Plotino e la genesi dell’umanesimo interiore
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PIETRO PRINI

PLOTINO e la genesi dell'umanesimo interiore SECONDA

EDIZIONE

EDIZIONI ABETE ROMA

Febbraio

1970

ARTI GRAFICHE CITTA' DI CASTELLO Città di Castello (Perugia)

PREMESSA

La

trasfigurazione dell'umanesimo interiore

L'' umanesimo interiore '

è

nato dalla rottura di un

equilibrio, che non era stato seriamente minacciato fin quando le condizioni ddla vita politica avevano consen­ tito di pensare, malgrado tutto, alla possibilità di

nna

razionalizzazione dei rapporti tra gli uomini e ad una certa dominabili� degli eventi del mondo storico. La distinzione famosa dj Epitetto tra

«

le cose che dipen­

dono da noi )), come la virtù o la saggezza, e

«

le

cose· che non dipendono da noi ))' come la salute o gli

onori

o la ricchezza

o il

potere o la patria,

non sarebbe diventata il caposaldo di una

millena­

ria saggezza popolare, se non l'avesse confermata ed imposta

la tragica instabilità

della sorte nella

vita

pubblica e privata del cittadino dell'Impero, in mezzo alla generale insicurezza delle istit� zioni politiche, so­ ciali ed economiche.

«

Ti scongiuro, mio carissimo Lu­

cilio, esortava Seneca, segui l'unica via che ti può ren­ dere felice: disdegna e calpesta ciò che risplende dal di fuori, ciò che ti

è

promesso da questo o da quest'al­

tro: guarda al tuo vero bene e godi di ciò che E che cosa

parte di te))

è

veramente ' tuo

(Epist.,

23,

6).

'

?

è

tuo.

Tu stesso e la migliore

L'indipendenza dell'uomo interiore che, incapace di cambiare il mondo, può tuttavia porsi al di sopra della Fortuna, dominando se stesso ed obbedendo alla ra­ gione, che

è

la voç:e di Dio in lui, fu assunta come la

nuova misura della grandezza morale anche dalle grandi 'Scuole dell'anima ' dci Neoplatonici, mentre imper­ versava la crisi del III secolo. La ragione per cui Platino sarà ritrovato, insieme con Sencca, alle origini dell'uma­ nesimo moderno ed eserciterà sopra di esso una costante influenza, sta precisamente nel fatto che egli ha raccolto e sistemato nella sua forma teologicamente più rigorosa e definitiva il grande tema della

dignitas hominis

come

l'auto-riconoscimento dell'anima in Dio e dunque co­ me l'abbandono di ogni assolutizzazione del relativo, di ogni falsa esaltazione di ciò che «

è

parziale e caduco.

Tu accresci te stesso, dopo aver abbandonato le altre

cose,

c

a causa di tale rinuncia ti

quale, se

è

è

present.e il Tutto, il

presente a chi sa rinunciare, tuttavia non si

manifesta a chi

è

in balìa delle altre cose

•.

(Enn.,

VI,

5. 12).

Questo invito alla noncuranza dell'inessenziale,

alla,



pcrchè l'anima non sia distratta dalla concentra­

zione interiore sopra l'Assoluto, ha costitUito costante­ mente il carattere polemico delle frequenti rinascite dell'umanesimo interiore di fronte al prevalere degli interessi ' mondani ' nella civiltà moderna delle scienze c delle tecniche. L'uomo moderno -dicono da almeno due secoli, dall'età di Goethe alla nostra, i filosofi-edu-

catari della

humanitas

-

vive nella ' coscienza infelice '

della separazione di sé da sé, nell'impossibilità di unifi­ care il senso della vita in un'attività che esprima inte­ gralmente le aspirazioni più profonde della propria persona. Ma l'esigenza interioristica si contesto di

un

è

riprcscntata, nel

nuovo metodo di analisi fenomenologica

delle situazioni, in qualcuna delle direttrici più costanti delle filosofie dell'esistenza della prima metà del nostro secolo. Vincolato dalle proprie istanze critiche contro le pre­ messe razionalistiChe della scienza moderna, l'esisten­ zialismo si è trovato di fronte all'imbarazzante alterna­ tiva o di accettare, senza paterne tuttavia scoprire un senso né indicare. un valore, le strutture della vita asso­ ciata nel mondo 'contemporaneo, che sono in gran parte il frutto maturo, buono o cattivo, di quelle premesse e di quella scienza, o di abbandonarsi c disperdersi in un

tate

sogno di evasioni romantiche, già fin troppo scon­ nelle

ultime forme

del

decadentismo

europeo.

Kierkegaard, nel secolo dell'ottimismo scientifico c de­ mocratico, delle « magnifiche sorti e progressive )), aveva sentito, dentro quel nuovo mondo che si veniva fog­ giando intorno all'uomo con i progressi delle tecniche e con le riforme delle vecchie strutture politiche, l'assenza di ogni drammaticità, il facile fabbricarsi di una vita senza gioia e senza dolore, uguale per tutti, anonima cd estranea ad ogni intimità dell'uomo con se stesso, il mondo oggettivo della necessità, per il quale l'indivi-

duo nella sua contingenza non conta né dovrebbe es­ sere come libertà, un mondo irreale dunque, o piutto­ sto soltanto reale in quanto, negandoci, ci fa essere nella sofferenza della nostra individualità soffocata. In realtà, con questo ricorso ad una dialettica della ·

coscienza infelice, la filosofia dell'esistenza aveva già trovato in Kierkegaard l'istanza di un compromesso fra l'impegno nel mondo e la fuga dal mondo. L'orga­ nizzazione razionale del mondo umano, che tende a condizionare sotto le leggi della scienza tutti i rapporti della vita associata,

un abisso

che minaccia di

ogni mia

iniziativa, ma della

mia

è

è un limite dell'esistenza, engluer, come direbbe Sartrc,

anche c proprio per questo il sostegno

libertà,

che

è

originalità,

per

l'inaliena­

bile privilegio di questo mio sentirmi intenso dentro i confini di una situazione che mi resiste e mi osta­ cola. Così un proposito di esistenza autentica non si risolve in un abbandono del mondo (fu l'errate del mc­ dio evo, pensava Kierkegaard, un errore di uomini di poca fede nell'interiorità),

ma piuttosto

nell'accetta­

zione delle condizioni c dci doveri della vita quotidiana, come per celare sotto queste apparenze c per intensifi­ care nell'interno di questi limiti il palpito vero di una vita interiore, singolare cd indicibile. Bisogna poter es­ sere religiosi, affermava Kierkcgaard nel c

Post-Script11m,

andare nello stesso tempo al parco dei divertimenti.

Bisogna seguire il costume, aveva già esortato Pasca!, conservando «la propria idea dietro la testa�>: seguire

il costume, che può voler dire anche fare la rivoluzione, se le circostanze storiche vi conducono, e l'iniziativa non è mia o tua, ma del maggior numero o comunque di coloro che sanno imporsi di più.

C'è

dunque una specie di acosmismo nelle filosofie

dell'esistenza (il Mounier parlava, a questo proposito, di una specie di rità» 1) , ma

è

«

diffidenza ontologica verso l' esterio­

un acosmismo di considerazione piutto­

sto che d'azione:

un

suggerimento di agire nel mondo,

ma come se non si fosse del mondo, di salvarsi dal mondo, ma restando

nel

mondo. L'amara lucidità delle prime

analisi antologiche di Heidegger e di Sartre o le de­ nuncie di Jaspers (nel saggio

La situazione spirituale del

nostro tempo, del 193 I, che anticipa la prospettiva apo­ calittica de La bomba atomica e il futuro degli uomini, del I 9 58) riguardanti Je minaccie di alienazione della civiltà

della tecnica, o infine la descrizione dell'uomo « allo

1.

E. MouNIER, Introduction aux existentialismes, Parigi

1947,

p. 86. Si vedano a questo propositç>le obbiezioni del marxista Naville a Sartre, nella discussione sul carattere

«

umanistico , dell'esistenzia­

lismo (il mondo degli esistenzialisti non sarebbe altro che un univers d' ustensils, d'obstacles malpropres, enchalnés, appuyés /es uns aux autres par un souci biza"e de se servir /es uns aux autres, mais affectls du stig­ mate �ffrayant, aux yeux des Méalistes, de la soi-tlisartt 'extériorité pure'; un

mondo che � per l'uomo occasion Je débarTt:s, sans prises,

au

Jond,

indifférent, un probable perpétuel, c' est-à-tlire tout le contraire Je ce 'l"' il est pour le matérialisme marxiste)

in

J. P. SARTRI!, L'existentialisme

est un humanisme, Parigi 1946, Appendic�: Objections de Naville,

pp. 123-125.

stato parcellare •, di Gabriel Marcel, nella

«

soffocante

tristezza di un mondo regolato sull'idea di funzione •, non sono fatte con l'intento moralistico di rifiutare ' o di modificare l'ordine del fare, il regno delle scienze e delle tecniche. Siamo tutti

engagés

nella vita e nella

azione, e non possiamo sottrarcene a nostro gusto, come vanamente s'illudeva il des Esseintes di

A Rebours, se

pur possiamo e dobbiamo trascenderne nella libertà interiore i modi e le leggi. L'azione, nel suo scientifico organizzarsi, per questi filosofi non sità,

fatum.

è

valore, ma neces­

Né moralismo né. decadentismo dunque,

ma la dolorosa saggezza di un sofferto conformismo agli istituti ed alle forme del vivere storico e ai loro oh­ biettivi sviluppi

è

stato, in sostanza, un punto d'accordo

.sopra il problema della prassi nelle filosofie dell'esistenza, almeno nelle loro prime e più significative espressioni. Ma

è

anche questo il punto di maggiore approssima­

zione del pensiero contemporaneo - ad eccezione na­ turalmente delle rinascite neo-platoniche esplicitamente dichiarate nelle diverse forme dello spiritualismo cri­ stiano e della « philosophie de l'esprit •

·_

alle posizioni

più antiche dell'umanesimo interiore, che riaffiorano tanto più chiaramente là dove, come in Jaspers o in Marcel o nell'ultimo Heidegger, l'analisi dell'esistenza si converte ed oltrepassa in riflessione misterica sopra la ' presenza ' o la 'cifra ' del Sacro. Ebbene, oggi, dopo le ultime conquiste scientifiche che stanno avviando l'uomo verso le possibilità alluci-

nanti di

una

self-evolution

e di Wla trasformazione racù­

cale della stessa condizione umana - come anche nel­ l'inaudita alternativa tragica della cancellazione di ogni segno

giare

umano

nel mondo - non

è

più possibile miteg­

sopra le scienze e le tecniche come se fossero atti­

vità che ci alienano, distraendoci dai nostri problemi più reali, dalla nostra ' parte

migliore

'.

delle scienze e delle tecniche, anziché Wl

I problemi

divertissement

dalle esigenze profonde dell'uomo interiore, si sono così profondamente incorporati nel nostro destino, da divenire nno degli aspetti più importanti, se non l'unico, del problema della salvezza dell'uomo e dei valori che lo sostengono. La ricerca scientifica più avanzata - e non soltanto quella delle scienze morali, ma anche e specialmente quella delle scienze biologiche e fisiche sta proponendo nna radicale revisione dei concetti tra­ dizionali dell'antropologia. La natura

umana,

che l'u­

manismo clas�ico aveva contrassegnato con nna citta nobiliare al di sopra di tutto il creato, si presenta allo scienziato-demiurgo - al genetista che controlla e mo­ difica il patrimonio genetico del feto, per esempio, o al chiri.Irgo che innesta organi artificiali o trapianta or­ gani vivi, o al f armacologo che studia gli allarmanti poteri trasformativi e condizionanti degli allucinogeni come il materiale quantificabile di nuovi progetti che oltrepassano la

Jaulty construction

risultante da Wl incon­

scio travaglio evolutivo. E altrettanto

è

della mente o

ragione che, perduto ogni apparato trascendentale o

a

pnon, viene pensata come il meccanismo funzionale

delle informazioni inscritte in una parte dei dicci miliar­ di di neuroni che compongono il cervello, un meccani­ smo che la tecnica cibernetica sa riprodurre e control­ lare su congegni elettronici. Senza dubbio, la stessa critica epistemologica ci am­ monisce a non dare allo schema meccanicistico - co­ me ad ogni altro costrutto teorico della scienza - il senso di una rappresentazione adeguata della realtà sia dell'uomo sia del mondo in cui egli vive. Si tratta di uno schema teorico la cui validità

è

circoscritta nell'àm­

bito in cui esso consente spiegazioni corrette e previ­ sioni sufficientemente esatte intorno ad un certo ordine di fatti. Dalla metafisicizzazione dei sistemi teorici della scie , nza - che sono invece per loro natura rivedibili

e

sostituibili, eventualmente, da altri migliori - sono nati �lcw1i dei più grossi equivoci della cultura contem­ poranea, come le suggestioni vitalistiche, ed amorali­ stiche, falsamente derivate dagli apparati dottrinali delle terapie psicanalitiche, o le trascrizioni ideologiche della sociologia dei ruoli. Ma

è

tuttavia innegabile che lo

schema meccanicistico, nella misura in cui rende possi­ bili degli interventi trasformativi sull'uomo e sui suoi comportamenti, si impone sopra gli altri· sistemi inter­ pretativi che non trovano altrettanta conferma nei fatti. In realtà, l'uso teorico ed operativo di tale schema com­ porta una profonda modificazione dell'atteggiamento dell'uomo verso il mondo

c

verso la propria costituzione

naturale. La costruzione - o la costruibilità - di va­ rianti morfologiche più perfette o di condotte sogget­ tive ed inter-soggettive meno irrazionali è certamente una prospettiva d'ingrandimento del potere e della re­ sponsabilità e dunque, in definitiva, della dignitas del­ l'uomo. Quanto più l'uomo è misurabile nella ogget­ tività o fattualità dei suoi meccanismi naturali - e dun­ que quanto più è modificabile sia negli elementi che lo compongono sia nella loro struttura -, tanto più si fa manifesta l'irriducibile superiorità del suo esser misuratou e inventore e costruttore di se stesso. La trasformazione dell'uomo - sognata dagli illuministi e progettata con ben altra complessità e precisione dalle avanguardie della ricerca contemporanea - ha il suo fondamento nella creatività dell'homo faber. È questa, in definitiva, l'essenza del nuovo umani­ smo. Ma è dunque veramente lontana, e dissociata nel suo senso più profondo, da quella teologia dello spirito che il neoplatonismo ha trasmesso in eredità alla civiltà moderna ? Chi guardi al di là del divario, certame:Q.te immenso, dei contesti culturali, può rendersi conto, al contrario, di una singolare convergenza di fondo. Lo slancio innovatore del nuovo umanesimo si alimenta alla stessa sorgente dell'umanesimo neoplatonico. L'es­ sere diventato, secondo l'espressione profetica di Car­ tesio, padrone e guida delle forze della natura, rivela all'uomo il senso della sua stessa esistenza: che è di es­ sere, appunto, progetto, anticipazione, invenzione, nella

misura in cui

smica.

coincide o giunge alle radici dell'energia co­

Questa coincidenza del centro metafisica della

nostra vita razionale con il centro metafisica del mondo è la meta di quel ritorno in sé che è l'oggetto c�­ stante della predicazione di Plotino. Certo, è innega­ bile la differenza delle due prospettive in cui viene as­ sunta, dal neoplatonismo e dal nuovo wnanismo, que­ sta identità ultima. Per Plotino è una partecipazione mistica al Bene che è per se stesso eternamente fecondo, mentre per la scienza contemporanea è piuttosto l'aper­ tura di un còmpito infinito, affidato alla responsabilità dell'uomo. Alla retorica del primato metafisica della coscienza, in cui si erano esaltate le correnti soggettivi­ stiche del pensiero moderno, si sta sostituendo, con mag­ giore probità intellettuale e per merito soprattutto deJla scienza, una ben più seria considerazione del posto che ha la coscienza - la coscienza dell' uomo -nella storia del cosmo, nella gerarchia teleologica della natura. Sono occorsi miliardi di anni perchè dall'organizza­ zione di milioni di galassie la luce dello spirito brill:tsse sulla terra in un organismo giunto al vertice della bio­ sfera. La coscienza dell'uomo, lo spirito, non ha un primato metafisica nel cosmo - non ha l'iperbolico còmpito di sostenere il mondo come sulle spalle di Atlan­ te -, ma è un punto di arrivo, il risultato di infmiti

tJtonnements

della natura, una mèta in cui le forze della

materia si ricompongono per incominciare una nuova storia, la storia dell'uomo. L'evoluzione del mondo è

verso lo spirito, verso'. a società degli spiriti liberi - il mondo noetico, come direbbe Platino -, verso la liberazione integrale delle energie sprigionantisi dal cuore della materia, della sainte matière, secondo l'espressione di Theilard de Chardin. Il mondo è chiamato dall'alto. Gli evoluzionisti del secolo scorso non avrebbero mai pensato che un'immagine del mondo così densa­ mente religiosa potesse essere costruita nell'elaborazione consequenziaria della loro grande idea. L'approfondi­ mento dell'idea dell'evoluzione doveva aprire alla com­ prensione di ciò che vi è di qualitativamente diverso nel regno dell'uomo di fronte alla natura, proprio c nella misura in cui ne rappresenta un irrcvcrsibile salto evolutivo. L'uomo è l'evoluzione diventata cosciente di se medesima, e come tale ha il còmpito peculiare di assumerne la guida. L'avvento dell'uomo sulla terra significa essenziàlmente l'assunzione dell'evoluzione come còmpito. Ma verso quali mète dovrà essere indirizzata l'energia evolutiva ? È ben questa la domanda essen­ ziale che si apre, in una maniera sempre meno elu­ dibile, nel cuore di questo nostro mondo delle trasfor­ mazioni estremamente rapide. Nell'immenso travaglio operativo che è in atto nella civiltà tecno1ogica, avviene come se si fosse trasportati dalle altissime velocità di una astronave che ha spezzato ogni legame con la terra e si perde- senza guida nell'immensità vuota degli spazi ce­ lesti. Il dranuna del nuovo umanesimo si può compen-

