il migliore attore, ad Alberto Sordi. Vincitore di tre David di Donatello nel¬ la stagione 1959-60, per la migliore produzione a Dino De Laurentiis (ex aequo con Moris Ergas per II generale Della Rovere, e per il migliore attore ad Alberto Sordi, ex aequo con Vittorio Gassman. LA STORIA: Durante la prima guerra mondiale due soldati, un romano e un mi¬ lanese, diversissimi tra loro, anche se entrambi impagabili scansafatiche e vigliac¬ chi, si ritroveranno accomunati da un fatale destino. Sbattuti al fronte, in mezzo ad una guerra che non capiscono, faranno il possibile per starsene al di fuori, cer¬ cando tutti quei servizi nelle retrovie che evitino loro la prima linea. Ma il desti¬ no, decisamente avverso, costmirà una tragica vicenda che farà loro affrontare eroicamente e stoicamente, nonostante la paura, il plotone d’esecuzione austriaco, anonimi eroi di una guerra spietata. LA CRITICA: «Più formativo e “utile” di II generale Della Rovere o di Sonatas, per non dire di Stalingrado, risulta La grande guerra: un’“utilità” che va in¬ tesa proprio nell’accezione da Amidei sottolineata a Venezia, legata all’esigenza e al dovere morale di rimuovere quelle pietre con le quali si cerca di nascondere le pagine “proibite” della nostra storia e per fare conoscere ai giovani anche quei “vermi” che esse pietre nascondono e nutrono. Monicelli, che non possiede il ta¬ lento artistico di Rossellini, nell’ambito delle risorse e del “tono” di I soliti igno¬ ti e sull’esempio del Lean di II ponte sul fiume Kwai, ha costruito un grosso film spettacolare con alcune idee dentro, volte appunto a rimuovere luoghi comuni e miti di una retorica dannunziana e ufficiale, il concetto astratto di patria. E inte¬ ressante notare come anche qui i protagonisti siano due campioni dell’“arte di ar¬ rangiarsi” (Monicelli, del resto, è l’autore di Un eroe dei nostri tempi), come anch’essi vengano fucilati. L’idea di partenza è il Maupassant di Due amici: Morissot - orologiaio di condizione e pantofolaio d’occasione - e il merciaiolo Sauvage sono due pescatori fanatici; usciti con un salvacondotto dagli avamposti della Pa¬ rigi “assediata, affamata e rantolante” per andare sul fiume a prendere ghiozzi, vengono sorpresi e scambiati per spie dai prussiani, i quali pretendono da loro la parola d’ordine per entrare nella città. In seguito al loro silenzio Morissot e Sau¬ vage vengono fucilati. I due personaggi di Maupassant, che pure muoiono in un mutismo dignitoso (il che non esclude poco prima dell’esecuzione, il pianto e la paura della morte), non potrebbero, anche volendo, tradire: non conoscono quanto loro si chiede. La situazione si presenta meno chiara nell’Oreste e nel Giovanni di Monicelli: certo, comunque, anche in questa ambiguità la fine dei protagonisti è

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conseguente alla loro natura, ed esclude la pretesa di un presunto patriottismo ad ogni costo. È evidente in Monicelli il ricordo del Chaplin di Charlot soldato, e non soltanto per certe “gags” e alcuni aspetti della vita in trincea che a quel film si rifanno, ma anche per i significati che l’opera vorrebbe assumere e in parte as¬ sume. D’altra parte, nel suo intento a spezzettare l’episodio, a fare la novella, il quadretto, in lui l’aneddoto diventa meno singolare e caratteristico che in Maupassant (e in Chaplin); ed egli cade, quando a esempio ci presenta quella che Tu¬ rati avrebbe chiamato una “salariata dell’amore”, nel luogo comune della narrati¬ va d’appendice». (Guido Aristarco, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 141, sett./ott. 1959, pp. 425-426).

LA CONTESSA AZZURRA di Claudio Gora Anno di edizione: 1960 Produzione: Partenope Film; Produttore-, Alberto de’ Rossi; Direttore di produ¬ zione: Orazio Tassara; Soggetto: Alberto De’ Rossi; Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Claudio Gora, Luigi Bazzoni; Aiuto-regia: Camillo Bazzoni; Fotogra¬ fia: Gabor Pogany; Suono: Vittorio Trentino, Renato Cadueri; Montaggio: Eraldo Da Roma; Scenografia: Aldo Tomassini Barbarossa; Arredamento: Ferdinando Ruffo; Costumi: Piero Tosi; Musica: Gino Negri; Coreografia: Boris Kniasteff; Interpreti: Amedeo Nazzari, Elly Davis, Zsa Zsa Gabor, Paolo Stoppa, Irene Tunc, Franca Marzi, Mario Passante, Pastor Serrador, Angela Luce, Nicla Di Bruno, Ugo D’Alessio, Roberto Camardiel, Rosita Di Vera Cruz, Carlo Giuffré, Tina Castigliana, James Komachs, Salvatore Cafiero, Gianfranco Cobianchi, Ma¬ rio Frera, Rina Mascetti, Vera Nandi, Carlo Pisacane, Bruno Corelli, Enzo Don¬ zelli, Tom Felleghi, Gianna Giachetti, Eugenio Maggi, Graziella Marina, Nino Nini, Antonio Spelta, Lia Thomas, Gianni Tuzzi; Durata: 105’. LA STORIA: Un’anziana attrice del cinema muto ridotta in povertà è costretta a lasciare la sua casa di Napoli, piena di ricordi, per l’ospizio. Nel lasciare l’appar¬ tamento rievoca il suo passato di attrice e di donna, dal suo esordio nel café-chan¬ tant fino al successo nel cinema, con il film La Contessa Azzurra, grazie all’aiuto di un regista che poi diventerà suo marito. Il carattere estroverso ed esuberante di lui farà nascere fra i due incomprensioni che sfoceranno nella separazione, una se¬ parazione dettata più dall’orgoglio che da ragioni affettive. Lo scoppio della pri¬ ma guerra mondiale accrescerà ulteriormente il distacco fra i due, ma sarà anche motivo per ritrovarsi ed occasione per fare progetti per il futuro. Ma il destino della giovane coppia, finalmente riunita, è nelle mani di un cecchino austriaco che metterà la parola fine alla vita del regista, ora capitano dell’esercito italiano. Da quel momento la vita della donna cambierà, sempre più chiusa nel ricordo del suo primo film, che le aveva dato notorietà, successo e il grande amore della sua vita. LA CRITICA: «Cinema nel cinema. E Napoli come cornice. La contessa azzur¬ ra, che Gora dirige con finezza (si capisce che ha visto II silenzio è d’oro di Clair e French Can-can di Renoir) è una rievocazione della “Belle époque” movimen-

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tata da dive del café-chantant e primi “artisti” dello schermo. Se il materiale è oleografico, il racconto ha ironia quanto basta per trasformarsi nella garbata inter¬ pretazione di un’epoca. Senza aspirare al confronto con Chevalier, Nazzari cesella una bonaria frivolezza non priva di note umane e d’una vena di malinconia. Egli impersona un regista-impresario bellimbusto che, dopo aver finalmente capito quanto gli vuole bene una ragazza da lui trasformata in attrice, va a morire mentre porta i suoi spettacoli tra le truppe al fronte». (Piero Pruzzo, Enrico Lancia, Ame¬ deo Nazzari, Roma, Gremese, 1983, p. 160).

IL PIAVE MORMORÒ

di Guido Guerrasio, Vico D’Incerti Anno di edizione: 1964 Produzione: Federiz; Produttore: Angelo Rizzoli; Direttore di produzione: Mario Basili; Sceneggiatura: Vico D’Incerti, Guido Guerrasio; Commento: tratto da testi di Corrado Alvaro, Giovanni Comisso, Curzio Malaparte, Armando Diaz, Ame¬ deo Tosti, Alfredo Panzini, Umberto Saba, Piero Jahier, Gianni Stuparich, Giu¬ seppe Ungaretti, Mario Mariani, Vittorio Locchi, Manlio Lupinacci, Scipio Slataper; scelti da Vico D’Incerti, Guido Guerrasiio; Voce narrante: Nando Gazzolo; Suono: Fausto Ancillai, Vittorio De Sisti; Montaggio: Mimi Ferrari; Effetti sono¬ ri: Tonino Caciuottolo; Musica: Angelo Francesco Lavagnino e brani di canzoni d’epoca; Durata: 98’. LA STORIA: Il documentario inizia con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 e prosegue presentando i fatti più salienti della guerra, dalle varie battaglie dell’Adamello, del San Michele, della presa di Gorizia, ecc., fino alla disfatta di Caporetto, alla estrema difesa sul Piave e alla vittoria finale. LA CRITICA: «A forza di pubblicare servizi rievocativi e patriottici sui suoi set¬ timanali a rotocalco, Rizzoli s’è convinto a trasformarli in fdm. Ovviamente, la “prospettiva” non muta: i nostri padri andarono al Piave cantando, cantando sof¬ frirono il freddo e la fame, le ferite e la morte. I loro ufficiali e i loro generali erano i migliori del mondo: nessun dissidio, nessuna speculazione, nessun folle massacro, nessuna repressione. Il film “grande guerra” (e su Caporetto, in parti¬ colare) resta ancora da fare. Qui, molto materiale eccellente e impressionante è stato soltanto sciupato, come sciupati sono gli sforzi tecnici per trasferire la ca¬ denza di 16 fotogrammi al secondo a quella di 24. Siamo ancora nel paese ove una canzone come Gorizia, tu sia maledetta provoca ire e guai a non finire». (Anonimo, Film usciti, in «Cinema Nuovo», n. 169, magg./giu. 1964, pp. 221-

222). OSSERVAZIONI: Si tratta di un film di montaggio utilizzante documentari d’e¬ poca accompagnati da una selezione di canti e canzoni quali, «Ta Pum», «Inno a Oberdan», «La canzone del Piave», «Il testamento del capitano», «Di qua di là dal Piave», ecc.

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LA RAGAZZA E IL GENERALE

di Pasquale Festa Campanile Anno di edizione: 1967 Produzione: Compagnia Cinematografica Champion - Les Films Concordia; Pro¬ duttore: Carlo Ponti, Luciano Perugia; Direttore di produzione: Mario De Biase; Soggetto: Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile; Sceneggiatura: Luigi Malerba, Pasquale Festa Campanile; Aiuto-regia: Elvira D’Amico; Fotografia: Ennio Guamieri; Suono: Vittorio Massi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Sceno¬ grafia: Luciano Spadoni; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Canzoni: Morricone & Bardotti; Interpreti: Rod Steiger, Vima Lisi, Umberto Orsini, Marco Mariani, Jacques Herlin, Toni Gaggia, Valentino Macchi; Durata: 103’. Produzione realizzata in esterni nel Friuli e negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Durante la prima guerra mondiale due soldati italiani catturano un generale austriaco nei pressi del confine con FAustria. I due vorrebbero trarre profitto dall’episodio, ma non trovandosi d’accordo su come agire, i due litigano e uno abbandona il gioco. Il posto del rinunciatario viene preso da una contadina del luogo che vede nel premio per la cattura un’attrattiva ben maggiore del pa¬ triottismo. La ragazza, apparentemente debole, si dimostrerà all’altezza del ruolo che si è prefissa; terrà testa alle avances del soldato italiano, non nascondendo la sua attrazione per il maturo e raffinato generale, anche se alla fine sarà il giovane ad avere la meglio e il premio sfumerà per lo scoppio di una mina. LA CRITICA: «Continua instancabile l’attività del nostro ex-sceneggiatore di successo. Lo spunto era suscettibile di considerazioni non marginali: sullo sfondo di Caporetto, un generale austriaco è fatto prigioniero da un militare italiano e da una ragazza; la speranza di riscuotere un premio termina tragicamente su una mi¬ na. Ma il tutto si stempera ancora una volta in un facile gioco la cui più sicura co¬ stante risiede nell’evitare la fatica, o il pericolo, d’un discorso serio in una qual¬ siasi direzione». (Anonimo, Film usciti, in «Cinema Nuovo», n. 190, nov./dic. 1967, p. 458).

FRAULEIN DOKTOR

di Alberto Lattuada Anno di edizione: 1968 Produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica - Avaia Film; Produttore: Dino De Laurentiis; Direttore di produzione: Bianca Lattuada, Aleksandr Rustie; Sog¬ getto: Vittoriano Petrilli; Sceneggiatura: Vittoriano Petrilli, Alberto Lattuada, Duilio Coletti, Stanley Mann, H.A.L. Craig; Regia 2a unità: Leopoldo Savona; Aiuto-regia: Guglielmo Ambrosi, Dusan Dimitrijevic, Dorde Vujovic; Fotografia: Luigi Kuveiller; Suono: Dragan Grozdanovic; Montaggio: Nino Baragli; Sceno¬ grafia: Mario Chiari; Arredamento: Enzo Eusepi; Costumi: Maria De Matteis,

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Fermamela Gattinoni; Effetti speciali: Dusan Piros, Dusan Ziwkeevic; Effetti so¬ nori: Renato Marinelli; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Ni¬ colai; Interpreti: Suzy Rendali, Kenneth More, James Booth, Capucine, Alexan¬ der Rnox, Nigel Green, Roberto Bisacco, Giancarlo Giannini, Mario Novelli, Malcom Ingram, Kenneth Poitevin, Bernard De Vries, Ralph Nossek, Michael Elphick, Olivera Vuco, Andreina Paul, Silvia Monti, Virginia Bell, Colin Tapley, Gerard Herter, Walter Williams, John Atkinson, James E. Mishler, Dusan Bulaic, Miki Mikovic, Dusan Djuric, Neale Stainton, John Webb, Joan Greary, Aca Stojkovic, Mavid Popovic, Janez Vrhovec, Zoran Longinovic, Kenneth Benda; Dura¬ ta: 104’. Produzione realizzata in esterni in Jugoslavia e negli Studi De Laurentiis. LA STORIA: Durante la prima guerra mondiale tre spie tedesche vengono sbar¬ cate da un sottomarino sulle coste della Scozia: due vengono catturate, la terza, una donna, riesce a fuggire. La spia, chiamata Fraulein Doktor, riuscirà ad impa¬ dronirsi di diversi segreti militari che metteranno in difficoltà gli eserciti anglofrancesi, riuscendo sempre a farla franca. Quando però l’alto comando tedesco de¬ cide di sbarazzarsi della donna, divenuta morfinomane e quindi non più affidabile, un fìnto funerale la farà sparire nell’anonimato, mentre i gas, lanciati dai tedeschi, fanno scempio di soldati francesi. LA CRITICA: «Non è lecito sperare di poter compiere un discorso serio all’in¬ terno di un modo di fare film ampiamente compromesso in senso commerciale. La scelta di base, in Fraulein Doktor, è secondo la linea di Quella sporca dozzina e prodotti del genere: le azioni di spionaggio, i giochi d’astuzia, le audaci e quasi impossibili azioni di “commandos” hanno ancora una presa sul pubblico, specie se condotte con l’accorto mestiere che ormai non è solo di Aldrich ma anche, ap¬ punto, di Lattuada che raggiunge così “un livello intemazionale”. Le intenzioni erano poi quelle di collocare “umanamente e storicamente” le vicende: ecco allo¬ ra alcuni accenni sul tragico destino di questa donna che sacrifica alla patria il suo desiderio di rapporti umani affettuosi e sinceri, prestandosi a un lavoro sporco e umiliante, visto come “male necessario” dagli stessi superiori e che spinge all’u¬ so della morfina come patetico strumento di autodifesa. Quando infine la speranza di un sentimento autentico d’amore sembra farsi strada, la fatalità provvede a di¬ sperderla. Una “fatalità storica”, si potrebbe dire: ed ecco quindi introdotta, nel finale, la lunghissima sequenza di quelli che poi furono gli effetti, o insomma del quadro in cui si collocava tanto coraggio e sacrificio. I tedeschi lanciano i gas lungo la martoriata linea del fronte, terrore e morte e desolazione invadono il campo francese». (Anonimo, Miscellanea, in «Cinema Nuovo», n. 198, mar./apr. 1969, p. 137).

UOMINI CONTRO

di Francesco Rosi Anno di edizione: 1970 Produzione: Prima Cinematografica - Jadran Film; Produttore: Francesco Rosi,

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Luciano Perugia; Direttore di produzione: Carlo Lastricati, Donko Buljan; Sog¬ getto: dal romanzo «Un anno sull’altipiano» di Emilio Lussu; Sceneggiatura: To¬ nino Guerra, Raffaele La Capria, Francesco Rosi; Aiuto-regia: Marco Guamaschelli, Svetislav Pavlovic; Fotografia: Pasqualino De Santis; Suono: Vittorio Massi, Erik Molnar; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Scenografia: Andrea Cri¬ santi; Costruzioni: Tihomir Piletic; Arredamento: Ezio Di Monte; Costumi: Fran¬ co Carretti, Gabriella Pescucci; Consulenza militare: Nino Ferrerò; Effetti specia¬ li: Smojver Zdravko; Musica: Piero Piccioni; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Gian Maria Volonté, Mark Frechette, Alain Cuny, Giampiero Albertini, Pier Paolo Capponi, Franco Graziosi, Mario Feliciani, Alberto Mastino, Brunetto Del Vita, Luigi Pignatelli, Nino Vingelli, Smojver Zdravko, Antonio Pavan, Emilio Bonucci, Francesco Acampora, Spartaco Conversi, Maurizio Mastino, Daria Nicolodi, Mario Pischiutta, Gianni Pulone, Franca Sciutto; Durata: 101’. Produzione realizzata in esterni in Jugoslavia. Presentato alla XXXI Mostra Inter¬ nazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1970.

LA STORIA: Durante la prima guerra mondiale il generale Leone, uomo infles¬ sibile, sempre in prima linea, è convinto che la gloria si conquisti sul campo di battaglia e non comprende chi, più che alla gloria, tiene alla vita, scambiando questo atteggiamento come un atto di vigliacchieria. Il generale trasmette gli ordi¬ ni più assurdi e crudeli e, in nome di una disciplina insensata, ordina di fucilare gli insubordinati. Sulla sua stessa linea è un suo maggiore che ordina la decima¬ zione di un plotone di alpini che gli ha disubbidito di fronte al nemico. Diversi da loro sono il tenente Ottolenghi, di indole anarchica, che si ribella agli ordini as¬ surdi del generale e invita i suoi soldati a sparargli addosso, ma che finirà in mo¬ do glorioso sul campo (concludendo la sua vita in un modo diametralmente oppo¬ sto alle sue idee) e il tenente Sassu che, da ardente interventista, maturerà la sua coscienza finendo per odiare la guerra e le sue atrocità e si rifiuterà di comandare un plotone di esecuzione. Finirà a sua volta passato per le armi per non avere im¬ pedito ai suoi soldati di sparare sul maggiore fanatico. LA CRITICA: «Uomini contro è un film di buon mestiere, con accenti di doloro¬ sa verità, che aiuta ad acquistare coscienza, di fronte agli ordini ingiusti, del dirit¬ to a dire no. Tuttavia non è un film che lasci una traccia memorabile nel cinema di guerra o nella polemica sul primo conflitto mondiale. Impegnandosi nel rie¬ cheggiare con il realismo delle immagini il filone di studi (Silvestri, ForcellaMonticone, Melograni, Isnenghi) che da qualche tempo si adopera per dissacrare i valori consegnatici dalla più retorica tradizione patriottica, il film non sa bene ri¬ salire dal giudizio su quel particolare conflitto, riassunto nel totale disprezzo per le alte gerarchie militari, a una condanna dell’idea universale della guerra o a un grido di rivolta contro la Storia, divoratrice d’uomini. Perché non vi riesca è com¬ prensibile. Innanzi tutto il nostro Rosi non rifiuta per nulla la violenza: se viene dal basso la giudica sacra: se ai suoi occhi Leone è il prodotto di una cultura schi¬ zofrenica, probabilmente il generale Giap, nel contesto vietnamita, gli sembra un eroe. E poi la prima guerra mondiale fu un atto molto più complesso di quanto non appaia da un film che ne suggerisce una spiegazione piuttosto sommaria e parziale. Ebbe numerosi contestatori, ma fu guaerra di popolo; fu, nella prospetti¬ va della politica delle nazionalità maturata durante tutto l’Ottocento, guerra di li-

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berazione, voluta anche dai socialisti e dai sindacalisti. Sorvolando sulle ragioni storico-politiche che la determinarono [...] e riversando tutte le colpe sui generali [...] Rosi compie un’operazione irrazionale la quale gli si rivolta contro quando vuole, recuperando la logica, e sposandola all’umanitarismo, indurci allo sdegno per l’assurdità di spingere gli uomini a uccidersi fra loro». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 1 sett. 1970)

LA SCIANTOSA di Alfredo Giannetti Anno di edizione: 1971 Produzione: RAI-TV - Garden Televisiva Cinematografica - Excelsior 151/2; Produttore: Giovanni Bertolucci, Silvia D’Amico Bendicò; Direttore di produzio¬ ne: Mario Cotone; Soggetto: Alfredo Giannetti; Sceneggiatura: Alfredo Giannet¬ ti; Aiuto-regia: Gabriele Polverosi; Fotografia: Leonida Barboni; Suono: Mario Dallimonti; Montaggio: Renato Cinquini; Scenografia: Francesco Bronzi; Costu¬ mi: Maria Baronj; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Anna Magnani, Massimo Ranieri, Rosita Pisano, Nico Pepe, Mario Molli, Peppino Mangione, Renato Romano, Carlo Dori, Francesco D’Amato, Ni¬ no Drago, Benito Artesi, Vittorio Fantoni, Luigi Barbini, Ennio Peres, Roberto Della Casa, Antonio Puddu, Franca Haas, Nino Formicola, Luigi Uzzo, Luigi Morra, Gianfranco Barra, Sergio Valentini; Durata: 108’. LA STORIA: Durante la prima guerra mondiale, Flora, una diva di café chantant, ormai avanti negli anni, accetta l’ingaggio per fare un concerto per le truppe al fronte. Appena si affaccia al palcoscenico per cantare si accorge che i militari in sala sono tutti soldati feriti e si commuove e, attraverso il suo canto, trasmette la sua commozione al pubblico che l’ascolta. Un bombardamento interrompe lo spettacolo e tutti cercano scampo in un fuggi fuggi generale. Flora, nel tentativo di proteggere un giovane soldato dell’orchestra facendogli scudo col proprio cor¬ po, viene falciata dalla mitragliatrice di un aereo austriaco. LA CRITICA: «Il mosaico che ci restituisce il suo volto completo, l’ampio corso della sua umanità [...] ha avuto non soltanto il sapore di un omaggio doveroso alla più grande solitaria attrice del nostro tempo, ma ha costituito per decine di milio¬ ni di spettatori un impatto senza precedenti con un volto femminile significante della società italiana. Era stata molte volte, nelle riviste e nei film, la “scianto¬ sa”, la cantante di varietà, che non arriva mai al successo. Nell’episodio televisi¬ vo, Flora Bertuccelli è una “diva” del café chantant al declino, che aspetta sem¬ pre il giorno del suo trionfale ritorno sulle scene. Quando accetta di fare uno spet¬ tacolo per i soldati al fronte, invece di un grosso pubblico plaudente, si trova di fronte ad una platea di feriti». (Matilde Hochkofer, Anna Magnani, Roma, Gremese, 1984, pp. 138-140). OSSERVAZIONI: Il film fu realizzato per la televisione e faceva parte della serie «Tre donne». Fu girato su pellicola e non su nastro magnetico, questo fa pensare che l’intenzione dei produttori fosse quella di distribuirlo anche nelle sale, come è

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avvenuto l’anno successivo per 1870, sempre di Giannetti, che usci nelle sale con il titolo ... Correva l’anno di grazia 1870. Gli altri due episodi della serie erano: 1943: un incontro e L’automobile.

IL SERGENTE KLEMS di Sergio Grieco Anno di edizione: 1971 Produzione: Julia Film; Produttore: Francesco Mazzei; Direttore di produzio¬ ne: Raniero Di Giovanbattista; Soggetto: dal romanzo omonimo di Paolo Zappa; Sceneggiatura: Bruno Di Geronimo, Sergio Grieco, Francesco Mazzei; Aiuto-re¬ gia: Massimo Carocci; Fotografia: Stelvio Massi; Suono: Gianni Zampagni; Mon¬ taggio: Agnese Putignani; Scenografia: Giovanni Fratalocchi; Arredamento: Da¬ rio Micheli, Elena Ricci; Costumi: Mario Giorsi; Musica: Carlo Rustichelli; Dire¬ zione musicale: Alessandro Blonksteiner; Interpreti: Peter Strauss, Tina Aumont, Howard Ross [Renato Rossini], Massimo Serato, Pier Paolo Capponi, Franco Ressel, Rossella Como, Dada Gallotti, Giuseppe Castellano, Calisto Calisti, Mas¬ simo Righi, Peter Berling, Pasquale Basile, Raffaele Carli, Francesco D’Adda, Luciana Paoluzzi, Raffaele Curi, Consalvo Dell’Arti; Durata: 125’. LA STORIA: Nel 1918, durante la prima guerra mondiale, al termine della batta¬ glia dell’Artois, un giovane ufficiale tedesco sfuggito alla carneficina scambia la sua divisa con quella di un soldato francese morto. Fatto prigioniero e ritenuto una spia, viene condannato a morte, ma un ex legionario lo salva. Spedito in Ma¬ rocco nella Legione Straniera, ben presto diserta, insofferente della ferrea discipli¬ na della Legione. Catturato dai ribelli marocchini, viene salvato da morte certa grazie all’intervento di Ahmed, suo ex attendente, che aveva aiutato a fuggire dal¬ la Legione. Grazie alla sua esperienza militare, Klems si conquista la fiducia del¬ l’emiro Abd El-Knm, che lo nomina «cadì», e sconfigge gli spagnoli. Ma questi ultimi, con l’aiuto della Francia, ben presto mutano la sorte dei ribelli e, sconfitto El-Knm, Klems viene fatto prigioniero. La condanna a morte per avere disertato dalla Legione viene commutata in ergastolo e Klems viene spedito nella Guiana dove, dopo qualche anno, muore di cancrena. LA CRITICA: «Personaggi e vicende storici, e ideali di indipendenza vengono depauperati dalla preferenza data alle convenzioni e ai cattivanti richiami del ge¬ nere avventuroso, resi oltretutto mediocremente. Anche se rozzamente delineate, le figure dell’emiro indipendentista e del legionario sensibile alle apirazioni e ai diritti dei popoli colonizzati, sono positive». (Anonimo, Segnalazioni cinemato¬ grafiche, voi. LXXII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1972, p. 127).

LA PICCOLA VEDETTA LOMBARDA di Romano Scavolini (episodio del film Cuore)

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Anno di edizione: 1973 Produzione: Lido Cinematografica; Produttore: Armando Bertuccioli; Direttore di produzione: Antonio Columbo; Soggetto: dal romanzo «Cuore» di Edmondo De Amicis; Sceneggiatura: Romano Scavolini; Fotografia: Romano Scavolini; Suono: Sergio Basili; Montaggio: Francesco Bertuccioli; Scenografia: Emiliano Tolve; Costumi: Emiliano Tolve; Maestro d’armi: Giulio Molinari; Effetti specia¬ li: Erasmo Baciucchi; Musica: Carlo Savina; Interpreti: Renato Cestié, Domenico Santoro, Duilio Cruciani, Guerrino Casamonica, Davide Mastrogiovanni, Maria Cumani Quasimodo, Alessandra Sepe, Bruno Boschetti, Carla Mancini; Durata: 80’. LA STORIA: Arriva a S. Basilio - mentre si combatte la prima guerra mondiale - una formazione sbandata di cavalleggieri italiani. Nel paese disabitato trovano solo un giovane pastore che, salito sul campanile, trasmette notizie del fronte ai soldati. Ma, colpito, vuole ancora rendersi utile; muore precipitando. LA CRITICA: «Con schemi e sensibilità ottocentesca il film è tutto ispirato dalla buona volontà di ritrovare nella recente storia alcuni valori umanitari e patriottici. Ma alla intenzione non corrisponde la buona volontà dello spettacolo: mal raccon¬ tato, poco credibile e talora ingenuo». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. LXXVH, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1974, p. 55). OSSERVAZIONI: «La piccola vedetta lombarda», che contrariamente al racconto di De Amicis è ambientato nella prima guerra mondiale, è uno dei quattro episodi del film Cuore. Il film, di distribuzione regionale, ebbe una circolazione limitata sul territorio nazionale. I dati sopra riportati, come pure le succinte osservazioni critiche, sono tratti da: Segnalazioni cinematografiche, voi. LXXVII, Centro Cat¬ tolico Cinematografico, Roma 1974, integrate da: Everardo Artico, Gli anni del cinema italiano. Cast & credit. 1933, 1943, 1953, 1963, 1973, Marsilio, Venezia 1993. Il film illustra, attaulizzandoli, quattro episodi del libro di De Amicis: «Sangue romagnolo», «Il tamburino sardo», «La piccola vedetta lombarda» e «L’infermiere di Tata», trasportandoli a tempi diversi dal contesto per cui erano stati scritti.

PORCA VACCA di Pasquale Festa Campanile Anno di edizione: 1982 Produzione: Faso Film; Produttore: Achille Manzotti; Direttore di produzio¬ ne: Angelo Zamella; Soggetto: Marcello Coscia, Pasquale Festa Campanile; Sce¬ neggiatura: Massimo De Rita; Aiuto-regia: Maria Pia Rocco; Fotografia: Alfio Contini; Suono: Benito Alchimede; Montaggio: Amedeo Salfa; Scenografia: Mas¬ simo De Rita; Arredamento: Gualtiero Caprara; Costumi: Luca Sabatelli, Ugo Pe¬ ricoli; Consulenza militare: Rocco Lerro; Musica: Riz Ortolani; Interpreti: Renato Pozzetto, Laura Antonelli, Aldo Maccione, Raymond Bussières, Consuelo Ferra-

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ra, Antonio Marsina, Antonio Orlando, Gino Pernice, Enzo Robutti, Adriana Rus¬ so, Edoardo Sala, Massimo Sarchielli, Toni Ucci, Raymond Péllegrin, Duo di Piadena, Ernesto Colli, Dino Cassio, Roberto Ceccacci, Giuliano Manenti, Mauri¬ zio Francisci, Corrado Olmi, Paolo Fiorino, Lucio Salis, Antonio Pollio, Maurizio Mattioli, Maria Novella Ercelli, Rita Della Torre, Luciano D’Antoni, Dino Censki, Ennio Antonelli, Antonio Viespoli; Durata: 113’. LA STORIA: Inviato al fronte durante la Grande Guerra, il cantante Barbasini, nonostante tutti gli stratagemmi tentati per farsi riformare, si trova coinvolto, nel¬ le immediate vicinanze del fronte, negli imbrogli di due contadini, Tomo Secondo e Marianna, maestri nell’arte di arrangiarsi. Innamorato della bella Marianna, che non esita a sfruttare il sentimento dell’incauto soldato, finirà per rendersi conto della crudezza della guerra proprio da un atto eroico della giovane contadina. LA CRITICA: «Il film è costruito attorno a due personaggi, uno dei quali (Poz¬ zetto) scorazza in lungo e in largo esibendosi nel suo consueto repertorio di gags e finte ingenuità. Il regista ha messo insieme, sullo sfondo della prima guerra mon¬ diale, storie già viste (“Uomini contro”, “La grande guerra”) sfiorando problemi seri ma trattandoli con superficialità. Inoltre l’uso di allusioni, parolacce, situazio¬ ni volgari, rendono inutuile una vicenda debole come struttura narrativa, vissuta in un ambiente estraneo ai protagonisti, con vuoti e ambiguità al limite del boz¬ zettismo». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XCTTT, Centro Cattoli¬ co Cinematografico, Roma 1982, p. 123).

CUORE

di Luigi Comenicini Anno di edizione: 1984 Produzione: RAI DUE - Difilm - Antenne 2 TV France - RTSI; Produttore: Giancarlo di Fonzo; Direttore di produzione: Pier Paolo di Fonzo, Luigi Patrizi; Soggetto: liberamente tratto dal libro «Cuore» di Edmondo De Amicis; Sceneg¬ giatura: Suso Cecchi D’Amico, Cristina Comencini, Luigi Comencini; Collaborazione alla regia: Massimo Patrizi; Aiuto-regia: Maurizio Sciarra; Fotografia: Luigi Kuveiller, Suono: Claudio Maielli; Montaggio: Sergio Buzi; Scenografia: Gianni Sbarra; Arredamento: Raniero Cochetti; Costumi: Paola Comencini; Effetti speciali. Celeste Battistelli; Musica: Manuel De Sica; Interpreti: Johnny Dorelli, Giuliana Desio, Bernard Blier, Laurent Malet, Andrea Ferreol, Valeria D’Obici! Eduardo De Filippo, Federico Belisario, Carlo Calenda, Maurizio Coletta, Gia¬ nluca Galle, Marco Marrone, Ivan Sebastiani, Elio Sonnino, Harry Tagliavini, Emiliano Vinciarelli, Matteo Pellarin, Ferdinando Murolo, Piero Vida, Giuseppe Chierici, Attilio Dottesio, Daniele Giarratana, Carla Monti, Lino Murolo, Antonio Orlando, Ciro Orlando, Paolo Paoloni, Mario Pedone, Tino Petilli, Victor Poletti, Maria Pia Regoli, Renato Scarpa, Renata Zamengo, Mattia Darò, Salvatore Dona¬ to, Daniele Gerlini, Vincenzo Jannuzzi; Durata: 120’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà.

La guerra di Libia e la grande guerra

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LA STORIA: Enrico e Garrone si incontrano dopo tanto tempo in stazione, allo scoppio della prima guerra mondiale. Garrone fa il fuochista alle ferrovie, mentre Enrico, con i gradi di tenente, va a combattere gli austriaci. Al fronte si incontra con altri compagni di scuola e con loro divide le angosce e i pericoli della guerra; qualcuno di loro morirà. Nei pochi momenti di pausa tra un combattimento e l’al¬ tro rievocano i giorni della fanciullezza e i momenti passati sui banchi di scuola con il mestro Perboni. Nell’ultimo anno di guerra Enrico, cambiato nell’animo, toma in licenza a Torino, dove l’incomprensione con i genitori, che non capiscono il suo atteggiamento, anche se mitigata dal vecchio e buon Perboni, lo induce a tornare subito al fronte. LA CRITICA: «Prima c’è stata la sfuriata degli anni Settanta, quando Eco [...] ed Arbasino [...] misero in luce le “debolezze” del cosiddetto “Edmondo de’ languori”. Poi, De Amicis, ha risalito la china, dapprima entrando nei classici Ei¬ naudi, poi con Comencini [...]. Tra tutte queste iniziative, il film girato da Comencini è quella che più di ogni altra ha diffuso il messaggio di “Cuore”, ovvero quel richiamo ai “buoni sentimenti” che è l’esito di un’amarezza personale del¬ l’autore che voleva “vendicarsi” di un certo intellettualismo dell’epoca - afferma Bevilacqua - e mettere in guardia l’Italia umbertina dalla speranza di attendersi sempre una salvezza di tipo consolatorio, o frutto di evasione esotica o pietistica. Del film. Bevilacqua sottolinea “l’eccezionale fotografia di Luigi Kuvellier, la visionaria Paola Comencini (costumi), l’estroso e mobilissimo nelle variazioni Manuel De Sica (musiche) e l’incantante scenografia di Gianni Sbarra”. Tra gli attori un plauso va ai ragazzi e “al maestro Perboni: un Jonny Dorelli la cui mi¬ sura, accoppiata a un ricchissimo registro, ci dà un’interpretazione memorabile”. Diverso il giudizio sulla maestrina dalla penna rossa Giuliana De Sio: “È troppo irrequieta e con una nevrosi scenica, adatta semmai a figurine di opposta psicolo¬ gia”». (Pierluigi Panza, Bevilacqua: «In De Amicis batteva anche un Cuore cini¬ co», in «Corriere della Sera», 27 die. 1996). OSSERVAZIONI: Il film, prodotto per la televisione e suddiviso in sei episodi, è andato in onda su RAI DUE nelle seguenti date: 4, 11, 18, 25 ottobre e 1 e 8 no¬ vembre 1984. Il lungometraggio tratto dalla serie televisiva, ridotto a due ore, è stato distribuito prevalentemente all’estero ed è apparso nelle sale italiane solo sporadicamente.

