L'interiezione vocativale nei poemi omerici
 9788885134102, 8885134106

Citation preview

BIBLIOTECA DI RICERCHE LINGUISTICHE E FILOLOGICHE

========

11

========

MARIA ZAFFIRA LEPRE

· L'INTERIEZIONE VOCATIVALE NEI POEMI OMERICI /

ISTITUTO DI GLOTTOLOGIA UNIVERSITA' DI ROMA 1979

Pubblicato con un contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche

Biblioteca di ricerche linguistiche e filologiche Nr. H, a cura di Walter Belardi In commissione presso la Libreria Herder Piazza Montecitorio 117-120 00186 - Roma

al mio Maestro

INDICE

Prefazione

pag.

9

I.

I precedenti della critica

»

11

II.

Uso linguistico e necessità metrica .

»

20

III.

La funzionalità linguistica dell'interiezione

»

23

IV.

Apostrofe, esametro e colon iniziale .

»

35

V.

Sintagmi vocativali con win cola non iniziali .

»

62

VI.

Apostrofe e discontinuità sintagmatica

»

67

VII.

Considerazioni conclusive

»

70

VIII. Indice tipologico dei luoghi .

»

73

Indice degli autori moderni citati .

»

83

w

PREFAZIONE

Il presente studio di M. Z. Lepre è una elaborazione di un paragrafo della sua tesi di laurea sull'uso del vocativo nei poemi omerici, da me presentata alla discussione nel 1974. L'argomento della tesi mi era stato suggerito da quanto avevo potuto osservare a proposito dello status sintagmatico del vocativo nella colometria archilochea (cf. Studia Indoeuropejskie, 1974, pp. 33-42, e « Museum criticum », 1977, pp. 11-35). Una indagine e una verifica nella lingua dell'epica appariva, quindi, auspicabile. In maniera egregia la dott.ssa M. Z. Lepre si applicò all'analisi esauriente di tutte le espressioni vocativa/i in Omero. V ari punti di questa ricerca saranno a suo tempo - mi auguro - resi di pubblica conoscenza. Per il momento ho ritenuto che poteva essere estratto e sviluppato in modo autonomo quanto nella tesi era stato osservato circa l'impiego della interiezione wdavanti al vocativo. Con novità di metodo M. Z. Lepre si accosta al problema, considerando attentamente i due fattori dell'uso linguistico e della necessità metrica, che dettano le condizioni d'impiego di w nella lingua dell'epos. Una ricerca come la presente è particolarmente interessante anche da un punto di vista linguistico generale per più di un motivo. È infatti possibile cogliere nella più antica testimonianza della lingua greca e nella sua successiva storia il variare della funzionalità di tale interiezione. A dire il vero, nel nostro abito linguistico moderno occidentale, difficilmente

10

Prefazione

è rintracciabile un « gesto » verba/,e che possa considerarsi analogo, a meno che non ci rivolgiamo a forme di espressioni dialettali e popolari, nelle quali occorrono frequentemente !·m.cpwvi)µa:ta.come inizi di rapporti dialogici. Nella lingua dell'epica, invece, incontriamo con vario impiego l'elemento cui converrebbe, a rigore, la denominazione di segno attua/,izzatore d'appello generico; tale appello, poi, attraverso il vocativo del nome, trova la sua individuazione specifica. Risulta pertanto che l'usuale designazione di w come interiezione non è la più adatta, se a tale designazione s'intende ancora dare quel contenuto semantico codificato nella stilistica e nella retorica antiche (vedi in particolare Quini. 8. 2. 15). Queste con 1ta.pévaEcr1.ç e interiectio intendevano ogni espressione a incastro sintagmatico che esprimesse un dato stato emotivo. È vero che dalla presente analisi risulta in certe strutture frastiche l'emergere di una connotazione di emotività ( vedi soprattutto nota 33), congrua con il carattere dell'« interiezione » parentetica, ma il tratto essenziale e probabilmente più antico da riconoscere con l'autrice alla particella w è appunto la funzione di appello rivolto, non ancora individua/,mente, agli astanti, perché questi pongano attenzione al nome che il parlante specificherà subito dopo, per stabilire l'avvio di un'allocuzione o della prima parte di un dialogo. Lo stato funzionale di tale w nei poemi omerici appare, quindi, all'origine, ben al di fuori dall'ambito espressivo delle « interiezioni», come sono intese tradizionalmente, e, pertanto, il materiale qui linguisticamente analizzato, con ingegno e rigore filologico, potrà anche offrire l'occasione a ulteriori considerazioni di linguistica generale. Walter Belardi

1

I PRECEDENTI DELLA CRITICA Nei poemi omerici l'interiezione vocativale w è di uso molto limitato, in quanto la sua presenza si riscontra soltanto davanti al 1O% dei vocativi 1• Questo aspetto linguistico è stato studiato, in particolare, da J.A. Scott 2 nel 1903, e in seguito, ma solo marginalmente, da E. Kieckers 3 nel 1908-9. Lo Scott, estendendo la sua indagine da Omero fino a Platone 4 , ha rilevato che l'impiego dell'interiezione, raro in Omero, aumenta via via di frequenza nella letteratura posteDalla mia indagine risulta che le occorrenze dell'interiezione w davanti al vocativo sono 177, su un totale di 1734 occorrenze di vocativi. L'indagine è stata condotta sui testi dell'edizione oxoniense (il testo dell'Iliade a cura di D.B. Monro e Th.W. Allen, Oxford 1920; il testo dell'Odissea a cura di Th.W. Allen, Oxford 1~17). 2 J.A. Scott, The vocative in Homer and Hesiod, « Am. Journ. Phi-1.» 24 (1903), pp. 192-6. 3 E. Kieckers si è interessato all'argomento in Griechische Eigennamen auf -voot;, « I. F.» (1908-9) (pp. 353-66), pp. 357-62, ma ha preso in esame soltanto le occorrenze di w davanti ai vocativi dei nomi propri. 4 Lo Scott si è interessato all'argomento, relativamente alla letteratura posteriore ad Omero, nei due articoli successivi al primo: The vocative in Aeschylus and Sophocles, « Am. Joum. Phil. » 25 (1904), pp. 81-4, e Additional notes on the vocative, « ibid. » 26 (1905), pp. 32-43. 1

I precedenti della critica

12

riore, fino a diventare quasi regolare negli ultimi due autori del periodo attico da lui esaminati, Aristofane e Platone 5• L'incremento di questo uso è dallo Scott attribuito ad un graduale processo di avvicinamento della lingua letteraria alla lingua parlata, nella presupposizione che w,già in fase più 5

