Introduzione al cinema muto italiano 8860083524, 9788860083524

Negli anni Dieci del Novecento, il cinema italiano vive la sua prima grande stagione. I film realizzati nei teatri di po

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Introduzione al cinema muto italiano
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INTRODUZIONE AL cinema MUTO ITALIANO

COLLANA DI CINEMA

V UTET UNIVf R$fTA

Indice

IX Nota introduttiva

XIH Gli autori

XVI Ringraziamenti 3 Capitolo 1 - Il cinema italiano dalle origini all'awcnto del sonoro: un quadro introduttivo di Silvio Alovisio

3 5 6 9 10 12 15 17 19 21 23

1.1 12 13 1.4 13 1.6 1.7 13 1.9 1.10 1.11

I primi passi del cinematografo, tra continuità e novità Orilo stupore collettivo al cinema delle fiere I-a nascita di un pubblico e di una produzione La crisi del 1909 l.a produzione in serie e la nascita del film d’arte II boom produttivo e l’avvento del lungometraggio Cinema, cultura e lavoro intellettuale Gli attacchi al cinema e l’introduzione della Censura La guerra e il declino di Torino L’avventura fallimentare dcUTJCI Verso un cinema di retroguardia Il fenomeno Piltaluga, p. 25 sonoro, p. 27

La politica del regime e l’avvento del

Indict

VI

30 Capitolo 2 - Modi di rappresentazione, messa in scena e ipotesi stilistiche nel cinema italiano degli anni Dicci. Intorno al Kolossal storico, da Quo Vadis? a Cabiria di Giulia Cartoccio 30 2.1 34 22 38 23

49 2.4

11 modello italiano. Per un’introduzione 11 dibattito sulle rivisto e la messa in scena Da Quo Vadis? di Enrico Guantoni (Cincs, 1913) a Quo Vadis? di Gabricllino D’Annunzio e Georg Jacoby (UCI, 1924): i modi della rappresentazione. II modello italiano e il film storico statunitense. Il caso Cabiria: fortuna e crisi di un modo di rappresentazione

39 CAPITOLO3 - «Per mondo in effigie mobile». Attorie divismo

di Cristina Jandclli 61 64 66 7/ 75 82

3.1 32 33 3.4 33 3.6

L’attore teatrale e il nuovo mezzo II reclutamento Verso il primo piano Tcoriac pratica della recitazione: le scuole Le dive 1 divi

92 Capitolo 4 - La politica dei generi di Monica Dall’Asta

92 97 102 109 115 120

4.1 42 43 4.4 43 4.6

Premessa storico-critica 11 dramma storico 11 film comico Melodramma e film divistico Avventure in serie Altre tendenze

123 Capitolo 5 - I temi nazionali e la costruzione dcll'idcntita italiana di Silvio Alovisio 123 5.1 127 52 134 S3

Un’identità processuale e plurale Identità e spazio: il paesaggio nazionale tra documcntarioc finzione Identità e tempo: genealogia diuna nazione Il mito di Roma, p. 134 Stereotipi dello età di mcceo: Medioevo e Rinascimento, p. 139 II Risorgimento e ITJnità nazionale, p. 145 Colonialismo e naóonaiismoc da Tripoli al Piave, 153

VII

Indice

162 5.4

Identità nazionale e questione cattolica

168 Capitolo 6 - Luoghi c modi di produzione

di Alberto Friedemann

168 6.1 170 62

182 63

Cinema, arte industriale Per una storia economicadel cinema Importamadi una storia economica, p. 170 Strutture societarie»} *. 172 Le fonti, p. 179 Realtà c problemi della produzione cinematografica italiana Caratteristiche della produzione industriale, p. 182 - Alcuni casi di società di produzione, p. 186

209 Capitolo? -1 percorri della tecnica: pratiche, operatori, macchine di Luca Giuliani, Manlio Piva 212 218 221 226 230

7.1 72 73 7.4 73

L’epoca della reversibilità i pionieri Operatorie luce elettrica I laboratori del coloro Alla ricerca del suono L’eredità del mulo

233 Capitolo 8 -1 percorsi della teoria di Luca Mazzei

233 235 238 239 243

8.1 82 83 8.4 83

250 8.6 253 8.7 259 8.8 261 265 267 270 275 276

8.9 8.10 8.11 8.12 8.13 8.14

Che cos’era il cinema? Un’indagine tra teoria e storia Questioni di canone (quindi di metodo) 11 ruolodclla memoria Una teoria da raccontare 11 cinema come fàttosocialc: la teoria «giornalistica * nel 1907-1908 1912:La teoria e la guerra II cinema sul lettino del fisiologo Un luogo di pubblicazione secondaria: le riviste cinematografiche nel 1907-1916 Cinema come arte: riviste cinematografiche fra 1916-1922 Vedere tramite il cinema: la cinefilia dal 1922 al 1930 D’altra parte il cinema è un linguaggio 1920-1930 La produzione in volume 1926-1930 11 saggiamo moderno Perfinire

Indice

VII!

278 Capitolo 9 - L’esperienza del pubblico cinematografico di Francesco Casotti, Silvio Alovisio 278 281 287 295

9.1 92 93 9.4

305 93 310 9.6

Ix fruizione fìlmica, tra libertà e disciplina La fruizione filmica: aspetti caratteristici e punti problematici Questioni di etichetta: alla ricerca del «buon spettatore» Questioni di morale: pervertimento dcU’cthos e pedagogia delle sensazioni Questioni di igiene: salute del corpo e patologie dell’occhio Perche una disciplina? Dalla folla al corposocialc

316 Capitolo 10 - Le riviste cinematografiche di Raffaele De Berti

318 324 332 333

10.1 102 103 10.4

La nascita delle riviste cinematografiche Ix riviste tra pubblicità e riflessione critica Ix riviste popolari Le riviste di Alcssando Blasoni

239 Capitolo 11 - Con dita e occhi delicati. Per una filologia del cinema muto italiano: questioni di tradizione indiretta di Michele Canora

259 Capitolo 12 - La pratica del restauro nel cinema muto italiano. Un caso di ricostruzione di Claudia Gianetto 359 361 364 367

12.1 122 123 12.4

Un progetto per una serie —Tutti conoscono Maciste?! Sui passi del gigante buono tra gii anni Dieci eVenti 11 restauro di Maciste {1915) Le pellicole cinematografiche, p. 369 l materiali filmici, p. 372 I materiali calrafilmici, p. 376 Documenti cartacei, p. 377 Didascalie su lastra, p. 377 Fonogrammi «montati» su carta, p.378 Il decoupage e l’analisi dei materiali, p. 378 Incongnienze o errori di montaggio e lacune, p. 380 La ricostruzione delle didascalie, p. 382 La ricoatrwcione delta colorazione, p. 386

387 123 Conclusioni e suggestioni 391 Bibliografìa essenziale

Nota introduttiva

In un suo piccolo grande film del 1953, La valigia deiso^nì, Luigi Comencini racconta la toccante storia di Ettore Omeri, un ex attore del cinema muto che dedica gli ultimi anni della sua vita al salvataggio

dei primi film italiani, condannali a finire al macero. Omeri non si li­ mita a recuperare fortunosamente le pellicole, ma le riporta, per certi versi, alla vita, organizzando proiezioni commentate per un pubblico

mollo spesso, tuttavia, ben poco comprensivo. Proprio durante una di queste proiezioni, l'ex diva Elena Makowska, celebre protagonista di tanti film del muto italiano, assiste alla visione di una della sue mi­ gliori interpretazioni (Jl Fiacre n. 13, Ambrosio, 1917). Purtroppo però la proiezione è funestata dallerisate impietose degli spettatori, incapa­

ci di porsi in relazione con immagini che appaiono ai loro occhi come irrimediabilmente datate. L'anziana attrice, non reggendo all'umilia­ zione, si sente male. Alle persone che la soccorrono, sussurra che guar­ dare quelle immagini «è stalo come vedere rivivere i morti... i ricordi

devono dormire». Per alcuni decenni, il «vecchio cinema italiano» (per riprendere un'espressione un po' riduttiva mollo usala negli anni del film di Co-

mencini) ha patito quel destino di oblio invocato dalla Makowska: malgrado gli sforzi dei pochi che, nella vita reale,cercavano, come Et­ tore Omeri, di salvaree promuovere i «ricordi»del mulo (pensiamo in

particolare a Maria Adriana Proio, a Torino, e a Gianni Comencini, fratello di Luigi, a Milano), la storia del primo cinema italiano è stala

X

Nota introduttiva

quasi del lutto dimenticata (Lino Micciché parlò, nel 1980, di una vera e propria «mnemoclastia») o considerala con una sbrigativa e superfi­

ciale ironia, non così distante, in fondo, dalle risate del pubblico del film di Comencini. A parte rare eccezioni (ci vengono in mente i nomi,

per esempio, di Domenico Paolella, Mario Verdone, Francesco Savio, Davide Turami e Giovanni Calendoli), la ricerca storiografica sul ci­

nema muto italiano non produce almeno fino ai primi anni Settanta ri­

sultati significativi, frutto di indagini documentate condotte su fonti di prima mano. A rendere difficili gli studi, a dire il vero, concorre anche

la scarsissima reperibilità dei film: quelli ufficialmente censiti sono decisamente pochi, per altro sparsi per il mondo e non sempre facil­

mente visionabili. Il quadro inizia però a mutare dalla fine degli anni

Settanta: grazie ai lavori, tragli altri, di Gian Piero Brunetta, Aldo Ber­ nardini, Vittorio Martinelli, Riccardo Redi, Antonio Costa e Paolo

Cherchi Usai, matura gradualmente un nuovo interesse per il primo ci­ nema italiano, mentre le cineteche italiane ed estere, sulla scia di una più generale ripresa di attenzione verso il cinema intemazionale delle origini successiva all'ormai leggendario convegno di Brighton (1978),

avviano politiche via via sempre più incisive e professionali di recupe­

ro e restauro dei film muti italiani, spesso programmati nei nuovi fe­ stival specializzati (in particolare le Giornate del Cinema muto, di Por­ denone, e il Cinema Ritrovato, a Bologna).

Il nuovo corso storiografico opera a tutto campo, producendo studi documentati su temi e questioni molteplici: le strutture organizzative ed economiche del primo cinema italiano (produzione, distribuzione ed esercizio), le biografie del personale artistico, gli apparati tecnolo­ gici, la ricostruzione puntuale e l'analisi del corpus filmografia) (a

partire dai monumentali repertori di Bernardini e Martinelli), la diffu­ sione territoriale del nuovo medium (con numerose e interessanti mi­

cro-storie locali), i rapporti con le altre forme d'arte, comunicazione e spettacolo, e così via. Le ricerche mobilitano, oltre ai film visibili

(sempre più numerosi), anche una serie di fonti sino a quel momento poco valorizzale dalla storiografia di settore: in particolare i documenti archivistici e i cosiddetti paratesti (le fotografie di scena, le riviste, i manifesti ecc.). Gli studi, inoltre, coniugano metodologie spesso inno-

Nola introduttiva

XI

vative, traendo feconda e originale ispirazione dalla filologia o dalla storia culturale ed economica. Il principale obiettivo di questo volume, collocato interamente all’interno di questo rinnovamento storiografico di cui si è detto, risiede

nel proporre ai lettori non specializzali, e prima di tutto agli studenti

universitari, una prima introduzione proprio alle problematiche stori­ che, alle fonti di ricerca e alle metodologie di studio appena citate. Invece di optare per una breve ed omogenea storia manualistica del cinema muto italiano, lacunosa e nozionistica, nonché destinala a un rapido invecchiamento, si è infatti preferito, piuttosto, procedere al­ l’approfondimento plurale delle questioni, affidandone la loro indagi­ ne propedeutica a solidi specialisti di diversa provenienza (non solo studiosi di formazione universitaria, ma anche professionisti degli ar­ chivi del film). I capitoli, per altro raccordati tra loro da una esplicita

rete di collegamenti intemi (fruttodi un attento sforzo di coesionecon­ dotto dai curatori e dagli stessi autori) approfondiscono alcune que­

stioni storico-teoriche fondamentali. Alcune di esse coinvolgono espli­ citamente lo studio dei film: si vedano i contributi sui modi di rappre­ sentazione e lo stile (Cariuccio), la recitazione e il divismo (Jandelli), i generi (Dall’Asta), la costruzione dell’identità nazionale (Alovisio), la ricostruzione filologica (Canosa) e il restauro del film (Gianetto). Altre questioni, invece, pur legate anch’esse alla testualità filmica, chiama­

no in causa più direttamente i cosiddetti «contesti»: le strutturee i luo­ ghi della produzione (Friedemann), gli apparati tecnici e tecnologici

(Giuliani e Piva), gli ambili sociali del consumo (Caselli e Alovisio), i contesti discorsivi della stampa di settore (De Berti) e della nascente teoria cinematografica (Mazzei).Per contestualizzare agevolmente gli specifici aigomenliaffiontati in questi capitoli, il contributo di apertu­ ra fornisce al lettore un inquadramento agile ed essenziale dei princi­

pali eventi del cinema italiano dalle origini all'avvento del sonoro. In lutti i casi, ci sembra opportuno ribadirlo, la scelta è stala quella di salvaguardare laspedfìcità dei metodi, degli approcci, degli studi di caso proposti dai singoli autori, chiedendo a questi ultimi, tuttavia, di aderire al comune obiettivo, a nostro avviso pienamente raggiunto, di una scrittura esplicativa e chiara, capace di non dare nulla per scontato

e in grado di stimolare nel lettore il desiderio di ulteriori, personali ap­

XII

Nata bilroduttiva

profondimenti (in parte suggeriti dai percorsi bibliografici tematici che chiudono il volume). Invece di puntare a un’ideale completezza ed

esaustività dei dati e delle nozioni (un obiettivo illusorio e dispersivo, in particolare nell'economia di un volume come questo), si è preferito,

insomma, offrire nell'insieme una pluralità e una ricchezza di prospet­ tive, considerando l'eterogeneità e l'inevitabile,esplicita parzialità dei contributi proposti come una garanzia di apertura e di flessibilità due condizioni indispensabili per qualsiasi introduzione storica che voglia essere veramente propedeutica e didatticamente produttiva.

Ringraziamenti

I curatori ringraziano, per il fondamentale aiuto prestalo nel reperi­

mento e nellaconsultazione di film e documenti, Livio Jacob (Cinete­ ca del Friuli), Emiliano Morreale e Viridiana Rotondi (Cineteca Na­

zionale), Anna Fiaccarmi e Valeria Dalle Donne (Cineteca di Bolo­ gna), Antonella Angelini e il personale della Bibliomediateca «Mario

Gramo» (Museo Nazionale del Cinema), Giorgio Bertellini (Universi­ ty of Michigan). Grazie inoltre a Marco Galloni (Università di Torino) e Federico Pierolti (Università di Firenze).

Un particolare ringraziamento, infine, ad Alberto Barbera e Donata Pesenti Compagnoni (Museo Nazionale del Cinema) per aver concesso

la riproduzione della fotografia di copertina, e a Roberta Basano, re­ sponsabile della Fototeca del Museo, per l'aiuto offertoci nella ricerca iconografica e nell'acquisizione dell'immagine.

Introduzione al cinema muto italiano

Capitolo

1

Il cinema italiano dalle origini all’avvento del sonoro: un quadro introduttivo Silvio Alovixio

1.1

I primi passi del cinematografo, tra continuità e novità

Trail 1895 e il 1896 si di (Tonde nel nostro paese una nuova forma d’in­ trattenimento, a metàstrada Ira lacunosità scientifica e l’attrazione, in­

centrata sulla visione di immagini fotografiche inmovimento. Come in

altri paesi, anche in Italia si fronteggiano, nella prima fase di espansio­ ne del cinematografo, due sistemi di consumo delle immagini decisamenlediversi: il Kinetsocopio, messo a punto dal noto inventore statu­

nitense Thomas A. Edison con la collaborazione di William L. Dick­ son, e il Cinémalographe brevettato dai fratelli Louis e Auguste Lumiè­

re, titolari di un’importante industria di articoli fotografici di Lione. Il Kinetoscopio consente la visione di un brevissimo film solo a uno spettatore per volta: questi, dopo avere introdotto una moneta, si china sull’apparecchio e attraverso un apposito oculare vede al suo intemo,

in scala mollo ridotta, le immagini in movimento'. Il cinematografo Lumière invece prevede una visione collettiva tramite la proiezione delle immagini su grande schermo1.

1 Una buona introduzione stancai! Kinetoscopio di Edison è in Ray Phillips, £dì-

xtm’xtùndomipeantlitifdfa. A hùtoryto Itì96,Trowbridge, Ftilut Books, 1997. 1 Sul Cinématographe Lumière esiste ovviamente una vasta bibliografo. Un otti­ mo stadio in traduzione italiani è quello di Bernard Chardère,Guy c Marjorie Borge, Lumiere. L'invcKÙotte deteinata, Venezia, Marsilio, 1986.

InlrodtdMt al cinema muto italiano

4

Gli spettacoli di Kinetoscopio, pur giungendo in Italia sicuramente

a partire dalla primavera 1895, quindi molli mesi prima del cinemato­ grafo Lumière, vanno incontro a un rapido declino: dopo questo falli * mento, il consumodelle immaginianimale sarà sempre legalo,almeno fino alla nascita della televisione, alla proiezione collettiva in una sala.

Il cinematografo Lumière arriva in Italia poco tempo dopo la prima proiezione pubblica avvenuta in Francia (il 28 dicembre 1895): il nuo­

vo spettacolo raggiunge le principali città a partiredalla primavera del

1896'. I primi film sono brevissimi (una «veduta» Lumière, costituita da una sola inquadratura, non dura più di 50 secondi), i soggetti sono

prevalentemente rappresentali da riprese «dal vero» (per usare un’e­ spressione dell'epoca) di eventi, scorci di città, passaggi di folle, luo­ ghi esotici ma quasi subito iniziano a comparire anche i primi film di finzione (per lo più scene farsesche o film a trucco, ma non mancano i soggetti religiosi). La maggioranza dei titoli distribuiti in Italia fino al 1905è prodotta

all'estero, soprattutto in Francia, dove operano alcune società - non solo quella dei fratelli Lumière ma anche la Pathé e la Gaumont -

che hanno già raggiunto uno standard quasi industriale. Alcuni pionieri italiani, tuttavia, avevano inizialo già prima del 1905, a realizzare brevi film, sia pure in condizioni artigianali: oltre alle riprese realizzale per conto dei Lumière da valenti operatori come

il piemontese Giuseppe Filippi4, sono da ricordare anche i brevi film realizzali a Milano dal fotografo Italo Pacchioni (Ilfinto storpio al Ca­ stello Sforzesco, La gabbia dei matti ecc.), forse il primo a realizzare

film di finzione in Italia5.

* Si ipotizza che la prima proiezione italiana del cinematografo Lumiere rialga al

12 marzo 1896, presso lo Studio del fotografo licori Le Lieurc a Roma. 4 Una ricostruzione dell'attività di Giuseppe Filippi é in Livio Loppi, Ritratto di

un pioniere: Giuseppe Filippi, in Riccardo Redi (a cura di), Cinema italiano natio 19011916, Roma, CNC Edizioni, 1991. ' Su Italo Pacchioni ri veda Roberto Della Torre, Alessandro Okfani, ludo Pac­

chiati. Profilo biografico, in Elena Digrada, Elena Mooconi, Silvia Paoli (a cura di), Moltiplicare Vistante. Beltrami, Pacchioni, Comerio trafotografia e cinema, Mi­ lano, Il Castoro-Fondazione Cineteca Italiana, 2007, pp^. 163-168.

// cinema italiano dalle origini all ’avvento del sonoro

S

Un programma tipico di proiezioni Ira la fine dell'ottocento e i pri­ mi anni del nuovo secolo si compone di più titoli (nel 1897 possono

essere anche una ventina, mail numero si riduce negli anni successivi

in rapporto alla crescita della durata dei film) e crea un'alchimia spet­

tacolare in cui alle scene «dal vero» si affiancano, soprattutto dopo il 1900, film a trucchi, comiche, drammi realisti ed edificanti. In fondo, questa diversificazione dell'offerta è la traslazione in un nuovo medium di quell'aggregato di attrazioni miste tipica del teatro di varietà, ossia di una delle forme di spettacolo più diffusee popolari

in Italia tra Otto e Novecento4: questo parzialeadattamento del cinema a meccanismi di fruizione spettacolare pre-csistenti è uno dei segnali che conferma come l'ingresso del nuovo medium nella tradizione del­ lo spettacolo di massa non costituisca un evento particolarmente trau­ matico. Il cinema infatti non s’impone subito come spettacolo autono­

mo: anche se già in questa prima fase non mancano i locali destinali esclusivamente a proiezioni (si tratta comunque di strutture dalla vita

breve),buona parte delle prime proiezioni per almeno un decinad'anni si svolgono all'interno di altre forme di spettacolo come il caffè con­

certo e il tealrodi varietà, e la visione di brevi ftlmsi mescola con altre attrazioni spettacolari come l'ascolto fonografico, numeri di illusioni­

smo, giochi di prestigio, balli, rappresentazioni di marionette, imitato­ ri, teatro d'ombre ecc.

1.2 Dallo stupore collettivo al cinema delle fiere La relativa continuità del cinema rispetto ai dispositivi spettacolari

pre-esistenti non impedisce tuttavia che questa nuova forma di diver­

timento collettivo sia recepita dal pubblico con stupore. La stampa re­ gistra spesso le reazioni degli spettatori di fronte a questa nuova espe-

* Per un’introduzione alla storia del teatro di varietà in Italia si vedi Slclàno De Malico, Il teatro delle varietà: lo spettacolo popolare ùt Italia dal cofé chantanl a Tota, Firenze, Lacasa Usbcr, 2008.

Introduzione al cinema nudo italiano

6

rienza: al pubblico il cinema appare come un evento misterioso e se­

ducente, quasi in grado di sconfìggere la morto?. La sconvolgente im­ pressione di realtà nasce non solo dal movimento ma anche dallegrandi dimensioni delle immagini, dal rilievo dei dettagli e dei particolari.

Nel giro di breve tempo, tuttavia, questo entusiasmo tende a decli­ nare e il cinematografo patisce un momento di difficoltà. Soprattutto

nel Centro-Noni, d’altronde, il lancio del cinematografo Lumière ave­ va coinvolto prevalentemente un pubblico borghese se non addirittura aristocratico: i prezzi erano ancora troppo alti per uno spettacolo di

massa, le difficoltà tecniche compromettevano la qualità delle proie­ zioni e Tincolumità degli spettatori. Lo spettacolo cinematografico

stenla quindi a decollare in forme stabili: inizia tuttavia a svilupparsi il fenomeno (attestato anche in Francia e in Inghilterra) dei cinemato­ grafi ambulanti, grazie al quale il cinema, malgrado le difficoltà appe­

na ricordate, riesce a sopravvivere e a farsi conoscere non solo nelle

grandi città ma anche nelle zone rurali, animando i mercati, le feste pa­ tronali, il Carnevale?.

1.3 La nascita di un pubblico e di una produzione Intorno al 1905 la situazione tende a mutare: il progressivo aumento del metraggio delle pellicole, il perfezionamento dei proiettori, la ridu­ zione dei prezzi d’ingresso, il miglioramento delleallrezzaturc, la cre­ scente necessità di rinnovare l’offerta dei film, la conseguente evolu­

zione dei generi e dei soggetti, creano le condizioni per la diffusione di

sale cinematografiche stabili. Torino, Milano, Napoli e Roma sono le città in cui si diffondono maggiormente i cinematografi permanenti. Dopo le iniziative pionieristiche condotte da abili esercenti come Filo-

* Sì leggano le prime recensioni alle proiezioni italiane del Cin&natographo Lu­ mière citate nel saggio di Giuliani e Piva pubblicalo in questo volume. * Sul cinema ambulante in Italia ri rimanda al fondamentale Aldo Bernardini, Ci­ nema italiano delle origini: gli ambulanti, Gemono, La Cineteca del Friuli, 2001.

Il cinema italiano dalle origini all’avvento del sonoro

7

teo Alberini a Roma e Rodolfo Remondini a Firenze, sorgono un po’

ovunque decine di imprese per l’esercizio, talora finalizzale alla crea­ zione di veri e propri circuiti. Le sale permanenti cominciano a quali­

ficarci in base alla composizione sociale del pubblico: quelle più im­

portanti ed eleganti (sedi delle prime visioni) sono ubicate nei centri cittadini, con diversi ordini di posti e di prezzo, mentre nelle periferie si concentrano invece i locali di secondo o di lerz’ordine, per il pub­

blico popolare delle borgate. Questi fattori, insieme anche a un contesto economico più favore­ vole agli investimenti e alla modernizzazione, pongono le basi per un

decollo produttivo del cinema anche nel nostro paese. Ulteriori fattori, come il minor costo della manodopera italiana, la possibilità per rav­ vio di un’impresa cinematografica di disporre di capitali non troppo consistenti, non fanno che accelerare la creazione di società finalizzate esclusivamente o prioritariamente alla realizzazione di film. Anche se queste prime società nascono con quasi dieci anni di ritardo rispetto

alle analoghe iniziative di paesi come la Francia e gli Stati Uniti, alcu­

ne di esse riescono a sviluppare in tempi rapidi un’attività competitiva.

La prima societàdi produzione italiana, l’Alberini & Santoni, nasce

aRoma,alla fine del 1904, su iniziativa di Filoteo Alberini, già attivo da

anni nel settore dell’esercizio * . La società romanarealizza, l’anno suc­ ** cessivo alla sua costituzione, La presa di Roma, convenzionalmente considerato come il primo filmitaliano a soggettorealizzato dauna casa

di produzione: il film è giralo per celebrare il 35 * anniversario dell’in­ gresso delle truppe italiane nella futura capitale dello Stato unitario'0.

Tra il 1906e il 1907 si va configurando una caratteristica tipica del cinema muto italiano sino alla crisi dei primi anni Venti: il policentri­

smo, ossia l’esistenza non di una sola capitale del cinema egemoniz­ zata da due otre grandi case (come accade negli stessi anni in Francia,

con Parigi), ma di più centri produttivi sparsi nella penisola. Questa caratteristica è presente sin dal 1905: i titoli prodotti in quell’anno so­

* SuirAfccrini & SanUxù cfr. il saggio di Friedemann pubblicalo in questo volume. ** Per ulteriori informazioni su Laprexa di /toma cfr. i saggi di Alovisio c di Ca­ noe» in questo volume, con le rotative bibliografie di riferimento.

8

Introduzione al cinema nudo italiano

no una cinquantina, frammentali tuttavia tra dieci aziende, sparse in

ben sette città. Oltre a Roma, ancheTorino inizia a imporsi come polo significativo (seguita poco dopo anche da Napoli, sia pure in misura minore): nel 1906 si costituisce la società collettiva Ambrosio & C.,

per iniziativa di Arturo Ambrosio, titolare di un negozio di ottica e fo­ tografìa, mentre l'anno successivo viene fondatala Carlo Rossi & C.,

dalle cui ceneri nascerà, nel 1908, l'itala Film di Carlo Sdamengo e Giovanni Pastrano. Che cosa differenzia queste ultime iniziative dai primi tentativi ar­ tigianali di Pacchioni e Remondini? Prima di tutto il fatto che esse si

costituiscano come società interessale principalmente alla produzione. In secondo luogo, buona parte di queste prime società avvertono l'esi­ genza di investire in modo strutturale sullosviluppo degli stabilimenti,

in modo da poter gestire l'iter di lavorazione del film dal concepimen­ to (l'ideazione del soggetto e la scrittura dello «scenario», come veni­

va chiamala all'epoca la sceneggiatura) alla realizzazione (il che esige un teatro di posa) per arrivare (in rari casi) alle fasi di post-produzione

(montaggio, perforazione, sviluppo e stampa). Le risposte positive del mercato accelerano per alcune società il perfezionamento delle struUurcorganizzalivc e la ricerca di più solidi

capitali. Tra il 1906 e il 1907, la nascente industria cinematografica

italiana vive quindi già una sua seconda fase di sviluppo. Con l'arrivo di nuovi finanziatori,! Alberini * & Santoni si trasforma nei primi mesi del 1906 nellaCines, una delle più importanti e longeve sodetàdi pro­

duzione del cinema italiano. Nel 1907 l'Ambrosio si trasforma in So­

cietà Anonima e arriva quasi a decuplicare il capitale sociale, inizian­ do le pratiche per la costruzione di un teatro di posa completamente

attrezzato". La crescita per altro non coinvolge solo i settori dell'esercizio e del­ la produzione: si rafforzano anche i circuiti di distribuzione, mentre comincia svilupparsi anche un variegato indotto di attività tecniche e commerciali. Queste condizioni positive di sviluppo sono supportate

•' Sulla storia produttiva deirAmbrosiosi veda il saggio di Alberto Friedemann pubblicato in questo volume.

Il cinema Italiano dalle origini all'avvento del sonoro

9

e discusse, a partire dal 1907, da una stampa di settore in rapida ascesa. La crescente visibilità del cinema nel tessuto urbano attira l’interesse degli osservatori più sensibili e allenti alle trasformazioni dellasocietà di massa: risalgono infatti proprioal 1906-1907 i primi scriilidi intel­ lettuali dedicati al nuovo medium”.

1.4 La crisi del 1909 Dopo il 1905 il trend produttivo del nascente cinema italiano regi­

stra una crescila vertiginosa sia per numero di società che di film pro­ dotti: dai cinquanta titoli del 1905 si passa ai circa 370 del 1908. Al­

cune società, intanto, proseguono nella loro opera di riorganizzazione

interna. Nel 1909 il settore patisce gli effetti di una crisi economica più ge­ nerale: la crisi in realtà investe soprattutto la distribuzione e l’esercizio (quest’ultimo già frenato anche dai primi provvedimenti di regolamen­ tazione del settore adottali da alcuni comuni). La distribuzione, in par­

ticolare, vive una fase di sofferta riorganizzazione, con il graduale pas­

saggio dal sistema della vendila diretta delle pellicole al sistema del

noleggio. Anche nella produzione, tuttavia, si registra un rallentamen­ to: alcune società (per esempio la Cines) registrano perdite significa­

tive. La concorrenzialità dellecase italiane rispetto a colossi produttivi stranieri come la Pathé, resta ancora molto modesta. Si avverte inoltre anche un logoramento delle tipologie narrative. Una conseguenza negativa di questa crisi è la sovrapproduzione,

ossia l’eccesso di offerta di titoli rispetto alle capacità di assorbimento del mercato intemo: di fronte a queste difficoltà, diventa necessario per i produttori italiani aumentare la propria visibilità intemazionale,

condizione necessaria per recuperare i sempre più crescenti costi di realizzazione dei film. Il primo cinema italiano dimostra di possedere

una rapida e capillare capacità di penetrazione sui mercati esteri, a

11 Cfr. il saggio di Luca Mxcoà pubblicalo in questo volume.

10

Introduzione al cinema muto italiano

partine da quelli più appetibili e solidi (come il mercato inglese): mol­ teplici fattori (lo stadio ancora embrionale nello sviluppo intemazio­ nale delle professionalità, e delle grandi coalizioni industriali e finan­

ziarie, l’assenza temporanea di leggi protezionistiche, l’azione ancora debole degli organismi di censura) creano un contesto commerciale ancora precario, aperto alla spietata ma libera competizione. A partire dal 1908 le case italiane, anche le più piccole, si attestano sui princi­ pali mercati europei, iniziando poi anche una difficile ma sempre più

significativa diffusione nel vasto mercato statunitense.

1.5 La produzione in serie e la nascita del film d'arte La progressiva affermazione del noleggio delle pellicole (con la con­

seguente riduzione del ciclo temporale di sfruttamento di un film), ha tra i suoi effetti un più attivocoinvolgimenlo delle case di produzione nel continuo rinnovo dell’offerta di film.

Il rapido turn over nella fornitura delle pellicole rappresenta d’al­

tronde una condizione fondamentale per potenziare il desiderio di con­ sumo da parte degli spettatori: soltanto un’offerta regolare di film può

consentire al cinema di istituirsi definitivamente come un’abitudine ordinaria nell’esperienzacollettivadel tempo libero. L’offertadeve es­

sere al tempo stesso estesa e riconoscibile: i film, in altri termini, de­ vono identificarsi e differenziarsi sempre di più in base al genere1' de­ vono essere conosciuti e apprezzati a priori,solo sulla base della qua­ lità garantita dal marchio di fabbrica della casa di produzione, e devo­ no puntare con forza alla creazione di un’areadi consumo socialmente vasta e composita, così da coinvolgere non solo le fasce popolari ma

anche gli strati borghesi della società Di fronte a queste necessità le case italiane da un lato cominciano a compiere uno sforzo di riartico-

“ Sulla progrcsùvadincnmzixziooe della prima produzione italiana in base ai na­ scenti generi cinematografici si veda il contributo di Monica Dall’Asta pubblicalo in questo volume.

// cinema italiano dalle origini all’avvento del sonoro

II

lozione dei generi, dall’altro lato organizzano una produzione in serie dalle forti caratteristiche di «marchio» aziendale.

Dal gennaio 1909 l'itala Him introduce in Italia la comica seriale con personaggio fisso: si traila della celebre serie di Cretinetti, realiz­ zala dall’altore francese André Deed, già noto per avere interpretalo la serie del personaggio di Boireau prodotta dalla Pathé. Dopo Cretinetti

seguono- tra gli altri- Robinet, creato da Marcel Fabre per la torinese Ambrosio, e Tontolini, il personaggio di Ferdinand Guillaume, attivo alla Cines, che diventerà poi l'ancor più noto Polidor, dopo il passag­

gio del comico alla torinese Pasquali. Anche se la comica a serie risulta in questa fase il prodotto più esportabile per la forte riconoscibilità dei

suoi personaggi, la programmazione per cicli di film non investe co­ munque solo il genere comico: l'Ambrosio nel 1909 inaugura con pergiura (da una novella di Balzac)la «Seried'oco» per le produzioni più impegnative della casa, spesso tratte da fonti storico-letterarie. Un'iniziativa analoga, con la «Serie artistica», poi rilanciala con la «Serie Princeps», è inaugurata dalla Cines nel 1911 con J Maccabei

e il kolossal La Gerusalemme liberata. I titoli prodotti nell'ambito di queste serie rappresentano i primi ten­

tativi italiani di produrre i cosiddetti«film d'arte», con scenografie ve­ rosimili di intenso valore evocativo, riprese del paesaggio e dellecittà

d'arte, una recitazione di alto livello, elevali contenuti storici o lette­ rari, un forte valore istruttivo e pedagogico. Questa formula ambiziosa e impegnativa s'ispira ad analoghi tentativi già compiuti a partire dal

1908 da alcune case francesi come la Film d'Art14. Nell'arco di pochi anni si moltiplicano i sintetici adattamenti dalle più diverse fonti tea­

trali e letterarie: da Shakespeare a Omero, da Manzoni a D'Annunzio, dal romanzo storico dell'ottocento a Schiller. Un valore ulteriore è of­

ferto dalla presenzadi celebri attori teatrali come Ermete Tacconi, Er­ mete Novelli e Ruggero Ruggeri'X

'* Per un approfondimcnlostoriograficosulh Film d’Art franco» cfr. Alain Carmi (a cura di),d’ari A lafilms d’art cn Europe, I9OK I9II, «1895», 56,2008. 11 Sulla presenza dei maggiori attori teatrali italiani nel primo cinema italiano ri legga il contributo di Cristina Jandelli pubblicato in questo volume.

12

Introduzione al cinema nudo italiano La progressi vaestensione della base sociale del consumo cinemato­

grafico incoraggia anche la realizzazione di nuove sale, decisamente più capienti e particolarmente eleganti econfortevoli nell'allestimento.

1.6 II boom produttivo e l'avvento del lungometraggio Dopo il superamento della crisi, il cinema italiano vive una fase di de­ collo: tra il 1909 e i primi anni Venti il nostro cinema realizza un nu­

mero di film dalla proporzioni quasi vertiginose. Anche se i metraggi

sono sensibilmente inferiori a quelli attuali, le stime quantitative con­ fermano un'incredibile frenesia produttiva: solo la casa torinese Am­ brosio in poco più di quindici anni, produce circa 1400 film. Il boom,

in particolare, si registra tra il 1912 e il 1914. L'ampiezza quantitativa del dato, confermata anche negli anni suc­ cessivi, non deve tuttavia trarre in inganno: l'industria cinematografica del muto italiano patisce infatti gli effetti della speculazione e dell'im­ provvisazione. La maggioranza delle case non ha una solida base fi­

nanziaria, e molte società, non disponendo neppure di un proprio teatro di posa, affittano i teatri e le attrezzature di altre case. Alcune società

producono unoo due film e poichiudono, altre ancora, addirittura,fal­ liscono prima di aver prodotto un solo titolo. Non sono molte le case

che riescono a passare dalla dimensione artigianale a quella industria­ le. La dispersione delle iniziative e la mancanza di società veramente solide si spiega, come ha acutamente messo in evidenza Alberto Frie­

demann, con «la diffidenza delle grandi banche e dei grandi imprendi­ tori verso il fenomeno cinema nella sua interezza [...] Le prime case si

basano su fondi personali dei promotori; i finanziamenti esterni pro­ vengono da acquisti di esigue quote del capitale sociale da parte di

amici e parenti, oppure, anche nel caso di una maggiore apertura, da parte di piccoli investitori: professionisti, ufficiali, commercianti»16.

“ Alberto Friedemann, LanafcitadeWindutUia. 1904-1908, in Aldo Bernardini (a cura di), Storiatici cinema italiano. 1896- 1911, Scuola Nazionale di Cinema-Mar-

Il cinema italiano dalle origini aU'awenlo del sonoro

13

Una debolezza ancora più grave del nostro primo cinema risiede nella sua inadeguatezza tecnologica. Tra lanascente industria cinema­

tografica italianae le già avviate esperienze condotte in Francia, Ger­ mania, Stati Uniti si apre da subito un divario tecnologico (espresso in

termini di produzione di pellicola vergine, corredo di attrezzature e prodotti chimici, fabbricazione di macchine da presa e da proiezione ecc.)che non sarà mai colmalo, anche per la cronica debolezza, nel no­

stro paese, di un'attività di ricerca e produzione legata alla meccanica

di precisione e alla chimica industriale17.

A fronte di questi limili, le cui conseguenze saranno avvertile solo alla fine degli anni Dieci, resta comunque il dato oggettivo - Ira il 1909

e il 1912 - di una crescita produltivache non investe solo il numero dei

film distribuiti, ma anche la loro lunghezza. I margini di profitto realizzali con l'esportazione permettono ai pro­

duttori di investire cospicui capitali per la realizzazione di film non so­

lo più curali, ma anche più lunghi rispello alla media consueta.

A partire del 1911 alcune case iniziano a propone film la cui durala

è sensibilmente superiore alla media (la lunghezza standard di un film si attestava allora sui 250-300 metri, equivalenti a 10-15 minuti di proiezione) In particolare, il film storico, con le sue ambizioni monu­ mentali, sembra il genere più predisposto a legarsi ai nuovi standard di

durala del film di lungometraggio. Nel 1908 il metraggio medio di un

film storico si attestava sui 180-200 metri: si traila di una lunghezza esigua, tale da permettere soltanto delle frettolose sintesi. Già a partire da quello stesso anno, tuttavia, con un film come Gli ultimi giorni di

Pompei dell'Ambrosio, con un respiro narrativo e una lunghezza - 366 metri - decisamente inconsueti per l'epoca, il cinema italiano aveva espresso la volontà di produrre film storici animali da un certo scrupo­

lo estetico e culturale, dalla preoccupazione di un'attendibile ricostru­ zione degli ambienti, degli arredi, dei costumi. Il graduale aumento

xiiio, Roma-Venezia, di prossima pubblicazione. Per ulteriori approfondimenti xi ri­

manda al contributo dello ttowo Friedemann pubblicalo in questo volume. u Su questi aspetti tecnico-tecnologici si veda il contributo di Giuliani c Piva pub­ blicato in questo volume.

14

Introduzione al cinema muto italiano

della lunghezza incoraggia la risoluzione di due problemi strutturali

del genere in via di formazione: l’efficacia delle invenzioni scenogra­ fiche e la costruzione di intrecci narrativi più distesi e complessi. Ecco allora che nella primavera del 1911 L’Inferno della Milano Films (1200 metri), il già ricordalo La Gerusalemme liberata della Cines (1000 metri) e La caduta di Troia dell’itala Film (600 metri) aprono la strada anche in Italia alla graduale affermazione del lungometrag­

gio, proponendo una formula spettacolare nuova, già sperimentala con il successo, di poco precedente, dei sensuali drammi prodotti in Danimarca (tra cui L’abisso, 1910, di Urban Gad, interpretato da Asta Nielsen, una delle prime dive della storia del cinema)'". Inversamente,

l’affermazione del lungometraggio mette gradualmente in crisi il film comico, legatoa standard brevi di durata: il film comico riuscirà a so­ pravvivere, stentatamente, solo in qualche modo rinnegandosi, ossia

trasformando il burlesque nelle logiche più articolate della commedia, dove l’azione è meno importante della situazione e dove gli intrecci cominciano acomplicarsi, attingendo al vasto repertorio della pochade teatrale. La graduale affermazione del lungometraggio è un fenomeno inter­

nazionale, ma il contributo dell’Italia è particolarmente importante: negli Stati Uniti, per esempio, sono proprio i lungometraggi italiani

a imporre l’aflermazione di questanuova formuladi produzione e pro­ grammazione'9. Come si può già intuire dai titoli citati, nel nostro paese l’affermazio­ ne del lungometraggio si lega in modo indissolubile alla crescente for­ tuna del «film d’arte». Il lungometraggio, in altri termini, rappresentala forma più evolutadi un fenomeno non solo produttivo ma anche di legit­ timazione culturale i cui primi segnali di esistenza, comdetìq; erano

Sull'attenuazione del lungomdnggio nel contesto italiano c intemazionale si

veda Riccardo Redi (acura diX 1911... La nascita dei hmgpmetragjòo, Roma, CNC, 1992. '* Cfr. Giorgio Bcrtcllini, Epica spettacolare e splendore dei vero. L'inflttenza dei

cinemastorico italiano in Americo(l90S I9li),m Gian Piero BcuncUafacura di). Storiatici cinema mondiale. (ìli Stati Uniti, voi H.lonu /.Torino, Einaudi, 1999, pp. 227-26$.

Il cinema italiano dalle origini all'awenlo del sonoro

15

già percepibili nel 1908 * 1909. Un segnale di svolta verso la definitiva ** affermazione, del lungometraggio e del cinema come arte, è rappresen­

tato dalla distribuzione de\VInferno, della Milano Films accolto positi­

vamente anche da intellettuali come Croce e Serao: la mediazione cul­ turale, in questo caso, è duplice, perché coinvolge anche la rilettura ico­ nografica di quest'ultimo effettuala nell'ottocento da Gustave Dorè . * Nel 1914 il cinema italiano ha raggiunto un potenziale produttivo di

alto livello, capace di competere con le altre grandi case intemazionali

(nonostante le società italiane dispongano di minori mezzi, capitali e maturità tecnologica): un kolossal monumentale come Cabiria, pro­

dotto in quell'anno dall'itala Film sotto la direzione di Giovanni Pastrone e con la collaborazione di D'Annunzio, dimostra non solo

che l'ambizione dei produttori italiani ha ormai raggiunto uno standard di eccellenza ma anche che il modello organizzativo della produzione ha compiuto passi da gigante rispetto ai primi anni, quando era suffi­ ciente una piccola équipe priva di rigide divisioni di ruoli per svolgere

artigianalmente tutte le mansioni previste dal processo di produzione.

1.7 Cinema, cultura e lavoro intellettuale La collaborazione prestata da D'Annunzio in Cabiria è il segnale forse piùautorevole edeclalanledi un più generale e crescente interesse degli

scrittori e letterali italiani nei confronti del cinematografo. Nell’Italia del primo Novecento la crescente affermazione del cinema come spet­ tacolo di massa rappresenta il momento storicamente più significativo di un più ampio processodi industrializzazione dellacultura già visibile negli ultimi decenni deH'Otloccnlo21: queste profonde mutazioni, non solo culturali ma anche economiche.al l’interno di un paesaggiomedia-

* Cfr. Michele Canora (a cura di), Cento ami fa, Inferno, Bologna, Cicnlcca di Bologna, 2011. ** Per un approfondimento sulla storia dell'induslria culturale in Italia cfr. Fausto Colombo, La cultura sottile. Media e industria culturale in Italia dall ’Ottocento agli anni Novanta, Milano, Bompiani, 1998.

16

Introduzione al cinema muto italiano

le in fondo ancora di recente formazione esigono risposte nuove a più livelli: da un latooccorre progettare un sistemadi relazioni tra forme di comunicazione e di spettacolo decisamente diverse e talora concorren­ ziali, dall’altro è necessario che gli intellettuali (e in particolare i lette­ rati) rivedano con decisione il loro ruolo (si pensi, solo per fare un esem­ pio, a come risulti ridimensionata l’autonomia dello scrittore quando quest’ultimo deve trasformarsi in sceneggiatore ed è obbligalo a inte­ grarsi in un processo produttivo di cui non è più il responsabile). Il decollo di un’industriacinematografica, in particolare, esige dagli intellettuali italiani un più diretto investimento di risorse creative.

Dai primi film del 1905-1906 fino, indicativamente, al 1911-1912, il cinema italiano sfrutta in modo quasi selvaggio i soggetti della lette­ ratura e il teatro. Dopo l’afTermazione del lungometraggio, tuttavia, il

cinema chiede alla letteratura qualcosa di ulteriore: non è più sufficien­ te attingere frettolosamente al repertorio letterario, occorre che in que­ sto processo di adattamento vi entri più o meno attivamente anche lo

scrittore professionista. La grande maggioranza dei letterali italiani ri­ sponde a questa richiesta in modo un po’ ambiguo. Sia pure con esita­

zioni, lo scrittore di professione considera quasi sempre il cinema co­

me una facile occasione di profiline come una minaccia per la propria identità e integritàartistica. Può accadere, allora, che il coinvolgimento di uno scrittore in un film sia in tuttoo in parte il frutto di una simula­ zione a fini commerciali, come nel caso, celebre, di D’Annunzio,che

per la produzione di Cabiria (di cui risulta ufficialmente il regista) «vende» semplicemente la sua firma e la sua immagine, limitandosi a riscrivere le didascalie di Pastronee a inventare il nome di alcuni per­ sonaggi. Quasioppostoé invece l’atteggiamento di Giovanni Verga: lo

scrittore siciliano, pur avvicinandosi dal 1912 alla pratica dello «sce­ nario», con la composizione di soggetti e sceneggiature tratti dalle sue opere letterarie manterrà a lungo il desiderio di non vedere pubblica­ mente riconosciuta la sua partecipazione. Al di là dei singoli casi, nel corso degli anni Dieci quasi lutti gli scrittori italiani di un certo rilievo

cercano di trarre profitto dalla vendita delle loroopere per l’adattamen­ to cinematografico, in alcuni casi (soprattutto dalla seconda metà degli anni Dieci) collaborando direttamente alla redazione delle sceneggia­ ture tratte dai loro lavori letterari. In alcuni casi gli scrittori assumono

// cinema italiano dalie origini all’avvento del sonoro

17

anche ruoli direttivi: non solo vi sono dei letterali (per lo più scrittori teatrali) che passanoalla regia cinematografica (è il caso, ad esempio,

di Guglielmo Zorzi e di Luciano Zoccoli), ma vi è anche il caso - ec­ cezionale ma non per questo meno importante - di uno scrittore mollo celebre, Lucio d * Ambra, che non solo si limita a sceneggiare e dirigere

ma si cimenta anche nella costituzione di case di produzione. L'aspetto per certi versi innovativo delle posizioni espresse da

D’Ambra è che questa proposta di unificazione di ruoli non punta a garantire l’egemonia dello scrittore, ma esalta la creatività della messa in scena e l’importanza del regista, riconoscendo finalmente al cinema un primato della visione per molli versi lontano, se non estraneo, alle logiche di rappresentazione del verbale.