diare in questa situazione che è caratterizzata ms1eme dall'inarrestabilità dell'attivismo trasformativo, in cui si travolgono modi di esistenza e valori già considerati immutabili, e dalla carenza di idee direttrici e unifi­ catrici del progresso stesso. Il problema di fondo del nuovo wnanesimo è il problema delle finalità ultime. L'uomo si coglie come anticipazione e progetto nella misura in cui si protende al di là di se stesso verso ciò che è veramente più che umano: verso quella ulterio­ rità infinita che è l'Assoluto. Qui si colloca, con un senso preciso, l'anàmnesi neoplatonica nell'wnanesimo contemporaneo, nella mi­ sura in cui questo viene riproponendosi, per interiore necessità, il problema dell'Assoluto. Se l'uomo, inven­ tore di se stesso e del suo proprio mondo, resta sul piano del'l empiria -- cioè non oltrep:lSSa J'àmbi�o dei dati del proprio esperire -, cade nell'arbitrio indominabile delle fmalità contraddittorie. Poiché la sua essenza è di esser progetto - e, al li­ mite, il progetto stesso del mondo -, l'uomo non può non porsi il problema di ciò che il mondo 'può diven­ tare totalmente. Pensare, in

un

mondo che diviene, è

essenzialmente mettere in rapporto la parte con il tutto che può essere. Pensare è possibilizzare: cioè interrogarsi originariamente sul

senso ultimo

dell'evoluzione e della

storia, o dell'evoluzione che si fa sempre più intera­ mente storia. Il senso ultimo è la somma o il risultato della successione dei sensi parziali, oppure oltrepassa il

tempo e la storia, cioè ogni somma e ogni successione ? L'alternativa in gioco è quella dell'Assoluto che tra­ scende l'esperienza - cioè non dipende da essa - op­ pure della Totalità dell'esperienza come il suo risultato ultimo. Le metafisiche occidentali, collocandosi sull'uno o sull'altro versante di questa alternativa, si sono scon­ trate nelle aporie o della impensabilità dell'Assoluto trascendente o della impossibilità di unificare in sistema la contingenza del divenire evolutivo e storico. Le vie aperte da Platino per risolverle - il metodo della

teo­ logia negativa e l'idea di un vincolo dialettico tra il mondo noetico e il mondo sensibile - costituiscono ancora oggi l'ipotesi di lavoro su cui può progredire una genuina riflessione fùosofica sopra il fondamento dell'wnanismo. Nella prospettiva rigorosamente analitica della ricerca contemporanea il metodo della teologia negativa forni­ sce it cànone d'interpretazione del linguaggio metafi­ sica e religioso sull'Assoluto, cosi come la dialettica del noetico e del sensibile, o della ' contemplazione crea­ trice ', costituisce un modello, probabilmente utilizza­ bile con profitto, per la posizione corretta e la soluzione del problema di fondo dell'etica contemporanea, che è,, a mio avviso, il problema della fondazione del

nell'essere (nell'essere

fare

come verbo, non come oggetto!),

cioè, in definitiva, il problema dell'unificazione interiore dell'uomo nel suo rappono con l'Assoluto. Ripensare Platino oggi, com'è avvenuto puntualmente ad ogni rinascita dei temi wnanistici nel mondo medioevale e

moderno, significa ritrovare la dimensione del profondo, riproporre il problema ultimo della finalità in che

il

un

mondo

prevalere delle tendenze pragmatiche ha condotto

e sta conducendo alle forme più allucinanti dell'estran1a­ zione, nel generale appiattimento del senso religioso e morale dell'esistenza 1•

r.

Per una ricerca sulla attualità di Plotino si v. : H. FrsCHER,

Die Aktualitiit Plotins. Ueber die Konvergenz von Wissenschaft und die Metaphysik, Miinchen 1956, pp. Vlll-218. AVVI!RTENZA. Ho utilizzato come testo delle Enneadi

(I-V) l'edi-

7ione di Paul 1-IENRY e Hans-Rudolf SCHWYZER, Museum Lessia­ num, Paris-Bruxelles, vol. l, 1951; vol. II, I959· Per la

mi sono servito ancora dell'edizione di E. BREHIER , Lettres •,

3�me

tirage, Paris

rg63,

VI Enneade c Les

Belles

tenendo sempre presenti, sia per

le lettura, del testo sia per la mia traduzione, la versione italiana e il prezioso commentario critico di Vincenzo Cn.ENTO, Ed. Laterza, voll. 4, Bari 1947-1949. Solitamente, nelle mie citazioni dalle Enneadi,

è ricordata anche la collocazione del rispettivo saggio nella serie cronologica porfiriana (con il secondo numero arabico).

l

L'ETÀ TRAGICA DI PLOTINO

1.

La crisi del

Se

è

Ili

secolo

vero, come dice Hegel, che la filosofia

è

il pro­

prio tempo appreso col pensiero, alla filosofia di Pio­ tino è toccata in sorte una delle più tragiche età della storia: Il III secolo dell'Impero

è

l'età in cui una ecce­

zionale convergenza di difficoltà e di minacce ha posto radicalmente in questione la

securitas

del mondo civile.

Il suo privilegio metafisico è stato d'aver messo a nudo - facendone una costante delle mentalità e degli atteg­ giamenti pratico-emotivi - l'abisso di un'idea straordi­ nariamente importante:

genza delle cose,

quella

della

radicale

contin­

degli ordini e dei valori di questo mondo,

e di noi stessi, nella misura in cui ne facciamo parte col nostro essere corporeo e le nostre passioni e gli interessi terreni.

L'uomo qualunque, l'uomo della strada del­

l'epoca dell'imperatore Gallieno - un senatore nostal­ gico o un cittadino umiliato, un militare riottoso o

un

contadino-schiavo - non ha bisogno di andare a scuola dai :filosofi per apprendere che l'esistenza sua e del mondo

è

intaccata da una fragilità costituzionale, ,dalla perma­

nente minaccia di non essere ciò che è o semplicemente

di non essere più. Era wùdea metafisica, non ancora banalizzata nei luoghi comuni dell'oratoria edificante. A qualcuno dei contemporanei di Plotino, sconvolto dal declino inesorabile dell'Impero nella inquietudine lo­ gorante delle guerre continue, nell'anarchia endemica degli eserciti, nelle violazioni costanti delle leggi ad opera delle classi dirigenti, nell'oppressione infinita dei ceti inferiori sempre più numerosi, nella rovina delle città e nell'abbandono delle campagne, quell'idea ap­ pariva sotto il segno profetico del millenarismo cristiano come una sentenza di morte pronunciata sul mondo, come l'annuncio della' fine dei tempi '. Nel 25 1, quando Plotino insegnava da sette anni a Roma in forma quasi esoterica - senza avere scritto ancora nessuno dei suoi trattati -, il retore cristiano Cipriano parlava in questi termini della ' vecchiezza del mondo ' a Demetriano: . . . Devi sapere che è invecchiato ormai questo mondo

(senuisse iam saeculum). Non ha più le forze che prima lo regge­ vano; non più il vigore e la forza da cui prima era sostenuto. Anche se noi Cristiani non parliamo e non esponiamo gli argomenti delle Sacre Scritture e delle profezie divine, lo stesso mondo parla già di sé e coi fatti stessi documenta il suo tramonto e il suo crollo

probatione testatur).

(et occasum sui rerum labentium

D'inverno non cé' più abbondanza di

pioggie per le sementi, d'estate non più il solito calore per maturarle, né la primavera è lieta del suo clima, né è fecondo di prodotti l'autunno. Diminuita, nelle miniere esauste, la produzione di argento e di oro, e diminuita l'estrazione dei

marmi;

impoverite, le vene dànno di giorno in giorno sem-

pre meno. Viene a mancare l'agricoltore nei campi, sui mari il marinaio, nelle caserme il soldato, nel foro l'onestà, nei tribunali la giustizia, la solidarietà nelle amicizie, la perizia nelle arti, nei costumi la di�ciplina (

.

.

.)

.

Quanto alla fre­

quenza maggiore delle guerre, all'aggravarsi delle preoccupa­ zioni per il sopravvenire di carestie e sterilità, all'infierire di malattie che rovinano la salute, alla devastazione che la peste opera in mezzo agli uomini - anche ciò, sàppilo, fu predetto: che negli ultimi tempi i mali si moltiplicano e le avversità assumono vari aspetti, e per l'avvicinarsi al dl del giudizio, la condanna di Dio sdegnato si muove a rovina degli uomini. Hai torto tu, nella tua stolta ignoranza del vero, di protestare che queste cose accadono perchè noi non ono­ riamo gli dèi; accadono, perchè voi non onorate Dio

1•

In realtà, anche fuori dalla prospettiva giudaico­ cristiana della

renovatio mundi,

la crisi dei valori e delle

istituzioni era tale da colorare di sensi apocalittici anche gli eventi catastrofici della natura. Avviene come se gli uomini - p riva ti della certezza dei fini e della sicurezza degli ordinamenti civili - avessero perduto del tutto il gusto e le motivazioni razionali della lotta contro la sorte 1.

S. THASCI CAECILII CYPRIANI

Opera omnia

ree.

et

comm.

crit. instr. Guil. Hartel, Vindobonae, 1868, Corp. Script. Ecci. Lat.,

Ad Demetrianum, p. JS2-JS4, Cfr. S. MAZZAIIINO, La fine del mondo antico, Milano 1959, p. 38 s. In generale, si veda A. Au:oELDI, The Crisis cf the Empire (A. D. 241)-270}, in «Tbc vol. III, pars. l,

Cambridge Ancient History

•,

XII, chap. VI; Cambridge 1939,

pp. 165-231. Nello stesso volume si veda anche il cap. XVIII,

terature and Philosophy in the castertl half of the Empire, di J. pp. 61 1-4545·

Li­

BmBZ,

avversa. L'autore della

Vita di Gallieno

così descrive

il terremoto spaventoso che svonvolgc l'Italia, l'Africa e l'Oriente nel

262,

un anno prima dell'arrivo di Por­

fJiio a Roma presso la Scuola già famosa di Plotino: Nel mezzo di tutti questi mali prodotti dalla guerra, avvenne uno spaventoso terremoto, seguito da tenebre che durarono più giorni. Si intese uscire dalle viscere della terra un ruggito simile al rumore del tuono, benché non tuonasse. In quel terremoto molte case furono inghiottite insieme con coloro che le abitavano; il solo terrore fece morire molta gente. Questo disastro ebbe degli effetti più tristi nelle città d'Asia. Roma fu violentemente scossa, cosl come la Libia; la terra si aperse in molti punti e l'acqua salata sgorgava da quelle aperture 1•

Molte città furono sommerse dalle acque del mare. E intanto una peste terribile si era scatenata in tutto il mondo mediterraneo, ormai da più anni. In quello stesso

262

raggiunse l'Europa dall'Africa. Secondo la

testimonianza di Zosimo,

è

la più violenta peste che si

sia mai vista. Distrugge intere città in Italia e in Grecia. Nella

Vita di Gallieno

si parla di uno stragrande numero

di vittime ogni giorno nella città di Roma. E l'autore commenta: « Pareva che il mondo intero avesse cospirato

(quasi cospiratione totius mundi) per la perdita dell'Impero .. Era la sorte stessa che incrudeliva .



.

Dovlm.que la di­

sperazione e in nessun luogo la minima speranza di 1.

Scriptores Historiae Augustae, Vita Gallieni,

V, 2-4.

salvezza

(neque usquam spes mediocriter salutis ostentata

erat) t1• Ma ]a

conspiratio totius mundi, di cui

si lamenta lo sto­

rico romano, la maligna fatalità, nl?n era certamente la sola responsabile di quella grande sciagura. Le fre­ quenti pestilenze che decimavano la popolazione del­ l'Impero, erano dovute « in buona parte al disordine generale de11a vita, alla povertà, alla denutrizione, alle condizioni insalubri delle città, e così via »

•.

Secondo il Rostovzev, è anche «probabilissimo che sotto l'influenza di condizioni così disastrose sia diven­ tato fenomeno caratteristico dell'età un vero e sistematico suicidio di razza, favorito dalla legislazione romana re­ lativa all'esposizione degli infanti

»

•.

Nasce in questa

età, quasi una parodia de] tema plotiniano della ' fuga dal mondo ', così carico di senso etico e religioso, la tendenza diffusa al vagabondaggio ed al banditismo.

IbiJ., 6-7. Cfr. LEON HoMo, L'empereur Gallien et la crise Je l'Empire romain au III• siècle, in «Revue historique•, 1913, pp. 21 s. Sul!a inattendibilità, in generale, delle fonti latine della biografia di 1.

Gallieno si v. ivi pp. s ss. Ma ciò non impedisce, ovviamente, di ritenere genuini questi echi di un'età di grandi sciagure pubbliche. Su Gallieno e il suo tempo si veda anche G. PuGLIESE-CARRATELLI,

La crisi dell'impero nell'età Ji Gallieno, in « La Parola del Passato t, 1947, pp. 48-73. Per quanto riguarda Plotino e l'opposizione tra cul­

tura neoplatonica e cultura cristiana, v. 2.

mano, J.

ivi,

pp. 63-73.

M. RosTOVZEV, Storia economica e sociale dell'Impero Ro­ trad. di G. Sanna, Firenze 1965, 3" ed., p. sso.

IbiJ.

A causa della costante oppressione esercitata dallo Stato

sui sudditi, « la popolazione fuggiva dai suoi luoghi di dimora e all'intollerabile esistenza delle città e dei vil­ laggi preferiva

una vita

d'avventure e di

latrocini

nelle foreste e nelle paludi • 1• n progressivo spopola­ mento aveva come conseguenza

costante diminu­

una

zione della produttività, un graduale inselvatichirsi dei terreni coltivabili e un altro flagello endemico sempre più diffuso, la malaria. L'impressione di trovarsi di fronte ad un enorme processo di dissoluzione indominabile era suggerita agli storici contemporanei dallo stato permanente di anar­ chia e di violenza che colpiva specialmente i vertici della classe dirigente, in mezzo alle lotte continue degli eserciti contro la pressione più minacciosa dei barbari sul Reno, sul Danubio e in Persia. La morte violenta pare essere il retaggio comune degli imperatori di questo periodo: da Massimino a Diocleziano, Valeriano muore prigioniero dei Persiani, Decio in lotta contro i Goti, Claudio di peste, Caro di morte dubbia, tutti gli altri - compreso Gallieno, il cui regno

è

durato tuttavia,

più a lungo di tutti, per quindici anni - sono uccisi dai loro ufficiali o dai loro soldati, o da quelli di un rivale. I.

!biti.,

p. jjl.

Le speranze del moderatismo illuminato

2.

Plotino ebbe modo di constatare di persona che cosa fosse una rivolta militare. Ci si è trovato in mezzo quando si era posto al seguito di Gordiano III, l'imperatore ado­ lescente che sotto la guida del suocero Timesiteo aveva sconfitto i Persiani, liberato la Siria e stava per invadere la Mesopotamia. Il trentanovenne discepolo di Am­ monio Sacca aveva lasciato Alessandria, dove ne aveva seguito i corsi per I I anni, « essendo giunto a possedere così bene la filosofia da cercare di prendere conoscenza diretta di quel1a che si pratica presso i Persiani e di quella che

in onore presso gli Indiani », racconta Porftrio

è

Ma lo stato di guerra non è

sempre la migliore situa­

zione per promuovere gli scambi culturali. Morto

Vita di Plotino,

1. ist fiir

uns

THEILER,

1•

il

3· Sulla misteriosa figura di Ammonio (• er

ein grosser Schatten », diceva di lui, concludendo, W.

Plotin unti aie antike Philosophie,

p.

2T

s1

veda E. R. Donns,

• Mus. Helv . •• I, 1944.

5) e sulla sua influenza nella formazione del pensiero di Plotino,

NumeniriS antl Ammonius, in « Entretiens sur Les sources de Plotin, Vandoeuvres-Genève 19(io, pp. 3-32 e la DiscussiCJn, pp. 33-61. Si veda anche: K. H. E. DB JoNG, Plotinus of Ammonius Sakkas, Leida 194 1. La tesi di un'ori­ l'antiquité classique », V,

gine indo-scita del maestro di Plotino è sostenuta da ERNST BENZ,

lrulische EinjlU.sse auf aie fJ'Uhchristliche Theologie,

Akademie der Wis­

seruchaft und der Literatur, Abhandlungen der Geistes-und Sozial­ wissenschaftlichen Klasse, Wiesbaden 1951, N. 3, pp. 29-34 (197-

Plot. and lndische Elem.