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m. FASCISMO E ANTIFASCISMO

Se la produzione cinematografica sulla prima guerra mondiale e, prima ancora, sulla guerra di Libia, risulta quantitativamente abbastanza scarsa, non altrettanto si può dire dei film sul fascismo e Vantifascismo. Sono in¬ fatti cinquantotto i film che narrano la nascita del fascismo, la lotta antifa¬ scista prima della guerra (prima della Resistenza vera e propria) e la «no¬ stalgia» del fascismo. Abbiamo voluto, a differenza di altri autori, trattare separatamente i film sulla Resistenza, che in un corpus a sé saranno raccolti nel secondo volume, assieme ai film sulla seconda guerra mondiale. In questo capitolo sono stati raccolti commedie, satire o drammi, am¬ bientati negli anni Venti e Trenta, o anche nel dopoguerra, che affrontano sotto varie angolature il tema della «marcia su Roma», del «consenso», delle rievocazioni «nostalgiche», delle ricostruzioni storiche, della clande¬ stinità, del carcere o della morte degli oppositori al regime. Caratteristica degli anni Cinquanta e Sessanta è, oltre alla nascita del film a episodi, quella del film di montaggio. Inaugura la serie Cavalcata di mezzo secolo, nel 1951, per mano di Carlo Infascelli. Una «cavalcata» che prende le mosse dagli albori del ’900 e, attraverso la scelta di spezzo¬ ni di cinegiornali, ripercorre i principali avvenimenti che hanno caratteriz¬ zato il nostro Paese fino al 1950. Molto approssimativo, superficiale e con un commento più attento alla battuta che ai contenuti storici, il film ri¬ specchia quel clima qualunquistico così diffuso tra il ceto medio italiano in quell’epoca. Di segno totalmente opposto è All’armi siam fascisti che Lino Del Frà, Cecilia Mengini e Lino Micciché realizzano nel 1961, forse T unico film del genere veramente riuscito (anche se il film non ha avuto pieno successo a causa della forte connotazione politica). Avvalendosi dello straordinario commento di Franco Fortini, che mette in risalto l’eccezio¬ nale valore storico delle immagini di repertorio, il film esprime una critica radicale alla politica del fascismo, e va oltre al fascismo storico per giun-

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Capitolo terzo

gere fino alla guerra fredda e alla caduta del governo di destra di Tambroni. Ma c’è ancora il fascismo? / C’é. Ha ritrovato il suo viso di cinquant anni fa, / prima delle Camicie Nere. / Il viso della conservazione / che sul mercato politico offre ancora a buon prezzo / gruppetti provocatori, / perché il poco fascismo visibile / mascheri meglio il molto fascismo invisibile. / Ecco: giu¬ gno 1960, a Genova. / La protesta antifascista della città / che soffrì stragi e deportazioni / ricordò a tutti che al di là delle vane apparenze della libertà formale / c’è il dovere di insorgere contro gli eredi / del delitto fascista. / Ro¬ ma, luglio 1960. A Porta S. Paolo / sono calpestati i parlamentari dell’opposi¬ zione, / i senatori eletti dal popolo, / i deputati rappresentanti della nazione/ che portano fiori ai soldati / caduti per difendere Roma dai tedeschi. / Ecco: a Reggio Emilia, a Palermo, il sangue, la morte dei cittadini. / La vostra co¬ scienza che cosa ha da dire? / Bisogna scegliere, bisogna decidere. Il vostro / destino è solo vostro. Rispondete1.

Privo di retorica, senza infierire gratuitamente sull’avversario, il film demolisce, immagine per immagine, la mistificazione e la demagogia che il fascismo aveva sparso nel Paese in vent’anni di regime. Quasi nulla sfugge all’appassionato vigore dell’operazione revisionistica che accompagna costantemente il film: revisione dei miti nazionalistici, della re¬ torica patriottarda, della complicità e naturale inclinazione al fascismo della classe dirigente italiana. Un discorso che rischierebbe di diventare caotico e dispersivo se non fosse costantemente sorretto da quella forte tensione morale da cui sono animati gli autori2.

Nello stesso anno altri due film di montaggio che utilizzano i materiali dell’Istituto LUCE appaiono nelle sale italiane: Benito Mussolini di Pa¬ squale Prunas e Benito Mussolini: anatomia di un dittatore di Mino Loy. Francamente non si capisce l’utilità di operazioni di questo tipo, anche perché, trattandosi più che altro di operazioni giornalistiche, scarsamente critiche e tese soprattutto a mettere in risalto le espressioni istrioniche del dittatore durante i suoi discorsi rivolti alle folle oceaniche che riempivano fino allo spasimo le piazze d’Italia, quale messaggio gli autori volevano inviare ai giovani? Nel 1962, senza fare tesoro degli errori di questi due film, Francama-

1 F. Fortini, Testo del commento sulle immagini finali del film riferite alle proteste di piazza a Genova (contro il congresso nazionale del MSI), a Roma (contro le azioni in¬ discriminate della Celere nei confronti del corteo di popolo e parlamentari socialisti e co¬ munisti per le celebrazioni della battaglia del 9 settembre 1943 a Porta S. Paolo), a Reg¬ gio Emilia e a Palermo (contro le cruente azioni della Celere che causarono la morte di diversi lavoratori in sciopero contro il governo Tambroni), pubblicato nel volume. Tre testi per film, Milano, Edizioni «Avanti!», 1963, p. 53. 2 V. Attolini, «Cinema Nuovo», n. 164, lug./ago. 1963.

Fascismo e antifascismo

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ria Trapani e Giorgio Albertazzi realizzano L’italiano ha cinquantanni che aumenta gli equivoci e, in certi momenti, non nasconde neanche la sua simpatia per certi «vezzi» del passato regime. Dopo una lunga pausa di dodici anni riappare, nel 1974, il film di montaggio di Nico Naldini, Fascista. Purtroppo anche Naldini si diverte a montare le smorfie di Mussolini riducendo il fascismo a una farsa «e ne esalta gli aspetti più grotteschi, istrionici e spettacolari»3, senza preoccu¬ parsi minimamente di esaminare i documenti filmati con occhio critico e di tentare una qualsiasi risposta storica e politica. Nel 1975, Angelo Grimaldi ritorna al tema con il primo degli unici due film sugli ultimi giorni del fascismo: La Repubblica di Mussolini (R.S.I.). Rigorosa ricostruzione storica della Repubblica di Salò resa attra¬ verso immagini anche inedite, sostenute dal secco ed obiettivo commento di Andrea Barbato, che «restituiscono il totale isolamento del duce e il ne¬ vrotico agitarsi dei suoi complici»4. Il secondo apparirà sugli schermi solo nel 1991 ed è I 600 giorni di Salò, realizzato da Nicola Caracciolo e Emanuele Valerio Marino. Analiz¬ zando materiali inediti dellTstituto LUCE, ma anche filmati tedeschi, gli autori ricostruiscono cronologicamente i 600 anni di vita dell’effimera re¬ pubblica fascista, accostando scene di guerra a scene di vita civile (feste campestri, sfilate di moda, mense popolari, scavi fra le macerie delle case bombardate, il duce ed alti ufficiali che passano in rivista le truppe al fronte, gli asili nido, ecc.) restituendo un affresco freddo e distaccato dell’immane tragedia che si è abbattuta sullTtalia in quegli anni bui della no¬ stra storia. Un altro filone in voga negli anni Cinquanta e Sessanta è stato, come si è detto, quello del film a episodi o collettivo. Appartiene a questo gene¬ re il film Cento anni d’amore che Lionello De Felice realizza nel 1953. L’episodio che ci interessa è Nozze d’oro, tratto da un racconto di Marino Moretti. Un’ottima interpretazione di Rina Morelli e Luigi Almirante, svi¬ lita da un’improbabile storia vissuta da due simpatici e patetici «marzia¬ ni», quali appaiono i vecchietti protagonisti della fantastica vicenda del film, in una Milano degli anni Trenta. Sempre del 1953 è un altro film di questo genere. Amori di mezzo se¬ colo. realizzato a più mani. L’episodio che ci interessa è il quarto della se¬ rie, Dopoguerra 1920 di Mario Chiari. Interpretato da Alberto Sordi nelle vesti di uno squadrista di provincia, ipocrita e gaglioffo, l’episodio si sal¬ va più per la bravura di Sordi che per i contenuti artistici. Un altro film a episodi, anche questo lavorato a più mani, è Cronache del ’22 del 1961. Il film si compone di cinque episodi: Incontro al mare di

3 R. Aristarco, «Cinema Nuovo», n. 233, genn./febb. 1975. 4 F. Bolzoni, «Rivista del Cinematografo», n. 6, giu. 1976.

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Stefano Ubezio, Giorno di paga di Guidarino Guidi, Spedizione punitiva di Moraldo Rossi, La nuova legge di Francesco Cinieri e Lo squadrista di Giuseppe Orlandini. Le cinque storie offrono uno spaccato dei giorni im¬ mediatamente a ridosso della marcia su Roma e vorrebbero mostrare il volto becero degli squadristi, molto spesso opportunisti con scarso senso patriottico; il film però non riesce ad approfondire nessun problema, rima¬ nendo superficiale e affrettato e con scarsi contenuti storico-politici. I lungometraggi che hanno come tema il fascismo, nel senso che sono ambientati in epoca fascista e i personaggi vivono le loro storie in quella società e in quel clima politico - anche con spirito critico, ma senza pren¬ dere alcuna precisa posizione antifascista - sono i più numerosi. Il primo, in ordine cronologico, è Destinazione Piovarolo di Domenico Paolella, del 1955. Il film narra la vita e le disavventure di un povero capostazione at¬ traverso trent’anni di vita italiana, dal 1922 al 1950, sullo sfondo delle vi¬ cende politiche e storiche che hanno segnato il nostro Paese in quel perio¬ do. Pur presentando più di una situazione impostata in modo ironico dal protagonista, il film mantiene quel carattere di verosimiglianza anche nel¬ le situazioni più grottesche create da Totò. Di ben diverso spessore è invece II Corazziere, che Camillo Mastrocinque realizza nel 1961. Anche qui vengono prese in esame la vita e le disavventure di un personaggio qualunque che, nonostante la bassa statu¬ ra, cova in sé il sogno di fare il corazziere. Chandicap non gli impedisce però di combattere tutte le guerre fasciste e di fare perfino la controfigura al re in fuga da Roma. Dovrà invece accontentarsi, a guerra finita, di in¬ dossare la tanto aspirata divisa per girare una pubblicità per la televisone. Satira facilona e superficiale, si concentra più sul personaggio Rascel che sulle motivazioni che sottendono alle sue disavventure. Dello stesso anno è II federale di Luciano Salce, condotto sul filo di facili e a volte scontate battute sul fascismo (e 1’ antifascismo), che molto spesso sconfinano nel qualunquismo più scoperto. Il film offre una splen¬ dida interpretazione di Ugo Tognazzi e Georges Wilson. Adelio Ferrerò, indignato per il modo in cui veniva presentato il fascismo da Salce, dalle pagine di «Cinema Nuovo» tuonava: II film di Salce va segnalato [...] per l’abilità con cui sa propinare al pubblico il suo veleno, distillandolo goccia a goccia nella facilità delle sue scenette e delle sue figurine, facendo leva sugli stimoli più sgradevoli e deteriori del¬ l’antico e sempre giovane qualunquismo nazionale5.

L’anno seguente Luigi Zampa propone Anni ruggenti, in cui il fasci¬ smo rampante viene messo sotto la lente della critica dall’autore di Anni

5 A. Ferrerò, «Cinema Nuovo», n. 155, genn./febb. 1962.

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Difficili e Anni facili. Interpretato con fine umorismo da Nino Manfredi,

cui fanno cornice i bravi Gino Cervi, Salvo Randone e Gastone Moschin, il film prende spunto da II revisore di Gogol, trasportando la vicenda nella Puglia del 1937, in pieno consenso al fascismo. Il film riesce un gradevole esempio di satira politica nonostante si riscontri, qua e là, qualche debo¬ lezza nell’impianto generale. Continuando sullo stesso tono, Dino Risi, nello stesso anno, realizza La marcia su Roma. Malgrado le sguaiataggini e le battutacce di due mo¬ stri sacri come Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, il film risulta divertente e dà un quadro e un giudizio storico non approssimativo dell’Italia del 1922, ma soprattutto è ben lungi da quell’atmosfera qualunquistica che si respirava ne II federale. La marcia su Roma si affida alla formula dell’accoppiata di due ritratti oppo¬ sti e complementari, portata al successo da La grande guerra; tra i due inter¬ preti prevale Tognazzi, che dà vita alla robusta macchietta di un infingardo contadino disposto a ogni ribalderia ma non a lasciarsi turlupinare dalla de¬ magogia mussoliniana6.

Ancora nel 1962 appaiono una commedia e un dramma. La commedia è II mio amico Benito di Giorgio Bianchi, basato su una farsa interpretata da Peppino De Filippo in cui viene messa in rilievo la vita di un travet di provincia che un giorno scopre, da una vecchia fotografia, di essere stato compagno d’armi di Mussolini e decide di sfruttare questa scoperta, rinun¬ ciandovi poi all’ultimo minuto. Il dramma è il film di Carlo Lizzani II processo di Verona. Criticato da destra e da sinistra, come succedeva oramai per tutti i suoi film, Lizzani ci presenta invece una ricostruzione storica condotta con piglio quasi docu¬ mentaristico degli avvenimenti che portarono alla caduta del fascismo, della vita e della fine di Galeazzo Ciano e dei gerarchi che con lui firma¬ rono l’ordine del giorno Grandi nel corso di quella drammatica seduta del Gran Consiglio del fascismo, la notte del 25 luglio 1943. Come era preve¬ dibile la famiglia Mussolini ricorse alla Magistratura per impedire la dif¬ fusione del film perché, a torto, ritenevano che quel «dramma di corte» appartenesse solo alla loro privacy e a nessun altro. Ovviamente sbagliavano, e a proposito di coloro che sostenevano l’i¬ nutilità di porre in pellicola certi fatti, Antonio Savignano così scriveva: Lizzani aveva dunque avuto ragione di mettere mano al suo film [...]: voglio dire a parte ogni suo taglio mentale, a parte ogni modo di vedere le cose, un modo che può trovare amici e nemici, e un pubblico ora consenziente, ora dissenziente, aveva dunque avuto una perentoria ragione come l’ha, e l’avrà,

6 V. Spinazzola, «Ferrania», n. 1, genn. 1967.

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ogni film capace di riproporre alla folla problemi e situazioni che persone ci¬ vili non possono ignorare. Persino, starei per dire, se fosse un modo incom¬ pleto, come è naturale che avvenga in un breve film, o persino un modo sba¬ gliato, per necessità artistiche o per imperfetta conoscenza di dettagli! Allo stato in cui stanno le cose, e in un modo superficiale, e impegnato talvolta unicamente nelle superficialità, è giusto, e augurabile, tutto quanto sia capace di scuotere le coscienze, o illuminare un angolo buio, o almeno suscitare una curiosità o un bisogno di conoscere più e meglio, e rendersi conto. Tutto quanto ci aiuti a pensare, a capire, tutto quanto ci aiuti a non ripetere vecchi errori, a preparare giorni chiari, e puliti, e civili. Da questo punto di vista, credo che il film di Lizzani possa trovare consenzienti ogni uomo cosciente, e persino gli osservatori parziali, purché non siano accecati dalle passioni e dal¬ le fazioni7.

Commedia brillante, tutta tesa a rappresentare un’epoca - gli anni Venti - più che ad addentrarsi nella storia, è il film di Mauro Bolognini Arabella, del 1967. Brava Vinta Lisi, ma il fascismo che fa da sfondo non si sente e non si vede. Una buona ricostruzione degli anni del consenso, dall’Impero all’armi¬ stizio, ci viene offerta dal film di Franco Rossi, Giovinezza, giovinezza, che appare nel 1969. Tratto dal romanzo di Luigi Preti, il film rivive la storia dei ragazzi del GUF di Ferrara ma, nonostante il regista si sia sfor¬ zato di costruire un’opera critica nei confronti del fascismo, non sempre ci riesce, specie nel finale dove sconfina nel sentimentale abbandonandosi alla malinconia del tempo andato. Lo stesso arco di anni preso in esame in Giovinezza, giovinezza, lo troviamo al centro della storia del film di Bernardo Bertolucci II confor¬ mista, realizzato nel 1970 e tratto dal romanzo di Alberto Moravia. Berto¬ lucci, al contrario di Rossi, non ci presenta un’epoca in tono nostalgico, e non offre alcun alibi o simpatia a coloro che hanno vissuto il fascismo dall’interno delle sue organizzazioni, ma «rappresenta soprattutto l’idea che egli si è fatta del fascismo quotidiano, e la analizza, frugando in sè stesso, con uno stile personale in cui la nausea e il sarcasmo [...] sono de¬ cantati da un’eleganza figurativa che cala tutto il racconto in una urna di repellente languore»8. Rimane sempre ambientato in quell’arco di sei, sette anni anche il film di Vittorio De Sica II giardino dei Finzi Contini, anch’esso del 1970, e tratto dal romanzo di Giorgio Bassani. Come per Giovinezza, giovinezza, la storia si svolge a Ferrara e, anche qui, la malinconia del passato, peral¬ tro spesso presente nell’opera di Bassani, e la tristezza di un amore perdu-

7 A. Savignano, La necessità di farlo, in A. Savignano (a cura di), «Il processo di Verona», Dal soggetto al film, collana cinematografica, n. 28, Bologna, Cappelli, 1963, pp. 16-17. 8 G. Grazzini, «Corriere della Sera», 30 genn. 1971.

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to, riassumono «la propria amarezza in una specie di gemito soave, venuto dalla nebbia d’un passato quasi irreale»9. De Sica poi rincara la dose ag¬ giungendo di suo le scene toccanti dei rastrellamenti degli ebrei (specie quelle delle famiglie ebree concentrate e disperse nelle scuole), con con¬ seguente sicura commozione delle platee. Nel 1972 Damiano Damiani realizza Girolimoni. Il mostro di Roma. Si tratta di un fatto di cronaca avvenuto nei primi anni del fascismo: un innocente venne accusato di essere l’autore di stupri e omicidi, accaduti in quegli anni nella capitale, le cui vittime erano bambine. L’uomo venne scarcerato perché riconosciuto innocente, ma la cosa fu passata sotto si¬ lenzio per evitare che l’opinione pubblica ritenesse la polizia fascista inef¬ ficiente. Il film è condotto con tecniche da film poliziesco; l’errore princi¬ pale di Damiani è quello di voler dare una soluzione ad un giallo mai chiarito. Per il resto il film è ricco di riferimenti storici che riescono bene a inquadrare la vicenda del mostro in una Roma ormai privata della libertà di stampa e in balia della dittatura. Nello stesso anno di Girolimoni, Fellini realizza Roma che, come Amarcord nell’anno seguente, è una serie di episodi sul filo dei ricordi dell’autore riminese. I due film possono essere esaminati assieme perché entrambi partono dallo stesso assunto: l’amore di Fellini per le due città più importanti della sua vita. Roma raccoglie fantasie ed episodi reali vis¬ suti da Fellini sulla «città eterna» fin dagli anni Trenta, quando per la pri¬ ma volta ne aveva sentito parlare nel collegio in cui era ospite, e poi via via nei quarantanni successivi. Amarcord invece raccoglie vicende e fan¬ tasie sulla sua città natale, Rimini. La differenza epocale tra i due film è che in Amarcord i ricordi si fermano all’età della giovinezza, cioè alla fi¬ ne degli anni Trenta, mentre in Roma, se dapprima si tratta di fantasie, è dove finisce Amarcord che inizia la vera storia (se di storia si può parlare in questo film onirico) di Roma, facendo dei due film due puntate della vi¬ ta stessa del regista. Sul finire degli anni Venti viene ambientata la storia di un attentato fallito a Mussolini da parte di un anarchico italiano emigrato in Francia. Il fdm, del 1973, è Film d’amore e di anarchia: ovvero stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nostra casa di tolleranza di Lina Wertmuller. Ottima l’interpretazione di Giancarlo Giannini nelle vesti dell’anarchico, ma il film, sicuramente riuscito come film comico nonostante il finale tragico, fallisce nel suo intento satirico, così impegnato com’è sul versante del pit¬ toresco e della caricatura dei caratteri e dei dialetti che la regista ha impo¬ sto ai suoi attori. Paolo Nuzzi, nel 1974, presenta, con II piatto piange, un tentativo di satira sociale ambientata a Luino, presumibilmente negli anni Trenta. Il ri-

9 G. Grazzini, «Corriere della Sera», 5 die. 1970.

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sultató però è ancora una volta quello di presentare un fascismo sbruffone e pagliaccesco, «senza evidenziare mai quali fossero le componenti socioculturali che permisero al regime di presentarsi crudele, e al tempo stesso coreograficamente “italiano” nelle interpretazioni che di esso hanno dato mille fascisti “da osteria”»10. Nel 1976 Dino Risi realizza Telefoni bianchi, una parodia del cinema degli anni Trenta interpretata da Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. Il fdm poteva essere un buon pretesto per indagare quel periodo dal punto di vi¬ sta del costume e di un mondo, quello del cinema, per certi versi mitico (e non solo in Italia); purtroppo così non è stato e il tutto si risolve in una sa¬ tira, spesso superficiale, di cose già viste. Poco più di dieci anni dopo, nel 1987, Giuliano Montaldo realizza Gli occhiali d’oro, un dramma ferrarese, tratto anche questa volta da un ro¬ manzo di Giorgio Bassani. Centrato su un caso umano, il film affronta, nel clima di prevaricazione imposto dal regime fascista, il problema degli ebrei e dei diversi in un ambiente gretto e provinciale come quello della borghesia ferrarese dei tardi anni Trenta. Nel 1991 Alessandro D’Alatri esordisce nella regia con il film Ameri¬ cano rosso, un giallo ambientato nell’Italia fascista del 1934, i cui prota¬ gonisti sono un giovane donnaiolo di provincia, dipendente di una agenzia matrimoniale, e un italo-americano giunto in Italia per cercarsi una moglie italiana. Il giovane scoprirà, a sue spese, che T americano in realtà è venu¬ to per uccidere suo zio e non per cercar moglie. Svolto con cura, il film mostra un’attenzione particolare ai personaggi e al costume dell’Italia fa¬ scista di quegli anni e, se pur in tono leggero e con alcuni difetti, si dimo¬ stra un lavoro di gusto e piacevole. Come pure divertente è un’altra opera prima, quella che Ugo Chiti ha presentato al Festival di Venezia nel 1996, Albergo Roma. Anche questo film è un giallo, ambientato in una località della Toscana nei soliti anni Trenta; vede coinvolti il segretario del fascio, un federale giunto da Roma e vari personaggi del paese, proprio alla vigilia della visita del Duce invi¬ tato ad inaugurare un asilo. Chiti aveva già rappresentato, e con successo, questa sua pièce in teatro e il tentativo di portarla sullo schermo si è di¬ mostrato sicuramente ben riuscito, merito anche delle buone interpretazio¬ ni degli attori, della fotografia e dei costumi che riescono a ricreare un ambiente e un’epoca storicamente connotata. Nel periodo di Salò è ambientato Mussolini: ultimo atto realizzato da Lizzani nel 1974. Il film racconta, in forma di cronaca, gli avvenimenti che si sono succeduti dall’incontro di Mussolini col cardinale Schuster il 24 aprile 1945 fino alla fucilazione del dittatore e della Petacci quattro giorni dopo per opera del colonnello Valerio. Anche in questo film Lizzani

10 B. Damiani, «Cinefonim», n. 140, genn. 1975.

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si attiene ad una «verità» conservatrice (nel senso dell’ortodossia della si¬ nistra italiana nei confronti della versione ufficiale data dal CLN all’indo¬ mani dell’esecuzione), senza approfondire l’analisi storica e realizzando un prodotto carente dal punto di vista documentaristico, dove anche la fic¬ tion non appare del tutto soddisfacente. Altro film ambientato nella RSI è L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di. Natale che Gian Vittorio Baldi realizza nello stesso anno. Si tratta di un allucinante viaggio di morte che due brigatisti neri e un’ausiliaria conducono attraverso l’Emilia nel 1944. Pieno di violenza, L’ulti¬ mo giorno di scuola «diventa un racconto allegorico, allucinato, che tra¬ sfigura continuamente la cronaca in simbolo»11. Nel 1977 Umberto Silva realizza Difficile morire, un film non riuscito che è un insieme pasticciato di eventi che hanno inizio con le avventure di un giovane anarchico nel 1911 e si concludono nel 1945 con la morte del¬ lo stesso, divenuto un pezzo grosso nella RSI. Sempre di fascismo, anche se sul versante nazista, tratta il film di Duccio Tessari L’alba dei falsi Dei realizzato nel 1978. Il film, che rie¬ cheggia nel titolo il film di Visconti12, segue le vicende di due fratelli im¬ piegati dalle S.A. in azioni criminose e poi, una volta divenuti «scomodi», eliminati senza esitazioni. Interessante soprattutto nella parte descrittiva della profonda crisi morale in cui si dibattevano i giovani verso la fine de¬ gli anni Venti, testimoni dell’agonia della Repubblica di Weimar. Al filone «antifascista» appartiene Cronache di poveri amanti che Carlo Lizzani realizza nel 1954 ispirandosi al romanzo di Vasco Pratolini. Forse il miglior film di Lizzani, Cronache di poveri amanti rievoca, attra¬ verso la vita e la storia degli abitanti di un vicolo di Firenze alla vigilia delle leggi speciali fasciste che porteranno alla dittatura, episodi di squa¬ drismo contro oppositori del regime, una vicenda sentimentale scevra da contaminazioni melodrammatiche e che offre un ottimo esempio del no¬ stro cinema neorealista. Aristarco, che in seguito sarà sempre molto criti¬ co nei confronti di Lizzani, scrisse su «Cinema Nuovo» che questo film è «il primo autentico e positivo incontro del realismo cinematografico con la narrativa italiana»13. Nel 1960 Damiano Damiani porta sugli schermi il film La lunga notte del ’43, appassionata e sincera ricostruzione dell’eccidio perpetrato dalle brigate nere a Ferrara nell’ottobre del 1943, in cui morirono undici inno¬ centi. Tratto da un racconto di Giorgio Bassani, il film, che è l’opera di esordio di Damiani, riesce a esprimere tutta la tragicità dei fatti narrati senza compiacimenti retorici e cadute di tono e si risolve in un finale

11 P. Pintus, «Rivista del Cinematografo», n. 10, ott. 1975. 12 Vedi La caduta degli Dei, capitolo V, p. 216 e p. 256. 13 G. Aristarco, «Cinema Nuovo», n. 34, 1 magg. 1954.

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amaro che rispecchia l’atteggiamento qualunquistico di molti che quei fat¬ ti vorrebbero relegare nell’oblio, allontanandone il ricordo con un gesto di noia. Florestano Vancini propone, nel 1973, la ricostruzione di uno dei fatti più oscuri del fascismo delle origini: Il delitto Matteotti. La ricostruzione cronachistica dei fatti che portarono all’uccisione del parlamentare sociali¬ sta, la preoccupazione costante di essere il più scupolosamente vicini alla realtà, il prestare anche la massima attenzione alla somiglianza fisica de¬ gli interpreti, fanno perdere di vista al regista le motivazioni storiche, l’in¬ dagine psicologica e l’approfondimento politico e realistico della storia. Ciononostante il film è un tentativo, anche se limitato e didascalico, di rappresentare un momento importante — anche se l’ultimo - di opposizio¬ ne democratica da parte del movimento operaio in un’Italia oramai sog¬ giogata dal fascismo. Nello stesso anno Sergio Capogna, traendolo da un racconto di Vasco Pratolini, realizza Diario di un italiano. Ambientato a Firenze alla vigilia della seconda guerra mondiale, il film racconta della crisi di un giovane, figlio di un antifascista morto in carcere, che vive sulla propria pelle gli orrori del fascismo, le leggi razziali, la deportazione e la morte di altri es¬ seri umani colpevoli solo di essere ebrei. Del romanzo di Pratolini e del clima di quegli anni resta però ben poco nel film di Capogna. Sempre del 1973 è il film di Marco Leto La villeggiatura, in cui l’au¬ tore affronta il tema del confino politico di un intellettuale che si è rifiuta¬ to di giurare fedeltà al regime fascista e che, al confino, conosce altri pri¬ gionieri le cui origini proletarie mettono in evidenza la sua appartenenza borghese. Nonostante alcune prese di posizione settarie il film è un’ottima ricostruzione storica e psicologica di un ambiente, quello del confino di polizia, di cui molti personaggi della politica italiana d’opposizione al fa¬ scismo hanno fatto tragica esperienza. Dopo II delitto Matteotti, nel 1974 Florestrano Vancini realizza Amore amaro, tratto da un racconto di Carlo Bemari. Ambientato a Ferrara alla fine degli anni Trenta e incentrato sulle avventure sentimentali e politiche di un giovane antifascista, il film è sicuramente il peggiore del regista fer¬ rarese. Un anno dopo Luigi Faccini realizza II garofano rosso, tratto dal ro¬ manzo di Elio Vittorini, che narra delle esperienze autobiografiche giova¬ nili dello scrittore a Siracusa all’epoca del delitto Matteotti e della sua cri¬ si nei confronti del fascismo. Ma se nel romanzo tutto ha un senso e una logica, nel film questo non emerge e la storia degli amori e della crisi po¬ litica dello scrittore si esaurisce in un’esercitazione di bella fotografia pri¬ va di spessore psicologico. Sempre del 1975 è Libera, amore mio... di Mauro Bologni. Il film rac¬ conta la storia di Libera, figlia di un anarchico, dal fascismo alla Repub¬ blica, perseguitata da un commissario della polizia politica che anche do-

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po la liberazione continuerà ad occupare il suo posto nella pubblica ammi¬ nistrazione. Il film, che riprende l’accusa che l’estrema sinistra ha da sem¬ pre rivolto al PCI per non aver fatto piazza pulita dei fascisti dopo la libe¬ razione, non sviluppa un’analisi storica sul perché della mancata o della parziale epurazione avvenuta all’indomani della caduta del fascismo. Cio¬ nonostante il film mette in rilievo altre colpe del sistema politico italiano, come quella dell’indifferenza e del cinismo con cui i partiti hanno, duran¬ te la Resistenza e, dopo, nella vita politica, sfruttato le donne per poi di¬ menticarsene una volta conseguiti i propri scopi. Ancora del 1975 è II sospetto di Francesco Maselli. Il film, svolto con senso critico e con buon ritmo, prende in esame la difficile vita dei fuoriu¬ sciti italiani che, inviati in missione segreta in Italia, debbono riallacciare le file del partito comunista clandestino insidiato dall’OVRA, la polizia segreta fascista, con il sospetto continuo che fra le fila dei compagni si annidino spie infiltrate per scoprire e scardinare tutto il sistema clandesti¬ no comunista. L’anno dopo Bernardo Bertolucci realizza il suo maggiore impegno storico, Novecento (Atto I e II). Girato con grandi mezzi e con uno stuolo di attori intemazionali, Novecento è un affresco sulla vita italiana, anzi emiliana, che si dipana nell’arco di quarantacinque anni, dal Capodanno 1900 al 25 aprile 1945, narrato attraverso la vita di una famiglia di pro¬ prietari terrieri, le sue proprietà, i suoi fittavoli. Il difetto principale del film è che Bertolucci divide il mondo della famiglia Berlinghieri in buoni e in cattivi, dove i cattivi sono i fascisti e coloro che la pensano come lo¬ ro, cioè i ricchi, mentre i buoni sono gli antifascisti e cioè i poveri, i con¬ tadini, i diseredati. Inoltre i fascisti sono descritti come depravati, sadici e nevrotici, offrendo una visione piuttosto restrittiva del fenomeno. Detto questo il film, pur nella sua frammentarietà, non manca di buone scene e di un impianto narrativo solido e coerente. Dedicato all’uccisione di Anteo Zamboni è il film di Gianfranco Mingozzi, realizzato nel 1977, Gli ultimi tre giorni. Pur con molti interrogati¬ vi senza risposta il film è una dignitosa e, tutto sommato, accettabile rico¬ struzione storica del fallito attentato a Mussolini a Bolgna il 31 ottobre 1926, attribuito al sedicenne Anteo Zamboni, poi linciato dai fascisti. L’anno seguente è la volta di un altro film biografico, Antonio Gram¬ sci. I giorni del carcere di Lino Del Frà. La vita dell’uomo politico comu¬ nista viene ricostruita dal 1926, anno della condanna a vent’anni di carce¬ re, fino al 1937, anno della sua morte. Troppo teso a descrivere fedelmen¬ te la figura di Gramsci quale uomo politico, pensatore e scrittore, il regi¬ sta commette l’errore di non mettere sufficientemente in evidenza il suo rapporto controverso con gli uomini del suo stesso partito, con i compagni di carcere e con la cultura del suo tempo, dando erroneamente per sconta¬ ta l’accettazione del pensiero gramsciano da parte dei suoi compagni di fede.

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Sempre del 1978 è il film di Ettore Scola Una giornata particolare, delicato racconto del rapporto tra una casalinga frustrata e un omosessuale antifascista, in una Roma tutta in piazza per vedere Hitler in visita alla ca¬ pitale. Nel cuore della città acclamante la dittatura, all’interno di un palazzo pesante¬ mente squallido, immersi in una luce fredda che appiattisce ogni cosa, due es¬ seri umani riconoscono di essere vicini fra loro perché vittime, ed esprimono questa loro comune condizione sul piano sentimentale, mettono a tacere la ra¬ dio con l’atto dell’amore. Le parole sono inutili, inadeguate, inefficaci. La gente sfruttata, oppressa ed emarginata può liberarsi dalla schiavitù del fasci¬ smo individualmente, a livello morale, tramite i sentiemnti e il buon senso popolare14.

Francesco Rosi nel 1979 trae dal romanzo di Carlo Levi il film Cristo si è fermato a Eboli. Come Leto, che ci aveva provato prima di lui, Rosi affronta il problema del confino politico, raccontando la storia autobiogra¬ fica di Levi. Tradotto fedelmente dall’opera letteraria, pur con qualche forzatura cinematografica, il film è un autentico esempio di riflessione psicologica, messa in risalto dall’ottima interpretazione di Gian Maria Volonté nella parte del medico-pittore e dai ritratti di personaggi ben inqua¬ drati storicamente e socialmente. Con Fontamara, anche Carlo Lizzani nel 1980 tenta la trasposizione cinematografica di un’opera letteraria. Realizzato con uno stile che ricorda il suo cinema degli anni Cinquanta, il film, tratto dal romanzo di Ignazio Silone15 ambientato in un paese della Marsica nel 1927, narra la lotta degli abitanti del paese contro le autorità fasciste e i proprietari terrieri che li vogliono affamare perché non hanno i soldi per pagare le tasse. La rivolta popolare e proletaria è affidata alla figura di un ribelle che affronta le squadracce fasciste scese nel paese per dare una lezione esemplare e fini¬ sce poi ucciso in carcere. Nel 1981 Aldo Lado realizza La disubbidienza, tratto dal romanzo di Alberto Moravia. Pur con tutte le buoni intenzioni e l'impegno del regista nel ricreare un ambiente e un’atmosfera dell’epoca, il film «è psicologica¬ mente assai fragile, ideologicamente pretestuoso, spettacolarmente postic¬ cio»16. L’ultimo filone dei film sul fascismo è costituito da quelle pellicole che offrono una visione del passato in forma nostalgica, satirica o rievoca¬ tiva. È il caso di Un eroe del nostro tempo che Sergio Capogna realizza

14 P. Prono, «Cinema Nuovo», n. 253, magg./giu. 1978. 15 Fu l’esordio di Ignazio Silone come scrittore. Il romanzo uscì in tutto il mondo nel 1933, ma in Italia apparve solo nel 1947, a guerra finita. 16 G. Grazzini, «Corriere della Sera», 28 ago. 1981.

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nel 1959. Tratto da un romanzo di Vasco Pratolini, il film, ambientato nel dopoguerra, narra la tragica vita di una donna. Vedova di un fascista fuci¬ lato dai partigiani, la donna conosce un ex marò fanatico neofascista e ne diviene l’amante, ma da costui viene sfruttata e derubata e finirà poi per suicidarsi. Il film nonostante alcune ambiguità è ben condotto e accurata¬ mente costruito. Un altro film del genere è La strategia del ragno del 1970 di Bernardo Bertolucci. Un giovane indagando sull’uccisione del padre da parte dei fa¬ scisti e attraverso una paziente ricostruzione dei fatti scoprirà la verità sul fallito attentato a Mussolini, che il padre con alcuni complici avrebbe do¬ vuto compiere, nel 1936, la sera dell’inaugurazione del teatro del paese. Il film, incentrato «sull’ambiguità della storia per chi si trova anni dopo a valutarla», se risulta ambiguo dal punto di vista politico, offre un interes¬ sante e approfondito studio della psicologia dei personaggi e dell’ambien¬ te in cui si svolgono i fatti. Sul palcoscenico di un teatro di provincia viene vissuto il dramma, quello di Ugo Tognazzi che, nelle vesti di un attore di terza categoria, re¬ cita la parte di Mussolini in una grottesca commedia sugli amori del Duce con la Petacci. Si tratta del film di Gian Luigi Polidoro Permette Signora che ami vostra figlia?, realizzato nel 1974. Film scadente, con un Tognaz¬ zi al di sotto delle sue possibilità e con una regia fiacca e priva di convin¬ zione. Un’altra commedia condotta sul filo della satira è quella di Giancarlo Santi Quando c’era Lui... caro lei!, del 1978. Tre ex fascisti si ritrovano e rievocano i bei tempi. Il film, basato su gags da avanspettacolo, confronta la realtà dell’oggi con un passato irreale, impedendo ogni possibile raf¬ fronto fra i due momenti storici vissuti dai personaggi del film. La serie dei film rievocativi si conclude con Claretto. Realizzato nel 1984 da Pasquale Squitieri, il film racconta di un’inchiesta che una gior¬ nalista televisiva, attraverso l’intervista con Miriam Petacci, sorella di Claretta, e con filmati inediti, riesce a realizzare per il suo servizio televi¬ sivo. Fin qui la storia; il film però è inesistente, si regge sulla fragilità di un soggetto povero, poggiato ambiguamente su due staffe, che risulta po¬ co credibile anche sotto l’aspetto sentimentale. Giudizio condiviso anche dal pubblico, che l’ha accolto freddamente. Trarre delle conclusioni su questo pacchetto consistente di film è assai arduo, anche perché i film da salvare sono veramente pochi, forse una de¬ cina, un quinto cioè dell’intero gruppo, ma è pur vero che quando si è dato inizio a questo lavoro, non ci si è posto il problema di stabilire graduatorie o compilare statistiche, ma di scoprire quanti e quali film avessero per ar¬ gomento la «guerra» in senso lato.