Dall'indagine condotta dallo Scott sugli sviluppi postomerici negli art. cit. (1904 e 1905), si possono tracciare, in sintesi, le seguenti linee generali: nei lirici l'impiego di w è ancora limitato, ma più frequente rispetto ad Omero; la percentuale dell'uso varia in rapporto allo stile dei singoli poeti e alle tematiche trattate, e l'interiezione, denotando impazienza, familiarità e partecipazione emotiva, presenterebbe, secondo l'autore, la stessa valenza funzionale che si registra in Omero, ma, dal momento che la sfera della familiarità investe talvolta il rapporto con gli dei, w si riscontra anche nell'appello alla divinità. In Erodoto la presenza di w ricorre nel 60% dei casi, quindi il vocativo è usato più di frequente con wche senza. Per quanto riguarda i tragici, le percentuali sono del 50% in Eschilo, del 60% in Sofocle e del 54% in Euripide. t interessante notare che sia in Erodoto sia nei tragici l'interiezione non compare mai davanti ai vocativi dei nomi propri di persona; in particolare, in Eschilo e in Sofocle, davanti ai vocativi dei nomi propri usati da soli, il che confermerebbe, secondo lo Scott, il carattere familiare della interiezione, che sarebbe stata fuori luogo in tali occorrenze. In Eschilo e in Sofocle l'interiezione è usata, invece, liberamente davanti ai vocativi dei nomi propri di divinità, specialmente in preghiera. In Aristofane ci troviamo di fronte ad un decisivo incremento dell'uso di w,che si riscontra nell'80% dei casi: vale a dire i.u 1000 vocativi l'interiezione è omessa soltanto 252 volte. Si può quindi asserire che presso questo autore il vocativo è usato di regola con l'interiezione e tale impiego si riscontra soprattutto là dove lo stile è quello della lingua parlata. Infine in Platone si può dire che il vocativo è sempre usato con w.L'unica omissione regolare, che del resto ricorre anche nei tragici, è quella davanti all'apostrofe 11:a°L, indirizzata allo schiavo, che lo Scott fa spiegare allo stesso Platone nel xP'ilO"XE6òv precetto espresso in Leggi 778: « -rl)v 6È otxt-tov 11:p60'PTJCTt.V lm-ta~w 11:iiaav -ylr,,Ecrl)a~,1-LTl11:poa11:alt;ov-tac; µ116aµii µ116~ ol,. xt-ta~ ».

I precedenti della critica

13

antica, appartenesse ad un registro linguistico proprio del « senno vulgaris ». Tale ipotesi risulterebbe avallata dall'assenza, in Omero, dell'interiezione nelle preghiere e in generale nelle apostrofi indirizzate dall'uomo alla divinità, e in quei discoi-si, dai quali - secondo lo Scott - traspare un senso di solennità e di elevazione6 • La presenza di w si riscontrerebbe, invece, secondo l'autore, esclusivamente nelle scene di tipo familiare, e pertanto in maggior misura nell'Odissea rispetto all'Iliade7 e soprattutto dinanzi a vocativi di tipo familiare, quali q,llot., q,lÀ.e e 1tÉ1tov,che denotano una certa confidenzialità e concitazione nel rapporto dialogico. Anche in Esiodo l'impiego dell'interiezione è poco freLo Scott ritiene di poter aggiungere come ulteriore prova del suo assunto il fatto che w non appaia in discorsi pronunciati da donne. In verità, a me risulta che l'interiezione non è del tutto assente dal linguaggio femminile, giacché, senza considerare l'uso che ne fa Atena, essa compare davanti all'apostrofe çEL'IIE in due discorsi formulati da donne: in Od. IV 371 (vii~~oc;Etc;,w çEL'IIE, ì..l11v-t60"ovTJO!x11ì..lq,pov,) e in Od. VH 342 (« 15pO"o xfo.>v,w çEL'IIE • ~rnol11-ta.~6! Evvi).»), dove, rispettivamente, Ediotea si rivolge a Menelao e le ancelle di Nausicaa ad Odissea. Inoltre, a me pare che la limitazione dell'uso della interiezione da parte delle donne non può essere attribuita al presunto carattere confidenziale di w,ma dipende esclusivamente dal fatto che nei dialoghi omerici la presenza femminile è di gran lunga inferiore rispetto a quella maschile: vale a dire, nei due poemi, in particolar modo nell'Iliade, le donne «parlano» molto meno degli uomini, di conseguenza è molto più limitato, da parte loro, anche l'uso del semplice vocativo. 7 L'interiezione davanti al vocativo compare 102 volte nell'Odissea e 75 nell'Iliade (per i luoghi d'occorrenza, vedi l'lnd. tip., Cap. VIII). I dati da mc elaborati differiscono leggermente da quelli dello Scott, che, rilevando in tutto 176 occorrenze della interiezione, ne attribuisce 103 all'Odissea e 73 all'Iliade (Scott, op. cit. •1903, p. 192). 6

14

I precedenti della critica

quente 8 e non diverge, secondo lo Scott, da quello che si registra in Omero. Negli Inni omerici 9, invece, si comincia ad individuare, a mio avviso, una funzionalità diversa della interiezione, in quanto questa compare quattro volte davanti a vocativi di nomi di divinità 10• Dopo la successiva e graduale estensione dell'uso, che culmina nel periodo attico 11, durante il quale il sintagma vocativale con w quasi soppianta il semplice vocativo, la frequenza dell'interiezione si riduce sensibilmente nel greco elNella Teogonia il vocativo è usato due volte con w, 12 senza; nelle Opere, la cui tematica è familiare ed il tono è ben diverso da quello della Teogonia, 6 volte con w,7 volte senza; nello Scudo, che, come sappiamo, non è esiodeo ma da attribuire ad un'epoca molto più tarda, 4 volte con w e 4 senza. Tali dati sono riportati da Scott nell'op. cit. 1903, p. 195. 9 Lo Scott non ha analizzato gli Inni, ma tale mancanza è stata colmata da G. Giangrande in The use of the vocative in AJexandrian epic, « C.Q. » 1968, pp. 52-9. 10 Il Giangrande, nell'op. cit., rileva negli Inni solo 3 occorrenze della interiezione davanti a vocativi di nomi di divinità, e precisamente nell'Inno ad Apollo {Ili), al v. 14, nell'apostrofe w AT)-toi:,e ai vv. 179 e 526 nel costrutto w iiv(a.), indirizzato in entrambi i versi al dio Apollo. Una quarta occorrenza è stata da me rilevata ne1l'lnno a Dioniso (XXVI) a:l v. 11, nell'apostrofe w a~6vuLÀOXÉP,:OµE, in Od. XXII 287, e w 'ApxELM6TJ,in Od. XXIV 517, sono spiegate dallo Scott, nell'op. cit. 1903, p. 192, in funzione dei discorsi di cui fanno parte: w Ilo).uf>EpaEl6TJ sarebbe detto con collera e w 'ApxEima.6TJ con compassione. Per quanto riguard11le eccezioni che si riscontrano nell'Iliade, nelle quali, però l'interiezione non precede direttamente il patronimico, lo Scott dà le seguenti spiegazioni: l'apostrofe w µaxrxp 'A,:pEt6TJ,in Il. III 182, sarebbe giustificata dall'assenza dell'apostrofato; la locuzione vocativale w'lta't'EPT)µÉ't'EPE KpovlSTJ,~'ltlX't'E xpEL6V't'wv, in Il. VIII 31 (ma anche nell'Odissea, vedi Cap. VIII lnd. tip. A, a, rx}, sarebbe da interpretare come un'espressione di impazienza e di collera da parte di Atena nei confronti del padre; infine, in wNéa,:opNTJÀT]~, in Il. X 87, 555; XI 511; XIV 42 (ma anche nell'Odissea, vedi C..p. sarebbe aggiunto VIII, Ind. tip. A, e, l;), il patronimico N11).TJi:a.611 come riempitivo metrico.

w

w

I precedenti della critica

17

attribuire ad ogni costo al parlante una particolare partecipazione emotiva. Ad esempio, nel caso di alcune occorrenze di apostrofi alle divinità, quali w TCa:tep1}µi't'EPE Kpovl6T),ima:tt 16 xpet.6V't'wv , rivolto a Zeus, w't'Éxo~e wq,O.e, con cui Odisseo apostrofa Atena 17, w't'ÉX~ con cui Priamo apostrofa Ermes 18 e infine w xvvtiµvt.« con cui Ares apostrofa Atena 19, lo Scott cerca appigli nel contesto e nelle circostanze, attribuendo all'intonazione dei discorsi particolari connotazioni emotive quali l'impazienza, la concitazione, l'ansia, senza rendersi conto che tali vocativi, essendo· di tipo familiare o, nel caso di xvvtiµvt.«, di tipo spregiativo, consentono, come in tante altre occorrenze, l'impiego di w,in relazione alla loro tipologia semantica. Per spiegare poi l'occorrenza di w dinanzi ad alcuni vocativi di nomi propri, l'autore arriva a dire che la locuzione w Xpvcn:20 potrebbe essere giustificata dal1'atteggiamento di intimità di Odisseo nei confronti di costui, e con tale motivazione, senza tenere in alcun conto la struttura prosodica del vocativo, spiega anche l'apostrofe w'Ax1.À.eO21 con cui Calcante si rivolge ad Achille. Per quanto riguarda, invece, l'Odissea, lo Scott non si sofferma ad analizzare dettagliatamente l'impiego della interiezione, ma parla genericamente di scene 22, e giustifica il sensibile aumento 16