Il caso di D’Ambra, come si è detto, resta comunque un’eccezione. I letterati italiani che aspirano a collaborare con il cinema sono di so­ lito in subalternità rispetto al processo di produzione: i numerosi espo­

nenti del cosiddetto «proletariato» intellettuale (giornalisti, scrittori di romanzi popolari, drammaturghi falliti ecc.) che alimentano la nuova

categoria professionale del soggettista specializzalo dimostrano di aver recepito la crisi strutturale dell’ideologia letteraria tradizionale. La scrittura creativa si piega agli standard tecnici in via di codificazio­ ne e diventa parte di un processo produttivo industriale che non vede più nello scrittore il suo principale responsabile.

1.8 Gli attacchi al cinema e l'introduzione della Censura L’evidente interesse di buona parte dei letterati italiani nei confronti

del nuovo medium dimostra come dopo il I910, con l’ormai inarresta­ bile trasformazione del cinema in un medium popolare, il nuovo spettacoloatliri la crescente attenzione degli osservatori: questaaltenzione si esprime tuttavia in forme molto differenziate, ora alimentando inte­

resse ed entusiasmi,ora diventando invece bersaglio di una vasta cam­ pagna di critiche, anche aggressive. Le dichiarazioni di allarme tradi­ scono un evidente disagio (se non una paura) nei confronti dei cambia­ menti (della percezione, dell’esperienza estetica, dei costumi, delle

Introduzione al cinema muto italiano

18

identità collettive ecc.): il cinema diventa il capro espiatorio di un'in-

sicurezza più profonda, generata dalla difficollàdi gestire e mediare le

trasformazioni della modernità. Cronisti, moralisti, funzionari ministe­ riali, politici conservatori, magistrati, avvocati, psicofisiologi e antropotogi criminali si impegnano a individuare le ragioni della supposta

pericolosità del cinematografo, lato negativo della sua potenza di sug­ gestione, per altri aspetti invece degna di interesse, soprattutto sul pia­ no educativo. Le ragioni della preoccupazione espressa da questi osservatori sono molteplici. Il fatto che il cinema sia ormai entrato stabilmente nella vi­

ta quotidiana di un pubblico sempre più esteso è visto come una con­ dizione inevitabile ma rischiosa. Inoltre la vocazione riproduttiva del­ l'immagine cinematografica è ritenuta pericolosa perché dà sostanza e credibilità agli eventi e ai comportamenti degenerati e antisociali che vi si rappresentano”. Queste convinzioni alimentano una sterminala pubblicistica che ri­

lancia i suoi allarmi per tutti gli anni Dieci e anche oltre. La sola mi­ sura da adottare, si legge quasi sempre, non può che essere la drastica proibizione «a monte» dei contenuti visibili immorali.

Lo Stato, più volte chiamato in causa dai moralizzatori, interviene a disciplinare il settore con gradualità. L'autentica svolta nonnativa si ha

il 20 febbraio del 1913, quando Giolitti diffonde ai Prefetti una circo­ lare” che non solo prescrive l'obbligo dell'autorotazione preventiva alla proiezione ma vieta la pubblica rappresentazione cinematografica di determinati contenuti che sianocontrari «al buon costume o alla pub­ blica decenza f---l» al decoro, all'onore, alla riputazione nazionale», o

in cui vi siano immagini di «delitti impressionanti, o di atti, o di fatti che siano scuola di preparazione al delitto, o che possano, per lo svol­ gersi di scene trucido e macabre, sinistramente impressionare gli spet­ tatori». Nel testo della circolare,che di fatto introduce la Censura cine-

“ Per un approfondimento si veda il contributo di Caselli c Alovisio pubblicalo in questo volume. La circolare del 20 febbraio 1913 & la prima di urta serie di inùsalive mirùstcriali che porteranno all'emanazione, il 25 giugno dello stesso armo, della legge sulla Cen­ sura.

// cinema Italiano dalle origini all'avvento del sonoro

19

maiografica di Stalo, il cinema è definito come «una vera e potente

scuola del male». Per altri aspetti, tuttavia, l’intervento di Gioì itti riba­

disce (’autonomia del controllo statale: per esempio non viene accolla l’istanza di vietare il cinema ai minorenni, tra i contenuti proibiti non

compare l’offesa alla religione cattolica, e soprattutto il controllo sulle moralità delle pellicole è effettuato da ufficiali di pubblica Sicurezza.

1.9 La guerra e il declino di Torino Lo scoppio della prima guerra mondiale, nell’estate 1914, provoca, co­ m’era prevedibile, una sequela di effetti negativi: uno dei più evidenti

è il calo delle esportazioni, che già comincia a farsi sentire nel periodo della neutralità (gli Stali Uniti, a partire dall’agosto 1914, chiudono le

importazioni dall’Europa) ma diventa ancora più sensibile dopo l’en­ trala in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915. Se l’esportazione si fa

sempre più problematica, non la stessa cosa può dirsi per le importa­ zioni: i film stranieri giungono nel nostro paese con grande facilità, e a

trame vantaggio è il cinema statunitense, l’unica produzione non toc­ cala, almeno finoal 1917 (anno in cui gli Stati Uniti entrano nel con­

flitto), dalle conseguenze della guerra. Proprio durante gli armi bellici il cinema americano pone in Italia le basi della sua futura e pressoché

incontrastata egemonia. Nel 1917 arrivano in Italia film importanti co­

me Intolerance (1916) di David Wark Griffith e The cheat (1915) di

Cecil B. De Mille, ma gli spettatori italiani possono anche vedere i film di Thomas 11. Ince, le comichedi Mack Sennett, Roscoe Arbuckle e del primo Chaplin. Brunetta avanza la suggestiva ipotesi che vi sia un

nesso tra questa riduzione della gittata intemazionale del nostro cine­ ma mulo e la modifica dellasua politica dei generi: la produzione, do­ po il 1914, si «ridisegna (...) a misura delle formee delle geometrie più

ridotte e familiari degli arredi del salotto liberty e dell’habilal urbano della città europea del primo Novecento»3*. Al lento declino del film

M Gian Piero Brunella, Filogenesi artistica e letteraria del pròno cinema italiano *

Introduzione al cinema muto italiano

20

storico si afltancaquindi la rapida emersione del dramma passionale di

epoca moderna, spesso ambientato nel mondo dell'aristocrazia. Le for­

tune di questo genere (il cosiddetto «cinema in frac») si intrecciano con la crescente centralità degli interpreti, in particolare di sesso fem­ minile, aprendo la strada anche in Italia al fenomeno del divismo1'. Le dive italiane, negli armi di massima affermazione del cosiddet­

to «diva-film» (tra il 1915 e il 1920) compongono un variegato alfa­ beto sensuale del corpo e del gesto e rilanciano alcuni modelli imma­ ginari d'identità femminile (la femme fatale demoniaca, l'innocente sventurata, la donna perduta ecc.) già codificali nel corso dell'Otto-

cento dal teatro, dalla poesia, dalla pittura ma soprattutto dalla narra­

tiva popolare. L'entrala in guerra dell'Italia porta alla chiusura di alcuni stabili-

menti e a un generale rallentamento produttivo (nel 1916 il numero

dei film prodotti scende a 446titoli, 117 in meno dell'anno precedente,

per poi ridursi ulteriormente, nel 1918 a 359 titoli). Mentre cresce la fortuna del «diva film», iniziano a proliferare i film di finzione di pro­ paganda bellico-patriottica, una produzione quasi sempre di basso pro­

filo, realizzata in gran fretta, segnata datiteli improbabili come Patria mia! (1915), Morte alle spie! (1915), Vìpere d’Austria, a morte!

(1915). Ai film bellici di finzione si alternano, dal fronte di guerra, i

film «dal vero»(in cui la visione del vero teatro del conflitto è limitalo quasi sempre, per ragioni di Censura, alle sole retrovie16).

La censura intanto si inasprisce: anche se la sua azione investe so­

prattutto leriprese realizzate sui diversi fronti del conflitto, non esita a

in Renzo Renzi (a cura di), Sperduta nei buio. H cinema muto italiano e il suo tempo. 1903 1930, Bologna, Cappelli, 1991, p. 17. M Sul divismo nel emana mulo italiano cfr. il contributo di Crisiina Jandelli pub­ blicalo in questo volume. M Sui rapporti tra primo cinema italiano c guerra mondiale si veda il contributo di Alovisiosu cincmac identità nazionale pubblicato in questo volume. Per un eccellen­ te approfondimento cfr. Sarah Pencoli Compagnoni ffV/ LaRiterrà sepolta. 1film gi­ rali al'fronte tra documentazione, attualità e spettacolo, Facoltà di Lcttcrcc Filosofia, Università degli Studi di Torino, 2013 (Collezione del Fondo di Studi «Parini-Chirio»,Terza Serie, Arti).

Il cinema italiano dalle origini alTawento del sonoro

21

bloccare o mutilare anche produzioni a soggetto particolarmente co­ stose, arrecando ulteriori problemi a un settore già in crisi.

Durante la guerra, inoltre, si assiste al definitivo rovesciamento dei rapporti di forza tra il polo produttivo torinese e quello romano. Se tra il 1910 e il 1915Torino aveva prodotto trai! 40e il 50%dei film ita­

liani,e se nel 1916 la città piemontese produceva ancora il 43% delle pellicole italiane e Roma il 38%, nell'anno successivo si registra il sor­ passo storico, mai più colmato: laquota torinese scende al 27% mentre Roma sale al 51%. Il dato, in realty più che esprimere un boom pro­ duttivo delia capitale, indica un declino inesorabile della produzione

torinese, sintomo di un più generale indebolimento e disgregamento del settore. Anche dopo la fine della guerra, nel novembre 1918, non si registra una ripresa (malgrado il numerodei film prodotti nel 1919 salga di cir­ ca 35 unità rispetto all'anno precedente): si conferma al contrario quel

trend nell'aumento delle importazioni (soprattutto dalla Francia e da­ gli Stati Uniti) che era già emerso negli anni del conflitto. La crisi fi­

nanziaria e organizzativa s'intreccia con l'incapacità di propone al pubblico formule nuove, aggiornando le risorse tecniche e le soluzioni espressive.

1.10 L'avventura fallimentare deH'UCI Agli inizi del 1919 l'industria cinematografica italiana tenta di formu­ lare una risposta unitaria a questi segnali di crisi: dopo una seried'incontri tra i maggiori dirigenti delle case produttrici, il 30 gennaio di quell'anno si costituisce la società anonima Unione Cinematografica

Italiana (UCI), con un capitale sociale di 30 milioni: la società, nata grazie al finanziamento di due grandi istituti di credito 0a Banca Ilalianadi Sconto e la Banca Commerciale) e al fragile compromesso rag­ giunto tra i due protagonisti concorrenti della scena produttiva di que­ gli anni (Giuseppe Barattolo e Gioachino Mecheri), punta al controllo quasi monopolistico della produzione e tenta una strategia (sia pure

piuttosto timida) di concentrazione «verticale», finalizzata allo sfrutta­

22

Introduzione al cinema muto italiano

mento del prodotto-film dal momento della sua ideazione e realizza­ zione al consumo nelle sale: le operazioni dell’Uci si estendono quindi

anche ai settori delladistribuzione e dell’esercizio, ma senza una reale convinzione. Attraverso una complessa serie di operazioni finanziarie,

l’Uci riesce ad acquisire la proprietà e il controllo di decine di case di

produzione e di stabilimenti, dalla Cines all’itala Film, dalla romana Tiber alla torinese Pasquali, creando di fatto un potente trust nazionale.

Tra i beni della società rientrano anche alcune sale cinematografiche (non molle, a dire il vero), ultimo anello di una filiera che, come si è detto, prevede anche interventi nel settore della distribuzione (inter­

venti che si sostanziano, nel maggio del 1919, nella costituzione della Cito Cinema, una società che doveva gestire l’esportazione dei film

dell’Uci nei paesi dell’Europa centro-orientale e in Turchia).

L’operazione è inizialmente accolla da larghi settori della stampa

specializzala in termini positivi: la concentrazione delle risorse, una più razionale divisione delle spese, la costituzione di un listino ricco

e diversificalo per la distribuzione intemazionale, il quasi azzeramento della concorrenza reciproca sembrano costituire una buona premessa alla tanto auspicala uscita dalla crisi. In realtà l’operazione si rivela

ben presto il prodotto di una speculazione, dettata forse anche dalla ne­ cessità delle banche (notevolmente arricchitesi durante la guerra) di trovare occasioni pretestuose di reinvestimento dei profitti, in modo da muovere capitali immobili da sottrane al fisco. Anche sul piano delle politiche industriali manca un adegualo piano

di sviluppo capace di fronteggiare sul mercato interno la crescente ag­ gressività delle case straniere ma anche di rilanciare l’esportazione dei

film italiani. Le parole d'ordine sembrano tulle improntale a un riimo di produzione eccessivo, del tulio inadegualo rispetto alle possibilità del mercato: i magazzini dell’Uci, già saturi per lepellicole rilevale dai li­ stini delle società acquisite, si riempiono ulteriormente con produzioni realizzale senza risparmio, i cui bilanci in rosso sono gravali anchedalle rivendicazioni economiche, sempre più esorbitanti e sempre meno remunerative, delle dive. Non si registra una concertazione di strategie

tra questa attività produttiva e le iniziative distributive: le pellicole re­ stano così in buona parte prive di una reale distribuzione. L’aumento della produzione non prevede l’elaborazione di formule nuove, di idee

// cinema italiano dalle origini all ‘avvento del sonoro originali: la ricetta è sempre la stessa ovvero super-produzioni costosis­ sime, ma strutturalmente ed esteticamente ormai desuete.

Il dato significativo è che alla crisi strutturale del cinema italiano non corrisponde una crisi interna del consumo di cinema: al contrario,

le cifre indicano un costante aumento degli incassi nel corso degli anni Venti. Il problema è che ai film nazionali gli spettatori preferiscono or­ mai in modo molto netto i film d'importazione. Ai nomi ormai in de­

clino delle dive nostrane si sostituiscono nomi nuovi come Mary Pick­ ford, Douglas Fairbanks, Charlie Chaplin, Eddie Polo, tutti americani. Gli unici segnali di vitalità produttiva e di successo si raccolgono in

qualche genere di nicchia (il film atletico-acrobalico, ad esempio, ri­ sulta ancora apprezzato, anche se il suo consumo tende ormai a loca­ lizzarsi nei cinema più popolari delle borgate periferiche).

1.11 Verso un cinema di retroguardia La crisi dell'Uci si aggrava forse in modo definitivo con la messa in

liquidazione, nel I92I, della Banca Italiana di Sconto, partner finan­ ziario determinante del consorzio. Dopo quell'anno si registra una sen­ sibile diminuzione dell'attività produttiva: ciò che sconcerta, tuttavia, è che a fronte di questo dato si assiste, tra il 1919 e il 1920, all'aumento significativo delle società per azioni, sintomo di interessi puramente

speculativi e di dissennale valutazioni di mercato. La dispersionedelle iniziative produttive non fa che generare società deboli. A colpire, inoltre, non è tanto il calo della produzione (che per altro diventerà

drammatico a partire dal 1924), quanto il divario ormai incolmabile tra lo standard qualitativo del film italiano e il livello di maturità espressiva raggiunto dalle altre cinematografie maggiori (dagli Stati Uniti all'Unione Sovietica, dalla Germania alla Francia): senei primi anni Dieci i film italiani avevano offerto un contributo originale e

autorevole allo sviluppo mondiale della ricerca sulla messa in scena

cinematografica, i risultali prodotti dal cinema italiano nel corso degli anni Venti sembrano invece incapaci di produrre reali novità, al con­ trario di quanto avviene in Francia (con la cosiddetta première vague),

24

introduzione al cinema muto italiano

in Germania (con il cinema espressionista e il kammerspiel), in Unione

Sovietica (con le sperimentazioni ideologico-formali del cinema rivo­ luzionario), e soprattutto negli Stati Uniti (dove si stanno definendo e istituzionalizzando le regole auree della narrazione classica).

Il cinema italiano, in altri termini, scivola gradualmente nella retroguardia, restando pressoché estraneo alle avanzale ricerche narrative e visive che animano gli anni Venti, unanimemente considerati come il

periodo di più alta e matura realizzazione formale delle potenzialità espressive del cinema muto.

Di fronte all'invasione dei film stranieri (soprattutto statunitensi), il nostro cinema non produce in quegli anni delle personalità autoriali

stilisticamente significative e culturalmente solide (nessun regista ita­ liano rappresenta per l'Italia quello che ha rappresentato il primo Jean Renoir, Jean Epstein, René Clair per la Francia, Fritz Lang e Friedrich W. Mumau per la Germania, Sergej M. Ejzenstdn e Vsevolod Pudov­

kin per l'Unione Sovietica); non sa proporre formule di scrittura origi­ nali né sa inventarsi generi nuovi (se non introducendo alcune varianti

gustose e inventive nel filone del film atletico-acrobalico lanciato con

la serie di Maciste17). L'obiettivo della riconquista dei mercati passa attraverso un progetto di «ritorno all'antico»: si tratta di riproporre i vecchi generi dei primi anni Dieci. Le produzioni più impegnative si muovono ancora dentro l'ormai angusto steccato del kolossal storico,

ma gli esili raggiunti (in film come La nave, 1921, di Gabridlino D'Annunzio, La mirabile visione, 1921, di Luigi Sapdli, sulla vita di Dante e la sua opera maggiore, Messalina, 1923, di Enrico Guazzoni, l'ambizioso Quo Vada?. 1924, di GabridlinoD'Annunzio e Georg

Jacoby, la quarta versione deGli ultimi giorni di Pompei, 1926, di Am­

leto Palermi e Carmine Gallone) non aggiungono nulla di nuovo a quanto già era stalo espresso dai film storici dei primi anni Dieci, no­

nostante gli investimenti non giochino affatto al risparmio. Un'aria di stagnazione grava anche sull'altro genere portante del ci­ nemaitaliano, il melodramma mondano, dove l'enfasi delgestoe della

w Sulla «cric di Maciste si rimanda ai contribuii di Dtall’Asla cGianoUo pubblicati in questo volume.

Il cinema Italiano dalle orìgini all'avvento del sonoro

25

posa, l'esasperata liturgia cerimoniale del corpo tipica di alcune dive comincia ad accusare palesi segni di stanchezza. Analogamente, anche

i contenuti narrativi appaiono sempre più inattuali: le vicende di Mes­ saline i vacui intrighémorosi ambientali nel mondo dericchi, sempre

raccontati con eccessiva serietà, non possono reggere il confronto con

l'ironia e la fresca modernità tipica dei coevi prodotti hollywoodiani. Il fenomeno Piltaluga Anche se, ancora per pochi anni, l'Uci continuerà a produrre kolossal di notevoli ambizioni (molli li abbiamo già citati), dopo il fallimento della Banca Italiana di Sconto il suo destino appare irrimediabilmente

segnalo.

In conseguenza della crisi, numerosi protagonisti del cinema italia­ no, da Bartolomeo Pagano e EmilioGhione, da Augusto Genina a Ma­ ria Jacobini, sono costretti emigrare in altri paesi, in particolare in Ger­ mania:

Il fallimento dell'Uci riapre gli spazi del mercato ai piccoli produt­ tori indipendenti. I tentativi più riusciti di mantenere in vita la produ­ zione italiana negli anni Venti sono condotti non solo da Stefano Pil­ taluga, di cui si dirà a breve, ma anche da produttori che propongono

film per un pubblico regionale o per le comunità italiane all'estero: è il caso di alcuni produttori napoletani come Emanuele Rotondo, Vincen­ zo Pergamo, la famiglia Notati, guidata sin dal 1905 dalla forte e sin­ golare personalità di Elvira, ma soprattutto Gustavo Lombardo, già at­

tivo dagli anni Dieci come uno dei più importanti distributori italiani. Dopo una serie ininterrotta di svalutazioni, nel 1926 la Banca Com­ merciale, ormai proprietaria quasi unica dell'Uci, cede la società all'u­

nico imprenditore cinematografico capace in quel momento di elabo­ rare strategie di risposta alla crisi del settore: Stefano PiUaluga" Piltaluga nel corso dei primi anni Venti aveva conquistalo una posi-

— Sull'attività cinematografico di Stetano Piltaluga manca ancora uno studio or * ganicoc documentalo. Per una prima introduzione si veda Tatti Sanguineo (a cura di), L’tutommo PiltabttfQ. Tracce caricatili, numero monografico speciale di «Cincgrafio, VII, 1998.

Introduzione al cinema muto italiano

26

zione di leadership nella distribuzione e nell'esercizio: dopo avere ini­ ziato l’attività nei primi anni Dieci in Liguria come distributore di zo­

na, aveva saputo rafforzare il perimetro delle sue attività distributive costituendo nel 1914 a Torino la Società Anonima Stefano Piltaluga, un’azienda che tra la fine degli anni Dieci e i primi anni Venti vive una

fase di profondo sviluppo, affidando le sue fortune alla gestione di nu­ merose sale (soprattutto di prima visione) e alla distribuzione di film americani prodotti da quelle case (per esempio la Warner) che non di­ sponevano ancora di filiali italiane. Anche se l’obiettivo prioritario della sua azione mira di fattoal mo­

nopolio dell’esercizioe della distribuzione, Pittaluga promuove inizia­ tive anche nel settore della produzione (prima come consigliere d'am­

ministrazione dell'itala Film e poi come principale proprietario della Rodolfi Film e della Fert, una società torinese di cui Pittaluga - nel

1923 - riapre gli stabilimenti, dando il via a una produzione di film popolari di larga presa): in questo modo Pittaluga profila un progetto di controllo verticale del mercato per certi versi simile a quello delle grandi majors hollywoodiane, pur ovviamente con dimensioni e so­

prattutto esiti più modesti. Pittaluga tenta la strada della produzione negli anni più critici della storia del cinema italiano: si possono comprendere quindi le ragioni della sua prudenza, all'epoca assai contestala da quei giovani critici

militanti come il giovane Alessandro Blasetliche dalle pagine delle lo­

ro battagliere riviste (prima fra tutte «Cinematografo») sollecitavano una riapertura dei teatri di posa, la ripresa della produzione sostenuta economicamente dallo Stato, e una reazione convinta di contenimento «protezionistico» della massiccia importazione di film stranieri (pro­

mossa dallo stesso Piltaluga). A differenza dei dirigenti dell'Uci, Pittaluga possiede una visione più trasversale della macchina-cinema e ragiona con la mente del di­ stributore: la sua esperienza gli consente di comprendere meglio la ne­ cessità non solo di formare ma soprattutto di assecondare i gusti del pubblico. La profonda conoscenza di questi gusti fa si che Pittaluga

sia pienamente consapevole dell'obsolescenza delle formule narrative e spettacolari del cinema italiano: la sua proposta per tentare il rilancio della produzione nazionale prevede la realizzazione di pochi film ma

Il cinema Italiano dalle origini all'avvento del sonoro

27

confezionali con cura. Anche se Pillaluga tenia (non si con quale con­ vinzione) di rilanciare il film storico (con Beatrice Cenci, 1926), il ge­ nere portante di questo tentativo di rilancio produttivo (in realtà assai

timido, perché la quota dei film prodotti diminuisce di anno in anno

passando dai 114 titoli del 1922 ai 20 titoli del 1929) é il film alletico-acrobalico, grazie al contributo di Bartolomeo Pagano, in arte Ma­ ciste, protagonista di interessanti tentativi di umanizzazione e di crea­

tiva reinvenzione del suo personaggio dall'esistenza ormai più che de­ cennale (la sua prima apparizione è in Cabiria, 1914). La politica del regime e Vavventodel sonoro Accanto a questi isolali tentativi di riorganizzazione da parte dell'in­

dustria privata si manifestano, nello stesso periodo, anche i primi se­

gnali di un interesse non estemporaneo dello Stato nei confronti del ci­ nema. Nei primi anni di governo, il regime fascista si limita a prose­ guire l'azione di controllo censorio sui film già impostala dalla prece­ dente legislazione monarchica. Anche se già dalla fine del 1922 si re­

gistrano i primi film esplicitamente propagandistici (si vedano per

esempio A noi!, lungometraggio documentario di Umberto Paradisi,

realizzato ad appena dieci giorni dalla marcia su Roma, a IIgjidodel­

l'aquila, prodotto dall'istituto Fascista di Propaganda Nazionale nel 1923, primo esempio di film filo-fascista di finzione), il regime non esercita particolari pressioni sui produttori perché questi diano vita a una copiosa produzione di film di propaganda. Piuttosto, di fronte al

dilagare della crisi, i rappresentanti del settore cinematografico molti­ plicano, sopraltultodalla metà degli armi Venti, i loro appelli al gover­ no per un intervento di sostegno, soprattutto tramite sgravi fiscali. Il primo intervento significativo dello Stalo in maleria risale alla legge del 18 giugno 1931, che introduce la possibilità di fornire credili ai produttori e istituisce premi in denaro calcolali sugli incassi.

Se il regime mantiene un profilo morbido nei confronti della produ­ zione a soggetto, diverso è invece il suo atteggiamento nei confronti

delle potenzialità educative e propagandistiche del cinema documen­ tario. Nel 1926 il regime statalizza ('Unione Cinematografica Educa­ tiva (Luce), un organismo che già da alcuni anni era andato speciali/.-

Introduzione al cinema muto italiano

28

zandosi nella produzione e distribuzione di film a carattere didattico. L'iniziativa è fortemente voluta dallo stesso Mussolini, che trasforma definitivamente il Luce in uno strumento monopolistico di informazio­ ne e di propaganda delle attività e delle iniziative del regime”. Gli sforzi per riorganizzare una produzione nazionale e i tentativi di

avviare un'industria cinematografica di Stato s'intrecciano con un evento destinalo a segnare un passaggio epocale nella storia del cine­

ma: la graduale diffusione del film sonoro. Piltaluga comprende subito l'importanza del film sonora e la neces­ sità di rifondare le condizioni tecnologiche della produzione e dell’e­

sercizio. Si fa promotore del graduale adeguamento delle sale cinema­ tografiche da lui gestite (in particolare di quelle di prima visione) ai due sistemi di riproduzione del suono cinematografico allora in voga:

il sound on disc (sistema di riproduzione del suono tramite dischi

grammofonici in sincrono con le immagini) e il sound onfìlm (sistema, rivelatosi vincente già a partire dal 1931, di registrazione fotosensibile del suono direttamente su pellicola tramile pista ottica). Il 19 aprile

1929 Piltaluga presenta al pubblico italiano II cantante di jazz (di A. Crosland) il primo film della storia del cinema con scene pariate, sia

pure in misura assai ridotta (il film, prodotto dalla Warner con il siste­ ma del sound on disc era uscito negli Stati Uniti un anno e mezzo pri­ ma, nel l’ottobre del 1927). TI processo di conversione al sonoro ha co­

munque dei tempi estremamente lunghi: si pensi che ancora nel 1938, su «4013 sale in Italia, ben 1800 sono attrezzate esclusivamente per il

* mulo» ’. Dopo aver rilevatoi vecchi teatri di posa della Cines, l'imprenditore

genovese decide di modernizzarli, rendendoli adatti alle esigenze delle

riprese sonore: i nuovi studi saranno inaugurati nel maggio 1930, alla presenza di alte autorità dello Stato tra cui il ministro Bottai. Nell'otto­ bre del 1930 esce il primo film sonoro italiano,Zzi canzone dell’amore,

di Gennaro Righelli,da una novella di Luigi Pirandello: il film, accolto

’* Sulla storia dell *lsli(ulo Luce cfr. Ernesto G. Laura, Le stagioni ddl ‘aquila: sto­ ria ddlixtituta LUCE, Roma, Ente dello spettacolo, 2000. w Baldo Vallerò, A propositodd 1930, «Mondo Niovo», I, 2005, p. 38.

Il cinema italiano dalle origini alTawenlo del sonoro

29

con successo, rappresenta il primo tentativo di risollevare su basi tec­ niche e organizzative rinnovate la nostra produzione, giunta proprio nel 1930 ai suoi minimi storici (su 379 film a soggetto approvati dalla Censura nel 1930 solo dieci sono di produzione italiana, proprio nel­ l’anno in cui gli incassi cinematografici in Italia raggiungono il loro massimo storico). Sempre nel 1930 una disposizione del Ministero dell’interno proibisce la proiezione di film contenenti scene parlale

in lingua straniera. Il provvedimento rischia di paralizzare fattività delle sale cinematografiche italiane: per evitare questo pericolo si adotta la pratica, decisamente paradossale, di togliere i dialoghi dai

film sonori stranieri, lasciando solo i rumori e le canzoni (per rendere comprensibili gli intrecci s’introducono lunghe didascalie che riporta­ no la traduzione dei dialoghi)". Al di là di questo provvedimento ministeriale, i film girati nelle di­

verse lingue nazionali rappresentano un problema per il pubblico, e non solo in Italia. In una fase in cui il doppiaggio vive ancora una fase sperimentale, il problema deU’incomprensibilità delle lingue straniere è aggiralo - in molti paesi produttori, Italia compresa - con le versioni multiple: a partire dalla stessa sceneggiatura si realizzano diverse ver­

sioni di un film. Gli sfondi e gli ambienti restano immutali, mentre nel­ le scene di dialogo si utilizzano di volta in voltaattori di diversa nazio­

nalità.

NeH’aprile 1931 Stefano Piltaluga muore improvvisamente. La sua scomparsa porta al graduale smantellamento del suo progetto, in fondo

ancora embrionale, di integrazione verticale tra produzione, distribu­ zione ed esercizio. E apre, non solo simbolicamente, una nuova fase nella storia del cinema italiano.

M Per un approfondimento relativo alle origini del doppiaggio in Italia cfr. Riccar­ do Redi, Ti parlerò...d'anur: cinema italianofroaulo c sonoro, Torino: ERI, 1986 c Mario Quaxgnolo, La parola ripudiala:I'ncndibde storiatici film staameriin Italia nei primi anni dei sonoro, Gcmona, La Cineteca del Friuli, 1986.

Capitolo

2

Modi di rappresentazione, messa in scena e ipotesi stilistiche nel cinema italiano degli anni Dieci. Intorno al Kolossal storico, da «Quo Vadis?» a «Cabiria1» Giulia Cariuccio

2.1

II modello italiano. Per un'introduzione

Nel ricco panorama bibliografico che caratterizzagli studi sul cinema muto italiano, una minor consistenza, sul piano quantitativo, si riscon­ tra segnatamente in riferimento ai contributi dedicali alle problemati­

che estelico-stlislichee ai modi di rappresentazione, anche per quanto

riguarda il periodo aureo rappresentato dagli anni Dieci, pur se con si­ gnificative e importanti eccezioni2. Tuttavia, se la rilevanza delle que­

stioni di tipo economico-produttivo da un lato, e dall'altro una non sempre agevole reperibilità delle copie, o difficoltà di tipo filologico, motivano ampiamente la relativa scarsità di approcci testuali e anali­

tici ai modi di rappresentazione, questi ultimi rivestono un grandissi­ mo interesse e rappresentano un elemento di significativa specificità della produzione di cui ci occupiamo. Come si è sottolineato nel capi­

tolo introduttivo di questo volume, in particolare tra il 1909 e l'inizio

1 II capitolo richbora precedenti saggi pubblicali in Giulia Cariuccio, Scritture della visione. Percorsi nel cinema nudo, Kaplan, Torino 2006. * Cfr. la bibliografia posta al fondo del volume c, in particolare, la sezione Film,

modidìrappresentazione e messa inscena. Un interessante c ricco contributo recente

è rappresentato dalla lesi di dottoralo di Stella Bagna, Modelli di orjpuùzusionespasiale nei nodo italiano: Mario Caserini. Enrico Gutazotù. Giovanni Padrone, Dotto* rato di Ricerca in Storiadelle Arti visive c dello Spettacolo, Università di Pisa, 2010.

Modi di rapprtstnlaiiùM, messa inscena e ipotesi stilistiche—

31

degli anni Venti il cinema italiano è caratterizzalo da una vera e pro­

pria frenesia produttiva, che ha il suo apice nel boom compreso tra il 1912 e il 1914, raggiungendo non solo uno standard in grado di com­

petere con il mercato intemazionale, ma anche sperimentando un mo­

dello capace di interagire con lo sviluppo dei paradigmi stilistici e dei modi di rappresentazione che si stanno esplorando e definendo, nel corso del decennio, nel contesto delle diversecinemalografie mondia­

li. Si tratta, del resto, di un periodo decisivo, cruciale, nel quale la spe­ rimentazione, il confronto dialetticoe la successione di alcuni paradig­ mi stilistici, narrativi, estetici, e di determinate formule economico-

produtlive, segnano altrettante tappe fondamentali nel progressivo af­ fermarsi di quelloche verrà definito come il modello narrativo classico

e istituzionale. Senza soffermarci qui sulla complessità di questo pro­

cesso, vale tuttavia la pena di ricordare come, se la produzione statu­

nitense si rivela via via in grado di definire e infine affermare quello che risulterà il paradigma dominante dalla fine degli anni Dieci in poi,

non solo questo processo ha visto contrapporsi, al modello americano, un modo autonomo di rappresentazione più globalmente europeo, co­

me ha proposto Eric de Kuyper , *

ma, anche come, all'interno dello

scenario europeo, il modello più specificamente italiano sia risultato influente e in grado di stimolare la stessa produzione statunitense, avremo modo di ribadirlo più avanti, fino al suo momento di crisi e

rottura. Ma quali sono le caratteristiche e le specificità di questo modello? Innanzitutto va sottolineato che, nel periodo di cui ci occupiamo, e che

coincide, comesi è visto, con il momento di maggior successo del ci­ nema mulo italiano, i generi che dominano il panorama produttivo e

che rappresentano i luoghi di massima sperimentazione di modi di rap­ presentazione e di ipotesi stilistiche sono il Kolossal storico, su cui ci

soffermeremo, e il dramma passionale. In entrambi questi ambili nar­ rativi, il cinema italiano esplorale possibilità di un proprio discorso, di

* Eric De Kuypcr, Le cinema de laseconde ipoque: le muridexanccsdix, matbèquc», 1,1992, pp, 28-35, c Lecinémade la second epoque: le musei des annces dis, eCinémalhìqtte». 2, 1992, pp. 58-68.

32

Introduzione al cinema muto italiano

una propria retorica e dì un modello estetico che vede in alcune proci * pue risorse e caratteristiche della messa in scena gli elementi chiave

del suo stile. Come sottolinea Stella Dagna: 1 generi che il cinema italiano espresse nei suoi anni di maggior successo, il kolossal c il dramma passionale, esasperano alcuni aspetti dcllamcssa in scena, come l’uso di set tesi ad esaltare la profondità di campo, l’abitudine di dividere l’arca del quadro in zone diverse tramite architetture ed cle­ menti di scena o il ricorso alla tecnica del contrasto, che isola i personaggi principali grazie a una caratterizzazione in antcsi rispetto alla massa. Tutte queste tecniche tendono a un fine comune che conferma come lo stile del cinema italianodi quegli armi fosse connotato essenzialmente da una forte volontà di sintesi. In quest’ottica l'abilità di una messa in scena si rivela dunque nella capacità di raccogliere nel quadro più clementi possibili, senza perdere nc in chiarezza narrativa né in armonia della composizione4.

Tali elementi implicano che questo cinema, a tulli gli effetti narra­ tivo, vedesse nella costruzione dello spazio il fattore di maggior attra­ zione e nella dimensione mostrati va del quadro il suo specifico esteti­ co. Laddove il termine «quadro»bene indica una nozione che riguarda un assetto compositivo e un'unità narrativa che si compiono l'ima nel­

l'altra, in un'ottica, appunto sintetica, che si contrappone al decoupage analitico statunitense, che frammenta, anal izza e ricompone lo spazio in più inquadrature. Il modello italiano, infatti, organizza il racconto

in ampi quadri-inquadrature in continuità, limitando l'uso della ripresa ravvicinala, e distribuendo gli elementi profilmici sui vari livelli della

profondità dello spazio, laddove gli elaborati costrutti visivi spesso in­ tegrano il loro potenziale narrativo con le conoscenze pregresse, da parte dello spettatore, della fonte letteraria adattala sullo schermo o delle sue divulgazioni. Un cinema dalle forti ambizioni didattiche e culturali che entrain dialettica, dunque, con una fìtta rete iconografica

e intertestuale, con un immaginario condiviso dal pubblico, come ha

sottolineato in diversi suoi saggi Gian Piero Brunetta, e con una predi­ sposizione alla ricerca di un equilibrio e armonia che certamente hanno a che fare con l'interpretazione della classicilàe del rinascimento pro-

4 Stella Dagna, Modelli di orRanmarìnne spaziale nd mulo italiano, ciL,p. 368.

Madidi rappresentazione, messa inscena e ipotesi stilistiche-.

33

posta dall'estetica idealista ottocentesca, come ancora è Brunetta a sot­

tolineare5, indicando come: Rispetto a tutte le altre cinematografie quella italianaassumc però un ruo­ lo esemplare, di punto di riferimento edi unità di misura iconografica in quanto porta iscritto, quasi nel suo codice genetico, in misuraassai supc­ riore a tutte le altre cinematografie, VimprintinR di una tradizione artistica anteriore, che va dalla pittura all’oleografia, dalla sceneggiatura teatrale ai bassorilievi, dall'atto greca all’Art Nouveau . *

Ed è questo cinema cheponeal centro della sua ipotesi stilistica l'e­

saltazione della spazialità come sintesi e fulcro, perno, del sistema cul­ turale che esprime. In particolare, il Kolossal storico sapràaffermare la forza di questo sistema su scala intemazionale, riuscendo a fornire in

particolare al cinema statunitense un modello dialettico su cui riflettere e cui rivolgersi per proseguire la propria ricerca. Il modello italiano, destinato a esaurire il suo impatto con la crisi degli anni Venti e con il mutamento di paradigma che interessa a livello intemazionale le sor­

ti del cinema narrativo, si ponedunque come un modello o un sistema consapevole, competitivo per alcuni anni, frutto di un contesto com­ plessivo in cui, in Italia, si discute e si riflette sul senso stesso del ci­ nema narrativo, della messa in scena, alla ricerca della sua specificità.

Prima di affrontare alcune questioni che ci consentiranno di affron­ tare in prospettiva più analitica determinati aspetti che riguardano la fortuna e la crisi del modello di rappresentazione espresso dal Kolos­ sal storico, attraverso il caso di Quo Vadis? e quello di Cabiria, è utile

soffermarci con alcuni esempi, parziali e limitali, che riguardano il di­

battito condotto da alcuni critici sulla stampa di settore italiana, e che ci consentono di notare come, anche al di là della riflessione teorica più compiuta, per cui si rimanda ad altro capitolodi questo volume, il

cinema degli anni Dieci si pone via via la questione della messa in

5 Gian Piero Brunetta, Ut Pittura ita cinema, in Leonardo Quaresima, Laura Vichi (acura di), La decima muxa /The Tenth Muse, Atti del VllConvcgno lotomarionalc di Sludi sul Cinema, Udine, Università di Udine, 2000, p. 192. •Aip. 191.

Introduzione al cinema muto italiano

34

scena e, dunque, in leonini, moderni, dei modi di rappresentazione, dello stile.

22

II dibattito sulle riviste e la messa in scena

Ineffetti, uno studio che voglia porsi la questione dei modi di rappre­ sentazione, del ruolo della scrittura per il cinema,dei soggetti narrati­

vi, e della messa in scena, della scrittura fìlmica, tra gli anni Dieci e Venti nella cinematografìa italiana, non può prescindere dal dibattito e dagli interventi che affollano la stampa specializzala, a partire da una mappa o da un paesaggio che, nel suo insieme, permette di ricostruire

una vera e propria microteoria, come di recenteè stato sottolineate/. In questo senso, è tutto un coro di voci minori a costituire una variegata e ricca polifonia su cui vale la pena di soffermarsi, per seguire le tracce di una serie di pensieri sul cinema di importanza lutt’altro che trascu­

rabile. Se nella seconda metà degli anni Dieci, la stampa specializzala italianadibatte con toni piuttosto accesi la questione del ruolodel metleur en scène da un lato e, dalFaltro, perlopiù in contrapposizione, quello

del soggettista, tale dibattito non solo interessa e spinge quello sulla

definizione delCaulore cinematografico, ma anche, più in generale, una vera e propria riflessione sulla natura e sui compiti del mezzo ci­ nematografico stesso. Pure nel contesto delle polemiche o dellediscussioni di carattere più prettamente giornalistico, come è il caso di diver­

si interventi di Angelo Menini, critico cinematografico di professione,

non solo sulle riviste da lui stesso dirette (come le torinesi «Cine», dal 1917 al I9l8e poi,dal 1919 al 1920, «Figure Mute»), ma anche nelle altre riviste che ospitano le sue brillanti e severe recensioni («Film», «La Cinematografia Italiana ed Estera», «Cine-Fono»), emergono i tratti, frammentari e contradditori e pertanto vieppiù significativi, di

1 Cfr. LucaMazrei, Leonardo Quaresima (a cura di), Murvtcorie. Cinema mulo italiano, «Bianco c Nero». LXVl, 551-552, 2004-200$, pp. 17-167.

Modi di rappresentazione. messa inscena e ipotesi stilistiche—

35

una concezione del cinema che è più complessa della appaiente rigidi­

tà o della schematica virulenza di posizioni assunte spesso per spirito polemico ed espressecon toni predicatori se non, addirittura, denigra­ tori. In questo quadro, può essere interessante, per esempio, confrontare

due lesti di analogo argomento scritti tra il 1916 e il 1917, a breve di­ stanza l’uno dall’altro. Si tratta, nel primo caso, di un articolo scritto dallo stesso Menini1 e, nel secondo, dal celebre produttore cinemato­

grafico Arturo Ambrosio . *

Ad una prima lettura, colpisce che, quasi contemporaneamente, co­ me si diceva, i due diversi autori sostengano posizioni che appaiono radicalmente opposte. Per il fotografo, critico, soggettista (e in seguito

egli stesso metteur en scène) Menini, il metteur en scène è ridotto ad

«unasemplice complicazione del suggeritore dalealro», mentre il sog­ gettista è «la base della cinematografia»10, con una posizione che una

nota redazionale della rivista a fondo pagina commenta con le seguenti parole «Ci sembra un po’ troppo, caro Menini!»Pur ripromettendosi di tornare sull’argomento in altro articolo a venire, e di ragionare su di­

versi tipi di metteursen scène e soggettisti, Menini non esita, dunque, a

svalutare nei termini di un ruolo assai poco creativo quello dell’allri-

menli definito «direttore artistico». Per contro, Ambrosio, parlando deir«orte, e sottolineo arte, di mettere inscena», esprime il parere se­ condo cui «il direttore di scena debba essere il primo artista, il primo creatore del/7/m», lamentando che, in Italia, seda un laiosi bada trop­

po alla messa in scena nel senso della ricchezza del décor, dall’altro invece vi si bada troppo poco «quando, intorno ad un’azione che è ser­ rala, logica, piacevole, non si costruisce quellacomice che è un inqua-

■ Angelo Menini, Lo scrittore edil «metteur en scène». «La Cine- Fono» e la «Ri­

vista Fono-Cinematografica», X,332,16 agosto-10 settembre 1916. * Arturo Ambrosio, La mise en scòte, «L’Arto Mula», 6-7, dicembre 1916-gennaio 1917. L’articolo è sialo ripubblicalo su «Piemonte vivo» 1, gennaio-giugno

1989, ppL 28-29 (una prima riedizione si Uova in Museo Nazionale dd Cinema. No­ tiziario, 1,2, maggio 1966, pp9-l2). M A. Menini, Lo scrittore ed il «metteur en scène». ciL, p. 74.

Introduzione al cinema muto italiano

36

tiramento necessario», sostenendo pure l’importanza di un «equilibrio

tra mezzi ed effetti»”.

Certamente, le parole di Ambrosio, rispetto a quelle di Menini, ap­ paiono non solo più misurate, ma anche esplicitamente volte a sottoli­

neare il primato della messa in scena nel film, e dunque, a cogliere, in quest’ultima dimensione la «specificità» del mezzo. Tuttavia, a ben vedere, anche nell’intervento di Menini non è assente una sia pur con­ traddittoria idea che esista una dimensione cinematografica fondamentale, o originaria, quando l’autore si riferisce al «direttore artistico» co­

me a colui che «definiva i primi e semplici segreti della nascente cine­ matografia», o, ancora, «l’unico a sapere quel segreto meraviglioso

che faceva muovere delle figure su una superficie bianca»'2. Certo, il soggettista è «Fautore», o addirittura «un uomo superiore»11, ma il

suo lavoro è oltre (viene dopo)quel segreto ineludibile proprio del film

che più volte viene sottolineato. La contraddizione di una posizione apparentemente netta, ma in realtà, come si è visto, sfaccettata, è del

resto quella che soggiace a molte recensioni critiche di Menini (e non solo di Menini), a riflettere un’incertezza costituzionale di una fase di

pre o proto-riflessione sul mezzo cinematografico, rispetto al suo sta­ tuto, alla sua natura culturale, estetica ecc., alle componenti del suo

linguaggio e del suo corpo drammaturgico, spettacolare, narrativo. Infatti se la struttura costante della recensione prevede un duplice

piano di giudizio, quello riservalo alla qualità del soggetto e del rac­ conto, e quello riservato inveceai valori dell’inquadratura e dellames-

sa in scena, in una schizofrenia ricorrente e sistematica, tipica dellacritica del periodo, Menini non esita inmolti casi a «salvare» o ad apprez­

zare pienamente un film, debole per quanto riguarda il soggetto, ma degno di nota per quei valori che possiamo definire, in una accezione

ampia, «filmici». Nella recensione di Passione tzigana, di Ernesto Maria Pasquali, del 1916, per esempio, si legge:

" A. Ambrosio, La ause ot scène, ciL, pp. 17-18. '* A. Menini, Lo scrittore ed il smetlcw cn scòte», cù_, p. 73. '• Ai p. 74.