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CAVALCATA DI MEZZO SECOLO di Carlo Infascelli Anno di edizione: 1951 Produzione: Roma Film - Istituto Luce; Produttore: Carlo Infascelli; Ideazione: Carlo Infascelli, Renato May, Vinicio Marinucci, Riccardo Morbelli; Sceneggia¬ tura: Luciano Emmer, Walter Roveroni, Vinicio Marinucci, Carlo Infascelli; Commento: Sergio Pugliese; Montaggio: Renato May; Musica: Carlo Rustichelli; Durata: 85’. LA STORIA: Il film, utilizzando spezzoni di cine-giomali, ripercorre i principali avvenimenti storici che hanno interessato il nostro paese dall’inizio del secolo al 1950. Scorrono sullo schermo le immagini dei regnanti della terra: Nicola II, Gu¬ glielmo II, il re di Norvegia, Francesco Giuseppe; l’uccisione di re Umberto I, a cui succede Vittorio Emanuele III; la guerra di Libia; l’uccisione dell’erede al tro¬ no d’Austria a Sarajevo e lo scoppio della prima guerra mondiale; la neutralità dell’Italia e la successiva entrata in guerra a fianco di Francia e Inghilterra; la marcia su Roma e il fascismo; la nascita dello stato della Città del Vaticano a se¬ guito del concordato tra Stato e Chiesa; Hitler al potere e il riarmo della Germa¬ nia; la guerra d’Etiopia e l’Impero; l’invasione tedesca della Polonia e la seconda guerra mondiale; la resistenza e la liberazione; l’avvento della Repubblica e l’An¬ no Santo. LA CRITICA: «Composto di pezzi di repertorio, opportunamente collegati, il do¬ cumentario si può chiamare veramente una galoppata attraverso mezzo secolo di storia. Nella sua multiforme varietà il lavoro comprende anche scene (balletti, pezzi di repertorio di vecchi film, ecc.) non adatte ad un pubblico giovanile». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XXXI, Centro Cattolico Cinema¬ tografico, Roma 1952, p. 29).

DOPOGUERRA 1920 di Mario Chiari (episodio del film collettivo Amori di mezzo secolo) Anno di edizione: 1953 Produzione: Roma Film - Excelsa Film; Produttore: Glauco Pellegrini; Direttore di produzione: Silvio Clementelli; Soggetto: Carlo Infascelli; Sceneggiatura: Ore¬ ste Biancoli, Giuseppe Mangione, Vinicio Marinucci, Rodolfo Sonego, Roberto Rossellini, Carlo Infascelli, Vincenzo Talarico, Antonio Pietrangeli, Ettore Scola, Alessandro Continenza; Aiuto-regia: Marcella Rossignotti, Guido Turilli, Mauro Morassi, Marcello Caracciolo Di Laurino; Fotografia: Tonino Delli Colli; Suono: Ovidio Del Grande; Montaggio: Dolores Tamburini, Rolando Benedetti; Sceno¬ grafia: Mario Chiari; Arredamento: Beni Montresor; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Alberto Paoletti; Interpreti: Albreto Sordi, Silvana Pampanini, Giuseppe Porcili, Alba Amova, Carlo Hintermann,

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Arturo Bragaglia, Amalia Pellegrini, Franco Migliacci, Alberto Plebani, Giovanni Corporale; Altri interpreti comuni a più episodi: Renato Malavasi, Augusto Di Giovanni, Armando Annuale, Attilio Martella, Amerigo Santarelli, Mauro Carbonoli; Durata: 103’ (tutto il film). Produzione realizzata negli Stabilimenti di Ci¬ necittà. LA STORIA: Nell’ottobre 1922, Alberto, divenuto squadrista sull’onda dell’en¬ tusiastica adesione al fascismo, lascia il paese e la fidanzata Susanna e segue i suoi camerati a Roma. Ma giunto nella capitale il suo entusiasmo si stempera nel¬ le lusinghe dei tabarin e nelle facili avventure femminili. Susanna, però, che al¬ l’insaputa di Alberto è andata anche lei a Roma per fare del cinema, risveglia nel giovane squadrista una folle gelosia che lo induce a ritornare con lei al paese. LA CRITICA: «Mario Chiari si è cimentato, determinando una brusca svolta di tono (anche nelle scenografie, che da realistiche diventano qui utilizzate ironica¬ mente), in una goffa parodia dello squadrista provinciale e “bullo” (Alberto Sor¬ di, manco a dirlo), il quale marcia su Roma per dedicarsi ai notturni piaceri del viveur. Il divertissement arieggia un po’ i toni di quello dedicato allo “scettico blù” in Canzoni di mezzo secolo (1952) di Domenico Paolella. Ma non basta qualche sporadico tratto di umore, qualche bel costume, sarcasticamente ideato da Maria de Matteis (le scenografie, tutte dovute allo stesso Chiari, e sopra tutto i costumi, costituiscono l’unico aspetto talora pregevole del film, ripreso da Tonino Delli Colli in un diseguale, ma abbastanza dignitoso, “ferraniacolor”), a riscatta¬ re il prevalente, grossolano accento farsesco.» (Giulio Cesare Castello, Film di questi giorni, in «Cinema», n. 128, 28 febb. 1954, p. 117). OSSERVAZIONI: Valgono le osservazioni fatte per l’episodio Guerra 1915-1918 di Pietro Germi (v.).

NOZZE D’ORO di Lionello De Felice (episodio del film collettivo Cento anni d’amore) Anno di edizione: 1953 Produzione: Cines; Produttore: Carlo Civallero; Direttore di produzione: Elio Scardamaglia; Soggetto: dal racconto omonimo di Marino Moretti; Adattamento: Giorgio Prosperi, Lionello De Felice; Sceneggiatura: Leonardo Benvenuti, Oreste Biancoli, Franco Brusati, Alba De Cespedes, Giuseppe Marotta, Vittorio Nino Novarese, Guido Rocca, Fabrizio Sarazani, Vincenzo Talarico, Gino Visentini, Riccardo Redi, Serge Veber, F. Rinaudo; Aiuto-regia: Marcello Baldi; Fotografia: Aldo Tonti; Suono: Bruno Brunacci, Alberto Bartolomei; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografìa: Franco Lolli; Arredamento: Ottorino Volpe; Costumi: Vitto¬ rio Nino Novarese; Musica: Teo Usuelli; Direzione musicale: Franco Ferrara; In¬ terpreti: Rina Morelli, Ernesto Almirante, Virgilio Riento, Nino Pavese; Altri in¬ terpreti comuni a più episodi: Carla Arrigoni, Vittorio Braschi, Fernando Cappa¬ bianca, Adriana Danieli, Nando Di Claudio, Laura Gore, Margherita Nicosia, An-

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tonio Nicotera, Turi Pandolfini, Nico Pepe, Emilio Petacci, Alberto Plebani, Nietta Zocchi; Durata: 100’ (tutto il film). Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Due anziani coniugi, stabilitisi in Svizzera da cinquantanni, ritor¬ nano a Milano, dove erano stati in viaggio di nozze, per festeggiare le nozze d’o¬ ro. Ma i due vecchietti capitano in una giornata di manifestazioni fasciste e si ac¬ corgono così che non solo Milano non è più la stessa di cinquant anni prima, ma anche gli italiani sono cambiati. Dopo molte spiacevoli disavventure, i due scon¬ solati vecchietti riprendono, amareggiati, il treno per la Svizzera. LA CRITICA: «“La ricerca del tempo perduto” è compiuta da due sposini vene¬ randi, i quali, dalla Svizzera dove risiedono, tornano per la prima volta dopo mez¬ zo secolo, in Italia, a Milano, per festeggiare le nozze d’oro. (Nozze d’oro è ap¬ punto il titolo del racconto). Siamo nel 1938 e i due poveretti, tutti garbo, solfisi e antica civiltà stile ottocento, si trovano sbalestrati in un mondo capovolto, dove vigono le cattive maniere, la burbanzosità, l’orbace, e via dicendo. Tanto che, sen¬ za nemmeno saper come, si ritrovano in un commissariato di polizia, accusati d’oltraggio al P.N.L. Usciti dalle grinfie della polizia e subita qualche altra delu¬ sione, i due vecchierelli decidono di tornarsene precipitosamente donde son venu¬ ti. Vi lascio immaginare quale succo avrebbe potuto spremere dalla gradevole in¬ venzione di Marino Moretti il Visconti dell’ultimo episodio di Siamo donne (1953). O anche soltanto lo Zampa di Anni facili (1953), se volete perfino quello di Anni diffidi (1948). Qui invece, tutto il sapore deriva dalla fragranza dell’inter¬ pretazione di Rina Morelli ed Ernesto Almirante, due nonnini incantevoli, ché lo spunto è sviluppato e realizzato con limitata capacità di incisione ed alacrità di fantasia. Senza contare le cose improbabili: tutto si svolge, infatti, come se i due protagonisti piovessero a Milano dalla Patagonia e non da Lugano. E mai possibi¬ le che, abitando a quattro passi, non si fossero mai mossi e non avessero mai avu¬ to sentore di quanto era andato accadendo in Italia?». (Giulio Cesare Castello, Film di questi giorni, in «Cinema», n. 130, 15 apr. 1954, p. 182).

CRONACHE DI POVERI AMANTI di Carlo Lizzani Anno di edizione: 1954 Produzione: Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici; Direttore di pro¬ duzione: Alberto Piccini; Soggetto: dal romanzo omonimo di Vasco Pratolini; Sceneggiatura: Sergio Amidei, Giuseppe Dagnino, Carlo Lizzani, Massimo Mida; Aiuto-regia: Enzo Alfonsi, Giuseppe Dagnino; Fotografia: Gianni Di Venanzo; Suono: Franco Groppioni, Raffaele Del Monte; Montaggio: Enzo Alfonsi; Sceno¬ grafia: Pek G. Avolio; Arredamento: Pek G. Avolio; Costumi: Werther; Musica: Mario Zafred; Interpreti: Anna Maria Ferrerò, Cosetta Greco, Antonella Lualdi, Marcello Mastroianni, Bruno Berellini, Irene Cefaro, Adolfo Consolini, Giuliano Montaldo, Gabriele Tinti, Èva Vanicek, Wanda Capodaglio, Garibaldo Lucii, An¬ drea Petricca, Mimmo Maggio, Mario Piloni, Ada Colangeli, Giuseppe Angelani,

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Grazia De Rocca, Rolando Sbrocchi, Aldo Cobalti; Durata: 115’. Produzione rea¬ lizzata negli Studi INCIR De Paolis di Roma e, in esterni, a Firenze. Vincitore nel 1954 di due Nastri d’Argento: per la musica (Zafred) e per la scenografia (Avolio). Menzione speciale della giuria al VII Festival di Cannes nel 1954. LA STORIA: Nel 1925 a Firenze, in pieno regime fascista, le vicende degli abi¬ tanti di via del Como e dei loro amici: Mario, Bianca, Ugo, Maciste, Milena, Al¬ fredo. Mario, un tipografo, va ad abitare in via del Como in una stanza ammobi¬ liata che la sua fidanzata, Bianca, gli ha trovato a casa di Maciste, il maniscalco. Qui conosce alcuni antifascisti; uno di questi, il pizzicagnolo Alfredo, viene pic¬ chiato a sangue dagli squadristi. Mario va a trovarlo all’ospedale, dove conosce sua moglie Milena e se ne innamora. Alfredo muore; Mario, che ha rotto con Bianca, avrebbe campo libero, ma rinuncia per rispetto della memoria del povero Alfredo. Ma ormai le cose precipitano: Maciste viene ucciso dai fascisti e Mario, che si è compromesso politicamente, un giorno viene portato via dalla polizia fa¬ scista. LA CRITICA: «Forse Cronache di poveri amanti rimarrà, con Senso di Visconti, il film più importante indicativo e determinante prodotto nel ’54 in Italia: come un film-chiave, un punto di riferimento e di orientamento nell’attuale crisi: la te¬ stimonianza, in questa crisi, di una ricerca, di una indicazione, di una autentica apertura in mezzo a tante e sospette indicazioni e falsi scopi, a tanti sbandieramenti verso un nuovo formalismo e nudi cronachismi e sommaria novellistica. Il film di Lizzani costituisce anzi tutto un richiamo alla verità e al tempo stesso un tentativo di interpretazione critica della realtà, di superamento della cronaca per la storia, della novella per il romanzo, del naturalismo o realismo oggettivo per il realismo critico; indispensabile quest’ultimo, per portar avanti l’eredità migliore del nostro cinema. [...] Le Cronache di Lizzani sono un invito al romanzo, pro¬ prio mentre l’inflazione della novellistica è più acuta, più decisa l’opposizione de¬ gli zibaldoni contro l’antologia; ed esse registrano forse, dopo La terra trema, il primo autentico e positivo incontro del realismo cinematografico con la narrativa italiana». (Guido Aristarco, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 34, 1 magg. 1954, p. 249). OSSERVAZIONI: Via del Como è stata completamente ricostruita in studio con scrupolosa precisione tale da permettere una perfetta fusione con le riprese in esterni naturali a Firenze, senza che ci si accorga della differenza.

DESTINAZIONE PIOVAROLO di Domenico Paolella Anno di edizione: 1955 Produzione: Lux Film - D.D.L.; Produttore: Isidoro Broggi; Direttore di produ¬ zione: Renato Libassi; Soggetto: Gaio Fratini; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Stefano Strucchi; Aiuto-regia: Mauro Morassi; Fotografia: Mario Fioretti; Suono: Biagio Fiorelli; Montaggio: Gisa Radicchi Levi; Scenogra-

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fia: Piero Filippone; Costumi. Gaia Romanini; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Totò, Marisa Merlini, Irene Cefaro, Paolo Stoppa, Tina Pica, Nino Besozzi, Ernesto Almirante, Zoe Incrocci, Arnoldo Foà, Enrico Viarisio, Nando Bruno, Leopoldo Trieste, Fanny Landini, Mario Carotenuto, Giacomo Fu¬ ria, Carlo Mazzarella, Luigi Garetto, Vincenzo Talarico; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Amato & C. LA STORIA: Nel 1922 Antonio La Quaglia assume il suo primo incarico di ca¬ postazione nella sperduta stazioncina di Piovarolo, con la speranza di fare presto carriera e di ottenere incarichi migliori. I tentativi di avanzamento secondo la prassi normale si rivelano infruttuosi; tenta perciò di avvalersi delle situazioni fa¬ vorevoli che gli si presentano, ma invano. Gli onorevoli socialisti da lui favoriti spariscono con l’avvento del fascismo e lo stesso matrimonio contratto per ade¬ guarsi alle direttive del partito fascista si rivela dannoso, poiché la maestra da lui sposata è di religione ebraica. Gli anni passano e Antonio, sempre a Piovarolo, sconta quotidianamente il risentimento della moglie, costretta ad invecchiare in quel paesino, e della figlia, che sogna la città e la carriera cinematografica. Un giorno giunge la notizia che una frana è caduta sui binari, e il capostazione decide di fermare il rapido su cui viaggia lo stesso ministro dei trasporti. Approfittando dell’occasione, La Quaglia perora la sua causa, ma anziché lodi ottiene biasimo poiché la frana non esiste ed il capostazione si è rivelato troppo precipitoso nel fermare il convoglio. Non gli rimane che attendere una punizione e rimanere a Piovarolo. LA CRITICA: «La vita di un capostazione relegato in una sperduta stazioncina dove è costretto a restare dalla vigilia della “Marcia su Roma” ai giorni nostri, rappresenta uno scorcio di storia e di costume la cui scelta pare rifarsi alle in¬ fluenze moralistiche dello scomparso scrittore siciliano [Vitaliano Brancati, n.d.a.\. Gli sceneggiatori, da parte loro, hanno allineato con gusto ed umoristico rilievo le progressioni cronistoriche costituenti gli avvenimenti più notevoli di un periodo in cui superficialità ed assurdo giocarono ruoli importanti. Per questo le situazioni di Destinazione Piovarolo possiedono ampia dose di credibilità anche sotto il disegno macchiettistico impressovi dal protagonista. E per la stessa ragio¬ ne si sarebbero prestate a sviluppi maggiormente verosimili, ad un vero assom¬ marsi di grottesco e di umano, di patetico e di comico, tale da richiedere allo stes¬ so Totò una più impegnata partecipazione d’interprete come fu per il Taranto di Anni facili. Ma l’occasione è andata perduta». (Anonimo, I Film, in «Cinema», n. 159, 25 genn. 1956, p. 1122). OSSERVAZIONI: La canzone «Abbracciato cu’ te» di Antonio De Curtis, è can¬ tata da Achille Togliani.

UN EROE DEL NOSTRO TEMPO di Sergio Capogna Anno di edizione: 1959

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Produzione: Giuliana Scappino; Soggetto: dal romanzo omonimo di Vasco Prato¬ lini; Sceneggiatura: Sergio Capogna, Marco Leto, Giulio Paradisi; Aiuto-regia: Marco Leto; Fotografia: Domenico Scala; Montaggio: Sergio Capogna; Sceno¬ grafia: Paolo Falchi; Musica: Giovanni Fusco; Interpreti: Marina Berti, Massimo Tonna, Giulio Paradisi, Margherita Autuori, Livia Contardi, Betty Foà; Durata: 112’. Presentato alla XX Mostra Intemazionale d’Arte Cinematografica di Vene¬ zia nel 1959, nella Sezione Informativa. LA STORIA: Virginia, vedova di un fascista fucilato dai partigiani, tornata in città conosce il giovanissimo Sandrino, ex marò e fanatico neofascista, e non tar¬ da a diventarne l’amante. Sandrino si rivela ben presto uno spregiudicato sfrutta¬ tore della donna; abbandona il lavoro, si lascia mantenere da lei, le sottrae tutti i risparmi e infine l’abbandona. Virginia, sola e abbandonata, mentre una notte si aggira per strada viene scambiata per una prostituta, e si uccide per il dolore e per la vergogna. LA CRITICA: «In un’intervista all 'Avanti! del 23 gennaio 1960, Capogna fra le altre cose, dichiarava: “Spesso sono proprio i giovani a deludere, mostrando di appartenere a quella categoria di persone che, a parole, vorrebbero fare grandi co¬ se, ma che, in realtà, non hanno né le idee necessarie, né il desiderio di lavorare”. Spiace, oggi, dovere ritorcere queste parole [...] contro lo stesso Capogna, ma il suo film, prodotto in proprio e giunto in forma semiclandestina sui pubblici scher¬ mi, a due anni dalla realizzazione, provoca purtroppo una tale reazione. Abbiamo parlato di “richiamo” e, in effetti, ci troviamo di fronte a un tipo di “trascrizio¬ ne” dei più singolari: la fedeltà addirittura pedante alle pagine del libro, con le stesse mosse, gli stessi dialoghi, una visualizzazione corretta e puntigliosa, da una parte: elementi che, dall’altra, conducono a una prospettiva critica e perfino ideo¬ logica ben diversa, quasi opponibile al! originale. Inutile nascondersi che ne diri¬ va, oltre a una sostanziale ambiguità di tesi, un’ampia improbabilità di costruzio¬ ne psicologica. [...] Nonostante il frequente scadimento in ‘pulizie’ oleografiche, il film dimostra peraltro una certa abilità registica ed espressiva: si veda con quanta cura vengono trattati gli interni, e come si sanno accortamente ricostruire certe atmosfere, sfruttando alcune ambientazioni». (L.jorenzo] P.[elizzari], Il me¬ stiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 153, sett./ott. 1961, pp. 441-442). OSSERVAZIONI: Il film aveva come sottotitolo Camicia nera, titolo con cui ap¬ parve nella riedizione del 1964.

LA LUNGA NOTTE DEL ’43

di Damiano Damiani Anno di edizione: 1960 Produzione: Ajace Produzioni Cinematografiche - Euro International Film; Pro¬ duttore: Antonio Cervi, Alessandro Jacovoni; Direttore di produzione: Vittorio Musy Glori; Soggetto: dal racconto «Una notte del ’43» di Giorgio Bassani, Sce¬ neggiatura: Florestano Vancini, Ennio De Concini, Pier Paolo Pasolini; Aiuto-re-

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già: Marco Leto; Fotografia: Carlo Di Palma; Suono: Mario Amari; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Carlo Egidi; Arredamento. Ugo Pericoli; Costumi: Pier Luigi Pizzi; Effetti speciali: G. Stacchini; Musica: Carlo Rustichelli; Direzio¬ ne musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Gabriele Ferzetti, Beiinda Lee, Enrico Maria Salerno, Andrea Checchi, Gino Cervi, Nerio Bernardi, Raffaella Pelloni, Isa Querio, Carlo Di Maggio, Loris Bazzocchi, Alice Clemens, Siila Bettini, Da¬ rio Bellini, Gabriele Toti, Franco Cobianchi, Cesare Martignoni, Tullio Altamura, Nino Musco, Romano Ghini, Leonello Zanchi; Durata: 106’. Produzione realizza¬ ta negli Studi INCIR-De Paolis di Roma e, in esterni, a Ferrara. LA STORIA: A Ferrara il fascista Aretusi, squadrista della prima ora, fa uccidere un suo rivale politico facendo ricadere la colpa sugli antifascisti. I fatti avvengono durante la prima adunata dei fasci repubblicani, che si svolge a Verona, e da quel¬ la città i fascisti ansiosi, di fare vendetta, calano su Ferrara. I rastrellamenti dura¬ no tutta una notte e fra gli arrestati vi è anche il professor Villani, padre di Fran¬ co, un indifferente che passa il suo tempo ad amoreggiare con Anna, moglie del farmacista Pino Barilari, semiparalizzato dalla sifilide. La notte dell’arresto del professor Villani Anna è con Franco e solo al mattino, ritornando a casa, scoprirà che il professore insieme ad altri dieci ostaggi è stato fucilato nei pressi del Ca¬ stello estense. Si rende quindi conto che suo marito non solo ha scoperto la sua relazione, ma che, da dietro le persiane, ha assistito alla scena dell’eccidio, rico¬ noscendo nel responsabile dell’esecuzione l’Aretusi. Passano gli anni. Franco Vil¬ lani si è fatto una famiglia in Svizzera dove era fuggito e, tornato in Italia in va¬ canza, toma a Ferrara per mostrare al figlio il luogo in cui è morto il nonno. Qui incontra l’Aretusi, col quale fraternizza. LA CRITICA: «Vancini, aiuto regista in Estate violenta, nel riprendere la data dell’8 settembre e situare l’epoca del suo film a cavallo dell’“adunata di Verona” e della restaurazione del fascismo, non respinge il nesso tra vicenda privata, desti¬ ni individuali e tempo storico. Egli sente, più di Zurlini, la lezione di Senso, l’im¬ pegno umano e civile di quel film che parve senza possibili sviluppi e che, come del resto tutta l’opera viscontiana, è coscientemente o incoscientemente, presente in molti registi. La vicenda d’amore, in La lunga notte del ’43, si svolge incurante degli avvenimenti storici; ma qui, diversamente da quanto accade in Estate vio¬ lenta, questi, i loro riflessi e conseguenze - il grido ’Ferrarizzare l’Italia’ che par¬ tì da Verona - non sono sfondo e cornice; e, sulla falsariga della Custoza di Sen¬ so, l’eccidio è il punto nodale, decisivo del dramma privato. Franco Villani è una specie di Franz Mahler: non prende coscienza, ma parentele col personaggio viscontiano sono palesi: i legami con Anna Barilari, del tutto egoistici, la ripulsa per la donna quando non gli serve più, il rifiuto di conoscere il nome dell’assasino del padre, la salvezza fisica quale unica preoccupazione, la fuga in Svizzera, l’i¬ nettitudine insomma alla vita, agli avvenimenti che incalzano. Anna Barilari, con¬ dizionata da un amore e dalla soddisfazione del “senso” troppo tempo attesi, scompare, si perde impazzita come Livia Serperi. Sono riferimenti che vanno pre¬ si con la dovuta cautela, tanto diversi sono, nella loro complessità e nei loro signi¬ ficati, e resa artistica, i personaggi di Senso. E a un’altra indicazione di quel film rimanda La lunga notte del '43, o meglio l’epilogo. Diciassette anni dopo l’ecci¬ dio, Franco Villani toma a Ferrara, con una moglie svizzera e un figlio che parla

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francese; rivede Caldo Aretusi, il responsabile della morte del padre; si salutano da vecchi amici, e alla moglie che gli chiede chi sia quell’uomo cordiale e spaval¬ do, egli risponde: “Un ex gerarca fascista; ai suoi tempi era una figura importan¬ te, ma credo che non abbia fatto niente di male’’. Su queste parole si chiude il film, mentre una carrellata in avanti inquadra in primo piano la lapide dei caduti per la libertà. Tale epilogo, strettamente legato al contesto, in diretta connessione con lo sviluppo della vicenda durante la “lunga notte”, testimonia come per Vancini, sulla falsariga appunto di Visconti, “scrivere storia significa fare storia del presente”, nell’accezione gramsciana». ( Guido Aristarco, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 147, sett./ott. 1960, pp. 450-451). OSSERVAZIONI: Raffaella Pedoni è, in arte, Raffaella Carrà. La canzone «Il barattolo», di Gianni Meccia, è cantata dall’autore.

ALL’ARMI SIAM FASCISTI

di Lino Del Frà, Cecilia Mangini, Lino Miccichè Anno di edizione: 1961 Produzione: Universale Film; Soggetto: Lino Del Frà, Cecilia Mangini, Lino Miccichè; Sceneggiatura: Lino Del Frà, Cecilia Mangini, Lino Miccichè; Testo: Franco Fortini; Voce: Giancarlo Sbragia, Emilio Cigoli, Nando Gazzolo; Montag¬ gio: George Urshechitz; Materiale documentario: Archivi del Governo Repubbli¬ cano Spagnolo in esilio, Alleanza Socialista Jugoslava, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, Associazione Italia-Polonia, Associazione Italia-URSS, Cinématheque Fran?aise, e dei registi Alessandro Blasetti, Joris Ivens, Carlo Lizzani; Durata: 112’. LA STORIA: È un film di montaggio di forte e decisa critica sulla polica del fa¬ scismo (e dei fascismi). Partendo dalla guerra di Libia e dalla prima guerra mon¬ diale, ci mostra i momenti più salienti dell’avvento del fascismo e del nazismo, della conquista dell’Etiopia, della guerra civile spagnola, della seconda guerra mondiale, della caduta dei regimi fascisti, della guerra fredda, della situazione po¬ litica italiana del dopoguerra, eventi che sono presi in esame in una serie di im¬ magini rese più avvincenti dallo straordinario commento di Franco Fortini, che ne mette in risalto l’eccezionale valore storico. LA CRITICA: «“Antifascismo - scriveva Felice Balbo su Politecnico (1947) in cultura non significa certo fermarsi in una negazione o restringere i valori cul¬ turali: significa storicizzare concretamente la nostra cultura, rendendola responsa¬ bile, attiva, ‘induttiva’ e non più ‘mistificata’. E ‘storicizzare’ significa allora, fi¬ nalmente, abbandonare i superamenti ‘idealistici’, per il ‘rinnovamento attivo’, per la ‘riqualificazione odierna’ di ogni valore, di tutto il passato senza escludere nulla di ciò che vivo è vero e che ci accresce il bisogno, la tensione di vita e di verità”. Un’indicazione precisa in tal senso ci è stata fornita finora da quel docu¬ mentario-pamphlet che è All’armi, siam fascisti!, dove per la prima volta nel ci¬ nema italiano il fascismo viene illustrato quale espressione di classe e la società

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italiana viene definita nei suoi lineamenti storici. Quasi nulla sfugge all appassio¬ nato vigore dell’operazione revisionistica che accompagna costantemente il film: revisione dei miti nazionalistici, della retorica patriottarda, della complicità e na¬ turale inclinazione al fascismo della classe dirigente italiana. Un discorso che ri¬ schierebbe di diventare caotico e dispersivo se non fosse costantemente sorretto da quella forte tensione morale da cui sono animati gli autori. Dalle drammatiche sequenze finali del film ci viene soprattutto un utile insegnamento: a ripercorrere la nostra storia per verificare alla luce di essa il presente, secondo una prospettiva gramsciana, per cui “se scrivere storia significa fare storia del presente, è grande libro di storia quello che nel presente aiuta le forze in sviluppo a divenire più con¬ sapevoli di se stesse e quindi più concretamente attive e fattive” (Il Risorgimen¬ to). Perché soltanto un continuo confronto con il presente e con la società italiana dei nostri giorni può dare un senso a un cinema che riproponga una analisi del fa¬ scismo e della Resistenza, impedendo che, come è avvenuto quasi sempre, un’o¬ perazione del genere si trasformi in una troppo indiscriminata e generica accetta¬ zione di ideali che necessitano di una continua verifica perché da essi nasca un ci¬ nema soltanto declamatorio e apologetico». (Vito Attolini, Fascismo, resistenza e impegno storicistico, in «Cinema Nuovo», n. 164, lug./ago. 1963, pp. 267-268).

BENITO MUSSOLINI

di Pasquale Prunas Anno di edizione: 1961 Produzione-, Galatea - Etnisca Cinematografica; Produttore: Lionello Santi; Sog¬ getto: Giambattista Cavallaro, Ernesto G. Laura; Sceneggiatura: Giambattista Ca¬ vallaro, Ernesto G. Laura; Supervisione alla regia: Roberto Rossellini; Testo: En¬ zo Biagi, Sergio Zavoli; Voce: Romolo Valli; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Fausto Ancillai, Nino Renda, Silvio Vailesi; Musica: Roberto Nicolosi; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Durata: 105’. LA STORIA: Nascita del fascismo in Italia. I discorsi di Mussolini, l’Impero, le guerre fasciste, l’occupazione tedesca, la RSI, la disfatta e l’uccisione del duce esposto, con i gerarchi, a Piazzale Loreto. LA CRITICA: «La pubblicazione di Anatomia di un dittatore di Mino Loy e di Benito Mussolini di Pasquale Prunas potrebbe costituire [...] l’avvio anche in Ita¬ lia di una ricerca storica condotta dal cinema con intenti critici e formativi. [Ma] Loy e Prunas, malgrado certe diversità esteriori nella distribuzione della materia e certe marginali diseguaglianze di tono, partono entrambi da una impostazione di superficiale ed esterno giornalismo di costume, da una aneddotica certo interes¬ sante e a tratti pungente, ma priva di una unitaria esplicazione critica. C’è da chiedersi pertanto quale possa essere la reazione di un giovane dinanzi a questo vorticoso e grottesco susseguirsi di parate, di atteggiamenti ‘marziali’, di grinte dure e volitive, di piegamenti e flessioni del duce tra una furibonda e nazionalisti¬ ca tirata e l’altra sulle belle piazze d’Italia, dinanzi a folle osannanti. È probabile che egli colga il ridicolo della situazione e si vergogni dei suoi padri, ma invano

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chiederà poi a Loy e a Prunas la risposta ai suoi assillanti interrogativi sul come e sul perché; eppure è quello un ridicolo che suggella venticinque anni di storia ita¬ liana tragica e cruenta e le responsabilità dei padri non si inscrivono in una storia di errori individuali o di follie collettive, ma rimandano a una situazione comples¬ sa che chiama in causa certe forze economiche e sociali ben determinate, certi orientamenti dell’opinione pubblica, i partiti e le istituzioni. Che è appunto il di¬ scorso che i due film lasciano sostanzialmente eluso». (Adelio Ferrerò, Anatomie senza prospettive, in «Cinema Nuovo», n. 156, mar.-apr. 1962, pp. 109-110).

BENITO MUSSOLINI: ANATOMIA DI UN DITTATORE

di Mino Loy Anno di edizione: 1961 Produzione: Zenith Cinematografica; Produttore: Adriano Baracco, Mino Loy; Direttore di produzione: Giancarlo Delfino; Soggetto: Giancarlo Fusco; Sceneg¬ giatura: Giancarlo Fusco; Ricerche storiche: Giancarlo Delfino, Luciano Dionisi, Mario Nalli; Fotografia: Fausto Zuccoli, Enrico Pagliaro; Montaggio: Pino Giomini; Musica: Egisto Macchi; Durata: 95’. LA STORIA: Rievocazione storica del fascismo, attraverso la vita e gli atti del dittatore, dalle origini del movimento alla morte di Mussolini. LA CRITICA: Si rimanda allo scritto di Adelio Ferrerò riportato nella scheda del Benito Mussolini di Prunas che riporta osservazioni incrociate su i due film.

IL CORAZZIERE

di Camillo Mastrocinque Anno di edizione: 1961 Produzione: Titanus - Compagnia Cinematografica Champion; Produttore: Carlo Ponti; Direttore di produzione: Danilo Marciani; Soggetto. Alessandro Continen¬ za, Dino Verde; Sceneggiatura: Alessandro Continenza, Dino Verde, Luigi Magni, Manlio Scarpelli; Aiuto-regia: Nino Zanchin; Fotografia: Mario Montuori; Suono: Giulio Tagliacozzo; Montaggio: Adriana Novelli; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento. Gianfranco Fini; Costumi: Dina Di Bari; Musica: Armando Trovajoli; Interpreti: Renato Rascel, Claudia Mori, Tino Buazzelli, Carlo Giuffré, Capannelle, Osvaldo Ruggeri, Mino Doro, Anna Maria Bottini, Mario Castellani, Gianni Solaro, Mimo Billi, Tom Felleghi, Nino Fuscagni, Tino Bianchi, Aldo Bu¬ fi Landi, Giacomo Furia, Stefano Siboldi, Rosalba Neri, Peppino De Martino; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Ubaldo Marangoni, rampollo di una famiglia di corazzieri, è co¬ stretto a rinunciare alla tradizione a causa della bassa statura. Questa però non gli

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impedisce di combattere, suo malgrado, tutte le guerre volute dal fascismo. La sua statura viene sfruttata anche per fargli fare la controfigura del re, favorendo a que¬ st’ultimo la fuga al Sud, mentre il malcapitato Ubaldo, nei panni del sovrano, se la deve vedere con i nazisti. In cambio il nostro eroe ottiene il brevetto di coraz¬ ziere, che però gli verrà revocato con l’avvento della Repubblica. Potrà finalmen¬ te indossare la divisa da corazziere, ma solo per girare uno spot pubblicitario per la televisione. LA CRITICA: «La trama di questo film ha origine da una nota “macchietta” da tempo compresa nel repertorio di Renato Rascel e basata sul comico contrasto fra la scarsa statura dell’attore e l’importanza delle ex guardie reali. Per dare corpo alla farsa, suggerita facilmente dal contrasto, i realizzatori hanno voluto innestarla alla satira politica, non riuscendo però ad ottenere una fusione sufficientemente omogenea. Farsa piuttosto superficiale da una parte, satira piuttosto grossolana dall’altra. Tuttavia il film non manca di qualche momento felice, grazie soprattut¬ to alla consumata esperienza comica del protagonista». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. XLIX, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1961, p. 114). OSSERVAZIONI: Capannelle è l’attore Carlo Pisacane.

CRONACHE DEL '22

di Stefano Ubezio, Guidarino Guidi, Moraldo Rossi, Francesco Cinieri, Giuseppe Orlandini Anno di edizione: 1961 1° episodio: INCONTRO AL MARE di Stefano Ubezio Produzione: Nord Industriai Film; Soggetto: Stefano Ubezio, Franco Interlenghi; Sceneggiatura: Stefano Ubezio, Franco Interlenghi; Aiuto-regia: Giorgio Bandini, Adriano Mazzoletti; Fotografia: Tony Secchi; Musica: Fiorenzo Carpi; Interpretò. Franco Interlenghi, Paola Pitagora, Alberto Sorrentino, Sante Monachesi. LA STORIA: Un giovane fascista incontra su una spiaggia una bella ragazza. Fanno amicizia ed amoreggiano, ma aH’arrivo di un manipolo di squadristi in marcia verso Roma il ragazzo preferisce la gloria all’amore e li segue. 2° episodio: GIORNO DI PAGA di Guidarino Guidi Produzione: Nord Industriai Film; Soggetto: Guidarino Guidi; Sceneggiatura: Guidarino Guidi; Aiuto-regia: Manfredo Giffone; Fotografìa: Elio Polacchi, Fran¬ co Vitretti; Costumi: Orietta Nasalli Rocca; Musica: Fiorenzo Carpi; Interpreti: Paolo Poli, Adriana Asti, Enzo Cerusico, Franco Giacobini, Linda De Felice, Re¬ nato Mambor, Ruth von Hagen, Alex Revidis, Marghe Sala, Renato Montalbano,

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Bepi Nider, Claudio Previtera. LA STORIA: Un ragazzo e una ragazza che vivono di espedienti si fanno conse¬ gnare da un amico truffatore la lista degli squadristi che hanno effettuato la mar¬ cia su Roma e si presentano in vari punti della città a riscuotere la quota di parte¬ cipazione. Il giovane, aggregatosi con l’amica ad un gruppo di squadristi, si impa¬ dronisce dei soldi di questi e fugge, ma, inseguito dai fascisti, resta ucciso. 3° episodio: SPEDIZIONE PUNITIVA di Moraldo Rossi Produzione: Nord Industriai Film; Soggetto-. Moraldo Rossi; Sceneggiatura: Mo¬ raldo Rossi; Aiuto-regia: Giorgio Trentin, Tiziano Cortini; Fotografia-, Pierludovico Pavoni; Musica: Fiorenzo Carpi; Interpreti: Cosetta Greco, Walter Santesso, Carlo Alighiero, Tiziano Cortini, Nino Orsini, Nino Nini, Ugo Novello, Mario Brega, Walter Volpini, Arnaldo Arnaldi. LA STORIA: Un giovane fascista viene coinvolto suo malgrado nelle poco glo¬ riose imprese di alcuni camerati alla caccia di socialisti. Durante la spedizione pu¬ nitiva contro un ex parlamentare socialista, dopo che i suoi camerati hanno messo a soqquadro l’abitazione della vittima per la rabbia di non averlo trovato, il ragaz¬ zo incontra una sua compagna d’infanzia, figlia del padrone di casa. Rimasto solo con lei l’aiuta a rimettere a posto, ma sorpreso dal padre e dal fratello della ragaz¬ za, che nel frattempo erano rientrati, viene malmenato e scacciato. 4° episodio: LA NUOVA LEGGE di Francesco Cinieri Produzione: Nord Industriai Film; Soggetto: Giacometta Cantatore, Francesco Cinieri; Sceneggiatura: Giacometta Cantatore, Francesco Cinieri; Aiuto-regia: Mino Bellei; Fotografia: Aldo De Robertis; Costumi: Angela Sammaciccia; Mu¬ sica: Fiorenzo Carpi; Interpreti: Andrea Checchi, Graziella Galvani, Allan Elledge, Franco Ciucchini, Noel Sheldon, Massimo Tonna, Pasquale Russi, Cosimo Cinieri, Piero Vida, Paco Morales. LA STORIA: Un maresciallo dei carabinieri viene pestato a sangue da un gruppo di fascisti. Lasciato l’incarico si ritira a vita privata. Contattato da alcuni camorri¬ sti, passati nelle file fasciste, cede alla violenza e finirà per accettare il nuovo cor¬ so. 5° episodio: LO SQUADRISTA di Giuseppe Orlandini Produzione: Nord Industriai Film; Soggetto: Giuseppe Orlandini; Sceneggiatura: Giuseppe Orlandini; Aiuto-regia: Marco Leto; Fotografia: Tony Secchi; Costumi: Silvana Saraceno; Musica: Fiorenzo Carpi; Interpreti: Didi Perego, Francesco Mulè, Giustino Durano, Rosanna Cristiani, Roberto Paoletti, Pino Blasetti, Luigi Giuliani, Francesco Petrillo, Alfredo Zambuto. LA STORIA: Un piccolo borghese, fascista per interesse, chiede un favore a un

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collega fanatico. Dopo una scampagnata col collega e alcuni squadristi, sua mo¬ glie si accorge di essere stata derubata di una collana di perle preziose. Queste so¬ no finite nelle tasche di alcuni squadristi e il loro capo, che non vuole uno scanda¬ lo, invece di restituirle alla legittima propritaria le farà rivendere utilizzando il ri¬ cavato per il fondo del partito. LA CRITICA: «Il film a episodi intende fornire un quadro dell’inquieto periodo che vide sorgere il fascismo. I singoli avvenimenti, però, difettano tutti di un’au¬ tentica prospettiva storica e morale, così che l’opera appare approssimativa e a momenti gratuita. La satira manca di mordente ed i toni farseschi predominano al punto da togliere al film un preciso valore polemico». (Anonimo, Segnalazioni ci¬ nematografiche, voi. LII, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1962, p. 68). OSSERVAZIONI: Il film ebbe distribuzione regionale ed ebbe limitata circola¬ zione sul territorio nazionale. Non si conoscono, in quanto non riportati nei titoli di testa, i nomi del montatore, dello scenografo, del produttore e degli altri credits. La durata di tutto il film era di 98’. I cast & credits sopra riportati sono stati desunti dalla copia che la Fininvest ha messo in onda su Canale 5 nell’ottobre 1993.

