Il Santuario di Monte Li Santi. Le Rote a Narce. Scavi 1985-1996. Vol. 1: La topografia, le fasi, il culto. 9788862276559, 9788862276566

Il volume, parte di una ricerca più ampia dedicata al Santuario di Monte Li Santi - Le Rote di Narce, dà inizio alla pub

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Il Santuario di Monte Li Santi. Le Rote a Narce. Scavi 1985-1996. Vol. 1: La topografia, le fasi, il culto.
 9788862276559, 9788862276566

Table of contents :
SOMMARIO
PREMESSA
INTRODUZIONE
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
STORIA DEGLI SCAVI E STATO DEGLI STUDI Maria Anna De Lucia Brolli
PARTE I
LA GEOLOGIA DELL’AREA Leonardo Maria Giannini
LA TOPOGRAFIA DELL’AREA SACRA Maria Anna De Lucia Brolli
LE FASI DEL COMPLESSO MONUMENTALE Maria Gilda Benedettini · Maria Anna De Lucia Brolli
IL CULTO E GLI ASPETTI DEL RITUALE Maria Anna De Lucia Brolli
TAVOLE
SOMMARIO GENERALE

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M E DI T E RR AN EA s u p p l e m e n to 14 . *

CI V I LT À A RC AIC A D E I S ABIN I N E L LA VALLE D E L T E VE RE co l lana d i r etta da paola s a n toro 6.

M EDITE R R ANEA quader ni a nnua l i de l l ’ i st i t uto di studi s ul l e c i v i lt à i ta l i c h e e del me di t e rr a ne o a nt i co del con s i g l i o naz ionale d elle r ic erc he già « qua der n i di a rc heolo gia etru s co- italic a»

pisa · roma fa bri z i o s e r r a e d i to r e mmxvi

IL SANTUARIO D I M O N T E L I S A N T I - L E ROT E A NA RC E Scavi 1985-1996 PARTE I. LA TOPOGRAFIA, LE FASI, IL CULTO a cur a di maria anna de lucia brolli

pisa · roma fa bri z i o s e r r a e d i to r e mmxvi

A norma del codice civile italiano, è vietata la riproduzione, totale o parziale (compresi estratti, ecc.), di questa pubblicazione in qualsiasi forma e versione (comprese bozze, ecc.), originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa o internet (compresi siti web personali e istituzionali, academia.edu, ecc.), elettronico, digitale, meccanico, per mezzo di fotocopie, pdf, microfilm, film, scanner o altro, senza il permesso scritto della casa editrice. Under Italian civil law this publication cannot be reproduced, wholly or in part (included offprints, etc.), in any form (included proofs, etc.), original or derived, or by any means: print, internet (included personal and institutional web sites, academia.edu, etc.), electronic, digital, mechanical, including photocopy, pdf, microfilm, film, scanner or any other medium, without permission in writing from the publisher. Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2016 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. * www.libraweb.net issn 1827-0506 isbn 978-88-6227-655-9 e-isbn 978-88-6227-656-6

Testi di Laura Ambrosini (la) Barbara Belelli Marchesini (bbm) Maria Gilda Benedettini (mgb) Laura Biondi (lb) Claudia Carlucci (cc) Alessandra Costantini (ac) Jacopo De Grossi Mazzorin (jdgm) Maria Anna De Lucia Brolli (madlb) Leonardo Maria Giannini (lmg) Maria Laura Michetti (mlm) Documentazione grafica ed elaborazione delle tavole grafiche Marcello Forgia con il contributo di Barbara Belelli Marchesini Elaborazioni planimetrie in autocad Alberto Villari Documentazione fotografica Fabio Baliani Gilda Benedettini Trattamento digitale delle immagini Fabio Baliani Scansioni delle immagini Fulvio Fugalli

SOM M A R IO Premessa Introduzione Abbreviazioni bibliografiche Maria Anna De Lucia Brolli, Storia degli scavi e stato degli studi

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PA RT E I Leonardo Maria Giannini, La geologia dell’area Maria Anna De Lucia Brolli, La topografia dell’area sacra Maria Gilda Benedettini, Maria Anna De Lucia Brolli, Le fasi del complesso monumentale Maria Anna De Lucia Brolli, Il culto e gli aspetti del rituale Tavole Sommario generale

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PR EM E S S A […] “varcare la soglia” significa aggregarsi a un mondo nuovo, ed è questo anche un atto importante nelle cerimonie del matrimonio, dell’adozione, dell’ordinazione, dei funerali […] […] Kurotrophos: bisogna prendere questa espressione alla lettera, giacché la terra è la dimora dei bambini prima della loro nascita, e ciò non in senso simbolico, in quanto Madre, ma in senso materiale, allo stesso modo per cui è la dimora dei morti […] A. Van Gennep, I riti di passaggio, Parigi 1909 (ed. ital. Torino 1981)

I

l volume dedicato al Santuario di Monte Li Santi - Le Rote di Narce, curato da Maria Anna De Lucia Brolli e che vede la partecipazione di una folta équipe di studiosi, costituisce il primo fondamentale studio sistematico di questo importante luogo di culto, dislocato immediatamente al di fuori dell’insediamento falisco sotto le pendici di Monte Li Santi, sulla sponda del fiume Treja. L’area sacra individuata nel 1985 è stata oggetto, a più riprese, di campagne sistematiche di scavo da parte della Soprintendenza, tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, con nuove indagini tra il 2000 e il 2004, in occasione del progetto “Grandi Santuari d’Etruria”. La pubblicazione, come del resto evidenziato dalla stessa curatrice, presenta in modo sistematico un settore dell’area sacra, ancora lungi dall’essere esplorata in maniera esaustiva. Tant’è che proprio di recente, nell’estate del 2014, in occasione di un progetto di valorizzazione del santuario, che prevedeva la costruzione di una copertura a protezione dei resti archeologici, è stato portato alla luce un livello di frequentazione di iv-iii secolo a.C. con abbondante materiale votivo deposto al momento dell’abbandono del sito. La pubblicazione presenta in maniera analitica le strutture del santuario falisco nelle diverse fasi costruttive e di frequentazione, dall’età tardo-arcaica alla fine del ii-inizî del i sec. a.C., gli strumenti del culto e gli ex-voto costituendo un ampio dossier per definire l’organizzazione degli spazi sacri, il regime delle offerte e il fenomeno cultuale nel suo complesso. È così possibile ricostruire la parabola del luogo di culto, che segna sacralmente un’area “a margine”, tra centro urbano e campagna, prossima al fiume, linea di demarcazione, che separa e che al tempo stesso collega e unisce. Quest’ultimo, con i suoi flutti vivi e in movimento, rappresenta l’elemento vitale e sacro per eccellenza quale è l’acqua, simbolo di purificazione e di rinascita. Un santuario liminare, dunque, non solo in senso fisico, ma anche da un punto di vista simbolico, di passaggio di status: la nascita, la transizione all’età matura di fanciulle e fanciulli, le nozze, la morte. Si celebra in questo luogo il ciclo vitale della comunità falisca di Narce, parallelo al ciclo rigenerativo della natura, con l’alternarsi perpetuo delle stagioni. Dedicataria del culto, quanto meno nel corso del iv-iii secolo a.C., è la coppia Demetra-Kore/

Persefone, oltre alla presenza di paredri divini, quali Dioniso-Ade, che promette ai propri adepti l’immortalità e la rinascita a nuova vita, ed Eracle, che in Grecia sovrintende alla paideia dei giovani maschi. Evidente è, nel culto di Narce, il richiamo alla Sicilia e alla Magna Grecia, per il cui tramite giunge in Etruria e nell’agro falisco il culto delle divinità eleusinie, già introdotte ufficialmente a Roma nei primi anni della Repubblica con il voto del tempio dedicato agli dei greci Demetra, Dioniso e Core (Cerere, Libero e Libera) nel 496 a.C. sull’Aventino. In quegli stessi anni, soprattutto a partire dal 474 a.C., data simbolica che segna la sconfitta degli Etruschi per mano di Ierone di Siracusa, la presenza di Siracusa nel medio e alto Tirreno si fa incalzante. Di pari passo si rivolgono verso Occidente le mire espansionistiche di Atene, culminanti con la disastrosa spedizione ateniese contro Siracusa nel 413 a.C. È anche un periodo di grandi trasformazioni sociali, ancora più evidenti nel corso del iv secolo a.C., con la pressioni di nuovi ceti che trovano nelle divinità eleusinie, spesso relegate in luoghi marginali, una garanzia di sopravvivenza, di integrazione matrimoniale e di riproduzione. Pertanto il santuario di Monte Li Santi - Le Rote interpreta, nell’espressione e nelle forme del culto, le esigenze di quei gruppi agrari che rioccupano in modo intensivo il territorio di Narce, nella stessa fase in cui a Falerii fioriscono le botteghe di ceramisti che segnano la produzione falisca tra iv e parte del iii secolo a.C. testimone di una rete intensa di scambi lungo l’itinerario del Tevere. Vorrei concludere ringraziando Maria Anna De Lucia Brolli, cui mi lega un sentimento di amicizia e di stima non solo per l’impegno scientifico, ma anche per la dedizione profusa nella tutela dell’agro falisco, nella valorizzazione del Museo di Civita Castellana e, in ultimo, del Museo Archeologico Virtuale di Narce, che costituisce un polo culturale di riferimento della comunità di Mazzano Romano, nel cui territorio sorgeva l’antica Narce. Alfonsina Russo Tagliente Soprintendente per l’Archeologia del Lazio e dell’Etruria meridionale

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INTRO DU ZIO NE

D

edicare un secondo volume della collana alla storia dell’insediamento di Narce è stata una precisa scelta, motivata da considerazioni che da una parte riguardano più specificamente la ricerca storico archeologica, dall’altra rientrano nell’ambito di valutazioni inerenti aspetti di politica culturale. Per quanto riguarda la ricerca storico archeologica lo scavo del Santuario di Monte Li Santi - Le Rote di Narce rappresenta nella storia degli studi su questo insediamento un’inversione di tendenza. Come è noto infatti nella seconda metà dell’ottocento ed i primi decenni del novecento le indagini e gli scavi hanno privilegiato le aree destinate alle necropoli mentre scarsa attenzione è stata prestata alle aree sacre, che nella ricerca hanno costituito una sorta di zona grigia, non certo definibile da alcuni ritrovamenti, che non hanno dato l’avvio a campagne di scavi di approfondimento. Nell’ultimo ventennio del secolo scorso si concretizza il progetto di uno scavo sistematico nel santuario di Monte Li Santi-Le Rote. Anche in questo caso lo scavo sarebbe potuto rimanere uno dei tanti interventi d’urgenza, dettato da esigenze di tutela, ma l’importanza dei ritrovamenti fin da subito ha dato la percezione che era stato individuato il sito di una area sacra di notevole rilievo per la storia dell’insediamento di Narce, sia per la posizione topografica, sia per la lunga frequentazione, sia per le caratteristiche del culto. Le campagne di scavo si sono succedute negli anni – sotto la direzione della Dott.ssa Marinella De Lucia – permettendo di definire il profilo del santuario sia da un punto di vista

strutturale sia sotto il profilo storico artistico e fornendo anche significative informazioni sulle pratiche religiose e cultuali. C’è poi un ulteriore aspetto del progetto, che è necessario mettere in evidenza, poiché permette di dimostrare come attraverso la sua strutturazione – dallo scavo alla pubblicazione – assuma i caratteri di un modello di politica culturale. Infatti l’inizio dello scavo da parte della Soprintendenza competente sul territorio prende l’avvio dalla segnalazione di un gruppo archeologico mettendo in primo piano una sinergia tra l’ente pubblico e le associazioni culturali messa in atto per la tutela del territorio contro gli scavi clandestini. La continuità delle campagne di scavo, portate avanti con perseveranza, lo studio che vede la partecipazione di un’équipe di esperti – validamente coordinati – e poi la valorizzazione e diffusione dei dati attraverso l’esposizione dei risultati in musei statali e civici alla quale hanno contribuito la Soprintendenza, gli Enti locali e Istituzioni italiane e straniere costituiscono una perfetta esemplificazione di tale modello. Concludere questo meritevole percorso dando spazio alla pubblicazione dello studio filologico dello scavo e dei materiali del santuario, al di là delle brevi relazioni pubblicate negli anni, è sembrata un’operazione direi necessaria tanto più in quanto viene a coincidere con il fine e lo scopo stesso della collana: approfondire e far progredire la conoscenza di aspetti meno studiati della ricerca archeologica nella valle del Tevere. Paola Santoro

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ABBREVIAZIONI B IB L IO G R A FICH E* Le abbreviazioni delle riviste seguono l’Archäologische Bibliographie

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* Le referenze bibliografiche del volume sono aggiornate a dicembre 2013, data di consegna dei testi.

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abbreviazioni bibliografiche

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STORIA DEGLI SCAV I E S TATO DE G L I S TU DI* Ma r ia Anna De L uc i a B ro l l i el 1985 lavori agricoli condotti in località Le Rote (Mazzano Romano), nel territorio dell’antico centro falisco di Narce, riportarono in superficie, insieme a blocchi squadrati di tufo e tegolame, anche materiale frammentario sicuramente riferibile ad un deposito votivo. Fin dal momento della scoperta, prontamente segnalata alla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale dal Gruppo Archeologico Romano impegnato in attività di ricognizione in quel territorio, apparve evidente la rilevanza scientifica del dato, che si inseriva in un quadro avaro di notizie sugli aspetti relativi alla vita religiosa dell’antica città. Infatti le intense ricerche condotte tra la fine del secolo scorso e i primi decenni del ’900 si erano incentrate quasi esclusivamente sulle estese e ricche necropoli, mentre lo scavo di un’area sacra, di età tardo-arcaica, di cui si erano individuati pochi resti

N

* Desideriamo ringraziare la dott.ssa Anna Maria Moretti, che nei lunghi anni in cui ha diretto la Soprintendenza per i Beni Archeologi dell’Etruria meridionale ha favorito lo studio dei materiali, mettendo a disposizione le diverse unità organiche dell’Ufficio anche ai fini della documentazione di corredo. Al Soprintendente, dott.ssa Alfonsina Russo, sono personalmente grata per l’incoraggiamento a portare a termine un impegno che datava ormai da troppi anni. Un caloroso grazie va a quanti, nell’ambito della Soprintendenza, hanno contribuito con il loro lavoro alla realizzazione del volume, dal personale impegnato nel tempo sul cantiere, come l’assistente Egidio Badini, al personale delle Ditte che nel tempo si sono succedute, come la Ditta Eugeni e la Ditta Lepsa, a chi nel Forte del Sangallo di Civita Castellana si è preso cura dell’attività di restauro e conservazione, come Mario Paternesi e Innocenza Francucci, e delle riprese fotografiche come Fabio Baliani. Non da ultimi non possiamo non ringraziare Piergiuseppe Poleggi, Silvano Pettinelli e Vincenzo Sernacchioli che con infinita pazienza e sempre con il sorriso sulle labbra hanno ripetutamente movimentato la gran mole di reperti per consentirne la classificazione. Desideriamo inoltre ringraziare l’Archivio Fotografico della Soprintendenza, in particolare Massimiliano Piemonte e Fulvio Fugalli, e i disegnatori che hanno contribuito alla realizzazione della documentazione di scavo, Alberto Villari, Simonetta Massimi, Giovanni Pellegrini Raho, Leonardo Petolicchio, e, soprattutto, Marcello Forgia, al quale si devono anche i disegni dei materiali. Fondamentale per molti aspetti logistici è stato il supporto del Parco “Valle del Treja”. Al Direttore Gianni Guaita e a tutti i suoi collaboratori va riconosciuto un impegno straordinario che ha portato verso la valorizzazione non solo dell’area archeologica del santuario, ma dell’intero sito di Narce. Un grazie anche all’impegno delle forze dell’ordine, sia dei Carabinieri della locale Stazione di Campagnano sia del Reparto Operativo TPC, sempre pronti ad accorrere nelle emergenze determinate dalle pesanti interferenze degli scavatori clandestini. Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza la generosa disponibilità di Gilda Benedettini, alla quale va il mio personale, affettuoso riconoscimento e ringraziamento. Un ringraziamento particolare, infine, al Prof. Mario Torelli e alla Prof.ssa Annamaria Comella per aver incoraggiato lo studio del santuario, ritenendolo di sicuro interesse, e per i preziosi consigli e suggerimenti. Alla dott.ssa Paola Santoro siamo tutte grate per l’opportunità di pubblicare il nostro lavoro in questa prestigiosa sede.

nel 1891 ai piedi della collina di Monte Li Santi, era stato ben presto abbandonato in quanto ritenuto “poco fruttuoso”. Il nuovo rinvenimento determinò dunque l’avvio di una serie di saggi di accertamento e di campagne di scavo da parte della Soprintendenza, condotte con una certa continuità tra il 1985-1986 e il 1988-1990, e negli anni 1992-1993, 1995-1996. Dopo una interruzione di qualche anno, l’inserimento nel progetto “Grandi Santuari d’Etruria”, che la Soprintendenza ha avviato sotto la guida di Anna Maria Moretti, ha segnato una ripresa delle attività dal 2000 al 2004. Le indagini hanno interessato solo una parte del vasto ed articolato complesso archeologico venuto in luce, databile tra la prima metà del v e il ii sec. a.C., con una progressione da nord a sud determinata soprattutto dall’esigenza di mettere in sicurezza quella porzione dell’area santuariale maggiormente esposta alla piaga degli scavi clandestini, fenomeno che negli anni ’80 e ’90 interessava in misura massiccia il territorio di Narce; nonostante la parzialità dell’esplorazione e i danni inferti alle stratigrafie e ai contesti, come ben si evince dal numero delle unità di strato corrispondenti a interventi clandestini citate nel catalogo dei materiali, è stata possibile una lettura sufficientemente chiara ed esaustiva delle fasi di vita di una serie di ambienti di culto (definiti A, B e C nella loro articolazione finale), che hanno restituito una consistente quantità e varietà di ex-voto, rinvenuti sia accatastati sia in ordine sparso; è ancora tutta da chiarire invece la funzione e la trasformazione nel tempo di una monumentale struttura (solo in parte scavata), quasi certamente identificabile con un grande edificio templare, precocemente dimesso. Oltre a questi ambienti sono state individuate anche aree cultuali all’aperto, dove la deposizione di offerte votive aveva il suo fulcro in altari di differente tipologia. Dei ritrovamenti effettuati furono date notizie preliminari fin dalle prime indagini,1 anche grazie all’interessamento della dott.ssa Paola Pelagatti, all’epoca Soprintendente Archeologo dell’Etruria meridionale, che, rispondendo ad una sollecitazione del Professor Massimo Pallottino, volle che una relazione sull’avvio delle ricerche venisse inserita nel programma del Convegno di Civita Castellana del 1987 sulla “Civiltà dei Falisci”.2 Infatti, sebbene lo scavo fosse stato limitato ad una verifica parziale dello stato dei luoghi dopo le arature di cui si è fatto cenno, la consistenza e la varietà delle strutture e dei materiali emersi avevano evidenziato sin dall’inizio la presenza di un’area sacra di una certa rilevanza. 1 De Lucia Brolli 1988.

2 De Lucia Brolli 1990a.

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maria anna de lucia brolli

Con la prosecuzione delle indagini, si sono susseguite le edizioni, sempre parziali e di carattere generale,3 con l’eccezione della pubblicazione del consistente nucleo di monete alle quali aveva già rivolto la sua attenzione Fiorenzo Catalli in occasione del Convegno sui Falisci4 e che hanno trovato integralmente spazio nel Bollettino di numismatica del 1999.5 Tra gli altri materiali votivi restituiti dagli scavi solo alcuni hanno avuto una edizione critica in occasione di una mostra organizzata a Castel Sant’Angelo nel 2002,6 3 De Lucia Brolli 1990b; Ead. 1993; Ead. 1995; De Lucia Brolli, Benedettini 1996; De Lucia Brolli 1998a; De Lucia Brolli, Biondi 2002, pp. 364-366; De Lucia Brolli, Benedettini 2002; Benedettini, Carlucci, De Lucia Brolli 2005. 4 Catalli 1990a. 5 Ovviamente la completezza del repertorio si intende alla data dell’edizione: Benedettini, Catalli, De Lucia Brolli 1999. 6 Carlucci 2002a, p. 60-61, n. 8.1; Ambrosini 2002b, pp. 61-62, 65, 70-71, nn. 8.2-8.6, 8.15, 8.32; De Lucia Brolli 2002, pp. 62-66, 68, nn. 8.7-8.10, 8.12-8.14, 8.16, 8.22-8.23; Benedettini 2002, pp. 64, 66-70, nn. 8.11, 8.17-8.21, 8.24-8.31.

mentre si deve a Laura Biondi – e alla cortesia di Giovanni Colonna – la pubblicazione di due iscrizioni etrusche che, accanto ad altre falische e latine, attestano la frequentazione dell’area sacra da parte di etnie diverse nel corso dei secoli.7 Salvo qualche cenno ed alcune riproduzioni fotografiche,8 i rimanenti materiali sono rimasti sin qui inediti. In questo volume del Corpus vengono presentati i risultati delle campagne di scavo condotte tra il 1985 e il 1996. Ad una successiva pubblicazione sarà affidato l’inquadramento analitico dei reperti frutto degli scavi condotti dopo tale data. Si è ritenuto tuttavia indispensabile prendere in considerazione nel capitolo relativo alle fasi del complesso monumentale anche i risultati conseguiti negli ultimi anni laddove sono risultati utili a chiarire le dinamiche di sviluppo del sito. 7 Biondi 2002. 8 Tra le quali si ricorda la mostra Les Etrusques Civilisation de l’Italie Ancienne, Pointe-à-Callière, musèe d’archéologie et d’histoire de Montréal, 2012, p. 156, n. 55, p. 158, nn. 192-195.

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PART E I

LA GEO LO GIA DEL L’ A R E A Leona r do M a ri a G i a nni ni Le scienze naturali ed il loro rapporto con l ’ archeologia e testimonianze celate in un reperto archeologico sono il prodotto di un complesso intrecciarsi di azioni che ne determinano, modificano e conservano i caratteri. Le azioni che agiscono sulla superficie terrestre che siano esse di origine naturale o antropica vanno di fatto a modificare nel tempo quei materiali che costituiscono gli elementi micro o macroscopici di un reperto archeologico; talvolta nascondendoli e talvolta alterandoli a tal punto da far perdere completamente traccia dei loro caratteri principali, geometrici e cromatici. Per poter analizzare e comprendere a fondo le dinamiche superficiali terrestri e le loro interconnessioni spazio – temporali con l’attività umana, si dovrà contare su un approccio metodologico multidisciplinare. Per avanzare ipotesi scientifiche riguardo un sito archeologico è spesso necessario avvicinarsi a discipline come le scienze della terra, la topografia, la biologia, lo studio chimico dei suoli e non per ultima la climatologia. Queste discipline aggiungono al bagaglio teorico e metodologico dell’archeologo uno strumento in più per il difficile compito di riproiettare nel passato le sue deduzioni, ipotesi e teorie. Ci sono terreni che nascondono ancora oggi moltissimi tesori archeologici inesplorati e molti terreni che invece sono stati “rimossi” dagli archeologi per mettere alla luce queste meravigliose testimonianze dell’evoluzione antropologica, sociale e urbana. Questi terreni, queste aree, con il loro assetto morfologico e sedimentologico, le loro caratteristiche chimiche ed idrauliche portano con sé moltissime informazioni; comprendere a fondo loro interconnessione con le attività antropiche è spesso il nodo, la chiave di lettura, per avanzare ipotesi storiche su un insediamento e sulle sue dinamiche evolutive.

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Inquadramento e assetto del territorio L’area archeologica del santuario di Monte Li Santi-Le Rote a Narce è ubicata nel parco regionale “Valle del Treja” nella parte Nord del territorio comunale di Mazzano Romano (Roma) a pochi metri dai confini amministrativi con il comune di Calcata (Vt). La Carta Tecnica Regionale individua questa zona con il toponimo di “Monte Li Santi”, cosi come le carte redatte dall’i.g.m. (Tav. 1).1 1 Per un riferimento ufficiale dell’area in oggetto si rimanda alle seguenti cartografie: Foglio 143 “Bracciano” scala 1:100.000 (redatto dall’i.g.m.). Tavoletta 143 I SE “Nepi” scala 1:25.000 (redatta dall’i.g.m.). Sezione nº 356130 “Nepi” scala 1:10.000 (c.t.r. Regione Lazio).

Il sito dista dai centri storici di Mazzano Romano ed il borgo di Calcata Vecchia rispettivamente, circa 1,4 Km in direzione est-nord-est e circa 0,9 Km in direzione sud, l’accesso all’area risulta comodo, basta percorrere circa 300 metri di strada non asfaltata dalla provinciale SP17B Strada Provinciale “Mazzano-Calcata”. L’area di scavo, con una superficie di circa 1000 m2, si trova in una piccola piana alluvionale (40.000 m2) in destra idrografica del torrente Treja; la distanza minima tra il torrente e l’area di scavo è di circa 20 metri. Questa piana alluvionale è caratterizzata da quote altimetriche che vanno da un minimo di 100 metri s.l.m., nella parte nord, fino ad un massimo di 112 metri s.l.m. nella parte sud. Subito ad est, in direzione nord-est, sud-ovest si estende il “Monte Li Santi” che, con i suoi 213 metri, chiude la piana alluvionale nel lato est. Il paesaggio si presenta completamente naturale, il grado di antropizzazione dell’area risulta assai basso, di spicco è l’antico borgo di Calcata Vecchia che sorge prepotente in un paesaggio naturale su di uno sperone tufaceo. I colori che caratterizzano questa area sono il verde, il marrone scuro ed il marrone chiaro, queste caratteristiche cromatiche predominanti sono dovute ai tre elementi che contraddistinguono queste zone del Lazio; il verde dei boschi, il marrone scuro delle formazioni tufacee litoidi ed il marrone chiaro delle formazioni tufacee terrose e dei depositi sabbiosi e ghiaiosi. Le forme del paesaggio sono fortemente legate alle proprietà fisiche dei terreni ed alla fitta rete di fossi che hanno attivato processi erosivo – deposizionali in tutta l’area incidendo, in alcuni casi in maniera molto profonda, i sedimenti e mettendo in luce i contatti stratigrafici delle diverse litologie presenti nell’area. L’assetto morfologico che ne deriva è dominato da canyon molto profondi con pareti pressoché verticali, dove nel fondo scorrono, con portate modeste, fossi e torrenti che proseguono con le loro azioni meccaniche sui sedimenti. Le parti sommatali di questi canyon sono di tipo pianeggiante, e hanno favorito nel tempo l’insediamento di attività agricole intensive e la localizzazione di centri urbani. Da un’analisi più dettagliata e con l’ausilio di software per la cartografia digitale è stato possibile ricreare un Sezione nº 356140 “Rignano Flaminio” scala 1:10.000 (c.t.r. Regione Lazio). Elemento nº 356132 “Mazzano Romano” scala 1:5.000 (c.t.r. Regione Lazio). Elemento nº 356143 “Calcata” scala 1:5.000 (c.t.r. Regione Lazio).

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modello del terreno dell’intorno del sito per un area vasta (Tav. 2). Il cerchio rappresenta l’area di interesse, in scala di grigio sono rappresentate le quote altimetriche, ad aree più chiare corrispondono alti valori di quota topografica, le linee bianche rappresentano i corsi d’acqua della zona; il più importante per vicinanza e portata è il torrente “Treja”, gli altri fossi hanno portate assai modeste, alcuni di essi sono attivi solo dopo intensi periodi di pioggia, tra questi degno di nota è il fosso “Coderano” che dista circa 270 metri in direzione nordest dal sito. L’erosione dei corsi d’acqua che ha inciso i terreni ha messo in luce contatti stratigrafici praticamente sub paralleli tra materiali a differente comportamento meccanico, alle pareti verticali litoidi sono spesso associate frane per crollo di entità variabile, mentre ai livelli sabbiosi ghiaiosi si associano fenomeni di regressione lineare delle creste ed erosione accelerata. La maggiore pericolosità che è intrinseca nell’assetto stratigrafico caratteristico di questa area è il contatto tra tufi e argille; le differenze meccaniche di questi due materiali si espletano in azioni combinate di erosione dalle argille, mancanza di appoggio per i sovrastanti tufi e conseguenti crolli, anche di volumi considerevoli di materiali tufaceo. Il quadro geomorfologico sinteticamente descritto può subire, e sicuramente ha subito, nel corso dei tempi geologici periodi di calma e periodi dove i dissesti erano più frequenti e mettendo in gioco volumi considerevoli di materiali. Si pensi ad esempio a “periodi freddi” con conseguente crioclastismo, periodi dove le portate dei corsi d’acqua erano alimentate da continue piogge con conseguente aumento del potere erosivo degli stessi, o fenomeni di esondazione dovuti alla stessa causa. In questo contesto anche la presenza dell’uomo, anche se con importanza minore, ha interagito, talvolta inconsapevolmente, con l’evoluzione morfologica dell’area con processi di disboscamento. Un eccessivo utilizzo di legname ha portato ad esempio ad un aumento di vulnerabilità dei versanti agli eventi idrogeologici, con una accelerazione dei processi di modellamento del versante stesso. Geologia generale La storia geologica della zona oggetto dello studio è strettamente connessa ai fenomeni eruttivi dell’apparato vulcanico Sabatino e, subordinatamente, dell’apparato vulcanico Vicano ed è parte integrante della storia di tutto il Lazio, più in generale, della fascia peri-tirrenica dell’Italia Centrale compresa tra la catena appenninica e la linea di costa. L’orogenesi appenninica che, procedendo progressivamente verso il settore Adriatico della catena in un regime compressivo, aveva dapprima consentito un generale sollevamento dell’area fino al Pliocene inferiore (5 m.a. circa), vede l’attivarsi di una fase distensiva lungo un complesso sistema di faglie normali con andamento NO-SE che deprime la vasta area a Ovest della catena Appenninica; si creano cosi delle profonde depressioni

che vedono l’ingressione delle acque marine dell’antico Mar Tirreno in ampie zone questo settore. Di seguito, nel Pliocene medio-superiore (4-3 m.a.), il perdurare della tettonica distensiva lungo questo sistema di fratture a scala regionale determina un pronunciato assottigliamento crostale che richiama la risalita di magmi dal mantello terrestre generando le prime fasi del Vulcanismo Laziale. Questo fenomeno si manifesta dapprima in Toscana (Monte Amiata) e poi nel Lazio settentrionale. Si mettono in posto le lave della Tolfa e del settore cerite manziate (da 4 a 2 m.a.) ed in seguito quelle dei Monti Cimini e Isole Ponziane (1.5-0.9 m.a.). Nel Pleistocene medio (1.0 m.a.), lungo un nuovo sistema di faglie orientate NE-SO trasversali alle precedenti, si verifica un nuovo generale sollevamento dell’area in un regime tettonico compressivo; laddove i due sistemi di faglie si intersecano si ha la fuoriuscita di nuovo magma che attiva una spettacolare successione di manifestazioni vulcaniche che durerà sino a 60.000 anni fa. Nascono così i grandi Distretti vulcanici Vicano, Vulsino, Sabatino, Laziale della Valle Latina, di Roccamonfina fino ad arrivare in Campania ai complessi di Ischia e di Procida, dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio che sono ancora fortemente attivi. Come abbiamo premesso in tutta l’area della valle del Treja, e più distintamente nell’area oggetto dello studio, sono diffusamente rinvenibili i prodotti vulcanici relativi all’attività del complesso vulcanico Sabatino e, subordinatamente ed intercalati a questi, i prodotti relativi all’attività del Vulcano Vicano. Diversamente da quanto accaduto per il vulcanismo vicano, la cui attività si è espletata a partire da 900.000 anni fa, esclusivamente da un solo centro emissivo localizzato nell’area dove attualmente sorge l’omonimo lago, l’attività vulcanica Sabatina si è determinata da numerosi centri emissivi a partire da 700.000 anni fa circa, per questa ragione è più corretto parlare di attività del “Complesso vulcanico sabatino” proprio per specificare la distribuzione areale dei centri emissivi compresi tra la zona di Morlupo-Sacrofano ad Est, e quella perimetrale al bacino del Lago di Bracciano ad Ovest, in un’area estesa per circa 1600 kmq. Le prime fasi di attività del vulcanismo sabatino sono localizzate nella zona orientale, laddove circa 700 mila anni fa venivano emesse delle colate di lava che si ritrovano al di sotto dei prodotti dovuti ad eruzioni esplosive avvenute da un centro emissivo di importanza relativa, detto di Morlupo-Castelnuovo di Porto; questo modesto edificio vulcanico, smembrato e sepolto dalle eruzioni successive, era comunque ancora attivo circa 600.000 anni fa quando si originò, sempre in quella zona, il centro emissivo di Sacrofano che diede vita a quello che è ancora riconosciuto come il più importante edificio vulcanico dell’intero Complesso. Dapprima l’accrescimento di questo vulcano è stato caratterizzato da un’attività di tipo esplosivo, tra i primi prodotti emessi in questa fase ha rilievo la “Colata piroclastica inferiore di Sacrofano” datata circa 550 mila anni

la geologia dell ’ area 43 area ribassata, datata circa 80.000 anni fa, chiaramente fa, i cui prodotti sono comunemente denominati “Tufo riconoscibile nella depressione circolare ad Est del Lago giallo della Via Tiberina” e che trovano comune impiego di Bracciano attraversata dalla S.S. Cassia, denominata come materiale da costruzione; l’emissione di questa coValle del Baccano. lata piroclastica obliterò quasi del tutto le forme di rilieL’attività vulcanica sabatina si esaurisce in una fase vo costituite dall’attività sedimentaria marina precedenche va da circa 60.000 a 40.000 anni fa, con una serie di te a quella vulcanica. esplosioni idromagmatiche localizzate nei centri emissiSuccessivamente alla deposizione della “Colata Pirovi minori di Martignano, Stracciacappa, Le Cese e Monclastica inferiore di Sacrofano”, le eruzioni del centro terosi, compresi nell’area estesa tra la depressione di emissivo assumono un carattere stromboliano, produBaccano e i rilievi che bordano ad Est il bacino lacustre cendo un’imponente coltre di piroclastiti di ricaduta dedi Bracciano. nominati “Tufi varicolori di Sacrofano” datata 515.000 Il complesso vulcanico Vicano, come sopra accennaanni fa. In tutta questa fase l’intero Complesso Vulcanito, era già attivo precedentemente l’inizio delle emissioco Sabatino è interessato da un’intensa attività eruttiva ni vulcaniche Sabatine, la sua attività si espleta per un pecon l’emissione, tra gli altri prodotti, di numerose colate riodo che va da 900.000 fino a 90.000 anni fa dall’unico laviche leucitiche che si ritrovano talvolta intercalate in centro eruttivo localizzato in corrispondenza dell’attuaampi plateaux ai prodotti precedentemente descritti, cole zona dove attualmente sorge il lago omonimo, a S-E e me riscontrato nella zona di Settevene-Monterosi poco in continuità con la Catena dei M.ti Cimini. distante dal parco. La vita di questo vulcano è stata caratterizzata da fasi A questi prodotti si intercalò la potente coltre del “Tuin cui predominavano l’eruzione di colate laviche, assai fo Rosso a Scorie Nere Sabatino” (450 mila anni fa) a cui, fluide, che si espandevano per chilometri dal loro centro gli ultimi studi condotti sull’area, hanno imputato la di emissione, dando luogo a versanti a dolce pendenza, provenienza ad un centro emissivo localizzato pochi Km e da periodi con attività esplosiva, con imponenti emisa sud del Lago di Bracciano. sioni di pomici, ceneri, lapilli e “nubi ardenti” che hanno Successivamente a questa fase di attività che coinvolse dato origine ai banconi tufacei quasi pianeggianti, estesi l’intero Complesso Vulcanico Sabatino seguì un’intensa per centinaia di chilometri quadrati. attività tettonica responsabile di un radicale cambiamenLe ripetute eruzioni di enormi volumi di materiale, to nel tipo di attività eruttiva del Centro Emissivo di Saconcentratesi soprattutto nel periodo che va da 200.000 crofano; qui una notevole interazione tra le acque freaa 140.000 anni fa, causarono lo svuotamento della cametiche e il magma determinò un’attività essenzialmente ra magmatica sottostante il vulcano e portarono al colidromagmatica, manifestatasi nella violenta esplosione lasso dell’edificio vulcanico, con la formazione della vaalla quale è legata la deposizione della “Colata piroclastista “caldera” che in seguito venne colmata dalle acque, ca superiore di Sacrofano” anche conosciuta come “Tufo originando il Lago di Vico. Un’immensa esplosione finagiallo di Sacrofano”. L’eruzione di questi prodotti, datati le, di tipo “freatomagmatico”, rovesciò enormi quantità circa 350 mila anni fa, causò il collasso del rilievo di pomici, ceneri e lapilli oltre l’orlo della Caldera, in divulcanico e la formazione della caldera ancora oggi rezione della Valle del Tevere dove si sono deposte con individuabile nella depressione compresa tra gli abitati granulometrie decrescenti all’aumentare della distanza di Sacrofano e Formello a Sud, e Magliano Romano e dal centro di emissione. Campagnano a Nord. Di seguito è proposta una sintesi del ciclo vitale del diCon lo sprofondamento calderico si chiuse il ciclo stretto vulcanico Vicano: eruttivo di Sacrofano; l’attività del Complesso vulcanico – La prima fase di attività si colloca tra 800.000 e 400.000 Sabatino nella fase successiva si concentrò principalmenanni fa ed è caratterizzata dall’emissione di lave e di te nei centri emissivi localizzati nel settore occidentale. materiali vulcanici che si depositano nei territori cirQui, il periodo parossistico di attività, protrattosi più costanti. lungamente fino a circa 200 mila anni fa con l’emissione – La seconda fase si colloca tra 350.000 e 200.000 anni fa di vari prodotti vulcanici da vari centri emissivi secondae in essa, l’emissione di lave dà luogo all’innalzamento ri, unito al generale regime distensivo tettonico di quedel cratere principale. sta fase, determinò lo sprofondamento vulcano-tettoni– La terza fase, inquadrabile tra 200.000 e 140.000 anni co che originò la depressione occupata attualmente dal fa è essenzialmente esplosiva e determina l’emissione Lago di Bracciano. di materiali che, in diverse fasi, ricoprono gli strati Dopo lo sprofondamento delle conche di Sacrofano geologici più antichi per un raggio di diversi chilomee di Bracciano, le eruzioni si concentrarono nuovamentri dalla bocca del vulcano. La natura di questi prodotte nel settore orientale, dove si formarono alcuni vulcati è essenzialmente piroclastica, il volume maggiore di ni isolati, come Monte Razzano e Monte S. Angelo. questi è sicuramente imputabile alla deposizione Questo periodo (da 170 mila a 150 mila anni fa), vede andell’“Ignimbrite III Vicana” o “Tufo rosso a Scorie Neche l’origine dell’edificio vulcanico di Baccano carattere vicano” datata circa 145.000 anni fa e che costituisce rizzato da una natura idromagmatica delle eruzioni; in continuità un vasto plateaux tufaceo sub-pianegl’attività eruttiva di questo centro porta allo svuotagiante esteso fino a ridosso della zona della Valle del mento della massa magmatica sottostante e causa, atTevere a E, e fino all’abitato di Civita Castellana a S. traverso collassi successivi, la formazione di una nuova

