La genesi dei poemi omerici [1 ed.]
 3110650045, 9783110650044

Table of contents :
Prefazione
Indice
1. Questioni preliminari
2. Storia dell’analisi dell’Iliade
3. Analisi di Α–Ζ
4. Analisi di H–Κ
5. Analisi di Λ–Ο
6. Analisi di Π–Τ
7. Analisi di Υ–Ω
8. Sguardo retrospettivo e conclusioni sulla genesi dell’Iliade
9. Storia dell’analisi dell’Odissea
10. Analisi di α–δ
11. Analisi di α 1–102, ε–μ
12. Analisi di ν–υ 121
13. Analisi di υ 122–ω
14. Sguardo retrospettivo e conclusioni sulla genesi dell’Odissea
15. I poeti omerici, la storia e la datazione dell’Iliade e dell’Odissea
16. La leggenda (orfica?) di Pisistrato editore di Omero, la critica analitica nell’antichità e la fase attica della tradizione omerica
Stemma dei rapporti fra gli epe
Bibliografia
Indice delle cose notevoli

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Carlo M. Lucarini La genesi dei poemi omerici

Beiträge zur Altertumskunde

Herausgegeben von Susanne Daub, Michael Erler, Dorothee Gall, Ludwig Koenen und Clemens Zintzen

Band 376

Carlo M. Lucarini

La genesi dei poemi omerici

The publication of this book has been assured by a grant from the Alexander v. Humboldt Foundation.

ISBN 978-3-11-065004-4 e-ISBN (PDF) 978-3-11-065296-3 e-ISBN (EPUB) 978-3-11-065013-6 ISSN 1616-0452 Library of Congress Cataloging in Publication Control Number: 2019936567 Bibliographic information published by the Deutsche Nationalbibliothek The Deutsche Nationalbibliothek lists this publication in the Deutsche Nationalbibliografie; detailed bibliographic data are available on the Internet at http://dnb.dnb.de. © 2019 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston Printing & binding: CPI books GmbH, Leck www.degruyter.com

DIS MANIBUS CAROLI LACHMANNI VILIA TURA

Γερμανικῆς γῆς σχῆμα, Ῥωμαίων ἄκρος Μούσης διορθωτής τε καὶ Λουκρήτιον σαφηνίσας δέλτοισιν εὐκλεεστάταις· ἱερῶν τε πηγὰς πρῶτος ἐξηῦρες γραφῶν ἐπῶν θ᾽ Ὁμήρου δυνατὸς ἦσθ᾽ ὁρᾶν φύσιν. ἐν ταῖς σχολαῖς οἴμ᾽ ὡς κακῶς νομίζεται· φλυαρίαι δόκησιν ἄρνυνται κενήν, εὑρήματ᾽ ἤδη πάντα λείπεται σέθεν.

ἓν δὲ τοῦτο διισχυρίζομαι, ὅτι οὐκ ἔστι μεγάλων ἐπιτυχεῖν ἐν οὐδενὶ τρόπῳ, μὴ τοιαῦτα τολμῶντα καὶ παραβαλλόμενον, ἐν οἷς καὶ σφάλλεσθαί ἐστιν ἀναγκαῖον Dionys. Halic. Epist. ad Pomp. Gem. 2, 15

Prefazione Da tempo sono convinto che la via giusta per intendere la genesi dei poemi omerici sia quella indicata dall’analisi, quale è stata praticata soprattutto in Germania nel secolo XIX e all’inizio del XX. Per questo motivo ho intrapreso un’indagine sistematica dell’Iliade e dell’Odissea, cercando di determinare quali epe siano confluiti nei due poemi e come essi siano stati riordinati dai vari Bearbeiter. Il presente studio nasce da due corsi di filologia classica da me tenuti all’Università di Palermo negli anni accademici 2015/16 e 2016/17. Ho inoltre discusso alcuni problemi durante le sedute del seminario di filologia classica dell’Università di Colonia diretto dai Proff. R. Kassel e J. Hammerstaedt e in un seminario all’Università di Roma diretto dal Prof. F. Stok. A tutti i partecipanti a questi incontri, in particolare ai miei studenti palermitani, che hanno discusso con me gran parte di questo libro, un sentito ringraziamento. Ringrazio anche i Colleghi del dipartimento «Culture e Società» dell’Università di Palermo, grazie ai quali (soprattutto al Prof. G. Di Maria) ho usufruito di un intero anno sabbatico (2017/18) per poter portare a termine questa ricerca. Questo lavoro è frutto di un confronto sistematico con le opere di alcuni studiosi, che desidero ricordare: per quanto concerne l’Il., Lachmann, Naber, Niese, Hentze, Bethe, Wilamowitz, Von der Mühll; per quanto riguarda l’Od., Kirchhoff, Niese, Wilamowitz, Bethe, Schwartz, Merkelbach. In particolare le analisi di Bethe e di Wilamowitz, veri «maestri di color che sanno» in rebus Homericis, dovrebbero essere la base di qualsiasi indagine sulla genesi dell’Il. e dell’Od. Sarei tuttavia ingiusto verso Lachmann, se non chiudessi questa prefazione ricordando che la sua bistrattata Liedertheorie (formulata nel 1837/41) contiene in nuce la più verisimile spiegazione della genesi dei poemi omerici. Palermo, settembre 2018

Indice 





Questioni preliminari 1 1 I poemi omerici come opera scritta Termini e sigle di uso frequente nell’analisi Storia dell’analisi dell’Iliade 12 12 Da Wolf a Kayser La reazione a Lachmann: le Uriliaden 19 Da Erhardt a Schwartz L’ultimo secolo 23 Analisi di Α–Ζ 27 L’inizio del poema (Α–Β) 27 L’inizio dei combattimenti (Γ–Ζ) Sguardo retrospettivo su Α–Ζ

6

16

46 63



75 Analisi di H–Κ Riassunto di Η–Κ 75 Lo «Zweikampf des Hektor und Aias», il grande raccordo Η2–Θ–Ι1, 78 la πρεσβεία e la «Dolonie»



96 Analisi di Λ–Ο Sguardo generale su Λ–Ο e analisi di Λ 96 107 La τειχομαχία (Μ) Cronologia degli eventi di Ν–Ο e analisi di Ν Analisi di Ξ 122 128 Analisi di Ο 133 Sguardo retrospettivo su Λ–Ο



137 Analisi di Π–Τ 137 Introduzione alla Patroklie L’aristia e la morte di Patroclo 147 Il raccordo di Σ–Τ e la genesi dell’Iliade

167

113

X



Indice

Analisi di Υ–Ω 173 Analisi di Υ–Ψ 257 173 191 Ἆθλα e Λύτρα 199 Sguardo retrospettivo su Υ–Ψ1 Rapporti di P con la Licia, il ciclo ed Esiodo

205



Sguardo retrospettivo e conclusioni sulla genesi dell’Iliade



218 Storia dell’analisi dell’Odissea Precursori di Kirchhoff 218 Da Kirchhoff a Seeck 219 226 Bethe e Schwartz Von der Mühll e la semplificazione dell’analisi



233 Analisi di α–δ Telemachia e Ἰθακησίων ἀγορά 233 239 Analisi di α I proci in T 244 δ 620 – 847 e sguardo complessivo su α 103–δ

211

229

249



253 Analisi di α 1 – 102, ε–μ 253 I due concili divini (α/ε): una scena spezzata Rielaborazioni di K: il motivo dell’ira di Posidone 259 Il soggiorno presso i Feaci (ζ–θ, ν1) e la tempesta (ε) 263 277 La νέκυια Gli ᾿Aπόλογοι 285 290 Sguardo d’insieme su ε–ν1 I rapporti fra gli ἆθλα ed Esiodo e fra la Telegonia e l’Odissea 293



302 Analisi di ν–υ 121 Il raccordo fra νόστος e τίσις: analisi di ν 302 306 Analisi di ξ–ρ: la fusione fra Eumaiosepos e T Analisi di σ–υ 121: il Melanthoepos 324 334 Sguardo retrospettivo su ξ–υ 121

XI

Indice



Analisi di υ 122–ω 341 Analisi di φ–χ 341 347 Analisi ψ–ω 359 Analisi di υ 122 – 394 La fine dell’Odissea secondo gli Alessandrini (ψ 296) 364 Sguardo retrospettivo su υ–ω, T e B



Sguardo retrospettivo e conclusioni sulla genesi dell’Odissea



I poeti omerici, la storia e la datazione dell’Iliade e dell’Odissea 380 380 I poeti dell’Iliade e la storia La data dell’Iliade e dell’Odissea e la loro attribuzione a Omero 389



La leggenda (orfica?) di Pisistrato editore di Omero, la critica analitica nell’antichità e la fase attica della tradizione 397 omerica

Stemma dei rapporti fra gli epe Bibliografia

362

416

417 Opere citate per autore moderno con riferimento a un passo antico: 417 Opere citate per autore moderno e anno di pubblicazione:

Indice delle cose notevoli

433

376

417

1 Questioni preliminari I poemi omerici come opera scritta Per comprendere la genesi dell’Il. e dell’Od. bisogna partire da due presupposti: a ciascuno dei due poemi hanno lavorato più poeti (1); questi poeti usavano la scrittura, nel senso che scrivevano ciò che essi stessi componevano e leggevano ciò che altri poeti avevano composto (2). Questi due presupposti (che sono la base della critica analitica, quale si è praticata per lo più da studiosi germanofoni fra l’inizio del XIX secolo e i primi decenni del XX) sono entrambi facilmente dimostrabili. Per quanto concerne (1), tutta l’analisi che seguirà parlerà da sola: le innumerevoli incongruenze, che si incontrano continuamente nei due poemi, non potrebbero mai spiegarsi supponendo un solo autore per ognuno dei due poemi. Per quanto concerne (2), poiché non avremo occasione di discutere l’argomento nel seguito, dirò qualcosa ora. Noi sappiamo che i Greci avevano usato una scrittura lineare nel periodo miceneo e che cominciarono a usare la scrittura alfabetica (che è alla base della scrittura greca dei secoli successivi fino a oggi e, indirettamente, anche dell’alfabeto latino che noi usiamo) alla metà dell’VIII sec. a. C. e che nel periodo intermedio fra queste due date (i «secoli bui», XII–IX a. C.) non usarono la scrittura. D’altra parte, sappiamo anche che l’Il. e l’Od. hanno ricevuto la loro forma attuale non prima di ca. il 600 a. C.; dunque c’è un periodo di oltre un secolo in cui la scrittura era in uso e in cui i due poemi ebbero tempo di formarsi¹. I dati archeologico-epigrafici sono quindi del tutto compatibili con l’idea che i due poemi siano stati composti da poeti che usavano la scrittura. Sappiamo anche che recitazioni orali della poesia epica erano in uso nel periodo in questione (sec. VIII–VII); sembra dunque ragionevole ammettere che, nell’epoca in cui vennero composte l’Il. e l’Od., scrittura e oralità convivessero². Tuttavia, da alcuni decenni molti omeristi credono che i poeti (o il poeta) che hanno lavorato all’Il. e all’Od. non facessero uso della scrittura. Se questo fosse vero, la fissazione per iscritto dei poemi sarebbe avvenuta solo alla fine del processo compositivo, in concomitanza con una recitazione; bisognerebbe cioè immaginare che l’Il. e l’Od. siano state messe per iscritto da qualcuno

 È invece improbabile che poesia scritta di età micenea sia stata letta nei secoli VIII e seguenti. Sul problema cfr. da ultimo Sacconi (2010).  Anche i trovatori in lingua d’oc scrivevano le loro poesie su fogli volanti (Liederblätter) che portavano con sé: da queste copie personali derivano i grandi mss. giunti a noi, cfr. Avalle (1993) 28 sgg. https://doi.org/10.1515/9783110652963-001

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1 Questioni preliminari

che ascoltava una recitazione, anziché da un poeta che componeva seduto al proprio tavolo. Questa teoria panoralista (oral dictated text), che esclude l’uso della scrittura dalla genesi dei due poemi, ha avuto molta fortuna ed è stata proposta in varie forme³, ma è errata nei suoi fondamenti. Poiché essa si è sviluppata soprattutto dagli anni ’30 in poi, cioè proprio dal momento in cui, per motivi e stimoli molto diversi, gli unitari hanno preso il sopravvento sugli analitici, è naturale che siano stati per lo più gli unitari a opporsi al panoralismo; questo non perché il panoralismo si concili meglio con l’analisi, ma perché l’analisi, da quando è venuto in auge il panoralismo, è stata poco praticata. L’argomento principale che gli unitari hanno usato contro il panoralismo sono le corrispondenze a distanza chiaramente ricercate dal poeta e l’architettura complessa dell’Il. e dell’Od. Argomenti di questo genere sono, fino a un certo punto, corretti. Noi mostreremo, per esempio, attraverso una serie di corrispondenze a distanza, che Η2–Θ hanno natura redazionale, nel senso che sono stati composti per inserire Ι, che Τ è stato composto in considerazione di Ι, e che il poeta-redattore dell’Od. (B) ha spezzato un epos preesistente (T) cercando di inserirlo in maniera coerente in epos più ampio. Gli unitari, che pure non accettano la natura redazionale di nessuna sezione dei poemi, credono anch’essi alla intenzionalità delle corrispondenze a distanza e le hanno giustamente utilizzate contro il panoralismo. Come immaginare una costruzione che presuppone corrispondenze a distanza di migliaia di vv. all’interno di una recitazione improvvisata⁴? I panoralisti basano le proprie teorie per lo più sul confronto con l’epos serbocroato, ma proprio tale epos mostra che poemi lunghi e strutturati come l’Il. e l’Od. sono inimmaginabili in una prospettiva panoralista⁵. Oltre che da questi argomenti già abbondantemente utilizzati dagli unitari, il panoralismo è smentito da alcuni risultati dell’analisi. Noi incontreremo una serie di scene spezzate, soprattutto nell’Od. La tecnica del poeta-redattore dell’Od. (B) è sempre la stessa: a un certo punto della narrazione la scena viene interrotta in maniera piuttosto brusca. Si passa quindi a narrare un’altra cosa e l’interruzione può durare poche decine di vv. (come nel caso di η 185 – 228, ψ

 Per una discussione recente cfr. e. g. Janko (1998), una delle trattazioni più chiare a me note, e Ready (2015). Chiamo questa teoria «panoralista» e non semplicemente «oralista» (come essa viene comunemente chiamata), poiché nessuno nega che la poesia omerica abbia anche una componente orale, nel senso che i poeti epici recitavano ciò che essi componevano e usavano un linguaggio che risente della tradizione orale.  Che «l’intenzionalità della corrispondenza fra episodi» sia inconciliabile con il panoralismo mostra bene Di Benedetto (1997) 243 sgg.; cfr. anche Reinhardt (1961) 80 sgg.; Reichel (1994). Contra Nagy (1996) 82 sgg.  Cfr. Dirlmeier (1971).

I poemi omerici come opera scritta

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117– 172) o anche migliaia di vv. (come nel caso di δ 619 – ο 80). Quando la scena interrotta viene ripresa, i personaggi si trovano nell’identica situazione in cui li avevamo lasciati⁶. B segnala la ripresa della scena spezzata ripetendo alcuni vv. che compaiono poco prima dell’interruzione. Sono in grado i panoralisti di indicare un procedimento del genere in un oral dictated text? Credo di no⁷, mentre esso è del tutto naturale per un poeta che, a tavolino, rielabora e giustappone epe scritti preesistenti. Alcuni passi omerici sembrano copiati meccanicamente da altri passi. Nel concilio divino di ε 1– 43 Atena lamenta davanti agli altri dèi la sorte sventurata di Odisseo (7– 19), che da anni si trova presso Calipso, sull’isola di Ogigia: Ζεῦ πάτερ ἠδ᾽ ἄλλοι μάκαρες θεοὶ αἰὲν ἐόντες, μή τις ἔτι πρόφρων ἀγανὸς καὶ ἤπιος ἔστω σκηπτοῦχος βασιλεύς, μηδὲ φρεσὶν αἴσιμα εἰδώς, ἀλλ᾽ αἰεὶ χαλεπός τ᾽ εἴη καὶ αἴσυλα ῥέζοι, ὡς οὔ τις μέμνηται Ὀδυσσῆος θείοιο λαῶν, οἷσιν ἄνασσε, πατὴρ δ᾽ ὣς ἤπιος ἦεν. ἀλλ᾽ ὁ μὲν ἐν νήσωι κεῖται κρατέρ᾽ ἄλγεα πάσχων. νύμφης ἐν μεγάροις Καλυψοῦς, ἥ μιν ἀνάγκῃ ἴσχει· ὁ δ᾽ οὐ δύναται ἣν πατρίδα γαῖαν ἱκέσθαι. οὐ γάρ οἱ πάρα νῆες ἐπήρετμοι καὶ ἑταῖροι, οἵ κέν μιν πέμποιεν ἐπ᾽ εὐρέα νῶτα θαλάσσης. νῦν αὖ παῖδ᾽ ἀγαπητὸν ἀποκτεῖναι μεμάασιν οἴκαδε νισόμενον.

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15

Chi vuole rimproverare la dèa con queste parole? «Nessuno si ricorda (οὔ τις μέμνηται, 11) di Odisseo, che Calipso trattiene contro la sua volontà presso di sé». Verrebbe da pensare, che Atena voglia rimproverare gli unici che potrebbero fare in modo che Calipso lasciasse finalmente partire Odisseo, cioè gli dèi; tanto più che ella parla in mezzo agli dèi. Il pensiero viene tanto più naturale, quando si consideri che la stessa Atena in precedenza, sempre davanti agli altri dèi, aveva mosso loro lo stesso rimprovero, cioè di non provare la dovuta pietà per la sorte di Odisseo trattenuto da Calipso (α 59 sgg.). Inoltre, una divinità che rimprovera le altre per la loro scarsa sensiblità verso la sorte infelice e immeritata di un mortale, è cosa tipica dell’epica omerica (cfr. e. g. Ω 33 sgg.). Tuttavia,

 È una sorta di frozen scene, ma mentre nelle frozen scenes concepite per appartenere allo stesso epos la parte inframezzata è in rapporto con la frozen scene (cfr. φ 188 – 244), nel caso delle scene spezzate fra queste ultime e la parte inframezzata non c’è rapporto; in qualche caso c’è patente contraddizione (come fra Υ 66 – 74 e il seguito, cfr. p. 176 sgg.).  Merkelbach (19692) X: «Eine zerschnittene Szene setzt voraus, daß eine schriftliche Vorlage existierte».

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1 Questioni preliminari

nel passo trascritto Atena non rimprovera gli altri dèi in mezzo a cui sta parlando, ma i concittadini di Odisseo, gli Itacesi: nessuno di coloro sui quali Odisseo regnava (οὔ τις … λαῶν, οἷσιν ἄνασσε), dice la dèa, si ricorda di lui. Cosa ha a che fare questo con il contesto in cui Atena parla? Cosa possono fare i sudditi di Odisseo, gli Itacesi, perché egli possa tornare in patria? Evidentemente nulla. I vv. 8 – 12 occorrono uguali in un altro punto dell’Od., durante l’assemblea degli Itacesi (β 230 – 234), ove a pronunciarli è Mentore; in questo caso, però, dire che nessuno dei sudditi di Odisseo si ricorda quale sovrano egli fosse (πατὴρ δ᾽ ὥς ἤπιος ἦεν) è perfettamente appropriato: Mentore sta parlando in mezzo agli Itacesi e rimprovera loro di lasciare che i proci divorino le sostanze di Odisseo, mentre dovrebbero aiutare Telemaco a cacciarli di casa. Sembra dunque che ε 8 – 12 sia stato copiato da β 230 – 234, in maniera del tutto meccanica e senza curarsi dell’incongruenza che ne nasceva⁸. Anche ε 14– 17 si trovano in un altro passo dell’Od. (δ 557– 560) ove a pronunciarli è Proteo, che si rivolge a Menelao. Anche se dovessimo giudicare dal solo confronto di ε con δ, credo risulterebbe probabile la priorità di δ: mentre è infatti del tutto normale che Proteo dica a Menelao che Odisseo non può tornare a Itaca perché non ha più nave e compagni, più strano è che Atena dica questo, poiché nel giro di pochi vv. gli dèi faranno in modo che Odisseo torni a Itaca su una zattera e senza alcun compagno. L’assenza della nave e dei compagni è dunque decisiva in δ, marginale in ε. Nell’ultima parte del testo trascritto (ε 18 – 20) Atena allude all’attentato contro Telemaco; noi sappiamo dal resto dell’Od. che tale attentato era stato ordito dai proci, ma dal testo di ε per sé stesso si arguirebbe che siano i sudditi di Odisseo, non i proci, a tendere l’attentato, poiché il soggetto di μεμάασιν è λαοί⁹. L’incongruenza, grave e patente, si collega di nuovo ai vv. 8 – 12, che già abbiamo visto essere stati copiati da β 230 – 234, poiché i λαοί compaiono al v. 12. Questo discorso di Atena è stato definito «ein miserabler Cento»¹⁰: in effetti le incongruenze nascono proprio dalla tecnica centonaria con cui esso è com-

 Si è cercato di salvare la coerenza del discorso di Atena collegando l’ingratitudine dei λαοί all’attentato dei proci, di cui Atena parla ai vv. 18 – 20, ma né i proci sono λαοί né l’attentato è contro Odisseo (cfr. Scotland 1887, 45); inoltre, con νῦν δ᾽ αὖ (18) si vuole evidentemente introdurre un argomento di cui finora non si era parlato e, se anche tutti gli Itacesi e tutti i proci avessero servato la più profonda gratitudine a Odisseo, nulla avrebbero potuto fare per farlo partire da Ogigia.  Cfr. Jacob (1856) 391; Bornemann (1953) 29: «Das Subjekt [scil. di μεμάασιν] ist unbestimmt, nach V. 11/12 muß man an das ganze Volk denken. Die Freier werden erst –und ganz unvermittelt – in V. 27 erwähnt».  Così Wilamowitz (1884) 11; già Jacob (1856) 392 osservava: «An Stellen dieser Art pflegen wir wohl nur deshalb nicht Anstoß zu nehmen, weil wir uns von Jugend auf mehr an ihrem Wohllaut und bei vielen an ihren theilweisen Schönheit gefreut, als sie einer genauern Prüfung in ihrem

I poemi omerici come opera scritta

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posto. Un caso del tutto analogo si incontra in un altro discorso di Atena, stavolta rivolto a Telemaco (α 263 sgg.). Analizzeremo il discorso più avanti¹¹ e osserveremo impressionanti analogie con ε 7– 19: non solo le incongruenze nascono anche lì dalla tecnica centonaria, ma la sezione da cui i vv. sono stati presi è di nuovo l’assemblea degli Itacesi di β. Quando Odisseo sta per andare verso l’Ades, Circe gli dice in anticipo cosa deve fare una volta arrivato a destinazione (κ 505 sgg.). A proposito delle vittime, la maga dice (531– 533): δὴ τότ᾽ ἔπειθ᾽ ἑτάροισιν ἐποτρῦναι καὶ ἀνῶξαι μῆλα, τὰ δὴ κατέκειτ᾽ ἐσφαγμένα νηλέϊ χαλκῶι δείραντας κατακῆαι.

L’imperfetto κατέκειτο è del tutto fuori luogo, poiché Circe si riferisce a un’azione futura; questo è stato percepito da alcuni copisti, che hanno introdotto il presente κατάκειτ’, che però è anch’esso impossibile¹². Gli stessi vv. occorrono identici poco dopo (λ 44– 46), ove però l’imperfetto κατέκειτο è perfettamente al proprio posto, poiché Odisseo sta descrivendo un’azione del passato. La spiegazione del tutto ovvia è che κ 531– 533 sono stati copiati meccanicamente da λ 44– 46. In Ι (173 sgg.) Agamennone invia ad Achille un’ambasceria di cui fanno parte Fenice, Odisseo e Aiace Telamonio. Per un lungo tratto del testo, tuttavia, ci si riferisce agli ambasciatori inviati da Agamennone con un duale (182: τὼ δὲ βάτην; 183; 192, 197), mentre dal resto del contesto risulta che gli ambasciatori siano tre. L’incongruenza è evidente, poiché un duale non può riferirsi a tre persone. Se ne è ragionevolmente dedotto che in uno stadio precedente della formazione del testo gli ambasciatori fossero solo due e che il terzo sia stato introdotto successivamente¹³. Anche in questo caso la spiegazione più ovvia è che i duali derivino da un altro epos (in cui gli ambasciatori erano effettivamente due), il cui testo è stato copiato meccanicamente. In η Odisseo giunge al palazzo di Alcinoo, di cui il poeta fa una descrizione all’imperfetto (86 – 102). Nei vv. successivi (103 – 131) viene descritta l’attività ganzen Zusammenhang unterworfen haben und so konnten zu allen Zeiten Zuhörer wie Leser auch an diesem in jeder Hinsicht verfehlten Eingange Gefallen finden». Cfr. anche Schmitt (1852); Bergk (1872) 671: «ein sehr junges und äusserst armseliges Machwerk»; Page (1955) 71: «both the structure and the contents of this scene in heaven are out of harmony with normal practice».  Cfr. p. 239 sgg.  Cfr. p. 279.  Cfr. p. 86.

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1 Questioni preliminari

delle ancelle e i giardini del palazzo, ma l’esposizione è al presente, non più al passato. Questo passaggio dal passato al presente è del tutto immotivato ed è stato ragionevolmente ipotizzato che 103 – 131 appartenessero in origine a un discorso diretto, che qualcuno rivolgeva a Odisseo¹⁴. Come nel caso di Ι, l’unica spiegazione possibile è che qualcuno abbia giustapposto meccanicamente testi in origine non concepiti per essere contigui. Lo Schiffskatalog (Β 484 sgg.) si riferisce a un momento che precede di alcuni anni gli eventi del suo attuale contesto, poiché esso descrive il momento della partenza dei Greci dall’Aulide, mentre in Β i Greci sono già arrivati a Troia da anni (!): è evidente che si tratta di un pezzo preso da un altro contesto e inserito qui in maniera del tutto meccanica e che una cosa del genere può avvenire solo a un poeta che compone giustapponendo testi scritti preesistenti. Nei casi di ε, α, κ possediamo l’originale, nel caso di Ι, η e Β no, ma la tecnica è chiaramente la stessa: si prendono pezzi da epe preesistenti e li si inseriscono in un nuovo contesto, sebbene ne nascano evidenti incongruenze. Sono in grado i panoralisti di indicare procedimenti del genere per un oral dictated text ¹⁵?

Termini e sigle di uso frequente nell’analisi¹⁶ Abschied: è termine usato da Bethe per l’epos alla base dell’incontro fra Ettore e Andromaca (Ζ). Qualcuno crede che tale epos contenesse anche la processione delle donne troiane in onore di Atena (Bittgang), ma si trattava probabilmente di due epe diversi.

 Cfr. p. 273 – 274.  I panoralisti rifiutano alla base il procedimento con cui l’analisi cerca di mostrare che alcuni vv. sono «originari» in un punto e «ripresi» in un altro (problemi analoghi si pongono anche per testi in cui non entra in gioco l’oralismo, cfr. Dell’Aversano – Grilli – Nervi 2015). Secondo i panoralisti l’epos omerico è composto per lo più di formule tradizionali e dunque distinguere il grado di originalità di singoli vv. o gruppi di vv. è impossibile. È questo un assunto del tutto errato, che porta a «un modo rozzo di leggere Omero» (Di Benedetto 1994, VII): cfr. van Thiel (1982) 24 sgg.; Di Benedetto (1994) 103 sgg.; Id. (1997); West (2011) 50; Di Santo (2013). Nei passi che ho citato non c’è nulla di formulare. Non credo che il panoralismo abbia in qualche modo contribuito a comprendere meglio il ruolo della formula nell’epica; gli analitici dell’800 avevano già compreso bene il fenomeno, cfr. Dawe (1993) 14 sgg. Cfr. anche Blössner (2006).  Non tutti i termini utilizzati (alcuni dei quali risalgono alla critica antica) corrispondono a epe preesistenti confluiti nell’Il. e nell’Od. Uso il corsivo solo per quelli che io credo corrispondano a epe preesistenti.

Termini e sigle di uso frequente nell’analisi

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Achilleis: nell’analisi di Wilamowitz indica l’epos che costituisce la base dell’ultimo giorno di battaglia dell’Il., in cui è protagonista Achille (Υ–Ψ1). Altri usano il termine per indicare un epos alla base della nostra Il. (una sorta di Urilias), ma io userò il termine nel primo senso. Asteropaiosepos: uso questo termine per indicare lo scontro fra Achille e Asteropeo e la morte di quest’ultimo (Φ). Di sicuro questo epos conteneva molto altro oltre ad Asteropeo, ma, poiché di esso non sembra esserci rimasto altro (anche se esso faceva probabilmente parte dell’Il. di P), è comodo usare questo termine. Aufruhr: è termine usato da Bethe e indica l’epos che conteneva l’assemblea e la ribellione dell’esercito greco (Β). Sebbene non ci sia accordo sui particolari, gli analitici concordano nel credere che tale epos fosse in origine staccato sia da quanto precede (lite di Agamennone e Achille e Ὄνειρος) sia da quanto segue (Ὁρκίων σύγχυσις). Io credo (sulla scia di Kammer) che anche l’ἐπιπώλησις appartenesse all’Aufruhr; l’Aufruhr di Bethe (che coincide in gran parte con il Thersitesgedicht di Schwartz) è invece presente solo in Β. ᾿Aγαμέμνονος νέκυια: cfr. νέκυια. Ἆθλα: sono i giochi funebri in onore di Patroclo (Ψ2). ἆθλα: sono i giochi celebrati dai Feaci alla presenza di Odisseo (θ). ἀναγνωρισμός: è il riconoscimento di Odisseo da parte di Penelope (ψ1). ᾿Aπόλογοι: sono i racconti che Odisseo fa delle proprie peregrinazioni, successive alla guerra di Troia, alla corte dei Feaci (ι–μ). B: è il Bearbeiter, l’ordinatore principale e definitivo della nostra Od. L’esistenza di tale Bearbeiter, da Kirchhoff in poi, è presupposta da quasi tutta la critica analitica ed è una delle acquisizioni più sicure dell’analisi omerica. Von der Mühll usa tale sigla anche per l’ordinatore dell’Il. Bittgang: è termine usato da Bethe e indica l’epos che conteneva la processione delle donne troiane in onore di Atena (Ζ), cfr. Abschied. Bogenkampf: è la prima parte della battaglia fra Odisseo e i proci (χ), in cui Odisseo usa l’arco, non le lance. Da Seeck in poi è opinione diffusa che le due parti della battaglia abbiano origine diversa.

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1 Questioni preliminari

Büsserszene: cfr. νέκυια. βουλὴ γερότων: è l’assemblea dei capi greci di Β. Alcuni (da Lachmann in poi) credono che si tratti di un’interpolazione, io invece credo sia la prosecuzione di quanto precede (e la fine di ciò che noi abbiamo del Groll). Catalogus heroidum: cfr. νέκυια. Diomedie: è l’epos alla base di Ε. Dolonie: è l’episodio notturno fra il secondo e il terzo giorno di battaglia dell’Il., che ha per protagonisti Dolone, Diomede e Odisseo (Κ). δευτέρα νέκυια: è la scena nell’Ades di ω1. διάπειρα: è la prova con cui Agamennone esplora lo stato d’animo dell’esercito (Β); essa sembra essere stata introdotta per riunire Groll e Aufruhr. Διὸς ἀπάτη: è l’inganno che Era tende a Zeus (Ξ). Eumaiosepos: è termine di Bethe per indicare l’epos che comprendeva l’Ἰθακησίων ἀγορά, l’arrivo di Odisseo da Eumeo, la μνηστηροφονία, il riconoscimento di Odisseo e Penelope di ψ. Io uso Eumaiosepos per indicare l’epos alla base di ξ–π–ρ, che credo non abbia collegamenti né con le rapsodie successive né con l’Ἰθακησίων ἀγορά. Esso si sovrappone in parte all’epos ν–ξ di Wilamowitz. ἐπιπώλησις: è il momento immediatamente precedente alla prima battaglia dell’Il. (Δ), in cui Agamennone passa in rassegna le truppe. Cfr. Aufruhr. θεῶν μάχη: è la battaglia fra gli dèi (Υ–Φ); a me sembra che essa sia stata inserita successivamente nel suo contesto attuale; altri pensano diversamente, ma certo Υ–Φ ci sono giunti in forma rielaborata, cfr. μάχη παραποτάμιος. Fusswaschung: è il momento in cui Euriclea lava Odisseo e lo riconosce (τ). Groll: è l’epos che conteneva la lite di Agamennone e Achille, l’Ὄνειρος e la βουλὴ γερόντων (Α–Β1). A differenza della maggior parte degli analitici, io credo che di tale epos non ci siano altre tracce nella nostra Il. (una posizione simile già in Erhardt e Schwartz).

Termini e sigle di uso frequente nell’analisi

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Idomeneusgedicht: è l’epos che è alla base dell’aristia di Idomeneo (Ν). Intermezzo: è la pausa che interrompe brevemente la narrazione degli ᾿Aπόλογοι (λ). Interpolazioni licie: nella nostra Il. sono riconoscibili alcuni passi palesemente estranei al loro contesto attuale, in cui sono protagonisti gli eroi lici Sarpedone e Glauco. È certo che essi hanno origine comune: forse è stato P a introdurli. Interpolazioni rapsodiche: sono interpolazioni di singoli vv. o gruppi di vv., che non si riesce a ricondurre a un progetto più ampio di rielaborazione (come e. g. B, P, R). Ἰθακησίων ἀγορά: è l’assemblea degli Itacesi di β. Bethe per primo ha mostrato che si tratta di un epos in origine staccato sia da T sia da α. Egli lo ha inserito nel suo Eumaiosepos, donde Merkelbach nel suo R. K: Schwartz utilizza questa sigla per il poeta dell’Od. che ha introdotto Calipso. In generale si può usare questa sigla per indicare l’epos alla base del νόστος nella sua forma successiva a O e precedente alla rielaborazione di B. κόλος μάχη: è la battaglia «interrotta» di Θ, in cui i Greci soccombono ai Troiani: molti analitici (da Kayser in poi) credono che tale battaglia sia stata composta da chi ha introdotto la πρεσβεία, proprio per motivare, tràmite la sconfitta greca, l’invio dell’ambasceria. L: Schwartz indica con tale sigla l’epos alla base di φ–ω. Questo epos coincide in buona parte con l’epos φ–χ–ψ di Wilamowitz, cui va il merito di averlo per primo (1884) individuato. Liedertheorie: è l’idea, che risale a Lachmann, per cui alla base della nostra Il. ci sono una serie di rapsodie di origine diversa. La Liedertheorie esclude non solo l’unitarismo, ma anche una Urilias. La teoria è applicabile anche all’Od. Λύτρα: è l’epos del riscatto del corpo di Ettore da parte di Priamo (Ω). Melanthoepos: è termine di Bethe per l’epos alla base di σ–υ1. Esso corrisponde in gran parte all’epos σ–τ di Wilamowitz, che ha per primo (1884) posto le basi della sua identificazione, staccando σ da quanto precede e legandolo a τ.

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1 Questioni preliminari

μάχη παραποτάμιος: è la battaglia sulle rive dello Scamandro all’interno dell’aristia di Achille (Υ–Φ). Essa ci è giunta in forma visibilmente rielaborata. Nestoridyll: è l’episodio di Nestore e Macaone (Λ2); probabilmente esso non è stato composto in origine per il suo attuale contesto. νέκυια: è il viaggio di Odisseo all’Ades (λ); esso è una chiara Einlage all’interno degli ᾿Aπόλογοι e consta di quattro epe preesistenti (νεκυομαντεία, Catalogus heroidum, ᾿Aγαμέμνονος νέκυια, Büsserszene). νεκυομαντεία: cfr. νέκυια. νόστος: è il ritorno di Odisseo a Itaca (ε–ν1). O: uso questo termine per indicare il νόστος nella forma più antica per noi riconoscibile, precedente a K. La sigla O è di Schwartz, ma l’individuazione di questo epos risale a Niese, che per primo lo distinse da K. Focke usa la sigla O per la sua Urodyssee (ε–ψ). Ὄνειρος: è il sogno inviato da Zeus ad Agamennone (Β). Ὁπλοποιΐα: è la descrizione delle armi di Achille costruite da Efesto (Σ): gli analitici credono per lo più che essa fosse in origine indipendente dall’Il., in cui è stata inserita da un poeta che ha per questo introdotto il Waffentausch. Ὁρκίων σύγχυσις: è la rottura dei patti da parte dei Troiani dopo il duello fra Menelao e Paride (Γ–Δ). Con tale termine io indico l’epos che è alla base sia della rottura vera e propria (Δ) sia del duello stesso (Γ). P: con questa sigla indico la grande rielaborazione che ha dato la forma attuale a gran parte dell’Il. (cioè a Α–Ι, Λ–Υ1). L’identificazione di questa rielaborazione è merito di Bethe (che parla di «Verfasser unserer Ilias», che corrisponde a B di Von der Mühll). Io credo che la nostra Il. sia stata rielaborata ulteriormente dopo P (da R). Patroklie: è l’aristia e la morte di Patroclo. Gli analitici concordano che da questo epos derivi gran parte di Π, qualcosa di Ρ, nonché la fine di Ο e l’inizio di Σ. πρεσβεία: è l’ambasceria che Agamennone invia ad Achille, per convincerlo a riprendere a combattere (Ι). La maggior parte degli analitici (da Kayser in poi) è

Termini e sigle di uso frequente nell’analisi

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convinta che si tratti di un epos preesistente inserito da un poeta-redattore, che a tale scopo ha composto la κόλος μάχη (Θ). R: io uso questa sigla per il poeta, successivo a P, che ha dato l’ordine attuale a Υ 55 – Ψ 257. Merkelbach indica invece con tale sigla uno dei due principali epe confluiti nella nostra Od. (Rachegedicht). Schiffskatalog: è il catalogo delle navi di Β. Gli analitici concordano che esso non è stato composto per il suo contesto attuale. T: è la Telemachia, cioè le gesta di Telemaco precedenti il ritorno di Odisseo (α–δ, ο): la critica analitica non è unanime, se il poema che narrava tali fatti sia presente solo in α–δ / ο oppure anche nelle ultime rapsodie dell’Od. τειχομαχία: è la battaglia presso la fortificazione greca (Μ–Ο). Molti credono a un epos preesistente, che conteneva una τειχομαχία, confluito nella nostra Il. (soprattutto in Μ), ma io credo che la τειχομαχία sia invenzione di P. τειχοσκοπία: è l’episodio in cui Elena mostra a Priamo e agli altri capi troiani dalle mura di Troia l’esercito greco (Γ). Alcuni credono che tale episodio costituisse un epos a se stante, io non credo sia possibile staccarlo dalla Ὁρκίων σύγχυσις. τίσις: è la vendetta di Odisseo contro i proci, cioè la seconda parte dell’Od. Verwundungen: sono i ferimenti di Agamennone, Diomede e Odisseo (Λ1). L’identificazione di tale epos è merito essenzialmente di Wilamowitz, anche se esso corrisponde al decimo Lied di Lachmann (il quale però credeva che esso proseguisse in Ξ). Waffentausch: è lo scambio delle armi, per cui Patroclo andando in battaglia prende le armi di Achille, che poi vengono conquistate da Ettore (Π–Ρ). Da Bergk in poi la maggior parte degli analitici crede che questo scambio sia una rielaborazione, fatta per introdurre la Ὁπλοποιΐα. Zweikampf des Aineias und Achill: è il duello fra Enea e Achille (Υ). Zweikampf des Hektor und Aias: è il duello fra Ettore e Aiace (Η).

2 Storia dell’analisi dell’Iliade Da Wolf a Kayser La moderna questione omerica inizia con Wolf (1795)¹⁷, il quale osservò che al tempo di Omero non esisteva la scrittura e che le fonti antiche affermano che il primo a mettere insieme i due poemi fu Pisistrato. Combinando questi due dati, Wolf dedusse che i due poemi attribuiti a Omero, l’Il. e l’Od., per un lungo periodo, fino a Pisistrato, erano stati tramandati in forma unicamente orale. D’altra parte, la trasmissione orale non poteva proteggere i due poemi da interpolazioni e altre manomissioni. Proprio per questa lunga fase di trasmissione puramente orale, concludeva Wolf, i due poemi non possono essere opere unitarie. La tesi di Wolf non ha oggi più valore: Omero non è probabilmente un personaggio reale e non è comunque possibile datarlo né in assoluto né rispetto all’introduzione della scrittura; sappiamo però che la scrittura in Grecia era in uso nell’VIII sec. e, dal momento che i due poemi non hanno preso la loro forma attuale prima di ca. il 600, la loro composizione è databile in un’epoca in cui la scrittura in Grecia era diffusa. Anche la notizia che Pisistrato abbia per primo messo insieme i poemi non è accettabile¹⁸. Nonostante i presupposti su cui si basa siano errati e dunque oggi non abbia più alcuna attualità, l’opera di Wolf ha stimolato la nascita degli studi intorno alla genesi dei poemi omerici e il richiamo ai Prolegomena nei decenni successivi è continuo. Né Wolf né il suo maestro Ch. G. Heyne intrapresero mai analisi sistematiche delle contraddizioni interne ai due poemi e riguardo alla questione, che sarebbe divenuta centrale nei decenni successivi, se l’Il. e l’Od. siano frutto di un agglomerato di canti sparsi (Liedertheorie) ovvero espansione di una Urilias e di una Urodyssee, non giunsero mai a un’idea sicura¹⁹.

 Per il periodo precedente e contemporaneo a Wolf, cfr. Ferreri (2007); per il periodo successivo fino agli agli anni ’20 del XX secolo, cfr. Finlser (19243) 86 sgg. Pochissimo si trova invece in Friedländer (1853), nonostante il titolo.  Cfr. p. 397 sgg. Ben prima di Wolf, l’abate d’Aubignac (1715) aveva sostenuto che l’Il. non può essere opera di un unico poeta. Sebbene gli argomenti del d’Aubignac siano molto soggettivi (nel senso che egli ricava la pluralità di autori dall’osservazione che un solo autore non avrebbe mai composto un’opera strutturalmente così debole come l’Il.) e sebbene la preparazione filologica di d’Aubignac non fosse nemmeno lontanamente paragonabile a quella di Wolf (cfr. Nicolini 1920, che orienta ancora benissimo su questo problema), la posizione del d’Aubignac è in un certo senso più attuale di quella di Wolf, poiché sono le incongruenze interne all’Il. e all’Od. che mostrano la pluralità di autori, non gli argomenti di Wolf.  Cfr. Ferreri (2007) 283 sgg., 301; su Heyne cfr. anche Nesselrath (2014). https://doi.org/10.1515/9783110652963-002

Da Wolf a Kayser

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Il primo tentativo sistematico a me noto di analizzare l’Il. è di un allievo di Wolf, W. Müller (1836, ma la prima edizione è del 1824). Secondo questo studioso nella nostra Il. sono confluite una Achilleis, che corrisponde a Α + Θ–Ι + Ο + Χ e una Patroklie, che corrisponde a Π–Ρ + Ψ (sebbene quest’ultima rapsodia sia probabilmente di un altro poeta). Questi epe sono stati inframezzati con epe di altra natura e provenienza (Schiffskatalog, Ὁρκίων σύγχυσις, Diomedie, Dolonie), per alcuni dei quali è facile osservare che non sono stati in origine pensati per appartenere allo stesso epos, sebbene ora siano giustapposti (Ὁρκίων σύγχυσις e Diomedie). Abbiamo qui il primo di una lunga serie di tentativi di ricostruire una Urilias (Achilleis). Un punto che rimarrà costante in tali tentativi è la separazione²⁰ di Α–(Β) da (Β)–Η. Un altro punto che resterà condiviso per un pezzo (fino a Naber 1876) è che Θ sia la prosecuzione di Α–(Β), mentre il resto della ricostruzione di Müller non avrà seguito, soprattutto la separazione della Patroklie (Π–Ρ) dall’Urilias. Poco dopo Müller apparvero gli studi di Lachmann (18743, ma la prima edizione risale al 1837/41²¹), al quale si deve la prima analisi sistematica del poema. Secondo Lachmann la nostra Il. è frutto della conflazione di sedici Lieder. Il primo Lied comprende Α 1– 347 (cioè fino alla consegna di Briseide): Α 430 – 492 (la restituzione di Criseide) è una prosecuzione di tale Lied, un’altra prosecuzione è Α 348 – 429, 493 – 611 (incontro fra Achille e Tetide, fra quest’ultima e Zeus, scena sull’Olimpo): queste due prosecuzioni sono opera di due poeti diversi e al secondo non è riuscito di attenersi bene a quanto trovava nell’epos che voleva proseguire (cioè Α 1– 347). Il secondo Lied comprende Β 1– 483, 780 – 785 (la βουλὴ γερόντων 53 – 86, il discorso di Odisseo 278 – 332 e la parte finale riguardante i Troiani, 786 – 877, sono aggiunte successive): questo secondo Lied non è stato composto in origine come prosecuzione del primo. Un Lied a parte è il catalogo delle navi (Β 484– 779), che però Lachmann non include nel computo complessivo dei Lieder: si tratta di un epos che poteva stare anche altrove. Il terzo Lied comprende Γ 15 /16 – 461, corrisponde cioè a Γ, ma contiene molte aggiunte successive (103 – 110, 116 – 313 la τειχοσκοπία e gli ὅρκια, 383 – 448 l’incontro fra Elena e Paride); esso non è stato concepito come prosecuzione del secondo Lied. Il quarto Lied comprende Δ 1– 421 e non è una prosecuzione del terzo Lied (in quest’ultimo infatti gli ὅρκια sono un’inserzione successiva, mentre il quarto Lied non è concepibile senza gli ὅρκια). Il quinto Lied comprende Δ 422–Ζ 1 e si collega a Β 483 (ovvero 780 – 785), cioè al secondo Lied, ma  Ovvia e del tutto corretta, cfr. p. 37.  K. Lachmann Über die ersten zehn Bücher der Ilias; Id. Fernere Betrachtungen über die Ilias, «Abhandlungen der Königlichen Akademie der Wissenschaften zu Berlin» (1837) 155 – 176, (1841) 1– 42.

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2 Storia dell’analisi dell’Iliade

non si può stabilire se si tratta di opera dello stesso poeta ovvero se uno dei due poeti ha imitato l’altro. Il sesto Lied comprende Ζ 2 (ovvero 5) – Η 312 e non ha relazioni con nessuno dei Lieder che precedono. Η 313 – Θ 252 non è un vero e proprio Lied, bensì un pezzo (mal scritto) per preparare quanto segue. Il settimo Lied comprende Θ 253 – 484 ed è privo dell’inizio. L’ottavo Lied comprende Θ 489–Ι 713: esso corrisponde in gran parte alla πρεσβεία e ha carattere seriore. Il nono Lied, la Dolonie, corrisponde a Κ: se la saga fissava che la πρεσβεία e la Dolonie avvenissero nella stessa notte²², dobbiamo supporre che i due episodi si inserissero in due saghe diverse e che quindi siano opera di due poeti diversi; se, invece, la saga non fissava in maniera così precisa il susseguirsi degli eventi, allora possiamo supporre che πρεσβεία e Dolonie si riferissero in origine a due notti diverse e potrebbero essere opera dello stesso poeta. Con Λ inizia il terzo giorno di combattimenti, che anche il semplice fatto che in esso divenga due volte mezzogiorno (Λ 86, Π 777) mostra non essere opera di un unico poeta; in esso sono fusi più Lieder. Il primo (il decimo della nostra Il.) comprende Λ 1– 557 + Ξ 402– 507 + Ο 590: in questo Lied la fortificazione del campo acheo non è presupposta. Dell’undicesimo Lied non abbiamo i vv. iniziali: esso comprende Μ 32–471: questo Lied descrive la battaglia attorno alla fortificazione greca e all’interno di essa (τειχομαχία); nulla lascia pensare che esso fosse concepito per seguire una battaglia svoltasi in capo aperto (come invece accade nella nostra Il.); non sappiamo se esso presupponesse il ferimento di Agamennone, Diomede e Odisseo (contenuto nel decimo Lied). Il dodicesimo Lied (Ν 1– 837) è concepito come prosecuzione di una τειχομαχία, ma non di quella che è alla base di Μ; il poeta prelude a un duello fra Ettorre e Aiace, ma non intende narrarlo egli stesso. Il tredicesimo Lied è opera di un poeta che preferisce cantare le vicende divine piuttosto che le battaglie: l’inizio di questo Lied (Ξ 153 sgg.), che presuppone un fossato ma non un muro intorno al campo greco, si collega a N 345 – 360. Questo poeta è stato influenzato dal decimo Lied (dal quale ha tratto Ξ 402– 441). Ξ 27– 152, Ξ 370 – 388, Ο 367– 380, Ο 658 – 667 sono Füllstücke di nessun valore poetico. Il quattordicesimo Lied comprende Λ 497– 520 + Λ 558 – 848 (ma Λ 767– 785, 794– 803 sono aggiunte successive) + O 281– 305 + O 328 – 366 + O 381– 514 e forse proseguiva anche oltre. Il quindicesimo Lied, la Patroklie, comprende O 592 – Ρ 761. Σ–Ω, il sedicesimo Lied, è una prosecuzione della Patroklie a opera di un altro poeta, che ha riunito Lieder preesistenti; questo poeta aveva presenti alcuni Lieder confluiti nella nostra Il. e ne conosceva anche uno circa l’ambasceria di Agamennone a Achille, ma tale Lied presentava dif-

 Non nel senso della stessa notte in assoluto, ma della stessa notte rispetto allo sviluppo degli eventi.

Da Wolf a Kayser

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ferenze sostanziali rispetto alla πρεσβεία di Ι (ottavo Lied). Tutti questi epe sono stati messi insieme da un ordinatore pisistratide, il quale si è per lo più limitato a giustapporli. Nessuno prima di Lachmann aveva analizzato l’Il. verso per verso, cercandone tutti i punti di sutura: questo fatto da solo meriterebbe a Lachmann un posto d’onore nella critica omerica. Ho riassunto nel dettaglio la sua ricostruzione, affinché il lettore osservi da vicino le idee fondamentali di Lachmann: quando egli divide due Lieder contigui, spesso afferma che i due poeti hanno lavorato indipendentemente l’uno dall’altro. Questa idea può risultare bizzarra: come spiegare in questo modo la perfetta continuità degli eventi, tanto più se non si suppone l’attività di un redattore (e Lachmann quasi mai la suppone), che abbia rielaborato i due Lieder per riunirli? Per Lachmann l’unità è data dalla saga; egli pensa che all’epoca dei poeti dell’Il. la saga avesse già fissato gli avvenimenti in modo molto preciso (si ricordi quanto egli dice circa la πρεσβεία e la Dolonie). È probabile che Lachmann ecceda, ma la tendenza di fondo è giusta e salubre e costituisce un antidoto contro i tentativi di ricostruire Uriliaden e Urodysseen: tali tentativi nascono, infatti, dall’idea che una trama lunga e coerente come quella dei poemi omerici presupponga un singolo epos che, una volta per tutte, ne abbia indicato le linee di fondo e che tale epos sia alla base dei nostri poemi. Se invece si suppone che all’epoca dei poeti dell’Il. la saga avesse già fissato le linee di fondo²³, si può immaginare che una pluralità di poeti abbia cantato questi eventi con una trama abbastanza coerente. L’analisi interna dell’Il. e dell’Od., a me sembra, dà sostanzialmente ragione a Lachmann. Oltre a questo, molti dei punti di sutura individuati da Lachmann sono corretti; solo l’analisi delle ultime sette rapsodie, che egli giudica di bassa qualità poetica²⁴, è piuttosto affrettata. L’aspetto meno convincente dell’analisi lachmanniana è che essa non riconosce gli elementi di unità strutturale dell’Il.; d’altra parte, per arrivare a una giusta valutazione di tali elementi, bisogna attendere Bethe (1914). Lachmann ha trovato più oppositori che seguaci; non solo gli unitari hanno visto nella Liedertheorie la peggiore degenerazione dell’analisi, ma anche gli analitici fautori dell’Urilias la hanno combattuta. Sulla sua linea si sono posti molto tempo dopo Erhardt, Wilamowitz, Schwartz, Jachmann, mentre nell’immediato Lachmann trovò fra i suoi seguaci uno dei migliori conoscitori di poesia epica di

 E. g. che Achille e Agamennone litigano, che subito dopo i più valorosi guerrieri greci vengono feriti, che quindi Patroclo entra in battaglia ecc.  Il disprezzo (estetico) per l’ultima parte dell’Il. risale almeno a Wolf e la si trova anche in Müller: cfr. Bergk (1872) 621, nota 243; Erhardt (1894) XVIII.

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2 Storia dell’analisi dell’Iliade

tutti i tempi, H. Koechly (1881²⁵). Koechly analizza, tuttavia, solo Α–Θ, cercando di distinguere gli Einzellieder confluitivi²⁶. Subito dopo Lachmann Kayser (1881, ma in origine 1842– 1843²⁷) ha dato un contributo decisivo, sebbene frammentario ed esposto in maniera sinteticissima, alla comprensione della genesi dell’Il.: partendo dall’incompatibilità fra πρεσβεία e Π²⁸, egli ha per primo supposto che la πρεσβεία sia stata inserita successivamente nel poema e che, per inserirla, siano stati composti Η–Θ. Si tratta di un’agnizione fondamentale, in generale accolta dagli analitici e alla base di ogni corretta interpretazione dell’Il. ²⁹ Inoltre, Kayser ha per primo condotto in maniera sistematica indagini sulle dipendenze formali reciproche dei passi omerici (strumento indispensabile all’analisi, per quanto di rado foriero di risultati sicuri), sicché è stato giustamente definito «der Begründer der kompilatorischen Quellenkritik»³⁰. All’inizio degli anni ’40 dell’800 il problema della genesi dell’Il. è sostanzialmente già ben impostato: Müller e Kayser hanno individuato rispettivamente l’estraneità di (Β)–Η al resto del poema e la natura redazionale di Η–Θ, mentre Lachmann ha individuato numerose suture fra singoli epe e ha compreso che l’intero poema, dall’inizio alla fine, è composto di materiale di origine disparata.

La reazione a Lachmann: le Uriliaden La reazione analitica³¹ alla Liedertheorie di Lachmann arrivò velocemente ed essa prese subito le forme dell’Urilias. Uno dei primi a opporsi a Lachmann fu Grote, all’interno della sua History of Greece (1850, ma la prima edizione è del 1846). Secondo Grote, alla base della nostra Il. c’è una Achilleis, che comprendeva in origine Α–Β1+ Θ + Λ–Χ (circa Ψ–Ω non ci sono certezze). In tale epos è stata poi inserita una Ilias (Β2–Κ). La costruzione della fortificazione del campo

 Gli scritti risalgono a due o tre decenni prima: A. Koechly, De Iliadis Β 1 – 483 disputatio, Id. De genuina catalogi Homerici forma dissertatio, Id. De Iliadis carminibus dissertatio III, IV, V, VI, VII, «Index lectt. Universitatis Turicensis» 1850 – 1859.  Nell’edizione del 1861 Koechly divide l’intera Il. in rapsodie, senza però dare alcuna spiegazione della genesi e dei rapporti fra le rapsodie da lui postulate.  Lo scritto De interpolatore Homerico fu pubblicato a Heidelberg nel 1842 (= Kayser 1881, 47– 78), il Versuch einer Geschichte des homerischen Epos fu pubblicato per la prima volta da H. Usener (in Kayser 1881, 1– 26), ma risale al 1843, cfr. Usener apud Kayser 1881, V, VII.  Cfr. p. 138 – 139.  Cfr. e. g. Wilamowitz (1916) 26 sgg.; Von der Mühll (1952) 144; West (2011) 56.  Cfr. Belzner (1912) 1.  Dico «analitica» perché in questa rassegna non ricordo l’opposizione unitaria all’analisi.

La reazione a Lachmann: le Uriliaden

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greco (Η) si spiega, secondo Grote, tenendo presente che l’Achilleis presupponeva il campo fortificato, mentre l’Ilias no; dunque, al momento della riunione dei due epe, si è aggiunta la costruzione della fortificazione nel punto di sutura. La πρεσβεία è in contraddizione con l’Achilleis, che sembra ignorarla. Circa l’alternativa, se a questo processo abbiano lavorato più poeti o uno solo, Grote non crede si possano raggiungere certezze. In generale, l’analisi di Grote costituisce un regresso rispetto a quella di Lachmann, ma a Grote va il merito di aver messo in dubbio il ruolo di Pisistrato, cui fino ad allora si era creduto; sarà poi Wilamowitz (1884) che darà il colpo decisivo contro tale leggenda. All’analisi di Grote seguì a breve quella di Jacob (1856). Secondo questo studioso alla base della nostra Il. c’è un epos, che comprendeva Α–Β1 + Θ–Ι + Λ + Π–Ω (ma tutte queste rapsodie sono state assai rimaneggiate). Questa Urilias è stata poi ampliata con l’inserzione di Β2–Η e della τειχομαχία; nulla di sicuro si può dire su Κ, che potrebbe anche appartenere al poema originario. In opposizione a Grote, Jacob insiste sul carattere composito di Γ–Η e non crede alla separazione della πρεσβεία dall’epos più antico; sul secondo punto egli ha torto, mentre sul primo ha pienamente ragione. Alcuni anni dopo, uno dei massimi grecisti di tutti i tempi, Bergk (1872), propose un’analisi dei poemi omerici all’interno della sua Griechische Literaturgeschichte. Anche Bergk crede a una Urilias, che comprendeva Α–Β1 + Θ (molto rimaneggiato) – Ι, Λ, Ο2–Π, Ρ–Σ (molto rimaneggiati), Φ–Χ. Questo epos è stato ampliato da un poeta successivo, che fra l’altro ha introdotto il Waffentausch per inserire la Ὁπλοποιΐα. Sebbene l’idea di fondo dell’Urilias non sia nuova e sia, a mio giudizio, errata, l’analisi di Bergk contiene ottime osservazioni e l’idea circa il rapporto fra Waffentausch e Ὁπλοποιΐα è giusta ed è stata in generale accolta dagli analitici. Anche l’idea (già presente in Jacob) che la τειχομαχία sia estranea allo strato più antico dell’Il. è a mio giudizio corretta. Contro la Liedertheorie e a favore dell’Urilias si espresse poco dopo anche un altro insigne filologo, l’olandese Naber (1876). Per Naber, l’Il. «nucleus fuit, qui crevit in immensum» (3). Il nucleus è costituito da A + Λ 1– 596 + Π–Υ + Φ 526 – Χ 393 (ma in Π–Χ ci sono moltissime interpolazioni), mentre il resto è stato aggiunto in tre fasi successive. Tutte le aggiunte sono state fatte appositamente per essere inserite nell’Il., ad eccezione dello Schiffskatalog e dell’episodio di Diomede e Glauco (Ζ), che sono stati scritti per un altro contesto e solo successivamente inseriti nell’Il. L’analisi di Naber contiene moltissime osservazioni acute ed egli ha individuato alcuni sicuri punti di sutura. Naber è il primo a proporre una Urilias in cui Λ 1– 596 costituiva il primo giorno di battaglia e quindi seguiva originariamente Α: mentre, infatti, fin da Müller (1824) si era osservato che Γ–Η non può essere la prosecuzione di Α, poiché il progetto di Zeus di aiutare i Troiani è abbandonato, prima di Naber la prosecuzione di Α era

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stata identificata in Θ. In questo modo Naber inquadra l’acquisizione di Kayser, secondo cui Θ è stato composto a fini redazionali per inserire la πρεσβεία, nella ricostruzione dell’Urilias. Quasi tutte le Uriliaden successive (e. g. Leaf, Bethe, Von der Mühll, West) accetteranno la modifica naberiana. L’intervento successivo più significativo fu quello di Niese (1882). Egli suppone che alla base della nostra Il. ci sia una Urilias, il cui inizio è conservato nella prima parte di Α (lite fra Agamennone e Achille) e di Β (Ὄνειρος). Seguiva la vittoria troiana (ultima parte di Ο), l’arrivo in battaglia e la morte di Patroclo (Π, ma non c’era il Waffentausch), il rientro in battaglia di Achille e la morte di Ettore. Successivamente un numero imprecisabile di poeti ha aggiunto nuovi epe a questa Urilias, che è venuta crescendo in modo piuttosto caotico, senza mai essere riordinata nel suo complesso da un redattore. Il valore del libro di Niese (uno dei più chiari e lucidi che siano stati scritti sui poemi omerici) è nelle osservazioni sui singoli punti, per lo più piene di buon senso. La visione d’insieme è invece infelice, poiché l’Urilias non è mai esistita, mentre è di sicuro esistito un redattore che ha dato un’unità (parziale) al poema: quello che c’è di unitario nell’Il. risale alla fine del processo, non all’inizio. Un grave errore di Niese è credere che gli epe confluiti nell’Il. e nell’Od. rispecchino stadi anteriori e posteriori della formazione della saga: così, se in un epos non compare un personaggio, che compare invece in un altro epos, Niese suppone che il secondo epos abbia per primo introdotto tale personaggio e che quindi sia successivo rispetto al primo. Come notava Wilamowitz³², che pure ha sempre riconosciuto i meriti di Niese (evidenti soprattutto nell’analisi dell’Od.): «Ich begreife wol, dass eine ansicht [cioè di Niese], welche sagt, ohne Odyssee kein Odysseus, zu der consequenz führt, ohne Telemachie kein Telemachos». In realtà, come era ben chiaro già a Lachmann, non è quasi mai possibile stabilire la cronologia relativa degli epe confluiti nei poemi omerici sulla base di elementi mitologici (e nemmeno linguistici e archeologici³³). Della genesi dell’Il. si occupò in quegli anni anche un insigne glottologo, Fick (1886 e 1902). Anch’egli crede che alla base della nostra Il. ci sia una Urilias, che comprendeva la lite fra Agamennone e Achille, l’Ὄνειρος (quindi Α–Β1), l’aristia di Agamennone, il suo ferimento e la visitia di Patroclo a Nestore (Λ), l’ingresso in battaglia di Patroclo, la sua aristia e la morte, la riconciliazione fra Agamennone e Achille, il ritorno in battaglia di quest’ultimo e la morte di Ettore (Π, Σ, Φ–Χ). Tale Urilias è stata ampliata da altri poeti e poi unita ad altri epe preesistenti sullo stesso argomento (ma non concepiti in origine come amplia-

 Wilamowitz (1884) 56; cfr. anche Pfeiffer (1960) 10.  Cfr. p. 386 sgg.

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menti dell’Urilias) da un redattore (Cineto di Chio). La tesi più originale di Fick è che l’Urilias e gli altri epe preesistenti confluiti nella nostra Il. fossero scritti in eolico; per questo egli li depura da tutti gli ionismi; sarebbe, infatti, stato il redattore finale, il quale scriveva in un dialetto misto ionico-eolico, a mutare l’originaria facies linguistica. È un’operazione infelice, sia perché gli aedi che hanno lavorato ai poemi omerici non hanno mai scritto la lingua ricostruita da Fick sia perché manca una vera dimostrazione che i segmenti che egli attribuisce agli epe precedenti al redattore appartengano davvero allo strato più antico del poema (tali dimostrazioni possono essere fatte solo con gli strumenti dell’analisi letteraria, non linguistica). Sulle orme di Fick si porrà pochi anni dopo un altro linguista, Bechtel (apud Robert 1901).

Da Erhardt a Schwartz Un tentativo decisamente più riuscito di comprendere la genesi dell’Il. è quello di Erhardt (1894)³⁴. Secondo questo studioso alla base della nostra Il. ci sono una serie di rapsodie che circolavano prima sparse. Le principali erano quelle sulla lite fra Achille e Agamennone (Α), la battaglia di Λ–Ο, l’aristia e la morte di Patroclo (Π), l’arisitia di Achille e la morte di Ettore (Υ–Χ), cui si aggiungono la πρεσβεία (Ι), l’Aufruhr (Β1), la Ὁπλοποιΐα (Σ2), la Διὸς ἀπάτη (Ξ–Ο), l’Abschied (Ζ), lo Zweikampf des Hektor und Aias (Η), la Ὁρκίων σύγχυσις (Γ–Δ), la Diomedie (Ε–Ζ), l’Idomeneusgedicht (Ν), la Dolonie (Κ), lo Schiffskatalog (Β2), gli Ἆθλα (Ψ), i Λύτρα (Ω). Erhardt si muove sulla scia di Lachmann, non solo perché non crede a una Urilias bensì una serie di rapsodie indipendenti fra loro, ma anche perché crede che tali rapsodie siano state inserite nella nostra Il. subendo talvolta spezzettamenti, ma non rielaborazioni: Erhardt come Lachmann (e poi Wilamowitz) non crede cioè a un poeta-redattore che ha costantemente rielaborato le rapsodie che inseriva e ne ha composto pezzi di raccordo. Per esempio l’assemblea dei Troiani di Η, che tutto lascia pensare che sia stata composta quale raccordo fra la Ὁρκίων σύγχυσις e la parte successiva del poema, secondo Erhardt, invece, apparteneva in origine a un altro epos, del quale noi abbiamo un pezzo in Ζ: dato che in quest’ultimo leggiamo che Paride era adirato contro i Troiani e che nel contesto attuale tale ira è inspiegabile³⁵, Erhardt suppone che sia esistito un epos in cui l’assemblea di Η precedeva e motivava la scena di Ζ.  Poco profondo e originale, invece, Meyer (1887), che ricostruisce una Achilleis (Α + Λ + Φ) che sarebbe stata riunita dal Bearbeiter a una Diomedie (Ε), a una Patroklie (Π–Ρ), a una Hektoreis (Γ–Δ1 + Ζ) e altri epe.  Cfr. p. 55.

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Nonostante questo lachmannismo deteriore, l’impostazione generale di Erhardt è corretta e il suo libro si legge ancora con frutto. Completamente diversa è l’analisi di Robert (1901). Egli non si basa sulle incoerenze della trama, ma sui Realien. Robert crede che nella nostra Il. siano distinguibili due tipi di armatura dei guerrieri, uno miceneo l’altro ionico. Questo dualismo archeologico corrisponderebbe a quello linguistico, in cui lo strato più antico è eolico, quello più recente ionico. Robert (che si vale dell’aiuto del glottologo F. Bechtel) crede sia possibile isolare segmenti che sia archeologicamente sia linguisticamente sono miceneo-eolici; tali segmenti si incontrano frequenti in Α–Η, Λ–Σ, mentre sono molto rari altrove. Ogni volta che incontriamo tali indizi miceneo-eolici dobbiamo, secondo Robert, pensare che essi risalgano all’Urilias. La conclusione cui egli giunge è che il fondamento più antico della nostra Il. è una Urilias miceneo-eolica di circa 3000 vv., che è alla base di Α–Η e Λ–Σ. Τ–Ω conservano invece solo resti molto sporadici dell’Urilias: essa probabilmente si chiudeva con la morte di Achille per mano di Paride, che seguiva immediatamente quella di Ettore per mano di Achille. Tale Urilias avrebbe subito tre sostanziali revisioni da parte di poeti ionici, di cui le più significative sarebbero state la seconda e la terza: la seconda comportò l’inserzione della τειχομαχία (in origine un Einzellied) e della Diomedie, la terza l’inserzione di Θ–Ι (ma la πρεσβεία preesisteva come Einzellied) e della redazione attuale della morte di Ettore. Lo Schiffskatalog, la θεῶν μάχη, gli Ἆθλα e i Λύτρα sarebbero stati inseriti in una fase ancora successiva. Fra le varie analisi del poema quella di Robert è una delle meno felici, poiché il metodo posto a fondamento è fallace: tutti i poeti, i cui epe sono confluiti nei poemi omerici e che tali poemi hanno rielaborato, appartengono allo stesso milieu culturale e linguistico³⁶. Anche l’idea che la nostra Il. conservi tracce di un epos che includeva la morte di Achille (sebbene più volte ripresa) è indimostrabile, se non improbabile. Secondo Leaf (1908) alla base della nostra Il. c’è un epos sull’ira di Achille, che comprendeva Α–Β 52, 441– 458, 786 – 810 + Λ 61 sgg. + Ο 592–Π + Σ 1– 34 + Υ 381 sgg. + Φ 34– 138 + Χ 1– 404. A questa Urilias si sarebbero aggiunte le altre parti in due fasi: nella prima le aristie (Diomedie, Idomeneusgedicht, Ὁρκίων σύγχυσις, l’aristia di Menelao in Ρ), nella seconda il resto del poema. Leaf condensa in poche e chiare pagine le proprie idee (cosa davvero rara fra gli analitici), ma le conclusioni cui giunge non convincono: a parte la petizione di principio della Urilias, la divisione in due fasi delle aggiunte non è supportata da alcun argomento.

 Cfr. p. 386 sgg.

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Con Bethe (1914) l’analisi giunge a una svolta. Secondo questo studioso alla base della nostra Il. c’è una Urilias (Menisgedicht). Tale epos comprendeva la lite fra Achille e Agamennone (Α), il ferimento di Agamennone, Diomede e Odisseo (Λ1, ma senza l’aristia di Agamennone), l’aristia e la morte di Patroclo (Π–Ρ, ma queste due rapsodie, soprattutto la seconda, ci sono giunte in forma molto rielaborata), l’aristia di Achille, la morte di Ettore e i lamenti sul suo cadavere (fino a quello di Ecuba, Χ 436). Poiché non c’era il Waffentausch, Achille andava in battaglia subito dopo la morte di Patroclo e non c’era quindi la notte, che nella nostra Il. divide il terzo e il quarto giorno di battaglia (Σ 239 sgg.). Questa Urilias è stata ampliata tràmite l’inserzione di epe di origine diversa e la composizione di pezzi di raccordo da un secondo poeta («der Verfasser unserer Ilias»), al quale si deve la forma attuale dell’Il. Egli ha aggiunto il primo e il secondo giorno di battaglia (riempiendo il primo con epe preesistenti, cioè il duello di Paride e Menelao, la Diomedie, il Bittgang, l’Abschied, lo Zweikampf des Hektor und Aias, e componendo ex novo il secondo, Θ), la πρεσβεία, la Dolonie (entrambe preesistenti), ha inserito la Ὁπλοποιΐα (per inserire la quale ha introdotto il Waffentausch) e il passaggio dal terzo al quarto giorno di battaglia (Σ–Τ), nonché gli Ἆθλα e i Λύτρα (entrambi preesistenti). A prima vista la ricostruzione di Bethe potrebbe sembrare uno dei numerosi tentativi di ricostruire una Urilias. Nel libro di Bethe c’è anche questo aspetto, ma ce n’è un altro molto più innovativo e corretto: Bethe è il primo studioso che pone nei giusti termini il problema dell’unità della nostra Il., in quanto egli identifica un progetto poetico che va da Α ad Ω e colloca tale progetto alla fine del processo di formazione dell’Il. In altre parole, ciò che per l’Od. aveva stabilito Kirchhoff circa cinquanta anni prima, cioè che un poeta-redattore (B) ha dato la struttura attuale al poema, per l’Il. è stato mostrato da Bethe (che ha chiamato il poeta-redattore «der Dichter unserer Ilias»; io lo chiamerò P). Bethe ha di certo ecceduto, in quanto ha attribuito tutta l’Il. come la leggiamo noi al «Dichter unserer Ilias»³⁷; tuttavia, l’identificazione di questo poeta è una vera rivoluzione copernicana nella critica iliadica, l’unico modo per uscire in maniera corretta dalle aporie del lachmannismo. Al libro di Bethe seguì immediatamente quello di Wilamowitz (1916)³⁸, che, rispetto a Bethe, segna un ritorno, nel bene e nel male, a Lachmann. Secondo Wilamowitz lo strato più antico della nostra Il. comprende alcuni episodi che sono stati inclusi e amalgamati in una Il. precedente alla nostra, opera di un  Cfr. p. 213.  Non merita molta attenzione Valeton (1915): l’autore crede all’Urilias (ricostruita per lo più sulle orme di Naber) e, per determinare gli strati del poema, si basa sulla presenza / assenza di personaggi e su argomenti mitologico-antiquari, dunque su argomenti del tutto lubrici.

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poeta che possiamo chiamare Omero (Ilias Homeri). Questo poeta ha messo insieme un poema che corrispondeva all’incirca a A–H 321 + Λ–Ψ 256. Nel mettere insieme questo poema, Omero ha utilizzato una serie di epe anteriori, tra cui i più significativi sono: l’epos Γ–Δ–Ε, che era già stato messo insieme prima di Omero riunendo epe preesistenti; un epos sulla visita di Ettore a Troia (che costituisce il grosso di Ζ); lo Zweikampf des Hektor und Aias; le Verwundungen; il Nestoridyll; un epos sulla τειχομαχία che aveva per protagonista Ettore, l’Idomeneusgedicht (questi ultimi due epe sono alla base di Μ–Ο); la Patroklie. Sono invece opera di Omero (che voleva in questo modo mettere insieme un epos più grande di quelli preesistenti) Α, l’inizio di Β, gli interventi divini di Ν–Ξ–Ο (dunque anche la Διὸς ἀπάτη) e la battaglia di Φ–Χ–Ψ1, che nella Ilias Homeri proseguiva fino alla morte di Achille. Questa Ilias Homeri è stata successivamente rielaborata. I cambiamenti più importanti che essa ha subito sono l’inserimento di Η 322–Κ e la soppressione della morte di Achille, al cui posto sono stati inseriti Ἆθλα e Λύτρα. Successvamente, è stato inserito il Waffentausch, che ha comportato l’inserimento di Σ–Τ e profonde modifiche all’interno della Patroklie. Anche la battaglia di Υ–Φ è stata profondamente rielaborata, successivamente all’inserzione del Waffentausch. L’analisi di Wilamowitz è senza dubbio una delle migliori, a mio giudizio la più originale analisi complessiva insieme a quelle di Lachmann e Bethe. Ogni frase del libro di Wilamowitz contiene un pensiero profondo e degno di essere meditato; acre, ma sano lo scherno di cui egli fa oggetto unitari e ricostruttori di Uriliaden. Tuttavia, Wilamowitz resta nel solco di Lachmann e non coglie gli elementi di unità della nostra Il., che resta un conglomerato caotico di epe preesistenti: la rivoluzione copernicana di Bethe gli rimane estranea³⁹. All’analisi di Wilamowitz si lega strettamente quella di Schwartz (1918). Anch’egli non crede all’Urilias, ma a una serie di Lieder indipendenti confluiti nella nostra Il. Come Wilamowitz, Schwartz crede che a un certo punto Λ si collegasse a Η 322 (e che quindi Η 323 – Κ sia inserzione successiva), ma, a differenza di Wilamowitz, non crede che Α sia stato composto per mettere insieme l’Ilias Homeri, bensì che esso sia l’inizio di un epos di cui non c’è altra traccia nel seguito dell’Il. Β è stato concepito per unire Α al blocco Γ–Η. Un Thersitesgedicht è stato inserito in Β successivamente, quando il blocco Α–Η esisteva già. Le rapsodie Σ–Χ ci sono giunte in una forma assai rielaborata, ma che lascia ancora capire che originariamente l’epos si concludeva con la morte di  La polemica contro Bethe è presente spesso nel libro di Wilamowitz, ma è difficilmente riconoscibile per chi non abbia ben presente il libro di Bethe, perché Wilamowitz non fa il nome di quest’ultimo: si confronti e. g. Wilamowitz (1916) 306 – 307 con Bethe (1914) 229, Wilamowitz (1916) 310 con Bethe (1914) 246, Wilamowitz (1916) 256 – 257 con Bethe (1914) 179 – 182.

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Achille, che seguiva immediatamente quella di Ettore. Schwartz si muove sulle orme di Wilamowitz e Lachmann ignorando Bethe. Manca una ricostruzione complessiva, ma è evidente che Schwartz non crede alla Ilias Homeri di Wilamowitz, poiché nega che Α sia stato composto per la nostra Il. Su questo punto Schwartz è uno dei pochi (assieme a Erhardt) ad avere visto giusto.

L’ultimo secolo Nel giro di un lustro (1914– 1918), si sono dedicati all’Il. tre filologi di prima grandezza e per avere di nuovo tentativi analitici così sistematici bisognerà attendere Von der Mühll (1952). La ricostruzione di Petersen (1920) non ha molto valore. Secondo questo studioso alla base della nostra Il. c’è una Urilias, opera di Omero, che corrisponde ad Α + Η2 + Θ + Ι + Λ + Μ + Ο 390 – Ω (ma con molte aggiunte posteriori, come Τ, lo Zweikampf des Aineias und Achill, gli Ἆθλα). L’unica aggiunta sostanziale sarebbe dunque Β–Η1, che contraddice i piani di Zeus in Α. Il campo acheo era presupposto fortificato da Omero; solo l’introduzione di Β–Η1 (dove effettivamente la fortificazione non è presupposta) ha costretto chi ha aggiunto queste rapsodie a introdurre la frettolosa costruzione in Η. Petersen trascura i risultati più sicuri raggiunti dalla critica iliadica, soprattutto circa la natura redazionale di Θ e ritorna alle Uriliaden dei tempi di Müller e Grote, precedenti a Naber. Secondo Dahms (1924) alla base della nostra Il. c’è una Achilleis, la quale comprendeva Α1 + Β1 + Λ1 + Ο2 + Π + Ρ2 + Σ1: a questo punto, dopo essere stato informato da Antiloco della morte di Patroclo, Achille correva subito in battaglia, uccideva Patroclo e veniva ucciso a sua volta da Paride. Partendo da questo nucleo, attraverso un procedimento molto complicato, si sarebbe arrivati alla nostra Il. È un tentativo di conciliare in modo assai meccanico l’Urilias nella versione di Naber (Α/Β + Λ) con l’idea di Schwartz e Wilamowitz che nella nostra Il. sia confluito un epos che terminava con la morte di Achille. Con gli anni ’30 l’analisi entra in crisi, a causa soprattutto dell’unitarismo di Schadewaldt (1938), che raccolse subito moltissimi consensi. A questa crisi contribuirono anche l’affermarsi del panoralismo e della neo-analisi⁴⁰. Theiler (1947) crede che la base della nostra Il. sia una Urilias, che è poi stata sistematicamente rimaneggiata e ampliata da tre poeti, il primo dei quali ha introdotto la τειχομαχία, il secondo la Διὸς ἀπάτη (insieme ad altre scene), il terzo il decreto di Zeus di Θ. Aggiunte ancora successive sono la Dolonie, gli Ἆθλα e i

 Su cui cfr. p. 2 sgg. e p. 206 sgg.

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Λύτρα. La posizione più originale di Theiler riguarda la πρεσβεία che egli ritiene (a differenza della stragrande maggioranza degli analitici) facesse parte dell’Urilias (egli nega la incompatibilità fra Ι e Π), ma che sia stata poi eliminata dagli strati successivi e reintrodotta solo dal poeta del decreto di Zeus. Questa idea non convince, ma il lavoro di Theiler è comunque interessante per le numerose osservazioni di dettaglio. Jachmann (1949) si richiama esplicitamente a Lachmann, Wilamowitz e Schwartz, mentre polemizza (oltre che con gli unitari, soprattutto Schadewaldt) con Bethe. Jachmann si occupa solo di due Einzellieder, la visita di Ettore a Troia (Ζ) e il duello di Ettore e Aiace (Η). Nel merito, tuttavia, la posizione di Jachmann è più vicina a quella di Bethe di quanto non appaia dalle sue parole: infatti, Jachmann crede che chi ha messo insieme la nostra Il. abbia composto ampi pezzi di raccordo, crede cioè alla presenza di un poeta-redattore che ha cercato di dare una veste unitaria al poema. A differenza di Bethe, tuttavia, Jachmann giudica molto severamente l’attività di questo Bearbeiter e giudica la nostra Il. strutturalmente un monstrum, in cui spiccano gli Einzellieder. Questi ultimi circolavano isolatamente prima di confluire nella nostra Il. e una Urilias non è mai esistita. Sebbene io non condivida i risultati cui Jachmann giunge a proposito di Ζ e trovi la polemica contro Bethe sbagliata, credo che l’opuscolo di Jachmann contenga in nuce la soluzione giusta del problema di fondo della genesi dell’Il., in quanto nega l’Urilias e accetta il poeta-redattore. L’ultima grande analisi iliadica si deve a Von der Mühll (1952). Secondo lo studioso svizzero, alla base della nostra Il. ci sarebbe un Menisgedicht, che comprendeva Α–Β1+ Λ1 + Μ + Ο + Π + Ρ2 + Σ1 + Τ2 + Υ2 + Φ + Χ. Questa Urilias sarebbe stata ampliata e rielaborata, mediante l’aggiunta di epe preesistenti, da un poeta successivo. Tale poeta coincide sostanzialmente con il «Verfasser unserer Ilias» di Bethe. Von der Mühll è il primo a riconoscere l’importanza delle scoperte di Bethe e la sua analisi assomiglia molto a quella del grande predecessore (anche se secondo lo studioso elvetico il Menisgedicht comprendeva anche la τειχομαχία e Achille non entrava in battaglia subito dopo la morte di Patroclo, ma il giorno successivo, come nella nostra Il.). Nel complesso, il libro di Von der Mühll non spicca per particolare originalità, ma è ricco di ottime osservazioni ed è utilissimo, anche perché contiene una discussione continua ed equilibrata della letteratura precedente (vera rarità nell’analisi omerica). Dopo Theiler, Jachmann e Von der Mühll l’analisi entra in una crisi profonda, dalla quale non è ancora uscita⁴¹. Per avere un nuovo tentativo sistematico bisogna attendere decenni. Secondo van Thiel (1982) alla base della

 Cfr. Visser (2012) 238 – 240.

L’ultimo secolo

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nostra Il. vi sono una Frühilias e una Spätilias, che un Redaktor ha fuso insieme. I due epe procedevano pressoché paralleli, poiché quello più recente si basava su quello più antico ampliandolo: la Spätilias aveva una lunghezza doppia della Frühilias, conteneva quattro giorni di battaglia anziché due (il poeta della Spätilias ha introdotto ex novo il secondo giorno, Θ, e ha diviso in due l’ultimo giorno: nella Frühilias Achille entrava in battaglia subito dopo la morte di Patroclo), ha aggiunto gli Ἆθλα e altro. Quella di van Thiel è una delle analisi meno felici, per le stesse ragioni per cui l’analisi dell’Od. dello stesso studioso risulta poco convincente: van Thiel crede che nella nostra Il. esistano continue contraddizioni e che esse possano essere spiegate solo con l’esistenza di due epe paralleli, ma lo studioso non tiene conto delle analisi precedenti, che avevano cercato, individuando contraddizioni a lunga distanza (come e. g. le contraddizioni fra πρεσβεία e Patroklie), di isolare singoli epe. Egli cerca solo contraddizioni a breve distanza e le spiega con l’opposizione elementare di due epe paralleli. Inoltre, van Thiel procede dall’idea (non dimostrata e, a giudizio degli altri analitici e mio, errata) che fin dall’origine esistesse una Il. che iniziava con la lite fra Achille e Agamennone e finiva con il riscatto del cadavere di Ettore da parte di Priamo; in questo modo si perdono di vista i singoli epe confluiti nel poema e non se ne capisce la genesi. Recentissimamente West (2011) ha dedicato un volume alla genesi dell’Il. Egli crede che l’Il. sia opera di un unico poeta, il quale ha però rielaborato più volte in tempi diversi il poema. Lo strato più antico comprenderebbe Α–Β1 + Λ + Π. Successivamente il poeta avrebbe introdotto Γ–Ι, Μ–Ο, Ρ–Ω. Questa seconda fase avrebbe dunque portato a una sostanziale modifica della trama del poema, introducendo il ritardo dell’intervento di Zeus, la fortificazione del campo acheo e la πρεσβεία. In una terza fase il poeta avrebbe aggiunto singoli episodi, lo Schiffskatalog, la τειχοσκοπία, l’ἐπιπώλησις, il duello fra Tlepolemo e Sarpedone, la morte di Sarpedone, la θεῶν μάχη, gli Ἆθλα. Κ sarebbe stato invece inserito successivamente da un poeta diverso. Rispetto alla gran parte della letteratura recente, West ha l’indubbio merito di riportare la discussione su un terreno più sano, supponendo l’esistenza di esemplari scritti e confrontandosi con l’analisi. Tuttavia, la distinzione fra le due fasi di aggiunte non ha alcuna motivazione. Inoltre, non si possono trattare Γ–Ι e Ρ–Ω come un’unità: queste sezioni presentano, come vedremo, al proprio interno non minori segni di suture che il poema nel suo insieme. West accetta l’idea di Kayser che Θ sia stato scritto per introdurre la πρεσβεία: tale idea, tuttavia, porta con sé necessariamente la pluralità di autori, poiché essa implica la natura redazionale di Θ, scritto per introdurre la πρεσβεία da parte di un poeta che non la aveva composta egli stesso e la voleva inserire in un poema di cui faceva parte anche la Patroklie, che pure con la πρεσβεία è in contraddizione. Il problema di fondo è che West si basa su

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2 Storia dell’analisi dell’Iliade

alcuni punti di sutura individuati dagli analitici, ma nega l’assunto di fondo da cui gli analitici erano partiti, cioè la pluralità di autori⁴². Certo, ogni volta che si individua un punto di sutura, si può sempre pensare che in realtà siamo davanti a un unico poeta, che ha mutato il progetto originario. Eppure, davanti a suture continue e spesso brutali e davanti a imitazioni meccaniche di altre parti dell’opera quali si incontrano nei poemi omerici, la pluralità di autori risulta di gran lunga più convincente.

 L’oscillazione fra analisi e unitarismo ricordano un altro grande inglese, Grote. Cfr. anche Goold (1977).

3 Analisi di Α–Ζ L’inizio del poema (Α–Β) Il poema inizia con un proemio, che promette di cantare la μῆνις di Achille, che costò innumerevoli lutti agli Achei. L’origine di tutti i mali fu il rifiuto di Agamennone di restituire a Crise, sacerdote di Apollo, la figlia Criseide, rapita in una razzia e divenuta concubina di Agamennone. Crise va al campo greco per chiederne la restituzione, ma Agamennone lo caccia minacciandolo. Il sacerdote chiede quindi ad Apollo di punire i Greci e la divinità scatena una pestilenza nel campo greco. La pestilenza dura nove giorni; al decimo Achille, ispirato da Era, convoca l’assemblea e suggerisce che si chieda a un indovino la ragione dell’ira di Apollo. Si alza Calcante e rivela che la ragione dell’ira di Apollo è l’insulto di Agamennone a Crise: l’unico modo per rimediare è che si restituisca al sacerdote la figlia senza alcun riscatto e si offra un’ecatombe. Agamennone si irrita, ma accetta di rinunciare a Criseide; in cambio, però, vuole che i Greci gli offrano un γέρας. Achille lo esorta a pazientare fino alla conquista di Troia: a quel punto avrà tutti i doni che vuole; Agamennone però insiste e minaccia Achille e gli altri capi greci: se non gli daranno volontariamente un γέρας, lo prenderà a uno di loro con la forza. Achille risponde sdegnato e minaccia di tornarsene a Ftia, al che Agamennone gli annuncia che, come compenso per dover cedere Criseide, prenderà proprio Briseide, la concubina di Achille. Achille freme di sdegno e vorrebbe colpire col pugnale Agamennone, ma interviene Atena a frenarlo: un giorno Achille, preannuncia la divinità, riceverà doni che valgono tre volte di quello per cui sta litigando con Agamennone, ma ora deve rinunciare a usare le armi e la forza. Achille obbedisce, ma predice ad Agamennone sventure: una volta che egli non parteciperà più alla battaglia, i Troiani, guidati da Ettore, avranno la meglio e Agamennone si pentirà di quanto sta facendo. Interviene Nestore e cerca di ricondurre i due eroi alla ragionevolezza, ma invano; l’assemblea si scioglie e Achille se ne torna con Patroclo alla propria tenda, mentre Agamennone invia Odisseo da Crise a riportargli la figlia. Poi manda Taltibio ed Euribate da Achille a prendere Briseide. Achille non oppone alcuna resistenza e consegna la ragazza ai due messaggeri; poi va sulla riva del mare e chiama la madre Tetide per lamentarsi del disonore subito e le chiede di intervenire presso Zeus, affinché aiuti i Troiani, sicché i Greci e Agamennone si pentano di averlo disonorato. Tetide consiglia al figlio di non prendere più parte alla battaglia e gli promette che andrà sull’Olimpo da Zeus fra dodici giorni, poiché il giorno precedente gli dèi sono andati in Etiopia e torneranno solo dopo dodici giorni. Tetide se ne va; a questo punto viene descritto il viaggio di Odisseo da Crise https://doi.org/10.1515/9783110652963-003

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3 Analisi di Α–Ζ

(430 – 487). La narrazione torna quindi ad Achille e si dice che egli se ne sta presso le navi senza partecipare alla battaglia; all’apparire del dodicesimo giorno (493: ἀλλ᾽ ὅτε δή ῥ᾽ ἐκ τοῖο δυωδεκάτη γένετ᾽ ἠώς) Tetide va da Zeus e lo prega di far vincere i Troiani finché i Greci non onorino debitamente Achille. Zeus acconsente e poi si reca al banchetto divino. Era capisce che egli ha tramato qualcosa contro i Greci e nasce un diverbio, che viene però sedato da Efesto. Scende la sera, gli dèi se ne vanno a dormire e Zeus si corica accanto a Era. Quanto leggiamo in Α non presenta palesi illogicità, ma la disposizione cronologica degli eventi pone un grave problema⁴³. Tetide dice al figlio che gli dèi sono fra gli Etiopi dal giorno precedente e che torneranno solo dopo dodici giorni (423 – 425). Questo pone due problemi: (1) fra 423 – 425 e 493 trascorre almeno un giorno (cfr. 477), ma 493 ci informa che gli dèi tornano sull’Olimpo nel dodicesimo giorno, e tale giorno viene calcolato a partire da un momento che sembra successivo a quello di 477; in altre parole, mentre Tetide aveva detto che gli dèi sarebbero tornati sull’Olimpo dodici giorni dopo, combinando 477 e 493 ne dedurremmo che il ritorno degli dèi avviene almeno un giorno dopo rispetto a quello indicato dalla dèa; (2) Tetide dice al figlio che gli dèi sono fra gli Etiopi dal giorno precedente: come conciliare questo con 221– 222, ove si dice che Atena, una volta calmato Achille, se ne torna sull’Olimpo, ove trova gli altri dèi? Dopo aver lamentato la misera sorte del figlio (414– 418), Tetide esprime l’intenzione di andare sull’Olimpo per portare la sua richiesta a Zeus (419 – 420); subito dopo aggiunge (421– 422): ἀλλὰ σὺ μὲν νῦν νηυσὶ παρήμενος ὠκυπόροισιν / μήνι᾽ ᾿Aχαιοῖσν, πολέμου δ᾽ ἀποπαύεο πάμπαν. Zeus, infatti (γάρ), aggiunge Tetide (423), è fra gli Etiopi dal giorno precedente e non farà ritorno sull’Olimpo prima di dodici giorni. Se noi supponiamo che con 423 cominci un’inserzione di materiale secondario e che la sequenza originaria riprenda con 497⁴⁴, molte cose si chiariscono: sia la contraddizione più chiara ed evidente, quella circa l’assenza degli dèi dall’Olimpo dal giorno precedente, sia quella circa il calcolo errato dei giorni scompaiono; inoltre, insieme a queste contraddizioni sparisce un’altra incongruenza che si trova a 491: da questo v. si arguisce che in quei giorni c’erano combattimenti fra Greci e Troiani, cosa che è in evidente contrasto

 Cfr. Lachmann (18743) 4– 7; Erhardt (1894) 2; Bethe (1914) 173 sgg.; Wilamowitz (1916) 253 sgg. Per una lettura unitaria cfr. Latacz (1994) 175 sgg., Scodel (2007).  Così Kayser (1881) 9, nota 1. Bethe (1914) 177– 178 (seguito da Von der Mühll 1952, 29) ritiene che anche 421– 422 facciano parte dell’aggiunta, ma non è superfluo che Tetide inviti Achille a μηνίειν presso le navi: probabilmente la dèa vuole evitare che il figlio se ne torni a Ftia (cfr. 169 – 171). Anche la menzione della guerra, mentre è del tutto fuori luogo a 491, poiché sembrano presupposti dei combattimenti (esclusi da Α e l’inizio di Β, cfr. la nota successiva), non crea problemi a 422, ove essa viene solo supposta come possibilità.

L’inizio del poema (Α–Β)

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con l’inizio di Β, che presuppone un precedente periodo di inattività bellica⁴⁵. Insieme a queste contraddizioni scompare anche il viaggio di Odisseo da Crise (430 – 487), il cui stile è piuttosto diverso da quello del resto di Α⁴⁶; di tale viaggio resta solo l’inizio (308 – 11). Chi ha inserito i dodici giorni dell’assenza degli dèi dall’Olimpo è lo stesso poeta che ha inserito il viaggio da Crise? Se sì⁴⁷, ha creato una contraddizione cronologica interna a quanto egli stesso ha composto, dal momento che la contraddizione relativa ai dodici giorni nasce dal fatto che al loro interno è narrato il viaggio da Crise: se, infatti, togliessimo solo il viaggio da Crise e legassimo, per esempio, 429 a 488⁴⁸, la contraddizione relativa al calcolo dei giorni scomparirebbe (ma resterebbe quella circa l’assenza degli dèi dall’Olimpo a partire dal giorno precedente). Perché sono stati introdotti i dodici giorni in più? Se supponiamo che chi li ha introdotti non sia lo stesso che ha introdotto il viaggio di Crise, l’unica cosa che accade nei giorni in più è quanto leggiamo a 488 – 492, cioè Achille che se ne sta in disparte rispetto agli altri Greci; non si vede perché un poeta avrebbe dovuto introdurre tale ritardo nell’azione di Tetide. Più semplice è supporre che i dodici giorni e il viaggio da Crise siano stati concepiti insieme: ai vv. 308 – 311 si narra la partenza di Odisseo per riportare Criseide al padre; nella nostra Il., il viaggio e il ritorno di Odisseo sono narrati a 430 – 487, cioè nella sezione aggiunta; come stessero le cose nell’epos originario da cui deriva Α (Groll) noi non sappiamo, ma certo nella nostra Il. sopprimere 430 – 487 creerebbe difficoltà, poiché non saremmo informati circa l’effetto del viaggio di Odisseo (che serve a far terminare la peste nel campo greco) e il ritorno dell’eroe (che sarà protagonista in Β). È dunque probabile che per questi motivi si sia sentita la necessità di inserire 430 – 487⁴⁹; d’altra parte, l’inserimento della pausa temporale del viaggio di Odisseo fra il colloquio fra Achille e Tetide e il colloquio fra quest’ultima e Zeus⁵⁰ obbligava il poeta a ritardare il

 Β inizia con l’Ὄνειρος che Zeus invia ad Agamennone; lo scopo è che Agamennone attacchi battaglia e questo presuppone, con tutta evidenza, che in quei giorni normalmente non si combattesse. D’altra parte, vedremo che l’Ὄνειρος è stato concepito fin dall’inizio come prosecuzione di Α, dunque Α–Β1 presuppongono l’assenza di combattimenti.  In questa sezione ci sono molti vv. che compaiono in altre parti del poema: un’analisi sistematica si legge in Hinrichs (1882), che cerca di mostrare che il passo di Α è sempre la copia. Tuttavia, Hinrichs non distingue materiale formulare e non, e a me sembra che molto di quello che egli dice dipendere da altri passi sia in realtà formulare; cfr. anche Bethe (1914) 176 – 181.  Così Erhardt (1894) 3; Bethe (1914) 179; Von der Mühll (1952) 29.  Come fa Wilamowitz (1916) 256 (che lega 428 a 488).  In questo senso cfr. Koechly (1881) 61; Bethe (1914) 179; contra Wilamowitz (1916) 256, nota 1.  Ci si può chiedere perché il viaggio di Odisseo sia stato inserito proprio qui; alternative non ne vedo, poiché Odisseo doveva tornare a Troia prima della notte fra Α e Β.

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3 Analisi di Α–Ζ

viaggio di Tetide verso l’Olimpo: altrimenti Tetide sarebbe arrivata sull’Olimpo immediatamente dopo il colloquio con Achille (le divinità arrivano da Troia all’Olimpo in brevissimo tempo), quindi prima che Odisseo tornasse a Troia; in questo modo la scena olimpica di 497– 611 avrebbe seguito il colloquio fra Tetide e il figlio e non ci sarebbe più stato modo di inserire il viaggio di Odisseo. Per questo motivo, probabilmente, chi ha inserito il viaggio di Odisseo ha ritardato la visita di Tetide sull’Olimpo, ricorrendo al motivo diffuso (cfr. Ψ 205 – 207) del viaggio degli dèi in Etiopia. Nel complesso mi pare che Α sia una composizione unitaria, con l’eccezione di 423 – 496, che sono stati aggiunti successivamente. Mentre un lettore poco attento può leggere l’intero Α senza osservare palesi incongruenze, anche il lettore meno vigile prova stupore davanti a ciò che incontra in Β⁵¹. Quando tutti dormono, il solo Zeus veglia, pensoso su come onorare Achille e uccidere un gran numero di Greci. Decide quindi di inviare il Sogno (Ὄνειρος) da Agamennone, per convincerlo ad attaccare battaglia, annunciandogli che ormai il favore divino è tutto per i Greci e che la fine di Troia è imminente. Ὄνειρος si presenta ad Agamennone sotto le sembianze di Nestore e lo convince ad attaccare battaglia. Al mattino, Agamennone convoca l’assemblea generale dei Greci, ma prima riunisce i capi presso la nave di Nestore; lì espone il proprio sogno ed esprime il proposito di far armare l’esercito, ma aggiunge che, prima, egli vuole mettere alla prova i soldati ordinando la fuga: sarà compito dei capi trattenere la truppa (73 – 75: πρῶτα δ᾽ ἐγὼν ἔπεσιν πειρήσομαι, ἣ θέμις ἐστίν, / καὶ φεύγειν σὺν νηυσὶν πολυκλήϊσι κελεύσω· / ὑμεῖς δ᾽ ἄλλοθεν ἄλλος ἐρητύειν ἐπέεσσιν). Nestore dice che bisogna seguire quanto suggerito da Ὄνειρος e non indugiare a far armare l’esercito. Parlando davanti a tutto l’esercito Agamennone esprime la propria disperazione: nonostante la loro superiorità numerica, per i Greci non c’è più speranza di conquistare Troia e non resta che rimettersi sulle navi e fuggire in Grecia. L’esercito corre alle navi intenzionato a fuggire e non ci sarebbe modo di evitare la fuga, se non intervenissero Era e Atena: quest’ultima va da Odisseo e lo esorta a trattenere e calmare il popolo. L’intervento di Odisseo ottiene l’effetto sperato: solo Tersite continua ad agitarsi e insulta Agamennone. Odisseo lo rimprovera e lo punisce, dopodiché rivolge un discorso a tutto l’esercito: i soldati hanno buoni motivi per non sopportare più la lontananza da casa, ma ormai la fine di Troia è imminente: Calcante aveva profetizzato la

 Hentze (18772) 81: «Hier [cioè in Β] zeigt sich nun die entgegengesetzte Erscheinung von der bei Kritik des ersten Gesanges beobachteten: dort einzelne Widersprüche und Incongruenzen in Nebenpunkten der Erzählung, dagegen eine tadellose Motivierung und harmonische Entwicklung der Handlung, hier mannigfache Bedenken gegen die Erfindung, die Motivierung, den inneren Zusammenhang». Propongono una lettura unitaria della prima parte di Β Schmidt (2002), Cook (2003), Dentice di Accadia (2012) 93 sgg. e Christensen (2015).

L’inizio del poema (Α–Β)

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caduta della città nel decimo anno di guerra, dunque essa non può più tardare. Interviene Nestore, che esorta l’esercito ad attenersi ai patti e Agamennone a non cedere: se qualcuno vuole partire da solo, lo faccia, ma morirà prima degli altri; Agamennone si occupi ora di disporre l’esercito in modo tale che le varie stirpi greche combattano separate e non mescolate l’una all’altra: in questo modo si vedrà meglio il valore dei singoli popoli. Agamennone elogia la saggezza di Nestore e comanda all’esercito di mangiare, sicché poi si possa combattere. I capi greci fanno colazione con Agamennone e alla fine del pasto Agamennone dà l’ordine di attaccare Troia. Segue il catalogo dell’esercito greco (Schiffskatalog). Iride va a Troia e, preso l’aspetto di Polite, annuncia che i Greci stanno attaccando. Ettore dispone l’esercito in modo che ogni stirpe combatta distinta dalle altre; la rapsodia si chiude con il catalogo delle forze dei Troiani e dei loro alleati. Anche un lettore superficiale osserva che la rapsodia è composta di materiale eterogeneo. Fino a 52, ove Agamennone convoca l’assemblea generale dell’esercito, tutto procede senza problemi. A 53 Agamennone convoca un’assemblea più ristretta, cui partecipano solo i capi dell’esercito e comunica loro il sogno e l’intenzione di far armare l’esercito; anche qui nulla di strano, ma alla fine del discorso Agamennone dice di voler mettere alla prova l’esercito ἣ θέμις ἐστίν ordinando la fuga (dunque, una διάπειρα); i capi dovranno trattenere i soldati. Questo è del tutto sorprendente: nulla in tutto quello che precede poteva far pensare a un’intenzione simile da parte di Agamennone⁵². Non meno sorprendente è la reazione di Nestore, che si limita a dire che bisogna fare quanto propone Agamennone e quindi armare l’esercito, senza fare alcun riferimento alla διάπειρα. La sorpresa cresce leggendo quanto segue: davanti a tutto l’esercito Agamennone esprime la propria disperazione e ordina la fuga; senza che l’assemblea venga formalmente sciolta, l’esercito corre alle navi. A quel punto, dice il poeta, i Greci sarebbero tornati in patria contro il destino, se non fossero intervenute Era e Atena e quest’ultima non avesse suggerito a Odisseo di intervenire per trattenere l’esercito. Anche questo è sorprendente: Agamennone aveva esplicitamente chiesto ai capi greci presenti al suo discorso di trattenere l’esercito, ma né Odisseo né alcun altro di loro sembra aver fatto quanto ordinatogli⁵³: Atena trova Odisseo presso la sua nave, addolorato (170 – 171): οὐδ᾽ ὅ γε νηὸς ἐϋσσέλμοιο μελαίνης / ἅπτετ᾽, ἐπεί μιν ἄχος κραδίην καὶ θυμὸν ἵκανεν.  Quanto il comportamento di Agamennone sia incomprensibile e in contrasto con il contesto è ben mostrato da Koechly (1881) 8 sgg., Brandt (1885) 649 sgg., Cauer (1917 b) 542: «Der Traum paßt wirklich zur διάπειρα wie die Faust aufs Auge». Una lettura unitaria del discorso di 110 – 141 in Lohmann (1970) 49 sgg.  Cfr. Lachmann (18743) 11; Hentze (18772) 85; Erhardt (1894) 21– 22; Wilamowitz (1916) 265.

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3 Analisi di Α–Ζ

Sembra che l’eroe sia trattenuto dal mettere mano alla nave, cioè da muoverla per partire da Troia, solo dal dolore⁵⁴. Questo è inconciliabile con l’ordine di Agamennone, secondo il quale egli avrebbe dovuto trattenere l’esercito: in altre parole, 169 sgg. rappresentano un Odisseo che, al pari di tutti gli altri Greci, è totalmente all’oscuro che il discorso di Agamennone era solo una διάπειρα e questo è in stridente contraddizione con 72– 75. L’intervento di Odisseo sortisce l’effetto sperato, ma Tersite non cessa di insultare Agamennone; del resto, dice il poeta, l’esercito era indignato proprio contro Agamennone. Tersite accusa Agamennone di essere troppo avido di ricchezze e esorta l’esercito a tornare in Grecia e a lasciare Agamennone da solo a Troia. Anche questo è sorprendente: è stato proprio Agamennone a ordinare la fuga: perché Tersite lo insulta, proprio nel momento in cui anch’egli vuole fuggire? Perché non insulta piuttosto Odisseo, di cui era particolarmente nemico (220), e che si stava opponendo alla fuga⁵⁵? Quando l’umore dell’esercito si è calmato, Odisseo tiene un discorso per esortare i Greci a tenere duro, perché la caduta di Troia è imminente (284 sgg.): è sorprendente che Odisseo faccia riferimento a una profezia di Calcante di molti anni prima, mentre non fa il minimo accenno al sogno di Agamennone, che era molto più recente ed era molto più adatto a incoraggiare l’esercito; è anche sorprendente che l’eroe non chiarisca ai soldati che Agamennone voleva solo mettere alla prova il loro umore⁵⁶. Osservazioni analoghe si possono fare anche circa il successivo discorso di Nestore (337– 368), dal momento che anche Nestore ha come obiettivo esortare i Greci al combattimento e dissuaderli dalla fuga; eppure anch’egli fa riferimento solo ai presagi positivi che Zeus aveva inviato al momento della partenza, mentre nulla dice del sogno di Agamennone⁵⁷. L’impressione è che siamo davanti a un pezzo rielaborato e io credo che in origine il tumulto di 142 sgg. non avesse nulla a che fare con l’Ὄνειρος e l’assemblea dei capi greci. Si è supposto che in origine all’Ὄνειρος seguisse un discorso di Agamennone a tutto l’esercito, in cui il comandante dava l’ordine di attaccare Troia e che

 Si osservi che ἅπτεσθαι è il verbo usato anche per i soldati che mettono mano alle navi per spingerle in mare e partire (152, 358): è come se Odisseo stesse anche lui per fare ciò che fanno gli altri, ma solo il dolore lo trattenesse: nulla fa supporre che egli sappia ciò che i soldati semplici non sanno. Anche 252– 253 mostrano Odisseo incerto circa il ritorno.  Cfr. Koechly (1881) 15.  Cfr. Koechly (1881) 17; Wilamowitz (1916) 265.  Questo è particolarmente impressionante a 348 – 349, ove nel contesto attuale la ὑπόσχεσις di Zeus, cui Agamennone subito dovrebbe pensare (Nestore si sta rivolgendo a lui!), è quella del sogno, ma qui Nestore fa invece riferimento ai presagi di 350 sgg., cioè a eventi molto più lontani nel tempo.

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i soldati, con a capo Tersite, si rifiutassero di obbedire e pensassero addirittura alla fuga da Troia; in questo modo, la rielaborazione consisterebbe solo nell’aggiunta della βουλὴ γερόντων e nell’attribuzione ad Agamennone dell’idea mettere alla prova l’umore dell’esercito ordinando la fuga: tale rielaborazione sarebbe stata fatta da chi non riteneva decoroso che l’esercito non ubbidisse ad Agamennone (come invece avveniva nella Vorlage)⁵⁸. Con questa spiegazione si chiarisce la ragione per cui Odisseo e gli altri capi non fermano l’esercito in fuga e non fanno riferimento all’Ὄνειρος e per cui Tersite insulta Agamennone; non si capisce, tuttavia, perché, se qualcuno voleva risparmiare ad Agamennone il disonore di non essere ubbidito dall’esercito, non abbia soppresso tutta la scena del tumulto o non la abbia modificata in modo tale da far sparire completamente questo motivo. Difficile immaginare un poeta che modifica un epos coerente e continuo per cercare in modo maldestro di salvare l’onore di Agamennone; più facile supporre che qui siamo davanti alla sutura di epe di origine diversa. Io credo che tutta la parte sulla fuga verso le navi (144 sgg.) e gli interventi di Odisseo (284– 329) e Nestore (337– 368) non avessero in origine nulla a che fare con l’Ὄνειρος⁵⁹: questo spiega la totale assenza di riferimenti al sogno di Agamennone nei discorsi di Odisseo e Nestore; anche la βουλὴ γερόντων non ha nulla a che fare con la fuga dei Greci né con gli interventi di Odisseo e Nestore, sia perché essa si lega in maniera inscindibile all’Ὄνειρος, sia perché i capi greci non fanno quanto Agamennone ordina loro al v. 75. Almeno da 144 in poi siamo di fronte a un epos in cui Agamennone cerca di trattenere i Greci dalla fuga, mentre Tersite e altri vogliono tornarsene in Grecia: non si spiegano altrimenti le

 Così Von der Mühll (1952) 45 – 46; cfr. anche Lämmli (1948), che crede che nella Vorlage non ci fosse alcun discorso di Agamennone. La βουλὴ γερόντων era già stata ritenuta un’aggiunta da Lachmann (18743) 11, seguito da molti (e. g. Naber 1876, 163; Brandt 1885, 651); contra Bergk (1872) 555.  In questo senso già Wilamowitz (1916) 266 – 271, che, tuttavia, suppone che con 87 inizi un epos (di cui non abbiamo l’inizio) in cui Agamennone, volendo testare l’umore dell’esercito, ordinava il ritorno in Grecia e che i soldati reagissero in modo scomposto, fuggendo verso le navi. Questa interpretazione non mi pare verisimile, poiché da quanto dice Tersite si deduce che Agamennone non voleva il ritorno in patria. Molto più verisimile mi pare l’ipotesi di Bethe (1914) 206 – 214, il quale dalle parole di Tersite deduce che nell’epos qui utilizzato Agamennone voleva restare a Troia contro la volontà di buona parte dell’esercito (Bethe crede che da 198, ovvero 188/ 189, a 359 siamo di fronte a un Einzellied, l’Aufruhr, di cui non si hanno altre tracce); sulla stessa linea anche Schwartz (1918) 1– 7, che crede che tale Einzellied (Thersitesgedicht) vada da 87 a 335. Se supponiamo che già nella Vorlage Agamennone ordinasse la fuga dei Greci, nascono difficoltà insuperabili, cfr. Erhardt (1894) 19 sgg., Bethe (1914) 207, nota 2.

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parole di Tersite (236 – 238⁶⁰); anche quando Nestore fa riferimento ai patti che legano l’esercito, alla necessità che Agamennone conservi il potere, e ad alcuni pochi facinorosi che vogliono tornarsene in Grecia (339 – 349; anche le parole di Odisseo a Tersite di 252– 253 fanno supporre che si fosse discusso sul ritorno), sembra proprio che la situazione presupposta sia un’altra rispetto a quella della nostra Il.: c’era probabilmente stata un’assemblea in cui Agamennone aveva cercato di persuadere i soldati a restare a Troia e a combattere⁶¹, mentre alcuni gli si erano opposti. Ne era seguito il caos, cui aveva posto fine l’intervento di Odisseo, ispirato da Atena; lo stesso Odisseo, prima che Atena gli si presentasse, era caduto nella disperazione e stava per seguire il grosso dell’esercito e tirare la sua nave in mare (170 – 171)⁶². Dove inizia questo epos (Aufruhr), che ha per oggetto la rivolta dell’esercito contro Agamennone? Forse qualcosa di esso è già contenuto nel discorso di Agamennone (110 – 141), se è vero che esso era in origine un discorso per incitare al combattimento ed è stato poi rielaborato per adattarlo alla nuova situazione, ma su questo punto non possiamo essere sicuri. Nella parte successiva ci sono almeno due punti, che di sicuro sono stati introdotti per conciliare questo epos con la βουλὴ γερόντων, 142– 143 e 192– 197, ove si allude alla διάπειρα. Non sono inserzioni che si eliminino facilmente; la fusione dei due epe non è avvenuta in maniera meccanica. È probabile che Ὄνειρος e βουλὴ γερόντων siano stati concepiti insieme: non solo questa è perfetta continuazione di quello, ma sembra che la stessa βουλή sia stata rielaborata, per adattarla (almeno parzialmente) all’Aufruhr che le era stato attaccato: il fatto che Nestore, rispondendo ad Agamennone (79 – 83), non menzioni la διάπειρα mostra che quest’ultima è stata inserita nella βουλὴ γερόντων successivamente. Dunque, Ὄνειρος e βουλή sono verosimilmente opera dello stesso poeta; un poeta successivo ha probabilmente unito questo epos a un altro che conteneva una sommossa dell’esercito

 Cfr. Bethe (1914) 208; Schwartz (1918) 4. Si potrebbe obiettare che Tersite attacca Agamennone in quanto capo di tutto l’esercito, a prescindere da quanto egli ha detto. Ma nella nostra Il. Agamennone ha appena proposto di fuggire, proprio quello che vuole anche Tersite. Si può ulteriormente obiettare che dal momento in cui Agamennone ha dato ordine di fuga la situazione è cambiata, e che Agamennone viene ora visto come colui che impedisce la fuga: ma perché, se così fosse, il poeta non ci ha dato il minimo indizio in tal senso? Anche da 200 – 205 si deduce che Agamennone non aveva ordinato all’esercito di fuggire, altrimenti Odisseo non avrebbe fatto riferimento alla sua autorità nel momento in cui cercava di dissuadere i soldati dal fuggire.  Questo suppongono anche Schwartz (1918) 3 – 4, Von der Mühll (1952) 38.  Un parallelo a questa situazione lo troviamo nei Κύπρια, ove Proclo ci informa (Arg. 61 Bernabé) che ἀπονοστεῖν ὡρμημένους τοὺς ᾿Aχαιοὺς ᾿Aχιλλεὺς κατέχει.

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greco⁶³, inserendo i vv. 73 – 75 nella βουλή (senza però curarsi di adattare il discorso di Nestore che segue immediatamente). È probabile che sia stato questo poeta a creare la διάπειρα; se nell’Aufruhr Agamennone voleva impedire all’esercito di partire, non poteva esserci alcuna διάπειρα. Ma come è venuto in mente al poeta che ha riunito Aufruhr a Ὄνειρος-βουλὴ γερόντων di creare la διάπειρα? Nell’Αufruhr probabilmente durante l’assemblea⁶⁴ c’era una discussione violenta sul da farsi e, mentre Agamennone esortava a tenere duro e continuare a combattere, altri esortavano alla fuga. Se è così, forse i pezzi del discorso di Agamennone che esortano alla fuga erano in origine inseriti nel discorso di un Greco che esortava alla fuga: chi ha collegato Ὄνειροςβουλή all’Aufruhr ha riunito nel discorso di Agamennone parti che effettivamente erano pronunciate da quest’ultimo con parti pronunciate da un altro personaggio (incontreremo lo stesso procedimento analizzando α–β). L’Aufruhr conteneva una discussione nell’assemblea, che non poteva essere accolta nell’Il. così come era; forse in tale epos un personaggio (non Agamennone), per esortare l’esercito alla fuga, pronunciava un discorso che si concludeva con 139 – 141⁶⁵; a tale discorso seguiva una reazione entusiasta da parte dell’esercito, che potrebbe essere quella che leggiamo in 142 sgg. (basta eliminare 143, scritto per collegare la διάπειρα). Chi ha collegato Ὄνειρος-βουλή con l’Aufruhr voleva inserire le parole che esortano alla fuga e il conseguente tumulto, ma, per ragioni che non possiamo sapere, ha soppresso sia il personaggio che si opponeva ad Agamennone suggerendo la fuga sia la discussione che infiammava l’assemblea; in maniera piuttosto meccanica⁶⁶, ha attribuito ad Agamennone le parole del personaggio soppresso e ha escogitato la διάπειρα, che gli è servita per mantenere il tumulto dell’esercito evitando di narrare i presupposti che tale tumulto aveva nell’Aufruhr. Nella nostra Il. l’assemblea generale dell’esercito e la βουλὴ γερόντων sono strettamente legate, poiché Agamennone riunisce la seconda quando la prima ha già cominciato a radunarsi (50 – 55). Una sequenza di questo genere c’era forse anche prima della cucitura con l’Aufruhr: non vedo perché il rielaboratore

 Anche Wilamowitz (1916) ritiene che Ὄνειρος e βουλή appartengano allo stesso poeta, ma crede che quest’ultimo li abbia scritti in funzione della διάπειρα; tuttavia, il collegamento fra la βουλή e il seguito è tenuissimo. Schwartz (1918) 2 e Theiler (1947) 142 hanno quindi assolutamente ragione a negare che Ὄνειρος-βουλή siano stati concepiti in funzione della διάπειρα.  Interessante l’ipotesi di Theiler (1947) 142, secondo cui la ragione della riunione dell’assemblea era il ritiro dai combattimenti di Achille, in seguito alla lite con Agamennone.  Nel loro attuale contesto questi tre vv. «den Sinn der Rede auf den Kopf stellen», Schwartz (1918) 4.  Del tutto analoga a quella di B in α–β, cfr. p. 241– 242.

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avrebbe dovuto porre la convocazione dell’assemblea generale prima di quella dei γέροντες. Si può quindi credere che Β 1– 87 contengano più o meno intatto l’epos di Ὄνειρος-βουλὴ γερόντων; solo 73 – 75 sono un’aggiunta⁶⁷. 88 – 94 contengono una similitudine fra il popolo che va in assemblea e le api; con 95 inizia l’assemblea: difficile dire l’origine di questi vv., poiché sia l’Ὄνειροςβουλή sia l’Aufruhr avevano, probabilmente, l’assemblea. 101– 108 narrano la storia dello scettro di Agamennone e, dato che esso ha un ruolo nell’Aufruhr (186, 265, 279), siamo già probabilmente in questo epos. Segue il discorso di Agamennone, che ho ipotizzato che contenga al suo interno tracce di due discorsi pronunciati in opposizione l’uno all’altro. Qui dunque il rielaboratore è intervenuto pesantemente; anche 143 è stato evidentemente inserito da lui. Successivamente egli è intervenuto pesantemente nel primo discorso di Odisseo (190 – 197), ove non solo 192– 194, ma anche 195 – 197 si devono probabilmente a lui. Fino a dove continua l’Aufruhr? Molti credono che non ci siano resti di esso fuori di Β⁶⁸, ma io credo che le cose stiano diversamente. Si è creduto di trovare allusioni all’Ὄνειρος in Β 412– 418 e 434– 440⁶⁹, due discorsi rispettivamente di Agamennone e Nestore; se effettivamente tali discorsi contenessero allusioni all’Ὄνειρος, dovremmo dedurne che almeno con 412 termina l’utilizzo dell’Aufruhr o che esso è stato contaminato, poiché questo epos non sapeva nulla dell’Ὄνειρος. Tuttavia, le parole di Agamennone e Nestore si spiegano benissimo all’interno dell’Aufruhr: Agamennone chiede a Zeus di conquistare Troia in quello stesso giorno ed è un desiderio che egli avrà avuto ogni volta che iniziava la battaglia, senza che questo presupponga l’Ὄνειρος; Nestore esorta gli altri capi greci a iniziare la battaglia, che egli chiama ἔργον, ὃ δὲ θεὸς ἐγγυαλίζει; qui c’è davvero un’allusione alla volontà manifestata dalla divinità, ma non c’è bisogno di riferirla all’Ὄνειρος di Agamennone, poiché lo stesso Nestore pochi vv. prima (350 – 353) aveva fatto riferimento a presagi favorevoli inviati da Zeus (ad altri presagi dello stesso tenore aveva fatto riferimento anche Odisseo): dunque, non c’è ragione di collegare il discorso di Nestore di 434– 440 all’Ὄνειρος. Fin qui abbiamo dunque diviso Β in due parti, una prima che contiene Ὄνειρος e βουλὴ γερόντων, una seconda (Aufruhr, che inizia circa 87/101 e di cui

 Perché il rielaboratore ha inserito 75, che crea evidenti problemi con il seguito (balza, infatti, immediatamente all’occhio il mancato intervento dei capi dell’esercito durante il tumulto)? È probabile che a ispirarlo sia stato l’intervento di Odisseo che trovava nell’Aufruhr e che non si sia troppo curato della contraddizione che si creava.  Bethe (1914) 209 – 210; Schwartz (1918) 6.  Così Ameis-Hentze-Cauer ad Β 412, 436.

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per ora non abbiamo determinato la fine), di cui è stato tagliato l’inizio. Dobbiamo ora analizzare il seguito di Β, ma per farlo è necessario allargare lo sguardo alla struttura complessiva della prima parte dell’Il. È una delle più note e manifeste incongruenze dell’Il. che fra Α e Γ–Η non c’è continuità. Zeus ha promesso a Tetide di dare la vittoria ai Troiani finché i Greci non onorino a dovere Achille (Α 503 – 530): nulla di tutto questo accade in Γ–Η, nei quali i Greci accumulano una vittoria dietro l’altra, Diomede dà prova del suo grandissimo valore, le divinità favorevoli ai Greci intervengono senza che Zeus ponga loro alcun limite⁷⁰. Per rendersi conto della gravità della contraddizione basta confrontare la fine di Α con l’inizio di Δ: lo stesso Zeus, che ha promesso a Tetide di aiutare i Troiani e che per questo ha avuto un diverbio con Era e ha inviato Ὄνειρος per ingannare Agammenone, d’improvviso pare aver dimenticato tutto questo: nel concilio divino di Δ 1– 73 Zeus non mostra alcuna intenzione di aiutare militarmente i Troiani, è addirittura incline a porre fine subito alla guerra, e consente perfino ad Atena di suggerire a Pandaro di colpire a tradimento Menelao, cosa che causa la ripresa della battaglia e fa ricadere la colpa sui Troiani (osservazioni analoghe si possono fare circa il comportamento di Zeus in Ε, ove non mostra alcuna intenzione di aiutare i Troiani). Fino a Θ del proposito di Zeus di restituire l’onore ad Achille non c’è più traccia. È dunque evidente che Γ–Η non possono essere stati concepiti come prosecuzione di Α. Guardiamo ora la parte precedente a Β: fra Α e l’inizio di Β (cioè Ὄνειρος/ βουλὴ γερόντων) c’è continuità? A me pare che l’azione di Α prosegua senza interruzione in Β finché non inizia l’Aufruhr. Nulla impedisce di pensare che l’inizio di Β sia la prosecuzione di Α⁷¹: cosa c’è di più naturale che Zeus mediti come mettere in atto quanto promesso a Tetide e scelga di servirsi dell’Ὄνειρος e che Agamennone comunichi il sogno alla βουλὴ γερόντων⁷²? Ben più difficile sarebbe spiegare l’inizio di Β ipotizzando che esso sia opera di qualcuno che voleva collegare Α con il seguito⁷³; dal momento che in Γ iniziava una sezione in  Cfr. Müller (18362) 122; Düntzer (1839) 59 sgg.; Grote (1850) 530; Friedländer (1853) 29; Niese (1882) 70 sgg.; Bethe (1914) 214 sgg.; Mazon (1948) 245; West (2011) 52 sgg.; Wehr (2015). Contra Nitzsch (1852) 204 sgg.; Kammer 1870 (I) 30; Morrison (1992). Cfr. da ultimo Danek (2014).  Si è affermato il contrario (Lachmann 18743, 2; Naber 1876, 164; Christ 1884, 7; Wilamowitz 1916, 260), ma cfr. Jacob (1856) 178 sgg.; Erhardt (1894) 39; Bethe (1914) 206; Dahms (1924) 11; Finsler (19243) 103; Kirk ad Β 1– 2; West (2011) 57.  Zeus decide di servirsi del sogno perché è un mezzo semplice per convincere Agamennone ad attaccare battaglia: è evidente che si presuppone che in quei giorni non si combattesse e, perché i Greci venissero sconfitti, era necessaria una battaglia. Dopo la lite con Achille, ancor più che nei giorni precedenti, Agamennone aveva buoni motivi per evitare di combattere. Dunque Zeus doveva trovare un modo perché il generale si decidesse ad attaccare.  Come fa Wilamowitz (1916) 265 – 266; cfr. anche Christ (1884) 7; Schwartz (1918) 7– 8.

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cui i Troiani avevano la peggio e Zeus non interveniva in loro favore, sarebbe stato urgente, per chi cercasse di collegare Γ a Α, introdurre un ritardo nell’azione di Zeus: bastava, per esempio, dire che Zeus decideva di rimandare di un giorno il suo intervento in favore dei Greci e tutto sarebbe andato a posto. Invece, l’inizio di Β mostra Zeus che non indugia un attimo a mettere in opera il suo piano. È dunque del tutto logico supporre che l’inizio di Β sia la prosecuzione di Α⁷⁴: noi chiameremo questo epos (Α–Β1) Groll. Dunque Α–Β1 formano un blocco, che non è proseguito da Γ sgg. e che si interrompe già in Β con l’inizio dell’Aufruhr. Quest’ultimo fino a dove prosegue? Dopo che Odisseo ha sedato la rivolta e che il popolo è tornato dalle navi all’assemblea, segue un lungo discorso dell’eroe itacese (284– 332), che ricorda come Calcante abbia predetto che la conquista di Troia sarebbe avvenuta nel decimo anno di guerra, proprio quello in corso in quel momento. Segue un discorso di Nestore (337– 368), che nella prima parte si riferisce ancora ai dissidi interni all’esercito circa la partenza da Troia, ma nel seguito dà un consiglio militare ad Agamennone: per vedere chi è valoroso in battaglia e chi no, sarà opportuno che l’esercito venga diviso κατὰ φῦλα e κατὰ φρήτρας. Al discorso di Nestore ne segue uno di Αgamennone, che ringrazia Nestore del consiglio (370 – 393), poi c’è il pasto, una preghiera di Agamennone a Zeus e un’esortazione di Nestore a schierare subito l’esercito. Con 441 l’esercito inizia a muoversi verso il campo di battaglia: i capi ordinano le truppe secondo quanto suggerito da Nestore (cfr. 446, 474 sgg. e 362) e l’esercito si riversa sul campo di battaglia (464– 465). Seguono il lunghissimo catalogo dei Greci (484– 759, il famoso Schiffskatalog), la preparazione alla battaglia di Troiani e alleati e il loro catalogo (786 – 877). Non è facile stabilire il rapporto fra questa, molto lunga, seconda parte di Β e l’Aufruhr; non c’è il minimo dubbio (secondo me) che la prima parte del discorso di Nestore (337– 359) faccia ancora parte di tale epos, ma con 360 la tematica cambia, poiché il vecchio eroe inizia a dare consigli militari. Bethe⁷⁵ ne ha dedotto che qui inizi una sezione tratta da un altro epos, ma non esiste alcuna ragione cogente per tale deduzione: nell’assemblea si erano fronteggiate due opinioni opposte, quella di coloro che volevano tornarsene in Grecia e quella di coloro che volevano continuare a combattere; i secondi volevano probabilmente iniziare immediatamente un attacco a Troia: cosa c’è di più naturale che Nestore, dopo aver esortato i Greci a continuare a combattere, si rivolga ad Agamennone  Legano, come me, l’Ὄνειρος a quanto precede Kayser (1881) 43, Niese (1882) 135, Von der Mühll (1952) 32– 34 (oltre naturalmente agli unitari, come e. g. Jacoby 1932, 587); non esclude questa possibilità Bethe (1914) 213 – 214.  Bethe (1914) 210.

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per dargli suggerimenti su come disporre l’esercito per l’imminente battaglia? Supponiamo dunque che tutto il discorso di Nestore derivi dall’Aufruhr. A questo punto dobbiamo rispondere a una domanda, le cui conseguenze sono di portata assai vasta: il consiglio militare di Nestore, di dividere cioè l’esercito κατὰ φῦλα καὶ κατὰ φρήτρας (362– 363), a quale parte del seguito va collegato? Alcuni hanno collegato queste parole al catalogo delle navi che segue poco dopo⁷⁶, altri all’ἐπιπώλησις (Δ 223 sgg.)⁷⁷, altri hanno negato qualsiasi collegamento con il seguito⁷⁸. Mentre non mi sembra esistano rapporti fra le parole di Nestore e il catalogo⁷⁹, i rapporti con l’ἐπιπώλησις sono evidenti: la disposizione per stirpi consigliata da Nestore (362– 368) e già attuata poco dopo (446) ritorna in Δ (428 – 429) e Nestore sembra anche in Δ particolarmente esperto su come convenga disporre l’esercito (297 sgg.); anche alcune allusioni di Agamennone ai pasti che egli offre ai capi dell’esercito (Δ 259 sgg.; 343 – 346) fanno pensare a Β 404. Inoltre, gli eroi che Agamennone invita a colazione in Β 404 sgg. (Nestore, Idomeneo, i due Aiaci, Diomede, Odisseo, cui si aggiunge di sua spontanea volontà Menelao) coincidono con quelli cui Agamennone si rivolge nell’ἐπιπώλησις (Idomeneo, i due Aiaci, Nestore, Odisseo, Diomede; in più qui c’è l’ateniese Menesteo, il quale era forse estraneo al contesto originario⁸⁰). Che fra Β e l’ἐπιπώλησις esista una relazione è secondo me sicuro, ma è difficile stabilirne la natura⁸¹. Per capire come stanno le cose, bisogna avere le

 Koechly (1881) 18; Rothe (1910) 180; Bethe (1914) 210; Cauer (1917 b) 539; Jacoby (1932) 595 sgg.; contra Gemoll (1904) 1– 2; Jachmann (1958) 205 sgg.  Kammer (1870) I 34; Wilamowitz (1916) 273; contra Jachmann (1958) 198 sgg.  Jachmann (1958) 197 sgg.; Page (1960) 107– 108.  Il catalogo è stato certamente introdotto nell’Il. da un altro epos e chi lo ha introdotto non ha apportato modifiche alla sezione precedente a 484 (cfr. la nota 84): questo mi porta a escludere con decisione l’ipotesi di Jacoby, che attribuisce il discorso di Nestore (337– 368) allo stesso poeta che ha composto il catalogo. Anche chi supponga che qualcuno ha scritto 360 sgg. per introdurre il catalogo preso da un altro epos, non vede giusto: dato che il catalogo è tutto proiettato sulle origini della spedizione greca, chi voleva introdurlo avrebbe dovuto riferirsi in qualche modo a tale momento.  L’eroe ateniese si trova insieme a Odisseo (Δ 327 sgg.) e viene rimproverato insieme a quest’ultimo da Agamennone. Mentre Odisseo risponde, Menesteo non parla. L’impressione che in origine Menesteo non ci fosse è forte, cfr. Niese (1882) 118; Wilamowitz (1916) 273, nota 1. Se davvero Menesteo è inserzione successiva, non è facile capire se essa vada attribuita a P (che introduce anche altrove l’eroe, Μ 331 sgg.) ovvero alla fase attica del testo iliadico, cfr. p. 406 sgg.  I rapporti fra questa parte di Β e Δ furono scoperti da Lachmann (18743) 20 – 21, per il quale Δ 422–Ζ 1 (il quinto Lied, nel quale non comprende dunque l’ἐπιπώλησις) si collega al secondo Lied, (Β 1– 483 + forse 780 – 785); cfr. anche Koechly (1881) 74. Kammer (1870) I 25 crede che Δ 223 sgg. prosegua Β 1– 483 + 786 – 815 e sia opera dello stesso poeta (l’inserzione dei cataloghi, del duello di Paride e Menelao e dell’assemblea divina e del ferimento di Menelao è, secondo

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idee chiare sulla natura dell’ἐπιπώλησις. Nella nostra Il. essa si frappone fra la Ὁρκίων σύγχυσις (cioè il duello fra Paride e Menelao, il concilio divino e il ferimento a tradimento di Menelao a opera di Pandaro, Γ–Δ1) e l’inizio dei veri e propri combattimenti fra i due eserciti (in cui si inserirà subito l’aristia di Diomede, Ε). A me pare esistano ragioni per credere che la posizione originaria dell’ἐπιπώλησις fosse un’altra; chiunque la legga senza pregiudizi ha l’impressione di trovarsi all’inizio di una battaglia, non alla ripresa di una battaglia interrotta (come invece è nell’attuale contesto). Per assistere al duello fra Menelao e Paride i due eserciti si erano disposti in modo tale da poter osservare il combattimento (Γ 326 – 345), ma poi, quando Menelao era stato ferito da Pandaro, i capi greci si erano riuniti attorno all’eroe (Δ 211– 212). Mentre Menelao viene curato da Macaone, i Troiani attaccano i Greci (220 – 221: ὄφρα τοὶ ἀμφεπένοντο βοὴν ἀγαθὸν Μενέλαον / τόφρα δ᾽ ἐπὶ Τρώων στίχες ἤλυθον ἀσπιστάων). A questo punto inizia l’ἐπιπώλησις e la prima cosa di cui ci sorprendiamo è che Agamennone trovi già tutti i capi greci presso le loro truppe (essi erano con lui vicino a Menelao un momento prima). Inoltre, Agamennone ha il tempo di fare due discorsi a tutto l’esercito (234– 249) e di andare egli stesso da cinque gruppi di combattenti, rivolgersi loro e avere una risposta. Tutto questo è difficilmente immaginabile, se pensiamo che i due eserciti si fossero disposti a una distanza molto limitata per assistere al duello: se i Troiani si erano subito precipitati da breve distanza contro di loro, i Greci come avevano il tempo per tutto questo? Inoltre, vi sono chiari indizi che durante l’ἐπιπώλησις l’esercito sia in parte in movimento, in parte fermo (cfr. 254; 275 – 282; 327– 331; 366: si osservi che Agamennone divide lodi e rimproveri proprio a seconda di questo, elogiando coloro che sono già in movimento e rimproverando coloro che sono ancora fermi). Questo pone due problemi: quando leggiamo la descrizione del movimento dei Greci, abbiamo l’impressione che essi si muovano per un lungo tratto e che vadano in battaglia per la prima volta (281: δήϊον ἐς πόλεμον πυκιναὶ κίνυντο φάλαγγες; 427– 428; 446: οἳ δ᾽ ὅτε δή ῥ᾽ ἐς χῶρον ἕνα ξυνιόντες ἵκοντο), mentre nella nostra Il. essi avevano interrotto la battaglia e si erano disposti a

Kammer, successiva). Finsler (1906) attribuisce le somiglianze fra Β e Δ alla volontà di un poeta, che voleva mostrare come dopo il duello e la rottura dei patti la situazione fosse la stessa di prima del duello. Wilamowitz (1916) 273 (seguito da Schwartz 1918, 7) pensa che chi ha scritto questa parte di Β avesse davanti l’ἐπιπώλησις (già nel contesto in cui essa è attualmente, fra il duello e la Diomedie) e che la imitasse e la preparasse (per inserirla nel proprio epos). L’unica prova che Wilamowitz e Schwartz portano a sostegno di questa tesi è la presunta dipendenza di Β 370 – 374 da Δ 288 – 291, ma i vv. vanno bene in Β come in Δ, (cfr. Cauer 1917 b, 538 – 539), dunque nessuna dipendenza è dimostrabile. Sull’incongruenza di Δ 220 sgg. rispetto a quanto precede cfr. anche Heitsch (2008) 236 sgg.

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breve distanza dai Troiani; inoltre, è problematico che una parte dell’esercito sia in movimento un’altra in quiete, proprio perché i Greci erano molto vicini ai nemici. Pare anche che le parole con cui Odisseo risponde ad Agamennone (350 – 355) presuppongano che ancora non si sia combattuto. L’impressione è che l’ἐπιπώλησις sia stata scritta per l’inizio vero e proprio dei combattimenti, non per la loro ripresa dopo la Ὁρκίων σύγχυσις. Questo è confermato dal fatto che nelle conversazioni fra Agamennone e gli altri capi greci (a eccezione di Idomeneo) non si fa alcuna menzione del duello e della violazione dei patti da parte troiana; questo è sorprendente, poiché i Troiani avevano non solo violato i patti, ma ripreso essi stessi la guerra; un comportamento così scorretto è naturale che causasse sdegno. Invece, gli accenni alla Ὁρκίων σύγχυσις si trovano solo nel primo discorso di Agamennone a tutto l’esercito (234– 239) e nel discorso di Idomeneo (269 – 271). Si tratta dei punti iniziali dell’ἐπιπώλησις, della parte cioè più vicina al ferimento di Menelao; è naturale che chi ha riunito le due parti per armonizzarle si sia concentrato sul punto di sutura. Del resto, non si capisce davvero per quale motivo Agamennone dovesse passare in rassegna l’esercito solo dopo il duello, quando i Troiani erano a un passo e non piuttosto mentre l’esercito si disponeva con calma nella pianura. L’ἐπιπώλησις si lega in maniera inscindibile al consiglio di Nestore (Β 362– 368): l’esercito deve essere disposto in modo tale che siano chiare le responsabilità di ciascuna stirpe e dei singoli guerrieri; quanto Nestore fa (Δ 297 sgg.) è conseguenza di quanto egli stesso ha consigliato in Β. In Β l’esercito si riversa dalle navi nella pianura (455 – 466), ove si ferma (467– 473). Una volta che si è fermato, i comandanti cominciano a dividere le truppe (474– 476), secondo quanto suggerito da Nestore; fra tutti i capi si distingue Agamennone (477– 483). Segue il catalogo greco (484 – 759), cui segue quello dei Troiani, il duello fra Paride e Menelao, il concilio divino e il ferimento proditorio di Menelao a opera di Pandaro. Che i due cataloghi siano inserzioni, è del tutto evidente; circa il duello e la rottura dei patti, ci sono ragioni decisive per credere che anch’essi siano inserzioni, a prescindere da quello che si pensi del rapporto fra Β 360 sgg. e l’ἐπιπώλησις. Se noi cerchiamo di collegare la parte di Β che precede il catalogo all’ἐπιπώλησις, mi sembra che la sutura non ponga problemi, anzi si imponga da sola. Β 467 sgg. dice che l’esercito si è riversato nella pianura e si è fermato (467 ἔσταν; 473 ἵσταντο) e che i comandanti hanno cominciato a disporlo in ordine e fra essi spicca Agamennone. Questa situazione è esattamente quella che precede l’ἐπιπώλησις: qui Agamennone passa in rassegna l’esercito e una parte di esso è ferma (Δ 328 ἑσταότα; 331: ἕστασαν; 366 – 367), un’altra in movimento. Probabilmente con Δ 223 sgg. riprende quanto era stato interrotto a Β 483, anche se non si possono collegare direttamente i due passi. Chi ha collegato il duello di Paride e Menelao all’ἐπιπώλησις ha aggiunto in quest’ultima

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qualche riferimento alla Ὁρκίων σύγχυσις e ha ritoccato qualche particolare: dei Cretesi (252) e dei due Aiaci (274) si dice che si stavano armando; ora, è probabile che l’esercito si fosse riversato nella pianura dalle navi già armato (Β 457– 458; cfr. anche Υ 1) e non si capisce quindi perché qualcuno si armasse ora. Il particolare per cui i Cretesi e i due Aiaci si armano sarà quindi frutto di un ritocco; a conferma di questo, si osservi che Diomede, quando Menelao lo rimprovera, è già armato (419 – 421): come spiegare che Diomede, che viene caratterizzato come neghittoso e ritardatario, sia già armato, mentre Idomeneo e i due Aiaci, che vengono elogiati per la loro prontezza, non sono ancora armati? È quindi probabile che chi ha ritoccato l’ἐπιπώλησις abbia fatto armare i Cretesi e gli Aiaci, che nell’originale erano già armati; la ragione è che, per assistere al duello di Paride e Menelao, l’esercito aveva deposto le armi (Γ 88 – 89). Dunque, lo strettissimo legame fra Β 360 sgg. e l’ἐπιπώλησις va secondo me spiegato nel senso che originariamente i due testi erano in sequenza e che appartenevano allo stesso epos ⁸²; di conseguenza l’ἐπιπώλησις faceva parte dell’Aufruhr. Fra Β 483 e Δ 223 c’è un altro pezzo che potrebbe derivare da questo epos, cioè Β 786 – 815, la preparazione alla guerra dei Troiani. È evidente che essa non poteva mancare nell’epos originario e quanto leggiamo in Β 786 – 815 presenta somiglianze con l’epos che stiamo ricostruendo: i Troiani e i loro alleati vengono disposti per stirpi (802– 806, 815) esattamente come i Greci. Si può anche, tuttavia, supporre che questa parte sia opera (almeno nella sua versione attuale) del poeta che ha collegato Β 483 al seguito (cioè ai cataloghi)⁸³; io credo che quest’ultima soluzione sia migliore, ma per decidere è necessario vedere nel dettaglio i due cataloghi e il loro inserimento nell’Il. Con 484 inizia il catalogo dei Greci (Schiffskatalog)⁸⁴: si tratta di un pezzo che è stato scritto per un altro epos e poi rielaborato per essere inserito in Β. Per mostrare che esso non è stato scritto per l’Il. bastano osservazioni semplicissime:

 Così già Kammer (1870) I 25.  Così Wilamowitz (1916) 277 sgg.; Jachmann (1958) 235.  Non vedo ragioni per seguire chi ritiene che chi ha inserito il catalogo abbia rielaborato la parte precedente a 484: le sei similitudini di 455 – 483 non pongono alcun problema. Wilamowitz (1916) 275 per difenderle si richiamava alla sua esperienza di parate militari sul campo di Tempelhof, cui Jacoby (1932) 579 opponeva le parate da lui viste sull’Oberwiesenfeld. Non comprendo perché Jacoby separi la similitudine di 474 sgg. da quanto precede: il momento descritto in 474– 483 è successivo a quello di 445 – 454, poiché nel primo l’esercito non si è ancora riversato sul campo. Jacoby attribuisce 459 – 468, 474– 483 al poeta del catalogo, ma non c’è nessuna ragione per fare questo: le similitudini si riferiscono a momenti diversi e che il poeta ne abbia usate sei si spiega benissimo con la solennità del momento, dato che i combattimenti iniziavano qui. Considerazioni analoghe si possono fare sui tentativi di Jacoby di attribuire al poeta del catalogo 336 – 397. Cfr. anche Jachmann (1958) 222 sgg.

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nei vv. precedenti l’esercito si è riversato dalle navi nella pianura e la battaglia sta per cominciare da un momento all’altro. Il catalogo invece è pensato per un momento ben precedente, quando i Greci sono sulle navi, prima di arrivare a Troia, forse per quando sono in partenza dall’Aulide (questo spiega anche perché esso inizi con la Beozia⁸⁵). Viene spesso detto che le navi greche «procedevano in fila» (ἐστιχάοντο: 516, 602, 680, 733) o che si muovevano (509) e di Tlepolemo viene detto che «conduceva» le navi da Rodi (654): che senso ha parlare del movimento delle navi quando esse (come per tutto il tempo della nostra Il.) sono sulla riva del mare tirate in secco? La nostra Il. è pensata per precedere di poco la fine della guerra; i Greci sono sotto Troia da dieci anni e hanno subito pesanti perdite (Β 301 sgg.), mentre il catalogo non fa alcuna allusione a tali perdite (cfr. 610 – 611; 675). Inoltre, i soldati greci sembrano pensati come se fossero sulle navi (509 – 510; 610 – 611; 619; 719 – 720)⁸⁶. Lo Schiffskatalog non è stato in origine concepito come parte dell’Il.: molto probabilmente una fonte geografica di età arcaica⁸⁷ è stata usata per scrivere un

 Non c’era nessuna altra ragione che potesse spingere un poeta a iniziare il catalogo dalla Beozia. Si passa dalla Beozia alla Focide, alla Locride, all’Eubea, all’Attica, al Peloponneso, alle isole ioniche, all’Etolia, a Creta, Rodi e le altre isole doriche più piccole, alla Tessaglia. L’iter non mi pare postuli la dipendenza da una fonte determinata e dunque si può fare a meno della pur brillante ipotesi di Giovannini (cfr. la nota 87). La mancanza delle isole ioniche e eoliche davanti le coste dell’Asia si spiega forse col fatto che esse fossero pensate filotroiane, cfr. Nilsson (1905) 170.  Gli imperfetti di ἐμβαίνειν (509, 619 ecc.) indicano che i soldati erano sulle navi, non che essi vi erano saliti al momento della partenza dalle loro rispettive patrie, come vorrebbe Jachmann (1958) 190 – 193; interpreta perfettamente Bergk (1872) 557, nota 12. Cfr. anche Latacz 20055, 263 – 264.  L’esistenza di una fonte geografica di età arcaica, dalla quale derivano i nomi di città presenti nel catalogo, è stata dimostrata da Niese (1873); cfr. anche Nilsson (1905) 165 – 166. Giovannini (1969) suppone che si trattasse di un itinerario di θεωρόδοκοι delfici. Le corrispondenze fra il percorso geografico del catalogo e quello dell’iscrizione citata da Giovannini («Bull. de Corr. Héll.» 45, 1921, 4– 31, fine III sec. a. C.) sono reali, ma (a parte il fatto che nel catalogo manca qualsiasi accenno a Delfi) io sospetto che esse siano spiegabili per poligenesi: se si inizia a percorrere la Grecia dalla Beozia o dalla Focide viene abbastanza naturale andare prima nel Peloponneso, poi nelle isole ioniche. A quel punto, se si vuole andare verso Oriente, c’è bisogno di una nuova partenza, e viene naturale ripartire da Creta. Poiché nel catalogo sono presenti molti toponimi di cui non c’era già più traccia nel II sec. a. C. (come dimostra Demetrio di Scepsi apud Strabone), si è spesso supposto che la fonte geografica in questione risalisse all’età micenea (Allen 1921; Burr 1944; Page 1959; Hope Simpson – Lazenby 1970; scettico Visser 1997, il quale non crede alla natura geografica della fonte). Tuttavia, sembra preferibile supporre una fonte del VII secolo (cfr. Jachmann 1958 contro Burr 1944, e Giovannini 1969 contro Page 1959; Kullmann 2002, 9 sgg., quest’ultima la miglior trattazione a me nota). La tesi della fonte micenea è ora accolta anche da Latacz (20055) 256 sgg., il quale crede di trovarne conferma nelle

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catalogo delle forze greche radunatesi in Aulide. Certo il catalogo descrive un momento precedente al loro sbarco in Asia⁸⁸; questo testo, destinato a far parte di un altro epos, è stato poi riadattato per essere inserito in Β, inserendovi alcuni riferimenti alla situazione attuale degli eroi, ove essa differiva da quella in Aulide⁸⁹. Di questo si può, secondo me, essere abbastanza sicuri. Al catalogo dei Greci seguono alcuni vv., in cui il poeta dice che fra i cavalli i migliori erano quelli di Eumelo, mentre fra i guerrieri il più valoroso era (finché Achille non partecipava ai combattimenti) Aiace (763 – 779). Seguono alcuni vv. in cui si dice che i Greci si muovevano e che la terra risuonava come fra gli Arimi attorno a Tifeo. A questo punto il poeta si volge a Troia: i Troiani sono in assemblea davanti alla reggia di Priamo; a fare da vedetta è il figlio di Priamo Polite, ma in sua vece all’assemblea si presenta Iride ad annunciare che i Greci stanno per attaccare. Ci si è chiesti perché il poeta, dal momento che ci informa che Polite faceva da vedetta, abbia poi introdotto un altro personaggio (Iride) a fare quello che avrebbe dovuto fare Polite. Si è supposto che siamo davanti a un

tavolette in lineare B da Tebe recentemente pubblicate da Aravatinos-Godart-Sacconi (2001); secondo Latacz da questi nuovi testi si ricava che Tebe e la Beozia avevano acquisito una posizione di preminenza nel mondo tardo-miceneo e questo spiegherebbe perché il catalogo parta dalla Beozia. Io credo, al contrario, che le nuove scoperte da Tebe mostrino, ancora una volta, l’impossibilità di ricondurre il catalogo all’età micenea. Il confine orientale del dominio tebano che si desume dalle nuove tavolette è così riassunto dai tre editori (357– 358): «En ce qui concerne les marches orientales du royaume thébain, on demeure frappé par le contrôle que le palais [cioè di Tebe] exerçait sur la région méridionale de l’Eubée puisque les cités d’Amarynthus et de Karystos sont bien documentées dans nos archives». Orbene, nel catalogo Tebe non esercita alcun dominio sull’Eubea (Β 494– 510, 536 – 545). Inoltre, ciò che il catalogo dice circa Argo e Sicione (559 – 580) è senza dubbio legato a controversie politiche dell’VIII/VII secolo, cfr. Bethe (1931) 236.  Kammer (1870) I 34; Bergk (1872) 556 – 557: «Der Dichter wollte den Auszug des Agamemnons von Aulis schildern; hier war die Aufzählung der Schiffe vollkommen gerechtfertigt»; Schmid (1925) 73; West (2011) 112. Già Müller (18362) 97 osservava: «Allgemeiner Natur und ohne alle Berührung mit der Zeit und Handlung der Ilias ist der Schiffskatalog, welcher als Einleitung vor jedem epischen Gedichte stehen könnte». Kullmann (1960) 63 sgg. considera lo Schiffskatalog opera del poeta dell’Il. Sui rapporti con la poesia orale cfr. Nünlist (2012).  Considero aggiunti al momento dell’inserzione nell’Il.: 525 – 526; 577– 580; 587b–590; 686 – 694; 699 – 709; 721– 728. A conferma che i vv. su Achille (686 – 694) sono stati aggiunti si osservi che il poeta di solito pone vv. come τῶν αὖ πεντήκοντα νεῶν ἦν ἀρχὸς ᾿Aχιλλεύς (685) alla fine della sezione e che il poeta di solito non fa nessun accenno a cosa accadrà in seguito, mentre nel caso di Achille predice che egli sarebbe tornato a combattere (694). Su 546 – 558 (Atene e Salamina) cfr. p. 74. Per le alterazioni subite dallo Schiffskatalog al momento dell’inserzione nell’Il. cfr. anche Kammer (1870) I 34 sgg.; Von der Mühll (1952) 53 – 54; Kullmann (2012). Valeton (1915) 13 sgg. suppone rielaborazioni profondissime, ma cfr. Kullmann (1960) 64, nota 1.

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passo rielaborato⁹⁰, ma non ci sono valide ragione per ipotizzarlo: Iride suggerisce a Ettore di disporre ciascuna stirpe divisa dalle altre (803 – 806) ed è questo, io credo, il motivo che ha spinto il poeta a introdurre una divinità. Esisteva probabilmente una tradizione, secondo cui Polite faceva da vedetta, ma il poeta voleva introdurre il motivo della divisione per stirpi e al giovane e inesperto ragazzo non poteva essere attribuito un consiglio militare del genere, da dare nientemeno che a Ettore; per questo è stata introdotta Iride. Era questo anche un modo per sottolineare la superiorità militare dei Greci: fra questi ultimi era stato Nestore a dare il consiglio che ai Troiani dà Iride; il poeta ci fa così intendere che fra i Troiani non c’è nessuno saggio come Nestore⁹¹. Originariamente il motivo della divisione in stirpi era legato all’ἐπιπώλησις, non al catalogo; questo è ancora riconoscibile negli eventi che riguardano il campo greco, mentre nel campo troiano l’unica divisione che si incontra è quella che avviene sulla collina di Batieia (811 sgg.), dunque quella del catalogo. Abbiamo visto poc’anzi come le parole di Nestore (360 – 368) siano state riferite da alcuni studiosi all’ἐπιπώλησις, da altri al catalogo; l’interpretazione giusta è la prima, ma chi ha fatto seguire il catalogo degli alleati dei Troiani a 802– 807 ha, evidentemente, preferito l’altra interpretazione. I due cataloghi sono stati inseriti nello stesso tempo, probabilmente dallo stesso poeta, che ha rielaborato il catalogo greco (che già esisteva) e forse ha composto quello troiano⁹²; questo poeta ha capito che le parole di Nestore di 360 – 368 potevano essere adatte a introdurre un catalogo delle forze greche⁹³. Il consiglio di Nestore di dividere l’esercito per stirpi era destinato in origine a introdurre l’ἐπιπώλησις e solo grazie a una rielaborazione esso si può legare al catalogo; il fatto che nel caso dei Troiani lo stesso consiglio introduca il catalogo mostra che lo stesso poeta che ha ri-

 Così Wilamowitz (1916) 278 – 279. Cfr. anche Heitsch (2008) 238 sgg.  Che fra il consiglio di Nestore (360 – 368) ad Agamennone e quello di Iride a Priamo (796 – 806) ci sia una strettisima relazione è del tutto evidente, cfr. Wilamowitz (1916) 277– 278.  Che il catalogo troiano sia stato composto a imitazione di quello greco credono in molti, cfr. e. g. Kammer (1870) I 38; Lachmann (18743) 13. Jachmann (1958) 158 sgg. crede che entrambi i cataloghi siano opera dello stesso poeta, ma questo si basa sulla convinzione dello studioso (errata, cfr. nota 86) che il catalogo greco sia stato pensato (come quello troiano) per il momento che precede immediatamente la battaglia.  Il luogo in cui si trova il catalogo greco non si può dire sia adatto in assoluto, ma certo è il meno inadatto nella nostra Il. (cfr. già Müller 18362, 116: «Übrigens ist der Katalog nicht an einer unschicklichen Stelle eingefügt»). In quale altro luogo inserirlo, se non prima che iniziassero i combattimenti? Le parole di Nestore più volte invocate per spiegare l’inserzione (362– 368) hanno giocato un ruolo, ma forse lo hanno giocato anche il richiamo di Odisseo (301 sgg.) e di Nestore (350 sgg.) al momento della partenza dall’Aulide, poiché il catalogo era stato scritto originariamente per descrivere quei momenti.

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elaborato la sezione precedente, introducendovi il catalogo greco, ha composto la sezione che riguarda gli eventi troiani, almeno 786 – 815. Il catalogo troiano, a differenza di quello greco, è stato scritto appositamente per la situazione attuale, per precedere cioè immediatamente i combattimenti, ma si basa su un’Il. diversa dalla nostra⁹⁴. Con il catalogo troiano finisce Β. Γ–Δ 219 è certamente un’inserzione. Ne segue che quanto noi abbiamo dell’Aufruhr occupa Β 87/101– 483, per poi riprendere a Δ 220. Ciò che si trova fra Β 484 e Δ 218 ha, invece, altra origine: o deriva da un altro epos (come lo Schiffskatalog e la Ὁρκίων σύγχυσις) ovvero è stato composto per essere inserito qui (come le rielaborazioni del catalogo greco e forse il catalogo troiano). L’Aufruhr è stato spezzato in due, inserendovi in mezzo materiale di altra origine. Tale inserzione risale tutta allo stesso poeta, ovvero i cataloghi e la Ὁρκίων σύγχυσις sono stati inseriti in momenti diversi? Si è risposto in entrambi i modi e, purtroppo, certezze non possiamo averne⁹⁵. L’inserzione della Ὁρκίων σύγχυσις risale senza dubbio al poeta autore della grande espansione Δ2–Η, come mostra Η 351– 353 che fa esplicito riferimento alla rottura dei patti. Questo è il poeta cui l’Il. deve la sua forma attuale (almeno fino all’inizio di Υ), cioè P. Tutto lascia pensare che i due grandi interventi redazionali che abbiamo incontrato sin qui (cioè la fusione di Α–Β1 con l’Aufruhr e lo spezzamento di quest’ultimo) siano opera di P; che però P abbia inserito anche i cataloghi, è assai dubbio per alcune contraddizioni che essi presentano con passi che io credo derivino da P⁹⁶.

L’inizio dei combattimenti (Γ–Ζ) Torneremo successivamente sia sui cataloghi sia sulla Ὁρκίων σύγχυσις. Ora vediamo la sezione immediatamente successiva all’ἐπιπώλησις. I due eserciti si lanciano l’uno contro l’altro (Δ 422 sgg.) e la battaglia ha inizio: Atena infonde coraggio ai Greci, Ares ai Troiani. Il primo eroe che cade (il primo dunque nella nostra Il.) è Echepolo, ucciso da Antiloco. Elafenore, capo degli Abanti, cerca di trarre il cadavere in campo greco, per poterlo spogliare, ma viene ucciso da

 Cfr. p. 71– 74.  Che lo Schiffskatalog sia stato inserito nel suo contesto attuale insieme alla Ὁρκίων σύγχυσις credono Bethe (1914) 210: «Die beiden Kataloge sind also fest mit unserer Ilias verbunden, sie auszuscheiden ist unmöglich» e Von der Mühll (1952) 51 sgg., che pensano entrambi al poeta che ha dato la forma finale all’Il. (P). Wilamowitz (1916) 512 e Schwartz (1918) 7 credono invece che i cataloghi siano stati inseriti in un momento successivo.  Cfr. p. 67 sgg.

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Agenore. Aiace uccide Simoisio; per vendicarne la morte, Antifo cerca di colpire Aiace, ma invece colpisce Leuco, compagno di Odisseo. Quest’ultimo, infuriato, uccide un figlio illegittimo di Priamo, Democoonte. I Troiani sono spaventati e indietreggiano, ma interviene Apollo a incoraggiarli, esortandoli ad approfittare dell’assenza di Achille. Diore, capo degli Epei, viene ucciso da Piro, un duce trace, il quale a sua volta viene ucciso dal capo degli Etoli, Toante, al quale però i Traci impediscono di impadronirsi del cadavere: chiunque, commenta il poeta, si fosse trovato lì, sarebbe stato ben contento di uscirne illeso, tanti Troiani e Greci caddero quel giorno. Così finisce Δ. La rapsodia successiva è nota come Diomedie per il ruolo di protagonista di Diomede. Essa inizia con Atena che dà animo e coraggio a Diomede perché si distingua fra tutti i Greci. Diomede ingaggia un combattimento contro i due figli di un sacerdote di Efesto, Darete: il primo, Fegeo, muore, il secondo riesce a fuggire. Questo fatto spingerebbe i Troiani a combattere con maggiore ardore, se Atena non intervenisse e non portasse fuori dal campo di battaglia Ares. A questo punto, dice il poeta, i Greci cominciano ad avere decisamente la meglio: Agamennone, Idomeneo, Menelao, Merione, Megete, Euripilo uccidono ciascuno un eroe troiano. Il valore di Diomede è, tuttavia, superiore a quello di chiunque altro e non c’è modo che i Troiani gli resistano. Pandaro riesce però a ferirlo; Diomede è costretto a chiedere a Stenelo di scendere dal carro e di aiutarlo a estrarre la freccia. Grazie al soccorso di Atena, Diomede riesce a riprendere a combattere e uccide alcuni Troiani. A questo punto lo vede Enea, il quale va da Pandaro e lo esorta a lanciare un dardo contro Diomede. Pandaro, che credeva di aver già ucciso Diomede con il precedente colpo, è disperato e maledice il proprio arco. Sale poi sul carro di Enea e i due si dirigono contro Diomede; Stenelo, quando li vede avvicinarsi, suggerisce a Diomede di fuggire, ma l’eroe argivo non vuol sentir parlare di fuga e comanda a Stenelo di impadronirsi, se sarà possibile, dei cavalli di Enea. Diomede riesce a uccidere Pandaro e anche Enea verrebbe ucciso, se Afrodite non intervenisse a salvarlo. Diomede ferisce addirittura Afrodite e per salvare Enea deve intervenire Apollo, che lo porta sulla rocca di Pergamo⁹⁷. Ares, su suggerimento di Apollo, rientra in battaglia e, prese le sembianze di Acamante, esorta i Troiani al combattimento. Segue un discorso di Sarpedone a Ettore: l’eroe licio rimprovera quello troiano di non impegnarsi a sufficienza; se fosse per i Troiani e non per gli alleati, i Greci non incontrerebbero resistenza. Nonostante l’intervento di Apollo e Ares, i Greci oppongono resistenza; dopo una serie di combattimenti con alterne vicende, Ettore, guidato

 I vv. 449 – 453, che parlano di un εἴδωλον di Enea creato da Apollo, vanno espunti (Leaf ad loc.), come mostrano i vv. 512– 516.

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da Ares, riesce a far retrocedere i Greci: è proprio Diomede che, memore del suggerimento di Atena di non combattere contro gli dèi (129 – 131), una volta visto che Ares combatte fra i Troiani, esorta i compagni alla ritirata. Segue il duello fra Tlepolemo e Sarpedone, in cui il primo cade. La situazione per i Greci si metterebbe davvero male, se non intrevenissero Era e Atena: quest’ultima va da Diomede, che, memore degli ammonimenti della stessa Atena, si tiene lontano dalla battaglia. La dèa sale ora sul carro di Diomede al posto di Stenelo e ferisce Ares, che è così costretto a ritornare sull’Olimpo. Anche Atena lascia il campo di battaglia e così finisce E. Questa rapsodia è sostanzialmente unitaria; soltanto alcuni pezzi sono stati aggiunti. Il discorso di Sarpedone contro i Troiani nonché i vv. immediatamente successivi, in cui Ettore scende dal carro per combattere (471– 496), sono estranei al contesto⁹⁸, poiché nulla nel contesto conferma quanto affermato da Sarpedone e il suo discorso risulta immotivato dopo quello di Ares e privo di conseguenze nel seguito. Si tratta della prima interpolazione licia della nostra Il. Un’altra sicura aggiunta (anche questa un’interpolazione licia) è il duello fra Tlepolemo e Sarpedone (627– 698)⁹⁹: lo mostra il fatto che esso presuppone che i Greci non siano in ritirata e che, una volta che esso venga eliminato, i vv. 699 sgg. si legano benissimo con 626, dal momento che viene ripreso il motivo degli effetti dell’intervento di Ares ed Ettore. Un’interpolazione minore è 206 – 208¹⁰⁰: Pandaro si lamenta che la sua freccia non è riuscita ad uccidere Diomede e aggiunge che entrambe le volte che ha usato l’arco (oltre che contro Diomede, contro Menelao), ha fallito. Questa allusione al ferimento di Menelao (Δ 104 sgg.) disturba dopo che Pandaro ha già alluso al ferimento di Diomede (188) e risulta strana dopo che il poeta stesso nulla dice su come Menelao aveva superato il trauma della ferita di Pandaro (Ε 49 sgg.); inoltre né Pandaro né Enea (cui Pandaro si rivolge) hanno più avuto a che fare con Menelao dopo il ferimento proditorio di Δ. Si tratta di un’allusione alla Ὁρκίων σύγχυσις (Δ 85 sgg.), che è stata inserita da chi voleva creare un legame fra i due epe ¹⁰¹. Qualcuno crede che anche la scena olimpica di 711– 792

 Cfr. Giseke (1854) 6; Hentze (18822) 72– 73; Niese (1882) 111; Bethe (1914) 275; Wilamowitz (1916) 514; Von der Mühll (1952) 98 – 99.  Cfr. Giseke (1854) 5 – 6; Hentze (18822) 73 – 74; Niese (1882) 111; Bethe (1914) 275; Wilamowitz (1916) 514.  Cfr. Ameis-Hentze ad loc.; Niese (1882) 73, nota 2; Bethe (1914) 274; Von der Mühll (1952) 94, che crede 192– 208 estranei al contesto originario.  Che la Diomedie originaria non sapesse nulla della Ὁρκίων σύγχυσις lo mostra che quando Diomede e Atena uccidono Pandaro (Ε 286 sgg.) non ci sia la minima allusione alla grave colpa di cui Pandaro si era macchiato (questo vale anche per Ε 115 sgg., Ε 124 sgg., Ε 243 sgg.), cfr.

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sia un’aggiunta¹⁰², ma mancano indizi seri in tal senso: contro la scena si è obiettato che Era va sul campo di battaglia assieme ad Atena, ma non ha poi un ruolo attivo (1), che le due dèe chiedono l’autorizzazione a Zeus per intervenire in battaglia, quasi esistesse già il divieto di Θ 5 sgg. (2), che Stentore (785 sgg.) non compare altrove nel poema (3). In realtà, Era va sul campo di battaglia, ma poiché, a differenza di Atena, non è abile a combattere, si limita a incoraggiare i Greci e le due dèe non chiedono a Zeus l’autorizzazione a intervenire in battaglia, ma a combattere contro Ares (757– 763), che è figlio di Zeus; quanto a Stentore, la Diomedie presenta anche altrove caratteristiche mitologiche che non si trovano altrove nel poema e, dunque, la presenza di un personaggio che non compare altrove è indizio a favore che egli appartiene al contesto originario. Dove comincia la Diomedie? Attualmente essa è strettamente legata all’ἐπιπώλησις, dunque all’Aufruhr, ma probabilmente si tratta di due epe distinti, che sono stati riuniti insieme al momento dell’inserzione nell’Il. ¹⁰³. Nell’ἐπιπώλησις è protagonista Agamennone, ma nella battaglia di Ε egli gioca un ruolo del tutto secondario (cfr. Ε 38, 538). L’altro protagonista dell’ἐπιπώλησις, Nestore, cui si deve il suggerimento circa la disposizione delle truppe, è totalmente assente dalla battaglia di Ε. Ancora più importante è un altro indizio: in Δ 295 – 296 vengono citati cinque guerrieri al seguito di Nestore; nessuno di questi guerrieri compare in Ε: poiché tali elenchi vengono per lo più fatti per introdurre personaggi che agiranno nel seguito¹⁰⁴, è probabile che nella nostra Il. il seguito dell’ἐπιπώλησις non ci sia. Un altro protagonista dell’ἐπιπώλησις, Idomeneo, compare solo di sfuggita nella battaglia di Δ–Ε (43). Lo stesso Odisseo ha un ruolo secondario: egli compare solo brevemente a Δ 491 sgg. ed Ε 519 (Ε 669 sgg. non appartiene alla Diomedie, ma all’interpolazione licia di Sarpedone e Tlepolemo). Lo stesso può dirsi di Aiace Telamonio (cfr. Δ 489, Ε 615). L’unico indizio che farebbe pensare che ἐπιπώλησις e Diomedie facessero parte dello stesso epos è che l’ultimo personaggio che compare nell’ἐπιπώλησις, immediatamente prima che inizi la battaglia, è Diomede (Δ 364– 421), protagonista della

Müller (18362) 112– 113; Kammer (1870) I 21 sgg.; Naber (1876) 158 – 159; Niese (1882) 73. Kammer elenca una serie di passi di Δ2–E che sembrano ignorare la Ὁρκίων σύγχυσις. In Ε 95 Pandaro viene introdotto simpliciter come Λακάονος ἀγλαὸς υἱός; difficile dire se già nella Diomedie fosse così, o se si tratti di un adattamento dovuto al fatto che l’eroe era già stato protagonista nella Ὁρκίων σύγχυσις.  M. Haupt apud Lachmann (18743) 107– 108; Robert (1901) 189; Bethe (1914) 273 – 274; Theiler (1947) 143; Von der Mühll (1952) 101 sgg.; contra Wilamowitz (1916) 299.  Per la separazione della Diomedie dall’ἐπιπώλησις Bethe (1914) 268 – 269; contra Schwartz (1918) 7, nota 3; cfr. anche Finsler (1906) 427.  Cfr. p. 98, 107– 108, 115, 160.

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Diomedie. Non c’è dubbio che così Diomede acquisisca un’importanza particolare rispetto agli altri personaggi e questo farebbe pensare che in questo modo venga preparato il suo ruolo di protagonista nella battaglia che segue. Vi è, tuttavia, anche qui un indizio contro la continuità fra ἐπιπώλησις e Diomedie: nella prima Agamennone rimprovera a Diomede scarso spirito guerriero (Δ 370 – 400); che rapporto c’è fra questo rimprovero di Agamennone e l’aristia di Diomede, che segue a breve? Si potrebbe immaginare che l’aristia serva a riscattare l’eroe dalle accuse di Agamennone; certo, se lo stesso poeta avesse fatto seguire l’aristia ai rimproveri di Agamennone, un qualche collegamento fra le due cose avrebbe dovuto esserci. Eppure, a me sembra evidente che nella nostra Il. non ci sia alcun collegamento fra le due cose: lo mostra bene il caso di Odisseo: anch’egli viene rimproverato da Agamennone per gli stessi motivi di Diomede (Δ 338 – 348), ma nel seguito non c’è nulla né che lo riscatti da tali accuse né che confermi le accuse. Sembra dunque che nel caso di Odisseo il motivo delle accuse di Agamennone non giuochi alcun ruolo nel seguito. Lo stesso, probabilmente, vale per Diomede: quest’ultimo si ricorderà dei rimproveri di Agamennone solo molto tempo dopo (Ι 32 sgg., cioè in P). Se ἐπιπώλησις e Diomedie fossero appartenuti allo stesso epos, nei combattimenti di Δ–Ε ci sarebbe stata, probabilmente, una qualche allusione ai rimproveri di Agamennone. Mi pare dunque altamente probabile che ἐπιπώλησις (dunque Aufruhr) e Diomedie non appartengano allo stesso epos. Chi li ha riuniti (P) non ha lasciato segni evidenti di sutura, anzi si è curato di amalgamare bene il tutto. La sutura deve cadere fra il momento in cui iniziano le imprese di Diomede (Ε 1 sgg.) e la fine dell’ἐπιπώλησις (Δ 421), cioè nel momento in cui inizia la battaglia. Da un punto di vista astratto, si potrebbe supporre che l’inizio della battaglia appartenga ancora all’ἐπιπώλησις, poiché a quest’ultima doveva seguire di necessità l’inizio di una battaglia, mentre la Diomedie poteva non essere preceduta immediatamente dall’inizio di una battaglia. Tuttavia, sembra più probabile che già l’inizio dei combattimenti (Δ 422 sgg.) appartenga alla Diomedie ¹⁰⁵, poiché fra la fine di Δ e l’inizio di Ε non c’è soluzione di continuità e la presenza di Ares, Atena e Apollo (Δ 439, 507) preannuncia il ruolo che queste tre divinità avranno nella battaglia successiva. Mi sembra dunque probabile che Δ 422–Ε derivino dalla Diomedie, sebbene non si possa essere certi dove esattamente tale epos inizi. La rapsodia successiva (Ζ) inizia con Aiace che uccide Acamante: i vv. 5 – 6 dicono che Aiace per primo (πρῶτος) ruppe lo schieramento nemico e portò

 Così Niese (1882) 75 e Bethe (1914) 269. Contra Schwartz (1918) 7, nota 3. Scettico Von der Mühll (1952) 87– 88.

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speranza ai Greci. Mi pare che siamo ancora nel contesto di Ε¹⁰⁶: la situazione per i Greci si era messa davvero male, essi erano in fuga (cfr. Ε 699 sgg.) e solo l’intervento di Atena e la conseguente uscita di Ares dal campo di battaglia hanno arrestato la fuga dei Greci; a questo punto, con l’inizio di Ζ, inizia la loro riscossa. Non c’è da meravigliarsi che il poeta enfatizzi che sul campo di battaglia non ci sono più divinità (Ζ 1) e che a tale constatazione seguano una serie di vittorie dei Greci: è come dire che la momentanea vittoria dei Troiani era dovuta solo all’intervento divino¹⁰⁷. Dopo Aiace vengono citati altri otto eroi greci, ognuno dei quali uccide un eroe della parte avversaria. Segue un’esortazione di Nestore ai Greci, affinché si concentrino a combattere e non perdano tempo a spogliare i cadaveri dei nemici. A questo punto, dice il poeta (73 sgg.), i Troiani sarebbero stati costretti a rientrare in città, se Eleno non si fosse rivolto a Ettore ed Enea per esortare entrambi a impedire all’esercito di fuggire, e a Ettore in particolare ad andare in città e ordinare a Ecuba di donare un peplo e di promettere un’ecatombe ad Atena, affinché tenesse lontano da Troia Diomede. Ettore si rivolge ai Troiani, annunciando il suo rientro in città per il tempo necessario a dire agli anziani (γέρουσι βουλευτῆισι) e alle donne di pregare gli dèi e offrire un’ecatombe (111– 115). Sul campo di battaglia si trovano di fronte Diomede e Glauco: il primo chiede al secondo chi egli sia, poiché egli teme che Glauco sia una divinità ed egli vuole evitare di combattere contro gli dèi. Glauco rivela la propria genealogia e Diomede scopre così che lo lega a Glauco un rapporto di ospitalità, sicché i due eroi, anziché combattere, si scambiano le armi. Ettore arriva in città, ove incontra subito le donne troiane, alle quali ordina di pregare. Va poi nella casa di Priamo, ove incontra la madre Ecuba, che gli offre del vino; l’eroe rifiuta il vino ed esorta la donna a riunire le altre donne anziane per offrire un peplo ad Atena e prometterle un’ecatombe, se terrà lontano Diomede da Troia (Ettore ripete quanto detto prima da Eleno, ma non fa il nome di quest’ultimo); poi aggiunge di voler andare da Paride, nella speranza che questi voglia dargli ascolto. Viene quindi descritta la cerimonia in onore di Atena e il poeta ci informa che la dèa non dette ascolto alla richiesta delle donne troiane. Ettore arriva a casa di Paride e lo trova in compagnia di Elena: Ettore dice a Paride che non è opportuno che egli, sdegnato, si astenga dalla battaglia. Paride gli risponde che già Elena lo ha esortato ad andare a combattere ed è sua intenzione farlo: Ettore può avviarsi, egli lo raggiungerà a breve. Elena chiede a Ettore di trattenersi un po’, ma egli  È diffusa, invece, l’idea che con l’inizio di Ζ cominci un pezzo di raccordo, cfr. Hentze (18822) 121 sgg.  Il pensiero che la forza dei Greci è talmente superiore a quella troiana, che solo l’intervento divino può fermarla, si trova anche altrove nel poema (e. g. Π 698 sgg.).

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rifiuta e annuncia di voler andare a casa propria per vedere la moglie e il figlio, che forse non rivedrà più. Giunto a casa, Andromaca non c’è, ed egli chiede alla servitù se ella sia in visita dalle cognate o se partecipi alla cerimonia in onore di Atena. Una ancella gli risponde che Andromaca, terrorizzata dalle notizie provenienti dal campo di battaglia, è andata sulle mure della città. Segue il celeberrimo incontro fra Ettore e Andromaca: la donna sembra chiedere al marito di rimanere sulle mura, ma Ettore rifiuta e la esorta a tornare in casa per occuparsi delle cose domestiche; poi, quando sta per ripartire per la battaglia, lo raggiunge Paride e i due corrono insieme a combattere. Mentre Δ 422–Ζ 1– 72 sembrano un unico epos (a parte le aggiunte, che già abbiamo indicato), con l’intervento di Eleno (Ζ 73 sgg.) sembra inizi qualcosa di nuovo e di diverso. Prima di stabilire i rapporti fra questo nuovo epos e quanto precede, analizziamo da vicino Ζ 73 – 529. Prescindiamo per il momento dall’episodio di Eleno e dall’incontro di Glauco e Diomede, e concentriamoci sulla parte successiva a 237 (cioè all’arrivo di Ettore in città). Si è discusso se la visita di Ettore a Troia sia stata concepita unitariamente ovvero in essa siano fusi due epe originariamente indipendenti¹⁰⁸. A una prima lettura non s’incontrano contraddizioni: Ettore va prima a casa dei genitori, poi a casa di Paride, infine a casa propria e sulle mura; la processione da lui ordinata ha luogo ed egli torna sul campo di battaglia accompagnato da Paride. Vi è tuttavia un particolare che crea difficoltà: a 242 sgg. Ettore si reca nella casa di Priamo, ove incontra Ecuba; nella casa di Priamo, ci informa il poeta, erano presenti cinquanta stanze da letto (θάλαμοι), l’una vicina all’altra, in cui i figli di Priamo dormivano con le loro spose; dall’altra parte dell’αὐλή c’erano le camere in cui dormivano le figlie di Priamo vicine ai loro mariti. Inoltre, 297 lascia immaginare che la casa di Priamo ed Ecuba non sia sulla rocca (si suppone infatti che la donna debba lasciare la propria casa per andare nel tempio che si trova sulla rocca). Questo assetto topografico contraddice quanto leggiamo poco più avanti, quando Ettore va da Paride (313 sgg.): qui, infatti, leggiamo che la casa di Paride si trovava vicino a quella di Priamo ed Ettore e che esse erano sulla rocca. La contraddizione è seria: secondo 242 sgg. i figli di Priamo vivono con lui nella reggia, che non si trova sulla rocca, mentre secondo 313 sgg. le case di Priamo e dei figli sono separate e si trovano sulla rocca¹⁰⁹; un poeta che canta gli eventi interni a

 Per l’unità Bergk (1872) 580, Wilamowitz (1916) 306 – 307, Jachmann (1949) 1– 41, Von der Mühll (1952) 127; riconoscono invece due epe originariamente distinti Kammer (1870) I 27 sgg. e Bethe (1914) 232 sgg.  Cfr. Bethe (1914) 228 – 229; contra Wilamowitz (1916) 306 – 307 e Von der Mühll (1952) 121, che non sembrano aver compreso la gravità della contraddizione.