Vedi i passi citati nella nota precedente. Rispettivamente in Od. VII 22 e in Il. XIII 228. 8 • In Il. XXIV 425. 19 In Il. XXI 394. 20 In Il. I 442. 21 In Il. I 74. 22 « The familiar tone of the interjection fits it for such sccnes as those in the palace of Nestor, and of Menelaus, or of Circe, the hut of Eumaeus, or where Odysseus returns in the guise of a beggari. (Scott op. cit. 1903, p. 194). 17

18

I precedenti deUa critica

di w ponendolo in rapporto con il tono del poema, che egli definisce più familiare. È chiaro che la metodologia dello Scott pecca di un certo semplicismo, comprensibile, se si tiene conto del fatto che l'autore scrive ai primi del novecento. Da tempo, ormai, non è più ammissibile condurre un tipo di analisi sui dialoghi omerici, partendo soltanto dal punto di vista dello stato d'animo del parlante, dato lo stile formulare in cui le situazioni umane sono oggettivate e tipicizzate. Analogo tipo di impostazione si ritrova in uno studio di S.E. Basset 23, che si propone di spiegare i casi di omissione del vocativo nei dialoghi omerici, e in seguito in un lavoro di G. Giangrande 24, che pur scrivendo nel 1968, ripropone lo stesso criterio metodologico dello Scott nell'esaminare l'occorrenza di w nell'epica alessandrina. Di tutt'altra idea è, invece, il Kieckers 25, che, però ha preso in esame esclusivamente le occorrenze di w davanti ai vocativi dei nomi propri. Egli sostiene che, per quanto riguarda questi vocativi, l'uso della interiezione non è da spiegare in funzione del tono del discorso, bensl in rapporto alla necessità del metro 26• Per dimostrare l'infondatezza della tesi dello Scott, egli porta ad esempio il v. 74 del primo libro dell'Iliade, in cui Calcante si rivolge ad Achille, cioè ad un 23

S.E. Basset, The omission of the vocative in the Homeric speeches, « AJP » 55 (1934), pp. 140-152. 24 G . G" 1angrande, op. ct't . 25 E. Kieckers, op. cit. 26 Il Kieckers (op. cit. pp. 357-8) parte dal presupposto che il vocativo del nome proprio ha, di regola, una collocazione iniziale di verso. Le eccezioni alla norma sono, secondo l'autore, quasi tutte facilmente spiegabili.

I precedenti della critica

19

eroe cui si deve rispetto, iniziando il discorso con w 'Axi.lEv, e poi ii v. 216 del XIX dell'Iliade, in cui con la stessa apostrofe Odisseo si rivolge ad Achille, benché il tono della conversazione sia tutt'altro che familiare, e ancora il v. 202 del III dell'Odissea, in cui il giovane Telemaco si rivolge ad un anziano quale Nestore, con l'apostrofe wNÉo--.opNT)ÀT)ra.61'). Il Kieckers, inoltre, fa notare che l'interiezione w spesso non si riscontra là dove, secondo le argomentazioni dello Scott, ci si aspetterebbe di trovarla per il tono familiare della conversazione, come in Od. XV 49, in cui Pisistrato, figlio di Nestore, rivolgendosi a Telemaco in modo familiare, lo apostrofa con il semplice vocativo TT)Àɵtxxe,senza far uso dell'interiezione. L'autore, negando in maniera assoluta la validità della tesi dello Scott, conclude che, per quanto riguarda i vocativi dei nomi propri, l'interiezione w è soltanto un comodo accorgimento metrico per inserire all'inizio di verso un vocativo la cui struttura prosodica altrimenti non lo consentirebbe.

II USO LINGUISTICO E NECESSITA' METRICA Non si può negare una parziale validità ad ognuna delle due argomentazioni, dello Scott e del Kieckers, antitetiche, a mio avviso, solo in apparenza. Se da un lato è vero che l'interiezione w nei poemi omerici non si riscontra nelle preghiere e, in generale, davanti ai vocativi dei nomi di divinità, mentre è particolarmente usata davanti a vocativi di tipo familiare, daU'altro è anche vero che questa interiezione compare spesso davanti a vocativi che hanno una struttura prosodica tale che l'inserimento di una quantità lunga che li preceda consente loro di essere collocati nel primo colon del1'esametro rt, e ciò non si verifica soltanto con i vocativi dei nomi propri. Per la teoria dei 'cola' nell'esametro vedi come bibl. essenziale: H. Friinkel, Der kallimachische und der homerische Hexameter, in « Gott. gd. Nachr. », 1926, pp. 197-229 (articolo ripubblicato, in forma rifusa, come capitolo in W ege und Formen fruhgriechischen Denkens, Miinchen 1955, pp. 100-156 = 21960, e riassunto in Dichtung und Philosophie des fruhen Griechentums, New York 19:51, pp. 39-50, e Miinchen 21962, pp. 32-37); E.G. O'Neill (jr.), The localization of metrica! word-types in the Greek hexameter..., « Yale Oass. Studies » 8 (1942), pp. 105~178; H.N. Porter, The early Greek hexameter, «ibidem» 12 (1951), pp. 3-63; H.J. Mette, Die Struktur des iiltesten daktylischen Hexameters, « Glotta » 35 (1951); pp. 1-17; L.E. Rossi, Estensione e valore del 'colon' nell'esametro omerico, « Studi Urbir,

Uso linguistico e necessità metrica

21

Le due argomentazioni non si escludono a vicenda, dal momento che riguardano piani diversi. La lingua omerica, essendo una lingua poetica, peraltro incorporata in una struttura metrica che la plasma e la organizza, è il risultato di un parallelismo ritmico-sintattico: il livello sintattico e il livello ritmico, o meglio metrico, operano simultaneamente e non separatamente. La selezione verbale opera in seno al verso e non al di fuori di esso, e il ritmo agisce sulla materia linguistica come un reattivo, provocando spesso delle combinazioni stabili 28• I due livelli interagiscono in un rapporto dialettico, spesso conflittuale, che si risolve e si realizza, articolandosi in coincidenze e opposizioni. Vero è che la struttura metrica vincola e determina le scelte verbali e sintattiche, funge cioè da limite, ma tali scelte avvengono su un materiale linguistico che esiste prima e al di fuori dello schema metrico, cui si deve adattare. L'esigenza del metro è il massimo fattore condizionante, ma le scelte lessicali, morfologiche e sintattiche avvengono su una lingua che offre un certo grado di inerzia e di resistenza. Il poeta può orientarsi su una scelta piuttosto che su un'altra, purché non venga alterato il senso del messaggio. Maggiore è la libertà di scelta nel campo lessicale e, dato il carattere composito della lingua epica, nel campo morfologico, minore nell'ambito dei costrutti sintattici. Il metro può consentire l'uso di un costrutto invece di un altro, solo se tra i due non intercorra un'opposizione funzionale e distintiva. Significativo è, al riguardo, in Omero l'alternarsi, privo di opposizione semanticamente distintiva I) della forma attiva e menati» 39 (1%5), pp. 239-273; G.S. Kirk, The structure of the Homeric hexameter, « Yale Class. Studies » 20 ,(1966), pp. 76-104. 28 Cf. P. Zumthor, La strutturazione poetica (tratto da Langue et techniques poétiques à l'époque romane, Paris 1963), in La metrica, testi a cura di R. Cremante e M. Pazzaglia, Bologna 1972 (pp. 199210), p. 205.