IL FEDERALE

di Luciano Salce Anno di edizione: 1961 Produzione: D.D.L.; Produttore: Isidoro Broggi, Renato Libassi; Direttore di produzione: Gianni Minervini; Soggetto: Castellano e Pipolo; Sceneggiatura: Ca¬ stellano e Pipolo, Luciano Salce; Aiuto-regia: Emilio P. Miraglia; Fotografia: Enrico Menczer; Suono: Franco Groppioni; Montaggio: Roberto Cinquini; Sceno¬ grafia: Alberto Boccianti; Arredamento: Arrigo Breschi, Ennio Michettoni; Co¬ stumi: Giuliano Papi; Effetti speciali: Serse Urbisaglia; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Ugo Tognazzi, Georges Wilson, Gianrico Tedeschi, Elsa Vazzoler, Mireille Granelli, Stefania Sandrelli, Franco Giacobini, Renzo Palmer, Gianni Agus, Luciano Salce, Gino Buzzanca, Peppino De Martino, Leopoldo Valentini, Luciano Bonanni, Ester Carloni, Gianni Solaro, Gianni Dei, Leonardo Severini, Salvo Libassi, Mimmo Poli, Nando Angelini, Edy Biagetti; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi INCIR-De Paolis di Ro¬ ma. LA STORIA: Nel 1944 un graduato delle brigate nere, Primo Arcovazzi, è invia¬ to a prelevare in Abruzzo il professor Bonafé, indicato dagli antifascisti come fu¬ turo presidente della Repubblica. Come premio, se l’impresa riuscirà, verrà nomi¬ nato federale. Il mite professore viene prelevato dall’Arcovazzi senza difficoltà, ma il viaggio di ritorno a Roma si presenta pieno di pericoli per i due personaggi. Dapprima vengono attaccati dai partigiani, poi vengono derubati da una ladruncola, e fatti prigionieri dai tedeschi; grazie ad un bombardamento riescono a fuggire, si rifugiano in casa di un poeta fascista che vive nascosto in soffitta e finalmente

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giungono alle porte di Roma. Qui Arcovazzi, non ancora convinto, sia dalle circo¬ stanze che dalla presenza di Bonafé, a mutare l’idea che ha del fascismo, confisca una divisa da gerarca alla ladruncola a suo tempo incontrata e fa il suo ingresso a Roma oramai liberata, a sua insaputa, dagli alleati. Sarà Bonafé a salvarlo dal lin¬ ciaggio della folla. LA CRITICA: «Giova ribadire, a scanso d’equivoci, che una analisi de II federa¬ le sul piano artistico sarebbe un’assurdità, una imperdonabile contraddizione in termini, ché niente è più lontano dall’arte, anche minima, di questa serie di facili bozzetti collegati fra loro dal gusto qualunquistico della battuta e affidati alle ri¬ sorse comiche di un attore scaltro e monocorde come Tognazzi e alla finezza e di¬ screzione dell’egregio Georges Wilson. Il film di Salce va segnalato per altre ra¬ gioni, per l’abilità con cui sa propinare al pubblico il suo veleno, distillandolo goccia a goccia nella facilità delle sue scenette e delle sue figurine, facendo leva sugli stimoli più sgradevoli e deteriori dell’antico e sempre giovane qualunquismo nazionale. Si comincia pertanto con la caricatura degli antifascisti, antifascisti da Candido e da Borghese beninteso, rifugiatisi in convento a tramare e litigare fra loro per finire con gli stessi che, assetati di vendetta e di linciaggio, bastonano brutalmente i poveri fascisti». (A.[delio] F.[errerò], Il mestiere del critico, in «Ci¬ nema Nuovo», n. 155, genn./febb. 1962, p. 58). OSSERVAZIONI: Castellani e Pipolo, al secolo sono Franco Castellano e Giu¬ seppe Moccia.

ANNI RUGGENTI

di Luigi Zampa Anno di edizione: 1962 Produzione: Spa Cinematografica - Incei Film; Produttore: Achille Piazzi; Diret¬ tore di produzione-. Renato Jaboni; Soggetto: Sergio Amidei, Vincenzo Talarico, Luigi Zampa, liberamente tratto dal racconto di Gogol «Il revisore»; Sceneggiatu¬ ra: Ettore Scola, Ruggero Maccari, Luigi Zampa; Aiuto-regia: Paolo Bianchini; Fotografia: Carlo Carlini; Suono: Ovidio Del Grande; Montaggio: Eraldo Da Ro¬ ma; Scenografìa: Piero Poletto; Arredamento: Nedo Azzini; Costumi: Lucia Mirisola; Musica: Piero Piccioni; Canzoni: Ruccione e Micheli, Ruccione e Fiorelli, Bixio e Cherubini, Derevtiski e Fumò, Petrolini, Blanc; Interpreti: Nino Manfre¬ di, Gino Cervi, Salvo Randone, Michèle Mercier, Gastone Moschin, Rosalia Maggio, Linda Sini, Dolores Palumbo, Franose Prévost, Angela Luce, Giuseppe Janigro, Mario Pisu, Anita Durante, Carla Calò, Enzo Petito, Mara Maiello, Giu¬ lio Marchetti, Antonietta Esposito, Fanfulla, Alfredo Rizzo, Mario Passante, Nun¬ zia Fumo, Gaetano Morino, Ruggero Pignotti, Lino Crispo, Massimo Marchetti, Livia Grazioli, Totò Ponti; Durata: 110’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, a Matera. Vincitore nel 1962 della Vela d’Argento al Fe¬ stival di Locamo. LA STORIA: Nel 1937 il giovane assicuratore Omero, di sicura fede fascista, si

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reca in un paese della Puglia in cerca di clienti e viene scambiato dai gerarchi del luogo per un alto funzionario del partito inviato da Roma, in incognito, per una ispezione segreta. Il podestà, sua figlia (con cui Omero intreccia una storia senti¬ mentale) e i gerarchetti locali si sforzano di mostrare allo pseudoispettore la fac¬ ciata di ordine e di benessere del regime, ma sarà un medico antifascista ad aprir¬ gli gli occhi sulle speculazioni e i soprusi del fascio. Quando l’equivoco viene chiarito tutti si allontanano da Omero, che lascia il paese - e la ragazza che vi aveva trovato - con molti dubbi sulla sua fede di un tempo, e ricominciano le loro adulazioni rivolgendosi questa volta al vero ispettore che nel frattempo è arriva¬ to. LA CRITICA: «Il ritorno del regista ai modi prediletti della satira antifascista era atteso con particolare interesse, reso più vivo anche dal singolare e promettente ‘incontro’ con il Gogol de II revisore. Purtroppo Anni ruggenti delude quelle atte¬ se e speranze non tanto perché risulti di molto inferiore alle precedenti prove di Zampa, quanto perché vi si avverte una stanchezza che non è soltanto di indole narrativa, ma sembra investire il moralismo e gli ideali stessi del regista. Si noti infatti come l’invenzione gogoliana, riproposta attraverso la mediazione della sen¬ sibilità comica mobilissima e ricca di possibilità e di sfumature di un attore come Nino Manfredi, non abbia fatto da reagente nella organizzazione del film che è ri¬ masto convenzionale nello sviluppo narrativo, bozzettistico nel disegno delle figu¬ re, inefficace nell’identificare e colpire i bersagli della sua satira. E questa scarsa efficacia si avverte più del solito proprio per il carattere così significativo del pe¬ riodo d anni in cui Zampa ha voluto collocare la vicenda, senza riuscire a fame tuttavia un elemento essenziale del suo discorso». (A.[delio] F.[errerò]. Schede, in «Cinema Nuovo», n. 158, lug./ago. 1962, p. 303).

L’ITALIANO HA CINQUANTANNI

di Francamaria Trapani, Giorgio Albertazzi Anno di edizione: 1962 Produzione: Francamaria Trapani; Soggetto: Franco Rispoli; Sceneggiatura: Franco Rispoli; Fotografia: Giorgio Orsini; Montaggio: Francois Godin; Musica: Gino Peguri; Interpreti: Giorgio Albertazzi; Durata: 100’. LA STORIA: Un narratore illustra e commenta cinquant’anni di storia e costume della vita italiana, con l’ausilio delle immagini di documentari e di cinecronache. LA CRITICA: «Ancora un film documentario sull’ultimo mezzo secolo di storia italiana, messo insieme montando spezzoni di cinecronache di varia natura e pro¬ venienza. Ma L’italiano ha cinquant’anni di Francamaria Trapani e Giorgio Al¬ bertazzi è molto meno impegnato, ideologicamente, di altre pellicole analoghe vi¬ ste recentemente, e nel contempo è più vario e curioso [...]. Si dirà che anche que¬ sto di Albertazzi è un film qualunquistico. Il sospetto non è del tutto infondato: si dovrà però riconoscere che è legato all’esperienza di un uomo che sinceramente

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dichiara il disincanto di una generazione passata sì dalla parte della libertà ma con il tarlo nascosto della rassegnazione all’inutilità dell’agire, perché l’umanità ha mandato la ragione in soffitta». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 25 magg. 1962).

LA MARCIA SU ROMA

di Dino Risi Anno di edizione: 1962 Produzione: Fair Film - Orsay Film; Produttore-. Mario Cecchi Gori; Direttore di produzione-. Pio Angeletti; Soggetto: Age e Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Sandro Continenza, Ghigo De Chiara; Sceneggiatura-, Age e Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Sandro Continenza, Ghigo De Chiara; Aiuto-re¬ gia: Dino De Palma; Fotografia: Alfio Contini; Montaggio: Alberto Gallitti; Sce¬ nografia: Ugo Pericoli; Arredamento: Riccardo Domenici; Costumi: Ugo Pericoli; Effetti speciali: Aurelio Pennacchia; Musica: Marcello Giombini; Interpreti: Vit¬ torio Gassman, Ugo Tognazzi, Roger Hanin, Angela Luce, Gérard Landry, Mario Brega, Giampiero Albertini, Antonio Cannas, Nino Di Napoli, Alberto Vecchietti, Claudio Perone, Howard Rubiens, Nando Angelini, Daniele Vargas, Edda Ferronao, Carlo Kecler, Liù Bosisio, Antonio Acqua; Durata: 94’. Produzione realizza¬ ta negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, a Mantova, San Benedetto Po (MN) e a Roma. LA STORIA: Domenico e Umberto, due reduci della prima guerra mondiale, vi¬ vono di espedienti. Vedendo nel fascismo una possibilità di riscatto, si lasciano convincere ad iscriversi al partito. I nostri due «eroi» girano per il Mantovano per fare «propaganda» per il fascio e assaltare le case del popolo; una notte si addor¬ mentano ubriachi e si risvegliano il mattino dopo ritrovandosi soli, perché i loro camerati sono partiti per la «marcia su Roma». Raggiunta la colonna di squadristi, i due compari si avvicinano alla capitale ma, ormai in vista di Roma, dopo aver assistito ad un brutale assassinio commesso da un bravaccio che li comanda, scap¬ pano e vengono ritenuti da tutti caduti per la rivoluzione. Dopo l’avvento del fa¬ scismo i due riappaiono a Roma come due anonimi borghesi mescolati tra la fol¬ la. LA CRITICA: «I vecchi difetti di Risi (schematismo, superficialità, tendenza al bozzetto dialettale e macchiettistico) riappaiono più evidenti ne La marcia su Ro¬ ma, il cui argomento meritava una trattazione più seria e meditata, anche nei limi¬ ti di una satira operettistica. Nonostante tutte le insufficienze, le sguaiataggini e le cadute di gusto, il film ha però il merito di evitare l’ambiguo qualunquismo di opere tipo II federale e di rispettare, sia pure in chiave buffonesca, l’esatto giudi¬ zio morale e storico su quella che sembrò un’avventura provvisoria e fu invece l’inizio di una lunga tragedia. [...] Protagonisti della satirica ricostruzione sono due italiani-tipo che aderiscono al “movimento”, impersonati da Gassman e To¬ gnazzi e rappresentanti rispettivamente l’opportunismo in mala e in buona fede. Il primo è un romano sfaticato, cinico e millantatore, il secondo un ingenuo brac-

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dante lombardo. [...] Visibilmente realizzato in frettolosa economia, eccessiva¬ mente indulgente a spunti di comicità facilona e a superflue scurrilità verbali, il film non possiede certe finezze psicologiche de II sorpasso ma azzecca qualche episodio felice (la resistenza degli operai e contadini, la vendetta dell’olio di rici¬ no dignitosamente subita dal vecchio magistrato antifascista) e riesce soprattutto a svuotare il retorico mito dello squadrismo e a sottolineare indirettamente le re¬ sponsabilità della monarchia e dei governanti d’allora ri ducendo la strombazzata impresa a quello che fu in realtà: la caotica e prudente scampagnata di un’accoz¬ zaglia di cialtroni, che avrebbe potuto davvero essere tempestivamente dispersa dai famosi “cinque minuti di fuoco”». (G. Cattivelli, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 161, genn./febb. 1963, p. 47). OSSERVAZIONI: Age e Scarpelli sono, rispettivamente, Agenore Incrocci e Fu¬ rio Scarpelli.

IL MIO AMICO BENITO

di Giorgio Bianchi Anno di edizione: 1962 Produzione: Cinex; Produttore: Mario Mariani; Direttore di produzione: Walter Benelli; Soggetto: Luigi Magni, Stefano Strucchi, Oreste Biancoli, Giorgio Bian¬ chi, da un’idea di Amleto Nobili; Sceneggiatura: Luigi Magni, Stefano Strucchi, Oreste Biancoli, Giorgio Bianchi; Fotografia: Tino Santoni; Suono: Luigi Puri; Montaggio: Romana Fortini; Scenografia: Luciano Riccieri; Arredamento: Ric¬ cardo Domenici; Costumi: Lucia Mirisola; Musica: Armando Trovajoli; Interpre¬ ti: Peppino De Filippo, Mario Carotenuto, Didi Perego, Mac Ronay, Luigi Pave¬ se, Franco Giacobini, Luigi De Filippo, Giuseppe Porcili, Carlo Pisacane, Riccar¬ do Billi, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Tiberio Murgia, Ciccio Barbi, Andrea Checchi, Alberto Rabagliati, Emma Gramatica; Durata: 100’. LA STORIA: Un impiegato di seconda classe desidera diventare capufficio, ma non sa come fare carriera. Un giorno trova una vecchia fotografia che lo ritrae in trincea con Mussolini. Decide di farsi ricevere per ottenere la raccomandazione che gli serve. Avvicinare il duce però non è facile. Finalmente riesce nel suo sco¬ po e viene ammesso nello studio del capo, ma deve attendere che abbia finito il discorso che sta pronunciando dal balcone. Il discorso è quello della dichiarazione di guerra. Deluso, l’aspirante capufficio strappa la fotografìa e lascia Palazzo Ve¬ nezia. LA CRITICA: «Dopo una serie di documentari retrospettivi che hanno avuto per argomento il fascismo e qualche pellicola ad intreccio satirico sullo stesso tema, ecco ora una farsa, Il mio amico Benito, per la quale il regista Giorgio Bianchi ha chiamato in causa Peppino De Filippo. [...] Va detto che Peppino De Filippo fa quanto è possibile per trarre succo e sapore dalla figuretta di travet che gli è stata affidata e la farsa, benché un po’ pesante nel tono, ha qualche momento di discre¬ ta presa, ma il finale risulta didascalico e la punta di amarezza che contiene non

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lega con la strepitosa buffoneria che lo precede». (Anonimo, «Corriere della Se¬ ra», 17 magg. 1962).

IL PROCESSO DI VERONA

di Carlo Lizzani Anno di edizione: 1962 Produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica - Orsay film; Produttore: Dui¬ lio Coletti; Direttore di produzione: Domenico Bologna; Soggetto: Sergio Amidei, Luigi Somma; Sceneggiatura: Ugo Pirro; Aiuto-regia: Giovanni Vento, David Carbonari; Fotografia: Leonida Barboni; Suono: Venenzio Lisca; Montaggio: Franco Fraticelli; Scenografia: Elio Costanzi; Arredamento: Augusto La Valle; Costumi: Giulia Mafai; Musica: Mario Nascimbene; Interpreti: Silvana Mangano, Frank Wolff, Francois Prévost, Vivi Gioì, Claudio Gora, Giorgio De Lullo, An¬ drea Checchi, Henri Serre, Salvo Randone, Gennaro Di Gregorio, Ivo Garrani, Fi¬ lippo Scelzo, Tino Bianchi, Carlo D’Angelo, Curt Lowens, Umberto D’Orsi, Car¬ melo Aitale, Gianni Di Benedetto, Andrea Bosic, Franco Castellani, Edoardo To¬ molo, Patrizia Cafiero, Umberto Raho, Antonio Ricci, Loris Loddi, Ewa Hart, Ugo Carboni, Pietro Fumelli, Mario Ciparrone, Armando Furiai, Pierannibale Danovi, Mario Milita, Guido Celano, Calisto Calisti, Max Turilli, Marcello Bonini Olas, Tiziano Cortini; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi De Lauren¬ tiis e, in esterni, a Verona. Vincitore nel 1964 di un Nastro d’Argento per la mi¬ gliore attrice a Silvana Mangano. LA STORIA: Galeazzo Ciano, genero del duce, è fra coloro che votano l’ordine del giorno Grandi, che porterà alla caduta del fascismo. Assieme ad altri quattro gerarchi che avevano seguito il suo esempio, Ciano viene incarcerato e processa¬ to. La moglie Edda cerca di trattare con i tedeschi scambiando la vita del marito con i suoi diari, ritenuti compromettenti per i nazisti. In seguito, però, i tedeschi cambiano idea sull’importanza dei diari, e quindi ad Edda non resta che la do¬ manda di grazia al duce, domanda che non arriverà mai a Mussolini perché inter¬ cettata dagli intransigenti del partito, tra cui Pavolini. I cinque vengono così fuci¬ lati al poligono di tiro di Verona. LA CRITICA: «Come ha inteso guardare Lizzani oggi a una figura come questa, quale è stato il suo atteggiamento dinanzi a un episodio che andava ben oltre la mediocre e velleitaria figura di Ciano e in cui questi si trovò solo in apparenza e per ragioni “scandalistiche” ad assumere una parte di primo piano? Evidente¬ mente Lizzani puntava, nelle intenzioni, all’obiettivo più alto, a cogliere nella for¬ tunata ascesa di un personaggio del genere e nella sua rapida rovina un processo di dimensioni più ampie e complesse, la crisi e il crollo di una classe dirigente mancata in un momento di drammatico trapasso, in una svolta della vita naziona¬ le. La formula del “dramma di corte”, sulla quale Lizzani è più volte ritornato, poteva anche risultare pertinente e accettabile nella misura in cui la rievocazione della “corte” fosse scesa in profondità, cogliendone le diverse componenti, le ra¬ mificazioni e i prolungamenti negli effettivi centri di potere della società. [...] In

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tal modo il regista avrebbe potuto provarsi in quella critica del mito del “potere”, in quella prospettiva demistificatoria di cui ha parlato spesso alla vigilia del film e nel corso della sua lavorazione. Fortemente suggestionato dal precedente di Vin¬ citori e vinti [...] incerto fra una sorta di ritrovamento documentaristico della sto¬ ria, che degenera nella “ricostruzione” verosimile, e una libertà di narrazione che si svia dietro le amplificazioni romanzesche, Lizzani ha imboccato invece la stra¬ da opposta ed è caduto nell’equivoco che era legittimo paventare: la storia gli si è irrigidita in una cornice ambientale, in una convenzione drammatica, e le figure di Galeazzo e di Edda Ciano hanno acquistato un risalto inusitato, stagliandosi sul contesto dei fatti con il rilievo di due personaggi d’eccezione». (A.[delio] F.[errero], Schede, in «Cinema Nuovo», n. 162, mar./apr. 1963, pp. 130-131).

ARABELLA

di Mauro Bolognini Anno di edizione: 1967 Produzione: Cram Film; Produttore'. Maleno Malenotti, Luciano Perugia; Diret¬ tore di produzione: Mario De Biase; Soggetto: Giorgio Arlorio, Brunello Rondi; Sceneggiatura: Adriano Baracco; Aiuto-regia: Roberto Malenotti; Fotografia: En¬ nio Guamieri; Suono: Mario Faraoni; Montaggio: Eraldo Da Roma; Scenografìa: Alberto Boccianti: Costumi: Piero Tosi; Effetti speciali: Joseph Nathanson; Musi¬ ca: Ennio Morricone; Interpreti: Vima Lisi, James Fox, Margareth Rutherford, Paola Borboni, Giancarlo Giannini, Antonio Casagrande, Milena Vukotic, Esmeralda Ruspoli, Renato Romano, Valentino Macchi, Renato Chiantoni, Giuseppe Addobbati, Consalvo Dell’Arti, Goffredo Alessandrini, Terry-Thomas; Durata: 104’. LA STORIA: A metà degli anni Venti, a Roma, una nobildonna preoccupata di rimpolpare il patrimonio familiare irretisce alcuni ricchi e sprovveduti galantuo¬ mini attratti dal suo fascino. Dapprima un albergatore, con cui si spaccia amica di Mussolini, poi un generale inglese giunto in Italia per preparare la visita ufficiale del re d’Inghilterra; alla fine però la disinibita Arabella incontra Giorgio, per nul¬ la ricco e, a sua volta, avido di denaro, che le fa perdere la testa e le sottrae quan¬ to è riuscita a truffare. Ma l’amore gioca un brutto scherzo a Giorgio, che si inna¬ mora a sua volta di Arabella e la sposa; insieme inventeranno nuove truffe. LA CRITICA: «Nei limiti di un semplice divertissement e con alcune cadute di ritmo, il film non manca tuttavia di riusciti spunti caricaturali e si avvale di un’in¬ terpretazione abbastanza spigliata». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. LXIV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1968, p. 96).

GIOVINEZZA, GIOVINEZZA

di Franco Rossi Anno di edizione: 1969 Produzione: Daniel Film; Produttore: Ugo Guerra, Elio Scardamaglia; Direttore

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di produzione: Giogio Morra; Soggetto: dal romanzo omonimo di Luigi Preti; Sceneggiatura: Vittorio Bonicelli, Franco Rossi; Aiuto-regia: Nello Vanin; Foto¬ grafia: Vittorio Storaro; Montaggio: Giorgio Serralonga; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Musica: Piero Pic¬ cioni; Interpreti: Alain Noury, Roberto Lande, Léonard Manzella, Kathia Mogury, Olimpia Carlisi, Antonio Centa, Colomba Ghiglia, Guido Alberti, Alessandro Haber, Torello Angeli, Piero Gerlini, Marcello Portesi, Giuseppe Faggioli, Gian¬ carlo Baldini, Claudio Trionfi, Sandro Grinfan; Durata: 105’. Produzione realiz¬ zata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, a Ferrara e ad Albarella. LA STORIA: Mariuccia e Giordano, figli di un gerarca fascista, ricco possidente terriero, sono legati da amicizia a Giulio, figlio di un sarto. Il destino divide gli amici, poiché Giulio è fortemente attratto dagli ideali di potenza del fascismo, mentre Giordano milita in una organizzazione clandestina antifascista. Quando Giordano si trasferisce a Torino, Giulio rimane turbato perché è innamorato di Mariuccia che non potrà più vedere senza la presenza di Giordano. Solo quando Giordano toma a Ferrara, di quando in quando, i tre amici riprendono a vedersi e a stare assieme. Giulio viene a sapere che Mariuccia sta per sposarsi con un avia¬ tore che ha combattuto in Spagna; per reazione si fidanza, entra nel fascio e si im¬ piega da un avvocato. Nel frattempo Giordano viene scoperto. Arrestato, viene condannato dal Tribunale Speciale a un anno di carcere. Quando, scontata la pena, Giordano toma a Ferrara, Giulio gli rimprovera di avergli taciuto le sue convin¬ zioni politiche. Scoppia la guerra e Giulio, ufficiale di artiglieria, parte per il fronte russo. Tornato a casa in licenza, viene a sapere che Mariuccia è rimasta ve¬ dova. Giunto alla villa trova Giordano che vi si è nascosto perché è un disertore. Giulio lo aiuta a fuggire in Jugoslavia, poi toma al fronte: non si vedranno mai più. LA CRITICA: «Traduzione bella e infedele dell’omonimo romazo di Luigi Preti (edizione Mondadori), Giovinezza giovinezza è una elegia ragionata sui ragazzi del GUF. Copre un arco di sei o sette anni, dalla proclamazione dell’impero mussoliniano aH’imminienza dell’armistizio, e si sforza di ritrovare i toni e i senti¬ menti di una stagione che appare ormai lontana. [...] Asciugato in un’ora e mezza da una precedente edizione di oltre tre ore, Giovinezza giovinezza profonde con generosità il suo carico di situazioni-ricordo, tutte esatte, tutte perfettamente vis¬ sute nel clima di un’epoca. Però non si pensi a un film sentimentale: lo sceneg¬ giatore Vittorio Bonicelli e il regista Franco Rossi hanno fatto opera critica nei confronti del passato, l’hanno sottopposto al vaglio della riflessione più severa. Se il film ha un’incrinatura, la si avverte nella parte conclusiva: dove il disegno fino allora perfetto dei personaggi denuncia qualche impazienza o magari la fretta di concludere. Si tratta comunque di un bel film, da mettere accanto a Estate violen¬ ta di Valerio Zurlini fra le testimonianze felici di una ricerca del tempo perduto». (Tullio Kezich, «Panorama», n. 39, 27 sett. 1969).

IL CONFORMISTA

di Bernardo Bertolucci Anno di edizione: 1970

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Produzione: Mars Film - Marianne Productions - Maran Film Gmbh; Produttore: Maurizio Lodi-Fé; Direttore di produzione: Serge Lebeau; Soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci; Aiuto-regia: Aldo Lado; Fotografia: Vittorio Storaro; Suono: Mario Dallimonti; Montaggio: Franco Arcalli; Scenografia: Ferdinando Scarfiotti; Costumi: Gitt Magrini; Musi¬ ca: Géorges Delerue; Interpreti: Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Do¬ minique Sanda, Pierre Clementi, Gastone Moschin, José Quaglio, Fosco Giachetti, Enzo Tarascio, Yvonne Sanson, Milly, Giuseppe Addobbati, Benedetto Bene¬ detti, Gino Vagniluca, Christian Alegny, Antonio Maestri, Christian Belegue, Pa¬ squale Fortunato, Marta Lado, Pietrangelo Civera, Carlo Gaddi, Alessandro Haber, Massimo Sarchielli, Luciano Rossi, Orso Maria Guerrini, Furio Pellerani, Luigi Antonio Guerra, Claudio Cappelli, Umberto Silvestri; Durata: 110’. LA STORIA: Marcello Chierici da ragazzo ha sparato ad un omosessuale e crede di averlo ucciso. Perseguitato dal ricordo di quanto ha fatto, all’avvento del fasci¬ smo si getta anima e corpo nel partito che ha fatto della violenza un valore asso¬ luto. Nel 1937, contattato dall’Ovra, viene incaricato di infiltrarsi nell’ambiente parigino del prof. Quadri, un esule antifascista che il regime vuole eliminare. Marcello va con Giulia, sua moglie, in viaggio di nozze a Parigi ed entra in con¬ tatto con Quadri; Giulia fa amicizia con sua moglie Anna, che sviluppa un attac¬ camento morboso nei confronti della ragazza. Per attirare a sé Giulia, Anna cir¬ cuisce Marcello che finisce per innamorarsi di lei. Durante una breve vacanza di Quadri e sua moglie, Manganiello, il sicario inviato per uccidere Quadri, prepara l’agguato alla coppia di esuli e Marcello e Giulia assistono impotenti al massacro dei coniugi. Nel 1943, mentre a Roma si susseguono le manifestazioni per la ca¬ duta del fascismo, Marcello incontra l’omosessuale che credeva di avere ucciso da ragazzo e, impazzito, lo denuncia alla folla e si accusa di tutti i delitti che ha commesso. LA CRITICA: «Rielaborando con grande equilibrio la materia di Moravia (è si¬ gnificativo il rifiuto del finale moralistico), Bertolucci racchiude in un torbido in¬ trigo di viltà, di violenza e di insana sensualità la tragica dimensione di quei mo¬ menti della storia in cui i deboli sono aiutati a essere iniqui. Scegliendo uno stile di così secca oggettività da raggiungere esiti surreali, inteso a cogliere il nocciolo crudo dei caratteri e delle situazioni e insieme ad evocarne l’alone ambiguo con un magico gioco di atmosfere, Bertolucci suggerisce un giudizio morale sui per¬ sonaggi e sull’epoca che può lasciare un poco perplessi ma al quale non si può ne¬ gare una ferma coerenza, così stretto è il rapporto fra i contenuti e i modi espres¬ sivi. L’opera si colloca perciò fra le più suggestive e inquietanti interpretazioni del decadentismo europeo venuteci da una generazione di artisti che senza aver conosciuto di persona il fascismo ne ricostruisce i fradici connotati sul mondo da esso prodotto». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 30 genn. 1971).

IL GIARDINO DEI FINII CONTINI

di Vittorio De Sica Anno di edizione: 1970

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Produzione: Documento Film - C.C.C. Filmkunst; Produttore: Gianni Hecht Lucari, Arthur Cohn; Direttore di produzione: Romano Dandi; Soggetto: dal romanso omonimo di Giorgio Bassani; Sceneggiatura: Ugo Pirro, Vittorio Bonicelli; Aiuto-regia: Luisa Alessandri; Fotografia: Ennio Guamieri; Suono: Massimo Loffredi, Max Galinsky; Montaggio: Adriana Novelli; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Arredamento: Franco D’Andria; Costumi: Alessandro Bartolini Salimbeni; Musica: Manuel De Sica; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpre¬ ti: Dominique Sanda, Lino Capolicchio, Helmut Berger, Fabio Testi, Romolo Val¬ li, Camillo Cesarei, Inna Alexeieff, Ratina Morisani, Barbara Léonard Pilavin, Marcella Gentile, Franco Nebbia, Giampaolo Duregon, Michael Berger, Ettore Gerì, Edoardo Toniolo, Raffaele Curi, Camillo Angelini Rota, Ratina Viglietti, Cinzia Bruno, Alessandro D’Alatri; Durata: 93’. Produzione realizzata in esterni a Ferrara e a Venezia. Vincitore, nel 1971, dell’Orso d’Oro al 20° Festival di Ber¬ lino e del premio Oscar per il miglior film straniero. LA STORIA: Giorgio e Giampaolo sono amici di Micol e Alberto, i membri più giovani della famiglia Finzi Contini, antica e aristocratica famiglia ebraica che vi¬ ve in una lussuosa dimora di Ferrara. Giorgio è innamorato di Micol, ma la ragaz¬ za, pur dimostrandogli affetto e simpatia, è attratta da Giampaolo. Quando scopre la relazione tra i due Giorgio rimane sconvolto, ma gli avvenimenti politici tra¬ volgono ogni vicenda personale. Le leggi razziali che precedono la guerra travol¬ gono le famiglie di Micol e di Giorgio. Alberto muore di tisi, Micol e il resto del¬ la famiglia vengono deportati. Stessa sorte subirà il padre di Giorgio, e Giampao¬ lo non tornerà più dal fronte russo. Solo Giorgio si salverà dalla morte e dalla de¬ portazione. LA CRITICA: «A differenza del romanzo, il film non sa dirci che, ripensando da adulto a quel dramma, Giorgio lega al nome di Micol il ricordo della giovinezza spezzata e il dolore per la bellezza scomparsa: e questa dimensione poetica, affi¬ data nel libro all’io narrante in prima persona, è certamente una perdita irrepara¬ bile. Ma un notevole senso elegiaco, una mestizia casta, De Sica riesce spesso a trasmetterle con la sua leggerezza di tocco e la coerenza dei suoi toni medi. Non quando, prevaricando sul testo, ci mostra Giorgio che assiste non visto alle intimi¬ tà fra Micol e Malante, o quando, sul finale, per inumidire il ciglio delle platee, ricorre alle scene madri del rastrellamento e dei singhiozzi, bensì quando sfioran¬ do una delicata tastiera di semitoni e toccando con pudore le angosce severe del¬ l’anima ebraica insinua nello spettatore sensibile ombre antiche e accorate e trepi¬ de attese. Un certo difetto d’incisività, per cui le figure passano come slavate, e il loro tumulto interiore si stempera in un vago sussurro, viene così ripagato da un’aura di favola triste, di strazio sognato. Giorgio e Micol, i loro amici e i loro genitori, Ferrara, il fascismo, il razzismo, la guerra sbiadiscono i contorni, il rac¬ conto si proietta fuori della storia, e riassume la propria amarezza in una specie di gemito soave, venuto dalla nebbia d’un passato quasi irreale». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 5 die. 1970).

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LA STRATEGIA DEL RAGNO di Bernardo Bertolucci Anno di edizione: 1970 Produzione: Red Film - RAI/TV; Produttore: Giovanni Bertolucci; Soggetto: dal racconto «Tema del traditore e dell’eroe» di Jorge Luis Borges; Sceneggiatura: Marilù Parolini, Edoardo De Gregorio, Bernardo Bertolucci; Aiuto-regia: Giusep¬ pe Bertolucci; Fotografia: Vittorio Storaro, Franco Di Giacomo; Suono: Giorgio Pelloni; Montaggio: Roberto Perpignani; Scenografìa: Maria Paola Maino; Costu¬ mi: Maria Paola Maino; Musica: brani da Giuseppe Verdi e Arnold Schonberg; Interpreti: Giulio Brogi, Alida Valli, Tino Scotti, Pippo Campanini, Franco Giovannelli, Alien Midgette, Attilio Viti, Giuseppe Bertolucci; Durata: 110’. Produ¬ zione realizzata, in esterni, a Sabbioneta (Mn). Presentato alla XXXI Mostra In¬ temazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nel 1970. Vincitore, nel 1970, del premio francese «Prix Luis Bunuel». LA STORIA: Molti anni dopo la morte del padre, Athos Magnani, ucciso dai fa¬ scisti nel 1936, il figlio giunge a Tara, paese della bassa padana, nel giorno della sua commemorazione, per scoprire la verità sulla sua morte. Dalla vecchia amante del padre riesce ad ottenere poche e confuse notizie. Tra l’ostilità del paese conti¬ nua le sue indagini e incontra tre amici del defunto genitore e un possidente del luogo che l’opinione pubblica locale ritiene il mandante dell’omicidio. Costui ne¬ ga, e i tre amici del padre, dopo lungo tergiversare, raccontano al figlio che Athos avrebbe dovuto uccidere Mussolini la sera dell’inaugurazione del teatro, ma che l’attentato fallì per il tradimento dello stesso Athos che rivelò tutto alla polizia. Confessato il suo tradimento agli amici, egli volle essere ucciso da loro per poi far ricadere la responsabilità sui fascisti, perché la sua morte potesse almeno ser¬ vire da stimolo alla lotta antifascista. Il giovane, accettando questa versione dei fatti, lascia il paese, identificandosi con il padre che, in un certo senso, è il suo doppio. LA CRITICA: «Bertolucci ha pensato a un film “sull’ambiguità della storia per chi si trova anni dopo a valutarla”. La storia, certo, è impasto di pubblico e priva¬ to; noi viviamo i fatti e questi, oltre a essere vissuti da noi, concorrono a determi¬ nare il destino di tutti. L’artista mira alla conciliazione dei due momenti e vi giunge più facilmente, secondo noi, se la sua visione delle cose è sgombra da mi¬ tizzazione. È quindi sempre utile un confronto con se stessi, rivivendo il proprio passato per razionalizzarlo. Accade però che in cima alla montagna le contraddi¬ zioni esplodano e feriscano: Bertolucci costruisce allora inconsciamente l’alibi “politico” che gli permetta di giustificare un interesse pressoché esclusivo per il proprio destino personale. Di qui la perplessità dello spettatore di fronte a quel di¬ scorso su fascismo e antifascismo, la gradevolezza invece del tratteggio ambienta¬ le, e la finale irrilevanza del discorso politico. Il ripensamento sulla storia, in que¬ sto caso, è finito in un’ulteriore mitizzazione, nonostante che alla base dell’opera¬ zione sia proprio un intento demitizzante». (Gianfranco] Co.[rbucci], Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 209, genn./febb. 1971, p. 60). OSSERVAZIONI: Le tavole dei titoli di testa sono tratte dal volume Ligabue di

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Cesare Zavattini. La canzone «Il conformista», di Mina e Martelli, è cantata da Mina.