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una città non può avere un’idea così contraddittoria della sua topografia. Sorge il sospetto che l’incontro con la madre e la cerimonia per Atena non derivino dallo stesso epos da cui deriva la visita a casa di Paride. Due indizi formali confermano questo sospetto. Alla fine della preghiera ad Atena leggiamo (311– 312): ὧς ἔφατ᾽ εὐχομένη, ἀνένευε δὲ Παλλὰς ᾿Aθήνη. / ὧς αἱ μέν ῥ᾽ εὔχοντο Διὸς κούρηι μεγάλοιο. La ripetizione di ὥς all’inzio dei due vv. indica che qui qualcuno ha voluto indicare una pausa¹¹⁰: nell’attuale contesto non se ne vedono le ragioni, ma poiché proprio con 312 inizia la visita di Ettore a Paride, è lecito supporre che 312 sia opera del poeta che ha aggiunto tale visita, che voleva in tal modo segnare l’inizio di una nuova sequenza. Anche le parole con cui Ettore annuncia alla madre l’intenzione di andare da Paride creano qualche problema: Ettore ha già detto a Ecuba di preparare la cerimonia per Atena (269 – 270: ἀλλὰ σὺ μὲν πρὸς νηὸν ᾿Aθηναίης ἀγελείης, / ἔρχεο), ma, subito prima di annunciare di voler andare da Paride, ripete il comando alla madre con le stesse parole (279 – 280). La ripetizione del comando non è motivata in alcun modo e l’iterazione dei vv. è spesso usata dai poeti per segnalare che c’è un’aggiunta e una rielaborazione¹¹¹. È quindi probabile che in origine Ettore nel colloquio con la madre non citasse Paride, che è stato poi inserito per creare un collegamento con il seguito. Dunque è ragionevole supporre che fra 311 e 312 ci sia una sutura e che la visita di Ettore a Troia sia frutto della fusione di due epe: noi chiameremo il primo Bittgang, il secondo Abschied (per le ragioni che presto vedremo). Al v. 365 Ettore dice a Elena di voler andare a casa propria e qui comincia il famoso incontro fra l’eroe e la moglie. Che legame c’è fra tale episodio e i due epe che abbiamo appena distinto¹¹²? L’episodio, nella forma in cui lo leggiamo noi, è legato a entrambi gli epe, poiché esso è inserito nella visita a Paride, ma presuppone anche la preghiera a Pallade (378 – 385). Ettore chiede alle ancelle di casa se la moglie sia andata a far visita alle cognate o alla cerimonia organizzata da Ecuba: in effetti alla cerimonia è previsto che partecipino le donne anziane, quindi non Andromaca e non si capisce come Ettore possa supporre che la moglie si sia unita alle anziane. Viene anche da chiedersi perché, se Ettore intendeva visitare la moglie a casa, non abbia in qualche modo provveduto affinché la moglie non si unisse alla processione. Ci sono dunque buone ragioni per dubitare della genuinità del legame fra la visita di Ettore a Andromaca e il

 Aristarco atetizzava 311, ma non ci sono ragioni sufficienti, cfr. Kirk ad Ζ 311– 312. Cfr. Ρ 423 – 424; Χ 515 e Ψ 1; Lachmann (18743) 83.  Così spesso nell’Od., cfr. p. 375.  A questo proposito non c’è accordo fra coloro che credono alla natura composita di Ζ 237 sgg.: Kammer (1870) I 27 isola la visita di Ettore a Paride come Eindichtung, mentre per Bethe la visita a Paride appartiene all’epos dell’incontro fra Ettore e Andromaca.

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Bittgang. Non è, tuttavia, questo l’indizio più forte in favore dell’unità originaria dell’incontro fra Ettore e Andromaca con la visita a Paride (e dunque non con il Bittgang): se noi, infatti, supponessimo che l’incontro con Andromaca fosse unito in origine alla processione e che l’episodio di Paride vi sia stato inserito in mezzo, ci troveremmo in una grave aporia per quanto riguarda la fine di Ζ. Dopo il colloquio con la moglie, Ettore riparte per la battaglia e, prima di lasciare la città, viene raggiunto da Paride, secondo quanto era stato preannunciato in Ζ 364. La fine di Ζ presuppone dunque la visita di Ettore a Paride. D’altra parte, il rientro di Paride in battaglia non è per nulla funzionale alla nostra Il.: l’eroe fa appena in tempo a rientrare in battaglia, che le ostilità fra i due eserciti cessano ed egli non compie nulla di memorabile; per questo motivo non si può pensare che l’uscita di Ettore e Paride verso il campo di battaglia sia stata aggiunta al momento dell’inserzione dell’epos in questione nell’Il. D’altra parte, sia quanto Ettore e Paride si dicono durante il loro incontro in casa di quest’ultimo sia quanto Ettore dice al cognato al momento del loro rientro in battaglia, mentre contrasta, come subito vedremo, con la trama della nostra Il., è di per sé coerente. Sembra dunque molto probabile che i due episodi derivino da un unico epos, in cui Ettore andava a trovare Paride a casa sua e i due eroi rientravano insieme in battaglia¹¹³. Vediamo ora da vicino la visita di Ettore a Paride. Nella nostra Il. essa si lega, da un punto di vista di trama astratta, al duello di Γ, dal quale Paride esce sconfitto e si salva solo grazie all’intervento di Afrodite (Γ 373 sgg.). La dèa trasporta l’eroe nella sua camera da letto e poco dopo vi fa andare anche Elena, sebbene quest’ultima rabbrividisca davanti all’idea di incontrare il marito. Elena non è tenera con Paride: lo rimprovera di viltà e gli rinfaccia la sua inferiorità nei confronti di Menelao (428 – 436). Paride si difende come può e la scena si conclude con i due coniugi che vanno a letto per fare l’amore. Questo è quanto leggiamo in Γ. In Ζ Ettore, quando entra nella casa di Paride, lo trova che sta provando l’arco (321 sgg.), mentre Elena è in mezzo alle ancelle. Ettore si rivolge subito a Paride e gli dice che egli fa male ad essere irato (326: οὐ μὲν καλὰ χόλον τόνδ᾽ ἔνθεο θυμῶι) e che farebbe meglio a rientrare in battaglia. Paride risponde che Ettore ha ragione a rimproverarlo, ma che sbaglia a pensare che egli abbia concepito χόλος contro i Troiani: piuttosto egli vuole sfogare in privato il proprio dolore; la stessa Elena lo ha esortato, con parole gentili, a rientrare in battaglia ed egli stesso è deciso a farlo; d’altra parte, egli riflette, la vittoria non arride

 Ne segue che Ζ 378 – 385 sono stati inseriti da chi ha unito Bittgang e Abschied, cfr. Bethe (1914) 230.

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sempre alla stessa parte¹¹⁴. Egli ora si armerà e Ettore può o aspettarlo o avviarsi alla battaglia: egli lo raggiungerà. Ettore tace; è Elena ora a parlare, che prima maledice la propria sorte, poi si lamenta della viltà del marito. La donna invita poi Ettore a sedersi e a trattenersi un po’, ma l’eroe dice di voler visitare la propria famiglia e se ne va, con l’accordo che Paride lo raggiungerà. Quando i due eroi si incontrano per uscire insieme dalla città, Ettore dice a Paride che egli è un bravo guerriero, ma che ha poca voglia di combattere e che questo fa sì che i Troiani lo oltraggino. Mi pare evidente che tutto quanto Ettore e Paride si dicono in Ζ contrasti con quanto leggiamo in Γ¹¹⁵: in Ζ Elena cerca di convincere Paride a tornare in battaglia μαλακοῖς ἐπέεσσιν (337), il che contrasta stridentemente con Γ 428 – 436, ove la donna rimprovera aspramente il marito e lo esorta a non provare più ad affrontare Menelao. Anche il χόλος di Paride contro i Troiani è difficilmente spiegabile alla luce di Γ¹¹⁶: per quale motivo l’eroe doveva essere adirato contro i propri concittadini? Nulla nella nostra Il. lo fa capire. Ettore parla di αἴσχεα, che i Troiani lanciavano contro Paride (Ζ 524– 525); viene da immaginare che in questo epos ci fosse un episodio in cui i Troiani insultavano Paride per essere la causa della guerra e che l’eroe, come reazione, si rifiutasse di combattere e si ritirasse in casa propria. In questa prospettiva è ben chiaro anche il significato di Ζ 336 (ἔθελον δ᾽ ἄχεϊ προτραπέσθαι): Paride vuole cioè dire che non è l’ira che lo tiene lontano dalla battaglia, ma il dolore. Paride rammenta cioè un sentimento più nobile e più giustificato (egli evidentemente è conscio della propria colpa e non vuole che il cognato pensi che egli nutre sentimenti avversi contro i Troiani). Tutto questo non ha nulla a che fare con il duello fra Paride e Menelao¹¹⁷ né con l’incontro fra Elena e il marito che leggiamo in Γ.

 Ζ 335 – 339: οὔ τοι ἐγὼ Τρώων τόσσον χόλωι οὐδὲ νεμέσσι / ἥμην ἐν θαλάμωι· ἔθελον δ᾽ ἄχεϊ προτραπέσθαι. / νῦν δέ με παρειποῦσ᾽ ἄλοχος μαλακοῖς ἐπέεσσιν /ὥρμησ᾽ ἐς πόλεμον. δοκέει δέ μοι ὧδε καὶ αὐτῶι / λώϊον ἔσσεσθαι· νίκη δ᾽ ἀπαμείβεται ἄνδρας.  Cfr. Müller (18362) 113 – 114; Schoemann (1858) 6 – 7; Naber (1876) 157; Wilamowitz (1916) 309 – 310.  Cfr. Robert (1901) 197; secondo Jachmann (1949) 10 – 13 il χόλος di Paride è solo una supposizione di Ettore. Kakridis (1937) 174 sgg. crede che il motivo del χόλος derivi da un epos su Meleagro; lo studioso ellenico crede che questo epos su Meleagro abbia influenzato tutta l’ultima parte di Ζ e che alcune contraddizioni possano spiegarsi con tale influenza, ma mancano basi solide per tale supposizione (di evidente matrice neoanalitica). Sul motivo dell’ira di Achille e Meleagro e il loro rapporto cfr. già Mülder (1910) 49 sgg. e molto recentemente West (2011) 227. A me non pare esistano ragioni serie per credere che il motivo sia passato da Meleagro a Achille, cfr. Schadewaldt (1938) 139 sgg. Cfr. anche Heitsch (2001) 178 – 209.  Se Ζ presupponesse il duello di Γ, non ci sarebbe ragione di rimproverare a Paride la sua assenza dal campo di battaglia: l’eroe aveva, infatti, appena sostenuto un duello ed era stato

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Il celeberrimo incontro fra Ettore e Andromaca e il commiato fra i due sposi è, nella nostra Il., incastonato fra la visita di Ettore a casa di Paride e la partenza dei due eroi per la battaglia. Una volta che si eliminino Ζ 378 – 385 (che servono a legare l’incontro di Ettore e Andromaca con il Bittgang), l’epos che inizia con Ζ 313 procede coerente fino al rientro in battaglia di Ettore e Paride. Si è spesso detto che l’incontro fra Ettore e la moglie sembra essere concepito come l’ultimo e che nella nostra Il. si trova in una posizione non adatta, dal momento che ad esso segue il ritorno di Ettore in città e una serie di vittorie dell’eroe. Tutto questo è vero: non c’è dubbio che l’ultima parte di Ζ presupponga un altro contesto rispetto a quello attuale e che Η non possa in alcun modo esserne la prosecuzione originaria. Su questo torneremo infra; ora vediamo se è possibile stabilire un legame fra il commiato fra Ettore e Andromaca e il rientro in battaglia di Paride. Bethe propone la seguente ipotesi¹¹⁸: Ettore si avvierebbe alla sua ultima battaglia, in cui cadrebbe per mano di Achille; quest’ultimo cadrebbe subito dopo per mano di Paride. Questa brillante ipotesi spiega il legame fra la morte imminente di Ettore (presupposta dall’incontro fra l’eroe e la moglie) e l’entrata di Paride in battaglia: è infatti tradizione diffusa che Ettore cada per mano di Achille e che l’eroe greco soccomba subito dopo a una freccia di Paride. Il punto debole di questa ipotesi è che essa presuppone che Achille stia combattendo: la presenza di Achille in battaglia contrasta con quanto dice Andromaca (435 – 439), la quale cita sei eroi greci che hanno sferrato un attacco durissimo alle mura della città (i due Aiaci, Idomeneo, Agamennone, Menelao, Diomede), ma non fa il nome di Achille. Si è cercato di mostrare che questi vv. non sarebbero originari¹¹⁹, ma senza argomenti probanti. Più prudente dunque rinunciare all’ipotesi di Bethe, per la quale è indispensabile la presenza di Achille in battaglia. Riguardo l’epos in questione, noi possiamo affermare con una certa sicurezza quanto segue: c’era stato un contrasto fra Paride e i Troiani e, in seguito agli oltraggi subiti, Paride si era ritirato in casa sua e non combatteva. La situazione militare per i Troiani era piuttosto critica: si combatteva sotto le mura e c’era un assalto greco molto pericoloso (pare escluso che Diomede avesse un

portato via dal campo di battaglia da una divinità (Γ 380 – 382); contro le accuse per l’assenza dalla battaglia, Paride avrebbe potuto rispondere che era stato l’intervento divino ad allontanarlo.  Bethe (1914) 233 sgg.; contra Wilamowitz (1916) 309 sgg.; Cauer (1917 a) 232 sgg.  Già Aristarco espungeva 433 – 439, ma solo perché l’episodio da essi presupposto non si trova nella nostra Il.; contro questi tentativi cfr. Wilamowitz (1916) 307– 308. A favore di Bethe si potrebbe osservare che chiunque abbia inserito l’epos che stiamo ricostruendo nell’Il. avrebbe eliminato Achille dalle parole di Andromaca, ma Cauer (1917 a) 232 sgg. mostra che in tutto Ζ è coerentemente presupposta l’assenza di Achille dal campo di battaglia.

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ruolo più significativo degli altri eroi, come invece avveniva nella Diomedie e nel Bittgang, cfr. Ζ 435 – 439). Ettore si recava in città per riportare Paride in battaglia e coglieva l’occasione per salutare la moglie e il figlio. Non c’è modo di stabilire fin dove l’epos procedesse né di determinare se esso veramente narrasse la morte di Ettore. L’estrema patetizzazione del colloquio fra l’eroe e la moglie esclude che il poeta facesse rientrare tranquillamente poco dopo l’eroe nella citt๲⁰, ma, poiché non sappiamo né quanto l’epos originario si estendesse né cosa narrasse, non possiamo fare ipotesi fondate. Poiché da questo epos proviene il commiato di Ettore e Andromaca, possiamo chiamarlo Abschied. Torniamo ora all’epos precedente al v. 313 (Bittgang). In esso Ettore si reca in città per ordinare alla madre di disporre una processione in onore di Pallade. C’è un solo punto che crea difficoltà: lasciando il campo di battaglia, Ettore dice ai soldati che in città egli dirà alle loro mogli e ai γέροντες βουλευταί di pregare e offrire ecatombi. Per quanto riguarda le donne, le parole di Ettore sono una sintesi fra la cerimonia che egli ordina a Ecuba e 237– 241, ove egli effettivamente esorta le mogli dei guerrieri a pregare gli dèi. Più difficile comprendere la menzione degli anziani consiglieri: nel nostro testo non c’è più alcuna traccia di loro e questo ha fatto ragionevolmente supporre che essi siano stati soppressi nella rielaborazione¹²¹. Si potrebbe quindi ipotizzare che in origine Ettore, oltre alla madre, incontrasse gli anziani consiglieri della citt๲²: oscuro resta il motivo per cui l’episodio è stato soppresso, ma il fatto in sé conferma la natura rielaborata di Ζ. Nella visita di Ettore a Troia di Ζ sono stati fusi due epe, dei quali l’uno (Bittgang) comprendeva la visita alla madre, la cerimonia in onore di Atena e, forse, un incontro coi γέροντες βουλευταί; l’altro epos (Abschied) comprendeva la visita a Paride ed Elena, l’incontro con la moglie e il figlio e il rientro in battaglia assieme a Paride. Quale è il rapporto di questi due epe con quanto precede? Ettore si reca in città su suggerimento di Eleno; è originale il legame fra Eleno e il rientro di Ettore in città? Se ne è dubitato con argomenti abbastanza

 Che la sera successiva a tale colloquio Ettore torni a casa da Andromaca (come presuppone la nostra Il.) è una Abscheulichkeit (Wilamowitz 1916, 308); sulla stessa linea già Müller (18362) 125 e Naber (1876) 156 – 157; successivamente Dahms (1924) 27– 28 e Jachmann (1949) 23 sgg.  Così suppongono Robert (1901) 199, Wilamowitz (1916) 303 e Schwartz (1919) 17; contra Jachmann (1949) 4– 9, che osserva che anche in O 718 sgg. i γέροντες sono una Augenblickserfindung messa in bocca a Ettore (tuttavia, in Ο essi non creano un’incoerenza nel contesto). Cfr. anche Schoemann (1858) 3.  Per il ruolo originario dei γέροντες e la storia del problema cfr. Jachmann (1949) 4 sgg.

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forti¹²³: dal momento che Eleno è οἰωνοπόλων ὄχ᾽ ἄριστος (Ζ 76), è strano sia che Ettore non riveli alla madre che la processione è stata suggerita da lui¹²⁴, sia che tale processione non sortisca l’effetto sperato. Se davvero, come abbiamo supposto, nell’epos originario Ettore visitava i γέροντες βουλευταί, la loro assenza dal discorso di Eleno è strana. All’inizio del suo discorso Eleno afferma che Ettore ed Enea sono i baluardi dei Troiani; anche questo non trova alcun riscontro nel seguito di Ζ (in cui di Enea non c’è più traccia), ma potrebbe ben spiegarsi supponendo che il discorso di Eleno sia un pezzo di raccordo fra due epe, dal momento che nell’epos precedente, la Diomedie, Enea ha avuto un ruolo primario. Mi pare dunque probabile che Eleno sia stato introdotto da chi ha dato la forma attuale a Ζ (cioè da P). Questo si accorda benissimo con il fatto che la visita di Ettore a Troia e la Diomedie (Δ 422–Ζ 72) non appartenevano originariamente allo stesso epos (dunque che fra le due sequenze sia stato introdotto un Verbindungsstück non deve meravigliare). Mostrare che la visita di Ettore a Troia non può essere la prosecuzione di quanto leggiamo in Ε e all’inizio di Ζ non è difficile¹²⁵: alla fine di Ε la situazione per i Greci ha appena cominciato a migliorare, dopo che la presenza di Ares li aveva messi in gravi difficoltà. All’inizio di Ζ vi sono nove vittorie individuali di eroi greci su eroi troiani e l’eroe greco che viene messo in risalto è Aiace. Nulla fa pensare che la situazione sia drammatica per i Troiani, poiché non c’è una generale ritirata da parte loro né la battaglia sembra avvicinarsi alle mura (cfr. Ε 466, 791). Inoltre, nulla fa pensare che Diomede abbia in questo momento un ruolo da protagonista: egli è uno fra i nove comandanti greci che uccide uno dei nemici. La situazione è completamente diversa durante la visita di Ettore in città, tanto nel Bittgang quanto nell’Abschied: nel primo epos la battaglia è sotto le mura (Ζ 256, 307) e Diomede è il nemico più pericoloso (Ζ 277– 278, 306 – 307); anche nell’Abschied la battaglia è sotto le mura, che i Greci hanno assaltato pericolosamente (Ζ 433 – 439) e nulla lascia pensare che in questi due epe i Troiani siano avanzati fino a poco prima vittoriosi sotto la guida di Ares. Dunque, durante la visita di Ettore in città la situazione militare per i

 Cfr. Bethe (1914) 226; Wilamowitz (1916) 302; Jachmann (1949) 2; Espermann (1980) 47 sgg. Già Hoffmann (1848) 210 scriveva: «Putandus est Hector ob alias res ex pugna Trojam venisse, non ob eas, quae initio libri ζ narrantur».  È davvero sorprendente, dopo che Ecuba ha quasi rimproverato il figlio per aver lasciato il campo di battaglia (Ζ 254 sgg.), che Ettore non menzioni Eleno; probabilmente perché prima della rielaborazione Ettore andava in città di propria iniziativa.  Cfr. Niese (1882) 78; Bethe (1914) 226 – 227; Wilamowitz (1916) 302; Dahms (1924) 24; Wehr (2015) 18. Il problema della continuità originaria fra Ε e Ζ era già posto da Müller (18362) 125, che rimane nel dubbio.

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Troiani è molto più critica di quanto si deduce dalla fine di Ε e l’inizio di Ζ. Chi ha introdotto Eleno per raccordare i due epe ha tenuto conto sia di quanto precede sia di quanto segue: 73 – 74, 80, 96 – 101 alludono evidentemente al seguito, mentre la presenza di Enea accanto a Ettore allude a Ε. Non è facile capire cosa abbia indotto il poeta (P) che ha unito l’epos Δ 223–Ζ 72 (Diomedie) al Bittgang a motivare quest’ultimo con un suggerimento di Eleno; originariamente Ettore forse andava in città di sua iniziativa. È evidente che il Bittgang doveva avere una parte precedente, che noi non abbiamo, e può darsi che l’introduzione di Eleno abbia qualcosa a che fare con tale parte, senza che noi possiamo determinare nulla in proposito. Tuttavia, va anche considerata la possibilità che P avesse una particolare predilezione per fare di Eleno il consigliere di Ettore: all’inizio di Η, in un passo verosimilmente composto da P, l’indovino assume lo stesso ruolo. Fra la partenza di Ettore per la città e il suo arrivo (Ζ 118, 237) si inserisce un episodio che non ha relazione né con Ettore né con un momento particolare della guerra, l’incontro fra Diomede e Glauco¹²⁶. I due si trovano uno davanti all’altro e inzierebbero a combattere, se Diomede non chiedesse a Glauco chi egli è. Glauco risponde di discendere da Bellerofonte e, quindi, di essere di origine argiva. Diomede rivela di essere anch’egli argivo e di discendere da Oineo, che ospitò Bellerofonte. I due eroi si separano in amicizia e si scambiano le armi (ma quelle che Glauco dà a Diomede sono di valore ben maggiore di quelle che egli riceve). È certo che l’episodio ha un qualche rapporto con la Diomedie, non tanto perché ne sia protagonista Diomede, ma perché l’eroe teme che la persona che ha davanti sia un dio ed egli non vuole combattere con gli dèi, poiché rischierebbe di fare la fine di Licurgo, che osò affrontare Dioniso (128 – 141). Tutto questo è di sicuro in una qualche relazione con il fatto che nella Diomedie l’eroe argivo combatte contro Afrodite e contro Ares e con il fatto che Atena gli ha dato la facoltà di distinguere gli dèi dagli uomini (Ε 127 sgg.). L’ipotesi più probabile è che chi ha composto questo incontro con Glauco avesse presente la Diomedie e

 Nell’antichità era stato osservato che l’episodio è fuori contesto e uno scolio di Aristonico ci informa che alcuni volevano spostarlo (senza però indicare dove). Qualche moderno gli ha cercato sedi più adatte (Bergk lo pone dopo Ε 518, Leaf prima di Ε 124), ma nessun tentativo è convincente, per il semplice fatto che, da un punto di vista narrativo, l’episodio è funzionale anche nella sua sede attuale, poiché si pone fra la partenza di Ettore dal campo di battaglia e il suo arrivo in città, dunque colma una lacuna temporale, cfr. Niese (1882) 77; Bethe (1914) 68, che crede (a ragione) l’episodio inserito nel suo contesto attuale da P; Wilamowitz (1916) 204; Schwartz (1918) 17. Per altri casi in cui un episodio slegato dal contesto colma una lacuna temporale cfr. Schadewaldt (1938) 77– 78 e p. 357 (a proposito della δευτέρα νέκυια).

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3 Analisi di Α–Ζ

volesse polemizzarci¹²⁷. È probabile che la pointe finale su Zeus che toglie il senno a Glauco e fa sì che egli sia troppo generoso con Diomede alluda a una situazione contemporanea al poeta che a noi sfugge: noi sappiamo che in alcune città dell’Asia Minore regnavano discendenti di Glauco (Hdt. 1, 147) e forse l’accecamento di Glauco allude a qualche concessione che qualcuno di tali discendenti aveva fatto a qualche greco¹²⁸. Attualmente l’episodio è inserito nel Bittgang, ma è improbabile che esso ne facesse parte fin dall’inizio. Anche nel Bittgang Diomede aveva un ruolo di primo piano (Ζ 305 – 310), ma non sembra che nel nostro episodio la situazione sia drammatica per i Troiani come nel Bittgang. Η 13 – 16, ove Glauco uccide Ifinoo, è opera probabilmente di P e, poiché una menzione di Glauco sarebbe qui strana, se egli non fosse già comparso prima¹²⁹, tutto lascia pensare che l’episodio di Glauco e Diomede sia stato inserito nella sua posizione attuale da P. Inoltre, l’episodio appartiene alle interpolazioni licie, che risalgono probabilmente tutte a P. Abbiamo analizzato Α–Β e Δ 220–Ζ. Vediamo ora Γ–Δ 119. I Greci e i Troiani marciano gli uni contro gli altri e, quando stanno per iniziare i combattimenti, Menelao vede Paride e cerca di provocarlo al combattimento, ma il Troiano fugge impaurito. Lo vede Ettore che lo rimprovera aspramente; Paride, pieno di vergogna, propone allora di sfidare a duello Menelao, sicché il vincitore abbia Elena e si ponga fine alla guerra. Ettore propone dunque il duello ai Greci e Menelao accetta; vengono quindi mandati araldi a Troia, perché venga Priamo stesso sul campo di battaglia a garantire per le regole del duello. Nel frattempo Iride annuncia l’imminente duello a Elena, che va quindi sulle mura della città, ove trova Priamo e altri notabili troiani; interrogata da Priamo, Elena rivela l’identità di alcuni capi dell’esercito greco che i Troiani vedono dalle mura (τειχοσκοπία). Priamo va sul campo di battaglia assieme ad Antenore e, una volta fatti i giuramenti necessari, se ne torna in città. Inizia il duello e Menelao avrebbe la meglio, ma Afrodite interviene e mette in salvo Paride; lo porta nella sua camera da letto, dove fa andare anche Elena, sebbene la donna non voglia e si vergogni del marito. Nel frattempo sul campo di battaglia i Greci reclamano la vittoria, dato che Paride è sparito e nessuno sa dove sia. Così finisce Γ. Δ inizia sull’Olimpo: Zeus chiede a Era e Atena se sono disposte ad accettare la sconfitta nel duello di Paride e quindi la fine della guerra con la restituzione di Elena, ma Era vuole che la guerra continui fino alla distruzione di Troia. Zeus ordina quindi ad Atena di andare sul campo di battaglia e fare in modo che i  in Ε  

In questo senso Koechly (1881) 90 – 91. Per una lettura unitaria del personaggio di Diomede e Ζ (e in generale nell’Il.) cfr. Andersen (1977 b) 98. Cfr. Malten (1944) 6 e p. 205 – 206. Cfr. Koechly (1881) 91; Jachmann (1949) 47– 48.

L’inizio dei combattimenti (Γ–Ζ)

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Troiani violino i patti. Atena persuade Pandaro a colpire con una freccia Menelao. Pandaro colpisce dunque Menalao, ma la freccia ferisce soltanto leggermente l’eroe, senza ucciderlo; Agamennone è comunque disperato e invoca la punizione divina sui Troiani. Mentre Macaone cura la ferita di Menelao, i Troiani si mettono in marcia contro i Greci. Segue quindi l’ἐπιπώλησις. È di tutta evidenza che gli eventi di Γ–Δ 119 non sono pensati per il loro contesto attuale¹³⁰. La promessa di Zeus a Tetide di Α è inconciliabile con la scena olimpica di Δ 1– 72, ove Zeus è incline a far terminare subito la guerra (il che renderebbe inattuabile la sua promessa a Tetide). Un duello di Paride e Menelao per porre fine alla guerra pare più naturale all’inizio della guerra medesima che alla fine (nella nostra Il. siamo nel decimo anno di guerra, cfr. Β 329 sgg., e Troia sta per cadere). Questa, di per sé, sarebbe una difficoltà superabile, ma ci sono indizi decisivi per affermare che Γ non è stato pensato per il decimo anno di guerra, ma per le fasi iniziali di essa¹³¹. 182– 190: Priamo paragona il numero dei Greci che egli vede davanti alla città con quello degli alleati che si erano riuniti tempo prima contro le Amazzoni: davvero strano che il re si accorga del gran numero dei nemici nel decimo anno di guerra, quando una gran parte di loro era nel frattempo caduta. 234– 242: Elena dice di vedere tutti i capi greci tranne i suoi fratelli Castore e Polluce e si chiede se essi siano rimasti in Grecia o non partecipino alla battaglia per vergogna di ciò che ha fatto la loro sorella: possibile che Elena nel decimo anno di guerra non sappia se Castore e Polluce sono andati a Troia? È vero che i passi appena citati fanno parte della τειχοσκοπία e che qualcuno ha supposto che questa parte sia un’aggiunta, ma non ci sono ragioni serie per credere che la τειχοσκοπία non facesse parte del contesto originario¹³². Sono state ipotizzate anche rielaborazioni del duello stesso fra

 Cfr. Müller (18362) 112 sgg.; Bergk (1872) 566 sgg.; Bethe (1914) 254 sgg.  Così Jacob (1856) 185; Kammer (1870) I 18; Wilamowitz (1916) 299 – 300; Petersen (1920) 37; Von der Mühll (1952) 65; contra Bergk (1872) 566 – 567; Schwartz (1919) 11. Cfr. anche Jacoby (1932) 573 – 574. Kullmann (2012) 210 – 211 pensa a un influsso dell’epos tebano sulla τειχοσκοπία.  Credono la τειχοσκοπία un’aggiunta successiva Bergk (1872) 569, Lachmann (18743) 14– 15, Niese (1882) 72, Bethe (1914) 257 sgg., Von der Mühll (1952) 67. Le ragioni addotte sono che Elena a Γ 145 è fra i notabili troiani, a Γ 384 fra le donne troiane (ma non c’è reale contraddizione, perché Elena era accompagnata da donne, cfr. Γ 143, e nulla esclude la presenza di altre donne durante la scena con Priamo e i notabili) e che Priamo dovrebbe partire per il campo di battaglia (ove egli si reca per il duello di Paride e Menelao) dal proprio palazzo, non dalle mura (ma basta immaginare che il carro sul quale egli sale lo vada a prendere alle porte Scee). Giudicano bene del problema Wilamowitz (1916) 283 – 284 e Schwartz (1918) 8: «Zwar haben die immer wiederholten Versuche, die Teichoskopie oder die Schäferstunde zwischen Paris und Helena abzusprengen, lediglich gezeigt, wie fest und unlöslich diese Episoden mit der Haupthandlung verbunden sind».

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3 Analisi di Α–Ζ

Paride e Menelao¹³³ e si è supposto che anche la stipulazione dei patti fra Priamo e Agamennone sia stata rielaborata¹³⁴, ma mancano indizi seri per tali ipotesi¹³⁵. Non c’è modo di individuare rielaborazioni nella Ὁρκίων σύγχυσις: si tratta di un epos preso da un altro contesto, pensato per le fasi iniziali della guerra (i Greci hanno già inviato un’ambasceria in città, cfr. Γ 205 – 224 e ci sono già stati combattimenti, cfr. Γ 126 – 127). Qualcuno potrebbe obiettare che l’impressione che siamo all’inizio della guerra è stata volontariamente ricercata dal poeta poiché qui siamo all’inizio del poema. La confusione che c’è spesso nell’epos fra sequenza degli eventi e sequenza della narrazione potrebbe favorire tale ipotesi, ma ci sono indizi decisivi contro l’appartenenza della Ὁρκίων σύγχυσις al contesto attuale: la contraddizione fra la scena olimpica di Δ e la promessa di Zeus a Tetide non ha nulla a che fare con il tempo degli eventi narrati. Inoltre, se ci fosse stata l’intenzione di collegarsi al contesto attuale, ci aspetteremmo che ci fosse una qualche relazione fra gli eroi che Elena indica a Priamo e quelli dell’ἐπιπώλησις, ma l’assenza di Diomede dalla τειχοσκοπία parla in senso contrario¹³⁶. Certo, non si possono escludere con sicurezza rielaborazioni o aggiunte: il ferimento di Menelao da parte di Pandaro dopo il duello è funzionale al seguito del poema e qualcuno potrebbe supporre che esso sia stato introdotto quando la Ὁρκίων σύγχυσις è stata introdotta nell’Il. Tuttavia, anche nell’epos originario i combattimenti dovevano riprendere, poiché altrimenti la guerra sarebbe terminata, mentre essa doveva terminare con la caduta di Troia. Paride ed Elena si trovano insieme nella camera da letto (Γ 421 sgg.) e noi li ritroviamo nella camera da letto nell’Abschied (Ζ 321 sgg.): anche qui si potrebbe sospettare che la riunione di Paride e Elena nella camera fosse estranea alla Ὁρκίων σύγχυσις e

 Reibstein (1911) 19 sgg. e Bethe (1914) 259 – 262 credono che in origine il duello fosse interrotto non dall’intervento divino, ma da Pandaro che, di sua iniziativa, colpiva Menelao. In realtà, l’unica difficoltà che pone il duello è che Menelao, dopo aver scagliato la prima lancia (Γ 355), ne scaglia un’altra (379 – 380), senza che si capisca se si tratta della prima che egli ha recuperato o di una nuova; entrambe le cose sono possibili (cfr. Ameis-Hentze-Cauer ad Γ 380; Von der Mühll 1952, 73) e l’ipotesi di Reibstein non aiuta in nulla. Anche Schwartz (1918) 10 – 11 crede il duello rielaborato.  Lachmann (18743) 15 – 16; Baenitz (1884) 4; Schwartz (1918) 8 sgg. Giudicano bene Naber (1876) 163, Von der Mühll (1952) 71– 72.  Cfr. Cauer (1917 a) 235 sgg.  Dalla τειχοσκοπία è assente anche Achille; questo potrebbe apparire strano leggendo Γ 234– 235, ove Elena dice di aver riconosciuto tutti gli eroi a lei noti; si potrebbe dunque pensare che Achille sia stato eliminato al momento dell’inserzione della Ὁρκίων σύγχυσις nell’Il., ma Achille era molto giovane all’inizio della guerra (cfr. Ι 438) ed Elena certo non lo aveva potuto vedere in Grecia prima della partenza per Troia.

Sguardo retrospettivo su Α–Ζ

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che essa sia stata introdotta successivamente per preparare l’Abschied. Tuttavia la situazione di Ζ non coincide in nulla con quella di Γ, se non per il fatto che i due sposi sono in camera; ma, narrando la guerra di Troia, non era difficile che due poeti indipendentemente l’uno dall’altro immaginassero Paride ed Elena in camera da letto. È d’altra parte pressoché certo che fra la Ὁρκίων σύγχυσις e l’Abschied esista un qualche rapporto. Dopo che Menelao è stato ferito proditoriamante da Pandaro, Agamennone si dice fiducioso che un giorno Zeus punirà tale empietà (Δ 163 – 165): εὖ γὰρ ἐγὼ τόδε οἶδα κατὰ φρένα καὶ κατὰ θυμόν· / ἔσσεται ἦμαρ ὅτ᾽ ἄν ποτ᾽ ὀλώληι Ἴλιος ἱρή / καὶ Πρίαμος καὶ λαὸς ἐϋμμελίω Πριάμοιο. Questi vv. occorrono anche in Ζ 447– 449, ove Ettore parla con Andromaca circa la caduta di Troia. Mi pare decisamente probabile, quasi certo, che l’originale sia Ζ¹³⁷: la menzione del «popolo di Priamo» è, infatti, più contestualizzata nel discorso di Ettore, poiché egli nei vv. successivi oppone il popolo nel suo insieme ad Andromaca. Inoltre, è strano che Agamennone prima dica di essere certo che Troia cadrà (163) e subito dopo (170 sgg.) ipotizzi che la spedizione contro Troia fallisca¹³⁸. Nel seguito del suo discorso, Agamennone dice di temere che un giorno qualcuno dirà che egli ha condotto l’esercito greco a Troia senza ottenere alcun risultato (Δ 176 – 182); anche questo presenta una somiglianza con il timore di Ettore circa la sorte di Andromaca (Ζ 456 – 465). Purtroppo in questo caso manca qualsiasi appiglio per determinare la priorità. Nel complesso, mi pare probabile che il poeta della Ὁρκίων σύγχυσις conoscesse l’Abschied, ma non si può esserne del tutto certi; certo fra i due epe vi è una relazione, ma è da escludere che siano stati concepiti per appartenere allo stesso epos.

Sguardo retrospettivo su Α–Ζ In queste prime sei rapsodie abbiamo incontrato sette epe che preesistevano all’Il.: il Groll, l’Aufruhr, lo Schiffskatalog, la Ὁρκίων σύγχυσις, la Diomedie, il Bittgang, l’Abschied. L’analisi di Α–Ζ ci ha mostrato che Α–Β 87 (Groll) non ha un seguito all’interno di queste rapsodie e io credo che non lo abbia nemmeno nelle restanti. I sostenitori della Urilias, da Naber in poi, hanno pensato che la prosecuzione sia Λ1, ma i pochi indizi a disposizione vanno piuttosto in senso

 Così Niese (1882) 73, nota 3 e Finsler (1906) 436; contra Wilamowitz (1916) 312– 313. Incerto Dahms (1924) 6.  La contraddizione ha addirittura portato taluni a ipotizzare un’interpolazione, cfr. Friedländer (1849) 578; Jachmann (1949) 14– 15.

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contrario¹³⁹. È anche da escludere che il Groll sia stato composto dal poeta (P) che ha inserito Γ–Η1 nella nostra Il. ¹⁴⁰; il taglio brutale che esso ha subito dopo Β 87 esclude che esso sia opera di chi ha riordinato queste rapsodie: se l’inizio del poema fosse opera sua, egli avrebbe preparato meglio l’Aufruhr. Inoltre P ha inserito nell’Il. la πρεσβεία e a me pare che il Groll contenga una contraddizione con la πρεσβεία: Tetide chiede a Zeus di aiutare i Troiani finché i Greci non onorino Achille (Α 509 – 510): ὄφρ᾽ ἂν ᾿Aχαιοί / υἱὸν ἐμὸν τίσωσιν ὀφέλλωσίν τέ ἑ τιμῆι. Questo contraddice in maniera piuttosto evidente la πρεσβεία (se non per se ipsam, certo nel suo contesto attuale), poiché Zeus continua a far vincere i Troiani anche dopo che i Greci hanno offerto gli onori riparatori ad Achille. Non è una cosa da poco, poiché essa si riferisce a uno dei punti cardine del poema. La cosa più probabile è che il Groll sia un epos che non ha alcun rapporto con gli altri epe confluiti nella nostra Il. ¹⁴¹ Come tutti gli altri epe anch’esso presuppone la materia che narra ben nota al pubblico¹⁴²; fino dove arrivasse la narrazione non sappiamo, ma certo conteneva una battaglia e una sconfitta dei Greci (altrimenti Β 1– 87 non avrebbe senso). Anche dai primi vv. di Α (1– 7) ricaviamo che il poeta intende narrare una sconfitta pesante dei Greci; d’altra parte, non è possibile essere certi che questi vv. appartenessero fin dall’inizio al Groll e non siano piuttosto stati inseriti (o modificati) al momento dell’inserimento del Groll nell’Il. Tetide chiede a Zeus di onorare Achille finché i Greci non lo onorino come si deve e Atena, quando placa Achille (Α 207– 214) per la perdita di Briseide, gli dice che egli verrà ricompensato con doni ben più grandi ὕβριος εἵνεκα τῆσδε. Evidentemente al poeta del Groll sono note le grandi linee della storia che è alla base della nostra Il., con i Greci che cercano di riconciliarsi Achille offrendogli doni. Ma come il Groll narrasse questi episodi noi non sappiamo. Il secondo epos che abbiamo incontrato è l’Aufruhr. Come esso iniziasse non sappiamo, ma a un certo punto c’era un’assemblea, in cui qualcuno cercava di convincere l’esercito a tornare in Grecia. Forse l’assemblea era motivata dal ritiro dai combattimenti di Achille. Tersite (Β 238 – 242) allude alla lite fra Agamennone e Achille come a un fatto appena avvenuto. Presupponeva l’Aufruhr la lite dei due eroi nella forma in cui la leggiamo in Α? Non ci sono ragioni per negarlo, se

 Cfr. p. 133 – 134.  Come crede Wilamowitz (1916) 513 – 514, che attribuisce Α–Β1 al poeta che ha dato l’attuale forma a Α–Η 321, che egli identifica con Omero.  Così Erhardt (1894) 505 e Schwartz (1918) 20 – 21.  Così si spiega anche il v. 11 (οὕνεκα τὸν Χρύσην ἠτίμασεν ἀρητῆρα), in cui l’articolo presuppone la notorietà del personaggio e ha valore enfatico: cfr. Ameis-Hentze-Cauer ad loc.; Wilamowitz (1916) 246; Kühner-Gerth 1, 598. Non c’è ragione di considerare τόν corrotto, come fanno Nauck, West e altri.

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non i sospetti che riguardano 239 – 242. La ragione più grave per sospettare di 239 – 242 è che 240 occorre identico in Α 356, 507, Ι 111, mentre 242 occorre identico in Α 232. Dato che fra l’Aufruhr e Α non esistono altri punti di contatto e che il discorso di Tersite può benissimo finire a 238, è possibile che 239 – 242 siano un’aggiunta¹⁴³, ma è difficile avere certezze. Anche questo epos probabilmente conteneva una battaglia in cui i Greci avevano la peggio, ma su questo punto non ci sono certezze: certo, il motivo dell’ira di Achille (che è alla base anche dell’Aufruhr) implicava per se ipsum che i Greci subissero una qualche sconfitta, ma nella nostra Il. sono confluiti epe (Diomedie, Patroklie) che vanno avanti per centinaia di vv. narrando vittorie dei Greci e su cosa accadesse nell’Aufruhr noi non abbiamo idea. Al poeta è, ovviamente, ben nota la saga troiana quale la conosciamo noi, probabilmente anche una τίσις odissiaca¹⁴⁴. Un altro grande epos che abbiamo incontrato è la Diomedie. Non abbiamo idea di come esso cominciasse, ma da esso deriva probabilmente l’inizio dei combattimenti della nostra Il. (Δ 422 sgg.). La Diomedie presupponeva l’ira di Achille? Lo si è negato attribuendo a rielaborazione le due menzioni di essa (Δ 512– 513; Ε 787– 791)¹⁴⁵, ma l’assenza di Achille da circa 1000 vv. di battaglie, senza che nulla lasci pensare a una sua soppressione redazionale, indica che egli non portecipava ai combattimenti e, poiché non si conoscono altri motivi per cui egli avrebbe dovuto astenersi dal combattere, è naturale immaginare che fosse presupposta la sua lite con Agamennone. Si è più volte cercato di opporre la figura di Diomede quale appare in Ε a quella di Achille, ora in chiave analitica¹⁴⁶, ora in chiave neoanalitica¹⁴⁷, ora in chiave unitaria¹⁴⁸. Bittgang e Abschied presuppongono una situazione simile, coi i Greci che minacciano le mura di Troia (anche per questo essi sono stati quasi fusi da P). L’Abschied presuppone che prima si sia parlato di Paride e dei suoi contrasti con i Troiani, il Bittgang presuppone che Diomede abbia un ruolo di primo piano fra i Greci. Abbiamo detto che l’Abschied sembra presupporre fin dall’origine l’assenza di Achille dalla battaglia; questo è vero probabilmente anche per il Bittgang. Da

 Cfr. Bethe (1914) 209 e Wilamowitz (1916) 266; contra Hentze (18772) 117.  Odisseo è chiamato due volte Τηλεμάχοιο πατήρ (Β 260; Δ 354), cfr. Lentini (2006).  Così Bethe (1914) 272 sgg.; contra Schwartz (1918) 15 sgg.  Nel senso che il poeta della Diomedie (che rappresenta i Greci vittoriosi) sarebbe in concorrenza con un epos (che coincideva probabilmente con il nostro Groll), in cui la lite fra Achille e Agamennone era seguita da una sconfitta dei Greci: così Schwartz (1918) 16.  Nel senso che il poeta dell’Il. avrebbe preso il motivo della rivalità fra i due eroi da un epos preesistente: così Kullmann (1960) 87 sgg.  Nel senso che il poeta dell’Il. avrebbe egli stesso sviluppato tale contrasto in maniera funzionale al grande epos che stava componendo: così Andersen (1977 b).

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tutt’altro contesto sembra provenire la Ὁρκίων σύγχυσις, che si riferisce alle prime fasi della guerra. Nulla lega questo epos al ciclo dell’ira di Achille. Probabilmente esso è più recente dell’Abschied, dal quale sembra riprendere alcuni vv. Il catalogo delle navi non è stato scritto per il suo attuale contesto, bensì per un momento molto precedente. Chi lo ha composto è fra gli aedi omerici quello col più forte sentimento panellenico¹⁴⁹: stirpi greche totalmente assenti dal resto del poema sono qui rappresentate, come se l’autore avesse voluto offrire quello che nell’Il. altrimenti manca, un indice completo di tutti i partecipanti alla guerra, ordinati non secondo il loro valore, ma secondo una sequenza geografica. Mentre nel poema viene continuamente esaltato il valore dei singoli guerrieri, il quale mette in ombra la loro patria e i loro popoli, il catalogo serve a ricordarci proprio questi aspetti, in quanto enumera le singole città dei singoli regni e il numero delle navi che ciascun regno fornisce. Che rapporto c’è fra lo Schiffskatalog e l’Il.? Il fatto che esso non sia stato concepito per farne parte non risolve completamente il problema: si può, infatti, supporre sia che chi lo ha scritto lo concepisse come un supplemento al poema, destinato appunto a integrare quanto in esso manca e ispirandosene¹⁵⁰, sia che lo abbia concepito in maniera totalmente indipendente dal poema; si è anche supposto che il catalogo sia stato composto in origine per i Κύπρια e che da lì sia penetrato nell’Il. ¹⁵¹ Vediamo quali regioni e quali comandanti enumera il catalogo (a fianco dei nomi dei generali scrivo il numero dei libri in cui essi compaiono). Si inizia con la Beozia (494– 510), di cui vengono ricordati Peneleo (ΝΞΠΡ), Leito (ΖΝΡ), Arcesilao (Ο), Protoenore (Ξ) e Clonio (Ο, ma l’identificazione non è certa); segue il territorio di Aspledone e Orcomeno (511– 516), di cui vengono ricordati Ascalafo (ΙΝΟ) e Ialmeno (Ι); segue la Focide (517– 526), di cui si ricordano Schedio (Ο/Ρ¹⁵²) ed Epistrofo (–); segue la Locride (527– 535), di cui viene ricordato Aiace Oileo (passim); segue l’Eubea (536 – 545), di cui si ricorda Elefenore (Δ); segue Atene (546 – 556), di cui si ricorda Menesteo (ΔΜΝΟ); segue Salamina (557– 558), di cui si ricorda Aiace Telamonio (passim)¹⁵³; segue l’Argolide (559 – 568), di cui si ricordano Diomede (passim), Stenelo (ΔΕΘΙΨ) ed Eurialo (ΖΨ); segue Micene e il suo territorio (569 – 580), di cui si ricorda Agamennone (passim); segue la Laconia (581– 590), di cui si ricorda Menelao (passim); segue Pilo e il suo territorio (591– 602), di cui si ricorda Nestore; segue     

Mazzarino (1947) 88. Così Nilsson (1905) 169; Jachmann (1958). Così Schmid (1925); cfr. anche Kullmann (1960) 157– 167. Cfr. nota 387. Il passo su Atene e Salamina è tuttavia rielaborato, cfr. p. 74, 406.

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l’Arcadia (603 – 614), di cui si ricorda Agapenore (–); seguono Buprasio e l’Elide (615 – 624), di cui si ricordano Amfimaco (Ν), Talpio (–), Diores (Δ), Polisseno (–); seguono Dulichio e le Echinadi (625 – 630), di cui si ricorda Megete (ΕΝΟΤ); seguono le isole Cefallenie (631– 637), di cui si ricorda Odisseo (passim); segue l’Etolia (638 – 644), di cui si ricorda Toante (ΔΗΝΟΤ); segue Creta (645 – 652), di cui si ricordano Idomeneo (passim) e Merione (passim); segue Rodi (653 – 670), di cui si ricorda Tlepolemo (Ε); segue Sime (671– 675), di cui si ricorda Nireo (–); seguono Nisiro, Carpato, Caso, Cos e le Calidne (676 – 680), di cui si ricordano Fidippo (–) e Antifo (–); segue il territorio dei Mirmidoni (681– 694), di cui si ricorda Achille (passim); seguono le città che erano state rette da Protesilao (695 – 710), il cui contingente è ora guidato da Podarce (Ν); segue il territorio di Fere e Iolco (711– 715), il cui contingente è guidato da Eumelo (Ψ); seguono i territori retti da Filottete (716 – 729), i cui contingenti sono ora guidati da Medonte (ΝΟ); segue il territorio di Tricca, Itome, Ecalia (729 – 733), di cui vengono ricordati Macaone (ΔΛΞ) e Podalirio (Λ); segue il territorio nei pressi del monte Titano (734– 737), di cui si ricorda Euripilo (ΕΖΗΘΛΜΟΠ); segue il territorio di Argissa, Girtone, Orte, Elone e Oloossone (738 – 747), di cui si ricordano Polipete (ΖΜΨ) e Leonteo (ΜΨ); seguono gli Enieni e i Perrebi (748 – 755), guidati da Guneo (–); chiudono il catalogo i Magneti (756 – 759), guidati da Protoo (–). Come si vede, molti eroi presenti nel catalogo sono assenti dal poema. Vi sono altresì capi greci presenti nel poema, ma assenti dal catalogo¹⁵⁴. Vi sono poi alcune contraddizioni: Β 615 – 624 ricorda ben quattro capi degli Epei, di cui uno solo compare nel seguito, mentre non ricorda Oto, che Ο 519 chiama μεγαθύμων ἀρχὸν Ἐπειῶν. Ma riguardo agli Epei vi è una contraddizione ben più grave: in Β 625 – 630 Megete comanda su Dulichio e le Echinadi, mentre in Ν 691– 692 (e forse anche in Ο 519) è a capo degli Epei (che nel catalogo sono sotto altri comandanti). Un’altra contraddizione è che in Ν 693 – 700 Medonte abita a Filace e comanda gli Ftii assieme a Podarce, mentre in Β 695 – 710 + 716 – 728 egli succede a Filottete ed è invece Podarce che abita a Filace (quale successore di Protesilao): dunque in B Medonte succede a Filottete e Podarce a Protesilao ed

 E 843 definisce Perifante Αἰτωλῶν ὄχ᾽ ἄριστον e la stessa definizione viene applicata altrove (Ο 282) a Toante, ma Toante è presente nel catalogo, Perifante no. Ο 337 ricorda il comandante ateniese Iaso, assente dal catalogo. In altri casi (i beoti Oresbio, Ε, e Promaco, Ξ, gli ateniesi Stichio, ΝΟ, Fidante, N, e Biante, Ν, Ortiloco e Cretone conterranei di Nestore, E) di un guerriero viene detta l’origine, mentre non si dice che aveva un ruolo di comando, dunque l’autore del catalogo non avrebbe avuto motivi validi per inserirlo (cfr. anche Schmid 1925, 72). Nella πρεσβεία (Ι 150 – 153, 291– 294) Agamennone promette ad Achille di donargli sette città (Καρδαμύλη, Ἐνόπη, Ἱρή, Φηραί, Ἄνθεια, Αἴπεια, Πήδασον), ma nessuna di esse viene ricordata fra le città di Agamennone in Β 569 – 580.

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entrambi comandano su un loro popolo, in N comandano entrambi sugli Ftii e Medonte vive nella città che Β attribuisce a Filottete / Medonte. Alcune di queste contraddizioni riguardano una parte che è un’interpolazione rapsodica (cioè Ν 679 – 724¹⁵⁵), ma su Megete e Medonte Ο 332– 336 (che sembra derivare da P) offre la stessa tradizione di Ν, non di Β¹⁵⁶. Inoltre, Podarce non è presente nel poema nemmeno laddove ci aspetteremmo di trovarlo, quando cioè alla fine di Ο la nave di Protesilao è minacciata dal fuoco troiano. Mentre nel caso di Megete e degli Epei avevamo a che fare con il poeta del catalogo, qui abbiamo a che fare con vv. che probabilmente sono stati inseriti nel catalogo quando questo è stato inserito in B, dunque dal poeta che ha inserito il catalogo nel suo attuale contesto¹⁵⁷. Colpisce che queste contraddizioni non riguardino argomenti slegati fra loro: si tratta della successione di Protesilao e Filottete, i quali regnavano in regioni molto vicine. È evidente che il poeta che ha inserito lo Schiffskatalog in Β ha attinto qui a una tradizione diversa rispetto a quella di Ο (presente anche in Ν). Non c’è ragione di pensare che il rielaboratore del catalogo abbia inventato notizie di questo genere; il fatto che esse riguardino zone particolari fa piuttosto pensare che egli disponesse, a proposito di tali regioni, di una tradizione diversa rispetto a quella presente in Ο. Questo fa pensare che P (se a lui davvero risale Ο 332– 336) e il rielaboratore del catalogo non siano lo stesso poeta. Su queste divergenze fra la nostra Il. e le parti del catalogo aggiunte torneremo in seguito, occupandoci del catalogo troiano. Torniamo ora allo Schiffskatalog nella sua forma primitiva. Chi lo ha composto non voleva inserire il suo catalogo nell’Il., altrimenti non lo avrebbe posto in un momento ben precedente all’azione del poema. Inoltre, egli ha introdotto molti personaggi assenti dal poema; alcuni comparivano nei poemi del ciclo (Protesilao, Filottete), ma altri probabilmente no (Agapenore, Guneo, Protoo). Sembra che egli sia mosso da interessi più storici che poetici. È impossibile determinare quale epos troiano questo poeta avesse davanti, ma tale epos non differiva nelle sue caratteristiche principali dalla nostra Il.: mentre, infatti, per le regioni i cui capi nell’Il. non hanno un ruolo primario (e. g. la Beozia) vengono nominati più guerrieri, quelle i cui capi nel poema sono protagonisti hanno solo questi ultimi come comandanti. Tuttavia, mentre una generica conoscenza del ciclo troiano è evidente, altrettanto evidente è che il poeta del catalogo non si ispira per lo più all’Il., dati i numerosi punti in cui la contraddice e in cui offre dati che sono assenti da essa, mentre non utilizza dati

 Cfr. nota 287.  Cfr. Nutzhorn (1869) 102; Niese (1873) 8.  Cfr. nota 89.

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presenti in essa. Il poeta del catalogo si muove quindi con indipendenza rispetto all’Il., da ogni punto di vista¹⁵⁸. Determinare la sua origine e i suoi orientamenti è molto difficile; si è pensato alla Beozia¹⁵⁹ o, più fantasiosamente, a Rodi¹⁶⁰, ma l’unico dato abbastanza significativo a me sembra che nel catalogo l’estensione del regno di Micene (Agamennone) viene ridotta a favore di quella di Argo (Diomede)¹⁶¹. Una tendenza filoargiva pare dunque probabile. Che lo Schiffskatalog abbia qualcosa a che fare con i Κύπρια, io non credo. A prima vista, l’idea potrebbe attrarre, poiché i Κύπρια descrivevano le imprese dei Greci dalla partenza dall’Aulide all’arrivo a Troia, dunque i momenti per i quali sembra scritto il catalogo greco. Nei Κύπρια i Greci si radunavano due volte in Aulide (Arg. 33 – 50 Bernabé), ma nel riassunto di Proclo non c’è traccia di un catalogo di Greci; certo, questo di per sé non è sufficiente a escludere che in realtà il poema contenesse un tale catalogo, ma già il fatto che il riassunto di Proclo ricordi un catalogo delle forze troiane (Arg. 67– 68 B.) depone contro tale possibilità: perché ricordare solo il catalogo dei Troiani e non dei Greci? Se anche, come qualcuno crede¹⁶², Proclo voleva evitare sovrapposizioni nei suoi riassunti fra i poemi del ciclo e quelli omerici, l’omissione del catalogo greco non può essere spiegata così. I Κύπρια, oltre a essere stati riassunti da Proclo, sono di sicuro fra le fonti dello ps.-Apollodoro, che spesso si sovrappone a Proclo. Orbene, lo ps.-Apollodoro, a differenza di Proclo, ha il catalogo delle forze greche (Epitome 3, 11– 14) ed esso è posto in corrispondenza del primo raduno in Aulide. Tale catalogo corrisponde in maniera pressoché totale a quello di Β: l’ordine dei popoli è lo stesso (solo gli Eniani, che in Β si trovano fra Girtoni e Magneti, nello ps.Apollodoro si trovano fra Olizoni e Tricchei), così come il nome dei comandanti generalmente corrisponde. Le differenze significative sono le seguenti¹⁶³: i duci beoti in Β sono cinque (e vengono nominati), nello ps.-Apollodoro dieci (e non vengono nominati); quelli focesi sono due in Β (e vengono nominati) e quattro nello ps.-Apollodoro (e non vengono nominati). Più divergenze si osservano sul numero delle navi, ma, mentre nei due casi riguardanti il numero dei generali è

 Non è quindi accettabile l’idea di fondo del libro di Jachmann (1958), secondo cui egli sarebbe «ein plumper Ausbeuter der Ilias» (123).  Mommsen (1850) 522; Niese (1873) 11; Leaf (1915) 311 sgg.  Nilsson (1905) 171 sgg., poiché il catalogo mostrerebbe ostilità per i Milesi e per i Messeni.  Cfr. Β 559 – 580 e le osservazioni di Brillante (2010) 65 sgg.  Bethe (1922) 200 sgg.  Cfr. Schmid (1925) 75 – 76.

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lo ps.-Apollodoro a presentare il numero più alto, nel caso delle navi i numeri più alti li dà Β. Si osservi che il contesto dello ps.-Apollodoro è quasi identico a quello dei Κύπρια riassunti da Proclo: il raduno in Aulide (e quindi nello ps.-Apollodoro il catalogo greco) è in entrambi i testi seguito dal prodigio del serpente interpretato da Calcante e preceduto dall’astuzia con cui Palamede costringe Odisseo a partecipare alla spedizione¹⁶⁴. Dato che lo ps.-Apollodoro inserisce il catalogo in un contesto che sembra derivare dai Κύπρια e che tale catalogo presenta somiglianze strettissime con quello di Β, è naturale che chi crede che il catalogo di Β non sia altro che un riadattamento di quello che si leggeva nei Κύπρια, identifichi il catalogo apollodoreo con quello dei Κύπρια (come, infatti, fa Schmid). A me pare probabile che il catalogo dello ps.-Apollodoro discenda da quello di Β, mentre mi pare difficile che esso abbia qualcosa a che fare con i Κύπρια. Nei Κύπρια, a quanto traspare dai nostri scarni frammenti, dopo il raduno in Aulide erano protagonisti fra i Greci Tersandro, figlio di Polinice, Achille, Calcante, Agamennone, Taltibio, Odisseo, Filottete, Protesilao, Patroclo, Palamede. Se davvero il catalogo dello ps.-Apollodoro fosse stato scritto per i Κύπρια, dovremmo aspettarci di trovare in esso questi personaggi; certo, rispetto a Β lo ps.Apollodoro è molto più sintetico e fa i nomi solo dei comandanti principali, ma colpisce ugalmente l’assenza di Palamede, personaggio che in quel poema aveva un ruolo importante e che avrebbe dovuto guidare un contingente suo o, almeno, figurare assieme al marginale Elafenore fra i capi eubeesi. L’assenza di Palamede dallo ps.-Apollodoro fa pensare che quest’ultimo dipenda da Β, non dai Κύπρια. Se è così, la testimonianza di Proclo (che non parla di un catalogo greco dei Κύπρια) risulta confermata: è, infatti, del tutto evidente che se lo ps.Apollodoro, in un contesto che altrimenti deriva dai Κύπρια, non prende il catalogo greco dai Κύπρια, ne segue che nei Κύπρια il catalogo greco non c’era. Pare anche molto strano che, se l’Il. e i Κύπρια avessero avuto un catalogo greco sostanzialmente identico, questo sarebbe sfuggito all’erudizione antica: noi possediamo, oltre agli scoli, una cospicua informazione (essenzialmente grazie a Strabone¹⁶⁵) sugli studi degli eruditi antichi circa il catalogo: possibile che nessuno avesse notato che, oltre l’Il., anche i Κύπρια presentavano un catalogo greco? Direi impossibile¹⁶⁶.

 Nello ps.-Apollodoro fra l’episodio di Odisseo e il catalogo si frappone il viaggio dei capi greci a Cipro; questa differenza è dovuta forse alla maggiore sinteticità di Proclo, ma tale viaggio potrebbe anche essere estraneo ai Κύπρια, cfr. West (2013) 103.  Cfr. Niese (1877), ancora fondamentale.  L’ultimo studioso che si è occupato della ricostruzione dei Κύπρια, Currie (2015), non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi che nei Κύπρια ci fosse il catalogo dei Greci. Anche

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Leggiamo un altro catalogo dell’esercito greco in Aulide in Eur. Iph. A., 192– 302. Il coro delle Calcidesi vede prima alcuni capi greci (i due Aiaci, Protesilao, Palamede, Diomede, Merione, Odisseo, Nireo, Achille, Eumelo), poi descrive la posizione delle navi, che vanno (da destra verso sinistra) da quelle mirmidoni a quelle argive, ateniesi, beotiche, focesi, locresi, micenee, pilie, eniane, epee, delle Echinadi, salaminie¹⁶⁷. Donde deriva questo catalogo? Le dipendenze dallo Schiffskatalog sono evidenti¹⁶⁸ ed evidente è anche la dipendenza da Λ 7– 9 per la posizione all’estremità delle navi di Achille e Aiace Telamonio¹⁶⁹. Si è ipotizzato che Euripide dipenda anche dai Κύπρια ¹⁷⁰, ma l’unico indizio è la presenza di Palamede (Iph. A. 198). Esso è veramente troppo debole, dato che Palamede è figura ben presente a Euripide, cui il poeta ha dedicato anche una tragedia (52 Kannicht). Nel complesso, data la chiara dipendenza dell’Iph. A. dall’Il. e che tutti gli altri dati lasciano pensare che nei Κύπρια non ci fosse alcun catalogo dei Greci, credo che il catalogo dell’Iph. A. dipenda unicamente dall’Il. ¹⁷¹ Il catalogo degli alleati dei Troiani (816 – 877) è molto più breve di quello dei Greci. A differenza dello Schiffskatalog, questo catalogo si inserisce bene nel suo contesto attuale: Troiani e alleati si dispongono sulla collina Batieia (811– 815), donde discendono sul campo di battaglia. Vengono nominati i comandanti delle singole stirpi e i luoghi ove esse abitano e l’ordine è anche qui geografico. La maggioranza degli eroi nominati si incontra nel seguito del poema: si tratta di Ettore (passim), Enea (passim), Archeloco (MΞ), Acamante figlio di Antenore (ΛΜΞΠ), Pandaro (ΔΕ), Asio (ΜΝ), Ippotoo (Ρ), Acamante tracio (ΕΖ), Piroo (ΔΥ), Piraicme (Π), Pilemene (ΕΝ), Odio (Ε), Cromio (Ρ), Ennomo (Ρ), Forci (Ρ), Mestle (Ρ), Sarpedone (ΕΖΜΞΟΠΡΨ), Glauco (ΖΗΜΞΡ); altri, invece, compaiono solo qui (Pileo, Eufemo, Epistrofo, Antifo, Naste, Amfimaco). Nel catalogo vengono

Jacoby (1932) 575 – 578 esclude che il catalogo dei Κύπρια sia potuto penetrare nell’Il., poiché i Κύπρια sarebbero stati composti tenendo presente l’Il. quale la abbiamo noi e non sarebbe possibile che ciò che era nei Κύπρια sia stato inserito nell’Il. Questo è un punto di vista aristarcheo-unitario, che io non condivido.  Schema in Stockert (1992) 228.  Cfr. Schöne (1847) 85 sgg.; Kullmann (1960) 120 – 121; Stockert (1992) 227 sgg.  In questo caso l’Iph. A. dipende da un passo interno all’Il., non dal catalogo di Β. Euripide non sembra invece tenere conto di altre indicazioni (invero assai meno chiare) circa la disposizioni delle navi greche tirate in secco davanti a Troia, cfr. Schöne (1847) 91– 92.  Jouan (1966) 296 sgg.  La fantasiosa ipotesi di Allen (1901), secondo cui Euripide avrebbe avuto fra le mani un testo dell’Il. diverso dal nostro, va esclusa, poiché sappiamo che il testo omerico al tempo di Euripide non aveva varianti redazionali significative rispetto a quello che leggiamo noi, cfr. p. 406.

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menzionati, quali signori della zona di Adrestea e Apeso, Adresto e Amfio, figli di Merope (Β 828 – 834) e viene detto che il padre avrebbe voluto tenerli a casa, ma essi non lo ascoltarono e trovarono la morte a Troia. In Λ 328 sgg. leggiamo (in versi parzialmente identici a quelli di Β) che Diomede uccise due figli di Merope percosio, che egli non avrebbe voluto che andassero a Troia, ma di essi non vengono qui detti i nomi. È evidente che si tratta di Adresto e Amfio, ma è sorprendente che in Λ non vengano nominati e che i loro nomi invece si trovino in Β. Si è supposto che il nostro testo di Λ sia corrotto e che quello letto dall’autore del catalogo fosse ancora integro e conservasse i nomi dei due eroi¹⁷²; anche a me pare che questa sia l’unica soluzione possibile, poiché la menzione del solo nome del padre per eroi non di primo piano non trova paralleli. Mentre questa discrepanza fra il catalogo e il seguito pare sia da imputare a una mera corruzione testuale, una reale contraddizione si incontra nel caso di Ascanio, che guida assieme a Forci (ucciso da Aiace in Ρ) le truppe da Ascania (ἐξ ᾿Aσκανίης): un Ascanio ἐξ ᾿Aσκανίης compare anche in Ν 792, ma si dice che egli era arrivato il giorno prima, dunque, secondo la cronologia della nostra Il., non può trattarsi della stessa persona, dal momento che il catalogo di Β è immaginato come precedente di alcuni giorni rispetto agli eventi di Ν. La contraddizione cronologica è delle più evidenti e, a differenza che in altri casi, non richiede calcoli complessi per essere osservata; essa era probabilmente stata notata già nell’antichità e qualche λυτικός aveva cercato di porvi rimedio, aggiungendo un v. dopo Ν 792 (cfr. Strabo 12, 4, 5), per fare dell’Ascanio qui memorato un Misio, dunque un personaggio diverso rispetto a quello del catalogo¹⁷³. In realtà la contraddizione esiste e non c’è modo di eliminarla. Non è l’unica contraddizione fra il catalogo troiano e il poema. Il catalogo (848 – 850) nomina come capo dei Peoni Piraicme, ucciso da Patroclo (Π 287– 291), mentre non rammenta Asteropeo, ucciso da Achille (Φ 140 sgg.), episodio ben più lungo e impressionante di quello di Piraicme. Qualche testimone antico aggiunge un v. dopo Β 848 per inserire Asteropeo, ma si tratta molto probabilmente di un’interpolazione per conciliare il passo con la nostra Il. Asteropeo dice di essere a Troia da undici giorni (Φ 155 – 156), dunque al momento del catalogo egli è già lì. Si tratta del caso speculare rispetto a quello di Ascanio: quest’ultimo, in base alla cronologia offerta dal poema, non avrebbe dovuto essere presente nel catalogo e invece c’è, Asteropeo avrebbe dovuto esserci e invece, almeno nella

 Cfr. Bergk (1872) 566, nota 36; Wilamowitz (1916) 189, nota 1; Jachmann (1958) 147, nota 209. West (ad loc.) suppone ragionevolmente che dopo Λ 328 sia caduto un v. in cui i due eroi venivano nominati.  Cfr. Jachmann (1958) 134 sgg.

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maggioranza dei testimoni, non c’è¹⁷⁴. Nel catalogo leggiamo (827) che Pandaro aveva ricevuto il τόξον da Apollo, mentre in Δ 105 – 111 viene narrato come l’eroe se lo era costruito e la divinità non viene nominata. Β 846 ricorda come capo dei Ciconi Eufemo, che non compare altrove nell’Il., mentre Ρ 73 ricorda come capo dei Ciconi Mente, assente nel catalogo. Come capi dei Misi il catalogo (858 – 861) rammenta solo Cromi ed Ennomo, ma nel poema compare Irtio, ucciso da Aiace (Ξ 511). Inoltre, nel poema compaiono quali alleati dei Troiani i Lelegi (Κ 429; Υ 96; Φ 86), assenti dal catalogo¹⁷⁵. La discrepanza più nota ed evidente fra il catalogo e il poema è, tuttavia, un’altra, quella riguardante il Misio Ennomo e il cario Naste. Di Ennomo nel catalogo (858 – 861) viene detto che egli perì per mano di Achille nella μάχη παραποτάμιος, ma nel poema l’eroe compare di nuovo solo a Ρ 218, in mezzo ad altri eroi, cui Ettore rivolge un discorso. Di Naste il catalogo (872– 875) dice che andò in guerra carico d’oro e che Achille lo uccise nella μάχη παραποτάμιος e si impadronì del suo oro¹⁷⁶; tuttavia, l’eroe nel seguito del poema non viene più memorato. Io credo che chi ha composto questo catalogo avesse davanti una versione della μάχη παραποτάμιος più ampia della nostra. Nel catalogo troiano il poeta ricorda la morte, oltre che di Ennomo e Naste, dei soli Adresto e Amfio (828 – 834), proprio con gli stessi vv. con cui essa verrà effettivamente descritta in Λ 328 sgg.; non è dunque tipico di questo poeta inventare. Se nel caso di Adresto e Amfio si è attenuto a ciò che trovava scritto in un epos che aveva davanti, la stessa cosa è probabile che abbia fatto anche nei casi di Ennomo e Naste; questo è confermato dal fatto che noi possediamo una versione μάχη παραποτάμιος tagliata e rielaborata; evidentemente chi ha composto il catalogo troiano aveva davanti una versione più ampia¹⁷⁷. Sembra dunque che l’autore del catalogo troiano leggesse un’Il. diversa dalla nostra; dato che l’Il. di P differiva dalla nostra proprio circa la μάχη παραποτάμιος, nel senso che P aveva una versione più ampia, si potrebbe supporre che il catalogo troiano si basasse proprio sull’Il. di P. Tuttavia, le contraddizioni fra il catalogo troiano e la nostra Il. sono troppe per accettare questa ipotesi. Abbiamo anche visto che i punti dello Schiffskatalog circa i successori di Protesilao e Filottete, che sono stati inseriti per l’inserzione in B, presentano differenze notevoli rispetto a Ο (che deriva forse da P). Sembrerebbe ragionevole assumere

 Cfr. Jachmann (1958) 130 sgg.  Nulla di sicuro si può dire sui Cauconi: essi compaiono come alleati dei Troiani in Κ 429, Υ 329; nel catalogo dopo 855 alcuni mss. antichi introducevano i Cauconi, cfr. Jachmann (1958) 181, nota 249.  ὅς all’inizio di 872 va riferito a Naste, cfr. Ameis-Hentze-Cauer ad loc.  Cfr. infra p. 161, 199 – 200.

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che chi ha riadattato lo Schiffskatalog e ha composto il catalogo troiano sia lo stesso poeta, ma è difficile comprendere che epos avesse davanti. I suoi legami con l’attuale contesto di Β sembrano sicuri (cfr. soprattutto Β 805 – 806, che presuppongono Β 362 sgg.), ma egli si muove con autonomia rispetto al seguito del poema. È probabile si tratti di un poeta che ha rielaborato Β nella forma datagli da P, basandosi sulla μάχη παραποτάμιος che leggeva in P, ma per il resto senza attenersi strettamente a P. La rielaborazione più nota ed evidente dello Schiffskatalog è ai vv. 546 – 558, ove la versione originaria è stata sostituita da una interpolazione filoateniese¹⁷⁸. È probabile si tratti di una rielaborazione successiva a quelle fin qui esaminate, delle quali nessuna sembra rispecchiare tendenze filoattiche. Il nostro testo omerico ha vissuto una fase attica e a tale fase risale questa interpolazione¹⁷⁹.

 Cfr. p. 406.  Cfr. p. 406 sgg.

4 Analisi di H–Κ Riassunto di Η–Κ Queste rapsodie comprendono la fine del primo giorno di combattimenti, il secondo giorno di combattimenti e la lunga pausa fra il secondo e il terzo giorno di battaglia; vediamone il contenuto nel dettaglio. Ettore e Paride escono baldanzosi dalla città, intenzionati a combattere e i Troiani riprendono animo al solo vederli arrivare. Paride uccide Menestio, Ettore Eioneo, Glauco Ifinoo. Atena vede la scena dall’Olimpo e, preoccupata, si dirige verso il campo di battaglia: le va incontro Apollo, per impedirle di intervenire a favore dei Troiani e le propone un duello fra Ettore e un eroe greco: con tale duello, suggerisce Apollo, si concluderà la giornata e i combattimenti riprenderanno il giorno successivo. La dèa acconsente e la volontà divina viene compresa da Eleno, che suggerisce a Ettore di sfidare a duello un Greco. Ettore lancia dunque la sfida ai Greci, i quali (a seguito di un’estrazione a sorte) gli contrappongono Aiace. Nel duello ha una leggera prevalenza Aiace, ma sopraggiunge la notte e i due eroi si separano scambiandosi doni. Agamennone offre un banchetto ad Aiace e agli altri capi greci. Appena terminato il banchetto, Nestore suggerisce che il giorno successivo, anziché combattere, i Greci rendano gli onori funebri ai caduti e, successivamente, fortifichino l’accampamento con un fossato e un muro. I capi greci presenti accolgono il suggerimento di Nestore. Contemporaneamente, a Troia ha luogo un’assemblea dei Troiani, in cui Antenore propone di restituire ai Greci Elena e tutti i beni che la donna e Paride hanno portato dalla Grecia. Paride non vuole saperne: al massimo, egli è disposto a restituire i beni ai Greci, aggiungendovene di nuovi, ma della restituzione di Elena egli non vuol sentire parlare. Interviene Priamo, che ordina che il giorno successivo Ideo vada nel campo greco a annunciare la proposta di Paride. Inoltre (evidentemente come proposta alternativa) Ideo proporrà una tregua per raccogliere i cadaveri e rendere loro i debiti onori. Il giorno successivo Ideo va al campo greco e trova i Greci in assemblea: la proposta di Paride viene respinta da Diomede, mentre Agamennone accorda la tregua per la νεκρῶν ἀναίρεσις. Ideo torna in città e sia i Greci sia i Troiani iniziano i preparativi per gli onori funebri; il giorno successivo (421– 432: l’arrivo della notte non viene narrato) ha effettivamente luogo la raccolta dei cadaveri e la loro cremazione. Il giorno successivo (433 sgg.: anche in questo caso il sopraggiungere della notte non è narrato) viene costruita la fortificazione: Posidone è indignato, poiché i Greci non hanno offerto sacrifici per propiziare la costruzione e poiché teme che essa oscurerà la fama del muro che egli, assieme ad Apollo, ha costruito per Laomedonte. Zeus lo consola, assicurandogli che la https://doi.org/10.1515/9783110652963-004

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fortificazione verrà distrutta appena i Greci lasceranno Troia. Segue il banchetto serale dei Greci e la notte, durante la quale Zeus tuona e impaurisce tanto i Greci quanto i Troiani. Qui finisce Η. All’inizio del giorno successivo (Θ) Zeus proibisce a tutti gli dèi di prendere parte alla battaglia; davanti alla richiesta di Atena, di poter aiutare i Greci almeno dando loro suggerimenti, Zeus sembra cedere. Se ne va quindi sull’Ida, per osservare da lì la battaglia. Questa inizia e fino a mezzogiorno rimane equilibrata; poi Zeus mette sulla bilancia il destino dei Greci e quello dei Troiani e la bilancia pende in favore dei Troiani. Il re degli dèi lancia quindi la folgore fra i Greci, che iniziano a fuggire: il solo Nestore non fugge, perché il suo cavallo è stato colpito da Paride. Ettore incombe minaccioso su Nestore, ma Diomede (dopo avere invano chiamato in soccorso Odisseo, che non lo ha sentito e continua a fuggire verso le navi) va in soccorso del vecchio e lo fa salire sul proprio carro, mentre Stenelo ed Eurimedonte si occupano del carro e dei cavalli di Nestore. Diomede riesce a uccidere l’auriga di Ettore, ma Zeus lancia un altro fulmine, stavolta proprio davanti a Diomede che, su suggerimento di Nestore, inizia a ritirarsi. Ettore riconosce il favore divino ed esorta i suoi a non avere paura delle fortificazioni che i Greci hanno appena costruito e a prepararsi a incendiare le navi. Era ispira ad Agamennone la forza di resistere e i Greci, con a capo Diomede, iniziano a respingere i Troiani: è in particolare Teucro a distinguersi per il suo valore di arcere: egli riesce persino a uccidere il nuovo auriga di Ettore, Archeptolemo, ma Apollo interviene e grazie al suo aiuto Ettore mette fuori combattimento Teucro. I Troiani prendono di nuovo il sopravvento e i Greci fuggono in rotta oltre le fortificazioni all’interno dell’accampamento. Era e Atena, spaventate, si preparano a intervenire in loro favore, ma Zeus lo impedisce. Tornato sull’Olimpo, il re degli dèi preannuncia che il giorno successivo la situazione per i Greci si metterà ancora peggio e che essa non migliorerà fino al ritorno in battaglia di Achille. Sopraggiunge la notte e cessano i combattimenti: i Troiani si accampano fuori dalla città e accendono fuochi nella pianura antistante il campo greco. Ettore esorta i suoi a stare vigili, affinché, se i Greci decidano di partire, essi li assalgano e ne rendano dolorosa la partenza. Qui finisce Θ. Ι inizia con la narrazione degli eventi del campo greco (essi sono evidentemente contemporanei e paralleli a quanto accade nel campo troiano alla fine di Θ). Agamennone è disperato e convoca l’assemblea, in cui propone di tornare in Grecia; gli si oppone Diomede, che afferma di essere addirittura disposto a continuare la guerra assieme al solo Stenelo. Prende la parola Nestore, il quale dà ragione a Diomede, ma aggiunge due consigli, che cioè vengano inviati dei φύλακες fra il muro e il fossato e che Agamennone convochi il consiglio dei γέροντες. Entrambi i suggerimenti vengono subito recepiti: le sentinelle partono

Riassunto di Η–Κ

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immediatamente e Agamennone offre una cena ai γέροντες nella propria tenda. Finita la cena Nestore riprende la parola e suggerisce che venga inviata un’ambasceria ad Achille, per convincerlo a rientrare in battaglia. Agamennone acconsente e si dice pentito di aver offeso Achille; egli elenca ora una serie di doni riparatori, che è disposto a dare ad Achille, se questi accetta di tornare in battaglia. Nestore loda il proposito di Agamennone e sceglie tre eroi, che si recheranno da Achille: Fenice, Odisseo, Aiace. Achille li accoglie benevolmente, ma non cede alle loro richieste: né la descrizione che Odisseo fa della drammatica situazione dei Greci e dei ricchi doni offerti da Agamennone, né gli ammonimenti di Fenice circa le conseguenze funeste della sua ostinazione, né le poche ma decise parole di Aiace riescono a persuadere Achille, che anzi minaccia di tornare in Grecia all’alba successiva. Fenice resta a dormire nella tenda di Achille, mentre Odisseo e Aiace tornano da Agamennone. Odisseo informa che il tentativo è fallito: a prendere la parola è Diomede, il quale dice che è stato un errore inviare l’ambasceria e che il giorno successivo si continuerà a combattere. Gli eroi libano e vanno a dormire. Così finisce Ι. All’inizio di Κ, mentre tutti dormono, il solo Agamennone non riesce a prendere sonno, spaventato dalla gravità della situazione. L’eroe si alza dal letto, intenzionato ad andare da Nestore, per decidere cosa fare, ma sopraggiunge Menelao, che, anch’egli spaventato e insonne, si è recato dal fratello, cui chiede se abbia intenzione di inviare una spia nel campo troiano. Agamennone esorta il fratello ad andare a svegliare Aiace Telamonio¹⁸⁰ e Idomeneo, mentre egli andrà a svegliare Nestore: la presenza di Nestore e Idomeneo, argomenta Agamennone, sarà fondamentale per persuadere i φύλακες, dal momento che a capo dei φύλακες ci sono il figlio di Nestore e Merione. Menelao chiede ad Agamennone, se egli, una volta recatosi con Idomeneo presso i φύλακες, debba tornare da Agamennone o aspettarlo lì. Agamennone gli ordina di attenderlo sul posto, perché altrimenti i due rischiano di non trovarsi più, perdendosi negli anfratti dell’accampamento. Agamennone va quindi a svegliare Nestore, e lo esorta ad andare con lui presso i φύλακες, per assicurarsi che questi ultimi vigilino e non dormano. Nestore acconsente e i due, chiamati con sé anche Odisseo, Diomede, Aiace Oileo e Megete, vanno presso i φύλακες. Questi (che si trovano fra il muro e il vallo) sono effettivamente svegli e vengono per questo lodati da Nestore, il quale, assieme agli altri capi greci e a suo figlio Trasimede e a Merione (che erano a capo dei φύλακες), oltrepassa la τάφρος. Il gruppo va

 Agamennone nomina genericamente un Αἴας (53), ma il fatto che egli venga accostato a Idomeneo rende chiaro che si tratta del Telamonio, poiché le navi di quest’ultimo e di Idomeneo si trovano all’estremità dell’accampamento, cfr. Κ 110 – 113.

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quindi a sedersi in un punto non occupato dai cadaveri. Nestore prende la parola e chiede se qualcuno ha l’ardire di andare a spiare il campo nemico, per capire cosa intendano fare i Troiani. Diomede accetta di tentare l’impresa e associa a sé Odisseo. Trasimede presta le armi a Diomede, Merione a Odisseo e i due eroi partono. Nel frattempo, nel campo troiano si ordisce un’impresa simile: Ettore propone in premio i migliori cavalli dei Greci a chi andrà a spiare se essi sorvegliano ancora le navi o già preparano la partenza. Dolone si fa avanti e chiede in premio i cavalli di Achille. Ettore acconsente e l’eroe parte, ma si imbatte subito in Odisseo e Diomede, che lo catturano e, dopo avere appreso da lui la disposizione del campo nemico, lo uccidono senza pietà. Da Dolone i due eroi vengono a sapere che i Traci, che sono da poco arrivati, sono accampati all’estremità dell’accampamento e che il loro re, Reso, possiede cavalli splendidi: si introducono quindi fra i Traci, ne fanno strage e si impadroniscono dei cavalli di Reso, che portano indietro verso l’accampamento greco. Nestore li sente avvicinarsi e si congratula per la loro impresa; Odisseo, soddisfatto, attraversa il fossato e rientra nell’accampamento insieme agli altri eroi greci, che vanno tutti alla tenda di Diomede, ove legano i cavalli di Reso. Odisseo e Diomede si lavano, mangiano e quindi libano ad Atena. Qui finisce Κ.

Lo «Zweikampf des Hektor und Aias», il grande raccordo Η2–Θ–Ι1, la πρεσβεία e la «Dolonie» Analizziamo dunque Η-Κ. Se i primissimi vv. di Η (1– 8), in cui viene descritto il ristoro che la presenza di Ettore e Paride porta ai Troiani, derivino ancora dall’Abschied non è possibile dire, ma 13 – 16 sembrano presupporre Ζ nella sua struttura attuale¹⁸¹, dunque sono di P e, poiché 8 – 12 sono inscindibili da 13 – 16, se ne deduce che almeno da 8 siamo all’interno di P¹⁸². La discesa di Atena dall’Olimpo, il suo incontro con Apollo e la loro decisione di porre fine alla giornata dei combattimenti sono ben spiegabili alla luce di quanto leggiamo alla fine di Ε (907, ove Atena torna sull’Olimpo) e di Δ, ove si dice (505 – 516) che Apollo incoraggiava i Troiani, Atena i Greci: mentre, infatti, in Δ eravamo all’inizio della giornata dei combattimenti, qui siamo alla fine ed è quindi ben

 Cfr. p. 60.  Così Von der Mühll (1952) 129. Qualcuno pensa, invece, che fino a 16 siamo ancora nell’Abschied (Genz 1870, 26 sgg.; Kayser 1881, 8; Bethe 1914, 221); contra Jachmann (1949) 40 – 41, per cui da Ζ 503 in poi siamo in P.

Lo «Zw. des H. und A.», il grande raccordo Η2–Θ–Ι1, la πρεσβεία e la «Dolonie»

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comprensibile che vengano riportate in scena le due divinità con l’esplicita finalità di porre fine al combattimento¹⁸³. Inoltre, le due divinità si incontrano presso il fico (22: παρὰ φηγῶι) e il poeta sembra presupporre il luogo come noto, il che probabilmente presuppone Ε 693. Eleno dice ad Ettore che non è ancora destino che egli muoia (52– 53): è molto probabile che queste parole alludano alla Stimmung che caratterizza l’ultima parte di Ζ (dunque l’Abschied), con l’attesa dell’imminente morte di Ettore. Siamo, dunque, davanti a un poeta che ha in mente tutta la sezione precedente, quindi P¹⁸⁴. Più difficile stabilire fino dove arrivi la parte composta da lui. Il duello fra Ettore e Aiace presenta palesi somiglianze con quello fra Menelao e Paride in Γ e l’ipotesi più probabile è che Η dipenda da Γ¹⁸⁵: in Η 49 – 51 Eleno dice a Ettore: ἄλλους μὲν κάθεσον Τρῶας καὶ πάντας ᾿Aχαιούς, / αὐτὸς δὲ προκάλεσσαι ᾿Aχαιῶν ὅς τις ἄριστος / ἀντίβιον μαχέσασθαι. Il v. 50 occorre identico in Γ 68, ove esso sembra più al suo posto, poiché qui c’è l’opposizione con ἐμὲ καὶ Μενέλαον συμβάλετε. In Η 54– 56 Ettore, dopo aver ascoltato il consiglio di Eleno, gioisce: ὧς ἔφαθ᾽, Ἕκτωρ δ᾽ αὖτ’ ἐχάρη μέγα μῦθον ἀκούσας, / καί ῥ᾽ ἐς μέσσον ἰὼν Τρώων ἀνέεργε φάλαγγας, / μέσσου δουρὸς ἑλών· τοὶ δ᾽ ἱδρύνθησαν ἅπαντες. Questi tre vv. occorrono anche in Γ 76 – 78, ove tuttavia una parte della tradizione omette 78. La gioia di Ettore appare meglio motivata in Γ, poiché lì Paride ha appena detto di volersi battere in duello con Menelao ed Ettore può gioire sia del fatto che il fratello ha risposto positivamente a una sua sollecitazione sia del fatto che il duello può portare alla fine immediata della guerra. In Η non è chiaro di cosa l’eroe possa gioire: è vero che Eleno lo ha appena esortato a battersi in duello con un Greco, poiché non è ancora destino per lui di morire, ma perché questo porti a Ettore una grande gioia non si riesce a comprendere: egli aveva appena iniziato, assieme a Paride, un attacco fino a quel momento vittorioso contro i Greci e ora deve interromperlo. Anche il modo in cui vengono interrotti i combattimenti sembra più naturale in Γ, ove i Greci, gradualmente, prima cessano di combattere, poi depongono le armi (79 – 115),

 Cfr. Δ 507– 508: νεμέσησε δ᾽ Απόλλων / Περγάμου ἐκκατιδών, Τρώεσσι δὲ κέκλετ᾽ ἀΰσας ≈ Η 20 – 21 τῆι δ᾽ ἀντίος ὤρνυτ᾽ Απόλλων / Περγάμου ἐκκατιδών, Τρώεσσι δὲ βούλετο νίκην. Cfr. Genz (1870) 26 sgg.; Hentze (18872) 10; Bethe (1914) 221.  La figura di Eleno in Η 44 sgg. ricorda lo stesso personaggio in Ζ 73 sgg. (anch’esso opera di P), cfr. Jachmann (1949) 3: «zwei Verbindungsstücke redaktioneller Natur».  Così Naber (1876) 153; Christ (1884) 68 – 69; Hentze (18872) 14– 17; Wilamowitz (1916) 314; Cauer (19233) 617– 618; Jachmann (1949) 55; scettico Niese (1882) 74– 75. Cfr. anche Fuß (1877).

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mentre in Η, appena Ettore inizia ad allontanare i combattenti gli uni dagli altri, Agamennone fa sedere i suoi¹⁸⁶. Queste imitazioni fanno pensare a una dipendenza dalla Ὁρκίων σύγχυσις; d’altra parte, il duello di Η non sembra concepito per appartenere allo stesso epos di quello di Γ, certo non per seguirlo a distanza di qualche ora (come invece accade nella nostra Il., ove il duello fra Ettore e Aiace chiude la giornata, che era iniziata col duello fra Menelao e Paride). Il contesto originario del duello fra Ettore e Aiace doveva essere assai diverso da quello attuale: è davvero strano che, dopo le continue vittorie dei Greci durante la giornata, un duello con Ettore spaventi tutti i Greci, incluso Diomede, l’eroe della giornata (92 sgg.), tanto più che nel precedente duello i Greci avevano avuto la meglio¹⁸⁷; ancor più incomprensibile è che, quando Ettore propone il duello, i Greci sembrino essersi dimenticati di quello che aveva avuto luogo poche ora prima: nessuno ricorda la vittoria di Menelao, la violazione del patto da parte dei Troiani e la ferita inferta a tradimento a Menelao¹⁸⁸. Tutto questo è davvero strano: ricordare, per esempio, che i Troiani avevano violato i patti avrebbe potuto offrire materia poetica (cfr. Γ 105 sgg.; 155 sgg.). Pare quindi che il duello di Η non sia stato pensato per seguire, all’interno dello stesso epos, quello di Γ. Tuttavia, quando Ettore propone il duello ai Greci (67– 72), fa riferimento agli eventi di Γ–Δ: egli dice che Zeus non ha permesso che i patti venissero rispettati (69 ὅρκια μὲν Κρονίδης ὑψίζυγος οὐκ ἐτέλεσσεν) e che costringe Greci e Troiani a combattere una guerra fino alla completa distruzione della parte avversa. Poi prosegue (73 – 75): ὑμῖν δ᾽ ἐν γὰρ ἔασιν ἀριστῆες Παναχαιῶν, / τῶν νῦν ὅν τινα θυμὸς ἐμοὶ μαχέσασθαι ἀνώγει, / δεῦρ᾽ ἴτω ἐκ πάντων πρόμος ἔμμεναι Ἕκτορι δίωι. Come spiegare questo chiaro e indubitabile riferimento agli avvenimenti di Γ–Δ, in un contesto che altrimenti non sembra presupporli? Si è pensato che, dato che il poeta che ha composto il duello fra Ettore e Aiace conosceva e imitava quello fra Paride e Menelao, questa sia un’ulteriore allusione al modello, senza che questo implichi che egli concepisse il suo epos in continuità temporale con il modello¹⁸⁹. Questo

 Γ 78 è assente da parte della tradizione e non è accolto da alcuni edd.: in effetti che i Greci continuino a colpire Ettore quando già tutti i Troiani hanno interrotto il combattimento sembra strano, mentre Η 56 è perfettamente al suo posto prima di 57. Se è Η che imita Γ, possiamo supporre che il v. sia stato inventato dal poeta di Η e che, in un periodo successivo, per influenza di Η, sia per interpolazione penetrato in Γ.  Cfr. Hentze (18872) 13; Von der Mühll (1952) 133.  Cfr. Bonitz (18754) 29; Niese (1882) 74; Hentze (18872) 12; Erhardt (1894) 93 sgg.; Mülder (1910) 34; Cantilena (1995) 457. Una lettura unitaria dei duelli di Γ e Η in Di Benedetto (1994) 188 – 194.  Così Wilamowitz (1916) 314; cfr. anche Jachmann (1949) 57 sgg.

Lo «Zw. des H. und A.», il grande raccordo Η2–Θ–Ι1, la πρεσβεία e la «Dolonie»

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mi sembra poco probabile: Ettore dice che, dato che Zeus non ha permesso che il duello fra Paride e Menelao portasse alla fine immediata della guerra, per tale motivo è necessario continuare a combattere; come avrebbe potuto esprimersi in questo modo, se l’evento al quale egli si riferisce non fosse preceduto all’interno dello stesso epos? Si è pensato di attribuire a un’interpolazione rapsodica 69 – 72, in modo tale che sparisca qualsiasi riferimento a Γ–Δ, ma l’espunzione semplice non va, poiché ὑμῖν (73) si riferirebbe in questo modo sia ai Troiani che ai Greci (cfr. 67), mentre tale pronome deve riferirsi ai soli Greci¹⁹⁰. Io credo che siamo davanti a un pezzo rielaborato, quasi certamente da P: chi ha inserito questo duello nell’attuale contesto ha percepito l’inverisimiglianza che Ettore proponesse un secondo duello, poco dopo che il primo non era finito nel modo sperato, e ha quindi inserito un riferimento, che serve anche (agli occhi di Ettore) a discolpare parzialmente i Troiani¹⁹¹. Probabilmente i riferimenti alla parte precedente dell’Il. sono di P, mentre le parti che vi contrastano P le ha tratte da un epos preesistente, lo Zweikampf des Hektor und Aias ¹⁹². Non è possibile dire con sicurezza dove inizi lo Zweikampf, ma da 74 in poi non si trovano più tracce sicure di interventi di P. Alla fine del duello Ettore torna in città, mentre Agamennone offre un banchetto per onorare Aiace. È probabile che il pezzo (306 – 322) derivi ancora dallo Zweikampf: il banchetto, infatti, chiude l’intera giornata di combattimenti, nella quale Aiace ha avuto un ruolo non superiore a Diomede e non si capirebbe, se effettivemente esso fosse pensato come conclusione di tutti i combattimenti da Δ 446 in poi, perché Αgamennone decida di onorare il solo Aiace. Su questo, tuttavia, non si possono avere certezze. Appena terminato il banchetto, Nestore propone di interrompere i combattimenti per raccogliere i cadaveri e fortificare l’accampamento. La seconda proposta lascia molto perplessi: per quale motivo fortificare l’accampamento

 Per l’espunzione Haupt apud Lachmann (18743) 110, Jachmann (1949) 55 – 57; contra Hentze (18872) 11.  Cfr. Bergk (1872) 583 – 584; Hentze (18872) 11. Effettivamente, l’attribuzione della responsabilità a Zeus trova conferma in Δ 73 sgg., ma si tratta di uno di quei casi in cui l’intervento divino non elimina la responsabilità umana: agli occhi dei Greci e dei Troiani la responsabilità dell’infrangimento dei patti ricade sui Troiani.  Che P abbia tratto lo Zweikampf des Hektor und Aias da un epos preesistente, lo fanno supporre anche Θ 262– 265 (opera di P, cfr. p. 84), che sono tratti meccanicamente da Η 164 sgg.: in Θ manca il verbo. Inoltre l’assenza di Toante si spiega solo con il fatto che in Η 168 l’eroe è citato insieme a Odisseo, che Θ non voleva inserire per quanto detto a Θ 92 sgg.: cfr. AmeisHentze ad Θ 262– 265; Wilamowitz (1916) 47.

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dopo una giornata in cui i Greci avevavo avuto decisamente la meglio¹⁹³? Nestore non lo spiega e la reazione dei Greci è riassunta in un solo v. (344: ὥς ἔφαθ᾽· οἳ δ᾽ ἄρα πάντες ἐπήινεσαν βασιλῆες). Per capire la singolarità di questo passo è istruttivo confrontarlo con il consiglio di Nestore di dividere l’esercito per stirpi e la reazione degli altri βασιλῆες (Β 360 sgg.): lì Agamennone prende la parola per ringraziare Nestore del suggerimento e per esaltarne la saggezza. Eppure, la disposizione che assume l’esercito in una singola giornata non è paragonabile per importanza alla fortificazione dell’accampamento. Parallela alla riunione dei capi greci si svolge quella dei Troiani, ove Antenore propone di restituire Elena: questa proposta è comprensibile solo alla luce della Ὁρκίων σύγχυσις, cui lo stesso Antenore fa esplicito riferimento (351– 352). La proposta di Antenore viene rifiutata da Paride, che ne fa una alternativa (restituzione cioè delle ricchezze ai Greci, ma non di Elena). Quest’ultima proposta viene portata da Ideo il giorno successivo ai Greci e subito Diomede la rifiuta. È evidente che siamo in un contesto che presuppone certo la Ὁρκίων σύγχυσις, probabilmente anche Ε (data la preminenza di Diomede). Dato che la Ὁρκίων σύγχυσις è un epos che P ha inserito nel suo nuovo poema, è evidente che l’assemblea dei Troiani e tutto ciò che ne dipende (345 sgg.) è opera sua. D’altra parte l’assemblea dei Troiani si lega in maniera inscindibile alla νεκρῶν ἀναίρεσις e quest’ultima alla fortificazione dell’accampamento: proprio la fortificazione dell’accampamento greco è una caratteristica dell’Il. di P, il quale voleva introdurre una τειχομαχία, mentre gli epe preesistenti da lui utilizzati non sapevano nulla della fortificazione¹⁹⁴. Abbiamo anche visto che la proposta di Nestore e la reazione dei Greci sono composte in uno stile scarno e riassuntivo, quello stile cioè che serve a narrare in breve tempo alcuni fatti essenziali alla trama del poema¹⁹⁵. La conclusione inevitabile è che da 323 in poi siamo di fronte a un pezzo di natura redazionale composto da P, che in questa sezione non sembra aver utilizzato epe preesistenti. Non è difficile comprendere cosa ha spinto P a comporre questo pezzo: mentre gli epe che P ha preso a base per il primo giorno di combattimenti presupponevano il campo greco non fortificato¹⁹⁶, in Θ e Μ–Ο (secondo e terzo giorno di battaglia) il campo di battaglia è presupposto fortificato. Era dunque necessario inserire in mezzo la costruzione della fortificazione. Questa, d’altra parte, implicava un’interruzione dei combattimenti e per questo P ha escogitato

 Tutto questo, fra l’altro, nel decimo anno di guerra! Cfr. Koechly (1881) 122– 123; Erhardt (1894) 97; Petersen (1920) 9 – 10. Cerca di giustificare l’incongruenza, ma senza argomenti davvero forti, Davies (1986).  Con la sola eccezione, forse, della πρεσβεία, cfr. p. 88.  Ne troveremo altri esempi, soprattutto nella seconda parte dell’Od.  Fino a Η 337 non vi è nessun accenno alla fortificazione del campo greco.

Lo «Zw. des H. und A.», il grande raccordo Η2–Θ–Ι1, la πρεσβεία e la «Dolonie»

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la νεκρῶν ἀναίρεσις. L’idea di interrompere i combattimenti doveva partire dai Greci, poiché la costruzione della fortificazione era loro iniziativa. D’altra parte, come vedremo anche in seguito, è caratteristico di P fare agire i Greci e i Troiani in parallelo (specialmente creare assemblee parallele); per questo ha introdotto l’assemblea troiana. Teoricamente, P avrebbe potuto procedere anche in modo più semplice, limitandosi cioè a far costruire ai Greci la fortificazione, senza curarsi di descrivere la reazione dei Troiani (dopo tutto, la battaglia del giorno precedente era stata vinta dai Greci e non era da aspettarsi che i Troiani avrebbero avuto l’ardire di impedire ai Greci di fortificare il loro campo), ma egli ha preferito far agire i due popoli in parallelo e per questo gli era necessaria la νεκρῶν ἀναίρεσις. Questo gli ha dato la possibilità di riprendere anche il motivo della Ὁρκίων σύγχυσις, del tutto inessenziale all’azione (Priamo avrebbe potuto pensare alla raccolta dei cadaveri anche senza gli interventi di Antenore e Paride), ma che P voleva tenere vivo nella memoria del pubblico (un ulteriore motivo per attribuirgli anche Η 69 sgg.). Il motivo della fortificazione del campo greco occupa tutto il resto di Η, che dunque è opera di P. Θ contiene il secondo giorno di combattimenti; esso comincia con il concilio divino e il divieto di Zeus agli altri dèi di intervenire in battaglia. Questo divieto ha conseguenze importantissime nello sviluppo della nostra Il.: esso rimane in vigore finché Zeus stesso non lo annulla (all’inizio di Υ) e Θ è tutto costruito attorno a tale divieto. Nessuna divinità interviene in battaglia, se non lo stesso Zeus, che lo fa con effetti decisivi (75 sgg.; 132 sgg.; 170 sgg.; 245; 335 sgg.). Era ispira solo coraggio ad Agamennone (218) e Apollo fa schivare a Ettore una freccia di Teucro (311): si tratta di interventi del tutto marginali e secondari, che ben si accordano con quanto la stessa Atena era riuscita o ottenere da Zeus (35 – 40), che cioè anche gli altri dèi potessero aiutare con la βουλή i loro protetti. Atena ed Era vorrebbero intervenire in maniera più decisa, cioè andando sul campo di battaglia come nel primo giorno di combattimenti, ma viene loro impedito da Zeus (350 – 437) e sconsigliato dallo stesso Posidone (209 – 211). È evidente che (a differenza che nella battaglia di Γ – Η1) Zeus ha avocato a se stesso la prerogativa di intervenire in battaglia e non consente a nessuna altra divinità di farlo¹⁹⁷. L’intervento che Tetide gli aveva chiesto in Α ha qui finalmente luogo. Nel complesso, la descrizione della battaglia che leggiamo in Θ è coerente e non presenta segni di sutura: la fortificazione del campo greco è sempre presupposta (177, 213¹⁹⁸, 255). Sono presupposti anche gli eventi di Ε (319

 Cfr. Bethe (1914) 108 e sulla validità del decreto di Zeus nel seguito cfr. p. 135 – 136.  220 sgg. Agamennone parla ai Greci dalla nave di Odisseo e questo è parso in contraddizione con il fatto che i Greci a 213 sono in posizione più avanzata, presso il fossato (cfr. Ameis-

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sgg.), dal momento che Diomede è in possesso dei cavalli di Enea e ricorda di averglieli presi (105 sgg.). Nella prima parte della battaglia, Diomede, mentre cerca di colpire Ettore, colpisce il suo auriga Eniopeo, che viene subito sostituito da Archeptolemo (118 – 129). Teucro, anch’egli cercando di colpire Ettore, colpisce Archeptolemo, che viene a sua volta sostituito da Cebrione (309 – 319). Può stupire che a così breve distanza cadano due aurighi di Ettore: poiché i vv. con cui ne viene descritta la morte sono identici (122– 125 = 314– 317), si è pensato che tutta la cosiddetta «aristia di Teucro» (273 – 329, da cui deriverebbe quindi la descrizione della morte di Archeptolemo) sia stata inserita qui da un epos precedente, il che spiegherebbe la ripetizione meccanica dei vv. nell’episodio di Eniopeo; tuttavia, i vv. comuni alle due scene sono appropriati in entrambe e non c’è modo di dimostrare che l’introduzione di Archeptolemo in 128 serva solo a preparare la sua morte (309 sgg.), né, in generale, che l’aristia di Teucro derivi da un epos preesistente¹⁹⁹. Il gusto per il parallelismo fra Greci e Troiani, che abbiamo osservato in Η, è anche qui evidente (53 – 59). Il collegamento con Η lo mostra anche che tanto la fine di Η quanto l’inizio di Θ sono incentrati sul grande potere di Zeus, che prima incute timore agli uomini, poi agli stessi dèi²⁰⁰. 130 (ἔνθα κε λοιγὸς ἔην καὶ ἀμήχανα ἔργα γένοντο) sembra preso da Λ 310, poiché l’uccisione del solo Eniopeo è del tutto inadeguata a capovolgere le sorti della battaglia, mentre in Λ Ettore ha appena fatto strage di Greci²⁰¹. Anche i vv. immediatamente successivi (Λ 312 sgg.) sembrano aver ispirato Θ: qui (90 sgg.) Diomede, vedendo Nestore in grave difficoltà, chiama Odisseo, ma questi non lo sente e continua a fuggire verso le navi; in Λ Diomede, vedendo che Ettore sta facendo strage di Greci, chiama in aiuto Odisseo, che lo sente e va in soccorso; il motivo pare dunque originario in Λ²⁰². Θ 445 – 446 (= Α 332– 332) sembrano tratti meccanicamente da Α, poiché il significato di ἔγνω in Α è molto più perspicuo²⁰³.

Hentze ad Θ 222). Ma è probabile che Agamennone parli dalla nave perché essa si trova in posizione rialzata rispetto al campo di battaglia (cfr. Kirk ad Θ 223 – 6). Ipercritico Bethe (1914) 108, nota 2.  Così Strasburger (1954) 55 sgg. Diversamente Genz (1870) 29, Koechly (1881) 145, Erhardt (1894) 126, Bethe (1914) 113, Wilamowitz (1916) 47– 48, i quali credono che l’arisitia di Teucro sia stata tratta da un epos precedente («epyllium poetae haud contemnendi» lo definisce Koechly per contrapporlo al resto di Θ, effettivamente di bassa qualità poetica). De Sanctis (1909) 89 crede che nell’aristia siano presenti imitazioni meccaniche di Ε (il lancio della pietra di Ettore in Θ 321 sgg. deriverebbe da quello di Diomede di Ε 302).  Cfr. Wilamowitz (1916) 50.  Su Θ 130 e altri «beinahe-Wendepunkte» nelle battaglie cfr. Nesselrath (1992) 12 sgg.  Sembra che Θ (cioè P) abbia avuto presente anche un passo dell’Etiopide, cfr. p. 206 sgg.

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Θ è dunque opera unitaria di un poeta che aveva in mente sia la parte precedente della nostra Il. sia quella successiva (almeno Λ). Si tratta evidentemente di P: due indizi macrostrutturali confermano questa ipotesi: 1) in Θ per la prima volta comincia ad avere sviluppo il piano di Zeus e Tetide, deciso alla fine di Α; poiché, d’altra parte, è certo che il Groll (da cui deriva Α) preesisteva a P, che lo ha inserito nel proprio epos tagliandone la fine, e Θ non poteva essere parte del Groll ²⁰⁴, ne segue che Θ è opera di P, che lo ha composto quale prosecuzione di Α. 2) Come vedremo, la sconfitta subita dai Greci in Θ è il presupposto della πρεσβεία, per la quale era necessario che i Troiani infliggesserro una sconfitta ai Greci; d’altra parte, è certo che la πρεσβεία è stata inserita nel suo luogo attuale proprio da P²⁰⁵. La conclusione è che Θ è stato composto da P, per dare coerenza strutturale all’Il. da lui messa insieme. Θ si chiude con i Troiani accampati fuori dalla città, dopo che Ettore in assemblea ha espresso la fiducia che ormai la vittoria definitiva sui Greci è vicina. Ι inizia con la disperazione dei Greci, in particolare di Agamennone, che propone di tornare in Grecia, cui si oppone Diomede. Due cose sono evidenti, che Ι è la prosecuzione di Θ (il parallelismo fra la situazione troiana e quella greca non potrebbe essere più evidente²⁰⁶) e che tutta questa parte presuppone la sezione precedente dell’Il. quale la leggiamo noi, con il Groll unito all’Aufruhr (19 allude a Β 23 sgg., con la promessa dell’Ὄνειρος ad Agamennone; 34 allude a Δ 370, ove Agamennone rimprovera a Diomede la sua viltà). Dopo il discorso disperato di Agamennone e la dura risposta di Diomede, Nestore loda Diomede (evidentemente perché è d’accordo con lui sul non tornare in Grecia, come invece vorrebbe Agamennone), ma aggiunge che Diomede, a causa della troppo giovane età, non ha detto tutto quanto c’era da dire (56: οὐ τέλος ἵκεο μύθων), cosa che ora farà egli stesso (61: ἐξείπω καὶ πάντα διίξομαι) e lo stesso Agamennone non potrà non essere d’accordo. Poi prosegue (63 – 67): ἀφρήτωρ ἀθέμιστος ἀνέστιός ἐστιν ἐκεῖνος / ὃς πολέμου ἔραται ἐπιδημίοο κρυόεντος. / ἀλλ᾽ ἤτοι νῦν μὲν πιθώμεθα νυκτὶ μελαίνηι / δόρπα τ᾽ ἐφοπλισόμεσθα· φυλακτῆρες δὲ ἕκαστοι / λεξάσθων παρὰ τάφρον. Il passo non è del tutto perspicuo: Nestore dice che la discordia interna è causa di grande male e questo sembra alludere alla lite fra Agamennone e Achille. Diomede, afferma Nestore, ha detto cose giuste, ma non ha toccato il punto più importante (τέλος). Il punto più

 Anche la scena in cui Atena si toglie il pallio e indossa il chitone di Zeus è composta di vv. presi meccanicamente da Ε (381– 383 = Ε 719 – 721; 384– 388 = 733 – 737; 389 – 396 = Ε 745 – 752), come mostra il fatto che in Ε questi vv. sono separati gli uni dagli altri.  Su questo punto cfr. nota 320.  Cfr. p. 87 sgg.  Wilamowitz (1916) 30 sgg.

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importante, dice Nestore, lo toccherò io: a cosa allude? Evidentemente alla necessità di riconciliarsi con Achille. Se è così διίξομαι καὶ ἐξείπω si riferisce al discorso che Nestore farà successivamente, nella tenda di Agamennone (95 sgg.), quando Nestore propone l’invio dell’ambasceria. 63 – 64 si riferiscono, mi pare ad Agamennone; Nestore ha appena detto (61– 62): οὐδέ κέ τίς μοι / μῦθον ἀτιμάσει, οὐδὲ κρείων ᾿Aγαμέμνων. È come se Nestore dicesse che, se Agamennone si opporrà alla sua proposta di cercare la riconciliazione con Achille, Agamennone si comporterà come ἀφρήτωρ ἀθέμιστος ἀνέστιός τε²⁰⁷. A parte questa piccola difficoltà esegetica, se noi leggiamo Ι fino alla fine prescindendo dal resto dell’Il., osserviamo solo una contraddizione circa il numero degli eroi che vanno da Achille, mentre non osserviamo alcuna contraddizione con la parte immediatamente precedete. Sui legami con la parte precedente e successiva torneremo fra poco; vediamo ora il numero degli ambasciatori. È Nestore a suggerirli con queste parole (168 – 170): Φοίνιξ μὲν πρώτιστα διίφιλος ἡγησάσθω, / αὐτὰρ ἔπειτ᾽ Αἴας τε μέγας καὶ δῖος Ὀδυσσεύς· / κηρύκων δ᾽ Ὀδίος τε καὶ Εὐρυβάτης ἅμ᾽ ἑπέσθων. Nel seguito saranno effettivamente in tre a rivolgersi ad Achille: Odisseo, Fenice, Aiace. Tuttavia, pochi vv. dopo quelli trascritti, leggiamo (182– 183): τὼ δὲ βάτην παρὰ θῖνα πολυφλοίσβοιο θαλάσσης, / πολλὰ μάλ᾽ εὐχομένω γαιηόχωι Ἐννοσιγαίωι. Il duale (che si trova anche a 192, 197) è sorprendente: a chi può riferirsi? Gli unici che potrebbero essere menzionati in coppia sono Odio ed Euribate, ma è evidente che non ci si riferisce ad essi. L’unica soluzione possibile è che l’ambasceria fosse in origine costituita da due soli eroi e che un terzo sia stato aggiunto. Odisseo non può essere stato aggiunto, perché è lui che riferisce il messaggio da parte di Agamennone. Che sia stato aggiunto Aiace non è probabile, poiché ha una parte secondaria e a nessuno sarebbe venuto in mente di aggiungere un personaggio per utilizzarlo in modo così marginale. È dunque probabilmente Fenice che è stato aggiunto; tale aggiunta è avvenuta prima di P, dal momento che Τ (cioè P) presuppone il discorso di Fenice (cfr. Ι 571 e Τ 87)²⁰⁸.  Hainsworth (ad Ι 63 – 4) osserva giustamente: «Nestor is cunningly forestalling (as Achilleus did not in book 1) a violent reaction to his reasonable proposals.»  Su questa linea Bergk (1872) 595 – 596, che pensa che il διασκευαστής dell’Il. trovasse Fenice già inserito. Tracce della rielaborazione potrebbero trovarsi a 168 (ove viene affidata la guida dell’ambasceria a Fenice, mentre a 192 sembra sia Odisseo a guidarla) e a 223, ove forse in origine Aiace faceva cenno a Odisseo, non a Fenice (Christ 1884, 29: «quid enim Aiacem Phoenici adnuere, ut Ulysses verba faceret?»). Cfr. anche Noé (1940) 12 sgg., Theiler (1947) 127 sgg., che crede, ma senza valide ragioni, che Λ2 conoscesse una πρεσβεία senza Fenice; Page (1959) 297 sgg.; West (2011) 13, che crede che il poeta dell’Il. abbia inserito Fenice in un secondo tempo. Ci sono stati (ovviamente) molti tentativi di giustificare i duali all’interno di una lettura unitaria (cfr. Hainsworth ad Θ 182), tutti falliti.

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Cerchiamo ora di capire i rapporti fra Ι e il resto dell’Il. La situazione presupposta durante il colloquio fra Achille e gli emisarri di Agamennone corrisponde perfettamente a quella sviluppatasi in Θ: i Troiani si sono accampati presso le navi e hanno acceso i fuochi (Ι 232– 235, cfr. Θ 553 – 563), Zeus li favorisce (Ι 236 – 237, cfr. Θ 133, 170), Ettore crede la vittoria troiana imminente (Ι 237– 243, cfr. Θ 180, 525), i Greci hanno appena fortificato il campo in assenza di Achille (Ι 348 – 350, cfr. Η 325 – 482). Dunque la situazione di Ι corrisponde a quella di Θ e, dato che quest’ultimo è opera di P, se ne potrebbe dedurre che anche Ι è opera di P. L’opinione più diffusa fra gli analitici è, tuttavia, che la πρεσβεία fosse in origine un epos indipendente, che è stato successivamente inserito nell’Il. e che, per inserirlo, P abbia composto Θ. Anch’io credo che le cose stiano così. La ragione che induce a credere questo è macrostrutturale. Come vedremo, esiste una profonda e insanabile contraddizione fra la πρεσβεία e Π²⁰⁹. D’altra parte, è certo che il punto di Π che contraddice la πρεσβεία non è opera di P, ma deriva da un epos più antico, la Patroklie, che inizia a essere usato da P alla fine di Ο. La πρεσβεία contraddice per se ipsam in maniera patente questo passo della Patroklie, nel senso che tale passo esclude l’ambasceria ad Achille tout court. Anche il Groll contraddice, anche se in maniera meno patente, la πρεσβεία ²¹⁰. Queste contraddizioni si spiegano meglio supponendo che Groll, πρεσβεία e Patroklie fossero tre epe in origine indipendenti, piuttosto che supponendo che la πρεσβεία sia opera di chi ha inserito Groll e Patroklie nel proprio poema. Vi è anche un indizio di natura stilistica: in Η2–Θ–Ι1 sono presenti numerosi vv. che derivano da altre parti del poema e lo stile è nel complesso mediocre; in Ι2 lo stile è molto più libero e originale²¹¹. Tutto lascia pensare che in Ι P abbia usato un epos preesistente, la πρεσβεία, ma non è facile capire dove inizi l’utilizzo di tale epos ²¹². L’esplicito richiamo di Nestore (108 – 109) al discorso con cui aveva cercato di frenare Agamennone, dunque ad Α, lascia pensare che a questo punto siamo ancora all’interno di P; da 693 siamo di sicuro di nuovo in P, poiché l’intervento di Diomede è inscindibile dalla presenza dell’eroe all’inizio della rapsodia. Da 182 a 693 siamo di sicuro nella πρεσβεία (anche se forse c’è qualche aggiunta di P, come presto vedremo), probabilmente anche la sezione precedente ne contiene delle tracce, ma non è possibile stabilire quali.

 Cfr. p. 137 sgg.  Cfr. p. 64.  Cfr. Kayser (1881) 49 sgg.; Bethe (1914) 104– 120; Wilamowitz (1916) 26 sgg.  Per Bethe (1914) 115 (sulla stessa linea Von der Mühll 1952, 165) la πρεσβεία inizia con 116 e procede fino a 694 (ma 162– 181 sono di P, dunque Nestore era assente dalla πρεσβεία), mentre per Wilamowitz (1916) 36 – 37 essa inizia già da 96 (sulla stessa linea già Düntzer 1862, 113 sgg., che la fa iniziare da 91). Per Hoffmann (1848) 215 – 217 la «pars antiquior» inizia con 182.

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Se le cose stanno così, tutti i punti di Θ (elencati supra) che trovano corrispondenza in Ι vanno spiegati nel senso che P, componendo Θ, ha tenuto presente la πρεσβεία, che egli intendeva inserire nel prooprio epos ²¹³. Questa osservazione ci porta ad affrontare un altro tema, che è di importanza capitale per l’Il., quello della fortificazione del campo greco. Essa è per la prima volta introdotta in Η ed è alla base di tutte le operazioni militari di Θ e Μ–Ο; nella Patroklie, invece, (cioè nella fine di Ο e Π–Ρ) probabilmente la fortificazione non è presupposta²¹⁴. Noi non sappiamo con certezza a chi sia venuto in mente per primo di introdurre nell’epos una fortificazione del campo greco. Circolavano evidentemente epe che non la presupponevano (e. g. l’Aufruhr e la Diomedie), ma nella nostra Il., oltre a Θ, che è opera di P, anche Μ–Ο la presuppongono. Molti credono che alla base di Μ–Ο vi siano uno o più epe, preesistenti a P e da quest’ultimo inglobati nell’Il., nei quali era presente la fortificazione²¹⁵. Tuttavia, come vedremo analizzando Μ–Ο, in queste rapsodie non c’è modo di isolare epe preesistenti a P, nei quali il campo greco è fortificato. Se è così, l’unico epos preesistente a P e da quest’ultimo inglobato nell’Il. che conosca la fortificazione è la πρεσβεία (Ι 348 – 352). D’altra parte, determinare l’origine di questi vv. della πρεσβεία è difficilissimo: Achille dice che la fortificazione è stata appena costruita, dopo la sua lite con Agamennone. La situazione rispecchia esattamente quella della nostra Il. e sorge il sospetto che questi vv. siano stati introdotti da P. Non esiste alcun altro indizio a confermare questo sospetto, ma esso resta e ci impedisce di essere certi che nella πρεσβεία originaria fosse presente la fortificazione. Sono dunque possibili due soluzioni: o P ha trovato la menzione della fortificazione nella πρεσβεία e ne ha tratto spunto per comporre la τειχομαχία di Μ–Ο (oltreché, ovviamente, per introdurla in Η 337–Θ) oppure la τειχομαχία è tout court sua invenzione, di cui egli ha introdotto una breve menzione anche nella πρεσβεία. Sarei più incline a credere a questa seconda ipotesi, poiché la τειχομαχία è caratteristica soprattutto di Μ, una rapsodia interamente di P, al quale dunque doveva stare particolarmente a cuore rappresentare i Greci e i Troiani che combattevano attorno alla fortificazione. Abbiamo analizzato Η–Ι, vediamo ora Κ, la Dolonie ²¹⁶. Fin dall’antichità si è osservata la sua estraneità al contesto attuale²¹⁷. In effetti, gli eventi di K restano

 Così Bethe (1914) 131; cfr. anche Cauer (1917 a) 219.  Cfr. p. 144 sgg.  Bethe (1914) 120 – 143 (la migliore trattazione d’insieme sulla fortificazione greca); Wilamowitz (1916) 209 sgg. Contro le deduzioni ex silentio circa la presenza / assenza della fortificazione cfr. tuttavia Petersen (1920) 11 sgg.  Per la storia della discussione circa la Dolonie e la sua inserzione nell’Il., cfr. Ranke (1881) 1 sgg., ancora il miglior studio d’insieme su Κ.

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privi di qualsiasi influenza sul seguito²¹⁸. Diomede si impadronisce dei cavalli di Reso; ci aspetteremmo che di questi cavalli vi fosse una qualche menzione nel seguito, se non altro nella gara di Ψ 287 sgg., ove Diomede partecipa a una corsa di cavalli. Invece, dei cavalli di Reso, che pure in K vengono esaltati come eccezionali (436 – 437; 547– 550), non c’è più traccia nel poema. Questo fa tanto più impressione, se consideriamo che lo stesso Diomede in E 319 sgg. si impadronisce dei cavalli di Enea e tali cavalli vengono più volte rammentati nel seguito (Θ 106; Ψ 291). Nestore promette che chi oserà l’impresa che egli propone riceverà in dono una pecora da ciascun capo greco (K 214 sgg.); eppure nel seguito del poema di tale dono non c’è più traccia. Questo fa ancor più impressione, se si pensa ai doni che Agamennone promette ad Achille in I, che poi vengono puntualmente dati in T. Anche dell’offerta promessa da Diomede ad Atena (K 292) non c’è traccia nel seguito. Di Ippocoonte, cugino di Reso che sopravvive alla strage (Κ 518 sgg.) non c’è traccia nel seguito del poema. Tutto questo lascia pensare che la Dolonie sia stata inserita quando l’Il. era già completa e che nessuno si sia curato di amalgamarla con il resto del poema. Se i rapporti fra la Dolonie e il seguito sono chiari, nel senso che Λ–Ω ignorano tout court Κ, più complicato è stabilire il rapporto fra Κ e Θ–Ι. Non c’è alcun dubbio che la situazione di Κ corrisponda a quella presupposta da Θ–Ι: Agamennone dice che Zeus ha cominciato a favorire i Troiani e che Ettore nella giornata precedente ha messo in grave difficoltà i Greci (Κ 45 – 52): questo corrisponde esattamente a quanto leggiamo in Θ (il fatto che si parli di un singolo giorno, 48, non lascia adito a dubbi). In Κ Merione e Trasimede sono fra i comandanti delle sentinelle (57– 59; 196 – 271); questo trova perfetta corrispondenza in Ι 81 sgg., ove i due eroi vengono citati fra i capi dei φυλακτῆρες. Anche la posizione delle sentinelle è la stessa in Ι (66 – 67) e Κ (194), vale a dire fra il muro e il fossato. I Troiani dormono fuori dalla città, esattamente come detto alla fine di Θ, e hanno acceso dei fuochi, che spaventano Agamennone (Θ 554– 561; Κ 12). In Κ i capi greci, per decidere cosa fare, si riuniscono fuori dal fossato, ove

 Lo scolio T (Κ 0 b Erbse) informa: φασὶ τὴν ῥαψωδίαν ὑφ᾽ Ὁμήρου ἰδίᾳ τετάχθαι καὶ μὴ εἶναι μέρος τῆς Ἰλιάδος, ὑπὸ δὲ Πεισιστράτου τετάχθαι εἰς τὴν ποίησιν. È da escludere che la notizia contenga alcunché di vero (sulla leggenda di Pisistrato cfr. p. 397 sgg.) o che risalga a un’età particolarmente antica. Essa è nata dall’osservazione di qualcuno, che ha notato l’estraneità della rapsodia al contesto e ha collegato questo alla storia della redazione pisistratea; dunque la notizia non può risalire oltre il I sec. a. C.  Cfr. Müller (18362) 97, 115; Düntzer (1872) 304; Reinhardt (1961) 248 sgg.; Taplin (1992) 11; West (2011) 233.

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trovano un luogo libero dai cadaveri²¹⁹: l’indicazione, che il luogo di riunione era libero dai cadaveri, si incontra identica in Θ 491 (= Κ 199), ove essa viene usata per indicare il luogo ove Ettore riunisce i suoi dopo la giornata di combattimenti in cui ha avuto la meglio sui Greci. È evidente che fra i due passi esiste una relazione, anche se l’espressione non allude allo stesso luogo, poiché Ettore riunisce il proprio esercito lontano dalla fortificazione greca, presso il fiume (Θ 490), mentre i capi greci si riuniscono proprio a ridosso della fortificazione. Come spiegare questi rapporti fra Θ–Ι1 (cioè P) e Κ? Si potrebbe sospettare che P, come ha tenuto conto della πρεσβεία nel comporre Θ (lo abbiamo appena visto), così abbia tenuto conto anche della Dolonie e che quindi le coincidenze fra Κ e Θ–Ι1 vadano spiegate con la dipendenza di P dalla Dolonie. Questa ipotesi è stata sostenuta²²⁰, ma io non la ritengo probabile²²¹. Nella nostra Il. Nestore ha due figli che combattono a Troia, Antiloco e Trasimede; in Ι 81 leggiamo che Trasimede era uno dei sette capi dei φυλακτῆρες. In Κ si parla di un figlio di Nestore, che era fra i capi dei φυλακτῆρες, senza che ne venga specificato il nome (57– 58; 196; il nome vien fatto solo al v. 255). Dato che Antiloco nell’Il. ha un ruolo maggiore di Trasimede, leggendo Κ 57– 58 e 196 saremmo portati a pensare che si tratti di Antiloco; tuttavia non c’è dubbio che si tratti di Trasimede: questo fa pensare che il poeta di Κ presupponesse la conoscenza di Ι 81. Rivolto a Menelao, Agamennone dice che, fra i capi dei φύλακες, quelli che ai suoi occhi hanno maggiore responsabilità sono il figlio di Nestore e Merione (K 57– 59: τοῖσιν γὰρ ἐπετράπομέν γε μάλιστα). Questo fa pensare che ci fossero anche altri parigrado dei due eroi, ma essi in K non vengono nominati; il tutto diviene chiaro alla luce di I 80 – 84, ove vengono rammentati altri cinque guerrieri, tutti meno famosi di Trasimede e Merione. Sembra dunque che K presupponga I²²².

 198 – 201: τάφρον δ᾽ ἐκδιαβάντες ὁρυκτὴν ἑδριόωντο / ἐν καθαρῶι, ὅθι δὴ νεκύων διεφαίνετο χῶρος / πιπτόντων, ὅθεν αὖτις ἀπετράπετ᾽ ὄβριμος Ἕκτωρ / ὀλλὺς ᾿Aργείους, ὅτε δὴ περὶ νὺξ ἐκάλυψεν.  Cfr. Düntzer (1872) 303 sgg.; Wilamowitz (1916) 38 – 39 crede che il poeta di Θ–Ι1 abbia inserito nel proprio epos la Dolonie (il nostro K) quale essa era, preparandola soprattutto con la Postenstellung (Ι 80 – 88); Bethe (1914) 123 – 129 pensa che P abbia inserito la Dolonie (che inizierebbe con K 199) premettendo K 1– 198; Von der Mühll (1952) 182– 183 suppone che il poeta che ha riordinato A–I abbia affidato a un altro poeta a lui contemporaneo di inserire la Dolonie nel suo epos. Letture unitarie della Dolonie all’interno dell’Il. in Danek (1988) e (2012), Hainsworth praef. ad Κ.  Il rapporto fra Κ e Θ–Ι è ottimamente discusso da Ranke (1881) 27– 31, che crede alla dipendenza di K da Θ–I; così anche Bergk (1872) 598, Theiler (1947) 147– 148.  Ranke (1881) 26: «eine Abhängigkeit Θ’s von K ist übrigens auch deshalb schon von vornherein höchst unwahrscheinlich, weil die Einzelheiten, in denen beide Dichtungen

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D’altra parte, la Dolonie presenta anche aspetti in palese contrasto con Θ–Ι1. Nella Dolonie alcuni passi sembrano presupporre che l’accampamento greco non sia fortificato, in stridente contrasto con quanto precede (da Η 465 in poi il campo acheo è fortificato)²²³: quando Ettore propone ai suoi l’impresa di andare a spiare il campo greco (303 – 312), egli dice che la spia si avvicinerà alle navi (308: νηῶν ὠκυπόρων σχεδὸν ἐλθέμεν) e cercerà di capire se le navi vengono ancora sorvegliate come in passato (309: ἠὲ φυλάσσονται νῆες θοαί, ὡς τὸ πάρος περ) o se i Greci, piegati dalla forza troiana, preparano già la fuga e non fanno più sorveglianza durante la notte (cfr. anche 395 – 399); nulla fa pensare a una fortificazione, tanto meno a una fortificazione eretta da pochissimo. Anche la risposta di Dolone (319 – 327) sembra presupporre che il campo greco non sia fortificato: l’eroe, infatti, promette che egli si inoltrerà nel campo greco, finché arriverà alla nave di Agamennone, ove i capi greci tengono consiglio (325 – 326: τόφρα γὰρ ἐς στρατὸν εἶμι διαμπερές, ὄφρ᾽ ἂν ἵκωμαι / νῆ᾽ ᾿Aγαμεμνονέην). Quando Odisseo teme che Dolone possa sfuggirgli, dice a Diomede di incalzarlo con la lancia in direzione delle navi (341– 348), senza fare menzione delle fortificazioni, e quando Dolone fugge in direzione del mare si dice che egli avrebbe raggiunto le postazioni di guardia del campo greco, se Diomede non glielo avesse impedito (366 – 369), mentre da Ι 87– 88 sappiamo che prima delle postazioni si trovava il fossato. Tutto questo è in contrasto con la prima parte di K, ove muro e fossato sono coerentemente presupposti (cfr. e. g. 125 – 126). La contraddizione è grave: l’impresa di Dolone consiste proprio nel penetrare nel campo greco e la presenza / assenza della fortificazione greca cambia completamente la natura di un’impresa del genere: la presenza della fortificazione avrebbe potuto fornire materia, per esempio, per esaltare la difficoltà dell’impresa di Dolone. Ai vv. 413 – 434 Dolone descrive l’accampamento troiano: solo i Troiani vigilano, mentre gli alleati dormono, dal momento che non proteggono la loro città. Di questo non c’è traccia nei passi di Θ ove si parla del campo troiano (509; 553 sgg.): non si tratta in questo caso di una vera e propria contraddizione, ma la cosa sarebbe difficilmente avvenuta, se il poeta di Κ in questo punto si fosse basato su Θ. Ricapitolando, la Dolonie non ha alcun effetto sul seguito del poema, mentre, per quanto riguarda i rapporti con la parte precedente del poema, un legame di sicuro esiste (soprattutto in Κ1), ma vi sono anche alcune contraddizioni (soprattutto in Κ2). Secondo me, la spiegazione più ragionevole di tutto übereinstimmen, in Θ durch die Handlung entwickelt, in Κ dagegen als bekannt vorausgesetzt werden und teilweise jeder Bedeutung für die Handlung Κ’ selbst entbehren.»  Cfr. Bethe (1914) 124– 128; Cauer (1917 a) 217: «für die Handlung der Δολώνεια war das Schiffslager offen gedacht, in freies Feld übergehend».

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questo è che un epos che cantava l’impresa di Dolone e di Odisseo e Diomede (Κ2) sia stato legato a Θ–Ι tràmite Κ1²²⁴. Questo spiega bene che K2 non si attenga, a differenza di K1, ai presupposti di Θ–I1. Il poeta di Κ1 è piuttosto superficiale e cerca di creare situazioni che fanno un effetto immediato sul lettore / ascoltatore, senza curarsi della coerenza generale della narrazione. All’inizio Agamennone vuole andare a trovare Nestore, per trovare insieme a lui un rimedio alla situazione disperata dei Greci (17– 20). Poi sopraggiunge Menelao, che si rivolge ad Agamennone e gli chiede se intenda mandare una spia nel campo nemico; questo effettivamente avverrà, ma fino a questo momento nessuno ha accennato a nulla del genere: probabilmente il poeta contava sul fatto che il lettore / ascoltatore sapesse che il pezzo forte dell’epos sarebbe stato l’invio delle spie e non si è curato di armonizzare l’insieme. Lo stesso Agamennone poco dopo va da Nestore e lo esorta ad andare con lui presso i φύλακες, per accertarsi che questi non dormano, ma sorveglino le mosse del nemico. Una volta arrivati presso i φύλακες, Nestore osserva con piacere che essi non dormono; poi gli eroi superano il vallo e Nestore propone l’impresa di andare a spiare il campo nemico. Disturba che sia proprio Nestore a proporla, dopo che di essa aveva parlato solo Menelao in presenza del solo Agamennone. Evidentemente il poeta dà per scontato che il pezzo forte del suo epos sarà l’impresa di Odisseo e Diomede e per questo si sente libero di introdurla a suo piacimento, senza curarsi troppo della coerenza della narrazione. Stupefacente è anche il luogo dove gli eroi si radunano per decidere l’impresa, cioè oltre il fossato, in un punto pericoloso, ove nulla li protegge da un eventuale attacco troiano. Si è supposto che la riunione avvenisse originariamente all’interno del campo greco e che lo spostamento oltre la fortificazione sia dovuta alla rielaborazione di K1²²⁵. Il problema è stabilire a che punto termini la rielaborazione di K1 e inizi l’epos di Dolone da lui utilizzato. Ai vv. 251– 253 Odisseo dice che la notte volge al termine e l’alba si avvicina; questo probabilmente è da mettere in relazione con I: la πρεσβεία ha occupato la prima parte della notte, poi c’è stato un periodo di sonno, prima che abbia inizio la nuova impresa. Si tratta cioè di quell’accumulo di eventi in una sola notte, che difficilmente un poeta che crea liberamente avrebbe creato²²⁶ e di

 Già Nitszsch (1862) 408 suppone che l’Einzellied comprendesse K 203 – 579, Witte (1908) K 299 – 511; per la posizione di Bethe cfr. supra la nota 220; Theiler (1947) 147– 148 attribuisce Κ a un unico poeta che avrebbe lavorato sulla base di Θ–Ι–Λ come li abbiamo noi. Già Müller (18362) 114– 115 ipotizza rielaborazioni nella Dolonie al momento del suo inserimento nell’Il.  Bethe (1914) 128; cfr. anche Cauer (1917 a) 217.  Cfr. Lachmann (18743) 28.

Lo «Zw. des H. und A.», il grande raccordo Η2–Θ–Ι1, la πρεσβεία e la «Dolonie»

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cui K1 ha qui tenuto conto²²⁷. Che l’epos di Dolone vero e proprio si svolgesse poco prima dell’alba non risulta: anche quando Atena esorta Diomede a tornare alle navi (509 – 511) non fa parola dell’alba imminente (che pur avrebbe costituito un pericolo e quindi sarebbe stata funzionale al discorso di Atena). Questo mi fa supporre che a 253 siamo ancora all’interno di K1 e lo stesso sono incline a pensare circa 255 – 271, poiché i vv. presuppongono la presenza di Trasimede e Merione, che derivano da Ι. Anche il discorso di Nestore (204– 211) non ha probabilmente nulla a che fare con l’epos di Dolone, dal momento che Nestore dice che le spie dovranno capire se i Troiani intendono ritirarsi in città o no, mentre Odisseo non chiede a Dolone nulla in proposito (383 – 425²²⁸). È dunque probabile che almeno fino a 271 siamo all’interno di K1. Il poeta di K1 ha in mente l’intera sequenza A–I, che egli leggeva come la leggiamo noi, non solo Θ–I. L’inizio di Κ sembra modellato su quello di Β: tutti si sono addormentati (compresi Zeus alla fine di A e Agamennone alla fine di I), ma ora Agamennone, come Zeus all’inizio di B, è sveglio e preoccupato. Quando è stato introdotto Κ nell’Il.? Certo dopo P: se, infatti, la Dolonie avesse fatto parte dell’Il. di P, troveremmo allusioni a essa nel seguito e i cavalli di Reso apparirebbero, probabilmente, già in Λ. Ma c’è un indizio che mostra come la Dolonie non fosse compresa nemmeno nelle due fasi redazionali successive a P. Come vedremo, gli Ἆθλα sono stati inseriti nel poema successivamente alla grande rielaborazione (R) che ha dato la forma attuale a Υ–Χ e tale rielaborazione è successiva a P. D’altra parte gli Ἆθλα presuppongono, pare certo, un’Il. senza la Dolonie, poiché i cavalli di Reso non prendono parte alle gare (a differenza di quelli che Diomede ha sottratto a Enea, Ψ 291 sgg.). Ne segue che Κ è stato introdotto quando la parte finale dell’Il. aveva già assunto la sua forma attuale. Fra gli epe confluiti nell’Il. la Dolonie è quello introdotto per ultimo²²⁹. Poche parti dell’Il. presentano contatti così stretti con l’Od. come Κ²³⁰ e si è supposto che Κ conoscesse l’Od. nella forma in cui la leggiamo noi²³¹. I punti di  Fra K 105 – 107 (ove Nestore esprime la speranza che Achille si riconcili coi Greci) e il deludente risultato della πρεσβεία non c’è contraddizione, poiché quello di Nestore è solo un augurio; contra Orszulik (1883) 9.  409 – 411 (atetizzati da Aristarco) sono spuri: evidentemente qualcuno prima di Aristarco aveva notato che il discorso di Nestore non trovava corrispondenza nel seguito e aveva inserito questi vv.  Che la Dolonie sia l’epos inserito per ultimo nella nostra Il. è opinione diffusa, cfr. Erhardt (1894) 509; Reinhardt (1961) 248 sgg.; West (2011) 233. Se i Λύτρα sono stati inseriti dopo gli Ἆθλα, può darsi che la Dolonie sia stata inserita dopo i Λύτρα.  Stando a Gemoll (1883: lavoro ancora utile, nonostante il più recente e affidabile Usener 1990), le rapsodie iliadiche presentano rispettivamente i seguenti numeri di passi, che hanno

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4 Analisi di H–Κ

contatto sicuri, nei quali è certa la dipendenza di un poeta dall’altro, sono, secondo me, i seguenti: Κ 27– 28 = δ 145 – 146; Κ 98 = μ 281; Κ 158 – 159 = ο 45 – 46²³²; Κ 214 = α 245, π 122, τ 130; Κ 243 – 244 = α 65 – 66²³³; Κ 278 – 280 = ν 300 – 301; Κ 290 – 294 = ν 391+ γ 292– 294; Κ 324 = λ 344; Κ 351– 352 = θ 124; Κ 454– 457 = χ 326 – 329; Κ 483 – 484 = χ 308 – 309; Κ 533 – 540 = δ 140 + π 11. Nella maggioranza di questi passi non è possibile stabilire l’originale; solo in un caso mi pare ci siano indizi sufficienti: Κ 214 ὅσσοι γὰρ νήεσσι ἐπικρατέουσιν ἄριστοι = α 245 = π 122 = τ 130 ὅσσοι γὰρ νήσοισιν ἐπικρατέουσιν ἄριστοι. Nell’Od. si indicano i proci, nell’Il. i capi greci. Pare molto probabile che il modello sia l’Od., poiché ἐπικρατεῖν si addice molto di più a indicare un potere stabile su una terra che non quello sulle navi²³⁴. I rapporti con l’Od. riguardano sia Κ1 sia Κ2: se davvero entrambi i poeti dipendono dall’Od., potremmo ipotizzare che entrambi abbiano conosciuto l’Od. di B. Nulla si oppone a un’ipotesi del genere; anche Ω forse conosce l’Od. di B. Può anche darsi che fra i due poeti di Κ e B ci siano influenze reciproche (come forse anche nel caso di Ω). Ricapitolando i risultati dell’analisi di Η–Κ: con Η 323 inizia il lungo passaggio dal primo al terzo giorno dei combattimenti: H2–Θ–I1 sono stati composti per preparare eventi successivi, in particolare Η2 (in cui i Greci fortificano l’accampamento) per preparare la τειχομαχία (Μ–Ο), Θ–I1 per poter inserire nell’Il. la πρεσβεία (Ι 182– 693). In altre parole, Η 323–Ι 181 è una sezione di natura redazionale, composta da P per collegare epe che altrimenti non avrebbero potuto coesistere nell’Il. Questa teoria è a mio avviso la base di qualsiasi analisi corretta dell’Il. ed è accettata dalla gran parte degli analitici²³⁵. L’inserzione della Dolonie relazioni con passi dell’Od.: 13, 11, 2, 5, 3, 7, 2, 2, 10, 12, 5, 3, 7, 6, 3, 3, 6, 8, 2, 4, 4, 6, 8, 16. Come si vede, solo Α, Β, Ι, Ω hanno un numero di passi analogo o superiore (Α, Ω) a Κ. In generale, io credo che un’analisi sistematica dei rapporti fra Il. e Od. andrebbe fatta ex novo: Gemoll è pregiudizialmente a favore della priorità dell’Il., Usener parte da presupposti unitari per me inaccettabili. La dipendenza dell’Od. dall’Il., secondo me, non è quasi mai dimostrabile.  Così Gemoll (1880); Laser (1958) crede che Κ conosca T; Usener (1990) 205 crede che Κ sia l’unica rapsodia iliadica non imitata nell’Od. (ma cfr. quanto detto nella nota precedente). Per Theiler (1947) 162, nota 49 e (1962) 3 – 4 la redazione finale dell’Od. è più recente della Dolonie, ma quest’ultima conosce le parti più antiche dell’Od. West (2011) 70 crede che il poeta dell’Od. conosca la Dolonie.  Per la priorità di Κ Diehl (1938) 94– 95, ma non ci sono argomenti dirimenti in nessun senso.  Si è discusso sul v. πῶς ἂν ἔπειτ᾽ Ὀδυσῆος ἐγὼ θείοιο λαθοίμην; cercando di stabilire la priorità (cfr. Wilamowitz 1884, 14– 15 e Diehl 1938, 18 – 19 entrambi a favore della priorità di Κ), ma ἔπειτα è accettabile in entrambi i passi, cfr. Gemoll (1883 a).  Così anche Ameis-Hentze ad Κ 214, Hainsworth ad Κ 214.  Kayser (1881) 57 («Πρεσβεία, quae ut includi posset volumini Iliadis, scriptae sunt rhapsodiae Η et Θ»); Niese (1882) 66; Bethe (1914) 104 sgg.; Wilamowitz (1916) 26 sgg.; Cauer (1917 a)

Lo «Zw. des H. und A.», il grande raccordo Η2–Θ–Ι1, la πρεσβεία e la «Dolonie»

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(Κ) è avvenuta in una fase molto successiva, per quanto la tecnica impiegata sia del tutto analoga a quella utilizzata da P: come P ha composto Θ–Ι1 per inserire la preesistente πρεσβεία (Ι2), così un poeta successivo ha composto Κ1 per inserire la preesistente Dolonie (Κ2). Nell’analisi di queste rapsodie, oltre alla Dolonie, abbiamo incontrato due epe che P ha preso da altrove, lo Zweikampf des Hektor und Aias e la πρεσβεία. Il duello fra Ettore e Aiace doveva essere uno dei temi preferiti dei poeti che cantavano il ciclo troiano; anche nelle rapsodie successive ne troveremo abbondanti tracce. Se lo Zweikampf si inserisse in un epos più vasto oppure no, è difficile dire. Per tentare di rispondere, bisognerebbe almeno sapere dove esso inizia all’interno di Η. Il duello finisce con il sopraggiungere della notte; anche qui è difficile dire se fosse già così nello Zweikampf o se si tratti di un ritocco di P, cui serviva la notte per porre fine al primo giorno di battaglia della sua Il. Se la πρεσβεία fosse un Einzellied ovvero si inserisse in un epos più ampio non possiamo sapere. Ovviamente è presupposta la lite con Agamennone e l’atteggiamento arrogante di quest’ultimo (Ι 646 – 648), ma non c’è modo di stabilire se la πρεσβεία facesse in origine parte di un epos che narrava tali eventi o se semplicemente li presupponesse noti al suo pubblico. Anche sul seguito non c’è modo di dire nulla: Achille esprime l’intenzione di ripartire il giorno successivo per Ftia (356 sgg.), ma poi (650 sgg.) sembra intenzionato a rimanere a Troia e anzi esprime il proposito di riprendere a combattere, quando Ettore minaccerà direttamente col fuoco le navi dei Mirmidoni. Anche in questo caso possiamo solo constatare che il motivo di Ettore che minaccia col fuoco le navi greche si incontra anche nella nostra Il. (Μ–Π) e che doveva essere ben noto. Una certezza è che questo epos ha subito una rielaborazione prima di confluire nell’Il. di P, l’inserzione cioè di Fenice.

213; Von der Mühll (1952) 144 sgg. (160: «Die Einbindung der Dichtungen Homers ins große Epos verlangte für die Πρεσβεία eine Niederlage der Griechen, dazu wurde das Θ geschaffen»); contra Schadewaldt (1938) 96 sgg. Il lavoro di Kayser risale al 1842 e a tale data risale dunque questa intuizione fondamentale, cfr. Von der Mühll (1952) 144. Cfr. anche Erhardt (1894) 123 sgg.

5 Analisi di Λ–Ο Sguardo generale su Λ–Ο e analisi di Λ Λ–Ο descrivono la prima parte del terzo giorno di battaglia dell’Il., prima cioè dell’intervento di Patroclo. Riassumiamo brevemente gli eventi. Al sorgere del giorno Agamennone dà ordine ai Greci di prepararsi alla battaglia e, armatosi, dà egli stesso prove del proprio valore più di ogni altro (è la cosiddetta aristia di Agamennone, Λ 1– 280), finché non viene ferito da Coone ed è costretto ad abbandonare il campo di battaglia. Stessa sorte tocca poco dopo a Diomede, Odisseo e Macaone. Quest’ultimo viene portato fuori dal campo di battaglia da Nestore (504– 520). Achille, che sta osservando dalla sua nave la battaglia, vede Nestore che sta portando verso le tende un Greco ferito; si tratta di Macaone, ma Achille, che guarda da lontano, non è certo che si tratti di lui e invia Patroclo da Nestore, affinché gli chieda chi è il guerriero ferito (596 – 617). Patroclo va alla tenda di Nestore e, dopo un colloquio con l’eroe pilio, riparte verso le tende dei Mirmidoni, ma incontra per strada Euripilo ferito e si reca nella sua tenda per curarlo (804 – 848). La rapsodia successiva (Μ) inizia con una profezia del poeta: la fortificazione costruita dai Greci attorno al loro accampamento non era destinata a durare oltre la loro partenza (3 – 35). La battaglia infuria attorno alla fortificazione e i Troiani, che, guidati da Ettore, sembrano avere la meglio, irromperebbero nell’accampamento greco, se i cavalli non avessero timore davanti al fossato che circonda il muro. Su consiglio di Pulidamante, i Troiani lasciano cavalli e carri davanti al fossato e procedono a piedi (36 – 107). Solo Asio dà l’assalto al muro sul carro, ma viene fermato dai Lapiti Polipete e Leonteo. Anche Ettore non riesce a irrompere, perché i due Aiaci oppongono strenua resistenza (108 – 289). Sarpedone e Glauco assaltano la porta custodita da Menesteo, al quale corrono in soccorso Aiace Telamonio e Teucro, che riescono a impedire lo sfondamento (290 – 429). Ettore riesce ora a sfondare con una pietra la porta che sta davanti a lui e irrompe così nell’accampamento greco. Con l’inizio di Ν la situazione muta a favore dei Greci, poiché Zeus si distrae e interviene Posidone, che incoraggia prima gli Aiaci e gli altri Greci (Μ 1– 125), successivamente Idomeneo, il quale, insieme a Merione, si dirige sul lato sinistro della battaglia (126 – 329), ove dà brillanti prove del proprio valore (è l’aristia di Idomeneo); Pulidamante esorta Ettore (che si trova al centro del campo di battaglia) a riunire attorno a sé tutti i Troiani; Ettore ubbidisce e, riuniti attorno a sé coloro che, sul lato sinistro, sono sopravvissuti alla strage di Idomeneo, va verso

https://doi.org/10.1515/9783110652963-005

Sguardo generale su Λ–Ο e analisi di Λ

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il centro e dà l’assalto alle navi, ove trova Aiace Telamonio pronto a tenergli testa (723 – 837). All’inizio di Ξ Nestore lascia la tenda, in cui si trova ancora Macaone, e incontra Diomede, Odisseo e Agamennone, che hanno appena lasciato le tende e si stanno dirigendo verso il campo di battaglia; Agamennone è disperato e pensa alla fuga da Troia, ma gli altri eroi non vogliono saperne di tale proposito e, a dare loro supporto, sopraggiunge Posidone, il quale, prese le sembianze di un mortale, incoraggia Agamennone (Ξ 1– 152). Era, aiutata da Hypnos, seduce e fa addormentare Zeus (Διὸς ἀπάτη), sicché ai Troiani manchi il loro principale protettore (153 – 353). Posidone incoraggia di nuovo i Greci ed Aiace lancia una pietra contro Ettore, che lo mette fuori combattimento; a questo punto la situazione è decisamente favorevole ai Greci, che stanno per respingere i Troiani oltre il muro (361– 522). Proprio all’inizio di Ο i Troiani, in fuga, oltrepassano il muro, ma Zeus si sveglia e, ordinando a Posidone di lasciare il campo di battaglia e inviandovi Apollo, ristabilisce una situazione favorevole ai Troiani (Ξ 1– 262), i quali, guidati da Ettore, irrompono di nuovo oltre la fortificazione greca (263 – 389). Patroclo lascia la tenda di Euripilo e torna verso le tende dei Mirmidoni (390 – 404). I Troiani continuano ad avanzare ed Ettore minaccia da vicino le navi dei Greci, difese ormai dal solo Aiace Telamonio (405 – 746). Così termina Ο. La prima parte di Λ è occupata dall’aristia di Agamennone (15 – 283). Dopo la descrizione dell’armatura di Agamennone (16 – 46), si dice che i Greci lasciarono i carri e i cavalli ἐπὶ τάφρωι e che si diressero a combattere a piedi (48 – 52a); questi vv. sono probabilmente stati inseriti in sostituzione di altri vv.: se è, infatti, impossibile collegare 52b a 46, poiché nel mezzo doveva essere annunciato il movimento dell’esercito greco, è altresì impossibile che 48 – 52a siano originali, poiché essi presuppongono la fortificazione del campo greco, che è altrove ignota a Λ²³⁶, come mostrano i seguenti passi: 1) 276 sgg., poiché difficilmente Agamennone citerebbe le navi come unico punto di resistenza dei Greci, se fra queste e il punto in cui si stava combattendo si fosse sovrapposta una fortificazione; 2) 315, anche qui vale in parte quanto detto al punto 1; 3) 544– 574, poiché è strano che Aiace, che si sta ritirando pian piano e contro voglia di fronte all’incalzare dei Troiani, pensi solo al pericolo delle navi e che, in generale, in questo contesto non si faccia alcuna menzione della fortificazione.  Cfr. Lachmann (18743) 45; Bethe (1914) 162, 166; West (2011) 54. Inoltre Λ 47– 48 sembrano tratti da Μ 84– 85 (cfr. Schadewaldt 1938, 4– 5): mentre, infatti, in Μ è chiaro perché i Troiani decidano di lasciare carri e cavalli al di là del fossato, non c’è nessuna ragione per cui in Λ i Greci facciano altrettanto, tanto più che gli stessi Greci il giorno prima (Θ) non avevano fatto così.

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5 Analisi di Λ–Ο

56 – 66 descrivono i Troiani; essi sono accampati fuori dalla città, su un’altura (56), il che evidentemente presuppone Θ, in cui i Troiani hanno pernottato fuori Troia. Fra i capi troiani vengono menzionati Ettore, Pulidamante, Enea, e tre figli di Antenore: Polibo, Agenore e Acamante. Pulidamante compare qui per la prima volta nell’Il., ma egli è destinato ad avere un ruolo rilevante nel seguito del poema, sempre accanto a Ettore; quindi la menzione dei due eroi uno accanto all’altro preannuncia che la coppia avrà un ruolo rilevante nel seguito. La menzione di Enea va probabilmente interpretata allo stesso modo ed è probabile che presupponga il ruolo rilevante che l’eroe avrà in Ν Π Ρ Υ. Più difficile spiegare la menzione dei tre Antenoridi: Acamante comparirà di nuovo in Μ, Ξ e Π (ove cade per mano di Merione), Agenore in Μ Ν Ξ (a 425 vicino a Pulidamante ed Enea) Ο Π (a 535 accanto a Pulidamante, Enea ed Ettore) e, più significativamente, in Φ, mentre Polibo non compare altrove. È probabile che la menzione di quest’ultimo sia dovuta solo al fatto che era fratello di Agenore e Acamante; tuttavia, le ragioni per cui sono stati scelti questi sei personaggi non sono del tutto chiare. Poiché ci sono ragioni per supporre che quanto noi leggiamo in Λ 1– 574 avesse un seguito diverso da quello che ha nella nostra Il. ²³⁷, si potrebbe pensare che tale seguito assegnasse un ruolo importante a questi sei eroi, ma non credo a questa soluzione, poiché in Λ 1– 574 non c’è il minimo indizio che la favorisca, mentre il seguito della nostra Il., come abbiamo visto, può offrire una spiegazione per la presenza di tutti questi eroi (tranne Polibo). Non è chiaro fino a che punto dell’Il. si estendano i riferimenti di Λ 56 – 60: il fatto che Enea e Agenore abbiano un ruolo importante in Υ–Φ indurrebbe a pensare che i riferimenti si estendano fino a quel punto, ma forse essi non vadano oltre Π. Noi mostreremo che Λ deriva in gran parte da un epos (Verwundungen) preesistente a P; questo epos ignorava la fortificazione del campo greco, non aveva nessun legame con Θ e Μ–Ρ: poiché 56 presuppone Θ, il catalogo dei capi troiani presuppone Μ–Ρ, e poiché i vv. precedenti a 56 presuppongano la fortificazione, segue che 47– 60 sono stati aggiunti, probabilmente da P²³⁸. I due eserciti si avvicinano e inizia la battaglia, mentre gli dèi rimangono sull’Olimpo e rimproverano Zeus perché intende favorire i Troiani (61– 83); anche qui potrebbe essere presupposto Θ, con il divieto di Zeus agli altri dèi di prendere parte alla battaglia e, se è così, fino a 83 siamo ancora all’interno di P. La prima

 Cfr. p. 104 sgg.  Credono 47– 55/56 estranei al contesto originario Giseke (1862) 505, Hentze (18882) 55, Bethe (1914) 131– 132, Theiler (1947) 134, Von der Mühll (1952) 191; contra Schadewaldt (1938) 40 sgg., Reinhardt (1961) 190.

Sguardo generale su Λ–Ο e analisi di Λ

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parte della battaglia è costituita da una serie di successi di Agamennone²³⁹; i primi a cadere sono Bienore e Oileo, cui seguono Iso e Antifo, entrambi figli di Priamo; poi è la volta dei figli di Antimaco, Pisandro e Ippoloco. I Greci incalzano i Troiani, che retrocedono fino alla tomba di Ilo, mentre Ettore viene tenuto lontano dalla battaglia da Zeus (163 – 164). I Troiani retrocedono nel frattempo fino alle porte Scee e solo lì iniziano a opporre una reale resistenza ai Greci. Quando Agamennone sta per arrivare sotto le mura di Troia, Zeus scende dall’Olimpo sull’Ida e invia Iride a Ettore, per ordinargli di restare lontano dalle prime file finché vede Agamennone che combatte: appena vedrà l’eroe greco ritirarsi dalla battaglia ferito, a quel punto la vittoria gli arriderà (192– 194: τότε οἱ κράτος ἐγγυαλίξω / κτείνειν, εἰς ὅ κε νῆας ἐϋσσέλμους ἀφίκηται / δύηι τ᾽ ἠέλιος καὶ ἐπὶ κνέφας ἱερὸν ἔλθηι²⁴⁰). Mentre Ettore si tiene lontano da Agamennone, è Ifidamante, figlio di Antenore, a sfidare il re di Micene, ma viene ucciso. A vendicarlo sopraggiunge suo fratello, Coone; questi riesce a ferire alla mano Agamennone, che è costretto a lasciare il campo di battaglia. Ettore, appena vede che Agamennone si allontana, esorta i suoi, vantando il favore di Zeus (286 – 290). Il poeta cita brevemente nove guerrieri greci uccisi da Ettore (301– 303: si tratta di personaggi che compaiono solo qui) e all’exploit di Ettore successivo all’uscita di scena di Agamennone vengono dedicati in tutto meno di venti vv. (291– 309). Odisseo, infatti, vede che le cose per i Greci si stanno mettendo male e chiama a sé Diomede; i due eroi uccidono prima Timbreo e il suo θεράπων Molione, poi i figli di Merope²⁴¹, Ippodamo e Iperoco (310 – 335). 336 – 337: ἔνθά σφιν κατὰ ἶσα μάχην ἐτάνυσσε Κρινίων / ἐξ Ἴδης καθορῶν: la battaglia è in equilibrio e la ragione è evidente: prima erano prevalsi decisamente i Greci  Ai vv. 84 sgg. leggiamo che fino a mezzogiorno (ὄφρα μὲν ἠὼς ἦν καὶ ἀέξετο ἱερὸν ἦμαρ) la battaglia era equilibrata, ma che a quel punto cominciarono a prevalere i Greci: sembra che il poeta voglia indicare che, nonostante il favore di Zeus per i Troiani, i Greci stavano prevalendo a causa del loro valore decisamente superiore a quello dei Troiani. È significativa l’indicazione temporale: è evidente che la battaglia delle Verwundungen non poteva avere le dimensioni del terzo giorno di battaglia della nostra Il. (fino a Σ!); è un monstrum nato dalla giustapposizione di epe di origine diversa che all’inizio di Λ si abbia il mezzogiorno di una battaglia che procede ancora per migliaia di vv. La cosa è ancora più impressionante poiché Π 777– 780 (dunque all’interno dello stesso giorno di Λ) suonano: ὄφρα μὲν ἠέλιος μέσον οὐρανὸν ἀμφιβεβήκει / τόφρα μάλ᾽ ἀμφοτέρων βέλε᾽ ἥπτετο, πίπτε δὲ λαός· / ἦμος δ᾽ ἠέλιος μετενίσετο βουλυτόνδε, / καὶ τότε δή…  193 – 194 ≈ Ρ 454– 455 (ma 455 è assente da una parte della tradizione). Non è possibile dire se uno dei due passi derivi dall’altro, poiché in nessuno dei due luoghi ci sono forzature. Si è supposto che Λ 193 – 194 sia un’interpolazione rapsodica introdotta da Ρ; se così fosse, κράτος (Λ 192) acquisirebbe il significato generico di «superiorità in battaglia», cfr. Α 509, Λ 753. Sul problema cfr. Hentze (18882) 60.  328 – 334: il passo è probabilmente lacunoso, cfr. p. 71– 72.

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grazie ad Agamennone, poi i Troiani grazie a Ettore, mentre in questo momento l’intervento di Odisseo e Diomede bilancia quello di Ettore, sicché la battaglia è ora in equilibrio. Diomede colpisce Agastrofo; Ettore vede e corre in soccorso; Diomede e Odisseo tremano al sopraggiungere dell’eroe troiano, ma il Tidide riesce a colpirne l’elmo con una lancia. Ettore retrocede in mezzo ai suoi, si piega a terra e, per un momento, sviene; poi si riprende, sale sul carro e si allontana dalle prime linee. Diomede può ora spogliare Agastrofo, ma, mentre lo fa, Paride lo colpisce al piede con una freccia, sicché l’eroe greco è costretto a salire sul carro e abbandonare il campo di battaglia. Odisseo si trova ora da solo a tenere testa ai Troiani; all’eroe riesce di uccidere quattro guerrieri nemici (420 – 423: essi compaiono solo qui), poi uccide Carope. Soco, fratello del caduto, riesce a ferire Odisseo, che uccide subito Soco. Odisseo non può, tuttavia, continuare a combattere a causa della ferita; egli getta un grido, che viene udito da Menelao; questi ha vicino a sé Aiace Telamonio e i due corrono in soccorso di Odisseo; questi viene accompagnato da Menelao fino al carro, che lo porta al sicuro. Aiace inizia a fare strage di Troiani (489 – 497a); a questo punto veniamo informati che Ettore non sapeva che, al centro del campo di battaglia, le cose si erano messe male per i suoi, perché egli combatteva sul lato sinistro del campo, vicino allo Scamandro τῆι ῥα μάλιστα / ἀνδρῶν πίπτε κάρηνα (499 – 500). Lì combattevano anche Idomeneo e Nestore. I Greci del lato sinistro avrebbero resistito, se Paride con una freccia non avesse ferito il medico Macaone; Idomeneo esorta Nestore a far salire sul suo carro Macaone e portarlo alle navi, poiché per i Greci la vita di un medico è preziosa. Nestore e Macaone lasciano il campo di battaglia. Cebrione, l’auriga di Ettore, vede le difficoltà in cui versano i Troiani e si rivolge a Ettore, affermando che è assurdo che essi combattano ἐσχατιῆι πολέμοιο δυσηχέος, mentre Aiace fa strage di Troiani. Cebrione dirige quindi il carro verso Aiace. Mentre tutto quello che va da 84 a 497 non crea problemi e sembra una composizione unitaria, con 497 iniziano alcune difficoltà. Ai vv. 499 – 500 il poeta afferma che il punto in cui la battaglia è più cruenta è il lato sinistro; questo è in stridente contraddizione con quanto poco dopo dice Cebrione, il quale afferma che è dall’altra parte (cioè al centro²⁴²) che la battaglia è più accanita (528 – 530). 497b–520 si riferiscono al lato sinistro e lì i Troiani stanno vincendo; con sorpresa, dunque, leggiamo 521: Κεβριόνης δὲ Τρῶας ὀρινομένους  Questo è il primo punto del poema in cui la divisione in lato sinistro e centro diviene funzionale alla descrizione della battaglia, come sarà spesso in seguito (cfr. p. 120 – 121). Già in Ε 355 si era parlato del lato sinistro, ma solo per indicare un luogo marginale rispetto al punto dove davvero si combatte. Forse tale divisione era presente nella Patroklie, cfr. p. 162– 165. Una discussione sistematica sulla questione in Cuillandre (1943) 71 sgg.

Sguardo generale su Λ–Ο e analisi di Λ

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ἐνόησεν: ci si riferisce evidentemente ai Troiani che combattevano dall’altra parte (al centro), ma stupisce il passaggio brusco, poiché i Troiani di cui si era parlato nei vv. precedenti erano quelli vittoriosi del lato sinistro. Cebrione motiva (523 – 530) la decisione di spostarsi verso il centro del campo di battaglia col fatto che lì i Troiani stanno soccombendo e rimprovera Ettore di combattere ἐσχατιῆι πολέμοιο, ma questo contraddice l’affermazione del poeta che la battaglia è più cruenta sul lato sinistro (499 – 500). Stupisce inoltre che Cebrione, per motivare lo spostamento verso il centro della battaglia, non ricordi che sul lato sinistro ormai i Troiani sono vittoriosi. Meraviglia anche che un ufficio del tutto semplice e umile, come portare fuori dal campo di battaglia un ferito, venga assegnato addirittura a Nestore (non si hanno paralleli per una cosa del genere). Tutte queste difficoltà scompaiono, se noi supponiamo che 497b–520 siano un’aggiunta (le ragioni di tale aggiunta risulteranno chiare nel seguito): sembra che essi siano stati inseriti senza alterare troppo il contesto, poiché 521 sgg. legano bene con quanto precede l’inserzione²⁴³. Dunque, per comprendere l’assetto originario delle Verwundungen, dobbiamo prescindere da 497b–520. Cebrione ed Ettore si dirigono verso il centro della battaglia, verso Aiace, che viene colto dallo spavento al sopraggiungere di Ettore (la stessa cosa era accaduta a Diomede a 345). È Zeus a far impaurire Aiace (544); l’eroe trema, si guarda attorno e inizia a ritirarsi. Euripilo vede la difficoltà in cui si trova Aiace e corre in suo soccorso, ma poco dopo viene ferito da Paride ed è costretto ad abbandonare il campo di battaglia (575 – 595). Achille vede il carro di Nestore che sta uscendo dal campo di battaglia e che, oltre a Nestore, trasporta un altro eroe (Macaone); invia quindi Patroclo da Nestore per accertare chi sia l’altro eroe (596 – 617). 497b–520 sono estranei al contesto originario, ma essi sono indispensabili al seguito dell’azione: infatti 504– 520 contengono il ferimento di Macaone; dal ferimento di Macaone dipende l’invio di Patroclo alla tenda di Nestore. D’altra parte, senza tale invio tutta la seconda parte di Λ non può sussistere (essa si svolge, infatti, nella tenda di Nestore alla presenza di Patroclo, presuppone dunque il ritorno di Nestore alla sua tenda e l’invio di Patroclo da parte di Achille); anche l’episodio di Euripilo pare direttamente legato a quello di Ne-

 Hermann (1834) 59; Lachmann (18743) 39; Brandt (1885) 653 – 654; Meyer (1887) 255; Robert (1901) 106; Bethe (1914) 163; Wilamowitz (1916) 192; contra Friedländer (1853) 42 sgg. Che 497b– 520 siano estranei al contesto originario lo mostra anche che senza di essi Ettore, che si era allontanato dalla prima linea a 354– 360, ricompare a 521 sgg. mentre combatte ἐσχατιῆι πολέμοιο; questo trova un parallelo a Υ 328 ove Enea, sopraffatto da Achille, viene portato via dal campo di battaglia da Posidone ἐπ᾽ ἐσχατιὴν πολυάϊκος πολέμοιο. Inoltre, Ettore esce dal campo di battaglia sul carro e sul carro lo ritroviamo a 521 sgg.

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5 Analisi di Λ–Ο

store e Macaone: Patroclo incontra Euripilo appena è uscito dalla tenda di Nestore (Λ 806 – 848) e trascorre del tempo nella sua tenda, come ne aveva trascorso in quella di Nestore. Anche Ο 390 – 405, ove ricompaiono Euripilo e Patroclo, si lega da un punto di visto narrativo all’azione di Nestore²⁴⁴. Inoltre, che Macaone ed Euripilo appartengano allo stesso progetto, lo mostra anche che essi vengono introdotti nella battaglia solo per essere immediatamente feriti: essi ne escono senza compiere nulla di significativo. Prima di vedere da vicino Λ2, qualche considerazione circa Λ1, cioè le Verwundungen. Ciò che noi abbiamo di questo epos non va oltre 574 (qui, infatti, comincia l’episodio di Euripilo) e non comprende 47– 84 (?) e 497b–520. Achille è assente, tre dei principali eroi greci vengono feriti e un quarto inizia a ritirarsi: nessun dubbio dunque che l’epos in questione volesse descrivere la situazione drammatica degli Achei nel momento dell’assenza di Achille. Sembra molto probabile che le Verwundungen presuppongano un seguito (cfr. Λ 181– 209), ma che tale seguito non sia Λ2 –Ο 591²⁴⁵, dal momento che Λ2 non ha nulla a che fare con Λ1 e che Μ–Ο 591 presuppone la fortificazione greca, assente dalle Verwundungen; è altrettanto evidente che Ν–Ο 591 presuppone Λ1, poiché l’assenza in tale epos di Agamennone, Odisseo e Diomede si spiega solo se i tre eroi sono impossibilitati a combattere (del resto, vedremo che Μ–Ο 591 si riferisce esplicitamente a Λ1, sicché il poeta di Μ–Ο 591, cioè fondamentalmente P, presupponeva che il suo epos fosse preceduto da Λ1). In Λ 181– 209 Zeus preannuncia a Ettore tràmite Iride che, una volta che Agamennone avrà lasciato il campo di battaglia, la vittoria gli arriderà fino alla fine della giornata. Si è molto discusso su questo annuncio e sul suo rapporto con l’azione di Zeus e di Ettore in Λ1²⁴⁶: in effetti, ci sono due difficoltà. Poco prima è stato detto (163 – 165) che Zeus stava tenendo lontano dalla prima linea Ettore; d’altra parte, nulla lascia intendere che nel frattempo Ettore si fosse avvicinato ad Agamennone, sì da rendere necessario il messaggio di Zeus; anzi, in generale, fino all’allontanamento di Agamennone, Ettore sembra assente e mai si avvicina all’eroe greco. Perché dunque Zeus decide di inviargli Iride? Inoltre, Zeus promette a Ettore che, una volta uscito di scena Agamennone, la vittoria gli arriderà fino alla fine della giornata; tuttavia, se effettivamente, dopo l’allontanamento di Agamennone, Ettore ha un exploit, l’arrivo di Diomede pone subito fino a tale momento di gloria dell’eroe troiano, che viene colpito dalla lancia del Tidide ed è costretto a lasciare la prima linea per un pezzo. Queste due difficoltà hanno spinto qual-

 Cfr. p. 130 – 131.  Indico Ο 591 perché esso è il più chiaro punto di sutura successivo a Λ 574, cfr. p. 114.  Cfr. Hentze (18882) 60 sgg.

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cuno a ritenere che l’intervento di Zeus e Iride di 181 sgg. sia un’inserzione successiva²⁴⁷. Questo punto è di capitale importanza per determinare quale fosse originariamente il seguito di Λ1 (cioè lo svolgimento delle Verwundungen), poiché l’ambasceria di Zeus è l’unico punto di Λ1 che annuncia cosa accadrà in seguito. Non credo che esistano ragioni sufficienti per ritenere 181 sgg. un’inserzione successiva; il fatto che Zeus invii ora Iride per tenere lontano dalla prima linea Ettore, quando già in precedenza aveva provveduto in tal senso, si spiega con la mutata situazione sul campo di battaglia: mentre fino a 165 si era combattuto nelle vicinanze del campo greco, a 166 i Greci hanno ormai raggiunto il punto centrale della campagna che divide il loro accampamento da Troia e a 170 essi si avvicinano alle porte Scee; la situazione per i Troiani si è fatta dunque, nel giro di pochi vv., parecchio più critica ed è naturale che a Ettore, preso dalla paura, possa venire in mente di andare in prima linea e affrontare Agamennone. È dunque per evitare questo che Zeus invia Iride: la sua ambasceria ha il compito di frenare per il momento Ettore e di rincuorarlo: la situazione, gli fa capire Iride, ora è drammatica per i Troiani, ma nel giro di poco le cose volgeranno al meglio. Anche l’altro argomento portato contro l’ambasceria di Iride, cioè che la divinità annuncia a Ettore continue vittorie che in realtà egli non otterrà, non mi pare cogente: è vero che Diomede riesce a porre un freno all’azione di Ettore, ma solo per un breve periodo e, una volta che anche Diomede e Odisseo lasciano il campo di battaglia e che Aiace è in ritirata, nulla sembra potersi più opporre efficacemente a Ettore. A noi può apparire che in questo modo la gloria di Ettore ne esca sminuita²⁴⁸, ma bisogna considerare sia che noi non abbiamo il seguito di Λ1 (può ben darsi che leggendo tale parte questa impressione scomparisse del tutto, grazie alle brillanti vittorie di Ettore) sia che i poeti dell’Il. sono tutti animati da nazionalismo greco, sicché, ogni volta che concedono un po’ di gloria a un Troiano, ne concedono almeno altrettanta ai Greci. Anche i piani di Zeus sono soggetti a questa regola e le divinità stesse non possono cambiare più che

 Così Bethe (1914) 160 sgg., che ritiene 181– 217 opera di P. Anche Robert (1901) 156 – 157 ritiene questa sezione rielaborata. Contra Wilamowitz (1916) 188; Schadewaldt (1938) 9 sgg. Quest’ultimo (1938) 54 sgg., 110 vede nella promessa di Zeus a Ettore una allusione a quanto Zeus stesso dice in Θ 470 sgg., ma fra i due passi non ci sono corrispondenze precise e il generico favore di Zeus non è sufficiente a mostrare l’appartenenza allo stesso epos.  Può cioè sembrare che la prima svolta a favore dei Troiani (che è effettivamente dovuta a Ettore) sia di importanza minore rispetto a quella successiva, dovuta ad altri eroi (in particolare Paride). Come osserva Hentze (18882) 67: «Zwar ist die erste entscheidende Wendung des Kampfes zugunsten der Troer durchaus das Werk des Hektor, aber an dem zweitem Umschwung, der die Schlacht überhaupt entscheidet, ist ihm ein verhältnissmässig nur karger Teil zugemessen».

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5 Analisi di Λ–Ο

tanto le cose in favore dei Troiani. Mi pare quindi che non esistano ragioni per dubitare dell’unità di Λ1 (a parte 47– 83 e 497b–520)²⁴⁹. Vediamo ora la seconda parte di Λ (596 – 849). Achille invia Patroclo da Nestore, per sapere con certezza chi sia l’eroe che Nestore porta sul suo carro. Nel frattempo Nestore e Macaone arrivano alla tenda e si ristorano prima all’aria del mare poi con il ciceone preparato da Ecamede, ancella di Nestore. Sopraggiunge Patroclo, che riconosce subito Macaone; Nestore si lamenta del comportamento di Achille e narra una sua impresa giovanile, a dimostrazione del suo valore: a capo dei Pili era riuscito a sconfiggere gli Epei e avrebbe ucciso anche i due fratelli Molioni, se non fosse intervenuto Posidone a salvarli. Esorta poi Patroclo a persuadere Achille a tornare in battaglia o almeno a inviare lui stesso a capo dei Mirmidoni. Patroclo riparte con l’intenzione di tornare subito da Achille, ma incontra Euripilo ferito e gli presta assistenza. Abbiamo già osservato che l’episodio di Macaone (497b–520) è il presupposto necessario per l’ambasceria di Patroclo presso Nestore. Dal momento che 497b–520 sono estranei al loro contesto (Λ1), sorge il sospetto che anche l’ambasceria di Patroclo in origine non avesse nulla a che fare con Λ1. Chi ha inserito l’episodio di Macaone e l’ambasceria di Patroclo è, con tutta evidenza, lo stesso che ha inserito i tre episodi di Euripilo (Λ 575 – 595, 809 – 848, Ο 390 – 404). La finalità dell’inserzione di tutto questo materiale è evidente: il poeta vuole creare un collegamento fra la lunghissima battaglia di Λ–Ο e i Mirmidoni: se non fosse per Macaone ed Euripilo, in tutte queste rapsodie dei Mirmidoni non sapremmo nulla²⁵⁰. Per creare questo collegamento sarebbe bastato l’episodio di Macaone: perché è stato inserito anche quello di Euripilo? La ragione è, anche in questo caso, abbastanza chiara: poiché il colloquio fra Achille e Patroclo ha luogo in Π, se Patroclo a Λ 805 si fosse diretto subito da Achille, lo spazio fra la fine di Λ e l’inizio di Π sarebbe stato troppo grande; per questo il poeta impegna Patroclo con il curare Euripilo²⁵¹. Chi è il poeta di Λ2? Quasi certamente la sistemazione attuale è stata data da P²⁵². In Λ2 compare per la prima volta l’idea che Patroclo andrà in battaglia al

 Non vedo alcuna ragione per seguire Bethe (1914) 160 – 171, che crede che Λ1 sia costituito da due epe in origine distinti, l’aristia di Agamennone (fino a 280) e un pezzo della sua Urilias. In qualsiasi modo si immagini il seguito di Λ1, è evidente che esso doveva presupporre anche il ferimento di Agamennone (oltre a quello di Odisseo e Diomede); dunque Λ1 è inimmaginabile senza il ferimento di Agamennone né esistono contraddizioni all’interno di Λ1 che giustifichino la tesi di Bethe.  Cfr. Bethe (1914) 143 – 150, la miglior trattazione a me nota su questo tema.  Cfr. Niese (1882) 87; Bethe (1914) 150.  Cfr. Bethe (1914) 143 sgg.

Sguardo generale su Λ–Ο e analisi di Λ

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posto di Achille e che ne prenderà le armi (794– 803): a proporla è qui Nestore ed essa è alla base degli avvenimenti di Π–Σ. Noi vedremo che lo scambio delle armi fra Achille e Patroclo (Waffentausch) è stato introdotto da P: nulla dunque di più probabile che lo incontriamo per la prima volta in una parte da lui composta. Un’altra caratterisitca di Λ2 è che esso prepara Μ–Ο: l’incontro fra Euripilo e Patroclo, la divisione in due parti della battaglia²⁵³, la prosecuzione dell’episodio di Nestore e Macaone in Ξ 1 sgg. non lasciano dubbi che Λ2 e Μ–Ο appartengano allo stesso progetto. D’altra parte, il poeta di Μ–Ο è P²⁵⁴. Se ne deduce che anche Λ2 è opera di P. Può darsi, tuttavia, che egli si sia servito, anche qui, di un epos preesistente. Infatti, l’arrivo di Macaone e Nestore alla tenda di quest’ultimo pone un problema: i due eroi si rinfrescano sulla riva del mare, poi entrano nella tenda, si siedono ed Ecamede serve loro il ciceone: ci si chiede se questo sia compatibile con il ferimento di Macaone. Si è supposto che il pezzo appartenesse a un epos in cui l’eroe che giungeva assieme a Nestore alla tenda (fosse Macaone o no) non era ferito²⁵⁵. Questa supposizione pare anche a me probabile: per vedere la sofferenza di un eroe ferito basta leggere la scena di Euripilo (Λ 811 sgg.)²⁵⁶. Questo potrebbe spiegare anche il lungo racconto di Nestore circa la sua giovinezza; esso non contrasta con il contesto, ma non ha nemmeno legami reali con esso. Certezze non possiamo averne (tutto dipende da come si valuta il ferimento in rapporto a 618 – 643), ma che P si sia servito di un Nestoridyll preesistente sembra anche a me probabile; certo, il suo utilizza termina con 762, ove Nestore torna a parlare di cose attuali. La sezione immediatamente successiva del discorso di Nestore (765 sgg.), che contiene i consigli a Patroclo, sembra dipendere dalla πρεσβεία ²⁵⁷. In Ι 252 sgg. Odisseo ricorda ad Achille che, quando stava per partire per Troia, suo padre Peleo gli aveva raccomandato di evitare liti e di essere mite, e accusa Achille di dimenticarsi delle raccomandazioni paterne (259 – 260: ὣς ἐπέτελλ᾽ ὁ γέρων. σὺ

 Essa compare per la prima volta in Λ2 (498) ed è alla base della disposizione della battaglia di Μ–Ο, cfr. la nota 242.  Cfr. p. 135– 136.  Così Bethe (1914) 148, cfr. anche Hentze (18882) 77; contra Von der Mühll (1952) 198, che attribuisce l’intero Λ2 a P. Che circolassero poemi su Nestore e sulla regione di Pilo è probabilissimo, cfr. Schadewaldt (1938) 20, 85; West (2011) 29 – 30 (sulle tradizioni peloponnesiache nei poemi omerici cfr. da ultimo Nobili 2009). L’affermazione di Reichel (1994) 114: «Die Nestoris [cioè Λ2] ist eng mit der Menis-Handlung verflochten» è ingiustificata.  Già d’Aubignac (1715) 289 osservava che Macaone sembra dimenticarsi della propria ferita; contra Schadewaldt (1938) 82.  Così Christ (1884) 71; Hentze (18882) 79 – 80; Bethe (1914) 149; Theiler (1947) 127– 128; Von der Mühll (1952) 200; contra Wilamowitz (1916) 203 – 207 e Jachmann (1949) 55 – 56, che credono che la πρεσβεία dipenda da Λ2, ma senza alcuna ragione valida.