Modi di ropprtsenlaiione, messa in scena e Ipotesi stilistiche..

37

Una buonissima pellicola che ha il merito di portare nella nostra arte una strana innovazione. Il soggetto è vecchio e troppo abusato ormai, ma quello chcc'c di nuovo in questo lavoro è l'intcrprctazionc di Dianna Ka-

rcnnc. Immaginate che ella, nei punti più salienti del dramma, quando vuol dirvi tutta la burrasca dei suoi sentimenti, gparda neU'obiettivo. il che vuol dire che vi guarda risolutamente in volta Bene ha fatto la Karcnnc a permettersi questa arte cheuna volta poteva parere uno sbaglio fenome­

nale... E per l'arte di questa nuova grande attriccc per l'aristocratica ele­ ganza della jnefiu in scena curata pcraonalmcntcdal Cav. Pasquali,qucsto soggetto, o meglio questa pellicola che non ha soggetto degno di nota, rie­ sce a portarsi nella linea di successo e a segnare nel nastro campo una bella e geniale innovazione. La fotografia è lodevole per chiarezza e per inquadratura>4. Tali notazioni stridono evidentemente con l'idea che il soggetto sìa «la base della cinematografìa», espressa nell'articolo già citalo. Par­ rebbe, invece, che l'elemento fondamentale stia in valori diversi la cui qualità rende inesscnziale la modestia del soggetto. Così è anche

per La pupilla di Ugo Falena, del 1916:

Il soggetto è semplicemente stupido[.^\ Lamessa inscena è moltoelegan­ te e di buon gusto od infine una buonafotografiaa colori ed una interpre­ tatone ottima |._J fanno sì che l'argomento insulso venga sopportato con discreta rassegnazione1'. O ancora, cambiando genere di film, per Preferisco Pinfemo, di Eleulerio Rodolfi,del 1916:

Certamente nella sua essenza questa rivista non dice molto di originale 1—j La fotografia è molto buona e degli splendidi viraggi fanno risaltare benissimo i quadri che raffigurano la magione di Satana c quella del Padre eterno".

*' «Film», Napoli, 20 aprile 1916. Concivi nostri. 11 «Film», Napoli, 30 maggio 1917. Concivi nostri. “ «Film», Napoli, 20 aprile 1916. Concivi nostri.

Introduzione al cinema muto italiano

38

Si potrebbe continuare, ma è superfluo, data la ripetitività di valu­

tazioni «sdoppiate» analoghe a quelle riportate. La situazione riguarda

Menini, come si diceva, ma anche la gran maggioranza dei recensori dell’epoca. Quasi come se, in modo evidente nel caso di Menini che qui è in questione, la prassi critica ribaltasse le enunciazioni più gene­ rali e «teoriche» espresse in altra sede (editoriali o articoli di respiro

più ampio). La messa in scena e il metteur en scène, o direttore artisti­

co, prendono la rivincita alla prova dei fatti (alla prova dei film), quan­ do ancora, in «teoria» si afferma che il soggetto e il soggettista sono più importanti. Allora Menini la pensa in realtà come Ambrosio. Ma

la confusione, o la contraddizione, esistono e sono consustanziali a un contesto di riflessione e verifica della natura, dei mezzi e dello sco­ po di un cinematografo, il cui assetto o statuto sono in via di definizio­

ne. La vis polemica di scritti come il primo articolo di Menini sopra analizzato è proporzionale all’esigenza di fissarne i contorni, in un contesto di ampia sperimentazione, riflessione e analisi di un modello

di cinema che appena poco prima, rispetto alle date egli scritti citati, si

è imposto al mondo intero.

2.3 Da «Quo Vadis?» di Enrico Guazzoni (Cines, 1913) a «Quo Vadis?» di Gabriellino D'Annunzio e Georg Jacoby (UCI, 1924): i modi della rappresentazione Lo studio comparato delle due versioni di Quo Vadis? citatene! titolo si può prestare quasi esemplarmente, attraverso un’analisi ravvicinala

dei meccanismi linguistici e dei modi di rappresentazione messi in allo nei due film, a sollevare questioni che, nel caso in oggetto, riguardano

non soltanto l’evoluzione e la crisi di un modello narrativo - appunto il kolossal storico - ma anche, eventualmente, l’evoluzione e la crisi di

un’ipotesi stilistica e spettacolare che ha dominalo il cinema italiano degli anni Dieci, segnandone una fortuna pure intemazionale, e che, nella prima metà degli anni Venti può apparire insterilila al confronto

con altri modelli, anche dello stesso ambito di genere, il cui impatto

Modi di ropprtsenlaiione, messa inscena e ipotesi stilistiche^.

39

stilistico ed espressivo sembra risultare più attuale (si pensi, per esem­

pio, a I dieci comandamenti, Cecil B. De Mille, USA, 1923). Il riferimento al genere del kolossal storico è utile non solo per la pertinenza storica e cronologica sopra chiarita, ma anche e soprattutto in relazione alla scarsità di studi recenti che ne abbiamo preso in con­

siderazione specificamente lecaratteristiche stilistiche e rappresentati­ ve, in relazione alle problematiche riguardanti le modificazioni dei modi di rappresentazione o dei sistemi linguistici nei primi tre decenni di storia del cinema. Il primo punto da problematizzare può essere proprio la quasi totale

rimozione del genere storico, del periodo che qui interessa, da parte degli studi analitici che abbiano come oggetto la dimensione stilisti-

co-rappresentativa.

Se si eccettua ilcaso di Cabiria, intorno a cui leeccellenti analisi di Dagrada, Gunning e Gaudreault, da un lato, e di Silvio Alovisio dal­ l’altro’7, hanno avuto il merito di sollevare la questione della necessità di verificare l’adattabilità di nozioni come «cinema delle attrazioni» vs. «cinema dell’integrazione narrativa», o la possibilità di cogliere un’interazione dialettica tra tali differenti e autonome logiche di rap­

presentazione, in anni recenti pochialtri film storici, o il genere nel suo

complesso, sono stali oggetto di studi sistematici inerenti la dimensio­ ne più propriamente testuale. Si ha l’impressione che perduri un atteggiamento di sufficienza o disprezzo, già riscontrato da Brunetta, per cui la definizione di genere

u Cfr. in particolare Elena Dagrada, André Gaudreault, Tom Gunning, Lo spazio atobiltdeì carrella, pp. 151-1X3, e Silvio Alovisio, L'Itala Film nei primi anni Dica, pp. 244-266, entrambi in Paolo Bcrtctlo, Gianni Roodolino(a cura di), Cabiria e il suo tempo. Musco Nazionale del cinema II Castoro, Torino Milano, 1998. Di S. Alovisio, cfr. anche Poteri della messa in scena: Cabiria tra attrazioaeeracconto, in Sergio Toffetli (a cura di), li restauro di Cabiria, Musco Nazionale del Cinema,

Torino 1995, ppi23-24. Ancora di Alovisio, Pad dei silenzio. La sceneggiatura nei

cinemamuto italiano. Museo Nazionale del Cinema II Castoro, Torino Milano 2005, cui si rimanda complessivamente per il rapporto tra scrittura per la visione e

mena in scena; per quanto riguarda la questiono segnatamente in riferimento al cine­ ma epico, si veda in particolare l’analisi del caso de CU ultimi giorni di Pompei nello duo versioni Ambrosio e Gloria (1913), pp. 327-356.

Introduzione al cinema muto italiano

40

si confonde spesso con il luogo comune di una magniloquenza di car­ tapesta, rimuovendo quella «quantità di codici che entrano in contat­

to», e che motivano «la rapida egemonia esercitala e la forte capacità di trasmissione di significati e ideologia, oltreché di emozioni», per

citare, appunto Brunetta11. Una sorta di resistenza all’analisi di un ci­ nema che sembra ovvio, o che debba soprattutto funzionare come en­ nesima conferma di un altro luogo comune mai superalo, e cioè quello

del presunto ritardo della produzione italiana rispetto alle conquiste linguistiche del cinema statunitense e rispetto alla formazione del pa­

radigma classico. O, ancora, una resistenza ad analizzare un cinema le cui esplicite e evidenti fonti letterarie e culturali e in particolare, i cui modelli di riferimento teatrali, architettonici e pittorici sembrerebbero

negare una specificità cinematografica propria, o perlomeno decretar­ ne una dimensione di arcaicità.

Un cinema «poco cinema», in qualche modo, in cui la parola d'or­

dine della conquista dello spazio sembra destinala a evocare, appunto, soprattutto riferimenti e finalità figurativi e illustrativi in generale più che cinematografici. E proprio in questi termini sembra giocarsi anche il rapido declino di una formula che ha contribuito a diffondere lo «splendore del vero»oltre confine, ma che ha esaurito in ciò la sua le­

zione, divenuta in breve anacronistica, proprio perché non «cinemato­

grafica» nel senso classico. Tuttavia, come bene ha indicato De Vin­

centi nel suo saggio sul kolossal storico-romano nell’immaginario del primo Novecento1’, se le fonti e i modelli sono molteplici e, oltre al

grande macroteslo letterario, risalgono alio spettacolo popolare, prima circense che teatrale, e alle diverse correnti figurative, pittoriche e ar­ chitettoniche che ruotano intorno al modernismo, l'elemento fonda­ mentale, capace di «ristrutturare» e, quindi, «strutturare» lutti materia­ li è, infine, e proprio, il cinema. Ed è questa «ri-strutturazione» che

perviene a spccificitàe linguistidlà propria, cioè; se vogliamo, a modo

>a G. P. Brunetta, Storia del cinema italiano 189S-I943, Roma, Editori Riuniti,

1979, p. 145. ” Giorgio De Vincenti, Il Kolossalstoricoromano nell’immaginario del primo Novecento, in «Bianco c Nero», XLIX, 1,1988, pp. 7-26.

Madidi rappresentazione. messa inscena e ipotesi stilistiche^.

41

di rappresentazione autonomo, e non necessariamente primitivo o pre­

classico. Inquesto quadro, riferendosi anche alla parabola evolutiva del gene­

re, che vede nel Quo Vadis? di Guazzoni, e poi in Cabiria, l'apogeo, fino al declino individuato dagli storici proprio nei rifacimenti dello

stessono Vadis? o de Gli ultiminomi di Pompei nei primianni Venti, è interessante cogliere la formazione e l’eventuale crisi di un paradig­

ma, di un modellocomodamente confinabilee confinato in un decennio

in cui modi di rappresentazione e modi di produzione appaionocoerentemente legali a una dinamica conlestualeche vede prima il momento di massimo sviluppo dell'industria cinematografica italiana e poi la sua crisi. Da questo punto di vista la comparazione delle due versioni di

Quo Pta£r?,quelladi Guazzoni, prodotta dallaCinese uscita all'inizio

del 1913, e quella di Gabridlino D'Annunzio e Georg Jacoby,prodotta da Ambrosio per l'UCI nel 1924,può funzionare, in una simmetria per­ fetta, come sintesi esemplare di un percorso «da-a», in cui riconoscere l'evoluzione-involuzione di un'esperienza, lino alla sua conclusione.

Dallo slancio produttivo di unaCinesche spende60.000 lire per la pro­ duzione di un «capolavoro», i cui richiami culturali promuovono la le­ gittimità artisticadello spettacolocinematografico in tutto il mondo, al

tentativo di rilanciare lo stesso programma in un momento di crisi del­

l'industria, quando CUCI, nel 1923, è già in fallimento. Ma, alla prova parziale e settoriale, evidentemente, della verifica te­

stuale e dell'analisi dei modi di rappresentazione, la questione acquista ulteriore complessitàe il percorso «evoluzione e crisi» risultamene li­ neare e consequenziale. Ed è proprio questa non linearità che invita a riconsiderare i caratteri specifici del sistema linguistico-stilistico degli anni Dieci, in opera nel filone preso in considerazione, e la rottura, più

che l'involuzione, che caratterizza i primi anni Venti.

Se la fortuna del primo Quo Vadis? è nota, con entusiasmi che si rilanciano da una costa all'altra dell'Atlantico, è altrettanto nota la

sfortuna del secondo: tanto sforzo di tecnica c organizzazione, non lascia al la fine che sbalordi­ mento ed un penoso senso di vuoto. Perché ostinarsi a montare questi co­ lossi, dopo quanto è già stato fatto nello stesso campo?

42

Introduzione al cinema muto italiano dice per esempio Edgardo Rcbizzi in «L’Ambrosiano» , *

e questo

tipo di affermazione si ritrova poi anche nelle valutazioni critiche e storiografiche successive, nella unanime considerazione del film come

parassitario e pleonastico nei confronti del primo. Il film, nonostante l’apertura intemazionale (la collaborazione tra D’Annunzio e Jacoby, il cast, da Emil Jannings in poi) su cui gioca la produzione, viene in

generale e definitivamente taccialo di essere la cattiva e anacronistica

fotocopia del precedente. L’accusa è, in effetti, in una parola, proprio quella di anacronismo. Ed è qui che l’analisi comparala riserva delle

sorprese e offre degli spunti. Adispetto di ogni luogo comune, fondalo probabilmente su una memoria non rinverdita della visione del primo film rispetto al secondo, le due versioni di Quo Vadi&? risultano asso * (irtamente diverse e radicalmente irriducibili proprio dal punto di vista

dei modi di rappresentazione. Non soltanto le procedure di adattamento del romanzo di Sienkie­ wicz riguardano una diversa e variamente diretta economia di sottra­ zioni, addizioni, spostamenti rispetto al testo di partenza, per cui anche

la.rtoria e non solo il discorso procede almeno in parte in modo diffe­ rente. A partire dal testo letterario e dalle altre mediazioni intertestuali

attivale (rappresentazioni circensi dell’incendio di Roma, rappresenta­ zioni teatrali dello stesso Quo Vadis?, tutti gli altri film storico-romani e cosi via), l’operazione di D’Annunzio e Jacoby non è semplicemente

quella delle variazioni sul tema, ma piuttosto quella di una ri-lettura

narrativa che per esempio pone maggiormente l’accento sugli aspetti morbosi e decadenti dei percorsi più romanzeschi dell’intreccio, in un gusto dell’eccesso e della sensazione vicini al cinéroman francese

da un lato e al kolossal demilliano dall’altro. Scene o sequenze riprese

effettivamente dalla versione precedente (vicine sia sul piano narrativo che su quello scenografico) sono presenti tutto sommato in modesta percentuale (l’innamoramento di Eunice per Petronio, l’incendio di Roma,gli spettacoli circensi, le prediche di Pietro, gli scorci sui raduni

cristiani), in modo da apparire più come singole e discontinue citazio­

ni, o residui non organici, che non come aderenze al sistema testuale

M E. Rcbizzi in «L’Ambrosiano», Milano, 28 febbraio 1925.

Modi di rappresentazione, messa inscena e ipotesi stilistiche—

43

precedente. Anzi, è proprio il sistema testuale nel suo complesso a dif­

ferire, come è già chiaro dalle varianti riscontrabili nelle singole cita­ zioni, e come risulta evidente a livello globale. Ad una primo grezzo

censimento quantitativo, nella linea stilometrica proposta da uno stu­

dioso come Barry Salt, su cui torneremo, riscontriamo innanzitutioche nel film di Guazzoni, coerentemente alle certezze storiografiche in merito, il montaggio privilegia il lavoro sul singolo piano, sulla singola inquadratura, piuttosto che il decoupage in continuità, in via di defini­

zione normativa nella produzione statunitense, e riduce al minimo i piani ravvicinali, contrapponendovi la composizione in profondità; co­ sì come, l'articolazione del punto di vista in uno stesso spazio ottenuta attraverso la variazione di angolazione è scarsamente in opera, al pari

dei movimenti di macchina, limitati ad alcune mobilità laterali della scena. Parimenti, i raccordi sull'asse sono presenti, ma in misura assai contenuta. Il raccordo di direzione almeno in un caso non è rispettalo. Proprio Barry Salt, peraltro, notache il filmèunodei pochi all'interno della produzione italiana degli anni Dieci, in cui si fa un utilizzo non

solo genericamente pittorico, ma espressivo e simbolico dell'illumina­

zione artificiale11, in alcuni determinati casi (Nerone inquadrato in

mezzo primo piano in controluce, illuminato dal basso, e il riflessodelle sbarre della prigione, all'interno del Carcere Mamertino, o nella

grotta dove Pietro parla ai Cristiani). L'ottica di Sali, e la linea meto­ dologica che vi soggiace e chequi si è provvisoriamente ripresa,sem­

bra stabilire quindi, in linea di massima, che il film è descrivibile lin­ guisticamente come un esempio di modo di rappresentazione primiti­

vo, di cinema delle attrazioni, al cui intemo agisce in misura ancora limitata un'istanza diversa, quella dell'integrazione narrativa, nelle tracce di decoupage e nella prefigurazione di modalità che altrove si stanno standardizzando. A un analogo esame quantitativo, il secondo

Quo Vadis? risulta variare totalmente lastatistica rilevabile nel film di

Guazzoni, con un numero elevatissimo di piani ravvicinati, dal primo

Barry Sali, li cinema italiano dalla nascita alla GrandeGuerra: un'analisi sti­ listica, in Renzo Renzi (a cura di), Sperduto nd buio. Il cinema muto italianoeil suo tempo, Bologna, Cappelli, 1991, pp. 49-58; citazione ap. 50.

44

Inlroduziùne al cinema muto italiano

al primissimo piano, un montaggio che prevede abbondantemente va­ riazioni d’angolo, con un decoupage di continuità che spinge la dina­ mica narrativa, a fronte tuttavia di un parco uso di movimenti di mac­ china (gli stessi della versione precedente, quasi residuali) e della per­ manenza puredi molli quadri di insieme. Si potrebbe dire che il film è

ascrivibile al modo di rappresentazione incentrato suH’integrazione narrativa, con qualche sopravvivenza e traccia del sistema storicamen­ te precedente. Se lutto ciò è vero, sembrerebbe di poter affermare che il paradigma narrativo classico è un sistema di tipo storicamente evo­ lutivo (anche semplicemente nel senso della sua progressiva afferma­

zione), e che idue film beneriflctlono una transizione, un passaggio da un sistema che nel primo è dominante e nel secondo è residuale. Tut­ tavia, se è così, come si spiegano le accuse di anacronismo che hanno segnato la (s)forluna del secondo Quo Vadis? e decretato la morte del

genere inteso all'italiana? Il film del 1924 sembra intemazionalizzarsi e dunque, modernizzarsi, non soltanto nel cast, ma anche nel linguag­ gio. Ad essere anacronistica potrebbe allora essere l'appartenenza di

genere, eppure, in quello stesso territorio americano nel quale tanto successo ebbero i kolossal italiani degli anni Dieci e su cui conta la produzione UCI, agiscono nello stesso filone Fred Nibloe De Mille, che dopo i Dieci comandamenti, prosegue ancora con // re dei re,

per restare agli anni Venti. La sproporzione, il fallimento, forse riguar­ dano piuttosto il rapporto tra il linguaggio e il genere, tra una parlala e un contenuto previsto.

A rileggere la recensione prima citala sull'«Ambrosiano», quel senso di «vuoto» lamentalo dal commentatore riguarda forse proprio il vuoto tra la rappresentazione e il rappresentato, o il rappresentabile,

nel senso delle aspettative proprie del genere. Se la logica narrativa scelta da D'Annunzio e Jacoby è quella sottolineata prima, potrebbe risultare coerente la diversa dimensione stilistica che, nell'uso spesso scabroso dei piani ravvicinati (a cominciare dalla nudità vista in diver­ si dettagli della fanciulla gettata in pasto alle murene all'inizio del

film, per proseguire con gli eventi dell'orgia o lo svenamento di Pe­

tronio ed Eunice, che suscitarono interventi censori) lenta di dare for­ ma visiva al sensazionalismo e all'eccesso. Ecco però che il rapporto

intertestuale con il film precedente e con tutta una tradizione, attivato

Madidi ropprtsenlcuiont, messa inscena e Ipolesi stilistiche-.

45

anche dalle citazioni e dai residui del film di Guazzoni presenti eflettivamente in modo disorganico nel nuovo Quo Vadis? fanno proble­

ma, stabiliscono una identità critica e aprono delle crepe nel sistema testuale globale. L'immaginario di riferimento viene a cozzare con le immagini che non gli corrispondono. Per riflettere su questa questione

dell'adeguatezza di immagine e immaginario, a partire dall'evoluzio­ ne di un generee delle sue modalità rappresentative, a titolo di spunto ricordo come l'assimilazione della lezione italiana e la relativa e pe­ culiare appropriazione e trasformazione in forma nuova, passa, per Griffith, proprio attraverso una riflessione sulle modalità stilistiche di rappresentazione della scena storica. Non a caso Intolerance mette in scena quattro epoche della storia attraverso l'analisi e la rielabora­

zione di quattro difTerenti ipotesi stilistiche, in un film-laboratorio ba­

salo sulla de-strulturazione (il montaggio parallelo che si scontra con il montaggio alternato all'interno dei diversi episodi ecc.). Così come, in una misura meno rilevante sul piano metalinguistico e più ancorata

a una convenzione, inaugurata peraltro ancora da un film italiano, Sa­

tana (Maggi, Ambrosio, 1912), anche i Dieci comandamenti di De Mille si strutturano su due epoche, quella biblica e quella contempo­

ranea, laddove le opzioni stilistichee di rappresentazione si distribui­ scono coerentemente secondo necessità nei due episodi, più vicino al­ lo stile italiano il primo, più americano il secondo. Ed è qui che pos­

siamo ritornare allo stile italiano, così come risulta nel modello di Guazzoni.

Se alla dimensione quantitativa e statistica prima abbozzala, si so­ stituisce un'analisi qualitativa, appare con evidenza che siamo di fron­ te a un mododi rappresentazione pieno e compiuto in se stesso e, in questo senso, a suo modo classico. La composizione in profondità,

su cui si appoggia quell'idea di conquista dello spazio che gli storici hanno da sempre sottolineato, appare come una modalità assolutamen­ te e consapevolmente alternativa allo stile classico-istituzionale, come una sorta di forma simbolica della scrittura della Storia, alla ricerca di

un cronotopo propriamente cinematografico di esplorazione e resa vi­ sibile della Storia stessa. La scena in profondità di campo, articolala attraverso presenze e dinamiche profilmiche su tutti i piani dello spa­

zio, risulta abitata da personaggi, arredi, architetture, decor che sono

46

concrezioni dell immaginario *

Introduzione al cinema muto italiano storico, nella stratificazione delle fonti e

dei modelli di riferimento, resi visibili, attraversabili dalla percezione

dello spettatore proprio in una dimensione profonda che risulta simbo­ licamente in sé la profondità della Storia stessa. La percezione e la per­ corribilità visiva della composizione in profonditi nella sua dimensio­ ne plastica e volumetrica, su cui si è appoggiata l'idea di «splendore

del vero» (la recensione di Matilde Serao, all'indomani della prima del film parlava di un «mondo vero» che si apre ai nostri occhi22), ri­ guardano anche, a ben vedere una dimensione non solo di spazializza-

zionedell'immagine, ma ribaltandola prospettiva,una sua temporalizzazione. Il tempo della durata della percezione, guidata da composi­ zioni su prospettive diagonali, orizzontali o verticali, anche a partire dalle dinamiche profìlmiche che vedono non solo generici movimenti

di comparse distribuiti su tutta la profondità, ma anche azioni dialetti­

che e tensive tra primo piano e sfondo), diventa metafora materiale,

espcrienziale dell'atlraversamenlodel tempo. Daquesto punto di vista, proprio rispetto alla frequente occorrenza di dinamiche diegetichedia-

lettiche, organizzate su più piani di una stessa inquadratura, viene in mente, come piccola provocazione o suggestione teorica, di parlare

di «montaggio proibito», laddove la figura del decoupage intemo al­

l'immagine si pone in contrapposizione consapevole al montaggio. Consapevole perché le pur non frequenti occorrenze di variazione

del punto di vista attraverso il montaggio, le mobilità laterali della macchina da presa, i raccordi sull'asse testimoniano di una conoscenza

e di una cosciente relativizzazione e diversa funzionalizzazione rispet­ to allo standard americano di queste stesse risorse del linguaggio. La circolazione del punto di vista all'interno di una scena non si dà mai

come alternativa alla composizione in profondità di campo, quanto piuttosto come potenziamento e prolungamento della stessa vastità e

ampiezza della rappresentazione. Si vedano le inquadrature che mo­ strano le tribune del Circo Massimo nella sequenza delle lotte mortali dei gladiatori e dello strazio dei cristiani dati in pasto alle belve. Qui

“ Cfr. Malildo Seno, La vita palpitante di un grandefauaia>, «Il Giorno», Na­ poli, 4 marzo 1913.

Modi di rappresentazione, messa inscena e ipotesi stilistiche...

47

intervengono pure i movimenti di macchina già citati, piccole panora­ miche laterali, che dilatano ulteriormente lospazioa una visioneche si amplia a piacimento, aprendo lo scenario della Storia, già angolato e attraversato in molteplici direzioni. In questo senso appaiono impor­

tanti le parole dello stesso Guazzoni, quando nel 1918, su «In penom­ bra» afferma:

pensavo: il cinematografo, a differenza grande del teatro, consentirà di ab­ bracciare c dare visioni di campi vastissimi; potrà non avere quasi limita­ zioni, cosi da spezzare le tradizionali pastoie dell’unità di tempo edi luo­ go; potrà attraversare momenti sintetici c rappresentativi. La presenza di queste figure di montaggio o di mobilizzazione del­

la macchina da presa, sul piano qualitativo non ha nulla ache fare con eventuali timide apparizioni del linguaggio deU'integrazione narrati­ va, come risulterebbe da un rilievo statistico-quantitativo. Le stesse figure possono avere funzionalità diverse ed è bene ricordarlo; qui so­ no al servizio di una nozione estensiva di messa in scena, di costru­ zione di uno sguardo globalizzante che è poco descrivibile nei termini di una precisa istanza narrante che si posiziona localmente nei con­

fronti di personaggi o del sapere narrativo attraverso le articolazioni del punto di vista in base alla logica del racconto. La scena appare in qualche modo infrangibile anche quando la dinamica narrativa è forte e dominante. Anzi, proprio in questi casi si rafforza l’alternativa della composizione in profondità rispetto al decoupage, la mise en cadre rispetto alla miseen chainez l’organizzazione di un quadro rispetto al­

la concatenazione di diversi quadri. Si veda, per esempio, un caso davvero eclatante e quasi letteralmente baziniano. Quando, in una straordinariamente ampia profondità di campo dell’arena del Circo Massimo i soldati conducono i cristiani al supplizio. Vediamo il grup­

po formato dagli uni e dagli altri entrare in campo dal primo piano a destra del quadro e lo seguiamo, nella durata temporale e nella pro­ fondità di un campo lunghissimo, muovere fino al fondo del quadro,

per fermarsi nella zona estrema, in lontananza, lasciando il campo an-

Enrico Guxcaoai, Mi con/aorrù, «In Penombra», I, 2, luglio 1918, p. SS.

Introduzione al cinema muto italiano

48

listante, fino al primo piano assurdamente vuoto. Nella durata soste­

nuta dell'inquadratura questo vuoto diventa attesa visibile, suspense, fino a che, dal bordo sinistro del quadro, in primo piano, vediamo

avanzare i leoni e muovere verso il gruppo dei cristiani. Il cacciatore

e la preda in una inquadratura che mette in valore proprio la compre­ senza, nella profondità di una dialettica e di una tensione che si vede crescere nel tempo direttamente rappresentato neirinquadralura. Da

questo punto di vista, l'ottica di chi vede in modalità analoghe una

soluzione arcaica e precedente il montaggio alternato, non sembra ri­ spettarne la compiutezza e autonomia, nonché il valore reale di siste­

ma alternativo al decoupage, così come poi, successivamente, storica­ mente si è dato. In questo senso, verrebbe anche da pensare che il gra­ do di consapevolezza nell’utilizzo di un sistema alternativo allo stile classico-istituzionale in formazione potrebbe essere testimoniato an­

che dalle resistenze a sostituire la composizione in profondità con una spazialità mediamente più ravvicinata, anche quando dal 1912 circo­ lavano in Italia manuali come quello del francese Louis Gasnier che

predicavano, per gli inscenatori italiani, un maggior uso dei primi pia­ ni e del decoupage, laddove, a detta della Proio, Ambrosio e Negroni,

ribadivano che la scena all'italiana poteva ottenere gli stessi effetti di segmentazione e messa in rilievo anche all'intemodel quadro14. Cosa

che anche un recensore americano sembra notare, proprio a partire db {Tuo Vadis?'. i produttori americani impareranno una cosa da questo film, se vorranno apprenderla. None necessario tenere gli attori sempre suite linea dei dicci piedi. In questo film vi c una maggior prospettiva per il tetto che te mac­ china da presse piazzata più lontano rispetto agli attori c l'azione contri­ buisce ad un 50 per cento solo del valore della produzione1'.

Ma come sappiamo è accaduto piuttosto l'opposto, come testimonia invia indicativa ed esemplare il tentativo di americanizzazione e resty-

** Maria Adriana Proto, Storia dei cinema aatto italiano. Mitene, Il Poligone, 1951,p. 52 c segg. Sulla posizione di Ambrosio ri rinviasi par. 22. n «New York Telegraph», 22 maggio 1913.

Modi di rappresentazione. messa inscena e ipolesi stilistiche-.

49

ling effettualo da D'Annunzio e Jacoby con la ripresa di Quo Vadis?, contribuendo a segnare una rottura, una crisi o una soglia nella storia

dei modi di rappresentazione del nostro cinema.

2.4 Il modello italiano e il film storico statunitense. Il caso «Cabiria»: fortuna e crisi di un modo di rappresentazione Il ruolo e l'influenzache Cabiria esercita sul film storico statunitense

riguardano ragioni culturali e ideologiche ampie che trascendono evi * dentemente il piano propriamente stilistico e cinematografico in senso stretto. Senza entrare nel merito di una contestualizzazione più gene­

rale, è interessante soffermarsi qui,con qualche annotazione indicativa

e limitandosi ad alcuni esempi essenziali, alle dinamiche di scambio

tra il modello italiano e quello americano, segnatamente per quanto ri­ guarda la messa in scena e lo stile. Preliminarmente, va precisato che l'impatto di Cabiria, su entrambi i versanti, quello più generale del

contesto storico-ideologico e quello, più specifico del discorso cine­

matografico, si inserisce in unapiù ampia spinta avviala già preceden­ temente non soltanto con il più volte ricordalo Quo vadis? di Guazzo­ ni, ma con gli altri film storici italiani che, a partiredal 1910-11 susci­ tano, tra l'altro, un interesse critico specifico intorno al modellostorico italiano all'intemo della pubblicistica americana * 6.

Da questo puntodi vista, sema tornare in dettaglio sui film che pre­ cedono Cabiria, può essere utile proprio fare riferimento allaricezione critica per rilevare alcune questioni essenziali. In effetti, è interessante

notare come già prima del film di Paslrone, i commentatori mettessero in rilievo, per quanto riguarda i Kolossal epici italiani, soprattutto le qualità specificamente legate alla spettacolarità della messa inscena,

alla magnificenza della visione in profondità, delle scene di massa

M Cfr. Giorgio Bcrtcllint, Epica spettacolarec splendoredri wru. L‘influenza del cinema storico italiano in America (l90SI9l5),mG. P. Brunetta (acura di), Storia del cinema mondiale. Gli Stati Uniti, v. //. L 1. Tonno, Einaudi, 1999, p. 246.

50

Introduzione al cinema muto italiano

ecc., piuttosto che la capacità narrativa17. QucsTullima viene messa,

poi, esplicitamente in discussione a proposito di Cabiria'. In verità, Io spettacolo riesce spcssoa nascondcreuna buona storia al pun­ to da «ucciderla». Per esempio, Cabiria, che cun lavoro monumentale dal punto di vista spettacolare, e |.~] artisticamente difettoso poiché manca dell'equilibrio c della proporzione fra i suoi effetti meravigliosi così ben riusciti |._] c gli elementi relativi alla narrazione c ai personaggi che invece passano in secondo piano1* .

Come si nota, il recensore evidenzia una sorta di contraddizione tra gli elementi spettacolari e quelli narrativi. Anche Vachel Lindsay sot­ tolinea, proprio in relazione a Griffith, che le qualità di Cabiria non

risiedono certo sul piano della logica e dcH’clficacia narrativa, su cui il regista americano mantiene una netta superiorità.” Tuttavia è proprio lo spettacolo di Cabiria a costituire una lezione e un momento di rilancio e svolta nel cinema storico griffithianoe statunitense in ge­

nerale. Non è il casodi ricordarci noti aneddoti e le cronache sulla rea­

zione di Griffith alla visione di Cabiria ed è altrettanto nolo quanto l'e­

mozione in lui suscitala dal film sia presente nella spinta e nella passione che portano a Intolerance^ 1916). Ma è significativo però consta­

tare come ancora in sede critica la consapevolezza del ruolo che il film avrebbe svolto sia netta, in un preciso quadro che toma anche a prece­ denti film storici italiani. È Stephen Bush ad affermare: Coloro fra noi che ricordano il primo sforzoambizioso della Itala, La ca­ duta di TYoia saranno in una buona posizione per giudicare l’andatura da gigante con cui l’arte si sta avvicinando alla sua vetta. La cadutadi Ttoia

w Cfr. Frank Woods, Spectator jr Comments, «New York Dramatic Minor», 3 aprile 1912. * William Morgan llannon. The Photodnuna. Itsplace Among the FineXrtiNew Orleans, Ruskin Press, 1915, p. 38, ck. inG. Bcrtellini, Epica spettacolare e splendo­ re dd mw,c 61-80. H Per ulteriori notizie, si vedi Brunetta, Op. ciL, pp. 181-192.

“ «Diva-film o cinema in frac, film dannunziani o simbolisti odecadentisti o “bi­ zantini": questo cinema, da scmpcre consideralo tardo, è invece la nostra avanguar­ dia». Michele Canoa», «A nuova luce», in4 nuova hice. Cvtau mulo italinnoi, Bo­

logna, CUJEB, 2001, p. 12.

112

Introduzione al cinema nudo italiano

1916). Del resto non si può ignorare come i primi modelli del divismo italiano, siano essi letterari, teatrali o cinematografici, siano innanzi *

lutto personali'. Asta Nielsen, D'Annunzio, Eleonora Dusev. Dal punto di vista sia stilisticoche narrativo, il film divistico è in­ somma un misto di elementi eterogenei che trovano la loro unità solo

in funzione del ruolo centrale attribuito all'interprete, come strumenti per esaltare, avvolgendolo in un alone quasi mistico, lo splendore delle protagoniste femminili. Se la natura eteroclita di questo corpus impe­ disce ai critici coevi di coglierlo inquanto «genere» (il confrontomuove inevitabilmente verso gli altri film della stessa attrice), a posteriori è

possibile riconoscere l'esistenza di uno schema narrativo ricorrente, debitore per l'essenziale delle disavventure de\\afemmefatale ottocen­ . * tesca Innocente o mondana, ingenua o superba, proletaria o aristo­ cratica, la femmefatale è fatale per se stessa non meno che per gli uo­ mini che sono attrai li dal suo fascino magnetico. Il suo è il drammadel-

1 a bellezza come colpa involontaria, potenza di fascinazione che trasci­

na gli uomini alla rovina, rendendoli vendicativi, malvagi, folli. Con ostinata regolarità il copione si conclude con la morte della protagoni­ sta: per malattia o consunzione, pazzia, aggressione violenta, suicidio. Come Francesca Bertini dimostra nel soggetto di un suo film perduto

del 1916, La perla del cinema, la scena madre di ogni vera diva con­

templa il suicidio. La trama: pastorella scoperta dal cinema accede allo

stalusdi diva e giuntaal culmine del suo successo(e dell'esplosione di passioni maschili che ha suscitato), mette in scena la propria morte da­ vanti all'obiettivo in quello che sarà il suo capolavoro definitivo. Ma

" Sull’ispirazione «personalista» del divismo italiano mulo si vedano (per D’An­ nunzio): Antonio Costa, «Autobiografìa corno ritrailo d’artista», in PrimaddTtndore, a cura di Anja Franccschcttie Lxonardo Quaresima, Udine, Forum, 1997; (per Asta

Nielsen) Giovanni Lari, «Itolarslcnu», in (Carola Gramman, Eric de Kuyper, Scbcnc Nesrel, lleide Schlùpmann, Michael Wcdd (a cura di), Asia Nidta. Ihr Kino 1910-1933, voi. I, Wicn, Filmarehiv Austria, Wicn, 2009; (per Eleonora IXxse), Cri­ stina Jandelli, Le dive italiane, ciL, pp. 147-180. “ Si vedano di Liscila Renzi «Grandezza c mode delh/hnMc fatale», in Renzo

Renzi (a curadi),5pmhdo ndbùo. Il cinema mulo italiano e Usuo tempo (!90S1930), Bologna, Cappelli, 1991, pp. 121-130, c Le dive dd mulo. Modelli difemmi­

nilità e iconografia, in A nuova luce, ciL, pp. 167-181.

La politica dei {teneri

113

pur nei limiti della loro dipendenza dai modelli del decadentismo let­

terario, le dive mute sono anche protagoniste di una rivolta culturale contro i suoi stereotipi. Dove il racconto le vuole vittime e battute, sa­

cri ficaie sull'altare del loro fascino, lo stile visivo dei loro film ne fa, viceversa, centri di graviti assoluta, presenze carismatiche e autorevo­ li, che si impongono anche nella sfera extra-cinematografica come mo­

delli di prestigio femminile. Del resto non si può ignorare che il film divistico non esaurisce lutto il campo del «genere» (indubbiamente macrogenere) melodrammati­

co. Un fenomeno del tutto peculiare, e in sé dotato delle caratteristiche

di un genere, è rappresentalo dal cinema napoletanoe dal suo profondo legame con le forme e le pratiche della sceneggiata musicale”. Nata sui palcoscenici cittadini come misto di teatro e canzoni popolari, la sceneggiala si trasferisce sugli schermi (con musica dal vivo) soprat­

tutto grazie al lavorodi Elvira e Nicola Notari e della loro casa Dora

* Films 0. Ma il filone é ingrossato anche da altri produttori, come la Partenope Films dei fratelli Troncone (Fenesta che lucive..., 1914), la

Amy Films (produttrice di molti titoli di Ubaldo Maria Del Colle, da Te lasso! a Lo zappatore, 1925 e 1930), e la casa di Gustavo Lombardo,

marito di LedaGys (Vedi Napoli e poi muori, Napoli è una canzone, 1924 e 1927). Quanto a ElviraNotari, occorrenotare come,accanto ai

popolari adattamenti di canzoni acclamate in varie edizioni del Festi­ val di Piedigrotla (unica parte del suo lavorodi cui si sia pervenuta te­ stimonianza, in film come Èpiccirella e ‘A santanotte, 1920 e 1922), nella sua produzione figurano anche molti titoli ripresi dal romanzo

w Sui rapporti Ira sceneggiala c cinema mulo napoletano» veda Stefano Masi, Mario Franco, Il mare, la luna. i coltelli. Per una rtariadd cinema muta napoletano,

Napoli, Pironti, 1988. ** Sul cinema di Elvira Nolari, oltro al libro di Giuliana Bruno, Rovine con ritta.

Alla ricerca dd cinema perduto di Elvira Notati, La tartaruga, 1995 (ed. or. Streetuvalkingon a Ruined Map. Cultural Theory and the City Film» ofElvira Notati, Prin­ ceton, Princeton University Prost, 1993), riveda l’importante studio di EruaTroianelli,£Mra Notati, pioniera dd cinema napoletano, Roma, EURoma, 1989. Sul ruo­ lo di Mastriani c Invcrncrio nell’immaginario letterario italiano del periodo, ri veda Antonio Faeti, «Lord Percy spora Nelly la domatrice», in Sperduto nd buia, cit

Introduzione al cinema muto italiano

114

popolare italiano, non solo napoletano: oltre a Francesco Mastriani

(Ciccio il pizzaiuolo del Carmine, Il barcaiuolo di Amalfi, La Medea di Porta Medina, 1916, I9l8e 1919), troviamo Carolina Invemizio (ZI

nano rosso e Chiarina la modista, 1917 e 1919), mentre sappiamo che il desiderio di Elvira di poetare sullo schermo un'opera di Matilde Se-

rao non si concretizzò per l'impossibilità di pervenire a un accordo con

la scrittrice41. Proprio il romanzo d'appendice rappresenta ancora un ulteriore aspetto delia riconfigurazione del melodramma nel cinema muto ita­

liano. Oltre alle riduzioni dalla Invemizio (dodici titoli tra 1916 e il

1920) e alla serie tratta dal libro Cuore (nove titoli, 1915-16), vanno

per la maggiore anche gli adattamenti a episodi di molti feuìlletons

francesi, a partire da Les mystìres de Paris di Eugène Sue, con ben due riduzioni di Del Colle (Il ventre di Parigi) e Serena (Parigi mòtteriosa)ne\ 1917. Altri popolari scrittori francesi rappresentati in questo

filone sono Ponsondu Terrai! (Rocambole, 1919), Xavier de Montépin

(Il fiacre n. 13, 1917) e Miche) Zévaco (Il ponte dei sospiri, 1921), ognuno con vari titoli e ancor più numerosi episodi al proprio attivo43. E certo può colpire come lo sfruttamento del romanzo popolare d'ol­

tralpe sia addirittura più sistematico in Italia che nella stessa Francia,

do ve il cinema seriale si è da tempo già avviato sulla via di un confron­ to con le forme più moderne provenienti dall'America (Musidoracon­

tro Pearl White). Ma si deve riconoscere che, come molti film divistici e una parte importante della produzione di Elvira Notati, anche questi melodrammi di sapore più nostalgico e letterario riescono non di rado

a circolare all'estero (soprattutto in Francia, con un singolare effetto rebound”).

Si veda in proposito la tcstimoniarua di Martinelli, «Due o tre cose che so di Elvira Notai», in Non solo dive, p. 134. Cfr. anche Gina Annunciala, «Matilde Seno c il cinematografo», /»t,pp. 249-236. ** Cfr. Giovarmi Marchesi, Cinema e letteratura. Il cinema muto italiano e le let­ terature straniere, Immagine, nuova serie, 29, 1994-95, pp. 4-27. 41 Molte notirie sulla cùcohrione di questi cabri film seriali italiani in Francia si

trovano neirappcndioe filmografica all'articolo di Roger Icari, Seriate etfilms Jean-

La politica dd generi

115

4.5 Avventure in serie Nel caso del film seriale l’elemento melodrammatico tende comunque sempre a sfumare in vari altri registri: avventuroso, ricostruzione sto­ rica, poliziesco, fino addirittura alla farsa. Come in altri paesi anche in

Italia il campo del film seriale è il regno del composito, del frammisto, della combinazione di motivi e registri narrativi, del primato della va­ rietà intesa come valore aggiunto della serialità: invece che tanti film

di genere diverso, tutti i generi in ogni film della serie. Ma ovunque il tono prevalente è quello del sensazionale, di un avventuroso che sem­ bra nascere per gemmazione dal melodramma (mettete il melodramma fuori dalle mura di un teatro, dategli aria e spazio, e vedrete quante av­ venture correrà!)44 Maciste e Za la Mori, che nascono entrambi in altri

contesti di genere (il film storico per Maciste: Cabiria, e il film divi­

stico per Za la Mort: Nelly la gigolette), si affermano però in sostanza come epigoni dei superuomini giustizieri del romanzo d'appendice ot­

tocentesco descritti da Gramsci in alcune celebri passi intorno a «Let­ teratura e vita nazionale»4'. Lo stesso Emilio Ghione riconosce questa

filiazione dichiarando nel 1930 il suo debito nei confronti del perso­ naggio di Arsine Lupin, il ladro gentiluomo di Maurice Leblanc44.

Se il personaggiodi Za la Morte reso più complesso dall'ambiguità

fuù à tfxxoda, in AA.W.. Le Cinema fianqais daa le monde, Influences reciprofucx Actes du Simposium FIAF 1988, Toulouse et Perpijpum, 1989, pp. 215-225. 44 Sul «melodramma sensazionale» dello serial queens americano ri vedano Ben Singer, Mdodruma and Modernity: Early Sensational Cinema and Ils Contests, New York, Columbia University Press, 2001, e Monica Dall’Asta, Trame spezzate. Ar­

cheologia delfilm seriale. Rocco, Le Mani, 2009. 41 Antonio Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Roma, Editori riuniti, 1996 *, consultabile on line all’indirizzo www.intratcat.com/IXT7rTA3066. Sul tema del «su­

peruomo» nel romanzo d’appendice ri veda anche Umberto Eco, H superuomo di mosso, Milano, Bompiani, 1978. * Emilio Ghione, Le cinema italica, in AA. W.,L‘Art cinématographique, voi. VII, Paris, Alcan, 193O,pp. 43-45. Lo studio più completo su Emilio Ghioneùstalo

pubblicalo da Denis Lotti, Emilio Chiane, 1'ultimo apache. Vita efilm di un divo ita­ liano, Bologna, Cineteca di Bologna, 2008. Si veda anche Vittorio Martinelli,Za la Mart, Bologna, Cineteca di Bologna, 2007.