GIROLIMONI. IL MOSTRO DI ROMA

di Damiano Damiani Anno di edizione: 1972 Produzione: Dino De Laurentis International; Produttore: Bruno Tondini; Diret¬ tore di produzione: Giorgio Morra; Soggetto: Damiano Damiani, Fulvio Gicca Palli, Enrico Ribulsi; Sceneggiatura: Damiano Damiani, Fulvio Gicca Palli, Enri¬ co Ribulsi; Aiuto-regia: Mino Giarda; Fotografia: Marcello Gatti; Suono: Mario Celentano; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Umberto Turco; Arredamento: Umberto Turco; Costumi: Mario Ambrosino; Musica: Riz Ortolani; Interpreti: Nino Manfredi, Guido Leontini, Orso Maria Guerrini, Anna Maria Pescatori, Ga¬ briele Lavia, Mario Carotenuto, Claudio Nicastro, Luciano Catenacci, Umberto Raho, Vittorio Duse, Eleonora Morana, Carlo Alighiero, Elio Zamuto, Angela Covello, Gianni Musy Glori, Renata Zamegno, Lisa Leonardi, Luigi Antonio Guerra, Gianna Marelli, Luigi Casellato, Fortunato Arena, Silvio Bagolini, Giu¬ seppe Vicini, Stefano Oppedisano, Ubaldo Granata, Piero Morgia, Melù Valente, Nino Casale, Arturo Dominici, Laura De Marchi, Franca Scagnetti; Durata: 125’. Produzione realizzata negli Studi De Laurentiis. LA STORIA: Durante i primi anni del fascismo, a Roma alcuni quartieri sono terrorizzati da un mostro che sevizia e uccide bambine. Il regime non può permet¬ tersi fallimenti, e Mussolini in persona ordina alla polizia di smascherare e cattu¬ rare il mostro al più presto. Un brigadiere ambizioso, presa sul serio l’accusa di un marito geloso, arresta un certo Gino Girolimoni che, nonostante le accuse sia¬ no inconsistenti, viene presentato all’opinione pubblica come il «mostro» di Ro¬ ma. Ben presto però la polizia è costretta ad ammettere che Girolimoni è innocen¬ te ma, per non rivelare il fallimento della «brillante efficienza della polizia fasci¬ sta», il regime obbliga la stampa a non fame parola e a tacere sulla scarcerazione del malcapitato. Emarginato e abbruttito, Girolimoni resterà nella convinzione po¬ polare «il mostro di Roma», portando su di sé questo marchio per tutta la vita. LA CRITICA: «Auguriamoci che l’Italia democratica non faccia fare a Pietro Valpreda la fine che Mussolini macchinò per Gino Girolomoni, presunto uccisore di bambine prima arrestato a colpi di grancassa, poi scarcerato alla chetichella or¬ dinando ai giornali di non parlarne: sicché il poveretto visse i restanti trent’anni della sua vita in un autentico inferno. Dal famoso caso di cronaca Damiano Da¬ miani cerca di ricavare troppe cose: uno spaccato naturalistico piuttosto infelice, che implica fra l’altro l’errore di voler dare una spiegazione a un mistero mai chiarito; un dramma didattico alla Brecht sui rapporti fra la dittatura, la giustizia e la stampa (e in tale contesto, non sempre artisticamente risolto, spicca un Musso¬ lini aforistico e imitativo); un personaggio per Nino Manfredi, che reinventa Girolimoni e lo risolve a sketch: ma con un efficace trapasso da un cinismo snobisti¬ co, tipo Petrolini, al furore impotente dell’ometto travolto da fatti più grandi di

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lui. Sull’itinerario del mostro innocente sono disseminati i riferimenti al linciag¬ gio di Anteo Zamboni, all’avanzata inesorabile del servilismo, alla fascistizzazio¬ ne dei quotidiani, alla fucilazione dell’anarchico Schirru: il tutto in un amalgama troppo lambiccato per essere convincente alla pari delle ultimissime prove di Da¬ miani, Confessione di un commissario e L’istruttoria è chiusa». (Tullio Kezich, «Panorama», 10 ott. 1972).

ROMA

di Federico Fellini Anno di edizione: 1972 Produzione: Ultra Film - Les Productions Artistes Associés; Direttore di produ¬ zione: Lamberto Pippia; Soggetto: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; Sceneg¬ giatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; Aiuto-regia: Maurizio Mein; Foto¬ grafia: Giuseppe Rotunno; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Scenografia: Danilo Donati: Arredamento: Andrea Fantacci; Costumi: Danilo Donati; Effetti speciali: Adriano Pischiutta; Musica: Nino Rota; Direzione musicale: Carlo Savina: Inter¬ preti: Peter Gonzales, Fiona Florence, Marne Maitland, Britta Barnes, Pia De Doses, Renato Giovannoli, Elisa Mainardi, Paule Rout, Paola Natale, Marcelle Ginette Bron, Mario Del Vago, Alfredo Adami, Stefano Mayore, Gudrun Mardou Khiess, Giovanni Serboli, Angela De Leo, Libero Frissi, Dante Cleri, Mimmo Poli, Galliano Sbarra, Alvaro Vitali, Norma Giacchero, Federico Fellini, Gore Vidal, John Francis Lane, Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi; Du¬ rata: 119’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. Vincitore nel 1973 di un Nastro d’Argento per la migliore scenografia a Danilo Donati. LA STORIA: Rimini, anni Trenta; Fellini ragazzo è affascinato dai racconti su Roma degli insegnanti del collegio di cui è ospite. Nel 1939, ormai ventenne, par¬ te per la capitale, e la città gli si presenta in maniera ben diversa dall’immagine mitica che ne aveva, costellata di personaggi eterogenei, dagli squallidi individui della pensione in cui è alloggiato ai frequentatori delle osterie, dai monelli di stra¬ da alle prostitute della via Appia. Con un balzo si passa all’attualità, con un in¬ gorgo incredibile sul raccordo Anulare. Fellini è impegnato nelle riprese di un film su una città, alle prese con un popolo di turisti e di studenti che lo criticano per il suo disimpegno politico. L’immagine si fonde con il pubblico di un teatrino di avanspettacolo al tempo della guerra e il fuggi fuggi generale dovuto ad un al¬ larme aereo. Poi il ritorno all’oggi e la scoperta di un importante reperto archeo¬ logico durante gli scavi della metropolitana. Poi la cinepresa si sofferma sugli hippies di Piazza di Spagna e li paragona al pubblico eterogeneo dei bordelli degli anni Quaranta; quindi si passa ad una sfilata di moda ecclesiastica in un decadente palazzo patrizio, al ritrovo conviviale di divi del cinema e scrittori in un locale di Trastevere e mentre si ritorna agli hippies di prima, caricati dalla polizia, un eser¬ cito di motociclisti sfila rombando per le strade storiche di una città sorniona e indifferente. LA CRITICA: «Il film Roma è ancora una volta una collana di episodi, un’aitale-

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na di ricordi e fantasie. L’arco di tempo copre quarant’anni: da quando Fellini, bambino, sentiva parlare dell’Urbe e la gonfiava con l’immaginazione, a quando, giovanotto, finalmente la toccò; e poi, continuando la spola fra passato e presente, dalle meraviglie di ieri agli sgomenti di oggi. Dunque, fra il Rubicone e la talpa della metropolitana, la Rpma della memoria e la Roma della realtà, fuse nello stu¬ pore e nell’ansia incolmabile di frugarne il ventre, di possederla come una madre. Gli psicanalisti sono avvertiti: per metà di sangue romano, Fellini è tutto sdraiato sul loro lettino. [...] Il dato che caratterizza le parti più riuscite di Roma è l’armo¬ nico andirivieni fra Fieri e l’oggi in una continua presenza della fantasia, lo slab¬ brarsi delle cose in emozioni, la certezza che Roma è inconoscibile con la ragio¬ ne. Ciò perbene a una estetica dubitabile, ma o prendere o lasciare: anche se que¬ sta Roma è per molti aspetti lacunosa, e certamente estranea agli schemi delle più cocciute inchieste sociologiche, ha il merito di proporre un veridico specchio delle brame di Fellini, un autoritratto che ne denuncia sinceramente i limiti culturali ma riafferma una vocazione spettacolare che assorbe ogni giudizio storico e morale nel fervore della chiassosa rappresentazione circense». (Giovanni Grazzini, «Cor¬ riere della Sera», 17 mar. 1972).

AMARCORD

di Federico Fellini Anno di edizione: 1973 Produzione: F. C. Produzioni - P.E.C.F.; Produttore: Franco Cristaldi; Direttore di produzione: Lamberto Pippia; Soggetto: Federico Fellini, Tonino Guerra, da un’idea di Federico Fellini; Sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra; Aiu¬ to-regia: Maurizio Mein, Gerald Morin; Fotografia: Giuseppe Rotunno; Suono: Oscar De Arcangelis; Montaggio: Ruggero Mastroianni, Scenografia: Danilo Do¬ nati; Arredamento. Andrea Fantacci; Costruzioni scenografiche: Giorgio Giovannini; Costumi: Danilo Donati; Effetti speciali: Adriano Pischiutta; Musica: Nino Rota; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpreti: Bruno Zanin, Pupella Maggio, Armando Brancia, Stefano Proietti, Giuseppe Janigro, Nando Orfei, Ciccio Ingrassia, Carla Mora, Magali Noel, Luigi Rossi, Maria Antonietta Beluzzi, Josiane Tanzilli, Domenico Pertica, Antonino Faà Di Bruno, Carmela Eusepi, Gennaro Ombra, Gianfilippo Carcano, Francesco Maselli, Dina Adorni, Francesco Vona, Bruno Lenzi, Lino Patruno, Armando Villella, Alvaro Vitali, Francesco Magno, Gianfranco Marrocco, Fausto Signoretti, Donatella Gambini, Fides Stagni, Fredo Pistoni, Ferruccio Brembilla, Mauro Misul, Marcello Di Falco, Aristide Caporale, Bruno Scagnetti, Ferdinando De Felice, Mario Silvestri, Mario Nebolini, Vincen¬ zo Caldarola, Mario Liberati, Fiorella Magalotti, Marina Trovalusci, Mario Muilo, Antonio Spaccatini, Bruno Bartocci, Marco Laurentino, Riccardo Satta, Cle¬ mente Baccherini, Costantino Serraino, Francesco Di Giacomo, Ray Monti, Mar¬ cello Bonini Olas, Aurelio Aureli; Durata: 127’. Produzione realizzata negli Sta¬ bilimenti di Cinecittà e negli Studi Vides. Vincitore nel 1974 di quattro Nastri d’Argento: per la migliore regia (Fellini), per il migliore soggetto originale (Felli¬ ni, Guerra), per la miglior sceneggiatura (Fellini, Guerra) e per il miglior attore

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Capitolo terzo

esordiente (Carcano). Vincitore nel 1974 di due David di Donatello: per la miglior produzione (Cristaldi) e per la migliore regia (Fellini). LA STORIA: Il Borgo è un antico quartiere di Rimini, nei pressi del Ponte di Ti¬ berio, fatto di vicoli e case basse. Qui, negli anni Trenta, vive la famiglia di Titta: il padre, capomastro antifascista, la madre bigotta, il nonno arteriosclerotico, uno zio fascista (l’altro zio, Teo, è da anni in manicomio) e Oliva, il fratello più gio¬ vane. Titta, con i suoi compagni di scuola, si diverte e ha piccole avventure con donne più vecchie di lui, come la super tettuta tabaccaia e la Gradisca. Si succe¬ dono avvenimenti memorabili: la grande nevicata, il passaggio del Rex, il princi¬ pe Umberto al Grand Hotel, le Mille Miglia, le adunate fasciste, ecc. Un giorno sua madre muore e tutto cambia. Cambia il rapporto con gli amici, le donne, la scuola e il Borgo. La sua vita cambia: per lui la giovinezza è finita. LA CRITICA: «Costruito su una struttura rapsodica, che intreccia episodi e figu¬ re col filo dello stupore, Amarcord è l’opera di un Fellini adulto e civile, in cui l’autobiografismo, come già in Otto e mezzo (ma il film rimanda anche ai Clowns), è maturato in chiave di conoscenza storica e in dramma generazionale. Con questo di impagabile: che un lievito di ferocia ha preso il posto del piangersi ad¬ dosso, e conferisce ai volti, alle cose, ai luoghi una violenza espressiva spesso in¬ sostenibile. Passerella di pagliacci, di infami, di sconfitti, sempre di subalterni, Amarcord è il trionfo del tragico raggiunto attraverso la risata, è un uncino nel cuore e una matassa di seta. E un esorcismo liberatorio e un’adunata, nelle grotte della memoria, scossa dai singhiozzi. E lo sgomento di un passato che la retorica proustiana non sublima, e la disperata ricerca di una rigenerazione impossibile compiuta attraverso la smorfia, il sarcasmo, e la meraviglia della morte. Quasi tutto Amarcord è danza macabra su un ilare sfondo e palio dei buffi fra quinte si¬ nistre, con pause di assorto rapimento e amare discese agli inferi dove l’infanzia, quella infanzia, alimenta le nostre nevrosi, la vocazione al patetico e al rissoso. Emozione e fantasia, invenzione d’artista e padronanza assoluta del mestiere si danno la mano in uno spettacolo senza ombra di intellettualismo dove nulla è ve¬ ro, perché tutto è ricostruito (anche il mare), e tuttavia la realtà, portata al limite del tripudio onirico, ha come non mai peso e spessore, abitata da attrazioni e ri¬ pulse, attese e spaventi, che sono il tessuto della vita e il suo controcanto elegia¬ co». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 19 die. 1973).

IL DELITTO MATTEOTTI

di Florestano Vancini Anno di edizione: 1973 Produzione: Claudia Cinematografica; Produttore: Gino Mordini; Direttore di produzione: Marcello Papaleo; Soggetto: Lucio Manlio Battistrada, Florestano Vancini; Sceneggiatura: Lucio Manlio Battistrada, Florestano Vancini; Aiuto-re¬ gia: Franco Longo, Fotografia: Dario Di Palma; Suono: Raul Montesanti; Mon¬ taggio: Nino Baragli; Scenografia: Umberto Turco; Costumi: Silvana Pantani; Musica: Egisto Macchi; Interpreti: Franco Nero, Mario Adorf, Riccardo Cucciol-

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la, Damiano Damiani, Vittorio De Sica, Giulio Girola, Manuela Kustermann, Renzo Montagnani, Gastone Moschin, Stefano Oppedisano, Umberto Orsini, Maurizio Arena, Cesare Barbetti, Pietro Biondi, Giovanni Brusadori, Manlio Busoni, Andrea Costa, Aldo De Carellis, Mico Cundari, Andrea Aureli, Francesco D’Adda, Giorgio Dolfin, Max Dorian, Piero Gerlini, Antonio La Raina, Giorgio Favretto, Carlo Lo Presti, Mario Maffei, Giovanna Mainardi, Michele Malaspina, Ezio Marano, Roberto Marelli, Renzo Martini, Franco Mazzieri, Renato Montalbano, José Quaglio, Franco Moraldi, Valerio Ruggeri, Gino Santercole, Roberto Santi, Franco Silva, Gianni Solaro, Gioacchino Soko, Pietro Tordi, Tullio Valli, Orazio Stracuzzi, Loris Zacchi, Alfredo Francesco Bertini, Ugo Sasso, Bruno Tocci; Durata: 120’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. Vinci¬ tore nel 1973 del Premio Speciale della giuria al Festival di Mosca.

LA STORLA: Giacomo Matteotti dopo l’esito delle elezioni del 6 aprile 1924 de¬ nuncia con un memorabile discorso in Parlamento i brogli dei fascisti per ottenere la vittoria, e chiede che le elezioni vengano annullate. L’OVRA, per ordine di Mussolini, fa rapire e picchiare a morte il deputato socialista. La sua scomparsa viene denunciata dai compagni del partito e scattano le ricerche, che si concludo¬ no dopo quattro giorni, quando il cadavere viene ritrovato, per caso, nascosto in un tombino. La notizia si diffonde rapidamente in tutto il paese, ma quando la gente scopre che Matteotti è stato assassinato, lo sdegno degli italiani è unanime. Il fascismo vacilla, finché Mussolini, dopo un primo momento di incertezza e di panico, passa al contrattacco, fa arrestare alcuni dei responsabili del delitto, altri li fa dimettere dagli incarichi ricoperti e quindi, in Parlamento, si assume tutte le re¬ sponsabilità politiche, storiche e morali della vicenda aprendo, di fatto, la via ver¬ so la dittatura. LA CRITICA: «L’evocazione “storica” del passato attraverso la “ricostruzio¬ ne” ambientale (dalla sabbiolina del Lungotevere, luogo del delitto, alla cotonatu¬ ra di Gramsci) è ancora una volta, come nei film prodotti daH’industria culturale, veicolo linguistico non solo per garantire la mercificazione del prodotto ma so¬ prattutto il suo distanziamento (non certo in senso brechtiano) dalla nostra realtà contemporanea, dalla storia presente. Nel Delitto Matteotti emerge, quindi, più la preoccupazione per la “somiglianza” che impegno per una rappresentazione dia¬ lettica e quindi “realistica” della storia, più la necessità di una identificazione del prodotto con l’immagine del passato nel fuoco del presente storico. Il film di Vancini è l’immagine di un’antica memoria “antifascista”, la cui lezione di storia, alla prova materialistica del linguaggio, non è altro che una lezione su\Virresisti¬ bile ascesa di Benito Mussolini. Paradossalmente, oltre la genericità “documenta¬ ristica” di un didascalico e scolastico conflitto ideale [...], Il delitto Matteotti è la storia soggettiva (dell’autore) e obiettiva (dell’ideologia) di un cedimento, di una frustrazione e di una decadenza. [...] C’è un nesso estremamente logico tra il ma¬ nierismo della “ricostruzione storica”, la fatalità espressionistica dell’ascesa di Mussolini e la rappresentazione dell’ideologia e della prassi dell’opposizione e del partito comunista, mistificate nell’iconografia di personaggi quali Gramsci, Turati e Amendola, osservati come vittime predestinate e inermi della storia e della violenza del potere che si espande in un Paese deserto, inabitato e forse “inabitabile” nella diegesi filmica. Per queste ragioni, Il delitto Matteotti [...] più

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che una lezione di antifascismo si rivela un saggio teologico sul piano della storia, un’interpretazione passiva e acritica, obiettivamente repressiva e regressiva, di un momento nodale della storia d’Italia, dove la crisi della tattica e della strategia del movimento operaio raggiungeva il suo culmine». (R.[oberto] Alem.[anno], Il me¬ stiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 225, sett./ott. 1973, pp. 373-374).

DIARIO DI UN ITALIANO

di Sergio Capogna Anno di edizione: 1973 Produzione: Faser Film; Produttore: Giuliana Scappino; Direttore di produzio¬ ne: Attilio Tosato; Soggetto: dal racconto «Vanda» di Vasco Pratolini; Sceneggia¬ tura: Sergio Capogna; Aiuto-regia: Giorgio Mariuzzo; Fotografia: Antonio Piaz¬ za; Suono: Eugenio Fiori; Montaggio: Sergio Capogna; Scenografia: Franco Bot¬ tali; Arredamento: Anna Maria Grifoni Curradi; Musica: Giuliano Illiani; Dire¬ zione musicale: Alberto Nicolelli; Interpreti: Donatello, Alida Valli, Mara Venier, Silvano Tranquilli, Pier Paolo Capponi; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, a Firenze. Presentato alla XXXHI Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nel 1972, nella Sezione Cinema Italiano e Stampa Estera. LA STORIA: 1938: Valerio, figlio di un socialista morto in carcere, vive a Firen¬ ze dove fa il tipografo. Conosce Giulia e se ne innamora. La ragazza, figlia di un ebreo perseguitato politico, gli nasconde le sue origini. Quando Valerio scopre la verità vorrebbe spiegare alla ragazza che la cosa per lui non ha alcuna importanza. Ma intanto la guerra è scoppiata, Giulia è scomparsa e Valerio viene chiamato alle armi. Prima di partire il ragazzo cerca disperatamente Giulia, ma trova invece il padre di lei che sta per essere arrestato e mandato in campo di concentramento. Poco dopo anche Valerio, in divisa, viene caricato su un treno che lo porterà alla guerra mentre alcuni pescatori portano a riva il corpo di una ragazza: è quello di Giulia, annegata neH’Amo. LA CRITICA: «Come Un eroe del nostro tempo, anche Diario di un italiano at¬ tinge alla letteratura di Vasco Pratolini, precisamente a un racconto, “Vanda” che rievoca il clima d’una Firenze alla vigilia dell’ultima guerra. Ma di quel clima ri¬ mane nel film ben poco, nonostante i paesaggi, le ricostruzioni e le malizie tecni¬ che». (Alfonso Madeo, «Corriere della Sera», 25 ago. 1972). OSSERVAZIONI: Donatello è il nome d’arte di Giuliano Iliani.

FILM D’AMORE E DI ANARCHIA: OVVERO STAMATTINA ALLE 10 IN VIA DEI FIORI NELLA NOSTRA CASA DI TOLLERANZA

di Lina Wertmiiller

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Anno di edizione: 1973 Produzione: Euro International Film - Labrador Film; Produttore: Romano Car¬ darelli; Soggetto: Lina Wertmuller; Sceneggiatura: Lina Wertmiiller; Aiuto-regia: Giovanni Arduini; Fotografia: Giuseppe Rotunno; Montaggio: Franco Fraticelli; Scenografia: Enrico Job; Arredamento: Emilio Baldelli; Costumi: Enrico Job; Musica: Carlo Savina, Nino Rota, e canzoni dell’epoca; Direzione musicale: Car¬ lo Savina; Interpreti: Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, Eros Pagni, Lina Polito, Pina Cei, Elena Fiore, Giuliana Calandra, Isa Bellini, Isa Danieli, Anna Bonaiuto, Maria Sciacca, Josiane Tanzilli, Valeria Piaggio, Franca Salerno, Anna Maria Dossena, Maria Capparelli, Roberto Herlitzka, Luigi Antonio Guerra; Du¬ rata: 109’. Produzione realizzata negli Studi INCIR-De Paolis di Roma. Palma d’Oro al 25° Festival di Cannes, nel 1973, a Giancarlo Giannini come migliore at¬ tore. Vincitore, nel 1974, di due Nastri d’Argento: a Giannini, come migliore at¬ tore e a Lina Polito, come migliore attrice esordiente. LA STORIA: Un fuoriuscito lombardo di umili origini contadine e di fede anar¬ chica, Tunin, si offre volontario per attentare alla vita del Duce. Siamo all’inizio degli anni Trenta, e dalla Francia si reca a Roma dove il suo «contatto» è una pro¬ stituta, Salomè, che lavora in un bordello. Tunin, fattosi passare per cugino di Salomè, è ospitato nella casa di tolleranza dove conosce Tripolina, una «collega» di Salomè, e se ne innamora. Dopo varie vicissitudini che aumentano la tensione fra i tre amici, finalmente arriva il giorno dell’attentato, scelto perché Mussolini pre¬ senzia ad una cerimonia che si svolge proprio nei pressi del bordello. Ma le due donne, per paura che venga catturato e ucciso, decidono di non svegliare Tunin. Quando se ne accorge, il giovane, impazzito dalla rabbia, spara furiosamente sui carabinieri che erano nel bordello e continua la folle sparatoria facendosi largo verso la strada, ma viene catturato, pestato a sangue dai fascisti e portato in carce¬ re dove morirà a seguito delle percosse subite. Ufficialmente la sua morte verrà giustificata come suicidio. LA CRITICA: «Film d’amore e d’anarchia è uno spettacolo di scarsa polpa ma di buccia assai attraente. Lasciamo perdere se quel tentativo di intendere l’amore come recupero di tutti i sentimenti, anche della paura, in contrapposizione al fana¬ tismo, sia una polemica femminilmente controideologica: come il giudizio della Wertmuller sulla figura del protagonista oscilla fra la presa per il bavero e l’affet¬ tuosa pietà, così la posizione del film nei confronti dell’anarchia è affidata a una frase ambigua di Malatesta citata in chiusura, incerta fra la condanna dei delitti politici e l’esaltazione dell’idealismo che guiderebbe gli attentatori. La maggiore carenza del film sta nella sua intrinseca povertà di racconto dietro una facciata sfarzosa, e nel debole sviluppo dei caratteri: vizi tutti derivati dal sovraccarico di colore. Già incline al bozzetto in Mimi metallurgico, ora la Wertmuller spinge si¬ no in fondo il pedale del pittoresco, così insidioso quando si colloca un racconto in un bordello e si fa leva su un coro pluridialettale. Ne risulta oltreché un dialogo comprensibile soltanto per metà, una commedia la quale ha più mordente comico che satirico, varie parentesi dispersive e quasi nessun impatto storico-critico oltre la cornice, ma a cui va fatto un inchino appena si guardi ai valori descrittivi». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 23 febb. 1973).

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LA VILLEGGIATURA

di Marco Leto Anno di edizione: 1973 Produzione: Natascia Film; Soggetto: Marco Leto; Sceneggiatura: Lino Del Frà, Marco Leto, Cecilia Mangini; Aiuto-regia: Alberto Lux; Fotografia: Volfango Alfi; Suono: Remo Ugolinelli; Montaggio: Giuseppe Giacobino; Scenografia: Gior¬ gio Luppi; Arredamento: Giorgio Luppi; Costumi: Marisa D’Andrea; Musica: Giuseppe Verdi; Adattamento musicale: Egisto Macchi; Interpreti: Adalberto Ma¬ ria Merli, Adolfo Celi, Milena Vukotic, John Steiner, Roberto Erlitzka, Biagio Pelligra, Giuliano Petrelli, Vito Cipolla, Luigi Uzzo, Aldo De Carrellis, Bruno Di Geronimo, Gianfranco Barra, Arnaldo Bellofiore, Silvio Anseimo, Filippo De Gara, Nello Riviè, Angelo Nicotra Massimo Granata, Rosario Bertonato, Pietro Zardin, Renato Castellani, Andrea Ricchiuti; Durata: 112’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, alle isole Tremiti. LA STORIA: Il professor Rossini, docente di storia e figlio di un cattedratico, viene inviato al confino di polizia per essersi rifiutato di giurare fedeltà al regime fascista. I suoi primi contatti con gli altri confinati sono difficili: quasi tutti di ori¬ gine proletaria, contestano a Rossini il suo antifascismo borghese. Questi rapporti si incrinano ulteriormente quando Rossini riceve un trattamento di favore dal commissario di polizia, che si scopre ex allievo di suo padre. Confuso dai modi gentili del commissario, Rossini non si rende conto che la volgarità del gerarca del luogo non è poi così dissimile dall’ambiguità e dalla finta cortesia del com¬ missario. Saranno l’uccisione di un comunista e il ferimento di un anarchico ad aprire gli occhi al professore, che anziché accettare l’offerta di tornare ad insegna¬ re senza l’obbligo del giuramento, preferisce tentare la fuga dall’isola. LA CRITICA: «Ecco un film per molti versi inconsueto, che trasforma in spetta¬ colo una precisa opinione politica e ne dichiara tutte le implicazioni morali e cul¬ turali. Il film afferma il valore dell’intransigenza con un cipiglio che può lasciare perplessi quanti rifiutano le posizioni settarie, ma anche rievoca un clima, disegna figure e descrive certi ambigui rapporti di forza con una precisione di toni, rara negli esordienti, che concorre a rendere persuasivo il discorso dell’autore. [...] Sa¬ crificando qualche momento della verità storica alla necessità di indicare le re¬ sponsabilità avute dalla Chiesa (come sappiamo la Conciliazione fu del ’29 e 1 obbligo del giuramento del ’ 31 : qui invece i due eventi sono invertiti), Marco Leto ha compiuto a nostro avviso un peccato veniale. Il film non è un documenta¬ rio, bensì la ricostruzione di una serie di stati d’animo in cui si palesa con la real¬ tà italiana di quegli anni, il prezzo pagato al mito della continuità dello Stato, e la consapevolezza che la cultura non è al di sopra delle fazioni, facendo tutt’uno con la morale e la politica. Il film soffre di certe lungaggini, ma nell’ambito della sua rigida struttura ideologica si libera dalle pastoie didascaliche con una narrazione spesso assai felice». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 20 magg. 1973).

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AMORE AMARO

di Florestano Vancini Anno di edizione: 1974 Produzione: Fral; Produttore: Franco Monferini; Soggetto: dal racconto «Per cau¬ se imprecisate» di Carlo Bemari; Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Floresta¬ no Vancini; Aiuto-regia: Franco Longo; Fotografia: Dario Di Palma; Suono: Gof¬ fredo Salvatori; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Carlo Egidi; Arredamen¬ to'. Ely Peyrot; Costumi: Silvana Pantani; Musica: Armando Trovajoli; Canzoni: Armando Trovajoli e Renato Serio, Fragna e Cherubini; Interpreti: Lisa Gastoni, Léonard Mann, Rita Livesi, Germano Longo, Maurizio Fiori, Nino Dal Fabbro, Francesco Patani; Durata: 110’. Produzione realizzata in esterni a Ferrara, Roma e Parigi. LA STORIA: Verso la fine degli anni Trenta a Ferrara uno studente universitario, Antonio, s’innamora di un’insegnante, Renata, di dieci anni più anziana di lui. La madre di Renata, fascista convinta, vorrebbe che la figlia sposasse un gerarca che da tempo la corteggia, la donna invece ricambia l’amore del giovane. Dopo un viaggio a Parigi dove incontra esuli antifascisti, Antonio prende coscienza delle proprie convinzioni politiche, che lo accomunano al padre in carcere per antifasci¬ smo. Nel frattempo Renata, pur innamorata di Antonio, si rende conto che il loro legame è impossibile e sposa il gerarca che da tempo la corteggia. Molto tempo dopo la guerra, i due si incontrano ad un congresso a Roma; Renata non vorrebbe farsi vedere da Antonio e si nasconde, ma la commozione nel ritrovare il vero amore della sua vita è troppo forte: il cuore non le regge e muore. LA CRITICA: «Se fino a ieri il film più debole del regista era La calda vita, ora questo primato negativo spetta senz’altro ad Amore amaro. L’intenzione di Vanci¬ ni era probabilmente di recuperare, sia pure in chiave intimistica, il discorso a lui caro del fascismo e dell’antifascismo di ieri e di oggi, del passato come trascorsa stagione di vitalità morale e del presente come riduzione di quell’impegno a rito e a inerte memoria. Purtroppo, però, così priva di reale spessore, la dimensione sto¬ rico-politica del racconto appare soltanto pretestuosa, senza che per questo riesca a prendere quota la sua predominante dimensione sentimentale, mal servita dai dialoghi mediocremente letterari e da una cinepresa che accumula senza entusia¬ smo immagini poco entusiasmanti». (Lino Micicché, «Cinema Sessanta», n.101, genn./febb. 1975, p. 67).

FASCISTA

di Nico Naldini Anno di edizione: 1974 Produzione: P.E.A.; Produttore: Alberto Grimaldi; Soggetto: Nico Naldini; Sce¬ neggiatura: Nico Naldini; Commento: Nico Naldini; Voce: Giorgio Bassani; Mon¬ taggio: Nico Naldini; Supervisione al montaggio: Franco Arcadi; Musica: inni e

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Capitolo terzo

canzoni fasciste; Materiale documentario'. Archivi Istituto Luce; Durata: 105’. Presentato alla prima edizione di Proposte di Nuovi Film di Venezia, nel 1974. LA STORIA: Ricostruzione della scalata al potere di Mussolini, dalla marcia su Roma alla seconda guerra mondiale, attraverso il montaggio di spezzoni dei Cine¬ giornali LUCE e di altri documentari del periodo fascista. LA CRITICA: «Naldini affronta nel suo film il tema del fascismo ma lo riduce a farsa e ne esalta gli aspetti più grotteschi, istrionici e spettacolari. Opera un recu¬ pero archeologico delPimmagine e accetta, limitandosi a “giuntare” vari cine¬ giornali “Luce” integri nella loro costruzione originaria, la impostazione ideolo¬ gica che il fascismo dava ai propri materiali informativi. Non vuole affrontare il discorso sull’immagine come documento da integrare politicamente sulla base de¬ gli sviluppi storici creati dall’antifascismo militante di ieri e di oggi. Si limita ad affermare che il fascismo è stato un fenomeno di propaganda, sostanzialmente sottoculturale». (Roberto Aristarco, Ideologia del revival nel recupero dell’imma¬ gine, in «Cinema Nuovo», n. 233, genn./febb. 1975, p. 37). OSSERVAZIONI: Proposte di Nuovi Film è la manifestazione che sostituì per il triennio 1974-76 la Mostra Intemazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ne¬ gli anni della contestazione. La Mostra riprese regolarmente la propria attività a partire dal 1979.

MUSSOLINI ULTIMO ATTO di Carlo Lizzani Anno di edizione: 1974 Produzione: Aquila Cinematografica; Produttore: Enzo Peri; Direttore di produ¬ zione: Stefano Rolla; Soggetto: Fabio Pitorru; Ricerche storiche: Fabio Pitorru; Scenografia: Carlo Lizzani, Fabio Pitorru; Aiuto-regia: Mino Giarda; Fotografia: Roberto Gerardi; Suono: Fernando Pescetelli; Montaggio: Franco Fraticelli; Sce¬ nografia: Amedeo Fago; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Ugo Pericoli; Maestro d’armi: Ferdinando Poggi; Effetti speciali: Basilio Patrizi; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Rod Steiger, Franco Nero, Lisa Gastoni, Lino Capolicchio, Henry Fonda, Giuseppe Addobbati, Andrea Aureli, Bruno Corazzali, Rodolfo Dal Prà, Francesco Di Federico; Manfred Freyberger, Marco Guglielmi, Umberto Raho, Giacomo Rossi Stuart, Massimo Sar¬ chielli, Bill Wanders, Franco Balducci, Benito Bolognini Cobianchi, Lucio Como, Arturo Corso, Mimmo Craig, Marvin Drake, Tom Felleghy, Franco Ferri, Enzo Fisichella, Giovanni Fracasso, Mario Mattia Giorgetti, Luigi Antonio Guerra, Fa¬ brizio Jovine, Giancarlo Lolli, Gilberto Mazi, Franco Mazzieri, Piero Mazzinghi, Annibaie Papetti, Renato Paracchi, Lino Patruno, Luciano Pigozzi, Dante Posani, Elisa Pozzi, Gaetano Russo, Vittorio Sancisi, Tony Satir, Renzo Scali, Claudio Sforzini, John Stacy, Meg Tarantino, Rosita Torosh, Valentino Vallone, Remo Varisco; Durata: 135’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà.

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LA STORIA: Mussolini è deciso a raggiungere la Valtellina per un ultimo dispe¬ rato tentativo di resistenza all’avanzata degli Alleati e delle forze partigiane che ormai lo circondano. Il 24 aprile 1945 si reca dal cardinale Schuster, che fa da in¬ termediario con i rappresentanti del CLN presso l’Arcivescovado di Milano, per trattare le condizioni per la resa. Ma di fronte alla prospettiva di una resa incondi¬ zionata rifiuta e fugge da Milano, intenzionato a raggiungere la Svizzera per con¬ segnarsi agli americani. Assieme ad un gruppo di fedelissimi e con Claretta Petacci, il Duce si aggrega ad una colonna tedesca diretta verso le Alpi, ma la co¬ lonna viene fermata dai partigiani e Mussolini viene riconosciuto e arrestato. Alla notizia del suo arresto il CLN Alta Italia invia sul posto il colonnello Valerio con il compito di eseguire immediatamente la sentenza di morte comminata dal CLN stesso, per evitare eventuali intromissioni degli Alleati o del governo nazionale. Mussolini viene giustiziato assieme alla Petacci che muore fra le sue braccia. LA CRITICA: «Nato da intenzioni genericamente antifasciste, Mussolini: ultimo atto finisce per configurarsi, nella prassi delle stesse scelte linguistiche, in una chiara contraddizione con le “intenzioni” dell’autore (pur se non con le sue di¬ chiarazioni di poetica), cioè proprio un film sulla “storia d’amore di Ben e di Claretta”, falsamente “obiettivo” e “documentaristico”, oggettivamente conser¬ vatore per carenze di analisi e di prospettive. Lizzani ha posto l’accento, anche, sul senso storico-epifanico degli ultimi giorni di Mussolini, in particolare sulla “logica interna” fattuale e strutturale di quegli avvenimenti “processuali”, ma che la storia ha da tempo ormai acquisito, quasi che essi stessi, attraverso il loro puro rispecchiamento “documentaristico”, fossero oggi capaci di trasmettere la “verità storica”. Ecco come la verità dell’“immagine” mimetica e “spettacola¬ re”, che tuttavia è e non può non essere una finzione [...], tenta l’impossibile identificazione con la verità profonda dell’“immaginato” attraverso la “riprodu¬ zione” della primaria e naturale “spettacolarità” di quel processo storico [...]. Mussolini: ultimo atto voleva essere una “obiettiva” documentazione degli ultimi giorni di Mussolini e della Petacci, ma fallisce sia sul piano “documentaristico”, sia su quello della profondità ideologica, proprio perché ogni significato possibile che inerisce al crollo del dittatore non esaurisce il significato del fascismo e del¬ l’antifascismo: l’agonia di un dittatore (almeno nelle forme, della “cronaca” e del “romanzesco”, espresse da Lizzani), 1’“ultimo atto” della “rappresentazio¬ ne” del suo “disonore” non potrà mai illuminare l’essenza di una dittatura, di un fascismo che non possiamo non interpretare come ancora operante nella storia presente». (Roberto Alemanno, Retorica del fascismo dal cosiddetto volto umano, in «Cinema Nuovo», n. 231, sett./ott. 1974, pp. 349-350).