202). Sulla questione si vedano anche: A. H. ARMSTRONG,

India, in • The Classical Quart. •, 1936; e M. ARPAD, in plotin. Neuplat., in • Scholastik », Friburgo in B., 1938.

suocero di Gordiano, questi fu quasi subito tolto di mezzo da nn ammutinamento di soldati, « e P.lotino a mala pena rimcì a fuggire ed a rifugiarsi ad Antiochia », finché, impossessatosi del potere Filippo, figlio di uno sceicco arabo del Hauran e capo della guardia imperiale, venne a Roma, all'età di quarant'anni », nel 244 (Vita, 3). Così la Scuola romana di Platino - la più grande Scuola di filosofia che abbia trovato sede nella capitale dell'Im­ pero è nata nel ricordo, ancora fresco d'esperienza diretta, di uno dei tanti episodi di violenza che scuotono in quel tempo le basi dell'edificio imperiale. Ma per caratterizzare i termini essenziali in cui si verrà ponendo, in tale situazione drammatica, il pro­ blema filosofico nei quasi venticinque anni dell'insegna­ mento romano di Platino, bisogna tener presente che l'inizio di questo, per tutta la durata del regno di Filippo, dal 244 al 249, è avvenuto in un clima di restaurazione dell'ideale stoico del re ' giusto ' e ' saggio ', quale era stato realizzato nella seconda metà del secolo precedente secondo le aspirazioni tuttora vive della classe senatoria, di cui faceva parte il fior fiore dei ceti colti dell'Impero, ma che stava per essere gradatamente esclusa da ogni ef­ fettivo esercizio del potere, specialmente dopo la mili­ tarizzazione dell'amministrazione, inaugurata da Set­ timio Severo (193-211 d. C.). Non ha avuto poca im­ portanza, in questo ritorno ad un ideale che poi gli avvenimenti successivi dovevano rivelare puramente nostalgico, l'esaltazione quasi disperata dell'immortalità «

-

dell'Urbe, Caput mundi, nella celebrazione, ordinata da Filippo, del millesimo anniversario della fonda­ zione di Roma nel 248. I retori hanno certamente influito su quella reviviscenza effimera dell'umane­ simo politico antoniniano, favorita dal carattere con­ ciliativo dell'imperatore cristianeggiante. Anche se non è sicuro che l'orazione c All'imperatore & (Eis Basiléa), già falsamente attribuita ad Elio Aristide, sia stata indi­ rizzata, come ritiene il Rostovzev a Filippo l'Arabo, essa tuttavia rivela con una certa evidenza le idee cor­ renti nel ceto colto degli anni quaranta del III secolo. In un'età di tensioni anarchiche e di repressioni ti­ ranniche era naturale che l'ignoto retore si rivolgesse al philanthropos Basileus, esaltandone 1a santità, la pietà, la mitezza, l'energia, la saggezza, la giustizia, la temperanza c la filantropia, secondo i cànoni de1 moderatismo illu­ minato, con cui già Dione si era indirizzato a Traiano. Ma il carattere ideologico dell'orazione si fa più mani­ festo nella proposta del ritratto idea1e del ' Re ' soprat­ tutto sotto il profilo della magnanimità sovrana che non ha paura di perdere il prestigio della propria grandezza e potenza, concedendo familiarità e benevolenza a tutti quelli che vogliono presentarsi a lui, « quasi padre e pastore degli altri « Nè infatti egli ritiene che, l,

•.

r.

Op. cit.,

p. 523 s. L'identificazione dell'imperatore, a cui

si rivolge l'ignoto retore, con Filippo, è St.

•,

40 (1918) pp. 20 ss.

di E.

GROAG,

«

Wiener

se fossero rari e difficili gli accessi alla sua persona, in questa maniera potrebbe conseguire presso il popolo il prestigio di una grandezza e di una potenza, che nes­ suno prima ha mai avuto, ma, al contrario, se si mo­ strerà benevolo ed equo verso tutti coloro che ne hanno bisogno. Egli pensa, in realtà, che il vero re deve con­ formarsi al modello del Re dell'universo, sia per quanto riguarda la dignità dell'animo, sia per la cura di tutti i cittadini » È precisamente quanto volevano le élites senatoriali, che il sovrano non fosse geloso della propria autorità ed accettasse la loro collaborazione, senza iso­ larsi nell'autocratismo inaccessibile del monarca mili­ tare, difeso da una rete di delatori, come avveniva negli anni precedenti, quando « numerose spie andavano in giro per tutte le città ascoltando se alcuno dicesse qualche cosa di sospetto, ed era impossibile pensare o parlare li­ beramente, giacchè era soppressa ogni più moderata e giusta libertà di parola e ognuno tremava perfino della sua ombra » Questi ideali e queste speranze, di restaurazione politica, in mezzo agli sconvolgimenti del tempo, costitui­ vano certamente un aspetto importante del clima cultu­ rale in cui si aperse a Roma la Scuola di Platino. Uno dei caposaldi delle dottrine che vi si insegneranno, e che è 1•

•.

1.

Bis Basilia,

AEL.

AlusTIDIS SMYRNAEI Quae supersunt omnia,

cdid. Bruno Keil, vol. II, Berlino 1958, p. zs8 z.

Bis Basilia, par.

21.

s.

parr.

22-24.

in certo modo la categoria-base di tutta la metafisica plotiniana, trae la sua origine da nn

tòpos

in cui si espri...

me la mentalità caratteristica delle classi aristocratiche o comnnque conservatrici:

il

luogo, o ·come direbbero

oggi gli antropologi culturali, il valore culturale, dell'or­ dine, della gerarchia, dell'nnità.

È

il principio

fonda­

mentale che Plotino formula in nno dei suoi primissimi trattati (il 5° nella serie cronologica tramandataci da Porfirio),

Sulla mente le idee e l'essere: -rò 8è xpei:nov cpom:� np(;)-rov, il migliore è per natura l'antecedente, Enn., V, 9, 4· « Bisogna ammettere che gli esseri primi sono in atto, che essi bastano a se medesimi e che sono perfetti; gli esseri imperfetti sono posteriori ad essi e sono fatti per­ fetti per opera di coloro che li generano, come dei padri che allevano fino all'età adulta i propri figli, nati imper­ fetti; questi sono come nna materia in rapporto al prin­ cipio che li ha fabbricati, e tale materia, ricevendo la forma, diventa un essere completo.

(ivi). n teorema

è di evidente derivazione aristotelica, ma ciò ha meno importanza del fatto che Plotino l'assuma dall'orizzonte assiologico del mondo politico a cui egli appartiene.

La cosmografia metafisica di Plotino, costruita sopra lo schema di wta rigorosa gerarchia degli esseri, riflette l'ideale degli ultimi nostalgici sostenitori di wta ideolo­ gia conservatrice.

3.

La Scuola di Plotino

La Scuola di Plotino - aperta nella imponente ca­ pitale, che era ancora il polso del mondo, e dove conve­ nivano tutti quelli che volevano avere qualche influenza sulle cose pubbliche o esercitarvi una propaganda effi­ cace delle loro idee, come ad esempio i capi delle scuole gnostiche, da Marcione a Valentino e a Taziano 1 - era frequentata liberamente da gente che apparteneva ai ceti intellettuali ed aristocratici della società romana. Porfirio, entrandovi nel 26 3, vi troverà

un

gran numero

di medici, come Eustochio, Paolino, Zeto, per lo più immigrati dall'Asia minore o dall'Egitto ;

un

vecchio

retore egiziano diventato banchiere, Serapione; molti senatori, come Marcello Oronzio, Sabinillo, Rogaziano, o donne distinte che appartenevano alla classe senatoria, come Anficlea e Genùna che ospitava Plotino nella sua casa. Che cosa poteva chiedere

un

ambiente cosiffatto

al giovane maestro proveniente dall'Egitto, se non la

restaurazione di

un

sistema di valori che era stato vio­

lentemente nùnacciato dalla gravissima crisi degli ordi­ dinamenti pubblici ? Alle origini di quella crisi, di cui l'esercito è stato il grande protagonista, era la lotta con­ tro le classi privilegiate,

una

lotta che non cessò

«

finchè

Plotin.s Sttllung zum Gnosticismus uml ltirchlichen Christentum, Texte und Untcrsuchungen, 1901, XX, 4. p. 2.0; J. BmEZ, Vie tk Porphyre, Gand-Leipzig, 1913, p. 37 s. I.

Cfr. C. SCHMIDT,

esse non giacquero impotenti e prostrate sotto il tallone della soldatesca semibarbara • 1• L'esercito operava come un vigoroso agente di di­ stnttione e di livellamento, perché alla fine del secolo se­ condo e per tutta la durata del terzo rappresentava quelle masse della popolazione, che erano state quasi del tutto escluse dai benefici della splendida civiltà, essenzialmente urbana, dell'Impero. Gli eserciti di M. Aurelio e di Com­ modo, già prima della crisi, erano composti quasi intera­ mente di contadini, cioè della classe che costituiva la mag­ gioranza della popo1azione dell'Impero. La conseguenza più immediata fu che il ceto senatoriale, che costituiva sotto gli Antonini la mediazione degli interessi politici ed economici della borghesia cittadina, assumerà posi­ zioni sempre più energicamente antimilitaristiche ed anti­ popolari. L'espressione ideologica di questo atteggia­ mento - che non poteva ovviamente essere sostenuto da un preteso privilegio del sangue, e, in molti casi, nep­ pure da

una

distinzione di censo - sarà cercata nell'af­

fermazione del primato della cultura, dell'aristocrazia dell'intelligenza, che si poneva, come strumento, di con­ sultazione permanente, al servizio del

Basileus, il

'

Re '.

n ceto da cui provenivano, nella massima parte, i frequentatori della Scuola di Plotino, chiedeva dunque alla filosofia il sostegno e la fondazione di questa ideolo­ gia che era, nelle sue lontane origini, quella platonica I.

RoSToVZEV, Op. cit., p. S77·

della Repubblica, ma, più recentemente, quella stoica della monarchia antoniniana. È tuttavia avvenuto che Plotino, assumendo da questo contesto ideologico lo schema categoriale di tutto il proprio sistema metafi­ sica - il primato assiologico di ciò che precede, e dun­ que dell'essere sul divenire, e dunque della contem­ plazione sulla prassi -, ha finito col rovesciarne l'origina­ ria istanza pragmatica e sociale, l'implicito interesse di classe. La dignità della vita contemp1ativa diventerà nel suo insegnamento una motivazione dell'invito alla con­ versione filosofica, alla fuga dal mondo, costantemente rivolto ai politici. L'azione che è propria del saggio, e che ]ascerà la sua vera impronta nella storia, non è quella pragmatica, fondata sugli interessi e su1le passioni, sia pure nel dominio razionale degli uni e delle altre, ma de­ riverà tutta e soltanto dalla pienezza della vita contem­ plativa, in un più alto modo di poiesis, la cui definizione e giustificazione costituiranno il problema centrale del­ ]'etica plotiniana. All'inizio del trattato 9 ° della V Enneade, che ho ri­ cordato poco fa, Plotino ci presenta il quadro di una so­ ciologia fùosoflca delle classi, che esprime con sufficiente chiarezza quello che egli pensa della società del suo tempo, come essa è, e della élite che dovrebbe guidarla. Tutti gli uomini, fin dalla nascita, fanno uso dei sensi prima che dell'intelletto e poiché s'imbattono da principio, nece)sariamente, nelle cose sensibili, gli uni, arrestandosi in questo àmbito, trascorrono la loro vita nella credenza che

tali cose siano le prime e le ultime e che il male e il bene siano soltanto, rispettivamente, quanto v'è in esse di doloroso e di piacevole: cosl pensano che tutto consista nel perseguire l'uno e nel fuggire l' altro. E quelli tra loro che hanno la pre­ tesa di sentenziare, dichiarano che proprio in questo sta la saggezza, somigliando a quegli uccelli che hanno preso molto dalla terra e, pesanti come sono, non riescono a volare in alto, per quanto dotati di ali dalla natura. Gli altri si sollevano un pò dalle cose terrene, poiché la parte più nobile dell'anima loro li sospinge dal piacere all'onestà; ma, non riuscendo a vedere ciò che sta in alto, privi di altro sostegno cui appog­ giarsi, ricadono, insieme con i loro discorsi virtuosi, nel­ l'attività utilitaria, cioè nella sfera delle scelte tra le cose vili donde prima avevano pure tentato di sollevarsi. C'è infme una terza schiera, quella degli uomini divini di più forte vigore e dallo sguardo più acuto, che sanno vedere, come chi

ha una vista penetrante, ciò che splende lassù e vi si innal­ zano quasi al di sopra delle nubi e delle tenebre terrene e vi dimorano guardando dall'alto le cose tutte del mondo di quag­ giù e compiacendosi di stare nella regione della verità come nella propria casa, alla maniera di chi, dopo aver vagabon­ dato a lungo, ha fatto ritorno alla sua patria, retta da buone leggi

(V, 9 fs/. 1).

È evidente il riferimento ai tre tipi di saggezza pre­ senti nella tradizione etica della filosofia greca : la sag­ gezza degli epicurei, quella degli stoici e infme quella dei platonici. Ma qui ciascuna delle tre prospettive è esplicitamente proposta come l'esponente intel1ettuale di un modo di vita che raccoglie gli uomini in una specie di classe sociale abbastanza definita (diversamente, per

esempio, da una pura distinzione degli atteggiamenti o ' stadi della vita ', com'è quella, non molto dissimile, di K.ierkegaard). Alla prima classe appartengono, se­ condo Plotino, i ceti inferiori, vincolati alla fatica quoti­ diana del lavoro manuale e ai ruoli esecutivi della vita di guerra : come egli dirà con inusitata e significa dva al­ terigia, polemizzando con i gnostici, è la classe di quella � folla disprezzabile che non è più se non Wla massa di gente destinata a lavorare per procurare gli oggetti necessari alla vita degli uomini virtuosi » {II, 9/3 3 / ,9) Della seconda fanno parte i ceti dirigenti che nell'ammi­ nistrazione della cosa pubblica, così come nella condotta della loro vita privata, possono certamente esser gui­ dati dal criterio del giusto e dell'onesto, ma, nella mi­ sura in cui sono estranei ad un reale interesse per le cose dello spirito, sono travolti nei conflitti per la conquista del potere o mortificati nella routine dei meccanismi burocratici. La terza, infine, è costituita da quella élite intellettuale e morale che ha operato nell'interiorità 1•

1.

di E.

È forse

giustificato proprio da questo passo il duro giudizio

BuoNAIUTI, Gnosi cristiana,

platonismo

c

Roma 1946, p. 1 18, contro il neo­

ravvolto nel palucla'mento della sua etica statolatra

•,

che non è riuscito a comprendere il senso del messaggio caritativo della nuova fede.

Sul

problema dell'identificazione dei « gnostici t

dd trattato Il, 9 si veda dopo la scoperta delle « Apocalissi t presso Neg Hamadi, H. Cu. PUECH, Plotin et les Gnostiques, in Les Sources dt

Plotin,

cit., pp. I61-190.

dell'anima la conversione, il rovesciamento radicale delle finalità, perchè apprezza e cerca non le cose inferiori all'uomo, ma la perfezione della sua

thela moira,

cioè

l'esercizio della contemplazione e della vita virtuosa. Questa minoranza di ' uomini divini ' eserciterà tanto più efficacemente la sua funzione di guida morale nel mondo della società politica, secondo Plotino, quanto più sarà distaccata interiormente dai suoi interessi e dalle sue passioni, impegnandosi in una vita di concentrazione meditativa. Si tratta di una guida morale, dunque, di ùn magistero della saggezza, piuttosto che di una funzione di esperti nell'arte della politica, com'era ancora quella dei filosofi-legislatori della

Repubblica.

Plotino ha l'ar­

ditezza di proporre questo ideale non soltanto ai singoli, ma ad una comunità di uomini nuovi che doveva espri­ mere il meglio di quell'aristocrazia

o alta borghesia

senatoriale, proprio nel momento in cui questa s'illudeva di ritrovare l'antico potere, mentre in realtà doveva presto apparire inevitabile la sua definitiva esclusione dalle effettive mansioni politiche e militari, se non da quelle puramente amministrative, della vita statale. Era questa, dunque, ]a finalità della sua Scuola, la quale non si può certamente immaginare che fosse come una specie di cenacolo chiuso, quasi un monastero di frati-filosofi, nel cuore della città tumultuosa. Una descrizione, ad esempio, come quella che ne fa

il Bidez, nella sua

Vie de Porphyre,

molto simile al vero:

non credo che sia

ll VISitatore che penetrava per la prima volta presso Plotino doveva essere stranamente impressionato. Ancora stor­ dito dal tumulto della grande città, a un passo da quelle vie dove si metteva in mostra, in un sontuoso decoro di monu­ menti, il fasto di una vita di piaceri appena immaginabile da noi, scopriva un ambiente tranquillo di asceti, che ignora­ vano il mondo, meditavano dei libri di filosofia e praticavano una rinuncia au stera. Conducendo insieme una vita pura, gli iniziati di questa conventicola filosofica attendevano il giorno dell'estasi su questa terra, poi la liberazione operata dalla morte e il ritorno della loro aaùma nel seno dell'Essere eterno. L'esistenza in piena capitale di quel piccolo cenacolo di ' gente emaciata ' e claustrale non ha d'altronde nulla di

sorprendente. È uno di quei contrasti violenti che si produ­ cono nell'intensità e nella sovraeccitazione di un centro come la Roma imperiale

1•

In realtà, era veramente e soltanto Wla ' Scuola ', il cui accesso era libero a tutti, in cui Platino - che re­ golarmente prendeva le sue vacanze estive - dava delle conferenze, sollecitando i suoi uditori ad intcrrompcrlo per porgli delle questioni, e queste riguardavano un ampio arco di problemi della cultura del tempo : di etica, di psicologia, di cosmologia, di demonologia, di teologia, di logica e di estetica. Senza dubbio, c'era una distinzione tra i veri e propri discepoli (�7jÀoT00; 8è xod 8toc cptÀoaocp(ocv cruv6vTotç) e i semplici uditori (�ay_e 8è à.xoocTocç; fLEV 1tÀdouç;, Vita di Plotino, 7), ma tra gli stessi disce­ poli c'erano, per esempio, molti medici (forse per1.