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5 Analisi di Λ–Ο

δὲ λήθεαι. ἀλλ᾽ ἔτι καὶ νῦν / παύε᾽, ἔα δὲ χόλον θυμαλγέα). In Λ 765 sgg. Nestore ricorda a Patroclo che, quando egli stava per partire per Troia insieme ad Achille, suo padre Menezio gli aveva raccomandato di consigliare bene il più giovane Achille, e accusa Patroclo di dimenticarsi delle raccomandazioni paterne (790 – 791: ὣς ἔπέτελλ᾽ ὁ γέρων. σὺ δὲ λήθεαι. ἀλλ᾽ ἔτι καὶ νῦν / ταῦτ᾽ εἴποις ᾿Aχιλῆϊ δαΐφρονι, αἴ κε πίθηται). È evidente che fra i due passi esiste una relazione e a me pare probabile che Λ dipenda da Ι: mentre è infatti del tutto naturale che Odisseo rimproveri Achille di aver dimenticato le raccomandazioni paterne (egli dà prova di averle dimenticate servando rancore contro Agamennone e tutti i Greci), l’accusa di Nestore a Patroclo risulta molto meno motivata, perché non c’è ragione che egli pensi che Patroclo non consigli bene Achille. Ancor più chiara la dipendenza di Λ2 in un altro passo: in Ι 193, quando arrivano gli ambasciatori di Agamennone, Achille ταφὼν ἀνόρουσεν; questa identica espressione si trova a Λ 777, ove essa è però meno opportuna, poiché Achille sta partecipando a un sacrificio e non si capisce quindi perché fosse seduto. L’ultima parte del discorso di Nestore contiene il fatale consiglio a Patroclo, di andare cioè egli stesso in battaglia con le armi di Achille (794– 803): è anch’esso opera di P, che ha utilizzato qui la Patroklie ²⁵⁸. L’ultima parte della rapsodia (incontro fra Patroclo e Euripilo) è anch’essa opera di P (abbiamo, infatti, già visto che Euripilo è stato introdotto dallo stesso poeta che ha introdotto Macaone, dunque P). Ricapitolando, Λ sembra essere composto di due parti ben distinte: la prima (Λ1) si basa su un epos preesistente (Verwundungen), che comprendeva l’aristia di Agamennone e il suo ferimento, seguito dal ferimento di Diomede e Odisseo; seguiva poi l’attacco di Ettore, cui si opponeva Aiace. Tale epos non sapeva probabilmente nulla della fortificazione del campo greco e non divideva la battaglia in parte sinistra e parte centrale. P ha inserito nelle Verwundungen il ferimento di Macaone; ha poi aggiunto ex novo il ferimento di Euripilo, l’ambasceria di Patroclo, l’incontro fra quest’ultimo e Nestore (attingendo probabilmente qui a un epos preesistente, il Nestoridyll) e l’incontro fra Euripilo e Patroclo; dunque, mentre la struttura fondamentale di Λ1 deriva da un epos preesistente a P, la struttura di Λ2 è opera di P.

 Cfr. p. 147– 148.

La τειχομαχία (Μ)

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La τειχομαχία (Μ) L’inizio di Μ è tutto dedicato alla fortificazione del campo greco, di cui viene detto che era destinata a essere distrutta da Apollo e Posidone dopo la fine della guerra, poiché essa era stata costruita senza i debiti sacrifici; la menzione della fortificazione è dovuta al fatto che si sta per accendere la battaglia attorno ad essa. Pulidamante consiglia a Ettore di lasciare i carri fuori dal fossato ed Ettore accetta il consiglio. I Troiani iniziano dunque l’assalto al fossato, divisi in cinque gruppi (Μ 88 – 104). Tale divisione è motivata dal seguito: 1) Ettore, Pulidamante e l’auriga Cebrione sono insieme sia nel resto di Μ (196 sgg. Ettore e Pulidamante) sia in Ν (725 sgg. Ettore e Pulidamante; 790 Ettore, Pulidamante e Cebrione) sia in Ξ (425 Ettore e Pulidamante) sia in Π (727 sgg., Ettore e Cebrione); la menzione dell’altro auriga di Ettore (91– 92), di cui non si dice il nome, ma solo che era meno abile di Cebrione, serve a preannunciare Ξ 429 – 431, ove si parla di un auriga che attende Ettore fuori dal campo di battaglia; come vedremo, chi ha scritto Μ 91– 92 aveva in mente Ξ 429 – 431 e considerava che l’auriga ivi menzionato non poteva essere Cebrione, che era presente sul campo di battaglia. 2) Paride, Alcatoo e Agenore sono insieme in Ν (428 sgg.), quando Enea, che combatte attorno al cadavere di Alcatoo, chiama in suo aiuto Paride e Agenore. 3) Eleno e Deifobo vengono entrambi feriti in Ν (Deifobo da Merione, 526 sgg., Eleno da Menelao, 593 sgg.) e abbandonano il campo di battaglia (a 770 i loro nomi vengono pronunciati da Ettore, che invano li cerca fra i combattenti). In questo terzo gruppo di eroi compare anche Asio, però un po’ staccato (τρίτος δ᾽ ἦν Ἄσιος ἥρως): che venga riunito a Eleno e Deifobo si spiega col fatto che è proprio in conseguenza della sua morte che in Ν (402 sgg.) Deifobo sfida Idomeneo, mentre il fatto che venga separato dagli altri due si spiega probabilmente sia perché egli, a differenza di Eleno e Deifobo, muore, sia perché egli ha un ruolo importante anche in Μ 110 sgg. 4) Enea, Archeloco e Acamante: questi ultimi due (entrambi figli di Agenore) sono insieme nella battaglia di Ξ 459 – 488; più difficile è spiegare la presenza di Enea al loro fianco; in Ξ Enea ha un ruolo del tutto marginale, egli viene citato solo fra coloro che soccorrono Ettore a 425. 5) Sarpedone, Glauco e Asteropeo non compaiono mai tutti e tre assieme: Sarpedone e Glauco compaiono insieme in Μ (309 sgg.), Ξ (426), Π (492 sgg.), mentre Glauco e Asteropeo compaiono insieme a Ρ 216 – 217. È quindi evidente che questa divisione dell’esercito in cinque schiere fa riferimento a tutto il terzo giorno di battaglia²⁵⁹, poiché tutti i guerrieri citati compaiono nel terzo giorno, molti solo nel terzo giorno. Sembra che sia rispet-

 Cfr. Niese (1882) 95; Wilamowitz (1916) 211 sgg.; van Thiel (1982) 39.

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5 Analisi di Λ–Ο

tato, anche se non rigidamente, l’ordine in cui essi fanno la loro comparsa: Ettore e Pulidamante per primi, cui seguono gli eroi del secondo e del terzo gruppo che saranno protagonisti dell’Idomeneusgedicht, mentre Archeloco e Acamante saranno protagonisti in Ξ (Acamante compare anche in Π 342, ove egli cade per mano di Merione); Sarpedone e Glauco sono protagonisti in Π–Ρ e l’ultimo posto è comprensibilmente riservato ad Asteropeo, il quale compare già in Ρ, ma diviene protagonista solo nel quarto giorno di battaglia durante la μάχη παραποτάμιος (Φ 140 sgg.). Tutti i Troiani e i loro alleati accettano il suggerimento di Pulidamante, di oltrepassare cioè il vallo e il muro greco a piedi; il solo Asio non vuole lasciare dietro di sé carro e cavalli e va avanti con loro (108 sgg.). Di questo personaggio, dopo una breve notizia nel catalogo (Β 837), sentiamo parlare di nuovo in Μ ed egli cadrà in Ν. Μ gli dedica quasi cento vv. (108 – 194), ma tutto lascia pensare che, come nel caso dei cinque gruppi di Troiani dei vv. precedenti, Asio sia stato introdotto per preparare l’azione successiva²⁶⁰. Questo punto è di importanza centrale: in Ν P ha inserito un epos preesistente (Idomeneusgedicht) e Μ (che è opera di P) prepara in più punti quanto avverrà nell’Idomeneusgedicht. Asio è il solo a entrare con carro e cavalli perché nell’Idomeneusgedicht è il solo guerriero il cui carro e i cui cavalli vengono espressamente ricordati come presenti al momento della battaglia (Ν 385 sgg.). Μ 111 ricorda anche l’auriga di Asio, evidentemente perché Ν 394 sgg. dice che tale auriga cadde per mano di Antiloco. Μ 139 – 141 ricorda cinque eroi, che seguono Asio: Iameno, Oreste, Adamante, Toone e Oinomao. I primi due cadono poco dopo (193 – 194) per mano di Leonteo, mentre gli altri tre cadranno nel corso dell’Idomeneusgedicht. I primi due personaggi sono probabilmente invenzione di chi ha composto il passo che stiamo analizzando, mentre i nomi degli altri personaggi egli li ha presi dall’Idomeneusgedicht. Questo è confermato anche dal fatto che l’auriga di Asio resti anonimo: questo personaggio, infatti, resta anonimo anche in Ν; è dunque l’anonimato del personaggio in Ν che ha spinto P a lasciarlo anonimo in Μ (il che contrasta con la prontezza con cui P ha inventato i nomi di Iameno e Oreste). Il poeta commenta la scelta di Asio di superare il fossato con carro e cavalli, affermando che egli fu νήπιος (113), poiché non era destinato a tornare indietro vivo, ma sarebbe caduto per mano di Idomeneo. Colpisce che in Ν la sua morte non verrà in alcun modo collegata alla presenza dei cavalli e del carro; da Μ 113 – 117 ci aspetteremmo che la loro presenza favorisca in qualche modo la morte di Asio, poiché il poeta ha detto che la decisione di farsi seguire dal carro fu sciocca e che Asio morì. Evidentemente P ha collegato il discorso di Puli-

 Così Niese (1882) 95, Wilamowitz (1916) 212. Cfr. anche Reichel (1994) 280 – 281.

La τειχομαχία (Μ)

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damante e l’episodio di Asio in modo un po’ meccanico: poiché il primo aveva detto che sarebbe stato pericoloso portarsi dietro carri e cavalli e poiché Asio li aveva con sé al momento della morte (particolare che deriva dall’Idomeneusgedicht), è venuto spontaneo collegare le due cose, sebbene nell’Idomeneusgedicht non ci sia alcun collegamento fra la presenza di carro e cavalli e la morte dell’eroe. Asio viene fermato davanti al muro dai due Lapiti figli di Piritoo, Polipete e Lonteo. Non è del tutto perspicuo come egli arrivi sotto il muro, poiché prima di arrivare sotto il muro i Troiani devono superare il fossato ed è proprio per superare meglio il fossato che tutti gli altri Troiani lasciano dietro di sé carri e cavalli. Dal momento che Asio è l’unico ad agire diversamente e che è anche il primo eroe di cui si descriva l’arrivo sotto il muro greco, ci aspetteremmo che venisse detto chiaramente come ha fatto a superare il fossato. Si dice che egli andò verso sinistra, nel punto in cui i Greci con carri e cavalli rientravano dal campo di battaglia (118 – 123), e che trovò le porte del muro aperte. Tuttavia, sul superamento del fossato non ci viene detto nulla e questo ha creato problemi a qualche studioso²⁶¹. Credo che il poeta abbia lasciato al lettore / ascoltatore di immaginare la presenza di qualcosa che agevolasse il passaggio del fossato; egli ci ha dato un’indicazione in tal senso dicendo che Asio andò nel punto in cui i Greci facevano passare i loro carri e i loro cavalli. Non mi pare che il poeta avesse altro motivo per dare un’informazione del genere, se non quello di suggerire che in quel punto era agevole superare il fossato; dunque, la sua narrazione, sebbene un po’ troppo sintetica, non è incoerente e non richiede sforzi eccessivi al lettore. La resistenza offerta dai Greci è tale da gettare Asio nella disperazione; egli accusa addirittura Zeus di essere φιλοψευδής, poiché il vigore con cui i Greci resistono è contro ogni aspettativa (164 – 172): Asio si riferisce qui senza dubbio a Λ 286 – 290²⁶², ove Ettore aveva parlato ad alta voce del favore di Zeus verso di lui (e quindi verso i Troiani); tuttavia, queste parole di Ettore non giustificano un’espressione forte come φιλοψευδής ed è probabile che il poeta abbia in mente la promessa di Zeus a Ettore (Λ 200 – 209), anche se Asio, a logica, non poteva sapere nulla di tale promessa, che era stata riferita da Iride al solo Ettore. Questo non è per noi molto importante: è invece importante stabilire che qui c’è un sicuro riferimento a Λ1. Molti dei compagni di Asio cadono ed egli non riesce

 Bethe (1914) 133 ritiene la narrazione oscura.  Così Ameis-Hentze ad Μ 164.

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5 Analisi di Λ–Ο

nell’impresa di superare per primo il muro (182– 194)²⁶³. Mentre i Greci spogliano i caduti, Ettore e Pulidamnte indugiano ancora davanti al fossato; l’azione va evidentemente immaginata come contemporanea all’assalto di Asio. La ragione dell’indugio è un presagio poco incoraggiante: un’aquila porta fra gli artigli un serpente, che però riesce a liberarsi²⁶⁴. Pulidamante interpreta il presagio come sfavorevole ai Troiani e suggerisce la ritirata, poiché teme che avvicinarsi alle navi sarà micidiale per i Troiani. L’inizio del discorso di Pulidamante è sorprendente, poiché egli rimprovera Ettore di non dargli mai ascolto durante le assemblee e di pensare solo al proprio potere (211– 214); come conciliare questo col fatto che il precedente consiglio di Pulidamante è stato accettato senza esitazioni da Ettore (61– 83)²⁶⁵? L’unica soluzione è pensare che il poeta presupponga come noti al suo pubblico i contrasti fra i due eroi e che Pulidamante, sapendo di dire una cosa sgradita a Ettore, si aspetti una risposta dura²⁶⁶. Tale risposta in effetti arriva: Ettore non solo rifiuta di portare indietro l’esercito, ma minaccia di morte Pulidamante, nel caso in cui questi o non combatta egli stesso o esorti altri a non combattere. Segue un prodigio inviato da Zeus, stavolta indubbiamente favorevole a Ettore. I Troiani col favore di Zeus si gettano contro il vallo e cominciano a distruggerlo; tuttavia i Greci, fra cui si distinguono i due Aiaci, resistono e gli assalitori non riescono ad aprirsi un varco nel muro (251– 289). 269 – 276 contengono un discorso dei due Aiaci ai Greci, in cui si dice che tutti i guerrieri, sia quelli più forti sia quelli più deboli, devono resistere senza indietreggiare; tale discorso è forse composto in contrapposizione a quello di Posidone / Toante (Ο 286 – 299), ove si ordina che solo i guerrieri più forti occupino le prime file. Nonostante gli sforzi, i Troiani, dice il poeta, non avrebbero mai superato il vallo greco, se Zeus non avesse spinto contro i Greci suo figlio Sarpedone (290 sgg.). Questi, assieme a Glauco, dà l’assalto alla torre difesa da Menesteo, che, terrorizzato, si guarda attorno, per individuare qualche Greco cui chiedere aiuto e vede i due Aiaci e Teucro, che sta giungendo in

 175 – 181 sono un’interpolazione rapsodica, poiché essi presuppongono che il grosso dell’esercito troiano abbia già superato il vallo e sia sotto le porte del muro (175), ma questo è inconciliabile con il seguito (cfr. 199). Lachmann (18743) 46 suppone che questi vv. ne abbiano sotituiti altri, in cui si diceva che Asio retrocedeva; tuttavia, di tale notizia non si sente alcun bisogno e 174 può precedere 182.  Düntzer (1872) 71 si chiede cosa abbiano fatto Ettore e i suoi mentre Asio passava il fossato e assaltava il muro; 199 fa chiaramente intendere che essi si erano fermati a causa del presagio.  Cfr. van Thiel (1982) 21.  Robert (1901) 388: «Polydamas tritt Μ 60 ff. als bekannte Sagenfigur auf». Su Pulidamante ed Ettore cfr. Reichel (1994) 175 – 182.

La τειχομαχία (Μ)

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battaglia dalla tenda, ἐγγύθεν (337)²⁶⁷. Menesteo non può raggiungere con la voce nessuno dei tre eroi e invia Toote, affinché gliene mandi almeno due. Aiace Telamonio e Teucro vanno in soccorso di Menesteo e Teucro riesce a ferire e mettere fuori combattimento Glauco. Sarpedone riesce a divellere una parte del muro e apre un varco ai Troiani. La battaglia infuria intorno al varco creato da Sarpedone, ma ai Troiani non riesce di penetrare dentro il muro per la tenace resistenza greca. I due eserciti si fronteggiano senza che né ai Troiani riesca lo sfondamento né ai Greci il respingimento, finché Zeus si decide a concedere il κῦδος a Ettore, che per primo oltrepassa il muro (436 – 437: πρίν γ᾽ ὅτε δὴ Ζεὺς κῦδος ὑπέρτερον Ἕκτορι δῶκεν / Πριαμίδηι, ὃς πρῶτος ἐσήλατο τεῖχος ᾿Aχαιῶν): aiutato da Zeus, Ettore solleva un enorme masso e lo scaglia contro una delle porte del vallo. La porta si apre e i Troiani, al seguito di Ettore, dilagano oltre il vallo, mentre i Greci retrocedono terrorizzati. Si è detto più volte che l’episodio di Sarpedone (290 – 435) è un’inserzione successiva, poiché esso attribuisce a Sarpedone quello che l’ultima parte della rapsodia (436 – 471) attribusce a Ettore²⁶⁸. A me pare, invece, che Sarpedone aiuti Ettore nella sua impresa e che fra i due episodi vi sia una Steigerung, chiaramente ricercata dal poeta. Ettore assalta la porta difesa da Aiace, ma Aiace in quel momento è assente ed è assente proprio perché Menesteo lo ha chiamato altrove per far fronte all’assalto di Sarpedone²⁶⁹. Quando dunque leggiamo che Ettore e i Troiani non avrebbero superato il muro, se Zeus non avesse messo in movimento Sarpedone (290 – 293), ciò è perché l’attacco di Sarpedone costringe Aiace e Teucro a lasciare i loro posti di combattimento, il che consente a Ettore di superare la resistenza greca. Zeus usa quindi Sarpedone come uno strumento per facilitare il successo di Ettore, perché solo a quest’ultimo vuole che vada il κῦδος di essere penetrato per primo nell’accampamento greco (437– 438)²⁷⁰.

 Si è supposto che qui ci sia un legame con Θ 324– 334, ove Teucro viene ferito ed è costretto ad abbandonare il campo di battaglia (Ameis-Hentze ad Μ 336): per quale altro motivo, infatti, si sarebbe dovuto dire che Teucro stava venendo dalla tenda? Se questo fosse vero, il nostro passo presupporrebbe Θ, ma non possiamo esserne certi.  Cfr. Nitzsch (1852) 283; Bethe (1914) 134; Wilamowitz (1916) 214; van Thiel (1982) 21– 22; contra Friedländer (1853) 80.  Cfr. Von der Mühll (1952) 208 – 209.  Ν 46 sgg. presenta i due Aiaci uno accanto all’altro; questo è parso in contraddizione con Μ 364 sgg., ove Aiace Telamonio si separa dall’Oileo, dal momento che prima di Ν 46 non viene detto che i due si erano di nuovo uniti. Da questa presunta contraddizione si è dedotto o che l’episodio di Sarpedone (ove, appunto, avviene la separazione) è interpolato, o che chi ha scritto Ν 49 non presupponeva Μ tout court, ovvero che Αἴαντε in Ν 46 indichi non Aiace Telamonio e Aiace Oileo, sibbene Aiace Telamonio e Teucro (così Wackernagel 1877; cfr. Nappi 2002). Nessuna di queste deduzioni è minimamente lecita, poiché fra Μ 364 sgg. e Ν 46 sgg. non esiste

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5 Analisi di Λ–Ο

La τειχομαχία di Μ, nella forma in cui la leggiamo noi, costituisce un’unità: all’inizio Ettore e Pulidamante decidono di andare avanti senza carri e cavalli (siamo quindi ancora oltre il fossato), poi c’è l’episodio di Asio, con il primo attacco al muro greco, cui segue il presagio sfavorevole ai Troiani e l’assalto, da parte del grosso dell’esercito troiano, al muro. Segue l’episodio di Sarpedone che è un’evidente Steigerung rispetto a quanto precede (a lui per primo, infatti, riesce di aprirsi un varco) e prepara il seguito, poiché impegna altrove l’avversario più temibile di Ettore, Aiace Telamonio. Alla fine Ettore compie il volere di Zeus e passa il muro. Tutto questo risponde al disegno di Zeus, che è l’unica divinità presente durante la battaglia (il che presuppone evidentemente il decreto di Θ); egli non solo fa agire Sarpedone per agevolare l’impresa di Ettore, ma rifiuta di dare ascolto ad Asio, proprio in vista del suo disegno di glorificare Ettore (174– 175). Tutto lascia pensare che l’episodio di Asio e quello di Sarpedone siano opera dello stesso poeta: entrambi, infatti, attribuiscono un ruolo primario a personaggi che nel resto dell’Il. sono o sconosciuti (Polipete e Leonteo) o decisamente secondari (Menesteo). Dunque Μ è opera unitaria di un unico poeta e io credo che tale poeta sia P. Egli ha di sicuro presenti Θ e Λ, ma più che altro ha presente il seguito immediato, Ν–Ξ: la divisione in cinque gruppi dei Troiani rispecchia i raggruppamenti che appariranno nel seguito, così come l’ingresso di Asio col carro all’interno della fortificazione corrisponde al fatto che egli sarà l’unico ad avere presso di sé il carro (Ν 385)²⁷¹. Noi mostreremo che P ha preso Ν 361– 672 da un epos precedente, l’Idomeneusgedicht: nella sezione di tale epos che P ha accolto nel suo, Asio era evidentemente l’unico eroe di cui venisse citato il carro. Noi non sappiamo perché questo avvenisse nell’Idomeneusgedicht (nelle battaglie i carri compaiono a piacimento dei poeti), ma certo è questo il motivo che ha spinto P a creare la lunga scena di Μ 108 – 174; che tale scena serva ad annunciare Ν lo mostra anche l’annuncio della morte di Asio per mano di Idomeneo (Μ 117) e i nomi di Enomao, Toone, Adamante (Μ 139 – 140), che cadranno tutti nell’Idomeneusgedicht (Ν 506, 545, 560). La τειχομαχία di Μ è dunque opera di P: in Μ questo poeta da un lato compone una battaglia attorno alla fortificazione greca,

contraddizione; allorché si allontana dall’Oileo, il Telamonio gli dice 368 – 369: αὐτὰρ ἐγὼ κεῖσ᾽ εἶμι καὶ ἀντιόω πολέμοιο. / αἶψα δ᾽ ἐλεύσομαι αὖτις, ἐπὴν εὖ τοῖς ἐπαμύνω. Il poeta ha fatto esprimere al Telamonio il proposito di tornare subito dopo dall’Oileo proprio per preparare Ν 46 sgg.: fra Μ e Ν vi è totale continuità.  È possibile che anche la scena di Teucro (Μ 336 – 403) sia stata influenzata da Ο 436 – 483 (cfr. Cauer 1913 e 1917 a, 221), uno pezzo che P ha preso da un epos preesistente (cfr. p. 131 sgg.).

Cronologia degli eventi di Ν–Ο e analisi di Ν

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dall’altro preannuncia e prepara eventi del seguito²⁷². Si è spesso detto che la τειχομαχία, in qualche forma, preesisteva a P e che quindi Μ si basa (almeno in parte) su epe precedenti²⁷³, ma nulla lo dimostra. Io credo che nella nostra Il. la fortificazione del campo acheo sia stata introdotta da P.

Cronologia degli eventi di Ν–Ο e analisi di Ν Vediamo ora Ν–Ο. Prima di analizzare queste rapsodie, è necessario vedere da vicino la cronologia relativa degli avvenimenti narrati, poiché i risultati dell’analisi dipendono anche da essa²⁷⁴. Io credo che la cronologia degli avvenimenti sia coerente e che sia opera di P: le apparenti sovrapposizioni e incoerenze sono dovute alla tecnica narrativa di P, non alla giustapposizione di epe di origine diversa²⁷⁵. Il combattimento di Ettore e Aiace Telamonio davanti alle navi sembra ripartire quattro volte da principio (Ν 809 sgg.; Ξ 402 sgg.; Ο 414 sgg.; Ο 674 sgg.). Che in Ο lo scontro dei due eroi venga presentato come successivo rispetto a quello di Ν–Ξ è naturale, poiché nel frattempo Ettore era stato respinto e c’era stato un nuovo attacco da parte dei Troiani. Non è invece chiara la cronologia dello scontro fra Ettore e Aiace di Ξ 402 sgg. rispetto a quello di Ν 809 sgg. e di quello di Ο 674 sgg. rispetto a quello di Ο 414 sgg. Cominciamo proprio da questi

 Ottimamente Niese (1882) 95: «Näher kann man die Stellung des 12. Buches dahin bestimmen, dass es nach dem 13. Buches mit dessen Benutzung für diese Stelle gedichtet ist, wie eine Reihe von Hinweisungen auf dasselben darthun».  Così Robert (1901) 149 sgg., Bethe (1914) 134, Wilamowitz (1916) 209 sgg., van Thiel (1982) 25, 34 sgg., mentre Bergk (1872) 602 attribuisce la τειχομαχία tout court allo strato recente del poema. Bethe osserva che il ferimento di Glauco (Μ 387– 391) non può essere opera di P, poiché esso «crea problemi» («macht Schwierigkeiten») in Π 510 (un pezzo che faceva parte dell’epos di P). Io credo (cfr. p. 150) che Π 510 sia opera dello stesso poeta di Μ (P) e non vedo come si possa dire che tale ferimento «crea problemi» a chi ha composto Π 510 sgg.: lì Glauco è ferito e chiede aiuto ad Apollo che lo soccorre. Dunque il ferimento dà occasione al poeta di mostrare il valore di Glauco (che, nonostante il ferimento, continua a combattere) e il favore di Apollo (bene Bergk 1872, 618).  Whitman-Scodel (1981) 3: «The first task for anyone who tries to clarify this series of events must be to elucidate the actual temporal sequence».  Su questa linea già Bethe (1914) 279 – 297, cui si deve la miglior analisi di questa parte dell’Il. Anche Whitman-Scodel (1981) sono sulla stessa posizione. In precedenza (soprattutto per influenza di Lachmann) si era cercato di disporre meglio la cronologia disponendo in modo diverso dall’attuale presunti epe confluiti in queste rapsodie. Contro tali tentativi cfr. già Friedländer (1853) 39 sgg.

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5 Analisi di Λ–Ο

due scontri di Ο; fra l’altro, l’analisi di Ο è di importanza generale per capire la genesi dell’Il. Dopo essersi ripreso dallo svenimento seguito al lancio del sasso da parte di Aiace ed essere stato incoraggiato da Apollo, Ettore inizia un nuovo assalto (Ο 262 sgg.). Superato il vallo, Ettore e i suoi giungono in prossimità delle navi (407; 409; 414– 418; 420; 435; 459; 488; 493; 503; 566: tutti questi vv. mostrano inequivocabilmente che i Troiani stanno già combattendo attorno alle navi dei Greci) ed Ettore e Aiace combattono attorno alla stessa nave²⁷⁶. La battaglia sembra equilibrata: né i Greci riescono a respingere i Troiani né questi ultimi riescono a dare fuoco alle navi o a impadronirsene. Da Ο 592 in poi sembra, tuttavia, che lo scenario muti radicalmente: i Troiani e i Greci non sono più in prossimità delle navi, ma stanno procedendo velocemente verso di esse (593²⁷⁷; 603; 653 – 654: εἰσωποὶ δ᾽ ἐγένοντο νεῶν, περὶ δ᾽ ἔσχεθον ἄκραι / νῆες) ed Ettore e Aiace sembrano affrontarsi ora per la prima volta (cfr. 674 sgg. con 688 sqq. ove le azioni dei due guerrieri sono poste in parallelo e i vv. 718 – 725 con 733 – 741, ove anche i discorsi sono paralleli); anche la nave attorno a cui i due eroi combattono non è più una nave generica come a 416, ma quella di Protesilao (704 sgg.). È evidente che 592 sgg. non può essere il proseguimento della sezione precedente: dunque 592 sgg. rappresenta una versione alternativa, non complementare, a quella della parte precedente²⁷⁸. Più complicato è stabilire la cronologia relativa degli eventi di Ν–Ο 591. Alla fine di Ν Ettore è davanti alle navi, che vengono difese da Aiace. A tale scena segue l’incontro fra Nestore e i tre comandanti greci feriti (Agamennone, Odisseo e Diomede) e l’intervento di Posidone per incoraggiare Agamennone (Ξ 1– 152). A questo punto avviene la Διὸς ἀπάτη (153 – 353), cui segue un nuovo intervento di Posidone in favore dei Greci (356 sgg.). A Ξ 402 leggiamo: Αἴαντος δὲ πρῶτος ἀκόντισε φαίδιμος Ἕκτωρ: segue un combattimento fra i due eroi, che si conclude quando Aiace colpisce con una pietra Ettore in modo tale da metterlo per un po’ fuori combattimento. Che rapporto c’è fra questa scena e quella della fine  Ο 414– 418: ἄλλοι δ᾽ ἀμφ᾽ ἄλληισι μάχην ἐμάχοντο νέεσσιν, / Ἕκτωρ δ᾽ ἄντ᾽ Αἴαντος ἐείσατο κυδαλίμοιο. / τὼ δὲ μιῆς περὶ νηὸς ἔχον πόνον, οὐδ᾽ ἐδύναντο / οὔθ᾽ ὃ τὸν ἐξελάσαι καὶ ἐνιπρῆσαι πυρὶ νῆα, / οὔθ᾽ ὃ τὸν ἂψ ὤσασθαι, ἐπεί ῥ᾽ ἐπέλασσέ γε δαίμων; ai vv. 483 – 514 ci sono addirittura due discorsi paralleli dei due eroi per incoraggiare i rispettivi eserciti.  592– 593: Τρῶες δὲ λείουσιν ἐοικότες ὠμοφάγοισιν / νηυσὶν ἐπεσσεύοντο; cfr. 346 – 347: Ἕκτωρ δὲ Τρώεσσι ἐκέκλετο μακρὸν ἀΰσας / νηυσὶν ἐπισσεύεσθαι: questi ultimi vv. si riferiscono al momento in cui i Troiani hanno appena superato il vallo, ma anche i primi sembrano riferirsi a tale situazione, sebbene nel frattempo l’azione fosse proceduta un bel po’, cfr. Ameis-Hentze ad Ο 593.  Cfr. Lachmann (18743) 56, 65; Naber (1876) 182; Ameis-Hentze ad Ο 593; Leaf (1908) XVI; Valeton (1915) 299; Wilamowitz (1916) 242; Von der Mühll (1952) 234.

Cronologia degli eventi di Ν–Ο e analisi di Ν

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di Ν? Il problema è stato molto dibattuto e si è supposto che Ξ 402 sgg. si colleghi alla fine di Μ, al momento cioè in cui Ettore supera il vallo dei Greci e si avvicina minaccioso alle navi²⁷⁹. L’ipotesi è attraente, soprattutto perché i vv. che precedono 402 sembrano presupporre un nuovo inizio della battaglia (371 sgg.), mentre 402 sgg. presentano i Greci in fuga sotto la spinta di Ettore. Tuttavia, io credo che la disposizione attuale di Ν–Ο 591 sia opera del solo P e che non ci sia modo di ricostruire epe precedenti combinando diversamente alcune sezioni. Vediamo dunque queste rapsodie nel dettaglio. Con l’inizio di Ν entra in azione Posidone: il motivo per cui Posidone entra in azione proprio in questo momento è evidente: i Troiani hanno ora per la prima volta superato la fortificazione greca e questo porta la battaglia a un livello di tensione per i Greci non raggiunto prima, dunque l’intervento di una divinità a favore dei Greci è logico. Posidone cerca di intervenire di nascosto, senza farsi vedere da Zeus: è evidente che è presupposto il divieto di intervenire in battaglia di Θ²⁸⁰, dunque siamo all’interno di P. Posidone incoraggia per primi gli Aiaci, poi un gruppo di Greci di cui fanno parte Teucro, Leito, Peneleo, Toante, Deipiro, Merione e Antiloco. Dal seguito risulta chiaro perché vengono nominati proprio questi eroi: gli Aiaci combatteranno al centro, mentre Deipiro, Merione e Antiloco combatteranno sul lato sinistro; Teucro viene citato perché proprio con lui iniziano i combattimenti di Ν (170 sgg.), mentre Leito e Peneleo probabilmente servono a collegare il nostro passo con la fine di Ρ, ove i due eroi vengono citati all’inizio dell’ultima fuga dei Greci prima dell’intervento risolutivo di Achille (597 sgg.)²⁸¹. Sia la divisione fra lato sinistro e centro sia l’allusione alla fine di Ρ (che fa parte della Patroklie) confermano che abbiamo di fronte P²⁸². L’azione di Posidone occupa i vv. 1– 135 di Ν: segue una menzione dell’avanzata dei Troiani

 Si è pensato di legare Ξ 402 sgg. sia alla fine di Μ che a Λ 557 sgg. (Lachmann 18743, 40 – 41); per altri tentativi del genere, cfr. Hentze (18792) 74– 75; contra Bethe (1914) 296 – 297, che osserva fra l’altro che Ν 809 presenta Aiace pronto a combattere e per nulla intenzionato a fuggire, il che mal si concilia con Ξ 402 sgg., ove l’eroe è in fuga. Secondo Bethe, fra le varie ipotesi la più felice sarebbe legare Ξ 402 sgg. a Λ 557 sgg., ma è chiaro che ipotesi del genere cadono, ove si accetti la lettura unitaria di Ν–Ο 591 che noi seguiremo (questa interpretazione è già in gran parte in Bethe, 1914, 279 – 297).  Ν 9 = Θ 11; l’ allusione a Θ è evidente, cfr. Ameis-Hentze ad Ν 8; Von der Mühll (1952) 212.  Ν 91– 93: Τεῦκρον ἔπι πρῶτον καὶ Λήϊτον ἦλθε κελεύων / Πηνέλεών θ᾽ ἥρωα Θόαντά τε Δηΐπυρόν τε / Μηριόνην τε καὶ ᾿Aντίλοχον, μήστωρας ἀϋτῆς. Cfr. Ν 477– 479: αὖε δ᾽ ἑταίρους / ᾿Aσκάλαφόν τ᾽ ἐσορῶν ᾿Aφαρῆά τε Δηΐπυρόν τε / Μηριόνην τε καὶ ᾿Aντίλοχον, μήστωρας ἀϋτῆς. I vv. 91– 93 sono un’imitazione di 477– 479, come dimostra ἐσορῶν di 478, che trova corrispondenza a 490. I vv. 477– 479 sono opera del poeta dell’Idomeneusgedicht, 91– 93 di P, che ha inserito l’Idomeneusgedicht nel suo poema, talvolta imitandolo, cfr. Wilamowitz (1916) 219.  P ha infatti inserito la Patroklie nel proprio epos.

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5 Analisi di Λ–Ο

guidati da Ettore, che vengono però fermati dai Greci (136 – 154). È probabile che questi vv. servano a riportare la battaglia al centro della narrazione, dopo che l’intervento di Posidone aveva spostato l’attenzione: a 145 vengono menzionate le φάλαγγες dei Greci ed è evidente il rimando al v. 126, dunque il testo è coerente. 153 – 154 presuppongono Λ 200 – 209 (ulteriore prova che siamo di fronte a P). Fra i Troiani che seguono Ettore nell’avanzata c’è Deifobo, contro cui scaglia la sua lancia Merione, ma invano; rimasto privo della lancia, Merione torna alla sua tenda per prenderne un’altra (155 – 168). È del tutto insolito che venga narrato che un eroe, che scaglia invano la lancia, torna alla tenda per prenderne un’altra: l’intento del poeta diviene chiaro a 246 sgg., ove Merione incontra Idomeneo in prossimità della tenda: evidentemente il poeta vuole fare incontrare i due eroi²⁸³. Nel pezzo successivo (169 – 205) Teucro uccide Imbrio, mentre Ettore uccide un nipote di Posidone, Amfimaco, il cui cadavere viene recuperato da Aiace. Addolorato, Posidone va verso le tende e le navi degli Achei (206 sgg.), ove incontra Idomeneo, che si è appena congedato da un compagno ferito e si appresta a rientrare in battaglia; Posidone lo esorta al combattimento e, mentre va in battaglia, Idomeneo incontra Merione e i due decidono di andare a combattere sul lato sinistro (206 – 329). La presenza di Posidone e la divisione fra lato sinistro e centro della battaglia garantiscono che siamo ancora all’interno di P. La battaglia che segue (da 361 in poi), tuttavia, è probabile che P la abbia presa da un epos precedente, l’Idomeneusgedicht ²⁸⁴. Infatti, nella battaglia di 361 sgg. Posidone ha un ruolo marginale (433 – 434, 554– 55²⁸⁵, 563), inferiore a quello che ci aspetteremmo dopo che era stato egli stesso a spingere i due Cretesi al combattimento. Idomeneo e Merione vanno insieme in battaglia (304 sgg.): eppure Merione inizia a giocare un ruolo nella battaglia solo a partire da 479, dal momento cioè in cui Idomeneo lo chiama in soccorso insieme ad altri eroi. A

 Cfr. Bethe (1914) 282; Janko ad Ν 156 – 68. Lachmann (18743) 50 espunge 156 – 169 e crede che 170 (Τεῦκρος δὲ πρῶτος Τελαμώνιος ἄνδρα κατέκτα) sia inconciliabile con la presenza di un combattimento nelle linee precedenti; tuttavia, nessuno aveva ancora ucciso nessuno prima che Teucro uccidesse Imbrio e l’uso di πρῶτος in contesti simili è piuttosto elastico, cfr. Π 284, 307.  Cfr. Bethe (1914) 284 sgg.; Wilamowitz (1916) 224 sgg.; Von der Mühll (1952) 215, che però fa iniziare l’Idomeneusgedicht con 210. Anche a me pare probabile che già prima di 361 qualcosa derivi dall’Idomeneusgedicht: quando Posidone incontra Idomeneo, questi è già smanioso di andare a combattere (214). Probabilmente questo particolare (che rende superfluo l’intervento di Posidone, evidentemente dovuto a P) era già nell’Idomeneusgedicht. Leaf (1908) XVIII attribuisce all’Idomeneusgedicht 136 – 672. Sull’Idomeneusgedicht e l’inizio di Ν cfr. p. 120 – 121.  Probabilmente qui Posidone salva Antiloco semplicemente perché è un suo discendente (555: Νέστορος υἱὸν ἔρυτο), senza che questo presupponga l’intervento sistematico in favore dei Greci tipico di P, cfr. Bethe (1914) 284; Wilamowitz (1916) 226.

Cronologia degli eventi di Ν–Ο e analisi di Ν

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questo epos appartengono certamente i duelli di Idomeneo con Otrioneo, Asio, Alcatoo, Deifobo, Enea; di certo esso va avanti fino a 580, poiché Deipiro è personaggio che appartiene a tale epos (cfr. 478, 576). D’altra parte, proprio per la morte di Deipiro interviene Menelao e resta protagonista fino a 672. Con 673 c’è di sicuro un cambio di fonte e probabilmente l’utilizzo dell’Idomeneusgedicht cessa con 672²⁸⁶. A 673 il poeta passa alla zona centrale della battaglia, dove Ettore ancora non sa nulla della grave sconfitta che i suoi hanno sofferto sul lato sinistro a opera di Idomeneo. L’esplicita menzione della divisione in due del campo di battaglia e della parte giocata da Posidone nei combattimenti del lato sinistro (che in realtà non è intervenuto in maniera così decisiva) mostrano chiaramente che abbiamo davanti P. Dopo una lunga interpolazione rapsodica (679 – 724)²⁸⁷, Pulidamante rimprovera Ettore per la sua indisponibilità ad ascoltare i consigli degli altri e gli suggerisce, dato che i Troiani combattono sparsi κεδασθέντες κατὰ νῆας, di richiamarli vicino a sé, retrocedendo un po’: a quel punto essi potranno decidere se continuare l’assalto alle navi o tornare indietro. Puli-

 Così già Wilamowitz (1916) 222– 226; cfr. anche Bethe (1914) 284– 285, ma è difficile avere certezze su dove cessa l’uso dell’Idomeneusgedicht. Ν 643 – 659 contraddice Ε 576 sgg., poiché Ε narra la morte del paflagone Pilemene, che nel passo di Ν è invece vivo. La contraddizione era già nota agli antichi e ancora Nutzhorn (1869) 100 sgg. la poneva al primo posto nell’elenco delle contraddizioni del poema. Pilemene doveva essere un eroe ben noto ai poeti dell’Il. (cfr. Β 851) e non c’è nulla di strano che il poeta della Diomedie e dell’Idomeneusgedicht, indipendentemente l’uno dall’altro, lo abbiano inserito nel proprio epos. P, evidentemente, non si è accorto della contraddizione.  Si tratta di un catalogo di Greci, cfr. Koch (1852) 599; Wilamowitz (1916) 227– 228. 674– 676 dicono che Ettore non sapeva della rotta dei suoi sul lato sinistro; poi leggiamo (676 – 680) τάχα δ᾽ ἂν καὶ κῦδος ᾿Aχαιῶν / ἔπλετο· τοῖος γὰρ γαιήοχος Ἐννοσίγαιος / ὤτρυν᾽ ᾿Aργείους, πρὸς δὲ σθένει αὐτὸς ἄμυνεν – / ἀλλ᾽ ἔχεν, ἧι τὰ πρῶτα πύλας καὶ τεῖχος ἔσαλτο / ῥηξάμενος Δαναῶν πυκινὰς στίχας ἀσπιστάων. Segue un elenco di stirpi greche che combattevano nel punto in cui combatteva Ettore (681– 722), poi (723 – 725): ἔνθά κε λευγαλέως νηῶν ἄπο καὶ κλισιάων / Τρῶες ἐχώρησαν προτὶ Ἴλιον ἠνεμόεσσαν, / εἰ μὴ Πουλυδάμας θρασὺν Ἕκτορα εἶπε παραστάς. Con questo testo, il periodo ipotetico dell’irrealtà di 676 – 678 non si lega col contesto: affermare che i Greci avrebbero avuto κῦδος non ha senso, se non si dice ciò che ha impedito che questo avvenisse; espungendo 679 – 724 tutto va a posto, poiché il discorso di Pulidamante diviene in questo modo ciò che impedisce ai Greci di ottenere il κῦδος. Inoltre, il contenuto di 679 – 722 presenta problemi insolubili: da 684 sembra di capire che i Troiani hanno con sé i cavalli e questo è in contrasto con tutto il contesto. 701 sgg. sembrano presupporre che i due Aiaci fino a quel momento avessero combattuto separati, ma questo non si concilia con Ν 46 sgg. Inoltre, in questi vv. vengono celebrate le gesta di Locresi, Beoti, Ioni, Epei, Ateniesi; sembra si abbia a che fare con un poeta interessato a celebrare stirpi greche altrove poco o per nulla presenti nell’Il. (cfr. già Wilamowitz 1916, 227– 228, che pensa giustamente l’interpolazione sia stata fatta nella Grecia continentale). Per i rapporti fra questo passo e il catalogo delle navi, cfr. p. 67– 68.

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damante afferma di temere che Achille rientri presto in battaglia e cancelli l’onta della sconfitta del giorno precedente. Egli allude dunque a Θ²⁸⁸, il che indica che siamo davanti a P: chiunque creda che il discorso di Pulidamante sia tratto da un epos precedente alla nostra Il., deve credere aggiunti 741– 747²⁸⁹. Tuttavia, io non vedo ragioni cogenti per ipotizzare questo: Pulidamante è preoccupato per la situazione dei Greci; purtroppo dal nostro testo non è chiaro quale parte del campo di battaglia preoccupi l’indovino, ma dalla reazione di Ettore sembra che sia il lato sinistro (quello cioè cui si riferisce l’Idomeneusgedicht), dal momento che Ettore lì si dirige (758 sgg.). In ogni modo, è certo che Ν, a partire da 206 fino a 789, non dice nulla su ciò che sta accadendo al centro della battaglia, né Pulidamante vi allude in alcun modo. Dunque, sia ciò che precede il discorso di Pulidamante (l’Idomeneusgedicht) sia ciò che lo segue (la ricognizione di Ettore di 758 – 788) si riferiscono esclusivamente al lato sinistro. Durante la ricognizione Ettore viene informato da Paride di ciò che è accaduto in precedenza sul lato sinistro, cioè di ciò che noi leggiamo nell’Idomeneusgedicht. Dunque, da 206 fino a 789 tutto ruota attorno all’azione di Posidone e all’Idomeneusgedicht, mentre nulla si dice su ciò che accade al centro della battaglia. Sembra quindi che il discorso di Pulidamante presupponga Ν nella forma in cui lo leggiamo noi e io lo attribuirei di conseguenza a P²⁹⁰. Ettore raduna i superstiti del lato sinistro attorno a Pulidamante e ad alcuni altri guerrieri, i cui nomi leggiamo a 790 – 792; è evidente che Ettore riporta i superstiti del lato sinistro verso il centro (lì lo sta, infatti, aspettando Pulidamante) e questo si accorda benissimo col seguito, in cui Ettore si trova di  Cfr. Schadewaldt (1938) 105 – 106.  O almeno 744b–747, cfr. Wilamowitz (1916) 228 – 229.  Così già Bethe (1914) 286. L’unica difficoltà che incontra tale soluzione è che dei due consigli di Pulidamante Ettore sembra seguire solo il primo (radunare cioè i Troiani attorno a sé), mentre non ci sono tracce del secondo (decidere cioè, una volta radunati, il da farsi). Una decisione implicita la offrono 795 sgg., ove i Troiani, sotto la guida di Ettore, dànno l’assalto alle navi: forse il poeta voleva così dire che Ettore prende da solo la decisione, senza consultare gli altri, confermando così il carattere ostinato che gli aveva poco prima rimproverato Pulidamante? Il rimprovero di Pulidamante a Ettore non trova alcuna motivazione nel contesto adiacente; mi sembra che esso si possa spiegare solo pensando a Μ 211 sgg., ove Pulidamante aveva sconsigliato Ettore dal superare il vallo greco; è come se ora Pulidamante volesse mostrare al capo troiano che l’essere penetrati all’interno del vallo non ha portato nulla di buono. Se è così, avremmo un ulteriore legame con Μ (cioè con P). Un ulteriore indizio su questo punto può fornirlo anche il battibecco fra Ettore e Paride (769 – 779), che noi abbiamo attribuito a P; questo battibecco non ha motivazione nel contesto (esso sembra piuttosto ispirarsi a Γ 39 sgg.; certo il famoso v. Δύσπαρι, εἶδος ἄριστε, γυναιμνανὲς ἠπεροπευτά è meglio contestualizzato in Γ 39 che in Ν 769) ed è probabile che sia stato composto dallo stesso poeta che ha scritto il discorso di Pulidamante di 726 sgg. (cfr. già Hentze 18792, 20 – 21 con letteratura precedente).

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nuovo di fronte ad Aiace (il loro combattimento ha, infatti, luogo sempre al centro). Gli eroi troiani menzionati a 791– 792 coincidono parzialmente con quelli menzionati in Ξ 513 sgg.: non può trattarsi di un caso, poiché si tratta di personaggi che compaiono solo in questi due passi dell’Il. e di cui non sappiamo altrimenti nulla. È evidente che o Ν 790 – 792 è stato scritto dallo stesso poeta che ha scritto Ξ 513 sgg., ovvero uno dei due passi appartiene a un poeta che ha imitato il poeta che aveva composto l’altro passo; nel seguito, vedremo che la prima soluzione è decisamente preferibile²⁹¹. I Troiani si dirigono dunque di nuovo contro le navi e a difenderle incontrano Aiace Telamonio. Siamo così all’ennesimo incontro (all’interno del terzo giorno di combattimenti) fra Ettore e Aiace: l’ultima volta avevamo incontrati i due eroi di fronte a Ν 182 sgg., ove Ettore, dopo aver ucciso Amfimaco, si era ritirato indietro dopo che il suo scudo era stato colpito dal Telamonio. Cosa abbiano fatto i due eroi nel frattempo (entrambi sono stati al centro del campo di battaglia), non viene narrato, ma a 809 li ritroviamo uno dinanzi all’altro e i due si lanciano discorsi di sfida. Il discorso di Aiace è seguito da un presagio favorevole, che però non impaurisce Ettore, che tanto si augura di essere figlio di Zeus quanto è certo che quel giorno porterà male ai Greci. Tuttavia, nonostante l’impeto dei Troiani, i Greci riescono almeno a resistere. Così finisce Ν: donde proviene quest’ultima parte? Nulla fa pensare a un cambio d’autore rispetto alla parte precedente²⁹²; le vanterie di Ettore e la menzione della sua discendenza da Zeus ricordano Ν 54 (cioè P). Sembra che, dopo aver dedicato gran parte di Ν al lato sinistro, P abbia sentito la necessità di tornare al centro della battaglia; per farlo è ricorso a due scene che probabilmente erano ben note al suo pubblico, gli ammonimenti di Pulidamante a Ettore e il duello fra quest’ultimo e Aiace. Non ci sono prove definitive che escludano che egli ha tratto queste due scene da qualche fonte precedente, ma nulla suggerisce una soluzione del genere²⁹³; si trattava di due scene ben note (specialmente la seconda) e può benissimo averle composte egli stesso per questa parte del suo epos.

 Ν 793 – 794 afferma che questi guerrieri erano giunti il giorno prima a Troia: perché ci viene data questa informazione? Credo perché il poeta (P), che aveva già davanti a sé la nostra Il. con la sua divisione in giorni, voleva spiegare e chiarire l’assenza di tali eroi dalla parte precedente. Può darsi che abbia anche voluto creare un contrappeso ai Troiani caduti elencati poco prima (769 – 780).  Diversamente Bethe (1914) 286, ma senza argomenti.  Al discorso di Aiace segue un presagio a lui favorevole, il cui valore infausto non viene però compreso da Ettore; una situazione del tutto analoga si incontra a Ο 377– 380 (che appartiene anch’esso a P): evidentemente il poeta voleva far intendere che i Troiani, alla fine, non sarebbero riusciti nel loro intento di dar fuoco alle navi.

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5 Analisi di Λ–Ο

Vediamo più nel dettaglio come P ha inserito l’Idomeneusgedicht. Questo epos aveva per protagonista Idomeneo; d’altra parte, a P stava a cuore anche dare un ruolo a Posidone, che probabilmente nell’Idomeneusgedicht compariva solo marginalmente, o forse non compariva affatto. Gli interventi di Posidone presuppongono una divisione della battaglia in lato destro e lato sinistro; tale divisione è senza dubbio opera dello stesso poeta che ha creato la cornice dell’azione: egli voleva inserire l’Idomeneusgedicht e in tale epos erano assenti i due eroi che sono protagonisti in Λ–Ο, Aiace ed Ettore. Per questo motivo era comodo creare una divisione in due del campo di battaglia, che separasse l’Idomeneusgedicht dalla zona in cui combattevano Ettore e Aiace²⁹⁴; all’inizio di Ν (68 sgg.), Posidone si rivolge prima ai due Aiaci, che combatteranno al centro, poi ad altri eroi (95 sgg.) che combatteranno su lato sinistro e non c’è dubbio che chi ha disposto così l’intervento di Posidone sia lo stesso che ha diviso in due parti il campo di battaglia. Anche l’intervento successivo di Posidone presso Idomeneo (219 sgg.) va attribuito allo stesso poeta: chi altri poteva introdurre qui Posidone? La cosa è resa evidente dal confronto con l’Idomeneusgedicht, che non conosce alcun legame fra Idomeneo e Posidone; evidentemente, il poeta che ha dato l’ordine attuale a Ν–Ξ voleva fare di Posidone l’artefice della riscossa degli Achei, ma voleva altresì introdurre l’Idomeneusgedicht, che non attribuiva a Posidone tale ruolo e, per conciliare le due esigenze, ha composto un antefatto all’Idomeneusgedicht, che desse un ruolo a Posidone. Anche il modo in cui la divinità si manifesta a Idomeneo (sotto le sembianze di Toante) ricorda da vicino quello in cui essa si manifesta ai due Aiaci (sotto le sembianze di Calcante). Anche l’incontro fra Idomeneo e Merione (246 sgg.) va attribuito allo stesso poeta; in alternativa, si potrebbe pensare che esso faccia parte dell’Idomeneusgedicht, ma, se così fosse, Merione probabilmente avrebbe un ruolo all’interno di tale epos, dal momento che i due eroi partono insieme per la battaglia e sembrano intenzionati a combatteri l’uno al fianco dell’altro (272– 273; 304– 305; 326 sgg.). Nell’Idomeneusgedicht, invece, Merione inizia a giocare un ruolo solo a partire da 479, allorché Idomeneo, impaurito dal sopraggiungere di Enea, lo chiama in suo aiuto insieme ad altri eroi: sembra dunque che fino a quel momento Merione non sia al fianco di Idomeneo e questo difficilmente accadrebbe, se il poeta dell’Idomeneusgedicht e dell’incontro fra Idomeneo e

 Cfr. Wilamowitz (1916) 223: «Dass Aias beim Kampfe um die Schiffe der Verteidiger war, Hektors Gegner, mag einmal ein Dichter erfunden haben, wir können’s nicht mehr entscheiden; aber für die Iliasdichter ist das eine gegebene Grundtatsache, die jeder stehen lassen muss. Wenn nun einer vorhatte, wie es in dem Idomeneusgedichte geschieht, die übrigen Helden beider Parteien einzuführen, so musste er den Aias irgendwie fernahlten. Das geschieht durchaus passend durch die Unterscheidung der zwei Flügel».

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Merione fossero la stessa persona²⁹⁵. Anche il discorso di Idomeneo a Merione (312– 327) presuppone la divisione in due del campo di battaglia e, in generale, la trama del poema quale la abbiamo noi; è quindi pressoché certo che l’incontro di Idomeneo e Merione sia opera del poeta che ha dato la sistemazione attuale a Ν. Questo comporta che anche il combattimento fra Merione e Deifobo, con il conseguente ritorno dell’eroe cretese alla tenda, vadano attribuiti allo stesso poeta; del resto, non sfugge il parallelismo fra questo episodio e quello dell’incontro fra Posidone e Idomeneo (206 sgg.): in entrambi i casi un episodio del campo di battaglia spinge un personaggio (nel primo caso Merione nel secondo Posidone) ad andare verso le navi, ove entrambi incontrano Idomeneo. È evidente che siamo di fronte allo stesso poeta (cioè P), come mostrano anche le particolarità, con cui entrambi gli episodi sono narrati: è un caso del tutto isolato che si dica che un eroe scaglia invano la lancia e per questo è costretto a tornare alla tenda a prenderne un’altra così come è del tutto oscuro perché Posidone, se vuole incitare i Greci alla battaglia, si rechi proprio in un punto in cui non si combatte e per di più per esortare un eroe che già stava andando sul campo. Anche il motivo per cui Idomeneo si trova presso le navi e non in battaglia non è ben chiaro: a 210 – 215 si parla di un compagno ferito che egli ha visitato e si dice che egli intende tornare alla sua tenda per armarsi (come poi fa, 240 – 241): perché Idomeneo non sta combattendo? L’ultima volta che avevamo sentito parlare di lui (Λ 500 sgg.) stava combattendo e nulla ci viene detto sul perché nel frattempo abbia smesso²⁹⁶. La narrazione risulta macchinosa, ma gli obiettivi di P sono chiari: egli è interessato a due personaggi, Idomeneo e Posidone, al primo perché è protagonista di un epos di un altro poeta, che egli vuole inserire nel suo poema, al secondo perché è il suo personaggio, cui egli stesso ha assegnato un ruolo di protagonista. Dunque fino a Ν 329 siamo sostanzialmente all’interno di P. In questa sezione è essenziale la divisione fra lato sinistro e centro della battaglia e pare quindi certo che tale divisione sia invenzione di P; del resto, questo si concilia benissimo con il fatto che tale divisione venga utilizzata per la prima volta in Λ 498, che senza dubbio deriva da P.

 Cfr. Bethe (1914) 283.  Ameis-Hentze ad Ν 214: «Wann und warum er den Kampf verlassen hat, ist nicht erzählt: Λ 500 ff. kämpfte er auf der linken, in der Teichomachie wird er nicht erwähnt».

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Analisi di Ξ L’inizio di Ξ riporta sulla scena personaggi di cui da tempo non si faceva menzione: Nestore lascia Macaone e, uscito dalla tenda, incontra Agamennone, Odisseo e Diomede i quali, feriti, stanno tornando sul campo di battaglia: di questi personaggi si era parlato l’ultima volta in Λ. Si è molto dubitato circa il rapporto fra la fine di Ν e l’inizio di Ξ, poiché è parso che alla fine di Ν la situazione si stesse mettendo bene per i Greci (cfr. Ν 835 – 836), mentre l’inizio di Ξ mostra gli eroi greci disperati e Agamennone addirittura rassegnato alla sconfitta. Si è pensato che l’inizio di Ξ si ricolleghi in realtà alla fine di Μ, poiché ci sono allusioni ai Troiani che hanno superato la fortificazione (15, 55 sgg.), cosa che effettivamente avviene alla fine di Μ e, d’altra parte, alla fine di questa rapsodia non c’era ancora stata la svolta favorevole ai Greci²⁹⁷. Per spiegare il collegamento fra Μ e Ξ si potrebbero ipotizzare due soluzioni: una genealogica, ipotizzando che originariamente Μ fosse seguito da Ξ e che Ν sia stato inserito in mezzo da un altro poeta rispetto a chi aveva composto la fine di Μ e l’inizio di Ξ; l’altra narrativa, supponendo che gli eventi dell’inizio di Ξ siano contemporanei a quelli dell’inizio di Ν e che essi sembrino ora successivi per la tendenza dei poeti epici a narrare come successivo ciò che invece è contemporaneo²⁹⁸. Tuttavia, io credo che il poeta che ha composto l’inizio di Ξ sia lo stesso che ha composto la gran parte di Ν e che ha dato a questo libro l’ordine attuale (cioè P) e credo che egli volesse rappresentare gli eventi di Ξ come successivi a quelli di Ν e che dunque un collegamento diretto fra la fine di Μ e l’inizio di Ξ non sia mai esistito, né in senso genealogico né in senso narrativo. Che all’inizio di Ξ si alluda al superamento della fortificazione da parte dei Troiani non mostra nulla circa il collegamento di Ξ con Μ, poiché tale superamento continua ad essere al centro dell’azione finché i Troiani non vengono respinti al di là del vallo, cioè all’inizio di Ο. È proprio il fatto che i Greci si trovino a combattere all’interno della fortificazione e a difendere le navi, essi che, finché Achille partecipava ai combattimenti, combattevano sotto le mura di Troia, che giustifica pienamente la loro disperazione (cfr. e. g. Μ 178 – 180, da dove risulta che il solo fatto di

 Cfr. Ameis-Hentze ad Ξ 14.  Così Bethe (1914) 287, che suppone che l’azione di Ξ 1– 152 sia contemporanea a quella di Ν, sicché l’uscita di Nestore dalla tenda corrisponda al momento in cui Posidone incoraggia i capi greci nella prima parte di Ν, mentre l’ultima parte di Ν, in cui Ettore combatte contro Aiace, corrisponderebbe al momento in cui in Ξ i capi greci feriti entrano in battaglia. Un’interpetazione simile già in Nitzsch (1852) 243 sgg., il quale crede che anche Ξ 153 sgg. (cioè la Διὸς ἀπάτη) vada immaginata come contemporanea a gran parte di Ν; contro questa interpretazione cfr. Hentze (18792) 68 – 69. Cfr. anche Whitman-Scodel (1981).

Analisi di Ξ

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combattere vicino alle navi e in loro difesa era motivo di dolore e vergogna per gli Achei, anche se tale combattimento aveva successo). Non c’è quindi alcuna ragione seria per stabilire un legame particolare fra la fine di Μ e l’inizio di Ξ. Dopo che i quattro duci greci si sono consultati sul da farsi e hanno deciso di aiutare i connazionali con le esortazioni, sopraggiunge Posidone, il quale prende per mano Agamennone e, per fargli coraggio, gli dice che gli dèi non gli sono ostili. In quale rapporto cronologico è questa azione di Posidone con quelle che alla stessa divinità vengono attribuite all’inizio di Ν? Se davvero l’inizio di Ξ fosse immaginato dal poeta come contemporaneo a quello di Ν, le azioni di incoraggiamento di Posidone di Ν sarebbero contemporanee a quelle di Ξ e anche l’incontro e le discussioni dei capi greci dell’inizio di Ξ sarebbero contemporanee a quelle dell’inizio di Ν. Tutto questo non è possibile: è vero che i poeti epici narrano a volte come successivo ciò che è contemporaneo, ma non fanno agire in contemporanea gli stessi personaggi in luoghi diversi. Inoltre, Posidone in Ξ 135 sgg. è già sul campo di battaglia, mentre all’inizio di Ν è descritto con ampiezza di particolari il suo arrivo sul campo: essendo Posidone l’unico personaggio che compare sia all’inizio di Ν che all’inizio di Ξ, è questo un dato decisivo che mostra che l’inizio di Ν e l’inizio di Ξ non possono essere contemporanei. Dopo aver parlato ad Agamennone, Posidone lancia un grido, che infonde coraggio ai Greci. Era si accorge a questo punto che Posidone sta aiutando i Greci e, affinché la divinità marina possa continuare indisturbata la sua azione, seduce Zeus (è la famosa Διὸς ἀπάτη, 153 – 353). Quando Zeus dorme, Hypnos si reca da Posidone e lo esorta ad aiutare ancora di più i Greci (362: τὸν δ᾽ ἔτι μᾶλλον ἀνῆκεν ἀμυνέμεναι Δαναοῖσιν). Dopo una breve esortazione, Posidone si mette a capo dei Greci e la sua azione è talmente risolutiva, che fra la fine di Ξ e l’inizio di Ο i Troiani vengono respinti al di là del vallo. C’è una differenza fondamentale fra l’azione di Posidone precedente alla Διὸς ἀπάτη e quella successiva, poiché solo durante il sonno di Zeus Posidone osa mettersi a capo dei Greci e aiutarli apertamente²⁹⁹. Tutto questo mostra che in Ν–Ξ noi assistiamo a un progredire continuo dell’azione. Analizziamo ora nel dettaglio Ξ. La prima scena mostra Nestore che si congeda da Macaone; incerto se andare verso il campo di battaglia o verso Agamennone, opta per quest’ultima soluzione e incontra subito Agamennone, che assieme a Odisseo e Diomede sta tornando, ferito, verso la battaglia; dopo una discussione, i quattro decidono di tornare sul campo di battaglia e di incoraggiare i Greci tenendosi a distanza dalla prima linea. A questo punto in-

 Cfr. Bethe (1914) 204; contra Hentze (18792) 59 – 60, con riferimenti a studiosi precedenti che hanno sostenuto sia l’una sia l’altra tesi.

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terviene Posidone a incoraggiare ulteriormente Agamennone. Non ho dubbi che questa parte vada attribuita a P. Vedendo che anche Nestore non è più sul campo di battaglia, Agamennone è sgomento e si chiede se le minacce che Ettore ha fatto durante l’assemblea dei Troiani non siano destinate a realizzarsi (42– 48). Qui c’è una sicura allusione a Θ 108 sgg.³⁰⁰ (dunque siamo davanti a P) e anche le parole di Nestore circa la fortificazione che si è rivelata vana alludono chiaramente a Η 337 sgg.³⁰¹; anche il fatto che ad Agamennone venga attribuito il consiglio più pavido, allontanare cioè le navi dalla riva (Ξ 74 sgg.) e che egli venga per questo rimproverato, è nella Stimmung di P (cfr. Ι 17– 49). Ξ 153 – 353 contengono la Διὸς ἀπάτη, un brano che, anche da un punto di vista estetico, si distacca molto da quanto precede e da quanto segue³⁰². Era vede dall’Olimpo che Posidone sta aiutando i Greci e che Zeus siede sull’Ida; il marito le risulta talmente odioso, che decide di ingannarlo seducendolo. Dopo essersi adornata con l’aiuto di Afrodite ed essersi assicurata l’aiuto di Hypnos, la dèa va sull’Ida e seduce Zeus, il quale si addormenta. A questo punto Hypnos va da Posidone e lo esorta ad agire con maggiore decisione, finché Zeus dorme, in favore dei Greci. Tutto lascia pensare che la Διὸς ἀπάτη non sia opera dello stesso poeta che ha composto la cornice nella quale essa attualmente si trova³⁰³. L’ambasceria di Hypnos a Posidone (Ξ 353 – 360) meraviglierebbe anche se fosse stata Era stessa a ordinarla, dato che Hypnos si è mostrato assai restìo (242 sgg.) ad addormentare Zeus, temendone la reazione, una volta che si fosse svegliato; solo promettendogli in isposa Pasitea Era è riuscita a convincerlo. Con nostra grande meraviglia, una volta che Zeus si è addormentato, Hypnos, senza che Era gli abbia mai chiesto nulla in proposito né gli abbia rivelato nulla su quanto Posidone sta facendo in favore degli Achei, va da Posidone e lo incita a essere ancor più deciso nell’aiutare i Greci. Se lo stesso poeta che ha composto il colloquio tra Hypnos ed Era avesse composto l’ambasceria di Hypnos a Posidone, difficilmente incontreremmo una tale incoerenza. Tutto diviene più chiaro, se noi supponiamo che P abbia inserito la Διὸς ἀπάτη da un altro contesto all’interno della cornice da lui stesso creata: poiché egli aveva intenzione di far rimanere Era sull’Ida (cfr. Ο 4 sgg.), aveva bisogno di un altro personaggio che annunciasse a Posidone che Zeus stava dormendo; nella Διὸς ἀπάτη era presente Hypnos ed egli se ne è servito a questo fine, senza considerare che questo creava un’incoerenza con l’atteggiamento dello stesso Hypnos di circa 100 vv. prima.  Cfr. Ameis-Hentze ad Ξ 45.  Cfr. Schadewaldt (1938) 124.  Bethe (1914) 294: «Ν Ξ Ο sind bis auf die Apate ziemlich die unerfreundlichesten Bücher der Ilias».  Cfr. Bethe (1914) 294; Von der Mühll (1952) 222– 223.

Analisi di Ξ

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Cosa ancora più significativa, nella Διὸς ἀπάτη non vi è traccia di nessuna delle vicende che coinvolgono gli dèi nell’Il. Questo è in netto contrasto con il resto di Ν–Ο 591: fin dall’inizio di Ν vi è un’allusione al divieto fatto da Zeus in Θ agli altri dèi di prendere parte alla battaglia e allusioni a tale divieto si incontrano anche in seguito³⁰⁴. Ci aspetteremmo di incontrare una qualche allusione a tale divieto anche nella Διὸς ἀπάτη: perché durante i colloqui di Era con Afrodite e con Hypnos non c’è alcuna allusione a tale divieto? Per esempio, Era avrebbe potuto citarlo per rassicurare Afrodite circa la sua intenzione di rispettarlo o avrebbe potuto citarlo Hypnos per giustificare il proprio timore ad agire contro la volontà di Zeus. In Ε Afrodite viene ferita, ma nella Διὸς ἀπάτη non vi è alcuna allusione al ferimento; se essa fosse opera di P, probabilmente vi sarebbe qualche allusione al ferimento: abbiamo visto come in Θ (opera di P) i riferimenti a Ε non manchino. All’ambasceria di Hypnos segue un discorso di Posidone ai Greci (Ξ 364– 377): la situazione che tale discorso e il seguito della narrazione presuppongono ha creato notevoli difficoltà, poiché si presuppone che ci sia stata un’interruzione della battaglia e che solo in questo momento essa inizi di nuovo³⁰⁵. Avevamo lasciato Posidone vicino ad Agamennone, Odisseo e Diomede a 152 e in tale momento infuriava la battaglia; dopo la Διὸς ἀπάτη troviamo Posidone ancora vicino agli stessi eroi, ma la battaglia è interrotta, senza che nulla lasci intendere il perché e senza che ciò venga esplicitamente detto. Anche qui non si può ipotizzare che la difficoltà nasca da un cambio di fonte, nel senso che il poeta ha utilizzato un epos in cui c’era un’interruzione del combattimento: la situazione è esattamente quella che avevamo lasciato prima che iniziasse la Διὸς ἀπάτη e nemmeno al poeta più distratto sfuggirebbe che l’interruzione della battaglia non è motivata né da quanto precede la Διὸς ἀπάτη né da quanto precede tale episodio. L’interruzione della battaglia è dunque stata introdotta

 Sul decreto di Θ e la sua influenza sul seguito cfr. p. 83, 135– 136.  I Greci si scambiano fra loro le armi e vanno verso i nemici (374 ἴομεν). Αmeis-Hentze ad Ξ 371: «Die folgende Aufforderung ἴομεν 374: vgl. 384, und die Ordnung der Kämpfer 379. 388 setzen eine Unterbrechung des Kampfes voraus, welche mit der früheren Erzählung (14. 148 ff. 155) nicht vereinbar ist. Ebenso befremdet der Rat, die besten Waffen zu nehmen, und vollends der Waffentausch 376 f., dem wohl der Gedanke zugrunde liegt, dass in der ersten Reihe die am besten Bewaffneten stehen sollen». L’unico modo per evitare di supporre un’interruzione del combattimento sarebbe che Posidone si rivolgesse ai guerrieri che si trovano nelle retrovie e quindi non sono, in quel momento, direttamente coinvolti nella battaglia (a tali pause dei guerrieri delle retrovie troviamo via via qualche allusione, cfr. Ν 84; Ξ 131– 132), ma una tale interpretazione nel nostro passo è esclusa, poiché Posidone si rivolge alle prime file (363: ἐν πρώτοισι). Janko ad Ξ 370 – 7 pensa a uno scambio di armi senza interruzione del combattimento, ma in questo modo non si spiega il movimento verso il nemico (374, 384).

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5 Analisi di Λ–Ο

scientemente dal poeta che ha dato l’ordine attuale a queste rapsodie (P); perché? È evidente che nessuna ragione di coerenza con il resto della narrazione lo obbligava a introdurla. Forse la confusione tipica degli epici arcaici fra il tempo della narrazione e quello dell’azione ha indotto qui il poeta a porre un’interruzione del combattimento in corrispondenza della Διὸς ἀπάτη: quest’ultima gli è apparsa cioè un pezzo sufficientemente lungo e autonomo da far perdere al lettore / ascoltatore la percezione della continuità con quello che precede. Questo risulta per noi davvero sorprendente, poiché prima della Διὸς ἀπάτη avevamo lasciato Posidone e i Greci impegnati come non mai a combattere; trovare dopo 200 vv. la battaglia in pausa, senza che ne venga chiarito il motivo, è stupefacente. L’unica soluzione è che il poeta abbia sentito che la Διὸς ἀπάτη portava il pensiero del lettore / ascoltatore in un’altra realtà, tale da creare uno stacco con la parte precedente dei combattimenti. Al discorso di Posidone (364– 377) segue la ripresa del combattimento, con la divinità che si mette a capo dei Greci ed Ettore a capo dei Troiani; appena i due eserciti sono vicini, Ettore scaglia la sua lancia contro Aiace, che è in fuga (402– 403: Αἴαντος δὲ πρῶτος ἀκόντισε φαίδιμος Ἕκτωρ / ἔγχει, ἐπεὶ τέτραπτο πρὸς ἰθύ οἱ, οὐδ᾽ ἀφάμαρτεν). Questi vv. hanno dato luogo a una lunga discussione, poiché non è chiaro il motivo per cui Aiace dovrebbe essere in fuga; anche la menzione di Aiace ex abrupto (di lui nulla si era detto dalla fine di Ν) è parsa confermare il sospetto, che essi fossero in origine collocati in un altro contesto³⁰⁶. D’altra parte, poche scene sono familiari al lettore / ascoltatore dell’epos come il duello di Ettore e Aiace presso le navi. Non c’è dunque minimamente da meravigliarsi che P abbia riproposto qui tale scena; al nostro poeta serviva che i due eroi si incontrassero, poiché qui, con l’intervento diretto di Posidone, doveva iniziare la παλίωξις e perché questa avvenisse era necessario che Ettore venisse messo fuori combattimento; d’altra parte, l’unico eroe greco che poteva mettere fuori combattimento Ettore era Aiace. Non deve nemmeno meravigliare che Aiace sia in fuga, poiché il duello fra Ettore e Aiace presso le navi presuppone che i Greci siano in difficoltà e stiano fuggendo: il fatto che si combatta presso le navi è per i Greci un’onta, che si lega indissolubilmente alla loro fuga. È dunque probabile che a P fosse presente la scena tipica di Ettore che, forte e baldanzoso, assale le navi che vengono difese dal solo Aiace; all’interno della Patroklie noi incontreremo tale scena (Ο 727 sgg.) e, ancora prima, la troveremo in Ο 415 sgg.: è quindi del tutto naturale supporre che anche qui P la abbia inserita. Con Ξ 409 inizia la παλίωξις: Aiace colpisce Ettore con un masso e lo mette fuori combattimento e da qui inizia la rotta dei Troiani, che verranno ricacciati

 Cfr. p. 115.

Analisi di Ξ

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oltre il vallo, finché Zeus, risvegliatosi, non concederà di nuovo loro il sopravvento. Il masso di Aiace stordisce Ettore, che cade: a proteggerlo sopraggiungono Pulidamante, Enea, Agenore, Sarpedone e Glauco. Si tratta degli eroi di Μ–Ν, che ben si inseriscono nel quadro di P. Ettore, svenuto, viene portato dai compagni fuori dal campo di battaglia in alcuni vv. che sono presi dall’Idomeneusgedicht ³⁰⁷, anche questa una prova che il pezzo è stato composto da P, che abbiamo già osservato attingere dall’Idomeneusgedicht. All’uscita di scena momentanea di Ettore seguono alcune monomachie (442– 507): Aiace Oileo uccide Satnio, Pulidamante uccide Protoenore, Aiace Telamonio uccide Archeloco, Acamante uccide Promaco, Peneleo uccide Ilioneo. Ci aspetteremmo di trovare una sequenza di Troiani massacrati dai Greci, poiché questi ultimi stanno trionfalmente respingendo i nemici verso Troia, e invece queste monomachie presentano una battaglia in perfetto equilibrio. Lo stupore cresce quando leggiamo i vv. che seguono immediatamente queste monomachie (508 – 510): ἔσπετε νῦν μοι, Μοῦσαι, Ὀλύμπια δώματ᾽ ἔχουσαι, / ὅς τις δὴ πρῶτος βροτόεντ᾽ ἀνδράγρι᾽ ᾿Aχαιῶν / ἤρετ᾽, ἐπεί ῥ᾽ ἔκλινε μάχην κλυτὸς Ἐννοσίγαιος. A questi vv. seguono effettivamente una serie di eroi troiani uccisi dai Greci: si tratta in parte di quegli stessi eroi, che avevamo incontrato a Ν 790 sgg.: sono probabilmente eroi introdotti da P e la loro presenza alla fine di Ν e alla fine di Ξ risulta coerente³⁰⁸. Alla fine di Ν Ettore, che sta per rinnovare l’attacco alle navi, raduna attorno a sé tali eroi; sono dunque gli eroi che P ha raccolto attorno a Ettore nel momento di assalire le navi ed è quindi del tutto naturale che essi vengano uccisi dai Greci appena questi, messo fuori combattimento Ettore, respingono i Troiani. 508 – 510 sembrano voler introdurre una nuova fase della battaglia, in cui l’intervento di Posidone decide la situazione in favore dei Greci: ci aspetteremmo che tale fase iniziasse subito dopo l’uscita di scena di Ettore. In effetti, dall’uscita di scena di Ettore fino a 510 non si parla più di Posidone e tutto lascia pensare che 442– 507 siano estranei al contesto, che siamo cioè davanti a una

 Ξ 429 – 432 = Ν 535 – 538: in Ν è Polite, che porta fuori dal campo di battaglia Deifobo, ferito a un braccio da Merione; che Deifobo venga portato dal suo ἡνίοχος προτὶ ἄστυ è del tutto normale, poiché del suo ἡνίοχος non si è detto nulla in precedenza ed è quindi normale che lo attenda nelle retrovie e Deifobo viene riportato in città (come dimostra il fatto che non rientra successivamente in battaglia). Questi due particolari sono invece fuori luogo per Ettore, poiché egli viene portato non in città, ma sulle rive dello Xanto e il suo ἡνίοχος, Cebrione, è sul campo di battaglia vicino a lui (cfr. Ν 790).  L’ultimo Troiano ucciso dai Greci è Iperenore, ucciso da Menelao (516 – 519). Bethe (1914) 289, n. 10 crede questi vv. interpolati, perché rovinerebbero la Steigerung del passo. Io non riesco a vedere tale Steigerung e mi pare invece probabile che P abbia voluto introdurre il personaggio di Iperenore in funzione di Ρ 24. Quello che mi meraviglia è che egli non lo abbia introdotto già a Ν 790 sgg.

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5 Analisi di Λ–Ο

serie di monomachie prese da un epos in cui non si stava descrivendo una rotta dei Troiani, ma un’equilibrata battaglia fra i due eserciti. Anche l’Idomeneusgedicht è costituita da una serie di monomachie ed essa è stata introdotta da P all’interno di una cornice da lui stesso creata. Ξ 442– 507 presentano, tuttavia, rispetto all’Idomeneusgedicht, una conferma ulteriore che siamo di fronte a un pezzo preso da un altro epos, poiché il contesto attuale non sembra essere adatto ad accoglierli: ci aspetteremmo che venisse dato maggiore risalto alle vittorie dei Greci, che Posidone almeno una volta intervenisse, che qualcuno cercasse di vendicare Ettore³⁰⁹. La mancanza di qualsiasi collegamento con il contesto potrebbe far dubitare che sia stato P a inserire Ξ 442– 507 nel loro attuale contesto e si potrebbe sospettare che si tratti addirittura di un’interpolazione rapsodica. Tuttavia, Μ 100 cita fra i capi troiani Archeloco e Acamante. Il catalogo di Μ 88 – 102 è opera di P e serve a introdurre le rapsodie successive: orbene, Arceloco e Acamante compaiono proprio in Ξ 464, 476 – 488 e la loro presenza nel catalogo di Μ può dipendere solo da questi passi di Ξ. Questo dimostra che è stato P a inserire Ξ 442– 507 nel loro contesto attuale.

Analisi di Ο Veniamo ora a Ο. All’inizio i Greci respingono i Troiani oltre il vallo, ma Zeus si sveglia, rimprovera Era per l’inganno che gli ha teso e la invia sull’Olimpo³¹⁰, con l’incarico di mandare da lui Iride e Apollo. Era ubbidisce, va sull’Olimpo, annuncia ad Ares che suo figlio Ascalafo è caduto in battaglia e poi riferisce a Iride e Apollo l’ordine di Zeus, cui le due divinità obbediscono prontamente. Zeus invia Iride da Posidone, affinché gli ingiunga di lasciare il campo di battaglia e Apollo da Ettore, affinché lo aiuti a riprendere le forze e si metta a capo dell’offensiva troiana. Tutto questo avviene, i Greci vengono di nuovo respinti all’interno del vallo e si ricomincia a combattere in prossimità delle navi (stavolta i Troiani, grazie all’aiuto di Apollo, superano il vallo addirittura con cavalli e carri). A questo punto Patroclo lascia la tenda di Euripilo per tornare da Achille, se mai riesca a convincerlo a tornare in battaglia. Nonostante lo sforzo da entrambe le parti, la battaglia rimane in equilibrio.

 Cfr. Bethe (1914) 289.  64– 71 sono probabilmente un’interpolazione rapsodica (cfr. Hentze 18792, 96). Da 64 si ricava che i Troiani arriveranno a minacciare le navi dei Mirmidoni; questo nella nostra Il. non accade (Ο 232– 235; Ο 597– 602); forse l’interpolazione ha tratto spunto da Ι 650 sgg., Π 61 sgg. Inoltre che Zeus predica gli eventi fino alla caduta di Troia non trova paralleli nel poema.

Analisi di Ο

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Questo è il contenuto dei vv. 1– 413, che credo siano opera di P. Tutta l’azione divina presuppone tanto Ν–Ξ quanto il divieto imposto da Zeus in Θ: la minaccia che Zeus rivolge a Era (16 sgg.) è spiegabile solo alla luce di Θ 12, il ricordo dell’affronto che Era gli ha fatto facendo approdare Eracle a Cos (18 sgg.) deriva probabilmente da Ξ 250 sgg., cioè dalla Διὸς ἀπάτη ³¹¹. La morte di Ascalafo deriva senza dubbio dall’Idomeneusgedicht (Ν 518 sgg.)³¹². In generale, tutta la vicenda divina di Ο presuppone Ν–Ξ e, poiché l’azione divina da Ν 1 in poi è stata ideata da P, non c’è ragione di non attribuirgli anche Ο 1– 261³¹³. Prima conseguenza dell’azione di Zeus e di Apollo è il ritorno di Ettore sul campo di battaglia, che spaventa i Greci; a rivolgere loro un discorso è il capo degli Etoli, Toante: è un personaggio secondario nell’Il., che compare poche volte e solo qui e in Ν 215 sgg. assume un ruolo notevole. In Ν Posidone assume le sue sembianze per consigliare Idomeneo, qui Toante si rivolge a tutti i Greci e consiglia loro di concentrare i comandanti nelle prime linee e di far retrocedere il resto dell’esercito fino alle navi. Il personaggio compare dunque in un altro punto che abbiamo attribuito a P e il genere di consiglio ricorda quello di Pulidamante (Ν 735 sgg.), passo che pure abbiamo attribuito a P. Inoltre, mi pare che il discorso di Toante si opponga a quello dei due Aiaci di Μ 269 – 276: in entrambi i casi i Troiani stanno pericolosamente avanzando e i Greci cercano di fermarli prima che arrivino alle navi; mentre i due Aiaci avevano suggerito che tutti i guerrieri, sia quelli forti sia quelli più deboli, rimanessero in posizione avanzata, Toante sembra suggerire l’esatto opposto. P ha composto la gran parte di Μ come preparazione ai libri immediatamente successivi ed egli è probabilmente autore sia del discorso degli Aiaci sia di quello di Posidone / Toante; egli li ha creati probabilmente in opposizione, anche se non è ben chiaro perché abbia creato tale contrapposizione. Sembra dunque ragionevole attribuire anche Ο 281 sgg. a

 Si tratta di una lite fra Zeus ed Era, in cui sono coinvolti Eracle e Hypnos (per le altre fonti cfr. Janko ad Ξ 250 – 61). Poiché il filo conduttore nei due passi iliadici sono gli effetti tremendi dell’ira di Zeus, mi pare probabile che l’episodio sia originario in Ξ, poiché Hypnos avrà senza dubbio avuto meno litigi con Zeus di quanti ne abbia avuti Era e dunque poteva ricordare un solo caso, o certo non molti: Zeus poteva ricordarne molti ed è assai significativo che abbia ricordato proprio l’unico in cui era coinvolto Hypnos (Zeus, si ricordi, non sa nulla del coinvolgimento di Hypnos nella Διὸς ἀπάτη). Il tutto diviene chiaro ipotizzando che Ο dipenda da Ξ.  Per il collegamento fra i due passi cfr. Reichel (1994) 280.  Era, discolpandosi con Zeus dall’accusa di aver incitato Posidone ad aiutare i Greci, dice (Ο 44) che Posidone si è mosso di sua iniziativa, poiché aveva pietà dei Greci; è un evidente richiamo a Ν 15.

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5 Analisi di Λ–Ο

P³¹⁴. La scena seguente (306 – 342) ricorda da vicino l’ultima parte di Ξ (una volta che si prescinda da Ξ 442 – 507), con una divinità (lì Posidone, qui Apollo) che si mette a capo di una delle due parti e la guida verso la vittoria, senza che gli avversari riescano a resistere; il parallelismo è evidente e dunque non ci sono molti dubbi che anche questa scena vada attribuita a P. Segue la scena in cui Apollo permette ai Troiani di superare il vallo addirittura con carri e cavalli (343 – 366); pare che anche questa sia opera di P, poiché tale scena è preannunciata a 258 – 261. I Greci sono terrorizzati dalla nuova irruzione dei Troiani e Nestore innalza una preghiera a Zeus, affinché non consenta l’annientamento dei suoi connazionali; Zeus risponde con un tuono, che i Troiani interpretano come un presagio a loro favorevole (367– 380). Nestore si trova presso le navi e non sembra combattere: questo ci riporta al momento in cui ne avevamo sentito parlare per l’ultima volta (Ξ 1 sgg.), quando si era incontrato con Agamennone, Odisseo e Diomede; mentre gli altri tre si erano successivamente impegnati nel riordinare le file (379 sgg.), di Nestore non avevamo più sentito parlare. Non meraviglia dunque che egli ricompaia ora da solo senza prendere parte direttamente alla battaglia³¹⁵. Questo mostra che siamo davanti ancora all’opera di P, cosa confermata dal presagio favorevole ai Greci, che ricorda quello di Ν 821– 823. Nei vv. successivi (381– 389) si dice che i combattenti, una volta superato il vallo, si trovano davanti alle navi e che inizia una battaglia in cui i Greci combattono da sopra le navi, i Troiani a cavallo. 390 – 404 ci riportano a Patroclo, che si trova ancora presso la tenda di Euripilo, intento a curarlo; dei due eroi non sapevamo più nulla dalla fine di Λ; qui si dice che il Mirmidone, finché si combatteva attorno al muro e lontano dalle navi, aveva continuato a occuparsi di Euripilo, ma quando aveva visto i Troiani che superavano il muro e i Greci in fuga, si era congedato da Euripilo per tornare da Achille. In quale momento della battaglia va collocato questo episodio? Ci sono due possibilità, cioè o in corrispondenza della prima battaglia presso le navi (fine di Μ)³¹⁶ o in corrispondenza della seconda, quella cioè successiva alla παλίωξις e in cui i Troiani arrivano con carri e cavalli fin sotto le navi (Ο 361 sgg.). Nessuna delle due possibilità può essere esclusa con certezza, probabilmente perché al poeta poco interessava

 Anche il pezzo che si trova fra la fine dell’azione divina (261) e l’entrata in scena di Toante va probabilmente attribuito allo stesso poeta (P): i vv. 263 – 268 sono molto probabilmente presi da Ζ 506 – 511 (cfr. Jachmann 1949, 39), dunque dall’Abschied che P ha inserito nel suo poema.  Molti hanno espunto l’episodio di Nestore (Bergk 1872, 614; Lachmann, 18743, 59; Cauer 1917 b, 583 – 584), ma senza ragioni serie: che Nestore sia fuori dai combattimenti è anzi garanzia che siamo davanti a P, che si collega così all’inizio di Ξ. Bene Von der Mühll (1952) 232– 233.  Così Ameis-Hentze ad Ο 395 – 396. Cfr. anche Von der Mühll (1952) 233.

Analisi di Ο

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determinare la cronologia esatta³¹⁷. Io opterei per la seconda possibilità, semplicemente perché la narrazione è giunta a questo punto e non vedo ragioni cogenti per ipotizzare che ciò che viene narrato qui debba riferirsi a quanto narrato centinaia di vv. prima. Certo, se noi leggessimo i vv. 390 – 404 fuori da qualsiasi contesto, penseremmo senza dubbio che essi si riferiscano alla prima irruzione dei Greci, poiché si dice εἵως μὲν ᾿Aχαιοί τε Τρῶές τε / τείχεος ἀμφεμάχοντο θοάων ἔκτοθι νηῶν / […] / αὐτὰρ ἐπεὶ δὲ τεῖχος ἐπεσσυμένους ἐνόησε / Τρῶας. Che manchi qualsiasi riferimento al fatto che questo fatto si sta ripetendo per la seconda volta, fa ovviamente pensare che si tratti della prima. Tuttavia, il punto in cui 390 – 404 sono collocati depone decisamente a favore dell’altra soluzione. A parte questo, colpisce il parallelo strettissimo fra questi vv. e Ξ 1 sgg.: alla fine di Ν si era parlato dei Troiani che stavano minacciando da vicino le navi dei Greci e della strenua difesa opposta da questi ultimi, mentre l’inizio di Ξ riprende le vicende di Nestore e Macaone, di cui non si era più parlato dalla fine di Λ. Anche lì i due sono ancora nella tenda ed è proprio il fatto che i Troiani abbiano superato la fortificazione greca a spingere Nestore a lasciare Macaone per recarsi da Agamennone. Il parallelo con Ο 390 – 404 non potrebbe essere più stretto: anche qui è il superamento della fortificazione da parte dei Troiani e la loro irruzione che spinge Patroclo a congedarsi da Euripilo per andare da Achille. A prescindere dalla collocazione cronologica che vogliamo dare a questi vv., non mi pare ci siano dubbi che essi sono opera di P: il parallelo con Ξ 1 sgg. (sicuramente opera di P) non lascia dubbi. Inoltre, in queste rapsodie Patroclo ed Euripilo sono stati introdotti da P³¹⁸. Dopo alcuni vv. in cui si dice che la battaglia rimaneva equilibrata (405 – 413), incontriamo una serie di monomachie (414– 591). Ettore è di nuovo di fronte ad Aiace e i due combattono μιῆς περὶ νηός (416); sopraggiunge Caletore, cugino di Ettore, che, mentre tenta di appiccare il fuoco alla nave, viene ucciso da Aiace; Ettore cerca di vendicarlo ma la sua lancia, anziché colpire Aiace, uccide Licofrone, θεράπων di Aiace. Questi chiama in soccorso Teucro, che uccide con una freccia Clito, auriga di Pulidamante. Teucro cerca ora di colpire addirittura Ettore, ma Zeus gli rompe la corda dell’arco. Su consiglio di Aiace, Teucro depone l’arco e si arma di scudo e lancia. Ettore comprende che è stato Zeus ad aiutarlo e, imbaldanzito, esorta i suoi a combattere; segue un discorso dello stesso tenore di Aiace ai Greci. Vengono poi brevissimamente riferite l’uccisione del focese Schedio³¹⁹ da parte di Ettore e quella di Laodamante da

 Cfr. Whitman – Scodel (1981) 9.  Cfr. p. 104.  Un altro eroe focese con lo stesso nome muore in Ρ 306 cfr. nota 387.

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5 Analisi di Λ–Ο

parte di Aiace. Pulidamante uccide quindi Cillenio; Megete cerca di vendicarlo, ma Apollo protegge il suo vate e la lancia di Megete uccide Cresmo. Dolope cerca di uccidere Megete, ma il Greco viene soccorso da Menelao, che uccide Dolope. Ettore non vuole che i Greci si impadroniscano delle armi di Dolope ed esorta Melanippo, cugino di Dolope, a recuperarne le armi. Menelao esorta Antiloco a prendere il suo posto nella battaglia attorno al cadavere di Dolope; Antiloco ubbidisce e uccide Melanippo. Antiloco vorrebbe anche spogliare quest’ultimo, ma il sopraggiungere di Ettore lo fa desistere. Con Ο 591 le monomachie si interrompono e incontriamo un pezzo di raccordo (592– 604) con l’epos successivo, cioè la Patroklie: si dice che i Troiani avanzavano verso le navi e che questo corrispondeva al volere di Zeus, il quale, per esaudire la richiesta di Tetide, voleva dare gloria a Ettore finché non venisse incendiata una nave. Il pezzo che segue fino alla fine del libro (605 – 746), come abbiamo già osservato (p. 114), è inconciliabile con quanto precede, poiché riporta la trama a un punto anteriore rispetto a quello raggiunto già a 381 sgg. Quale è l’origine di 414– 591? P, lo abbiamo già visto, non sembra aver composto lunghe serie di monomachie e anche questa non c’è ragione di attribuirgliela: secondo la cornice disposta da P, è Apollo che guida l’offensiva dei Troiani, mentre in 414– 591 nulla indica che Apollo sia presente sul campo di battaglia. L’unico punto in cui la divinità viene citata è 520 – 522, ove salva Pulidamante, ma è evidente che si tratta di uno di quegli interventi che gli dèi fanno spesso in soccorso dei loro protetti, a prescindere dalla loro presenza sul campo; anzi, il fatto che si dica che l’intervento di Apollo è motivato dalla volontà di proteggere «il figlio di Panto», esclude un intervento sistematico della divinità in battaglia. Inoltre, quando Ettore vede che una divinità è intervenuta in suo favore, salvandolo dalle frecce di Teucro, egli attribuisce tale intervento a Zeus; anche questo mostra che non siamo davanti a un pezzo di P, poiché a 254– 261 Apollo ha esplicitamente dichiarato a Ettore il proprio aiuto e ci aspetteremmo, di conseguenza, che Ettore attribuisse l’intervento in suo favore ad Apollo, se 254– 261 e 488 sgg. appartenessero allo stesso epos. Se è giusta la nostra attribuzione a P di 386 – 389, questo poeta preannuncia una battaglia in cui i Troiani combattono a cavallo e i Greci si difendono stando sulle navi e utilizzando i μακρὰ ξυστά, τά ῥά σφ᾽ ἐπὶ νηυσὶν ἔκειντο / ναύμαχα κολλήεντα, κατὰ στόμα εἱμένα χαλκῷ: in 414– 591 tali oggetti non vengono utilizzati. Tutto lascia dunque pensare che P non sia l’autore delle monomachie di 414– 591. È tuttavia probabile che sia stato P a inserire tali monomachie nel proprio epos; è evidente che egli aveva bisogno di una battaglia presso le navi, per poter inserire subito dopo la Patroklie. È altresì improbabile che P abbia collegato 605 – 746 direttamente a 413, poiché a 381– 413 i Troiani sono presso le navi, mentre 605 – 746 partono da un punto precedente; se 381– 413 e 605 sgg. fossero stati contigui,

Sguardo retrospettivo su Λ–Ο

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la contraddizione sarebbe stata troppo palese. Sembra dunque ragionevole supporre che P abbia inserito le monomachie di 414– 591 (prese da un epos preesistente) fra un pezzo composto da lui e la Patroklie.

Sguardo retrospettivo su Λ–Ο L’analisi di Λ–O 604 ha mostrato che questa sezione è stata ordinata da un poeta (P) che presupponeva la sezione precedente della nostra Il., il quale ha inserito alcuni epe preesistenti (Verwundungen, Idomeneusgedicht, Διὸς ἀπάτη, e probabilmente Nestoridyll, oltre alle monomachie di Ξ 442– 507 e Ο 414– 591) all’interno di una cornice da lui stesso creata. Ho già accennato al problema del rapporto originario delle Verwundungen (Λ1) con altre sezioni dell’Il.; esso è di capitale importanza, poiché i sostenitori dell’Urilias, da Naber in poi, hanno ipotizzato che in origine Λ1 seguisse Α–(Β) e precedesse Ο 605 sgg., costituendo con essi l’Urilias. Io non credo a questa soluzione e ho l’impressione che coloro che la hanno accettata si siano sempre basati più sull’astratto ordine degli eventi che su indizi di reale continuità fra queste parti dell’Il. L’analisi di Β ha mostrato che i resti dell’epos che inizia in Α (Groll) non vanno, probabilmente, oltre ca. 87/ 101. È possibile unire Λ1 a Α–Β 87/101? In Λ 15 sgg. è il solo Agamennone che chiama l’esercito alla guerra (e tutta l’attenzione del poeta è concentrata su di lui), mentre all’inizio di Β l’eroe è coadiuvato dagli altri capi dell’esercito. Il ruolo di assoluto protagonista che ha Agamennone all’inizio di Λ è perfettamente consono a quanto leggiamo nel seguito di questa rapsodia, ma non c’è ragione di credere che chi ha scritto l’inizio di Β intendesse assegnare un ruolo del genere al re di Micene. Inoltre, nulla in Λ1 lascia supporre che Agamennone sia conscio di un particolare favore divino per quella giornata (come invece presuppone l’Ὄνειρος): quando egli, ferito, deve lasciare il campo di battaglia, dice che Zeus non gli ha concesso di combattere per l’intera giornata (276 – 279): sembra che l’eroe si riferisca qui a Zeus come generale espressione del volere divino, nulla lascia pensare che Zeus gli abbia promesso qualcosa né, tanto meno, che gli abbia mandato un sogno per preannunciargli che il giorno successivo avrebbe conquistato Troia. Anche gli altri eroi greci non sembrano presupporre niente di simile (cfr. 313 – 315; 363 – 364; 404– 406), sebbene in Β Agamennone avesse narrato loro il sogno. Inoltre, presupposto dell’Ὄνειρος è che siano preceduti molti giorni in cui non si è combattuto; questo non sembra il caso di Λ1, ove nulla fa pensare a una precedente prolungata inattività bellica. È vero, gli indizi non sono molti, ma sono significativi e non ce ne è alcuno che

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5 Analisi di Λ–Ο

vada in senso contrario. Non vedo quindi alcuna ragione per supporre che Λ1 sia la prosecuzione di Α–Β 87/101³²⁰. L’altro collegamento che è alla base della Urilias è quello fra Λ1 e Ο 605 sgg. (Patroklie)³²¹. Non c’è dubbio che la Patroklie abbia alcuni presupposti comuni a Λ1: Agamennone, Odisseo e Diomede sono fuori combattimento, Aiace è in ritirata, Ettore ha il favore di Zeus (Ο 611, 637, 694, Π 121). Questo però non implica che la Patroklie stessa narrasse il ferimento dei tre eroi³²² né, tanto meno, che noi possediamo tale narrazione in Λ1: noi non possiamo collegare Λ1 alla Patroklie per il semplice fatto che questa presuppone come accaduti gli eventi narrati in Λ1. Gli indizi contro tale collegamento sono molteplici. I vv. della Patroklie che fanno riferimento al ferimento di Agamennone, Odisseo e Diomede (cioè Π 23 – 26 = Λ 825 – 826, 660 – 661) derivano da Λ2 e sembrano quindi introdotti nella Patroklie da P³²³: l’unico riferimento esplicito della Patroklie agli eventi delle Verwundungen, dunque, è opera di P. L’ultima parte di Λ1 mostra Ettore che, su

 Così Wilamowitz (1916) 275 – 276 e Schwartz (1918) 21. Contra tutti i sostenitori della Urilias da Naber (1876) 171 sgg. in poi (cfr. Brandt 1885, 649 sgg.; Bethe 1914, 160 sgg., 312; Von der Mühll 1952, 188 sgg.; West 2011, 51 sgg.) sebbene nei particolari del congiungimento di Β e Λ differiscano tra loro. Prima di Naber l’Urilias veniva ricostruita unendo Α–(Β) a Θ; contro questa ricostruzione si possono fare le identiche obiezioni che contro l’unione di Α–(Β) a Λ.  Contro ogni tentativo di collegamento cfr. Wilamowitz (1916) 118, 160 – 162; contra Bethe (1914) 151– 160; Von der Mühll 1952, 237 sgg. Bethe crede che tracce della Patroklie si trovino anche in Λ e la ricostruisce così: Λ 600 – 604 + 608 – 610 + Π 2– 22 … 29b–39 + 46 – 54. Ma Λ 604 (ἔκμολεν ἶσος Ἄρηι) e Π 2 (Πάτροκλος δ᾽ ᾿Aχιλῆι παρίστατο ποιμένι λαῶν) non possono coesistere, perché entrambi indicano il momento in cui Patroclo raggiunge Achille (cfr. Cauer 1917 a, 224); inoltre Λ 608 – 610 sono l’inizio di un discorso, che non può coesistere con Π 7 sgg. In Λ Achille si trova sopra una nave, in Π questo mi sembra escluso. L’unico punto a favore della tesi di Bethe è Λ 609 – 610, ove Achille dice: νῦν οἴω περὶ γούνατ᾽ ἐμὰ στήσεσθαι ᾿Aχαιούς / λισσομένους· χρειὼ γὰρ ἱκάνεται οὐκέτ᾽ ἀνεκτός, poiché questi vv. (così come Π 83 sgg.) sembrano escludere la πρεσβεία (e, di conseguenza, dovrebbero essere attribuiti alla Patroklie, che ignorava la πρεσβεία, non a P): che senso ha, infatti, che Achille parli con compiacimento dell’umiliazione che incombe sui Greci, che fra poco dovranno andare a pregarlo di tornare in battaglia, se essi lo hanno fatto la sera prima? Tuttavia περὶ γούνατ᾽ ἐμὰ στήσεσθαι ᾿Aχαιούς / λισσομένους (609 – 610) va probabilmente inteso come una Steigerung rispetto alle preghiere di Odisseo e Fenice nella πρεσβεία, i quali non si erano umiliati fino al punto di abbracciare le ginocchia di Achille (cfr. Nitzsch 1852, 238; Christ 1884, 39: «heros iam futurum praesagit, ut superbus rex non solum blandas condiciones ferat, sed ad genua sua procumbat»; Schadewaldt 1938, 81; contra Jachmann 1949, 56 – 57). Theiler (1947) 153 crede invece che Λ 609 – 610 escludano qualsiasi ambasceria dei Greci ad Achille: secondo lo studioso elvetico Λ2 appartiene a uno strato dell’Il. (non il più antico) in cui la πρεσβεία era stata eliminata.  Il ferimento di Agamennone, Odisseo e Diomede poteva benissimo far parte della saga ed essere presupposto come noto, cfr. Hentze (18882) 49.  Cfr. p. 147– 148.

Sguardo retrospettivo su Λ–Ο

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un carro guidato da Cebrione, corre in soccorso dei Troiani fino a quel momento sopraffati da Aiace; la situazione di Ο 605 sgg. è diversa: qui nulla si dice del carro di Ettore né di Cebrione ed Ettore e Aiace non sono vicini. In Ο 605 sgg. Aiace compare per la prima volta a 674, e non sembra che egli, fino a quel momento, abbia protetto la ritirata dei suoi, poiché si dice che si trova dove si trovano gli altri e che solo ora decide di fare una cosa più audace di quello che stiano facendo gli altri guerrieri greci. Si può certo supporre che fra Λ 574 e Ο 605 ci fosse qualcosa che noi non abbiamo, ma non vale la pena di seguire un’ipotesi del genere, poiché ci sono anche altri indizi contro questa ricostruzione. I combattimenti di Λ1 non ricordano in nulla quelli della Patroklie: Λ1 presenta di solito un eroe che affronta due guerrieri, che sono sul carro, e riesce a ucciderli. Non c’è nessuna ragione esterna che renda questo tipo di combattimento più adatto in Λ1 che altrove; anche nella Patroklie il poeta avrebbe potuto presentare Patroclo che uccideva i Troiani a coppie, ma non lo ha fatto (c’è qualche caso come 399 – 410, ma nulla di sistematico). C’è un altro particolare che distingue Λ1 dalla Patroklie: in Λ1 viene citato come luogo centrale del campo di battaglia il monumento funebre di Ilo (166, 372), mentre nella Patroklie tale monumento non viene mai citato³²⁴. Il poeta della Patroklie si è trovato più volte a descrivere i movimenti dei due eserciti nella pianura (Π 394 sgg.) ed è difficile supporre che lo stesso poeta in una parte dell’epos si avvalga di un punto di riferimento geografico così importante, in un’altra lo ignori. Λ è una rapsodia palesemente rielaborata, con i vv. 497– 520 inseriti successivamente per introdurre l’azione di Patroclo, cui si lega l’intero Λ2. Μ contiene la τειχομαχία, quindi presuppone la grande rielaborazione di Η2–Θ, cui Μ allude esplicitamente. D’altra parte, abbiamo visto che Μ introduce le rapsodie successive: ci sono strettissimi legami con l’Idomeneusgedicht e, in generale, con tutto ciò che precede la Patroklie. Del resto, che chi ha dato l’architettura attuale a Μ–Ο 591 abbia presente Η2–Θ lo mostra anche un altro fatto macroscopico. La battaglia di Μ–Ο 591 è guidata in gran parte dall’azione divina, con Posidone che in Ν–Ξ guida i Greci alla momentanea vittoria e Apollo che, dopo l’intervento di Zeus, ristabilisce la superiorità troiana (Ο 236 sgg.). Orbene, è di tutta evidenza che l’azione divina di queste rapsodie presuppone il decreto di Zeus di Θ³²⁵: Posidone interviene in battaglia solo quando Zeus si distrae (Ν 10 sgg.) e la sua azione diviene decisa e baldanzosa dopo che Hypnos gli ha annunciato che Zeus  È citato, oltre che in Λ, in Κ 415 e Ω 349.  Rothe (1910) 223; Bethe (1914) 106, 281; Schadewaldt (1938) 114 sgg.; Reichel (1994) 301 sgg. Molti analitici hanno negato che il decreto di Θ abbia effetti sul seguito del poema (cfr. Hentze 18792, 8 sgg.), precludendosi in tal modo la comprensione della struttura generale dell’Il., fra essi Wilamowitz (1916) 81 e Cauer (1917 a) 214.

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5 Analisi di Λ–Ο

dorme (Ο 361 sgg.). Anche il fatto che Apollo intervenga in battaglia solo dopo l’ordine di Zeus è concepibile solo in seguito al decreto di Θ. L’intera cornice di Μ–Ο 591 presuppone dunque Η2–Θ, poiché l’azione di Μ–Ο 591 è inconcepibile senza i due elementi introdotti da Η2–Θ, cioè la fortificazione del campo greco e il divieto agli dèi di intervenire in battaglia. La disposizione di Μ–Ο 591 e di Η2–Θ si inseriscono dunque nello stesso progetto (P). L’analisi di Μ–Ο 591 ci ha mostrato che questa sezione presuppone Η2–Θ. Questa acquisizione ha conseguenze capitali per la genesi dell’Il., poiché Η2–Θ sono il grande raccordo redazionale fra la prima parte del poema, in cui i Greci battono in Troiani, e la πρεσβεία. Mostrare che Μ–Ο 591 fanno parte dello stesso progetto di Η2–Θ significa mostrare l’unità della nostra Il. dall’inizio fino a Ο 591 (con l’eccezione di Κ). Ovviamente si tratta di unità data da un un poeta-redattore (P), non da un poeta che crea ex novo. Tutto questo (ad eccezione del rapporto fra Κ e P) fu compreso per la prima volta da Bethe (1914). In questo punto è possibile toccare con mano i progressi dell’analisi. La natura redazionale di Θ fu compresa da Kayser nel 1842, ma Lachmann (18743, ma la prima edizione è del 1837) aveva avuto la cattiva idea di spezzare in tre Θ senza intenderne la natura, e per parecchi decenni si continuò a discutere su questa rapsodia senza sostanziali progressi³²⁶. Fu merito di Wilamowitz nel 1910 mostrare l’unità di Η2–Θ–Ι1 ³²⁷, ma Wilamowitz non riconobbe alcun legame fra questa parte e Λ–Ο 591, poiché credeva che Η2–Κ fosse stato inserito successivamente in una preesistente Il. (la sua Ilias Homeri) che comprendeva Α–Η1 + Λ–Ψ1. Il passo successivo e definitivo fu fatto solo quattro anni dopo da Bethe, che mostrò che la struttura di Μ–Ο 591 è incomprensibile senza Η2–Θ e ne trasse la logica conseguenza che entrambe le sezioni appartengono allo stesso progetto poetico (P).

 Informa bene su tali discussioni Hentze (18872) 67 sgg.  U. von Wilamowitz-Moellendorff, Über das Θ der Ilias, «Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften» 1910, 373 – 402 = Wilamowitz (1916) 26 – 59.

6 Analisi di Π–Τ Introduzione alla Patroklie Con Π l’Il. entra in una nuova fase: Achille, che da Α in poi, a parte la breve parentesi di Ι e l’ancor più breve intervento di Λ 597– 617, era rimasto ai margini dell’azione, torna protagonista ed egli manterrà questo ruolo fino alla fine del poema. In Λ–Ο (vale a dire dall’inizio del terzo giorno di battaglia, che coincide con l’inizio di Λ) la situazione per i Greci si è fatta sempre più difficile e alla fine di Ο i Troiani, spintisi fino alle navi dei Greci, guidati da un Ettore baldanzoso come non mai, minacciano di incendiarle. Questo è il momento del poema in cui i Greci sono più in difficoltà e proprio ora Achille si decide a intervenire. L’iniziativa non parte però da lui stesso, né sarà lui ad andare per primo in battaglia. Patroclo si avvicina ad Achille piangendo e Achille gli chiede perché pianga come una bambina che vuole farsi prendere in braccio dalla madre. Achille è evidentemente sarcastico: egli sa benissimo che Patroclo piange per la disperata situazione militare dei Greci. Patroclo risponde che la situazione dei Greci è pessima, poiché Diomede, Odisseo, Agamennone ed Euripilo sono stati feriti e non possono più combattere, e che Achille si sta mostrando disumano nel non provare alcuna pietà per la sorte dei connazionali (vv. 21– 35). Poi prosegue (36 – 43): εἰ δή τινα φρεσὶ σῆισι θεοπροπίην ἀλεείνεις, καί τινά τοι πὰρ Ζηνὸς ἐπέφραδε πότνια μήτηρ, ἀλλ᾽ ἐμέ περ πρόες ὦχ᾽, ἅμα δ᾽ ἄλλον λαὸν ὄπασσον Μυρμιδόνων, αἴ κέν τι φόως Δαναοῖσι γένωμαι. δὸς δέ μοι ὤμοιιν τὰ σὰ τεύχεα θωρηχθῆναι, αἴ κ᾽ ἐμὲ σοὶ ἴσκοντες ἀπόσχωνται πολέμοιο Τρῶες, ἀνάπνεύσωσι δ᾽ ἀρήϊοι υἷες ᾿Aχαιῶν τειρόμενοι· ὀλίγη δέ τ᾽ ἀνάπνευσις πολέμοιο.

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Patroclo chiede dunque ad Achille di prestargli le sue armi, sicché i Troiani, scambiandolo per il più valoroso compagno, si impauriscano. La risposta di Achille occupa più di 50 vv. (49 – 100). Dopo aver negato che sia una θεοπροπία o una rivelazione della madre a tenerlo lontano dalla battaglia, Achille dice (52– 86): ἀλλὰ τόδ᾽ αἰνὸν ἄχος κραδίην καὶ θυμὸν ἱκάνει, ὁππότε δὴ τὸν ὁμοῖον ἀνὴρ ἐθέληισιν ἀμέρσαι καὶ γέρας ἂψ ἀφελέσθαι, ὅ τε κράτεϊ προβεβήκηι· αἰνὸν ἄχος τό μοί ἐστιν, ἐπεὶ πάθον ἄλγεα θυμῶι.

https://doi.org/10.1515/9783110652963-006

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6 Analisi di Π–Τ

κούρην, ἣν ἄρα μοι γέρας ἔξελον υἷες ᾿Aχαιῶν, δουρὶ δ᾽ ἐμῶι κτεάτισσα, πόλιν εὐτείχεα πέρσας, τὴν ἂψ ἐκ χειρῶν ἕλετο κρείων ᾿Aγαμέμνων ᾿Aτρείδης, ὡς εἴ τιν᾽ ἀτίμητον μετανάστην. ἀλλὰ τὰ μὲν προτετύχθαι ἐάσομεν· οὐδ᾽ ἄρα πως ἦν ἀσπερχὲς κεχολῶσθαι ἐνὶ φρεσίν· ἤτοι ἔφην γε οὐ πρὶν μηνιθμὸν καταπαυσέμεν, ἀλλ᾽ ὁπότ᾽ ἂν δή νῆας ἐμὰς ἀφίκηται ἀϋτή τε πτόλεμός τε. τύνη δ᾽ ὤμοιιν μὲν ἐμὰ κλυτὰ τεύχεα δῦθι, ἄρχε δὲ Μυρμιδόνεσσι φιλοπτολέμοισι μάχεσθαι, εἰ δὴ κυάνεον Τρώων νέφος ἀμφιβέβηκεν νηυσὶν ἐπικρατέως, οἵ δὲ ῥηγμῖνι θαλάσσης κεκλίαται, χώρης ὀλίγην ἔτι μοῖραν ἔχοντες, ᾿Aργεῖοι. Τρώων δὲ πόλις ἐπὶ πᾶσα βέβηκεν θάρσυνος· οὐ γὰρ ἐμῆς κόρυθος λεύσσουσι μέτωπον ἐγγύθι λαμπομένης. τάχα κεν φεύγοντες ἐναύλους πλήσειαν νεκύων, εἴ μοι κρείων ᾿Aγαμέμνων ἤπια εἰδείη· νῦν δὲ στρατὸν ἀμφιμάχονται. οὐ γὰρ Τυδείδεω Διομήδεος ἐν πάλαμηισιν μαίνεται ἐγχείη Δαναῶν ἀπὸ λοιγὸν ἀμῦναι, οὐδέ πω ᾿Aτρείδεω ὀπὸς ἔκλυον αὐδήσαντος ἐχθρῆς ἐκ κεφαλῆς, ἀλλ᾽ Ἕκτορος ἀνδροφόνοιο Τρωσὶ κελεύοντος περιάγνυται, οἳ δ᾽ ἀλαλητῶι πᾶν πεδίον κατέχουσι, μάχηι νικῶντες ᾿Aχαιούς. ἀλλὰ καὶ ὧς, Πάτροκλε, νεῶν ἀπὸ λοιγὸν ἀμύνων ἔμπεσ᾽ ἐπικρατέως, μὴ δὴ πυρὸς αἰθομένοιο νῆας ἐνίπρησωσι, φίλον δ᾽ ἀπὸ νόστον ἕλωνται. πείθεο δ᾽, ὥς τοι ἐγὼ μύθου τέλος ἐν φρεσὶ θείω, ὡς ἄν μοι τιμὴν μεγάλην καὶ κῦδος ἄρηαι πρὸς πάντων Δαναῶν, ἀτὰρ οἳ περικαλλέα κούρην ἂψ ἀπονάσσωσιν, ποτὶ δ᾽ ἀγλαὰ δῶρα πόρωσιν.

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Dopo aver rivelato la vera ragione della sua avversione ai Greci e in particolare ad Agamennone, Achille accetta di prestare le proprie armi a Patroclo, affinché i Τroiani vengano respinti e le navi non vengano bruciate (52– 82). Questi vv. sono stati sicuramente rielaborati e dovremo successivamente analizzarli. Ora, però, vediamo i vv. 83 – 86: Achille si augura che l’intervento di Patroclo ottenga non solo un sollievo militare per i Greci, ma che induca anche i Greci a restituirgli Briseide e ad offrirgli dei doni e a 72– 73 l’eroe dice che la situazione militare per i Greci cambierebbe completamente, se Agamennone fosse più mite verso di lui. Questi pensieri di Achille sono inconciliabili con la nostra Il., in cui la sera precedente Agamennone ha inviato un’ambasceria a Achille per offrirgli doni e la restituzione di Briseide (Ι 263 sgg.). Come è mai possibile che Achille desideri che Patroclo, andando in battaglia, gli procuri ciò che egli aveva sdegnosamente

Introduzione alla Patroklie

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rifiutato poche ore prima e che egli non faccia alcuna menzione di tale offerta? È evidente che la πρεσβεία e il passo che stiamo analizzando non sono stati composti per appartenere allo stesso epos ³²⁸. Anche il fatto che Patroclo supponga che sia una θεοπροπίη (Π 36) a impedire ad Achille di combattere è incomprensibile dopo la πρεσβεία, cui Patroclo era presente e in cui aveva avuto modo di capire cosa davvero tratteneva Achille dal combattere³²⁹. Ci sono altri due indizi fortissimi che mostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che fra Π e quanto precede c’è una sutura. In Λ 599 sgg. Achille, vedendo che Nestore stava trasportando un guerriero sul suo carro verso la tenda, aveva inviato Patroclo presso Nestore, perché capisse chi era il guerriero che egli trasportava; Patroclo va in effetti da Nestore, vede che il guerriero in questione è Macaone e, dopo aver incontrato anche Euripilo che è uscito dal campo di battaglia ed averlo curato (Λ 809 sgg.), torna da Achille (Ο 390 – 405). Dopo che ha lasciato Euripilo, noi incontriamo di nuovo Patroclo all’inizio di Π: è una delle cose più sorprendenti dell’epos greco che fra Achille e Patroclo non si faccia parola né di Nestore e Macaone né della missione di Patroclo in generale. Se l’invio di Patroclo presso Nestore di Λ 599 sgg. e il colloquio di Achille e Patroclo di Π 2 sgg. fossero stati composti per lo stesso epos, di certo nel colloquio di Π ci sarebbero stati riferimenti a quanto Patroclo aveva appreso circa Macaone³³⁰. Il terzo indizio lo abbiamo incontrato analizzando Ο, ove abbiamo

 Cfr. Kayser (1881, ma in realtà i due scritti sono del 1843 e del 1842) 10, 57; Grote (1850) 534, 547– 548; Friedländer (1853) 37; Naber (1876) 168; Bonitz (18754) 64– 66; Niese (1882) 63 sgg.; Bethe (1914) 72 sgg.; Wilamowitz (1916) 120: «Π kann ja Ι gar nicht kennen. Achilleus will ja hier 84 das erreichen, was er im Ι haben konnte und abgeschlagen hat»; Cauer (1917 a) 211; Von der Mühll (1952) 242; Jachmann (1949) 74; Cantilena (1995) 457; Montanari (2017). Per eliminare la contraddizione qualcuno espunge Π 84– 86: così Jacob (1856) 228 e Theiler (1947) 152. Jacob (1856) 226 sgg., Bergk (1872) 590 sgg. e Valeton (1915) 179 sgg. cercano di mostrare che Ι e Π appartenevano fin dall’origine allo stesso epos. Schadewaldt (1938) 128 sgg. crede che in Π 85 il pensiero di Achille circa la restituzione di Briseide sia secondario rispetto a quanto egli ha detto prima a Patroclo e che quindi Achille in questo momento non pensi all’ambasceria di Agamennone, senza che questo implichi che essa non era presente nello stesso epos. Inoltre, per Schadewaldt i legami fra il discorso di Π e Ι sono garanzia dell’appartenenza allo stesso epos. Il primo punto dell’argomentazione di Schadewaldt ha, evidentemente, poco valore, il secondo è confutato dal fatto che le allusioni a Ι nel discorso di Achille sono tutte secondarie, cfr. nota 335; del resto, Schadewaldt non ha condotto alcuna analisi sistematica del discorso di Achille (cfr. la sua osservazione citata alla nota 335). Nega la contraddizione fra Π e Ι da ultimo Brügger ad Π 48.  Cfr. Von der Mühll (1952) 201, sulla scia di Finsler.  Cfr. Hermann (1834) 61; Jacob (1856) 292; Lachmann (18743) 69; Niese (1882) 86; Bethe (1914) 43 sgg., 155 – 156; Von der Mühll (1952) 238. Anche l’azione di Diomede, Agamennone e Odisseo (iniziata a Ξ 131 sgg.) non ha prosecuzione nel seguito.

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visto che con 605 inizia una nuova sezione; dal momento che da quel punto in poi non ci sono suture, possiamo supporre che il colloquio di Patroclo e Achille all’inizio di Π appartenga allo stesso epos di Ο 605 sgg. Tre indizi fortissimi indicano dunque che fra Ο 605 e quanto precede c’è una sutura; l’epos che segue tale sutura è la Patroklie. Alla Patroklie appartiene gran parte di ciò che leggiamo in Π – Σ 34; nella sua redazione attuale, la Patroklie presuppone che Patroclo vada in battaglia indossando le armi di Achille e che poi di queste si impadronisca Ettore, ma è probabile che nella redazione originaria tale Waffentausch non ci fosse³³¹. Poiché questo problema ha notevole rilevanza e l’analisi dei vv. di Π appena trascritti è decisiva per risolverlo, è opportuno discuterlo subito nel suo insieme. Nell’Il. che leggiamo noi Patroclo va in battaglia con le armi prestategli da Achille (Π 257 sgg.) e di tali armi si impadronisce Ettore, una volta ucciso Patroclo (Ρ 125). Ettore non si limita però a impadronirsi delle armi di Achille, ma le indossa (Ρ 184– 197) e vestito di tali armi affronta anche l’ultimo duello con Achille (Χ 323). La scena in cui Ettore si spoglia delle proprie armi per indossare quelle di Patroclo è sorprendente: dopo essere stato rimproverato da Glauco per avere abbandonato il cadavere di Patroclo in seguito all’arrivo di Aiace (Ρ 142– 168), Ettore si difende in un discorso rivolto allo stesso Glauco (170 – 182) e lo esorta a stargli accanto in battaglia, per vedere se Ettore è davvero così codardo come egli ha detto (179 – 180: ἀλλ᾽ ἄγε δεῦρο, πέπον, παρ᾽ ἔμ᾽ ἵσταο καὶ ἴδε ἔργον / ἠὲ πανημέριος κακὸς ἔσσομαι). Fin qui nulla di strano, ma quanto segue sorprende: Ettore pronuncia infatti un altro discorso, rivolto a tutti i soldati, e li esorta a tenere duro mentre egli cambia le proprie armi con quelle di Achille. Ettore lascia quindi momentaneamente il campo di battaglia e insegue il carro, sul quale egli stesso aveva posto le armi sottratte a Patroclo (Ρ 130 – 131), e, raggiuntolo, indossa le armi di Patroclo. Tornato sul campo di battaglia, Ettore si rivolge di nuovo all’esercito (vengono nominati dieci comandanti, fra i quali anche Glauco, 216), in particolare agli alleati dei Troiani, per ricordare loro che essi vivono a Troia a spese dei Troiani e che quindi devono rendersi utili in guerra. A questo punto riprende la battaglia attorno a Patroclo. Si è supposto che i vv. 184– 219, cioè il pezzo che contiene il secondo discorso di Ettore e lo scambio delle armi, siano estranei al contesto originario³³²: in effetti la ragione per cui Ettore decide di vestirsi delle armi di Achille non viene minimamente

 Credono il Waffentausch estraneo al contesto originario di Π–Ρ Bergk (1872) 627; Niese (1882) 88 sgg.; Mülder (1904) 272 sgg.; Bethe (1914) 80 – 95; Wilamowitz (1916) 116 – 181; Von der Mühll (1952) 240. Contra Naber (1876) 193; Theiler (1947) 140; Reinhardt (1961) 310 sgg.  Naber (1876) 188 sgg.; Hentze (18812) 72; Bethe (1914) 85; Wilamowitz (1916) 144– 145.

Introduzione alla Patroklie

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chiarita dal contesto e, cosa ancor più grave, la sfida che egli lancia a Glauco a stargli accanto in battaglia viene dimenticata (cfr. per contrasto Λ 314 sgg.). Stupisce anche che Aiace, quando vede Ettore rientrare in battaglia ed esprime il suo timore a Menelao (238 – 245), non osservi che Ettore è armato delle armi di Achille³³³. Sembra dunque che lo scambio delle armi che leggiamo in Ρ sia stato inserito in un contesto che non lo conteneva. Presupposto perché Ettore indossi le armi di Patroclo è che queste fossero quelle di Achille: sarebbe strano che Ettore si vestisse delle armi di Patroclo, se esse non fossero appartenute al suo più valoroso e illustre amico³³⁴ e, del resto, ogni volta che si dice che Ettore ha le armi sottratte a Patroclo, si precisa sempre che esse erano appartenute ad Achille. Patroclo stesso aveva chiesto ad Achille di prestargli le sue armi (Π 40 sgg.). Abbiamo trascritto la risposta di Achille a tale richiesta: dopo aver spiegato le ragioni per cui non intende scendere in battaglia (49 – 79), Achille consente che Patroclo aiuti i Greci a respingere dalle navi i Troiani (80 sgg.). Fra 80 e quanto precede c’è senz’altro una sutura: ἀλλὰ καὶ ὧς, Πάτροκλε, νεῶν ἀπὸ λοιγὸν ἀμύνων / ἔμπεσ᾽ ἐπικρατέως non lega con quanto precede, poiché Achille ha appena descritto la situazione difficile in cui si trovano i Greci e non ha senso dire «nonostante le cose stiano così (ἀλλὰ καὶ ὧς), va’ ad aiutare i Greci»; semmai, Achille avrebbe dovuto dire «proprio perché le cose stanno così, va’ ad aiutare i Greci». La difficoltà è ben nota e l’unico modo per superarla è supporre che qualcosa prima di 80 sia stato aggiunto. La soluzione più semplice a me pare considerare 55 – 79 un’aggiunta: in questo modo l’espressione ἀλλὰ καὶ ὧς si legherebbe al ricordo dell’offesa subita da parte di Agamennone e al conseguente dolore. Achille direbbe cioè: «sebbene Agamennone mi abbia offeso gravemente e la cosa mi addolori, tuttavia, Patroclo, va’ in battaglia e aiuta i Greci». Se si accetta questa soluzione, nel discorso di Achille non vi è alcuna allusione al prestito delle sue armi a Patroclo³³⁵.  Cfr. Hentze (18812) 72.  Non è abitudine degli eroi omerici indossare le armi dei nemici uccisi; sulle spoglie tolte ai nemici nell’Il. cfr. da ultimo Ready (2007).  Questa soluzione è di Bethe (1914) 159 – 160. Ameis-Hentze (ad loc.) considerano aggiunti 64– 79: Achille riprenderebbe così un pensiero espresso in Ι (650 sgg., cfr. Π 61– 63), secondo cui egli avrebbe ricominciato a combattere a fianco dei Greci solo quando il fuoco avesse raggiunto le navi dei Mirmidoni: Achille direbbe cioè a Patroclo di andare in battaglia, nonostante il fuoco non abbia ancora raggiunto le navi dei Mirmidoni. Tuttavia, questa ipotesi è in contrasto coi rapporti fra Ι e Π, poiché Π non presuppone Ι. Wilamowitz (1916) 119 – 120 suppone che il v. 64 originariamente suonasse τύνη δ᾽ ὤμοιιν μὲν ἀρήϊα τεύχεα δῦθι, e spiega le coincidenze fra Ι e Π supponendo che Ι dipenda da Π. Come Schadewaldt (1938) 130 possa scrivere che il discorso di Achille è «eine unzerreißbare Einheit», è per me un mistero.

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6 Analisi di Π–Τ

Nel discorso in cui Partroclo chiede all’amico di dargli le armi (Π 21– 45), l’eroe si augura che grazie a tale scambio i Troiani lo prenderanno per Achille (40 – 45) e per i Greci ci sarà una ἀνάπνευσις πολέμοιο³³⁶. Patroclo sembra sperare che i nemici, vedendo i Mirmidoni tornare in battaglia con a capo un guerriero che essi credono Achille, si ritireranno per un po’, dando così respiro ai Greci³³⁷. Nel seguito non accade nulla di tutto questo: né vi è mai un chiaro segno che i Troiani credono che Achille sia tornato in battaglia³³⁸ né Patroclo limita il suo intervento in modo tale che i Greci possano solo riprendersi per un po’. Anche la risposta di Achille (49 – 100) non fa alcuna allusione alla possibilità che l’intervento di Patroclo possa limitarsi a spaventare i Troiani facendosi credere Achille; anzi, Achille esorta l’amico a combattere i Troiani ἐπικρατέως (81): data la premura per l’amico, se Patroclo avesse proposto di intervenire in modo così blando come fanno pensare i vv. 40 – 45, difficilmente Achille gli avrebbe suggerito un intervento così deciso. Altri passi menzionano lo scambio delle armi. Π 134: si dice che la lorica che indossa Patroclo apparteneva ad Achille, ma Aristofane (Vesp. 615) al posto di ποδώκεος Αἰακίδαο leggeva κακῶν βελέων ἀλεωρήν (lezione presente anche negli scoli); forse il v. è stato aggiunto, oppure bisogna accettare la variante nota a Aristofane³³⁹. Π 140 – 144: si dice che Patroclo prese tutte le armi di Achille con l’eccezione della lancia di Achille: i vv. erano già stati sospettati nell’antichità ed è ozioso, dopo aver detto che Patroclo aveva preso due lance, aggiungere che non prese quella di Achille, come se ne avesse potute prendere tre³⁴⁰! Π 796 – 800: come vedremo, la morte di Patroclo è profondamente rielaborata. Ρ 711: questo v. è incoerente con il contesto³⁴¹. Sembra che tutti i passi di Π–Ρ che menzionano il Waffentausch siano frutto di rielaborazione; d’altra parte, se il poeta cui dobbiamo la gran parte di Π–Σ 34 avesse egli stesso inventato tale scambio o anche lo avesse accolto da una

 I vv. 41– 43 si trovano anche in Σ 199 – 201 (ma 200 – 201 mancano in una parte della tradizione). Sebbene si sia supposto (Wilamowitz 1916, 119) che l’originale sia Σ, pare probabile l’opposto: la coesistenza di Τρώεσσι (198) e Τρῶες (200) è problematica e l’insistenza sulla sofferenza dei Greci e sulla necessità di aiutarli si inserisce meglio nel contesto di Π che in quello di Σ. Sul problema cfr. Apthorp (1996).  ὀλίγη δέ τ᾽ ἀνάπνευσις πολέμοιο (43) significa: «in guerra anche una piccola pausa è sufficiente a riprendersi».  Solo Sarpedone (Π 422– 424) sembra incerto sull’identità di Patroclo, ma è significativo che, nonostante tale dubbio, egli non supponga che si tratti di Achille.  Cfr. Von der Mühll (1952) 244.  Cfr. Von der Mühll (1952) 244.  Cfr. p. 143 – 144, 165.

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tradizione precedente all’interno della sua poesia, ci aspetteremmo che egli ne facesse un qualche uso; per esempio, potremmo supporre che, almeno all’inizio, alcuni Troiani fossero spaventati dalle armi indossate da Patroclo o che, a un certo punto, essi si accorgessero che il guerriero che fino a quel punto avevano creduto Achille fosse in realtà Patroclo. Nulla di tutto questo accade³⁴²: solo nel momento in cui Patroclo e i Mirmidoni arrivano sul campo di battaglia i Troiani suppongono la presenza di Achille (Π 278 – 283), ma anche qui nulla indica che Patroclo abbia le armi di Achille; i Troiani credono che Achille sia tornato in battaglia solo perché vedono una persona che guida i Mirmidoni ed era dunque naturale pensare che si trattasse di Achille. Se ci fosse stato uno scambio di armi, è lecito pensare che il poeta si sarebbe espresso in altro modo. Anche il dubbio di Sarpedone sull’identità della persona che sta guidando i Mirmidoni (423 – 425: ἀντήσω γὰρ ἐγὼ τοῦδ᾽ ἀνέρος, ὄφρα δαείω / ὅς τις ὅδε κρατέει καὶ δὴ κακὰ πολλὰ ἔοργε / Τρῶας, ἐπεὶ πολλῶν καὶ ἐσθλῶν γούνατ᾽ ἔλυσεν) sono difficilmente immaginabili in un contesto in cui Patroclo ha le famose armi di Achille e le ha indossate a posta per farsi scambiare per l’amico più valoro: il contrasto fra 40 sgg. e 421 sgg. mi pare innegabile. Se, nella mente di Patroclo, le sole armi potevano farlo sembrare Achille, come è possibile che, ora che egli ha già dato abbondanti prove del suo valore, Sarpedone dubiti ancora dell’identità del capo dei Mirmidoni? Se, invece, supponiamo che Patroclo avesse le sue armi, il dubbio di Sarpedone è ben spiegabile: egli ha visto arrivare i Mirmidoni con un capo che non porta le armi di Achille e per questo si chiede chi egli realmente sia. Anche l’eroe destinato a uccidere Patroclo, Ettore, non mostra il minimo dubbio sull’identità del suo avversario durante la battaglia (830 sgg.) né quando Apollo, sotto le sembianze di Asio, lo esorta ad affrontare Patroclo (721– 725), egli mostra il minimo stupore nel sapere che si tratta di Patroclo o il minimo sollievo a scoprire che non si tratta di Achille. Si ha l’impressione che in Π i Troiani mai pensino che Achille sia davvero rientrato in battaglia. Fra la fine di Ρ e l’inizio di Σ si addensano altri indizi utili. Con Ρ 597 inizia la fuga dei Greci, che combattono attorno al cadavere di Patroclo, davanti alla forza soverchiante dei Troiani; Aiace chiede a Menelao di trovare Antiloco e di incaricare quest’ultimo di riferire ad Achille che Patroclo è morto. Menelao trova Antiloco, gli riferisce della morte di Patroclo e conclude così il suo discorso (691– 693): ἀλλὰ σύ γ᾽ αἶψ᾽ ᾿Aχιλῆϊ θέων ἐπὶ νῆας ᾿Aχαιῶν / εἰπεῖν, αἴ κε τάχιστα νέκυν ἐπὶ νῆα σαώσηι / γυμνόν· ἀτὰρ τά γε τεύχε᾽ ἔχει κορυθαιόλος Ἕκτωρ.

 Cfr. Bergk (1872) 627: lo studioso non esclude che il motivo dello scambio delle armi preesistesse al poeta di Π, ma suppone che egli non lo abbia utilizzato perché intendeva comporre un’opera breve. Giuste osservazioni fa anche Niese (1882) 88 – 89.

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Menelao sembra dunque presupporre che Achille possa portare in salvo (σαώσηι) il cadavere di Patroclo, già disarmato da Ettore. Ma come può supporre una cosa del genere, se egli sa che Achille non ha più le sue armi, che sono ora nella mani di Ettore? Come può Achille intervenire, se egli non ha le armi? Il problema si porrà nel seguito e solo l’intervento divino di Iride inviata da Era lo risolverà (Σ 165 sgg.). Menelao pare dunque immaginare che Achille sia ancora in possesso delle sue armi e che quindi non le abbia prestate a Patroclo³⁴³. Dopo aver inviato Antiloco da Achille, Menelao torna sul luogo ove gli Aiaci combattono attorno al cadavere di Patroclo e rivolge loro un discorso (708 – 714), nel quale riferisce di aver inviato Antiloco, ma aggiunge che non c’è da aspettarsi che Achille rechi un qualche aiuto, poiché è disarmato (709 – 711: οὐδέ μιν οἴω / νῦν ἰέναι, μάλα περ κεχολωμένον Ἕκτορι δίωι· / οὐ γάρ πως ἂν γυμνὸς ἐὼν Τρώεσσι μάχοιτο): è dunque necessario che gli Aiaci insieme a lui stesso cerchino di recuperare il cadavere di Patroclo. Tutto questo è sorprendente: lo stesso Menelao che pochi versi prima sembra confidare in un intervento immediato e risolutivo di Achille, ora lo ritiene del tutto impossibile perché Achille non ha più le armi. Nulla lascia intendere che Menelao nel frattempo abbia acquisito nuove informazioni o abbia riflettuto su qualcosa di nuovo. Sembra invece probabile che fra 691– 693 e 709 – 711 ci sia una sutura. Una conferma all’estraneità del Waffentausch alla Patroklie originaria e la ragione della sua introduzione ce la darà l’analisi di Σ: in questa rapsodia P ha unito la Patroklie alla Ὁπλοποιΐα e l’utilizzo della Patroklie da parte di P cessa (completamente, a quanto pare) nel momento in cui P inizia a introdurre la Ὁπλοποιΐα (cioè con l’arrivo di Tetide da Achille)³⁴⁴. L’impressione è che P abbia inserito nel suo epos la Ὁπλοποιΐα (probabilmente preesistente) e, per giustificare la fabbricazione delle nuove armi per Achille, abbia introdotto il Waffentausch nella Patroklie ³⁴⁵. Un’altra questione preliminare all’analisi della Patroklie riguarda la fortificazione del campo greco. Abbiamo già mostrato che tale fortificazione era in origine estranea alle Verwundungen, mentre essa è essenziale in Μ–Ο 591 ed è stata introdotta nella nostra Il. da P. Ci sono ragioni abbastanza forti per credere che anche la Patroklie in origine presupponesse il campo acheo non fortificato³⁴⁶. Le raccomandazioni che Achille impartisce a Patroclo prima che questi

 Cfr. Bethe (1914) 99 – 100.  Cfr. p. 166 sgg.  Niese (1882) 90: «Im engsten Zusammenhange mit der Entlehnung der Waffen Achills durch Patroklos steht die Hoplopoie; erst durch den Verlust der Rüstung an Hektor wird sie nötig gemacht».  Cfr. Lachmann (18743) 67, 72; Bethe (1914) 139 – 141; Von der Mühll (1952) 247. Si ricordi che anche l’Aufruhr, la Diomedie e la Dolonie ignorano la fortificazione.

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vada in battaglia (Π 83 – 100) sembrano escludere la presenza di una fortificazione: Achille distingue la battaglia in prossimità delle navi (ἐν νήεσσι 95) da quella nella pianura (κατὰ πεδίον), ma mai menziona la fortificazione; eppure la presenza di muro e di un fossato non sono un particolare di poco conto. La prima menzione della fortificazione all’interno di Π si incontra quando i Troiani vengono respinti verso la città. 358 – 363 narrano che Ettore, nonostante si rendesse conto che la battaglia stava volgendo a favore dei Greci, teneva testa ad Aiace. Poi leggiamo (364– 371): ὡς δ᾽ ὅτ᾽ ἀπ᾽ Οὐλύμπου νέφος ἔρχεται οὐρανὸν εἴσω αἰθέρος ἐκ δίης, ὅτε τε Ζεὺς λαίλαπα τείνηι, ὣς τῶν ἐκ νηῶν γένετο ἰαχή τε φόβος τε, οὐδὲ κατὰ μοῖραν πέραον πάλιν. Ἕκτορα δ᾽ ἵπποι ἔκφερον ὠκύποδες σὺν τεύχεσι, λεῖπε δὲ λαόν Τρωϊκόν, οὓς ἀέκοντας ὀρυκτὴ τάφρος ἔρυκεν· πολλοὶ δ᾽ ἐν τάφρωι ἐρυσάρματες ὠκέες ἵπποι ἄξαντ᾽ ἐν πρώτωι ῥυμῶι λίπον ἅρματ᾽ ἀνάκτων.

365

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Ettore dunque, che si trova sul carro, riesce a passare il fossato (τάφρος), mentre per gli altri Troiani (λαός) tale passaggio è più difficile. La fuga di Ettore, dopo quanto avevamo letto immediatamente prima (358 – 363), sorprende: era stato appena detto che Ettore teneva testa ad Aiace; perché ora egli fugge, senza che nulla ne lasci intendere il motivo? Anche il motivo per cui il passaggio del fossato è facile per Ettore e difficile per il resto dei Troiani è oscuro. Si osservi che dal contesto sembra quasi venire fuori che Ettore non ottempera ai suoi doveri di capo, dal momento che egli abbandona (λεῖπε) i suoi compagni in difficoltà: si tratta di una cosa assai grave, cui ci aspetteremmo che il poeta desse il dovuto risalto, soprattutto dopo 363 (σάω δ᾽ ἐρίηρας ἑταίρους). Anche l’espressione ἐκ νηῶν (366) risulta strana, poiché già a 304 – 305 sembra che i Τroiani si allontanino dalle navi (cfr. anche 293 – 295)³⁴⁷. A 372– 376 Patroclo insegue i Troiani in fuga e a 377– 383 leggiamo: Πάτροκλος δ᾽, ἧι πλεῖστον ὀρινόμενον ἴδε λαόν, τῆι ῥ᾽ ἔχ᾽ ὁμοκλήσας· ὑπὸ δ᾽ ἄξοσι φῶτες ἔπιπτον πρηνέες ἐξ ὀχέων, δίφροι δ᾽ ἀνακυμβαλίαζον· ἀντικρὺ δ᾽ ἄρα τάφρον ὑπέρθορον ὠκέες ἵπποι {ἄμβροτοι, οὓς Πηλῆϊ θεοὶ δόσαν ἀγλαὰ δῶρα,} πρόσσω ἱέμενοι, ἐπὶ δ᾽ Ἕκτορι †κέκλετο θυμός†, ἵετο γὰρ βαλέειν· τὸν δ᾽ ἔκφερον ὠκέες ἵπποι.

380

 Per le gravi difficoltà che 364 sgg. pongono rispetto al contesto cfr. Naber (1876) 186; Hentze (18812) 21– 22; Bethe (1914) 140 – 141.

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6 Analisi di Π–Τ

L’inizio di 377 e l’inizio di 372 fanno pensare a una variante redazionale (cfr. Πάτροκλος δέ all’inizio di entrambi³⁴⁸): se lasciamo nel testo 372– 376 dobbiamo supporre che nella parte precedente ci sia la menzione di una fuga dei Troiani (cfr. 372 ἕπετο), ma questo crea qualche problema. Se accogliamo 376 sgg. incontriamo un problema a 380 – 383: il v. 381 è assente dalla maggior parte dei mss. e sembra sia stato introdotto qui da Π 867: perché? Probabilmente per rendere chiaro che i cavalli di 380 sono quelli di Patroclo, non quelli dei Troiani, di cui si era parlato fino a quel momento. In effetti il passo è poco perspicuo e un’ulteriore difficoltà la creano 382– 383, ove si dice che Patroclo cercava di attaccare battaglia contro Ettore; questo non solo contraddice il fatto che poco prima Ettore sia impegnato con Aiace, ma non si accorda nemmeno con la raccomandazione, che Achille aveva dato a Patroclo, di non combattere contro Ettore (Σ 14³⁴⁹). Tutte queste difficoltà scompaiono, quando si supponga che le due menzioni del muro e del fossato sono state aggiunte successivamente³⁵⁰. Quanto leggiamo subito dopo sembra confermare questa ipotesi: a 394– 398 leggiamo che Patroclo, dopo aver allontanato i Troiani dalle navi, conformemente a quanto gli aveva raccomandato Achille, evitò di portare la battaglia sotto le mura di Troia, e combatteva μεσηγύ / νηῶν καὶ ποταμοῦ καὶ τείχεος ὑψηλοῖο (396 – 397): dunque il combattimento avveniva fra il fiume, le navi e il muro della città. Il verso sembra opporre la battaglia in mezzo alla pianura a quella sotto le mura: difficilmente il poeta avrebbe dato come limite dal campo di battaglia dalla parte del mare le navi dei Greci, se avesse supposto la presenza di una fortificazione (τεῖχος qui indica senza dubbio il muro di Troia, ma il termine è ambiguo e avrebbe potuto indicare anche il muro dell’accampamento greco³⁵¹). Anche le menzioni della fortificazione a Π 511– 512, 558 – 559, Ρ 760 – 761 non dimostrano nulla, poiché questi passi, come vedremo, sono estranei alla Patroklie. Ci sono dunque ragioni valide per credere che la fortificazione nella Patroklie sia stata introdotta successivamente, con tutta evidenza da P, dal momento che egli la ha introdotta anche nelle altre parti del poema.

 Cfr. Koechly (1861) 306; Wilamowitz (1916) 130, nota 1.  Anche Π 242– 245 contraddicono Σ 14 e vanno espunti, cfr. Hentze (18812) 18 – 19.  Si potrebbe dunque supporre che la sequenza originaria fosse –363, 377– 379, 384–. Wilamowitz (1916) 130 ritiene aggiunte successive solo 369 – 371 e 377– 382, ma in questo modo resta il contrasto fra 363 e 368.  Koechly (1861) 307 espunge 397.

L’aristia e la morte di Patroclo

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L’aristia e la morte di Patroclo Analizziamo ora la Patroklie. Con Ο 591 finiscono una serie di monomachie che P ha probabilmente tratto da un altro epos. Poi c’è un pezzo di raccordo (592– 604), in cui si dice che Zeus aiutava Ettore per mantenere la promessa fatta a Tetide (il chiaro rimando al Groll mostra che qui siamo in P). Seguono alcune similitudini e l’uccisione di Perifete da parte di Ettore, dopodiché si combatte ormai in vista delle navi. Segue un discorso di Nestore, dopo il quale Atena fa sparire la nebbia che circonda i Greci. Molti (seguendo Aristarco) hanno espunto l’intervento di Atena (668 – 673)³⁵²; in effetti, 673 sembra contraddire 675, poiché da quest’ultimo si ricaverebbe che nessun Greco in questo momento sta combattendo. Aiace si fa coraggio e i Greci ricominciano a combattere: da 696 (αὖτις δὲ δριμεῖα μάχη παρὰ νηυσὶν ἐτύχθη) si ricava che si è già combattuto presso le navi; noi non sappiamo come iniziasse la Patroklie e non possiamo escludere che in precedenza ci fossero stati combattimenti presso le navi, ma l’ipotesi più probabile è che sia stato P che con αὖτις ha voluto ricollegarsi alle sezioni precedenti in cui già si combatteva presso le navi³⁵³: la contraddizione era evidente anche a lui e vi ha posto rimedio in questo modo. Si accende quindi lo scontro attorno alla nave di Protesilao, che i Troiani cercano di incendiare, ma che viene difesa valorosamente da Aiace. Così finisce Ο. Abbiamo già parzialmente analizzato l’inizio di Π: Patroclo cerca di commuovere Achille per la sorte dei Greci. 1– 22 non pongono problemi e sembrano derivare dalla Patroklie; in 23 – 28 Patroclo elenca gli eroi greci che sono feriti, Diomede, Odisseo, Agamennone, Euripilo; questi vv. occorrono identici in Λ (Π 23 – 24 = Λ 825 – 826; Π 25 – 26 = Λ 660 – 661). Anche i vv. in cui Patroclo chiede a Achille se sia una θεοπροπίη che gli proibisce di combattere e lo prega di prestargli le armi occorrono in Λ (Π 36 – 45 = Λ 794– 803). I passi di Λ in questione sono opera di P³⁵⁴; in astratto, sarebbe possibile ipotizzare che questi vv. appartenessero in origine alla Patroklie e che P li abbia riutilizzati in Λ, ma Π 40 – 43 presuppone il Waffentausch, dunque è P. Π 23 – 26 deriva da Λ: in Π Patroclo dice ad Achille che sono stati feriti Diomede, Odisseo, Agamennone, Euripilo, senza citare Macaone; in Π è del tutto ingiustificata l’omissione di Macaone³⁵⁵, mentre tale omissione è normale in Λ, poiché Nestore e Patroclo lo

 Cfr. Hentze (18792) 112– 113; Wilamowitz (1916) 158, nota 1 crede 659 – 673 (dunque oltre all’intervento di Atena anche il discorso di Nestore) interpolazione rapsodica.  Wilamowitz (1916) 158, nota 2 suppone che il poeta della Patroklie alludesse a combattimenti precedenti senza averli narrati egli stesso, tipica supposizione lachmanniana cfr. p. 211.  Cfr. p. 104 sgg.  Fra l’altro, Patroclo era stato inviato da Achille presso Nestore proprio per Macaone!

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hanno davanti³⁵⁶. Pare quindi che P abbia composto per Λ questi vv. e che poi li abbia riutilizzati rielaborando Π. È invece probabile che Π 36 – 39 (= Λ 794– 797) facessero parte della Patroklie: Achille nella sua risposta li presuppone (Π 50 – 51) e non c’è ragione di pensare che siano stati inventati da P. La risposta di Achille (49 – 100) è stata rielaborata e 55 – 79 sono probabilmente estranei al contesto originario. È probabile siano tutte rielaborazioni di P; ma perché le ha fatte? Colpisce che per descrivere il ferimento di Agamennone, Diomede e Odisseo (25 – 26) P abbia usato vv. che lui stesso aveva composto per un’altra situazione (quella cioè di Λ). Ne dedurrei che nella Patroklie il ferimento dei tre eroi non c’era o, se c’era, Patroclo non ne faceva menzione in questo luogo: perché, altrimenti, P avrebbe dovuto rielaborare il passo di Λ e non lasciare quanto trovava nella Patroklie? L’inserzione di 23 sgg. serve dunque a creare un legame con quanto precede, che nella Patroklie non c’era o era narrato in altro modo. Anche l’inserzione di 55 – 79 è stata fatta per creare legami con quanto precede: l’episodio di Briseide viene narrato in maniera più dettagliata che in quanto precede (cfr. 56 – 59 e 53 – 54) e Achille dice che era sempre stata sua intenzione porre fine alla sua ira contro i Greci (62: μηνιθμὸν καταπαυσέμεν) quando i Troiani si fossero avvicinati alle navi dei Mirmidoni; si osservi che Π 61– 63 contengono un’esplicita allusione a Ι 650 sgg., cioè al momento in cui Achille congeda gli ambasciatori di Agamennone nella πρεσβεία (cfr. anche Π 59 = Ι 648). Dunque, mentre la Patroklie ignora completamente la πρεσβεία, il poeta che ha inserito Π 55 – 79 si collega alla πρεσβεία, vi allude e la cita. È evidente che siamo davanti a P che crea collegamenti all’interno del grande epos che egli stesso sta costruendo³⁵⁷. Terminato il colloquio fra Achille e Patroclo, i Troiani riescono ad appiccare il fuoco alle navi: a questo punto Achille stesso esorta Patroclo a intervenire quanto prima in battaglia. Patroclo quindi si arma (la sezione è stata ritoccata per il Waffentausch); seguono alcuni vv. in cui si dice che i Mirmidoni erano divisi in cinque schiere e di ognuna viene nominato il capo (168 – 197). Di questa divisione in cinque dei Mirmidoni non c’è traccia altrove nel poema; dei cinque capi, Fenice e Alcimedonte si trovano anche altrove, mentre Menestio, Eudoro e Pisandro occorrono solo qui; la notizia che i Mirmidoni erano giunti a Troia con cinquanta navi trova corrispondenza nello Schiffskatalog (Β 685), ma non è possibile determinare il rapporto fra i due passi. Mentre il poeta ha qualcosa di significativo da dire sugli altri tre capi, di Fenice e Alcimedonte non dice nulla;

 Cfr. Bethe (1914) 156, nota 1.  C’è leggera contraddizione fra Ι 650 sgg. e Π 61– 63, poiché in Ι la fine dell’ira di Achille significa che sarà egli stesso a riprendere a combattere, mentre in Π egli invia Patroclo.

L’aristia e la morte di Patroclo

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questo è di sicuro in relazione con il fatto che Fenice e Alcimedonte occorrono altrove nel poema (in sezioni estranee alla Patroklie), gli altri tre no; ne segue che questa parte è stata scritta da qualcuno che aveva davanti l’Il. come la abbiamo noi, o simile a essa. A questo poeta stava evidentemente a cuore inserire Menestio, Eudoro e Pisandro, che altrimenti non avevano alcuna menzione. È dunque palese che siamo davanti a un pezzo estraneo alla Patroklie, aggiunto da P, poiché l’opposizione fra Fenice e Alcimedonte da una parte e gli altri tre eroi dall’altra ha senso all’interno dell’epos di P, non nella Patroklie, in cui Fenice e Alcimedonte forse non comparivano. Difficile è dire se il discorso di Achille che segue immediatamente (198 – 209) faccia parte dell’aggiunta o della Patroklie: l’eroe ricorda ai Mirmidoni quante volte lo hanno rimproverato perché egli si rifiutava di combattere: ora essi hanno la possibilità di mostrare il proprio valore³⁵⁸. Seguono la preghiera di Achille a Zeus e l’inizio dei combattimenti. La presenza di Patroclo muta subito il corso della battaglia, che comincia ad essere favorevole ai Greci, i quali respingono i Troiani dalle navi. Sembra che in questa sezione la Patroklie sia ben preservata, ove si escluda la menzione della fortificazione del campo greco, di cui già abbiamo detto. Con 419 inizia l’episodio del licio Sarpedone, che va avanti fino a 683. Molti lo ritengono una delle numerose interpolazioni licie³⁵⁹, ma io credo che nella Patroklie Sarpedone sia originario. Sarpedone non sa chi sia il Greco che sta facendo strage di Troiani (422– 425): scende dunque dal carro per affrontarlo e altrettanto fa Patroclo. La scena si sposta sull’Olimpo (431– 461), ove Zeus esprime a Era il proposito di salvare, riportandolo in Licia, suo figlio Sarpedone, che sta per essere ucciso da Patroclo: la dèa lo sconsiglia, ammonendolo che altrimenti anche gli altri dèi interverranno nella battaglia per salvare i propri figli: Zeus ordini piuttosto a Thanatos e Hypnos di riportare in Licia il cadavere di Sarpedone. Zeus acconsente, ma bagna di rugiada il campo di battaglia in segno di onore per il figlio che sta per essere ucciso. Zenodoto aveva una forma più breve dell’episodio divino, che comprendeva solo la commozione di Zeus e la rugiada (431 + 459 – 461)³⁶⁰. Ha quindi inizio il duello e Patroclo uccide Trasi-

 Considerano 168 – 211 estranei al contesto originario Christ (1884) 528 – 529 e Von der Mühll (1952) 244. Niese (1882) 136 – 137 considera aggiunti 168 – 220, Wilamowitz (1916) 125 – 126 considera aggiunti 168 – 217, mentre Koechly (1861) 299 solo 167– 198. Bergk (1872) 617 crede che l’Urilias ricominci con 220.  Schoemann (1858) 5; Niese (1882) 110; Robert (1901) 393 sgg.; Dahms (1924) 57; Von der Mühll (1952) 247 sgg. Credono invece che Sarpedone fosse presente nell’epos originario Bergk (1872) 618 e Wilamowitz (1916) 135 sgg.  La proposta di Zeus, di trasportare vivo Sarpedone in Licia, sembra presupporre la storia del trasporto del cadavere, poiché di solito, quando una divinità vuole sottrarre al pericolo

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demo, l’auriga di Sarpedone. La lancia di quest’ultimo non riesce a colpire Patroclo, ma uccide il cavallo Pedaso. A questo punto Patroclo uccide Sarpedone. La similitudine con cui viene descritta la caduta di Sarpedone occorre identica in Ν (389 – 393 = Π 482– 486), ove essa descrive la caduta di Asio, ucciso da Idomeneo. 485 – 486 suonano: ὣς ὁ πρόσθ᾽ ἵππων καὶ δίφρου κεῖτο τανυσθείς / βεβρυχώς, κόνιος δεδραγμένος αἱματοέσσης³⁶¹. A questa similitudine ne segue un’altra, che paragona Sarpedone a un toro ucciso da un leone, che geme mentre muore: così Sarpedone, morendo, si rivolge a Glauco e lo esorta a difendere il suo cadavere (487– 501). Poi leggiamo (502– 505): ὣς ἄρα μιν εἰπόντα τέλος θανάτοιο κάλυψεν / ὀφθαλμοὺς ῥῖνάς θ᾽· ὃ δὲ λὰξ ἐν στήθεσι βαίνων / ἐκ χροὸς εἷλκε δόρυ, προτὶ δὲ φρένες αὐτῶι ἕποντο· / τοῖο δ᾽ ἅμα ψυχήν τε καὶ ἔγχεος ἐξέρυσ᾽ αἰχμήν. Il passo presenta alcune incoerenze: che dopo 486 Sarpedone possa ancora parlare risulta strano (cfr. Ν 393). Strano è anche che a 502– 503 seguano 504– 505, poiché in questo modo la morte di Sarpedone viene narrata due volte; inoltre ὃ δέ (503) indica Patroclo, ma dopo il discorso rivolto a Glauco, il pronome farebbe pensare a quest’ultimo. Se leggiamo il seguito, risulta chiaro che siamo davanti a un pezzo rielaborato. Glauco vorrebbe fare quanto gli ha chiesto Sarpedone, ma è impedito dalla ferita che gli ha causato Teucro (Μ 387 sgg.). Siamo evidentemente davanti a un pezzo che presuppone che Μ preceda Π, dunque l’allusione di Glauco alla sua ferita non può derivare dalla Patroklie, che è nata in maniera completamente indipendente da Μ e che non lo presuppone. Il tutto si chiarisce, se noi supponiamo che Glauco qui non sia originario: in questo modo non solo scompare l’inspiegabile allusione a Μ, ma anche la narrazione della morte di Sarpedone risulta più chiara. Eliminando cioè il discorso di Sarpedone (492– 501), si può supporre che in origine ὃ δὲ λὰξ ἐν στήθεσι βαίνων (503) seguisse a brevissima distanza 490 – 491; in questo modo il pronome ὅ poteva riferirsi in maniera più naturale a Patroclo e la morte di Sarpedone non veniva narrata due volte. Il seguito (508 sgg.) conferma che siamo davanti a una sezione fortemente rimaneggiata: impedito dalla ferita, Glauco si rivolge ad Apollo, affinché lo guarisca. La divinità esaudisce la preghiera e Glauco si dirige fra i Troiani, per annunciare loro la morte di Sarpedone e per rimproverare Ettore di non tenere nella dovuta considerazione gli alleati. I Troiani si dirigono verso il cadavere di

imminente un guerriero, lo allontana semplicemente dall’avversario, non lo riporta in patria: il fatto che Zeus pensi da subito a riportare Sarpedone in patria fa supporre che il poeta conoscesse bene la storia del trasporto in Licia del cadavere di Sarpedone.  L’immagine del guerriero steso davanti al carro è parsa più appropriata in Ν (Hentze 18812, 27), poiché di Asio si era detto che si trovava davanti al carro (385). Tuttavia, anche Sarpedone era sceso dal carro (326).

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Sarpedone; a questo punto Patroclo esorta i due Aiaci al combattimento e dice (558) κεῖται ἀνήρ, ὃς πρῶτος ἐσήλατο τεῖχος ᾿Aχαιῶν / Σαρπηδών. Il v. si riferisce a due passi di Μ, 290 sgg. e 438: nel secondo di questi passi il poeta afferma che Ettore πρῶτος εἰσήλατο τεῖχος ᾿Aχαιῶν, mentre nel primo il poeta afferma che Ettore mai avrebbe superato la fortificazione greca, se non fosse intervenuto Sarpedone (in effetti quest’ultimo distrae Aiace Telamonio e l’assenza di Aiace consente a Ettore di penetrare nell’accampamento). Le parole di Patroclo sembrano dunque correggere Μ 438 in base a quanto detto in Μ 290 sgg. È la seconda allusione nel giro di pochi vv. a Μ (le uniche nella Patroklie). È evidente che tutto quanto segue la morte di Sarpedone non apparteneva alla Patroklie ed è stato aggiunto successivamente, evidentemente da P; sembra cioè che Sarpedone facesse parte della Patroklie originaria e che Glauco, invece, vi sia stato aggiunto successivamente³⁶². Del resto, che siamo all’interno di un ampliamento lo fa supporre anche il semplice fatto che Glauco, dopo che Apollo lo ha guarito, anziché rimanere presso il cadavere di Sarpedone che egli vorrebbe difendere, se ne allontani e che nel frattempo venga presupposta una totale inattività di Patroclo, che si trova sul cadavere. Evidentemente, chi ha introdotto questo ampliamento voleva introdurre una lotta sul cadavere di Sarpedone: era un modo per dare onore e lustro a questo eroe e il fatto che egli, per farlo, introduca Glauco, un altro licio, mostra l’interesse di questo rielaboratore della Patroklie per i Lici; tutto lascia pensare che si tratti dello stesso poeta cui si devono le interpolazioni licie di Ε–Ζ. Si accende dunque la pugna attorno al cadavere di Sarpedone e il primo a cadere è il mirmidone Epegeo, ucciso da Ettore. Quindi Patroclo uccide Stenelao; i Troiani retrocedono, ma Glauco ridà loro forza e uccide Baticlea, un altro Mirmidone. Merione uccide quindi Laogono, poi c’è un duello fra Enea e l’eroe cretese, senza che nessuno dei due abbia la meglio. La battaglia infuria a tal punto, che la polvere, le frecce, il sangue impediscono di vedere il cadavere di Sarpedone. Zeus dubita se consentire a Patroclo di respingere i Troiani fino alle mura della città o far morire subito l’eroe per mano di Ettore: opta quindi per la prima soluzione e fa sorgere timore nell’animo di Ettore, il quale, resosi conto del volere avverso di Zeus, fugge sul carro verso Troia. A questo punto i Greci spogliano il cadavere di Sarpedonte, ma Zeus ordina ad Apollo di prendere il cadavere, lavarlo e consegnarlo a Hypnos e Thanatos, affinché lo portino in Licia. Qui si conclude la battaglia attorno al cadavere dell’eroe licio. Come dicevo, sembra che l’ampliamento sia dovuto a un poeta cui stava a cuore esaltare il valore dei Lici; questo è confermato dalla palese esaltazione del

 Cfr. in questo senso Wilamowitz (1916) 138 sgg. Scettico Cauer (1917 b) 563.

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valore di Glauco (593 – 594) e dal fatto che i caduti sono due per parte (di solito nell’Il. i caduti asiatici sono più che quelli Greci); anche il fatto che di entrambi i caduti greci si dica che sono mirmidoni, dato il valore di questo popolo, è un indizio in questo senso, e lo stesso può dirsi del fatto che la fuga di Ettore viene attribuita al volere di Zeus. Non è facile determinare la sutura fra la parte finale di questo ampliamento licio e la Patroklie. Si è pensato che 659 – 662 contengano un avanzo della versione in cui non era presente la lotta attorno al cadavere di Sarpedone (quindi un avanzo della Patroklie), ma non è possibile né dimostrarlo né negarlo³⁶³: certo non è possible supporre che con 659 ricominci la Patroklie, poiché quanto segue (fino a 683) è strettamente legato alla lotta sul cadavere di Sarpedone: dopo, infatti, che Ettore è fuggito (656 sgg.) e che i Greci si sono impadroniti delle armi del caduto, Zeus fa sì che il cadavere sia portato in Licia: il trasporto del cadavere di Sarpedone in Licia faceva forse parte della Patroklie, ma non è possibile avere certezze; certo esso non è scindibile dal colloquio fra Zeus ed Era (Π 431– 461). Con 684 Patroclo inizia a inseguire Troiani e Lici verso Troia e si è supposto che questa sezione appartenga di nuovo alla Patroklie ³⁶⁴. Questa supposizione sembra anche a me probabile, poiché da 684 inizia la sezione che porta direttamente alla morte di Patroclo, che non poteva mancare nella Patroklie. 685 – 687 contengono una riflessione del poeta: se Patroclo si fosse attenuto ai consigli di Achille e non avesse inseguito i nemici verso Troia, non sarebbe morto. È evidente il legame con Π 83 – 96, sezione che appartiene a mio giudizio alla Patroklie ³⁶⁵. 692– 697 contengono i nomi di ben nove guerrieri uccisi da Patroclo e  Π 659 – 662: ἔνθ᾽ οὐδ᾽ ἴφθιμοι Λύκιοι μένον, ἀλλ᾽ ἐφόβηθεν / πάντες, ἐπεὶ βασιλῆα ἴδον βεβλαμμένον ἦτορ / κείμενον ἐν νεκύων ἀγύρει· πολέες γὰρ ἐπ᾽ αὐτῶι / κάππεσον, εὖτ᾽ ἔριδα κρατερὴν ἐτάνυσσε Κρονίων. A 660 è tramandato sia βεβλαμμένον sia βεβλημένον sia δεδαϊγμένον: la prima variante si accorda con la nostra Il., ma obbliga a espungere 661– 662, perché in questo modo il βασιλεύς è Ettore e βεβλαμμένον si riferisce al turbamento di 656 sgg. Se invece accogliamo δεδαϊγμένον o βεβλημένον possiamo mantenere 661– 662 e βασιλεύς è Sarpedone. Questa seconda versione evidentemente non è conciliabile con la nostra Il., poiché i Lici non possono vedere ora per la prima volta (!) che Sarpedone è caduto. Si è quindi supposto (Wilamowitz 1916, 139 – 140) che questi vv. siano pensati per una situazione quale quella di 490 sgg., cioè immediatamente successiva alla morte di Sarpedone (βεβλαμμένον potrebbe essere una congettura di qualcuno che si è reso conto dell’impossibilità di riferire βασιλεύς a Sarpedone e che ha quindi pensato di riferirlo a Ettore, pensando forse anche all’espunzione di 661– 662, sebbene tale espunzione sia stata proposta per la prima volta da Payne Knight e non trovi conferme nella tradizione). Questo non può essere escluso, ma può anche darsi che 661– 662 siano stati aggiunti da qualcuno che voleva chiarire che βασιλεύς si riferiva a Sarpedone.  Cfr. Bethe (1914) 316; Von der Mühll (1952) 249.  688 – 691 contengono un’altra riflessione del poeta: i disegni di Zeus sono superiori a quelli degli uomini. 688 – 690 occorrono identici in Ρ 176 – 178: non c’è dubbio che 689 – 690 siano stati

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possono derivare dalla Patroklie; di sicuro aggiunti sono invece 698 – 711: leggiamo che Patroclo si lanciò ben tre volte contro le mura della città e, se non fosse stato per l’intervento di Apollo, Troia sarebbe caduta nelle mani dei Greci: 702– 711 occorrono in Ε 436 – 444 e non c’è dubbio che siano stati tratti da lì³⁶⁶. L’assalto di Patroclo alle mura è qui completamente fuori posto: tale assalto sarebbe dovuto avvenire, come tutti gli attacchi dei Greci, dalla parte delle porte Scee, ma questo nel nostro contesto non sembra possibile, perché a 712 leggiamo che proprio davanti alle porte Scee c’era Ettore. Inoltre, 697 lega benissimo con 712, poiché alla fuga della massa dei guerrieri viene così opposto Ettorre che resta ad aspettare il nemico. Nella nostra Il. avevamo incontrato Ettore a 656 (in una sezione dunque rielaborata), mentre fuggiva verso Troia. Quello che leggiamo a 712 non contrasta con 656, ma non lo presuppone nemmeno. Cosa faceva Ettore nella Patroklie? L’ultima sua menzione è quella di 358 – 363, allorché tiene testa ad Aiace. Non sappiamo se e come il poeta della Patroklie trattava questi due eroi durante l’aristia di Patroclo. Ettore è ora fermo, lontano dai combattimenti (come mostra 728). A guidare la sua azione interviene Apollo, che, fingendosi Asio, fratello di Ecuba e quindi zio di Ettore, esorta l’eroe a dirigersi contro Patroclo. Ettore ubbidisce e ordina all’auriga Cebrione di dirigersi verso il luogo ove infuria la battaglia: 726 – 728 sono pensati evidentemente come paralleli a 684– 685 e la contemporanea menzione degli dèi in entrambi i passi è probabilmente intenzionale: il poeta della Patroklie sottolinea in questo modo che sia Zeus sia Apollo vogliono la morte di Patroclo. Apollo si mescola alla battaglia e getta confusione fra le file dei Greci. Ettore si dirige senza indugio verso Patroclo, trascurando gli altri guerrieri: Patroclo scende dal carro, lancia una pietra che uccide Cebrione. Dopo aver schernito il caduto, Patroclo si lancia su di lui. Ora anche Ettore scende dal carro e si accende una lotta attorno al cadavere di Cebrione, con Ettore che ne tiene la testa, Patroclo un piede. Fino a che il sole rimane alto nel cielo, la battaglia rimane equilibrata, ma quando sopraggiunge la sera i Greci, sebbene ὑπὲρ αἶσαν, hanno la meglio e si impa-

interpolati da Ρ 177– 178, poiché in Π essi non possono stare e vanno espunti (anche nell’Il. quale la leggiamo noi essi sono inaccettabili ed essi sono assenti da parte della tradizione), cfr. Hentze (18812) 29. 688 e 691 potrebbero collegarsi a 644 sgg., ove lo svolgimento della battaglia viene attribuito al volere di Zeus. Seguendo questa ipotesi si potrebbe supporre che la menzione di Zeus qui sia stata introdotta dal poeta che ha introdotto la lotta sul cadavere di Sarpedone, ma μέγ᾽ ἀάσθη fa pensare a un intervento di Zeus, deciso a far morire Patroclo sotto le mura di Troia.  Così Niese (1882) 82 e Wilamowitz (1916) 141; contra Ferrari (1985) 64– 65. Per il modulo τρίς / τρίς cfr. D’Alessandro (2015) 36.

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droniscono del cadavere di Cebrione. Segue la narrazione della morte di Patroclo, una sezione fortemente rimaneggiata. Secondo quanto leggiamo alla fine di Π, all’uccisione di Patroclo partecipano, oltre a Ettore, anche Apollo ed Euforbo. Il primo a colpire Patroclo è Apollo (vv. 788 – 804), che lo colpisce da dietro (791: πλῆξεν δὲ μετάφρενον εὐρέε τ᾽ ὤμω), stordendolo e facendo cadere a terra tutte le armi del guerriero. Successivamente, quando Patroclo non è già più in grado di reagire ed è γυμνός (815), Euforbo lo colpisce di nuovo da dietro (806 – 807: ὄπιθεν δὲ μετάφρενον ὀξέϊ δουρί / ὤμων μεσσηγὺς σχεδόθεν βάλε) con un βέλος. A questo punto Ettore vede Patroclo colpito che retrocede verso i suoi, gli si avvicina e lo colpisce col δόρυ νείατον ἐς κενεῶνα (820 – 821). Patroclo cade a terra moribondo (822); segue uno scambio di battute con Ettore, in cui Patroclo afferma che Ettore è riuscito ad ucciderlo solo grazie all’intervento di Apollo ed Euforbo, e predice all’eroe troiano la morte imminente per mano di Achille. Dopo aver estratto la lancia dal corpo di Patroclo, Ettore inizia a inseguire Automedonte, per impadronirsi dei cavalli di Achille (862– 867). Così finisce Π: fin qui la morte di Patroclo è narrata senza apparenti incongruenze e potremmo pensare di essere davanti a un pezzo non rimaneggiato. Certo, il valore di Ettore ne esce parecchio sminuito: egli si decide ad affrontare Patroclo solo quando questi è già stato disarmato da Apollo e ferito da Euforbo: in nessuna scena dell’Il. troviamo un simile sminuimento del valore di Ettore. Tuttavia, si potrebbe pensare che il poeta volesse non tanto sminuire Ettore quanto esaltare Patroclo, mostrando come nemmeno il più valoroso dei Troiani fosse in grado di ucciderlo da solo. In questo modo unità e coerenza dell’episodio potrebbero essere salvati. Eppure, quanto leggiamo all’inizio di Ρ mostra che l’uccisione di Patroclo in Π è stata fortemente rielaborata. Apollo ha lasciato Patroclo γυμνόν: non dovrebbe esserci dunque alcun ἐναρίζειν da parte di Ettore: eppure, alcuni passi di Ρ sembrano presupporre che il cadavere di Patroclo sia ancora armato³⁶⁷: in Ρ 125 leggiamo: Ἕκτωρ μὲν Πάτροκλον ἐπεὶ κλυτὰ τεύχε᾽ ἀπηύρα e ai vv. 187 e 205 – 206 sono rispettivamente Ettore e Zeus ad affermare che Ettore ha tolto le armi dal corpo di Patroclo. La contraddizione con quanto leggiamo alla fine di Π è stridente e non può essere negata. Vi è un altro particolare decisivo, che mostra che la morte di Patroclo quale la leggiamo noi è frutto di rielaborazione. All’inizio di Ρ Menelao ed Euforbo (mentre Ettore si è allontanato) si contendono le spoglie di Patroclo; Euforbo si rivolge per primo a Menelao e usa un tono superbo (12 – 17); Menelao risponde

 Cfr. Lachmann (18743) 74; Robert (1901) 78 – 80, che crede che la fine di Π rappresenti lo strato miceneo-eolico, l’inizio di Ρ quello ionico; Von der Mühll (1952) 256; van Thiel (1982) 18.

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che già un altro figlio di Panto, Iperenore, aveva usato con lui toni arroganti, ma che egli lo ha ucciso (24– 28). Menelao non fa riferimento a una generica situazione di guerra, ma si riferisce a un episodio particolare, che egli presuppone noto; nella nostra Il. l’uccisione di Iperenore da parte di Menelao è narrata brevissimamente e fra i due eroi non vi è alcun dialogo (Ξ 516 – 519; questo è l’unico altro passo a noi noto ove si parli di Iperenore). È evidente che Ρ 24– 28 non può essere stato composto pensando a Ξ 516 – 519. D’altra parte, non è nemmeno possibile che le parole arroganti, che l’oscurissimo Iperenore rivolgeva a Menelao, fossero note e facessero parte della saga. Dunque Ρ 24– 28 fa riferimento a un testo a noi non pervenuto che doveva precedere, in un epos perduto, il combattimento fra Euforbo e Menelao che noi leggiamo all’inizio di Ρ³⁶⁸. Questa ipotesi è corroborata da ulteriori osservazioni. Dopo la morte di Euforbo, Menelao vuole prendergli le armi e inizia la σύλησις (60); tuttavia, i Troiani cercano in tutti modi di impedirglielo, sebbene nessuno osi avvicinarsi a Menelao (cfr. la similitudine dei vv. 61– 69); interviene a questo punto Apollo, che non vuole in alcun modo che Menelao si impadronisca delle armi del figlio di Panto (71: εἰ μή οἱ ἀγάσσατο Φοῖβος Απόλλων), e manda Ettore contro Menelao. Ettore accorre e Menelao fugge spaventato in cerca di Aiace³⁶⁹. Da questo punto in poi delle armi di Euforbo non si fa più parola; non si capisce nemmeno se Menelao sia riuscito a impadronirsene (almeno parzialmente), mentre l’attenzione torna sul cadavere di Patroclo. A me pare evidente che sono stati conflati insieme due pezzi di origine diversa. Ρ 108 dice che Menelao retrocedendo λεῖπε νεκρόν: da quanto precede non si capisce se si tratti del cadavere di Euforbo ovvero di Patroclo: Ettore si era diretto contro Menelao che stava spogliando Euforbo, ma al v. 104, durante il monologo, Menelao parla del νεκρός di Patroclo; inoltre, subito dopo, leggiamo una similitudine (109 – 113), che si conclude così: ὣς ἀπὸ Πατρόκλοιο κίε ξανθὸς Μενέλαος. Sembra cioè che in un testo che descriveva la lotta sul cadavere di Patroclo sia stato inserito un pezzo su Menelao ed Euforbo e la lotta sul cadavere di quest’ultimo. Del resto, l’episodio di Euforbo è problematico anche per un’altra ragione: data l’importanza di Patroclo, ci aspetteremmo che dopo la sua morte tutta l’attenzione si concentrasse sul suo cadavere e, in effetti, così sarà per tutto il resto di Ρ; tuttavia, all’inizio di Ρ, dopo l’uccisione di Euforbo (50), il

 Cfr. Schoemann (1858) 3 – 4; Wilamowitz (1916) 143.  Prima di fuggire Menelao pronuncia un monologo (Ρ 91– 105), che inizia così: ὤ μοι ἐγών, εἰ μέν κε λίπω κάτα τεύχεα καλά / Πάτροκλόν θ᾽, ὃς κεῖται ἐμῆς ἕνεκ᾽ ἐνθάδε τιμῆς. Qui τεύχεα si riferisce alle armi di Euforbo, non a quelle di Patroclo (bene Von der Mühll 1952, 257): fino a questo punto le uniche armi di cui si è parlato sono quelle di Euforbo (cfr. 70, 85) e, se il poeta avesse pensato alle armi di Patroclo, non credo avrebbe scritto τεύχεα καλὰ Πάτροκλόν τε.