116

Introduzione al cinema muto italiano

morale che eredita dai suoi modelli francesi, nel caso di Maciste gli

schemi melodrammatici sono impiegati come da manuale: le imprese muscolari dell’eroe interpretalo da Bartolomeo Pagano (ex camallo

scovalo da Pastrone nel porto di Genova) sono di regola innescale da richieste d’aiuto da parte di personaggi indifesi, spesso giovani don­ ne minacciale da pericolosi delinquenti. Cosi è già in Maciste (1915),

primo film interpretalo da Pagano in abili borghesi dopo aver smesso il

peplun?7'. una giovane donna inseguita da certi bruti entra in un cinema dove si proietta Cabiria e incantala dalla forza di Maciste decidedi an­ dare a cercarlo presso la Itala Film per chiedergli aiuto4* . Il buon gi­ gante non si sottrae e così ha iniziola sequeladegli inseguimenti e de­

gli scontri, delle catture e delle fughe, fino al ristabilimento dell’ordine

asuondi pugni,con la punizione dei cattivi e il trionfo dei buoni. L’in­ treccio ricorda da vicino le formule dei film seriali americani, i «me­ lodrammi sensazionali» di Pearl White e altre dive dell’agilità, con la

differenza chequi tutto il movimento avventuroso dell’azione fisica e

narrativa si concentra sul corpo maschile, ipertrofico e fortissimo, di Maciste. Si comprende dunque perché nel 1963 Mario Verdone propo­

nesse di riferirsi al nutrito filone dei «forzuti» - che oltre a Pagano an­ novera figure come Luciano Albertini (interprete di molli film come Sansone o Sansonia), Giovanni Raicevich (reduce dal successo nel

ruolo di Ursus, nel Quo Vadis? di Guazzoni), Cario Aldini (zf/ax, 1919), Mario Guaita-Ausonia (L’allelafantasma, 1919), Alfredo Boc­ coli™ (Galaor), Domenico Gambino (Saetta), fino a Cario Campogai * liani (divo minore di un cinema dinamico di gusto americano) - chia­ mandolo «atlelico-acrobalico», proprio a sottolineare l’aspetto prepo­

tentemente fisico e sportivo di queste avventure47. In questo senso vera­

47 Sul film Maàxteù veda anche il contributo di Claudia Gianetto pubblicato in questo volume. 44 Come ha notatoAlbcrto Farasino, in qiasi lutti i suoi film Maciste entra in sce­ na nel ruolo di se stesso, divo dcU’ltah, quanto basta per fame un «metaerocuc al tem­ po stesso un «noo-pcrsoaaggio»; Maciste e il paradigma divistica, in Cabiria e il suo tempo, a cura di P. Belletto, G. Rondolino, Milano, Il Castoro, 1998, pp. 223-232. ** Mario Verdone,//film atletico e acrobatico, «Ccntrofilm», 17,1961,pp. 3-64.

Per ulteriori approfondimenti su questo fortunato filone si vedano inoltre Alberto Fa-

La politica dei generi

117

mente i forzuti sembrano rovescio delle serial queens americane, ce­

lebrazione dei poteri del corpo nel senso (piuttosto maschile) della possanza, di una forza quasi sempre intesa come resistenza statica (ti­ pica la scena di Maciste innamoralo, 1919, dove il gigante riesce da solo a contenere, con l’enorme apertura delle sue braccia colossali, i

lavoratori di una fabbrica in sciopero) o punizione corporale (l’obbli­ gatorio finale dove l’eroe consegna i malviventi alla giustizia dopo una

scarica di legnale). Del resto il film atletico o sportivo guadagnali contributo anche di alcune donne: prima fra tutte l’imponente Astica, boxeuse e raddrizza-

lorti, della la «Maciste donna», interprete di quattro film (dei quali il più noto è Justitia, 1919). Ma si possono citare anche Linda Albertini

(Sansonelte, spalla di Sansone, ma anche titolare per breve tempo di una serie in proprio), Ethel Joyce, protagonista dei movimentali episo­ di di Gli artigli d'acciaio (Giovanni Guarino, 1920), o Piera Bouvier, ladra in calzamaglia nera in La canaglia di Parigi (sette episodi diretti da Gennaro Righelli nel 1918)“. È interessante osservare, comunque»

come la presenza femminile nel cinema d’azione cessi del lutto dopo il 1920, proprio nel momento in cui il fascismo squadrista comincia ad

affermarsi nel paese e mentre le avventure degli uomini forti conqui­ stano una visibilità sempre maggiore sugli schermi. La sintonia di que­

sto cinema coni concetti di ordine e disciplina che si vannodiffondendonon riguarda solo la somiglianza fisica, spesso osservala, tra Mus­

solini e Maciste (e anche Za la Mori), ma anche lo spirilo d’ordine, a inclinazione punitiva, che segna l’orientamento ideologico di queste

avventure'1. Macistee i forzuti si ergono a difesa non solo di fanciulle,

ma soprattutto di imprenditori, aristocratici e sovrani (Maciste impera-

rassinoc Talli Sanguineo (a cura di), (7/ìmmwóuforti, Mihno,MazzoUa, 1983, cMo nica Dall'Asta, Un ànima nuadé Lesurhonune donile ànana Kidilalùit (19141926), Cnméc, Yellow Now, 1992. * Per ulteriori notizie sull 'alti viti di queste ed altre attrici del cinema d’azione, si

veda Martinelli, «Lasciate fare a noi, siamo forti!», in Gli uominifarti, ciL,pp. 21-23. 11 Si veda in proposito il fondamentale saggio di Renzo Renzi, «Il Duce, ultimo divo», in Sperduta nd buio, c«L,pp. 131-139.

118

Introduzione al cinema mulo italiano

tore, 1924) e perfino del re dell’oltretomba, Plutone, contro la rivolta dei suoi demoni (Macisteall'inferno, 1926)! Con Za la Mort, la derivazione dal romanzo d’appendice diviene esplicita. Chiamalo a ricordare, negli anni Trenta, le circostanze del­

l’invenzione del personaggio, Ghione spiega diavcr crealo il tipo del *

V«opache sentimentale di nobili sensi» sul modello di Arsene Lupin, giustificando il prelievo (in modo abbastanza paradossale: ma si deve

tener conto che il lesto esce come contributo a una rivista francese) con l’esigenza di «difendere l’onore della nostra produzione» dalla

concorrenza del poliziesco francese'2. Ma il riferimento al poliziesco

non deve ingannare: la tradizione entro la quale si collocano tanto Lu­ pin che Za la Mort corrisponde molto esaltamenlea quella che Umber­ to Eco, sulla scia di Jean Torte), ha definito la «terza fase, o neo-eroi­

ca» del romanzo popolare, caratterizzata dall’apparizione (in Italia con un certo sfasamento cronologico rispetto alla Francia) di un nuovo

tipo di superuomo di matrice antieroica, illegalista e fondamentalmen­ te individualista”. Nei film di Za la Mort sono chiaramente distingui­ bili echi, oltre che di Zigpmar (romanzo a puntate di Leon Sazie, 1910,

e tre episodi cinematografici di Victorin Jasset, 1911-13, due dei quali circolati anche in Italia”), anche di Faniomas (la celebre saga di Pierre

Souvestre e Marcel Allain, prontamente tradotta in Italia da Salani nel 1915-16). Ma proprio per questo gli spunti polizieschi del cinema di Ghione non si muovono certo nel solco dei racconti in chiave logica

e razionale di Conan Doyle e altri pionieri del poliziesco moderno. Al contrario le radici di questa immaginazione sono saldamente ancora­ te al repertorio del feuilleton ottocentesco, dunque ancora una volta al melodramma, «genere» multiforme e trasformista per vocazione in­

nata”.

u Emilio Ghiotte, Op. ciL u U. Eco, Op. ciL; Jean Tortcl, lì romaico popolare, in Umberto Eoo c Cesare Su­

ghi (a cura di), Ccnt'a/uùdopo. Il ritorno ddl'inirecdo. Almanacco Bompiani 1972, Milano, Bompiani, 1971, pp. 22-36. M Cfr. V. Martinelli, «Film Éclair in Italia», Immagine, n.21, 1992, pp. 1-30. " Per una discussione dclb derivazione melodrammatica del poliziesco francese, sulb scorta di osservazioni di Thomas Nareepc, si veda Dall * Asta, «Dal melodramma

La politica del generi

119

Più che di poliziesco si dovrebbe quindi forse parlare di «romanzo

della malavita», dramma a forti tinte passionali nel quale il tenebroso e affascinante apache, mezzo ladro e mezzo gentiluomo, cede volentieri al fascino di bellegigoZefter, come appunto nel suo film d'esordio Nel­

lyla^oleite, o in Anime buie, o ancora nella splendida scena del tan­ go di Der Traumder Zalavie, giralo in Germania nel 1924, dove è con­

teso tra la sua partner fissa Rally Sambucini (Za la Vie) e una vampiresca Fem Andra. Le atmosfere dei film di Ghione sono quelle dei ta­ barin di inizio secolo, dove si beve e si ballano le canzoni alla moda, come «Scettico blue». Ma al tempo stesso l'ispirazione del romanzo

popolare spinge per fare di Za la Mori un giustiziere e un difensore dei più deboli, sul tipo di Rocambole, fornendo lo stimolo per un lato più francamente avventuroso. Questo è evidente soprattutto negli otto

episodi deZ topi grigi (1918), doveZa la Mori si incarica di proteggere un giovane orfano dai banditi che lo perseguitano per impadronirsidella sua eredità: seguono innumerevoli avventure per terra e per mare, con un viaggio tra i pamperos in Argentina e un naufragio su un'isola abitata dai selvaggi. L'intrigo poliziesco è solo un pretesto che sì perde subito in una narrazione senza capo né coda e che, come nel cinema

serialedi altri paesi, riceve il suo impulso dal gusto composito dell'im­ maginazione melodrammatica. Ma va riconosciuto che con Za la Mori Ghione compie comunque il tentativo più consistente di elaborare uno stile visivo, se non narrativo, in sintonia con il genere poliziesco emer­ gente'6. Insieme alle divee ai forzuti, la figura di Za la Mori è emblematica

della vocazione personalistica che caratterizza il nostro primo cinema. Più che evolvere in direzione di un sistema dei generi definito, la pro­ duzione muta italiana si affida alla forza carismatica di certe persona­ lità allenali, che, come nel casodi Ghione, possono arri vare a costitui­ re dei «generi» in sé. Il vero elemento unificatore di questa produzione

alb serialità. Il caso FaMàauu», in Sara Pesco (a cura di), inInùbaMÌ ddla vita. Il atdodnuoHta cinauto^raftco, Rocco, Ix Mani, 2007, pp. 98-109. * Nelb stessa linea si collocano Agenzia Griffoni (Ambrosio, 1913). 7qpù(ltab, I9l4),57/tbcr (Corona, 1915) c le serie: Raffio delbPasquali(1911-1912) c Gli sca­

rabei d'oro delb Cine * (1914).

120

IntrodiaiùM al cinema muta italiano

consiste nelTindistinzione di attore e personaggio attraverso una serie di film, dove la presenza del divoo della diva si rinnova, ogni volta, tra ripetitività e trasformismo'7.

4.6 Altre tendenze Accanto ai principali filoni produttivi è possibile riconoscere alcuni tentativi che, se pure non arrivano ad affermarsi pienamente in quanto

generi, sono però indicativi dell’ampiezza della gamma espressiva del cinema mulo italiano. Ciò vale soprattutto per la commedia borghese, ma anche per certe incursioni nel fantastico, che, come ha notato An­ tonio Costa, sono in realtà meno rare di quanto ci si potrebbe aspet­

tare’". Sul primo versante, che giunge a maturazione verso la fine degli an­

ni Venti, oltre alla leggerezza dapochade del cinema di Rodolfi e Gigetta, bisogna ricordare i film di Lucio D’Ambra, dolati di uno humour

geometrico che li ha fatti accostare a quelli di Ernest Lubilsch”. Non meno interessante è l’esordio nella commedia di Augusto Camerini, fratello del più noto Mario, nel 1921 con Ma non è una cosa seria,

un soggetto ripreso da Pirandello.Tenlativi più maturi compaiono ver­ so la fine del decennio (Addio giovinezza, Augusto Genina, 1927, e La

™ Per una lettura di Maciste c Za-la-Mori in chiave divistica c seriale, oltre al ca­ lato saggio di Farasrino,si veda A. Costa, «Dante, D'Annuario, Pirandello», in 5jpcrduto nd buio, ciL, p. 64, in cui D'Annuario viene indicate come «l'antesignano del­

l'eroe seriale» italiano. * A. Costa «Il fantastico, anzi», in / Icori di Schneider, ciL, pp. 21-42. w Una serie di restauri ha reso possibile negli ultimi anni la visione di diverse

commedie dirette o sceneggiate da LucioD’Ambra, da Lasignorina ciclone (1916) » Le modi e le arunce(l9l7), L’ilhaire attrice cicalajbnrica(l92O), Idue sagri ad occhi aperti (1920), La principessa fie6c(l92l). Sull'attività cinematografica di que­ ste prolifico, edettioo letterate di primo Novecento, si vedano il numero speciale di

«Bianco c Nero», «Lucio D'Ambra: il cinema», S, 2002, a cura di Adriano Apra c LucaMxocei, e Silvio Alovisio, Voci dal silenzio. La sceneygpatura nd cinema sodo

italiano, Milano-Torino, Il Castoro-Musco Nazionale del Cinema, 200$.

La politica dei generi

121

compagnia dei malti, Mario Almirante, 1928). Ma perché la commedia

si trasformi in un pilastro centrale della produzione italiana bisognerà attendere i «telefoni bianchi» degli armi TrenUf". Più sfumala, ma proprio per questo tanto più suggestiva, èia presen­

za di tratti ascrivibilial campo del fantastico. Ciò che colpisce è il ca­ rattere trasversale di questa presenza, che si dispiega attraverso i prin­

cipali filoni produttivi con una regolarità che ha quasi del sistematico: dal film storico (L’Inferno, L’Odissea) al film comico (per esempio le eccentriche invenzioni dei Saturnino Farandola di Fabre), divistico (il

coté parapsicologico e spiritualista della Malombra impersonata dalla

Bordlinel I9l8),atletioo-acrobatico (Maciste all’inferno, ma anche lì mostro di Frankenstein, 1920, con un poderoso Barone interpretalo da Luciano Albertini)oalla commedia(7eJ l’invisibile, CarloCampogal-

liani, 1922). L'immaginario «diabolico» conquista, oltre a Rapsodia satanica, anche II diavolo zoppo di Luigi Maggi (1909), dove lutto

l'intrigo, innescato da un dispettoso demonio, è risolto dall'intervento di una lente magica. Ma non basta: ci sono tracce di féerie (Pinocchio,

di Giulio Antamoro, 1914, con Polidor nel ruolo principale), di fanta­

scienza (Il matrimonio interplanetario, di Yambo, 1910; L’uomo mec­ canico di André Deed, 1921), di horror a sfondo esotico ed esoterico (Kalida ’a, la storia di una mummia, Genina, 1917). Senza configurarsi

come un genere, il fantastico rappresenta però sicuramente un elemen­ to importante nell'immaginario del cinema di questo periodo, che an­ che in Italia è all'origine di una serie di film tanto insoliti quanto in­ triganti.

Proprio l'evidente facilità di disseminazione e commistione di cui dà prova l'ispirazione fantastica si presta bene a mostrare la labilità o la permeabilità delle strutture di genere nel primo cinema italiano.

M Un deciso invilo» una maggiore considerazione dellaprcsetua della commedia borghese nel cinema mulo italiano i rivolto da Michele Canosa, Gianluca Farinelli c Nicola Mozzanti in «Storie di corpi in estinzione», inSpenhilì nd buio, ciL, p. 176: «un genere che, a giudicare dalle filmografie, aveva una notevole rilevanza nel con­

testo produttivo italiano». Tra i titoli recensiti figurano, oltre a quelli già citati sopra, Venti giorni all ’ombra (Gennaro Righelli, 1918), Il controllore dei vagoni letto (Ma­

rio Almirante, 1922) cZe sorpresedd divorzio (Guido Brignonc, 1923).

122

Introduzione al cinema muto Italiano

Ma in ciò risiede, a ben vedere, anche la ricchezza di questa stagione produttiva, capace ancora oggidì sorprenderci per la diversità dei per­ corsi, la capacità di intrecciare fonti e molivi del tutto eterogenei, di mischiare e stravolgere, interpretare in modo fantasioso i modelli stra­ nieri: ovvero, in una parola, per la sua originalità.

Capitolo 5

I temi nazionali e la costruzione deiridentità italiana Silvio Alovisio

5.1

Un'identità processuale e plurale

Già a pochi anni di distanza dalle prime proiezioni pubbliche, il cine­

matografo si afferma sulla scena italiana come una suggestiva ritualità

spettacolare a vocazione di massa. Una delle sue più innovative fun­

zioni sociali risiede nella capacità di stabilizzare l'attenzione e la fe­ deltà crescente di un pubblico nazionale compositoed eterogeneo, fal­

lo di uomini e donne, di ricchi e poveri, di contadini e operai, di bam­ bini e adulti.' In virtù di questa dirompente e diffusa potenza comuni­

cativa, il nuovo medium sembra destinalo agiocare un ruolo importan­ te nella disseminazione degli elementi ideologici e culturali che posso­

no concorrere alla costruzione di un determinalo sentimento dell'iden­ tità nazionale.

Una ricca tradizione di studi ha messo in evidenza come proprio quest'ultimo concetto, l'identità nazionale, non sia naturale, a-temporale e stabile, ma si costruisca e si trasformi storicamente, dando

vita non tanto a qualcosa di univoco e singolare quanto piuttosto a

• Sullo statuto inlcrcbsaBsta, imenfioncista c inlcrgcncnuiomle del pubblico cincmatografico nell'Italia del primo Novecento cfr. il saggio di Cascai c Alovtno pub­ blicalo in questo volume. Si veda anebe Pierre Sorlin, Gli italiani al cinema. lanaginarioe ideatila sociale di ima narionr, Mantova, Tre Lune, 2009.

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Introduzione al cinema muto italiano

schemi idenlitari plurali, in continua ride finizione e non di rado con­

traddittori2. Nell'Italia del primo Novecento, il concetto plurivoco di identità

nazionale non ha ancora acquisito una chiara definizione'. Quando

le prime aziende cinematografiche iniziano una produzione regolare, l'Italia post-unitaria ha meno di cinquant'anni, la formazione di un sentimento condiviso di appartenenza è lontana dall'aver raggiunto un solido radicamento e l'azione unificatrice svolta dalla nascente in­

dustriaculturale4, per quanto già dinamica, non ha ancora prodotto ri­

sultali forti. La plurisecolare frammentazione storica e antropologica della penisola esercita un forte condizionamento e mantiene quasi in­

tatte le specifiche diversità locali.

Questi limili non compromettono però l'avvio di un processo di

«immaginazione», per riprendere una fortunata espressione di Bene­ dict Anderson , *

della comunità nazionale. All'interno di questo pro­

cesso entrano in gioco dinamiche e spinte diverse. Da un Iato vi è un progetto strategico di costruzione dell'identità italiana che parte dalle elites politiche, amministrative, economiche. Le classi dirigenti che guidano il processo di unificazione del paese hannoinfalti lutto l'interesse di inventare - per legittimare con più for­

* Cfr. in particolare Benedict Anderson, Comunitàimmaginate, Roma, Manifesto­ libri, 1996; Eric Ilobuhawm, Nazioni e nazionalismi. Programmi, mito c realtà, To­ rino, Einaudi, 2002; Anthony D. Smith, Le origini culturali delle nazioni, Bologna, Il Mulino, 2010. ' Interessanti tentativi di definizione storica della problematica identità italiana si devono a Giulio Bollati, L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come investzione^criaa, Einaudi, 1983; Giuseppe Galasso, L’Italia s‘è desta: tradizionestorica e identità ntdonale dal Risorgimento alla Repubblica, Firenze, Le Motmicr, 2002;

Emilio Gentile, La grande Italia, llmilodella nazione nei XXsecolo, Roma-Bari, Laterza, 2006; Giovanni Alibcrti, Carattere nazionale e identità italiana, Roma, Nuova Cukura, 2009; Emeslo Galli Della Loggia. L’identità italiana, Bologna» 11 Mulino, 2010; Silvana Patriarca, lialiamia. La costruzione ddcarattere narionalr, Roma-Ba­ ri, Lalcr/a, 2010. 4 Cfr. Fausto Colombo, La cultura sottile. Media e industria culturale in Italia dall’Ottocento agli anni Novanta, Milano, Bompiani, 1998. 1 Cfr. Benedict Anderson, Comunità immaginate, ciL

/ temi nazionali e la costruzione dell’identità italiana

125

za gli apparali istituzionali e amministrativi dello Stalo unitario - una soggiacente identità culturale e linguistica. In questa dinamica,quindi,

la formazione di un'identità nazionale è incoraggiala dagli apparali del potere e segue un evidente indirizzo pedagogico-propagandistico. Dall'altro lato si ha una dinamica inversa: l'identità nazionale non si riduce a un'imposizione dall'alto,ma è anche il prodotto di tradizio­

ni locali ed espressioni culturali (in primo luogo la cultura popolare cattolica) che nascono e crescono nel tessuto sociale diffuso. Nelle pagine che seguono si cercherà di dimostrare come il primo

cinema italiano si mostri attivo quasi esclusivamente nella prima dina­ mica, ma con esiti discontinui e controversi. Nella prima prospettiva identitaria appena ricordala, quella «verti-

cistica», esso rilancia infatti i programmi delle classi dirigenti, lavo­

rando con efficacia spettacolare su due parametri determinanti nella costruzione di un'identità nazionale: lo spazio e il tempo, cioè il terri­ torio (da. intendersi come l'interpretazione culturale di un'area geogra­

fica nella quale una nazione può trovare il proprio spazio abitativo na­ turale) e la genea/ogia (da intendersi come il mito dell'origine, la con­ vinzione di una comune discendenza storica). Si tratta, a questo punto, di indagare più in dettaglio cornei temi na­

zionali circolino nel cinema italiano dell'epoca, concorrendo a costrui­

re l'immagine prismatica di un'ipotetica identità italiana. Prima di en­ trare nel meritodell'analisi, tuttavia, è necessaria una precisazione me­ todologica: gli oggetti di questo studio sono i film prodotti in Italia tra

il 1905 e la fine degli anni Venti, ossia delle rappresentazioni discor­ sive. Questa scelta presenta senz'altro dei limili. In un recente inter­ vento sui rapporti tra media e identità italiana, Peppino Ortoleva ha ri­

levato come la letteratura sull'identità nazionale italiana fondi spesso

le sue tesi sulla ricostruzione di «una catena di testi, assunti come, se non totalmente coerenti tra loro, quanto meno connessi e in qualche

modo dotati di un effetto cumulativo» : * si traila, a suo avviso, di una scelta discutibile, perché «stabilisce un'equivalenza indimostra­

• Pvpptno Ortolcva, Sintoniaare la nazione. Media e identità narionale, «Comu­

nicazione Politica», 1,2011, p. 39.

126

Introduzione al cinema muto italiano

bile Ira i processi storici, nella loro straordinaria complessità, e i per­

corsi mentali di un numero ristretto di autori»7. Meglio sarebbe, prose­ gue Ortoleva, indagare se e come, i sentimenti dell'identità nazionali diventino «una realtà radicala nelle profondità della vita personale», nella cosiddetta «cultural intimacy» dei singoli . * Richiamandosi alle lesi di Michael Billig, l'autore sottolinea come occorra guardare

«non al nazionalismo-figura, che dà spettacolo e si propone come ideologia coerente e autoritaria, ma al nazionalismo-sfondo, che deve

la sua forza al fatto di essere dato per scontalo» . * Anche se nella storia dell'Italia post-unitaria, la classe politica, in

assenza di un riconoscimento spontaneo e diffuso del sentimento na­ zionale, si affida in prevalenza alle strategie pedagogiche e spettacola­

ri del «nazionalismo-bandiera»10, gli auspici metodologici espressi da Ortoleva restano comunque condivisibili. La loro applicabilità tuttavia si scontra, nel contesto storico del primo cinema italiano, con l'esigui­ tà delle fonti relative all'impatto sociale del cinema stesso. In altri ter­

mini, risulta difficile comprendere come le immagini cinematografi­ che si vadano radicando nel corpo composito e intimo della nazione:

non ci è dato di sapere, ad esempio, in quali identità sociali e culturali si articolava la composizione del pubblico, quali erano i comporta­ menti e le modalità di consumo, gli orientamenti del gusto e i portali

emotivi degli spettatori, quali erano i film più visti e come l'immagi­ nario plasmato da questi film concorreva a costruire o confermare, nei vissuti quotidiani dei singoli, un sentimento nazionale. Questa carenza

di fonti dirette non può quindi che orientare la ricerca sugli indizi in­ diretti, ossia, appunto, sulle rappresentazioni discorsive, sul visibile

dei film ", con i loro repertori figurativi di memorie e paesaggi,di sim-

* Cfr. Michael Billig, Banal Nationalism, Sage, Thousand Oaks, 1995.

* Cfr. Michael Herzfeld, Cultural Intimacy. Social Podia in the Nation-State, New York, Routledge, 2004. * P. Ortolcva, SifUotàaare la nasone, ciL, p. 41. M Sul pedagogismo politico dei miti nazionali italiani come risposta a un*insuffi­

cienza di legittimità c spontaneità dei processi identitari collcttivi insiste, per esem­ pio, Bruno Tobia nel suo Urta patria per gli italiani, Roma-Bari, Laterza, 1991. " llconcctto di «visibile» é qui inteso nell'accezione proposta da Pierre Soriin:

/ temi nazionali e la costruzione dtU'idalilà italiana

127

boli e di tradizioni, variamente capaci di alimentare e rinnovare l’im­

maginario di un pubblico cinematografico nazionale in formazione.

5.2 Identità e spazio: il paesaggio nazionale tra documentario e finzione Quando, alla fine dell’ottocento, appaiono le prime riprese prodotte

dai Lumière girale in Italia, gli stereotipi visivi che compongono l’im­

magine caleidoscopica del nostro paese sono già codificali da una tra­ dizione letteraria e iconografica plurisecolare. Nel corso deH’Olloccn-

to, tuttavia, questa tradizione era cresciuta e si era rinnovata: il vedutismo pittorico per turisti, le litografie, le cartoline illustrale, la foto­

grafia, i panorami e i diorami erano andati diffondendo presso un pub­ blico sempre più ampio ed eterogeneo i paesaggi naturali e artistici della nuova Italia * 3.1 destinatari di questa produzione, tuttavia, non

erano solo i turisti stranieri che percorrevano le consuete tappe del Grand Tour soprattutto dopo l’Unità, cresce infatti l’esigenza di crea­

re e alimentare anche una domanda interna di conoscenza del territorio

nazionale. Il testo che nel corsodei decenni si mostra, piùdi ogni altro,

capace di rispondere a questa urgenza ideologica e culturale è certa­

mente Il Bel paese, pubblicalo dall’abate e geologo Antonio Stoppare nel 1876 e poi ristampalo in innumerevoli edizioni fino agli anni Qua­ ranta del Novecento '. *

Questo straordinario «testo di fondazione della

nuova geografia turistica dell’Italia unita, pone a fondamento della bellezza nazionale, insieme ai grandi manufatti dell’arte e dell’archi-

«II “visibile” di un’epoca è ciò che i fabbricanti di immagini cercano di captane per

trasmctlerio, c ciò che gli spettatori accettano sena stupore», P. Soriin, Sociologia dei cinema, Milano, Garzano, 1979, p. 68. ° Cfr. Maria Antoodb Fusco, lì «luogo comune» paesajgpstico nelle immagini di massa, in Cesare De Scia (a cura di), Storia d'Italia. Annali5. lì paesaggio,Torino,

Einaudi, 1982, pp. 753-801. “ Antonio Stopparti, // Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geolo­ gia e la geografìa fisica d'Italia, Milano, Giacomo Agnelli, 1876.

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Introduzione al cinema muto italiano

tellura del passalo, l’enorme ricchezza e varietà delle meraviglie am­ bientali della Penisola» K. la fortuna del progetto pedagogico di Stoppani (formare la coscienza collettiva di un territorio nazionale) nasce

dalla vocazione popolare della sua scrittura, risolta nel felice equilibrio

tra divulgazione e intrattenimento, tra scienza e racconto. Il cinema dei «dal vero» (così venivano spesso nominati i documen­ tari nei primi anni del muto) eredita e rilanciasin dalle sue origini que­ sta funzione insieme educativa e spettacolare del Bel paese, confer­

mando come «il mito della territorialità [stia] alla base della rappresen­ tazione simbolica delPidentità nazionale» '. *

Le potenzialità, prima di lutto commerciali, del paesaggio italiano

sono subito comprese dai fratelli Lumière, che distribuiscono su scala intemazionale numerose «vedute» aventi per oggetto il nostro paese (dai canottieri di Milano alle gondole veneziane, dal foro romano ai

reali nella loro residenza di Monza14 *16). La fortuna di questi brevi film incoraggia l’attivilàdi epigoni e concorrenti: tra il 1896 e il 19l4sono

centinaia i «dal vero» realizzali in Italia che alimentano il mercato in­ terno e intemazionale'7. Nei primi anni sono realizzali per lo più da operatori indipendenti (molto spesso esercenti), ma con la nascila delle prime case, nel 1905-1906, la produzione dei «dal vero» passa gra­

dualmente a imprese organizzale e supportale da una buona rete distri­

butiva.

14 Luca Mazzei, Udimtmdi Messina, «Quaderni del CSC1», 5, 2009, p. 175; sul

ruolo del librodi Sloppani nei processi identitari nazionali cfr. Sandro Balli, Il Bel Paese e la costruzionedell'ìdcniilànazionale, in Pietro Rcdoodi (a cura di), Un best sdlerper I'llaliaumla. Il Bel Paesedt Antonio Stopparti, Mitano, Guerini & Associa­

li, 2012. 11 Patrik. Leech, G. Elisa Bussi (a cura di), Schermi della dispersione. Cinema, sto­ ria e identità nazionale, Torino, I indili, 2003, p. 14. u Sulle riprese degli operatori Lumìxc in Italia si vedano Aldo Bernardini, L ovventura italiana dei Cinématographe, in Riccardo Redi (a cura di), Versoi! centena­ rio: lumière, Roma, 19X6, pp. 79-92; Marco Bcrtozci, Storia dei documentario ita­ liano, Venezia, Manilio, 2008, ppc 33-42. u L'accurata ricostruzione Glmograficadella pnxkxziooc italiana di documentari fino al 1914 si deve a Aldo Bernardini, Cinema muta italiano, 1 film dal vero 1S9Ì1914, Getnona, La Cineteca del Friuli, 2002.

/ temi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

129

Quali sono i temi principali di questa variegata geografìa fìlmica della nazione forgiala dai «dal vero»? A una prima ricognizione, le facce visibili di un'identità italiana immaginata e proposta da questi film sembrano essere almeno tre.

In primo luogo, le riprese degli scenari storico-artistici e naturali co­ struiscono un veroe proprio atlante cinematografico dove si rilancia la

tradizionale immagine del paese come culla della creatività e «giardi­ no d'Europa». L'Italia è filmata in ogni suo anfratto: non solo le città

d'arte, ma anche le località minori, i porti, le vallate, le piccole isole, i laghi, le cascale, ecc. In particolare si diffondono le riprese girale in alla montagna, anche per il forte sviluppo dell'escursionismo' 1.

L'immagine complessa, ricca, plurivoca che ne consegue certamen­ te facilita una percezione più estesa e condivisa del Paese da parte dei suoi abitanti, quasi sempre impossibilitali a visitarlo di persona. Pae­ saggio artistico e paesaggio naturale si fondono talora nel fortunato stereotipo iconografico che vede nell'Italia, un vasto museo a cielo

aperto, un anfiteatro di splendide rovine, testimonianze di un'antica grandezza perduta”. Questa suggestione estetica e decadente delle ro­ vine non è solo un prodotto della Storia ma anche della Natura: ('im­ magine-paesaggio dell'Italia si costruisce anche attraverso le catastrofi naturali che periodicamente sconvolgono il paese. La penisola è vista

come uno scenarioarcaico, selvaggio, quasi ancestrale, sconvoltodal-

le inondazioni, dai nubifragi, dai terremoti e dalle eruzioni vulcaniche, eventi tempestivamente ripresi dal nostro cinema. Nei primi mesi del 1909, in particolare, iniziano a essere distribuitele numerose cinema­

tografie, realizzale dalle principali case nazionali ed estere, del terre­ moto che il 28 dicembre 1908 aveva distrutto Messina. La seconda faccia visibile dell'identità nazionale «fabbricala» dai

documentari del mulo italiano descrive un'Italia non arcaica e deca­ dente ma impegnala in un processo di modernizzazione e di crescita

“ Sui rapporti In alpinismo, modernizzazione c ideatiti nazionale cfr. Stefano Mocoeóni, Sulle wile della Patria, Milano, Franco Angeli, 2009.

*• Si pensi, solo per limitarci ai «dal vero» dedicati alle rovine romane, a titoli co­ me Momemcnti ddla compagno romana (Cines, 1909), Taormina (SAFFI Comcrio,

1909),/tana antica (Latium Film, 1909).

130

Introduzione ai cinema muto italiano

economica: ecco allora le numerose riprese di eventi sportivi20, corse

automobilistiche e gare aeronautiche, esposizioni nazionali e intema­ zionali21 ,così come idocumentari sulle grandi cardite operepubbliche come il traforo del Scorpione, ma soprattutto i sempre più numerosi

film industriali, interessati spesso a documentare le fasi di un partico­

lare processo produttivo. La terza area del visibile nazionale esplorata dai «dal vero» punta a dare dell'Italia un'immagine di Stato-nazione, celebrandone i perso­

naggi gloriosi, le date storiche fondative, gli eventi pubblici, anche mondani, le memorie collettive, la monarchia, le forze annate. Ecco allora che si moltiplicano le riprese di cerimonie ufficiali, commemo­

razioni dei padri della patria, inaugurazioni di navi e monumenti, ma­ novremilitari, solenni funerali di Stato. Le numerose ripreseda! fronte della guerra italo-turca, su cui torneremo più avanti, si pongono l'o­ biettivo di dimostrare al mondo la potenza delle forze armale italiane,

e la credibilità dell'Italia come Stalo belligerante che si guadagna sul campo il diritto di diventare una potenza autorevole al fianco degli al­

tri grandi Stati europei: un obiettivo poi ulteriormente rafforzato, dal 1915, con le riprese sul fronte nordorientale nella guerra contro au­

striaci e tedeschi. L'eloquenza visiva del paesaggio italiano e la sua forza simbolicoideologica, cosi tangibili nei documentari, esercitano una particolare influenza anche sui film a soggetto: la distinzione Ira i due macro-ge­ neri, d'altronde, era resa meno rigida, almeno sino alla prima metà de­ gli anni Dieci, dalla costante e apprezzala mescolanza di film «dal ve­

ro» e di finzione nei programmi di proiezione delle sale cinematogra­ fiche. Come osserva già nel 1912 lo statunitense Friedrich Talbot, «l’I­

talia è così ricca di paesaggi bellissimi e luoghi storici, che molte scene

■" Il nesso Ira sport e istituzioni è palesalo sin dai primi documentari italiani (si veda per esempio Sfilata dà ginnasti davanti i sovrani, 1901X Sull'cducazionc fisica degli italiani come aspetto cruciale delle politiche vcrticistichc di modemccoricnc del Paese cfr. Suzanne Stewart-Steinberg,L'ejJeUo Pinocchio. Italia 1861-1922. Lo costruzione di una complessa modernità, Roma, Elliot, 2011, pp. 183-238. Si vedano i numerosi documentari Sull'Esposizione Universale di Torino del 1911.

! temi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

131

possono esser ricostruite nei luoghi originali: un vantaggio che le gran­

di compagnie sanno sfruttare»12.

In effetti le case di produzione italiane dimostrano spesso di saper sfruttare le opportunità paesaggistiche offerte dal Belpacse, realizzan­ do dei film in cui è esplicita la mescolanza di inquadrature realizzate

in un teatro di posa e riprese dell’autentico paesaggio artistico e natu­ rale italiano. La tendenza ad allestire le riprese in esterni originali ap­ pare caratteristica soprattutto del film storico, un genere-chiave per l’i­ dentità nazionale23, su cui torneremo a breve: da Castel Sant’Angelo per Beatrice Cenci (Mario Caserini, 1909) a Bordighera per il Dottor

Jn/on/o(EleulerioRodolfi, 1914), dal centro storico di Ferrara per Pa­ rigino (SAFFI Comerio, 1909) ad Assisi per //proverello di Assisi (Ci­

nes, 1911) e Frate Sole (Ugo Falena, 1918), (FAI, I9IQ); Racconto d‘inverno (Cines, 19IO);Rc Lcur(FAl, 1910; Mi­ lano Films, 19I0X ” Michele Canora, Afato di bice, «Fotogenia», 4-5, 1997-1998, pp. 11-12.

132

Inlrodidone al cinema muto italiano

zia, in particolare, si offre alle troupes come un gigantesco e suggesti­ vo set storico a cielo aperto: il sollogencre storico-veneziano (per lo più legalo agli splendori della Serenissima del XVI secolo) è nona ca­ so uno dei più prolifici del cinema mulo italiano, sin dai primi annÌM.

Se è innegabile, come sostiene Brunetta37, che esso svolga una funzio­ ne ideologica, esaltando i gloriosi trascorsi imperialistici della storia italiana, è altresì vero che la sua fortuna si spiega anche con il fascino estetico esercitalo dal mito di Venezia sull’immaginario nazionale ed

intemazionale. Il ricorso a scorci suggestivi e sfondi pittorici del paesaggio italiano

coinvolge comunque non soloi film storici ma anche i drammi moder­ ni, con una geografìa dei set che va dall’Alto Cadore di La casa sotto la neve (Gennaro Righelli, 1922) e II vetturale del Moncemsio (Bal­

dassarre Negroni, 1927) alla Taormina di Beatrice (Herbert Brenon, 1922). La location più frequentala, capace di dare vita a un vero e pro­

prio sotto-genere capace di mescolare il vedutismo turistico, il roman­ zesco popolare e la tradizione musicale locale, è tuttavia, senza dub­ bio, Napoli”, anche se è tutta l’Italia del Sud ad attirare l’interesse

dei produttori, non solo di quelli meridionali. Numerosi film ambien­ tali, più o meno fìlliziamente, nel Mezzogiorno d’Italia, fondano la lo­ ro capacità di attrazione sulla capacità di intrecciare i temi narrativi con la forza evocativa e pittoresca di paesaggi aspri e selvaggi, teatro

naturale di usanze barbariche e di feste o processioni le cui origini si perdono in un tempo quasi pre-crisliano. Con queste operazioni, il pri­ mo cinema italiano non fa che aggiornare una fortunata rappresenta-

* Utili riferimenti ai film muli italiani di ambientazione veneziana si trovano in

Gian Piero Brunetta, Alessandro Faocioli (a cura di), L’immajpne di ^aezia nd cinemadd Mnvoento, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere cd Arti,2004; Id. (a cura di), Luci sulla città Venda e il cinema, Venezia, Manilio, 2010. n Gian Piero Bunctla,/,‘evocationdu passedanslejìlmhisiorùpieitalien, in Aldo

Bernardini, Jean A. Giti (a cura di). Cinema italica I9OS I94S, Paris, Centre Pompi­ dou, 1986, p. 57. “ Sull'immagine di Napoli nel primo cinema italiano cfr. Stefano Masi, Mario

Franco,// mare, la luna. i coltelli: per una storia dd cinemamuto napoletana, Napoli, Tullio Pironti, 1988; Giuliana Bruno, Rovine con vista. Alla ricerca dd cinema per­

duto di Elvira Notori, Milano, La Tartaruga, 1995.

! temi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

133

zione, pittoresca ma inquietante, dell'Italia meridionale che Giorgio Bertellini, riecheggiando l'orientalismo di Said, chiama Southernism”: si tratta di una rappresentazione veicolata non solo da una tra­ dizione artistica elitaria ma anche (a partire soprattutto dall'ottocento) da una crescente diffusione di cartoline, lastre per lanterna magica,

pieces teatrali, canzoni, cronache giornalistiche, vedute stereoscopi­ che, fotografie ecc. La presenza di frammenti del paesaggio nazionale appare come uno degli elementi più apprezzati dalla nascente critica cinematogra­ fica, italiana ed estera. La prima versione cinematografica della pièce

di D'Annunzio La figlia di Iorio (Ambrosio, 1911), per esempio, è elogiata dalla rivista statunitense «The Moving Picture World» non per la sua nobile origine letteraria ma perché si svolge «in the italian mountain settings, almost wholly poetry» * Il recensore ignora che lo sfondo montano del film è piemontese e non abruzzese, come invece

previsto da D'Annunzio, ma la differenza non ha importanza. Questa sorta di contraffazione paesaggistica, d'altronde, ricorrerà per tutto il decennio successivo, spesso senza urlare la sensibilità della critica (da ricordare, tra i casi più clamorosi, le valli piemontesi di Lanzo tra­

sformate nella Sardegna di Grazia Deledda nel film Cenere, di Febo

Mari, 1916).

Inversamente, i difetti di un film sono spesso attribuiti dalla critica proprio a una mancata sensibilità per il paesaggio, percepito come un elemento specifico del film italiano. È quanto viene rilevato, ad esem­ pio, nelle due versioni concorrenti de Gli ultimi giorni di Pompei rea­ lizzate nel 1913 dalle case torinesi Ambrosio e Pasquali”: «Quello

che manca alla Jone ed agli Ultimi giorni di Pompei», rimprovera

* Cfr. Giorgio Bertellini. Italy in Early American Cinema: Race, Landscape, and

the Picturesque , Bloomington, Indiana University Prase, 2010. " «The Moving Picture World», 16 dicembre 1911, ciL in Aldo Bernardini, Vit­

torio Martinelli (a cura di), II cinema natta italiano 191 I. Pròna parte, Roma, Centro Sperimentalo di Cinematografia, I995,p, 185. 11 Le due versoni concorrenti uscirono con titoli parriabnente divers: GL ultimi giorni di Pompei, quella ddl’Ambrosio diretta da Eleutcrio Rodolfi, cJone.o Gli ul­

timi giorni di Pompei, quella prodotta dalla Pasquali c diretta da Enrico Vidali.

134

Introduzione al cinema muto italiano

un critico dell'epoca, «e che pure non doveva essere difficileotlenere, è uno sfondo del Vesuvio degno del medesimo, io non ho potuto per­ suadermi del come la necessità d'avere il paesaggio naturale di quello brullo monte della morte non sia stala sentita né dall Ambrosio *

ne dal

Pasquali»”.

5.3

Identità e tempo: genealogia di una nazione

Il mito di Roma

Nella vasta geografia immaginaria dell'antichità disegnata da decine di film del cinema muto italiano (da Babilonia a Cartagine, dalla Gre­ cia all'antico Egitto), la rappresentazione della Roma repubblicana e imperiale alimenta, com'era prevedibile, un corpus rappresentativo

di titoli e accompagna l'intera parabola dell'industria cinematografica

nazionale. Nonostante l'importama storica di molti tra i titoli citali da Monica Dall'Asta nel contributo pubblicalo in questo volume, i film storico­

romani non rappresentano, dal punto di vista quantitativo, un corpus rilevante: si stima infatti che i film italiani ambientati nell'antica Ro­

ma siano inferiori al centinaio, una cifra quasi irrilevante rispetto ai quasi diecimila film muti prodotti tra il 1905 e il 1931. L'importanza

del film storico romano risiede piuttosto in due aspetti qualitativi: da un lato, la sua capacità di diffusione e influenza sui mercati intemazio­ nali, dall'altro l’importanza del progetto culturale, spettacolare e ideo­

logico che lo alimenta. Può essere utile partire da questo secondo aspetto. I film ambientali

in Roma antica chiamano ovviamente in causa il mito originario della nazione, da sempre pilastro delia problematica identità italiana. Come si vedrà meglio nel paragrafo successivo, dedicato al film risorgimen-

“ Rag. Emilio Rugatimi in«LaCinc-Focx», 261,13 dicembre 1913, cit. in Aldo Bernardini, ViUorio Martinetti (a cura di),// cinema nudo italiano 1913. Seconda par­ te, «Bianco c Nero», I.IV, 1-2 1993, p. 299.

/ toni nazionali e la costruzione deli'identità italiana

135

tale, lo sviluppo di una coscienza nazionale unilariae' più il prodotto di

una tradizione intellettuale e di una volontà istituzionale che Tesilo di un reale e popolare sentire collettivo. Una parziale eccezione a questa logica elitaria è però rappresentata proprio dal mito di Roma antica: l’invenzione di una genealogia nazionale che individua le proprie ra­ dici nella grandezza di Roma possiede infatti una forte capacità di pe­

netrazione sociale. Roma antica diventa così un tema autenticamente nazionale e si rivela uno dei pochi miti storici legati all’Italia in grado di essere esportato su scala mondiale con eccezionali consensi”. Le possibili implicazioni ideologiche di questo nesso trai! film sto­

rico romano e il mito originario della nazione non vanno tuttavia en­

fatizzate. Come ha osservato Andrea Mcncghelli, «raramente [questi] film ci sembra forniscano i necessari appigli per postulare una chiara continuità tra impero romano e Italia contemporanea»”. Si consideri per esempio Cabiria, a lungo considerato come uno dei manifesti ci­ nematografici del nazionalismo italiano: già nel 1963 lo storico Anto­ nio Mura aveva contestato questo luogo comune, affermando che «di nazionalistico, in Cabiria, vi era soltanto una quindicina di vocaboli

nelle didascalie»”. In effetti, seè vero che le didascalie di D’Annunzio insistono a più

riprese sul tema del primato di Roma, con un’enfasi retorica che rie­ cheggia i versi delle Canzoni delle gesta d'oltremare (scritte dal poeta­ vate tra il 1911 eil 1912 per inneggiare alla guerraconlro la Turchia), è altresì vero che le immagini di Cabiria raccontano una storia meno gloriosa, per più di un motivo. In primo luogo, è importante notare

Cfr. Giorgio Bcrtcllini, Epica e splendore dei vero. L'ìnjhtcnza dd cinema sto­ rico italiano in America, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia dd cinana mon­ diale, v. 2, L I, Gli Stali Uniti, Torino, Einaudi, 1999, pp. 229. M Andrea Mcncghdli, Cabiria e ilfilm storico italiano, in Silvio Alovisio, Alberto Barbera (a cura di), Cabiria A Cabiria, Torino-Mibno, Musco Nazionale del Cincma-HCntoro, 2006, p. 206. Analoghe riserve sulb funzione propagandistica dei film storici italiani sono espresse da Innbcrt Schenk, Il ' ‘peplum "italiano. Perche il film storico-monumattalefit "inventato" in Italia, ovvero: eDa Cabiria a Mussolini» Fo­

togenia, 4-5, 1999, pp. 59-72. n Antonio Mura, Film, storia, storiografia, Roma, Edizioni delb Quercia, 1963,

pp. 176-177.

