La grande guerra al cinema 8849155573, 9788849155570

Sono quasi duecento i film italiani che, nell’ultimo secolo, hanno raccontato la Grande Guerra; ognuno ha mostrato vicen

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La grande guerra al cinema
 8849155573, 9788849155570

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Grande Guerra AL CINEMA

«I ilm che ricostruiscono la storia passata (...] sono in­ teressanti soprattutto perché, in trasparenza, parlano della realtà contemporanea, respirano dibattiti politici e ideologici ancora in atto Sono come orologi che esibiscono una doppia temporalità: una temporaità apparente, un movimento antiorario e un movimento reale sintonizzato sul presente, sulla evoluzione della ri­ cerca storiografica et al tempo stesso, sulla modificazk.nu dei comportali lenti intellettuali in rapporto alle tra­ sformazioni sociali (Gian Piero Brunetta) Sono quasi duecento i film italiani che, nell’ultimo se­ colo, hanno raccontato la Grande Guerra; ognuno ha mostrato vicende e questioni diverse di questo impor­ tante evento della storia mondiale. Il saggio ci guida in un viaggio nel cinema utilizzando duo canali: l'analisi de film e l’operato della censura. Dalla ricerca emer­ gono continuità e discontinuità, topoi ricorrenti e rivo­ luzionarie innovazioni nel racconto filmico della guerra. A corredare il volume troviamo una ricca filmografia sul tema e alcune schede di approfondimento sulle più im­ pelanti pellicole estere.

ENRICO GAUDENZI è docente di scuola superiore e colabora con l’università di Bologna come cultore In Storie e Media. Ha conseguito un Dottorato di Ricerca presso le Uni­ versità di Siena e di Paris Nanterre. Si è occupato del rior­ dino di fascicoli filmici 1046 1966 presso l‘Archivio Centrale deio Stato. Ha pubblicato, con Giorgio Sargiorgi, La prima guerra mondiale nel cinema italiano. Filmografìa 1915-2013 (Ungo, 2014).

ISBN 970-88 491-5557-0

€ 24.00 wwv, duet

la

Grande guerra AL CINEMA Tra narrazioni e censure

Enrico Gaudenzi

CLUEB

Passato Futuro Collana diretta da

Patrizia Dogliani

33

La collana accoglie ricerche monografiche ed opere collettive c ripro­ pone testi considerati classici nel dibattito e nella metodologia storio­ grafica. Valorizza la ricerca di giovani storici e ospita opere prime. Una particolare attenzione viere qui prestata ad alcuni periodi e temi della storia sociale, culturale e politica italiana: al fascismo, alle guerre, ai dopoguerra, alle trasformazioni del mondo contadino e ai processi di urbanizzazione, ai cambiamenti nelle identità, nelle mentalità e nega­ zione di ceti sociali e di generazioni. Passato Fttluro si apre all'apporto delle scienze sociali, della demografìa e dell'antropologia storica e non trascura di confrontarsi, ospitando opere di storia comparata, con altre realtà ed istituzioni nazionali, in particolare europee. Una sezione della collana è infine dedicata all'analisi di fonti archivistiche, bibliografìc’ie e foto-cinematografiche per lo studio della società contemporanea.

Questo volume ha ricevuto una prima lettura e un giudizio in qualità di referees da Alessandro Faccioli (Università degli Studi di Padova) e da Stefano Pisu (Univer­ sità degli Studi di Cagliari).

Enrico Gaudenzi

La Grande Guerra al cinema Tra narrazioni e censure

CLLLEB

©201", Clueb, casa editrice. Bologna

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiri del 15% dì ciascun volumc/ftiwicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'alt 68» commi 4 e 5. della legge 22 aprile 1941 n. 633.

Le fotoccpie effettuate per finalità di carattere professionale» economico o

commendale o comunque per uso diverso da quello personale possono es­ sere effettuate a seguito di specifica aatorizzarionc rilasciata da CLI-ARedi, Centra Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editorial, Corso di Porta Romana 108,20122 Milano» e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

Progetto grafico di copertina di Orlano Sportelli (www.srodiunegMiivu.cum)

CLUEB 978-88-491-5557-0 wwwxlueb.it

Finito di stampare nel mese di novembre 2017

da Studio Rabbi - Bologna

INDICE

Introduzione............... -...........................................................................

Il

Capitolo I - Italia 19141918................................................................... 17 Cinema italiano 1914-1918............................. -........................................ 20 1. Consenso (disorganizzato? L'(in)attività dello Stato in ambito cine­ matografico ......................................... 22 1. L La guerra al cinema? La macchina statale di fronte alla violenza bel­ lica sul grande schermo................................................................................................... 28

La settima arte prima del conflitto....................................................... 2.1. I film bellici italiani prodotti e distribuiti tra il 1914 c il 23 maggio 1915...................................................................................... 34 2.2. Un film di svolta La legione della morte.................................... 3 1 film di guerra 15-18: un corpus da definire....................................... 3.1. Un’analisi tematica............................ ........................... 3.2. Giocare alla guerra. L’infanzia c il primo conflitto mondiale....... 3.3. Morire dal ridere........................................................................ 3.4. Donne................................................ Focus: Il cinemafrancese e statunitense durante la Grande Guerra.........

35 37 38 44 48 52 57

Capitolo 2 - Il cinema del dopoguerra, tra state liberale efascismo........ Cinema italiano 1919-1940................................................................. 1. Un primo cambio di passo............................................ :...................

61 63 63

La preoccupaci or e del mercato.............................................................................

64

1.2. Tra censura e finanziamenti........................................................ 1.3. La revisione cinematografica...................................................... 1.4. Dal laissez-faire il protezionismo............................................... 2. Lo Zar ed il suo regno................................. 3. I film sulla guerra..................................... -........... 3.1. Il dopoguerra liberale......................... 3.2. Il nostro Jaccuse: L uomo che vide la morte........................... Fscus: // cinema delie rovine.............................................................. 3,3. 11 dopoguerra fascista............................................................ Facus: // cinema pacifista degli anni Trenta.............................................

66 66 70 73 75 76 79 80 84 94

2

LI.

33

6 3.4. Il cinema sonoro.... .................................................................... 3.5.1 film chiave................................................................ .............. Focus: La^randfi ì/lurion..................... 4. Le reazioni dello Stato tra censure c premi......................................... 4.1 . La censura statale... ................................................................... 4.2 , Le sale cattoliche e il Centro Cattolico Cinematografico............ 4.3 .1 premi.................... 5. Cinema e storia?................................................................................

98 101 112 115 115 119 120 121

Capi tolo 3 - Tra continuità e discontinuità..................... 125 Cinema italiano 1949-1959....................................................................... 127 I. Il neorealismo.................................................................................... 127 1.1,11 cinema di genere....................................................... ................ 128 2. La legislazione................................................................................... 130 2.1. La censura.................. ............................................................... 130 2.2. Il mercato cinematografico: un'apertura ampia ma limitata......... 133 2.3. Un uomo, un ufficio, un’epoca: Giulio Andreotti e il sottosegretaria­ to per lo spcKaculu............................... ................................. 135 3. 1 film sulla guerra........... ................................... 137 Focus: Le diable au corps...................................... ................................. 138 3.1. Analisi tematica......................................... 141 3.2, Continuità con (’anteguerra: Il caimano del Piave e i suoi fratelli... 146 3.3. Cinema patriottico-irrcdentista: anatomia di tn genere?............. 148 4. L’htervento dello Stato (e sullo Stato)............................................... 149 4.1. La cenuro definitiva sui film italiani ed esteri............................. 151 5. Due film chiave. Addio alle armi e La grande guerra......................... 161 5.1. American way offilnn Selznick in Italia..................................... 162 5.2. Un nuovo modo di raccontare l’Italia: storia c commedia............ 170 Focus: Paths ofglory............................................................................... 183 6. Una storiografia che non cambia?....................................................... 192

Capitolo 4 - La Grande Guerra e la contemporaneità............................... Cinema italiano 1959-2015............................... I. Ed dell'oro......................................................................................... 1.1. La crisi................. ..................................................................... 2. La legislazione............. ..................................................................... 2 J. Un cambio epocale..................................................................... 2 ,2. Il cinema e i nuovi media........................................................... 3. Da Monìcel li a Cevoli:la prima guerra mondiale dai 1959 al 2015....... 3.1. 1 -a grande cesura... .................................................................... 3.2. La via della commedia............................................................... 3-3. Le nuove donne in guerra.............................................................. 3,4. Il vertice del visibile: Fraiilein Doktor e Uomini contro........... ...

195 196 196 198 199 199 201 201 202 209 211 214

7 Focus: Cinema antimilitarista anglosassone: King and Country e Johnny got his gun.................................................................................... 225 3.5. Decenni di transizione................................................................ 227 3.6. La rivincita di Eros su Thanatos............................................ 229 3.7. Una guerra grottesca............................................................. 232 3.8. L'importanza de'le produzioni televisive....... .... ........................ 233 3.9. Il cinema contemporaneo e la prima guerra mondiale................. 242 Focus: // cinemafrancese contemporaneo......................................... 245 4. Il rapporto con la storiografia............................................................. 256 Conclusioni..................

259

Appendice............................................................................................... Bibliografia................. «................................. Filmografia..................

267 271 283

Debbe un uomo fare come gli arcieri prudenti, ai quali parendo il luogo, dove disegnano ferire, troppo lontano, e cognoscendo fino a quanto arriva la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta, che il luogo destinato, non per aggiugnere con la loro forza ofreccia a tanta altezza, ma per potere con lo aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro. Niccolò Maochiavclli, Il principe

La guerre de 1914 n "appartieni a personne, pas ménte aia historiens. Anloinc Prost e Jay Winter, Penser la Grande Guerre

INTRODUZIONE

Fer chi scrive, il cinema è staio, per buona parte del Novecento, il mezzo determinante per la diffusione di interpretazioni del passato. Cerne scrive Ferro:

«Tutto quanto ì stato filmato dall'inizio di fatto costituisce un archivio considerevole, depositato negli scaffali delle cineteche, delle televisioni, delle collezioni private, nella memoria della gente. Da molto temps i rap­ porti dei popoli con il loro passalo - la loro memoria - non sono molto

distinguibili dai rapporti con questo archivio [...]. Gli apparati che, oggi, hanno il privilegio di accedere a questo archivio, hanno contemporane­ amente la possibilità di intervenire in questo rapporto con il passato, di modificarlo1».

Tesi come queste venivano viste con sospetto da molti storie.. I motivi erano i più svariati. Senza voler entrare nel merito della questione mi ac­ contenterò di segnalare come una delle risposte più frequenti al problema sia stata la sua sistematica esclusione a vantaggio di altre manifestazioni dell’uso pubblico della storia, quali la monumentaiistica, la carta stampa­ ta, l’analisi delle ricostruzioni retoriche. Sono convinto che l’immagine che ogni comunità ha del proprio pas­ sato derivi da una combinazione di elementi. Tra questi ha un peso im­ portante il cinema, capace di organizzare e propagandare una chiave di lettura in grado di raccontare la storia di un paese in modo comprensibile e appassionante. Due sono i motivi che hanno accresciuto l’importanza di questo medium: gli scarsi livelli di lettura, anche di testi storiografici, e il sempre minor spazio riservato alla storia nelle scuole italiane sia nel percorso comune (i primi approcci al '900 si hanno in terza media), sia nelle scuole superiori (dove, con solo due ore a settimana, negli ultimi tre anni bisogna confrontarsi con la storia mondiale dell’ultimo millennio).

M. Ferro, Cinema e noria. Linee per una ricerca, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 79.

12 È per questo motivo che gli storici hanno il dovere di studiare il modo in cui il cinema racconta il passato che loro indagano. L'importanza della comprensione cinematografica dei film a soggetto storico viene spiegata dagli autori di Tutto quello che sappiamo su Roma l abbiamo imparato a Hollywood che stigmatizzano coloro che affrontano in maniera inerme la rappresentazione fìlmica cella storia:

«Da una parte c’è chi nega con disprezzo ogni rilevanza culturale a ro­ manzi storici e film; alza le spalle ed esce di scena senza fretta, felice di raggiungere una turn's eburnea e da li contemplare con sovrano disprezzo (rea forse anche un po’ di invidia) i campielli altrui. Dall’altra chi, per mancanza di strumenti e preparazione, si beve i prodotti dell’industria cul­ turale senza alcun filtro di autentica comprensione2». Fino a pochi anni fa ero convinto che gli studiosi di cinema e storia fossero come quei parenti, un po' scapestrati, che si vedono solo ai ma­ trimoni, ogni volta con un’accompagnatrice diversa. Quelli che vengono indicati da alcuni con un certo disprezzo c da altri con una ben celata in­ vidia Fanno si parte della famiglia, ma non godono della stessa stima di chi studia la classe operaia o le élite. Negli ultimi anni la situazione i cam­ biata. Lo spazio (e la dignità) dedicati alla stcria culturale in Italia sono aumentati e con questi anche la considerazione di chi utilizza il cinema come fonte per interpretare il passato. Vari storici si sono avvicinati al ci­ nema, trovando una preziosa sponda in alcune riviste di settore. II segnale forse più importante del cambiamento in atto é la pubblicazione, da parte di Ribellino, di «Cinema e storia» dove, studiosi di discipline differenti, indagano un determinato momento storico secondo le proprie sensibilità, ma relazionandosi al cinema. In questo contesto ho psrò notato che una parte della ricerca italiana uti­ lizza solo raramente documentazioni esterne ai film stessi. Questo atteggia­ mento appare paradossale, pensando alle difficoltà superate dalla comunità sciencifiui per ottenere la «.uiibultazione di quei materiali che oggi vengono sistematicamente ignorati: i documenti della censura sono difficilmente ac­ cessibili, ma non segretati, liberamente consultabili sono i fondi della di­ visione cinema depositati presso ('Archivio Centrale dello Stato, le riviste specializzate contengono ina miniera di informazioni sul cinema a loro contemporaneo. Impossibile poi non citare la quantità enorme di materiali

:

L.c L. Cotta Ramosino, C. Dognini, Tùtto quello ette sappiamo su Roma l'abbiamo

imparato ad Hollywood, Milana Brano Mondadori, 2004. p. i.

13

(interviste, presentazioni, documenti) che s. possono reperire sia in rete sia nelle opere specializzate. Si può certo affermare che il problema attorno al quale si muove la ricerca contemporanea non sia la mancanza di fonti. L'ambizione di questo saggio è duplice: oltre ad indagare Involuzio­ ne dell’immagine cinematografica del primo conflitto mondiale in Italia, ho dedicato ampio spazio al ruolo che la censura ebbe nella creazione di quel l'immagine. Mancano, per scelta, i film dal vero. Questi titoli, per essere commentati in maniera esaustiva, richiedono conoscenze specifi­ che ed uno studio approfondito e sistematico dei materiali originali, già brillantemente svolto, per il caso italiano, da Sarah Pesenti Compagnoni al cui lavoro rimando1*. Le pellicole di fiction non sono state tutte analizzate. I riferimenti es­ senziali di ogni titolo si possono trovare nella filmografia al termine del volume4. Questa ricerca è frutto di un lungo lavoro di studio. Le fatiche iniziate con la tesi di Laurea Specialistica, sono proseguiti grazie alla fiducia ac­ cordatami dalla Scuola di dottorato in Scienze storiche in età contempora­ nea dell'Università degli studi dì Siena *. Questo volume è un adattamento e una riduzione di quelle ricerche. Primo tassello di questo studio è stata la creazione della filmografìa, re­ datta utilizzando la classificazione documentaria proposta da Bernardini * che riporto qui di seguito: I) Visione pellicola / fogli dei visti censura. Dati ufficiali. 2) Enti c commissioni ministeriali, Archivi S1AE, ANICA e AGIS. Fonti ufficiali autorizzate. 3) Riviste specializzate, di categoria o di produzione l distribuzione. Fonti d'epoca.

1

S. Pcscmi Cai ripugnimi t HW! La guerra separa, Ifilm girali alfrante tra doctimen-

lattone, Mlìiàespettacal^ Torino, Università degli studi di Torino - Facolti di lettere e

filosofiamoli

4

Mi permeilo di rimandare inoltre al volume, scritto insieme a Giorgie Sangiorgi,

ccntenentc una scheda con tulle le informazioni tecniche dei singoli tirali E. Gaudenzi e G.

S&ngiorgi, La prima guerra mondiate net cinema italiano. Fiimografia I9/5-2C13+ Raven­

na, Longo. 2014, ’

E. Gaudenzi, tt cinemi italiano e francese suite prima guerra mondiale. Una filmo-

grafia documentata. I InSvcrsità degli studi di Siena, Daporlimcnio dì scienza politiche « inter

nazionali. Scuola di donorato in scienze storiche in età contemporanea, XX V ciclo, in colutela con Univcrstlc Paris Quest banlcrre La Defense, Écolcdcs arts et ck*s représcntat on.

*

A. Bernardini, fi cinema sonoro, Roma, Anica edizioni. 1993. p, VL

14 4i Repertori filmografia generali/particolari, pubblicazioni. Fonti successive sistematiche.

Le mie ricerche sono state quindi svolte, per quanto possibile, siti dati ufficiali. Gran parte di quelli relativi al cinema muto sono da considerarsi, ad oggi, dispersi (con la non trascurabile eccezione dei dati censori). Per una inventariazione dei film prodotti fino alla fine degli anni Venti sono dovuto ricorrere ad un incrocio di fonti d'epoca e successive / sistemati­ che. Una piccola parte del cinema prodotto tra il 1930 e il 1945 è presente nel fondo della direzione generale per il cinema presso il Ministero dei beni culturali. L’ufficio di classificazione continua ad operare e, in colla­ borazione con la banca dati Italiataglia, procede ad una sistematica digi­ talizzazione dei propri materiali (che oggi coprono il periodo 1914-2000). Partroppo i materiali giunti fino a noi, relativi al periodo 1913-1944, sono del tutto casuali. Dcpo il disastroso allegamento dei depositi di via del la Ferratella a Roma, in cui erano custoditi i documenti delia Direzione Generale della Cinematografìa, la possibilità di ricostruire su ampie basi documentali il cinema precedente al termine della seconda guerra mondia­ le pare molto difficoltosa.

Nota: ho deciso di non citare in calce al testo i dati di ogni film relativo al conflitto, reperibili nella fìmografìa. Questa scelta, se da un lato rende meno agevole il reperimento dei dati, permette una lettura più scorrevole del testo.

Ringraziamenti Il mio interesse per la prima guerra mondiale deve essere ascritto alla maestra Verdiana che per l'esame di quinta elementare mi convinse ad abbandonare i partigiani (ancora molto richiesti dagli alunni nella Roma­ gna orfana della guerra fredda) per i fanti de la prima guerra mondiale. In questo lungo percorso, un ruolo altrettante decisivo è da atlrituire a Peppone. In Don Camillo e l'Onorevole Peppone (un film del 1955 diretto da Carmine Gallone), il battagliero sindaco di Brescello ripudia il pro­ prio internazionalismo udendo La canzone del Piave. L'incomprensione di questa sequenza è probabilmente l'evento cinematografico alla base delle mie ricerche. Questo saggio non sarebbe nato senza la cortesia e le attenzion. che i professori Mariuccia Salvati e Barnaba Maj mi hanno dedicato durante gli studi all'università di Bologna. Impossibile nor. menzionare il seminario di Teoria della narrazione, momento formativo fondamentale per il sottoscritto e, credo, per tutti i partecipanti a quel progetto.

15 Alcuni debiti paiono diffìcilmente liquidabili in poche battute. La pro­ fessoressa Patrizia Dogliani ha, negli anni, prima incoraggiato, seguito e aiutato le mie ricerche. Da tutta Europa ha trovato il tempo per rassicu­ rarmi, scrivermi, commentare, consigliare e soprattutto correggere quanto scritto. Durante gli anni del dottorato ho avuto il piacere di collaborare con il professore Luigi Tomassini, e, in Francia, coi professori Laurent Véray e Laurence Schifano, capaci, con generosi suggerimenti, di far crescere e maturare il mio studio. A Siena ho potuto condividere con dei colleghi preparati e stimolanti la formazione della scuola di Dottorato in Scienze Storiche nell’età contemporanea: Ilaria, Francesca, Anna Rita, Michelangela, Giacomo e Paolo sono stali i compagni di un bellissimo viaggio. Doverosi i ringraziamenti allo staff della Cineteca del Museo nazionale del Cinema e a quello del Dams di Torino, davvero eccezionali per la perì­ zia dimostratami e per la loro squisita disponibilità. Senza la disponibilità della dottoressa Fassan, (Università degli studi di Padova) c di Livio Jacob (Cineteca del Friuli) il mio lavoro sarebbe risultato più diffìcile e ancora più lungo, grazie ad entrambi. Un ringraziamento particolare va al personale delle biblioteche bologne­ si, Renzo Renzi e Dams, che hanno agevolalo in molti modi la m a ricerca. Nei mesi passali presso l’archivio centrale dello Stato ho avuto il modo (e il piacere) di collaborate con le archi viste Gabriella Sansonetti (pro­ prietà letteraria e artistica) e Margherita Martelli e con il Sovraintendente Agostino Attanasio che ringrazio per gli incoraggiamenti e per gli apprezamenti al lavoro svolto presso I’ACS. Un ringraziamento speciale va alla dott.ssa Iris Ecker che ha seguito il mio lavoro e che mi ha aiutato anche nel lungo iter burocratico che mi ha permesso di fare due tirocini presso {’Archivio durante i quali ho inventariato il materiale del fondo fascicoli filmici e al professore Maurizio Degl’Innocenti che ha autorizzato una lunga permanenza presso l’ACS. Durante la permanenza romana ho disturbato più volte lo staff di Italiataglia e dell’Archivio della revisione cinematografica presso il Ministero dei Beni Culturali. Dietro i loro modi un pa’ rudi ho trovalo una cortesia straordinaria, grande disponibilità ed una conoscenza della materia (e dei materiali) invidiabile. A tutti loro, ed in particolare a Gabriele e Pier Luigi, un doveroso grazie. Estremamente importanti i momenti di confronto che hanno anticipato il risultato delle mie ricerche in diversi convegni, un ringraziamento va a coloro che in queste sedi mi hanno indicato spunti di riflessioni stimolan­ ti. in particolare agli organizzatori del convegno Immagine e narrazione della Grande Guerra (Verona e Padova) e dei seminari sulle relazioni cul­ turali tra Francia e Italia (Bologna, Firenze e Parigi).

16 L'incontro con Giorgio Sangiorgi, oltre al confronto con un inarresta­ bile studioso, mi ha regalato la possibilità di godere della sua gentilezza e di approfondire lo mie ricerche sui film televisivi. Non posso non ringraziare il personale della biblioteca manfrcdiana di Faenza (in particolare ?ier Giorgio Bassi) per i materiali messi a mia disposizione con la solita perizia e per il continuo scambio che, nel corso degli anni, hanno arricchito la mia ricerca. Un ringraziamento particolare a Giona, Matteo, Marco, Daniele, Clau­ dio e a tutto il Direttivo del Cineclub II raggio verde di Faenza per la co­ mune passione cinematografica che condivido con loro e, senza la quale, questa tesi sarebbe stata sicuramente più povera. Non posso certo dimenticare i miei genitori, Vittorio e Luciana. Senza il loro sostegno, la loro fiducia e il loro affetto questo lavoro non sarebbe mai iniziato.

Ultimi, ma non certo meno importanti, sono i ringraziamenti al piccolo Daniele e Simona (a cui questo libro è dedicato), che ha ampiamente di­ mostrato la sua pazienza, sacrificando le sue ferie, aiutandomi nella ricerca di materiali cinematografici (per tacere delle visite a musei, mostre, campi di battaglia e cimiteri legati al conflitto), seppe ria nd orni e supportandomi in questo lungo, estenuante e bellissimo lavoro, che ha occupato diversi anni della mia vita. La sua presenza illumina le mie giornate, in particolare quelle che paiono più buie. Se, malgrado questo considerevole apparato di aiuti, il saggio presenta manchevolezze o errori, la responsabilità è tutta da imputare all'autore.

Capitolo 1 ITALIA 1914-1918

21 marzo 1914 dimissioni IV governo Giolitti, I governo Salandra Dal 30 ottobre 1917 al 23 giugno 1919 Governo Orlando Film passati in censura nel 1914:4275 di cui 2114 italiani Film passati in censura nel 1918:431 di cui 230 italiani1

Trailer

Il (debole) ruolo dello Stato in ambito propagandistico. L’inizio, non ufficiale, della revisione preventiva cinematografica. I timori dei censori: tagli e ricorsi in appello. 1 film sulla guerra: temi c generi. I personaggi femminili.

L'attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 non coincide con l’inizio delle ostilità, solo l’attacco austro-ungarico alla Serbia del 28 luglio scatena la guerra in Europa. Il gevemo italiano, chiarisce la propria posizione in se­ guito alle azioni degli alleati (Impero austro-ungarico e Impero tedesco), dichiarandosi neutrale. Le contrattazioni dei due schieramenti peravere al proprio fianco l’Italia (o per impedire l’apcnura di un nuovo fronte) videro il successo dell’Intesa, abile a sfruttare la decisione dell’impero asburgico di non volersi privare di Trieste (al massimo si discusse della possibilità di cedere Trento a guerra terminata). L’Italia entra in guerra contro l’Austria-Ungheria (23 maggio 1915) sulle basi dei Patto di Londra. Canapini e De Bernardi hanno ottimamente sintetizzato alcuni dei cambiamenti prodotti dalla guerra:

1

I dati, fomiti da http://www.iialiataglia.il/, non tengono conio della differenza tra

colometraggi e lungometraggi.

18

«La guerra fu “grande” e “mondiale” perche vide in campo una mole di risorse materiali e umane fino allora impensabile. Fu “grande0 per le tno dificAziom che pmduw. nelle strutture produttive, negli apparati statali e nei rapporti tra gli stati eie aree economiche del pianeta, fu “grande” nella memoria dei protagonisti combattenti perché sottomise milioni di uomini a una disciplina di massa fino allora mai sperimentata, li introdusse alle meraviglie e agli orrori della moderna civiltà tecnologica e lasciò in essi e nella memoria collettiva esperienze che non sono ancora state dimen­ ticate. E infine fit “grande” in quanto portò a conclusione il processo di trasformazione del conflitto armato da guerra tra stati a guerra tra nazioni. Era un processo che s'era aperto con la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche: ora, con b mobilitazione totale di tutte le risorse richiesta dalle dimensioni del conflitto, esso giungeva ad assumere gli aspetti di uno scontro mortale tra popoli»3. Il conflitto determinò lo spostamento del potere mondiale verso gli Stati Uniti, entrati in guerra nel 1917, Il nuovo ruolo intemazionale che il colosso americano andava assumendo dipendeva da fattori economici, politici e militari. Non meno importante di altre considerazioni, il peso dell'alto indebitamento dei paesi dell'Intesa nei confronti degli USA fu determinante per la loro scelta di schierarsi contro gli Imperi Centrali. Nei campi di battaglia fu utilizzato tutto il potenziale umano e militare statuni­ tense, decisivo per la vittoria finale. Infine, gli ideali politici predicati dal presidente Wilson (i famosi quattordici punti, tra cui l'autodeterminazione dei popoli) divennero, almeno fino alle trattative di Versailles, l'ideologia unica dell’Intesa1. Alla base di questo successo vi fu la capillare presenza delle succursali del Committee on Public Information (CPI)4, Operanti in vari paesi (tra cui l'Italia) che, mescolando propaganda e assistenzia­ lismo, riuscirono, fino al termine del conflitto, a influenzare l'opinione pubblica in diversi contesti. Wilson e Lenin divennero i due ideali punti di riferimento di un nuovo fronte della guerra, quello ideologico che sembrò già preannunciare il conflitto, decisamente meno sfumato, che metterà a confronto Stali Uniti e URSS al termine della seconda guerra mondiale.