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cadavere di Patroclo, fino al v. 104, sembra dimenticato. È probabile che già la fine di Π (864 – 867) sia stata scritta per preparare l’episodio di Euforbo; qui si dice che Ettore, dopo aver estratto la lancia dal cadavere di Patroclo, si mise a inseguire i cavalli di Achille. Tale inseguimento non viene narrato né porta alcun frutto; è Apollo a distogliere Ettore dall’infruttuosa impresa e a esortarlo a occuparsi di Euforbo, ucciso da Menelao (Ρ 71– 81). Sembra che Ettore sia stato allontanato, poiché non lo si poteva lasciare inattivo per tutto l’episodio di Euforbo: cosa, infatti, poteva impedirgli nel frattempo di impadronirsi delle armi e del cadavere di Patroclo? La lotta attorno al cadavere di Patroclo era destinata a occupare tutta la parte successiva; era dunque indispensabile, per chi voleva inserire, dopo la morte di Patroclo, un episodio che aveva come protagonisti personaggi diversi da Ettore, allontanare quest’ultimo. Per questo motivo è stato inventato l’inseguimento dei cavalli di Achille. Un famoso piatto rodio (forse copia di un bronzo argivo) della fine del VII sec.³⁷⁰ rappresenta Menelao ed Ettore che combattono attorno al cadavere di Euforbo. L’Il. non descrive tale combattimento: al sopraggiungere di Ettore Menelao si ritira e l’attenzione si sposta di nuovo sul cadavere di Patroclo. Di per sé non sarebbe necessario postulare l’esistenza di un epos che descrivesse il combattimento di Menelao ed Ettore sul cadavere di Euforbo³⁷¹, ma dopo quanto ci ha mostrato l’analisi di Ρ viene spontanea una supposizione: dato che il nostro testo iliadico mostra una sutura proprio quando sembra imminente un duello fra Menelao ed Ettore (la scena sembra interrotta), è davvero attraente supporre che il piatto rodio dipenda dall’epos da cui dipende la nostra Il.: l’artista potrebbe cioè aver conosciuto anche il seguito del testo, che non è stato accolto nell’Il. ³⁷² Euforbo è stato inserito successivamente nel luogo ove noi lo incontriamo da un epos diverso. Se Euforbo non è originario in Ρ, non lo è, ovviamente, nemmeno in Π³⁷³. Abbiamo visto che anche l’intervento di Apollo (Π 788 – 804), che precede immediatamente quello di Euforbo, è problematico, poiché Apollo priva  Ora Londra, British Museum, A 749: cfr. Snodgrass (1998) 105 sgg.  L’artista avrebbe potuto integrare suo Marte quanto leggeva nell’Il., cfr. Friis Johansen (1967) 78; Snodgrass (1998) 109.  Cfr. Kekulé (1888); Wilamowitz (1916) 144, nota 1; Schefold (1964) 84. Contra Giuliani (2003) 125 sgg., che però non considera i problemi di coerenza interni all’Il.  Che Euforbo sia del tutto estraneo al contesto originario che è alla base di Π–Ρ credono in molti: e. g. Bergk (1872) 619; Bernhardt (1872/73) VI sgg.; Fick (1886) 10; Von der Mühll (1952) 254 sgg. Mühlestein (1987) 78 sgg. ha cercato di mostrare, in chiave neoanalitica, che dietro l’Euforbo dell’Il. ci sarebbe il Paride l’Etiopide, ma l’ipotesi non ha fondamento: cfr. Allan (2005). Ottime osservazioni in Wehr (2015) 264 sgg., le cui conclusioni sono tuttavia pregiudicate dalle convinzioni unitarie.

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Patroclo delle armi, mentre in Ρ il cadavere di Patroclo è armato. È difficile dire se l’episodio di Euforbo presupponga il cadavere di Patroclo disarmato o armato³⁷⁴, ma io inclinerei alla prima ipotesi, poiché altrimenti bisogna supporre che l’intervento di Apollo e quello di Euforbo siano stati inseriti in momenti diversi. È stato osservato che eliminando da Π i vv. 777– 822 (cioè proprio gli interventi di Apollo ed Euforbo) otteniamo una sequenza più soddisfacente³⁷⁵. Se questo è vero, la tesi secondo cui l’intervento di Apollo e di Euforbo sono stati inseriti successivamente ottiene una conferma: quello, cioè, che suggeriscono alcune contraddizioni all’interno di Ρ è confermato da Π. Con la fine del monologo di Menelao (Ρ 105) di Euforbo si perdono le tracce e l’attenzione torna a concentrarsi sul cadavere di Patroclo: come un leone minacciato da uomini e cani si allontana da una stalla, così Menelao si allontana dal cadavere di Patroclo (109 – 113). Il re spartano vede Aiace Telamonio sulla sinistra del campo di battaglia e lo esorta ad aiutarlo a recuperare il cadavere di Patroclo: le armi, dice esplicitamente Menelao (122), le ha già prese Ettore. Mentre Menelao e Aiace si dirigono verso il cadavere di Patroclo, Ettore riesce a spogliarlo (125: κλυτὰ τεύχε᾽ ἀπηύρα) e invia le armi sottratte in città: il cadavere di Patroclo qui è pensato armato e di conseguenza si può supporre che 125 sgg.

 Euforbo dice a Menelao (Ρ 13): χάζεο, λεῖπε δὲ νεκρόν, ἔα δ᾽ ἔναρα βροτόεντα; se ne potrebbe dedurre che il cadavere è armato (così e. g. Lachmann 18743, 74), ma non se può essere sicuri, poiché le armi potevano, anziché rivestire il cadavere, trovarsi vicino ad esso.  Reibstein (1911) 14 sgg.; Bethe (1914) 319 – 320. Nella nostra Il., Ettore assale Patroclo quando questi è già disarmato e ferito (Π 818 sgg.). La similitudine di 823 – 828 sembra però presupporre un altro contesto: Ettore e Patroclo sono paragonati rispettivamente a un leone e a un cinghiale, che combattono per una sorgente d’acqua, alla quale entrambi vogliono bere, finché il cinghiale non soccombe. Tuttavia, nel nostro testo non c’è traccia di un vero combattimento fra i due né, tanto meno, di un qualcosa attorno al quale avviene il combattimento. La similitudine diviene invece comprensibile, se la si riferisce alla scena di 755 sgg.: qui Ettore e Patroclo combattono attorno al cadavere di Cebrione e vengono paragonati a due leoni che combattono attorno a una cerva uccisa (756 – 761). Il combattimento attorno a Cebrione va avanti fino ai v. 781– 785, allorché i Greci riescono a impadronirsi del cadavere e delle armi di Cebrione e Patroclo si getta contro i Troiani; l’eroe si getta tre volte contro le schiere dei Troiani e ogni volta ne uccide nove, ma al suo quarto assalto gli si fa incontro Apollo per disarmarlo (786 sgg.). La similitudine di 823 – 828 si inserisce meglio nella scena dei vv. 755 – 785 che nel suo attuale contesto e la supposizione che 786 – 822 siano un’aggiunta successiva trova conferma in quanto ci ha insegnato l’analisi di Ρ: fra l’altro, congiungere la scena di 755 – 785 a 822 sgg. elimina anche l’inutile allontanamento di Ettore da Patroclo presupposto da 820. Tuttavia, non esiste un punto della fine della scena di 755 – 785 ove si possano inserire 823 – 828 (cfr. Bethe 1914, 320), poiché da 764 in poi si assiste a una lotta non dei soli Ettore e Patroclo, ma di tutti i Troiani e tutti i Greci.

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derivi dalla Patroklie ³⁷⁶, che, a differenza dell’inserzione di Apollo (ed Euforbo?), presupponeva il cadavere di Patroclo ancora armato. Aiace si pone a difesa del cadavere di Patroclo, mentre Ettore invia le armi sottratte al defunto verso la città. Vicino ad Aiace c’è, come dice esplicitamente 138, Menelao: è vero che l’inizio di Ρ è talmente rielaborato che da solo non garantirebbe la presenza di Menelao in questa parte della Patroklie, ma dal seguito risulterà chiaro che la presenza di Menelao accanto ad Aiace a difesa del cadavere di Patroclo è certamente un tratto della Patroklie. La presenza di Aiace intimorisce Ettore e a quest’ultimo Glauco rivolge un discorso pieno di rimproveri (142– 168): è bene, minaccia Glauco, che Ettore cominci a pensare a come difendere Troia senza gli alleati, poiché i Lici non saranno più disposti a versare sangue per i Troiani, dal momento che Ettore ha lasciato che Sarpedone e le sue armi fossero preda dei Greci e ora che, prendendo il cadavere di Patroclo, potrebbe ottenere in cambio la restituzione delle armi e del cadavere di Sarpedone, fugge invece davanti ad Aiace. Ettore risponde (170 – 182) negando la propria viltà e adducendo quale motivo della sua momentanea ritirata il volere di Zeus e conclude il discorso esortando Glauco a stargli vicino, per vedere quale è il suo valore in battaglia. Poi si rivolge a Troiani e alleati e dice loro di tenere duro mentre egli raggiunge il carro che trasporta le armi di Patroclo / Achille (184 – 187). Ai problemi posti da questo passo abbiamo già accennato (p. 140): il secondo discorso di Ettore, lo scambio delle sue armi con quelle di Achille e il discorso di Zeus (cioè i vv. 184– 219) presuppongono senza dubbio il Waffentausch. D’altra parte, il discorso di Zeus presuppone anche che il cadavere di Patroclo venga disarmato da Ettore, non da Apollo (205 – 206). Se ne potrebbe dedurre che il poeta del Waffentausch nulla sapesse dell’intervento di Apollo (e di Euforbo?) e che seguisse la Patroklie originaria. Questo è, tuttavia, improbabile: Τ 411– 414 sono opera del poeta del Waffentausch ³⁷⁷ e prosuppongono l’intervento di Apollo. Inoltre, l’intervento di Apollo (almeno nella versione che leggiamo noi: Π 796 – 800) presuppone il Waffentausch. Non è semplice risolvere l’aporia: il Waffentausch sembra legato prima all’intervento di Apollo che disarma Patroclo (Π 796 – 800), poi, invece, sembra presupporre che il cadavere di Patroclo venga disarmato da Ettore (Ρ 201– 208). Sia il Waffentausch sia l’intervento di Apollo non sembrano appartenere alla Patroklie; d’altra parte, è difficile pensare che sia stato il poeta del Waffentausch a inserire l’episodio di Apollo (ed Euforbo?), poiché altrimenti avrebbe evitato di contraddirlo in Ρ 205 –

 Così Bethe (1914) 322.  Cfr. p. 169 sgg.

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206. Inoltre, come vedremo, il poeta del Waffentausch è P, il quale aveva interesse a limitare il più possibile l’azione divina in questa parte del poema³⁷⁸. Si è ipotizzato che il poeta del Waffentausch avesse davanti una Patroklie già rielaborata, che comprendeva l’episodio di Apollo ed Euforbo e che egli abbia inserito Π 796 – 800 (che sarebbero quindi una rielaborazione all’interno di una rielaborazione)³⁷⁹; in questo modo il poeta del Waffentausch componendo Ρ 205 – 206 si sarebbe attenuto alla versione della Patroklie (e. g. Ρ 125), che egli trovava già giustapposta a quella secondo cui Patroclo era stato disarmato da Apollo. Tuttavia, a mio giudizio è più probabile che il poeta del Waffentausch leggesse ancora la Patroklie originaria (precedente cioè all’inserzione degli interventi di Apollo ed Euforbo nella forma in cui li leggiamo noi). Il vantaggio di questa soluzione è che il poeta del Waffentausch componendo Ρ 205 – 206 ha seguito quella che era la versione coerente e unica del suo modello (la Patroklie, secondo cui Patroclo veniva disarmato da Ettore); inoltre, come vedremo, Ρ 426 – 428 (che sono quasi certamente opera del poeta del Waffentausch) sembrano escludere Π 866 – 867 (cioè l’episodio di Euforbo, almeno nella sua forma attuale). Sono dunque incline a pensare che gli interventi di Apollo ed Euforbo (nella forma in cui li leggiamo noi) siano stati inseriti dopo il Waffentausch (Π 796 – 800 possono essere bene opera del poeta che ha inserito l’intervento di Apollo e di Euforbo, posto che egli avesse davanti un testo che già conteneva il Waffentausch). L’unica difficoltà di questa soluzione è che il poeta del Waffentausch di certo conosce l’intervento di Apollo (cfr. Τ 413 – 414); d’altra parte, è ben possibile che nella Patroklie Apollo aiutasse Ettore a uccidere Patroclo senza disarmare quest’ultimo (come fanno spesso gli dèi). In questo modo Τ 413 – 414 presupporrebbero la Patroklie originaria³⁸⁰; essa sarebbe stata rimaneggiata prima dal poeta del Waffentausch poi da un altro poeta che avrebbe ingigantito la parte avuta da Apollo nella morte di Patroclo e avrebbe inserito Euforbo. L’intento di quest’ultimo poeta è evidentemente quello di sminuire il valore di Ettore e di esaltare quello di Patroclo³⁸¹.

 Cfr. p. 135– 136. In Ο 232– 233 Zeus ordina ad Apollo di respingere i Greci fino alle navi; difficile capire se questo ordine contempli anche uccidere Patroclo.  Così Wilamowitz (1916) 145.  Τ 412 (Τρῶες ἀπ᾽ ὤμοιιν Πατρόκλου τεύχε᾽ ἕλοντο) potrebbe confermare questa ipotesi, poiché sembra escludere che Apollo avesse disarmato Patroclo.  Che la morte di Patroclo della Patroklie sia stata rielaborata in senso nazionalistico crede anche Bethe (1914) 318: «Der Griechenstolz vertrug es eben nicht, daß Hektor den Patroklos besiegte. […] Hier hat wirklich der Dämon des Nationalismus alle Musen und Gratien weggebissen»; cfr. anche Dahms (1924) 58; scettico Janko ad Π 777– 867. Per una lettura unitaria della morte di Patroclo, cfr. da ultimo Karakantza (2014).

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6 Analisi di Π–Τ

Torniamo a Ρ 132 sgg.: davanti ad Aiace Ettore retrocede e per questo viene rimproverato da Glauco: l’analisi di Π ci ha mostrato che Π 508 sgg. (la lotta attorno al cadavere di Sarpedone) sono stati inseriti successivamente: orbene, in Ρ 150 – 151 Glauco accusa Ettore di aver abbandonato il cadavere di Sarpedone ai Greci e questo allude a Π 655 – 658 (anche la menzione del volere di Zeus in questo passo va probabilmente collegata a Ρ 176 – 178). Dunque la presenza di Glauco in Ρ 140 sgg. presuppone Π 508 sgg. e ha probabilmente la stessa origine³⁸²; questo spiega bene anche il fatto che Glauco nel seguito della Patroklie non abbia un ruolo rilevante. L’intervento di Glauco in Ρ si lega strettamente al Waffentausch, poiché è in seguito ai rimproveri di Glauco che Ettore si decide a indossare le armi di Patroclo / Achille. Si pone a questo punto un problema decisivo per la storia dell’Il.: il poeta del Waffentausch e quello che ha introdotto qui Glauco sono la stessa persona? Lo si è negato, ipotizzando che il poeta del Waffentausch avesse davanti a sé una Patroklie in cui erano già presenti le interpolazioni licie³⁸³, ma non c’è modo di staccare l’intervento di Glauco dalla decisione di Ettore di indossare le armi di Achille. Trarremo delle conclusioni di una certa importanza per la storia dell’epos successivamente; per ora limitiamoci a osservare che in questo inizio di Ρ gli unici vv. che potrebbero derivare dalla Patroklie sono 125 – 139³⁸⁴. Una volta indossate le armi di Achille, Ettore rientra in battaglia e vengono ricordati (216 – 218) alcuni guerrieri, cui egli rivolge parole di incoraggiamento; essi sono Mestle, Glauco, Medonte, Tersiloco, Asteropeo, Disenore, Ippotoo, Forci, Cromio, Ennomo. Mestle è ricordato come capo dei Meoni (Β 864), Ippotoo e Forcino (rispettivamente capi dei Pelasgi e dei Frigi, Β 840, 862) verranno uccisi dopo poco da Aiace Telamonio (Ρ 293 – 315), Asteropeo e Tersiloco verranno uccisi da Achille nella μάχη παραποτάμιος (Φ 140 sgg; Φ 209; Asteropeo compare anche in Ρ 351 ed è presente come capo dei Peoni in una recensione più lunga del catalogo, Β 848 a), Cromio (capo dei Misi, Β 858) comparirà nell’episodio di Automedonte (Ρ 494) mentre Disenore e Medonte (che evidentemente non ha nulla a che fare col fratello di Aiace) compaiono solo qui. Ennomo è ricordato come capo dei Misi assieme a Cromio (Β 858), ove si dice che egli perì per mano di Achille ἐν ποταμῷ, ma nella μάχη παραποτάμιος che leggiamo noi egli non compare. Questo catalogo serve a collegare il passo con episodi successivi³⁸⁵: le allusioni più lontane sono quelle a Φ (Asteropeo e Tersiloco), cioè alla μάχη  Così Wilamowitz (1916) 144.  Così Wilamowitz (1916) 144– 145; Bethe (1914) 322 attribuisce, invece, Waffentausch e interpolazioni licie a P.  Similmente Bethe (1914) 322.  Cfr. nota 104.

L’aristia e la morte di Patroclo

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παραποτάμιος, ed è probabile che di essa sia presupposta la versione completa, non quella tagliata della nostra Il., come mostra la combinazione fra la presenza di Ennomo nel nostro elenco e Β 858 – 861³⁸⁶. I collegamenti con l’episodio di Automedonte e con la μάχη παραποτάμιος fanno pensare a P. Segue un discorso di Ettore (220 – 232), nel quale l’eroe ricorda agli alleati dei Troiani che il loro mantenimento costa agli abitanti della città un grave dispendio di ricchezze e che è quindi loro dovere combattere accanitamente: chi riuscirà a sottrarre ad Aiace il cadavere di Patroclo riceverà da Ettore la metà degli ἔναρα del defunto. Questo discorso di Ettore si collega a quanto aveva rimproverato poco prima Glauco a Ettore, ma non è facile capire se esso abbia la stessa origine della parte precedente o derivi dalla Patroklie. All’esortazione di Ettore i soldati reagiscono con vigore e intimoriscono il Telamonio, che si rivolge a Menelao, esprimendogli il proprio timore per la situazione in cui si trovano (238 – 245). Menelao chiama a raccolta gli altri capi greci (248 – 255) e Aiace Oileo, Idomeneo e Merione rispondono all’appello. La Stimmung del discorso di Aiace Telamonio è la stessa che incontreremo alla fine di Ρ (629 – 647) e anche gli eroi greci che intervengono sono gli stessi: poiché la parte finale di Ρ sembra appartenere alla Patroklie, sarei incline ad attribuire anche 238 – 245 alla Patroklie; questo rende probabile l’ipotesi che anche il discorso di Ettore (220 – 232) appartenga alla Patroklie, sia perché il timore di Aiace è frutto dell’assalto degli avversari, cui ha dato vigore il discorso dell’eroe troiano, sia perché anche Menelao allude al dispendio che comporta il mantenimento dei capi dell’esercito greco (249 – 251): sembra dunque che anche la Patroklie parlasse di questo dispendio e il poeta che ha introdotto Glauco sarà stato ispirato appunto dall’epos più antico che stava rielaborando. Tuttavia, su questo punto non abbiamo alcuna certezza. Da 262 in poi la battaglia attorno al cadavere di Patroclo entra nel vivo, poiché Ettore ha acceso l’ardore guerriero dei suoi e i più importanti capi greci sono ora radunati in difesa del cadavere di Patroclo: Zeus è in questo momento favorevole ai Greci, poiché non vuole che il cadavere dell’eroe vada in pasto alle cagne troiane (268 – 273). Il primo a cadere è Ippotoo, che aveva preso per un piede Patroclo e viene ucciso da Aiace. Ettore cerca di colpire Aiace, ma la sua lancia uccide Schedio, capo dei Focesi³⁸⁷. Aiace uccide Forcino che cercava di

 Che il catalogo degli alleati dei Troiani presupponga una versione della μάχη παραποτάμιος diversa dalla nostra suppongono Bergk (1872) 565, Wilamowitz (1916) 85, Cauer (1917 b) 546 – 547, Theiler (1947) 133; cfr. anche Lachmann (18743) 84. Contra Jachmann (1958) 144 sgg., Reichel (1994) 283 – 284. Sul problema cfr. p. 73, 199 – 200.  Lo Schedio di questo passo è focese e figlio di Ifito, come quello dello Schiffskatalog (Β 517). Uno Schedio, anch’egli focese, ma figlio di Perimede, cade nelle monomachie di Ο 414– 59 (515 –

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6 Analisi di Π–Τ

recuperare il cadavere di Ippotoo e i Greci riescono a impadronirsi dei cadaveri dei due guerrieri. A questo punto la battaglia è talmente favorevole ai Greci, che i Troiani sarebbero costretti a rientrare in città, se Apollo, prese le sembianze di Perifante, non esortasse Enea al combattimento: Zeus, dice il falso Perifante, è favorevole ai Troiani, ma, nonostante questo e nonostante l’aiuto di molti alleati, i Troiani non combattono con vigore. Enea riconosce la divinità ed esorta Ettore e gli alleati ad approfittare del favore divino e a non farsi respingere entro le mura di Troia. Enea, rincuorato, uccide Leocrito, amico di Licomede; quest’ultimo uccide il peone Apisaone: il suo conterraneo Asteropeo vorrebbe vendicarlo, ma i Greci, grazie ad Aiace, riescono a tenere talmente compatte le fila, che Asteropeo non riesce nel suo intento. Muoiono sia Troiani sia Greci, ma questi ultimi cadono meno numerosi, poiché sono in grado di aiutarsi l’un l’altro (360 – 365). Nel complesso sarei incline ad attribuire 262– 365 alla Patroklie. A questo punto incontriamo una descrizione generale dello stato della battaglia: mentre al centro, attorno al cadavere di Patroclo, infuria un combattimento tremendo, che impedisce di vedere il cielo, sui lati il combattimento è più blando e si può vedere il cielo: tutti gli eroi più valorosi combattono al centro, con l’eccezione dei due figli di Nestore, Trasimede e Antiloco: costoro non sanno ancora della morte di Patroclo e continuano a combattere sul lato, come aveva comandato loro il padre (366 – 383). Che i figli di Nestore combattano sul lato potrebbe far pensare a P: non solo la divisione in due del campo di battaglia sembra risalire a P (si ricordi quanto detto circa Ν), ma anche il legame di Nestore con tale lato ricorda Λ 501, cioè P; inoltre nella Patroklie avevamo trovato Antiloco a Trasimede vicino a Patroclo, quindi non sul lato sinistro della battaglia (Π 317 sgg.). Tuttavia, anche in Ρ 682 Antiloco combatte sul lato sinistro e forse il passo deriva dalla Patroklie: di conseguenza, su questi vv. non possiamo avere certezze. 400 – 411 ricordano che Achille ancora non sapeva della morte di Patroclo: la speranza di Achille era che Patroclo, avvicinatosi alle mura (ἐνιχριμφθέντα πύληισιν), tornasse indietro né Tetide gli aveva preannunciato la morte dell’amico (410 – 411). Qui c’è un grave contrasto con la Patroklie, secondo la quale Achille temeva la morte di Patroclo proprio grazie a una profezia della madre (Σ 9 – 11) e lo stesso Achille aveva ammonito Patroclo a non avvicinarsi alle mura di Troia (Π 91– 96). È una contraddizione abbastanza patente e ingiustificata³⁸⁸. Dati questi indizi e che con 424 inizia una sezione sicuramente

516): si tratta probabilmente dello stesso personaggio, ma non si riescono a determinare i rapporti fra i tre passi iliadici.  Naber (1876) 192; Leaf ad Σ 10 – 11; contra Barth (1989).

L’aristia e la morte di Patroclo

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estranea alla Patroklie e opera probabilmente di P, mi pare assai probabile che anche 366 – 423 vadano attribuiti a P. Con 424 inizia l’aristia di Automedonte, che si conclude con 542, sezione sicuramente estranea alla Patroklie ³⁸⁹. Leggiamo che i cavalli di Achille (guidati da Automedonte) iniziarono a piangere appena seppero della morte di Patroclo (426 – 428: ἵπποι δ᾽ Αἰακίδαο μάχης ἀπάνευθεν ἐόντες / κλαῖον, ἐπεὶ δὴ πρῶτα πυθέσθην ἡνιόχοιο / ἐν κονίηισι πεσόντος ὑφ᾽ Ἕκτορος ἀνδροφόνοιο). Questo è in palese contraddizione con la fine di Π, poiché lì i cavalli di Achille sono presenti nel momento in cui Patroclo muore (733, 864– 867); anche quanto Ettore dice a Enea (485 – 487) presuppone che egli veda in quel momento per la prima volta i cavalli di Achille, altra palese contraddizione con la fine di Π. D’altra parte, l’aristia di Automedonte presuppone il Waffentausch (450, 472– 473) e la Stimmung di 443 – 454 ricorda quella di Ρ 201– 208³⁹⁰: anche nel passo che stiamo discutendo è Zeus a parlare ed egli riflette sulla sorte dei cavalli di Achille e sul misero destino dei mortali. L’aristia di Automedonte è stata senz’altro concepita come parte della battaglia intorno al cadavere di Patroclo (cfr. e. g. 508 – 511) e possiamo essere certi che essa presupponga la Patroklie: a parte Alcimedonte e Areto (evidentemente eroi secondari, la cui introduzione nell’Il. si deve proprio al poeta di questa aristia³⁹¹), gli altri eroi sono gli stessi che partecipano al resto della Patroklie (Ettore, Enea, Menelao, i due Aiaci). È probabile che l’aristia di Automedonte sia opera del poeta del Waffentausch ³⁹² e che la fine di Π quale la leggeva questo poeta (prima cioè che venisse introdotto l’intervento di Apollo ed Euforbo) non fosse in contrasto (almeno in modo così evidente) con l’episodio da lui composto: se non veniva cioè esplicitamente affermato che i cavalli di Achille erano presenti nel momento in cui Patroclo veniva ucciso da Ettore e che quest’ultimo si metteva a inseguirli, la contraddizione con quanto noi leggiamo nell’aristia di Automedonte o non c’era o non era così palese³⁹³.

 Cfr. Koechly (1861) 334– 335; Bergk (1872) 621; Robert (1901) 83 – 85, che ritiene l’aristia di Automedonte miceneo-eolica; Wilamowitz (1916) 146 sgg.; Von der Mühll (1952) 261– 262.  Come osserva Wilamowitz (1916) 145.  Per quanto concerne Cromio (494) difficile dire qualcosa: egli compare nello Schiffskatalog e nel catalogo di Troiani di Ρ 216 – 218. Su Alcimedonte cfr. Dolcetti (2011).  Così Bethe (1914) 314, Wilamowitz (1916) 145 – 146, Von der Mühll (1952) 261.  Ha creato difficoltà che, mentre Zeus dice di voler far ritornare Automedonte alle navi (451– 454), il seguito descriva il combattimento e il ritorno alle navi venga taciuto. Non c’è bisogno, mi pare, di supporre che l’aristia sia stata ritoccata al momento del suo inserimento nell’Il.: basta supporre che chi la ha scritta scrivesse in funzione della Patroklie. Egli poteva descrivere le gesta di Automedonte e Alcimedonte sul campo di battaglia, ma non poteva descrivere il loro rientro nel campo acheo perché questo avrebbe implicato l’incontro fra Achille e due personaggi che

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6 Analisi di Π–Τ

All’aristia segue un intervento di Atena in favore dei Greci e uno di Apollo in favore dei Troiani (543 – 592); il passo è introdotto come un ritorno all’argomento centrale, la lotta sul cadavere di Patroclo, dopo una digressione (543: ἂψ δ᾽ ἐπὶ Πατρόκλωι τέτατο κρατερὴ ὑσμίνη). L’intervento di Atena è ispirato da Zeus, che vuole ora favorire i Greci: δὴ γὰρ νόος ἐτράπετ᾽ αὐτοῦ (546). Questo cambiamento di atteggiamento da parte di Zeus ha creato difficoltà fin dall’antichità (nel seguito egli continua a favorire i Troiani) e molti hanno espunto 545 – 546³⁹⁴. Non c’è dubbio che, se leggiamo questi vv. considerando ciò che viene dopo, essi risultino incomprensibili; tuttavia, forse essi vogliono correggere un’affermazione precedente: ai vv. 453 – 454 Zeus aveva affermato di voler continuare a favorire i Troiani fino al momento in cui essi non avessero raggiunto le navi; questi vv. alludono, a quanto pare, a Λ 192– 193, ma, mentre dopo Λ Ettore, nella nostra Il., giunge effettivamente alle navi, questo non accade dopo Ρ 453 – 454. È dunque probabile che il cambiamento di atteggiamento da parte di Zeus di 545 – 546 si riferisca a 453 – 454, e che esso significhi che Zeus non avrebbe favorito i Troiani a tal punto da farli arrivare di nuovo alle navi. Se è così, ne traiamo un’importante informazione circa l’origine di 543 – 592, poiché in essa è contenuta un’allusione all’aristia di Automedonte (cioè Ρ 453 – 454). Del resto, già altri indizi hanno indotto a supporre che la sezione sia stata scritta dallo stesso poeta dall’aristia: la presenza di Atena (che altrimenti non interviene mai nella Patroklie, mentre interviene in Σ–Τ) fa pensare al poeta del Waffentausch (autore di Σ 35 – Τ) e si parla di un ritorno di Menelao ed Ettore verso il cadavere di Patroclo (574, 592), dunque sembra anche qui presupposta l’aristia di Automedonte. È quindi probabile che 543 – 592 sia un collegamento che il poeta di questa aristia (che poi altri non è che il poeta del Waffentausch, cioè P) ha fatto con la Patroklie che stava rielaborando³⁹⁵. Con 593 la battaglia entra in una nuova fase: Zeus ricopre di nubi l’Ida, dà la vittoria ai Troiani e mette in fuga i Greci. A iniziare la fuga è il beota Peneleo, subito seguito da Leito. Idomeneo cerca di soccorrere Leito, ma viene aggredito da Ettore che uccide Coirano, l’auriga di Merione. Idomeneo fugge verso le navi sul carro di Merione, che pronuncia parole di disperazione. Anche Aiace Telamonio è disperato: egli è convinto che Zeus stia aiutando i Troiani e vorrebbe che qualcuno andasse ad annunciare ad Achille la morte di Patroclo, ma perché questo avvenga è necessario che Zeus dissipi la nebbia che impedisce di riconoscere gli altri guerrieri. Zeus accondiscende alla richiesta di Aiace e dissipa la sapevano della morte di Patroclo, mentre la Patroklie faceva di Antiloco il messaggero della triste notizia (osservazioni giuste già in Hentze 18812, 83).  Cfr. e. g. Lachmann (18743) 78.  Così già Wilamowitz (1916) 146; cfr. anche Hentze (18812) 80 sgg.

L’aristia e la morte di Patroclo

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nebbia; Aiace riesce quindi a vedere Menelao, cui suggerisce di cercare Antiloco e di mandarlo ad annunciare ad Achille la morte di Patroclo. Menelao, dopo aver raccomandato ai due Aiaci e a Merione di difendere con energia il cadavere di Patroclo, si allontana in cerca di Antiloco, che trova sul lato sinistro della battaglia. Dopo avergli annunciato la triste novella, Menelao ritorna in prossimità del cadavere di Patroclo, mentre Antiloco va verso le navi. Una volta che Menelao è tornato, Aiace Telamonio lo esorta a prendere il cadavere di Patroclo assieme a Merione e, mentre i due eroi trasportano il cadavere, i due Aiaci li difendono dai Troiani. Così si conclude Ρ. Probabilmente da 593 in poi siamo di nuovo nella Patroklie ³⁹⁶: il contrasto con quanto precede immediatamente è subito evidente, poiché Zeus, che poco prima era intervenuto in favore dei Greci, a 593 – 596 interviene con decisione in favore dei Troiani. D’altra parte il legame fra questo intervento di Zeus e la parte successiva è chiaro ed evidente: la fuga dei Greci, che caratterizza tutta la parte successiva, ne è diretta conseguenza. Gli eroi che intervengono sono gli stessi della Patroklie (i due Aiaci, Menelao, Idomeneo, Merione, Peneleo, Antiloco, Trasimede) e la Stimmung del discorso di Aiace Telamonio (629 – 647) ricorda molto da vicino quella di un altro discorso dello stesso personaggio (Ρ 238 – 245), che forse deriva dalla Patroklie: in entrambi i passi l’eroe oppone il recupero del cadavere di Patroclo alla propria salvezza, si lamenta della nebbia che impedisce la vista e cerca l’aiuto di qualche compagno. Da 593 fino al ritorno di Menelao presso gli Aiaci (707) l’azione procede in modo abbastanza chiaro, ma quanto Menelao dice agli Aiaci (708 – 714) non è coerente con il contesto: abbiamo già visto che questo discorso è stato rimaneggiato dal poeta del Waffentausch ³⁹⁷ e che esso, nella forma in cui è, rende l’azione confusa e incoerente. Non possiamo essere certi di cosa avesse la Patroklie: la soluzione più semplice è pensare che il rimaneggiamento sia limitato a 709 – 711 e che il resto rispecchi la Patroklie (anche se circa 692 qualche dubbio è lecito, cfr. p. 144). Se è così, anche in tale epos il cadavere di Patroclo veniva sollevato da Menelao e Merione, mentre i due Aiaci tenevano testa ai Troiani che incalzavano. Questa soluzione mi pare preferibile, perché Σ 6 – 7 (che sembra derivare dalla Patroklie) presuppone una fuga dei Greci, che può ben essere quella descritta in Ρ 722 sgg. In alternativa, si potrebbe supporre che il rimaneggiamento sia stato più profondo e che nella Patroklie l’intervento di Achille escludesse il sollevamento del cadavere da parte di Menelao e Merione e la fuga dei Greci. Certezze non possiamo averne, ma l’allusione alla fuga dei Greci di Σ 6 – 7 lascia immaginare che la fine di Ρ

 Koechly (1861) 335; Wilamowitz (1916) 147 sgg.  Cfr. p. 143 sgg.

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6 Analisi di Π–Τ

conservi la Patroklie abbastanza fedelmente. I Troiani, quando vedono che i Greci sollevano il cadavere, si gettano su di loro come cani su un cinghiale ferito: come però il cinghiale, quando si volge, riesce a fermare e a terrorizzare i cani, così i due Aiaci riescono, quando si volgono, a fermare i Troiani impauriti (725 – 734). Segue un’altra similitudine fra la battaglia che infuria e il fuoco (736 – 741) e poi ancora un’altra, che paragona Menelao e Merione a muli che trasportano tronchi e gli Aiaci a un poggio (πρών) che argina dei corsi d’acqua (742– 753). Segue una quarta similitudine (755 – 759), che paragona i Greci inseguiti da Ettore ed Enea a uno stormo di uccelli che fugge inseguito da un falco e che non ha la forza di combattere (λήθοντο δὲ χάρμης 759). Seguono due vv. (760 – 761) che dicono che molti Greci perdevano le armi attorno al fossato. L’incoerenza dell’immagine dei Greci che fuggono imbelli con la resistenza opposta dagli Aiaci e la menzione del fossato indicano chiaramente che siamo davanti a un rimaneggiamento: evidentemente chi ha introdotto il fossato voleva anche dare un’immagine dei Greci come terrorizzati. Così finisce Ρ. All’inizio di Σ Antiloco giunge da Achille: egli sta guardando dalle navi la battaglia e i vv. 6 – 14 contengono un suo monologo: la fuga dei Greci gli fa supporre che sua madre gli abbia detto il vero, preannunciandogli che gli sarebbe toccato vedere la morte del migliore dei Mirmidoni. Patroclo, ne deduce Achille, non ha rispettato il suo comando di non affrontare Ettore ed è caduto in battaglia. Giunge Antiloco e gli conferma i suoi tristi sospetti. Achille comincia a piangere e le ancelle, che egli aveva catturato assieme a Patroclo, gli si riuniscono attorno, anch’esse in lacrime; Antiloco prende le mani di Achille, temendo che questi possa uccidersi. Siamo giunti così a Σ 34. A questo punto Tetide ode le grida del figlio e si reca presso di lui. Qualsiasi lettore attento osserva che fra la scena di Antiloco e quella di Tetide c’è un evidente punto di sutura (uno dei più evidenti dell’epos omerico): Antiloco e le ancelle, che circondavano Achille al v. 34, nel seguito non compaiono più. Nulla può giustificare una tale «dimenticanza»: siamo evidentemente a un punto di sutura, ove due epe sono stati riuniti senza eccessivo sforzo di celarne l’origine diversa. Ulteriori osservazioni confermeranno questa interpretazione: per ora basti osservare che l’epos iniziato con la fine di Ο, la Patroklie, giunge qui al termine; esso di sicuro proseguiva, ma nella nostra Il. non ne abbiamo più tracce³⁹⁸. Nel complesso, sono incline a

 Che l’inizio di Σ segni il passaggio fra la Patroklie e il suo congiungimento con la Ὁπλοποιΐα è opinione diffusa, cfr. Bergk (1872) 628 («Aus der alten Ilias ist im achtzehnten Gesange wohl nur der Eingang erhalten, wo Antilochos dem Achilles die truarige Botschaft überbringt»); Niese (1882) 91; Leaf (1908) XVI; Bethe (1914) 98 – 99; Wilamowitz (1916) 165. Mentre Wilamowitz crede la rielaborazione inizi con 35, per Bethe essa comincia già con 25, forse addirittura con 22. Le ragioni per cui Bethe non crede che 22– 34 appartengano alla Patroklie sono stilistiche. Robert

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attribuire alla Patroklie i seguenti passi: Ο 605 – 667, Ο 674–Π 22, Π 36 – 39, 46 – 54, 80 – 133, 135 – 139, 145 – 167, 198(?)–363, 377– 379, 384 – 491a, 684 – 697, 712– 776, Ρ 125 – 139, 220 – 261 (?), 262– 365, 593 – 708, 712– 759, Σ 1– 34.

Il raccordo di Σ–Τ e la genesi dell’Iliade L’improvvisa scomparsa di Antiloco dopo Σ 34 ci ha dato un prezioso indizio che siamo di fronte a un cambio di fonte. Una conferma a questa ipotesi viene da quanto segue immediatamente, l’arrivo di Tetide presso Achille. La madre sente dal profondo del mare il grido del figlio e, insieme alle altre Nereidi³⁹⁹, va a chiedergli cosa sia accaduto; informata degli eventi, dal momento che Achille non ha più le sue armi, che sono ora in mano di Ettore, decide di andare da Efesto, affinché egli costruisca le nuove armi di Achille. È evidente che tutto questo presuppone il Waffentausch e noi abbiamo mostrato che esso era estraneo alla Patroklie originaria. Gli indizi sono dunque coerenti e mostrano che con Σ 34 passiamo dalla Patroklie al poeta del Waffentausch, cioè a P. La figura di Tetide in questa parte è legata alle nuove armi di Achille e la visita della Nereide a Efesto e la descrizione delle armi occupa tutta la seconda parte della rapsodia (369 – 617). È opinione diffusa che P abbia preso la Ὁπλοποιΐα da un epos preesistente e che proprio per inserire la Ὁπλοποιΐα abbia inserito il Waffentausch. Sul secondo punto non ho molti dubbi e anche la preesistenza della Ὁπλοποιΐα ⁴⁰⁰ sembra probabile, ma nessuno può escludere con sicurezza che la Ὁπλοποιΐα sia opera di P. Quando Tetide spiega a Efesto le ragioni della propria visita (429 – 461), prima descrive la condizione generale della vita di Achille (436 – 443), poi le cose appena avvenute, cioè la lite con Agamennone e la morte di Patroclo (444– 456); quest’ultima sezione presuppone senza dubbio l’Il. come la abbiamo noi, cioè

(1901) 88 – 89 crede che nell’Urilias fosse Automedonte ad annunciare ad Achille la morte di Patroclo (così anche Schwartz 1918, 36) e che Antiloco sia stato introdotto dall’Il. ionica, ma mancano indizi seri per tale ipotesi.  Σ 39 – 49 contiene un catalogo di Nereidi, che Zenodoto e Aristarco espungevano. In effetti, esso sembra un’interpolazione rapsodica, non solo perché tali elenchi fini a se stessi sono estranei all’epos omerico, ma anche per la sintassi goffa che esso crea: a 37– 38 leggiamo che tutte le Nereidi si riunirono attorno a Tetide, cui segue benissimo 50 (τῶν δὲ καὶ ἀργύφεον πλῆτο σπέος). 39 – 49 introducono la fastidiosa precisazione che le Nereidi erano «lì» (ἔνθα), che peraltro non si capisce se si riferisca all’antro di Tetide o al βένθος ἁλός. Contra Wilamowitz (1916) 165.  Ipotizzata da Müller (18362) 128, Bethe (1914) 86 sgg., Wilamowitz (1916) 163, Cauer (1917 a) 213.

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con la πρεσβεία (che viene esplicitamente ricordata, 448 – 450) inserita prima della Patroklie ed è dunque opera di P⁴⁰¹. Si è pensato che 444– 456 siano stati inseriti da P all’interno della Ὁπλοποιΐα (che inizierebbe già da 369)⁴⁰²: in questo modo già nella Ὁπλοποιΐα Tetide andava da Efesto a chiedere le armi per Achille e, per impietosirlo, faceva riferimento alla vita misera di Achille. È un’ipotesi suggestiva, ma, come nel caso della πρεσβεία, anche in Σ è impossibile stabilire dove sia il punto di sutura fra ciò che P ha composto e ciò che ha inserito dall’epos precedente⁴⁰³. Importante è osservare che chi ha inserito la Ὁπλοποιΐα presuppone πρεσβεία e Patroklie riunite, dunque l’Il. di P. Tornando alla parte precedente di Σ, alla partenza di Tetide per l’Olimpo segue una breve descrizione della battaglia attorno al cadavere di Patroclo (148 – 164): rispetto a Ρ 721 sgg., ove i Greci hanno recuperato il cadavere di Patroclo e lo stanno portando verso le navi, qui la situazione è un po’ diversa, poiché il cadavere è a terra e i Troiani sembrano vicini a impossessarsene⁴⁰⁴. Se davvero Menelao e Merione che sollevano il cadavere di Patroclo derivano dalla Patroklie, c’è da chiedersi perché P, che in questa parte del suo epos aveva preso a base la Patroklie, componendo Σ 148 – 164 abbia presentato una situazione diversa da quella del suo modello. La risposta la dà la scena successiva, in cui Iride va da Achille per esortarlo a recuperare il cadavere di Patroclo; l’eroe non sa come fare perché non ha le armi e Iride gli suggerisce di mostrarsi vicino al fossato: la sua sola presenza spaventerà i Troiani. Achille ubbidisce, va al fossato e con un grido riesce a mettere in fuga tutti i Troiani, sicché i Greci possono riportare il cadavere di Patroclo alle navi. Tutta la scena con Iride presuppone sia il Waffentausch sia  Si è pensato che questi vv. presuppongano che l’ambasceria ad Achille venga inviata quando i Greci stanno combattendo, e quindi una situazione diversa da quella di Ι (così Kayser 1881, 5, nota 1), ma è un’interpretazione errata, cfr. Bethe (1914) 88.  Così Bethe (1914) 86 – 91; contra Wilamowitz (1916) 172, che attribuisce 369 – 477 all’epos Σ– T.  Bethe cerca di dimostrare che Σ 35 – 368 imita Σ 369 sgg. Circa Σ 437– 443 = Σ 56 – 62, sembra anche a me (cfr. Bethe 1914, 89 – 90; contra Ameis-Hentze ad Σ 443) che i vv. stiano meglio a 437– 443, poiché è strano che Tetide, appena udito il grido di Achille, abbia il tempo e il desiderio di fare riflessioni circa la sorte del figlio davanti alle altre Nereidi (mentre è del tutto normale che ella le faccia davanti a Efesto) e la menzione della casa di Peleo (59 – 60 = 440 – 441) è meglio contestualizzata nel secondo passo (cfr. 433 – 435). Questo, ovviamente, si accorda alla tesi di Bethe, per cui Σ 369 sgg. appartiene all’epos preesistente utilizzato da P. Il problema riguarda, tuttavia, anche vv. che non sono riconducibili a epe precedenti: Σ 112– 133 = Τ 65 – 66 sembra stare meglio in Τ (le parole hanno molto più senso se rivolte ad Agamennone), ma non c’è modo di attribuire Τ a un poeta diverso che a P (o, per dirla con Wilamowitz, all’epos Σ–Τ, il che nulla cambia per questo problema). Σ 115 – 116 sembra tratto da Χ 365 – 366, ma in questo caso la cosa è facilmente spiegabile, poiché Χ appartiene a un altro epos.  Cfr. Lachmann (18743) 79; Bethe (1914) 101; Wilamowitz (1916) 167.

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la fortificazione del campo greco ed è dunque opera di P. D’altra parte, lo scopo evidente di tale scena è mostrare la forza di Achille, il cui grido, da solo, è sufficiente a capovolgere le sorti della battaglia. Per questo motivo P ha presentato la battaglia in una situazione un po’ diversa rispetto alla fine di Ρ: se i Greci fossero stati già in possesso del cadavere, l’intervento di Achille avrebbe fatto meno impressione: la forza del Pelide risplende molto meglio nella sua unicità, se i Troiani stanno per avere la meglio⁴⁰⁵. D’altra parte, rispetto alla fine di Ρ non si può nemmeno parlare di una contraddizione vera e propria: basta immaginare che, nel frattempo, la situazione fosse mutata a favore dei Troiani. Finita la battaglia e riportato il cadavere di Patroclo presso le navi, segue l’assemblea dei Troiani (243 – 314): Pulidamante esorta a tornare in città e evitare la battaglia in campo aperto, poiché, ora che è rientrato Achille in battaglia, non è più possibile tenere testa ai Greci. Ettore si oppone e Atena toglie il senno ai Troiani, sicché prevale il consiglio di Ettore. Si è sostenuto che il discorso di Pulidamante presupponga una trama diversa dalla nostra Il., in cui i Troiani hanno trascorso più notti fuori dalla città⁴⁰⁶ (nella nostra Il. ne hanno trascorsa una sola, quella di Θ 485 sgg.), ma Pulidamante dice semplicemente che, finché Achille non combatteva, egli non aveva nulla in contrario a che l’esercito si accampasse fuori dalla città (257– 260), e non c’è alcuna ragione di supporre che questo implichi che l’esercito è rimasto più notti fuori Troia. Si passa quindi al campo greco, ove Achille e i Mirmidoni fanno il lamento funebre sul cadavere di Patroclo (314– 355); dopo una brevissima scena olimpica con Zeus ed Era (356 – 368), Tetide giunge da Efesto e la descrizione delle nuove armi di Achille occupa il resto di Σ. Τ inizia con il nuovo giorno e Tetide che consegna le armi al figlio. A questo punto Achille convoca l’assemblea dei Greci. Arrivano Diomede, Odisseo e Agamennone, tutti e tre feriti (dunque si presuppone Λ). Achille propone ad Agamennone la riconciliazione; Agamennone accetta e offre ad Achille gli stessi doni che gli aveva offerto due giorni prima tràmite Odisseo. In tutta questa parte è evidentemente presupposta la πρεσβεία: Agamennone parla di come Ἄτη lo ha accecato e ricorda come la stessa ha in precedenza accecato Zeus (Τ 88 – 131); in Ι

 Così Bethe (1914) 101; Wilamowitz (1916) 167.  Così Lachmann (18743) 88, Wilamowitz (1916) 172, Schwartz (1918) 32. Anche l’altro argomento di Wilamowitz per mostrare che Σ presuppone una trama dell’Il. diversa dalla nostra, che cioè Pulidamante sembra che compaia qui per la prima volta (249 – 252), mentre egli è già comparso più volte nel nostro poema, non vale molto: in Ο 281– 284 vengono presentate le caratteristiche di Toante (in modo peraltro simile a quelle di Pulidamante), eppure egli è già comparso più volte nella parte precedente. Si osservi che anche il passo di Ο è probabilmente opera di P.

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502– 512 Fenice parla di come Ἄτη punisce e danneggia coloro che non dànno ascolto alle Λιταί. L’ἠεροφοῖτις Ἐρινύς, cui Agamennone riconduce la propria sventura (Τ 87), è citata da Fenice (Ι 571) a proposito delle sventure di Meleagro e qui Τ (cioè P) dipende dalla πρεσβεία. Agamennone fa esplicito riferimento all’ambasceria di Odisseo (Τ 141)⁴⁰⁷ e giura di non aver toccato Briseide (Τ 175 – 176, 187– 188, 258 – 265), evidenti riferimenti a Ι (per il giuramento cfr. 274– 275); anche i doni che Agamennone fa ad Achille (244– 248) sono gli stessi annunciati in Ι (122 sgg.; 264 sgg.). Non c’è quindi alcun dubbio che Ι e Τ (nella loro forma attuale) siano stati composti per appartenere allo stesso epos. Da Σ 34 alla fine di Τ non vi sono segni di sutura; forse la Ὁπλοποιΐα è stata inserita da un epos precedente, ma chi la ha inserita è colui che ha dato l’ordine attuale a questa parte del poema (fino a Υ 53). L’unità di Σ 34–Υ 53 è un dato sicuro. È di assoluta evidenza è che Σ 34–Υ 53 (a differenza della Patroklie) conosce l’ambasceria di Agamennone ad Achille (ci sono allusioni esplicite sia in Σ che in Τ). La comprensione dei rapporti fra la πρεσβεία e Σ 34–Υ 53 è di capitale importanza per la genesi dell’Il. Anche in questo caso, l’analisi precedente a Bethe aveva commesso alcune ingenuità ipercritiche. Lachmann (18743, 86 – 89) aveva osservato che Τ allude alla πρεσβεία, ma aveva escluso che Τ e la πρεσβεία fossero stati pensati per appartenere allo stesso epos; il fatto che si trovino ora nello stesso poema è per Lachmann dovuto a una giustapposizione meccanica, che non risponde ad alcun chiaro progetto. Molti anni dopo Wilamowitz (1916, 163 – 181) era ancora sostanzialmente dell’opinione di Lachmann: il suo epos Σ–Τ è una rielaborazione della Ilias Homeri; quest’ultima non comprendeva Η–Κ (dunque nemmeno la πρεσβεία), dunque Τ non scrive presupponendo che nel suo epos sia compresa la πρεσβεία. Eppure, già nel 1914 Bethe (104– 120) aveva capito come stessero davvero le cose. Fra Σ–Τ e Θ esistono chiari parallelismi: la notte pone fine alla battaglia (Θ 485 – 488, Σ 239 – 243), cui segue immediatamente l’assemblea troiana, senza che venga descritto il rientro dei Troiani nel loro campo. In Θ prende la parola Ettore (497– 541), in Σ Pulidamante (254– 283), il primo baldanzoso per ordinare di trascorrere la notte fuori dalla città in vista della battaglia del giorno successivo che porterà la vittoria definitiva, il secondo pieno di timore per esortare a rientrare in città, poiché il giorno successivo rientrerà in battaglia Achille. Al discorso di Pulidamante ri-

 Agamennone dice che tale ambasceria è avvenuta da poco (χθιζός, 141, 195); per il significato cfr. Ameis-Hentze ad loc.; Lex. fr. Epos, s. v., che interpreta «recently». Jacob (1856) 358, Lachmann (18743) 88 e Bergk (1872) 629, nota 265 credono che tale espressione debba necessariamente indicare che l’ambasceria è avvenuta il giorno precedente e vi vedono una conferma per la struttura di un epos precedente da loro ricostruito (diverso dalla nostra Il.).

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sponde Ettore (Σ 285 – 309) e il suo discorso può essere confrontato con quello di Θ 497 sgg.: in Θ Ettore è certo della vittoria su Diomede, in Σ egli non ha più la certezza della vittoria⁴⁰⁸. In entrambi i passi al discorso di Ettore segue il grido di approvazione dei Troiani (Θ 542 = Σ 310: ὣς Ἕκτωρ ἀγόρευ᾽, ἐπὶ δὲ Τρῶες κελάδησαν). In entrambi i passi la narrazione passa quindi al campo greco (Ι 1: ὣς οἳ μὲν Τρῶες φυλακὰς ἔχον· αὐτὰρ ᾿Aχαιούς; Σ 314: δόρπον ἔπειθ᾽ εἵλοντο κατὰ στρατόν· αὐτὰρ ᾿Aχαιούς). Non c’è dubbio che P «ha ricercato delle corrispondenze precise tra i due passi»⁴⁰⁹. D’altra parte, tanto Σ–Τ quanto Θ hanno chiare finalità redazionali: Θ serve a introdurre la πρεσβεία, Σ–Τ a introdurre la Ὁπλοποιΐα e, contemporaneamente, a chiudere quanto introdotto dalla πρεσβεία (in Τ Achille accetta i doni offertigli in Ι). Tanto in Θ quanto in Σ–Τ la notte ha funzione essenziale, nel primo per l’invio dell’ambasceria, in Σ–Τ per la fabbricazione delle armi. Le conseguenze di tutto questo sono di importanza capitale: la grande sutura redazionale (Η2–Θ–Ι1) che ha unito il primo al terzo giorno di battaglia introducendo la costruzione della fortificazione greca, il secondo giorno di battaglia e la πρεσβεία, è parallela alla sutura redazionale (Σ 34–Υ 53) che ha unito il terzo al quarto giorno di battaglia, introducendo la Ὁπλοποιΐα e il Waffentausch (quest’ultimo rielaborando Π–Ρ). Vedremo tra poco che anche l’altra grande novità introdotta dalla sutura di Η2–Θ–Ι1, cioè il divieto per gli dèi di partecipare ai combattimenti, è centrale in Σ 34–Υ 53, poiché Υ abrogherà tale divieto, facendo esplicito riferimento a Θ. Il grande epos che è alla base di Π–Ρ è la Patroklie. Esso presuppone che Achille abbia litigato con Agamennone e che si sia rivolto a Zeus perché vendicasse l’affronto da lui subito (Π 52– 54, 236 – 237, 273 – 274). Evidentemente fra Achille e i capi greci non ci sono stati più contatti dopo la lite (Π 85 – 86). Difficile dire se l’aristia di Patroclo fosse preceduta dalla descrizione della battaglia in cui i Troiani arrivavano alle navi; noi ne possediamo solo la fine (Ο 605 sgg.). A noi (forse perché suggestionati dalla nostra Il.?) pare naturale che i tre eroi principali (oltre ad Achille e Aiace) che potevano tenere testa ai Troiani fossero appunto Agamennone, Odisseo e Diomede; ci chiediamo quindi cosa potesse contenere la parte precedente della Patroklie se non il ferimento di questi tre eroi. Eppure, essa sembra non avere contenuto tale ferimento. I sostenitori dell’Urilias, ovviamente, hanno cercato di mostrare che Λ1 e Patroklie facevano in origine parte dello stesso epos, ma si tratta di una ricostruzione fatta solo sulla  Di Benedetto (1994) 206: «Con un gioco sapiente, il poeta dell’Iliade [io direi P], nel mentre stabilisce un collegamento con il discorso di Ettore di Θ, costruisce il discorso di Σ in modo tale che esso risente della novità della situazione».  Così Di Benedetto (1994) 205, che però, da unitario, non parla di P, ma di «Omero».

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base della trama astratta del poema. Come abbiamo visto, la menzione del ferimento di Agamennone, Diomede e Odisseo sono state introdotte nella Patroklie da P (Π 25 – 26) e questo fa pensare che nell’epos originario non ci fossero. La Patroklie ignorava il Waffentausch; d’altra parte, nella nostra Il. è proprio a causa del Waffentausch che Achille rinvia il proprio ingresso in battaglia al giorno successivo; è altresì chiaro che la notte che si frappone fra la morte di Patroclo e l’ingresso di Achille in battaglia è opera di P: è probabile che nella Patroklie Achille rientrasse in battaglia appena Antiloco lo informava della morte di Patroclo⁴¹⁰. Nella Patroklie gli dèi prendevano parte alla battaglia? Nella nostra Il. il divieto di partecipare alla battaglia di Θ vale anche per Ο 605–Σ 34, ma ovviamente il poeta della Patroklie non lo presupponeva. Questo non significa che nella Patroklie gli dèi dovessero avere un ruolo importante (come per esempio in Ε): l’intervento divino era una cosa di cui i poeti si servivano a loro piacimento. Nella Patroklie che leggiamo noi Apollo addirittura disarma Patroclo, ma noi abbiamo visto che si tratta di una rielaborazione; è probabile che nella Patroklie l’intervento della divinità fosse diverso, forse paragonabile a quello di Atena a favore di Achille in Χ.

 Cfr. Bergk (1872) 626; Bethe (1914) 96 sgg.; Wilamowitz (1916) 169 sgg. Contra Von der Mühll (1952) 267– 268.

7 Analisi di Υ–Ω Analisi di Υ–Ψ 257 All’inizio di Υ, mentre Greci e Troiani si preparano alla battaglia, Zeus ordina a Temide di convocare gli dèi per un concilio. Ad eccezione di Oceano, tutte le divinità, compresi fiumi e ninfe, vanno al concilio. Zeus annuncia agli dèi riuniti che il motivo della convocazione è la battaglia imminente: egli rimarrà a osservarla dall’Olimpo, ma gli altri dèi sarà bene che partecipino, altrimenti c’è il rischio che Achille, ora che al naturale valore aggiunge la rabbia per la morte di Patroclo, conquisti Troia ὑπὲρ αἶσαν. Gli dèi si dirigono verso il campo di battaglia, divisi in due schiere, da una parte i filogreci (Era, Atena, Posidone, Ermes, Efesto), che vanno verso le navi, dall’altra i filotroiani (Apollo, Artemide, Latona, lo Scamandro, Afrodite), che vanno verso i Troiani. Atena si muove fra il fossato e le navi e di lì lancia un grido; la stessa cosa fa Ares muovendosi fra la città e Callicolone, nei pressi del Simoenta. Zeus e Posidone scuotono la terra e gli dèi si pongono l’uno di fronte all’altro, in posizione di battaglia: Posidone è di fronte ad Apollo, Atena ad Ares, Era ad Artemide, Ermes a Latona, Efesto allo Scamandro. A questo punto si passa dagli dèi agli uomini: Greci e Troiani sono sul campo di battaglia e Achille cerca Ettore, per vendicare la morte di Patroclo. Apollo prende le sembianze di Licaone e va da Enea, per esortarlo ad affrontare Achille. Enea ha paura e ricorda al falso Licaone come già una volta, sull’Ida, si sia salvato da Achille solo grazie all’aiuto di Zeus. Apollo gli fa coraggio, ricordandogli la sua origine divina. Era, che ha osservato la scena, è preoccupata che Achille possa perdersi d’animo, vedendo che gli dèi favoriscono un altro guerriero e propone che una divinità filogreca intervenga subito in suo favore. Posidone la calma: è meglio lasciare che a combattere siano gli uomini; solo se Ares o Apollo si immischieranno nella battaglia, sarà opportuno che le divinità filogreche prendano contromisure. Le divinità filogreche prendono quindi posizione presso una muraglia, che i Troiani e Atena avevano costruito in prossimità del mare, mentre le divinità filotroiane siedono ἐπ᾽ ὀφρύσι Καλλικολώνης. Intanto Achille ed Enea si avvicinano: Achille consiglia all’avversario di ritirarsi, dato che già una volta lo ha messo in fuga e che, se anche vincesse, non avrebbe nulla da guadagnarci, dato che Priamo e la sua stirpe mai gli cederebbero il regno. Enea gli risponde con un lungo discorso, in cui ricorda la propria stirpe; segue il duello nel quale Enea rimarrebbe ucciso, se in suo favore non intervenisse Posidone, che lo porta fuori dal campo di battaglia. Achille, accortosi che a favore di Enea è intervenuta una divinità, si dirige contro gli altri Troiani ed Ettore sarebbe pronto ad affrontarlo, se Apollo non gli consigliasse di restare https://doi.org/10.1515/9783110652963-007

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nelle retrovie. Achille inizia ora la strage degli avversari: dopo averne uccisi tre di origine meno illustre, l’eroe uccide Polidoro, figlio di Priamo e di Laotoe. Ettore, davanti allo spettacolo del fratellastro ucciso non può resistere e si dirige contro Achille: fra i due c’è un primo scontro, ma Apollo porta via Ettore per sottrarlo alla morte. Achille capisce che è stato Apollo a intervenire in favore di Ettore e si getta su altri nemici, uccidendone dieci. Qui finisce Υ. Φ inizia con l’arrivo dei Troiani e di Achille, che li sta inseguendo, sulla riva dello Scamandro: lì i Troiani si dividono e una parte corre, attraverso la pianura in cui Ettore il giorno prima aveva fatto strage di Greci, verso la città, un’altra si getta nel fiume. Achille, deposta la lancia sulla riva, si getta anch’egli nel fiume, armato del solo pugnale. Nel fiume, dopo aver fatto strage di nemici, ne cattura dodici vivi, che consegna ai compagni, per poterli poi sacrificare sulla pira di Patroclo. Licaone sta uscendo dal fiume e gli si fa incontro per chiedergli di risparmiargli la vita: Achille, che pure qualche tempo prima aveva risparmiato la vita allo stesso eroe vendendolo, stavolta non vuole sapere di riscatti: dopo la morte di Patroclo egli non è più disponibile a risparmiare nessun troiano. Ucciso Licaone, Achille ne getta il cadavere nel fiume e pronuncia un discorso (122– 135): dopo aver detto che il cadavere di Licaone verrà mangiato dai pesci, aggiunge che egli continuerà a uccidere i Troiani inseguendoli fin sotto Troia e nemmeno lo Scamandro potrà aiutarli, sebbene essi lo abbiano adorato con sacrifici. Lo Scamandro è sdegnato e medita come aiutare i Troiani. Nel frattempo (τόφρα) Achille aggredisce Asteropeo, discendente del fiume Axio e il più valoroso combattente fra i Peoni, che sta anch’egli uscendo dal fiume: Scamandro dà forza ad Asteropeo, poiché è sdegnato per i giovani che Achille ha ucciso all’interno delle sue acque (146 – 147: ἐπεὶ κεχόλωτο δαῒ κταμένων αἰζηῶν, / τοὺς ᾿Aχιλεὺς ἐδάϊζε κατὰ ῥόον οὐδ᾽ ἐλέαιρε). Achille uccide anche Asteropeo e si vanta di discendere da Zeus, antenato ben più nobile di un fiume; del resto, egli ha potuto uccidere Asteropeo, sebbene si trovasse in prossimità di un fiume. Lasciato il cadavere di Asteropeo sulla riva, affinché venga mangiato da anguille e pesci, Achille si dirige verso gli spaventati Peoni: ne uccide sette e ne ucciderebbe ancora, se lo Scamandro non intervenisse, chiedendogli di desistere (214– 221): il fiume riconosce la forza di Achille e che l’eroe ha la protezione degli dèi e di Zeus, e gli chiede con tono gentile di non riempire più di cadaveri le proprie acque: se vuole uccidere tutti i Troiani, lo faccia nella pianura. Achille risponde con altrettanta gentilezza e accoglie la richiesta del fiume: egli continuerà la strage finché non avrà respinto i Troiani entro le mura e non avrà combattuto contro Ettore, ma lo farà lontano dallo Scamandro. Detto questo, l’eroe si getta sui Troiani. Lo Scamandro si rivolge ora ad Apollo e gli rimprovera di non fare quanto gli ha detto Zeus, cioè difendere i Troiani fino allo scendere della sera (229 – 232). A questo punto Achille si getta nello Scamandro. Il fiume,

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sdegnato, spinge fuori tutti i cadaveri, aiuta i Troiani a nascondersi nelle sue acque e assale Achille. Questi sarebbe sopraffatto dalla forza delle acque dello Scamandro, se in suo soccorso non giungessero Atena e Posidone; quest’ultimo conforta l’eroe, dicendogli che non è destino che egli muoia nelle acque del fiume, ma che, respinti in città i Troiani e ucciso Ettore, torni alle navi. Grazie alla forza infusagli da Atena, Achille riesce a tornare sulla terra ferma: lo Scamandro non ha più la forza di fermarlo. Il fiume, tuttavia, è ancora più sdegnato contro l’eroe e si rivolge al fratello Simoenta, affinché anch’egli aggredisca Achille. Lo Scamandro si getta quindi su Achille, ma Era chiede a Efesto di ardere con il fuoco le acque del fiume. Inizia così una lotta fra lo Scamandro ed Efesto e la vittoria arride a quest’ultimo. A questo punto anche gli altri dèi iniziano a lottare fra loro e Ares è sopraffato da Atena (che ha la meglio anche su Afrodite), Apollo rifiuta di combattere contro Posidone, Era ha la meglio su Artemide, Ermes e Latona rifiutano di combattere. La teomachia è finita con una netta vittoria delle divinità filogreche: tutti gli dèi tornano sull’Olimpo tranne Apollo che si ritira a Troia. Finita la teomachia, tornano protagonisti i mortali (520 sgg.): Achille, che a 299 sqq. era riuscito a fuggire dalle correnti dello Scamandro, si dirige ora verso Troia. Priamo, che è sulla torre, lo vede mentre insegue i Troiani che fuggono senza opporre resistenza e, impaurito, scende dalla torre per ordinare che vengano aperte le porte della città ai Troiani in fuga, che vengono però poi subito richiuse, affinché non entri in città Achille. La situazione volgerebbe al peggio per i Troiani, se Apollo non intervenisse di nuovo in loro favore: la divinità fa coraggio ad Agenore, che osa così, mentre gli altri si rifugiano in città, affrontare da solo Achille: quando quest’ultimo sta per ucciderlo, Apollo si sostituisce a lui e inizia a fuggire, sicché, mentre Achille insegue il falso Agenore, tutti i Troiani rientrano in città, ad eccezione di Ettore. Così finisce Φ. Quanto le due rapsodie precedenti (Σ 34–Τ) sono unitarie, altrettanto Υ–Φ sono eterogenei e quindi difficili da analizzare⁴¹¹. L’inizio di Υ è senza dubbio una prosecuzione di Τ, cioè è chiaramente opera di P. Come la riconciliazione fra Achille e Agamennone (Τ) ha posto fine alla lite di Α e ha proseguito quanto preannunciato in Ι (cioè i doni riparatori di Agamennone ad Achille), così il concilio divino di Υ, in cui Zeus consente agli altri dèi di intervenire in battaglia, pone fine agli effetti del concilio divino di Θ, in cui Zeus aveva proibito tale intervento⁴¹². Non c’è alcun dubbio che il parallelismo che abbiamo visto fra Τ e

 Una lettura unitaria di Υ–Φ in Scheibner (1939).  Così Bethe (1914) 298 – 299; Theiler (1947) 132; Von der Mühll (1952) 293; contra Wilamowitz (1916) 81, ma senza argomenti validi; cfr. nota 304.

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Ι esista anche fra Υ e Θ, il che è un’ulteriore conferma che Θ–Ι sono stati concepiti all’interno dello stesso progetto (P) che ha portato alla composizione di Σ 34–Τ. Un’ulteriore conferma che l’inizio di Υ è opera di P la dà il fatto che viene sottolineata la presenza al concilio divino di Posidone, del quale si dice che non mancò (13 – 14: οὐδ᾽ Ἐνοσίχθων / νηκούστησε θεᾶς). Addirittura è lo stesso Posidone a chiedere a Zeus le ragioni della convocazione. Questo rilievo dato a Posidone è spiegabile solo alla luce di Ν–Ο: il suo intervento non autorizzato in battaglia in quei libri (inventato da P) e il conseguente contrasto con Zeus sono all’origine di questo protagonismo di Posidone. A parte questo evidente legame con Θ / Τ, tutto il resto di Υ è molto problematico. L’incongruenza più evidente riguarda l’azione degli dèi: Zeus ha detto agli altri dèi di andare a Troia e di partecipare alla battaglia (20 – 30) e undici divinità vanno verso il campo di battaglia e due di esse, Atena e Ares, lanciano il grido di guerra (32 – 53). Fin qui tutto è chiaro, poiché Zeus ha alluso a una partecipazione degli dèi alla battaglia e quanto avviene sembra esserne il preludio. Nei vv. successivi sembra però che gli dèi non si limitino più a partecipare alla battaglia fra Greci e Troiani, ma che si preparino a una lotta fra loro: il cielo e la terra vengono scossi tanto che anche Ades si impaurisce e gli dèi ἔριδι ξυνίασιν (66), si schierano l’un contro l’altro e sono sul punto di iniziare una lotta fra loro (54– 75). Nulla nelle parole di Zeus aveva fatto pensare che qualcosa del genere sarebbe accaduto⁴¹³; inoltre, l’azione successiva sembra ignorare (per tutto il resto di Υ e una buona parte di Φ) sia la posizione che gli dèi hanno assunto a 66 – 74 sia il loro proposito di lottare fra loro. Quanto, infatti, gli dèi fanno nel seguito (fino a Φ 304) è inconciliabile con la posizione da loro assunta a Υ 66 – 74⁴¹⁴. Apollo interviene sul campo di battaglia (Υ 79 sgg.), Era chiama a sé Posidone e Atena, come se essi non si trovassero nello stesso luogo (Υ 114), Posidone esprime il desiderio di evitare un conflitto fra gli dèi (Υ 133 – 134), come se nulla sapesse di Υ 66 – 74. A Υ 144– 152 gli dèi cambiano posizione: i filogreci vanno al muro di Eracle, i filotroiani su Callicolone. Da questo punto in poi i loro interventi sul campo di battaglia (Apollo: Υ 375 sgg., 443 sgg.; Atena: Υ 438 sgg., Φ 284 sgg.; Posidone: Υ 318 sgg., Φ 284 sgg.; Scamandro: Φ 213 sgg.) potrebbero risultare meno incongruenti con il contesto, ma Φ 331– 332 presuppone gli dèi nella stessa posizione di Υ 66 – 74, come se né Υ 144– 152 né i vari movimenti che ho elencato ci fossero stati! La situazione cambia completamente verso la metà di Φ: 331– 332 presuppone che lo Scamandro sia di fronte a Efesto, esattamente

 Cfr. Hentze (18832) 49.  Cfr. Hentze (18832) 49; Merkelbach (1948); contra Bethe (1914) 301– 302, ma senza argomenti validi.

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come leggiamo in Υ 73 – 74, e nel seguito di Φ leggiamo (fino a 520) la lotta fra gli dèi, esattamente come essa si era profilata in Υ 54– 75. È come se gli dèi di Υ 54– 75 fossero rimasti immobili per circa 750 vv.⁴¹⁵ Considerando che fra Φ 304 e ciò che segue esiste senza dubbio una cesura, la spiegazione più ovvia è che la prosecuzione di Υ 54– 75 si trovi in quello che segue Φ 304. Dunque fra Υ 53 e il v. successivo c’è una sutura. La narrazione interrotta al v. 53 riprende al v. 75⁴¹⁶: Achille cerca naturalmente Ettore, ma Apollo gli invia contro Εnea. Inizia così un episodio molto famoso e destinato a grande fortuna, lo Zweikampf des Aineias und Achill (79 – 352). Questo episodio risulta composito al proprio interno e la sezione più ampia e antica di esso non sembra essere stata composta in origine per la nostra Il. ⁴¹⁷ È Apollo a convincere Εnea ad affrontare Αchille (79 – 111); ci aspetteremmo che, quando il pericolo incalza il suo protetto, sia di nuovo Apollo a salvarlo; invece a salvarlo interviene Posidone (290 – 340), divinità nella nostra Il. altrimenti filogreca. A questa incongruenza si aggiunge la Stimmung dello Zweikampf, che non corrisponde per nulla alla situazione in cui esso è attualmente inserito: Achille è appena rientrato in battaglia dopo la morte di Patroclo e vuole uccidere quanti più Troiani possibile, ma a Enea suggerisce di ritirarsi nelle retrovie per evitare che egli lo uccida (195 – 198)⁴¹⁸. La mancanza di rabbia con cui Achille parla di Priamo (179 – 183), l’assenza di qualsiasi riferimento al recentissimo dolore per la morte di Patroclo, il distacco con cui Enea parla di Ettore e della sua parentela con lui (239 – 241), così come l’assenza di riferimenti alla situazione attuale quando Εnea parla dei possibili insulti che egli e Achille potrebbero lanciarsi (246 – 255), fanno pensare che questo episodio sia stato pensato per tutt’altro contesto. Questo ben si accorda con quanto abbiamo osservato circa il comportamento di Apollo e Posidone: le contraddizioni, infatti, spariscono se si suppone che originariamente l’episodio contenesse l’intervento del solo Posidone e che quello di Apollo sia stato aggiunto per armonizzare (certo, molto superficialmente) l’episodio col suo nuovo contesto. Si può cioè supporre che 79 – 155 siano stati scritti come raccordo fra il contesto e questo

 Kammer (1870) II, 57: «Wie verzaubert bleiben die Götter gegen einander gerichtet stehen, ohne ein zeichen des Lebens zu geben»; Merkelbach (1948) 305; West (2011) 366: «The confrontations are ignored in the following scenes». Qualcuno potrebbe pensare a un caso di semplice frozen scene, ma non è questo il caso, perché tra i due punti in questioni gli dèi agiscono.  Nitzsch (1852) 289 – 290 e Hentze (18832) 49 ritengono 54– 75 estranei al contesto originario.  Cfr. Kammer (1870) II, 45 sgg.; Bergk (1872) 633; Hentze (18792) 52 sgg.; Niese (1882) 102; Bethe (1914) 305 – 307; Merkelbach (1948); contra Von der Mühll (1952) 298 – 306, che crede che il duello fra Enea e Achille sia opera di P.  Cfr. il contrasto stridente con Φ 101 sgg. Cfr. Bergk (1872) 633 e già d’Aubignac (1715) 182.

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epos su Εnea e Αchille⁴¹⁹. La contraddizione più grave viene in questo modo risolta: nella nostra Il. Apollo è filotroiano, Posidone filogreco, mentre nello Zweikampf Posidone interveniva a salvare Enea: si è lasciato l’intervento di Posidone, ma, per rendere l’incongruenza meno grave, si è aggiunto quello di Apollo, divinità sempre filotroiana. Il poeta che ha scritto 79 – 155 (che è forse P, ma non possiamo esserne certi) non solo ha scritto questo pezzo di raccordo per introdurre lo Zweikampf, ma ne ha ritoccato anche alcune parti all’interno: quando vede che Εnea sta per essere ucciso da Αchille, Posidone, prima di intervenire a salvarlo, accusa Apollo di averlo tratto nei guai e Era dice che ella stessa e Atena non faranno mai nulla in favore dei Troiani. È evidente che siamo davanti allo stesso poeta che ha composto 79 – 155, come mostra l’allusione all’intervento di Apollo e la presenza di Era e Atena (cfr. 111 sgg.: Atena rimane in silenzio in entrambi i passi). Pare dunque che anche 292– 320 siano opera del poeta che ha inserito lo Zweikampf nel suo nuovo contesto. Il contesto che P (o chiunque abbia inserito lo Zweikampf) aveva in mente è ben chiaro: egli presuppone che gli dèi siano sul campo di battaglia per aiutare la loro parte (125 – 127), ma esclude nella maniera più chiara la teomachia quale si era prospettata in Υ 54– 74 (cfr. 114; 133 – 134). Ricapitolando, Υ 1– 53 sono prosecuzione di Τ e quindi sono opera di P; 54– 74 introducono la teomachia di Φ; 75 – 352 sono un epos originariamente estraneo all’attuale contesto, ma che qualcuno (forse P) ha armonizzato (aggiungendo 79 – 155 e altri ritocchi) al contesto di Υ 1– 53⁴²⁰. Con Υ 353 inizia il combattimento vero e proprio fra Achille e i Troiani, prima nella pianura, poi sulle rive dello Scamandro e nel fiume stesso. La narrazione non presenta incongruenze fino all’episodio di Asteropeo (Φ 135 sgg.)⁴²¹: donde proviene questa sezione in sé coerente? Nel seguito vedremo che l’ultima grande battaglia, l’unica della nostra Il. cui prende parte Achille e nella quale cade Ettore, deriva in gran parte da un epos (Achilleis), di cui non c’è traccia nella parte precedente del poema. È dunque ragionevole ipotizzare che l’utilizzo dell’Achilleis inizi proprio dopo la fine del duello fra Enea e Achille. Questa deduzione può essere confermata da Χ 46 – 47, un passo che quasi certamente deriva dall’Achilleis e in cui si allude alla morte di Polidoro e Licaone; proprio la morte di questi due figli di Priamo è narrata nella sezione che stiamo discutendo

 Così Bethe (1914) 305; per Merkelbach (1948) 306 il pezzo di raccordo è 75 – 155.  Per un’analisi di Υ parzialmente diversa da quella qui proposta cfr. Heitsch (1965), con le osservazioni di Lenz (1975) 162 sgg.  Ma Φ 17– 33 sono probabilmente un’aggiunta, cfr. p. 189 – 190. Υ 419 – 454 presenta il primo incontro fra Achille e Ettore, che viene salvato da Apollo: la qualità della poesia non è alta (specialmente 430 sgg.: cfr. il giudizio assai duro di Wilamowitz 1916, 86), ma non ci sono ragioni per ritenerlo estraneo al contesto originario.

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(Υ 407 sgg.; Φ 34 sgg.). Supponiamo dunque che da Υ 353 inizi l’utilizzo dell’Achilleis; essa va avanti senza contraddizioni fino all’episodio di Asteropeo e dei Peoni (Φ 136 sgg.). Per quanto riguarda quest’episodio, la contraddizione più evidente con il suo attuale contesto si trova alla fine di esso (Φ 214– 234): Achille dice allo Scamandro di voler fare quanto egli gli ha chiesto (223), ma pochi vv. dopo fa esattamente l’opposto, gettandosi nelle acque del fiume (233 – 234). Quanto Scamandro dice ad Apollo (229 sgg.) non è meno sorprendente: egli ricorda che Zeus ha comandato ad Apollo di proteggere i Troiani fino alla sera. La vicinanza di Apollo allo Scamandro di per sé non creerebbe problemi, poiché le due divinità sono schierate vicine (Φ 67– 74): inspiegabile è invece che Apollo non risponda al rimprovero dello Scamandro e non meno sorprendente è il richiamo dello Scamandro a un ordine di Zeus di cui nella nostra Il. non c’è traccia. Siamo davanti a tre gravi contraddizioni, che possono essere spiegate solo supponendo che sia stato mescolato materiale di origine diversa. La soluzione più semplice a me pare supporre che fra 232 e 233 ci sia una sutura⁴²²: in questo modo la contraddizione più stridente (che cioè Achille dica di voler obbedire allo Scamandro, quando poi fa il contrario) sparisce e si può supporre che a 232 seguisse la risposta di Apollo (che non poteva mancare). È probabile che un altro punto di sutura vada individuato fra Φ 135 e quanto segue: dopo aver ucciso Licaone, Achille esalta la propria forza e afferma che nemmeno lo Scamandro riuscirà ad aiutare i Troiani. Il fiume, comprensibilmente, si sdegna (136 – 138). Non segue però alcuna azione da parte di Scamandro e pochi vv. dopo (145 – 147), come motivo dell’ira del fiume contro Achille, vengono citati i numerosi guerrieri che l’eroe aveva ucciso nel fiume⁴²³. Dunque, prima vengono citate parole di sfida di Achille nei confronti dello Scamandro, per le quali si dice che il fiume si è irritato (130 – 138), poco dopo come unico motivo di ira dello Scamandro verso Achille si citano le uccisioni di Φ 17– 26: sembra quindi che anche qui siamo davanti a una sutura. I due punti di sutura che abbiamo individuato corrispondono all’inizio e alla fine dell’episodio di Asteropeo (Asteropaiosepos), che dunque risulterebbe inserito in un contesto per cui non era stato pensato⁴²⁴. In effetti, se supponiamo che originariamente a 135 seguisse il tuffo di Achille nel

 In questo senso cfr. West (2011) 378.  Questo ha portato Payne Knight a espungere 128 – 135, ma è molto più economico legare questa incongruenza a quella di 214– 234, poiché anche lì abbiamo gli stessi personaggi, Achille e lo Scamandro.  Su questa linea già Franke (cfr. Hentze 18832, 87) e Wilamowitz (1916) 87– 88, che ritengono 137– 234 estranei al contesto originario; così anche Cauer (1917 b) 546, Theiler (1947) 132 e Von der Mühll (1952) 318.

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fiume, la sequenza risulterebbe chiara: dopo aver provocato lo Scamandro con parole poco riguardose (130 – 135), Achille vi si getta dentro (evidentemente per uccidere i Troiani che sono lì) e il fiume si gonfia e cerca di ucciderlo. Achille morirebbe, se non intervenissero in suo aiuto Posidone e Atena, che lo riportano sulla terra ferma. Eliminando l’episodio di Asteropeo, Φ 233 sgg. seguirebbero Υ 353–Φ 135, cioè proseguirebbero l’Achilleis. Con Φ 305 iniziano nuove incongruenze: l’azione di Apollo e Atena sembra essere stata vana, poiché lo Scamandro, chiamato in aiuto il Simoenta, perseguita in maniera ancora più aspra Achille⁴²⁵ (esprimendo fra l’altro il timore che Achille possa conquistare Troia, 309 – 310, mentre Posidone, il protettore di Achille, pochi vv. prima, 296 – 297, aveva proibito all’eroe di tentare l’impresa). Tutto questo potrebbe anche per se ipsum non pregiudicare la continuità fra 305 e quanto precede, se non si aggiungesse un indizio decisivo contro tale continuità: a 331 Era esorta Efesto ad attaccare lo Scamandro, che si trova davanti a lui (ἄντα σέθεν γάρ); è evidente che queste parole di Era presuppongono Υ 73 (ἄντα δ᾽ ἄρ᾽ Ἡφαίστοιο μέγας ποταμὸς βαθυδίνης)⁴²⁶ e questo è confermato da quanto segue, poiché, appena terminata la lotta fra Efesto e lo Scamandro, inizia quella fra gli altri dèi che si erano schierati gli uni contro gli altri in Υ 67– 74. Tale lotta va avanti fino a Φ 520 ed è di tutta evidenza che essa è la continuazione Υ 54– 74⁴²⁷; si tratta dell’epos che noi chiamiamo θεῶν μάχη. Non è certo dove tale epos inizi all’interno di Φ; il punto più verisimile a me sembra 305⁴²⁸. Finita la teomachia, si ricomincia a parlare di Achille (520 sgg.) che non si trova più vicino allo Scamandro, ma minaccia ormai Troia. Priamo vede tutto dalle mura e ordina che vengano aperte le porte per far rientrare i Troiani minacciati da Achille. Ad aiutarlo interviene Apollo che distrae Achille tràmite Agenore mentre i Troiani rientrano in città. Così finisce Φ; quest’ultima parte (da 520 in poi) va analizzata insieme a Χ. Quando i Troiani sono già dentro la città, Apollo rivela ad Achille l’inganno che gli ha teso. Achille corre dunque sdegnato verso Troia. Il primo a vederlo è Priamo (Χ 25: τὸν δ᾽ ὁ γέρων Πρίαμος πρῶτος ἴδεν ὀφθαλμοῖσι): è davvero strano che venga detto questo, dopo che si era già

 Cfr. Bernhardt (1872/73) XXI. Si è supposto che la battaglia fra Achille e lo Scamandro sia influenzata da quella fra Eracle e l’Acheloo, ma mancano indizi seri in tal senso, cfr. Scheibner (1939) 119 sgg.  Cfr. Ameis-Hentze ad Φ 331 f.  Merkelbach (1948) 306, nota 1: «Daß Φ 385, mit kleinen Änderungen, direkt an Υ 74 anschließt, ist klar. Die im Υ begonnene Schilderung des Getöses beim Zusammenprall der Götter wird im Φ direkt fortgesetzt, und die Götter kämpfen genau so gegeneinander, wie sie Υ 37 ff. sich aufgestellt hatten (Υ 144– 155 zerstört dies).»  Così Wilamowitz (1916) 87 e Von der Mühll (1952) 320.

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detto che Priamo aveva visto Achille (Φ 526 – 527); la spiegazione più semplice è che fra Φ 526 – 527 e Χ 25 vi sia una sutura, poiché la contraddizione è piuttosto evidente⁴²⁹; tuttavia, l’ipotesi di tale sutura incontra gravi difficoltà. Con Χ 25 inizia una sequenza che sembra procedere ininterrotta e coerente (con qualche piccola aggiunta) fino a Ψ 257, cioè fino all’inizio degli Ἆθλα. Si tratta di quell’epos che già abbiamo nominato, l’Achilleis. Priamo vede Achille che si avvicina minaccioso (Χ 25 sgg.): l’anziano re si rivolge a Ettore, che si è messo davanti alle porte della città per affrontare Achille, e lo prega di rientrare in città, poiché uno scontro con Achille lo porterà senza dubbio alla morte; una preghiera analoga gli rivolge anche la madre Ecuba, ma Ettore resta in attesa che Achille sopraggiunga. Nel discorso rivolto al figlio, Priamo dice di non vedere, fra i Troiani che sono rientrati, Licaone e Polidoro (46 – 47: Λυκάονα καὶ Πολύδωρον, / οὐ δύναμαι ἰδέειν Τρώων εἰς ἄστυ ἀλέντων). Questi vv. presuppongono quindi i due episodi di Polidoro (Υ 407– 418) e Licaone (Φ 34– 135)⁴³⁰: è istruttivo che Priamo osservi la mancanza dei soli Polidoro e Licaone, poiché nel giorno precedente erano caduti anche altri suoi figli (Isos e Antisos Λ 101 sqq.; Doriclo Λ 489 sqq.; Cebrione, Π 737 sqq.) e nella notte fra il terzo e il quarto giorno di combattimenti i Troiani non erano rientrati a Troia. Se Χ 46 – 47 e Λ–Π avessero fatto parte dello stesso epos, ci aspetteremmo che Priamo alludesse anche ad altri suoi figli caduti, ma egli si riferisce solo a quelli di Υ–Φ. D’altra parte, l’analisi interna di Υ-Φ ci ha mostrato che gli episodi di Polidoro e Licaone appartengono allo stesso segmento (Υ 353 – Φ 135), dunque questo segmento appartiene probabilmente allo stesso epos di Χ 25 sgg., l’Achilleis ⁴³¹. Ne segue, pare, che la parte immediatamente precedente (Φ 520 – Χ 24) non appartiene all’Achilleis, dal momento che Φ 527 contraddice Χ 25; tuttavia, non si comprende la genesi di Φ 520–Χ 24, poiché questi vv. non possono essere collegati alla parte che precede (la θεῶν μάχη), con la quale non hanno nulla a che fare, ed è difficile anche pensare che siano un Verbindungsstück con la parte successiva, con la quale sono in contraddizione. È uno dei punti in cui l’analisi mostra la propria impotenza. Ettore non dà ascolto alle preghiere di Priamo ed Ecuba (Χ 91 sgg.), appoggia lo scudo alle mura e pronuncia un monologo (99 – 130): se rientrerà in città, Pulidamante lo rimprovererà per non aver ascoltato il suo consiglio di ricondurre i Troiani in città, prima che essi venissero massacrati da Achille; se invece si presenterà disarmato di fronte a Achille, proponendogli di consegnare ai Greci

 Così Bethe (1914) 326 – 327, cfr. anche Von der Mühll (1952) 329 – 331.  Cfr. Reichel (1994) 282.  Così Wilamowitz (1916) 95; contra Bethe (1914) 328 – 329.

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Elena e tutte le ricchezze di Troia, Achille lo ucciderà senza pietà. L’allusione a Pulidamante e alla sua proposta presuppongono evidentemente Σ 249 sqq. Chi attribuisce il monologo nella sua integrità all’Achilleis, suppone che tale epos contenesse l’assemblea dei Troiani successiva alla morte di Patroclo simile a come la leggiamo in Σ⁴³², mentre altri hanno pensato che l’intero monologo o almeno i vv. che ricordano Pulidamante siano estranei al nucleo originario di Χ⁴³³. In altre parole, questo passo dell’Achilleis presenta una coincidenza innegabile con un passo del grande raccordo Σ 34–Υ 54 e noi possiamo spiegarla o alla maniera lachmanniana di Wilamowitz, che cioè la coincidenza si chiarirebbe se noi avessimo la parte precedente dell’Achilleis, o con l’ipotesi degli interventi redazionali di P, che avrebbe ritoccato gli epe che includeva nel suo poema. Preferisco la seconda soluzione, poiché io credo che l’Achilleis non presupponesse che i Troiani avessero trascorso la notte precedente fuori da Troia, ma dentro la città⁴³⁴. Se questo è vero, la discussione fra Ettore e Pulidamante che noi leggiamo in Σ 249 sgg., in cui il primo vuole che l’esercito trascorra la notte fuori dalla città, mentre il secondo vuole che rientri, nell’Achilleis non poteva esserci. D’altra parte, tutto il monologo di Ettore, non solo i vv. che alludono a Σ, pone seri problemi: da Χ 111 si dedurrebbe che Ettore abbia ancora in mano lo scudo, mentre da 97 deduciamo che egli lo ha appoggiato al muro (cfr. ἐρείδειν a 97 e 112). Inoltre meravigliano sia l’assenza di qualsiasi riferimento a quanto hanno appena detto Priamo ed Ecuba sia la scarsa chiarezza del pensiero di 111 sgg.: Ettore ipotizza di andare disarmato da Achille per proporgli la restituzione di Elena e la consegna di tutte le ricchezze presenti a Troia, ma teme che Achille lo uccida. Tuttavia, se il suo scopo è quello di non essere ucciso, non era più semplice rientrare in città? Egli ha poco prima respinto come disonorevole questa soluzione poiché lo avrebbe esposto ai rimproveri di Pulidamante: come può ora venirgli in mente una soluzione che non solo lo costringerebbe a rientrare in città da sconfitto (e dunque lo esporrebbe ai rimproveri di Pulidamante), ma lo costringerebbe anche a umiliarsi davanti a tutti i Troiani, chiedendo loro di privarsi di tutte le loro ricchezze? La contraddizione fra le due parti del monologo mi sembra tale da far supporre che esse siano state giustapposte; se è così, è probabile che questo monologo derivi dall’Achilleis, ma che esso sia stato rielaborato. La prima parte, ove ora c’è l’allusione a Σ, avrebbe potuto contenere un’allusione a quanto avevano appena detto Priamo ed Ecuba.  Wilamowitz (1916) 116: «Sie [cioè l’Achilleis] umfaßte mindestens noch die Beratung der Troer nach dem Falle des Patroklos».  Così Bergk (1872) 636 – 637; Niese (1882) 115, nota 2.  Cfr. p. 187– 188.

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In ogni modo, considerata la contraddizione fra la prima e la seconda parte del monologo e le difficoltà che pone il rimando a Σ e alla notte trascorsa fuori città dai Troiani, l’ipotesi che la prima parte del monologo sia stata introdotta successivamente mi pare assai probabile. Quando Achille si avvicina, Ettore viene preso dal terrore e comincia a fuggire: inizia così l’inseguimento sotto le mura di Troia e i due eroi corrono tre volte attorno alla città prima del duello finale. Non sono del tutto chiari i loro movimenti: Ettore è all’inizio sotto le mura della città (96 – 97), posizione per lui vantaggiosa, poiché i Troiani sulle mura possono aiutarlo colpendo Achille (193 – 198); per quale motivo a 145 – 146 i due eroi corrono «allontanandosi dalle mure» (τείχεος αἰὲν ὕπεκ κατ᾽ ἀμαξιτὸν ἐσσεύοντο)? Se Ettore aveva interesse a rimanere sotto le mura, perché qui se ne allontana? Si è supposto che alla base della Ἕκτορος ἀναίρεσις vi siano due epe, e che in uno di essi la fuga di Ettore iniziasse già nella pianura (questo spiegherebbe la sua lontananza dalle mura e la possibilità per Achille di incalzarlo dal lato delle mura)⁴³⁵. Tuttavia, a me pare che il poeta stesso indichi la ragione del movimento di allontanamento dalle mura di 145 – 146, dicendo che i due eroi correvano lungo un sentiero (κατ᾽ ἀμαξιτόν). In altre parole, era il sentiero che determinava il loro percorso: Ettore non poteva allontanarsene, poiché se Achille avesse corso lungo di esso ed egli fuori da esso, l’eroe greco sarebbe andato più veloce. Gli dèi guardano dall’alto la scena: Zeus sarebbe tentato di salvare Ettore, che mai ha trascurato di onorarlo con sacrifici, ma Atena lo dissuade; alla fine del colloquio divino, Atena scende sul campo di battaglia. Questo intermezzo divino pone problemi molto gravi: dopo che Atena gli ha ricordato che, se salverà Ettore, molti dèi non gliene saranno grati, Zeus le risponde (183 – 185): θάρσει, Τριτογένεια, φίλον τέκος· οὔ νύ τι θυμῶι / πρόφρονι μυθέομαι, ἐθέλω δέ τοι ἤπιος εἶναι. / ἔρξον ὅπηι δή τοι νόος ἔπλετο, μηδ᾽ ἔτ᾽ ἐρώει. 183 – 184 occorrono anche in Θ 39 – 40; non è possibile affermare con certezza quale dei due passi sia fonte dell’altro, ma in Θ i vv. sembrano più opportuni, poiché Zeus acconsente che Atena intervenga con la βουλή in favore dei Greci e attenua così il proprio divieto; in Χ non si vede in cosa consista la benevolenza di Zeus verso la figlia⁴³⁶. Atena va dunque dall’Olimpo verso Troia e i vv. con cui ciò viene detto occorrono identici in Δ 73 – 74, che è senza dubbio l’originale⁴³⁷. Anche 179 – 181 occorrono identici in Π 440 – 444 (il contesto è del tutto analogo: lì si tratta di Sarpedone qui di Ettore).  Così Mülder (1904).  Un’altra serie di versi identici fra Χ e Θ si incontrerà poco dopo: Χ 210 – 212 = Θ 69 – 72, e qui la precedenza di Χ è sicura.  Infatti ὀτρύνω e μεμαυῖαν sono più appropriati se c’è un’azione ben precisa da compiere, come in Δ. Inoltre da Υ 435 sgg. si arguisce che Atena è già sul campo di battaglia.

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Oltre alla goffaggine di queste ripetizioni, altri due indizi fanno supporre che l’episodio olimpico sia stato inserito successivamente: il discorso di Zeus sul destino di Ettore e il suo pensiero di sottrarre l’eroe alla morte contrastano con il fatto che la divinità pochi vv. dopo (209 – 212) metta sulla bilancia i destini di Ettore e Achille: la presenza di uno strumento oggettivo come la bilancia contrasta con l’espressione della volontà di 168 – 176 (1); un’altra inserzione divina si incontra pochi vv. dopo (202– 204)⁴³⁸ (2). Nel complesso, ci sono buone ragioni per pensare che l’episodio olimpico non facesse parte dell’Achilleis. La più forte è a mio giudizio l’incongruenza di 183 – 187, un caso di homerische Stümperei. Se si ipotizza (come ho fatto fin qui) che 183 – 187 siano opera dello stesso poeta che ha composto 167– 182, tutto l’episodio olimpico è un’aggiunta, estranea all’Achilleis. Si potrebbe però anche ipotizzare che originariamente al posto di 183 – 187 ci fosse qualcosa di diverso che, poiché era inconciliabile con la trama della nostra Il. (o, comunque, con l’epos nel quale era stato inserito), è stato sostituito con questi vv. raccogliticci e incongrui. Questa ipotesi⁴³⁹ acquisisce verisimiglianza, se si accetta di mettere in relazione l’incongruenza dei vv. che stiamo discutendo con quella, ancor più evidente, di Φ 222– 233⁴⁴⁰: in entrambi i casi ci troviamo davanti a incongruenze o contraddizioni che riguardano l’azione divina e si può ipotizzare che l’azione divina dell’Achilleis fosse a tratti inconciliabile con quella dell’Il. e che questo abbia portato a modificare, in modo drastico e senza curarsi delle palesi incongruenze che ne sorgevano, l’epos più antico. Lo studioso che ha proposto questa spiegazione, lo Schwartz, ipotizza che nell’Achilleis alla morte di Ettore seguisse senza interruzione quella di Achille; io non credo a tale tesi e dunque non sono incline ad accettare l’ipotesi dello studioso tedesco; tuttavia, non escludo che nell’Achilleis l’azione divina procedesse in modo diverso rispetto all’epos in cui fu inserita, e che questo abbia portato a modificare i passi indicati da Schwartz o altri ancora, ma non mi convince la ricostruzione dell’Achilleis proposta da Schwartz e per questo ritengo più verisimile che Χ 167– 187 siano stati inseriti ex novo nell’Achilleis, non per sostituire una scena esistente. Non vedo nemmeno come si possa legare l’incongruenza di Φ 222– 233 a quella di Χ 167– 187, poiché il primo passo, a differenza del secondo, deriva dall’Asteropaiosepos. All’episodio olimpico segue a breve il duello finale fra i due eroi: Achille, assistito da Atena, che inganna Ettore prendendo le sembianze di Deifobo, uccide l’avversario e si impadronisce delle sue armi. Il tutto è coerente e il livello  Che 202– 204 siano un’inserzione successiva (Nauck) si osserva a prima lettura. Non è escluso che l’inserzione si estenda fino a 207 (Bentley).  Sostenuta da Schwartz (1918) 29.  Cfr. p. 179.

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poetico assai alto: si ha l’impressione di essere davanti a un pezzo ben conservato, che non ha subito rielaborazioni sostanziali. L’unico problema è posto dai vv. 315 – 316 e 323, i quali presuppongono il Waffentausch. Abbiamo già visto che esso era sconosciuto alla Patroklie, nella quale è stato inserito successivamente. L’Achilleis lo presupponeva? Da un punto di vista astratto, alla domanda si potrebbe rispondere sia affermativamente sia negativamente: noi non sappiamo quando il motivo del Waffentausch si sia diffuso e quindi non c’è modo di escludere che il poeta dell’Achilleis lo presupponesse. D’altra parte, quando l’Achilleis è stata unita alla Ὁπλοποιΐα era ovvio che si ponesse il problema di adattarla al nuovo contesto, e dunque si può ipotizzare che le tracce del Waffentausch nell’Achilleis siano, come nella Patroklie, frutto di rielaborazioni. Questa seconda ipotesi mi pare la più probabile⁴⁴¹: se Achille ed Ettore in Υ–Ψ davvero combattessero con armature nuove (il primo divine, il secondo con quelle appartenute ad Achille e Patroclo), ci aspetteremmo di trovarne tracce chiare nel testo: ma anche qui (come abbiamo già osservato a proposito di Π) tali tracce mancano. In questo caso la cosa è ancora più sorprendente, poiché non c’erano solo le armi divine di Achille che potevano atterrire i Troiani, ma anche le armi di Achille addosso a Ettore avrebbero potuto causare una reazione dell’eroe greco. Nulla di tutto ciò si incontra nel nostro testo: le uniche allusioni al Waffentausch nei libri Υ–Ω sono: Υ 264– 268; Φ 165; Φ 592– 593; Χ 315 – 316; Χ 323. I primi due passi (che derivano rispettivamente dall’episodio di Enea e Asteropeo) non potevano far parte della Achilleis; il terzo deriva dall’episodio di Agenore, la cui appartenza all’Achilleis è incerta; gli ultimi due sembrano inserzioni successive. Χ 315 – 316 occorrono con qualche differenza in Τ 381– 382, Χ 323 in Ρ 187: gli unici passi dell’Achilleis che contengono un’allusione al Waffentausch, dunque, lo fanno con le stesse parole usate dal poeta che ha collegato Waffentausch e Patroklie (cioè P): questo desta gravi sospetti contro l’originarietà di Χ 315 – 316 e 323 e i sospetti divengono ancora più gravi, quando si osservi che, se espungiamo 315 – 316, il testo fila ugualmente, se espungiamo 323 decisamente meglio⁴⁴². Tutto considerato, mi pare che l’ipotesi più probabile sia che nell’Achilleis Achille non avesse armi divine e che Ettore avesse le sue armi, non quelle sottratte a Patroclo. Certezze, tuttavia, non possiamo averne. Il duello fra Ettore e Achille non presenta particolari problemi per l’analisi; l’unico rammarico è di non essere in grado di determinare il rapporto con il duello fra Ettore e Patroclo. I due duelli presentano alcune somiglianze, che non  Credono il Waffentausch estraneo al contesto originario di Υ–Ψ1 Bergk (1872) 637, Niese (1882) 124, Bethe (1914) 81 sgg., Wilamowitz (1916) 92 sgg., Schwartz (1918) 26, Von der Mühll (1952) 340.  Cfr. Naber (1876) 212; Niese (1882) 124.

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possono essere casuali: Patroclo, morendo, profetizza a Ettore la prossima morte per mano di Achille (Π 851– 854); seguono i tre famosi vv. (361– 363): ὣς ἄρα μιν εἰπόντα τέλος θανάτοιο κάλυψεν· / ψυχὴ δ᾽ ἐκ ῥεθέων πταμένη Ἄϊδόσδε βεβήκει, / ὃν πότμον γοόωσα, λιποῦσ᾽ ἀνδροτῆτα καὶ ἥβην, ai quali segue la risposta di Ettore, che forse sarà lui a uccidere Achille e non vice versa. In Χ abbiamo una sequenza quasi del tutto analoga (ma il terzo dei vv. citati manca da parte della tradizione) e Achille risponde alla profezia di morte genericamente, dicendo che egli accetterà la morte quando gli dèi gliela manderanno. Per determinare i rapporti fra Patroklie e Achilleis sarebbe importante determinare il rapporto fra queste due scene, ma non abbiamo mezzi per farlo: non ci sono indizi di dipendenza e, se anche ci fossero, la loro valutazione sarebbe resa difficile dal fatto che la scena della Patroklie ci è giunta rimaneggiata. Il cadavere di Ettore viene spogliato da Achille e gli altri Greci lo feriscono. A questo punto Achille si rivolge ai soldati e dice che, poiché gli dèi hanno concesso di uccidere il più forte dei Troiani, è tempo di provare l’assalto definitivo alla città, per vedere cosa faranno ora i Troiani. Appena annunciato questo proposito (378 – 384), seguono questi vv.: ἀλλὰ τίη μοι ταῦτα φίλος διελέξατο θυμός; / κεῖται πὰρ νήεσσι νέκυς ἄκλαυτος ἄθαπτος / Πάτροκλος· τοῦ δ᾽ οὐκ ἐπιλήσομαι, ὄφρ᾽ ἂν ἐγώ γε / ζωοῖσι μετέω. Achille propone quindi di tornare alle navi e l’esercito greco si mette in marcia verso l’accampamento trascinando il cadavere di Ettorre e cantando il peana. Il v. ἀλλὰ τίη μοι ταῦτα φίλος διελέξατο θυμός (385) suona un po’ inusuale, poiché di solito esso viene usato nei monologhi, non nei discorsi rivolti agli altri⁴⁴³. Non c’è tuttavia motivo di supporre una rielaborazione⁴⁴⁴. È sorprendente che Patroclo venga definito ἄκλαυτος (386), poiché in Σ–Τ si incontrano più volte i lamenti funebri in onore di Patroclo e di essi si dice che duravano ancora durante la battaglia del quarto giorno della nostra Il. ⁴⁴⁵ La contraddizione è grave, poiché gli onori funebri per Patroclo sono parte essenziale della fine dell’Il. ed è difficile pensare che un poeta cada in una contraddizione così grave con sé stesso. Quando, poco più  Cfr. Lohmann (1970) 22.  Come fa Schwartz (1918) 27– 28, il quale suppone che originariamente Achille ordinasse l’attacco alla città e che vi trovasse la morte per mano di Patroclo. L’unico indizio per ipotizzare una rielaborazione è che il v. citato (385) si trova altrimenti solo nei monologhi. Tuttavia anche altrove i personaggi parlano di θυμός per indicare ciò che ispira loro di fare qualcosa (cfr. e. g. Τ 102); inoltre, se anche si volesse ammettere una rielaborazione, nulla indica che il testo precedente fosse quello ipotizzato da Schwartz. Sulle orme di Schwartz si è posto West (2003) e (2011) 390. Bene Lohmann (1970) 22, nota 28 e Richardson ad Χ 385.  Σ 314– 315 (αὐτὰρ ᾿Aχαιοί / παννύχιοι Πάτροκλον ἀνεστενάχοντο γοῶντες); ib. 338 – 340 (τόφρα δέ μοι παρὰ νηυσὶ κορωνίσι κείσεαι αὔτως, / ἀμφὶ δέ σε Τρωιαὶ καὶ Δαρδανίδες βαθύκολποι / κλαύσονται νύκτας τε καὶ ἤματα δάκρυ χέουσαι); ib. 355; Τ 4– 7; Τ 212– 213.

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avanti (Ψ 1– 23), in una sezione che io credo derivi dall’Achilleis, i Mirmidoni giungono alle loro tende, il cadavere di Patroclo sembra giacere in uno spazio aperto, attorno al quale possono muoversi i cavalli; questo contraddice quanto leggiamo in Τ 211– 213, ove il cadavere ἐν κλισίηι… / κεῖται ἀνὰ πρόθυρον τετραμμένος⁴⁴⁶. La differenza fra l’Achilleis e Σ–Τ è evidente: nell’Achilleis sul cadavere di Patroclo non c’era alcuna lamentatio prima di quella che noi leggiamo all’inizio di Ψ. L’ultima parte di Χ è dedicata ai lamenti per la morte di Ettore che hanno luogo a Troia. Priamo vorrebbe addirittura andare da Achille (evidentemente per riavere il cadavere del figlio, anche se la cosa non viene qui esplicitamente detta), ma i suoi lo fermano. Dopo il lamento di Ecuba, si dice che Andromaca ancora non sapeva nulla della morte del marito, poiché nessuno le aveva annunciato che il marito era rimasto fuori le mura (438 – 439: οὐ γάρ οἵ τις ἐτήτυμος ἄγγελος ἐλθών / ἤγγειλ᾽, ὅττί ῥά οἱ πόσις ἔκτοθι μίμνε πυλάων): ella era a casa a tessere e aveva ordinato alla servitù di preparare un bagno per Ettore di ritorno dalla battaglia (443 – 444: ὄφρα πέλοιτο / Ἕκτορι θερμὰ λοετρὰ μάχης ἒκ νοστήσαντι). Andromaca che ignora che il marito è rimasto fuori dalle mura e che lo aspetta per la sera non mi pare conciliabile con la nostra Il.: secondo quanto leggiamo in Θ–Σ i Troiani hanno trascorso le due notti precedenti fuori dalle mura e non si capisce come Andromaca possa ignorare che il marito è rimasto fuori dalle mura né come possa aspettarne il ritorno per la sera. C’è un altro indizio in questo senso. Quando sente i lamenti e le grida della suocera, Andromaca comincia a sospettare che Ettore sia morto e dice di temere (455 – 456) μὴ δή μοι θρασὺν Ἕκτορα δῖος ᾿Aχιλλεύς / μοῦνον ἀποτμήξας πόλιος πεδίονδε δίηται. Quale situazione militare ha in mente qui Andromaca? Non credo quella presupposta dalla nostra Il., in cui i Troiani passano la notte fuori della città e al mattino si comincia a combattere nella pianura fra l’accampamento greco e quello troiano; perché, infatti, in tal caso avrebbe dovuto supporre che Ettore venga allontanato dalle mura da Achille e quindi ucciso? Per chi parte dai presupposti di Θ–Σ non c’è ragione di immaginare che Achille impedisca a Ettore di riavvicinarsi alle mura; pensando al fatto che i Troiani avevano dormito fuori dalle mura e al valore del marito, Andromaca avrebbe dovuto piuttosto temere che i due eroi combattessero vicino alle navi, magari nei pressi del

 Wilamowitz (1916) 107: «die [scil. die Leiche] also auf dem Felde aufgebahrt zu denken ist, ganz anders als in Σ–Τ, wo sie, umgeben von dem Chore der Klagefrauen, im Hause lag». AmeisHentze ad Ψ 13: «der Leichnam lag Τ 211 in der Lagerhütte ἀνὰ πρόθυρον τετραμμένος: dies ist hier ebensowenig vorausgesetzt, als nach Π 231 und Ω 452 ff., dass die Lagerhütte von einer mit Gehege und Tor versehenen αὐλή umgeben gewesen, vielmehr ist ein freier Platz bei dem Zelt und Schiffe Achills am Gestade des Meeres als Schauplatz der Vorgänge gedacht, vgl. 15, 28 ff.».

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fossato e del muro greco. Evidentemente Andromaca ha in mente un’altra situazione militare e un altro tipo di battaglia; probabilmente la donna immagina un tipo di battaglia quale quello descritto da Achille in Ι 352– 355: Ettore esce dalle mura, ma non se ne allontana, giunge al massimo ἐς Σκαιάς τε πύλας καὶ φηγόν; combattere sotto le mura era vantaggioso per i Troiani, sia perché potevano facilmente rientrare in città sia perché i loro connazionali da sopra le mura potevano colpire i Greci (cfr. Χ 194– 196). In questo quadro è naturale che Andromaca tema che Achille riesca a impedire a Ettore di avvicinarsi alle mura e lo spinga verso la pianura. Tutto questo lascia supporre che nell’Achilleis la battaglia si svolgesse in modo del tutto diverso rispetto a quello che noi immaginiamo coniugando i resti di questo epos che leggiamo nell’Il. e la situazione di Σ–Τ. Nell’Achilleis probabilmente i Troiani uscivano dalla città al mattino; noi non sappiamo come si svolgesse la battaglia: se quanto abbiamo ricavato dall’analisi di Υ–Φ è corretto, c’era una battaglia nei pressi dello Scamandro, altri Troiani prima di Ettore cadevano (fra questi Polidoro e Licaone), ma non siamo in grado di ricostruire la battaglia nel suo insieme. Andromaca corre terrorizzata sulle mura, donde vede il cadavere del marito trascinato da Achille; segue il lamento di Andromaca, che occupa quasi 40 vv. e con cui si chiude Χ. All’inizio di Ψ i Greci tornano vittoriosi al loro accampamento: mentre gli altri se ne vanno verso le loro navi, Achille e i Mirmidoni onorano il cadavere di Patroclo. Achille pone le mani sul petto del defunto e dice di aver mantenuto le promesse fattegli, poiché ha ucciso Ettore e ha catturato dodici Troiani, che ucciderà davanti alla sua pira (22– 23: δώδεκα δὲ προπάροιθε πυρῆς ἀποδειροτομήσειν / Τρώων ἀγλαὰ τέκνα, σέθεν κταμένοιο χολωθείς). Di questi giovani troiani avevamo sentito parlare la prima volta in Σ 335 – 336, allorché Achille li aveva effettivamente promessi a Patroclo; successivamente ne era stata narrata la cattura (Φ 27– 32) e Ψ 175 – 176, 181– 182 narrerà la loro uccisione sulla pira di Patroclo. È un punto in cui l’Achilleis prosegue coerentemente quanto annunciato in Σ (cioè P): le possiblità sono due, o l’episodio era già nell’Achilleis e il poeta di Σ ne ha tenuto conto, ovvero l’Achilleis è stata rielaborata sulla base di Σ/P. Io ho l’impressione che Ψ sia stato rielaborato: i vv. 17– 18 occorrono pressoché identici in Σ 316 – 317, ma in Σ sembrano più al loro posto, poiché lì segue veramente un ἁδινός γόος (che invece manca in Ψ); anche il verbo ἐξῆρχε sembra più appropriato in Σ che in Ψ⁴⁴⁷. Nel nostro passo Achille (Ψ 19 – 20) dice a Patroclo πάντα γὰρ ἤδη τοι τελέω τὰ πάροιθεν ὑπέστην (20); i due vv. si incontrano identici in Ψ 179 – 180, ove Achille li pronuncia davanti alla pira di Patroclo; anche a 179 – 180 segue una menzione dei dodici Troiani e del cadavere

 Cfr. Ηentze (18862) 43.

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di Ettore dato in pasto ai cani. Più in generale, sia a 19 – 23 sia a 179 – 183 Achille parla della sua promessa fatta in precedenza a Patroclo e a tale promessa riferisce l’uccisione dei dodici Troiani e il cadavere di Ettore dato ai cani. Il primo dei due passi è problematico, poiché 19 – 23 non si adattano a γόος (17) e il compimento delle due promesse avverrà solo nel seguito⁴⁴⁸; anche il secondo passo è problematico: innanzitutto l’accusativo υἱέας (181) manca del verbo reggente⁴⁴⁹; inoltre, Achille ha posto sulla pira di Patroclo, oltre ai dodici Troiani, anche cavalli e cani e oggetti: perché ricorda i soli Troiani? Si può rispondere, perché sono la cosa più importante, l’unica che ha richiesto la forza di Achille; tuttavia, ci si chiede perché anche qui segua la menzione del cadavere di Ettore dato ai cani; nei vv. successivi (184 – 191) si dice effettivamente che il cadavere dell’eroe troiano giaceva in una posizione per cui sarebbe stato preda dei cani, se gli dèi non lo avessero protetto. La ragione per cui il poeta collega i dodici Troiani uccisi e il cadavere di Ettore dato ai cani sembra essere che entrambi fanno parte di una promessa che Achille ha fatto all’amico morto; ho l’impressione che, se tale promessa avesse fatto parte dell’Achilleis, essa sarebbe stata inserita in modo più organico di come essa lo è attualmente in Ψ. Abbiamo appena visto che Σ 316 – 317 è all’origine di Ψ 17– 18; credo che anche l’accostamento fra l’uccisione dei Troiani e il cadavere di Ettore dato ai cani abbia la sua origine in Σ 334– 337, ove Achille promette a Patroclo di portargli la testa e le armi del suo uccisore e di uccidere dodici Troiani davanti alla sua pira. Si è supposto che l’uccisione dei dodici Troiani facesse parte della saga e che quindi essa potesse essere presente al poeta dell’Achilleis a prescindere da Σ⁴⁵⁰; tuttavia, l’accostamento alla sorte del cadavere di Ettore e il fatto che entrambe le cose costituiscano la promessa di Achille a Patroclo si lega strettamente a Σ: dunque o il poeta di Σ ha letto una parte dell’Achilleis in cui l’eroe greco prometteva all’amico morto che avrebbe ucciso dodici Troiani e che avrebbe dato il cadavere di Ettore ai cani, oppure qualcuno ha inserito il motivo da Σ in Ψ: la seconda soluzione a me pare decisamente preferibile. Oltre a Ψ 17– 23, 179 – 183, anche l’altra menzione dei dodici Troiani è problematica; Ψ 173 – 176 suonano: ἐννέα τῶι γε ἄνακτι τραπεζῆες κύνες ἦσαν· / καὶ μὲν τῶν ἐνέβαλλε πυρῆι δύο δειροτομήσας, / δώδεκα δὲ Τρώων μεγαθύμων υἱέας ἐσθλούς, / χαλκῶι δηϊόων· κακὰ δὲ φρεσὶ μήδετο ἔργα. Ci sono buone ragioni per supporre che 175 – 176 siano un’aggiunta: come spiegare, infatti, la coordinazione fra l’aoristo δειροτομήσας e

 L’uccisione dei Troiani avverrà il giorno dopo, il cadavere di Ettore viene straziato subito dopo (24– 26), ma non dato in pasto ai cani.  Cfr. Wilamowitz (1916) 73.  Così Wilamowitz (1916) 113.

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7 Analisi di Υ–Ω

il presente δηϊόων⁴⁵¹? In Φ 17– 33 Achille cattura i dodici Troiani; anche in questo caso ci sono indizi molto forti che si tratti di un’aggiunta, poiché al v. 17 Achille lascia la propria lancia sulla sponda dello Scamandro, ma a 60, 67 la ha di nuovo in mano; la contraddizione è nota e attribuendo 17– 33 a una rielaborazione viene risolta⁴⁵². Come si vede, in tutti i punti in cui compaiono i dodici Troiani ci sono segni di rielaborazione. Se è così, l’Achilleis non conosceva il motivo dei dodici Troiani immolati sulla pira di Patroclo: Φ 17– 33, Ψ 17– 26a, 175 – 176, 178 – 191 sono dunque stati aggiunti⁴⁵³. Come nel caso di Pulidamante (Χ 99 sgg.⁴⁵⁴), mi sembra più semplice pensare che l’Achilleis sia stata rielaborata in base a Σ. Dopo aver onorato il cadavere di Patroclo, i Mirmidoni iniziano il banchetto funebre, come annunciato a 8 – 11. Vengono descritti solo i preparativi del banchetto (29 – 34), poiché Achille viene chiamato dai capi greci nella tenda di Agamennone, dove lo aspetta un altro banchetto: si tratta, evidentemente, di un banchetto per i soli capi in onore della vittoria su Ettore, simile a quello di Η 311– 322, anch’esso fatto per onorare una vittoria. Achille partecipa al banchetto, ma non vuole saperne di lavarsi e chiede ad Agamennone che il giorno successivo di buon mattino si provveda a portare all’accampamento la legna necessaria alla pira di Patroclo. Dopo cena, Achille si corica in prossimità del mare, insieme agli altri Mirmidoni. Nel sonno appare ad Achille l’ombra di Patroclo, che gli chiede di seppellirlo quanto prima e di predisporre affinché le loro ossa vengano racchiuse nella stessa urna. Achille si sveglia e sveglia anche gli altri Mirmidoni; intanto sorge il sole e Agamennone invia un gruppo di persone, guidate da Merione, a tagliare la legna necessaria alla pira. Quando la legna è stata portata sulla riva del mare, i Mirmidoni trasportano in processione il cadavere di Patroclo; Achille si taglia la chioma che aveva promesso allo Spercheo: dal momento che non c’è nessuna speranza per lui di tornare in patria, pone la chioma nelle mani dell’amico defunto. Poi chiede ad Agamennone di allontanare la massa dei guerrieri: è opportuno che solo i Mirmidoni e i capi greci

 Cfr. Ameis-Hentze ad Ψ 176.  Cfr. Robert (1901) 230; Schwartz (1918) 39; Theiler (1947) 133; Von der Mühll (1952) 311. Chi ha aggiunto i vv. voleva che Achille avesse le mani libere per catturare i dodici Troiani (cosa che con la lancia in mano non sarebbe stata facile) e non si è curato di specificare che dopo il v. 32 Achille ha ripreso la lancia. Di per sé, la cosa sarebbe un caso di κατὰ τὸ σιωπώμενον tollerabile, ma i due indizi messi insieme suggeriscono una rielaborazione.  L’unico ostacolo a questa ricostruzione è Ψ 242, ove si dice che sulla pira di Patroclo c’erano anche ἄνδρες. Nel nostro testo essi sono i dodici Troiani. Forse 175 – 176 hanno sostituito qualcos’altro, oppure Ψ 242 originariamente suonava ἐπιμὶξ ἵπποι τε κύνες τε (cfr. 171– 174).  Cfr. p. 181– 182.

Ἆθλα e Λύτρα

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restino vicino alla pira. Così avviene e la pira viene costruita e poi viene appiccato il fuoco: tutta la sequenza non pone problemi all’analisi, una volta che si eliminino i riferimenti ai dodici Troiani. La pira non prende fuoco e Achille invoca Borea e Zefiro; l’invocazione non è ascoltata direttamente dai venti, ma da Iride, la quale va a casa di Zefiro, ove trova i venti che banchettano; viene da loro invitata a partecipare al banchetto, ma declina l’invito, perché in partenza per l’Etiopia, ove vuole anche lei godere dei sacrifici che gli Etiopi fanno agli dèi: piuttosto, Zefiro e Borea soffino sulla pira di Patroclo. Tutto questo avviene e la pira arde per tutta la notte; al mattino essa è in gran parte bruciata e il fuoco si sta spegnendo; Achille si addormenta, ma viene presto svegliato da Agamennone, che sopraggiunge insieme ad altri guerrieri. Achille chiede che i resti del fuoco della pira vengano spenti e che le ossa di Patroclo vengano messe in un’urna, che conterrà poi anche le sue; il monumento funebre sarà per il momento modesto, in attesa di costruirne uno più solenne, che conterrà anche le ceneri di Achille. Tutto questo avviene come chiesto da Achille e i Greci, una volta costruito il sepolcro, tornano alle loro tende (257: χεύαντες δὲ τὸ σῆμα πάλιν κίον). Fino a qui la narrazione procede coerente e non vi sono segni di sutura.

Ἆθλα e Λύτρα A questo punto leggiamo (257– 258): αὐτὰρ ᾿Aχιλλεύς / αὐτοῦ λαὸν ἐρύκακε καὶ ἵζανεν εὐρὺν ἀγῶνα. Iniziano qui gli Ἆθλα, una sezione che è stata attaccata all’Achilleis. La sutura fra 257 sgg. e quanto precede è stata fatta in modo piuttosto maldestro: leggiamo che Achille avrebbe «trattenuto il popolo» (λαὸν ἐρύκακε), ma da quanto precede si arguirebbe piuttosto che fossero i capi dei Greci a trovarsi vicino ad Achille, non il popolo (cfr. 233 – 236). Il popolo (che non è presente!) verrebbe quindi trattenuto presso di sé da Achille, mentre i capi dei Greci andrebbero via (cfr. 257 πάλιν κίον). Il seguito, tuttavia, presuppone la presenza dei capi greci, poiché essi sono i protagonisti degli agoni e nulla lascia supporre che essi siano nel frattempo tornati. Inoltre, nulla nella sezione precedente farebbe pensare che Achille avesse intenzione di celebrare dei giochi funebri per Patroclo: anzi, la sera di due giorni prima (del giorno cioè in cui aveva ucciso Ettore), Achille aveva chiesto ad Agamennone di far preparare quanto prima la pira per Patroclo, affinché il cadavere venisse bruciato e «il popolo tornasse alle opere» (Ψ 53: λαοὶ δ᾽ ἐπὶ ἔργα τράπωνται): si tratta evidentemente delle opere consuete (ἔργα), che non possono essere gli agoni funebri.

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È chiaro che Ψ 257 unisce in maniera frettolosa e meccanica due epe di origine diversa⁴⁵⁵: il fatto che non sia stato nemmeno sostituito πάλιν κίον fa pensare a una sutura molto superficiale, con una rielaborazione minima. Gli Ἆθλα occupano quanto resta di Ψ, in tutto più di 600 vv. Le gare si svolgono sul mare (365; 374) e vengono dirette da Achille (che porta dalla sua tenda i premi, 259 – 261). Si inizia con la corsa dei carri, quella cui viene dedicato più spazio (262– 650): vince Diomede, seguito da Antiloco, Menelao, Merione ed Eumelo, figlio di Admeto. Tuttavia, Antiloco durante la corsa si comporta scorrettamente verso Menelao. Achille decide di lasciare il primo premio a Diomede e di dare il secondo a Eumelo, ma Antiloco protesta e così Achille decide di dare a Eumelo un premio che non era fino a quel momento in palio, la lorica di Asteropeo. In seguito alle rimostranze di Menelao, Antiloco gli cede il secondo premio; il quarto va a Merione e il quinto, rimasto libero, Achille lo dà a Nestore. Segue il pugilato (653 – 699), in cui Epeo batte Eurialo, poi la lotta (700 – 739), in cui Aiace Telamonio e Ulisse escono a pari merito, poi la corsa a piedi (740 – 797), in cui Odisseo batte Aiace Oileo (fatto scivolare da Atena) e Antiloco, poi la lotta armata (798 – 825), in cui Diomede e Aiace Telamonio escono a pari merito, poi il lancio del disco (826 – 849), in cui ha la meglio su tutti Polipete, poi il tiro con l’arco (850 – 883), in cui il primo premio va a Merione e il secondo a Teucro, infine la prova delle lance (884– 897), in cui Agamennone viene dichiarato primo e Merione secondo senza che la gara venga disputata. Così finisce Ψ. Che Ψ 257b–897 abbiano un’origine diversa da quanto precede è del tutto evidente. Si tratta di un epos che è stato scritto da chi aveva davanti Α–Ι, Λ–Ψ1 nella forma in cui li leggiamo noi⁴⁵⁶: Ψ 280 – 286 presuppongono l’aristia di Automedonte (Ρ 426 sgg.), Ψ 291– 292 presuppongono l’episodio di Enea e Diomede (Ε 323 sgg.), Ψ 670 presuppone un lungo epos in cui Epeo non ha combattuto⁴⁵⁷, Ψ 746 – 747 presuppongono l’episodio di Licaone (Φ 40 sgg.), Ψ 799 – 800 presuppone la spoliazione di Sarpedone (Π 663 – 665), Ψ 808 presuppone l’episodio di Asteropeo (Φ 183), Ψ 826 presuppone l’Abschied (Ζ 414 sgg.). È dunque evidente che il poeta degli Ἆθλα aveva davanti a sé l’Il. messa

 Cfr. Lachmann (18743) 85: «es ist durch die worte λῦτο δ᾽ ἀγών ohne übergang kunstlos angeknüpft, selbst in der zeitbestimmung ungeschickt»; Bergk (1872) 639; Niese (1882) 58 – 59; Hentze (18862) 49 sgg.; Wilamowitz (1916) 69: «Eingeorndet in die Ilias ist das Gedicht mit anstößigem Ungeschick»; Von der Mühll (1952) 362. Contra Beck (1964) 93 sgg.  Cfr. Bergk (1872) 642; Niese (1882) 62; Wilamowitz (1916) 68; Von der Mühll (1952) 360 – 361; su Ψ e Ε cfr. già Lachmann (18743) 87.  Cfr. Niese (1882) 62: «Der Dichter weiss, dass Epeios in allen Kämpfen vorher nie auftritt».

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insieme da P; probabilmente questo poeta leggeva Υ–Φ in una versione successiva a P, la stessa che leggiamo noi (R)⁴⁵⁸. Ω inizia coi Greci che tornano ciascuno alle loro navi e cenano. È notte, ma Achille per il dolore della morte di Patroclo non riesce a prendere sonno e appena sorge il sole trascina con il carro il cadavere di Ettore attorno al sepolcro di Patroclo. Tuttavia Apollo fa sì che il cadavere non si deteriori. Fra gli dèi non c’è accordo sul da farsi: alcuni vorrebbero che Ermes sottraesse il cadavere ad Achille, ma Era, Posidone e Atena si oppongono. Al sorgere del dodicesimo giorno (31 ἀλλ᾽ ὅτε δή ῥ᾽ ἐκ τοῖο δυωδεκάτη γένετ᾽ ἠώς), Apollo rivolge un discorso a tutti gli dèi, per esortarli a porre fine allo strazio del cadavere di Ettore e sottrarlo ad Achille. Non è chiaro il significato di ἐκ τοῖο: questo v. (31) occorre identico in Α 493 e anche lì pone problemi, in parte simili a quelli che incontriamo nel nostro passo⁴⁵⁹. La prima impressione che si ha, è che ἐκ τοῖο significhi «a partire dal momento in cui era iniziata la disputa fra gli dèi». Tuttavia, questa interpretazione è esclusa dal v. 107, ove Zeus dice a Tetide che la disputa fra gli dèi dura da nove giorni, dunque essa non può essere iniziata dodici giorni prima. Un’ulteriore indicazione cronologica la dànno 411– 413, ove Ermes dice a Priamo che sono dodici giorni che il cadavere di Ettore giace presso la tenda di Achille. Da tutto questo si deduce che ἐκ τοῖο significa «dal momento in cui il cadavere di Ettore è in possesso di Achille»⁴⁶⁰. In effetti, una lettura attenta di Ω 3 sgg. conferma tale interpretazione: all’inizio si parla specificamente della sera successiva agli agoni (3 – 12), ma poi leggiamo che egli trascinava il cadavere di Ettore ogni mattina (cfr. l’ottativo iterativo e gli imperfetti di 12– 21). 22– 30 ci informano circa la disputa fra gli dèi, ma è necessario riferire 31 a quanto narrato in 12 sgg.; in questo modo l’informazione cronologica di 31 si accorda sia con 411– 413 che con 107: il cadavere di Ettore giace da dodici giorni presso la tenda di Achille che ne fa strazio ogni mattina e da nove giorni gli dèi discutono su cosa fare. Questo è quanto si ricava abbastanza chiaramente da Ω; più difficile è collegare questo quadro con quanto precede. Si è ipotizzato che Ω inizi nel momento immediatamente successivo alla morte di Ettore (cronologicamente Ω e Ψ inizierebbero dunque nello stesso momento⁴⁶¹). Le informazioni cronologiche

 Cfr. p. 202.  Cfr. da ultimo Brügger ad Ω 31. C’è un rapporto di imitazione fra Α e Ω? Inclinerei a credere di sì (cfr. Kirk ad Α 493 – 494: «these intervals must be deliberately similar»). Poiché Ω è stato inserito in un’Il. che già conteneva Α nella sua redazione attuale, suppongo che Ω imiti Α, creando deliberatamente un’ambiguità simile al modello.  Cfr. Ameis-Hentze ad Ω 31; Von der Mühll (1952) 373; Richardson ad Ω 31.  Così Lachmann (18743) 85; contra Hentze (18862) 109.

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che offre Ω, in effetti, si accordano a questa soluzione, ma essa è in contrasto con un altro dato coerentemente presupposto in Ω, che cioè Patroclo è già sepolto (16; 51; 755): come conciliare l’esistenza di un σῆμα di Patroclo con l’idea che Ω 3 sgg. sia stato composto per seguire immediatamente l’uccisione di Ettore? Gli onori al cadavere di Patroclo e la costruzione della tomba non sono un particolare che un poeta epico, all’interno di una narrazione continua, potesse lasciare immaginare al lettore / ascoltatore senza farne alcuna esplicita menzione. Non è dunque probabile che chi ha composto Ω pensasse di congiungersi a una narrazione che terminava con la morte di Ettore. Si può allora suppore che Ω si colleghi a Ψ 2571, ove termina la costruzione del σῆμα di Patroclo⁴⁶²; in effetti si tratta del punto in cui termina quello che noi abbiamo dell’Achilleis e, se eliminiamo gli Ἆθλα, Ω segue Ψ 2571. Tuttavia, anche questa soluzione pone alcune difficoltà: Ω 411– 414 afferma che Ettore giace da dodici giorni insepolto e in Ω 3 – 31 i dodici giorni di insepoltura di Ettore sono calcolati non a partire dall’alba di Ω 12 – 13, ma da quella immediatamente successiva alla morte di Ettore; in altre parole, Ω non include nel calcolo dei giorni di insepoltura i due giorni narrati in Ψ (che iniziano a Ψ 109, 226) e l’imprecisione cronologica può sfuggire nell’attuale contesto, ma essa risulta evidente una volta che si legga Ω di seguito a Ψ1. Inoltre, in Ψ 205 sgg. Iride va dagli Etiopi, mentre in Ω 77 sgg. ella si trova sull’Olimpo e non vi è alcuna allusione a un suo viaggio in Etiopia; anche in questo caso, se Ψ1 e Ω fossero contigui, l’incongruenza balzerebbe subito agli occhi. Si consideri anche che Ω inizia quando è sera: se si volesse congiungerlo a Ψ 226 – 257 bisognerebbe riempire con qualcosa la giornata (attualmente sono gli Ἆθλα che la riempiono)⁴⁶³. Questi indizi rendono improbabile che Ω si colleghi Ψ 1– 2571. Vi è un altro indizio in questo senso: Ψ 257 (χεύαντες δὲ τὸ σῆμα πάλιν κίον. αὐτὰρ ᾿Aχιλλεύς) è un v. di raccordo, dovuto all’opera di chi ha congiunto l’Achilleis con gli Ἆθλα. Esiste senza dubbio una relazione fra tale v. e Ω 801 (χεύαντες δὲ τὸ σῆμα πάλιν κίον· αὐτὰρ ἔπειτα): in Ψ i Greci si allontanano dalla tomba di Patroclo, in Ω sono i Troiani ad allontanarsi da quella di Ettore. Più in generale, fra la sepoltura di Patroclo in Ψ e quella di Ettore in Ω esistono

 Così Bergk (1872) 639, che pensa si tratti dello stesso poeta; sulla stessa linea Wilamowitz (1916) 70, che crede però si tratti di due poeti diversi: il poeta di Ω avrebbe cioè attaccato il proprio epos alla fine dell’Achilleis e, successivamente, fra i due epe sarebbero stati inseriti gli Ἆθλα. Contra Von der Mühll (1952) 360.  Nel tentativo di congiungere Ψ 257 all’inizio di Ω dovremmo prescindere da Ω 1– 3, poiché la presenza dei λαοί mostra che siamo ancora all’interno degli Ἆθλα (cfr. Ψ 258). Si potrebbe tentare di collegare Ψ 257 alla fine di Ω 3 (cfr. αὐτὰρ ᾿Aχιλλεύς), ma è evidente che manca qualcosa (per esempio, l’assenza dei pasti è inspiegabile).

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notevoli analogie e ci sono buone ragioni per credere che Ω abbia imitato Ψ1⁴⁶⁴: mentre, però, le altre analogie riguardano i vv. di Ψ precedenti a 257 (dunque una sezione che esisteva indipendentemente dall’inserimento degli Ἆθλα), quella fra 257 e Ω 801 mostra che chi ha scritto quest’ultimo v. aveva davanti già gli Ἆθλα uniti a quanto precede. Questo mi fa credere che il poeta che ha scritto l’ultima parte di Ω (777– 804⁴⁶⁵) trovasse gli Ἆθλα già attaccati a Ψ 257. Di conseguenza, se tale poeta è lo stesso che ha composto il resto di Ω 1– 776, è cioè il poeta dei Λύτρα, ne segue che questi ultimi sono stati scritti presupponendo gli Ἆθλα già inseriti nell’Il. Ma Ω 777– 804 sono opera dello stesso poeta che ha composto la parte precedente di Ω? Se ne è dubitato⁴⁶⁶ e a me pare che tali dubbi siano del tutto giustificati. Prima di mettersi a dormire, Priamo, nella sua ultima conversazione con Achille, concorda con quest’ultimo una tregua di dodici giorni, per poter seppellire con agio Ettore (Ω 660 – 667): per nove giorni i Troiani piangeranno l’eroe, il decimo ci saranno la sepoltura e il pranzo funebre, l’undicesimo verrà costruita la tomba. In Ω 777– 804 leggiamo invece che per nove giorni venne trasportata la legna necessaria a costruire la pira, nel decimo giorno venne arso il cadavere dell’eroe, nell’undicesimo ci furono la sepoltura, la costruzione della tomba e il pranzo funebre. Perché questo cambiamento di programma rispetto a quanto preannunciato da Priamo? Evidentemente perché gli onori funebri per Ettore assomigliassero a quelli di Patroclo quali li leggiamo in Ψ1: l’imitazione che Ω 777– 804 fa di Ψ1 è palese anche nella disposizione del materiale: per esempio, che la pira di Ettore bruci fino al mattino non è affatto motivato, mentre che questo avvenga per quella di Patroclo è spiegato dalle difficoltà con cui essa si accende. Sorge il sospetto che la descrizione degli onori funebri per Ettore alla fine di Ω sia stata scritta ad imitazione della sepoltura di Patroclo, senza tenere conto, se non parzialmente (per quanto cioè riguarda il numero dei giorni, 12), di quanto Priamo aveva detto ad Achille. È possibile dunque che l’ultima parte di Ω non sia opera del poeta dei Λύτρα; poiché è il poeta di Ω 777– 804, non quello dei Λύτρα, che mostra di avere davanti a sé gli Ἆθλα uniti a Ψ 257, potremmo in questo modo evitare di supporre che il poeta dei Λύτρα avesse davanti tale stato di cose. Tuttavia, su questo punto non mi pare si possano raggiungere certezze, poiché tutto dipende da cosa si pensa dell’origine della fine di Ω, sulla quale non esistono indizi decisivi: se la si assegna allo stesso poeta che ha composto la sezione precedente, cioè al poeta dei Λύτρα, ne segue

 Cfr. Peppmüller (1876) XXX–XXXI.  La parte cioè di Ω relativa alla sepoltura di Ettore.  Düntzer (1872) 385 sgg.; Seibel (1881) 40 – 41; Niese (1882) 61, nota 2.

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che quest’ultimo trovava già Ψ1 unito agli Ἆθλα. Questa ipotesi a me pare in definitiva la più probabile⁴⁶⁷: anche l’imprecisione cronologica sull’insepoltura di Ettore poteva sembrare meno grave agli occhi del poeta dopo la lunga parentesi degli Ἆθλα. Il poeta dei Λύτρα ha dunque probabilmente trovato un’Il. che terminava cogli Ἆθλα ⁴⁶⁸; ha egli concepito i Λύτρα come fine dell’Il., da porre quindi dopo gli Ἆθλα, o come Einzellied? La prima ipotesi è preferibile. In Ω ci sono indizi sicuri di imitazione di Α⁴⁶⁹, di cui vengono imitati alcuni caratteri strutturali: i dodici giorni di insepoltura di Ettore ricordano i dodici giorni di assenza degli dèi dall’Olimpo: sono in entrambi i casi dodici giorni di inattività, gli unici nell’Il.: il loro termine viene indicato con lo stesso v. (Α 493 = Ω 31), che pone problemi analoghi. Se il poeta dei Λύτρα ha cercato parallelismi con Α, è probabile che intendesse la sua composizione come la fine dell’Il., non come un Einzellied ⁴⁷⁰. Si è supposto e altrettanto recisamente negato che esista un qualche rapporto fra Ω e Χ 412 sgg.⁴⁷¹, ove Priamo, subito dopo la morte di Ettore, vorrebbe uscire dalla città per riavere da Achille il cadavere del figlio, ma viene trattenuto dagli altri Troiani. Non mi pare si possa dimostrare che il poeta dei Λύτρα è stato ispirato da Χ 412 sgg.: è pressoché certo che egli leggesse Χ esattamente come lo leggiamo noi e quindi abbia creduto di dare una fine adeguata al poema aggiungendoci l’incontro fra Priamo e Achille e la restituzione del cadavere, ma è probabile che l’incontro fra il vecchio re e l’eroe greco fosse presupposto come ben noto tanto dal poeta di Ω quanto da quello di Χ 412 sgg. e quindi non è necessario supporre un’influenza diretta di Χ 412 sgg. su Ω. In Χ il tono sembra quello di chi parla di un evento noto nelle sue linee fondamentali: Priamo vorrebbe uscire dalla città e viene trattenuto, ma il poeta non ci informa che la finalità dell’uscita sarebbe il recupero del cadavere; inoltre, Priamo nel suo discorso parla del vecchio Peleo, ma non specifica che egli intende ricordarlo ad Achille per suscitare pietà verso se stesso. Tutto questo è intuibile ed effettivamente avverrà in Ω, ma io non credo che il poeta di Χ si sarebbe espresso in un modo così succinto, se non avesse dato per scontato che i lettori / ascoltatori

 Su questa linea Müller (18362) 130 – 131, Peppmüller (1876) XXX.  Naturalmente né la fine attuale di Ψ né l’inizio attuale di Ω possono rispecchiare la fine degli Ἆθλα, quando essi chiudevano l’Il.  Cfr. Myres (1932) 293 sgg.; Beck (1964) 53 sgg.; Di Benedetto (1994) 177– 178. Ω 220 – 222 sembrano imitazione meccanica di Β 80 – 81, cfr. Peppmüller (1876) XXIV.  Cfr. Βethe (1914) 324. Sul numero di giorni che trascorrono in Α e Ω (e in generale nell’Il.) cfr. da ultimo Pavese (2007).  Lo suppone Lachmann (18743) 85, seguito da Bethe (1916) 324; contra Wilamowitz (1916) 72; Deichgräber (1972) 95. Cfr. anche Niese (1882) 62; Von der Mühll (1952) 371.

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conoscevano la storia di Priamo che va da Achille a recuperare il cadavere di Ettore e ricorda all’eroe greco il vecchio Peleo. Anche quanto Ettore e Achille si dicono prima e dopo il duello finale potrebbe far supporre che al poeta fosse nota la storia della restituzione del cadavere⁴⁷²: prima del duello Ettore chiede ad Achille di pattuire la restituzione del cadavere di colui che morirà (254– 259), ma Achille rifiuta; poi, quando sta per morire, l’eroe troiano reitera la richiesta (338 – 343) e ottiene un nuovo rifiuto. È difficile dire se tutto questo abbia una qualche relazione con il riscatto da parte di Priamo: prima dei duelli si usavano pattuizioni del genere e di per sé esse non dimostrano che il poeta sapesse qualcosa dell’incontro di Priamo e Achille o, tanto meno, lo presupponesse noto al pubblico. Tuttavia, se effettivamente, come tutto lascia supporre, il duello è opera dello stesso poeta che ha composto Χ 412 sgg., è molto probabile che tale poeta, quando rappresentava Achille che, feroce, nega la restituzione del cadavere dello sconfitto a ogni prezzo, presupponesse che i suoi lettori / ascoltatori sapessero che in seguito l’eroe avrebbe ceduto alle richieste di Priamo⁴⁷³. Anche il fatto che Ettore chieda ben due volte la restituzione del proprio cadavere e la seconda volta (a differenza della prima) faccia esplicito riferimento a un riscatto, è forse un indizio in questa direzione. Non è una cosa da poco: l’effetto che fanno le parole di Achille e di Ettore muta notevolmente, a seconda che si presupponga l’episodio di Priamo e Achille oppure no. Se non lo si presuppone, Achille appare feroce e spietato; diversamente se si immagina che alcuni giorni dopo egli cederà alle richieste di Priamo. Mentre pare certo che il poeta dei Λύτρα ha concepito il proprio epos come fine dell’Il., cercando corrispondenze con Α, sono molto difficili da valutare le relazioni di Ω con l’Od., con (parti del)la quale esistono di sicuro dei rapporti: alcuni sono disposti ad accettare che il poeta dei Λύτρα abbia conosciuto (parti del)l’Od., altri credono invece che sia sempre l’Od. a dipendere da Ω⁴⁷⁴. A me sembra che in alcuni casi la dipendenza di Ω dall’Od. sia molto verosimile: Ω 8 (ἀνδρῶν τε πτολέμους ἀλεγεινά τε κύματα πείρων) = θ 183 = ν 91 = ν 264: l’allusione alle peregrinazioni per mare è adattissima a Odisseo, meno ad Achille e Patroclo. Ω 309 = ζ 327: sembra originale ζ, poiché risulta eccessivo che Priamo voglia essere addirittura φίλος di Achille, mentre è naturale che lo voglia essere

 Cfr. Niese (1882) 62.  Christ (1884) 34: «poeta Iliadis rem ita instituit, ut carmen, quo Hectoris corpus Priamo reddi et virum fortissimum iusto funere efferri narretur, ultro exspectes».  Fra i primi Peppmüller (1876) XXX–XXXV; Sittl (1882) 52– 61; Schwartz (1924) 229, che crede Ω dipenda da K; Marzullo (1952) 269 sgg.; Von der Mühll (1952) 370; Theiler (1962) 8 sgg. Contra Gemoll (1883) 87– 95; Groeger (1904); Diehl (1938) 59 – 60; Beck (1964) 102– 109; Usener (1990) 148 – 182.

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Odisseo dei Feaci. Ω 635 – 636 = ψ 254– 255: i vv. sembrano meglio armonizzati in ψ, poiché in Ω λέξον νῦν με non sta bene col plurale del v. successivo. Ω 368 – 369 = π 71– 72 = φ 132– 133: il timore che qualcuno possa «aggredire per primo» (ὅτε τις πρότερος χαλεπήνηι) sembra adatto alla casa di Odisseo, ove i proci maltrattano chiunque arrivi, mentre è leggermente ridondante dopo che Ermes ha già fatto presente a Priamo il pericolo proveniente dai Greci. Ω 673 = δ 302: δόμος è decisamente più appropriato al palazzo di Menelao a Sparta che alla tenda di Achille a Troia. Ω 765 – 766 = τ 222– 223: dire che «ormai (ἤδη γάρ) sono passati venti anni» è forse più pregnante per Odisseo/Aitone, che vuole scusare la propria dimenticanza, che per Elena. Anche nel caso di Ω 33 (σχέτλιοί ἐστε, θεοί, δηλήμονες) = ε 118 (σχέτλιοί ἐστε, θεοί, ζηλήμονες ἔξοχον ἄλλων) una dipendenza di Ω da ε potrebbe apparire a prima vista verisimile, ma ragioni linguistiche inducono a pensare l’opposto. In Ω è Apollo che rimprovera gli altri dèi di non avere a cuore la sorte del cadavere di Ettore, in ε Calipso si lamenta con Ermes perché Zeus le toglie Odisseo. Linguisticamente la precedenza sembrerebbe spettare a Ω, poiché δηλήμων è attestato anche altrove nell’epos arcaico, mentre ζηλήμων comincia a comparire solo in età alessandrina, probabilmente per imitazione del nostro passo; anche la formazione dell’aggettivo δηλήμων si spiega meglio⁴⁷⁵. Nel contesto, invece, ζηλήμων si adatta forse meglio di δηλήμων, poiché quest’ultimo è generico⁴⁷⁶, mentre che Calipso accusi gli dèi di gelosia verso le dèe risulta naturalissimo. In altri casi possiamo semplicemente osservare che un passo di Ω è certo in rapporto con uno dell’Od., ma non abbiamo alcuno strumento per stabilire la priorità⁴⁷⁷. A parte questi echi particolari, i rapporti fra Ω e l’Od. sono anche strutturali: il lamento di Apollo per la sorte del cadavere di Ettore ricorda quello di Atena (anch’esso davanti agli altri dèi) per Odisseo (α, ε) e in entrambi i casi segue la partenza di Ermes dall’Olimpo; l’arrivo di Priamo da Achille (Ω 471 sgg.) ricorda quello di Odisseo presso i Feaci (η 135 sgg.). Nel complesso mancano indizi decisivi per stabilire la priorità fra Ω e l’Od. Sono incline a pensare

 Cfr. Usener (1990) 148 sgg.; contra Sittl (1882) 54.  Di cosa sono δηλήμονες gli dèi? Forse del cadavere di Ettore? Ma si può usare un aggettivo così generale, senza alcuna specificazione, riferendosi a un fatto così particolare?  Così mi pare sia nei seguenti casi: Ω 12– 13 = χ 197– 198; Ω 230 – 231 = ω 276 – 277 (per la priorità di Ω Diehl 1938, 126 – 127); Ω 258 = ζ 57; Ω 284– 285 = ο 148 – 149; Ω 319 – 321 = ο 163 – 165; Ω 333 – 334 = ε 28 – 29; Ω 339 – 346 = ε 43 – 49; Ω 347– 348 = κ 278 – 279; Ω 507 = δ 113; Ω 574– 575 = ω 78 – 79; Ω 603 – 604 = κ 5 – 6; Ω 643 – 646 = δ 296 – 300 = η 335 – 339: in questi ultimi tre passi, si è supposto che il fatto che Telemaco e Odisseo, rispettivamente a Sparta e a Scheria, dormano ὑπ᾽ αἰθούσηι derivi dal passo iliadico (cfr. Groeger 1904 15; Reinhardt 1961, 500 – 504; West 2014, 165), ma mancano indizi decisivi. Beck (1965) cerca di mostrare che κ dipende da Ω.

Sguardo retrospettivo su Υ–Ψ1

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che Ω dipenda dall’Od., ma non eslcuderei che il poeta dei Λύτρα e alcuni poeti odissiaci fossero coevi e si imitassero vicendevolmente (si ricordi quanto detto circa la Dolonie).

Sguardo retrospettivo su Υ–Ψ1 L’analisi di Υ–Ω ci ha mostrato che in queste rapsodie sono confluiti epe di origine diversa. Mentre in Ψ 257b–Ω la divisione fra gli epe non presenta gravi problemi, la parte precedente ci pone davanti a questioni molto difficili. L’inizio di Υ è una prosecuzione di Τ, dunque è P. Tuttavia, l’ordinamento di P qui (come già nel caso della Dolonie e della morte di Patroclo) sembra essere stato modificato da inserzioni successive e non c’è modo di ricostruirlo con certezza. Io credo che, mentre fino a Υ 54 noi leggiamo sostanzialmente l’Il. di P (l’unica eccezione cospicua è Κ), da questo passo in poi le cose cambino. In Υ–Φ sono confluiti sostanzialmente tre epe, l’Achilleis, la θεῶν μάχη e l’Asteropaiosepos. Stabilire i rapporti fra questi tre epe e P è difficilissimo. Σ 34–Υ 54 sono un blocco coerente, opera di P. Con Υ 55 la sequenza viene interotta in modo brutale; si tratta di uno di quei punti ove la conflazione di materiale di origine diversa è più evidente. Può essere stato P che ha interrotto il proprio epos in modo così brutale? L’idea pare di per sé poco verisimile e ulteriori considerazioni la rendono ancora meno probabile. Abbiamo già accennato al problema della μάχη παραποτάμιος, che probabilmente noi leggiamo in una versione accorciata⁴⁷⁸. La presenza di Asteropeo nel catalogo (Β 848 a) è molto dubbia, ma l’eroe ricompare in Μ 102, Ρ 217, 351 e i primi due passi mostrano che questo personaggio era ben presente a P. Ρ 216 – 218 contiene un elenco di personaggi, alcuni dei quali avranno un ruolo nel seguito; accanto ad Asteropeo compaiono Tersiloco, che cade subito dopo Asteropeo (Φ 209), e il misio Ennomo, che non compare nel seguito, ma di cui il catalogo (Β 858 – 861) ci dice che era destinato a cadere ἐν ποταμῶι per mano di Achille. Dato che Ennomo compare nell’elenco di Ρ 216 – 218 e che dell’epos che conteneva la morte di Asteropeo ἐν ποταμῶι possediamo solo un frammento⁴⁷⁹, viene da pensare che l’Asteropaiosepos contenesse anche l’uccisione di Ennomo e che essa non sia stata inclusa nella nostra Il. D’altra parte, Ρ 216 – 218 sembrano opera di P e farebbero dunque pensare che nell’Il. di P l’Asteropaiosepos fosse presente in forma più completa, includesse cioè almeno la morte di En-

 Cfr. p. 73. 161.  Lo abbiamo mostrato supra, p. 179 – 180.

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nomo. Anche l’autore del catalogo dei Troiani di Β ha conosciuto la μάχη παραποτάμιος in una forma diversa da quella della nostra Il. (cfr., oltre al caso di Ennomo, quello di Naste Β 867– 875), che includeva più episodi. Le stesse parole di Scamandro circa i cadaveri che ostruiscono il proprio corso (Φ 218, siamo dunque nell’Asteropaiosepos) lasciano immaginare che la sezione precedente contenesse un elenco di guerrieri che Achille uccideva nei pressi dello Scamandro. Dato che Achille accondiscende alla richiesta di Scamandro di interrompere la strage nel fiume (Φ 214– 226), se ne deduce che l’Asteropaiosepos contenesse, nella sezione precedente, altre uccisioni, fra cui quelle di Ennomo e Naste. Da tutto questo si dedurrebbe che P contenesse l’Asteropaiosepos nella sua forma più ampia, nota anche al poeta del catalogo dei Troiani. D’altra parte dagli evidenti punti di sutura fra Φ 135 – 232 (Asteropaiosepos) e quanto precede e segue (che deriva dall’Achilleis), si dedurrebbe che questo epos fosse alternativo all’Achilleis: entrambi questi epe narravano la battaglia in cui Achille vendicava la morte di Patroclo e uccideva Ettore e in entrambi giocava un ruolo importante la μάχη παραποτάμιος, ma i particolari differivano notevolmente, come mostra l’analisi di Φ. Se davvero Ρ 216 – 218 sono opera di P e presuppongono la versione più ampia della μάχη παραποτάμιος, ne segue che nell’Il. di P era presente l’Asteropaiosepos, non l’Achilleis e che quest’ultima è stata inserita in un secondo momento a sostituire l’Asteropaiosepos (di cui comunque si è deciso di lasciare un frammento). Questa ipotesi pone però una grave difficoltà: come spiegare, infatti, la presenza dei legami fra l’Achilleis e Σ–Τ (cioè P) a proposito del monologo di Ettore e dei dodici Troiani sacrificati sulla pira di Patroclo⁴⁸⁰, se l’Achilleis non era inclusa nell’epos di P? È questo un punto in cui l’analisi si mostra impotente, perché, mentre è facile mostrare lo stato caotico di Υ–Φ, è impossibile comprendere la genesi di tale caos. Forse chi ha rielaborato tutta questa sezione (che certo aveva davanti a sé l’Il. di P, che era il punto di partenza della sua rielaborazione) ha voluto creare questi legami fra l’Achilleis e l’Il. di P, i due epe che egli stava riunendo. Questo rielaboratore (R) ha deciso altresì di lasciare una parte dell’Asteropaiosepos (Φ 135 – 232), inserendolo in mezzo all’Achilleis. Lo Zweikampf des Aineias und Achill era presente in P? Non possiamo esserne certi, ma inclinerei a credere di sì. Certo esso è nato per un altro contesto: si trattava quasi certamente di un Einzellied per celebrare Enea e i suoi discendenti ed aveva quindi rapporti con qualche dinastia nobile della Troade;

 Cfr. p. 182. 188.

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forse addirittura in origine Posidone interveniva per salvare Achille (sopraffatto dall’avversario), non Enea, il che si armonizzerebbe molto meglio con lo scopo di celebrare Enea⁴⁸¹. L’inserimento nel suo contesto attuale ha di sicuro comportato molte modifiche, soprattutto per quanto riguarda l’intervento divino; d’altra parte è evidente che chi ha inserito questo Zweikampf aveva davanti il contesto di P⁴⁸². Se è così, Υ 1– 352 derivano da P, con l’eccezione dei vv. 66 – 74, che introducono la θεῶν μάχη. Quest’ultima è certo estranea al suo attuale contesto e non può essere stata inserita da P, poiché essa interrompe in modo brutale il contesto di P (Υ 54 sgg.)⁴⁸³: la posizione che gli dèi assumono in Υ 66 – 74 contraddice nella maniera più evidente quanto essi fanno in tutto ciò che segue fino a Φ 330 ed è impensabile che chi ha composto il duello di Enea e Achille con i relativi interventi divini o la lotta fra Achille e lo Scamandro di Φ 234– 300 pensasse questi episodi inseriti nel contesto di Υ 66 – 74 / Φ 330 sgg. D’altra parte, la θεῶν μάχη presuppone il suo contesto attuale: essa nasce dalla lotta fra lo Scamandro ed Efesto (Φ 383 sgg.) e questa lotta nasce da quella fra Achille e lo Scamandro. P aveva diviso le divinità filogreche e filotroiane (Υ 32– 40) e fra queste ultime aveva inserito lo Scamandro; è evidente che l’inserzione del fiume fra le divinità olimpiche è funzionale alla lotta che egli ingaggerà con Achille⁴⁸⁴. Dunque anche P sapeva della lotta fra Achille e lo Scamandro; il poeta della θεῶν μάχη è partito da questa lotta e dall’elenco di divinità di Υ 32– 40 e ha aggiunto prima un pezzo per preparare la battaglia divina (Υ 54– 75), poi la battaglia vera e propria (Φ 305 – 520). Egli ha presente non solo il contesto di P all’inizio di Υ⁴⁸⁵, ma probabilmente tutta l’Il. di P: certo ci sono rapporti con Ε (418 – 420 = Ε 711– 714; 509 – 510 = Ε 373 – 374), da cui la θεῶν μάχη dipende⁴⁸⁶ e cui fa esplicito riferimento (cfr. Φ 396 sgg. e Ε 826 sgg.). Si potrebbe quindi supporre un Vorgang di questo tipo: in P al concilio divino e alla discesa degli dèi dall’Olimpo (Υ 4– 65) seguiva il duello di Achille ed Enea, preso e adattato da un altro contesto (Υ 75 – 352). Seguiva poi la bat-

 Cfr. Robert (1901) 225 sgg.; Merkelbach (1948) 308 sgg. In effetti, che Υ 288 – 291 siano rielaborati sembra anche a me probabile. Sul problema cfr. anche Hertel (2008) 168 sgg., che però non conosce la tesi di Robert e Merkelbach.  Υ 125 (πάντες δ᾽ Οὐλύμποιο κατήλθομεν ἀντιόωντες) presuppone Υ 32 sgg.  Credono che la θεῶν μάχη sia stata inserita successivamente nel suo contesto attuale Kammer (1870) II 54– 76, Niese (1882) 101– 102, Cauer (1917 a) 242. Contra Bethe (1914) 301– 302, Wilamowitz (1916) 80, Von der Mühll (1952) 322.  Bethe (1914) 302.  Φ 388 – 390 sono probabilmente ispirati a Υ 23, ma nel passo di Υ nulla fa pensare che seguirà una battaglia fra gli dèi stessi.  Ε 373 è meglio motivato nel contesto di Φ 509, poiché in quest’ultimo passo Zeus sta guardando la battaglia (Φ 390).

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taglia vera e propria fra Achille e i Troiani, fino almeno alla morte di Ettore: tale battaglia veniva narrata secondo l’Asteropaiosepos, di cui a noi è giunto solo un breve frammento (Φ 136 – 232), il quale includeva la lotta sullo Scamandro e almeno uno scambio di battute fra Achille e il fiume. Successivamente, al posto dell’Asteropaiosepos è stata introdotta (da R) l’Achilleis (Υ 353–Φ 135; Φ 233 – 304; Φ 521 sgg.). Forse lo stesso poeta che ha modificato così profondamente P, o forse uno successivo, ha aggiunto la θεῶν μάχη (Υ 66 – 74; Φ 305 – 520), conservando un pezzo dell’Asteropaiosepos (Φ 136 – 232) all’interno del nuovo contesto. Non c’è modo di stabilire se il poeta della θεῶν μάχη vada identificato con R, colui che ha modificato l’Il. di P. Che le cose siano andate veramente così non possiamo essere certi, mentre possiamo essere certi che l’attuale disposizione di Υ–Φ è frutto di modifiche e giustapposizioni meccaniche, talvolta davvero brutali. Possiamo essere certi anche di un altro fatto molto importante, che cioè il poeta degli Ἆθλα leggeva Φ nella forma in cui lo leggiamo noi: Ψ 746 presuppone l’episodio di Licaone (Φ 34 sgg.), Ψ 560, 808 quello di Asteropeo (Φ 136 sgg.). Poiché i due episodi derivano da epe diversi, ne segue che il poeta degli Ἆθλα leggeva già un testo rielaborato, che comprendeva entrambi gli episodi, probabilmente lo stesso testo che leggiamo noi (cioè l’Il. di R, non più quella di P)⁴⁸⁷. Occupiamoci ora di P. Le divinità che egli elenca come filogreche e filotroiane (Υ 33 – 40: Era, Atena, Posidone, Ermes, Efesto contro Ares, Apollo, Artemide, Latona, Scamandro, Afrodite) gli sono state suggerite dall’Il. che egli stesso aveva messo insieme⁴⁸⁸: oltre a quelle che anche altrove sono in campo per una parte o per l’altra (Era, Atena, Posidone, Apollo, Afrodite, Ares), Efesto deve il suo ruolo, probabilmente, alle armi che ha costruito per Achille (Σ), mentre Latona e Artemide derivano probabilmente da Ε 447; Ermes è forse stato introdotto come Lückenbüßer (Wilamowitz) dalla parte greca. La presenza dello Scamandro si spiega alla luce del ruolo cruciale che egli avrà nel seguito: tutto lascia supporre che P trovasse nell’epos utilizzato (l’Asteropaiosepos) la μάχη παραποτάμιος, in cui il fiume aiutava i Troiani. Come avvenisse in P il passaggio dalla scena divina alla battaglia fra Greci e Troiani non sappiamo, poiché l’inserzione della θεῶν μάχη ha sconvolto il contesto; attualmente i combattimenti veri e propri iniziano solo dopo il duello fra Enea ed Achille e, se tale duello era presente in P, anche in P esso precedeva l’inizio dei combattimenti. È probabile che l’inizio dei combattimenti coincidesse, in P, con l’inizio dell’utilizzo  Cfr. Wilamowitz (1916) 91. Noi abbiamo attribuito l’episodio di Licaone all’Achilleis, quello di Asteropeo all’Asteropaiosepos: si possono ipotizzare altre ricostruzioni, ma che fra i due episodi vi sia una sutura mi pare certo.  Cfr. Niese (1882) 130; Wilamowitz (1916) 81– 82.

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dell’Asteropaiosepos, ma non abbiamo certezze, poiché nella nostra Il. allo Zweikampf des Aineias und Achill segue un pezzo che sembra derivare dell’Achilleis (Υ 353 sgg.). Da questo punto in poi, l’unico passo che ha buone probabilità di derivare dall’Il. di P è l’episodio di Asteropeo (Φ 136 – 232): esso presuppone che Achille stia facendo strage di Troiani presso lo Scamandro (Φ 145 – 147; 214– 221) e presuppone un intervento divino nella battaglia (228 – 232); a differenza che nell’epos in cui è ora inserito (Achilleis), l’episodio di Asteropeo sembra presupporre un Achille conciliante verso lo Scamandro (223 – 226). Tutto lascia pensare che si tratti di un pezzo scritto in concorrenza con l’Achilleis (o forse vice versa). Il terrore che crea fra i Peoni l’uccisione di Asteropeo (205 – 210) ricorda Π 284– 291, ove l’uccisione di Piracme da parte di Patroclo sortisce un effetto simile fra gli stessi Peoni. Purtroppo, dell’Asteropaiosepos non riusciamo a farci un’idea: l’azione divina doveva essere molto diversa da quella attuale (cfr. soprattutto Φ 229 – 232), ma come essa procedesse e come si inserisse nel contesto di P non possiamo sapere. Dal momento che l’Asteropaiosepos era stato incluso da P nella sua Il. e che lo stesso P aveva incluso la Patroklie, potrebbe sorgere il sospetto che l’Asteropaiosepos fosse in realtà la prosecuzione della Patroklie: anche l’Aufruhr è stato spezzato in due da P. Non siamo in grado né di smentire né di confermare questo sospetto, ma se l’Asteropaiosepos conteneva fin dall’origine il Waffentausch (cfr. Φ 165), è da escludere che esso fosse la prosecuzione della Patroklie. Occupiamoci ora dell’Achilleis. Essa ignorava probabilmente il Waffentausch, presupponeva che i Troiani trascorressero la notte precedente al duello finale fra Ettore e Achille dentro le mura della città, che non ci fossero lamenti sul cadavere di Patroclo prima della morte di Ettore. Io credo che l’Achilleis non abbia nulla a che fare con nessun altro degli epe confluiti nella nostra Il. e, dal mio punto di vista, questo sembra ovvio: la nostra Il. fino a Υ 53 è sostanzialmente l’Il. di P e, dal momento che l’Achilleis non faceva parte dell’Il. di P, non si vede perché dovrebbe collegarsi (se non per l’astratta sequenza degli eventi) a qualche epos che precede. I sostenitori dell’Urilias hanno, ovviamente, cercato di mostrare che in Υ–Ψ1 sono presenti resti di un epos di cui si troverebbero tracce anche nella parte precedente del poema⁴⁸⁹; chi a tale Urilias non crede, non vede segni di continuità fra l’ultima grande battaglia e quelle dei giorni precedenti⁴⁹⁰. La seconda soluzione è decisamente preferibile. La battaglia di Π–Ρ è toto caelo diversa da quella di Υ–Χ: quest’ultima è concentrata su un solo personaggio,  Cfr. Bergk (1872) 636; Naber (1876) 204 sgg.; Niese (1882) 123 sgg.; Leaf (1908) XVI; Bethe (1914) 312– 334; Von der Mühll (1952) 293 sgg.  Cfr. Lachmann (18743) 79 sgg.; Wilamowitz (1916) 161– 162 contro cui polemizza Cauer (1917 b) 563 sgg.

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davanti al quale tutti gli altri spariscono, Achille, mentre quella di Π–Ρ ruota attorno a una serie di eroi. Si potrebbe obiettare che il valore di Achille è tale da mettere in ombra tutti gli altri, ma la differenza è davvero troppo grande. L’unico punto della battaglia di Υ–Χ che può essere confrontato con la Patroklie è Υ 353–Φ 135, poiché il resto di Υ–Χ è troppo distante dalla battaglia di Π–Ρ per essere confrontato. Nella Patroklie, anche nel momento in cui Patroclo eccelle su tutti, viene comunque lasciato spazio ad altri: l’intervento di Patroclo è risolutivo, poiché riesce a respingere i Troiani dalle navi, ma anche altri eroi greci vi contribuiscono (Π 306 sgg.). Nessun eroe greco viene nominato durante tutta l’aristia di Achille; anche i più valorosi, come Aiace, non sono mai citati. Ammettiamo che questo serva a esaltare il valore unico e insuperabile di Achille; ci potremmo, tuttavia, aspettare che venissero citati eroi troiani particolarmente valorosi. Certo, non era possibile farli uccidere tutti da Achille, perché alcuni di essi (e. g. Deifobo) avevano un ruolo in eventi successivi della saga troiana, ma si sarebbe potuto descrivere il loro terrore davanti ad Achille. Eppure, nulla di tutto questo accade: Achille affronta una serie di personaggi secondari. Nella Patroklie l’auriga Automedonte ha un ruolo accanto al protagonista (Π 219, 684) e P introduce, all’inizio della battaglia, l’auriga a fianco di Achille (Τ 392); tuttavia, nella battaglia dell’Achilleis Automedonte non gioca alcun ruolo; anzi il poeta sembra piuttosto disinteressato a farci vedere come Achille si muove nel campo di battaglia (cfr. per contrasto Π 684 sgg.). Nel complesso, nulla lascia supporre che Patroklie e Achilleis appartenessero allo stesso epos. Dove iniziava l’Achilleis? Ovviamente non possiamo saperlo con certezza; Φ 5 allude alle vittorie riportate da Ettore il giorno precedente, ma è probabile si tratti di un’aggiunta di R, per creare un collegamento con Λ–Σ. Dal momento che narrava la morte di Ettore, è probabile l’Achilleis narrasse anche quella di Patroclo; probabilmente al mattino Ettore convinceva i Troiani ad andare in battaglia e uccideva Patroclo; Achille correva subito sul campo di battaglia e uccideva Ettore; probabilmente fra la morte di Patroclo e quella di Ettore non c’era una notte in mezzo (la notte la ha introdotta P, per fare spazio alla Ὁπλοποιΐα e alla riconciliazione fra Achille e Agamennone). Non c’è ragione di credere che l’Achilleis (o un altro epos confluito nella nostra Il.) contenesse la morte di Achille, come si è più volte supposto⁴⁹¹; tutti i passi portati a dimostrazione di questa tesi non provano nulla: Σ 95 sgg. significa solo che la morte di Achille non potrà tardare molto dopo quella di Ettore, ma lo spazio che Tetide ha in mente è  Lo hanno supposto Robert (1901) 255 sgg., Wilamowitz (1916) 114, Schwartz (1918) 27 sgg., Dahms (1924) 72, West (2003) 8. Contra Bethe (1914) 332; Schwartz (1940) 2, nota 2; Von der Mühll (1952) 347– 349; Beck (1964) 25 sgg. Achille moriva subito dopo Ettore secondo Schwartz, subito dopo la sepoltura di Patroclo secondo Wilamowitz.

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quello dei dieci anni della guerra, dunque μεθ᾽ Ἕκτορα πότμος ἑτοῖμος può riferirsi anche a molti giorni dopo la morte di Ettore. Φ 293 sgg.: Posidone soccorre Achille, che è terrorizzato dallo Scamandro e gli garantisce che riuscirà a uccidere Ettore: sembra che Posidone voglia fare coraggio ad Achille piuttosto che annunciarne la morte imminente. Su Χ 378 sgg. cfr. p. 186; Υ 127, Ψ 46 – 47, 80, 150 244, contengono allusioni al tempo che ancora resta da vivere ad Achille e mai si ha l’impressione che la morte dell’eroe sia imminente (anzi Υ 127, probabilmente P, esclude esplicitamente che la morte di Achille possa avvenire il giorno stesso in cui egli uccide Ettore, come invece Schwartz suppone avvenisse nell’Achilleis). Forse l’Achilleis finiva con i funerali di Patroclo, cioè proprio dove finisce il suo utilizzo nella nostra Il. Può non piacere che il cadavere di Ettore rimanesse in questo modo senza sepoltura⁴⁹², ma è probabile che il poeta dell’Achilleis presupponesse come noto il riscatto da parte di Priamo⁴⁹³, senza bisogno di narrarlo egli stesso nel proprio epos. D’altra parte, se questo è vero, si indebolisce ulteriormente l’ipotesi che l’Achilleis originariamente si chiudesse con la morte di Achille: se il poeta presupponeva e alludeva all’incontro di Priamo e Achille, la morte di quest’ultimo non poteva seguire a breve la morte di Ettore.

Rapporti di P con la Licia, il ciclo ed Esiodo L’analisi riesce spesso a individuare singoli epe, di rado riesce a identificare quali erano i rapporti fra tali epe, mai riesce a dare personalità storica a chi tali epe ha composto. Vi sono tuttavia due casi nell’Il. che sembrano legati a una situazione storica precisa⁴⁹⁴. Il caso più evidente è lo Zweikampf des Aineias und Achill, ove il legame con una dinastia che pretendeva di discendere da Enea è evidente. L’altro caso è quello delle interpolazioni licie. Abbiamo incontrato tali interpolazioni in Ε, Ζ e Π–Ρ; in quest’ultimo caso abbiamo ipotizzato che l’autore dell’interpolazione sia lo stesso cui si deve l’inserzione del Waffentausch. Questo ha conseguenze importanti, poiché il Waffentausch è stato inserito da P; d’altra parte, già da molto tempo si è ragionevolmente supposto che tutte le

 Cfr. Von der Mühll (1952).  Cfr. p. 197.  Già Malten (1944) sottolinea la somiglianza fra i due casi che sto per discutere, sebbene lo studioso si muova in una prospettiva unitario-schadewaldtiana; cfr. anche Bethe (1922) 363.

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inserzioni licie siano opera dello stesso poeta⁴⁹⁵. Ne segue che P ha inserito in più punti dell’Il. i Lici. Questo si accorda bene con un altro risultato della nostra analisi, che cioè Glauco e Sarpedone siano originari nella τειχομαχία di Μ, poiché Μ è integralmente opera di P. Sembra dunque che fra quest’ultimo e la Licia vi fosse un qualche rapporto. Erodoto (1, 147) ci informa che alcuni Ioni d’Asia βασιλέας ἐστήσαντο Λυκίους ἀπὸ Γλαύκου τοῦ Ἱππολόχου γεγονότας. L’interesse storico di questa notizia è grandissimo, soprattutto perché Glauco narra (Ζ 145 sgg.) la propria genealogia, che egli riconduce al Peloponneso: la conclusione inevitabile è che questi vv. riflettono gli ottimi rapporti fra Greci e dinastie licie testimoniato da Erodoto. Purtroppo, a parte la notizia di Erodoto, non sappiamo altro circa queste dinastie che si rifacevano a Glauco⁴⁹⁶ e dunque è impossibile determinare meglio il contesto storico di P, ma un legame fra quest’ultimo e la Licia è certo, ove si ammetta che l’interpolazione licia di Π–Ρ e Waffentausch risalgano allo stesso poeta. Vediamo ora i rapporti fra P, il ciclo ed Esiodo. È probabile che P abbia avuto di fronte un episodio che compariva nell’Etiopide. In Θ 78 sgg. (dunque in P) leggiamo che, mentre tutti gli altri capi greci fuggono davanti all’avanzata dei Troiani, il solo Nestore non fugge, perché il suo cavallo è stato ferito da Paride. Sopraggiunge minacciosamente Ettore e, riflette il poeta, l’eroe troiano avrebbe ucciso Nestore, se Diomede non avesse chiamato in soccorso Odisseo. Tuttavia, Odisseo non sente le parole di Diomede; quest’ultimo soccorre quindi da solo Nestore e lo invita a salire sul suo carro; Nestore sale sul carro di Diomede e, mentre Stenelo e Eurimedonte si occupano del carro di Nestore, quest’ultimo e Diomede affrontano Ettore, il cui auriga Eniopeo viene ucciso da Diomede. In Pindaro (Pyth. 6, 28 sgg.) leggiamo che Antiloco, figlio di Nestore, ὑπερέφθιτο πατρός, ἐναρίμβροτον / ἀναμείναις στράταρχον Αἰθιόπων / Μέμνονα. Νεστόρειον γὰρ ἵππος ἅρμ᾽ ἐπέδα / Πάριος ἐκ βελεών δαϊχθείς. […] Μεσσανίου δὲ γέροντος / δονηθεῖσα φρὴν βόασε παῖδα ὅν, / […] μένων δ᾽ὁ θεῖος ἀνὴρ / πρίατο μὲν θανάτοιο κομιδὰν πατρός. Dunque, anche qui viene ferito il cavallo di Nestore: quest’ultimo, non potendo fuggire, chiama in soccorso il figlio Antiloco, che muore combattendo contro Memnone mentre difende il padre. Che fra i due passi vi sia una relazione è certo e altrettanto certo è che Pindaro dipenda da una fonte preesistente, poiché il poeta tebano sembra riassumere in poche parole un evento ben noto al suo pubblico. Viene naturale supporre che tale fonte sia

 Cfr. Giseke (1854) 6; Christ (1881) 171. Su Sarpedone e Glauco nell’Il. cfr. da ultimo rispettivamente Aceti (2008), Wathelet (2008) e Bouvier (2008); sulla Licia in generale cfr. Schürr (2007).  Cfr. Carlier (1984) 432.

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l’Etiopide che, stando al riassunto di Proclo, narrava la morte di Antiloco per mano di Memnone. È l’Etiopide che dipende da Θ o viceversa? Da Welcker in poi, si è per lo più pensato che Θ dipenda dall’Etiopide ⁴⁹⁷: certezze non possiamo averne, ma anche a me sembra che le cose stiano così: nella scena pindarica il grido di Nestore ha un effetto, mentre quello di Diomede in Θ è vano, e in Pindaro la situazione arriva al suo naturale compimento, con lo scontro fra Antiloco e Memnone, mentre in Θ lo scontro fra il minaccioso Ettore e Diomede non c’è; sembra cioè che in Θ si crei una suspence del tutto sproporzionata a ciò che poi davvero accade. Si aggiunga che nell’Etiopide l’episodio era decisivo per lo svolgimento del poema, perché esso portava al duello fra Achille e Memnone, momento centrale dell’epos, mentre in Θ esso è del tutto secondario. È dunque probabile (ma non certa) la precedenza dell’episodio dell’Etiopide. Questo non significa affatto che l’Etiopide preceda tout court P o addirittura l’Il. Mentre per molto tempo aveva prevalso l’idea aristarchea che Il. e Od. precedano sempre il ciclo, negli ultimi decenni molti studiosi hanno sfidato questo assunto. Si tratta dei cosiddetti neoanalitici, i quali hanno indagato i motivi ciclici presenti nei poemi omerici (soprattutto l’Il.), talvolta cercando anche di spiegare le contraddizioni dell’Il. come effetto del riutilizzo di motivi preesistenti in un nuovo contesto⁴⁹⁸. Di per sé questi tentativi sono encomiabili, ma essi sono stati condotti per lo più da un punto di vista unitario; la neoanalisi si è, infatti, sviluppata nel solco di Schadewaldt, in polemica esplicita con l’analisi⁴⁹⁹. Qualcuno potrebbe chiedersi se i neoanalitici abbiano discusso con un minimo di sistematicità gli argomenti dell’analisi da essi drasticamente rifiutata: la risposta è no. Sebbene alcune opere dei neonalitici siano ricche di dottrina e buone osservazioni⁵⁰⁰, la base stessa delle loro costruzioni è errata⁵⁰¹: non ha senso cercare di stabilire la priorità fra Il. e questo o quel poema del ciclo, poiché l’Il. è un’opera composita e probabilmente lo erano anche i poemi del ciclo; gli unici rapporti che ha senso cercare di stabilire sono quelli fra singoli epe.

 Welcker (18822) 174; Bethe (1914) 109 sgg.; Wilamowitz (1916) 45 – 46; Pestalozzi (1945) 10 – 11; Kullmann (1960) 314; Davies (2016) 2 sgg.  Cfr. e. g. Mülder (1910), vero antesignano della neo-analisi; Pestalozzi (1945); Kakridis (1949); Kullmann (1960); Willcock (1983); Kullmann (2005). Un recente sguardo sulla neo-analisi in West (2003) 2 sgg. e Davies (2016).  Cfr. e. g. Pestalozzi (1945) 7: «Dankbar wurde es als Erlösung empfunden, als vor wenigen Jahren Schadewaldts ‘Iliasstudien’ einen neuen Weg des Verständnisses wiesen, der von dem kunstvollen Aufbau des Gesamtwerkes ausgeht. […] Dia Ilias wird wieder als die einheitliche Schöpfung eines großzügigen Gestalters gesehen».  Soprattutto quelle di Kullmann.  Cfr. Page (1963), forse il critico più impietoso della neoanalisi.

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L’Etiopide presenta un chiaro legame strutturale con l’Il. Possediamo il riassunto di Proclo, da cui apprendiamo che la prima parte del poema trattava la storia di Pentesilea, la seconda quella di Memnone. Proprio quest’ultima presenta una chiara somiglianza con l’Il. (Arg. 10 – 24 Bernabé): Μέμνων δὲ ὁ Ἠοῦς υἱὸς ἔχων ἡφαιστότευκτον πανοπλίαν πραγίνεται τοῖς Τρωσὶ βοηθήσων· καὶ Θέτις τῷ παιδὶ τὰ κατὰ Μέμνονα προλέγει. καὶ συμβολῆς γενομένης ᾿Aντίλοχος ὑπὸ Μέμνονος ἀναιρεῖται, ἔπειτα ᾿Aχιλλεὺς Μέμνονα κτείνει· καὶ τούτῳ μὲν Ἠὼς παρὰ Διὸς αἰτησαμένη ἀθανασίαν δίδωσιν. τρεψάμενος δ᾽ ᾿Aχιλλεὺς τοὺς Τρῶας καὶ εἰς τὴν πόλιν συνεισπεσὼν ὑπὸ Πάριδος ἀναιρεῖται καὶ ᾿Aπόλλωνος· καὶ περὶ τοῦ πτώματος γενομένης ἰσχυρᾶς μάχης Αἴας ἀνελόμενος ἐπὶ τὰς ναῦς κομίζει, Ὀδυσσέως ἀπομαχομένου τοῖς Τρωσίν. ἔπειτα ᾿Aντίλοχόν τε θάπτουσι καὶ τὸν νεκρὸν τοῦ ᾿Aχιλλέως προτίθενται· καὶ Θέτις ἀφικομένη σὺν Μούσαις καὶ ταῖς ἀδελφαῖς θρηνεῖ τὸν παῖδα· καὶ μετὰ ταῦτα ἐκ τῆς πυρᾶς ἡ Θέτις ἀναρπάσασα τὸν παῖδα εἰς τὴν Λευκὴν νῆσον διακομίζει. οἱ δὲ ᾿Aχαιοὶ τὸν τάφον χώσαντες ἀγῶνα τιθέασιν, καὶ περὶ τῶν ᾿Aχιλλέως ὅπλων Ὀδυσσεῖ καὶ Αἴαντι στάσις ἐμπίπτει.