BIDFZ,

Op. cit.,

p. 38

s.

ché era in auge la medicina psicosomatica) che coltiva­ vano contemporaneamente la propria professione, e, come già abbiamo visto, uomini politici, membri della classe senatoria, che, pur continuando la loro attività pubblica, « si dedicarono più seriamente degli altri alla filosofia •. Platino, se pur frenava in qualche caso, come avvenne per il suo discepolo carissimo Zethos, l'eccessivo zelo per le brighe della politica, non si può dire che li distogliesse dalle attività pubbliche. La fuga dal mondo, non consiste certamente per lui né nell'abbandono della vita né nel disimpegno degli obblighi sociali, ma in quella purificazione interiore che è la condizione del buon filosofare. Il caso del senatore Rogaziano, citato da Porfirio e proposto da Platino come modello ai filo­ sofi per la sua rinuncia totale alle cose di questa vita, agli averi e alle cariche, era appunto un'eccezione. « Egli arrivò ad un tale distacco dalla vita, da abbando­ nare tutti i propri beni, liberare i suoi servi e rinunciare alle sue cariche. Nominato pretore, al momento di en­ trare nell'esercizio delle sue funzioni, e quando già i littori lo attendevano, non volle affatto uscire né com­ piore alcuno degli atti ufficiali. Non volle neppure più abitare nella propria casa, ma, ospite presso qualche amico o famigliare, là riceveva nutrimento e ricovero. Non mangiava se non un giorno su due . . . » (Vita, 7). Ma, aggiunge subito Porfirio, presso Platino c'erano an­ che persone come Serapione d'Alessandria, « un anziano retore, che si era dedicato in seguito alla filosofia, non

riuscendo tuttavia ad abbandonare le sue cattive abitudini di uomo d'affari e di usuraio •· Una Scuola, dunque, di varia composizione, e non un convento di asceti isolati dal mondo. Ciò che atti­ rava attorno a Plotino tanti uditori e tanti seguaci non era soltanto la sua eccezionale personalità di Maestro, ma anche e specialmente la suggestione che doveva eser­ citare in quelJ'età della preoccupazione la dottrina della salvezza interiore, quel ripiegarsi nella meditazione del­ l'essenziale e dell'eterno, che dava un senso nuovo al travaglio terreno della condizione umana. L'umanesimo interiore, già annunciato nell'ultimo stoicismo, era pro­ posto da Plotino con una fiducia nuova nell'esercizio dell'attività speculativa e nelle sue funzioni etiche. Ma certamente una forte attrattiva era costituita dall'affiato mistico che ispirava la tensione teoretica nella Scuola neoplatonica, dove confluivano gli echi e in certo modo erano ritrovate o sostituite, in un rinato culto degli Dei e degli Eroi, le speranze diffuse nel mondo mediterraneo dalle nuove religioni soteriologiche. I grandi filosofi attici erano non soltanto commentati nelle discussioni della Scuola, ma anche venerati con « un culto analogo a quello di cui erano oggetto Gesù, gli apostoli e i martiri delle comunità cristiane • Vi si recitavano inni religiosi 1•

1. :BmEZ, Op. cit;, p. 47. Cfr. WILAMOWITZ-MOELLENDORF, Die Hymnen des Proklos und Synesios, Sitz. - :Ber. der preuss. Aka­ demie, :Berlin, 14 marzo 1907. Che nella Scuola di Plotino si avessero a disposizione dei codices

all'apertura delle lezioni. E « naturalmente il fervore sa­ liva più alto nelle feste di Platone. Come Longino, Pio­ tino si conformava all'uso antico ; commemorava la na­ scita del fondatore della Scuola e perfino, col suo misti­ cismo, seppe rinnovare e rianimare la più nobile soprav­ vivenza del culto degli eroi >> Della temperie emotiva di queste feste Porfirio ci ha lasciato un esempio che lo riguarda direttamente. « Durante la festa di Platone, avevo letto un mio poema : Nozze Sacre. A causa del tono ispirato con cui vi trattavo di sensi mistici e nascosti, qualcuno ironizzò : Porfirio è invasato. E Plotino disse, in modo che tutti potessero udirlo : ' Ti sei rivelato ad un tempo poeta, fùosofo e ierofante ' » (Vita, 1 5). In definitiva, l'« ambiente di gente raffinata dalla cul­ tura e dalla vita mondana », da cui provenivano i fre­ quentatori della Scuola, chiedeva alla filosofia una ' dire­ zione di coscienza ' piuttosto che un indottrinamento da professori : quella guida spirituale che non era mai po­ tuta diventare universale e popolare, prima del cristia­ nesimo, perché era strettamente legata all'esercizio del pensiero, alla condotta del Bfos theoretik6s, cioè alla sola via, secondo Plotino, che conducesse insieme alla rivela1•

•,

- e dunque fosse possibile la lettura diretta di Platone o di Aristo­ tele e non soltanto l'uso dei loro testimonia - è il parere di P. HENRY (le ultime scoperte di papiri hanno provato che i codices esistevano all'epoca di Plotino). Cfr. Les Sources de Plotin, cit., p. 101. 2. BIDPZ, ivi. J. Cfr. BRÉHJER, Introdurtion, in Enniades, ed. cit., l, pp. IX ss.

zione del Sacro ed alla perfezione deJl'anima. Non im­ portava che le dottrine insegnate fossero prese, con un certo eclettismo, dalle scuole filosofiche più diverse, ciò che Plotino si proponeva e i suoi discepoli gli chiedevano era che esse servissero ad avanzare in quella via della ricchezza interiore inattaccabile dai colpi della sorte cd irradiantesi intorno al saggio, in qualche modo, come una testimonianza profetica.

4 . L'opera di Gallieno e i nuovi compiti della Paideia La Scuola di Plotino ebbe il suo più alto prestigio sotto l'imperatore Gallieno (253-268 d. C.). L'atmosfera politica durante questo periodo si cambia profondamente. L'ultimo tentativo fatto dal ceto senatoriale e dalla bor­ ghesia cittadina per restaurare nell'Impero la supremazia della classe intellettuale e possidente - cominciato con la rivolta contro Massimino (23 8 d. C.) e giunto alle moderate speranze del quinquennio di Filippo l'Arabo (244-249 d. C.) - era stato soffocato dall'anarchia mi­ litare, seguita alla morte violenta di quest'ultimo. Dopo una fugace reviviscenza nei primi anni del regno di Gallieno, esso cadrà definitivamente a causa delle stesse condizioni disperate in cui l'Impero viene a trovarsi di fronte alla pressione dei barbari sul Reno, sul Danubio e alla frontiera persiana. Gallieno seppe fronteggiare con energia e tenacia la situazione disastrosa sia della

mi-

naccia esterna sia dei pretendenti al potere (i c trenta tiranni », di cui parlano gli storici dell'epoca), rafforzando il potere militare della suprema autorità imperiale con l'organizzazione di grandi corpi di cavalleria corazzata, concentrati sotto un unico comando, ma soprattutto im­ ponendo una svolta decisiva alla storia dell'amministra­ zione romana mediante la centralizzazione e l'unificazione di essa nelle mani dei comandanti equestri delle legioni. Membro egli stesso dell'aristocrazia senatoriale e umanista raffinato, tuttavia, proprio lui, consolidato il potere, inizia la costruzione dello Stato militaristico. Egli ha escluso gradualmente la classe senatoria sia dai posti di comando nell'esercito, sia dal governo delle stesse provincie sena­ torie, sostituendoli con i membri della classe equestre, cioè con antichi soldati. Ciò significava evidentemente la defmitiva rinuncia ai sogni di una restaurazione di tipo antoniniano e quindi il colpo di grazia alle aspirazioni della vecchia classe dirigente. Era l'unica condizione pos­ sibile della salvezza dello Stato, perché, come Galliena e i successori se ne resero conto, l'unica sua forza reale era ormai l'esercito, l'unica, almeno, che fosse in grado di risolvere i gravissimi problemi della sua difesa esterna e del suo ordinamento amministrativo. Non c'è dubbio che rispondeva realisticamente a que­ sto nuovo stato di cose il rovesciamento dei fini predi­ cato e perseguito nella Scuola di Platino, cioè a dire l'invito rivolto ai ceti intellettuali perchè costituissero, nella società del loro tempo, una élite di guide morali,

anziché mirare al recupero dell'antico prestigio politico. Non è stata questa, forse, la meno importante delle ra­ gioni per cui l'imperatore umanista - spesso così bru­ talmente calunniato dagli storici romani 1 -

ha avuto

rapporti di amicizia e di familiarità con Plotino. « Gal­ lieno, dichiara il pur malevolo Trebellio Pollione, autore della

Vita Gallieni,

possedeva ad un grado notevole il

talento della parola, della poesia e di tutte le belle cono­ scenze. Si ha di lui un epitalamio che fu giudicato il migliore tra quelli di cento altri poeti

.

.. I

suoi versi e

i suoi discorsi lo collocarono al primo posto dei poeti e dei retori del suo tempo ,. {Xl, 6-7). Come Adriano, aveva il gusto dell'ellenismo. Nel suo viaggio in Grecia si era fatto nominare arconte, volle essere iscritto tra i cittadini ateniesi, entrò nell'Areopago e fu iniziato a tutti i misteri

•.

A Roma, dice Porfìrio,

« l'imperatore Gallieno e la sua sposa Salonina tenevano Plotino in grande stima e venerazione •

)

u .

(Vita di Plotino,

Per quanto suggestiva, l'ipotesi di Max Wundt che

I. Cfr. L. HoMo, Art. cit., pp. I ss. c Labes i.mprobissima t, lo gratifica l'autore della Vita Gallieni, XIV, 5 ; c illa pestis inauditae luxuriae t, si dice di lui in Vitae XXX Tyrann., V, 6. Sul giudizio degli storici di Gallieno si veda anche G. BoVINI, Gallieno, la sua iconografia e i riflessi in essa delle vicende storiche e culturali dd tempo, in c Mem. Accad. d'Italia •• vn, 2, 2, I94I, pp. II5-I6i. 2. Cfr. L. HoMo, Art. dt., p. 9· Si veda, più in generale, sulla

rinascitat umanistica nell'età di Gallieno, G. MATBBW, The Cho­ racter oJ the Gallienic Renaissance, in c Joumal of Roman Studies t, 33. I945. pp. 65-70. c

Plotino sia stato presso l'imperatore quello che Platone sognava di essere presso il tiranno di Siracusa, non è suffragata da ragioni indiscutibili La scarna notizia che Porfirio ci dà della familiarità del maestro con la fami­ glia imperiale, non consente di giustificare una linea ese­ getica degli ultimi trattati delle Enneadi, scritti dal 262 in poi, com'è quella proposta dal Wundt, in rapporto a quel presunto ruolo di alto consulente o, dopo l' assas­ sinio di Gallieno nel 268, di amico sconfortato che eleva « un monumento funerario in onore dell'imperatore » Anche se questi si fosse posto sotto la « direzione di co­ scienza » del filosofo, non è verosimile che egli gli chie­ desse di più che una guida nell'àmbito spirituale, in quella via della riforma interiore che costituisce il senso di tutto l'insegnamento plotiniano. Cosi il progetto, proposto da Plotino all'approvazione dell'imperatore, per la fonda­ zione di una città di filosofi, Platonopoli retta dalle 1•

•.

•,

1.

Di MAx WUNDT si veda specialmente il secondo saggio. unJ Gt�llien, dei tre che costituiscono la raccolta: Plotin, Stu­

Plotin Jien zur Geschichte tks Neuplt�tonismus, I Heft, Leipzi.g

1919. n Wundt

ha il merito, abbastanza raro, d'aver cercato di situare il pensiero

di Plotino nd suo ambiente sociale e politico. 2. Cfr. le osservazioni critiche, a questo proposito, di M. DB GANDILLAC, LA st�gesse Je Plotin, Paris 1952, Préface, pp. xn ss. 3 · Sull'argomento v. G. DELLA VALLB, Platonopolis, data, ubi­ ctU:ione e fint�litil della cittil progettata dt� Plotino, • Rendic. d. R. Ac­ cad. d. archeologia lett. e b. arti t, 19, 1939, pp. 235-263. n Della

Valle ritiene che il progetto sia stato presentato nd 267 o nei primi mesi dd 268, cfr. p. 240. La città-ideale di Plotino sarebbe dowta

leggi di Platone, ricostruita sopra le rovine di un'antica città della Campania, dove egli stesso si sarebbe ritirato coi suoi discepoli, non mirava probabilmente né ad una specie di città-convento, come pensa il Bréhier, « sul tipo di quei conventi degli Esseni e dei Terapeuti, la cui descrizione, fatta da Filone d'Alessandria, forse era cono­ sciuta da Platino • 1 , né, secondo l'ipotesi del Wundt, come un

c

collegio di quadri )), una specie di Istituto

superiore per la preparazione filosofica alle mansioni po­ litiche dei giovani provenienti dall'ordine equestre. L'idea di una comunità essenica o dei Terapeuti non si adatta facilmente alla città ideale delle

Leggi

platoniche, a cui

allude Porfìrio nel parlare del progetto ; d'altro canto, bisognerebbe sostituire completamente l'elenco che egli ci ha tramandato dei discepoli e degli uditori di Platino, per trovarvi una qualche consistente presenza di rappre­ sentanti dell'ordine equestre. Più probabilmente Platino pensava all'istituzione di una città della

paideia,

dove

egli e i suoi discepoli potessero educare all'ideale filoso-

sorgere sulle rovine di Vescia, l'antica capitale della confederazione aurunca, sulle pendici del monte Massico nelle vicinanze del golfo di Gaeta. cfr. p. 2.54. I. Introduction, in &n., cit., l, p. XII. c La cité platonicienne d�enuc couvent. c'est sans doutc la meilleure et la plus plaisante illustrati.on de la différence entre le platonisme et le néoplatonisme • (p. XID). Anche il Ddla Valle accetta l'ipotesi dd Bréhier che PJ.o.­ tino c progettaase non una vera città. beosl un semplice cenobio di tipo orientale •, cfr. p. 2.58, iD c Rend. • cit.

fico le nuove generazioni fin dalla fanciullezza. Il rife­ rimento alle Leggi di Platone è significativo. Come os­ serva giustamente lo Jaeger, « mentre nella Repubblica l'accento batteva del tutto sul grado più alto della paideia, e Platone si preoccupava di sciogliere il più possibile quel concetto dal vincolo della parola originaria pais, nelle Leggi invece egli comincia proprio fin dalla prima fanciullezza (Legg., 643 h 5 ). Quello che sempre più lo avvince è il compito di radicare la forma consapevole, razionale, della paideia - si vorrebbe dire, il suo elemento propriamente filosofico - nello strato prerazionale, in­ conscio o seminconscio, della vita psichica • Che a que­ sto compito Platino fosse particolarmente sensibile, oc­ cupando in esso addirittura una buona parte della sua giornata, lo dichiara esplicitamente Porfirio, presentan­ doci un quadro suggestivo della sua casa romana piena di vita e di giovinezza : « Molti, - uomini e donne delle più nobili famiglie - al pensiero della morte im­ minente, recavano a lui i loro figli, maschi o femmine che fossero, e glieli affidavano col resto dei loro beni, quasi a custode sacro e divino. Perciò la sua casa era tutta piena di giovinetti e di fanciulle. Tra essi v'era anche Polèmone : Platino aveva a cuore la sua educazione e spesso stava ad ascoltare com'egli componesse dei versi. Si sobbarcava persino alla revisione dei conti che gli 1•

III,

I. W. JAEGER, Paideia, p. 388 s.

voll.

3, tr. it., Firertze, I• ristampa 1963,

sottoponevano i loro tutori e badava che fossero esatti. Diceva : ' Finché non saranno filosofi, essi hanno tutto il diritto che i loro beni e le loro rendite non siano intaccate e si serbino integre ' » (Vita, 9). Non è invero­ simile che con l'accrescersi del prestigio di Plotino e con l'indurirsi dei tempi che rendeva sempre più difficile alle nuove generazioni dell'aristocrazia cittadina l'accesso alle tradizionali mansioni politiche, si pensasse seriamente, fino a progettarne i dettagli più concreti, ad allargare quella specie di collegio domestico alle dimensioni di una vera e propria città pedagogica. E si può anche com­ prendere perché qualcuno a corte fece fallire il progetto. « Il filosofo, racconta Porfirio, avrebbe molto facilmente ottenuto quello che voleva, se alcune personalità della corte imperiale non gli avessero frapposto ostacolo per invidia, avversione o altro indegno motivo ,. (Vita, 12). Ormai l'imperatore non era più in buoni termini con il senato, e a corte, come in tutti i gangli vitali dell'am­ ministrazione pubblica, dominavano i militari. È natu­ rale che alcuni, forse i più avveduti di questi, intuissero in quel progettato vivaio di filosofi l'intento di formare una futura classe dirigente, e dunque la minaccia di una uova restaurazione del prestigio e del potere della classe avversa. In realtà, Plotino, anche per quanto riguarda la poli­ tica, perseguiva un'opera di più vasta portata, un piano di tempi lunghi, come oggi si direbbe. Il suo ideale filo­ sofico, legato al distacco interiore ed a) culto della nostra ••

' parte divina ', concordava con la nuova ideologia mi­ stica dell'Impero, che già con Galliena si veniva profi­ lando e poi via via trionferà con Aureliano, Deus et Dominus natus, e con gli imperatori della Tetrarchia, all'aurora di un'età teocratica che durerà quasi un mil­ lennio. Nella misura in cui s'imponeva dovunque, con ferrea inesorabilità, la politica militaristica, la forza coer­ citiva dello Stato non poteva ottenere il consenso dei sudditi e la loro adesione attiva, se l'atteggiamento poli­ tico di fronte all'autorità non si fosse trasformato in at­ teggiamento morale e infine in atteggiamento religioso. È la ragione per cui Galliena, che si era fatto iniziare ai misteri di Eleusi, favorirà i movimenti sincretistici che venerano nell'imperatore l'espressione della divinità so­ lare. Più tardi, con i Tetrarchi, la proclamazione dell'im­ peratore - ormai messa fuori causa la legittimazione da parte del senato - asswnerà il carattere di una vera e propria investitura di tipo sacrale. ll giorno di tale investitura è il dies natalis in cui il nuovo sovrano diventa figlio degli dèi ed inizia il suo potere sotto il segno e l'ispirazione della grazia divina. Ebbene, il grandioso edi­ ficio teologico che .Platino ha innalzato sul fondamento della sua dottrina dell 'Uno onnipotente ed inaccessibile dal puro esercizio de1la ragione, e la fervida paideia della « contemplazione creatrice • che ha ispirato costante­ mente il suo insegnatnento, anche in contrasto con le suggestioni immediate dell'ambiente aristocratico ed in­ tellettuale che gli era più caro, sono state le coordinate

massime di quella nuova forma dei rapporti etici e poli­ tici. Plotino, nel mondo che andava formandosi intorno a lui, ha posto i fondamenti ideologici dell'impero sa­ crale 1•

r. Dopo gli studi del WWldt, questo tema è stato quasi del tutto trascurato negli studi plotiniani. Si veda il breve articolo, in russo, di À. L. KAc, Motivi sociali e politici nella filosofia di Plotino secondo le ' Enneadi ', in « Vestnik Drevnej Istorii », Mosca 1957, N. 62, pp. I I S-127.