3

A. De Bernardi, L. Ganepini. Storia d'Italia 1860*1995, Milano, Bruno Mondadori,

1997,p. 353. 1

Sulla fortuna della politica wilsontana si rimandi a D. Rossini, Il mito americano

nell'balia della Grande Guerre, Roma-Barì, Laterza, 2000. 4

Sulle attività dei CPI in Italia si rimananda al testo della Rossini sopra dialo, in

particolare al capitolo quinto, significativamente intitolalo Arrivano i professioniiti della

propaganda, pp. 125-156.

19

1 piani militari di Cadorna (che ancora nel maggio del 1915 ipotizzò di guidare un grande offensiva nella pianura friulana, arrivare a Lubiana, per puntare direttamente su Vienna) sembrano ignorare la realtà della guer­ ra in corso. Allo stesso modo, la linea diplomatica del governo, ancorata al mantenimento di quanto stipulato a Lcndra nel 1915, non verrà mai modificata pur se divenuta apertamente contraddittoria con l’evoluzione politica intemazionale: la quarta guerra d'indipendenza e il sacro egoismo erano legati, anche linguisticamente, al XIX secolo, A queste deficienze si uni il proseguimento di una vecchia maniera di fare politica che tendeva a separare le élite dalla massa dei combattenti/contadini che formavano il grosso dell'esercito italiano. Questo si ripercosse sulla gestione della propaganda, quasi inesistente fino al 1917, e sulle condizioni di vita dei soldati, spesso vittime di sanguinose repressioni e ignorati nelle loro esi­ genze materiali. Il 1917 non fu solo l’anno in cui Benedeno XV condannò l’inutile strage, delle rivoluzioni in Russia c dell’ingresso degli USA nd conflitto a fianco dell’Intesa ma, per l'Italia, fu soprattutto l’anno di Caporetto. La sconfìtta per antonomasia dell'esercito italiano fece modificare sensibil­ mente la condotta della guerra: Cadorna venne sostituito con Diaz, più attento alle esigenze dei suoi sottoposti, il quale promosse una nuova e più funzionale propaganda sia nelle retrovie sia tra i militari. A titolo esem­ plificativo segnalo la circolare #1117/P del Comando Supremo, datata 1 febbraio 1918, firmata dallo stesso Diaz, avente per oggetto la propaganda patriottica, nella quale viene richiesto anche l’allestimento di «Diverti­ menti e spettacoli, soprattutto cinematografici»1. La guerra cessa di essere una campagna di conquista delle “terre irredente”6 ma diventa an atto di difesa della Patria. Quando il 4 novembre 1918, la guerra sul fronte italiano terminò, il governo ed il paese nutrivano speranze eccessivamente ottimistiche su quanto sarebbe accaduto dopo il conflitto.



Un riassunto dei temi della circolare é in G.L. Galli. Dopo Caporetto. GU ufficiali P

nella Grande guerra: propaganda, aitsistensa, vigilanta, Gorizia. Libera cditric: goriziana, 2CÒ0. p. 72. Le indagini dello stesso Galli mostrano come questa direttiva sia stata in realtà disattesa poiché il primo obbiettivo della propaganda post Caporetto rimase la sorveglianza

dei soldati e del loro stato d’animo nonostante il maggior interesse per il benessere della truppa. Nello stesso testo si ammette che la propaganda foto-cinematografica fu affidata ad

altri enti, pubblici e a privati, c il servizio P si limitò alla semplice distribuzione di materiali prodotti al di fuori del proprio controllo diretto.

*

Una valida sintesi suU'argomcnto (anche di tipo culturale) è fornita in G. Sabbatuc-

ci.Le terre irredente, in G. Belardelli, L. Cafagna, E. Calli della Loggia, G. Sabbatucci, Miti

e storie dell'Italia unita, Bologna, Il Mulino, 1999, pp, 71-76.

20

Cinema italiano 1914-1918

L’apice prima del disastro. Cosi si potrebbero sintetizzare i pochi mesi che precedettero la prima guerra mondiale per il cinema italiano. Il successo intemazionale di Cabiria (la prima del film avvenne il 18 aprile 1914) dovette apparire come il canto del cigno di un colosso cinematografico co­ stretto a schiantarsi contro i timori, prima, e la realtà poi, dell'esperienza bellica. La cinematografìa italiana per alcuni anni era stata tra le più im­ portanti al mondo, per raggiungere la vetta ne: 1914. Fino a quella data vi erano diversi generi in cui il cinema nazionale primeggiava: le comiche, i drammi moderni (veicolo ideale per il lancio, aazionale ed intemazionale, delle dive), i film veristi (marginali, rari, non convenzionali e tecnicamen­ te ineccepibili come nel caso di Sperduti nel buio di Martoglio e Assunta Spina di Serena), quelli simbolistico-dannunziani, ma la maggior parte dei successi del nostro cinema era ascrivibile ad un tipo specifico: quello storico. Jasset sostiene addirittura che questo genere divenne monopolio dei registi italiani7. Come la storiografia ha già sottolineato, il successo nel Pac^c di queste pellicole fu dovuto anche alla contemporanea avventura coloniale italiana in Libia1. Il tramonto del primato italiano non si manifesterà immediatamente, ma solo nel dopoguerra, quando il settore mostrerà tutta il ritardo accumu­ lato di fronte alle innovazioni prodotte dal cinema statunitense. La compe­ titività industriale era frutto, oltre che delle qualità dei registi del tempo, anche dei bassi costi di lavorazione delle maestranze. Gli alti costi di ge­ stione della macchina cinema, causati dallo star system e dalle dispendiose scenografìe, potevano essere ammortizzati solo grazie allo sfruttamento dei mercati esteri. La crisi che avrebbe colpito il settore dette diverse avvisaglie prima del maggio 1915: «Già prima dell’entrata in guerra dell’Italia diverse com­ pagnie erano fallite per debili. La guerra poi prosciugò completamente il mercato delle esportazioni in tre paesi belligeranti (Austria-Ungheria. Germania e Russia) e lo ridusse nella maggior parte delle altre nazioni

T

11 saggio di V. Jasset apparve col titolo Retour cu réallsme su «Ciné Journal» del

21 or.obrc 19)1:6 stato ripubblicato da M. Lapierre in Anthologie du cinema, Man, Paris

1946, p. 89 c viene citato in G.P. Brunetta. Storta del clntma italiano, vol. I. Il cinema muto 1895-1929, Roma. Editori Riuniti, 2001 (Il edizione), p. 144.

*

Si veda a questo proposito G.P. Brunetta, L'ora d'Africa del cinema italiano, Rov­

ereto. Materiali di lavoro, 1990, pp 11-13, i vari contributi contenuti in «Immagine. Note di storia del cinema», #3. Ancona. Cattedrale 96 Garibaldi, 2011 in particolare quelli di D. l-otti c di G. tasi e il saggio di D. Lotti, Lampi d'Africa. Origini del cinema italiano di

finzione (1912-1914), in «Immagine. Note di storia del cinema», #4, Ancona. Cattedrale 96

Garibaldi, 2011.

21

tranne la Francia e la Spagna. Il conflitto determinerà anche un aumento dei prezzi della pellicala»9. Sulla stampa specializzata d’epoca si trovano diversi riscontri: «La guerra è sempre un disastro, ma Fattuale sta scardinando Fordine so­ ciale dell'Europa, e paralizzando ogni fonte di attività ed industria. Di­ sgraziatamente la prima ad essere colpita, c colpita al cuore, dall'inaspet­ tato cataclisma, è stata proprio l’industria cinematografica, che si è dovuta arrestare di colpo» per un complesso di cause c circostanze impossibili da analizzare. Quas tutte le case fabbricanti di films’0 hanno deciso di chiudere i battenti c asciare in libertà il personale al completo [...J. Il mo­ mento attuale non deve essere sfruttato per mascherare intrighi c coprire magagne; non si prenda a pretesto l'improvviso scoppio della guerra per cercare di liberarsi da impegni - che bisogna assolutamente mantenere con misure illegali ed antipatiche»11. La stessa rivista cercò di spiegare nel sjo numero successivo i motivi della crisi. Tra questi elencò: le misure prese dal Governo per limitare fortemente il ritiro di capitali e la fornitura di crediti, la chiusura di alcuni mercati imposta dalla guerra, un altro problema fu l’importazione della pellicola, proveniente dai paesi dove la guerra stava «Apportando il più grave disastro». Non meno importante fu il primo provvedimento di tipo fiscale relativo al cinema, l’introduzione del bollo sui biglietti d’ingresso nelle sale cinematografiche12. L’unica nota positiva di fronte al crollo commerciale estero, provenne dal mercato interno. Gli anni della guerra videro: «Un enorme incremento di spettatori e sembra confermata la constatazione, fatta da parte di mol­ ti intellettuali, già nel primo decennio del Novecento» che il cinema è il nuovo “cibo per le masse” e le folle hanno bisogno, nella loro dieta quoti-

*

D. Forgacs, L 'industrialillazione della cultura italiana (1880-1990) (Italian Culture

in the Industrial Era, 1880-1980: Cultural Industries. Politics and thè Public. Manchester, Manchester University Presi, 1990), Bologna, 11 Mulino, 1992, p. 77,

10

Più avanti nel testo verrà poi specificato che le uniche case a chiudere sono state

Pasquali e Photo Drama Producing cy.

11

Articolo non firmato, La guerra, apparso su «La vita cinematografica» del 7 agosto

ISI4, p. 38. 12

11 riferimento è all'inlroduzionc che A. Bernardini ha firmato per il lavoro di V.

Martinelli, Il cinema muto italiano 1914.1film degli anni d'oro, prima parte. Torino-Roma,

Bianco e Nero, Nuova Eri cCsc, 1993. p. 7.

22

diana, dipanem et circenses>>'\ In termini numerici gli incassi ne: periodo 1914-1917 passarono da 2 a 5 milioni di lire14.

1. Consenso (dis)organizzato? L'(in)attivita dello Stato in ambito cine­ matografico

Il Régno d'Italia non intuì alfinizio del conflitto l'importanza della pro­ paganda. 1 motivi furono vari ma, tra questi, due si rivelarono decisivi: la convinzione che la guerra sarebbe stata breve e la mentalità conservatrice ed autoritaria della leadership politica, compresi Calandra e Sennino, che determinò un disinteresse per il consenso pubblico15. Il sistema propagan­ distico italiano utilizzò vari media, tra i quali, però, vanno escluse le pelli­ cole di fiction, almeno fino al dicembre del 1917. La storia istituzionale della propaganda inizia solo col governo Boselli, dopo che sono fallite le trattative con P Associazione Dante Alighieri e Ernesto Nathan. Fino a questo momento era stata organizzata solo a livello militare16: l’esercito fece proposte molto differenti, ma va annoverata tra le più interessanti quella, anonima, proposta nel settembre del 1916, in cui venne suggerito di far gestire direttamente la produzione ai militari: «Quanto poi alla cinematografìa, le ultime vicissitudini e critiche fatte a questo interessantissimo messo di propaganda, meritano seria attenzione e disanima, e consigliano di avvisare i provvedimenti più idonei, ed anche radicali, per corrispondere agli scopi morali e militari che la propaganda stessa si prefìgge, eliminando la concorrenza, rostruzionismo interessalo e

15

G.P. Brunetta, Cinema a prima guerra mondiate, in vol. 1, L'Europa Miti, luoghi,

divi, Torino. Einaudi. 1999, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, Torino.

Einaudi, p. 255. u Questi dati sono stati desunti dallo studio di D. Manetti. “Un ‘armapoderosissima Industria cinematografica e Sfato durante il fascismo 1922-1943, Milano, Franco Angeli, 2012, p. 34. ”

Questo paragrafo riprende le conclusioni di Gatti. Op. cìt.

’•

Il tema è trattalo, oltre che nel già citato Galli Op. cit., anche in N. Della Volpe,

Esercito e propaganda nella Grande Guerra, Roma, S ato Maggiore dcll'Escrciio. Ufficio Storico, 1989 e da D. Porceddu, Strategie e tattiche drl servizio propaganda al fronte, in

L‘arma della persuasione. Parole ed immagini di Propaganda nella Grande Guerra, a cura di M. Masau Dan c 11 Porceddu, Gorizia, Edizioni della laguna. 1991. Nelle mie ricer­

che presso rarchivio dello Stato Maggiore deir Esercito • Ufficio storico, ho trovato alcuni materiali riguardanti le riprese “dal vero*', a proposito del cinematografo come strumento

di propaganda, ma nessuna iniziativa rivolta ad influenzare le tematiche delle pellicole di

Action.

23

l'ingordigia antipatriottica di alcuni industriali che hanno rivenduto le fil­ ms cinque o sci volte, raggiungendo prezzi proibitivi. Ed il provvedimento più rispondente [...] potrebbe essere quello della gestione diretta, a mezzo di squadre militari di cinematografisti, squadre che sotto una unica guida militare dovrebbero rilevare le films e fornirle al Governo Centrate per la diffusione all'interno e all'esterno. In tale maniera la cinematografìa, oltre che a rispondere agli scopi essenziali della propaganda, producendo le films al minimo prezzo, dovrebbe completare anche la documentazione grafica della guerra, completando la fotografia. E di queste ultime esigenze conviene pure tenere il dovuto conto, in quanto che i cinematografisti si occupano essenzialmente della rappresentazione artistica della guerra da movimento, trascurando qualsiasi altro obbiettivo meno conforme li gusti del pubblico»17. II governo istituisce due ministeri senza portafoglio: uno per la pro­ paganda, affidato al senatore liberal-nazionalista Scialoja (che si dedicò esclusivamente alla propaganda diretta verso gli stati esteri), e l'altro de­ dito ad organizzare l’assistenza civile, guidato dall’interventista repubbli­ cano Ubaldo Comandini (entrambi istituiti il 16 giugno 1917). A questo dicastero, dal luglio 1917, venne affidata la responsabilità della propagan­ da intema e, dal febbraio 1918, anche la guida del commissariato generale per l'assistenza civile e la propaganda interna. Tratto distintivo della strategia del consenso italiano fu il ricorso (ma sarebbe più preciso scrivere la delega) all'associazionismo privato per l'assistenza civile. Moltissime di queste realtà sorsero nei primi mesi di guerra, anche in risposta ad una preghiera d Salandra che invocò una sup­ plenza all’intervento dello Stato. Solo nell’estate del 1917 questi enti ven­ nero coordinati dalle Opere federate di assistenza e propaganda nazionale, sotto la presidenza di Comandini. L'organismo era formalmente privato, unico, formato da 80 segretariati provinciali, 4500 commissari e mantenne un rapporto privilegiato col Governo, che utilizzò l’Ente per l'assistenza e la propaganda nei confronti dei civili1*. In questo campo lo Stato liberale dimostrò inattese aperture che si manifestano sia atuaveisu la creazione di nuovi canali di collegamento tra potere centrale e amministrazione perife­ rica, sia attraverso un duplice processo di cambiamento della concezione dei rapporti tra classe dirigente c masse popolari. A un livello più generale,

17

Slato maggiore delI esercito (d'ora in poi SME), Ufficio storico. Prima guerra

mondiale 1915-1918. Comando Supremo, repertorio r I, raccoglitore 296 cart. 2: Ufficio

stampa c propaganda - relazioni sul servizio - propaganda varie 1916-19, promemoria del

Cariando supremo - ufficio stampa circa la propaganda di guerra datato 19 settembre 1916.

11

Gatti, Op. di, p. 26.

24 con raffermarsi di un atteggiamento politico tendente a saltare il fosso dell'antica paura per la fragilità dell'assetto unitario dello Stato, sostituen­ do alle ritornanti preoccupazioni sul distacco tra governanti e governati l'elaborazione di più spregiudicati progetti di integrazione e di governo delle masse; e su un piano più particolare, con il passaggio dal paterna­ lismo della beneficenza all’attivismo di nuovi professionisti della propa­ ganda e col tentativo di generalizzare interventi riformistico assistenziali di mediazioni dei contrasti sociali, per risolverne la potenziale pericolosità o comunque orientarne le manifestazioni e gli esiti19. Pochi sono gli studi che affrontano l’attività dei due enti20. Un’inda­ gine sui materiali conservatisi in ACS ha evidenziato, oltre alla necessità di svolgere ricerche locali, la scarsità di materiali relativi alla propaganda cinematografica. Questa si limitò a pratiche regative, di controllo e cen­ sura. I vari progetti in cti si prevedeva un ruolo attivo dello Stato per la produzione di film di fiction naufragarono e il ruolo che l'ufficio scelse per se stesso fu quello di semplice distributore di lavori prodotti da privati, saltuariamente apprezzati, spesso ignorati, raramente richiesti dalle segre­ terie provinciali per animare le serate patriottiche. Il grande successo riscosso dai cinegiornali dipese da vari fattori, tra cui la supposta oggettività deH’immagine documentaria; non meno importante furono però le politiche di sconto sul noleggio attuate per questa sola cate­ goria di filmati, obbligatoriamente da proiettare prima dei film di fiction. La stampa specializzata non lesinò le critiche nei confronti della pub­ blica amministrazione. Un articolo, apparso su «La Cine Gazzetta» espli­ cita i vari malumori serpeggianti nell'ambiente: «Esiste presso il Comando Supremo un ufficio a capo del quale è il mi­ nistro e senatore Scialcia, che ha per compito di divulgare le gesta ar-

” A. Fava. Assistenza c propaganda nel regime di guerra (1915-1918), in Operai e

contadini nella gronde guerra, a cura di M. Isnenghì. Bologna. Cappelli. 1982. pp. 175-76.

11

II tema della propaganda è stalo però trattalo, in generale, in moltissime opere. Una

recente sintesi, con una buona bibliografia è presente in Pande come armi. La propagan­ da versa il nemico neU'ltaìia iella grande guerra, a cura di M. Mondini. Rovereto, Mu­

seo Storico Italiano della Grande Guerra, 2009 e in N. Labanca. Guerra e propaganda nel Novecento, in «Passalo e presente», 54 (2001). Milano. Franco Angeli. 2001, pp 25-42. Il catalogo della mostra bibliografica Fronte interno. Propaganda e mobilitazione civile nell’ltaiia deila Grande Guerra (Biblioteca di storia moderna c contemporanea. Roma, 21

dicembre 1988-11 febbraio 1989) contiene spunti interessanti di carattere generale. Oltre ai

brevi cenni che Gatti dedica ai due enti va segnalato il pionerislico ed interessante saggio di

Fava,op. cit. l.o studio di Della Volpe cita almeno i filmati ripresi “dal vero” dalla sezione fotsxràemalografica dell'esercito, pp. 266-67. In nessuno di questi testi vi è una sezione

dedicata alla cinematografìa di fiction.

25 dimentose dei nostri fratelli, con apposite cinematografìe Le films della nostra guerra sono, invece, a malgrado di tutti questi uffici e relativi impiegati, di tutta qiesta organizzazione, più o meno ben organizzata, che si dirama per la intera penisola, una ben limitata cosa. Solo di quando in quando, preceduta da una réclamc sproporzionata, qualche film arriva al pubblico. Questa produzione difetta. Difetta non tanto per qualità quanto per quantità. Difetta perche di queste film», che sono solo tre o quattro dall'inizio della guerra ad oggi, - quando invece dovrebbero essere qual­ che dozzina - v’è bisogno, c'è necessità. Ogni volta che, a distanza di mesi e mesi, ne viene pubblicata una, il pubblico l'accoglie col più vivo e legittimo Interesse. Se le films patriottiche a base di cachets truccati da ber­ saglieri, di forche, di fucilate a salve e di cannoni in legno, hanno fatto il tempo loro, non altrettanto può dirsi di quelle che riproducono, dal vero, le più brillanti operazioni del nostro esercitof...]. Per fare ciò occorre aumen­ tare il numero delle sezioni cinematografiche presso l'esercito operante, le quali sezioni siano, ancora oggi, ben poche cn confronto a quelle degli altri eserciti, dell'intesa odcU'allcanza»21. Malumori che propongono di liquidare i film di fiction di scarsa fattura a favore di pellicole dal vero di buona qualità. I privati che desiderarono utilizzare le opere di fiction con scopi propa­ gandistici dovettero pei misurarsi con la diffidenza dello Stato. La neonata Miriam film propose di realizzare un film in collaborazione con le Opere Federate, per il quale ottenne un appoggio di massima a patto che venis­ sero sottoposti a Comodini tutti i soggetti per i quali l'Ente sarebbe stato chiamato a collaborare22. La stessa direttiva si ritrova in un altro appun­ to» scritto da Romeo Adriano Gallenga Stuart (collaboratore di Sciàloja), dell'8 dicembre 1917, in cui si afferma che «Per le films di propaganda civile che eventualmente venissero ideate ed ordinate dalle opere civili, qucst'ultime ne invieranno il copione prima dell'esecuzione al gabinetto di S. E. Gallenga per quelle eventuali modifi­ che che il gabinetto stesso riterrà opportuno introdurvi c per quelle utdiiui-

zioni che potrebbero .servire per la propaganda all'Estero»21.

21

Cinematografia di guarnì, apparso su «La Cine Gazzetta» dell'8 seltembn 1917, p. 4.

33

Archivio centrale deio stato. Roma (d'ora in p>i ACS), Presidenza del consiglio dei

ministri (d'ora in poi PCM),commissariato generale per l'assistenza civile c la propaganda interna, b. 19. fase. 1099.10. Lettera del 2 maggio 1918.

11

ACS, PCM. commissariato generale per l'assistenza civile e la propagarda interna,

b. 19. fase. 1099.5. Documento datato 8 dicembre 1917.

26 Questi documenti mostrano come la censura cinematografica preven­ tiva. ufficialmente varata solo nel dopoguerra, fosse già operativa negli ultimi mesi del primo conflitto mondiale. Quanto questa pratica venne realmente espletata non è dato saperlo, anche se una minima traccia di questa attività si ritrova nelle carte dell' ufficio conservate all’ACS (tra cui rarissimi visti censuri d’epoca). Varie furono le richieste di collaborazione tra Stato c privati, di vario tipo. Se, ad esempio, la «Propaganda film» si propose per la realizzazione di una sola pellicola, ci furono anche richieste più organiche, come quella avanzata da Leopoldo Cariucci, il cui promemoria. Quanto può fare la cinematografìa nella correzione della coscienza nazionale, contiene una serie di proposte volte a far gestire direttamente la produzione delle pellicoie al Commissariato di assistenza e propaganda. Queste devono avere per scopo la commozione dell’ «Elemento gentile della popolazione, inducendola a contribuire nello sfor­ zo morale di resistenza, facendo arrivare l’eco dei loro animi ritemprati e ■afruitati fin dove operano tutti i combattenti militari c civili della Nozio­ ne. Tale sana dimostrazione cinematografica potrà anche neutralizzare, la capillare infiltrazione venefica deH’inafferrabile nostro nemico interno e potrà anche controbilanciare la enorme produzione di propaganda di gene­ re, che gli Imperi Centrali fanno su larga scala nei paesi neutri»34. Una proposta cosi radicale non si concretizzò. Anche Ojetti propose una sorta di interventismo culturale affidato allo Stato in cui la larghezza dei mezzi supplisse al ritardo accumulato. Tra i temi che la propaganda doveva enfatizzare per lo scrittore vi era quello dell'Italia protettrice delle nazionalità oppresse25.

Ad ostacolare l’attività cinematografica furono anche alcune norme, volte a limitare le proiezioni cinematografiche. A Milano, ad esempio, il prefetto Conte Olgiati impose una chiusura anticipata delle sale. La pro­ testa venne guidala dal Cuinitalu ventiate lombardo di propaganda che scrisse un memorandum in cui veniva attribuito un peso decisivo alla pro­ paganda cinematografica: «[Il comitato] da tempc aveva pensato al cinematografo come mezzo mi­ gliore per una propaganda viva, sintetica, di effetto immediato e profondo.



ACS, PCM, commissariato generale per Pasristoiza civile c la propaganda interna,

b. 19. fase. 1099.12. Promemoria datato aprile 1918. 31

Mondini, Op. cit.. p. 31.

27

soprattutto sul cervello di quella parte di popolo poco incline alla lettura e schiva dal frequentare conferenze o conversazioni, che preferì Posteria e i circoli vinìcoli ove col vino, si distribuisce in larga misura anche il veleno contro la Patria»3*. Il comitato aveva proposto alle case produttrici un accordo “Per la pro­ duzione di films patriottiche" ed era convinta della necessità di "Proiettare scritti incitanti alla resistenza, all’economia dei consumi, alla obbedienza alle leggi di guerra". Tutto però fu reso impossibile dal nuovo decreto. Questo minacciava (’esistenza stessa dell'industria produttrice e proiettadice Italiana. Dopo una serie di controproposte sul risparmio energetico il comitato scrisse «Che col cinematografo disciplinato si possono raggiun­ gere - agli effetti di una buona intensa propaganda patriottica - risultati incalcolabili, ma certamente superiori a quelli ottenuti e che si potrebbe­ ro ottenere da qualunque altra propaganda orale o scritta»37. Le grandi speranze dei propagandisti si scontrarono con l’insensibilità conclamata dsll’autorità costituita3*. Un elemento fino a questo momento ignorato dalla ricerca è l’utilizzo del cinema presso le case del soldato e gli acquartieramenti dei soldati vi­ cino ai fronte. Importanti documenti reperiti in Archivio dimostrano come il cinema venne utilizzato al fronte. L’elenco dei titoli (riportato in Appen­ dice I) è accompagnato da una lettera datata 30 settembre 191 & del Co­ lonnello Capo Ufficio stampa e propaganda Grosi a S. E. il Commissario generale per (’Assistenza Civile e la propaganda intema in cui si ringrazia per le 216 pellicole cinematografiche che ha inviato. L'ufficio, scrive il Grosi, «Le ha subito inviate alle sezioni P. di armata, raccomandando che siano tenute con la massima cura e siano affidate a personale tecnico che dia garanzia di buon uso»37. Un primo studio del materiale dimostra che la maggioranza dei film mostrati ai soldati non hanno un intento propagati-

*

ACS. PCM. commissariato generale per l'aR. importanti limiti imposti dalla censura, il cinema italiano abbandonò celermente i sentieri di gterra e tornò a produrre pelli­ cole capaci di garantire incassi sicuri, possibilmente con budget ridotti, a causa delle difficoltà, pei gli imprenditori, di accedere al credito. Il brusco contrarsi di questa produzione deve essere ascritto ad un insuccesso di tipo commerciale. Per Martinelli il motivo è intuibile:

«L’ondata di film patriottici che ha sommerso gli schermi della penisola a partire dalla seconda metà del 1915 tende a placarsi. Anche perché te ro­ domontate che raccontano - un alpino o un bersagliere che da solo riesce a sgominare un intero reggimento di crucchi - non fanno più ridere. Né l’inno dei bersaglieri o la marcia reale che le orchestrine dei cinematografi strimpellano all’infinito hanno più l’effetto d’entusiasmo trascinatore. La realtà della guerra s’è dimostrata un po' divena dai sogni degli interventi­ sti ed il pubblico non abbocca più (...]. I produttori fiutano l'aria che tira c si buttano sul Risorgimento: i nemici sono sempre gli austriaci, ma di cent’anni prima»44. Il cinema tematizza questo conflitto in vari modi, anche multo diversi. Vorrei subito smentire un luogo comune: la guerra mondiale viene rac­ contata anche attraverso il genere comico e satirico ( 17 casi). Questa può essere affrontata in vari modi: o dileggiando direttamente la guerra, oppu­ re ironizzando sugli imperatori di Germania o Austria-Ungheria (5 casi), o sugli usi, le tradizioni, la cultura di quei popoli (3). Questo fu possibile perché la censura non si preoccupò in maniera eccessiva della messa in

M

V. Martine! I i, Il cinemi muto italiano 1916. Ifilm detta grande guerra, prima parte,

Tonno-Rama, Bianco & Nera, Nuova Eri e CSC. 1992, p. 5.