Antiloco che viene ucciso da Memnone, il quale viene a sua volta ucciso da Achille ricorda Patroclo ucciso da Ettore, il quale viene poi ucciso da Achille. Le armi di Memnone sono costruite da Efesto come quelle di Achille e il cadavere di quest’ultimo viene recuperato con una battaglia che ricorda quella sul cadavere di Patroclo. È possibile stabilire una priorità? A favore della priorità dell’Etiopide è stato addotto che la lotta sul cadavere di Achille è più naturale che quella sul cadavere di Patroclo, che Memnone sarebbe per Achille un avversario più naturale di Ettore, poiché entrambi sono figli di una dèa, che l’azione dell’Etiopide sembra più lineare nello svolgimento, poiché Achille muore subito dopo aver ucciso Memnone, mentre nell’Il. all’uccisione di Ettore segue l’interruzione dei combattimenti⁵⁰². Si è anche cercato di stabilire il rapporto fra Σ 95 – 96, ove Tetide predice ad Achille che egli dovrà morire subito dopo Ettore, e la notizia di Proclo, secondo cui nell’Etiopide Θέτις τῷ παιδὶ τὰ κατὰ Μέμνονα προλέγει (è naturale, infatti, supporre che Tetide predicesse ad Achille che egli sarebbe morto poco dopo Memnone, come poi effettivamente sarebbe avvenuto). È parso che le parole di Tetide di Σ siano poco appropriate (e dunque si è supposto che esse siano influenzate dall’Etiopide), poiché ella dice al figlio che egli morirà αὐτίκα μεθ᾽ Ἕκτορα, mentre nella nostra Il. trascorrono parecchi giorni e Achille non muore⁵⁰³. Il valore di quest’argomento è, secondo me, nullo: innanzitutto Σ 95 – 96 è opera di P e noi non sappiamo come proseguisse l’epos di P dopo il concilio divino di Υ; inoltre, su uno spazio di dieci anni di guerra, i pochi giorni

 Cfr. Pestalozzi (1945) 7 sgg.  Così Pestalozzi (1945) 9.

Rapporti di P con la Licia, il ciclo ed Esiodo

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che la nostra Il. narra successivi alla morte di Ettore sono uno spazio brevissimo⁵⁰⁴. Purtroppo per noi, è molto difficile stabilire i rapporti fra epe che possiamo leggere; cercare di stabilire quelli con epe perduti è un gioco futile. Per quel che concerne l’Il. e l’Etiopide, l’unica cosa che possiamo dire è che P probabilmente conosce un epos confluito nell’Etiopide in cui compariva Memnone. D’altra parte Memnone regnava sugli Etiopi, ma questo popolo viene citato due volte (Α 423, Ψ 206) senza che nulla faccia pensare a un suo coinvolgimento nella guerra di Troia⁵⁰⁵; è probabile che Memnone sia stato introdotto quando alcuni epe iliadici esistevano già, ma prima di P. Purtroppo non è al momento possibile dare una spiegazione della somiglianza strutturale fra la nostra Il. e l’Etiopide. La somiglianza più evidente è che un guerriero troiano (Ettore, Memnone) ne uccide uno greco (Patroclo, Antiloco) e viene a sua volta ucciso da Achille. Lo schema può nascere dal rapporto Il. / Etiopide, ma sarebbe spiegabile anche all’interno del rapporto Patroklie / Etiopide, poiché già la Patroklie presentava lo schema in questione. Se i rapporti di P con l’Etiopide sono destinati a restare incerti, possiamo invece affermare con certezza che P è successivo a Esiodo⁵⁰⁶. Vari passi dell’Il. presentano somiglianze con Esiodo, ma per lo più la Prioritätsbestimmung è impossibile⁵⁰⁷. Come ha visto Bethe, un solo passo è decisivo, Μ 20 – 23: Ῥῆσός θ᾽ Ἑπτάπορός τε Κάρησός τε Ῥοδίος τε Γρήνικός τε καὶ Αἴσηπος δῖός τε Σκάμανδρος καὶ Σιμόεις, ὅθι πολλὰ βοάγρια καὶ τρυφάλειαι κάππεσον ἐν κονίηισι καὶ ἡμιθέων γένος ἀνδρῶν.

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Si tratta dei fiumi che distruggeranno la fortificazione achea. Questo elenco trova corrispondenza in Theog. 337 sgg. (anche se in Esiodo manca il Careso); tuttavia, mentre è difficile determinare la priorità fra i due elenchi, la presenza degli

 Cfr. quanto ho detto supra (p. 205) contro i tentativi di Schwartz di mostrare che alcuni passi della nostra Il. alludono alla morte imminente di Achille.  Cfr. West (2003) 6 sgg. Osservazioni assennate sui rapporti fra Il. e Etiopide in Heitsch (2005).  Cfr. Wilamowitz (1916) 57, nota 1; Bethe (1922) 303 sgg. (la miglior trattazione a me nota del problema); West (1995) 208 – 209.  Così Θ 16 ≈ Theog. 720: la distanza dell’Ades certo risulta più contestualizzata in Esiodo, ma l’indizio è tenue e il v. esiodeo è forse interpolato. Σ 419 – 420 descrivono le ἀμφίπολοι χρύσειαι a servizio di Efesto e ci sono somiglianze con Pandora di Op. 61 sgg., ma non c’è modo di stabilire una priorità.

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ἡμίθεοι (Μ 23) deriva da Op. 159 – 160, ove Esiodo parla della quarta stirpe che popolò la terra: ἀνδρῶν ἡρώων θεῖον γένος, οἳ καλέονται ἡμίθεοι, προτέρη γενεὴ κατ᾽ ἀπείρονα γαῖαν.

160

Il termine ἡμίθεος non compare altrove nell’epos omerico ed è del tutto estraneo alla mentalità dei poeti dell’Il. che gli eroi che combattono a Troia siano semidèi. In Esiodo il termine compare anche altrove (fr. 204, 100 M.-W.) e, cosa ben più significativa, nel passo degli Op. è perfettamente al suo posto, poiché Esiodo caratterizza anche altrove le stirpi in base alla loro somiglianza agli dèi (cfr. Op. 112). Sembra dunque che ἡμιθέων γένος ἀνδρῶν di Μ derivi da ἀνδρῶν γένος ἡμιθέων di Esiodo. È dunque pressoché certo che anche l’elenco dei fiumi derivi da Esiodo e possiamo concluderne che P ha letto la Theog. e gli Op. di Esiodo. Ho usato la sigla P, parlando talvolta di «poeta» ovvero «poeta-redattore». Non è possibile dire se questo grandioso progetto, cui dobbiamo gran parte della nostra Il., sia opera di un unico poeta o di più poeti che hanno collaborato. Un indizio a favore di una pluralità di autori sono alcuni passi che sembrano derivare da P e che mostrano imitazioni reciproche piuttosto meccaniche⁵⁰⁸; come sempre, è difficile stabilire fino a dove arrivasse la tolleranza dei poeti epici per le riprese meccaniche. Sebbene l’identificazione di P risalga in sostanza a Bethe (1914), uno studio sulla tecnica di questo poeta (o di questi poeti?) non è ancora stato fatto: la causa è che tendenze critiche errate nei fondamenti (panoralismo e unitarismo) hanno preso, nell’ultimo secolo, il sopravvento, sicché gli stimoli della magistrale analisi bethiana sono rimasti lettera morta.

 Cfr. nota 236 (rapporti Λ–Μ), p. 147– 148 (rapporti Λ–Π), nota 403 (rapporti Σ–Τ).

8 Sguardo retrospettivo e conclusioni sulla genesi dell’Iliade La critica analitica si basa sulle incoerenze della trama. Esse erano già state individuate quasi tutte dalle prime generazioni degli analitici; con qualche eccezione, si può dire che quando i due più grandi critici iliadici di tutti i tempi, Bethe e Wilamowitz, scrissero i loro capolavori (1914, 1916), le contraddizioni principali erano già note. Ciò che fa la differenza fra un’analisi e l’altra è quali contraddizioni vengono riconosciute come reali e come vengono ricostruiti gli epe confluiti nelle opere giunte a noi. Ogni analitico propone un’analisi diversa, ma ci sono alcune linee di fondo comuni. Per quel che concerne l’Il., le due questioni di fondo riguardano l’esistenza o meno dell’Urilias e il ruolo del redattore principale (P). Bethe e Wilamowitz sono su entrambe le questioni agli antipodi, poiché Bethe crede all’esistenza dell’Urilias e attribuisce a P un ruolo non di mero raccoglitore di epe preesistenti, ma di rielaboratore profondo e sistematico di tali epe. Wilamowitz non crede all’esistenza di una Urilias e non riconosce nella nostra Il. il lavoro di un rielaboratore sistematico e attento. Anche il nome di Omero, che egli collega a una rielaborazione precedente a quella finale, resta privo di una reale fisionomia: è vero che egli scrive che Omero «dichtet auf Grund einer Fülle von Einzelgedichten und kleinen Epen, teils indem er ihren Stoff ganz von frischem formt, teils indem er überarbeitet, teils indem er nur Bindeglieder einfügt»⁵⁰⁹, ma Wilamowitz non indica una serie di richiami interni che ci facciano toccare con mano questa Ilias Homeri. Inoltre, Wilamowitz suppone di rado che il rielaboratore abbia modificato al suo interno un epos da lui inserito, e immagina l’inserzione dei vari epe in modo piuttosto meccanico, senza rielaborazioni profonde da parte del poeta che creava il grande epos ⁵¹⁰. In tutto questo Wilamowitz è seguace di Lachmann⁵¹¹: quest’ultimo

 Wilamowitz (1916) 513 – 514.  E. g. a Ο 696 leggiamo che la battaglia si accende di nuovo (αὖτις) presso le navi; siamo all’inizio di ciò che noi abbiamo della Patroklie e, poiché nella parte precedente della nostra Il. si era già combattuto presso le navi, αὖτις potrebbe derivare dal poeta che ha cucito insieme i due epe (cfr. p. 147). Wilamowitz (1916) 158, nota 2 pensa invece che αὖτις sia del poeta della Patroklie che alludeva a combattimenti precedenti, anche se non li aveva narrati egli stesso. A Χ 99 sgg. Ettore allude all’assemblea dei Troiani, che noi leggiamo in Σ 243 sgg. Wilamowitz (1916) 116 crede, giustamente, che Σ e Χ non appartengano allo stesso epos; per spiegare la concordanza egli ipotizza che l’epos da cui deriva Χ (l’Achilleis) contenesse una parte precedente a quella a noi pervenuta in cui era presente tale assemblea (cfr. p. 181– 182). In entrambi i casi si può alternativamente pensare alla rielaborazione di uno dei due epe per adeguarlo all’altro. Come https://doi.org/10.1515/9783110652963-008

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credeva che i Lieder fossero stati giustapposti, quasi senza alcuna rielaborazione, e non vedeva alcun piano d’insieme nella nostra Il.: l’unica unità era, secondo Lachmann, data dalla saga, la quale era così nota e solida presso il pubblico e i poeti, che chi aveva messo insieme l’Il. aveva potuto trovare una sufficiente quantità di Lieder preesistenti in gran parte sovrapponibili. Completamente diversa la concezione di Bethe: egli crede che il poeta-redattore che ha messo insieme la nostra Il. abbia modificato molte volte gli epe che inseriva e individua una serie di rimandi a distanza inseriti da tale poeta. Il punto decisivo del disaccordo fra Bethe e Wilamowitz, che ha conseguenze capitali per la genesi dell’Il., riguarda i rapporti fra Θ–Ι e Τ. In Ι Agamennone invia Odisseo, Aiace e Fenice da Achille, per convincerlo a rientrare in battaglia e gli offre numerosi doni. Degli stessi doni e della stessa ambasceria sentiamo parlare di nuovo in Τ, ove c’è la riconciliazione fra Achille e Agamennone. Bethe individua numerosi paralleli fra Θ–Ι e Τ e ne conclude che si tratta dello stesso progetto poetico; Wilamowitz, invece, non vede alcun legame fra le due parti del poema e spiega le relazioni fra esse attraverso la saga nota ai poeti come al loro pubblico; anche in questo punto Wilamowitz è lachmanniano, non solo nel metodo, ma anche sul problema specifico, poiché Lachmann aveva negato rapporti diretti fra Ι e Τ. Per Bethe il poeta di Θ–Ι / Τ (P) è colui che ha dato la forma attuale all’Il.; per Wilamowitz la nostra Il. è il prodotto di un serie di rielaborazioni e interpolazioni, senza che si riesca a individuare un filo conduttore in quest’attività di rielaborazione. Su questo punto ha ragione Bethe: le prove che quest’ultimo porta a dimostrazione che Θ–Ι / Τ appartengono allo stesso progetto sono fortissime. D’altra parte, l’intera sezione Η2–Θ–Ι1 ha evidente carattere redazionale, nel senso che serve a unire epe di origine diversa; inoltre, è certo che chi ha composto Τ è lo stesso poeta che ha messo insieme Σ 35 – 617, è cioè il poeta che ha rielaborato la Patroklie, inserendovi la Ὁπλοποιΐα e, di conseguenza, il Waffentausch. Se è così (e su questo a me non pare ci siano dubbi), segue che due fra le più vistose ed evidenti rielaborazioni della Il. si inseriscono nello stesso progetto. In questo Bethe ha perfettamente ragione e questo è, secondo me, lo κτῆμα ἐς ἀεί dell’analisi iliadica di Bethe⁵¹².

stiano veramente le cose non sappiamo in nessuno dei due casi citati, ma essi fanno capire come Wilamowitz immaginava la formazione dell’Il.  Le riserve, che Wilamowitz stesso (1916) 20 – 21 esprime sull’analisi di Lachmann, non devono oscurare che le Betrachtungen sono probabilmente l’opera che ha più influenzato l’analisi di Wilamowitz. Non solo i due studiosi concepiscono la formazione dell’Il. in modo simile, ma Wilamowitz parte per lo più dai punti di sutura individuati da Lachmann. Per un giudizio più benevolo su Lachmann cfr. Wilamowitz (2006, in realtà 1887– 1888) 111– 112.  Infatti, l’ultimo grande analitico iliadico, Von der Mühll, ha seguito Bethe.

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Tuttavia, Bethe è andato troppo oltre nel rivendicare a un’unica rielaborazione la struttura della nostra Il. Il problema nasce dall’ultimo giorno di battaglia, l’aristia di Achille e la μάχη παραποτάμιος: Bethe crede che essa ci sia giunta nella forma datale dal «Verfasser unserer Ilias» (P), ma questo è assolutamente improbabile; ha senza dubbio ragione Wilamowitz a credere che la μάχη παραποτάμιος che leggiamo noi sia un rifacimento tardo, successivo sia al catalogo dei Troiani di Β sia al poeta del Waffentausch. D’altra parte, gli Ἆθλα conoscono la μάχη παραποτάμιος nella versione che leggiamo noi, mentre la Dolonie è ignota agli Ἆθλα. La conseguenza è che noi non possediamo l’Il. nella forma datale dal poeta di Θ–Ι / Σ–Τ (P), ma in una forma ulteriormente rielaborata. Bethe, nel desiderio di ricondurre tutto a P, arriva ad attribuire anche l’inserzione della Dolonie al «Dichter unserer Ilias»; anche su questo l’insigne studioso si sbagliava. L’altro punto in cui l’analisi di Wilamowitz è superiore a quella di Bethe riguarda la presunta Urilias. Che tale epos sia esistito è sempre stata opinione maggioritaria fra gli analitici e (dopo Naber) la si è per lo più ricostruita riunendo Α–(Β) + Λ + Π–Ρ + Υ–Χ, cioè la lite fra Achille e Agamennone, la battaglia con il ferimento di Agamennone, Diomede e Odisseo, l’aristia e la morte di Patroclo, l’ingresso in battaglia di Achille e la morte di Ettore. In realtà, non esistono ragioni serie per credere che tali epe abbiano mai formato un’unità; bisogna evitare di postulare una Urilias giustapponendo segmenti che possono seguire l’uno all’altro solo in base al susseguirsi astratto degli eventi. Noi non possiamo prendere varie parti del poema e ipotizzare che esse facessero parte di un unico epos, che poi è stato spezzato, sulla sola base della trama astratta; tale operazione è legittima solo se si dimostra o che ciò che si frappone fra due pezzi è una Einlage (come nel caso dello spezzamento dell’Aufruhr) o che fra i due pezzi esiste una continuità, che non sia basata solo sulla continuità degli eventi. Ma proprio quest’ultimo tipo di dimostrazione è difficilissimo; si pensi solo agli arbitri cui è dovuto ricorrere Schwartz per ricostruire le sue Urodysseen prendendo pezzi qua e là da tutta la nostra Od. In questo senso io credo che Lachmann avesse sostanzialmente visto giusto: la storia della lite fra Achille e Agamennone, con la conseguente sconfitta dei Greci, la morte di Patroclo e il rientro in battaglia di Achille e la morte di Ettore dovevano essere ben note ai poeti e al loro pubblico; qualsiasi poeta componesse un pezzo su tali argomenti prendeva come base una serie di eventi ben noti, che egli poteva modificare solo parzialmente⁵¹³. Questo fece sì che venis-

 Scodel (2002) 124: «The main narrative of both the Iliad and the Odyssey expects a general, fundamental knowledge of earlier epic stories». Per come Lachmann concepisse la saga, cfr.

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sero composti numerosi epe che avevano una trama molto simile fra loro e che potevano essere giustapposti senza troppi problemi. Di questo abbiamo trovato numerose prove: la nostra Il. conserva due epe (Bittgang, Abschied) su una visita di Ettore in città mentre i Greci, sebbene Achille non partecipi ai combattimenti, avanzano minacciosi sotto le mura di Troia; anche della battaglia di Achille sulle rive dello Scamandro sono confluite nella nostra Il. almeno due versioni (Achilleis e Asteropaiosepos). La scena di Ettore che minaccia le navi greche, che vengono difese ormai dal solo Aiace Telamonio ricorre più volte nella nostra Il.: certo essa era presente sia nelle Verwundungen sia nella Patroklie. Nei Λύτρα incontriamo Priamo che chiede ad Achille la restituzione del cadavere di Ettore, ma anche il poeta dell’Achilleis presuppone l’episodio come noto. Ovviamente, all’interno di un epos continuo non possiamo aspettarci che ci siano molti casi di scene sovrapponibili, perché il poeta-redattore voleva creare una trama unica e continua e quindi tendeva a eliminare sovrapposizioni. Ma il fatto che esse esistano mostra bene che doveva circolare un’ingente produzione di poesia epica a tratti sovrapponibile. La lite fra Agamennone e Achille è narrata nella nostra Il. ed è presupposta anche dagli altri epe inseriti nel poema, ma i dettagli dell’epos inserito nel nostro poema, il Groll, differiscono da quelli presupposti in altri epe, poiché la promessa di Zeus a Tetide sembra presupporre che Zeus cesserà di favorire i Troiani quando Agamennone offrirà i doni ad Achille (la πρεσβεία sembra presupporre che Zeus continui a favorire i Troiani anche dopo l’offerta di Agamennone). Probabilmente esistevano vari epe che narravano la lite fra Agamennone e Achille con i successivi tentativi di riconciliazione, dei quali a noi è rimasto solo quello che P ha incluso. Tutto questo presuppone che quando l’Il. è stata messa insieme esistesse un cospicuo numero di epe sul ciclo troiano e l’ira di Achille e questo è l’assunto fondamentale di Lachmann. La posizione lachmanniana è sempre stata minoritaria anche fra gli analitici e spesso si è detto che l’esistenza di così tanti epe sullo stesso argomento sarebbe inverisimile. Già J. Grimm, nel suo discorso funebre per Lachmann, mosse questa obiezione⁵¹⁴ e le parole di Grimm sono state spesso citate con consenso. Lachmann aveva proposto la sua Liedertheorie, prima che per l’Il., per il Nibelungenlied e l’interesse di Grimm era rivolto per lo più a quest’ultimo. Per quanto concerne l’Il., la risposta può darla solo l’analisi

Lachmann (18743) 28; Wilamowitz (1916) 21: «Denn diese Bruchstücke [cioè i Lieder di Lachmann], die weder Anfang noch Ende haben, sind nur denkbar, wenn dem Dichter und seinen Hörern die Geschichte bis in das Kleinste vorher bekannt sind».  Grimm (1851) 11: «Hauptsächlich aber muß ich das wider sie [cioè la critica iliadica di Lachmann] einwenden, daß mit unrecht von einer zu großen vollkommenheit des ursprünglichen epos ausgegangen werde, die wahrscheinlich nie vorhanden war».

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interna del poema: per conoscere l’evoluzione dell’epos ionico precedente all’Il., non c’è altra via che analizzare l’Il. e a me pare che l’analisi dia ragione a Lachmann, non a Grimm. Quanto fossero lunghi questi epe noi non sappiamo; che anche prima della nostra Il. esistessero epe di una certa lunghezza non si può escludere né dimostrare. Noi non sapremo mai se la πρεσβεία fosse in origine inserita in un epos più ampio, ove veniva narrata la lite fra Achille e Agamennone; possiamo solo dire che noi non abbiamo la narrazione della lite fra Achille e Agamennone nella forma che sembra presupposta dalla πρεσβεία. Così non sapremo mai se la Patroklie continuasse fino alla morte di Ettore; se anche continuava, quello che abbiamo noi di tale epos non va oltre l’annuncio della morte di Patroclo a Achille. Certo questi epe esistevano in forma scritta, poiché l’attività di giustapposizione è immaginabile solo con testi scritti. A questo proposito gli analitici sono d’accordo fra loro: all’Il. e all’Od. è preesistito un epos esclusivamente orale, ma la fase cui risale la redazione dei due poemi e la composizione degli epe che vi sono confluiti è una fase in cui oralità e scrittura coesistono⁵¹⁵. Quando venne reintrodotta la scrittura (VIII sec.), si cominciò subito a mettere per iscritto epe di argomento troiano; nel giro di poco più di un secolo venne così messa per iscritto un’ingente quantità di epe, della quale a noi è pervenuto solo quello che i poeti redattori (P, B) hanno incluso nelle loro opere monumentali e qualche altro epos che vi si è introdotto successivamente (soprattutto nell’Il.). L’Il., a differenza dell’Od., non ha ricevuto un ultimo rifacimento unitario, e la battaglia di Υ–Φ è rimasta in una forma provvisoria, che pullula di evidenti contraddizioni e che non si concilia con la disposizione di P. L’unità dell’Il. non è dovuta né all’inizio del processo di formazione (dove la pongono gli unitari) né alla fine (dove la pone Bethe), ma al punto che io chiamo P; Bethe ha avuto il merito di identificare P, ma lo ha posto alla fine del processo di formazione, mentre esso va collocato un po’ prima della fine di tale processo⁵¹⁶. Il nome Omero non gioca alcun ruolo in tutto questo; Wilamowitz lo pone a metà del processo, ma già Heyne era incerto se porlo all’inizio, facendone il creatore del nucleo originario dell’Urilias, o alla fine, facendone l’ordinatore finale⁵¹⁷. In realtà, il nome di Omero non gioca alcun ruolo nell’analisi dell’Il. e dell’Od., come vedremo più avanti.

 Su questo punto sono d’accordo anche molti unitari; solo i panoralisti non lo sono.  Su presupposti molto diversi arrivano alla stessa conclusione anche Wilamowitz (1916), che pone l’Ilias Homeri (l’unico «momento di unità» che egli riconosce nella nostra Il.) verso la metà del processo di formazione, e Cauer (1917 b) 513.  Cfr. Nesselrath (2014) 39 – 40.

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Negli ultimi decenni l’analisi è stata per lo più abbandonata in favore del panoralismo (che è implicitamente inconciliabile con l’analisi) e / o dell’unitarismo (che nasce in opposizione all’analisi). Gli unitari si richiamano per lo più a Schadewaldt e indicano in lui il fondatore della moderna critica omerica⁵¹⁸. L’unico lavoro di Schadewaldt che esamina nel dettaglio un certo numero di problemi posti dall’analisi è quello del 1938. Tutta la critica che Schadewaldt muove all’analisi è parziale e superficiale. Che sia parziale è di tutta evidenza: Schadewaldt si occupa solo di alcune parti dell’Il., ma per dimostrare l’unità del poema bisognerebbe analizzare il poema nel suo insieme. Le contraddizioni evidenti e insanabili di Υ–Φ, la contraddizione strutturale fra Γ–Η e la promessa di Zeus a Tetide in Α non vengono chiarite in alcun modo da Schadewaldt. Alla contraddizione fra la πρεσβεία e Π 83 – 86 Schadewaldt dedica un po’ più di attenzione, ma la sua spiegazione è talmente debole⁵¹⁹, che non ha convinto nemmeno gli unitari che a lui si richiamano⁵²⁰. Schadewaldt analizza solo Λ e cerca di mostrare che esso serve a preparare gli eventi del seguito. L’obiettivo della polemica di Schadewaldt è l’analisi di Wilamowitz, il quale crede che Λ1 (Verwundungen) sia un epos del quale l’Il. non ha incluso il seguito: Schadewaldt cerca di mostrare che ciò che segue Λ nella nostra Il. è il suo seguito originario. Per fare questo Schadewaldt è costretto a ritenere originari Λ 497b – 520, senza i quali fra Λ1 e il seguito non può esserci continuità e l’Il. come unità non sta in piedi (cfr. p. 101-104); eppure anch’egli ammette che fra Λ 497b – 520 e il contesto ci sia una sutura, ma si tratterebbe di «eine kompositorische, aber noch keine analytische Tatsache»⁵²¹. Il senso della distinzione non mi è perspicuo: di certo un critico imparziale osserva a questo punto che proprio il punto cardine dell’unità fra Λ e ciò che segue mostra segni tali di rielaborazione che anche il critico unitario non può negare. Nel seguito Schadewaldt (90 sgg.) cerca di mostrare l’unità di Μ–Ο. Chi ha letto quanto ho scritto, ricorderà che anche io sono convinto della sostanziale unità di queste rapsodie (fino almeno a Ο 591) e che tale unità era già affermata dall’analitico Bethe, più di venti anni prima che

 E. g. Noé (1940) 1; Nestle (1942) 46; Pestalozzi (1945) 7; Howald (1946) 7; Heubeck (1954) 10; Reichel (1994) 369; West (2003) 4.  Cfr. nota 328.  È curioso che West, che scrive (2003) 4: «It was above all Schadewaldt’s Iliasstudien of 1938 that established the superiority of unitarism […] if we are all unitarians now, it is due not least to Schadewaldt», affermi poi (2011, 314) che Π 84– 86 è incompatibile con la πρεσβεία, senza nemmeno citare la spiegazione di Schadewaldt. Si tratta di uno dei punti capitali dell’analisi iliadica! Anche nella critica tucididea il successo attuale delle letture unitarie è frutto di approssimazioni e fraintendimenti, cfr. Liberman (2017).  Schadewaldt (1938) 75.

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Schadewaldt scrivesse. Eppure, per Schadewaldt l’unità di queste rapsodie sarebbe una prova a favore della sua tesi unitaria. Perché? La ragione è che Schadewaldt ha scelto un solo bersaglio, Wilamowitz (identificandolo con l’analisi tout court), e Wilamowitz negava l’unità di Μ–Ο. Confutato Wilamowitz, confutata l’analisi, ragiona Schadewaldt: ma confutare l’analisi di un analitico non costituisce alcuna prova a favore della tesi unitaria! Schadewaldt è convinto che il compito della critica omerica sia di cercare gli elementi di unità (struttura coerente, rimandi interni ecc.) e non quelli di separazione nei due poemi. Io credo che vadano cercati entrambi e mi pare evidente che i numerosi elementi di unità presenti nei due poemi (disconosciuti, è vero, da critici come Lachmann e Wilamowitz), di per sé, non indichino in alcun modo l’unicità di autore per l’intero poema. Gli elementi di unità, se coesistono con elementi di separazione, indicano che siamo davanti a un’opera sedimentata e rielaborata, non a un’opera unitaria. Questo è un problema di tutto il lavoro di Schadewaldt e di gran parte della critica unitaria: questi filologi osservano che nei poemi omerici c’è una struttura, che alcune parti si collegano ad altre (anche distanti), e da qui deducono l’unicità di autore e cominciano a parlare del «Dichter der Ilias» e cose del genere. Tale modo di procedere è del tutto illegittimo: la corrispondenza fra le parti del poema e i richiami interni si spiegano benissimo anche da un punto di vista analitico, sia supponendo che le parti in corrispondenza facciano parte di un epos confluito nei nostri poemi sia supponendo che esse siano opera del redattore che ha messo insieme epe preesistenti. Certo, tali corrispondenze non si spiegano da un punto di vista lachmanniano ortodosso, secondo cui epe fra loro indipendenti sarebbero confluiti nei nostri poemi senza rielaborazioni. Quando dunque gli unitari usano le corrispondenze interne al poema contro l’analisi tout court fanno una cosa illegittima: dovrebbero almeno avvertire che le loro argomentazioni si rivolgono solo contro gli analitici lachmanniano-wilamowitziani.

9 Storia dell’analisi dell’Odissea Precursori di Kirchhoff Come nel caso dell’Il., Wolf ebbe un ruolo di propulsore degli studi sulla struttura interna dell’Od., senza tuttavia cimentarsi egli stesso in queste ricerche. Il primo a dedicare un’indagine sistematica alle contraddizioni dell’Od. fu il danese Koës (1806); egli osservò la gravissima difficoltà creata dalle scene spezzate del concilio divino (α–ε) e del soggiorno di Menelao a Sparta (δ–ο), nonché la mancata ritrasformazione di Odisseo e la differenza fra quanto Odisseo dice circa la rimozione delle armi in π e quanto avviene effettivamente in τ. Queste incoerenze sono reali e dalla loro interpretazione dipende effettivamente la genesi dell’Od.: questo primo studio dedicato all’Od. ha già individuato una buona parte dei problemi di fondo. Tuttavia Koës non ha fatto ipotesi genetiche e ha lasciato ai posteri il compito di risolvere le aporie. Pochi anni dopo, Spohn (1816) cercò di confermare l’idea (infelice) risalente all’antichità che fra ψ 296 e quanto segue ci sia una sutura, mentre Thiersch (1821) riaffrontò il problema delle scene spezzate, propose l’idea (infelice, ma destinata a grande fortuna perché ripresa da Kirchhoff) che gli ᾿Aπόλογοι siano stati profondamente rimaneggiati, ipotizzò che alcuni passi siano interpolati (e. g. gli amori di Ares e Afrodite in θ, la Büsserszene) e cercò di confutare l’idea di Spohn che tutto quello che segue ψ 296 sia aggiunta successiva. G. Hermann (1834, ma la prima edizione è del 1832⁵²²) si occupò di nuovo delle scene spezzate e lo stesso problema fu affrontato da Müller (18362, ma la prima edizione è del 1824). Contemporaneamente Kayser (1881, ma la prima edizione è del 1835⁵²³) osservò che Atena negli ᾿Aπόλογοι non compare quale protettrice di Odisseo e che il giuramento che Odisseo chiede a Calipso (ε) deriva da quello che lo stesso eroe chiede a Circe (κ). Queste due osservazioni sono di importanza capitale per comprendere la struttura di ε–μ e partendo da esse Niese decenni dopo identificò quello che è probabilmente lo stadio più antico del νόστος di cui noi abbiamo traccia (O). Come nel caso dell’Il., Kayser formulò il proprio pensiero in maniera stringatissima e frammentaria. Poco dopo Lauer (1843) mostrava che la νέκυια è un’inserzione successiva negli ᾿Aπόλογοι e Schmitt (1852) mostrava la natura centonaria del concilio divino di ε. Heerklotz (1854) lamenta l’illogicità delle scene spezzate di α–ε e δ–ο e, in generale, la mancanza di coerenza del poema: il tutto si spiegherebbe ipotiz Si tratta dell’opuscolo De interpolationibus Homericis dissertatio, Lipsiae 1832.  Si tratta dell’opuscolo De diversa carminum Homericorum origine, Heidelbergae 1835. https://doi.org/10.1515/9783110652963-009

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zando una serie di Lieder in origine separati, poi riuniti senza sostanziali rielaborazioni. L’influsso delle Betrachtungen iliadiche di Lachmann è qui evidente. Jacob (1856) non propone un’interpretazione sistematica della genesi dell’Od. (cfr. le p. 523 – 524, ove spiega il motivo della rinuncia), ma fa ottime osservazioni di dettaglio: non gli sfugge la natura centonaria e maldestra dei consigli di Atena a Telemaco (α 267 sgg.) e del concilio divino di ε, l’assenza del motivo dell’ira di Posidone in intere sezioni del poema, ipotizza che il soggiorno di Odisseo presso i Feaci in origine fosse più breve, osserva che l’inizio di φ non si concilia con τ2. Sono osservazioni giustissime, in parte fatte qui per la prima volta, che sono alla base di qualsiasi analisi corretta dell’Od. Hennings (1857– 1860) studia sistematicamente i rapporti fra T e il resto del poema⁵²⁴: egli crede che T in origine fosse un epos indipendente (che noi leggiamo pressoché intatto in α 103–δ 625), il quale non comprendeva la τίσις. Inoltre, Hennings crede che ᾿Aπόλογοι ed episodio dei Feaci fossero in origine indipendenti l’uno dall’altro. Il problema dei rapporti fra T e il resto del poema era destinato a divenire il punto centrale della ricerca odissiaca e Hennings è il primo ad affrontarlo sistematicamente; tuttavia, la sua prospettiva (decisamente lachmanniana) venne subito superata dagli studi di Kirchhoff. Secondo Koechly (1881⁵²⁵) il nucleo più antico della nostra Od. è rappresentato dal νόστος (α 1– 87, ε–ν1), alla cui base ci sono cinque rapsodie (ma ἆθλα e νέκυια sono inserzioni successive), mentre alla base della τίσις (più recente) ci sono otto rapsodie; per quanto concerne T, Koechly è d’accordo con Hennings. Il valore dei lavori di Koechly non consiste nella ricostruzione generale, troppo lachmanniana (peraltro la seconda parte del poema non è analizzata da Koechly), ma nelle osservazione di dettaglio, soprattutto circa η–ζ.

Da Kirchhoff a Seeck Rispetto all’Il., la storia degli studi sulla genesi dell’Od. presenta una differenza significativa: mentre per il poema più lungo non è possibile individuare uno studio che abbia posto le basi di tutta la discussione successiva, per l’Od. gli

 Al saggio di Hennings pare risalga l’uso del termine Telemachie nella critica odissiaca, cfr. Klingner (1944) 1 sgg.  Gli scritti risalgono a circa venti anni prima: A. Koechly De Odysseae carminibus dissertatio I, II, III, «Index lect. universitatis Turicensis» 1862– 1863, 1863, 1863 – 1864 (= Koechly 1881, 153 – 212); Id. Über den Zusammenhang und die Bestandtheile der Odyssee, Vortrag auf der XXI. Philologen-Versammlung zu Augsburg 1862 (=Koechly 1882, 67– 89).

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9 Storia dell’analisi dell’Odissea

studi di Kirchhoff, iniziati nel 1859 e confluiti nel volume del 1879⁵²⁶, possono considerarsi il punto di partenza per tutta la critica seguente. Secondo Kirchhoff il nucleo più antico della nostra Od. era costituito dal concilio divino, la partenza di Odisseo da Ogigia, il soggiorno presso i Feaci con la parte più antica degli ᾿Aπόλογοι, l’arrivo dell’eroe a Itaca. Gli ᾿Aπόλογοι erano originariamente collocati in η al posto di 251– 258, ma solo il primo gruppo di essi (cioè Ciconi, Lotofagi, Ciclope e νέκυια, gli unici fin dall’inizio narrati in prima persona e il cui motivo conduttore era l’ira di Posidone; il secondo gruppo, ossia quelli «argonautici»⁵²⁷, era originariamente narrato in terza persona e il motivo conduttore era l’ira di Helios). Questo antico epos (älterer Nostos) è stato rielaborato da un poetaredattore (B), che ha spostato gli ᾿Aπόλογοι nella loro posizione attuale (ι–μ) aggiungendovi il secondo gruppo e ha inserito T (β–δ 612), epos in origine indipendente; per inserire T, il poeta-redattore ha spezzato in due il concilio divino (α–ε) e ha composto gran parte di α e la fine di δ. ν 185–ψ 296, la τίσις, è una prosecuzione della parte precedente, ma non è stata composta dal poeta dell’älterer Nostos: anche questa seconda parte del poema è stata messa insieme per la prima volta da B sulla base di epe precedenti, due dei quali ancora ben riconoscibili: uno conteneva la μνηστηροφονία (χ), l’altro il piano di Odisseo e Telemaco per uccidere i proci (π); per conciliare questi due epe, che presupponevano una diversa disposizione delle armi nella casa di Odisseo, B ha composto τ 1– 50 (la rimozione delle armi dal megaron). B ha inventato la trasformazione di Odisseo in ν (essa è stata introdotta, perché nell’episodio dei Feaci Odisseo era stato presentato come ancora attraente e in forma, dunque il lettore si sarebbe chiesto perché a Itaca non veniva subito riconosciuto) e ha unito il tutto con la parte precedente (riprendendo in ο le vicende di Telemaco interrotte in δ). L’ultima parte del poema (ψ 297–ω), già ritenuta spuria dagli Alessandrini, è stata composta successivamente da un poeta che aveva davanti la parte precedente quale la leggiamo noi (ma non si può escludere che anche questa parte appartenga a B). Kirchhoff ha gettato le basi di qualsiasi analisi corretta dell’Od.: la sua dimostrazione che T è stato inserito in un epos preesistente spezzando il concilio divino e la scena fra Menelao e Telemaco a Sparta è uno κτῆμα ἐς ἀεί della critica omerica, che mai avrebbe dovuto essere messo in dubbio. Già la critica prece-

 Il volume del 1879 è la fusione del volume Die homerische Odyssee und ihre Entstehung, Berlin 1859 (ove il testo dell’Od. viene disposto secondo le convinzioni genetiche dell’autore) e della raccolta di saggi Die Composition der Odyssee. Gesammelte Aufsätze, Berlin 1869 (ove vengono riprodotti articoli comparsi negli anni precedenti, a partire dal 1860).  Cfr. p. 285 sgg.

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dente aveva osservato il problema delle scene spezzate (che è la base per intendere l’inserzione di T nel suo contesto attuale), ma senza arrivare a una soluzione. Kirchhoff è il primo a definire bene la figura del Bearbeiter (B), la cui attività è alla base della nostra Od. Per rendersi conto della novità, basta confrontare il saggio di Kirchhoff del 1860⁵²⁸ con il pressoché coevo Hennings (1857– 1860). Il punto centrale è α: Hennings crede, come Kirchhoff, che T e νόστος fossero in origine indipendenti, ma Hennings suppone che α, almeno da 103 in poi, a parte qualche interpolazione, derivi integralmente da T: Hennings si muove in un’ottica lachmanniana, secondo cui epe preesistenti confluiscono pressoché integrali in altri epe, in maniera meccanica e senza sostanziali rielaborazioni (addirittura egli crede che in δ 625 sgg., un pezzo di chiara natura redazionale, siano confluiti tre epe un tempo autonomi). Kirchhoff comprende invece che α (a parte l’inizio) è opera integrale del poeta-redattore (B); le conseguenze sono incalcolabili, poiché in questo modo si chiarisce (cosa essenziale per intendere la genesi dei poemi omerici) che intere sezioni dei nostri poemi sono state composte per riunire epe preesistenti. Quasi tutte le incoerenze da cui muove l’analisi di Kirchhoff erano già state osservate da filologi precedenti, le principali fin da Koës, ma solo con Kirchhoff esse vengono spiegate sistematicamente e Kirchhoff comprende per primo che l’unità di fondo della nostra Od. dipende dal lavoro di un poeta-redattore (B), che, riunendo epe preesistenti, ha creato il grande poema. Nella sua Griechische Literaturgeschichte Bergk (1872), oltre all’Il., ha analizzato anche l’Od. Alla base di questo poema ci sarebbe una Urodyssee, in seguito ampliata e rielaborata da un διασκευαστής. L’epos più antico corrispondeva per il contenuto a quello che leggiamo noi (fino a ψ 240), ma α è stato profondamente rielaborato, η–θ sono stati ampliati e rielaborati, la νέκυια è stata aggiunta successivamente, ν, ο, π, σ, τ hanno subito consistenti rielaborazioni, υ è stato composto quasi ex novo dal διασκευαστής. Quello che segue ψ 240 è stato aggiunto da un poeta che aveva davanti a sé un’Od. già rielaborata (per ω2 egli ha probabilmente utilizzato un epos preesistente) e in tutto simile alla nostra (come finisse la Urodyssee non sappiamo). Questo è il primo tentativo di ricostruire una Urodyssee ed è anche uno dei più infelici, poiché Bergk include α–δ nell’Urodyssee, rifiutando quindi la base dell’analisi di Kirchhoff. Nonostante questo, su molti punti Bergk ha fatto osservazioni eccellenti (e. g. l’analisi dell’episodio dei Feaci, soprattutto di θ, è forse la migliore mai proposta).

 A. Kirchhoff, Homerische Excurse. 4 «RhM» n. F. 15, 329 – 366 = Die Composition der Odyssee (citato alla nota 526) 1– 47 = Kirchhoff (18792) 228 – 274.

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9 Storia dell’analisi dell’Odissea

Secondo Niese (1882) la nostra Od. risale a una Urodyssee, che era costituita dal naufragio di Odisseo dopo Trinachia, cui seguiva l’approdo presso i Feaci, la narrazione degli ᾿Aπόλογοι (ma erano presenti solo Ciconi, Lotofagi, Eolo, Lestrigoni, Trinachia), il ritorno a Itaca, il riconoscimento con Penelope; nella nostra Od. è conservata la prima parte della scena di tale riconoscimento (la «Fusswaschung», τ 100 – 316), mentre il seguito è stato tagliato, poiché si è voluta inserire la gara con l’arco e la strage dei proci, mentre nella Urodyssee dopo il riconoscimento i proci abbandonavano volontariamente la casa di Odisseo e non c’era alcuna μνηστηροφονία. Questa Urodyssee ha subito una prima espansione, che ha introdotto Calipso e il concilio divino, la protezione di Atena e l’ostilità di Posidone, Nausicaa. Una seconda e più vasta espansione ha inserito T: questo epos non comprendeva solo il viaggio di Telemaco di β–δ, ma anche l’arrivo di Odisseo a Itaca, la sua trasformazione, la μνηστηροφονία: questi motivi, che costituiscono gran parte della seconda metà della nostra Od., derivano da T. Un’ultima espansione ha inserito gli ᾿Aπόλογοι più recenti e ψ 297–ω. Sebbene Niese parta dall’ipotesi errata dell’Urodyssee, la sua ricostruzione del νόστος più antico è di importanza capitale: egli per primo suppone che in origine Odisseo dopo il naufragio di Trinachia approdasse dai Feaci, suppone cioè un νόστος senza Calipso. Si delinea così l’opposizione O/K destinata a divenire centrale nelle analisi di Wilamowitz e Schwartz. Sebbene già Kayser avesse fatto osservazioni che avrebbero potuto portare in questa direzione, solo Niese ha tratto le conseguenze decisive. Un altro punto capitale toccato da Niese concerne T; Niese è il primo a non credere che esso fosse un Kleinepos, ma che contenesse anche la τίσις. Questi aspetti del lavoro di Niese sono a mio giudizio meritori; non è, invece, vero che la «Fusswaschung» terminasse con il riconoscimento da parte di Penelope, anche se questa idea è stata accolta dalla maggior parte degli analitici; torneremo ampiamente su questo problema. Nel complesso, fra tutte le analisi fin qui discusse, solo quella di Kirchhoff supera per importanza e sistematicità quella di Niese. L’analisi di Fick (1883), che si collega esplicitamente a Kirchhoff, non ha grande importanza: l’Od. sarebbe costituita da quattro epe, l’älterer Nostos, la sua prosecuzione comprendente la τίσις, T, la seconda serie degli ᾿Aπόλογοι. Questi epe sarebbero stati composti in eolico e poi riuniti da un redattore (Cineto di Chio) che, oltre a riunirli adattandoli, ne avrebbe mutato la facies linguistica secondo il suo dialetto misto di eolico e ionico. Per il valore di questa ipotesi, vale quanto ho osservato a proposito delle tesi di Fick circa l’Il. Dopo Kirchhoff e Niese, la terza grande analisi dell’Od. si deve a Wilamowitz, che ha dedicato a questo poema due libri (1884), (1927). Le idee fondamentali sono le stesse in entrambi i lavori (sebbene il secondo non tratti di ε – μ e su alcuni punti ci siano differenze anche sostanziali): il nucleo più antico della nostra Od. narrava che Odisseo dopo il naufragio successivo al soggiorno a

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Trinachia giungeva dai Feaci, ove narrava il primo gruppo di ᾿Aπόλογοι (identificato da Kirchhoff) e ripartiva per Itaca. Questo epos è stato rielaborato da un poeta che ha aggiunto Calipso e la seconda serie degli ᾿Aπόλογοι; questo nuovo epos è stato congiunto a un epos che narrava il soggiorno di Odisseo presso Eumeo e proseguiva fino alla μνηστηροφονία (epos ν–ξ). Questo nuovo epos, che coincide quindi con gli attuali ε–ξ, è stato riunito da B a T, che comprendeva β–δ e molto di ciò che leggiamo in π–ρ. In altre parole, l’epos ν–ξ (riunito al νόστος già prima di B) e T narravano entrambi il soggiorno di Odisseo presso Eumeo, l’arrivo di Telemaco presso il porcaio e il riconoscimento col padre; B li ha fusi nelle rapsodie ξ–ρ, e ha inoltre sdoppiato il concilio divino di ε (fra α e ε) e composto α per inserire β–δ. Sia T sia l’epos ν–ξ giungevano fino alla μνηστηροφονία, ma nella nostra Od. il loro utilizzo si ferma prima. σ–τ derivano da un epos più antico di T (epos σ–τ, ma σ 158 – 303 è un Fremdkörper): in origine il colloquio fra Odisseo e Penelope di τ terminava con il riconoscimento di Odisseo (secondo l’ipotesi di Niese) e i due sposi organizzavano insieme la gara con l’arco. Poiché, tuttavia, B intendeva inserire l’epos φ–χ–ψ, il quale presupponeva che la gara con l’arco avvenisse quando Penelope non aveva ancora riconosciuto il marito, B ha tagliato la fine del colloquio di τ, in cui avveniva il riconoscimento. L’ultima parte del poema (a parte υ, in gran parte opera di B) si basa sull’epos φ–χ–ψ (che probabilmente terminava con ψ 296, ove gli Alessandrini ponevano la fine dell’Od.) e sull’epos ω, entrambi preesistenti a B e che quest’ultimo probabilmente trovava già riuniti. Wilamowitz parte da un confronto sistematico con Kirchhoff e Niese, dei quali accoglie quasi tutte le idee migliori. La distinzione fra un νόστος più antico e uno più recente (che io, seguendo Schwartz, chiamo rispettivamente O e K), il quale introduce Calipso, deriva da Niese, ma Wilamowitz non cade nell’errore dell’Urodyssee e crede invece (come Kirchhoff) che la seconda parte del poema sia stata aggiunta successivamente al νόστος. A Wilamowitz si deve la prima analisi sistematica della seconda parte del poema e alcune idee da lui proposte sono, secondo me, giuste: già Niese aveva posto il problema della presenza di T nella seconda parte del poema, ma solo Wilamowitz ha cercato di individuare cosa davvero derivi da T, che egli intende giustamente come «eine Odyssee ohne Phäaken und Irrfahrten»⁵²⁹. Wilamowitz ha per primo riconosciuto che Eumeo doveva essere presente sia in T sia in un epos parallelo (epos ν–ξ), entrambi confluiti in ξ–ρ, ha riconosciuto che σ non è complementare a ρ ma ne è il modello, che con φ inizia un epos diverso da quelli alla base di ν–τ. Nel complesso, si può affermare che l’analisi della τίσις nasce con il libro di Wilamowitz

 Klingner (1944) 10.

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del 1884. Meno felice è, invece, il tentativo di trovare elementi di T in α; ma su α–β fino a Bethe si brancolava nel buio. Il libro del 1927 prende spunto da quello di Schwartz (1924); l’idea fondamentale di Schwartz, che dietro la nostra Od. vi siano due o tre Urodysseen, non è condivisa da Wilamowitz, che è sia nell’analisi dell’Il. sia in quella dell’Od. fondamentalmente lachmanniano, nel senso che crede che i due poemi siano nati dalla conflazione di un gran numero di epe (più o meno lunghi), non di pochi, lunghi epe ⁵³⁰: l’analisi di Wilamowitz (1927) «ist, ohne die Irrfahrten zu berücksichtigen, allein in den Heimkehrgedichten auf eine größere Zahl von Verfassern gestoßen, als sie nach Schwartz an der ganzen Odyssee tätig waren»⁵³¹. Solo tre anni dopo l’analisi di Wilamowitz apparve quella di Seeck (1887). Secondo questo studioso, alla base della nostra Od. vi sono tre epe (riuniti da B), dei quali il più antico è l’Odyssee des Bogenkampfes (OB), cui seguì l’Odyssee des Speerkampfes (OS), dalla quale derivano l’Odyssee der Telemachie (T) e, più recente di tutte, l’Odyssee der Verwandlung (OV). Le due differenze principali fra OB e OS erano che in OB Odisseo uccideva i proci con solo arco e frecce e il riconoscimento con Penelope avveniva prima della strage (cioè in τ), in OS la strage avveniva con le lance e il riconoscimento con la moglie avveniva dopo la strage (ψ). L’OB durava cinque giorni e non comprendeva il νόστος: essa iniziava con l’arrivo di Odisseo da Eumeo (forse l’eroe era partito dalla Tesprozia), cui seguiva l’arrivo di Telemaco (dalla reggia) presso il porcaio. Odisseo, fattosi riconoscere dal figlio, andava alla reggia ove veniva insultato da Antinoo (ρ). La sera si faceva riconoscere da Penelope (τ nell’interpretazione di Niese, con la precisazione che Odisseo decideva di farsi riconoscere prima da Euriclea, affinché quest’ultima allontanasse le altre ancelle dal megaron), con cui predisponeva la gara con l’arco. Il giorno successivo (festa di Apollo) Penelope chiedeva doni ai proci (σ 158 – 303) e subito dopo indiceva la gara con l’arco, cui seguiva la μνηστηροφονία (ampie sezioni di questa parte sono conservate in φ–χ, tranne ove si presuppone lo Speerkampf) e il ricongiungimento dei due sposi (l’ultimo v. era ψ 296). Un Kleinepos che presuppone e vuole continuare OB è la δευτέρα νέκυια. Il νόστος della nostra Od. risale a OS, donde lo hanno tratto T e OV, che B ha riunito, mescolandole, in ε–ν. In OS erano confluiti due epe sui viaggi di Odisseo, un Kalypsolied e un Kirkelied. T: l’inizio corrisponeva a α–δ,

 La polemica di Wilamowitz contro Schwartz (e in generale contro i predecessori, soprattutto Bethe) è riconoscibile solo per chi conosca le opere contro cui Wilamowitz polemizza, perché egli per lo più non le nomina, cfr. Pfeiffer (1960) 24. Stesso procedimento in Wilamowitz (1916, cfr. nota 39), mentre in Wilamowitz (1884) i critici precedenti vengono nominati più spesso.  Così Pfeiffer (1960) 24.

Da Kirchhoff a Seeck

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cui seguiva il νόστος che inglobava gli ᾿Aπόλογοι κ–μ (senza la profezia di Tiresia). Per quanto riguarda ν–ω, appartengono a T υ, ω e quanto da ν in poi non si riesce a attribuire a OB o OV. Il notevole dislivello stilistico fra alcune parti molto carenti (α, υ) e altre decisamente migliori, si spiega non attribuendo le parti carenti a B (come fanno Kirchhoff e Wilamowitz), ma ipotizzando che chi ha messo per iscritto T non sia lo stesso poeta che la ha originariamente composta: mentre di alcune parti (le migliori) si era servata memoria orale precisa, di altre (quelle scadenti) si era perduta esatta memoria e dunque T le ha redatte ex novo come poteva. OV: iniziava con α 1– 87, cui seguiva il νόστος, che inglobava gli ᾿Aπόλογοι di ι (che comprendevano anche la profezia di Tiresia). Sbarcato a Itaca, Odisseo veniva soccorso da Atena, che lo trasformava (ν), poi andava da Eumeo, ove giungeva (dalla reggia) Telemaco; Atena ridava il suo aspetto naturale a Odisseo, che si faceva riconoscere dal figlio, con cui organizzava la vendetta contro i proci (π). Il giorno successivo Odisseo (di nuovo trasformato) e Telemaco andavano alla reggia, ove Odisseo veniva vilipeso da Eurimaco (σ, a parte 158 – 303); subito dopo le armi venivano spostate dal megaron, Atena ridava il suo aspetto naturale a Odisseo che, con l’aiuto sostanziale della dèa, uccideva tutti i proci e poi puniva le ancelle infedeli e Melanzio. Seeck era uno storico e forse questo è alla base dell’importanza che egli attribuisce alla differenza fra la battaglia con l’arco e con le lance. Effettivamente, fra i due tipi di battaglia in χ pare ci sia una sutura, ma essa non autorizza per nulla a fare di questo il perno dell’analisi. Inoltre Seeck non solo dà credito alla tesi erronea di Niese che in τ Odisseo venisse riconosciuto anche da Penelope, ma cerca nel poema segmenti che presupporrebbero il riconoscimento avvenuto, mentre la nostra Od. non conserva tracce di tale svolgimento. In generale Seeck parte da alcune contraddizioni reali osservate dalla critica precedente, isola un nucleo e attorno a esso ricostruisce un epos attribuendogli parti prese qua e là dall’intera Od., procedimento sempre pericoloso. L’analisi di Seeck non ha trovato giustamente seguaci, se non in qualche punto Merkelbach. Dopo Seeck fino a Bethe non si hanno più studi sistematici sulla genesi dell’Od. Solo Dahms (1919) si è cimentato in un tentativo del genere; secondo questo studioso alla base della nostra Od. c’è una Urodyssee, che comprendeva il viaggio di ritorno di Odisseo da Ogigia a Scheria (ove Odisseo narrava gli ᾿Aπόλογοι) e poi a Itaca, l’arrivo da Eumeo e la μνηστηροφονία (ε–ξ e quanto nel seguito non è stato introdotto da T). In tale epos non era presente Telemaco. Un poeta successivo (T) ha fatto di Telemaco il protagonista del proprio epos, componendo ex novo α–δ, che ha unito all’epos più antico, e inserendo sistematicamente la figura di Telemaco nella seconda parte del poema. L’innovazione più importante di Dahms è l’eliminazione di B, poiché per questo studioso l’ordinatore dell’intera Od. e il poeta della Telemachia sono la stessa persona. In

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questo modo cade uno dei presupposti dell’analisi di Kirchhoff, che si basa sulla preesistenza della Telemachia, che viene inserita nell’Od. in modo piuttosto meccanico da un Bearbeiter. L’idea di Dahms verrà ripresa, con molto maggiore approfondimento, da Focke (1943), ma essa è insostenibile.

Bethe e Schwartz Secondo Bethe (1922) alla base della nostra Od. c’è un poema che narrava il viaggio di Odisseo da Ogigia alla terra dei Feaci (ove Odisseo narrava gli ᾿Aπόλογοι) e terminava con l’approdo dell’eroe a Itaca. Questo epos è stato rielaborato da un poeta all’interno di una Erweiterung des Nostos (EN), che ha inserito la νέκυια, l’ira di Posidone nonché altri episodi minori (Leucotea, gli ἆθλα, Elpenore, l’«Intermezzo»). EN è stato riunito da B a una serie di altri epe. Uno di essi è T, un Kleinepos che narrava solo il viaggio di Telemaco a Pilo e Sparta. Un altro è l’Eumaiosepos, in cui Odisseo tornava a Itaca e si recava da Eumeo, ove andava anche Telemaco (partendo dalla città, reduce dall’insuccesso dell’assemblea di β); dopo il riconoscimento, padre e figlio ordivano la strage dei proci (π) e dopo tale strage c’era il riconoscimento con Penelope (ψ). Dall’Eumaiosepos deriva l’assemblea di β e gran parte di ξ, π, ρ, φ, χ, ψ. Un altro epos utilizzato da B era il Melanthoepos; tale epos conteneva in origine, probabilmente, almeno l’intera τίσις, ma nella nostra Od. ne abbiamo tracce importanti solo in σ (che ne deriva pressoché integralmente) e in υ. Del Melanthoepos era tipico il motivo dell’amore fra le ancelle infedeli e i proci (motivo assente invece nell’Eumaiosepos) e Telemaco non era presente. Poche tracce restano del Philoitiosepos (in υ2 e χ2), sebbene anch’esso probabilmente contenesse almeno l’intera τίσις: tutte le scene in cui compare Filezio derivano da questo epos, nonché l’insulto di Ctesippo (υ) e gran parte della battaglia di χ e la punizione delle ancelle infedeli. Un ulteriore epos utilizzato da B è la «Fusswaschung» (da cui deriva la scena centrale di τ): si trattava di un epos assai breve, che conteneva solo il colloquio fra Odisseo e Penelope e terminava con il riconoscimento (secondo l’ipotesi di Niese); non c’era alcuna allusione né ai proci né a Telemaco⁵³². L’ultimo epos utilizzato è il Laertesepos, da cui deriva ω2.

 Per quanto riguarda i rapporti fra questi quattro epe confluiti nella seconda parte della nostra Od., secondo Bethe la «Fusswaschung» è il più antico, poiché non sa nulla né di Telemaco né dei proci e i suoi influssi sono riconoscibili in tutti e tre gli altri epe. Successivo è il Melanthoepos, che è a sua volta imitato nell’Eumaiosepos, come mostra l’insulto di Antinoo (ρ), che imita quello di Eurimaco (σ), e la figura di Melanzio, che deriva da quella di Melanto. Anche i nomi dei tre proci più importanti (Antinoo, Eurimaco e Amfinomo) sono passati dal Melan-

Bethe e Schwartz

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Nessuno di questi cinque epe utilizzati nella seconda parte del poema sapeva nulla del viaggio di Telemaco e ogni volta che in questa parte del poema troviamo allusioni a tale viaggio si tratta di aggiunte di B. Come nel caso dell’Il., l’analisi di Bethe è fra le più originali e alcune intuizioni di questo filologo dovrebbero essere considerate κτήματα ἐς ἀεί della critica odissiaca⁵³³: e. g. la separazione dell’assemblea degli Itacesi da T a me pare un dato sicuro. Bethe riprende inoltre (motivandola e chiarendola) un’idea corretta di Kirchhoff, cioè che il poema del ritorno di Odisseo che inizia con il concilio divino e la partenza da Ogigia non andasse oltre l’arrivo dell’eroe a Itaca; se questo è vero, cade la base per qualsiasi Urodyssee. Poco felice è invece il tentativo di isolare T dalla seconda parte del poema (qui Bethe riprende e sviluppa un’idea che era diffusa prima di Niese e Wilamowitz, e Von der Mühll e Merkelbach proseguiranno su questa via). Anche l’analisi dell’ultima parte del poema è sostanzialmente infelice, poiché non c’è ragione di separare ω2 da tutto il resto né di postulare un epos a sé stante per Filezio (l’analisi di Schwartz è in questa parte decisamente superiore). Anche la separazione di EN da B ha basi fragilissime. Secondo Schwartz (1924) il nucleo più antico della nostra Od. risale a un epos (O) che iniziava con il naufragio di Odisseo successivo al soggiorno a Trinachia, proseguiva con l’arrivo presso i Feaci, la narrazione del primo gruppo di ᾿Aπόλογοι, l’arrivo a Itaca presso Eumeo, il colloquio con Penelope e il riconoscimento (τ 105 – 388: la scena è stata tagliata, come ipotizzato da Niese) in seguito al quale i due sposi organizzavano la gara con l’arco, la μνηστηροφονία. O è stato preso a modello e ampliato da un poeta più recente (K), che, all’interno di un epos che correva per lo più parallelo rispetto a quello più antico, ha introdotto Calipso, l’ira di Posidone, la trasformazione di Odisseo e ha spostato il riconoscimento dei due sposi dopo la gara con l’arco (la scena che noi leggiamo in ψ). Il terzo grande epos confluito nella nostra Od. è T, che iniziava, a differenza dei due più antichi, con le vicende itacesi, l’assemblea e il viaggio di Telemaco; a ritorno da Pilo Telemaco trovava Odisseo presso Eumeo e, dopo il riconoscimento, i due concordavano un piano per uccidere i proci; i proci venivano uccisi secondo tale piano e la gara con l’arco non aveva luogo. Il quarto epos, che ha lasciato tracce sostanziali nella nostra Od., è L (che Schwartz ricostruisce anche dal racconto di Amfimedonte, ω 121 sgg., e crede polemizzasse contro T), al quale risale gran parte di ciò che leggiamo in υ–ω (ma la δευτέρα νέκυια è stata introdotta successivamente dalla Tesprotide, un epos thoepos all’Eumaiosepos. In quest’ultimo epos venivano per la prima volta introdotte le figure di Eumeo e Telemaco. Più recente di tutti è il Philoitiosepos.  Gli unici studiosi che hanno tenuto nel dovuto conto l’analisi odissiaca di Bethe sono Page (1955) e Merkelbach (19692).

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confluito nella Telegonia). La fusione di questi quattro epe si deve a B, il quale ha introdotto anche la seconda serie degli ᾿Aπόλογοι e la νέκυια; quest’ultima non faceva parte in origine degli ᾿Aπόλογοι e la profezia di Tiresia si pone al di fuori della forma che al mito hanno dato O e i suoi imitatori: essa è pensata per introdurre la Tesprotide, poiché presuppone che Odisseo riparta da Itaca dopo il ritorno. Nel complesso, di O non sono rimaste molte tracce, più numerose quelle di K e, soprattutto, di T (da cui deriva β–δ e moltissimo di π–ρ) e di L, da cui deriva sostanzialmente l’ultima parte del poema. Tutti gli epe confluiti nella nostra Od. tenevano conto di quelli più antichi e c’era una sorta di concorrenza fra i loro autori⁵³⁴. L’analisi di Schwartz è ricca di ottime osservazioni⁵³⁵, ma lo studioso, nel tentativo di ricostruire lunghi epe perduti, cerca di inserire in tali ricostruzioni sezioni che di per sé non mostrano alcun legame fra loro; in altre parole, l’assegnazione dei singoli pezzi ai singoli epe risulta per lo più arbitraria. Una delle cose migliori è il riconoscimento di L: già Wilamowitz aveva chiaro che fra φ e quanto precede c’è una cesura, ma Schwartz è il primo a riconoscere la sostanziale unità di φ–ω, senza attribuire più valore analitico alla notizia secondo cui gli Alessandrini ponevano la fine dell’Od. a ψ 296: per Schwartz esistevano esemplari dell’Od. in cui il poema finiva con ψ 296⁵³⁶ e Aristarco, Aristofane e Apollonio Rodio ritenevano tale fine più appropriata di quella di B (ω 548). L’indicazione della fine del poema a ψ 296 riguarda, di conseguenza, la storia delle edizioni antiche dell’Od. e nulla ha a che vedere con la genesi del poema. Schwartz ha anche cercato di mostrare che L, con la sua conciliazione finale fra Odisseo e gli Itacesi, si opponeva alla Tesprotide, ove Odisseo veniva esiliato in seguito all’uccisione dei proci. L’idea (ripresa da Theiler e Merkelbach) contiene probabilmente del vero, ma conosciamo troppo poco la Telegonia-Tesprotide per comprendere le intenzioni di L. Al libro di Schwartz seguì quasi subito quello di Wilamowitz (1927), che dell’analisi di Schwartz non accetta pressoché nulla. Del resto, come poteva Wilamowitz, che da sempre aveva polemizzato contro Uriliaden e Urodysseen, concordare con chi postulava addirittura due o tre Urodysseen (O, K, T)?

 Pfeiffer (1960) 16: «Die Entwicklung der epischen Dichtung, wie sie sich bei Schwartz darstellt, vollzieht sich in der Form eines Rhapsodenagons: der nächste will es jeweils besser machen als sein Vorgänger».  Il libro di Schwartz è stato definito il libro più importante sull’Od. da Von der Mühll (1940) 700; giudizi del genere anche in Merkelbach (19692) 159, nota 1 e Goold (1977) 19.  Tali esemplari assegnavano ψ 297–ω 548 alla Telegonia-Tesprotide.

Von der Mühll e la semplificazione dell’analisi

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Von der Mühll e la semplificazione dell’analisi Con gli anni ’30 l’analisi entra in crisi, per i motivi che abbiamo ricordato a proposito dell’Il., e gli stessi analitici cercano da ora in poi per lo più di ridurre al minimo il numero di epe preesistenti postulati. In questo quadro non meraviglia il favore di cui gode l’Urodyssee: è un tributo pagato all’unitarismo trionfante. Secondo Von der Mühll (1940) alla base della nostra Od. vi è una Urodyssee (A), che comprendeva il viaggio di Odisseo da Ogigia a Scheria, la prima serie degli ᾿Aπόλογοι, il ritorno di Odisseo a Itaca, il suo soggiorno presso Eumeo, la μνηστηροφονία. Questo epos è stato rielaborato da un poeta successivo (B), che lo ha combinato con T, un epos preesistente che comprendeva solo l’assemblea degli Itacesi e il viaggio di Telemaco (β–δ). B è intervenuto sistematicamente su tutto il poema, aggiungendo episodi (per es. ha prolungato di un giorno il soggiorno di Odisseo presso i Feaci, ha inserito la seconda serie degli ᾿Aπόλογοι) e tutto ciò che segue ψ 296 è opera di B. Von der Mühll porta alle estreme conseguenze l’ipotesi dell’Urodyssee (A), attribuendole l’aspetto della nostra Od. e chiamando in causa B ogni volta che osserva un’incongruenza. È una semplificazione estrema, che trascura però risultati importanti raggiunti dalla critica precedente. Soprattutto, alla base della ricostruzione di Von der Mühll (e di quasi tutte quelle successive) c’è l’assunto che νόστος e τίσις fossero uniti prima di B; questo assunto, che è la base di qualsiasi Urodyssee, è, secondo me, errato. Secondo Focke (1943) alla base della nostra Od. vi sono tre epe: il più antico (A) comprendeva il secondo gruppo di ᾿Aπόλογοι, il successivo (O, che potrebbe anche essere opera dello stesso poeta di A, in una fase successiva della sua vita) costituisce il nucleo della nostra Od. (ε–ψ), il terzo (T) ruota attorno alle avventure di Telemaco. O ha composto un epos attorno a Odisseo, in cui Telemaco aveva un ruolo secondario e ha inglobato A (integrandolo anche al suo interno, come ad esempio con l’episodio di Elpenore). T ha a sua volta inglobato O, facendovi qua e là aggiunte (come l’«Intermezzo» in λ) e, soprattutto, premettendogli α–δ, aggiungendo sistematicamente nei libri ο–ψ riferimenti al viaggio di Telemaco di α–δ e inserendo alla fine ψ 117– 172 e ω. Dunque T ha voluto dare un ruolo centrale a Telemaco e alla riconciliazione fra Odisseo e gli Itacesi (tema centrale nel passo di ψ e in ω). Focke esclude un poeta-redattore che riuniva epe preesistenti: sarebbero stati, invece, O e T che hanno inglobato nel proprio epos rispettivamente A e O. Focke esclude dunque B: questo punto (anticipato da Dahms 1919), che è il caposaldo del libro, ne è anche il punto più debole, poiché la giustapposizione di T a ε–ξ e la sua inserzione meccanica e spesso con tono di epitome in ο–υ si spiegano molto meglio ipotizzando che sia stato un redattore (per il quale T, da ρ in poi, non aveva più molta importanza) a mettere insieme questi epe. Perché T avrebbe dovuto sacrificare in modo così evidente il proprio

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epos nella seconda parte del poema? Il merito maggiore di Focke è quello di aver riconosciuto con equilibrio cosa da ο 495 in poi appartenga effettivamente a T: mentre Wilamowitz e Schwartz da un lato, Bethe e Merkelbach dall’altro, hanno attribuito a T o troppo o troppo poco, Focke ha tenuto il giusto mezzo. Secondo Theiler (1950) alla base della nostra Od. c’è una Urodyssee. Tale epos avrebbe avuto subito molta fortuna e avrebbe ispirato una Telemachia e una Tesprotide; in quest’ultima Odisseo, dopo il ritorno a Itaca e l’uccisione dei proci, partiva alla volta dell’Epiro. Un altro poeta (Kirkedichter) avrebbe rielaborato la Urodyssee, inserendovi, fra l’altro, l’episodio di Circe; un altro ancora, suggestionato dalla Tesprotide, avrebbe composto e inserito la νέκυια. A questo punto un altro poeta (Endszenendichter) avrebbe composto un epos contrapposto alla Tesprotide, in cui Odisseo, dopo il ritorno in patria e l’uccisione dei proci, si riconciliava con i propri concittadini e rimaneva a Itaca, e tale epos costituirebbe la fine della nostra Od. Un ulteriore poeta (Vater-Sohn-Dichter) avrebbe a questo punto congiunto l’Od. ormai rielaborata con la Telemachia, dandole la sua forma attuale. Secondo Merkelbach (19692, ma la prima edizione è del 1951) alla base della nostra Od. vi sono fondamentalmente tre epe, messi insieme per la prima volta da B. Il più antico (Rachegedicht, R) introduceva la situazione di Itaca (α, ma molto rimaneggiato da B), narrava l’assemblea di β, l’arrivo di Odisseo a Itaca, la μνηστηροφονία (che avveniva con le sole frecce), il riconoscimento fra Odisseo e Penelope (ψ1). Un poeta più recente (A) ha composto, basandosi su numerose fonti anteriori, il ritorno di Odisseo da Ogigia a Itaca (ε–ν) e la τίσις, in questa seconda parte imitando spesso R (ρ, che deriva da A, imita σ, che deriva da R; il colloquio di Penelope e Odisseo di τ, che deriva da A, culminava, secondo l’ipotesi di Niese, con il riconoscimento fra i due sposi e quindi si aveva anche in A una scena di riconoscimento, come quella di R che noi leggiamo in ψ1). A (una vera Urodyssee) terminava con ψ 299; tutto quello che segue è opera di B (che in ω2 ha usato un Laertesepos), che voleva dare un lieto fine alla sua Od. in opposizione alla Telegonia-Tesprotide, che faceva andare in esilio Odisseo. Più recente di A (ma più antico di B) è T, che narrava solo il viaggio di Telemaco (γ–δ). Il libro di Merkelbach è l’ultima grande analisi sistematica dell’Od., quali se ne erano avute da Kirchhoff in poi e per la chiarezza e la completezza dell’informazione è uno dei migliori libri di critica omerica. Il limite maggiore è l’adesione all’Urodyssee e la tendenza alla semplificazione, entrambe ereditate da Von der Mühll (cui Merkelbach esplicitamente si richiama): per esempio, non accettare la sutura fra φ e quanto precede (caposaldo dell’analisi di Wilamowitz e Schwartz) e attribuire il grosso di φ–χ e di ρ, τ a A è per me incomprensibile. Anche l’idea che l’epos più antico contenuto nella nostra Od. (R) fosse incentrato

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sulla τίσις e non sul νόστος (idea di ascendenza seeckiana: R assomiglia in più punti a OB) non è felice. Pressoché contemporaneamente a Merkelbach dedicarono un libro all’analisi odissiaca Marzullo (1952) e Page (1955). Questi due studiosi non hanno offerto una ricostruzione complessiva della genesi del poema. Marzullo si concentra per lo più su ζ–η, analizzandoli capillarmente e cercando di determinare i rapporti di priorità con altre parti dell’epos omerico. Purtroppo è un genere di indagine che di rado porta a risultati sicuri. Una tesi di Marzullo che a me pare assai probabile è che alcune parti dell’Il. (non solo la Dolonie) siano influenzate dall’Od. ⁵³⁷ Un altro punto su cui Marzullo (sulla scia di Bethe) insiste a ragione è la seriorità dell’ira di Posidone rispetto a gran parte del poema. Marzullo è anche deciso avversario dell’Urodyssee. Il merito maggiore del libro di Page è la difesa dell’analisi contro i tentativi unitari. Page riesamina alcuni degli argomenti principali di Kirchhoff, Bethe e Merkelbach e mostra con brevità e lucidità come essi impediscano di pensare all’Od. come a una composizione unitaria. Con altrettanta lucidità Page confuta i tentativi iperanalitici di dividere l’episodio di Polifemo⁵³⁸. Come nel caso dell’Il., gli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale sono gli ultimi in cui fiorisce l’analisi. Recentemente ha analizzato l’Od. van Thiel (2009). Secondo questo studioso la nostra Od. è frutto della giustapposizione (fatta da un Bearbeiter) di una Frühodyssee e di una Spätodyssee. Il poeta della Spätodyssee (che è lo stesso della Spätilias, si chiamava Omero ed è successivo a Esiodo) ha ampliato la Frühodyssee. La trama dei due poemi correva in gran parte parallela, ma il poema più antico era più breve; la Spätodyssee ha aggiunto alcune figure assenti dall’epos più antico (Calipso, Femio, Eumeo, Melanzio e Filezio) e, in generale, ha teso ad allungare i tempi e ampliare. Che esistessero due epe paralleli è mostrato dalle numerose contraddizioni e ripetizioni, che si incontrano continuamente nella nostra Od.: tali contraddizioni e ripetizioni possono essere nate solo dalla giustapposizione di due epe che correvano pressoché paralleli e che un Bearbeiter ha mescolato: «Es ist so, als ob uns statt der einzelnen Evangelien nur noch eine, Vollständigkeit anstrebende, Evaneglienharmonie erhalten wäre». Fra le varie analisi dell’Od. questa è uno delle meno felici: come ogni indagine che non parta dalle «alte

 Cfr. p. 93 sgg., 197 sgg.  Cfr. p. 289. Sulla linea di Page si pone Dawe (1993), il quale commenta l’intera Od. verso per verso, soffermandosi sulle incongruenze segnalate in ormai quasi due secoli di analisi. Dawe difende con intelligenza le ragioni dell’analisi contro l’unitarismo e il panoralismo, ma non offre un’interpretazione sistematica della genesi del poema.

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grundlegende Beobachtungen»⁵³⁹ di Kirchhoff, anche quella di van Thiel è condannata fin da principio a fallire. Lo studioso crede che le contraddizioni siano continue, e che questo possa spiegarsi solo supponendo l’esistenza di due epe che correvano paralleli. Tuttavia, quelle che egli indica come contraddizioni non sono quasi mai tali: e. g. egli crede che α 159 – 165 non potesse appartenere in origine allo stesso epos di α 225 – 229, poiché nel primo passo Telemaco informa di ciò che fanno i proci e nel secondo Atena chiede informazioni sullo stesso argomento. In realtà, nel primo passo Telemaco dice ad Atena che le persone che ella vede banchettare divorano i beni di un uomo morto (cioè di Odisseo) e nel secondo passo la dèa chiede le ragioni del banchetto, e questa domanda dà occasione a Telemaco di esporre le vicende di Odisseo più nel dettaglio di come avesse fatto fino a quel momento: è evidente che i due passi che van Thiel crede contraddittori sono in realtà complementari e così ha sempre creduto la critica analitica, che è pressoché unanime nell’attribuire l’intero colloquio fra Atena e Telemaco a un unico poeta. Un altro esempio: in α 166 – 168 Telemaco dice che Odisseo è morto, mentre in α 235 – 242 lo stesso personaggio lamenta che Odisseo è scomparso (ἄϊστος); anche qui van Thiel vede una contraddizione, ma è evidente che fra dire che una persona è morta miseramente (166: ἀπόλωλε κακὸν μόρον) e definire la stessa ἄϊστος non esiste alcuna contraddizione.

 È una felice espressione di Wilamowitz (1927) 1.

10 Analisi di α–δ Telemachia e Ἰθακησίων ἀγορά Vediamo il contenuto di α. Dopo l’invocazione alla Musa, leggiamo che, quando tutti gli eroi che avevano combattuto a Troia erano già tornati in patria, il solo Odisseo era trattenuto da Calipso lontano dai suoi: tutti gli dèi lo commiseravano, con l’eccezione di Posidone, che era adirato con Odisseo perché questi gli aveva accecato il figlio Polifemo. Durante un concilio divino, Atena ricorda agli dèi quali sofferenze stia sopportando Odisseo trattenuto da Calipso. Viene dunque deciso che Ermes vada subito da Calipso per ordinarle di lasciar partire Odisseo, mentre Atena andrà a Itaca, per dare istruzioni al giovane Telemaco su cosa fare. La dèa giunge a Itaca con l’aspetto di Mente, re dei Tafi, e trova i proci che stanno per iniziare il banchetto nella reggia di Odisseo. Telemaco la accoglie e, messosi a parlare con lei in disparte, si lamenta della condotta dei proci, che divorano le sue sostanze. Atena/Mente lo rincuora, dicendogli che Odisseo non tarderà a tornare. Nel frattempo, il giovane convochi l’assemblea degli Itacensi e ordini ai proci, davanti al popolo, di lasciare la sua casa; vada poi a Pilo e a Sparta e chieda a Nestore e Menelao se sanno qualcosa di Odisseo e, a seconda delle notizie che riceve, agisca di conseguenza. Impartiti questi consigli, Atena/ Mente se ne va, in modo tale che Telemaco ne riconosce la natura divina. Femio, l’aedo, inizia a cantare il triste ritorno dei Greci da Troia; Penelope, dalle sue stanze, lo sente e scende per pregarlo di smettere, ma Telemaco la rimprovera ed ella lascia il megaron. Telemaco comunica poi ai proci la propria intenzione di convocare il giorno successivo l’assemblea per intimare loro di lasciare la sua casa. Segue uno scambio di battute con Antinoo ed Eurimaco, poi sopraggiunge la sera e tutti vanno a dormire, Telemaco accudito dall’anziana ancella Euriclea. Così si chiude α. Se noi dovessimo giudicare questa rapsodia da sola, difficilmente intuiremmo che essa è stata composta per introdurre un poema che contiene materiali di origine assai diversa, poiché all’interno di α non sono presenti suture e rielaborazioni evidenti (tranne nel discorso di Atena, 271– 297⁵⁴⁰). Certo, la menzione dell’imminente viaggio di Ermes da Calipso (84 – 87), che poi non avviene, potrebbe destare qualche sospetto, ma mai immagineremmo che siamo davanti a un poeta che rielabora e mette insieme materiale altrui e alcuni giudizi

 Cfr. p. 239 sgg. https://doi.org/10.1515/9783110652963-010

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10 Analisi di α–δ

perentori potrebbero risultare incomprensibili⁵⁴¹. Poiché per capire questi giudizi è necessario conoscere anche β–δ 619, vediamone dunque rapidamente la trama. β: al mattino si riunisce l’assemblea e un vecchio, Egizio, chiede chi la abbia riunita, dal momento che dopo la partenza di Odisseo non c’erano state più riunioni. Telemaco prende la parola e chiede soccorso agli Itacesi, perché lo aiutino a convincere i proci a lasciare la sua casa. Gli risponde Antinoo, che getta la colpa su Penelope, che ha ingannato i proci, convincendoli ad aspettare che ella finisse di tessere il lenzuolo funebre per Laerte (che in realtà ella tesseva di giorno e disfaceva di notte) e illudendoli, senza mai decidersi a sposarne uno. Telemaco risponde che egli non può farci nulla, perché non può cacciare la madre di casa. Segue un presagio, che l’indovino Aliterse interpreta come segno che Odisseo è ormai a Itaca. Seguono altri interventi, ma Telemaco non riesce né a mandare via di casa i proci né a ottenere una nave per il suo viaggio a Pilo e Sparta, e l’assemblea viene sciolta. Telemaco, disperato, va in riva al mare e chiede aiuto alla divinità che lo ha visitato il giorno precedente. Atena gli si presenta ora sotto le sembianze di Mentore, che promette aiuto a reperire la nave. Telemaco rientra in casa e, dopo uno scambio di battute aspro con Antinoo, comincia a preparare le cose necessarie al viaggio: lo aiuta Euriclea, da cui Telemaco si fa promettere che non informerà Penelope circa il viaggio del figlio. Atena, prese le sembianze di Telemaco, convince Noemone a dargli una nave: sopraggiunge la sera e Telemaco parte con la nave alla volta di Pilo, insieme ad alcuni compagni e ad Atena, che ha ripreso le sembianze di Mentore. Così finisce β. γ inizia con l’arrivo a Pilo: Atena/Mentore e Telemaco trovano Nestore e i suoi familiari sulla riva del mare, che stanno sacrificando a Posidone. Dopo essersi presentato, Telemaco chiede a Nestore notizie del padre. Nestore narra gli eventi immediatamente successivi alla fine della guerra di Troia, ma sulla sorte di Odisseo non è in grado di dire nulla di attuale, poiché i due si sono separati sulla via del ritorno a Tenedo, poco dopo la fine della guerra, e da allora dell’amico itacese non ha più notizie. Nestore informa poi Telemaco anche sulle vicende di Menelao e lo esorta ad andare a chiedere informazioni su Odisseo proprio a Menelao; intanto sopraggiunge la sera e Atena/Mentore si congeda, rivelando la propria natura divina. Telemaco trascorre la notte a Pilo e al mattino Nestore ordina un sacrificio e un pasto cui partecipano tutti i compagni di viaggio di Telemaco. Poi Telemaco parte alla volta di Sparta assieme a un figlio di Nestore, Pisistrato.

 E. g. Wilamowitz (1927) 122: «Seit Kirchhoff steht für die Unrteilsfähigen fest, daß das α ein Werk des Bearbeiters ist».

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All’inizio di δ Telemaco e Pisistrato, dopo aver trascorso una notte a Fere, giungono a Sparta, ove Menelao li accoglie molto calorosamente, senza nemmeno chiedere loro chi siano. Telemaco ammira la ricchezza della reggia di Menelao, ma Menelao dice che tutte le ricchezze non valgono a consolarlo dei dolori sofferti, in particolare per la sorte del suo amico Odisseo, di cui nessuno sa nulla. Giunge nella stanza Elena, che, dalla somiglianza fisica, arguisce di avere davanti il figlio di Odisseo. Rivelata l’identità di Telemaco e Pisistrato, Elena e Menelao narrano alcune vicende relative alla guerra di Troia. Telemaco e Pisistrato trascorrono la notte nella reggia e, al mattino successivo, Menelao narra le proprie peregrinazioni in Egitto: proprio lì Proteo lo ha informato che Odisseo è trattenuto da Calipso. Finito il proprio racconto, Menelao invita Telemaco a restare 11/12 giorni suo ospite, ma Telemaco ha fretta e non può accettare (δ 619). Il seguito di δ ha una genesi diversa rispetto alla parte precedente e lo discuteremo più tardi. Iniziamo l’analisi con β, in particolare con l’assemblea degli Itacesi, ove si osservano alcune incongruenze. La profezia di Aliterse (161– 176) contiene elementi che sono in contraddizione con l’attuale contesto⁵⁴². I vv. 163 – 6 paiono presupporre che Odisseo sia già a Itaca, mentre egli, nella nostra Od., è ancora a Ogigia (οὐ γὰρ Ὀδυσσεύς / δὴν ἀπάνευθε φίλων ὧν ἔσσεται, ἀλλά που ἤδη / ἐγγὺς ἐὼν τοίσδεσσι φόνον καὶ κῆρα φυτεύει, / πάντεσσιν). È possibile conciliare questi vv. con la nostra Od.? Tutto dipende dal valore che diamo a ἤδη ἐγγὺς ἐὼν … φυτεύει, poiché, se questa azione potesse essere riferita al futuro, Aliterse potrebbe riferirsi a un momento successivo e dunque le sue parole sarebbero conciliabili con la nostra Od. In effetti, ci sono casi in cui il praesens pro futuro è usato all’interno di una profezia⁵⁴³; tuttavia che questo sia il nostro caso, io non credo⁵⁴⁴. Sono gli avverbi ἤδη ed ἐγγύς che escludono che Aliterse voglia dire che Odisseo arriverà tra poco a Itaca: egli è già (ἤδη) vicino (ἐγγύς); l’uso di quest’ultimo avverbio non lascia dubbi che Odisseo sia già a Itaca⁵⁴⁵. È  Così Bethe (1922) 13, seguito da Merkelbach (19692) 18. Dubbioso Page (1955) 169 – 174. Cfr. anche Winter (1913) 1– 30, decisamente ipercritico.  Cfr. Kühner-Gerth 1, 138 («das futurische Präsens der Orakelsprache»).  Nello studio più approfondito sui prodigi in Omero (Stockinger 1959, 55) si afferma che la profezia di Aliterse «ist schwerlich mit unserer Odyssee in Einklang zu bringen». Sul problema cfr. anche Wilamowitz (1927) 126 – 127; Dawe (1993) 103.  ἐγγύς è attestato altre 13 volte nell’Od. (ι 166; ib. 181; κ 30; ib. 86; ν 268; ξ 484; ib. 518; ρ 205; ib. 301; φ 215; χ 163; ib. 355; ω 495): nessuno di questi passi è conciliabile con l’idea che ἐγγύς possa essere detto di una persona che si trova a Ogigia da parte di una persona che si trova a Itaca. Secondo Hölscher (1939, 27) ἐγγύς avrebbe qui valore temporale, ma è evidente che qui ἐγγὺς ἐών si contrappone a ἀπάνευθεν ἔσσεται che precede e che in entrambi i casi l’unica interpretazione possibile è quella locale.

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inoltre impossibile riferire ἤδη a un evento che avverrà nel futuro: ci sono casi in cui ἤδη si lega a un futuro, ma il significato è piuttosto quello di posthac iam ⁵⁴⁶, inconciliabile col nostro passo. Ai vv. 171– 2 Aliterse dice: καὶ γὰρ κείνωι φημὶ τελευτηθῆναι ἅπαντα / ὥς οἱ ἐμυθεόμην. Avrebbe potuto l’indovino esprimersi così, se Odisseo si fosse trovato ancora a Ogigia, e quindi lo avesse atteso ancora il naufragio di ε? La profezia di Aliterse sembra dunque presupporre che Odisseo si trovi già a Itaca, il che è inconciliabile con l’attuale disposizione del poema, secondo cui Odisseo è ancora a Itaca. Alla profezia di Aliterse risponde con scherno e arroganza Eurimaco, affermando che i proci non lasceranno la casa di Odisseo finché Penelope non sposerà uno di loro. A questo punto interviene di nuovo Telemaco, che afferma di volere, per il momento, rinunciare a mandare via i proci di casa e di volere piuttosto andare a Pilo e Sparta per avere informazioni del padre (218 – 223). Per affrontare questo viaggio, Telemaco chiede all’assemblea una nave. Dopo questo discorso di Telemaco prende la parola Mentore, il quale rimprovera agli Itacesi l’ingratitudine nei confronti di Odisseo: egli è stato un sovrano eccezionale ed è indegno che il popolo non soccorra ora la famiglia di Odisseo. A Mentore risponde uno dei proci, Leocrito, il quale, dopo aver detto che, se anche Odisseo tornasse e combattesse da solo contro i proci, soccomberebbe, scioglie l’assemblea; Leocrito aggiunge con scherno che la nave, a Telemaco, la procureranno Aliterse e Mentore. Colpisce che Mentore, prendendo la parola subito dopo Telemaco e in suo sostegno, non dica nulla circa la nave⁵⁴⁷. Non è questo l’unico indizio che il discorso di Telemaco, con la sua richiesta di aiuto per il viaggio, è estraneo all’assemblea degli Itacesi. Nel discorso in cui chiede la nave per andare nel Peloponneso (208 – 223), Telemaco prospetta due possibilità: la seconda, è che egli, durante il viaggio, senta dire che il padre è morto; in questo caso egli, appena tornato a Itaca, costruirà una tomba per Odisseo e darà Penelope in isposa a uno dei proci. La prima possibilità è, invece, che egli senta dire che Odisseo è ancora vivo; in questo caso Telemaco attenderà ancora un anno; dopo, evidentemente, se Odisseo non sarà ancora tornato, egli gli costruirà una tomba e darà Penelope in isposa a uno dei proci. Questo discorso contraddice un’affermazione fatta dallo stesso Telemaco precedentemente: Telemaco chiede ai proci di abbandonare la sua casa; Antinoo gli risponde che i proci non faranno questo finché Penelope non andrà in isposa a uno di loro: se Telemaco vuole

 Cfr. Kühner-Gerth 2, 120 – 121.  Cfr. Jacob (1856) 369; Bethe (1922) 7 sgg.; Merkelbach (19692) 15 sgg.; West (2014) 110; contra Besslich (1966) 104 sgg.

Telemachia e Ἰθακησίων ἀγορά

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davvero che i proci lascino la sua casa, mandi via Penelope da casa e le ordini di sposare uno dei pretendenti (113 – 114: μητέρα σὴν ἀπόπεμψον, ἄνωχθι δέ μιν γαμέεσθαι / τῶι ὅτεώι τε πατὴρ κέλεται καὶ ἁνδάνει αὐτῆι). A questo suggerimento Telemaco risponde che egli non può in nessun modo cacciare la madre di casa, altrimenti ella invocherà le Erinni (130 – 132: ᾿Aντίνο᾽, οὔ πως ἔστι δόμων ἀέκουσαν ἀπῶσαι / ἥ μ᾽ ἔτεχ᾽, ἥ μ᾽ ἔθρεψε, πατὴρ δ᾽ ἐμὸς ἄλλοθι γαίης, / ζώει ὅ γ᾽ ἦ τέθνηκε). A me pare che fra queste parole di Telemaco e quelle dei vv. 218 – 223 esista una contraddizione insanabile: da questi ultimi, infatti, si arguisce che Telemaco può imporre alla madre di sposarsi, mentre dalle parole dette ad Antinoo si arguisce il contrario. Queste contraddizioni spariscono se noi eliminiamo i vv. 208 – 223 dall’assemblea degli Itacesi⁵⁴⁸. Ne segue che, come ha visto per primo Bethe, l’epos dell’assemblea (Ἰθακησίων ἀγορά) non conosceva il motivo del viaggio di Telemaco ed era in origine separato dall’epos dei viaggi di Telemaco (T). C’è un altro indizio in questo senso. Telemaco parte da Itaca e va prima a Pilo da Nestore poi a Sparta da Menelao. Quando parte da Itaca ha già il proposito di visitare entrambi? Pare di no⁵⁴⁹. Quando si presenta a Nestore ed espone lo scopo del proprio viaggio (γ 79 sgg.), Telemaco non accenna in alcun modo all’intenzione di andare oltre Pilo. Nestore, dopo aver narrato della lunga assenza di Menelao da casa, esorta Telemaco a tornare quanto prima a Itaca, ma non prima di aver visitato Menelao a Sparta (γ 313 sgg.); nella reazione di Atena/ Mentore e Telemaco nulla fa pensare che l’Itacese avesse già intenzione di andare a Sparta. L’impressione è che Telemaco parta da Itaca con l’intenzione di andare solo a Pilo e che siano le parole di Nestore che lo convincono ad andare anche a Sparta. Questa è un’ulteriore prova contra la genuinità di β 208 – 223, poiché a 214 Telemaco esprime il proposito di andare sia a Pilo sia a Sparta. Da tutto questo segue un’importante conclusione: ogni volta che si intrecciano il motivo dell’assemblea degli Itacesi e del viaggio di Telemaco e ogni volta che, prima di partire da Itaca, Telemaco esprime il proposito di andare a Pilo e a Sparta, siamo davanti a una rielaborazione. Poiché queste rielaborazioni sembrano coerenti fra loro e sembrano risalire al poeta che ha dato la forma attuale all’Od., le attribuiremo al poeta-redattore dell’Od. (B).

 All’interno dell’assemblea, l’unica altra allusione al viaggio di Telemaco è alla fine del discorso di Leocrito, 253 – 256 (anch’essa resta senza effetto, poiché qui l’assemblea viene sciolta): è ovvio che questi vv. sono stati introdotti da chi ha introdotto 208 – 223.  Così Schwartz (1901) 27; Bethe (1922) 8 sgg.; Schwartz (1924) 303 sgg.; Merkelbach (19692) 17. Zenodoto in α 93, 285 al posto di Σπάρτη leggeva Κρήτη e si è pensato che tale variante risalga alla fase compositiva dell’Od. (West 2014, 107 sgg.), ma non esistono valide ragioni per tale ipotesi: discussione del problema in Hennings (1857– 1860) 160.

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10 Analisi di α–δ

Terminata l’assemblea, Telemaco va in riva al mare, si rivolge alla divinità che lo ha visitato il giorno precedente per esortarlo a intraprendere il viaggio e si lamenta che gli Achei e i proci glielo impediscono (265 – 266: διατρίβουσιν ᾿Aχαιοί, / μνηστῆρες δὲ μάλιστα). Poiché molti credono che α sia rielaborato e β, invece, rispecchi fedelmente T⁵⁵⁰, questa invocazione di Telemaco ad Atena è stata usata per ricostruire cosa precedeva β in T, prima che α venisse rielaborato: poiché in α (271– 297) Atena suggerisce oltre al viaggio altre cose a Telemaco, mentre qui Telemaco allude solo al viaggio, se ne è dedotto che in T Atena suggerisse al giovane solo il viaggio⁵⁵¹. Tuttavia, le parole di Telemaco ad Atena presuppongono proprio l’assemblea come la leggiamo noi, con i proci che si comportano da prepotenti e gli altri Itacesi (᾿Aχαιοί) che, colpevolmente, non intervengono in favore di Telemaco (cfr. β 229 – 241). Dunque, il discorso di Telemaco (β 262– 266) è opera di B e altrettanto vale per la risposta di Atena, in cui prima viene condannata l’arroganza dei proci e poi viene promesso aiuto per il reperimento della nave (270 – 295): anche qui i proci vengono visti come ostacolo al viaggio, dunque è presupposta l’assemblea nella forma datale da B. Nella scena che segue Antinoo cerca di riconciliarsi con Telemaco, promettendogli aiuto a reperire la nave; Telemaco risponde infastidito che non ne può più della presenza in casa dei proci (303 – 320): i due temi che caratterizzano l’assemblea nella rielaborazione di B, cioè il desiderio di Telemaco di cacciare i proci da casa e quello di andare a Pilo, sono qui riuniti e tutto fa pensare che siamo all’interno di B. Una conferma ce la dànno i vv. immediatamente successivi, in cui i proci esprimono la preoccupazione che Telemaco riesca comunque ad andare a Pilo e a Sparta (325 – 336: ἐκ Πύλου … ἠ ᾽ ὅ γε καὶ Σπάρτηθεν). Telemaco inizia dunque a raccogliere le cose necessarie per il viaggio ed Euriclea lo aiuta (337– 376). Alla fine del suo discorso alla nutrice Telemaco dice che andrà a Pilo e Sparta (359 – 360). Sembra dunque che siamo ancora all’interno di B, anche perché, nella risposta che segue immediatamente, Euriclea esprime la preoccupazione che i proci sfruttino l’occasione per uccidere Telemaco (367– 368): questa sembra un’allusione all’agguato per mare di cui si tornerà a parlare in δ 625 sgg.: noi mostreremo che tutto ciò che ha a che fare con l’agguato per mare dei proci è freie Erfindung di B, dunque la mano di B è anche qui evidente. Telemaco impone alla nutrice di non dire nulla del suo viaggio a Penelope prima che passino 11/12 giorni. È probabile che questo numero di giorni sia stato ispirato da δ 588 (T), in cui Menelao propone a Telemaco di  In altre parole, che in β leggiamo T, in α B.  Wilamowitz (1927) 125 : «Wichtig ist, dass der unbekannte Gott nach Telemachs Angabe im β nur zu der Reise geraten hat; im α schreibt Mentes auch die Berufung der Volkversammlung vor». Cfr. già Niese (1882) 148, nota 1.

Analisi di α

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restare da lui appunto per un tal numero di giorni. D’altra parte, il motivo del silenzio di Euriclea ricorre in δ 742 sgg. (sicuramente B), dunque anche β 373 – 376 sono opera di B. A questo punto il poeta passa a descrivere l’azione di Atena in favore di Telemaco: la dèa (sotto l’aspetto di Telemaco) prima persuade Noemone a prestare una nave a Telemaco, poi fa addormentare i proci (382– 398). Noemone ricorre in δ 630 sgg. (cioè in B) e il sonno dei proci presuppone, evidentemente, la loro avversione al viaggio di Telemaco. Arrivato alla nave, quando sta per salpare, Telemaco dice ai compagni che solo Euriclea sa del loro viaggio, mentre le altre ancelle e Penelope stessa non ne sanno nulla: siamo di nuovo di fronte al motivo di δ 742 sgg. I vv. che chiudono β, in cui viene descritta la partenza della nave, sono in gran parte gli stessi con cui verrà descritto il ritorno da Pilo, probabilmente opera di B (β 417– 418 = ο 285 – 286; β 420 = ο 292; β 422– 426 = ο 287– 291). La tesi di Bethe, da me accettata, secondo cui l’assemblea degli Itacesi in origine non conosceva il motivo del viaggio di Telemaco, al quale è stata legata per la prima volta da B, ha conseguenze fatali sull’analisi di β, poiché questa rapsodia per lo più presuppone il legame fra il viaggio e l’assemblea. D’altra parte, anche δ 625 – 847 è strettamente legato a β e noi mostreremo che δ 625 – 847 è opera di B⁵⁵². A parte quanto deriva dall’Ἰθακησίων ἀγορά, β è opera di B.

Analisi di α Analizziamo ora α 103 – 444; di 1– 102 ci occuperemo analizzando l’inizio di ε, poiché tali vv. nascono da una spezzamento della scena iniziale di ε. Se noi, anche partendo dal presupposto che β sia opera di B, cerchiamo di immaginare l’inizio di T, quanto leggiamo in α potrebbe sembrare accettabile come inizio di T: gli unici ostacoli sarebbero i riferimenti all’assemblea degli Itacesi, cioè α 272– 278 e 368 – 404. Eliminando questi vv., potremmo immaginare che Atena si recasse a Itaca ed esortasse Telemaco a intraprendere il viaggio a Pilo: potremmo cioè immaginare T senza β, con Telemaco che parte dopo le esortazioni di Atena senza scontrarsi con i proci all’assemblea. In astratto, una ricostruzione del genere non presenta problemi. L’analisi di α, tuttavia, suggerisce un’altra soluzione. Il punto centrale di α, quello che serve a far partire l’azione di β–δ, sono i consigli che Atena/Mente dà a Telemaco; è, infatti, in base a questi consigli che Telemaco decide di convocare l’assemblea e di partire alla volta del Pelopon-

 Questo legame, tuttavia, per se ipsum potrebbe essere spiegato anche ipotizzando che β sia opera di T e che B, nel comporre δ 625 – 847, si sia ispirato a T.

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10 Analisi di α–δ

neso. Analizziamo dunque questi consigli (α 266 – 297). Dato che questo passo è uno di quelli che meglio mostrano la natura compilativa di alcune parti della nostra Od. e che esso fu oggetto di una celebre analisi di Kirchhoff (18792, 238 sgg.⁵⁵³), è opportuno trascriverlo per intero: ἀλλ᾽ ἦ τοι μὲν ταῦτα θεῶν ἐν γούνασι κεῖται, ἤ κεν νοστήσας ἀποτείσεται [scil. Odisseo], ἦε καὶ οὐκί, οἷσιν ἐνὶ μεγάροισι· σὲ δὲ φράζεσθαι ἄνωγα, ὅππως κε μνηστῆρας ἀπώσεαι ἐκ μεγάροιο. εἰ δ᾽ ἄγε νῦν ξυνίει καὶ ἐμῶν ἐμπάζεο μύθων· αὔριον εἰς ἀγορὴν καλέσας ἥρωας ᾿Aχαιούς μῦθον πέφραδε πᾶσι, θεοὶ δ᾽ ἐπὶ μάρτυροι ἔστων. μνηστῆρας μὲν ἐπὶ σφέτερα σκίδνασθαι ἄνωχθι, μητέρα δ᾽, εἴ οἱ θυμὸς ἐφορμᾶται γαμέεσθαι, ἂψ ἴτω ἐς μέγαρον πατρὸς μέγα δυναμένοιο· οἱ δὲ γάμον τεύξουσι καὶ ἀρτυνέουσι ἔεδνα πολλὰ μάλ᾽, ὅσσα ἔοικε φίλης ἐπὶ παιδὸς ἕπεσθαι. σοὶ δ᾽ αὐτῶι πυκινῶς ὑποθήσομαι, αἴ κε πίθηαι· νῆ᾽ ἄρσας ἐρέτηισιν ἐείκοσιν, ἥ τις ἀρίστη, ἔρχεο πευσόμενος πατρὸς δὴν οἰχομένοιο, ἤν τις τοι εἴπηισι βροτῶν, ἢ ὄσσαν ἀκούσηις ἐκ Διός, ἥ τε μάλιστα φέρει κλέος ἀνθρώποισι. πρῶτα μὲν ἐς Πύλον ἐλθὲ καὶ εἴρεο Νέστορα δῖον, κεῖθεν δὲ Σπάρτηνδε παρὰ ξανθὸν Μενέλαον· ὅς γὰρ δεύτατος ἦλθεν ᾿Aχαιῶν χαλκοχιτώνων. εἰ μέν κεν πατρὸς βίοτον καὶ νόστον ἀκούσηις, ἦ τ᾽ ἂν τρυχόμενός περ ἔτι τλαίης ἐνιαυτόν· εἰ δέ κε τεθνηῶτος ἀκούσηις μηδ᾽ ἔτ᾽ ἐόντος, νοστήσας δὲ ἔπειτα φίλην ἐς πατρίδα γαῖαν σῆμά τε οἱ χεῦαι καὶ ἐπὶ κτέρεα κτερεΐξαι πολλὰ μάλ᾽, ὅσσα ἔοικε, καὶ ἀνέρι μητέρα δοῦναι. αὐτὰρ ἐπὴν δὴ ταῦτα τελευτήσας τε καὶ ἔρξηις, φράζεσθαι δὴ ἔπειτα κατὰ φρένα καὶ κατὰ θυμόν, ὅππως κε μνηστῆρας ἐνὶ μεγάροισι τεοῖσι κτείνηις ἠὲ δόλωι ἢ ἀμφαδόν· οὐδέ τί σε χρή νηπιάας ὀχέειν, ἐπεὶ οὐκέτι τηλίκος ἐσσί.

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 «Die Odyssee-Analyse hat ihren Ausgangspunkt im α der Odyssee gehabt, und zwar, wie allgemein bekannt, in der Athene-Rede des α» (Siegmann 1976, 21). Qualcuno ha cercato di confutare gli argomenti di Kirchhoff, decisamente senza successo: cfr. e. g. Düntzer (1872) 436 sgg.; Klingner (1944) 34 sgg.; Bona (1966) 169 sgg.; Rüter (1969) 157 sgg.; Siegmann (1976). Contro queste letture unitarie cfr. Dawe (1993) 82 sgg. Anche un unitario come Heubeck (1954) 53 ammette che il discorso di Atena è un collage mal riuscito. Prima di Kirchhoff già Jacob (1856) 364 sgg. aveva osservato illogicità nel discorso di Atena.

Analisi di α

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Atena/Mente esorta Telemaco a fare tre cose: 1) convocare il giorno seguente un’assemblea, per ordinare ai proci di lasciare la sua casa; 2) andare a Pilo e Sparta per informarsi circa Odisseo e, a seconda delle notizia ottenute, attendere ancora un anno, oppure dare subito Penelope in isposa a uno dei proci; 3) uccidere i proci. Questi consigli contengono alcune macroscopiche e grossolane contraddizioni. La più evidente si incontra ai vv. 293 sqq.: Telemaco, «dopo aver fatto queste cose», dovrebbe uccidere i proci. Questo è illogico: le «cose» cui ci si riferisce sono l’avere dato la madre in isposa a uno dei proci⁵⁵⁴: che senso ha che Telemaco, dopo aver dato la madre in isposa a uno dei proci e che quindi essi hanno lasciato la sua casa, uccida i proci⁵⁵⁵? È, inoltre, evidente, che la sequenza delle azioni è illogica: il viaggio a Pilo e Sparta era destinato a durare alcuni giorni: per quale motivo egli avrebbe dovuto, prima di tale viaggio, invitare Penelope a tornarsene a casa del padre e a pensare a nuove nozze? Se il fine del viaggio era acquisire notizie su Odisseo per potere, a seconda della natura di tali notizie, decidere sulle nozze di Penelope, che senso aveva cercare, prima del viaggio, di cacciare da casa Penelope? Se ella avesse abbandonato la casa, che senso avrebbe avuto il viaggio? Inoltre, dai vv. 275 – 278 si dedurrebbe che, se Penelope vuole risposarsi, debba tornare alla casa del padre, mentre al v. 292 sembra essere Telemaco a dover organizzare le nozze della madre⁵⁵⁶. Tutte queste contraddizioni si chiariscono, se noi osserviamo i passi dai quali α 267 sqq. deriva: il discorso di Atena/Mente non è altro che un centone composto con vv. dell’assemblea di β⁵⁵⁷: mentre in β i vv. non sono contraddittori fra loro, poiché vengono pronunciati da personaggi diversi con intenti opposti, in α la giustapposizione di tali vv. porta a una Gedankenfolge illogica, poiché

 Questo risulta evidente a chi abbia letto β 214 sqq., che abbiamo discusso poc’anzi. Lì erano state prospettate due possibilità; per entrambe, tuttavia, l’esito erano le nozze di Penelope con uno dei proci. Poiché in α incontriamo gli stessi vv. (α 281– 292 ≈ β 214– 223), è ovvio supporre che essi presuppongano lo stesso svolgimento degli eventi.  Come osserva giustamente Kirchhoff (18792) 251, i vv. 293 sqq. presuppongono un pensiero precedente come «wenn du aber dieses gethan und die Freier dennoch, trotzdem, nicht von ihrem wüsten Treiben lassen sollten, so überlege alsdann u. s. w.». Kirchhoff aggiunge «nur ein stammelndes Kind konnte diesen Gedanken, wenn es ihn dachte, ohne Ausdruck lassen».  I vv. 267– 270 sembrano in lieve contraddizione con 280 – 292: in questi ultimi Atena/Mente esorta Telemaco ad andare a cercare notizie del padre, mentre negli altri vv. afferma che, se Odisseo sia vivo o morto, è cosa di cui dispongono solo di dèi: cfr. Ronconi (1935) 174 sqq. Si è anche osservato (Wilamowitz, 1927 125) che è problematico che Atena esorti Telemaco a convocare l’assemblea: difficilmente una divinità esorta a una mossa, che si rivela un insuccesso. La cosa si spiega invece facilmente, se si suppone che il discorso di Atena serva a introdurre l’Ἰθακησίων ἀγορά, un epos preesistente.  α 277– 278 = β 196 – 197; α 281 = β 215; α 282– 283 = β 216 – 217; α 287– 292 = β 218 – 223.

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10 Analisi di α–δ

vengono messi in bocca allo stesso personaggio⁵⁵⁸. L’esortazione a cacciare Penelope da casa è incomprensibile, se immediatamente dopo c’è l’esortazione a intraprendere il viaggio a Pilo e Sparta (così in α), ma è perfettamente comprensibile che Antinoo ed Eurimaco esortino Telemaco a cacciare Penelope (così in β 113 – 114; 194– 7)⁵⁵⁹. Così è illogico che Atena/Mente esorti Telemaco a uccidere i proci ἐν μεγάροισι dopo che egli ha dato la madre in isposa a uno di loro, mentre è del tutto comprensibile che Telemaco, esasperato dall’arroganza dei proci, si auguri che essi muoiano νήποινοι δόμων ἔντοσθεν (β 145)⁵⁶⁰. È evidente che chi ha messo insieme questi consigli di Atena/Mente aveva davanti a sé l’Ἰθακησίων ἀγορά e ne ha tratto meccanicamente alcuni vv. È altrettanto evidente che si tratta dello stesso poeta che ha unito l’Ἰθακησίων ἀγορά a T, poiché l’unione dei due motivi dell’assemblea e del viaggio si trova per la prima volta proprio nelle parole di Atena/Mente. I risultati dell’analisi formale di α 266 – 297 confermano quanto abbiamo stabilito a proposito di β: il motivo del viaggio e quello dell’assemblea erano in origine distinti e sono stati giustapposti. Tale giustapposizione non può essere attribuita che a B, che dunque è l’autore di α 266 – 297⁵⁶¹. Per quanto concerne il seguito di α, tutto lascia pensare che anch’esso sia opera di B: per tutta la rapsodia si trovano serie di vv. presi a prestito da quasi tutti gli epe confluiti nella nostra Od. In α 170 – 173 Telemaco chiede ad Atena/ Mente chi egli sia: τίς πόθεν εἰς ἀνδρῶν; πόθι τοι πόλις ἠδὲ τοκῆες; / ὁπποίης τ᾽ ἐπὶ νηὸς ἀφίκεο; πῶς δέ σε ναῦται / ἤγαγον εἰς Ἰθάκην; τίνες ἔμμεναι εὐχετόωντο; / οὐ μὲν γάρ τί σε πεζὸν ὀΐομαι ἐνθάδ᾽ ἱκέσθαι. Questi vv. si icontrano anche in ξ 187– 190, ove è Eumeo a rivolgere queste domande all’ospite. L’originale pare ξ⁵⁶²: mentre è del tutto naturale chiedere a un mendico quale nave lo abbia portato per mare, la domanda non è appropriata nei riguardi di un uomo ricco o di un re come Mente, poiché tali persone sogliono navigare con navi proprie; infatti, Atena/Mente risponde di essere arrivato con una nave sua e coi suoi compagni. α 185 Atena/Mente dice νηῦς δέ μοι ἥδ᾽ ἕστηκε ἐπ᾽ ἀγροῦ νόσφι  Page (1955) 58: «We notice at once that what was so absurd in the speech of Athene is entirely natural in that of the Suitors». Cfr. anche p. 35, a proposito del discorso di Agamennone in Β.  Kirchhoff (18792) 246 ha giustamente osservato che α 279 (σοὶ δ᾽ αὐτῶι πυκινῶς ὑποθήσομαι, αἴ κε πίθηαι) è inadatto al contesto; si tratta, mi pare, di un maldestro adattamento di β 194 (Τηλεμάχωι δ᾽ ἐν πᾶσιν ἐγὼν ὑποθήσομαι αὐτός) pronunciato da Eurimaco, come mostrano i vv. che seguono.  Cioè dove hanno commesso i loro delitti; per l’idea di punire il peccatore sul luogo del peccato, cfr. Choricius Gazaeus p. 287, 15 – 17 F.-R. α 294 sqq. sembrano ispirati da β 143 sqq.  Lo mostra anche che si parli di viaggio a Pilo e a Sparta (284– 285), cfr. p. 237.  Cfr. De Sanctis (1909) 109; S. West ad α 171– 173.

Analisi di α

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πόληος. Il v. occorre identico in ω 308 ed è da quest’ultimo passo che α lo ha tratto: né, infatti, Telemaco ha chiesto all’ospite ove si trovi la sua nave (a differenza di Laerte, ω 299) né c’è ragione per cui la nave di Atena/Mente si trovi lontana dalla città (mentre è naturale che lo sia quella di Odisseo, dal momento che egli vuol far credere a Laerte di essere sbarcato lontano dalla città)⁵⁶³. L’intervento di Penelope e i rimproveri di Telemaco (328 sgg.) sono un’imitazione piuttosto maldestra di episodi di σ e φ. In σ (158 sqq.) Penelope si mostra ai proci per chiedere loro doni; la regina viene resa ancora più bella del solito dall’intervento di Atena, che ha le sue ragioni per agire così. Inoltre Penelope chiede a Eurinome di chiamarle due ancelle che la accompagnino in sala. L’azione di Atena e la richiesta di Penelope sono ben motivate e il poeta ci informa che Penelope giunge accompagnata dalle ancelle e che la sua bellezza abbaglia i proci (σ 208 – 212). Questi vv. si incontrano anche in α (σ 208 – 211 = α 333 – 335; σ 213 = α 366), ma è palese che qui sono imitazioni, poiché l’effetto particolare della bellezza di Penelope risulta decontestualizzato⁵⁶⁴. Un esempio ancora più evidente di imitazione si ha alla fine del discorso con cui Telemaco rimprovera la madre (α 356 – 359): ἀλλ᾽ εἰς οἶκον ἰοῦσα τὰ σ᾽ αὐτῆς ἔργα κόμιζε, / ἱστόν τ᾽ ἠλακάτην τε, καὶ ἀμφιπόλοισι κέλευε / ἔργον ἐποίχεσθαι· μῦθος δ᾽ ἄνδρεσσι μελήσει / πᾶσι, μάλιστα δ᾽ ἐμοί· τοῦ γὰρ κράτος ἔστ᾽ ἐνὶ οἴκῳ. Questi vv. si incontrano identici in φ 350 – 353, ma al posto di μῦθος leggiamo τόξον: non c’è alcun dubbio che μῦθος qui sia fuori posto e che si spieghi solo come una sostituzione, nel tentativo di adattare i vv. di φ al nuovo contesto⁵⁶⁵. Non c’è modo di escludere che α conservi qualcosa di T, ma tutto lascia pensare il contrario⁵⁶⁶; non solo l’aspetto formale, con i continui prestiti da altre rapsodie odissiache (in γ–δ gli echi di altre rapsodie sono rari e ben contestualizzati), ma anche quello contenutistico lascia pensare che siamo davanti a una costruzione di B: i vv. che servono a mettere in moto l’azione di β–δ (cioè i consigli di Atena/Mente) presuppongono la giustapposizione dei motivi

 Cfr. Ameis-Hentze-Cauer ad α 185; De Sanctis (1909) 109 – 110; West ad α 185 – 6.  Cfr. Wilamowitz (1884) 9; West (2014) 151– 152.  Ameis-Hentze-Cauer ad α 358: «μῦθος hier an Stelle von πόλεμος Ζ 492 und τόξον φ 352, beweist, dass die Verse nicht an unserer Stelle entstanden sind»; cfr. anche Heubeck (1954) 52; Usener (1990) 47 sgg.  Kirchhoff (18792) 5 sgg. attribuisce l’intero α (da 87 in poi) a B (così anche Bethe). Wilamowitz (1884) 10 sgg., (1927) 122 sgg. nel tentativo, in sé corretto, di trovare tracce di T anche fuori da β–δ / ο, cercò tali tracce in α (preceduto da Heimreich 1871, 8 sgg. e seguito da Ronconi 1935 e da Merkelbach 19692, 20 sgg. che crede però in α siano presenti resti di R, non di T), ma credo che su questo punto Kirchhoff avesse ragione. Bergk (1872) 664– 665 non esclude che in α possa esserci qualche labile traccia della sua Urodyssee.

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10 Analisi di α–δ

dell’assemblea e del viaggio⁵⁶⁷; nulla in tali vv. può essere ricondotto a T (anche la meta del viaggio, indicata come Pilo e Sparta, 284– 285, non lascia dubbi). Che α 103 sgg. sia opera di B, da Kirchhoff in poi, lo hanno creduto in molti; che anche β sia opera di tale poeta è stato ipotizzato molto tempo dopo da Bethe. Nessuna delle due attribuzioni implica necessariamente l’altra: si può attribuire α a B continuando ad attribuire β–δ 619 a T (come fanno e. g. Wilamowitz e Schwartz), così come si può attribuire β a B cercando di collegare α direttamente a γ–δ. Io credo, tuttavia, che ci siano motivi sufficienti per attribuire sia α 103 sgg. sia β (a parte l’Ἰθακησίων ἀγορά) a B.

I proci in T A questo punto, eliminati i legami di T con α–β, si potrebbe essere tentati di seguire ulteriormente Bethe (e Merkelbach) e pensare che T fosse in origine un Kleinepos che conteneva solo il viaggio di Telemaco nel Peloponneso, privo di legami con tutto il resto della nostra Od. e in cui non era presente la τίσις. Io non credo a tale ipotesi; gli indizi decisivi contro di essa si trovano in ο–υ e dunque li esporrò più avanti. C’è però un argomento che è necessario trattare ora. In quello che è il nucleo indubitabile di T, cioè γ–δ, vi sono alcuni passi che parlano dei proci: Bethe e Merkelbach⁵⁶⁸, desiderosi di recidere qualsiasi legame fra T e il resto dell’Od., credono che tutti questi passi siano stati inseriti in T da B. Non credo che gli argomenti dei due filologi tedeschi siano validi. In γ 205 sqq. Nestore, dopo aver narrato a Telemaco il ritorno degli altri Greci, racconta la triste fine di Agamennone e aggiunge che, per fortuna, Agamennone aveva lasciato un figlio, il quale lo ha vendicato uccidendo Egisto. Poi aggiunge (γ 199 – 200): καὶ σύ, φίλος, μάλα γάρ σ᾽ ὁρόω καλόν τε μέγαν τε / ἄλκιμος ἔσσ᾽, ἵνα τίς σε καὶ ὀψιγόνων ἐὺ εἴπηι. Telemaco risponde augurandosi che gli dèi gli diano la forza di vendicarsi dell’arroganza dei proci, ma aggiunge di avere poche speranze che ciò avvenga. Nestore risponde: ὦ φίλ᾽, ἐπεὶ δὴ ταῦτά μ᾽ ἀνέμνησας καὶ ἔειπες, φασὶ μνηστῆρας σῆς μητέρος εἴνεκα πολλούς ἐν μεγάροισ᾽ ἀέκητι σέθεν κακὰ μηχανάασθαι. [εἰπέ μοι, ἠὲ ἑκὼν ὑποδάμνασαι, ἦ σέ γε λαοί

 L’affermazione di Wilamowitz, (1927) 123: «Entscheidend [cioè per l’attribuzione di α a B] ist vor allem die Unfreiheit der Form; lange Partiien sind geradezu ein Cento», è dunque solo in parte corretta.  Bethe (1922) 22– 27; Merkelbach (19692) 36 – 45.

I proci in T

ἐχθαίρουσ᾽ἀνὰ δῆμον, ἐπισπόμενοι θεοῦ ὀμφῆι.] τίς δ᾽οἶδ᾽ εἴ κέ ποτέ σφι βίας ἀποτείσεται ἐλθών, ἢ ὅ γε μοῦνος ἐὼν ἢ καὶ σύμπαντες ᾿Aχαιοί; εἰ γάρ σ᾽ ὣς ἐθέλοι φιλέειν γλαυκῶπις ᾿Aθήνη, ὡς τότ᾽ Ὀδυσσῆος περικήδετο κυδαλίμοιο δήμωι ἐνὶ Τρώων, ὅθι πάσχομεν ἄλγε᾽ ᾿Aχαιοί· οὐ γάρ πω ἴδον ὧδε θεοὺς ἀναφανδὰ φιλεῦντας, ὡς κείνωι ἀναφανδὰ παρίστατο Παλλὰς ᾿Aθήνη· εἴ σ᾽ οὕτως ἐθέλοι φιλέειν κήδοιτό τε θυμῶι, τῶ κέν τις κείνων γε καὶ ἐκλελάθοιτο γάμοιο«. τὸν δ᾽αὖ Τηλέμαχος πεπνυμένος ἀντίον ηὔδα· »ὦ γέρον, οὔ πω τοῦτο ἔπος τελέεσθαι ὀΐω· λίην γἀρ μέγα εἶπες· ἄγη μ᾽ ἔχει. οὐκ ἂν ἐμοί γε ἐλπομένωι τὰ γένοιτ᾽, οὐδ᾽εἰ θεοὶ ὣς ἐθέλοιεν«. τὸν δ᾽αὖτε προσέειπε θεὰ γλαυκῶπις ᾿Aθήνη· »Τηλέμαχε, ποῖόν σε ἔπος φύγεν ἕρκος ὀδόντων. ῥεῖα θεός γ᾽ ἐθέλων καὶ τηλόθεν ἄνδρα σαώσαι. βουλοίμην δ᾽ἂν ἐγώ γε καὶ ἄλγεα πολλὰ μογήσας οἴκαδέ τ᾽ ἐλθέμεναι καὶ νόστιμον ἦμαρ ἰδέσθαι, ἢ ἐλθὼν ἀπολέσθαι ἐφέστιος, ὡς ᾿Aγαμέμνων ὤλεθ᾽ ὑπ᾽ Αἰγίσθοιο δόλωι καὶ ἧς ἀλόχοιο. ἀλλ᾽ἦ τοι θάνατον μὲν ὁμοίϊον οὐδὲ θεοί περ καὶ φίλωι ἀνδρὶ δύνανται ἀλαλκέμεν, ὁππότε κεν δή μοῖρ᾽ὀλοὴ καθέληισι τανηλεγέος θανάτοιο.

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Il passo presenta alcune difficoltà e si è supposto che la menzione dei proci non sia originaria e sia stata inserita da B⁵⁶⁹. A mio giudizio le difficoltà cominciano

 Così Bethe (1922) 22– 25, che attribuisce a B γ 195 – 248; Page (1955) 174– 176; Merkelbach (19692) 37– 41, che attribuisce a B 195 – 229 e suppone che nella sequenza originaria di T Nestore, dopo aver rammentato la triste fine di Agamennone (193 – 194), parlasse di Aiace Oileo, Menelao e Odisseo, del quale confessava di non sapere nulla, che seguisse quindi un discorso pieno di disperazione di Telemaco e che quindi Nestore rispondesse con 230 sgg. (che nella nostra Od. sono invece pronunciati da Atena/Mentore). A me pare, invece, che il lungo discorso di Nestore (103 – 200) ci sia pervenuto nella sua forma originaria, senza alcuna rielaborazione: Telemaco gli ha chiesto (92– 101) se sa che fine abbia fatto Odisseo e come questi si era comportato durante la guerra. Nestore risponde in maniera del tutto esaustiva e coerente a entrambe le domande: prima ricorda il comportamento di Odisseo in tempo di guerra (120 – 129), poi narra l’inizio del νόστος, la lite fra Agamennone e Menelao e la partenza di quest’ultimo insieme a Nestore stesso e Odisseo. Arrivati a Tenedo, Odisseo torna indietro per ricongiungersi ad Agamennone, mentre Nestore stesso, assieme a Diomede e Menelao, prosegue alla volta della Grecia, ove giungono sani e salvi. Queste cose (cioè quello che va fino a 183) Nestore le sa per averle viste lui stesso. Poi Nestore dice che anche Neottolemo, Filottete e Idomeneo sono arrivati sani e salvi in patria, mentre di Agamennone, dice Nestore, non c’è bisogno che io dica, perché la sua fine è ben nota; è evidente che di questa seconda serie di eroi (Neottolemo ecc…) Nestore sa solo per sentito dire,

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10 Analisi di α–δ

con 214. Che 214– 215 siano interpolati qui da π 95 – 96 mi pare sicuro: basta a dimostrarlo l’evidente contraddizione fra ἀέκητι (213) e ἑκών (214). Ha dunque ragione Bekker a supporre che si tratti di un’interpolazione rapsodica (non B). Tuttavia, anche eliminati i due vv., il testo non diviene soddisfacente: 216 – 217 fanno riferimento a Odisseo⁵⁷⁰, ma nel seguito il discorso si sposta tutto su Telemaco: Nestore dice (218 – 224) che, se Atena proteggerà Telemaco come proteggeva Odisseo, i proci si dimenticheranno presto del matrimonio. Telemaco risponde (226 – 228) che egli non osa sperare una cosa del genere, nemmeno se un dio lo favorisse. Mi pare evidente che l’unica cosa cui può pensare Telemaco è che sia lui stesso a uccidere i proci: non si spiegherebbe altrimenti l’espressione di grande stupore (227) davanti alle parole di Nestore: quest’ultimo ha prospettato la possibilità che Telemaco stesso, con l’aiuto di Atena, tolga di mezzo i proci e il giovane risponde che una cosa del genere a lui (a differenza, egli sottintende, che a suo padre) non riuscirebbe nemmeno con l’aiuto di una divinità. Mi pare quindi che 216 – 217 siano inconciliabili con 218 – 228, poiché i primi legano l’eliminazione dei proci al ritorno di Odisseo, i secondi all’azione del solo Telemaco aiutato da Atena. A questo punto interviene Atena/Mentore e dice (230 – 238) che una divinità riuscirebbe a riportare in patria (231: σαώσαι⁵⁷¹) anche chi è lontano e che è preferibile tornare in patria più tardi, dopo lunghe peregrinazioni, piuttosto che tornarci prima, ma, una volta tornato, fare la fine di Agamennone. È evidente che qui ci si riferisce di nuovo a Odisseo e si suppone che a eliminare i proci sia Odisseo. Riprende quindi la parola Telemaco (240 –

non per conoscenza diretta. Non c’è quindi motivo di dire (come fa Merkelbach 19692, 40, seguito da Page 1955, 175) che Nestore non risponde alla domanda di Telemaco circa Odisseo: Nestore risponde dicendo tutto quello che sa su Odisseo e a 184– 185 dice esplicitamente di non sapere altro. Non è, inoltre, vero che la menzione di Egisto e Oreste (193 sgg.) è una Ablenkung (Merkelbach) rispetto alla domanda di Telemaco circa il padre: al contrario la menzione della morte di Agamennone e della vendetta di Oreste è qui perfettamente al suo posto, cioè alla fine delle vicende di cui Nestore sa solo per sentito dire.  Zenodoto leggeva ἀποτείσεαι ἐλθών, / ἢ σύ γε, riferendo dunque la possibile vendetta sui proci a Telemaco. La variante zenodotea va rifiutata: mentre ἐλθών è ben comprensibile se riferito a Odisseo di ritorno dal lungo viaggio (cfr. ω 480: Ὀδυσεὺς ἀποτείσεται ἐλθών, ε 24), più difficile pare riferirlo a Telemaco di ritorno dal viaggio a Pilo. Anche l’opposizione μοῦνος / σύμπαντες ᾿Aχαιοί pare più pertinente se riferita a Odisseo, del quale si ignora se tornerà da solo o insieme ai compagni (si osservi la somiglianza con ω 426 sqq.: ᾿Aχαιοί viene riferito ai compagni di Odisseo morti durante il vaggio ed ἐλθών allo stesso Odisseo). La ragione che ha spinto qualcuno a introdurre la variante testimoniata da Zenodoto è evidente: nei versi precedenti e successivi a 216 – 7 si parla di Telemaco e dunque un lettore può trovare sorprendente la menzione di Odisseo. West (2014) 162, nota 33 pensa a varianti risalenti all’autore, ma io non vedo ragioni per un’ipotesi del genere.  Τηλόθεν ἄνδρα σαώσαι significa far tornare un uomo da lontano, cfr. e. g. ε 452– 453.

I proci in T

247

252) che esprime sfiducia circa il ritorno di Odisseo e chiede a Nestore di dirgli piuttosto dove fosse Menelao quando Egisto uccideva Agamennone. Dunque, il testo procede chiaro e coerente fino a 213, dopo (eliminati 214– 215, interpolazione successiva a B) alcuni vv. (216 – 217, 230 – 238) sembrano immaginare che Telemaco si liberi dei proci con l’aiuto del padre tornato, altri vv. (218 – 228) che egli riesca a farlo col solo aiuto di Atena (quindi senza Odisseo). Si possono immaginare tre soluzioni: espungere 218 – 224⁵⁷²(1); espungere 229 – 240⁵⁷³ (2); cercare di dare un senso al testo tràdito (3). (1) è la soluzione apparentemente più semplice, ma a me pare che le parole di profonda sorpresa da parte di Telemaco (226 – 228) non si spieghino davanti all’idea che Odisseo possa tornare e togliere di mezzo i proci: tali parole stanno invece benissimo se egli ha appena sentito parlare della possibilità che Atena dia il suo aiuto direttamente a lui per eliminare i proci: si tratterebbe, agli occhi del giovane, di prendere il posto del padre, ruolo al quale non si sente ancora adeguato. (2) è la soluzione più persuasiva: in questo modo tutto il discorso verterebbe sulla possibilità che Telemaco, senza l’aiuto del padre, riesca, grazie al soccorso di Atena, a liberarsi dei proci. 228 può precedere direttamente 241 e le interpolazioni sono dovute a qualcuno che ha voluto indirizzare il discorso su Odisseo, poiché pareva troppo ardito che Telemaco affrontasse i proci senza Odisseo⁵⁷⁴. (3): in questo modo bisogna immaginare che il favore di Atena verso Telemaco (218 – 224) consista nel far tornare Odisseo⁵⁷⁵; questo è davvero problematico: come si può dire «o volesse Atena esserti propizia come lo era a tuo padre», quando si ha in mente il ritorno del padre? È evidente che l’aiuto della dèa stavolta deve andare direttamente a Telemaco. Si aggiunga che l’obiezione che ho mosso alla soluzione (1) vale anche per (3), poiché lo stupore di Telemaco si riferisce anche con (3) alla possibilità che i proci vengano eliminati grazie al ritorno di Odisseo. In ogni modo, qualsiasi delle tre soluzioni si scelga, resta che non c’è motivo di sospettare di 205 – 213, e che quindi la menzione dei proci fa parte del contesto originario di T. In γ 313 sgg. Nestore, dopo aver narrato a Telemaco che Menelao giunse in patria proprio lo stesso giorno in cui Oreste stava celebrando il banchetto funebre per l’uccisione di Egisto, esorta Telemaco a non rimanere a lungo lontano

 Così Düntzer e altri, cfr. Hentze (18904) 77.  Così Czyczkiewicz (1889) 36; Hentze (18904) 78.  L’espunzione di 229 – 240 porta con sé quella di 244– 246 (che si raccomanda anche per altri motivi, cfr. Hentze, 18904, 78 – 79), dal momento che, sparito l’intervento di Atena/Mentore, Telemaco non può rivolgersi a Nestore come a persona estranea all’ultima parte della discussione (come avviene in 244– 246).  Così Ameis-Hentze-Cauer ad 223.

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10 Analisi di α–δ

da casa, affinché i proci non gli consumino tutte le sostanze. Si è anche qui supposto che il contesto originario non menzionasse i proci⁵⁷⁶, ma le ragioni addotte sono debolissime. La difficoltà consisterebbe nel fatto che Nestore, dopo aver esortato Telemaco a tornare presto in patria (313 – 316), lo esorta ad andare da Menelao, dunque a prolungare il soggiorno lontano da casa. Tuttavia, le parole di Nestore sono del tutto coerenti, poiché, dopo aver consigliato al giovane di tornare presto a casa, aggiunge ἀλλ᾽ ἐς μὲν Μενέλαον ἐγὼ κέλομαι καὶ ἄνωγα / ἐλθεῖν, ove μέν indica che Nestore è consapevole che sta in parte rettificando quanto detto prima. In δ 156 sgg. Pisistrato, dopo che Elena e Menelao hanno ravvisato somiglianze fra Telemaco e Odisseo, rivela loro che effettivamente hanno davanti il figlio di Odisseo, e che egli è venuto a Sparta, su suggerimento di Nestore, perché Menelao lo aiuti, dal momento che egli ha problemi a casa e non ha chi lo assista. 163 – 167, i vv. cioè in cui Pisistrato parla dei problemi ἐν μεγάροισι di Telemaco, sono espunti da Aristarco e da molti moderni⁵⁷⁷. Crea grave difficoltà che Pisistrasto citi come ragione del viaggio i problemi in casa di Telemaco, e non il desiderio di avere notizie circa il padre, nonché il fatto che Menelao nel seguito sembri ignorare questa parte del discorso di Pisistrato. In questo caso, le ragioni dell’espunzioni sembrano anche a me cogenti. In δ 316 – 331 Telemaco spiega a Menelao le ragioni della propria visita: dopo aver detto che è venuto per avere notizie del padre e che i proci infestano la sua casa, il giovane chiede a Menelao di dirgli tutto ciò che sa circa la sorte di Odisseo e di ricordargli il comportamento del padre a Troia. La risposta di Menelao inizia con un’invettiva contro i proci e prosegue con la narrazione delle proprie peregrinazioni e di quanto in esse ha appreso circa Odisseo. Si è supposto che la menzione dei proci sia stata inserita da B⁵⁷⁸, poiché il passaggio fra la dichiarazione del motivo del viaggio e il lamento sulla situazione di Itaca (317– 318 sgg.) è parso troppo brusco e non articolato con sufficiente logica. A me pare, invece, che il discorso di Telemaco sia del tutto chiaro e logico: prima egli dice a Menelao che è venuto a chiedere notizie del padre, poi lamenta il comportamento dei proci e a questo punto, con evidente Steigerung, prega Menelao di dirgli tutto quello che sa. La menzione dei proci (318 – 321), e quindi della propria condizione di difficoltà, è del tutto funzionale a ottenere che Menelao

 Così Bethe (1922) 25 e Merkelbach (19692) 41– 42, che attribuiscono 313 – 316 a B; contra Page (1955) 176 – 177.  E. g. Hennings (1903) 90 – 91; Bethe (1922) 25 – 26; Schwartz (1924) 308; Merkelabach (19692) 42– 43; Page (1955) 177 (ma più scettico) e molti altri, cfr. Hentze (18904) 103 – 104.  Così Bethe (1922) 26 – 27, che attribuisce a B 318 – 346, Merkelbach (19692) 43 – 44. Contra Page (1955) 177– 178.

δ 620 – 847 e sguardo complessivo su α 103–δ

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faccia tutto lo sforzo possibile per ricordare e dirgli ciò che sa. Anche questa menzione dei proci può dunque essere attribuita senza problemi a T. Non ci sono ragioni valide per eliminare da γ–δ i riferimenti ai proci⁵⁷⁹.

δ 620 – 847 e sguardo complessivo su α 103–δ Abbiamo fin qui esaminato i principali problemi di α 103–δ 619. In δ fino al v. 619 la scena è a Sparta dentro la reggia di Menelao, dove si trova Telemaco. Siamo senza dubbio all’interno di T. Come vedremo discutendo π, è probabile che in T a δ 619 seguisse ο 80 sgg. In δ, dopo alcuni vv. di raccordo (620 – 624), la scena passa ex abrupto dalla reggia di Sparta a quella di Itaca, ove i proci vengono a sapere che Telemaco è partito da alcuni giorni alla volta di Pilo e decidono di tendergli un agguato con una nave. Come questo attentato dei proci si inserisca nell’Od. e, in particolare, in T non è chiaro. È certo che la sua inserzione è stata fatta nella maniera tipica in cui vengono fusi due epe di origine diversa: una scena viene spezzata per poi essere ripresa e le due scene hanno in comune alcuni vv. Questo fatto è una prova fortissima che con δ 625 cambi la «fonte». D’altra parte, se non ci fosse questo cambio di fonte, non ci spiegheremmo il cambio di scena: perché B avrebbe dovuto spezzare la scena spartana, se l’agguato dei proci lo avesse derivato dalla stessa fonte? Se il viaggio di Telemaco a Sparta e l’agguato derivassero dallo stesso epos, essi avrebbero già avuto un collegamento; perché rinunciare a tale collegamento già esistente e creare una palese sutura come quella che incontriamo in δ 625? Se anche era necessario spezzare la scena spartana per introdurre il νόστος (ε–ν), non c’era nessuna necessità di frapporre, fra la prima parte della scena spartana e l’inizio del νόστος, l’agguato dei proci: molto più comodo sarebbe stato lasciarlo dove avrebbe dovuto essere, cioè alla fine dell’episodio spartano⁵⁸⁰. Tanto più che l’inserzione dell’agguato prima del νόστος ha creato una grave difficoltà cronologica (cfr. p. 254): i proci restano in agguato circa un mese! La cosa di per sé non è impossibile, ma, se davvero i proci fossero rimasti in agguato così tanti giorni, ci aspetteremmo di trovarne qualche traccia nel testo. L’impressione che ho è che δ 625 – 847 siano in gran parte una creazione ex novo di B (sebbene

 Cfr. Theiler (1950) 115.  Wilamowitz (1927) 128 – 132 suppone che δ 625 – 847 (con l’eccezione della scena dell’εἴδωλον, 795 – 841, che attribuisce a B) si trovasse in origine fra la fine di γ e l’inizio di δ, dunque facesse parte di T fin dall’origine, sebbene in forma un po’ diversa. Ma perché B avrebbe dovuto spostare questa sezione?

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10 Analisi di α–δ

qualcosa sia stato attinto da T)⁵⁸¹. Esporrò le ragioni strutturali di questa mia opinione discutendo π 342 sgg., poiché per orientarsi è necessario avere presente T nel suo complesso. Qui mi limito ad alcune osservazioni su singoli vv. Si notano una serie di prestiti da altre parti dell’Od., spiegabili in B, molto più problematiche in T. 628 – 629: occorrono identici in φ 186 – 187 e sembrano presi meccanicamente da qui, poiché affermare che Antinoo ed Eurimaco eccellono su tutti i proci ha senso quando stanno per provare a tendere l’arco di Odisseo, mentre in δ è del tutto superfluo, se non addirittura fuori luogo. 640: συβώτης senza ulteriori determinazioni (di Eumeo non si è mai parlato finora) sembra presupporre un epos già esistente in cui Eumeo ha un ruolo ben noto, dunque più probabilmente l’Od. di B che T⁵⁸². 735 – 741: Dolio e il suo legame con Penelope sembrano presupporre ω2⁵⁸³. 767– 771: i proci sentono Penelope che grida e ne deducono che ella vuole sposare uno di loro: forse è una variazione di ψ 148 sgg., poiché il pensiero delle nozze nasce più facilmente sentendo musica e ballo che non una donna che grida di disperazione. δ 837 = λ 464: ζώει ὅ γ᾽ ἦ τέθνηκε· κακὸν δ᾽ ἀνεμώλια βάζειν. In δ è l’εἴδωλον Atena/Iftime che risponde a Penelope di non sapere se Odisseo è vivo o morto, in λ è Odisseo che risponde così ad Agamennone circa Oreste. Non è facile stabilire l’originale, ma la bilancia pende a favore di λ, poiché alcuni vv. dopo (λ 505) Odisseo risponde con la stessa laconicità ad Achille che gli chiede notizie di Peleo. In α 103–δ 847 sono dunque identificabili tre poeti: il poeta-redattore (B), quello dell’Ἰθακησίων ἀγορά e il poeta della Telemachia. Mentre con B e T avremo a che fare fin quasi alla fine del poema, dell’Ἰθακησίων ἀγορά non troveremo più tracce. Da β 163 sgg. si deduce che Odisseo si trova già a Itaca; questo potrebbe indurre a legare il nostro epos a uno dei tre epe utilizzati da B nella seconda parte del poema (Eumaiosepos, Melanthoepos, L), ma a me non pare esistano legami con nessuno dei tre. Lo studioso che ha «scoperto» l’esistenza della Ἰθακησίων ἀγορά, Bethe, la ha assegnata al suo Eumaiosepos ⁵⁸⁴. Io

 Così già Hennings (1903) 141.  Così Hennings (1903) 129; cfr. già Kirchhoff (18792) 193: «Der Verfasser hat aber vergessen, dass dieser [scil. Eumeo] den Hörern oder Lesern noch gar nicht vorgestellt worden ist, und behandelt ihn irrthümlicher Weise als einen alten Bekannten»; West (2014) 174.  Così Wilamowitz (1927) 82, nota 2. In effetti in ω Dolio è parte integrante e funzionale del contesto, in δ Penelope dice di volerlo usare per un messaggio a Laerte, ma la cosa resta senza effetto; forse B si è ispirato a ω 405? Su Dolio in generale cfr. da ultimo Haller (2013), ma l’idea che nella nostra Od. si alluda a una storia, secondo cui Odisseo tornava a Itaca con un seguito di armati e riconquistava Itaca con la forza, non mi convince.  Bethe (1922) 88 – 89; sulla stessa linea Merkelbach (19692) 15 – 26, 136 sgg., che attribuisce la Ἰθακησίων ἀγορά a R: sebbene R di Merkelbach differisca profondamente dall’Eumaiosepos di Bethe, anche R costituisce un epos confluito nella seconda parte della nostra Od.

δ 620 – 847 e sguardo complessivo su α 103–δ

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credo che, in qualsiasi modo si analizzi la seconda parte dell’Od., non c’è modo di stabilire un legame fra l’assemblea di β e un altro epos confluito nella nostra Od. Quando, durante l’assemblea, viene introdotto Mentore (225 sgg.) si dice che Odisseo gli aveva affidato di custodire, durante la sua assenza, la sua casa. È un particolare che non trova corrispondenza altrove nel poema⁵⁸⁵, ma di cui ci aspetteremmo di incontrare qualche traccia nei libri ξ–ω, ove la casa di Odisseo e i rapporti al suo interno sono al centro dell’attenzione. β 38 parla di un κήρυξ Pisenore, di cui non incontriamo più traccia nel poema, sebbene ci sarebbero state molte occasioni di reintrodurlo; lo stesso può dirsi di Egizio (15). Il proco Leocrito (242) ricompare solo nella μνηστηροφονία (χ 294), dove probabilmente lo ha introdotto B⁵⁸⁶; eppure dei proci si parla continuamente in ξ–ω e le occasioni per reintrodurlo sarebbero state molteplici. Più complessa la situazione per l’indovino Aliterse, che ricompare anche in ρ 68 (T) e in ω 451 (L): in quest’ultimo passo vi è una palese allusione a β, sicché l’unica spiegazione possibile è L conoscsse l’Ἰθακησίων ἀγορά: che, infatti, si tratti dello stesso epos è escluso, perché in L i sudditi di Odisseo si chiamano (anche) Κεφαλλῆνες ed è difficile immaginare che di tale appellativo in β non sia rimasta traccia. ρ 68 fa parte di un compendio di T fatto da B e non consente di capire se vi fosse un qualche rapporto con β (altri rapporti fra T e l’Ἰθακησίων ἀγορά non sono dimostrabili). L’Ἰθακησίων ἀγορά è dunque un epos di cui non esistono altre tracce nella nostra Od. È impossibile dire come iniziasse e cosa comprendesse; certo, il fatto che Odisseo fosse a Itaca rende ovvio supporre che ci fosse la μνηστηροφονία. L’analisi di α 103–δ ha confermato l’idea kirchhoffiana che α sia opera di B; i tentativi di Wilamowitz di trovarci tracce di T non convincono. Per quanto concerne β l’analisi decisiva si deve a Bethe, che ha riconosciuto che l’Ἰθακησίων ἀγορά è un epos che non a nulla a che fare con T e che il resto di β è opera di B. Nel complesso, si può affermare che l’analisi di α 103–β proposta da Bethe, che esclude qualsiasi presenza di T, è corretta. È invece da rifiutare l’idea di Bethe e Merkelbach che in γ–δ 619 tutte le menzioni dei proci siano state inserite da B; questa idea si inquadra nella convinzione dei due studiosi tedeschi che T fosse un Kleinepos che non narrava la τίσις. Rispetto a Kirchhoff, che riteneva T alla base di β–γ–δ, Bethe ne ha ristretto la presenza ai soli γ–δ, mentre Wilamowitz ha cercato di estenderla anche a α. Da questo punto di vista Bethe aveva ragione, ma Wilamowitz aveva ragione a pensare che T contenesse la τίσις; ce ne ac Cfr. Jacob (1856) 370; S. West ad β 226 – 227; Danek (1998) 75; M. L. West (2014) 157. Probabilmente 227 va espunto con van Herwerden, poiché la presenza di Laerte qui è problematica; questo non ha tuttavia a che fare con quanto stiamo discutendo.  Cfr. p. 346.

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10 Analisi di α–δ

corgeremo analizzando ο–ρ e υ. L’analisi di queste rapsodie ci confermerà poi che l’ultima parte di δ è freie Erfindung di B, come tutto quello che concerne l’agguato per mare dei proci contro Telemaco.

11 Analisi di α 1 – 102, ε–μ I due concili divini (α/ε): una scena spezzata Nel capitolo precedente abbiamo analizzato α a partire da 103, poiché 1– 102 devono essere analizzati insieme a ε. α inizia con un’assemblea divina (26 – 95), nella quale Atena, dopo aver sollecitato l’invio immediato (τάχιστα, 85) di Ermes a Ogigia, affinché ordini a Calipso di far tornare Odisseo a Itaca (84– 87), dice di voler ella stessa andare a Itaca, per sollecitare Telemaco a convocare l’assemblea degli Itacensi e, successivamente, a intraprendere un viaggio a Pilo e Sparta, per avere informazioni circa Odisseo e acquistare fama fra gli uomini. A tale discorso di Atena non segue una risposta da parte degli altri dèi, ma la descrizione del suo viaggio verso Itaca (96 – 103). Questo è molto strano, poiché l’invio di Ermes senza dubbio poteva avvenire solo con il consenso di Zeus, ma Zeus qui non prende più la parola. L’azione prosegue con Atena che, sotto le sembianze di Mente, consiglia a Telemaco di convocare l’assemblea degli Itacesi e di andare a Pilo e a Sparta (α 103 – 324). Telemaco accetta di buon grado tali consigli e il resto del libro α e β–δ 619 sono dedicati alla descrizione dell’assemblea e dei viaggi di Telemaco a Pilo e Sparta. Il resto di δ è, invece, dedicato alla descrizione degli eventi itacesi durante l’assenza di Telemaco e all’attentato che i proci organizzano contro di lui. ε inizia con una seconda assemblea divina, in cui Atena prende la parola per lamentare come gli dèi siano indifferenti ai dolori di Odisseo e come Telemaco rischi la vita a causa dell’attentato dei proci (7– 20). Prende quindi la parola Zeus e prima esorta Atena, affinché ella stessa si occupi della salvezza di Telemaco, poi si rivolge a Ermes comandandogli di andare da Calipso e di ordinarle di lasciar partire Odisseo alla volta di Itaca. A questo ordine segue la partenza di Ermes, il suo arrivo a Ogigia e la partenza di Odisseo verso Itaca (ε 43 – 269). Durante il secondo concilio divino non vi è alcun accenno al precedente concilio e l’invio di Ermes, che pure era stato urgentemente (τάχιστα!) richiesto da Atena nel precedente concilio senza che nessuno le si fosse opposto, viene presentato come fosse una novità⁵⁸⁷. Davanti a tale sovrapposizione fra i due concili divini (un vero monstrum), si è addirittura supposto che il concilio sia in realtà uno

 Cfr. Koës (1806) 19: «In rhaps. ε initio mentionem tandem facit Dea Ulissis, ea vero ratione, quasi carmen plane novum νόστον Ulissis exhibens […] incipiat. Memorantur quidem nonnulla in praecedentibus libris cantata […] quae tamen haud sufficiunt ad vere probandum et evincendum, in rhaps. ε continuari descriptionem jam in α designatam.» https://doi.org/10.1515/9783110652963-011

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11 Analisi di α 1 – 102, ε–μ

solo, narrato due volte⁵⁸⁸: questa soluzione è del tutto impossibile, poiché i versi in cui Atena parla del viaggio di Telemaco e dell’attentato dei proci (ε 18 – 20) presuppongono gli avvenimenti di δ; inoltre ε inizia con l’aurora e tale momento va senza dubbio inteso come immediatamente successivo alla sera con cui si chiude δ (786, 842– 7). Il viaggio di Telemaco verso Pilo e Sparta e quello di Odisseo verso Itaca, dunque, vengono entrambi introdotti da un concilio divino, ma che rapporto vi sia fra i due concili non è facile da spiegare. Vi è, tuttavia, una difficoltà forse ancora maggiore. Il viaggio di Odisseo da Ogigia a Itaca dura 25 giorni; se vi aggiungiamo i giorni trascorsi a Ogigia, fra il concilio divino di ε e l’arrivo dell’eroe a Itaca passano circa 30 giorni⁵⁸⁹. Quanti giorni dura il viaggio di Telemaco? Nell’Od. quale la leggiamo noi, posto che fra δ 619 e ο 1 trascorrono appunto circa 30 giorni, circa 36⁵⁹⁰. Telemaco, allorché Menelao gli offre di restare a Sparta 11/12 giorni, rifiuta, affermando che i suoi compagni di viaggio, che lo attendono sulla nave a Pilo, sono già disturbati dall’attesa (δ 587– 599). Tale colloquio fra Menelao e Telemaco ha luogo dopo quattro giorni che Telemaco è in viaggio e dopo due che è a Sparta: a che punto sarebbe arrivato il fastidio dei compagni di viaggio, se Telemaco fosse rimasto un mese da Menelao? Eppure mai nella nostra Od. vi è un accenno a un prolungamento eccessivo del soggiorno di Telemaco a Sparta. L’incongruenza sparisce se noi uniamo δ 619 a ο 80 sgg.: la scena del colloquio fra Menelao e Telemaco è stata spezzata in due (da B) e nel contesto originario (cioè in T, in cui appunto δ 619 era seguito da ο 80) Telemaco restava a Sparta due giorni; solo l’inserimento (del tutto meccanico e secondario) che B ha fatto di δ 620–ο 79 all’interno del contesto di T ha

 Cfr. e. g. Olson (1995) 101– 102.  18 giorni dura la navigazione dalla partenza da Ogigia fino alla tempesta (ε 278 – 279), poi l’eroe rimane in mare per 3 giorni (ε 388) e per altri 2 presso i Feaci (ζ–ν). Per i giorni trascorsi a Ogigia cfr. ε 225, 262.  Ai giorni che abbiamo calcolato per l’intervallo fra il concilio divino di ε e l’arrivo di Odisseo a Itaca, vanno infatti aggiunti i giorni di viaggio di Telemaco descritti in β–δ, che cronologicamente precedono gli eventi di ε–ν, cui va aggiunto il primo giorno trascorso da Odisseo a Itaca (ν 187–ξ 533). Merkelbach (19692) 67– 8, nota 2 crede che il giorno che inizia con ο 50 – 56 sia lo stesso di cui si parla da ν 187 a ξ 533, ma questo non può essere vero: innanzitutto in tale giorno Atena parla con Odisseo a Itaca quando il sole si è già alzato (ν 221 sqq.) e, poiché alla fine di tale colloquio la dèa dice che ella andrà da Telemaco a Sparta (412– 3: ὄφρ᾽ ἂν ἐγὼν ἔλθω Σπάρτην ἐς καλλιγύναικα / Τήλεμαχον καλέουσα), è evidente che Atena non può arrivare a Sparta prima che sorga il sole dello stesso giorno; inoltre, poiché alla fine di ξ si conclude il giorno che era iniziato con ν 187, non è possibile che all’inizio di ο si torni all’inizio del giorno già concluso, poiché tali regressioni sono ignote all’epica omerica. Con ο 56 inizia il giorno successivo al primo giorno che Odisseo trascorre da Eumeo.

I due concili divini (α/ε): una scena spezzata

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prolungato il soggiorno di Telemaco di più di un mese. Questi fatti (che furono compresi in maniera chiara per la prima volta da Kirchhoff) costituiscono la base dell’analisi dell’Od. e mai si sarebbe dovuto metterli in discussione⁵⁹¹. Torniamo ora al doppio concilio divino di α ed ε. Alla fine del primo concilio gli dèi sono concordi nell’inviare Ermes immediatamente (85: τάχιστα) da Calipso, ma tale invio segue solo alcuni giorni più tardi (ε 43). Non c’è nessun motivo per tale dilazione: tutti gli dèi sono d’accordo a inviare Ermes da Calipso (con l’eccezione di Posidone, il quale è però assente in α come in ε) e nulla, da un punto di vista logico e della coerenza del poema, avrebbe impedito che Ermes andasse da Calipso in α. La ragione per cui Ermes resta immotivatamente inattivo è la stessa per cui Telemaco resta, altrettanto immotivatamente, più di un mese a Sparta: anche fra α ed ε B ha spezzato una scena (il concilio divino). La scena spezzata si trovava all’interno dell’epos che noi chiameremo K: dunque l’inserimento di T (nella versione allungata di B, cioè α 103–δ 847) all’interno di K ha creato l’incongruenza di Ermes che, ricevuto l’ordine di andare da Calipso, lascia passare più giorni prima di eseguire tale ordine, così come l’inserimento di K + Eumaiosepos (cioè ε–ξ) all’interno di T ha creato l’ncongruenza della lunga sosta di Telemaco a Sparta. Dunque il concilio divino di α–ε è una scena spezzata, esattamente come il colloquio fra Telemaco e Menelao (δ–ο). Il fatto che Ermes venga inviato da Calipso dimostra che tale concilio si trovava originariamente in K. B aveva interrotto il concilio ad α 95 con Atena che parte alla volta di Itaca. Riprendendo tale concilio all’inizio di ε, B lo ha fatto ricominciare daccapo: così come nel caso del colloquio fra Menelao e Telemaco, B ha dovuto saldare la seconda parte della scena spezzata a quanto la precede nel nuovo contesto e i primi vv. di ε hanno,

 Cfr. Kirchhoff (18792) 190 sgg. e 502 sgg. (già Koës 1806, 6 sgg., Thiersch 1821, 129 sgg., Müller 18362, 104 sgg. avevano compreso la sostanza del problema); Wilamowitz (1927) 1 sgg.; Merkelbach (19692) 47: «man darf sagen, daß jede Hypothese über die Entstehung der Odyssee, welche diese einfache Verhältnisse [cioè quelle che Kirchhoff ha stabilito fra δ / ο e α / ε] nicht berücksichtigt, von vorneherein falsch ist». Tentativi di giustificare le contraddizioni osservate da Kirchhoff in un’ottica unitaria si trovano in Hölscher (1939) 22 sgg.; Heubeck (1954) 52; West (2014) 111 sgg. Si è cercato di giustificare l’incongruenza appellandosi alla lex Zielinski, ma essa non ha nulla a che fare con il nostro problema. È vero che i poeti epici a volte narrano eventi contemporanei come fossero successivi, ma si tratta di incongruenze minime, che riguardano eventi di durata molto breve; e anche quando ci sono queste incongruenze, mai il poeta dà informazioni cronologiche che contrastano in maniera stridente fra loro come nel caso del soggiorno a Sparta di Telemaco e dell’invio di Ermes. Inoltre, la lex Zielinski non dà alcuna spiegazione del doppio concilio divino né dello spezzamento della scena a Sparta. La lex Zielinski non contribuisce in nulla a chiarire la genesi dell’Od. Sulla lex Zielinski cfr. da ultimo Rengakos (1995); Nünlist (1998); Scodel (2008); Pozdnev (2016).

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11 Analisi di α 1 – 102, ε–μ

in questo senso, la stessa funzione di ο 1– 89. Una conferma a questa ricostruzione la offre l’analisi dei primi vv. di ε, dove è facilissimo riconoscere la mano di B. Atena prende la parola per lamentare la sorte di Odisseo e, come abbiamo visto⁵⁹², il poeta le fa usare le parole che aveva usato Mentore nell’assemblea di β, che nel contesto di ε sono del tutto inappropriate. Abbiamo anche visto che in un altro discorso di Atena, quello che ella rivolge a Telemaco (α 267 sgg.), sono presenti vv. presi a prestito (anche stavolta in maniera piuttosto maldestra) dall’assemblea degli Itacesi di β. Evidentemente l’Ἰθακησίων ἀγορά aveva impressionato molto B, che non solo la ha inserita nell’Od., ma ne ha usato i vv. a più riprese. Dunque, possiamo essere sicuri che la mano di B è all’opera all’inizio di ε. ε 8 – 12 sono tratti da β 230 – 234; anche i vv. immediatamente successivi (ε 14– 17) occorrono uguali in un altro punto dell’Od. (δ 557– 560): stavolta non ci sono palesi incongruenze che mostrino quale è la fonte, ma, considerato che il passo di δ deriva da T e che B ha costruito la prima parte della sua Od. proprio unendo Ἰθακησίων ἀγορά e T, non sarà temerario congetturare che la fonte è δ⁵⁹³. Nei vv. immediatamente successivi Zeus risponde ad Atena (ε 22– 27) che è stata lei a organizzare tutto questo (23: τοῦτον μὲν ἐβούλευσας νόον αὐτή), «affinché Odisseo, tornato, si vendichi di loro» (24: ὡς ἦ τοι κείνους Ὀδυσεὺς ἀποτείσεται ἐλθών). I vv. 23 – 24 occorrono uguali in ω 479 – 480, ove a pronunciarli è ancora Zeus che si rivolge ad Atena. Anche qui, sembra che ε sia la copia, poiché in ε l’uccisione dei proci (il νόον, il «proposito» di Atena) non è ben contestualizzata, mentre in ω lo è perfettamente⁵⁹⁴; del resto, che B attinga da ω non meraviglia⁵⁹⁵. Anche un altro indizio mostra che siamo davanti a B, la menzione dell’agguato dei proci (ε 18 – 20), che è stato introdotto per la prima volta da B nella nostra Od. ⁵⁹⁶ Da un punto di vista formale, l’inizio di ε è quasi un centone⁵⁹⁷. Assai confortante è vedere qui come i risultati dell’analisi strutturale coincidano con quelli dell’analisi formale: la prima induce a sospettare che l’inizio del concilio divino di ε sia opera di B, la seconda ce ne dà la conferma. Ma fin dove arriva l’opera di B e dove inizia, invece, K? Certo quest’ultimo non inizia prima di 27⁵⁹⁸; il discorso di Zeus a Ermes (29 – 42) è probabilmente il primo pezzo che conserva

      

Cfr. p. 3 sgg. Cfr. p. 4. Cfr. Hennings (1903) 42; Wilamowitz (1927) 82; Ameis-Hentze-Cauer ad ω 479 – 480. Cfr. quanto detto a proposito di α 185 = ω 308, p. 242– 243. Cfr. p. 319 sgg. Un’analisi sistematica in Hennings (1857– 1860) 152 sgg. Cfr. anche p. 3 sgg. 25 – 27 presuppongono il viaggio di Telemaco, dunque la riunione di T con K.

I due concili divini (α/ε): una scena spezzata

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tracce di K; 30 – 31 occorrono uguali in α 86 – 87, con la solita tecnica di B di ripetere qualche vv. della scena originaria in entrambi i segmenti della scena spezzata⁵⁹⁹; del resto, il v. immediatamente precedente in α (85) contiene proprio il famoso τάχιστα, che non può che derivare da K. È possibile che già da 29 abbiamo qualcosa di K, ma la sostanza sembra ancora di B⁶⁰⁰: all’interno di un discorso di Zeus suona strano l’ottativo ἵκοιτο (34) e sembra sia una maldestra imitazione di Ι 363⁶⁰¹; a 38 – 40 Zeus parla delle ricchezze che Odisseo riceverà dai Feaci: i vv. occorrono uguali in ν 136 – 138, ma lì sembrano più opportuni, poiché Posidone vuole sottolineare che Odisseo ha già avuto tutto quello che gli era dovuto; quando Ermes riferisce a Calipso gli ordini di Zeus circa Odisseo (ε 97– 115), del discorso di Zeus sembrano essere tenuti presenti solo 31, 41– 42, mentre 32– 40 sembrano ignorati⁶⁰². Nella sua forma attuale, dunque, il discorso di Zeus (29 – 42) è opera di B. Non c’è modo di essere sicuri circa l’origine della descrizione del viaggio di Ermes verso Ogigia (44– 54): 43 – 49 occorrono identici in Ω 339 – 345, ma non è possibile dimostrare che Ω è l’originale né vice versa ⁶⁰³; da 50 in poi non ci sono più ragioni per dubitare che siamo all’interno di K. Dunque ε ci conserva K dal momento in cui Ermes si mette in viaggio alla volta di Ogigia. D’altra parte, se il concilio divino di ε è un centone che per molti motivi non può appartenere a K, dal momento che α 11– 87 ci conserva lo stesso concilio e che esso giunge fino proprio al punto⁶⁰⁴ in cui Ermes parte dall’Olimpo, sarebbe una lieta conferma dei risultati raggiunti, se potessimo credere che α 11– 87 conserva la parte precedente del concilio di K: se fosse così, la parte iniziale del concilio di K, che in ε è rappresentata dal centone di B che abbiamo visto, potremmo recuperarla da α. Alcuni credono che le cose stiano effettivamente così⁶⁰⁵, ma un’analisi di α 11– 87 per come esso è (e non per come sarebbe comodo che esso fosse per la nostra analisi) mostra che questo pezzo sembra scritto da qualcuno che ha in mente T,

 Cfr. p. 375.  Cfr. Wilamowitz (1884) 21.  Cfr. Gemoll (1883) 57; Hennings (1903) 52.  Cfr. Kirchhoff (18792) 198 – 199; Hennings (1903) 52– 53.  Giudica bene Hennings (1903) 53.  Prima cioè che divenga chiaro l’intervento di B, che mira a creare il passaggio a T.  Heimreich (1871) 11; Kirchhoff (18792) 197; Koechly (1881) 154 sgg.; Hennings (1903) 49; Merkelbach (19692) 156 sgg. Contra Wilamowitz (1884) 11 sgg.; De Sanctis (1909) 132: «È affatto impossibile separare dal contesto i vv. 1– 87 e ritenerli più antichi» (ma l’affermazione non vale per 1– 10); Marzullo (1952) 101. Bethe (1922) 120 sgg. attribuisce α 11– 87 al suo EN e nega che il concilio divino di α sia opera di B, poiché il concilio sembra conoscere solo il contenuto del νόστος, mentre non fa alcun riferimento alla τίσις, ma io non vedo quali occasioni avrebbe avuto un poeta, durante il concilio divino, di fare allusioni ai fatti successivi al νόστος.

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11 Analisi di α 1 – 102, ε–μ

dunque non da K; poiché, d’altra parte, non può trattarsi di T stesso, dal momento che il proposito principale è introdurre la partenza di Odisseo da Ogigia, ne segue che α 11– 87 è opera di B (come del resto il seguito di α), anche se è pressoché certo che B si è servito di K. α 26 – 31: gli dèi sono riuniti sull’Olimpo e Zeus comincia a parlare (29 – 31): μνήσατο γὰρ κατὰ θυμὸν ἀμύμονος Αἰγίσθοιο / τόν ῥ᾽ ᾿Aγαμεμνονίδης τηλεκλυτὸς ἔκταν᾽ Ὀρέστης· / τοῦ ὅ γ᾽ ἐπιμνησθεὶς ἔπε᾽ ἀθανάτοισι μετηύδα. Non c’è dubbio che questi vv. siano in una qualche relazione con δ 187– 9 (dunque T): μνήσατο γὰρ κατὰ θυμὸν ἀμύμονος ᾿Aντιλόχοιο / τόν ῥ᾽ Ἠοῦς ἔκτεινε φαεινῆς ἀγλαὸς υἱός. / τοῦ ὅ γ᾽ ἐπιμνησθεὶς ἔπεα πτερόεντ᾽ ἀγόρευεν. La priorità del passo di δ si dimostra facilmente: mentre in α il ricordo (μνήσατο) di Zeus è immotivato, Pisistrato è del tutto naturale che si ricordi di Antiloco, dal momento che Menelao ha appena parlato della guerra di Troia, durante la quale Antiloco è caduto⁶⁰⁶. Il discorso di Zeus (α 33 – 43) riguarda interamente Egisto e i suoi misfatti: nonostante gli dèi avessero inviato Ermes, per sconsigliarlo dall’avvicinarsi a Clitemnestra e dall’uccidere Agamennone, egli di tali consigli non si è curato, con il risultato che, alla fine, Oreste lo ha ucciso. A questo punto prende la parola Atena per dire che Egisto ha avuto la sorte meritata, ma che il suo cuore è straziato dal pensiero di Odisseo, che è trattenuto da Calipso, mentre egli vorrebbe tornare a Itaca: che la menzione di Egisto e Oreste provochi quella di Odisseo e Telemaco è forse da collegare γ 193 sgg., ove Nestore, dopo aver ricordato come Oreste ha vendicato il padre, esorta Telemaco a mostrarsi anche lui uomo e ad agire contro i proci. α 11 sgg. sottolineano la sventura di Odisseo, paragonandolo agli altri Greci che avevano combattuto a Troia: mentre tutti questi ultimi (tranne quelli morti) sono già rimpatriati, l’unico ancora esule è Odisseo; all’interno di ε–ν i riferimenti ai compagni della guerra di Troia sono sporadici, mentre in γ–δ sono continui. Sembra dunque che α 11– 102 sia influenzato da T. A questi indizi si aggiunga che in α 68 – 79 si parla dell’ira di Posidone contro Odisseo: noi cercheremo di mostrare fra poco che tale motivo era ignoto a K, mentre è centrale in B. Nel complesso, tutto lascia pensare che il concilio divino di α sia in gran parte opera di B, sebbene qualcosa risalga

 Cfr. Wilamozitz (1884) 13; De Sanctis (1909) 104. Anche l’aggettivo ἀμύμονος è chiaramente una derivazione da δ; è vero che gli epiteti sono spesso desemantizzati, ma che Egisto, alla sua prima menzione, proprio quando si sta per affermare che egli ha commesso delitti gravissimi, venga definito ἀμύμων è naturale spiegarlo con un prestito meccanico da δ 187, ove l’aggettivo va benissimo (cfr. Marzullo, 1952, 16 – 17; Rüter 1969, 74). Blass (1904) 28 addirittura voleva correggere ἀμύμονος in ἀνάλκιδος. La proposta è da rifiutare, ma mostra come a un orecchio fine l’aggettivo risulti strano; supponendo il prestito meccanico da δ, tutto diviene chiaro.

Rielaborazioni di K: il motivo dell’ira di Posidone

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senz’altro a K: l’esempio più lampante è τάχιστα (85), che mai B avrebbe inserito suo Marte. Un discorso a sé va fatto per i primi 10 vv. del poema. Essi hanno probabilmente un’origine diversa da quelli successivi: il poeta dice di voler cantare Odisseo, che, dopo la distruzione di Troia, peregrinò molto cercando di salvare se stesso e i compagni, ma questi ultimi morirono perché mangiarono le vacche di Helios. È evidente che un proemio del genere andrebbe meglio per gli ᾿Aπόλογοι che per l’Od. che leggiamo noi, poiché in esso si dà uno spazio del tutto sproporzionato all’episodio di Trinachia e, in generale, alla materia degli ᾿Aπόλογοι, mentre è assente la τίσις: al massimo, esso può funzionare come proemio agli ᾿Aπόλογοι insieme agli episodi di Calipso e dei Feaci (cioè come proemio di K), poiché anch’essi si legano al νόστος. Questo farebbe pensare che α 1– 10 sia effettivamente il prologo di K⁶⁰⁷.

Rielaborazioni di K: il motivo dell’ira di Posidone Finora, a proposito di α 1– 87 / ε, per indicare l’epos più antico (confluito in B) che cantava il νόστος, ho parlato di K. Per noi è possibile, ma non agevole, distinguere epe più antichi confluiti in K, mentre è abbastanza agevole riconoscere alcune rielaborazioni subite da K. Una di queste rielaborazioni pare si leghi a un problema, che sarà di fondamentale importanza per l’analisi di ε–ν, cioè l’ira di Posidone. In α 11– 87 essa è presupposta nella maniera più chiara: Zeus dice che è proprio l’ira di Posidone, causata dall’accecamento di Polifemo (cfr. ι 519 sgg.), che impedisce che Odisseo possa tornare a Itaca (68 – 79) e il poeta stesso ci informa di questo fatto (19 – 26). L’ira di Posidone contro Odisseo è uno dei motivi più noti dell’epos omerico, eppure gli ᾿Aπόλογοι nella loro redazione originaria ignorano tale motivo. All’interno degli ᾿Aπόλογοι il passo che introduce questo motivo è la maledizione che Polifemo lancia contro Odisseo, quando egli si sta allontanando con la nave. Dopo essere riuscito a evadere dalla grotta e a salire coi compagni superstiti sulla nave (ι 471 sgg.), Odisseo non riesce a resistere alla tentazione di insultare il Ciclope e, quando la nave si è allontanata, gli si rivolge con parole di scherno. Polifemo lancia contro la nave un masso, che supera la nave dei Greci, sicché  Niese (1882) 186 – 187 lo ritiene il proemio di O; Hennings (1857– 1860) 148, (1903) 49 ritiene che esso sia un proemio a ε–ν. Koës (1806) 16, Thiersch (1821) 54, Heerklotz (1854) 5, Dawe (1993) 37 osservano che α 1– 10 è inadatto come proemio dell’intera Od. Schadewaldt (1960) propone di cambiare il testo e di espungere alcuni vv., contra Eisenberger (1973) 1 sgg., Malta (2007). Una critica molto severa di questo proemio in Bekker (1863) 99 – 107, contra Rüter (1969) 28 sgg.

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11 Analisi di α 1 – 102, ε–μ

l’onda da esso causata spinge la nave indietro verso la riva. Odisseo non si placa e si rivolge di nuovo con scherno a Polifemo, per rivelargli il proprio nome. Dopo un altro scambio di battute fra l’Itacese e il Ciclope, quest’ultimo prega il padre Posidone di far naufragare chi lo ha accecato, oppure, se è destino che egli torni in patria, lo faccia dopo tanto tempo, su una nave non sua e trovi la casa piena di mali⁶⁰⁸; Posidone accondiscende alla preghiera del figlio. I vv. che contengono l’invocazione a Posidone sono, molto probabilmente, un’aggiunta successiva al contesto originario⁶⁰⁹. 517– 518: ἀλλ᾽ ἄγε δεῦρ᾽, Ὀδυσεῦ, ἵνα τοι πὰρ ξείνια θείω / πομπήν τ᾽ ὀτρύνω δόμεναι κλυτὸν Ἐννοσίγαιον. Il Ciclope invita dunque sarcasticamente Odisseo, che si sta allontanando con la nave, a tornare verso di lui, per dargli un dono ospitale (ξείνια). Il dono è il masso che Polifemo lancia contro la nave (537 sgg.). È perfettamente logico dire «vieni, affinché io ti dia un dono»; è, invece, goffo dire «vieni, affinché io ti dia un dono e spinga mio padre ad accompagnarti»: che relazione c’è fra l’invito a Odisseo ad avvicinarsi (ἀλλ᾽ ἄγε δεῦρο) e la richiesta a Posidone? Nessuna, e sembra verisimile che 518 – 536 siano stati aggiunti successivamente. C’è un argomento di peso ancora maggiore che fa sospettare della genuinità del passo in questione: l’ira di Posidone contro Odisseo è un motivo del tutto estraneo al seguito degli ᾿Aπόλογοι. L’episodio di Polifemo è il terzo dei dieci narrati negli ᾿Aπόλογοι. Se davvero Posidone avesse deciso di dare ascolto alla preghiera del figlio accecato (ι 536), ci aspetteremmo che nel seguito il motivo dell’ira di Posidone divenisse centrale, dal momento che Odisseo e i compagni continuano a viaggiare per mare⁶¹⁰: eppure, dell’ira di Posidone, negli ᾿Aπόλογοι, non si parla più, se non nella νέκυια, che è stata inserita successivamente⁶¹¹. Questo argomento, ben più che l’incongruenza rilevata poc’anzi, mostra che il motivo dell’ira di Posidone è ignoto agli ᾿Aπόλογοι. L’unica spiegazione alternativa è che gli ᾿Aπόλογοι successivi a quello del Ciclope (con l’eccezione della νέκυια, che ha una storia sua propria) siano tratti

 Per un’analogia fra questa preghiera e il proemio di α cfr. Frangoulidis (1993).  Così Düntzer (1872) 420 sgg.; Niese (1882) 173; Bethe (1922) 116; Dawe (1993) 386. Anche West (2014) 203 crede a una rielaborazione.  Jörgensen (1904) ha ben mostrato che la Icherzählung degli ᾿Aπόλογοι comporta che Odisseo abbia una conoscenza limitata dell’azione divina. Non è, tuttavia, possibile mettere in relazione questo fatto (come Jörgensen invece fa) con il mancato intervento di Posidone in κ–μ: se Posidone fosse stato adirato contro Odisseo, avrebbe scatenato tempeste continue contro gli Itacesi, e questo non sarebbe sfuggito a Odisseo, che non avrebbe avuto difficoltà a mettere in relazione la cosa con le parole poco riguardose che aveva rivolto alla divinità. Non c’è Icherzählung che spieghi l’inattività di Posidone successiva alla provocazione di Odisseo. Le stesse obiezioni valgono contro un recente articolo di Murgatroyd (2015), che propone una spiegazione simile a quella di Jörgensen.  Cfr. p. 277 sgg.

Rielaborazioni di K: il motivo dell’ira di Posidone

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da un epos diverso (il cosiddetto «epos argonautico»): in questo caso l’assenza dell’ira di Posidone dagli ᾿Aπόλογοι di κ–μ si spiegherebbe con il fatto che essi non sono la prosecuzione di ι (quindi non erano originariamente legati all’episodio del Ciclope). Questo punto è di centrale importanza per l’analisi dei libri ε–μ e dell’Od. in generale: se si dividono in due gruppi gli ᾿Aπόλογοι, è possibile che il secondo ignorasse l’ira di Posidone e questo consente di mantenere ι 518 – 536; se, invece, non si accetta la divisione in due degli ᾿Aπόλογοι, è necessario credere ι 518 – 536 estranei al contesto originario⁶¹²: tertium non datur. Ci sono tre ragioni per cui io accetto la seconda soluzione: non vedo alcuna ragione (se non appunto il contrasto fra ι 518 – 536 e κ – μ) per dividere gli ᾿Aπόλογοι in due gruppi⁶¹³ (1); ι 518 – 536 sembrano estranei al contesto anche per ragioni di logica interna (2); l’inserzione di ι 518 – 536 è ben spiegabile all’interno del progetto di revisione dei libri ε – ν1, poiché in tale progetto si inseriva di certo l’inserzione dell’ira di Posidone, come mostra in maniera chiarissima l’inserzione della νέκυια (in particolare della νεκυομαντεία), ove l’ira di Posidone è centrale. Quando e da chi è stato introdotto il motivo dell’ira di Posidone? Per lo più si pensa che esso sia stato introdotto da K stesso⁶¹⁴, ma io credo che Bethe abbia buoni argomenti per credere che esso è stato introdotto successivamente. Ιn ε (cioè in ciò che noi riconduciamo con maggior sicurezza a K) ci sono alcuni passi in cui ci aspetteremmo la menzione dell’ira di Posidone ed essa manca. Il punto forse più impressionante è 173 sgg.: Calipso ha appena detto a Odisseo che egli dovrà viaggiare da Ogigia e Itaca su una σχεδία e Odisseo ne è, ragionevolmente, assai impaurito, tanto che teme che Calipso gli stia tendendo un inganno; è dunque ragionevole che egli rammenti a Calipso la difficoltà del viaggio: mentre l’eroe cita le dimensioni della σχεδία come fattore di pericolo, nulla dice sull’ira di Posidone⁶¹⁵. Anche nel colloquio fra Ermes e Calipso, si fa due volte allusione

 Per la prima posizione Kirchhoff (18792) 292– 314, Wilamowitz (1884) 137 sgg., Schwartz (1924) 220 sgg., Focke (1943) 181 sgg. Per la seconda Niese (1882) 173 sgg., Bethe (1922) 114 sgg. Sulla recenziorità dell’ira di Posidone nella nostra Od. in generale cfr. Marzullo (1952) 108 sgg. (contro l’unitario Irmscher 1950). Cfr. anche Pfeiffer (1960) 14. Osservazioni interessanti già in Jacob (1856) 426 sgg. Alcuni analitici hanno sostenuto che l’ira di Posidone e quella di Helios (μ) sono un doppione e quindi non potevano far parte in origine dello stesso epos, ma ha ragione Schadewaldt (1960) a osservare che di una vera e propria ira di Helios che perseguita Odisseo non si può parlare; essa è limitata all’episodio di Trinachia.  Cfr. p. 285 sgg.  Così Niese (1882) 185 – 187; Wilamowitz (1884) 137; Schwartz (1924) 220 sgg.; contra Bethe (1922) 114.  Si potrebbe controbattere che Odisseo non teme l’ira di Posidone, perché sa che l’ordine della sua partenza deriva da Zeus; questo tuttavia è smentito da η 263, ove Odisseo dice esplicitamente di non sapere per quale motivo Calipso abbia deciso di farlo partire.