2i

Uso linguistico e necessità metrica

dia (1tpo~)tq,11 - lq,ai:o, nella formula ricorrente che esprime l'azione del parlare; II) del duale e non-duale in morfemi che, dato il referente, dovrebbero sempre essere duali; III) talvolta dell'aumento e non-aumento, e si potrebbero fare molti altri esempi al riguardo. I morfemi che si alternano, senza un'opposizione semanticamente distintiva, sono delle varianti funzionali 29 soltanto all'interno del sistema formulare, in quanto la loro alternanza è determinata dalla necessità del metro. Il caso del vocativo con o senza wè, a mio avviso, ancora un esempio di come si realizza il rapporto metro - uso linguistico e di come si articolano le coincidenze e le opposizioni di questo rapporto. La presenza e l'assenza di wdavanti al vocativo si distribuiscono secondo queste tre possibilità: 1) può prevalere l'uso linguistico per se stesso (l'uso di w non si riscontra davanti ai vocativi di nomi di divinità), 2) può prevalere la necessità metrica (l'uso di w si riscontra davanti ad alcuni vocativi di nomi propri di persona, che altrimenti, data la loro struttura prosodica, non potrebbero essere inseriti nel primo colon dell'esametro), 3) necessità metrica e uso linguistico convergono nel generare lo stesso sintagma (w si riscontra con molti vocativi di tipo familiare e generico che presentano una struttura prosodica tale che l'inserimento di una lunga che li preceda può consentire la loro collocazione nel primo colon del verso).

Cf. G. Nagy, Comparative studies in Greek and Indie meter, Cambridge Mass. 1974, p. 95. 29

III LA FUNZIONALITA' LINGUISTICA DELL'INTERIEZIONE "'n 1. Per quanto riguarda il piano dell'uso linguistico, a mio avviso, sono da precisare e da chiarire ulteriormente la funzione e il valore, in Omero, dell'interiezione w davanti ai vocativo, e non ci si può soffermare solo sul tratto della familiarità e sulla intensificazione espressiva che tale interiezione fa assumere all'apostrofe. L'interiezione w,anche se probabilmente è di natura emoziona:le30, introduce 31 l'invo.cazione, preparando psicologicamente ad essa l'interlocutore nel richiederne l'attenzione, e rinforza notevolmente il senso d'appello insito nell'apostrofe 32• Cf. R. Loewe, Die indg. Interjektionen e, o, a, in « KZ » .54 (1927) (pp. 103-148), p. 124; E. Schwender, Die primarien Interjektionen in den indg. Sprachen, Heidelberg 1924, p. 9 e sg. 31 A. Nehring e E. Schwyzer sottolineano l'originaria « Selbstiindigkeit » della interiezione. A. Nehring, Anruf, Ausruf, Anrede ..., « Festschr. Th. Siebs », Gottingen 1933, p. 143: « Das erkliirt sich zunachst einmal daraus, dass das w zweifellos urspriinglich eine selbstiindige, durch Pause von Namen getrennte Partikel war. »; E. Schwyzer -A. Debrunner, op. cit., p. 60: « Die Partikel w beim Vokativ ist nicht etwa eine Art Artikels des Vokativs, sondem urspriinglich eine selbstiindige, durch Pause abgetrennte lnterjektion, eine Art allgemein Vokativs, der als selbstlindiges Satz.chen den speziellen Vokativ vorbereitete ». 32 Lo Schwyzer, nell'op. cii., p. 60 ,(subito dopo il passo cit. nella 30

24

La funzionalità linguistica etc.

Se prendiamo in considerazione questa funzione, al di là del tratto della familiarità, che, a mio avviso è secondario, e della connotazione espressiva ed emotiva di cui l'apostrofe in talune occorrenze risulta colorita 33, traspare dalla documentazione omerica un indizio, che mette in luce l'originario valore del vocativo stesso. Se ci soffermiamo, infatti, sulla valutazione statistica dell'impiego di win Omero, l'uso della interiezione cosi limitato in questa fase, rispetto a quello che nota precedente), accenna anche alla funzione originariamente rafforzante di w(op. cit., p. 60): « wverstlirkte wohl urspriinglich den Ruf. », ma, poco più avanti, asserisce, conformemente allo Scott, che già nell'epica l'interiezione era piuttosto un'espressione di confidenzialità (op. cit., p. 61): « Urspriinglich Nachdruckszeichen ist w schon im Epos mehr nur ein Zeichen der Vertraulichkeit und steht daher nicht in ehrerbietiger Anrede, besonders auch nicht bei der Anrufung der Gotter »; favorevoli all'opinione dello Scott già K. Brugmann, in Grundiss 112,Strassburg 1911, p. 651 e in Verschiedenheiten der Satzgestaltung..., Leipzig 1918, e J. Wackernagel, op. cit., p. 311, che attribuiscono all'interiezione il tratto connotativo della confidenzialità anche nell'epica omerica; negano, invece, la validità di questa tesi il Loewe (op. cit., p. 104) e il Nehring (op. cit., pp. 142-3), che mettono in evidenza nella funzione di w,rispettivamente, « die Aufmerksamkeit zu erregen » (tratto evidenziato anche da H. Hirt, op. cit., p. 2), e l'« Anrufscharakter ». 33 L'interiezione carica di enfasi l'apostrofe soprattutto in particolari contesti frastici, quali le imprecazioni o maledizioni (es.: « "C'Eil xcix"C'«VE &>..l.Epoq,6V"C'TJV, Il. VI 164), i rimproiNalTJt;,w Ilpoi:"C'', >.l'l')v-r6aov116!xa>..Cq,pwv, veri o frasi ingiuriose (es.: vf)m6t;Ett;,wçELVE, Od. IV 371), le incitazioni (es.: EijXEO wv, wçELVE, IloaE~6awv~llvax-n • Od. III 43). t interessante notare che tali contesti presentano, il più delle volte, l'espressione vocativale inserita all'interno del verso. In questi casi la carica enfatica impressa dall'interiezione all'apostrofe risulta potenziata, a livello ritmico-sintattico, dalla struttura discontinua e smembrata della frase, nella quale l'intero costrutto vocativale assume, come vedremo nel Cap. VI, una particolare funzione stilistica disgiungente.

La funzionalità linguistica etc.

25

si rileva nella letteratura posteriore, ci consente di dedurre che il vocativo originariamente era provvisto di una particolare intensità d'appello, e che nell'epica omerica conservava ancora in notevole misura la sua autonomia di « frase », intesa come « Ruf-Anruf-Anrede » 34; pertanto non aveva bisogno, come regola, di essere rinforzato. Riconosciuta in questa fase una particolare carica appellativa al vocativo, la funzione primaria di w emerge chiaramente, se si analizzano le occorrenze della interiezione non più in base alla qualità o al tono dei discorsi nei quali essa compare, bensì secondo il tipo di funzionalità semantica del vocativo cui essa è preposta.