39

ridicolo del nemico. Non stupisce quindi che uno dei grandi successi di pubblico di questi anni fu proprio un titolo in cui la guerra è rappresentata attraverso una distorsione ironica e pagliaccesca. Maciste alpino. Se con commedia comprendiamo anche quei racconti che ci mostrano il miglio­ ramento della condizione dei personaggi, notiamo come questi intrecci siano particolarmente numerosi (12 casi) dal 1917 in poi, come se col pro­ seguimento della guerra, si sentisse il bisogno di infondere coraggio in un Paese già profondamente provato. A riprova della funzione consolatrice del cinema di fiction va segnalato il calo della produzione melodrammati­ ca: le storie d'amore infelici sembrano sparire dopo i primi mesi di guerra. Per concludere le .brldazionl relative ai film sulla prima gusrra mon­ diale bisogna citare le spy-stories (10 casi: A Trieste - vincere a morire, Diana l'affascinatrice, La doppia ferita. Morte alle spie!, Viaggio di noz­ ze, Vìpere d'Austria a morte!, lì dossier numero 7, L’imboscata, Seppe morire e ju redento. Controspionaggio), quasi tutti girate nei primi due anni del conflitto. Questi titoli proseguono un genere molto diffuso prima dell’entrata in guerra dell'Italia che sembra attirare sempre meno il pub­ blico. L’irredentismo è al centro di molte storie sulla prima guerra mondiale. In 14 casi (A Trieste - vincere o morire. Alta di libertà, Befana di guerra. Bob irredento è redento, Eroismo di madre / Italia mia. Gloria ai caduti. La Samaritana, Un maestro alsaziana, fi mio diario di guerra, U soprav­ vissuto, Sotto il bacio del fuoco, Trieste / i vendicatori di Oberdan, Ma­ ciste alpino, La maschera del barbaro) si racconta la vicenda d famiglie residenti oltre confine che fremono per abbracciare la Patria. In quattro di questi casi il bisogno di combattere per l’Italia è talmente forte che si decide di varcare le linee per andare a combattere a fianco dei propri compatrioti (è questo il caso di fi mio diario di guerra, Il sopravvissuto, Trieste / / vendicatori di Oberdan, Maciste alpino). Normalmente, nei film di fiction come nei documentari, si è propensi a non dare riferimenti geo­ grafici precisi ma, di fronte al l’irredentismo, si è disposti ad essere meno tassativi. Trieste e Trento (3 casi ciascuna) sono i riferimenti classici, ma vengono nominati anche il Veneto (dopo la rotta di Caporctto) c la zona dell’Isonzo. L'influenza del nazionalismo in questo periodo è talmente forte che sono molti (8) anche i casi in cui si racconta la vicenda di una famiglia in cui marito e moglie sono di nazionalità diverse e la guerra riesce a distrug­ gere la loro convivenza (//figlio della guerra / L'invasore, Sempre nel cor la Patria!... / Cuore di neve, il sopravvissuto, Trieste / / vendicatori di Oberdan, Amor di barbaro. Possanogli Unni..., Turbine rosso, Vaincre la nnrt?). L'unico caso in cui l’amore trionfa nonostante la diversa cittadi­ nanza dei protagonisti è quello raccontato ne La maschera del barbaro, in cu, non casualmente, i personaggi appartengono a due nazionalità diverse

40

ma entrambe schierate contro gli Imperi Centrali. In questo clima cultu­ rale viene esaltata la famiglia: la sacralità di questa istituzione non è mai messa in dubbio, i legami di sangue sono inviolabili, in particolare, quelli tra madre e figlio. L’amcre filiale fu utilizzato anche in chiave propagandi­ stica per creare una corrispondenza sovrappcnibile a quella Italia-soldati; si preferisce utilizzare riferimenti facilmente comprensibili, tratti dall’am­ bito familiare, per far breccia nei cuori dei pubblici più lontani dalle idee nazionalistiche. Si propaganda quindi l'idea che la famiglia sia una na­ zione in piccola scala. Verso la propria patria gli uomini provano le stesse emozioni che suscita loro la madre, i camerati che combattono in trincea sono i fratelli nella nuova Italia e chi è estraneo a questa famiglia non tro­ verà mai un modo per fare parte della comunità nazionale, perché questa viene proposta non più come un dato politico ma naturale e biologico, cioè come una comunità di discendenza e di sangue, in cui ogni innesto sarà difficoltoso e spesso risulterà impossibile65. Il nazionalismo viene trattato sia in maniera esplicita sia attraverso l’u­ so simbolico della bandiera italiana. Questa viene sacralizzata e mostrata con molta enfasi. Stendardi, gagliardetti c bandiere non devono essere mai toccati da mani indegne e impure, quali sembrano essere quelle di chi ap­ partiene ad un'altra nazione. Questo tòpos è presente in 7 film (Gloria ai caduti. La patria redime /All 'ombra de! tricolore, Per la Patria!, Sempre nel cor la Patria!... /Cuore di neve, Il sopravvissuto, Trieste /1 vendicatori di Oberdan, Maciste alluno). Dall’analisi dei materiali a mia disposizione emerge il progressivo al­ lontanamento dal fronte. Nelle pellicole, di cui sono riuscito a ricostrui­ re la trama, appare evidente che col passare dei mesi le vicende belliche ambientate anche sulla linea di combattimento calino sensibilmente. Non solo in termini assoluti ma anche relativi. Nell'ultimo anno di guerra, nu­ mericamente, i film che trattano solo vicende ambientate esclusivamente sul fronte intemo raggiungono la stessa quota di quelli che presentano anche solo una sequenza in prima linea. L'allontanamento progressivo è imputabile alle numerose critiche mosse verso l’eccessiva libertà con cui viene i accontata l’esperienza bellica. L’alto numero di vicende al cui centro vi è un episodio bellico permette all’esercito di apparire, ovviamente, in molte pellicole. Un ruolo premi­ nente è affidato alla fanteria: non sempre viene specificato il corpo d’ap­ partenenza (3 casi), ma quando questo avviene sembra che l’esercito sia composto solo da alpini (7 casi: Alla frontiera. Cuore di Alpino, Eroismo

*’

Questa teoria t stata preposta in più occasioni daA.M. Banti, si rimanda, tra le altre,

a Sublime madre nastra. La iasione italiana dal Risorgimento al fascismo, Rema-Bari.

Editori Laterza, 2011. pp. 15-22.

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d'alpino, Eroismo di madre / Italia mia, Inno di guerra ed inno nuziale / lana maiale, La Samaritana, Maciste alpino) e soprattutto da bersaglie­ ri (9 casi: Alba di libertà, Alla baionetta'...., il capestro degli Asburgo, Eroismo di madre / Italia mia, Gloria ai caduti, Savoia, urrahl, Sogno del bimbo d'Italia, Trincea che redìme, Echi di squilli e trofei di vittoria). Marinai {Diana l'affascinatrice, Eroismo di madre / Italia mia, La corsara, La spirale della morte. Il siluramento dell’Oceania, Trittico ita­ lico) e aviatori (Amor che tace, La guerra e il sogno di Momi, Eroismo di madre / Italia mia, Trittico italico) compaiono sullo schermo, ma in maniera decisamente più limitata (6 volle i primi, 4 i secondi)6*. Un solo passaggio anche per i garibaldini andati a combattere in branda ( Verso la gloria). Sorprendente non trovare nessuna riferimento esplicito agli arditi, che avranno invece un ruolo di primo piano nelle rievocazioni del conflitto a guerra ultimata. Le sequenze belliche terrestri sono riconducibili a poche tipologie: la gjierra di trincea (incontrata in 11 casi : Alla bajonettal..., La patria redime I All 'ombra del tricolore, Sogno del bimbo d’Italia, Il sopravvissuto. Amor eòe face, L ‘avvenire in agguato, Cuori e tuffi, Kri Kri contro i gas asfis­ sianti, Il tank della morte. Lagrime del popolo. Maciste alpino), gli assalti alla baionetta (7 casi: Alba di libertà. La patria redime l All ’ombra del tri­ colore, Sogno del bimbo d’Italia, Trieste/I vendicatori di Oberdan, Echi di squilli e trofei di vittoria, La guerra e il sogno di Momi, Maciste alpino) e la guerra bianca (mai citata nelle fonti critiche d'epoca ma riscontrata in alcune delle poche pel icele oggi visionabili: La samaritana, La guerra e il sogno di Marni, Maciste alpino), spesso compaiono anche sequenze di bombardamenti e cannoneggiamenti: (4 casi in tutto: La divetta del reggi­ mento, Sogno del bimbo d’Italia, Vaincre le mort?, La guerra c il sogno di Momi). Eccezionalmente sono state trattate anche altre tematiche come l’utilizzo dei gasi (solo però in pellicole di tipo comico: Kri Kr; contro i gas asfissianti, La guerra e il sogno di Momi), la guerra di mina (Turbine rosso) e l'utilizzo dei carri armati (Il tank della morte). Per quanto la morte sia il più possibile oscurata e rimossa dalla censura, le conseguenze del conflitto non possono essere sistematicamente ignorate. Vengono mostra­ li in più occasioni (Bandiera bianca. La divetta del reggimento, Guerra redentrice, Il mio diario di guerra, La Samaritana, Il sogno del bimbo d'Italia, Cosi mori Miss Cavell, Piccola infermiera della Croce Rossa /La volontaria della Croce Rossa, Cenere e vampe. La maschera del barbaro) ospedali, crocerossine e feriti. Solo nell'ultimo anno di guerra arrivano

“ Se in termini assoluti alcuni numeri ci appaiono sottorappresentali bisogna tenere

conto del reale peso assoluto nella guerra. I film d’aviazione corrispondono al 3% del totale

della produzione bellica, quasi in linea con il numero reale di soldati presenti ne settore.

42 sullo schermo vicende che affrontano mutilazioni inguaribili (La masche­ ra del barbaro, Occhi consacrati / Ucchie cunzacraté). Altro tema centrale della guerra 15-18 A la rappresentazione del nemi­ co. In moltissimi casi questo viene descritto come un brutale barbaro, un unno capace di ogni atrocità, una viscida serpe in grado di mimetizzarsi tra le genti italiane, pronto ad approfittare dell’assenza dell'uomo italico per insidiare o stuprare la sua donna ed altrettanto lesto a sparire quando questo ritorna. La produzione sembra qui ispirarsi agli stereotipi razziali creati dalle scienze mediche e dal darwinismo sociale che classificavano alcune razze come barbare * 7, oltre che al villain tipico del feuilleton otto­ centesco. La creazione di un nemico cosi minaccioso aveva lo scopo di compattare il fronte intemo, portando tutti i gruppi sociali ad unirsi contro il remico comune . ** Solo raramente viene dichiarata la nazionalità dei ne­ mici degli italiani, ma mi è parso sintomatico che quando questo accade austriaci (Alla baionetta!.... Gloria ai caduti. La patria redime / Ad 'ombra dei tricolore. Sotto il bacio delfuoco), tedeschi ( Uva la Patria! /Il valore dette donne italiane. Amor di barbaro, Seppe morir e fu redento. Passano gli Unni...) c croati (Alla frontiera. Eroismo di madre /Italia mia, La ma­ schera del barbaro. Trittico italico) si attestino tutti allo stesso modo con 4 apparizioni ciascuno. I croati vennero visti, già durante il periodo bellico, come una minaccia per le richieste territoriali italiane e, probabilmente per questo, la cinematografa segui il dividi et impera di tradizione asburgica nei Balcani, appoggiando un nazionalismo inoffensivo per le proprie ri­ chieste, quello serbo, ma sicuramente pericoloso per le aspirazione croate. Non bisogna dimenticare il forte peso del razzismo verso gli slavi, già diffuso nella società italiana, ma che esplose, in maniera virulenta, con il * conflitto 9. Già Alatri segnalava come le premesse della nostra guerra fos­ sero mosse da un egoismo antislavo: «In fondo la guerra col programma del Patto di Londra, più che una guerra contro l’Austria, era una guerra contro gli slavi del sud»70. Date queste premesse non stupisce che un tema propagandisticamente valido, in linea coi valori wilsoniani, quello dell’I­

*T

E. Traverso» Ut violenza nazista. Una genealogy Bologna, Il Mulino, 2032, p. 111.

M

A. Ventronc, La seduzione totalitaria. Guerra, Modernità, violenza politica, Roma,

Donzelli, 2003, p. 107. ** Si veda il bel saggio di E. Coltati. Sui razzismo anfislavo, pp. 33-62, in particolare pp. 43-52, in Nel nome della razza, Il razzismo nella storia d'Italia. 1870-1945, a cura di A,

Btifgio (Alti del convegno tenutosi a Bologna tra il 13 e il 15 novembre 1997), Bologna. Il

Mulino, 1999. * P. Alatri, Nitri, D'Annunzio eia questione adriatica (Ì919-Ì920), Milano, Feltrinelli,

1959, p. 24.

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talia come patria e rifùgio per le nazionalità oppresse, sia stato affrontato in una sola pellicola (Turbine rosso) datata 1916. La guerra mondiale, venne ridotta nella quasi totalità dei casi, ad una guerra locale, avulsa dal contesto europeo. Come vedremo molti film del periodo raccontarono questo conflitto come uno scontro di civiltà L'imma­ ginario italiano fu invece centrato quasi esclusivamente su di uo conflitto assimilabile ad una guerra d’indipendenza. Non stupisce quindi che siano rarissime le vicende ambientate in fronti diversi da quello italiano [5 in tutto, divise tra il fronte occidentale (Un maestro alsaziano, Passano gii Unni,.., Verso l’arcobaleno) e quello balcanico (L'eroina serba. Turbine rosso)]. Se nella maggior parte dei casi il soldato italiano si sacrifica per il pro­ prio paese e partecipa alla guerra non marcano episodi in cui emergono àcune macchie: imboscati (in Seppe morir e fu redento, E dopo?), soldati che non partono per la guerra con gioia (Per fa Patria?, La paure degli aero­ mobili nemici) e disertori (La patria redime I Ali ’ombra del tricolore, Amor che tace). Il ruolo della donna è raramente quello di un personaggio padrone del proprio destino. Negli anni del conflitto le protagoniste delle vicende sono quasi sempre vittime di maltrattamenti, di stupri perpetrati da soldati, ovviamente non italiani (L'eroina serba, Ilfiglio della guerra / L'invasore, Amor di barbaro, Cosi morì Miss Cavell, Mcriute), pronte ad immolarsi per il bene del proprio paese (L'eroina serba, Eroismo di madre / Italia mia, Savoia, urrahl, Sempre nel cor la Patria!.,./Cuore di neve, Cosi morì Miss Cavell). Diversa invece l'immagine che viene data dal cinema italiano delle donne al soldo degli Imperi Centrali. Non compaiono mai figure femminili tradizionali (madri, mogli o figlie devote), ma solo personaggi coinvolti nei piani preparati per rovinare l’avanzata italiana, spie, capaci con le proprie grazie di irretire gli uomini del Regio Esercito, donne libere e disinibite (Diana I‘affascinatrice, Vipere d‘A ustria a morte!, L‘imboscata, Seppe mo­ rir e fit redento) degne eredi di quelle operanti sugli schermi italiani prima del 23 maggio 1915. Non è forse un caso che le uniche donne italiane attive di fronte allo scorrere della Storia siano quelle che decidono di indossare, anche solo per un breve lasso di tempo, gli abiti maschili (come fanno le protagoniste di La doppia ferita, La maschera dei barbato). Se il gentil sesso è relegalo, quasi esclusivamente, in una dimensione domestica, è giusto invece che i giovani si preparino alla guerra. 1 più piccoli vi si avvicinano giocando coi soldatini o indossando piccole divise (si vedano i piccoli protagonisti di Bandiera bianca. Il sogno del bimbo d Italia, La guerra e d sogno di Momi) mentre i più grandi svolgendo già parte del proprio dovere servendo nel corpo dei boy scout (La doppia ferita. L’esploratore /Nova epopea. La veglia d'armi del Boy-Scout) o agendo dietro le linee senza nessuna divisa 'Gloria ai caduti). Un ultimo compito affidato (anche) alla fiction è la richiesta di parteci­ pare alla pubblicizzazione dei vari prestiti che lo stato e le banche lanciano

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per sostenere lo sforzo bellico (Befana di guerra. Per la Patria!, Le nozze di littoria, Verso la gloria. Cenere e vampe, Resistere). Una cosa occorre da ultimo aggiungere: che la guerra non appare, in questo periodo, come un evento totalmente negativo; anzi, questa è vi­ sta sovente come un farmaco per questo o quel male. I sacrifìci che essa comporta permettono di superare problemi familiari (Bandiera bianca, L'esploratore / Nova epopea. La patria redime / All ’ombra del tricolore. Buon sangue non mente. Cenere e vampe) ed anche differenze di censo e di classe (Verso l'arcobaleno, Quando il sole tramonta, Lagrime del popolo). Gli uomini avvertono il richiamo della Patria (L'avvenire in ag­ guato, Seppe morir e fu redento)', in trincea si sentono parte di una nuova più grande famiglia (Per la Patria!, Lagrime del popolo) e sanno che, se cadranno con le armi in pugno, il paese non si dimenticherà di loro (Guer­ ra redentrice). L'importanza, per la nazione, della guerra in atto fa si che tutte le parti della società italiana vengano coinvolte (se non realmente, almeno al cinema): dai garibaldini (Gloria ai caduti. Seppe mcrir e fu redento. Verso la gloria), agli stessi uomini d chiesa, sensibili, nonostante i voti del Pontefice, alla voce della Patria (Gloria ai caduti, II mio diario di guerra). In proposito bisogna ricordare il peso che riveste la fede nella v ita quotidiana, con momenti devozionali e ci preghiera mai registrati dai recensori, ma che emergono in molti dei titoli visionati (La samaritana, il sogno del bimbo d'Italia, Mariute).

3.2. Giocare alla guerra. L'infanzia e il primo conflitto mondiale

Nei film bellici, ampio spazio è dedicato ai più piccoli. I giovani protago­ nisti scoprono la guerra per gioco, in sogno o attraverso i racconti che un loro caro invia dal fronte. Il massiccio inves’.imento fatto sull’infanzia in ambito scolastico per sensibilizzarli, coinvolgerli71 e fame piccoli propa­ gandisti in ogni casa”, diviene un obbiettivo dello Stato e dei privati”. Il cinema, pur non essendo formalmente amicato dalla Stato, si allinea ad



Si rimanda al bel saggio di A. Fava sulla propaganda scolastica negli anni di guerra.

La guerra a scuola. Propaganda, memoria, rito (1913-1940), in La grande guerra. Espe­ rienza, memoria, immagini, scura di D. Leoni e C. Zadra, Bologna. Il Mulino, 1986 (ani del convegno di Rovereto).

n

A. Gibclli nel suo II popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a

Salò, Torino, Einaudi. 200$, definisce i bambini «Sentinelle della Patria». ”

A titolo esemplificativo segnalo il bel saggio di E. Chili Lucchesi, Donne, bimbe

e bambole nell'immaginario di guerra, in Leoni e Zadra, Op. cit., in cui viene ricostruita l’evoluzione della letteratura per l’infanzia, presentala su «Il corriere dei piccoli» e «Il gior-

naliao della domenica».

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una certa mentalità e diventa uno degli strumenti: «Per [far] familiarizzare il pubblico, bambini compresi, con lo scontro in ano, conferendogli un si­ gnificato emozionale e rassicurante insieme attraverso una procedura che combinava avvicinamento e distanziamento»7*. Bandiera bianca1* ha una trama molto semplice: padre e figlia vivono insieme in una condizione finanziaria disperata. Un giorno però un im­ presario ascolta il can:o di Anna e le propone di lavorare per lui al caffè concerto. Il padre rifiuta e la ragazza sembra disposta ad obbedirgli, ma l’imprenditore riesce a convincerla, offrendosi di farle incidere le vecchie canzoni del padre. Dopo uno spettacolo Anna conosce Claudio, un uomo ricco, che la sposa, ma i padri di entrambi t coniugi non accettano il loro matrimonio. Gli anni passano e i due hanno un figlio che chiamano Baby. Lo scoppio della guerra costringe Claudic a rappacificarsi col padre, il quale accetta di tenere in casa con sé solo il nipote. Anna acconsente a separarsi dal figlio, ma decide di partire per il fronte come crocerossina, seguendo il marito. In un combattimento Claudio rimane ferito, ma viene salvato dalla moglie, giunta provvidenzialmente sul campo di battaglia. I due rientrano a casa al termine della guerra vittoriosa c riescono a riap­ pacificarsi con entrambi i nonni, per la gioia del piccolo Baby. In questa pellicola ordinaria, per temi e messa in scena, vi è un tòpos sorprendente. Appena appresa la notizia della fine delle ostilità Baby prende la piccola bandiera italiana con la quale guidava gli amici in battaglia, getta il drappo in terra e lo sostituisce con una nuovo, da lui disegnato, in cui campeggia un ramoscello d'ulivo e la scritta PAX. La stessa bandiera compare al termine del film. A fine 1915, quando i primi film sulla guerra vengono distribuiti, la censura non tollera che venga proposta un’immagine ecces­ sivamente dura del nemico e permette la circolazione di un filmato che inneggia alla pace. Le reazione della critica, in un periodo in cui veniva chiesto un forte coinvolgimento del cinema in favore della guerra, non furono entusiastiche. In un articolo reperito da Martinelli il film viene de­ riso dal critico che lo ritiene adatto solo «Ad uso degli asili infantili»74 *76, tale era la pochezza del soggetto. In realtà la pellicola ci testimonia alcune delle aspettative legate alla guerra appena iniziata. La vicenda ci racconta di un conflitto breve (il ricongiungimento familiare è ambientato durante

74 Gibelli, Op. cit . p. 137. ”

Il film 4 conservai» presso la Fondazione Cineteca Italiana di Milano ed è anche

visionabile on line sull’European Film Gateway (EFG1914) volto a rendere accessibili una serie di filmali relativi al prim conflitto mondiate.

74 La citazione originale si trova in «Film» del 10 Febbraio 1916 ed è riportata in V. Martinelli. Cinema muto

1915. iJUm delta Grande Guerra, prima parte, Roma-To-

rino. CSC e Nuova tiri. 1992, p. 72.

46 le festività natalizie), nel quale anche le donne hanno un ruolo attivo e a cui partecipano, in prima linea, anche i più agiati. La cultura di guerra non è ancora estremamente sviluppata, ne è prova la sequenza della bandie­ ra della pace sopra citata. La differenza di mentalità è grande rispetto al 1916-17. In questo periodo, un film come La guerra e il sagno di Monti, che analizzeremo a breve, avrà problemi con la censura per una sequenza identica a questa: il visto venne concesso a patto che l'ultima didascalia fosse «Pax vittoriosa»”. La versione giunta fino a noi di Bandiera bianca sembra incompleta anche per la parte relativa ai combattimenti (cato che il film non ha avuto problemi in censura). Le violenza bellica amane sullo sfondo, qaasi il­ leggibile, mentre al centro della vicenda vi è il tentativo di superare una visione rigidamente classista della società. I due nonni, sembra dirci lo sceneggiatore del film, appaiono legati a stereotipi divenuti inattuali: una ragazza che lavora in un caffé-chantant, ad esempio, non è necessariamen­ te una sgualdrina o un’arrampicatrice sociale. È giusto quindi che uomini

e donne vengano giudicali non in base al censo e ai titoli, ma ai loro com­ portamenti c alle loro scelte. Ovviamente il film non è dirompente, non propone cioè un ribaltamen­ to dei ruoli sociali. Claudio è un benestante che compie il suo dovere, par­ tecipando allo sforzo bellico, combattendo in prima linea. Il modello ma­ schile che viene proposto non è anacronistico, in una guerra totale l'uomo viene ferito, non compie gesti eroici e si salva solo grazie all'intervento della moglie: l’immagine dell'eroe tradizionale scompare in alcuni titoli e vediamo come già nel 19 i 5 si provi ad inserire la vita degli uomini comuni nella fiction relativa al primo conflitto mondiale. Un altro film che racconta le vicende di una famiglia divisa dalla guer­ ra è fi sogno del bimbo d'Italia. La pellicola è molto breve: un uomo parte per il fronte salutando il figlio Cinessino e la moglie. La donna si dispera per la partenza cel ma­ rito, ma si riprende grazie agli incoraggiamenti del figlio. Mentre il padre combatte al fronte il restodella famiglia cerca di contribuire come può allo sforzo bellico: la madre cuce mentre il bambino prega. Cinessino viene portato a letto, ma invece di dormire inizia a giocare coi soldatini. Poco dopo si addormenta e sogna una guerra iper tecnologica (soprattutto ri­ spetto a quella mostrata dal cinema di fiction) in cui aerei e navi da guerra sonc impiegati in gran numero. Nel sogno è presente anche la fanteria, che continua a combattere come se lo scontro avvenisse in epoca risorgimen­ tale (battaglie in campo aperto, con scontri all’arma bianca, in una piana

” Il film venne presentalo in censura il 23 agosto 1916 e venne licenziato il 7 marzo 1917 (MIBAC, MARC, ve 12583). prima quindi della rotta di Caporeuo.

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priva di reticolati e trincee, nel quale non vi sono problemi di percezione del nemico). 11 sogno perde i caraneri del fantastico per diventare più re­ alistico e il piccolo protagonista capisce che quanto ha sognato e quello che sta accadendo a suo padre. Il bambino si risveglia e chiama la madre alla quale racconta quanto ha visto. Lei cerca di calmarlo e lo lascia sotto le coperte. Pochi giorni dopo però la sua visione si dimostrerà esatta. Il padre è tornato a casa e, seppur ferito, parla con la madre. Il bambino ap­ pena sveglio vede il cappello da bersagliere del padre e con quello cone dai genitori ed abbraccia il babbo. La famiglia si è cosi ricomposta ed il bambino esulta gridando “Viva l’Italia”. Le diversità col film della Vìdali non sono moltissime, anche perché entrambi vengono preparati nei primi mesi successivi all'intervento (Ban­ diera bianca viene approvato in censura il 27 novembre 1915 mentre li sogna del Bimbo d'Italia riceve il visto il 21 ottobre 19 ] 5). Se in entrambe le pellicole il padre va al fronte, é necessario specificare che nel film di Cassano assistiamo ad alcuni importanti temi che dimostrano una maturità superiore rispetto al primo titolo: il conflitto non finirà per Natale e se un scldato può rientrare a casa la gioia è comunque esclusivamente privata, quella collettiva è ancora lontana. In quest’ottica è necessario che anche il fronte interno contribuisca e, a questo proposito, non si sceglie una rottura: la madre partecipa allo sforzo bellico non diventando operaia in fabbri­ ca (anche perché continuiamo ad assistere a vicende che sono ascrivigli ad un ambiente sociale medio alto), ma cucendo bandiere. Altra novità sono i momenti di spontaneità religiosa. Questa non è una innovazione per il cinema muto, ma nell'Italia impegnata nella guerra occuperà una pre­ senza più importante rispetto agli anni precedenti. Infine, mentre i giochi di Baby (il pìccolo protagonista di Bandiera bianca} sono molto simili a quelli dei piccoli protagonisti di Cuore, nel film col piccolo Cinsssino la guerra per gioco diventa tecnologizzata e più distruttiva (anche se ancora incruenta), con tanto di bombardamento aereo su di un camion.