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al naufragio che ha portato Odisseo a Ogigia (105 sgg.; 130 sgg.) e tale naufragio viene attribuito alla volontà di Zeus e Atena, mentre di Posidone non si fa parola. Non vale osservare che Zeus può essere citato quale causa di qualsiasi evento: se l’ira di Posidone fosse un motivo presente al poeta, difficilmente ne avrebbe taciuto. Anche le parole con cui Calipso chiude il suo discorso con Ermes (140 – 144), nel quale la ninfa si dice pronta a prestare il poco aiuto che può al viaggio per mare di Odisseo, non fanno alcuna menzione del pericolo grave che incombe su Odisseo. Tuttavia, quando Odisseo è in mare e sta per giungere a Scheria, è proprio Posidone a farlo naufragare (ε 282 sgg.): di ritorno dagli Etiopi, appena vede Odisseo per mare, la divinità pronuncia un monologo (286 – 90): ὢ πόποι, ἦ μάλα δὴ μετεβούλευσαν θεοὶ ἄλλως / ἀμφ᾽ Ὀδυσῆϊ ἐμεῖο μετ᾽ Αἰθίοπεσσι ἐόντος· / καὶ δὴ Φαιήκων γαίης σχεδόν, ἔνθα οἱ αἶσα / ἐκφυγέειν μέγα πεῖραρ ὀϊζύος, ἥ μιν ἱκάνει. / ἀλλ᾽ἔτι μέν μίν φημι ἅδην ἐλάαν κακότητος. Da questi vv. si può dedurre che Posidone avesse un motivo di ira particolare contro Odisseo? Difficile dirlo, perché non è chiaro in cosa consista la μεταβουλία degli dèi: essa sembra presupporre che essi fossero d’accordo nell’impedire il ritorno di Odisseo. Era l’accecamento di Polifemo che aveva portato gli dèi a tale accordo fra loro? Dalle parole con cui Zeus parla dell’argomento (α 64 – 79), nessuno dedurrebbe che ci fosse accordo fra gli dèi a impedire il ritorno di Odisseo a causa di Posidone e suo figlio; sembra anzi che la cosa venga guardata come un problema del solo Posidone. Ermes ricorda a Calipso che i Greci si resero colpevoli contro Atena (ε 108) e che la divinità rese loro difficile il ritorno. Non si capisce bene cosa Odisseo abbia a che fare con l’ira di Atena: quest’ultima, a quanto ne sappiamo, era adirata contro Aiace Oileo per la violenza contro Cassandra. Tuttavia, anche in γ 130 sgg. si parla di un’ira generica degli dèi contro i Greci e δ 500 sgg. pare presupporre un’ira comune di Atena e Posidone contro l’Oileo. L’impressione è che ε 282 sgg. presupponga un accordo generale fra gli dèi a non far tornare i Greci in patria fino a che tutti non fossero d’accordo, come se si fosse dovuto decidere caso per caso all’unanimità chi poteva tornare in patria. Se è così, si spiega benissimo che né Calipso né Odisseo facciano alcuna allusione all’ira di Posidone. Quest’ultimo scatena la tempesta non perché sia irritato contro Odisseo in particolare, ma perché lo è contro gli altri dèi, che lo hanno trascurato prendendo in sua assenza una decisione che doveva essere presa all’unanimità⁶¹⁶. C’è una difficoltà in questa ricostruzione: gli dèi prendono la decisione circa Odisseo mentre Posidone si trova fra gli Etiopi (ε 287); se Posidone non era irritato contro Odisseo, perché prendere tale decisione proprio quando egli era

 Così Bethe (1922) 118 – 119 e Marzullo (1952) 111.

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assente, rischiando di esporre il povero Odisseo all’ira della divinità? Tuttavia, se il poeta voleva scatenare una tempesta contro Odisseo (ciò era essenziale per la narrazione), doveva in qualche modo far intervenire Posidone e il motivo della sua momentanea (e casuale) assenza al momento della decisione si prestava bene allo scopo. Può darsi che in K durante il concilio divino di Posidone semplicemente non si parlasse e che la divinità comparisse per la prima volta quando, di ritorno dall’Etiopia, vedeva Odisseo che si avvicinava a Scheria. L’ira di Posidone in ε è uno dei problemi più difficili circa la genesi dell’Od.: la tempesta nella seconda parte della rapsodia è inscindibile da Posidone, mentre la prima parte della rapsodia non cita mai la divinità. Nei libri ε–ν tutte le altre allusioni all’ira di Posidone o sono troppo generiche o sono attribuibili a una rielaborazione: ε 339, 446: si allude probabilmente solo al dominio sul mare di Posidone: di ogni naufrago si può dire che Posidone lo ha in odio. η 271: Odisseo dice ai Feaci che Posidone lo ha fatto naufragare, ma questo risponde semplicemente a ε 282 sgg. e si spiega benissimo con il dominio del mare di Posidone (lo stesso Odisseo in ε 304 parla genericamente di Zeus). ζ 328 – 331: qui il poeta allude esplicitamente all’ira di Posidone: si tratta dello stesso poeta di ν 312– 343, cioè di B⁶¹⁷. Non si può esserne sicuri, ma io inclino a credere che K nulla sapesse dell’ira di Posidone.

Il soggiorno presso i Feaci (ζ–θ, ν1) e la tempesta (ε) Passiamo ora all’analisi di ε 44–ν1. È opportuno analizzare insieme questa sezione perché i problemi che essa presenta sono simili e anche contenutisticamente è abbastanza omogenea. In queste rapsodie sono, infatti, narrate le vicende di Odisseo immediatamente precedenti al suo ritorno a Itaca, cioè il suo soggiorno presso Calipso e presso i Feaci. In ε Calipso, ricevuto tràmite Ermes l’ordine di Zeus, fa partire l’eroe da Ogigia su una zattera. Quando Odisseo è ormai in prossimità dei Feaci, Posidone lo vede e scatena una tempesta, che ritarda il suo approdo di un paio di giorni. Approdato naufrago a Scheria vicino a un fiume, Odisseo incontra Nausicaa (ζ) che, per intervento di Atena, è andata proprio nelle vicinanze del fiume a lavare le vesti. Nausicaa guida Odisseo fino alla città e gli dà istruzioni su come presentarsi alla reggia di suo padre Alcinoo. Odisseo giunge alla reggia (η), ove trova, oltre ad Alcinoo e la moglie Arete, gli altri notabili Feaci; il naufrago chiede di essere rimandato in patria e i Feaci gli promettono aiuto, ma lo pregano di attendere il giorno successivo. Odisseo

 Cfr. p. 304.

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trascorre il giorno successivo (θ) presso i Feaci, mangiando con loro, ascoltando i canti di Demodoco, assistendo a dei giochi e partecipandovi. La sera, su richiesta di Alcinoo, inizia a narrare le sue peregrinazioni (᾿Aπόλογοι). Gli ᾿Aπόλογοι occupano ι–μ e vanno discussi a parte. All’interno di ι–ν due soli punti si legano all’analisi di ε 44–θ, cioè λ 333 – 384 («Intermezzo») e l’inizio di ν. Nell’«Intermezzo» vengono temporaneamente interrotti gli ᾿Aπόλογοι: è notte e i Feaci chiedono a Odisseo di continuare coi suoi racconti, con la conseguenza che egli passerà una seconda notte a Scheria e partirà per Itaca solo la sera del giorno successivo; in cambio riceverà altri doni. Odisseo acconsente. All’inizio di ν Odisseo e i Feaci vanno finalmente a dormire. Il giorno successivo Odisseo riceve i doni promessi durante l’«Intermezzo» e, a sera, parte alla volta di Itaca. La nostra analisi partirà dai Feaci, poiché η–θ offrono risultati chiari e importanti⁶¹⁸. In particolare la struttura di θ presenta anche a una prima lettura diverse incongruenze. La rapsodia inizia con il sorgere dell’Aurora e con Alcinoo e Odisseo (che è arrivato nella reggia la sera precedente) che si recano all’ἀγορά, ove Alcinoo annuncia ai Feaci la sua intenzione di far ripartire Odisseo la sera stessa (per questo viene preparata subito una nave): nel frattempo, il sovrano invita i Feaci e l’aedo Demodoco ad andare a casa sua per onorare l’ospite (θ 1– 45). Tutto ciò che Alcinoo ordina avviene effettivamente e i Feaci si ritrovano nel palazzo del sovrano, ove banchettano in compagnia di Odisseo (46 – 71). Alla fine del pasto, Demodoco inizia a cantare e il suo canto riguarda un evento ben familiare a Odisseo, la lite fra lui stesso e Achille. Commosso, l’eroe non riesce a resistere al pianto; fra gli astanti, il solo Alcinoo vede che Odisseo piange. Il sovrano decide quindi di far interrompere il canto e di intrattenere l’ospite con dei giochi (ἆθλα); per la celebrazione degli ἆθλα tutti si spostano di nuovo nell’ἀγορά (72– 109). Dopo una breve descrizione dei giochi (109 – 139), Laodamante, figlio di Alcinoo, chiede a Odisseo se voglia anch’egli dare prova della sua abilità in qualche sport; l’eroe declina gentilmente l’invito, adducendo a ragione le innumerevoli sofferenze patite. Eurialo, un Feaco che si era distinto precedentemente nella παλαιμοσύνη (v. 126 – 127), insulta Odisseo e insinua che egli non sia un uomo δαήμων ἄθλων, bensì un mercante o addirittura un pirata. Odisseo risponde stizzito e (grazie anche all’aiuto di Atena) dà prova della sua abilità nel lancio del disco. Alcinoo, per calmare gli animi, esorta tutti a godersi lo spettacolo delle danze dei Feaci; alle danze segue il canto di Demodoco circa gli amori di Afrodite e Ares. Odisseo si congratula con Alcinoo per la φιλομουσία dei Feaci. Il sovrano esorta gli altri dodici βασιλεῖς dei Feaci a onorare Odisseo con un dono e suggerisce anche a Eurialo di fare altrettanto, in modo tale da

 Una lettura, invece, unitaria dell’episodio dei Feaci in Mattes (1958).

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porre fine alla lite precedente (140 – 416). Cala la sera e tutti rientrano a casa di Alcinoo per il δεῖπνον; prima del δεῖπνον Odisseo si lava e incontra di nuovo Nausicaa, cui dà l’addio (417– 468). Alla cena segue il canto di Demodoco, che causa di nuovo la commozione di Odisseo; Alcinoo a questo punto chiede a Odisseo di rivelare chi egli sia (470 – 586). Qui finisce θ. La risposta di Odisseo è costituita dagli ᾿Aπόλογοι, che occupano quattro rapsodie (ι–μ). Queste rapsodie sono dunque riempite dalle storie delle peregrinazioni di Odisseo da Troia fino a Ogigia. C’è una sola interruzione, che ci riporta fra i Feaci, l’«Intermezzo» (λ 333 – 384). Giunto alla fine del catalogo delle eroine viste nell’Ades, Odisseo interrompe la narrazione e c’è uno scambio di battute con Arete e Alcinoo, che lo esortano a proseguire il racconto e a rimandare la partenza alla sera successiva: in cambio l’eroe riceverà nuovi doni da parte dei Feaci. Riprendono quindi gli ᾿Aπόλογοι e la scena torna a Scheria solo all’inizio di ν: tutti vanno a dormire e la sera del giorno successivo Odisseo parte finalmente alla volta di Itaca (1– 74). Dunque, nella nostra Od. Odisseo resta tre giorni presso i Feaci. A me pare pressoché certo che il prolungamento a tre giorni (e due notti) del soggiorno sia frutto di una rielaborazione: la narrazione precedente prevedeva una sosta di soli due giorni (e una notte) presso i Feaci. Il secondo canto di Demodoco, quello in seguito a cui Odisseo racconterà la propria storia, avviene dopo il δόρπον (θ 477 sgg.); prima c’erano stati altri due canti dell’aedo, uno dopo il pranzo (73 sgg.), l’altro nell’ἀγορά (267 sgg.) e, mentre il primo aveva per oggetto la lite fra Odisseo e Achille, il secondo si riferiva a tutt’altro argomento, gli amori di Afrodite e Ares. Alla fine del δόρπον è Odisseo stesso a chiedere a Demodoco di cantare e gli si rivolge così (487– 493): Δημόδοκ᾽, ἔξοχα δή σε βροτῶν αἰνίζομ᾽ ἁπάντων· / ἢ σέ γε Μοῦσ᾽ ἐδίδαξε, Διὸς πάις, ἢ σέ γ᾽ ᾿Aπόλλων· / λίην γὰρ κατὰ κόσμον ᾿Aχαιῶν οἶτον ἀείδεις, / ὅσσ᾽ ἔρξαν τ᾽ ἔπαθόν τε καὶ ὅσσ᾽ ἐμόγησαν ᾿Aχαιοί, / ὥς τέ που ἢ αὐτὸς παρεὼν ἢ ἄλλου ἀκούσας. / ἀλλ᾽ ἄγε δὴ μετάβηθι καὶ ἵππου κόσμον ἄεισον / δουρατέου, τὸν Ἐπειὸς ἐποίησεν σὺν ᾿Aθήνηι. Queste parole suonano davvero strane: esse presuppongono evidentemente che Demodoco abbia appena cantato qualcosa sulle vicende troiane: eppure l’aedo è da un pezzo che non canta (egli ha cantato per l’ultima volte un bel po’ di tempo prima nell’ἀγορά) e l’ultima volta che ha cantato non ha cantato nulla che avesse a che fare con Troia! È evidente che prima di 487 doveva esserci un altro canto di Demodoco e che questo canto riguardava vicende troiane. Tutto lascia pensare che questo canto fosse quello dei vv. 73 sqq.⁶¹⁹, che appunto narrava una vicenda legata alla guerra di Troia,

 Von der Mühll (1940) 718; West (2014) 195: «The request in 492 to ‘change his path’ to a

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della quale Odisseo era stato protagonista, sicché la sua osservazione, che Demodoco conosceva l’evento come un testimone oculare (491), risultava davvero calzante. Questa supposizione è confermata da un altro fatto: la scena del terzo canto di Demodoco presenta molti vv. in comune con la prima; non si tratta naturalmente di vv. formulari (che non dimostrano nulla), ma di vv. originali, che sono stati concepiti per una sola scena e poi sono stati riutilizzati. Ci troviamo cioè di fronte a un’altra scena spezzata. Questo è stato riconosciuto da tempo e si è cercato anche di procedere in maniera meccanica all’eliminazione della parte aggiunta: così, poiché il nucleo più vistoso dei vv. ripetuti è 93 – 97 = 532– 537 (ben cinque vv.), si è pensato che i vv. introdotti successivamente siano 93 – 531⁶²⁰. Tuttavia le due scene presentano anche altri vv. comuni, e non è basandoci sul maggior numero di vv. comuni consecutivi, che possiamo stabilire dove sia avvenuta la sutura; tanto più che supponendo che 93 – 531 siano tout court un’aggiunta successiva si incontrano due insormontabili difficoltà: i vv. 487– 493 restano inspiegabili, poiché non sono preceduti immediatamente dal primo canto di Demodoco, dal quale traggono spunto le lodi di Odisseo (1); nei vv. 416 sgg. sono presenti numerose incongruenze, che possono essere spiegate solo supponendo una giustapposizione di materiale di origine diversa (2). Proprio l’analisi di 416 sgg. può indicarci la strada per capire la profonda rielaborazione, cui questa parte di θ è stata sottoposta. Siamo alla fine della scena nell’ἀγορά e i Feaci ed Eurialo hanno già portato i propri doni a Odisseo. Cala la sera e tutti fanno ritorno a casa di Alcinoo. A parte Eurialo, che già si trova nell’ἀγορά insieme a Odisseo e che ha il proprio dono con sé, è assai strano che gli altri Feaci facciano portare i doni a Odisseo nell’ἀγορά: sta calando la sera, non c’è più nulla da fare nell’ἀγορά e tutti sono sul punto di tornare a casa di Alcinoo: che senso ha che i doni vengano portati nell’ἀγορά, per poi essere portati subito dopo a casa di Alcinoo? A casa di Alcinoo i κήρυκες trovano i figli di Alcinoo, i quali prendono in consegna i doni e li danno ad Arete (419 – 420). A questo punto leggiamo (421– 422): τοῖσιν δ᾽ ἡγεμόνευ᾽ ἱερὸν μένος ᾿Aλκινόοιο / ἐλθόντες δὲ κάθιζον ἐν ὑψηλοῖσι θρόνοισι. A chi si riferisce τοῖσιν? Evidentemente a coloro che erano nell’ἀγορά, ma l’espressione è infelice, poiché dal contesto si penserebbe ai figli di Alcinoo, appena nominati. L’inappropriatezza dell’espressione non deve meravigliare: θ 421 è identico a θ 4 ed è evidente che

different theme would follow so much more naturally after his first song in 73 – 82, that it looks as if the two passages have been sundered by substantial expansion».  Così Niese (1882) 180; cfr. anche Koechly (1881) 172, che fa seguire 533 a 93. Per altre proposte cfr. Hennings (1903) 236 sgg. Osservazioni interessanti già in Jacob (1856) 411.

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da lì è stato preso⁶²¹. Non meno strano è che i κήρυκες trovino i figli di Alcinoo a casa: essi erano presenti ai giochi assieme agli altri Feaci e, poiché da nessuna parte si parla di un loro spostamento, ne dedurremmo che fossero rimasti insieme al gruppo. Quanto segue non è meno strano: una volta giunti a casa, quando tutti gli altri ospiti sono già seduti, Alcinoo dice ad Arete di porre tutti i doni di Odisseo in un forziere (χηλός) e di far lavare Odisseo. Dove si trovi in questo momento Odisseo non è detto, ma dal contesto deduciamo che si trova vicino ad Arete e non con gli altri ospiti (come invece dedurremmo da 421– 422). Dopo aver messo i doni dei Feaci dentro la χηλός, Arete dice a Odisseo (443 – 445): αὐτὸς νῦν ἴδε πῶμα, θοῶς δ᾽ ἐπὶ δεσμὸν ἴηλον, / μή τίς τοι καθ᾽ ὁδὸν δηλήσεται, ὁππότ᾽ ἂν αὖτε / εὔδηισθα γλυκὺν ὕπνον ἐὼν ἐν νηῒ μελαίνηι. Il significato di αὖτε non è chiaro, poiché possiamo interpretare l’avverbio sia nel senso di iterum sia in quello di postea ⁶²². Chiunque abbia familiarità con l’Od. pensa subito all’episodio di Eolo (κ 19 – 47), ove i compagni di Odisseo aprono l’otre dei venti quando Odisseo si addormenta. Anche a me questa sembra l’interpretazione più probabile. Certo, Arete si riferisce propriamente al pericolo che qualcuno dei Feaci rubi qualcosa a Odisseo; eppure, dal seguito si deduce che questo pericolo non doveva essere grande, se per gli altri doni non viene presa alcuna precauzione (cfr. ν 20 sgg.). Ovviamente, l’ostacolo maggiore all’ipotesi che Arete si riferisca all’episodio di Eolo, è che Odisseo racconta tale episodio solo successivamente. Ma siamo sicuri che davvero la scena che stiamo discutendo precedesse fin dall’inizio gli ᾿Aπόλογοι? C’è da dubitarne seriamente e la scena successiva aumenta i dubbi. Si tratta del famoso congedo di Nausicaa (457– 468), che, grazie al prolungamento di un giorno della permanenza di Odisseo a Scheria, precede di un’intera giornata la partenza dell’eroe. Si è osservato da molto tempo che questo anticipo del congedo è innaturale⁶²³; certo, si può obiettare, la partenza doveva avvenire la sera stessa e dunque Odisseo e Nausicaa, incontrandosi, è naturale che prendano commiato. Tuttavia, poiché si tratta di un incontro casuale fra i due, ci si chiede perché il poeta non lo abbia posto nel momento più appropriato, cioè prima della reale partenza dell’eroe. Dopo aver salutato Nausicaa, Odisseo raggiunge gli altri convitati nella sala da pranzo; il δόρπον ha inizio e subito si torna a parlare di Demodoco (471– 473): κήρυξ δ᾽ ἐγγύθεν ἦλθεν ἄγων ἐρίηρον ἀοιδόν, / Δημόδοκον, λαοῖσι τετιμένον· εἷσε δ᾽ ἄρ᾽ αὐτόν / μέσσωι δαιτυμόνων, πρὸς κίονα μακρὸν ἐρείσας. Il v. 471 è  In θ 4 il v. sta benissimo, poiché τοῖσιν si riferisce alle due persone appena nominate, Odisseo e lo stesso Alcinoo, cfr. e. g. ε 202.  La prima interpretazione in Ebeling, la seconda nel Lex. des frühgr. Epos.  Cfr. Bergk (1872) 680; Merkelbach (19692) 169 – 170.

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identico a θ 62, il v. 473 a θ 66. È evidente che l’originale è θ 62, 66: non solo l’uso di ἐρείδω va meglio con θρόνον (così al v. 66) che con Δημόδοκον, ma anche 62 è ben più idoneo al contesto di 471, poiché ai vv. 43 – 45 Alcinoo aveva ordinato che venisse detto all’aedo di recarsi alla reggia: dunque lì era naturale aspettarsi che l’aedo arrivasse da un luogo vicino (ἐγγύθεν) e che il κήρυξ lo accompagnasse. Che senso ha tutto questo dopo il v. 470? Da quanto precede ci aspetteremmo che Demodoco avesse seguito il resto del gruppo (mai è detto il contrario) e che dunque avesse seguito Alcinoo dall’ἀγορά alla reggia e avesse preso posto a tavola assieme agli altri convitati (420 – 421). Abbiamo iniziato la nostra analisi osservando l’identità di θ 93 – 97 con θ 532– 537; ora che sappiamo che θ 471 / 473 sono identici a θ 62 / 66 e che questi ultimi sono l’originale, dato che tutti questi vv. descrivono la stessa situazione (arrivo dell’aedo, banchetto, canto dell’aedo e pianto di Odisseo), ne segue che ci troviamo di fronte a un’altra scena spezzata. Questo si concilia benissimo con quanto abbiamo stabilito circa i vv. 416 sgg.: tutta la parte successiva al v. 416 si è, infatti, rivelata profondamente rielaborata e non c’è quindi da meravigliarsi se la rielaborazione è andata avanti fino al v. 537. Le incongruenze cominciano con la fine dei giochi e la consegna dei regali: il poeta è evidentemente in difficoltà a narrare il ritorno a casa di Alcinoo e tutto ciò che precede e segue il δεῖπνον; inoltre, fra il ritorno a casa di Alcinoo e il δεῖπνον introduce i dialoghi di Odisseo con Areta e Nausicaa, che mal si conciliano con il contesto. Se noi ricomponiamo la scena spezzata e teniamo a mente che tutta la parte successiva a 416 è rielaborata, credo che si imponga la seguente ricostruzione: i due canti di Demodoco sulle vicende troiane in origine dovevano essere uno di seguito all’altro⁶²⁴ e seguire quindi lo stesso pasto; tale pasto era il δεῖπνον, non il δόρπον⁶²⁵; i Feaci portavano i doni di Odisseo direttamente a casa di Alcinoo, non all’ἀγορά. Tutto lascia dunque pensare che dopo il δεῖπνον non ci fosse lo spostamento nell’ἀγορά. Se noi eliminiamo lo spostamento nell’ἀγορά e i giochi, otteniamo due evidenti vantaggi, di chiarire cioè sia la ragione per cui il ritorno dall’ἀγορά e l’introduzione di Demodoco al δόρπον siano stati narrati in maniera così maldestra (è stato evidentemente un rielaboratore, che ha ripreso vv. da scene precedenti), sia la ragione per cui i colloqui con Areta e Nausicaa presentano incongruenze con il contesto (essi sono, infatti, posti fra il ritorno dall’ἀγορά e l’introduzione di Demodoco al δόρπον, dunque fra due scene non originali: nessuna meraviglia che ci siano incoerenze). Se Odisseo si commuoveva una

 Cfr. nota 619.  Questo lo si deduce dal fatto che la narrazione procede senza problemi dall’inizio di θ fino alla fine del δεῖπνον; è stata l’inserzione degli ἆθλα a scompigliare tutto.

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sola volta per il canto di Demodoco (come ci induce a credere il fatto che la doppia scena della commozione sia frutto dello smembramento di un’unica scena) e questo avveniva dopo il δεῖπνον, tutto lascia pensare che anche gli ᾿Aπόλογοι (che sono indissolubilmente legati alla commozione dell’eroe per il canto dell’aedo) seguissero il δεῖπνον, non il δόρπον. A θ seguono gli ᾿Aπόλογοι e (se escludiamo l’«Ιntermezzo») la narrazione degli eventi di Scheria riprende all’inizio di ν. Dopo un breve discorso di Alcinoo (ν 4– 15), in cui vengono specificati i nuovi doni per Odisseo, che erano stati preannunciati nell’«Ιntermezzo», tutti vanno a dormire. Il mattino successivo Alcinoo e gli altri Feaci portano i nuovi doni sulla nave; seguono i sacrifici, il pasto e il nuovo canto di Demodoco. Appena cala il sole Odisseo chiede di partire; seguono le libagioni e la partenza. Da dove deriva questo materiale? Molti credono che i vv. 1– 28 (cioè fino al canto di Demodoco) siano opera dello stesso poeta che ha composto l’«Ιntermezzo»⁶²⁶; questo sembra anche a me molto probabile, soprattutto per il motivo dei nuovi doni, che è introdotto nell’«Intermezzo» (λ 339 – 353) e qui portato a conclusione. Su quello che segue è più difficile decidere; il motivo della partenza successiva alla libagione (vv. 39 – 56) risale a η, ove Alcinoo aveva annunciato che la partenza sarebbe avvenuta la sera a ora tarda, dopo la libagione (cfr. η 136 – 138, 317– 318). Quello che si dice sui doni di cui si era parlato a θ 387 sgg. sembra presupporre tali doni, ma i particolari non sono in accordo: mentre, infatti, in θ tutti i doni, compresi quelli di Alcinoo e Arete, erano contenuti nella χηλός, in ν (67– 68) la situazione è un po’ diversa; infine, dei cinquantadue giovani che avevano preparato la nave di Odisseo in θ (48 sgg.) in ν (70 sgg.) non si fa parola. Non sembra dunque che in ν sia confluito molto di θ. Del resto, se chi ha riorganizzato questa parte dell’Od. avesse voluto inserire una parte del materiale, che leggiamo in θ, all’interno di ν, avrebbe potuto inserirci i dialoghi di Odisseo con Arete e Nausicaa (θ 442– 468)⁶²⁷. Perché invece ha inserito tali dialoghi in θ, ove essi evidentemente stonano? In altre parole, dal momento che il terzo giorno (ν 18 sgg.) era totalmente privo di eventi di rilievo⁶²⁸, perché non riempirlo con materiale del giorno precedente, tanto più con materiale che si adattava benissimo alle ore immediatamente precedenti la partenza per Itaca? Per Bergk sono le parole di Alcinoo di θ 429 che hanno ispirato tale procedimento; Alcinoo dice ad Arete di disporre bene i doni di Odisseo e di far lavare quest’ultimo ὄφρα … δαιτί γε τέρπηται καὶ ἀοιδῆς ὕμνον ἀκούων. Tali  Von der Mühll (1940) 732; Merkelbach (19692) 174.  Cfr. Bergk (1872) 680.  Si ha l’impressione che lo stesso poeta abbia percepito la mancanza di azione di questo giorno, cfr. Jacob (1856) 447; West (2014) 230 – 231.

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parole creano l’attesa di un banchetto e di un canto dell’aedo; d’altronde, tutto questo discorso di Alcinoo fa parte dello stesso epos dei dialoghi immediatamente successivi fra Odisseo e Arete e Nausicaa. Dunque, ipotizza Bergk, il rielaboratore, conscio del fatto che il banchetto e il canto più significativi erano, nella nuova versione da lui assemblata, il δόρπον del secondo giorno, ha pensato che θ 429 stesse bene prima di tale δόρπον. Questo non è impossibile, ma c’è anche un’altra ragione, più forte, che può aver spinto il rielaboratore a procedere così: nel suo discorso ad Arete (θ 424– 432) Alcinoo dà disposizioni circa i doni di Odisseo, di cui si è parlato per tutta la sezione precedente; il rielaboratore senza dubbio trovava unita la narrazione sui doni (θ 387 sgg.) al discorso di Alcinoo a Arete (il rielaboratore li ha staccati inserendoci il ritorno alla reggia, 417– 422). Dal momento che intendeva lasciare la sezione sui doni alla fine del secondo giorno (collocazione che era anche nell’originale), questo ha comportato lasciare anche i dialoghi fra Odisseo e Arete e fra Odisseo e Nausicaa in tale posizione. A questa ricostruzione si potrebbero fare due obiezioni: da θ 429 si ricava che doveva seguire un pasto; poiché io ho ipotizzato che questo discorso di Alcinoo precedesse nell’originale la partenza di Odisseo, cosa accadeva effettivamente nell’originale fra θ 468 (il commiato da Nausicaa) e la partenza per Itaca? Inoltre, al v. 539 Alcinoo parla di δόρπον: come è possibile, se effettivamente si trattava di un δεῖπνον? Io credo che anche nell’originale al commiato con Nausicaa seguisse un pasto e il canto di Demodoco; così si ricava dalle parole di Alcinoo (θ 429) e non c’è ragione di dubitarne; da η 136 – 138, 317– 318 si deduce che Odisseo dovrà partire la sera tardi, quando tutti stanno per andare a dormire; è quindi ragionevole supporre che precedessero il δόρπον e il canto dell’aedo. La seconda difficoltà è più grave; la soluzione più semplice è supporre che δορπέομεν di θ 539 abbia sostituito un precedente δειπνέομεν⁶²⁹. Dunque, nella versione più antica Odisseo rimaneva dai Feaci una notte e un giorno e raccontava le sue avventure nel pomeriggio precedente alla partenza⁶³⁰. Questa ricostruzione consente di chiarire molte cose: lo spezzamento della scena del canto di Demodoco e la traballante architettura dei vv. 417– 421, 471– 473

 Così Bergk (1872) 681, nota 68; H. Diller apud Merkelbach (19692) 168, nota 1.  Che il soggiorno presso i Feaci in una versione più antica durasse meno di quanto duri nella nostra Od. credono anche studiosi che analizzano l’episodio in modo diverso da me, cfr. Jacob (1856) 408 sgg.; Schwartz (1924) 27; Theiler (1950) 103; Merkelbach (19692) 168 sgg.; West (2014) 132– 133. Woodhouse (1930) 54 sgg. crede che i giochi in origine si legassero al matrimonio di Nausicaa (ζ 34), ma è una tesi indimostrabile; cfr. anche Krischer (1985) 18 sgg.

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nonché l’enigmaticità delle parole di Arete ai vv. 443 – 445⁶³¹ e di Odisseo ai vv. 487– 492 risultano chiarite; il commiato da Nausicaa si trova al suo posto naturale. Se è così, per gli ἆθλα non c’è più spazio: essi riempiono il pomeriggio del secondo giorno della permamenza di Odisseo; se al loro posto poniamo gli ᾿Aπόλογοι, è ovvio che da questi ultimi dovremo togliere l’«Intermezzo», che presuppone la notte. Questo si accorda benissimo con un altro fatto: l’«Intermezzo» (λ 335 – 384) è incluso nella νέκυια ed è inscindibile da essa, poiché la domanda di Alcinoo a Odisseo circa i suoi compagni della guerra di Troia (370 – 372) prepara la seconda parte della νέκυια e ne presuppone la prima. Orbene, è uno dei dati più sicuri circa la genesi dell’Od. che la νέκυια è un’inserzione successiva all’interno degli ᾿Aπόλογοι. L’inserzione di νέκυια e «Intermezzo» fanno parte dello stesso progetto, che presuppone un terzo giorno di soggiorno presso i Feaci; poiché anche l’inserzione degli ἆθλα sembra legarsi all’allungamento di un giorno, tutto lascia pensare che νέκυια, «Intermezzo» e ἆθλα siano stati inseriti all’interno di uno stesso progetto di allungamento. Ora che abbiamo mostrato che θ è frutto di una rielaborazione, vediamo la situazione di η⁶³². Anche in questa rapsodia credo che vi siano almeno tre sezioni rielaborate. In quella precedente (ζ) Odisseo incontra Nausicaa, che, dopo averlo vestito e ristorato, lo accompagna fino alle porte della città; per evitare che i Feaci la vedano camminare in compagnia di uno sconosciuto, la fanciulla prega Odisseo di sostare in un τέμενος di proprietà di suo padre Alcinoo, che si trova appena fuori la città: quando sarà ragionevole pensare che Nausicaa sia già arrivata alla reggia, allora anche Odisseo si muoverà alla volta del palazzo. Così effettivamente avviene e quando Odisseo entra in città, Atena, sotto le sembianze di una fanciulla, gli indica il palazzo di Alcinoo (η 1– 78). Dopo la descrizione del palazzo, Odisseo vi entra, mentre i Feaci stanno facendo l’ultima libagione prima di andare a dormire. Odisseo si getta ai piedi della regina Arete e la prega di farlo riaccompagnare a Itaca. Segue un momento di silenzio, che viene interrotto da Echeneo, che esorta Alcinoo a far sedere Odisseo e a dargli da mangiare. Così avviene; dopo un’altra libagione gli ospiti se ne tornano a dormire a casa loro e lasciano Odisseo solo in compagnia della coppia reale. Arete, che vede che Odisseo indossa abiti che appartengono a Nausicaa,

 Le parole della regina possono essere ben definite, se si accetta questa ricostruzione, una «feine Bemerkung» (Bergk 1872, 680); sulla stessa linea Koechly (1881) 176, Marzullo (1952) 203; all’opposto Schwartz (1924) 26: «der Einfall, es auf das Äolosabenteuer zu beziehen, verdient nicht einmal ein Wort der Widerlegung» (!).  Non c’è ragione di soffermarci su ζ, poiché esso è «unversehrt üblerliefert» (Bergk 1872, 672).

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chiede a Odisseo chi sia; egli non risponde a questa domanda, ma narra di essere giunto dall’isola di Ogigia e di essere stato soccorso da Nausicaa. Alcinoo garantisce all’ospite il ritorno a Itaca, ma solo la sera successiva. A questo punto tutti vanno a dormire. Così finisce η. Molti concordano che gli eventi che si svolgono dentro il palazzo (135 – 347) presentino alcune gravi incoerenze⁶³³. A me pare evidente che al loro interno sono mescolate due scene, che presuppongono una trama leggermente diversa. Dopo la preghiera di Odisseo ad Arete e l’intervento di Echeneo, che esorta il sovrano a dar da mangiare a Odisseo e a offrire una libagione a Zeus protettore degli ospiti, Alcinoo prende per mano Odisseo e lo fa sedere al posto del figlio Laodamante. Conformemente a quanto suggerito da Echeneo, all’eroe viene servito il δόρπον, cui segue la libagione a Zeus. A questo punto interviene Alcinoo e preannuncia che il giorno successivo si provvederà a onorare l’ospite come è opportuno e si disporrà il suo ritorno; almenoché, aggiunge Alcinoo, l’ospite non sia in realtà un dio; in questo caso, aggiunge il sovrano, gli dèi hanno cambiato atteggiamento verso i Feaci, dal momento che in passato solevano rivelarsi a loro, senza nascondersi sotto le sembianze di un mortale. Odisseo risponde che un tale pensiero non deve preoccupare Alcinoo: egli non solo è un mortale, ma è fra i più sventurati dei mortali (213 – 218): καὶ δ᾽ ἔτι κεν καὶ πλείον᾽ ἐγὼ κακὰ μυθησαίμην, / ὅσσα γε δὴ ξύμπαντα θεῶν ἰότητι μόγησα. / ἀλλ᾽ ἐμὲ μὲν δορπῆσαι ἐάσατε κηδόμενόν περ· / οὐ γάρ τι στυγερῆι ἐπὶ γαστέρι κύντερον ἄλλο / ἔπλετο, ἥ μ᾽ ἐκέλευσεν ἕο μνήσασθαι ἀνάγκηι / καὶ μάλα τειρόμενον καὶ ἐνὶ φρεσὶ πένθος ἔχοντα. Queste affermazioni dell’eroe lasciano davvero sorpresi: egli chiede di mangiare, quando ha già mangiato (cfr. v. 177)⁶³⁴; inoltre, egli sembra legare la richiesta di mangiare al rifiuto di raccontare altre cose (πλείον᾽ ἐγὼ κακὰ μυθησαίμην); anche questo è davvero strano, poiché Alcinoo non gli ha chiesto nulla⁶³⁵. Appena Odisseo ha terminato di parlare, i Feaci ne lodano le parole, libano e vanno a dormire (226 – 229): ὧς ἔφαθ᾽, οἱ δ᾽ ἄρα πάντες ἐπήινεον ἠδὲ κέλευον / πεμπέμεναι τὸν ξεῖνον, ἐπεὶ κατὰ μοῖραν

 Cfr. Kirchhoff (18792) 208, che attribuisce 185 – 232 a B; Hennings (1903) 202– 203, che offre la miglior analisi, in quanto localizza il problema a 185 – 228; Schwartz (1924) 18 sgg., che crede B abbia mescolato K e O; circa l’analisi di Merkelbach, cfr. la nota 637.  Si è addirittura ipotizzato (Seeck 1887, 162) che questi vv. escludano anche il pasto che Odisseo ha avuto da Nausicaa (ζ 249 – 250), ma è difficile esserne sicuri, poiché l’eroe poteva mangiare due volte, una in riva al mare, l’altra nel palazzo.  Ameis-Hentze ad η 215 – 221: «Indes ist dieser Gedanke mit der Auslassung über den Magen befremdend, weil Odysseus gar nicht aufgefordert war, von seinen Leiden zu erzählen, nach 177 bereits gegessen hatte und von einer Fortsetzung des Essens nicht weiter die Rede ist, vielmehr sofort abgeräumt wird: 232».

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ἔειπεν. / αὐτὰρ ἐπεὶ σπεῖσάν τε πίον θ᾽, ὅσον ἤθελε θυμός, / οἱ μὲν κακκείοντες ἔβαν οἶκόνδε ἕκαστος. Questi vv. non sono meno sorprendenti delle parole di Odisseo: i Feaci hanno già fatto la libagione (184: αὐτὰρ ἐπεὶ σπεῖσάν τε πίον ὅσον ἤθελε θυμός). La ripetizione del verso dopo più di quaranta vv. implica che la libagione si ripeta, ma questo è strano: è evidente che ci si riferisce sempre alla stessa libagione, quella cioè a Zeus ordinata da Echeneo (vv. 164– 165)⁶³⁶. Se noi eliminiamo i vv. 185 – 228, alla libagione segue il ritorno a casa dei Feaci e il colloquio fra Odisseo e la coppia reale. La sequenza così ottenuta non presenta alcuna difficoltà, anzi in questo modo otteniamo un altro vantaggio: nella disposizione attuale del testo, Alcinoo promette due volte a Odisseo il ritorno, la prima volta durante il discorso che egli tiene in presenza di tutti i Feaci (189 – 196), la seconda quando è rimasto in compagnia della sola moglie e dell’ospite (315 – 321) e solo a questa seconda promessa segue il ringraziamento di Odisseo (313 – 333). Questa doppia promessa non è di per sé impossibile, ma il testo scorre assai meglio se Alcinoo promette una sola volta il ritorno. Anche in questo caso mi pare siamo davanti a una scena spezzata: la scena della libagione di 184 viene ripresa a 228, secondo uno schema che ci è ormai familiare⁶³⁷. I vv. 185 – 228 non sono l’unico Fremdkörper di η; ce ne è uno ben più noto ed evidente, la descrizione dei giardini di Alcinoo (103 sgg.). Odisseo giunge alla reggia dei Feaci ed essa viene descritta all’imperfetto (86 – 102). Improvvisamente, il poeta inizia a descrivere l’attività delle ancelle al presente, cui segue la

 Si veda e. g. γ 342, γ 395, σ 427, ove il v. αὐτὰρ ἐπεὶ σπεῖσάν τε πίον θ᾽ ὅσον ἤθελε θυμός si riferisce sempre alla libagione appena avvenuta.  Merkelbach (19692) 161– 175 propone un’altra analisi di η, secondo la quale il Fremdkörper va da 136 a 229. Secondo lo studioso tedesco dalle parole di Nausicaa e di Atena (ζ 310 sgg. e η 53 sgg.) si deduce sia che Odisseo nel palazzo di Alcinoo troverà solo quest’ultimo e la consorte, non tutti gli altri notabili Feaci, sia che sarà Arete a decidere del destino di Odisseo. Tutto questo sarebbe in contraddizione con 136 – 229, ove sono presenti i notabili Feaci ed è Alcinoo a decidere circa la richiesta dell’ospite. In realtà, non c’è nulla nei passi citati che indichi chiaramente che Odisseo troverà nella reggia solo Alcinoo e Arete (sul ruolo di Arete cfr. Fenik 1974, 105 – 130); anzi a ζ 255 – 257 e η 49 – 50 si dice esplicitamente che Odisseo troverà anche gli altri notabili. Merkelbach è costretto a espungere tali vv., ma essi non creano alcun problema. La tesi del Merkelbach presenta anche un altro punto debole: se consideriamo 136 – 229 come un’unità (un resto del Kleinepos Odysseus bei den Phaeaken ipotizzato dallo studioso tedesco), siamo costretti a espungere il v. 177 (ove Odisseo mangia) poiché da 215 sgg. si deduce che Odisseo deve ancora mangiare (e infatti Merkelbach espunge 177). L’espunzione di questo v. pone un grave problema, poiché, espungendo 177, alla disposizione della mensa non seguirebbe il pasto; questo è contrario all’uso omerico; si vedano i passi ove si trova il v. identico a 176 (εἴδατα πόλλ᾽ ἐπιθεῖσα, χαριζομένη παρεόντων: α 240 sgg.; δ 56 sgg.; ρ 95 sgg.) e si osserverà che a tale v. segue sempre il pasto. Dunque Odisseo senza dubbio cenava in corrispondenza del v. 176 e questo mostra che 136 – 229 non sono un’unità.

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descrizione dei giardini della reggia, anch’essa al presente (103 – 131): è evidente che i due pezzi sono stati giustapposti e forse 103 – 131 erano in origine pronunciati da un personaggio (così si spiegherebbe bene il presente)⁶³⁸. Un’altra incongruenza si trova nel discorso che Atena, sotto le sembianze di una fanciulla, rivolge a Odisseo (η 48 sgg.): leggiamo, infatti, prima che Alcinoo è fratello di Arete (54– 55), poi che Arete è figlia di Rexenore, fratello di Alcinoo (56 – 66): la prima versione è presente anche in Hes. (fr. 222 M.-W.) e forse è quella più antica, mentre la seconda è presupposta nel seguito (η 146); certo è che 54– 55 e 56 sgg. sono giustapposti⁶³⁹. Mi pare quindi evidente che η–θ ci sono giunti in forma rimaneggiata⁶⁴⁰; in θ il rimaneggiamento è stato più profondo, poiché l’inserimento degli ἆθλα ha comportato lo spostamento degli ᾿Aπόλογοι e il rifacimento di tutta le sezione fra l’inizio di questi ultimi e la fine degli ἆθλα. In η sembra che siano state aggiunte due scene, ma non c’è stato uno sconvolgimento della trama originale. Nella sezione immediatamente precedente, ε 44–ζ, non si osservano contraddizioni così patenti e non ci sono scene spezzate, che ci indichino con certezza la presenza di un’inserzione. Tuttavia, almeno in ε, io ritengo altamente probabilmente, quasi certo, che ci sia una parte rielaborata. La descrizione della tempesta (282 sgg.) ha probabilmente subito una rielaborazione, sebbene sia davvero difficile riconoscere fonti e suture. Prima di vedere nel dettaglio quali parti della tempesta presentino incongruenze, è opportuno gettare uno sguardo d’insieme sul problema che a essa si lega; infatti, l’analisi della tempesta di ε ha conseguenze sulla genesi generale dell’Od. In un epos confluito nella nostra Od., che io chiamerò Melanthoepos ⁶⁴¹, il falso cretese Aitone (in realtà Odisseo stesso) narra a Penelope le peregrinazioni di Odisseo in una forma che differisce leggermente da quanto noi leggiamo nella nostra Od. (τ 270 sgg.). Si narra, infatti,

 Cfr. Friedländer (1849) 669 sgg.; Bergk (1872) 674, che ipotizza che i vv. in questione fossero pronunciati da Odisseo stesso dopo il suo ritorno a Itaca; Koechly (1881) 177– 178; Niese (1882) 179, che crede 103 – 131 un’aggiunta recente; Seeck (1887) 159; Hennings (1903) 197; Schwartz (1924) 19, che attribuisce 103 – 130 a O e la sezione precedente a B; Theiler (1950) 103 sgg., che ipotizza 103 – 131 fossero pronunciati da Atena (nel discorso di η 48 sgg.); Merkelbach (19692) 162– 163.  Cfr. da ultimo West (2014) 132. Attribuiscono a B 56 – 66 ovvero 56 – 68 rispettivamente Schwartz (1924) 19 e Merklebach (19692) 160, nota 1.  C’è un altro punto di η che alcuni hanno ritenuto rimaneggiato. Secondo Kirchhoff (18792) 275 sgg. la risposta di Odisseo ad Arete in η 241 sgg. è stata rielaborata, poiché Odisseo dovrebbe qui rivelare il proprio nome. È vero che c’è una variante redazionale e che Aristarco faceva bene a espungere 251– 258, ma non c’è ragione di supporre i profondi rimaneggiamenti ipotizzati da Kirchhoff, cfr. Besslich (1966) 60 sgg.; Fenik (1974) 5 sgg.; Peradotto (1990) 94 sgg. e nota 667.  Cfr. p. 334 sgg.

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che l’eroe, dopo il naufragio causato dall’uccisione dei buoi di Helios, approdò a Scheria, aggrappandosi alla chiglia (τρόπις) della nave distrutta dalla tempesta (278 – 279: τὸν δ᾽ ἄρ᾽ ἐπὶ τρόπιος νηὸς βάλε κῦμ᾽ ἐπὶ χέρσου, / Φαιήκων ἐς γαῖαν, οἳ ἀγχίθεοι γεγάασιν). Rispetto alla nostra Od., c’è una differenza evidente: nel racconto di Aitone non c’è Calipso; nella nostra Od., dopo il naufragio di Trinachia, in cui perde tutti i compagni, Odisseo approda presso Calipso (μ 447– 450). Le parole di Aitone non sarebbero forse da sole sufficienti a dimostrare l’esistenza di un νόστος senza Calipso, ma ci sono altri indizi in questo senso. Che Odisseo arrivi a Itaca da Scheria sembra un dato di fatto, presupposto dallo stesso poeta che narra l’episodio di Calipso (ε 288 – 289), come se non fosse nemmeno immaginabile che l’eroe arrivasse a Itaca direttamente da Ogigia; questo fa pensare che i Feaci fossero presenti nel νόστος prima di Calipso. ε 177– 179, ove Odisseo chiede a Calipso di giurargli che ella non sta tramando contro di lui un altro inganno, derivano senza dubbio da κ 342– 344, ove Odisseo chiede lo stesso giuramento (in maniera molto più sensata e opportuna) a Circe⁶⁴². Se ne è dedotto che il poeta di ε abbia creato la figura di Calipso, modellandola parzialmente su quella di Circe. Sebbene non sia possibile avere certezze, sembra anche a me ragionevole che Calipso sia più recente del «blocco» Feaci-᾿Aπόλογοι⁶⁴³. Se questo è vero, dovette esistere un’Od. in cui la tempesta seguita al naufragio di Trinachia portava Odisseo non a Ogigia, ma a Scheria. Nella tempesta di ε 282 sgg., ove Odisseo arriva a Scheria da Ogigia, c’è qualche traccia della tempesta che portava l’eroe da Trinachia a Scheria? μ 405 sgg. descrivono la tempesta da Trinachia a Ogigia: è stato osservato che tale descrizione presenta una somiglianza con quanto narra Aitone in τ (che parla del naufragio da Trinachia a Scheria)⁶⁴⁴, poiché in entrambi i casi si parla della τρόπις, grazie a cui Odisseo si sarebbe messo in salvo. Si può dunque ipotizzare che sia esistita un’Od., nella quale Odisseo arrivava a Scheria da

 Non c’è dubbio che il giuramento di ε derivi da quello di κ, cfr. Kayser (1881) 35; Niese (1882) 178 – 179; West (2014) 178. Che Wilamowitz (1884) 119 sgg. creda il contrario deriva solo dalla sua errata convinzione (ereditata da Kirchhoff) che κ–μ (quindi anche Circe) costituisca un gruppo di ᾿Aπόλογοι seriori, inseriti successivamente nella nostra Od. cfr. p. 285 sgg. Seguono Wilamowitz in questo errore Schwartz (1924) 42, Von der Mühll (1940) 721, Theiler (1950) 104.  Cfr. in questo senso Niese (1882) 185 sgg.; Wilamowitz (1884) 137; Dahms (1919) 75 – 76; Schwartz (1924) 60 sgg.; Reinhardt (1960) 91; Merkelbach (19692) 217– 218; E. West (2014). Contra Von der Mühll (1940) 712. Scettico Bethe (1922) 100 – 101, nota 7. Cfr. anche M. L. West (2014) 128 – 129.  Cfr. Wilamowitz (1884) 134– 139 e Schwartz (1924) 1– 8, che credono che la tempesta di ε (K) conservi tracce di quella di O; contra Focke (1943) 78 sgg.; Merkelbach (19692) 159, nota 1. Cfr. anche Pfeiffer (1960) 12, nonché Bergk (1872) 672 e West (2014) 180, nota 52, che credono che nella tempesta di ε ci siano tracce di rielaborazione.

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Trinachia aggrappato a una τρόπις; la combinazione di τ con μ rende possibile formulare questa ipotesi. Orbene, la τρόπις si incontra anche in ε, in un punto che presenta, forse, le tracce di una sutura. Dopo la prima onda che colpisce la zattera e lo getta sott’acqua, Odisseo si risolleva e torna sulla zattera; a questo punto appare Ino-Leucotea, che gli suggerisce di lasciare la zattera, togliersi gli abiti che ha e indossare un κρήδεμνον, che ella stessa gli dà (ε 339 – 350). Odisseo accoglie il suggerimento con sospetto; meglio, riflette l’eroe, finché la zattera regge, rimanervi sopra, tanto più che egli intravede in lontananza la terra ferma (356 – 364). A questo punto Posidone scatena contro la zattera un’altra onda, che la manda in frantumi. Odisseo si aggrappa quindi a un δόρυ, si toglie gli abiti che gli aveva dato Calipso e indossa il κρήδεμνον. Non è difficile collegare ἓν δόρυ di ε 371 alla τρόπις di μ e τ. Il collegamento è tanto più suggestivo, se si pensa che nel seguito del δόρυ non si farà più parola, poiché Odisseo si affida al κρήδεμνον datogli da Ino-Leucotea⁶⁴⁵. Insomma, il motivo del δόρυ / τρόπις, mentre sembra facesse parte del naufragio successivo a Trinachia, qui potrebbere essere un relitto di un’altra narrazione, che aveva come punto di partenza Trinachia e come punto di arrivo Scheria: si tratterebbe dunque dell’Od. senza Calipso (O). Che tale Od. sia esistita e che abbia descritto il naufragio fra Trinachia a Scheria e che Odisseo in tale epos si sia salvato su una τρόπις, sembra anche a me probabile. Tuttavia, che di questo epos ci siano tracce in ε 44 sgg. io lo ritengo possibile, ma non dimostrabile: che Odisseo abbandoni il δόρυ non è, infatti, in contraddizione con altri dati del testo. C’è solo una leggera incongruenza, cui noi siamo portati a dare peso in considerazione di quanto leggiamo in μ e τ. Schwartz crede che le due onde che colpiscono la zattera (ε 313 sgg.; ib. 366 sgg.) derivino l’una dall’Od. più antica senza Calipso (O), l’altra da quella più recente (K), e crede che alla prima seguisse nell’originale l’approdo a Scheria a cavallo della τρόπις, alla seconda l’approdo a Scheria a nuoto con l’ausilio del κρήδεμνον di Ino-Leucotea. È possibile, ma non dimostrabile. C’è, tuttavia, un’altra incongruenza nella tempesta di ε. Wilamowitz e Schwartz hanno sostenuto che l’intervento di Atena in favore di Odisseo (ε 382– 387) è ridondante rispetto a quello di Ino-Leucotea; questo non è dimostrabile, mentre mi pare più produttivo osservare un’incongruenza fra l’intervento della dèa e ciò che segue immediatamente. Atena placa tutti i venti e lascia spirare il solo Borea, affinché porti Odisseo a Scheria (τῶν ἄλλων ἀνέμων κετέδησε κελεύθους / … ὦρσε δ᾽ ἐπὶ κραιπνὸν Βορέην, πρὸ δὲ κύματ᾽ ἔαξεν / εἷος ὃ Φαι-

 Wilamowitz (1884) 136: «Weshalb bleibt er denn nicht auf dem balken, sondern springt nun, Leukothea trauend, ins unendliche meer? er hatte ja doch einst auf dem kielholz seines schiffes treibend glücklich Kalypsos insel erreicht».

La νέκυια

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ήκεσσι φιληρέτμοισι μιγείη). Quanto segue non sembra corrispondere all’intervento di Atena (388 – 393): ἔνθα δύω νύκτας δύο τ᾽ ἤματα κύματι πηγῶι / πλάζετο, πολλὰ δέ οἱ κραδίη προτιόσσετ᾽ ὄλεθρον. / ἀλλ᾽ ὅτε δὴ τρίτον ἦμαρ εϋπλόκαμος τέλεσ᾽ Ἠώς, / καὶ τότ᾽ ἔπειτ᾽ ἄνεμος μὲν ἐπαύσατο ἠδὲ γαλήνη / ἔπλετο νηνεμίη. Sembra che, nonostante l’intervento della dèa, i venti continuino a spirare e a far vagare Odisseo, mentre l’intervento della dèa aveva proprio fatto cessare tutti gli altri venti e lasciato spirare il solo Borea perché portasse l’eroe a destinazione⁶⁴⁶. Nel complesso, esistono buone ragione per pensare che la tempesta di ε sia stata rielaborata; che questo vada messo in relazione con l’inserimento di Calipso in un epos in cui la ninfa non era presente è un’ipotesi suggestiva, anche se non dimostrabile.

La νέκυια Abbiamo analizzato i principali problemi delle rapsodie ε–θ, ν1. Passiamo ora agli ᾿Aπόλογοι e iniziamo con una parte che è sicuramente stata inserita in essi in un secondo momento, la νέκυια. L’analisi della νέκυια pone molti problemi, poiché tale epos non solo è inconciliabile con il contesto in cui esso attualmente si trova, ma, anche al proprio interno, è frutto di numerose conflazioni. È di tutta evidenza che la νέκυια nel suo contesto attuale è un’inserzione⁶⁴⁷. Dopo un anno di soggiorno presso Circe, i compagni di Odisseo vogliono tornare a Itaca (κ 469 sgg.). Circe non si oppone a questo desiderio, ma rivela a Odisseo che gli eroi dovranno prima recarsi εἰς ᾿Aΐδαο δόμους … ψυχῆι χρησομένους Θηβαίου Τειρεσίαο (492– 3). Circe dà istruzioni molto dettagliate a Odisseo su cosa egli dovrà fare giunto presso l’Ades e, alla fine del discorso, in due versi (539 – 40), gli rivela il fine del viaggio: Tiresia gli indicherà come tornare a Itaca. Giunto alle porte dell’Ades, Odisseo incontra Tiresia, che gli rivolge un discorso di quasi 40

 Qualcuno potrebbe pensare che il poeta volesse indicare che l’intervento della dèa non aveva avuto l’effetto sperato: questo è impossibile, perché in tal caso il poeta avrebbe specificato il motivo per cui lo sforzo della divinità era stato vano.  Che la νέκυια sia stata inserita in un secondo tempo negli ᾿Aπόλογοι pensano la maggior parte degli analitici e anche alcuni unitari, cfr. Lauer (1843); Bergk (1872) 685 – 686; Koechly (1881) 183 sgg.; Niese (1882) 166 sgg., che crede aggiunto κ 490 – μ 22; Wilamowitz (1884) 140 sgg. (142: «Kein verständiger zweifelt daran, dass die Nekyia in das Kirkeabenteuer κ μ eingelegt ist»), che crede aggiunto κ 490 – μ 38; Meyer (1895) 245 sgg.; Bethe (1922) 128 sgg.; Schwartz (1924) 51, 137 sgg.; Von der Mühll (1940) 724; Theiler (1950) 104 sgg.; Page (1955) 21 sgg. Contra Scotland (1886); van der Valk (1935); Focke (1943) 199 sgg.; Merkelbach (19692) 185 sgg. Brausewetter (1863) 27 sgg. crede che l’inserzione cominci già con κ 460, eliminando in questo modo anche il soggiorno di un anno presso Circe. Cfr. anche Tsagarakis (2000).

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vv. (λ 100 – 137). Tiresia comincia dicendo che Odisseo desidera avere informazioni sul ritorno (νόστον δίζηαι μελιηδέα, φαίδιμ᾽ Ὀδυσσεῦ), ma che l’ira di Posidone per l’accecamento di Polifemo renderà il viaggio penoso. Tuttavia, prosegue Tiresia, se, una volta giunti sull’isola di Trinachia, Odisseo e i compagni eviteranno di uccidere le vacche di Helios, potranno tornare a Itaca; se, invece, uccideranno gli armenti, solo Odisseo riuscirà a tornare in patria, dopo molto tempo e troverà in casa i proci. Odisseo riuscirà a vendicarsi dell’arroganza dei proci; a quel punto egli dovrà ripartire da Itaca, andare in cerca di un popolo che non conosce il mare e, alla fine, tornare a Itaca e morire lì. Analizzeremo nel dettaglio questo discorso nel seguito. Per ora conviene osservare una cosa macroscopica, che rende del tutto oscuro il senso del viaggio di Odisseo all’Ades. Al ritorno dall’Ades, Odisseo e i compagni si recano di nuovo da Circe. Ella, appena li vede, li invita a restare per il resto della giornata (μ 21 sgg.); all’alba essi ripartiranno, ma prima Circe li istruirà sul viaggio (αὐτὰρ ἐγὼ δείξω ὁδὸν ἠδὲ ἕκαστα / σημανέω, ἵνα μή τι κακορραφίηι ἀλεγεινῆι / ἢ ἁλὸς ἢ ἐπὶ γῆς ἀλγήσετε πῆμα παθόντες). Queste sono parole di Circe: come si spiega che ella esprima ora l’intenzione di indicare a Odisseo la via del ritorno, lei stessa che lo ha appena inviato da Tiresia per ottenere informazioni su tale via? Ci aspetteremmo che le informazioni che Circe si accinge a dare siano almeno diverse da quelle di Tiresia. Eppure, non è così: la maga indica a Odisseo la via del ritorno in maniera assai più dettagliata di Tiresia (μ 39 – 141). All’interno della nostra Od., dunque, il viaggio di Odisseo verso l’Ades non assolve al compito per cui esso viene esplicitamente introdotto⁶⁴⁸. Ci sono ragioni cogenti per pensare che tale viaggio sia stato preso da un altro epos (che aveva presupposti alquanto diversi da quelli della nostra Od.) e introdotto in modo piuttosto meccanico all’interno degli ᾿Aπόλογοι. Alla fine di κ Circe dà a Odisseo istruzioni dettagliate su cosa fare una volta arrivato alle soglie del regno di Ades; all’inizio di λ occorrono una serie di vv. identici a quelli usati da Circe per dare istruzioni a Odisseo, con la differenza che in λ sono parole di Odisseo, che descrive ai Feaci ciò che egli ha effettivamente fatto (κ 517– 526 = λ 25 – 34; κ 531– 537 = λ 44– 50). L’analisi non lascia dubbi che l’originale sia λ, che è stato riutilizzato in κ: λ 34 (τοὺς δ᾽ ἐπεὶ εὐχωλῆισι λιτῆισί τε, ἔθνεα νεκρῶν) è riadattato in κ 526 (αὐτὰρ ἐπὴν εὐχῆισι λίσηι κλυτὰ ἔθνεα νεκρῶν) con εὐχή in luogo di εὐχωλή: mentre la seconda forma è quella normale dell’epica omerica, la prima diverrà tipica nel greco seriore e nei poemi omerici è attestata solo qui;

 Niese (1882) 167: «Es wäre nun undenkbar, dass ein Dichter dem Odysseus eine Reise zum Hades sollte zugeschrieben haben, wenn er ihn nachher durch die Kirke vollständiger und besser belehren lassen wollte».

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λ 45 (μῆλα τὰ δὴ κατέκειτ᾽ ἐσφαγμένα νηλέϊ χαλκῶι) occorre identico in κ 532, ove alcuni mss. hanno il presente κατάκειτ᾽ : è evidente che l’unica forma sensata in κ è il presente, ma è anch’esso fuori luogo, perché occorrerebbe un futuro⁶⁴⁹. È chiaro che esisteva un epos su un viaggio all’Ades di Odisseo, che è stato inserito all’interno degli ᾿Aπόλογοι, in particolare dell’episodio di Circe. Il punto della sutura è certo κ 490, ove Circe, dopo aver detto a Odisseo che non lo tratterrà contro la sua volontà, inizia a parlare del viaggio verso l’Ades. Nella sequenza originaria a κ 488 – 489 doveva seguire la descrizione dei viaggi di Odisseo dalle Sirene a Trinachia, che ora si trova in μ 38 sgg. Non è, tuttavia, possibile fare un collegamento diretto κ 489 + μ 38, poiché il colloquio fra Circe e Odisseo di μ 38 – 140 si svolge in riva al mare (μ 143), quello di κ 488 – 489 in casa della maga (κ 480). All’interno dell’Einlage, sono da attribuire al rielaboratore κ 490 – λ 13, strettamente legati a Circe⁶⁵⁰. λ 14– 19 parlano del popolo dei Cimmeri, che vive in prossimità del regno di Ades; purtroppo non c’è alcun modo di determinare se la menzione di questo popolo (che noi conosciamo anche da fonti storiche) sia da attribuire alla rielaborazione o alla νέκυια ⁶⁵¹, anche se quest’ultima possibilità mi sembra più probabile, perché nel discorso di Circe (κ 505 – 540), che appartiene alla rielaborazione, non vi è traccia dei Cimmeri. Da λ 25 in poi siamo di sicuro all’interno della νέκυια (come mostra il fatto che tali vv. siano utilizzati dal rielaboratore)⁶⁵²; 23 menziona due compagni di Odisseo, Perimede ed Euriloco, dei quali il secondo compare più volte negli ᾿Aπόλογοι, il primo un’altra volta (μ 195); se facevano parte della νέκυια, questo testimonierebbe di un legame fra tale epos e gli ᾿Aπόλογοι, ma non c’è modo di saperlo. Odisseo e i compagni compiono i riti necessari (senza però entrare nell’Ades): sopraggiungono le anime e la prima a presentarsi è quella di Elpenore: a differenza delle anime dei morti che sono stati sepolti, Elpenore non ha bisogno di bere il sangue per poter parlare e può quindi rivolgersi subito a Odisseo per

 Cfr. e. g. Ω 154, 183 e Stahl (1907) 93: «weil man sich bewußt ist, daß im Griechischen das Präsens nicht beliebig in den Bereich der Zukunft hinübergreifen kann.» Cfr. anche p. 5.  Sembra che κ 541– 545 derivino da ε 228 – 232, cfr. Dawe (1993) 423 – 424. Nei due vv. precedenti (κ 539 – 540) Circe dice a Odisseo a proposito di Tiresia: ὅς κέν τοι εἴπηισιν ὁδὸν καὶ μέτρα κελεύθου / νόστον θ᾽, ὡς ἐπὶ πόντον ἐλεύσεαι ἰχθυόεντα. Gli stessi vv. occorrono in δ 389 – 390, ove Idotea li riferisce a suo padre Proteo, parlando con Menelao. Merkelbach (19692) 180 – 181 ritiene κ l’originale, ma ha probabilmente ragione Niese (1882) 167 a credere l’opposto: i vv. in se stessi non permetterebbero di giudicare, ma tutto lascia pensare che siamo di fronte a B che copia da T, come altrove.  Della prima opinione è Schwartz (1924) 138.  Così Kirchhoff (18792) 225; Wilamowitz (1884) 144; sulla delimitazione della νέκυια cfr. anche Theiler (1950) 105 e nota 647.

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pregarlo, appena tornato all’isola di Circe, di seppellirlo, sicché possa entrare nell’Ades. Di Elpenore era stata narrata la morte in κ 551– 560: mentre gli altri compagni si preparavano a partire da Eea, il giovane Elpenore, ubriaco, era caduto dal tetto della casa di Circe ed era morto; in μ 8 – 15 ne viene narrata la sepoltura. La combinazione fra quanto leggiamo in κ, λ e μ è piuttosto goffa e non si capisce se Elpenore sia invenzione del rielaboratore o si trovasse già nella νέκυια ⁶⁵³. Nel racconto di λ 54– 55 Odisseo dice che l’eroe non era stato sepolto perché non ce ne era stato il tempo (ἐπεὶ πόνος ἄλλος ἔπειγε): risulta molto strano che, allorché in κ ne narra la morte, Odisseo non dica nulla sulla mancata sepoltura dell’eroe; si trattava di un dovere cui i compagni non potevano sottrarsi ed è strano che se ne senta parlare per la prima volta in λ. L’impressione che si ha leggendo κ 551– 560 è che Odisseo e i compagni non si accorgano che Elpenore è morto; d’altra parte, questo è inconciliabile con λ 53 – 54. μ 1– 15 descrivono il ritorno degli Itacesi a Eea e la sepoltura di Elpenore; al termine di quest’ultima leggiamo (16 – 18): ἡμεῖς μὲν τὰ ἕκαστα διείπομεν· οὐδ᾽ ἄρα Κίρκην / ἐξ ᾿Aΐδεω ἐλθόντες ἐλήθομεν, ἀλλὰ μάλ᾽ ὦκα / ἦλθ᾽ ἐντυναμένη. Questi vv. stupiscono: poco prima (9 – 10) era stato detto che i compagni di Odisseo erano andati a casa di Circe a prendere il cadavere di Elpenore: che senso ha dire ora che Circe si era accorta del loro ritorno a Eea⁶⁵⁴? Le incongruenze più gravi riguardo Elpenore si trovano in κ e μ, cioè all’interno della rielaborazione; non pare quindi possibile attribuire a questa rielaborazione l’invenzione di questo personaggio; d’altra parte, non è nemmeno probabile che egli facesse parte della νέκυια: la sua presenza in λ 51– 80 è inscindibile da Circe, che non aveva nulla a che fare con la νέκυια. Probabilmente Elpenore è un’aggiunta fatta dopo l’inserzione della νέκυια negli ᾿Aπόλογοι. La ragione dell’aggiunta può essere il desiderio di attribuire una ragione plausibile a Odisseo per tornare a Eea dopo la visita all’Ades⁶⁵⁵ (tale ritorno risulta, infatti, poco comprensibile). Alla scena di Elpenore segue l’arrivo dell’anima della madre di Odisseo, Anticlea, e poi di quella di Tiresia, che è il primo a parlare con Odisseo. Il suo discorso (100 – 137) è di importanza capitale per l’analisi della νέκυια e dell’Od. in generale. L’indovino inizia dicendo che Posidone è furente contro Odisseo per l’accecamento di Polifemo e che renderà difficile il ritorno di Odisseo a Itaca. Tuttavia, Odisseo e i compagni riusciranno ad arrivare in patria, se si asterranno

 Della prima opinione sono Wilamowitz (1884) 144– 145 e Schwartz (1924) 138, della seconda Niese (1882) 169, nota 1 e Page (1955) 44– 46.  Cfr. Ameis-Hentze ad μ 16.  Cfr. Merkelbach (19692) 185 – 186 (sulle orme di Finsler), che tuttavia non pensa sia un’aggiunta, ma il proposito del poeta che ha composto κ – μ (A per Merkelbach); cfr. anche Peradotto (1990) 61.

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dall’uccidere le vacche di Helios sull’isola di Trinachia; se invece le uccideranno, Odisseo, oltre a perdere i compagni, tornerà in patria dopo molto tempo e troverà la casa infestata dai proci. Dopo averli uccisi, Odisseo si recherà presso un popolo che non conosce il mare, donde poi tornerà a Itaca e vi morirà. La profezia di Tiresia è stata profondamente rielaborata. Se Odisseo ucciderà le vacche di Helios, predice Tiresia, oltre a perdere i compagni e a tornare a Itaca dopo molto tempo, troverà la casa infestata dai proci (λ 115 sqq.). Questi vv. sono in contraddizione con la domanda che Odisseo, pochi vv. dopo (λ 177– 179), pone ad Anticlea, se cioè Penelope si sia già risposata: come può a Odisseo venire in mente di chiedere una tale cosa alla madre, se egli ha appena sentito da Tiresia che, se egli tornerà a Itaca dopo molto tempo, in tal caso egli troverà i proci in casa? Odisseo chiede cioè a Anticlea se già si è realizzato, quello che Tiresia annuncia come una minaccia che si potrà presentare dopo molto tempo e che, comunque, non si realizzerà. La contraddizione fra λ 115 – 120 e λ 177– 179 è evidente e innegabile. Per comprenderne la ragione, è necessario considerare la parte precedente del discorso di Tiresia: l’indovino afferma che, nonostante l’ostilità di Posidone, Odisseo e i compagni riusciranno a tornare a Itaca, purché non uccidano le vacche di Helios. I vv. 110 – 114 sono identici a μ 137– 141, ove è Circe a ammonire Odisseo su ciò che lo attende circa le vacche di Helios. I vv. non hanno nulla di formulare e non possono essere nati indipendentemente: sono dunque essi originari in λ o in μ? Evidentemente in μ, poiché nel discorso di Circe essi si armonizzano bene, in quello di Tiresia no: l’indovino ha appena detto che è Posidone che minaccia Odisseo, mentre nei vv. comuni a μ la minaccia parte da Helios. Dunque λ 110 – 114 sono stati presi meccanicamente da μ; d’altra parte i vv. immediatamente precedenti, 105 – 109, sono inscindibili da 110 – 114, poiché introducono l’episodio di Trinachia. 105 – 114 girano attorno all’episodio di Trinachia, 115 – 120 girano attorno ai proci e alla τίσις: d’altra parte 115 – 120 contraddicono quanto dirà poco dopo Anticlea (177– 179). Nel discorso di Anticlea c’è un altro punto che contraddice palesemente 115 – 120: Odisseo le chiede se, durante la sua assenza, qualcuno si sia impadronito delle sue prerogative reali (γέρας) e cosa faccia Telemaco (174– 179); la madre risponde (λ 184– 187): σὸν δ᾽ οὔ πώ τις ἔχει καλὸν γέρας, ἀλλὰ ἕκηλος / Τηλέμαχος τεμένεα νέμεται καὶ δαῖτας ἐΐσας / δαίνυται, ἃς ἐπέοικε δικασπόλον ἄνδρ᾽ ἀλεγύνειν· / πάντες γὰρ καλέουσι. Chiunque abbia familiarità con la nostra Od. resta esterefatto leggendo questi vv.: come è possibile che Telemaco, che noi vediamo sostenere una lotta impari con i proci per affermare i propri diritti, venga descritto come un principe tranquillo, che già tutti riconoscono come il

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futuro re⁶⁵⁶? Come può Tiresia immaginare che la casa venga invasa dai proci, se Telemaco è già un principe forte e maturo? Noi conosciamo un Telemaco appena giunto all’età per rivendicare i propri diritti (che non gli vengono riconosciuti): come è possibile immaginare che, in un momento precedente, egli sia già δικασπόλος? Le contraddizioni fra quanto dice Tiresia e quanto dice Anticlea si chiariscono supponendo che nella profezia del Tebano i vv. 104– 120 siano stati inseriti successivamente, evidentemente da chi ha inserito la νέκυια nell’Od. La finalità dell’inserzione è evidente: 104– 120 corrispondono alla trama della nostra Od., mentre quanto afferma Anticlea la contraddice⁶⁵⁷. Se noi eliminiamo dal discorso di Tiresia 104– 120, ne restano l’inizio e la fine, cioè le due sezioni riguardanti l’ira di Posidone (100 – 103, 121– 137), sulla quale tutta la profezia è dunque incentrata. La conclusione è cogente e chiara: in origine Tiresia rivelava a Odisseo che egli era perseguitato dall’ira di Posidone e gli dava istruzioni su come porvi rimedio. Il rielaboratore ha lasciato questa parte, ma vi ha inserito in mezzo un pezzo per armonizzarla con il nuovo contesto; probabilmente nell’originale Tiresia dava indicazioni di viaggio a Odisseo che erano in contraddizione troppo grave e patente con il nuovo contesto⁶⁵⁸. Tutto questo non sorprende, dal momento che l’ira di Posidone è sicuramente estranea agli ᾿Aπόλογοι, probabilmente anche a K: la profezia di Tiresia è invece (a parte i vv. 104– 120) tutta incentrata sull’ira di Posidone⁶⁵⁹. I risultati dell’analisi strutturale di κ–μ ci hanno insegnato che la νέκυια non può essere stato concepita insieme agli ᾿Aπόλογοι in cui è inserita; ora l’analisi del discorso di Tiresia conferma questa incompatibilità fra questo episodio e il contesto. La νέκυια non è un’unità. Il nucleo centrale è l’incontro con Tiresia e la madre Anticlea, che sembrano un’unità inscindibile (νεκυομαντεία)⁶⁶⁰; entrambi presuppongono che le anime dei morti per parlare con Odisseo debbano bere il

 Cfr. Lauer (1843) 66 sgg.; Bethe (1922) 29, nota 1.  Bethe (1922) 129: «Von welcher Seite man auch die Teiresiasrede ansieht, stets fallen λ 104– 114 heraus. So klar und sicher wie dies ist die Veranlassung zu ihrer Einschaltung. Die Verse λ 104– 114 sollen die trotz der Kirkeprophezeihung μ 39 – 141 in das Nostosgedicht eingefügte Nekyia mit diesem in Übereinstimmung setzen». Sulla stessa linea già e. g. Meyer (1895) 248 – 249 e successivamente Merkelbach (19692) 222– 223; West (2014) 216. Di avviso opposto Rohde (1901) 272 sgg., ben confutato da Meyer.  Così Bethe (1922) 130.  Mülder (1903) 441: «Teiresias steht und fällt mit dem Zorn des Poseidon».  Cfr. Meyer (1895) 250 sgg.; Bethe (1922) 131; Page (1955) 42 sgg. Sulle stratificazioni nella νέκυια è intervenuta da ultimo S. West (2012), ma le proposte della studiosa (che prescindono da un confronto con la letteratura sull’argomento) non mi convincono: come è possibile, per esempio, attribuire Anticlea e Tiresia a due strati diversi?

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sangue (cosa non presupposta da una parte degli episodi sucessivi) e sembra che i loro discorsi siano complementari: il primo dà a Odisseo istruzioni su quanto precede il ritorno a Itaca, il secondo lo informa su cosa sta accadendo a casa durante la sua assenza. Entrambi sono inconciliabili con la nostra Od., quello di Anticlea in maniera evidente, mentre quello di Tiresia è stato ritoccato, probabilmente proprio per eliminare le contraddizioni più gravi. Alla fine del suo discorso Anticlea esorta Odisseo a tornare il prima possibile nel regno della luce e dei vivi (223), ma nella nostra Od. la visita al regno dei morti si protrae ancora per circa 400 vv. Prima Odisseo vede una serie di eroine (225 – 332: Catalogus heroidum), poi, dopo l’«Intermezzo», alcuni compagni della guerra di Troia (385 – 567: ᾿Aγαμέμνονος νέκυια), poi alcuni personaggi del passato mitico (568 – 627: Büsserszene), finché Odisseo, pur desideroso di vedere Teseo e Piritoo, temendo che invece si presenti la Gorgone, torna alla nave (628 – 636). La ᾿Aγαμέμνονος νέκυια presuppone una concezione diversa dell’anima rispetto alla νεκυομαντεία, poiché nella prima le anime non hanno bisogno di bere il sangue per riconoscere Odisseo e parlare⁶⁶¹. È improbabile che la ᾿Aγαμέμνονος νέκυια sia stata composta come continuazione della νεκυομαντεία, poiché in questo caso il poeta avrebbe fatto bere sangue alle anime prima di parlare con Odisseo; non costava alcuna fatica mantenere tale coerenza e non si vede perché un eventuale continuatore della νεκυομαντεία avrebbe fatto diversamente. Dunque l’᾿Aγαμέμνονος νέκυια era in origine un epos indipendente rispetto alla νεκυομαντεία, cui è stato giustapposto. La giustapposizione tra questi due epe è stata fatta dallo stesso poeta che ha inserito la νέκυια all’interno degli ᾿Aπόλογοι. Non c’è infatti dubbio che chi ha inserito la νέκυια negli ᾿Aπόλογοι sia il poeta che ha introdotto l’«Intermezzo»; orbene, l’«Intermezzo» è inscindibile dalla ᾿Aγαμέμνονος νέκυια, poiché quest’ultima viene introdotta da una domanda che Al-

 Quando Agamennone vede Odisseo (λ 390) lo riconosce: ἔγνω δ᾽ αἶψ᾽ ἐμὲ κεῖνος, ἐπεὶ ἴδεν ὀφθαλμοῖσι; così h 21 sch G, mentre l’archetipo della tradizione medioevale ha … ἐπεὶ πίεν αἷμα κελαινόν. Lo scolio H a λ 391 (Dindorf) si chiede: πῶς μὴ πιὼν τὸ αἷμα γινώσκει; e risponde πάντως οὗτοι ἐν τῷ τῶν ἀτάφων εἰσὶ τόπῳ. La risposta non è ovviamente quella giusta, ma lo scolio evidentemente presuppone la lezione di h 21 e sch G, che è accolta anche dagli editori. A favore di ἴδεν ὀφθαλμοῖσιν milita che, altrimenti, anche Achille e Aiace avrebbero dovuto bere del sangue per riconoscere Odisseo, mentre essi lo riconoscono senza berne (471, 543 sgg.): nello stile epico è inimmaginabile che non venga detto che ogni anima, prima di riconoscere Odisseo, beve il sangue. La lezione πίεν αἷμα κελαινόν è stata introdotta per armonizzare la ᾿Aγαμέμνονος νέκυια con la νεκυομαντεία che precede. Su questa linea Kammer (1873) 495; Wilamowitz (1884) 151; Meyer (1896) 252– 253; contra Rohde (1901) 264– 265 e van der Valk (1935) 99, che credono che si possa sottintendere che anche gli altri eroi bevono il sangue e quindi attribuiscono νεκυομαντεία e ᾿Aγαμέμνονος νέκυια allo stesso epos. Indeciso fra le due possibilità, ma ricco di buone osservazioni, Page (1955) 43.

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cinoo pone a Odisseo nell’«Intermezzo» (λ 370 – 372). Di certo il poeta di ψ2 leggeva una νέκυια in cui c’erano sia νεκυομαντεία sia ᾿Aγαμέμνονος νέκυια: nel racconto che Odisseo stesso fa a Penelope delle proprie avventure alla fine del poema (ψ 322– 325), ricorda di aver incontrato fra i morti Tiresia, i compagni della guerra e Anticlea. Per quanto concerne le altre sezioni di λ, è più difficile dire chi le abbia inserite; molto dipende dal valore che si attribuisce a ψ 322– 325: alcuni credono che gli episodi non citati in tali vv. fossero assenti dal testo presente al loro autore⁶⁶², ma non ci sono argomenti decisivi, anche se l’osservazione sembra ragionevole. Il Catalogus heroidum viene introdotto da 226 – 234, in cui si dice che Odisseo non permise alle eroine di bere il sangue tutte insieme, ma una per una. Vengono introdotte Tiro, Antiope, Alcmena, Epicaste, Clori, Leda, Ifimedea, Fedra, Procri, Arianna, Mera, Climene, Erifile. I vv. 249 – 250 presentano una sovrapposizione letterale con Hes. fr. 31 M.-W. (dal Γυναικῶν κατάλογος) e anche fra 287 sgg. e il fr. 37 M.-W. ci sono somiglianze; sembra che λ dipenda dal Γυναικῶν κατάλογος ⁶⁶³, di cui ha trascritto probabilmente interi pezzi. L’inserzione non è avvenuta in maniera del tutto meccanica: oltre a essere introdotta da 226 – 234, per molte eroine Odisseo specifica di averle viste (ἴδον), a volte di averci parlato (e. g. 236 – 237, 306), soprattutto nella prima parte; verso la fine la narrazione diviene più cursoria. Alla fine del Catalogus alcuni vv. (328 – 332) introducono l’«Intermezzo». Non c’è modo di dire se il Catalogus sia stato introdotto dal poeta che ha introdotto anche la parte precedente della νέκυια o se sia un’inserzione successiva. Se eliminassimo 225 – 332, il testo filerebbe benissimo. Dopo il Catalogus heroidum, l’«Intermezzo» e l’᾿Aγαμέμνονος νέκυια Odisseo dice di aver visto Minosse, Orione, Tizio, Tantalo, Sisifo, Eracle (Büsserszene). La ᾿Aγαμέμνονος νέκυια si chiude con la scena potente di Aiace che, ancora adirato per l’ingiusto giudizio circa le armi di Achille, si rifiuta di rispondere a Odisseo; poi però leggiamo (565 – 567) che i due avrebbero comunque parlato, se a Odisseo non fosse piuttosto interessato di vedere le altre anime: il passaggio è dei più goffi e la scena successiva ha presupposti del tutto diversi da quanto precede: non solo le anime non hanno bisogno di bere il sangue per avere coscienza (questo è probabilmente presupposto anche nella ᾿Aγαμέμνονος νέκυια), ma esse sono all’interno dell’Ades: mentre cioè in tutte e tre le sezioni precedenti era presupposto che Odisseo fosse all’entrata dell’Ades (quindi fuori

 Così Rohde (1901) 269 e Merkelbach (19692) 178, che attribuisce il passo di ψ ad A e, di conseguenza, crede che gli episodi assenti in ψ siano stati introdotti in λ da B.  Così Pfeiffer (1937) 14; Page (1955) 36 – 39; Merkelbach (19692) 177.

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da esso), nella Büsserszene egli è presupposto dentro l’Ades. I presupposti della νεκυομαντεία, che erano stati mantenuti completamente nel Catalogus heroidum e parzialmente nella ᾿Aγαμέμνονος νέκυια, vengono qui abbandonati⁶⁶⁴. È probabile che la Büsserszene facesse parte di una catabasi, forse di Eracle⁶⁶⁵. Anche in questo caso è difficilissimo decidere quando è stata fatta l’inserzione; a me pare improbabile che nel resoconto di ψ Odisseo avrebbe omesso di aver parlato con Eracle, se l’episodio fosse stato presente nell’Od. di riferimento. Questo farebbe pensare a un’inserzione successiva almeno alla νεκυομαντεία / ᾿Aγαμέμνονος νέκυια, ma è l’unico argomento che abbiamo in questa direzione. Poco, infatti, significa, che la Büsserszene sia in contrasto coi presupposti della parte precedente; abbiamo visto come il poeta che ha inserito la νέκυια abbia giustapposto νεκυομαντεία e ᾿Aγαμέμνονος νέκυια senza fare alcuno sforzo per conciliarle; lo stesso poeta avrebbe potuto benissimo inserire anche la Büsserszene. In tutti e tre gli epe aggiunti alla νεκυομαντεία sembra la tecnica sia la stessa, aggiungere cioè qualche v. all’inizio per collegarli al contesto, senza però intraprendere cambiamenti radicali all’interno dell’epos stesso: se non avessimo la testimonianza di ψ, credo tutti saremmo d’accordo nell’attribuire le tre inserzioni allo stesso poeta. Non ci sono indizi decisivi per escludere che sia stato un unico poeta a dare l’attuale forma a λ⁶⁶⁶.

Gli ᾿Aπόλογοι Una volta accertato che la visita all’Ades era estranea al corpo originario degli ᾿Aπόλογοι, analizziamo questi ultimi. Essi occupano le rapsodie ι–μ e sono inseriti all’interno del soggiorno di Odisseo presso i Feaci. Il racconto inizia con la partenza da Troia e l’episodio dei Ciconi e termina con il naufragio di Trinachia, in cui muoiono gli ultimi compagni di Odisseo. Del soggiorno a Ogigia Odisseo negli ᾿Aπόλογοι non parla; alla fine di μ (447– 453) egli accenna brevemente al suo approdo a Ogigia, ma aggiunge di non volerlo narrare, poiché ne ha già parlato il giorno prima. L’allusione è a η 241 sgg., ove l’eroe, alla presenza dei soli Alcinoo e Arete, aveva narrato le proprie vicende dall’arrivo a Ogigia fino a Scheria. Il collegamento è ben fatto e non ci sono ragioni per negare che sia

 Cfr. Thiersch (1821) 69 sgg.; Jacob (1856) 440; Wilamowitz (1884) 199 sgg.  Cfr. Von der Mühll (1938) 8 – 9; West (2014) 124.  Theiler (1950) 107: «Eine Scheidung unter den miteinander gut verzahnten Partien des λ ist bisher nicht sicher geglückt».

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frutto di una concezione unitaria⁶⁶⁷. Ci sono segni di suture all’interno degli ᾿Aπόλογοι stessi? Io credo di no, ma per lungo tempo si è creduto di sì e, anche se da un punto di vista di Quellen e non più di Autorschaft, molti lo credono ancora. Il fondatore della moderna filologia odissiaca, Kirchhoff, cercò di mostrare che gli ᾿Aπόλογοι si dividono in due serie, la prima comprendente le avventure dei Ciconi, dei Lotofagi, dei Ciclopi, la seconda Eolo, i Lestrigoni, Circe, le Sirene, Scilla e Cariddi, Trinachia⁶⁶⁸: in pratica, quanto leggiamo in ι apparterrebbe alla prima serie, quanto leggiamo in κ e μ alla seconda⁶⁶⁹. Mentre la prima serie apparterrebbe all’älterer Nostos che è alla base di ε–ν, la seconda sarebbe stata inserita successivamente all’interno di una rielaborazione complessiva di η–ν. Mentre l’idea kirchhoffiana della rielaborazione di η–ν (che è molto diversa dalla rielaborazione di θ–ν da me proposta) non ha avuto fortuna, l’idea che gli ᾿Aπόλογοι si dividano in due serie ha trovato molti seguaci; alcuni (soprattutto nell’800 e ai primi del ‘900) hanno aderito all’idea che si tratti di due epe diversi, altri hanno pensato (soprattutto dopo l’ampia indagine di Meuli 1921) che si tratti dello stesso epos, che però ha utilizzato due fonti diverse. La seconda fonte (o, per Kirchhoff, il secondo poeta) sarebbe stata influenzata da un epos argonautico. Vediamo i fondamenti di questa fortunata teoria. Fin dall’antichità i viaggi di Odisseo hanno diviso gli studiosi fra coloro che credono che per il poeta i luoghi visitati siano reali e coloro che credono che lo stesso poeta li immaginasse come puramente fantastici. Chiunque legga con un po’ di attenzione i libri ι–μ dell’Od. e si soffermi non sui personaggi e sui singoli luoghi che Odisseo visita (per i quali è impossibile stabilire corrispondenze geografiche), ma sulla direzione e sui tempi di navigazione che il poema esplicitamente indica, si accorge senza difficoltà che il poeta ha in mente direzioni precise e che egli indica al lettore la localizzazione relativa (non assoluta⁶⁷⁰!) dei

 L’unico problema reale è che η 251– 258 sembra alternativo a η 244– 250, poiché entrambi narrano l’approdo a Ogigia. Bisogna seguire Aristarco ed espungere 251– 258 come interpolazione rapsodica, cfr. Wilamowitz (1884) 132. Kirchhoff (18792) 278 – 291 crede vadano espunti 244– 250 e che, in origine, qui Odisseo rispondesse alla domanda di Arete circa la sua identità (238 – 239). Dunque, secondo Kirchhoff, nel corso di θ i Feaci avrebbero conosciuto l’identità di Odisseo. Si tratta di un’ipotesi fragilissima, anche perché non si capisce perché chi, eventualmente, volesse sopprimere i vv. in cui Odisseo rivelava la propria identità, dovesse introdurne altri (evidentemente inadatti al contesto) al loro posto. Cfr. anche nota 640.  Kirchhoff (18792) 292– 314; Wilamowitz (1884) 86, sgg., 163 sgg.; Meuli (1921); Schwartz (1924) 40 sgg., 262 sgg.; Merkelbach (19692) 201– 207.  Tralascio di discutere le idee di Kirchhoff su λ e la νέκυια, che egli attribuiva alla prima serie: la confutazione definitiva in Wilamowitz (1884) 140 – 162.  È evidente che negli ᾿Aπόλογοι vengono usati toponimi «appositamente indeterminati» (Tsopanakis 1992, 8), proprio per evitare localizzazioni precise.

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luoghi visitati da Odisseo⁶⁷¹. Ho discusso recentissimamente questo problema⁶⁷² e qui mi limito a riferirmi ai due dati essenziale: le prime tre tappe del viaggio di Odisseo⁶⁷³ (Lotofagi, Ciclopi, Eolo) sono immaginate all’estremo W, quelle successive all’estremo E. Alcune delle tappe orientali sembrano avere relazioni con il viaggio degli Argonauti: ebbene, proprio questo brusco passaggio da W a E e le coincidenze fra le avventure a E e alcuni episodi argonautici hanno spinto a ipotizzare che la seconda serie degli ᾿Aπόλογοι, a differenza della prima, sia stata influenzata da un epos argonautico. In realtà, nessuno degli episodi di κ–μ ha nulla a che fare con l’epos argonautico: certo il poeta mostra di conoscere la saga argonautica (cfr. κ 135 – 139⁶⁷⁴), ma nulla lascia supporre che egli abbia fatto fare a Odisseo lo stesso percorso che un precedente epos faceva fare a Giasone e compagni. Non spiego qui le ragioni per cui io escludo l’influenza dell’epos argonautico, poiché lo ho appena fatto nell’articolo citato. C’è un altro indizio che ha portato Kirchhoff e i suoi seguaci a postulare la diversa origine dei due gruppi di ᾿Aπόλογοι. Nella nostra Od. tutti gli ᾿Aπόλογοι sono narrati da Odisseo in prima persona; Kirchhoff era convinto che solo la prima serie fosse fin dall’origine narrata in prima persona, mentre la seconda serie sarebbe stata originariamente narrata in terza persona; anche questa idea kirchhoffiana ha avuto più fortuna di quanto meritasse⁶⁷⁵. Mentre si trova a Trinachia e la fame affligge lui e i compagni (μ 329 sgg.), Odisseo si allontana dalla nave e si addormenta. Nel frattempo, Euriloco riesce a persuadere i compagni a uccidere le vacche di Helios. Odisseo si sveglia e, messosi in cammino verso la nave, sente l’odore delle vacche che vengono arrostite; l’eroe si rivolge quindi agli dèi, disperato perché sa che ormai la rovina è certa. Seguono alcuni

 A favore del fatto che negli ᾿Aπόλογοι la collocazione relativa delle località sia indicata in maniera coerente, cfr. Kranz (1915) 93 – 102; Ballabriga (1998) 91:«Les idéalistes qui refusent purement et simplement d’aborder les questions d’ordre géographiques à propos de l’Odyssée se privent et nous privent de comprendre l’image du monde archaïque»; Cerri (2007) 20 sgg. Per la storia del problema e alcune riflessioni acute, cfr. Arrighetti (1975).  Lucarini sub prelis.  Prescindo dai Ciconi, poiché essi appartengono al mondo reale, non a quello fantastico.  I famosi vv. pronunciati da Circe sulle Πλαγκταί e l’aiuto prestato da Era alla nave Argo (μ 70 – 72) non varrebbero a mostrare certo l’esistenza del presunto epos argonautico, se anche fossero autentici. In realtà, essi sono stati inseriti negli ᾿Aπόλογοι solo successivamente (impossibile dire a quale stadio della rielaborazione), poiché μ 59 – 82 sono estranei al contesto originario: cfr. Kammer (1873) 540 – 545; Niese (1882) 205 – 206; Lucarini sub prelis.  Kirchhoff (18792) 292– 314; Wilamowitz (1884) 123 sgg.; Merkelbach (19692) 67, nota 1; West (2014) 96; già Thiersch (1821) 127 aveva posto il problema. Contra Hartel (1865); Heimreich (1871) 12 sgg.; Jörgensen (1904); Bethe (1922) 138 – 139. Adam (1880) 34 pensa che nell’Od. più antica gli ᾿Aπόλογοι fossero narrati in terza persona da Ermes.

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vv. (374– 390), in cui si dice che Lampetia annuncia a Helios quanto accaduto e che Helios chiede a Zeus di vendicare il delitto commesso e Zeus acconsente; Odisseo dice di aver appreso queste cose da Calipso, alla quale le aveva dette Ermes (389 – 390: ταῦτα δ᾽ ἐγὼν ἤκουσα Καλυψοῦς ἠϋκόμοιο· / ἡ δ᾽ ἔφη Ἑρμείαο διακτόρου αὐτὴ ἀκοῦσαι). Tutta la scena (374– 390) era espunta da Aristarco e, in effetti, gli ultimi due vv. presentano una incongruenza con ε 77– 80, dai quali si arguirebbe che Calipso veda in quel momento Ermes per la prima volta. Dal momento che nel seguito di ε Ermes nulla dice a Calipso circa gli eventi di Trinachia (anzi, a 130 sgg. è la ninfa che narra a Ermes il naufragio di Odisseo dopo Trinachia e tutto lascia pensare che i due parlino di Odisseo per la prima volta), fra μ 389 – 390 e ε sussiste una incongruenza di un certo momento. D’altra parte non si possono espungere solo 389 – 390, perché così resterebbe inspiegato come Odisseo possa conoscere la scena olimpica; nella nostra Od., se eliminiamo 389 – 390 dobbiamo, di conseguenza, eliminare anche 374– 388. Kirchhoff cerca di risolvere il problema in altro modo. Anch’egli è convinto che Odisseo non possa sapere degli eventi olimpici senza che qualcuno glieli narri, ma per risolvere l’aporia egli suppone che la narrazione, in una fase precedente, non fosse alla prima persona, ma alla terza, cioè che l’evento non venisse narrato da Odisseo stesso, ma dal poeta: il poeta, a differenza di Odisseo, è onniscente e quindi conosce anche gli eventi olimpici; 389 – 390 sarebbero in questo modo un intervento redazionale di chi ha trasportato la narrazione dalla terza persona alla prima. Kirchhoff collega quindi questa ipotesi con l’altra circa l’origine «argonautica» del secondo gruppo di ᾿Aπόλογοι e ipotizza che questo secondo gruppo (a differenza del primo, fin dall’origine narrato in prima persona) fosse in origine una Dichtererzählung e che solo B, inserendolo nel suo epos, lo abbia trasposto in una Icherzählung. In realtà, non c’è alcuna differenza fra la tecnica narrativa del cosiddetto primo gruppo di ᾿Aπόλογοι e del secondo. Come hanno mostrato in maniera incontrovertibile Hartel e Jörgensen⁶⁷⁶, la tecnica narrativa è del tutto analoga; se alcuni particolari risultano goffi e poco comprensibili, questo si deve al fatto che i poeti epici erano abituati alla narrazione in terza persona e una narrazione così lunga in prima persona come gli ᾿Aπόλογοι avrebbe creato difficoltà a qualsiasi poeta; peraltro, queste difficoltà sono riconoscibili sia nel primo che nel secondo gruppo di ᾿Aπόλογοι. Nel caso di μ 374– 390 il problema nasce dalla conoscenza che il narratore e il personaggio hanno delle azioni degli dèi. In generale

 In particolare l’articolo di Hartel è la migliore confutazione della tesi kirchhoffiana. Questo articolo è poco conosciuto, ma è degno della produzione, sempre di altissimo livello, del filologo austriaco.

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nell’epica, mentre il personaggio non ha sempre chiaro quando una divinità interviene, né, tanto meno, di che divinità si tratti, al narratore è sempre chiaro sia quando la divinità interviene sia quale divinità interviene. Orbene, negli ᾿Aπόλογοι il poeta è abbastanza coerente nel mantenere il punto di vista della Icherzählung: nel presunto primo gruppo l’intervento divino viene attribuito a una divinità indistinta (cfr. ι 158) esattamente come nel secondo (κ 157). μ 374– 390 pone un problema a parte, che non si risolve con la tecnica narrativa. La presenza di Calipso (389 – 390) è indispensabile, perché Odisseo non può conoscere la scena olimpica senza che Calipso gliela abbia narrata. Come vedremo, è probabile che K abbia inserito gli ᾿Aπόλογοι da un epos a lui precedente; si potrebbe dunque immaginare, data la presenza di Calipso in questi vv., che sia stato K (il poeta di Calipso) a inserire μ 374– 390. Tuttavia, l’incongruenza con ε è davvero troppo forte per attribuire l’inserzione di μ 374– 390 al poeta di ε. La soluzione migliore è ipotizzare che la scena sia estranea non solo agli ᾿Aπόλογοι, ma anche a K⁶⁷⁷: forse la ha introdotta B? I due pilastri su cui si basa la divisione degli ᾿Aπόλογοι in due gruppi di origine diversa sono caduti: un unico poeta ha composto il blocco ι–μ (con l’eccezione della νέκυια). Anche alcuni tentativi iperanalitici di mostrare che all’interno di singoli ᾿Aπόλογοι sono presenti pezzi di origine diversa non hanno portato a nessun risultato credibile. Si è cercato di mostrare che l’episodio del Ciclope è rielaborato⁶⁷⁸, ma, mentre è certo che in esso sono confluiti due motivi di origine del tutto diversa, quello dell’uomo che, accecato il gigante-pastore, riesce a fuggire dalla grotta nascondendosi nel gregge, e quello dell’uomo che, dicendo di chiamarsi «Nessuno», riesce a ingannare il demone, non c’è alcun modo di sostenere che nella nostra Od. i due motivi derivino da due epe diversi. L’unico punto degli ᾿Aπόλογοι che, forse, è stato rielaborato in maniera sostanziale è l’inizio (ι 39 sgg.). Non vi sono incoerenze, ma stupisce molto che Odisseo non dica nulla di dettagliato circa la partenza da Troia (39: Ἰλιόθεν με φέρων ἄνεμος Κικόνεσσι πέλασσεν). Si è supposto che in origine vi fosse qualcosa che contrastava con quanto attualmente leggiamo in γ 130 sgg., 276 sgg. (quindi in T) e che di conseguenza B, quando ha unito K con T, lo abbia soppresso⁶⁷⁹. È un’ipotesi ragionevole, ma assolutamente indimostrabile; certo il racconto di Nestore in γ è molto dettagliato e, se gli ᾿Aπόλογοι narravano in modo dettagliato

 Anche Jörgensen (1904) 378 – 379 ritiene μ 374– 390 incompatibili con il contesto ed espunge la scena; contra Von der Mühll (1940) 731; Heubeck ad μ 374– 90.  Cfr. Mülder (1903) e Schwartz (1924) 28 – 38; contra Focke (1943) 164– 176 e Page (1955) 1– 20.  Così Schwartz (1924) 28 sgg.; Merkelbach (19692) 182.

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la partenza da Troia, è probabile che fra le due narrazioni ci fossero contraddizioni abbastanza evidenti.

Sguardo d’insieme su ε–ν1 Diamo ora uno sguardo retrospettivo su ε – ν1 e cerchiamo di trarre qualche conclusione. L’attuale struttura di queste rapsodie è frutto di tre corpose rielaborazioni: l’inserimento degli ἆθλα in θ, che ha comportato lo spostamento degli ᾿Aπόλογοι e il prolungamento di un giorno del soggiorno di Odisseo a Scheria (1), l’inserimento della νέκυια, κ 490 – μ 38 (2), l’inserimento di Calipso (3). Su (2) non esistono dubbi, su (1) non sono certe le modalità, ma è certo che gli ἆθλα sono aggiunta successiva e che il soggiorno di Odisseo è stato prolungato, su (3) non possiamo essere certi di nulla. A queste tre macroscopiche rielaborazioni si aggiungono il rifacimento dell’inizio di ε, le rielaborazioni in η (103 – 131, 185 – 228), l’introduzione dell’ira di Posidone. Pare certo che (1) e (2) siano state fatte insieme: lo mostra l’«Intermezzo», che serve a tenere insieme la νέκυια e a prolungare di un giorno il soggiorno di Odisseo a Scheria. A questo progetto si lega senza dubbio anche l’introduzione dell’ira di Posidone, poiché essa è tipica della νεκυομαντεία / νέκυια. Anche il rifacimento del proemio di ε si inserisce in questo progetto, poiché esso è opera di chi ha composto α 11– 79, che ruota attorno all’ira di Posidone. D’altra parte, la composizione di α e il rifacimento del concilio divino di ε si devono a chi ha inserito T nel νόστος. Tutto questo ha conseguenze capitali sulla genesi dell’Od.: i grandi rifacimenti strutturali di α–ν1 fanno parte di un unico progetto, che è consistito nella riunione di T con Ἰθακησίων ἀγορά e νόστος, nell’inserzione della νέκυια (insieme all’ira di Posidone) e nel prolungamento del soggiorno di Odisseo presso i Feaci. Questo progetto è per noi B. È invece certo che Calipso preesistesse a B, poiché la ninfa è saldamente inserita nel νόστος e nel concilio divino che B rielabora. La soluzione più semplice sarebbe considerare Calipso inserita fin dall’inizio nel νόστος e pensare quest’ultimo come un’unità poi rielaborata da B: gli ᾿Aπόλογοι sarebbero così opera dello stesso poeta che ha composto gli episodi di Calipso e dei Feaci. Il nucleo più antico dell’Od. coinciderebbe così con K: prima di K non ci sarebbe nulla. Bethe (e prima di lui Kirchhoff) pensa sostanzialmente questo e Von der Mühll, Focke, Merkelbach concordano con lui. Io, invece, credo (con Niese, Wilamowitz, Schwartz) che il blocco Feaci᾿Aπόλογοι preesistesse a Calipso, non solo nella saga, ma come epos. Per me, rispetto ai tre studiosi citati, è più difficile dimostrare questo, poiché non credo che l’ira di Posidone sia stata introdotta dal poeta che ha introdotto Calipso (K),

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ma solo da B. Gli unici elementi che mostrano l’esistenza di un’Od. senza Calipso sono, secondo me, il racconto di τ 273 sgg. (con le sue coincidenze con la tempesta di ε), l’imitazione che ε 177– 179 fa di κ 342– 344 e il fatto che il blocco Feaci-᾿Aπόλογοι sembri sussistere senza Calipso (e quindi precederla). Che rapporto c’è fra gli ᾿Aπόλογοι, i Feaci e K? La soluzione più semplice sarebbe che esistesse un epos in cui Odisseo dopo Trinachia approdava a Scheria e lì narrava gli ᾿Aπόλογοι ai Feaci. Si tratterebbe sostanzialmente dell’epos individuato da Niese e Wilamowitz e che Schwartz chiama O. Se così è, K ha solo aggiunto Calipso all’inizio dell’epos; ma l’episodio dei Feaci (ζ–θ, naturalmente prima della rielaborazione di B) è opera dello stesso poeta che ha composto gli ᾿Aπόλογοι? C’è una difficoltà: in ζ–θ Atena interviene attivamente e costantemente in favore di Odisseo (ζ 2 sgg.; 230 sgg.; η 14 sgg.; θ 7 sgg.⁶⁸⁰), negli ᾿Aπόλογοι no⁶⁸¹. Il favore di Atena si pone, in parte, negli stessi termini che l’avversione di Posidone: gli ᾿Aπόλογοι non sanno nulla né dell’uno né dell’altra, mentre altre sezioni del poema li presuppongono. Pare difficile pensare che lo stesso poeta abbia lasciato che l’eroe soffrisse per tutto il periodo delle peregrinazioni senza che Atena facesse nulla per aiutarlo e poi, d’un tratto, facesse intervenire la divinità in continuazione. Il problema è stato sentito anche da B, che ha cercato di giustificare la contraddizione (cfr. ν 312– 343). Si è supposto che l’introduzione degli interventi di Atena e Posidone sia da ricondurre allo stesso poeta⁶⁸², ma mentre l’ira di Posidone in ζ–θ è assente o palesemente secondaria, il favore di Atena è parte integrante dell’epos. La soluzione apparentemente più semplice sarebbe pensare che gli ᾿Aπόλογοι non siano dello stesso poeta che ha composto η–θ e che il poeta di η–θ abbia preso gli ᾿Aπόλογοι da un epos preesistente⁶⁸³. Tuttavia, una vita indipendente degli ᾿Aπόλογοι è difficile da immaginare, dato che sono in prima persona e hanno quindi bisogno di una cornice⁶⁸⁴. Più semplice dunque immaginare che esistesse un epos (O) in cui Odisseo soggiornava presso i Feaci e narrava gli ᾿Aπόλογοι, ma Atena non

 ζ 328 – 331 sono probabilmente aggiunta di B, poiché presuppongono l’ira di Posidone. θ 193 sgg. fa parte degli ἆθλα, dunque è stato probabilmente inserito da B.  L’unica menzione di Atena negli ᾿Aπόλογοι è ι 317, assai generico. Il mancato intervento della divinità non può essere spiegato con la Icherzählung degli ᾿Aπόλογοι: se la dèa fosse intervenuta in suo favore, Odisseo se ne sarebbe accorto, non c’è dubbio; cfr. quanto osservato alla nota 610 a proposito di Posidone. Già Kayser (1881) 34– 35 (ma l’opuscolo è del 1835) osservava l’assenza di Atena dagli ᾿Aπόλογοι.  Così Niese (1882) 173 sgg., che attribuisce a K l’inserimento dei due motivi; cfr. anche Bethe (1922) 122 – 125.  Così Hennings (1857– 1860) 156 – 157; Kayser (1881) 9.  Per lo stretto legame fra gli ᾿Aπόλογοι e i Feaci, cfr. Most (1989).

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interveniva in suo favore. Si potrebbe dunque ipotizzare che le cose siano andate così: nell’epos più antico (O) Odisseo giungeva da Trinachia, dopo una tempesta, presso i Feaci, ove narrava gli ᾿Aπόλογοι; questo epos non conosceva né l’intervento di Atena né quello di Posidone né la figura di Calipso. Un epos più recente (K) ha introdotto l’intervento di Atena e ha fatto approdare Odisseo dopo il naufragio di Trinachia da Calipso⁶⁸⁵. Successivamente B ha rielaborato K legandolo ad altri epe e ampliandolo (e inserendo l’ira di Posidone, motivo centrale della νεκυομαντεία da lui inserita). Dunque, anch’io credo che prima di B esistessero almeno due epe che narravano il soggiorno di Odisseo presso i Feaci. Questa è anche la tesi di Schwartz, che crede tutta questa parte del poema una contaminazione di due epe (K e O) fatta da B, il quale avrebbe aggiunto pure molto di suo⁶⁸⁶. Alla contaminazione fra due epe si potrebbero ricondurre anche le incongruenze di η 103 – 131, 185 – 228. Si tratta di pezzi che sembrano derivare da un epos parallelo, talvolta contrastante con la trama principale⁶⁸⁷. La grande rielaborazione di θ–ν1, cioè lo spostamento degli ᾿Aπόλογοι e l’aggiunta di un giorno al soggiorno di Odisseo a Scheria (cioè, in sostanza, il passaggio da K a Β), non mi pare, invece, siano in alcun modo riconducibili all’uso di una fonte anteriore a K: questa rielaborazione è stata fatta dal poeta (B) che ha composto ν1 (come mostra il legame fra l’introduzione della seconda notte, l’«Intermezzo» e ν1), dunque da chi ha unito νόστος e τίσις⁶⁸⁸; essa è successiva a K e non c’è alcun indizio per supporre che O abbia giocato qualche ruolo. Anzi, l’innovazione tematica più significativa che si lega a tale Erweiterung, l’inserzione cioè dell’ira di Posidone, è senza alcun dubbio estranea a O. Come finiva K? Io non credo andasse oltre l’arrivo di Odisseo a Itaca; che esso comprendesse la τίσις, lo escluderei⁶⁸⁹. Per dissuadere Odisseo dal partire, Calipso gli dice (ε 206 – 208): εἴ γε μὲν εἰδείης σῆισι φρεσίν, ὅσσα τοι αἶσα / κήδε᾽ ἀναπλῆσαι, πρὶν πατρίδα γαῖαν ἱκέσθαι, / ἐνθάδε κ᾽ αὖθι μένων σὺν ἐμοὶ τάδε

 Anche Schwartz (1924) 10 attribuisce a K queste due innovazioni (cui aggiunge però il motivo dell’ira di Posidone).  Già Bergk (1872) 674 pensava che esistessero due epe paralleli confluiti in η.  A proposito di η 103 – 130 Schwartz (1924) 17– 19, 162– 163, ipotizza che in O essi venissero pronunciati da Nausicaa e descrivessero la proprietà suburbana di Alcinoo (ζ 294) e che proprio in tale proprietà Odisseo incontrasse i Feaci. È un’ipotesi ingegnosa, che ha il pregio di spiegare il motivo del trasferimento dei vv. (la proprietà suburbana nel nuovo epos non giocava, infatti, più alcun ruolo), ma che non riconduce a O, se non per il fatto che si presuppone che il contesto sia K e quindi, tutto quello che vi contrasta, lo si attribuisce a O (come fa sempre Schwartz). A proposito delle incongruenze nell’episodio dei Feaci, le disposizioni che Alcinoo dà per il giorno successivo in η 188 – 192 non trovano corrispondenza in θ 1 sgg., cfr. Ameis-Hentze ad η 188 – 192.  Cfr. p. 302 sgg.  In questo senso Bethe (1922) 110 – 111; cfr. anche Seeck (1887) 202.

I rapporti fra gli ἆθλα ed Esiodo e fra la Telegonia e l’Odissea

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δῶμα φυλάσσοις. La ninfa ha tutto l’interesse a far presenti a Odisseo le difficoltà che lo aspettano: perché parlare solo delle difficoltà prima dell’arrivo in patria, se in patria lo attende una lotta difficilissima coi proci? Una conferma a questa ipotesi la darà l’analisi di ν: tale rapsodia segna il passaggio dal νόστος alla τίσις: orbene, tutto lascia pensare che tale rapsodia sia stata composta da B, certo nulla indica che essa sia una prosecuzione di K (o di O)⁶⁹⁰.

I rapporti fra gli ἆθλα ed Esiodo e fra la Telegonia e l’Odissea L’analisi di ε–ν1 ha mostrato che in queste rapsodie B ha ampliato il tessuto di un epos preesistente (K/O), inserendovi materiale di altra origine (ἆθλα, νέκυια). Un elemento di datazione relativa per gli ἆθλα lo offre Esiodo. Offeso da Eurialo perché non vuole partecipare ai giochi, Odisseo gli risponde (θ 164– 177) che gli dèi non concedono a tutti le stesse cose; a qualcuno non concedono la bellezza, ma l’abilità oratoria, a qualcun altro concedono la bellezza, ma non il senno, come appunto a Eurialo. Descrivendo l’uomo non bello, ma abile a parlare Odisseo dice (170 – 173): ἀλλὰ θεὸς μορφὴν ἔπεσι στέφει, οἳ δέ τ᾽ ἐς αὐτόν τερπόμενοι λεύσσουσι· ὃ δ᾽ ἀσφαλέως ἀγορεύει αἰδοῖ μειλιχίηι, μετὰ δὲ πρέπει ἀγρομένοισιν, ἐρχόμενον δ᾽ ἀνὰ ἄστυ θεὸν ὣς εἰσορόωσιν.

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Esiodo, descrivendo gli effetti positivi che i doni delle Muse hanno sui βασιλεῖς, scrive (Theog. 80 sgg.) circa il re da loro onorato: τοῦ δ᾽ ἕπε᾽ ἐκ στόματος ῥεῖ μείλιχα· οἱ δέ τε λαοί / πάντες ἐς αὐτὸν ὁρῶσι διακρίνοντα θέμιστας / ἰθείηισι δίκηισιν· ὃ δ᾽ ἀσφαλέως ἀγορεύων / αἶψά τε καὶ μέγα νεῖκος ἐπισταμένως κατέπαυσεν. / […] ἐρχόμενον δ᾽ ἀν᾽ ἀγῶνα θεὸν ὣς ἱλάσκονται / αἰδοῖ μελιχίηι, μετὰ δὲ πρέπει ἀγρομένοισιν. È del tutto evidente che i due passi sono in relazione e che uno dei due dipende dall’altro: non solo la situazione generale è

 Non sappiamo nulla circa il contesto culturale di K e di O. In η 321 Alcinoo afferma che l’Eubea è la terra più lontana che esista da Scheria; si è spesso ipotizzato che il poeta che ha scritto questi vv. (che potrebbe essere K, o comunque un poeta del νόστος) avesse un particolare legame con l’Eubea (cfr. da ultimo West 2014, 90). Possibile; non ci sono tuttavia ragioni di postulare un legame particolare fra l’Eubea e lo sviluppo dell’epica, cfr. Cassio (1998). Forse ε 271– 275 è influenzato da Σ 486 – 489 (cioè dalla Ὁπλοποιΐα), cfr. Gemoll (1883) 76; Usener (1990) 119 sgg.

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identica (l’effetto che il dono, dato dalla divinità, dell’eloquenza, ha sugli uomini e il riconoscimento sociale che esso comporta), ma ci sono anche echi linguistici (cfr. ἀσφαλέως ἀγορ., μετὰ δὲ πρέπει ἀγρομένοισιν, αἰδοῖ μειλιχίηι). Tutto lascia pensare che il passo esiodeo sia il modello⁶⁹¹: il discorso di Odisseo dovrebbe concentrarsi più sul senno che sulle capacità oratorie (cfr. 177 νόον δ᾽ ἀποφώλιός ἐσσι); inoltre, parlare in mezzo alla gente in maniera ferma e saggia si addice benissimo a un βασιλεύς che pronuncia sentenze (διακρίνοντα θέμιστας), mentre è molto meno calzante in una situazione generale quale quella cui pensa Odisseo. La stessa αἰδώς nel contesto esiodeo è molto meglio amalgamata (cfr. 80, 84, 90) e si collega bene alle Muse. Non ci sono in θ espressioni usate a sproposito, che rendano la dipendenza da Esiodo del tutto sicura, ma, nel complesso, la bilancia propende decisamente a favore della priorità esiodea. Esiste di sicuro una relazione fra la νεκυομαντεία e il poema che chiude il ciclo troiano nei riassunti di Proclo, la Telegonia, generalmente attribuita a Eugammone⁶⁹². Essa seguiva l’Od. e i rapporti fra i due poemi non sono facili da stabilire. Ecco il riassunto di Proclo (Arg. 1 Bernabé): Μετὰ ταῦτά ἐστιν Ὁμήρου Ὀδύσσεια· ἔπειτα Τηλεγονίας βιβλία δύο Εὐγάμμωνος Κυρηναίου περιέχοντα τάδε. οἱ μνήστορες ὑπὸ τῶν προσεχόντων θάπτονται· καὶ Ὀδυσσεὺς θύσας Νύμφαις εἰς Ἦλιν ἀποπλεῖ ἐπισκεψόμενος τὰ βουκόλια καὶ ξενίζεται παρὰ Πολυξένῳ δῶρόν τε λαμβάνει κρατῆρα, καὶ ἐπὶ τούτῳ τὰ περὶ Τροφώνιον καὶ ᾿Aγαμήδην καὶ Αὐγέαν. ἔπειτα εἰς Ἰθάκην καταπλεύσας τὰς ὑπὸ Τειρεσίου ῥηθείσας τελεῖ θυσίας. καὶ μετὰ ταῦτα εἰς Θεσπρωτοὺς ἀφικνεῖται καὶ γαμεῖ Καλλιδίκην βασιλίδα τῶν Θεσπρωτῶν. ἔπειτα πόλεμος συνίσταται τοῖς Θεσπρωτοῖς πρὸς Βρύγους, Ὀδυσσέως ἡγουμένου· ἐνταῦθα Ἄρης τοὺς περὶ τὸν Ὀδυσσέα τρέπεται, καὶ αὐτῷ εἰς μάχην ᾿Aθηνᾶ καθίσταται· τούτους μὲν ᾿Aπόλλων διαλύει. μετὰ δὲ τὴν Καλλιδίκης τελευτὴν τὴν μὲν βασιλείαν διαδέχεται Πολυποίτης Ὀδυσσέως υἱός, αὐτὸς δ᾽ εἰς Ἰθάκην ἀφικνεῖται· κἀν τούτῳ Τηλέγονος ἐπὶ ζήτησιν τοῦ πατρὸς πλέων ἀποβὰς εἰς τὴν Ἰθάκην τέμνει τὴν νῆσον· ἐκβοηθήσας δ᾽ Ὀδυσσεὺς ὑπὸ τοῦ παιδὸς ἀναιρεῖται κατ᾽ ἄγνοιαν. Τηλέγονος δ᾽ ἐπιγνοὺς τὴν ἁμαρτίαν τό τε τοῦ πατρὸς σῶμα καὶ τὸν Τηλέμαχον καὶ τὴν Πηνελόπην πρὸς τὴν μητέρα μεθίστησι· ἡ δὲ αὐτοὺς ἀθανάτους ποιεῖ, καὶ συνοικεῖ τῇ μὲν Πηνελόπῃ Τηλέγονος, Κίρκῃ δὲ Τηλέμαχος.

Nello ps.-Apollodoro (ep. 7, 34– 37, ed. Wagner), alla fine dell’Od. seguono questi avvenimenti: Θύσας δὲ [scil. Odisseo] Ἅιδῃ καὶ Περσεφόνῃ καὶ Τειρεσίᾳ, πεζῇ διὰ τῆς Ἠπείρου βαδίζων εἰς Θεσπρωτοὺς παραγίνεται καὶ κατὰ τὰς Τειρεσίου μαντείας θυσιάσας ἐξιλάσκεται

 Cfr. Martin (1888 – 1889) 13; Wilamowitz (1916) 477– 478; Bethe (1922) 329 – 330; contra Cauer (1917 b) 531– 532.  L’attribuzione a Cineto di Sparta, minoritaria, è respinta e ben spiegata da Tsagalis (2015) 382– 383.

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Ποσειδῶνα. ἡ δὲ βασιλέυουσα τότε Θεσπρωτῶν Καλλιδίκη καταμένειν αὐτὸν ἠξίου τὴν βασιλείαν αὐτῷ δοῦσα. 35 καὶ συνελθοῦσα αὐτῷ γεννᾷ Πολυποίτην. γήμας δὲ Καλλιδίκην Θεσπρωτῶν ἐβασίλευσε καὶ μάχῃ τῶν περιοίκων νικᾷ τοὺς ἐπιστρατεύσαντας. Καλλιδίκης δὲ ἀποθανούσης, τῷ παιδὶ τὴν βασιλείαν ἀποδιδοὺς εἰς Ἰθάκην παραγίνεται, καὶ εὑρίσκει ἐκ Πενελόπης Πολιπόρθην αὐτῷ γεγεννημένον. 36 Τηλέγονος δὲ παρὰ Κίρκης μαθὼν ὅτι παῖς Ὀδυσσέως ἐστίν, ἐπὶ τὴν τούτου ζήτησιν ἐκπλεῖ. παραγενόμενος δὲ εἰς Ἰθάκην τὴν νῆσον ἀπελαύνει τινὰ τῶν βοσκημάτων, καὶ Ὀδυσσέα βοηθοῦντα τῷ μετὰ χεῖρας δόρατι Τηλέγονος 〈τρυγόνος〉 κέντρον τὴν αἰχμὴν ἔχοντι τιτρώσκει, καὶ Ὀδυσσεὺς θνήσκει. ἀναγνωρισάμενος δὲ αὐτὸν καὶ πολλὰ καταδυράμενος, τὸν νεκρὸν 〈καὶ〉 τὴν Πηνελόπην πρὸς Κίρκην ἄγει, κἀκεῖ τὴν Πηνελόπην γαμεῖ. Κίρκη δὲ ἑκατέρους αὐτοὺς εἰς μακάρων νῆσον ἀποστέλλει.

Proclo divide dunque la Telegonia in tre parti, delle quali la prima si svolge fra Itaca e l’Elide, la seconda in Tesprozia, la terza a Itaca. Rispetto allo ps.-Apollodoro c’è una differenza forte all’inizio: lo ps.-Apollodoro non solo omette il funerale dei proci e il viaggio in Elide, ma fa precedere il viaggio in Tesprozia dal sacrifico ad Ades, Persefone e Tiresia, mentre, nel racconto di Proclo, tale viaggio è preceduto dalle θυσίαι αἱ ὑπὸ Τειρεσίου ῥηθεῖσαι; questi sacrifici sono quelli che Tiresia stesso prescrive a Odisseo (λ 132– 134), mentre il sacrificio ad Ades, Persefone e Tiresia è quello che Odisseo stesso promette in λ 29 – 33 (cfr. anche κ 521– 525, che deriva da λ). Tutta la prima parte del racconto di Proclo è omessa dallo ps.-Apollodoro: è probabile che lo ps.-Apollodoro riassumendo abbia identificato il sacrificio di λ 29 – 33 = κ 521– 525 con quello di λ 132– 134, che probabilmente erano entrambi presenti nella Telegonia. Pare che in questa prima parte Proclo sia fonte più attendibile dello ps.-Apollodoro: la maggiore dettagliatezza ne è garanzia⁶⁹³. Se Proclo è attendibile, la prima parte della Telegonia, fino cioè alla partenza per l’Epiro, è stata ispirata da alcuni passi dell’Od. ⁶⁹⁴: se, infatti, escludiamo il funerale dei proci, il sacrificio alle Ninfe deriva dalla promessa di ν 356 sgg., mentre il viaggio che Odisseo fa in Elide ἐπισκεψόμενος τὰ βουκόλια deriva da δ 635 + ξ 100 + ψ 356 sgg. + ω 431⁶⁹⁵; delle θυσίαι ordinate da Tiresia abbiamo già detto. Che la prima parte della Telegonia (fino cioè alla partenza per l’Epiro) derivi dall’Od., pare probabile; d’altra parte, poiché mostreremo che è stato B a  Così Vürtheim (1901) 45; Ballabriga (1989) 297; contra West (2013) 295.  Cfr. Vürtheim (1901) 38 – 39.  In δ 634 sgg. Noemone dice ad Antinoo di volersi recare nell’Elide, ove egli ha cavalli e muli e in ξ 100 Eumeo afferma che Odisseo possiede animali ἐν ἠπείρωι; in ψ 356 sgg. Odisseo dice a Penelope di volersi occupare dei μῆλα, dei quali alcuni se li procurerà da solo, altri glieli daranno gli Achei. Collegando questi tre passi, non è difficile far andare Odisseo nell’Elide a procurarsi armenti. Forse anche ω 431 (ove Eupite afferma che Odisseo potrebbe fuggire in Elide) ha avuto un qualche ruolo.

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riunire δ, λ, ν, ξ, ψ, ω, ne segue che il poeta che ha composto questa parte della Telegonia aveva davanti a sé l’Od. di B⁶⁹⁶. Tuttavia, questo rapporto di filiazione rispetto alla nostra Od. non è estendibile ai due episodi successivi della Telegonia, che chiaramente non sono stati ispirati dalla nostra Od., ove non vi è traccia né del viaggio in Epiro né, tanto meno, di Telegono. La profezia di Tiresia della νεκυομαντεία ha, secondo alcuni studiosi, un rapporto stretto con la Telegonia. Per riconciliarsi con Posidone, profetizza Tiresia, Odisseo dovrà addentrarsi nell’entroterra finché non incontrerà una persona completamente ignara del mare (λ 121 sgg.). Ma in che punto dei viaggi di Odisseo va posto questo viaggio nell’entroterra? Questo è il primo difficile problema. Come abbiamo visto, i vv. immediatamente precedenti a λ 121 sono stati inseriti successivamente; dunque, essi non ci dànno alcuna indicazione sul luogo da cui inizia il viaggio di Odisseo nell’entroterra. Se B non ha completamente sconvolto il contesto, ne segue che Odisseo intraprende il viaggio verso l’entroterra dopo il ritorno a Itaca e la strage dei proci. Tiresia non specifica dove Odisseo debba iniziare il viaggio verso l’entroterra (λ 121): è evidente che Odisseo deve abbandonare Itaca, ma verso dove? Esisteva una tradizione (presente nella Telegonia) che poneva il viaggio di Odisseo in Epiro/Tesprozia, dunque nella regione che si trova proprio davanti Itaca: non occorreva dunque molto a capire cosa intendesse Tiresia. Tutto questo vale, se B non ha completamente sconvolto il contesto originario della profezia di Tiresia. Se invece la rielaborazione di B è stata più radicale, si apre un’altra possibilità, che cioè il viaggio nell’entroterra, nella profezia originaria, precedesse il ritorno a Itaca: Tiresia direbbe a Odisseo che egli, prima di tornare a Itaca, deve riconciliarsi con Posidone; in questo caso, nei vv. precedenti a λ 121, Tiresia avrebbe indicato a Odisseo le tappe del viaggio non verso Itaca, ma verso la località continentale, da dove egli avrebbe dovuto iniziare il viaggio verso l’entroterra (prima di tornare a Itaca)⁶⁹⁷. Se questa ipotesi fosse vera, la posticipazione del viaggio di Odisseo nell’entroterra, per fondare il culto di Posidone, a dopo il ritorno a Itaca sarebbe la conseguenza della meccanica inserzione della profezia di Tiresia nella nostra Od. ⁶⁹⁸

 Anche se non si accettino tutti i risultati dell’analisi da me proposti, chiunque creda che δ 620 – 847 sia fra le parti più recenti dell’Od. (cosa che gli analitici generalmente credono) e che δ 635 ha ispirato il poeta della Telegonia, deve di conseguenza credere che questo poeta avesse davanti l’Od. di B.  Tale località si trovava, pare, sulla costa di fronte a Itaca: cfr. quanto dice Tiresia a λ 132, donde si arguisce che raggiungere Itaca dalla località in questione non poneva alcuna difficoltà.  Gercke (1905) 315 – 316: «Es ist ein widersinniger Gedanke, daß der von Helios’ und Poseidons Zorn Verfolgte, nachdem es ihm endlich gelungen ist, diesen Göttern zu Trotz heimzukehren, seine Reue und Dankbarkeit gegen den einen durch eine Bußfahrt mit dem Ruder auf

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Non è facile scegliere fra queste due soluzioni: la decontestualizzazione della νεκυομαντεία non ci permette di raggiungere risultati sicuri. Se dovessimo decidere sulla sola base di ciò che leggiamo nell’Od. (a parte, ovviamente, ψ 264 sgg., ove la profezia di Tiresia viene contestualizzata nell’Od. di B), la seconda soluzione sarebbe la più semplice: Odisseo, prima di tornare a Itaca, si riconcilia con Posidone e poi muore tranquillo in patria. Tuttavia, vi è una difficoltà piuttosto seria: la tradizione che lega Odisseo all’entroterra epirotico sembra presupporre un lungo soggiorno dell’eroe sul continente. Questa tradizione è rappresentata sia dalla Telegonia (ove Odisseo sposa Callidice e diviene addirittura re dei Tesproti) sia da altre fonti di più difficile interpretazione⁶⁹⁹; inoltre, la forma stessa in cui si esprime Tiresia ricorda quella di altri oracoli, che ordinano a chi ascolta di stabilirsi in modo definitivo in un luogo⁷⁰⁰. Merkelbach ha inoltre richiamato l’attenzione su una tradizione che faceva andare Odisseo in esilio a causa dell’uccisione dei proci: secondo tale tradizione, nota ad Aristotele (fr. 511, 1 Gigon; cfr. anche ps.-Apoll. Ep. 7, 40), per dirimere la controversia fra Odisseo e i parenti dei proci, veniva chiamato a fare da arbitro Neottolemo, che imponeva a Odisseo di lasciare Itaca e le isole vicine; Odisseo si trasferiva quindi in Etolia ove, dopo aver sposato la figlia del re Toante e averne avuto un figlio, moriva in tarda età⁷⁰¹. Esisteva dunque una tradizione abbastanza diffusa, secondo la quale Odisseo, dopo il ritorno a Itaca, si trasferiva sul continente, ove si faceva una nuova vita. In considerazione di questo, non credo sia opportuno ridurre il viaggio nell’entroterra di cui parla Tiresia a una breve diversione precedente il definitivo rientro a Itaca⁷⁰². dem Rücken und durch Opfern und Stiften eines Kultes bezeugt. Auch die Absicht, den Gott zu versöhnen, kommt zu spät, wenn der Verhaßte bereits allen Gefahren entronnen ist und ruhig am heimischen Herde sitzt»; sulla stessa linea Bethe (1922) 129 sgg., Danek (1998) 215 – 216.  Steph. Byz. (Β 147 Billerbeck): Βούνιμα, πόλις Ἠπείρου, οὐδετέρως, κτίσμα Ὀδυσσέως, ἣν ἔκτισε πλησίον Τραμπύας λαβὼν χρησμὸν ἐλθεῖν πρὸς ἄνδρας «οἳ οὐκ ἴσασι θάλασσαν». βοῦν οὖν θύσας ἔκτισε. Anche nella leggenda di Sant’Elia, che presenta impressionanti somiglianze con quanto profetizza Tiresia, Elia rimane nel luogo ove ha piantato il remo (cfr. Hansen 1977): non sono in grado di esprimermi sui rapporti fra Od. e leggenda di Elia: Hansen sostiene che esse riflettano, indipendentemente, una tradizione popolare. Sui legami fra l’Epiro e il mondo omerico cfr. Hammond (1967) 385 – 389.  Cfr. Schwartz (1924) 140 – 141.  Cfr. Merkelbach (19692) 146. Per altri casi nel mito di assassini che vanno in esilio, cfr. Ballabriga (1989) 297; Nünlist (2009); cfr. anche Burgess (2014) 349 e (2015) 118: «Odysseus’ long sojourn in Thesprotia in particular might be considered a quasi-exile»; Malkin (1998) 127 sgg.; Perry (2010).  Inoltre Marks (2008) 85 ha ragione a notare che una riconciliazione con Posidone era importante anche dopo il ritorno a Itaca, poiché «a community of islanders depends naturally on a good relationship with the see god, as the Phaiakes illustrate in Book 13».

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Dalla profezia di Tiresia si ricava che Odisseo non resterà a lungo sul continente e che egli, di sicuro, morirà a Itaca. A questo proposito, è opportuno chiarire il significato dei vv. 134– 135: θάνατος δέ τοι ἐξ ἁλὸς αὐτῷ / ἀβληχρὸς μάλα τοῖος ἐλεύσεται. Si è discusso molto su cosa significhi ἐξ ἁλός: Aristarco lo interpretava come «lontano dal mare» e questa interpretazione è stata seguita da molti filologi; tuttavia, essa è impossibile. Θάνατος ἐξ ἁλὸς ἐλεύσεται può significare solo «la morte verrà dal mare»⁷⁰³. Tuttavia, chiarito il senso letterale (sul quale io non credo possano esserci dubbi), restano altre incertezze: a quale tipo di morte allude Tiresia? L’unica altra notizia circa la morte di Odisseo a Itaca ce la fornisce la Telegonia, secondo cui l’eroe sarebbe stato ucciso dal figlio Telegono, che, sbarcato a Itaca, avrebbe iniziato a fare razzie e, ignorandone l’identità, avrebbe ucciso Odisseo, che era accorso in difesa degli Itacesi. Esiste un rapporto fra la profezia di Tiresia e la storia di Telegono? Pare evidente di sì, poiché in entrambi i casi la morte di Odisseo arriva ἐξ ἁλός. C’è di più: Telegono uccide Odisseo con l’aculeo di una pastinaca e le ferite causate da tale oggetto sono assai dolorose e gli antichi ne erano consapevoli⁷⁰⁴; dunque, la morte per mano di Telegono doveva essere considerata una morte assai dolorosa. Non è difficile vedere un’opposizione fra questa morte e quella di cui parla Tiresia, dolce e tranquilla (ἀβληχρός)⁷⁰⁵. Sembra dunque che ci sia un’opposizione fra la profezia di Tiresia e quanto era scritto nella seconda e nella terza parte della Telegonia: Tiresia profetizza che Odisseo trascorrerà un breve soggiorno sul continente e avrà una morte tranquilla, mentre nella Telegonia si leggeva che l’eroe si tratteneva molto tempo sul continente e moriva di una morte assai dolorosa. Segue che o la profezia di Tiresia polemizza contro la Telegonia o la Telegonia polemizza contro la profezia di Tiresia. La prima soluzione mi sembra preferibile: la tradizione di un lungo soggiorno sul continente sembra diffusa e ben radicata ed è probabile che traesse origine dal bando da Itaca e le isole vicine, che cadeva su Ulisse in seguito all’uccisione dei proci; ipotizzare che chi ha posto in bocca a Tiresia la  Cfr. Ballabriga (1989) 294; West (2013) 307; Burgess (2015) 114– 115. È strano come un numero cospicuo di studiosi, da Aristarco in poi, abbia inteso ἐξ ἁλός come «longe a mari» (e. g. Vürtheim 1901, 51– 52, Schwartz 1924, 141). Se le parole ἐξ ἁλὸς ἐλεύσεται hanno un unico e ovvio significato («veniet a mari»), cadono anche tutte le interpretazioni che presuppongono che la storia di Telegono nasca da un loro fraintendimento, cfr. Tsagalis (2015) 392 e nota 72.  Cfr. Schol. in Od. λ 134; Aesch., fr. 275 Radt; per Sofocle, cfr. Radt (1977) 374– 375; Pacuv. fr. 199, 8 – 12 Schierl; Nicander Th. 835 sgg.  λ 135: vanno senza dubbio respinti i tentativi di Marks (2008) 95 e Burgess (2015) 115 – 116 di mettere in dubbio il significato di questo aggettivo; cfr. anche Tsagalis (2015) 393. Che esista un’opposizione fra la profezia di Tiresia e la morte di Odisseo presente nella Telegonia crede anche Marks (2008) 86 – 87.

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profezia di λ 121 sgg. si opponesse a tale tradizione non pare azzardato. Anzi, farla introdurre da un vate del prestigio di Tiresia, contribuiva a dare autorevolezza alla tradizione alternativa all’esilio⁷⁰⁶. Anche il confronto fra la storia di Telegono e le parole di Tiresia mi pare deponga a favore della precedenza della storia della Telegonia: chi mai, leggendo le parole di Tiresia, escogiterebbe di far morire Odisseo con l’aculeo della pastinaca⁷⁰⁷? Se invece circolava già la storia di Telegono che giunge dal mare e uccide Odisseo in un modo doloroso, le parole di Tiresia ne sono una chiara e autorevole smentita. Alludeva a un tipo particolare di morte Tiresia? Io credo che l’indovino alluda semplicemente a un tipo di morte non dolorosa, che all’eroe verrà procurata da Posidone (ἐξ ἁλός). È ben noto che gli dèi hanno la facoltà di dare la morte: sebbene questa prerogativa sia di solito di Artemide e Apollo, anche gli altri dèi possono, in particolari condizioni, far morire gli esseri umani. Tiresia vorrebbe cioè dire che, una volta riconciliatosi con Posidone, Odisseo potrà vivere tranquillo a Itaca e il dio stesso, al momento opportuno, lo farà morire nella maniera più gradita possibile a un essere umano, cioè senza dolore⁷⁰⁸; Posidone sarà dunque ottimamente disposto verso Odisseo. Le parole di Tiresia possono essere lette come una smentita sia del lungo soggiorno di Odisseo sul continente sia della sua morte per mano di Telegono. Perché il poeta della νεκυομαντεία ha voluto prendere posizione contro queste due tradizioni? Esse erano già unite in un poema, come successivamente

 Cfr. già Ballabriga (1989) 297.  Anche Eschilo (Ψυχαγωγοί, fr. 275 R.) conosce la tradizione della morte di Odisseo attraverso l’aculeo della pastinaca: ἐρῳδιὸς γὰρ ὑψόθεν ποτώμενος / ὄνθῳ σε πλήξει νηδύος χαλώμασιν· / ἐκ τοῦδ᾽ ἄκανθα ποντίου βοσκήματος / σήψει παλαιὸν δέρμα καὶ τριχορρυές. È probabile che anche questa profezia venisse fatta da Tiresia a Odisseo (cfr. σε πλήξει): un airone lascerebbe cadere sulla testa di Odisseo dello sterco contenente l’aculeo della pastinaca causando così la morte dell’eroe. Alcuni hanno riconosciuto nella versione eschilea quella originaria (Gruppe, 1906, 715; West, 2013, 307– 315). West crede che all’origine della storia della morte di Odisseo attraverso l’aculeo della pastinaca ci sia un mito che attribuiva all’eroe l’immunità verso ogni tipo di morte, che non venisse da tale aculeo. Questo io non lo escludo, ma non vedo come possa dimostrare la maggiore antichità della versione eschilea. La spiegazione più semplice (e anche generalmente accettata) mi sembra che Eschilo ha fatto una parodia di λ 133 – 137. L’aculeo della pastinaca è conosciuto come un’arma letale; è verisimile che a Telegono la abbia fornita la madre Circe.  Tiresia dice che, quando Odisseo morirà, il popolo di Itaca sarà felice. In ο 404 sgg. Eumeo, parlando dell’isola Siria, dice che lì gli uomini sono sempre felici e ὅτε γηράσκωσι πόλιν κάτα φῦλ᾽ ἀνθρώπων, / ἐλθὼν ἀργυρότοξος ᾿Aπόλλων ᾿Aρτέμιδι ξύν, / οἷσ᾽ ἀγανοῖσι βέλεσσι ἐποιχόμενος κατέπεφνεν. Credo che alla base delle parole di Tiresia ci sia un pensiero di questo genere.

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nella Telegonia ⁷⁰⁹? A quest’ultima domanda non è possibile rispondere; gli unici indizi che farebbero propendere a rispondere positivamente sono la trama della Telegonia fornitaci da Proclo e la profezia stessa di Tiresia. È invece possibile formulare un’ipotesi di portata più generale. La storia del lungo soggiorno in Tesprozia da parte di Odisseo e delle sue nozze con Callidice presuppongono una rottura del rapporto di fedeltà con Penelope; lo stesso, anche se in maniera più attenuata, può dirsi a proposito della storia di Telegono, che nascerebbe dal rapporto fra Odisseo e Circe. Può dunque darsi che Tiresia, profettizzando che Odisseo sarebbe rimasto per poco in Tesprozia e smentendo che egli sarebbe morto per mano di Telegono, volesse smentire sia che l’eroe aveva avuto un legame con Callidice sia che aveva avuto un figlio da Circe: se il motivo conduttore della nostra Od. è il ricongiungimento dei due coniugi e la loro reciproca fedeltà, Tiresia, smentendo due tradizioni che presupponevano il legame di Odisseo con altre donne, vi si inserisce assai bene⁷¹⁰. Propongo questa lettura della profezia di Tiresia con molti dubbi, per due motivi. Innanzitutto, l’episodio di Tiresia è stato inserito da altrove nella nostra Od., senza legami stretti con nessuna altra parte; è dunque possibile che (come io ipotizzo) anche in esso fosse presente il motivo della fedeltà di Odisseo a Penelope, ma non è necessario. Vi è un altro, più grave, problema: la mia interpretazione presuppone che Tiresia smentisca due tradizioni, che noi troviamo legate nella Telegonia. D’altra parte, la prima parte della Telegonia presuppone la nostra Od. con la profezia di Tiresia; dunque, da un lato è la Telegonia che presuppone l’Od. di B, dall’altro, se si accetta la mia interpretazione della profezia di Tiresia, quest’ultima ha come bersaglio polemico due episodi della Telegonia. Tutto questo non sarebbe problematico, se noi fossimo certi che il legame fra questi due episodi (il soggiorno in Tesprotide di Odisseo e l’arrivo di Telegono a Itaca) esisteva indipendentemente dalla Telegonia: in altre parole, se Tiresia ha di mira sia la storia di Callidice sia la storia di Telegono, bisogna supporre che un qualche legame fra queste due storie esistesse; ora, l’unico  Ritengo molto probabile che il poeta della profezia di Tiresia di λ (che precede cronologicamente B) abbia scritto prima che la Telegonia assumesse la forma definitiva riassunta da Proclo, poiché quest’ultima sembra influenzata dall’Od. di B, cfr. p. 294 sgg.  Schwartz (1924) 141 crede che la profezia di Tiresia di λ si ponga al di fuori dell’orizzonte della nostra Od., in quanto prevede la ripartenza dell’eroe da Itaca dopo la μνηστηροφονία, mentre tutte le Od., da O in poi, avrebbero mirato al ricongiungimento dei due congiugi. Questo sarebbe vero solo se l’unica alternativa era che Odisseo tornasse in patria e non si muovesse più. Ma se esisteva una versione secondo cui l’eroe, dopo il ritorno a Itaca, andava in Tesprozia e si faceva una nuova famiglia, farlo tornare subito a Itaca (come fa Tiresia in λ) costituiva un avvicinamento all’orizzonte dell’Od. di O (quale postulato da Schwartz) e una smentita della nuova vita che l’eroe si sarebbe fatto in Tesprozia.

I rapporti fra gli ἆθλα ed Esiodo e fra la Telegonia e l’Odissea

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legame a noi noto è la loro presenza e contiguità nella Telegonia, che però noi sappiamo essere (almeno nella sua forma definitiva) successiva alla nostra Od. Se il legame fra queste due storie fosse stato creato dal poeta della Telegonia, l’interpretazione da me proposta diverrebbe problematica, anche se non impossibile, poiché si può sempre supporre che Tiresia volesse smentire due storie molto note, senza necessariamente dover credere che esse fossero già unite in un’opera. La mia interpretazione diviene invece impossibile, se si suppone che la storia di Telegono sia invenzione del poeta della Telegonia ⁷¹¹, ma per tale supposizione non esistono validi motivi. La mia ipotesi suppone anche che la prima parte della Telegonia proseguisse l’Od. e portasse a compimento quanto prescritto da Tiresia, mentre la seconda e la terza parte del poema ciclico conterrebbero due episodi contro i quali è diretta la profezia di Tiresia. Questo può apparire problematico, ma lo è fino a un certo punto: i poemi del ciclo da un lato presupponevano i poemi omerici, dall’altro utilizzavano materiale precedente agli stessi poemi omerici. Noi non sappiamo come nella Telegonia venisse motivato e descritto il viaggio di Odisseo in Tesprozia: Tsagalis esclude che nel poema ciclico fosse presente il motivo dell’esilio di Odisseo⁷¹² e forse ha ragione (altrimenti non si spiega il ritorno dell’eroe a Itaca dopo il viaggio in Elide). Tuttavia, se anche Eugammone motivava il viaggio nella Tesprozia in altro modo, resta probabile che inizialmente la ragione del viaggio fosse l’esilio dell’eroe e che questi morisse lontano da Itaca. Questi motivi probabilmente erano precedenti sia alla Telegonia sia all’Od. (certo all’Od. nella sua redazione attuale). Mi pare dunque probabile che Tiresia, affermando che Odisseo si sarebbe fermato solo brevemente sul continente e sarebbe morto a Itaca, si opponesse a tale tradizione. Più difficile, lo riconosco, è spiegare il nesso con la storia di Telegono; tuttavia mi pare innegabile che anch’esso sia oppositivo, nel senso che dicendo ἀβληχρὸς θάνατος Tiresia escludeva la storia di Telegono. Questi mi sembrano due punti fermi, da cui dovrebbe partire ogni discussione per l’interpretazione della profezia di Tiresia e dei suoi rapporti con il resto della tradizione.

 Come ad esempio crede Tsagalis (2015) 401.  Tsagalis (2014) 457– 461.

12 Analisi di ν–υ 121 Il raccordo fra νόστος e τίσις: analisi di ν ν inizia con la fine degli ᾿Aπόλογοι: i Feaci hanno ascoltato come incantati i racconti di Odisseo. È notte e Alcinoo congeda tutti. Al mattino tutti i notabili dei Feaci, secondo le disposizioni di Alcinoo, portano un lebete all’ospite. La giornata trascorre senza avvenimenti importanti e Odisseo aspetta con ansia la sera, desideroso di partire. A sera può finalmente imbarcarsi. Dopo aver navigato tutta la notte, all’alba la nave giunge a Itaca, nel porto di Forcis, ove i Feaci lasciano Odisseo, ancora addormentato, insieme ai doni che ha ricevuto da loro. Posidone si lamenta con Zeus per l’aiuto che i Feaci hanno dato a Odisseo: Zeus lo autorizza a punirli trasformando in pietra la nave che ha riportato a Itaca Odisseo. Quando dunque la nave sta per arrivare a Scheria, Posidone la trasforma in pietra: Alcinoo sa che sui Feaci incombe l’ira di Posidone e ordina un sacrificio in suo onore. La scena torna a Itaca, ove Odisseo si sveglia: Atena lo circonda di nebbia, affinché nessuno lo riconosca. Circondato di nebbia, l’eroe non riconosce Itaca e teme che i Feaci lo abbiano portato in un’altra terra. Gli si avvicina Atena sotto l’aspetto di un giovane, da cui Odisseo apprende di essere a Itaca. Egli finge di essere un Cretese, ma la dèa a questo punto si rivela. L’eroe è scettico e dice che dalla fine della guerra di Troia fino a che non è giunto dai Feaci la dèa non è più intervenuta in suo favore. Atena risponde di non essere intervenuta in suo favore per evitare di entrare in contrasto con Posidone; fa quindi sparire la nebbia e Odisseo riconosce Itaca. Dopo aver aiutato l’eroe a nascondere i doni dei Feaci in una grotta, la dèa gli rivela che egli dovrà affrontare i proci, e gli promette il proprio aiuto. Nel frattempo, affinché nessuno lo riconosca, lo trasforma in un mendico e gli dice di andare alla fattoria di Eumeo mentre ella va a Sparta, per ordinare a Telemaco di tornare a Itaca. Così finisce ν. ν è il libro di raccordo fra il νόστος (ε–μ) e la τίσις (ξ–ω), dalla cui analisi dipende la genesi dell’intera Od.: se si suppone che in ν siano confluiti più epe in cui νόστος e τίσις erano già uniti⁷¹³, ne segue che prima della nostra Od. esistevano già epe simili, se si suppone che B avesse davanti un solo epos in cui νόστος e τίσις erano riuniti⁷¹⁴, questo epos sarà la «fonte» principale della nostra Od., se invece si attribuisce ν a B, ne segue che νόστος e τίσις sono stati riuniti

 È la tesi Schwartz (1924).  Così Von der Mühll (1940) 733 – 734; Focke (1943) 270 sgg.; Merkelbach (19692) 58 sgg. https://doi.org/10.1515/9783110652963-012

Il raccordo fra νόστος e τίσις: analisi di ν

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da B e sparisce qualsiasi ipotesi di Urodyssee ⁷¹⁵. L’inizio della rapsodia sembra opera di chi ha introdotto l’«Ιntermezzo» (dunque di B), poiché esso presuppone che Odisseo abbia accettato di restare una notte in più in cambio di altri doni (λ 336 sgg.)⁷¹⁶. Dal momento che la seconda notte trascorsa dai Feaci è invenzione di B, anche tutto il giorno successivo (18 – 69) sarà probabilmente sua opera. Il viaggio di ritorno (70 – 95), di per sé, potrebbe derivare da qualsiasi poema che narrava il viaggio di Odisseo da Scheria a Itaca. Lo stesso può dirsi circa la descrizione del porto di Forcis e l’esposizione di Odisseo e dei doni sulla riva del mare (96 – 125). Tuttavia, l’approdo al porto di Forcis è difficilmente pensabile in un poema in cui Odisseo, tornato in patria, può andarsene tranquillo a casa ove lo aspettano solo felicità e gioia. In un poema del genere l’eroe non viene lasciato in un luogo nascosto⁷¹⁷. Questo fa pensare che ν 96 – 125 non derivi da K, che nulla sapeva dei proci e delle difficoltà che attendevano Odisseo una volta tornato a Itaca⁷¹⁸; sembra piuttosto che siamo di fronte a B. Anche il dialogo fra Posidone e Zeus (125 – 187) ha buone probabilità di derivare da B: sembra che esso presupponga l’ira di Posidone contro Odisseo, soprattutto 131– 138 indicano un particolare livore della divinità contro Odisseo, che può derivare solo da chi ha introdotto la νεκυομαντεία e il motivo dell’ira di Posidone, dunque B. 187 sgg.: Atena circonda di nebbia Odisseo per renderlo irriconoscibile (190 – 191: ὄφρα μιν αὐτόν / ἄγνωστον τεύξειεν). Si è supposto con verisimiglianza che il motivo derivi da η 14– 17 ove Atena copre di nebbia Odisseo, affinché i Feaci non lo vedano⁷¹⁹; in effetti, la nebbia è molto più al suo posto a Scheria, mentre Odisseo cammina in mezzo ai Feaci, che sulla spiaggia di Itaca, ove egli non incontra nessuno: probabilmente è B che imita K. 256 – 286: Odisseo inventa ad Atena di venire da Creta, ove ha ucciso il figlio di Idomeneo per una contesa legata al bottino della guerra di Troia. Volendo fuggire dall’isola si è imbarcato su una nave fenicia, che navigava alla volta di Pilo, ma i venti lo hanno portato a Itaca. Che questa storia sia in rapporto con quella che lo stesso Odisseo inventerà poco dopo a Eumeo (ξ 199 sgg.) è certo: la pretesa origine cretese, il rapporto con Idomeneo, la nave fenicia non lasciano dubbi. Pare che l’originale sia ξ⁷²⁰,

 È la tesi di Kirchhoff (18792) 495 sgg., Dahms (1919) 79, che pensa a T, che egli fa coincidere con B, Bethe (1922) 48 sgg. Già Kayser (1881) 39 (lo scritto è del 1835) si era espresso in questo senso. Una lettura unitaria di ν come parte di un’Od. opera di un solo poeta in Erbse (1972) 143 sgg.  Cfr. Bethe (1922) 134– 135; Schwartz (1924) 39; Focke (1943) 152– 153.  Cfr. Wilamowitz (1927) 5.  Cfr. p. 292– 293.  Bethe (1922) 67; cfr. anche Dahms (1919) 77– 78.  Lo ipotizzano già Niese (1882) 160 e Bethe (1922) 62– 63, ma senza portare argomenti.

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poiché una contesa per il bottino di guerra dieci anni dopo la fine della guerra non ha molto senso (i Cretesi erano tornati in patria senza problemi alla fine della guerra, cfr. γ 191– 192). Sembra, dunque, che qui il poeta imiti ξ. 312– 343: Odisseo lamenta che Atena non è più intervenuta in suo favore dopo la guerra di Troia prima del suo arrivo a Scheria e la dèa risponde che ha agito così per riguardo allo zio Posidone, adirato contro Odisseo a causa dell’accecamento di Polifemo. È evidente, anche qui, che è presupposto ε–μ nella forma di B, non in quella di K, poiché K nulla sapeva dell’ira di Posidone a causa dell’accecamento di Polifemo⁷²¹. Il collegamento fra l’ira di Posidone e il mancato soccorso di Atena è presente anche in ζ 328 – 331, un passo in stretto legame con ν 341– 343⁷²² e tutto lascia pensare che entrambi i passi siano opera di B. Dopo aver nascosto i doni dei Feaci, Atena chiede a Odisseo come intenda affrontare i proci (375 – 382), che da tre anni sono nella sua casa, e che Penelope πάντας μέν ῥ᾽ ἔλπει καὶ ὑπίσχεται ἀνδρὶ ἑκάστωι, / ἀγγελίας προϊεῖσα, νόος δέ οἱ ἄλλα μενοινᾶι. Questi vv. occorrono identici in β 91– 92 e l’originale sembra β, poiché lì è Antinoo a pronunciarli, che, a differenza di Atena, ha tutto l’interesse a dire che Penelope crea false speranze nei proci; dunque pare siamo di fronte a B che imita l’Ἰθακησίων ἀγορά ⁷²³. Appena udite le parole di Atena, Odisseo dice che, senza tali premonizioni da parte della dèa, egli avrebbe fatto la fine di Agamennone. Questo presuppone l’incontro fra i due eroi di λ 387 sgg.⁷²⁴, poiché i reduci della guerra di Troia non sanno nulla dei νόστοι dei compagni se non ne sono stati informati⁷²⁵. ν 378 corrisponde a λ 117 (μνώμενοι ἀντιθέην ἄλοχον καὶ ἕδνα διδόντες) e, come λ 117 è stato inserito da B, la stessa origine avrà ν 378. L’inizio di ν è inscindibilmente legato alla rielaborazione del νόστος, dunque è B. 372– 391 ha identica origine⁷²⁶ e lo stesso può dirsi di 312– 343 e probabilmente di 125 – 187. Poiché in tutta questa parte non ci sono indizi di suture, ν 1– 391 è opera di B. L’ultima parte della rapsodia (397– 438) è occupata dalla trasformazione di Odisseo in un mendico: nella sua forma attuale, senza dubbio è dovuta anch’essa a B (lo mostra il viaggio di Atena a Sparta, 412 sgg., che  Cfr. Bethe (1922) 65 sgg. A conferma del rapporto fra ν e la versione ampliata di ε–ν cfr. ν 337– 338 = λ 182– 183; ν 343 – 343 = λ 102– 103: è evidente che B riutilizza in ν materiale da lui stesso composto (o attinto da altra fonte) mentre rielaborava K. ν 322– 323 sono un’interpolazione rapsodica (così Rhode; Aristarco espungeva 320 – 323, ma 321– 322 non creano problemi, dato che ἧισιν può essere accolto), poiché πρίν γ᾽ ὅτε (322) non ha a cosa riferirsi (Ameis-Hentze lo riferiscono a 318, ma mi pare arduo, poiché in mezzo c’è αἰεὶ ἠλώμην … εἵως με).  Cfr. Niese (1882) 175; Bethe (1922) 66.  Come spesso accade, cfr. p. 242, 256.  Così da ultimo West (2014) 123.  Cfr. δ 538 sgg.; λ 505 sgg.  Cfr. Hennings (1903) 409 – 410; Wilamowitz (1927) 12.

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prepara ο 1 sgg., dunque B), ma, come nella prima parte della rapsodia B ha portato a compimento quanto era stato preparato in ε–μ, così in quest’ultima parte della raspodia B prepara ξ–ρ. Bethe (come prima di lui Kirchhoff), convinto che la riunione fra Erweiterter Nostos e τίσις sia stata fatta per la prima volta da B, e che quindi tutto ν sia opera di B, crede che anche la trasformazione di Odisseo sia stata inventata e inserita nell’Od. per la prima volta da B, il quale avrebbe sentito la necessità di dare all’eroe un aspetto diverso da quello regale e magnifico che gli aveva restituito la visita ai Feaci⁷²⁷. Io concordo con Bethe che la riunione di Erweiterter Nostos e τίσις sia stata fatta da B e che quindi la gran parte di ν sia sua opera, ma la trasformazione non credo possa averla inventata B. Se quest’ultimo ha dato la forma finale alla nostra Od., non può avere introdotto egli stesso la trasformazione di Odisseo, per il semplice fatto che tale trasformazione è uno degli elementi che rendono evidente che l’Od. non è opera unitaria. Odisseo viene trasformato in mendico in ν, in π riacquista il suo aspetto naturale per poter essere riconosciuto da Telemaco, e poi viene di nuovo trasformato in mendico per non essere riconosciuto da Eumeo. Dopo π egli non viene più trasformato, dunque dobbiamo supporre che egli mantenga l’aspetto del mendico, quindi un aspetto non naturale, datogli da Atena solo per non essere riconosciuto prima del momento opportuno. Ma come è possibile che l’Od. si concluda senza che l’eroe riprenda il proprio aspetto naturale? Questo crea un grave problema strutturale⁷²⁸ e non vale affermare (come fa Bethe) che il poeta poteva fare a meno di ritrasformare Odisseo sicuro che i lettori / ascoltatori non avrebbero osservato l’incoerenza: in ξ–ρ, forse anche in σ, Odisseo è immaginato come trasformato⁷²⁹. Pare quindi che la trasformazione sia un elemento che B trovava già nelle sue fonti (almeno in una di esse). Difficilmente avrebbe egli stesso introdotto un motivo del genere per poi lasciarlo cadere, creando un’incoerenza così palese nel poema. Tale motivo è poi

 Bethe (1922) 48 sgg.  Cfr. su questa linea Kirchhoff (18792) 538 sgg., Niese (1882) 152– 153, Page (1955) 88 – 91. Merkelbach (19692) 62 si pone, invece, sulla linea di Bethe, ma attribuisce la trasformazione ad A. Già Koës (1806) 25 sgg. aveva osservato il problema della mancata ritrasformazione di Odisseo.  Atena, oltre a trasformare Odisseo, gli dà una pelle di cervo, un bastone e una bisaccia (ν 430 – 438): ogni volta che Odisseo ha questi oggetti si presuppone dunque la trasformazione. Essa è quindi presupposta in ξ (31), ρ (197– 198); inoltre il v. πτωχῷ λευγαλέῳ ἐναλίγκιον ἠδὲ γέροντι (π 273; ρ 202, 337; ω 157) presuppone la trasformazione. Non ci sono dubbi che ξ–ρ presuppongano la trasformazione (cfr. anche Schwartz 1924, 63 – 64). Più difficile dire di σ: σ 108 – 109 sono problematici, poiché la bisaccia dovrebbe trovarsi sulla soglia interna del megaron cfr. Ameis-Hentze ad loc. Tuttavia σ 355 mi pare presupponga la trasformazione, poiché la calvizie è causata dalla trasformazione (cfr. ν 431).

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presupposto in parti di ξ–ρ che sono anteriori a B, dunque non c’è ragione di credere si tratti di un’invenzione di B. Nel complesso, a me pare che, a eccezione della trasformazione finale, tutto il resto di ν sia opera di B: certo, in astratto nessuno può negare che νόστος e τίσις fossero già stati riuniti prima, ma la riunione che abbiamo noi è basata sulla forma che al νόστος ha dato B.

Analisi di ξ–ρ: la fusione fra Eumaiosepos e T Vediamo ora ξ. Odisseo lascia il porto di Forcis e si dirige verso la fattoria di Eumeo, che il poeta brevemente descrive. I cani di Eumeo assalirebbero Odisseo, se questi non si sedesse; sopraggiunge Eumeo, che, accolto benevolmente l’ospite, comincia subito a lamentare l’assenza del proprio padrone e la prepotenza dei proci, per i quali è costretto ad allevare i maiali. Eumeo continua a narrare il comportamento scellerato dei proci e le grande ricchezze del proprio padrone, che egli però non può godere perché è lontano, se non addirittura morto. Odisseo finge di essere curioso di sapere chi sia l’uomo di cui il porcaio tanto parla e dice che, forse, potrebbe averlo incontrato e saperne qualcosa. Eumeo non ha alcuna fiducia che il mendico che ha di fronte possa sapere davvero qualcosa di Odisseo e lo prega di non inventare storie per attirarsi la benevolenza di Penelope o di Telemaco, come fanno regolarmente i pitocchi che arrivano a Itaca. Piuttosto, chiede Eumeo all’ospite, racconti la sua storia. Odisseo narra di essere figlio illegittimo di Castore, un ricco cretese, e di aver viaggiato molto, prima della guerra di Troia. Una volta scoppiata quest’ultima, dovette parteciparvi assieme agli altri Cretesi, sotto la guida di Idomeneo. Tornato alla fine della guerra a Creta, dopo un mese ne ripartì alla volta dell’Egitto a capo di un gruppo di Cretesi. Questi però, giunti a destinazione, si misero a saccheggiare la regione, finché il re del luogo non sopraggiunse a fermarli. In Egitto il falso Cretese trascorse sette anni, accumulando ricchezze, finché non giunse un Fenicio, che lo convinse a seguirlo in Fenicia, donde lo convinse a ripartire di nuovo. Seguì un naufragio, in seguito al quale il falso Cretese approdò presso i Tesproti; il loro re, Fidone, lo accolse benevolmente e gli mostrò le ricchezze di Odisseo, che era poco prima passato da lì e che, andato nel frattempo a Dodona, intendeva ripartire da lì alla volta di Itaca. Il falso pitocco, invece, si era imbarcato assieme a dei Tesproti, che avevano promesso di portarlo a Dulichio, ma durante il viaggio gli avevano rubato le vesti e gli avevano dati i cenci di mendico che ora indossa. La nave aveva fatto sosta a Itaca e il falso Cretese ne aveva approfittato per fuggire e ora, appunto dopo tale fuga, è arrivato da Eumeo. Quest’ultimo sembra credere a tutto ciò che il mendico gli ha narrato, tranne che a ciò che riguarda Odisseo. Giungono nel frattempo gli altri

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porcai assieme ai maiali. Odisseo cena assieme a Eumeo e agli altri porcai e, quando giunge la notte, fredda e ventosa, si mettono tutti a dormire. Odisseo ha freddo e narra che una notte, durante la guerra di Troia, Odisseo lo aiutò, tràmite l’astuzia, a trovare una coperta. Eumeo gli dà la coperta desiderata, poi lascia la capanna, per andare a dormire più vicino ai maiali. Così finisce ξ. La trama è coerente e non ci sono segni di suture e rielaborazioni⁷³⁰, tranne in un punto. Dopo aver espresso di nuovo la sfiducia nel ritorno di Odisseo, nonostante che il falso Cretese avesse giurato su tale ritorno, Eumeo esorta l’ospite a cambiare discorso e a narrargli piuttosto le sue vicende, lasciando perdere Odisseo e i giuramenti (166 – 190). A 174 sgg., dopo avere fatto il nome di Telemaco alla fine del v. precedente (174), Eumeo prosegue: νῦν αὖ παιδὸς ἄλαστον ὀδύρομαι, ὃν τέκ᾽ Ὀδυσσεύς / Τηλεμάχου e aggiunge che il giovane è partito per Pilo e che i proci gli stanno tendendo un agguato. Al v. 174 Telemaco sembra introdotto per la prima volta, ma egli è stato citato proprio alla fine del v. precedente. Inoltre, la menzione dell’agguato dei proci è davvero sorprendente: stando alla trama della nostra Od. è del tutto improbabile che a questo punto Eumeo potesse sapere di tale agguato: in un momento ben successivo, quando la nave dei proci che avevano teso l’agguato torna a Itaca, sembra che la notizia dell’agguato a Itaca non sia generalmente nota, dato che Antinoo teme che Telemaco la riveli in pubblico (π 376 sgg.). È contro ogni logica che Eumeo sappia dell’agguato prima degli altri: il poeta di ξ ci presenta Eumeo come totalmente lontano dalla vita della città, ove non si reca quasi mai (372– 374). Considerato anche che 171 e 183 hanno struttura simile (ἀλλ᾽ ἦ τοι ὅρκον μὲν ἐάσομεν, ἀλλ᾽ ἦ τοι κεῖνον μὲν ἐάσομεν), tipico segno delle aggiunte di B⁷³¹, a me sembra pressoché certo che 174– 184 siano estranei al contesto originario e che siano un’aggiunta di B (a conferma, nel seguito mostreremo che l’agguato per mare dei proci è invenzione di B)⁷³². Dunque B ha inserito una menzione del viaggio di Telemaco. Ora è opportuno introdurre il problema principale di questa parte dell’Od., cioè il raccordo

 Schwartz (1924) 63: «So verwickelt und schwierig die Analyse im ν ist, […], so einfach liegen die Dinge im ξ»; Bergk (1872) 701: «Der vierzehnte Gesang is uns so vollkommen erhalten, dass die Kritik nur Weniges zu beanstanden oder auszuscheiden hat». Osservazioni analoghe in Von der Mühll (1940) 737.  Cfr. p. 375.  I vv. erano già sospetti alla critica antica. Cfr. inoltre Seeck (1887) 106; Hennings (1903) 424: «Wenn alle Interpolationen in Homer so sicher und so kenntlich wären wie diese von 174– 184, dann wäre die Kritik leicht»; Schiller (1910) crede in origine i vv. venissero pronunciati da Penelope; Schwartz (1924) 322 li ritiene interpolazione rapsodica. Kirchhoff (18792) 501 e Wilamowitz (1884) 52 attribuiscono a B anche 171– 173.

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fra l’arrivo a Itaca di Odisseo, il ritorno di Telemaco dal viaggio e il ruolo di Eumeo. All’inizio di π, Telemaco viene accolto da Eumeo nella fattoria: nel contesto attuale Telemaco torna dal viaggio nel Peloponneso, ma le parole che Eumeo gli rivolge non sono adatte a tale contesto (π 27– 29): οὐ μὲν γάρ τι θάμ᾽ ἀγρὸν ἐπέρχεαι οὐδὲ νομῆας / ἀλλ᾽ ἐπιδημεύεις· ὣς γάρ νύ τοι εὔαδε θυμῶι, / ἀνδρῶν μνηστήρων ἐσορᾶν ἀΐδηλον ὅμιλον. Sembrano parole più adatte a Telemaco che arriva dalla città, cui Eumeo rimprovera di passare troppo tempo nella reggia, quando potrebbe andare a trovarlo più spesso⁷³³. D’altra parte, si è più volte supposto, per varie ragioni, che in un epos confluito nella nostra Od., Telemaco andasse da Eumeo partendo dalla propria casa, non tornando dal viaggio nel Peloponneso⁷³⁴. Diviene quindi naturale ipotizzare che π 27– 29 sia un resto di tale epos, che B non ha ben amalgamato nel nuovo contesto. Non è forse possibile essere sicuri circa l’origine di π 27– 29, ma credo invece pressoché certo che B abbia usato due epe in cui compariva Eumeo: uno era T, l’altro (che noi chiamiamo Eumaiosepos) non presupponeva il viaggio di Telemaco nel Peloponneso ed è verisimile che in tale epos Telemaco andasse alla fattoria del porcaio (ove incontrava il padre) partendo dalla reggia di Itaca (se Telemaco non andava nel Peloponneso, doveva andare da Eumeo partendo dalla reggia). L’alternativa a questa soluzione dei due epe paralleli sarebbe o che il legame fra Eumeo e Telemaco sia stato introdotto per la prima volta da B, perché T non avrebbe narrato gli eventi successivi al ritorno di Telemaco⁷³⁵ (1), o che tutto il soggiorno di Odisseo e Telemaco presso Eumeo sia opera di T (2). Io ritengo (1) impossibile, poiché credo che T comprendesse la τίσις⁷³⁶ e ritengo (2) del tutto improbabile. Se volessimo, infatti, accettare questa seconda soluzione, dovremmo supporre che ξ derivi da T, ma questo non mi pare possibile: in ξ Eumeo allude più volte dell’assoluta mancanza di notizie circa la sorte di Odisseo (42 sgg.; 89 sgg.): possibile che non trovi mai occasione per accennare al viaggio di Telemaco? A 123 Eumeo dice che nessuno straniero, che dicesse di sapere qualcosa sul destino di Odisseo, persuaderebbe Penelope e Telemaco; difficilmente Eumeo si esprimerebbe così, se sapesse che Telemaco è in viaggio a cercare informazioni sul padre: ci aspetteremmo almeno un accenno a quanto

 Così Kirchhoff (18792) 510; Seeck (1887) 106; Wilamowitz (1884) 89; Focke (1943) 283; contra Hennings (1903) 439; Wilamowitz (1927) 138.  Lo suppongono, pur all’interno di ricostruzioni molto diverse fra loro, Kirchhoff (18792) 503 sgg., Von der Mühll (1940) 740, Focke (1943) 282, Theiler (1950) 119, Merkelbach (19692) 69, West (2014) 111. Cfr. già Bekker (1863) 105 (lo scritto è del 1841).  Come pensano Dahms (1919), Bethe (1922) 7– 47, Von der Mühll (1940) 738, Merkelbach (19692) 36 – 57.  Cfr. p. 314– 316, 338 – 339.

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sta facendo Telemaco. In generale, l’impressione che si ha leggendo ξ è che Eumeo non sappia nulla del viaggio di Telemaco; il primo a esserne consapevole era B, che, per adeguare ξ al nuovo contesto, ha inserito 174– 184. Questo fatto di per sé non dimostra automaticamente che ξ non faccia parte di T, poiché si potrebbe ipotizzare che in T il porcaio non sapesse nulla del viaggio di Telemaco. Tuttavia, per quanto possiamo vedere, T ruotava attorno al viaggio di Telemaco: perché dedicare tanto spazio a un personaggio che lo ignorava? Inoltre, se ξ faceva parte di T, dove poteva trovarsi? Purtroppo noi non sappiamo pressoché nulla né su cosa accadesse in T a Itaca mentre Telemaco era in viaggio né come in T venisse narrato il viaggio di ritorno di Telemaco⁷³⁷ e questo rende impossibile escludere con certezza assoluta che ξ derivi da T. Tuttavia, per ora manteniamo l’ipotesi che ξ derivi dall’Eumaiosepos. Vediamo ora ο. Poco prima dell’alba Atena appare a Telemaco, che si trova a Sparta e non riesce a dormire, pensando alla sorte del padre. La dèa lo esorta a tornare al più presto a Itaca, poiché c’è il rischio che Penelope si decida ad andare in sposa a Eurimaco; inoltre, durante il viaggio di ritorno, Telemaco dovrà stare attento all’agguato che gli tendono i proci e, una volta giunto a Itaca, egli si fermerà una notte da Eumeo, mentre i compagni proseguiranno fino alla città. Al mattino Telemaco e Pisistrato si preparano a ripartire, mentre Menelao ed Elena preparano i doni ospitali. Dopo la colazione, quando i due giovani stanno per ripartire, c’è un presagio, che Elena interpreta come segno che Odisseo o sta per tornare a Itaca o è vi è già tornato. Dopo un giorno di viaggio, Telemaco e Pisistrato trascorrono la notte a Fere, presso Diocle, e il giorno dopo arrivano a Pilo, ove Telemaco, per evitare di essere trattenuto da Nestore, si imbarca senza andare in città. Quando però sta per imbarcarsi, gli si avvicina una persona a lui fino a quel momento sconosciuta, Teoclimeno, un indovino di Argo della famiglia dei Melampodi, il quale è in fuga dalla sua città perché ha commesso un omicidio e teme la vendetta dei parenti. Telemaco accorda protezione a Teoclimeno e lo fa imbarcare con sé. Scende la notte mentre la nave viaggia verso Itaca. La scena passa alla fattoria di Eumeo: è sera e Odisseo e i porcai stanno cenando. Odisseo chiede a Eumeo se è opportuno che egli il giorno dopo vada in città e si offra come servo ai proci; Eumeo risponde che i proci preferiscono servi giovani ben vestiti e che è meglio che egli resti dove è. Odisseo chiede quindi notizie circa Laerte e Anticlea. Eumeo risponde che Laerte è ancora vivo, mentre Anticlea è morta e questo ha causato grande dolore a Eumeo, poiché era stata Anticlea ad accoglierlo a Itaca. Su richiesta di Odisseo, il porcaio racconta la propria storia: egli è figlio di Ctesio, re dell’isola di Siria:

 Cfr. p. 312– 313.

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quando era molto piccolo una serva senza scrupoli lo aveva venduto a dei Fenici, i quali lo avevano poi venduto a Laerte. Quando la notte volge al termine, la nave di Telemaco giunge a Itaca e approda vicino alla capanna di Eumeo. C’è un nuovo prodigio, che Teoclimeno interpreta come segno che la stirpe di Odisseo continuerà a dominare a Itaca. Telemaco, dopo avere affidato Teoclimeno all’amico Pireo, affinché si occupi dell’indovino mentre egli non è in città, si mette in cammino verso la capanna di Eumeo. Qui finisce ο. Si tratta di una rapsodia difficile da analizzare, senza dubbio profondamente rielaborata; qui vengono riprese le avventure di Telemaco, di cui non si era più saputo nulla dopo δ, ma è difficile determinare cosa sia dovuto a B, cosa a T e cosa all’Eumaiosepos. Poiché, d’altra parte, l’analisi di ο si lega in maniera strettissima (oltre che a ν–ξ) a π–ρ, vediamo, prima di analizzare ο, anche il contenuto di queste due rapsodie. π inizia con l’arrivo di Telemaco alla fattoria di Eumeo: il porcaio lo accoglie con grande sollievo, poiché era molto preoccupato che durante il viaggio gli accadesse qualcosa di grave. Gli presenta quindi il mendico: Telemaco non è contento del nuovo arrivato, poiché non sa come farsene carico, dal momento che non è padrone in casa sua. Dopo una breve conversazione fra i tre, Telemaco invia Eumeo in città, affinché rassicuri Penelope, dicendole che Telemaco sta bene e si trova presso di lui. Appena partito Eumeo, Atena si presenta a Odisseo, lo trasforma e gli ordina di rivelarsi al figlio. Telemaco all’inizio, spaventato dalla repentina trasformazione, crede si tratti di un dio, ma alla fine si convince di avere davanti il padre. I due si consultano su come affrontare i proci. La scena passa quindi in città, ove arriva la nave coi compagni di Telemaco, i quali mandano un araldo per annunciare a Penelope che Telemaco è sano e si trova presso Eumeo; questo araldo si incrocia con Eumeo, che porta l’identica notizia a Penelope. Anche i proci vengono a sapere che Telemaco è tornato sano e salvo e sono disperati; vorrebbero inviare una nave a richiamare i compagni che hanno teso l’agguato, ma questi sopraggiungono subito, senza bisogno di essere richiamati. Si riuniscono quindi in consiglio e Antinoo suggerisce di cercare di uccidere quanto prima Telemaco; gli si oppone Amfinomo, secondo cui bisogna consultare un oracolo per sapere se è opportuno fare una cosa così grave. Penelope, che è venuta a sapere del proposito criminale dei proci, si presenta loro e li rimprovera, ma Eurimaco la rassicura. Sopraggiunge la sera e Eumeo torna alla fattoria: Atena trasforma di nuovo Odisseo in un mendico e Eumeo, interrogato da Telemaco, dice di aver visto una nave piena di uomini e armi che tornava verso Itaca. Qui finisce π. ρ inizia con la partenza di Telemaco, al mattino presto, verso la città. Arrivato a casa, dopo aver liquidato sbrigativamente Penelope, va all’assemblea e torna di nuovo a casa assieme a Teoclimeno, con cui fa colazione. Penelope

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insiste per avere notizie sul viaggio e Telemaco le racconta cosa gli hanno detto Nestore e Menelao; Teoclimeno rassicura la donna che il marito è ormai a Itaca. Odisseo e Eumeo si mettono in cammino verso la città, ma, giunti presso una fonte, incontrano il capraio Melanzio, fedele ai proci, che insulta Eumeo e colpisce il mendico. Arrivati presso la reggia, dopo che il cane Argo ha riconosciuto il padrone, Eumeo entra nella reggia, seguito poco dopo da Odisseo, che, dopo aver ricevuto del cibo da Telemaco, inizia a chiederne ai proci. I proci non sanno da dove sia arrivato il pitocco, finché Melanzio non li informa di averlo visto poco prima insieme a Eumeo. Antinoo insulta quindi Eumeo per aver portato alla reggia un mendico. Telemaco difende il porcaio ed esorta Antinoo a dare qualcosa al mendico, ma Antinoo minaccia di colpire il mendico con uno sgabello. Odisseo, tuttavia, gli si avvicina e, per convincerlo a dargli del cibo, gli narra che un tempo anch’egli è stato ricco. Antinoo si infastidisce ancora di più e alla fine colpisce Odisseo con lo sgabello. Penelope viene a sapere di quanto è accaduto nel megaron e chiede a Eumeo di mandare da lei il pitocco, nella speranza che sappia qualcosa di Odisseo. Il mendico acconsente, ma manda a dire a Penelope che è meglio aspettare la sera dopo la cena, quando i proci se ne saranno andati. Penelope è d’accordo ed Eumeo se ne torna alla fattoria mentre avanza la sera. Così finisce ρ. A questo punto possiamo fermarci e analizzare ο–ρ. All’inizio di ο la scena passa da Itaca a Sparta, ove Atena rivolge un discorso a Telemaco per esortarlo a partire. Più avanti (113 sgg.) abbiamo il seguito di una scena che era stata spezzata a δ 623 (dunque di una scena di T): in δ Menelao stava descrivendo a Telemaco un cratere, già avuto in dono da Fedimo, che aveva intenzione di donargli (619 – 619): questi stessi vv. si leggono in ο 113 – 119⁷³⁸. Possiamo unire ο 120 direttamente a δ 612? Indubbiamente no: qui (come altrove) la ripetizione dei vv. è un segno che B usa per indicare che la scena è stata spezzata, ma ciò non significa che lo spezzamento sia avvenuto in corrispondenda dei vv. ripetuti⁷³⁹. Alla fine dei vv. ripetuti Menelao dà a Telemaco il cratere e una coppa ed Elena un peplo (ο 120 sgg.): questo presuppone la scena in cui Menelao, Elena e Megapente vanno a prendere i tre oggetti (ο 99 – 110), e dunque tale scena doveva far parte di T. Subito dopo la consegna dei doni, Telemaco e Pisistrato consumano l’ultimo pasto assieme a Menelao prima della partenza (142 sgg.); anche questa scena è preparata da quanto Menelao ordina a 93 sgg. Dunque, anche nella parte di ο precedente 113 ci sono di sicuro delle parti di T. In δ 587  ο 113 – 119 mancano in alcuni testimoni e Apthorp (1980) 201– 216 (seguito da ultimo da West) li ritiene un’interpolazione. In effetti, il testo senza di essi fila meglio, ma è tipico di B ripetere i vv. in corrispondenza delle scene spezzate.  Cfr. p. 266, 375.