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L’emissione di questi prodotti è l’unica a rivestire particolare importanza anche per la zona oggetto dello studio, dato che qui il “Tufo Rosso a Scorie Nere Vicano si trova intercalato ai prodotti dell’attività vulcanica Sabatina e costituisce lo sperone ove è edificato l’antico borgo di Calcata. – Nella quarta fase, tra 140.000 e 90.000 anni fa, l’attività eruttiva è condizionata dalla presenza delle acque lacustri: si hanno così delle violente eruzioni idromagmatiche (causate cioè dalla interazione tra il magma e l’acqua) che depongono strati cineritici rinvenuti nelle zone prossimali alla caldera. L’ultimo episodio dell’attività vulcanica Vicana è caratterizzata dall’emissione di lave leucitiche che all’interno della caldera edificano il cono vulcanico di Monte Venere (836 m). Lungo la direttrice che collega i due centri abitati di Calcata e Mazzano Romano è collocato il sito di Narce, nelle immediate vicinanze di questo è possibile rinvenire la successione dei materiali geologici che hanno interessato la zona; sono distinguibili depositi sedimentarie, facies sabbiose e ghiaiose di origine alluvionale, potenti depositi di materiale vulcanico, nonché depositi olocenici di colluvioni e depositi di frana, di seguito vengono passati in rassegna i maggiori gruppi litologici rinvenuti nell’area (dal più antico): Depositi marini: Argille marine pleistoceniche derivate dalla deposizione marina attiva in queste zone durante la fase tettonica distensiva; – Alluvioni: sedimenti conglomeratici e silt del Pleistocene connessi ad una fase di deposizione fluviale in ambiente continentale, queste unità come i precedenti depositi marini, affiorano ovviamente nei fondovalle, dove sono state mese a giorno dall’azione erosiva dell’idrografia superficiale che ha intagliato tutta la sovrastante coltre di vulcaniti. Un discorso particolare è doveroso per gli affioramenti conglomeratici, ben osservabili in prossimità del sito di Narce, in coincidenza di un ponte che attraversa il Fiume Treia. Qui è rinvenibile, appunto, un deposito conglomeratico di circa 3 m di spessore, le ghiaie che lo compongono hanno un bassissimo o nullo grado di cementazione e comprendono ciottoli e piccoli blocchi arrotondati, con dimensioni variabili da 1 a 15 cm. Da un punto di vista litologico essi sono costituiti da elementi marnosi e calcarei, litologie non presenti nell’area attraversata dal bacino del fiume Treja, oltretutto lo spessore di questo affioramento, che in altri luoghi prossimali si estende fino a 7 metri e l’arrotondamento dei ciottoli compresi in esso fa escludere la possibilità che la deposizione di queste ghiaie sia imputabile a corsi d’acqua di entità paragonabile a quella del Treja. Ciò consente di affermare che il trasporto e la deposizione di questi materiali siano dovuti certamente all’opera di un corso d’acqua con notevole portata e con un bacino idrografico molto esteso come era quello che caratterizzava l’antico Fiume Tevere, quando anticamente scorreva direttamente da Civita Castellana verso Roma, attraversando questa zona in direzione N-S. La successiva deviazione verso Est di questo fiu-









me sarebbe avvenuta a seguito della deposizione della sovrastante “Colata Piroclastica inferiore di Sacrofano, che avrebbe colmato l’antica valle del Tevere e costretto il fiume a scorrere più ad Est, in corrispondenza dell’attuale Valle Tiberina. Tufi inferiori: tufi stratificati di color grigio, sono tufi granulari caratterizzati da stratificazione sottile. I minerali più rappresentativi sono la leucite, sanidino e pirosseni. Il loro spessore è generalmente modesto salvo locali riempimenti di paleo alvei, come nel caso del sito oggetto dello studio, dove è ben visibile una scarpata sub verticale di oltre venti metri di potenza composta dalla “Colata piroclastica inferiore di Sacrofano” (Pleistocene medio-superiore). Tufi Terrosi: rappresentati dalle “Piroclastiti di ricaduta di Sacrofano” sono composti da materiale poco coerente, di natura cineritica che comprende livelli di pomici e scorie; nella zona di Narce si sovrappongono ai tufi inferiori di Sacrofano, determinando un rilievo più dolce con decremento delle pendenze lungo la scarpata. Tufi superiori: presentano una forte eterogeneità di facies, con colori in prevalenza bianchi-gialli. Caratterizzati da grande abbondanza in pomice, rari invece i cristalli di sanidino biotite e pirosseni, spesso sono incluse rocce del basamento sedimentario. La stratificazione, spesso lentiforme suggerisce un susseguirsi di diversi periodi e modalità deposizionali. Nel sito oggetto dello studio si ritrova una scarpata di 15 metri circa sovrapposta ai tufi terrosi, composta dalla formazione eteropica del “Tufo rosso a scorie Nere” di provenienza Sabatina, riconoscibile per il suo colore rossastro, con intercalate grosse pomici, anche con diametro di alcuni decimetri. Sopra a questa scarpata si ritrovano gli ultimi prodotti dell’attività stromboliana di Sacrofano che qui presentano spessori modesti e una stratificazione tabulare. Depositi alluvionali neogenici: sabbie e ghiaie con stratificazione per lo più incrociata, eterogenee da un punto di vista granulometrico, localizzata sui fondo valle, sono il risultato dei processi erosivo – deposizionali dei corsi d’acqua che hanno inciso ed alluvionato queste aree. Analisi delle strutture del sito – capacità costruttiva – ritrovamenti di particolare interesse geologico

L’analisi visiva dei materiali costruttivi effettuata sia sulla Grande Platea Monumentale che sul Sacello AA mostra come siano stati utilizzati per la loro costruzione materiali con proprietà meccaniche e cromatiche differenti. Era già chiaro come i materiali vulcanici fossero ottimi per la costruzione dei manufatti, essi infatti offrono in generale un ottimo compromesso tra facilità di lavorazione, leggerezza e resistenza. Nella zona ad est della Grande Platea Monumentale, subito a ridosso del Monte Li Santi è possibile vedere una notevole quantità di materiale vulcanico crollato, ad og-

la geologia dell ’ area 45 nianza, o aprono strade a ricerche storiche ed antropogi i crolli non sono così frequenti, ma si può ipotizzare logiche molto interessanti. Sono stati individuati blocchi un tasso di crolli maggiore nel passato come conseguendi “Piperno di Mazzano”, tufo litoide molto resistente alza di un accentuato disboscamento del versante del l’erosione. L’interesse che ha suscitato questo ritrovaMonte Li Santi. Si creava così una situazione di resistasia mento è dovuto al fatto che la presenza di formazioni di che favoriva il crollo dei blocchi che venivano poi lavora“Piperno di Mazzano” sono rinvenute in un area comti in situ e messi in esercizio. Gli abitanti dei luoghi avepresa tra Mazzano Romano e la Mola di Monte Gelato vano a disposizione notevoli quantità di materiale di difche dista dallo scavo circa 1,5 Km in linea d’aria, non è da ferente tipologia praticamente a ridosso del cantiere in escludere un eventuale trasporto via torrente, il sito di costruzione, i blocchi invadevano l’area pianeggiante, in scavo infatti si trova a favore di corrente. Considerando questo modo si ripuliva l’area allargando la superficie l’utilizzo ed il ruolo che il “Piperno di Mazzano” ha avuutilizzabile per scopi agricoli. to nel santuario di Narce non risulta difficile pensare a Il Tufo Rosso a Scorie Nere poggia, al livello stratigradegli sforzi maggiori per il suo reperimento rispetto a fico, sulla formazione tufacea nota come Tufi Stratificati tutti gli altri materiali costruttivi e decorativi in quanto Varicolori di Sacrofano, la duttilità e la poca resistenza veniva utilizzato nelle aree nobili del santuario, che meche quest’ultima oppone all’erosione dovuta alle alte ritavano ornamenti differenti dalle altre aree. percentuali di argille presenti nella parte superiore fa si L’importanza di un ritrovamento archeologico è in che con la loro erosione viene meno la base di appoggio funzione della posizione che esso occupa nella architetper il sovrastante Tufo Rosso a Scorie Nere che sotto il tura del santuario e dalla sua natura, ma anche della sua proprio peso collassa e crolla. I crolli del Tufo Giallo delrarità nel contesto di studio; partendo da questo presupla Via Tiberina sono i più frequenti e dovuti allo scalzaposto, di notevole interesse è stato il ritrovamento di ciotmento della loro base di appoggio caratterizzata dai setoli bianchi di natura calcarenitica, che ha aperto un indimenti del Paleotevere. teressante scenario di ipotesi geologico – archeologiche. Gli scavi effettuati hanno messo in luce dei muri periI ciottoli calcarei ritrovati hanno modeste dimensioni metrali a pochi centimetri di profondità dal piano di (cm 20 × 20 × 28) la loro composizione granulometrica è campagna, in alcuni punti le parti sommitali degli elementi antropici rinvenuti risultavano praticamente subriconducibile ad arenaria di colore beige chiaro composuperficiali, ciò è testimoniato dal deterioramento degli sta da sabbia medio – fine con intercalazioni calcaree; stessi dovuto ad azioni meccaniche degli attrezzi agricoli presentano una laminazione incrociata molto serrata. che in un passato non remoto sono stati utilizzati dai Questa roccia non è autoctona, probabilmente è attricontadini per coltivare queste aree. buibile al trasporto detritico del paleotevere. La sua uniLe parti strutturalmente più importanti del santuario cità e rarità in questo contesto dove predominano matepoggiano su livelli conglomeratici a matrice sabbiosa, la riali vulcanici o ghiaioso sabbiosi fa sì che l’importanza granulometria dei clasti è variabile comunque raramendel suo ritrovamento sia di notevole interesse archeolote sono caratterizzati da lunghezze dell’asse maggiore gico; essa era probabilmente utilizzata in coppia con che superano i 2,5 cm. un’altra roccia apparentemente basaltica di colore nero, La matrice sabbiosa è di colore marrone scuro, granuin contrapposizione cromatica bianco – nero. Questa lometricamente associabile a sabbia medio – fine, le reipotesi viene validata dal fatto che i ritrovamenti sono lative percentuali delle componenti variano sensibilstati fatti nel vano E, fossetta sacrificale della fornacetta. mente sia in senso verticale che orizzontale. Altri ritrovamenti di notevole interesse che evidenziaLa base naturale d’appoggio dell’intero muro perimeno invece utilizzo di materiali autoctoni sono le produtrale risulta omogenea, non si riscontrano aree sensibilzioni fittili locali che si evidenziano in alcuni manufatti e mente più basse. Da sottolineare la grande capacità codalla presenza di fornace in loco, probabilmente venivastruttiva, il perfetto allineamento della parte “fondale” no utilizzate la parti a maggior percentuale argillosa deldei grandi blocchi che costituiscono il muro perimetrala formazione dei Tufi Stratificati Varicolori come roccia le, la base di appoggio è stata sicuramente preparata con madre per le lavorazioni, materiale di facile reperibilità cura prima della messa in posa dei massi. I livelli ghiaiosi in quanto costituisce praticamente tutta la parte centrale non mostrano una continuità areale uniforme su tutta del Colle Monte Li Santi. l’area di scavo, da qui l’ipotesi dell’utilizzo per le parti fondali della struttura. Quanto detto fa presumere che si Considerazioni avesse già una coscienza tecnico costruttiva molto avanCome considerazione finale a questa breve introduzione zata. generale dell’area si ritiene utile provare ad osservare il La quasi totalità degli elementi costruttivi, soprattutto sito con uno sguardo non archeologico, distogliendo quelli strutturali perimetrali e divisori tra le diverse zone l’attenzione per un attimo dal fine scientifico di questo del santuario sono derivati da blocchi di Tufo Giallo deltesto. la Via Tiberina. Il sito ha delle caratteristiche morfologiche, idrauliche Altri materiali sono rinvenuti in quantità sensibilmene geologiche ottimali per qualsiasi tipo di insediamento. te minore rispetto al Tufo Giallo della Via Tiberina o al L’area pianeggiante dove si trova lo scavo ha una estenTufo Rosso a Scorie Nere, ma la loro importanza non sione di circa 1,8 Ha. Dallo studio della morfologia dei passa in secondo piano in quanto danno una testimo-

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luoghi questa area risulta la più idonea da un punto di vista morfologico ed idraulico per gli insediamenti (alluvioni di destra del fiume Treia) rispetto alle aree prossime vicine. Probabilmente l’area che oggi è occupata dalla strada provinciale di collegamento tra Mazzano Romano e Calcata rappresentava un ulteriore sito dove era presente l’uomo con una sua organizzazione sociale, tutte le aree alla stessa quota altimetrica rispetto all’area di scavo mostrano aspetti morfologici ed idraulici molto simili; non è da escludere quindi la possibilità di ulteriori ritrovamenti in dette aree. Ovviamente oggi l’antropizzazione ha in parte rimodellato nascondendo questi tratti paleo morfologici, seppellendo queste testimonianze storiche. Contrariamente risalendo il fiume Treia fino all’area della “Mola” si evidenzia come queste aree con simili caratteristiche morfologiche non siano più presenti e soprattutto come lo spessore delle alluvioni sia modesto ri-

spetto a quello trovato nell’area di interesse, facendo diminuire la probabilità di possibili ritrovamenti archeologici di importanza paragonabile a quello del santuario. Negli studi di tipo geoarcheologico la definizione di “tempo che passa” deve essere ponderata in relazione allo specifico settore scientifico di riferimento, infatti da un punto di vista storico, antropologico e insediativo i cambiamenti ad oggi rispetto all’epoca dell’insediamento sono stati enormi, lo stesso non si può dire per i cambiamenti di tipo morfologico ed idraulico che invece hanno tempi di cambiamento “geologici”. Non è quindi azzardato dire che le condizioni morfologiche ed idrauliche ai tempi dell’insediamento non siano state molto differenti rispetto le attuali e quindi i rilevamenti da noi effettuati, fatta eccezione delle aree che hanno subito una forte antropizzazione, che ha di fatto cancellato molte tracce del passato, siano coerenti e rispecchiano le condizioni dell’epoca storica dell’insediamento.

LA TO PO GRAF IA DEL L’ A R E A S ACR A Ma r ia Anna De L uc i a B ro l l i a dislocazione del complesso santuariale immediatamente al di fuori dell’insediamento urbano definito dalla cinta muraria risponde ai criteri topografici peculiari della categoria dei santuari suburbani (Tav. 3). Posta alle pendici di Monte Li Santi, una delle alture che costituivano la città antica nel suo pieno sviluppo, l’area sacra si inserisce all’interno di una vera e propria “cintura” santuariale che, nel fondovalle, sfruttava delle radure a ridosso del fiume Treja e si collocava in significativa connessione con uno degli assi viarii principali di collegamento tra le necropoli, l’insediamento di Monte Li Santi e il territorio circostante; infatti, già alla fine dell’800 scavi governativi avevano individuato a sudovest del santuario di Monte Li Santi-Le Rote i resti di un edificio templare,2 che restituì pochi ma significativi materiali inquadrabili in età tardo-arcaica.3 Entrambi i santuari, oltre a mostrare affinità sul piano della dislocazione topografica e dell’inquadramento cronologico – almeno per quanto riguarda le più antiche fasi di vita –, si caratterizzano per la vicinanza ad importanti aree sepolcrali: quello di Monte Li Santi-Le Rote si erge infatti in contrapposizione alla necropoli della Petrina ed in particolare trova nel sepolcreto della Petrina C, dalla parte opposta del fiume Treja, un punto focale dominante; il santuario meridionale è prossimo invece alla necropoli di Monte Soriano, toponimo “parlante”, giustamente messo in relazione da Giovanni Colonna con il teonimo Sur/Suris/Soranus.4 Verso il Monte Soriano d’altra parte era rivolta la fronte del sacello AA, prima delle trasformazioni edilizie e cultuali che ne mutarono l’orientamento indirizzandolo verso l’acropoli. La scelta dei luoghi dovette essere certo condizionata dalla esigua disponibilità di spazi utili nella fascia periurbana, ma non vi è dubbio che la vicinanza al corso del fiume – ed in particolare al principale corso d’acqua della regione – doveva trovare la sua ragion d’essere anche nell’importanza che l’acqua poteva rivestire nell’ambito del culto, al pari di quanto è stato osservato per il santuario di Giunone Curite a Celle.5 E non si può escludere che un certo rilievo – soprattutto per gli aspetti legati alla sanatio – potesse rivestire la presenza, nell’area, di sorgenti.6

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2 Narce 1894. 3 De Lucia Brolli 1990a, pp. 173-177, tav. I. 4 Sulla connessione tra il falisco Soranus e l’etrusco Sur/Suri, nonché sulla sopravvivenza del teonimo in toponimi ampiamente diffusi v. Colonna 1984-85, p. 76 s.; Colonna 1991-92, p. 95 ss. 5 G. Colonna, in Santuari d’Etruria 1985, pp. 110-111. 6 È segnalata la presenza, non lontano dall’area del santuario, tra l’insediamento di Narce e quello di Monte Li Santi, di una sorgente di acqua mineralizzata termale Camponeschi, Nolasco 1984, p. 328, fig. 18 n. 218.

La viabilità moderna7 ha di fatto interrotto la contiguità con il fiume, che doveva forse essere ben più incisiva,8 ma purtroppo le indagini non si sono potute estendere in quella direzione, in quanto avrebbero interferito con la possibilità di transito e di accesso alla campagna circostante. Il complesso santuariale si presenta particolarmente articolato, con più edifici che seguono una disposizione a gradoni parallela al corso del fiume, con orientamento NE-SW. Il fulcro del santuario è rappresentato da una monumentale fondazione in opera quadrata di tufo, ubicata al centro della radura, il cui impianto originale sembra databile nel secondo quarto del v sec.a.C.; su questa si imposta, conservato in minima parte, l’alzato di una struttura solo parzialmente indagata e per lo più nei livelli superficiali, quasi certamente identificabile con un edificio templare. A sud-est è stato riportato in luce un vano di servizio (vano E), che accoglieva una piccola fornace funzionale al culto. Ad ovest, a ridosso della fondazione monumentale dalla quale le separa solo una stretta intercapedine, si ergono, ad una quota inferiore, le strutture dell’alzato di un sacello ad oikos orientato a sud-ovest (sacello AA), eretto nel terzo quarto del v sec. a.C., che ha subito una serie di trasformazioni strutturali nel corso dei secoli successivi. Sulle principali fasi di vita di questo edificio si tornerà nel capitolo che segue; preme qui sottolineare come il sacello AA e le successive articolazioni funzionali, nonostante la minore monumentalità, abbiano rappresentato nel tempo un punto di convergenza importante per la devozione dei fedeli. Nel suo impianto originario il sacello si presentava con caratteristiche peculiari, dotato com’era, nell’ambito della cella, di un altare (altare I) con annessa una teca quadrata costruita in lastre di pi-

7 La strada delle Rote non compare nella mappa ottocentesca di Narce dei Monumenti Antichi (Narce 1894, tav. III); la sua realizzazione risale agli anni ’60 del secolo scorso. Una preziosa testimonianza dell’assetto precedente all’apertura della strada si ritrova in una foto aerea del 1956 conservata presso l’Aerofototeca Nazionale; questa mostra ancora l’assetto topografico originario con la sella tra le alture di Narce e di Monte Li Santi, tagliata poi dalla nuova strada di collegamento tra Mazzano Romano e Calcata, il cui tracciato è ben evidente in una foto aerea del 1964 (ringrazio Jacopo Tabolli per l’informazione). 8 Non sono stati compiuti in questo tratto studi specifici sulla stratigrafia e la cronologia dei depositi alluvionali del Treja che possano chiarire se esistesse in antico un rapporto fisico più diretto con l’area sacra. Che il fiume fosse soggetto a migrazioni laterali con alternanza di fenomeni di depositi e di erosioni è peraltro testimoniato dalle indagini effettuate nel corso degli scavi condotti dalla Scuola Britannica sulla terrazza alluvionale ai piedi dell’acropoli di Narce, a breve distanza dal sito di Monte Li Santi-Le Rote (Potter 1976, p. 106 ss.).

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perno, e di un ingresso decentrato. Un momento importante di trasformazione è rappresentato dal iv sec. a.C., con la suddivisione dello spazio rappresentato dalla cella e dal portico in tre ambienti coperti (vani A, B e C), utilizzati fino alla prima metà del iii sec. a.C. per funzioni cultuali, e la realizzazione nei vani A e C di ‚fiıÚÔÈ. Dopo gli inizi del iii sec. a.C., certo a causa della progressiva avanzata romana, i vani B e C vengono dismessi, obliterati gli apprestamenti funzionali alla celebrazione delle cerimonie religiose con complessi riti di espiazione e il vano A, cessata la funzione di luogo deputato al culto, viene trasformato in un recinto (Recinto A), nel quale si accatastano ex-voto fino alla fine del ii-inizi del i sec. a.C. In coincidenza con questa profonda crisi il culto si attesta in aree all’aperto, intorno ad altari già esistenti (altare III e forse il V) o di nuova costruzione (altare II e IV), tutti dislocati a sud dei due principali edifici, ma una frequentazione devozionale è documentata fino alla fine del iiinizi del i sec. a.C. anche nell’area esterna nord a ridosso del recinto A, solo parzialmente indagata. L’area sacra ha restituito vari nuclei di offerte votive, databili tra il primo quarto del v secolo e la fine del ii-ini-

zio del i sec. a.C., rinvenuti sia all’interno del recinto A e dei vani B e C, sia in connessione con gli altari all’aperto. L’articolazione dei depositi si presenta con caratteristiche differenti, che vedono da un lato accumuli, o materiale collocato in ordine sparso, scaricati al momento dell’abbandono del santuario, e dunque in giacitura secondaria, dall’altro depositi in giacitura primaria, determinati dalla frequentazione devozionale dei vari spazi riservati al culto. A nord-est del complesso santuariale, a brevissima distanza da questo e immediatamente a ridosso delle pendici di Monte Li Santi, è stata riportata in luce la camera di combustione di una fornace tardo-arcaica a pianta quadrata del tipo II/a della classificazione della Cuomo Di Caprio,9 probabilmente utilizzata per la fabbricazione di laterizi, che, a quanto è stato possibile giudicare dalla ricognizione di superficie, si inseriva all’interno di un’area interessata da altre analoghe presenze.10

9 Cuomo Di Caprio 1971-72, p. 405, tav. III. 10 De Lucia Brolli, Benedettini 1996, pp. 432-435.

L E FASI DEL CO M PL ES S O M O NU M E NTA L E Maria Gilda Benedettin i · M a ri a A nna De L uc i a B ro l l i

I Fase (vi-prima metà v secolo a.C.)

Fase II (secondo quarto-metà v secolo a.C.)

d una precoce occupazione dell’area si possono riferire numerosi frammenti di tegole di prima fase, le cui caratteristiche morfologiche rimandano alla fine del vii-inizi del vi secolo a.C.11 Queste attestano la presenza di uno o più edifici, forse documentati dai pochi resti di strutture inseriti nella tessitura del sacello AA, rispetto al quale presentano un diverso orientamento (Tav. 4). Si tratta di due brevi segmenti murari isolati (Ï e Ì), inglobati nel piano di frequentazione del sacello e realizzati con spezzoni di tufo irregolari, non perfettamente allineati e non fondati, conservati per una lunghezza rispettivamente di mt 2,65 e 5,40.12 L’esiguità dei resti non consente ipotesi ricostruttive né è possibile una puntualizzazione cronologica poiché gli strati di livellamento in fondazione su cui poggiano i diversi elementi sono del tutto sterili. Ben altra consistenza strutturale presenta il muro riferibile a questa stessa fase individuato durante la campagna di scavo 2003 nell’area G: si tratta di una possente struttura muraria (ÁÁ’ - US 1291), realizzata a secco con conci disposti tutti di taglio, il cui orientamento E/W diverge leggermente da quello del sovrastante e più recente muro ÁÁ, costruito con una tecnica edilizia differente. Indizi di una frequentazione dell’area precedente alla monumentalizzazione del complesso santuariale, sono forniti inoltre da pochi materiali ceramici (P15)13 databili tra l’orientalizzante e l’età arcaica, rinvenuti negli strati di fondazione delle strutture ubicate nel settore meridionale. A questi si deve aggiungere la presenza di due fibule a losanga (L 39-40), una delle quali restaurata in antico, riferibili a tipi diffusi sin dall’viii sec. a.C. Non è forse senza significato che questi materiali provengano dalla medesima area nella quale si è rinvenuta la maggiore attestazione stratigrafica delle tegole di tipo arcaico. Poiché si tratta di materiali non ascrivibili con sicurezza alla sfera del culto,14 è possibile che essi fossero pertinenti a strutture tombali preesistenti intercettate durante il corso dei lavori per l’impianto degli edifici.15

Il secondo quarto del v secolo a.C. rappresenta il momento di monumentalizzazione dell’area (Tav. 4). A questo periodo risale, infatti, l’impianto di una grande struttura, ubicata a ridosso del costone tufaceo di Monte Li Santi,16 conservata per lo più in fondazione e pesantemente intaccata da lavori agricoli e da scavi clandestini. Allo stato delle indagini, peraltro limitate e in larga misura condotte solo nei livelli di superficie, non è possibile precisare la funzione di questa struttura architettonica che si configura, al momento, come una monumentale “platea”, sottoposta nel corso della vita del santuario ad una serie di rimaneggiamenti e di cambiamenti di destinazione d’uso che si protraggono almeno fino all’età ellenistica, allorché si evidenzia – nella parte esplorata – una sua utilizzazione all’aperto. È ipotizzabile che in questa prima fase la struttura accogliesse un edificio di culto del quale, per la parzialità dello scavo, non è possibile ricostruire l’articolazione planimetrica interna. Al momento, infatti, è stata riportata alla luce solo parte dei muri perimetrali (˙, Â, ÂÂ e ¯). Sono stati esplorati in estensione solo i lati settentrionale (˙) e occidentale (Â) dell’edificio, realizzati in opera quadrata mediante conci diatoni di tufo rosso e grigio di modulo di circa mt 0,70 × 0,40 × 0,35.17 Si è così appurato che al muro esterno ˙, costituito da 4 filari di conci disposti a gradoni (alt. conservata di mt 1,77), se ne affiancava internamente un secondo (˙’), a distanza ravvicinata (ca. mt 0,60), non fondato e legato al primo mediante terrapieni di fondazione e traverse con funzione statica, che fanno intuire l’esistenza di una struttura a griglia per le fondazioni dell’edificio.18

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11 Cfr. infra Belelli Marchesini, R1I. 12 Il muro Ï presenta una deviazione di 12° rispetto all’asse del sacello, il muro Ì invece di 94°. 13 Ai quali si deve aggiungere un frammento di piatto d’impasto nero con cerchielli impressi, dallo strato 1290 della campagna di scavo del 2003 nell’area G. 14 Cfr. De Lucia Brolli, Benedettini 1996, p. 433. 15 La località Valle Rota sembra essere stata utilizzata, sia pure sporadicamente, anche come area di necropoli: infatti negli scavi del 1902 vennero individuate due tombe a camera databili tra il vi e il v sec. a.C. (Pasqui 1902, p. 608 s., tombe 87 e 88). L’esatta ubicazione rispet-

to all’area santuariale non è definibile, anche se è ipotizzabile che siano state ricavate lungo la parte più meridionale del costone tufaceo di Monte Li Santi. 16 Lo stretto rapporto topografico tra l’edificio e il costone di Monte Li Santi è testimoniato dall’estensione dei crolli della rupe i cui spezzoni, anche di notevoli dimensioni, sono stati rinvenuti su circa metà della struttura. 17 L’utilizzo di materiale da costruzione di natura diversa determina un effetto coloristico che trova confronto altrove (Ridi 2009). Anche tra i blocchi di sigillo dell’UUSS 66 e 94 (vedi infra) si riscontra la presenza di tufi di diverso colore e qualità: a quelli rossi (8%) e grigi (54%), analoghi a quelli utilizzati nelle fondazioni dei muri ˙ ed Â, si affiancano blocchi di colore verdastro che rappresentano circa il 32% delle attestazioni e di piperno (il 6%). 18 Le indagini condotte nel 2002 nei livelli più superficiali hanno messo in luce una rete di altri setti murari ortogonali alle strutture perimetrali e sicuramente pertinenti a fasi edilizie diverse; per alcuni di questi il collegamento con quelli indagati in profondità è ipotizzabile ma rimane al momento non chiarito. La presenza di un più ampio sistema di muri a sviluppo ortogonale è stata peraltro segnalata da indagini geofisiche effettuate nell’area del santuario da Salvatore Piro nel 2000.

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Dell’ortogonale muro  è stato portato in luce soltanto il paramento esterno costituito da 3 assise, solo leggermente sfalsate (alt. massima conservata mt 1,60). L’omogeneità della struttura è interrotta in corrispondenza dell’angolo meridionale da una serie di rimaneggiamenti, intervenuti ancora nella fase di costruzione sugli ultimi 12 blocchi del filare superiore (Â’), resecati sul filo esterno, tanto da risultare di dimensioni inferiori, ed arretrati (Tav. 7, a-b). Il lato meridionale dell’edificio sembra poter essere definito dalla struttura in fondazione ¯ scavata solo in minima parte in corrispondenza di Â’, la cui tecnica costruttiva si discosta nettamente da quella degli altri muri di perimetro. Si tratta, infatti, di un muro composto di un solo filare di fondazione in conci diatoni di tufo “Piperno”,19 non connessi ma separati da consistenti diaframmi terrosi,20 cui si sovrappone un filare di conci ortostati. L’individuazione superficiale dell’angolo nordest, composto almeno di due filari diatoni di blocchi (ÂÂ), infine, consente di leggere lo sviluppo complessivo della platea che occupa un’area di forma quasi quadrata di mt 32,20 × 38,50 circa. Parziali saggi condotti in profondità hanno permesso di determinare che a rinforzo delle fondazioni, direttamente impostate su una serie di strati geologici di sabbia e ghiaia, erano stati utilizzati grandi spezzoni di tufo coesi da terra (Tav. 26). Dell’alzato restano pochi blocchi ortostati che insistono al centro dei filari di fondazione dei muri ˙ ed Â. L’edificio è orientato con il suo asse maggiore a nordnord-est e, sebbene allo stato attuale non sia possibile stabilire con sicurezza quale sia la fronte, tuttavia è ipotizzabile che, al pari del sacello AA, questa sia riconoscibile sul lato meridionale. La costruzione di questa grande struttura è databile, in base al rituale di fondazione rinvenuto in corrispondenza del lato meridionale del muro Â’, al secondo quarto del v secolo a.C.21 È ascrivibile a questa stessa fase anche il piccolo ambiente rettangolare E (mt 4 × 5,5), costruito all’esterno dell’angolo sud-occidentale della platea. Mentre per il lato orientale il vano sfrutta le fondazioni dell’edificio maggiore, alle quali si addossa, per gli altri tre lati impiega altrettanti muri in opera quadrata di tufo (Û, Ù, Ê) (Tav. 8, a). I primi due, legati in fase costruttiva, sono stati realizzati con la medesima tecnica utilizzata per la grande platea, conci diatoni in fondazione e ortostati per l’alzato; il muro Ê, invece, presenta entrambi i filari superstiti posti di taglio. Contestuale è la realizzazione del canale di scolo in laterizio alla cappuccina US 18822 che, partendo dall’ango-

19 Nel santuario l’utilizzo del tufo litoide grigio bluastro, localmente chiamato “Piperno”, è riservato alle fondazioni solo nell’edificio maggiore. 20 Tecnica che si ritrova nel podio del tempio grande di Vulci (Santuari d’Etruria 1985, p. 79) e nel tempio di Legnesina (Belelli Marchesini 1997, p. 635). 21 Infra, p. 71 s. 22 Di diverso avviso nello studio preliminare De Lucia Brolli, Benedettini 1996, p. 434.

lo sud-ovest dell’edificio monumentale, curvava con andamento discendente attraverso le fondazioni del vano E verso l’area D e verso il fiume (Tav. 8, a-b). In corrispondenza del lato meridionale dell’edificio, probabilmente anche a causa dell’estrema superficialità, non si sono ritrovate tracce del canale. Il rinvenimento in questo punto di una serie di frammenti di coppi fa ipotizzare la presenza di un discendente relativo alla gronda che doveva innestarsi nello scarico. Alla posa in opera del canale si devono i rimaneggiamenti del segmento del muro  (Â’), sopra citati, finalizzati proprio all’imposta di questa struttura. In relazione con questo intervento venne compiuto un rito di riconsacrazione dell’area di carattere alimentare.23 La funzione di ambiente di servizio del vano E è data dalla presenza nell’angolo ovest di una piccola fornace a cupola e a pianta ellittica con pilastrino centrale (lungh. mt 2,35, largh. 1,19; alt. cons. 0,45), del tipo I/a Cuomo Di Caprio a camera verticale.24 Di essa si conserva solo il prefurnio e la camera di combustione ricavata negli strati di fondazione del vano; della copertura resta lo spiccato della volta in concotto di tufo. Non sono stati rinvenuti scarti poiché la fornacetta è stata accuratamente ripulita al momento della sua defunzionalizzazione. Non si è dunque in grado di definirne la funzione originaria anche se i confronti più immediati rimandano a fornaci per la cottura di ceramiche attestate dall’età preprotostorica sino al iv secolo a.C.25 La fornace di Narce doveva essere comunque in stretto rapporto con l’ambito cultuale come sembrerebbe dimostrato dall’accurato rito di obliterazione che ne ha accompagnato la dismissione verso la fine del secolo, in coincidenza con quella dell’intero vano.26 (Tavv. 28-30) Sul lato meridionale del grande edificio gli scavi più recenti hanno portato in luce una complessa situazione, ancora troppo poco indagata. Sicuramente ascrivibili a questa fase sulla base dei dati stratigrafici e tecnici sono il muro „ e il muro ÁÁ, ad esso collegato, e la realizzazione di una monumentale struttura, riutilizzata in età ellenistica come altare (altare V) (Tav. 88). In questa stessa fase si possono porre una serie di altre strutture murarie in opera quadrata (˘, ‚‚), con i relativi piani di livellamento e frequentazione, ubicate nelle aree antistanti denominate F e G.27 L’area F, in particolare, ha re-

23 US 205A: infra, p. 71. 24 De Lucia Brolli, Benedettini 1996, p. 433. La tipologia elaborata da Ninina Cuomo di Caprio è stata da lei riconfermata in Cuomo di Caprio 2007, p. 522 ss. 25 Il confronto migliore sembra istituibile con una fornace nel senese, a Monteriggioni-Campassini, di analoghe dimensioni e ugualmente defunzionalizzata (Acconcia 1997 (1999), pp. 349-358). Ulteriori confronti in ambito etrusco si hanno con un impianto da Rusellae (Bocci Pacini 1971, p. 553 s., tav. CIV b) mentre nel Lazio esistono strette analogie, anche per la presenza del pilastrino, con una fornace da Lavinio inquadrata nel iv secolo a.C. (Fenelli 1984, p. 342, fig. 17). 26 De Lucia Brolli, Biondi 2002, pp. 365-366. 27 Sulla base dell’analisi stratigrafica della struttura ˘, si sono distinti i lastroni del filare superiore, denominato ˘’, da quello sottostante.

le fasi del complesso monumentale stituito un “pozzetto” (US 1056) a sezione troncoconica ricavato in un blocco di tufo giallastro la cui imboccatura è costituita da una vera anulare resa a risparmio in una lastra rettangolare di “Piperno” (mt 1 × 0,65). Fase III (metà-fine v secolo a.C.) A questa fase risale l’impianto del sacello AA, costruito intorno al terzo quarto del v secolo a.C. come provano i materiali rinvenuti in fondazione28 (Tav. 5, fase iii). Orientato a sud-sud-ovest (20°) l’edificio si configura come un oikos eretto a ridosso delle fondazioni della platea monumentale,29 ad una quota inferiore di ca. mt 1,40 rispetto a quest’ultima, e preceduto da un portico. L’articolazione architettonica dell’intero complesso santuariale veniva così ad assumere una disposizione a terrazze che sfruttava anche il naturale declivio del sito verso il fiume Treja. Per adeguarsi all’andamento del suolo le fondazioni dei muri perimetrali risultano diversamente approfondite sui piani di posa e realizzate con tecniche costruttive differenziate.30 Il sacello (mt 14,45 × 7,65) era delimitato dai muri ·, ‚, Á’ e È, in opera quadrata di tufo; analogamente all’adiacente muro ˙ che delimita il lato settentrionale della “platea”, il muro · (US 43) presenta un potente apparato di fondazione costituito da tre assise di conci diatoni isodomi posti a gradoni su cui s’imposta un residuo filare dell’alzato di taglio31 (Tav. 31). La struttura è legata all’ortogonale muro Á’ (US 53) che delimita l’ambiente verso valle; le fondazioni di quest’ultimo si adattano al declivio del sito che sale verso sud utilizzando due assise di conci, l’inferiore di testa e il superiore di taglio (Tav. 7, c). Sembrerebbe essere pertinente a questa fase anche la parte residua dell’alzato, in blocchi ortostati, un filare che si prolunga a formare l’ala occidentale del portico (ı - US 100). Del lato meridionale (muro È - US 109) restano due filari dell’alzato in blocchi di taglio fondati su tre filari di conci diatoni, mentre fondata solo su un anomalo filare di conci di testa era la struttura orientale ‚ (US 44) che si addossava in elevato al terrapieno di fondazione del muro Â; del suo alzato restano due filari, anch’essi di taglio (Tav. 7, d). Il sacello aveva un ingresso decentrato a destra sul lato breve meridionale32 in asse con il punto focale del vano

28 Particolarmente significativi a questo proposito i materiali provenienti dallo strato US 34, connessi al rito di fondazione del muro · (infra, p. 73) e quelli restituiti dallo strato 64 che colmava l’intercapedine tra il muro  della platea e ‚ del sacello AA, strato sigillato da un livellamento di frammenti di tegole di I fase (US 63). 29 I due edifici sono separati da un ambitus variabile tra 0,55 e 0,65 mt. 30 Anche nel caso del sacello, come per la grande platea, l’estensione delle indagini non ha permesso di individuare i cavi di fondazione delle strutture di perimetro, che poggiano su strati geologici. Fa eccezione il muro È, di cui si è riconosciuto il taglio per il cavo (US 267) ricavato nello strato di ciottoli US 265. 31 De Lucia Brolli 1990a, p. 187, fig. 4/b, sezione C-C’. 32 Sui sacelli del tipo ad oikos con ingresso decentrato cfr. Colonna 1991-92, p. 88.

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delimitato da un altare interno parimenti orientato (20°), di un tipo assai semplice, a pianta quadrata e di piccole dimensioni (altare I) (Tavv. 12 e 15, a);33 la struttura dell’ara è costituita da un nucleo interno di spezzoni incoerenti di tufo e da due filari perimetrali di blocchi di differente qualità:34 mentre quello inferiore è realizzato in tufo giallastro a grana fine e porosa e rifinito sui lati sud ed ovest da una rozza cornice in pietra calcarea modanata,35 il superiore è formato da blocchi squadrati in “Piperno”. Sul fianco settentrionale rimane parte di una piattaforma36 composta da quattro lastroni di “Piperno” di modulo diverso inseriti in una tessitura regolare, che forse originariamente si addossava all’altare ed affiorava con la sola faccia superiore dal piano di calpestio del vano.37 A ridosso del muro perimetrale ‚ completava il nucleo delle strutture funzionali al culto una teca interrata rivestita di lastre sempre in peperino che ne foderano anche il fondo.38 Il piano dell’altare, inserito nella fase finale del santuario nella tessitura dei blocchi di sigillo US 66 (Tav. 58), è stato ripetutamente intaccato dalle arature che ne hanno danneggiato la superficie rendendo di fatto complesso il suo inquadramento funzionale, anche se la deposizione rituale, nelle immediate adiacenze, di una coppia di alari e di una pinza in ferro ne suggerisce l’uso quale altare da fuoco, destinato al sacrificio cruento (Tav. 13).39 Del livello originario di frequentazione del sacello rimane traccia solo nella parte meridionale, riutilizzato in 33 L’altare è alto mt 0,90 e misura in pianta mt 1,52 × 1,52. Riferibile al tipo A4 della classificazione Cassimatis, Etienne, Le Dinahet 1991, tav. I. Si riferisce probabilmente a questo altare la citazione in Menichelli 2009, p. 124, n. 15 (vedi anche tabella a p. 121), sebbene le misure riportate siano leggermente inferiori. L’altare è inserito nel tipo “square”. 34 La tecnica di realizzazione si ritrova anche nel più tardo altare II e risponde a criteri noti anche altrove (cfr. ad es. l’altare interno al sacello A del santuario di via Fiume a Gela: Romeo 1989, p. 22, scheda 29, tav. II, IV). 35 Anche a Gravisca l’altare 12 · è caratterizzato dalla presenza di cornici solo su tre lati, mentre al quarto si sovrapponeva il blocco di prothysis (Fiorini 2005, p. 121). 36 Mt 1,50 × 1,00; alt. dei lastroni mt 0,25. 37 Oltre ai blocchi rimasti in situ, è probabilmente da riferire alla piattaforma dell’altare I anche un altro blocco rinvenuto nei pressi rimosso dalla sede originaria, le cui dimensioni andrebbero a colmare la lacuna esistente tra la platea e l’altare. La presenza di piattaforme appena affioranti dal suolo, strutturalmente analoghe alla nostra, sono note anche in altre aree santuariali in immediata adiacenza all’altare, ed interpretate sia quale prothysis (cfr. nel più antico altare di Apollo a Cirene: Parisi Presicce 1991, p. 160 s., tav. L a), sia quali spazi destinati alla ı˘ÛÈ· (cfr. nell’oikos G di Gravisca la piattaforma 11 ‚ nei pressi del lato occidentale dell’altare; la funzione di prothysis era in questo caso assolta da due gradini conservati sul lato nord-occidentale: Fiorini 2005, p. 150, fig. 200). 38 Mt 0,77 × 0,53; profondità mt 0,55. La struttura trova confronto in una cista litica (bothros Â) databile nella prima metà del v sec. a.C. rinvenuta a Pyrgi, nel santuario di ±uris: Colonna 1991-92, p. 72, fig. 12. Su questi tipi di contenitori si vedano le osservazioni di G. Bagnasco, che ne sottolinea lo stretto rapporto con determinate strutture dell’area sacra alla quale si riferiscono (Bagnasco Gianni 2005a, p. 352). 39 Secondo la suddivisione funzionale degli altari in Steingräber 1982, p. 113. Altari per sacrifici cruenti dalla semplice struttura quadrangolare sono noti anche altrove in Etruria (cfr. Comella 2005b, p. 166, A).