136

Introduzione al cinema muto italiano

come il Him conferisca particolare rilievo a un personaggio di etnia

non latina, lo schiavo nero Maciste: indubbiamente tale connotazione positiva deve probabilmente mollo alla simpaliae alla popolarità di cui avevano goduto, durante laguerradi Libia da poco conclusa, gli Asca­ ri eritrei inquadrati nell'esercito italiano . *

Al di là di questa ipotesi,

resta innegabile che l'africano Maciste sia un personaggio molto più

incisivo ed energico del suo padrone, il latino Fulvio Axilla, poco de­ terminato e fisicamente debole17. In secondo luogo, è facile ma indica­ tivo rilevare come nella più spettacolare sequenza bellica del film (la battaglia degli specchi ustori, davanti alle mura di Siracusa), Roma sia sconfitta. È vero che secondo la tradizione storiografica Ialina, di cui il

soggetto pastronianoe, soprattutto le didascalie dannunziane riecheg­

giano certi andamenti narrativi, combattere contro dei nemici forti non era un onta, ma una gloria: fa riflettere, tuttavia, che il corollario di questa tradizione narrativa, il momento della vittoria (in questo caso

la caduta della città di Citta), sia conseguito da Roma grazie a) decisi­ vo aiuto di un altro africano, il re numida Massinissa.

L'intreccio narrativo elaboralo da Pastrone, quindi, ha ben poco di

“ Sugli Ascari in Libò, c sul loro rapporto con l'Italia cfr. Massimo Zaccaria, Andi'ioptrla tuabandiera. Il V battaglione ascari in missione sulfronte libico (1912), Ravenna, Giorgio Puzzi, 2012. Sulla partecipazione degli Ascari a proiezioni cinema­ tografiche organizzale in Italia cfr. Sila Berruti, Ffeggi di guerra Primi esperimenti di cinenaiopo/ìa di viaggio durante la conquista italianaddlEgeo (1912), refezio­ ne presentata al convegno Piaggi, itinerari, flussi umani. Roma, Università di Rom

Tor Vergata, 5-6 giugno 2013. ” Su Maciste c la questione razziale cfr. Jacqueline Reich, The Metamorphosis of Maciste in Italian Silent Cinema. «Film History», XXV,3, 2013, pp. 32 56; Antonia Lant,5pazù> per la rasa in Cabiria, in Paolo Bcrtctlo, Gianni Rondolino (a cura di), Cabiria e il suo tempo. Torino-Milano, Musco Nazionale dd Cinema-li Castoro, 1998,pp. 212-22. Utili spunti interpretativi si trovano anche in Fabio Pezzetti Tonion,

Corpo della visione, corpo della narrazione; Maciste in Cabiria, in S. Alovisio, A. Barbera (a cura di), Cabiria A Cabiria, ciL, pp. 138-145.1 saggi di Reich c Lanl, tut­ tavia, si riferiscono soprattutto al contesto americano, mentre manca ancora uno stu­ dio sulla rappresentazione dell'africano nel cinema mulo italiano (il primo serio ten­

tativo di colmare questa lacuna è stalo compiuto da Denis Lotti in Lampid'Africa. Origini del cinema coloniale italiano di finzione, «Immagine», IV serie, 4, 2011, pp. 97-103).

/ temi lunionalì e lacMlnaiont dd!'identità italiana

137

nazionalistico, ma è piuttosto un racconto di avventure, con tutti i temi tipici del romanzo storico, dalla fanciulla pura insidiala dalla ferocia dei popoli inferiorità schiava cieca Nidia de Gliultimi ^ìomìdì Pom­

pei, la giovane Lida di Quo vadùH, la Cecilia di Fabiola), al giovane leale che la difende, dal gigante buono (l’Ursus di Quo vadis?) all’e­

splosione di elementi naturali, dallo scontro violento tra visioni oppo­ ste della vita (pagani/cristiani, Cristianesimo/ebraismo ecc.) all’alter­ nanza «teatrale» tra la folla (il coro) e gli a solo dei personaggi. La

scelta stessa di Cartagine da parte di Pastrone, per quanto si collochi

in un vero e proprio filone di film di ambientazione punica, evocanti quelle tene nordafricane lambite dalla recente conquista italiana della Libia, rinvia a modelli più culturali che ideologici1* : non solo al mo­

dello alto della Salambò di Flaubert (adattata per lo schermo dalla Sa­ voia Film proprio nel 1914), ma anche a quello popolare di Cartagine

infiamme, romanzo pubblicato da Salgari nel 1906. Analogamente, sul piano visivo, la messa in scena sembra sensibilenon tanto agli ambien­ ti del mondo romano (praticamente assenti, con la sola eccezione del1* accampamento di Scipione), quanto alla seducente visibilità degli ambienti esotici (gli accampamenti nel deserto, il tempio pagano, gli interni dei palazzi reali). Il fascino per l’Africa e per l’Oriente, d’al­

tronde, affiora anche in altri kolossal del periodo , **

indebolendone il

potenziale ideologico. Un analogo ridimensionamento è dato dalla prevalente attenzione, in molli peplum, agli aspetti più decadenti, ca­

tastrofici, violenti e scabrosi della storia romana, e in particolare di quella imperiale: aspetti al limite temperati da una sensibilità per le origini della cristianesimo poco funzionale alle strategie un’élite poli­ tica liberale prevalentemente laica.

Ben difficilmente, quindi, questi film potevano promuovere quel

" Cfr. Luciano Cunvri, lì mito culturale di Cartagjme neiprimo Novecento tra let­ teratura e cinema, in S. Alovisio, A. Barbera (acura dp. Cabiria A Cabiria, ciL, pp. 299-307. ** Da Marcantonio c Cleopatra (EnricoGuaceoai, I913)a Ckriitux (Giulio Anta-

moro ed Enrico Guxcoxù, 1916), dai riti esoterici egizi nelle varie vcnòooi di Gli ul­ timi giorni di Pompeiaì templi pagani di Salambò (Domenico Gaido, I9l4)oalla Bi­ sanzio di Teodora (Ixopoldo Cariucci, 1922).

138

Introduzione al cinema muto italiano

progetto ideologico di esaltazione dell’identità mediterranea dell’Italia

sostenuto con energia dalle classe dirigenti post-unitarie e interpretato politicamente «come un invito impellente ad uscire dal nostro conti­ nente e a spaziare tra Africa, Mar Rosso e Medio Oriente all’insegui­ mento di progetti colonial-imperialislici»40. A entrare in giocoè, piuttosto, il primo dei due aspetti qualitativi del

peplum ricordati poc’anzi: la sua capacità di diffusione e di influenza sui mercati intemazionali. Ciò che sin dal 1908 attrae le platee dei mercati esteri (in particolare quelle inglesi e statunitensi41) è il fascino

di un’antichità astrattamente immaginata, in cui convergono il bisogno di ritrovare gli stereotipi figurativi e letterari di unasecolare tradizione classicista, l’inclinazione per il realismo antiquario e il dettaglio stori­

co, un diffuso desiderio di spettacolarità visiva. Il pubblico straniero riconosce nella romanità dei film muli italiani non il passalo glorioso

dello Staio-nazione costituitosi solocinquant’anni prima, ma un’italia­

nità astorica, caratterizzala da una visione dell’Italia «artistica e co­ smopolita che assimila la totalità geografica e politica della Nazione con l’unità archeologica e museale della Roma dei Cesari, della Chiesa

dei papi e del Colosseo»43. Le immagini dei film storico-romani, quin­

di, sembrano efficaci sul mercato intemazionale non per celebrare le

radici della giovane identità italiana ma per incarnare efficacemente, nel loro cosmopolitismo, il destino glorioso di una grandee moderna

nazione «imperiale» (in particolare la Gran Bretagna e poi,soprattutto, gli Stati Uniti). Questa sorta di marketing del mito romano istituisce un paradosso significativo: se infatti da un lalola produzione culturale e spettacolare legala all’eredità latina si impone come il prodotto di gran lunga più

richiesto e apprezzalo sui mercati intemazionali, dall’altro lato gli in­ gombranti retaggi della stessa eredità contribuiscono ad isolare cultu­ ralmente l’Italia dall’Europa e rallentano la ricerca di ulteriori para-

*• E. Galli Della Loggia, L'idatilà italiana, ciL, p. 17. 41 Sulla ricezionec l’influenza del fìkn storico italiano negli Stati Uniti del primo Novecento cfr. G. Bcrtcllini, Epica cipiadon dd vero, ciL, pp. 227-26S.

41 /ri, p. 240.

/ temi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

139

metri capaci di fondare un ipotetico immaginario collettivo nazionale, come si preciserà meglio nel paragrafo seguente.

Stereotipi delle età di mezzo: Medioevo e Rinascimento La reinvenzione della Storia italiana sulla base di stereotipi letterari, figurativi e ideologici ampiamente noti non coinvolge solo l’antichità

ma si estende anche al Medioevo e al Rinascimento, alimentando una

produzione particolarmente intensa fino alla prima metà degli anni Dieci,anche grazie alle politiche mirale di alcune case cometa Cines, l’itala Film e la Film d’Arte Italiana (FAI).

Il primo cinema italiano mostra una ricorrente attrazione per l’Italia dell’età dei comuni, dei tumulti popolari sobillali dai tribuni (Cola di

Rienzo, di Mario Caserini, 1910), delle città assediate o depredale (lì saccodi Roma, di Enrico Guazzoni e Giulio Aristide Sartorio, 1920),

delle feroci lotte IraGuelfi e Ghibellini (Monna Vanda dei Soldanieri, Cines, 1910, Napo Tornano, Milano Films, 1910), degli intrighi di

corte (Lucrezia Borgia, Cines, 1910, I Borgia, Luigi Sapelli, 1920), delle passioni illecite e fatali (Agnese Visconti, di Giovanni Pastrone, 1910, Pia de‘ Tolomei, di Giovanni Tannini, 1922, Beatrice Cenci, di Baldassarre Negroni, 1926) ma anche dei gloriosi episodi che sembra­

no profetizzare l’indipendenza nazionale, come Ettore Fieramosca"

(Domenico Gaido, 1915). Davanti all’estrema varietà di temi e situazioni presenti in questi film, risulta difficile riconoscere eventuali tracce di un’intenzionalità ideologica che vuole leggere questi secoli come una fase importante

della genealogia della nazione. Non si deve dimenticare, però, che nel corso dell’ottocento il Me­

dioevo era stalo oggetto di una profonda rivalutazione che aveva agito anche sull'immaginario popolare, soprattutto attraverso la pittura, il melodramma, il romanzo storico . ** Da questo complesso crogiolo di

«• Il film di Grido fu però inopportunamente distribuito subilo dopo l’entrata in guerra dcll'llalia ri fianco della Francia c per questo fu poco apprezzato dal pubblico. ** Cfr. Renaio Bordone, Lo specchio di Shalolf l'ùnvidaK dd Medioevo nella cultura ddTOttoccnlo, Napoli, Liguori, 1993.

/ temi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

139

metri capaci di fondare un ipotetico immaginario collettivo nazionale, come si preciserà meglio nel paragrafo seguente.

Stereotipi delle età di mezzo: Medioevo e Rinascimento La reinvenzione della Storia italiana sulla base di stereotipi letterari, figurativi e ideologici ampiamente noti non coinvolge solo l’antichità

ma si estende anche al Medioevo e al Rinascimento, alimentando una produzione particolarmente intensa fino alla prima metà degli anni Dieci,anche grazie alle politiche mirale di alcune case cometa Cines, l’itala Film e la Film d’Arte Italiana (FAI).

Il primo cinema italiano mostra una ricorrente attrazione per l’Italia dell’età dei comuni, dei tumulti popolari sobillali dai tribuni (Cola di Rienzo, di Mario Caserini, 1910), delle città assediale o depredate (lì saccodi Roma, ài Enrico Guazzoni e Giulio Aristide Sartorio, 1920),

delle feroci lotte traGuelfi e Ghibellini (Monna Vanda dei Soldanieri, Cines, 1910, NapoTorriano, Milano Films, 1910), degli intrighi di corte (Lucrezia Borgia, Cines, 1910, I Borgia, Luigi Sapelli, 1920),

delle passioni illecite e fatali (/fgnese Visconti, di Giovanni Pastrone, 1910, Pia de' Tolomei, di Giovanni Tannini, 1922, Beatrice Cenci, di Baldassarre Negroni, 1926) ma anche dei gloriosi episodi che sembra­

no profetizzare l’indipendenza nazionale, come Ettore Fieramosca"

(Domenico Gaido, 1915). Davanti all’estrema varietà di temi e situazioni presenti in questi film, risulta difficile riconoscere eventuali tracce di un’intenzionalità ideologica che vuole leggere questi secoli come una fase importante della genealogia della nazione. Non si deve dimenticare, però, che nel corso dell’ottocento il Me­

dioevo era stato oggetto di una profonda rivalutazione che aveva agito anche sull’immaginario popolare, soprattutto attraverso la pittura, il melodramma, il romanzo storico . ** Da questo complesso crogiolo di

Il film di Grido fu però inopportunamente distribuito subito dopo l’entrata in

guerra dell’Italia al fianco delb Francia c per questo fu poco apprezzato dal pubblico. ** Cfr. Renalo Bordone, Lo specdùodi Shalott: rùnneione dd Medioevo nella

adtumddl 'Ottocento, Napoli, Liguori, 1993.

140

Introduzione al cinema muto italiano

mediazioni culturali e paraculturali erano emerse molteplici interpre­ tazioni dell'età di mezzo, tra cui quella che individuava nel Medioevo la stagione storica in cui si erano andate profilando le moderne identità nazionali, compresa quella italiana. La lesi che raccorda l'Italia medievale e rinascimentale con il pro­ cesso di unificazione nazionale ha alle spalle una forte tradizione let­ teraria, legata a Manzoni e ingenerale alla grande stagione del roman­ zo storico ottocentesco. Il patriottismo, in verità, non aveva mai costi­

tuito, malgrado gli auspici di Francesco De Sanctis, un elemento vera­ mente incisivo in questa tradizione letteraria, con poche eccezioni. La più significativa era quella di Massimo D Azeglio, *

autore di due ro­

manzi storici apertamente nazionalisti, non a caso adattali tempestiva­

mente per lo schermo44 45: Ettore Fieramosca ossia La disfida di Barletta

(1833) e Niccolò de’Lapi ovveroI Palleschi e i Piagnoni (1841), un romanzo ambientalo nel XVI secolo e dedicato, come il precedente, al conflitto tra Italiani (in questo caso i sostenitori della repubblica di Firenze, nel 1529-1530) e stranieri (in questo caso gli Spagnoli, im­ placabili alleali dei Medici). Al di làdi questo problematico rapporto coni temi patriottici e identitari, il primo cinema italiano guarda apertamente al vasto corpus ot­

tocentesco dei romanzi storici italiani e della coeva produzione teatra­ le, un corpus che non a caso costituisce la prima letteratura moderna

nel nostro paese, concepita inizialmente per un pubblico borghese ma poi ampiamente metabolizzala dall'editoria popolare4*. In alcuni casi,

44 Cfr. nota successi va. * Gli autori teatrali c letterari adattati dal primo cinema italiano sono numerosi:

Giuseppe Rovani (dal suodramma del 1839 è trailo Bianca Cappello, MarioCascrini, 1909), Felice Cavallotti (d/piese Visconti, Itala Film, 1910), Tommaso Grossi (il suo

Marco Visconti ispira due versioni cinematografiche,della Cines nel 1910 c della FAI nel 191IX Francesco Domenico Guenaxri (due versioni di Beatrice Cenci, la prima nel 1909 la seconda nel 1926, c Veronica Cybo, di Mario Caserini, 1910), Francesco Dall'Ongaro (le tre versioni di lì fomareUodi Venezia, Mario Castrini, 1907, Luigi Maggi, 1914 c Mario Almirante, 1923), Massimo D*Azeglio (le due versioni prodotte

da Pasquali di Ettore Fieramosca, 1909c 1915, e Niccolò de Lqprjtab Film, 1909), Giovanni Rossigni (Luisa Struzzi, Itala Film, 1910), Cesare Cantò (Margherita Po­

steria, Mario Caserini, 1910), Luigi Capranica ({Giovanni Dalle Bande Nere, Mario

/ temi nazionali e la costruzione dell’identità italiana

MI

la fonte dell'adallamento del film storico non è riconducibile a un'o­ pera precisa ma rinviaa una vera e propria tradizione palinsestuale, os­

sia a una serie di riscrilture in prosa, in versi, o in musica dello stesso episodio, a conferma di come il cinema dei primi anni intendesse oc­

cupare l'ultima (e più avanzala) posizione di una complessa filiera in­ tertestuale che saldava due secoli di produzione creativa, di modalità rappresentative e di dispostivi spettacolari47. Le vicende complesse ed agitate della storia medievale e rinasci­

mentale italiana bene si prestavano, almeno potenzialmente, a evocare

le radici dell'identità italiana, a celebrare i primi tentativi di dar vita a una coscienza unitaria, a deprecare le azioni violente dei popoli con­ quistatori che opprimevano il paese o a magnificare l’antico e vittorio­

so spirilo di conquista degli Italiani. Vi sono alcuni casi (non molti, in

verità) dove questo potenziale ideologico appare efficace. In Corradino di Svevia - L’ultimo degli Ilohenstaufen ( 1909) la figura romantica e leggendaria di Corredino (un mito della culturaoltocentesca, spesso interpretalo in chiaveanli-papale) è rappresentala per il pubblico italia­

no come quella di un eroe nazionale ante-litteram, soprattutto nella scena in cui i legali ghibellini italiani chiedono al protagonista di ri­

prendersi il regno di Napoli ora in mano a Carted * Angiò4". Un'analoga componente nazional-patriottica è ravvisabile in Re Enzo - Dalle cro­

nache dell’italica storia del /270 (Milano Films, 1911), la cui ultima

Caserini, 1910), Nicolò Tommaseo (llduca d’Alene, 1911). Per un quadro introdut­

tivo agli adattamenti letterari del primo cinema italianicfr. Cristina Bragaglia,// pia­ cere dd racconto. Narrativa ilalianac cinema (1895-1990) Firenze, La Nuova Italia, 1993, pp. 7-26. 4’ Si veda, come esempio, tra i tanti possibili, il caso di Beatrice di Tenda (Cines, 1910), il cui soggetto riprende la storia dell'infelice destino di una donna fatta ingiu­ stamente decapitare dal duca Filipppo Maria Visconti: questo drammatico episodio

della Milano viscontea del Trecento era stalo già raccontato, nel secolo precedente, dalla Diodala Saluzzo di Rocco (nella novella lì castello di Binavo), da Pietro Ma­ rocco c da Giambattista Rarroni, ma era stalo anche messo in musica da Vincenzo Bellini nel 1833, su un libretto di Felice Romani ispiratosi dramma teatrale di Cario Tcdaldi Flores. • Per una puntuale descrizione del film cfr. Aldo Bernardini, Corranno di Svevia,

«Immagino, I serie, IO, aprile-giugno 1985, pp. 25-32.

142

Introduzione al cinema muto italiano

didascalia è assai significativa: «E nel bacio della morte, Enzo morì be­ nedicendo il suol d’Italia». Ancora più evidenti gli accenti nazionali­

stici in La battaglia di Legnano (Cines, 1910), titolo che si riallaccia

esplicitamente alla omonima opera giovanile di Giuseppe Verdi, per­ vasa da forti accenti patriottici, particolarmente espliciti nel popolare

coro dei Lombardi unitisi per combattere il Barbarossa («Viva l'Italia

forte ed una.»»). In quest'ultimo caso, la scelta del soggetto è debitrice nei confronti delb pittura e delb letteratura ottocentesca risorgimenta­

le, che in molte occasioni (dal celebre quadro di Massimo D'Azeglio ai

notissimi versi di Carducci, dal poema Algiso o La Lega Lombarda di Cesare Cantò a La lega lombarda, romanzo incompiuto di Massimo Azeglio,) * D

aveva esaltato nell'opposizione a Federico Barbarossa

da parte dei comuni lombardi guidati da Alberto di Giussano uno dei primi episodi di riscatto nazionale. Un altro film storico interpretabile

in chiave politico nazionale *

è il più lardo I Borgia (Luigi Sapdli,

1920), un kolossal che «propone una lettura tutta propria delb storia

italiana (...) offrendoli Valenlinocome campione di un primo progetto di Italb unita» * 1. Ancora più dichiarata, infine, è la lesi ideologica che anima - ma siamo già nel 1927, ormai in pieno fascismo - / martiri d’Italia, diretto da Domenico Gaido: in questo caso «il meraviglioso poema delb nostra redenzione» (come si legge in una didascalia del film) unisce il Medioevo di Dante alb marcia su Roma passando attra­ verso in una gloriosa filiera di figure eroiche (Masaniello, Pietro Mic-

ca, Silvio Pellico, Cesare Battisti ecc.).

Questa riletlura in chiave patriottica delb storia ibliana oltrepassa in alcuni casi il Medioevo e il Rinascimento, fin quasi a lambire la so­

glia iniziale del Risorgimento. In Masaniello (Itab Film, 1909) e La muta di Portici (Ambrosio, 1911), si rievocala rivolta napoletana

del luglio 1647 contro gli Spagnoli. In Gioacchino Murat - Dalla lo­ canda al trono (1910) la Milano Films propone invece una riletlura dell'infelice parabob di Murai in chiave nettamente anli-borbonica.*•

*• Michele Canosa, Gian Laici Farinelli, Nicola Mxczand,Stor£c di corpi in estin­ zione, in Renzo Renzi (a cura di), Sperdutond buio, Il cinema muto italiano e il suo tempo, Bologna, Cappelli, 1991, p. 175.

/ temi nazionali t la coitnuioM dell ’identità italiana

143

L’egemonia ideologica e storiografica dell’area sabaudo-piemontese è invece avvertibile nella celebrazione del soldato piemontese Pietro

Micca,il martire dell'assedio di Torino del 1706, come eroe nazionale ante litteranP0. Il patriottismo di Maria Bricca, quasi una versione al

femminile di Pietro Micca, è invece omaggialo in Maria Bricca -L'e­

roina del Piemonte. Anno 1705 (Aquila Films, 1910): il film, ambien­

talo anch'esso durante l’assedio di Torino, è apprezzalo dalla stampa italiana come un * «opera patriottica e lodevole»'1 e come un «illustra*

zione ulteriore del valore italico»13. Al di là dei casi più espliciti, comunque, non si può dire che le po­

tenzialità di questa lettura in chiave nazionalistica del Medioevo, del

Rinascimento e dei secoli successivi siano pienamente colte dai film storici del periodo. Al contrario, sembra quasi che l’essenza dell’italia­ nità sia proprio la lotta intestina, la subalternità, la cronica frammen­

tazione polilicae sociale. A prevalere sull’eventuale pedagogia storica

nazionale è quasi sempre il fine spettacolare, e la proposta di una vi­ sione, tipica del Romanticismo, cupa e cruenta del Medioevo, visto co­

me un’epoca segnata da malefici, efferatezze, intrecci di amore e san­ gue, passioni violente, tradimenti e congiure di palazzo". Lastessa vi­

sione, non a caso, che alimenta la fantasia di scrittori non italiani, spes­ so fonte di adattamenti, come Friedrich Schiller (fonte de La congiura

di Fiochi, FAI, 1911, e de Lafidanzata di Messina * Mario Caserini,

1911) o Alfred De Musset (fonte per le due versioni di Lorenzaccio * FAI, 1911, e Giuseppe de * Liguoro, 1918). I soggetti dimoiti film medieval-rinascimentali, insomma, si basano

* APeitro Micca sono dedicali due film: il primo, del 1907, prodollodairAmbcosio, il secondo, prodotto dalla Cines nel 1908 (diretto da Mario Caserini).

M «La Vita Cinematografica», 1, 2,20 dicembre 1910, ciL in Aldo Bernardini (a

cura di),// cinema natta italiano. Ilfilm dà primi anni. 1910, Roma, Biblioteca di Bianco c Nero, 1996, p. 250. u Guakicro Italo Fabbri, «La Cinematografia Italiana ed Estera», 94, IS novem­

bre 1910, cil. in Aldo Bernardini (a cura dì),ll cinema natta italiana. Ilfilm dà primi

imi 1910, ciL, p. 250. " Il tema della congiura ricorre spesso, in particolare, nei drammi storici prodotti dalla Film d’Arte Italiana, cfr. M. Canora, Muta di Zuee.ciL, p. 12.

144

Introduzione al cinema muto Italiano

su «delitti spacciali come drammi della Storia»54* . D’altronde è pro­

prio tale visione a spiegare il successo di questi film nel negli Stati Uniti, in Francia o in Gran Bretagna, dove ciò che viene percepito co­ me autenticamente italiano non è la lontana e tormentata genesi di una nazione, ma - come osserva un recensore statunitense dell’epoca - re­

vocazione di un «esaltante periodo, in cui molle regioni erano gover­ nate dalla tirannia di signori polenti e in cui le principali occupazio­ ni, il complotto e la cospirazione, erano considerale professioni onore­ voli»".

Anche in questo caso, quindi, come nei film su Roma antica, si pro­ pone un'immagine stereotipata ed estetico-turistica dell'Italia e della sua genealogia nazionale. Se esiste una peculiarità italiana del film

storico, questa è da ricercare allora nella diffusa predilezione per la rappresentazione di un passato pittoresco, oscuro, passionale, non le­ galo necessariamente alla storia nazionale. La formula che pare im­ porsi in Italia è quella di una sorta di «intemazionale» tematica (o at­ mosferica) del film storico, un modello che non intende stabilire di­

stinzioni estetiche o ideologiche tra un soggetto ispiralo alle vicende del duca d'Alba impegnato a reprimere nelle Fiandre la rivolta degli iconoclasti fiamminghi", e un soggetto che racconta gli intrighi di pa­ lazzo nella Viterbo del Duecento57: si spiega allora la nutrita serie di

film storici, per lo più biografie romanzate di personaggi ai confini della leggenda, non destinali a un pubblico nazionale specifico (da Anna di Masovia, Cines, 1910, a Giovanna la pazza, Cines, 1910,

dà Isabella d'Aragona, Itala Film, 1910a Caterinaduchessa di Guisa, Itala, 1910).

54 Ibid.

u «The exciting period when the numerous provinces, were governed by the po­ werful and tyrannical dukes and when treason, conspiracy and plotting were the prin­ cipal occupations of the day and honored professions», in Kleine’s Cines and Eclipse Films,aTte Moving Picture World», XIII,9, 31 agosto 1912, p. 888.

* Il Duca d'Alba. Episodio drammatico della rivobdonedelle Fiandre (Pasquali, 1910). ” Labella Galleana(Cinex, 1911).

/ temi nazionali e la costruzione dell’identità italiana

145

Il Risorgimento e l’Unità nazionale Le tracce cinematografiche più visibili del progetto culturale e politico

di costruzione (odi invenzione) della genealogia nazionale sono indi­

viduabili nei film ambientali durante il Risorgimento, concepito come il penultimo anello di una catena plurisecolare verso (’Unità italiana

(l'ultimo anello sarà rappresentato dalla prima guerra mondiale). La filmografìa risorgimentale del primo cinema italiano, tuttavia, non è così fìtta come ci si aspetterebbe. La recente e puntuale ricogni­ zione condotta da Giovanni Last- censisce infatti soltanto una sessan­ tina di titoli realizzati tra il 1905 e il 1927, con due periodi di più ener­ gica produttività: il 1911, anno in cui si celebra il cinquantesimo anni­ versario dell'unità, e il 1915-1916, biennio in cui la fortunata lesi che

interpreta la partecipazione dell'Italia al conflitto mondiale come una «quarta guerra d'indipendenza» intensifica l'interesse dei produttori

per le lotte risorgimentali.

Nel guardare ai film di ambientazione risorgimentale realizzali fino alla vigilia del sonoro, si ha la sensazione che anche il primo cinema

italiano si conformi al progetto ideologico e culturale del nuovo Stalo unitario. L'obiettivo del progetto è chiaro: si tratta essenzialmente di ridurre la complessa identità italiana (esito variegato e contraddittorio

di una plurisecolare stratificazione di tradizioni e identità policentri­ che) a vantaggio di un'ipotetica identità nazionale centrale, per fonda­

re una vera e propria religione laica della patria, in grado di competere con la Chiesa. Anche se la disseminazione sociale di questo progetto

lascia tracce significative nelleculture popolari delle classi subalterne, attraverso la fortunata circolazionedi racconti, opuscoli, litografie, fi­ gurine, canzoni, rimeecc., gli sforzi di dare alla nuova nazione un mito originario e un'epica di fondazione sono principalmente il frullo di una

strategia la cui conduzione coinvolge gli apparali politici e culturali più istituzionali, a partire dalla toponomastica urbana, dalla scuola,

* Giovanni tosi. Filma soggettorisorgimentale ndcinema muto. I90S1927, in G. Lari, Giorgio Sangiorgi (a cura di), Il Risorgimento nd cinema italiana, Faoua, EDIT, 2011.

146

Introduzione al cinema muto italiano

dalla storia divulgativa, dalla pittura e dalla letteratura più ufficiale e declamatoria”. Lo statuto oligarchico e paternalistico di questa strategia è evidente nelle origini stesse del cinema risorgimentale: La presa dì Roma

(1905), il film che, come si è detto, sancisce simbolicamente non solo la nascita del genere storico-risorgimentale ma anche ravvio di una regolare produzione di film di finzione in Italia, è realizzalo con la col­ laborazione diretta del Ministero della Guerra e il sostegno decisivo dellaMassoneria, sempre impegnala, anche all’interno delle istituzioni governative, in un’opera di promozione pedagogica e popolare del lai-

cismtf0. La genesi verticistica del processo di unificazione spiega il mancalo decollo di una produzione di film risorgimentali autenticamente popo­

lari, corollario di un’analoga debolezza che affligge - a parte impor­ tanti eccezioni come Cuore (1886) di Edmondo De Amicis- la narra­

tiva e il teatro di ispirazione risorgi men tale * ’. Anche se le cronache dell’epoca (probabilmente condizionate da interessi pubblicitari) de­ scrivono spesso l’entusiasmo del pubblico cinematografico di fronte alle vicende eroiche del nostroRisorgimento, e anche se numerosi film di ambientazione risorgimentale sono distribuiti all’estero con succes­ so, non si può affermare tuttavia che il cinema italiano abbia saputo

dare vita a un’avvincente epica dell’Unità, capace di imporsi come un autentico genere nazionale (come avviene invece per i film italiani ambientati nell’antica Roma, o come avviene in Francia per i film sulla rivoluzione e su Napoleone^ , *

o negli Stati Uniti per il western).

w Cfr. Alberto Mario Banti, Roberto Btzzocchi (a curarli) Immagini ddia iasio­ ne ndl'ltalia dd Risorgimento, Roma, Carocci, 2002. * * Sul contributo del Grande Oricnlcd’ltalia a La presa di Roma cfr. Giovanni La­

ri, La ripresa di Roma, in Michele Canora (a cura di), 1905. La presta di Roma. Alle

origini dd cinema italiana, Rocco, Le Mani, 2006, pp. 41-114. * * La prima opera teatrale autenticamente popolare ambientata durante il Rtsorgimcnlo risile solo al 1901: ri trattarli RoMaaticómo, di Girolamo Rovella, un testo non a caso struttalo in almeno due occasioni dal primo cinema italiano: in La marchesa Anxperli (Itala Film, 1911) c in Romanticismo (Carlo Campogalltani, 1915). * * Proprio l’affollata preserva di fìkn italiani sulla Rivoluzione francese e l’epo­

pea napoleonica, penano piu numerari di quelli prodotti dal coevo cinema tramai-

Itemi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

147

L’adeguamento più o meno lattico delle case italiane a questo vo­

cazione pedagogica delle classi dirigenti e degli intellettuali, si espri­ me in primo luogo con la centralità del momento celebrativo, ovvia­ mente cruciale per la fondazione di una nuova liturgia laica. In molti casi i film risorgimentali nascono infatti per sfruttare le opportunità

ideologhe e commerciali legate alle ricorrenze della recente storia pa­

tria. Per il trentacinquesimo anniversario della breccia di Porta Pia, ri­ salente al 20 settembre 1875 (una data che dal 1895 era celebrata con

una festa nazionale), Filoteo Alberini realizza La presa di Roma, proiettato per la prima volta proprio in prossimità degli stessi luoghi che furono teatro degli eventi rappresentati nel film. L’ambiziosa ope­ ra di Alberini già contiene in nuca i limili della produzione risorgimen­ tale del primo cinema italiano: la breccia di Porta Pia è l’evento che

chiude il nostro Risorgimento italiano, e la scelta di rappresentare quell’episodio risponde alla volontà di istituzionalizzare il processo

di unificazione. Se da un lato è vero che Lapresadi Roma rappresenta, come aveva già sostenuto Calendoli4,1, il primo tentativo di affrancare il cinema italiano dai modelli narrativi francesi, è altresì vero che la sua genesi istituzionale, pur portando il film a raccogliere ampi con­ sensi intemi * 4, vanifica probabilmente la sua possibilità di un’esporta­

zione all'estero, se non nelle aree irredente.

Altre ricorrenze ufficiali della recente storia nazionale che alimen­

tano e ispirano produzioni cinematografiche a tema risorgimentale so­ no il centenario della nascila dell «eroe * dei due mondi», nel 1907 , * e il

pino, tradisce indirvttamcnlc la debolezza del cinema risorgimentale. Su questo tema cfr. Vittorio Martinelli, Lefortune napoleoniche nd cinema italiano .Roma, Associa­ zione italiana per le ricerche di storia del cinema, 1995. “ Cfr. Cfr. Giovanni Calendoli, Materiali per una storia dd cinema italiana, Par­

ma, Parma, Maccari, 1967, p. 44. M Per un quadro più dettaglialo del successo nazionale de La presa di Roma cfr. Aldo Bernardini (con la collaborazione di Vittorio Martinelli), Il cinema mulo italia­ no. IJìlm ddprimi annLl 90S-1909,Roaa,tìà>l»ctixs di Bianco & Nero, I996,p. 26; Rosalia del Porro, RcnaloBovani, La presa di Roma: contributi alla storia di unfilm,

«Immagine», 10, aprile-giugno 1985, pp. 21-24. In quell'anno laCines produce Caribaldi, primo di una lunga serie di titoli de­ dicati a questo leggendario protagonista del Rcsorgàncnlo poi, come si dirla breve.

148

Introduzione al cinema muto italiano

cinquantesimo anniversario dell’Unilà, nel 1911 : per quesfultima oc­ casione, I* Ambrosio produce Nozze d’oro, uno dei film risorgimentali

più popolari a livello intemazionale, concepito proprio per sfruttare la rinnovala sensibilità unitaria, come si dichiara in una pubblicità della casa lori nese^. Al di là delle ricorrenze, questa matrice spesso celebrativa del pri­

mo cinema risorgimentale si coglie anche nei numerosi medaglioni

agiografici dei martiri o padri della Nazione, veri e propri santi laici ricalcali sul modello cristologico: ecco allora moltiplicarsi i film bio­

grafici che sacralizzano i tristi destini di Silvio Pellico (1915, di Livio

Ravanelli), del Conte Federico Gonfalonieri (Aquila Films, 1909), di Goffredo Mameli (Cines, 191 l),dei fratelli Bandiera (L’Italia s’ède­ sta, Cines, 1914). intenzione * L

celebrativa è spesso condizionala dalle contingenze

utilitaristiche della politica, e ciò accade anche prima delle stnrmenla-

lizrazioni perpetraledal fascismo. Si pensi alla scelta, di collocare nel medaglione allegorico conclusivo de La presa di Roma i ritratti di Ca­

vour, Vittorio Emanuele TI, Mazzini47 e Garibaldi, a sancire una lettu­ ra, tipica dell’Italia gioliltiana, sempre più conciliatoria e «secolarizza-

ceiebralo in alcuni film degli anni Venti come uno dei numi tutelari della «litografia

fascisti. Sui film a terna garibaldino nel cinema mulo italiano prima delta cooptazione fascista, si rinvia a Giovanni lmù,(ìaribaldi e l’epopea garibaldina nel cinana muto italiano. Dalle origini alla Prima guerra nondidc, «Storicamente», 7, 2011. “ «L'Ambrosio», vi si legge, «è riuscita a far vibrare la corda del patriottismo, evocando un brano di quella storia che presentemente la nazione italiana sta glorifi­ candone! cinquanlenariodella propria indipendenza». SuNuaze d’oro e il concorso di

Torino cfr. Gabriele Perrone, Nozze d’oro dell ’Ambrosia. Dal concorso cinematografico di Torino del 191 / al restauro del 201 /, «Immagine», IV serie, 3, gennaio-giugno 20ll,pp. 133-149. Secondo alcuni studiosi, l’uomo anziano raffiguralo nel modiglione finale del

film non sarebbe Mazzini ma Crispi: anche questa ipotesi conferma comunque la lo­ gica della strumentalizzazione ideologica, anzi, b rafforza (cfr. Sergio Toltati, Na­ scita di una nazione? Il Risorgimento nel cinema italiana, in Mario Musumeci, S.

Toltati (a cura di), Da La presa di Roma a II piccolo garibaldino. Risorgimento, mas­ soneria e ittiturbini- rimmagine della Nazione nel cinema muto (1905-1909), Roma, Gangemi, Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, 2007, p. 58).

Itemi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

la» del Risorgimento . **

149

Oppure si pensi all’oUusocalcolo di opportu­

nità politica che porta alcuni prefetti a vietare, nel 1911 e poi ancora nel 1915, il già citato Nozze d’oro, nel timore che il suo contenuto ur­ tasse la sensibilità dell’alleato austriaco * ’’: una censura dettata da mo­

tivazioni analoghe colpirà nel 1914 anche la celebre inquadratura con­ clusiva de L’Inferno (Adolfo Padovan, Giuseppe de * Liguoro, France­

sco Bettolini, 1911) in cui era visibile il monumento di Dante eretto dagli irredentisti a Trento. Una conferma importante di questo approccio istituzionale e stru­ mentale al nostro Risorgimento, viene anche dalla deludente valoriz­

zazione della figura di Garibaldi, le cui gesta si sarebbero invece pre­ state molto bene a una rilettura cinematografica di respiro nazionale e persino intemazionale. Comesi è anticipalo,è in particolare il cinema degli anni Venti a vedere nella vita di Garibaldi non tanto un affasci­ nante repertorio narrativo che poteva rianimare un immaginario epico-

avventuroso sempre più asfittico, quanto il disegno di una parabola ri­ voluzionaria funzionale a una certa visione storiografica del Risorgi­ mento: come hanno osservalo, tra gli altri, Gian Piero Brunetta70 e

Leonardo Gandinf1, in film come II grido dell’aquila (Mario Volpe, 1923), Garibaldi e i suoi tempi (Silvio Laurenti-Rosa, 1926), Imartiri

d’Italia (DomenicaGaido, 1927), Un balilla del ’48 (Umberto Paradi­ si, 1927),^n/7a (Aldo De Benedetti, 1926), La cavalcata ardente (Car­ mine Gallone, 1925), la figura di Garibaldi svolge «il compito di rap­ presentare il Risorgimento nelle sue istanze rivoluzionarie e movimen-

liste»72: un’operazione chiaramente ideologica che si pone in sintonia

M Cfr. Roberto Balzani, ti Hixoeguncnlonell 'llalieUa, in Mario Musumcci,S.Toffelli (acura di), Da La presa di Roman II piccolo garibaldino, ciL, pp. 40-41. •* Non si tratta per altro deirunico caso di interventi censori a salvaguardia delrinlcsa con l’impero austro-ungarico. Per un approfondimento si veda Sergio Raf­ faeli!, Pellicolecawrale per rispetto della Triplice Alleanza, «Storia c problemi con­

temporanei», 23, giugno 1999, pp. 65-66. * Gian Piero Brunetta, lì cinema mulo italiana, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 305-306. n Leonardo Gandini,Ccuntctir rosse. camicie nere. La cavalcala ardente dì Carmi­ ne Gallone, «Fotogenia», pp 166-169. " Ivi, p. 167.

150

Introdtaiùne al cinema mulo italiano

con il vivace diballiloapertosi, già dal triennio 1923-1925, «(ragli in­ tellettuali e le personalità di maggior spicco del movimento fascista, sulla possibilità di considerare la “rivoluzione” risorgimentale come

precorritrice delb marcia su Roma e delb presa di potere di Mussoli­ ni»^. In questa idea di continuità tra Risorgimento e Fascismo, teoriz­ zala tra gli altri dal politico Giuseppe Bottai e dal filosofo Giovanni

Gentile, la figura di Garibaldi svolge un ruolo decisivo. L'eroe dei due mondi è rappresentato come il leader di una rivoluzione di popolo,

uomo energico, coraggioso e votalo all'azione, ancora capace di tra­ smettere forza ai vecchi reduci ma anche di contagiare le giovani ge­ nerazioni vogliose di un radicale rinnovamento. Nel già ricordalo ZI

grido dell’aquila, uno dei pochi film muti di finzione esplicitamente fascist?4, l'anziano garibaldino Pasquale, come recita una didascalia del film, educa il nipote Beppino «nel culto delle patrie memorie». Il ragazzo unisce i ricordi del nonnoa quelli, più recenti, di un reduce delb Grande Guerra, e appende il manganello squadrista sotto il ritrai­ lo di Garibaldi, mentre nonno Pasquale passa dalb carniera rossa alb

camicia nera. I due finiranno per marciare insieme, nell'ottobre del 1922, verso la capitale, riducendo la spinta ancorapropulsiva dell'epo­

pea garibaldina a un'operazione di ripristino dell'ordine pubblico tur­ balo dai comunisti. «Due altre volte, con le armi in mano, ho marcrato su Roma», ricorda nel finale l'anziano combattente, mentre un mon­

taggio parallelo alterna e confonde l'avanzala dei bersaglieri sulb vra Nomentana, nel 1870, e la marcra delle camicie nere: a quasi venl'anni di distanza da La presa di Roma, il mito del 20 settembre è ri­

fondato dal mito nascente delb presa fascista di Roma, e in esso per certi versi si dissolve. La presenza, in questi e altri film del cinema muto italiano, di vec­ chi garibaldini ancora vivi e altivP dimostra peraltro come nella per-

n Ivi, p. 166. * * Per un approfondimento cfr. Piene Sorlin, Il grido dell’aquila, ultima tappa dd primo cinema italiana, in Michele Canoa (acura di), A nuovabice. Cinema maio ita­

liano!. Atti dd convento intemazionale. Bologna, I2~ lì novembre 1999, Bologna» Clueb, 2000, ppc 251-257. n Vecchi garibaldini che riprendono il fucile durante la prima guerra mondiale si

/temi nazionali t la costruzione dell’identità italiana

151

codone degli Italiani del primo Novecento gli eventi del Risorgimento

non fossero poi cosà lontani: lo si intuisce anche dalle ricorrenti storie di anziani che raccontano quegli eventi ai giovani, in film come II rac­ conto del nonno (Giuseppe De Liguoro, 1910), il già ricordalo Nozze oro (1911), Lalampada della nonna (Luigi Maggi, 1913), Il campa­

nile della vittoria - Racconto di Natale (Aldo Molinari, 1913). Mal­

grado questa prossimità, la superficiale intenzione celebrativa di cui si è detto allontana nel tempo i fatti storici, congela l'eflicacia spetta­ colare della rappresentazione e ne compromette le grandi potenzialità

di coinvolgimento. Il principale limite di questa produzione, d’altronde, è proprio la de­

bolezza del suo immaginario narrativo. La rappresentazione del Risor­ gimento può cambiare le sfumature ideologiche, ora filo-monarchi­

che76, ora - per esempio - mazziniane77, ma in quasi tutti i casi non aspira a ricostruire o interpretare gli eventi: semplicemente li riporta,

dandoli spesso per scontali, oppure usa il contesto risorgimentale come uno sfondo solo accennato davanti al quale riproporre i consueti sche­

mi del melodramma. Ecco allora che le trame di molti film risorgimen­ tali intrecciano il motivo della cospirazione patriottica con appassiona­

le relazioni clandestine. Il movente sentimentale (vendette amorose,

crisi di gelosia eco.) prevale spesso su quello politico: una struttura narrativa ricorrente è, per esempio, quella del triangolo costituito da un vecchio marito o pretendente, aristocratico e reazionario, dalla più giovane moglie o promessa sposa e dal romantico patriota di cui la donna è segretamente innamorala: quasi sempre il marito denuncia

alla polizia il giovane patriota amalo dalla moglie76.

Dal punto di vista delle identità sociali, i protagonisti dei film risor-

trovano in Gloriaai caduti (Elvira Notori, 1916\ c in Seppe morire cfit redatto (Aifrodo Robert, 1916). * Cfr. il gii citato Mere d’oro (1911); Altri tempi-jiltriemi (Romolo Bocchini, 1916), entrambi ambientali ai tempi della vittoriosa baltogjiadi Palestro (1R59). n Come nel caso di GoffredoMandi ( 1911X li dottor Antonio (Elcutcrio Rodolfi,

1914) l martìri di Belfiore (Alberto Cario Lodi, 1915) * Cfr. Pauli (Ambrosio, l9IO),/tmarccZiAcrlà (Cines, 1910) Polizia segreta (Ci‘ ncs, 1911).

152

Introduzione al cinema muto italiano

gimcnlali sono il più delle volle borghesi o aristocratici. Le classi su­ balterne, pur occasionalmente presenti7’’, non sono quasi mai poste al

centro dell'azione: più spesso, invece, fiancheggiano l'operato dei pa­ trioti colti, nella prospettiva di una visione conciliatoria e inlerclassi-

staF. Esemplare è la vicenda raccontala nel film/ Mille (Alberto Degli Abbati, 1912), con la pastorella Rosalia e il possidente siciliano Don

Vincenzo che si riappacificano nella comune fede garibaldina. Partico­ larmente nutrita è la rappresentanza cinematografica di bambini e ra­

gazzi, spesso di umili condizioni, epigoni dei piccoli eroi deamicisianiai, figurazioni quasi metaforiche di un popolo infantile, appassionato e coraggioso ma bisognoso di una guida13. La presenza di patrioti bam­

bini, fortunatissimo tópox della retorica nazionalista, è per altro mollo fìtta anche nei film ambientati sullo sfondo delb prima guerra mondia­ le, da //sogno del bimbo d'Italia (Riccardo Cassano, I9l5)a(7/oricr ai caduti (Elvira Nolari, 1916). Il nemico è rappresentalo non solo dagli Austriaci, ma anche dai

Borboni ", adombrando così, senza tuttavia mai esplicitarla, l'idea che il Risorgimento abbia implicalo anche una guerra tra Italiani.