Altro film per bambini è La guerra e il sogno di Monti di Segundo de Chamon, uno dei maghi degli effetti speciali dell’epoca. La pellicola è costruito attorno a due differenti modi di rappresentare il conflitto. Da un lato c*è la guerra reale, combattuta dal padre di Momi al fronte, dall’altro, invece, la guerra di Trie e Trac, i giocattoli del piccolo protagonista, che dopo aver creato due eserciti, si combattono7*. Il film dimostra come si sia modificata la percezione della guerra nel 1917. Il conflitto esperito dal padre è mostrato mantenendo un’assoluta

’• Su questo film sì rimar du a G. Alongc * Gioamdoc&t i sokiaimi. "tu guerre e il sogno

di Marni'' tra propaganda e o.ercaio, in «Il nuovo spettatore»,

| (1997) pp, 167-178,

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continuità con le guerre Risorgimentali: «La perfidia del nemico, il corag­ gio dei “nostri” soldati, la guerra come difesa del focolare domestico, la generosità dell‘ufficiale aristocratico verso i subalterni»79. Sul campo di battaglia i soldati utilizzano moschetti, un cannoncino di piccolo calibro e sciabole. Gaime Alongesostiene che questo non dipese da un'imposizione censoria, ma dalla volontà di mantenere queste immagini nell'alveo di una tradizione consolidata, capace di permettere a tutti di cogliere le novità prodotte dal conflitto mondiale. Di contro, i giocatici di Monti combattono una guerra moderna, iper tecnologica: mitragliatrici, gas asfissianti, aeroplani, dirigibili, cannoni dale dimensioni spaventose, sconvolgono il paesaggio e rendono la ca­ valleria un'arma obsoleta. Alonge sostiene che «Per Chomón i modellini sono un modo di mostrare l’immostrabile, ci raffigurare la natura deva­ stante delle armi di distruzione di massa del Novecento»10. Altra grande intuizione del regista è quella di vedere i soldati come dei figurini tutti uguali, indistinguibili l'uno dall'altro, come i veri soldati che combattono e muoiono nelle trincee. Ulteriore elemento di interesse c la caratterizzazione del nemico: i Track infatti non riprendono gli stereotipi anti austriaci, ma quelli anglo­ americani contro i tedeschi. Questo è dovuto ad una precisa scelta com­ merciale, volta a rendere il prodotto maggiormente esportabile. Anche in questa pellicola, come in Maciste Alpino, risulta centrale la difesa della piccola patria (qui è la casa di Berto, un bambino divenuto amico del padre di Momi, conquistata dagli austriaci, riconquistata dalle truppe italiane che dopo la battaglia aiutano i civili a ripararla), tema che, come vedremo, si riverberà nel cinema fino alla metà degli anni Trenta.

3.3 Morire dal ridere Durante il conflitto molte pellicole rappresentarono la guerra in corso uti­ lizzando il registro corri co. Analizzando i film giunti fino a noi si nota come questo genere sia stalo declinato in due modi: nei primi mesi del con­ fi itto si è cercato di esorcizzare le paure legate al clima bellico irridendole, mostrando, con ironia, gli effetti che queste avevano sulla popolazione. Successivamente, all'opposto, i tratti distintivi della guerra moderna sono spariti, trasformando il primo conflitto mondiale in una guerra incruenta.

” ivi, p. 169. * tvi, p. 171.

49 La paura degli aeromobili nemici è una divertente e breve pochade in cii Cretinetti, novello sposo, dimostra una vera fobia nei confronti degli attacchi aerei e, a causa di una serie di sfortunate coincidenze, vede le proprie nozze rovinate da vari equivoci dovuti a presunti attacchi aerei. Appena terminato il rito del matrimonio Cretinetti e la moglie Dul­ cinea, si dirigono verso casa. Lungo il percorso si fermano a leggere un manifesto che spiega alla popolazione quali comportamenti tenere durante gì attacchi aerei: «Per l'eventualità di voli sulla città di aeromobili ne­ mici, visto l'articolo n° 1234567890 della legge sulla paura pubblica SI DECRETA: Segnale d'allarme - Occultamento della città - Misure di pre­ venzione contro gli Incendi». Il fatto che sia stato mostrato un ritrattolo contenente la dicitura «Legge sulla pubblica paura» dimostra la permissi­ vità ancora imperante a livello censorio nei primi mesi di guerra". La tensione e il timore per i bombardamenti sui civili, una delle dram­ matiche novità del primo conflitto mondiale, è costante. Le disavventure del protagonista ci fanno sorridere perché siamo all'interno di un genere codificato: sappiamo che a suonare, non è la sirena deirallarmc antiae­ reo, ma il clacson di un'automobile e la vera causa dell’interruzione della corrente non è l'oscuramento della città, ma la volontà della padrona di casa di poter amoreggiare liberamente coi proprio amante. Per capire quali reazioni possono scatenare questi equivoci in persone “normali” ci basta guardare come reagiscono gli invitati al matrimonio, tutti rispettabili bor­ ghesi. 11 panico che anche loro dimostrano è lo specchio, per noi interes­ sante, di quali conseguenze avessero gli allarmi aerei nella realtà15. Il terrore del protagonista non scompare al termine del supposto bom­ bardamento, perché, appena scopre che deve «Partire immediatamente de­ stinato all'artiglieria contro aeromobili», si rifiuta di muoversi. 1 piantoni si vedono costretti a chiuderlo dentro un pentolone per trasportarlo verso il fronte. La tecnica moderna produce armamenti cosi potenti capaci di

"

Sull'inasprimento della censura, avvenuto attorno al 1916. per l'intervento del Min­

istero detrimento e delia Direzione Generale di Pubb rea Sicurezza, si veda V. Martinelli,

il cinema italiano in armi. L orrore delia guerra e le censura sui saldati morti, in Sperduto nei buio, Il cinema italiano e il sua tempo, 1905-30, a cura di R. Renzi, Bologna, Cappelli. 1991, p. 40.

*•'

Si pensi agli elicili del reale bombardamento di Napoli effettuato dalle zeppelin

«1.59» partito dalla Bulgaria: rimozione dei responsabili della difesa aerea «Iella zona, un’interpellanza parlamentare e un panico diffuso della popolazione che, quattro giorni

dopo, durante un oscuramento che sembrava indicare Ir. possibilità di un altro attacco aereo, «ostò tre tenti civili a seguii? di colpi mal spolettati contro un nemico che non c’era. Un resoconto dell’evento è in A. Rastelli, / bombardamenti sulle città, in La grande guerra aer­

ea '915-1918. Battaglie, industrie, bombardamenti, asti, aeroporti, Vicenza, Gin? Russato,

1995, pp. 226-227.

50 generare forti ripercussioni, anche psichiche, sui testimoni della sua vio­ lenza15. Il cinema di finzione riesce, forse inconsciamente, a raccontare i ni invi drammatici effetti di questa guerra attraverso la prospettiva del genere comico. Come anticipato Maciste alpino affronta in maniera disinvolta il pro­ blema della verosimiglianza nelle scene di guerra e, come in Le paura degli aeromobili nemici, cerca di mostrare il conflitto anche attraverso uno sguardo semplice, ironico e popolare. La vicenda ruota attorno a Maciste, impegnato oltreconfìne per le ri­ prese di un film. Lo sccppio del conflitto tra Italia ed Austna-Ungheria sorprende la troupe in terra straniera e porta all'incarcerazione di tutto il gruppo. Grazie ad uno stratagemma, un nutrito gruppo di italiani riesce a scappare da un campo di detenzione e ad cltrepassare il confine grazie all’ospitalità e all’aiuto di alcuni irredenti italiani, guidati dal Conte di Pratolungo. Maciste regolerà prima i suoi conti personali con un austriaco che lo ha sfidato (il soldato Fritz), poi si rivelerà decisivo nell’avanzata che permetterà la liberazione degli uomini che lo hanno aiutato mentre tornava in Patria.

La pellicola è probabilmente il più grande successo di pubblico tra i film prodotti in Italia in questi anni ed il merito va ascritto alla presenza di Pagano, nel ruolo che lo ha lanciato come attore di fama mondiale: Maci­ ste. Determinanti furono anche il rispetto dei cliché negativi sugli austriaci (barbari, infidi, stupratori), la chiave comica, la difesa del focolare dome­ stico e la mitizzazione del corpo alpino che permisero a tutti i pubblici lontani dal fronte di trovare conferme di quanto avveniva ài fronte. Il film alterna sequenze guerresche nelle quali Maciste sembra ignorare tutte le difficoltà sopportate dai comuni soldati, come la rigidità del clima o la difficoltà degli spostamenti in montagna, con altre, più rare, che ri­ propongono, in maniera spettacolare ma fedele, i rischi della quotidianità della vita in montagna (in particolar modo quelle dovute agli spostamenti dì uomini e mezzi) * 4.

"

Si rimanda per i danni psichici della guerra moderna al classico A. Gibell i. l'officina

della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torine. Bollati

Boriighicri. 1991, in particolare pp. I22-I29cpp. 164-171.

"

Per Brunetta queste soro scene di verità passate indenni in censura, si rimarda al suo

saggio L'immagine della prime guerra mondiale attraverso it cinema, in Operai e contadini nello Grande Guerra, a cura di M. Isncnghi, Bologna. Cappelli, 1982. pp. 281-82

51 Gli scontri, come ha giustamente inteso Brunetta, mostrano una guerra privata che ha lo scopo di occultare il conflitto confermando tutti gli stere­ otipi conoscitivi precedenti: «Le stragi, i battaglioni mandati al macello inutilmente, gli eroismi al­ trettanto inutili vengono rimossi a favore di una rappresentazione di una guerra vittoriosa c travolgente nella quale il problema del nemico austriaco si risolve, in apparenza senza bisogno di centinaia di migliaia di modi, ma con due semplici pugni ben dati o alcuni polenti ealcioni nel sedere1*».

Questo, perù, è vero solamente per la prima parte del l'opera perchè, con la cattura del soldato austriaco Fritz Flutter, la guerra diventa una lotta per la difesa delia piccola patria, la casa del conte di Pratolungo. Nella villa, precedentemente, avevano trovalo aiuto gli italiani che cercavano di passare il confine. Qui vive anche Giulietta, la fidanzata di Giorgio, un italiano irredento che si è arruolato nell’esercito sabaudo ed è divenuto artico del protagonista. Le azioni belliche di Maciste, dapprima, rispettan­ do gli stilemi del periodo con azioni tipiche del conflitto (anche se private di ogni rischio), come il posizionamento di tubi di glicerina vicir.o ai reti­ colati, poi diventano sempre più fantastiche. Maciste fa prigionieri alcuni soldati austriaci, scuotendo gli alberi sui quali si sono posizionati, scala «Insormontabili montagne», atterra i nemici usando palle di neve, li im­ mobilizza sedendosi sopra di loro, tira pietre dalla cima di una montagna per travolgere un battaglione (come se giocasse a bowling}, libera un bal­ cone, pieno di nemici, iti lizzando un ceppo infuocato, usa un prigioniero come slittino e gli altri come cani da slitta. La seconda parte del film è dedicata ad un tema fondamentale per la propaganda italiana: quello della difesa dei propri cari. Date le sorti della guerra, condotta fino a vaporetto in territorio nemico, questo tòpos è stato declinato sulla difesa degli irredenti. La villa di Pratolungo è il luogo dove gli italiani vengono rifocillati e accolti con spirito cristiano811 dal padrone di casa. Impossibile pensare di abbandonarli nel momento del bisogno. Alonge sostiene che il segreto del successo del film è il suo essere mo­ derno, quindi la rottura coi modelli di rappresentazioni del XIX secolo che permette a Maciste dì essere compreso così chiaramente dai suoi contem­ poranei. Per riuscire ad abbandonare l’anonimato della guerra moderna la



/w.p.2S2,

I registi pensano bene dì rendere trasparente questa similitudine inserendo una di­ dascalia di un celebre passo del Vangelo di Matteo (XXV, 14-35): «Benedetti dal Padre mio imperocché ebbi faine e mi ckstc da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; fui pellegrino e

mi riceveste».

52

produzione non sceglie la via del melodramma, molto in voga in quegli anni17, ma la slapstick comedy. Queste caratteristiche rendono il film dif­ ficilmente imitabile all’estero, nonostante il grande successo ottenuto in vari paesi, in particolare in Francia. Anche in Italia, giova ricordarlo, non mancarono i problemi censori sia prima che durante la circolazione nelle sale. È interessante notare la scelta di fare impersonare a Pagano un alpino. Per Alonge «L'alpino simboleggiava infatti il combattente obbediente e determinato, che non ha voluto la guerra ma che è pronto al sacrificio, con il quale i soldati-contadini italiani sono chiamati ad identificarsi, almeno fino a Caporetto, quando la difficoltà del momento porterà a optare per figure più aggressive, come gli arditi»11.

3.4. Donne

Di particolare interesse é l'analisi dei film aventi per protagonisti dei per­ sonaggi femminili. Molte sono le pellicole simile a Diana l'affascinatrice, dove la pro­ tagonista (in questo caso una spia) è molto simile a quelle eroine capaci di suscitare grandi interessi nel pubblico d'anteguerra. Come in altri film dell’epoca la donna è chiamata a scegliere tra i propri sentimenti verso l’uomo che ha imparato ad amare e il proprio paese. Più interessante è La samaritana. Il noto tema del triangolo amoroso viene rivisitato nel clima culturale del conflitto europeo. Giorgio ed Anna sono due giovani in procinto di sposarsi, i loro progetti devono però essere accantonati a causa dello scoppio della guerra. Giorgio viene richiamato ed arriva al fronte dove guida un attacco per salvare una donna triestina, Delia. L’ufficiale viene rerito, ma in ospedale la ragazza si vota alla sua guarigione e se ne innamora, tanto da offrirsi per una trasfusione di sangue che gli salverà la vita. Arche Anna, la fidanzata, raggiunge il capezzale del futuro sposo e lo assiste durante la convalescenza. Delia, ormai rassegna­ ta, sacrifica il suo amore per quello della coppia.

n

Sul melodramma nella prima guerra mondiale ri veda il saggio di L. MidkifT De

Bauche, Melodrama and the World War I Warfilm, in 1 Umili della rappresentazioni, Cen­ sura, visibile, modi di rappresentazione nel cinema, a cm di L. Quaresima, A. Ratego e !..

Vichi, atti del VI convegno imemazionale di studi sul cinema (Udine 17-20 man» 1999), Udire. Forum, 2000, pp. 177- 87.

* G. Alonge. Cinema e sterra. //film, la Grande Guerra e l'immaginario bellico del

Novecento, Torino, Utet, 2001 p. 72.

53

1 motivi di interesse sono tutti dovuti alla figura di Delia, detta «La bella triestina», una donna dal look moderno, coi capelli corti, fumatrice, disinvolta e disinibita con gli uomini. La donna accetta la corte di Von Altrich, un ufficiale austriaco, ma quando questi «Volle imporre alla Trie­ stina Delia di brindare alla vittoria delle ami austriache contro l’Italia» lei rifiuta rispondendogli: «Oh Signore! Sono triestina io; viva l’Italia». Dopo una breve lotta la donna, tult’altro che passiva e indifesa, uccide l'ufficiale austriaco e si rifugia in Chiesa. Qui viene arrestala dai soldati che, mentre la scortano verso la prigione, vengono intercettati da un gruppo di soldati italiani. Il film offre alcune immagini, probabilmente documentarie, inutili ai fini del racconto, dei «Titani d'Italia che domano le Alpi eccelse», cioè di alcuni soldati che scalano una montagna e posizionano sulla cima dei pezzi d'artiglieria. Non è certo casuale che le immagini non mostrino mo­ menti drammatici dello scontro, né azioni del nemico, ma si limitino a momenti “sportivi”, di abilità, in cui il rischio è dovuto a possibili man­ canze proprie e non alle insidie dovute dalla presenza degli austroungarici. La guerra è ancora un evento rappresentato esclusivamente in maniera rassicurante. Anche lo scontro tra i soldati austriaci e quelli ita! ani sem­ bra ottocentesco per il modo in cui è descritto, con piccole pattuglie che escono improvvisamente dalla boscaglia e, in campo aperto, iniziano un duro scontro all’arma bianca, senza che nessuna sentinella li veda e senza l’utilizzo di armi da fuoco. Von Altrich, l’ufficiale austriaco, viene mostrato come infido e lussu­ rioso, un barbaro che testa le sue pistole in casa, seduce le donne, tenta di far loro violenza e utilizza su di loro un frustino come ultima argomenta­ zione. Contemporaneamente, però, sembra possedere alcune caratteristi­ che che renderanno celebre le caratterizzazioni fatte da Von Stroheim nel dopoguerra per rappresentare la decadente nobiltà mitteleuropea: perverso ma contemporaneamente galante, barbaro, ma gourmet (sulla sua tavola vediamo solo champagne e piatti ricercati) e mentre gli altri ufficiali af­ follano un satollino con le loro donne lui si isola tirando una tenda per rimanere appartato con Delia. I suoi soldati non rispettano la sacralità del rifugio in chiesa e l’attacco in cui viene ferito Giorgio è rappresentato come un’imboscata sleale, dove l’eroe italiano non può difendersi. In questa pellicola osserviamo la forte presenza femminile, quel matriottismo proposto da Brunetta”, che vede le donne impegnate come, se ncn di più, degli uomini. Il fronte è loro precluso, ma è il loro sostegno

" G.l’. Brunetta, La guerra lontana. La prima guerra mondiate e il citwme tra i tabù del presente e la creazione del passato. Rovereto. Bruno Zaftbni, senza data (mi presumi­

bilmente 1985), p. 49.

54

che sorregge gli italiani in guerra, è nel loro orgoglio la chiave della sal­ vezza d’Italia, ed è la loro presenza che permette il funzionamento degli ospedali. Possiamo vedere in Delia la personificazione di Trieste. Italiana, a stretto contatto e convivente con gli austriaci, che la vorrebbero diver­ sa: ancora più lasciva e pronta ad offendere i suoi natali. Lei però è fiera della sua italianità. Il modo in cui è stata rappresentata corrisponde allo stereotipo della donna moderna (capelli corti, sigaretta seducente tra le labbra e stile di vita indipendente) ed è interpretabile come l’incarnazione della Trieste cosmopolita, crocevia commerciale e porto dell’impero Au­ stroungarico. Il richiame ai valori patriottici e l’eroismo manifestato da un saldato italiano la faranno pentire e schierare contro il malintenzionato seduttore fino a farla diventare «La Samaritana», una donna disposta a sa­ crificare la propria felicità personale, a vantaggio di chi l’ha redenta e una crocerossina assai diversa (e socialmente più accettabile) dalla seducente ammaliatrice d'inizio film. La sua incarnazione femminile richiama le te­ orie di Banti sull’immagine (femminile) della Nazione, che vedono nella donna il simulacro dei valori della Patria e la chiave d’accesso alla comu­ nità nazionale90. Delia \ Trieste è pronta a diventare simbolo, esempio pa­ radigmatico del suo popolo quando si uniforma ai modelli ottocenteschi: casta, pura, disarmata e rispettosa del ruolo di genere a lei più consono, quello di consolatrice e (fi donna che piange e prega.

Una differente immagine femminile è trasmessa dal film per il prestito nazionale Maritile, nel quale sono raccontate le sofferenze di una donna nel Veneto occupato dag i austriaci. La cornice della vicenda è la vita re­ ale della diva Francesca Bertini, capace di farsi attendere per ore sul set. Quando finalmente giunge agli studios l'attrice ascolta un uomo appena rientrato dal fronte che “racconta le feroci sevizie che subiscono le popo­ lazioni oppresse dall’invasore’'. Questa vicenda impressiona la diva a tal punto che non riesce a distrarsi attraverso i suoi soliti svaghi (il teatro e la lettura), né a dormire un sonno sereno. La none Francesca sogna di essere una dui ma uun tic figli e il marito al fronte. Tre soldati austroungarici la vedono e la stuprano, ma viene vendicata da un anziano, che riceve il rin­ graziamento della madre e dei bambini. “L’impressione del sogno terribile e angoscioso, accende di viva fiamma d’amor patrio il cuore di Francesca Bertini’’ che il giorno dopo arriva puntuale sul set, lasciando sbigottiti i suoi col leghi.

* A.M. Banti, L'onore delta nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo

europeo dal XVlll secolo alla Grande Guerra, Torino, Einaudi, 2005, p. 245.

55 Il film, al di là della divertente ed autoiranica messa in scena del mon­ do del cinema, colpisce per la forza della cultura di guerra: l’anziano che intende lavare l’onta dello stupro con un triplice omicidio diventa, per la donna e per i suoi figli, un giustiziere capace di riportare equilibrio dove la serenità è stata turbata. Questo modo ingenuo di raccontare la violenza sessuale ci mostra tutta la pervasività di una mentalità fortemente influen­ zata dagli eventi bellici. * Zagarrio 1 sostiene, rifacendosi alPautobiografìa della Diva, Il resto non conta, che il film sia stato preparato tra la fine del 1917 e l’inizio del 1918 su pressione di Donna Ida Orlando, moglie dell’allora presidente del consiglio.

Conclusione ideale del nostro percorse sul l’immagine femminile in questi anni è II canto della fede. La pellicola racconta la storia di un eroe dì guerra (Luciano dello Slelvio) che, ferito durante un’azione eroica, tra­ scorre in ospedale la sua convalescenza. Qui incontra Mary, una croceros­ sina già sposato con l’avvocato Sori, che propone al marito di ospitare il militare in casa loro fino al termine della sua convalescenza. I coniugi si prodigano per non fare pesare alla popolazione il peso del conflitto: ospi­ tano gli sfollati, organizzano conferenze patriottiche e gruppi di cucito a sostegno dei militari. Luciano si innamora di Mary e dichiara alla padrona di casa i propri sentimenti. Lei, pur essendo turbata dal soldato, rimane fedele al marito. Luciano, in un primo momento, non si rassegna, ma, compresa l’inutilità delle sue richieste, decide di ritornare al fronte. Il film mostra alcuni elementi rivelatori sulla situazione socio-politica degli ultimi anni di guerra. L’entusiasmo verso il conflitto (se mai vi fu) è sicuramente esaurito, anche sullo schermo. La manifestazione patriottica fatta al circolo nazionale vede partecipa­ re un unico gruppo sociale, la ricca borghesia e, se non vi sono espliciti momenti di condanna della guerra, nel film manca una vera propaganda a fasore di questa o delle sue motivazioni. Anche Luciano, il militate prota­ gonista della vicenda, adotta una morale differente da quella tradizional­ mente accettata. Lo vediamo violare le regole dell'ospitalità, insidiando, due volte, la moglie del padrone di casa. Il personaggio può essere visto come l’incarnazione di quell’egoismo, sacro o profano, che animò l’inter­ ventismo italiano. 11 suo rivale in amore, con cui rimane in ottimi rapporti e con cui discute di «Alti ideali» (i propri racconti di guerra), è una figura

V, Zagarrio, Morirti?, un mefufi/m M muto, in ^Immagine. Note dì storia del cine-

*, rna

2(T9S3)fc pp.9-tO.

56

a lui antitetica. Sori non è partito per il fronte e non ha combattuto, ha una bella moglie ed una splendida casa. Esalta al circolo patriottico le imprese belliche, ma non può che ascoltarle o dalla voce di chi effettivamente le ha compiute o dai giornali. Si crea così un contrasto latente tra l’ufficiale, che ha effettivamente fatto la guerra, e quella figura cosi ostile ai soldati di linea, del patriota imboscato, che esalta il conflitto pur non avendovi mai partecipato’2. Il loro scontro ha al centro una donna che diventa giudice dei due protagonisti. Lei sceglie il marito \ avvocato, obbligando il militare a «Sposarsi con la bandiera» che lei ha cucito. Già in tempo di guerra troviamo una profonda spaccatura tra l’alta borghesia e i gruppi di più modesta estrazione sociale che si acuirà nel dopoguerra. I soldati al fronte sono pronti a prendere qualcosa che non gli spetta e gli strati più deboli della popolazione vengono addirittura esclusi dalla scena”. Si è tornati ad una visione platonica della società: i governa * tori filosofi (le classi più altolocate che governano e fanno riunioni patriot­ tiche nelle quali si rivolgono solo ai loro simili), i guerrieri e i produttori. Se Brunetta vede in questo film un esempio di matriottismo e di “gran­ de retrovia”, che accredita l’impressione di assoluta solidarietà tra i nobili e i combattenti e che unisce tutta la nazione , ** ritengo invece pertinente una lettura totalmente differente: sicuramente vi fu una grande partecipa­ zione femminile al conflitto, ma non mancò nemmeno un duro contrasto tra combattenti e fronte intemo, riassumibile nel finale del film, quando il soldato riparte verso la prima linea dove difenderà la bandiera cucita per lu i dalla donna amata, rimasta a fianco di un ricco avvocato che non vedrai mai la guerra. Il conflitto è ancora in corso, ma la peli icola anticipa alcuni problemi che si manifesteranno nel dopoguerra: come arginare le pretese della parte che si considera sana della nazione, quella che ha fatto la guerra? Le delusioni, mostrate senza essere condannate, pongono alcune questioni che faranno

r

Molto efficace

I» dcfìiì/inne daln dn Prezzolinosi) cosa frwu» la propaganda prima

di Ctporetto: «Si chiamava propaganda ordinare dei soldati sull'attenti in un cortile, dopo otto ore di fatiche e lì. togliendo un'ora di libertà, obbligarli a sentire la chiacchierala di un

avvolto inabile alle fatiche di guerra». In G. Prezzolino. Vittorio Veneto, in «1^ voce)», 1920, p. 15 e 16 citato in Maria Isncnghi e Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914 *1918

Milano, La nuova Italia, 2000, p. 309. ,J

Sembra quasi che questa pellicola subisca il fascino di alcune di quelle argomenta­

zioni musso! iniane etichettate dal suo autore come «Trinixrocrazia» (da un celebre articolo apparso su «Il popolo d'Italia» il 15 dicembre 1917). Renzo De Felice, nel suo Mussolini II

rivoluzionario. 1883 *1920,

Torino. Einaudi, 2005 (I ed. 1965). legge questo periodo come

quclb che segna il vero superamento del socialismo dell'uomo di Predappio. Nella celebre monografia dello storico I'argumento viene trattalo alle pp. 403-18.

*•

Brunetta, L immagine della prima guerra mondicle, cil.. p. 225.

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crollare il sistema democratico nel dopoguerra e che Mussolini sfrutterà per creare una società nuova in cui i reduci avranno un ruolo cruciale.