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età posteriore nel vano B. In questo settore, a mt 1,50 ca. di distanza dal muro È di chiusura della fronte della cella, si è portata alla luce in posizione equidistante dai muri perimetrali lunghi, una base quadrangolare di colonna in tufo con imoscapo irregolare (mt 0,47/0,52) (Tav. 62), probabilmente con funzione di appoggio della copertura, che peraltro doveva essere costituita da uno spiovente unico con andamento est-ovest.40 Un saggio effettuato nel 2002, in corrispondenza della base e del muro Ì, al quale si addossa, ne ha confermato la giacitura in situ e la correlazione stratigrafica con il piano di calpestio nel quale è inglobata (Tav. 63). Del portico sopravvivono pochi lacerti: nel settore orientale è stato riportato alla luce un basamento di fondazione in lastre di “Piperno” (US 144)41 funzionale all’imposta di una colonna. E al colonnato si deve probabilmente riferire la base modanata US 142 dello stesso materiale rinvenuta nelle immediate adiacenze, in giacitura secondaria, le cui misure ben si adattano a questa. La base, di tipo tuscanico, si compone di un tamburo liscio di mt 1,05 di diametro sormontato da un collarino42 (Tav. 9, a). Nel settore occidentale del portico, in fondazione, non si sono invece rinvenuti elementi riconducibili alla presenza di un’altra colonna in posizione simmetrica; né vi sono indizi che suggeriscano un’attività di spoliazione in una fase successiva. Sulla base delle strutture superstiti si può quindi avanzare l’ipotesi di un vano a portico dotato di una sola colonna sul lato orientale, mentre sul lato occidentale l’alzato del muro ı doveva costituire una quinta che precludeva la vista e l’accesso di questo spazio dal fiume. Problematico appare il rapporto tra l’assetto del lato meridionale del portico e il muro Ë (US 122), una struttura in conci squadrati di tufo orientata est-ovest, non fondata, di cui restano tre filari ortostati dell’alzato; nel muro era praticata una apertura marcata da una soglia costituita da un lastrone di tufo. I rapporti stratigrafici, laddove conservati, indicherebbero un inquadramento di Ë in questa fase, anche se sembrano confliggere con la coerenza architettonica dell’insieme. La presenza di un muro su questo lato, infatti, anche se poco sviluppato in altezza, verrebbe ad ostacolare parzialmente la vista della colonna. Sulla fronte del portico, per il quale si può ipotizzare una copertura a falda unica da nord a sud, era un canale di scolo anch’esso in lastroni di “Piperno” (US 156), che convogliava le acque piovane di gronda verso il fiume, con un dislivello massimo di mt 0,25, sfruttando la pendenza naturale del terreno; il deflusso era facilitato anche dalla concavità centrale della struttura che, meno accentuata nella parte a monte, si approfondiva nel tratto verso il Treja. 40 Non si sono individuati altri elementi che facciano pensare ad una suddivisione interna dello spazio. 41 Mt 1,38 × 1,00 ca.; alt. 0,18. 42 La base trova affinità morfologiche con l’esemplare eponimo in tufo a Pompei, nella Casa della Colonna etrusca, di età arcaica (F. Mercattili, in ThesCRA IV, 2005, s.v. Columna, pp. 219-220).

Il portico si apriva a sud su uno spazio antistante – cd. area D –, all’aperto, in parte perimetrato dalle due strutture leggere non fondate Ú e ı’, composte da conci di tufo ortostati che, solo parzialmente indagate, risultano ortogonali fra loro, con un’ampia interruzione della sequenza forse corrispondente ad un accesso.43 Il muro ı’ costituisce il prolungamento del muro occidentale del portico; la presenza di un foro passante sul suo primo concio settentrionale, in coincidenza della cunetta per lo scolo delle acque verso il fiume, fa presupporre una contemporaneità d’uso delle due strutture. In questo spazio furono effettuati nello stesso periodo, in particolare nel settore compreso tra la fronte del portico e il vano E, interventi di sistemazione che non sono più compiutamente percepibili a causa delle trasformazioni di età ellenistica.44 L’area, del cui piano di calpestio in battuto di terra mista a detriti tufacei rimangono lembi (US 186), doveva avere comunque un assetto a salire verso sud che seguiva l’andamento del sito, come indicano le quote relative ai piani di frequentazione degli edifici, e doveva essere riservata alla celebrazione di sacrifici cerimoniali, dei quali rimane testimonianza in un piccolo altare da fuoco (altare III) eretto a mt 3,16 dalla fronte del portico. Composto di due blocchi giustapposti con la faccia superiore concava annerita dall’uso,45 l’altare conservava sotto il concio occidentale, all’interno di un incasso regolare, i resti del rito alimentare di consacrazione46 (Tavv. 75-76). In base ai dati stratigrafici è possibile riferire a questa fase anche la struttura  (US 169), formata da spezzoni irregolari di tufo inglobati nel calpestio dell’area, probabile delimitazione della zona di pertinenza dell’altare47 (Tav. 10, a). La particolare articolazione architettonica del sacello AA non trova confronti puntuali. Lo sviluppo rettangolare a vano unico di forma allungata preceduto da un portico – non sussistono dubbi sulla unitarietà dell’impianto –, la posizione disincentrata dell’ingresso, la presenza di un altare interno all’oikos, richiamano soluzioni adottate a Gravisca, e rimandano anche all’area sud di Pyrgi.48 Un ulteriore carattere di affinità con queste aree 43 Il muro Ú, orientato ovest-nord-ovest/est-sud-est, è attualmente costituito da un solo filare, mentre l’ortogonale ı’ da due filari superstiti. 44 UUSS 170-172. 45 Dal punto di vista morfologico l’altarino si può ricondurre al tipo A4 della classificazione Cassimatis, Etienne, Le Dinahet 1991, tav. I. Per l’utilizzo di fuoco, non necessariamente a fiamma viva, ma eventualmente sotto forma di braci: Stucchi 1989-90, p. 298. 46 La struttura misura mt 0,83 × 0,73 ed ha un’altezza di mt. 0,40 ca. Sulla faccia laterale di uno dei due blocchi è presente un listello aggettante. Per il rito, infra, p. 73. 47 Sulla presenza di dispositivi di delimitazione, di protezione e talora di occultamento dell’area dell’altare cfr. Ginouves, Guimier Sorbets 1991, p. 279. 48 A Gravisca l’ingresso decentrato caratterizza l’edificio delta, nella fase costruttiva dell’inizio del iv sec. a.C., allorché il passaggio dal portico S al vano V era assicurato da una apertura all’estremità settentrionale del muro 10 ‰ (Fiorini 2005, p. 110, fig. 127) e l’oikos beta, nel quale sia il vano G, costruito tra la fine del v e l’inizio del iv sec.a.C., sia il cortile H, annesso alla fine del iv sec. a.C., erano dotati di accessi disincentrati (p. 147 ss., figg. 193, 208). L’oikos beta accoglie al suo interno, oltre all’altare, anche un pozzo, schema che già da Mario Torelli è

le fasi del complesso monumentale santuariali è costituito inoltre dalla mancanza di un sistema decorativo della copertura del sacello:49 le uniche e rare terrecotte architettoniche rinvenute nell’area, infatti, sono di reimpiego. Peculiare, inoltre, è l’uso che viene fatto nel sacello – e più in generale nel santuario – del tufo litoide cd. “Piperno”, più volte richiamato: è utilizzato, infatti, non solo in fondazione, così come già evidenziato anche per l’edificio maggiore, e per alcune parti strutturali (basi di colonna e canale di scolo), ma appare riservato anche ad elementi “nobili” funzionali all’espletamento del culto (pedana, parte superiore dell’altare I, teca interrata).50 Il suo uso inoltre sembra legato ad una precisa fase cronologica circoscritta al v sec. a.C., non ritrovandosene più traccia nelle strutture di epoca posteriore.51 Fase IV (seconda metà-fine iv secolo a.C.) Nel corso del iv secolo a.C. intervengono nell’architettura del sacello AA profondi mutamenti che, sulla base dei rapporti stratigrafici, sembra possibile circoscrivere alla seconda metà del secolo (Tav. 5, fase IV). L’edificio, infatti, viene suddiviso in tre ambienti distinti: il sacello è ripartito in un vano di più ampie dimensioni (mt 12,70 × 7,65), (vano A), che continuerà ad assolvere le funzioni cultuali originarie, e in un ambiente più piccolo (mt 1,74 × 7,65) (vano B), separati parzialmente da un setto murario non fondato e non portante (Î).52 Il portico viene trasformato in un terzo ambiente (vano C): qui la rimozione della colonna comportò necessariamente una serie di attività delle quali restano labili tracce a causa degli sconvolgimenti operati dall’attività clandestina (US 138) (Tav. 64). Tra i pochi interventi strutturali superstiti si annoverano ciò che resta del taglio operato in fondazione (US 145), con lacerti del relativo reinterro (US 139), e stato messo in relazione con gli impianti cultuali sicelioti legati a culti demetriaci (Torelli 1977, p. 438; Fiorini 2005, p. 196). Per Pyrgi, si vedano le osservazioni relative al sacello Á in Colonna 1991-92, p. 88 ss. La presenza di un altare all’interno di un edificio cultuale, ancorché rara, è attestata peraltro, oltre che in Sicilia (Romeo 1989, p. 22, scheda n. 29, tav. VII, 4: Gela, santuario di via Fiume, sacello A), anche nella madrepatria (cfr. Launey 1944, pp. 172-173) e presuppone l’esistenza di sistemi di fuoriuscita del fumo (Stucchi 1974, p. 97 ss), non identificati nel caso del sacello AA di Narce. 49 La mancanza di un sistema decorativo caratterizza sia i sacelli di Gravisca, dove risulta addirittura “inconsueta” la presenza di terrecotte architettoniche nella stoà dell’Adonion (Fiorini 2005, p. 194), sia quelli dell’area sud di Pyrgi (Colonna 1991-92, p. 88; Colonna 1996a, p. 351). Privi di terrecotte architettoniche si presentavano anche alcuni dei sacelli ad oikos sicelioti legati a culti ctoni di tipo demetriaco: Romeo 1989, pp. 11-12, scheda n. 11 (Megara Hyblea, tempio B), p. 22, scheda n. 29 (Gela, via Fiume, sacello A), scheda n. 31 (Gela, sacello del Predio Sola), p. 22-23, scheda n. 32 (Gela, santuario di Bitalemi). 50 L’uso del “Piperno” si apprezza anche nella vera anulare del “pozzetto” US 1056, anche questa inquadrabile nel corso del v sec. a.C. e nel basamento dell’altare V. 51 Diciotto blocchi di Piperno sono stati rinvenuti inclusi nei due strati UUSS 66 e 94 di sigillo dell’area del sacello e ben quattordici presentavano riseghe e incassi (uno dei quali passante) o facce lavorate a scivolo. 52 La struttura Î è costituita da conci squadrati di moduli diversi e si appoggia, adattandosi, al preesistente muro ‚.

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la collocazione in posizione pressoché mediana della base tuscanica in “Piperno” rinvenuta nelle adiacenze del basamento US 144 (Tav. 9, a). È presumibilmente da riferire a questa fase la realizzazione nel vano C, al quale si accedeva tramite la soglia praticata nel muro Ë, di due strutture in negativo, che rinviano ad un culto ctonio. Si tratta di un bothros costruito in lastre di tufo poste di taglio che rivestivano esclusivamente i lati di perimetro (cd. “teca 2”) rinvenuto addossato al muro Á’, in posizione centrale rispetto al lato breve del vano.53 A sud gli si affiancava una struttura analoga, ma di dimensioni inferiori, aperta sul lato prospiciente il vano (cd. “teca 1”),54 difformità che suggeriscono una diversa funzione rispetto all’adiacente bothros cui, comunque, era sicuramente correlata (Tav. 64). In coincidenza con queste modifiche strutturali sono da porre anche gli interventi sui livelli di frequentazione del vano A, caratterizzati dalla parziale asportazione del pavimento originario del sacello, la cui quota è stata sostanzialmente rispettata invece nel vano B.55 Al contenimento del dislivello tra i due vani è probabilmente da ricollegare la posa in opera di una serie di tufelli irregolari denominati Î’ (US 118), posti sullo stesso asse del setto murario Î (US 93)56 (Tav. 10, b). Questa operazione, che riportava in luce gli spiccati di fondazione delle strutture,57 è collegata all’apertura di un nuovo accesso sul lato breve settentrionale che determinò un diverso orientamento del vano A verso nord-nord-est. Il precedente ingresso disincentrato a sud, in significativa assialità, continuò ad essere utilizzato quale passaggio dal vano B al vano C. Sempre a questa fase è riconducibile la realizzazione nell’angolo nord del vano A di una struttura semicircolare costituita da una sola assise di piccoli blocchi quadrangolari di tufo (‰) quale delimitazione di un bothros (Tav. 32). La riconsacrazione del vano quale luogo deputato al culto appare segnata dall’erezione di tre cippi

53 Mt 2,08 × 1,48, profondità mt 0,48 ca. La struttura era impostata sullo strato di livellamento del portico in diretta comunicazione col sottosuolo. Un ‚ÔıÚÔ˜ privo di fondo e rivestito di blocchetti di pietra è stato scavato nel santuario dell’acropoli di Volterra (Bonamici 2005, p. 4). 54 Mt 0,91 × 1,19; profondità mt 0,45. 55 Il piano di frequentazione originario (US 117 nel vano B) era costituito da un battuto di terra e scaglie di tufo frammisto a sporadici ciottoli fluviali. Più consistente risulta la presenza di ghiaia e ciottoli nel vano A, in quanto gli interventi di approfondimento ricordati hanno intercettato gli strati di fondazione, utilizzati come calpestio. La differenza di quote trova significative analogie con Gravisca nell’edificio beta, che accoglieva un culto demetriaco, dove nello stesso periodo, alla fine del iv sec. a.C., all’oikos G viene aggiunto il vestibolo H, il cui piano pavimentale risulta più alto di circa mt 0,50 rispetto all’altro vano (Fiorini 2005, p. 154 e nota 60). 56 L’utilizzo di materiali di risulta per la realizzazione di tramezzi rudimentali poggiati sul pavimento si ritrova anche altrove: cfr. a Gravisca il muro 62 Á eretto per suddividere gli ambienti L ed M (Fiorini 2005, p. 53). 57 Le fondazioni così riportate in luce furono in alcuni casi sfruttate come appoggio per l’elevato di nuove strutture; un esempio in tal senso è il setto murario Î, che copre il filare di fondazione del muro ‚, rispettandone i moduli.

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parallelepipedi allineati al muro Î58 (US 99) (Tav. 42); per l’alloggiamento del cippo orientale, si rese necessario intervenire sul rocchio di colonna US 108, ora inglobato nel vano B e probabilmente defunzionalizzato, scalpellandone la faccia settentrionale della base (cfr. Tav. 63). Continuano ad essere utilizzati l’altare I e le strutture connesse. Non sono individuabili a livello stratigrafico elementi di frequentazione riferibili con certezza a questa fase. La tripartizione dello spazio richiama soluzioni architettoniche intervenute in epoca più antica nei sacelli sicelioti legati a culti ctoni, quali il Tempietto 2 nel santuario delle divinità ctonie di Agrigento59 e il “Megaron” a sud del tempio C sull’acropoli di Selinunte.60 Limitati interventi di risistemazione interessarono anche le aree più meridionali del santuario, testimoniati dalla dismissione del canale in laterizio 188, che determinò profonde alterazioni degli strati di vita preesistenti, e, nell’area F, dal restauro del “pozzetto” US 1056 in tufo e, probabilmente, dal prolungamento del muro „ („’).61 Fase V (iii-ii sec. a.C.) Nel corso del iii secolo a.C. il santuario subisce ulteriori importanti trasformazioni, probabilmente in conseguenza degli eventi bellici che vedono coinvolto il territorio falisco (Tav. 6, fase V). Radicali interventi edilizi interessano più punti dell’area sacra, a cominciare dall’edificio tripartito, del quale viene smantellato il tetto; il vano A è trasformato in un recinto all’aperto (recinto A) il cui perimetro è delimitato dai preesistenti muri · e ‚ nonché dal setto Î ed dal suo prolungamento Î’.62 Il lato occidentale, invece, appare rettificato ed ampliato mediante la costruzione di un muro (Á) di cui resta un filare di conci ortostati, che utilizza parzialmente come fondazione il sottostante muro Á’. La nuova area, dismessa quale luogo deputato allo svolgimento di pratiche religiose, come testimonia l’obliterazione nella prima metà del iii sec. a.C. dei principali elementi del culto (teca interrata adiacente l’altare I, instrumenta),63 continua tuttavia ad essere frequentata come dimostrano alcune circoscritte deposizioni rituali formate da accumuli di materiale ceramico.64 È significativo che queste siano state individuate proprio in cor-

58 I tre cippi monolitici, in tufo verdastro, erano posti in assise verticale, adiacenti l’un l’altro. I cippi misurano rispettivamente mt 0,45 × 0,32, alt. mt 0,70; mt 0,34 × 0,30, alt. mt 0,89; mt. 0,48 × 0,48, alt. mt 0,60. Per gli aspetti cultuali, infra p. 69 s. 59 Romeo 1989, p. 23, scheda n. 34, tav. VII, 7. 60 Romeo 1989, p. 39, scheda n. 62, tav. XV, 1. Sulla tipologia degli oikoi a più ambienti, p. 46. 61 La dismissione del canale conferma, assieme al prolungamento della struttura muraria „ („’), che già dalla seconda metà del iv sec. a.C. l’edificio monumentale non era più in uso. 62 Sui recinti nell’architettura di carattere sacro in Etruria e sulla definizione come sacellum vedi Colonna 2006, pp. 143-146, in particolare su Narce p. 144, fig. VIII.23. 63 Cfr. infra. 64 La presenza di nuclei di materiali ancora databili entro il iv sec. a.C. fa ipotizzare una sopravvivenza di offerte relative alla frequentazione della fase IV (UUSS 38 e 39).

rispondenza degli angoli che i muri di perimetro del recinto venivano a formare con nuove strutture, anche leggere, messe in opera in seguito alle trasformazioni intervenute (accumuli US 71 nella parte nord-est e 101 in quella sud-ovest)65 (Tavv. 21, 45). Principalmente il recinto doveva assolvere a funzioni di ricovero di beni sacri, come testimoniano l’accatastamento di ex-voto chiaramente in giacitura secondaria US 58 (Tavv. 21, 3538) e i materiali sia interi, sia in frammenti sparsi,66 distribuiti su tutto il piano di frequentazione (UUSS 81, 77, 91), il cui termine cronologico ultimo è fissato al ii sec. a.C. (Tavv. 12, 46). L’analisi della stratigrafia evidenzia un’articolazione ancor più complessa nell’area in precedenza occupata dai vani B e C, spazi che nella prima metà del iii sec. a.C. risultano ancora frequentati a livello rituale, come testimoniano una serie di piccoli nuclei di materiali votivi deposti sul piano lungo i muri perimetrali e protetti da conci di tufo (UUSS 115 e 135) (Tavv. 65-66).67 Come già nel vano A,68 mediante complessi atti rituali vengono obliterati i bothroi del vano C (Tavv. 11, 67-71), mentre la loro area di pertinenza viene ridisegnata: nonostante i molteplici interventi di scavo clandestino che hanno interessato questo settore, è stato possibile individuare il rifacimento del livello di frequentazione69 posto ad una quota di circa 0,30 mt più alta rispetto al resto del vano; questo inglobava il setto angolare Ó, in blocchi di modulo non uniforme, che, dividendo a metà l’ambiente, veniva a creare nella parte occidentale una sorta di adyton (C’). Un saggio in fondazione del setto ha riportato in luce il rito US 257 caratterizzato dalla presenza di una olpetta a vernice nera intera associata ad un frammento di coperchio di impasto e ad ossa, che consentono di inquadrare questi interventi nella prima metà inoltrata del secolo70 (Tav. 73).

65 In particolare l’US 71 si addossa all’angolo formato dal muro · e da un breve setto di delimitazione (US 67), costituito da una serie di 5 conci irregolari fondati su terra (US 68) e su un accumulo di ciottoli fluviali (US 69); l’US 101 invece è stata rinvenuta nell’angolo formato dal setto Î’, laddove si appoggia alla struttura muraria nord-sud denominata ı. 66 Un esempio in questo senso è fornito dalla statua di offerente femminile A2 2. 67 Una analoga situazione si è riscontrata lungo il muro settentrionale ·, in corrispondenza di due blocchi sovrapposti (US 74), sistemati a ridosso del muro, i cui materiali si datano tra la fine del iv e la prima metà del iii sec. a.C. (UUSS 75 e 76). Blocchi isolati, talora sovrapposti, sono interpretati quali probabili altari anche a Gravisca (cfr. Fiorini 2005, pp. 42, 83, 135) e come basi di altari asportati a Pyrgi (Colonna 1991-92, p. 84, nota 34). Per l’eventuale funzione cultuale della struttura vedi infra. 68 Sulla contestualità di una serie di atti di obliterazione nei diversi vani si veda infra. 69 Il piano di calpestio è conservato per intero solo nel settore occidentale del vano mentre è andato quasi totalmente perduto in quello centro-orientale a causa dell’ampio scavo clandestino US 138. 70 Il rito di fondazione è stato individuato nel saggio 2 del 2002, che non rientra in questa edizione. L’olpetta a v.n., pur avvicinandosi genericamente al tipo Morel 5222 (Morel 1981, p. 342, tav. 157, in particolare il tipo 5222a 1), non trova puntuali confronti in Etruria e nell’agro falisco. Ringraziamo Laura Michetti per l’inquadramento del pezzo.

le fasi del complesso monumentale In un momento di poco successivo, intorno alla metà del secolo, questo settore viene a costituire il fulcro di una intensa attività edilizia che segna uno slittamento verso sud degli spazi deputati al culto. Tali mutamenti sono collegati alla costruzione di un nuovo altare (altare II), impiantato immediatamente a ridosso del muro Ë sopra il preesistente canale di gronda in tufo, e funzionale ad un nuovo culto nella adiacente area D. In coincidenza con la sua costruzione si procedette ad un esteso livellamento delle quote di calpestio di B e C, ora uniti in un unico spazio. Questo livellamento, realizzato con uno strato di frammenti di tegole compattate con terra, mista alla quale si è rinvenuto anche materiale archeologico (US 95), sembra risparmiare il settore C’ davanti ai bothroi, che presentava già ab origine una quota maggiore, mentre prosegue sulla soglia, obliterandola e raggiungendo la base del nuovo altare sul lato occidentale71 (cfr. Tav. 64). Connessi alla costruzione dell’altare sono una serie di altri interventi strutturali che interessano il vano C, quali la realizzazione del setto o che, impostandosi su parte della base della sottostante colonna,72 formava una sorta di gradinata, verosimilmente funzionale all’altare stesso. La struttura dell’altare II, ad U con emplecton, costituita da due ordini di blocchi, aveva la base in conci di “Piperno”, sulla quale restano tracce di una modanatura, in gran parte erasa,73 mentre l’ordine superiore era realizzato in tufo grigio più tenero74 (Tavv. 14, 15, b). Il paramento è presente solo su tre lati, mentre sul lato settentrionale l’altare si appoggiava al preesistente muro Ë. Addossati al lato meridionale sono stati rinvenuti tre piccoli conci di tufo verde, di dubbia funzione (prothysis?), separati da diaframmi terrosi (Tav. 74), che occultavano ex-voto particolarmente significativi sul piano del culto75 e materiali archeologici frammentari che insieme ad una litra campana e ad un’oncia della zecca di Roma datano la messa in opera di questi blocchi nella seconda metà del iii sec. a.C.76 L’altare veniva a trovarsi al centro dell’asse del precedente edificio, rispetto al quale risulta esattamente orientato (17°), ma sembrerebbe essere piuttosto il fulcro di una nuova area all’aperto dove era tributato un culto a Minerva Maia e Fortuna, cui erano dedicati due

71 Prima dei livellamenti UUSS 95 e 136, la soglia è stata rimaneggiata ed ampliata mediante la resezione di un concio del muro Ë. È probabile che ad una chiusura lignea della porta sia da riferire l’incasso praticato nel preesistente canale di gronda in tufo per l’alloggiamento di un montante e il rinvenimento di un ampio strato di materia lignea carbonizzata, mista alla quale erano, tra l’altro, chiodi ed elementi metallici pertinenti alla carpenteria. 72 Per l’alloggiamento in piano del concio centrale del setto o fu necessario creare un sottile incasso sull’imoscapo della base di colonna. 73 Le tracce meglio conservate si apprezzano sugli angoli sudovest e nord-est dell’altare. 74 De Lucia Brolli 1993, p. 540, tav. XCII a. L’altare misura in alt. mt 0,82/0,85; lungh. mt 1,76/1,80; largh. mt 1,15/1,18. 75 In particolare, un simpulum miniaturistico di piombo (N1). Per le implicazioni sul piano cultuale di questo ritrovamento cfr. infra. 76 Benedettini, Catalli, De Lucia Brolli 1999, p. 90, US 155.

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cippi-altari iscritti allineati poco distante77 (Tavv. 75, 7778). Realizzati in due blocchi monolitici di tufo di dimensioni leggermente diverse,78 questi si caratterizzano per la presenza di incassi deputati allo svolgimento di atti rituali di libagione. Quello a nord (cippo A), dedicato a Minerva Maia, ha una risega verticale ricavata nella parte superiore del lato rivolto verso il cippo B. Quest’ultimo presenta una cuppella circolare al centro della faccia superiore ed una risega orizzontale posta quasi alla base del lato ovest. Entrambe le dediche erano ricavate sui lati occidentali dei cippi. I due monoliti si confrontano con analoghi apprestamenti, dotati tuttavia solo di una cavità sul piano superiore che, individuati nell’area sud di Pyrgi, sono stati da Giovanni Colonna avvicinati ad altri blocchi simili dal santuario del Belvedere di Orvieto, e ricollegati al carattere genericamente ctonio-infero dei culti ivi praticati.79 Spigoli parzialmente smussati presenta anche un cippo-altare con dedica a Tinia da Bolsena, dotato però di un foro passante.80 Strettamente collegato al culto praticato nell’area è il deposito votivo US 166, caratterizzato da una spiccata connotazione curotrofica e rinvenuto a ridosso del muro perimetrale ı’.81 Il nucleo primario era costituito da una fila di statue probabilmente di fanciulli e di infanti, collocati in piedi e appoggiati alla struttura muraria82 un successivo accatastamento di ex-voto completava il deposito che era delimitato lateralmente da due blocchi (US 163 e 164) (Tavv. 17, 79-80). Nel complesso il deposito sembra potersi collocare entro la seconda metà del iii sec. a.C.83 L’esistenza di altri nuclei di offerte, sopravvissuti all’ampia manomissione clandestina dell’area, è testimoniata da alcuni ex-voto, terrecotte anatomiche e figurate (US 180), rinvenuti a ridosso del lato settentrionale di una struttura leggera di delimitazione (US 178) tra l’altare II e i cippi iscritti, in uno strato terroso largamente compromesso (Tavv. 18, 78). Continua a mantenere una forte valenza sacrale il piccolo altare III che viene a trovarsi in significativa assialità con il deposito, formando un ideale triangolo, il cui vertice orientale è dato dal centro dell’altare, mentre i restanti vertici vengono a coincidere con i due blocchi di delimitazione84 (Tav. 18). L’impor77 Cfr. nella Parte III il contributo di Laura Biondi. 78 Il cippo A, di forma parallelepipeda misura mt 0,46 × 0,35, alt. 0,61; il cippo B, troncopiramidale, misura 0,35/0,40 (basi) × 0,38, alt. 0,52. I due cippi erano distanti tra loro mt 0,61. Sui due cippi si veda il contributo di B. Belelli Marchesini nella Parte II, O1II, 1-2. 79 Colonna 1991-92, p. 74 e nota 22 (per i confronti orvietani) e p. 91. Il cippo dall’area sud di Pyrgi ha una cavità del diametro di cm 15 e della profondità di cm 5-6. 80 P. Tamburini, in Santuari d’Etruria 1985, p. 45, I.33. 81 De Lucia Brolli 1993, p. 541, fig. 25. 82 Data l’estrema superficialità, le statue sono state tagliate all’altezza del busto dagli interventi moderni. 83 Data la superficialità dello strato non possono essere considerati affidabili per la datazione del contesto i pochi frammenti a vernice nera, l’olletta P17 VIIIB, n. 64 e un triente di bronzo del 169-158 a.C. (Benedettini, Catalli, De Lucia Brolli 1999, p. 97, n. 206), che attestano comunque la prolungata frequentazione dell’area. 84 Il triangolo così formato misura mt 3,85 per lato, e mt 4,40 di base, corrispondenti a 14 × 16 piedi italici.

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tanza del culto è testimoniata dalla lunga frequentazione dell’area che si protrae ancora nel ii sec. a.C. All’inizio del iii secolo si può far risalire anche la risistemazione di un’ampia parte del settore meridionale del santuario; nell’area F, utilizzata quale luogo di culto all’aperto, viene impiantato un altare (altare IV), diversamente orientato rispetto agli altri altari (53°).85 (Tavv. 19, 83) Di questo rimane una piattaforma quadrangolare in lastroni di tufo grigio appena affiorante dal suolo, come testimonia la risega di fondazione irregolarmente sbozzata lungo il lato meridionale.86 La parte centrale è caratterizzata da un’interruzione nella sequenza dei blocchi che presentano anche una diversa tessitura; sul lato occidentale inoltre si innesta un blocco di tufo di modulo diverso e di maggior spessore in cui è stato praticato un foro pervio sub circolare.87 Anche sul lastrone contrapposto rimane traccia di un analogo apprestamento, manomesso dai lavori agricoli. Sul fondo della cavità tra i due conci è infisso nel riempimento un tufello irregolare, situazione che trova un suggestivo confronto con quella della fondazione dell’altare tardo-arcaico ‰ a Pyrgi.88 Rispetto a questa, la presenza della scapola in tufo, ponendosi significativamente al centro della cavità ed in asse con i due fori, sembra piuttosto sottolineare il punto focale della struttura in rapporto ad aspetti cultuali di carattere ctonio.89 Difficile dire, a causa della sua estrema superficialità, se l’altare avesse un elevato, del quale peraltro non rimangono tracce d’imposta sui blocchi.90 A ridosso della struttura si è rinvenuto in giacitura primaria un deposito votivo (US 1037), fortemente connotato in senso rurale, che sembra concentrarsi nella prima metà del iii sec. a.C.91 (Tavv. 85-87). Contestualmente anche l’adiacente area G viene utilizzata per fini cultuali. Fulcro della frequentazione è l’altare V (12°), del quale resta solo il cuscino modanato con foro pervio centrale (US 1134) posto al centro di una platea realizzata in lastre di Piperno impostata su robuste 85 Allo stato attuale della ricerca la rotazione della struttura dell’altare IV rispetto all’asse sul quale si allineano tutti gli altri elementi del santuario (platea monumentale, sacello, altari) non trova giustificazione apparente. Tale anomalia potrebbe forse essere legata al ricordo di una frequentazione cultuale di epoca precedente, peraltro attestata dall’adiacente “pozzetto” US 1056. Indizi di strutture con orientamenti diversi sembrano emergere anche dall’indagine geofisica condotta da Salvatore Piro, già ricordata. 86 Della struttura, che misura mt 3,30 × 3,10 e mt 0,20/02,25 e mt 0,50 di spessore, non è stato esplorato l’angolo occidentale; data la superficialità, l’altare è stato ripetutamente intaccato dai mezzi agricoli a cui si devono anche le lacune esistenti. 87 Mt 0,18/0,25 × 0,20; profondità mt 0,50. Il foro è stato scavato sul margine orientale del concio con forma semilunata e chiuso artificialmente mediante un conglomerato di tufelli misti a terra pressata. 88 Colonna 1991-92, p. 72, fig. 11. 89 L’altare è riferibile alla terza categoria funzionale di Steingräber 1982, p. 114 s. 90 Altari privi di elevato in forma di semplici lastricati, riferibili al tipo A2 della classificazione Cassimatis, Etienne, Le Dinahet 1991, tav. I, sono comunque noti in Etruria: cfr. a Gravisca l’altare inserito nell’edificio Á (Torelli 1977, p. 423) e a Tarquinia l’altare 27 del santuario dell’Ara della Regina (Geroli 2009). L’altare può essere inserito nella categoria degli altari per libagioni (Comella 2005b, pp. 166167, B). 91 Cfr. infra.

fondazioni a secco, ascrivibili alla II fase del santuario92 (cfr. Tav. 88). Una frequentazione all’esterno del recinto A è stata individuata nel settore settentrionale, nell’area esterna nord immediatamente a ridosso del muro ·,93 la cui continuità di vita è attestata almeno fino alla fine del ii sec. a.C. (Tav. 89), e, forse, nell’area W a ridosso del muro ı; entrambe le zone sono state solo parzialmente indagate.94 Fase VI (fine ii-inizi i secolo a.C.) Le ultime fasi di vita del complesso santuariale sono probabilmente da porre in rapporto con la profonda crisi politico-sociale che si determinò nell’Italia centrale tra la fine del ii e gli inizi del i secolo a.C. Benché esistano evidenze stratigrafiche di incendi che hanno interessato in questa fase in particolare l’area esterna nord, l’abbandono del santuario non fu repentino, ma seguì modalità che prevedevano un’intenzionale obliterazione delle strutture e dei materiali in esso contenuti.95 Infatti l’intera struttura coincidente con l’originario sacello AA fu sigillata da più strati di blocchi di reimpiego (USS 66 e 94), alcuni dei quali con riseghe o incassi, conseguenti ad un sistematico intervento di smantellamento di strutture murarie. Tale operazione interessò non solo il recinto A, ma anche l’area corrispondente ai vani B e C (Tav. 6, fase VI). Si sono individuati due distinti livelli di obliterazione: il primo (US 94) interessa esclusivamente la parte del recinto A a sud dell’altare I e il vano B (Tavv. 20 e 59) ed è rappresentato da una serie di blocchi frammisti in maniera discontinua ad un’altissima percentuale di tegole e coppi, che sono stati qui volontariamente accatastati (Tav. 23, a). Il secondo livello di sigillo (US 66) si imposta nella parte rimasta libera del recinto A, copre lo strato 94 ed oblitera il vano C (Tav. 22). Questa ulteriore protezione, costituita pressoché esclusivamente da blocchi, ha un andamento digradante verso il lato occidentale dell’edificio: in corrispondenza del muro ‚ (US 44), che rappresenta la quota più alta conservata, è composta da almeno tre livelli mentre viene ad essere costituita da un unico livello a ridosso dei muri Á/Á’, dove i conci so92 La frequentazione di età ellenistica è attestata da un ricco deposito votivo, purtroppo ampiamente manomesso dall’attività clandestina che, scavato nel 2000, non è oggetto di questa pubblicazione. Nella sua struttura attuale l’altare si avvicina al tipo F3a della classificazione Cassimatis, Etienne, Le Dinahet 1991, tav. I. 93 De Lucia Brolli 1990a, pp. 189-194. 94 In quest’ultimo settore si sono rinvenuti due nuclei di ex-voto, il primo (US 149) caratterizzato dalla presenza di statue di bambini accovacciati, l’altro (US 148) da una elevata concentrazione di maschere. In entrambi i casi, la superficialità degli strati e la parzialità dell’esplorazione non forniscono dati certi. In particolare, le condizioni di giacitura delle statue di bambini accovacciati, rinvenute capovolte a ridosso del muro ı, fanno pensare che si tratti di un lembo, rovesciato dai mezzi agricoli, del contiguo deposito votivo US 166, rinvenuto in situ addossato alla faccia opposta del muro. 95 La dismissione volontaria e organizzata del complesso santuariale trova confronto in analoghe situazioni documentate a San Nicola di Albanella (Cipriani 1989, p. 27) e probabilmente anche a Pontecagnano (Mancusi 2005, p. 588).

le fasi del complesso monumentale no disposti con maggiore regolarità (Tav. 23, b). In particolare nell’angolo sud-occidentale del recinto, i blocchi erano posti in piano con una tessitura ordinata. Si registra una lacuna nella articolazione del sigillo verso il bothros ‰ in corrispondenza dell’accatastamento US 58, che sembra essere stato invece interrato (Tav. 22). I conci, infatti, seguono qui l’andamento a profilo leggermente semicircolare del deposito quasi a contenerlo e delimitarlo. Analoga situazione si è riscontrata nel settore C, dove sembra risparmiata dall’US 66 la zona di pertinenza dei bothroi (C’) (Tav. 64).96 Nella terra di coesione che compattava entrambi gli strati erano numerosi frammenti di materiale votivo.97 Queste accurate modalità di obliterazione non si riscontrano nell’adiacente area D, che in base alle evidenze stratigrafiche non sembra frequentata oltre il ii sec. a.C. Gli sporadici frammenti di sigillata italica rinvenuti in strati sconvolti dall’attività clandestina non sono in contrasto con il quadro delineato mentre si allineano alla sporadica frequentazione della zona in età romana, atte-

57

stata sul lato est e nella sella a sud dell’insediamento di Monte Li Santi.98 Fase VII ( post fine ii-inizi i secolo a.C.) Allo smantellamento ed abbandono volontario del santuario fa seguito una fase di distruzione, conseguente all’incuria del tempo, che si evidenzia in estensione su tutta l’area sacra, fatta eccezione dei settori protetti dai blocchi di sigillo. Gli strati afferenti a questa fase99 sono caratterizzati da una fitta concentrazione di frammenti di laterizi e di materiali archeologici, per lo più votivi, minutamente frantumati, dilavati e compattati. In seguito la zona non appare più frequentata. Fase VIII (Età moderna) Sono riconoscibili attività antropiche quali gli interventi agricoli estensivi che hanno intercettato gli strati e le strutture più superficiali. A questi si aggiungono i numerosi ed estesi scavi clandestini che hanno devastato l’area.

TABELLA DELLE UUSS INSERITE NELLE FASI DEL SANTUARIO Fase I (vi-prima metà v secolo a.C.) Fase I

Preesistenze

92

muro Ï

110

muro Ì

111

allettamento muro Ì

1291

muro ÁÁ’

Fase II (secondo quarto-metà v secolo a.C.) Fase II

Costruzione platea monumentale

17

cavo di fondazione del muro ˙

16

scaglie di tufo e ghiaia a riempimento delle fondazioni del muro ˙

15

ghiaia a riempimento delle fondazioni del muro ˙

I/93/17=1031= 197

blocchi informi nelle fondazioni

198

terra di connessione dei blocchi informi nelle fondazioni del muro Â

I/93/16

riempimento delle fondazioni tra i muri ˙ e ˙’

1032

terra e scaglie di tufo in fondazione nella parte meridionale della platea

96 Purtroppo il vano C è stato ampiamente sconvolto dallo scavo clandestino 138 e pertanto non disponiamo di dati certi sulla effettiva presenza e consistenza del sigillo in questo settore. 97 Analoga sistemazione di sigillo si riscontra nel santuario di S. Nicola di Albanella (Cipriani, Ardovino 1989-90, p. 341).

Secondo quarto v sec. a.C.

98 Dove il Potter segnala ritrovamenti di superficie rispettivamente di ceramica grezza e di sigillata e red slip wares della fine del iii-inizi del iv sec. d.C. (Potter 1976, p. 13). Cfr. anche De Lucia, Baglione 1997, p. 78. 99 UUSS 220, 221, 204=161, 1005, 196A, I/93/12, I/93/9, 1003.