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sgg. Menelao, finito il racconto delle sue peregrinazioni in Egitto, chiede a Telemaco di rimanere da lui 11/12 giorni; alla fine egli lo congederà donandogli tre cavalli, un carro e una coppa. Telemaco rifiuta: i suoi compagni di viaggio lo attendono a Pilo e non può farli aspettare troppo; inoltre, aggiunge Telemaco, Itaca non è adatta a carri e cavalli. Menelao la prende bene e gli annuncia che gli darà un altro tipo di doni. Seguono 613 – 619, con la descrizione del cratere di Fedimo. Tale descrizione in δ è meglio contestualizzata⁷⁴⁰, poiché in ο, dopo aver descritto il cratere, Menelao mette in mano a Telemaco un δέπας (il cratere glielo dà immediatamente dopo Megapente); pare che B, ripetendo i vv., non si sia accorto dell’incongruenza o non gli abbia dato fastidio. La cosa più probabile è che in T a δ 619 seguisse ο 80⁷⁴¹ e che da questo v. in poi siamo all’interno di T, mentre ο 1– 79 è, almeno nella forma e nel contesto attuale, B⁷⁴². Non è facile determinare fin dove prosegua T: si continua a parlare di Telemaco fino a 300, cioè finché la sua nave non si avvicina a Itaca, ma sembra che il viaggio per mare sia stato rielaborato (probabilmente addirittura composto ex novo) da B, poiché si presuppone che Telemaco sappia dell’agguato che i proci gli stanno tendendo (299 – 300)⁷⁴³, cosa inconciliabile con quanto leggiamo in ο 80 – 281, ove nulla lascia minimamente pensare che Telemaco sappia che sta per correre un pericolo mortale e che, invece, presuppongono ο 27– 35 (dunque B), ove Atena preannuncia a Telemaco l’agguato e lo istruisce su

 Così Wilamowitz (1884) 91, nota 4; Ameis-Hentze-Cauer ad ο 113 – 119: «Der hier nicht erwähnte Becher ist von Menelaos δ 590 f. versprochen; bei der Übernahme der Verse aus δ wurde vergessen denselben zu erwähnen».  Così Wilamowitz (1884) 90 – 95; Schwartz (1924) 78; Theiler (1962) 5; Bethe (1922) 19 unisce δ 619 a ο 93 (cfr. già Hennings 1903, 110), supponendo che B abbia soppresso qualcosa in mezzo, poiché trova strano che Menelao, dopo che Telemaco ha rifiutato di rimanere 11/12 giorni a Sparta, gli offra di viaggiare insieme (ο 80 – 85): in realtà l’offerta di Menelao non contraddice per nulla la risposta di Telemaco, poiché il viaggio (evidentemente fino a Pilo) sarebbe stato più breve dei dodici giorni proposti in precedenza; inoltre, la prospettiva di ricevere altri doni (ο 83 – 85) poteva convincere Telemaco a rimanere qualche giorno in più lontano da Itaca (cfr. la risposta di Odisseo ai Feaci, λ 355 – 361). Per altre combinazioni fra δ e ο cfr. Kirchhoff (18792) 506; Wilamowitz (1927) 3; Focke (1943) 10 – 11; Merkelbach (19692) 46, nota 1.  Che l’inizio di ο sia opera di B è opinione condivisa da tutti gli studiosi citati nella nota precedente, a prescindere dal punto di sutura da essi individuato. Ovviamente, di T non facevano parte ο 113 – 119 e 96 (che presuppone che Eteoneo si sia appena svegliato, il che va bene nel contesto di B, non in quello di T).  Anche la somiglianza formale fra ο 300 e δ 789, ξ 183 (entrambi opera di B) testimoniano a favore dell’appartenenza a B.

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come guardarsene. Dunque B è intervenuto nella descrizione della navigazione da Pilo a Itaca di Telemaco⁷⁴⁴. Torneremo su questo punto più tardi. ο 301– 494 ci riportano da Eumeo e Odisseo. Determinare l’origine di questa sezione con certezza non è possibile⁷⁴⁵. Che si tratti dell’Eumaiosepos a me pare improbabile: in tale epos Odisseo aveva già trascorso un’intera giornata presso Eumeo (ξ) e Telemaco arrivava da Eumeo partendo dalla reggia. Come si spiega che la sera del secondo giorno Telemaco non fosse ancora arrivato da Eumeo? ο 301– 494 presuppone una seconda notte trascorsa da Odisseo presso il porcaio senza che Telemaco sia arrivato; non riesco a capire come questo potesse accadere nell’Eumaiosepos. Difficile anche immaginare questi vv. all’interno di T: il punto più verisimile in cui essi si sarebbero potuti trovare in tale poema è proprio quello in cui sono ora, cioè la notte prima dell’arrivo di Telemaco a Itaca. Tuttavia, essi presuppongono che Odisseo abbia già trascorso del tempo presso Eumeo; si direbbe che essi presuppongano ξ, poiché è difficile che Eumeo narrasse la propria storia, se Odisseo non avesse già narrato la sua. Se ο 301– 494 presuppone ξ (cioè l’Eumaiosepos), ma non fa parte dell’Eumaiosepos, la cosa più verismile è che sia opera di B. Io ho l’impressione che l’articolazione temporale di ξ–ρ sia interamente dovuta a B; che essa non derivi da T è sicuro, poiché la sequenza narrativa è articolata in tre notti⁷⁴⁶, mentre T presuppone una notte in più. Pare che lo sfasamento fra la sequenza narrativa e quella degli eventi sia dovuto proprio all’inserzione di T, la quale non poteva fare a meno del soggiorno a Fere (ο 297, cfr. γ 488 – 490). Se è stato B a articolare la narrazione in tre notti⁷⁴⁷, è probabile che egli abbia sentito il desiderio di riempire in qualche modo la notte in cui Telemaco naviga verso Itaca. Una conferma a questa ipotesi potrebbe venire dal fatto che in ο 301– 494 sono presenti, forse, influenze della νέκυια ⁷⁴⁸ e, dato che B non solo la ha inserita nell’Od., ma ne è stato influenzato

 Si crede per lo più che ο 283 – 300 sia opera integrale di B, cfr. Kirchhoff (18792) 507; Wilamowitz (1884) 95 – 96; Bethe (1922) 37– 47; Schwartz (1924) 80; Von der Mühll (1940) 739. Anch’io credo che le cose stiano così.  Per epos ν–ξ (cioè il nostro Eumaiosepos) Wilamowitz (1927) 160 – 163 (ma inizio e fine li attribuisce a B); per il suo O Focke (1943) 280 – 283; per B Bethe (1922) 86 e Von der Mühll (1940) 739; Schwartz (1924) 80 – 81, 272– 273 pensa addirittura a L.  Nella narrazione la prima notte è quella alla fine di ξ, la seconda quella in cui Telemaco arriva a Itaca e Eumeo narra le proprie vicende (ο), la terza quella alla fine di π. Nella sequenza degli eventi, a tali notti va aggiunta quella in cui Telemaco e Pisistrato dormono a Fere (ο 186 – 188); cosa facciano Eumeo e Odisseo durante la giornata precedente e tale sera, noi non sappiamo.  Questo lo mostra anche ρ 515, che è probabilmente di B (cfr. p. 323 – 324) e che parla di tre notti trascorse da Odisseo presso Eumeo.  Cfr. Niese (1882) 169 – 170.

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anche altrove (si pensi a ν 337– 338, 383 sgg.), verrebbe naturale ipotizzare che anche qui siamo di fronte a B. Inoltre, il racconto di Eumeo di ο è forse stato influenzato da quello di Odisseo in ξ, poiché la permanenza di un anno a Sirie dei Fenici (ο 455) potrebbe derivare da ξ 292⁷⁴⁹ e anche ν 256 sgg. (cioè B) sembra essere influenzato dalla storia di ξ⁷⁵⁰. Nel complesso, la cosa più probabile è che ο 301– 495 sia opera di B (e certo è di B l’articolazione in tre notti, in cui tali vv. sono inseriti); vero è che ci sono motivi che non trovano riscontro altrove nell’Od. (come i servi dei proci giovani e ben vestiti, 330 – 333, la possibilità che Odisseo parta il mattino seguente, che anzi sembra contraddire gli ordini di Atena ν 411 sgg.) e che potrebbero far pensare che B abbia usato materiale di origine a noi ignota. L’ultima parte di ο 495 – 557 torna a parlare di Telemaco e dei suoi compagni, con il loro sbarco a Itaca. Mi pare certo che tutto questo materiale derivi da T; c’è chi lo ha attribuito a B⁷⁵¹, ma il poeta sembra aver faticato a mettere in ordine gli eventi, e questo difficilmente sarebbe accaduto, se egli stesso fosse stato l’inventore di tale materiale. In ο 495 sqq. Telemaco, appena sbarcato, mangia coi compagni di viaggio ed esprime l’intenzione di rimanere in campagna fino a sera e di offrire, il giorno successivo al mattino (506), un pasto in casa sua ai compagni; a Teoclimeno, che chiede informazioni su chi lo ospiterà a Itaca, suggerisce di cercare ospitalità presso il proco Eurimaco: καὶ γὰρ πολλὸν ἄριστος ἀνὴρ μέμονέν τε μάλιστα / μητέρ᾽ ἐμὴν γαμέειν καὶ Ὀδυσσέως γέρας ἕξειν (522– 523). Tutto ciò presenta gravi problemi⁷⁵²: il pasto del giorno successivo viene offerto al solo Teoclimeno (della partecipazione degli altri compagni al pasto nulla si dice, cfr. ρ 84 sqq.), senza che appaia alcun motivo per il cambiamento di programma. Telemaco torna in città non la sera stessa, ma il giorno successivo; si può suggerire che il cambiamento di programma sia causato dall’incontro con il padre; ma Atena stessa, nell’apparizione in sogno (ο 40), aveva esplicitamente ordinato a Telemaco di trascorrere la notte da Eumeo. Posto che ο 40 è B (come conferma anche il fatto che effettivamente, nella nostra Od., Telemaco passa la notte da Eumeo), sembra probabile che l’idea di Telemaco di tornare la sera stessa in città (ο 505) derivi da T: perché B avrebbe dovuto fare esprimere tale proposito a Telemaco, quando egli stesso aveva composto un pezzo (ο 40) che lo contraddiceva? Inoltre, il motivo del rientro in

 Così Dahms (1919) 14, ma il periodo di un anno potrebbe essere anche poligenetico, cfr. κ 467– 468. Dahms enumera altre somiglianze fra i due racconti; in nessun caso si può avere la certezza che ο imiti ξ, ma certo la probabilità è molto forte.  Cfr. p. 303 – 304.  Bethe (1922) 37– 47; Von der Mühll (1940) 739 – 740; Merkelbach (19692) 45.  Cfr. Volkmann (1854) 85.

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città la sera stessa non è più ripreso nel seguito e non è funzionale a nulla; si tratta dunque di un relitto di T. Anche la proposta di far ospitare Teoclimeno da Eurimaco sorprende, poiché Telemaco attribuisce una posizione di preminenza fra i proci a Eurimaco, che trova riscontro solo nel discorso di Atena (ο 16 sqq.); stupisce anche che egli voglia affidare l’ospite a uno dei proci subito dopo essere sfuggito al loro agguato. Per quanto riguarda la preminenza di Eurimaco fra i proci, dato che essa ricorre in ο 16 sgg. (dunque in B), si potrebbe naturalmente attribuirla a B, ma non si vede il perché dell’invenzione; sorge il sospetto che nel discorso di Atena (ο 10 sgg.) B abbia riutilizzato materiale di T (anche se non siamo in grado di corroborare questo sospetto con altri indizi). Per quanto concerne l’idea di affidare Teoclimeno a Eurimaco⁷⁵³, essa deriva probabilmente da T, che nulla sapeva dell’agguato dei proci. Su questi problemi torneremo infra, per ora basti aver dimostrato che ο 495 sgg. è T rielaborato da B⁷⁵⁴. L’inizio di π pone altri difficili problemi. Telemaco giunge alla fattoria di Eumeo, ove trova sia il porcaio sia Odisseo. Si è detto che il passaggio fra ο e π non rivela alcuna sutura e se ne è dedotto che, dato che ο 495 – 557 è T, dunque anche π 1 sgg. è T⁷⁵⁵. Questa è una deduzione che ha conseguenze molto pesanti, poiché porta con sé l’attribuzione di π (per lo meno, della sua gran parte) a T: da un lato c’è chi crede (Wilamowitz e Schwartz) che B, nel comporre π–ρ, abbia utilizzato ampiamente T, dall’altro chi crede (Focke) che la presenza di T in queste due rapsodie sia solo marginale; c’è poi chi crede (Bethe, Merkelbach) che T qui non sia presente per nulla, poiché T non narrava la τίσις. Io credo (come Wilamowitz e Schwartz) che T e l’Eumaiosepos contenessero entrambi l’incontro di Odisseo e Telemaco presso Eumeo e la successiva vendetta contro i proci; credo, però, che B, componendo π–ρ, abbia utilizzato per lo più l’Eumaiosepos e che T in questa parte sia presente solo marginalmente⁷⁵⁶. L’analisi di π–ρ è molto disagevole perché B aveva davanti due epe paralleli (T ed Euma-

 Schwartz (1924) 244 addirittura suppone che in T Teoclimeno venisse effettivamente ospitato da Eurimaco.  Questo pensano anche Schwartz (1924) 244– 245 e Wilamowitz (1927) 136 – 138. Per Focke (1943) 280 sgg. ο 495 – 557 è semplicemente T, senza alcuna rielaborazione.  Così Schwartz (1924) 83 e Wilamowitz (1927) 138. In favore dell’idea che π conservi abbastanza fedelmente T, cfr. Wilamowitz (1884) 86 sgg. (contro Kirchhoff 18792, 509 che crede π totalmente rifatto da B).  Sono quindi d’accordo con Focke che T qui è marginale, ma non credo che sia stato lo stesso poeta di T a inserire il proprio materiale su un epos più lungo preesistente, bensì che tale inserzione la abbia fatta B. Sulla presenza di due epe in π buone osservazioni già in Volkmann (1854) 91.

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iosepos), che forse già si imitavano l’un l’altro⁷⁵⁷. È vero che il passaggio fra la fine di ο e l’inizio di π non presenta indizi di sutura, ma se noi proviamo a immaginare fra la fine di ξ e l’inizio di π, al posto cioè di ο, alcuni vv. in cui Telemaco parte dalla reggia e va da Eumeo, tutto in π potrebbe funzionare e la continuità con l’Eumaiosepos (ξ) sarebbe perfetta (e π 27– 29 si accorderebbero benissimo con tale interpretazione⁷⁵⁸). Analizziamo π nel dettaglio. L’arrivo di Telemaco alla fattoria di Eumeo ricorda molto da vicino quello di Odisseo (ξ), coi cani che accolgono il nuovo arrivato: anche chi crede nella continuità fra la fine di ο (cioè T) e l’inizio di π (e quindi discontinuità con ξ/Eumaiosepos), è costretto a supporre che T qui imiti l’Eumaiosepos ⁷⁵⁹. L’accoglienza di Eumeo al padrone è opera di B: 27– 29 derivano forse, come abbiamo visto, direttamente dall’Eumaiosepos, ma i vv. attorno 16 – 39 presuppongono che il viaggio di Telemaco sia durato a lungo, almeno tanto quanto bastava affinché Penelope potesse risposarsi (31– 39)⁷⁶⁰: siamo quindi all’interno di B, come mostrano anche 37– 39, che B ha già usato (ν 337– 338) e che derivano da λ 181– 183⁷⁶¹. Dunque, nel momento in cui descrive il ritorno di Telemaco, B non attinge da T, ma compone egli stesso; è assai significativo che, proprio in un punto in cui T dovrebbe essere usato, B non lo usi. Nel pranzo che segue subito dopo, Eumeo dà a Telemaco gli avanzi della sera precedente (50): mi pare molto probabile che si alluda alla lauta cena di ξ 414 sgg. piuttosto che a quella (assai meno ispirante) di ο 301– 302⁷⁶². Dopo il pranzo, Telemaco chiede a Eumeo informazioni circa il mendico e le informazioni di Eumeo presuppongono evidentemente quanto Odisseo ha detto di sé in ξ 199 – 359 (origine cretese, soggiorno in Tesprozia). Anche qui, evidentemente, si presuppone l’Eumaiosepos. Nel seguito, le parole di Telemaco circa il trattamento da riservare al mendico (69 – 89) e l’atteggiamento dei proci (113 – 129) e

 Wilamowitz (1927) 138: «Die Behandlung der Bücher π ρ ist unbehaglich […]. Hier ist der Dichter der Telemachie, so weit er das Epos ν ξ [cioè ciò che io grosso modo chiamo Eumaiosepos] benutzt, selbst unfrei, also nur graduell von dem Bearbeiter verschieden». Che l’Eumaiosepos sia più antico di T è, tuttavia, indimostrabile.  Cfr. p. 308.  Cfr. e. g. Schwartz (1924) 83 (che ovviamente non parla di Eumaiosepos, ma di K). Lo stesso Wilamowitz (1927) 14, 154 ammette che l’interesse per i cani sia una caratteristica del poeta dell’Eumaiosepos (cioè del suo epos ν–ξ).  Hennings (1903) 439: «Die Befürchtung Telemachs, seine Mutter könnte ihr Ehegemach den Spinnen überlassen haben, setzt seine längere Abwesenheit, also die Abtrennung des δ von ο voraus und gründet sich nur auf den Bericht der Athene in ο 15 ff.». Cfr. anche Bethe (1922) 68.  Per la derivazione di π 37– 39 da λ 181– 183 cfr. Hennings (1903) 439; Schwartz (1924) 84.  Cfr. Bethe (1922) 86.

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l’indignazione di Odisseo (91– 111) potrebbero derivare tanto da T quanto dall’Eumaiosepos ⁷⁶³. L’invio di Eumeo da Penelope (130 sgg.) pone un problema serio: Telemaco lo invia perché rassicuri Penelope che suo figlio è sano e salvo, ma un messaggero inviato dalla nave dei compagni di Telemaco che sbarcano in città (π 333 – 341) porta la stessa identica ambasceria a Penelope. Il poeta stesso osserva la sovrapposizione dei due messaggeri ed essa è davvero strana⁷⁶⁴. L’ambasceria inviata dalla nave non può che derivare da T; se anche l’invio di Eumeo deriva da T⁷⁶⁵, tale doppia ambasceria doveva mirare a un fine preciso. In effetti, il messaggero inviato dalla nave rivela la notizia del ritorno di Telemaco in mezzo alle ancelle (π 336 – 337), le quali, si arguisce da un racconto che sembra compendiato, la rivelano subito ai proci⁷⁶⁶. Eumeo, invece, si comporta in maniera più riservata e corretta, perché rivela la notizia alla sola Penelope (π 338 – 341): il poeta vuole evidentemente mettere in contrasto i due comportamenti (cfr. anche π 132– 134). Ne risulta che il messaggero inviato dai compagni si comporta in maniera scorretta e leggera e anche i compagni stessi non ne escono bene: perché il poeta li vuole mettere così in cattiva luce⁷⁶⁷? Nella nostra Od. nulla lo fa capire, ma tutto quanto riguarda il viaggio di ritorno da Pilo è stato a tal punto compendiato da B, che noi non riusciamo più a capirne le linee e i motivi fondamentali. Alternativamente, si potrebbe pensare che T conoscesse solo l’ambasceria inviata dalla nave e che quella di Eumeo sia frutto di un rimaneggiamento di B, che trae origine dall’Eumaiosepos, ma non si riesce a ricostruire una trama alternativa che trovi appigli nella nostra Od. ⁷⁶⁸ Non c’è modo di affermare che

 π 108 – 111 (107– 109 = υ 317– 319) sono un’interpolazione rapsodica (Payne Knight, Rhode), che trae origine da υ, dove i vv. sono perfettamente al loro posto: qualcuno, partendo da π 107 = υ 317, ha aggiunto in π i vv. di υ, aggiungendone altri due di suo pugno.  Cfr. Delebecque (1958) 7.  Come pensa Wilamowitz (1927) 146 – 147, che attribuisce a T entrambe le ambascerie.  Schwartz (1924) 87 pensa che il messaggero sia Medonte. In effetti, che Medonte fosse in buoni rapporti coi proci e che parlasse alle ancelle lo si deduce da δ 681 sgg. Ma non capisco perché B ne avrebbe dovuto sopprimere il nome (cfr. invece π 411) e, inoltre, Medonte non era sulla nave di Telemaco, mentre il messaggero in questione, forse, sì (cfr. π 328). Altri pensano che siano state le ancelle stesse a riferire la notizia ai proci: Bergk (1872) 706; Kammer (1873) 614; West (2014) 250.  Si potrebbe anche ipotizzare, in alternativa, che i compagni di Telemaco inviino l’ambasciatore di propria iniziativa perché sanno che Telemaco è, di solito, poco premuroso verso la madre.  Kirchhoff (18792) 504 ipotizza che prima della rielaborazione di B Telemaco arrivasse dalla città e ordinasse a Eumeo di andare da Penelope.

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nell’Eumaiosepos l’invio di Eumeo da Penelope avesse più senso che nel suo contesto attuale; anzi, non si capisce proprio perché Telemaco, appena lasciata la reggia, vi inviasse Eumeo. Nel complesso, la soluzione più probabile è attribuire la doppia ambasceria a Penelope a T; il fatto che essa risulti ora così goffa probabilmente è dovuto alle rielaborazioni di B, che in tutto quello che riguarda il viaggio di ritorno di Telemaco da Pilo ha compendiato e rimaneggiato in modo drastico⁷⁶⁹. Abbiamo qui, per la prima volta in π, un tratto che sembra effettivamente derivare da T. Tuttavia, subito si rivela la mano di B: appena ricevuto l’ordine di andare da Penelope, Eumeo chiede a Telemaco (137– 145) se debba andare anche da Laerte, che, da quando egli è partito per Pilo, ha smesso di mangiare. Tutto questo presuppone δ 735 – 741, ove Penelope ordina che Laerte venga informato che Telemaco è partito; d’altra parte questa parte di δ è opera di B⁷⁷⁰, dunque anche qui, ove tutto farebbe pensare che abbiamo T, in realtà abbiamo una rielaborazione di B. Alla partenza di Eumeo segue la scena del riconoscimento da parte di Telemaco. Atena ridà a Odisseo il suo aspetto naturale: abbiamo già osservato che la trasformazione di Odisseo è sempre presupposta in (almeno) ξ–ρ, dunque siamo nell’impossibilità di decidere fra Eumaiosepos e T. In π 176 leggiamo che Atena ridà a Odisseo una barba scura (κυάνειαι γενειάδες), mentre ν 399 parla di ξανθὰς τρίχας. È davvero una contraddizione? A me pare che difficilmente lo stesso poeta immagini il proprio eroe ora biondo ora moro⁷⁷¹; torneremo sul problema più avanti. Al riconoscimento segue una discussione fra padre e figlio su come affrontare i proci: Odisseo dispone che il mattino successivo Telemaco vada per primo in città, mentre egli vi andrà più tardi, assieme a Eumeo. Quando saranno insieme nella reggia, a un certo punto Odisseo farà segno a Telemaco di portare via le armi che sono appese alle pareti del megaron; Telemaco le porterà via tutte tranne due scudi e due lance. Inoltre, Telemaco non dovrà dire nulla a nessuno circa il ritorno del padre: da soli padre e figlio cercheranno di capire quali sentimenti nutra la servitù. Telemaco obietta che cercare di capire i sentimenti di tutta la servitù richiederà tempo e che sarebbe meglio limitarsi a fare questo con le sole ancelle. Qui la scena si interrompe. Questo «consiglio di guerra» di Odisseo e Telemaco (235 – 320) resta del tutto privo di effetti nel seguito del poema; la ragione è che B ha deciso di inserire un epos (L), che non

 A proposito di π 322– 350 Wilamowitz (1927) 148 afferma: «Das ist alles so abgerissen, zum Teil anstössig, daß man es eine Epitome nennen kann».  Cfr. p. 249 – 250, 320.  Focke (1943) 285 – 286 e Marzullo (1952) 424 negano che i capelli biondi di ν contraddicano la barba scura di ξ. Il problema, tuttavia, va visto alla luce anche dell’altra presunta contraddizione fra ν e π–ρ, quella circa il bastone di Odisseo, sulla quale cfr. p. 322.

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solo non è la prosecuzione di π 235 – 320, ma probabilmente vi polemizza contro⁷⁷². Di per sé, questo «consiglio di guerra» potrebbe derivare sia dall’Eumaiosepos sia da T. Milita a favore della prima ipotesi il passaggio brusco con cui si passa alla scena successiva (322 sgg.), la quale di sicuro deriva da T; inoltre, in T Telemaco aveva promesso di tornare in città la sera stessa (ο 505) e qui non si fa parola di tale proposito. L’impressione è che B abbia cambiato fonte piuttosto bruscamente fra 320 e 322: poiché 322 sgg. è di sicuro T, io ritengo verisimile che quanto precede sia Eumaiosepos. La scena successiva, con l’arrivo della nave di Telemaco e dei proci e il consiglio di questi ultimi (320 – 451) deriva, ovviamente, da T. L’approdo della nave di Telemaco e le ambascerie a Penelope sono narrate in modo frettoloso e con lo stile di un’epitome, mentre la sezione sulla reazione dei proci (342 sgg.) è in uno stile più gradevole e suggestivo. Torna qui il tema dell’agguato dei proci: Antinoo racconta cosa è accaduto in mare e esprime il timore che Telemaco convochi l’assemblea per denunciare pubblicamente il nuovo misfatto dei proci; d’altra parte, da ο 518 – 522 si dedurrebbe che Telemaco non sapesse dell’attentato dei proci. Come sempre, quando abbiamo a che fare con il viaggio di ritorno di Telemaco da Pilo tutto diventa oscuro. Una volta che i proci hanno lasciato l’assemblea e sono tornati in casa di Odisseo, si presenta loro Penelope per lamentarsi dell’attentato contro Telemaco. Di per sé, questo non sorprenderebbe, ma le cose che la donna dice e l’introduzione della scena lasciano esterefatti (π 411– 412): πεύθετο γὰρ οὗ παιδὸς ἐνὶ μεγάροισιν ὄλεθρον· / κήρυξ γάρ οἱ ἔειπε Μέδων, ὃς ἐπεύθετο βουλάς. Quest’ultimo v. è identico a δ 677. Inoltre, nel discorso che rivolge contro i proci, Penelope non fa alcuna menzione dell’attentato per mare; chi legga il discorso fuori dal suo attuale contesto è portato a pensare che Penelope venga ora per la prima volta a sapere dell’attentato contro suo figlio e che tale attentato sia ancora in progettazione. Se colleghiamo questo con π 411– 412, siamo portati a supporre che effettivamente Penelope venga per la prima volta a sapere che i proci stanno progettando di uccidere Telemaco. Ma come conciliare questo con δ 675 sgg., ove l’attentato per mare è progettato e attuato e Penelope ne è a conoscenza? Una soluzione potrebbe essere la seguente. Come abbiamo visto, ci sono altri indizi che fanno sospettare che Telemaco non sapesse nulla dell’attentato dei proci⁷⁷³ e la menzione di tale attentato durante il viaggio (ο 299 – 300) è senz’altro di B. Si è, inoltre, osservato che in π i proci sembrano ancora indecisi se sia opportuno o meno attentare alla vita di Telemaco, come dimostra il loro

 Cfr. p. 364 sgg.  Cfr. ο 518 – 522, ρ 65 – 66, entrambi da T. Buone osservazioni in Rhode (1848) 8 sgg.

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assenso al discorso di Amfinomo (400 – 406), e che è quindi del tutto inverosimile che essi già abbiano una volta organizzato tale attentato⁷⁷⁴. Se noi supponiamo che l’attentato per mare sia stato introdotto da B molte cose vengono chiarite: δ 625 – 847 può essere attribuito interamente a B⁷⁷⁵. π 342– 451 contiene di sicuro i resti di una scena di T: io credo che in T i proci iniziassero a tramare per uccidere Telemaco solo quando egli era tornato da Pilo. In questo modo la scena di π 409 sgg. diviene pienamente comprensibile: Penelope viene ora a sapere dell’attentato a Telemaco, perché esso viene effettivamente ora preparato per la prima volta. Possiamo dunque immaginare in T una scena in cui i proci, una volta che venivano a sapere che Telemaco era tornato (π 337), iniziavano a tramare per ucciderlo. Se è così, π 348 – 382 sono un’inserzione di B⁷⁷⁶: in T dopo l’annuncio del ritorno di Telemaco (π 322– 341, anche se B sembra avere compendiato molto) prendeva subito la parola Antinoo, che suggeriva una decisione estrema, uccidere Telemaco, ma la cosa trovava resistenza fra i proci (soprattutto in Amfinomo), che fino a quel momento non avevano mai osato tanto (cfr. π 393 – 406). Penelope veniva a sapere immediatamente del proposito omicida e subito andava a rimprovevare i proci⁷⁷⁷. È probabile, tuttavia, che B abbia preso un pezzo dell’attuale π e lo abbia trasportato nell’attuale δ: π 412 dice semplicemente che Medonte riferì a Penelope la notizia dei propositi dei proci; δ 677 sgg., invece, descrive l’arrivo di Medonte da Penelope, la domanda di quest’ultima e la risposta dell’araldo. È probabile che la domanda di Penelope (δ 681– 695) derivi da T (e che quindi originariamente si trovasse dopo π 412)⁷⁷⁸, poiché Penelope parla qui delle benemerenze di Odisseo prima di partire per Troia, tema che sia Penelope stessa sia Eurimaco riprendono in π 424– 430, 442– 443.

 Cfr. Bethe (1922) 44– 5.  Soluzione raccomandata anche da altri indizi, cfr. p. 249 – 250.  A conferma, si noti che π 351 è inopportuno prima di π 394– 398, poiché questi ultimi vv. servono a introdurre Amfinomo (cfr. Merkelbach 19692, 27). π 348 sembra tratto da β 294: che bisogno c’era di prendere una nave «la migliore», per andare a richiamare i proci che ormeggiavano μεσσηγὺς Ἰθάκης τε Σάμοιο (δ 845)?  All’interno del discorso di Penelope hanno sempre creato difficoltà 421– 423: μάργε, τίη δὲ σὺ Τηλεμάχωι θάνατόν τε μόρον τε / ῥάπτεις, οὐδ᾽ ἱκέτας ἐμπάζεαι, οἷσιν ἄρα Ζεύς / μάρτυρος; οὐδ᾽ ὀσίη κακὰ ῥάπτειν ἀλλήλοις. A quali ἱκέται si riferisce Penelope? Si è supposto a Teoclimeno (Wilamowitz 1927, 148), ma questo presuppone ovviamente una trama diversa del poema (Teoclimeno non è ancora in casa di Penelope). Io credo che il significato sia più generale e che qui Penelope rimproveri ai proci la loro arroganza verso tutti gli ospiti che arrivano a casa di Odisseo: cfr. π 108; θ 546 (ξεῖνός θ᾽ ἱκέτης τε); τ 134 (οὔτε ξείνων ἐμπάζομαι οὔθ᾽ ἱκετάων); χ 414– 415. Per un’altra soluzione cfr. Merkelbach (19692) 30, nota 2.  Anche Merkelbach (19692) 32 pensa che nella scena fra Medonte e Penelope di δ B abbia attinto materiale da un epos più antico (egli pensa a R).

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In altre parole, siamo di nuovo di fronte a una scena spezzata: B ha duplicato il messaggio di Medonte a Penelope e ha usato il primo messaggio per annunciare a Penelope l’attentato per mare (da lui stesso introdotto), senza curarsi che in questo modo il secondo messaggio sarebbe risultato incongruo rispetto alla nuova trama dell’Od. Il risultato di tutto questo mi sembra chiaro: T non sapeva nulla dell’agguato per mare: i proci tramavano sì per uccidere Telemaco, ma solo dopo il suo ritorno a Itaca e non si arrivava mai a mettere in pratica il proposito omicida⁷⁷⁹. L’ultima parte di π (452– 481) con il ritorno di Eumeo alla fattoria e la cena insieme a Odisseo e Telemaco deve essere legata a T, dato che il porcaio è andato in città per riferire a Penelope del ritorno di Telemaco da Pilo, ma B è intervenuto, come mostra la menzione dell’agguato per mare e il fatto che addirittura Eumeo sia a conoscenza di tale agguato (475). Anche qui, le tracce di T sono dunque tutte mediate e compediate da B. L’inizio di ρ presuppone π 270 sgg., cioè il «consiglio di guerra» fra Odisseo e Telemaco, poiché l’ordine con cui i due eroi ed Eumeo vanno in città rispecchia quanto ordinato da Odisseo in π. Telemaco dice che Penelope non si tranquillizzerà finché non vedrà lui stesso (9), il che presuppone il viaggio nel Peloponneso, dunque T. Il primo ad arrivare alla reggia è Telemaco, che, dopo aver congedato sbrigativamente Penelope⁷⁸⁰, va all’assemblea ove incontra Teoclimeno, che torna alla reggia con lui. Il contesto è quello di T ed è evidente che si ha lo sviluppo di quanto preannunciato alla fine di ο, ma mentre in ο Telemaco aveva espresso il proposito di offrire a tutti i suoi compagni una colazione il giorno successivo, in ρ viene offerta al solo Teoclimeno. Quest’ultimo parla di un vaticinio che egli stesso ha fatto sulla nave, durante il viaggio da Pilo a Itaca (160 – 161), ma di questo vaticinio non c’è traccia nella nostra Od., nella quale l’unico vaticinio di Teoclimeno in questa sezione ha luogo dopo lo sbarco a Itaca (ο 525 – 534). Si conferma quanto ormai è a noi chiaro, che cioè il viaggio di ritorno da Pilo a Itaca in T aveva uno svoglimento diverso da quello che noi leggiamo in ο 282– 300. Sembra dunque che all’inizio di ρ molto derivi da T⁷⁸¹, con forti compendi e rielaborazioni di B.

 All’interno di una ricostruzione molto diversa dalla mia perviene a una conclusione analoga Merkelbach (19692) 31: «Zu einem Mordversuch kam es bei R noch nicht»; lo stesso vale per Seeck (1887) 70 (a proposito della sua OB). Anche Bergk (1872) 667 sgg. non crede che l’attentato dei proci appartenesse alla sua Urodyssee.  Il giovane ordina alla madre di lavarsi e fare sacrifici (46 – 51): la ragione è che egli sa che sta per esserci la battaglia decisiva contro i proci e quindi vuole assicurarsi il favore divino.  B ha cambiato certo qualcosa, e. g. 47 (che presuppone l’agguato dei proci) è di certo suo; 65 – 66 sembrano, invece, escludere l’agguato dei proci (non si capisce come Telemaco potrebbe

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A 166 sgg. la colazione di Telemaco e Teoclimeno è finita e arrivano alla reggia i proci per il pranzo vero e proprio; nel frattempo Odisseo e Eumeo si incamminano verso la città. Colpisce che dopo 165 di Teoclimeno non si senta più parlare per tutto il giorno; anche Penelope, che era nel megaron insieme al figlio e all’indovino, sparisce fino a ρ 492⁷⁸², ove ella però è nelle sue stanze: strano, poiché di solito il poeta dice quando la donna lascia il megaron. A ρ 30 si parla di λάϊνος οὐδός, a ρ 339 di μέλινος οὐδός, lieve contraddizione⁷⁸³. L’impressione è che con 166 ci sia un cambio di fonte, dunque da qui in poi non siamo più in T⁷⁸⁴. Al momento di partire dalla fattoria Odisseo chiede a Eumeo un bastone per appoggiarsi durante il cammino (195 – 196); questo è strano, poiché alla fine di ν e all’inizio di ξ egli ha un bastone: se ne è dedotto che i due pezzi non possono essere dello stesso poeta⁷⁸⁵: l’incongruenza, tuttavia, è solo apparente, poiché in ξ 31 Odisseo lascia cadere il bastone e, poiché non viene detto che esso viene recuperato, probabilmente il poeta immagina che egli non lo abbia più. Il problema, però, va visto alla luce di quanto abbiamo detto circa i capelli biondi e la barba scura di Odisseo: anche in quel caso abbiamo una leggera contraddizione fra la scena di trasformazione di ν e il seguito: attribuire ν 429 – ξ 31 all’Eumaiosepos e π 176, ρ 195 – 199 a T (Wilamowitz, Schwartz) non pare raccomandabile, poiché i due passi di π e ρ sono in prossimità di due evidenti suture fra l’Eumaiosepos e T e i due passi sono nella sezione dell’Eumaiosepos. Inoltre, nessuno dei due passi mostra lo stile compendiato tipico delle sezioni di T incluse in π–ρ. Per quel che concerne il bastone di Odisseo, non siamo probabilmente in presenza di una reale contraddizione; per quanto concerne i capelli e la barba dell’eroe, la contraddizione mi pare ineliminabile⁷⁸⁶. Inoltre, ν 436 – 437 parla anche di una pelle di cervo, che Odisseo riceve da Atena, e di essa non si parla più nel seguito. Se davvero, come io credo, ξ–ρ derivano per lo più dall’Eumaiosepos, si potrebbe pensare che ν 429 – 438 derivi da T, ma da δ fino a ο mancano altri indizi di utilizzo di T. Molto difficile giudicare: forse la scena di trasformazione di ν è opera di B (come del resto la gran parte di ν) ed egli non si è curato di queste piccole incongruenze.

intrattenersi con loro dopo un evento simile); anche lo stile da epitome con cui viene descritta l’assemblea (61 sgg.) garantisce che è B che rielabora T.  Ove inizia di nuovo B, come subito vedremo.  Cfr. e. g. Seeck (1887) 50. Nutzhorn (1869) 103 osserva, tuttavia, che anche in Virgilio si trovano contraddizioni sul materiale del cavallo di legno.  Così Focke (1943) 294 sgg., che attribuisce a T ρ 28 – 166.  Cfr. Spohn (1816) 7; Kayser (1881) 40; Schwartz (1924) 92– 93; Wilamowitz (1927) 152; contra Focke (1943) 289, 299.  Ammesso che sia una reale contraddizione, cfr. nota 771.

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Entrato nella sua casa, Odisseo inizia a mendicare fra i proci; Antinoo gli mostra particolare avversione e Odisseo gli rivolge una preghiera, raccontandogli la propria storia (419 – 444): tale storia coincide sostanzialmente con quella da lui stesso narrata a Eumeo in ξ 199 – 359 (dunque Eumaiosepos): vale lo stesso che per π 62– 66, si tratta cioè di pezzi che di sicuro presuppongono l’Eumaiosepos, che quindi probabilmente ne derivano. La narrazione va avanti coerente descrivendo cosa accade nel megaron fino a 492, ove passa a Penelope, la quale viene a sapere che Antinoo ha umiliato il mendico e ordina a Eumeo di far andare da lei il mendico. Mi pare quindi che ρ 167– 491 possa essere attribuito all’Eumaiosepos. C’è accordo abbastanza generale a supporre che con ρ 492 inizi un pezzo di origine diversa rispetto a quanto precede⁷⁸⁷. La ragione più valida ed evidente per supporre tale passaggio è di natura strutturale: non c’è dubbio che ρ 492– 588 (ove Penelope e Odisseo concordano un colloquio serale) serva a preparare τ, cioè il colloquio fra Odisseo e Penelope; se tale colloquio appartenesse allo stesso epos cui apparteneva ρ 167– 491 è, di per sé, molto difficile determinare. Sembra, invece, abbastanza sicuro che ciò che è in mezzo fra ρ 167– 491 e il colloquio serale di τ, cioè σ, non sia prosecuzione di ρ 167– 491. D’altra parte, ρ 492 sgg. presuppone σ: infatti, Odisseo chiede a Penelope di aspettare che arrivi la sera; una tale richiesta ha senso solo se c’è qualcosa da narrare nel mezzo: in altre parole ρ 492 sgg. preannuncia il colloquio di τ e, implicitamente, che a tale colloquio si frappone ancora qualcosa, cioè σ. ρ 492 sgg. presuppone dunque σ, ma σ non presuppone ρ 492 sgg.: in ρ Penelope è indignata per la prepotenza di Antinoo contro il mendico, mentre in σ sembra avere completamente dimenticato la cosa⁷⁸⁸. Quanto Eumeo dice a Penelope circa il mendico (ρ 522– 523) pare spiegabile alla luce di quello che Odisseo dirà a Penelope (τ 178 – 202) e non di quello che Odisseo ha detto a Eumeo stesso in ξ. Sembra quindi anche a me che ρ 492– 606 sia un raccordo composto da B. Naturalmente non si può escludere che nell’ultima parte della rapsodia (il congedo di Eumeo da Telemaco) siano presenti tratti originali di T o l’Eumaiosepos (anche in questi due epe, forse,

 Cfr. Rhode (1848) 40 sgg.; Volkmann (1854) 101 sgg.; Bergk (1872) 708; Kammer (1873) 631; Bethe (1922) 89; Schwartz (1924) 94 sgg.; Wilamowitz (1927) 157; Merkelbach (19692) 82 sgg. Contra Seeck (1887) 28 sgg. (che contiene pure buone osservazioni sulla scena), 42– 43. Dubbioso West (2014) 258.  Per l’inconciliabilità della scena di Penelope alla fine di ρ con quella di σ 158 sgg. cfr. Kammer (1873) 630 sgg.

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veniva descritta la partenza di Eumeo), ma nulla può essere detto con certezza⁷⁸⁹.

Analisi di σ–υ 121: il Melanthoepos Vediamo ora σ–τ. Giunge alla reggia il mendico Iro, frequentatore abituale, e subito inizia a minacciare Odisseo in cui vede un concorrente. Odisseo cerca di evitare lo scontro, ma Iro lo sfida alla lotta. I proci sono molto divertiti dalla scena e Antinoo stabilisce che chi vincerà nella lotta avrà in premio una cena prelibata e che in futuro sarà l’unico a poter mendicare fra i proci. Odisseo sconfigge facilmente Iro e i proci si complimentano con lui. Odisseo si rivolge in disparte ad Amfinomo e cerca di convincerlo ad abbandonare la reggia prima che sia troppo tardi, ma senza successo. Penelope decide di presentarsi ai proci per rimproverare il figlio per come lascia che siano maltrattati gli ospiti dai proci e per rimproverare questi ultimi che, anziché portare doni a lei, che dicono di voler sposare, consumano le ricchezze della casa di Odisseo. Il discorso ottiene l’effetto desiderato e i proci le mandano doni. Sopraggiunge la sera e Odisseo comanda alle ancelle di andare da Penelope: alla luce nella sala provvederà egli stesso. Melanto, la sorella di Melanzio, lo insulta, ma poi fugge spaventata dalla decisa risposta di Odisseo. Segue un diverbio fra Odisseo e Eurimaco, che lancia contro di lui uno sgabello. Giunge la sera e i proci vanno a casa. Così finisce σ. τ inizia con la rimozione delle armi dal megaron. Telemaco va quindi a dormire e Penelope va nel megaron per parlare con Odisseo. Melanto insulta una seconda volta Odisseo e viene rimproverata da Penelope. Inizia quindi il colloquio fra i due sposi, durante il quale Odisseo riesce a convincere Penelope di aver conosciuto effettivamente Odisseo, ma non riesce a convincerla che Odisseo tornerà a breve. Alla fine del colloquio, in segno di gratitudine, Penelope dispone che il mendico venga lavato e Odisseo dice di voler essere lavato da un’ancella anziana, che abbia sofferto quanto egli stesso. Penelope ordina quindi a Euriclea di lavare l’ospite. Mentre lo lava, Euriclea riconosce Odisseo

 In ρ 515 Eumeo dice a Penelope che il mendico ha trascorso tre notti nella sua fattoria. In realtà, stando alla nostra Od., Odisseo ha trascorso quattro notti da Eumeo, cfr. Wilamowitz (1884) 87, Focke (1943) 281 e p. 313. Come spesso accade, il poeta ha confuso il tempo della narrazione con quello degli avvenimenti, poiché egli ha narrato tre notti. In ρ 600 Telemaco ordina a Eumeo di portare il giorno successivo ἱερήϊα καλά: Wilamowitz (1927) 91– 92 ne deduce che B preannunci qui la festa per Apollo di cui si parla in υ–φ: è probabile, anche se da ξ 94 e ρ 180 si dedurrebbe che si tratta di un uso quotidiano, a prescindere dalla festa. L’ultimo v. di ρ (606) è forse stato scritto in vista di σ 305 – 306, cfr. Kammer (1873) 635.

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tràmite la cicatrice; vorrebbe dirlo a Penelope, ma Odisseo glielo impedisce. Penelope espone allo straniero un sogno, che egli interpreta nel senso che Odisseo sta per porre fine alla tracotanza dei proci. Poi Penelope annuncia al mendico di voler indire una gara con l’arco: chi riuscirà a tendere l’arco di Odisseo e a scagliarne con precisione una freccia sarà suo sposo; Odisseo la esorta a farlo quanto prima. I due vanno quindi a dormire e così finisce τ. L’analisi di queste due rapsodie è complessa. σ presenta un problema di unità al proprio interno, poiché l’episodio di Penelope che si presenta ai proci (158 – 303) è da molti creduto non originario⁷⁹⁰. La regina decide, su consiglio di Atena, di mostrarsi ai proci ὅπως πετάσειε μάλιστα / θυμὸν μνηστήρων ἰδὲ τιμήεσσα γένοιτο / μᾶλλον πρὸς πόσιός τε καὶ υἱέος ἢ πάρος ἦεν (160 – 162). Annuncia allora a Eurinome di volersi mostrare ai proci per esortare Telemaco a stare attento ai proci stessi, οἵ τ᾽ εὖ μὲν βάζουσι, κακῶς δ᾽ ὄπιθεν φρονέουσι (168). Eurinome risponde che quello di Penelope è un pensiero saggio e la esorta a fare un bagno e farsi bella, poiché non è saggio piangere e disperarsi in continuazione: ἤδη μὲν γάρ τοι παῖς τηλίκος, ὃν σὺ μάλιστα / ἠρῶ ἀθανάτοισι γενειήσαντα ἰδέσθαι (175 – 76). Penelope risponde che non c’è ragione per lei di farsi bella: la sua bellezza è andata in rovina dal giorno in cui Odisseo è partito per Troia. Atena allora fa addormentare la regina e la rende bella durante il sonno. Penelope, svegliandosi, dice di aver dormito dolcemente e si augura di morire quanto prima. A quel punto va nella sala ove sono i proci e rimprovera Telemaco di aver consentito la lotta fra lo straniero e Iro, mentre sarebbe stato suo dovere tenere al riparo l’ospite da una cosa del genere. Mentre Telemaco cerca di giustificarsi, i proci sono colpiti dalla bellezza di Penelope, come mai prima. Eurimaco esprime la propria ammirazione per la regina; Penelope risponde che la sua bellezza è andata in rovina dal giorno in cui Odisseo è partito; quel giorno Odisseo, partendo, le raccomandò di occuparsi della casa: αὐτὰρ ἐπὴν δὲ παῖδα γενειήσαντα ἴδηαι, / γήμασθ᾽ ὧι κ᾽ ἐθέληισθα, τεὸν κατὰ δῶμα λιποῦσα (269 – 70). Quel momento, afferma Penelope, è ormai giunto. I proci,

 Kayser (1881) 41 crede che la scena presupponga una trama diversa dell’Od., in cui Odisseo e Penelope si erano già riconosciuti. Wilamowitz (1884) 28 – 34, (1927) 19 – 26 e Hennings (1903) 491 la credono un Einzellied, che B ha per primo inserito nell’attuale contesto, Bergk (1872) 709 la crede estranea alla sua Urodyssee. Sulla linea di Kayser sono Seeck (1887) 35, Merkelbach (19692) 9 sgg. e Page (1955) 124 sgg. Contra Schwartz (1924) 101, che crede l’episodio ritoccato all’inizio e alla fine da B, ma nella sostanza originario in σ (che per Schwartz è K). Focke (1943) 311– 315 attribuisce la scena a T. West (2014) 260 sgg. crede l’episodio rielaborato e che nella versione precedente Penelope si recasse dai proci per annunciare la sua intenzione di prendere un nuovo marito. Per una lettura unitaria cfr. Allione (1963) 65 sgg, Erbse (1972) 80 sgg. e da ultimo Dentice di Accadia (2017).

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aggiunge la regina, dovrebbero portare doni alla donna che vogliono sposare, anziché divorare le ricchezze altrui. Il poeta commenta (281– 283): ὣς φάτο γήθησεν δὲ πολύτλας δῖος Ὀδυσσεύς, / οὕνεκα τῶν μὲν δῶρα παρέλκετο, θέλγε δὲ θυμόν / μειλιχίοισ᾽ ἐπέεσσι, νόος δέ οἱ ἄλλα μενοίνα. Antinoo e altri proci accettano il suggerimento di Penelope e fanno portare dalle loro case alcuni doni, che la servitù provvede a collocare nelle stanze di Penelope. Non è chiaro né cosa spinga Penelope a comportarsi così né, tanto meno, il motivo per il quale Odisseo gioisce (281– 283): nell’Od. che leggiamo noi, Odisseo vede qui per la prima volta Penelope dopo venti anni e non si comprende perché gli faccia piacere che Penelope chieda doni ai proci, come fosse sul punto di cedere e di risposarsi. Per questo motivo, alcuni studiosi hanno supposto che questo episodio presupponga una trama completamente diversa da quella in cui è attualmente inserito: si è cioè supposto che Odisseo e Penelope avessero concordato la mossa di Penelope e che, di conseguenza, il riconoscimento fra i coniugi fosse già avvenuto. Una tale interpretazione, se a prima vista dà un’interpretazione più soddisfacente dei vv. 281– 283, è inconciliabile con tutta la parte precedente. Io credo che il senso dell’episodio sia abbastanza chiaro e coerente. Atena decide di palesare ancora meglio l’animo dei proci e di aumentare il prestigio di Penelope agli occhi di Odisseo e Telemaco. Per fare questo, la dèa fa agire Penelope senza che ella stessa comprenda bene cosa sta facendo. Anche in altre parti dell’Od. leggiamo che il maggiore delitto dei proci non è il corteggiare Penelope di per sé, bensì il modo in cui essi lo fanno, stando in casa di Odisseo e mangiandone le sostanze, anziché portare essi stessi doni, come fanno i pretendenti onesti. Penelope, per ispirazione di Atena, ora per la prima volta si decide a rimproverare ai proci questo loro modo di fare. Per poter ottenere l’effetto desiderato è, tuttavia, necessario che la regina dia ai proci un serio motivo di accondiscendere alla sua richiesta: per questo motivo Penelope, anche in questo caso per ispirazione di Atena, sembra decisa a riprendere marito. In questo senso vanno interpretate le allusioni all’età ormai matura di Telemaco: Eurinome, quando osserva che ormai Telemaco ha la barba, suggerisce a Penelope che il tempo di risposarsi è arrivato, come è chiarito dalla stessa regina, che narra ai proci come Odisseo le abbia indicato lo spuntare della barba di Telemaco come il tempo giusto per pensare a un nuovo marito. È tuttavia eslcuso che la regina agisca in accordo con Odisseo: Penelope è afflitta e disperata, crede ella stessa che ormai sia venuto il momento di risposarsi e di abbandonare la casa di Odisseo (201– 205; 251– 273). Se Penelope avesse agito d’accordo con Odisseo, non avrebbe avuto motivo di essere afflitta. Inoltre, Penelope, all’inizio dell’episodio, dice di voler andare nella stanza dove sono i proci per un altro fine, cioè per rimproverare Telemaco di non aver difeso l’ospite; è Eurinome che,

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per prima, coglie l’occasione per suggerirle di usare questa occasione per mostrarsi bella ai proci e pensare a un nuovo matrimonio. Penelope rifiuta sdegnosamente e solo l’intervento di Atena fa sì che la regina accenda il desiderio dei proci. Tutto questo sarebbe impossibile, se Penelope agisse in accordo con Odisseo; è chiaro che Penelope agisce per impulso esterno e che non ha alcun piano. Anche i vv., su cui la tesi della mossa concordata fra i due sposi si appoggia (281– 283), non mi pare offrano un vero sostegno: Odisseo gode (γήθησεν) poiché la moglie riesce a carpire doni ai proci. Leggendo questi vv. si ha l’impressione che l’eroe venga a conoscenza di questa mossa di Penelope ora per la prima volta, non che egli veda Penelope mettere in azione un piano già concordato. Credo quindi che non ci siano motivi validi per staccare σ 158 – 303 dal loro attuale contesto. Anche il legame con l’episodio di Iro, che precede immediatamente, sembra saldo e non eliminabile (cfr. 215 – 242); σ è un’unità per noi inscindibile (Melanthoepos)⁷⁹¹. σ è la prosecuzione di ρ? Da un punto di vista cronologico potrebbe esserlo; con ρ la giornata è arrivata al tardo pomeriggio, ora si avvicina la sera e quindi la cena (σ 45: ἐπὶ δόρπωι). Molti, tuttavia, vedono in ρ 1– 491 e σ due epe concorrenti, non complementari ed è uno dei capisaldi dell’analisi odissiaca di Wilamowitz che ρ 1– 491 imiti σ (e dunque non sia complementare ad esso)⁷⁹². In ρ 217 sqq. Melanzio accusa Eumeo di portare a Itaca un pitocco (Odisseo), che disturberà durante il banchetto, mentre sarebbe stato più opportuno che il pitocco venisse utilizzato per lavori rurali; tuttavia, aggiunge Melanzio (226 – 228): ἀλλ᾽ ἐπεὶ οὖν δὴ ἔργα κάκ᾽ ἔμμαθεν, οὐκ ἐθελήσει / ἔργον ἐποίχεσθαι, ἀλλὰ πτώσσων κατὰ δῆμον / βούλεται αἰτίζων βόσκειν ἣν γαστέρ᾽ ἄναλτον. Questi tre versi si ritrovano in σ 362– 364, ove a pronunciarli è Eurimaco; nei vv. precedenti anche Eurimaco aveva parlato della possibilità che il pitocco venisse utilizzato in

 Si è cercato di mostrare che in σ Telemaco non è originario (Dahms 1919, 23 sgg.; Bethe 1922, 94). Gli unici vv. che potrebbero davvero suffragare tale ipotesi sono 338 – 339, in cui Odisseo minaccia Melanto: «ἦ τάχα Τηλεμάχωι ἐρέω, κύον, οἷ᾽ ἀγορεύεις / κεῖσ᾽ ἐλθών, ἵνα σ᾽ αὖθι διὰ μελεϊστὶ τάμηισιν». Dove è Telemaco? Cosa si può dedurre da κεῖσε? Secondo alcuni l’avverbio presuppone che Telemaco sia lontano dalla reggia (Schwartz 1924, 96), mentre altri lo negano (Wilamowitz 1927, 32), sostenendo che κεῖσε possa indicare anche un luogo vicino, cui magari Odisseo accenna con un gesto. A favore della prima interpretazione milita soprattutto ν 423, ove la distanza fra Itaca e Sparta è grande. Tuttavia, a me pare che la bilancia penda in favore della seconda interpretazione; si osservi soprattutto σ 184: οἴη δ᾽ οὐ κεῖσ᾽ εἶμι μετ᾽ ἀνέρας. Dunque κεῖσε vorrà dire «dall’altra parte della stanza», cioè dove si trovano anche gli altri proci e dove si danza. Non c’è ragione di eliminare Telemaco dal Melanthoepos.  Wilamowitz (1884) 43 sgg., seguito da Schwartz (1924) 95 sgg., Merkelbach (19692) 76 sgg., West (2014) 254, nota 177. Contra Kirchhoff (18792) 519; Seeck (1887) 30; Dahms (1919) 14 sgg., che credono ρ più antico di σ. Lettura unitaria in Bannert (1988) 91 sgg.

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lavori rurali. Non c’è dubbio che i due passi siano in relazione e i vv. trascritti sembrano più appropriati in σ, poiché lì Odisseo sta già mendicando in mezzo ai proci, mentre in ρ Melanzio ha appena visto il mendico e sembra quindi fuori luogo che gli rimproveri di mendicare. Dopo che Melanzio lo ha colpito con un calcio, Odisseo è indeciso se ucciderlo dandogli una bastonata o se gettarlo per terra, ma decide di sopportare senza reagire (ρ 235 – 238). In σ, dopo avere battuto Iro, Odisseo è indeciso se colpire l’avversario in modo da ucciderlo o se colpirlo in modo più leggero, sicché non muoia: decide quindi per quest’ultima soluzione, affinché i proci non si insospettiscano e capiscano chi egli è veramente. Anche in questo caso, sembra che fra i due passi vi sia una relazione e la priorità spetta a σ, poiché l’indecisione di Odisseo è molto meglio motivata in σ⁷⁹³. Questi mi sembrano gli unici due passi che possono dimostrare una dipendenza del poeta di ρ da quello di σ⁷⁹⁴. Oltre a queste possibili imitazioni di σ da parte di ρ, ci sono alcuni indizi che sembrano mostrare che σ non presuppone ρ: in σ Antinoo non mostra alcuna animosità contro Odisseo e questo sembra difficilmente conciliabile con il gravissimo scontro fra i due che leggiamo in ρ⁷⁹⁵. Anche i rimproveri di Penelope ai proci e la risposta di Telemaco (σ 215 – 242) sembrano escludere ρ, poiché madre e figlio parlano solo dell’umiliazione che il mendico ha subito dovendo combattere contro Iro: come non ricordare quella, ben più oltraggiosa, subita da Antinoo? Come vedremo, σ–τ fanno parte dello stesso epos; orbene, ρ 492 sgg. è stato introdotto da B proprio per preparare τ, il che fa pensare che ρ e σ–τ, prima dell’intervento di B, non fossero uniti. Tutto sommato, sembra che l’idea (molto diffusa fra gli analitici) che ρ e σ–τ fossero in origine epe indipendenti e che sia stato B a unirli inserendo ρ 492 sgg. sia molto verisimile. Vediamo ora τ. A differenza di σ, τ è una rapsodia rielaborata. La prima scena, con lo spostamento delle armi, è di sicuro un riadattamento fatto da B dell’epos che è alla base del «consiglio di guerra» di π (Eumaiosepos): in π 282 sgg. Odisseo aveva preannunciato al figlio che a un certo punto egli gli avrebbe

 Cfr. soprattutto l’ottima analisi di Merkelbach (19692) 77– 78, anche circa la possiblità che ἐπιγουνίς e μολοβρός (ρ 219, 225; σ 26, 74) siano originali in σ.  Wilamowitz (1884) 47 sgg. (seguito da Merkelbach 19692, 78 – 82) crede che anche il lancio dello sgabello di Antinoo (ρ) sia un’imitazione di quello di Eurimaco (σ), ma mancano indizi probanti. Una volta che Odisseo è giunto alla reggia, Telemaco, tràmite Eumeo, lo esorta a mendicare fra i proci, ma egli inizia a farlo solo dopo un’esortazione di Atena (ρ 345 – 366). Si è supposto che l’intervento di Atena (che suona effettivamente superfluo dopo quello di Telemaco) sia stato ispirato da quello di σ 346 – 348, ma mancano indizi probanti e forse ρ 360 – 364 sono un’interpolazione rapsodica (Kirchhoff) ovvero un’aggiunta di B (Merkelbach 19692, 78).  Cfr. Merkelbach (19692) 80.

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fatto cenno di rimuovere le armi dal megaron e che egli avrebbe dovuto lasciare solo due scudi e due lance. In τ 1 sgg. Odisseo ordina effettivamente al figlio la rimozione delle armi, ma dei due scudi e delle due lance non c’è più traccia: tutte le armi, senza eccezione, vengono portate via dal megaron. Poiché non c’è nessuna ragione per cui Odisseo possa aver cambiato idea sul da farsi⁷⁹⁶, è evidente che qui siamo davanti a una sutura. Il motivo di tale discrepanza fra π e τ è perspicuo: B sapeva che avrebbe inserito un epos (L), nel quale delle armi lasciate in sala non c’era traccia, dunque le ha soppresse⁷⁹⁷. I vv. ripetuti all’inizio e alla fine della scena (τ 1– 2 = τ 51– 52) sono ulteriore garanzia dell’intervento di B⁷⁹⁸. Se gli interventi di B fossero tutti così chiari e spiegabili, l’analisi dell’Od. sarebbe abbastanza semplice. La scena successiva pone, invece, problemi difficili: Penelope arriva in sala e, contemporaneamente, arrivano alcune ancelle a mettere in ordine il megaron; tutto questo va benissimo come prosecuzione di σ; poi però Melanto insulta di nuovo Odisseo e Penelope la rimprovera facendo riferimento (τ 93 – 95) al fatto che ella stessa aveva espresso il desiderio di parlare con il mendico, cioè a una parte di ρ (492– 588) che noi abbiamo attribuito a B. La risposta di Odisseo a Melanto pone ulteriori problemi: i vv. in cui l’eroe dice di essere stato ricco in passato e di essere stato generoso occorrono uguali in ρ 419 – 424 (= τ 75 – 80). Essi sembrano del tutto al loro posto in ρ e altrettanto fuori posto in τ⁷⁹⁹. C’è anche un problema psicologico: poco prima Odisseo stesso ha rimproverato duramente Melanto e l’ancella è fuggita impaurita (σ 321– 345); possibile che a così breve distanza l’ancella abbia l’ardire di attaccare di nuovo Odisseo⁸⁰⁰? Si potrebbe essere inclini ad attribuire tutto il principio di τ, fino all’inizio del colloquio fra Odisseo e Penelope, a B⁸⁰¹. Tuttavia, in questa parte dell’Od. ci sono

 Cfr. Seeck (1887) 13 – 14; Woodhouse (1930) 158 – 168; contra Scodel (1998) 3 – 9.  Cfr. Kirchhoff (18792) 560 sgg.; Hennings (1903) 496; Bethe (1922) 80, 91; Merkelbach (19692) 94; già Koës (1806) 21– 22 e Thiersch (1821) 36 – 37 avevano osservato la problematicità del «consiglio di guerra» di π, Bergk (1872) 710 lo aveva attribuito al rielaboratore dell’Urodyssee. Male Belzner (1912) 180 e Wilamowitz (1927) 144. West (2014) 248 – 249 crede che τ rifletta uno stadio successivo rispetto a π all’interno delle rielaborazioni del poeta dell’Od. Un tentativo di lettura unitaria di π e τ in Erbse (1972) 3 – 41.  Cfr. p. 375.  Giudicano bene Kirchhoff (18792) 522 e Hennings (1903) 497, male Wilamowitz (1884) 46, nota 10, che ipotizza un rapporto inverso: ma che senso ha che Odisseo in τ alluda alla sua passata generosità verso i pitocchi? Egli non sta in questo momento mendicando né Melanto è un ricco quale Odisseo dice di essere stato (e quale anche Antinoo è). τ 75 – 80 non può essere un’interpolazione rapsodica (come pure si è supposto), cfr. 81: καὶ σύ.  Cfr. Bethe (1922) 91; Merkelbach (19692) 89.  Come fanno Niese (1882) 158 – 159, Bethe (1922) 91 e Schwartz (1924) 107.

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anche altri doppioni⁸⁰² e viene naturale pensare che anche il doppio attacco di Melanto vada spiegato alla luce di questo: se noi crediamo che questi doppioni derivino dalla conflazione di due epe che correvano paralleli e che B ha riunito, anche le due scene di Melanto potrebbero essere spiegate così⁸⁰³. Ci sono, però, due ostacoli: la due scene di Melanto si pongono in successione temporale; il secondo attacco (τ 66 – 69) presuppone che sia sera inoltrata, dunque avviene un po’ più tardi rispetto al primo attacco; questo fa piuttosto pensare che i due attacchi siano stati pensati fin dall’inizio per appartenere allo stesso epos. Inoltre, ρ e σ (ove si trova il primo attacco di Melanto) derivano da due epe diversi; orbene, il secondo attacco di Melanto sembra attingere meccanicamente vv. da ρ (cfr. quanto detto a proposito di ρ 419 – 424 = τ 75 – 80), quindi da quell’epos del quale avrebbe dovuto far parte, il che pare poco probabile. In conclusione, la bilancia della probabilità pende a favore della possibilità che il secondo attacco di Melanto (τ) sia un’invenzione di B. D’altra parte, quanto abbiamo visto circa l’agguato dei proci può confermarcelo: anche lì B è partito da un crimine dei proci già presente nella Vorlage (T), ma ne ha aggiunto un altro, l’agguato per mare. La stessa tendenza a enfatizzare i misfatti dei proci e dei loro accoliti sembra averlo guidato anche a proposito di Melanto. Ricapitolando: τ 1– 46 sono una rielaborazione di B dell’epos da cui deriva π 235 – 320 (Eumaiosepos)⁸⁰⁴; 47– 64 (partenza di Telemaco, arrivo di Penelope) sono indispensabili allo svolgimento dell’azione e dunque può darsi che B li abbia ritoccati, ma non inventati. 65 – 95 (il diverbio fra Odisseo e Melanto) è probabilmente freie Erfindung di B. Il colloquio fra Odisseo e Penelope (τ 104 sgg.) scorre senza problemi fino a che, alla fine, Penelope dispone che lo straniero venga lavato ed egli chiede di essere lavato da un’ancella anziana, che abbia sofferto quanto lui. I vv. in cui Odisseo chiede di essere lavato da un’ancella anziana (346 – 348) venivano espunti da Aristarco: in effetti, nel seguito, a Odisseo, appena Euriclea inizia a lavarlo (389 sqq.), viene in mente che la vecchia vedrà la cicatrice e lo riconoscerà. Per evitare questo cerca, invano, di volgersi verso l’ombra. Che l’astutissimo Odisseo, attentissimo fino a quel momento a non farsi riconoscere, compia un errore così grossolano, parve invero-

 Merkelbach (19692) 76: «Das Hauptproblem dieser Bücher ist nämlich die Verdoppelung der Motive»; cfr. supra la discussione dei rapporti fra ρ e σ.  Su questa linea Merkelbach (19692) 87– 90 (egli attribuisce la scena di τ ad A, quella di σ a R).  Lo stretto legame fra τ 1– 46 e il «consiglio di guerra» di π lo mostra benissimo τ 45, ove Odisseo esprime il proposito di cercare di capire cosa pensino le ancelle (ὄφρα κ᾽ ἔτι δμωιὰς καὶ μητέρα σὴν ἐρεθίζω), evidente prosecuzione di π 304 sgg.

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simile ad Aristarco: perché chiedere di essere lavato dall’unica persona che avrebbe potuto riconoscerlo, da quella Euriclea, che era stata protagonista dell’episodio con Autolico, occasione in cui Odisseo si era ferito? Si è pensato che Odisseo, in realtà, volesse farsi riconoscere da Euriclea e che i vv. in cui l’eroe si volge verso l’ombra, perché la vecchia non veda la cicatrice, siano stati inseriti successivamente: si è anche ipotizzato che Odisseo volesse farsi riconoscere dalla stessa Penelope e che quindi, originariamente, in τ si arrivasse al riconoscimento dei due sposi⁸⁰⁵. Questa idea (che risale a Niese) ha avuto grande fortuna presso gli analitici, ma io non la condivido. Per quale motivo, se Odisseo intendeva farsi riconoscere tràmite la cicatrice, non mostrarla subito (come avviene in φ 217 sgg. e ω 331 sgg.)? Che bisogno c’era di farsi lavare da Euriclea? Inoltre, se il proposito finale era quello di farsi riconoscere da Penelope, perché farsi prima riconoscere da Euriclea? Non c’è alcuna ragione seria per ipotizzare tutto questo. L’ipotesi di Niese ha riscosso un immeritato successo perché essa si concilia bene con due idee che hanno avuto largo seguito: l’idea che nella nostra Od. siano presenti relitti di un epos in cui Penelope riconosceva Odisseo prima della strage dei proci e indiceva la gara con l’arco su suggerimento di Odisseo stesso⁸⁰⁶ (1); l’idea che nella seconda parte dell’Od. ci siano molti «doppioni»: poiché c’è già una scena di riconoscimento (ψ 171 sgg.), è parso naturale supporre che τ ne nasconda un’altra, che B ha dovuto tagliare perché voleva inserire quella di ψ⁸⁰⁷ (2). Per quanto concerne (1), nella nostra Od. non c’è alcuna traccia di una trama di questo genere: l’unico appiglio serio lo darebbero il racconto di Amfimedonte (ω 167– 169) e la scena di Penelope in σ 158 – 304, ma nessuno dei due indizi ha valore⁸⁰⁸. Per quanto concerne (2), anch’io credo che ci siano «doppioni» in questa parte dell’Od. (almeno nei punti in cui ρ imita σ), ma questo non dimostra che in τ dovesse esserci la scena del riconoscimento dei due sposi. D’altra parte, l’imbarazzo che sia Aristarco sia molti moderni hanno provato davanti a τ 346 – 348 è comprensibile: perché Odisseo si fa lavare da Euriclea,  Così Niese (1882) 159 – 164; Wilamowitz (1884) 54 sgg.; Seeck (1887) 1– 9; Bethe (1922) 97– 104; Schwartz (1924) 123; Page (1955) 126 – 128; Merkelbach (19692) 1– 6. Contra Hennings (1903) 508 – 509; Von der Mühll (1940) 748; Focke (1943) 328 sgg.  Wilamowitz (1884) 58; Schwartz (1924) 123; Merkelbach (19692) 6 sgg. Bergk (1872) 714 crede che in origine Odisseo (senza ancora essere stato riconosciuto) suggerisse a Penelope di indire la gara. Contro queste ipotesi cfr. Siegmann (1987) 1 sgg.  Cfr. e. g. Wilamowitz (1927) 46: «B mußte die Erkennung auf Eurykleia beschränken und für den Fortgang der Handlung bedeutungslos machen, weil er das ψ aufnehmen wollte, in dem Penelope den Gatten erst nach dem Siege erkennt»; Merkelbach (19692) 1– 6.  Il racconto di Amfimedonte presuppone in realtà B, non un epos perduto, cfr. p. 356. Riguardo a σ cfr. p. 325 – 327.

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che è l’unica che effettivamente può riconoscerlo, quando egli si impegna in tutti i modi per non essere riconosciuto? La giustificazione che Odisseo stesso dà a Penelope, che cioè egli vuole una persona che ha sofferto quanto lui stesso, è di sicuro un’astuzia di Odisseo per ottenere qualcosa di altro e di ben più pratico. Io credo che la spiegazione dell’atteggiamento di Odisseo la diano π 304 sgg. e τ 45, ove l’eroe dice di voler scrutare l’animo delle ancelle. Orbene, se egli voleva scrutare l’animo di Euriclea, l’unico modo era quello di poter parlare riservatamente con lei ed egli coglie l’occasione che gli si presenta, quella cioè di parlarle mentre ella lo lava. Tuttavia, egli non pensa, all’inizio, che la cicatrice rivelerà immediatamente chi egli è veramente (Odisseo vuole scrutare l’animo di tutti, senza però essere riconosciuto). Una conferma a questa interpretazione la offre lo scambio di battute fra Odisseo ed Euriclea, che segue immediatamente il riconoscimento (τ 495 – 501): Euriclea si dice pronta, una volta che Odisseo avrà ucciso i proci, a rivelargli chi delle ancelle gli è stata fedele e chi no; Odisseo rifiuta, dicendo che farà da solo. Nella nostra Od. questo suona strano: alla fine della strage dei proci l’eroe incarica proprio Euriclea di dividere le ancelle infedeli da quelle fedeli (χ 417 sgg.). Nell’epos da cui deriva τ 495 – 501 le cose, probabilmente, andavano diversamente. Tutto lascia supporre che questo epos si svolgesse in maniera simile a quello da cui deriva il «consiglio di guerra» di π (Eumaiosepos), in cui Odisseo stesso, prima della strage (cfr. π 304 – 320), cercava di scrutare l’animo delle ancelle. La convinzione, molto diffusa fra gli analitici, che con τ 476 inizi B non si concilia con 492– 502: perché in B Odisseo dovrebbe rifiutare l’aiuto di Euriclea per distinguere le ancelle fedeli da quelle infedeli, quando B stesso ha inserito un epos (da cui deriva χ 417 sgg., cioè L) che contraddice nella maniera più evidente tale trama? Dall’inizio di σ fino a τ 507 a me non pare ci siano suture, a eccezione della scena dello spostamento delle armi e, probabilmente, di quella di Melanto all’inizio di τ⁸⁰⁹. Fino a dove arriva questo epos (Melanthoepos) all’interno di τ? Al riconoscimento da parte di Euriclea segue l’esposizione del sogno di Penelope: essa non contiene contraddizioni con la parte precedente, ma a questo punto siamo ormai in prossimità di una delle grandi suture dell’Od., cioè quella con L: φ–ω descrivono il giorno della gara con l’arco e quello successivo, ma tale epos (L) si estende anche in υ e ci sono indizi abbastanza forti che esso comprendesse anche il giorno precedente la gara con l’arco. In τ 570 sgg. Penelope  τ 392– 466 contengono il famoso excursus sulla cicatrice di Odisseo. Nulla in tale excursus contraddice il contesto in cui è inserito o oltre parti dell’Od. (cfr. Hennings 1903, 510). Tuttavia 393 – 394 (i vv. che aprono l’episodio) sono molto simili a 465 – 466 (i vv. che chiudono l’episodio): si tratta della solita tecnica di B per inserire materiale estraneo al contesto e il sospetto, quindi, che l’excursus sia una sua aggiunta è molto forte.

Analisi di σ–υ 121: il Melanthoepos

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dice al mendico di voler indire la gara con l’arco; tale proposito viene annunciato ex abrupto e suona stranissimo dopo che Penelope ha sentito dallo straniero che Odisseo sta per tornare e che lo straniero ha dato valide prove di affidabilità per quello che dice. L’argomento potrebbe sembrare troppo debole e psicologico per porre una sutura fra il colloquio (τ 104– 360) e τ 570 sgg., ma ce ne è uno di natura strutturale molto forte: B ha attinto la gara con l’arco da L, dunque da un epos diverso da quello da cui derivano τ 104– 507 (Melanthoepos). Che τ 570 sgg. derivi da L possiamo escluderlo con certezza, poiché φ 1 sgg. (cioè L) presuppone che della gara non si fosse mai parlato in precedenza⁸¹⁰. Non possiamo escludere con altrettanta certezza che anche nell’epos cui apparteneva τ 104 – 507 ci fosse una gara con l’arco (e che quindi τ 570 sgg. derivino dallo stesso epos da cui deriva la parte precedente), ma noi abbiamo visto come B ha preparato τ tràmite ρ 492 sgg. La tecnica usata da B sembra qui la stessa che in ρ, introdurre cioè un episodio qualche centinaio di vv. prima. Attribuirei dunque τ 570 – 593 a B⁸¹¹. Nel seguito, Penelope si ritira nelle sue stanze (τ 595 – 604), Odisseo si corica e vede le ancelle che vanno dai proci; segue il suo sdegno, l’incapacità di prendere sonno e l’intervento di Atena a tranquillizzarlo (υ 1– 55). Si sveglia quindi Penelope, che si rivolge ad Artemide pregandola di farla morire e narra un sogno che ha appena avuto (υ 56 – 90); a questo punto si alza Odisseo che chiede a Zeus due presagi favorevoli, che subito ottiene (υ 91– 121). Il segmento τ 594 – υ 121 a me pare non presenti segni di suture: l’ansia parallela di Odisseo e di Penelope e il doppio intervento divino in favore di Odisseo confermano la costruzione unitaria⁸¹². La rabbia di Odisseo contro le ancelle (υ 6 – 21) si lega benissimo tematicamente a tutta la parte che precede (σ 311– 345; τ 154, 345, 370 – 374) e anche il fatto che l’eroe dorma su un giaciglio improvvisato e non su un letto (υ 1– 4) prosegue τ 340 – 342. All’inizio del giorno successivo, troviamo subito un indizio evidente che siamo in presenza di una sutura. Appena svegliatosi Telemaco chiede a Euriclea come sia stato trattato lo straniero la sera precedente, se cioè cibo e letto siano stati adeguati (129 – 133). Euriclea risponde che lo straniero ha bevuto vino sedendo e che, alla domanda di Penelope, se cioè aveva fame, ha risposto di no.

 Cfr. Heerklotz (1854) 56; Jacob (1856) 500; Bergk (1872) 713; Niese (1882) 163; Wilamowitz (1927) 51.  La maggior parte degli analitici crede con B inizi già da ca. 470: cfr. Seeck (1887) 3; Schwartz (1924) 110; Merkelbach (19692) 4– 6.  Cfr. Bethe (1922) 93. Altri credono che l’inizio di υ sia rielaborato, ma mancano indizi seri in tal senso.

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12 Analisi di ν–υ 121

Quando poi è venuto loro sonno⁸¹³, Penelope gli ha offerto un giaciglio comodo, ma egli ne ha preferito uno povero e semplice (135 – 143). Nella nostra Od. non c’è traccia di Odisseo che siede davanti a Penelope bevendo vino e che, richiesto dalla moglie se ha fame, risponde di non averne. Le notizie sul letto trovano invece corrispondenza in τ 317– 342, ove Odisseo rifiuta l’invito di Penelope a dormire su un letto comodo. In τ 320 sgg. Penelope aveva disposto che il mattino successivo Odisseo venisse lavato e che potesse sedere a tavola vicino a Telemaco e aveva promesso la propria protezione a Odisseo contro eventuali soprusi: di tutto questo non c’è traccia in υ, ove Odisseo non viene lavato e Odisseo, durante il pranzo, si trova vicino alla soglia (come il giorno precedente) ed è Telemaco a disporre così e a sobbarcarsi la difesa dell’ospite, senza che delle disposizioni di Penelope si senta più parlare (υ 257– 267). Qui siamo davanti a una palese sutura⁸¹⁴: evidentemente la descrizione della sera di τ e del mattino di υ derivano da due epe diversi, che B ha giustapposto senza armonizzare. D’altra parte φ–ω deriva da un epos (L) diverso rispetto a σ–τ (Melanthoepos): L ha tratti peculiari molto chiari, di cui non c’è traccia in σ–τ. Tutto lascia pensare che con l’inizio di υ B abbia cominciato a usare L. Lasciamo l’analisi del resto di υ al capitolo successivo.

Sguardo retrospettivo su ξ–υ 121 Diamo uno sguardo retrospettivo sulla parte analizzata in questo capitolo, partendo proprio dall’ultimo segmento, σ–υ 121. Questo epos (Melanthoepos) inizia per noi con σ 1: quanto precede (ρ, cioè l’Eumaiosepos) probabilmente lo aveva davanti a sé e lo ha imitato. I due epe sono stati uniti da B (tràmite ρ 492 sgg.): la sutura è stata fatta nel rispetto della cronologia delle due Vorlagen, poiché B ha interrotto l’Eumaiosepos nel pomeriggio e ha usato il Melanthoepos per la sera e la notte. Il Melanthoepos sembra presupporre un’Od. piuttosto antica. Durante il colloquio con Penelope, il falso pitocco, che dice di essere cretese e di chiamarsi Aitone, le narra le vicende di Odisseo (τ 269 sgg.): dopo essere ripartiti da Trinachia Odisseo e i compagni hanno fatto naufragio a causa dell’ira di Zeus e di Helios; tutti gli altri compagni sono morti, il solo Odisseo si è salvato ed è giunto, aggrappandosi a un resto della nave, dai Feaci. Da lì l’eroe è andato  È evidente che a υ 138 bisogna accettare la congettura μιμνήσκοντο (U, accolta ora anche da West) poiché l’ottativo iterativo μιμνήσκοιτο non ha alcun senso, dal momento che si allude a una sola sera.  Cfr. Koës (1806) 54– 55; Jacob (1856) 499; Bergk (1872) 715; Kirchhoff (18792) 526 – 527; Wilamowitz (1927) 91.

Sguardo retrospettivo su ξ–υ 121

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presso i Tesproti e presto farà ritorno a Itaca. Rispetto alla nostra Od., ci sono due differenze, la prima è l’assenza di Calipso⁸¹⁵, la seconda la presenza dei Tesproti. Coincide, invece, perfettamente con la nostra Od. il naufragio dopo la sosta a Trinachia a causa dell’ira di Zeus e Helios. Mentre sui Tesproti non possiamo fare collegamenti significativi, abbiamo visto come l’assenza di Calipso dal racconto di τ rispecchi probabilmente uno stadio più antico rispetto a quello presente in K, cui appunto si deve l’introduzione di Calipso⁸¹⁶. Dunque, il Melanthoepos, probabilmente, precede K. Abbiamo già parlato di alcuni indizi, che fanno pensare che ρ imiti σ, dunque si prospetterebbe una dipendenza dell’Eumaiosepos dal Melanthoepos; un tale rapporto potrebbe essere ulteriormente confermato. Vi sono somiglianze macroscopiche fra il racconto che Aitone fa delle avventure di Odisseo a Penelope (τ 269 – 299) e quelle che lo stesso Odisseo fa circa se stesso a Eumeo (ξ 199 – 359) ed è evidente che fra i due racconti vi è un legame, che io credo si spieghi meglio ipotizzando una dipendenza di ξ da τ⁸¹⁷. In τ Aitone narra che Odisseo, dopo il naufragio di Trinachia, giunge dai Feaci, i quali sarebbero stati ben disposti a riportarlo in patria, ma egli ha preferito andare ancora in giro in cerca di ricchezze ed è giunto presso i Tesproti; il re dei Tesproti, Fidone, ha mostrato ad Aitone le ricchezze accumulate da Odisseo e ha detto che la nave per riportare Odisseo (che in quel momento si trovava a Dodona) a Itaca è pronta. In ξ il falso pitocco, anch’egli cretese, dopo varie vicende, viene convinto da un Fenicio a seguirlo dall’Egitto in Fenicia, dove i due rimangono un anno; poi il Fenicio convince il nostro Cretese a partire di nuovo con lui sulla sua nave, ora alla volta dell’Africa (296 – 97): ψεύδεα βουλεύσας, ἵνα οἱ σὺν φόρτον ἄγοιμι / κεῖθι δέ μ᾽ ὡς περάσειε καὶ ἄσπετον ὦνον ἕλοιτο. Questi turpi propositi del Fenicio vengono tuttavia stroncati da una tempesta, che affonda la nave; il nostro Cretese approda naufrago in Tesprozia, ove il re, Fidone, lo accoglie benevolmente e lo informa su Odisseo: questi ha accumulato molte ricchezze,

 Si potrebbe minimizzare questa differenza osservando che quella di Aitone è comunque una narrazione fittizia o supponendo che Odisseo abbia voluto risparmiare a Penelope un particolare sgradevole come il legame di Odisseo con la ninfa (cfr. Hennings 1903, 503 – 504; Cauer 19233, 539 – 540), ma la seconda spiegazione non regge, come mostrano ρ 143 – 144 e ψ 333 – 337, ove rispettivamente Telemaco e Odisseo narrano senza problemi a Penelope il soggiorno presso Calipso. Anche minimizzare l’assenza di Calipso dal racconto di τ non è prudente: perché omettere proprio Calipso?  Cfr. p. 274 sgg.  Così Niese (1882) 160 – 162; Schwartz (1924) 67– 68; anche Bethe (1922) 85 – 86 e Merkelbach (19692) 64– 66 credono che ξ derivi da τ, ma attribuiscono a B i tratti derivati da τ. Ritengono invece che τ dipenda da ξ Dahms (1919) 32 e Wilamowitz (1927) 16. Il problema era già stato posto da Thiersch (1821) 76 sgg.

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12 Analisi di ν–υ 121

che ora giacciono proprio presso Fidone; Odisseo stesso è appena andato a Dodona per informarsi su come rientrare a Itaca. Una nave di Tesproti promette di portare il Cretese presso Acasto a Dulichio; tuttavia, una volta salito sulla nave, lo riducono in schiavitù. Per fortuna, i Tesproti decidono di fare una sosta a Itaca e il Cretese riesce a scappare e si rifugia presso Eumeo. Nel racconto di ξ risulta difficile comprendere come il Cretese riesca a capire che il Fenicio, mentre navigano verso l’Africa, intende ridurlo in schiavitù e venderlo: il sopraggiungere della tempesta rende del tutto inutile questo motivo. Si è quindi supposto che ξ 299 – 338 (la tempesta e i Tesproti) siano vv. interpolati da B, suggestionato da τ e desideroso di armonizzare i due racconti. Anche a me pare probabile che l’episodio dei Tesproti di ξ sia influenzato da quello di τ, ma non mi pare ci siano indizi che i vv. di ξ sono interpolati⁸¹⁸. In τ si narra come Odisseo abbia perduto i compagni durante l’ultima tempesta, ma che, nonostante questo, egli ha ora una nave e degli ἑταῖροι pronti per riportarlo a Itaca; questa notizia si trova anche in ξ. La menzione della nave pronta e dei compagni è perfettamente adatta al contesto di τ, ma non mi pare altrettanto adatta al contesto di ξ, poiché qui non si è prima parlato né del naufragio di Odisseo né della morte dei suoi compagni reduci da Troia; dunque, la menzione della nave e dei compagni nel racconto di ξ è inattesa e l’ascoltatore potrebbe anche pensare che si tratti dei compagni itacesi di Odisseo, né sa se la nave sia quella con cui è partito da Itaca né se sia l’unica superstite. Anche ξ 158 – 162 sembra dipendere da τ 303 – 307: si tratta di due giuramenti sul prossimo ritorno di Odisseo, uno pronunciato da Aitone davanti a Penelope (τ), l’altro dal falso mendico davanti a Eumeo (ξ). Se il testo fosse sicuro, non ci sarebbero dubbi che l’originale sia τ, poiché in entrambi leggiamo ἱστίη δ᾽ Ὀδυσῆος ἀμύμονος, ἣν ἀφικάνω, che va bene in τ (304), ove Odisseo è effettivamente già a casa sua, ma non in ξ (159), ove egli si trova alla fattoria di Eumeo. Tuttavia, io credo che l’espunzione di ξ 159 (Aristarco) sia necessaria: anche un poeta, che riprenda meccanicamente un pezzo di un altro poeta, si accorge subito dell’incongruenza. Si è pensato di espungere l’intero giuramento in ξ, ovvero di attribuirlo a B, ma la soluzione di Aristarco⁸¹⁹ sembra la più ragionevole; se è così, i vv. vanno probabilmente attribuiti al poeta di τ, donde li ha tratti il poeta di ξ, inserendoli tutti tranne τ 304, che è stato poi inserito in ξ da un interpolatore. L’atteggiamento di Odisseo davanti alla servitù del Melanthoepos ha forse influenzato l’Eumaiosepos, poiché la durezza con cui Odisseo respinge la pro-

 Inoltre, se sopprimiamo l’episodio tesprotico da ξ, come suggerisce Bethe, il racconto ne esce lacunoso: dove ha ottenuto il falso Cretese le notizie su Odisseo?  Seguito ora da West; Kirchhoff espunge 158 – 164.

Sguardo retrospettivo su ξ–υ 121

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posta di Euriclea di indicargli chi delle ancelle gli è fedele (τ 495 sgg.) trova corrispondenza nel «consiglio di guerra» di π (304 sgg.). Nel Melanthoepos le ancelle infedeli hanno un ruolo di rilievo (σ 310 sgg.; τ 345; 370 sgg.; υ 6 sgg.); nel colloquio con Aitone, Penelope narra la famosa storia della tela, e dice che i proci la scoprirono, mentre di notte la stava disfacendo, grazie al tradimento delle ancelle (τ 154– 155). Questo ruolo chiave delle ancelle all’interno della vicenda si accorda benissimo con il contesto del Melanthoepos. La storia della tela ricorre con vv. quasi identici in altri due punti della nostra Od. (τ 139 – 156 = β 94– 110 = ω 129 – 146); sembra che ω (racconto di Amfinomo nell’Ades) derivi da β (discorso di Antinoo all’assemblea degli Itacesi)⁸²⁰, più difficile è stabilire il rapporto fra β e τ⁸²¹. Le varie piccole divergenze linguistiche non portano nessun risultato sicuro e una certezza assoluta, temo, non la avremo mai; tuttavia, è evidente che l’accusa di Penelope contro le ancelle (154 διὰ δμωιάς, κύνας οὐκ ἀλεγούσας) è perfettamente inserita nel contesto del Melanthoepos; le parole pronunciate da Antinoo (108: δή τις ἔειπε γυνιακῶν, ἣ σάφα ἤιδει) sono di per sé irreprensibili, ma del tutto slegate dal contesto di β. Una dipendenza della Ἰθακησίων ἀγορά dal Melanthoepos pare probabile. A τ 203 il poeta, a proposito di ciò che Aitone stava narrando a Penelope, commenta: ἴσκε ψεύδεα πολλὰ λέγων ἐτύμοισιν ὁμοῖα. Il v. è sicuramente in relazione con Hes. Theog. 27– 28, ove le Muse dicono a proposito di se stesse: ἴδμεν ψεύδεα πολλὰ λέγειν ἑτύμοισιν ὁμοῖα, / ἴδμεν δ᾽, εὖτ᾽ ἐθέλωμεν, ἀληθέα γηρύσασθαι. Purtroppo, non ci sono elementi per stabilire una priorità. Aitone giura davanti a Penelope che Odisseo tornerà (306 – 307) τοῦδ᾽ αὐτοῦ λυκάβαντος […] / τοῦ μὲν φθίνοντος μηνός, τοῦ δ᾽ ἱσταμένοιο. Aitone indica in questo modo che Odisseo tornerà nel corso dell’anno e in un giorno preciso, il giorno della luna nuova, il primo del mese (ἕνη καὶ νέα); in tale giorno cadeva una festa in onore di Apollo⁸²². Che Odisseo tornasse in un giorno sacro ad Apollo doveva essere opinione diffusa, poiché anche L lo presuppone⁸²³. Nel contesto di τ il significato generale della predizione è chiaro: Aitone si è appena conquistato la fiducia di Penelope, mostrandole di aver conosciuto davvero

 In β e ω la narrazione è in terza persona, in τ in prima persona. I rapporti fra ω1 e il resto dell’Od. mostrano che β è la fonte (la δευτέρα νέκυια è forse opera di B, cfr. p. 358). ω ha modificato un particolare, facendo terminare a Penelope la tela poco prima del ritorno di Odisseo; questa modifica ha trovato estimatori, cfr. Woodhouse (1930) 70 – 71; Wehrli (1959) 229; West (2014) 105 – 106.  Credono che β derivi da τ Kirchhoff, Niese (1882) 159, nota 2, Wilamowitz (1927) 39 – 40, Ritengono, invece, che τ derivi da β Bethe (1922) 12, nota 4 e Merkelbach (19692) 62– 64.  Cfr. Wilamowitz (1884) 53 – 55; Nilsson (1918) 27– 28; Cauer (19233) 602.  Cfr. p. 360.

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Odisseo (213 – 260) e ora vuole rassicurarla che l’eroe tornerà presto. Dalle parole di Aitone non è, però, possibile dedurre dopo quanti giorni ci sarà la prima νουμηνία né se Odisseo tornerà nel giorno di tale νουμηνία o in una successiva; Aitone dice che Odisseo tornerà in un giorno di νουμηνία nel corso dell’anno attuale, niente di più. Nella nostra Od. tale giorno è quello immediatamente successivo al colloquio, ma se ciò fosse vero anche nel Melanthoepos non c’è modo di dire, anche se sembra assai verisimile⁸²⁴. L’azione è ambientata in inverno (τ 319; υ 3). Era trasformato Odisseo? Da σ 351– 355 si direbbe di sì, altrimenti ha poco senso la battuta di Eurimaco sulla calvizie di Odisseo⁸²⁵. Il Melanthoepos occupa la gran parte di σ–τ e l’inizio di υ. Cosa precedesse in questo epos e cosa seguisse, non c’è modo di congetturare. Escludo che la nostra Od. ne conservi altri segmenti: esso sembra precedere K, dunque dovrebbe semmai essere identificato con O: Schwartz ritiene effettivamente che τ 105 – 388 derivino da O, ma non c’è modo di collegare i due epe, se non perché entrambi ignorano Calipso. Anzi, τ 247 parla del compagno di Odisseo Euribate (noto anche da Β 184) e da τ 270 sgg. si arguirebbe che in tale epos un ruolo importante lo giocassero i Tesproti, tutte cose di cui non c’è traccia nell’Od. a noi pervenuta⁸²⁶. La sezione precedente (ξ–ρ) è occupata in gran parte dall’Eumaiosepos e, in misura minore, da T. Quest’ultima è stata inserita in un modo piuttosto maldestro, soprattutto in ο e ρ: la scena finale di ο annuncia eventi che poi non avvengono (o avvengono in maniera diversa da quanto preannunciato), in ρ 61– 165 vengono introdotti Penelope e Teoclimeno, ma poi spariscono senza lasciare traccia. L’unica spiegazione per tutto questo è che B abbia cercato di adattare T a materiale preesistente (Wilamowitz, Schwartz); non è invece credibile né che tutto quello che riguarda il viaggio di Telemaco in questa sezione sia freie Erfindung di B (Bethe, Von der Mühll, Merkelbach), né che sia stato lo stesso poeta

 Wilamowitz (1884) 54 pensa che Aitone indichi il giorno stesso in cui sta parlando, poiché egli è effettivamente già tornato: si tratterebbe di un modo di rivelarsi alla moglie, la quale però è talmente scettica che non capisce cosa le sta dicendo Aitone. Nilsson (1918) 28 obietta a Wilamowitz che da ξ 158 – 163 ricaviamo che Odisseo, nella νουμηνία, ucciderà i proci (dunque sarebbe un giorno diverso da quello attuale), ma il passo di ξ deriva da quello di τ e l’inserimento di τείσεται è probabilmente dovuto al desiderio di ovviare all’incongruenza che anche noi osserviamo. La tesi di Wilamowitz si lega all’idea che la scena finisse con il riconoscimento di Odisseo da parte della moglie e che l’eroe volesse farsi riconoscere, ma io non credo a tale tesi. Si è voluto vedere un legame con la festa di Apollo κουροτρόφος, che si legherebbe alla maturità raggiunta da Telemaco (Hölscher 1988, 251 sgg.; Danek 1998, 362 sgg.), ma nel nostro testo non vi è alcuna allusione a Telemaco.  Così Seeck (1887) 92– 93.  Cfr. Seeck (1887) 63 sgg.

Sguardo retrospettivo su ξ–υ 121

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di T a inserire il proprio epos su un epos preesistente (Focke). Se fosse freie Erfindung di B, egli non avrebbe preannunciato eventi che poi non si verificano; la stessa obiezione si può fare a Focke; inoltre, lo stile compilativo e da epitome che incontriamo in ο 495 – ρ 165 ogni volta che siamo davanti a T (con l’eccezione di π 342– 451) sarebbe inspiegabile, se avessimo lo stesso poeta che ha composto γ–δ, ove di tale stile non c’è traccia. D’altra parte, B non si è limitato a inserire T, ma lo ha modificato, inserendovi l’agguato per mare dei proci: questo agguato è freie Erfindung di B, che per inserirlo ha aggiunto δ 625 – 847, ha composto ex novo il viaggio per mare di Telemaco (ο 283 – 300) e ha modificato in maniera sostanziale la scena in cui T narrava la progettazione dell’attentato a Telemaco (π 342– 451). L’apparizione di Atena a Telemaco all’inizio di ο e il viaggio da Pilo a Itaca sono stati composti ex novo da B; una conferma di questo ce l’ha data ρ 160 – 161, ove Teoclimeno parla di un presagio avvenuto sulla nave di cui non c’è traccia in ο 283 – 300. D’altra parte, nella nostra Od. è Atena a ordinare a Telemaco di andare da Eumeo, una volta arrivato a Itaca (ο 38 – 40): se ο 1– 79 sono opera di B, in T come veniva in mente a Telemaco di fermarsi da Eumeo? Forse in T Telemaco decideva durante il viaggio per mare di fermarsi da Eumeo; forse interveniva un evento soprannaturale per fargli prendere questa decisione e forse giocava un ruolo Teoclimeno⁸²⁷. Molto meglio riusciamo a seguire l’Eumaiosepos: ξ, π, ρ 167– 491 ce lo conservano bene ed esso rivela notevoli qualità poetiche, in particolare nella descrizione della vita rurale. Il poeta imita non solo il Melanthoepos, ma forse anche K. Quando il falso Cretese narra le proprie vicende, probabilmente viene usato μ: partiti dalla Fenicia alla volta dell’Africa, il narratore e i Fenici vengono colti da una tempesta (ξ 300 – 313) e tutti cadono in mare. I vv. occorrono anche in μ (415 – 419 = ξ 305 – 309): l’espressione πέσον δ᾽ ἐκ νηὸς ἅπαντες (ξ 307) sembra calcata su πέσον δ᾽ ἐκ νηὸς ἑταῖροι (μ 417), poiché fra gli ἅπαντες è compreso anche il narratore⁸²⁸, mentre in μ il testo calza perfettamente, poiché il narratore non cade in mare. Poco più avanti, quando il falso Cretese giunge in Tesprozia, viene accolto dal re del luogo Fidone, ma il primo ad accoglierlo sulla spiaggia è suo figlio, di cui non viene detto nemmeno il nome (ξ 316 – 320): sembra probabile che questa scialbissima figura altro non sia che una imitazione di Nausicaa⁸²⁹. L’azione è ambientata, come nel Melanthoepos, in autunno-inverno (cfr. e. g. ξ 457). Come e a che punto della saga questo epos iniziasse non sappiamo, mentre siamo informati su come procedesse: si arrivava di sicuro alla

 Così Wilamowitz (1927) 136.  La singolarità è colta da Ameis-Hentze-Cauer ad ξ 307.  Così Hartmann (1917) 96 – 97.

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12 Analisi di ν–υ 121

strage dei proci e Odisseo e Telemaco si avvalevano di due scudi e due lance lasciate nel megaron: non solo il «consiglio di guerra» di π preannuncia questo, ma B ci ha conservato la scena in cui le armi venivano allontanate dal megaron (sebbene tagliata alla fine, τ 1– 43). C’era la gara con l’arco? Si è spesso detto che la presenza dei due scudi e delle due lance nel megaron esclude la gara con l’arco⁸³⁰, ma non è un argomento cogente: nella nostra Od. coesiste la gara con l’arco e l’utilizzo di altre armi (quando le frecce sono finite) e non è detto che non fosse lo stesso nell’Eumaiosepos.

 Seeck (1887) 7– 22; cfr. anche Merkelbach (19692) 122 sgg.

13 Analisi di υ 122–ω Analisi di φ–χ La nostra analisi ci ha portato fino a υ 121. Piuttosto che continuare ad analizzare υ, una rapsodia rielaborata e complessa, passiamo ora a φ, poiché φ 1–ω 548 rappresentano una sostanziale unità; una volta viste le caratteristiche di questo epos (L), torneremo su υ 122– 394. Penelope si reca nella stanza ove sono conservati i tesori di Odisseo (θάλαμος) e, fra essi, l’arco: si tratta, ci informa il poeta, di un dono che Odisseo ebbe da Ifito, una volta che i due si incontrarono in Messenia, allorché Odisseo era ancora un ragazzo e prima che Ifito venisse ucciso da Eracle. Penelope prende in mano l’arco e non riesce a trattenere le lacrime; si reca quindi nella sala da pranzo e annuncia ai proci che andrà in isposa a chi riuscirà a scagliare da quell’arco una freccia che attraversi dodici asce. Ordina quindi a Eumeo di predisporre la gara, ma questi, commosso, si mette a piangere e altrettanto fa Filezio (un altro pastore, introdotto per la prima volta in υ 185). Antinoo li insulta e intima loro, se non riescono a trattenere le lacrime, di andare fuori. Interviene Telemaco e dice di voler provare per primo egli stesso a tendere l’arco: se riuscirà, la madre resterà con lui, poiché egli si sarà dimostrato ormai degno figlio di suo padre. Dispone quindi le asce e prova a tendere l’arco: per tre volte non riesce, alla quarta riuscirebbe, ma Odisseo gli fa cenno di interrompere. Il giovane depone quindi l’arco e Antinoo ordina che ciascuno dei proci proceda alla prova, secondo l’ordine in cui sono seduti a tavola (egli stesso e Eurimaco saranno gli ultimi). Per primo prova Leode, senza successo, e si dice certo che nessuno dei proci riuscirà nella prova. Antinoo lo rimprovera per tale profezia, ma è evidentemente preoccupato e ordina a Melanzio di portare in sala del grasso, per ungere l’arco. I proci cercano quindi di tendere l’arco dopo averlo unto e scaldato, ma nessuno riesce. La prova volge ormai al termine senza alcun vincitore: restano però i due più forti fra i proci, Antinoo ed Eurimaco. A questo punto Eumeo e Filezio escono dalla sala e vanno fuori: li segue Odisseo, il quale, dopo essersi fatto riconoscere tràmite la cicatrice, ordina a Eumeo, una volta rientrato dentro, di passargli l’arco e di dire alle serve di non uscire dalle loro stanze se sentiranno grida; a Filezio ordina di chiudere la porta esterna della reggia. I tre rientrano: in quel momento Eurimaco sta cercando di tendere l’arco, ma non riesce. Antinoo lo rincuora e dice che è opportuno interrompere la gara e riprenderla il giorno successivo: siamo nel giorno della festa di Apollo ed esso non è propizio per una gara del genere. Tutti i proci accettano di buon grado il consiglio di Antinoo e viene fatta una libagione. A questo punto Odisseo chiede di poter provare egli stesso a tendere l’arco: egli https://doi.org/10.1515/9783110652963-013

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13 Analisi di υ 122–ω

vuol vedere se ha ancora la stessa forza che aveva in passato, o se la vita infelice che conduce lo ha reso più debole. Antinoo si oppone e accusa il falso mendico di essere ubriaco, ma in favore del mendico interviene Penelope: i proci non hanno nulla da temere, perché certo ella non andrà in isposa a quell’uomo, se anche tenderà l’arco. A troncare la discussione interviene Telemaco, che intima alla madre di ritirarsi nelle sue stanze: l’arco appartiene a lui e sarà lui a decidere cosa fare. Eumeo porta l’arco a Odisseo; i proci minacciano il porcaio, ma Telemaco lo minaccia a sua volta, se non porterà l’arco a Odisseo, che riceve quindi l’arco. Eumeo dà alle donne l’ordine che ha avuto da Odisseo (dicendo di averlo ricevuto da Telemaco), Filezio chiude la porta esteriore della reggia. Odisseo inizia a maneggiare l’arco e, senza alcuna difficoltà, scaglia la freccia che attraversa le asce. L’eroe, compiaciuto, dice a Telemaco che non ha di che vergognarsi per l’ospite, mentre il giovane è ormai pronto al combattimento. Qui finisce φ. Non sembra ci siano suture o aggiunte⁸³¹: l’unico punto che ha destato sospetti fondati sono i vv. 188 – 244, la scena cioè fra Odisseo e i pastori fuori dalla reggia⁸³². A mio giudizio, l’unico vero problema è che non è chiaro il motivo per cui Eumeo e Filezio escano dalla reggia: a 188 sgg. leggiamo che i due pastori escono e che poco dopo esce Odisseo, ma non si capisce il motivo. Forse esso va ricollegato a quanto aveva detto in precedenza Antinoo (85 – 91), quando li aveva esortati, se volevano piangere, a farlo fuori dalla reggia⁸³³. Tuttavia, da quel momento è passato del tempo e non si capisce perché Eumeo e Filezio si decidano solo ora a uscire. Non è possibile che il poeta immagini la scena come avvenuta immediatamente dopo il discorso di Antinoo (85 – 95), poiché Odisseo (che esce subito dopo i pastori, 190) è presente dentro la reggia anche dopo tale discorso (129). Siamo forse di fronte a un caso in cui la sequenza diegetica e quella logica non sono armonizzate, ma questo non autorizza a ipotizzare che siamo davanti a un’aggiunta successiva: se, infatti, eliminassimo 188 – 244, gran parte del seguito risulterebbe incomprensibile: Eumeo, subito dopo il discorso di Telemaco e senza che quest’ultimo glielo abbia ordinato, porta l’arco a Odisseo (359) e questo presuppone evidentemente 234– 235, così come le disposizioni che il porcaio dà a Euriclea (380 – 385) presuppongono 235 – 239 e anche quanto Filezio fa a 388 – 389 presuppone 240 – 241. Quando i pastori e Odisseo escono dalla reggia, tutti i proci hanno già cercato di tendere l’arco, con l’eccezione di  Bergk (1872) 716: «Das einundzwanzigste Buch ist im wesentlichen unversehrt überliefert».  Ritengono questa scena una Einlage rispetto al contesto Kammer (1873) 671– 677, Bethe (1922) 75, Von der Mühll (1940) 755 e Merkalbach (19692) 117. Contra Schwartz (1924) 116 – 117; Wilamowitz (1927) 56 – 57.  Contra Kammer (1873) 675; Russo ad φ 188 – 9.

Analisi di φ–χ

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Eurimaco e Antinoo: quando essi rientrano, Eurimaco sta iniziando il suo tentativo: cosa è successo nel frattempo all’interno della reggia? Si tratta evidentemente di una frozen scene: un altro caso, ancora più evidente, lo incontreremo fra poco in χ. Non ci sono dunque ragioni valide per supporre che φ 188 – 244 sia un’aggiunta successiva. Accertata l’unità di φ, vediamo ora χ. Odisseo balza sulla soglia del megaron e colpisce Antinoo, che tutto si aspetta fuorché che il mendico intenda colpirlo. Dopo la morte di Antinoo, Odisseo rivela la sua identità ai proci ormai spaventati⁸³⁴; Eurimaco, a nome di tutti i proci, cerca di scaricare tutte le colpe sul defunto Antinoo e offre a Odisseo la restituzione dei beni consumati in cambio della vita. Odisseo rifiuta; allora Eurimaco esorta i proci a combattere, sguainando le spade e opponendo le mense alle frecce di Odisseo; egli stesso sguaina la spada e si getta gridando su Odisseo, che, però, lo uccide con una freccia. Ora è Amfinomo a sguainare la spada e a gettarsi contro Odisseo, ma Telemaco lo colpisce da dietro con una lancia. Amfinomo muore, ma Telemaco non recupera la lancia dal cadavere, poiché teme di essere colpito mentre estrae l’arma. Telemaco si avvicina a Odisseo e gli esprime l’intenzione di andare nel thalamos a prendere le armi per sé, per Odisseo, nonché per Eumeo e Filezio. Odisseo lo esorta a far presto, affinché i proci non lo allontanino dalla porta mentre è solo⁸³⁵. Telemaco va e riporta quattro scudi, otto lance e quattro elmi; a questo punto lo stesso Telemaco, Eumeo e Filezio si armano. Odisseo continua a lanciare frecce finché ne ha; poi depone l’arco e anch’egli si arma. A questo punto Agelao, uno dei proci, propone che qualcuno, attraverso l’ὀρσοθύρη, dia notizia agli Itacesi di cosa sta avvenendo nella reggia, affinché essi soccorrano i proci. Tale ὀρσοθύρη è però, come ci informa il poeta, custodita da Eumeo su ordine di Odisseo; Melanzio sembra saperlo o, almeno, sospettarlo, poiché obietta al consiglio di Agelao che un solo uomo può difendere l’ὀρσοθύρη (evidentemente egli sospetta che Eumeo sia lì). Piuttosto, Melanzio si offre di andare a prendere le armi per i proci dal thalamos, poiché sospetta che lì siano state nascoste. Egli va dunque nel thalamos e ne riporta dodici scudi, dodici lance e dodici elmi. Odisseo, come vede che i proci dispongono di tali armi, è terrorizzato e si chiede come siano riusciti a impadronirsene. Telemaco confessa di aver dimenticato di

 Nel nostro testo i proci, spaventati, si alzano e guardano le pareti, per prendere da lì le armi. Questi vv. (23 – 25) sono senza dubbio un’interpolazione (cfr. Kirchhoff 18792, 581 sgg.; West 2014, 284), poiché a questo punto i proci pensano ancora che il mendico non abbia alcuna intenzione di combattere con loro e non si sono ancora resi conto della gravità della situazione. Evidentemente qualcuno (forse B?) ha voluto collegare questa scena allo spostamento delle armi di cui si era parlato in π, τ.  Egli teme che i proci possano uscire dalla reggia e chiamare rinforzi da fuori.

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13 Analisi di υ 122–ω

chiudere la porta del thalamos e ordina a Eumeo di andare a chiuderla. Eumeo vede che proprio in quel momento Melanzio sta tornando nel thalamos per prendere nuove armi e chiede a Odisseo se egli debba ucciderlo. Odisseo gli ordina di ucciderlo torturandolo; quindi Eumeo e Filezio sorprendono Melanzio nel thalamos e lo uccidono. Quindi tornano da Odisseo. Atena/Mentore interviene nella battaglia, ma, benché provocata da Agelao, non dà ancora la piena vittoria a Odisseo. Segue la battaglia con le lance: i proci scagliano le dodici lance portate da Melanzio, ma nessuna è letale, mentre a Odisseo e ai suoi riesce, con ciascuna lancia, di uccidere uno degli avversari. La battaglia è ormai finita: Leode chiede invano grazia a Odisseo che lo trafigge, mentre giace ai suoi piedi, con la lancia con cui aveva ucciso Agelao. L’aedo Femio, che durante la battaglia si era nascosto, ottiene invece il perdono, tràmite l’intercessione di Telemaco, da parte di Odisseo e lo stesso accade all’araldo Medonte (anch’egli, durante la battaglia, si era nascosto). Ormai sicuro che tutti i proci sono morti, Odisseo fa venire Euriclea, cui ordina di far andare nel megaron le ancelle che, durante la sua assenza, non sono state fedeli a Penelope e si sono legate ai proci. Euriclea conduce nel megaron le dodici ancelle infedeli, cui Odisseo ordina di pulire la stanza dal sangue della strage. Dopo che la stanza è stata pulita, Telemaco impicca le ancelle. Odisseo ordina dunque a Euriclea di far venire nel megaron Penelope assieme alle ancelle fedeli: Euriclea chiama le ancelle, le quali, commosse, salutano affettuosamente il padrone tornato. Qui finisce χ. La battaglia vera e propria occupa i vv. 1– 309. Si tratta di una composizione unitaria? Molti critici analitici credono che in essa siano confluiti due epe e che il punto di sutura vada individuato dopo l’uccisione di Amfinomo (90 – 8)⁸³⁶. La differenza più macroscopica fra la battaglia dei primi cento vv. e quella successiva è che nella prima Odisseo uccide i proci con l’arco, mentre nel seguito si combatte con le lance; inoltre, sebbene Eurimaco avesse suggerito ai proci l’uso delle mense (74), nel seguito tale motivo non viene utilizzato e anche la lancia di Telemaco conficcata nel cadavere di Amfinomo non viene più rammentata. Tuttavia, la fusione dei due tipi di battaglia ha una sua logica: è probabile che al poeta stesse a cuore mostrare che Odisseo e i suoi erano in grado combattere anche con le lance e non solo con l’arco: come è noto l’abilità con l’arco era meno apprezzata, e forse un’eco di tale idea è alla base delle parole di Atena/ Mentore a Odisseo (226 sgg.), ove la dèa rimprovera all’eroe scarso valore bellico; questo è davvero sorprendente dopo che Odisseo ha già brillato nell’uso  Seeck (1887) 9 – 22; Schwartz (1924) 124– 126; Theiler (1950) 109; Merkelbach (19692) 119 – 133. Contra Wilamowitz (1927) 62– 63. L’idea che la battaglia con le frecce e con le lance non possano essere state concepite per lo stesso epos risale, credo, a Seeck e continua a godere di credito, cfr. da ultimo West (2014) 138. Ottime osservazioni già in Jacob (1856) 510 sgg.

Analisi di φ–χ

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dell’arco, ma forse il poeta voleva sottolineare che questo non era sufficiente a mostrarne il vero valore e, infatti, dopo le parole di Atena/Mentore, inizia la battaglia con le lance: una volta che Odisseo e i suoi hanno anche lì mostrato il proprio valore, la dèa non esita più a concedere loro la vittoria definitiva (297 sgg.). È evidente che il poeta ha voluto dividere la battaglia in due fasi, la prima con l’arco e la seconda con le lance, e che ha fatto di tutto perché tale divisione fosse chiara ai suoi lettori / ascoltatori: l’inizio della seconda fase è reso evidente, oltreché dal discorso di Atena/Mentore (226 – 235), dalla constatazione del poeta che fino a quel punto i proci sono caduti grazie alle frecce (246). Dunque fino a questo punto le lance non erano state utilizzate e, dal momento che Odisseo aveva smesso di lanciare frecce già al v. 119, per circa 130 vv. Odisseo e i proci non avevano combattuto: questo è davvero singolare, se immaginiamo Odisseo sulla soglia che cerca disperatamente di tenere lontani e di uccidere i proci e questi ultimi che cercano in tutti i modi di uccidere il loro vero unico avversario (254) e di uscire dal megaron. Appena Odisseo ha esaurito le frecce, l’attenzione si sposta sui pastori: prima Melanzio va a prendere le armi ai proci, poi Eumeo e Filezio uccidono Melanzio che è tornato nel thalamos a prendere nuove armi. Tutto questo occupa 60 vv. (142– 202) e ci chiediamo cosa facciano Odisseo e i proci nel frattempo⁸³⁷: siamo evidentemente davanti a un caso di frozen scene, quale quello che abbiamo incontrato in φ: il caso è del tutto analogo, poiché anche qui non è possibile supporre che siamo davanti a un’inserzione, dal momento che l’arrivo delle armi dei proci e la messa fuori combattimento di Melanzio sono essenziali allo sviluppo dell’azione⁸³⁸. Nel complesso la battaglia è attualmente un’unità, da cui non si può togliere nulla, ma esistono delle differenze evidenti fra la prima sezione, in cui cadono i tre proci più famosi, Antinoo, Eurimaco e Amfinomo, e il resto. Perché gli altri proci non si avventano su Odisseo come hanno fatto Amfinomo ed Eurimaco e come quest’ultimo ha esortato a fare, perché non usano i tavoli per difendersi (74)? Si è anche esaltata, a ragione, la grandiosità dell’inizio di χ rispetto al

 Kammer (1873) 691: «unbegreiflich, dass die mit Waffen versehenen Freier den günstigen Moment, da Odysseus zwei seiner Freunde fortgeschickt hat, er selbst in grösster Furcht sich befindet, nicht benutzen».  Kammer (1873) 684 sgg. suppone che da 126 a 297 tutto sia o interpolato o, almeno, ritoccato e adattato. Anche Bethe (1922) 74 sgg. ha immaginato una genesi complicata per la battaglia di χ, ma senza valide ragioni. In un primo tempo era anche a me parso che 126 – 202 dovessero avere un’origine diversa dal loro attuale contesto, poiché a 201 Eumeo e Filezio si armano, mentre essi si erano già armati a 114. Tuttavia, è probabile che il poeta abbia presupposto che i due pastori avessero deposto l’armatura per punire Melanzio, cfr. Ameis-HentzeCauer ad φ 201; Dahms (1919) 58.

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13 Analisi di υ 122–ω

seguito⁸³⁹ e, in effetti, gli indizi a favore di una diversa origine delle due sezioni sono forti. È verisimile che la prima sezione derivi da un epos preesistente (Bogenkampf). Tuttavia, non credo abbiano ragione quegli studiosi che (come Schwartz e Merkelbach) attribuiscono la fusione fra le due sezioni a B: è, infatti, evidente che, posto che c’era la stata la gara dell’arco, era ovvio che Odisseo usasse l’arco per uccidere i proci, almeno nella fase iniziale della battaglia. Se noi supponiamo (come anche i due studiosi appena citati fanno) che χ sia una prosecuzione di φ (L), dato che quest’ultimo è incentrato sulla gara con l’arco, ne segue che la battaglia di χ dovesse iniziare anche in L con l’uso dell’arco da parte di Odisseo. Dunque già L doveva contenere una battaglia che iniziava con la gara dell’arco. Non c’è quindi bisogno di supporre che sia stato B a riunire χ 1– 98 al seguito: la riunione può averla fatta L (nel senso che egli ha inserito un epos precedente, il Bogenkampf, nell’epos da lui stesso composto). Notevole è che in questo epos che è alla base di χ 1– 98 Amfimaco cada per mano di Telemaco: questo era stato preannunciato in σ 155 – 156 (cioè nel Melanthoepos): significa che anche χ 1– 98 deriva dal Melanthoepos? Non lo sappiamo: nulla impedisce di pensarlo, ma non ci sono basi solide per l’ipotesi⁸⁴⁰. C’è un solo punto della battaglia in cui l’intervento di B mi pare certo. In φ–ω compaiono un gran numero di proci, alcuni solo nella battaglia di χ o solo in questa parte dell’Od. (Agelao: υ, χ; Amfimedonte: χ, ω; Ctesippo: υ, χ; Demoptolemo: χ; Elato: χ; Euriade: χ; Leode: φ, χ; Polibo: χ), altri si incontrano anche altrove: Amfinomo (υ, χ, ma anche π, σ), Antinoo (passim), Euridamante (χ, ma anche σ 297), Eurimaco (passim), Eurinomo (χ, ma anche β 22), Leocrito (χ, ma anche β 242), Pisandro (χ, ma anche σ 299). È decisivo per dimostrare l’intervento di B che tutti i proci presenti nelle sezioni precedenti della nostra Od. compaiono nella battaglia di χ; anche quelli nominati in modo del tutto cursorio in σ 295 – 301 compaiono nella battaglia (lo stesso vale per Eurinomo). A meno di non voler ammettere che L avesse presenti tutti gli epe poi utilizzati da B, è necessario supporre che sia intervenuto B⁸⁴¹. Tuttavia, un particolare rivela che l’intervento di B non è stato profondo: gli unici proci che hanno una parte davvero attiva nella battaglia (a parte Antinoo, Eurimaco e Amfinomo all’inizio)

 Merkelbach (19692) 119 sgg.  Telemaco, prima di andare a prendere altre armi dal thalamos, è in possesso di una sola lancia (χ 91 sgg.) e questo trova corrispondenza in υ (127, 144): forse chi ha composto queste parti di υ aveva in mente la scena dell’inizio di χ o forse, più semplicemente, l’uso di Telemaco di portare con sé la lancia (cfr. β 10).  West (2014) 138 suppone che in origine il numero dei proci che prendeva parte alla battaglia fosse minore; cfr. anche Burgess (2014) 344– 345.

Analisi ψ–ω

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sono Agelao (131 sgg.; 212 sgg.), Ctesippo (287 sgg.), Leode (312 sgg.), cioè quelli che derivano da L. La sostanza di χ (da 98 in poi) deriva da L. Per quanto concerne il resto di χ, le scene di Leode, Femio e Medonte sono in stretto rapporto fra loro e concludono bene la battaglia; anche la punizione delle ancelle infedeli, cui si oppone la scena di affetto e commozione fra Odisseo e le ancelle fedeli, non pone alcun problema e non c’è alcun indizio di sutura. Mi pare dunque che χ (a parte le aggiunte dei proci fatte da B) sia attribuibile interamente a L, anche se è probabile che quest’ultimo abbia tratto l’inizio da un epos preesistente (Bogenkampf).

Analisi ψ–ω Vediamo ora ψ. Euriclea sale in fretta le scale, entra nella camera di Penelope, la sveglia e le dice che Odisseo è arrivato e ha ucciso i proci. Penelope crede che Euriclea sia impazzita, la rimprovera per averla svegliata e le ordina di lasciarla in pace. Euriclea insiste e dice che Odisseo è veramente giunto e che Telemaco già lo ha riconosciuto da tempo. Penelope chiede a Euriclea come Odisseo abbia potuto, da solo, uccidere i proci, che erano così numerosi; la vecchia risponde di non saperlo, poiché durante la strage era chiusa insieme alle altre ancelle nelle sue stanze: solo dopo la strage ella è potuta entrare nel megaron a vedere i cadaveri dei proci. Penelope decide di scendere con Euriclea nel megaron per vedere cosa sia effettivamente accaduto, ma sospetta che a uccidere i proci sia stato in realtà un dio, irritato dalla loro condotta arrogante e immorale. Euriclea assicura di nuovo Penelope, dicendo di aver riconosciuto Odisseo dalla cicatrice. Quando vede Odisseo, Penelope gli si siede di fronte in silenzio. Telemaco per questo la rimprovera, affermando che nessuna altra donna resterebbe così fredda e impassibile davanti al marito di ritorno dopo venti anni. Penelope risponde che, se davvero l’uomo che ha di fronte è Odisseo, alcuni σήματα, noti solo a lei e al marito, renderanno possibile il riconoscimento. Odisseo sorride e afferma che sono i suoi vestiti sporchi che impediscono a Penelope di riconoscerlo; nel frattempo ordina che nella casa si danzi, affinché nessuno da fuori sospetti la strage dei proci. Penelope ordina a Euriclea di preparare a Odisseo il letto ἐκτὸς ἐϋσταθέος θαλάμου. Odisseo, che sa di avere, molti anni prima, costruito un letto che non poteva essere spostato, si indigna e chiede chi mai abbia potuto spostare il letto. Penelope, consapevole che solo lei stessa e Odisseo erano a conoscenza delle caratteristiche del letto, è a questo punto certa di avere davanti Odisseo e, abbandonatasi alla commozione e alla gioia, prega Odisseo di perdonarla se all’inizio, temendo di essere ingannata, non lo ha accolto affettuosamente. Odisseo rivela a Penelope che per lui le peregrinazioni

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13 Analisi di υ 122–ω

non sono finite, perché lo attende il viaggio profetizzatogli da Tiresia. I due sposi si ritirano quindi nella camera da letto e la danza nella casa cessa. In camera da letto i due sposi si raccontano come hanno trascorso i venti anni di separazione e poi si addormentano. Al mattino successivo Odisseo ordina a Penelope di starsene chiusa in casa, mentre egli, assieme a Telemaco, Eumeo e Filezio, si reca da Laerte in campagna. Con la partenza dei quattro uomini si chiude ψ. Mentre in φ–χ B ha accolto l’epos di L senza introdurvi grandi modifiche strutturali, in ψ B è intervenuto pesantemente. Il punto più chiaramente rielaborato di ψ si incontra a 115 sgg.: Penelope, scesa nel megaron, si è seduta di fronte a Odisseo, ma rimane in silenzio; Telemaco, sdegnato, la rimprovera: quale altra donna rimarrebbe così impassibile in una situazione del genere? Penelope risponde di essere confusa ma che, se davvero l’uomo che ha davanti è Odisseo, alcuni σήματα porteranno al riconoscimento. Odisseo si rivolge a Telemaco e dice che Penelope, a causa degli abiti squallidi che indossa, ora lo disprezza; ma è tempo, continua Odisseo, di occuparsi della propria sicurezza: i parenti dei proci non tarderanno a cercare vendetta. L’eroe ordina dunque che nella sala si canti e si danzi, sicché la gente da fuori pensi che si celebrino le nozze di Penelope e non sospetti cosa è veramente accaduto. Poi, prosegue Odisseo, sarà opportuno andare in campagna e lì decidere il da farsi. La danza inizia, Odisseo va a lavarsi e poi torna a sedersi davanti a Penelope. A questo punto l’eroe si rivolge alla moglie con le stesse parole di rimprovero che poco prima le aveva rivolto Telemaco (ψ 100 – 102 = ψ 168 – 170); poi le dà disposizioni sul letto e da qui inizia il riconoscimento. Sembra che i vv. 117– 172 derivino da un altro contesto rispetto a quello in cui si trovano ora⁸⁴². La totale mancanza di collegamento fra la scena inserita e il suo contesto è di immediata evidenza: Odisseo e Penelope sono di fronte dopo venti anni e sta per avvenire il riconoscimento; all’improvviso, Odisseo inizia a occuparsi di tutt’altra cosa, nella casa inizia una danza, Odisseo fa il bagno, il tutto mentre Penelope resta seduta. Odisseo aveva attribuito la causa della freddezza di Penelope ai suoi abiti squallidi (115 – 116). Dopo il bagno il suo aspetto fisico è completamente cambiato⁸⁴³, eppure questo fatto, che altrove

 Sull’estraneità di questa scena al contesto cfr. Liesegang (1855) 7; Kirchhoff (18792) 551 sgg.; Kammer (1873) 719; Wilamowitz (1884) 74 sgg.; Hennings (1903) 572– 576; Bethe (1922) 83; Schwartz (1924) 131 sgg.; Wilamowitz (1927) 70 – 71. Non credono, invece, a rielaborazioni in questo passo Besslich (1966) 83 – 96, Erbse (1972), 55 sgg., Hölscher (1988) 288 – 296, Oswald (1993) 90 sgg., West (2014) 292.  157– 162 (= ζ 230 – 235) sono stati espunti da Ernesti, ma è sufficiente espungere 157 (con Monro, seguito ora da West).

Analisi ψ–ω

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desta profonda impressione in chi vi assiste⁸⁴⁴, non ha alcun effetto su Penelope. Fra l’altro, vedremo fra poco che era intento di chi ha composto la scena del riconoscimento che Penelope riconoscesse Odisseo mentre questi era vestito con abiti squallidi: l’avere inserito il bagno dell’eroe ha rovinato l’effetto. Al ritorno dal bagno Odisseo si rivolge a Euriclea chiamandola μαῖα (171): è sorprendente che la presenza di Euriclea venga data per scontata e che venga usato l’appellativo μαῖα, che può creare ambiguità, dato che l’ultima ancella rammentata nell’attuale contesto non è Euriclea, ma Eurinome (154)⁸⁴⁵. Siamo evidentemente di fronte a una scena spezzata (quella del riconoscimento), in cui è stato inserito (con il solito procedimento dei vv. ripetuti, tipico di B) un pezzo di origine diversa⁸⁴⁶. Non è difficile capire donde proviene il pezzo interpolato: esso è tutto dominato dal pensiero della vendetta dei parenti dei proci e prepara la visita a Laerte, dunque ω2. Poiché ω2 deriva da L, anche ψ 117 sgg. deriverà da L e, all’interno di L, si sarà trovato, come anche ora si trova, fra gli eventi di χ e quelli di ω2 ⁸⁴⁷. Successivamente cercheremo di capire come era disposto L; ora vediamo l’origine della scena del riconoscimento.

 Cfr. e. g. ζ 239 sgg.; ω 373 sgg.  Anch’ella altrove chiamata μαῖα (ρ 499).  I vv. inseriti sono 117– 170 (così Kirchhoff 18792, 549 sgg.; Bethe 1922, 83). Per Von der Mühll (1940, 761) e Merkelbach (19692, 131) i vv. inseriti sono 96 – 165. Per alcuni (Liesegang, Kammer) l’interpolazione si limita ai vv. 117– 152 e così pensa anche Schwartz (1924, 131 sgg.), che attribuisce 117– 152 a L, 153 – 172 a B (la scena spezzata appartiene per Schwartz a K). Per Wilamowitz (1884) 74 sgg., (1927) 70 – 71 e Focke (1943) 367 i vv. interpolati sono 117– 172. Io credo che l’inserzione inizi con 117, perché 118 indica in maniera chiarissima il cambio di contesto. Non vedo altresì come si possano ritenere 171– 172 ancora parte dell’inserzione: Odisseo esprime il desiderio di dormire da solo (αὐτός 171, cfr. Ameis-Hentze-Cauer ad loc.) e in questo modo sposta il discorso sul letto, evidentemente perché intende offrire alla moglie l’occasione per metterlo alla prova circa uno dei σήματα di cui ella ha parlato (110). Penelope risponde (174– 180) dicendo di non nutrire superbia o disprezzo verso il marito (οὔ γάρ τι μεγαλίζομαι οὐδ᾽ ἀθερίζω), come invece Odisseo la aveva accusata, ma nemmeno eccessivo timore davanti a lui (οὐδὲ λίην ἄγαμαι): ella sa come Odisseo era quando partì per Troia. Mi sembra che con questo la donna implicitamente ammetta di riconoscere che l’uomo che ha davanti è Odisseo; con i vv. 174– 176 ella dice semplicemente di volere evitare altre accuse e polemiche, affermando di comportarsi in modo corretto e di sapere come stanno le cose. 177– 180 servono a mettere alla prova davvero l’uomo che ha davanti. È probabile che 174– 176 indichino un cambiamento nell’atteggiamento di Penelope, nel senso che ella è ora più disposta a riconoscere nell’uomo che ha di fronte Odisseo. Questo cambiamento è probabile vada messo in relazione con i vv. 171– 172, dai quali la donna ha capito che Odisseo intende portare il discorso su letto; dunque ai vv. 177– 180 Penelope è già quasi certa di avere di fronte Odisseo.  Cfr. Schwartz (1924) 131 sgg. Forse φ 429 – 430 (quindi L) allude a ψ 133 sgg.: in φ Odisseo preannuncia che alla cena (δόρπον) seguiranno musica e canto: è un’allusione a quanto effet-

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13 Analisi di υ 122–ω

Si tratta di un vero e proprio gioiello, che spicca decisamente all’interno di questa parte dell’Od., in cui ci sono molte sezioni non più che mediocri. La scena di riconoscimento vera e propria e quella precedente, in cui Euriclea si reca da Penelope, derivano dallo stesso epos? Il fatto che esse siano state spezzate con il sistema meccanico dei vv. ripetuti lo fa supporre e c’è un altro indizio a favore di tale ipotesi. Io credo che chiunque legga di seguito ψ 1– 116, 171– 240, da un lato resti colpito dalle straordinarie qualità del poeta che li ha composti, dall’altro si renda conto di come essi male si adattano al loro attuale contesto⁸⁴⁸. Euriclea sale le scale per dire a Penelope che Odisseo è a casa: la sveglia e le dice che Odisseo è arrivato (7: ἦλθ᾽ Ὀδυσεὺς καὶ οἶκον ἱκάνεται) e ha ucciso i proci. Penelope la crede impazzita e la manda via; il lettore si chiede sbalordito: come è possibile che Penelope non chieda nulla circa la gara dell’arco? Era stata ella stessa a indire tale gara e aveva lasciato la sala poco prima che il misterioso straniero provasse egli stesso a tendere l’arma. Il nostro stupore aumenta quando leggiamo la domanda che Penelope pone a Euriclea: come ha fatto, chiede Penelope, Odisseo a uccidere i proci (37– 38)? Anche qui ci chiediamo come non venga in mente alla regina della gara con l’arco. Alla fine Penelope si convince a scendere nel megaron per vedere i proci uccisi e colui che li ha uccisi (84: ἄνδρας μνηστῆρας τεθνηότας, ἠδ᾽ ὃς ἔπεφνεν). Ci chiediamo: possibile che non le venga in mente che li abbia uccisi proprio quel misterioso straniero che era appena arrivato? Qualcuno potrebbe obiettare che Penelope era convinta che quell’uomo non fosse Odisseo e che quindi non abbia nemmeno preso in considerazione questa ipotesi. Ma come spiegare che anche quando lo ha davanti, la donna non faccia alcun collegamento con lo straniero che si aggira nella reggia da ρ in poi e col quale ha avuto un affettuso e cordiale colloquio la sera prima? Questo è in contrasto con B, ove addirittura lo straniero esorta la regina a indire la gara con l’arco e le predice l’arrivo di Odisseo il giorno successivo, ma è in contrasto anche con L, ove, a quanto possiamo congetturare, c’era la gara con l’arco e la regina vedeva lo straniero aggirarsi per la reggia (φ 330 sgg.). Dopo che il riconoscimento è avvenuto, Penelope si scusa con il marito per non averlo accolto come meritava subito dopo averlo visto (213 – 214: αὐτὰρ μὴ νῦν μοι τόδε χώεο μηδὲ νεμέσσα, / οὕνεκα δ᾽ οὐ τὸ πρῶτον, ἐπεὶ ἴδον, ὧδ᾽ ἀγάπησα). A quale

tivamente accadrà nell’ultima parte della serata, quando la musica verrà effettivamente utilizzata per ingannare le persone fuori dalla reggia?  L’unico studioso a me noto che ha reso giustizia al grande poeta di questi vv., comprendendone gli intenti, è Wilamowitz (1884) 81– 85. Cfr. anche Bergk (1872) 718: «hier finden wir eine belebte und beseelte Darstellung, wie nur in den ächstesten und edelsten Theilen der Homerischen Poesie»; West (2014) 291: «Penelope’s recognition of her husband is wonderfully menaged».

Analisi ψ–ω

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momento si riferisce Penelope dicendo «subito, appena ti ho visto?». Senz’altro a ψ 89 sgg., al momento cioè in cui è arrivata nella sala, perché questo è l’unico momento in cui è evidente la freddezza e il distacco della donna: eppure, all’interno dell’Od. di B (ma anche di quella di L) i due si erano già visti ben prima. Del resto, lo stesso Odisseo pochi vv. prima, appena la moglie era arrivata nel megaron, era ansioso di vedere la reazione della donna appena lo avesse visto (91– 92: ποτιδέγμενος εἴ τί μιν εἴποι / ἰθφίμη παράκοιτις, ἐπεὶ ἴδεν ὀφθαλμοῖσιν): ben strana tale ansia e tale attesa, se i due si fossero già visti prima! E la stessa incertezza di Penelope, che a momenti riconosce il marito, a momenti no (94– 95), è indice che qui i due si vedono per la prima volta: se quell’uomo assomigliava a Odisseo, perché il dubbio non le si è insinuato quando lo ha visto in precedenza? Questo epos (ἀναγνωρισμός) sembra dunque presupponesse che Odisseo giungesse a casa e, senza che Penelope lo vedesse e senza alcuna gara dell’arco, uccidesse i proci. Questo è inconciliabile con tutto ciò che noi leggiamo da ρ in poi, dove l’interazione della regina con quanto succede nel megaron è continua. Pare altresì che in questo epos Odisseo non fosse completamente irriconoscibile (non era dunque trasformato, almeno nel momento in cui lo vede Penelope). Chi ha inserito questo epos nel su attuale contesto, B o L? Si pone qui lo stesso problema che abbiamo già incontrato a proposito di χ 1– 98. Alcuni ritocchi sono evidenti, il più evidente è l’inserimento del v. 28, che serve evidentemente a creare un collegamento con la presenza dell’ospite mendico⁸⁴⁹. Un’altra inserzione sono 73 – 77, in cui Euriclea allude alla scena della cicatrice (τ 467 sgg.), dunque a B⁸⁵⁰. Euriclea dice a Penelope che durante la strage dei proci lei era chiusa, assieme alle altre ancelle, nelle loro stanze e che, quando tutto era finito, Telemaco è andato a chiamarla per ordine di Odisseo; la stanza è stata poi pulita (ψ 40 – 51): questo racconto corrisponde a quanto leggiamo nell’ultima parte di χ. Un particolare della fine di χ serve a introdurre l’ἀναγνωρισμός: Euriclea propone a Odisseo di portargli abiti puliti, ma l’eroe rifiuta, dicendo che prima bisogna pensare a purificare la sala (χ 485 – 491). Euriclea suggerisce a Odisseo di cambiarsi appena Odisseo le ordina di far scendere Penelope; l’ancella vuole così suggerire al padrone di non mostrarsi in quegli abiti logori alla

 ψ 28: ὁ ξεῖνος τὸν πάντες ἐτίμων ἐν μεγάροισιν. È evidente che si tratta di un’inserzione, anche per ragioni linguistiche, cfr. Wilamowitz (1884) 82– 83; Ameis-Hentze-Cauer ad loc. Quest’inserzione si può attribuire sia a B sia a L.  ψ 73 – 77 sono stati riconosciuti come estranei al contesto per la prima volta da PayneKnight, poi da Kammer (1873) 717 e Wilamowitz (1927) 68. La menzione della cicatrice è qui totalmente fuori contesto, perché non gioca alcun ruolo; a ciò si aggiunga che da 29 – 31 si arguirebbe che il solo Telemaco fosse al corrente della presenza di Odisseo.

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13 Analisi di υ 122–ω

moglie. Il rifiuto dell’eroe mostra la sua precisa volontà di mostrarsi alla moglie in abiti logori. Questa caratteristica è essenziale all’interno dell’ἀναγνωρισμός, poiché lì Odisseo attribuisce ai propri abiti il rifiuto della moglie di riconoscerlo (ψ 115 – 116). È evidente che (posto che ψ 40 – 51 derivino dall’ἀναγνωρισμός originario) o L ha composto l’ultima parte di χ tenendo conto dell’ἀναγνωρισμός o B ha rimaneggiato L (cioè la fine di χ) oppure l’ultima parte di χ deriva già dall’ἀναγνωρισμός. L’ultima parte di χ procede senza alcun indizio di suture o rimaneggiamenti: la divisione fra ancelle fedeli e infedeli, l’aiuto che Euriclea porge al padrone, il parallelismo fra la sorte di Melanzio e quella delle ancelle infedeli, tutto insomma, sembra coerente. Se è così, l’ultima parte di χ deriva da L. Ne segue che L ha composto tendendo conto (fino a un certo punto) dell’epos che voleva inserire, cioè l’ἀναγνωρισμός; naturalmente, si potrebbe anche ipotizzare che egli abbia ritoccato ψ 40 sgg. per adattarlo alla propria narrazione. Supponiamo dunque che l’ἀναγνωρισμός sia stato inserito da L all’interno del proprio epos. D’altra parte, anche ψ 117– 170 appartenevano di sicuro a L (essi servono a introdurre ω2, che di L è parte). Come spiegare la loro presenza all’interno dell’attuale contesto? Li ha posti L nella loro attuale posizione o li ha posti B? Per rispondere a tale domanda è necessario vedere il resto di ψ e gli interventi di B all’interno di questa rapsodia. L’ἀναγνωρισμός finisce con ψ 240, nel momento in cui i due sposi si abbracciano dopo che il riconoscimento è avvenuto. Subito dopo leggiamo che Atena prolungò la notte (241– 246): è evidente che chi ha scritto questi vv. aveva intenzione di inserire un po’ di cose avvenute durante la notte stessa; alla fine della notte stessa leggiamo che la stessa Atena decise di porre fine alla notte, quando pensò che Odisseo fosse sazio dell’amore di Penelope e del sonno (344 – 348). Nel mezzo vi sono due lunghe narrazioni di Odisseo alla moglie, la prima in cui le riferisce la profezia di Tiresia (266 – 284), la seconda (riferita in forma indiretta dal poeta) in cui le racconta le proprie peregrinazioni, dai Ciconi all’arrivo a Itaca (310 – 341). Queste due narrazioni si seguono a breve distanza e sono interrotte solo dai vv. che descrivono gli sposi che vanno in camera da letto e la cessazione della danza nella casa (288 – 299). Orbene, le due narrazioni presuppongono l’Od. di B: la profezia di Tiresia ha la stessa identica forma che in λ e i viaggi di Odisseo corrispondono senza alcuna differenza a quanto leggiamo nella nostra Od. Ne segue che le due narrazioni sono opera di B⁸⁵¹; il loro inserimento all’interno della cornice della notte allungata conferma questa

 Ovviamente si potrebbe a questo punto anche supporre che B e L siano lo stesso poeta, ma non è così.

Analisi ψ–ω

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ipotesi⁸⁵². È dunque altamente probabile che ψ 241– 348 siano opera di B. Se è così, noi non sappiamo come proseguisse L (né l’ἀναγνωρισμός) dopo ψ 240⁸⁵³. Dove incontriamo un altro segmento di L dopo ψ 240? Schwartz crede non prima di ω 205⁸⁵⁴, ma è invece probabile che la fine di ψ, con il risveglio di Odisseo e la partenza per la campagna, derivino da L. Odisseo è preoccupato per la vendetta dei parenti dei proci (361– 365), ma pare immaginare il proprio futuro a Itaca, dal momento che fa progetti su come recuperare la ricchezza perduta, a quanto pare in patria (355 – 358): è proprio quanto meglio si adatta a ω2 (dunque a L), da un lato la preoccupazione per la vendetta della strage, dall’altro il lieto fine. Un indizio contro l’ipotesi che siamo ancora all’interno di B è anche l’assoluto silenzio di Odisseo circa le ricchezze che gli hanno donato i Feaci: un poeta che tende a creare legami a lungo raggio come B avrebbe fatto in modo che Odisseo ricordasse alla moglie tali beni, dal momento che il discorso era caduto (ψ 355 sgg.) sulle ricchezze (infatti ψ 341, dunque B, li ricorda). Mi pare quindi probabile che ψ 349 – 372 derivino da L. A questo punto, possiamo tornare a ψ 117– 170. Possibile che sia stato L, inserendo l’ἀναγνωρισμός nel proprio epos, a spezzarlo in questo modo brutale? Più probabile che sia stato B (si ricordi che anche la tecnica dei vv. ripetuti all’inizio e alla fine dell’inserzione depone a favore di questa ipotesi). Se è così, dove si trovavano, all’interno di L, le scene di ψ 117– 170? Io immagino dopo ψ 240, cioè dopo il riconoscimento. La sequenza sarebbe abbastanza logica, che cioè una volta che tutti lo hanno riconosciuto e che è stata fatta la cernita fra servitù fedele e infedele, a questo punto Odisseo inizi a occuparsi del problema dei parenti dei proci. Odisseo ordina alla servitù e a Telemaco di vestirsi bene e di danzare; evidentemente egli stesso non prenderà parte alla danza⁸⁵⁵. Il motivo è che egli non si è ancora lavato e ha ancora gli abiti del mendico; del tutto comprensibile dunque che egli intenda lavarsi e cambiarsi, come infatti avviene⁸⁵⁶, prima almeno di andare a letto. Perché B ha spostato queste scene

 Cfr. Schwartz (1924) 136, che richiama il caso analogo dell’«Intermezzo» di λ.  In questo senso cfr. già Bergk (1872) 719: «Das ächte Gedicht hört mit v. 240 auf: der eigentliche Schluß ist verloren gegangen»; Von der Mühll (1940) 763.  Schwartz (1924) 136 – 137.  ψ 134 ha ἡμῖν ἡγείσθω, ma bisogna leggere con P. Ryl. 53 e N ὑμῖν: senza dubbio si tratta di una congettura, ma Odisseo non può prendere parte alla danza, perché deve ancora lavarsi e cambiarsi. Che in L Odisseo originariamente prendesse parte alla danza e che quindi ἡμῖν sia genuino è un’ipotesi improbabile di Schwartz (1924) 131– 132.  Wilamowitz (1884) 74– 77 (seguito da Seeck 1887, 7) aveva supposto che il bagno avvenisse originariamente alla fine di χ e che quanto leggiamo in ψ 154– 164 sia opera di B; ma lo stesso Wilamowitz (1927) 75, nota 1 ha poi rifiutato l’idea. Non c’è nessuna ragione di staccare ψ 154– 164 dai vv. immediatamente precedenti. Wilamowitz ipotizzava che nel bagno alla fine di ψ

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13 Analisi di υ 122–ω

all’interno dell’ἀναγνωρισμός? Forse perché ha riempito la sezione successiva all’ἀναγνωρισμός con altro materiale, cioè con ψ 241– 348, materiale da lui stesso composto. Si tratta, naturalmente, solo di un’ipotesi, ma che lo spostamento di ψ 117– 170 all’interno dell’ἀναγνωρισμός sia dovuto a B e che tale spostamento abbia a che fare con il riordino del materiale in qualche modo collegato all’inserzione di ψ 241– 348 mi pare assai probabile. Vediamo ora ω. La prima parte è occupata dalla cosiddetta δευτέρα νέκυια (per distinguerla da quella di λ). Ermes guida le anime dei proci, che lo seguono stridendo come pipistrelli, verso l’Ades. Nell’Ades ha nel frattempo luogo una conversazione fra Achille e Agamennone: quest’ultimo ricorda al primo la sua triste fine e osserva che sarebbe stato meglio per lui morire a Troia, ove i Greci gli avrebbero tributato onori funebri degni. Questa osservazione offre ad Agamennone l’occasione per ricordare il funerale di Achille: i Greci combatterono un’intera giornata per sottrarre ai Troiani il cadavere dell’eroe e ad onorare l’eroe, oltre a Tetide e alle Nereidi, vennero tutte e nove le Muse. Al funerale seguirono giochi organizzati dalla stessa Tetide. Appena Agamennone ha finito di parlare, arrivano le anime dei proci. Agamennone riconosce Amfimedonte, cui è legato da rapporti di ospitalità, e gli chiede il motivo della morte di tanti nobili Itacesi. Amfimedonte narra come Penelope li ha ingannati con la tela. Una volta scoperto l’inganno della tela, è tornato a Itaca Odisseo, il quale, dopo essersi fatto riconoscere da Telemaco e da Eumeo, ha esortato Penelope a disporre la gara con l’arco, che è stata la causa della loro morte: i loro cadaveri sono ancora insepolti. Ascoltato il racconto, Agamennone ha parole di lode per la fedele Penelope, cui contrappone l’infedele e crudele Clitemestra. Così si conclude la δευτέρα νέκυια. La scena si sposta al podere di Laerte, ove il vecchio vive assieme al servo Dolio, che ha una moglie sicula e sei figli. Giungono Odisseo, Telemaco, Eumeo e Filezio: Odisseo ordina al figlio e ai pastori di andare nella casa, mentre egli va nei campi a cercare il padre. Lo trova intento a lavorare la terra e, anziché rivelarsi subito, si finge uno straniero proveniente dalla Sicilia, in legami di ospitalità con Odisseo. Laerte crede a quanto il figlio gli dice e lo riconosce solo allorché questi si rivela e, per convincere il padre, mostra la cicatrice. Laerte, dopo aver espresso la gioia e la commozione per il ritorno del figlio, si dice preoccupato per la reazione dei parenti dei proci. I due vanno quindi verso la casa, ove Telemaco e i pastori stanno preparando il pranzo. Laerte fa il bagno, Dolio rientra in casa e, dopo che anch’egli ha riconosciuto Odisseo, tutti pranEuriclea vedesse la cicatrice che ella rammenta in ψ 74– 77, ma questi vv. sono opera di B. Non c’è nemmeno modo di dire che ψ 153 sia fuori luogo e derivi da ω 365, poiché λοῦσεν ὧι ἐνὶ οἴκωι si oppone alle innumerevoli volte che Odisseo ha fatto il bagno fuori casa (cfr. Ameis-HentzeCauer ad ψ 153).

Analisi ψ–ω

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zano. La scena si sposta a Itaca, ove nel frattempo si è diffusa la fama della strage dei proci e i loro parenti, dopo averne recuperati i cadaveri, si riuniscono nella piazza, desiderosi di vendetta. Il padre di Antinoo, Eupite, esorta tutti ad andare a cercare Odisseo, prima che questi abbia tempo di fuggire da Itaca. Medonte cerca di dissuaderli, dicendo che, durante la battaglia contro i proci, Odisseo è stato aiutato da Atena; anche Aliterse li sconsiglia dal cercare vendetta, ma la maggioranza segue Eupite e si avvia verso il podere di Laerte. La scena si sposta sull’Olimpo, ove Atena si consiglia con Zeus sul da farsi: il re degli dèi suggerisce alla figlia di porre fine alle ostilità e di riportare la pace e la concordia fra gli Itacesi. I parenti dei proci, guidati da Eupite, giungono intanto al podere di Laerte e ha inizio la battaglia, in cui Eupite cade per mano di Laerte e i parenti dei proci verrebbero tutti uccisi, se Atena e Zeus non intervenissero per convincere tutti alla pace e alla futura concordia. Così finisce ω e l’Od. Cominciamo da ω2. Esso non pone problemi di coerenza al proprio interno, ove non si osservano suture e rimaneggiamenti⁸⁵⁷. D’altra parte, è evidente che esso è una prosecuzione di quanto abbiamo letto nelle rapsodie precedenti, in particolare il legame con χ è evidente. Quando i parenti dei proci si sono riuniti per decidere il da farsi, sopraggiungono dalla casa di Odisseo Medonte e Femio (439): è evidente che questo presuppone la stretta associazione dei due personaggi di χ 330 – 380, tanto più che in ω Femio non ha nessuna parte nell’azione e dunque la sua presenza si spiega solo come prosecuzione dell’episodio di χ⁸⁵⁸. Anche le parole con cui Medonte ricorda l’intervento di Atena/Mentore (443 – 449) si riferiscono evidentemente a χ 205 – 240. Il timore per la vendetta dei parenti dei proci, che era affiorato in ψ 117– 170, in ω2 è Leitmotiv. Dunque ω2 prosegue sia χ sia ψ 117– 170, dunque tutto questo è L⁸⁵⁹. L’introduzione della δευτέρα νέκυια (ω1) ha staccato la partenza di Odisseo e dei suoi dalla città dal loro arrivo al podere di Laerte. Non è probabile che tale viaggio venisse descritto, come mostra il caso di quello dei parenti dei proci, anch’esso non descritto dal poeta (ω 469 – 471, 493). È probabile, invece, che B abbia tagliato qualcosa attorno a 387, ove viene introdotto Dolio. La ragione di tale taglio è evidente: Dolio, in B, compare già in δ 735, ove viene detto che egli era giunto a Itaca insieme a Penelope come dono. È probabile, dunque, che B abbia trasferito questa informazione su Dolio da ω a δ⁸⁶⁰.

    407.

Cfr. Theiler (1950) 108. Cfr. Wilamowitz (1884) 72. Cfr. Schwartz (1924) 134– 136. Cfr. Schwartz (1924) 134– 135. Il legame fra Dolio e Penelope è ben presente a L, cfr. ω 403 –

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13 Analisi di υ 122–ω

Vediamo ora da vicino la δευτέρα νέκυια. Prima di tutto, giova sgombrare il campo da un’ipotesi, cui molti hanno creduto e che, se venisse accettata, avrebbe conseguenze rilevanti per la genesi dell’intera Od. Nel racconto di Amfimedonte ad Agamennone si è creduto di trovare le tracce di un epos diverso da quello di B⁸⁶¹. Lo mostrerebbe che, secondo Amfimedonte, è Odisseo che ordina (ἄνωγε, ω 167) a Penelope di indire la gara con l’arco. Questo è parso confermare quelle ricostruzioni secondo le quali i due sposi avrebbero concepito insieme tale gara. Come ho già detto, io credo che nessuno degli epe che sono confluiti in ν–ω presupponesse tale sviluppo: anche dal racconto di Amfimedonte non si ricava affatto una cosa del genere: quanto dice il proco è spiegabilissimo alla luce di τ 583 sgg., ove Odisseo, dopo che Penelope ha espresso il proposito di indire la gara, la incoraggia a farlo. Non c’è alcuna ragione per ipotizzare che il racconto di Amfimedonte presupponga un’Od. diversa da quella che leggiamo noi (B)⁸⁶². In che rapporto è questa δευτέρα νέκυια col suo attuale contesto? Si è supposto che essa sia stata introdotta dallo stesso B nella sua attuale posizione⁸⁶³, ovvero che si tratti di un’inserzione successiva a B⁸⁶⁴. A me pare certo che la δευτέρα νέκυια presupponga l’Od. di B⁸⁶⁵ e che essa sia stata pensata per il suo attuale contesto: Amfimedonte afferma che i cadaveri dei proci sono ancora insepolti nella casa di Odisseo e che i loro parenti ancora non sanno della loro morte (ω 186 – 190). Tutto questo si accorda perfettamente con ω 413 – 420, ove si dice che solo in quel momento (cioè in un momento successivo alla δευτέρα νέκυια) si diffuse la notizia della morte dei proci e i loro parenti andarono a prenderne i cadaveri dalla casa di Odisseo per la sepoltura.  Cfr. e. g. Bergk (1872) 714; Wilamowitz (1884) 80; Seeck (1887) 83 – 89, per cui il racconto di Amfimedonte rispecchia OB; Schwartz (1924) 118 sgg., per cui il racconto di Amfimedonte rispecchia L nella sua versione originaria, senza i ritocchi di B; Page (1955) 120; Wehrli (1959); Merkelbach (19692) 142. Contra Kirchhoff (18792) 592; Hennings (1903) 585 – 586; Dahms (1919) 62; Wilamowitz (1927) 46, 81; Von der Mühll (1940) 764; Bona (1966) 107 sgg.; Fenik (1974) 45 sgg.; Danek (1998) 480; West (2014) 299.  Amfimedonte sembra un’invenzione di B. Egli compare solo nella μνηστηροφονία di χ e, come tutti coloro che sono introdotti solo fugacemente, senza avere un ruolo individuale definito, io sospetto sia stato introdotto da B (cfr. p. 346 – 347).  Così Schwartz (1924) 150 e Merkelbach (19692) 143, i quali credono che B abbia tratto il pezzo dalla Telegonia; Bethe (1922) 39 e Von der Mühll (1940) 765 credono che B abbia composto lui stesso il pezzo e lo abbia inserito ove esso si trova; Focke (1943) 375 – 377 attribuisce la δευτέρα νέκυια a T, cui attribuisce anche il resto di ω.  Wilamowitz (1927) 81.  Lo mostra che nel racconto di Amfimedonte Telemaco arriva da Eumeo di ritorno da Pilo e che lì trama la morte dei proci assieme al padre (ω 151 sgg.): si presuppongono evidentemente ο–π quali li leggiamo noi.

Analisi ψ–ω

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Schwartz crede che la δευτέρα νέκυια sia stata tratta dalla Telegonia ⁸⁶⁶. L’ipotesi di Schwartz nasce dalle parole di Amfimedonte (ω 186 – 190), che lamenta che i cadaveri dei proci sono ancora insepolti. Proclo ci informa che la Telegonia iniziava proprio con la sepoltura dei proci, ma Schwartz suppone che essa iniziasse con la δευτέρα νέκυια. Le parole di Amfimedonte preludono alla sepoltura dei proci; tale sepoltura avviene anche nella nostra Od. (ω 416 – 420), ma Schwartz è convinto che 416 – 420 siano un’inserzione di B (all’interno di L). La sepoltura di 416 – 420 si inserirebbe male, secondo Schwartz, nel suo contesto attuale, poiché essa ritarda l’azione dei parenti dei proci che vogliono uccidere Odisseo. In altre parole, secondo Schwartz, quanto dice Amfimedonte (ω 186 – 190) si inserirebbe bene nella Telegonia, male nel suo attuale contesto. È un’ipotesi macchinosa e poco economica: nessuna fonte ci informa che la Telegonia contenesse una νέκυια, né i sospetti contro ω 416 – 420 hanno alcun reale fondamento. In generale, io non vedo alcun motivo per cui la δευτέρα νέκυια dovrebbe essere stata composta per un contesto diverso dall’attuale⁸⁶⁷. Molto più semplice è pensare che chi ha composto la δευτέρα νέκυια avesse davanti a sé il contesto di χ – ω2 non diverso da come lo abbiamo noi. Non è facile capire perché essa sia stata frapposta fra la partenza di Odisseo e dei suoi dalla città e il loro arrivo al podere di Laerte: più naturale sarebbe stato porla dopo ψ 343, dopo che anche Odisseo e Penelope si sono addormentati e tutti dormono⁸⁶⁸. Probabilmente essa è stata inserita qui per lo stesso motivo per cui l’episodio di Glauco e Diomede è stato inserito fra la partenza di Ettore dal campo di battaglia e il suo arrivo in città (Ζ 119 – 236): il tempo necessario al compimento di un viaggio degli eroi principali dell’azione viene sfruttato per l’inserzione di un altro episodio. Di sicuro il poeta della δευτέρα νέκυια leggeva la strage dei proci quale la descriveva L: in χ 308 – 9, verso la fine della battaglia, leggiamo che i proci gridavano mentre venivano tagliate le loro teste (τῶν δὲ στόνος ὤρνυτ᾽ ἀεικής / κράτων τυπτομένων): la stessa cosa leggiamo in ω 184 – 185, ma i vv. suonano meglio in

 Schwartz (1924) 150, seguito da Merkelbach (19692) 142 sgg. Sulla Telegonia cfr. p. 294 sgg.  Nitzsch (1837) II 36 sgg. pensa che la δευτέρα νέκυια derivi dai Νόστοι e lì seguisse immediatamente la morte di Agamennone: questa ipotesi ha dalla sua che Agamennone e Achille sembrano incontrarsi per la prima volta (cfr. ω 24 sgg.). Non si può escludere che la prima parte della δευτέρα νέκυια debba qualcosa ai Νόστοι, ma 99 – 202 non possono, con tutta evidenza, derivare dai Νόστοι. Sul problema cfr. da ultimo West (2014) 298 – 299.  Come osserva Hennings (1903) 584. A logica, essa si dovrebbe trovare in χ, alla fine della strage, ma è perfettamente comprensibile che B volesse narrare tutto quello che avveniva nella casa di Odisseo fino alla notte.

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13 Analisi di υ 122–ω

χ per il dimostrativo τῶν, che si addice meglio al narratore piuttosto che a chi sta parlando di un gruppo cui appartiene egli stesso⁸⁶⁹. La δευτέρα νέκυια utilizza senza dubbio la νέκυια ⁸⁷⁰. In λ 399 – 403 Odisseo chiede ad Agamennone come egli sia morto: ἠέ σέ γ᾽ἐν νήεσσι Ποσειδάων ἐδάμασσεν ὄρσας ἀργαλέων ἀνέμων ἀμέγαρτον ἀϋτμήν; ἦέ σ᾽ ἀνάρσιοι ἄνδρες ἐδηλήσαντ᾽ ἐπὶ χέρσου βοῦς περιτεμνόμενον ἠδ᾽ οἰῶν πώεα καλά ἠὲ περὶ πτόλιος μαχεούμενον ἠδὲ γυναικῶν;

400

Nella δευτέρα νέκυια Agamennone vede sopraggiungere le anime dei proci appena uccisi da Odisseo e riconosce Amfimedonte, cui è legato da rapporti d’ospitalità. Suscita quasi un sorriso sentire Agamennone che chiede ad Amfimedonte la causa della morte con le stesse parole rivolte a lui da Odisseo (ω 109 – 113). È evidente che si tratta di un prestito meccanico da λ: mentre è perfettamente sensato che Odisseo chieda ad Agamennone se egli è morto per mare o mentre faceva qualche scorreria sul continente, è stranissimo che Agamennone chieda la stessa cosa ad Amfimedonte: Odisseo e Agamennone erano ripartiti insieme da Troia verso la Grecia e dunque era naturale supporre che Agamennone avesse trovato la morte navigando, ovvero cercando di fare bottino sul continente. Nulla invece poteva far immaginare ad Agamennone che il giovane Amfimedonte si fosse messo per mare né, tanto meno, che facesse scorrerie⁸⁷¹. Il poeta presuppone che i suoi lettori / ascoltatori abbiano familiarità col l’Od. ⁸⁷² Si è supposto che la δευτέρα νέκυια, sia stata posta alla fine dell’Od. per rievocare i personaggi dell’Il. ⁸⁷³: è un’ipotesi certo indimostrabile, ma acuta. Nel complesso, è probabile che sia stato B a comporre la δευτέρα νέκυια e a inserirla nel suo contesto attuale⁸⁷⁴.

 Cfr. Hennings (1903) 586.  Cfr. Kirchhoff (18792) 535; Dahms (1919) 61– 62; Focke (1943) 375; Theiler (1950) 108; West (2014) 299.  ω 39 – 40 è una ripresa meccanica e goffa di Π 775 – 776, poiché λελασμένος ἱπποσυνάων va benissimo per l’auriga Cebrione, molto meno per Achille, cfr. Sittl (1882) 43; Usener (1990) 104 sgg.  Cfr. ω 150 συβώτης senza ulteriori specificazioni (Amfinomo sta parlando con Agamennone!).  Così Hennings (1903) 585.  Anche le imitazioni della νέκυια depongono a favore di questa ipotesi, cfr. p. 304, 313 – 314.

Analisi di υ 122 – 394

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Analisi di υ 122 – 394 Abbiamo seguito lo sviluppo di L nelle rapsodie φ–ω. Ci sono tracce di tale epos nella parte precedente? Pare che gli ultimi vv. di υ appartengano allo stesso epos cui appartiene φ 1 sgg.⁸⁷⁵: ne fa fede la presenza di Penelope nel megaron (387– 389), necessaria perché ella salga le scale (φ 5), e la menzione del δεῖπνον opposto al δόρπον (390 – 394), che trova eco nelle parole di Odisseo immediatamente precedenti alla strage (φ 428 – 430). Nella parte precedente di υ c’è qualcos’altro che deriva da L? L’analisi di υ (una rapsodia che, da un punto di vista estetico, da Bekker in poi, è stata giudicata severamente⁸⁷⁶) è disagevole. Nel capitolo precedente abbiamo già attribuito 1– 121 al Melanthoepos. Vediamo ora la sezione successiva. È l’alba e anche Telemaco si alza e, dopo un breve colloquio con Euriclea, va nella piazza. Euriclea dà ordine alle ancelle di preparare bene la reggia, poiché è giorno di festa. Giungono alla reggia Eumeo, Melanzio e il bovaro Filezio; quest’ultimo chiede informazioni circa lo straniero (Odisseo), che vede ora (egli crede) per la prima volta. I proci intanto preparano un agguato a Telemaco, ma un presagio li dissuade e Amfinomo li esorta a desistere. Vanno quindi alla reggia e inizia il pranzo, mentre in città la gente celebra la festa di Apollo. Atena ispira i proci a insultare di nuovo Odisseo: Ctesippo gli lancia contro un piede di bue. Telemaco lo rimprovera aspramente, ma un altro dei proci, Agelao, gli fa osservare che sarebbe ora che egli persuadesse la madre a prendere un nuovo marito. Telemaco risponde che non può obbligare Penelope a fare ciò che ella non vuole. Atena ispira ai proci un riso folle e senza motivo: Teoclimeno capisce che la loro fine è vicina e predice loro la morte; poi lascia la reggia e torna da Pireo. I proci deridono Telemaco per i suoi ospiti miserevoli (Odisseo e Teoclimeno), ma egli non dà importanza alle loro parole. La rapsodia si chiude con la menzione di Penelope presente nel megaron, che ode cosa viene detto. Come abbiamo visto⁸⁷⁷, il colloquio mattutino fra Euriclea e Telemaco (129 – 143) presuppone un andamento della serata precedente in parte diverso (cena di Odisseo davanti a Penelope), in parte analogo (Odisseo sceglie di dormire per terra e non su un letto) a quello di τ. Non è possibile determinare né se ciò che è analogo sia dovuto alla volontà di armonizzare di B (ovvero a un epos che già presentava analogie con τ) né quale sia l’epos dal quale deriva l’andamento

 Wilamowitz (1884) 78; Schwartz (1924) 115; Wilamowitz (1927) 51.  Bekker (1863) 123 – 132; Seeck (1887) 120: «Zu den schlechtesten Theilen der ganzen Odyssee gehört unstreitig das zwanzigste Buch»; Schwartz (1924) 111.  Cfr. p. 333 – 334.

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13 Analisi di υ 122–ω

diverso da quello di τ: dal momento che qui siamo prossimi alla sutura che introduce L, viene naturale supporre che esso sia L, ma mancano prove positive: non c’è modo di escludere che siamo davanti a un relitto di T⁸⁷⁸ (dal quale derivano, come vedremo, altri tratti di υ). Al colloquio fra Telemaco ed Euriclea seguono la partenza di Telemaco per l’assemblea e gli ordini di Euriclea alle ancelle: all’interno di tali ordini troviamo la prima menzione esplicita della festa in onore di Apollo, che viene celebrata proprio quel giorno (155 – 156). Che la μνηστηροφονία (ovvero il ritorno di Odisseo) avvenisse in un giorno di festa per Apollo doveva essere tradizione diffusa; anche il Melanthoepos lo presuppone. Tuttavia, il modo con cui nella nostra Od. tale fatto è introdotto, è un indice abbastanza evidente del modo di lavorare di B: la prima allusione la troviamo in τ 306 – 307⁸⁷⁹, poi ne sentiamo parlare in υ 155 – 156, 276 – 278, φ 258 – 259, ma in nessun luogo essa viene introdotta come ci aspetteremmo; un lettore poco attento fatica a rendersi conto che tale festa è sempre presupposta. L’impressione è che L la introducesse in una sezione precedente, che B non ha accolto. Giunge alla reggia Eumeo e chiede a Odisseo se la gente continua a maltrattarlo (166 – 167); i proci non sono ancora arrivati alla reggia, dunque Eumeo può fare riferimento solo alla sera del giorno precedente, il che fa pensare che si presupponga la partenza del porcaio nel tardo pomeriggio, quindi ρ 492– 606, cioè B⁸⁸⁰. D’altra parte, certezza non ci può essere, poiché Eumeo è figura ineliminabile da φ–ω, dunque doveva avere un ruolo importante anche in L. La stessa incertezza fra L e B vale per 173 – 184, con l’arrivo alla reggia di Melanzio. Le cose cambiano decisamente con 185, quando arriva alla reggia Filezio, il bovaro. Al posto dei vv. convenzionali impiegati poco prima per Eumeo e Melanzio troviamo qui un lungo discorso di Filezio (199 – 225) con riflessioni generali sulla condizione umana. Si potrebbe supporre che la differenza sia dovuta semplicemente alla necessità di introdurre un personaggio nuovo (Filezio compare qui per la prima volta nella nostra Od.), ma c’è un particolare decisivo contro tale ipotesi: Filezio parla di Κεφαλλῆνες quali sudditi di Odisseo (210). Nella nostra Od. questo accade solo qui e in ω 355, 378, 429; in tutto il resto dell’Od. Odisseo regna sugli Ἰθακήσιοι. In ω siamo all’interno degli eventi che seguono la strage dei proci, quando Odisseo, assieme a Telemaco ed Eumeo, si rifugia in campagna dal padre: in tutta questa parte la figura di Filezio è ineliminabile. Si impone la deduzione che i Κεφαλλῆνες e Filezio derivino dallo stesso epos (L)⁸⁸¹.  Come suppone Focke (1943) 342– 343, che attribuisce a T 124– 146; ci si chiede anche perché Telemaco vada in piazza in un giorno di festa, cfr. Wilamowitz (1927) 93.  Forse già in ρ 600, cfr. nota 789 e nota 824.  Così Wilamowitz (1927) 93.  Schwartz (1924) 113 – 114; Wilamowitz (1927) 93.

Analisi di υ 122 – 394

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Filezio chiede a Eumeo chi sia lo straniero presente nella casa di Odisseo (191– 193); stranamente non c’è alcuna risposta a tale domanda, che è invece seguita da un lungo discorso di Filezio (199 – 225); probabilmente B ha dovuto tagliare la risposta di Eumeo, poiché essa presupponeva eventi di L inconciliabili con la disposizione dell’Od. data da B⁸⁸². Al colloquio fra i pastori e Odisseo segue una rapida menzione dei proci che meditano di uccidere Telemaco, ma un presagio li dissuade e Amfinomo li esorta e desistere del tutto (240 – 246); lo stile è quello da epitome tipico di B che riassume T e anche l’argomento sembra derivare da T: in π 405 – 405 (dunque T) i proci decidono per il momento di rinunciare a uccidere Telemaco e di chiedere il parere degli dèi. Si è supposto che in origine la scena di υ 241– 246 seguisse π 448⁸⁸³, ma in T l’azione dopo π 448 occupava probabilmente almeno un altro giorno (come mostra ρ?–165, che deriva da T) e può ben darsi che i proci decidessero di consultarsi un’altra volta sul da farsi e che quindi la scena facesse parte del giorno successivo a π. Segue il pranzo nella reggia: in 248 – 256, dopo i sacrifici, il cibo viene servito, i tre pastori fanno da camerieri e Telemaco fa sedere Odisseo vicino alla soglia del megaron e gli dà da mangiare⁸⁸⁴; i proci sono disturbati da questo, ma Antinoo dice (a quanto pare a voce alta, in modo tale che Telemaco senta, cfr. 275) che bisogna rassegnarsi e accettare, poiché Zeus non ha consentito di uccidere Telemaco. Quest’ultimo pezzo (271– 274) si collega a T: visto che anche 241– 246 derivano da T, si potrebbe ipotizzare che 241– 274 derivino tutti da T; osta, tuttavia, la presenza di Filezio (254), che, come i Κεφαλλῆνες, doveva essere in origine estraneo a T. Inoltre, tutto il contesto fa riferimento alla festa per Apollo, che caratterizza L: la soluzione più probabile è che solo 241– 246 e 271– 274 derivino da T⁸⁸⁵. I vv. 275 – 283 descrivono rapidamente la festa di Apollo nel resto della città e poi l’inizio del pasto vero e proprio nella reggia; dal momento che la festa di Apollo è sempre presupposta da L, si penserebbe che tutto derivi da L; lo stile è ancora quello di B che compendia. Seguono l’insulto di Ctesippo (284– 298) a Odisseo e i due discorsi di Telemaco e Agelao: sia Ctesippo sia Agelao compaiono qui per la prima volta, ma essi hanno un ruolo (soprattutto il secondo) nella battaglia di χ: viene naturale ipotizzare che essi appartengano a L e che quindi da L derivino 284– 344. La scena successiva, invece, con il folle riso dei proci ispirato da Atena e la conseguente profezia di

 Cfr. Merkelbach (19692) 238; contra Besslich (1966) 75 – 76.  Hennings (1903) 133; Merkelbach (19692) 31.  In questa fase (250 – 256) sembra trattarsi di un antipasto; il pranzo vero e proprio segue a 279 sgg., cfr. Hennings (1903) 530. Wilamowitz (1927) 95 ritiene 279 – 283 un doppione di 250 – 256.  Anche Focke (1943) 344– 345 crede che derivino da T solo 241– 247 e 270 – 275.

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13 Analisi di υ 122–ω

Teoclimeno (345 – 383), sembrano derivare da T, dato che Teoclimeno è personaggio di T. Si osservi che l’arrivo di Teoclimeno nella reggia qui, esattamente come in ρ la sua partenza, non viene annunciato⁸⁸⁶ (mentre ne è narrata la partenza, 371– 372). B evidentemente voleva dare spazio a T, ma solo prendendone scene isolate; un uso sistematico di T non è probabile né in υ né in altre rapsodie successive a ο.

La fine dell’Odissea secondo gli Alessandrini (ψ 296) Siamo giunti alla fine della nostra analisi. Io non vedo alcuna sutura fra ψ 296 (ἀσπάσιοι λέκτροιο παλαιοῦ θεσμὸν ἵκοντο) e il seguito. Gli scoli ci informano che per Aristofane di Bisanzio e Aristarco questo v. segnava la fine dell’Od. Gli scoli dànno questa informazione nella maniera più scarna possibile, senza indicare il motivo per cui i due filologi erano arrivati a tale conclusione⁸⁸⁷. Si è molto discusso su questo scolio e le posizioni sono sostanzialmente due: Aristofane e Aristarco intendevano che con ψ 296 termina l’Od. scritta da Omero (1)⁸⁸⁸; i due filologi volevano dire che con tale v. terminava il Leitmotiv del poema, poiché Odisseo e Penelope si ricongiungevano (2)⁸⁸⁹. Io credo che l’unica soluzione possibile sia (1). (2) sarebbe di per sé linguisticamente possibile (purché si pensi che il termine originariamente usato fosse τέλος che, a differenza di πέρας, può indicare lo Ziel); certo, che i due filologi (di solito interessati a questioni grammaticali e testuali) facessero un’osservazione di tipo così contenutistico può sembrare strano, ma Erbse ha trovato un parallelo nella letteratura scoliastica; uno scolio esegetico a Λ 598 dice che Omero τελειοῖ l’Il. con le imprese eroiche di Achille⁸⁹⁰. Non si potrebbe dunque di per sé escludere questa interpretazione contenutistica del pensiero di Aristofane e Aristarco e, se essa potesse essere accolta, ci risparmierebbe un problema di soluzione molto difficile. Tuttavia, questa ipotesi è resa impossibile  Kammer (1873) 657 ipotizza che Telemaco vada in piazza (144– 146) proprio per prendere Teoclimeno.  Schol. in Od. ψ 296 Dindorf: ᾿Aριστοφάνης δὲ καὶ ᾿Aρίσταρχος πέρας τῆς Ὀδυσσείας τοῦτο ποιοῦνται M V Vind. 133; τοῦτο τέλος τῆς Ὀδυσσείας φησὶν ᾿Aρίσταρχος καὶ ᾿Aριστοφάνης H M Q.  Così la maggioranza degli studiosi, e. g. Bergk (1872) 718, Schwartz (1924) 152, Wilamowitz (1927) 72 sgg. A qualcuno questo è parso in contraddizione con il fatto che Aristarco espungesse anche ω 1– 204, ma cfr. Garbrah (1977).  Così Bethe (1918) 445 – 446; Erbse (1972) 166 sgg., seguito ora da West ad loc. (l’ipotesi pare risalire a R. Heinze, cfr. Bethe).  καὶ τοῦτον [scil. τὸν ᾿Aχιλλέα] ἐπὶ τὴν μάχην προαγαγὼν [scil. Ὅμηρος] εἰς τὰ ἀνδραγαθήματα αὐτοῦ τὴν Ἰλιάδα τελειοῖ.

La fine dell’Odissea secondo gli Alessandrini (ψ 296)

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dal fatto che questa fine alternativa dell’Od., prima di Aristofane e Aristarco, era già nota ad Apollonio Rodio, dal momento che l’ultimo v. del suo poema la riecheggia ed è evidente che tale riecheggiamento esclude l’interpretazione contenutistica. Forse anche Demetrio del Falero e Riano erano al corrente di questa fine alternativa del poema⁸⁹¹. Dunque, già prima di Aristofane c’era chi poneva la fine dell’Od. a ψ 296. Perché? Sebbene alcuni critici analitici abbiano fatto coincidere la fine di un epos da loro ricostruito con ψ 296⁸⁹², l’analisi da me proposta non riconosce alcuna sutura in coincidenza di tale v. né nelle sue immediate vicinanze: ψ 241 sqq. dice che Atena, per consentire a Odisseo e Penelope di stare insieme più a lungo, allungò la durata della notte; tale azione trova la sua naturale prosecuzione in ψ 344 sqq., ove Atena fa sorgere il sole solo dopo che Odisseo si è riposato sufficientemente: l’intervento di Atena è provvidenziale, poiché col sorgere del sole i parenti dei proci cominceranno a organizzare la vendetta (ψ 362– 363), e dunque sarebbe fatale per Odisseo se l’alba lo cogliesse mentre è ancora in casa. Inoltre 295 – 296 suonano: οἳ μὲν [scil. Odisseo e Penelope] ἔπειτα / ἀσπάσιοι λέκτροιο παλαιοῦ θεσμὸν ἵκοντο, che è proseguito dal v. successivo, ove a Odisseo e Penelope vengono opposti Telemaco e i due pastori. La conseguenza è evidente: dal punto di vista dell’analisi, nell’Od. quale la leggiamo noi è impossibile porre una cesura dopo ψ 296 (ψ 241– 348 per me sono B)⁸⁹³. Come spiegare dunque che a qualcuno sia venuto in mente di indicare la fine dell’Od. in quel punto, quando l’intervento di Atena di 240 è collegato a quello di 344 nella maniera più evidente possibile? L’unica spiegazione possibile, secondo me, è che circolassero esemplari del poema che finivano con ψ 296⁸⁹⁴. Nel ciclo, all’Od. segue la Telegonia. Schwartz crede che nelle copie di alcuni rapsodi la Telegonia seguisse ψ 296. Secondo

 Cfr. Rossi (1968) che dimostra in maniera incontrovertibile che Apollonio Rodio 4, 1781 contiene un’eco di ψ 296; Rengakos (1993) 92– 94; Montanari (2001).  E. g. Kirchhoff (18792) 532– 533 vi vede un punto di sutura sicuro, Seeck (1887) 75 vi riconosce la fine di OS, Wilamowitz (1927) 72 la fine dell’epos φ–χ–ψ, Merkelbach (19692) 142 sgg. crede che A terminasse con ψ 299. Cfr. anche Spohn (1816); Liesegang (1855); Page (1955) 101 sgg. Spohn cercò di suffragare la recenziorità di questa parte con argomenti linguistici, ma gli argomenti linguistici non valgono nell’analisi, cfr. nota 963. Cfr. anche Erbse (1972) 177 sgg.  West (2014) 140: «Those scholars who have wished to dispense with part or all of what follows ψ 296 would leave his structure visibly incomplete»: frase da sottoscrivere, se si eccettua la δευτέρα νέκυια, che potrebbe mancare senza danno dell’insieme. Bergk (1872) 719: «Ausserdem würde v. 296 ein wenig passender Schluß für das Epos sein; nicht einmal den Ordner darf man einer solchen Taktlosigkeit für fähig halten». Cfr. anche Bethe (1918) 445; Schwartz (1924) 150 sgg.  Così Schwartz (1924) 151– 156, seguito da Wilamowitz (1927) 72, Merkelbach (19692) 143.