2. Innanzitutto è necessario, a mio avviso, distinguere i vocativi dei nomi propri dai vocativi dei nomi comuni, per il diverso ruolo che gli uni hanno rispetto agli altri. I vocativi dei nomi propri, a loro volta, vanno suddivisi in vocativi di nomi di divinità e in vocativi di nomi di persona, per la diversa funzionalità di w all'interno di questa suddivisione. Inoltre sono da distinguere i vocativi di nomi di popolo e i vocativi di nomi fungibili da nomi propri. Complessivamente, quindi, i vocativi sono stati da me classificati nel modo seguente: vocativi di nomi propri di divinità, 34

E. Schwyzer -A. Debrunner, op. cit., p. 60: « Der Vokativ war urspriinglich als Ruf, Anruf, Anrede ein Satz (oder eine Art Satz) fiir sich ». Fanno riferimento all'isolamento sintattico del vocativo, inteso come « Satz,. anche il Nehring (op. cit., p. 100) e il Brugmann (Die Syntax des einfachen Satzes im Idg., Berlin-Leipzig1925, p. 17). Del resto già gli stoici erano consepevoli che il vocativo non fosse una

~-

26

La funzionalità linguistica etc.

vocativi vocativi vocativi vocativi

di di di di

notn1 propri di persona 35, notn1 fungibili da nomi propri 36, notn1 di popolo, notn1 comuni (sostantivi ed aggettivi).

Ho ritenuto opportuno, poi, suddividere la classe dei vocativi dei nomi comuni in quattro gruppi, in rapporto alla loro tipologia semantica: vocativi implicanti una particolare partecipazione emotiva da parte di chi parla 37, 35

Tra i vocativi di nomi propri di persona e di divinità ho compreso anche i patronimici. 36 Per vocativi di nomi fungibili da nomi propri, intendo quei particolari appellativi che, oltre a comparire come epiteti specifici in formule o in versi interamente vocativali, possono essere usati anche da soli, in sostituzione dei nomi propri ai quali essi corrispondono. Gli appellativi che effettivamente compaiono, oltre che in forme d'appello •«complesse», anche da soli fanno tutti parte del ricco patrimonio formulare relativo ai nomi di divinità. Se ne dà qui un elenco: àpyucÉpetVVE,à.pyup6-.o~E, yÀ.etVXW1tL, ÉxaepyE, ÉXCt't1}~6À.E, MOO"l.yeti:E, xe'kciwecpÉÉç, q,épLCT't'E etc.), 5) forme ;E°LvoL, etc.). Per quanto riguarda di appello convenzionali varie (;E°LvE, il sottogruppo n . .3, i vocativi denotanti specie divine non compaiono mai preceduti dall'interiezione, come, del resto, i corrispondenti vocativi dei nomi propri. Per l'individuazione di questi cinque sottogruppi, ho utilizzato, in parte, le suddivisioni del Wendel nell'op. cit.; vedi l'elenco dei vocativi usati da soli nel Cap. IV, 1.

La funzionalità linguistica etc.

29

propri di persona, 4 (davanti all'unico vocativo Klpx11)i 168 vocativi di nomi propri di divinità. Per quanto riguarda la presenza di w davanti al vocativo Klpx11,che apparentemente sembrerebbe un'eccezione alla regola dell'assenza di w davanti ai vocativi di nomi di divinità, non bisogna dimenticare che tale costrutto compare in un contesto in cui la dea così apostrofata è oramai vista da Odisseo come una donna 41• Due occorrenze, infine, riguardano i vocativi di nomi di popolo, che sono in tutto 76. Completamente assente è l'interiezione davanti ai vocativi di nomi fungibili da nomi propri.

4. Se si assume, quindi, come fondamentale la distinzione tra i nomi propri e i nomi comuni impiegati nel caso che esprime l'appello, si chiarisce il motivo per cui l'uso della interiezione, di per se stesso ridotto in Omero, sia del tutto assente davanti ai vocativi dei nomi propri di divinità, sia limitato davanti ai vocativi dei nomi propri di persona, e sia relativamente frequente davanti ai vocativi di tipo familiare e di dpo generico. Il motivo è da riconoscere nel fatto che il vocativo del nome proprio, dal momento che denota il singolo in quanto tale e non in quanto integrabile in una classe, possiede un senso d'appello maggiore rispetto ai vocativi di tipo familiare e generico, che, essendo vocativi di nomi comuni, sono applicabili a tutti gli esponenti di una data clas3e e, pertanto, meno individuanti. L'interiezione 41

L'espressione vocativale si riscontra solamente in discorsi pronunciati da Odisseo, e precisamente in Od. X 337, dopo che Circe ha proposto all'eroe di unirsi a lei in amore ed amicizia, e in Od. X 383, 483, 501, dopo che tra Odisseo e la donna-dea c'è già stato un certo tipo di rapporto. ,Per l'accezione di win tali occorrenze vedi p. 33.

La funzionalità linguistica etc.

30

avrebbe, quindi, fornito, in particolare, una marca di direzionalità ai vocativi di tipo familiare e generico, e, fungendo da segnale di richiamo rivolto all'attenzione dell'apostrofato, avrebbe intensificato la carica appellativa (« Anruf » 42) dell'apostrofe, costituita da tali vocativi. Tale marca non era necessaria al vocativo del nome proprio, che, in quanto tale, ha la prerogativa di stabilire un contatto diretto e immediato tra chi parla e chi ascolta. In altre parole, l'interiezione sarebbe stata un appello generico che anticipava la presa di contatto specifica tra l'apostrofante e l'apostrofato, intensificando, come si è detto, il carattere di « Anruf » del sintagma vocativale. Dal momento che tale carattere è tipico dei vocativi di nomi propri 43, ma non dei vocativi di nomi comuni, l'impiego della interiezione risultava ridondante in aggiunta ai primi, mentre era funzionale in aggiunta ai secondi. 42

Dell'« Anruf », che rappresenta il carattere fondamentale del vocativo, il Nehring dà la seguente definizione (op. cit., p. 102): « Der Anruf ist ein Hinweis auf eine zweite Person mit dem Zweck einer von dem Angerufenen selbst zu erschliessenden Aulforderung (corsivo mio). Seine charakteristische Kasusform ist der Vokativ ». Il momento dell'« Anruf », più che essere caratterizzato dall'Aufforderungszweck, a mio avviso, rappresenta l'espressione della volontà (o dell'esigenza) da parte dell'apostrofante di una presa di contatto con l'apostrofato. 43 Anche il Nehring considera il nome proprio come contraddistinto da un particolare « Anrufscharakter ». Conferma di ciò sarebbe, a ragione, secondo l'autore, la tendenza in Omero (individuata dal Kierckers) di tale vocativo ad iniziare il verso in apertura di discorso: « DaB das mit dem A n r u f charakter des Eigennamens zusammenhiingt, lehrt die Beobachtung von Kieckers daB der Vokativ der Eigennamen bei Homer von bestimmten, besonders bedingten Ausnahmen abgesehen bei Beginn einer Rede stets am Anfang des ersten Verses der Rede steht. Das Vordriingen an die erste Stelle ist aber eine Eigentiimlichkeit gerade des A n r u f s {spaziato dell'autore), weil er ja die Aufunerksamkeit fiir das Folgende erregen will » (A. Nehring, op. cit., p. 140).

La funzionalità linguistica etc.