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1011

terra e scaglie di tufo a riempimento delle fondazioni nella parte meridionale della platea

1010?

terra con materiale arcaico a riempimento delle fondazioni nella parte meridionale della platea

1006

vespaio di tufo compattato con terra a riempimento delle fondazioni nella parte meridionale della platea

1007

terra compatta con scaglie di tufo a riempimento delle fondazioni nella parte meridionale della platea

10=I/93/3

muro ˙

I/93/15

muro ÂÂ

45-244

muro ÂÂ’

1030 – 1034

fondazioni muro ¯

1009

alzato muro ¯

I/93/4

muro ˙’

I/93/8

muro ˆ

I/93/10

muro ˆˆ

I/93/20

rimaneggiamento sui muri ÂÂ e ˙’

I/93/23

interventi strutturali per l’imposta dell’alzato sul muro ˙’

I/93/22

spiccato dell’alzato sul muro ˙’

I/93/11

incasso sul muro ˆˆ

I/93/21

resega per l’imposta di tegole di delimitazione del battuto di frequentazione

I/93/13

battuto di frequentazione tra i muri ˙ e ˙’

1004

rito di consacrazione delle fondazioni nella parte meridionale della platea

1045=1033

battuto di frequentazione davanti alla parte meridionale della platea

Fase II?

Frequentazione platea monumentale

1027

strato di frequentazione sul battuto 1045/1033

Fase II

Vano E

227

spezzoni di tufo a riempimento del cavo di fondazione all’interno del vano

226

battuto di terra e tufo pressato all’interno del vano

218

strato di terreno sabbioso all’interno del vano

224

piano in spezzoni di tufo all’interno del vano

204 A

strato con materia carbonizzata addossato al muro ˜ all’interno del vano

Coperto dallo strato di abbandono e scavato solo in minima parte. Pertinenza alla fase dubbia.

le fasi del complesso monumentale

59

187

muro ˜

196

taglio nel muro ˜ per l’alloggio del canale 188

217

muro Ù

250

muro Ê

254

piccolo blocco di piperno tra il muro Ê e il muro Â’

255

strato di riempimento tra il muro Â’e l’US 254

212

battuto di frequentazione del vano E

215

camera di combustione di una fornacetta

214

strato di riempimento relativo alla costruzione della camera di combustione della fornacetta

209

battuto di terra e tufo di sostruzione al pilastrino della fornacetta

211

strato di spezzoni di tufo di sostruzione al pilastrino della fornacetta

208

pilastrino centrale della fornacetta

216

sottile strato di terra relativo alla frequentazione del vano E

Fase II

Impianto del canale 188, in fase con la costruzione del vano E

252

reseghe operate sugli ultimi quattro conci del muro Â’

248

incasso semilunato sul muro Â’

249

strato di riempimento dell’incasso semilunato sul muro Â’

245

conglomerato tufaceo sul muro Â’

253

rimaneggiamento sul muro Â’ per l’imposta del canale

247

strato di riempimento di una rientranza tra i blocchi del muro Â’

246

battuto di tufo sbriciolato sotto l’US 205

205 A

rito di riconsacrazione del muro Â’ nella fase di rimaneggiamento per l’imposta del canale

191

strato di terreno utilizzato come piano del canale nell’area D

1015

terra e frammenti di coppi

188

canale in laterizio

189

tufelli di contenimento del canale.

205

cordolo di frammenti di tegole di raccordo tra il muro Â’ e il canale

Strato inquinato

Fase II

Realizzazione delle aree F e G

Secondo quarto v sec. a.C.

1068

rena di fiume con pezzame informe nelle fondazioni dell’area F

1067

terra sabbiosa nelle fondazioni dell’area F

1066

strato di sabbia nelle fondazioni dell’area F

1065

piano di tegole con tracce di calce nell’area F

1064

livellamento dell’area F delimitata dai muri Ê, ˘ e ‚‚

1025

strato di sabbia e ciottoli fluviali nelle fondazioni dell’area F

Probabilmente riferibile al discendente del canale

60

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1022

strato di terreno sabbioso nelle fondazioni del muro ˘ e nell’area F

1021

strato di sabbia nelle fondazioni del muro ˘ e nell’area F

1012

muro ˘

1062=1050

battuto di frequentazione dell’area F, delimitata da muri Ê, ˘ e ‚‚

1056

cd. “pozzetto” nell’area F

Fase II

Risistemazione delle aree F e G

1018=1020

strato di fondazione dei muri ˘’ e Ê

1012 A

muro ˘’

1017

muro „

1077

muro ‚‚

1086

muro ÁÁ

Intorno alla metà v sec. a.C.

Fase III (metà-fine v secolo a.C.) Fase III

Costruzione del sacello AA

21

cavo di fondazione del muro ·

34

riempimento di spezzoni in fondazione del muro ·

20

blocco di delimitazione all’esterno del muro ·

30

strato di terreno sabbioso nelle fondazione del muro ·

33

strato di ciottoli nelle fondazione del muro ·

32

lente di bruciato nelle fondazione del muro ·

31

strato di scaglie di tufo e tegole nelle fondazione del muro ·

29

strato di sabbia nelle fondazione del muro ·

8=65

piano di posa nell’intercapedine tra il muro ‚ e il muro Â

7=64

riempimento nell’intercapedine tra il muro ‚ e il muro Â

6=63

livellamento di tegole nell’intercapedine tra il muro ‚ e il muro Â

112

strato di livellamento nella cella e fondazione del muro È

108

rocchio di colonna in posizione centrale lungo il muro È

126

strato di livellamento nel portico?

132

strato di livellamento nel portico

134

piano sterile nel portico

19=43

muro ·

44

muro ‚

133

vespaio di posa del muro Á’

53

muro Á’

113

riempimento delle fondazioni del muro È

109

muro È

Terzo quarto v sec. a.C.

Strato inquinato con due intrusioni

= 132? Dell’US 126, è stata individuata nella “teca” 1 solo l’interfaccia

le fasi del complesso monumentale

61

144

platea di fondazione della colonna orientale del portico

156

canale di scolo in lastre di tufo antistante il portico

116-117

piano di frequentazione con acciottolato

79

altare I

80

platea dell’altare I

89

cd. “pozzetto”

100

muro ı

Il limite meridionale (ı’) ha subito un rimaneggiamento nell’area D in un momento attualmente non precisabile

139 A

fondazione del muro Ë

Dubitativamente pertinente alla fase

122

muro Ë

Dubitativamente pertinente alla fase

Fase III

Impianto dell’area D

Seconda metà v sec. a.C.

173

strato di argilla naturale

171

strato di livellamento con ciottoli e ghiaia

172

strato di tufelli a livellamento del muro 

170=194

strato di livellamento dell’area e fondazione del muro 

169

muro 

186

battuto di terra con detriti tufacei in fase con il muro  e con l’altare III nella parte sud dell’area

168

livello di frequentazione dell’area

195

rito di consacrazione dell’altare III

175

altare III

193

strato di livellamento del muro ı

160

foro sul muro ı

Dubitativamente pertinente alla fase

Fase III

Interventi nell’area D, settore meridionale

Seconda metà v sec. a.C.

235

strato di sabbia a livellamento del settore

234

strato di terreno sabbioso con materiale archeologico a livellamento del settore

192

muro Ú

222

battuto di terra e detriti tufacei di livellamento nel settore

229

massicciata in scapole di tufo appoggiata al muro Ú

231

strato con tegola piana frammentaria e frammenti di tegole

184=230

strato di terra nero/bruna tra il muro ı, il muro Ú e l’area a sud del muro Ú

233

depressione individuata nell’US 222

232

strato di riempimento della depressione 233

strato inquinato da scavo clandestino

62

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Fase III

Dismissione vano E

251

strato di terra sui muri Ù e Ê

207

tegola posta a sigillo della fornacetta

210

strato con tegole e terra a sigillo della fornacetta

225

fossetta rituale limitrofa alla fornacetta

213

riempimento della fossetta 225

Fine v sec. a.C.?

Fase IV (seconda metà-fine iv secolo a.C.) Fase IV

Trasformazione del sacello AA nei vani A, B, C

II metà iv sec. a.C.

143

allettamento della base di colonna 142

Vano C

40=61

piano di frequentazione del vano A

Vano A

93

muro Î

Vani A/B

60

strato di sabbia sul piano US 61

118

muro Î’

Vano A/B

47

muro ‰

Vano A

51

piano del bothros delimitato dal muro ‰

Vano A

99

cippi

Vano A

259

strato di ciottoli in fondazione

Vano C

139

strato di riempimento del cavo 145

Vano C

145

taglio operato nella parte mediana del vano C

Vano C

142

base della colonna orientale del portico

Vano C

123

“teca” 1

Vano C. Dubitativamente pertinente alla fase

127

“teca” 2

Vano C. Dubitativamente pertinente alla fase

Fase IV

Obliterazione del canale 188 nell’area D

II metà iv sec. a.C.

190

Strato di riempimento del canale

Fase IV

Interventi di risistemazione dell’area F

1016

resega sull’alzato del muro ¯

1046

cavo di fondazione del muro „’

Area F

1017 A

muro „’

Area F/G

1051

intervento di allineamento durante la posa in opera del muro „’

Area F

1047

riempimento del cavo di fondazione del muro „’

Area F

1044

terra di sedimentazione sotto lo strato 1042

Area F

1082

strato di sedimentazione tra i muri ˘ e „

Area F

1081

strato di livellamento tra i muri ˘ e „

Area F

II metà iv sec. a.C.

le fasi del complesso monumentale

63

1042=1074

strato di livellamento tra i muri ˘ e „

Area F

1058

lente argillosa tra i muri ˘ e „

Area F

1019

strato di livellamento

Area F

1060

restauro del cd. “pozzetto” 1056

Area F

1078

rito di consacrazione delle strutture murarie ˘ e ‚‚

Area F

Fase IV

Interventi nel bothros delimitato dal muro ‰

Fine iv-inizi iii sec. a.C.

50

strato di riempimento profondo del bothros delimitato dal muro ‰

Vano A

49

strato sterile posto a sigillo nel bothros delimitato dal muro ‰

Vano A

Fase V (iii-ii sec. a.C.) Fase V A

Riti di obliterazione delle strutture sacre

Prima metà iii sec. a.C.

90

riempimento del cd. “pozzetto”

Recinto A

87

sigillo del cd. “pozzetto”

Recinto A

88

materiale archeologico rinvenuto in connessione con il sigillo del cd. Recinto A “pozzetto”

97

tegole a sigillo dei cippi del muro Î

Recinto A

98

sigillo dei cippi 99

Recinto A

106

vassoio del forno 103

Recinto A

105

tegole poste a sigillo del forno 103

Recinto A

103

forno fittile portatile

Recinto A

104

strato di riempimento del forno 103

Recinto A

124

strato di sigillo della “teca” 1

Vano C

125

strato di riempimento delle “teca” 1

Vano C

128

strato di sigillo della “teca” 2

Vano C

129

cordolo di frammenti di tegole nella “teca” 2

Vano C

130

strato di bruciato nella “teca” 2

Vano C

131

lente di cenere nella “teca” 2

Vano C

Fase V A

Trasformazione del vano A in recinto A

Prima metà iii sec. a.C.

54

strato di livellamento tra i muri Á’ e Á

46

muro Á

72

strato di bruciato sotto l’US 69

69

accumulo di ciottoli fluviali sotto il setto 67

70

strato di supporto al setto 67

68

terra di sostegno al setto 67

67

setto di divisione in corrispondenza dell’accesso

64

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Fase V A

Frequentazione rituale del recinto A

Prima metà iii sec. a.C.

48

riempimento superficiale del bothros delimitato dal muro ‰

74

due blocchi addossati al muro ·

71

deposizione votiva ad est dei due blocchi US 74

75

deposizione votiva ad ovest dei due blocchi US 74

76

ex-voto dietro i blocchi US 74

102

strato di allettamento con ciottoli fluviali di 101

101

deposizione rituale di coppette e altro materiale ceramico nell’angolo tra i muri Î’ e ı

Fase V A

Creazione dell’adyton C’

259

strato di ciottoli

140

piano di frequentazione del settore delle “teche”

120-121

muro Ó

258

rito di fondazione del muro Ó

257

rito di riconsacrazione del settore C’

Fase V A

Frequentazione vani B e C

Prima metà iii sec. a.C.

115

deposizioni votive

Vano B

135

deposizioni votive

Vano C

Fase V A

Interventi per la costruzione dell’altare IV nell’area F

Inizi iii sec. a.C.

1039

livellamento

1059

riempimento del cd. “pozzetto” US 1056

1041

rimaneggiamento del muro „ per la costruzione dell’altare IV

1036-1038-1043

altare IV

1054

bozzame di tufo addossato all’altare IV

1052

muro ··

Fase V A

Frequentazione dell’area F

1072

Blocco posto nell’angolo formato dal muro 1017 („) con il muro ortogonale 1086 (ÁÁ)

1073 = 1076

livello di posa del deposito votivo US 1037

1055

allettamento dell’US 1037

1037

deposito votivo dell’altare IV

1071

strato di tufelli a protezione del deposito US 1037

Fase V A

Frequentazione area esterna W

86

strato con materiale archeologico sotto US 85

85

strato di tufelli individuati sotto l’US 149

Prima metà iii sec. a.C.

Prima metà iii sec. a.C.

Prima metà iii sec. a.C.

le fasi del complesso monumentale

65

Fase V B

Interventi per la costruzione dell’altare II

Intorno alla metà del iii sec. a.C.

141?

obliterazione della base di colonna (muretto Ô)

Vano C

95

strato di frammenti di tegole con materiali votivi sul piano

Vani B e C

137

materia carbonizzata sotto le UUSS 136=160 A

Area D

136=160 A

strato di obliterazione della soglia del muro Ë

Area D

183

strato tardo-arcaico rimaneggiato in età ellenistica

Area D

185

strato tardo-arcaico rimaneggiato in età ellenistica

Area D

179

livellamento dell’US 178

Area D

178

setto murario di delimitazione

Area D

159

foro sul canale di scolo US 156

Area D

122 A

rimaneggiamento per allargare la soglia del muro Ë

Area D

153

altare II

Area D

177

cippi-altarini con teonimi iscritti

Area D

Fase V B

Interventi tra il vano C e l’area D

Seconda metà iii sec. a.C.

155

strato dietro i blocchi 154

154

tre blocchi addossati all’altare II

Fase V B

Frequentazione area D

166

deposito votivo addossato al muro ı

165

allettamento dell’US 164

163=164

delimitazione in blocchi del deposito US 166

181

base modanata

155

strato dietro i blocchi US 154

154

tre blocchi addossati all’altare II

Fase V

Frequentazione finale recinto A

37=55

tegole tra il bothros delimitato dal muro ‰ e il deposito US 58

38

deposizione secondaria di materiale votivo protetto da tegole

39

deposizione votiva correlata a 38

56

sigillo con accatastamento di tegole di mano votiva

57

mano votiva sotto l’US 56

58

deposito secondario di materiali votivi

59

nucleo di ex-voto nell’ambito dell’US 58

77=81=91

strato di terra con materiali votivi sparsi sul piano

107

deposizione di materiali votivi intorno al forno US 103

96

bruciato nel recinto A sotto 95 A

95 A

deposizioni rituali nel recinto A

Seconda metà iii sec. a.C.

Entro la fine ii sec. a.C.

66

maria gilda benedettini · maria anna de lucia brolli

Fase V

Frequentazione finale e abbandono area D

162

strato di bruciato nell’angolo nord dell’area

166A

strato di abbandono con materiale votivo

180A

nucleo di ex-voto a ridosso del setto murario 178, intercettato dallo scavo clandestino 176

180B

nucleo di ex-voto a ridosso del setto murario 178, intercettato dallo scavo clandestino 200

161A=182

strato di livellamento o abbandono dell’area

Fase V

Frequentazione e abbandono area esterna nord

24

battuto di frequentazione dell’area

22=II/93/2

deposizioni rituali

23

offerta sacrificale di cranio bovino

27

strato di tegole con materiali nell’angolo del saggio

26

strato di frammenti di tegole “arcaiche” nell’angolo Est

Fase V

Materiale votivo rinvenuto sconvolto all’esterno del muro ı

149

strato con materiali votivi comprendenti bambini accovacciati

148

strato con materiali votivi caratterizzato da un’alta concentrazione di maschere

Entro fine ii sec. a.C.

Fine iv-ii sec. a.C.

iii-ii sec. a.C.

Fase VI (fine ii-inizi i secolo a.C.) Fase VI

Sigillo finale

3=35=66

sigillo superiore con blocchi sul recinto A e sui vani B e C

94

sigillo di tegole accatastate e blocchi sul recinto A e sul vano B

Fine ii-inizi i sec. a.C.

Fase VII ( post fine ii-inizi i secolo a.C.) UUSS

Strati di abbandono e distruzione

Post fine ii/inizi i sec. a.C.

73

Recinto A

158

Area D, settore settentrionale

199

Area D, settore settentrionale

221

Area D, settore meridionale

220

Area D, settore meridionale

204=161

Vano E, area D, settore meridionale

1005

Vano E, area F, area G

1014

Area F

196 A

Area D

I/93/12

Area esterna nord, tempio

I/93/9

Tempio, pars postica

1003

Tempio, pars antica

le fasi del complesso monumentale

67

US

Interventi moderni

1=9=18=41=151=201=1001= I/93/1

Humus

2=5=42=62=152=202=1002=I/93/2=II/93/1

Arature

82

Clandestino recinto A

83

Clandestino recinto A

84

Clandestino recinto A, bothros ‰; area esterna nord

138

Clandestino vano C

146

Clandestino vano C

147

Clandestino vano C

167

Sedimentazione

240

Clandestino vano C

176

Clandestino area D

200

Clandestino area D

203

Clandestino area D

239

Clandestino area D

242

Clandestino area esterna W

243

Clandestino area esterna W

236

Clandestino area D, settore meridionale

238

Clandestino area D, settore meridionale

241

Clandestino area D, settore meridionale

256

Clandestino vano E

1028

Clandestino area F

1070

Clandestino area F

1070A

Clandestino area F

1035

Clandestino aree F, G

1029

Clandestino area G

1040

Riempimento superficiale foro altare IV

Strati non inseribili nella sequenza delle fasi del santuario 14

strato di terra misto a tufo sbriciolato, all’esterno del lato nord della platea monumentale

13

strato di terra mista a scaglie di tufo e frammenti di tegole all’esterno del lato nord della platea monumentale

12=I/93/7 strato di crollo di tegole lungo il muro ˙ all’esterno del lato nord della platea monumentale I/93/5

battuto individuato nell’intercapedine settentrionale della platea monumentale. Evidenziata solo l’interfaccia

I/93/14

strato presumibilmente di abbandono, solo parzialmente scavato

1008

lente nera nell’angolo S nel settore II/92 - area G

1013 = 1153 strato di livellamento di tegole nell’area G 1053

crollo di tegole nell’area F, distrutto poi dai clandestini

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IL CULTO E GLI A S PETTI DEL R ITUA L E Mar ia Anna De L uc i a B ro l l i Lo spazio sacrificale e gli instrumenta del culto

S

i è già messo in evidenza come il complesso santuariale fosse articolato in una serie di edifici e di luoghi di culto all’aperto incentrati intorno ad altari, e come, nel corso di oltre quattro secoli di vita, esso abbia subito modifiche strutturali non solo determinate da motivazioni cultuali, ma anche dalla profonda crisi economicosociale che deve avere investito il territorio di Narce a causa della progressiva avanzata romana. La stratificazione complessiva degli eventi e delle modalità di frequentazione, che si coglie sia pure su ampia scala, pone il santuario di Monte Li Santi-Le Rote in una luce particolare per quanto riguarda gli aspetti legati ad interpretazioni di carattere cultuale; infatti a Narce è possibile andare oltre il livello base di lettura, quale in genere viene offerto dalla pura evidenza materiale rappresentata dalla deposizione di ex-voto di varia tipologia, grazie ad una particolare circostanza: la dismissione sistematica ed ordinata delle strutture e delle suppellettili destinate alla celebrazione del culto. Il sigillo di blocchi100 posto a protezione dell’intera struttura dell’originario sacello AA al momento dell’abbandono del santuario ha inoltre consentito di rinvenire praticamente intatta una situazione che, data la superficialità dei resti, si configurava ad altissimo rischio di manomissione. Proprio il sacello AA si pone quale fulcro del sistema cultuale nelle sue varie fasi, dalla costruzione nel terzo quarto del v sec. a.C. (fase III), alla trasformazione dapprima nei Vani A, B e C (fase IV), e successivamente, nel Recinto A (fase V) (cfr. Tavv. 5-6). Fin dall’inizio lo spazio sacrificale101 è contraddistinto dalla presenza dell’altare I e dei suoi annessi, – rara all’interno di un ambiente coperto –,102 che significativamente sopravvive anche dopo le modifiche architettoniche e cultuali intervenute nel sacello. Funzionale alla operatività del celebrante sembrerebbe la piattaforma ubicata a ridosso del lato settentrionale dell’altare;103 la sua collocazione in immediato contatto con la teca interrata US 89 (cd. “pozzetto”), rivestita di lastre su tutti i lati, sottolinea il ruolo che quest’ultima doveva avere nelle pratiche religiose.104 100 UUSS 66 e 94. 101 Sulla problematica connessa alla definizione dello “spazio sacrificale” si veda R. Etienne, in Atti Lyon, 1991, p. 7 s. 102 Per i riferimenti si veda supra nota 48. 103 Per l’interpretazione di questo tipo di strutture quali prothysis o quali spazi destinati alla ı˘ÛÈ· si veda supra nota 37. 104 La valenza di questa struttura sul piano del rituale è già stata sottolineata da G. Bagnasco Gianni, che evidenzia come la memoria

L’articolazione dello spazio comporta di fatto la creazione di una sorta di “corridoio” in asse con l’ingresso originario dell’oikos sul lato breve sud-orientale, coincidente con il lato non modanato dell’altare,105 particolarità questa che sembra sottolineare la funzione di “servizio” di questo settore dell’ambiente. (Tav. 25) Con la creazione del Vano A, probabilmente nella seconda metà del iv sec. a.C., l’articolazione spaziale rimane fondamentalmente immutata e ad essa si adeguano i nuovi elementi architettonici funzionali alla trasformazione della cella: l’ingresso aperto a nord-est, che si dispone idealmente sullo stesso asse del precedente accesso, e la delimitazione costituita a sud-est dal setto murario Î che contribuisce a ridefinire su questo lato lo spazio dell’ambulacro (Tav. 5, fase IV). La riconsacrazione del vano quale ambito espressamente deputato al culto, anche dopo la tripartizione del sacello AA, dovette comportare l’imposizione rituale di cippi di confine in corrispondenza del nuovo perimetro106 (Tavv. 10 e 42). È questa la valenza che è possibile attribuire ai tre cippi di tufo allineati sull’asse del setto murario Î.107 La loro importanza in questo senso è messa in risalto dalla particolare collocazione: il cippo orientale era posto infatti esattamente al centro del nuovo lato meridionale, e, allineandosi con il filo esterno dell’altare, sembra rappresentare anche il limite ideale dello spazio riservato al sacerdote. La valenza sacrale dei tre cippi è ulteriormente sottolineata dal cerimoniale di dell’azione collegata a questa tipologia di contenitori dovesse essere mantenuta con continuità sotto gli occhi dei frequentatori del santuari (Bagnasco Gianni 2005a, in particolare pp. 357-358). Le considerazioni della Bagnasco sembrano avvalorate per Narce dalla complessa struttura del sigillo di tegole con il quale la teca è stata obliterata nella fase V. All’atto della obliterazione la cavità doveva essere vuota, come dimostra anche il cedimento della parte centrale della chiudenda: al momento dello scavo, la teca è risultata riempita parzialmente da terreno di sedimentazione misto ad alcuni frammenti di coppi (US 90), depositatosi nel tempo attraverso il sigillo; non è chiaro invece a quale fase si debba riferire l’offerta animale, di cui si è rinvenuto un frammento. Per analoghe situazioni cfr. Romeo 1989, p. 10, tav. II, 4, scheda n. 7: a Megara Hyblea, nell’heroon (edificio D) del 630 a.C., furono trovate vuote le fosse rivestite di lastre presenti all’interno delle due sale costituenti il sacello. 105 Una rozza ed irregolare modanatura caratterizza i lati sud e ovest dell’ara; al lato nord si addossava probabilmente la piattaforma. 106 La delimitazione dei confini di un’area sacra mediante cippi è nota anche altrove: si veda a questo proposito quanto osservato da G. Colonna, in Santuari d’Etruria 1985, p. 23. La non usuale collocazione di un cippo all’interno di un edificio di culto, in posizione analoga alla nostra, lungo il muro di perimetro e quasi aderente alla parete, si ritrova nell’edificio B dell’Heraion di Crotone ed è interpretato anche in questo caso come un segno della sacralità dell’area (cfr. Spadea 1994, p. 5 s.). 107 Per la descrizione dei tre cippi vedi supra p. 54.

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maria anna de lucia brolli

purificazione con il quale sono stati obliterati nel corso della prima metà del iii sec. a.C., come si dirà più avanti. La trasformazione del Vano A in un recinto all’aperto è accompagnata da importanti mutamenti nell’utilizzo dello spazio sacrificale, che viene in sostanza dismesso obliterando con riti complessi strutture ed instrumenta funzionali al culto.108 Se da un lato tali rituali rivestono un notevole interesse per la conoscenza delle forme attraverso le quali si esprimeva la religione ufficiale, dall’altro essi ci hanno permesso di acquisire informazioni dirette sulla suppellettile utilizzata nelle cerimonie sacre. Tale si deve considerare infatti un “piatto-vassoio” di impasto chiaro sabbioso, riposto insieme ad un grande forno portatile a campana mediante un articolato rituale che, sottraendo entrambi alla sfera dell’uso quotidiano, ce li ha segnalati quali oggetti di particolare rilevanza nell’ambito del santuario.109 Benché in stretto rapporto funzionale con il forno stesso, come dimostrano le dimensioni e la comunanza nella fase di dismissione, il “piatto”, oltre a costituire la base per la cottura di alimenti, deve essere stato utilizzato anche come “vassoio”, secondo quanto suggerisce l’accurata rifinitura della faccia superiore, venendo così a svolgere anche la funzione di un vaso d’apparato nel cerimoniale.110 Significativa appare d’altra parte anche la dislocazione di questa suppellettile nell’ambito del vano, che era stata riposta addossata all’angolo tra i due muri perimetrali ‚ e Î, in corrispondenza della fascia di “corridoio” dietro l’altare (Tav. 53). Alla medesima collocazione deve corrispondere un’analoga funzione di tipo cerimoniale per un altro gruppo di oggetti protetti dal sigillo di blocchi al momento dell’abbandono del santuario; anche in questo caso siamo in presenza di un grande piatto-vassoio d’impasto chiaro sabbioso, fornito di una piccola sponda solo su metà della circonferenza,111 sul quale erano sistemate pinze in ferro;112 l’evidente connessione funzionale tra i due oggetti, suggerita da tale associazione, richiama quella tra il “piatto-vassoio” ed il forno e consente di stabilire una correlazione anche con una coppia di alari in ferro,113 che era deposta nei pressi (Tav. 13). 108 Vedi infra, pp. 74 ss. Nonostante questi interventi, l’edificio del sacello originario continua ideologicamente a rivestire un ruolo di primo piano nell’articolazione del complesso cultuale. Ne è prova la dislocazione dell’altare II collocato al centro dell’asse del sacello primitivo, fatto che non appare casuale, ma indica una precisa volontà di continuità del culto (cfr. Gravisca dove gli altari o i centri di culto collettivi dei nuovi edifici sono realizzati in corrispondenza degli angoli del primitivo recinto: Torelli 1977, p. 417). 109 Si tratta dei reperti Q3I, 1 a-b. A Tarquinia un foculo e un grande vassoio costituivano, insieme ad altri materiali, gli arredi utilizzati nella cerimonia inaugurale dell’edifico beta e furono deposti nel deposito votivo ad esso collegato (per una interpretazione di piatti-vassoio quali parte dell’instrumentum cerimoniale: cfr. Chiaromonte Treré 1989-90, p. 700). 110 Un grande piatto con funzione cultuale è stato rinvenuto nello strato di distruzione dell’area sud di Pyrgi: cfr. Colonna 1991-92, p. 85, figg. 31-32. 111 P16I A, 1. Già edito in Carlucci 2002a, p. 60 sg., 8.1. 112 M71. Già edite in Ambrosini 2002b, p. 61, 8.2. 113 M6 1-2. Già editi in Ambrosini 2002b, p. 61 sg., 8.3.

Di non minore importanza risulta il rinvenimento nello stesso ambito spaziale di due coltelli in ferro: il primo, un robusto attrezzo “da cucina”, è dotato di lama ad un taglio (M42); nell’altro, a doppio filo con occhiello da sospensione all’estremità del codolo (M43), si può riconoscere un coltello sacrificale usato per sgozzare la vittima e dividerne le carni al pari della romana secespita.114 In connessione con l’altare I e con gli strumenti relativi al sacrificio carneo sono stati rinvenuti anche frammenti di diversi alari fittili, di dimensioni reali, le cui superfici, esposte al fuoco, ne attestano l’effettivo utilizzo.115 In sostanza l’instrumentum rinvenuto nel “corridoio” denota una chiara caratterizzazione verso pratiche cerimoniali prevalentemente legate al sacrificio cruento, come dimostra la consistente presenza nel santuario di resti animali;116 rilevante appare anche la cottura su fuoco, cui rinviano sia il forno, sia gli alari, e la presentazione delle offerte su “piatti-vassoio”: suggestivo appare il rimando alla extorum porrectio, che costituiva sia nel rito romano che in quello umbro un momento fondamentale del cerimoniale sacrificale e che in entrambi si associa all’uso di una pinza.117 Non è da escludere peraltro che il forno a campana ed il “piatto-vassoio” ad esso associato siano funzionali alla cottura e alla presentazione di altre tipologie di offerte, di natura non cruenta, quali ad esempio focacce.118 Peraltro lo stato di conservazione di entrambi ne segnala un utilizzo estremamente limitato, forse proprio in occasione della cerimonia di dismissione dell’area. Di diversa natura risultano altri apprestamenti realizzati nei vani A e C nel corso della seconda metà del iv sec. a.C., nei quali è possibile riconoscere dei bothroi.119 114 Ambrosini 2002b, p. 62, 8.4 e 8.5. Nel santuario sono stati rinvenuti altri strumenti da taglio funzionali alle pratiche cultuali connesse con il sacrificio: dallo stesso recinto A viene il coltellino in bronzo L5 ad un solo taglio, rinvenuto deposto su un frammento di tegola ritagliata in forma semilunata e appartenente ad un tipo che si mantiene pressoché inalterato dal Bronzo finale in poi, come segnalato da Laura Ambrosini in questo volume. Il conservatorismo formale è evidentemente in rapporto con la valenza religiosa dell’oggetto, sottolineata anche dall’uso di un materiale quale il bronzo. Analoga struttura presenta un coltellino in ferro, rinvenuto purtroppo nello strato superficiale intaccato dalle arature (M41). 115 Si tratta di frammenti pertinenti a cinque esemplari diversi, classificati nei tipi Q2I e Q2II. 116 Per un esame analitico si veda in questo volume il contributo di J. De Grossi Mazzorin. Considerazioni sull’utilizzo dello strumentario in ferro nell’ambito del rituale cruento, praticato tra il III e il I sec. a.C. nel santuario di Lagole, nel Veneto, in Gambacurta 1999. 117 Nel rito romano le interiora vengono distribuite in uno o più piatti per mezzo di una pinza (formucapes): Cancik 1991, p. 374. Nelle Tavole Iguvine si prescrive che durante il sacrificio a Fisovio Sancio si tenga nella destra un forceps a due manichi (T VIb, 5). 118 Il consumo di focacce cotte su una piastra di terracotta (testuacium) ricorreva anche nei riti agrari del calendario romano ed in particolare nella festa dei Matralia, come ricorda Varrone nel De lingua latina, XXII, 2 (cfr. Torelli 2000, p. 64). Il piatto-vassoio di Narce non presenta tuttavia tracce di uso. L’offerta di pani o dolci nel santuario è peraltro attestata dalla presenza di clibani (tipi P17II O e P), rinvenuti purtroppo frammentari in strati sconvolti, forse non senza significato in coincidenza dell’Area D e dell’Area esterna nord. 119 Sulla definizione dei bothroi quali strutture in negativo, conchiuse e poco profonde, nelle quali si ritrovano residui carboniosi e re-

il culto e gli aspetti del rituale Il bothros ad “emiciclo” del vano A, addossato all’angolo nord-ovest dell’ambiente, presentava un doppio livello di riempimento (UUSS 50 e 48), separato da un battuto di terra compattata con ciottoli fluviali interessato da una notevole quantità di frustuli di materia carbonizzata e dalla presenza di minuti frammenti ossei, non recuperabili (US 49). I due livelli di riempimento contenevano entrambi ossa animali120 e vasellame sia frammentario che intero di uso rituale, collocato in ordine sparso: accanto a vasi da libagione come la piccola olpe acroma P10VIII G, 7 (al medesimo ambito sono riconducibili i frammenti della brocca P10VIII A, 7), erano presenti olle con internal slip, funzionali pertanto a contenere alimenti, come dimostra un esemplare di grandi dimensioni (P17VII A, 1), rinvenuto nel livello superiore (Tav. 32), che conteneva, insieme a frammenti non determinabili, resti di maialino appena nato e un dente di maiale maschio, frammisti a materia combusta.121 L’attestazione di oggetti di dimensioni miniaturistiche, come gli skyphoi a vernice nera P8VIII A, 1 e P8VIII Ba, 3, sottolinea il carattere votivo della deposizione. Il bothros era caratterizzato da un peculiare apprestamento: a partire dall’angolo formato dai muri · e Á’ – un blocco del quale era stato appositamente resecato –, un condotto formato da coppi giustapposti si insinuava sotto il muro occidentale, incuneandosi nel terreno (Tav. 33). Non è da escludere che siano da riferire a questo apprestamento anche gli altri frammenti di coppi rinvenuti sparsi nel riempimento sia diritti che rovesciati. Benché lo scavo non abbia potuto essere esaustivo, in quanto il condotto è andato successivamente perduto a causa dell’attività clandestina, appare evidente la sua funzione di veicolare offerte liquide in rapporto ad un culto ctonio o catactonio.122 Al medesimo ambito riconduce la significativa presenza dei già ricordati resti sacrificali di maialini appena nati, la cui offerta appare fortesti animali, talvolta associati a thysiai – caratteristiche che ricorrrono nei nostri apprestamenti –, si veda Pfiffig 1975, p. 83 s. La sistemazione ricorda quella della cassa in lastre di nenfro costruita presso il lato S della “piazza” a Gravisca, nel corso delle ristrutturazioni della seconda fase (Torelli 1977, p. 415 s.). 120 Oltre a frammenti ossei non determinabili e ad un frammento di sacro di bovino, l’US 48 ha restituito resti di più maiali appartenenti a differenti fasi evolutive e ad un individuo neonatale; l’US 50 resti di O/C, tra i quali si riconosce la presenza di una pecora molto giovane, e di numerosi maialini appena nati (dai 3 agli 8 individui), ai quali si affianca un osso di suino adulto. 121 Il seppellimento intenzionale di vasellame utilizzato per la cottura degli alimenti sottolinea la valenza che la preparazione e il consumo dei pasti aveva nel rituale. 122 La presenza di apprestamenti atti a veicolare offerte liquide nella terra si ritrovano in diversi contesti cultuali ctoni e/o catactoni sia in area etrusco-italica (cfr. Volterra: Bonamici 1997-98, pp. 32-36, fig. 10; Falerii, via Gramsci, inedito, per un inquadramento generale dello scavo: De Lucia Brolli 2006), sia in Italia centro-meridionale (cfr. a Pontecagnano, santuario settentrionale: Battista 2005, p. 583, con altri riferimenti; Locri, Contrada Parapezza: Sabbione, Milanesio Macrì 2008, p. 251 e nota 10). A Volterra la presenza del condotto, correlato ad un ‚fiıÚÔ˜ di forma rettangolare privo di fondo e rivestito di blocchetti di pietra, è stata riferita dalla Bonamici ad un culto demetriaco (Bonamici 2005, p. 4).

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mente caratterizzante ed indirizza verso la sfera del culto di Demetra.123 Caratteristiche peculiari presenta il vano C, che ha ugualmente accolto, presumibilmente nel corso della medesima fase IV, strutture in negativo (Tav. 72); alla partizione interna in due distinti settori operata mediante il breve setto murario Ó, posto a metà circa dell’ambiente, sembra corrispondere una diversa utilizzazione dello spazio (Tavv. 5, fase IV e 64). Non può essere casuale infatti che il settore occidentale – che accoglie i due bothroi – non fosse interessato dalla presenza di offerte votive, le quali invece caratterizzano i lembi superstiti del settore orientale sfuggiti alla depredazione clandestina. Sembra in sostanza di intuire che tale partizione sottintenda una diversa concezione dello spazio sul piano della funzione cultuale, quasi che i bothroi siano inseriti in una sorta di penetrale accessibile solo per l’espletamento delle pratiche cerimoniali vere e proprie. È interessante osservare a questo proposito che a ridosso del setto murario Ó, sentito come un elemento di delimitazione nell’angolo che questo forma con il muro È, sono stati compiuti una serie di atti rituali (US 135) nei quali alla libatio praticata con piccole quantità di liquidi contenuti in brocchette acrome si associa l’offerta, oltre che di gallo, di maialino appena nato (Tav. 66). È ipotizzabile che anche i due bothroi assolvessero a funzioni diversificate, come suggeriscono le difformità apprezzabili nella struttura e nelle dimensioni; tuttavia è lecito supporre che l’uno fosse funzionale all’altro, in quanto i due apprestamenti costituiscono un “insieme” sia sul piano tecnico (sono infatti riferibili ad un unico intervento costruttivo), che su quello ideologico, come prova il rito di obliterazione che li coinvolge entrambi. Riti di fondazione e di consacrazione In connessione con la costruzione della monumentale “platea” si sono riconosciuti una serie di atti rituali, che hanno interessato le fondazioni dell’edificio al momento del loro completamento.124 Essi sono concentrati lungo il perimetro della struttura, ed in particolare in corrispondenza dell’angolo meridionale, laddove erano stati effettuati, in fase costruttiva, interventi di rimaneggiamento sul muro Â’.125 Proprio in coincidenza dei primi tre blocchi del segmento murario rimaneggiato, è stato compiuto un primo atto rituale (US 205A), incentrato sull’offerta di un sacrificio cruento: i resti animali126 erano allettati in uno strato caratterizzato da un’altissima concentrazione di bruciato, che interessava anche frustuli di un’olletta di argilla grezza, evidentemente in origine il contenitore dell’offerta stessa. Sigillava il tutto 123 Il rinvenimento nell’olla dei resti di un rito alimentare carneo ricollegabile al culto demetriaco ricorda la prescrizione Cerere auliquoquibus della nota lex sacra di Lavinium (sull’iscrizione Guarducci 1976, pp. 411-425). 124 Sui depositi di fondazione si veda Bonghi Jovino 2005, pp. 35-36. 125 Cfr. p. 50. 126 Cfr. il contributo di De Grossi Mazzorin in questo volume.