II LA VERGOGNA DI ESSERE IN UN CORPO

1.

Un malato del suo tempo

Plotino non era in buoni rapporti col proprio corpo. Non lo amava né l'odiava, semplicemente lo ha tolle­ rato come si tollera

un

compagno di viaggio, piuttosto

malandato e fastidioso, di cui si pensa con sollievo che ci lascerà definitivamente al tennine della prossima tappa, mentre noi còntinueremo, finalmente soli e liberi dal­ l'incomodo, il nostro cammino. Il ritratto Iealistico con cui Porfirio ci presenta il maestro nella prima pagina della sua biografia, pare quasi

un

atto di scusa che gli

rivolge, perché, malgrado il suo insegnamento, osa par­ lare di cose, come la nascita e la famiglia e la città natale e la salute e le malattie, di cui egli quando era in vita non aveva fatto il minimo conto. Plotino, il filosofo del nostro tempo, aveva l'aspetto di uno che si vergogni di essere in un corpo. Per questa sua disposizione, si era sempre rifiutato di parlare dei suoi ante­ nati,

dei suoi genitori, della sua patria. Non sopportava

l'idea di posare per un pittore o uno scultore, a tal punto che ad Amelio, il quale gli chiedeva di permettere che gli si facesse il ritratto, rispose : ' Non basta dunque sopportare que-

sto simulacro di cui la natura ci ha voluto rivestire,

ma

voi

pretendete addirittura che io consenta di lasciare

un

più

durevole simulacro di tal simulacro, come se fosse davvero qualcosa che valga la pena di vedere ? Di qui, il suo rifiuto ;

e, per conseguenza, non voleva sapeme di posare Scrivere Wla biografia

è

(Vita, 1) .

come fare Wl ritratto. Pio­

tino vi si sarebbe opposto come aveva fatto con Amelio. Il ritratto tuttavia, senza che egli lo sapesse, glielo fecero fare,

«

somigliantissimo •, da un bravo pittore, che ne

riprodusse l'immagine a memoria, dopo che aveva assi­ stito alle sue lezioni ; e la vita ormai Porfirio la poteva scri­ vere, a ventotto anni dalla morte del maestro, con la sola preoccupazione di collocarne le vicende, legate al mondo corporeo delle genesi e delle corruzioni, nella medesima prospettiva di distacco in cui egli le aveva sempre tenute. Ecco dWlque venirci subito innanzi, come in presa diretta, la figura sconcertante di questo malato costitu­ zionale, di questo grande nervoso, con le sue bizzarrie anti-salutistiche, con il suo costante disprezzo per le nor­ me degli igienisti e i rimedi dei medici, con il suo con­ siderevole bagaglio di malattie croniche che costituireb­ bero oggi Wl caso clinico esemplare nei trattati dì medi­ cina psicosomatica. Così l'aveva incontrato Porfi.rio, quando venne alla sua Scuola nel

263,

ed il maestro era

ormai sulla sessantina. Pur essendo affiitto spesso da coliche, non tollerava la­ vaggi (soleva dire che per una persona d'età non era una cosa conveniente sottoporsi a tali cure) e si rifiutava di ricor-

rere agli antìdoti teriacali, ché anzi - diceva ancora - egli non si nutriva neppure della carne degli animali domestici. Rifuggiva dai bagni che sostituiva con quotidiane frizioni, a casa ; ma quando la peste, infuriando, portò via le persone a ciò addette, egli trascurò tale cura e si procurò così, a lungo andare, una gravissima forma di laringite. Veramente, finché gli fui vicino, non si era manifestato ancora sintomo alcuno ; ma dopo che me ne andai via, la malattia infierl talmente - a quanto me ne riferl, al mio ritorno, Eustochio, l'amico che gli restò accanto fino alla morte - da togliere anche alla voce quel suo timbro vibrato e armonioso : parlava rauco ; la vista gli si annebbiò ; le mani e i piedi si copersero di piaghe ( Vita, 2).

Lo studio della personalità di Platino « dal punto di vista medico e psicologico )) merita certamente di essere preso in considerazione. Le conclusioni a cui giunge Pierre Gillet, al termine del suo « saggio di medico-cri­ tica filosofica • a dir vero, non molto approfondito dedicato a Platino, ne tracciano una patografia abbastanza precisa e impressionante : « Quando si considera l'uomo senza preoccuparsi di una critica o di un'interpretazione della sua opera, si trovano come elementi importanti della sua costituzione fisica e psichica : 1. Una malattia cronica che sembra essere stata una tubercolosi polmonare, conclusasi con una genera­ lizzazione alla laringe e alle membra. 2. Un disquilibrio neuro-vegetativo probabile, con predominio vagale. -

Una miopia molto accentuata che, a quell'epoca, equivaleva quasi alla c::cità, poiché erano sconosciuti gli occhiali. 4· Un'emotività eccessiva accresciuta da traumi psi­ chici, la più parte dei quali ci sono noti soltanto per le loro conseguenze . . . » Si tratta, ovviamente, di congetture fondate soltanto su1le descrizioni sintomatiche di un profano della medi­ cina com'era Porfirio. La diagnosi è tuttavia abbastanza convincente, almeno per quanto riguarda il lato fisico, e tenendo conto che essa è circoscritta ad un periodo di poco più di 5 o 6 anni, essendo Platino morto due anni dopo i cinque che Porfirio aveva passato presso di lui 3·

1•

•.

P. GILLET, Plotin au point de vue médical et psychologique (Essai de médico-ditique philosophique), Tesi per il dottorato in medicina, presentata alla Facoltà di Medicina di Parigi, 193 4, p. 4.S· U Gillet enumera di seguito altri due punti nei quali pretende di riscontrare in Plotino « una volontà di potenza che, non potendo realizzarsi nella lotta sociale ed economica ed essendo stata umiliata da insuccessi e da un'educazione sbagliata, ha cercato di soddisfarsi in un mondo ideale e fittiziò • ed ha favorito il sorgere di c un a forte tendenza mistica • (p. 4.S s.). Ma è chiaro che si tratta di affer­ mazioni che oltrepassano la sua competenza e le basi scientifiche su cui è impostata la sua ricerca. 2. « Questo quadro clinico (tracciato da Porfirio in Vita, 2 ) , in un uomo logorato dalle privazioni, sovraffaticato, sprovvisto di qualunque igiene, evoca il nome della tubercolosi : tubercolosi pol­ monare complicata da tubercolosi laringca c da tubercolosi cutanea, ossea o tendinea. Ciò pare tanto più probabile per il fatto che questa diffusione del male aggrava rapidamente lo stato del malato. Mentre, per più anni, egli si era adattato alla propria malattia, un anno e 1.

Il problema del rapporto tra lo

status

patologico, o,

più in generale, tra le condizioni caratterologiche di un filosofo e il valore teoretico della sua opera è senza dubbio molto più complesso di quanto non possa appa­ rire in una superficiale prospettiva deterministica. Soprat­ tutto è necessario distinguere, su due piani diversi, il problema della

validità :

genesi

di una dottrina e quello della sua

l'uno riguarda il suo significato, e dunque è

un problema d'interpretazione, l'altro riguarda invece la sua verità o la sua falsità 1•

mezzo bastano a condurlo alla morte . . . Quanto alle sue crisi di enterite, non bisogna darvi troppa importanza, trattandosi di disturbi banali, specialmente in

un

Egiziano, che è esposto a numerose paras­

sitosi. Forse, tuttavia, sono state

una

causa d'indebolimento, di mi­

nore resistenza, che favoriva lo sviluppo della tubercolosi. C'è un grande interesse nel sapere questo a proposito

di Pio­

tino ? Tutto ciò ha potuto modificare le tendenze del suo spirito. Pur lasciando complessivamente intatta l'intelligenza, ci son poche malattie che sconvolgono lo psichismo quanto la tubercolosi • p. r6 1.

delle

(Id.,

s.}. « La verità

di una filosofia

è misurata dalla rispondenza

sue operazioni logiche (ipotesi di lavoro, problemi, concetti, argomentazioni e dottrine) al suo oggetto formale (il mito, l'essere o l'esperienza).

(. . .)

.

La questione della verità o validità di una filo­

sofia dcv' essere distinta da quella della sua genesi o posizione in un dato àmbito esistenziale e culturale. Tuttavia la non pertinenza della questione della genesi di una filosofia nei riguardi del suo valore di verità, non significa che tale questione non sia importante per una corretta interpretazior1e della filosofia stessa. La questione della ge­ nesi - e dunque, in generale, della storicità di tm sistema filosofico

-

è di ordine interpretativo piuttosto che valutarivo : ma come tale è

n fondo singolarmente nervoso dello stato patologico

di Plotino si manifesta abbastanza chiaramente in quella stessa atmosfera di instancabile tensione meditativa che egli aveva creato intorno a sé, nella sua Scuola e soprat­ tutto tra i discepoli che gli erano più vicini, spesso con il risultato di profonde astenie psichiche generali, come avvenne presumibilmente per lo stesso Porfirio che, ca­ duto in una prostrazione malinconica, era tentato di sui­ cidarsi e fu salvato dal maestro che l'invitò a viaggiare (Vita, 1 1). Plotino, egli dice, « non avrebbe mai voluto distendere, almeno per quanto era in lui, la propria con­ centrazione meditativa, se non forse solo nel sonno, che peraltro egli teneva lontano con i suoi digiuni - spesso non toccava nemmeno il pane - e con la costante appli­ cazione al suo pensiero » (Vita, 8). Era talmente con­ tinua quella concentrazione che, quando qualcuno l'in­ terrompeva mentre egli stava scrivendo, soleva rispon­ dere subito a ciò che gli era chiesto e poi, senza rileggersi, riprendeva la frase che aveva incominciato (cfr. Vita, 8). « Sicuramente, osserva il Bréhier, non c'è nel suo ambiente la salute morale e l'equilibrio che si trova nella scuola di Epitteto. Vi si vedono sintomi inquietanti di fatica e di usura nervose. Il tema costante della predi­ cazione plotiniana, la fuga dal mondo, ha una parentela la

premessa imprescindibile di ogni valutazione o giudizio critico su di esso t. P. PRINI, Introduzione critica alla storia della filosofia, Ed. Armando, Roma 1967, p. 29 s. Cfr. anche p. 48.

singolare con quella fuga dalla vita, quel bisogno con­ tinuo di cambiare posto, di andare non importa dove, purché sia fuori dal mondo, che sono i caratteri della sindrome malinconica. La maniera abbastanza brusca in cui Platino ha lasciato Alessandria per non tor­ narvi più, il distacco completo dalla sua famiglia e dal suo paese, trovano forse la loro causa in questo stato nervoso. Aggiungete il surmenage intellettuale che era frequente nella scuola ( .) ; quella meditazione sem­ pre tesa che si manifesta in uno stile dove il pensiero corre senza riposo e, in qualche modo, più in fretta della parola, l'assenza di sonno che ne risulta, àlterano a lungo andare la salute . E oltre tutto, egli ha un certo compiacimento, anch'esso morboso, per lo stato d'infermità. Bisogna che l'uomo diminuisca e in­ debolisca il suo corpo, per mostrare che il vero uomo è ben diverso dalle cose esterne . . . Non vorrà ignorare del tutto la malattia ; vorrà perfmo fare l'esperienza della sofferenza (Enn., l, 4, 1 4). Questo singolare testa­ mento filosofico (il passaggio è tratto da uno degli ultimi scritti di Platino) oltrepassa l'indifferenza stoica, perché va fmo al desiderio del dolore • 1• C'è quanto basta, io credo, per legittimare il sospetto che le malat­ tie di Platino rientrino nel quadro classico della patologia psico-somatica (o di quella che è soprattutto tale, se si vuole ammettere che, in fondo, ogni infermità è sempre, .

.



1.

E. BREHIER, lntroduction,

in

.

Enn., cit.,

l, pp.

VII

ss.

ms1eme, del corpo e dell'anima). Gli stati ansiosi, molte affezioni della pelle, le affezioni croniche delle alte vie respiratorie, siano esse di natura tubercolare o no, la colite spastica, l'insonnia, l'intolleranza di certe vivande o addirittura della stessa alimentazione minima, sono o possono essere malattie di questo tipo

1•

La loro patoge­

nesi viene oggi fatta risalire alla società, alla

c

società

malata » •. Senza dubbio, la grande crisi politica e sociale del

III

secolo non poteva non riflettersi nei traumi che

essa provocava nella condotta vitale e nelle reazioni emo­ tive ed etiche di coloro che ne erano più o meno diret­ tamente coinvolti. Minando alle basi le istituzioni e gli ordinamenti civili - cioè il fondamento stesso, per la gran parte degli uomini, di quella sicurezza del reale che è il segno de1 comportamento normale di fronte al mondo - essa tendeva o a gettare gli animi nell'anarchia incontrollata delle grandi suggestioni del momento, degli arbitri e delle violenze, o a reprimerli in una specie di evasione nell'interiorità.

È

propria di simili età di crisi

Wla estenuazione generale del senso di realtà. Esse sono I . Cfr. J. RoF CAllBALLO, Cerebro interno y 'mundo emocional, Barcellona 1952, pp. 398 ss. Si v. anche, in generale, J. L. HALLIDAY, Psychosocial Medicine, Londra 1948 ; M. Boss, Ein.fùerung in die psy­ chosomatische Medizin, Bema e Stoccarda 1954· 2. J. Rof Carballo parla, a questo proposito, di una • antro­ pologia dell'uomo in comunità • che deve costituire la base diagno­ stica delle infermità individuali, cfr. op. cit., pp. 400 ss. Si v. anche su questo tema : E. FROMM, The sane Sodety, Nuova York 1955 (tr. it. : Psicanalisi della societtl contemporanea, Milano 196o).

il terreno di elezione per le regressioni nel mondo arca1co ed animistico del subconscio, per la fioritura delle pra­ tiche magiche, per le trasfigurazioni idealizzatrici del mondo. Ed è allora da aspettarsi che l'inadattamento al reale - cioè l'incapacità di comprenderlo e di dominarlo almeno nei campi più importanti - si rifletta, tipica­ mente, nelle fobie alimentari o igieniche o terapeutiche, negli spasmi colitici o respiratori, nelle insonnie, nelle astenie, nel sentimento di estraneità e nel bisogno con­ tinuo di evasione. Plotino era dunque un malato del suo tempo. La sua complessione psico-somatica portava i segni della sua epoca. La visione del mondo, che gli era in certo modo congenita - quella che ciascuno di noi eredita, nel corpo e nell'anima, dalla società in cui viviamo è la visione di chi vive in uno stato di cattività e tende a collocare ciò che conta per lui, ciò che è t1eramente reale, al di là o al di sopra di ciò che lo circonda. Essa implicava l'atteggiamento caratteristico dell'outsider della vita e risultava da uno spontaneo processo di fenomeniz­ zazione del reale e insieme di reificazione degli ideali nascenti dai bisogni e dagli istinti frustrati. Una visione connaturale e spontanea, ho detto, e dunque non ancora mediata attraverso i concetti, ma di cui si deve dire tut­ tavia che costituisce come la base d'impianto della co­ struzione filosofica che ne sarà, ovviamente, condizio­ nata, sia che essa si ponga come una compensazione delle sue deficienze e dei suoi traumi, sia che voglia essere

soltanto nna razionalizzazione delle scelte implicate in quell'originatia prospettiva. lo credo che ci sia, a questo proposito, nna curva cronologica abbastanza precisa nel­ l'opera di Platino : nella sua prima fase (corrispondente press'a poco al primo gruppo di

21

trattati che Porfirio

trovò già redatti al suo arrivo nella Scuola nel

263

e la

cui composizione era avvenuta nel primo decennio del regno di Galliena) vi prevale la tendenza compensativa, cioè l'intento di costruire una specie di barriera teoretica contro quella naturale e spontanea tendenza al rifiuto pes­ simistico del mondo ; nella seconda, segnatamente espres­ sa

negli ultimi scritti, secondo l'elenco cronologico por­

firiano, essa assume via via il carattere di nna razionaliz­ zazione, cioè di nna rassegnata giustificazione dell'insu­ perabile realtà del male nel mondo così com'era intuito in quell'originario contesto emotivo. Le due fasi corri­ spondono, rispettivamente, alla rinascita degli ideali urna­ rustico-stoici della classe senatoriale nei primi anni del regno di Galliena e alla loro irrimediabile caduta sotto la dura necessità delle cose, che segnerà l'avvento defini­ tivo del regime militaristico e sacrale. La :filosofia di Plotino è così dominata, successivamente, da due dialet­ tiche : nna dialettica della partecipazione, sostanzialmente ottimistica o almeno di nn moderato credito verso le risorse di cui gli uomini dispongono per rimediare ai

mali del mondo ; e nna dialettica dell'opposizione, non molto lontana dalle tensioni dualistiche di tipo manicheo o gnostico contro le quali Platino aveva già energica-

mente polemizzato. Lo spartiacque cronologico tra le due dialettiche non è certamente determinabile con esat­ tezza. Ma forse è più rispondente alla verità ermeneutica di un'opera così complessa come sono le Enneadi, par­ lare di accentuazione dell'una o dell'altra, nei periodi accennati, piuttosto che di presenza esclusiva. In realtà, la compenetrazione parziale e nascosta di questi due pro­ cedimenti giustificativi, richiamantisi nelle loro radici a due diverse concezioni del mondo, è una ragione delle frequenti oscurità e incertezze di linguaggio della filo­ sofia di Platino.