PERMETTE SIGNORA CHE AMI VOSTRA FIGLIA? di Gian Luigi Polidoro Anno di edizione: 1974 Produzione: Compagnia Cinematografica Champion - Clodio Cinematografica Madeleine Films; Produttore: Carlo Ponti; Direttore di produzione'. Egidio Qua¬ rantotto; Soggetto: Gian Luigi Polidoro; Sceneggiatura: Raphael Azcona, Piero

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De Bernardi, Leo Benvenuti, Gian Luigi Polidoro; Aiuto-regia: Divo Cavichioli; Fotografia: Mario Vulpiani; Suono: Ugo Celani; Montaggio: Antonio Siciliano; Scenografia: Enrico Tovaglieri; Costumi: Luca Sabatelli; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Ugo Tognazzi, Bernadette Lafont, Franco Fabrizi, Felice Andreasi, Ernesto Colli, Rossana Di Lorenzo, Quinto Panneggiarli, Gino Ballista, Christian Alegny, Carla Mancini, Susy Lover, Maria Tedeschi, Ettore Mattia, Ma¬ rio Milo, Luigi Valenzano, Paola Maiolini, Luigi Leoni, Luca Ronicalzi, Antonio Casale, Germano Longo, Fu Jok En, Antonio Pane, Pietro Tordi, Lorenzo Piani; Durata: 105’. Produzione realizzata negli Studi INCIR-De Paolis di Roma e, in esterni, a Bagnacavallo, Faenza e nelle Valli di Comacchio. LA STORIA: Il capocomico di una compagnia di attori girovaghi pensa che il suo pubblico sia stanco dei soliti drammoni e ne scrive uno nuovo sull’amore tra Mussolini e la Petacci. Il successo arriva, ma a poco a poco l’attore comincia a comportarsi anche fuori delle scene come il defunto dittatore, tanto che, quando in Romagna viene contestato dal pubblico e sottoposto, per uno scherzo feroce, ad una finta fucilazione, rimane deluso quando scopre che le armi sono caricate a salve. Solo e umiliato, tradito dalla prima attrice che amoreggia con chiunque, de¬ cide di sbarazzarsi di tutti, moglie compresa, e, mentre tutti dormono, toglie il freno a mano e lascia che il pullman della compagnia precipiti in un burrone. Pur¬ troppo per lui, la moglie non era sul pullman. LA CRITICA: «Il tutto non riesce a prendere una dimensione a causa di una re¬ gia elementare, fiacca e distaccata, che procede per blocchi separati (si veda il procedimento distinto fra dramma in palcoscenico e intreccio privato) e che ha quasi paura di avvicinarsi agli attori per spremervi qualcosa. Da qui non solo un Tognazzi molto al di sotto delle sue possibilità, ma anche una Bernadette Lafont (altre volte squisita) assai trascurata e quasi irriconoscibile. Solo nella sequenza finale sembra che il film afferri finalmente un tono, tosto cancellato, però, da un ultimo confuso risvolto». (L.[eonardo] A.[utera], «Corriere della Sera», 14 apr. 1974).

IL PIATTO PIANGE di Paolo Nuzzi Anno di edizione: 1974 Produzione: Clodio Cinematografica; Produttore: Leo Pescarolo; Direttore di produzione: Antonio Mazza; Soggetto: dal libro omonimo di Pietro Chiara; Sce¬ neggiatura: Maria Pia Sollima, Paolo Nuzzi, Pietro Chiara; Aiuto-regia: Rinaldo Ricci; Fotografia: Arturo Zavattini; Suono: Ugo Celani; Montaggio: Antonio Si¬ ciliano; Scenografia: Mario Ambrosini; Arredamento: Ennio Michettoni; Costumi: Mario Ambrosino; Musica: Franco Micalizzi; Direzione musicale: Sandro Blonksteiner; Interpreti: Aldo Maccione, Agostina Belli, Andrea Ferreol, Erminio Ma¬ cario, Claudio Gora, Bernard Blier, Loredana Martinez; Renato Pinciroli, Franco Diogene, Guido Leontini, Armando Brancia, Daniele Vargas, Attilio Duse, Anto¬ nio Spaccatini, Maria Antonietta Belluzzi, Sandra Cardini, Nazzareno Natale, Gianfilippo Carcano, Angelo Pellegrino, Elisa Mainardi, Piero Chiara, Renato Pa-

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racchi, Giuseppe Maffioli; Durata: 110’. Produzione realizzata negli Studi INCIR-De Paolis di Roma. LA STORIA: Durante il fascismo, la cittadina di Luino si mostra indifferente alle bravate squadriste di Spreafico e alla vita da sfaticati condotta dal professore, dal capostazione, dall’albergatore, dal segretario dell’avvocato. Costoro si ritrovano nella bisca clandestina del padrone dell’Hotel Metropolitan, dove passano le notti a commentare gli avvenimenti del giorno, vantandosi delle proprie prodezze virili. Il segretario dell’avvocato si invaghisce di Ines e la ruba al cognato, ma questa avventura gli costa un’ulcera sifilitica. Vari avvenimenti si succedono a Luino senza che nulla muti, compresa la guarigione dello sfortunato dongiovanni, e dopo una chiusura temporanea della bisca, a causa delle continue perdite, i soliti com¬ pagni si ritrovano attorno al tavolo da gioco. LA CRITICA: «Certo è vero che Pietro Chiara non è mai stato un gran modello di satira sociale, [...] ma è altrettanto vero che lo scrittore luinese [...] una certa dose di veleno la mette sempre nel suo evocare e nel suo descrivere alcuni carat¬ teristici (non tipici) personaggi della provincia sonnacchiosa. Ma che ne è di tutto ciò nel film di Nuzzi? [...] Il quadro provinciale, che poteva e doveva ancorarsi ad uno sfondo agrodolce in cui il comico delle situazioni e dei personaggi si trasfor¬ ma in umorismo, finisce invece per essere gratificato di una certa partecipazione compiaciuta, per quanto tenue e ovattata, che riduce tutto a una sorta di donne e di carte per un gradevole riempitivo del nostro tempo libero. La boria pagliacce¬ sca e paesana del camerata Spreafico (boria che certo ha avuto dei riscontri pun¬ tuali in mille situazioni locali) finisce così per essere una ennesima rievocazione “goliardica” di un fascismo che nei nostri paesi sarebbe stato per lo più folkloristico e sbruffone, senza evidenziare mai quali fossero le componenti socio-cultu¬ rali che permisero al regime di presentarsi crudele, e al tempo stesso coreografi¬ camente “italiano” nelle interpretazioni che di esso hanno dato mille fascisti “da osteria”». (Bruno Damiani, Filmguida, in «Cinefonim», n. 140, genn. 1975, p. 92).

IL GAROFANO ROSSO di Luigi Faccini Anno di edizione: 1975 Produzione: Filmcoop; Soggetto: Uberamente tratto dal romanzo omonimo di Elio Vittorini; Sceneggiatura: Luigi Faccini; Aiuto-regia: Enzo Barbarino, Alfon¬ so Marchese, Antonio Nieddu; Fotografia: Arturo Zavattini; Suono: Pasquale Ro¬ tolo; Montaggio: Maurizio Cucciolla; Scenografia: Marco Dentici; Costumi: Chiara Ghigi; Musica: Banco del Mutuo Soccorso [Vittorio Nocenzi, Gianni Nocenzi, Rodolfo Maltese]; Interpreti: Miguel Bosé, Denis Karvil, Elsa Martinelli, Marina Berti, Isa Barzizza, Maria Monti, Marisa Mantovani, Giovana Di Bernar¬ do, Alberto Cracco, Giuseppe Attanasio, Carlo Cabrini, Giovanni Rosselli, Barba¬ ra Nascimbene, Lidia Bemarek, Stefano De Filippi, Marcella Ferri, Mauro Gravi¬ na, Enzo Barbarino, Marco Palazzi, Bruno Pietro; Durata: 115’. Produzione rea¬ lizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. Presentato al 10° Festival di Mosca nel 1977.

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LA STORIA: Verso la metà degli anni Venti, Alessio studia al liceo di Siracusa e vive in una pensione familiare dove ha come compagno di camera Tarquinio. I due amici manifestano entrambi un atteggiamento di sfida verso il mondo degli adulti, pur avendo un carattere completamente diverso: Alessio è romantico e pla¬ tonicamente innamorato di Giovanna, figlia di un colonnello, Tarquinio è cinico ed ha come idolo femminile una prostituta, Zobeida. Alessio viene espulso dalla scuola e deve ritornare a casa, ma durante la sua assenza Tarquinio ne approffitta per soffiargli la ragazza. Venutone a conoscenza, toma a Siracusa deciso a vendi¬ carsi. Qui vive un’effimera avventura con Zobeida, convinto di averla conquistata, ma la ragazza si uccide. Maturato attraverso le drammatiche esperienze personali, Alessio inizierà a provare sentimenti di avversione verso il fascismo. LA CRITICA: «Questo Garofano rosso di Luigi Faccini, che batte sul tempo un’altra trascrizione del romanzo in tre puntate per il video, non porta argomenti validi al dibattito sull’eredità vittoriniana. Semmai dimostra, semplicemente, la vitalità di una delle più remote proposte dello scrittore (“Il garofano rosso” fu scritto e pubblicato a puntate tra il ’33 e il ’35 sotto tiro dei censori fascisti: la vi¬ cenda è narrata molto bene da Giansiro Ferrata nella prefazione dell’Oscar Mon¬ dadori). Con poche modifiche il libro evoca l’esperienza autobiografica del giova¬ ne Vittorini, a Siracusa, negli anni del delitto Matteotti: l’incrinarsi della sua gio¬ vanile fiducia in un fascismo di sinistra, la tortuosa scoperta dell’amore, il nesso che lega in ogni individuo il pubblico e il privato. Tutto questo nel libro è rivissu¬ to con la foga tipica degli astratti furori di Vittorini; ma nel film ritorna in una specie di raffigurazione estenuata, esangue, decorativa; e per di più danneggiata dal senno di poi (la coscienza troppo chiara del fascismo come errore, la presenza troppo netta di una resistenza già operante)». (Tullio Kezich, «Panorama», 4 magg. 1976).

LIBERA, AMORE MIO... di Mauro Bolognini Anno di edizione: 1975 Produzione: Loyola Cinematografica; Produttore: Roberto Loyola; Direttore di produzione: Lucio Orlandini; Soggetto: Luciano Vincenzonui, Sceneggiatura: Lu¬ ciano Vincenzoni, Nicola Badalucco, Mauro Bolognini; Aiuto-regia: Mario Cap¬ pelloni, Antonio Canti, Guido Valentini, lannis Diamantopoulos; Fotografia: Franco Di Giacomo; Suono: Massimo Loffredi; Montaggio: Nino Baragli; Sceno¬ grafia: Guido losia; Arredamento: Piero Tosi; Costumi: Piero Tosi; Musica: En¬ nio Morricone; Canzoni: Maschero e Mendes, Bracchi e D’Anzi, Rampoldi e Cantoni; Interpreti: Claudia Cardinale, Bruno Cirino, Adolfo Celi, Philippe Le¬ roy, Bekim Fehmiu, Luigi Diberti, Rosalba Neri, Marco Lucantoni, Maria Vitto¬ ria Virgili, Eleonora Morana, Franco Balducci, Tullio Altamura, Gianni Solaro, Rosita Pisano, Luigi Petrarca, Elisabetta Virgili, Giandolfo Gregory, Ubaldo Gra¬ nata, Amparo Pilar, Raffaele Sanmarco, Giuseppe Tuminelli, Carla Mancini, Lui¬ gi Antonio Guerra; Durata: 110’. Produzione realizzata in esterni a Modena e nei dintorni di Padova.

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LA STORIA: Libera, figlia di un anarchico esiliato dal fascismo ad Ustica, è sposata con Matteo e ha due figli, Carlo e Anna. Avversa al regime, perseguitata dal commissario politico Testa, è anch’essa inviata al confino per cinque anni. Al¬ lo scoppio della guerra, Matteo si fa trasferire a Padova, mentre Carlo, anche se molto giovane, si è unito alla Resistenza e Libera fa la staffetta e fornisce armi ai partigiani. Le esecuzioni sommarie dei nazi-fascisti fanno il vuoto tra gli amici di Libera e Matteo. La guerra finisce e Carlo libera la madre dal carcere di Padova dove era stata rinchiusa dai fascisti. La famiglia è di nuovo riunita e il fascismo è caduto, ma l’ex poliziotto Testa è rimasto a galla ed è il responsabile dell’ufficio alloggi del Comune. Libera allora riprende la sua battaglia per snidare i fascisti ancora nascosti nelle pubbliche amministrazioni, ma un cecchino fascista, appo¬ stato sui tetti di una casa, la uccide. LA CRITICA: «Rimproverando ai partiti di essersi lasciati sfuggire l’occasione di far piazza pulita dei fascisti, il film ripete una polemica forse utile al dibattito di oggi fra l’ultrasinistra e il Pei, accusato di complicità col sistema borghese, ma non sviluppa una concreta analisi storica: spinta all’estremo, l’epurazione avrebbe raso la suolo l’Italia, col bel risultato di consegnarla tutta aH’America. Più ragio¬ nevole è il rimprovero mosso ai partiti di non aver messo a frutto tutte le energie sprigionate dalla lotta antifascista, e in particolare quelle femminili. Spinta dal CLN a riprendere quel ruolo di donna di casa contro cui ha sempre scalpitato, Li¬ bera è la vittima simbolica d’una politica che ha rifiutato lo stimolo dell’utopia: il colpo che la uccide abbatte insieme a lei l’intuito popolare della necessità d’una purga generale, e una volontà di partecipazione alle grandi scelte che soltanto molti anni dopo le donne italiane, grazie al movimento femminista, avrebbero sa¬ puto affermare». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 22 mar. 1975).

IL SOSPETTO di Francesco Maselli Anno di edizione: 1975 Produzione: Cinericerca - Italnoleggio Cinematografico; Direttore di produzio¬ ne: Grazia Volpi; Soggetto: Francesco Maselli; Sceneggiatura: Francesco Maselli, Franco Solinas; Collaborazione alla regia: Lorenzò Magnolia; Fotografia: Giulio Albonico; Suono: Remo Ugolinelli; Montaggio: Vincenzo Verdecchi; Scenografia: Gabriele D’Angelo; Arredamento: Gabriele D’Angelo; Costumi: Giovanna Deodato; Musica: Giovanna Marini; Interpreti: Gian Maria Volonté, Annie Girardot, Renato Salvatori, Felice Andreasi, Gabriele Lavia, Pietro Biondi, Antonio Casale, Bruno Corazzari, Guido De Carli, Daniele Dublino, Annabella Ceriani, Renato Triggia, Luigi Guerra, Franco Balducci, Luciano Bartoli, Ernesto Colli, Mario Garriba, Giuseppe Scarcella, Giuseppe Leone; Durata: 115’. Produzione realizza¬ ta negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, a Torino, Milano e Parigi. LA STORIA: Emilio, militante del partito comunista clandestino, è stato radiato dal partito nel 1932, ma due anni dopo viene incaricato da Parigi di una missione segreta in Italia. Giunto a Torino, si mette in contatto con Gavino, uno dei quattro

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compagni del direttivo cittadino. Ma credendo di essere seguito, interrompe la missione e lascia Torino per Milano dove un altro compagno lo induce a sospetta¬ re come spie proprio i quattro compagni torinesi. Toma a Torino e incontra i quat¬ tro compagni in vari luoghi senza che la polizia si faccia viva, ma i suoi sospetti cadono su Gavino. Ma l’Ovra seguiva Emilio fin dal suo arrivo da Parigi e atten¬ deva il momento giusto per arrestare i componenti e i capi della cellula comuni¬ sta. Lo stesso comando parigino aveva usato Emilio come esca, assegnandogli una falsa missione per mettere la polizia fascista su una pista sbagliata e sviarla dalle vere operazioni clandestine. Pur consapevole di essere stato usato dai suoi stessi compagni Emilio si rifiuta di collaborare con l’OVRA e viene condannato a ven¬ ticinque anni di prigione, sacrificandosi per il suo partito. LA CRITICA: «La sceneggiatura del film, per la quale lo stesso Maselli si è af¬ fiancato a Franco Solinas, autore del soggetto, non è limpida come si vorrebbe. La prima parte, anche per certi flash-back non necessari, soffre di sovrappiù dida¬ scalici e di oscurità nei trapassi, e rimpianto ideologico farà discutere per l’ecces¬ siva attenzione prestata ai contorsionismi in cui sembra risolversi il dibattito poli¬ tico. Ma a queste carenze Maselli, che vuole anche esprimere un giudizio sulla sconfitta dei padri, sopperisce rievocando senza indulgenze un antifascismo spes¬ so capzioso e insicuro, irretito dalla logica della cospirazione, e ricorrendo a una scioltezza di riprese, a una vivacità di ritmo e a una densità di toni che ripagano con la lucidità del linguaggio i grumi della storia. Quando poi, nella seconda me¬ tà, il film punta tutto sulla guardinga risolutezza del militante mandato allo sbara¬ glio e sviluppa il motivo della diffidenza reciproca e della paura, allora ogni riser¬ va viene a cadere. Il dramma di Emilio, che in una città percorsa di minacciose presenze deve guardarsi dagli sbirri nascosti e dai compagni forse traditori, e in¬ tanto avverte su di sé l’ambigua attesa dei capi rimasti a Parigi, è infatti esposto con grande forza visiva, ottimo incrocio fra il suspence e l’introspezione psicolo¬ gica, ed esatto rapporto fra l’angosciosa solitudine del protagonista e l’ostilità dei luoghi pur familiari. La folla, il traffico, i gruppi di turisti, e sul versante del mi¬ stero il silenzio autunnale d’una villa disabitata, i muri scrostati, le fabbriche mu¬ te non fanno soltanto colore locale: sono preziosi fattori emotivi di un film che assomma ai meriti del saggio politico le inquietudini del “giallo”». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 22 febb. 1975).

L’ULTIMO GIORNO DI SCUOLA PRIMA DELLE VACANZE DI NATALE di Gian Vittorio Baldi Anno di edizione: 1975 Produzione: IDI Cinematografica - Scale Film; Produttore: Gian Vittorio Baldi; Direttore di produzione: Franco Casati; Soggetto: Gian Vittorio Baldi; Sceneggia¬ tura'. Gian Vittorio Baldi; Aiuto-regia: Mario Garriba; Fotografia: Emilio Bestetti; Suono: lieti Grigioni; Montaggio: Cleofe Conversi; Scenografìa: Daniele Mon¬ tichi; Arredamento: Daniele Montuschi; Costumi: Lydia Biondi; Interpreti: Luca

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Bonicalzi, Riccardo Cucciolla, Delia Boccardo, Lino Capolicchio, Madia Meril, John Steiner, Giovannella Grifeo, Lydia Biondi, Agostino Cavallari, Giovanni Fabbri, Bruna Zerbini, Olivia Panini, Giovanna Bartoli, Laura Betti, Lou Castel; Durata; 90’. Produzione realizzata, in esterni, nei dintorni di Brisighella e Riolo, nelle colline del Faentino. Presentato, nel 1974, al 26° Festival di Cannes e al Fe¬ stival di Locamo e, nel 1975, al 9° Festival di Mosca. LA STORIA: Siamo in Emilia nel 1944. Due brigatisti neri e un’ausiliaria, dopo un’impresa nefanda, salgono su una corriera che trasporta un gruppetto di gente del luogo, per lo più contadini, fra i quali un ragazzo, Athos. È un viaggio alluci¬ nante, nel gelo della collina. Per liberarsi dei testimoni dei loro delitti, o soltanto per cupa voluttà di morte, i tre procedono all’eliminazione di tutti i passeggeri; li fanno spogliare, li saccheggiano dei piccoli monili, li falciano con i mitra. Quan¬ do viene il turno di Athos, sembrano in dubbio: uno dei brigatisti, muto, mostra di simpatizzare per lui; e l’ausiliaria cerca di convincerlo a passare dalla parte dei fascisti. Colpito dalla loro furia omicida, Athos tenta invece di fuggire fra i cam¬ pi. Il muto lo insegue, lo ammazza, e dopo averlo denudato ne fa rotolare il corpo in un torrente. La corriera riprende la corsa e scompare nella nebbia. LA CRITICA: «Seguace irremovibile di un cinema per pochi ma buoni, tempra¬ tosi alla scuola di grandi documentaristi, allievo fedele del Rossellini lirico e ami¬ co del vero come sa esserlo un discepolo di Zavattini, talora memore anche della lezione di Bresson, G.V. Baldi attesta che non occorrono capitali strepitosi ed ela¬ borate macchine spettacolari per raggiungere l’universale poetico. A rievocare il fanatismo belluino e l’innocenza ferita d’una pagina di storia italiana in cui ignoamza, crudeltà e martirio convissero, basta la figura del brigatista muto, che bestialmente conosce le cose attraverso l’odorato, e quella del giovane Athos, che nello smarrimento dell’ora non perde il senso del male. Tramite loro, le atroci perversioni e gli umili eroismi del tempo delle furie agiscono nell’oggi come pre¬ senze deliranti e modelli di pietà. Fra gli interpreti hanno particolare risalto Lino Capolicchio, appunto nei panni repellenti del brigatista che vince con la spietatez¬ za le tentazioni della poesia (un “fanciullino” pascoliano travolto nell’odio della vita...), John Steiner nell’affilato ritratto d’un repubblichino invasato, e Luca Bo¬ nicalzi, che consegna al suo Athos i giusti toni d’un’adolescenza spaurita. La stre¬ ga è Macha Meril, molto efficace nel tradurre l’immagine oscena d’una femmini¬ lità senza dolcezze, abitata dai sinistri fantasmi della follia, cui si contrappone, in un breve “interno” paesano, la mansueta tenerezza di Delia Boccardo». (Giovan¬ ni Grazzini, «Corriere della Sera», 15 mar. 1975).

NOVECENTO (ATTO I E II) di Bernardo Bertolucci Anno di edizione: 1976 Produzione: Europee Associate (P.E.A.) - Les Productions Artistes Associes (P.A.A.) - Artemis Film GmbH; Produttore: Alberto Grimaldi; Direttore di produ¬ zione. Paolo De Andreis; Soggetto: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli, Giuseppe

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Bertolucci; Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli, Giuseppe Berto¬ lucci; Aiuto-regia: Gabriele Polverosi, Clare Peploe, Peter Shepherd, Suzanne Durremberger; Fotografia: Vittorio Storaro; Suono: Claudio Maielli; Montaggio: Fran¬ co Arcadi; Scenografia: Gianni Quaranta; Costruzioni sceniche: Enzo Frigerio; Ar¬ redamento: Gianni Silvestri; Ambientamento: Maria Paola Maino; Costumi: Gitt Magrini; Effetti speciali: Luciano Byrd, Bruno Battistelli; Musica: Ennio Morricone; Interpreti: Robert De Niro, Gérard Depardieu, Dominique Sanda, Francesca Bertini, Laura Betti, Werner Bruhns, Stefania Casini, Sterling Hayden, Anna Henkel, Eden Schwiers, Alida Valli, Romolo Valli, Stefania Sandrelli, Donald Sutherland, Burt Lancaster, Bianca Magliacca, Giacomo Rizzo, Pippo Campanini, Paolo Pavesi, Roberto Maccanti, Antonio Piovanelli, Paolo Branco, Liù Bosisio, Maria Monti, Anna Maria Gherardi, Demesio Lusardi, Piero Longari Ponzoni, Angelo Pellegrino, José Quaglio, Clara Colosimo, Mario Meniconi, Carlotta Barilli, Odoardo Dall’aglio, Piero Vida, Vittorio Fanfoni, Alessandro Bosio, Sergio Serafi¬ ni, Patrizia De Clara, Edda Ferronao, Winni Riva, Fabio Garriba, Nazzareno Nata¬ le, Katerina Kosak; Durata: 156’ + 149’. Produzione realizzata nei dintorni di Par¬ ma e nelle campagne dell’Emilia Romagna. Presentato, nel 1976, al 28° Festival di Cannes e alla 3a edizione di «Proposte di Nuovi Film» di Venezia. LA STORIA: In un giorno d’estate del 1900, in un podere della campagna circo¬ stante uno dei tanti paesi dell’Emilia Romagna, nascono due bambini, Alfredo Berlinghieri, nipote del vecchio padrone, e Olmo Dalco, nipote del vecchio fitta¬ volo. I due ragazzi giocano insieme e si sfidano allegramente, ma crescendo co¬ minciano a comprendere che i loro destini sono diversi. Il vecchio padrone muore suicida, e i contadini brindano all’evento. Il padre di Alfredo, falsificando il testa¬ mento, imbroglia il fratello e diventa erede del patrimonio paterno. Nascono le le¬ ghe rosse e alla vigilia della prima guerra mondiale le campagne sono sconvolte dagli scioperi. Alfredo simpatizza per i socialisti mentre Ólmo lotta nei campi contro i carabinieri. Dopo la guerra il padre di Alfredo si affida ad un fattore vi¬ scido e violento, Attila, che è un acceso squadrista. Olmo e Alfredo continuano a frequentarsi e con Anita e Ada, di cui sono reciprocamente innamorati, si promet¬ tono eterna amicizia. Ma i tempi cambiano, il fascismo va al potere, e questo po¬ tere per la famiglia Berlinghieri è rappresentato sempre più da Attila. Dopo esser¬ si macchiato di vari delitti e innumerevoli soprusi nei confronti dei fittavoli, Attila, con al suo fianco Regina, sua feroce e sadica compagna, si trova a fare i conti con la storia. Il 25 aprile 1945 i due assassini vengono snidati dai partigiani e dai contadini: Attila viene ucciso e Regina rapata. Poi Alfredo viene processato da un tribunale del popolo al quale Olmo chiede di lasciarlo in vita perché oramai priva¬ to di tutti i suoi beni. Le cose però andranno diversamente: Alfredo sarà sempre il padrone e Olmo il fittavolo. LA CRITICA: «Con Novecento Bertolucci ha cercato l’approdo al grande roman¬ zo storico e ha fallito. C’è una contraddizione non risolta, una frattura netta fra un quadro epico che si vorrebbe largo e onnicomprensivo e il tessuto narrativo, scon¬ nesso e diseguale. Il film appare come un quadro in cui la ricchezza della cornice non è giustificata dalla disomogeneità, dalla casualità del testo che racchiude. [...] Sul piano tematico il risultato non è migliore. La lotta di classe è sostituita da una populistica opposizione fra buoni e cattivi, ricchi e poveri, e nella sequenza della

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mattanza di contadini nel recinto del podere si trasforma addirittura in una specie di “martirio di classe”. Il fascismo è visto quasi essenzialmente come perversio¬ ne e sadismo, crudeltà e nevrosi: la critica a questa visione riduttiva, moralistica e sostanzialmente cattolica del fenomeno fascista, visione entro cui si colloca molto cinema italiano recente (Tinto Brass, Liliana Cavani e Lina Wertmuller insegna¬ no), credo che Bertolucci la conosca benissimo, e poiché penso che sia un uomo intelligente, sono certo che la condivide. Il che non gli ha impedito di adottarla, evidentemente attratto da una formula che permette di fare del cinema carico di violenza e saturo di sesso inteso come peccato con la copertura di un “impegno” politico progressista». (Ambrogio Artoni, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuo¬ vo», n. 244, nov./dic. 1976, pp. 454-455). OSSERVAZIONI: Il Festival di Venezia, a causa della contestazione di attori e regi¬ sti, non si tenne dal 1973 al 1978. «Proposte di nuovi film» è la dizione che la Mostra di Venezia, in forma ridotta e non competitiva, ebbe negli anni 1974, 1975 e 1976.

LA REPUBBLICA DI MUSSOLINI

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RSI

di Angelo Grimaldi Anno di edizione: 1976 Produzione: Istituto Luce; Soggetto: dal volume «Storia della Repubblica di Sa¬ lò» di Fredrick Deakin; Ricerche storiche: Giampaolo Pansa; Testo: Andrea Bar¬ bato; Collaborazione alla regia: Gilberto Polloni; Fotografia: Eliseo Caponera, Mario Angelucci; Montaggio: Romeo Ciatti; Voce: Arnoldo Foà, Paolo Lombardi; Musica: Teo Usuelli; Materiale documentario: Archivi Istituto Luce; Durata: 95’. LA STORIA: Ricostruzione storica della Repubblica Sociale Italiana, sulla base di materiale documentario, anche inedito, dell’Istituto Luce. LA CRITICA: «Angelo Grimaldi è andato a frugare negli archivi dell'Istituto Luce e ha messo insieme una convincente storia illustrata del naufragio fascista. Ci dicono che il film trae il suo interesse anche dall’utilizzazione di materiale ine¬ dito: per esempio le riprese di scarto dei cinegiornali ridimensionano il preteso trionfo milanese di Mussolini nel dicembre ’44. Caos e squallore regnano dentro e fuori il teatro Lirico; e sono del resto la cifra dell’intero film. Se volessimo crede¬ re che il fascismo, come afferma il “Golia” di G.A. Borgese, è un male endemi¬ co della società italiana, ci sarebbero da trovare in un documento come La repub¬ blica di Mussolini - RSI molte coincidenze con l’attuale crisi della nostra società. Certo fra il settembre del ’43 e il maggio del ’45 il travaglio si visse in maniera più lancinante e drammatica, in un clima da vicenda sudamericana: in mezzo a stracci e divise di fantasia, fra crudeltà inutili consumate in interni scalcinati o sullo sfondo di paesaggi mesti. Ma il nodo profondo, a ben guardare, è ancora quello di oggi: i trasformismi, la corruzione, la violenza che nasce sul fronte della conservazione. La repubblica di Mussolini è appena una maschera smessa di quel¬ lo stesso potere che finanzia le congiure, appicca gli incendi e spara per uccide¬ re». (Tullio Kezich, «Panorama», 14 apr. 1976).

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TELEFONI BIANCHI di Dino Risi Anno di edizione: 1976 Produzione: Dean Film; Produttore: Pio Angeletti, Adriano De Micheli; Diretto¬ re di produzione'. Mario D’Alessio; Soggetto'. Bernardino Zapponi, Dino Risi; Sceneggiatura: Ruggero Maccari, Dino Risi, Bernardino Zapponi; Aiuto-regia: Claudio Risi; Fotografia: Claudio Cirillo; Suono: Vittorio Massi; Montaggio: Al¬ berto Gallitti; Scenografia: Luciano Ricceri; Costumi: Luciano Ricceri; Musica: Armando Trovajoli; Interpreti: Agostina Belli, Cochi Ponzoni, Maurizio Arena, William Berger, Lino Toffolo, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Paolo Baroni, Carla Terruzzi, Dino Baldazzi, Eleonora Morana, Marcello Fusco, Laura Trotter, Enrico Marciani, Giovanni Brusateri, Edoardo Fiorio, Monica Fiorentini, Tony Maestri, Renate Schimitd; Durata: 120’. Produzione realizzata negli Studi INCIRDe Paolis e, in esterni, a Roma e a Venezia. Vincitore di un David di Donatello per la migliote attrice ad Agostina Belli. LA STORIA: Marcella, cameriera in un albergo del Lido di Venezia, sogna di di¬ ventare attrice del cinema e trascura Roberto, innamorato pazzamente di lei. Invi¬ tata a Roma dal funzionario di una sedicente Littoria Film, si accorge ben presto che la società è fallita; ma, pur di raggiungere lo scopo che si era prefissa, accetta di entrare nel bordello della madre del gerarchetto Bruno, dove incontra il Duce e dopo essere passata nel letto del capo, finalmente ottiene una parte in un film con il divo del regime Franco Denza. Mentre Roberto deve affrontare tutte le guerre, da quella d’Africa fino alla Russia, Marcella passa di trionfo in trionfo con il no¬ me d’arte di Alda Noris. Con la caduta del fascismo, però, decide di tornare a Conegliano dai genitori. Dopo la guerra la ragazza sposa un industriale e compie un viaggio in Ucraina per deporre un mazzo di fiori sulla tomba di Roberto che lei crede morto, ma che in realtà si è accasato con una «compagna» e si guarda bene dal ritornare in patria. LA CRITICA: «Un film che scavalca a piè pari l’attuale fervore di studi, talvolta tutt’ altro che banali nonostante la moda, sul cinema degli anni trenta. Un ritorno, cioè, all’approccio ironico, alla presa in giro, al denudamento delle cose buffe che per i nostri occhi di posteri - si celano in atteggiamenti e situazioni del tempo. An¬ drebbe bene anche così se il discorso riguardasse il cinema e il costume. Invece questo non è che un momento della pellicola, gonfiata degli avvenimenti di tutta una vita, un romanzone d’appendice con vicende incredibili. Ne risulta una satiraccia superficiale, tutta risaputa e piena di approssimazioni e di sguaiataggini. Il film sul cinema dei telefoni bianchi è ancora tutto da fare. Vittorio Gassman e Ugo To¬ gnazzi compongono due ritratti di ‘mostri’ con autentica libidine» (E.frmanno] C.[omuzio], Filmguida, in «Cinefonim», n. 151, genn./febb. 1976, p. 79).

DIFFICILE MORIRE di Umberto Silva Anno di edizione: 1977

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Produzione: Cinelef; Produttore: Paolo Zaccaria; Direttore di produzione: Clau¬ dio Biondi; Soggetto: Umberto Silva; Sceneggiatura: Umberto Silva; Aiuto-regia: Michele Mancini; Fotografia: Giuseppe Lanci; Suono: Mario Dallimonti; Mon¬ taggio: Jost Grapow, Angelo Loconte; Scenografia: Amedeo Fago; Arredamento: Maria Paola Maino; Costumi: Aldo Buri; Musica: Stefano Torossi; Interpreti: Marc Porel, Gerardo Amato, Mario Adorf, Barbara Magnolfi, Dominique Darei, Giuliana Calandra, Laura D’Angelo, Fabio Gamma, Maria Valente, Massimo Co¬ sentini, Sergio Doria, Giancarlo Fantini, Enzo La Torre, Renata Ranieri; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Nel 1911 un giovane anarchico, Francesco Martisolo, compie un attentato a Roma contro un generale, per protestare contro la guerra di Libia. Si rifugia poi in casa di un diplomatico austriaco e diventa l’amante di sua moglie Letizia. Il diplomatico si impossessa di piani militari italiani e il prefetto Martini, che intende recuperarli, si serve di Francesco, che protegge per questo scopo, fa¬ cendo ricadere la colpa dell’attentato su un estraneo. Il diplomatico viene ucciso da Francesco. L’anarchico diventa, su consiglio di Martini, un fervente fascista e in breve fa carriera nelle strutture militari del partito e, in questa veste, lo vedia¬ mo sconfitto e mutilato negli ultimi giorni della repubblica di Salò. Incontra un ufficiale tedesco, nipote del diplomatico, e lo uccide. Poi si toglie la vita. LA CRITICA: «Nonostante gli evidenti sforzi per ricavare dalla pura tecnica di¬ mensioni artistiche, il film appare velleitario e sostanzialmente non riuscito. Le carenze maggiori sembrano essere nella sceneggiatura, che cede facilmente al ro¬ manzesco incredibile e assomma troppi personaggi di comodo, e nella impostazio¬ ne tematica che vorrebbe abbracciare in un solo discorso analisi storico-politiche e drammi psicologico-sociali. Il tramonto del mondo borghese con quello degli Asburgo, le involuzioni dell’attivismo politico che passa da un’anarchia velleita¬ ria alle disumanità nazi-fasciste, il macchiavellismo dei servi del potere, sono tut¬ te delle tematiche che rimangono a mezz’aria, annunciate e non risolte da stuc¬ chevoli dialoghi più che incarnate nei personaggi e nella contorta vicenda. In con¬ clusione, quello che rimane evidente e moralmente negativo, è il carosello di compiacenti e prolungati adulteri, di amori equivoci e di suicidi o assassini com¬ piuti con massimo cinismo». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. LXXXIV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1978, p. 70). OSSERVAZIONI: Il film ebbe una precaria distribuzione. Con lo pseudonimo di Jost Grapow ha firmato il montaggio il regista Silvano Agosti.