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una tegola piana intera, ma rinvenuta lesionata, posta con i denti verso il terreno, cui ne seguivano altre due, tutte orientate secondo l’allineamento del muro e collocate nell’alloggiamento venutosi a determinare con la resezione dei blocchi (US 205). Un analogo apprestamento era stato messo in opera nelle immediate adiacenze del primo ma sul livello superiore del muro, in corrispondenza dell’angolo sudovest. Anche in questo caso si componeva di una tegola intera, rinvenuta lesionata, circondata da altri frammenti di tegole piane, poste con i denti rivolti verso il terreno, e da due frammenti di anthemion, pertinenti ad una lastra di rivestimento non rifinita e non ancora utilizzata nel sistema decorativo della copertura (R2 C I, 1).127 Sotto questo sigillo sono stati rinvenuti un dente di ovicaprino,128 piccoli frammenti di tegole e un frammento di coppo semicilindrico (US 1004) (Tav. 27). Un ulteriore comune denominatore è rappresentato dalla presenza, al di sotto della protezione di tegole, sia in un caso che nell’altro, di ciottoli di colore bianco.129 Parallelizzabile con questo rituale è quello dell’US 1078, nel quale si potrebbe forse riconoscere un atto di riconsacrazione dell’area F ed in particolare del settore nel quale si è impiantato l’altare IV con il suo deposito votivo, come suggerisce l’analisi dei rapporti stratigrafici, ancorché resa difficoltosa dai ripetuti interventi clandestini. Anche in questo caso si è in presenza della deposizione di una tegola intera, rinvenuta lesionata, e di frammenti di tegole piane poste coi denti rivolti verso il terreno a formare un rettangolo di mt 0,70 × 0,90, con l’asse maggiore orientato E/W (Tav. 84). Il mancato ritrovamento di resti animali e/o di evidenze di altri tipi di offerte al di sotto delle tegole dell’US 1078 suggerisce la possibilità che sul piano del rituale questa peculiare sistemazione avesse una valenza intrinseca e non svolgesse solo una funzione protettiva, o forse è lecito ipotizzare che fosse in rapporto con atti di libagione.130 Questo insieme, che copriva parzialmente la struttura costruita 1012 (˘), più antica, costituiva un apprestamento unitario con un blocco quadrangolare131 posto nell’angolo formato dal muro 1017 („) – al quale si addossava anche il deposito votivo –, con il muro ortogonale 1086 (ÁÁ). Il blocco era stato infatti lavorato ad L e la porzione resecata della base veniva ad essere coperta dalla tegola 1078. La peculiarità e la dislocazione dell’insieme, la funzione di limite che il blocco stesso sembra 127 Peraltro ancora non rinvenuto nello scavo. 128 Cfr. infra, Parte III, p. 39, tab. 1-2. 129 La documentazione di scavo segnala nell’US 205A la presenza di un ciottolo di composizione calcarea. 130 Una sistemazione analoga è stata rinvenuta durante gli scavi condotti nel 2004, a Falerii, nell’ambito di una nuova area sacra individuata allo Scasato. Anche in questo caso, le tegole (US 21) coprivano una fossa (US 8) nella quale non sono stati rinvenuti resti ossei né tracce di combustione. Sulla individuazione di questa area sacra nei pressi dello Scasato II si vedano le notizie preliminari in Baglione, De Lucia Brolli 2010. 131 Il blocco, di tufo grigio-giallastro (mt 050/0,57 × 0,43; alt. mt 0,45), è stato enucleato come US 1072 nell’intervento d’urgenza del 1996, conseguente ad uno scavo clandestino.

avere assolto nei confronti del deposito votivo rafforzano l’ipotesi avanzata.132 Riti di fondazione sono stati individuati anche in relazione alla costruzione del sacello AA, di poco posteriore. Particolarmente articolato risulta il quadro che è emerso dal riempimento dell’intercapedine tra il muro  della “platea” e il muro ‚ del sacello (US 7=64). Lo strato, costituito da un terreno compattato con scaglie di tufo, si individuava immediatamente al di sopra del livello di base delle due strutture ed era coperto da una serie di frammenti di tegole e coppi di prima fase, disposti in piano, cui in parte si legava. I materiali ceramici presenti nel riempimento, sigillati dal tegolame, oltre ad essere particolarmente significativi per la definizione cronologica dell’impianto del sacello stesso, sollecitano alcune considerazioni in rapporto al rituale di fondazione. Nonostante la frammentarietà e la lacunosità dei materiali, le attestazioni di determinate classi e forme non appaiono casuali, ma sembrano piuttosto rispondere a criteri che rinviano da un lato al rituale della libagione e dall’altro a quello del sacrificio cruento. Se quest’ultimo è ben documentato da un’articolata presenza di resti riferibili ad animali domestici (bue, caprovini e maiali), cui si aggiunge la significativa attestazione di un astragalo di cane con tracce di macellazione, la libatio si esprime anche attraverso la scelta di particolari categorie di ceramica fine, quali le kylikes e le glaukes attiche. Nelle kylikes i soggetti decorativi attingono, almeno nel caso di una delle coppe, attribuibile al Pittore di Bologna 417 (P2 2), al repertorio delle scene simposiache, scelta che non sembra casuale, ma che può forse caricarsi di un pregnante significato ideologico,133 mentre particolarmente rilevante appare la consistente presenza delle glaukes (almeno tre di produzione attica (P2 50-53) ed una (P71) ascrivibile alla più antica produzione etrusca), forma rituale in Grecia, come dimostra il suo utilizzo durante le processioni in onore di Athena Polias.134 Altrettanto significativa appare la presenza di un peso da telaio (I1IA, 1), oggetto di chiara pertinenza femminile non estraneo a rituali di fondazione come attestano esempi che, pur riferibili ad ambiti diversi e distanti tra loro anche cronologicamente,135 132 Più difficile valutare se debba essere interpretato alla stessa stregua un apprestamento simile (US 1065) individuato a sud dell’altare IV e del pozzetto 1056, alla quota di quest’ultimo e con il quale risulta in fase sulla base dei rapporti stratigrafici: frammenti pertinenti a 3 tegole smarginate poste in sequenza con i lati lunghi adiacenti costituivano un piano orientato nord-sud e presentavano, al contrario delle altre situazioni individuate, i denti rivolti verso l’alto; la presenza di uno straterello di calce ha suggerito a Barbara Belelli Marchesini, nel suo contributo in questa sede, di interpretare questo apprestamento come parte di un piano pavimentale forse collegato ad un’area all’aperto con funzione produttiva. 133 La presenza della kylix in un contesto santuariale potrebbe rinviare a pratiche di libagione rituale: sulla polivalenza delle forme ceramiche cfr. Bron, Lissarrague 1986, pp. 9-18; in particolare per la funzione libatoria della kylix, p. 17. 134 Sull’uso delle glaukes nel cerimoniale religioso: Torelli 1998 (2001), pp. 120-121, con riferimenti a nota 7. 135 Si veda ad es. il valore che assume il peso da telaio nel deposito di fondazione dell’ambiente 2 della Fattoria dell’Auditorium a Roma, nel quale si è voluto vedere una offerta tesa a sacralizzare il mundus

il culto e gli aspetti del rituale documentano, nella continuità, la carica simbolica e la valenza rituale di questo tipo di manufatto, ulteriormente sottolineate dalla deposizione di un unico esemplare. Nel contesto in esame, sembra evidente il richiamo a culti femminili o quantomeno alla partecipazione della componente muliebre della società alle cerimonie per la costruzione dell’oikos. In corrispondenza del livello inferiore delle fondazioni del muro settentrionale ·, costituito da un riempimento di spezzoni di tufo, in un saggio di limitata estensione si sono rinvenute evidenze di un rito alimentare carneo (US 34); ai resti di ovicaprino e di bovino semiadulto erano associati un frammento di un’olla di grandi dimensioni, utilizzata per la cottura di alimenti, come mostra la superficie esterna annerita dal fuoco (P17VII A, 29), e un frammento di coperchio136 anche questo con la superficie in gran parte coperta da bruciato. Frammenti di pareti di olla di impasto bruno lucidato presenti in questo strato sono risultati ricomponibili con altri rinvenuti ad un livello superiore nell’US 31,137 significativamente separata dal riempimento precedente da un strato sterile di ciottoli fluviali di notevole potenza (US 33).138 Anche nell’US 31, a sua volta sigillata e separata dai livelli di frequentazione di età ellenistica da uno spesso strato sterile di sabbia mista a terra, sono stati ritrovati resti sacrificali di suino, ovicaprino e bovino e, insieme a frammenti di tegole e coppi di prima fase e a frammenti ceramici in larga misura provenienti da vasellame di uso comune, una statuetta integra di kourotrophos (D6III, 1).139 Non senza significato nel complesso delle pratiche rituali connesse alla fondazione della struttura perimetrale del sacello sembra essere anche una larga lente di bruciato, che si attesta al piede dello strato 31, tagliando la sottostante US 33 e che con-

muliebris con i suoi aspetti di fecondità e ricchezza, ricollegandola peraltro alla destinazione d’uso di quello stesso ambiente (Carandini, D’Alessio, Di Giuseppe 2006, pp. 457-458). Ancora ad un contesto di tipo domestico, molto più recente, si riferisce il deposito della metà del i sec. a.C. rinvenuto in una fossa probabilmente di fondazione nella Domus del Labirinto a Calvatone (CR). Qui il peso da telaio era coperto da una ciotola ed era stato sepolto insieme ad altri materiali ceramici frammentari quasi interamente ricostruibili e ad un cratere a vernice nera, anch’esso frammentario, importato da Adria (Grassi 2007, p. 250). A Roma, prima sicura attestazione di un luogo di culto alle pendici del Palatino è considerato un rito di rifondazione comprendente un peso da telaio e due kyathoi miniaturizzati in bucchero (Zeggio 2005, pp. 67-68). 136 P17II H, 10. 137 Gli attacchi tra i frammenti nn. 3417, 3420 (US 31) e 3476 (US 34) sono stati verificati in occasione della prima siglatura dei pezzi, dopo lo scavo. Al momento, tali frammenti non sono rintracciabili. 138 La deposizione nelle fondazioni di olle contenenti ossa animali è fenomeno noto anche altrove. Nell’edificio alpha di Gravisca, l’olla d’impasto di grandi dimensioni costituente il deposito di fondazione conteneva, oltre alle ossa, anche alcuni frammenti ceramici “non particolarmente significativi” (Pianu 1991a, p. 198). 139 Sulla presenza di immagini femminili nei cavi di fondazione “con possibile funzione di mediazione con l’elemento divino”, si veda, per il santuario meridionale di Pyrgi, Belelli Marchesini 2013a, p. 21 e nota 43 con riferimenti ad analoghe attestazioni di area meridionale.

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teneva una borchietta di bronzo (L 26), anch’essa frammentata (lo stelo era nell’US 31).140 Anche i riempimenti delle fondazioni di altri muri perimetrali (UUSS 112 e 132) hanno restituito resti animali collegati alla presenza di contenitori sottoposti all’azione del fuoco.141 In particolare lo strato di livellamento del portico142 comprende l’interessante offerta sacrificale di porzioni di cane o volpe.143 Significativa inoltre appare in entrambi gli strati l’attestazione di frammenti di ceramica attica nella forma dello skyphos, parallelizzabile, sul piano del rituale, con quella della glaux, che rimanda dunque alla pratica della libagione, al pari degli scarsi frammenti di bucchero recuperati, ascrivibili a forme aperte e chiuse. La parzialità dello scavo, la frammentazione e la varietà tipologica dei materiali rinvenuti non consentono una lettura chiara dei processi che hanno portato all’inserimento in questi strati di elementi riconducibili a specifiche azioni di natura religiosa; siamo probabilmente in presenza di strati di riempimento e livellamento che hanno inglobato residui di atti rituali precedenti, non necessariamente collegabili a riti di fondazione. Certamente un rito di consacrazione è invece quello identificato nell’area meridionale all’aperto D, al di sotto dell’altare III (cfr. Tav. 10, a). Resti di una pecora di sesso femminile (frammisti a frustuli ossei non meglio identificabili) e residui di combustione (US 195) erano stati raccolti entro un profondo incasso ricavato nello spessore di uno dei due blocchi che formavano il rozzo altarino144 (Tav. 76). Il sacrificio deve essere probabilmente correlato alla sistemazione, nel corso della seconda metà del v sec. a.C. di questa nuova area, destinata ad avere poi una grande rilevanza nella frequentazione cultuale. Legato alla consacrazione del vano C’, nella prima metà inoltrata del iii sec. a.C., è il rito US 257, individuato nelle fondazioni del setto Ó a seguito di un saggio in profondità eseguito nel 2002 (Tav. 73). Ancora una volta gli elementi fondanti dell’atto rituale risultano essere da un lato la libatio,145 dall’altro l’offerta di piccole porzioni di animali, volutamente separati, in questo caso, anche fisicamente. Infatti i resti del rito sono stati rinvenuti all’interno di due nicchiette di dimensioni nettamente diverse, ricavate una a fianco dell’altra alla base del lastrone di tufo posto trasversalmente al setto Ó a delimi140 De Lucia Brolli 1990a, fig. 4/c-g, sezione E-E’. 141 In particolare nell’US 112, che costituisce il terrapieno di fondazione del muro È, esplorato solo in minima parte, sono venuti in luce insieme ad ossa, non analizzate, frammenti di un’olla di grandi dimensioni, la cui superficie è fortemente deteriorata dall’effetto della com142 US 132. bustione (P17VIIfr 6). 143 Cfr. in questa sede il contributo di De Grossi Mazzorin. 144 Riti di inaugurazione sono noti anche per altri altari; ad Ercolea Lucana, nel tempio cd. arcaico di Policoro, sono stati rinvenuti i resti di un sacrificio rituale effettuato per la consacrazione dell’altare di Dioniso, collocati sotto il cuscino di prothysis e protetti da una tegola: lo strato era composto da ceneri, terreno concotto e piccoli frammenti di ossa di capriolo (Pianu 1991b, p. 202). 145 La libatio caratterizza anche le offerte di fondazione sotto le strutture murarie del santuario di Campetti; si tratta di una piccola olpe, di uno skyphos e di coppe (Carosi 2002, fig. 9-11).

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tazione dello spazio occupato dai due ‚fiıÚÔÈ del vano C. Nella nicchietta più piccola, ubicata verso l’esterno del blocco, era stata collocata una brocchetta a vernice nera, che si è ritrovata adagiata orizzontalmente in uno strato di terra dura e compatta; nell’incasso adiacente, più grande e privo di base, erano state riposte le ossa, accompagnate, come spesso si verifica a Narce, da una pietra di colore bianco. Lo strato, in parte scivolato dalla posizione originaria, comprendeva anche un frammento di coperchio. Il rito era stato sigillato mediante l’imposizione di una bozza informe di tufo giallo (10 × 15 × 20 cm) di consistenza molto terrosa, a sua volta coperta dallo strato di frequentazione del vano. Riti di obliterazione Particolarmente rilevanti appaiono gli atti di purificazione compiuti in relazione a strutture e ad instrumenta ritenuti di grande sacralità che, al momento della loro dismissione, sono stati protetti con accurati sigilli e fatti oggetto di complessi riti di obliterazione.146 Localizzati nell’ambito del Recinto A e del Vano C, questi articolati rituali confermano indirettamente la funzione e l’importanza che i due ambienti avevano per lo svolgimento del culto. Nel Recinto A, gli atti cerimoniali hanno interessato innanzi tutto la teca US 89 (cd “pozzetto”) adiacente all’altare I: al momento dello scavo la struttura è risultata coperta con grande cura mediante una serie perfettamente scandita di tegole da tetto147 (Tavv. 13, 47-49). Il sigillo era formato da una doppia fila di quattro tegole piane, poste in sequenza l’una vicino all’altra con i denti rivolti in alto e completate da coppi; la fila superiore, addossata al muro perimetrale ‚, si sovrapponeva a quella inferiore di circa un terzo. La chiudenda copriva una superficie di gran lunga più ampia della teca stessa, pari a mt 2,14 di larghezza, con uno sviluppo di mt 1,29 in profondità, e appare costruita con accorgimenti tecnici che ne favorivano l’inclinazione verso il centro del recinto e che presumibilmente dovevano anche essere funzionali alla sua stabilità: infatti, sulla base di quanto è rimasto in situ e di quanto è crollato all’interno della teca, è ipotizzabile che per dare un idoneo sostegno al sigillo di tegole piane fossero state collocate, in funzione di rompi tratta, più serie di coppi, disposti accavallati in file parallele con andamento est-ovest, addossate ad una ulteriore sequenza collocata alla base del muro ‚ e parallela ad esso; al momento dello scavo, era ben conservata soprattutto la fila posta in opera sul lato breve settentrionale, che, al pari di quella collocata sul lato opposto, contribuiva a chiudere accuratamente i fianchi del sigillo (Tav. 48). A nord, al di sotto dell’ultimo coppo della serie collocata lungo il muro ‚, erano stati deposti una coppa a vernice nera intera (P8III Ib, 3), capovolta, ed un’olletta ovoide (P17VII E, 1), adagiata sul fianco con la bocca rivolta verso la coppa, materiali evidentemente connessi ad un 146 Sui depositi di obliterazione si veda Bonghi Jovino 2005, pp. 40-43. 147 US 87.

ultimo atto rituale presumibilmente di carattere libatorio,148 per l’obliterazione della teca149 (Tav. 49). All’interno di quest’ultima, che doveva essere vuota al momento della dismissione,150 è stata rinvenuta, presumibilmente gettata in questa fase, una porzione di un’offerta animale.151 Nell’angolo meridionale dello stesso Recinto era stato riposto e protetto accuratamente il grande “piatto-vassoio” d’impasto chiaro sabbioso che, correlato al forno, abbiamo già ricordato tra gli oggetti funzionali al culto rinvenuti nel corridoio dietro l’altare I (Tav. 50). Il vassoio non era stato deposto intero, ma privo di alcune delle parti che potrebbero essere state intenzionalmente spezzate e che non sono state rinvenute all’interno della struttura di protezione. Su di esso erano stati sparsi resti di un sacrificio alimentare: infatti a diretto contatto con il “piatto-vassoio” era un sottile strato di terra carbonizzata contenente frustuli di ossa animali.152 Su tale strato era una copertura costituita da frammenti di due tegole poste una sull’altra con i denti contrapposti in modo tale da formare una sorta di intercapedine (Tav. 51): all’interno di questa era un frammento di una coppa a vernice nera (P8III G, 4), il resto della quale è stato rinvenuto al di fuori del sigillo di tegole e dell’ulteriore protezione realizzata sovrapponendo al “piatto-vassoio” e al sigillo stesso il forno.153 Sopra alla custodia di tegole erano collocate la coppetta a vernice nera P8III E, 32 e l’olletta di argilla depurata (P10X B, 5) (Tav. 52). L’atto finale di questo complesso rituale è rappresentato dalla deposizione, all’interno della campana del forno, di vasellame rinvenuto sia intero sia frammentario154 (Tav. 53) che, per la frantumazione della parte superiore dell’oggetto, potrebbe essere in parte scivolato fuori,155 a meno di non

148 Le caratteristiche tecniche dell’olletta, che non mostra tracce di annerimento, e le cui pareti interne sono rivestite da uno spesso ingobbio bianco, fanno escludere un suo utilizzo quale recipiente per la cottura di alimenti. 149 Alcune analogie possono ravvisarsi nel deposito di un ben più consistente servizio ceramico sicuramente utilizzato per una cerimonia, riportato alla luce a Pontecagnano (Mancusi 2005, p. 587, tav. VI, c): affinità sono infatti percepibili oltre che nella collocazione del vasellame, intenzionalmente deposto lungo il muro perimetrale del vano, nella morfologia del sigillo, che vede, a fianco di un allettamento ordinato di tegole piane, la presenza di serie di coppi ben allineati a protezione dei fianchi e del nucleo di vasi a ridosso del muro. 150 Come dimostra anche il cedimento della parte centrale della chiudenda: al momento dello scavo, la teca è risultata riempita parzialmente da terreno di sedimentazione misto ad alcuni frammenti di coppi (US 90), depositatosi nel tempo attraverso il sigillo. 151 N. 1308, non analizzata. 152 N. 1797, non analizzate. 153 I frammenti della coppa rinvenuti all’esterno erano incorporati nell’US 107, che, localizzata intorno al forno, comprendeva materiali archeologici in ordine sparso, frammisti a numerosi ciottoli fluviali e a frammenti di tegole e coppi. Nello strato sono stati rinvenuti anche resti di materia carbonizzata collegabili a resti di maiale subadulto di sesso femminile (un frammento di mandibola). 154 US 104. 155 L’intero apparato degli instrumenta costituito dal piatto-vassoio e dal forno, così come le tegole di sigillo, si presentava addossato al muro ‚ in posizione leggermente obliqua verso l’interno del vano A, con una collocazione che potrebbe aver favorito una fuoriuscita dei

il culto e gli aspetti del rituale voler pensare ad una voluta dispersione del materiale, come sembrerebbe suggerire la ricomposizione della coppa a vernice nera P8III E, 75 con un frammento rinvenuto all’esterno dell’intero apparato della suppellettile sacra.156 I vasi deposti nel forno, parte integrante del rito di obliterazione, rientrano nelle consuete forme vascolari connesse al consumo di pasti (ad es. l’olletta P17VIII B, 63, che conteneva resti combusti) e ad atti di libagione, cui rinvia la presenza di frammenti riferibili ad una brocca acroma (P10VIII A, 2). Nelle immediate adiacenze, anche i tre cippi posti a confine dello spazio riservato al culto nel vano A furono obliterati mediante due tegole piane addossate verticalmente ai blocchi, con i denti rivolti verso questi (Tav. 43). Sotto la tegola che copriva il cippo orientale era stata deposta capovolta la coppetta a vernice nera P8III Ld, 4, che conteneva i residui di un pasto rituale, come prova la concentrazione di minuti frammenti ossei e di frustuli di materia carbonizzata (Tav. 44). Nel vano C analoghe soluzioni sono state adottate per l’obliterazione del ‚fiıÚÔ˜ (cd. “teca 2”) e dell’adiacente fossa di sua pertinenza (cd. “teca 1”). L’articolazione del sigillo consente di seguire da vicino lo svolgimento del complesso rituale che ha presieduto all’abbandono (Tav. 11). Sottende infatti probabilmente a necessità cerimoniali la suddivisione del vano del ‚fiıÚÔ˜ 2 in due settori, di dimensioni diverse, creati mediante la messa in opera di un cordolo di spezzoni di tegole (US 129), poste ordinatamente in piano e di taglio su più livelli (Tavv. 67-68). I due spazi appaiono diversamente connotati sia per la qualità degli strati di riempimento sia per l’articolazione del sigillo adottato: il settore settentrionale è risultato infatti, a differenza dell’altro, coperto da un accurato sistema di tegole per lo più intere (US 128), disposte con i denti rivolti in basso e per la cui posa si intervenne addirittura sulla struttura del muro ı, resecato per favorirne l’appoggio in corrispondenza delle riseghe di incastro (Tav. 69). L’allettamento delle tegole su frammenti di laterizi opportunamente distribuiti sottolinea inoltre la volontà di creare mediante accorgimenti tecnici una quota più alta verso il muro ı per consentire una leggera inclinazione a scivolo verso il centro del settore (Tavv. 67-68). Sui tegoloni erano sparsi resti ossei di maialino,

piccoli vasi deposti al suo interno, anche per l’azione meccanica esercitata dai blocchi di sigillo imposti sull’area al momento dell’abbandono. La disposizione dei materiali esterni al forno non contraddice questa ipotesi, ma non consente neppure di operare dei distinguo in rapporto all’US 107 che, oltre a materiali sicuramente afferenti alla deposizione del vasellame US 104 collegata alla dismissione del forno e del piatto-vassoio, comprende anche ceramiche più recenti, inquadrabili nel ii sec. a.C. 156 Rispetto alla volontarietà della frammentazione e dispersione delle offerte che appare ben evidente negli altri casi documentati nel santuario, la situazione relativa all’US 104 sembra più difficile da dimostrare per la continuità di vita che investe il recinto A fino al momento dell’abbandono dell’area sacra tra la fine del ii e gli inizi del i sec. a.C.

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in percentuale maggiore, e di ovicaprino giovane,157 alcuni con chiari segni di combustione, frustuli di materia carbonizzata e materiali archeologici frammentari e lacunosi, relativi ad una coppa a vernice nera e ad olle e coperchi di ceramica comune.158 Il settore meridionale, privo di sigillo, presentava alla stessa quota uno spesso strato di bruciato (US 130), ricco di frustuli combusti e frammenti ossei159 che ancora una volta attestano il consumo di carne di maialino in questo caso appena nato, e di pecora e la presenza di frammenti di materiale archeologico tra i quali compare ancora una volta l’associazione del coperchio di ceramica comune160 con la coppa a vernice nera. Di grande interesse è il fatto che i frammenti della coppa rinvenuti in questo strato e quelli rinvenuti sul piano di tegole sono riconducibili allo stesso vaso (P8 IIIfr 88).161 Al di sotto, una sottile quanto ampia lente di cenere (US 131) individuata pressoché al centro della struttura potrebbe essere riferita sia alla fase di costruzione del ‚fiıÚÔ˜, sia al momento dell’abbandono. Questo strato, che tagliava l’US 132 sulla quale si sono impostate le lastre di perimetro del ‚fiıÚÔ˜, comprendeva ossa di maiale adulto162 e frustuli di ceramica comune, tra i quali un orlo di olla con internal slip (P17 VIIfr 1, 32). L’azione finale del complesso rituale è rappresentata da un ulteriore sigillo di tegole intere e frammentarie che si estendeva su tutta la superficie del ‚fiıÚÔ˜, includendo in un atto unitario entrambi i settori prima distinti (Tav. 70).163 Tuttavia si colgono nell’apprestamento messo in opera elementi che sembrano suggerire una particolare valenza del settore settentrionale; solo qui infatti si registra una accurata messa in opera di tegole intere, anche queste con i denti rivolti verso il basso, che, sovrapponendosi a quelle del livello sottostante, andavano a creare una sorta di intercapedine atta a contenere i resti del rito sacrificale. Assume un certo rilievo, sul piano del rituale, la presenza nei diversi livelli di obliterazione di resti riferibili al maiale, che sembrerebbe attestato nelle sue varie fasi evolutive da lattonzolo a maturo.164 Anche la fossa di pertinenza dell’altro ‚fiıÚÔ˜ (cd. “teca 1”) risultava obliterata da due strati di tegole (US 124), messe in opera in senso nord-sud con i denti coperti e

157 N. 2105. 158 I frammenti della coppa a v.n. sono identificati sotto la sigla P8IIIfr88. I frammenti di ceramica comune (N. 2107), tra i quali in occasione della prima siglatura subito dopo lo scavo sono stati riconosciute parti di olle e coperchi, non risultano inseriti nel catalogo. 159 N. 2130. 160 N. 2127, inserito sotto la sigla P17 II A-Nfr 49. 161 La deposizione contestuale di offerte separate da tegole si ritrova anche nel “deposito reiterato” nell’area gamma di Tarquinia (Bagnasco Gianni 2005b, p. 92 s.). 162 N. 2108. 163 Anche a Pontecagnano, nel santuario meridionale di Apollo, si è rinvenuta, all’interno di un ambiente coperto, una teca interrata priva di fondo, anche questa al livello del pavimento, che è stata coperta, evidentemente al momento della dismissione, da frammenti di laterizi (Lupia 2005, p. 579). 164 L’utilizzo contestuale di vittime sacrificali mature e da latte si ritrova anche nella lustratio dell’esercito nelle Tavole Iguvine: Tavv. VI.b.48-VII.a.

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con i medesimi accorgimenti tecnici della teca 2;165 nello spazio creatosi tra i due livelli di sigillo erano contenuti la coppetta miniaturistica a vernice nera P8III Lc, 4 ed un frammento di orlo di olla con internal slip (P17VII A, 15), associati a frustuli di resti animali (Tav. 71).166 Dall’analisi del complesso rituale che ha presieduto alle operazioni di sigillo e di dismissione delle strutture e suppellettili sacre si possono desumere alcune interessanti conclusioni. In primo luogo l’analisi dei materiali pone il complesso di questi atti rituali nella prima metà del iii sec. a.C., significativamente in coincidenza con una flessione nell’attività del santuario che può essere messa in relazione con le vicende belliche di questo periodo. Il cerimoniale segue regole rigide che prevedono il sacrificio di vittime, probabilmente il loro consumo nel pasto rituale e l’offerta solo di alcune porzioni dei resti sacrificali alla divinità. Nel rito sembra ricorrere la frantumazione e la dispersione sul terreno di parte dei contenitori delle offerte,167 e l’utilizzo sistematico e ordinato delle tegole in funzione di sigillo. Questo rituale si configura con caratteri di particolare conservatorismo: infatti che esso abbia origini assai più antiche rispetto alla sua utilizzazione del iii sec. a.C. è dimostrato dall’uso che ne viene fatto per sigillare, probabilmente verso la fine del v sec. a.C., la camera di combustione della piccola fornace a pianta ellittica del vano E, al momento della sua dismissione168 (Tavv. 28-29). Anche in questo caso al sigillo di tegole si accompagnava un rito alimentare legato all’uso del fuoco, contenuto all’interno di una fossa sacrificale strettamente correlata alla fornace, e comprendente accanto a più generiche offerte di pecora e ovicaprini, anche resti di lepre e di cane, questi ultimi particolarmente significativi sul piano cultuale.169 Anche in questo caso, il vasellame di accompa-

165 Anche in questo caso il muro ı è stato resecato per consentire la messa in opera del tegolone superiore; inoltre si apprezza l’uso di spezzoni di tegole funzionale all’appoggio dei denti delle tegole del livello inferiore. 166 Non analizzati. 167 Analogamente a quanto è documentato sulla Civita di Tarquinia: Chiaromonte Treré 1988, p. 585; Chiaromonte Treré 198990, p. 698; Bonghi Jovino 2005, pp. 36-39. Anche a Pyrgi sono stati riconosciuti riti espressamente eseguiti come piacula per la chiusura di pozzi sacri con offerte anche animali e casi sicuri di interrelazione tra i materiali gettati all’interno dei pozzi: G. Colonna, in Pyrgi 1988-89 (1992), p. 17 s. Per la presenza di materiali ceramici frammentari, che non ricompongono forme complete e che spesso sono documentate da singoli frammenti si veda anche Cherubini 2004, che avanza l’ipotesi di una deposizione volutamente parziale quale pars pro toto. 168 Sul rituale di chiusura della fornace I: De Lucia Brolli, Biondi 2002, p. 365. 169 È interessante osservare come l’offerta di cane ricorra nel santuario anche in altri strati ugualmente datati nell’ambito della seconda metà del v sec. a.C., ritrovandosi nello strato di livellamento del pronao US 132, mentre questo tipo di offerta sacrificale sembra sparire nelle fasi successive. Il sacrificio del cane è attestato nel mondo greco ed etrusco-italico sia in aree santuariali sia in contesti funerari (riferimenti sul tema in Bruni 2005, p. 22, nota 48). Le fonti letterarie ed archeologiche indicano per questa offerta una valenza multiforme precipuamente purificatoria ed espiatoria in rapporto alle più diverse esigenze della società: a Roma riti sacrificali, connessi alla protezione dei passaggi e delle porte, sono stati individuati a Porta Mugonia e Porta Catularia (Carandini 1997, p. 199, nota 25, pp. 503, 580-582) ed

gno era costituito dalle medesime forme: una coppa di bucchero pesante con iscrizione in lingua etrusca170 e un’olla di ceramica comune,171 frammentati e lacunosi. Il rituale documentato dall’evidenza archeologica sembra trovare significativa rispondenza nelle prescrizioni che appaiono dettate nelle Tavole Iguvine.172 Le tavole ricordano i tre momenti essenziali del sacrificio cruento: l’uccisione (preceduta dall’accensione o dal trasporto del fuoco o delle braci per l’arrosto sull’ara sacrificale), la porrectio (ovvero la consacrazione agli dei) e la distruzione. La prescrizione relativa a quest’ultimo momento è in stretta relazione con il concetto di restituire alla divinità ciò che è “sacrum”, ovvero interdetto all’uso. I continui richiami alla necessità di macinare, ridurre in poltiglia i residui del sacrificio e di pregare con essi costituiscono una prescrizione che sembrerebbe trovare riscontro anche nel nostro santuario,173 così come la frantumazione e la dispersione nel terreno dei contenitori delle offerte, che abbiamo visto ricorrere a Narce e che è fenomeno ormai archeologicamente ben documentato in diverse aree santuariali, compare come esplicita prescrizione nella VI tavola, relativa al cerimoniale che regola il piaculo.174 Nel santuario di Monte Li Santi i contenitori delle offerte ricorrono nel rituale di obliterazione secondo associazioni fisse, che comprendono olle, ollette e coppe, in è ben noto che il cane veniva offerto alle divinità nelle feste agrarie dei Robigalia per invocare la tutela delle messi. Per il suo stretto rapporto con il mondo degli inferi, quale guardiano dell’Ade (Cerbero), il cane è simbolo del trapasso dalla vita alla morte ed interviene nei riti di passaggio quali le cerimonie propiziatorie e/o purificatrici per il parto (cfr. Osanna 1993, pp. 90-94). È verosimilmente da collegare a questo aspetto del culto la presenza di offerte canine nell’area sacra di S.Omobono (Tagliacozzo 1989, pp. 65 ss, fig. 47). L’offerta del cane è presente in santuari ove è praticato un culto ctonio e catactonio (cfr. ad es. Gravisca, area settentrionale: Fortunelli 2007, p. 314, nota 40; Pontecagnano, santuario settentrionale: Bailo Modesti et alii 2005c, pp. 48-51). Anche a Satricum Bouma 1996, 2, p. 108, ricorda il rinvenimento di frammenti di ossa di cani nel “quarto deposito votivo” (Ass. 5). Con funzione di piaculum ricorre in cerimonie legate alla chiusura di strutture ipogee di carattere sacro; oltre al caso qui citato, nel territorio falisco si ritrova a Grotta Porciosa, nell’area sacra suburbana, in relazione alla obliterazione del canale 3 e della cd. “vasca”: De Lucia Brolli 2010; si possono citare inoltre i casi di Torre di Satriano, fosse cultuali (sul santuario da ultimo Osanna, Sica 2005), e del bothros dell’Heraion del Sele (Zancani Montuoro, Zanotti Bianco 1937, pp. 299-331), mentre l’offerta contestuale della volpe e del cane trova confronto a Pyrgi nello strato III del pozzo O, antistante il tempio A (G. Colonna, in Pyrgi 1988-89 (1992), p. 18). In generale sull’uso del cane nel mondo antico in rapporto ai diversi riti di purificazione, fondazione e passaggio: De Grossi Mazzorin 2008a e in questo volume. 170 Cfr. in questo volume Biondi, n. 3. 171 P17VII B, 1. 172 Cfr. Ancillotti, Cerri 1996. 173 Si confronti ad esempio la situazione documentata per il sigillo dei cippi nel vano A, nel quale i residui del pasto rituale contenuto nella coppetta a vernice nera P8III Ld, 4, mostrano un accentuato sminuzzamento dei frammenti ossei presenti. Sulla oblazione/distruzione delle offerte, sia del sacrificio cruento, sia incruento, quale viene descritta nel rituale umbro delle Tavole Iguvine si veda Ancillotti, Cerri 1996, pp. 140 s. Da rilevare la presenza nel santuario di mortai (vedi infra). 174 Sulla distruzione rituale dei recipienti nel sacrificio umbro: Ancillotti, Cerri 1996, p. 141 s. Il vasellame doveva essere frantumato sempre nella fossa alla fine dei sacrifici ctoni (p. 146).

il culto e gli aspetti del rituale taluni casi correlate con coperchi. Nel rituale che ha presieduto al sigillo del “piatto-vassoio” nel vano A, ricorrono anche vasi per versare, documentati dalla presenza dei frammenti della brocca acroma P10VIII A, 2. L’insieme di questi materiali attesta l’importanza, nel rito, della libagione e conferma con forte incisività quanto osservato a proposito della frequenza con cui ollette e piccole olpai acrome ricorrono anche in altri santuari.175 Va rilevato, tra l’altro, che nei riti di sigillo del vano A relativi al pozzetto, ai cippi, e al “piatto-vassoio”, le coppe lasciate integre erano deposte rovesciate, forse per indirizzare il contenuto verso il sottosuolo secondo una prassi ben documentata in rapporto a culti ctonî e catactoni.176 Peraltro nel rito che ha presieduto alla obliterazione delle strutture sopra ricordate, il vasellame ritrovato, pur essendo associato a resti animali, non conteneva direttamente tali resti, che erano stati sparsi intorno177 o sulla suppellettile sigillata178 (“piatto-vassoio”), sulle tegole di sigillo179 o gettati nei ‚fiıÚÔÈ.180 175 Come ad es. in quello di Pyrgi: cfr. le osservazioni di Colonna 1991-92, p. 91 e Baglione 1989-90, p. 662. 176 La voluta collocazione di contenitori di offerte con l’imboccatura verso il suolo è documentata in diverse aree santuariali di area etrusco-laziale e campana; si cfr. ad es. ollette e olpette rinvenute rovesciate nel santuario di Pyrgi: Baglione 1989-90, p. 662; ollette, scodelle, ciotole-coperchio e brocchette nel santuario ernico di S.Cecilia: Gatti 1993a, p. 308; a Gravisca, nel deposito di fondazione 42 · dell’edificio ·, costituito da una cassetta di tegole, una grande olla d’impasto ed una olletta più piccola, entrambe contenenti offerte vegetali e resti di un sacrificio erano collocate in posizione rovesciata: Fiorini 2005, p. 136, fig. 171a; a Satricum, gruppi ben definiti di materiali hanno restituito coppe e una brocchetta acroma contenenti offerte animali: Bouma 1996, 2, pp. 100-101, Ass. North. 24, 25, 27. Altri esempi sono stati individuati nel “quarto deposito votivo”: pp. 105, 108, 110, 112, 114, 115, figg. 83, 86, 89, 91. Per Pontecagnano: Mancusi 2005, p. 587, tav. V b. Più frequente è la documentazione restituita dai contesti santuariali dell’Italia meridionale e della Sicilia, dove la deposizione dei vasi in posizione capovolta viene ritenuta rituale tipico del culto tesmoforico: cfr. per il santuario di Bitalemi a Gela Orlandini 1966, pp. 22-23 e 30, tavv. XIII-XV, 2, XVI-XVIII; si veda anche Orlandini 196869, che sottolinea le similitudini esistenti anche con i santuari di Eloro e Agrigento; per il santuario di San Nicola di Albanella nella chora pestana: Cipriani, Ardovino 1989-90, p. 339. 177 Nel caso del rito compiuto in occasione del sigillo dei cippi nel vano A, la coppetta conteneva solo frustuli di materia carbonizzata, mentre era allettata in un terreno ricco di frammenti ossei e di materia carbonizzata. 178 Il “piatto-vassoio” era ricoperto direttamente da un sottile strato di terra con ossa animali e frustuli di materia carbonizzata. 179 Come nel caso del bothros (cd. “teca 2”) del vano C: i resti animali erano stati sparsi sul livello inferiore delle tegole del sigillo. 180 Come nella fossa meridionale ricavata nel bothros (cd. “teca 2”) mediante la posa in opera del cordolo di frammenti di tegole. Anche nella tavola iguvina VI b, 38-45, è previsto che si getti il libamento a base di grasso animale nel perom “una “fossa” o un luogo presso il terreno con funzione di fossa, verosimilmente connesso (particolarmente, se non esclusivamente) con divinità ctonie e infere”: Prosdocimi 1978, p. 784. È nota la problematica che investe il ruolo svolto da particolari tipi di ceramiche nei depositi votivi, ovvero se esse rappresentino l’offerta in quanto oggetti o se piuttosto debbano essere considerati lo strumento dell’offerta, rivestendo un significato religioso solo in funzione del materiale che contengono, cioè l’offerta alimentare. A questo proposito si vedano le osservazioni svolte per situazioni analoghe alle nostre nel santuario di Albanella: Cipriani, Ardovino 1989-90, p. 346, nota 21.