2. Le « due materie • (II, 4) e il primato della cultura.

È esemplare, a questo riguardo, la dottrina plotiniana della materia e del male, così com'essa è esposta nei due saggi che direttamente ne trattano, e precisamente nel IV saggio della II Enneade, 7t&pt i)Àljç (secondo il titolo più antico, sostituito presto dall'altro, « Le due materie •, che eserciterà una notevole suggestione sulla futura filo­ sofia medioevale), e nel saggio VIII della I Enneade, « Quali e donde vengano i mali •. n primo è il !2° nel­ l'elenco cronologico di Porfirio, il secondo è il 5 1°, uno degli ultimi lavori di Platino, dunque 1•

1. Sulla dottrina della materia intelligibile, si vedano, tra i la­ vori recenti, A. H. ARMSTRONG, Spiritual or intelligible matter in Pio-

Il tema non si prestava certamente soltanto ad un esercizio di lettura critica dei classici, anche se questi - Platone, Aristotele, gli Stoici - sono continuamente ricordati, commentati e discussi in entrambi gli scritti. Ci si accorge subito che Platino non affronta un tema puramente accademico. C'è, sullo sfondo della diatriba di alta tecnica fùosofica, la presenza ossessiva del mondo delle genesi e delle corruzioni, dell'insaziato e disordi­ nato divenire, degli eventi travolti nell'instabilità di for­ me che via via appaiono e scompaiono come pure par­ venze. Il saggio su « Le due materie » è, in sostanza, un ten­ tativo di dominare razionalmente questa ansietà delle cose, attraverso la chiarificazione del senso della materia e del divenire in una dialettica della partecipazione. Considerata nella struttura di ciascun essere la materia è il « Soggetto » o sostrato della forma, ypokelmenon ti, ypodokè eidvn (II, 4/12, 1 ) Il nostro pensiero divide l'es­ sere composto « fino ad arrivare ad un termine semplice che non può essere ulteriormente analizzato ; finché è possibile, si ritrae dal composto verso ciò che in esso è profondo. Ma il profondo di ogni cosa è la materia : ed .

tinus and St. hlgustine, nel vol. Augustinus Magister (Congrès

lntema­

tional Augustirùen, Paris 21-24 sept. 1954), Parigi 1954, l, pp. 277-283 ;

in polemica con l'Armstrong, J. M. RIST, Dyad and intelligible matter in Plotinus, in « Classic. Quartely •, 1962, pp. 99 ss. Cfr. anche G. BRUNI, Introduzione alla dottrina plotinian« della materia, in « Giom. e,

crit. della filos. ital. •, 1963, pp. 22-45.

è

per questo che la materia è tutta quanta oscura, poiché la luce è forma razionale ed il pensiero vede soltanto la forma razionale. Questo, vedendo la forma in ogni sin­ gola cosa, giudica oscuro ciò che la sostiene, ciò che è sotto la luce, proprio come l'occhio - che ha la forma della luce -, fissando lo sguardo nella luce e nei colori - che sono luce -, discerne l'esistenza di un fondo oscuro e materiale nascosto sotto la superficie colorata � {Il, 4/ 12, 5). Si tratta dunque di un « soggetto » che è « l'oscuro », tò skoteinòn, è stcresi, assenza di forma e di misura, indeterminazione, è l'indeterminato in se stesso, otò-rè -ro(vuv -rò &1te:�.pov {II, 4/12, 15). Il divenire sarebbe inesplicabile, se non ci fosse nell'intrinseca costituzione degli esseri questa privazione, questo stato radicale di po­ vertà, questa presenza di Penìa, madre dell'Eros, del desi­ derio. Così come sarebbe impensabile una reale distinzione tra gli esseri, senza un riferimento ai diversi gradi e modi di realizzazione o di determinazione di questa originaria negatività. La materia è dunque insieme, proprio in quanto negatività e privazione, la radice del divenire c la condizione della molteplicità degli esseri. Tuttavia l'àmbito della materia - in questa prima posizione del pensiero plotiniano - è più esteso di quello del divenire e della molteplicità degli individui. La ma­ teria è il limite metafisico di tutto ciò che non è il Prin­ cipio, l'Assoluto, e dunque investe sia il mondo noetico {la Mente e l'Anima) sia il mondo sensibile. È proprio questa estensione della materia al puro mondo dell'essere,

oltre che a quello del

divenire,

l'aspetto più originale

della dottrina di Plotino. O mondo noe-tico è infatti co-eterno con l'Uno, essendo eternamente emanante da Esso, non si muove, dunque, né può divenire altro da quello che è, e tuttavia, essendo altro dall'Uno, si volge eternamente ad Esso, come all'infinitamente desiderabile, al Bene, per riceverne l'irradiazione. L'essenza della ma­ teria è, appunto, 1'alterità, sia nel mondo noetico, sia nel mondo sensibile : l'alterità dell'Essere dal Bene - o, come diremmo noi, dal Valore, dal

Valor valorum,

secondo la

espressione del Cusano - e l'alterità del Divenire, cioè del non-essere, dall'Essere. La materia è la condizione sia del

volgersi al Bene

- cioè propriamente della relazione

noetica delle ipostasi ontologiche, la Mente e l'Anima - sia del

tendere all'Essere,

che è il senso di ogni divenire

terreno. Nell'intuizione metafisica di Plotino l'universo si presenta così in tre piani di diversa consistenza e pro­ fondità : il piano assolutamente originario dell'Uno-Bene, dalla cui sovrabbondanza emana tutto ciò che è e di­ viene ; il piano delle ipostasi ontologiche, cioè il regno dello spirito o della pienezza dell'essere, teso nella dialet­ tica della conversione assiologica verso il suo Principio ­ secondo l'impulso di Eros, figlio dell'Afrodite celeste -; e infine il piano di tutto ciò che diviene e si affatica

per esistere,

secondo la tensione vitale di Eros, figlio del­

l' Afrodite pandemia (cfr. VI,

9/8, 9).

Se si volesse usare

- s'intende, in un senso assai approssimativo - una espressione della fisica contemporanea, si potrebbe dire

che lo schema cosmologico plotiniano è quello di un universo in espansione, al cui centro sta una sorgente inesauribile di energia e che via via degrada fmo al punto­ zero, cioè all'inerzia totale, il totalmente indeterminato, la materia pura. Ma nell'universo di Plotino tra l'Uno­ Bene e la materia pura c'è il mondo noetico, dove la espansione verso il basso si condiziona e si fonda nella conversione verso l'originario. È un universo dialettico, dunque, dove alla Mente ed all'Anima ipostatizzate spetta la funzione mediatrice (l'uomo che ne è, quaggiù, la sede, è perciò copula mundi, come lo chiamerà il Ficino), cioè il dominio della forza dispersiva e nullificatrice della materia. In che cosa consiste questo dominio ? La vita noetica, in quanto è ]a pienezza dell'atto di essere, si pone come l'oggetto o il senso obbligato del divenire cosmico. Il mondo dei corpi è il mondo dei bisogni e delle tensioni, poiché è essenzialmente privazione, povertà dd l'essere. A che cosa tende per sé tutto ciò che nasce, vive e muore ? La storia di questo mondo è quella di un inesausto affa­ ticarsi per essere. Che cos'è la vita, che cosa sono le attività economiche, il lavoro, la politica, l'imposizione degli egoismi o la rivendicazione dei diritti degli individui e delle classi, se non una lotta per l'esistenza ? D'altro canto, della pienezza di esistere noi possiamo cogliere il senso nella stessa interiorità profonda del nostro pensare e vo­ lere, nella misura in cui partecipiamo a1la vita delle Ipo­ stasi divine. L'essere pieno è il bfos theoretikos, la pura vita noetica dove l'essere si fa riflessione e auto-possesso, con-

sistenza e tranquillità sostanziale. Perciò il mondo del divenire ha nell'essere ipostatico della vita noetica il suo telos supremo, il suo ultimo vettore di senso. « Tutto ciò che diviene, diviene per essere », come diranno gli Scolastici, secondo l'antica lezione di Aristotele. Ma non si tratta soltanto di una possibilità o di un progetto, come potrebbe intendersi in un'accezione soggettivistica mo­ derna. Il telos del mondo naturale non è per Platino l'obbiettivazione o la ipostatizzazione di un'esigenza, ma una presenza esperita nella nostra attività teoretica, nella misura in cui questa è già oltrepassamento del mondo. La natura tende allo spirito, e perciò è guidata e dominata da esso, anche se la sua intrinseca costituzione materiale - come privazione di essere anziché soltanto di valore non le consentirà mai di risolversi nello spirito, di pla­ carsi nella pienezza dell'essere. Perciò il mondo delle cose corporee resta vincolato nel suo eterno divenire. « La materia delle cose soggette al divenire, assume, senza sosta, forme �empre nuove; invece quella delle cose eterne assume, per se stessa, sempre la medesima forma. Quaggiù, certamente, tutto avviene in modo diverso. Qui, difatti, tutte le forme esistono alternativamente e, ogni volta, in una singola cosa. Ecco perché nessuna di esse perdura sotto l'incalzare delle altre sempre nuove ; ecco perché nessuna resta identica a se stessa; lasso, in­ vece, tutte le forme sono insieme : ed è per questo che la materia non ha nulla in cui possa trasformarsi, poiché ormai ha tutto » (II, 4, J). -

In definitiva, la dottrina plotiniana delle ' due ma­ terie ' forniva uno schema cosmologico di appoggio, anche se non propriamente di giustificazione, alle rinate speranze del moderatismo illuminato della classe sena­ toria nei primi anni, relativamente tranquilli, del regno di Galliena. Essa fondava il primato dello spirito e della cultura - e dunque dei vecchi ceti dirigenti della tra­ dizione antoniniana - e insieme dominava l'invadente pessimismo dell'epoca mediante un'interpretazione razio­ nale della frustrazione ineluttabile delle attività puramente mondane. Legati al mondo corporeo, dobbiamo mettere in luce e promuovere il senso profondo del suo tendere, che è la fame e la sete dell'essere come spirito, ma insieme dobbiamo accettare il fato della sua perenne insoddisfa­ zione. Le attività del mondo che diviene - e dunque, più comprensiva di tutte, l'attività politica - sono cer­ tamente orientabili in modo razionale, ma sono desti­ nate a restare al di qua di ciò che vale veramente per noi. Sono da porre sotto il dominio della ragione, ma non raggiungono il regno dei fini. Così l'uomo politico dovrà dare alla città la testimonianza della propria saggezza - le buone leggi, la moderazione delle passioni - piut­ tosto che pretendere di abolirne i mali e di condurla alla perfezione di uno Stato ideale, secondo l'utopia della Repubblica platonica. A questo proposito, Platino ci dà un quadro sugge­ stivo di come dovevano apparirgli i conflitti che trava­ gliavano il mondo politico e sociale del suo tempo, in-

torno al decimo anno del regno di Galliena, nel trattato L'Essere, pur essendo uno e identico, è, per intero, contem­ poraneamente, dappertutto (VI, 4/22, 1 5), dove espone la sua dottrina del rapporto tra l'Anima e l'universo cor­ poreo : L'anima, che proviene dal divino, se ne sta tranquilla nella sua dimora, essendosi saldamente costituita in se stessa ; al contrario, il corpo, per la sua debolezza, si agita e si di­ sperde sia da se stesso sia perché colpito antecedentemente dagli urti esteriori che esso fa risuonare in quella parte che è comune all'anima e al corpo, trasmettendo il suo turba­ mento al composto. Così, in un'assemblea di Anziani del popolo che siedono in pacata riflessione, una folla tumul­ tuosa che ha bisogno di pane e accusa tutta l'assemblea degli altri mali che essa soffre, fa irruzione con un indecoroso cla­ more. Se, alla presenza di tali uomini pacati, dalla bocca di un sa_ggio un discorso riesce a giungere fino a quegli scal­ manati, esso allora ristabilisce l'ordine e un pò di modera­ zione nella folla, impedendo che abbia il sopravvento l'ele­ mento peggiore. Altrimenti, questo predomina sulla parte migliore che resta silenziosa, poiché la folla tumultuante non ·ha potuto ricevere la parola elevata : e proprio in questo con­ siste il male di una città e di un parlamento.

J.

Il � Male in sé » (I, 8)

Ma il carattere soltanto nostalgico di quegli ideali ari­ stocratici di restaurazione della diarchia Imperatore-Se­ nato doveva apparire in maniera flagrante nel proseguire

degli anni dell'impero di Galliena. La militarizzazionc integrale della burocrazia romana, per le necessità urgenti de1la difesa dello Stato, significa ormai l'imporsi defini­ tivo della politica dura : la politica della forza sostituisce quella della ragione, almeno là dove insorgono le minacce dell'anarchia e del sovvertimento. I ' mali ' del mondo umano, contro i quali i politici sono costretti a lottare, non si possono più raccogliere sotto il concetto generale di un

limite

dell'essere, come la condizione stessa della

diffusività del Bene, ma appaiono piuttosto come deri­ vanti da una

radice primordiale del disordine, dell'anarchia, della resistenza alla ragione, da una Arché dell'anti-valore. Quando Platino, nel saggio m:pt 't'ou T(vot xor.t 1t6&v 't'tX x-xx« (I, 8/SI), scritto probabilmente dopo la morte tra­ gica di Galliena, si pone il problema del male, non di­ stoglie certamente lo sguardo dal mondo che lo circonda, da quel groviglio di arbitri e di violenze inaudite che minacciano costantemente l'unità dell'Impero e la con­ tinuità delle sue istituzioni. Il significato centrale di questa esperienza del suo tempo egli lo formula nella tesi che costituisce indubbia­ mente l'originalità di questo trattato :

il male è un Principio necessario, operante perennemente nel ' mondo di quaggiù '. Si tratta di una convinzione fondata sopra una visione lu­ cida di ciò che è vano tentare di nascondersi o di masche­ rare : la natura essenzialmente conflittuale della storia degli uomini . L'opposizione dentro la quale questa si muove, oltrepassa gli uomini stessi e tutto quanto è nel loro

mondo ; non è, o non è soltanto, come può apparire,

un

conflitto di forze contrarie - siano esse individui o classi sociali o nazioni -, ma, più radicalmente, un'opposi­ zione di ' totalità ' : l'opposizione tra l'assolutamente Bene e l'assolutamente Male. Non siamo dinanzi propriamente o soltanto, ad una dialettica dei contrari - tra le singole essenze particolari, come la ricchezza e la povertà o la sanità e la malattia, secondo l'antico schema eracliteo

1 -.

ma ad una dialettica degli opposti assoluti, che investono la totalità dell'essere e del non-essere, del bene e del male.

T/5 /5).ov -r(j) I5ÀCfl Èvor.v-r(ov (I,

8/5 1 , 6). Gli opposti,

nel loro vero senso, dice Plotino, sono « cose che di­ stano, l'una da11' altra, nel più alto grado

7tÀe:!a-rov &ÀÀ�ÀCùv &tpea·t·tptò-ror., (I,

8/5 1 , 6)

•.

»

(Èvor.v-r(or. -riÌ

L'oscurità e ]e

incertezze o contraddizioni dei paragrafi 6° e 'f, nei quali egli espone questo concetto, non giustificano le perples­ sità sollevate dai filologi sull'autenticità del testo

•.

n

« Che non vi sia nulla di contrario ad un'essenza nel caso di particolari, è cosa sicura, poiché è provata induttivamente dall'esperienza • I, 8, 6. 2. Non c'è propriamente, potremmo dire in termini moderni, una dialettica dei distinti (o contrari relativi), ma soltanto una dialet­ tica degli opposti (o contrari assoluti). 3. Cfr. E. ScHROEDER, Plotins Abhandlung 1t6&EV �d: xiXxd:, Ro-­ stock 1916; F. THEDINGA, Plotin oder Numenius ?, in « Hermes •, 1919, S4. pp. 249-278; F. limNEMANN, Plotin, Leipzig 1921, pp. 83 ss. Si v. le osservazioni del BRÉHIER, in P1.0TIN, Ennéades, cit., l, p. II3 s., in difesa dell'autenticità del testo. Si v., sul rapporto tra Numenio e le tesi di 1,8, le osservazioni di E. R. DoDDS nel saggio x.

essenze

filosofo vi è impegnato a rispondere ad wta domanda di fondo che la riflessione sopra l'esistenza ripropone in ogni tempo a tutte le civiltà : perché esiste il male e non piuttosto soltanto il bene ? Le ragioni che egli propone qui esplicitamente a prova dell'originarietà e necessità del male sono, in sostanza, o insufficienti o sofistiche, anche se erano già presenti e saranno spesso ripetute nella tra­ dizione accademica In realtà, tale prova non poteva essere se non di natura puramente dialettica, e precisa­ mente nell'àmbito rigoroso di una dialettica degli opposti. Il Male come totalità escludente il Bene è deducibile dall'esserci del Bene come totalità opponentesi al Male. Il Bene in sé e per sé - e dwtque non soltanto relativa­ mente ad altro, al mondo finito - è la ragione ultima, intrinseca, di se stesso, del suo porsi infinito, nella misura in cui, scegliendo se stesso, preferendosi, si oppone al 1•

Numenius and Ammonius, cit., p. 1 3 s. 1.

nel vol. collettivo

Les sources de Plotin,

a) il Male--materia è necessario perché (è infatti il principio dell'alterità), l, 8, 7 (1-7) ; b) !l

Tali ragioni sono :

il mondo sia

Male--materia è il termine ultimo della diffusività del Bene, l, 8,

7

è condizione della fmitezza, o anzi la costi­ è l'opposizione assoluta, è un'alterità relativa, ed è per questo che il mondo degli enti non è mai rigorosamente

(17-23).

Ma l'alterità che

tuisce come tale, non

deducibile dal Principio assoluto.