31

In questa prospettiva si comprende anche il motivo del1'assenza di wdavanti ai vocativi dei nomi propri di divinità 44• Il vocativo del nome proprio di divinità ( e del nome ad esso sostituibile) comportava, a mio avviso, un senso di appello ancora più intenso rispetto a quello degli altri nomi propri, in quanto la divinità omerica era senza dubbio concepita come dotata di una capacità percettiva maggiore di quella di un comune mortale, e per di più poteva calarsi nello spazio senza tuttavia subirne i vincoli in maniera assoluta. Pertanto, se all'interiezione, intesa come segnale di direzionalità, corrispondeva, sul piano gestuale, il dirigersi del volto verso un punto dello spazio determinato, dove necessariamente trovava collocazione l'ascoltatore mortale, ciò non aveva motivo di verificarsi nel caso in cui l'ascoltatore fosse stato una divinità, giacché questa o non era presente fisicamente nel momento della presa di contatto, oppure, in caso contrario, era essa stessa a porsi all'uomo secondo un rapporto direzionale da lei stabilito. C'è da dire, inoltre, che l'apostrofe alla divinità 44

Anche R. Loewe si allinea all'opinione dello Scott nel non attribuire alla necessità del metro l'assenza di w davanti ai vocativi dei nomi di divinità, ma, dissentendo da costui, spiega tale assenza in relazione al fatto che, nell'appello alla divinità, non era necessario marcare la richiesta d'attenzione, dato che di fatto non si poteva condurre con essa una conversazione come con un mortale: « Dies ganzliche Fehlen von w vor den Namen der von Menschen angerufenen Gotter in dem liltesten griech. Sprachdenkma-1llisst sich natiirlich nicht aus Riicksichten auf das Metrum erklliren, die dort vielleicht bei Setzung und Fortlassung des w vor Menschennamen mitgespielt haben . ... Der Mangel im Gebrauche von w,der hierin liegt, erkllirt sich nun aber auch gut aus der Entstehungweise der Vokativpartikel. ... da man mit einen Gotte iiberhaupt kein Gesprach fiihren kann, so konnte man dies « be! hore! » auch nicht dazu verwenden, um einen Gott wie einen Menschen im Gesprliche nachdriicklich auf etwas aufmerksam zu machen » (R. Loewe, op. cit. p. 127).

32

La funzionalità linguistica etc.

viene espressa più frequentemente con formule o versi interamente vocativali, che non con il singolo vocativo 45• In sostanza, l'assenza di wdavanti ai vocativi dei nomi di divinità ci conferma che la valenza di w,nell'epica omerica, deve ancora essere intesa come funzionale rispetto alla dimensione fisico-spaziale del rapporto dialogico. Stabilita la capacità marcante di w nel rafforzamento del]' appello, e riconosciuta in essa la funzione primaria dell'interiezione in fase omerica, soffermiamoci ora sul tratto della familiarità che, inteso come tratto simpatetico, emergerà e sarà utilizzato nel periodo successivo ad Omero come tratto primario e distintivo. ! innegabile che già in Omero l'uso di w sia spesso relegato al linguaggio affettivo, non in relazione al tono dei discorsi nei quali l'interiezione compare, bensl in relazione al fatto che essa investe, in gran parte, i vocativi di tipo familiare. Ma l'alta frequenza della interiezione dinanzi a tali vocativi non significa necessariamente che l'interiezione abbia una valenza di tipo familiare-confidenziale. La marca di direzionalità, intensificando l'appello, ben si addiceva al linguaggio affettivo, che, come fa giustamente notare A. Nehring, ha la tendenza molto sviluppata a utilizzare segnali marcati e preferisce le forme che rispondono a tale tendenza 46• Indubbiamente in alcune occorrenze l'interiezione colorisce l'apo45

Ad esempio il vocativo ZEu appare solamente due volte usato da solo (in Il. VIII 242 e Od. I 62), nelle altre occorrenze compare sempre in formule vocativali (che, data la loro funzionalità, possono ZEu liva., 'O).vµmE µT]"t'lE"t'a. essere di varia estensione, quali ZEu 1tO:"t'EP, ZEu, ZEu 1tO:"t'Ep à.py~xÉpa.vvE,fino ad occupare l'intero verso, come ZEu 'ltO:"t'Ep, "l6T]ik'IIµE6fo.l'II,xu6~0""t'E µÉy~O""t'E).

Cf. A. Nehring, op. cit. p. 143, nota 2: « Auch der affektische Gebrauch des w diirfte sich daraus erklaren. Erstens hat ja der Affekt iiberhaupt eine Neigung zu nachdriicklichem Hinweis und liebt daher Formen, die diesem Streben entgegenkommen ,., 46

La funzionalità linguistica etc.

33

strofe di una carica espressivo-emozionale; ma tale carica consiste in sostanza in una enfatiuazione 47, non in una connotazione di familiarità, pertanto si può dire che il tratto della familiarità nei poemi omerici non è pertinente alla funzione di ma secondario e si sviluppa proprio grazie all'alto grado di frequenza della interiezione dinanzi ai vocativi di tipo familiare. Vale a dire l'estensione dell'uso di w al gruppo degli appellativi familiari avrebbe colorito l'interiezione del tratto segnaletico ad esso pertinente, e, una volta venuta meno la funzione originaria della interiezione, tale tratto sarebbe emerso come primario e distintivo della nuova funzione. In verità, se vogliamo soffermarci su valutazioni di diacronia interna, ,possiamo già intravvedere la nuova valenza clenotativa di w nell'Odissea, nelle quattro occorrenze del sintagma rT>KlpxT}48, in cui l'interiezione presenta, a mio avviso, un'accezione di tipo confidenziale. L'apostrofe, infatti, come abbiamo già detto, è indirizzata da Odisseo alla «sua» donna-dea e l'uso di wnon può essere qui motivato dalla necessità del metro, dal momento che il vocativo KlpxT},che peraltro compare solo con l'interiezione, data la sua struttura prosodica, poteva da solo iniziare il verso. Non ci sono altri casi del genere, né si può dire, come aveva asserito lo Scott, che il maggior impiego della interiezione nell'Odissea rispetto all'Iliade sia motivato dal «tono» maggiormente familiare del poema, in quanto, in esso, la superiorità numerica delle occorrenze di wè semplicemente proporzionale alla maggiore presenza di vocativi di tipo familiare e generico. Il processo di cambiamento della valenza funzionale di wpuò considerarsi compiuto nei lirici 49, dove l'interiezione,

w,

,., Vedi nota 33. 48 Vedi nota 41. 49 Lo Scott, in op. cit., 1905, ritenendo che già in Omero & avesse

34

La funzionalità linguistica etc.

di uso ancora limitato, si trova ormai coinvolta in un registro espressivo, in cui si avverte la presenza del tratto di confidenzialità, in quanto essa compare anche nell'appello alla divinità, come espressione di un diverso atteggiamento da parte del poeta nei confronti del dio, di un atteggiamento, cioè, confidenziale e di tipo intimistico. ·

un'accezione confidenziale, aveva attribuito all'interiezione impiegata nei lirici la stessa funzionalità che in Omero (vedi nota 5). In realtà, l'assenza, in Omero, e la presenza, nei lirici, di w nell'appello alla divinità, interpretate entrambe dallo Scott in funzione del tratto denotativo della confidenzialità, sono l'espressione, sull'asse temporale, di due diverse valenze funzionali della interiezione. Non si può negare che in locuzioni quali "'Ovct~"A1toÀÀove "Ovcto-o-''A&6.vctct,usate da Alceo (cd. C. Gallavotti, Napoli 19-57, et' 1 e rispettivamente Z 1) e "'n ZEv,usata da Archiloco (ed. F.R. Adrados, Barcellona 1959, 31) l'interiezione presenti una valenza diversa da quella omerica.