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Il regime delle offerte nella frequentazione del santuario I tre vani e le aree esterne su cui essi prospettano hanno restituito numerosi ex-voto la cui varietà è possibile apprezzare scorrendo il catalogo del volume. Lo scavo ha evidenziato differenti modalità di deposizione nell’ambito del santuario: le offerte sono state rinvenute sia in ordine sparso, talora volutamente frammentate, sia sotto forma di accatastamenti. In linea generale possiamo dire che la dislocazione rarefatta di materiali riferibili ad un arco cronologico ampio (dal v al ii sec. a.C.) sul piano di frequentazione del Recinto A è dovuta ad un uso secondario di quello spazio come deposito nella fase di frequentazione finale e/o di abbandono del santuario. Che il recinto abbia assolto a questa funzione è d’altra parte testimoniato dal deposito US 58 rinvenuto nel settore nord-occidentale, immediatamente a ridosso del ‚fiıÚÔ˜ ‰, dal quale risulta separato mediante una serie di tegole frammentarie infisse verticalmente nel piano pavimentale181 (Tav. 21). Si tratta di una deposizione secondaria, messa in atto in un solo momento rimuovendo le offerte dal luogo dove si trovavano in precedenza, come testimonia la sequenza stratigrafica inversa con i materiali più antichi nel livello superiore dello strato e i più recenti in quello inferiore, a contatto con il piano di frequentazione del recinto (US 59) (Tavv. 35-39). I materiali, per lo più ceramici, vi sono stati deposti accatastati e talora organizzati in “pile” che sembrano rispettare associazioni originarie, certamente sicure in alcuni casi (Tavv. 93 a-h). Il vasellame era talvolta frammisto a resti faunistici,182 in altri casi conteneva direttamente offerte alimentari che rinviano al consumo di carne o residui carbonizzati (Tavv. 93 e-l). L’accatastamento US 58, se da un lato rappresenta una preziosa testimonianza della destinazione d’uso del recinto nella fase finale del santuario, per queste sue caratteristiche fornisce dati anche sull’utilizzo di particolari forme vascolari quali contenitori di cibi solidi o meno.183 In percentuale molto inferiore, oltre all’US 58, hanno restituito vasellame contenente resti di offerte animali anche altri strati, tra i quali, per le caratteristiche della giacitura che sembrerebbe primaria, si deve ricordare

181 Si tratta di un espediente tecnico utilizzato anche altrove: cfr. ad es. a Locri, nel Thesmophorion in Contrada Parapezza, dove tegole infisse di taglio furono individuate in più punti dell’area sacra a delimitare nuclei anche consistenti di depositi votivi (Sabbione, Milanesio Macrì 2008, pp. 194, 198, 200). 182 Cfr. anche a Satricum: Bouma 1996, 2, pp. 75, 78, 80, 83-85, 91-99, 101, 111, 114. 183 Sulla funzionalità di alcune forme vascolari etrusche cfr. Colonna 1989, pp. 30 ss. Un’attenta analisi della funzione degli oggetti nei contesti sacri è stata recentemente effettuata da M. T. Granese per il santuario sul Timpone Motta di Francavilla Marittima (Granese 2012). La Granese, nell’elaborare un modello interpretativo, sottolinea correttamente che quel modello ha valore solo in relazione allo specifico contesto da lei esaminato e non può essere trasferito meccanicamente ad altre situazioni.

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la deposizione rituale US 101 comprendente un consistente accumulo di materiale ceramico. Nei casi in esame è documentato prevalentemente l’uso di coppette a vernice nera quali contenitori dei resti. Ai tipi della coppetta ad orlo estroflesso e vasca profonda a profilo concavo-convesso P8III E (6 ex.), peraltro la forma più attestata in generale nel santuario, e della coppetta con orlo arrotondato e vasca profonda P8III N (2 ex.), si affianca per quantità, in questa funzione, la serie delle coppette di formato ridotto con orlo rientrante e ingrossato e vasca a profilo continuo convesso P8III L, rientranti nell’“Officina dei vasi miniaturistici” con le sue numerose varianti di sicura destinazione votiva ed in particolare la variante P8III Ld (5 ex.), peraltro utilizzata anche in funzione di coperchio dell’offerta cerimoniale.184 Una netta prevalenza di questi stessi tipi si apprezza anche nei casi in cui le coppette contenevano frammisti alla terra resti di legno bruciato o residui carboniosi, privi, almeno in apparenza, di offerte alimentari (non conservate?).185 Nel caso della coppetta P8III E, 1186 la sacralità dell’offerta è sottolineata dalla presenza della iscrizione sace, in alfabeto e lingua latina, apposta volutamente dopo la cottura sul recipiente capovolto (Parte II, Fig. 26), fatto questo che sembra rinviare ad una destinazione del contenuto verso il suolo a conferma ulteriore del carattere ctonio del culto praticato nell’area nella prima metà del iii sec. a.C.187 Il carattere rituale dell’offerta è ulteriormente sottolineato dalla struttura “chiusa” dell’insieme, che la caratterizza: la coppetta era infatti parte di una sequenza più complessa di vasellame del quale si conservavano solo alcuni frammenti, riconducibili peraltro alle consuete forme della coppetta a vernice nera e del coperchio di ceramica comune, mentre un frammento di tegola chiudeva il tutto proteggendo l’offerta alimentare costituita da resti di maiale subadulto misti a bruciato. Analogamente sono ricostruibili altri piccoli contesti  chiusi, nei quali il contenuto del vasellame si presentava protetto, come nel caso appena ricordato, da frammenti di tegole,188 da coperchi di dimensioni 184 In funzione di coperchi erano state utilizzate le coppette P8III Ld, 24, 26, 101, 104, 106, 108, 109, 112, 114, e la coppetta P8III Lc, 2. Anche a Satricum è documentata la diversa funzione dei medesimi tipi di coppe, in particolare del tipo III, utilizzato come contenitore di offerte alimentari nello strato 8, come coperchio nello strato 3 (Bouma 1996, 1, p. 113). 185 Legno bruciato era contenuto in coppette a vernice nera del tipo P8IIIE, 10, 94, 95, 107, 124, 173, 186, 187, associate, in un caso, ad una coppetta miniaturistica del tipo P8IIILd (n. 114), utilizzata come coperchio; nella coppetta acroma P10 III Ia, 5, nell’oinochoe acroma P10VI B, 1 dell’US 75 e nell’askos falisco a figure rosse P5 11. 186 Sull’iscrizione v. il contributo di L. Biondi in questo volume. 187 La presenza di iscrizioni dedicatorie apposte su forme aperte in posizione capovolta è stata ricollegata, nel santuario dell’acropoli volterrana, anche ad una funzione dei relativi vasi come coperchi (Bonamici 2009, p. 270). 188 Nel deposito US 101, le offerte alimentari contenute in due vasi di forma aperta erano protette da spezzoni di tegole comprendenti il dente. Si tratta della coppa sovradipinta biansata del tipo Gnathia P715 che, oltre ai resti ossei di un ovicaprino subadulto, accoglieva anche un ciottolo di fiume, e della coppa a vernice nera a decorazione stam-

reali189 o miniaturistici190 (Tav. 92 a, d-f ), come pure da coppette utilizzate in funzione di chiusura191 (Tav. 92 g, 93 a-d). Come si è accennato, prevalente risulta come contenitore delle offerte rituali l’uso delle forme aperte, rappresentate nelle varie classi – acroma, a vernice nera, a vernice rossa – dalla coppa/coppetta,192 ma anche da una piccola ciotola-coperchio in ceramica comune,193 da una pisside a fasce,194 e da due coperchi di lekane con decorazione del tipo Gnathia,195 la cui ambivalenza come piatto-coperchio è stata giustamente messa in evidenza da Laura Ambrosini nel suo contributo. Meno documentato è l’utilizzo di forme chiuse, tra le quali non potevano mancare le olle/ollette per l’importanza ben nota che questo tipo di vaso assume nel rituale della preghiera,196 mentre isolata è l’attestazione di una brocchetta acroma.197 Come si è messo in evidenza nel paragrafo dedicato allo spazio sacrificale, nel ‚fiıÚÔ˜ ‰ l’offerta di resti di maiale maschio e di maialino appena nato, misti a residui animali non determinabili e a materia carbonizzata, erano contenuti in una grande olla (P17VII A, 1), sulla cui deposizione rituale non sussistono dubbi. È questo l’unico caso nel santuario che documenti con certezza l’utilizzo di un contenitore di grandi dimensioni, peraltro del tipo con internal slip, in quanto solitamente il vaso prescelto appare di dimensioni più contenute con un utilizzo preferenziale delle ollette di ceramica comune di forma ovoide o globulare (con 5 esemplari contenenti ossa, talora miste a materia combusta e 10 ollette contenenti esclusivamente residui di materia carbonizzata), seppure non riconducibili a costanti tipologiche fisse.198 pigliata P8III Ib, 2 con ossa e bruciato. La presenza di un frammento di dente di tegola appositamente ritagliato posto a chiusura di un’altra coppetta a vernice nera (P8IIIfr 17) con residui di bruciato nello stesso accumulo 101, e di una coppa-kantharos (P8VI B, 2) dal deposito 166, rinvenute entrambe in frammenti, fa ritenere che anche questi vasi accogliessero offerte alimentari, andate disperse a causa della loro frammentazione. 190 P17II Da,1; P17II Da, 6; P17II E, 4. 189 P17II Gc, 1. 191 P8III La, 2; P8III Lc, 2; P8III Ld, 27, 64, 101, 108, 109, 112, 114; P8III Le, 1; coppetta acroma P10 III M, 2. 192 Così anche a Satricum, dove l’utilizzo prevalente di coppe/coppette come pure di altri tipi di vasellame quali contenitori di offerte alimentari appare indipendente dalla appartenenza a specifiche classi di produzione: cfr. Bouma 1996, 1, pp. 343 ss., 398, 401-402, 405. Nel “quarto deposito votivo” resti animali sono stati rinvenuti specialmente in coppe e olle: Bouma 1996, 2, p. 108. 193 P17II Ac 2. 194 P10V A, 1. 195 P7 22 e 26. 196 Nel rituale umbro le olle hanno una grande rilevanza, come attestano le tavole Iguvine, in particolare la tavola II a, 35-40, nella quale vengono citate come oggetti utilizzati nel rituale della preghiera olle da liquidi e da non liquidi: Prosdocimi 1978, p. 717. 197 P10VII B, 4, chiusa dalla coppetta acroma P10 III M, 2. Anche a Satricum è documentato l’uso delle piccole olpai acrome e di ollette, anche a vernice nera, quali contenitori di offerte alimentari: Bouma 1996, 1, p. 401-402 e p. 405. 198 Oltre all’olla P17VII A, 1, anche l’olla n. 6 della stessa serie, ma di medie dimensioni e frammentaria, era associata a resti ossei. Per quanto concerne le ollette ovoidi, resti animali erano contenuti negli esemplari P17 VIII B, 21 e P17 VIII C, 11, mentre residui di materia combusta si conservavano in P17 VIII B, 3 e 63 e P17 VIII C, 8 e 13. Ossa e bruciato erano nell’olletta globulare P17VIII G, 4. Una piccola offerta

il culto e gli aspetti del rituale L’utilizzo di vasellame di dimensioni ridotte o addirittura miniaturizzato raggiunge la sua estrema applicazione nella deposizione di offerte consistenti in piccolissime porzioni di carne contenute in fondi di vasi, in coppette miniaturistiche o addirittura in piedi di coppette a vernice nera, volutamente ritagliati allo scopo e utilizzati capovolti199 (Tav. 93 i-l). Si potrebbe forse vedere in questi piccoli contenitori e nel loro dono alimentare un riflesso delle patellae, piattini miniaturistici che venivano usati per libare cenam, ossia per offrire agli dei una piccolissima parte del cibo che si serviva a pranzo, in particolare un pochino di carne, come ricorda Varrone.200 Come è noto, sul significato delle offerte miniaturistiche vi è una duplice posizione: da un lato vengono interpretate come segno di una scarsa disponibilità economica dell’offerente,201 da un altro questo aspetto viene negato e il fenomeno è interpretato alla luce della volontà di sottrarre l’oggetto e il suo contenuto alla sfera dell’uso quotidiano accentuandone il significato simbolico e di dedica e la sua collocazione nella sfera del sacro. Nel caso di Narce, la valenza simbolica sembra sottolineata dalla presenza nel santuario di altre tipologie vascolari che riproducono in forma miniaturizzata vasi funzionali a pratiche libatorie. Si tratta in particolare di krateriscoi a fasce e a vernice nera, oltre che di kyathoi sia animale era contenuta anche nell’olletta miniaturistica P17 VIII Ha, 1; numericamente più consistente appare l’uso di ollette globulari del tipo P17 VIII H (4, 8, 9, 13, 15) come testimoniano i residui di terra bruciata contenuti. Resti carboniosi erano conservati anche in un frammento di fondo di olletta (n. 677) dall’US 58, protetto da un piccolo coperchio di argilla acroma (P10XIV C, 1); un’olletta cilindro-ovoide del tipo P17 VIII D, 2 conteneva invece legno bruciato. A Satricum e Campoverde, offerte alimentari erano contenute in olle/ollette inornate di tipo IV e anche in olle globulari-ovoidali (Bouma 1996, 1, pp. 110-113 e p. 355; Bouma 1996, 2, p. 65, Ass. 2, 3; p. 95, Ass. North. 14; p. 97, Ass. North. 17), senza differenza tra le varie misure. Carboni erano contenuti nell’olletta J610 del “quarto deposito votivo” di Satricum: Bouma 1996, 2, p. 112. 199 Si tratta di cinque piedi di coppette contenenti residui di bruciato (nn. 1855, 1857, 1888, 1920, 1940) e di uno contenente invece un piccolo osso (n. 1886). Solo per un frammento è stato possibile identificare la pertinenza al tipo P8III G (si tratta di quello descritto al n. 2), con datazione 320-280 a. C. Volutamente ritagliati sono apparsi anche altri piedi di coppette a vernice nera (nn. 1132, 1133, 1134, 2040 A, 2239), rinvenuti però privi di contenuto. Nel deposito secondario US 58, un fondo di vaso di ceramica comune, probabilmente una olletta, conteneva resti carboniosi che erano accuratamente protetti da un piccolo coperchio di argilla acroma (P10XIV C, 1). Per l’offerta di cibi, primizie ed altro in rapporto ai miniaturistici Bartoloni 1989-90, p. 750; Morel 1989-90, p. 510. Cfr. anche Satricum, dove offerte alimentari sono state rinvenute nel “terzo deposito votivo” in brocchette acrome miniaturistiche (Bouma 1996, 2, p. 100, Ass. North. 24 e 25) e in una coppetta miniaturistica di argilla grezza del tipo Min47 (ibidem, p. 116; per il tipo v. p. 252, tav. CXXV). 200 Men. 265 ap. Non. 544.1-2: sull’impiego rituale delle patellae Peruzzi 1998, p. 37 ss., con relative fonti. Per l’uso delle patellae nel culto domestico e per le offerte a divinità minori: si veda Peruzzi 1990a, p. 294 s. 201 Sulla convenienza economica della miniaturizzazione Morel 1989-90, p. 5 4. A Mazzano la concentrazione dell’offerta di piedi ritagliati da coppe a vernice nera in strati inquadrabili nella prima metà – metà del iii sec. a.C. appare significativamente in rapporto con la fase di contrazione dell’area sacra.

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a vernice nera sia acromi,202 il cui uso cerimoniale in occasioni di natura religiosa è sostenibile sulla base del conservatorismo della forma, che ricorre miniaturizzata nei contesti votivi e funerari anche nelle redazioni in impasto e in bucchero.203 Analogamente riveste un significato ideologico il gruppo dei sei piccoli alari in impasto (Q1), la cui presenza nel santuario si connota come specificatamente votiva, ed il simpulum miniaturistico in piombo (N1) rinvenuto dietro i tre blocchi addossati all’altare II. I resti alimentari restituiti dallo scavo descrivono chiaramente un quadro in cui un ruolo importante doveva essere rivestito dai pasti rituali consumati e/o preparati nell’ambito del sito stesso ed evidentemente inseriti in un circuito di distribuzione che poteva avere anche una ricaduta di carattere economico.204 Contribuisce a sottolineare la rilevanza che la preparazione del cibo aveva nel santuario la modalità stessa di deposizione di alcuni degli utensili da cucina rinvenuti, che sono stati sigillati anch’essi con grande cura tra gli oggetti di culto205 o piamente interrati nel ‚fiıÚÔ˜ ‰.206 Alcune delle suppellettili utilizzate nel cerimoniale sembrano rinviare, come accennato, al consumo di alimenti non carnei:207 in particolare il forno a campana Q3I, 1, con la sua base funzionale anche alla presentazione delle offerte, si ricollega preferibilmente alla preparazione di cibi di natura non animale, quali ad esempio

202 Due krateriskoi a fasce datati da Barbara Belelli Marchesini nel V sec. a.C. sono stati rinvenuti nel deposito US 58 (P10XII A, 1; P10XII B, 1), mentre frammenti pertinenti ad almeno altri tre esemplari vengono da strati di arativo o molto superficiali (P10XII A, 2; P10XII B, 2-3; P10XIIfr1). Lo scavo ha restituito inoltre pochi frammenti pertinenti ad almeno quattro esemplari a vernice nera, raccolti sotto la sigla P8VA, purtroppo rinvenuti ancora una volta in strati di arativo o compromessi dall’attività clandestina. Significativa appare invece la deposizione del kyathos a vernice nera P8IX A, 1 a fianco dei piedi di coppette contenenti residui carboniosi nell’US 101. 203 Sull’alta antichità dell’uso rituale del kyathos G. Colonna chiama a testimonianza alcuni bronzetti tardo-orientalizzanti etruschi (Colonna 2009, p. 69, nota 94, con bibliografia precedente). Si veda anche Torelli 2000, p. 64, con riferimenti, oltre che al culto domestico dei Lari, dei Penati e del Genio, anche ad un utilizzo in occasione di cerimonie religiose collettive collegate al culto degli antenati come i Parentalia, riti probabilmente derivati, almeno in parte, dal mondo etrusco. 204 È appena il caso di accennare come, nel mondo greco e magnogreco, testimonianze preziose sul sistema economico in cui si inserisce questo tipo di offerta alla divinità sono date da documenti epigrafici. Tra questi un’iscrizione del iii sec. a.C. da Alicarnasso ricorda, ad esempio, come le carni degli animali sacrificati fossero messe in vendita ed il ricavato fosse a sua volta devoluto in offerte votive (cfr. Ampolo 1989-90, p. 276 ss). Nello stesso corpus delle Tavole Iguvine, più volte ricordato, è specificata la retribuzione da dare all’officiante in rapporto alle fasi del sacrificio (tavola V a-b 7: Prosdocimi 1978, p. 731 ss.). 205 Come gli alari fittili e il forno a campana già citati. 206 Ci si riferisce in particolare alla grande olla con resti di maialino frammisti a residui di combustione (per l’interramento deposizionale di vasellame da cucina in quanto funzionale al consumo di pasti rituali si veda anche il deposito F nel Thesmophorion di Contrada Parapezza a Locri, costituito da una pentola (Sabbione, Milanesio Macrì 2008, p. 210). 207 Sulle offerte incruente considerate complementari nell’ambito del rito: S. Rafanelli, in ThesCra 1, p. 179.

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dolci, pani o focacce. Ulteriori testimonianze sono date dai pochi frammenti di clibani, che segnalano la presenza di almeno 5 esemplari, distribuiti nell’area D e nell’area esterna nord.208 Si tratterebbe delle uniche attestazioni certe di alimenti di origine vegetale ad una quota cronologica (iii-ii secolo a.C.) che vede documentato soprattutto il rituale cruento, con resti faunistici che mostrano anche, sia pure in una percentuale non elevata, l’impiego del fuoco.209 È significativo che i diversi frammenti di mortai in impasto chiaro sabbioso P16IV, utensili ai quali era deputata la preparazione di pasti a base di cereali o legumi,210 siano stati rinvenuti nel santuario esclusivamente in strati databili non più tardi della seconda metà del iv secolo a.C. e comunque mai in giacitura primaria (strati di livellamento, abbandono e/o distruzione, etc., peraltro distribuiti soprattutto tra l’area D e l’area F). Analoghe considerazioni consentono i pochi frammenti di pentole P17VI che ci sono pervenuti. Il dato appare di grande interesse e potrebbe segnalare un cambiamento nel regime delle offerte alimentari in coincidenza con i mutamenti di carattere architettonico e cultuale intervenuti nel santuario proprio nella seconda metà del iv sec. a.C., pur tenendo conto che il rituale carneo rappresenta una costante sin dalla fase II. Ritrovamento eccezionale in rapporto alla frequenza delle offerte miniaturizzate cui si è fatto riferimento e che rimanda all’impiego, sia pure raro, del bovino come animale da sacrificio, sono due crani di questo animale rinvenuti l’uno in prossimità dell’altro nello spazio esterno al recinto A, protetti entrambi da una serie di pietre disposte in circolo, con chiare tracce di fuoco (focolari?)211 (Tav. 90). Nei pressi, la presenza di un fascio di spiedi di ferro, deposto con un gruppo omogeneo di statuette femminili di oranti (D4VIA), si carica di una forte valenza simbolica, riconducendo anch’essa al tema del sacrificio.212 L’isolamento e le modalità di deposizione dei due bucrani acquistano anch’essi un valore ideale,

quasi a sottolineare la sacralità dello spazio nel quale il sacrificio si è compiuto; basti ricordare come nel mondo greco fosse consuetudine appendere boukrania su un albero o su un palo al termine del rito sacrificale e del banchetto ad esso collegato, e come nella pittura vascolare questa icona indichi un santuario o un altare.213 Rinvenimenti di crani di bovino, talora circondati da pietre o spezzoni di tufo, sono stati effettuati anche nel santuario meridionale di Pyrgi, così come in altre aree santuariali etrusche (Gravisca). Al pari di Narce, anche a Pyrgi l’offerta sacrificale era stata deposta in una fascia di terreno esterna al santuario, ma ubicata nell’immediata periferia settentrionale, quasi a sottolinearne il “carattere liminare”.214 Degno di nota appare il rinvenimento, nello stesso ambito, di due ex-voto raffiguranti bovini (cfr. Parte II, F1II, n. 3-4), deposti a ridosso del muro ·. Anche in questo caso è istituibile un parallelismo con l’area sud di Pyrgi, dove sono stati deposti due bovini fittili nei pressi dei diciotti crani. Il confronto istituibile conforta l’ipotesi avanzata da Laura Ambrosini sulla possibile relazione tra l’offerta dei modellini e l’offerta degli animali reali sacrificati.215 Un altro elemento che emerge dallo scavo del deposito votivo è l’uso frequente di proteggere, delimitare, coprire i materiali con tegole, talora disposte su più strati216 o con frammenti di esse.217 (Tavv. 35, 40, 55, 56). Una particolare struttura di contenimento delle offerte votive mediante tegole è stata realizzata nel vano A, a ridosso del muro perimetrale · e del ‚fiıÚÔ˜ ‰. Qui una serie di tegole disposte di taglio (US 55) isolavano quest’ultima struttura dall’accatastamento di materiale votivo, in massima parte ceramico, raccolto all’interno del vano in giacitura secondaria (US 58), ripetutamente ricordato (Tav. 21). All’estremità di questo deposito, addossata al muro ·, una tegola disposta in piano separava alcune offerte da altre, fornendo importanti dati di cronologia relativa, nonché di cronologia assoluta per

208 Parte II, P17II O. 209 Per l’analisi dei resti faunistici si rinvia al contributo di J. De Grossi Mazzorin in questo stesso volume. Va osservato che oltre all’olla P17 VII A, n. 1, che conservava ancora i resti animali misti a materia carbonizzata, sono documentati nel santuario altri esemplari frammentari di olle la cui superficie interna presenta tracce di combustione facendo ipotizzare che abbiano contenuto braci per la cottura, come osservato da Alessandra Costantini nel suo contributo. Sulle varie fasi del rituale carneo: S. Rafanelli, in ThesCra 1, p. 179 ss. 210 La presenza di mortai e macine litiche per la preparazione di pasti a base di cereali e legumi è attestata in santuari legati a culti demetriaci (Mastronuzzi 2008, p. 145 e nota 13). 211 Crani di bovino delimitati da pietre o spezzoni di tufo sono stati rinvenuti anche nel santuario meridionale di Pyrgi in una fascia di terreno all’esterno delle strutture, immediatamente a nord-est. Il sacrificio dei bovini nel mondo etrusco, così come nel rituale umbro documentato dalle Tavole Iguvine, era riservato alle occasioni più importanti (Donati, in ThesCra 1, p. 136). 212 Una importante testimonianza iconografica del rituale che trova espressione concreta nel nostro santuario è data dalla raffigurazione di un fascio di obeloi, insieme ad altri strumenti della sfera sacrificale, su una coppa attica a figure rosse, la cui scena principale mostra Ercole che impedisce l’ordinamento dell’ara sacrificale presso i barbari egizi del faraone cannibale Busiris (Barbieri, Durand 1985, figg. 9 e 10).

213 Si vedano in proposito le considerazioni di Sposito 2008, p. 232, fig. 4, sulla scorta di Burkert 1996. 214 Belelli Marchesini 2013a, p. 38. Sull’offerta pyrgense, anche Ambrosini 2013a, p. 149. 215 Ambrosini 2013a, p. 150. 216 È il caso del gruppo di tegole piane frammentarie US 56, disposte accatastate in modo disordinato a coprire, all’interno del deposito votivo 58, la mano G5XVI, dotata di perno di innesto ad una statua, ma utilizzata come ex-voto a sé stante, il cui isolamento fisico e ideologico rispetto all’accatastamento ceramico risulta così enfatizzato. 217 Il fenomeno è noto anche altrove, ad. es. ad Anagni, nel santuario di S. Cecilia, dove le offerte erano a volte protette o circoscritte da pietre o sassi, nella fase più antica, cui si aggiungono successivamente frammenti di tegole o di dolio: Gatti 1993a, p. 301 ss.; i vasi integri erano protetti da scaglie di tufo anche nel deposito del Clivo Capitolino: Sciortino, Segala 1990, p. 18. A Satricum, gruppi di offerte del “Secondo deposito votivo” erano delimitati e frammisti a blocchi di tufo ed elementi architettonici: Bouma 1996, 2, p. 63 s., fig. 49; analogamente nello strato 7, nuclei distinti di materiali erano chiusi da spezzoni e blocchi di tufo, e da tegole: p. 76 ss., figg. 61-63, 65, 67, 68, 76. Nel più recente “deposito quarto”, le offerte votive non erano perimetrate da elementi architettonici e blocchi di tufo, come in precedenza, ma occasionalmente tegole, embrici e tufi erano utilizzati in funzione protettiva del vasellame. Solo in alcuni casi, blocchi di tufo circondavano uno o gruppi di pochi vasi: pp. 105, 110-11, figg. 83, 85.

il culto e gli aspetti del rituale alcuni tipi di ex-voto: sulla tegola sono state rinvenute la statuetta di offerente con alabastron e discerniculum D4III e la mano con colomba G5XVIII, associate, tra l’altro, ad uno skyphos a vernice nera del tipo P8VIII A, databile nell’ultimo quarto del iv sec. a.C. (US 38); il divisorio copriva invece frammenti di materiale ceramico a vernice nera di poco più recente (US 39) (Tav. 24).218 Come per il resto dell’accatastamento, siamo qui in presenza di un deposito conseguente ad un’operazione di “pulizia”: i materiali più antichi costituiscono il tetto dello strato, e coprono quelli più recenti. Questo particolare sistema di separazione di gruppi di ex-voto evoca peraltro analoghe soluzioni adottate anche altrove, come nell’Heraion del Sele, dove i cd. Loculi, realizzati però con lastre di calcare anziché con tegole, accoglievano, proteggendole e isolandole, offerte votive qui raccolte in giacitura secondaria.219 L’utilizzo di tegole poste per coltello a formare una “irregolare vaschetta” si ritrova in altri santuari dell’Italia meridionale, quale quello di Locri Epizefiri220 e, come è stato osservato, trova analogie in sacelli sicelioti.221 L’isolamento di questi votivi rispetto al resto dell’accatastamento induce peraltro a considerare il piccolo gruppo di ex-voto in un’ottica particolare: peculiare risulta infatti l’associazione tra la statuetta femminile, di un tipo non standardizzato con attributi tipici della sfera muliebre, e la mano che stringe la colomba, che richiama riti di passaggio di status e che nel caso specifico sembra essere l’offerta di una nubenda. Nella fase finale di frequentazione e di abbandono del santuario, si percepisce anche un’altra modalità di deposizione ordinata, atta a garantire l’inviolabilità delle offerte: alcuni oggetti erano stati collocati infatti lungo i muri perimetrali, nascosti e protetti da blocchi di sigillo posti a ridosso dei muri stessi.222 Spicca tra gli altri una piccola statua di Afrodite seminuda,223 che era stata riposta lungo il muro ‚, in prossimità della teca US 89 (cd. “pozzetto”), adagiata sul suo fianco destro e rivolta verso il centro del recinto A (Tav. 54). Nel “corridoio”, dietro l’altare I, erano stati accantonati ridotti nuclei di materiali, nei quali a piccole terrecotte figurate era associato vasellame rispondente alle consuete forme vascolari: un insieme, dietro il blocco 94, era costituito da una statuina femminile panneggiata di tipo Tanagrino,224 da una maschera a profilo curvilineo225 e da una olletta globulare;226 un secondo nucleo, dietro il blocco 218 L’US 39, oltre a frammenti del fondo di una coppetta di tipo non identificabile, comprendeva una coppetta parzialmente ricomponibile del tipo P8III Ia (300±20 a.C.). Su questo rinvenimento De Lucia Brolli 1990a, p. 189 s., fig. 5. 219 Dewailly 1997, pp. 202-203. 220 Locri Epizefiri IV, p. 11, tav. X, 1. 221 Agrigento, recinto 1 e recinto 2: Romeo 1989, p. 26, tavv. VIII:2, IX:1. 222 Anche nel santuario settentrionale di Pontecagnano sono stati rinvenuti raggruppamenti di vasellame integro tra i crolli degli ambienti o accanto ai muri perimetrali, ultima espressione della devozione popolare nella fase finale di vita dell’area sacra (Mancusi 2005, p. 587). 223 A2 1. 224 D4IX, 1. 225 G1VIIE, 1. 226 P17VIII H, 28.

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95, si componeva di un’olpe miniaturistica sovradipinta,227 di due coperchi,228 di una coppia di statuine femminili ammantate, intere, alla quale si affiancava un identico esemplare, conservato solo nella parte inferiore.229 (Tav. 57) Anche gli incassi presenti nei blocchi di sigillo erano stati utilizzati come alloggiamento di piccole offerte, la cui natura sembra indirizzare verso atti rituali compiuti nel momento della dismissione. Lo testimonia il rinvenimento di una olletta e di una brocchetta, inglobati in uno dei due profondi incavi ricavati uno vicino all’altro in un concio di tufo (Tavv. 60-61), e la conferma che siamo in presenza di una modalità non sporadica viene dallo scavo del 2002, che ha permesso di individuare in fondazione una analoga sistemazione, relativa al rito di riconsacrazione del vano C’ (US 257) (Tav. 73). Anche il chiodo in ferro M15IV, 41,230 interamente conservato ad eccezione della punta, è stato rinvenuto dentro una cavità di un blocco. Si è già accennato all’inclusione di ciottoli nei rituali di fondazione del muro Â’ della grande “platea”. Si è potuta osservare la presenza di ciottoli di grandi dimensioni, per lo più di colore bianco, talora di natura fluviale talora di composizione calcarea, anche in strati di frequentazione dell’area sacra, dove ricorrono associati ancora una volta ad offerte riconducibili ad un rito alimentare o alla libatio. In particolare, sebbene siano stati riconosciuti anche in strati sconvolti, se ne è potuto individuare con certezza il collegamento con particolari aspetti del rituale solo in alcuni casi, ovvero nelle deposizioni delle UUSS 75 (vano A) e 135 (vano C).231 In entrambe, il ciottolo era deposto in stretta connessione con una olpetta, rinvenuta adagiata sul fianco con l’ansa rivolta verso il ciottolo stesso.232 Non è da escludere che, oltre ad una funzione almeno in apparenza protettiva, questo tipo di

227 P732. 228 P17III Gd, 1; P17III Gc, 6. 229 D4V, 3-4 e 8. 230 N. 988. 231 L’US 135 è stata individuata nel settore occidentale del vano C, nell’angolo formato dal muro È con il setto trasversale della struttura Ó. Tagliato da un ampio scavo clandestino, di questo strato rimangono solo lembi, che hanno restituito alcuni nuclei di offerte isolate tra loro e in parte addossate a conci di tufo posti in piano. Oltre alla brocchetta acroma del tipo P10VII G (n. 9) collegata al ciottolo fluviale, una seconda deposizione rituale era costituita dall’associazione di una brocchetta miniaturistica (P10VIII Db, 1), con un coperchio di ceramica comune, anch’esso di dimensioni ridotte (P17II Db,1) e frustuli di ossa. Accanto a questi nuclei, sono sopravvissuti alla spoliazione clandestina, oltre ad altri materiali ceramici per lo più a vernice nera, anche alcuni ex-voto fittili, ascrivibili alla classe dei votivi anatomici (un dito, un arto inferiore completo), un cippetto, due pesi da telaio, e, di particolare rilievo sul piano cultuale, due clave fittili e una stele di figura femminile con bambino e colomba. Per il catalogo completo si vedano le schede sotto le singole classi. 232 Di consistenza calcarea, il ciottolo è bianco nell’US 75; un ciottolo fluviale rosso era invece nella US 135, che ha restituito in associazione, parzialmente coperti dalla brocchetta, resti di maialino appena nato (vedi infra). Sul significato del rosso nell’antichità si veda Luzzatto, Pompas 1989, p. 209 ss. Il rosso, colore del sangue, ha un posto di rilievo nelle cerimonie sacre del mondo antico che hanno nel sacrificio cruento uno dei momenti più importanti del rito, teso a sollecitare anche la rigenerazione delle forze vitali della natura (cfr. in particolare p. 219-224).

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oggetto possa avere avuto esso stesso un ruolo peculiare nell’ambito del rito, dal significato ancora oscuro, da mettere forse in relazione con un particolare aspetto del culto.233 Sia l’US 75 sia l’US 135 sembrano essere il risultato di atti cerimoniali compiuti in momenti particolari della vita del santuario; se per la seconda è ipotizzabile una relazione con la frequentazione dell’adyton o con l’obliterazione dei ‚fiıÚÔÈ del vano C, il deposito US 75 trova la sua collocazione fisica e ideologica in rapporto ai due blocchi sovrapposti US 74 addossati al muro ·, probabilmente riferibili alla fase V del santuario,234 allorché il Vano A fu trasformato in un recinto all’aperto, e che dovevano costituire un punto focale nell’ambito dello spazio consacrato, essendo collocati in prossimità del nuovo accesso settentrionale e sullo stesso allineamento dell’altare I. Dietro i blocchi fu riposto un piccolo gruppo di statuine, tutte riprodotte in forma di stele, la cui iconografia acquista, proprio per questa dislocazione, un particolare rilievo (Tav. 40): si tratta infatti di due statuine raffiguranti una figura femminile seduta con bambino e colomba,235 di una statuina di kourotrophos236 e di una figura femminile di offerente, stante.237 Una seconda stele di quest’ultimo tipo è stata rinvenuta adagiata sul blocco di fondazione del muro ·, di fianco alla struttura 74 e separata da questa da un frammento di tegola piana posta di taglio, che costituiva il limite orientale di una sorta di piccolo “recinto”. Perimetrato a nord dal blocco di fondazione del muro ·, a sud da altri spezzoni di tegole posti irregolarmente a scivolo e ad ovest da un cordolo composto da scaglie di tufo pressate con terra, questo spazio conchiuso comprendeva i materiali dell’US 75, ovvero l’oinochoe acroma P10VI B, 1 e il ciottolo calcareo di colore bianco. Un’altra olpetta238 era collocata al di fuori del cordolo, nell’angolo costituito da questo e dalla fondazione di ·, con l’imboccatura rivolta verso il terreno. Non è forse senza significato che un secondo ciottolo calcareo bianco costituisse lo spigolo sud-ovest del piccolo “recinto”. Dal lato opposto dei due blocchi sovrapposti US 74, un’altra deposizione (US 71) mostra caratteristiche diverse e nel contempo affini per la presenza ancora una volta di ciottoli fluviali (Tav. 41): addossato alla struttura 67 – una sorta di divisorio realizzato in coincidenza della trasformazione del vano A in recinto –, un coacervo di vasellame (per lo più ollette cilindro-ovoidi) non solo era allettato in un terreno di coesione che presentava una ricca concentrazione di ciottoli fluviali di medie e grandi dimensioni di colore bluastro, frammisti ai vasi, ma comprendeva due ollette riempite a loro volta di ciottoli 233 Per quanto concerne l’analogia con simili manufatti presenti in aree legate a culti inferi, vedi infra. 234 I rapporti di stratigrafia relativa non consentono di giungere a conclusioni certe sulla fase alla quale riferire la costruzione di questo manufatto; il blocco inferiore è impostato sul piano di frequentazione finale dello spazio A, mentre quello superiore si appoggia, coprendolo parzialmente, al filare di fondazione del muro ·, riportato in luce nella fase IV, al pari del piano stesso. 235 D5VII, 1 e 4. 236 D6V, 1. 238 P10VII H, 1. 237 D4IBa, 1.

dello stesso tipo.239 La presenza, nello strato, di frammenti ossei e di una brocchetta di impasto chiaro sabbioso240 segnala che sono stati compiuti atti rituali specifici in connessione con questa deposizione. Al pari di quella delle UUSS 75-76, anche questa si carica di valenze particolari sottolineate non solo dalla scelta di pietre di colore scuro, a testimoniare la connessione con il mondo infero,241 ma anche dalla volontà di isolare questo nucleo di offerte dal resto del vano mediante due conci che chiudevano lo spazio verso il centro dell’ambiente (Tav. 21). Un analogo allettamento di ciottoli fluviali scuri coesi da una terra assai nera ricca di frustuli di materia carbonizzata (US 102) caratterizza il deposito 101, anche questo formato da un accatastamento di materiale ceramico, soprattutto coppette a vernice nera, per lo più del tipo P8III E e del tipo miniaturistico P8III L, che abbiamo già ricordato come contenitori di residui alimentari e di resti combusti anche in questo stesso accumulo242 (Tav. 45). Il coerente inquadramento cronologico della ceramica a vernice nera nell’ambito della prima metà del III sec. a.C. rende verosimile l’ipotesi che il deposito sia il frutto di una cerimonia compiuta in occasione della ristrutturazione del vano, essendo stato individuato, come nel caso dell’US 71, in corrispondenza dell’angolo formato da una struttura leggera messa in opera per la realizzazione del nuovo recinto.243 Il carattere votivo della deposizione è ulteriormente sottolineato dalla presenza di un kyathos miniaturistico a vernice nera e di una olletta di ceramica comune, anch’essa miniaturizzata.244 Una valenza particolare assume la contestuale deposizione di due grandi ciottoli di colore contrapposto, l’uno di arenaria di colore beige-biancastro con inclusioni calcaree (cm 20 × 20 × 28), l’altro di pietra basaltica di colore scuro tendente al nero (cm 14 × 12 × 9) posti a chiusura della fossa sacrificale correlata alla fornacetta nel vano E, in stretta connessione con un ben lavorato cippo troncoconico di tufo (O1I), forato parzialmente al centro della faccia superiore (cfr. Tav. 30). Il contesto, espressione di un rito di obliterazione e dismissione della fornace e del vano, compiuto verso la fine del v sec. a.C. e già ricordato nel paragrafo precedente, comprendeva i resti di un 239 Si tratta di una olletta intera, la P17 VIII B, 24, alla quale si aggiunge il fondo di un altro esemplare (N. 1025 A). Un ciottolo associato a resti di ovicaprino subadulto era contenuto anche nella coppa sovradipinta del tipo Gnathia (P715), protetto da uno spezzone di tegola. Interessante appare il parallelismo che può essere istituito – esclusivamente sul piano ideologico – con l’offerta di ciottoli fluviali contenuti entro una coppa di fabbrica locale della seconda metà del vii sec. a.C. nel santuario di Bitalemi a Gela (cfr. Orlandini 1966, p. 28, tav. XXIII, fig. 2). 240 P16 VII F, 3. 241 Per la valenza infera che assume la scelta di pietre di colore nero o comunque scuro si veda Colonna 2007 (2009), p. 117 ss. 242 Fra i materiali del deposito è stata rinvenuta in condizioni di frammentarietà e lacunosa anche un’olla di medie dimensioni del tipo P17VII A (n. 6), con la superficie interna annerita, dato che ha suggerito ad Alessandra Costantini l’utilizzo come contenitore di braci (vedi infra). 243 L’US 101 è stata rinvenuta nell’angolo formato dal setto Î’, laddove si appoggia alla struttura muraria nord-sud ı. 244 Il kyathos appartiene al tipo P8IX A; l’olletta è inseribile nella serie delle ollette ovoidi: P17VIII Ba, 2.

il culto e gli aspetti del rituale sacrificio cruento con offerte, tra le altre, di cane e frammenti ceramici, tra i quali il fondo di una coppa di bucchero con l’iscrizione apalus.245 L’interpretazione di questa “coppia” di ciottoli quali oggetti legati ad un culto infero trova conforto nel parallelo che può essere istituito con quelli provenienti da aree sacre e necropoli di diverse località dell’Etruria.246 Nel territorio falisco, è immediato il riferimento ai ciottoloni rinvenuti nell’area sacra scoperta nel 2007 a Grotta Porciosa, nell’hinterland di Falerii, che trovano a loro volta confronto con i “grossi nuclei di basalto” posti come sema sulla sommità di tombe a camera a Corchiano.247 L’analisi condotta da Leonardo Giannini ha messo in evidenza la rarità rispetto al contesto geologico locale dei due ciottoli deposti in questa fossa sacrificale, il cui utilizzo acquista pertanto un particolare rilievo. Per quanto concerne il valore simbolico che questi elementi assumono sul piano del rituale, non può essere sottaciuta la complementarità dei colori prescelti, allusivi nella loro contrapposizione al continuo divenire delle forze vivificanti della natura.248 Contrapposizione e complementarità che richiamano aspetti del rito evocati anche dalle Tavole Iguvine, dove viene spesso sottolineato l’uso contestuale di recipienti neri e bianchi249 e di vittime sacrificali ugualmente riconducibili ai due colori base e talora al colore rosso, anche questo prescelto nel nostro santuario per alcuni ciottoli specificamente utilizzati in rapporto a deposizioni votive.250 L’uso della pietra bianca potrebbe peraltro rivestire anche un valore catarchico e di purificazione. Le divinità venerate nel santuario La individuazione delle divinità venerate nel santuario si basa su una serie di dati, in primo luogo epigrafici,251 ma ricavabili anche dalla presenza di apprestamenti particolari, dalla tipologia delle offerte e dalle modalità di deposizione di queste. In linea generale gli ex-voto ritrovati documentano molteplici aspetti del culto, tra i quali spiccano fin dalle prime fasi di frequentazione soprattutto quelli legati al mondo familiare e a quello femminile in particolare. Le statistiche dei rinvenimenti, con la netta prevalenza, per tutta la durata della vita del santuario, delle teste votive femminili rispetto a quelle virili, oltre alla presenza di tutte le altre offerte legate strettamente al mondo muliebre, evidenziano infatti una più accentuata frequen245 De Lucia Brolli, Biondi 2002. 246 Sulla pregnante valenza simbolica di questo tipo di oggetti, Colonna 2007 (2009), pp. 117-120. 247 Per l’area sacra di Grotta Porciosa e l’interpretazione dei cippi qui rinvenuti vedi: De Lucia Brolli 2010. Per i cippi di Corchiano cfr. Cozza, Pasqui 1981, p. 285. Per l’analogia tra i cippi funerari attestati a Corchiano e quelli volsiniesi in basalto: De Lucia Brolli, Michetti 2005a, p. 390. 248 Sulla complementarità del nero e del bianco nel linguaggio simbolico antico, Luzzatto, Pompas 1989, p. 102. 249 Tav. I.b.10-45. 250 Un ciottolo rosso era nell’US 135. 251 Si tratta dei due cippi iscritti trattati da L. Biondi sotto nn. 1 e 2 e del frammento di coppa di bucchero n. 3.