GLI ULTIMI TRE GIORNI di Gianfranco Mingozzi Anno di edizione: 1977 Produzione: Antea Coop. Cinematografica - RAI TV; Produttore: Enzo Porcelli; Soggetto: Lucia Drudi Demby, Gianfranco Mingozzi; Sceneggiatura: Tommaso Chiaretti, Lucia Drudi Demby, Gianfranco Mingozzi; Aiuto-regia: Cesare Landri-

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cina; Fotografia: Safai Teherani; Suono: Enrico Pennino; Montaggio: Sergio Nuti; Scenografia: Guido Josia; Costumi: Gabriella Pascucci, Maurizio Millenotti; Mu¬ sica: Nicola Piovani; Interpreti: Claudio Cassinelli, Lina Sastri, Luigi Casellato, Lilippo De Gara, Lranco Lotterio, Benedetto Simoncelli, Mara Mariani, Lerdinando Orlandi, Luigi Memiello, Angelo Lucchini, Roberto Cimetta, Marco Grandi, Luca Lederici, Piero Trentini, Luca Tollari, Alberto Anzaloni; Durata: 100’. Pro¬ duzione realizzata in esterni a Bologna. Presentato al Pestivai di Locamo nel 1977. LA STORIA: Ispirato alla vicenda del sedicenne Anteo Zamboni, ritenuto re¬ sponsabile di un fallito attentato contro Mussolini a Bologna il 31 ottobre 1926, il film ricostruisce la cronaca fino al linciaggio del sospettato finito dai fascisti con quattordici pugnalate. LA CRITICA: «Gli ultimi tre giorni di Gianfranco Mingozzi, nel ricostruire un triste capitolo della vita italiana durante la dittatura fascista, l’opera è solo qua e là sostenuta da un racconto fluido, attento a cogliere le situazioni, le circostanze, i momenti che decidono il giovane protagonista ad attentare alla vita dell’“uomo della Provvidenza”; non sempre opportunamente connotata è la malvagia perspi¬ cacia di ambienti e di esponenti del regime, non estranei alla risoluzione del pro¬ tagonista e pronti a montare una campagna allarmistica diretta a togliere le ultime libertà ancora vigenti». (Ermanno Alpini, Il meglio di Locamo, in «Cinefonim», n. 174, magg. 1978, p. 279). OSSERVAZIONI: Del film fu realizzata anche una versione televisiva trasmessa da RAI Uno in due puntate: PII e il 18 ottobre 1977.

L’ALBA DEI FALSI DEI di Duccio Tessari Anno di edizione: 1978 Produzione: Oase Lilmproduktion - Medien K.G. - Z.D.L. - Produttore: Michael e Jelka Lentz, Salvatore Alabiso; Direttore di produzione: Georg Poeking; Sog¬ getto: Michael Lentz; Sceneggiatura: Michael Lentz, Duccio Tessari; Aiuto-regia: Uli Strobl; Fotografia: Jost Vacano; Suono: Klaus Eckert; Montaggio: Eugenio Alabiso; Scenografia: Bemhardt Sauter; Musica: Armando Trovajoli; Interpreti: Helmut Berger, Peter Hooten, Umberto Orsini, Evelyn Kraft, Heinrich Giskes, Lorella De Luca, Kurt Zips, Udo Kier, Wolf Lindner, Rudolf Comelius, Michael Enk, Wofgang Kahlert, Gerhard Kohol, Michael Veigelt; Durata: 115’. LA STORIA: Nella Germania pre-hitleriana, due fratelli che vivono la loro prima giovinezza fra il disinteresse per gli studi e l’inclinazione per i piccoli reati ven¬ gono scacciati di casa dal padre. Rientrati nel 1929 nella loro città, vengono in contatto con personaggi legati alle S.A., capeggiati dal fanatico Hannacker, che fanno eseguire ai due fratelli odiose missioni. Macchiatisi di alcuni delitti, i due sono costretti a fuggire dalla città per non essere arrestati, ma un questore, un

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tempo loro compagno di studi, con il benestare dalle S.A. che ormai non vogliono più saperne di due personaggi divenuti troppo scomodi, li scova e li uccide. LA CRITICA: «Il film già nel titolo fa appello alla Caduta degli dei viscontiana e nel suo svolgimento generale, ritmato alle vicende della Germania di Weimar mediante didascalie cronologiche, richiama altri autori insigni che hanno proposto opere sui medesimi fenomeni storico-politici; il Bergman de l'Uovo di serpente e il Fassbinder di Despair. Ma i riferimenti, se da una parte chiariscono l’intenzione dell’opera di rivisitare la nefasta ascesa al potere del nazismo e insieme propon¬ gono chiavi di lettura di certe involuzioni della criminalità politica attuale, segna¬ no anche il limite di una pellicola che concede troppo spazio alla ballata gagsteristica e al suo inutile contorno di torbida sessualità. In realtà la parte migliore del fdm è quella che descrive con sfumature freudiane lo sbandamento dei due giova¬ ni, una degenerazione accompagnata da fotografia e ambientazioni molto accurate ed espressive». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. LXXXV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1978, p. 330).

ANTONIO GRAMSCI. I GIORNI DEL CARCERE di Lino Del Frà Anno di edizione: 1978 Produzione: Coop. Nuovi Schermi; Soggetto: Lino Del Frà, Cecilia Mangini; Sceneggiatura: Lino Del Frà, Cecilia Mangini; Collaborazione alla regia: Cecilia Mangini; Fotografia: Gabor Pogany; Suono: Gianni Sardo; Montaggio: Silvano Agosti; Scenografia: Amedeo Fago; Costruzioni sceniche: Mario Valentini; Arre¬ damento: Giulio Figurelli; Costumi: Marisa D’Andrea; Musica: Egisto Macchi; Interpreti: Riccardo Cucciolla, Paolo Bonacelli, Franco Graziosi, Jacques Herlin, Luigi Pistilli, John Steiner, Pier Paolo Capponi, Lea Massari, Mimsy Farmer, Claudio Carafoli, Alberto Gracco, Pier Luigi Giorgio, Antonio Piovanelli, Piergiovanni Anchisi, Andrea Aureli, Luciano Bartoli, Pietro Biondi, Ignazio Landol¬ fo, Gianfranco Bullo, Roberta Fiorentini, Rate Furlan, Sergio Gibello, Mario Gra¬ nato, Bruno Rosa, Antonio La Raina, Giorgio Mascia, Umberto Raho, Fabrizio Migliore, Giuseppe Morabito, Severino Saltarelli, Gianni Pulone, Gianni Poggia¬ li, Vittorio Stagni, Gino Usai; Durata: 130’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. Vincitore del Pardo D’Oro al Festival di Locamo nel 1977. LA STORIA: L’8 novembre 1926 Antonio Gramsci viene condannato dal tribu¬ nale speciale fascista a venti anni di carcere da scontare a Turi, e rivive le varie tappe della sua vita politica dalla scissione di Livorno alla fondazione del Partito Comunista, dalla perdente resistenza al fascismo all’arresto, alla condanna e alla prigionia. In carcere, dove in un primo momento era considerato un eroe dagli al¬ tri detenuti politici, viene gradualmente evitato ed isolato per i suoi contrasti con Togliatti e i suoi giudizi su Stalin e sull’involuzione autoritaria dell’URSS. Am¬ malatosi gravemente, viene scarcerato e il 27 febbraio 1937 muore in una clinica di Roma.

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LA CRITICA: «La prima parte del film [...] risente, a nostro parere, di alcune pagine di scrittori enfaticamente naturalisti della seconda metà dell’Ottocento, quale, a esempio, Paolo Vaierà. Una struttura così incerta porta, pertanto, il film a un appiattimento espressivo, che si traduce, ovviamente, in un appiattimento, in una scarsa efficacia dei temi proposti. Lo scontro di Gramsci con le varie forme del potere, come il suo contrasto con gli uomini del partito, con la cultura del suo tempo, con gli stessi compagni di carcere non riescono qui ad acquistare un auten¬ tico spessore e, quindi, a far ‘ ‘riflettere’ ’ lo spettatore sul presente, come era pre¬ sumibilmente nelle intenzioni degli autori. Né peso ed efficacia maggiori hanno certo gli aspetti più “privati” (affetti e difetti) della personalità e della vita del pensatore sardo». (Giuseppe Peruzzi, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 255, sett./ott. 1978, p. 5 6 [376]).

UNA GIORNATA PARTICOLARE di Ettore Scola Anno di edizione: 1978 Produzione: Compagnia Cinematografica Champion - Canafox Film; Produttore: Carlo Ponti; Direttore di produzione: Giorgio Scotton; Soggetto: Ruggero Maccari, Ettore Scola; Sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola, Maurizio Costan¬ zo; Aiuto-regia: Silvio Ferri; Fotografìa: Pasqualino De Santis; Suono: Carlo Pal¬ mieri; Montaggio: Raimondo Crociani; Scenografia: Luciano Riccieri; Arreda¬ mento: Luciano Riccieri; Costumi: Enrico Sabbatini; Musica: Armando Trovajoli; Interpreti: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, John Vemon, Franose Berd, Pa¬ trizia Basso, Tiziano De Persio, Maurizio Di Paoloantonio, Antonio Garibaldi, Vittorio Guerrieri, Alessandra Mussolini, Nicole Magny; Durata: 105’. Produzio¬ ne realizzata negli Studi De Paolis di Roma. Presentato al 29° Festival di Cannes nel 1977. Vincitore, nel 1978, di tre Nastri d’Argento: a Sophia Loren come mi¬ gliore attrice, a Ruggero Maccari, Ettore Scola e Maurizio Costanzo come miglio¬ re sceneggiatura, ad Armando Trovajoli per la migliore musica. Vincitore, nel 1978 di due David di Donatello: ad Ettore Scola per la miglior regia e a Sophia Loren come migliore attrice. LA STORIA: Il 6 maggio 1938 Hitler è in visita a Roma. In un grande caseggia¬ to della capitale, quasi deserto perché gli abitanti sono corsi a vedere il dittatore tedesco, si incontrano Antonietta, una casalinga fascista ormai sfiorita e frustrata dal troppo lavoro e dalle numerose maternità, e Gabriele, un annunciatore dell’EIAR, licenziato ufficialmente perché sovversivo, ma in realtà perché è omoses¬ suale. La donna dapprima diffida di lui, poi lo comprende e infine i due si abban¬ donano a reciproche confidenze; lei si dona in un breve incontro d’amore, cercan¬ do quell’affetto che da troppo tempo le era negato. La sera tutto finisce: Antoniet¬ ta tornerà alle sue occupazioni domestiche e alle angherie del marito e Gabriele, prelevato dalla polizia fascista, sarà condotto al confino di polizia. LA CRITICA: «L’idea che sta alla base del film è quella di sovrapporre e con¬ frontare due eventi completamente diversi fra loro: la visita di Hitler a Roma del

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6 maggio 1938 e il rapporto affettivo che nasce, nella stessa giornata, fra una ca¬ salinga e un omosessuale. Tale confronto vorrebbe essere polemico, vorrebbe sve¬ lare la realtà umana celata e repressa da un regime autoritario, ma si riduce a ri¬ volgere al pubblico un appello in nome del buon senso e dei buoni sentimenti. La prima sequenza è tratta da un cinegiornale Luce dell’epoca, e ci mostra l’arrivo di Hitler a Roma. [...] Di tale “colossal” vediamo soltanto l’inizio, ma sentiamo per quasi tutta la durata del film la descrizione della parata militare e delle celebra¬ zioni ufficiali, attraverso la cronaca radiofonica: una radio è accesa, ad alto volu¬ me, nella portineria dello stabile e la sua voce raggiunge, attraverso le finestre aperte, le stanze in cui si svolge la storia di Antonietta e Gabriele. Costoro sono protagonisti di un altro “spettacolo”, del tutto privato e personale, che è reso possibile da quello pubblico (essi sono soli nel palazzo perché tutti gli altri inqui¬ lini sono corsi all’“adunata”), ma ad esso idealmente si oppone in quanto esalta valori morali e umani negati dalla propaganda del regime. [...] Nel cuore di una città acclamante la dittatura, alfintemo di un palazzo pesantemente squallido, im¬ mersi in una luce fredda cha appiattisce ogni cosa, due esseri umani riconoscono di essere vicini fra loro perché vittime, ed esprimono questa loro comune condi¬ zione sul piano sentimentale, mettono a tacere la radio con l’atto dell’amore. Le parole sono inutili, inadeguate, inefficaci. La gente sfruttata, oppressa ed emargi¬ nata può liberarsi dalla schiavitù del fascismo individualmente, a livello morale, tramite i sentimenti e il buon senso popolare». (Franco Prono, Il mestiere del cri¬ tico, «Cinema Nuovo», n. 253, magg./giu. 1978, pp. 219-221).

QUANDO C’ERA LUI... CARO LEI! di Giancarlo Santi Anno di edizione: 1978 Produzione: Ideal Film; Direttore di produzione: Pietro Santini; Soggetto: Gian¬ carlo Santi; Sceneggiatura: Giancarlo Santi; Aiuto-regia: Angelo Vicari; Fotogra¬ fia: Aldo Tonti; Montaggio: Sergio Montanari; Scenografia: Mario Milani; Costu¬ mi: Rita Corradini; Musica: Alfredo Poiacci; Direzione Musicale: Roberto Pregadio; Interpreti: Paolo Villaggio, Gianni Cavina, Hugo Pratt, Orietta Berti, Memé Periini, Giuliana Calandra, Maria Grazia Buccella, Gianni Magni, Al Capri [Eolo Caprini], Tiberio Murgia, Salvatore Fumari, Mario Carotenuto, Carmelo Reale, Dante Cleri, Clara Algranti, Marcello Bonini Olas, John Stacy, Mimmo Rizzo, Ennio Antonelli, Paola Orefice, Anna Valentino, Franco Neccia, Noè Paganotti, Agostino Crisafulli; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi Naldini-Corsi. LA STORIA: Un benzinaio riconosce, nella macchina ministeriale che si ferma alla sua pompa di benzina, un anarchico, divenuto un pezzo grosso dell’attuale si¬ stema democristiano, e un ex fascistone, conosciuti nel «ventennio». Anche il benzinaio è un ex del regime, così segue volentieri le due vecchie conoscenze per ricordare i bei tempi. Vengono così rievocati, in forma farsesca, il concordato fra Stato e Chiesa, sintetizzato dall’abbraccio fra un papa manesco e un Duce circon¬ dato da gerarchi ladri, Mussolini che a Palazzo Venezia usa il mappamondo come

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alcova e Rachele che impugna sempre il mattarello, D’Annunzio che declama le sue poesie alla Gassman, i moschettieri vestiti da antichi romani, il Re in sella a un cavallo a dondolo, ecc. Ma al termine della «rimpatriata» il nostro benzinaio si pentirà amaramente di avere seguito i falsi amici; questi infatti lo faranno arresta¬ re come capro espiatorio, accusandolo di essere il responsabile di recenti atti ter¬ roristici. LA CRITICA: «Quando c’era lui...caro lei! È un film molto flebile oltre la scor¬ za burlesca. Seguendo una moda che non è l’ultima responsabile della confusione italiana, l’autore dichiara di averlo pensato “contro la mentalità del potere e il fa¬ scismo che ne è la matrice” e di aver voluto unire “all’ironia per il regime passa¬ to” la critica “all’arroganza del potere di oggi”, ma quanto ci offre è soltanto un esperimento volonteroso: una collana di gags, tenute insieme alla meglio da una modesta idea scenografica, in cui la satira politica è di stampo anacronistico e fia¬ to corto. Si tratta di una parodia della storia d’Italia dal ’22 al ’43, rapportata nel¬ le intenzioni ai costumi malvagi dei notabili democristiani che per fare dimentica¬ re i loro trascorsi fascisti scelgono un poveraccio come capro espiatorio della de¬ linquenza politica di oggi. [...] Il film è tutto nella pretesa, culturalmente assai sciocca e politicamente sbagliatissima, di rappresentare il fascismo fuori della sto¬ ria e del verosimile, quasi sia stata una gran pagliacciata. A tale scopo alterna un oggi realistico a scenette del ventennio, inventate su fondali di cartapesta con gli attori che si muovono, parlano, e si danno botte in testa come in un teatro di bu¬ rattini». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 24 mar. 1978).

CRISTO SI È FERMATO A EBOLI di Francesco Rosi Anno di edizione: 1979 Produzione: Vides Cinematografica - RAI TV - Action Film; Produttore: Franco Cristaldi; Soggetto: Uberamente tratto dal romanzo omonimo di Carlo Levi; Sce¬ neggiatura: Francesco Rosi, Tonino Guerra, Raffaele La Capria; Aiuto-regia: Gianni Arduini; Fotografia: Pasqualino De Santis; Suono: Mario Bramonti; Mon¬ taggio: Ruggero Mastroianni; Scenografia: Andrea Crisanti; Costumi: Enrico Sabbatini; Musica: Piero Piccioni; Interpreti: Gian Maria Volonté, Paolo Bonacelli, Alain Cuny, Lea Massari, Irene Papas, Francois Simon, Rocco Sisto, Luigi Infan¬ tino, Accursio Di Leo, Francesco Càllari, Vincenzo Vitale, Carmelo Lauricillo, Antonio Allocca, Vincenzo Licata, Muzzi Loffredo, Francesco Palumbo, Giusep¬ pe Persia, Stavros Tomes, Giacomo Giardina, Francesco Capotorto, Maria Anto¬ nia Capotorto, Lidia Bavusi, Pasquale Tartaro, Tommaso Polgar, Frank Raviele, Antonio Jodice, Antonio Di Leva, Paolo Di Sabato, Felice Cariucci, Vito Careccia, Pietro Paragine, Francesco Laruccia, Francesca Massaro; Durata: 150’. Pro¬ duzione realizzata, in esterni, a Matera, nei paesi di Craco e Aliano e a Roma. Premiato all’XI edizione del Festival di Mosca, nel 1979, come miglior film. Vin¬ citore, nel 1979, di un Nastro d’Argento a Lea Massari come miglior attrice non protagonista e di due David di Donatello: a Franco Cristaldi come miglior produt¬ tore e a Francesco Rosi come miglior regista.

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LA STORIA: Un medico pittore, condannato al confino dalla dittatura fascista, viene inviato ad Eboli, un paese della Lucania dimenticato da Dio. All’inizio gli sembra di essere sepolto vivo, poi lentamente comincia a interessarsi al posto e ad amare la gente che ci vive: il podestà, la sua domestica-maga, il prete, il barone. Presterà anche la sua opera di medico. Dopo la conquista dell’Abissinia potrà fi¬ nalmente ritornare a Torino grazie al condono della pena. LA CRITICA: «Come accade ogni volta che viene presentato un nuovo film di Rosi, anche Cristo si è fermato a Eboli - peraltro reclamizzato fin da quando era in lavorazione - ha accentrato su di sé l’attenzione (seguita spesso dal consenso) di gran parte della critica e del pubblico. Si è parlato, fra l’altro, come era del re¬ sto prevedibile, della sensibilità del regista per i problemi sociali, del suo “talento storico”, dell’“attualità” del film: tutte nettamente ridimensionate. È intanto fin troppo facile osservare che, come è già accaduto per altre sue opere precedenti, il contenuto del libro da cui il film è desunto c’è apparentemente tutto, ma in realtà esso è stato, se non ribaltato, almeno svilito e assai impoverito. [...] Vogliamo dire che manca nel film qualunque tentativo di approfondimento e di “attualizzazione” rispetto all’opera letteraria. Anche nel film, a esempio, si parla delle “due Italie”, ma il concetto rimane, in sostanza, un freddo enunciato che le immagini non sorreggono e non illuminano. I contadini nell’opera cinematografica non han¬ no alcun rilievo, come non ne hanno gli altri confinati politici, quella “gentaglia, operai, robetta” con cui Don Carlo - come gli dice il podestà - non può avere nulla a che fare. E la stessa rappresentazione di un fascismo spicciolo e paesano, che pure gli autori si sono sforzati di rendere con serietà, evitando di scivolare nel bozzettismo, è assai meno ricco di sfumature rispetto a quello descritto da Levi. Questa notevole “riduttività” del contenuto deriva, almeno così ci pare, dall’ave¬ re completamente trascurato e anzi contraddetto la forma, il linguaggio e, quindi il significato stesso dell’opera letteraria, la sua complessa pluralità e “contempo¬ raneità”». (Giuseppe Peruzzi, Il mestiere del critico, in «Cinema Nuovo», n. 259, giu. 1979, p. 53). OSSERVAZIONI: Il film fu messo in onda, in versione televisiva, sul secondo canale RAI in quattro puntate, a partire dal 31 dicembre 1981.

FONTAMARA di Carlo Lizzani Anno di edizione: 1980 Produzione'. RAI TV - Erre Cinematografica; Produttore: Edmondo Ricci; Sog¬ getto: dal romanzo omonimo di Ignazio Silone; Sceneggiatura: Lucio De Caro, Carlo Lizzani; Fotografìa: Mario Vulpiani; Montaggio: Franco Fraticelli; Sceno¬ grafia: Luigi Scaccianoce, Costumi: Luciano Calosso; Musica: Roberto De Simone; Interpreti: Michele Placido, Antonella Murgia, Ida Di Benedetto, Imma Piro, Antonio Orlando, Deddi Savagnone, Liliana Gerace, Marcello Monti, Dino Sarti, Ciccio Busacca, Enzo Monteduro, Lino Coletta, Franco Javarone, Marina Gonfa¬ lone, Armando Bandini, Franco Ferri, Costantino Corazza, Marija Tocinowscki;

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Durata: 130’. Produzione realizzata, in esterni, nella Marsica, nel Fucino e sui monti d’Abruzzo. Premiato al Festival di Montreal, nel 1980, come miglior film. Vincitore di un Nastro d’Argento, nel 1981, a Ida Di Benedetto, come miglior at¬ trice non protagonista LA STORIA: Nel 1927 a Fontamara, un villaggio della Marsica oppresso dalla miseria, i contadini sono tiranneggiati dal governo che giunge a privarli della luce elettrica perché non pagano la bolletta, e dai proprietari terrieri che vogliono de¬ viare il corso di un ruscello per loro tornaconto, privandoli così dell’acqua. La chiesa li trascura, nonostante il loro forte sentimento religioso, e il podestà fasci¬ sta sta dalla parte dei potenti. Non resta loro che affidarsi a Bernardo Viola, un ri¬ belle che si oppone alle squadracce fasciste e ai carabinieri; ma l’uomo non ha la preparazione per esseser un leader. Così per uscire dalla povertà, farsi un po’ di terra e sposare Elvira, egli lascia Fontamara e va a Roma in cerca di lavoro, ma una volta giunto nella capitale viene derubato del poco che ha e fa amicizia con uno sconosciuto che svolge attività clandestina. Assieme allo sconosciuto e ad Antonio, che lo ha seguito da Fontamara, Bernardo finisce in carcere dove lo pe¬ stano a sangue e dove viene a sapere che la sua Elvira è morta d’infarto per avere assistito allo stupro di una ragazza da parte degli squadristi. Allora muore e i fa¬ scisti faranno credere che si è ucciso. LA CRITICA: «Sceneggiato da Lucio De Caro con Lizzani, girato col massimo scrupolo di autenticità fra i monti arsi d’Abruzzo, il film rende omaggio al ro¬ manzo ricostruendo l’ambiente e disegnando i personaggi con gusto popolare, af¬ finché la vicenda appassioni anche i fans dell’avventura. L’articolazione dramma¬ tica rieccheggia il cinema sociale degli anni Cinquanta, lo stile è inteso all’emo¬ zione immediata, e l’occhio di Lizzani trascorre dai paesaggi ai volti, dai rustici interni all’azione scenica senza andare talvolta oltre i gesti, ma per certi aspetti in questo relativo sapore di “fatti recitati” e di sommarie analisi psicologiche si ri¬ flette anche la difficoltà con cui Silone stesso si esprimeva, per cui si lamentava di disporre d’uno strumento, la lingua italiana, inadeguato a una realtà tutta dialet¬ tale. Come il romanzo, il film va letto fra le righe degli accadimenti, e colto nel suo sottosuolo doloroso, nei suoi scorci sentimentali e grotteschi, nell’intento ci¬ vile che sopravanza le ambizioni poetiche». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 13 sett. 1980).

LA DISUBBIDIENZA

di Aldo Lado Anno di edizione: 1981 Produzione: Nickelodeon - Pantheon - Les Films Molière, Produttore: Valerio De Paolis, Giorgio Barattolo; Soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; Sceneggiatura: Barbara Alberti, Amedeo Pagani, Aldo Lado; Fotografia: Dante Spinotti; Montaggio: Alberto Gallitti; Scenografìa: Mario Garbuglia; Costumi: Adriana Spadaro; Musica: Ennio Morricone; Interpreti: Stefania Sandrelli, Therese Ann Savoy, Mario Adorf, Marie-José Nat, Karl Demiunch, Marc Porel, Jac-

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ques Perrin, Nanni Loy, Joe Marano, Clara Colosimo, Fiorella Buffa, Ugo Pirro; Durata: 98’. LA STORIA: Nel 1945, in una Venezia in mano a repubblichini e nazisti, Luca, un sedicenne di buona famiglia, studente di liceo, si vergogna del padre che fa il doppio gioco e si sente trascurato dalla madre, tutta presa dalla sua carriera di cantante. Attratto dal movimento di resistenza, si unisce ai partigiani per qualche azione ardimentosa, ma dopo la liberazione Luca continua in questo suo difficile rapporto con il mondo: critica i partigiani perché rei di avere rinunciato troppo presto a voler cambiare il mondo, disprezza i genitori e si fa cacciare da scuola. Ammalatosi a causa di un acquazzone, Luca rinuncia a curarsi e a mangiare. Ma le attenzioni dell’infermiera che i genitori le hanno affiancato e della governante dei cuginetti compiono il miracolo. Iniziato al sesso dalle due donne, Luca supera in breve tempo la crisi esistenziale in cui era caduto e si rende conto di essere di¬ ventato un uomo. È il 2 giugno 1946 e ovunque si inneggia alla Repubblica. LA CRITICA: «Interpretato dal giovanissimo Karl Diemunsch che fa quanto può, il film è diretto da Aldo Lado con lodevole coscienza professionale, è ele¬ gantemente fotografato da Dante Spinotti, si giova di gustose scenografie di Ma¬ rio Garbuglia, mobilita tutti gh archi di cui sia capace Ennio Morricone. Ma è psicologicamente assai fragile, ideologicamente pretestuoso, spettacolarmente po¬ sticcio. Aldo Lado poteva coronare meglio il suo primo decennio di onesto me¬ stiere. Benché si apprezzi il suo sforzo di ricreare un’epoca e un ambiente, dispia¬ ce vederlo invischiato in scene incentrate sul rapporto fra i tendaggi di casa e i pizzi delle mutandine, o in banali rimasticature sul trasformismo dei borghesi». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 28 ago. 1981).

CLARETTA

di Pasquale Squitieri Anno di edizione: 1984 Produzione: Trans World Film - RAI-2; Produttore: Giacomo Pezzali; Soggetto: Pasquale Squitteri; Sceneggiatura: Pasquale Squitteri, Arrigo Petacco; Consulen¬ za storica: Arrigo Petacco; Fotografia: Eugenio Bentivoglio; Montaggio: Mauro Bonanni; Scenografia: Nicola Losito; Costumi: Ezio Altieri; Musica: Gerard Schurmann; Interpreti: Claudia Cardinale, Fernando Briamo, Caterina Boratto, Giuliano Gemma, Philippe Lamaire, Miriam Petacci, Nancy Brilli, Catherine Spaak, Lorenzo Piani, Angela Goodwin, Maria Mercader, Raffaele Curi, Mario Granato, Luigi Contini, Salvatore Aiello, Enrico Maisto, Umberto La Pietra, Vic¬ toria Zinny, Nguon Doung Don; Durata: 127’. Premio Pasinetti, per l’attrice, a Claudia Cardinale alla XLI Mostra Intemazionale del Cinema di Venezia nel 1984. Vincitore del Nastro d’Argento nel 1984, per la migliore attrice, a Claudia Cardinale. LA STORIA: Roberta, una giornalista televisiva, riceve l’incarico di preparare un film sulla figura di Claretta Petacci, l’amante di Mussolini. Roberta incontra mol-

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Capitolo terzo

te difficoltà a ricostruire la storia di quegli avvenimenti; si rivolge allora a Mi¬ riam Petacci, sorella di Claretta. Dal racconto di Miriam prende vita la storia del¬ la sorella nell’ultimo periodo della guerra: dalla caduta del fascismo fino alla sua morte nel 1945. Grazie al ritrovamenteo di filmati inediti, la giornalista riesce a delineare il profilo di Claretta, innamorata del mito-Duce e che, attraverso gli av¬ venimenti che la colpiscono nel corso di quei tre anni fatali: la fuga da Roma, il carcere a Novara, Salò e gli ultimi incontri con Mussolini al Vittoriale, si consoli¬ da nella sua decisione di seguirlo fino alla morte. Ora Roberta si ritrova con un taccuino pieno di appunti e una storia d’amore che ancora non sa come raccontare. LA CRITICA: «Film dell’imprudenza, più che dell’impudenza. In una struttura ridicolmente ricalcata sull’ Uomo di marmo, con la giornalista Catherine Spaak che va a caccia di materiale sull’amante del duce, si recupera la verità dei senti¬ menti contro la finzione delle ideologie, giocando leggermente con fascismo anti¬ fascismo guerra morte resistenza. Claudia Cardinale, poveretta, sembra proprio che ci creda al ruolo della vittima della storia, soffre, ama, pronuncia frasi stori¬ che col suo improbabile accento. Tutt’intorno le gira un ambiente ricostruito su¬ perficialmente, con le prime cianfrusaglie che capitavano, e quando il fascismo cade parte 1’“Addio del passato’’ verdiano suonato da un disco pessimamente in¬ ciso qualche anno dopo la Liberazione (era evidentemente il meno caro sulla piaz¬ za, fra quelli “storici”), e poi il Vittoriale, e le statue littorie, e attori senza faccia che attraversano lo schermo in divisa. A questo livello di nullità espressiva non scatta neanche il ricatto sentimentale (e il film, nonostante la pubblicità idiota che l’indignazione pubblica di Evtuscenko a Venezia gli ha procurato, ha avuto solo un moderato riscontro al botteghino): timoroso di entrare davvero liberamente, scandalosamente magari, pazzamente nell’impresa, Squitteri mette le mani avanti, tirando fuori la solita moneta fuori corso della doppia verità, aiutato dalle pseudo¬ testimonianze di Miriam Petacci, personaggio vero che sembra più finto di tutte le grossolane finzioni in cui si inserisce». (Giovanni Buttafava, Marco Giusti, La stagione 1984/85, in «Patalogo 8/9», Ubulibri, Milano 1986, p. 18).

GLI OCCHIALI D’ORO

di Giuliano Montaldo Anno di edizione: 1987 Produzione: L. P. Film - Paradis Film - Avaia Profilm - D.M.V. Distribuzione Reteitalia; Produttore: Leo Pescando, Eric Heumann, Stephane Sorlat; Direttore di produzione: Claudio Gaeta, Miijan Savie; Soggetto: dal romanzo omonimo di Giorgio Bassani; Sceneggiatura: Nicola Badalucco, Antonella Grassi, Giuliano Montaldo; Aiuto-regista: Marcantonio Graffeo, Vanja Aljinovic, Andelka Milovanovic; Fotografia: Armando Nannuzzi, Suono: Marko Rodic; Montaggio: Alfredo Muschietti; Scenografia: Luciano Ricceri; Arredamento: Branimir Babic; Costu¬ mi: Nanà Cecchi; Musica: Ennio Morricone; Interpreti: Philippe Noiret, Rupert Everett, Valeria Golino, Stefania Sandrelli, Nicola Farron, Roberto Herlitzka, Ra¬ de Markovic, Riccardo Diana, Anna Lezzi, Lavinia Segurini, Giovanni Rubin De Cervin, Luca Zingaretti, Ivana Despotovic, Arianna Felloni, Esmeralda Ruspoli,

Fascismo e antifascismo

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Nanni Massa, Rodolfo Marcenaro, Marco Mastantuono, Caterina Menegatti, Nada Skrinjar, Dusica Zegarac, Vittoria della Cà; Durata: 105’. Produzione realizzata, in esterni, a Ferrara, Cento, Bologna e in Dalmazia. Osella d’Oro per la miglior scenografia a Luciano Ricceri e per i migliori costumi a Nanà Cecchi alla XLIV Mostra Intemazionale del Cinema di Venezia nel 1987. Vincitore del David di Donatello per la miglior musica a Ennio Morricone. LA STORIA: Gli occhiali d’oro sono quelli del dottor Fatigati, un pediatra della Ferrara bene del 1938, rispettato e benvoluto da tutti. Un brutto giorno Fatigati vie¬ ne travolto da uno scandalo che rende di pubblico dominio la sua omosessualità. Il pediatra ama uno studente universitario senza scrupoli, Eraldo che, intuendo il pun¬ to debole del dottore, prima si mette a sfruttarlo, poi lo deruba e infine se ne libera schernendolo pubblicamente e prendendolo a pugni. In un breve arco di tempo la buona società passa dalla stima per il dottore alla derisione, per poi emarginarlo de¬ finitivamente. Gli rimane solo un amico, Davide, studente universitario anche lui, che identifica le sanzioni che colpiscono Fatigati con la sua emarginazione di ebreo. Davide viene lasciato dalla ragazza che ama, Nora, appartenente ad una ricca famiglia ebrea ferrarese, che preferisce farsi cattolica e sposare un gerarca fascista nella speranza di mettersi in salvo. Il giovane allora cerca di salvare il medico ten¬ tando di alleviarne l’angoscia. Ma non vi riesce: Fatigati, vinto dal dolore e dalla vergogna si uccide annegandosi nelle acque del Po a Pontelagoscuro. LA CRITICA: «Negli Occhiali d’oro vi è un penoso caso umano, un soggetto sottilmente e magistralmente affrontato, nella cornice di una città e di un ambien¬ te borghese, dove si moltiplicano le prime proterve prevaricazioni del potere fa¬ scista, non solo contro gli ebrei ma, appunto, contro i diversi. L’attempato e oc¬ chialuto dottor Fatigati è protagonista e vittima delle sue anomale tendenze, come dei pettegolezzi e dello scandalo che ne conseguono: Montaldo ha ritenuto di irro¬ bustire assunto e sceneggiatura con la inserzione della personale vicenda di Davi¬ de, un ferrarese israelita, narratore nel film come poi sarà scrittore nella vita, già posto ai margini perché di razza “diversa”, facendo correre in parallelo le due storie - Davide e Nora (ebrea anche lei) e il medico preso da passione per un biondo boxeur locale - per unire idealmente, nella emarginazione e nella soffe¬ renza, i due personaggi principali, umiliati e scivolati l’uno nella solitudine fino al suicidio, l’altro nella amarezza dell’abbandono da parte della ragazza e nella luci¬ da coscienza degli orrori che si stavano preparando in Europa. A credito del regi¬ sta stanno il tocco leggero, la discrezione e l’assenza di ogni possibile grossolani¬ tà, pur nella scabrosità innegabile del tema. A suo carico, invece, una interseca¬ zione dei due argomenti non sempre persuasiva e, in fondo, divaricatrice e fonte di scompensi sul piano narrativo nonché lo scarso approfondimento psicologico dei personaggi centrali». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. 103, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1987, pp. 160-161).

AMERICANO ROSSO

di Alessandro D’Alatri Anno di edizione: 1991

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Capitolo terzo

Produzione: Videa - RAI Tre; Produttore: Sandro Parenzo; Soggetto: dal roman¬ zo omonimo di Gino Pugnetti; Sceneggiatura: Enzo Monteleone; Fotografia: Alessio Gelsini; Suono: Remo Ugolinelli; Montaggio: Cecilia Zanuso; Scenogra¬ fia4. Maurizio Marchiatelli; Costumi4. Paola Bonucci; Musica: Gabriele Ducros; In¬ terpreti: Burt Young, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Milillo, Sabrina Fenili, Orsetta De Rossi, Maria Paola Lucentini, Tullia Alborghetti, Giampaolo Saccarola, Beatrice Palme, Pino Amendola, Eros Pagani, Massimo Ghini, Miranda Martino, Monica Goldfuss, Anna De Malta, Daniela Foà, Ruberto Guido Geremia, Riccar¬ do Rossi, Claudio Parise; Durata: 102’. LA STORIA: Nel 1934 il giovane Vittorio Benvegnù, esuberante donnaiolo e fa¬ scista della prima ora, viene licenziato dallo zio Oscar, nella cui agenzia matrimo¬ niale lavora, per un banale motivo di coma. Imbattutosi nelTitalo-americano George Maniago, in cerca di una moglie italiana prosperosa e di smisurata virtù, Vittorio decide di sfruttare la situazione e di spassarsela a spese del danaroso stra¬ niero. Combinato il matrimonio, George e la bella mogliettina ripartono per l’America. Troppo tardi Vittorio scoprirà che il vero motivo della visita di George in Italia era quello di uccidere lo zio Oscar. Braccato dalla polizia, Vittorio viene ar¬ restato. Tutti gli indizi sono contro di lui: la bella cabriolet, nel cui cmscotto vie¬ ne trovata la pistola di George usata per l’omicidio, i molti soldi che ha in tasca, il litigio e il licenziamento avvenuti il giorno stesso del delitto. Non gli resta, sep¬ pure innocente, che chiedere la grazia a Mussolini. LA CRITICA: «Prendendo il titolo dall’aperitivo più in voga all’epoca, America¬ no rosso è un film senza grandi ambizioni, gradevolmente vivace, diretto dall’e¬ sordiente Alessandro D’Alatri, anni 36, proveniente dal cinema pubblicitario, con simpatica attenzione ai tipi e ai costumi dell’età fascista. L’operina batte talvolta la fiacca, ma i ritrattini dei due protagonisti e delle loro donne, e le situazioni in cui sono maliziosamente collocati, compongono una commedia che pur difettando di spessore offre un piacevole intrattenimento. Il rapporto fra il donnaiolo di pro¬ vincia e l’americano che mentre sta preparandogli un brutto tiro teme d’essere in¬ gannato è detto con brio, e la bella cornice paesistica è valorizzata dalla fotografia di Alessio Gelsini». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 21 apr. 1991).