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13 Analisi di υ 122–ω

Schwartz in origine sarebbe esistito L (grosso modo φ–ω senza la δευτέρα νέκυια). Successivamente il poeta della Telegonia avrebbe composto la δευτέρα νέκυια basandosi su L. Successivamente B, mettendo insieme la sua nuova Od., avrebbe trasferito la δευτέρα νέκυια dalla Telegonia all’Od. Successivamente alcune copie rapsodiche avrebbero tagliato ψ 297–ω legando ψ 296 direttamente alla Telegonia (in questo modo sarebbe sparita la doppia δευτέρα νέκυια, che si era venuta a creare nel momento in cui ψ 297–ω coesisteva con la Telegonia). Secondo Merkelbach ψ 299 rappresenterebbe la fine originaria di A. Successivamente il poeta della Telegonia avrebbe composto la δευτέρα νέκυια basandosi su A e avrebbe iniziato il proprio poema partendo da ψ 299. La Telegonia narrava, secondo Merkelbach, l’esilio di Odisseo. Successivamente B, per opporsi alla tradizione dell’esilio di Odisseo, avrebbe composto un nuovo seguito di ψ 299 (che è quello che leggiamo nella nostra Od., ove Odisseo si riconcilia con gli Itacesi senza andare in esilio), ma avrebbe inglobato nel proprio epos la δευτέρα νέκυια della Telegonia. Entrambe le ipotesi partono dal presupposto che la δευτέρα νέκυια sia indipendente da B e lo preceda, presupposto che io non accetto; anche l’ipotesi che nella Telegonia Odisseo andasse in esilio (che è la base della ricostruzione di Merkelbach) non è facile da accogliere⁸⁹⁵. Io credo che esistessero delle copie dell’Od. che terminavano con ψ 296, ma non c’è modo di legare questo ai processi genetici della nostra Od.: l’unico indizio dell’esistenza di queste copie è proprio che gli Alessandrini ponessero la fine del poema in corripondenza di ψ 296.

Sguardo retrospettivo su υ–ω, T e B Alla base di φ–ω, dunque, c’è un epos (L), che B ha cominciato a utilizzare in υ (prima non ce n’è traccia). Ciò che noi possediamo di tale epos contiene la descrizione del giorno della μνηστηροφονία e di quello successivo. Non c’è dubbio che esso cominciasse prima, come mostrano i riferimenti in υ a una giornata precedente (che non trovano corrispondenza nella nostra Od., poiché nella sezione precedente B ha utilizzato essenzialmente il Melanthoepos) e la mancanza, nella parte a noi pervenuta, di qualcosa che introduca la festa di Apollo. Sembra che L abbia tenuto presente l’Eumaiosepos, polemizzandoci: la scena dell’occultamento delle armi era presente anche in L (cfr. χ 140 – 141), ma il

 Cfr. p. 297– 301.

Sguardo retrospettivo su υ–ω, T e B

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poeta polemizza contro la versione dei fatti offerta dall’Eumaiosepos ⁸⁹⁶. In χ 101 sgg. Telemaco esprime a Odisseo l’intenzione di andare a prendere un σάκος, δύο δοῦρε e una κυνέη: viene ovvio pensare al «consiglio di guerra» di π 295 – 297, ove Odisseo aveva ordinato al figlio che lo scudo e due lance venissero lasciate nel megaron per la battaglia e χ 101 sgg. sembra proprio voler smentire questa versione, mostrando che le armi non erano state lasciate nel megaron. Se nell’Eumaiosepos Odisseo e i suoi riuscivano davvero a vincere i proci grazie all’occultamento delle armi, c’è anche un altro punto in cui, probabilmente, la battaglia di L polemizza contro l’Eumaiosepos: in χ 154 sgg. veniamo a sapere che Telemaco ha dimenticato di chiudere la porta del thalamos in cui si trovano le armi, sicché Melanzio può portarne quante vuole ai proci; forse L voleva sminuire l’importanza dell’occultamento delle armi. In π 304 sgg. Odisseo dice che sarà egli stesso insieme a Telemaco a sondare l’animo della servitù e Telemaco si dice d’accordo, per quanto riguarda le ancelle. Abbiamo ipotizzato che questo tratto dell’Eumaiosepos fosse già presente nel Melanthoepos; sia come sia per i rapporti fra questi due epe, mi pare probabile che L polemizzi contro questa versione dei fatti, poiché in χ 417 sgg. Odisseo ordina a Euriclea di provvedere lei stessa a distinguere le ancelle fedeli da quelle infedeli. Parlando con Telemaco, Odisseo sembra preannunciare un intervento deciso di Atena durante la μνηστηροφονία (π 259 – 261; 297– 298): nella battaglia di χ si dice esplicitamente che Atena non dette, all’inizio, la vittoria a Odisseo (236: καὶ οὔ πω πάγχυ δίδου ἑτεραλκέα νίκην), ma che aspettò la fine della battaglia, quando ormai i proci erano quasi tutti caduti, a intervenire decisamente (297– 298). In π 252 Telemaco dice che Medonte e Femio sono insieme ai proci e li cataloga fra i loro alleati: in χ 330 – 380 è proprio Telemaco a intervenire in favore di Femio e Medonte per impedire che Odisseo li uccida. Mi pare quindi assai probabile che fra L ed Eumaiosepos esista una rivalità, probabilmente nel senso che L conosce l’altro epos e vuole correggerlo o smentirlo⁸⁹⁷. L termina con la riconciliazione fra Odisseo e gli Itacesi; è probabile che questo nasconda una polemica contro l’esilio di Odisseo, di cui parlano diverse fonti, cfr. p. 297 sgg.

 Su questa linea già Schwartz (1924) 126 sgg. il quale però, poiché i punti di polemica più chiari sono fra la μνηστηροφονία di χ e il «consiglio di guerra» di π ed egli attribuisce quest’ultimo a T, crede che L polemizzi contro T.  Nella battaglia di χ (126 sgg.) Agelao suggerisce di usare la ὀρσοθύρη (una porta rialzata) per chiamare in soccorso il popolo, ma Melanzio lo dissuade; la possibilità dell’uso dell’ὀρσοθύρη viene introdotta solo per essere subito rifiutata: è molto suggestiva l’ipotesi (Schwartz 1924, 126 – 127) che nell’epos contro cui L polemizza (per Schwartz T, per me l’Eumaiosepos) tale ὀρσοθύρη giocasse un qualche ruolo nella battaglia. Contra Wilamowitz (1927) 64.

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13 Analisi di υ 122–ω

Forse in L vi è qualche tratto di polemica anche contro il Melanthoepos: in σ 125 sgg. Amfinomo sembra essere considerato il più saggio e il meno arrogante dei proci, mentre in φ 146 – 147 si dice che l’unico fra i proci ad essere avverso alla loro tracotanza era Leode. L conosce probabilmente anche l’Ἰθακησίων ἀγορά ⁸⁹⁸, poiché Aliterse (ω 456) rimprovera gli Itacesi di non aver dato ascolto a lui e a Mentore e questo allude evidentemente a β 157 sgg., 224 sgg. Pare altresì che L avesse incluso epe preesistenti (Bogenkampf; difficile essere certi circa l’ἀναγνωρισμός). Per L Odisseo è re dei Κεφαλλῆνες (υ 210, ω 355, 378, 429), così come nello Schiffskatalog (Β 631), mentre altrove nell’Od. non si parla mai di Κεφαλλῆνες. Questo, dati i continui riferimenti in tutto il poema al regno di Odisseo, non può essere casuale; si tratta senza dubbio di una peculiarità di questo poeta rispetto agli altri⁸⁹⁹. A questo punto possiamo fare qualche considerazione su T. Noi non abbiamo idea di come tale epos iniziasse; si è supposto che vi fosse un’assemblea divina⁹⁰⁰, ma non c’è alcuna ragione seria per tale supposizione: il collegamento tra l’assemblea divina di α/ε e T è opera interamente di B e l’assemblea apparteneva a K, non a T. Sembra che T conosca K, come mostra le menzione di Calipso (δ 557). Vi è un altro indizio in questo senso: Menelao è trattenuto sull’isola di Faro dall’assenza di venti favorevoli (δ 354 sgg.) e, mentre egli e i compagni sono tormentati dalla fame e pescano, Idotea si presenta a Menelao per aiutarlo. Il motivo della fame e della pesca in questo passo non è funzionale, mentre lo è in μ 329 sgg., ove Odisseo e i compagni sono trattenuti a Trinachia (sarà infatti la fame a portare i compagni di Odisseo a uccidere le vacche di Helios): è possibile che δ in questo particolare sia stato influenzato da μ⁹⁰¹, ma non si può esserne certi. Quasi certo mi pare, invece, che T ignori l’ira di Posidone contro Odisseo⁹⁰²: Proteo dice a Menelao (δ 555 – 560) che Calipso impedisce a Odisseo di tornare in patria. È difficilmente credibile che Proteo, che vive nel mare e che non ha mancato, nel caso di Aiace Oileo (499 sgg.), di ricordare la punizione inflittagli da Posidone e Atena, a proposito di Odisseo non ricordi l’ira di Posidone⁹⁰³. Pare dunque che T conosca K, ovviamente prima delle rielaborazioni di B.

 Wilamowitz (1927) 83.  Schwartz (1924) 113 – 114, 276.  Così Wilamowitz (1927) 127, fedele alla sua idea che in α siano presenti elementi di T, cfr. p. 243 – 244. Sul problema dell’inizio di T cfr. anche Eisenberger (1973) 47.  Come suppone Merkelbach (19692) 180.  Cfr. Bethe (1922) 114; Marzullo (1952) 108.  Questo rende improbabile l’ipotesi di Merkelbach (19692) 180 – 181 che l’episodio di Proteo sia stato influenzato dalla νέκυια, ove l’ira di Posidone è motivo portante.

Sguardo retrospettivo su υ–ω, T e B

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Non si riesce a determinare il rapporto fra T e un fr. del corpus esiodeo. In γ 464– 465 Policaste, figlia di Nestore, lava Telemaco (τόφρα δὲ Τήλεμαχον λοῦσεν καλὴ Πολυκάστη, / Νέστορος ὁπλοτάτη θυγάτηρ Νηληϊάδαο). Questi vv. sono senza dubbio in relazione con Hes. fr. 221 M.-W. = fr. 10 incertae sedis Hirschberger (Τηλεμάχωι δ᾽ ἄρ᾽ ἔτικτεν ἐύζωνος Πολυκάστη / Νέστορος ὁπλοτάτη κούρη Νηληϊάδαο / Περσέπολιν μιχθεῖσα διὰ χρυσὴν ᾿Aφροδίτην). Il fr. deriva forse dal Γυναικῶν κατάλογος: si è supposto che il modello sia γ⁹⁰⁴, il che avrebbe conseguenze notevoli sulla storia dell’epos, poiché mostrerebbe una dipendenza del Γυναικῶν κατάλογος da T, ma mancano elementi certi per dimostrare la dipendenza. La cronologia degli eventi di T è diversa da quella di B. Nestore afferma che Egisto, dopo aver ucciso Agamennone, regnò sette anni a Micene e che nell’ottavo anno egli venne ucciso da Oreste; nel giorno in cui Oreste offrì il banchetto funebre per Egisto e Clitemestra, ebbero fine anche le peregrinazioni di Menelao, che fece ritorno a casa (γ 306 – 312). Un’informazione analoga si ricava anche dal racconto di Menelao, che dice di essere tornato a casa dopo otto anni di peregrinazioni (δ 82), in concomitanza con la vendetta di Oreste (δ 546 – 547). Dunque, dato che il viaggio di ritorno di Agamennone non ha presentato ritardi significativi, la vendetta di Oreste e il ritorno di Menelao si pongono otto anni dopo la caduta di Troia e due anni prima degli eventi narrati nell’Od. Questo pone una difficoltà, poiché Nestore afferma che Menelao è appena tornato (γ 318: κεῖνος γὰρ νέον ἄλλοθεν εἰλήλουθεν)⁹⁰⁵. Sembra che le cronologie di B e di T fossero diverse e che il primo, inserendo T nel proprio poema, non le abbia armonizzate⁹⁰⁶. Nel ciclo epico era presente un poema, i Νόστοι, che presentava stretta coincidenza di argomenti con T⁹⁰⁷. Ecco il riassunto di Proclo (Arg. 3 – 19 Bernabé):

 In questo senso Kirchhoff (18792) 315 sgg., ma cfr. lo scetticismo della Hirschberger (2004) 473.  Anche il fatto che Menelao stia celebrando le nozze di Ermione, che aveva promesso in isposa a Neottolemo durante la guerra (δ 3 – 9), fa pensare che egli sia tornato da molto meno che due anni. La concomitanza fra il ritorno di Menelao e la morte di Egisto è presente anche nell’Oreste di Euripide, cfr. Merkelbach (19692) 54– 55. In questa tragedia Menelao mostra poca determinazione nel difendere il nipote; questo sembra in contrasto con γ 255 – 261; è probabile che Euripide sia partito dal racconto dei Νόστοι, ma che abbia reso ben più negativa la figura di Menelao; anche rispetto ai Κύπρια Euripide ha introdotto non pochi mutamenti, cfr. Jouan (1966) 407 sgg.  Cfr. Winter (1913) 9 sgg.; Bethe (1922) 29; Merkelbach (19692) 50, nota 2.  Sul rapporto fra Od. e Νόστοι le linee essenziali della storia del problema in Danek (2015).

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᾿Aθηνᾶ ᾿Aγαμέμνονα καὶ Μενέλαον εἰς ἔριν καθίστησι περὶ τοῦ ἔκπλου. ᾿Aγαμέμνων μὲν οὖν τὸν τῆς ᾿Aθηνᾶς ἐξιλασόμενος χόλον ἐπιμένει. Διομήδης δὲ καὶ Νέστωρ ἀναχθέντες εἰς τὴν οἰκίαν διασῴζονται· μεθ᾽ οὓς ἐκπλεύσας ὁ Μενέλαος μετὰ πέντε νεῶν εἰς Αἴγυπτον παραγίνεται, τῶν λοιπῶν διαφθαρεισῶν νεῶν ἐν τῷ πελάγει. οἱ δὲ περὶ Κάλχαντα καὶ Λεοντέα καὶ Πολυποίτην πεζῇ πορευθέντες εἰς Κολοφῶνα Τειρεσίαν ἐνταῦθα τελευτήσαντα θάπτουσι. τῶν δὲ περὶ τὸν ᾿Aγαμέμνονα ἀποπλεόντων ᾿Aχιλλέως εἴδωλον ἐπιφανὲν πειρᾶται διακωλύειν προλέγον τὰ συμβησόμενα. εἶθ᾽ ὁ περὶ τὰς Καφηρίδας πέτρας δηλοῦται χειμὼν καὶ ἡ Αἴαντος φθορὰ τοῦ Λοκροῦ. Νεοπτόλεμος δὲ Θέτιδος ὑποθεμένης πεζῇ ποιεῖται τὴν πορείαν καὶ παραγενόμενος εἰς Θρᾴκην Ὀδυσσέα καταλαμβάνει ἐν τῇ Μαρωνείᾳ, καὶ τὸ λοιπὸν ἀνύει τῆς ὁδοῦ καὶ τελευτήσαντα Φοίνικα θάπτει· αὐτὸς δὲ εἰς Μολοσσοὺς ἀφικόμενος ἀναγνωρίζεται Πηλεῖ. ἔπειτα ᾿Aγαμέμνονος ὑπὸ Αἰγίσθου καὶ Κλυταιμνήστρας ἀναιρεθέντος ὑπ᾽ Ὀρέστου καὶ Πυλάδου τιμωρία καὶ Μενελάου εἰς τὴν οἰκείαν ἀνακομιδή.

La prima caratteristica che salta agli occhi leggendo questo riassunto è che nel poema Odisseo era rammentato solo en passant. La ragione per cui il più famoso dei νόστοι veniva omesso non è difficile da congetturare: evidentemente esisteva già un’Od. diffusa e affermata⁹⁰⁸. Esiste un altro fatto macroscopico, che dimostra il legame fra i Νόστοι e l’Od.: secondo Proclo, essi terminavano con la vendetta di Oreste e il ritorno di Menelao. Orbene, nella nostra Od. questi eventi vengono presupposti come appena avvenuti: il matricidio di Oreste è la grande novità e viene citato per spingere Telemaco ad agire⁹⁰⁹. Se il riassunto di Proclo è attendibile⁹¹⁰, è evidente che il poeta che ha messo insieme i Νόστοι aveva davanti a sé l’Od. di B e vi si è collegato (ovvero vice versa). Lo scarno riassunto di Proclo, ovviamente, rende difficile stabilire i rapporti fra i Νόστοι e T. Α me pare che i racconti di Nestore e Menelao di γ–δ (che contengono la gran parte del materiale confrontabile con Proclo) presuppongano un epos precedente. Mentre il tentativo di mostrare che le peregrinazioni di Menelao sono state inventate per

 Cfr. West (2013) 245. Questa osservazione perde valore, se si accetta l’ipotesi di Bethe sul modus operandi di Proclo, cfr. nota 910.  α 30, 298, γ 306 – 316; Wilamowitz (1884) 12: «in der Telemachie ist die tat des Orestes die grosse neuigkeit».  La maggioranza degli studiosi (e. g. Welcker 18822, Scafoglio 2004, West 2013) si fida sostanzialmente di Proclo. Bethe (1922, 200 sgg.) è invece convinto che i riassunti di Proclo fondano e armonizzino i poemi del ciclo con l’Il. e l’Od. e che l’intento non sia tanto quello di informare su cosa realmente era contenuto nei poemi, ma di fornire una narrazione mitologica coerente e senza sovrapposizioni. Se questo fosse vero, il valore di questi riassunti per la nostra indagine sarebbe scarso, poiché che la fine dei Νόστοι coincida con l’inizio dell’Od. sarebbe dovuto al desiderio di armonizzazione del compilatore e non corrisponderebbe necessariamente al contenuto dei Νόστοι. Purtroppo non c’è modo di avere certezze e la contiguità cronologica dei poemi lascia molti sospetti.

Sguardo retrospettivo su υ–ω, T e B

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l’Od. non mi persuade⁹¹¹, l’idea di Bethe che dietro γ–δ ci sia un epos più ampio sui νόστοι mi pare verisimile. Ci sono particolari che probabilmente giocavano un qualche ruolo nei Νόστοι e che sono rimasti solo a livello di relitto in T⁹¹²: Nestore narra di un aedo che Agamennone aveva lasciato a custodia della moglie (γ 263 – 275) e Menelao dice che la sentinella, che avvisò Egisto dell’arrivo di Menelao, rimase di guardia un anno (δ 526); si ha l’impressione che T, che non fa alcun uso di tali personaggi e motivi, abbia tratto materiale da un epos precedente, che di tale materiale faceva ben altro uso. Il racconto di Nestore a Telemaco inizia con la fine della guerra di Troia e l’ira degli dèi contro i Greci (γ 130 sgg.) e questo era anche l’inizio dei Νόστοι; Nestore, tuttavia, non specifica la ragione dell’ira degli dèi (cioè l’atto empio di Aiace Oileo), ma si limita a dire che non tutti i Greci erano νοήμονες e δίκαιοι. Si può forse anche da qui ricavare che T presupponeva che il lettore conoscesse i Νόστοι ⁹¹³, ma l’atto empio di Aiace forse faceva già parte della saga e quindi non c’è bisogno di supporre che T presupponesse un testo in particolare. C’è tuttavia un particolare della vicenda di Aiace Oileo, che probabilmente si collega ai Νόστοι. In δ 499 sgg. Proteo narra a Menelao che Aiace fece naufragio in una tempesta, ma che riuscì a mettersi in salvo: Γυρῆισίν μιν πρῶτα Ποσειδάων ἐπέλασσε / πέτρηισι μεγάληισι καὶ ἐξεσάωσε θαλάσσης· / καί νύ κεν ἔκφυγε κῆρα, καὶ ἐχθόμενός περ ᾿Aθήνηι, / εἰ μὴ ὑπερφίαλον ἔπος ἔκβαλε καὶ μέγ᾽ ἀάσθη. Il particolare che Aiace avrebbe potuto salvarsi, se solo avesse evitato di provocare ulteriormente gli dèi, è ben comprensibile e non abbisogna di alcun particolare ipotesto per essere compreso; tuttavia, esso acquista un rilievo maggiore alla luce di una coppa omerica, che sembra dipendere dai Νόστοι. Si tratta di una coppa di circa il 200 a. C., trovata vicino a Tebe⁹¹⁴. Su di essa è raffigurata la morte di Agamennone e dei suoi

 West (2013) 248 – 249 e (2014) 163 crede che sia stato per primo il poeta dell’Od. ad avvertire la necessità di posticipare il ritorno in patria di Menelao a molti anni dopo la fine della guerra di Troia, e per questo abbia inventato il viaggio di Menelao in Egitto. Io credo che qualsiasi poeta si trovasse a trattare le vicende di Menelao, Agamennone, Egisto e Oreste dovesse avvertire questa necessità. Lo stesso Telemaco è meravigliato dall’accaduto e chiede a Nestore dove fosse Menelao quando Egisto compiva il delitto (γ 248 – 252). Certo anche i Νόστοι narravano le peregrinazioni di Menelao (cfr. Proclo); che sia stato il poeta dell’Od. (tutta intera) a inventare i viaggi di Menelao è escluso anche dal fatto che la cronologia di γ–δ contraddice quella di B.  Bethe (1922) 261: «Entscheidend aber ist für die Zurückführung dieser ganzen Nostenerzählungen in γ–δ auf ein bestimmtes Gedicht die Beobachtung, dass vielfach erstaunlich kurz berichtet ist und nicht alles verständlich wird», seguito da Merkelbach (19692) 53 sgg.; cfr. anche Danek (2015) 356.  Così Bethe (1922) 261. Sulla morte di Aiace Oileo nell’epica arcaica cfr. da ultimo Davies (2014).  Cfr. Robert (1919); Sinn (1979) 101; West (2013) 268 – 269.

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compagni [κατὰ τὸν ποιητὴν] ᾿A[γίαν] ἐκ τῶν [νό]στων ᾿Aχα[ι]ῶν. Si leggono i nomi di due o tre compagni di Agamennone, che vengono uccisi da Egisto e dai suoi⁹¹⁵; di particolare interesse è Μήστωρ Αἴαντος: deve trattarsi di Mestore figlio di Aiace Oileo, che probabilmente era sopravvissuto al naufragio fatto insieme al padre (Robert). È dunque probabile che nei Νόστοι venisse detto che alcune persone della nave di Aiace erano sopravvissute al naufragio (a differenza di Aiace stesso); se è così, le parole di Proteo-Menelao assumono un significato più pregnante. Si osservi anche che nel racconto di δ 498 sgg. il racconto del naufragio di Aiace precede immediatamente quello della morte di Agamennone; è davvero probabile che nei Νόστοι esistesse un rapporto abbastanza stretto fra il ritorno di Agamennone e quello di Aiace Oileo. Non è facile determinare quale fosse, nei Νόστοι e in T, la patria di Agamennone. Dato il resto dell’epos omerico si penserebbe naturalmente a Micene e questo sembrerebbe confermato da γ 305, ove si dice che Egisto regnò per sette anni a Micene. Tuttavia, il racconto di Proteo pone un grave problema (δ 512– 522): σὸς δέ που ἔκφυγε κῆρας ἀδελφεὸς ἠδ᾽ ὑπάλυξεν ἐν νηυσὶ γλαφυρῆισι· σάωσε δὲ πότνια Ἥρη. ἀλλ᾽ ὅτε δὴ τάχ᾽ ἔμελλε Μαλειάων ὄρος αἰπύ ἵξεσθαι, τότε δή μιν ἀναρπάξασα θύελλα, πόντον ἐπ᾽ ἰχθυόεντα φέρεν βαρέα στενάχοντα, ἀγροῦ ἐπ᾽ ἐσχατιήν, ὅθι δώματα ναῖε Θυέστης τὸ πρίν, ἀτὰρ τότ᾽ ἔναιε Θυεστιάδης Αἴγισθος. ἀλλ᾽ ὅτε δὴ καὶ κεῖθεν ἐφαίνετο νόστος ἀπήμων, ἂψ δὲ θεοὶ οὖρον στρέψαν, καὶ οἴκαδ᾽ ἵκοντο, ἦ τοι ὁ μὲν χαίρων ἐπεβήσατο πατρίδος αἴης, καὶ κύνει ἁπτόμενος ἣν πατρίδα.

515

520

Il testo è senza dubbio corrotto, poiché prima si dice che Agamennone è sbarcato (517), poi sembra che egli sia ancora in mare (519 – 520). L’unica soluzione veramente soddisfacente a me sembra supporre una lacuna dopo 516 (non è,

 In δ 536 – 537 leggiamo che alla strage non sopravvisse nessuno né dei compagni di Agamennone né di quelli di Egisto: οὐδέ τις ᾿Aτρεΐδεω ἑτάρων λίπεθ᾽, οἵ οἱ ἕποντο, / οὐδέ τις Αἰγίσθου, ἀλλ᾽ ἔκταθεν ἐν μεγάροισιν. L. Crosby (cfr. l’apparato di Von der Mühll) ha proposto ἕποντο / δώματ᾽ ἐς Αἰγίσθοιο: si tratta della più brillante congettura mai fatta all’Od. ed è un vero peccato che l’ultimo editore (West) non la abbia ritenuta degna nemmeno dell’apparato. La ragione paleografica della corruttela è evidente; d’altra parte la coppa omerica conferma la necessità di questa congettura: Agamennone e i suoi venivano massacrati mentre mangiavano e non ebbero dunque alcuna possibilità di difendersi, il che esclude che anche i compagni di Egisto perissero (come invece implicato dal testo dei mss.).

Sguardo retrospettivo su υ–ω, T e B

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infatti, possibile far reggere sia πόντον ἐπ᾽ ἰχθυόεντα sia ἐπ᾽ ἐσχατιήν da φέρεν) ed espungere 519 – 520⁹¹⁶. Se anche si accettino altre soluzioni testuali, il problema che in questo momento ci interessa resta lo stesso: se Agamennone navigava dalla costa asiatica a Micene, perché oltrepassa capo Malea⁹¹⁷? Per quanto si possa credere che il poeta avesse una conoscenza sommaria della geografia peloponnesiaca, io credo che nessun poeta greco potesse non sapere che, per raggiungere Micene dall’Asia, non si doppia capo Malea. La soluzione più semplice è che qui si presupponga la tradizione per cui Agamennone regnava a Sparta insieme a Menelao, tanto più che anche di Menelao, che appunto regnava a Sparta, si dice che, tornando a casa da Troia, fu colto da un tempesta a Capo Malea (γ 287)⁹¹⁸. Di questa tradizione c’è forse un’eco anche in γ 309 – 312, ove si dice che, mentre Oreste offriva il banchetto funebre per Egisto e Clitemestra αὐτῆμαρ δέ οἱ ἦλθε βοὴν ἀγαθὸς Μενέλαος, / πολλὰ κτήματ᾽ ἄγων, ὅσα οἱ νέες ἄχθος ἄειραν. Da questo passo si arguisce che Menelao sbarca con tutte le sue ricchezze e subito incontra il nipote: questo è difficile da immaginare, se Oreste viveva a Micene e Menelao sbarcava a Sparta. Μi sembra dunque probabile che in γ–δ sia presente la tradizione che faceva Agamennone spartano; risaliva questa tradizione ai Νόστοι? Questa tradizione è in contrasto con δ 305, ove si afferma che Agamennone regnava a Micene. Chi ha «normalizzato» 305? Se lo ha normalizzato B (Schwartz, Merkelbach), è evidente che la tradizione di Agamennone spartano poteva essere presente sia nei Νόστοι che in T, mentre se è stato T a normalizzare (Bethe), è evidente che tale tradizione era propria dei Νόστοι. Non c’è modo di raggiungere alcuna certezza, ma a T non poteva sfuggire che la tradizione di Agamennone spartano presupponeva anche che Oreste vivesse a Sparta e dunque rendeva incomprensibile perché, a Sparta, Telemaco non lo incontrasse; sarei incline a credere che sia stato T a normalizzare δ 305. Nel complesso, tutto lascia pensare che T dipenda da un epos anteriore, che è probabile fossero i Νόστοι.

 Così Merkelbach (19692) 47; cfr. anche Schwartz (1924) 76.  Almenoché non si espunga anche 514, come fa Von der Mühll (1940) 708, seguito ora da West ad loc. Non si vede tuttavia come si sarebbe introdotto il v. e la tradizione di Agamennone re di Sparta (di cui dirò subito) sembra presente anche in γ 309 – 312. Skafte Jensen (2003) e Ferrari (2005) cercano di risolvere il problema in prospettiva panoralista, senza successo.  Schwartz (1901); Bethe (1922) 270 – 271; Schwartz (1924) 76 sgg; Merkelbach (19692) 47 sgg. Questa tradizione è ben documentata, cfr. Stesich. 177 F.-D.; Simon. 276 Polt. Cfr. anche Brillante (2005), Sbardella (2005).

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Tuttavia, i rapporti fra poemi omerici e ciclo sono complessi e, come alcune parti di Il. e Od. sembrano influenzate dal ciclo, così in altre il rapporto sembra opposto⁹¹⁹. In δ 240 – 264 Elena narra: πάντα μὲν οὐκ ἂν ἐγὼ μυθήσομαι οὐδ᾽ ὀνομήνω, ὅσσοι Ὀδυσσέως ταλασίφρονός εἰσιν ἄεθλοι· ἀλλ᾽ οἷον τόδ᾽ ἔρεξε καὶ ἔτλη καρτερὸς ἀνήρ δήμωι ἔνι Τρώων, ὅθι πάσχετε πήματ᾽ ᾿Aχαιοί· αὐτόν μιν πληγῆισιν ἀεικελίηισι δαμάσσας, σπεῖρα κάκ᾽ ἀμφ᾽ ὤμοισι βαλών, οἰκῆι ἐοικώς, ἀνδρῶν δυσμενέων κατέδυ πόλιν εὐρυάγυιαν. ἄλλωι δ᾽ αὐτὸν φωτὶ κατακρύπτων ἤϊσκε Δέκτηι, ὃς οὐδὲν τοῖος ἔην ἐπὶ νηυσὶν ᾿Aχαιῶν· τῶι ἴκελος κατέδυ Τρώων πόλιν, οἱ δ᾽ ἀβάκησαν πάντες· ἐγὼ δέ μιν οἴη ἀνέγνων τοῖον ἐόντα, καί μιν ἀνειρώτευν· ὁ δὲ κερδοσύνηι ἀλέεινεν. ἀλλ᾽ ὅτε δέ μιν ἐγὼ λόεον καὶ χρῖον ἐλαίωι, ἀμφὶ δὲ εἵματα ἕσσα καὶ ὤμοσα καρτερὸν ὅρκον, μὴ μὲν πρὶν Ὀδυσῆα μετὰ Τρώεσσ᾽ ἀναφῆναι, πρίν γε τὸν ἐς νῆάς τε θοὰς κλισίας τ᾽ ἀφικέσθαι, καὶ τότε δή μοι πάντα νόον κατέλεξεν ᾿Aχαιῶν. πολλὺς δὲ Τρώων κτείνας ταναήκει χαλκῶι ἦλθε μετ᾽ ᾿Aργείους, κατὰ δὲ φρόνιν ἤγαγε πολλήν.

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245

250

255

La storia di Odisseo che si introduce di nascosto a Troia si leggeva anche nell’Ἰλιὰς μικρά (Arg. 13 – 20 Bernabé): καὶ οἱ Τρῶες πολιορκοῦνται. καὶ Ἐπειὸς κατ᾽ ᾿Aθηνᾶς προαίρεσιν τὸν δούρειον ἵππον κατασκευάζει. Ὀδυσσεύς τε αἰκισάμενος ἑαυτὸν κατάσκοπος εἰς Ἴλιον παραγίνεται, καὶ ἀναγνωρισθεὶς ὑφ᾽ Ἑλένης περὶ τῆς ἁλώσεως τῆς πόλεως συντίθεται κτείνας τέ τινας τῶν Τρώων ἐπὶ τὰς ναῦς ἀφικνεῖται. καὶ μετὰ ταῦτα σὺν Διομήδει τὸ Παλλάδιον ἐκκομίζει ἐκ τῆς Ἰλίου. ἔπειτα εἰς τὸν δούρειον ἵππον τοὺς ἀρίστους ἐμβιβάσαντες τάς τε σκηνὰς καταφλέξαντες οἱ λοιποὶ τῶν Ἑλλήνων εἰς Τένεδον ἀνάγονται. Sia l’Od. (cioè T) sia l’Ἰλιὰς μικρά conoscono dunque la storia di Odisseo che si introduce da mendicante a Troia e viene riconosciuto da Elena. Il testo dell’Od. pone una grave difficoltà, poiché κατέδυ Τρώων πόλιν (249) non può coesistere con κατέδυ πόλιν di 246. Si è a ragione supposto che εὐρυάγυιαν. ἄλλωι … Τρώων πόλιν sia un’interpolazione⁹²⁰. Uno scolio di Aristonico al v. 248 (254, 84 sgg. Pontani) ci informa che ὁ κυκλικὸς [Ἰλιὰς μικρά fr. 6 B.] τὸ «Δέκτηι» ὀνο-

 Così giustamente Scafoglio (2004).  Cfr. Friedländer (1849) 581.

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μαστικῶς ἀκούει, παρ᾽ οὗ φησι τὸν Ὀδυσσέα τὰ ῥάκη λαβόντα μετημφιέσθαι […] ᾿Aρίσταρχος δὲ «δέκτηι» μὲν ἐπαίτῃ. Forse l’interpolazione dell’Od. è tratta dalla Ἰλιὰς μικρά: il pezzo interpolato si inserisce male nel contesto ed è difficile immaginare che un poeta, il quale avesse composto questi vv. per allungare il testo dell’Od., avrebbe scritto κατέδυ Τρώων πόλιν. Tutto lascia pensare che questi vv. non siano stati scritti per l’Od., ma vi siano stati introdotti da un altro contesto, che sarà probabilmente quello del poema ciclico cui fa riferimento lo scolio (la presenza dell’altrimenti ignoto Δέκτης suggerisce questa possibilità). Secondo lo scolio di Aristonico, invece, il poeta ciclico avrebbe avuto davanti il testo dell’Od. quale lo abbiamo noi e, fraintendendolo, avrebbe preso δέκτης per un nome proprio (mentre esso sarebbe un nome comune). Questa interpretazione è completamente sbagliata, sia perché i vv. 247– 248 sembrano originari dell’Ἰλιὰς μικρά e non dell’Od., sia perché, anche all’interno dell’Od., una corretta interpretazione del testo suggerisce di intendere Δέκτης come nome proprio⁹²¹. Eliminata l’interpolazione e chiarito che Δέκτης era inteso come nome proprio anche dall’interpolatore dell’Od., resta da definire il rapporto fra Od. e Ἰλιὰς μικρά. A prima vista non sembrano esserci elementi per determinare quale dei due testi venga prima: sappiamo da Proclo che il poema ciclico, rispetto all’Od., aggiungeva il particolare che Dette prestava a Odisseo gli abiti da mendicante; per quanto riguarda le percosse, con cui Odisseo si sfigurava per rendersi irriconoscibile, mentre nell’Od. è lui stesso a procurarsele, nella Ἰλιὰς μικρά lo aiuta Toante (cfr. Scholia in Lycophr. 780, 246, 25 Scheer); circa lo scopo di tale intrusione a Troia, non siamo informati⁹²². In astratto è immaginabile sia che T abbia riassunto quanto leggeva nel poema ciclico, sia che il poeta ciclico, partendo da T (o anche dall’ Od. di B), abbia inventato nuovi personaggi e allungato l’episodio. Tuttavia, vi è forse qualche argomento a favore della precedenza di T/B. Nell’Od. Elena si vanta di essere stata l’unica persona in grado di riconoscere Odisseo; questo sembra un tratto tipico dell’Elena di T: fra i vari personaggi che Telemaco incontra recandosi a Pilo e a Sparta, Elena è l’unico che subito lo riconosce e rivela di averlo riconosciuto (δ 138 – 146). Inoltre, nel resoconto di Proclo, l’incursione di Odisseo si trova fra l’inizio della costruzione

 Cfr. Welcker (18822) 254 sgg.; West (2013) 196 – 197. Per la struttura ἄλλῳ φωτί + nome proprio, cfr. ο 518 – 519. Per quanto riguarda l’interpretazione di ὃς οὐδὲν τοῖος ἔην ἐπὶ νηυσὶν ᾿Aχαιῶν, mi pare che esso significhi: «il quale [scil. Dette] non era tale [cioè quale era Odisseo] presso le navi degli Achei».  Lo scolio δ 246 b 1 P. dice οἱ μὲν ἵνα μετρήσῃ τὸ τεῖχος, οἱ δὲ ἵνα πείσῃ τὴν Ἑλένην συνεργῆσαι τοῖς Ἕλλησιν: sembrano autoschediasmi di chi leggeva il testo dell’Od. e conosceva la storia del cavallo.

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del cavallo e l’incursione di Odisseo e Diomede per impadronirsi del Palladio. Introdursi a Troia e uscirne vivo senza essere riconociuto non doveva essere una cosa facile e non risulta che i Greci lo facessero spesso. Risulta quindi difficile spiegare il motivo di due incursioni dello stesso eroe a distanza così ravvicinata. Tale difficoltà si può parzialmente superare, supponendo che il poeta della Ἰλιὰς μικρά inserisse qui un episodio suggerito dall’Od. che egli voleva comunque inserire. Mi pare quindi che la bilancia della probabilità penda leggermente a favore della precedenza del passo dell’Od. su quello della Ἰλιὰς μικρά ⁹²³. Non è invece possibile stabilire se l’Ἰλιὰς μικρά dipenda da T o da B. Per tutta l’analisi siamo stati accompagnati dalla figura di B. Mentre nel caso di P è possibile ipotizzare un legame con la Licia, per B non abbiamo indizi di questo genere: il legame più volte ipotizzato con Atene e i Pisistratidi⁹²⁴ è indimostrabile. Qualcosa di più concreto si può forse dire a proposito dei legami con Itaca. Alla baia di Polis, durante gli scavi che S. Benton condusse a Itaca negli anni ’30 del ’900, vennero trovati dodici o tredici tripodi di bronzo dei sec. IX–VIII a. C.⁹²⁵. Il sito ha subito una risistemazione nel IV sec. a. C., ma il collegamento fra questi tripodi e l’Od. sembra molto probabile. I Feaci donano alcuni tripodi a Odisseo che, una volta giunto a Itaca, li nasconde nella baia di Forcis (ν 7– 15, 217– 218, 363 – 370); è vero che il poeta non dice il numero di tali tripodi, ma da θ 390 – 391 ricaviamo che i notabili Feaci sono dodici, se si aggiunge Alcinoo tredici. Che esista un rapporto fra questi tripodi e l’Od. pare certo: è probabile che il poeta di ν (cioè B⁹²⁶) avesse conoscenza dei dodici tripodi di Itaca. Purtroppo non possiamo dire nulla di sicuro circa θ 390 – 391, poiché si tratta di una sezione rielaborata, ove B ha fuso K con gli ἆθλα, ma una conoscenza diretta di Itaca da parte di B (e forse anche di altri poeti dell’Od.) pare molto probabile, anche per altre ragioni⁹²⁷. Come nel caso di P, non è facile dire se B sia un singolo poeta o se al grandioso progetto abbiano lavorato più poeti; anche qui c’è qualche caso di imitazione meccanica fra sezioni che io attribuisco a B⁹²⁸ e anche il livello estetico è variabile: si va dal mediocrissimo centone del concilio divino di ε alla

 A favore della precedenza del passo dell’Od. sono anche Wieniewski (1924) 123 – 124, Fantuzzi (1996) 178 e Andersen (1977 a) 8 sgg., che osservano la somiglianza fra i vv. di δ ed Euriclea che riconosce Odisseo lavandolo e si impegna a non rivelarne l’identità (τ 467 sgg.). Si tratta, tuttavia, di un argomento che ha valore solo per gli unitari.  Cfr. e. g. Bethe (1922) 332 sgg.; Böhme (1983); Mühlestein (1991).  Cfr. Stubbings (1962) 419; Malkin (1998) 94 sgg.; Deoudi (2008); West (2014) 88, nota 52.  Che è successivo ai tripodi, cfr. p. 393.  Cfr. Schwartz (1924) 342.  Cfr. p. 257 (rapporti α–ν), nota 721 (λ–ν), nota 776 (β–π).

Sguardo retrospettivo su υ–ω, T e B

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gradevole poesia di ν; sono incline a pensare che l’Od. di B sia il frutto della collaborazione di più poeti. Caratteristica inconfondibile di B è la ripetizione di alcuni vv. all’inizio e alla fine delle aggiunte⁹²⁹.

 Cfr. p. 257, 266 – 268, 273, 307, 311– 312, 329, 332 nota 809, 348 – 349.

14 Sguardo retrospettivo e conclusioni sulla genesi dell’Odissea L’Od. si presenta, a differenza dell’Il., come un’unità conclusa; mentre nell’Il. di P qualcuno ha introdotto alcuni cambiamenti sostanziali, l’Od. di B sembra esserci giunta pressoché intatta. Si è affermato che l’analisi dell’Od. è più semplice di quella dell’Il. ⁹³⁰ ed è vero: il numero minore di personaggi, la chiara separazione fra i fili della trama (avventure di Telemaco, νόστος, τίσις ecc.), la tecnica di B di segnalare coi vv. ripetuti le Einlagen facilitano l’analisi. Questa maggiore facilità dell’analisi ha avuto una conseguenza nella storia della critica: mentre per l’Il. non si può indicare uno studio che abbia posto fondamenta sicure e indiscutibili, il lavoro di Kirchhoff (18792) ha indicato la via a qualsiasi analisi corretta dell’Od., dimostrando una volta per sempre che T e il νόστος erano un tempo epe indipendenti, riuniti in seguito da un altro poeta (B). Chi non parta da queste «alte grundlegende Beobachtungen»⁹³¹ non può avvicinarsi alla comprensione dell’Od. Rispetto all’Il., nell’Od. è più facile isolare un nucleo ampio e antico, cioè il νόστος (ε–μ), che comprendeva l’approdo di Odisseo dai Feaci e gli ᾿Aπόλογοι. Se noi eliminiamo da ε–μ le rielaborazioni di B, otteniamo un epos (K) che sembra a sua volta essere una rielaborazione di un epos precedente (O). Questo è sostanzialmente il pensiero di Schwartz (e già di Wilamowitz 1884 e Niese) e credo esso sia corretto. Come nel caso dell’Il., anche qui si pone il problema dell’Urodyssee, per postulare la quale bisogna creare un ponte fra K e la τίσις. Tale ponte va cercato in ν, perché senza l’approdo a Itaca non può esserci nessuna τίσις. Schwartz, Von der Mühll e Merkelbach hanno visto in (alcune parti di) ν una continuazione della parte precedente; addirittura Schwartz crede che la nostra Od. conservi tracce di due epe precedenti in cui νόστος e τίσις erano già riuniti (K, O). Bethe, che pure ha inseguito il fantasma dell’Urilias, ha dato qui un contributo fondamentale contro l’Urodyssee, mostrando che ν è una prosecuzione di ε–μ nella rielaborazione di B e che ν non esiste prima di B. Se ν è B, di conseguenza sia K e O come immaginati da Schwartz sia A come immaginato da Von der Mühll e Merkelbach non possono esistere. Dunque l’Urodyssee, al pari dell’Urilias, è un miraggio. Del resto, su che base la si è postulata? Solo sul presupposto aprioristico che prima della nostra Od. dovesse esisterne un’altra (Von der Mühll, Merkelbach) o addirittura più d’una (Schwartz)

 Friedländer (1853) 23.  Così Wilamowitz (1927) 1 definisce le tesi di Kirchhoff su α–ε, ο. https://doi.org/10.1515/9783110652963-014

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simile alla nostra. Questo non è impossibile, ma non è né dimostrabile né necessario: può darsi che ogni epos odissiaco che noi isoliamo fosse lungo come la nostra Od. (o anche più, chi può negarlo?), ma noi dobbiamo constatare che B ha preferito scegliere pezzi da vari epe diversi. Fra l’altro, leggendo K (che è per noi lo stadio immediatamente precedente a B) si ha l’impressione che la τίσις non fosse prevista. È stato B che mettendo insieme epe diversi ha legato il νόστος di K alla τίσις. La rielaborazione di B è stata grandiosa, del tutto paragonabile a quella di P per l’Il. B ha unito T al νόστος di K, ha ampliato quest’ultimo e lo ha unito alla τίσις. Per quest’ultima egli aveva a disposizione almeno quattro epe: T, l’Eumaiosepos, il Melanthoepos, L. È uno dei risultati più significativi dell’analisi di Schwartz avere individuato L: B ha preso il penultimo e l’ultimo giorno della nostra Od. (la μνηστηροφονία e la riconciliazione con gli Itacesi) da questo epos di cui non ci sono tracce nella parte precedente. Esso ha caratteri peculiari (presenza di Filezio, dell’etnonimo Cefalleni) e sarebbe stato probabilmente riconosciuto anche prima di Schwartz, se non fosse stato che gli Alessandrini ponevano la fine dell’Od. con ψ 296: la convinzione che questo v. segni una sutura di natura genetica ha impedito di vedere che ω2 è la naturale continuazione dell’epos da cui deriva gran parte di (υ)–φ–χ–(ψ); se non fosse per la cesura di ψ 296, l’epos φ–χ–ψ di Wilamowitz corrisponderebbe quasi perfettamente a L di Schwartz. L’analisi di φ–ω ci ha anche insegnato che B non è stato il primo a fondere insieme, in un nuovo epos, epe preesistenti: probabilmente già L aveva inglobato almeno due epe anteriori (almeno il Bogenkampf). Per quanto concerne il Melanthoepos, il termine è di Bethe, ma la sua prima individuazione spetta più a Wilamowitz che a Bethe: è Wilamowitz (1884) che ha mostrato che con σ inizia un segmento nuovo che comprende anche buona parte di τ. Anche Eumaiosepos è termine di Bethe e corrisponde parzialmente all’epos ν–ξ di Wilamowitz, ma a nessuno dei due studiosi è riuscito di definirlo bene: Bethe ne ha esteso impropriamente la presenza anche a β e alle rapsodie successive a ρ, mentre Wilamowitz (seguito da Schwartz) la ha troppo limitata. Nel caso di Wilamowitz e Schwartz, l’errore nasce, a mio parere, dall’eccessivo spazio che i due studiosi attribuiscono a T. Il problema dell’estensione di T è centrale nell’analisi dell’Od. ⁹³²: nel 1884 Wilamowitz, riprendendo e precisando, come spesso faceva, un’idea del recentissimo Niese (1882), sostenne che T non era (come avevano creduto Kirchhoff e soprattutto Hennings) un Kleinepos i cui resti si trovano solo in α–δ/ο, ma che esso conteneva la τίσις. Sebbene Bethe,

 L’analisi dell’Od. «ist im wesentlichen die Geschichte des Telemachie-Problems», Klingner (1944) 11.

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Von der Mühll e Merkelbach siano tornati all’idea di Hennings, io credo che Wilamowitz avesse ragione. Tuttavia la sua delimitazione di T (seguita da Schwartz) nella seconda parte del poema non mi pare molto felice. Di sicuro T è presente nella seconda parte del poema ed è pressoché certo che esso contenesse la τίσις, ma dalla fine di ο in poi T compare solo come relitto, in scarni riassunti, come ha ben visto Focke. Se è così, il ruolo dell’Eumaiosepos in questa parte aumenta moltissimo e io credo che da tale epos derivi gran parte di ξ, π, ρ. Il problema di T è centrale anche nella prima parte del poema: i fondamenti della discussione li ha posti Kirchhoff, ma la delimitazione di ciò che appartiene a T e di ciò che appartiene a B si deve a Bethe, che ha per primo compreso che β non ha nulla a che fare con T, ma che nasce dalla conflazione di un epos preesistente (Ἰθακησίων ἀγορά) con una parte composta dallo stesso B. I risultati dell’analisi dell’Od. coincidono, per quanto è possibile, con quelli dell’analisi dell’Il. Anche qui abbiamo un poeta-redattore (o forse più poeti che lavorano in collaborazione, B) che prende epe preesistenti, li amplia, li riunisce, crea raccordi, compone parti ex novo. L’idea (lachmanniano‐)wilamowitziana che non esistesse una Urodyssee (o che perlomeno essa non è confluita in quanto tale nel nostro poema) si rivela anche qui corretta. E anche nell’Od. troviamo tracce di più epe concorrenti che narrano le stesse vicende: Eumaiosepos e T narravano entrambi il soggiorno di Odisseo presso Eumeo e la τίσις, e quest’ultima era presente anche nel Melanthoepos e in L. Quest’ultimo e l’Eumaiosepos non solo narravano le stesse cose, ma pare fossero in concorrenza e polemica, così come lo erano l’Eumaiosepos e il Melanthoepos (entrambi ambientati in inverno, forse per influenza del più antico sul più recente). Forse anche l’Ἰθακησίων ἀγορά narrava la τίσις; certo narrava le tensioni fra i proci e la famiglia di Odisseo, esattamente come T, l’Eumaiosepos, il Melanthoepos nonché L. Anche alla base del νόστος della nostra Od. pare vi siano due epe (O, K), cui si è aggiunto B rielaborando il tutto; in η troviamo tracce di epe paralleli e concorrenti sul soggiorno di Odisseo presso i Feaci. Una versione del νόστος molto diversa da quella che è alla base di ε–μ si trovava probabilmente nell’epos da cui deriva la νεκυομαντεία. Quest’ultima narrava l’incontro di Odisseo con i defunti e lo stesso tema era al centro della ᾿Aγαμέμνονος νέκυια; si trattava anche in questo caso di due epe di certo non concepiti per stare nella stessa opera, forse concorrenti. Rispetto all’Il., nell’Od. si riesce meglio a vedere che alcuni epe erano scritti in competizione polemica con epe precedenti: si pensi a L rispetto all’Eumaiosepos, un caso di concorrenza abbastanza chiara, per il quale l’Il. non offre nulla di simile. Anche nell’Od., come nell’Il., il poeta-redattore non ha giustapposto epe preesistenti senza amalgamarli e rielaborarli. Nel caso dell’Od. un’analisi di tipo lachmanniano, che tende a escludere interventi da parte del poeta-redattore,

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non ha mai avuto seguito: Hennings e Koechly iniziarono a praticarla, ma subito apparvero gli studi di Kirchhoff che mostrarono la strada giusta.

15 I poeti omerici, la storia e la datazione dell’Iliade e dell’Odissea I poeti dell’Iliade e la storia La guerra di Troia è avvenuta davvero? Nell’antichità si credette generalmente di sì ed è possibile che effettivamente alla base della guerra dell’Il. vi sia un fatto storico. Fino a un secolo e mezzo fa era impossibile giudicare sulla storicità della guerra di Troia; oggi, grazie all’archeologia e alla conoscenza delle fonti ittite e micenee, è possibile almeno inquadrare il problema⁹³³. Le testimonianze degli autori greci e latini sono, invece, del tutto inutili: i Greci ricominciarono a scrivere (dopo la pausa dei «secoli bui», che iniziano con la fine dell’epoca micenea) alla metà dell’VIII sec.; poiché nulla fa pensare che dall’VIII sec. fino al 1952 (quando M. Ventris e J. Chadwick decifrarono la lineare B) qualcuno abbia letto documenti micenei⁹³⁴, ne segue che i Greci e i Romani non avevano a disposizione documentazione coeva alla guerra di Troia. È infatti certo che tale guerra, se mai è avvenuta, può essere avvenuta solo in età micenea e la storiografia antica non aveva alcun mezzo di risalire così indietro. Dunque le testimonianze greche e latine non hanno nessuna base storica. Ben altra sostanza hanno quelle archeologiche. Dal 1870, quando H. Schliemann, coadiuvato all’inizio da F. Calvert, iniziò gli scavi sulla collina di Hisarlik nella Troade, questo sito è stato scavato sistematicamente⁹³⁵. Dopo Schliemann (1870 – 1890) e W. Dörpfeld (1882– 1894), esso è stato scavato da C. Blegen (1932– 1938) e M. Korfmann / C. B. Rose (1988–). Non c’è dubbio che Hisarlik sia stato un centro almeno di una qualche importanza in età micenea e nella Troade non ci sono altri siti paragonabili: se la Troia dei poemi omerici corrisponde a un luogo reale, esso è Hisarlik, siti alternativi non esistono⁹³⁶. Ci sono sostanzialmente due scuole di pensiero sulla guerra di Troia dell’Il.: alcuni credono che alla base vi sia un fatto reale avvenuto in età micenea (1), altri credono invece che l’epos sia nato da suggestioni posteriori e che non vi sia nessun fatto miceneo alla base (2).

 Per quello che segue mi baso sulle seguenti opere: Cassola (1957) 55 – 65; Luce (1975); Heinhold-Krahmer (2003) e (2003 a); Kolb (2003); Latacz (20055); Hertel (2008); Rose (2014).  Si è pensato che alla base del catalogo delle navi vi sia un documento miceneo, ma non è probabile, cfr. nota 87.  Per la storia degli scavi cfr. Hertel (2008) 1 sgg.  Gli stessi Greci cominciarono almeno dal sec. VII a. C. a identificare la collina di Hisarlik con il luogo ove era avvenuta la guerra dell’Il., cfr. Rose (2014) 61. https://doi.org/10.1515/9783110652963-015

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1) La prima ipotesi si basa sulla situazione politica dell’Asia minore dell’età micenea. Nell’Anatolia del II millennio a. C. la grande potenza politica e militare era l’impero ittita. Per fortuna, da quando un secolo fa B. Hrozny decifrò l’ittita, la nostra conoscenza della storia di questo popolo si è enormemente accresciuta. Nelle fonti ittite, a partire dal sec. XVI, si fa riferimento a un’entità geograficopolitica chiamata Wilusa e nelle stesse fonti, a partire dal sec. XV, si fa riferimento a un’altra entità geografico-politica chiamata Ahhiyawa. Vi sono riferimenti anche a un’altra entità, Tarvisa. È possibile (ma non certo), che il primo nome si leghi a Ilio⁹³⁷, il secondo agli Achei; il terzo potrebbe corrispondere a Troia: in questo modo il doppio nome Ilio/Troia sarebbe già in uso presso gli Ittiti. Vediamo cosa ci insegnano l’archeologia e i documenti ittiti e micenei⁹³⁸. All’inizio dell’età del bronzo la città sulla collina di Hisarlik (che noi chiameremo Troia, nonostante le incertezze circa l’identificazione) era la città meglio fortificata della Troade e aveva già, probabilmente, contatti commerciali con la Grecia continentale. Verso il 2300 un incendio di origine ignota distrusse la città (fine di Troia II). Della fase successiva (Troia III, IV, V, 2300 – 1750) sappiamo poco. Con Troia VI (1750 – 1300) entriamo in una fase meglio conosciuta: dal XV sec. pare si costruiscano fortificazioni. Alla fine del XV sec. Wilusa e Tarvisa insieme ad altri 20 confederati si ribellano contro gli Ittiti (rivolta di Assawa), ma la ribellione viene domata. Dalla fine del XIV sec. e durante il XIII sec. è presente un’entità politica (Arzawa) divisa in quattro parti: Wilusa (Troade), Miara (Ionia), Seha (da Adramitto a Smirne, compresa Lesbo), Hapalla (Frigia, Pisidia). Durante questo periodo Ahhiyawa è in contrasto con gli Ititti e Arzawa si trova coinvolto in tali contrasti. Durante il regno di Mursili (1321– 1295) Arzawa e Milawa (probabilmente Mileto) sono alleati di Ahhiyawa contro gli Ittiti e verso la fine del XIV sec. Milawa/Mileto è distrutta dagli Ittiti. Sembra che Wilusa non si sia unita a tale rivolta e un documento ittita dell’inizio del XIII sec. loda la fedeltà di Wilusa. Verso il 1300 un terremoto distrugge Troia (fine di Troia VI). Gli abitanti di Troia VII sembrano essere gli stessi della fase precedente, ma l’impianto urbanistico viene modificato. Nella prima metà del XIII sec. Piyamaradu (forse un discendente di un re di Arzawa) fa incursioni sulla costa anatolica, attaccando Wilusa, Lesbo, Seha, la Licia (ove fa 7000 prigionieri) e trova spesso rifugio nel territorio di Ahhiyawa (di cui sembra far parte Mileto). Verso il 1250 il  Molti credono all’equivalenza Ἴλιος/Wilusa, ma lo scetticismo è giustificato, soprattutto perché Ἴλιος potrebbe essere un toponimo importato dai coloni eolici, cfr. Hertel (2008) 182– 186.  In questa parte dipendo essenzialmente dalla recentissima e chiara esposizione di Rose (2014) 8 sgg.

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sovrano ittita Hattusili III scrive ad Ahhiyawa e parla di loro contrasti circa Wilusa; in questo periodo il re di Wilusa è Alaksandu (da mettere forse in relazione con Alessandro/Paride). Un trattato fra Alaksandu e l’imperatore ittita Muwatalli attesta che Wilusa, a parte aver preso parte alla rivolta di Assawa alla fine del XV sec., è sempre stata in buoni rapporti con gli Ittiti. Durante il regno di Tudhaliyas (1237– 1209) Ahhiyawa si unisce a Seha in una ribellione contro gli Ittiti, ma questi riescono a domarla, conquistando Mileto e ponendo fine all’influenza di Ahhiyawa in Anatolia. In una lettera al nuovo re di Mileto, Tudhaliyas scrive che Walmu, il re di Wilusa, era stato deposto e che si era rifugiato presso Mira. Tudhaliyas è intenzionato ad aiutare Walmu a riprendere il controllo di Wilusa; sembra dunque Walmu fosse filo-ittita. A circa il 1200 risale una tavola in lineare B da Pilo, in cui si parla di schiave prese a Mileto, Cnido, Alicarnasso, Didima, Chio, Carpato, Lemno, forse Imbro. All’inizio del XII secolo un incendio distrugge Troia VII a; la natura dell’incendio non è nota. La fase immediatamente successiva alla distruzione (VII b 1: 1180 – 1130) segna una diminuzione della popolazione; una cesura più netta è segnata dalla fase successiva (VII b 2: 1130 – 1050), poiché compaiono ceramiche tracio-balcaniche e sembra che popolazioni provenienti da queste zone si stabiliscano nella città. Non è, tuttavia, certo se si tratti di lavoratori immigrati pacificamente o di una conquista vera e propria della città⁹³⁹. 2) I coloni eolici cominciarono a colonizzare il Nord dell’Asia minore all’inizio del I millennio a. C. e la trovarono per lo più occupata da Traco-Frigi. La collina su cui in epoca micenea sorgeva Troia VI conservava imponenti rovine; d’altra parte anche nella Grecia continentale esistevano imponenti rovine del passato miceneo. Il confronto fra tali rovine, i probabili contrasti che ci saranno stati fra i coloni greci e i Traco-Frigi potrebbero aver spinto gli aedi a proiettare nel passato la guerra che noi leggiamo nell’Il. La seconda ipotesi è suggestiva, ma assolutamente indimostrabile; la prima si basa su dati più solidi, ma è anch’essa lungi dall’essere certa. Wilusa ha certo avuto un’importanza nella storia dell’Anatolia durante la seconda metà del II millennio; la città sulla collina di Hisarlik⁹⁴⁰ è stata un centro di una certa importanza nella Troade dell’epoca. D’altra parte sappiamo che l’impero ittita dominava in Anatolia e che era in contrasto con Ahhiyawa (secondo ogni verisimiglianza gli Achei) circa i territori occidentali. Nessuna fonte ci dice che  È dubbio quando la città inizi a essere abitata da Greci: Hertel (2008) 7 sgg. pensa che dopo la catastrofe di Troia VII b 2 sia seguito (già da ca. il 1020) un insediamento di coloni eolici; ma la data va probabilmente abbassata, cfr. Rose (2014) 47.  Che non è certo sia da identificare con Wilusa, mentre è certo che i Greci la abbiano identificata almeno dal VII sec. a. C. con Ἴλιος dell’epos.

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Ahhiyawa ha fatto guerra contro Wilusa, ma, dato che quest’ultima era alleata degli Ittiti, pare naturale che sorgessero contrasti. Troia sorge in una posizione strategicamente molto importante, all’ingresso dei Dardanelli. Si può pensare che i Greci abbiano fatto la guerra per acquisire il controllo dello stretto? Non pare probabile, perché i commerci con il Mar Nero iniziano molto tempo dopo, nell’VIII sec. a. C. Anche sulla ricchezza di Troia alla fine dell’epoca micenea (che è celebrata nell’epos e che avrebbe potuto attrarre i Greci) non ci sono certezze. Inoltre (punto davvero capitale): l’incendio che ha distrutto Troia VII a all’inizio del XII sec. non può essere messo in relazione con una spedizione greca: il mondo miceneo era in piena decadenza e non era più in condizione di intraprendere un’impresa del genere. Inoltre, nella fase successiva Troia viene abitata prevalentemente da Traci, non da Greci; ne segue che, anche ammettendo che l’incendio in questione sia dovuto alla conquista della città da parte di un aggressore esterno⁹⁴¹, quest’ultimo va probabilmente identificato coi Traci, non coi Greci⁹⁴²: furono invasioni traco-frigie che distrussero l’impero ittita sulla fine del I millennio e tali invasioni ebbero probabilmente un qualche ruolo nella distruzione di Troia. Nel complesso non ci sono né attestazioni dirette di una guerra fra Greci e abitanti di Hisarlik, né un movente che mostri la necessità di questa guerra, né prove archeologiche plausibili⁹⁴³. Se si vuole mettere in relazione la spedizione greca con una catastrofe testimoniata dall’archeologia, forse sarebbe meglio pensare al terremoto che ha posto fine a Troia VI (ca. 1300): potrebbe effettivamente darsi che i Greci, sconfitti, vedendo cadere Troia per un terremoto, ne abbiano attribuito il merito a Posidone, le cui forze sarebbero rappresentate dal cavallo di legno⁹⁴⁴. Tuttavia, non bisogna cercare corrispondenze precise fra quanto leggiamo nell’epos ed eventi storici determinati o dedurre dall’assenza di tali corrispondenze che tutto nell’epos è fiction: sarebbe un errore fatale. Normalmente alla base della poesia epica vi sono situazioni ed eventi reali⁹⁴⁵, ma essi vengono stravolti secondo gli interessi dei poeti. La battaglia di Roncisvalle non ebbe l’importanza attribuitale dalla Chanson de Roland, che i Kirghizi abbiano invaso la Cina come pretende il loro epos è del tutto improbabile e certo non hanno preso Pechino. È invece vero che per secoli Cristiani e Arabi si sono combattuti e

 E non quindi a cause naturali o a dissensi interni (si ricordi quanto detto a proposito della cacciata di Walmu e ai tentativi di restaurarne il potere); nulla ci autorizza a escludere cause del genere.  Cfr. Bethe (1931) 221.  Cfr. Hertel (2008) 194 sgg.  Secondo l’ipotesi suggestiva di Schachermeyr (1950) 189 – 203.  Cfr. Bowra (1952) 508 – 536. Sul problema del Nibelungenlied cfr. Hertel (2008) 216 – 222.

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così Kirghizi e Cinesi; l’epos prende ispirazione da un conflitto realmente esistito, ne isola qualche episodio e lo stravolge a favore del proprio popolo⁹⁴⁶. Questo è accaduto, molto probabilmente, anche con la guerra di Troia: di sicuro i Greci hanno fatto spesso scorrerie sulle coste dell’Anatolia e hanno trovato resistenza. Non sappiamo se abbiano mai preso Troia, probabilmente hanno cercato, ma sono stati respinti; tuttavia avranno ottenuto qualche successo e alcuni di loro avranno dato prova di eroismo e di qui è nato l’epos ⁹⁴⁷. Dunque è probabile che alla base dell’Il. ci sia una situazione storica (più che un singolo fatto) di epoca micenea. Ci sono altre memorie dell’età micenea nel nostro epos? Indubbiamente sì, anche se la loro importanza non va esagerata. Il capo della spedizione greca è Agamennone, re di Micene: il ruolo di predominio che viene in questo modo assegnato a Micene è spiegabile solo come un ricordo dei tempi in cui questa città aveva effettivamente un ruolo di primo piano in Grecia, dunque prima dei «secoli bui» e nessun aedo dell’VIII o del VII secolo avrebbe fatto del re di Micene il capo della spedizione greca, se non ci fosse stata una tradizione in tal senso⁹⁴⁸. L’origine micenea dei principali eroi omerici (e in generale greci) si può mostrare con una relativa sicurezza grazie al legame fra singoli eroi e siti micenei. Il caso più problematico è quello di Odisseo, sulla localizzazione della cui patria non c’è accordo: si è messo in dubbio che la moderna isola di Itaca corrisponda a quella antica e il problema non è risolto. In ι 21– 24 vengono citate tre isole vicine a Itaca: Dulichio, Same, Zacinto. Oltre alla stessa Itaca, solo Zacinto ha un nome moderno corrispondente, mentre l’identità delle altre due isole va divisa fra le moderne Cefalonia e Leucade. La ragione per cui molti rifiutano di identificare Itaca antica con la moderna è che Odisseo dice che essa è all’estremo occidente dell’arcipelago (ι 25 – 26)⁹⁴⁹, cosa che si addice alla moderna Cefalonia, non alla moderna Itaca. I tentativi di identificazioni dei nomi antichi sono stati molti⁹⁵⁰: la soluzione più semplice a me sembra identificare Itaca con la moderna Itaca, Same con Cefalonia, Dulichio con Leucade, Zacinto con Zacinto (almeno su quest’ultimo punto  Bowra (1952) 519 – 520: «What is merely a casual engagement becomes one of the great battles of the world»; sulla stessa linea Finley (1964) 2– 3.  Cfr. Wilamowitz (1916) 337. Un’idea simile, sebbene con altri presupposti, in Hertel (2008) 209. Non molto diversa la posizione di Finley (1964) 6, che ipotizza che alcuni Greci si siano uniti ai Traco-Frigi per distruggere Troia.  Cfr. Nilsson (1932) 13, 35 sgg.  πανυπερτάτη … πρὸς ζόφον: la giusta (e ovvia) interpretazione in Diggle apud Bittlestone (2005) 520; ingiustificati i dubbi di Huxley (2007) 166.  Essi si trovano ora elencati con grande chiarezza in Bittlestone (2005) 558 – 561. Honoris causa sia ricordato che Dörpfeld identificava Itaca con la moderna Leucade, attirandosi lo scherno di Wilamowitz, cfr. Cauer (1917 b) 514 sgg.

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tutti concordano). Tuttavia, anche di recente è stato proposto di identificare l’Itaca antica con Paliki, l’estremità occidentale di Cefalonia ed è una tesi che ha dei punti di forza⁹⁵¹. In ogni modo, non c’è un sito miceneo identificabile come palazzo di Odisseo, e la stessa appartenenza delle isole Ionie al mondo miceneo è problematica⁹⁵². Nella Dolonie (Κ 260 sgg.) Merione porta un elmo di età micenea⁹⁵³ e si potrebbero citare molti altri Realien che risalgono all’età micenea⁹⁵⁴. La stessa lingua epica sembra essersi formata almeno alcune generazioni prima degli aedi i cui epe sono confluiti nella nostra Il. e nella nostra Od. ⁹⁵⁵. Questi «arcaismi» dell’epos omerico sono innegabili e la loro individuazione, avvenuta nell’ultimo secolo e mezzo grazie all’archeologia e alla linguistica, è uno κτῆμα ἐς ἀεί dell’antichistica. Si tratta, tuttavia, di lontani echi di un mondo scomparso, dal quale gli aedi hanno ereditato alcune formule poetiche, alcuni nomi di guerrieri e di luoghi e poco altro; è, invece, da escludere nella maniera più categorica che si siano tramandati interi epe per generazioni: in altre parole, gli epe confluiti nei poemi omerici non possono essere di origine micenea⁹⁵⁶. Il mondo contemporaneo (o almeno post-miceneo) irrompe nei poemi: la presenza dei Fenici riporta alla fine dell’epoca geometrica⁹⁵⁷, la Frigia (Γ 184) riporta anch’essa all’età postmicenea e così l’oracolo delfico (θ 79 – 80, λ 581), lo scudo di Agamennone con la Gorgone non trova paralleli prima del 670⁹⁵⁸, la statua di Atena sulle cui ginocchia le donne di Troia depongono il peplo (Ζ 302 – 303) non è pensabile prima del VII sec.⁹⁵⁹, tutto l’assetto dell’Asia è quello del I millennio, non del II a. C.⁹⁶⁰, e l’elenco potrebbe essere lungo. Anche la lingua è eterogenea: lo strato più antico è eolico, ma gli aedi più recenti erano ionici, sicché il sostrato eolico

 Bittlestone (2005), riprendendo e precisando una tesi proposta da G. Volterras nel 1903.  Cfr. Stubbings (1962) 416 – 421; Luce (2000) 207 sgg.; Cultraro (2006) 132– 133.  Cfr. Hood (1995) 27.  Page (1959) 219: «each singly [cioè oggetti micenei presenti nell’Il.] and all together they testify, beyond the possibility of confutation, that the memory of certain material objects survived from the Mycenaean era into the Iliad, hundreds of years after the objects themselves had disappeared from the world».  Alcuni fanno risalire tratti della lingua epica all’età micenea, altri tendono ad abbassare la data, ma anche questi ultimi riconoscono che essa risale ad alcune generazioni prima degli aedi dei nostri poemi, cfr. e. g. Meier-Brügger (2003).  Cfr. Patzek (1992) 102– 103.  Cfr. Nilsson (1932) 13; Winter (1995); Rose (2014) 42.  Cfr. Burkert (2012) 3.  Cfr. Bethe (1922) 310 sgg.  Cfr. Kullmann (2002) 60 – 74.

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sopravvive in forma di relitto⁹⁶¹. L’epos omerico si presenta dunque come un miscuglio di fatti e di lingua che riflette molti secoli. Noi abbiamo distinto all’interno dell’Il. e dell’Od. una serie di epe: è possibile mettere in relazione i singoli epe (o almeno alcuni di essi) con dati archeologici o linguistici? Si può, per esempio, dire che un epos presenta coerentemente tratti linguistici (ovvero archeologici) antichi (ovvero recenti)? A questa domanda io rispondo con un deciso no. Molti hanno fatto tentativi del genere e tutti sono naufragati: il più sistematico è stato quello di Robert e Bechtel (1901) e il totale fallimento dello sforzo congiunto di un insigne archeologo e di un altrettanto insigne glottologo è un monito a chi voglia tentare di nuovo imprese del genere. Nessuna persona competente può dubitare che la Dolonie sia fra gli strati più recenti dell’Il., eppure uno dei tratti archeologicamente più arcaizzanti dell’epos, l’elmo coi denti di cinghiale di Merione, si trova proprio nella Dolonie. τ 177 appartiene forse al Melanthoepos, cioè a uno strato antico dell’Od., eppure è l’unico passo dell’epos che rammenti i Dori, cioè il popolo per eccellenza post-miceneo (agli occhi degli stessi Greci); nello stesso Melanthoepos, il fermaglio d’oro (περόνη) di Odisseo di cui parla Aitone (τ 226 – 227) non è anteriore al VII sec.⁹⁶² Tutti gli aedi che hanno lavorato alla nostra Il. e alla nostra Od., sia coloro i cui epe vi sono stati inseriti sia coloro che li hanno rielaborati inserendoli, rispetto al mondo miceneo sono nello stesso rapporto di lontananza e di imitazione; di nessuno può essere rivendicata una particolare antichità o recenziorità. Se anche riuscissimo a isolare (cosa che per ora non è mai riuscita a nessuno) un epos che presenta caratteri compatti, arcaici o recenti, non saremmo autorizzati a spiegarli con la cronologia del poeta: potrebbe benissimo trattarsi di una preferenza personale del poeta: chi può negare che anche fra gli aedi ionici dell’VIII–VII secolo ci fosse chi voleva arcaizzare di più e chi di meno⁹⁶³? «La questione omerica intesa nel suo senso classico, ossia in

 Anche per questo si trovano analogie nell’epos di altri popoli, cfr. Bowra (1952) 389 sgg.  Cfr. Russo ad τ 226 – 31.  Come per i Realien, così per la stratificazione linguistica non è possibile determinare la maggiore o minore arcaicità di singoli epe in base a osservazioni linguistiche. Nessun tentativo di isolare un segmento dei due poemi, ovvero di determinarne il rapporto cronologico con altri segmenti, è riuscito (non fa eccezione Leumann 1950); anche nei passi che sembrerebbero più recenti si trovano elementi antichi (cfr. Chantraine 1934). Inoltre, se anche si riuscisse a isolare un epos che presenta caratteri linguistici unitari al proprio interno, non sarebbe possibile usare questo dato per determinare il rapporto cronologico con altri epe, poiché la maggiore o minore arcaicità potrebbe dipendere dai gusti stilistici del poeta, non dall’epoca in cui è vissuto. Tutti i poeti che hanno composto gli epe confluiti nei due poemi e coloro che li hanno raccolti sono vissuti a una distanza di tempo troppo esigua fra loro perché la loro lingua consenta inferenze di cronologia reciproca. Si aggiunga che chi ha messo insieme i vari epe può avere introdotto

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rapporto all’unità strutturale ed estetica dell’Iliade e dell’Odissea, non ha alcuna interferenza col problema storico»⁹⁶⁴. Una tendenza arcaizzante generale è indubbia e anche facilmente spiegabile: gli aedi sapevano che il mondo di cui parlavano non esisteva più da secoli e sapevano anche di essere gli eredi di una lunga tradizione⁹⁶⁵. Del resto, tali tendenze sono presenti anche nell’epica non greca, poiché il poeta epico è spesso lontano nel tempo dagli eventi che narra⁹⁶⁶. La tendenza arcaizzante è visibile soprattutto in ciò di cui l’epos tace: i grandi fenomeni migratori successivi all’età micenea vengono ignorati dagli aedi, senza dubbio di proposito. Poche cose rendono bene l’idea di quanto l’epos sia rivolto al passato come un confronto fra l’Il. e i pressoché coevi Mimnermo e Tirteo⁹⁶⁷: il primo parla della distruzione della Smirne eolica fatta dai Colofoni giunti da Pilo (Mimn. fr. 9 W.), il secondo del ritorno degli Eraclidi (Tyrt. fr. 2 W.). Si tratta dei fenomeni migratori che agli occhi dei Greci avevano sconvolto il loro mondo, e i poeti dell’Il. sapevano benissimo questo, come lo sapevano i loro contemporanei elegiaci, ma i poeti dell’Il. ne tacciono di proposito, evidentemente perché hanno la consapevolezza che il mondo da loro descritto è precedente a tali migrazioni⁹⁶⁸. Quanto è eloquente il silenzio dell’Il. circa la migrazione eolica e ionica in Asia, altrettanto lo è quello dell’Od. circa i movimenti migratori verso Occidente: la colonizzazione dell’Occidente inizia nell’VIII sec. eppure per i poeti dell’Od. l’Occidente è ancora un mondo favoloso, in cui possono essere ambientate le peregrinazioni di Odisseo⁹⁶⁹. Anche all’origine di tale atteggiamento c’è probabilmente il desiderio di arcaizzare; tuttavia, essendo gli ᾿Aπόλογοι una delle parti più antiche dell’Od., non è da escludere che ai tempi della loro redazione originaria non si sapesse ancora nulla dell’Occidente. Un caso del tutto analogo lo

modifiche. Anche in altre tradizioni epiche si sono usati criteri linguistici per distinguere gli strati; Brockington (1984) lo fa con il Ramayana e crede che il metodo sia valido.  Cassola (1957) 57.  Su come gli aedi dell’Il. percepissero il passato cfr. Grethlein (2006).  Cfr. Bowra (1952) 394 sgg.  Cfr. Beloch (1890) 556.  Hertel (2008) 187– 193 mostra bene come l’Il. cerchi di dare un quadro precedente alla colonizzazione eolica e come, tuttavia, qua e là si trovino indizi che tale colonizzazione è già avvenuta.  Non c’è dubbio che le peregrinazioni di Odisseo inizino a Occidente (cfr. da ultimo Lucarini sub prelis); i poeti dell’Od. (almeno quello che ha composto gli ᾿Aπόλογοι) fingono di non sapere nulla sull’Occidente, ma ps.-Hes. (Theog. 1011 sgg.) presuppone l’identificazione di alcune tappe del viaggio di Odisseo con luoghi dell’Occidente, identificazioni testimoniate anche dalla toponomastica: non è possibile datare con certezza queste identificazioni, ma è certo che esse presuppongono gli ᾿Aπόλογοι; sul problema cfr. da ultimo Cerri (2006).

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osserviamo a proposito della scrittura: che agli aedi fosse nota la scrittura, per lo meno dal 750 ca. in poi, non c’è alcun dubbio, ma essi evitano di rammentarla, anche questo probabilmente per arcaizzare⁹⁷⁰; eppure, come un passo di τ fa riferimento ai Dori, così uno di Ζ (168 sgg.) fa riferimento alla scrittura. Un’operazione di arcaizzazione storicizzante di questo tipo non poteva che riuscire parzialmente: non solo colpiscono le presenze di elementi recenti che già abbiamo ricordato, ma sono notevoli anche alcune assenze: le tavolette micenee hanno mostrato come la società e il mondo miceneo fossero diversi da quello dei poemi omerici, da un punto di vista sia religioso sia sociale⁹⁷¹; una società «omerica» non è nemmeno ben definibile, poiché i nostri poemi contengono un miscuglio di usi e costumi assai diversi fra loro⁹⁷². Non era possibile secoli dopo riprodurre tale mondo, perché non lo si conosceva più. Si era trasmessa la memoria di alcuni nomi e di alcuni eventi, oltreché alcune formule poetiche; impensabile che la nostra poesia omerica contenga segmenti di poesia micenea, cui sia stata adattata solo la facies linguistica. Nulla lo fa pensare e una trasmissione mnemonica attraverso un periodo così lungo è del tutto improbabile⁹⁷³. Tutti gli aedi i cui epe sono confluiti nei poemi omerici e che tali poemi hanno rielaborato appartengono alla stessa koiné culturale; il mondo dei loro eroi è a loro sostanzialmente sconosciuto, se non per quanto ne hanno appreso dall’epos a loro precedente⁹⁷⁴. Tale epos si era probabilmente già formato sul continente ellenico prima delle migrazioni in Asia ed è stato portato sul suolo asiatico dai migranti eolici; poi, nel corso del tempo, è stato ionizzato da aedi ionici. Come si presentava agli aedi la Troade a loro contemporanea⁹⁷⁵? Il quadro generale dell’Asia minore è quello della prima metà del primo millennio a. C., con la predominanza di popolazioni traco-frigie. Nella seconda metà dell’VIII sec. la Frigia è all’apogeo della sua potenza, ma non è certo se il suo dominio si estenda anche alla Troade (la potenza della Frigia è citata nei poemi, Γ 181 sgg.).

 Cfr. Snodgrass (1998) 54– 55.  Cfr. Page (1959) 187 sgg.; ben prima che venisse decifrata la lineare B, Wilamowitz (1916) 359 – 360 aveva già tracciato un quadro sostanzialmente giusto della situazione (!).  Cfr. Snodgrass (1974).  Cfr. Bowra (1952) 370.  Non si riesce nemmeno a distinguere un mondo odissiaco da un mondo iliadico: tutti i tentativi in tal senso mi sembrano falliti; sottoscrivo quanto afferma Snodgrass (1974) 115: «My inclination is to fall back on the familiar observation that the one poem shows the heroic world on a war footing, while the other shows it at peace; and to attribute the differences rather to this than to any deeper dichotomy».  La miglior trattazione sull’argomento a me nota è Kullmann (2002) 60 – 74, ma cfr. anche Meyer (1877); Hertel (2008) 127 sgg.; Rose (2014) 51– 52; Chiai (2017).

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Nel VII sec. sembra che la Troade sia sotto la Lidia: addirittura sappiamo che il re di Lidia aveva una riserva di caccia a Zelea, città da cui proviene un ben noto eroe dell’Il., Pandaro (Strabone 13, 1, 17). Nell’Il. Troiani e alleati sono considerati come non Greci⁹⁷⁶; nel duello fra Achille ed Enea, quest’ultimo afferma che Dardano è capostipite anche dei Troiani e, quindi, della dinastia cui appartiene Priamo (Υ 215 sgg.). Dardano ed Enea sono di sicuro di origine tracia⁹⁷⁷: è probabile che questa centralità di Dardano sia legata agli intenti encomiastici del poeta dello Zweikampf des Aineias und Achill, ma c’è da credere che tutti i poeti dell’Il. considerino sia i Troiani sia i Dardani come traco-frigi. I poeti epici vedevano dunque che l’Asia minore era dominata da popoli non Greci; d’altra parte essi non sapevano che i traco-frigi che essi avevano davanti non erano della stessa stirpe dei luvio-ittiti che avevano occupato quelle zone alcuni secoli prima e immaginavano che anche in età micenea gli Asiatici fossero traco-frigi. È dunque chiaro che i poeti dell’Il. appartengono tutti alla stessa koiné culturale. Il mondo di cui cantano è per loro lontanissimo e ai pochi ricordi tramandati dalla tradizione mescolano in continuazione il mondo a loro coevo. Molto più difficile sarebbe parlare del rapporto fra i poeti dell’Od. e la storia, poiché l’Od. descrive per lo più un mondo fantastico, che si pone fuori dalla storia. Anche la parte del poema che si pone nel mondo reale, quella itacese, non offre molti spunti di riflessione; il fatto stesso che l’identificazione di Itaca non sia certa e che non si abbiano tracce del palazzo di Odisseo suggerisce prudenza e scetticismo. Comunque pare evidente che i poeti odissiaci appartengono alla stessa koiné culturale di quelli iliadici.

La data dell’Iliade e dell’Odissea e la loro attribuzione a Omero L’archeologia ci ha insegnato che nell’VIII sec. a. C. inizia un culto dei sepolcri risalenti all’età micenea e si è pensato (da L. Farnell in poi) che tale culto vada messo in una qualche relazione con lo sviluppo dall’epica: tuttavia, mentre l’insorgere di tale culto è certo, non ci sono ragioni serie per fare collegamenti

 Si osservi tuttavia che i guerrieri troiani portano spesso nomi perfettamente greci, cfr. Kanavou (2015) 76. Chiai (2017) 186 scrive addirittura: «La grecità della gente di Ilio era un dato accettato da tutti ed indiscusso in età arcaica, prima delle guerre persiane», ma nei poemi omerici l’opposizione Achei/Troiani è netta e indiscutibile.  Cfr. Kullmann (2002) 68 – 69. Dardano è figlio di Zeus (Υ 215), ma questo non è indizio che egli sia greco, cfr. Hertel (2008) 175.

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con l’epica⁹⁷⁸. Le arti figurative offrono maggiore aiuto, sebbene il loro utilizzo sia piuttosto problematico. Il problema è quali scene siano state davvero influenzate dalla letteratura. Alcuni adottano un approccio «panomerico»: qualsiasi rappresentazione sia in qualche modo avvicinabile all’Il. o all’Od. viene spiegata senza troppi scrupoli con l’influenza dei due illustri poemi. Questo è profondamente sbagliato: ancora nel VI secolo inoltrato, quando i due poemi circolavano già nella forma in cui li leggiamo noi e avevano superato per prestigio tutti gli altri epe in circolazione, essi non erano la principale fonte di ispirazione per gli artisti; all’interno dello stesso ciclo troiano essi ispirano poco più del 30 % degli episodi rappresentati; il resto degli episodi rappresenta eventi assenti dai due poemi⁹⁷⁹. È quindi immetodico pensare a un’influenza dell’Il. e dell’Od. in epoche ancora precedenti, per le quali nulla sappiamo circa la composizione e circolazione dei due poemi, almenoché non ci siano indizi forti in tal senso: a questo sano principio si è attenuto Snodgrass (1998) e a me sembra ragionevole seguirlo. Di conseguenza, nella parte che segue, non verranno citate numerose opere che alcuni suppongono influenzate dall’Il. o dall’Od., poiché a me pare che manchino indizi seri per tale supposizione. Analitici e unitari hanno un approccio assai diverso anche davanti alle arti figurative, per ragioni ovvie: chi crede che tutta l’Il. e tutta l’Od. siano nate come opera unitaria, una volta che ne fissa una data di composizione, non può ammettere che raffigurazioni precedenti tale data ne siano ispirate; d’altra parte, molti unitari (soprattutto recenti) credono che i poemi siano stati composti verso la fine del VII sec. e, di conseguenza, devono escludere l’influenza dei due poemi su opere precedenti a tale data. Il problema si pone in maniera diversa per gli analitici, che possono benissimo ipotizzare che le arti figurative siano state influenzate da epe che circolavano separatamente. Se si cercano indizi certi nelle arti figurative in favore della tesi unitaria o di quella analitica, non si trova nulla: singoli episodi rappresentati, quando anche possano essere ricondotti con certezza all’Il. o all’Od. ⁹⁸⁰, dimostrano che l’artista conosceva l’episodio in questione, nulla di più. Più interessante è quando la stessa opera raffigura più episodi dello stesso epos: in questi casi si può ragionevolmente dedurne che all’epoca dell’artista tali episodi fossero già uniti in un unico epos. Dall’analisi del materiale, come vedremo, risulta un terminus ante quem abbastanza chiaro per la composizione dell’Il. e un indizio per la genesi dell’Od.

 Cfr. Hadzisteliou-Price (1973); Coldstream (1976); Snodgrass (1982); Antonaccio (1995); Neri (2010); Chiai (2017) 219 sgg. Io condivido lo scetticismo di Snodgrass.  Cfr. Snodgrass (1998) 140 sgg.  Non quindi genericamente alla saga.

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Il primo oggetto interessante è il famoso «skyphos di Nestore» di Pitecusa (Carm. epig. Gr. 454 Hansen), di circa il 720 a. C. Su di esso si legge: Νέστορός εἰμι εὔποτον ποτέριον. / hὸς δ᾽ ἂν το̃ δε πίεσι ποτερίο, αὐτίκα κε̃ νον / hίμερος hαιρέσει καλλιστεφάνο ᾿Aφροδίτες. C’è una qualche relazione fra questo skyphos e il depas che Nestore ha portato da Pilo a Troia, di cui leggiamo in Λ 632 sgg.? Impossibile rispondere: chiunque legga il passo di Λ resta certo colpito dalla descrizione dell’oggetto e chi ha inciso lo skyphos di Pitecusa doveva avere interessi poetici, come mostra il metro. Tuttavia, mancano indizi certi per ipotizzare che il Nestore della coppa di Pitecusa sia l’eroe pilio; non c’è modo né di escluderlo né di provarlo: devono escluderlo gli unitari che datano l’Il. a dopo il 720⁹⁸¹, ma noi abbiamo visto che Λ2 è probabilmente stato preso da un epos preesitente (Nestoridyll). Indicazioni chiare cominciano un po’ prima del 650⁹⁸²: tre vasi di tale epoca da tre luoghi diversi (Eleusi, Argo, Etruria) rappresentano l’accecamento di Polifemo probabilmente sotto l’influenza di quanto noi leggiamo in ι e lo stesso può dirsi di una giara etrusca di qualche anno dopo (ca. 625); una oinochoe protoattica (ca. 650) rappresenta gli Itacesi che escono dalla grotta del Ciclope sotto le pecore. Si tratta di un «first flush of enthusiasm for the Odyssey»⁹⁸³. Anche qui è facile vedere come le tesi unitarie siano fallaci e portino ad aporie irrisolvibili: Snodgrass, osservando le quattro rappresentazioni citate e confrontandole con ι, sarebbe incline a credere che i quattro artisti si siano ispirati a ι; poi, però, preferisce rinunciare a questa ipotesi, poiché solo nel VI sec. cominciano a esserci numerose rappresentazioni di temi odissiaci, quindi solo a partire di tale data si può ipotizzare (nell’ottica unitaria di Snodgrass) l’influenza dell’Od. È evidente che l’aporia si supera facilmente considerando che gli ᾿Aπόλογοι sono fra i nuclei più antichi dell’Od., se non il più antico. L’unitarismo si rivela anche qui inutile impaccio. Alla fine del VII sec. va probabilmente datata la famosa arca di Cipselo, opera di origine corinzia che Pausania (5, 17, 5 – 19, 10) vide nel tempio di Era a Olimpia⁹⁸⁴. Sulla cesta erano rappresentati il duello di Ettore e Aiace, quello di

 Come e. g. West (1995) 205. Si è pensato anche ai Κύπρια, in cui Nestore accoglieva Menelao a Pilo (Arg. 26 – 27 Bernabé), cfr. Snodgrass (1998) 53, ma senza nessuna ragione seria, poiché nulla attesta che nei Κύπρια si parlasse della coppa. Crede invece che la coppa di Pitecusa presupponga l’Il. Patzek (1992) 202. Cfr. anche Dettori (1990 – 1993), Steinhart (2012).  Cfr. Snodgrass (1998) 12– 66, 89 sgg.  Snodgrass (1998) 98.  Cfr. Snodgrass (1998) 109 sgg.

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Agamennone e Coone sul corpo di Ifidamante (Λ 248 – 263)⁹⁸⁵. All’inizio del VI sec. un dinos di Sofilo di Atene rappresenta i giochi per Patroclo e lo stesso tema è rappresentato poco dopo sul famoso vaso François (opera dell’ateniese Clizia); non si può, tuttavia, essere certi che la versione presupposta sia quella di Ψ: il dinos è mutilo e non consente deduzioni sicure, ma il vaso François contraddice quanto leggiamo in Ψ 262 sgg., poiché nel poema nella corsa coi carri vince Diomede, mentre sul vaso vince Odisseo, seguito da Automedonte, Diomede, Damasippo, Ippotoonte: questi due ultimi nomi (che sembrano «parlanti») sono assenti dall’Il. e nel poema Automedonte e Odisseo non partecipano alla gara. In altre parole, l’unico personaggio comune al poema e al vaso è Diomede, mentre gli altri personaggi sono presenti o solo sul vaso (Odisseo, Automedonte, Ippotoonte, Damasippo) o solo nel poema (Antiloco, Menelao, Merione, Eumelo); anche il vincitore della gara è diverso. Come spiegare queste differenze? Certezze non possiamo averne, ma il numero dei gareggianti è lo stesso e gli ultimi due nomi del vaso sembrano invenzioni ad hoc: l’ipotesi più economica è che l’ispirazione di fondo derivi dagli Ἆθλα, ma che chi ha scritto i nomi dei gareggianti non ricordasse bene lo svolgimento della gara. Una coppa corinzia (ca. 580 a. C.) rappresenta su un lato Ettore che combatte contro Achille, il primo assistito da Sarpedone, il secondo da Fenice, sull’altro lato i due Aiaci che combattono contro Enea e un tale Ippocle; sotto un manico della coppa appare, inoltre, Dolone accucciato. Ippocle è ignoto all’Il., quando in Χ Ettore e Achille duellano Sarpedone è gia morto (Π), né Fenice ha alcuna parte nel combattimento. Un piatto corinzio (ca. 580⁹⁸⁶) rappresenta Priamo alle ginocchia di Achille, con Ermes che assiste alla scena: l’ispirazione a Ω è evidente. Una placca corinzia di poco più recente (Berlin F 764) rappresenta una scena di Ε, con Diomede (aiutato da Atena) ed Enea (perduto) che combattono sul cadavere di Pandaro; un altro frammento della stessa placca rappresenta Teucro che tende l’arco protetto dallo scudo di Aiace: sembra certa l’ispirazione da Θ 266 sgg. In questo caso la dipendenza dall’Il. appare sicura per il fatto che sono presenti una scena di Ε e una di Θ. Un’anfora attica di ca. il 565 (Zürich, Antiken-

 Pausania crede che sull’arca fossero raffigurate anche altre tre scene omeriche: Circe e Odisseo, Efesto che consegna le armi di Achille alle Nereidi, Nausicaa e le compagne. Pare, tuttavia, che abbia ragione Loeschke a interpretare le tre scene in altro modo, cfr. Snodgrass (1998) 113 – 115; Splitter (2000) 47– 49. Brillante (2010) 46 – 48 nega qualsiasi dipendenza delle rappresentazioni dell’arca dall’Il.  Princeton University Art Museum. Museumpurchase, gift of J. B. Elliott, Class of 1951, in memory of I. K. Raubitschek and to honor of A. E. Raubitschek: cfr. Burkert (2012) 4– 5: l’opera è stata sospettata essere un falso.

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sammlung Nr. 4001) si ispira senza dubbio ai Λύτρα (Ω)⁹⁸⁷. Un’idra etrusca (forse di Caere) di poco successiva al 530, probabilmente opera di artisti ionici, rappresenta senza dubbio la partenza dell’ambasceria di Agamennone ad Achille (Ι 174 sgg.): si vedono sei personaggi, che devono essere Odisseo, Aiace, Fenice, Nestore, Odio ed Euribate; di Nestore, Aiace, Odio si legge ancora l’iscrizione. Odio nell’Il. compare solo in Ι: la sua presenza in questo passo implica senza dubbio che l’artista aveva presente la πρεσβεία. Per quanto riguarda l’Od., dopo le scene dell’episodio del Ciclope della metà del VII sec., cominciano ad apparire nell’ordine questi temi⁹⁸⁸: le Sirene (ca. 600), Circe (ca. 560), la strage dei proci (ca. 479), Odisseo e Penelope (470), Nausicaa (ca. 460), la Nekyia (ca. 450), il riconoscimento di Odisseo da parte di Euriclea (ca. 440). Da questa documentazione mi pare si tragga un dato abbastanza chiaro per l’Il.: verso la fine del VII sec. essa è già in circolazione (forse l’Il. di P?), nei primi decenni del sec. VI esiste già l’Il. che conosciamo noi, chiusa da Ψ–Ω⁹⁸⁹. Questo è confermato da un altro fatto: verso il 560 lo Schiffskatalog è già inserito nell’Il. ed esso ha già la forma atticizzata che leggiamo noi⁹⁹⁰. Per quanto concerne l’Od., la documentazione non consente di porre un terminus ante quem, ma mostra la particolare antichità degli ᾿Aπόλογοι. Più difficile ricavare qualcosa dalla letteratura, ma Alceo alla fine del VII sec. conosce probabilmente Α⁹⁹¹. Per quanto concerne l’Od., Stesicoro (fr. 170 F.-D.) sembra conoscere ο 160 sgg., ma non sappiamo se egli conosca la nostra Od. o T⁹⁹². Per lungo tempo si è creduto alla leggenda che Pisistrato avrebbe messo insieme i poemi omerici; come vedremo, si tratta di una leggenda tarda e non autorevole. Tuttavia, è certo che il testo omerico ha vissuto una fase attica. Per quanto riguarda l’Il., tale fase pare risalire a una fase precedente alla tirannide di Pisistrato, dal momento che verso il 560 il testo atticizzato era già fissato. Sull’Od. non abbiamo dati certi e nessuno può escludere influenze pisistratiche.

 Cfr. Burkert (2012) 4.  Touchefeu-Meynier (1968) 304.  Così da ultimo Burkert (2012); scende troppo in basso per la cronologia dell’Il. Brillante (1983) 115.  Cfr. Cassio (2002) 115.  Cfr. Alc. fr. 44, 6 – 8 V. e West (2002) 209.  Cfr. Grossardt (2012) 40 – 41. Come terminus post quem per l’Od. West (2012) 231– 232 pone l’epos argonautico, che ne sarebbe una fonte, e che egli data al 650, ma io credo che tale epos non sia mai esistito (cfr. Lucarini sub prelis). A parte questo, in generale non posso accettare gli argomenti di cronologia relativa di West (2012), perché egli parte dall’idea che l’Il. e l’Od. siano opere unitarie.

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Quando si è cominciato a mettere per iscritto i poemi omerici? Considerando che l’uso della scrittura in Grecia riappare verso la metà dell’VIII sec., che verso il 600 l’Il. sembra già avere la sua redazione finale, e che il numero degli epe che i redattori ebbero davanti era piuttosto elevato, io credo che si sia cominciato a scriverli appena la scrittura fu a disposizione⁹⁹³. Qualcuno ha anche supposto che la scrittura sia stata introdotta proprio per scrivere l’epos omerico⁹⁹⁴, ma questo è tanto suggestivo quanto indimostrabile. Tutti gli epe confluiti nell’Il. e nell’Od. sono stati composti in uno spazio di poco più di un secolo (al massimo, forse anche meno); i poeti che vi hanno lavorato sono tutti cronologicamente vicini⁹⁹⁵ e il loro milieu culturale è identico. La tradizione attribuisce i due poemi a Omero. Si è molto discusso se sia esistito un poeta con tale nome. Tale discussione non ha nulla a che fare con quella circa la genesi dell’Il. e dell’Od.: in astratto un poeta di nome Omero potrebbe essere sia il poeta che ha composto uno dei due poemi (ovvero entrambi) sia il poeta che ha composto uno o più epe che vi sono confluiti sia colui che ha messo insieme epe preesistenti: per noi sarebbe comunque impossibile decidere fra tali possibilità. Oltre al nome di Omero, la tradizione conosce anche gli Ὁμηρίδαι, un gruppo di rapsodi attivi a Chio. Le loro prime menzioni si trovano in Pindaro (Nem. 2, 1 sgg.), che li chiama ῥαπτῶν ἐπέων ἀοιδοί (evidente parafrasi di ῥαψῳδοί), Acusilao di Argo (2 F 2 J.) ed Ellanico di Lesbo (4 F 20 J.). Platone (Phaedr. 252 b) parla di alcuni ἀπόθετα ἔπη in possesso di tali Omeridi; il rapsodo Ione sogna di essere incoronato dagli Omeridi (Ion 530 d) e Glaucone li cita per il loro interesse a diffondere la buona fama di Omero (Resp. 599 e). Isocrate dice che gli Omeridi affermavano che Elena aveva ordinato in sogno a Omero di cantare l’impresa troiana (Hel. enc. 65). Uno scolio al passo di Pindaro (Nem. 2, 1) ci informa che tali Omeridi all’inizio sarebbero stati i discendenti di Omero (τοὺς ἀπὸ τοῦ Ὁμήρου γένους), successivamente i rapsodi non più legati da parentela con Omero. Sappiamo inoltre che un tale Cratete diceva gli Omeridi discendenti di Omero, cui si opponeva Seleuco, secondo cui il nome derivava da ὅμηρα («ostaggi»): durante una festa di Dioniso a Chio c’era stata una rissa fra le donne e gli uomini, che, per accordarsi, si erano dati reciprocamente degli ostaggi e i discendenti di tali ostaggi sarebbero stati chiamati Ὁμηρίδαι (cfr.

 Una delle più antiche iscrizione greche a noi pervenute, l’oinochoe del Dipylon (Atene ca. 740 a. C.), «is a hexameter whose language and vocabulary sound almost perfectly Homeric», Cassio (2002) 105.  Così Powell (1991); anche Snodgrass (1998) 55 simpatizza con questa teoria.  Wilamowitz (1916) 365: «Daß die verschiedenen Gedichte, die wir unterscheiden, zeitlich sehr weit auseinanderliegen, ist durchaus nicht notwendig, kaum wahrscheinlich.»

La data dell’Iliade e dell’Odissea e la loro attribuzione a Omero

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Harpocr. Ο 19 Keaney). Che rapporto c’è fra questi Omeridi, Omero e l’epos che ci è giunto sotto il suo nome? Le notizie biografiche su Omero fornite dalle fonti antiche non hanno alcun valore e il problema può essere risolto, credo, solo per via linguistica. Alcuni credono che Ὅμηρος sia una sorta di nome parlante, che si legherebbe all’attività poetica, altri invece credono sia un nome reale, portato veramente da un poeta⁹⁹⁶. Se fosse vera la seconda ipotesi, il nome significherebbe «ostaggio», o, meno probabilmente, «cieco», ma entrambe le soluzioni pongono difficoltà gravi, forse insormontabili⁹⁹⁷; inoltre, tale nome non sembra essere stato in uso presso i Greci. Certezze assolute non si possono forse raggiungere, ma la bilancia della probabilità pende a favore di chi nega che Ὅμηρος sia stato un nome di un poeta in carne e ossa. Sembra decisamente più promettente interpretarlo come nome parlante e l’interpretazione più convincente sembra quella di Durante: il nome si lega, cioè, al culto di Ζεὺς Ὁμάριος, praticato presso Helike in Acaia⁹⁹⁸: durante la *ὅμαρις («riunione, festa») i rapsodi recitavano i loro epe. È probabile che l’origine del nome parlante si leghi a Ὁμηρίδαι, non a Ὅμηρος e che il suffisso -ίδαι non indichi, in questo caso, la discendenza, ma la semplice comunanza di professione. «Se ad esempio ἀγοραῖος ἀνήρ è la persona la cui esistenza è legata, per professione o per altro, al foro – il fannullone come l’avvocato – quegli individui che hanno il centro della loro attività professionale nei vari agoni festivi, e che il popolo ha possibilità di conoscere soltanto in queste occasioni, hanno bene il diritto all’appellativo di ὁμάριοι, e Ὁμηρίδαι non è che la versione ‘collettiva’ di questo appellativo»⁹⁹⁹. Successivamente questi Ὁμηρίδαι inventarono un loro capostipite, cui dettero il nome Ὅμηρος. La prima menzione di Omero a noi nota si trovava in Callino (fr. 6 W.): Pausania (9, 9, 5), parlando del poema Θηβαΐς, afferma che molti, fra cui Callino¹⁰⁰⁰, la attribuiscono a Omero. La fama e il prestigio di questo poeta erano, dunque, probabilmente già altissimi nel VII sec. In epoca arcaica e classica gli si attribuiva, oltre all’Il. e all’Od., anche molta altra poesia epica, ma col passare del tempo il corpus di opere a lui attribuito venne restringendosi¹⁰⁰¹ e Aristotele (Poet. 1459 b) gli attribuisce solo l’Il. e l’Od. Questo processo va spiegato con la preminenza che

 Fra i primi: Durante (1957), Thesleff (1985), West (1999); fra i secondi: Wilamowitz (1916) 356 sgg., Marx (1925), Schwartz (1940), Graziosi (2002) 51 sgg. Cfr. anche Bickel (1949) 61 sgg.  Cfr. soprattutto Durante (1957) e Thesleff (1985).  Cfr. Bechtel (1917) 532 (l’ipotesi risale ad A. Fick); Durante (1957).  Durante (1957) 110.  I mss. di Pausania hanno καλαῖνος: Καλλῖνος è una restituzione sicurissima di Sylburg (è evidentemente un errore da maiuscola).  Cfr. Christ (1885) 4 sgg.

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15 I poeti omerici, la storia e la datazione dell’Iliade e dell’Odissea

nel corso del tempo andarono acquisendo l’Il. e l’Od.: la superiorità estetica riconosciuta ai due poemi fece sì che il loro autore venisse identificato con il poeta per eccellenza e che a quest’ultimo non venissero più attribuiti gli altri poemi, ritenuti indegni di tanto poeta.

16 La leggenda (orfica?) di Pisistrato editore di Omero, la critica analitica nell’antichità e la fase attica della tradizione omerica Dal I sec. a. C. alla fine del XIX d. C. si è generalmente creduto che i poemi omerici siano stati messi insieme dal tiranno ateniese Pisistrato (VI sec. a. C.). Un passo sfortunatamente lacunoso di Diogene Laerzio (1, 57), cruciale per la storia del testo omerico, ci informa che Solone: τά τε Ὁμήρου ἐξ ὑποβολῆς γέγραφε ῥαψῳδεῖσθαι, οἷον ὅπου ὁ πρῶτος ἔληξεν, ἐκεῖθεν ἄρχεσθαι τὸν ἐχόμενον. μᾶλλον οὖν Σόλων Ὅμηρον ἐφώτισεν ἢ Πεισίστρατος 〈…〉, ὥς φησι Διευχίδας ἐν πέμπτῳ Μεγαρικῶν [485 F 6 Jacoby = fr. 6 Piccirilli]. ἦν δὲ μάλιστα τὰ ἔπη ταυτί· «οἳ δ᾽ ἄρ᾽ ᾿Aθήνας εἶχον» καὶ τὰ ἑξῆς.

Solone quindi dispose che i poemi omerici venissero recitati in modo che la trama risultasse continua e coerente. Come conseguenza di questo fatto (οὖν), secondo Diogene, Solone diede più fama (ἐφώτισεν) a Omero di quanta non gliene diede Pisistrato¹⁰⁰². Il testo dei manoscritti attribuisce quanto è stato detto finora (o almeno la frase immediatamente precedente) a Dieuchida, ma è chiaro che prima di ὥς φησι è caduto qualcosa: lo mostra la menzione degli ἔπη nella frase successiva, poiché è evidente che essi (o almeno qualcosa che a essi si riferisce) dovevano già essere menzionati prima, quindi nel segmento caduto. I vv. cui si riferisce l’ultima parte del passo sono B 546 sgg., cioè l’interpolazione attica del catalogo delle navi¹⁰⁰³; lo storico citato da Diogene è Dieuchida, uno storico megarese del IV secolo a. C., del quale purtroppo sappiamo pochissimo¹⁰⁰⁴. L’interesse che un Megarese poteva avere a questo passo è bien spiegabile ed è confermato da altre fonti: durante le contese con Megara per il

 ἐφώτισεν non è di immediata comprensione: normalmente il verbo ha significato concreto e si riferisce alla luce vera e propria. Per fortuna lo stesso Diogene in un altro passo usa il verbo in un modo del tutto analogo (4, 67): καὶ [Κλειτόμαχος] διεδέξατο τὸν Καρνεάδην καὶ τὰ αὐτοῦ μάλιστα διὰ τῶν συγγραμμάτων ἐφώτισεν. Clitomaco dunque ἐφώτισε τὰ Καρνεάδου; d’altra parte poco sopra Diogene ci ha informato che Carneade non aveva lasciato nulla di scritto (4, 65 φέρονται δὲ αὐτοῦ ἐπιστολαὶ πρὸς ᾿Aριαράθην τὸν Καππαδοκίας βασιλέα. τὰ δὲ λοιπὰ αὐτοῦ οἱ μαθηταὶ συνέγραψαν· αὐτὸς δὲ κατέλιπεν οὐδέν), dunque φωτίζω in questo passo non può significare «chiarire con un commento» (come interpretano erroneamente LSJ, Montanari), ma «rendere noto al pubblico», «dare fama». Lo stesso significato andrà dunque presupposto anche a 1, 57. Cfr. anche Polyb. 22, 5, 10; 30, 8, 1; Epict. Diss. 1, 4, 31.  Sulla quale cfr. nota 1034.  Su di lui cfr. Davison (1959); Piccirilli (1975) 13 sgg. https://doi.org/10.1515/9783110652963-016

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possesso di Salamina (VI sec. a. C.), gli Ateniesi si appellarono all’autorità di Omero (cioè proprio a B 546 sgg.) per mostrare il legame che esisteva ab antiquo fra l’Attica e Salamina; è naturale che i Megaresi, prima o poi, opponessero quello che anche la moderna filologia crede, cioè che quei vv. sono interpolati. Dal passo di Diogene Laerzio è lecito dedurre che Dieuchida affermasse che quei vv. sono un’interpolazione attica. Tutto questo è abbastanza chiaro, ma la lacuna nella tradizione di Diogene ci impedisce di sapere con certezza cosa Dieuchida dicesse circa il ruolo di Solone e Pisistrato. Sono state proposte varie integrazioni della lacuna¹⁰⁰⁵: 〈ὅσπερ συλλέξας τὰ Ὁμήρου ἐνεποίησέ τινα εἰς τὴν ᾿Aθηναίων χάριν〉 (Ritschl); 〈ἐκεῖνος γὰρ ἦν ὁ τὰ ἔπη εἰς τὸν κατάλογον ἐμποιήσας, καὶ οὐ Πεισίστρατος〉 (Leaf-Merkelbach); 〈ὃς ἔπη τινὰ ἐνέβαλεν εἰς τὴν ποίησιν αὐτοῦ〉 (Jacoby). Il supplemento di Leaf-Merkelbach attribuisce a Solone sia la legge sulle recitazioni sia l’interpolazione, mentre quelli di Ritschl e Jacoby attribuiscono l’interpolazione a Pisistrato (Ritschl attribuisce anche un’attività editoriale a Pisistrato). A me pare che l’integrazione più felice sia quella di Jacoby, la quale oppone a Solone, che diede fama a Omero facendone recitare in ordine i carmi, Pisistrato, il quale interpolò alcuni vv.: dall’integrazione di Leaf-Merkelbach¹⁰⁰⁶, invece, risulterebbe che è l’attività dell’interpolazione la quale dà fama (φωτίζει) a Omero, il che mi pare del tutto implausibile. Dunque Dieuchida diceva che Pisistrato aveva interpolato alcuni vv. in Omero. Quando affermava questo, egli si rifaceva a una tradizione diffusa, per lo meno nella Megara del suo tempo (Dieuchida era megarese): il suo concittadino un po’ più giovane Erea (fr. 486 F 1 J. = F1 Piccirilli) credeva che λ 631 fosse un verso interpolato in favore degli Ateniesi e attribuiva l’interpolazione a Pisistrato. Poiché non c’è nessuna ragione per cui Erea dovesse preferire Pisistrato a Solone quale interpolatore di Omero, è ragionevole supporre che nella Megara del IV secolo circolasse la fama che Pisistrato aveva interpolato i poemi omerici. Noi sappiamo da Aristotele (Rhet. 1375 b 29 – 30; cfr. anche Quint. 5, 11, 40) che gli Ateniesi avevano usato B 557– 558 come prova contro i Megaresi che Salamina apparteneva ad Atene: poiché la guerra per Salamina è riferita dallo stesso Aristotele a Solone e non a Pisistrato (Athen. resp. 17, 2; cfr. anche Plut. Sol. 10, 2), è ragionevole supporre che l’uso dei vv. del catalogo in chiave antimegarese venisse attribuito a Solone, non a Pisistrato. Per i Megaresi sarebbe stato dunque più vantaggioso accusare Solone, non Pisistrato, dell’interpolazione. Eppure di

 Le desumo da Dorandi (2013). Infelice per senso e stile è il supplemento di Marcovich 〈ἐμβολαῖς〉, poiché tale sostantivo è troppo generico per introdurre ἔπη.  Seguiti da Piccirilli (1975) 32 sgg.

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certo Erea, probabilmente anche Dieuchida, attribuivano a Pisistrato le interpolazioni: nella Megara del IV secolo, dunque, la fama di Pisistrato interpolatore di Omero era ben salda. Per quanto riguarda il coinvolgimento di Solone nella storia del testo omerico, non solo è del tutto improbabile che Dieuchida gli attribuisse un qualche ruolo nella faccenda, ma anche la notizia data da(lla fonte di) Diogene Laerzio, che cioè egli abbia disposto la recitazione continuativa dei poemi, è inattendibile¹⁰⁰⁷. Solone non ha dunque avuto alcun ruolo nella storia del testo omerico. Per quel che concerne Pisistrato, il problema va posto da due punti di vista, cioè quello che gli antichi pensavano in proposito e quello che noi ricaviamo dall’analisi dei dati letterari e storico archeologici. Una serie di testimonianze ci informa che Pisistrato fu una sorta di editore dei poemi omerici. Cicerone (De or. 3, 137) fa dire all’oratore Crasso che Pisistrato primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus e altre fonti, antiche e bizantine, ci informano di altre persone che avrebbero aiutato il tiranno nell’impresa¹⁰⁰⁸. Alcuni hanno prestato fede a questa tradizione¹⁰⁰⁹, altri no¹⁰¹⁰. Dal momento che dal passo di Diogene Laerzio, come abbiamo appena visto, non si deduce che Dieuchida attribuisse a Pisistrato un’attività di editore di Omero, la testimonianza più antica è quella di Cicerone. La più impressionante è però quella di Ios. Contra Apionem 1, 2: ὅλως δὲ παρὰ δὲ τοῖς Ἕλλησιν οὐδὲν ὁμολογουμένως (Merkelbach : -γούμενον libri) εὑρίσκεται γράμμα τῆς Ὁμήρου ποιήσεως πρεσβύτερον. Οὗτος δὲ καὶ τῶν Τρωϊκῶν ὕστερον φαίνεται γενόμενος· καί φασι οὐδὲ τοῦτον ἐν γράμμασι τὴν αὑτοῦ ποίησιν καταλιπεῖν, ἀλλὰ διαμνημονευομένην ἐκ τῶν ᾀσμάτων ὕστερον συντεθῆναι καὶ διὰ τοῦτο πολλὰς ἐν αὑτῆι σχεῖν τὰς διαφωνίας. Il passo fa pensare che gli  Cfr. da ultimo Leão – Rhodes (2015) 183. In passato si era creduto a un qualche coinvolgimento di Solone nella vicenda: cfr. Mommsen (1898) 61– 62, il quale suppone che Solone da vecchio aiutasse il giovane Pisistrato a organizzare le recitazioni rapsodiche; Breuer (1865) 7 sgg., che crede sia stato Solone, non Pisistrato o Ipparco, a introdurre le gare rapsodiche nelle Panatenee.  E. g. Pausan. 7, 26, 13 (ἡνίκα ἔπη τὰ Ὁμήρου διεσπασμένα τε καὶ 〈ἄλλα〉 ἀλλαχοῦ μνημονευόμενα ἤθροιζε [scil. Pisistrato]); i passi sono raccolti da Ferreri (2002) 21; sulla testimonianza di Giulio Africano cfr. anche Hammerstaedt (2009).  Prima di Wilamowitz (1884) questa era l’opinione quasi generale (Wilamowitz 1884, 264: «folglich ist die pisistratische sammlung, an die Bentley und Wolf, Hermann und Lachmann geglaubt haben, eine bare unmöglichkeit»); successivamente vi hanno aderito ancora Bethe (1922) 355 sgg., Page (1955) 144, Merkelbach (19692) 239 sgg., Mühlestein (1991), Catennacci (1993), Caroli (2011), Grossardt (2016) 198 – 199. Mühlestein e Catenacci cercano tracce concrete di interventi pisistratei nel testo della nostra Od.  Grote (1850) 514 sgg.; Lehrs (18823) 438 sgg.; Wilamowitz (1884) 235 – 266; Marzullo (1952) 4, nota 1; Davison (1955); Pfeiffer (1973) 48; Cassio (2002) 115 – 116; Graziosi (2002) 206 – 207. Per un elenco più completo e la storia della discussione cfr. Ritoók (1993).

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antichi fossero già arrivati a quello cui è arrivata la critica moderna a partire da Wolf, che cioè una fase puramente orale avesse preceduto la fase scritta e che le contraddizioni (διαφωνίαι¹⁰¹¹) della poesia omerica traggano origine da questo processo. È davvero così? Flavio Giuseppe o una sua fonte hanno ragionato in questo modo? La domanda ha un interesse che esula dalla questione omerica e ha conseguenze su tutta la critica letteraria antica. Io credo si possa escludere che la critica letteraria antica abbia precorso Wolf e Lachmann. Flavio Giuseppe non fa il nome di Pisistrato, ma è evidente che si riferisce alla tradizione per cui la poesia omerica passa da uno stato di disordine iniziale a uno di ordine grazie a un redattore e, poiché tutte le fonti antiche attribuiscono questa redazione a Pisistrato, è lecito dedurne che anch’egli pensasse a Pisistrato. Come si è formata la convinzione, che in età imperiale e bizantina è generale, che Pisistrato sia stato l’editore di Omero? Alcuni, partendo da Flavio Giuseppe, hanno supposto che la critica antica avesse precorso la critica analitica moderna¹⁰¹², altri hanno supposto che la teoria della redazione pisistratica sia nata all’interno della scuola di Pergamo e che essa servisse ai critici pergameni per screditare il lavoro degli Alessandrini, in quanto l’intervento di un redattore avrebbe mostrato la vanità dei loro sforzi di ricostruire il testo originale di Omero ovvero le rapsodie sparse avrebbero screditato le idee unitarie di Aristarco¹⁰¹³. Entrambe le teorie presentano gravissime difficoltà. Il dibattito critico degli antichi su Omero ci è, nelle sue linee fondamentali, noto. Se si esclude la luminosa eccezione dei χωρίζοντες Senone ed Ellanico, del tutto isolati e dei quali sappiamo pochissimo¹⁰¹⁴, nell’antichità non si arrivò nemmeno a rendersi conto che l’Il. e l’Od. non potevano essere opera dello stesso poeta. Che in questo clima si arrivasse a dedurre che le contraddizioni interne ai due poemi erano dovute a una pluralità di poeti¹⁰¹⁵ e all’attività di un redattore che aveva messo insieme materiali eterogenei (fosse Pisistrato o un’altra persona), è di per sé poco probabile. Ben prima dell’età ellenistica e della filologia di Zenodoto e successori, in Grecia si era sviluppata una letteratura intorno alle difficoltà presenti nei poemi omerici: da un lato venivano osservate tali difficoltà (ἐνστάσεις), dall’altro si cercava di risolverle (λύσεις). Noi siamo abbastanza informati su queste discussioni, soprattutto grazie al cap. 25

 Sull’interpretazionoe di questo termine cfr. Ritoók (1989) 145, nota 37: in questo lavoro anche una sintesi delle «discrepanze» che gli antichi incontravano nella poesia epica.  Così Kohl (1921), seguito da Merkelbach (19692) 260 – 261 e, parzialmente, da Montanari (1995).  Così Flach (1885), West (1983) 249 – 251, Ferreri (2002) 46 – 47.  I frammenti in Montanari (1988).  Come suppone Kohl (1917) 74– 132.

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della Poet. aristotelica e a quanto ci è pervenuto delle Quaest. Hom. di Porfirio. Questi testi dimostrano nella maniera più chiara che è antistorico attribuire alla critica antica la deduzione di un’opera redazionale dalle contraddizioni interne ai poemi (cioè ciò che facciamo noi analitici moderni). Aristotele (Probl. Hom. fr. 366 Gigon) si chiede perché Agamennone decida di mettere alla prova l’esercito (B 139 sgg.), con il pericolo di causare un disastro. In altre parole, agli antichi era già saltato agli occhi la stessa cosa che osserva tutta la moderna critica analitica, cioè che la διάπειρα non è ben motivata. Aristotele cerca di risolvere l’aporia osservando che è tipico dei poeti creare situazioni di pericolo; nessun accenno alla possibilità che sia stato un intervento redazionale o una pluralità di autori a creare la confusione. In Probl. Hom. (fr. 377 G.) ci si chiede perché in E 741 si dice che la Γοργείη κεφαλή è sull’egida di Atena, mentre in λ 634 essa si trova presso Persefone. Aristotele risolve il problema osservando che in E non si tratta della testa vera e propria della Gorgone, ma del πάθος τὸ ἐκ τῆς Γοργόνος γιγνόμενον τοῖς ἐνορῶσιν. Anche qui nessun accenno alla possibilità che si abbia a che fare con autori diversi. In Probl. Hom. (fr. 391 G.) Aristotele osserva che Achille in Ω 507 sgg. è mite e benevolo verso Priamo, mentre in Ω 559 sgg. diviene più aggressivo verso il vecchio; il fr. ci informa che si è tentato di risolvere la difficoltà osservando che Achille vuole evitare che Priamo faccia un θρῆνος su Ettore, mentre non si accenna alla possibilità di interventi redazionali o diversità di autori. In K 316 leggiamo che Dolone εἶδος μὲν ἔην κακός, ἀλλὰ ποδώκης. Creava problemi il fatto che qualcuno potesse essere contemporaneamente caratterizzato negativamente per quel che riguarda l’εἶδος e invece positivamente per la capacità di correre. Aristotele (Poet. 1461 a 12– 14) cita un uso linguistico cretese per mostrare che εἶδος può ben riferirsi solo al πρόσωπον, sicché una persona può essere contemporaneamente κακὸς εἶδος e valoroso nei piedi. È istruttivo che Aristotele risolva la difficoltà in questo modo: che K sia un Einzellied se ne accorsero anche gli antichi a un certo punto (cfr. lo scolio T a Κ 0 b Erbse) e, se Aristotele non avesse ragionato in un’ ottica rigidamente unitaria, avrebbe potuto supporre che K sia opera di un poeta cretese. In Γ 236 – 242 Elena si meraviglia di non vedere nell’esercito greco i suoi fratelli Castore e Polluce. Già gli antichi avevano osservato quanto fosse inverosimile che Elena nel decimo anno di guerra non sapesse ancora se i suoi fratelli erano andati a Troia o meno. Ci sono note due λύσεις del IV sec.: Aristotele (fr. 371 G.) ipotizza che forse Paride impediva a Elena di parlare coi prigionieri greci, sicché ella non riusciva a ottenere informazioni sull’esercito greco. Eraclide Pontico cerca di risolvere l’aporia (fr. 171 W.) osservando che l’esercito greco non è rimasto per tutti e nove gli anni davanti alle mura di Troia. L’episodio di Γ da cui nasce l’aporia (la τειχοσκοπία) si presta benissimo a essere interpretato come un Einzellied e, se davvero nel IV sec. fosse esistita una Lie-

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dertheorie, sarebbe stato facile ipotizzare che la τειχοσκοπία non era originariamente legata a B 295, l’unico passo del poema che pone esplicitamente l’azione dell’Il. nell’ultimo anno di guerra. Nei frr. di Aristotele ed Eraclide non vi è alcun accenno a tale possibilità. In B 649 si dice che Creta aveva 100 città, mentre in τ 173 – 174 si parla di 90 città. Questa vistosa contraddizione non era sfuggita agli antichi e si erano proposte varie soluzioni: Aristotele (fr. 370 G.) osserva che nei due passi non è la stessa persona a parlare, Eraclide Pontico (fr. 171 W.) osserva che l’Il. si svolge prima dell’Od. e che Creta nel frattempo ha subito devastazioni, sicché il numero delle città poteva essere diminuito, Eforo (F 176 J.) suppone che le dieci città in più siano state fondate successivamente al periodo cui si riferisce τ 173 – 174. Anche qui nessun accenno alla possibilità che si abbia a che fare con due poeti diversi. Nello Hipp. min. di Platone Socrate si oppone alla tesi di Ippia, secondo cui nell’Il. Odisseo viene rappresentato come mendace e Achille come sincero. A dimostrazione di questa tesi, Socrate cita (370 b–d) i vv. in cui Achille, durante la πρεσβεία, promette di ripartire per la Grecia il giorno successivo (Ι 357– 363) e i vv. con cui lo stesso Achille minaccia di tornarsene in Grecia durante la lite con Agamennone (A 169 – 171): in nessuno dei due casi, osserva Socrate, Achille fa quanto ha annunciato. Ippia risponde a Socrate che Achille in questi due casi non mente ἐξ ἐπιβουλῆς (come invece suole fare Odisseo), ma che egli è costretto successivamente a rimanere a Troia per la situazione difficile in cui si trovano i Greci. Che la πρεσβεία possa essere un Einzellied è abbastanza evidente e, se al tempo di Platone si fosse ragionato in termini analitici, si sarebbe potuto spiegare la contraddizione ipotizzando che fra I 357– 363 e l’inizio del giorno successivo (Λ 1) c’è cambio di autore o che un intervento redazionale ha cambiato le cose, ma in Platone non c’è il minimo accenno a tale possibilità. È sintomatico quanto leggiamo alla fine della sezione della Poet. dedicata a una serie di aporie quasi totalmente omeriche (Poet. 1461 a 35 sgg.): κατὰ τὴν ἀντικρὺ ἢ ὡς Γλαύκων λέγει, ὅτι ἔνιοι ἀλόγως προϋπολαμβάνουσί τι καὶ αὐτοὶ καταψηφισάμενοι συλλογίζονται, καὶ ὡς εἰρηκότος ὅ τι δοκεῖ ἐπιτιμῶσιν, ἂν ὑπεναντίον ᾖ τῇ αὑτῶν οἰήσει. La discussione verte sempre attorno all’unico poeta, autore e unico responsabile di ciò che si legge in entrambi i poemi (cfr. εἰρηκότος): per più poeti o interventi redazionali non c’è spazio¹⁰¹⁶.

 L’onore di aver almeno supposto che Il. e Od. non sono opera dello stesso poeta spetta dunque unicamente ai χωρίζοντες Senone ed Ellanico (cfr. Procl. Vita Hom. 73 – 76 Sev. = Hellanicus fr. 2 Montanari) e i tentativi di Kohl (1917, 1921) di rintracciare tendenze analitiche nei periodi precedenti all’età ellenistica sono errati. Alla luce di questo va anche respinta l’idea di Kohl (e non solo sua) di identificare Ellanico con il logografo: quel poco di analisi che si è fatto nell’antichità è probabile che vada ricondotto alla scuola alessandrina e, quindi, è meglio

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Delle discussioni testuali degli Alessandrini possediamo ampia documentazione negli scoli omerici; eppure anche lì non c’è traccia di Pisistrato né si ricorre all’ipotesi di un intervento redazionale¹⁰¹⁷. Contro questi argomenti non vale osservare che noi abbiamo troppo poco della letteratura omerica antica per fare deduzioni ex silentio: l’ipotesi di un Bearbeiter è di tale portata che, una volta che la si proponga e la si creda possibile, è destinata a entrare in gioco in continuazione. L’ipotesi della redazione pisistratea non è dunque nata all’interno del dibattito critico sui poemi. L’idea di Giuseppe (Contra Ap. 1, 2), da cui è partita la nostra analisi, va spiegata all’interno delle discussioni sull’origine della scrittura e, più in generale, della civiltà¹⁰¹⁸ e non ha quindi nulla a che fare con tradizioni esegetiche di tipo «analitico». Anche l’ipotesi che la redazione pisistratea sia nata nella scuola pergamena mi pare poco probabile. Il fatto che essa, forse, comparisse nell’opera di Asclepiade di Mirlea (cfr. infra), che interpreta Omero con metodo pergameno, non dimostra nulla, tanto più che noi non sappiamo cosa Asclepiade dicesse a questo proposito¹⁰¹⁹. Possediamo un bel po’ di frammenti di Cratete, qualcuno anche dei suoi discepoli¹⁰²⁰, ma nulla in essi fa pensare all’ipotesi di un redattore della poesia omerica. Lo stesso può dirsi anche circa le Quaest. Hom. di un certo Eraclito, un autore del I sec. d. C., fortemente influenzato dalla scuola pergamena. I Pergameni si distinguono dagli Alessandrini, per quanto riguarda le interpretazioni omeriche, essenzialmente perché essi propongono interpretazioni allegoriche. Il metodo allegorico li porta a credere che tutto nei poemi

identificare (come fa anche Montanari 1988) Ellanico con l’allievo di Agatocle, che a sua volta era stato allievo di Zenodoto. Pare che Senone fosse un po’ più anziano di Ellanico e che Aristarco abbia polemizzato contro di lui (cfr. Montanari 1988, 119 – 120). Su Aristarco e i χωρίζοντες brevissime, ma assai efficaci e condivisibili considerazioni in Wilamowitz (1884) 261.  Cfr. Naber (1876) 154– 155; Ludwich (1903) 1504.  Cfr. Ritoók (1989).  I frr. omerici di Asclepiade sono raccolti dalla Pagani (2007). Una prova forte a favore dell’origine pergamena di questa tradizione sarebbe se davvero nel II Anon. Crameri (edito in Koster 1975, 44, 25) fosse citato il nome del bibliotecario pergameno Atenodoro Cordilione (come crede West, 1983, 251, che alla nota 47 propone addirittura una ricostruzione testuale per inserire il nome del personaggio in modo plausibile nel contesto; contra Janko 1986, 158). In realtà il fatto che il solo Paris. 2677 (di piena età umanistica!) tramandi questo nome (peraltro nell’interlinea), mentre negli altri mss. dell’Anon. Crameri e nei Prolegomena di Tzetzes (33, 25 sgg. Koster) non c’è traccia del nome, mostra che hanno perfettamente ragione Hase, Kaibel e Koster a pensare che si tratti di una congettura, dotta ma del tutto implausibile, per rimediare all’insensato Ἐπικογκύλῳ. Informa bene sulla questione Ferreri (2002) 23, nota 63, ma concede troppo alla possibilità che Atenodoro Cordilione abbia davvero qualcosa a che fare con questa vicenda.  Raccolti rispettivamente in Broggiato (2001) e Broggiato (2014).

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omerici funzioni perfettamente; la loro tendenza è spiegare qualsiasi difficoltà con significati reconditi: come questo potesse essere conciliabile con la supposizione di una rielaborazione redazionale dei poemi, non riesco a vedere. Il problema del duale in Ι 168 Cratete lo risolveva supponendo il dualis pro plurali (fr. 9 B.). Anche la supposta contraddizione fra θ 18 – 23 e θ 186 sgg. (nel primo passo si allude a più agoni che Odisseo dovrà sostenere fra i Feaci, nel secondo si parla di uno solo) viene da Cratete spiegata (fr. 45 B.) con l’ipotesi che il primo passo alluda a tutti gli agoni che Odisseo affronterà nel seguito dell’Od. Altre spiegazioni conciliatorie si trovano nei frr. 10, 56, 61; l’idea di Cratete è sempre la stessa: Omero ha disposto tutto nella maniera più coerente possibile. Dal fr. 20 ricaviamo che Cratete (a differenza di Aristarco) accoglieva nel suo testo un v. (Ξ 246 a) che è forse di origine orfica: se davvero Cratete avesse creduto a una serie di poeti orfici quali redattori finali dell’Il. ¹⁰²¹, avrebbe dovuto essere sospettosissimo su tutto quello che in Omero aveva sapore orfico. Anche circa Erodico, un critico di scuola pergamena, si possono fare considerazioni analoghe: a proposito di Χ 385 sgg., il passo in cui Achille improvvisamente decide di tornare al campo greco anziché proseguire l’attacco contro Troia, Erodico (fr. 4 B.) pensa si tratti della paura che Achille ha di morire, se continua a combattere. Abbiamo visto come questo passo sia stato messo in relazione con un problema redazionale¹⁰²²; naturalmente, non ci si può aspettare che la critica antica precorra l’analisi moderna, ma il fatto che in nessun luogo i Pergameni ricorrano all’ipotesi di un intervento redazionale mostra che tale ipotesi era loro estranea. L’origine della leggenda di Pisistrato editore di Omero va cercata altrove: né una fantomatica Liedertheorie antica né la scuola pergamena possono averla escogitata. Asclepiade di Mirlea, nel I secolo a. C., sapeva di un poeta Orfeo di Crotone attivo alla corte di Pisistrato (FrGrH 697 F 9 J.). Questa notizia va probabilmente collegata con quanto narrano Tzetzes e il II Anon. Crameri ¹⁰²³, che cioè Orfeo di Crotone, Zopiro di Eraclea e Onomacrito di Atene (oltre a un quarto poeta, il cui nome ci è tramandato in forma corrotta, cfr. nota 1019) raccolsero insieme i poemi omerici per ordine di Pisistrato. Anche Pausania (7, 26, 13) sa di persone che aiutarono Pisistrato nell’edizione omerica. È molto probabile che già in origine il racconto dell’edizione pisistratea comprendesse i quattro poeti quali aiutanti di Pisistrato: sebbene le nostre fonti siano bizantine, mi pare pressoché certo che esse risalgano all’antichità, anche perché i nomi dei poeti in

 La tradizione della redazione pisistratea è legata all’intervento di poeti orfici, come subito vedremo.  Cfr. p. 186.  Editi in Koster (1975) 33, 27 sqq. e 43 – 44.

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questione non erano familiari ai Bizantini¹⁰²⁴ ed è davvero probabile che la fonte ultima di Tzetzes e del II Anon. Crameri sia Asclepiade di Mirlea¹⁰²⁵. Orbene, i nomi dei tre poeti in questione si legano tutti alla tradizione orfica¹⁰²⁶. Questo non può essere casuale; è evidente che, se la notizia circa la redazione pisistratea di Omero recava fin dalla sua origine i nomi di quei poeti, essa deve avere qualcosa a che fare con la poesia orfica. Dato che quest’ultima, ben più di quella omerica, ha subito continue interpolazioni e revisioni, viene abbastanza naturale sospettare che ai poeti in questione fosse stata attribuita un’edizione di Orfeo, oltre che di Omero¹⁰²⁷. Una delle tappe decisive nella storia della poesia orfica antica fu la composizione della cosiddetta Teogonia rapsodica: da essa hanno attinto per lo più i Neoplatonici, che sono la nostra fonte più ampia (accanto al Papiro di Derveni) per ricostruire l’epica orfica perduta. La Teogonia rapsodica era divisa in 24 rapsodie, il che indica che essa voleva mostrare un qualche legame con Omero. Purtroppo, non siamo bene informati su quando tale Teogonia sia stata messa insieme; se davvero è stata composta verso il 100 a. C.¹⁰²⁸, è probabile che la sua composizione si leghi in qualche modo alla storia dell’edizione pisistratea di Omero: il fatto che quest’ultima venga attribuita a poeti orfici dell’età classica (di cui uno, Onomacrito, era notoriamente legato a Pisistrato¹⁰²⁹), che la Teogonia rapsodica sia divisa nello stesso numero di rapsodie dei poemi omerici e che sia stata composta poco prima che le fonti comincino a parlare di Pisistrato editore di Omero¹⁰³⁰ sono difficilmente coincidenze. Si potrebbe supporre che sia accaduto qualcosa di questo genere: chi ha messo insieme la Teogonia rapsodica voleva far credere che essa era antica e ne ha attribuito la redazione a Onomacrito, Zopiro, Orfeo, affermando che essi avevano lavorato alla corte di Pisistrato (cui si legava il nome di Onomacrito). Dato che la Teogonia era in 24 canti, ha inventato che anche i 24 canti in cui sono

 È invece un’invenzione bizantina la partecipazione di Zenodoto e Aristarco alla commissione pisistratea, che si incontra in alcune fonti bizantine, cfr. Ferreri (2002) 24– 27.  Così Kaibel (1898) 26; cfr. anche Adler (1914) 46.  Per Zopiro cfr. Suid. s. v. Ὀρφεύς (o 654 A.), Clem. Strom. 1, 131, 3; per Onomacrito, cfr. Clem. Strom. 1, 131, 1; Orfeo di Crotone è stato probabilmente inventato per attribuirgli qualcosa che risultava difficile attribuire all’Orfeo più famoso, cfr. West (1983) 250, nota 41.  Come giustamente ipotizza West (1983) 250.  Come pensano Susemihl (1890) 823, West (1983) 227– 258.  Cfr. Herodotus 7, 6; Clem. Strom. 1, 131, 1.  La prima nostra fonte è Cicerone De or. 3, 137, scritto nel 55 a. C. Düntzer (1872) 17– 18 pensava che la fonte di Cicerone fosse Dicearco, ma essa è di certo ben più recente.

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divisi i poemi omerici erano dovuti alla divisione fatta alla corte di Pisistrato¹⁰³¹, attribuendo così ai poeti in questione anche l’edizione dei poemi omerici. Questa è solo un’ipotesi, ma pressoché certo mi pare che la storia dell’edizione pisistratea di Omero sia nata in ambiente orfico, verso la fine dell’età ellenistica. Questo spiega la totale mancanza di legami fra questa leggenda e la tradizione grammaticale. Dal I sec. a. C. in poi diviene convinzione generale che Pisistrato abbia messo insieme Omero¹⁰³². Proprio alla luce di questa convinzione generale si spiega quanto dice Diogene Laerzio, il quale attribuisce alle gare rapsodiche organizzate da Solone il merito di aver dato fama a Omero, cui oppone le interpolazioni fatte da Pisistrato (di cui egli trova documentazione in Dieuchida). Diogene polemizza cioè contro l’opinione corrente, che attribuisce a Pisistrato un ruolo chiave nella tradizione omerica; il ruolo chiave, secondo Diogene, spetta a Solone, mentre Pisistrato ha solo interpolato qualche v. **** Il risultato della nostra indagine è che dalle fonti letterarie non risulta che Pisistrato sia stato il raccoglitorie e l’editore dei poemi omerici. Tuttavia, che il testo omerico abbia vissuto una fase ateniese pare certo. L’indizio più noto ed evidente si trova nello Schiffskatalog, ove tutta la sezione su Atene e Salamina è rielaborata in senso filoateniese (Β 546 – 558)¹⁰³³: poiché la tradizione presenta concordemente il testo filoateniese, dobbiamo dedurne che alla base di essa vi sia un testo attico. È certo che tale testo era già l’unico in circolazione al tempo di Dieuchida, ma probabilmente anche molto prima¹⁰³⁴; già in età classica il testo omerico era fissato e non presentava più varianti redazionali di grande significato¹⁰³⁵. Gli stessi Megaresi, che avevano capito che i vv. su Salamina di Β

 Esistono altri casi in culture diverse dalla greca in cui si attribuisce a un personaggio illustre del passato l’avere messo insieme opere letterarie: cfr. Nagy (1992) 45 sgg; Grossardt (2016) 199 sgg.  I passi sono raccolti da Ferreri (2002).  Gli argomenti che mostrano la rielaborazione ateniese sono riassunti da West ad Β 547– 51, 558. Il Γυναικῶν κατάλογος (Hes. fr. 204 M.-W.) conosceva già Β nella versione filoateniese che leggiamo noi, cfr. Cingano (1990); Wehr (2015) 110 sgg.  Cfr. Cassio (2002) 115, che pensa che già verso il 560, quando gli Ateniesi usarono la testimonianza dello Schiffskatalog contro i Megaresi, il testo omerico fosse fissato. Cassio ha senza dubbio ragione.  Anche la famosa tesi di Page (1959), secondo cui Tucidide avrebbe letto un’Il. priva dei vv. che descrivono la fortificazione del campo greco (Η 327– 434), fu presto confutata da Tsagarakis (1969) e West (1969); cfr. anche Kloss (2001). Abbiamo visto come δ 246– 248 contenga un pezzo della Ἰλιὰς μικρά interpolato nell’Od. (cfr. p. 372 sgg.): sembra che l’autore del Rhesus ps.-

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sono un’interpolazione ateniese, non conoscevano alcuna versione alternativa. Se essa fosse ancora esistita al tempo di Dieuchida, di sicuro la tradizione ne serverebbe qualche traccia¹⁰³⁶. C’è un altro indizio molto forte che il nostro testo omerico ha vissuto una fase attica. Per poterlo comprendere è necessario tenere presente l’alfabeto con cui vennero scritti i poemi nei primi secoli della loro circolazione. All’inizio il testo omerico venne scritto in una maniera molto più rozza e approssimativa di quella in cui siamo abituati a leggerlo noi. Le ambiguità di tale scrittura hanno causato alcuni fraintendimenti quando il testo è stato trascritto in forme più moderne (μεταχαρακτηρισμός) e di tali fraintendimenti è rimasta traccia nella nostra tradizione¹⁰³⁷. Alcuni errori sembrano derivare dall’abitudine di scrivere una sola lettera al posto della doppia. Il genitivo singolare della declinazione tematica in ε / ο (per es. λύκος, ἄνθρωπος) in greco esce in –οο ovvero in –οιο. La prima forma ha subito vari mutamenti fonetici nei vari dialetti. Nei poemi omerici la tradizione manoscritta medioevale, così come quella papiracea e le citazioni antiche, non presentano mai –οο, ma –ου, cioè l’esito della contrazione ionico-attica. Da un punto di vista prosodico –οο e –ου non sono equivalenti, poiché il primo è un

euripideo leggesse il testo già interpolato che leggiamo noi, cfr. Fantuzzi (1996) 184– 185. Su questi problemi orientano bene Ludwich (1898), Labarbe (1952) e da ultimo Sanz Morales (2001) 49: «La conclusión de conjunto que puede extraerse es que Platón y Aristóteles se hacen eco de un texto que contenía variantes, si bien éstas no eran de gran importancia, es decir, no afectaban a partes extensas del texto ni modificaban en cuestiones sustanciales los poemas homéricos tal y como los conocemos a través de la vulgata. En general se trata de devergencias verbales».  Strabone (9, 1, 10), che deriva da Apollodoro di Atene, narra che i Megaresi all’interpolazione ateniese di B 557– 558 risposero in maniera parodica (ἀντιπαρῳδῆσαι) con questi due vv.: Αἴας δ᾽ ἐκ Σαλαμῖνος ἄγεν νέας, ἔκ τε Πολίχνης / ἔκ τ᾽ Αἰγειρούσσης Νισαίης τε Τριπόδων τε. È evidente che questi vv. sono stati creati partendo da B 557– 558 e non possono rappresentare una tradizione testuale indipendente da quella vulgata: non solo Strabone dice esplicitamente questo, ma il fatto che si tratti dello stesso numero di vv. (due) del passo iliadico canonico cui ci si vuole opporre non consente nessuna altra interpretazione (cfr. Wilamowitz 1884, 243; contra Ferreri 2002, 13 – 14, ma senza argomenti validi).  Nella discussione che segue vengono citati nomi di filologi che hanno proposto emendamenti al testo omerico: essi si trovano indicati negli apparati delle edd. di West (Il., Od.), Von der Mühll (Od.), Ludwich (Il., Od.). Non aiuta in nulla l’ed. di van Thiel. In generale, dai tempi di Payne-Knight e di Ahrens ci sono due tendenze fondamentali fra gli editori del testo omerico, gli uni (Payne-Knight, Bekker, Nauck, La Roche, Fick, Christ, van Leeuwen, Von der Mühll, West) cercano di restaurare le forme linguistiche originarie, gli altri si accontentano della vulgata (Ludwich, Allen, van Thiel). È forse superfluo dire che questo secondo modo di procedere non merita il nome di «critico».

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pirrichio, il secondo un longum. Ci sono ottime ragioni per credere che alcuni passi del nostro testo presuppongano la forma non contratta –οο (sebbene la tradizione abbia –ου). κ 36: δῶρα παρ᾽ Αἰόλοο μεγαλήτορος Ἱπποτάδαο; κ 60: βῆν εἰς Αἰόλοο κλυτὰ δώματα· τὸν δ᾽ ἐκίχανον. In entrambi i passi la forma Αἰόλοο è stata introdotta per congettura da Payne-Knight e Αhrens, in luogo di Αἰόλου dei mss. Il testo tràdito presuppone un allungamento di –ο– molto difficile, mentre l’allungamento di –ο in corrispondenza della cesura pentemimere non pone alcun problema¹⁰³⁸. È probabile che l’errore nasca dall’ambigua scrittura ΑΙΟΛΟ. B 518: υἱέες Ἰφίτοο μεγαθύμου Ναυβολίδαο: anche qui Ἰφίτοο è congettura (PayneKnight), ove un papiro (104¹⁰³⁹, s. I p. C.) e la tradizione medioevale hanno Ἰφίτου. Il secondo ι di Ἴφιτος è etimologicamente breve e allungarlo comporta problemi, mentre l’allungamento di –ο in corrispondenza della pentemimere ci è già noto. In Ε 21 la tradizione antica e medioevale ha οὐδ᾽ ἔτλη περιβῆναι ἀδελφειοῦ κταμένοιο. Si è congetturato ἀδελφεόο (Payne-Knight, Ahrens) e, se immaginiamo il termine scritto ΑΔΕΛΦΕΟ, comprendiamo che uno scriba aveva difficoltà a capire la metrica del verso. È stato quindi introdotto il consueto genitivo –ου e al posto di –ε– si è inserito –ει–, che rappresenta spesso ε lungo davanti ο / ω. A conferma della bontà della congettura, si osservi che altrove incontriamo sempre ἀδελφεός ⏑ – ⏑ ⏑ (Β 409, Β 586, Z 515, Η 2, Θ 318, Κ 32, Ν 695, Ο 187, Ο 334, Ψ 608, Ω 736, δ 91, δ 199, δ 225, δ 512), cioè mai forme allungate di ‐φε-, come invece presupposto dalla nostra tradizione. Casi del tutto analoghi si trovano a Z 61, H 120, N 788. O 554: in fine di esametro la tradizione ha ἀνεψιοῦ κταμένοιο, al posto del quale Payne-Knight e Ahrens hanno congetturato ἀνεψιόο κταμένοιο. Altrove ἀνεψιός è scandito ⏑ – ⏑ ⏑ (Ι 464, K 519, O 422, Π 573), il che conferma la congettura. Una cosa del genere è accaduta anche al genitivo di Ἴλιος, che in alcuni passi è tramandato come Ἰλίου, che nasconde evidentemente Ἰλίοο (Φ 104; Χ 6); cfr. anche Χ 313. Β 325, α 70: la tradizione offre ὅου come genitivo singolare maschile del pronome relativo ὅς: si tratta di un monstrum (la forma originaria era ὅο, che in ionico-attico contrae in οὗ), e bene ha fatto Buttmann a restaurare la forma non contratta ὅο. La corruzione mostra quali problemi creasse il genitivo singolare non contratto –οο. Ι 440, Ν 358, N 635, Ο 670, Σ 242, Φ 294, σ 264, ω 543: alla fine dell’esametro la tradizione presenta ὁμοιΐου πτολέμοιο, che Payne-Knight e Ahrens correggono ragionevolmente in ὁμοιΐοο πτολέμοιο, sicché ὁμοίϊος abbia la normale valenza prosodica ⏑ – ⏑ ⏑ (cfr. Δ 315, Δ 444, γ 236).

 Cfr. Martinelli (1995) 64.  I papiri sono citati secondo il numero che essi hanno nelle edizioni di West.

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In tutti questi casi sembra sia stata la grafia ο in luogo di οο a causare i fraintendimenti. In altri casi sembra sia stata l’abitudine a scrivere i falsi dittonghi (risultanti da contrazioni) con una sola lettera (anziché con due, come divenne abituale successivamente e come ancora si usa) a creare confusione. Le forme con aumento sillabico di ἕλκειν dovrebbero presentare la forma εἷλ-, che è risultato di contrazione e quindi veniva probabilmente scritta (H)ΕΛ- (H iniziale, segno di aspirazione, non era ovviamente presente nei dialetti psilotici). La nostra tradizione presenta quasi sempre le forme ἕλ- (cfr. e. g.: Α 194; Γ 370; Δ 122; Δ 465; Θ 72; K 15; Λ 239; Λ 258; Μ 398; Ξ 477; Π 406; Π 504; Ρ 126; Σ 537; Σ 581; Χ 77; Χ 212; Χ 465; β 426; ο 291), ma altrove si incontra (almeno in una parte della tradizione) la forma εἷλ- (cfr. e. g. Γ 370; Δ 122; N 383; Ρ 289; Σ 537; γ 153) e quest’ultima va senza dubbio restaurata anche dove essa non è tràdita¹⁰⁴⁰. η 107: καιρουσσέων δ᾽ ὀθονέων ἀπολείβεται ὑγρὸν ἔλαιον. La tradizione ha καιροσέων (Aristarco, Apollonio Sofista, Z e i mss. medioevali) ovvero καιροσσέων (Esichio, Etym. magnum, P); la forma καιρουσσέων fu restaurata da Bergk ed è molto probabile che all’origine della confusione ci sia ΚΑΙΡΟΣ- Spinoso è il problema di κρείσσων e μείζων: la tradizione offre quasi sempre unanimemente queste forme, ma esse sono attiche (la forma non attica è κρέσσων, μέζων); d’altra parte, ‐ει- è qui un falso dittongo e veniva quindi scritto E. Poiché nel nostro testo sono presenti atticismi di varia natura (cfr. infra), si può immaginare sia che alcuni aedi usassero già le forme in ‐ει-, sia che esse siano trascrizioni errate di ‐ε-. I passi fin qui raccolti testimoniano il passaggio da un alfabeto che non indicava le doppie e che indicava i falsi dittonghi con una sola lettera a uno più moderno¹⁰⁴¹. Questo passaggio è avvenuto prima o poi in tutta la Grecia e dunque non ci indica un’area geografica precisa. Il nostro testo risente, probabilmente, dell’influsso anche di un altro ματαχακτηρισμός, quello cioè dall’alfabeto attico all’alfabeto ionico. Questo punto si lega al problema di più vasta portata della fase attica dell’epica omerica. Per giudicare questo complesso argomento, bisogna considerare tre cose: le interpolazioni attiche (1); gli atticismi linguistici (2); le tracce del μεταχαρακτηρισμός dall’attico (3). A (1) abbiamo più volte accennato¹⁰⁴². Per quanto riguarda (2), che a volte è difficile distinguere da (3), sembra che nel nostro testo omerico vi siano alcuni tratti linguistici attici,

 Cfr. van Leeuwen (1894) 328 sgg.; West Praef. in Odyss. XX crede che il restauro sia legittimo nell’Il., non nell’Od..  Altri casi analoghi a quelli discussi sono forse: Ο 730; Υ 234; Χ 36 ; Ψ 72; α 241; η 163: cfr. l’apparato di West.  Cfr. p. 39 nota 80, 74, 406 nota 1033.

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ma va escluso che poeti attici abbiano composto parti dell’Il. e dell’Od., poiché gli atticismi sono complessivamente pochi¹⁰⁴³. La nostra tradizione offre sempre δέχομαι, mentre tutti i dialetti all’infuori dell’attico hanno δέκομαι¹⁰⁴⁴: si tratta di un evidente atticismo, sia esso di natura meramente grafica o rifletta l’uso degli aedi. L’accusativo plurale di πολύς nella nostra tradizione occorre spesso come πολεῖς (N 734; O 66; Υ 313; Φ 59; Φ 131), che è molto probabilmente un atticismo (la forma metricamente equivalente precedente era πολύς¹⁰⁴⁵). Per il numerale «quattro» la nostra tradizione ha molto spesso la forma τέσσαρες, che è un atticismo¹⁰⁴⁶; si può senza problemi restituire ovunque lo ionico τέσσερες, ma è innegabile che siamo davanti a un altro atticismo della tradizione. Un discorso del tutto analogo si può fare circa il numerale «mille», che la tradizione offre quasi sempre nella forma attica χίλιοι, che può essere ovunque mutata nello ionico χείλιοι¹⁰⁴⁷. L’imperfetto di εἶμι si coniuga in attico come un piuccheperfetto (ἤιειν ecc.). Nei poemi omerici ci sono tre attestazioni di queste forme (K 286; N 247; θ 290): in teoria si potrebbe sostituirle con la forma consueta epica ἦιεν, ma può ben darsi si tratti di un tratto attico della lingua aedica. Il participio presente di εἰμί si presenta di solito con la forma ἐών, ma in tre passi odissiaci (η 94; τ 230; τ 489) troviamo l’attico ὤν e non pare raccomandabile correggerlo tutte e tre le volte. La nostra tradizione presenta più volte la forma –εις per gli accusativi plurali dei sostantivi atematici in ‐ι- (cfr. per es. M 258 ἐπάλξεις; I 328 πόλεις): si tratta anche in questo caso di atticismi, che possono essere eliminati introducendo le forme in –ις, ma che testimoniano che la nostra tradizione è passata per l’Attica¹⁰⁴⁸. Φ 122, σ 105 e υ 262 presentano ἐνταυθοῖ, che è probabilmente attico e anche Ἑωσφόρος (Ψ 226) è forse atticismo¹⁰⁴⁹. Accanto a questi atticismi linguistici, alcuni errori da μεταχακτηρισμός sembrano riconducibili al passaggio dall’alfabeto attico a quello ionico¹⁰⁵⁰.

 Cfr. Wilamowitz (1916) 509; Cassio (2002) 114 sgg.; contra Wackernagel (1916); Bethe (1922) 332 sgg. Che Omero fosse ateniese credeva già Aristarco.  Cfr. Chantraine (19886) 296.  Cfr. Chantraine (19886) 221; West Praef. in Il. XXXIV.  Cfr. Chantraine (19886) 260; West Praef. in Il. XXXV.  Cfr. Chantraine (19886) 261; West Praef. in Il. XXXVI.  Cfr. Chantraine (19886) 218; West Praef. in Il. XXXIV. Un altro atticismo lo incontriamo a γ 175 (τέμνειν), che forse bisogna correggere nel normale τάμνειν, cfr. Chantraine (19886) 314. Anche σφῶιν monosillabico (δ 62) sembra un atticismo, cfr. Chantraine (19886) 266.  Cfr. Chantraine (19886) 246, 72.  A favore di questa ipotesi cfr. Ahrens (1843) 161, Wackernagel (1878), van Leeuwen (1894), Fick (1906), Herzog (1912), Cauer (19233) 99 sgg., Carpenter (1935), Chantraine (19886) 5 – 16. Negano invece che il μεταχαρακτηρισμός dall’attico abbia lasciato tracce nel nostro testo di

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L’alfabeto attico precedente alla riforma euclidea (404/3 a. C.) usava il segno Ε sia per e breve (ε) sia per e lungo chiuso (ει) sia per e lungo aperto (η) e usava Ο sia per o breve (ο) sia per o lungo chiuso (ου) sia per o lungo aperto (ω). L’alfabeto ionico d’Asia usava invece i segni η e ω, come si cominciò a fare in Attica sistematicamente dopo la riforma euclidea (sebbene l’uso sporadico sia già attestato precedentemente) e come siamo abituati a fare noi. Ci sono alcuni errori nella nostra tradizione omerica che sembrano derivare da un alfabeto che non usava η e ω. In una serie di casi sembra che δ(έ) abbia preso il posto di un originario δή. A 131– 132: μὴ δὴ οὕτως, ἀγαθός περ ἐών, θεοείκελ᾽ ᾿Aχιλλεῦ, / κλέπτε νόῳ. Così Bekker, mentre la tradizione (a partire dallo ps.-Dionigi di Alicarnasso, Ars. rhet. 356, 5 U.-R.) ha μὴ δ᾽ οὕτως. La correzione di Bekker (che presuppone la sinalefe fra δή e la parola successiva¹⁰⁵¹), si basa sull’uso di μὴ δή + imperativo / congiuntivo / infinito iussivo, per cui cfr. A 545, E 684, K 447, Ρ 501, Υ 200, Ψ 7, Ω 65. Invece δέ non si usa in contesti del genere e non c’è nessuna ragione di supporre che μὴ δέ sia un uso di rapsodi seriori, dal momento che l’uso di δή in questione si è mantenuto in età molto successive a quella aedica¹⁰⁵². È quindi necessario accettare l’emendamento di Bekker. Oltre a A 131, lo stesso uso di δή è stato restaurato con ragione da Bekker a Θ 139, Τ 155. A 340 – 341: εἴ ποτε δὴ αὖτε / χρειὼ ἐμεῖο γένηται ἀεικέα λοιγὸν ἀμῦναι. Qui δή è già attestato in un papiro (379, II sec. d. C.), era forse lezione di Zenodoto ed è stato poi congetturato da Thiersch, mentre la tradizione medioevale e il resto di quella papiracea (61, 377, 380, 771 saec. II–III p. C.) hanno δ’. A favore dell’emendamento cfr. A 394 (εἴ ποτε δή τι), A 503 (εἴ ποτε δή σε) Anche in questo caso la sopravvivenza dell’uso nel greco successivo¹⁰⁵³ garantisce che non siamo davanti a un’innovazione rapsodica. B 216 è così tràdito dai manoscritti e da una serie di testimonianze antiche: αἴσχιστος δὲ ἀνὴρ ὑπὸ Ἴλιον ἦλθεν. La mancata elisione di δέ davanti a ἀνήρ con il conseguente iato è molto problematica¹⁰⁵⁴; Ahrens ha proposto di scrivere δὴ ἀνήρ e a me pare che tale congettura andrebbe accolta senza esitazioni nel testo, anche perché supportata da

Omero Wilamowitz (1884) 286 sgg., Ludwich (1885) 420 sgg., Goold (1960), Janko Praef. in Il. 34– 37, il quale crede vi siano maggiori indizi di μεταχαρακτηρισμός dallo ionico che dall’attico, Erbse (1994).  Per cui cfr. Chantraine (19886) 84– 85.  Cfr. Denniston (19542) 223.  Cfr. Denniston (19542) 223 – 224.  Cfr. B 127, Δ 472, Λ 92, N 131, Π 215, ι 187, π 45 (δ᾽ ἄνδρα / δ᾽ ἀνήρ); Ω 707 (λίπετ᾽ ἀνήρ); ι 391 (ὅτ᾽ ἀνήρ); ο 459 (ἤλυθ᾽ ἀνήρ); ρ 471 (ὁππότ᾽ ἀνήρ); ρ 537 (ἔπ᾽ ἀνήρ); σ 353, φ 406 (ὅδ᾽ ἀνήρ); υ 25 (γαστέρ᾽ ἀνήρ). Per lo iato in Omero, cfr. Kühner-Blass 1, 190 – 195.

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numerosi paralleli¹⁰⁵⁵. Ο 287– 288 οἷον δὴ αὖτ᾽ ἐξαῦτις ἀνέστη κῆρας ἀλύξας / Ἕκτωρ. Anche qui δή è un restauro di Bekker per δ’ dei papiri (60, 1329) e dei codici. La congettura è senz’altro da accogliere, perché οἷον δή in espressioni di stupore e indignazione è normale (cfr. E 601); anche in questo caso la sopravvivenza dell’espressione nelle età successive garantisce che non siamo davanti a un’innovazione dei rapsodi seriori¹⁰⁵⁶. La stesso uso di δή è stato restaurato da Bekker in Ξ 364. In una serie di passi la seconda persona singolare del medio indicativo è tràdita con l’uscita contratta –ηι, tanto nei manoscritti quanto nei papiri, mentre in altri passi è tràdita l’uscita non contratta –εαι. In alcuni casi pare che vada restaurata la forma non contratta, cfr. Α 160; Β 365; Γ 138; Ε 757; Ε 872; Ν 818; Ω 434. In pratica, si tratta di sostituire η a ε (e. g. Β 365 γνώσε᾽ Christ : γνώση(ι) papiri 3, 104 e mss.). Il piuccheperfetto di *εἴδω si presenta nella nostra tradizione quasi sempre nella forma ἤιδεα / ἤιδεε, tranne che in Χ 280, ι 206, ove troviamo la forma non contratta ἠείδη(ς). Questo crea problemi, poiché spesso precede una parola che finisce in vocale e si crea così uno iato (B 38; B 213; Ε 64; E 326; Θ 366; Λ 741; N 355; N 674; T 115; Υ 466). Tutto lascia pensare che questi iati in realtà non fossero tali, ma vi fosse il digamma. D’altra parte la forma iniziante con ηιδ– presuppone una contrazione, ma la contrazione presupporrebbe che il digamma fosse scomparso, mentre esso sembra essere ancora percepito. È dunque raccomandabile correggere, nell’Il., le forme in ἤιδ– in (ϝ)εἴδ–, in una forma cioè priva di aumento (oltre ai passi già citati: A 70; Β 409; B 832; Ζ 351; Λ 330; Ξ 71; Ρ 402; Σ 404), anche se la presenza in ψ 29 della forma contratta senza digamma (cfr. l’abbreviamento di –λαι che precede) mostra che già in età aedica la forma contratta era nota; d’altra parte nell’Od. non ci sono attestazioni che presuppongano il digamma (cfr. δ 745; ν 340)¹⁰⁵⁷. Anche in questo caso l’alfabeto attico può aver contribuito a creare confusione. Una caratteristica del nostro testo omerico è che i verbi che iniziano con ευ- di solito non presentano l’aumento temporale (cfr. e. g. β 109 ἐφηύρομεν van Leeuwen : ἐφεύρ. Ω): casi del genere ricorrono in continuazione e gli argomenti di van Leeuwen a favore del restauro della forma con aumento mi sembrano persuasivi¹⁰⁵⁸. Sebbene alcuni papiri tolemaici conservino le forme con aumento¹⁰⁵⁹ (il che potrebbe far supporre che la perdita dell’aumento sia di epoca più recente) non è improbabile che anche in questo caso l’alfabeto attico abbia contribuito a creare almeno una

 cfr. N    

A 266; Z 185; H 155; Υ 233; λ 309; λ 522; μ 258. Cfr. anche Denniston (19542) 207. Per δὴ ἀνήρ 633. Cfr. Denniston (19542) 212. Cfr. Wackernagel (1878) 266; West Praef. in Il. XXXIII. van Leeuwen (1894) 336 sgg. Cfr. West Praef. in Il. XXVII.

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parte di questi numerosissimi errori. A 66 – 67 presenta un problema testuale: αἴ κέν πως ἀρνῶν κνίσης αἰγῶν τε τελείων / βούλεται ἀντιάσας ἡμῖν ἀπὸ λοιγὸν ἀμῦναι. È evidente che ad αἴ κέν πως deve seguire un congiuntivo, non un indicativo e βούλεται sembra proprio un indicativo: è vero che in Omero sono presenti molti congiuntivi a vocale breve, ma essi sono tipici dei verbi atematici, non di quelli tematici¹⁰⁶⁰ e βούλεαι / βούλεται è anche altrove un indicativo (Ρ 331, ο 21, ρ 228, ρ 404, σ 364). Di conseguenza βούλητ᾽ (Payne-Knight) va accolto a testo. Uno dei fenomeni più caratteristici del vocalismo omerico è la cosiddetta «distrazione» (διέκτασις, Zerdehnung). È un fenomeno che riguarda principalmente i verbi contratti: quando un verbo in –αω presenta α + ε / η, ο / ω si incontrano spesso grafie come: ὁρόω (σ 143), ἐάαις (τ 374), ὁρόωντες (Ρ 637), καγχαλόωσα (ψ 1). Il fenomeno è evidentemente legato alla contrazione: la forma distratta rappresenta una via di mezzo fra la forma originaria, precedente alla contrazione (ὁράω, ἐάεις, ὁράοντες, καγχαλάουσα), e la forma contratta (ὁρῶ, ἐᾶις, ὁρῶντες, καγχαλῶσα). Nella forma distratta il timbro vocalico che prevale nella contrazione viene rappresentato con due segni, anziché con uno solo (come accade invece nella forma contratta). È un fenomeno attestato solo nella lingua epica e deriva probabilmente dall’esigenza che la scrittura rispecchi il numero di sillabe di cui è composto il verso (se, e. g., a λ 110 τὰς εἰ μέν κ᾽ ἀσινέας ἐάαις νόστου τε μέδηαι scrivessimo ἐᾶις, mancherebbe una sillaba)¹⁰⁶¹. C’è un verbo che presenta una particolarità, ναιετάω / ναιεταάσκω («abitare», «trovarsi»). Ecco le forme che si incontrano in Il. e Od.: (περι)ναιετάουσι (Δ 45, Ρ 172, β 66, δ 177, ζ 153, θ 551, ι 23, ψ 136), ναιετάασκεν (Λ 673, Ρ 308, ο 385), ναιετάασκον (Β 539, Β 841), ναιετάοντα (Η 9, δ 96), ναιετάοντας (Ζ 370, Z 497, Λ 769, ρ 28, ρ 85, ρ 178, ρ 275, ρ 324, φ 242, ω 362), ναιετάω (ι 21), ναιετάων (ο 255, ο 360, ρ 523, ζ 245), ναιεταόντων (τ 30, υ 371, φ 387, χ 399), ναιετάωσαν (Ζ 415 – όωσαν Ar. 327), ναιεταώσηι (Γ 387, ‐αούσηι Ath. R5 O), ναιεταώσης (α 404, ubi Ar. ναιετοώσης), ναιεταώσας (B 648, ubi Ar. –τοώσας, θ 574). Le forme (περι)ναιετάουσι, ναιετάοντα, ναιετάοντας, ναιετάω, ναιεταόντων sono le normali forme non contratte. Ma come spiegare ναιετάωσαν, ναιεταώσηι, ναιεταώσης, ναιεταώσας? Si tratta evidentemente di ibridi fra la forma non contratta (ναιετα–) e la forma distratto-contratta (‐ωσ‐). La spiegazione più semplice è che ΝΑΙΕΤΑΟΣsia stato trascritto erroneamente ΝΑΙΕΤΑΩΣ- anziché ΝΑΙΕΤΑΟΥΣ-¹⁰⁶². A 124: οὐδέ τι πω ἴδμεν ξυνήϊα κείμενα πολλά. Questo il testo della tradizione medioevale e di alcuni papiri (263a, 525, 744, s. I–II d. C. – età bizantina), mentre

 Cfr. Chantraine (19886) 454– 463.  Sul problema cfr. Wackernagel (1878), Meister (1921) 61– 92, Chantraine (19886) 75 – 83.  Così Wackernagel (1878) 308.

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alcune testimonianze isolate hanno οὐδέ τι που. Quest’ultima variante è decisamente superiore, poiché il significato locale di που è più adatto al contesto di quello temporale di πω (cfr. Φ 317– 318). Poiché που veniva scritto ΠΟ¹⁰⁶³, forse anche qui abbiamo a che fare con un errore da alfabeto attico. Ζ 353: la tradizione (oltre ai mss. medioevali un papiro, 415 s. III–IV d. C.) tramanda τῶ καί μιν ἐπαυρήσεσθαι οΐω. Il verbo ἐπαυρίσκω significa frui ed Elena vuole dire che Paride prima o poi dovrà pagare la propria dissennatezza. Il testo tràdito presuppone un uso assoluto di ἐπαυρίσκω e intende τῶ come avverbio («perciò», «in tal modo»). Tuttavia l’uso assoluto di ἐπαυρίσκω sarebbe un unicum (cfr. Ebeling s. v.) e anche il significato di τῶ non è perspicuo. Tutto va a posto se leggiamo con Herwerden τοῦ καί μιν, che restaura il normale genitivo (cfr. A 410; N 733; O 17). L’errore è facilmente spiegabile supponendo che ΤΟ (normale resa grafica del dittongo improprio τοῦ) sia stato interpretato erroneamente come τῶ. Z 291: la tradizione offre ἐπιπλώς, ma la forma foneticamente attesa sarebbe ἐπιπλούς: poiché quest’ultimo veniva scritto ΕΠΙΠΛΟΣ, sembra ragionevole scrivere con Herwerden ἐπιπλούς. La caratteristica più evidente del congiuntivo omerico rispetto a quello degli scrittori successivi è la presenza di congiuntivi a vocale breve¹⁰⁶⁴. È curioso che tali congiuntivi compaiano solo laddove la forma con vocale breve differisce metricamente da quella con vocale lunga: non si trova cioè pressoché mai¹⁰⁶⁵ nel nostro testo omerico ἐάσεις, ma ἐάσηις, non ὁρμήσονται, ma ὁρμήσωνται. Si trova invece ἀγείρομεν, ἀμείψεται, βήσομαι ecc. Sospetto che anche qui l’alfabeto attico abbia giocato un qualche ruolo: se in una fase della tradizione si era perduta la distinzione ε / η e ο / ω, è ben spiegabile che, quando il testo è stato trascritto in un alfabeto che presentava tale distinzione, si siano adottate (dove la metrica non esigesse il contrario) le forme in uso in quel momento, che non conoscevano più il congiuntivo a vocale breve. Si osservi che in ionico il congiuntivo a vocale breve era ancora in uso nel V sec.¹⁰⁶⁶ e che dunque la sua scomparsa dal testo omerico si spiega male se non si ipotizza un passaggio in alfabeto attico. Alla luce di tutto questo¹⁰⁶⁷, mi pare certo che la nostra tradizione testuale dell’Il. e dell’Od. risalga a una fase attica. Tuttavia, questo non va messo in

 Cfr. Schwyzer (1923) nr. 362 l. 3.  Cfr. Chantraine (19886) 454 sgg.  Cfr. tuttavia e. g. A 559; B 364; E 489; K 183; Λ 293; Λ 415; N 64; Π 264: in certi casi è possibile che queste varianti siano nate perché intese come futuri.  Cfr. Chantraine (1947) 306.  Per altre oscillazioni ο(υ) / ω che potrebbero trarre origine dall’alfabeto attico pre-euclideo cfr.: B 566; B 668 (va accolta la congettura di Christ); Θ 55; Ι 230 (se si accetta σάους ἔμεν di Wackernagel al posto dell’attivo σαωσέμεν, poco perspicuo); I 397; K 252; K 345; Λ 415; Μ 142; Μ

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relazione con la leggenda della redazione pisistratea: non solo tale leggenda è ignota prima del I sec. a. C., ma il testo dell’Il. (quale la leggiamo noi) era già fissato prima di Pisistrato. Nulla di sicuro possiamo dire, invece, circa l’Od., ma B probabilmente è coevo se non anteriore al poeta dei Λύτρα, dunque anche l’Od. era già fissata prima di Pisistrato. In ogni modo in Attica il testo omerico ha subito qualche interpolazione e qualche ritocco linguistico, nulla di più.

168; Μ 278; N 572; N 589; Ξ 116; Ξ 294; Ξ 522; Ο 324; Ο 693; Ο 704; Π 100; Π 221; Π 429; Π 674; Ρ 134; Ρ 385; Ρ 714; Ρ 745; Σ 208; Σ 209; Τ 47; Τ 415; Υ 218; Υ 350; Υ 371; Φ 63; Ψ 269; Ψ 487; Ψ 599; Ω 228; Ω 581; Ω 688; δ 90; δ 222; ε 365; ε 386; ε 424; η 280; η 280; θ 359; ι 200; ι 233; ι 268; ι 400; ι 482; κ 6; κ 127; κ 129; λ 6; λ 206. Per altre oscillazioni ε(ι) / η che potrebbero trarre origine dall’alfabeto attico pre-euclideo cfr.: A 555 (se si accetta l’attraente congettura di Burges / Thiersch); B 291 (sia per μέν / μήν sia per ἧσθαι / νέεσθαι); B 566; B 617; Γ 436; Δ 131; Δ 483; Ε 499 – 501; H 74; Θ 415; Λ 151; Λ 477; Λ 757; Ρ 435; Ρ 631; Σ 213; Τ 375; γ 435 (se si accetta la congettura di Payne-Knight); ι 88; ι 189; ι 283; κ 24; κ 100; λ 191.

https://doi.org/10.1515/9783110652963-017

Achill.

Dolonie

Λύτρα

Ἆθλα

R

P

Cat. her.

γυναικ. κατάλ.

(versio Attica)

Schiffsk.

Aithio.

ἆθλα

?

(?)

Telegonia

Büss. νεκυομαν. Ἀγ.νέκ.

Νόστοι

T

B

K

O

L

Bogen.

Eumaiose.

ἀναγν.

Ἰθ.ἀγ.

(?)

Melanthoe.

Il presente stemma è altamente ipotetico: soprattutto i rapporti fra Il. e Od. dovrebbero essere indagati di nuovo, per quanto detto alla nota 230. Le linee continue indicano le derivazioni di materiale, quelle tratteggiate influenze generali (stilistiche, contenutistiche ecc…) di un epos sull’altro.

θεῶν μάχη

Zw.H.Ai.

ὁρκ.σύγχ.

Hesiodus

Groll Auf. Diom. Bitt. Absch. πρεσ. Verw. Nest. Idom. Δ.ἁ. Patr. ὁπλ. Zw.A.Ai. Aster.

Stemma dei rapporti fra gli epe

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Indice delle cose notevoli Non indico se non in casi eccezionali i personaggi dell’Il. e dell’Od. e, in generale, tutto quello che può essere facilmente reperito seguendo la trama dei due poemi.

Achille, sua morte nell’epos 204 – 205 Apollo, sua festa legata alla μνηστηροφονία 337 – 338, 360 archeologia, non offre criteri utilizzabili all’analisi 386 sgg. Argo, rapporti con lo Schiffskatalog 69 Argonauti, presunti rapporti fra un epos argonautico e l’Od. 285 sgg. Aristotele, critica omerica 401 – 402 arti figurative, rapporti con l’epos 389 sgg. Asclepiade di Mirlea 404 – 405 Atene, vedi Attica Atenodoro Cordilione 403 nota 1019 Attica, suo ruolo nella trasmissione dell’epos omerico 406 sgg. d’Aubignac (F. Hédelin) 12 nota 18 Beozia, rapporti con lo Schiffskatalog 66 sgg. Bergk, Th. 17, 221 Bethe, E. 21, 226 – 227 centonaria, tecnica di alcuni poeti omerici 3 sgg., 240 – 243, 250, 255 – 257, 278 – 279, 358 Ciclo epico, cfr. Κύπρια, Etiopide, Ἰλιὰς μικρά, Νόστοι, Telegonia, Tesprotide Cratete, vedi Pergamo Dahms, R. 23, 225 – 226 Dawe, R. D. 231 nota 538 Dieuchida di Megara 367 sgg., 406 – 407 Diogene Laerzio 397 – 406 Epiro, legami con Odisseo 230 Eraclide Pontico 401 – 402 Erea di Megara 398 Erhardt, L. 19 – 20 Erodico, vedi Pergamo Esiodo, rapporti con l’epos omerico 209 – 210, 274, 293 – 294, 337. Vedi anche Γυναικῶν κατάλογος Etiopide, rapporti con l’Il. 206 – 209

https://doi.org/10.1515/9783110652963-019

Eubea, pretesi legami con l’Od. 293 nota 690 Euripide, Iph. Aul. e lo Schiffskatalog 71; Orestes 367 nota 905 Fick, A. 18 – 19, 222 Flavio Giuseppe, testimonianza su Omero 399 sgg. Focke, F. 229 frozen scene, vedi scene spezzate Grimm, J. 214 Grote, G. 16 – 17 Γυναικῶν κατάλογος, rapporti con l’epos omerico 284, 406 nota 1033 Heerklotz, A. 218 Hennings, P. D. Ch. 219 Hermann, G. 218 Ilias, rapporti con l’Od. 93 sgg., 197 sgg.; vedi anche Ὁπλοποιΐα Itaca, legami coi poeti dell’Od. 374 – legame con Odisseo 384 Ἰλιὰς μικρά, rapporti con l’Od. 372 sgg. Jachmann, G. 24 Jacob, A. 17, 219 Kayser, K. L. 16, 218 Kirchhoff, A. 219 sgg. Koechly, H. 15 – 16, 219 Koës, G. H. C. 218 Κύπρια, rapporti con l’Il. 66 – 71, 391 nota 981 Lachmann, K. 13 – 16 Lauer, J. F. 218 Leaf, W. 20 Licia, rapporti con l’Il. 48, 60, 149 sgg., 160, 205 – 206 Liedertheorie, vedi Lachmann lingua epica, non offre criteri utilizzabili all’analisi 19, 386 λυτικοί 72, 400 sgg. Marzullo, B. 231 Megara, cfr. Dieuchida e Erea

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Indice delle cose notevoli

Merkelbach, R. 230 – 231 Meyer, E. H. 19 nota 34 Micene e mondo miceneo 43 nota 87, 380 sgg. mitologia, non offre criteri utilizzabili all’analisi 18, 21 nota 38; vedi anche saga Müller, W. 13, 218 μεταχαρακτηρισμός 407 sgg. Naber, S. A. 17 – 18 nazionalismo greco dei poeti iliadici 103, 159 neoanalisi 55 nota 116, 61 nota 131, 65 nota 147, 156 nota 373, 180 nota 425, 207 sgg. Niese, B. 18, 222 Νόστοι, rapporti con l’Od. 357 nota 867, 367 sgg. Odisseo, suo esilio 297 sgg., 364 – 365; vedi anche Epiro e Itaca Odyssea, rapporti con l’Il., vedi Ilias Omeridi, vedi Omero Omero, nome 394 sgg. Onomacrito di Atene 404 – 405 oralismo, vedi panoralismo Orfeo di Crotone 404 – 405 Orfismo, rapporti con la leggenda di Pisistrato editore di Omero 404 sgg. Ὁπλοποιΐα, forse influenza il νόστος 293 nota 690 Page, D. L. 231 panoralismo 1 sgg., 231 nota 538 Pergamo, scuola di P. e critica omerica 403 sgg. Petersen, E. 23 Pilo, poemi perduti sulla sua regione 105 Pisistrato, leggenda della sua ed. omerica 397 sgg.

Robert, K. 20 saga, già fissata al tempo dei poeti omerici 15, 18, 64 – 65, 95, 110, 134, 155, 196 – 197, 213 sgg. scene spezzate 2 – 3, 249, 253 sgg., 265 – 273, 320 – 321, 348 – 349 – frozen scene 3 nota 6, 342 – 343, 345 Schadewaldt, W. 216 – 217 Schmitt, C. 218 Schwartz, E. 22 – 23, 227 – 228 scrittura, usata dai poeti omerici 1 – 2, 215 Seeck, O. 224 – 225 Solone, suo ruolo nella storia dell’epos omerico 397 – 399, 406 Spohn, F. A. W. 218 Telegonia 227 – 228, 230, 294 sgg., 356 nota 863, 357 – 358, 363 – 364 Tesprotide 227 – 230 Theiler, W. 23 – 24, 230 Thiersch, B. 218 Troade, rapporto coi poeti dell’epos 388 – 389 Troia, storicità della guerra 380 sgg. unitarismo 216 – 217 Urilias 15 sgg., 63 – 64, 133 sgg., 171 – 172, 203 – 204, 211 sgg. Urodyssee 221 sgg., 376 sgg. Valeton, M. 21 nota 38 van Thiel, H. 24 – 25, 231 – 232 Von der Mühll, P. 24, 229 West, M. L. 25 – 26 Wilamowitz-Moellenderorff, U. von 21 – 22, 222 – 224 Wolf, F. A. 12, 218 Zielinski, T., sua legge 255 nota 591 Zopiro di Eraclea 404 – 405