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tazione da parte di questa specifica componente della società. Non vi è dubbio sulla esistenza, almeno a partire dalla fase V, di un culto a Minerva Maia e Fortuna, documentato dalle iscrizioni incise sui due cippi-altarini dell’area esterna D (Tav. 77), culto curotrofico, come sottolinea il deposito votivo 166 ad essi collegato: lungo il muro ı che definisce ad ovest l’area erano state infatti accatastate nel corso della seconda metà del iii sec. a.C. numerose offerte votive, tra le quali assumono un particolare rilievo, anche sul piano quantitativo, le terrecotte riproducenti bambini in fasce e bambini tunicati seduti e stanti. Facevano forse parte di questo settore anche le statue di infanti e di bambini seduti rinvenute rovesciate in uno strato superficiale (US 149) dalla parte opposta del muro (Tavv. 17-18). È difficile valutare in tutta la sua complessità questo deposito votivo, rinvenuto ad appena una cinquantina di centimetri sotto il piano di campagna e certamente intercettato da interventi antropici non meglio definibili (lavori agricoli moderni? distruzione ab antiquo in fase di abbandono?). Immediatamente a ridosso del muro ı erano collocate in posizione eretta statue, frammentate in corrispondenza della parte superiore, che riproducevano figure di dimensioni inferiori al vero con tunica e manto, alcune delle quali sicuramente femminili, e bambini fasciati (Tav. 82). Alcune si presentavano in posizione di caduta; una seconda fila, più rarefatta, è intuibile e documentata dalla statua frammentaria Afr 8. Frammisti ad esse, con una particolare concentrazione nella parte antistante e verso settentrione, erano ex-voto di differenti tipologie e di dimensioni ridotte, quali mammelle, piccole terrecotte figurate, votivi anatomici (Tav. 81). Non vi è dubbio che la dislocazione delle statue in posizione eretta di fronte ai cippi iscritti sia quella originaria, secondo un rituale che appare documentato, nella fase di dismissione, anche nel santuario di Portonaccio a Veio.252 L’articolazione dell’insieme farebbe pensare ad un accatastamento formatosi in un’unica occasione di tipo cerimoniale. La compromissione dello strato di deposito non consente di individuare, aldilà della mera offerta, atti rituali compiuti in quella circostanza. Non è da escludere tuttavia che abbiano avuto un ruolo in questo senso le tre coppette a vernice nera rinvenute integre nel deposito.253 L’esame dei votivi che compongono il deposito 166 evidenzia significative assonanze con altri nuclei di materiali provenienti dalla stessa area D, sia da deposizioni primarie sopravvissute alla spoliazione clandestina, come l’US 180,254 rinvenute tra l’altare II e i cippi iscritti, sia 252 Cfr. Baglione 1989-90, pag. 656; Ead. 2008, p. 66. 253 Si tratta delle coppe P8III Ia 6, 7 e 39. 254 Gli interventi di sistemazione dell’area, già frequentata in età tardo arcaica, effettuati nella fase V, e le alterazioni stratigrafiche dovute agli interventi clandestini hanno comportato l’inquinamento dell’US 180 con frammenti ceramici di ampio excursus cronologico. Tale situazione non incide tuttavia nella lettura del nucleo di ex-voto quale parte residuale di un contesto di frequentazione devozionale della fase V.

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da strati compromessi e/o di frequentazione finale dell’area (Tav. 18). Appare evidente come i culti praticati in questo settore del santuario siano – non genericamente – indirizzati a richiedere protezione per le nascite e l’infanzia, come testimoniano anche le offerte di organi della riproduzione e di parti anatomiche precipuamente femminili quali uteri255 e, soprattutto, mammelle. Richiesta di protezione che si allarga a comprendere il nucleo familiare: significative risultano in questo senso le statuette di coppie sedute in trono sotto uno stesso mantello rinvenute nel deposito 166 e nei settori limitrofi in parte interessati da scavi clandestini (UUSS 183, 176, 200), la cui valenza curotrofica è sottolineata dall’infante che completa le immagini. Si è messo in evidenza – nel paragrafo relativo alla classe – come l’area D in generale e il deposito votivo 166 in particolare abbiano restituito un numero statisticamente rilevante di tanagrine e di testine isolate, sempre di sesso femminile, in assoluto il più consistente rispetto alla distribuzione di questa categoria di ex-voto in altri spazi di frequentazione devozionale: il significato che assume una offerta di tal genere in rapporto al culto praticato in questo settore del santuario è forse quello da altri ipotizzato, ovvero che le cd. Tanagrine possano essere interpretate come doni votivi fatti dalle spose alla divinità.256 Altrettanto significativa appare la concentrazione nell’area D, se pure non in giacitura primaria ad eccezione dell’esemplare proveniente dal deposito US 166, dei pochi pesi da telaio restituiti dal santuario; è stato osservato infatti come l’offerta di questo utensile, simbolo ed espressione di uno dei compiti primari della donna nell’ambito domestico, possa essere correlata anch’essa al passaggio di status della nubenda, così come l’offerta del colus e fusus a Fortuna,257 sottolineando come compiti fondamentali della sposa siano non solo quello della riproduzione ma anche quello produttivo. Il tema nuziale dunque, insieme a quello della maternità, sembra essere l’elemento predominante e ben si confà alle divinità che le iscrizioni attestano essere, in questa fase, le titolari dell’area D. Minerva rappresenta nella cultura religiosa etrusca e latina un “culto centrale per il rito di passaggio degli iuvenes e per la reciprocità matrimoniale”258 e almeno dal ii sec. a.C. alla Minerva Capitolina si attribuivano poteri per la buona riuscita dei parti. A Lavinio le statue dei neonati in fasce documentano come la progressiva trasformazione della mentalità religiosa alla quale si assiste tra il iv e il iii sec. a.C. investa anche il culto di Athena 255 È indicativo che gli uteri rinvenuti nel deposito 166 appartengano ad un tipo provvisto di appendice laterale, allusivo dunque alla sfera della procreazione, con esplicito riferimento a donne partorienti o che hanno già partorito, come è stato osservato da Gilda Benedettini (vedi infra). 256 Miniero 2005, p. 530, con riferimento a Bell 1981, pp. 96-97. 257 Torelli 1984, pp. 127 ss., 148. Suggestivo appare il richiamo alla dedica delle togae puellarum che, secondo Arnobio, prima del matrimonio le nubende offrivano a Fortuna Virgo (ibid., p. 126). 258 Così Torelli 1984, p. 55 s. L’argomento è ripreso dallo studioso in suo recente contributo: Torelli 2009, pp. 121 ss.

Ilias che, da garante e protettrice delle iniziazioni giovanili, già dal iii sec. a.C. diviene in senso più lato garante e protettrice della riproduzione.259 Questo sembra essere l’aspetto più caratterizzante del culto tributato alla dea nel santuario di Narce, enfatizzato anche dall’appellativo Maia e dalla complementarità con il culto di Fortuna.260 Sembra di percepire in ogni caso ancora una componente ctonia, alla quale potrebbero rinviare – qualora vengano effettivamente dal deposito 166, come ipotizzato –, anche le statue di bambini seduti, una tipologia che ricorre in Sicilia e in Grecia nei santuari di divinità curotrofiche261 come in quelli di divinità ctonie;262 si intuisce anche una sfumatura catactonia del culto, indiziata da materiali in piombo rinvenuti nell’area D, tra i quali un mestolino miniaturistico sigillato da blocchi di protezione a ridosso dell’altare II, materiale di cui è ben nota la valenza simbolica nei confronti degli dei inferi.263 Anche questo aspetto peculiare del culto trova confronti a Veio-Portonaccio, dove è testimoniato dal bothros annesso all’altare, e sembra comunque riferibile a Minerva, il cui culto ctonio ed oracolare è attestato anche nel santuario di Punta della Vipera, presso S. Marinella.264 Analoga connotazione è probabile che Minerva detenesse nel santuario ceretano della Vignaccia.265 Nel contempo la presenza di altre tipologie di ex-voto anatomici oltre a quelli specificamente ricollegabili alle funzioni riproduttive femminili – in particolare sono stati rinvenuti nel deposito 166 un arto inferiore completo, piedi interi e frammentari, frammenti di mani isolate e di una placca polivescerale –, richiama una diversa sfumatura del culto, di carattere salutare, presumibilmente legata alla dislocazione del santuario sul fiume: si tratta di una connotazione che caratterizza anche altrove il

259 Su questi aspetti del culto lavinate: Torelli 1984, passim, p. 68 ss. e p. 231. 260 Si veda in questa sede il contributo di Laura Biondi. L’assimilazione di Minerva con altre divinità ritorna anche altrove; si può citare ad es. la dedica a Minerva Nortina che compare in un’iscrizione da Visentium, nella quale Minerva è identificata con la dea Nortia, caratterizzandosi dunque quale divinità del fato (Torelli 1984, p. 68; Torelli 2009, p. 121); il ruolo di garante e protettrice della riproduzione che Minerva assume nell’area D è senz’altro preponderante rispetto alle sue funzioni poliadiche, che pure sembrerebbero adombrate dagli ex-voto che la raffigurano in armi (una testina elmata dall’area esterna nord – D91 – e un frammento di statuina con l’egida a squame – D4fr1 – da uno scavo clandestino nel vano C). 261 Per l’interpretazione di questo tipo di raffigurazioni come immagini di fanciulli poste sotto la protezione di divinità kourotrophoi o kourizontes: Hadzisteliou Price 1969, p. 109. 262 Hadzisteliou Price 1969, pp. 104-105. 263 Si tratta del simpulum N1. Sempre dall’Area D vengono un perno N3 e un anellino N5, restituiti dall’US 166 del deposito votivo. Riproduzioni miniaturistiche in piombo di utensili per il banchetto compaiono in tombe italiche del iv sec. a.C.: cfr. Torelli 1991, p. 19. “Lingotti” di piombo e “strisciate” di chiazze di piombo, eccezionali libagioni di metallo liquefatto, sono state rinvenute a Pyrgi in alcuni settori dell’Area sud dedicati al culto di ±ur e Cavatha (Colonna 2007 (2009), pp. 120-123; Drago Troccoli 2013, p. 169 ss.). 264 Cfr. Pfiffig 1975, p. 278; Torelli 1991, p. 19. Sulla componente oracolare del culto di Minerva, che sembra investire soprattutto l’area etrusca piuttosto che latina si veda Torelli 2009, pp. 120-121. 265 Millemaci 1997, p. 28.

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culto tributato a Minerva, d’altra parte nota già in ambiente greco ed anche in Italia fin dall’età repubblicana con l’epiteto di Hygieia, Medica (Cic., De divinat., 2159-123). Anche il culto nel santuario della Madonnella a Lavinio assume progressivamente una connotazione salutare collegata con il modo agrario e con la presenza delle acque.266 Un ulteriore elemento di riflessione è offerto dalla consistente presenza nell’area D ed in particolare nel deposito 166 di chiodi in ferro. Le modalità della giacitura porterebbero ad escludere una loro pertinenza strutturale, avvalorando piuttosto una valenza di ex-voto, al pari del chiodo ugualmente in ferro già citato in quanto deposto nell’incasso di uno dei blocchi di sigillo nel recinto A nella fase di obliterazione dell’area sacra.267 Attributo della Necessitas, accompagnatrice di Fortuna nell’ode oraziana I, 35, i chiodi si ricollegano anche al computo degli anni;268 tale infatti era la funzione assolta dai clavi annales infissi nella parete della cella di Minerva nel tempio capitolino sulla scia della tradizione seguita a Volsinii in rapporto al culto di Nortia (Liv. 7. 3.7).269 Non stupisce dunque ritrovare questo particolare dono nell’area dedicata a Minerva Maia e a Fortuna, divinità peraltro spesso assimilate a Nortia,270 e per di più in un deposito nel quale si esprime tutta la preoccupazione materna per la crescita della prole. Enfatizza i diversi aspetti del culto pure l’offerta nel deposito 166 di una statuetta fittile di Ercole in riposo (D1I); nella stessa area D un bronzetto di Ercole in assalto (L 3) viene da uno scavo clandestino (US 200), e non si può escludere che un richiamo specifico rivesta anche una applique a vernice nera con protome di Eracle,271 deposta dietro i tre blocchi dell’US 154 addossati all’altare II. In Etruria l’eroe divino appare strettamente collegato a Minerva, come ben illustrano gli specchi figurati; la connessione delle due divinità è testimoniata anche a Caere-Vignaccia e a Veio-Portonaccio.272 La particolare valenza curotrofica dell’eroe è messa in risalto dalle fonti

di età romana che ricordano l’importanza del suo culto, sia nella sfera privata che pubblica, per l’accrescimento delle qualità virili dei fanciulli.273 Nel contempo la presenza di Ercole, quale garante delle norme, e la sua associazione nella stessa area D a Fortuna, rinviano anche al rituale del matrimonio.274 È ben nota inoltre la sua funzione di divinità delle sorgenti e delle acque salutari, delle greggi e dei pastori.275 Non è questa l’unica raffigurazione di figure divine restituite dall’area D, purtroppo non in giacitura primaria: è documentata infatti una statuetta di Dioniso nel suo aspetto giovanile (D1II) dallo scavo clandestino US 176, alla quale si affianca una statuetta seminuda di tipo apollineo (D1III) dall’US 162, uno strato di frequentazione e abbandono dell’area.276 Se quest’ultima statuina non è di per sé significativa, in quanto riproduce una iconografia di carattere generico, usualmente utilizzata anche per figure femminili, non si può non ricordare che l’area sacra ha restituito dalla fossa sacrificale della fornacetta del più antico vano E una iscrizione etrusca – apalus – nella quale potrebbe essere riconosciuto un riferimento al Pater Soranus.277 D’altra parte non stupirebbe ritrovare questo riferimento in un santuario dislocato non lontano dall’altura di Monte Soriano, nel cui nome si è voluta vedere una sopravvivenza del teonimo ±uri, l’antica divinità indigena comune ad Etruschi, Falisci ed Italici, connotata in senso oracolare e infero, poi assimilata ad Apollo.278 Anche l’esistenza, nei pressi dell’area sacra, di una sorgente di acque minerali ben si addirebbe al carattere di questo dio, che nella sua veste apollinea estende la sua protezione su molte aquae termali d’Etruria, consacrate in età romana ad Apollo, in concorrenza con Ercole.279 La presenza di acque sorgive d’altra parte si concilia bene anche con il culto di Demetra, ugualmente attestato nel santuario, come si vedrà.280 A Dioniso-Bacco, di cui abbiamo l’evidenza iconografica nella statuetta D1II, è stato proposto dal De Cazanove di attribuire, almeno in parte, le offerte di ex-voto

266 Torelli 1984, p. 197 s. 267 Che i chiodi abbiamo rivestito in antico una valenza simbolica è dimostrato dalla loro deposizione, in associazione con una moneta, in contesti funerari di età romana secondo un modello rituale adottato nello stesso periodo anche nel santuario di Pyrgi; in tutti i casi segnalati il chiodo, che a Pyrgi era di bronzo e volutamente defunzionalizzato, era collocato con la moneta all’interno di una brocchetta (per una disamina recente della questione Ambrosini 2013a, pp. 158-159). 268 Per le problematiche connesse al rapporto spazio-tempo nella cultura etrusca: Di Fazio 2012. 269 In funzione di clavi annales sono interpretati anche i chiodi aurei rinvenuti a Pyrgi presso le lamine (Colonna 2010a). 270 Sul culto di Nortia a Volsinii nel santuario di Pozzarello si veda il riesame condotto da Acconcia 2000. Per l’assimilazione di Nortia, dea del fatum a Minerva e Fortuna, Torelli 1986, pp. 68 e 127; si veda anche Cristofani 2000a, p. 165, s.v. Nortia. Secondo la Acconcia la dea potrebbe assolvere alla funzione di regolare i cicli annuali, influenzando la fertilità umana e naturale, piuttosto che connotarsi come dea del destino (p. 167). 271 P8XVI A. 272 Cfr. sul culto di Ercole a Caere, Vignaccia e sulle sue connessioni con il culto di Minerva: Millemaci 1997, p. 49 ss.

273 Anche in Grecia Ercole era il protettore delle iniziazioni giovanili: Massa Pairault 1998, p. 233 ss. 274 Massa Pairault 1998, p. 241 ss. 275 Per un inquadramento si veda in questa sede il contributo di Laura Ambrosini. 276 La dedica di statuette di divinità diverse da quella alla quale era dedicato il santuario (Visiting gods) costituiva in Grecia una pratica usuale nei periodi più tardi, dove la divinità che riceve il maggior numero di “visitors” è proprio Athena (Alroth 1989-90, p. 301-310, tabella 5). Un invito a considerare con prudenza quale significato possa assumere questo fenomeno in rapporto ad una reale partecipazione al culto viene da A. Comella (Comella 2005a, p. 47). 277 De Lucia Brolli, Biondi 2002, p. 365 ss.; l’iscrizione viene considerata da Maras la più antica attestazione del nome greco di Apollo e datata nella prima metà del v sec. a.C. (Maras 2009a, pp. 114, 139, 287-288; Maras 2009b, pp. 246-247); affiancandosi alla iscrizione falisca CIE 8030 Apolonos da Vignale, di poco precedente, documenterebbe una precoce assimilazione in ambito falisco di Pater Soranus al dio greco. Per una diversa interpretazione, si veda in questo volume Biondi, n. 3. 278 Colonna 1991-92, p. 94 ss.; Colonna 1996a, p. 355 ss. 279 Colonna 1996a, p. 359. 280 Sfameni Gasparro 1986, pp. 236, 247 n. 87.

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anatomici, genericamente riconducibili a culti di carattere salutare, ed in particolare quelle in forma di organi genitali.281 L’ipotesi, che secondo l’autore troverebbe una conferma in un’iscrizione da Campetti, peraltro ampiamente lacunosa, nella quale Colonna propone di leggere mif[uflunsl], non trova d’accordo A. Comella: oltre alle riserve sull’interpretazione del documento epigrafico, la studiosa sottolinea come fra i materiali di Campetti non sia presente neppure un ex-voto in forma di genitale maschile.282 Nell’area D di Narce, dalla quale viene la nostra statuetta, questo tipo di offerta è stato rinvenuto in un unico esemplare, peraltro afferente alla sfera infantile, nel deposito 166. La percentuale estremamente ridotta non risulta ovviamente dirimente per quanto riguarda questa tematica, rappresentando piuttosto solo il segnale di una sollecitudine materna verso particolari problematiche e/o aspettative legate alla prole maschile. La rappresentazione del dio in sembianze giovanili sembra piuttosto evocare, nel contesto dell’area D, la vitalità del ciclo produttivo che si esprime sia nella forza rigeneratrice della natura – alla quale sottende l’aspetto ctonio del culto qui praticato283 – sia nella sfera della potenza generativa maschile, presupposto essenziale del passaggio allo status di uomo adulto. In tal senso la sfumatura dionisiaca che sembra di poter cogliere ben si adatta ad una religiosità indirizzata verso il culto di divinità che presiedono ai riti di passaggio degli iuvenes e alla sfera matrimoniale, sottolineando nel contempo ancora una volta la presenza di una sia pure minoritaria devozione maschile.284 Un ulteriore interessante richiamo alla sfera dionisiaca e a riti di passaggio sembra evocato anche dall’offerta nel deposito 166 di una statua a due terzi del vero, che regge nella mano sinistra un grappolo d’uva (A2fr 9).

281 de Cazanove 1986, pp. 34-36. 282 Comella, Stefani 1990, pp. 212-213. 283 A Caere, nel santuario di Vigna Parrocchiale, le attestazioni epigrafiche di Vei e di apas sono state interpretate da Vincenzo Bellelli come espressione di un culto tributato ad una triade cereria, che vede la presenza di una divinità maschile dal carattere infero – che Bellelli suggerisce con prudenza di identificare in Dioniso invocato come Pater – quale paredro di Demetra-Vei e Persefone (Bellelli 2011; Bellelli 2012). 284 Porta in questa direzione anche l’esegesi che Mario Torelli ha recentemente proposto per due noti specchi da Bolsena e da Chiusi confrontandoli con la complessa scena riprodotta su una celebre cista prenestina a Berlino (Torelli 2009, p. 130 ss., figg. 6-8). Nei primi Minerva estrae dal cratere il bambino Maris´, nella seconda bagna le labbra del piccolo Mars con un liquido (vino, secondo Torelli) attinto da un pithos; nella cista assiste al rituale, forse diverso nei diversi oggetti o rappresentato in due momenti distinti, Leiber, Dioniso, in posizione significativamente dominante nella scena e in strettissimo collegamento con Apolo che a sua volta si rivolge verso Hercules. I tre bronzi rappresenterebbero dunque una preziosa testimonianza di cerimoniali iniziatici verso l’età adulta, documentati sia nel mondo latino sia in quello etrusco. Anche in Italia meridionale la figura di Dioniso è strettamente connessa a divinità femminili preposte al mondo della nuzialità e della fecondità e dunque a significative fasi di passaggio; per un esauriente inquadramento della figura di Dioniso, in quest’ambito e in rapporto al culto di Afrodite/Persefone si veda Iannelli, Cerzoso 2005, pp. 682-683.

Diverso è il quadro che presenta l’accatastamento 1037 rinvenuto in rapporto all’altare IV, nell’area esterna F (Tav. 85), pur presentando alcuni punti di contatto con i culti praticati nell’area D: al pari del deposito 166, anche questo, che occupava lo spazio tra l’altare e il muro 1017 („), comprendeva ex-voto anatomici simbolicamente rappresentativi della procreazione femminile (uteri e mammelle), ma la componente materna del culto appare qui assai limitata, come sottolinea la presenza di un solo bimbo fasciato;285 l’elemento caratterizzante del deposito era invece costituito dai numerosi ex-voto afferenti alla sfera della locomozione e della manualità (mani, piedi, arti superiori e inferiori completi) e dall’offerta di riproduzioni fittili di bovini e cavalli, espressione di una devozione popolare da parte di una popolazione diffusa, che trovava nelle campagne la sua fonte di sussistenza (Tavv. 86-87). La presenza di un consistente numero di arti nel deposito dell’altare IV è stata interpretata “quale richiesta di protezione per parti anatomiche indispensabili alla sopravvivenza produttiva del singolo e della comunità”. È stato osservato inoltre che “la costante raffigurazione del piede privo di calzatura e l’assenza di calcei … potrebbe essere indicativa della connotazione sociale dei devoti che frequentavano il santuario, appartenenti in gran parte alla compagine rurale e, forse, anche servile”.286 Significativa è peraltro la concentrazione che si apprezza nel deposito votivo dell’altare IV di circa il 50% delle teste maschili rinvenute nell’area sacra, tutte velate, secondo il rito romano la cui diffusione sembra essere correlata a fenomeni di occupazione rurale del territorio determinati dalla avanzata romana.287 Come è stato più volte ripetuto da Gilda Benedettini nei suoi contributi sulle diverse classi di ex-voto restituite dal deposito 1037, la connotazione agreste si coniuga con la valenza ctonia del culto qui praticato, peraltro evidenziata dalla tipologia stessa dell’altare, la cui piattaforma è strutturata in modo da favorire una connessione con il sottosuolo.288 Indirizzano verso una religiosità di carattere ctonio non solo l’unico esemplare di statuetta di suino rinvenuta nel santuario, ma anche una presenza consistente di mascherine, tutte di forma rettangolare. Pur nella loro sostanziale diversità – curotrofico e legato a riti di passaggio il culto a Minerva Maia e Fortuna praticato nell’area D, agricolo-pastorale quello dell’area F –,289 entrambi appaiono dunque permeati da una ade-

285 Oltre a questo, infatti, sono stati rinvenuti solo pochi altri frammenti di infanti, uno del tipo accovacciato, uno stante e due frammenti di tipo non identificabile. Non è forse senza significato inoltre che anche gli uteri deposti presso l’altare IV appartengano tutti ad una differente tipologia, privi come sono di quella appendice laterale che caratterizza gli organi nella loro funzione meramente riproduttiva (cfr. Benedettini, Parte II, p. 146). 286 Benedettini 2002. 287 Sulla questione De Lucia, Baglione 1997, pp. 77 ss. 288 Per la descrizione e l’inquadramento dell’altare si rimanda al paragrafo sulle fasi del complesso monumentale. 289 E della limitrofa area G, nella quale il deposito votivo dell’altare V – anch’esso dotato di un foro centrale pervio – ha restituito un bel bronzetto di figura maschile con roncola interpretabile come Silvano.

il culto e gli aspetti del rituale sione più o meno sfumata a forme di religiosità di carattere ctonio. Come si è già messo in evidenza nel capitolo sulle fasi del santuario, elementi riconducibili a culti di natura ctonia sono apprezzabili già nel sacello AA, eretto nel terzo quarto del v sec. a.C., le cui soluzioni architettoniche trovano significativi punti di contatto con edifici legati a culti demetriaci sia in Etruria290 sia in ambito siceliota:291 accesso disincentrato, presenza di un altare interno, mancanza di un sistema decorativo. Lo stesso impianto generale mostra caratteristiche peculiari che lo differenziano dai più comuni schemi di edifici coevi: il portico antistante la cella era schermato sul lato occidentale da un muro che precludeva la vista di questo spazio dal fiume, mentre l’accesso al vano principale avveniva mediante un percorso tortuoso: il visitatore doveva infatti entrare nel portico dall’apertura segnata dalla soglia posta a sud-ovest del muro Ë e penetrare nella cella dall’accesso ubicato a sud-est del muro È, già esistente e a sua volta reso poco visibile dalla presenza della colonna orientale del portico. Ma è nella seconda metà del iv sec. a.C. che l’architettura del sacello originario subisce importanti trasformazioni che rendono maggiormente percepibile la presenza di rituali religiosi di natura ctonia: lo spazio interno viene tripartito con soluzioni che ricordano quelle dei più antichi sacelli sicelioti legati a culti ctonî;292 nel vano A, il piano di frequentazione viene approfondito, creando una differenza di quota rispetto ai vani B e C, analogamente a quanto si verifica anche altrove in edifici di culto demetriaco.293 Anche l’orientamento dell’edificio subisce variazioni con l’apertura di un accesso verso nord-nord-est.294 Si predispongono sia nel vano A che nel vano C strutture in negativo – il ‚fiıÚÔ˜ ‰ e le cd. “Teche” 1 e 2 –295 che, per essere in diretta connessione con il sottosuolo, si differenziano dalla teca interrata (cd. “pozzetto”) presente nella cella del sacello AA fin dalle origini. Infatti il rivestimento di quest’ultima, interamente foderata anche sul fondo con lastre di “piperno”, ne assicura una diversa funzione sia pure strettamente collegata allo svolgimento delle cerimonie religiose.296 A partire da questo momento e almeno nella prima metà del iii sec. a.C., gli atti di purificazione legati all’abbandono e all’obliterazione delle strutture e delle suppellettili sacre della fase precedente e i principali nuclei di depositi primari rinvenuti in questo settore del santuario evidenziano nelle forme del ri290 L’orientamento stesso a sud-sud-ovest del sacello trova stringenti confronti in edifici per i quali è stata riconosciuta una componente ctonia del culto: così a Volterra nel santuario dell’acropoli, dove tutti e tre gli edifici più antichi mantengono costantemente questo orientamento che rinvia alla regio XI della volta celeste, dove hanno sede le divinità ctonie preposte alla sfera della fertilità e della natura (Bonamici 2005, p. 3). 291 Per i riferimenti cfr. note 48-49. 292 Quali il Tempietto 2 nel santuario delle divinità ctonie di Agrigento e il “Megaron” a sud del tempio C sull’acropoli di Selinunte (Romeo 1989, p. 23, scheda n. 34, tav. VII, 7; p. 39, scheda n. 62, tav. XV, 1. Sulla tipologia degli oikoi a più ambienti, p. 46). 293 Ad es. a Gravisca: Fiorini 2005, p. 154 e nota 60. 294 Sull’orientamento degli edifici di culto Prayon 1997. 295 Su queste strutture vedi supra. 296 Vedi supra.

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tuale e nella tipologia e distribuzione delle offerte la presenza immanente di un culto non genericamente ctonio, ma specificamente connotato in senso demetriaco. La trasformazione del vano A in un recinto all’aperto, che nel corso del iii secolo – probabilmente nella prima metà –, segue a queste sostanziali modifiche,297 fa sì che il muro di fondazione del sacello originario (Á’), già riportato in luce a causa della variazione di quota, perda la sua funzione portante; se si osserva l’assetto che l’ambiente viene ora ad assumere sul lato lungo occidentale, suggestivo è il richiamo alla bassa banchina destinata alla esposizione delle offerte che si ritrova in sacelli destinati a culti di natura demetriaca e tesmoforica.298 (Tav. 37) Peraltro, al pari di altri santuari demetriaci di area etrusca, la stessa dislocazione sul fiume299 e di fronte all’acropoli – identificabile con l’altura di Narce – richiama quella di santuari dedicati a divinità ctonie in Sicilia e Magna Grecia.300 Le offerte sacrificali di maialini appena nati risultano uno degli elementi maggiormente caratterizzanti e non è un caso che si siano riconosciute proprio in connessione con i rituali compiuti nell’ambito del ‚fiıÚÔ˜ ‰ e delle cd. “Teche” 1 e 2. Il vano C-C’, la cui articolazione conserva significativamente quel carattere di luogo appartato e protetto già insito nel portico del sacello AA,301 appare uno degli spazi nei quali il culto demetriaco si manifesta con maggiore incisività. Ci si è già soffermati sulla partizione interna, che vede, in una sorta di adyton, la messa in opera del ‚fiıÚÔ˜ (“teca 2”) e della sua fossa di pertinenza (“teca 1”) e il compimento di atti rituali per la loro obliterazione con il sacrificio di maiali e maialini appena nati; nel contempo la suddivisione dello spazio ha comportato la creazione di un’area di pertinenza 297 La trasformazione in recinto all’aperto è un processo che accompagna nello stesso periodo altri santuari demetriaci, quale ad es. il santuario messapico di Monte Papalucio (Oria): Mastronuzzi 2008, p. 146. Anche a Pyrgi, l’edificio del sacello alpha, legato a forme di culto demetriaco, si presentava nel iii sec. a.C. privo di copertura (Colonna 1996b, p. 445; Belelli Marchesini 2013a, p. 37). 298 A Locri, nel sacello in Contrada Parapezza, le dimensioni della banchina (largh. media mt 0,50; alt. media mt 0,25-0,30) non sono dissimili da quelle del nostro muro Á’ e sono ritenute funzionali alla esposizione delle offerte o alla sosta dei pellegrini (Sabbione, Milanesio Macrì 2008, pp. 198, 207-208, 215 con confronti e riferimenti). Interpretate come sedili sono le banchine presenti nel santuario delle divinità ctonie a Morgantina (Sposito 2008, p. 226), dove peraltro nell’Edificio I/1, sulla banchina di fondo, sono stati rinvenuti frammenti di statue di grandi e piccole dimensioni (Romeo 1989, p. 16). 299 Il fiume assicurava l’acqua dolce, essenziale nei rituali demetriaci. 300 Le osservazioni di P. Orlandini sulla posizione del santuario di Bitalemi ed i confronti da lui proposti con gli altri santuari ctoni quali quello della Malophoros a Selinunte, di Eloro, e di Demetra ad Ercolea in Lucania (Orlandini 1968, p. 34 ss. e p. 42), hanno trovato poi ampie conferme nella documentazione successiva: cfr. tra gli altri il santuario di Parapezza a Locri (Sabbione, Milanesio Macrì 2008, p. 207) e quello di S. Nicola di Albanella nel Pestano (Cipriani, Ardovino 1989-90, p. 338). 301 Anche per queste specificità significativo è il richiamo all’Italia meridionale e alla Sicilia. Si veda ad esempio sulla relazione tra l’aspetto architettonico degli oikoi dedicati al culto demetriaco nei santuari periferici delle poleis siceliote di età arcaica e la necessità di strutture chiuse e riservate, Tantillo 2012.

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dell’adyton, nella quale l’US 135 concorre a definire la natura ctonia del culto; infatti, sebbene compromessa da un ampio scavo clandestino, ci ha restituito alcuni nuclei di offerte votive in giacitura primaria, associati a resti animali con la significativa presenza di ossa di maialino in età neonatale. Queste deposizioni appaiono chiaramente distinte l’una dall’altra, pur essendo immediatamente limitrofe in quanto occupano una superficie ristretta: sottolinea l’isolamento fisico e ideologico delle diverse offerte la presenza di blocchi di tufo; a questi, ben disposti in piano nell’angolo tra il muro di fondo È e il setto murario che separa lo spazio C da C’, è affidato, insieme a frammenti di tegole, il compito di delimitarle e di proteggerle. Tra questi nuclei si impongono alla nostra attenzione per la peculiarità delle offerte alcune associazioni distribuite tra il muro È e i due blocchi 291 e 292; un primo nucleo, deposto tra il blocco 291 e la struttura muraria, comprendeva accanto ad un peso da telaio troncopiramidale302 e ad una coppetta miniaturistica a vernice nera,303 un puntale in ferro304 e un ex-voto fittile nel quale è possibile riconoscere una clava.305 Una clava identica306 si ritrova tra il blocco 291 e il 292, associata a frammenti di chiodi (?) di ferro di piccole dimensioni307 e dallo stelo arcuato, mentre tra il blocco 292 e il muro, ritorna un puntale in ferro, analogo al precedente e un triente di bronzo romano del 280-276 a.C., che concorre ad inquadrare la frequentazione dell’ambiente sin dalla prima metà del iii sec. a.C.308 Ancora una volta emerge dunque nell’ambito del santuario il richiamo ad Ercole, evocato dall’offerta dell’attributo che gli è proprio, la clava, associata a puntali di ferro, interpretabili come armi da getto. La figura di Ercole non è incompatibile con un eventuale culto demetriaco, come dimostra l’articolata analisi compiuta dalla Sfameni Gasparro in occasione dell’importante I Convegno Internazionale su Demetra.309 Per quanto riguarda la presenza nei depositi votivi di punte di lancia e giavellotto, questa è nota anche altrove;310 Laura Ambrosini ha richiamato nel territorio falisco, per affinità tipologica, il santuario di Vignale a Falerii, nel quale puntali di giavellotto sono stati messi in relazione con il culto di Apollo Soranus;311 armi da getto si ritrovano

302 I1IIA, 7. 303 P8III Lf, 2. 304 M3 2. 305 E1I, 1. 306 E1I, 2. 307 M15fr 3. 308 Benedettini, Catalli, De Lucia Brolli 1999, p. 87, n. 164. Oltre ai nuclei sopra ricordati, si segnalano altri due “insiemi”, costituiti l’uno da una brocchetta acroma miniaturistica (P10VII Db, 1) e da un coperchio miniaturistico di ceramica comune (P17II Db, 1) associati con frammenti ossei di maialino appena nato e gallo (v. Parte III, tab. 12), l’altro da una brocchetta acroma (P10VII G, 9) che copriva un frammento osseo deposto accanto a ciottolo fluviale rosso – il tutto coperto da un frammento di tegola piana – e frammenti ossei riconosciuti solo parzialmente comprendenti resti di maialino appena nato. 309 Sfameni Gasparro 2008, p. 29 ss. 310 Un’ampia disamina sulla presenza di armi da getto in aree santuariali sia in Grecia che in Etruria è in Baglione 1989-90, pp. 662-664. 311 Comella 1986, p. 112, nn. 4-7, tav. 56 i. Sulla presenza del culto di Apollo Soranus sull’acropoli di Vignale: Colonna 1991-92, p. 97; per l’offerta di armi da getto in ferro, ibidem, pp. 101 ss.

nell’hinterland di Falerii anche nell’area sacra identificata nel 2007 a Grotta Porciosa:312 qui il contesto della fossa nella quale erano state deposte parti di giavellotti in ferro ha suggerito una loro pertinenza ad una figura divina maschile per l’associazione con i grandi ciottoli di pietra basaltica assimilabili a quella tipologia che G. Colonna mette in relazione con il culto di ±ur/±uri.313 Non si può escludere tuttavia una correlazione con il culto femminile fortemente indiziato dal grande peso da telaio presente nella stessa fossa che, per la tipologia inusuale e monumentalità, trova confronto solo con un esemplare da Gravisca.314 Nel contempo la testimonianza di Grotta Porciosa, con il suo carattere agrario e catactonio, contribuisce a tratteggiare la complessità del quadro noto nell’ager faliscus, dove la presenza di armi nei depositi votivi appare coniugarsi ad esperienze religiose e cultuali diverse, i cui contorni non risultano sempre ben definibili. Fa eccezione il santuario di Celle, nel quale le armi miniaturistiche rinvenute e appartenenti alla fase arcaica di frequentazione dell’area315 sottolineano l’aspetto guerriero della Giunone Curite alla quale era dedicato. Nell’area sacra di Monte Li Santi-Le Rote, d’altra parte, la presenza dei puntali in ferro in un settore così fortemente caratterizzato in senso ctonio e la loro associazione sia con offerte afferenti alla sfera muliebre (peso da telaio) sia con offerte sacrificali peculiari (maialini appena nati) sembrano rinviare a contesti santuariali riferibili con certezza a divinità femminili dalla spiccata valenza demetriaca.316 Armi da getto sono state rinvenute a Gravisca nello scavo del nuovo deposito settentrionale, espressione di un culto ctonio e connotato in senso magno-greco317 e non è senza significato che la stessa tipologia di armi si ritrovi anche nel santuario della Malophoros a Selinunte.318

312 De Lucia Brolli 2010, p. 351. 313 Sulla presenza di punte di lancia, giavellotti e frecce nei santuari di Pyrgi e Orvieto/Belvedere e sulla loro correlazione al culto di divinità folgoratrici: Colonna 1991-92, pp. 101-104. Si veda ora per Pyrgi l’interpretazione di Donatella Gentili che mette in relazione questa tipologia di offerte con un culto nel settore nord-orientale del santuario ad Atena/Minerva quale protettrice dei giovani maschi nel momento del passaggio all’età adulta (Gentili 2013, p. 114). 314 Per il peso di Grotta Porciosa, De Lucia Brolli 2010, p. 351, figg. 14-15; per quello di Gravisca, Colivicchi 2004, p. 113, n. 343, fig. 18. 315 Tra queste testimonianze, solo quelle di Narce appaiono chiaramente inquadrabili in un momento cronologico ben delineato, coincidente, come si è detto, con la prima metà e comunque più in generale con il iii sec.a.C.; infatti, sia a Falerii-Vignale sia a Grotta Porciosa, le armi rinvenute non sono riferibili ad una precisa fase di frequentazione delle aree sacre, anche se per Grotta Porciosa è probabile una collocazione in età ellenistica. 316 Si veda ad es. il santuario ernico di S.Cecilia ad Anagni: Gatti 1994-95, pp. 119-121. Non stupisce peraltro la presenza di armi in contesti santuariali di questo tipo, se si considera, come è stato più volte sottolineato, che a Roma nel periodo arcaico l’inizio della stagione agraria e della guerra coincidevano (Torelli 1986, pp. 165-166). 317 Nell’area settentrionale di Gravisca i sauroteres in ferro sembrano avere dimensioni inferiori a quelli delle armi reali: così Fortunelli 2007, p. 296, che avanza l’ipotesi di oggetti di destinazione votiva. Sulla distribuzione delle armi da getto nelle aree santuariali di Gravisca, ibidem, p. 332. 318 Gabrici 1927, c. 363 ss., figg. 157-158; c. 368, fig. 159.

il culto e gli aspetti del rituale In Etruria la diffusione del culto demetriaco è documentata in diverse aree sacre sin dalla fine del vi-prima metà del v sec. a.C.,319 ma l’evidenza di un culto connesso al ciclo vitale della natura nel territorio falisco in epoca ancora precedente è data dalla nota “olla di Cerere” dalla necropoli di Colonnette a Falerii, che già nel vii sec. a.C. riporta nell’iscrizione falisca dalla tormentata interpretazione il nome della dea Ceres.320 Culto che dovette avere una certa continuità, come attesta la sua sopravvivenza in quello di Cibele, documentato in età imperiale sia nel principale centro di età romana, Falerii Novi, dall’iscrizione di Caius Iulius Severus del ii sec. d.C.,321 sia nel porto di Seripola da ben due bronzetti con l’immagine della dea,322 sia ancora nell’entroterra ai margini della Selva Cimina da una dedica del i sec. d.C., rinvenuta in loc. Boschetto nel territorio di Vignanello.323 Al pari delle offerte sacrificali di maialini appena nati, nel nostro santuario assume un certo rilievo il rinvenimento di altre specie animali, in particolare piccoli volativi e galli, che suggeriscono, anche in virtù di una distribuzione coerente, di ipotizzare la presenza di un culto tributato forse, oltre che a Demetra, anche a Persefone. Nel vano C, l’offerta del gallo è associata a quella di resti di maialino appena nato nell’angolo costituito dal muro È e dal setto trasversale che divide questo spazio dall’area delle “teche”; resti di gallus gallus sono stati rinvenuti anche nel vano A, nella deposizione votiva primaria US 71, sulla quale ci si è già soffermati, mentre una coppetta a vernice nera dell’US 58 conteneva ossa di aves non definibili con precisione.324 Analoghe attestazioni vengono anche dall’Area esterna nord, e dallo strato di livellamento del vano B, US 95. Il gallo, animale caro a Kore-Persefone, come attestano gli stessi pinakes locresi,325 sottolinea ancora una volta il carattere pecu319 Il tema è stato trattato da S. Carosi in occasione del Symposium Cumanum 2008 in una relazione dal titolo “Veio, Roma ed il culto di Demetra/Cerere”. 320 Sull’iscrizione CIE 8079 della cd. “olla di Cerere”: Giacomelli 1978, pp. 525-526, fig. a p. 509, con bibliografia precedente e, da ultimo, Bakkum 2009, p. 393 ss. Sulla interpretazione dell’epigrafe quale testimonianza dell’introduzione del culto dionisiaco nella acculturata società falisca del VII sec. a.C. e sulla esistenza a Falerii di una associazione femminile legata a questo culto si veda Peruzzi 1998, pp. 81 ss. In occasione del rinnovato allestimento delle sale falische al Museo di Villa Giulia nel medesimo anno, lo smontaggio del vecchio restauro dell’olla ha restituito ai frammenti una sequenza più affidabile che, comunque, non inficia la lettura dei principali elementi epigrafici alla base dell’interpretazione proposta. 321 CIL XI, 3123. Sull’iscrizione: Di Stefano Manzella 1979, p. 78. 322 Francocci 2006, p. 274, nn. 5 e 6, figg. VI.4.5.6. 323 CIL XI, 3080, sulla quale ancora Di Stefano Manzella 1979, p. 78. Anche ad Agrigento nell’area sacra tra il tempio di Zeus e Porta V, al culto di Demetra si sostituisce in età romana un culto verosimilmente collegato a Cibele: De Miro 2000, p. 95 s., con riferimenti a fonti e documenti archeologici attestanti l’identificazione di Demetra e Kybele. 324 Inv. n. 209, tipo P8IIIN, n. 22. 325 Il gallo ricorre quasi sempre nelle scene connesse con Persefone e assume probabilmente un significato simbolico in relazione a riti di passaggio delle fanciulle verso le nozze o dei giovani maschi verso l’età adulta: Rubinich 2003, p. 13, nota 52; inoltre p. 17, nota 73, con riferimenti bibliografici.

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liare del culto praticato nel santuario.326 La specificità del sacrificio carneo rappresenta comunque solo uno degli indicatori che ci indirizzano verso questa ipotesi, che acquista concretezza grazie al ritrovamento dei resti, sia pure estremamente lacunosi, di una coppia di statue femminili sedute in trono. La presenza, sulla spalliera del trono di dimensioni al vero di una delle due statue di una protome di serpente crestato e barbato (A1fr 1), non lascia dubbi sulla identificazione di quel che rimane con Persefone e permette di ipotizzare conseguentemente che si possa riconoscere nell’altra raffigurazione, di dimensioni superiori al vero, Demetra (A1fr 2). L’immagine delle due dee in trono rimanda al tema del legame indissolubile tra la madre e la figlia e nel contempo evoca, grazie al simbolismo rappresentato dall’iconografia del serpente barbato e crestato, il mondo degli inferi e il fluire delle stagioni. Se quindi il culto appare qui trovare la sua massima caratterizzazione in senso demetriaco-coreico, nel contempo traspare dalla tipologia delle offerte una diversa valenza incentrata sulla figura di Persefone nella sua qualità di sposa del dio dell’Ade, in una ambivalente integrazione con la dea dell’amore, già ampiamente riconosciuta sia a Locri Epizefiri come pure altrove in area magno-greca, sia nella stessa Etruria a Gravisca.327 Afrodite si riconosce infatti in una piccola statua rinvenuta accuratamente riposta nel Recinto A lungo il muro ‚, protetta da un blocco (A2 1); le dimensioni della figura – ad un terzo del vero – sottolineano la forza della devozione, nella quale trova espressione l’universo femminile nei suoi vari aspetti. La statua ci restituisce l’immagine dello svelamento della dea, che allontana dal viso il manto nel quale è avvolto il corpo nudo; l’atto, in forma più composta, quasi a sottolineare la distanza tra amor sacro e amor profano, si ritrova anche in una statuina, di cui rimane un frammento purtroppo non in situ, riproducente una figura femminile velata e diademata la cui iconografia richiama il gesto nuziale dell’anakalypsis (Dfr58); il rimando a Persefone trova conforto dallo studio degli esemplari provenienti da santuari sicelioti.328 Il tema delle nozze si esprime nello stesso vano A negli ex-voto riposti nella cassetta di tegole addossata

326 A Pyrgi il gallo è presente tra i resti faunistici del piazzale nord nell’area del santuario meridionale, dove è attestato un culto demetriaco (ringrazio Paola Baglione per la cortese informazione). 327 Per l’associazione Afrodite-Persefone v. Torelli 1978, pp. 161162 e p. 177. Lo stretto legame tra le due divinità è stato riconosciuto anche a Medma nel deposito votivo in località Calderazzo, nel quale anathemata fittili dimostrano l’affermarsi di pratiche devozionali e nuziali rivolte ad entrambe (Iannelli, Cerzoso 2005, p. 683). Anche a Morgantina è testimoniata la condivisione del culto di Afrodite con Demetra e Kore (Allen 1977, p. 139). Nel santuario messapico di Monte Papalucio (Oria) nella fase di iviii sec. a.C. si inserisce accanto al culto demetriaco quello di Afrodite, analogamente a quello che avviene in un’altra area sacra, posta più a sud sulle pendici, dove è connotato in senso ctonio e documentato anche da ossa animali di volatili. La valenza ctonia del culto e la sua associazione a Demetra si ritrova in altre aree sacre della Messapia (Mastronuzzi 2008, pp. 146-147). 328 Pautasso 2008, p. 287.

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al muro ·, sulla quale ci si è già soffermati: la statuetta femminile con alabastron e discerniculum D4III e la mano con colomba G5XVIII, che si è proposto di interpretare come l’offerta di una nubenda.329 Alla luce della lettura proposta, acquista un più pregnante significato anche il nucleo di offerte (UUSS 75-76) immediatamente adiacente, deposte contestualmente al compimento di un atto cerimoniale tra l’ultimo quarto del iv e la prima metà del iii sec. a.C.: significativa appare infatti la composizione del piccolo deposito che vede accanto a statuette femminili stanti con l’offerta di un fiore in boccio o del melograno (?)330 – chiaro riferimento al mondo ctonio della fertilità –, una kourotrophos331 e una coppia di statuine riproducenti una figura femminile riccamente abbigliata con in grembo un bambino e una colomba,332 che sembra alludere piuttosto alla sfera cultuale di divinità quali Afrodite e Persefone. Significativa appare anche la collocazione delle offerte, che, tutte improntate a sottolineare l’aspetto femminile e materno del culto, sono state volutamente riposte dietro i blocchi US 74, rispettando forme del rituale documentate nei santuari demetriaci dell’Italia meridionale e della Sicilia.333 Come per i depositi dell’area D ed F, collegati rispettivamente agli altari II e IV, acquista dunque significato l’articolazione e la distribuzione tipologica degli ex-voto anche nel complesso costituito dai distinti spazi A, B e C, che sembra assumere una specifica destinazione cultuale in tutte le sue diverse componenti, nel solco di una tradizione precedente.334 È suggestivo che nella fase finale di frequentazione del santuario e pur nel succedersi delle trasformazioni architettoniche, si continuino a conservare solo in questi spazi gli ex-voto più antichi, soprattutto i busti335 – tra questi spicca il busto femminile B1I nel quale si avvertono echi magno-greci – e le teste femminili velate del v e iv sec. a.C., caratterizzati dalla presenza del diadema e da ricchi gioielli secondo un modello iconografico che sembra alludere al momento delle nozze o allo status ad esse conseguente; è indicativo che anche i tipi della statuetta con colomba e bambino e della offerente che stringe al seno un fiore in boccio o un frutto (melograno?), appena ricordati,

abbiano una distribuzione limitata ai vani A, B e C. L’esigua presenza di teste maschili in questo settore (solo 3 esemplari)336 è ascrivibile ad una frequentazione più recente, dato questo che sottolinea la netta prevalenza di un culto tutto al femminile nelle fasi più antiche di vita del santuario. I rarissimi indizi di offerte che potrebbero ricondurre ad un universo maschile vengono dal deposito secondario US 58: si tratta di due “lastre”, di probabile importazione veiente, i cui prototipi sono databili nella prima metà del v sec. a.C.: la prima (D2IA, 1) riproduce una figura maschile gradiente che reca sotto il braccio un animale (sembrerebbe un cerbiatto), l’altra raffigura un recumbente su kline, dall’aspetto giovanile, avvolto solo nella parte inferiore del corpo da un mantello e privo di attributi (D3I, 1). Se la prima ha dato origine ad una variante locale con due generazioni di matrici diffuse nella prima metà del iii sec. a.C. anche al di fuori di questo settore,337 il recumbente costituisce un unicum, forse allusivo al tema del banchetto dionisiaco, secondo l’interpretazione che emerge dagli studi di questi ultimi anni sulle attestazioni in aree santuariali dell’Italia meridionale nelle quali trovano espressione i culti di Demetra e di Persefone nel suo intimo legame con Afrodite.338 Altrettanto significativa appare la concentrazione in questo stesso ambito delle cd. “chiavi” in ferro, la cui ricorrenza in santuari legati a culti di natura ctonia, e in alcuni casi specificatamente demetriaca, è stata qui ampiamente trattata da Laura Ambrosini. In particolare, come è stato sottolineato, i nuclei più interessanti per stato di conservazione e quantità provengono dalle immediate adiacenze dell’altare I – al pari delle due chiavi reali rinvenute –, e dall’Area esterna nord, dove, in prossimità dell’angolo nord-occidentale del muro perimetrale del recinto A, è stato scoperto un vero e proprio accatastamento. È stata giustamente osservata dalla Ambrosini una possibile connessione con il consumo di carne in occasione di cerimonie religiose che si fonda non solo sulla dislocazione presso l’altare, ma anche sul probabile rap-

329 Vedi supra. Per le colombe come attributo di Persefone: Zuntz 1971, p. 177 s.; per la presenza nei pinakes locresi, interpretata anche in rapporto con Afrodite e quindi con le nozze Rubinich 2003, p. 13, note 51 e 52, p. 18, nota 80. Un frammento di statuetta che stringe un alabastron viene anche dal santuario meridionale di Pyrgi, di carattere demetriaco (Gentili 2013, p. 118, fig. 21). 330 D4IBa, 1; D4IBb, 1. La individuazione puntuale dell’offerta è resa difficoltosa dall’usura delle statuine, ricavate da matrici molto stanche. 331 D6V, 1. Un elenco delle divinità alle quali si addice l’appellativo di kourotrophos in Hadzisteliou Price 1978, p. 189-195. 332 D6VI, 1 e 4. 333 Si veda ad esempio la collocazione di offerte in posizioni nascoste entro anfratti rocciosi nel santuario di Entella (Spatafora 2008, p. 275). 334 Anche a Gravisca la distribuzione degli ex-voto consente di delineare l’attribuzione dei vari edifici o parti di edifici ai singoli culti: Comella 1978, pp. 89-92. 335 Si tratta dei busti femminili B1I, II e III e delle teste femminili B2I e II.

336 Tipi B3I e B3IX. 337 D2IBa, 1-3; D2IBb, 1-3. 338 La scoperta di figure maschili sdraiate su klinai, simili iconograficamente ai cd. eroi banchettanti di Taranto, nel santuario di Centocamere a Locri, sacro ad Afrodite, fu considerata di grande rilievo sul piano cultuale già da Mario Torelli (Torelli 1978, p. 149). La documentazione sui santuari di area meridionale edita in questi ultimi anni conferma l’intuizione sul simbolismo rappresentato da questo tipo di ex-voto, che costituisce peraltro un indizio di una frequentazione devozionale anche da parte di individui di sesso maschile. La presenza di recumbenti è attestata a Locri anche nel Thesmophorion di Contrada Parapezza: Sabbione, Milanesio Macrì 2008, p. 210, nota 3; a Medma ricorre in diversi depositi ed in misura particolare nell’area sacra del Mattatoio, dove peraltro è attestato anche un tipo privo di attributi: Iannelli, Cerzoso 2005, p. 681 ss. con ampi riferimenti alla diffusione di queste statuine in Magna Grecia e Sicilia. In Etruria il tipo del recumbente compare anche a Veio/Campetti intorno alla metà del v sec. a.C. ed è attestato da una serie limitata (solo 6 esemplari), anche questa, al pari del nostro esemplare, priva di attributi (Comella, Stefani 1990, pp. 209-210).

il culto e gli aspetti del rituale porto con i due crani di bovino circondati da pietre rinvenuti nell’Area esterna nord. Se tale ipotesi coglie nel segno, l’accatastamento degli esemplari restituiti dal piazzale esterno rimanda a quelle cerimonie collettive non estranee ai rituali demetriaci, riconosciute anche nella deposizione ordinata di crani di bovino nell’area sud di Pyrgi.339 Si è già sottolineato come il culto demetriaco si affermi, presumibilmente nel solco di una tradizione precedente, soprattutto nel corso del iv sec. a.C. e come, intorno alla metà del secolo successivo, la frequentazione degli spazi ad esso collegati culmini in una serie di atti che denotano una dismissione di strutture e suppellettili sacre. L’analisi della stratigrafia orizzontale suggerisce che anche le due monumentali statue femminili in trono – forse Demetra e Persefone – siano andate distrutte nello stesso periodo. Infatti i vari frammenti che ricompongono queste martoriate sculture provengono per la maggior parte dall’US 136, uno strato di obliterazione della soglia attraverso la quale avveniva il passaggio dall’esterno verso l’“adyton” del vano C (C’). Lo strato, per i rapporti con le strutture adiacenti, sembra riferibile alla fase di dismissione del vano, che subisce in questo momento

339 Gentili 2013, p. 121, che richiama Diod. V, 5 il quale, a proposito del thesmophorion di Siracusa, distingue tra offerte di animali di piccola taglia fatte da privati e il sacrificio solenne di tori espressione della comunità; Ambrosini 2013a, pp. 147-149.

91

interventi funzionali all’impianto dell’altare II, fulcro della frequentazione cultuale dell’area D.340 Appare dunque evidente come intorno alla metà del iii sec. a.C. si assista ad un abbandono del culto demetriaco, mentre viene introdotto nell’area D il culto a Minerva Maia e Fortuna, sul quale ci si è già soffermati.341 L’abbandono dei culti preesistenti a favore di queste ultime divinità sembrerebbe in realtà una mera sostituzione di titolarità sulla scia della influenza romana,342 se si considera come siano largamente assimilabili le diverse sfere d’influenza rivolte ai temi della protezione della prole e della nuzialità. Tra l’altro se ha fondamento il percorso che abbiamo ricostruito per quanto riguarda Persefone/Afrodite, non si può non ricordare come nella Roma arcaica Afrodite stessa fosse largamente assimilata a Fortuna.343 340 Dallo stesso strato viene l’applique a forma di mammella A1fr 11. 341 Una contrazione del culto demetriaco si osserva anche nell’area sud di Pyrgi a partire dall’età tardo-classica ed ellenistica: Ambrosini, Michetti 2013, pp. 164-165, che richiamano analoghi fenomeni percepibili in Sicilia e Magna Grecia, forse dovuti ad un ritirarsi del culto nella sfera privata. Si veda al riguardo Hintz 1998, pp. 242243. 342 Nel 293 a C. le lotte dei Falisci contro Roma vedono una vittoria del console Spurio Carvilio (Liv. X, 45, 4-8) con conseguenze che sul centro di Narce appaiono pesanti, a giudicare dalla limitata presenza di tombe di questo periodo: cfr. De Lucia, Baglione 1997, p. 77 ss. 343 Cfr. Torelli 2009, p. 122 con rimando a Coarelli 1988, pp. 253-328; cfr. in particolare pp. 279-281.

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TAVOLE

Tav. 1. Inquadramento dell’area di scavo su base C.T.R. (scala non conforme 1:15.000).

Tav. 2. Modello 3D del terreno.

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parte i

Tav. 3. Rielaborazione della Carta archeologica di Narce del 1894 con indicazione del santuario di Monte Li Santi-Le Rote.

tavole

Tav. 4. Planimetria generale del santuario: fasi I e II.

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parte i

Tav. 5. Planimetria generale: fasi III e IV.

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Tav. 6. Planimetria generale: fasi V e VI.

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parte i

Tav. 7. Prospetti delle principali strutture murarie.

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Tav. 8. Vano E: a) planimetria; b) sezione.

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102

parte i

Tav. 9. Vano C: a) prospetto del lato meridionale; b) sezione.

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Tav. 10. a) area D: sezione prospettica del muro  e dell’altare III; b) vano A: sezione prospettica del lato meridionale.

Tav. 11. Vano C: livelli di sigillo delle “teche” 1 e 2.

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parte i

Tav. 12. Recinto A: particolare del settore dell’altare I in corso di scavo. Sul piano materiali dell’US 81.

tavole

Tav. 13. Recinto A: particolare del sigillo del “pozzetto” e della deposizione degli instrumenta.

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parte i

Tav. 14. Altare II: a) pianta e prospetto meridionale con i blocchi dell’US 154; b) prospetti.

tavole

Tav. 15. a) Assonometria dell’altare I; b) assonometria dell’altare II.

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parte i

Tav. 16. Area D: a) cippo con iscrizione a Minerva Maia; b) cippo con iscrizione a Fortuna.

tavole

Tav. 17. Area D: deposito votivo US 166: a-b) livelli di scavo; c) prospetto.

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parte i

Tav. 18. Area D: nuclei di depositi votivi.

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Tav. 19. Area F: altare IV con il livello superficiale del deposito US 1037.

111

112

parte i

Tav. 20. Strato di sigillo US 94 con conci e tegole nel settore meridionale del recinto A e nel vano B; in chiaro il livello superficiale.

Tav. 21. Recinto A: dettaglio del settore settentrionale.

tavole

Tav. 22. Strato di sigillo US 66 nel recinto A e nei vani B e C.

113

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parte i

Tav. 23. a) sezione C-C’ dell’US 94; b) sezione D-D’ dell’US 66.

Tav. 24. Vano A: deposizione votiva a ridosso del muro ·.

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Tav. 25. Vano A: planimetria con indicazione dello “spazio sacrificale”.

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parte i

Tav. 26. Riempimento delle fondazioni della “Platea monumentale”.

Tav. 27. Rito di fondazione 1004, relativo alla struttura Â’.

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Tav. 28. Vano E: la fornace con resti del sigillo di tegole.

Tav. 29. Vano E: la fornace con resti del sigillo di tegole in corso di scavo.

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parte i

Tav. 30. Vano E: rito di dismissione della fornace.

Tav. 31. Sacello AA: fondazioni del muro ·.

tavole

Tav. 32. Vano A: il bothros ‰ con il suo riempimento.

Tav. 33. Vano A: il bothros ‰ al termine dello scavo; nell’angolo è visibile il condotto di coppi.

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parte i

Tav. 34. Recinto A: il deposito 58 a ridosso del bothros ‰.

Tav. 35. Recinto A: il deposito 58, particolare.

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Tav. 36. Recinto A: il deposito 58, particolare.

Tav. 37. Recinto A: il deposito 58, particolare.

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parte i

Tav. 38. Recinto A: gruppo di statuine di togati (US 59) alla base del deposito 58.

Tav. 39. Recinto A: mano votiva isolata protetta da tegole a ridosso del bothros ‰.

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Tav. 40. Recinto A: offerte votive dell’US 75-76 a ridosso del blocco 74.

Tav. 41. Recinto A: il deposito 71.

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parte i

Tav. 42. Vano A: il muro Î e i tre cippi.

Tav. 43. Recinto A: tegole poste a sigillo dei cippi.

tavole

Tav. 44. Recinto A: il piaculum sotto le tegole di sigillo dei cippi.

Tav. 45. Recinto A: il deposito 101.

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parte i

Tav. 46. Recinto A: offerte votive sparse sul piano.

Tav. 47. Recinto A: il sigillo del cd. “pozzetto” presso l’altare I.

tavole

Tav. 48. Recinto A: il cd. “pozzetto” presso l’altare I in corso di scavo.

Tav. 49. Recinto A: particolare del sigillo del cd. “pozzetto”; in alto a sinistra sono l’olletta e la coppa del piaculum.

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parte i

Tav. 50. Recinto A: il forno e i resti del piatto, sul quale erano terra carbonizzata con residui di ossa animali.

Tav. 51. Recinto A, il forno in corso di scavo: tegole poste a sigillo dei resti del piatto.

tavole

Tav. 52. Recinto A, il forno in corso di scavo: sopra le tegole di sigillo sono deposte una coppetta a vernice nera e una olletta acroma.

Tav. 53. Recinto A, il forno all’inizio dello scavo.

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parte i

Tav. 54. Recinto A: la statua di Afrodite nascosta contro il muro perimetrale ‚.

Tav. 55. Recinto A: statuina fittile protetta da tegole e addossata al muro perimetrale.

Tav. 56. Recinto A: offerte votive addossate al muro perimetrale.

tavole

Tav. 57. Recinto A: coppia di statuine fittili addossate al muro perimetrale.

Tav. 58. Recinto A: il sigillo di blocchi US 66 visto da nord-ovest.

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parte i

Tav. 59. Recinto A: lo strato di tegole e blocchi nel settore meridionale. In alto a destra si vede il forno deposto nell’angolo del recinto.

Tav. 60. Recinto A: offerta votiva contenuta entro un incasso di un blocco di sigillo.

Tav. 61. Recinto A: il blocco con incassi dopo l’asportazione dell’offerta.

tavole

Tav. 62. Panoramica del recinto A e del vano B al termine dello scavo.

Tav. 63. Sacello AA: rocchio di colonna inserito nelle fondazioni del vano B.

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134

parte i

Teca 2

Scavo clandestino

Teca 1

Tav. 64. Vano C: a destra è visibile l’ampio scavo clandestino US 138, a sinistra le “teche”.

Tav. 65. Vano C: US 135, ex-voto e offerte rituali presso i blocchi 192 e 191.

tavole

Tav. 66. Vano C: US 135, resti di maialino neonato e olpetta acroma nell’angolo tra il muro È e il setto Ó.

Tav. 67. Vano C’: sigillo di tegole della “teca 2”. I livello.

135

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parte i

Tav. 68. Vano C’: sigillo di tegole della “teca 2”, II livello.

Tav. 69. Vano C’: sigillo di tegole della “teca 2”. III livello.

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Tav. 70. Vano C’: sigillo di tegole della “teca 2”. IV livello.

Tav. 71. Vano C’: sigillo di tegole della “teca 1”.

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parte i

Tav. 72. Vano C’: le “teche” a scavo ultimato.

Tav. 73. Vano C: rito di riconsacrazione del settore C’. Nella nicchietta a destra è una olpetta a vernice nera, a sinistra frammenti ossei.

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Tav. 74. Area D: l’altare II con i tre blocchi US 154 addossati alla struttura.

Tav. 75. Area D: in primo piano l’altare III; sullo sfondo i cippi iscritti con i teonimi Minerva Maia e Fortuna.

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parte i

Tav. 76. Area D: resti del rito di consacrazione sotto l’altare III.

Tav. 77. Area D: i cippi iscritti con dedica a Minerva Maia e Fortuna.

tavole

Tav. 78. Area D: il muro  e il setto 178 nel settore dei cippi iscritti.

Tav. 79. Area D: il deposito 166.

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parte i

Tav. 80. Area D: il deposito 166 in corso di scavo.

Tav. 81. Area D: il deposito 166, particolare.

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Tav. 82. Area D, deposito 166: bambini in fasce e statue votive addossate al muro in posizione eretta.

Tav. 83. Area F: l’altare IV.

143

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parte i

Tav. 84. Area F: nell’angolo in fondo è visibile la deposizione di tegole 1078, probabile rito di riconsacrazione dell’area.

Tav. 85. Area F: il deposito 1037 in corso di scavo.

Tav. 86. Area F: il deposito 1037, livello inferiore.

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Tav. 87. Area F: deposito 1037, particolare.

Tav. 88. Area G: l’altare V, panoramica al termine degli scavi.

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parte i

Tav. 89. Area esterna nord: panoramica.

Tav. 90. Area esterna nord: l’offerta del bucranio.

tavole

Tav. 91. Area esterna nord: le offerte votive lungo il muro ·.

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parte i

Tav. 92 a. Recinto A, deposito 58: coppetta con residui di bruciato chiusa da coperchio.

Tav. 92 b. Recinto A, deposito votivo 58: coppette a vernice nera impilate, associate a residui di bruciato.

Tav. 92 c. Recinto A, deposito votivo 58: coppette a vernice rossa e a vernice nera impilate, contenenti residui di offerte animali.

Tav. 92 d. Recinto A, deposito 58: impilamento di coppette a vernice nera, l’ultima ha funzione di coperchio.

Tav. 92 e. Recinto A, deposito 58: coppette con residui di bruciato impilate e chiuse da un coperchio.

Tav. 92 f. Recinto A, deposito 58: coppa a vernice nera contenente residui di offerta animale e bruciato, protetta da un coperchio.

Tav. 92 g. Recinto A, deposito 58: coppette a vernice nera contenenti un’offerta di carne di maiale. Tav. 92 h. Recinto A, deposito 58: olletta con bruciato associata ad una coppetta a vernice nera.

tavole

149

Tav. 93 a. Recinto A, deposito 58: olpetta acroma chiusa da una coppetta.

Tav. 93 b. Recinto A, deposito 58: serie di coppette impilate chiusa da una coppetta miniaturistica a vernice nera. Comprendeva l’offerta di carne di maiale e bruciato.

Tav. 93 c. Recinto A, deposito 58: coppetta miniaturistica con residui di bruciato coperta da una coppa a vernice nera.

Tav. 93 d. Recinto A, deposito votivo 58: coppette a vernice nera impilate.

Tav. 93 e. Recinto A, deposito 101: coppette a vernice nera impilate contenenti frustuli di offerte animali e di residui carboniosi.

Tav. 93 f. Recinto A, US 95: coppetta a vernice nera con resti di un’offerta animale.

Tav. 93 g. Recinto A, deposito 58: coppetta a vernice nera contenente frustuli di ossa animali e legno bruciato.

Tav. 93 h. Recinto A, deposito 101: coppetta a vernice nera contenente frustuli di offerte animali.

Tav. 93 i. Recinto A, deposito 101: kyathos miniaturistico a vernice nera contenente offerte animali.

Tav. 93 l. Recinto A, deposito 101: piedino di coppetta a vernice nera contenente residui carboniosi.

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SO MMA R IO G E NER A L E Premessa Introduzione Abbreviazioni bibliografiche Maria Anna De Lucia Brolli, Storia degli scavi e stato degli studi

9 11 13 37

PA RT E I Leonardo Maria Giannini, La geologia dell’area Maria Anna De Lucia Brolli, La topografia dell’area sacra Maria Gilda Benedettini, Maria Anna De Lucia Brolli, Le fasi del complesso monumentale Maria Anna De Lucia Brolli, Il culto e gli aspetti del rituale Tavole

41 47 49 69 93

PA RT E I I Catalogo Criteri di classificazione (Maria Anna De Lucia Brolli)

13

A – Statue (Claudia Carlucci - Maria Anna De Lucia Brolli) A1fr – Frammenti di statue sedute A2 – Statue femminili A2fr – Frammenti di statue femminili A3fr – Frammenti di statue maschili A fr – Frammenti di statue di sesso non identificabile

15 21 23 23 24 26

B – Busti e teste (Maria Anna De Lucia Brolli) B1 – Busti B2 – Teste femminili isolate B3 – Teste maschili isolate B4 – Teste giovanili (?) Bfr – Frammenti di busti e teste isolate di tipo non identificabile

35 37 38 45 48 49

C – Rappresentazioni di bambini (Maria Gilda Benedettini) C1 – Bambini in fasce C2 – Bambini accovacciati C3 – Bambini stanti Cfr – Frammenti di rappresentazioni di bambini

51 51 59 63 64

D – Statuette (Maria Anna De Lucia Brolli) D1 – Figure maschili stanti D2 – Figure maschili gradienti D3 – Recumbenti D4 – Figure femminili stanti D5 – Figure femminili gradienti D6 – Figure femminili sedute D7 – Coppie D8 – Figure giovanili D9 – Testine isolate e staccate Dfr – Frammenti di statuette di incerta attribuzione

69 69 73 73 74 89 90 93 97 98 106

E – Clave votive (Maria Anna De Lucia Brolli)

111

F – Statuette di animali (Maria Gilda Benedettini) F1 – Statuette di bovini

113 115

152

sommario generale F2 – Statuette di cavalli F3 – Statuette di suini F4 – Statuette di canidi F5 – Statuette di arieti (?)

117 117 118 118

G – Ex-voto anatomici (Maria Gilda Benedettini) G1 – Maschere G2 – Occhi isolati G3 – Orecchie isolate G4 – Arti superiori completi G5 – Mani isolate G6 – Dita isolate G7 – Arti inferiori completi G8 – Piedi isolati G9 – Mammelle G10 – Uteri G11 – Organi genitali maschili G12 – Elementi poliviscerali G13 – Vesciche G14 – Torsetti G15 – Organi non identificabili

119 119 126 126 127 129 133 134 136 143 146 148 151 152 153 153

H – Frammenti modellati non inseribili nelle singole classi (Maria Anna De Lucia Brolli - Maria Gilda Benedettini) H1 – Frammenti di teste o maschere H2 – Frammenti di arti superiori H3 – Frammenti di arti inferiori

155 155 165 173

I – Pesi da telaio e fuseruole (Maria Gilda Benedettini) I1 – Pesi da telaio I2 – Fuseruole

185 185 189

J – Cippetti (Maria Gilda Benedettini)

191

L – Oggetti di bronzo (Laura Ambrosini) L1-4 – Statuette L5 – Coltello L6 – Campanello L7-11 – Aes rude L12-14 – Vasellame L15-24 – Lamine di rivestimento L25-37 – Borchiette, chiodi e chiodini L38 – Utensili L39-43 – Fibule

193 196 196 196 196 197 197 197 198 198

M – Oggetti di ferro (Laura Ambrosini) M1 – “Chiavi” M2 – Chiavi reali M3 – Armi M4 – Coltelli M5 – Spiedi M6 – Alari M7 – Pinze da fuoco M8 – Staffe M9 – Grappe M10 – Fascette di rivestimento M11 – Cerniere M12 – Perni M13 – Ganci M14 – Piccone M15 – Chiodi Mfr – Frammenti di ferro non attribuibili a forme specifiche

199 207 211 211 211 212 212 212 212 213 213 213 213 213 213 213 218

sommario generale

153

N – Oggetti di piombo (Laura Ambrosini)

219

O – Basi/basette e cippi lapidei (Laura Ambrosini-Barbara Belelli Marchesini) O1 – Altari e cippi-altari O2 – Basi O3 – Basette

221 222 223

P – Ceramica (Laura Ambrosini, Barbara Belelli Marchesini, Claudia Carlucci, Alessandra Costantini, Laura M. Michetti) P1 – Bucchero P2 – Ceramica attica a figure rosse P3 – Ceramica di importazione (?) a vernice nera P4 – Ceramica a vernice rossa P5-7 – Ceramica etrusca e falisca figurata e ceramica ad ornati neri P5 – Ceramica etrusca e falisca figurata a figure rosse P6 – Ceramica etrusca e falisca ad ornati neri e ad ornati vegetali (a decorazione non figurata) P7 – Ceramica a vernice nera sovradipinta P5-7fr – Frammenti di incerta classificazione P8 – Ceramica a vernice nera P9 – Ceramica argentata P10 – Ceramica acroma e a fasce P11 – Vasi potori a pareti sottili P12 – Terra sigillata italica P13 – Ceramica invetriata P14 – Ceramica moderna P15 – Ceramica d’impasto orientalizzante P16 – Ceramica d’impasto chiaro sabbioso P17 – Ceramica comune

225 234 240 241 250 253 255 257 265 268 307 308 330 330 331 331 331 332 349

Q – Alari, forni/fornelli (Maria Gilda Benedettini, Claudia Carlucci) Q1 – Cd. “Alari” votivi Q2 – Alari funzionali Q3 – Forni e fornelli

407 407 411

R – Rivestimenti (Barbara Belelli Marchesini, Maria Anna De Lucia Brolli) R1 – Tegole e coppi R2 – Terrecotte architettoniche

413 417

S – Varia (Laura Ambrosini, Barbara Belelli Marchesini, Maria Gilda Benedettini, Maria Anna De Lucia Brolli)

421

Figure e Tavole

425 PA RT E I I I

Laura Biondi, Le iscrizioni Tavole Jacopo De Grossi Mazzorin, Le offerte alimentari di origine animale del santuario di Monte Li Santi: analisi archeozoologica Addendum. I rinvenimenti monetali Maria Anna De Lucia Brolli, Considerazioni conclusive Abbreviazioni bibliografiche

11 27 39 57 63 69

co m po sto in c a r atter e dante monotype dalla fa b riz io ser r a editor e, pis a · roma. sta m pato e r ilegato nella t ipo gr a fia di agnano, agnano pis ano (pis a). * Maggio 2016 (cz 3 · fg 21)

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MEDITE R R A NEA supplementi * Andrea Babbi, La piccola plastica fittile antropomorfa dell’Italia antica dal Bronzo all’Orientalizzante, 2007 («Mediterranea», Supplemento, 1). Lidia Falcone, Virginia Ibelli, La ceramica campana a figure nere. Tipologia, sistema decorativo, organizzazione delle botteghe, 2007 («Mediterranea», Supplemento, 2). Una nuova iscrizione a Magliano Sabina. Scrittura e cultura nella valle del Tevere, a cura di Paola Santoro, testi di Vincenzo Bellelli, Enrico Benelli, Alessandra Minetti, Paolo Poccetti, Francesco Roncalli, Paola Santoro, 2008 («Mediterranea», Supplemento, 3 · Civiltà arcaica dei Sabini nella Valle del Tevere, 2). Alfredo Guarino, Le terrecotte architettoniche a stampo da Vigna Parrocchiale. Scavi 1983-1989, 2010 («Mediterranea», Supplemento, 4 · Caere, 5). Enrico Benelli, Claudia Rizzitelli, Culture funerarie d’Abruzzo (iv-i secolo a.C.), 2010 («Mediterranea», Supplemento, 5). Laura Ambrosini, Le gemme etrusche con iscrizioni, 2011 («Mediterranea», Supplemento, 6). Flaminia Verga, Persistenze ed evoluzione del popolamento in area centro-italica in età antica: il caso del vicus di Nersae, 2011 («Mediterranea», Supplemento, 7 · Civiltà arcaica dei Sabini nella Valle del Tevere, 3). La lamina di Demlfeld, a cura di Carlo de Simone e Simona Marchesini, 2013 («Mediterranea», Supplemento, 8). Jacopo Tabolli, Narce tra la prima età del Ferro e l’Orientalizzante antico. L’abitato, I Tufi e La Petrina, 2013 («Mediterranea», Supplemento, 9 · Civiltà arcaica dei Sabini nella Valle del Tevere, 4). Per Maristella Pandolfini cên zic zi¯u¯e a cura di Enrico Benelli, 2014 («Mediterranea», Supplemento, 10). Caere e Pyrgi: il territorio, la viabilità e le fortificazioni, Atti della Giornata di Studio, Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, 1 marzo 2012, a cura di Vincenzo Bellelli, 2014 («Mediterranea», Supplemento, 11 · Caere, 6). Francesca Colosi, Alessandra Costantini, Il territorio tra Otricoli e Magliano Sabina in epoca romana, in preparazione. («Mediterranea», Supplemento, 12 · Civiltà arcaica dei Sabini nella Valle del Tevere, 5). Valentina Belfiore, La morfologia derivativa in etrusco. Formazioni di parole in -na e in -ra, 2014 («Mediterranea», Supplemento, 13). Maria Anna De Lucia Brolli, Il santuario di Monte Li Santi-Le Rote a Narce. Scavi 1985-1996. i. Storia degli scavi e stato degli studi, 2015 («Mediterranea», Supplemento, 14 · Civiltà arcaica dei Sabini nella Valle del Tevere, 6). Maria Anna De Lucia Brolli, Il santuario di Monte Li Santi-Le Rote a Narce. Scavi 1985-1996. ii. Catalogo, 2015 («Mediterranea», Supplemento, 15 · Civiltà arcaica dei Sabini nella Valle del Tevere, 7). Maria Anna De Lucia Brolli, Il santuario di Monte Li Santi-Le Rote a Narce. Scavi 1985-1996. iii. Conclusioni, 2015 («Mediterranea», Supplemento, 16 · Civiltà arcaica dei Sabini nella Valle del Tevere, 8). La lavorazione del bronzo e del ferro nell’area di Vigna Parrocchiale, in preparazione («Mediterranea», Supplemento, 17 · Caere, 7). Maria Raffaella Ciuccarelli, Cerveteri, Necropoli della Banditaccia. Scavi Lerici in località Bufolareccia, in preparazione («Mediterranea», Supplemento, 18 · Caere, 8).