Più ambiguo, comesi preciserà meglio a chiusura di questo contributo, è invece il ruolodelb Chiesa. In alcuni film, isuoi simboli e i suoi uo-

M Si pensi, per esempio, alb famigliaconladina nel gii ricordato llcampanile del­ la vittoria (1913). ■* «Aristocrazia c popolo rinsaldavano i loro spirili nella rinata fiamma della ri­

scossa», si legge in un’eloquente didascalia del fikn Dalle cinque pomate allabrccciadi Porta Pia (Silvio I a urenti Rosa,1923). 11 IIpiccolo garibaldino (Cines, 1909); Eroico pastorello (Cines, 1910X llpiccolo

palriota(M'ùsno Films, 191l), Stirpe d'eroi(Cines, 191 l),llpiccolo scrivanoJìormImo (Leopoldo Cariucci, 1915), Il tamburino sardo (Goes, 1911,epoi Vittorio Rossi Piantili, I915X “ Su questa figurazione metaforica del popolo-minorenne cfr. Antonio Gibdli, Il

popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Torino, Einaudi, 2005. Cfr. per esempio Le campane della morte Episodio della rivobtàone siciliana

(Orlando Ricci, 1913), Il campanile della vittoria (19l3X£a morte beila Napoli 1820 (Alberto Degli Abbati, 19I4X U" antico caffè napoletano (Gino Rossetti,

1914), L'Italia se desta (Cines, I914X

! temi nazionali e la costruzione deU'idenlità italiana

153

mini sembrano armonizzarsi con la lotta per l'indipendenza nazionale, ma nel complesso prevale - come ci si aspettava - una dimensione lai­ ca. Se nel peplum la cristianità sembra svolgere, come si è visto, un ruolo importante, con una funzione quasi correttiva nei confronti della civiltà romana, nel film risorgimentale la Chiesa, chiamala in causa

non più come la religione liberatrice dei martiri ma come un potere temporale da abbattere, è spesso un nemico, già ovviamente a partire

àa.La presa di Romate poi ancora nel già citato Le campane della mor­

te (quest'ullime vengono fuse per produrre cannoni), o nei numerosi film ambientati nella repressiva e autoritaria Roma papalina . ** Colonialismo e nazionalismo: da Tripoli al Piave La difficoltà da parte del cinema italiano di produrre un immaginario

narrativo nazionalista epico e di largo consumo è confermata anche in occasione dei due conflitti che vedono impegnala l'Italia negli anni Dieci: la guerra itakMurca e il primo conflitto mondiale.

La guerra per la conquista di Tripoli e Cirenaica, avviata dall'Italia proprio nel 1911, nel cinquantesimo anniversario della sua nascita co­ me Stato unitario, si presenta sullo scacchiere geopolitico intemazio­ nale come il primo conflitto moderno, caratterizzato non solo da un ri­ corso sistematico e generalizzalo alle tecnologie belliche più avanzale (aeroplani, dirigibili, sottomarini, ecc.) ma anche da un impiego mas­

siccio e strategico dei media (in particolare la fotografia aerea, il tele­ fono senza fili, il telegrafo da campo). Il cinema, in questo scenario drammatico ma così aperto alla modernità, svolge un ruolo fondamen­

tale. Le case di produzione non si limitano a confezionare film che aspirano vanamente, come vedremo, a documentare le azioni militari italiane oppure a realizzare film di finzione sui temi bellici: il cinema è infatti utilizzalo anche come mezzo di comunicazione capace di met­ tere in relazione i soldati e i loro famigliati, aspirando a integrare, se

non addirittura a rimpiazzare, la lenta posta cartacea. A partire dalla

** Cfr. per esempio Stirpe d’erm (Cines, 1911), 1 carbonari (FAI, 1912), O Roma, o norie! (Aldo Mcùinari, 1913\ Cìcentacdùo (Emilio Ghionc, 19l5X&moctMetca (Gaston Ravvi, 1921).

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Introduzione al cinema muto italiano

fine del dicembre 1911, infatti, la Cines, d’intesa con il governo, orga­

nizza in numerose città italiane (da Torino a Roma, da Genova a Na­ poli), le riprese cinematografiche delle famiglie dei combattenti, da proiettare successivamente a questi ultimi. Il cinema ambisce cosi a porsi come un insostituibile luogo di incontro, certamente virtuale e

differito, ma capace di saldare il corpo affettivo della nazione da

una sponda all’allra del Mediterraneo, individuando nella dimensione del riconoscimento l’idea che fonda l’appartenenza dei singoli all’i­ dentità unitaria ma collettiva della nazione. Anche se la distribuzione di queste riprese sul territorio di guerra fu molto ridotta, il fenomeno

delle cosiddette «cine-cartoline», studialo in tempi recenti da Luca Mazzei e Sila Berruti, assunse dimensioni collettive di eccezionale ri­

lievo, offrendosi come una «dimostrazione lampante dell’efiicacia del discorso nazionalista»" e consentì al cinema di conquistare una legit­

timità sociale e una visibilità mai raggiunta sino a quel momento. Le notizie relative alle riprese dei famigliali dei soldati beneficiarono in­

fatti di un vastissima campagna di promozione della stampa (in lar­ ghissima parte sostenitrice dell’avventura coloniale), arrivando persi­

no a conquistare le prime pagine dei grandi quotidiani. La guerra libica è anche la prima importante occasione, per le case italiane, di misurarsi con due problemi nuovi: documentarecon riprese «dal vero» le operazioni di guerra e «far diventare familiari [—1 scenari

ed etnie che familiari di fatto non erano»". Il primo problema rimane sempre di difficile risoluzione per tutta la durata del conflitto, perché le autorità militari precludono l’accesso alle zone di combattimento

agli operatori civili (i soli presenti sul territorio, visto che non esisteva un servizio cinematografico dell’esercito, costituito solo nel 1916): la domanda di immagini da partedel pubblico, non solo italiano, è tutta­

via talmente pressante da far superare queste difficoltà, portando alla realizzazione di decine di film, tra cui i primi cine-giomali (per esem­

pio, la lunga Corrispondenza cinematografica dal teatro della guerra italo-turca prodotta dalla Cines, arrivata quasi certamente ad almeno

M Sila Berruti, Luca Macai, diriamale mi lasciafreddo». (film edal vero» dalla Libia (1911-12) e il pubblico IVserie, 3, 2011,p. 75.

“ /ri, p. 55.

/ Imi nazionali e la costruzione dell’identità italiana

155

novanta puntale, o i ventitré episodi della Guerra italo-turca realizzali da Luca Comerio) e i primi film a lungometraggio del cinema italiano. Nonostante, quindi, le forti limitazioni imposte agli operatori, le im­

magini delle manovre navali nell’Egeo, degli sbarchi e delle marce dei soldati, le vedute delle città conquistale, l’accoglienza festosa da parte dei locali, le sfilale dei prigionieri turchi, l’andamento delle bat­

taglie ricostruito a posteriori con la partecipazione di autentici soldati, ottennero un ampio successo e funzionarono come «elemento fondante di una nuova coesione sociale» * 7. Come si è anticipato, anche il cinema di finzione concorre a pla­

smare un’immagine composita della guerra libica. Già a poche setti­

mane di distanza dall’inizio ufficiale delle ostilità (il 29 settembre

1911) il cinema di finzione propone storie legale all’impegno militare in Libia", spesso proiettale con l’accompagnamento della Marcia Rea­

le e di altri inni patriottici. Giàalla fine del 1911,infatti, laCines pro­ duce Raggio di luce, incentrato su una ragazza italiana «vittima della brutale prepotenza mussulmana sconfitta e debellala dalle nostre trup­ pe»”, rapita da un pascià e poi liberata dai bersaglieri appena sbarcali in Tripolitania. Nei mesi e armi successivi il filone dei film a sfondo

libico o genericamente arabo si arricchisce, mettendo in scena, per esempio, un «feroce sceicco arabo [che] rapisce una ragazza italiana e tenia di ucciderei! suo fidanzalo, reporter in terra libica»”, una bam­ bina che si imbarcaclandeslinamente per liberare il padre soldato fatto

prigioniero in Libia (L'eroica fanciulla di Dema, Vesuvio Films, 1912), eroici soldati sfigurati in volto ma gratificati dall’amore (// ba­

cio della gloria, FAI, 1913), una ragazza ripetutamente ossessionala

" Ivi, p. 90. " Cfr. Giovanni Lari, Viva Tripoli italiana! Vìva l'Italia! La propaganda bellica nei/Hat a soggetto regimati in lidia durante il coaflilto italo- turco (191 /• 12), «im­ magine», IVserie, 3,2011, pp. 104-119. ** «Vita Cinematografica», 11, 20,15 novembre 191 l,ciL in Aldo Bernardini, Vit­

torio Martinelli (a cura di), Il cinema natio italiano 191 /. Seconda parte, Roma, Cen­ tro Sperimentale di Cinematografia, 1996. ** Giovanni lari, Viva Tripoli italiana! Viva l'Italia!, cit, p. 109. Il film in que­ stione è Un'avventura coloniale (Cines, 1911\

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IntrodidMt al cinema muto italiano

dalla visione del fidanzato morto a Zanzur (L’ombra di un morto, FAI, 1913), coppie miste di giovani arabe e valorosi italiani, che ora funzio­

nano (Myriam, Enrico Guazzoni, 1929) e ora invece si sfaldano (Zzi sperduta di Allah, Enrico Guazzoni, 1929).” Giàda questi accenni ai temi narrativi dei film legati all'impresa li­

bica, si può intuire come dal confronto/scontro con l'impero ottomano

e la diversità «orientale», la coscienza dell’identità italiana ne esca raf­ forzala, sia in termini politici (in nome della fiera opposizione di un piccolo ma vitale Stato-nazione contro un impero gigantesco ma deca­

dente che ha sempre morti ficaio le autonomie dei popoli), sia in termi­

ni etno-cullurali (per la superiorità del modello latino rispetto all'irri­ ducibile alterità di cui si fanno portatori i turchi, gli arabi e i nord-afri­

cani, quasi sempre confusi tra di loro). Come ha dimostralo Denis Lot­ *ti 3, il primo cinema italiano Iemalizza in modo allusivo o esplicito la minacciosa diversità politica e culturale non solo dell’impero ottoma­ no ma anche, più ingenerale, del mondo islamico: lo fa già prima della

guerra libica e continuerà a farlo anche dopo la conquista definitiva della Tripolitania e Cirenaica, realizzando non solo, come si è detto, film sulle contemporanee o recenti vicende della guerra ilakMurca,

ma anche sulle Crociale", sulle lotte della Grecia e dell'Albania per l'indipendenza, sull'epica Reconquista spagnola dell’XI secolo , **

sulla

tratta delle bianche”. La rappresentazione cinematografica dell'altro e

• ' La sperduta di Allah (Enrico Guxcoxù, 1929). * * Cfr. Denis Lotti, La guerra allusa. L‘imperialismo nd cinema difinzione italia­ no tra propaganda e speranza (1909-1912), «Immagine», IV serie, 3, 2011,pp. 9-50. La Gerusalemme liberala (Enrico Guaoaoni, 1911 e \9Vt); l cavalieri dì Rodi (Mario Castrini, 1912). * * Cfr. Giovanni Lari, Frwr Tripoli italiana! Viva Thalia!, pp. 109-111. ” Si legga per esempio quanto scrive il critico e soggettista Guido Di Nanlo:

«Questo è un conflitto di rasar, il latino scuoterà il giogo tentane, non per asservirlo asta volta, ma per mostrargli b vb dell'espiazione cdclb redenzione negli ideali di paco perpetua con ingegni agguerriti ma con mani senz'armi», Guido di Nardo, 1 ci­ nematografisti italiani difronte agli eventi della Patria, «La vita cinematografica»,

VI, 19,22 maggio 19l5»pp. 43,46, cit. inGiaimcAloogc,Zzi guerra come orizzonte c come rappresentazione, «Turin Dams Review», 19 settembre 2006, p. 4 (bttp7/ www.turindamsreview4mitojtAceziooc4>bp?idart-X3&idcat-2).

/ temi nazionali

e la costruzione dell'identità italiana

157

del diverso, anche in un’ottica storico-retrospettiva, è funzionale a consolidare il profilo di un’identità nazionale di per sé ancora instabile e poco definita. Anche la produzione dei numerosi film narrativi di argomento bel *

li co realizzali subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia contro gli im­ peri centrali, il 24 maggio 1915, si ispira a queste duplice dinamica,

politica ed etno-culturale, di differenziazione dell’identità italiana ri­

spetto allo straniero. La finzione consente di dare al nemico - quasi sempre invisibile nelle riprese documentarie, come si dirà a breve una consistenza materiale ed emotiva, ricca di implicazioni ideologi­ che. L’impero asburgico è infatti rappresentato da un lato come uno

Stato autoritario che opprime i popoli *

(non solo dell’Italia nord­

orientale ma anche dei Balcani, eoe.), dall’altro lato come l’espressio­ ne di una cultura triviale, segnala quasi atavicamente dalla crudeltà e dalla poca intelligenza. Se fino a poche settimane prima dell’entrata in guerra, in Italia cir­

colavano liberamente film di produzione francese o austriaca, impe­ gnati a difendere le contrapposte ragioni dei diversi paesi belligeranti, dalla tarda primavera del 1915 fino alla disfatta di Capocollo quasi non

si contano i film anli-tedeschi, spesso girali in fretta e poco curali: l’a­

nello di congiunzione tra il film di ambientazione coloniale e il film a

sfondo bellico è Addio, mia bella addio... rannata se ne va (G.L. Giannini, 1915), incentrato sulle vicende di un bersagliere in Libia:

il film, costruito intorno a una canzone patriottica mollo popolare, me­ scola un intreccio passionale tipico del cinema partenopeo con le ripre­

se autentiche dei bersaglieri in partenza per la Tripolitania, ed esce strategicamente due giorni dopo la dichiarazione di guerra. Alla febbre cine-patriolica concorrono anche le dive, in primo luo­ go Francesca Bertini. A un personaggio femminile di pura invenzione interpretalo da quest’ultima in II capestro degli Asburgo (GusAavo Se­

rena, 1915), la critica rimprovera di aver messo in ombra la figura glo­ riosa di Oberdan. Tre anni dopo però laBertini si riscatta interpretan-

■* HCìd (MarioCascrini, 1910). hx un approfondimento,cfr. D. Lodi, La guerra allusa, c»L, pp. 25-27.

158

Introduzione al cinema muto italiano

do se slessa in Mariute (Eduardo Bencivenga, 1918): nel film si im­

magina che l’attrice, dopo aver sognalo di essere un’umile contadina banalizzala dal nemico austriaco, decide di abbandonare gli atteggia­

menti da prima donna, arrivando finalmente puntuale sul set e matu­

rando un forte sentimento patriottico. La partecipazione attiva dei divi alla propaganda bellica riflette l’inedita dimensione della prima guer­ ra mondiale come «guerra totale», ossia come «un tipo di conflitto do­ ve finterò corpo della società viene investito di compili militari in

senso lato» * 7. Al di là delle riserve estetiche , *

i film di finzione sulla prima guerra

mondiale meriterebbero di essere studiali con attenzione. Al di là delle sue imponenti dimensioni quantitative, indizio di un almeno iniziale

successo di pubblico, il filone bellico-patriottico non e un fenomeno

marginale. Da un lato infatti mobilita anche registi e interpreti di primo * piano

dall'altro lato dialoga flessibilmente con i diversi generi del­

l'epoca: il film storico-risorgimentale, la commedia (La doppiaferita, Augusto Genina, 1915), il film satirico {La guerra e la moda, Raffaele Cosentino, 1916), la comica (Kri Kri offre il suo braccio alla Patria, Raymond Frau, 1915; Bob ai bagni, Nino Martinengo, 1915), il film allelico-acrobatico (Maciste alpino. Romano Luigi Dorgnetto, 1916),

aprendosi persino alle sperimentazioni allegoriche (1 bimbi d Italia son tutti Balilla, diretto nel 1915 dal commediografo Alfredo Testoni,

Giaimc Alonge, La {guerra come orizzonte e come rappresentazione, citL, p. 6.

* Cfr. Vittorio Martinelli, Il cinema italiano inarmi, in Renzo Renzi (a cura di). Sperduto nel Inno. Il cinema nodo italiano e il suo tempo, cit_, p. 40. * * Tra i registi, si ricordano Enrico Guazzoni, pcrSempre nd cor lapatria! (1915), AlmaMater (I9I5X Augusto Genina per Lo doppiaferita (WIS), c lì sopravvissuto (19I6X Baldassarre Negroni, per Posa la {guerra ( 1915X Giulio Anlamoroper Fiam­ mata patriottica (I9l5)c L’avvenire in agguato ( 1916), da un soggetto originale di

Roberto Bracco, Eduardo Bencivcnga per Guerra redentrice (1915), Ivo Illuminati

per La nemica (1917); tra i divie, soprattutto, le dive, Amleto Novelli (Attenti alle spie!, 1915); Ixda Gys (in Sempre nd caria patria!, I915X Pina Menichelli (fllma Mater, I9I5X Lyda Borelli, interprete di un breve film su Santa Barbara integrato nei documentario tninscicrialcdi propaganda L’altro aerata ( 1918X Hesperia, ripresa, in La pasta in {guerra (laica Comerio, 1917) mentre risponde personalmente alle lettere dei soldati.

! temi nazionali e la costruzione dell’identità italiana

159

e interpretato da trecento bambini), al cinema di animazione (La guer­

ra e ilsogno di Momi, Segundo de Chomòn, I9l7)e a) meta-cinema (il

già ricordalo Mariuie, Eduardo Benci venga, 1918), oppure integrando la finzione con riprese autentichedel teatro di guerra10*. Anche gli in­

trecci andrebbero ricostruiti in dettaglio, perché aspirano a rappresen­ tare le ricadute della guerra sui vissuti di una popolazione variegata, falla di aristocratici, borghesi, contadini, anziani, donne, bambini, in­ tellettuali, sacerdoti,ecc. I racconti, spesso grossolani, mal strutturati e

inverosimili, mettono in scena mogli italiane che contrastano perfidi mariti austriaci (Il sopravvissuto, Augusto Genina, 1916), socialisti

o anarchici ravveduti che si distinguono eroicamente in battaglia (Al­

ma Mater, Enrico Gazzoni, 1915; La patria redime, Guglielmo Zorzi, 1915), bambini e ragazzi che cercano in ogni modo di partire per il fronte (L’esploratore, Armando Brunero, 1915), persino un Pierrot

in maschera che compie atti eroici nelle trincee (4mor che tace, Vitale De Stefano, 1916) e la Befana che si reca in prima linea per incontrare la Vittoria (Befana di guerra, Luigi Sapelli, 1915). Ne consegue una

rappresentazione complessiva della guerra che andrebbe interpretata

all'interno di un più ampio immaginario del conditio alimentalo da

canzoni, libri per bambini, cartoline, ecc. In ogni caso, anche se, come si è dello, alcuni film bellico-patriottici

ottennero un vasto successo, il cinema di finzione sostanzialmente fal­

lisce nel suo tentativo di edificare un immaginario bellico nazionale e nazionalista di forte e durevole presa sul pubblico. Di natura diversa,

ma anche più complessa, è invece la sostanziale inefficacia propagan­ distica della vasta produzione di riprese «dal vero» della guerra. A differenza di quanto accaduto per lo scenario libico, durante il

conditto mondiale le forze armale italiane non solo consentono agli

operatori civili di accedere alle zone di guerra, sia pure in numero li­

mitalo e con l’obbligodi girare contenuti in parte indicati dal Comando

* Si vedi per esempio Allain cui il regista DomcnicoGaido in­ *"

serisce le riprese dii vero dell * ingresso delle truppe italiane a Cormons, o H sibtramattoddl'Ocauùa (Augusto Genina, 1917), con l'inserimento di riprese di navi mi­ litari italiane in esercitatone.

160

Introduzione al cinema muto italiano

Supremo, ma dal 1916, analogamente a quanto era già avvenuto in Francia e Gran Bretagna, costituiscono apposite sezioni cinematogra­

fiche interne (laprima é istituita dalla Marina, mentre quella dell'Esercito sarà operativa dal gennaio 1917). Come ha osservato Sarah Pesenti

Compagnoni, «con la creazione di un Servizio cinematografico milita­

re, Esercito e Marina si prefiggono di porre fine alle contìnue specula­ zioni e polemiche sollevate dall'industria privala, garantendo un servi­ zio stabile di informazione e propaganda, controllalo direttamente dai

vertici delFEsercito e diffuso capillarmente a prezzi modesti»101. Alle immagini realizzate dagli operatori civili (primo fra tulli, ancora una volta, l'infaticabile Luca Comerio) già dall'inizio della guerra si af­

fiancano quindi i film recanti il fregio dello stemma sabaudo. Le diffi­ coltà logistiche e le restrizioni censorie, tuttavia, portano in entrambi i casi a una decisa rarefazione del visibile bellico. La guerra,ormai cosi moderna e frammentaria, sembra lontana, ripresa dalle retrovie, sosti­ tuita da sequenzedi trasporto merci, allestimento dei ricoveri, sposta­

menti di truppe attraverso interminabili marceecc. Anche se non man­ cano, talora, immagini di cadaveri, esplosioni ravvicinate di granate, e persino azioni con armi chimiche, in generale a questi film «dal vero» manca la drammatizzazione e la trasfigurazione eroica'" della batta­ glia, intravista invece nei suoi tempi morti (la visita di dignitari e uffi­

ciali, la vita quotidiana negli attendamenti ecc.),oppure filmataselo al

suo inizio calla sua fine (l'uscitadalle trinceee il rientro dei feriti). La potenza modemae inquietante di questa guerra si può forse intuire solo nelle immagini dei giganteschi pezzi di artiglieria caricati con proiettili

**' Sarah Pesenti Compagnoni,

La^uerra sepolta. Ifilm girati alfronte tra

documentazione, attualità e spettacolo, Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Univer­ sità di Torino, 2013, pp. 167-168. *** Come In osservato Faocioli, «da mancata croicizzaziooc nei fikn ‘dal vero * di figure di comboUcnù che, grazie alla personalizzazione di imprese note, possano of­

frirai al pubblico quali esempi riconoscibili, può essere considerato uno dei fattori che determinano a lungoamfaue il disinteresse dello spettatore». Cfr. Alessandro Faocioli, Propaganda c eupprrientarinnc nelle vedute cinematografiche adal vero», in Monica Pregnolalo, Luca Majoli (a cura di), Dalle emine della Grande Guerra alle nuove chiese sul lungo Piave. Fonti espunti criticiper la valorizzazione. Crocetta sul Mon­ tello, Grafiche Amiga, in corso di stampa.

Itemi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

161

di proporzioni smisurate rispettoai piccoli artiglieri schiacciati ai mar­ gini deH'inquadraLura 10’. Al di là di queste immagini, le riprese smen­

tiscono «il tono discorsivo galvanizzante delle didascalie al livellodella stessa prosaicilàdi un esercito rappresentato senza posa nel la sua più nuda operosa quotidianità»104. A conferire enfasi maggiore a queste

immagini spesso inefficaci interviene la dimensione sonora: «esecu­ zione di inni nazionali, canti,cori patriottici, interventi di bande musi­

cali, introduzioni e commenti di conferenzieri, letture ad alla voce del­

le didascalie»10' aspirano a «rinvigorire

le certezze identitarie» di

un'intera comunità.

Nel maggio 1917 il governo emette un decreto che introducel'obbligo della proiezione dei «dal vero» sulla guerra nei cinematografi: come ha osservato Faccioli, «la programmazione obbligatoria dei film

“dal vero" a fianco di melodrammi e film d'azione provoca presto nello spettatore sentimenti di rigetto e in molli casi i provvedimenti

vengono disattesi dagli esercenti»'01: mai prima di allora, comunque, lo Stato italiano aveva intrapreso un'azione cori ingerente e diffusa

di produzione e distribuzione di film di propaganda. Come ha ben osservalo Faccioli, «la rappresentazione cinematogra­

fica della prima guerra non finisce certo con Vittorio Venetoe le visite

dei Reali a Trento,Trieste e alle terre liberate»107. In tale prospettiva, il

Alonge ricordi, in particolare. La battaglia tra Brenta e Adige (LucaComerio, 1916), film conservatopresso la Cineteca di Bologna. Cfr.G. Alonge, La guerra come

orizzonte e come rappresentazione, CÌL, pp. * ** A. Faccioli, Propaganda e rappresentazione nelle vedute cùtematotfufidte ‘dai vero',ciL Alonge cita un caso di didascalia ingannevole: aTrupped’assallo en­ trano in azione, annuncia un cartello di Ingresso degli italiani a Trento e Rovereto (191X),una produzione delb SCE (b pellicola é conservata presso b Cineteca del

FriuliXma ncirinquadratura successiva non vediamo degli arditi che partono bakbn-zosicon il pugnale tra i denti, bensì un gruppetto di fanti in fib indiana cbeprocedono

con passo incerto sul terreno accidcnlaloa.Cfr. G. Alonge, La guerra come orizzonte e come rappresentazione, CÌL, p. 15. * * A. Faccioli, Propaganda e rappresentazione nelle vedute cinematografiche

adal vero», CÌL Ibidem. * *> A. Faccioli, // nàto montalo. Costruzione della memoria c manipolazione

162

Introduzione al cinema mulo italiano

documentario d’epoca sulla prima guerra mondiale che forse più di ogni altro aspira a dimostrare visivamente l'unitàdei cittadini italiani,

confluiti nel corpo collettivo della nazione, è probabilmente Glorici, apoteosi del soldato ignoto (1921): il film documenta le diverse fasi del lungo viaggio ferroviario che, tra il 28 ottobre e il 4 novembre

1921, portò la salma del milite ignoto dalla basilica di Aquileiaal Vit­

toriano, a Roma. TI convoglio attraversa campagne, paesi, città, lungo strade sempre affollate. Appare evidente il tentativo di costruire un’i­ dentità della patria attraverso l'integrazione dell'Italia delle centocittà,

unite, tramite la figura insieme fisica e simbolica del milite ignoto, nel sacrificio collettivo dei soldati provenienti da ogni parte d'Italia.

5.4 Identità nazionale e questione cattolica La gloriosa genealogia storica dell'Italia, la bellezza dei suoi paesaggi, l'epica plurisecolare della sua unificazione, giuntaa compimento solo

dopo la vittoria del 1918 sono, come si è visto, aspetti centrali nella costruzione di un ipotetico visibile cinematografico nazionale nei pri­

mi decenni del Novecento. A conclusione di questo itinerario attraver­ so i faticosi e controversi processi di costruzione cinematografica di

un'identità nazionale, va tuttavia osservato come altri importanti pro­

cessi storici coevi sembrino collocarsi in una posizione problematica,

se non a tratti divergente, rispetto ai progetti di propaganda della coe­ sione unitaria promossi piùo meno indirettamente dal cinema: si pen­ si, per esempio, allacrescente conflittualità di classe (ftnoall'apice del cosiddetto biennio rosso, il 1919-1920) o al perdurare delle pluriseco­

lari tradizioni regionali (e di una drammatico divario tra Nord e Sud). Il cinema muto italiano non si sottrae al confronto, spesso contraddi­

torio, con questi processi storici dalle implicazioni laceranti. L'esigenza di confrontarsi con istanze potenzialmente contrastanti

audiovisiva ita documentari di montando italiani sulla Grande Guerra, «Banco c

Nero», LXX1, 567, maggio-agosto 2010, p. 46.

Itemi nazionali e la costruzione dell'idenlità italiana

163

rispetto al concetto laico di identità nazionale si pone in particolare nei film che affrontano in modo più o meno esplicito temi religiosi. Il pro­ blema dei rapporti tra Chiesa cattolica e identità nazionale è d'altronde mollo delicato: per secoli il cattolicesimo aveva rappresentato l'unico tratto realmente unificante e veramente «italiano» all'interno di una

penisola divisa, lacerata, esposta alle più diverse influenze,a*. La sal­

datura tra l'identità cattolica italiana e i processi politici di unificazio­ ne era stala peròquasi vanificala dal Torte orientamento laico delle pri­

me elites liberali post-unitarie, e dal duro scontro, anche militare, con il Papato. Questa contrapposizione frontale, rimarcala dal divieto pon­ tificio posto ai cattolici di partecipare attivamente alla vita politica ita­ liana, si era gradualmente ammorbidila nei primi anni del Novecento,

fino alla firma, nel 1913, del Patto Gentiioni, prodromo all'alleanza elettorale tra cattolici moderali e liberali: nonostante questi segnali di dialogo, tuttavia, la questionecatlolica restava sempre aperta.

Il primo cinema italiano intercetta le spinte anti-clericali così come i tentativi di conciliazione con la Chiesa. Al versante del dialogo po­ litico tra laici e cattolici in nome della comune identità italiana appar­ tengono senza dubbio i numerosi film risorgimentali che ricordano il patriottismo dei sacerdoti: il primo esempio risale già al 1906, con Cuore e patria (Cines), dove un parroco scioglie dal volo la giovane

donna e legittima l'unione di quest'ullima con un bersagliere. Negli armi successivi, questa prospettiva di conciliazione è ripresa in molti altri titoli. Nel già ricordalo II piccolo garibaldino, per esempio, il prete benedice il fucile delle camicie rosse19*, mentre in Dalle cinque

giornate alla breccia di Porta Pia l'arciprete del duomo di Milano in­ voca presso Radetzky la fine della repressione. Ancora più rilevante è

il ritratto di don Tozzoli, tra i protagonisti del già citato / martiri di Belfiore, impiccato insieme ad altri patrioti nel 1852: la critica del***

*** Per un’ollima introduzione alle refezioni sloriche Incultura cauolicae identità nazionale in Italia cfr. Cesare Mozzarvi ijdcntiià italiana c cuUDlicaimo: una pro­ spettiva storica, Carocci, Roma, 2003. *** Per un'analisi più approfondita cfr. Giovanni Lasi, L’ùunagju»e della nazione, in Mario Musumcci, Sergio Toffetli (a cura di), Da La presa di Roma a 11 piccolo ga­

ribaldino, ciL, pp. 18-21.

164

Introduzione al cinema muto italiano

tempo coglie perfettamente le intenzioni ideologiche di questo ritrat­

to, celebrando nella «nobile figura del Tozzoli [un] simbolo di armo­ nia tra Religione e Patria, sublimi idealità entrambe»" . * Un’analoga eroica armonia tra sacerdoti e patrioti è teorizzala in alcuni film am­

bientali nella prima guerra mondiale: in Gloria ai caduti (Elvira Nolari, 1916), un abate tiene lezioni di patriottismo agli scolari durante l’ora di religione, mentre in Jlmio diario di guerra (Riccardo Tolen­

tino, 1915) un sacerdote, don Lorenzo, conforta i soldati e cade sotto i colpi degli Austriaci mentre cerca di portare soccorso ai feriti. La par­ tecipazione degli uomini di Chiesa alla vita del paese si estende, in

alcuni film, anche alla questione sociale: in film come Carità cristia­ na (1910) o il già citato Z figli di nessuno, i preti svolgono una riso­ lutiva funzione di mediatori tra gli operai in sciopero e la controparte

padronale'". Al di làdi questi film dalle deliberate finalità ideologiche, nel primo cinema italiano sembra mancare la capacità di rappresentare l’operati­ vità della fede e della morale cattolica nei comportamenti quotidiani, nella visione del mondo, nei valori morali sia delle elites che delle

masse. Se sono numerosi, comesi è visto, i film storici in cui si assiste a un convinto recupero del cattolicesimo più devoto e agiografico, sia

pure spesso subordinato alle esigenze spettacolari del film in costume, non sono invece moltistimi i soggetti patetico-edificanti a contenuto religioso di ambientazione contemporanea. I temi privilegiali, in que­ sti soggetti, sono il perdono e la redenzione, ma il più delle volte il mo­ rivo religioso è un semplice pretesto per infiammare una macchina me­ lodrammatica ampiamente collaudata. Colpisce, piuttosto, il mancalo decollo di un cinema di autentica ispirazione cattolica, tanto più se si

considera che la posizione della Chiesa e delle organizzazioni callo-

* Gaetano Morano in «La Vila Cinematografica», XV, 10 dicembre 1924,ciL in " Vittorio Martinelli (a cura di), Il cinema mulo italiano. 1film della Grande Guerra. 1915. Seconda parte, «Bianco c Nero», Voli 3-4,1991, p. 25. Per ulteriori approfondimenti sull’ipotesi di un «visibile cattolico» nel primo

cinema italiano cfr. Eleni Mosconi, 11film a tona religioso, in Ruggero Eugeni, Dario Viganò (a cura di),AUravmo lo schermo. Cinema e cultura cattolica in Italia. Vol. 1: Dalle origini a^i ami Venti, Roma, Ente dello Spettacolo, 2006, pp. 267-283.

166

Introduzione al cinema muto italiano

produzione torinese nata nel 1909". L'Unitas, animata dall'abate e teologo Vincenzo Maria Musso, era legata all’opera delle Proiezioni (un'organizzazione cattolica per le proiezioni educative) c godeva del­ l'appoggio della diocesi torinese (('arcivescovo Richelmy figurava tra gli azionari): il suo obiettivo era proprio la produzione di film edifican­

ti, ma se si leggono i soggetti dei film effettivamente realizzali, circa

una ventina, si può notare come la presenza dei contenuti religiosi resti in realtà piuttosto limitala, e non sia mediamente superiore a quella

rintracciabile nella restante produzione italiana del periodo. Non di rado, nella produzione di quegli anni, si possono invece scorgere, sia pure in tenue filigrana, i riflessi di quel problematico rap­

porto tra la Chiesa e una parte della società italiana che caratterizza la storia del nostro paese prima e dopo i Patti lateranensi del 1929. Tale

problematicità si coglie già nel più volte citato La presa di Roma (1905), leso a celebrare la sconfitta del potere temporale della Chiesa,

in particolare con un'inquadratura (la bandiera bianca issala sulla cu­ pola di San Pietro) di forte impatto politico. Ma una visione più o me­ no critica della Chiesa è insinuala anche in altre produzioni storiche. Si pensi a Giordano Bruno (Itala Film, 1908), a Sisto V (Ambrosio, 1911), la cui dura posizione antipapale (il pontefice è messo in scena come un tiranno sanguinario e infido) suscita ampie reazioni di sdegno

nel mondo cattolico statunitense?", a Galileo Galilei (Ambrosio, 1909), apertamente polemico contro le persecuzioni del Sant’Uffizio, a Niccolò de'Lapi (Itala Film, 1909), dove dietro il raccontodella co­

spirazione che il papa trama con l'esercito mediceo per abbattere la re­

pubblica fiorentina s'intuisce una critica alla politica anli-unitaria del papato. Altrettanto problematici nei confronti della Chiesa sono, negli

armi successivi, Giuliano rapostata(Uff> Falena, 1919), sull'impera ­ tore che tentò di restaurare il paganesimo, Z Borgia (Luigi Sapdli, 1920), in parte dedicalo alle nefandezze di papa Alessandro IV, e il

* Cfr. Alberto Friedemann,LaSlC-UniUa e il bollettino etnee et Verbo», in R. " Eugeni, D. Viganò(acura &},AUruvento lo seberaao, ciL, pp. 189-214. Cfr. la lettera scritta da un comitato spontaneo di cattolici sorto ad Augusta, in Georgia, pubblicala su «The Moving Picture World» c citala in A. Bernardini (a cura di), Il cinema muto italiano 1911. Seconda parte, ciL, p. 170.

/ temi nazionali e la costruzione dell'identità italiana

167

censuralo Trihoulet (Febo Mari, 1923), dove compare un perfido Igna­

zio da Loyola. Spunti polemici contro la Chiesa sono inoltre ravvisa­

bili anche nel ritratto di un fanatico prete anti-semita in Israel (Antoi­ ne, 1919), da una celebre pièce di Henri Bernstein.

Capitolo 6

Luoghi e modi di produzione Alberto Friedemann

6.1

Cinema, arte industriale

Cos’è il cinema, o meglio, cosa si intende quando si paria di cinema? Nel corso di poco più di un secolo di storiaci cui inizio in Franciae in Italia si Ta convenzionalmente * risalire al 28 dicembre 1895, data della prima proiezione pubblica dei fratelli Lumière, di «cinema» sono state date numerose definizioni, alcune miranti a sottolineare l'aspetto tec­ nico-scientifico, altre legate alla definizione neurologica della visione

del movimento, altre ancora attente all'impatto sociale di una forma espressiva che ha modificato il modo di vedere, di vivere, e, a volle,

di pensare, dei possibili spettatori... si potrebbe continuare. Senza privilegiare alcuna definizione e limitando l'indagine agli aspetti immediati del cinema, oggi come ieri lo scopo unico dell'atti­

vità cinematografica è far vedere un film, con i mezzi più vari: non si può però dimenticare che per realizzare questo film sono stati neces­ sari investimenti, attrezzature, mano d'opera, poi, per venderlo, si è creala una complessa struttura commerciale per pubblicizzarlo, orga­

nizzarne la distribuzione e farlo giungere agli acquirenti: un film è

1 Inoltri pacati si privilegiano altre daiec altri pionieri; per un sintetico panorama delle proposte precedenlie contemporanee ai Lumière, si possono consultarei testi di Donala Pesenti Compagnoni, Quando il cinema non c'era, Utct Università, Torino 2007 edi Virgilio Tosi, Il cinema prima dd cinema, Il Castoro, Milano 2007.

Luoghi e modi di produzione

169

dunque, prima di Lullo, un prodotto industriale che, come una scatola di pelali o un’automobile, esige una strategia produttiva ed è sottopo­

sto alle leggi dell'economia. Definire un film soprattutto come un prodotto industriale può sem­ brare riduttivo per chi considera il cinema come la settima arte: soven­ te nella storiografia non si trova traccia di questo aspetto del problema,

ma non si possono ignorare le strategie di «mascheramento» che i pro­ fessionisti del settore hanno praticato, fin dai primi anni del secolo scorso, per trovare definizioni più attraenti, anche se talvolta ambigue,

per nobilitare le fasi del processo industriale di realizzazione di un

film: tutti coloro che intervengono nella produzione, dal regista di fa­ ma all'ultima comparsa, probabilmente si sentirebbero offesi nel sen­ tirsi definire «mano d'opera», preferendo termini come «cast» o «per­

sonale artistico e tecnico»; allo stesso modo, lo spettatore invece di

«acquirente», preferirebbe sentirsi indicato con un termine straniero, «target». Tuttavia, queste definizioni, eleganti nella loro ambiguità,

non possono impedireuna sempliceconstatazione: se si paria comune­ mente di «produzione» cinematografica, perché mai il film finito, pronto per essere distribuito nella sale («venduto») non dovrebbe esse­

re definito «prodotto»? Riprendendo concetti già adottati per altri modi espressivi, è quindi

corretto definire il cinema come arte industriale: in questo studio ver­ ranno sinteticamente analizzale le strutture economiche - le case edi­ trici2 - che permettono di realizzare il prodotto-film, senza entrare in merito al valore della produzione, fattore fondamentale per valutarne la redditività, ma attinente ad altri campi di ricerca.

* Nei primi tempi del cinema, le socicùdi produzione vengono definite normal­ mente come «case editrici».

170 &2

Inlrodidone al cinema muto italiano

Per una storia economica del cinema

Importanza di una storia economica

Fissalo il concetto che un film, qualunque film, è un prodotto industria­ le, ne consegue l’importanza della conoscenza degli aspetti economici che stanno a monte della stessa ideazione di un film: da dove arrivano i soldi per pagare il personale (organizzativo, tecnico, artistico), gli sta­

bilimenti, le attrezzature tecniche, i materiali di consumo, le campagne pubblicitarie, in poche parole, le tappe da superare perché una pellicola

possa arrivare alle sale? Si tratta di cifre sempre molto alteche esigono l’utilizzazione di una gamma di capacità e di conoscenze tecniche non facilmente valutabili nei costi vivi, ma fondamentali per la buona riu­

scita del prodotto-film; l’aspetto forse più pregnante della produzione cinematografica è che questo insieme di know-how e di fattori econo­ mici non fornisce alcuna sicurezza: nessuna ricerca di mercato può ga­

rantire a priori il successo economico di un film, né il trionfo sul mer­ cato di una pellicola garantisce il successo di quella seguente, purse im­ postata allo stesso modo e realizzata con lo stesso personale. Non si tratta di un problema di oggi oristretloaun solo paese: fin da quando, nel primo decennio del secolo ventesimo, il cinema non viene

più inteso come una curiosità o un ritrovalo tecnico-scienlifico, ma co­

me uno spettacolo di massa, i costi di produzione e di distribuzione so­ no allie aumentano in continuazione, in ragione del successo di merca­ to: il pubblico aumenta rapidamente, ovunque' e senza soluzione di continuità,sottraendo spettatori alle altre formedi spettacolo ed esigen­

do sempre nuove pellicole, sempre più lunghe, sempre più ricche di am­ bienti, di trucchi edetfelti, di allori: è un processoche esige investimen­ ti sempre maggiori e i rischi aumentano di conseguenza. Nessun privalo può sostenere i costi e adempiere la serie di com­ plesse operazioni necessarie: di qui Timportaroa fondamentale delle

• «Ovunque» va inlato come un*indicazione geografica ristretta ai paesiche all’i­

nizio del secolo ventesimo hanno raggiunto un livello minimodi sviluppo economico: con una rauca semplificazione geo-politica, ciò significa l'Europa, le Americhe, alcu­ ni paesi asiatici c africani, Australian Nuova Zelanda.

Lu^hi e modi di produzione

171

vere prolagoniste dello sviluppo e dell’affermazione della cinemato­

grafia, le società di produzione, quegli organismi - inizialmente privali poi anche pubblici - in grado di realizzare film con continuità, di af­ frontare i livelli di rischio e di compensare le (eventuali) perdile di un

prodotto-film sbagliato con il successo di altre pellicole. Qualunque generestoriografico, quando viene indirizzato alla ricer­ ca dei dati essenziali di una questione, dei motivi primari, diventa una storia economica, e da questo paradigma non può sfuggire la storia del cinema: una storia del cinema che si limiti ad analizzare le valenze estetiche di un film senza prenderne in esame le caratteristiche econo­ miche è una storia limitala che non riuscirà a spiegare in maniera esau­ riente perche e come sia stalo realizzato o perché sia stalo abbandonalo

un genere. Questo assioma è valido per ogni paese in cui vi sia-o vi

sia stala - produzione cinematografica, anche se la nascita e lo svilup­ po di questa hanno naturalmente caratteristiche diverse, dipendenti dalle condizioni economiche, politiche e sociali.

La storia dell’industria cinematografica tradizionalmente divide il complesso dell’atlivilà in tre settori, produzione, distribuzione, eserci­

zio, ognuno dei quali con caratteristiche e tempi disviluppo peculiari. Un’impostazione del genere trascura però un parametro economico

fondamentale per le case di produzione: la realizzazione di un film non è che una tappa intermedia del processo produttivo e se è giusto considerare distribuzione ed esercizio, le tappe finali di sfruttamento del prodotto-film, non si può ignorare che a monte sta Vhardware, cioè le pellicole e i macchinari per le riprese e la proiezione, per lo sviluppo

e la stampa. Nel secolo scorso I* hardware cinematografico è stato sot­ toposto a un continuo processo di rinnovamento: il successo di mercato

stimola la ricercadi miglioramenti non solo del prodotto finale, ma an­ che di tutto quanto riguarda le attrezzature. Le nuove conquiste tecno­

logiche vengono necessariamente adottale dalle case editrici, che non

possono fame a meno se non a rischio di vedere i propri film rifiutali dal mercato - si pensi ai cambiamenti rivoluzionari imposti, nel giro di

una decina d’anni, dall’introduzione del sonoro e poi del colore4 - e

4 Sull'cvolurionc della tecnologia cinematografica é da tempo esaurito l'ottimo

172

Introduzione al cinema muto italiano

devono anche accettare, ovviamente, i prezzi imposti da chi controlla il

know-how. Ai due passaggi a valle della produzione, va quindi aggiun­ ta una tappa a monte, in grado di condizionare direttamente la gestione di una casa editrice. In questo breve studio verranno rapidamente prese in esame solo le

vicende economiche delle case di produzione italiane del periodo del muto, semplificando, nei limili della correttezza metodologica, un ar­ gomento complesso e che esigerebbe ben altro spazio.

Strutture societarie

Con il termine «società» si intende un insieme di individui uniti da uno strumento organizzativo liberamente accettalo; se si restringe la defi­ nizione al campo economico, con società si indica un «ente costituito da due o più persone che impegnano beni comuni per l’esercizio di un’attività economica». La legislazione italiana ammette diversi tipi

di società, con caratteristiche diverse e che possono variare nel corso del tempo. Per quanto riguarda l’attività cinematografica dei primi

venti / trenta anni del secolo scorso, interessano solo alcuni tipi di so­ cietà, quelle in nome collettivo, in accomandita, per azioni: altre strut­ ture societarie hanno avuto un’importanza minima e, in questa sede,

possono essere trascurate.

- Società in nome collettivo (s.n.c.): società costituita da due o più individui, tutti responsabili illimitatamente degli obblighi sociali e, di solilo, lutti amministratori e rappresentanti della società stes­

sa; l’alto di fondazione fissa gli apporti dei diversi soci e la riparti-

teslodi Mario Calzini,.Storia tecnicadd/Um c della dùco.Due invensiomuna sola avventura, Cappelli, Bologna 1991 ; per una prima conoscenxadeU’argomento, ri pos­

sono consultare i testi di Virgilio Tosi, Breve storia tecnolo]pcaddcinema,B»Jùotù, Roma 2001, di Cario Montanaro, Dall'argenio alpùeL Storiaddla tecnica dd cine­ ma, Le Mani, Rocco (Gc) 200$, c di Riccardo Rodi, Tecnologia cinematojpvfica. 1X90-1932, Persiani, Bologna 2010. Per un’ampia antologia di testi italiani d’epoca

degli anni Dicci c Venti dedicali alla tecnica cinematografica ri veda: Giulia Cartoc­ cio, Michele Canora, Federica Villa (a cura di). Cinema muto italiano: tecnica e tec­

nologia, vol. I, Discorri. precetti. documenti, Roma, Carocci 2006.

Luoghi e modi di produzione

173

zione degli utili e delle perdile, i bilanci non devono essere resi pubblici. È una forma organizzativa che si presta solo per l’eserci­ zio di attività artigianali e commerciali di dimensioni limitate. - Società in accomandita semplice (s.a.s.): società costituita da due o

più soci, in cui occorre distinguere fra soci accomandatari, che ri­

spondono di tutte le obbligazioni sociali, e soci accomandanti, che rispondono solo per la quota conferita: la gestione sociale spetta ai soci accomandatari, da uno dei quali la società prende il nome. Si tratta di una forma organizzativa agile, nata di solilo dalla cono­

scenza personale dei soci che adidano un capitale, mai molto eleva­ to, alla gestione di uno di loro; annualmente viene stilato un bilan­ cio, unica forma di controllo concessa agli accomandanti. - Società per azioni (S.pa.): società in cui soltanto il patrimonio so­

ciale risponde delle obbligazioni delia società e le quote dei soci so­ no rappresentate da azioni: il capitale iniziale sottoscritto dai soci è,

per legge, elevato (è inutile indicare cifre che variano negli anni per effetto della svalutazione della moneta e delle direttive dei gover­ ni); un terzo va depositalo in una banca riconosciuta di interesse na­

zionale come riserva. L’alto di costituzione va depositato nel regi­ stro delle imprese per fare assumere alla S.p.a. una personalità giu­

ridica, indispensabile per emettere azioni, cioè per rastrellare dena­

ro sui mercati finanziari: questa possibilità rende un’organizzazione societaria siffatta l’ideale per aziende di grandi dimensioni; la fram­

mentazione del capitale permette agli amministratori, eletti dall’as­ semblea degli azionisti e di fronte a questa responsabili, di control­ larla e gestirla anche avendo versalo una quota limitala di capitale.