Focus: li cinema francese e statunitense durante la Grande Guerra

La guerra che attraversava l'Europa è uno di quei soggetti che l'industria cinematografica di tutti i Paesi non poterono permettersi d’ignorare. Due casi in particolare meritano la nostra attenzione: quello francese e quello statunitense. Fino all'inizio del conflitto 14-18 la prima potenza industriale del set­ tore era la Francia: alla vigilia della prima guerra mondiale il cinema fran­ cese era a capo di una rete distributiva mondiale, in espansione anche negli Siati Uniti, capace di esportare i propri prodotti più raffinati (come quelli prodotti dalia Saciété dufilm d’Art, sorta grazie al contributo della Société des Auteurs et des Gens de Lettres, specializzata in film storici o derivati da opere letterarie o religiose) e quelli più popolari (il burlesque di Romeo Bosetti e Jean Durand, le pellicole comiche o i primi films criminelles) in tutto il globo. Questa età dell’oro si interruppe con l’inizio del conflitto. Le industrie vennero riconvertite c la produzione cinematografica si bloccò comple­ tamente fino all’inizio del 1915. Gran parte dei cineasti venne chiamata sotto le armi e, solo in un secondo momento, ad alcuni di loro, venne con­ cesso di collaborate con la sezione cinematografica dell’esercito. Il cinema bellico francese di questo periodo, come quello italiano, si caratterizzò per reputazione delle immagini più violente e, in un primo momento, per la scelta di rappresentare il conflitto attraverso la comme­ dia. La messa in scena della guerra si scontrò, naturalmente, con la realtà di una carneficina che prosegui sempre più violenta andando a intaccare la credibilità della settima arte. In questo precesso di revisione risultarono derisivi anche altri media: il cinema d’attuaLtà c la fotografìa screditai uno in maniera inequivocabile quanto mostrato nelle pellicole di fiction. Col passare del tempo i costi umani del conflitto non vennero più taciu­ ti, anzi, il cinema francese da un certo momento in poi, non li nascose più. Tra i tanti titoli di questo tipo L’empreìnte de la Patrie mostra tutte la forza dola cultura di guerra. Nella pellicola assistiamo, infatti, alla distruzione di una famiglia francese. Il padre, un ufficiale dell’esercito, non perdona al figlio d’essersi arruolato coi tedeschi, dopo il matrimonio con ura donna di quel Paese. 11 giovane protagonista non ottiene il perdono paterno nem­ meno in punto di morte, dopo aver confessato di essere stato ucciso per aver rifiutato di sparare contro i suoi compatrioti.

58

La pellicola più indicativa è, però, Mères Francoises, un film apprezzatissimo sia dal pubblico che dalla critica, in Francia come all’estero. Se parte del successo è «scrivibile «Ila presenza di Sarah Bernard, i registi Hcrvil e Mercanton dirigono una pellicola commovente e coinvolgente. Una piccola località francese viene sconvolta dall’inizio del conflitto, considerato come «un chose impossible». La guerra, per quanto susciti stupore, non provoca reazioni negative e la partenza dei soldati verso il fronte avviene tra fiori, bandiere e sorrisi. Le uniche preoccupate sono le donne. Le prime operazioni del conflitto (le vittorie tedesche) non ven­ gono raccontate, ma la guerra pare iniziare direttamente con il successo francese sulla Marna, a testimonianza dell’incapacità di spiegare quanto avvenuto nei primi mesi delle ostilità. Se il dovere degli uomini è quello di combattere, anche le donne sono chiamate ad assolvere un compito du­ rante il conflitto, quello dell’assistenza ai forili. Il film sembra seguire un doppio binario: la messa in scena del conflitto è meno accurata rispetto ad altre pellicole: le trincee sono circondate da campi verdi, i soldati vivono con estrema naturalezza in questi spazi e sembrano costantemente fuo­ ri pericolo. Le sequenze dell'attacco mistificano i reali costi umani della guerra moderna: i fanti escono indisturbati ed incolumi dalle trincee, non si vedono bombardamenti e la scelta di filmare questa sequenza con un campo lunghissimo la rende meno drammatica. Se la parte al fronte appare edulcorata (o per l’autocensura o per la censura, contraria a mostrare scene capaci di infiacchire lo spirito pubblico), l'occhio rivolto verso le retrovie è impietoso: il dramma della morte di un familiare è reso con totale credi­ bilità dalla Bernard e il destino del soldato rimasto cieco e solo (dopo aver “liberato" dal suo giuramento la fidanzata) non ha nulla di consolatorio. A mitigare quest’atmosfera cupa è il nazionalismo che permette alla madre, rimasta senza figlio e senza marito, di consolarsi pensando ad un bene collettivo: «Ceux que nous pleurons sont morts pour que la notre mère à tous, la France, ne meure pas’5». Nonostante questa affermazione il finale del film presuppone un futuro diverso da quello militarizzato della guer­ ra: «Pouf que les mères n’aient plus à souflrir, il faut que la France fasse encore la guerre: la guerre à la guerre, et que l’aubc des paradts futures s'allume à l’éclair des baYonnettes franrjaises95'». La conclusione proposta dai registi non lascia dubbi sulle loro convinzioni patriottiche: nel futuro dei francesi c’è solo una vittoria che mette fine alla guerra, una vittoria.

*■

«Quelli che noi piangismo sono morti affinché, la Francia, nostra madre comune,

non muoia» IT.d.a.).

*

«Perché le madri non debbano più soffrire, bisogna che la Francia faccia ancora la

guena: la guerra alla guerra; t che l'alba del paradiso futuro s'accenda al chiarore delle baionette francesi» |T.d.a.|.

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quindi, non di compromesso, ma totale, che deve essere ottenuta a tutti i costi. La guerra al cinema, anche nell’anno di minor tenuta del fronte interno, non viene mai messa in discussione.

Mentre la guerra iniuria in Europa il cinema cambia grazie al l’impulso decisivo di quanto avviene negli USA. In particolare Véray ha sottolinealo come il cinema statunitense abbia modificalo la percezione della violen­ za bellica. L'uso del montaggio risultò decisivo per un cambiamento che travalicò le barriere di genere, rivoluzionando l’intero sistema narrativo c inematograftco”. Molti storici si sono interrogati sulle cause dell'espansione dell’indu­ stria cinematografica a stelle e strisce verso l'Europa. Abel ritiene che la circolazione delle opere statunitensi in Europa è da ascrivere ài successo di pubblico di alcuni titoli. Nella primavera del 1915 arrivarono a Parigi le prime commedie della Keystone (con Fatty 2 Chaplin) e in dicembre ven­ ne distribuito il primo episodio de The Exploits of Eiaine (titolo italiano: I misteri di New York con Pearl White come protagonista). Entrambi questi film mostrarono la superiorità tecnica e recitativa, considerata più naturale e spontanea, del cinema statunitense”. Martinelli, invece, non attribuisce all’arrivo di un determinato titolo un ruolo epocale. Lo spartiacque per lo storico italiano deve essere identificato col viaggio che i produttori ame­ ricani faranno verso l’Europa dopo l’ingresso degli USA nel conflitto nel 1917 per assicurarsi la libera circolazione dei loro prodotti sui mercati . ** alleati Il cinema USA dedica diversi titoli alla guerra in corso. Prima per mo­ tivare la propria neutralità, poi, dall’aprile 1917, per giustificare ideologi­ camente l’entrata in guerra del Paese a fianco degli Alleati100. Tra i vari titoli usciti prima della partecipazione attiva al conflitto biso­ gna citare Battle Cry of Peace, nel quale viene mostrato un attacco a New York orchestrato da una forza militare straniera immaginaria. Scopo di questa pellicola era sensibilizzare il pubblico statunitense al pericolo rap­ presentato, anche per gli interessi USA, dalle guerra mondiale. Altrettanto



Véray, Op. cit.. pp. 55-68.



R. Abel, French Cinemi. The Fini

1915-1929, Princeton, Princetcn Univer­

sity Press, 1984, p. [0.

” V. Martinelli. L'eterna invasione, ti cinema americana degli anni Venti e la critica

italiana, Gemona, Cineteca del Friuli, 2002 p. 7. "° G. Alonge, Griffith, t/itxon e il cav. Barattato. Due film americani nell'Italia dei

1915, in Cinema c storia 201?. La storia international!: e il cinema. Reti, scambi e transfer

nei '900, a cura di S. Pisu e P. Sortiti, Catanzaro, Rubetino, 2017.

60 spettacolare, con un messaggio diametralmente opposto, Civilization, in cui Cristo, reincarnatosi, ha un ruolo decisivo nel ristabilire la pace in terra. Comune ad entrambi i film è la forza del montaggio, capace d. scioc­ care gli spettatori, grazie al “bombardamento" «D’impression visuelles in-édites, parviennent à évoquer le dynamisme, la mécanisation et le caractère destructeur du confìit"”». Se il cinema statunitense riuscì a stupire visivamente, di minore impat­ to fu il tentativo di Griffith di mostrare l’essenza dell’esperienza bellica. Quando, poco prima dell’ingresso in guerra degli USA, Griffith accettò di dirigere un film sul conflitto in corso, realizzato con capitali inglesi, ottenne tutto ciò che chiese, ivi compresa la possibilità di fare riprese dalla prima linea. Queste, però, non soddisferanno il regista, che, alla fine, de­ cise di rigirare la quasi totalità delle sequenze negli studios. La guerra di trincea non corrispondeva a quella da lui ripresa in The Birth ofa Nation. Quando, alcuni mesi dopo, Griffith tornò in prima linea per girare nuove sequenze "dai vero” dovette arrendersi all’evidenza: risultò impossibile utilizzare le immagini ddla prima linea in un film narrativo senza esporre attori e tecnici a dei rischi mortali.

1,1 Véray, Op. cit., p. 58.

CAH'imn ?

IL CINEMA DEL DOPOGUERRA, TRA STATO LIBERALE E FASCISMO

Dal 30 ottobre 1917 al 23 giugno 1919 Governo Orlando Dal 31 ottobre 1922 al 25 luglio 1943 Governo Mussolini

Film passati in censura nel 1919: 906 di cui 428 italiani Film passati in censura nel 1940: 339 di cui 83 italiani1 Film italiano di maggior incasso nel 1940: Maddalena... zero in con­ dotta di Vittorio De Sica2

Trailer

Fascismo prima parte: controllo dell’informazione, autocensura nell’intrattenimento? Fascismo seconda parte: l’intervento sul cinema La pacificazione liberale Tra fascismo partito e fascismo movimento: Il grido deU'aquiìa La Grande Guerra e il regime: Le scarpe al sole

All’indomani della fine delle ostilità le aspettative sul dopoguerra era­ no moltissime. Si era combattuto per mettere fine alle guerre, per la pace, per l’autodeterminazione dei popoli, per il prestigio, per salvare la civiltà, permettere fine all'ingiustizia.

1 dati, fomiti da httpy'www.italiaiaglia.it/. non tengono conio della differenza tra cortometraggi e lungomctragg.



Citalo in Documenti, a cura di S. Carpiteci, in Storia del cinema italiano, voi. VI,

1940-1944. a cura di E. G. Laura, Vcnezia-Roma, Manilio e Edizioni Bianco e Nero, 2010.

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Il conflitto determinò invece la fine della centralità europea e frustò tutte (o quasi) le aspirazioni e i sogni di chi vi prese parte. Traverso’ ha letto il periodo 1914-1945 come una nuova guerra dei Irent’anni, ponendo quindi l’accento sulla conflittualità, interna ed esterna, che serpeggiò per tutto il periodo e che riesplose con la seconda guerra mondiale. Questa sua interpretazione, sicuramente suggestiva, dimentica che in questo pe­ riodo si inaugurò una nuova era delle relazioni intemazionali (grazie alla Società delle Nazioni) che crollò sotto i colpi delle politiche estere aggres­ sive ed espansionistiche dei movimenti reazionari che si instaurarono in Italia, Germania e Giappone. Questa aggressività fece di due paesi (USA e URSS), fino a quel momento lontani dalle vicende europee, gli arbitri dei destini del continente. Il dominio coloniale, seppur meno solido, prosegui, anzi l’Italia fascista occupò anche l'ultimo degli stati africani non oppressi da ura dominazione straniera, l’Etiopia. Le prime illusioni a cadere furono quelle della classe dirigente, convin­ ta di aver vinto in proprio la guerra, puntellando il fronte dopo Caporetto e battendo il nemico austroungarico a Vittorio Veneto. Il governo sembrò rimuovere l’aiuto alleato (militare, politico ma soprattutto economico) c il sacro egoismo approdò a Versailles, dove però le sorprese, sgradite, non mancarono.Già prima della fine della guerra gli orientamenti italiani nei confronti del confine orientale furono duplici: da una parte vi era la clas­ se dirigente liberale che voleva continuare ura politica estera di poten­ za, volta a garantire una posizione di dominio degli italiani in Dalmazia; all'opposto gli interventisti di sinistra (tra cui Salvemini e Bissobti, ai quali si unirono anche alcuni liberali tra cui Amendola e Albertini) auspi­ cavano un accordo con le minoranze oppresse dall'impero austroungarico per sistemare pacìficamente i confini. Questa politica, in linea col pensiero wil scoiano, venne bollata come rinunciataria dai nazionalisti italiani. L'in­ staurazione di un governo prima e di una dittatura poi che cercarono di ap­ propriarsi del conflitto per avere un proprio mito fondativo, presentandosi a Vittorio Emanuele III come l’Italia di Vittorio Veneto (implicitamente opposto a quella scioperala e scioperante di Caporetto), “ingessò” ancora di pia il culto della guerra della quale i fiiscis.i si volevano credi, elimi­ nando qualunque lettura non allineata a quella direttamente propalata. Lo sviluppo e le modifiche del regime avranno conseguenze anche sulla ge­ stione della memoria della prima guerra mondiale, cosi come i (limitati e regolati) scambi cinematografici con l’estero.



E. Traverso. A ferro efur.co La guerra civile europea 1914-1945, Bologna, Il Muli-

no» 20)7. L’autore rielabora la tesi sostenuta da E. Nolte in Nazionalsocialismo e bolscevis­

mo: la guerra civile europea 1917-1945, Firenze, Sansoni, 1988 (cd. oc. 1987].

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Cinema italiano 1919-1940

Ir Italia, al termine della guerra, non assistiamo ad una drammatica crisi economica del settore. 1 cinema continua sui la scia del periodo prebellico a mietere successi, anche se i problemi cominciano ad addensarsi alforizzonte. La fine delle ostilità e il riaprirsi dei mercati vede r Italia perdere posizio­ ni in alcuni mercati esteri (Francia. InghiIterraT Svizzera, Brasile e Stati Uni­ ti], durante il conflitto nolto dinamici nel (’assorbire i nostri prodotti. Come scrisse acutamente Del lue parte della crisi fu dovuta alla scelta dei soggetti: «Quando II film lialieno ebbe raggiunto una importanza mondiale che le cavalcale di Giulio Cesare. Maracanlonió * Caligaio, Chris fus e con gli imperatori e profeti dèi mondo latino, si è sentito probabilmente disgustato dalla vita ed ha pensalo di suicidarsi. Ha trovalo il modo giusto nei roman­ zo francese. Tutti i romanzi francesi sono diventati film italiani4».

t produttori si trovarono ad affrontare, oltre a quello economico, altri gravi problemi: i mutati gusti cinematografisi del pubblico, che smette di adorare lo stile italiano (linguisticamente ed espressivamente invecchiato molto e male, con una sintassi narrativa molto lontana da quella statuni­ tense), e il timore causato dallo spettro di una drastica ristrutturazione del settore, «Il declino del cinema italiano negli anni *20 è stato molto rapido: da un punto di vista solamene produttivo - conviene precisare - perché la qualità era quella di sempre, con una normale percentuale di film buoni e cattivi. Ed anche il confronto con là produzione estera che ci faceva una accanita con­ correnza sul nostro mercato, non ci appare cesi disastroso. Sono paragoni che ripugnano alla critica ma BenHur - del resto visto in Italia solo nel 1931 - era veramente superiore a Teodora? Come spettacolo, intendiamo, come attrattiva su un pubblico che intendeva, allora come oggi, essere distratto?3».

L Un primo cambio di passo Neirimmediato dopoguerra la percezione del mezzo cinematografico è mutata: nei territori recentemente annessi al Regno d *Italia ne viene sfrul-

*

La citazione proviene da Brunetta, Storia, vol. L cit., p. 228. La citazione originale

di Celine è ne II’arti colo Ctotwj sulla rivista «Paris-Midi» del 27 juin 1919,



R. Redi, Cinema mute Mno

1999. p 175,

Rama, Biblioteca di Bianca

Nero,

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tata la forza propagandistica, sia coi soldati, che con i civili. Il 3 dicembre 1918 il Capitano Capo Sezione P richiede films patriottiche e di guerra edite dalla Sezione Cinematografica del Comando Supremo o da quella della Regia Marina («graditissime ai soldati») per poterle proiettare a Me­ rano, Bolzano, Bressanone e Trento *. Nel dicembre del 1918 il Tenente Generale del Comandante dell’Armata Morrone, richiede a S.E. Coman­ dini, commissario Generale per l'Assistenza e la Propaganda Civile, alcu­ ne pellicole’ «Per efficace azione di propaganda fra le popolazioni oltre l'antico confine'». Richieste simili arrivarono dal governatorato di Trieste, da Pota, dal comando interalleato di Fiume e dal comandante della 9.a armata, anche lui interessato a proiettare filmati «Per svolgere attiva ed efficace propa­ ganda presso le popolazioni civili [...] che dovrebbero venir proiettate nei cinematografi già funzionanti in Udine e Gorizia9». Il repentino cambiamento d’atteggiamento dei funzionari italiani nei confronti del cinema è il frutto di una nuova sensibilità dei comandi civili o dei politici, modificatasi però in maniera sospettosamente rapida. Proba­ bilmente la frequentazione con tecnici dcirinformazionc alleati (francesi e soprattutto statunitensi) ebbe un ruolo rilevante nella percezione dell'ar­ retratezza italiana in questo settore, dato il successo che la cinematografia riscuoteva nel Paese.

1.1. La preoccupazione dei mercato

Il fascismo, dopo la marcia su Roma, non sconvolgerà il settore. Anzi per diversi anni non, compie nessun intervento radicale per fascistizzare il cinema. Come ha scritto Gili il regime si manifesterà negli anni Venti, unicamente in maniera negativa attraverso la censura. L’uso politico del

4

ACS, PCM. rnmmi^arìpfn (rrrwmlc pw l’nwisterviì civile e In propaganda interna,

b. 20. fase. 1099.15/1C.

1

II militare chiede che gli siano inviati il maggior numero di films. In particolare

domanda: Battaglia della Bainsàza, Battaglia dall ‘astica [sic] al Piave. Tira i ghiacciai e

le nevi del Tonale. Dal Trentino al Rombon, Il primo saluto di Trieste a! suo re. Dal Piave a Udine liberata. Dal Grappa a Belluno. La redenzione di Trento, Da Capo d'Istria a Fiume.

L’ingresso delle truppe italiane a Gorizia. Sono tutti film a carattere documentario.

1

ACS, PCM. commissariato generale per ['assistenza civile c la propaganda interna,

b. 19, Fase. 1099.6. corrispondenza con il comando supremo. Ufficio stampa c propaganda,

Sezione fotocinematografica. Lettera datata 16 dicembre 1918.

*

ACS, PCM» commissariato generale per l'assistenza civile c la propaganda interna,

b. 19. fase. 1099.6 Lettera del 6 dicembre 1918 dal colonnello capo ufficio stampa e propa­

ganda Grossi al commissario opere federate di propaganda c assistenza.

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cinema di fiction è ancora embrionale e il fascismo, se si esclude la stam­ pa, non ha grande attenzione alla propaganda10. Nonostante questo mancato intervento diretto vi sarà un’autofascist zzazione di alcuni elementi del settore11, che vedono nel fascismo una risposta affidabile al pericolo di una svolta socialista. Questa trasforma-

zione è testimoniata dalle pellicole a carattere risorgimentale degli anni ’20, capaci di proporrei una rilettura storica fascistizzata, incoi l’epopea dell’unità viene collegata a quella delle camicie nere12. Particolare non indifferente è che questa reinterpretazione cinematografica anticipa quella storiografica [inaugurata da Gioacchino Volpe col suo L’Italia in cammino (W27) in cui vi sono poche ma significative pagine dedicate all’epopea risorgimentale], TI PNF costruirà la propria politica cinematografica basandosi su un semplice principio: pieno sostegno alle istanze commerciali a discapito di quelle ideologiche. Anzi, vi è una certa Indifferenza del fascismo nei confronti dei film di fiction di propaganda0. Il PNF si voterà a promuove.-e, in totale accordo con l’industria privata, opere clic veicolino sem­ plicemente l’immagine di un Paese dove regna una concordia interclas-

” J.A. Oiìh Le cinema Mica pendant fes Années fingi, «Les cahicrs de la cinémaIhèque», 33-34 (1981). p- W, 11

Martinelli è tra i più autorevoli sostenitori di questa tesi. Ira gli altri si rimanda al

six> V, Martinelli., Pfimi ap/rvcci fra (hvmu e /udcriTw, «Immagine, Noce di storia del

cinema», 10(1985).

12

A differenza di quanto sostenuto da P. Soriin< C/io à i ‘écrtm ou Lhixfoife duna le

naif, «Revue d’histoire moderne et contemporainc», (1974), pp. 252-278, noto che vi sono diversi film risorgimentali in “camicia nera” già da prima che il fascismo si occupi dircitornante della cinematografia. Tra i vari (itoli mi limito a La cavalcata ardente ài Gallane

( 1925), Garibaldi e i sur» (empi di Laurenti Posa ( ! 926) e I martiri d 'Italia di Gaida ( 1927), Sorlin postdata rincontro tra cinema risorgimentale c fascismo al 1933, anno della realiz­

zazione dd film 1860.

J.A. Gi I i. La production courante, «Les cahicrs de la cinémaihèquew» 10-11 (1973X p, 104, sostiene che: «Dans la production de la période fasciste il y a un domairw que Ton

peut toni de suite aborder, c>st cclui du film de propagande. Contraircmcnt à et que l'un pourrait penser. cn vongeant par exempte à f A Ile magne nazi, ce type de realisations n‘oc­

cupo du point de vue quantitaiif qu'unc petite place. Le fascisme iTa mis en place aucune

polilique conccrtóe visant au loumage de film qui exalteraient sur Ics écrans Ics ntoriics du ventennio. Sans consignes precises, les producieurs et les realisaleurs n’ont querarcment cntreprisc des films de propagande déclaróe. De 1930 à 1944. on ne compie guère plus d’u-

ne tremarne de films pouvant Sire rungds dans la rubrique propagande, soil à peine un pcu

plus de 4% de la fotolito de la productions pour la périoJe considénée. Ce n’est qifaprts te 193< que te règi me commence à se prèoccuper plus nctlcmenl des tongs-métrages il de teur utiliytfton commc moyen de faconner l’opinìon

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sista. Come hanno sostenuto diversi ed importanti storici, la propaganda cinematografica ebbe un ruolo importante per il regime mussoliniano, ma venne affidata principalmente al mondo delPinfnrmazione, cioè al LUCE. In particolare condivido quanto sostenuto da Forgacs, per il quale, bisogna distinguere tra la produzione di documentari e cinegiornali, in cui lo stato si trovò coinvolto da subito, e i lungometraggi. Questi erano considera­ li competenza degli addetti delie case di produzione private. Durante gli anni *30 ci fu un aumento del comvolgimento statale nella produzione e si realizzarono film a forte sfondo ideologico, come Scipione I africano di Carmine Gallone, ma questo settore era considerato fuori dalle competen­ ze del Regime1*. Questa scelta non era solo politica. L’industria cinematografica sotto il fascismo crollò: i film italiani passati in censura passarono da 371 nel 1020 a 8 nel 1930.

IJ. 7hr censura efinanziamenti Nel prino dopoguerra vi soro numerosi interventi legislativi relativi al cine­ ma. Le Stato è costretto ad intervenire in vari modi per cercare di fermare la crisi che investi l’intero settore. Il definitivo tracollo dell'industria cinema­ tografica in Italia non vede indifferenti né gli imprenditori, né i politici En­ trambi agiscono ignorando le deficienze strutturali interne e la congiuntura intemazionale. II fascismo, nonostante “le grida di dolore" che invocavano l’intervento dello Stato già nell’epoca del muto, interviene realmente solo dopo l'avvento del sonoro15 II Regime mantiene un controllo decisive, ma non feroce, su tutto il settore e lo abbandona solo quando i danni causati dalla guerra lo costringono ad occuparsi di ben altri problemi. La mia analisi dell’evoluzione della legislazione di questo lungo ven­ tennio cinematografico analizza due principali fattori: la censura e gli aiuti che lo Stato decide di concedere ai privati.

1.3. La revisione cinematografica

La nuova regolamentazione è contenuta nel regio decreto #1953 del 9 ot­ tobre 1919 che autorizza (al. 2) il ministero dell’interno «A sottoporre a

14

D. Forgacs. Op. cit., pp. 101-102.

15

Gran parte degli interventi legislativi in seguilo analizzati sono citati anche in J.A.

Gili. Sfeto fascista e cinematografia. Repressione e promozione, Roma. Bulzoni et icore, 198 1.

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revisione [tutti] i copicni o scenari dei soggetti destinati ad essere tradotti in pellicole cinematografiche per la rappresentazione al pubblico16». Il regolamento di questa legge esce circa sei mesi dopo (contenuto nel regio decreto #531 del 22 aprile 1920), È ancora il ministero deJ'intemo a dover eseguire la revisione sempre attraverso l’analisi della proiezione. *arL 2 stabilisce però che prima «Il copione contente la particolareggia­ L ta descrizione delle varie azioni e l’indicazione delle singole didascalie» deve essere approvato dairUfficio centrale della Revisione cinematogra­ fica. L *art. 3 stabilisce che

«Il nulla osta per le pellicole da rappresentarsi in pubblico non può essere rilasciata quando si tratti della riproduzione: a) di scene, fatti e sogget­ ti offensivi del pudore, della morale, del buon costume e della pubblica decenza; b) di scene, fatti o soggetti contrari alla reputazione o al deco­ ro nazionale o al Perdine pubblico, ovvero che possano turbare i buoni rapporti intemazionali; c) di scene, fatti o soggetti offensivi del decoro e del prestigio delle istituzioni o autorità pubbliche, dei funzionari ed agenti dfdta foro pubblici^ del R esercito e della R armata, ovvero offensivi dei

privati cittadini; d) d: scene, fatti o soggetti truci, repugnanti [sic} o di crudeltà; anche se a danno di animali; di delitti o suicidi impressionanti di operazioni chirurgiche e di fenomeni ipnotici a medianici; e, in generale, di scene, fatti o soggc *.ti che passano essere scuola o incentivo al delitto». Il regio decreto #3287 del 24 settembre 1923 modifica ancora la nor­ mativa, L'art. 3 stabilisce che il nulla osta non possa essere rilasciato a film che trattino:

«a) Di scene, fatti e soggetti offensivi del pudore, della morale, del buon costume c della pubbl ca decenza; b) di scene, fatti e soggetti contrari alla reputazione ed al decoro nazionale c al l’ordine pubblico, ovvero che pos­ sano turbare i buoni rapporti intemazionali; c) di scene, fatti o soggetti del decoro o del prestigio delle istituzioni o autorità pubbliche, dei funzionari

cd agenti della forza pubblica, del Regio esercito e della Regia armata, ovvero offensivi dei privali cittadini e che costituiscano, comunque, l’a­ pologià di un fatto che la legge prevede come reato c incitino all’odio tra le varie classi sociali; d) di scene, fatti e soggetti truci, ripugnami e di crudeltà, anche se a danno di animali, di delitti e suicidi impressionanti; di

14

Come ho già evidenziato nel capitolo precedente, dal dicembre del 1917. le pellicole

propagandistiche dovevano essere approvate o dal ministero per l’assistenza errile o dal gabinetto del ministero per la propaganda.

68 operazioni chirurgiche e di fenomeni ipnotici e medianici, e, in generale.di scene, fatti e soggetti che possano essere di scuola e incentivo al delitto».

Nell’art. 4 si citano i casi in cui non è possibile concedere il visto per l’esportazione quando le scene, i fatti e i soggetti «Possono compromettere gli interessi economici e politici. Il decoro cd il prestigio della nazione, delle istituzioni od autorità pubbliche, dei fìinzionari cd agenti della forza pubblica, del Regio esercito e della Regia armala od ingenerare, all’estero, errati c dannosi apprezzamenti sul nostro Paese, opoure turbare i buoni rapporti intemazionali».