E,

quanto al secondo punto, il

sè, è soltanto un'idea-limite (è l'antica obbiezione degli aristo­

sofisma evidente sta nell'assumere come oggetto, o principio in ciò che

telici contro la tesi platonica che la privazione possa essere una realtà in sé, cfr. BRÉHIER,

in Enn.,

cit., l, p. 126 s., n. 1 ) .

Male e prevale su di esso. ' Scegliersi ', ' preferirsi ', ' prevalere ' sono, naturalmente, delle metafore. Esse si­ gnificano, propriamente, che la ragion d'essere originaria del Bene è la sua opposizione al Male. li Bene è la ragione del proprio sorgere eterno in quanto esclude da sé, asso­ lutamente, non soltanto la possibilità del Male, cioè il suo concetto, ma il Male stesso come Principio origi­ nario. Infatti il Male, se non esiste originariamente e necessa­ riamente, non è possibile. È questo il senso profondo intorno al quale si muove tutto il trattato e che fa di esso un importante capitolo nella storia della dialettica. Alla domanda del senso co­ mune : « Perché c'è il male nel mondo ? », Plotino ri­ sponde, rovesciando nel suo opposto l'oggetto della que­ stione ed interrogandosi invece sul senso ultimo di ciò che riconosciamo come bene nel mondo. Se il male, per se stesso, è ciò che è privo di qualsiasi esplicabilità - del negativo assoluto non può darsi infatti ragione -, il bene, originariamente e necessariamente, deve avere in sé la ragione del suo proprio essere. Tale ragione è ap­ punto l'opporsi al « Primo Male •, al « Male in sé • (1, 8/S I, J). Questo rovesciamento del senso comune, come ha detto Hegel, è la natura stessa della filosofia. Plotino, ponendo decisamente in questa prospettiva il problema del male, raggiunge la più profonda domanda da cui è nata in Grecia, coi Presocratici la metafisica : c Perché l'essere piuttosto che il niente ? ». La ragione dell'essere,

egli risponde, è il Bene, cioè l'opposizione al Male origi­ nario. « Se, dal momento che c'è una sola e medesima scienza dei contrari e il male è il contrario del bene, la scienza del bene è anche scienza del male, ne viene di necessità che, chi voglia conoscere il male, deve farlo attraverso la comprensione del bene, appunto perché ciò che è migliore precede ciò che è da meno, e mentre quello è forma, questo non lo è, ma piuttosto ne è soltanto la privazione - (I, 8/51, 1). Qual'è dunque il senso di tale opposizione ? Il Bene « è ciò a cui tutte le cose stanno legate e di cui sono desiderosi tutti gli esseri, che è il loro principio e di cui tutti hanno bisogno ; esso invece è ricco, è sufficiente a se stesso, non ha bisogno di nessuno ; misura e termine di tutte le cose, trae da sé, donando, la Mente e l'Essere e l'Anima e la Vita c l'Energia intellettuale • {I, 8/S I, 2). Nella rapida sintesi i caratteri del Bene assoluto sono tuttavia raccolti nel nucleo essenziale della loro oppo­ sizione ai caratteri del Male assoluto : il Bene è il porsi originario come assoluta unità contro la dispersione o l" informe in sé ', come la pienezza di sé o l' autar­ chia integrale contro il bisogno o la ' povertà asso­ luta ', come l'eccedenza o la d!ffusività perenne contro l'inerzia o la ' completa passività '. Ecco dunque che cos'è il Male originario : « smisuratezza contro misura, indeterminato contro determinazione, informe contro principio informante, perpetuo bisogno contro auto­ sufficienza ; è ciò che è sempre indefinito, mai stabile,

soggetto a tutte le passioni, insaziabile, povertà assoluta 1t (1, 8/SI, 3) · Una prima conseguenza che dev'essere tratta dal ri­ conoscimento di queste opposizioni è che tutto ciò che è o partecipa all'essere - e dunque anche tutto ciò che diviene, anche la totalità del mondo sensibile e ognuna delle sue parti deriva dal Bene ed è bene : poiché nulla può esistere che non sia, in qualche modo, uno (VI, 9/8, 1), e non abbia una forma determinata e non eserciti una qualche attività in questo o in quell'àmbito deg_li esseri (VI, I/42. 6). Ciò che è, comunque esso sia, è bene. E dunque il male in quanto tale, il « Male in �é )), non è qualcosa o qualcuno che esiste in sé, non è un ente, come l'hanno grossolanamente raffigurato alcune dot­ trine manichee o gnostiche La sua natura non è ontica, ma puramente relazionale, dialettica : è la radice della ne­ gatività, il rifiuto dell'essere e delle sue ragioni ; è, se­ condo l'espressione di Hegel, l'immane potenza del ne­ gativo. Tale potenza è permanentemente vinta e soggio­ gata da ciò che è pienamente in sé, cioè dagli esseri che sono in re1azione necessaria cd immutabile con il loro Principio primo, con il Bene. Nel mondo noetico non c'è posto per il manifestarsi del Male Ma non avviene -

1•

•.

r.

Si veda su questo problema : A.

H.

ARMSTRONG,

The theory

of the non-existence of matter in Plotinus ami the Cappadocians,

in « Stu­

dia patristica •, V, pp. 427 ss. 2. • E una tale vita impassibile e felice è propria degli dèi e il male non vi si può trovare da nessuna parte, se lassù c'è qualcosa,

altrettanto per il mondo delle cose che divengono e che, dunque, per la loro essenziale contingenza, restano esposte all'insidia della negazione, alla soggezione del Male. Questa negazione non le intacca nella loro essenza, ma semplicemente ne muta il segno, ne rovescia la rela­ zione al loro Principio. Il Male si manifesta nella con­ traddizione delle cose che, esistendo, negano la propria ragione d'esistere, la propria destinazione al Bene. Esso si realizza nel mondo, appoggiandosi a ciò che è, per negarlo, per contraddirlo. Perciò non c'è un recinto sacro del demoniaco, un luogo proprio e separato del Male : questo è in mezzo a noi, è nelle cose, en toìs ousin {1, 8/5 1 , 14), convive con i riflessi del Bene e si riveste delle sue stesse forme. « Il Male non esiste isolatamente, poiché esso si fa approfit­ tando del potere e della natura del Bene, e infatti si è sempre manifestato, per una intrinseca necessità, cinto da talwù bei legami, come un prigioniero coperto da catene d'oro ; questi legami lo nascondono, perché la sua realtà non sia vista dagli dèi e perché gli uomini non abbiano sempre davanti agli occhi il male, ma, quando anche ne fossero attratti, siano spinti dal ricordo, risvegliato dalle immagini della bellezza, ad unirsi a questa >> {I, 8/5 1, 15). Il mondo del divenire, il mondo di quaggiù, è dunque la sede del conflitto non risolto né risolvibile totalmente non è affatto il male, terzo grado •, l, 8, 2.

ma

il

primo Bene e quelli del secondo e del

tra l'essere e la contraddizione dell'essere, tra la tensione assiologica verso l'Uno-Bene e la caduta della finalità, la disarmonia, l'anarchia, l'inerzia. Plotino aveva esaltato, contro le posizioni antimon­ dane del pessimismo gnostico, « la bella regolarità e la saggez:aa dell'universo » {II, 9/3 3, 1 6), perché Dio « è presente a tutti gli esseri, ed è nel nostro mondo, qualun­ que ne sia la maniera, così che anche il mondo è parte­ cipe di Lui » (ibid.). La provvidenza divina « veglia sul tutto, ben più che sulle parti » (ibid.), e perciò anche il cosmo sensibile, nella sua totalità, è indistruttibile. Tut­ tavia ciascuno degli esseri che lo popolano è vulnerabile, per sua natura. In qualunque punto dell'universo sensi­ bile può aprirsi uno spazio dove irrompe l'irrazionale potenza del Male. La bellezza che ogni cosa sensibile ri­ flette dal suo modello noetico, è una bellezza essenzial­ mente fragile : può essere offuscata e distrutta come una città bene ordinata è travolta da un improvviso terremoto in un mucchio di rovine, o come la salute fiorente di un giovane corpo è deturpata dalle mostruose invenzioni della m�lattia e della morte, o come l'armonia di una vita virtuosa si rompe e disperde nel delirio del vizio, quando l'anima cede alle insidie della materia che « le sta accanto, quasi mendicando, e la importuna, bramosa di penetrare nel suo intimo » {I, 8/5 1 , 14). L'universo sensibile è frequentato dall'invidia del Male, che è cieco e menzognero e arbitrario come la Tyche del mondo tragico di Euripide.

realtà, l'identificazione della materia con il male - a cui Plotino giunge esplicitamente soltanto in questo trattato, e dunque al termine del suo lungo insegnamento filosofico - ha una grande importanza nella storia del platonismo e per l'in.B.uenza, in generale, del pensiero classico sulla formazione del pensiero cristiano. La ma­ teria non è più intesa come un principio costitutivo degli esseri, e dunque come un elemento razionale della loro comprensione - secondo un significato che via via era stato imposto alla tradizione platonica dall'autorità di Aristotele -, ma come una presenza estranea, una forza alienante che intacca o può intaccare e contaminare tutto ciò che è corporeo o è legato al corporeo, in un'area semantica che comprende le antiche accezioni religiose del male originario, della colpa, del demoniaco, dell'in­ fernale (anche in questo trattato sono presenti le immagini comuni della pietà neoplatonica : l'Ade, la palude tene­ brosa, la natura antica, cfr. I, 8/5 1, 13). Senza dubbio, il contrasto tra un'accezione puramente cosmologica ed un'accezione etico-religiosa della materia è già presente in Platone. Esso si manifesta specialmente In

1

1. Non è dunque esatto dire che l'identificazione del male con materia sia già in Il, 4/12, come afferma il BRBHIB1l, in Enn., cit., Il, p. 47, e sostanzialmente anche J. M. RlsT, Plotinus on matter anJ evil, in « Phronesis t, 1961, p. 1 54 ss. Si veda, sulla dottrina della materia e del male in Platone, F. P. HAGER, Die Materie und das Béise im antiken Platonismus, in c Museum Helveticum t, 1962, pa­ gine 73 ss.

la

negli opposti sviluppi tematici del Fedro e del Pedone, da un lato, e del Timeo, dall'altro, ai quali Plotino dedica specialmente le riflessioni dell'so trattato della IV Enneade, La discesa dell'Anima nei corpi. Qui egli osserva che, men­ tre nei due primi dialoghi è rimproverata all'anima come una colpa la sua unione col corpo e si parla della sua venuta quaggiù come di uno spezzarsi delle ali, e della sua condizione terrena come di una ' prigione ' o di una ' tomba ', nel Timeo, al contrario, si fa l'elogio del mondo sensibile, chiamandolo un ' Dio felice ', e l'anima è am­ mirata come un dono del Demiurgo, destinato ad illu­ minare d'intelligenza l'universo corporeo (cfr. lV, 8/6, 1). Ma l'ambiguità platonica è ormai risolta nella prospet­ tiva rigorosamente dialettica a cui Plotino è arrivato nel Pothen ta kaka, riconoscendo che « ci sono due Principi, archaì gàr ampho, l 'uno è quello dei beni e l'altro è quello dei mali » {I, 8/5 1, 6). Il Male originario, per il suo carattere dialettico, ol­ trepassa insieme sia l'àmbito fisico sia quello etico. Non è un costitutivo ontico né deriva da una colpa morale. Il mondo sensibile può dunque essere affermato in tutta la sua positività o ' bontà ', proprio mentre traspare in esso la sua essenziale ' fragilità ', la sua attaccabilità dalla potenza del negativo, « come quelle opere fragili (asthe­ néstata) dell'arte o della natura, che un soffio di vento o una vampata di calore bastano a distruggere {1, 8/5 1, 14). « . . . Noi non siamo il principio dei nostri mali, come se fossimo, in noi stessi, cattivi ; già prima di noi, invece,

esistono questi mali : i mali possiedono gli uomini, e li pos­ siedono senza che essi lo vogliano • (I, 8/S I, s). In questo superamento di ogni interpretazione sol­ tanto moralistica del male, è chiaro che anche la conce­ zione del rapporto tra l'uomo ed il mondo si modifica profondamente. La natura originaria ed irrazionale del male non consente alcWla eziologia fisica o morale delle sue inevitabili manifestazioni. Poiché esso, per venire al mondo, si serve delle forze dell'essere e si occulta sotto le sue forme, si può di volta in volta combatterlo, ripa­ rame i danni, restaurare l'ordine delle cose o delle isti­ tuzioni sulle rovine che esso vi porta, ma senza la possi­ bilità di prevedere le sue mosse o di impedire il loro ri­ petersi altrove o in altre circostanze. Questo incessante correre ai ripari non è forse la figura filosofica di quella politica di difesa, che ormai, nella seconda metà del III secolo, appare l'unica possibile nel lento decadere dello enorme Impero ? È la nuova politica militaristica inaugu­ rata coerentemente da Gallieno, come abbiamo visto. Senza dubbio, non si tratta di Wla politica di conquista : è la forza che s'impone all'anarchia ed al disordine ed alle spaventose sciagure naturali, in Wl'intrepida volontà di resistere desperatis iam rebus. E perché questa forza ri­ paratrice e difensiva imponga l'indiscutibilità delle sue ragioni, non avrà bisogno - come la classe militare nella Repubblica platonica o gli eserciti imperiali ancora al tempo degli Antonini - di porsi al serv�io di Wl organo collegiale della scienza politica come quello dei ' filosofi.





legislatori ' o come doveva essere, secondo l'ideale po­ litico dell'ultimo stoicismo, il Senato romano,

ma

sem­

plicemente di fondarsi sopra rautorità assoluta di un

leader

investito di caratteri e di poteri sacrali. Combat­

tendo di volta in volta il male, traendo renergia dalle stesse forme dell'essere, di cui esso si riveste, il divino Monarca, mediatore del Sacro nel ' mondo di quaggiù ', ricompone queste forme nel loro segno assiologico, nella loro relazione al Bene. Tale doveva apparire a Plotino, molto probabilmente, la missione del sovrano, incarnata nel destino tragico di Gallieno

4.

1•

Il conflitto dell'anima e del corpo

P.osto in questi termini il problema del male come un problema di difesa e di riparazione, per così dire, cosmo­ plastica, e dunque in definitiva come

un

problema di

forza o di effettualità che trascende ogni ordine pura­ mente morale, quale parte avd in questa lotta il singolo,

è essenzialmente non dipendono da noi,

l'individuo come tale ? In un mondo che costituito di cose e di eventi che

1. Cfr., a questo proposito, A. ALI'OELDI, Die Vorherrschaft der Pannonier im Roemerreiche und die Realetion des Hellentums unttr Gallienus, in « Fuenfundzwanzig Jahre roenùsch-germanische Kom­ mission •, Berlin und Leipzig, 1930, p. 31, dove il posto dato da Galliena alla religione nella vita politica e culturale � visto come il preannuncio della mistica di Giuliano.

l'uomo singolo non ha altro riparo dalle minacce contro la sua propria individuale esistenza se non nell'educazione della sua vita interiore. I mali sui quali egli può agire direttamente, come singolo, e la cui eliminazione costi­ tuisce per lui il suo problema più importante perché ne dipende la sua stessa sorte futura, sono infatti i mali del­ l'anima. Ad ogni anima individuale - riflesso o immagine dell'Anima cosmica - è stato affidato, dalla potenza de­ miurgica di questa, un corpo già preparato per lei come un contesto armonico di funzioni organiche, perchè lo governi con la sua propria presenza, mantenendolo nel­ l' ordine generale della relazione al mondo noetico. « In qual modo il corpo si è avvicinato all'anima ? Ciò è avvenuto perché esso ha una determinata attitudine e riceve ciò a cui è predisposto. Esso è nato per ricevere un'anima. Ma non è nato per accoglierla tutta quanta. benché sia presente tutta intera, non soltanto per esso � come gli animali e le piante, esso riceve solo quel tanto di anima che è in grado di accogliere. Così avviene di un suono che significa una parola, e c'è chi coglie la parola unitamente al suono e chi coglie soltanto la vibrazione sonora » (VI, 4,l22, 1 5 ; cfr. anche : Il, 1/40, s ; IV, 3/27. 6; IV, 3/2 7, 12 ss.). Come l'anima individuale riflette in sé la divinità del grande padre Zeus (l'Anima cosmica. il Demiurgo), così il corpo a cui essa, come traduce il Ficino, non proprie inest, sed adest (IV, 3 /2 7, 21), riflette in sé la spiritualità dell'anima individuale, nella misura

in cui le parti e funzioni corporee si accordano e conver­ gono in nn tutto sotto l'idea esemplare di esso Il rapporto col proprio corpo non è tale da intaccare, per se stesso, la purezza essenziale dell'anima che l'assiste e lo governa con la sola presenza e dnnque operando su di esso con la sola attrazione della finalità. Il corpo proprio di ogni anima singola, com'è inteso da Plotino nel mondo del­ l' innocenza (prima della caduta delle anime nelle insidie del male), è il corpo-estensione, il corpo-oggetto, al quale l'anima adest come la luce o il calore (IV, 4/28, 14), mentre esso si modella sulla saggezza-armonia di lei, press'a poco come nna congerie di eventi acqui�ta nn senso, per l'epistemologia moderna, ordinandosi in nn sistema teorico. Tutti i corpi, in effetto, nel loro stato naturale, si costituiscono, come i gesti della danzatrice, in nn tutto simpatico, in nna corrispondenza armonica (cfr. II, 4/12, 32), orientandosi verso l'ordine eterno del 1•

1.