Tulli gli alti - assemblee, bilanci, variazioni del consiglio d’ammi­ nistrazione - di una S.p.a. sono pubblici.

In ultima analisi, le diverse forme di organizzazione societarie dif­

feriscono per la quantità di capitale impiegato c danno luogo a modi di produzione diversi: le s.n.c. sono adatte a un lavoro di tipo artigianale, in cui uno o più individui che possiedono particolari abilità, impiegano gli scarsi mezzi finanziari di cui dispongono per migliorare le proprie attrezzature e i luoghi di lavoro; l’attività è sempre individuale e la

174

Introduzione al cinema nuda italiano

produzione non può aumentare al di là delle capacità lavorative dei

singoli. Piùampio il raggio d’azione delle juljù, che, tuttavia, in casodi suc­ cesso della produzione, raggiungono un limite quando le capacità di lavoro dei soci iniziali non sono più sufficienti a seguire il ritmo del­

l'espansione: il capitale iniziale non basta più e si rende necessario re­

perire nuove fonti di finanziamento per acquisire nuove attrezzature, per assumere il personale necessario a farle funzionare e per contenere i costi di vendita della merce.

La risposta alle nuove esigenze va cercala nelle S.p^, in cui il forte

capitale iniziale permette un'impostazione diversa del lavoro sia nella fase organizzati va e amministrativache in quella produttiva che in quel­ la commerciale, in breve, impone il modo di produzione industriale.

Nelle prime righe, il cinema è stalo definito come un'arte industria­ le, ma come si qualifica il modo di produzione industriale nel cinema? L'esigenza primaria è la fomituraal mercato di prodotti-film in abbon­ danza, ma come è possibile arrivare a una produzione di massa che continui nel tempo? Oltre a un'approfondita analisi delle possibilità

del mercato, fra i principali parametri richiesti per impiantare uno sta­ bilimento industriale vanno annoverali un forte capitale iniziale, chia­ rezza nei programmi a medio-lungo termine, disponibilità di materie prime e/ó di materiali, disponibilità di mano d'opera qualificata, capa­

cità di gestione. Tutti questi parametri - e al tri di minore importanza -

sono collegati: per stabilire in che misura si attuino nella produzione italiana è bene esaminarli uno per uno. - Analisi del mercato. Una ricerca su quali sianole caratteristiche del mercato cui si vuole destinare il proprio prodotto è condizione im­

prescindibile per un imprenditore privalo il cui scopo sia guadagna­ re. L'imprenditore deve avere ben chiaro le caratteristiche di cosa intende produrre e a chi lo vuole vendere - il target - consideran­ done le dimensioni e le possibilità economiche, sociali e culturali.

Per il cinema il problema è particolarmente arduo da risolvere, per­ ché fin dagli inizi, alla fine del secolo XIX, i prodotti-film, per fare guadagnare le società di produzione, devono circolare su un mer-

Luoghi e modi dì produzione

175

calo intemazionale. In Italia, il mercato è economicamente ristretto

e culturalmente stratificato, con altissime percentuali di analfabeti­ smo: tutto ciò avrebbe dovuto portare a un interesse accentuato per

le possibilità di esportare e a un contenimento dei costi di produzio­ ne, ma enlrambiquesti fattori furono compresi e messi in pratica so­

lo occasionalmente e non divennero mai patrimonio comune della produzione. Non va dimenticato che le case editrici italiane si affac­ ciavano in un mercato ampio ma non facile, dove erano già presenti numerose aziende estere consolidate che potevano coniare su un pubblico interno ben più ampio, in grado di ammortizzare i costi

e quindi di permettere la vendita dei prodotti in dumping. - Capitale iniziale. Un forte capitale iniziale è una condizione impre­ scindibile per rimpianto di un'impresa industriale. Le dimensioni

del capitale sono da stabilire in rapporto al tipo di lavorazione che si vuole intraprendere e ai costi iniziali di impianto e devono essere tali da assorbire i primi inevitabili deficit di bilancio: difficilmente un'impresa può guadagnare fin dai primi duo-ire anni di attività,

ma per resistere fino a un pieno rendimento e non caricarsi di pe­

santi debiti bancari, deve prevedere fin dalla costituzione dell'a­ zienda forti riserve interne. Il problema della costituzione di un for­ te capitale è naturalmente collegato alla fiducia che una società ri­ scuote all'atto della fondazione; si è visto sopra quali siano le ca­ ratteristiche delle società industriali e può sembrare strano che la

grande maggioranza delle case editrici italiane sia stala fondala co­

me s.n.c. o s.a.s^ quindi con mezzi finanziari personali, sicuramen­ te limitali: nel primo decennio del Novecento in Italia regna ancora una diffusa incertezza sull'avvenire del cinema e i primi pionieri confidando nelle proprie capacità, pensano a una produzione e a una diffusione locale o poco più, praticano cioè un modo di lavoro

di tipo artigianale. Un'impostazione del genere merita rispetto per

' Con dutupùtxù intende la vendita di un bene odi un servizio in un paese stra­ niero a prezzo inferiore di quello praticato del paese di origine, o addirittura minore del costo di produzione, per conquistare nuovi mercati e mettere in difficoltà possibili

rivali.

176

Introduzione al cinema muto italiano

il rischio assunto in prima persona da questi pionieri, ma è in con­

traddizione con le caratteristiche che l'industria cinematografica

aveva già assunto altrove, e non fa che aumentare il distacco dagli altri paesi. Oltre a ciò, quando i risultali permettono o impongono

il passaggio alla fase societaria superiore, la S.p^L, questa incertez­ za nel futuro del cinema si ripercuote negativamente nella ricerca di capitali presso i grandi investitori istituzionali, le banche di af­

fari, che saranno pressoché assenti da ogni forma di finanziamento fino alla fine della Grande Guerra . * Una conseguenza nefasta dell'incapacità di stabilire rapporti chiari, di fiducia, con le banche è

la tendenza a finanziare l'attività attraverso il ricorso a prestiti one­ rosi, a scambi cambiari, a tratte, ad assegni postdatati: con siffatti

sistemi di finanziamento si crea un equilibrio artificiale, che soven­ te viene rotto dall'insolvenza di un solo debitore scatenando una serie di fallimenti a catena.

- Chiarezza dei programmi. La mancanza di lucidità nel formulare

un programma di attività è strettamente connesso ai punti prece­ denti: anche in questo caso, conoscendo le vicende globali del ci­ nema nel secolo scorso, può sembrare strano che gran parte degli

imprenditori cinematografici italiani non avesse assolutamente

chiaro come si sarebbe sviluppalo il settore né fosse capace di pia­

nificare l'espansione della propria azienda: é storicamente dimo­ stralo come quasi nessuna impresa sia stala in grado di formulare progetti attendibili in grado di destare l'interessedelle banche o co­ munque di possibili forti investitori. L'incapacità di stilare pro­

grammi validi può essere valutala dai risultali negativi, ammessi

chiaramente dai verbali dei consigli di amministrazione e delle as­ semblee e dalle conseguenze di un andamento produttivo imprevi­ sto. Un esempio di queste carenze di pianificazione è il modo in cui

nelle società editrici viene risolto il problema della costruzione di

• Vii un'unicaccccóonc significativa airallcggrameitfo delle grandi banche ver­

soi! cinema, quellodel Banco di Roma con la Cines (v. ultra), ma non si può ignorare che si tratta di un coinvolgimento di cui l'ctùUÀo bancario cerca a più riprese di libe­ rarsi.

Luoghi e modi di produzione

177

uno stabilimento con almeno un teatro di posa: in nessuna società

cinematografica italiana le prime costruzioni soddisfano le esigen­ ze lavorative per più di un paio di anni: o sono insufficient! a se­ guire lo sviluppo aziendale, e in questo caso si ricorre ad amplia­ menti non previsti e a frettolose ristrutturazioni che alterano l'orga­ nizzazione del lavoro, oppure sono sovradimensionale e allora si

cerca frettolosamente di ammortizzarne il costo affittandoli a case minori e tentando avventurose riconversioni ad altri scopi. - Rifornimenti di materie prime. In un paese come l'Italia, povero di materie prime e con uno sviluppo industriale in forte ritardo, la si­

curezza nella disponibilità delle forniture indispensabili alla produ­ zione è un elemento da valutare con la massima attenzione prima di

intraprendere qualsiasi attività La dipendenza dall'estero porta in

primo piano il problema dei prezzi delle materie prime e delle for­

niture industriali indispensabili alla cinematografìa: si tratti di pel­ licole, di prodotti chimici, di obbiettivi, delle diverse apparecchia­

ture meccaniche - macchine da presa, da proiezione, di sviluppo, di stampa - in Italia la produzione è totalmente inesistente e bisogna ricorrere all'importazione 7. Ciò comporta per le case editrici il ri­

schio di essere sottoposte all'oscillazione delle monete, a un co­

stante ritardo tecnologico rispetto ai concorrenti stranieri - ovvia­ mente privilegiati dai fornitori nazionali - alla possibilità di im­ provvisi blocchi dell * import Ovviamente, la causa di tali condizio­ ni di inferiorità va cercata ncH’arrelratezza di sviluppo del paese, non presso le società produttrici, ma è di queste la responsabilità per non avere fatto (quasi) nulla per rimediare a un tale stato: nep­ pure nel delicato, fondamentale campo della fabbricazione di pel­

licole, è stalo mai stabilito un collegamento organico con le impre­

se intemazionali, e ciò in un periodo favorevole allo sviluppo del­ l'industria chimica. - Disponibilità di mano d'opera qualificata. È l'unico fattore vitale in

cui l'azione delle case editrici è stala posili va, ottenendo buoni risul­

* Su questi aspetti si legga anche il saggio di Giuliani c Piva pubblicalo in questo

volume.

178

Introduzione al cinema muto italiano

tali. Anche in questo caso, la responsabilità iniziale delb situazione none dellesocietà di produzione: il livello culturale del paese è bas­ so, l’analfabetismo è a livelli paurosi, vicino al 50%, l’istruzione tecnica, nonostante gli sforzi di alcuni governi e di molti privali, è quasi inesistente. La soluzione tentala nei primi anni, l’importa­ zione di tecnici specializzali da paesi più progrediti, segue la via praticato da altri settori industriali, puntando suBa possibilità di of­ frire stipendi e possibilità di carriera maggiori di quelli praticati nei paesi d’origine: per alcuni settori dal grande potenziale economico questo via funzionò molto bene - buona parte dei grandi cotonifici

italiani sono stati fondali da svizzeri o tedeschi - ma anche per il cinema, sia pure su scab minore, l’attenzione alle capacità dei tec­ nici stranieri ha portato a buoni risultali e alb formazione interna alle aziende di numerosi specialisti qualificali. - Capacità imprenditoriali, amministrative e gestionali. È il fattore

meno facilmente definibile e poco valutabile a priori: tuttavia, se

si guardano i risultati delle diverse aziende e si tenta di ricostruirne le vicende attraverso le relazioni dei curatori fallimentari si arriva alb conclusione di come in pochissime case di produzione italiana - due o tre, non di più - i dirigenti cinematografici abbiano rag­ giunto un livello di eccellenza, ma quasi tulli siano stali colpevoli

di avventurismo, di incapacità di valutare i rischi di impresa, di in­ capacità di comprendere i meccanismi del mercato, e come alcuni,

non pochi, abbiano concepito il cinema solo come mezzo specula­ tivo.

Sommariamente delincale le caraneristiche delle diverse forme di organizzazione societaria e del modo di produzione industriale nel ci­ nema, la prima questione da risolvere è quella del capitale: se nelle s.n.c. e nelle s.a.s., il limitalo capitale necessario per incominciare il lavoro è fornito dai soci a livello personale, anche tramile prestiti o mutui, dove trovare i mezzi per dare avvio a un’impresa produttiva

che voglb porsi su un piano industriale, condizione necessaria per di­ ventare competitiva? La risposta è una sola: nelle banche. Dopo le guerre d’indipendenza, disastrose per il bilancio statole, l’economia italiana nei decenni fra il 1860 e il 1915, riesce a svilupparsi non tonto

Luoghi e modi di produzione

179

per l’azione dei vari governi, ma grazie all’apporto e al sostegno delle

grandi banche d’affari (Banca Commerciale, Credito Italiano e, in mi­ sura minore, Banco di Roma)che forniscono i capitali necessari al de­ collo della grande industria , * favorendo l’inizio di un faticoso processo di adeguamento del paese agli standard intemazionali: la storia del ci­

nemaitaliano - settore integrante dell’economia italiana, sottoposta al­ le stesse leggi di mercato - va vista e riscritta in quest’ottica, anche se l’interesse in meritodei grandi istituti di credito è stalo minimo, alme­ no lino agli anni Venti. Le fonti

Per studiare e conoscere le vicende di un’azienda cinematografica è

fondamentale un lavoro di ricerca dei documenti societari, depositati presso le istituzioni pubbliche presenti nellecillà capoluogo di provin­ cia, gli Archivi di stalo, i Tribunali, le Camere di commercio, gli Ar­ chivi notarili. Talvolta gli archivi sono in disordine, quando non in completo stalo di abbandono: in alcuni casi, i motivi del disordine so­

no comprensibili - terremoti, inondazioni, danni bellici... - ma spesso la causa è stala l’incuria e il disinteresse per la conservazione dei do­ cumenti cartacei, fragili e facilmente danneggiabili dall’umidità.

Negli archivi citati si trovano tulli i documenti delle società per azioni, pubblici per legge: alti di costituzione, statuti, verbali delle as­ semblee e dei consigli di amministrazione, bilanci annuali, passaggi di azioni, alti di scioglimento. Un altro fondo ricco di informazioni è

quello dei Procedimenti fallimentari, in cui viene ricostruita la vita

di un’impresa, senza indulgenze e senza retorica: un liquidatore scru­ poloso svolge una funzione di supporto storico estremamente utile, raccogliendo e ordinando i documenti signi Cicalivi, analixrando a fon­

do scelte ed errori e cercando i possibili fattori giusti Cicalivi, per giun-

1 Gli studi sullo sviluppo economico italiano sono numerosi, ma nonsempre di facile lettura; due rapidi testi di sintesi, avviamento a opere più appro fondite, sono quelli di Salvatore La Francesca, Storia dei sàtana bancario italiano. Il Mulino, Bo­ logna 2004 e di Stefano Fenoaitea, L^xonomia italiana daU'unilà alla Grande guer­

ra, Interra, Roma-Ban 2006.

180

Introduzione al cinema muto italiano

gerea un giudizio finale che, visto l'esito, è quasi sempre negativo; fra

i documenti allegati, sono particolarmente interessanti gli inventari che svelano il patrimonio di una società, sia pure nel momento della crisi finale. Meno rilevanti sono i depositi di documenti delle società in acco­ mandila, per lequali i vincoli di pubblicità degli alti sociali sono meno

cogenti. Le lacune degli archivi possono essere colmale, in parte, con una lettura attenta del «Foglio di annunzi legali» (Fai), un periodico uffi­ ciale pubblicato a cura delle Prefetture in ogni provincia, in cui sono

riportali gli estremi degli atti pubblici per legge: naturalmente, non sempre le norme ufficiali vengono rispettale, per cui cercando di rico­ struire, ad esempio, l'andamento di una società studiandone la serie cronologica dei bilanci, si possono avere lacune, anche di più anni. Le informazioni del Fai possono essere integrale da un altro strumento, il «Bollettino Ufficiale delle Società per Azioni» (Busa), pubblicalo

mensilmente a cura del Credito Italiano: sono purtroppo poche le bi­ blioteche che dispongono della raccolta completa del Busa, mentre so­

no di difficile accesso le collezioni conservate dalle banche. L'«Annuario Statistico Italiano», pubblicalo negli armi a cura di di­ versi ministeri e infine dall'Istai, è di scarsa utilità per il periodoin esa­

me: la mancanza di una tassonomia chiara per un settore nuovo rende arduo il reperimento di dati indicativi chiarificatori. Una funzione importante, seppure limitata alla ricerca di documenti dellesocietà per cui vi fu un intervento direttodegli istituti di credito, è svolta dagli archivi delle grandi banche: le indagini nei depositi di Mi­ lano di Banca Intesa (dove è conservala la documentazione della Ban­ ca Commerciale Italiana), e in quelli di Roma della Banca di Roma (in

cui sono confluiti i documenti del Banco di Roma, del Banco di Santo Spiriloe di altre banche minori) sono sempre ricche di risultali e pos­ sono dare luogo a risvolti assolutamente inattesi; rintracciare un docu­ mento in questi archivi è facilitalo dalla completa digitalizzazione dei cataloghi e degli indici, il che,nel 2010(!), non è ancora possibile negli

archivi statali. Anche l'archivio storico della Banca d'Italia, per quan­ to destinalo alla conservazione di documenti e atti di altro genere, può

essere utilmente consultato.

181

Luoghi e modi di produzione Per quanto riguarda le strutture edilizie' , *

i disegni progettuali vanno

cercati negli archivi storici dei comuni, purtroppo raramente in ordine: un'eccezione sono gli archivi comunali di Torino e di Roma, in avan­ zata fase di digitalizzazione. Archivi privati di rilevante interesse sono purtroppo quasi del tutto inesistenti e i pochi che potrebbero offrire materiali notevoli sono di

diffìcile accesso; nessuna società cinematografica al momento dello scioglimento si è preoccupata di depositare in un archivio statale i pro­

pri documenti, né,che si sappia,nessuno degli uomini che hanno crea­ to, diretto e gestito il primo cinema italiano ha fatto altrettanto: qual­

che intervista, qualche memoria autobiografica diretta a giustificare e ad esaltare, più chea spiegare, é tutto ciò che resta dei primi trenta anni di attività. I documenti d'archivio, soprattutto dei procedimenti fallimentari,

urtano sovente con quanto si legge nelle riviste specializzate: quanto pubblicalo dai giornali non può mai essere considerato come una fonte

storica primaria. Nei primi decenni del ventesimo secolo, la retorica imperante, la pubblicità redazionale, la scarsa competenza dei giorna­ listi in campi poco conosciuti, rendono la lettura dei periodici spesso simile alla lettura di una raccolta di favole o di sogni.

Un giudizio in parte diverso va fatto per i giornali politici, partico­ larmente per quelli economici, in cui però l'attendibilità delle informa­ zioni è bilanciata dalla mancanzadi regolarità e da una maggioreaUen-

zione accordala alle aziende locali, almeno fino al primo dopoguerra, quando anche le banche iniziano a dimostrare interesse per il settore.

Più affidabili sono Guide ed Annuari professionali, che raccolgono periodicamente le informazioni fondamentali sulle società cinemato­

grafiche; in questi volumi va prestata la massima attenzione alla data

di raccolta dei dati, generalmente pubblicala nelle prime paginee sem­

pre anteriore, anche di parecchi mesi, alla data di stampa.

* Fino agli anni Trenta, in Italia ogni società con qualche ambizione tende a co­ struire un proprio stabilimento; solo con l’introduzione del sonoro e il continuo au­ mento di complessità c di costi delb tecnologo si preterisce locare da terzi im­ pianti, attrezzature c personale specializzalo (Cinecittà, Pisorno, Fort).

182

Introduzione al cinema muto italiano

È comunque un criterio storiografico fondamentale non attribuire

un valore assoluto a un dato che compaia una sola volta. Per quanto riguarda gli studi in volume» un giudizio critico va for-

mulatocaso per caso» valutando attentamente il testo - deve indicare la provenienza di quanto viene esposto - il prestigio della casa editrice»

l’anno della prima edizione.

6.3

Realtà e problemi della produzione cinematografica italiana

Caratteristiche della produzione industriale Il cinema agli inizi del Novecentoè un settore nuovo» ma la stessa ra­

pidità di sviluppo rende difficile ricostruirne con precisione la portala economica» anche per il ritardo della burocrazia dell'epoca nel collo­

carlo in statistiche e censimenti: come classificare il fatturato» come considerare il lavoro degli addetti? Se il fatturato della vendita del pro­ dotto-film proiettalo nella sale nazionali può essere fatto rientrare nel settore dello spettacolo, per anni l'esportazione di pellicole lavorale

viene indicala solo in base al peso o al metraggio, senza attenzione al

valore aggiunto del film eaU'efTettiva ricaduta economica delle vendi­ te'0. Analogo problema si pone quando si cercano dati indicativi per la

mano d'opera impiegala nella produzione; se registi, scenografie sce­ neggiatori, allori, comparse e il personale collegato (pittori, sarte, truc­

catori, parrucchieri...), possono essere classificali come lavoratori dello spettacolo, non altrettanto si può fare per i tecnici e gli specialisti, pre­ senti in numero rilevante in ogni stabilimento: dove trovare dati nume­ rici sugli operatori alla macchina e sui fotografi, sugli esperti della la­ vorazione chimicadelle pellicole, sui meccanici incaricali della manu­

tenzione e della riparazione dell'attrezzatura, sui falegnami e carpen-

M Spesso queda incertezza è alimentala dalle steste società cinematografiche che tendonoa non rendete chiari i ricavi, per esempio delle pellicole vendute all'estero,

per molivi fiscali.

Luoghi e modi di produzione

183

tieri per le scenografìe, sugli addetti alla complessa organizzazione e gestione degli affari quotidiani? Questa incapacità di classificare il cinema, ha avuto gravi conse­ guenze storiografiche, e non solo per quanto attiene alla storia del ci *

nema in senso stretto; se è vero, come si legge anche nei quotidiani po-

I itici, che alla fine della Prima Guerra mondiale ileinema nel suo com * plesso rappresenta il quinto settore industriale-commerciale italiano, è grave che il settore sia stato - e sia - trascuralo, o sottovalutalo, nelle

analisi storiche sull’andamento economico del paese. Per quanto riguarda le case editrici italiane, non esiste a oggi nep­

pure un'analisi critica globale delle società esistenti e del valore eco­ nomico della loro attività: per conoscere la mole di lavoro svolto, sa­ rebbe indispensabile conoscere il metraggio effettivamente lavoralo e

il numero di film realizzali, che non necessariamente coincide con quelli editi, ma si traila di dati impossibili da ricostruire a distanza di tempo; le storie d'impresa che descrivono criticamente le vicende di una società sono poche e ancora minore è la conoscenza delle ditte di distribuzione ed esercizio. Se si guarda alle prime proiezioni pubbliche, il cinema in Italia co­

mincia nel 1896: pochi mesi dopo la prima proiezione parigina, si sus­ seguono in tulle le principali città italiane serale straordinarie con i

film dei Lumiere, frutto dell'iniziativa di poche persone, in cerca di nuovi spettacoli di facile presa, più che di pionieri convinti del futuro di un nuovo mezzo di espressione. Le prime pellicole realizzale auto­ nomamente nel paese da imprese nazionali tardano diversi anni e non sono prodotte prima del 1905, quando già in Francia e negli Stali Uni­ ti" si sono affermale e consolidalesocietà destinale a diventare multi­

nazionali potenti, alcune delle quali arrivale ai nostri giorni.

Nel giro di pochi anni, nel paese il numero di film di fabbricazione italiana editi'3 - comiche, a soggetto, dal vero - aumenta vertiginosa-

" Olire ai due pacsicitati, b produzione cinematografica si avvia rapidamente con successo anche in Gran Bretagna, in Germania, in Danimarca, in Svezia. u Per non appesantire il testo con serie numeriche, rimando per i dati sulle pelli­ cole distribuite nello sale alle duo Tabelle riepilogative 1903-1931 (Film italiani editi:,

MaHaamtale dei mdrajotf),pubblicate in appendice nell’XrrÀnw del cinema nudo

184

Introduzione at cinema nudo italiano

mente, frullo del rapido aumento delle case editrici, ma per compren­

dere la portala effettiva della produzione, per definirla con una certa precisione - artigianale, industriale, sovvenzionala, statalizzala - sa­ rebbe necessario integrare i dati a disposizione con troppe informazio­

ni mancanti. In Italia, dal 1905 al 1929 sono riuscite a portare nelle sale almeno un film oltre 500 case editrici: il numero è strabiliante, ma sono mollo

spesso strutture effimere, create per i motivi più svariati da persone senza alcuna preparazione tecnica, culturale e imprenditoriale, che de­ cidono di provare l’avventura della produzione, affascinati dalle pos­

sibilità di veloci guadagni offerte del settore e dall’apparente sempli­ cità della prassi: una macchina da presa si può affittare a costi conte­ nuti, amici e parenti possono svolgere la funzione di interpreti, un sog­ getto purchessia lo si trova: ledelusioni arrivano una volta che una pel­

licola realizzala in questo modoè arrivala in qualche sala, ma dopo che nessun giornale l’ha degnala di una recensione e le poche proiezioni

non hanno portalo alcun corrispettivo consistente, si può forse tentare un’altra prova, poi le possibilità economiche si esauriscono e l’ambi­ ziosa ditta messa in piedi alla meglio scompare senza lasciare traccia.

Una dimostrazione esemplare del clima avventuristico e lontano dalla realtà dominante nel mondo cinematografico italiano è lo strabiliante

numero di società creale da interpreti di amboi sessi col proprio nome - almeno 29 da attrici, 45 da altori(!) - presuntuosamente convinti che fosse sufficiente a richiamare folle di spettatori nelle sale: nessuna di

queste ditte, costituite con capitali minimi e senza alcun programma

serio di produzione, ebbe il minimo successo. Piccole case del genere sorgono in quasi tutte il territorio italiano, ignorando una delle carat­ teristiche fondamentali del cinema: una società da sola non può so­

pravvivere e non è un caso che la produzione si concentri da subito nel­ le grandi città e chele società nuove tendano, quasi sempre a stabilirsi

vicino alle maggiori: comodità di collegamenti sia per le forniture di materiali d’uso che per la diffusione dei prodotti-film, scambi di espe-

Uatiano. Volume l ma 1991.

Il cinema mulo 1903-193!, a cura di Aldo Bernardini, Anica, Ro­

Luoghi e modi di produzione

185

rienze e di personale, maggiore facilità di accesso agli istituti di credi­

to, creazione di un indotto - costumi, mobili, armi,comparse - specia­ lizzalo, sono tutti fattori che rendono ben difficile,se non impossibile,

lo sviluppo di un'industria cinematografica in provincia. Se nella realtà quotidiana il mancato rispetto dei parametri cui si è accennato porta alla fine prematura anche le imprese costituite appa­ rentemente con maggiore oculatezza, in chiave storica è la verifica

della logica imprenditoriale che permette di formulare un giudizio cri­

tico suiraltività delle case editrici. Dalle pagine precedenti, si comprende quali difficoltà ponga un’a­ nalisi globale della produzione italiana, quando si vuole uscire da una genericità non accettabile in sede storica: se si guarda solo al numero di case editrici, si nota che nei primi anni nascono soprattutto a Roma e

aTorino, anche se non mancano iniziative a Napoli, a Milano, a Ve­

nezia, a Firenze, a Catania e in tante altre cittadine in tutta Italia, cui seguirà nei primi anni Venti una fioritura effimera e assurda, una «fre­ nesia produttiva»; se si cerca di approfondire, cercando di stabilire quanti film siano stati realizzati dalle diverse società, il numero di que­

ste cala immediatamente e si restringe a poche decine; se si prova a cambiare vie di analisi cercando di determinare la durala di queste so­

cietà, avremo ancora altre risposte. Tutti questi dati, da soli, servono a poco. In realtà dare risposte quantitative è metodologicamente inutile e

l'interrogativo che occorre porsi e che esige repliche articolate, è un altro: quante società in Italia sono riuscite ad arrivare a una dimensione che anche se non pienamente qualificabile come industriale, è stala in

grado di sviluppare una produzione continuativa e capace di conqui­ stare una percentuale significativa del mercato, in coerenza con i pro­

getti formulati all'alto della costituzione? Sicuramente poche: tuttavia fino a che non si avranno a disposizione i dati fondamentali degli svi­

luppi produttivi almeno nelle città cinematograficamente più impor­

tanti, non sarà possibile dare risposte sicure.

Ammessa questa situazione d’incertezza, nei paragrafi seguenti verranno esaminate in rapida sintesi le vicende economiche di alcune aziende, le più significative del periodo del mulo.

186

Introduzione al cinema muto italiano

Alcuni casi di società di produzione Ambrosio

Arturo Ambrosio è un commerciante di articoli fotografici che gestisce a Torino al volgere del secolo un avvialo negozio nel cuore della città,

dapprima in via Roma, poi in piazza San Cario; interessato al nuovo

mezzo tecnico e convinto da un cliente appassionato, Ambrosio inco * mindaa riprendere e a montare scene dal vero con alcuni amici e col­ laboratori, costituendo un primo nucleo di tecnici, operatori di macchi­ na e esperti nel trattamento delle pellicole, per passare poi a girare brevi pellicole a soggetto in un embrionale teatro di posa creato nel giardino della sua villa. Con queste basi tecniche e potendo contare su affidabili risorse umane, il commerciante decide di diventare produttore, fondan­ do una s.n.c., la Arturo Ambrosio & C., per unire agli scopi produttivi quelli commerciali; al finanziamento dell’azienda partecipa con un ca­

pitalepoco inferiore a quello di Ambrosio, un altro commerciante, Al­ fredo Gandol fi. Dopo un annoconcepito come rodaggio per saggiare le capacità produttive e le possibilità e commerciali del tentativo, i due

con piena coscienza del potenziale e delle esigenze del nuovo mezzo, analizzate le proprie capacità, passano al gradino superiore e costitui­

scono una società per azioni, la Anonima Ambrosio * decuplicalo - da 84.000 lire si passa a 700.000 **

il capitale, quasi

- permette di com­

prendere come i programmi siano ambiziosi. Ambrosio e Gandol fi so­ no i soci di maggior rilievo, entrambi acquistano poco più del 20% di azioni, mentre il resto viene sottoscritto da vari finanziatori ' * 1; i due sì

“ Sull'Ambrorio ri vedano Claudia Gianctlo, Società Anonima Ambrosio: cinema nudo nridocumenti d'epoca: percorsi trai materiali d‘archirio del Museo Naritmnlr dei Cinema di Torino, Roma, Associazione italiana per le ricerche di storia del cine­ ma, 2002; Paolo Giambuzzi Paolo, La Società Anonima Ambrosio di Torino. Le ri-

crudesocietarie dalla nascila (1907) alfognato (1924), «Notiziario dell'Associazione Musco Nazionale del Cinema», 56-57, dicembre 1998-marzo 1999. ** Si traila di una somma rilevante: pochi anni prima, nel 1899, la Fiat, industria meccanica con ben altre esigenze di in attrezzature, era stala fondila con un capitale

di 800.000 lire. “ Il 6% delta azioni dell'anonima, 400 su 7.000, viene sottoscritto da un direttore della Comil di Torino: non é chiaro se l'impegno sia stalo preso a titolo personale o

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riservano la direzione dell'azienda per dieci anni. L'analisi delle tappe successive compiute dalla società dimostra la correttezza dell'imposta­

zione: Ambrosio è un commerciante esperto del settore fotografìa e si interessa al cinema con una buona preparazione tecnica e imprendito­ riale: raccoglie informazioni sulle esperienze intemazionali, mirando a

costituire un’anonima per azioni dotala di un capitale notevole, in gra­ do di permettere la formulazione di programmi ambiziosi e di assorbire eventuali deficit di bilancio, ma preferisce rodare l'organizzazione del­ l'impresa con una prima società finanziariamente poco impegnativa; mette a punto il delicato problemadella ricerca di personale siacercan-

do un socio che non si limiti a sottoscrivere il capitale, ma abbia capa­ cità notevoli amministrative e gestionaliu, sia mettendo a punto prima dell'inizio della produzione di massa un'équipedi persone che sarà il

nerbo tecnico indispensabile a un modo di lavorare che si vuole indu­ striale. Il programma trova una prima verifica nella progettazione dello stabilimento, in unazona periferica, ma vicinaalle principali lince fer­

roviarie e alle stazioni merci: il disegno degli impianti viene affidalo a Pietro Fenoglio, l'ingegnere di maggior nome nella Torino dell'epoca, con esperienza anche di architettura industriale. La serietà d'imposta­ zione viene coronata dall'andamento positivo degli anni seguenti; l'a­

nonima Ambrosio raccoglie ampi consensi di pubblico e di critica, mantiene una esemplare correttezza nella pubblicazione dei bilanci17

e propone, a chi voglia e sappia vedere, un modello di gestione di im­ presa cinematografica. Quando si presenta un problema, la direzione è in grado di risol verlocon lungimiranza: pochi anni dopo la costruzione

percento dcirixliluto,masi traila comunque di una cifradi poco rilievo che, nel se­

condo caso, dimostra la cauta attenzione della banca nel nuovo settore. M Sono caratteristiche che emergeranno appieno negli anni successivi: Gandolfi

prima di lanciare un progetto impegnativo c di ampia portala, cerca di analizzare a

fondo le questioni tecniche c commerciali; anche se raramcnlesi taccono al suo agire nella stampa dell'epoca, sono doli che risultano chiaramente dalla gestione della so­ cietà. ” Stando alle poche serie di bilanci aziendali conosciuti,!'Ambrosio è l'unica ca­ sa che dedica una parte consistente delle spese correnti alla pubblicità: non un'idea peregrina, in un campo come quello cinematografico, in cui la concorrerla interna­

zionale sta diventando asfissiante.

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Introduzione al cinema muto italiano

del primo stabilimento, il crescente successo di mercato rende indi­ spensabile aumentare la capacità produttiva, ma invece di ampliamenti parziali, sempre carenti, già nel 1911 si decide la costruzione di un se­

condo stabilimento affidando ancora il progetto a Fenoglio mentre il primo complesso viene ristrutturato per ospitare i laboratori di sviluppo e stampa dell'impresa, con un potenziale di lavoro tale da permettere

lavorazioni percento terzi, generando un flusso di denaro cash non in­ di (ferente. La correttezza della ristrutturazione verrà dimostrala nel do­ poguerra, quando gli impianti ei laboratori sonoceduli a una società di

nuova formazione, ('Atelier Butteri, con il capitale detenuto in maggio­ ranza da una società chimica, la Sici, controllata dal Credito Italiano, ma con una forte rappresentanza dell'Anonima Ambrosio. Le vicende

dellacasa editrice virano tuttavia al peggio verso il 1914/15: come tutte le case editrici italiane, l'Ambrosio entra in crisi per lo scoppio della

guerra, allorché all'improvvisa chiusura dimoiti mercati esteri si uni­ sce il forte rincaro dei materiali, particolarmente delle pellicole, la cui

fabbricazione, in alcuni passaggi coincide con quella degli esplosivi, nei paesi produttori - lutti belligeranti, tranne, fino al 1917, gli Stali Uniti dove la Eastman Kodak approfitta della situazione di privilegio, giocando senza concorrenza sui prezzi di vendita - viene controllata

rigidamente dallo stato e le esportazioni contingentate. Un danno dif­ ficilmente quantificabile, masicuro, viene alla società dall'abbandono di Gandolfi, che in questo periodo lascia l'Ambrosioper dare vitaa una

nuova società, la Photodrama, un tentativo di joint venture con un di­ stributore americano, George Kleine1". Sono ignoti i molivi della scelta di Gandolfi e qualunque ipotesi é senza possibilità di verifica: resta il fallo che l'Ambrosioin un momento delicato si trova senza l'apporto

prezioso di chi, dall'inizio, l'aveva amministrala e gestita con acutezza

e capacità. La mancanza di una guida sicura si fa sentire pesantemente negli anni successivi, quando 1* Ambrosio dimostrerà di non essere più capace di comprendere le tendenze del mercato e di modificare la

“ Sulla Photodramacfr. Paolo Cbcrchi Usai (a cura di), Un Amtricain à la con qitète de 1'Italie. George Kleine, Gnqtfiasco 1913-1914, «Archives» (Toulouse),

n. 22-23 c 26-27,1989.

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ztonc in basealle grandi trasformazioni in corso: la guerra ha modifica­ to radicalmente gli equilibri intemazionali anche in campo cinemato­ grafico e gli imprenditori che non sanno coglierne i segni e trame le conseguenze sono destinati alla catastrofe. L’Ambrosiocercadi salvar­ si unendosi a una azienda milanese, la Società Anonima Officine Mec­

caniche Zanotla,ma inutilmente: l'accensione di una rilevante ipoteca sulle proprietà delle due dille non fa che peggiorare l'andamento cor­ rente, caricando i bilanci di esercizio di gravosi interessi passivi. Una fine amara attendequella che è stata la maggiorecasa di produzione ita­

liana: la decisionedi liquidare la società, presa nel maggio 1924, è ine­

vitabile, ma non viene accolla dal Tribunale di Torino dato lo stato ir­ regolare del bilancio patrimoniale, e per l'Anonima Ambrosio viene de­ cretato il fallimento: dopo 1.400 film realizzali la fine non può essere

meno gloriosa. Cines

Insieme all'Ambrosio, la romanaCines rappresentai! tentativo più im­ portante di inserire l'Italia fra le grandi potenze del cinema intemazio­ nale: nei limiti concessi dallo spazio, le vicende dell'azienda richiedo­ no una trattazione dettagliala, perché assolutamente significative . ** La

società nasce per iniziativa di Filoleo Alberini, un personaggio difficil­

mente definibile: volta a volta tecnico grafico, inventore, esercente ci­ nematografico, alla fine del 1904, Alberini si lascia tentare dal fascino della produzione, riesce a convincere a partecipare all'avventura un fi­

nanziatore, Dante Santoni30, e i due fondano la Alberini &. Santoni: do­ po la costruzione di un piccolo stabilimento in una zona periferica di Roma, si dà inizio ai lavori di produzione e il 20 settembre 1905, in uno spazio all'aperto davanti a Porta Pia3', viene proiettalo La presa

" Pttr un’introduzione alla stona produttiva delb Cinessi veda Riccardo Redi,La Cinex. Storia di una casa di produzione italiana, Bologna, Persici 2009. * Noné notab struttura organizotivadelb Alberini & Santoni, mail fatto ebe il

terreno e gli immobili dello stabilimento siano a nomedi Santoni dimostrano da chi proveniva b maggior parte del capitale nccccsario. * * Data c luogo non sono scelte casuali, ma strettamente collegato al soggetto dei film: nel clima di ostilità regnante nel 1905fra l’italiae il Vaticano, commemorare b

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di Roma, il primo film italiano a soggetto12. Pochi mesi dopo, nel mar­

zo 1906, il programma d'impresa cambia radicalmente: Alberini e Santoni fondano la Società Italiana Cines insieme a un nuovo socio, Adolfo Pouchain con un capitale rilevante, ma non eccezionale, 250.000 lire; più della sottoscrizione del pacchetto azionario, pur si­

gnificativa - Santoni è ancora il socio di maggioranza con 115.000 li­ re, Pouchain si impegna per 110.000, Alberini solo per 25.000 - ciò che interessa èia figura del nuovo personaggio e di ciò che rappresen­ ta: Adolfo Pouchain è figlio di Carlo, figura importante del panorama finanziario romano, presidente o consigliere di amministrazione di nu­ merose società legate al Valicano, fra cui spicca una banca importante,

il Banco di Roma: non è certo un caso, se l'istitutobancario si impegna direttamente negli aumenti del capitale Cines che nel giro di meno di

un anno, nel gennaio 1907, arri veri a 2.000.000di lire. Pouchain viene nominato amministratore delegato e alla presidenza della casa editrice

è chiamalo Ernesto Pacelli, presidente e consigliere delegalodel Ban­

co; nel corso dei consigli di amministrazione che accompagnano que­ sti aumenti, i due iniziatori della produzione, Alberini e Santoni, ven­ gono progressivamente emarginati da qualunque ruolo e successiva­ mente anche le loro azioni vengono rilevate. L'ingresso del Banco di Roma fra gli azionisti Cines, in un primo

tempo con acquisizioni contenute, poi via via sempre maggiori, è un

fatto insolito nell'economia italiana, ma importante, poiché per la pri­ ma volta nel nostro paese una banca si interessa fattivamente dell'in­ dustria cinematografica: ciò avrebbe potuto segnare un modello, un

esempio per l'intero settore, ma le vicende successive non faranno

che aumentare la sfiducia dei possibili finanziatori verso il cinema. I primi passi dell'anonima Cines sono coerenti con la capacità di operare su programmi a lungo termine, fatto normale per gli istituti di credilo, che autorizza le migliori speranze per il futuro: la produ-

prcsadi Roma od giomoc nd luogo in cui era avvenuta 35 anni prima, è una scelta ideologica vincente per il successo ddb pellicola, a prescindere di ogni conòdcrxòo-

ne di valore. " Su La pnatadi Homo si legga l’analisi filologica condotta da Michele Canoa» pubblicala in questo volume.

Luoghi e modi di produzione

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zione di film, rinvigorita dai nuovi capitali, procede speditamente rac­

cogliendo ampi consensi di pubblico e di critica, e allo stesso tempo, per ovviare agli alti costi delle pellicole di importazione, nello stesso 1907 si decide di impiantarne una fabbrica a Padova, acquisendo la li­

cenza di brevetti francesi. Una decisione ancora più importante si ha in luglio, quando, con un ulteriore aumento del capitale a 3.000.000 di

lire, alla produzione di pellicole vergini e impressionate, si stabilisce di affiancare la fabbricazione di seta artificiale, un nuovo tessuto che appare destinalo a conquistare i mercati; alla produzione di seta artifi­

ciale viene adibitolo stabilimento di Padova, mentre per le pellicole si

inizia la costruzionedi un nuovo impianto a Vigodarzere, a pochi chi­ lometri dal capoluogo. Dopo leopportune modifiche allo statuto, la fi­ sionomia della Cines appare radicalmente mutata; costituita per pro­

durre film con un capitale ridotto, è ora dotata di forti mezzi finanziari e strutturala su diversi settori industriali, che non sono collegati diret­ tamente, ma possono svolgere una funzione di volano in caso di crisi. Senza entrare nei particolari per mancanza di spazio, negli anni imme­ diatamente seguenti quella che sembrava una soluzione ottimale, rive­

la invece la propria fragilità: il settore film, dopo i primi successi, pre­

senta bilanci negativi, mentre il ramo pellicole vergini, nonostante le considerevoli somme impegnale, non riesce neppure a completare i

fabbricati; solo la seta artificiale sembra rispondere ai programmi ini­ ziali. La responsabilità della pessima gestione - sono le conclusioni di

Alberto Passini, un finanziere” incaricalo dal Banco di analizzare la

situazione - viene attribuita a Pouchain, che alla fine del 1910 è allon­

tanalo dalla società, la cui gestione viene affidala a Passini, nuovoamministralore delegato, mentre il capitale viene dimezzalo per assorbire

le perdite e immediatamente dopo ricostituito e portalo a 3.750.000,

11 È sintomatico delta scans considerazione in cui venivano tenuti icinematogra­ fali che il Banco di Romaaflìdi l'analisi della Cines c sucocsavamcnto la sua gestio­ ne a un manager del lutto estraneo a quel mondo; d'altronde si può anche ipotizzare che neirislituto di credito fosse già ventilala la conversione della Cinesa industria

testile c che Fascini, di cui erano noti i contadi con il Comptoir dcsTcatdcs Artificick, ria stato assunto per facilitare eventuali futuri rapporti. In entrambi! casi,é evi­ dente la sfiducia nel Banco nei confronti del cinema.

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Introduzione al cinema muto italiano

con la partecipazione determinante dell'istituto di credito; la sol azione prescelta non sta a indicare un potenziamento della produzione cine­ matografica, ma del settore considerato vincente, quello della seta ar­ tificiale, mentre viene abbandonalo il programma di fabbricazione di

pellicola vergine. Negli anni seguenti, la società presenta nuovamente bilanci in attivo: dalla lettura delle diverse voci non è sempre possibile

determinare quanto provenga dal ramo cinemae quanto dal ramo seta, ma è evidente, anche dalle vicende successive, che gli utili provengo­ no dal settore lessile. Nel luglio 1912, la situazione viene istituzionalixzata con la costituzione di un'anonima per azioni, la Cines Seta Ar­ tificiale: il capitale di 5.000.000 viene in gran parte attribuito, con un'ardita manovra finanziaria, alla Cines, ma allasua costituzione par­ tecipano altre banche collegale al Banco di Roma e una società fran­

cese del settore tessile * 4. Nel settembre dello stesso anno, viene costi­ tuita la Celio Film, una nuova S.pjL completamente controllala dalla

Cines, e nel 1914, con le stesse modalità, un'altra casa di produzione, la Palatino: la strategia elaborala da Fassini miraa trasformare la Cines in umholdìn^, affidando sempre più la produzione a società piccole ed agili, tentando di rispondere più facilmente in tal modo alle richie­ ste del mercato. La nuova situazione che si viene creando, con lo spa­ zio sempre maggiore per l'attività finanziaria, appare in contrasto con

l'oggetto dello statuto del 1906, la produzione di film, ma è giustificaia dai bilanci d'esercizio: la società Cines presenta in continuità aitivi d'esercizio, ma gli utili derivano dalle azioni della controllata Cines

Seta, mentre il ramo cinema è costantemente in deficit Muta anche l'atteggiamento del Banco di Roma: continua a essere l'azionista di

controllo della Cines, ma per problemi intemi che portano a smobiliz­ zare molte partecipazioni, non ha più interesse ad avere nel proprio portafoglio litolidi una società che non rende e il cui futuro appare in­ certo. Approfittando della favorevole congiuntura - il forte aumento**

** Per un approfondimento si veda Alberto Friedemann, Ctner c Cina Scia Arti­ ficiale: appunti per una storia d‘improu,dji culture della tecnica», l8,n.s^2007, p. 90-122. n Si definisce Aoàfirqrum società capogruppo che controlla altre società mediante

partecipazioni azionarie.