I 600 GIORNI DI SALÒ di Nicola Caracciolo, Emanuele Valerio Marino Anno di edizione: 1991 Produzione: RAI TV - RAI Tre - Istituto Luce - Italnoleggio Cinematografico; Produttore: Francesca De Vita, Gabriella Macchiando; Soggetto: Nicola Carac¬ ciolo, Emanuele Valerio Marino; Sceneggiatura: Nicola Caracciolo, Emanuele Valerio Marino; Consulenza storica: Niccolò Zapponi; Montaggio: Angela Monforese; Musica: Benedetto Ghiglia; Materiale documentario: Archivio Istituto Lu¬ ce, Durata: 88 . Presentato alla XLVIII Mostra Intemazionale Cinematografica di Venezia nel 1991.

Fascismo e antifascismo

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LA STORIA: Film di montaggio con materiali inediti provenienti dagli archivi dell’istituto LUCE; ricostruisce il clima quotidiano del periodo che va dalla presa del potere da parte del fascismo, sostenuto dalla forza nazista, alla nascita di un nuovo stato fascista, la RSI, alla Liberazione. LA CRITICA: «Il film analizza, oltre a filmati tedeschi, documentari girati da operatori del Luce nel periodo ottobre ’43/maggio ’45, alcuni dei quali mai mon¬ tati prima. Il risultato è un’opera storicamente controllata e interessante per la maniera con la quale accosta a sequenze di comizio e di guerra, scene di vita co¬ mune: spettacolini e danze d’osteria, puerili giochi campestri, sfilate di moda al¬ l’insegna dell’autarchia, semplicemente uomini appoggiati a un muretto, con alle spalle il mare. Episodi marginali raffrontati alla grande tragedia della storia. Ca¬ racciolo e Marino hanno evidenziato molto bene l’inscindibilità assoluta tra pub¬ blico e privato; la loro è una rievocazione paradossalmente quasi astratta, che rie¬ sce a non essere celebrativa né demonizzante». (Marcello Garofalo, Tuttofilm, dall’A alla Z, in «Segnocinema», n. 57, sett./ott. 1992, p. 59).

NEMICI D’INFANZIA di Luigi Magni Anno di edizione: 1995 Produzione: Telecinestar - RAI Uno; Produttore: Luciano Perugia; Direttore di produzione: Giorgio Russo; Soggetto: dal romanzo omonimo di Luigi Magni; Sceneggiatura: Luigi Magni; Aiuto-regia: Bianca Perugia; Fotografia: Roberto D’Ettore Piazzoli; Suono: Marco Di Biase; Montaggio: Fernanda Indoni; Sceno¬ grafia: Lucia Mirisola; Arredamento: Enzo Forletta; Costumi: Lucia Mirisola; Musica: Nicola Piovani; Interpreti: Renato Carpentieri, Paolo Murano, Giorgia Tartaglia, Nicola Russo, Elena Berera, Eloide Treccani, Gregorio Gandolfo, Luigi Diberti, Lucio Arisci, Diego Cipolletta Stefano Gianfico, Flaminia Lizzani, Mas¬ similiano Onorati, Rosa Pianeta, Riccardo Santoro, Fabrizio Tiberti; Durata: 108’. LA STORIA: Paolo, nel 1944, vive col padre in una Roma occupata dai tedeschi. In occasione del funerale della madre, morta durante la primavera, conosce la fa¬ miglia di un gerarca fascista che vive nello stesso palazzo. Luciana, figlia del ge¬ rarca, lo colpisce particolarmente e Paolo, da quel momento passa ore sul terrazzo nella speranza di rivederla. Nasce così, a poco a poco, una storia d’amore. L’arri¬ vo del fratello di Luciana, volontario della X MAS, e di un nuovo strano inquilino - invalido civile - complicano i furtivi incontri tra i due adolescenti. Paolo col tempo fa amicizia con il nuovo venuto, che ha intravisto un giorno mentre puliva una pistola, gli fa alcuni servizi, ne ascolta i saggi ragionamenti e si offre, in caso di arrivo della polizia, di nascondergli la pistola. Costui è Corsini, un antifascista, che una sera uccide il gerarca mentre Paolo sta seguendo a distanza la sua fami¬ glia all’uscita da un cinema. Paolo, pur di non tradire l’amico, accetterà di perde¬ re Luciana che invano gli ha chiesto di denunciare l’assassino.

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LA CRITICA: «Tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Magni (uscito nel 1990), Nemici d’infanzia è un altro viaggio del regista capitolino nella Storia di Roma. Stavolta però non si tratta più di ricostruire vicende antiche di secoli [...] utiliz¬ zando una memoria tramandata; entra invece in gioco la memoria personale di Magni che dovrebbe dare al racconto un respiro narrativo ampio, [...] ne esce in¬ vece fuori un prodotto piatto, pretenzioso e pieno di schematizzazioni ideologiche. [...] Dramma personale e dramma pubblico s’incastrano a fatica rendendo l’insie¬ me molto poco omogeneo. Quel palazzo del quartiere Prati, teatro principale della vicenda, potrebbe essere quello di qualsiasi altra città dominata dal nemico. Roma sembra perdere le sue caratteristiche urbanistiche; la capitale viene quasi trasfor¬ mata in un paesino abitato da ‘tipi fissi’: la famiglia di Paolo, l’uomo della Resi¬ stenza, il fascista cattivo, la domestica allegra (con in bocca le parole della Car¬ men), i vecchietti insensibili, il giovane tedesco sulle orme di Goethe. Nemici d’infanzia non riesce neanche a evitare un fastidioso sapore retorico. Questo si avverte soprattutto nel gruppo di ragazzini del palazzo di Paolo che va a riempire i muri di scritte antifasciste e spiano famose attrici in sintonia con idee e perso¬ naggi del regime (la Ferida?). I momenti dove la narrazione sembra leggermente più fluida (gli incontri tra Paolo e Luciana) vengono invasi dall’onnipresente mu¬ sica di Piovani. [...]. E nel grigiore interpretativo generale, anche il pur bravo Carpentieri non riesce a sollevare il film dalla mediocrità in cui si trova». (Simone Emiliani, «Film», n. 15, magg./giu. 1995, pp. 18-19).

ALBERGO ROMA di Ugo Chiti Anno di edizione: 1996 Produzione: Union P.N. srl; Produttore: Giorgio Leopardi; Direttore di produzio¬ ne: Elena Leopardi; Soggetto: dal lavoro teatrale di Ugo Chiti «Allegretto... per bene ma non troppo»; Sceneggiatura: Ugo Chiti; Aiuto-regia: Pierluigi Ciriaci; Fotografia: Blasco Giurato; Suono: Candido Raini; Montaggio: Carla Simoncelli; Scenografia: Eugenio Liverani; Costumi: Gabriella Pescucci; Effetti speciali: Maurizio Nespoli; Musica: Marco Baraldi; Interpreti: Alessandro Benvenuti, Tcheky Karyo, Claudio Bisio, Debora Capidoglio, Roberto Posse, Alessandra Ac¬ ciai, Lucia Poli, Laura Trotter, Davide Bechini, Giorgio Panariello, Carlo Monni; Durata: 105’. LA STORIA: In una piccola cittadina della Toscana, alla fine degli anni Trenta, tutto il paese è impegnato a preparare l’accoglienza del Duce, invitato a inaugura¬ re la nuova sede dell’asilo dell’ONMI, quando avviene un fatto terribile: il rinve¬ nimento di un feto umano fa nascere il sospetto che sia stato commesso un infan¬ ticidio. Il segretario del fascio impone che la notizia non trapeli per impedire che salti il grande evento, rinviando le indagini a dopo l’illustre visita: ma tutto è inu¬ tile. La notizia si propaga in un crescendo continuo, e il mattino seguente tutto il paese ne è a conoscenza. Durante la notte, in gran segreto, arriva nel paese un fe¬ derale fascista con una misteriosa valigia; si chiude nell’Albergo Roma e a tutti pare chiaro che il suo arrivo è legato alle indagini. Allora i responsabili fascisti

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locali decidono di cambiare strategia: occorre che siano loro a trovare il colpevo¬ le. Ma quando sembra che il mistero sia risolto e la responsabile sia stata indivi¬ duata, un nuovo colpo di scena scompiglia tutte le carte in gioco portando ad una conclusione che si rivela una tragica beffa per tutto il paese. Il federale era arriva¬ to nella cittadina non per indagare sul fattaccio locale, ma per disfarsi dei resti della moglie tagliata a pezzi e nascosta nella valigia, mentre il feto rinvenuto ca¬ sualmente non era umano, ma di maiale. LA CRITICA: «“Un apologo sulla stupidità”. Così Ugo Chiti, drammaturgo, sceneggiatore e ora regista, definisce nell’incontro post-proiezione [...] il suo film d’esordio Albergo Roma. Per il passaggio dietro la cinepresa ha deciso di far prendere aria a una sua commedia di qualche anno fa, Allegretto... per bene ma non troppo, cambiando molti degli interpreti ma conservando quel gusto acre, tra il popolaresco e il metaforico (con una curvatura espressionista), che fece scri vere al nostro Aggeo Savioli: “Ecco una sceneggiatura già pronta”. All’autore di Pae¬ saggio con figure piacciono gli intrecci corali, ribollenti di piccole nefandezze di provincia e di esistenze ulcerate, lambiti da una Storia che ridicolizza ancora di più gli accadimenti. Che c’è di meglio, allora, dell’ambientare nell’invemo del 1939, un anno prima della sciagurata entrata in guerra, questa vicenda di stolida crudeltà piccolo borghese? [...] Dichiarato omaggio a quel vecchio film di Zampa Processo alla città, Albergo Roma è un debutto di tutto rispetto: lo spunto giallo (c’è di mezzo anche una valigia con un cadavere a pezzi) serve a Chiti per intavo¬ lare un ennesimo discorso sulla crudeltà di un’Italietta “lombrosianamente” spa¬ ventosa, pronta a gettare la croce sui diversi, murata viva nella propria ipocrisia. La smaltata fotografia di Blasco Giurato e i bei costumi di Gabriella Pescucci for¬ niscono al film qualcosa di più di un’adeguata cornice visiva». (Mi.[chele] An.[selmi], «L’Unità», 31 ago. 1996).

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IV. LE GUERRE D’AFRICA E DI SPAGNA

La guerra per la conquista dell’Impero e la guerra civile spagnola, nei cinquantanni presi in esame, sono scarsamente frequentate dal cinema italiano. Abbiamo visto, nel precedente volume1, che anche durante il venten¬ nio fascista i film dedicati all’Impero furono scarsi, appena nove. Ales¬ sandro Pavolini, nel 1940, lamentava che «film coloniali se ne sono fatti, anche buoni, ma non basta; l’Impero è un grande orizzonte al quale il ci¬ nematografo deve guardare ancora di più»2. Ma non fu così, e nel dopo¬ guerra il tentativo di rimuovere quasi completamente dalla memoria la tra¬ gica impresa africana, e ancor più quella spagnola, appare riuscito in pie¬ no se è vero che solo quattro sono stati i film dedicati all’Impero e tre quelli dedicati alla Spagna. A proposito di questo voluto oblio, Brunetta scrive: Nel dopoguerra, L’Africa è diventata quasi il «cuore di tenebra», il nucleo più profondo e insondabile della memoria del ventennio. Nella memoria colletti¬ va, il «maggio radioso» del 1936 avrebbe dovuto, a prima vista, apparire co¬ me uno dei momenti meno traumatici da riportare alla luce dal profondo del¬ l’inconscio, un capitolo delle guerre degli italiani se non eroico, certo pagato meno di altri in termini di vite umane. Eppure, mentre l’eredità della memo¬ ria antifascista e resistenziale è stata gestita quasi egemonicamente già nell’immediato dopoguerra dalle sinistre che ne sono divenute le custodi delle ceneri e dei monumenti e quella del fascismo è stata un’ottima palestra e ter¬ reno di scontro per alcune generazioni di storici negli ultimi decenni, la guer¬ ra d’Africa è rimasta ininterrottamente in una sorta di no man’s land storio¬ grafico e ideologico3.

1 Cfr. Le guerre d'Africa e l’Impero, in G. Casadio, Il grìgio e il nero..., cit. 2 G. Bernagozzi, Il cinema del ventennio fascista, in Storia del cinema, voi. 2, Ve¬ nezia, Marsilio, 1978, p. 82. 3 G.P. Brunetta, J.A. Gili, L’ora d’Africa del cinema italiano, in «Materiali di La-

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Bisognerà aspettare dieci anni dall’ultimo fdm coloniale perché la pro¬ duzione italiana metta in cantiere un film «africano». È del 1949 Vento d’Africa (Kamsin) realizzato da Anton Giulio Majano. Il regista non af¬ fronta direttamente il tema: tutto il dramma è incentrato sul figlio di una coppia di italiani uccisi nel 1948 a Mogadiscio, nipote di un ex marescial¬ lo delle truppe coloniali. L’Africa c’entra poco, se non nei ricordi del non¬ no e nei pensieri del giovane irrequieto. Quattro anni dopo, nel 1953, è Enrico Cappellini che toma ad affronta¬ re l’argomento con il film La via del Sud. Anche Cappellini non si occupa direttamente del tema: preferisce affidare il racconto ad una specie di rie¬ vocazione storica fatta da un ex comandante di truppe coloniali impegnato nella sistemazione di un museo coloniale, con materiali documentari di re¬ pertorio. Dopo un vuoto durato ben trentasei anni l’ultimo film dedicato a que¬ sta guerra è quello realizzato da Giuliano Montaldo nel 1989, Tempo di uccidere. Tratto da un romanzo di Ennio Flaiano, uno dei pochi scrittori che hanno elaborato storie con l’impresa africana come sfondo, il film rie¬ sce a rendere bene la figura vile e sgradevole del tenente Silvestri, inter¬ pretato da Nicolas Cage, ma risulta lento e sfilacciato tanto che il pubbli¬ co ne disertò le proiezioni, per altro sporadiche e discontinue. Nonostante le amnesie collettive, la rimozione, la distanza temporale, l’im¬ presa africana rimane una presenza inquietante, incombente, che turba, tra le tante cose e forse soprattutto, l’immagine e lo stereotipo più resistente e inos¬ sidabile, quello dell’italiano non razzista né coloniale. E una presenza non esorcizzabile con cui ormai dovranno e potranno misurarsi le nuove genera¬ zioni. Per tentare almeno di capire le ragioni del rispetto così concorde e una¬ nime della consegna del silenzio per oltre cinquantanni4.

Sulla guerra di Spagna si registra una carenza di film ancora maggio¬ re. Dall’ultimo film su quella guerra girato in epoca fascista. Inviati spe¬ ciali, del 1943, passeranno ben trentadue anni prima di una nuova produ¬ zione. E Fernando Arrabai, regista spagnolo nato in Marocco, ma di lin¬ gua francese, che se ne occuperà nel 1975 con il film LAlbero di Guernica, una coproduzione italo-francese. Film appassionante, offre un quadro della guerra civile spagnola abbastanza veritiero, incentrando la vicenda sull’amore tra un poeta e una contadina che lottano insieme per la libertà del loro popolo dalla dittatura franchista. L’anno seguente un altro film sull’argomento è presentato da Aldo Fiorio, che affronta il tema dei volontari nelle file dei fascisti. Si tratta di Una vita venduta, in cui due siciliani arruolatisi come volontari nella divi-

voro». Rivista di Studi Storici, Rovereto 1990, pp. 35-36. 4 G.P. Brunetta, J.A. Gili, L'ora d’Africa..., cit. p. 37.

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sione fascista «Dio lo vuole», attratti dalla buona paga, finiranno per con¬ cludere la propria vita in modo ben diverso l’uno dall’altro: uno davanti e l’altro dietro il plotone di esecuzione. È un film ben fatto e attento al ri¬ spetto della storia e mostra, senza eccessive enfatizzazioni o retorica, il conflitto psicologico che sicuramente i volontari fascisti e quelli delle bri¬ gate intemazionali si trovarono ad affrontare quando furono costretti a combattere contro i loro connazionali. Il terzo e ultimo film «spagnolo» esce sempre negli anni Settanta, ed è Volontari per destinazione ignota di Alberto Negrin. Il film narra dell’in¬ ganno di cui furono vittime centinaia di «volontari» per la Spagna. I «vo¬ lontari», poveri disgraziati senza lavoro, erano costretti ad accettare ingag¬ gi come coloni in Africa Orientale e, una volta imbarcati, destinati ad in¬ grossare le fila dei legionari spagnoli. Ben diversa, come si vede, la pur scarsa produzione di film sulla guer¬ ra di Spagna rispetto a quella per l’Impero. È evidente che la diversa mo¬ tivazione politica con cui la guerra civile spagnola è stata recepita dalla sinistra, in particolare, e dagli altri partiti democratici, in generale, ha gio¬ cato un molo importante nella scelta degli argomenti da trattare. Mentre le scarse, o inesistenti, motivazioni imperiali, motivo di imbarazzo per la de¬ mocrazia italiana, hanno, come si diceva all’inizio, rimosso ogni tentativo di affrontare l’impresa africana, non solo in modo critico, ma anche sotto forma di commedia o di satira, come invece è avvenuto per le altre guerre. Ogni tentativo di liberarci dal complesso di popolo colonialista, sia per le imprese libiche che per quelle in Africa Orientale, è rimasto un capitolo che, in termini cinematografici, aspetta ancora di essere scritto.

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VENTO D’AFRICA (KAMSIN)

di Anton Giulio Majano Anno di edizione: 1949 Produzione: Major Film; Direttore di produzione: Giuseppe Fatigati; Soggetto: Fulvio Palmieri; Sceneggiatura: Fulvio Palmieri, Anton Giulio Majano; Fotogra¬ fia: Renato Del Frate; Suono: Giulio Panni; Montaggio: Robert Leeds; Scenogra¬ fia: Arrigo Equini; Musica: Alessandro Cicognini; Interpreti: Giovanni Grasso, Franca May, Gino Leurini, Luigi Almirante, Franco Becci, Mario Riva, Anna Di Meo, Francesca Semi, Eugenio Maggi, Enrico Pucci, Giotto Tempestini, Achille Millo, Carlo Delle Piane, Italo Pirani, Aristide Teroni; Durata: 86’. LA STORIA: La figlia di un ex maresciallo delle truppe coloniali viene uccisa insieme al marito a Mogadiscio nel 1948. Il figlioletto viene affidato alle cure del nonno che, con l’aiuto di autorevoli amici, gli procura una borsa di studio per un grande collegio. Ma il ricordo dell’atroce esperienza fa sì che il ragazzo cresca con un carattere chiuso e diffidente, che lo rende ostile al nonno, ai compagni di collegio e agli insegnanti. A seguito di uno scherzo crudele dei compagni, fugge dal collegio e tenta di imbarcarsi per Mogadiscio. Ma, scoperto, gli viene impedi¬ to l’imbarco e si ammala per i disagi sofferti durante la fuga. Vegliato amorosamente dal nonno per tutta la malattia, capisce finalmente i suoi torti e ricambia il suo affetto. Rientrato in collegio, affronta con uno sguardo nuovo il rapporto con compagni e insegnanti. LA CRITICA: «Il soggetto adombrato nel lavoro avrebbe potuto riuscire molto interessante; ma la realizzazione cinematografica è deficiente. Il film risulta fram¬ mentario, in alcuni punti eccessivamente lento. Il film, ispirato a sentimenti pa¬ triottici, non contiene elementi negativi, che impongano riserve in sede morale. Rileviamo però che lo scherzo crudele, fatto all’orfano dai compagni, potrebbe impressionare qualche bambino sensibile». (Anonimo, Segnalazioni cinematogra¬ fiche, voi. XXV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1949, p. 202). OSSERVAZIONI: Nel corso del film sono inseriti alcuni spezzoni del film Bengasi di Augusto Genina, del 1942, dove appare Fosco Giachetti.

LA VIA DEL S UD

di Enrico Cappellini Anno di edizione: 1953 Produzione: E.C. & E.C.; Produttore: Enrico Cappellini; Direttore di produzio¬ ne: Daniele Danieli; Commento e dialoghi: Luigi Barzini Jr., Giulio Cesare Vio¬ la; Consulenza storica: M.A. Vitale, F.S. Caroselli; Materiale documentario: Ar¬ chivio Istituto Luce; Fotografia: Enrico Capellini; Musica: Nino Oliviero; Inter¬ preti: Antonio Acqua, M.A. Vitale, Salvatore Del Signore; Durata: 102’.

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LA STORIA: Un vecchio generale, ex comandante delle truppe coloniali, viene invitato da un amico, direttore del Museo Coloniale, ad allestire una speciale se¬ zione del museo che dovrà intitolarsi «La via del Sud» e dovrà offrire l’illustra¬ zione completa della missione di civilizzazione dellTtalia nei confronti dei popoli africani. Dapprima, al pensiero delle condizioni in cui versa attualmente ITtalia, il generale vorrebbe rifiutare, ma poi, affascinato dai ricordi che suscitano in lui quei vecchi e sacri cimeli, decide di accettare f incarico. LA CRITICA: «Il film comprende molto materiale documentario di un certo in¬ teresse; ma risulta, nella seconda parte, un po’ lento e monotono. Alcune sequen¬ ze con indigeni in costume adamitico impongono riserve». (Anonimo, Segnalazio¬ ni cinematografiche, voi. XXXIV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1953, p. 185).

L’ALBERO DI GUERNICA

di Fernando Arrabai Anno di edizione: 1975 Produzione: CI. LE. Film - Luso France; Produttore: Francesco Cinieri, Bernard Legargeant; Direttore di produzione: Romaine Hacquard; Soggetto: Fernando Ar¬ rabai; Sceneggiatura: Fernando Arrabai, Francesco Cinieri; Aiuto-regia: Roberto Palermini; Fotografia-. Ramon Suarez; Suono: Fiorenzo Magli; Montaggio-. Renzo Lucidi; Senografia: Oscar Capponi; Costumi: Oscar Capponi; Effetti speciali: Giovanni Diodato, Eros Baciucchi; Musica: dal repertorio folkloristico spagnolo; Interpreti: Mariangela Melato, Ron Faber, Franco Ressel, Mario Novelli, Cosimo Cinieri, Cyrille Spiga, Rocco Fontana, Benito Urago, Jean-Franqois De Lacour, Marie Pillet, C. Harold, A. Delphy; Durata: 100’. Produzione realizzata, in ester¬ ni, in Basilicata nei pressi di Matera. LA STORIA: Durante la guerra civile spagnola si incontrano a Guemica, fatta radere al suolo dall’aviazione di Franco, un poeta di nobile famiglia e una giovane contadina. La sconvolgente visione del bombardamento franchista scuote i due, fi¬ no ad allora indifferenti alla guerra che li circondava, tanto che decidono di schie¬ rarsi dalla parte dei repubblicani. Il giovane si arruola nell’aviazione repubblicana e la ragazza si unisce alla popolazione nella disperata resistenza ai fascisti. Caduta nelle mani delle forze franchiste, la cittadina viene definitivamente distrutta e gli abitanti ucqisi, ma i due giovani, salvatisi miracolosamente, continueranno a lotta¬ re per la libertà. LA CRITICA: «L’albero di Guernica, girato in Italia fra i Sassi di Matera, è un mito ispirato alla guerra civile spagnola, presente anche con inserti documentari¬ stici. L’autore ci racconta la storia dell’incontro tra un poeta surrealista e una bel¬ la contadina, evidenti simboli dell’intelligenza e del popolo spagnolo destinati a unirsi sotto l’albero della libertà che nemmeno i bombardatoli di Guernica sono riusciti a distruggere. È ricco e appassionante il quadro della Spagna non troppo immaginaria del film di Arrabai, attraversata da dolenti figure di nani martirizzati

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Capitolo quarto

e crocifissi e funestata da grosse caricature di militari felloni. Non sempre il regi¬ sta padroneggia il suo spettacolo e abbiamo visto scene di battaglia girate meglio: ma dietro queste immagini, a differenza che nel novanta per cento dei film, chiede udienza un poeta». (Tullio Kezich, «Panorama», 23 mar. 1976).

UNA VITA VENDUTA

di Aldo Fiorio Anno di edizione: 1976 Produzione: Comma 9; Produttore: Lina Nerli Taviani, Giuseppe Francone; Di¬ rettore di produzione: Michele Germano; Soggetto: dal racconto «L’antimonio» di Leonardo Sciascia; Sceneggiatura: Bruno Di Geronimo, Fulvio Gicca Palli, Aldo Fiorio; Aiuto-regia: Mauro Sacripanti; Fotografia: Franco Delli Colli; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Sergio Canevari; Costumi: Lina Nerli Taviani; Musi¬ ca: Ennio Morricone; Interpreti: Enrico Maria Salerno, Gerardo Amato, Germano Longo, Sergio Gibello, Rodolfo Bianchi, Gianfranco Bullo, Marino Cenna, Toni De Leo, Gabriele Tozzi, Francesco Pau, Angela Goodwin, Imma Piro, Marino Masè, Daniele Dublino, Andrea Aureli, Rick Battaglia, Giuseppe Castellano, Francesco Pau, Sandro Dori, Anne Demittenaere, Lorenzo Fineschi, Morena Mu¬ soleni; Durata: 110’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, a Tarquinia e in Puglia. LA STORIA: Michele e Luigi, entrambi siciliani, si arruolano fra i volontari fa¬ scisti per combattere al fianco dei falangisti contro i repubblicani spagnoli. Il pri¬ mo, minatore, è allettato dalla buona paga, il secondo, che ha una fedina penale non immacolata, aspetta solo il momento buono per passare con i rossi e raggiun¬ gere la famiglia in America. Pur avendo caratteri completamente opposti, fra i due nasce una sincera amicizia che si rafforza nei momenti di pericolo. Dopo la battaglia di Guadalajara, Michele, dall’animo mite e innocente, incomincia ad aprire gli occhi e si ribella di fronte ad azioni di pura crudeltà. Meno scrupoli ha Luigi, che non esita ad uccidere un nemico poco più che adolescente e ad approffittare della sorella affamata. Ma il rifiuto decisivo Michele lo esprimerà di fronte all’ordine di fucilare un gruppo di prigionieri consegnatisi ai fascisti. Verrà messo al muro con i comunisti e Luigi farà parte del plotone di esecuzione. LA CRITICA: «Senza essere quell opera dura e compatta che avremmo potuto avere da un regista meno cresciuto nel cinema commerciale, Una vita venduta (ma era più bello il titolo di lavorazione: Caralsol) è un film diligente e decoroso, realizzato con buon mestiere e onesto rispetto della storia. Non soltanto perché non nasconde che anche da parte degli antifascisti furono compiute stragi vergo¬ gnose (soprattutto nei confronti di gente di chiesa), perché rievoca con cura l’am¬ biente, i comportamenti, il linguaggio, e sebbene girato in Italia (Puglia e Tarquinina) rende credibili i luoghi. Vogliamo dire che gli spettatori più giovani, i quali sanno poco o nulla della guerra di Spagna, potranno trovare nel film una buona fonte d’informazione sugli stati d’animo dei volontari fascisti, in questo caso della divisione “Dio lo vuole’’, costretti a battersi contro i connazionali della brigata

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“Garibaldi”. La sceneggiatura lascia un po’ a desiderare, perché in certi momenti le figure dei protagonisti sembrano riflettere vecchi modelli del cinema psicologi¬ co di guerra, e la regia riecheggia talvolta gli esempi del Western. Ma lo spettaco¬ lo, destinato al grande pubblico, e quindi incapace di sottrarsi a certe servitù me¬ lodrammatiche e didascaliche, nell’insieme ha una sua amara efficacia». (Giovan¬ ni Grazzini, «Corriere della Sera», 28 ago. 1976).

VOLONTARI PER DESTINAZIONE IGNOTA

di Alberto Negrin Anno di edizione: 1977 Produzione: R.T.R. - RAI TV; Produttore: Giulio Scanni; Direttore di produzio¬ ne: Roberto Onorati; Soggetto: Alberto Negrin; Sceneggiatura: Alberto Negrin; Aiuto-regia: Inigo Lezzi; Fotografia: Giancarlo Ferrando; Suono: Raoul Monte¬ santi; Montaggio: Paolo Boccio; Scenografia: Antonio Capuano; Costumi: Mariolina Bono; Musica: Egisto Macchi; Interpreti: Michele Placido, Vito Passeri, Werner Di Donato, Severino Stella, Caterina Ventura, Cristoforo Chiapperini, Luigi Porzia, Piero De Vito, Erasmo Lo Presti, Pasqualino di Turi, Pasquale D’Ambrosio, Marino Cenna, Tommaso Morelli, Natale Nazzareno, Pier Luigi Giorgio, Eustachio Farina, Nicola Taraselo, Luigi Angiuli, Angela Arleo, Gianni Pulone, Pietro Buttarelli, Mario Rivelli, Francesco Aguinaldo Licastro, Franco Ferrara; Durata: 99’. Produzione realizzata, in esterni, in Basilicata. LA STORIA: Nel novembre del 1936, in un paese della Lucania, gli uomini sono costretti ad implorare un misero lavoro dai «caporali» del latifondista locale. Un giorno il banditore annuncia che lo Stato pagherà bene tutti coloro che si offriran¬ no volontari come coloni per l’Africa Orientale. Antonio, che già aveva combat¬ tuto in Abissinia, Giuseppe, Nicola e altri paesani, decidono di arruolarsi. Quando sono ormai partiti, si accorgono che la loro destinazione non è l’Africa, ma la Spagna dove si sta combattendo la guerra civile. Travolti dalla guerra, si trovano costretti ad uccidere e sapere che di fronte a loro si trovano altri italiani, che mili¬ tano nelle file dei repubblicani, aumenta il loro disagio. Nicola tenta di disertare, Giuseppe muore e Antonio, monco di un braccio, riprende in patria l’antico mise¬ ro lavoro di bracciante. LA CRITICA: «Il film, opera di un regista televisivo e prodotto dalla RAI, parte da un disegno originale e non privo di stimoli più sociali che politici: la miseria e l’ignoranza che costringono alcuni “disgraziati” ad un’avventura bellica dalla quale sono distanti per l’innato spirito pacifista e per l’assoluta carenza di co¬ scienza politica. Da questa impostazione nascono le tematiche subordinate delle mistificazioni del fascismo e del depresso italiano contro il depresso spagnolo, nonché quella dell’italiano contro l’italiano in terra straniera. La realizzazione, tuttavia, merita appunti tanto dal punto di vista stilistico quanto da quello dottri¬ nale. Tecnicamente il film risente della povertà di mezzi che solo a tratti il regista è riuscito a elevare a simbolo espressivo; ma di rado la narrazione perde ritmo e quasi sempre la guerra di Spagna appare sotto forma di scaramuccia (anche le am-

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bientazioni spagnole sono evidentemente non credibili). Politicamente, al di là delle suaccennate e valide tematiche, tutto il fatto storico è troppo sbrigativamente visto “da una sola parte’’». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. LXXXV, Centro Cattolico Cinematografico, Roma 1978, pp. 328-329). OSSERVAZIONI: Si tratta di un film realizzato per la televisione che ebbe anche distribuzione nelle sale. È stato trasmesso da RAI Due il 22 gennaio 1980.

TEMPO DI UCCIDERE

di Giuliano Montaldo Anno di edizione: 1989 Produzione: Ellepi Film - Italfrance - Dania Film - Surf Film; Produttore: Feo Pescarolo, Guido De Faurentis; Direttore di produzione: Claudio Gaeta; Sogget¬ to: dal romanzo omonimo di Ennio Flaiano; Sceneggiatura: Furio Scarpelli, Gia¬ como Scarpelli, Giuliano Montaldo, Paolo Virzì; Collaborazione alla regia: Vera Pescarolo Montaldo; Fotografia: Blasco Giurato; Suono: Daniel Brisseau; Mon¬ taggio: Alfredo Muschietti; Scenografia: Davide Bassan; Costumi: Elisabetta Montaldo; Musica: Ennio Morricone; Interpreti: Nicolas Cage, Ricky Tognazzi, Patrice Flora Praxo, Giancarlo Giannini, Gianluca Favilla, Georges Claisse, Ro¬ bert Fiensol, Vittorio Amandola, Paopei Andreoli, Mario Mazzarotto, Michele Melega, Franco Trevisi; Durata: 110’. Presentato alla XLVI Mostra Intemaziona¬ le d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1989. FA STORIA: Nel 1936 in Etiopia il tenente Silvestri, colpito una notte da un im¬ provviso mal di denti, non aspetta l’alba per partire con il suo reparto e si fa por¬ tare al più vicino ospedale da campo. Un incidente stradale mette il camion fuori uso e il tenente decide di proseguire attraverso la boscaglia. Scorge in un laghetto una bellissima ragazza indigena nuda e la violenta. Nella notte spara ad una be¬ stia, ma il colpo di rimbalzo colpisce a morte la ragazza. Il tenente, vedendola soffrire, la uccide e ne seppellisce il cadavere. Giunto finalmente all’ospedale da campo viene curato. Qui un maggiore gli racconta che le prostitute contagiate dal¬ la lebbra portano un turbante bianco, e poiché la ragazza da lui violentata e uccisa portava un turbante simile, Silvestri incomincia a impensierirsi. Fa paura aumenta quando si accorge che una ferita ad una mano non si rimargina. Ottiene finalmen¬ te una licenza e si precipita a Massaua per imbarcarsi, ma un ufficiale medico si insospettisce e avvisa i carabinieri. Alla fine il tenente viene a sapere dal padre della ragazza morta che la giovane non era lebbrosa e che nessuno sospetta della sua morte; potrà così imbarcarsi per l’Italia e lasciare l’Africa indisturbato. FA CRITICA: «Può darsi che nel ’47 il romanzo scritto da Ennio Flaiano (da cui il film di Giuliano Montaldo) sia apparso più vivo, più grafitante e amaro e con più simboli. Qui la vicenda è molto più diluita. Il tenente - partito come tanti al¬ tri, volontari o comandati, verso un Paese esotico, tutto palmizi e faccette nere da conquistare nel fascino di un ideale imperialista — non solo non è un eroe, ma è unicamente un vile, ladro all’occorrenza e assassino. Il personaggio è in sostanza

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sgradevole e meritevole di quel disprezzo con cui, combattente o civile che sia, ogni essere umano viene giustamente bollato. Quello della paura costituisce il leit-motiv della vecchia vicenda raccontata da un io-narrante. La regia, che com¬ piutamente ha evidenziato il vile comportamento del protagonista, non è riuscita a dare organicità ad una narrazione altalenante tra la visione storica del tempo e la conflittualità interiore». (Anonimo, Segnalazioni cinematografiche, voi. 108, Cen¬ tro Cattolico Cinematografico, Roma 1990, p. 38).

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1. Alida Valli e Farley Granger nel film Senso (1953) di Luchino Visconti.

2. Una scena del film Viva l’Italia (1960) di Roberto Rossellini.

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3. Sandra Milo nel film Vernina Vanini (1961) di Roberto Rossellini.

4. Claudia Cardinale e Alain Delon in II Gattopardo (1962) di Luchino Visconti.

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5. Una scena del film Bronte: storia di un massacro che i libri di storia non hanno rac¬ contato (1972) di Florestano Vancini.

6. Alberto Sordi e Vittorio Gassman in La grande guerra (1959) di Mario Monicelli.

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7. Manifesto del film II brigante di tacca del Lupo (1951) di Pietro Germi.

8. Locandina del film Vani¬ rla Vanini (1961) di Roberto Rossellini.

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SU, MARCELLO MASTROIAHI ■«b -™0 GIANNETTI 9. Locandina del film ... correva l’anno di grazia

1870

(1971) di Alfredo Giannetti.

10. Manifesto del film Senso (1953) di Luchino Visconti.

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11. Manifesto del film I cinque dell’Adamello (1954) di Pino Mercanti.

12. Manifesto del film Uomini contro (1970) di Francesco Rosi.

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13. Fotobusta del film Amori di mezzo secolo (1953) di Glauco Pellegrini, Antonio Pietrangeli, Pietro Germi, Mario Chiari, Roberto Rossellini.

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15. Una scena del film Uomini contro (1970) di Francesco Rosi.

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16. Pierre Gressoy e Anna Maria Ferrerò nel film Guai ai vinti (1955) di Raffaello Matarazzo.

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17. Gastone Moschin e Gino Cervi nel film Anni ruggenti (1962) di Luigi Zampa.

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18. Nino Manfredi e Michèle Mercier in un altra scena del film Anni ruggenti.

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..GIAN LUIGI POLIDORO 19. Manifesto del film II federale (1961) di Luciano Salce.

20. Locandina del film Permette signora che ami vostra figlia? (1974) di Gian Luigi Polidoro.

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21. Locandina del film La lunga notte del ’43 (1960) di Florestano Vancini.

22. Manifesto del film II processo di Ve¬ rona (1962) di Carlo Lizzani.

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23. Totò nel film Destinazione Piovarolo (1955) di Domenico Paolella.

24. Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi nel film La marcia su Roma (1962) di Dino Risi.

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25. Stefania Sandrelli e Dominique Sanda nel film II conformista (1970) di Bernardo Bertolucci.

26. Un’altra scena del film II conformista.

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27. Locandina del film II con¬ formista (1970) di Bernardo Bertolucci.

28. Locandina del film Gio¬ vinezza Giovinezza (1968) di Franco Rossi.

29. Fotobusta del film Mussolini ultimo atto (1974) di Carlo Lizzani.

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DC 30. Locandina del film Diario di un italiano (1973) di Sergio Cafagna.

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