IV APOSTROFE, ESAMETRO E COLON INIZIALE 1. Chiarita, dunque, la funzione della interiezione sul piano dell'uso linguistico, esaminerò il piano della necessità metrica, per stabilire quanto e come, relativamente al costrutto in questione, tali piani interagiscano. Vale a dire, prendendo in esame l'interiezione come pura entità metrica, considererò le modalità del suo impiego in rapporto alla struttura del verso. È da tener presente, innanzitutto, che il carattere di appello del vocativo si riflette e si realizza pienamente nella collocazione iniziale di frase o di verso, come ci testimonia anche la situazione del vocativo in vedico, la cui carica appellativa, che si realizza, appunto, in prima posizione, è marcata dall'accento so. so In vedico il vocativo, quando ha un particolare carattere di appello, è situato in inizio di pada o di frase ed è contraddistinto dalla marca dell'accento (cf. B. Delbriick, Altindische Syntax, Darmstadt 1976, p. 34). A mio avviso, proprio per effetto della distinzione, che opera all'interno deMa funzione appellativa, tra posizione iniziale e non iniziale e, parallelamente, tra tonicità e atonia del vocativo, non esiste nel Rigveda un costrutto vocativale analogo a quello del greco (non è da considerare analogo il costrutto con hayé, che, peraltro, si riscontra soltanto in 3 occorrenze: 411, 8; 921, l; 220, 4). A. Nehhing (nell'op. cit., p. 127) distingue nella funzione vocativale il carattere dell'« Anruf » dal carattere dell'« Anrede » in base alla di-

36

Apostrofe, esametro e colon iniziale

In base a questa premessa, ho analizzato nei poemi omerici, durante la fase preliminare della ricerca, tutte le occorrenze del vocativo usato singolarmente 51 per rilevarne la collocazione nell'esametro, inteso nella sua realtà colometrica. Per un'analisi comparativa ho assunto come elemento discriminante il tipo di struttura prosodica del singolo vocativo, che rappresenta il massimo fattore condizionante per la colloversa collocazione del vocativo nella frase, e asserisce, giustamente, che tale distinzione si può individuare nella situazione anticoindiana. L'« Anrede », pur identificandosi nell'appello alla seconda persona, consisterebbe, secondo l'autore, semplicemente in un segnale caratterizzante la persona cui ci si rivolge, senza comportare, come la marca dell'« Anruf », l'« Aufforderungscharakter »: « Beide sind an eine zweite Person gerichtet. Es besteht aber auch ein wesentliches Unterschied... Es fehlt ihr der dem Anruf eigene Zweck der Aufforderung. - e più avanti - Darum stellen wir wie in den obigen Beispielen beim A n r u f (spaz. dell'autore) den Vokativ voraus, bei der A n r e d e aber mindestens ebenso hiiufig in die Mitte oder sogar an das Ende des Satzes » i(A. Nehring, op. cit. loc. cit.). 51 Ho preso, cioè, in esame la struttura prosodica e la collocazione dei vocativi usati da soli nel verso, senza considerare le forme d'appello «complesse»: vale a dire, ho escluso le occorrenze di vocativi usati in formule vocativali e i casi nei quali il vocativo compare con aggiunte attributive o apposizionali o nei quali esso stesso funge da attributo o apposizione ad un altro vocativo che compare nello stesso verso. Mi hanno indotto a questa limitazione i motivi seguenti: a) mi interessava considerare la collocazione nel verso del vocativo, che fosse l'unico elemento della funzione appellativa, al fine di valutarne il rilievo nella sequenza frastica; b) le formule vocativali o gli insiemi di più vocativi occupano un'estensione maggiore nell'esametro rispetto al singolo vocativo, in quanto si estendono generalmente o al I e Il, o al II e Ili, o al III e IV colon, oppure a tre cola consecutivi (dalla cesura A aHa fine del verso, oppure dall'inizio del verso alla dieresi bucolica) fino ad occupare ·l'intero verso. :t chiaro che

Apostrofe, esametro e colon iniziale

37

cazione della parola nel verso 52, parallelamente ho mantenuto distinti i vocativi secondo il tipo di funzionalità semantica nelle classi e nei gruppi precedentemente definiti. Dall'indagine è risultato con molta evidenza che i vocativi dei nomi propri di persona e di divinità e l'esiguo gruppo degli appellativi implicanti una particolare partecipazione emotiva da parte di chi parla si distinguono nettamente dagli altri per una chiara tendenza a costituire il primo colon del verso, in quanto presentano un tipo di struttura prosodica tale che consente loro questa collocazione. La collocazione ad inizio di verso fa assumere a questi vocativi un notevole rilievo stilistico. Tale rilievo, che si esplica, poi, sul piano dell'equilibrio strofico nella realizzazione del primo colon, tali insiemi, data l'estensione, appaiono già di per sé in rilievo nel verso, a prescindere dalla loro posizione nella sequenza frastica; c) per quanto riguarda le formule, la loro sequenza prosodica deve rispondere alla funzionalità del sistema, pertanto altri fattori concorrono a determinare la scelta di una collocazione del vocativo piuttosto che un'altra. Per queste ragioni, ad esempio, il rapporto tra i vocativi dei nomi propri che costituiscono il primo colon e quelli che hanno un'altra collocazione varia sensibilmente se si considerano soltanto i vocativi usati da soli o se si cons.iderano tutti i vocativi di tali nomi, compresi anche quelli che compaiono ,in formule o versi interamente vocativali. Infatti il totale di questi è costituito da 724 occorrenze, di cui il 50% (per l'esattezza 368 occorrenze, compresi i costrutti vocativali con w) costituiscono il primo colon del verso. Nella percentuale relativa ai soli vocativi usati singolarmente, invece, i vocativi che occupano il primo colon sono il 74% (210 su 285). Il fatto è che tra i vocativi considerati nella loro totalità si riscontra un numero di gran lunga maggiore di occorrenze di vocativi che presentano una struttura prosodica inadatta al primo colon, i quali, più che da soli, compaiono in formule o insiemi vocativali. 52 Cf. E.G. O'Neill, op. cit.

38

Apostrofe, esametro e colon iniziale

riflette, proiettandole sul livello ritmico, l'autonomia sintattica di « Einwortsatz » e la particolare carica appellativa di cui tali vocativi risultano essere provvisti. Non a caso, sono proprio questa classe e questo gruppo di vocativi a manifestare in modo cosi evidente tale tendenza. Entrambi, infatti, hanno la prerogativa di stabilire un contatto diretto e immediato tra l'apostrofante e l'apostrofato: i primi di ti,po individuante, i secondi di tipo emotivo.

Per quanto riguarda i vocativi dei nomi propri di persona e di divinità, su un totale di 285 occorrenze, in ben 223 il vocativo presenta un tipo di struttura prosodica che può costituire il primo colon del verso, e soltanto in 19 ·(cioè circa 1'8%) non è collocato ad inizio di verso. Ciò fa supporre che molti dei vocativi dei nomi propri siano stati scelti o perfino ideati appositamente con tale struttura. Riporto nelle tabelle che seguono i dati relativi alla frequenza delle strutture prosodiche dei vocativi, distinte, per una maggiore chiarezza metodologica, in a) strutture di vocativi che possono costi-tuire il primo colon, b) strutture di vocativi che possono costituire il primo colon solo se preceduti dalla interiezione w, c) strutture di vocativi che non possono costituire il primo colon. Dalle tabelle si rilevano le occorrenze complessive di ciascun tipo di struttura indicato sulla sinistra. Tali occorrenze risultano distinte (nelle tabelle a e b) secondo la collocazione del vocativo (in primo colon e in un colon diverso dal primo). Sulla destra delle tabelle sono indica,te soltanto le occorrenze che ricorrono in versi non iniziali di discorso. Sotto ciascuna tabella sono elencate le forme di vocativo rappresentate dai singoli tipi di struttura prosodica.

39

Apostrofe, esametro e colon iniziale a) Strutture di vocativi che possono costituire il primo colon:

tipi di struttura

occorrenze in versi non iniz. disc.

occorrenze complessive voc. = I colon

-~

voc. ;,6 I colon voc. = I colon

37 18* 3 63 52 1,2 18 1 204

_vv _vv(~) _vv_

---

--LÀO~ cplÀ(t) 1ta;-rtp

lv!:!!(➔ lv(v)I , !vvl)S6: collocazione

occorrenze 42 11 11 8

»

-rÉxoç cplloç

2 2

» »

~) Tipo di struttura prosodica

'Jl) Tipo

56

2

occorrenze

1 1

» » »

lvv-1: Ind. tip.

collocazione

I

I colon

di struttura prosodica

vocativi usati conw uU utt~ç

occorrenze

I

1tÉ1tO'Vtç

A, a, a » » » » » » » » » » » » » » »

I colon » » » »

1tÉ1tO'V

vocativi usati conw

Ind. tip.