Nel primo dopoguerra non c’è un grande dibattito attorno ai criteri su cui ricostruire la censura, l’unico vero terreno di contesa sembra essere semplicemente la composizione delle commissioni. I limiti del visibile fissati dallo Stato mostrano l’assoluta continuità rispetto agli anni del conflitto. Col provvedimento del 9 ottobre si ridefiniscc lievemente quanto già stabilito col regolamento del 1914, che rimane sostanzialmente immutato anche in età repubblicana. Non sono consentite scene che minaccino il pudore, la morale, il buon costume, la pubblica decenza, la reputazione e il decoro nazionale. Né si lascia al cinema la possibilità di intaccare buoni rapporti nazionali. Intoccabili continuano ad essere i privati cittadini, i funzionari e gli ager.ti della forza pubblica. “I fatti truci o ripugnanti”, k crudeltà (anche su animali) c ogni cosa pos­ sa diventare “scuola di delitto” continuano a rimanere un tabù. Le poche novità riguardano una specifica menzione per .a sacralità dell’immagine dell’esercito e dell’armata, la marcata preoccupazione che il cinema possa divenire turbativa per Fondine pubblico e l’impossibilità di mostrare feno­ meni pnotici, medianici e le operazioni chirurgiche. I riferimenti espliciti all’esercito sono frutto delle recenti vicende bel­ liche ì dell’immagine (auto)prodotta dall’armata come grande fucina di uomini. Lo stesso vale perle operazioni chirurgiche, tema divenuto dram­ maticamente d'attualità con i drammi causati dalla prima guerra mondiale. Il fascismo si limita ad un sola modifica: il divieto di utilizzare il cine­ ma come strumento per incitare Podio tra le classi sociali.

La censura preventiva, introdotta in epoca bellica per alcune pellicole, viene estesa a tutti i film dal 1919 e, salvo una piccola parentesi nell’im­ mediato secondo dopoguerra, continua ad esistere fino agli anni Sessanta. La composizione delle commissioni testiir.onia il variare della sen­ sibilità politica nei confronti del cinema e soprattutto svela la contesa che attorno ad esso si accese. Dopo il periodo bellico, in cui la revi-

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stone veniva svolta da un solo funzionario della direzione generale di pubblica sicurezza (dipendente dal ministero dell’interno), si opta per una commissione composta da due funzionari della direzione generale di pubblica sicurezza, un magistrato, una madre di famiglia, un membro delle associazioni umanitarie impegnate nella protezione del popolo o della gioventù, una persona competente in materia artistica o letteraria e un pubblicista. La legge del 1923 modifica radicalmente la concezione della censura: il fascismo giunto al potere, infatti, reintroduce il singolo funzionario-censcre e, solo in secondo grado, le commissioni, escludendo sia la persona competente in materia artistica letteraria, che il membro dell’asscciazionismo umanitario. Al loro posto vengono aggiunti un altro funzionario della direzione generale di pubblica sicurezza ed un professore. Questa norma rimane attiva per circa un anno, perché, già nel settembre del 1924, si ri­ toma ad un giudizio collegiale, anche se estremamente tradizionalista. In primo grado sono chiamati ad esprimere un giudizio un funzionario della direzione generale di pubblica sicurezza, un magistrato ed una madre di famiglia. Nella commissione di appello sono invece presenti due capi di­ visione della direzione generale di pubblica sicurezza, un magistrato, una madre di famiglia, un pubblicista, un professore e (di nuovo) l’esperto in materia artistica letteraria. La commissione di secondo grado viene modificata nel 1927 (gli esper­ ti diventano due e con competenze anche nel campo delle tecniche cine­ matografiche) ma un nuovo trend si apre nel 1928 quando vengono inseriti nelle commissioni anche addetti ministeriali provenienti da altri dicasteri. Le nuove commissioni sono composte ancora da un addetto della direzio­ ne generale di pubblica sicurezza, un magistrato, una madre dì famiglia a cui però si affiancano un pubblicista (già presente nelle commissioni di secondo grado) due membri del ministero dell’economia nazionale e. solo per i film d’ambientazione esotica, uno dal ministero delle colonie. Il regime inizia veramente ad occuparsi di cinema in questi anni e la corsa per accaparrarsi posti chiave prosegue anche durante la scelta per la composizione delle commissioni. Nel 1929 al triduo formato dal funzio­ nario della direzione generale di ps, il magistrato e la madre di famiglia ci sono ancora i confermali due membri dal ministero dell'economia na­ zionale, il funzionario del ministero delle cclonic (solo per i film inerenti la propria attività), ma anche un membro del partito nazionale fascista, un funzionario dal ministero delle corporazioni, un addetto dell'istituto LUCE e un altro provenienti dall’ente nazionale della cinematografìa. La commissione di appello è molto simile: i funzionari della direzione gene­ rale di ps sono due e, in sostituzione dei due vernini del ministero dell’eco­ nomia, sono presenti due persone competenti in materia artistica, letteraria e della tecnica cinematografica.

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Nel 1931 scompaiono i due uomini del ministero dell’economia e al loro posto, solo per le pellicole che raccontano vicende belliche, vi è un membro del ministero della guerra. La commissione d’appello viene ri­ stretta a due capi della direzione generale di pubblica sicurezza, due addet­ ti del ministero delle corporazioni, un magistrato, una madre di famiglia e un membro del PNF. Il 1934 è un anno decisivo per la censura: questa, con la creazione della direzione generale della cinematografìa, abbandona il ministero dell’interno per il sottosegretariato alla stampa e alla propaganda. E solo in questo momento che la commissione si fascistizza eliminando sia il magistrato che la madre di famiglia per ridurre la gestione della censura a uomini scelti dai ministri idell’intemo, delle corporazioni, della guerra) e dal segretario del PNF (che selezionerà un uomo tra quelli iscritti al partito e un giovane del GUF). Anche la commissione di appello avrà la stessa struttura. L’ultimo intervento in questo campo avviene nel 1939 quando ai membri già attivi si affiancheranno un uomo del Minculpop e un funzio­ nario del ministero dell'Africa italiana, i quali si accomoderanno sia nelle cummissioni di primo che di secondo grado.

1.4. Dal laissez-faire al protezionismo

Nei lungo dopoguerra lo Stato non tenne un atteggiamento univoco col mercato cinematografico. In una prima fase vi fti un innegabile disinteres­ se per il comparto produttivo e una minima attenzione verso il ramo distri­ butivo. Il laissez-faire fu quindi incontrastato e la produzione fu lasciata sola in un momento di profonda crisi. Questa fallimentare politica venne progressivamente corretta, fino a raggiungere il suo opposto, un protezio­ nismo forte che permise un reale rilancio del comparto.

Dopo una serie di interventi di carattere fiscale con cui il regime innal­ zò la tassazione sulla settima arte, il primo importante provvedimento in ambirò cinematografico vuulu da un governo Fascista fù il rdl #1000 del 3 apr.le 1926 col quale gli esercenti furono obbligati a proiettare pellicole volte a favorire l’educazione civile e di fare propaganda nazionale. Circa un anno dopo, la legge #1121 del 16 giugno 1927, impose ai gestori delle sale di proiettare pellicole nazionali per almeno la decima parte delle gior­ nate di spettacolo (salvo nel periodo estivo, segnato dalla cronica chiusu­ ra deile sale). Questo provvedimento, pensato come architrave del nuovo sisrena cinematografico nazionale, ne evidenziò tutta la debolezza, vista l’incapacità di occupare uno spazio di mercato appositamente creato (an­ che se la legge prevedeva che solo le opere artisticamente e tecnicamente degne potessero essere premiate con la proiezione obbligatoria).

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Esito diverso ebbe, soprattutto nella percezione dei contemporanei, la legge #918 del 18 giugno 1931 col quale, in cambio di un controllo sui contenuti, ma soprattutto sulla nazionalità delle maestranze occupate per le riprese, il governo si impegnava a elargire a quei film italiani, realiz­ zati con sufficienti qualità artistiche, alcuni premi economici fino ad un massimo del 10% sugli incassi lordi. Col regio decreto legge #1414 del 5 ottobre 1933 (convertita in legge il 5 febbraio 1934) venne proseguito l’in­ tervento legislativo in questo senso: si istituì una tassazione delle pellicole estere e un sistema di buoni di doppiaggio che permetteranno ai produttori italiani di distribuire tre film esteri esentasse per ogni film nazionale rea­ lizzato. Gli obblighi non vanno ad influenzare il solo lato produttivo, ma anche quello distributivo, perché gli esercenti delle sale cinematografiche di prima e seconda visione assoluta delle dieci città capoluogc di zona cinematografica e delle sale di prima e seconda visione delle citta con po­ polazione superiore ai 50000 abitanti, avranno l’obbligo di proiettare, per ogni tre pellicole cinematografiche sonore estere ad intreccio, di metrag­ gio non inferiore ai 1500 metri, almeno un film nazionale, con l’obbligo di proiettare, almeno tre pellicole nazionali tra il 1° ottobre ed il 30 giugno. Con l’istituzione del Sottosegretariato di Stato per la stampa e la pro­ paganda vengono devoluti a questo ente le competenze dei Ministeri ddl'lntemo e delle Corporazioni, rispettivamente sulla vigilanza governa­ tiva sui film e le provvidenze in favore della produzione cinematografica nazionale (regio decreto legge # 1566 del 28 settembre 1934). Con l’appro­ vazione della legge #1143 del 13 giugno 1935 si ampliano gli aiuti eco­ nomici al settore produttivo, con la concessione di anticipazioni a favore delia produzione cinematografica nazionale. Un comitato, composto da un rappresentante del sottosegretario stesso con funzioni di presidente, un rappresentante del ministero delle finanze, un rappresentante dc la SIAE e un funzionario del sottosegretario per la stampa e la propaganda, sono chiamati ad analizzare le domande di finanziamento (sotto il profilo finan­ ziario, tecnico e artistico) e a decidere se fornire un finanziamentc (fino ad un terzo del costo totale del film). La somma non è fornita a fondo perdu­ to, ma verrà riscossa solo dopo la fine dello sfruttamento del film in sala (e, in caso di incasso insufficiente, il produttore è chiamato a ripagare le spese non recuperate). Con il regio decreto #2504 del 14 novembre 1935 viene istituita una sezione autonoma della Banca del Lavoro per finanziare questo settore (fino al 60% del costo complessivo di una pellicola) se i produttori riusciranno ad ottenere il consenso dagli addetti del Ministero per la Stampa e la Propaganda. Altro provvedimento volto a favorire indirettamente l’industria nazio­ nale è l’aumento della tassa di doppiaggio. Con il regio decreto legge #861 del 29 aprile 1937 la tariffa venne raddoppiata (da 25 mila a 50 mila lire)

72

con un ulteriore aumento tariffario per i film di grande richiamo (capaci di far incassare allo Stato fino a 60 mila lire). Per la produzione di pellicole italiane, i produttori vengono premiati con quattro buoni di doppiaggio gratuiti per la realizzazione di ogni pellicola nazionale. Negli anni ia tas­ sazione continuerà a salire (venivano richiesti fino a 75 mila lire per il dop­ piaggio e 160 mila lire per i buoni incassi) e i buoni sui film esteri calano (da quattro a due). Dopo l’approvazione delia legge Alfieri, le quattro più impelanti case di produzione statunitensi (20th Century Fox, MGM, Pa­ ramount e Warner) decidono di ritirarsi dal mercato italiano dal I gennaio 1939. causando una forte riduzione dei film statunitensi in Italia. Oltre agli aiuti indiretti il fascismo, con il regio decreto legge #1061 del 16 giugno 1938 (convertito in legge, numero #458, il 18 gennaio 1939), aumenta gli aiuti di Stato (il premio per i film nazionali sale al 12% del l’introito lordo che, in base agli incassi, può arrivare fino al 25% e ad un ulteriore 10% in caso di vendita o noleggio del titolo all'estero}, ero­ gabili anche in maniera discrezionale (il Minculpop può elargire ulteriori pieni, speciali ai produttoii). Libero Solatoli, anni dopo, criticò questa politica “degli aiuti”: «Fin dalla stagione 1936-1937 lo Stalo cominciò ad aiutare finanziaria­ mente la produzione, dapprima con un terzo dell’ammontare del costo pre­ ventivato, poi, riconosciuto questo metodo troppo soggetto a corruzione, con un premio proporzionale agli incassi lordi effettuati dai film (legge Alfieri) e con altri provvidenze come buoni di doppiaggio, assegnazione di contingente valutario, ecc. Nel 1938, sulla direttiva della politica autarchi­ ca, fu creato anche il monopolio statale per l’acquisto dei film esteri che sopprimeva ogni soffio di libertà, con il risultalo di allontanare dal mercato italiano le case americane che vi avevano spadroneggiato fin allora mercé la geniale applicazione iuliana dei doppiaggio. Il congegno della legge Al­ fieri, basato sugli incassi lordi, finiva per incoraggiare il produttore verso un tipo di produzione facile e dozzinale (..

La storia della legislazione procede attraverso il secondo conflitto mondiale, ma questa vicenda, segnata dall’emergenza bellica, non sarà analizzata nel saggio perché i film sulla guerra 15-18 torneranno ad essere predetti o a circolare in Iulia solo dopo il 1945.

” Testimonianza di Libero Solaroli, pubblicata in L'avventurosa storia del cinema italiane, vol. I, Da La cantone dell'amore a Sema pietà a cura di F. Faldini c .scontro politico sulla guerra nell'estate 19!9, per comprendere quanto acceso foste il dibattito rulla guerra appena terminata. Specifico sulla retorica politica e la memoria del conflitto < il volume di A. BaraveOi, La vittoria smarrita. Legittimità c rappresentazioni

delia Grmtde Guerra nella crisi dei sistema liberale (1919-1924), Roma, Carocci, 2OQ5.

21

Rechat. L'Italia nella prima guerra mondiale, cit.. p, 11.

77 L’industria cinematografica è un settore che necessita di ingenti capi * tali e che, come vedremo, mantiene un orientamento paternalistico e con­ servatore. I pochi film su questo tema hanno caratteristiche comuni: Vhappy end (quattro casi), le difficoltà amorose (tre casi) e, uno dei personaggi prncipali, diventa cieco durante il conflitto (ancora tre casi). Mancano riferimenti a menomazioni di altro tipo, facendo quindi presumere che la maggiore attenzione nei confronti di questo tema non sia casuale data la pregnanza sia a livello simbolico (l’impossibilità di vedere il nuovo mon * do uscito dalla guerra, spesso dipinto come Ingrato e freddo nei confronti dei reduci), sia drammaturgica (la perdita della vista impedisce ai soldati di rivedere i propri cari) della cecità. Le mutilazioni rimangono uno dei grandi tabù della cinematografia italiana che ha sempre cercato ti evitare le menomazioni fìsiche all’interno delle pellicole di fiction. Non casual­ mente questo collegamento è assente anche nel prezioso studio di Barbara Bracco2*. Iniziano a comparire i primi riferimenti cinematografici all’aviazione, ai bombardamenti, alle difficoltà del rientro dei reduci. La guerra di mate­ riali, aspetto caratterizzante di questo conflitto, viene mostrata attraverso le sue novità tecniche: due film sul l’aviazione, altri due sui bombarda­ menti e uno sulla guetra sottomarina, mostrano il nuovo tipo di sforzo bellico che il Paese deve affrontare. È difficile trarre ampie conclusioni

a proposito del cinema italiano dell’immediato dopoguerra: pochissimi i film giunti fino a noi, spesso ignorati o relegati ai margini dalla stampa specializzata a loro contemporanea; queste opere sembrano non proporre un'ampia rivisitazione dell’immagine della Grande Guerra. In Lnea con quanto avvenuto in altri contesti, ma in maniera estremamente cauta, i film di questo periodo ampliano il visibile mostrando due conseguenze del conflitto fino a quel momento probabilmente oscurate: la morte di massa e il difficile reinserimento dei reduci nella vita civile.

n Mi riferisco a B. Bracco, La patria ferita. I corpi dei soldati italiani e la Grande guerra, Milano, Giunti, 2012. Il saggio mostra come un'immagine pubblica del mutilato fu proposta già durante la guerra (ad esempio all'Esposizione nazionale della guerra di

Bologna del novembre 1917) ma in contesti che mostravano una parabola narrativa (p. 134): «Volta a inserire l'orrore entro la cornice rassicurante della moderna riparazione». Le

immagini fotografiche, di fronte alla devastazione delle guerra, lasciavano il posto (p. 202) «Al pudore, se non all'occu.tamento». Una trattazione differente della materia avviene,

neir illustrazione, dopo la morte di Toti. In proposito si veda l'ultimo capitolo del saggio.

Muntati in effige.

78

Le poche pellicole giunte fino a noi (Umanità *, adattamento per lo schermo del poemetto omonimo, e, in maniera parziale, Non è resurre­ zione senza morte1') sono film che hanno avuto scarsa circolazione e un impatto minimo sul pubblicc contemporaneo. Vista l'unicità del modo di trattare la guerra proposto in Umanità, Tasposizicne cinematografica del poemetto omonimo di Brevetta, destinato ad un pubblico di piccoli spettatori, reputo importante non liquidare il film in questione in maniera perentoria. Protagonisti della pellicola sono due bambini che, nel cuore della notte, mentre i genitori dormono, mangiano marmellata e fumano. An­ che i piccoli poco dopo si addormentano e sognano le distruzioni belli­ che prodotte da un bombardamento. Uno gnomo si unisce a loro e in­ sieme vagano sulla terra, senza guerra, ma anche senza altri abitanti. Il terzetto arriva sul fronte dove si possono vedere le distruzioni causate dal conditto. Il piccolo Tranquillino vuole rifare il mondo e chiede as­ sistenza e consiglio a Dio che però nega ogni aiuto, incoraggiando il protagonista a farsi muratore per ricostruire il mondo. Sono gli animali a proporre un mondo nuove dove tutti saranno vegetariani e disarmati. Chi non rispetta queste leggi dovrà dirsi non più bestia, ma uomo. I due bimbi si sentono offesi e, per vendicarsi, prendono un monoplano e bombardano gli animali. I due capiscono i propri errori e provano a rico­ struire un mondo senza armi, ma ne trovano sia sottoterra che in fondo al mare e, per risolvere questo problema, richiedono l’aiuto di Dio per avere l’occasione di iniziare daccapo, eliminando tutti gli strumenti di morte. Il piccolo protagonista, appena terminata la preghiera, uccide una tartaruga senza motivo. Dio rifiuta di rifare il mondo e prende con sé in paradiso il bambino, dicendogli che ogni popolo deve godere di quanto riesce a produrre con la propria virtù e non di quello che ottiene con la violenza. Lo scopo degli individui deve essere il sacrifìcio per il bene dell’umanità tutta e non l’uccisione dei propri fratelli.

w

II film i custodito presso la Cineteca Nazionale ma ad oggi non i possibile ricostru­

irne il pctcorso distributivo, trattandosi di uno dei rarissimi casi in cui si è conservata la

pellicol a ma non si hanno notizie di un suo passaggio in censura. "

Per semplicità mi sono riferito aU’opera che ho consultato come ad un film, in realtà

dell’opera di Bcncivenga si sono salvati solo alcuni fotogrammi che ne hanno permesse un

rimontaggio parziale. Alcune notizie su di esso sono contenute in un servizio sulle Giornate del cinema muto di Pordenone del 1988. apparso sulla rivista «1895 - Bulletin de l'atso-

ciation frtneais de rccherchc sur l'histoire du cinéma», 26 ( 1998). La pellicola mostra una vicenda d'ambientazione montenegrina da leggersi come una dimostrazione degli interessi

italiani sull'Adriatico, contrapposti a quelli serbi. Ix troppe sabaude svolgono un ruota di

supporto site popolazioni locali e di racconto con gli altri eserciti alleati.

79 Nel film viene propasta una lettura antropologica della guerra: l'uomo è per natura violento e. per non autodistruggersi, deve darsi leggi nuove, fedeli alla tradizione cristiana. La prima guerra mondiale viene utilizzata come sineddoche delle distruzioni della modernità, monito ultimo all'u­ manità per costruire una pace duratura.

3.2. il nostro d'accuse: L'uomo che vide la morte

Tra le pellicole oggi non disponibili una, in particolare, ha subito atti­ ralo la mia attenzione: L'uomo che vide la morte. Il film, diretto da Luigi Romano Borgnetto (gii co-regista di Maciste Alpino) sembra condensare la rabbia e la delusione dei reduci al termine del conflitto. Il dottor Mario Beri ha partecipato alla prima guerra mondiale ed è sopravissuto; mentre è n viaggio verso casa pensa a quello che ha abban­ donato per difendere il proprio Paese. Dopo aver vissuto a stretto contatto con gli orrori del conflitto, sogna di ritornare in un mondo felice, ma il suo rientro è diverso da come se lo era immaginato: i fratelli, imboscati, si odiano tra toro, la sua fidanzata lo ha abbandonato per il suo miglior amico e, a causa delia crisi economica, Mario non riesce a trovare lavoro. Berti non riesce a trattenere un pensiero per i suoi compagni, in trincea, che, nonostante la vicinanza continua con la morte, sono sempre rimasti onesti e generosi. Il dottore ha orrore dell'Italia uscita dal conflitto, incu­ rante dei sacrifici dei suoi soldati. L’unico personaggio che non delude il protagonista è sua madre, capace di trasmettere a suo figlio fiducia verso l’avvenire, verso il domani e verso i bambini. Berti si dedica all’educazio­ ne dei giovani, con la speranza di renderli uomini migliori rispetto a quelli che lo circondano.

La stampa rimase felicemente impressionata dalla pellicola: in un arti­ colo apparso su «La vita cinematografica», non mancarono gli elogi: «[Il film] incontrò il più lusinghiero successo [.. ]. Invero questa non è un’o­ pera comune di cinematografo. Luigi Romano Borgnetto ha avuto una grande visione sociale ed umana, non solo, ma ha saputo renderla con­ venientemente, dimostrando che si può fare opera di pensiero e di poesia anche con il cinematografo»32. La pellicola mostra la disillusione di chi ha combattuto e, rientrato a casa, vi ha trovato scio dolori e delusioni. Viene introdotto in questo

In «La vita cinematografica», 35-36 (1919).

so modo il tema del reducismo nostalgico della vita in trincea, di brotherhood orientata non in senso nazionalista, ma umanitario. I .a *neschinitA continua a prosperare anche in periodo elettorale: «Ami­ ci e sconosciuti si azzuffano e si accoppano per servire alla vanità di un ambizioso o alle lusinghe d’un furbo» sperando di ottenere cosi dei be­ nefìci personali. 11J'accuse di Borgognotte attacca uomini e donne, tutti considerati infedeli, profittatori e interessati. L'unica certezza rimane il culto della madre: buona e amorevole come prima della guerra, modello per costruire una nuova civiltà.

Focus: // cinema delle rovine La fine delle ostilità non coincise con il ritorno ad una supposta norma­ lità. perché fu impossibile far sparire improvvisamente quella cultura di guerra che si era diffusa nei Paesi coinvolti nel conflitto. Alcune pellicole ottennero un grande successo di pubblico e di critica perché riuscirono a dar forma all’immaginario collettivo.

Un primo spartiacque nel modo di raccontare la guerra è J'accuse di Abel Canee31 *33. La vicenda è quella di un triangolo amoroso: due uomini, molto diversi tra loro, Francois e Jean, amano la stessa donna, Edith, sposata al primo. I due si trovano in prima linea nello stesso reggimento dove Jean è ufficiale e Francois soldato semplice. Più il tempo passa, più i due, nonostante la rivalità in amore, fortificano la loro amicizia. Edith intanto è stata stuprata da un soldato tedesco ed ha partorito una bambina. Francois fatica ad ac­ cettare la presenza della piccola, ma chiede a Jean, nel caso lui morisse, di vegliare su entrambe. Poco dopo il marito di Edith muore, stringendo la mano del suo amico Jean. Questi, una volta dimesso, ritoma al proprio villaggio, convoca tutti gli abitanti e annuncia loro che i caduti si sono levati dalle tombe per capire se il loro sacrifìcio è stato vano. Alcuni civili

31

Su questa pellicola sì rimanda a vari saggi che analizzano, sotto vari aspetti, il Him

di Gancc: L, Véray. J'accuse. un film conforme aux aspiration de Charles Pathé et à Fair du temps, in «1895»: Du cote de Chez Pathé (1895-1935), 21 (1996), J. Home, Film and Cultural Demobilization after the Great War: the two version of "J‘Accuse “ by Abel Canee

(1918 and 1938), in Mchy, Rcsistence, liberation. New perspectives on wartime France,

edited by II. Oiamond and S. Kitson. Oxford-New York. Berg, 2005 e L. Véray, J'accusc

(19)8. 1937, 1956): la trilogia defla Grande guerra di Abel Gance, in «Memoria e Ricer­ ca», 49 (2015): Orizzonti di guerra. Il primo conflitto mond ale e il cinema de! Novecento,

a cura di G. Alongc c B. Bracco.

81

vengono apertamente accusati da Jean per la loro condotta durante la guer­ ra. I morti, dopo aver visitato per rultima volta i loro cari, abbandonano il mondo dei vivi. Il finale introduce una tema di leopardiana memoria: quel­ lo della natura indifferente ai dolori dell’uomo, in questo caso immobile di fronte al dramma della guerra: Jean, il poeta, ritrovando una sua raccolta di componimenti inizia a strapparne le pagine fino a che non si imbatte in un poema dedicato al sole, ritenuto colpevole di non aver impedito l’im­ mane carneficina. Dopo quest’ultimo sfogo il protagonista muore.

J’accuse è oggi considerato da molti, a torto, uno dei primi film paci­ fisti prodotti sul primo conflitto mondiale. Già VérayM ne ha illustrato la complessità ideologica, mettendo in luce la permanenza di vari elementi nazionalistici affiancati, però, da uno spirito di fratellanza, capace di unire in uno stesso destino francesi e tedeschi. Molti sono i temi che vengono affrontati in maniera originale nel film e che lo classificano cerne un prodotto differente dalle pellicole patriotti­ che prodotte fino a quel momento: il duello amoroso che vede trionfare l’amante sul marito (ben prima della morte di quest'ultimo), il timore con­ clamato dell'infedeltà della moglie (che Francois manda presso i propri parenti perché la controllino), gli attacchi agli imboscati, i morti mostrali in pose scomposte, i ’'tigli della violenza”1’, lo shock di Jean (probabil­ mente uno shell shock) prima dell'attacco a St. Mihiel. La sequenza che ha però reso celebre il film è quella della parata dei morti. Oltre che per la fòrza evocativa delle immagini, questa colpisce per il sottotesto morale: i caduti ritornano alle proprie case per controllare di non essere trapassati irr motivatamente, il loro sacrificio deve essere risar­ cito dà chi è sopravvissuto attraverso una condotta appropriata. Lo spirito polemico di Gance testimonia una tensione diffusa già du­ rante il conflitto (si pensi ad alcune pagine de Le feu di Barbusse) che trova nel dopoguerra un importante supporto nelle rivendicazioni delle associazioni di reduci e nella letteratura prodotta da alcuni anciens com­ batants (per citare solo un nome tra i tanti possibili, non solo francesi, si pensi al durissimo capitolo Le retour tlu hèrux nel romanzo Les crotx de bo’s di Dorgèles). Molli sono, però, gli elementi che dimostrano la contiguità con le pel­ licole patriottiche affermatesi durante la guerra: il mito della revanche (il padre di Edith è un combattente della guerra del 1870 e custodisce una

M

Véray, La granfe guerre aa

w

In Italia sono così sopTsnnominali i bambini nati in seguilo ad uno stupro perpetrato

eh., pp. 77-83.

da un soldato occupante, Il fenomeno si verified sia durante la prima die la seconda guerra mondiale.

82

carta geografica in cui è possibile leggere “Mon Alsace, ma Lorraine”), la gioia per la mobilitazione e l’inizio delle ostilità, l’eroismo di Jean (che rimane un personaggio senza macchia e senza p^nra. novelle» Parisfal in mezzo alla guerra moderna), ’amicizia tra i due uomini che fa sospendere, per la sola durata della loro permanenza al fronte, i loro screzi, la presenza a fianco dei poilus di un guerriero gallo e della scultura de / volontari dei l 792 (o La marsigliese) di Francois Rude, entrambi simboli di una certa retorica nazionalista. Se già Mères fran^aises non nascondeva i cesti umani del conflitto, J accuse non esita a mostrare né i costi materiali, né la violenza della guer­ ra. Le immagini dei danni causati dai tedeschi in Francia (in particolare al patrimonio culturale del Paese) e la descrizione realistica delle trincee (con il fango, l'acqua che ristagna, lo sporco...) sono, per noi spettato­ ri contemporanei, riferimenti quasi scontati, ma all'epoca scioccarono il pubblico per il loro realismo. In Italia il film fu prima vietato, poi consen­ tito in appello, dopo alcuni tagli: «I) Nella 3a parte sia tolta la versione dello scheletro che appare nel vano della finestra e della stanza in cui trovansi Jean Diaz e Edith; 2) Nella 4a parte siano tolte le scene della trincea con cadaveri in pose macabre36», «Siano tolti tutti i quadri in cui si vedono cadaveri stesi al suolo37». Il fascismo non apprezzò il film, tanto che, meno di sei mesi dopo la marcia su Roma, venne revocalo il nulla osta36 renden­ do la proiezione della pellicola illegale in Italia. La stampa francese apprezzò, quasi all’unanimità, il film. I redattori di «Cine Journal» scrissero: «Nous pouvons, dés maintenant et rien ne nous est plus agréable, consister les qualité exceptionnelles d’une oeuvre qui s’impose par le caractère poignant du sujet, la perfection dans la réalisation scénique et Pincomparable effort d’art dòti elle témoigne5’». Due

settimane dopo la rivista dedica un lungo editoriale al film di Gance il cui lavoro viene apprezzato per la lucidità con cui venne descritto il conflitto appena terminato: «Alors que d’autres, différemment inspirò, se complaisent dans la recherche des tableaux qui glorifìent pompeusement 1 ’effort militaireet magnifìent la victoire des armes, lui s’applique à la fa?on d’un

M

MIBAC. MARC, indice 1914-1921. ve 14504.

11

MIBAC, MARC, indice 1916-1921. ve 14506. Il film ebbe tre diversi ve perché in Ita­

lia venne distribuito in tre parti, come chiarito dall’annotazione presente sul registro censirà. “

I n un'annotazione del marzo 1923 conservata presso MIBAC, MARC si trova que­

sta dicitura: «In data 18 aprile 192; è stalo revocato il nullaosta #14504-14505 e 14506

del 16 febbraio 1920 per la rappresentazione in pubblico della pellicola cinematografica dal titolo J'accuse. della marca Patite. it tre tempi, rispettivamente di metri 1571 - 1129 e 999 ciascuno». " Articolo non firmato, J‘accuse, «Ciné Journal», 5 avril 1919,

83

Barbussc ou d'un Vaillant Couturier, à nous émouvoir par Ie spectacle du mirtyre consenti par le soldat40». Una parte della stampa considerò il film immorale e privo del rispetto dovuto ai morti in guerra, non furono inoltre apprezzati lo scarso spirito patriottico e l’arrendevolezza con cui vennero rappresentati i soldati41.

Altra pellicola seminale, che si differenziò dalla maggior parte delle produzioni correnti, fu The Four Horsemen of the Apocalypse. La vicenda ruota attorno a Madariaga, un emigrante europeo che ha fatto fortuna in Argentina. Una delle sue figlie si sposa col francese Marcel De * snayers, raffinato amante delle ani, che ha abbandonato il proprio Jaese nel 1870 durante la guerra franco prussiana per non dover venire meno alle pro­ pine convinzioni socialiste, l'altra col tedesco Karl von Hartrott. Se la prima coppia alleva i figli, Julio (interpretato da Rodolfo Valentino) e Chichi in maniera liberale, la seconda (che espone in casa un ritratto di Bismarck) in * culca alla prole una forte devozione per il Paese d’origine del padre. Morto Madriaga, von Hartrott conduce la sua famiglia a Berlino mentre Desnoyers e i suoi ritornano a Pargi, dove Julio si dedica alla pittura, ma, principal­ mente, alla seduzione, fra le sue prede vi è Marguerite, la moglie di un amico del padre che sari costretto ad arruolarsi. Julio sfrutta a suo vantaggio la distanza dal marito fino a quando quest’ultimo diventa cieco e la moglie abbandona l’amante per dedicarsi alla cura dei malati. Respinto dalla don * na amata Julio, decide di arruolarsi e diventa un ottimo soldato che muore co.pito da una granata, insieme al cugino di razionalità tedesca, durante un pattugliamento nella terra di nessuno. Il film si conclude con la visita della famiglia e degli amici alla tomba di Julio, in un’enorme necropoli. Nonostante un finale riflessivo, in cui emerge «Lo sgomento per l’in­ credibile bagno di sangue, uno sgomento che porta anche i perfidi tedeschi a rivedere le loro opinioni47», la pellicola si caratterizza per la permanenza di un’immagine negativa dei soldati tedeschi: gli ulani combattono, sac * cheggiano, stuprano e uccidono i civili. Le immagini di Ingram superano per brutalità tutte quelle mostrate fino a quel momento, tanto che in Fran­ cia il film non otterrà immediatamente il benestare della censutt (con la benedizione dell’ambasciata tedesca, felice di impedire la circolazione di un film cosi ostile nei confronti della Germania)41.

" G. Dureau, J'accuse, «Cine Journal». 19 avril 1919.

41

Queste c altre critiche sono citate da Daniel. Op cit., p. 68.



Alonge, Cinema, cit.. x 77.

°

Veray. La grande guerre au cinema, cit.. p. 91.

84 3.3. Il dopoguerra fascista

Il lungo ventennio in cui il Fascismo dominò la vita politica d'Italia si ca­ ratterizza per la scarsa coerenza del PNF nel trattare il conflitto 1915-18, Se st escludono // grido dell’aquila, il primo film realmente fascista, pro­ dotto e distribuito senza l’appoggio del partito, e Camicia nera, la pellico­ la celebrativa del decennale della marcia su Roma, è possibile leggere una sostanziale continuità con il periodo liberale, quantomeno per il campo della fiction cinematografica. Come vedremo è fuorviarne affermare, come fa il noto storico del ci­ nema Gian Piero Brunetta, che la prima guerra mondiale «Spesso oggetto della narrazione documentaria o spettacolare [sia utilizzata in] una serie di opere che hanno lo scopo di tener ben viva la fiamma dello spirito nazio­ nalistico41». Tanto che è poi lo stesso studioso a spiegare che «La prima guerra mondiale non appare un tema utile per il presente e quando la si affronta sarà solo in termini di un’ideologia alpina del tutto anacronistica e tradizionalista rispetto ai bisogni delle ambizioni imperiali, o al volto indusUiak die si cerea va di dare all’Italia dei primi anni trenta”». Base della mitologia fascista è l'intenzione di porsi come continuatori morali dello spirito della Grande Guerra. Mussolini attacca duramente la condotta dei politici italiani a Versailles e, arrivato al potere, glorifica gli uomini di Vittorio Veneto inserendoli al centro cella mostra del decenna­ le della rivoluzione fascista (insieme ai caduti del proprio movimento). Negli anni Trenta, nonostante il maggior peso dei miti imperialistici e ro­ mani, continua la glorificazione della prima guera mondiale, sia a scuola, che nella monumentai istica, persino favorendo i reduci nei concorsi per la pubblica amministrazione. Stupisce la facilità con cui molti storici hanno liquidato il disinteresse cinematografico del PNF verso la prima guerra mondiale, vista, tra l’altro, la ricca bibliografìa dedicata al rapporto tra cinema e fascismo. Se è vero che il tema cinematografico della Grande Guerra non è stato uno tra i più frequentati di quegli anni, questo non si­ gnifica che sia stato ignorato o che possa vantare solo tre film44. Lontano dal proporsi come un sostenitore disinteressato della settima arte. Musso­ lini concentra il suo sforzo esclusivamente a favore del cinema educativo (cinegiornali e documentari) limitandosi a sorvegliare quanto viene distri­ buito nel Paese.

**

Brunetta, Storia del cinema. vol, I. ciL. p. 277.

"

A4 p. 133.

M

Come sostiene, ad esempio, J. A. Gi I i nel suo Film storico efilm in costume. in Cine­

ma italiano sotto ilfascismo, a cura di R. Redi, Venezia, Marsilio, 1979, p, 134.

85 Il tema bellico attira l’attenzione della censura fin dalla fine digli anni ’20. In questo periodo il primo conflitto mondiale ritorna alla ribalta, ma molti importanti film stranieri che mostrano una visione del conflitto dif­ ferente da quella proposta dal regime non vengono mai accettati dall’Italia fascista e (alcuni) possono circolare solo nel secondo dopoguerra. In una circolare ministeriale del 5 novembre 1928 leggiamo:

«Si è soverchiamente saturato il pubblico italiano di produzioni nelle quali viene esaltato lo sforzo degli eserciti alleati nella grande guerra, c» che costituisce indirettamente una svalutazione per lo sforzo ben più peroso c glorioso compiuto dall'esercito italiano sul sjoIo della Patria e sui campi di battaglia ... Inoltre in tali films sono proiettate scene addirittura ma­ cabre che impressionano tristemente il pubblico e deprimono lo spirito patriottico, specialmente nelle donne e nei giovani...47». Il ritomo d'interesse dei registi per la Grande Guerra può avere molte cause: l’arrivo al potere di un regime che si credeva continuatore morale dello spirito delle trincee4*, l'introduzione del sonoro49, giudicato da molti come il limite fondamentale da abbattere per rievocare la prima guerra mondiale, la possibilità di utilizzare le pellicole per scopi denigratori con­ tro altre nazioni90. Non va sottovalutata la possibilità che i film sulla guer­ ra, ormai divenuti dei veri e propri film in costume91, mirassero ad ottenere

4T Circolare del ministero degli Interni datata S novembre 1928 citata in Brunetta, Sto­ ria del cinema, vol. II. cit., pp. 34-35. 11

Questa vicinanza “ideale” non viene scalfita nemmeno dalla cattiva accoglienza ri­

servata ai primi film che prepongono un legame troppo stretto tra cinema c prima guerra mondiale. In proposito si vedi V. Martinelli. Il cinema muto italiano 1924-1931 !film degli

anri venti, Torino-Roma, Nuova Eri e CSC. 1996. p. 7, n cui fautore scrive: «Queste e altre opere del genere |...] vengono messe ad una feroce berlina dai giovani c bellicosi critici di giornali fascisti come “Epoci”, 1* “Ambrosiano”. “Il Tevere” o “Il popolo d’Italia”». Anche

P. Sorlin, Cinema e identità europea: perenni nel secondo novecento. Firenze, l ji Nuova

Italia, 2001. p. 39: «In Italia B ricordo del conflitto era molto doloroso: ciò impedi ai registi di trasferire nel film la versione ufficiale delta mobilitazione». H

Suirimponanza del riuscire a cogliere i difterenli suoni della guerra in letteratura si

veda E. Jùnger, Nelle tempeste d'acciaio, Parma. Ugo Guanda, 2002 (ed. or. 1920], pp. 31

e 1 &2 c E. M. Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Milano. Mondadori. 2001 (ed or. 1929]. p. 102. Along:, nel suo Cinema, cit., tratta l’importanza dello sviluppo del sonoro (da p. 127). È però doveroso specificare che questa rivoluzione tecnica non viene

utilizzata in Italia, negli anni Trenta, con particolare originalità. * Giìi, Film storico, cit.. p. 138. ”

N. Pronay in The British post-bellum cinema; a survey of thefilms relating to World

War 11 made in Britain between 1945 and I960, in «Historical Journal of Film, Radio and

Television», 8 (1998), p. 40 sostiene che dal 1932 ci fu un numero sempre maggiore di

86 quei premi destinati ai titoli di maggior incasso, potendo sfruttare l’ampio battage pubblicitario orchestrato dalle proprie case di produzione. Tra : film in costume di quegli anni si preferiscono però, per scopi pro­ pagandistici, quei film che cercano le radici fasciste neH’antichità. Come sostiene Giii: «In un certo senso, il discorso viene fatto sulle origini lonta­ ne piuttosto che su quelle immediate: il fascismo tenta di recuperare nella storia una specie di legittimità”».

Nelle mie ricerche ho individuato trenta film italiani prodotti in que­ sti anni che affrontano, a volte anche in maniera marginale, il tema della guerra. Analizzando le tematiche delle varie pellicole vediamo che l’ipctesi di una continuità ideale tra camicie nere e fanti della Grande Guerra trova solo se. riscontri, equamente distribuiti negli anni. Sicuramente ha mag­ gior successo (nove casi) quella di vedere nell’itrmediato dopoguerra una sorta di età buia dell'Italia che si pone tra le glorie della guerra e quelle del fascismo. Il cinema fascista rimane fedele ai generi popolari; racconta storie d’amore (otto) che generalmente si concludono con un lieto fine (sette casi). Contraltare di queste tenerezze sono i film drammatici (che spesso sfociano nel melodramma napoletano) e i film in cui uno dei protagonisti muore per espiare una colpa, solitamente di tipo ideologico (disfattismo, adesione al socialismo, sentimento patriottico treppo tiepido...). Osservando la messa in scena della guerra proposta durante il ven­ tennio possiamo ridurre il panorama a tre opzioni principali: I ) i film che trattano una vicenda ambientata durante la guerra, in cui la vita militare e il coinvolgimento bellico occupano il fulcro della vicenda; 2) un racconto in cui la guerra è una tappa nel cammino della storia italiana che conduce al fascismo; 3) vicende in cui la guerra appare come una parentesi nella vita di uno dei personaggi e che può incidere in maniera positiva o nega­ tiva. Al primo gruppo sono ascrivibili otto titoli' La leggenda del Piave, L'Italia s'è desta. Brigala Firenze, Nun è Carmela miai, Fiocca la neve. Scarpe al sole, Predici uomini e un cannone e Piccolo alpino. Nel secondo possiamo includere 11 grido dell’aquila, l martiri d'Italia, Camicia nera. Passaporto rosso. Cavalleria e Redenzione. Equiparabili a questi seno i film sulla storia dell’aviazicne (particolarmente amati nell’Italia fascista):

persone che consideravano la Grande Guerra come qualunque altro sfondo adatto ad un romanzo storico.

u

Gili, Film storico, cit., p. 143.

87

Da Icaro a De PinedcP e La conquista deli ’aria. Il terzo gruppo di film, quello in cui la guerra è una parentesi nella vita dei protagonisti, com­ prende: Il paese della paura, Fenesta ca lucive, Napoli è sempre Napoli, Le via del peccato, Fatasia 'e surdate, Redenzione d‘anime, Sole, Milizia territoriale, Luciano Serra pilota e Piccolo re. Per parlare del cinema fascista sulla Grande Guerra c’è un scio inizio possibile: // grido dell’aquila. Questo film è tuttora molto sottovalutato dagli storici del cinema i quali lamentano lo scarso (se non addirittura nul­ lo) coinvolgimento ufficiale del partito che non si cura di garantire all’o­ pera una diffusione capillare. Altro elemento che ha contribuito a mar­ ginai izzare gli studi su questo titolo è la sua pressoché totale invisibilità su la stampa specializzata d’epoca54. È doveroso premettere che, allo stato

attuale della ricerca, queste considerazioni appaiono corrette. Nonostante tutto, però, la pellicola non va ignorata per una serie di motivi: I) il suo insuccesso ci racconta che questo prodotto ài incapace di far breccia nel pubblico italiano del 1923 e che la ricostruzione della storia più recente non convinse gli spettatori delle sale cinematografiche; 2) Mar.o Volpe ed i suoi collaboratori ritenevano quella narrazione dell’epopea fascista accettabile; 3) la loro opinione fu condivisa dallo stato italiano che non censurò la pellicola. L'analisi dei titoli di testa non aiuta la nostra ricostruzione: non sappia­ mo nulla sulla casa di produzione, l’istituto fascista di propaganda nazio­ nale con sede a Firenze, sappiamo poco di Mario Volpe regista c co-sce­ neggiatore del film, attivo nella prima metà degli anni venti, filofascista (suo anche quel Fenesta cà lucive al quale accenneremo tra poco) ma qua­ si interamente dedito a temi più leggeri (Prof Gatti e i suoi gattini, Storia di una sigaretta) o spettacolari (Francesca da Rimini). Il grido dell ’aquila preannuncia una tendenza della cinematografia fascista, quella di mettere in relazione il passato col presente. In questo caso il neonato movimento mussoliniano si autoprcclama erede dello spirito garibaldino e deil’eroisma dei combattenti della prima guerra mondiale. Come ha giustamente notato Gili, questo film evidenzia la volontà di legare insieme camicie rosse e camicie nere. Risorgimento e fascismo, Garibaldi e Mussolini gra­ zie ai fanti della prima guerra mondiale. Ne II grido dell 'aquila viene mo-



Film diretto da Silvio Laurcnti Rosa, con ve 2)483. La pellicola rievoca la storia

dell'aviazione dall'amica Grecia fino ai più recenti fatti d'attualità (quando il firn venne disuistibuito De Pinedo aveva appena terminato la trasvolata verso l'Australia).

M

II film viene inoltre ignorato dalla più accurata ricostruzione storica prodotta in Italia

durante il Ventennio, il testo

  • 1lobrigida o Loien fa lo stesso)».

    4

    Miccichè, Op. cit.. p. 23.

    5

    !.. De Giusti, Disseminazione dell 'esperienza neorealista, in Storia dei cinema, cit.,

    p. 16.

    129 In questo contesto, il film storico in particolare ha una propria funzio­ ne, cioè

    «Rimuovere il passato prossimo, in particolare la guerra civile, più bru­ ciante che mai in tempi di guerra fredda: la Resistenza, si dice, non interes­ sa più nessuno, e Achtung! Banditi! Di Carlo Lizzani resta un’eccezione. Cosi lo sguardo viene dirottato sugli atti eroici e patriottici delle guerre mondiali o spinto più indietro, al Risorgimento, come vero e proprio atto di negazione del recente passato per spostamento dell’attenzione6». Il nuovo cinema di consumo ha una missione: la normalizzazione. Dal 1935 la società italiana «Era stata praticamente mobilitata e tenuta in per­ manente stato di tensione7». I successi di pellicole come Catene o Pane amore e fantasia sono dovuti alla loro capacità di estraniare lo spettatore dal contesto. Il film di Comencini venne criticato dalla stampa di sinistra proprio perché non forniva quegli elementi necessari per cogliere in qua­ le decennio della storia italiana la pellicola fosse ambientata. La politica culturale della DC, costretta alla mediazione col Vaticano («clic aspira a Salazar, se non a Franco, e oppone Gedda a De Gasperi e il Centro Cine­ matografico Cattolico al giovane Andreotti»!,

    «Tenta di mantenere in vita una morale familistica, sessuofoba e provin­ ciale» in cui la censura è impostata «Sulle emissioni e sui silenzi!...]. Il Risorgimento è rilette in chiave giobertiana c localistica, cioè come ac­ cumulo di reperti, ma non viene riabilitato il Sillabo [...1. Fino al 1955. l’anno di pubblicazione del volume miscellaneo. Il secondo Risorgimento^ con il quale comincia un altro ragionamento, la Resistenza è il più pos­ sibile taciuta [...]. Si cerca di recuperare un certo patriottismo, quasi ci fosse stata, prima dell'8 settembre, una guerra buona della quale è bene non dimenticarsi, donde crediti e appoggi per film - da Carica eroica di Francesco De Roberti! a 1 sette dell'orsa maggiore c Divisione folgore di Duilio Coletti, per arrivare poi fino a Ciao, Pa;s! Di Osvaldo Langini - tesi a esaltare l’eroismo dei nostri coiiibuiiciiti, die agiscono come se in quel momento in Italia non esistessero un governo c un regime che si battono in nome del dovere c del sacrificio, confortali semmai dalla presenza di solerli cappellani militari1».



    De Giusti. Disseminatone, cil, p. 19. E. Brunella, Crisi del neorealismo e normalizzatone sociale, in De Giusti, Storia

    dei cinema, eli., p. 35.

    1

    ivi, p. 44.

    130 2 . La legislazione

    2.1. La censura La censura agiva a due livelli: uno preventivo, l’altro definitivo. La preventiva fa la sua comparsa già nel Decreto Legislativo Luogote­ nenziale #678 del 5 ottobre 19^5, è obbligatoria ma si esplicita che limiti il proprio intervento esclusivamente a temi di carattere militare o riguardanti i rapporti intemazionali. Un primo riordino si ebbe con la legge succes­ siva (Leg’e #379 del 16 maggio 1947), questa rendeva la consegna della sceneggiatura «Facoltà del produttore», mentre la censura definitiva dovrà ritornare a sottostare al regolamento annesso al regio decreto #3287 del 24 settembre 1923 (il cui intervento era volto ad impedire la rappresenta­ zione di scene che offendessero il pudore, la morale, il buon costume, la pubblica decenza, il decoro o la reputazione nazionale, delle istituzioni, delle autorità pubblica o dei suoi funzionari. Allo stesso modo non erano ammessi alla programmazione quei film che turbassero l'ordine pubblico. O che rappresentassero soggetti truci, ripugnanti, crudeli, delitti o suicì­ di impressionanti, operazioni chirurgiche, fenomeni ipnotici, medianici o che possano risultare “Scuola o incentivo al delitto"). Le nuove commis­ sioni, composte da tre membri sia per il primo che per il secondo grado, (un peggioramento rispetto a quella fascista che ne prevedeva sette) erano piene, secondo Brunetta, di «ex funzionari fascisti *». La precensura continua ad essere facoltativa per le produzioni italia­ ne anche con la legge #958 del 29 dicembre 1949, ma, in questo caso, si perdono tutti i possibili (e importanti) premi economici statali. Per le produzione straniere invece il deposito del soggetto e delle parti di sce­ neggiatura da girarsi in Italia non è evitabile in nessun modo. Nel 1956 si programma una modifica della revisione entro la fine del 1957, ma questa slitterà fino al 1962. Inoltre, salvo particolari autorizzazioni, il materiale di repertorio non potrà superare 1’8%. L’ufficio censura fa parte dell’ufficio Centrale per la cinematografìa (poi Direzione Generale della Spettacolo) che rimarrà,

    *

    Brunetta, Storia, voi. III, cit., p, 82. Non sono riuscito a trovare un riscontro do­

    cumentarie per questa a (Temi azione di Brunetta. La mancata epurazione di diversi organi statali fu una consuetudine presente a più livelli. Tutto il settore cinematografico si è dirno-

    «jirain particolarmente cauto (si pensi, solo come esempio, al ruolo avuto in epoca fascista da

    diversi importanti artisti quali Rossellini. Visconti. Antonioni, Nazzarri...). Una simile tesi è proposta anche da F, Vigni, Censura a largo spettri), in De Giusti, Storia de! cinema, cit.»

    p 64. Ad iaizio capitolo ho inserito una citazione du «Il ponte» che, se veritiera, chiarisce

    quanto gra*tde sia stata questa continuità.

    131 fino al 1959, all’interna delle competenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È da questo ufficio che partono i consigli diretti ai produttori

    onde evitare certe tematiche tra cui la denuncia sociale, la Resistenza, la guerra e il fascismo. Ricordiamo, a titolo esemplificativo, la vicenda che vide coinvolti Aristarco e Renzi che subirono un processo militare per aver pubblicato il soggetto de L "armata s'agapò™ e gli otto esami necessari a Totò e Carolina per ottenere, dopo numerosi tagli e rimaneggiamenti, la libera circolazione del film in patria e all'estero10 11. Seal faro, all’epoca sot­ tosegretario alla Presidenza del Consiglio dirà: «il cinema deve divertire, distendere, offrire un senso di ottimismo e una visione più serena della vita agli uomini che hanno sopportato e sofferto le fatiche, i disagi di una giornata di lavoro. Non si chiede affatto quindi che tutti i film siano a tesi, e che in tutti i film un impegno per determinate istanze sociali o morali. Tuttavia, è lecito e doveroso chiedere che tutti i film siano rispettosi delle esigenze spirituali dei singoli c di tutto un po­ polo. Il problema è stato discusso con i produttori e con le commissioni interessate, e sono siali enucleati alcuni principi sintetizzabili in tre punti:

    I. non è ammissibile che in un film sia avvilito e umiliato l’ideale della patria; 2. sarebbe di pessimo gusto, negativo e incivile, tollerare l’offesa ai principi della religione. Non è possibile ammettere di vedere in uno spet­ tacolo ministri del culto esposti al ridicolo, o peggio rappresentati nella vicenda i personaggi del male; 3. è necessario anche rispettare la morale della famiglia, principio uma­ no prima ancora che cristiano12». Giacci e Valle cosi concludono: «Le beate istituzioni Dio, Patria, Famiglia: ceco gli elementi (non auovi per la verità!) sui quali dovrebbe fondarsi, ad avviso del governo come della chiesa, il cinema italiano della ricostruzione. Al bando i problemi, le

    10

    Per un'accurata ricostruzione della vicenda si veda Brunetta, Storia, voi. Ili, cil.. p.

    89. Documento d'epoca, ovviamente partigiano ma paiicolarmcnte utile per la compren­

    sione del caso è P. Calamandrei, R. Renzi c G. Aristarco. Il processo s'agapd. Dati’Arcadia a Peschiera. Bari. Laterza. 1954.

    "

    Per una ricostruzione dell'intero iter censorio ri rimanda a T. Sanguinai, Tom p

    Curviina, Ancona-Milano. Transeuropa, 1999. IJ

    V. Giacci e L. Vitale, il fantasma della libertà: u come il cinema debba lottare per

    passare dal ”sogno nel cassero *’ alfilm, in li cinema italiano degli anni Cinquanta. a cura dì G. Tinazzi. Venezia. Marsilio, 1979. p. 124.

    132

    riflessioni, le critiche. Poiché c’è già troppa materia reale per piangere, è necessario che l'Italia, almeno al cinema, rida. Pressoché intoccabili sono, in particolare la Religione e l'ermo Contrariamente a quanto succederà negli anni sessanta, in cui h censura si orienterà soprattutto nella repres * sione “dell’osceno” a tutela del “buon costume”, del “comune sentimento del pjdore” e della “decenza” interpretata sulla base della sensibilità me­ dia del bonus pater familia:, in questi anni essa funziona in modo e per fini più scopertamente politici, perseguendo con particolare accanimento i reati di vilipendio, piuttosto che gli attentati alla morale sessuale0». Non casualmente quindi l’Italia verrà definito il paese delle sei censu­ re: «una dopo l’altra, senza quasi soluzione di continuità, lavorano, come a una catena di montaggio: a) le commissioni amministrative; b) i giudici penali; c) i questori e i commissari; d) la censura preventiva; e) il credito; f)gli elementi di condizionamento esterno14». Ma Andreotti non si limitò a far censurare. I suoi obbiettivi furono da lui discussi in Parlamento: «Noi dobbiamo incoraggiare una produzione sana, moralissima e nello stesso tempo MUaente"». Inoltre il giovane sottosegretario temevo, non tanto le gambe scoperte, quanto quei film che facevano l’apologià dell’odio, della violenza, della slealtà1*. La censura andreottiana fit «Incentrata sull'intreccio tra prese di po­ sizione ufficiali e iniziative sottotraccia, fra velate minacce pubbliche e “amichevoli consigli” privati17». Cosi si taglia, s decurta, si congela ma soprattutto si suggerisce e si consiglia. La censura preventiva permette di bloccare molti film sul nascere e quelli che vengono poi effettivamente prodotti, se considerati eccessivamente inadatti, dovranno affrontare un lungo iter censorio. «La categoria dei produttori diventa la vite di pres­ sione di una morsa censoria sempre più potente. Attraverso di loro, gli autori dei soggetti, gli sceneggiatori, i registi, vengono sovente esortati a modificare le storie"». Questo situazione ottiene i frutti sperati. Nonostante gli attacchi sulle pagine dei giornali, le iniziai ve pubbliche e le interrogazioni parlamentari la situazione «Costringe sceneggiatori c registi a lealizzarc ciò che viene

    "

    /v . p. 125.



    E.Graziatici inali Ponte».!! (1961), p. 1604.



    Inxrvcnto di Andreotti alla camera dei deputati il 27 novembre 1948, citato in Vgni.

    Op. cit.. F- 65.



    Vjgni. Op cit..p. SI.

    >T

    M. Morbide!) i, La contesa /.oliiica sui cinema, in De Giusti, Storia del cinema, cit..

    p. 55. '•

    Vigni. Op. cit.,p 68.

    133 consentito anziché ciò a cui sono particolarmente interessati, incremen­ tando il fenomeno dell’autocensura1’». Forgacs sostiene che sconto, in mRìvìma

    ’1

    Monca italiana». 4 (1970).

    G. Mori. Le guerre parallele. L'industria elettrica in Italia nel periodo della grande

    guerra I9I4-Ì8, in «Studi storici», 2 (1973). M

    L. Ambrosoli, Ne adtrirt, mF sabotare 1915-1918, Milano, Edizioni Avalli!. 1961.

    n

    G, Affé, Storia del socialismo italiano 1882-1926, Torino. Einaudi, 1965.

    258

    Tra i primi impossibile non citare il lavoro di Forcella e Monticone76, considerato una fonte da Rosi per la realizzazione di Uomini contro, e capace di presentare sotto ura luce diva sa l'asseiza di una politica volta a coinvolgere le masse. Queste furono infatti costrette a partecipare attiva * mente al conflitto attraverso la repressione. Infine, alcuni sentimenti rite­ nuti marginali o trascurabili, come la paura, entrano finalmente nel campo di ricerca degli storici facendo emergere una dimensione meno retorica della vita dei militari coinvolti nella guerra. Dalla fine degli anni Sessanta vengono pubblicati diversi studi che mettono in luce l’opposizione al conflitto, capaci ci far emergere la menta­ lità de i combattenti e il loro mondo culturale. Tra cuesti studi un ruolo fondamentele va riconosciuto alle opere di Isnenghi, tra le quali è doveroso ricordare almeno / vinti di Ccporetto nella letteratura di guerra (Marsilio, Padova 1967), // mito della grande guerra. Da Marinetti a Malaparte (Laterza, Bari 1969) e Giornali di trincea ! 915-1918( Einaudi, Torino 1977). Alcuni dei temi trattati in questi saggi furono già anticipati da La grande guerra di Monicelli, che, forse non a caso, è uno dei film che lo storico analizza in un suo celebre saggio del 1978. L’importante convegno di Rovereto del 1985 segna, simbolicamente, l’apertura verso nuove tematiche, in particolare di quelle legate alla stcria culturale. Diversi sono gli studi che non trovano riscontri sugli schermi, tra gli altri, quelli di Gibelli, sulle trasformazioni della mentalità dei com­ battenti77. Tomassini. sulla mobilitazione interna7* e Procacci sui prigio­ nieri di guerra”.



    lì. Forcella c A. Monticone, Plotone d'escctalone /pnieessi della prima guerra

    nwndiute^ML Interza, 1968.

    ” GIteli 1, L officina, clL

    71

    Magistralmente trattalo (anche in un'ottica comparativa c di lungo periodo ponendo

    dalle modìHeiazioni portate dal priiro conflitto mondiale) da L Tomassini, Guerra totale e

    problemi di mobilitazione: prima e dopo la Granfie Guerra, In Immagini dell'impensabile. Ricerche iaterdiscipiinari sulla guerra nucleare, a cura di P. Messeri c E. Puccini, Geneva *

    Marietti, 1991. ™

    G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande guerra, Torino, Bollati Bo­

    ri nghieri, 2000, Questo saggio esce cinque anni dopo il film di montaggio Prigionieri della guerra JPtS IVI#. Temi e ccncluwno dagli autori non potrebbero essere più diverbi la

    storica sottolinea la responsabilità dd governo italiano di fronte alla strage dei circa 600.000 connazionili moni nei campi di prigionia. Ricci Luce hi c Giunikian invece mostrano * f«ar-

    tendo da in magi ni di propaganda ause c austro-ungariche, il tato umanitario e magnanimo che si cerò di dare al conflitto.

    CONCLUSIONI

    Dal lungo viaggio attraverso il cinema italiano sulla prima guerra mondia­ le emergono alcuni elementi interessanti. La prima ovvia riflessione è che il cinema, soprattutto quello storico, diventa un fonte utilissima per leggere la società e il contesto di produzio­ ne in cui nasce l’opera: aspettative, comportamenti individuali e collettivi, atteggiamenti e idee giungono sullo schermo e trasmettono un’immagine velata (ma leggibile) del presente. Il contesto produttivo incide a sua volta sull’immagine cinematografica, influenzando il visibile in maniera diretta (la censura governativa) e indiretta (i gusti del pubblico, i limiti posti dalla produzione stessa, l’autocensura...).

    Tra il 1915 e il 1918 l'immagine mostrata dai cinema di fiction non è vi­ cina a quella vissuta dai soldati. Véray, per il caso francese, colloca i registi all’interno del dima culturale, patriottico c nazionalista, a loro contempora neo. 1 film italiani dd 1915 e del 1916 sembrano effettivamente rispondere a questa esigenza. Nei primi mesi di guerra, periodo in cui si concentra più della metà della pellicole prodotte in tutte il conflitto, il peso del naziona­ lismo e dell’irredentismo è molto forte, come testimoniano l’abbondante presenza di simboli patriottici, l’impossibile coesistenza di famiglie miste e l’alterazione dell’immagine del nemico (in bilico tra barbarie e incapacità). Particolare non secondario è il ruolo paritario in cui, tra i nemici, ven­ gono identificati austriaci, tedeschi e croati (visti già durante il conflitto come un nemico, in continuità con la lettura fatta da quel nazionalismo propugnato da intellettuali esasperatamente filo-italiani della Venezia Giu­ lia, primo tra tutti Ruggero Timeus). Dai documenti da me analizzati emer­ gono anche altri clementi: il peso della censura, la stanchezza del pubblico (che, a detta dei giornalisti, apprezza per circa un anno la maniera irreale e caricaturale in cui viene dipinto il conflitto) e dell’industria cinematografi­ ca (quella italiana dal 1917 abbandona soslanziahncme il grigio verde per tornare a vestire frac ed abiti da sera). Se, dopo Caporetto, cresce lo sforzo propagandistico per conquistare il pubblico, lo Stato si occupa del cine­ ma solo in ambito censorio (e, tramite l’esercito, dell’aspetto informativo)

    260 non solo attraverso la censura definitiva ma, grazie ad un provvedimento ad hoc, crea la censura preventiva per i soli film relativi al conflitto. Il tatù delle pellicole melodrammatiche e l’auirtento delle commedie d’argomento bellico sembrano testimoniare il bisogno di diffondere, al­ meno nella sala cinematografica, fiducia e leggerezza, in un Paese coin­ volto in una prova che si è rivelata più difficile di quanto ci si aspettasse. Parallelamente si assiste al progressivo allontanamento dal fronte: dopo h conquista di una trincea effettuata all'arma bianca si preferisce raccontare la convalescenza di un reduce. La violenza della guerra viene, per quanto possibile, celata e. dallo studio delle carte censorie, si evince che questa rimozione viene effettuata in maniera quasi maniacale nei primi mesi di guerra. La durata del conflitto 3 la sua nota durezza rendono impossibile non mostrare, anche solo in minima parte, gli alti costi umani di questa guerra. Basandomi sulle ricerche di Pesenti Compagnoni, ho ipotizzato una distanza tra il cinema di fiction c quello a carattere documentario. Paradossalmente, per leggere il conflitto in corso, risultano più utili i film rivolti ai più piccoli, nei quali sono effettivamente utilizzati soldati giocattolo al posto degli uomiri in came e ossa, ma dove la modernità e l'alta mortalità del conflitto vergono mostrate. Il dopoguerra introduce importanti cambiamenti socio politici e, tra il 1919 ed il 1922, la guerra non è uno dei tòpoi cinematografici maggior­ mente diffusi. I pochi titoli prodotti in questi anni non analizzano criti­ camente il conflitto, ma si limitano a mostrare alcuni aspetti considerati tabù fino i qualche mese prima (morte di massa, mutilazioni, ma anche l'aspetto tecnologico del combattimento moderno: aerei, bombardamenti e sommergibili) pur evitando ci proporre alcune delle tematiche emerse dal dibattito contemporaneo relativo alla Grande Guerra che sta dividendo il Paese. Per comprendere lo spirito del tempo sarebbe interessante visio­ nare il film, ad oggi perduto, L'uomo che vive la mone in cui la guerra, co suo cameratismo, viene mitizzata e rimpianta, in una società post-bellica che non riconosce i meriti c gli onori dovuti ai combattenti, costretti a rimpiangere il periodo di difficoltà vissuto in trincea a causa deH’egoismc e della falsità che dominano ora nel Paese. Il fascismo, abile nel presentarsi come il continuatore politico delle spirito delle trincee, ha un rapporto complicato con l'evocazione cinema­ tografica di uno dei propri miti fondativi, accreditando la tesi aristoteli­ ca circa la necessità di sapere maneggiare il mito per costruire un utile percorso politico. Il PNF si richiama frequentemente e retoricamente alla guerra, ma è decisamente più canto quando il conflitto deve essere mostra­ to. Si capiscono allora sia le molte riserve (cioè i divieti censori emanali da commissioni composte, sempre più frequentemente, da membri disegnati direttameme dal Partito) nei confronti dei film stranieri, che le reticenze *incoraggiare nell registi italiani ad affrontare l'argomento. Mentre molti

    261

    studiosi hanno ridotto la produzione sul tema a soli tre titoli nel corso di tutto il Ventennio, la mia ricerca dimostra che molti riferimenti (anche minimi) si ritrovano in vari film, spesso ignorati. La guerra nel cinema fascista viene presentata in vari modi: come il fulcro della vicenda, come una tappa nella storia d’Italia o, infine, come un momento privato di svolta, positivo o negativo, di un uomo coinvolto nel conflitto. Il regime investe energie dirette su questo tema solo dal 1933, fino a questa data l’interesse è marginale ma il modo in cui il 15-18 viene rac­ contato indica che molti registi si sono “autofascisii/j’ati”, compresi gli attori del primo film fascista (pur se realizzato senza l’appoggio del parti­ to) Il grido dell 'aquila. Il film fu un flop sotto tutti gli aspetti ed ebbe una circolazione piuttosto limitata, i motivi furono molti ma credo che la sua colpa più grave sia stata la vicinanza alla linea del movimento, piuttosto che a quella del partito fascista. Alla fine degli anni Venti il conflitto continua ad essere evocato in maniera celebrativa accreditando la tesi della guerra 15-18 come quarta guerra d’indipendenza (emblematiche in questo caso le parti relative al ccnflitto ne / martiri d'Italia). Con Camicia nera assistiamo ad uno dei rari coinvolgimenti diretti del regime nel campo della fiction. La vicenda racconta la vita di una fami­ glia dell’agro pontino tra il 1915 ed il 1932 e un posto centrale è dato alla rievocazione del prime conflitto mondiale, indicato come l’incubatole di alcune problematiche che esploderanno nel dopoguerra. La produzione successiva sul tema è stata più volte analizzata e de scritta coinè insensibile, se non opposta, alla politica culturale del regime. Questa teoria deve essere riveduta. Il PNF produce, in questi anni, po­ chissimi film “militanti” ma si concentra su opere di intrattenimento entro le quali sono incastonati alcuni temi che, pur non essendo d’ispirazione fascista, vengono propagandati e diffusi dal regime: la difesa della piccola patria, lo scarso patriottismo del “gentil sesso", il senso del dovere, lo spirito di corpo, la continuità generazionale... Questa propaganda velata, a detta di alcuni gerarchi, era da preferire rispetto a quella chiaramente leg­ gibile che impediva la circolazione di queste pellicole fuori dagli ambienti mlitanli. Il sostegno che il regime elargisce, sia a livello pubblicitario che produttivo, ad alcune di queste opere ci obbliga ad una maggior attenzione nell’interprciazione della cultura fascista. La presenza di alcuni topoi celebrati dalla storiografìa fascista, in parti­ colare quella di Volpe, in diverse pellicole rafforza la tesi della ricondanza ideologica di questo ciucina che inserisce la guerra in un percorso storico che lega risorgimento, prima guerra mondiale e fascismo, gli ilal ani emi­ grati con la “madre patria" e la compattezza del fronte intemo con l’eroi­ smo dei soldati italiani.

    262

    Dopo la seconda guerra mondiale il racconto cinematografico del 1518 non cambia in maniera radicale. Questa sorprendente continuità tra l'Italia fascista c quella repubblicana è spiegabile solo attraverso la conti­ nuità dello Stato (cioè la permanenza in servizio del personale burocratico-amministrativo formatosi negli anni del regime), l'intervento censorio (onnipresente, con molti tipi di interventi, diretti ed indiretti) ed il destino di Trieste, città la cui sorte rimane in bilico tra Italia e Jugoslavia fino al 1954. Tra il 1945 ed il 1949 l'affermazione del neorealismo e gli alti costi produttivi limitano le evocazioni del passato, ma il calo di consensi tra il pubblico e la stabilizzazione politica, provocano il ritorno dei cinema consideralo di genere, grazie al quale la prima guerra mondiale ritrova prepotentemente la via dello schermo. Queste opere celebrano l'esercito, il nazionalismo ed il neo-irredenti­ smo rivolto verso il confine orientale, dimostrano scarso rispetto per il ne­ mico e diffondono il mito del buon italiano (prototipo e modello di questa tipologia di film è 11 caimano del Piave). In questo contesto la bella morte per la Patria, termine npetuto ossessivamente, è un onore. Caporetto non è un tema eluso, ma viene sempre trattato in maniera al­ lusiva o attraverso immagini di repertorio o titoli dei giornali trasmettendo l'impressione non di una rotta militare ma di un semplice sgombero delle popolazioni civili. L’occupazione che segue alla ritirata italiana viene sot­ tolineata anche attraverso allusioni di tipo sessuale, vari sono i casi in cui gli occupanti austriaci insidiano le donne italiane. È indicativo che non vi sia nessun soldato italiano che desideri ragazze slave o sudtirolesi. Gli sceneggiatori costruiscono l'equazione per a quale gli intervist sono i buoni, mentre i neutralisti sono opportunisti o, peggio, traditori e procedono alla costruzione di biografìe agiografìche sui martiri del conflit­ to (Battisti, Toti, Sauro). Dopo il 1954 inizia una lenta trasformazione, favorita sia dallo sdoga­ namento d. molti titoli stranieri (finora mai fatti circolare nel paese), che dalla differente sensibilità censoria (meno ossessionata dalla questione del confine orientale). Se già Guai ai vinti testimonia un diverso approccio, le riprese in Italia del film statunitense A farewell to arms costringono i funzionari ministeriali ad una mediazione nuova, con un importante pro­ duttore straniero. Il modo di raccontare la guerra, soprattutto la parte su Caporetto, descritto come una sbandata morale e militare, permette la cir­ colazione di un’immagine inedita del conflitto. Anche De Laurentiis cerca di seguire l'esempio di Selznick ma La grande guerra, fondendo film storico c commedia all’italiana, piupune un’immagine inaccettabile del conflitto che necessita di varie riscritture (e alcune concessioni) per essere finalmente accolta dalla precensura. Il successo del film, sancito dalla vittoria al festival di Venezia, permette

    263

    una revisione del l'immaginario legato alla guerra e un allentamento della censura sui temi di carattere storico.

    Dopo la pellicola di Monicelli molto cambia ma non tutto: un cinema tradizionale, con una visione acritica della guerra, fedele all’interpretazione ufficiale e retorica, continua infatti ad esistere. La grande guerra è alla base di una doppia rivisitazione del conflitto: ironica e critica. Al primo filone appartengono i film con Franco e Ciccio (primo caso italiano di buffonesco applicato al conflitto dopo il 1916). al secondo quelle opere che mostrano gli orrori della guerra, denunciando la condotta politico-militare del conflitto e i modi oppressivi e violenti utilizzati per contrastare il dissenso. In questo contesto la censura si occuperà sempre più dell’osceno, limi­ tandosi ad intervenire per difendere il buon costume, permettendo quindi la realizzazione di pellicole impensabili sole un decennio prima, seguendo i dettami proposti dalla legge #161 del 21 aprile 1962 (che inserisce nelle ccmmissioni di vigilanza anche i rappresentanti delle categorie cinemato­ grafiche). Grazie a questa nuova permissiv.tà cambia il modo di rappre­ sentare la violenza, ora mostrata in maniera esplicita. Contemporaneamente si modifica l’immagine femminile. Leprotagoniste non sono più mogli, madri, fidanzate o crocerossine patriottiche ma donne, esclusivamente di origine popolare, che dimostrano una propria autonomia rispetto alla dominante cultura dì guerra e nelle loro scelte in­ dividuali. Il vertice del visibile viene raggiunto tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta (Fraulein Doktor e Uomini contro) dove ven­ gono descritti senza remore gli effetti dell'.prite, la brutalità tecesca (un tòpos sparito negli anni della costruzione di una nuova identità europea) e l’immagine di una guerra come lotta di classe, con la contrapposizione netta tra truppa e ufficiali. Il cinema di questi anni sembra trovare spunto nella storiografìa contemporanea, già interessata alla storia culturale e alla ricostruzione del mondo mentale dei combattenti.

    Tra gli anni Settanta ed Ottanta il cinema italiano sembra voler raccon­ tare la guerra in maniera atipica: attraverso l’opera di chi cerca e vende il materiale inesploso durante il conflitto, raccontando l’identità di frontiera ma soprattutto in vicende dove la dimensione erotica e carnale non vie­ ne celata. Questo processo di erotizzazione del passato viene usato sia in chiave comica, che drammatica. Parallelamente sotru le produzioni televisive quelle che, curt un chiaro inlento didascalico, offrono interessanti spunti interpretativi sul conflitto 15-18.

    264

    Dagli anni Novanta, la crisi del cinema italiano si palesa in tutta la sua forza e la produzione si fa via via più esigua. Oltre agli interessanti lavori su materiali d'epoca realizzati da Gianìkian c Ricci, pochi sono i titoli originali prodotti in questo decennio, tra questi sicuramente bisogna citare La frontiera di Giraldi, che ritorna a raccontare la particolare situazione del confine orientale. La maggior parte delle pellicole successive (ma lo stesso vale per i film tv) si contraddistinguono per le scarse ambizioni e la banalità con cui trattano un argomento cosi ricco e complesso come il primo conflitto mondiale. Alcuni elementi ci permettono di capire come la contemporaneità si sia riverberate nei film storici relativi al primo conflitto mondiale. L’immagine dei combattimenti è l’elemento che si presta maggiormente per questa lettura. L'esperienza bellica tra il 1914 ed il 1918 non sottolinea la drammaticità dell’esperienza di trincea, ma, anzi, si cerca di proporre il combattimento con stilemi già noti, che permettano, a chi non è al fronte, di comprendere la guerra. L'aspetto tecnologico viene mostrato solo nel do­ poguerra, mentre la morte di massa diventa elemento fondamentale della rappresentazione degli anni Trenta (non in Italia a causa delle riserve che il fascismo, esprime su questo temi). Per il nostro Paese è decisivo il periodo alla fine degli anni Cinquanta, quando alcuni aspetti controversi del conflit­ to riescono ad arrivare nelle sale, grazie, in particolare, a film stranieri. Lo shock e le 'raumatizzazioni di tipo psicologico compaiono in questo stesse, periodo m» diventano elementi centrali del panorama cinematografico sole alla fine degli anni Novanta. Più complicata la questione delle menomazio­ ni fisiche. Alcune mutilazioni vengono considerate poco cinematografiche, per cui faticano a trovare la via dello schermo. La cecità è mostrata già nell’immeciato dopoguerra (ed è tollerata anche dal fascismo), ma ogni altra mutilazione, salvo saltuarie apparizioni in film imporranti ma diffìcilmente imitabili (penso alle due versioni di J’accuse) rimane un tabù cinematogra­ fico, raramente inserita al centro di una vicenda. Se la mascolinità e i valori guerrieri subiscono un offuscamento duran­ te la contestazione degli anni Sessanta e Settanta, solo recentemente (ed in maniera parziale, fuori dall’Italia) sono state rimessi in discussione. Più stratificata è invece la figura femminile. Negli anni del conflitto si vuole fornire un'immagine tradizionale della donna, rappresentata come moglie, madre, sorella devota all’interno di una rappresentazione rassicurante e ordinata della società (di solito nei panni della crocerossina intenta a con­ fortare feriti e reduci). La donna intraprendete c libera è relegata al ruolo di spia nemica nelle produzioni di genere. Rarissimi i casi di donne che raggiungono il fronte e combattono e, sintomaticamente, quando questo succede la protagonista ha indossato abiti maschili.

    265 Nel primo dopoguerra ['immagine femminile cambia: la fedeltà co­ niugale viene rimessa in discussione, soprattutto in Francia, ma é solo il cinema statunitense, a mostrare donne infervorate da spirito pati ionico e attratte dalla modernità. Il fascismo propon: un'immagine negativa della donna: volubile, pronta a tradire la nazione (vuole emigrare, è contraria afa guerra, è sorda a qualunque motivazione nazionalistica), continuamente subordinata alle direttive maschili. Personaggi molto meno sfaccet­ tati di quelli proposti dal cinema francese, si pensi a Elsa, ne La grande il­ lusion, disposta a nascondere soldati nemici nella propria casa e ad amare uro di loro. I In ripensamento importante dei aioli femminili arriva attorno agli anni Sessanta, grazie alle rivendicazioni che in quel dccennic iniziano ad erodere la supposta superiorità maschile. Ancora oggi, però, permane, accanto a personaggi complessi, una visione stereotipata delle donne negli anni di guerra. Nonostante la guerra sia definita come mondiale, il cinema preferisce limitarsi a rievocare il piano locale dello scontro (sono rarissimi i riferi­ menti ad operazioni avvenute lontano dal proprio paese d’originei. Duran­ te il conflitto il contributo degli alleati viene minimizzalo in tutti i Paesi. Il “sacro egoismo” è decisamente maggioritario, mentre scompaiono i grandi riferimenti ideali che hanno diviso l’opinione pubblica prima della guerra. Naturalmente è implicito che il nemico sia un barbaro e che si creino i presupposti per uno scontro di civiltà, ma il cinema non tematizza la fine del militarismo, le idealità wilsoniane e men che meno il tramonto ddl’imperialismo, sognato da socialisti e da interventisti democratici. Il tema della repressione del dissenso nell'esercito appare molto presto al cinema. Già un serial francese degli anni Venti, infatti, introduce questo tòpos. Saranno però scio gli anni Sessanta, con la grande mobilitazione popolare contro la guerra e per l'obiezione ci coscienza, che permetteran­ no al cinema di prendere parte al dibattito su questa riflessione. Partico­ larmente difficoltosa è la realizzazione di film di questo tipo riguardanti il proprio paese. Se l’Italia ha in Uomini contro di Rosi uno dei modelli intemazionali di cinema di denuncia sul tema, la sua lezione sembra non approdare al dibattito pubblico nonostante l'ampiezza del fenomeno sul fronte italiano. Un ruolo chiave in questi mutamenti, lo ebbe la censura. L’autocensura dei registi fu, dapprima, l’emblematica risposta di un gruppo di uomini di cinema che assecondarono (e in alcuni casi, fecero proprio) quel clima intellettuale definito da alcuni studiosi “cultura di guerra”. Al termine del coaffitto il rispetto per un evento che aveva segnato una generazione e quindi pei lu sensibilità del pubblico pivuiusliiiaronu qualunque riflessio­ ne. critica o ironica, in questo senso. I vari grappi di pressione (associazio­ ni di ex combattenti in lesta) influenzarono, con le loro numerose proteste, pubbliche c private, le intenzioni di registi, sceneggiatori e produttori.

    266 Elemento decisivo, nel sistema censorio italiano, fu la precensura. Que * sta nacque, in sordina, durante la guerra e solo per i film bellici. Divenuta legge nel primo dopogucita fu lo strumento decisivo della censura all’iuliana che si caratterizzò per la commistione fra velate minacce pubbliche e amichevoli consigli privati. Le maggiori difficoltà per i film, in particolare quelli bellici, si concretizzavano in questa fase di revisione. Fino alla se * conda mela degli anni Cinquanta era impossibile proporre una visione del conflitto 15-18 non allineato alle tesi della quarta guerra d'indipendenza. Dopo A farewell to arms e La grande guerra si avvia un processo di miner intervento da parte dello Stato che ti esaurisce completamente dopo l’ap­ provazione della nuova legge censoria 161 del 1962. La censura definitiva su questo tema, in Italia, venne usata come difesa nei confronti dal cinema estero. I governi liberali del primo dopoguer­ ra, il fascismo e i governi repubblicani continuarono ad utilizzare questo strumento in assoluta continuità. Solo dopo il 1962, se si escludono i casi legati alla difesa del buon costume, la censura permetterà il passaggio in­ tegrale in sala dei film a sfondo bellico.

    APPENDICE

    Trascrizione della lista di pellicole inviate tal comando supremo alle se­ zioni P, allegata alla lettera datata 30 settembre 1918 scritta da Grossi a al commissario generale per l'assistenza civile e la propaganda, I titoli in grassetto sono stati ritrovati su Italiataglia. Se il titolo è du­ plice quello ritrovato su italiataglia è in grassetto. Seguono regista, casa di produzione, # visto censura e anno di produzione. Cassa I I. . I signor conte ne aveva abbastanza 2. Una fortunata avventura Cines 5229, 1914 3. c meglio l’arte 4. Le nozze di vittoria Ugo Falena. Tespi, 12510, 1916 5. Mercante orientale di carne umana, bau Lauritzen, Nordisk, 7214,1915 6.

    Caccia al porta fortuna

    7. Diecimila km. Per una lettera Latium, 8575,1915 8. Tontolini passa un bruno quarto d’ora 9.1 topolini riconoscenti 10. Brigantaggio moderno, Ferdinand Zecca, Pathé, 8974, 1915 11. Meritata lezione (o Aristodema conquistata). Cines. 4329. 1914 12. Tre mogli per un marito, Georges Monca, Pathé, 8658, 1915 13. Bebé non ama i gatti. Eclectic, 3316. 1914 14. La lettera deiramata 15. In assenza dei padroni, Cines, 4326, 1914 16. Idillio balneare, Cines 4318, 1914 17. Tontolini è morto 18. Non ci sono più serve, Pathé 9718. 1915 19.1 capricci di Gribouillet(t)c. Andrée Deed. Pathé. 4025, 1914 20. Furberia di donna, Pathé, 7884, 1915 2I.

    Tarlutini cd il formicaio. Georges Monca, P4