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Luoghi e modi di produzione

della domanda di fibre tessili nel periodo bellico rende interessante

racquisizione di una società italiana per penetrare più agevolmente nel mercato di quel paese-nel 19161a Cines viene venduta a un gran­

de complesso francese, Comptoir de Textiles Arti ficiris: i francesi vo­ gliono allargare la propria preserva in Italia,ma, paradossalmente, per

riuscirci devono acquisire la società che detiene la grande maggioran­ za di azioni dell’oggetto di desiderio, anche se si tratta ormai di una

scatola (quasi) vuota. La storia della Cines può fermarsi a questo mo­ mento: la società, dopo diversi passaggi di mano, riuscirà a sopravvi­

vere e negli anni seguenti usciranno altri film con quel marchio, ma l’avventura iniziala da Alberini e Santoni termina nel 1916. La gestio­

ne delb società, se limitala alb produzione cinematografica è da giu­

dicare senza dubbio negativamente, ma da un punto di vista più gene­

rale non si possono negare due titoli di merito: avere dato vita a un marchio il cui potere di richiamo ha resistito negli anni, ma soprattutto,

per merito di Passini, aver saputo diversificare gli ambiti di altivitàsalvando la società madre dal fallimento.

Luca Comerio

& C. - Saffi

- Saffi -Cómrrio - Milano Films

Nel panorama delb produzione milanese spicca la personalità di un pioniere dalle grandi capacità tecniche e luUavb incapace di dare

una forma organizzativa stabile e reddilizb ai propri piani, Luca Co­ * merio Assunto a quindici anni come apprendista in un importante

negozio di fotografia, Luca impara rapidamente i segreti del mestiere

e ancora giovanissimo decide di correre in proprio privilegiando b ri­ cerca del vero sul lavoro di studioe scattando immagini dei falli del giorno, dalle visite dei realiai moli milanesi del 1898. Interessalo alle

nuoveproposte tecnologiche, Comerio nel 1905 si reca a Parigi per ac-

M Su Luca Comedo ri vedano Cada Manenti, Nicolas Monti, Giorgio Nicodemi (a cura di), Luca Coturno fotografo c cineasta, Milano, Elùda, 1979; Sarah torcati Compagnoni, Luca Comerio: notizie did secolo scorsa, Tcridi laurea, Milano, Uni­

versità degli studi,2007; Elena Dagrada, Elena Mosconi, Sii via Paoli (acura dì^Moltiplicarel ’istante, Mlrani, Coaterioe Pacchioni trafotografia e cinema, Milano, Il Castoro, 2007.

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IntrodidMt al cinema muto italiano

quistare una macchina da presa Pathé e con questa riesce a documen­

tare una crociera di Vittorio Emanuele III nel Mediterraneo: la soddi­ sfazione del re, appassionalo fotografo, per le brevi pellicole convince il giovane entusiasta a progettare un futuro nel campo cinematografi­

co; nel settembre 1907 si costituisce la Luca Comerio & C., una socie­ tà in accomandita con un capitale minimo, 25.000 lire, il cui program­ ma di lavoro, secondo il gusto del fondatore, è dedicato soprattutto a

pellicole documentarie e d'attualità. Pochi mesi dopo, nel febbraio 1908, viene fondala con un obbietti­ vo lievemente diverso, impiantare uno stabilimento cinematografico

per produrre film a soggetto, la Società Anonima Fabbricazione Films Italiane (SafTi), con un capitale di poco maggiore, 100.000 lire, versalo da persone già attive nei settori commerciali dell'esercizio e del noleg­

gio: i soci delle due imprese, concordi nel ritenereconveniente l'unio­ ne di capacità e di mexri, decidono di unire le forze e nel luglio 1908 nasce la S.p.a. Safli-Comerio, con un capitale di 600.000, utilizzando

per le riprese ilpiccolo teatro di posa della Comerio & C.in via Arnal­ do da Brescia. Gli azionisti principali sonoComcrioe il suo socio nella sas., Riccardo

Bollardi, ma fra i nuovi soci compaiono due noleggia­

tori veneziani, il che permette di nutrire fiducia per la distribuzione

nelle sale venete. La produzione della Safli-Comerio privilegiai gusti di Luca produ­ cendo una maggioranza di film dal vero, ma il favore del pubblico non premia ciò che la casa riesce a mandare nelle sale e già nell'ottobre 1909, dopo poco più di un anno di attività, la società è costretta a sva­

lutare drasticamente il capitale, riducendolo a 150.000 lire. Nello stes­ so periodo Comerio lascia la società, forse di sua volontà, più proba­ bilmente estromesso per l'insuccesso della sua strategia produttiva: fra lafine 1909 e i primi mesi 1910, laditta reintegrai! capitale portandolo

a 500.000 lire grazie all'intervento finanziario di nuovi soci apparte­ nenti all'aristocrazia milanese, che sostituiscono quasi completamente

i fondatori e ne cambiano radicalmente i progetti; a sancire la rottura,

la SafTi-Comerio cambia nome diventando Milano Films27.

w Sulla stona produttiva della Milano Films si veda: Raffaele De Berti, Milano

Luoghi e modi di produzione

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Le strade della società e di Comerio sono ormai separate definitiva­

mente. La Milano Films costruisce un nuovo stabilimento alla Bovisa e dà inizioa un intenso programma di lavoro, impostatosu grandi opereche dovrebbero servire al progresso culturale e morale del pubblico: di ri­

lievo uno dei primi spettacolari lungometraggi italiani, L'Inferno e un progetto per trarre sei film da opere di Gabriele d * Annunzio, che non porta però ad alcun risultato concreto per le inadempienze dello scrit­

tore dopo un congruo anticipo. Mancano dati per seguire con precisio­ ne le vicende della Milano, ma i pochi documenti conosciuti dimostra­

no come la nuova gestione non porti a risultali migliori di quella di Co­ merio: il capitale viene nuovamente svalutalo - da 500.000 a 100.000

lire - nell'aprile 1912; reintegralo, subisce ancora una riduzione a

180.000 lire nel 1916: tre svalutazioni nel giro di otto anni sono un'ec­

cellente dimostrazione che i grandi progetti non sono sufficienti ad as­ sicurare il buon andamento di un'impresa, se mancano gli altri fattori

cui si è accennato. Un quarto reintegro del capitalea 480.000 lire segna la nuova stra­ tegia della società che abbandona quasi completamente la produzione

di filma soggetto per dedicategli impianti alavori di sviluppo e stam­ pa per conto terzi, aprendo anche una succursale a Roma. L'unico bi­ lancio conosciuto del nuovo periodo, relativo all'esercizio 1917/1918,

segna un piccolo utile su un budget di 187.000 lire, veramente esiguo per le ambizioni della società Non si hanno altre notizie di attività da parte della Milano Films, dopo che anche la scelta di dedicare gli im­

pianti alle lavorazioni chimiche si dimostra sema futuro, per il crollo

della produzione italiana dopo l'effimera fioritura dei primi anni del

dopoguerra: la società viene posta in liquidazione nel 1932, quando or­

mai dadiversi anni l'attività e ridotta a zero. Sopravvive per alcuni an­ ni il teatro di posa, dove nel 1935 viene giralo il primo film italiano a

Fdnu: the Exemplary History ofa Film Company of the 19/Qx, «Film Histoty», 3,

2000, pp. 276-287; Giovanni Lasci, La produzione cinanalogrufìca nelsistema economico-industriale italiano tra il 1908 e il 1914.11 caso della Milano Films, Tesa di dot­

tatalo, Università degli Stadi di Bologna» 2012.

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Introduzione al cinema muto italiano

colori,Il museodell'amore, di Mario Baffico, che però, emblematicamente, non riesce neppure a giungere alle sale. Quanto a Comerio, dopo l'uscita dalla Safli-Comerio, ricomincia a

lavorare seguendo i propri gusti,rifonda la Comerio Films

costruisce

un primo stabilimento a Milano, in via ScrbeHoni”, poi un altro in pe­ ri feria, a Tutto, e riprende l'attività di documentarista, incorrendo però

in alcuni infortuni sia legali sia connessi alla dubbia correttezza delle sue riprese dal vero * ’, che incidono pesantemente sul suo prestigio e sull'andamento dell'azienda. Il lavoro dal vero prosegue con difficol­

tà, non hanno esito i tentativi di realizzare film a soggetto, e poco a poco il pioniere del cinema milanese scivola nell'oscurità, con amare

richieste di lavoro cadute nel vuoto al Luce e al Centro Sperimentale di Cinematografia. Drammatica la fine: Luca Comerio si spegno nel luglio I940all'0-

spedale Psichiatrico Provinciale, dopo un breve ricovero.

Dora Film La Dora Film (nota anche Film Dora e Films Dora)costituisce l'unico caso di azienda cinematografica italiana impostala secondo un modo

di produzione artigianale la cui attività sia stala coronata per diversi

anni da successo. Le vicende dell'impresa hanno inizio a Napoli nei primi anni del Novecento, quando Nicola Notari apre un negozio di

fotografia, la cui attività si allarga presto anche a lavori dell'indotto

cinematografico come lacoloriluraaH'anilina delle pellicole e la com­ pilazione di titoli e didascalie. Con Falliva collaborazione della mo­

glie Elvira Coda, Nicola comincia poi a girare «augurali» e «arrive­

* Secondo alcuni lesti la Comerio Filma viene rifondata come accomandila solo

nel dicembre 1915 da Luca c dal la moglie, Ines Negri: la data apparo dubbia, consi­

derando l’attività degli anni procedenti. * Non i chiaro quando sia statocoslruito lo stabilimento in viaSerbelloni: all'Ar­ chivio storico di Milano è conservata una domanda di autorizzazione del 1910, ma sul progetto esecutivo fumato dall'architetto Achille ManTrodini compare b data del set­ tembre 1912. " A proposito delle riprese di combattimenti disante la guerra di Libia, reduci c critici dichiarano che sono delle ricostruzioni a posteriori.

Luoghi e modi di produzione

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derci»", riprese da] vero di soggetti tipici - il primo della sene,Posillipo da Napoli, di 90 metri, viene diffuso nel marzo 1909 - e infine, da) 1911, anche pellicole a soggetto dai titoli significativi - La figlia

del Vesuvio, Ritorno all'onda, Maria Rosa di Santa Flavia... - distri­ buite con il marchio Dora Film, dal nome della figlia minore della coppia. Fino al 1929, all’avvento del sonoro, il marchio realizza una cinquantina di pellicole, generalmente di breve metraggio, impostale su fatti di vita napoletana, quasi sempre con un taglio drammatico: è

una produzione dai numeri bassi, ma coerente conia strutlurae le pos­ sibilità della casa. L’azienda - difficile in questocaso parlare di socie­ tà, che se mai costituita, è con ogni probabilità una s.n.c., se non a ti­

tolo individuale - mantiene sempre infatti un organigramma familia­ re: Nicola, il padre, ne è l’operatore e più raramente il regista, il figlio Edoardo - per il cinema, Gennariello - il primo attore, la figlia Dora, fino al matrimonio collabora con il padre e, nei primi film, è anche attrice, ma la figura dominante è quella della madre, Elvira, sceneggiatrice, regista, la vera forza motrice della Dora Film”. Un’organiz­

zazione del genere, che altrove sarebbe stata disastrosa, è la forza del­ la piccola azienda. Quali sono i punti di forza della Dora Film? La ca­

sa editrice si specializza in una produzione di genere che trae la sua vitalità da due forme tradizionali dello spettacolo napoletano, stretta­ mente collegate, la canzone e la sceneggiata^ storie generalmente drammatiche, girale con pochi mezzi finanziari e tecnici, ambientate e riprese dal vero nei quartieri popolari prendendo spesso gli attori

dalla strada, pensale e scritte per interpretare e toccare i sentimenti più immediati di vasti strali popolari. Coerente con questa impostazio­ ne volutamente modesta, la distribuzione non ambisce ai circuiti na­

zionali, ma è fortemente radicala in città e nel territorio circostante, ed

“ Brevi spezzoni a cantiere locale, con cui si usava aprire c chiudere i programmi cinematografici. u Su Elvira Molari si vedano Giuliana Brano, Rovine con vista: alla ricerca dd cinema perduta di Elvira Notati, Milano, La Tartaruga, 1995; Enza Troianclli, £rivu

Notati piomera dd cinema napoletano (1875-1946). Roma, EUROMA, 1989. “ La sceneggiata è una forma di spot lamio impostalo sull'espressione di senti­

menti tratti da una canzone.

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Introduzione al cinema muto italiano

è presente anche nelle grandi città del Nord e del Sud America dove più numerosa è l'emigrazione napoletana e più difficili da sopportare

sono la nostalgia il rimpianto del passalo. Non solo: la Dora Film rea­ gisce alle critiche negative dellastampa specializzata nazionale, nelle

poche occasioni in cui si degna di recensire le pellicole della casa, ignorandole e stabilendo invece rapporti molto stretti con la stampa

locale, sia quella professionale che quella politica, e soprattutto con l'editoria musicale: i film vengono spesso accompagnati dalla voce di un cantante accanto allo schermo e la vendita degli spartiti apporta evidenti vantaggi a tutti. Non si traila di un'attività che si possa svol­ gere facilmente e senza rivali: a Napoli sorgono numerose aziende che, gelose dei successi della Dora cercano di muoversi nello stesso genere, inflazionando di pellicole giocale sugli stessi temi un mercato comunque ridotto, ma senza riuscire a raggiungerei favoridei pubbli­ co come la Dora. La stella delb piccob casa editrice riesce, se non a brillare, almeno a sopravvivere anche dal 1922 in poi, negli anni più bui delb produzione ibliana, ma tramonta inesorabilmente con l'av­ vento del sonoro: il modo di produzione artigianale non può fronteg­

giare i costi sempre crescenti che esigono ben altri investimenti e of­

frono una spettacolarità impossibile da raggiungere con pochi mezzi. Per il crollo finale, oltre all'incapacità di servirsi delb nuova tecnolo­ gia, un fattore importante è la politica del regime fascista, che preten­ de di eliminare le forme dialettali di spettacolo in nome di una (prete­

sa) unità nazionale, accanendosi in particolare, per malintesi molivi di decoro, contro le pellicole napoletane che mostrano unacillà povera e un'umanità misera e senza alcun interesse per «i gloriosi, immancabili destini» del paese: per mezzo delb censura, la produzione dialettale viene costantemente osteggiala, perfino perseguitala. Nei primi anni

Trenta, Elvira Notari si ritira dallo spettacolo, mentre Nicola, con la

collaborazione di Edoardo, mantiene il nome Dora cercando nuove vie nella distribuzione regionale, ma senza ottenere risultalidi rilievo. Il successo dei Notari non poteva che essere limitato nel tempo, ma loro merito è stalo quello di avere inventato un genere per cui esisteva una quota notevole di mercato, e di averlo saputo portare dal piccolo contesto iniziale al di là dell'Atlantico - il che non si può dire per b produzione delle altre case italiane. Il loro modo di produrre sa di boi-

Luoghi e modi di produzione

199

tega familiare più che di artigianato in senso stretto, ma ha avuto la capacità di coinvolgere più registri, quasi un'operazione multimedia­

le. Ventanni di vita e di successi, nel magro panorama del cinema ita­ liano, non sono pochi, e non sono stali raggiunti da nessun’altra casa.

Itala E ilm L’Itala Film costituisce un caso pressoché unico nel panorama econo­

mico del cinema italiano. Dell’azienda - (acuì produzione, per qualità e permanerò, la pone fra lepiù importanti del paese - della sua nascita

e delle vicende che ne segnano la vita, si conosce molto poco, e quanto si ritiene di conoscerne vizialo da un’aneddotica consolidala che poco haa che fare conia storia. L’Itala Film nasce,in un certo senso,adulta, raccogliendo le esperienze, gli impianti e il personale dellaRossi & C.,

una piccola impresa fondala a Torino da un pioniere tecnico, Carlo Rossi, cui si unisce la potenza economica di Guglielmo Remmert,

un industriale cotoniero. Per volontà di Remmert, nella casa di produ­ zione entrano il genero, l’ingegnere Cario Sdamengo, con incarichi amministrativi, e il ragioniere Giovanni Pastrone, dapprima con fun­ zioni contabili, poi tecniche . * È nel 1908 che si incomincia a parlare

di Itala Film, anche se non è conosciuto alcun allo che ricostruisca il passaggio dalla Rossi & C. alla nuova società né che documenti la co­ stituzione legale dell’azienda. È comunque indubbio che la svolta av­

viene per volere di Remmert, come appare chiaro dall’organigramma

dell’itala, da cui scompare Rossi - passerà alla Cines - mentre ai ver­ tice vengono posti Sdamengo, responsabile amministrativo, e Pastro­

ne,direttore artistico . *

Solo nel 1911 si arriva alla costituzione legale

di una società, la s.n.c. Itala Film Ing. Sdamengo e Pastrone, con un capitale di 500.000 lire: quallrocenlomila sono sottoscritte da Scia-

M Su Giovanni Pastrone cfr. Paolo Chcrchi Uni, Giovami Padrone, Firenze, La

Nuova Italia, 1986; Lorenzo De Nicola, Scrutando ndftaco. Padrone prima e dopo Cabiria in Alberto Barbera, Silvio Alovisio (a curadi), Cabiria A Cabiria, MilanoTorino, Musco Nazionale del Cinema, Il Castoro, 2006. n Nei primi tempi del mulo, b qualifica «direttore artirtico» può indicare sia il rvgùladi una pellicola, sia, come in questo caso, il responsabile della programmazio­

ne complessiva di una società

200

Introduzione al cinema muto italiano

mengo, centomila da Pastrone: l'entità del capitale indica progetti pro­

duttivi di ampio respiro, ma stupisce che non sia stala scelta la forma dell'anonima per azioni, normale in qualunque settore industriale per

somme elevale. Non è l'unico aspetto inconsueto nella gestione dell'i­ tala: negli anni seguenti non viene mai reso noto il bilancio d'eserci­ zio, una mancanza di trasparenza che rende difltcile la ricerca di nuovi investimenti: in mancanza di documenti, i molivi di un atteggiamento

così insolito in un'impresa di rilevanza intemazionale non possono es­

sere spiegati con sicurezza, possono essere indicati solo a livello di ipotesi. Non è l'unico dubbio che destano le scelte dell'itala: a titolo di esempio si pensi a Cabiria, il kolossal storico distribuito in tutto il

mondo nel 1914, vantato come un grande successo di critica e di pub­ blico’6: se le cose andarono realmente in questo modo e il film fu un trionfo, come mai la società non iniziò neppure il lavoro di progetta­ zione per realizzare un'altra pellicola dello stesso genere? Sono dubbi che incidono pesantemente, oggi come ieri, sulla valutazione della bontà e della correttezza della gestione del duo Sciamengo / Pastrone.

Nel 1917 la struttura societaria dell'itala Filming. Sciamengo e Pa­ strone cambia: fra l'agosto e il settembre, la s.n.c. viene sciolta e rico­ stituita come Itala Film, anonima per azioni con un capitale di tre mi­ lioni. Ufficialmente si tratta della valutazione assegnala agli impianti,

alle attrezzature e ai diritti, ma il denaro necessario per la gestione quo­ tidiana e i programmi futuri in realtà proviene da un gruppodi investi­ tori romani, che hanno assunto il controllo totale della società: sono guidali da Gioacchino Mecheri, che viene nominato presidente, mentre

ad amministratore delegato è chiamalo un giovane manager pure pro­

veniente dalla capitale, Enrico Fiori; a Sciamengo viene tolta la dire­ zione amministrativa, sostituita da quella tecnica - di cui non si era

mai occupato, nonostante la laurea in ingegneria - mentre a Pastrone

* II grande successo critico di Cabiriaè forse soprattutto nelle pagine degli storici italiani: un commento francese di qialchcanno posteriore,quindi oltre una possibile rivalità concorrenziale, lascia molti dubbi sull'cflelliva portala del successo del film come del le altre pellicole storiche italiane: spettatore di un cinema c ancora capace di pensare, c, di fatto, riflette c meditaassai più di quel che potrebbe sembrare: più assai che a teatro. [._ 1 Ncllascmi-oscutirà dell’ambiente, le menti lucidamente possono lavorare, c lavorano. In­ telligente quella film che sa equamente lasciare ai pubblico una genial do­ se dii lavoro; che non sia soverchio,cioè che generi in hii rintcrcsscP. Partendo da questa considerazione peròToddi va olire. Fra l'autore

(potremmo dire fra ('«istanza narrativa») e lo spettatore (ma Toddi

paria volutamente di un pubblico medio che sa di essere tale) si stabi­ lirebbe un patto che permette al film di assumere caratteri espressivi, in nulla diversi, dal punto di vista dello sviluppo del racconto, da quelli tipici di altri sistemi linguistico-esprcssivi. Importante in questo senso è dunque il caso del flash-back, rottura dell'unità temporale, che giu­

stamente Toddi identifica come uno dei punti più delicati ed ancora da sviluppare, linguisticamente parlando, per la cinematografia del 1916. Il discorso di Toddi, autore che peraltro continua anche negli anni successivi a produrre interessanti articoli di teoria cinematografica, sembra però cadere nel vuoto. Qualche anno dopo, comunque, sulla

n E[mmaneulc]. Toddi [Pietra Silvio Rivetta), Buio eùtielll^aca, «Apolloo», 4, maggio 1916, pp. 9-10. ” Ivi, p. 9.

269

! percorsi della teoria

rivista «Le Maschere»» testala in cui lo stesso Toddi è attivo con vari articoli di argomento cinematografico, lo scrittore Alberto Orsi sembra riprendere il filo del discorso. L’occasione è lo stupefacente articolo lì

primo piano7*. In esso, Orsi prova a spiegare al lettore le convenzioni che, nel cinema(ormai quasi del tutto «normato»)deH epoca, *

ogni sce­

neggiatore dovrebbe seguire. Si tratta, di quelle convenzioni, che sa­

ranno poi fondamento del cinema narrativo classico: presentare cioè, prima la scena destinala ad accogliere l’azione, e poi, anticipando sem­

pre leggermente i processi psicologici dello spettatore, mimare i movi­ menti del suo sguardo (nel senso degli spostamenti in avanti, indietro e sul proprio asse), per chiudersi infine, in un movimento circolare intc­

riore, con un nuovo piano d insieme(rilomando *

dunque per una secon­

da volta a quello che in termini funzionali chiameremmo establishing

shot). La novità di questo contributo risiede nel modo con cui Orsi si riferisce allo spettatore: quest’ultimo si presenta infatti fin da subito smaterializzalo, più una funzione che un essere umano in carne ed os­ sa. Egli è infatti «l’invisibile curioso indiscreto» sui desideri del quale

l’intero film è centralo. In ultima analisi, nel suo saggio Orsi sembra

ripercorrere, sintetizzandoli, tutti i passaggi enucleali dallo psicologo

Hugo Mùnstenberg in The Photoplay: (I9lóy\ ma con una maggiore

attenzione all’aspetto normativo ed allo stesso tempo anche a quello critico-spetlatoriale. Lo sguardo di questa istanza ineffabile infatti

non si sovrappone mai completamente a quello della macchina da pre­ sa: al contrario è un’essenza «invisibile» (ovvero uno spettatore impli­

cito, come una mera funzione della narrazione), «curiosa» (destinata

cioè a spingere in avanti con la sua libido, tultaconcentrata sull’aspetto scopico, il racconto stesso), ma anche «indiscreta»,cioè imprevedibile.

Orsi insomma sembra qui tener presente quanto pochi anni prima scrit­ to daToddi, che cioè il pubblico, pur immerso nell’oscurità, non è mai «deficiente», ciò perché la sua ipnosi è un meccanismo immcrsivoche

M Alberto Orsi, Il primopiaiu, «Le Maschera», 11, 2, Il gennaio 1920, p. 7. n Hugo Mùnstenberg, The Photoplay. A Psycholojpcal study, D. Appkton & Co, New York London, 1916 (Ir. iL Film, imo studia psicologico, a cura di IXxnenico

Spinosa, Roma, Bulzoni, 2010).

270

Introduzione al cinema muto italiano

lo spettatore si è autoimposto, e che dunque gli lascia ampi maigini di manovra. Nell’intercapedine fra la macchina c «l’invisibile curioso in­ discreto» che Orsi intravede c’è insomma già quello spazio nel quale, di lì a brevissimo si inserirà il modo di fruizione del nascente cinefilo, spettatore consapevole, il cui maggiore piacere, come diceva già Flo­

riano Del Secolo nel 1916 ne L’arte delle immagini™ (anticipando in questo il cattolico Gemelli), è «varcare la soglia della luce e cadere in balìa del sogno».

8.12 *1920 1930

La produzione in volume

Come abbiamo primaaccennato, in trentaquattro anni, tanti ne passano dal I896 al 1930, in Italia, se si escludono alcuni libri di manualistica maggiormente aperti alla speculazione (fra lutti, ad esempio// teatro mutcFdÀ Piero Antonio Gariazzodel 1919)o alcuni lesti di approfon­

dimento giomalistico-divislico che vorrebbero, senza riuscirci, arriva­ re ad un ulteriore stadio di riflessione sulla materia (come Le nostre attrici cinematografiche: studiate sullo schermo™ del 1919 di Tito

Aiace vich, o Le donne mute” e I peccati del silenzid * di Ottorino Mo­ dugno, pubblicali il primo nel 1920 e il secondo nel 1921), solo tre vo­

lumi di saggistica sono interamente dedicali alla teoria cinematografi­ ca. Il primo fra questi,edito nel 1920dall’editore Ausonia, è Verso una

nuova arte: il cinematografo di Sebastiano Arturo Luciani.

M Fiorano Del Secolo, L’arte delle immagini, «L'arte mula», 1,2, luglio 1916, p. 27, poi con identico titolo (ma a firma Angelo Piccioli) in «ApoUoo», 5, maggio 1919 c ora (ripreso da quest'ultimo) anche in Tra una film e !’altra: materiali sul cinema mulo italiano (1907-1920), ciL, pp. 362-366. n Piero Antonio Gari&ooo, lì teatro mulo, Lanca, Torino, 1919. M Tito Alaccci [Alaccvich), Le nostre attrici cinemaloj^cfiche: studiate sullo

schermo, Firenze, Bcmporad, 1919. * Ottorino Modugno, Le danne mute, Firenze, Cecconi, 1920. " Odorino Modugno, / peccati ddsilenzio: discussioni inutili d’arte cinemato­ grafica, Roma, Bcriulti, 1921.

/ percorsi della teoria

271

Musicologo per formazione ma anche grande appassionalo di cine­

ma, Luciani, che al tempo dell'uscita del libro aveva già avvialo anche un'attività di sceneggiatore, vi raccolse, con poche variazioni, gran parte dei suoi scritti sull'argomento pubblicali su vari quotidiani e ri­ viste a partire dal 1913. Pur nella diversità dei materiali che lo com­ pongono, il piccolo libro aspira dunque a riunire il pensiero dell'autore

intomo ad un ben preciso assunto. Questo è che il cinema abbia di per sé delle qualità estetiche, che devono però essere rafforzale. L'idea su cui si muove Luciani è allora quella che il cinema sia un'arte giovane destinata ad inserirsi in un sistema estetico già definito. Luciani ha in­ fatti dell'arte una concezione statica ed elitaria e ne vede le caratteri­

stiche generali invariate nel tempo. Chiaro dunque che la sua riflessio­ ne sul cinema, per quanto ricca ed innovativa, si offra in questo caso al

lettore prima di lutto come una elaborazione di carattere normativo. L'intuizione originaria da cui si muove Luciani, espressa in un sag­

gio del dicembre 1913 che egli aveva redatto per il «Marzocco»”, è che il cinema si offre allo spettatore come un mero spettacolo. Nel 1914, subito dopo l'uscita di Cabiria, Luciani inizia però a pensare

che il cinema dovesse svolgere una missione ben precisa, riportando in auge categorie di rappresentazione, come la pantomima, già attive fin dalle epoche classiche, ma ormai non soggette più a quella neces­ saria metamorfosi formale che consentirebbe loro di rimanere vitali,

cioè di mantenere un contatto proficuo con la società".

Compito di chi riflette con cognizione estetica sul fatto cinemato­ grafico è dunque per Luciani identificare, sia analogie con forme arti­ stiche del passalo, sia quei frammenti di poesia che qua e là già vi

emergono, dividendo poi questi ultimi dalla «non-arte» del mero «ci­ nema come spettacolo». In questo modo il teorico, pensa sempre Luciani, potrà poi invitare i

futuri artisti a prenderli come loro unico modello. Come dice infatti con efficace immagine lui stesso: •' S. A. [Sebastiano Arturo) Luòmù,IIcinemaio^ra/b e l’arte,ciL II concetto tor­ na ancora nell’assai successivo S. A. Luciani, Pento una nuova arte, cit_,p 13. " S. A. [Sebastiano Arturo) Luciani, Le vùùvu della auixicacilananaiojpufo, in

«ilarmooia. Rivista italiana di musica». Il, 6, giugno-luglio 1914, pp. 1-5.

272

Introduzione al cinema muto italiano

Durante le proiezioni più idiote e noiose cui accade di assisterle che pare abbiano su l’intelligenza l'azione abbrutente dell’acquavite, avviene di es­ sere colpiti improvvisamente da effetti di fuoco di movimento il più delle volte casuali e non previsti da chi ha messo in isccna il soggetto, ma che non si incontrano in ncssun'altn forma di spettacolo, oche fanno provare un brivido nuovo ai nostri nervi stanchi e addormentati. Questi effetti ap­ paiono come pietanze sfaccettate e rilucenti in una cascata di ciottoli ter­ rosi, restano presto sommersi nella volgarità monotona di tutta la proiezio­ ne; ma bastano a rivelarci la vera essenza del cinematografo. Si tratta per­ ciò, se vogliamo costruire una poetica di questa nuova arte, di coordinare tutti questi elementi dispersi che ci fumo provare un brivido nuovo, e di farsi che non siano piti Tcccczioncma la parte normale di tutta la visione cinematografica. Il problema e tutto qui '. *

Chiaro insomma, come Luciani, in questo cinematografico dividere

il grano dal loglio, si ponesse, in parte, ancora nel 1920 (poi ne pren­ derà le distanze), nell'ambito di un sistema critico-estetico che era quello delineato dal filosofo neo-idealista Benedetto Croce,pensatore famoso per aver impostato le sua attività di critico letterario nella ri­ cerca, anche all'interno di singoli testi, di frammenti di poesia e non

poesia. Sempre da questa atmosfera neoidealista, Luciani desume an­ che la convinzione di rinforzare il ruolo dell'autore, inteso come un soggettista-sceneggiatore il cui disegno artistico deve esprimersi per

lutto il corso del film, sovrapponendosi in fasedi realizzazione ad altre figure che dovranno servirgli solo da strumenti. Ma Luciani, pur ponendosi un obbiettivo estetico, none un filosofo, e vari per di più sono i punti di discordanza con Croce, a cominciare

dal criterio di separazione delle arti, che egli non approva. Il suo pen­

siero è ben distante insomma dal fornire un inquadramento estetico pa­

ri a quello che forniranno negli armi Trenta, i teorici crociani. Anche perché non sempre lo sviluppo del suo pensiero procede linearmente. Dall'incontro con i Balletti Russi, visti a Roma al Teatro degli Indi-

S. A. [Sebastiano Arturo) Lucani, Poetica deicinataio^rujo, «Apolloa», mag­ gio 1916, pp. 1-2, poi in Vento aita nuova arte (Poeticae teaùcadeicinematotfctfb),, X 2008;Giu-

iio Burri, Simone Venturini (a cura di / edited by). Quel che brucia (non) ritorna / Whal Burnì (Never) Return*. Lost and Found Film*, Campanello, Parian di Pialo (UDX20I1.

Gm dila e occhi delicati

343

turo Pcrez-Reverte. Il protagonista raccoglie le tre copie superstiti del libro Le Nove Porte, quindi si applica alla «collazione» (collatio), cioè

alla loro comparazione; in particolare, raffronta il testimone-guida (la copia di Boris Balkan, il committente) con le altre due copie indivi­ duando i luoghi critici nelle illustrazioni; con dita sporche e occhi de­

licati, scova le divergenze figurative, puntuali e minime (il diavolo si

nasconde nel dettaglio). «Prima che l'arte di correzione, il filologo de­

ve dunque imparare l'arte di riconoscere e localizzare gli errori»4. Quindi, solo alla fine, il protagonista attinge alla lezione autentica: per differenza, cioè scartando (eliminatio) le lezioni non genuine. Al pari dei lesti scritti, i film si diffondono (in linea orizzontale^ si tramandano (in linea verticale) attraverso le copie. Di una medesima

opera, l'insieme dei testimoni Iridili (consegnali, tramandali) si chia­

ma «tradizione». Precisamente: tradizione diretta. Per un dato film,

chiameremo tradizione diretta tutte le copie pellicolari conservate. Se apriamo a ventaglio la tradizione diretta dei film muti italiani, a un estremo troviamo una tradizione folla ma rara (per es. Cabiria, 1914, di Giovanni Pastrone), all’altro estremo troviamo (assai più

spesso) un solo individuo, una sola copia, di solilo una copia di proie­ zione quasi mai (anzi: mai) integra. La tradizione diretta, dunque, può

essere rappresentala anche da una sola attestazione,cioè da un solo *lo stimone pervenuto. Quando, invece, la tradizione è costituita da più te­

stimoni (due, tre,/» copie), ecco che il lavoro del filologo consiste, in­ tanto, nello stabilire i rapporti di parentela traessi. Ovvero: ricostruire

la storia e la struttura della tradizione diretta. Tali relazioni parentali

sono perlopiù di filiazione: sono rapporti genealogici (da un capostipi­ te ai suoi discendenti). La struttura della tradizione viene raffigurata

come un albero genealogico (o «stemma»). Accanto alla tradizione diretta, per esempio, del manoscritto di una

data opera - accanto o in vece della sua tradizione diretta - si conosco­ no rifacimenti, epitomi, traduzioni, riassunti, citazioni (nel corpo di al-

4 Franca Brambilla Agcno, L'àtiùonc critica dà lati volgari, Padova, Antenore,

1999, p. 62.

344

Introduzione at cinema nudo italiano

Ira opera), riporto di brani in sillogi ecc.: questo costituisce la tradizio­

ne indiretta. Altrettanto possiamo dire dei film. Data la quota di di­ spersione del patrimonio cinematografico muto, la tradizione indiretta non va sottovalutata, dispregiata o misconosciuta. Anzi, nel campo della filologia del cinema muto,diventa cogente il principio già inval­

so, peresempio, nella filologia romanza: «Quando il lesto citalo non si

è conservato, la citazione prende il valore di tradizione diretta»'. La tradizione indiretta, da concorrente della tradizione diretta, diventa vi­ caria di questa, ovvero sostitutiva. Consideriamo un esempio eminente: La presa di Roma - XX set­

tembre 1870 realizzato nel 1905 da Filoteo Alberini. La storiografia del cinema reputa La presa di Roma come il primo

film italiano, ovvero ravvio dell'industria cinematografica italiana: Alberini & Santoni (Roma), «primostabilimento italiano di mani Tarta­ ra cinematografica», vanta la pubblicità della Casa. Dopo una preview a Livorno (16 settembre 1905), in occasione delle grandi celebrazioni del 35° anniversario della Breccia di Porta Pia (ovvero della presa di

Roma), il film viene pubblicamente proiettato il 20 settembre 1905, a Roma, su un grande schermo collocalo all'aperto, in via Nomentana, davanti a Porta Pia, dunque nel luogo stesso degli accadimenti che il

film rievoca. Questa prima proiezione avviene in mezzo al tripudio di una Tolta entusiasta. Dal giorno successivo, il film passa (fino al 28 set­ tembre) al cinema Moderno, in piazza Esedra a Roma, sala gestita da Filoteo Alberini. Quindi, dal 1906, viene prenotato da sale stabili o da

imprese itineranti in molta parte d'Italia, e figura ancora nel 1911 (an­ che col titolo Bandiera bianca) nei listini della Cines (la Casa che ha rilevalo l'Alberini & Santoni). Infine, è ancora incluso nei programmi cinematografici almeno fino alla vigilia della Grande Guerra. Questa, in breve, la sua fortuna conosciuta.

1 Pietro G. Bdlrami,4 che serve wt'cdaoae critica? Lejgcerc itati della lettera-

tura medievale, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 55. * Il film di Filoteo Alberini ha visto una ripresa di allcrrrionc, e nuovo interpreta­ zioni, in occasiono del suo centenario. Ohrc ai saggi di Gian Piero Brunetla(Afajràa di una nazione) e Aldo Bernardini (I90S e dintorni), citiamo l'originale contributo di

Gm dita e occhi delicati

345

In occasione dell'edizione della Presa di Roma, viene pubblicalo il n. 1 del Bollettino dell'AIberiniA Santoni. Questa brochure interamen­ te dedicata al film si pone, oggi, come una importante fonte documen­

taria giacché elenca i «quadri» (scene) in ordine di successione, ciascu­ no col suo titolo, seguiti da una descrizione del relativo contenute?.

Perla presa di Roma, il Bollettino dell'Alberini &. Santoni indica:

250 metri di lunghezza. Il film è suddiviso in sette quadri. Questo l'in­ dice dei quadri, di cui qui riportiamo i titoli:

Quadro I: Il parlamentario Generale Carchidio a Ponte Milvio. Quadro II: Il Generale Carchidio e il Generale Kanzler al Ministe­

ro delle Armi. - Niente resa! Quadro III: L'alba del 20 settembre al campo dei bersaglieri. - Alfarmi! Quadro IV: L'ultima cannonala.

Quadro V: La breccia a Porta Pia. - All’assalto! Quadro VI: Bandiera bianca. Quadro VII: Apoteosi. Altra fonte extrafilmica da menzionare: Gualtiero Fabbri, Al cine­

matografo, editato a Milano da Pietro Tonini (esercente cinematogra­ fico) nel 1907. È una novella che, tra l'altro, narra in maniera vivida e puntuale di una proiezione della Arsa di Rome?,favorendo (a noi, og-

Giovarmi Lasi,£a ripmadi Kana, inMichde Canoa (a cura di), 190$. Lapnsadi Roma. Alle origini dd citata italiano — Beginning * ofItalian Citano, Rocco (GE), Le Mani, 2006, pp. 41-114 (- 157-232). * La descrizione dei qiadri contenuta in elenco nel n. I del fiottatine della Alborini& Santoni Astata pubblicala di Aldo Bernardini, La prandi Rem, prototipo dd citata italiano, in Antonio Cesia (a cura di). La meccanica dd visibile, Firenze, La

casa Usher, 1983, pp. 117-118. Il BoUctlinoe stato integralmente riprodotte in Mas­

simo Cardi Ilo (acura di). Da Quartoa Cinecittà,S. EliaFiumcrapido (FR), In.Gra.C_, 1984, pp. 11-17. * La novella di Gualtiero Fabbri,4/cù»ematagrc(^,éstalaripropostaper le cure di Sergio Rafladli ddl’Associazionc Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema, in due successive edizioni (la prima nel 1993, la secondi nel 2013, per l’editore Persia­ ni). L'indicazione delle pagine nelle citazioni fa riferimento all'edizione del 1993.

346

Introduzione al cinema muto italiano

gi) una serie di informazioni utili. In particolare: il film di Alberini è

compreso in un programma composto di film (Pathé) di genere vario, «per tutti i gusti»; fornisce una misura della durata complessiva della séance; fa intervenire un personaggio quale l’imbonitore («avvisato­ re»); riporta le reazioni del pubblico; rende il ritmo delb rappresenta­

zione dei quadri (si spegno b luce: quadro I, si riaccende la luce, quin­ di si rispegne, quadro II ecc.); riferisce delb qualità delb proiezione («con pochi o punto tremolìi»); segnab la presenza di colorazioni: nel titolo, «a lettere cubitali rossiccio, la scritta La presa di Roma». Gualtiero Fabbri è un intellettuale competente: autore di uno «stu­

dio storico» sul XX settembre MDCCCLXX (1892); Fabbri è anche,

con Pietro Tonini, fondatore nel 1907 delb «Rivista fono-cincmalograficae degli automatici, istrumenti pneumatici e affini». Al Cinema­ tografo ci pare un testo attendibilema è pur sempre un racconto di fin­

zione, dunque resta una fonte secondaria; tuttavia, in quanto paratesto del film di Alberini,qui lo alleghiamo alb tradizione indiretladel film. La presa di Roma non è un’opera dispersa, né svanita nell’oblio. Anzi, certi film a carattere didatti co-divulgativo dedicali al cinema no­

strano sempre lo ricomprendono in posizione inaugurale. Il film di Filoteo Alberini è stalo trasmesso proprio attraverso questa tradizione in­ diretta - indiretta e corrotta. Consideriamo i seguenti film miscellanei:

Antologia del cinema muto italiano (1958), a cura di Antonio Pe­ trucci. - Lo noteremo in sigla: Ani 58. VenCanni d'arte muta (1939), a cura di Emilio Scarpa, da un’idea di Franco Mazzoni Diancinelli. - In sigla: AM 39.

Rivista Luce n. 4 (1935), a cura di Corrado D’Errico. - In sigla: Luce 35.

I summenzionati sono film sonori e parlali, ma per ora faremo astra­ zione dell’accompagnamento musicale e del commento delb voiceover, trabsccremo altresì la differenza di formato (aspect ratio) del fo­ togramma tra il film muto contenuto(£o presadiRoma)e i film sonori

Cm dita e occhi delicati

547

contenitori (le sillogi in discorso); sono film in bianco e nero, mentre La Presa di Roma prevedeva una colorazione (se non altro per il titolo e gli intertitoli, probabilmente rossi, nonché per il quadro finale, una policroma Apoteosi).

Della Presa di Roma, in Ani 58 (VAnfologia di Petrucci), si trovano

allineali, lungo circa 50 metri di pellicola (contro i 250 metri originali dichiarati), quattro scene che corrispondono ai seguenti quadri elencali nel sommario del Bollettino dell'Alberini & Santoni:

Q I (11 parlamentario Generale Carchidio a Ponte Milvio). Q II (Il Generale Carchidio e il Generale Kanzler al Ministero delle Armi). Q V (La breccia a Porta Pia). Q VII (Apoteosi - che però è un fotogramma «rappreso», fìsso). in Ani 58, dunque, La presa di Roma risulta raccorciato nel metrag­ gio, incompleto nel numero dei quadri e parzialmente mutilo nel finale

(Apoteosi). Mancano i seguenti quadri:

Q III (Al campo dei bersaglieri). Q IV (L'ultima cannonata). Q VI (Bandiera bianca). Perche Ani 58 non ritiene questi tre quadri (più la chiusa inextenso) della Presa di Roma? Siamo di frontea una versione aòregee? Si tratta

di prelievi, come un'antologia ammetterebbe? Ineffetti, Ani 58 cita più avanti una sequeladi lacerti (scenemadri con Francesca Bertini) da La serpe di Roberto Roberti: ma questo film del 1920-è appena un esem­

pio - si distende oltre i 1500 metri, e in nessun modo è paragonabile alla Presa di Roma. Della Serpe si dà un regesto, invece la lezione del film di Alberini è incompleta: lacunosa e guasta. Se pure, del film di Alberini, Ani 58 riportasse «per estratto» solo dei brani scelti, è da

escludere che i brani siano stati scelti dal curatore (Antonio Petrucci); e se pure fossero citazioni, sarebbero riporti di seconda mano. Infatti,

le lacune e le omissioni, gli errori e i rimaneggiamenti che occorrono

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Introduzione al cinema mulo italiano

in Ani 58 coincidono con quelli della Presa dì Roma nel precedente Veni’anni d'arte muta (1939). In conclusione, il film di Alberini in Ani 58 è esemplato su AM 39: Ani 58 < AM 39 Ani 58 e copia «descritta» (come si dice codex descriptus), cioè in questo caso: copia di copia. Ovvero, risalendo: AM 39 è «anligrafo» di Ani 58, nonché - si direbbe - anligrafo delle copie proliferale presso

varie cineteche in Italia, in Gran Bretagna, in USA, in America Lalina,

fino al primo decennio degli anni Duemila. In altri termini, diffonde la vulgata della Presa di Roma. Ma non è tulio. Infatti, il criterio filolo­ gico della coincidenza in corruttela stabilisce l'ascendenza: AM 39 si

dimostra a sua volta copia descritta: è «apografo» che risale al film di

Alberini quale riportalo in Luce 35 (la Rivista Luce n. 4, 1935): AM 39 < Luce 35 La lezione della Presa di Roma in Luce 35 è iXcapostipite della tra­

dizione successiva; è il luogo genetico di una «tradizione caratterizza­ la». Il che non è propriamente risaputo . *

* L’agnizione, infatti, è roeentc, occasionala dal restauro del film cflcUualo nel 2005 dalla Cineteca Nazionale (Roma). Cfr. Mario Musumeci, lì frammento rubalo. Nota nd restaura de La presa di Roma, in Mario Musumeci c Sergio Tofictti (a cura di), Da La presa di Roma a II piccolo garibaldino. Risorgimento, Massoneria c istitwdoai: rimmagjne della Nazione nei cinema mulo (1903-1909) — From La presa di Roma to II piccolo garibaldino. Tbe Risorgùnento, Freemasonery andIstituHons: Ita­ ly in Silent Filmi (1903-1909), Roma, Gangemi, 2007, pp. 25-32 (- pp. 79-87). Le indagini critiche in vista del restauro si sono awake del contributo di vari studiosi c archivisti (un «lavoro di squadra»): i nomi si trovano menzionali nella nota finale del saggio di Musumecitesté citato (p. 32 - p. 87). (pianto a noi, dal medesimo sag­ gio, abbiamo tratto varie informazioni, segnatamente quello relative alb Rivista Luce n. 4, cquello relative al ribaltamento Dx/S* delle inquadrature a Ponte Milvio(vedi infra nel testo); notizie più puntuali ci sono stato favorito da Mario Musumeci per lo

vie brevi: qui lo ringraziamo.

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Cm dita e occhi delicati

La Rivista Luce si voleva equivalente cinematografico delle pubbli­

cazioni periodichca stampale «riviste» cartacee,appunto). Il n.4 del­ la Rivista (- Luce 35), a cura di Corrado D'Errico, viene allestito nel 1935, in occasione del quarantennale dell'invenzione del cinematogra­ fo, apartire da film preesistenti. Oggi si direbbe: found-footagefilnr, si

potrebbe anche dire: «trascrizione rimaneggiala». In Luce 35, dopo l'inevitabile omaggio alle prime vedute Lumiere, segue- accompagnato da musica verdiana - il film d'abbrivo della ci­ nematografia italiana: La presa di Roma.

Delle scene della Presa di Roma riportate in Luce 35, si conservano ancora i negativi, mentre il negativo e le copie positive d'epoca del

film di Alberini sono da ritenersi disperse. Consideriamo, dunque, per­ duta la princeps del settembre I9O5(- jc). Tuttavia, Luce 35 - che è un film sonoro - riproduce l'impronta fologrammatica del film muto, ov­ vero denuncia un esemplare pristino (anligrafo), probabilmente già corrotto, dal quale Luce 35 discende: tra l'originale perduto e Luce 35, c'è da presumere - intanto - resistenza di almeno un testimone a disposizione di D'Errico e, oggi, a sua volta perduto (- a): Luce 35 < a