È il cànone plotiniano della bellezza corporea : « È brutto

tutto ciò che non è dominato da una forma e da un senso, quando la materia si rifiuta a qualunque tentativo di modellarla secondo un'idea . . . La bellezza risiede in un essere, quando è ricondotto ad unità ed essa si dà a ciascuna delle parti di esso e al loro insieme . . . Così il corpo diviene bello, quando giunge a partecipare ad un senso venuto dagli dèi» (I, 6/x, 2). Cfr. ora sul rapporto tra l'arte e l'essenza intelligibile : A. N. M. RlcH, Plotinus and the theory of artistic imita­ tion, in « Mnemosyne », 196o, 13, pp. 233-239. Sulla dottrina plotiniana del rapporto anima-corpo si veda anche, dello stesso autore, l'articolo : Body and Soul in tht philosophy ofPiotinus, in «Journal ofthe History of Philcisophy t, x963. pp. x-x s.

mondo noetico, che è il mondo dell'esistenza piena. È evidente, senza dubbio, la risonanza pitagorica in questa idea plotiniana di un'armonia universale del corporeo puramente esteso o quantitativo. Si tratta, in un certo modo, di una concezione pre-psichica della natura, o ad­ dirittura pre-biologica, non lontana da quella, di tipo galileiano, da cui prenderà l' avvìo la fisica moderna ed in cui rinascerà, significativamente, il dualismo cartesiano della res extensa e della res cogitans Ebbene, in questo mondo corporeo puro - di cui abbiamo visto Plotino rivendicare il valore nella celebre apologia dell'Adversus gnosticos (cfr. spec. II, 9/3 3. 1 6) 1•

I.

Contrariamente a quanto afferma M. de GANDILLAC, Op.

cit., p. 3 5, secondo il quale « l'universo vitalista delle Enneadi non d� alcun posto a delle ' forze ' che sarebbero puramente meccaniche •· Sui limiti in cui dev'essere inteso il senso della critica plotiniana dd meccanicismo in III, 8/30, 2 (qui citato dal de Gandillac) si v. la giusta osservazione del

BRÉHIER,

in Enn., cit., III, p. 55, n. 1 : « Per

apprezzare questa critica del meccanicismo, bisogna pensare che, per un

antico, la meccanica è l'arte di produrre i movimenti violenti e

contro natura che possono essere utili (Ps.-Arist., Mecan. probl.,

ini2io) •.

L'alternativa contro un meccanicismo così inteso non

è

certo il vitalismo, ma piuttosto, secondo Plotino, l'ordinarsi dei mo­ vimenti secondo i lògoi immobili, cioè, come s'è detto, qualcosa di simile ad una concezione pitagorica della natura. Si veda tuttavia anche, sull'immagine biologica dell'universo in Plotino, quanto dice J. MoREAU, L'idée d'univers dans la pensée antique, in « Giornale di Metafisica t, 1953. Sulla versione plotiniana del monismo pitago­ rico parla J. M. RisT, Monism. Plotinus and some predecessors,

« Harward Studies in classica! Philology •, 1965, pp. 329-344.

in

il Male entra, principalmente, attraverso l'anima indivi­ duale, attraendola e confondendola nel corpo, così che essa vi si incarna, assoggettandosi alle sue passioni. Si tratta di una caduta che antecede ogni scelta di carattere morale : è la caduta originaria (« non siamo noi l'origine prima dei nostri mali », l, 8/SI, s), da cui nasce quell'es­ sere molteplice che è ciascuno di noi pollà gàr hemeis (I, 1/5 3 , 9) , cioè la nostra costituzione conflittuale che comprende « il composto vitale (to sfmpan zo8n), mesco­ lato alle parti inferiori, e, oltre questo, una parte supe­ riore, che è l'uomo vero e proprio : quelle, a guisa di leoni c di bestie di ogni specie, questo, invece, coinci­ dente con l'anima razionale ,. (I, I/53. 8) Nella omo­ pathìa dell'anima con il suo proprio corpo, questo cessa di essere corpo-oggetto e diventa qualcosa di simile a quello che Scheler chiamerà il ' corpo psichico ', dove la funzione egemonica, finalistica, dell'anima si obnubila nel mondo oscuro delle affezioni vitali (nella concupiscentia carnis, di cui parleranno gli asceti cristiani). Quella parte dell'anima « che si frammischia alla dismisura, è esclusa dalla partecipazione alla forma che ordina e guida se­ condo misura ; poiché è tutta mescolata ad un corpo, ad un corpo che ha materia » (I, 8/s x , 4). Proprio da questa ' mescolanza ' (memìktai, enkékratai) derivano la ' smode-

-

1•

Si veda, sulle fonti platoniche e stoiche di questi aspetti dell'antropologia plotiniana : W THEILER, Plotin zwischen Plato unJ Stoa, in Les Sources de Plotin, cit., pp. 78 ss. 1.

rate� per eccesso o per difetto ' e inoltre « intempe­ ranze e viltà e quanti altri vizi appartengono all'anima - accadimenti involontari, i quali, ingenerando opinioni false, fanno ritenere come male e come bene via via ciò che quella parte dell'anima irrazionale fugge o per­ segue • (ivi). Il male dell'anima non è dunque, per Plo­ tino, la sua individuazione (una tesi, questa, che non può essere proposta senza cadere in molte contraddizioni al­ l'interno del sistema plotiniano ma piuttosto la sua in­ carnazione, come possiamo chiamarla, cioè l'erotizzazione del eorpo, mediante la quale i bisogni fisiologici si tra­ sformano in desideri e le funzioni diventano tensioni e conflitti. Salvare l'anima dal Male significa, se le cose stanno così, interiorizzarla nel suo puro essere spirituale : cioè ricondurla in quella regione pura, inattaccabile da qua­ lunque affezione, che è il suo theorein, la sua attività contemplativa. L'anima infatti, qualunque sia la situa­ zione di obnubilazione e di oblìo in cui venga a trovarsi, non può cessare di essere se stessa, non può perdere la propria essenza spirituale. Il Male, come abbiamo visto, non può attaccare il mondo noetico, perchè questo fruisce della pienezza dell'esistenza ed è orientato, eternamente, l,

1. È di avviso diverso C. CARBONARA, Op. cit., II, pp. 82 ss. Si vedano ora sul problema dell'individuazione : J. M. RisT, Forms oJ individuals in Plotinus, in c Classic. Quartely t, 1963, pp. 23 3 ss. ; e H. J. BLUMENTHAL, Did Plotinus believe in ideas of individuals ?, in c Phronesis •, 1g66, pp. 61 ss.

dall'Eros celeste verso l'Uno-Bene. Nella misura in cui l'anima individuale fa parte del mondo noetico - cioè in quanto è puramente se stessa - essa è « radicalmente immune da ogni passione » (III, 6/26, 5). « Quella supe­ riore anima che è in noi, è immune da qualunque respon­ sabilità di tutti quanti i mali compiuti o sofferti dall'uomo : questi mali infatti concernono soltanto il nostro essere vi­ tale e corporeo, tò zoon kaì tò koin6n )) (I, I/53. 9). L'uomo interiore, tò éndon anthr6pou (ibid.), I'intimum mentis, come lo chiameranno neoplatonicamente i mistici cristiani, è ciò che non può essere travolto, qualunque sia il turba­ mento o lo sconvolgimento della nostra vita. Sopra questa indelebilità del carattere umano, cioè spirituale, che anche la psicanalisi oggi suole riconoscere perfmo nelle perversioni più mostruose Plotino ha svol­ to alcune profonde considerazioni nel trattato Sulla im­ passibilità degli incorporei (III, 6/26). Vale la pena di leg­ gerle nella bella traduzione del Cilento : 1,

Che vale allora la pretesa di rendere impassibile l'anima per virtù di filosofia, quand'ella sia radicalmente immune da ogni affezione ? Ecco : poiché quella specie di parvenza, penetrando in essa e precisamente nella sua parte affettiva, provoca l'affezione conseguente, vale a dire, l'irrequietezza ; poiché, inoltre, s'unisce alia irrequietezza l'immagine del male atteso, cosi una siffatta parvenza assunse il nome di passione e sorse allora l'esigenza filosofica di eliminarla del tutto e I. Cfr. Igor A. CARuso, Psychoanalyse und Synthese der Exi­ stenz, Avant-Propos nella tr. frane. di Gér. Monnet, Parigi 1959, p. 17.

di non !asciarla allignare. Fin tanto che questa ci sia - si pensa - l'anima non sarebbe perfettamente sana ;

ma,

dopo

la sua scomparsa, l'anima si comporterebbe impassibilmente, giacché la

causa stessa della passione, vale a dire quella parvenza che l'assedia, si è ormai bell'e dileguata : gli è come se uno, per estirpare i fantasmi dei sogni, costringesse a vegliare l'anima allora che volga verso il suo fantasticare; oppure come se uno ritenga che le immagini sorgenti, per cosi dire, dal di fuori, abbian cawato le passioni e le consideri stati passivi dell'anima. Che senso ha intanto la ' purificazione dell'anima ' la qual� non è stata giammai contaminata ; che senso ha l' espres­ sione ' distaccarla dal corpo '

?

Ecco, ' purificazione ' si è

fasciarla sola, senza che abbia contatti con cose estranee, senza che miri fuori di sé, senza che mutui opinioni altrui - quale che sia il modo delle opinioni -; ' purificazione ' importa sia · il non vedere le inunagini delle passioni, come s'è detto, sia il non ricavare passioni da quella fonte. Ma l'anima volta sull' ali�a via in alto - dalla bassura non è forse purifica­ -

zione e, aggiungi pure, ' separazione ' almeno per

che non sta più nel corpo come se gli appartenga

quell'anima

e non somiglia

ella ·f orse a ' luce che non è nel fango '. Per quanto resta impassibile, dopo tutto, quella luce che brilla persino sul fango ! Invece, per la parte affettiva dell'anima, la ' purificazione ' importa

il risveglio da insensate illusioni e un'abnegazione

dello

sguardo; e la ' separazione ' significa non inclinarsi giù smo­

non abbandonarsi neppure alla rappresentazione fan­ tastica delle cose inferiori. L'atto del separare, preso in se stesso,

datamente e

potrebbe pur significare l'eliminazione di quelle cose dalle quali questa parte affettiva si distacca, quando cioè essa non galleggi su di uno pnewna torbido in seguito a voracità e

pienezza di carni impure, ma quando ciò in cui è assiso sia sottile sopra

a segno che (III, 6/26, s ;

l'anima possa quietamente appoggiarvisi tr.

CIIJINTo,

II p.

89

s., le sottolineature

sono mie).

La liberatione dai fantasmi ossessivi della passione e il raccoglimento dell'anima con se stessa nell'esercizio della meditazione solitaria sono i grandi temi dell' umanesimo interiore. L'anima, attraverso la filosofia, deve disincar­ narsi, cioè rifiutare il ' corpo psichico ', ricostituendo il dualismo tra spirito e corpo, per concentrarsi nella ' re­ gione pura ' della sua vita noetica. Si noti, questa ricosti­ tuzione del dualismo è la condizione, secondo Plotino, perché sia restaurata l'unità della convergenza assiologica sia dell'anima sia del suo proprio corpo verso il Bene. Plotino ignora - o piuttosto, subconsciamente rifiuta quell'unità originaria del mondo psico-somatico, quella comunità della vita di cui parla la psicologia moderna, e teorizza e progetta invece Wl'unità dall'alto, in cui si risolva il dato fondamentale della condizione umana, la molteplicità conflittuale, il pollà hemels, dell'uomo che è vincolato da1le tensioni contraddittorie della sua vita­ lità. « Ci sono infatti due ragioni (egli aveva già detto in uno dei suoi primi saggi, Sulla discesa dell'anima nei corpi) che rendono disagevole l'unione dell'anima ai cor­ pi : anzitutto l'ostacolo che ne viene al pensare, e poi perchè essa riempie l'anima di piaceri, di desideri e di timori • (IV, 8/6, 2) . In realtà, quell'originario rifiuto consiste appunto in questa dyschera{nesis, in questo non

sentirsi a proprio agio nel proprio corpo, o come dirà Porfirio, nella « vergogna di essere in un corpo •. È il trauma inibente di nn malato, che avrà la sua compensa­ zione nell'isolamento contemplativo. Certo, Plotino non condanna la passione come emo­ zione che suscita e sostiene la stessa attività contempla­ tiva - ed è appunto l'Eros celeste, come s'è detto -, ma ciò di cui esorta il saggio a liberarsi, nella misura e nei modi in cui è possibile, è la passione come affezione o condizionamento o obnubilazione dell'anima nei suoi rapporti col corpo. In lui il grande tema stoico del dominio delle passioni si trascrive, in un registro sacrale, nel tema della purifi­ cazione (katharsis), cioè della liberazione dell'anima da tutto ciò che la contamina quando s'incarna nel corporeo e ne vive, come se fossero cosa sua, le passioni e gli im­ peti. n modo in cui è da intendere questa liberazione o purificazione è chiaramente descritto nello scritto Sulle virtù, secondo della prima Enneade : Ma bisogna domandarsi fin dove ci conduce la purifi­ cazione, cosi che appaia a chi la virtù ci rende simili e a quale dio ci faccia identici. Questo significa anzitutto chiederci in quale senso la virtù purifica il nostro cuore, i nostri desideri, l'ira e le altre affezioni di questo genere, il dolore e così via : cioè fino a qual punto è possibile separarci dal nostro corpo. Dal corpo, appunto : e ciò significa il raccogliersi dell'anima in se stessa dai luoghi (in cui si era dispersa), il suo farsi del tutto impassibile, accogliendo nell' àmbito della sensibilità

soltanto i piaceri necessari, e ciò che serve a curare o a pre­ servare dal dolore, per non esserne molestata; l'eliminare anche le sofferenze, oppure, se ciò non è possibile, soppor­ tarle con calma e diminuirli rifiutandosi di parteciparvi ; quan­ to all'ira, poi, toglierla di mezzo finché è possibile, e se non è possibile, non permettere almeno che la collera s'impadro­ nisca di lei, lasciando al corpo l'agitazione involontaria fino a quando non si spenga da sé; quanto al timore, bandirlo del tutto (perché ella non ha nulla da temere, anche . se, pure in questo caso, è possibile. un impulso involontario), oppure accoglierlo come un avvertimento. È chiaro che il desiderio di qualcosa di vergognoso, è fuori di discussione. Essa non cerca il mangiare né il bere per dissolutezza, e neppure i piaceri sessuali, che non siano quelli richiesti dalla natura e, ad ogni modo, tali da non farci perdere la nostra libertà, o tutt'al più restando soltanto nell'àmbito dei desideri immagi­ nari. Insomma, l'anima non si contenterà di essere pura essa stessa da tutte queste passioni, ma vorrà anche purificame la sua parte irrazionale; cosi che questa non senta più gli urti delle impressioni esteriori, o almeno non così violenti né cosi frequenti da non permettere che siano placati dalla vici­ nanza della ragione. Avverrà come se la parte irrazionale dell'anima si comportasse alla maniera di un tale che, vivendo accanto ad tm saggio, trae profitto dalla sua presenza o perché diviene simile a lui o perché avrebbe vergogna di permet­ tersi di fare qualcosa che a quel saggio dispiaccia. Cosi non ci sarà più conflitto ; basta che la ragione sia là come guida e la parte inferiore dell'anima provi vergogna davanti a lei, così da sentirsi in disagio, persino essa, la parte inferiore, quando qualcosa la agita totalmente, se non è riuscita a re­ stare tranquilla alla presenza della sua guida, e da rimprove­ rarsi la propria debolezza (I, 2/19, 5).

La risoluzione del conflitto non consiste dunque in una pacifìcazione delle passioni - per esempio, attra­ verso la liberazione della vita istintiva da ogni inibizio­ ne -, ma piuttosto nella soggezione del corpo all'impero della ragione, così che il corpo stesso ' si vergogna ' (aidésetai) e ' si sente in disagio ' (duscheranai) e ' si rim­ provera ' (epitimisai) per il fatto di non sentire in modo totalmente conforme alla saggezza dell'anima. Questi sen­ timenti di auto-punizione sono la prova della vittoria dell'anima razionale : il conflitto dell'anima e del corpo si risolve, dunque, riaprendosi all'interno della stessa cor­ poreità, come la sua propria coscienza infelice, quella stessa per cui Platino, al dire di Porfirio, « pareva aver vergogna di essere in un corpo ». Il corpo che condanna se stesso, in un irraggiungibile ideale di pura strumenta­ lità al servizio della ragione, è un'idea che va al di là dell'idea stoica dell'heghemònikon e raggiunge antiche sug­ gestioni pitagoriche e più recenti influenze del pensiero orientale e cristiano Ma questo rifiuto del corpo psichico - o di quella che Platino chiama l" anima inferiore ' o ' malvagia ' non significa forse l'abbandono della realtà umana con­ creta, nella pretesa illusoria di un ritorno al di qua della 1•

Cfr. su questo tema, in generale, J. DANIELOU, Platonisme et tMologie mystique, Parigi·1944, p. 64 s. ; M. de GANDILLAC, Op. cit., p. 38. Sull'opposizione del pensiero di Plorino al cristianesimo v., in « The Cambridge Ancient History », vol. XII, cap. XIX, N. H. BAYNliS, The great Persecution, pp. 64!5 ss. I.

dialettica del Bene e del Male ? Nel Pothen tà kaka egli ha riconosciuto che il campo in cui si svolge e si manifesta questa lotta è ' il mondo di quaggiù ', cioè il divenire dell'universo fisico e la storia degli eventi wnani, condizionati, sia quello sia questi, dalla contingenza radi­ cale del loro proprio essere. L'essenza del nostro mondo è la dialettica, anche se questa dev'essere intesa, come ab­ biamo visto, non entificando miticamente i ' due Prin­ cipi ', ma ponendo rigorosamente la trascendenza del­ l'Uno come il Bene o il Valore al di sopra di tutto ciò che esiste o può esistere, epèkeina tès ouslas, secondo l'in­ segnamento platonico, e la negatività del Male come pura opposizione o non-essere. Se ciò è vero, l'umanesimo interiore, cioè il ritorno allo stato d'innocenza pura della contemplazione inattaccabile dal Male, non rischia dun­ que