A, a, (i

I

l-!::!I(➔ 1--D:

collocazione I colon » »

Ind. tip.

A, a, 'Jl » » »

Nelle parentesi, con la freccia indirizzata a destra si dà l'indicazione dell'effettiva realizzazione dello schema precedentemente indicato.

Apostrofe, esametro e colon iniziale

53

Su un totale di 80 occorrenze dell'interiezione w,78 precedono strutture di vocativi (di tipo lv!::::!I ; lvv!::::!I) che altrimenti non potrebbero costituire il primo colon, ed in tutte le occorrenze il sintagma vocativale costituisce il primo Il. XI 765; colon del verso. Tutti i versi tranne 6 (w -n:É-n:ov, XII 322; XVI 628; w-n:É-n:ovEc;, Il. II 235; XIII 120; cp0..01., Od. X 190) sono iniziali di discorso.

2.2. Per quanto riguarda i vocativi di tipo generico, diminuisce sensibilmente, in rapporto ai vocativi di tipo familiare, il numero delle occorrenze di vocativi, usati con l'interiezione, che presentano una struttura prosodica che altrimenti non potrebbe essere inserita nel primo colon. Tuttavia, come si rileva dalle tabelle seguenti, questi costituiscono la maggioranza rispetto agli altri. a.) Tipo di struttura prosodica lv!::::!I➔

vocativi usati con

occorrenze

yÉpov y,jv111. µamp

19 14 1

y) Tipo di struttura prosodica

vocativi usati con 'YP1lV

occorrenze

I

1

lvvl):

collocazione

Ind. tip.

I colon » » » »

A, b, a. » » » » » »

1-1: collocazione

I

I colon

Ind. tip.

I

A, b, y

Apostrofe, esametro e colon iniziale

54

TI) Tipo di struttura prosodica

vocativi usati conw çELVE çELVOt.

xoupw

occorrenze 10 2

1

ìl) Tipo di struttura prosodica vocativi usati conw

occorrenze

aaCilÀ.Et.a.

2

'1tOÀ.ua.t.V(E)

2

I-vi: collocazione

Ind. tip.

II colon I » II »

Bi, b, TI A, b, TI Bi, b, 11

lvv_vl: collocazione

Ind. tip.

II colon IV » II »

Bi, b, D B2, b, D Bi, b, ìl

Su un totale di 52 occorrenze dell'interiezione, 35 precedono strutture di vocativi, che altrimenti non potrebbero costituire il primo colon e in 37 occorrenze il sintagma vocativale con wcostituisce il primo colon del verso. Tutti i versi tranne 2 (w aa.CilÀ.Et.a., Od. XVII 583 e wçELVE,Od. XIV 145) sono iniziali di discorso. 2.3. Complessivamente, considerando entrambi i gruppi dei vocativi, di tipo familiare e di tipo generico, abbiamo un totale di 132 occorrenze della interiezione, la quale compare in 124 versi iniziali di discorso e consente a 116 vocativi di essere collocati in primo colon.

Apostrofe, esametro e colon iniziale

55

Il fatto che quasi tutti i versi, in cui compare l'uso della interiezione, siano iniziali di discorso è, a mio avviso, molto significativo e costituisce una prova ulteriore della funzione intensificatrice e rafforzante della interiezione. In apertura di discorso, non a caso, infatti, è sensibile più che altrove, come si rileva dai dati riportati precedentemente, la tendenza del vocativo, in generale, a costituire il primo colon, là dove ovviamente la struttura prosodica lo consenta. In conclusione, si può dire che, per quanto riguarda questi due gruppi di vocativi, che sono quelli rappresentativi dell'uso della interiezione, in quasi tutte le occorrenze necessità metrica e uso linguistico convergono nel generare lo stesso costrutto. V aie a dire l'interiezione w,funzionale da un punto di vista linguistico soprattutto davanti a vocativi di questo tipo, diventa un comodo accorgimento metrico per inserire in primo colon tali vocativi, il cui senso d'appello, attraverso la prima posizione nella sequenza frastica del verso, risulta ulteriormente rafforzato.

2.4. Le poche occorrenze della interiezione negli altri due gruppi dei vocativi di nomi comuni non possono costituire prova significativa da sole, dato il numero di gran lunga inferiore dei vocativi appartenenti a questi gruppi. Tuttavia la presenza della interiezione è decisamente più rilevante, in proporzione, davanti ai vocativi dispregiativi che non davanti a quelli implicanti partecipazione emotiva. Di questi ultimi, che non a caso presentano quasi sempre una struttura prosodica che consente loro di costituire il primo colon, un solo vocativo (in 3 occorrenze) appare preceduto da w. Seguono le tabelle delle occorrenze.

56

Apostrofe, es11metro e colon iniziale

Vocativi dispregiativi. a.) Tipo di struttura prosodica vocativi usati conw XUVEÉot; (3a.01.À:ijot;,

Il. IV 338.

w v t Ei; t;

Ilpuiµot.o, 6t.o'tpEq>Éoç {3«01.À.i\oç,

Il. V 464. b) Occorrenze della interiezione davanti ai vocativi di tipo generico. a.) Tipo di struttura prosodica del vocativo lv~! (vedi tipo a. in Cap. IV, 2.2):

w

'Y É po v,

Il. II 796; IV 313; VIII 102; IX 115; X 120; XXIV 411, 460, 683. - Od. II 40, 178; III 226, 331; XIV 37, 122, 166, .508; XXIV 244, 394, 407. W

'YIJV a. t.,

Il. III 204; XXIV 300. - Od. XVIII 2.59; XIX 107, 221, 55.5; XXIII 183, 248, 3.50.

w w

y uva.

t.

a.l6olT)Aa.ep"tt.a.6ew '06vcrijoÈc; W ME V É À.a. E,

Il. X 43. -

Od. IV 26, 561.

cplÀ.oc;w M E v É À.a. E,

Il. IV 189. ciya.xÀ.EÈc;w M E v É À.a. E,

Il. XVII 716.

INDICE DEGLI AUTORI MODERNI CITATI

Adrados, F.R. 34 Allen, Th.W. 11 Basset, S.E. 18 Belardi, W. 66 Blass, F. - Debrunner, A. 15 Brugmann, K. 24 25 Brunius Nillson, E. 26 28

Loewe, R. 23 24 31 Mette, H.J. 20 Monro, D.B. 11

Nagy, G. 22 Nehring, A. 23 24 25 30 32 35 36 O'Neill, E.G. 20 37

Cremante, R. 21

Pazzaglia, M. 21 Porter, H.N. 20 63

Delbriick, B. 35

Rossi, L.E. 20

Fraenkel, E. 69 Fraenkel, H. 20

Schwender, E. 23 Schwyzer, E. -Debrunner, A. 15 23 25 Scott, A.J. 11 12 13 14 15-18 19 20 24 31 33 34 57 60 71

Gallavotti, C. 34 Giangrande, G. 14 15 18

Hirt, H. 14 24 Kieckers, 11 15 18 19 20 30 50 71 Kirk, G.S. 21

Wackemagel, J. 14 15 24 Wendel Th. 26 28 Zumthor, P. 21

Finito cli stampare il 30-11-1979 da Visigalli-Pasetti Arti Grafiche - Roma per conto e a spese dell'Istituto cli Glottologia dell'Università cli Roma con un contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche