Il restauro con prodotti chimici. I prodotti, il cantiere, le tecniche, le misure di sicurezza [1° ed.] 8881843706, 9788881843701

Una strumento per tutti coloro che operano nel settore del restauro di opere ed edifici. Si parte dai concetti teorici d

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Il restauro con prodotti chimici. I prodotti, il cantiere, le tecniche, le misure di sicurezza [1° ed.]
 8881843706, 9788881843701

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EDILIZIA

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Quaderni per il coordinatore

Il restauro con prodotti chimici

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Quaderni per il coordinatore

Giuseppe Spadola

I prodotti, il cantiere, le tecniche, le misure di sicurezza

Il restauro con prodotti chimici

Uno strumento fondamentale per tutti coloro che operano nel settore del restauro di opere ed edifici, soprattutto di quelli che hanno un interesse storico-artistico. Il volume offre un panorama completo di tutte le informazioni necessarie per operare in questo comparto. Si parte dai concetti teorici di chimica, offrendo al lettore una serie di schede di approfondimenti dei problemi più complessi, analizzando tra l'altro il rapporto causa-effetto tra ambiente aggressivo e manufatto. Di particolare interesse la rassegna delle principali tecniche di pulitura, consolidamento e protezione, con chiarimenti relativi a vantaggi e agli svantaggi delle stesse, riepilogati da tabelle esplicative. Un capitolo parte è poi dedicato ai prodotti chimici esistenti in commercio e di utilizzo più frequente, correlati dai dati chimici e fisici di maggiore importanza. Ma il libro non si ferma qui e presenta un quadro aggiornato di tutto quello che è necessario per gestire la sicurezza in tutte le sue fasi, dalla progettazione all'intervento di restauro. Offrendo spunti e suggerimenti utili ai coordinatori per la sicurezza, agli esecutori dei lavori ma anche ai capocantieri. In coda al volume, infine, una ricca appendice che spazia dai laboratori specializzati ad eseguire indagini diagnostiche con indicazioni sui costi, alla pratica chimica di cantiere, dalle prescrizioni operative per i centri storici agli adempimenti 626 e 494 per i Coordinatori per la Sicurezza, Committenti e Imprese.

Giuseppe Spadola Diplomato in Chimica Industriale e laureato in Ingegneria Nucleare indirizzo Materiali, ha una esperienza più che decennale nel campo della Formazione Professionale svolta come Docente dell’Ente Cassa e Scuola Edile di Ragusa sia nel settore della Sicurezza dei Cantieri (626 e 494) che in quello del restauro dei BB.CC. Componente del Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Ragusa, della Commissione di Sicurezza della Consulta degli Ordini degli Ingegneri della Sicilia, della Commissione di Risanamento dei Centri Storici di Ragusa.

Testi collegati • Risanamento igienico edilizio di D. Bosia • Recupero e restauro degli edifici storici

G. Spadola

di S.F. Musso

• Progetto e verifica delle costruzioni in muratura in zona sismica di F. Iacobelli • Il comportamento nel tempo degli edifici di F. Lembo, F.P.R. Marino

g 25,00

Il restauro con prodotti chimici I prodotti, il cantiere, le tecniche, le misure di sicurezza

QUADERNI PER IL COORDINATORE

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI I prodotti, il cantiere, le tecniche, le misure di sicurezza

di GIUSEPPE SPADOLA

A mia madre

Ringraziamenti: Premesso che l’autore si assume la piena e unica responsabilità del contenuto del testo, desidero ringraziare il Direttore dell’Ente Cassa e Scuola Edile di Ragusa il Dott. Giovanni Lucifora e la S.ra Francesca Emmolo dell’Amministrazione della Scuola, per avere incoraggiato e sostenuto il lavoro che qui si presenta.

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

ISBN 88-8184-???? Copyright © 2005 EPC LIBRI s.r.l. - Via dell'Acqua Traversa, 187/189 - 00135 Roma Servizio clienti: Tel. 06 33 245 271 Redazione: Tel. 06 33 245 264/205 - Fax: 03 3313212 - www.epclibri.it Proprietà letteraria e tutti i diritti riservati alla EPC LIBRI. La struttura e il contenuto del presente volume non possono essere riprodotti, neppure parzialmente, salvo espressa autorizzazione della Casa Editrice. Non ne è altresì consentita la memorizzazione su qualsiasi supporto (magnetico, magneto-ottico, ottico, fotocopie, ecc.). Benché la Casa Editrice abbia curato con la massima attenzione la preparazione del volume declina ogni responsabilità per possibili errori od omissioni, nonché per eventuali danni risultanti dall'uso dell'informazione ivi contenuta.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

INDICE GENERALE

Introduzione ......................................................................... 9 Cos’è e cosa non è questo testo ............................................. 9

CAPITOLO 1 PRINCIPI DI CHIMICA ................................................................ 11 1.1

Principi di chimica inorganica .............................................. 11

1.2

Classificazione petrografica e commerciale ........................... 12

1.3

Due parole sulla struttura degli atomi .................................... 13

1.4

Legami chimici e altro ......................................................... 17

1.4.1 Legami fisici .................................................................. 20 1.5

Cos’è una reazione chimica ............................................... 22

1.6

Formazione di composti ...................................................... 24

1.7

Il PH: acidità e basicità delle soluzioni ................................. 27

1.8

Cosa può avvenire quando sciogliamo un sale nell’acqua? ................................. 28

1.9

Chimica organica ............................................................... 29

1.10 Composti aromatici ............................................................. 31 1.11 Nomenclatura dei composti organici .................................... 32 1.11.1Idrocarburi .................................................................... 32 1.11.2Composti con l’ossigeno ................................................. 34 1.11.3Composti con l’azoto ..................................................... 34 3

SCHEDA 1 - Solubilizzazione e cristallizzazione dei sali .................... 43 SCHEDA 2 - Acqua, degrado, porosità ............................................. 46 SCHEDA 3 - Emulsioni e soluzioni .................................................... 51 SCHEDA 4 - I licheni ........................................................................ 53 SCHEDA 5 - Il problema della solubilità nei solventi organici e nell’acqua ................................................................. 56

CAPITOLO 2 INTERAZIONE CON L’AMBIENTE ..............................................59 2.1

Interazione ambiente aggressivo-manufatto ............................59

2.1.1 Il degrado è un equilibrio ................................................59 2.2

Fattori di degrado ..............................................................63

CAPITOLO 3 PULITURA CONSOLIDAMENTO PROTEZIONE ...........................71 3.1

Premessa ...........................................................................71

3.2

Pulitura .............................................................................72

3.3

Meccanismi di pulitura ........................................................74

3.4

Pulitura chimica ..................................................................75

3.5

Impacchi biologici ..............................................................77

3.6

Resine a scambio ionico ......................................................77

3.7

Problemi di puliture particolari ..............................................78

3.8

Consolidamento .................................................................79

3.9

Modalità d’applicazione .....................................................82

3.10 Consolidanti inorganici .......................................................84 3.11 Consolidanti a base di silicio: silicati alcalini ........................86 3.12 Consolidanti organici a base di silicio ...................................89 4

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

3.13 Consolidanti organici ......................................................... 92

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

3.14 Protezione ......................................................................... 98

CAPITOLO 4 PRODOTTI CHIMICI .................................................................. 101 4.1

Prodotti chimici generici ................................................... 101

CAPITOLO 5 IL RISCHIO CHIMICO NEL CANTIERE DI RESTAURO ................................................. 121 5.1

Il rischio chimico generico ................................................. 121

5.2

Definizioni ....................................................................... 122

5.3

Stoccaggio degli agenti chimici pericolosi ........................... 124

5.4

Prodotti chimici nel settore dell’edilizia e del restauro ............ 125

5.5

Alcune miscele in uso nel restauro ..................................... 126

5.6

Scheda di sicurezza ......................................................... 128

5.7

Tossicità dei solventi organici ............................................. 129

5.8

Calcolo tossicità ............................................................... 134

5.9

Dispositivi di protezione individuale .................................... 136

5.10 Incompatibilità ................................................................. 143 5.11 Ulteriori raccomandazioni ................................................. 145 5.12 Nozioni fondamentali per prevenire l’incendio ..................... 147 5.13 Bombole di gas compressi ................................................. 151 5.14 Elenco presidi di pronto soccorso ed emergenze più frequenti ............................................... 154

5

APPENDICI ..................................................................................159

APPENDICE A Definizioni ................................................................................ 161

APPENDICE B Proprietà dei materiali .............................................................163 B.1

Caratteristiche dei materiali ...............................................163

B.1.1

Cosa si valuta nei materiali lapidei ................................164

B.1.2

Densità e peso specifico ...............................................164

B.1.3

Porosità ......................................................................166

B.1.4

Proprietà meccaniche ...................................................166

B.1.5

Altre proprietà importanti per i lapidei ............................166

APPENDICE C Tecniche di analisi dei materiali, laboratori specializzati, rif. NorMaL e costi analisi ................................171 C.1

Indagini diagnostiche sui materiali ......................................171

C.1.1 C.2

Conoscenza del materiale lapideo artificiale ...................188

Costo indagini analitiche ..................................................193

APPENDICE D Pratica Chimica di Cantiere .....................................................197 D.1 6

Principi di base ................................................................197

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Preparazione di soluzioni diluite da soluzioni concentrate ..... 198

D.3

Preparazioni di soluzioni molari da soluti solidi .................... 200

D.4

Regola della croce o delle miscele ...................................... 201

D.5

Riconoscimento di cationi ed anioni .................................... 202

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

D.2

APPENDICE E Esempi di Prescrizioni per i Centri Storici ............................. 207 E.1

Prescrizioni operative per interventi nei centri storici ............. 207

E.2

Protocollo per la pulizia e protezione delle superfici esterne degli edifici regolamentazione degli interventi esterni ........... 207

E.3

Metodi per la pulizia di edifici di particolare valore storico-artistico .................................... 208

E.4

Allegato “P1” Prodotti per la pulizia dei manufatti lapidei ..... 212

APPENDICE F Tavole degli adempimenti per la sicurezza ............................ 217 F.1

Gli schemi riassuntivi degli adempimenti di cui al D.Lgs. 626/94 e smi ............................................ 217

F.2

Compiti del committente, del responsabile del procedimento (in caso di LL.PP.), del responsabile dei lavori ................................................. 221

F.3

Compiti del coordinatore nella fase di esecuzione ................ 224

F.4

Compiti delle imprese ....................................................... 226

APPENDICE G Esempio di Scheda di Sicurezza ............................................... 231

Bibliografia essenziale ............................................................... 237 7

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Introduzione Cos’è e cosa non è questo testo Non è un testo di Chimica nel senso tradizionale del termine. Non è neppure un testo di Restauro nel senso tradizionale del termine. Sono consapevole di non aver trattato molti argomenti e di non averne approfondito altri. E tuttavia ritengo che il testo sia il tentativo, non si sa fino a che punto riuscito, da un lato per acquisire le conoscenze strettamente necessarie per capire cosa succede ai materiali degradati e quali sono le problematiche connesse, dall’altro di mettere insieme elementi di conoscenza di pratica chimica di cantiere, di conoscenza di prodotti e di misure per il loro utilizzo in sicurezza. Ma l’aspetto credo più importante del testo, è quello di dare le cognizioni per orientarsi nel complesso mondo dei prodotti chimici per il restauro che l’industria mette a disposizione. Il problema rilevante del rischio chimico e delle tematiche connesse in ordine agli adempimenti per la sicurezza in cantiere è comunque l’aspetto centrale del volume, perché dà suggerimenti operativi utili a chi deve gestire la sicurezza sia nella fase di progettazione dell’intervento di restauro sia in quella di restauro, fornendo spunti e suggerimenti utili ai coordinatori dei lavori ma anche a capocantieri, e Coordinatori per la Sicurezza ai sensi del D.Lgs. 494/96 e successive modifiche. Per arrivare a questa impostazione del testo, è stata fondamentale l’attività di docenza svolta nella Scuola Edile di Ragusa per molti anni, e la partecipazione come componente alla Commissione Risanamento Centri Storici di Ragusa Ibla (istituita ai sensi della Legge Regionale Siciliana 61/81, la cui applicazione ha contribuito a far includere Ibla, set privilegiato della serie televisiva del Commissario Montalbano, nel patrimonio UNESCO). Penso in definitiva che il testo possa essere considerato un inizio per favorire letture più impegnative, ma anche un mezzo per acquisire assieme alla neces9

saria esperienza, la cognizione sulle tematiche esistenti quando si affronta un restauro, sia esso “importante” o meno. Naturalmente sarò grato a tutti coloro che vorranno segnalarmi mancanze ed errori, propormi possibili integrazioni, sottopormi critiche. Giuseppe Spadola ([email protected])

Anzitutto abbiamo rilevato che l’edificio è un corpo, e, come tutti gli altri corpi consiste di disegno e materia: il primo elemento è in questo caso opera dell’ingegno, l’altro è prodotto dalla natura; l’uno necessita di una mente raziocinante, per l’altro si pone il problema del reperimento, della scelta e della cura. Leon Battista Alberti De Re Aedificatoria-Firenze 1484

10

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

CAPITOLO 1

1.1

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

PRINCIPI DI CHIMICA Principi di chimica inorganica

Sulla base di un gran numero di analisi chimiche effettuate su campioni di rocce raccolti seguendo un criterio statistico di rappresentatività nella crosta terrestre, è stata compilata una graduatoria degli elementi più diffusi nelle rocce, indipendentemente dalla genesi di queste: ossigeno: 46,6%; silicio: 27,7%; alluminio: 8,1%; ferro: 5,0%; calcio: 3,6%; sodio: 2,8%; potassio: 2,6%; magnesio: 2,1% Questi otto elementi, che hanno ciascuno una percentuale superiore all’1%, costituiscono quasi il 99% e sono detti elementi maggiori. Fosforo, titanio, e manganese hanno una percentuale compresa fra 1% e 0,1% sono detti elementi minori. Gli altri elementi (inferiori allo 0,1%) sono detti elementi in traccia. Dopo gli elementi, consideriamo adesso i composti ovvero i minerali che più frequentemente sono presenti nelle rocce: 1. ELEMENTI: rame Cu, argento Ag, oro Au 2. SOLFURI: pirite FeS2 3. ALOIDI(*): salgemma NaCl 4. OSSIDI: quarzo SiO2, ematite Fe2O3 5. CARBONATI: calcite CaCO3, dolomite CaMg (CO3)2 6. SOLFATI: gesso CaSO4

2 H2O

7. FOSFATI, ARSENIATI, VANADIATI: apatite 8. SILICATI: sono costituiti da silicio, ossigeno e metalli e sono caratterizzati dalla presenza di tetraedri (“piramidi” a base triangolare con quattro facce eguali tra loro) corrispondenti al gruppo (SiO4)4-. (*) Minerale nella cui composizione chimica ci sono metalli e alogeni (cloro, bromo...)

11

1.2

Classificazione petrografica e commerciale La classificazione petrografica è basata su un criterio genetico. MAGMATICHE - Rocce originate da cristallizzazione di magmi (granito, porfido, basalto). SEDIMENTARIE - rocce originate da deposizione di sedimenti (arenaria, argilla, tufo; calcare, dolomia, travertino).

METAMORFICHE - rocce originate da aumenti di temperatura e pressione (quarzite, marmo.. 1). La classificazione commerciale considera invece criteri diversi quali la lucidabilità, la lavorabilità, ecc. GRANITI - rocce resistenti di natura silicatica, lucidabili. PIETRE - rocce compatte o porose, non lucidabili. MARMI- rocce compatte di natura carbonatica, lucidabili. TRAVERTINI - rocce ricche di cavità, compatte, lucidabili. Si capisce, già dall’inizio, come sia necessario conoscere i costituenti della materia, partendo dai suoi componenti più semplici: gli elementi. La Chimica è la conoscenza dei suoi processi elementari a questo punto diventa una necessità per capire. Questo è possibile cominciando subito a ragionare sulla tavola periodica degli elementi che un chimico russo inizio a elaborare attorno al 18702. La tavola è detta periodica, perché ci si accorse quasi subito, che certe proprietà degli elementi si presentavano con una certa periodicità al variare degli stessi. Mi spiego meglio. 1. Per citare solo i più noti 2. In appendice è riportata una tavola degli elementi ingrandita per il calcolo dei pesi molecolari dei composti

12

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

1.3

Due parole sulla struttura degli atomi

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

L’atomo può essere semplicemente considerato un sistema solare in miniatura: esso è costituito da un nucleo centrale circondato da “pianeti” che vi ruotano intorno su precise orbite. Il nucleo ha una dimensione 10.000 volte inferiore a quella dell’intero atomo, ma è così denso che vi è concentrata quasi tutta la sua massa; esso è un grappolo di particelle che aderiscono strettamente l’una con l’altra. Si può dire con una efficace espressione che l’atomo è un sistema altamente vuoto. Tab. 1.1 - Caratteristiche fisiche delle particelle che costituiscono un atomo DIMENSIONI (cm)

Massa (grammi)

CARICA

PROTONE

10-13

1,67 x 10-24

Positiva

NEUTRONE

10-13

1,67 x

10-24

Nulla

ELETTRONE

10-13

9,10 x

10-28

Negativa

1013 cm = decimillesimi di miliardesimi di centimetro 10-24 g = milionesimi di miliardesimi di miliardesimi di grammo

Ogni elemento è caratterizzato dall’avere un Numero Atomico, che indica il numero di elettroni (o di protoni) posseduti da ogni atomo. Sulla base di questo numero, sappiamo quanti elettroni devono essere considerati per ogni elemento. Consideriamo nella tabella che segue, la distribuzione degli elettroni nei diversi livelli energetici, a partire da quello più vicino al nucleo. E’ questa distribuzione, che genera le proprietà fisiche e chimiche degli elementi. Per cui una volta per tutte dobbiamo capire come funziona l’ordinamento degli elementi nell’ambito della Tavola degli Elementi. Indicheremo con

il simbolo che rap-

presenta i 2 elettroni che può ospitare ogni singolo orbitale. ….

Quarto livello

Terzo livello

Secondo livello Primo livello Nucleo

….

……

f d p s d p s p s s

13

Nella tabella che segue è riportata la disposizione elettronica dei primi elementi che compaiono nella Tavola. Tab. 1.2 ELEMENTO

N.A.

DISPOSIZIONE DEGLI ELETTRONI

H

1

He

2



Li

3



B

4

☺ ☺

Be

5

☺ ☺

C

6

☺ ☺

N

7

☺ ☺

O

8

☺ ☺ ☺

F

9

☺ ☺ ☺☺

Ne

10

☺ ☺ ☺☺☺

Na

11

☺ ☺ ☺☺☺

….

….

……

Cl

17

☺ ☺ ☺☺☺ ☺ ☺☺

☺ la faccina allegra indica che nell’orbitale vi sono due elettroni. E’ la situazione migliore da un punto di vista energetico. questa faccina indica invece che nell’orbitale vi è un solo elettrone. L’espressione triste sta ad indicare il fatto che da un punto di vista energetico il sistema è instabile. Per essere stabile deve avere nell’ultima orbita o 2 elettroni o 8.

Questa situazione si esplicita dicendo che l’atomo tende a raggiungere la configurazione stabile (dal punto di vista energetico) dell’ottetto, o meglio, che nel formare legami tende ad assumere la configurazione del gas nobile più vicino nella tavola degli elementi.

Tuttavia il problema del collocamento degli elettroni non è così semplice come potrebbe sembrare. Vi sono infatti delle discontinuità, dovute a motivi energetici, che fanno fare dei salti nell’elencazione degli elementi. Questo avviene dopo il calcio Ca, dopo lo stronzio Sr, dopo il bario Ba e dopo il radio Ra, dove dopo l’orbitale s di un certo livello, anziché essere riempiti gli orbitali p, vengono riempiti gli orbitali d (e abbiamo gli elementi di transizione) o addirittura f (e abbiamo i lantanidi e gli attinidi).

14

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e Nella Tavola possiamo evidenziare 7 periodi, 18 gruppi e 4 blocchi. ●

PERIODO: è una fila orizzontale, è definito in base al numero dei livelli energetici degli orbitali.



GRUPPO: è una colonna verticale, comprende gli elementi che hanno configurazioni elettroniche esterne analoghe.



BLOCCO: è definito in base all’occupazione dell’ultimo sottolivello energetico occupato (s, che può contenere al massimo 2 elettroni, p che ne può contenere al massimo 6, d 10 e f 14).

I Periodi (le righe), sono 7. Il numero che contrassegna ciascun periodo indica quanti livelli energetici sono presenti negli atomi. Ogni nuovo periodo si forma quando gli atomi del periodo precedente raggiungono il numero massimo possibile di elettroni nel loro livello energetico più esterno. All’interno di ogni periodo la configurazione elettronica esterna degli elettroni varia gradualmente, fino al suo completamento. Un elemento è chimicamente stabile e quindi inerte quando il suo atomo ha una configurazione elettronica esterna completa (presenta il numero massimo possibile di elettroni nel livello energetico più esterno) I Gruppi (le colonne) sono 18. Gli elementi che fanno parte dello stesso gruppo hanno tutti lo stesso numero di elettroni nell’ultimo livello energetico (detto anche livello di valenza) sono suddivisi in: sottogruppi A e sottogruppi B. (I componenti dei gruppi hanno caratteristiche simili). Nell’ambito invece del 15

gruppo A abbiamo: ●

Gruppo I A ⇒ famiglia dei metalli alcalini



Gruppo II A ⇒ famiglia dei metalli alcalino-terrosi



Gruppo III A ⇒ famiglia dei metalli terrosi



Gruppo VII A ⇒ famiglia degli alogeni



Gruppo VIII A (Gruppo 0) ⇒ famiglia dei gas nobili(vi fa parte anche l’elio He che in linea di principio dovrebbe appartenere al IIA, ma poiché è stabile, inerte a reagire, viene messo in questo gruppo).

1

2

3

1A 2A

14

15

16

17

3B 4B 5B 6B 7B 8B 8B 8B 1B 2B 3A 4A

4

5

6

7

8

9

10 11

12

13

5A

6A

7A 8A

18

TAVOLA PERIODICA DEGLI ELEMENTI 1 H

18 Gruppi (colonne verticali) 7 Periodi4 (righe orizzontali)

3 4 Li Be

2 He 5 B

6 C

7 N

8 O

9 F

10 Ne

13 Al

14 Si

15 P

16 S

17 Cl

18 Ar

19 20 K Ca

21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge

33 As

34 Se

35 Br

36 Kr

37 38 Rb Sr

39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd

49 In

50 Sn

51 Sb

52 Te

53 I

54 Xe

71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 55 56 * Lu Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Cs Ba

81 Tl

82 Pb

83 Bi

84 Po

85 At

86 Rn

11 12 Na Mg

103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 87 88 ** Lr Rf Db Sg Bh Hs Mt Ds Rg Uub Uut Uuq Uup Uuh Uus Uuo Fr Ra

*

57 La

58 Ce

59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 * Pr Nd Pm Sm Eu Gd Tb Dy Ho Er Tm Yb Lantanidi

**

89 Ac

90 Th

91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 Pa U Np Pu Am Cm Bk Cf Es Fm Md No

**

Per il primo e secondo livello di energia la distribuzione è normale ovvero: 1s2 2s2 2p2x2p2y2p2z . A questo punto si manifesta il fenomeno delle sovrapposizioni delle energie questo è dovuto al raggio del livello che entra nel livello successivo e alla maggior penetrazione degli orbitali degli orbitali del terzo livello per cui: 3s23p2x3p2y3p2z. Invece di occupare gli orbitali 3d gli elettroni- occupano gli orbitali 4s che hanno una minore energia degli orbitali 3d successivamente si occupano gli orbitali 4p che presentano energia maggiore rispetto ai 4s. 4s23d104p2x4p2y4p2z . Ora invece di occupare gli orbitali 4 d si verifica nuovamente il fenomeno della sovrapposizione e della differente distribuzione delle energie. Distribuzione sotto riportata. 5s2 4d105p6 6s2 4f14 5d10 6p6 7s25f146d10 7p6 . Queste regole della distribuzione sono conosciute come regola dell’Aufbau dato il numero atomico è possibile costruire la struttura atomica e collocare l’elemento nella giusta posizione ovvero il periodo ed il gruppo di appartenenza.

16

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

I metalli (sinistra) sono separati dai non metalli (destra) da una linea a zigzag che va dal boro B all’astato At. A cavallo di questa linea si trovano i semimetalli (adatti ad applicazioni nel campo della microelettronica tra essi troviamo il boro, il silicio, l’arsenico, il germanio, il tellurio).

1.4

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e



Legami chimici e altro

I legami chimici si stabiliscono fra atomi uguali o diversi per formare le molecole. Sono delle interazioni che avvengono tra gli orbitali che contengono gli elettroni di valenza, ovvero quegli elettroni che si trovano sugli orbitali esterni. Se ad esempio prendiamo i gas nobili nella tavola periodica osserviamo che la loro configurazione elettronica è completa ovvero tutti gli orbitali sono occupati, ebbene questi gas si dice che sono inerti non formano legami con nessun atomo perché tutti gli elettroni si trovano impegnati sugli orbitali, non c’è quindi necessità di completare la loro struttura elettronica non acquistano o cedono elettroni. Questa regola è nota con il nome regola dell’ottetto o del duetto per il primo livello energetico. Questa è una regola empirica non assoluta perché la stabilità dei gas nobili non è assicurata in ogni condizione. I legami possono essere di due tipi ●

legami chimici;



legami fisici.

Parliamo di legami chimici: il tipo di legame dipende dagli atomi che vi prendono parte. Infatti se sono due metalli o due non metalli il tipo di legame è differente. Quando due atomi si avvicinano per formare una molecola, si libera energia ovvero gli atomi passano da uno stato instabile ad energia elevata ad uno stato stabile di energia più bassa tipico esempio due atomi di idrogeno Quando si forma un legame bisogna sapere che gli atomi si debbono avvicinare tra di loro: si instaura una forza di attrazione dovuta agli elettroni esterni ed il nucleo. Importante è anche l’orientamento spaziale che gli atomi hanno durante questo loro avvicinamento. Quando gli atomi raggiungono una distanza tale da permettere agli orbitali esterni di interagire, si forma il legame. Altro parametro fisico da tenere presente è l’elettronegatività come la capacità di un atomo in una molecola di attrarre verso di sé la coppia di elettroni di legame. Pauling (1916) elaborò una scala di valori caratteristica per i diversi elementi, che ci dà una indicazione di massima, sul tipo di legami che possono 17

formare con altri elementi. Vediamo subito questa tabella. Tab. 1. 4 - Tabella dell’elettronegatività di Pauling (1916) per alcuni elementi: ELEMENTO

Elettroneg.

F

4,0

O

3,5

N

3,0

Cl

3,0

Br

2,8

H

2,1

Al

1,5

Mg

1,2

Ca

1,0

Li

1,0

Ba

0,9

Na

0,9

K

0,8

Cs

0,7

Per una maggior chiarezza bisogna affermare che il tipo di legame si calcola facendo la differenza di elettronegatività. Il valore preso come valore soglia è 1,7 al di sopra di questo valore il legame si ritiene ionico, al di sotto si ritiene covalente. Il passaggio tra un legame ed un altro non è repentino ma conserva sempre una certa percentuale di un tipo che di un altro. Solo per valori diremo estremi, il legame può essere di un tipo piuttosto che di un altro.

Ad esempio un legame tra H – Cl dove i valori sono per H = 2,1 per il Cl = 3,0 c’è una asimmetria nella distribuzione delle cariche infatti il cloro viene ad avere una maggior densità di cariche negative sottraendole al idrogeno che presenta una deficienza di cariche negative. La molecola risulta essere polarizzata H+Cl- Se vi sono due atomi uguali tipo Cl – Cl avranno la stessa elettronegatività quindi la molecola è simmetrica riferendoci alla distribuzione delle cariche. Legame ionico: si forma tra almeno due atomi di elementi differenti, mediante trasferimento di elettroni di valenza da un atomo ad un altro. Un atomo cede i propri elettroni ad un altro atomo che acquista. L’atomo che cede presenta un valore di elettronegatività basso al contrario l’atomo che acquista presenta un valore alto. Ad esempio: LiCl è un composto ionico formato da un legame ionico. Per la for- Li = 1 Cl = 3 mazione di tale composto il Li cede l’unico e- di valenza che si trova Valori di elettronegatività su 2s1 e si trasforma in Li+ il Cl che acquista e- si trasforma in Cl- i Diff = 2 valori di elettronegatività sono 1 per il Li e 3 per il Cl.

18

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Diamo un’altra definizione. Quella di valenza: è la capacità di un atomo di un elemento di formare legami chimici con uno o più atomi

Legame covalente: si forma tra atomi che possiedono valori numerici di elettronegatività molto simili. Nel legame covalente gli elettroni di valenza vengono condivisi, la molecola è simmetrica come distribuzione di carica elettrica. Gli elettroni di valenza sono condivisi. H = 2,1 Cl = 3 H-Cl è un composto formato da un legame covalente(*). Per formazione di tale composto l’H mette in comune e- che si trova su 1s1 anche il Cl mette in comune e- che sono in 3pz1 completano Valori di elettronegatività entrambi il duetto e l’ottetto e sono stabili. I valori di elettronegatiDiff = 0,9 vità sono simili la distribuzione della carica è uniforme.

(*) In effetti non esiste una così rigida demarcazione. Tuttavia abbiamo voluto dare questa impostazione per la comprensione dei legami perché la ritengo didatticamente più valida ai fini della comprensione generale.

Gli orbitali originari degli elettroni condivisi si sovrappongono formandone uno unico e creando un addensamento di carica negativa tra i due nuclei. Legame dativo: è simile al legame covalente con l’eccezione che un elemento possiede una coppia di elettroni che può essere donata ad un altro elemento che possiede orbitali liberi in grado di accettare gli elettroni. In generale possiamo dire che il legame dativo genera quella categoria di composti che vanno sotto il nome di Chelanti, così importanti nel campo del restauro, per la loro azione complessante, cioè catturante di cationi (come Ca++) da eliminare dallo sporco che ricopre i materiali lapidei. Legame metallico: avviene tra due metalli la spiegazione è data dal fatto che i metalli possiedono cariche positive, si forma infatti un aggregato di cariche positive dove possono scorrere cariche negative per tutta la struttura. La tabella che segue, esplicita invece la forza del legame. Questo ci suggerisce come sia importante questo dato in quanto da esso dipende la stabilità del legame e quindi del composto. Si capisce come questo elemento sia importante in un settore come il restauro, in cui è necessario disporre di composti che non siano facilmente aggredibili e degradabili. 19

Tab. 1.5 FORZA DI LEGAME

legame ionico

Legame covalente Legame metallico

kcal/mole

Al-O

120

Mg-O

94

C-C

144

Si-Si

104

O-Si

192

Cu, Ti

92

In definitiva si possono schematizzare col disegno che segue la natura elettrica dei legami principali: Legame covalente

Quando si ha un legame fra due atomi uguali, la coppia di elettroni risulta equamente condivisa fra di essi. Si parla in questo caso di legame covalente puro o omopolare. Quando invece il legame covalente si stabilisce fra due atomi diversi, la coppia elettronica risulta spostata (mediamente nel tempo) verso quello che ha maggior affinità elettronica e maggior potenziale di ionizzazione. In tal caso il legame è definito eteropolare. E’ possibile avere tutta una gamma di polarità del legame covalente, che va dal legame omopolare fino al massimo grado del legame ionico (CsF). Il legame ionico in effetti può essere considerato un caso estremo del legame eteropolare, che si realizza quando la coppia di elettroni è trasferita completamente ad uno dei due atomi.

1.4.1

Legami fisici

La comprensione di questo tipo di legami è fondamentale nel campo del Restauro. Perché molto spesso entrano in gioco nella caratterizzazione della natura di aderenza di certi composti (voluti o da eliminare) con la pietra. 20

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

A differenza dei precedenti, si intendono legami fisici o secondari, quelle forze di coesione di natura elettrostatica che tengono unite le molecole. I legami fisici possono essere suddivisi in: a) legame dipolo – dipolo b) forze di Van der Waals c) legami ad idrogeno. Il primo tipo di legame si riferisce alle molecole che posseggono un dipolo, ovvero una molecola polarizzata con carica negativa e positiva. Le forze di attrazione sono dovute perché sono orientate in modo che i centri con cariche opposte sono adiacenti. Esempio la molecola dell’ammoniaca HCl (acido cloridrico) Dipolo

Le molecole dipolari hanno punti di fusione o di ebollizione, più alti che non nelle molecole dove è assente questo tipo di attrazione. Il secondo tipo di legame avviene tra molecole non polari e dipende dal volume atomico ovvero della grandezza della molecola, tanto più grande è il numero di elettroni tanto più densa è la nube elettronica che circonda la molecola non polare, tanto maggiori sono le forze. La forza di legame è 100 volte inferiore a quella di un legame covalente. Il legame di Van der Waals è molto importante nel determinare la resistenza e deformabilità delle materie plastiche. L’ultimo tipo di legame avviene tra molecole che posseggono atomi di idrogeno, con ossigeno, azoto. Il legame può essere interno alla molecola oppure esterno ed avviene tra due molecole. Il legame ad idrogeno può avvenire tra le stesse molecole oppure tra molecole differenti esempio molecole di acqua dove l’idrogeno di una molecola è attratto dall’ossigeno di un’altra molecola di acqua. Si creano dei ponti tra gli idrogeni e gli ossigeni. Questo legame nell’acqua (l’angolo HOH della molecola è di 105°) è responsabile del punto di ebollizio21

ne, che risulta essere più elevato di quello che sarebbe senza il suddetto legame. Non solo: ma il legame a idrogeno è anche responsabile dell’alta tensione superficiale (di cui parleremo più avanti) che ha una così grande influenza sulle caratteristiche di bagnabilità tra composti e la pietra.

1.5

Cos’è una reazione chimica

Essa è la trasformazione di una o più sostanze per dare determinati prodotti. Classificare le reazioni chimiche è una cosa abbastanza difficile, a causa della svariata moltitudine di sostanze esistenti in natura e delle possibili combinazioni tra le sostanze stesse. Come ordine di idee è però possibile avanzare alcune ipotesi di reazione: A➝ B + C 6 A+ B ➝ C A➝ B +... + C + D +...

(Decomposizione della sostanza A in due sostanze B e C) (Combinazione di due sostanze A e B per dare la sostanza C) (quando due o più sostanze danno altri tipi di composti)

Le reazioni possono essere esotermiche, quando sviluppano calore, ed endotermiche, quando necessitano di calore per avvenire. Un ruolo importante nella maggior parte delle reazioni chimiche è tenuto dal catalizzatore, sostanza che non entra direttamente nella reazione (cioè non si ha la sua trasformazione), ma che serve ad accelerarla. in questo caso si parla di reazione catalitica, altrimenti di reazione non catalitica. il catalizzatore può essere omogeneo, quando è presente nella medesima fase dei reagenti, oppure eterogeneo, quando è presente in una fase diversa. A seconda del tipo di catalizzatore viene utilizzato un reattore differente. Una reazione chimica può avvenire in varie stati fisici o fasi: gas o vapore liquida liquida - liquida liquida - gas liquida - solida gas - solida liquida - gas - solida La riuscita più o meno soddisfacente di una reazione chimica dipende dalle condizioni operative in cui la reazione viene svolta.

22

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI



Stato fisico dei reagenti



Temperatura



Pressione



Concentrazione dei reagenti



Tempo di residenza nel reattore



Spazio/Velocità (tempo di residenza in un reattore a letto solido)



Concentrazione del catalizzatore m3/h.m3ctz.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Di particolare importanza sono:

Per ogni reazione, per esempio del tipo A+B➝ C, è possibile definire una costante di equilibrio: [C] K eq ( T ) = --------------------[A] ⋅ [B] Essa è funzione della temperatura, quindi fissato il valore di T è pure fissato il valore di Keq. Questo valore mi dice quanto e in che direzione è spostata la reazione. Esempi di reazioni Sintesi ammoniaca ctz

N 2 + 3H 2

2NH 3

(esotermica)

Combustione CH 4 + 2O 2

CO 2 + 2H 2 O

(esotermica)

Steam Cracking CH 3 – CH 3

vap. acqua

Etano

CH 2 = CH 2 + H 2 (endotermica) Etilene

Polimerizzazione CH 2 = CH 2 Etilene

ctz-om og.

CH 3 – ( CH 2 ) n – CH 3

(esotermica)

Polietilene

23

1.6

Formazione di composti

metalli

+ ossigeno

+ idrogeno

ossidi basici

+ acqua

idrossidi

idruri sali idracidi

non metalli

+ ossigeno

ossidi acidi o anidridi

+ acqua

ossoacidi

Tab. 1.6 - Nomenclatura inorganica in sintesi NUMERO DI OSSIDAZIONE ELEMENTO

Acidi e idrossidi

(idracidi) a -idrico HCl Ac. cloridrico Ossiacidi, (n° alto) per__ico HClO4 ac.perclorico (Anidride + H2O) __ico HClO3 ac. clorico Ossiacidi, (n° basso) Ossidi (n° alto) Ossidi (n° basso)

__oso HClO2 ac. cloroso ipo__oso HClO ac. ipocloroso

Sali

-uro NaCl Cloruro di sodio per__iato NaClO4perclorato di __ __ato NaClO3clorato di__ __ito NaClO2 clorito di __ ipo__ito NaClO ipoclorito di __

__ico Fe2O3 ossido Ferrico FeCl3 cloruro ferrico (+H2O) Fe(OH)3 idr. ferrico __oso FeO ossido Ferroso

FeCl3 cloruro ferroso

(+H2O) Fe(OH)2 idr.ferroso

a) Gli idracidi sono composti binari tra idrogeno e un elemento molto elettronegativo.Sono pochi tra questi HCl, HI, HBr, H2S, HCN

Regola aurea per scrivere un composto binario (formato cioè da 2 elementi) Per scrivere un composto debbo conoscere il simbolo, la valenza dell’elemento, quindi invertire la valenza dell’uno diventa il numero scritto in basso al simbolo dell’elemento ed indica il rapporto dell’elemento nel composto. K2O significa che il potassio è in rapporto 2 ovvero 2 atomi contro 1 rapporto di ossigeno o atomi di ossigeno, per formare una molecola di ossido di potassio.

24

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Ossidi Basici e Ossidi Acidi (anidridi) Si formano quando i metalli reagiscono con l’ossigeno. Ecco alcune reazioni3: QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Tab. 1.7 Nomenclatura

CaII + O2 → CaO

2Ca + O2 → 2 CaO

Ossido di calcio

MgII+ O2 → MgO

2Mg + O2 → 2MgO

Ossido di magnesio

2Ba + O2 → 2BaO

Ossido di bario

AlIII + O2 → Al2O3

4Al + 3 O2 → 2Al2O3

Ossido di alluminio

FeIII + O2 → Fe2O3

4Fe + 3O2 → 2Fe2O3

Ossido ferrico

2Fe + O2 → 2FeO

Ossido ferroso

CuI + O2 → Cu2O

4Cu + O2 → 2Cu2O

Ossido rameoso

CuII + O2 → CuO

2Cu + O2 → 2CuO

Ossido rameico

PbII + O2 → PbO

2Pb + O2 → 2PbO

Ossido di piombo

BaII

FeII

+ O2 → BaO

+ O2 → FeO

Quando i numeri sono semplificabili, è obbligatorio semplificare. Sono da evitare i numeri frazionari. Ad esempio il Ca e O entrambi hanno valenza II, quindi invertendo le valenze si scrive Ca2O2. i numeri sono semplificabili, quindi semplificando si scrive CaO. La regola vale anche quando ad esempio

PbIV + O2 → PbO2

(e non Pb2O4)

Anche i non metalli reagiscono con l’ossigeno per formare composti che si chiamano anidridi o ossidi acidi. Nella tavola periodica degli elementi i non metalli si trovano nella parte destra, sopra la scala che viene segnata con una linea nera. Le regole sono le stesse già dette precedentemente. Ecco alcune reazioni bilanciate4 di formazione di anidridi:

3. I numeri romani posti in alto a destra sugli elementi, indicano la valenza. Non vanno però riportati normalmente nelle reazioni 4. Procedere a step nel bilanciare le reazioni. Ad esempio K3PO4+Sr(ClO4)2 → Sr3 (PO4)2 + KClO4 K3PO4+3Sr(ClO4)2 → Sr3 (PO4)2 + KClO4 K3PO4+3Sr(ClO4)2 → Sr3 (PO4)2 + 6KClO4 2K3PO4+3Sr (ClO4)2 → Sr3 (PO4)2 + 6KClO4 EQUAZIONE BILANCIATA

25

⇐ ⇐ ⇐

Tab. 1.8 CIV + O2 → CO2

C +O2 → CO2

Anidride carbonica

+ O2 → SO2

S + O2 → SO2

Anidride solforosa

+ O2 → SO3

2 S + 3 O2 → SO3

Anidride solforica

N2 + O2 → N2O3

2N2 + 3O2 → N2O3

Anidride nitrosa

N2V + O2 → N2O5

2N2 + 5O2 → N2O5

Anidride nitrica

N2IV + O2 → NO2

N2 + 2O2 → 2NO2

Biossido di azoto

P2 + O2 → P2O3

2P2 + 3O2 → 2P2O3

Anidride fosforosa

P2 + O2 → P2O5

2P2 + 5O2 → 2P2O5

Anidride fosforica

+ O2 → B2O3

SIV SVI

III

III V

4B + 3O2 → 2B2O3

Anidride borica

MnVI + O2 → MnO3

2Mn + 3O2 → 2MnO3

Anidride manganica

MnVII + O2 → Mn2O7

4Mn + 7O2 →2Mn2O7

Anidride permanganica

Biii

Idrossidi e Acidi Nuova classe di composti sono gli idrossidi composti formati dall’unione tra un metallo ed il gruppo OH. La reazione di formazione avviene tra un ossido basico e l’acqua. Il gruppo OH possiede valenza I, tale gruppo viene scritto tra parentesi tonde, perché si tratta di un gruppo derivato dall’acqua e nel calcolo degli atomi deve essere considerato come un gruppo unico. Tab. 1.9 Na2O + H2O → Na(OH)

Idr. di sodio

CaO + H2O→Ca(OH)2

Idr. di calcio

BaO + H2O→Ba(OH)2

Idr. di bario

Al2O3 + H2O→ Al(OH)3

Idr.di alluminio

Fe2O3 + H2O→ Fe(OH)3

Idr. ferrico

FeO + H2O → Fe(OH)2

Idr. ferroso

Tenete presente che il gruppo OH ha valenza –1. Analoghe reazioni avvengono con le anidridi che sommate all’acqua danno gli acidi. Due esempi per tutti N2O3 + H2O → HNO2

Acido nitroso

N2O5 + H2O → HNO3

Acido nitrico

Esercizio: bilanciate queste ultime 2 categorie di composti. 26

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

1.7

Il PH: acidità e basicità delle soluzioni

H2O

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Va detto innanzitutto che lo studio dell’acqua e delle sue caratteristiche chimico-fisiche, è di importanza fondamentale nel campo del restauro. Più avanti dedicheremo all’acqua una scheda per chiarire meglio quanto vogliamo dire. In questo paragrafo parleremo invece del carattere che più di tutti ha influenza sul suo comportamento chimico: l’acidità. Da misure di conducibilità, si vide che anche l’acqua aveva la sua conducibilità, e dal suo valore si ricavò la quantità per cui alcune molecole si dissociano secondo la reazione:

H++OH-

Questo è un valore costante. Sempre. Il prodotto ionico dell’acqua stabilisce che il prodotto della concentrazione di H+ cioè [H+] per quello di [OH-] è pari a 10-14. Se si aggiunge all’acqua una sostanza che fa aumentare la [H+] (ad esempio un acido), la [OH-] diminuisce, in misura tale da mantenere il prodotto [H+] [OH-] = costante.

Accade esattamente il contrario, se si aggiunge all’acqua una sostanza (ad esempio una base) che fa aumentare la [OH-]. Il prodotto ionico dell’acqua ci dice anche che nell’acqua “pura” (neutra) la [H+] è uguale alla [OH-]. Poiché il prodotto di queste due concentrazioni è 10-14, risulterà che: [H+] = [OH-] = 10-7

Quando la [H+] è maggiore di 10-7, si parla di soluzione acida; quando la [H+] è minore di 10-7, si parla di soluzione basica. Esclusivamente per motivi di praticità, ovvero per evitare di esprimersi in termini di numeri estremamente piccoli o di potenze di 10, Sorenson nel 1909

27

propose l’uso di una scala logaritmica per definire la [H+], ovvero: pH = – log [H+] Quello che in realtà propose Sorenson fu di usare a questo scopo l’esponente della potenza negativa di 10 che esprime la [H+] e definì questo esponente con la notazione PH (esponente degli ioni idrogeno). In base a quanto abbiamo detto, risulta che quando in una soluzione la [H+] è > 10-7, il pH è < 7, e la soluzione si dice acida; quando invece la [H+] è < 10-7, il pH è > 7, e la soluzione si dice; basica (o, secondo una vecchia terminologia, alcalina).

1.8

Cosa può avvenire quando sciogliamo un sale nell’acqua?

Intanto il sale si dissocia completamente secondo la reazione

BA

B+ + A-

Quindi nella soluzione avrò B+ + A- ma anche gli H+ e gli OH- della dissociazione dell’acqua, la cui costante, 10-14 deve sempre rimanere tale. ●

se il sale deriva dall’unione di una base forte e un acido forte (e la forza alta e bassa di un acido o di una base è legata al fatto di essere molto o poco dissociato in acqua), il pH risultante dell’acqua sarà neutro;



se il sale deriva dall’unione di una base forte e un acido debole, il pH risultante dell’acqua sarà basico (>di 7) in quanto in soluzione la componente acida del sale, tenderà a legarsi (perché l’acido è debole) con gli H+ dell’acqua, per cui prevarranno gli OH-;



se il sale deriva dall’unione di una base debole e un acido forte, il pH risultante dell’acqua sarà acido (< di 7) in quanto in soluzione la componente basica del sale, tenderà a legarsi (perché la base è debole) con gli OHdell’acqua, per cui prevarranno gli H+;



se il sale deriva dall’unione di una base debole e un acido debole, il pH risultante dell’acqua dipenderà da quale sarà la componente più debole. In particolare. ✔

28

se l’acido è più debole della base la soluzione sarà basica.

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

o se la base è più debole dell’acido la soluzione sarà acida.



o se l’acido è altrettanto debole della base la soluzione sarà pressoché neutra.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e



Tab. 1.10 FORZA DI ACIDI E BASIa

Acidi forti

HCl, HNO3, H2SO4

Acidi mediamente forti

HNO2, H3PO3, CH3COOH

Acidi deboli

H2CO3, H2S, HClO

Basi forti

NaOH, KOH, Ba(OH)2

Basi mediamente forti

Ca(OH)2, NH4OH

basi deboli

Fe(OH)3, Al(OH)3

a) La forza di un acido o di una base è misurata dal suo grado di dissociazione in acqua, attraverso il valore delle loro costanti di dissociazione dato dal rapporto delle concentrazioni degli ioni dissociati fratto la concentrazioni del sale di partenza. I principali acidi fortissimi sono gli acidi minerali e gli acidi idrici: acido cloridrico, acido iodidrico, acido bromidrico, acido nitrico, acido solforico, acido clorico, acido perclorico. Da notare che non è presente l’acido fluoridrico il quale è invece un’acido debole. Lo stesso vale per le basi fortissime: Idrossido di calcio, idrossido di litio, idrossido di sodio.

1.9

Chimica organica

Fin’ora abbiamo parlato di chimica inorganica seguendo la metodologia classica che voleva che, i composti chimici fossero suddivisi in due grandi gruppi, inorganici e organici, in base alla loro origine. Con il termine organico si indicavano le sostanze prodotte dagli organismi viventi, mentre si classificavano come inorganiche tutte le altre sostanze. Già dalla fine del Settecento, le tecniche analitiche avevano mostrato che le sostanze definite organiche contenevano sempre almeno carbonio e idrogeno (e spesso ossigeno, azoto e fosforo) e che erano caratterizzate da una discreta complessità di composizione e da particolari proprietà, quale ad esempio la combustibilità. Si riteneva tuttavia che i composti organici sottostessero a leggi diverse da quelle della chimica inorganica e, soprattutto, che fossero prodotti esclusivamente sotto l’influenza della cosiddetta forza vitale e che quindi non potessero essere preparati artificialmente. Nella prima metà dell’Ottocento, il susseguirsi delle prime sintesi artificiali di composti considerati di esclusiva origine animale (la prima di esse fu storicamente quella dell’urea) fece cadere la distinzione fra le due classi, che fu tuttavia mantenuta pur perdendo il significato originale. La chimica organica 29

diveniva così la chimica dei composti del carbonio, definizione che è tuttora valida. Il mantenimento della distinzione era ed è giustificato dal fatto che tutti i cosiddetti composti organici contengono il carbonio, che i composti del carbonio sono molto più numerosi (oltre un milione) dei composti di tutti gli altri elementi messi insieme e che il carbonio ha reattività e caratteristiche del tutto particolari, in virtù della sua configurazione elettronica. Per l’atomo di carbonio avevamo già visto precedentemente la sua configurazione elettronica che avevamo esemplificato nel modo 1. In effetti l’atomo di carbonio (e così pure quello di silicio) forma quasi sempre 4 legami covalenti perché, e questo prende il nome di ibridizzazione, un elettrone di 2s passa nell’orbitale 3p, da qui la tendenza a formare i quattro legami, per cui la situazione elettronica è rappresentata dalla configurazione 2:

1)

C

6



2)

C

6





Come suggerisce il nome, gli idrocarburi sono i composti del carbonio con l’idrogeno. CH2 H2C Sono le molecole di base della chimica orH2C CH2 ganica poiché, oltre ad essere molto numerosi, tutti gli altri composti si possono considerare come derivati da essi per sosticyclopentane tuzione di un atomo di idrogeno con un cocyclopropane C5H10 C3H6 siddetto gruppo funzionale, quel gruppo chimico, cioè, che conferisce al composto proprietà caratteristiche, diverse da quelle dell’idrocarburo di origine. Gli idrocarburi, come del resto tutti i composti organici, possono essere suddivisi in tre grandi gruppi: H2 C H2C CH2

H2 C

1 Alifatici e Aliciclici. 2 Aromatici. Il primo gruppo comprende i composti alifatici (da un termine greco che vuol dire olio, grasso), sinonimo di composti a catena aperta, o aciclici, e gli aliciclici, o ciclici, composti chiusi ad anello, con proprietà relativamente simili agli alifatici. Un’ulteriore suddivisione degli idrocarburi alifatici è schematizzata nella figura successiva. 30

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Gli idrocarburi saturi (aventi cioè tutti legame semplice), sono caratterizzati da una certa inerzia chimica. Il termine alternativo di paraffine (dal latino parum affinis) deriva appunto dal fatto che questi composti hanno scarsa tendenza a reagire, perfino con acidi e basi forti. Quando reagiscono danno principalmente reazioni di sostituzione. Le reazioni caratteristiche degli idrocarburi insaturi, nei quali cioè sono presenti legami multipli, sono invece reazioni di addizione. Gli aromatici sono composti caratterizzati da proprietà chimiche del tutto particolari che, ne fanno un gruppo omogeneo, completamente distinto. Gli aromatici in senso stretto sono gli idrocarburi che contengono almeno un anello benzenico.

Idrocarburi alifatici SATURI Alcani o paraffine (contengono solo legami semplici)

INSATURI Alcheni o olefine (contengono un legame doppio)

INSATURI Alchini (contengono un legame triplo)

1.10 Composti aromatici Il termine aromatico fu usato inizialmente per designare (in contrapposizione agli alifatici) i composti organici dotati di odore gradevole5. Oggi il termine ha piuttosto un significato “strutturale”, poiché con esso si indicando molecole caratterizzate da un particolare assetto elettronico, che conferisce loro un determinato comportamento chimico. Il primo termine di questa famiglia è il benzene, che ha formula bruta C6H6. Per lungo tempo, la struttura molecolare del benzene ha rappresentato per i chimici un enigma di difficile soluzione. La migliore interpretazione è rimasta a lungo quella proposta da Kekulè (nel 1865), il quale rappresentò la molecola del benzene come le due strutture della Figura successiva, in rapido equilibrio fra loro. Un equilibro così rapido che nessuna delle due forme poteva essere isolata: pur non definendolo chiaramente, Kekulè anticipava in qualche modo 5. Il termine aromatico non tragga in inganno: si tratta spesso dei prodotti più tossici che l’uomo abbia mai sintetizzato.

31

il concetto di risonanza. In effetti la struttura di Kekulè si accordava con molti dati sperimentali ad esempio spiegava perché nelle reazioni di sostituzione si otteneva un solo derivato monosostituito, e in qualche modo inquadrava la eccezionale Struttura di Kekulè del benzene stabilità e la principale caratteristica del benzene: quella di non dare reazioni di addizione, pur essendo un composto insaturo come si desume dalla formula bruta.

1.11 Nomenclatura dei composti organici

1.11.1 Idrocarburi Intanto possiamo dire che così come in chimica inorCH3CH3 ganica, anche in questo H H H H mondo sterminato che è la Diethyl Ether (CH3CH2)2O H C C O C C H chimica organica, si possoH H H H no distinguere formule brute e formule di struttura. Le prime danno una informazione di massima di quelli che sono i numeri di atomi coinvolti, le seconde danno informazioni su come sono legati tra di loro. Ethane

H H C H H H H H C C H H H H H H H C C C H H H H H H H H H C C C C H H H H H H H H H H H C C C C C H H H H H H

H H H C C H H H

methane C1H4

ethane C2H6

propane C3H8

butane C4H10

pentane C5H12

Sono composti carbonio-idrogeno il cui nome dipende dal numero di atomi di carbonio: per 1 atomo met__, per 2 et__, per 3 prop__, per 4 but___, per 5 pent__, per 6 es___ e così via, seguito dal suffisso – ano. Lo stesso vale per gli alcheni e gli alchini: solo che in questi casi il suffisso è rispettivamente –ene e –ino. ALCANO: composti di formula generale CnH2n+2 (il più semplice è il metano) Poiché

gli stessi composti possono avere diverse strutture, si chiamavano n- le molecole a catena lineare e iso- le molecole a ca32

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

tena ramificata: con la nomenclatura IUPAC si denota l’alcano della catena più lunga e si numerano i gruppi sostituenti in relazione alla posizione. ALCHENE: composto di formula generale CnH2n che contiene H

H

Nei composti organici si possono trovare legati, in sostituzione di un atomo di idrogeno, gruppi di composti, cosiddetti funzionali, che conferiscono alla molecola delle caratteristiche particolari, (impor-tanti nel campo del restauro). Per cui si possono avere degli acidi, degli alcoli, delle ammine e così via. Ma vediamo alcuni di questi gruppi funzionali che generalmente vengono indicati con R nelle reazioni.

R

RHC

H

alkane

CHR

alkene

O

R R-C

C-R

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

C C un doppio legame carbonio/carbonio, la cui posizione contrasH H segna con un numero il nome del composto che è dato dalla catena più lunga. ALCHINO: composto che H C C H CH3CH2 C C H H3C C C CH3 contiene un triplo legame caracetylene bonio-carbonio. Formula generale CnHn. COMPOSTI AROMATICI: OH OH OH composti derivati dalla moleBr cola del benzene (i primi CH3 membri della famiglia avevaNO2 3-methylphenol 4-nitrophenol no un odore forte e caratteri- 2-bromophenol ortho-bromophenol meta-methylphenol para-nitrophenol stico). Eccone alcuni. L’esagono, i cui vertici rappresentano 1 atomo di carbonio, è il capostipite dei composti aromatici, avente formula bruta C6H6.

O-H

carboxylic acid

O

alkyne

ester R

O-R

aromatic

O

amide R

O-H

alcohol

R

O-R

ether

R

NHR O

O

R

ketone R

Cl R

acid chloride

NH2

amine

NH

imine

N

nitrile

R O

RHC

aldehyde R

H

R-C

Un gruppo R alchilico, indica un alcano senza un idrogeno (CH3 metile, C2H5 etile e così via), mentre un gruppo R acilico deriva dall’anello benzene (C6H5 butile). 33

1.11.2 Composti con l’ossigeno Sulla base della figura precedente, possiamo evidenziare alcune classi di composti. ALCOOL: composto che H H R contiene il gruppo C-OH; a R OH R OH R OH OH seconda della posizione del H R R phenol gruppo OH si dice primario, primary secondary tertiary secondario o terziario. Ossidando un alcool primario si ottiene un’aldeide, ossidando un secondario si ottiene un chetone (il terziario non si ossida). ALDEIDE: composto contenente il gruppo carbonilico =CO (dove C è legato a C e H); può essere ossidata ad acido carbossilico. CHETONE: composto contenente il gruppo funzionale carbonilico =CO (dove C è legato ad altri due C). ACIDO ORGANICO: composto che contiene il gruppo funzionale carbossilico -COOH; in fase gassosa si forma il dimero, in fase solida una catena; reagisce con alcoli formando gli ESTERI e con le ammine formando AMMIDI.

1.11.3 Composti con l’azoto AMMIDE: composto che contiene il gruppo amminico -NH2 AMMINA: composto che contiene il gruppo C-NH; a seconda degli idrogeni legati all’azoto si dice primaria (-NH2), secondaria (=NH) o terziaria (N); ossidando un’ammina primaria o secondaria si ottiene un’idrossilammina, ossidando una terziaria si ottiene un’ammina-ossido. Lo schema è il seguente: I materiali polimerici I materiali polimerici (chiamati anche, resine), sono sinonimo anche di materie plastiche, deriva-no tutte dal grande albero del petrolio6. Un polimero è una macromolecola costituita dalla ripetizione di una unità strutturale di base derivante da una molecola piccola, di basso peso atomico, detta 34

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

monomero. Prendiamo come esempio il polipropilene: p

p p

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

-CH2-CH-CH2-CH-CH2-CH-CH2-CH-CH2-CH-CH2| | | | | CH3 CH3 CH3 CH3 CH3

In neretto e con un circoletto è stato evidenziato il gruppo che si ripete ovvero il monomero che nel nostro caso si chiama propilene, di formula:

CH2=CH—CH3 Per ottenere la materia plastica vera e propria il polimero (o i polimeri) di base vengono solitamente addizionati di una serie di sostanze che hanno lo scopo di modificarne le caratteristiche o semplicemente di abbassare il costo del prodotto finito. Fra queste sostanze sono da annoverare le cariche o riempitivi, gli agenti rinforzanti, i plastificanti, i coloranti, i lubrificanti, gli stabilizzatori e gli agenti rigonfianti (solo per l’ottenimento di manufatti espansi, es. polistirene espanso). Le cariche o riempitivi sono costituiti da materiali di scarso valore (es. CaCO3, silice, talco, segatura di legno, gesso...) in forma di polvere finemente suddivisa, ed hanno essenzialmente lo scopo di far diminuire il costo del prodotto finito. L’aggiunta di riempitivi ha spesso anche lo scopo di migliorare alcune delle caratteristiche del manufatto, quali la stabilità termica, le proprietà elettriche e meccaniche o la resistenza agli agenti chimici. Generalmente sono costituite da una serie (catena) di unità elementari (monomeri, o unità monomeriche), unite da legami chimici difficilmente dissociabili, sì da formare macromolecole (polimero: poli – meros = più parti).

6. Il petrolio contiene le seguenti frazioni, ricavabili per distillazione primaria (topping) e, a diverse temperature. 1) Gas naturali (frazione gassosa) da C1 a C5 fino a 40° C 2) Benzine (più di 100 composti) da C6 a C12 da 40° a 180° C 3) Kerosene (per riscald. e carburanti) da C10 a C20 da 180° a 230° C 4) Oli vari e Nafta (per caldaie e Diesel) > C20 da 230° a 305° C 5) Oli pesanti e Lubrificanti > C20 da 305° a 405° C 6) Cere paraffiniche e Vaselina > C20 da 405° a 515° C 6) Residui > C20 distilla solo sotto vuoto

35

Es: POLIETILENE Polimerizzazione CH 2 = CH 2

ctz-om og.

CH 3 – ( CH 2 ) n – CH 3

(esotermica)

Polietilene

Etilene

F

F Polymerise

F

F TFE

H

H Polymerise H

F F F F F F F F N PTFE H2 H2 H2 C C C CH CH CH Ph

Styrene

Ph

Polystyrene

Ph

Il monomero può essere assimilato ad una generica struttura elementare, che, ripetendosi lungo una direzione, dà origine alla catena polimerica, attraverso la formazione di legami covalenti.

omopolimero = unità costituenti identiche tra loro (derivanti dallo stesso monomero); copolimero = partendo da due o più monomeri, si origina una catena che, pertanto, contiene unità differenti. Tipi di polimerizzazione La reazione chimica di polimerizzazione può avvenire secondo diversi meccanismi, di cui i principali sono la poliaddizione e la policondensazione. La prima schematicamente consiste in una reazione a catena molto rapida che avviene senza la formazione di sottoprodotti, il che rende la conduzione della reazione di sintesi relativamente semplice ed economica. La policondensazione è più simile ad una reazione chimica di tipo classico con formazione di sottoprodotti (di solito piccole molecole come l’acqua, da cui trae origine il nome di reazione di “condensazione”). In questo caso, la conduzione del processo può richiedere tempi e costi molto più elevati rispetto al primo. La lunghezza della catena di un polimero è esprimibile attraverso due parametri: ●

il numero di unità monomeriche presenti nella catena correlato al cosiddetto “grado di polimerizzazione”;



e la massa molecolare media M.

In termini di architettura, le molecole possono essere classificate in due diverse categorie: 36

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

1) catene lineari o ramificate7 (se sono presenti segmenti di catena che si dipartono dalla catena principale), detti comunemente “polimeri termoplastici”. 2) polimeri reticolati nel caso in cui le catene non sono separabili a causa dei legami covalenti che fungono da ponte tra le diverse catene “polimeri termoindurenti”. I Polimeri termoplastici sono caratterizzati da catene polimeriche per lo più lineari e prive di insaturazioni. Riscaldandoli al di sopra della temperatura ambiente, rammolliscono ed infine fondono ad una temperatura cui corrisponde la massima libertà di movimento per le loro macro-molecole. Questo comportamento è reversibile e, pertanto, i polimeri termoplastici possono essere facilmente modellati a caldo. I Polimeri termoindurenti sono caratterizzati da catene insature, cioè con doppi legami in genere, e da una struttura reticolare che esse assumono al momento della produzione. Un eventuale successivo riscaldamento avrebbe l’effetto di rompere i legami reticolari che stabilizzano la loro struttura, provocandone un’alterazione irreversibile. Ogni polimero è caratterizzato da una grandezza Tg detta temperatura di transizione vetrosa. Al di sotto di questa temperatura la flessibilità diminuisce notevolmente e il materiale acquisisce una sua rigidità. Nel campo di temperature maggiori di Tg le resine termoplastiche acquisiscono una loro flessibilità e morbidezza. Se la Tg del polimero è inferiore a quella ambiente, in condizioni normali questi materiali saranno in grado di assorbire, urti, vibrazioni, e ciò sarà utile ad esempio per gli adesivi interposti tra le parti attaccate. I polimeri sono una classe di prodotti che hanno una grande importanza, come vedremo, nel campo del restauro. Al momento citiamo tra i consolidanti le seguenti classi di composti. Nella pagina seguente abbiamo raggruppato i principali polimeri, alcuni dei quali molto utilizzati nel settore del restauro, riportando immediatamente 7. In entrambi i casi siamo ancora nell’ambito di polimeri non reticolati in cui ogni singola catena è individuabile e separabile dalle altre.

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alla loro sinistra il monomero, l’unità che si ripete nello spazio, dal quale sono stato originati. Tab. 1.11 NOME DEL POLIMERO

PVC (PoliVinilCloruro)

CH2 = CH | Cl

UNITÀ RIPETITIVA DEL POLIMERO

— CH2 — CH — | Cl

PE (PoliEtilene)

CH2 = CH2

PS (PoliStirene)

CH2 = CH | C6H5

— CH2 — CH — | C6H5

PP (PoliPropilene)

CH2 = CH | CH3

— CH2 — CH — | CH3

PAN (PoliAcriloNitrile)

CH2 = CH | C≡N

— CH2 — CH — | C≡N

PVA (PoliVinilAlcol)

CH2 = CH | OH

— CH2 — CH2 —

— CH2 — CH — | OH

PVDC (PoliViniliDene Cloruro)

Cl | CH2 = C | Cl

Cl | — CH2 — CH — | Cl

PIB (PoliIsoButene)

CH3 | CH2 = C | CH3

CH3 | — CH2 — CH — | CH3

PMMA (PoliMetilMetacrilato)

PTFE (PoliTetraFluoroEtilene)

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MONOMERO DI PARTENZA

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

CH3 | CH2 = C | O=C-O-CH3 F F | | C=C | | F F

CH3 | — CH2 — CH — | O=C-O-CH3 F F | | —C—C— | | F F

Resine epossidiche

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Le resine epossidiche (il termine resina è spesso usato impropriamente in luogo di polimero fluido) sono una classe di materiali macromolecolari importanti per le applicazioni in vernici, adesivi, leganti, resine da stampaggio e per colata. Siliconi I siliconi nono polimeri contenenti silicio ed ossigeno alternati nella catena, essendo le due valenze libere del silicio legate a gruppi organici, di solito alchilici (es.metilici). Si tratta quindi di polimeri ibridi organico-inorganici, che hanno assunto grande importanza industriale. La maggior parte dei siliconi sono chimicamente molto inerti. Il più comune tra questi polimeri è il dimetilsilossano CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 | | | | | | | —O—Si—O—Si—O—Si—O—Si—O—Si—O—Si—O—Si— | | | | | | | CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3

Con la scoperta dei siliconi, fabbricati industrialmente per la prima volta dalla Dow Corning Corporation, si può oggi disporre di una classe di isolanti che, pur resistendo al calore quasi come quelli inorganici, si presentano in forme tanto varie come quelli organici. I diversi tipi di siliconi comprendono infatti liquidi, grassi, gomme, resine per vernici isolanti, resine termoindurenti. Tutti hanno in comune alcune proprietà caratteristiche: 1) possiedono una buona resistenza alle alte temperature (200°C) e scarsissima tendenza all’ossidazione. 2) conservano quasi inalterate le caratteristiche di flessibilità, elasticità e viscosità, sia a temperature molto basse sia a temperature relativamente elevate. 3) sono idrorepellenti, e perciò hanno la possibilità di impedire il deposito di umidità sulle superfici con essi trattate. 4) sono chimicamente inerti, non si alterano per effetto della luce solare, dell’azoto, degli agenti atmosferici e non corrodono i metalli. 5) hanno buone caratteristiche elettriche.

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Polimeri di origine naturale Si tratta in genere di derivati della cellulosa. La materia prima, da cui si ricavano la celluloide, la nitrocellulosa, l’acetato di cellulosa e altri derivati è la cellulosa. Essa si ricava dal cotone che ne contiene circa il 96% e che da una nitrocellulosa o pirossilina molto bianca e pregiata: si può ricavare anche dal legno di alcuni alberi, quali l’abete e il pioppo, ma in questo caso ha colore giallastro e proprietà meno buone. La cellulosa del legno come attualmente si ricava è usata per lequalità di celluloide più scadenti. La grande infiammabilità della celluloide costituisce un grave inconveniente, a cui si è cercato di rimediare creando delle materie plastiche che, pur avendo le stesse proprietà della celluloide, non fossero infiammabili. Adesso probabilmente abbiamo gli strumenti essenziali (qualcun altro lo introdurremo strada facendo) per iniziare a capire cosa da un punto di vista chimico avviene durante l’azione di degrado di un materiale lapideo e la successiva azione di rimozione dei composti tipici del degrado della pietra, con le successive azioni di consolidamento e protezione.

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI per la progettazione

SCHEDE DI APPROFONDIMENTO

41

SCHEDA 1 ■

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

SOLUBILIZZAZIONE E CRISTALLIZZAZIONE DEI SALI

La presenza di sali solubili in acqua è molto frequente nella grande maggioranza dei materiali lapidei e costituisce uno dei maggiori problemi conservativi. In alcuni casi i sali sono presenti in tracce nel materiale di cava in relazione al suo processo genetico, in altri casi essi sono apportati dalle acque circolanti nel terreno, da acque luride di infiltrazione, da pioggia e da particellato in atmosfera inquinata o, infine, i sali possono essere la conseguenza di errati interventi di restauro, ad esempio stuccature con malte ricche di sali solubili, intonaci a base cementizia, consolidamento con prodotti che rilasciano sali solubili, ecc. La solubilità di un sale in acqua, rappresenta la quantità massima di sale che può sciogliersi ad una data temperatura. La solubilizzazione di un sale dipende dalla sua composizione chimica e dalle sue caratteristiche strutturali La solubilità1 è una caratteristica costante per ogni sale e varia solo con la temperatura; in genere aumenta con l’aumento della temperatura, ma ci sono eccezioni, come ad esempio nel caso del gesso. Una soluzione si dice satura se contiene la quantità massima possibile di sale disciolto ad una data temperatura. Quando un sale è disciolto in acqua, esso non esiste più come specie salina poiché si dissocia nei suoi ioni costituenti; ad esempio il solfato sodico dà luogo a due ioni sodio e uno ione solfato, il primo è un catione (carica positiva), il secondo un anione (carica negativa) Na2SO4

2Na+ + SO4=

Il processo di dissoluzione di un sale è essenzialmente un fenomeno di diffusione e la sua velocità dipende anche dalla superficie specifica del sale. Per una stessa specie salina i cristalli molto piccoli si sciolgono più rapidamente dei cristalli grandi, per la maggiore superficie offerta all’attacco solvente dell’acqua. In contatto con l’acqua presente entro la rete capillare, i sali si sciolgono, in tutto o in parte in funzione della loro quantità e del volume d’acqua disponibile nei diversi punti del materiale. Quando la soluzione salina raggiunge la saturazione, non può verificarsi nessun ulteriore aumento della concentrazione, pertanto immediatamente al di là di questo punto di equilibrio il sale in eccesso deve cominciare a separarsi dalla soluzione, cristallizzando entro gli spazi porosi. Riassumendo: La pressione di cristallizzazione esercitata dai cristalli sulla parete dei pori è tanto maggiore quanto più elevata è la concentrazione del sale rispetto a quella di saturazione e quanto più piccola è la dimensione dei pori. Alcuni dei sali solubili che si trovano frequentemente nei materiali porosi da costruzione possono cristallizzare con quantità diverse di acqua nel loro reticolo cristallino, a seconda delle condizioni microclimatiche in cui avviene la formazione dei cristalli. Ad esempio, il carbonato di sodio può cristallizzare con 1, 7 o 10 molecole di acqua: 1. La solubilità di una sostanza viene misurata come la quantità massima espressa in grammi che può essere sciolta in 100 grammi di solvente. Quando il soluto non si scioglie più, ma forma un corpo di fondo, la soluzione viene definita satura.

43

Na2CO3

H2O

Na2CO3

7H2O

Na2CO3

10H2O

nella tabella che segue vengono riportati il nome, la composizione chimica, la solubilità in acqua a 20°C per alcuni sali frequentemente presenti nelle murature e, in genere, nei materiali lapidei. Per confronto viene riportata anche la solubilità della calcite: NOME

FORMULA CHIMICA

SOLUBILITÀ (G/L) A 20°C

Calcite

CaCO3

0,014

Gesso

CaSO4

Bassanite (Emiidrato α)

CaSO4

2 H2O

2,6

1/2 H2O

8,5

CaSO4

Anidride II

3,0

Epsomite

MgSO4

7 H2O

710

Mirabilite

Na2SO4

10 H2O

363

Tenardite

Na2SO4

50 a 0°C, 420 a 100°C

Salgemma

NaCl

264

Nitrocalcite

4 H2O

Ca(NO3)2 KNO3

Nitro Natrite

Na2CO3

SALI SOLUBILI IN ACQUA (presenti nella pietra)

SOLFATI (SO4=)

CLORURI (Cl-) NITRITI (NO2-) NITRATI (NO3-) CARBONATI (CO3=)

1270 133 a 0°C, 2460 a 100°C

10 H2O

487

PROBABILI CAUSE

terreno (infiltrazione capillare) inquinamento dell’aria (SO2, pioggia, polveri) errati interventi di restauro (stuccature a gesso, cemento) atmosfera marina terreno (infiltrazione capillare) immagazzinamento del sale terreno (fertilizzanti, sostanze organiche in decomposizione) guano inquinamento dell’aria errati interventi di restauro (malte cementizie)

Vi sono poi delle regole generali di solubilità per i composti ionici in acqua che di seguito vi riporto. Composti ionici solubili sono: 1) tutti i composti comuni degli ioni del Gruppo 1° (Na+ K+ …) e di ammonio NH4+ sono solubili;

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

2) tutti i nitrati comuni (NO3-), acetati CH3COO-) e molti perclorati (ClO4-) sono solubili; 3) tutti i cloruri comuni (Cl -) i bromuri (Br -) e gli ioduri (I -) sono solubili eccetto quelli di Ag+ Pb++ Cu+ e Pb2+;

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

4) tutti i solfati comuni (SO4=) sono solubili, eccetto quelli di Ca2+ e Pb2+. Composti ionici insolubili sono: 1) tutti gli idrossidi metallici eccetto quelli del gruppo 1° e quelli più grandi del gruppo 2° (partendo da Ca2+); 2) tutti i carbonati (CO3=) e i fosfati (PO43-) comuni sono insolubili, eccetto quelli del gruppo 1° e NH4+; 3) tutti i solfuri comuni sono insolubili eccetto quelli del gruppo 1° del gruppo 2° e di NH4+.

45

SCHEDA 2 ■

ACQUA, DEGRADO, POROSITÀ

Tutti i materiali lapidei, sia naturali che artificiali, sono materiali porosi. La porosità di un materiale solido si definisce come l’insieme degli spazi vuoti esistenti all’interno della sua massa solida. Tali spazi possono essere totalmente isolati dall’esterno (porosità chiusa), oppure in comunicazione con l’esterno attraverso la superficie della massa solida (porosità aperta). La porosità totale di un materiale è costituita dall’insieme della porosità chiusa e di quella aperta. Ambedue i tipi di porosità hanno importanza nel determinare le caratteristiche tecnologiche del materiale (la sua resistenza meccanica, la conducibilità termica ed acustica, la lavorabilità, la lucidabilità, ecc.), tuttavia è la porosità aperta che gioca il ruolo fondamentale nei processi di deterioramento dovuti alle interazioni con l’ambiente. Infatti, i pori aperti sono accessibili all’acqua e alle altre sostanza chimiche con cui il materiale lapideo può venire in contatto e dunque essi costituiscono la via attraverso la quale il deterioramento procede dall’esterno verso le parti più interne del materiale. La porosità aperta, inoltre, influenza la scelta dei tipi di trattamenti conservativi che possono essere adottati per la conservazione del materiale. Sia dal punto di vista del degrado che da quello dei trattamenti conservativi l’insieme dei pori aperti può essere considerato come una vera e propria rete stradale (si parla spesso di rete capillare) che consente il movimento dei fluidi (liquidi e gas) e nella quale possono avvenire reazioni chimiche e si possono sviluppare sforzi di tipo meccanico. La porosità si esprime comunemente come rapporto percentuale del volume degli spazi vuoti (aperti e chiusi) rispetto al volume apparente della massa solida e si indica con il simbolo η: V v η% = ------------ × 100 V tot

La porosità di un materiale lapideo naturale2 è strettamente connessa al suo processo genetico. Inoltre, la porosità intrinseca di un materiale può variare con i processi di deterioramento e, nella maggior parte dei casi, è maggiore nel materiale deteriorato che nel corrispondente materiale sano. I pori possono avere differenti forme e dimensioni: in base alla loro forma si possono distinguere pori sferici, cilindrici, a sezione allungata, a “collo di bottiglia” (con un’imboccatura stretta che precede uno spazio molto più grande), ecc. Essi possono costituire spazi tra i componenti cristallini o attraversare i singoli cristalli, in seguito a fenomeni di micro-fratturazione o sfaldatura degli stessi. Le dimensioni dei pori variano entro un intervallo molto ampio, da pochi angstrom3 fino ad alcuni millimetri. Discontinuità, o spazi vuoti di dimensioni maggiori sono chiamate cavità; poiché essi non contribuiscono all’azione capillare e non vengono in genere presi in considerazione negli studi dei processi di deterioramento (Il travertino, alcuni tufi vulcanici, la pomice e la scoria lavica sono spesso indicate come rocce vacuolari in quanto ricche di cavità macroscopiche). Se si pensa che le dimensioni di una singola molecola di acqua sono di circa una decina di Å, si comprende che spazi porosi più piccoli di 10 Å sono da considerare come praticamente imper2. Per i materiali artificiali essa è correlata al processo di produzione (ad esempio, i fenomeni di ritiro durante la presa di una malta a calce o l’evaporazione dell’acqua nella manifattura di un laterizio provocano la formazione di spazi vuoti. 3. 1 Å è uguale a 10-8 cm o 10-10 m.

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

meabili. Esistono diverse classificazioni dei pori in funzione delle loro dimensioni, adottate dagli specialisti nei diversi settori di studio della scienza dei materiali; in genere, per indicarne le dimensioni si ipotizza che i pori abbiano sezione cilindrica e se ne considera il raggio o il diametro. E’ evidente che si tratta di una schematizzazione, molto utile ai fini del calcolo delle dimensioni dei pori, ma che corrisponde solo molto raramente alla reale forma dei pori. Una classificazione spesso adottata per i materiali lapidei è la seguente: • Micropori e mesopori = pori con raggio compreso tra 0 Å e 500 Å; • Macropori = pori con raggio compreso tra 500 Å e alcuni millimetri. Quando si studia un materiale lapideo, per comprenderne il comportamento rispetto ai diversi fattori di deterioramento e per valutare la necessità di trattamenti di conservazione, è di fondamentale importanza misurarne la porosità, non solo come valore complessivo (P totale% e P aperta%), ma anche relativamente alla dimensione dei pori (distribuzione dei pori in funzione del loro diametro, espressa come percentuale in volume) perché è direttamente correlata alle interazioni del materiale con l’acqua. La porosità può essere misurata con metodi diversi, alcuni dei quali relativamente semplici e poco costosi (ad es. misure di assorbimento d’acqua sotto diverse pressioni; osservazioni al microscopio ottico di sezioni sottili del materiale, diversamente orientate) ed altri che richiedono più tempo e strumentazioni più sofisticate, ma che permettono un’indagine più dettagliata anche dei pori più fini (ad es. osservazioni di sezioni sottili al microscopio elettronico a scansione e in microscopia “confocale” laser; misure di assorbimento di mercurio sotto pressione; misure di adsorbimento di gas inerti; scattering di neutroni a basso angolo). I metodi attualmente più usati sono: la microscopia ottica, l’assorbimento d’acqua e la porosimetria a mercurio. La porosità accessibile si misura sottovuoto tramite porosimetri ad acqua deionizzata a temperatura ambiente o a mercurio. I porosimetri ad acqua consistono in un contenitore stagno in cui mantiene il campioni sottovuoto per 24 h per eliminare l’aria e poi si fa penetrare l’acqua, in condizioni di temperatura standard, fino a completa immersione del provino, il quale, dopo 24 h viene estratto e pesato. Lo strumento più preciso, soprattutto per le misure dei micropori, è però il porosimetro a mercurio, strumento in cui viene forzato l’ingresso di mercurio nei pori di un materiale tramite l’esercizio di una pressione, che è tanto maggiore quanto più piccolo è il poro. Quindi dal porosimetro al mercurio si ottengono dati sia della porosità utile di un campione sia della dimensione dei pori. Dalla misura della porosità totale si ricava il coefficiente di imbibizione, ossia il rapporto% tra massa a secco e massa dopo l’immersione secondo i tempi prescritti nella normativa, che indica quanto un materiale all’apparenza compatto, immerso in acqua, ne assorbe fino ad eventuale saturazione. Per i lapidei fornisce indicazioni sulla compattezza e durevolezza in condizioni normali e, in particolare, in caso di contatto prolungato con acque meteoriche e terreni umidi. Anche nel caso di manufatti in calcestruzzo si usa determinare la capacità di assorbimento di acqua da parte degli aggregati. L’acqua e le sostanze disciolte sono tra i principali fattori di degrado a causa di interazioni chimiche (alterazione, corrosione, ecc.) ed effetti meccanici, conseguenti, ad es. alla dilatazione dell’acqua che si ghiaccia, oppure per fenomeni di rigonfiamento localizzato in caso di alterazione/idratazione e trasformazione di componenti presenti negli aggregati di un calcestruzzo (es., anidrite).

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CAPILLARITÀ

L’acqua tende a salire in vicinanza delle pareti di un bicchiere di vetro. Questo avviene perché le molecole di questo liquido hanno una forte tendenza ad aderire al vetro. I liquidi che bagnano le pareti formano superfici concave (es: acqua/vetro), quelli che non le bagnano formano superfici convesse (es: mercurio/vetro). Nei tubi di diametro interno inferiore a 2 mm, chiamati capillari, un liquido bagnabile forma un menisco concavo nella sua superficie superiore e tende a risalire lungo il tubo (vedi figura accanto). Al contrario, un liquido non bagnabile forma un menisco convesso e tende invece a scendere. La quantità di liquido richiamata nel capillare aumenta finché le forze che lo attirano non raggiungono l’equilibrio con il peso della colonna fluida. La risalita, o la discesa, dei liquidi nei tubi sottili è chiamata capillarità, fenomeno governato dalle forze di coesione e di adesione intermolecolari. La differenza di pressione, delta p che si stabilisce all’equilibrio tra la superficie libera dell’acqua e il menisco dell’acqua nel capillare è inversamente proporzionale al raggio del capillare è data dall’Equazione di Laplace:

2 γ cos ϑ ∆ p = -------------------r dove γ è la tensione superficiale dell’acqua, ϑ l’angolo di contatto acqua-superficie solida r è il raggio del poro. È questa differenza di pressione che spinge l’acqua a risalire nel capillare. La risalita capillare è tanto maggiore quanto più piccolo è il raggio del capillare entro il quale l’acqua viene attratta. Indicando con h l’altezza raggiunta dal liquido in un capillare verticale si ha:

2 γ cos ϑ F h = -------------------- = -ρ gr r con ρ densità dell’acqua, g accelerazione di gravità. Dunque, a parità di porosità totale e di condizioni ambientali, nei materiali con molti micropori la risalita capillare dell’acqua può interessare porzioni maggiori di materiale rispetto alla risalita che si può verificare in un materiale con prevalenza di macropori. Ipotizzando di avere una muratura costituita da materiale con pori cilindrici e orientati verticalmente rispetto alla base, si può calcolare, mediante la formula sopra indicata, che la risalita capillare può raggiungere i 15m se il raggio medio dei pori è di 1µm, e 1,5m se il raggio medio è 10 µm. Si tratta evidentemente di un valore teorico che si basa su un modello poco aderente alla realtà per quello che riguarda la struttura porosa; il modello inoltre non tiene conto dell’evaporazione dell’acqua attraverso la superficie muraria, fenomeno che contrasta e bilancia la risalita capillare. Esso tuttavia mette bene in evidenza l’importanza della dimensione dei pori. BAGNABILITÀ

Per finire questa breve Scheda sull’acqua e la porosità, vorrei accennare a un importante concetto, direi fondamentali nel settore del restauro: quello della bagnabilità. Per trattare quantitativamente il fenomeno della bagnabilità, consideriamo una goccia di liquido

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

γ sa = γ la

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

depositata su una superficie solida (questo procedimento permette di ottenere, con maggior semplicità, lo stesso risultato ricavabile studiando il comportamento di una superficie solida su un liquido). Dopo aver riunito nel punto di contatto delle tre fasi aria-liquido-solido i vettori caratterizzanti le forze superficiali (che sono tangenti alle rispettive superfici), li proiettiamo parallelamente alla superficie del solido, si può esprimere la condizione di equilibrio:

cos ϑ + γ sl

γsa tensione superficiale solido-aria; γ la

cos ϑ = tensione superficiale liquido-aria (proiettata sul piano del solido).

Si noti che la componente verticale di γla (puntata verso l’alto) è neutralizzata dalla forze di adesione fra solido e liquido.

γsl = tensione superficiale solido-liquido dalla condizione di equilibrio, si ricava la relazione:

γ sa – γ sl cos ϑ = ------------------------γ la questo significa che quando una goccia di liquido è posta su una superficie solida, il suo perimetro si sposta, allargandosi o contraendosi, fino a quando l’angolo ϑ assume il valore dato dalla eq. precedente. In particolare, se conveniamo di correlare la bagnabilità con la misura dell’angolo ϑ, possono esaminare facilmente i quattro casi possibili: • la bagnabilità è massima quando

ϑ=0

• la bagnabilità è parziale quando

ϑ < 90° (cosϑ < 1);

• la bagnabilità è scarsa quando

ϑ > 90° (cosϑ < -1);

• non si ha bagnabilità quando

ϑ = 180° (cosϑ = - 1).

(cosϑ = 1);

Nel campo del Restauro, il problema della bagnabilità si presenta per le soluzioni consolidanti, protettive o pulenti della pietra, nel quale il materiale agente deve disperdersi molto bene; ciò impone, a volte, l’uso di tensioattivi (le sostanze che abbassano la tensione superficiale di un liquido sono chiamate tensioattivi o surfattanti (dall’inglese: surface-active agents). Tutte queste considerazioni devono tenere conto che l’acqua ha una tensione superficiale più grande della maggior parte dei liquidi, a causa del legame idrogeno che si instaura tra le sue molecole. A parte la porzione di sporco solubile in acqua che non presenta quindi nessun problema di rimozione, si fa generalmente una distinzione tra lo sporco cosiddetto liquido costituito da grassi e oli organici, e lo sporco solido di origine inorganica. In entrambi i casi si ha il loro distacco dal substrato quando le forze di adesione all’interfaccia sporco/substrato sono ridotte dal bagno di lavaggio al di sotto di determinati valori critici. La rimozione dello sporco dipende dall’adsorbimento del tensioattivo all’interfaccia sporco/bagno, substrato/bagno di detersione. L’idrolisi dei grassi per azione di sostanze complementari presenti nel bagno di lavaggio ne favorisce la loro solubilizzazione e quindi l’allontanamento dal substrato. Nel campo del restauro tensioattivi, emulsionanti e surfattanti sono spesso aggiunti all’acqua di lavaggio per aumentare il

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potere detergente4, la bagnabilità, favorire la dissoluzione delle sostanze grasse e oleose e diminuire la tensione superficiale. Il detergente, abbassando la tensione superficiale del liquido pulente, bagna lo sporco. Questo entra in sospensione con un effetto emulsionante che impedisce la sua rideposizione sulla pietra. Lo sporco fissato al detergente è allontanato per risciacquo.

4. I tensioattivi, diversamente da altre sostanze solubili in acqua, non si ripartiscono uniformemente nella massa ma si concentrano selettivamente in maniera ordinata alla superficie della soluzione per cui non necessitano, per essere efficaci, di una grande solubilità in acqua né di raggiungere un’alta concentrazione in tutto il volume.

50

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

SCHEDA 3 ■

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

EMULSIONI E SOLUZIONI

Una emulsione è una dispersione di un liquido insolubile in un altro liquido. Per esempio, l’olio non è solubile in acqua. Se ne versate un po’ in un recipiente contenente acqua, lo vedrete galleggiare e mantenersi separato dall’acqua. Se però agitate a lungo il recipiente, otterrete una dispersione di goccioline di olio in acqua, tuttavia le goccioline d’olio si riuniscono rapidamente e in breve tempo quasi tutto l’olio si riunirà in un’unica massa. Per rendere più stabile l’emulsione, prima di cominciare ad agitare il recipiente, aggiungete un po’ di detersivo. Le molecole di tensioattivo si raccoglieranno sulla superficie delle goccioline d’olio con la testa rivolta all’esterno. Poichè queste teste sono cariche elettricamente e tutte con lo stesso segno, le goccioline d’olio si respingeranno l’un l’altra e la fusione delle goccioline ne sarà ostacolata. Con l’aiuto di tensioattivi, è possibile quindi ottenere delle emulsioni più stabili. Esistono dei tensioattivi specifici per le emulsioni, dotati di maggiore capacità di stabilizzare le goccioline d’olio di quanto non siano capaci i detersivi. Vi sono degli emulsionanti per uso alimentare, come la lecitina ed altri per uso industriale e non commestibili. Il burro è costituito da goccioline di acqua sospese in grasso. Molte creme ad esempio, usate sia in farmacia che in cosmesi sono delle emulsioni. In meccanica si usano olii emulsionati in acqua per facilitare la lavorazione dei metalli con asportazione di truciolo per mezzo di macchine utensili perché durante queste lavorazioni, viene prodotto un elevato calore che deve venire asportato per non bruciare l’utensile. Il latte è un’emulsione costituita da goccioline di grasso in una fase acquosa. Nel campo del restauro le emulsioni acquose di polimeri sono usate per il loro basso costo. Purtroppo spesso è necessario ricorrere a solventi organici, che oltre ad aumentare i costi danno problemi di sicurezza per gli operatori per la loro tossicità in genere molto elevata. Una soluzione è invece una miscela omogenea di due o più sostanze. Molte sostanze poste nell’acqua si sciolgono e si dicono solubili, altre invece non si sciolgono e si dicono insolubili. Il sale e lo zucchero si sciolgono facilmente nell’acqua. Se invece mettete della sabbia in acqua, potete mescolare lungamente, ma non riuscirete a scioglierla perché è insolubile. In una soluzione, il materiale presente in maggiore quantità si chiama solvente e quello in minore quantità soluto. Ma cosa vuol dire che una sostanza è solubile in un’altra? Significa che le molecole del soluto si separano fra loro e si disperdono fra quelle del solvente. Invece, le sostanze insolubili si mantengono compatte e le loro molecole non si disperdono nel solvente. Come solvente, abbiamo fatto l’esempio dell’acqua, tuttavia ogni liquido può essere un solvente. Generalizzando il concetto di solvente si può estendere ad altre sostanze, siano esse liquide, solide o gassose la possibilità di essere un solvente. A questo punto, anche il soluto può appartenere a uno di questi tre stati della materia. Esempio di soluzioni allo stato solido sono le leghe metalliche, quali l’acciaio (Fe+C), l’ottone (Cu+Zn), il bronzo (Cu+Sn). I gas, poi, sono tutti solubili fra di loro. Esistono anche soluzioni di gas in liquidi. Per esempio, l’anidride carbonica viene aggiunta in molte bevande per renderle frizzanti. Nell’acqua degli stagni, dei fiumi e del mare, vanno in soluzione in modo naturale gas quali l’ossigeno e l’anidride carbonica

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Categorie di soluzioni

52

SOLUTO

SOLVENTE

ESEMPIO

Gas

Gas

aria (azoto, ossigeno, etc.)

Liquido

Gas

aria umida (vapor d’acqua in aria)

Solido

Gas

pulviscolo atmosferico

Gas

Liquido

CO2 in acqua (acqua gasata)

Liquido

Liquido

vino (acqua + alcool)

Solido

Liquido

acqua marina (sale in acqua)

Gas

Solido

gas in silicati (pietra pomice)

Liquido

Solido

leghe dentarie (mercurio in cadmio)

Solido

Solido

leghe metalliche (acciaio, bronzo)

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

SCHEDA 4 ■

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

I LICHENI

I licheni sono associazioni simbiotiche tra funghi ed alghe. Da questa unione, entrambi ricavano vantaggio, in particolare: - i funghi, organismi eterotrofi cioè privi di clorofilla ricevono dalle alghe, organismi autotrofi cioè capaci di produrre sostanze nutritive da materiali inorganici, gli zuccheri ed in alcuni casi anche nitrati (alghe azotofissatrici); - le alghe ricavano dai funghi acqua e sali minerali e vivono in un ambiente protetto. La simbiosi consente a questi organismi di insediarsi in ambienti particolarmente poveri e in condizioni climatiche severe dove, separatamente, non potrebbero sopravvivere. I licheni costituiscono pertanto i primi colonizzatori di ambienti privi di vita, per questo sono definiti “specie pioniere”; infatti essi riescono a vivere anche sulla roccia nuda solubilizzando, con i prodotti del loro metabolismo, i minerali che la compongono e iniziando così l’opera di disgregazione che preparerà un substrato più ricco ed ospitale per altri organismi, come ad esempio i muschi. I licheni sopravvivono alla siccità e alle alte temperature disidratandosi velocemente e riducendo al minimo le funzioni vitali, fino al ripristinarsi di condizioni favorevoli; possono rimanere secchi anche per diversi mesi. Con la pioggia si reidratano, assorbendo un quantitativo di acqua di molte volte superiore al proprio peso. L’intero corpo del lichene, considerato nel suo insieme, si definisce tallo. Nei licheni fogliosi si riconoscono i lobi, di varie forme e dimensioni. Nei licheni fruticosi le ramificazioni, molto più allungate, si chiamano lacinie. L’osservazione con l’ingranditore stereoscopico (10X, 20X, 40X) rivela sorprese che ad occhio nudo non è possibile cogliere: alcune specie hanno ciglia più o meno lunghe, altre sono segnate da spaccature del cortex superficiale, le pseudocifelle e cifelle (tracce biancastre), la cui funzione è di consentire lo scambio gassoso tra la parte interna del tallo e l’aria esterna, altre hanno piccoli peli, altre ancora piccoli organi riproduttivi: apoteci, isidi, periteci. Con un ingrandimento di 150X o 200X si distinguono con chiarezza le parti riprodotte nello schema seguente. La corteccia superiore, cortex, è costituita da ife molto appressate ed ha la funzione di proteggere la parte interna del lichene. Sotto la corteccia superiore le ife assumono una struttura meno compatta, per lasciare il posto alle cellule algali, dall’inconfondibile colorazione verde, dovuta ai cloroplasti interni che svolgono la fotosintesi clorofilliana.

53

I licheni, in base alla forma del tallo, vengono raggruppati in 3 tipi: - licheni crostosi: costituiti da lamine aderenti al substrato (roccia, corteccia); mancano di rizine ed hanno l’aspetto di una crosta. La loro superficie può essere continua, tesserata o suddivisa in areole (piccole aree poligonali). Le areole, a loro volta, possono essere piane, concave o convesse; in quest’ultimo caso il tallo assume un aspetto verrucoso. Appartengono a questo gruppo anche le specie di licheni endolitici, il cui corpo (tallo) cresce per la maggior parte entro lo spessore della roccia; - licheni fogliosi: si presentano in forma di lamine, spesso suddivise in lobi, parzialmente sollevate dal substrato; alcune specie si ancorano al substrato solo in un punto, detto ombelico, situato circa nel centro del tallo. In ogni caso il tallo è sollevato dal substrato, almeno nella sua parte marginale; - licheni fruticosi: il loro tallo si sviluppa in tre dimensioni, con forme pendenti, ramificate, coniche, ad imbuto rovesciato, ecc. Sono ancorati al substrato in un solo punto, od appoggiati ad esso. Varie specie, come per es. quelle appartenenti ai generi Usnea e Alectoria, sono costituite da sottili filamenti che nell’insieme formano una sorta di groviglio, pendente dai rami degli alberi o dalle rocce, tanto che questi licheni prendono comunemente il nome di “barbe di bosco”. Il problema dei licheni sulla pietra, è che a parte il fatto che si formano delle patine colorate, dal nerastro al rosa, al bruno chiaro, al camoscio, al rosso ruggine, al rosso, provocate da specie diverse di licheni (che secondo alcuni essendo parte integrante della patina del tempo non vanno rimossi), impiantandosi sulle superfici della pietra con le ife fungine, secernono acidi che interagiscono con la superficie ed innescano il meccanismo della pedo-genesi5. L’interazione tra pietra e licheni porta in alcuni casi a due morfologie correlate tra loro: lo sviluppo di patine colorate e la formazione di una fitta serie di alveoli sulla pietra. Le patine sono il risultato della reazione chimica tra l’acido secreto dai licheni (acido ossalico) e i minerali della pietra. L’acido combinandosi con i cationi porta alla costituzione dei corrispondenti sali, soprattutto ossalati di calcio, le cui reazioni, diversamente bilanciate sono:

H2C2O4 + CaCO3 + H2O

CaC2O4 . H2O

ossalato di calcio monoidrato (whewellite) CaC2O4. 2H2O ossalato di calcio biidrato (weddellite) i quali, in funzione del tipo di elemento presente, determinano lo sviluppo delle varie colorazioni. Poiché i licheni per colonizzare hanno bisogno di trovare punti di ancoraggio, sono frequente5. Trasformazione di una roccia o di un sedimento sciolto nel suolo, ad opera di piante pioniere, in combinazione con fattori ambientali

54

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

mente situati su materiali porosi calcarei e a cemento calcareo. In tal caso e sempre riguardo alla loro azione pedogenetica, i licheni provocano la neoformazione di calcite, per azione dell’acido carbonico secreto dalle ife. Se si osserva la loro distribuzione su una superficie, si può notare che colonizzano le aree non aggredite dalle croste nere. Infatti i licheni richiedono zone ben ventilate e abbondantemente bagnate dall’acqua piovana in quanto traggono il loro nutrimento da sali minerali e non dal substrato lapideo. Le patine formate dall’azione pedogenetica risultano essere più dure, compatte e insolubili di quelle di calcite, tanto che, in passato, hanno rappresentato, almeno parzialmente, un protettivo naturale per molti monumenti. La presenza di licheni è indice di un ambiente non o scarsamente inquinato. Oggi gli inquinanti non solo stanno distruggendo le colonie di licheni, ma attaccano il materiale calcareo sottostante le patine costituite da ossalati, mettendo a nudo la superficie lapidea che risulta percorsa da innumerevoli fori ifei. Questi microfori, con il tempo e l’azione corrosiva dell’acqua (microcarsismo), si trasformano in alveoli e solchi.

55

SCHEDA 5 ■

IL PROBLEMA DELLA SOLUBILITÀ NEI SOLVENTI ORGANICI E NELL’ACQUA

Nel campo del restauro questo problema assume una dimensione estremamente importante perché condiziona, come vedremo, le operazioni di consolidamento e protezione il cui schema è sostanzialmente il seguente: SCHEMA DEL PROCEDIMENTO DI CONSOLIDAMENTO E PROTEZIONE

Polimero (o altra sostanza consolidante e/o protettiva)

Polimero + solvente

Impregnazione del materiale

Evaporazione del solvente

Formazione del film e penetrazione nel materiale Il secondo punto di questo schema, influenza in modo determinante le operazioni di cui sopra. Il problema della solubilità è complesso: per cercare di interpretarlo sono state proposte molte teorie, che portano alla definizione di certi modelli interpretativi. Tutti questi modelli, sono comunque delle semplificazioni e sono dunque affetti da una certa approssimazione: di fatto sono utili per fare delle ragionevoli previsioni. Il cosiddetto Potere Solvente rappresenta la capacità di un liquido, che definiamo allora solvente, di sciogliere una certa sostanza solida, che definiamo soluto, formando una miscela omogenea di molecole di solvente e soluto, detta soluzione. Nel disegno a sinistra, è intuibile il processo di disgregazione, di un sale da parte di un liquido polare come l’acqua. Il processo è noto come solvatazione. In questa miscela il soluto è presente a livello di molecole individuali, anche se associate fra loro. Quando invece il soluto è presente come aggregati di molecole, e questo vale soprattutto nel caso di solidi costituiti da macromolecole (tipicamente, certe resine sintetiche), si è in presenza di una cosiddetta dispersione. Spesso però il comportamento di un solvente è duplice: ad esempio il metanolo ha una parte della molecola apolare e una parte polare. In presenza di liquidi come l’acqua opera la compo-

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

nente polare della molecola, mentre in presenza di liquidi apolari come il cloroformio, quella polare. Questo lo rende solubile in acqua e in grado di solubilizzare anche il cloroformio. IL TRIANGOLO DELLE SOLUBILITÀ

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Il modo più conveniente per rappresentare graficamente i Parametri di Solubilità è una rappresentazione che tenga conto, simultaneamente, delle tre grandezze: dovrà quindi essere un grafico a tre assi, cioè un triangolo. In più, dato che i tre valori hanno tutti lo stesso intervallo da 0 a 100, i tre lati saranno uguali: sarà dunque un triangolo equilatero. Si arriva così alla definizione del cosiddetto Triangolo delle Solubilità, rappresentato nella seguente figura, introdotto da Teas. Ognuno dei tre lati rappresenta il valore, da 0 a 100, di uno dei tre Parametri di Solubilità: secondo la convenzione che viene universalmente seguita, l’asse orizzontale H, la base, rappresenta la tendenza più o meno marcata di formare legami a idrogeno, il lato obliquo a destra A rappresenta la percentuale di apolarità della molecola, e il lato obliquo a sinistra P rappresenta invece la percentuale di polarità della molecola. Muovendosi all’interno del Triangolo, e leggendo i valori nel senso indicato dalle tre freccette riportate, si può attribuire ad ogni solvente una terna di valori caratteristica. Ogni solvente è quindi univocamente rappresentato da un punto individuato dall’intersezione dei valori delle tre coordinate A, P ed H, il che equivale a dire occupa un posto ben preciso all’interno del Triangolo. La scelta di un solvente adatto alla rimozione di un certo materiale richiederebbe l’esatta conoscenza della natura chimica del materiale da disciogliere. Se avessimo questa conoscenza preliminare all’intervento, basterebbe utilizzare il Triangolo delle Solubilità dei solventi e arriveremmo subito ad una possibile soluzione. Purtroppo le cose non sono così semplici per cui in genere nella pratica, il restauratore che si accinge ad effettuare una pulitura non conosce esattamente la natura dei materiali che deve rimuovere. Vi sono come ausilio, dei programmi software che permettono di ottenere le miscele desiderate partendo dai parametri base. In generale, in un ipotetico solido M da disciogliere, vi sono interazioni M-M tra le sue varie molecole; analogamente, le molecole del solvente S sono tenute insieme da forze di attrazione S-S. Affinché S riesca a disciogliere M, occorre: rompere le interazioni S-S e M-M e instaurarne nuove del tipo S-M, che siano più forti delle due precedenti. Quanto più vicina ad un vertice risulta la posizione del solvente, tanto maggiore è il contributo del carattere rappresentato da quel vertice. Si ha così una caratterizzazione abbastanza precisa delle proprietà solventi di ogni liquido che compare nel diagramma. Poiché esistono valori di questi parametri tabulati per un alto numero di solventi, di conseguenza per la regola chimica secondo cui i simili sciolgono i simili, ad esempio, sapendo che le cere sono sostanze per lo più apolari e con poche tendenze a formare legami a idrogeno, in un diagramma ternario esse potrebbero essere allocate nell’area prossima al vertice delle apolarità. In questo caso i solventi più idonei per le cere dovremo sceglierli tra quelli posizionati intorno a tale vertice (idrocarburi alifatici o aromatici). Ciò trova una effettiva rispondenza nella realtà sperimentale. Molto usate nel campo del restauro sono le miscele di due o più solventi, cosiddette «miste», il cui comportamento è la risultante delle proprietà additive dei componenti puri in funzione della loro percentuale nella miscela. Ecco alcuni valori di P (polarità), A (apolarità) ed H (tendenza a ader legami a idrogeno) per alcuni solventi, tra cui l’acqua:

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P

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

metanolo etanolo n-propanolo n-butanolo 1-pentanolo propilen glicole etilen glicole glicerina cicloesanolo dietilen glicole cellosolve alcool diacetone cellosolve acetato dietiletere diossano acetone metil etil chetone metil isobutil chetone cicloesanone etilacetato

sensi di lettura del diagramma

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23 19 16 14 12 15 17 22 12 30 20 29 34 23 28 37 30 23 22 37

A

31 36 40 43 47 39 32 26 50 25 43 37 50 67 58 50 53 56 56 51

H

46 45 44 43 41 46 51 52 38 45 37 34 16 10 14 13 17 21 22 17

P

A

H

n-butil acetato nitrometano nitroetano 2-nitrometano etanolamina dimetil formammide dietil ammina morfolina cicloesil ammina piridina cloroformio dicloroetano cloruro di metilene 1,1,1 tricloroetano tricloroetilene toluene xilene tetralina esano cicloesano

16 46 42 33 32 32 19 21 15 22 10 23 20 17 12 6 6 4 2 2

60 41 47 58 31 41 62 53 63 56 67 63 59 68 68 78 82 83 96 94

24 13 11 9 37 27 19 26 22 22 23 14 21 15 20 16 12 13 2 4

21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

acqua

23

19

58

41

Triangolo delle solubilità (l’acqua è rappresentata dal punto n° 41: notare la sua alta capacità di formare legami a idrogeno: da questo deriva il suo grande potere di solvatazione, di scindere cioè le molecole dei sali disciolti) Tabella tratta dal Mattini/Moles – La Chimica nel Restauro – Nardini Editore.

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

CAPITOLO 1

1.1

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

INTERAZIONE CON L’AMBIENTE Interazione ambiente aggressivo-manufatto

1.1.1

Il degrado è un equilibrio

Il degrado di un manufatto è la conseguenza dello squilibrio, o meglio, dell’equilibrio che il manufatto stabilisce con l’ambiente aggressivo. Quelle che seguono sono alcune reazione tipiche (che ormai dovreste saper bilanciare da soli) di un ambiente inquinato. La prima è una tipica reazione di combustione (in questo caso del metano), che genera CO2 anidride carbonica e acqua. Questo tipo di reazioni, tipiche del processo per la produzione di energia sono le responsabili dell’effetto serra1, di cui la CO2 è il principale imputato. CH4+2O2 S+O2

CO2+H2O SO2

SO2+ H2O H2SO3+1/2O2 SO2+1/2O2 SO3+ H2O

H2SO3 H2SO4 SO3 H2SO4

Le altre reazioni, schematizzano la formazione degli acidi solforoso e solforico, responsabili principali delle piogge acide (e della solfatazione dei manufatti lapidei), a partire dalle anidridi solforosa e solforica che si ottengono dalla combustione di derivati del petrolio contenenti appunto zolfo. Alcune di queste reazioni sono catalizzate (favorite) dalla presenze di prodotti carboniosi derivati dalla combustione. 1. Il protocollo di Kyoto che prevede la riduzione su scala mondiale di questo gas per una percentuale del 5,2% al 2012 è una vera e autentica foglia di fico di un mondo occidentale che non sa produrre in modo sostenibile. Alcuni studiosi ritengono infatti che per invertire la tendenza del riscaldamento del pianeta occorrerebbe già da oggi almeno una riduzione del 60%. Questo ci spinge a pensare che stiamo andando a grandi passi verso la catastrofe.

59

Altri prodotti della combustione sono gli ossidi di azoto. NOx NO NO2 Gli inquinanti producono nei sistemi con i quali vengono in contatto, una condizione di squilibrio che porta il sistema a trasformazioni e a modifiche tanto più importanti, quanto più elevato il suo grado di irreversibilità. La tendenza è quella di tendere verso un equilibrio, dannoso per il manufatto, ma necessario per considerazioni energetiche. Il grado di irreversibilità è tanto maggiore quanto più grandi sono gli squilibri che hanno provocato la trasformazione e quanto più rapidamente essa si manifesta. Le trasformazioni più frequenti sono rappresentate da trasferimenti di calore dal sistema all’ambiente (o viceversa), spesso accompagnati da trasferimenti di acqua in fase liquida o di vapore. Il modello termodinamico consente di dedurre che la maggior parte dei processi di degrado potrebbe essere evitata se si potesse realizzare una condizione di perfetto equilibrio tra oggetto da conservare e ambiente di conservazione. Esso fornisce inoltre l’indicazione concreta di un criterio generale di conservazione, fondato sulla possibilità di ottenere un rallentamento dei processi di deterioramento con procedimenti capaci di ridurre l’entità degli squilibri tra oggetto e ambiente. Il degrado fisico e chimico ha sempre rappresentato il fattore di invecchiamento dei materiali (siano essi naturali o artificiali, grezzi o lavorati) costituenti il patrimonio culturale: quindi il fenomeno è connaturato al ciclo di vita della materia e dipende dalle circostanze ambientali in cui essa è immersa. Nelle tre tabelle che seguono si riportano nella prima gli intervalli temporali, in anni di vita, dei vari materiali in funzione delle condizioni ambientali in cui possono trovarsi. Come si può notare, a parità di condizioni esogene, la resistenza varia in funzione della natura e della composizione chimica del materiale. I materiali di origine organica o vegetale risultano essere i più deboli di fronte ad ambienti molto aggressivi, mentre in condizioni di stabilità la vita media è tendenzialmente uguale o maggiore rispetto ad alcuni materiali inorganici o sintetici come, ad esempio, il cuoio rispetto alla plastica. La seconda tabella invece riporta le principali fonti di inquinamenti chimico, che sono quelle che maggiormente interessano il degrado dei beni culturali. Poiché le sostanze aggressive sono essenzialmente allo stato gassoso o disperse nell’atmosfera come aerosol, le classi di materiali elencate nella tabella sono soggette ad un degrado di natura antropica anche se distanti dalle fonti di emissione. 60

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Certo: l’eliminazione delle fonti inquinanti potrebbe essere la soluzione. Ovviamente è un’utopia.



illuminazione;



umidità;



temperatura;



qualità dell’aria.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Infine la terza tabella tiene conto dei fattori che maggiormente influenzano lo stato di conservazione di un manufatto:

I beni conservati in luoghi chiusi o circoscritti non sono esenti dai fattori di degrado “esterno”: lo subiscono in maniera meno accentuata, essendo sottoposti in modo diretto al deterioramento legato soprattutto alle condizioni di umidità, luce e calore presenti nell’ambiente. Essendo inoltre le opere “rinchiuse” rappresentate largamente da pitture su tela o su tavola, libri, arazzi, pergamene, tessuti, per la loro prevalente composizione vegetale o animale esse sono aggredibili da organismi biologici quali roditori, insetti xilofagi e microrganismi. Inoltre, l’umidità influenza la struttura fisica di questi beni provocando, con le sue variazioni, allungamento o restringimento delle fibre, rigonfiamenti, scollamenti, ecc., favorendo attacchi microbiologici. L’aggressione dovuta agli inquinanti atmosferici dipende invece prevalentemente dalla velocità di scambio d’aria esterno-interno e dall’affluenza dei visitatori. Spesso la tipologia del danno causata dai vari inquinanti sui diversi materiali può essere a volte elemento di ulteriore degrado. Tab. 2.1 - Anni di vita dei materiali per differenti condizioni di esposizione atmosferica CONDIZIONI DI ESPOSIZIONE MATERIALI

Metalli preziosi Rocce natur. “forti”

MOLTO SEVERE (A)

SEVERE (B)

MITI (C)

MOLTO MITI (D)

1.000-10.000

100.000

1.000.000

10.000.000

100-1.000

1.000-10.000

100.000

1.000.000

Rocce naturali

10-100

100-1.000

10.000

100.000

Ceramici “forti”

100-1.000

1.000-10.000

1.000.000

10.000.000

1-100

100-1.000

10.000

100.000

Ceramici

10-100

100-1.000

10.000

100.000

Malte

1-10

10-100

2.000

10.000

Gesso

===

1-10

500

2.000

Metalli

1-10

10-100

5000

10.000

Cls alta resistenza

61

(segue)Tab. 2.1 - Anni di vita dei materiali per differenti condizioni di esposizione atmosferica CONDIZIONI DI ESPOSIZIONE MATERIALI

MOLTO SEVERE (A)

SEVERE (B)

MITI (C)

MOLTO MITI (D)

Legno

1-10

10-100

1000

10.000

Plastica

1-10

10-50

100

1.000

Vernici

===

2-20

500

2.000

Cuoio

1=

10-50

500

2.000

===

1-10

500

2.000

Tessuti naturali

a) Forti variazioni temperatura, umidità, venti, soleggiamento, erosione eolica. Inquinamento b) Moderate variazioni temperatura, umidità, venti e soleggiamento c) Moderate temperature, clima secco, minime variazioni ambientali d) Clima molto secco/costante, venti leggeri, basse temperature, radiazione solare assente Tab. 2.2 - Sorgenti antropiche di inquinanti chimici in atmosfera EMETTITORI

EMISSIONI PRIMARIE(˚)/SECONDARIE(˚˚)a

1. Bruciatori a carbone, olio Ossidi zolfo/azoto/carbonio, Idrocarburi /derivati ossigenati, fumi combustibile, gas (centrali acidi, ceneri volanti, composti termoelettriche/industrie/ Carboniosi /ossidi metallici riscaldamento domestico) 2. Inceneritori di rifiuti urbani

Emissioni variabili a seconda dei rifiuti da distruggere (come quelle emesse da bruciatori + composti ammoniacali/ossigenati)

3. Mezzi di trasporto

Emissioni analoghe a quelle dei bruciatori (ossidi di azoto predominanti) + composti organici del piombo

4. Raffinerie di petrolio

Emissioni analoghe a quelle dei bruciatori + ammoniaca

5. Industrie minerarie

Polveri inorganiche/organiche a composizione variabile secondo il tipo di elemento

6. Altoforni/industrie metallurgiche

Ossidi zolfo/carbonio, ceneri metalliche/ carboniose, composti alogenati

7. Industrie tessili

Composti acidi variabili a seconda del processo di fabbricazione

8. Industrie ceramiche Acido fluoridrico, polveri minerali 9. Industrie legno/carta Cloro/acidi del cloro, acido solfidrico, composti organici solforati 10. Industrie/impiego Ossidi di carbonio/zolfo, polveri minerali, composti fluoro/fosforo, fertilizzanti sali di ammonio (˚) Inquinanti primari: sono quelli che interessano l’ambiente prossimo alle fonti di emissione, (˚˚)secondari: sono i prodotti di trasformazione degli inquinanti primari e/o trasportati a distanza dai luoghi di emissione a) Inquinanti atmosferici principali: Biossido di zolfo (SO2) Acido solforico (H2SO4) Acido solfidrico (H2S) Ossidi di azoto (NOx) Acido nitrico (HNO3) Ammoniaca (NH3) Biossido di carbonio (CO2) Ozono (O3) Acidi alogeni (HCl, Hl, HBr, HF) Polveri sospese (f) Precipitazione (g)

62

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Tab. 2.3 - Caratteristiche di conservazione e fattori di interazione ambientale MATERIALI

FATTORI DI INTERAZIONE AMBIENTALE

- Carta

T

UR

I

Ib

Ic

- Legno

T

UR

I

Ib

Ic

- Cuoio/e pergamena

T

UR

I

Ib

Ic

- Tessuto

T

UR

I

Ib

Ic

- Pitture

T

UR

I

Ib

Ic

- Ossa

T

UR

I

- Avorio

T

UR

I

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

A base organica

A base inorganica

Ic

- Laterizi

T

- Pietre

T

UR

- Ceramiche all’aperto

T

UR

Ic

- Vetrate

T

UR

Ic

- Metalli

T

UR

Ic

- Mosaici

T

UR

Ic

- Dipinti murali

T

UR

T I

= =

Temperatura Illuminazione

UR = Ic

=

Umid. Relativa

Ib

Ib

Ic

Ic

Ib = Inquinanti biolog.

Inquin. chimici

Il processo di invecchiamento del “bene” obbedisce a leggi cinetiche complesse che, a seconda del materiale di cui è costituito, dipendono in maniera variabile da molti fattori, non sempre tutti ben individuabili e quantificabili, e che possono essere sintetizzati dalla tabella precedente. Altri effetti, a volte più perniciosi dei primi sono l’incuria, l’abbandono, gli interventi non corretti, le azioni di guerra, il luogo geografico, i cataclismi naturali e non naturali, e quell’insieme di fattori di tipo, genericamente definito, socio-economico-culturale degli stati/regioni detentori del bene stesso.

1.2

Fattori di degrado

La conoscenza del materiale, della sua origine e delle sue caratteristiche intrinseche diventa essenziale per il successivo studio volto al recupero del bene. Tra le caratteristiche intrinseche, la porosità e l’igroscopicità, proprietà peraltro comuni a tutti i tipi di materiali, hanno in questo caso una particolare im63

portanza, in quanto da esse dipendono la misura e l’entità dell’interazione di qualsiasi oggetto-bene culturale con gli altri componenti del sistema ambientale. La porosità è data dal rapporto tra il volume dei vuoti ed il volume totale di un dato materiale. Un corpo poroso si può dunque definire come un solido il cui volume è costituito parzialmente da particelle solide. In sostanza un corpo poroso è dunque un corpo nel quale le particelle solide sono disposte in modo da lasciare spazio a dei pori, cioè a dei vuoti o volumi liberi. La forma e il volume di questi pori dipenderanno dalla natura del materiale e dalla sua particolare “storia”, cioè essenzialmente dalle condizioni ambientali cui esso si è trovato sottoposto, dal momento della sua formazione al momento attuale. La porosità ed i danni di tipo meccanico vengono aumentati dalla presenza dei sali che cristallizzano in forme discrete e regolari che generano pressioni relative elevatissime creando un danno dinamico dalla superficie verso l’interno ed esteso nel tempo. Lo studio delle caratteristiche porosimetriche di un corpo solido riguarda i pori aperti (cioè quei pori che sono in comunicazione tra di loro e con l’ambiente esterno), ed è rivolto alla determinazione di alcuni parametri fondamentali che sono: la forma dei pori e le loro dimensioni. La forma, il volume e l’area delle pareti dei pori, nonché delle altre soluzioni di continuità, influenzano molte proprietà dei materiali, come la reattività chimica, l’attività catalitica, la resistenza all’ambiente (cioè la durabilità). Per effetto della porosità i materiali possono assorbire una quantità più o meno rilevante d’acqua dall’am-biente circostante. Tale assorbimento sarà dovuto sia ai fenomeni di capillarità, quando il materiale è a stretto contatto con il suolo perennemente umido, sia alla stessa igroscopicità del materiale nei confronti dell’acqua costituente l’umidità atmosferica. L’umidità che un dato materiale assume ad una data percentuale di umidità relativa, si chiama contenuto di umidità igroscopica. Tale contenuto è in rapporto alla pressione parziale del vapore d’acqua esistente nell’atmosfera a contatto del materiale. Ad una certa percentuale di umidità relativa i vari materiali assumono diverse quantità di vapore acqueo a seconda del maggiore o minore grado di igroscopicità, e ciò principalmente in rapporto alla loro natura (legami idrogeno), alla presenza di sali igroscopici e alla loro maggiore o minore porosità. I tipi di alterazione cui può essere soggetto un materiale possono essere a) di tipo chimico: il meccanismo d’azione è dovuto all’effetto solvente dell’acqua e alla formazione di composti chimici solubili e insolubili a 64

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

seguito di reazioni tra minerali del materiale lapideo ed inquinanti atmosferici; QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

b) di tipo fisico (dovuto a tensionamento meccanico o all’erosione di sabbia trasportata dal vento): in questo caso i meccanismi d’azione sono la dilatazione termica, carichi e trazioni, la cristallizzazione dei sali nei pori, l’azione del gelo, e nel caso dell’erosione, l’attrito; c) di tipo biologico (alghe, licheni, muschi); d) di origine antropica (combustioni, attività indu-striali, traffico autoveicolare): in questo caso si crea uno strato di sporcizia che trattiene l’umidità, catalizza reazioni di corrosione e può apportare sali solubili nei pori. Le alterazioni chimiche sono maggiormente riconducibili alle modificazioni del silicio e del carbonato che compongono la pietra. Ad esempio le rocce magmatiche, che hanno un’alta componente silicatica, sono molto compatte e resistenti ma sono soggette al fenomeno di dilatazione termica che ne incrementa la porosità e la conseguente fragilità strutturale interna. Alcune pietre, come il granito, se sottoposte ad attacco acido tendono ad argillificare, in questo caso i feldspati che compongono la pietra si trasformano a seguito della diminuzione del contenuto di silice e dell’aumento di quello di ferro e di alluminio. Le alterazioni di tipo chimico si verificano nella maggior parte dei casi a causa della presenza di acqua, proveniente prevalentemente dall’esterno, sotto forma di condensa e di pioggia, e dall’interno della muratura, a causa dell’umidità per risalita capillare. Le forme di alterazione chimica più frequenti sono: ●

la carbonatazione (reazione del biossido di carbonio che si trasforma in acido carbonico: CO2 + H2O

H2CO3

La reazione più nota è quella che riguarda i materiali calcarei: CaCO3 + H2CO3

Ca(HCO3)2

da questa reazione si viene a formare il bicarbonato di calcio, un sale altamente solubile in acqua; ●

la solfatazione (reazione del biossido di zolfo che si trasforma in acido solforico: 65

SO2 + H2O +1/2 O2

H2SO4

In quest’ambito, la reazione più nota è quella che riguarda i materiali calcarei: CaCO3+ H2SO4+ H2O

CaSO4.2H4O+ CO2

Si passa da un sale che ha una solubilità di 0,014 g/l a 20° C ad un altro, il gesso, avente solubilità di 2,6 g/l; ●

l’argillificazione, dovuta all’acqua acida che nei materiali a componente silicea opera la sostituzione di ossidi di silicio e di alluminio con ioni idrogeno H+ presenti nell’acqua acida;



l’ossidazione, è il risultato dell’azione della corrosione in presenza in genere di umidità atmosferica, cioè della possibilità di alcuni atomi metallici di legarsi con altri elementi. Esempio tipico è il ferro con l’ossigeno (ruggine).

Il processo di alterazione di tipo fisico avviene in modo differente da quello di tipo chimico, in quanto si attua attraverso sforzi e sollecitazioni, anche a livello moleco-lare. I processi di tipo chimico agiscono, invece, più in profondità nella composizione ele-mentare del materiale stesso. L’alterazione fisica riguarda la consistenza della struttura dell’ele-mento e richiede la conoscenza del comportamento statico dell’edificio architetto-nico, tenendo conto della pressione degli stress “esterni” ed “interni”. Tali alterazioni scaturiscono dall’azione degli agenti esterni su scala macroscopica e sono prevalentemente:

66

-

la sollecitazione da carico (quando vengono applicati degli sforzi da trazione e da compressione sul materiale con conseguenti deformazioni più o meno reversibili fino a completa rottura dell’elemento sollecitato);

-

la dilatazione termica (la dilatazione per riscaldamento provoca variazioni dimensionali con conseguente stress fisico);

-

la gelività (quando l’acqua presente all’interno di un materiale si trasforma in ghiaccio, il conseguente aumento di volume nei pori provoca la disgrega-zione interna);

-

la cristallizzazione (quando l’acqua presente all’interno di un materiale provoca la formazione di una soluzione liquida in cui i sali vengono trasportati dall’esterno all’interno del materiale e dopo evaporazione consente la cristallizzazione dei sali ed il danneggiamento del materiale stesso);

-

l’erosione alveolare (è il risultato dell’azione combinata del vento e della cristallizzazione dei sali).

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

La natura geologica di una pietra è l’elemento fondamentale da tenere in considerazione per comprendere la fenomenologia dell’alterazione. Le caratteristiche specifiche della composizione chimica e della conformazione (ad esempio: la porosità, le dimensioni e la struttura cristallina, ecc...) predispongono o meno il materiale a fenomeni alterativi. Per i materiali estratti da cava alcune alterazioni specifiche possono insorgere a causa della presenza di impurità, di venature strutturali e della presenza di zolfo derivante dal metamorfismo di sostanze organiche presenti nei sedimenti interessati nei processi geologici. Anche la tecnologia estrattiva e di lavorazione della pietra influisce sulla differente durata nel tempo di un materiale. Quindi il taglio con la tecnica del filo elicoidale permetterà alla pietra di essere meno traumatizzata rispetto all’uso di esplosivi che provocano conseguenti microfratture interne del materiale. Un discorso a parte andrebbe fatto per le condizioni di posa in opera del materiale, il quale deve risultare compatibile con le altre pietre e con gli altri materiali di assemblamento. Un tipico esempio è fornito dalle croste nere che si formano sui materiali lapidei calcarei. Queste croste sono costituite da particelle carboniose, ossidi metallici, gesso, minerali e composti organici vari. Queste sostanze, formando una pellicola molto porosa, di spessore variabile da pochi millimetri ad alcuni centimetri, sono in grado di assorbire l’umidità e favorire l’ulteriore processo di attacco e dissoluzione dei materiali sottostanti. Vediamone il meccanismo di formazione: per la formazione delle cosiddette aree o croste nere l’apporto di acqua da zone circostanti per capillarità e la posizione riparata dalla pioggia sono condizioni necessarie perché il biossido di zolfo e/o il particolato acido si fissino for-

67

mando sedimenti e prodotti di reazione che si accumulano sulle superfici: questo fenomeno è più evidente in aree geografiche molto umide e con abbondanti precipitazioni. Le croste nere sono costituite prevalentemente da cristalli di gesso e dalle particelle carboniose della deposizione secca. Il solfato di calcio in esse presente deriva sia dall’acido solforico e dal solfato presente nel particellato sia dalla deposizione secca dell’SO2, con conseguente solfatazione della pietra e nucleazione di cristalli di gesso. Avendo già detto che le aree nere hanno origine in zone umide ma non sottoposte al ruscellamento dell’acqua, risulta che per la loro formazione è fondamentale la collocazione e la geometria del manufatto in pietra. Ad esempio, luoghi naturali per lo sviluppo di croste nere sono le volute protette dei capitelli o i sottoquadri di superfici aggettanti. A volte le croste nere giungono a distaccarsi o in conseguenza di una progressiva discontinuità strutturale o per escursioni termiche, che provocano una forte dilatazione differenziale della crosta nera rispetto al materiale lapideo sottostante. Infine le aree “nere” possono essere attraversate da linee “chiare” di percolamento delle piogge. Le aree grigie sono più frequenti su pareti e superfici poco umide e dove l’acqua piovana non può diffondere: si formano così strati sottili di deposizione secca da cui deriva la colorazione grigia. Le aree grigie hanno la stessa composizione chimica delle croste nere, ma con un degrado molto ridotto. Ciò si spiega con il fatto che il livello di umidità stazionante nella struttura porosa non è sufficiente ad innescare in modo massiccio i meccanismi di deposito e di reazione. Un altro aspetto molto importante relativo al degrado del materiale lapideo è quello riguardante gli attacchi da parte degli agenti biologici. Una prima forma di degrado di questo tipo è data dalla presenza di piantine ed erbe che crescono entro le fessure della pietra. Le piante con le loro radici favoriscono l’opera di fratturazione e di disgregazione, che però ha avuto origine primaria da cause fisiche . Le aree bianche sono presenti nelle zone di pioggia battente e là dove la

68

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

particolare forma dell’opera porta ad un ruscellamento dell’acqua, sufficientemente abbondante da determinare la rimozione della deposizione secca e il dilavamento della pietra. Se il ruscellamento non è molto frequente e intenso, gli ioni calcio riprecipitano sotto forma di carbonato di calcio di neoformazione, ricristallizzandosi sulla superficie in depositi traslucidi, il cui spessore varia da alcuni micron a pochi millimetri. Quando invece lo scorrimento dell’acqua è molto intenso, il fenomeno della ricristallizzazione della calcite non avviene e la superficie della pietra appare solcata e corrosa. Sul processo di dissoluzione del carbonato di calcio incide anche il modo in cui l’acqua scorre sulla superficie.In un regime di non turbolenza l’acqua, dopo un’iniziale azione dissolutoria, stando a contatto con la pietra, si saturerà, risultando inattiva sugli strati sottostanti la superficie. Un regime turbolento produrrà invece un continuo ricambio di acqua: in questo modo non vi sarà saturazione e gli effetti corrosivi saranno più marcati, potendo l’azione dissolutiva continuare per tutta la durata della pioggia. Accanto al fenomeno chimico, l’azione meccanica di ruscellamento contribuisce alla rimozione di parti poco aderenti. Nel processo di degrado, si è detto, gioca un ruolo fondamentale l’acqua, generalmente quella piovana o quella presente sotto forma di umidità nell’aria, o quella che risale per capillarità nelle pietre. Se questa pioggia, vapore, acqua, nebbia, contiene anidride carbonica, solforosa e solforica in concentrazioni diverse, cioè se è acida, il degrado aumenta.

Il processo di dissoluzione delle rocce carbonatiche da parte dell' ac-qua è estremamente importante CaCO3 +CO2 +H2O

Ca (HCO3)2

La calcite (CaCO3) a temperatura ambiente, è poco solubile nell' acqua pura (0,02 gr/litro), ma lo diventa apprezzabilmente (1 gr/litro) in acqua contenente anidride carbonica disciolta. Si forma una soluzione di bicarbonato di calcio, dalla quale per evaporazione di acqua e sviluppo di CO2, può riprecipitare il carbonato. Ca (HCO3)2

CaCO3 +CO2 +H2O

Analogamente acque con elevata concentrazione di di anidride solforosa SO3, possono trasformare i carbonati in gesso. CaCO3 +SO3 +3H2O

Ca SO4→2H2O + H2O + CO2 69

Il problema in quest’ultimo caso è che si parte da un materiale poco solubile in acqua come la calcite e si arriva a un materiale molto solubile come il gesso2. Questa trasformazione avviene con un aumento di volume del 50-60 %, e provoca uno "sfiorimento", cioè una polverizzazione superficiale accompagnata da imbianchimento, apprezzabile a occhio nudo. Alla solubilizzazione è anche legato il fenomeno della ricristallizzazione della calcite. La pietra cioè inizia a disgregarsi. Anche la dolomite CaMg(CO3)2 , per quanto molto meno della calcite, è solubile (0,02 g/litro) in acqua contenente acido carbonicocioè CO2 disciolta, e può partecipare del fenomeno di dissoluzione, mentre la solubilità dei silicati (materiali contenenti SiO2) è generalmente molto bassa.

2. Inoltre il gesso ha un suo potere legante che unito alla maggiore solubilità in acqua dà luogo a incrostazioni e patine.

70

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

CAPITOLO 2

2.1

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

PULITURA CONSOLIDAMENTO PROTEZIONE Premessa

Le fasi di restauro possono essere diverse a seconda della situazione di degrado in cui si trova il manufatto. Esse sono:

DIAGNOSI:

studio approfondito delle caratteristiche del manufatto, della sua storia, dei materiali di cui è composto, delle sue forme di alterazione e degrado e su ciò che le ha originate.

operazione che viene effettuata prima della pulitura vera e propria.Viene eseguita solo in casi in cui il materiale si trovi in condiPRECONSOLIDAMENTO: zioni molto critiche di conservazione, permette di migliorare le caratteristiche fisiche del materiale, evitando cadute e disgregazioni durante la fase di pulitura. PULITURA

operazione che porta alla rimozione degli strati poiché e dei prodotti di alterazione presenti sul poiché manufatto, fase che viene eseguita con trattamenti di tipo chimico, fisico o meccanico.

CONSOLIDAMENTO:

trattamento con specifici prodotti di tipo chimico, che poiché penetrando in profondità, portando a un miglioramento delle caratteristiche fisico-meccaniche della pietra, in particolare quelle coesive.

PROTEZIONE SUPERFICIALE

operazione finale, eseguita per lo più con sostanze di tipo chimico, che permette di limitare gli effetti dell’acqua, degli agenti atmosferici e degli agenti inquinanti sulla superficie del manufatto.

MANUTENZIONE:

revisione periodica dello stato di conservazione del manufatto, tendente a controllare che i fenomeni di alterazione non assumano una forma patologica irreversibile. Negli interventi di manutenzione dovrebbe anche essere sondata l’efficacia nel tempo degli interventi protettivi già eseguiti, con eventuale ripristino degli stessi.

In appendice si trovano le altre definizioni più ricorrenti tratte da una raccomandazione Normal.

71

2.2

Pulitura PULITURA

Scopo della Pulitura

Eliminare le incrostazioni (ma anche deiezioni animali, vegetazione…) e i sali insolubili, parzialmente solubili e solubili depositate sulla superficie

Eliminare per quanto possibile, tracce degli interventi di restauro passati, non più idonei o funzionanti

Scopo della pulitura è quello di eliminare tutti quei prodotti che possono essere dannosi ad una superficie lapidea, sia dal punto di vista conservativo che da quello estetico. Andranno così eliminati i sali idrosolubili se, sulla base delle analisi preliminari, risulteranno presenti. E’ noto infatti che, se da un lato la presenza di sali solubili in acqua è fonte, attraverso il fenomeno della cristallizzazione, di gravi danni ad un materiale lapideo, dall’altro, la loro anche parziale eliminazione, può compromettere l’efficacia dell’intervento conservativo. Ma la pulitura non deve solo “togliere”: essa deve conservare la cosiddetta “patina nobile” o “patina naturale” che è il prodotto dell’invecchiamento naturale della pietra, invecchiamento che non è accompagnato da degrado della superficie lapidea (nei marmi, per esempio, si manifesta come una lieve variazione di colore di intonazione giallastra). Se è vero che la pulitura è sempre necessaria in un intervento conservativo, essa deve essere eseguita con grande accuratezza e, pertanto, deve essere affidata a personale con esperienza, anche di sensibilità e in grado di controllare l’operazione. E’ opportuno ricordare infatti che la fase di pulitura è non solo determinante agli effetti del risultato estetico di un intervento conservativo, ma è altrettanto determinante sull’efficacia dei successivi inter-

72

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

venti consolidanti - protettivi, cioè, in ultima analisi, sulla riuscita dell’intervento nella sua globalità. Molto spesso si interviene per eliminare danni precedenti causati dall’uso disinvolto di sostanze chimiche. QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Molti danni sono stati fatti nel passato da un uso spregiudicato di prodotti aggressivi. Alcuni di questi, a base di acido cloridrico HCl, acido muriatico, HCl concentrato e impuro1, è stata e in parte lo è tutt’ora, la soluzione ideale per la velocità con cui rimuovono le impurità superficiali. Altro motivo, non secondario è stato il suo basso prezzo. Questo acido è particolarmente pericoloso per la corrosione dello strato superficiale del paramento per l’attacco che opera ai danni dei cristalli della calcite della pietra ma anche per la sua azione violenta e non controllabile, per la formazione di macchie e cambiamenti di colore, per la formazione di cloruri che sono causa di ulteriori danni essendo sali igroscopici (assorbono cioè l’acqua). I suoi effetti deleteri si manifestano anche dopo vari anni in quanto è impossibile impedire la sua penetrazione all’interno della pietra, dove reagisce con i vari minerali presenti. Si nota così un ingiallimento delle aree contenenti ferro dovuto alla formazione di cloruri che migrano lentamente verso la superficie lapidea. Un altro pericolo riscontrabile anche a distanza di anni è l’attività di residui di acido non rimosso completamente dal risciacquo. Va detto che problemi simili si sono avuti e si hanno anche per l’acido fluoridrico HF e i suoi sali acidi. Ma quali sono i requisiti di una buona pulitura? Sulla base delle Raccomandazioni NorMaL, i requisiti di una buona pulitura sono: a) deve essere sempre graduabile e controllabile dall’operatore che potrà, in qualsiasi momento lo ritenesse opportuno o necessario, interrompere l’intervento; b) selettivo, cioè specifico per la sostanza che deve essere eliminata (sali solubili, prodotti organici, croste particolarmente resistenti); c) non deve essere corrosiva nei confronti del supporto lapideo. Mi riferisco in particolare alle puliture per via chimica per le quali non dovran1. Per la presenza di ioni ferrosi e soprattutto ferrici, che lo colorano di verde o giallo rispettivamente (solitamente sono ambedue presenti, e l’acido è colorato in giallo-verde). Se rimangono residui di acido nelle pietre trattate (per mancanza di un lavaggio sufficiente), questi, una volta evaporata l’acqua, lasciano nella pietra piccole quantità di sali colorati, in verde (sali ferrosi) o giallo (sali ferrici), che col tempo tendono a concentrarsi in superficie (dove i sali ferrosi si ossidano a ferrici), e a fissarsi per carbonatazione ed ossidazione in patine color ruggine.

73

no essere utilizzati prodotti in grado di reagire con la superficie lapidea; d) deve limitare la formazione di soluzioni di continuità nel materiale; il metodo di pulitura prescelto non deve portare alla formazione di fessure o discontinuità che, creando vie preferenziali per la penetrazione dell’acqua, possono compromettere seriamente lo stato di conservazione del materiale; e) non deve lasciare prodotti dannosi per la futura conservazione del manufatto. Per i metodi di pulitura che, secondo la Raccomandazione NorMaL 20/85, si differenziano a seconda che la superficie da pulire rivesta o no un interesse storico-artistico, si rimanda alla Raccomandazione citata.

2.3

Meccanismi di pulitura In genere si tratta di impacchi acquosi da applicare sulla superficie da pulire impiegando, come materiale ispessente, polpa di carta (è opportuno accertarsi che si tratti di una polpa assolutamente priva di sali solubili), cotone, oppure paste ad elevatissimo potere assorbente come, per esempio, alcune argille quali l’Attapulgite2 o la Sepiolite

(fillosilicati idrati di magnesio).

2. L’attapulgite ha la capacità di assorbire sia l’acqua che gli oli. Il suo potere di assorbimento dell’acqua è particolarmente elevato, infatti 1.000 g di argilla possono assorbire 1.500 g di acqua senza subire variazioni di volume.

74

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Si copre l’impacco con un foglio di polietilene ben sigillato ai bordi per evitare l’evaporazione dell’acqua e si lascia In opera il tempo giudicato necessario in base a prove preliminari (in genere 24-48 ore a temperatura ambiente). QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Trascorso questo tempo, si elimina il polietilene e si lascia che l’impacco, via via essiccandosi, si stacchi spontaneamente dalla superficie3. Se ne completa l’eliminazione mediante leggere spazzolate con pennelli morbidi e si lava accuratamente la superficie. Spesso, soprattutto su zone con accentuate croste nere, è necessario ripetere più e più volte l’applicazione dell’impacco. Se le analisi di laboratorio hanno evidenziato la presenza di sostanze grasse, è opportuno sostituire l’acqua con solventi organici studiati di volta in volta in funzione del composto da eliminare. A grandi linee si può affermare che. per eliminare oli e grassi si può usare la butilammina o la trietanolamina. per le cere la trielina, per le sostanze bituminose o catramose le ragie minerali.

2.4

Pulitura chimica

(Soluzioni o sospensioni acquose ad azione solvente e/o complessante) Non andranno impiegati prodotti chimici particolarmente aggressivi quali acidi o basi forti. Inoltre, l’esperienza permette oggi di affermare che possono essere accettati solo i prodotti il cui pH varia da 5,5 a 8,8 per evitare sia la corrosione dei calcari che la formazione di prodotti secondari dannosi. Un preparato ampiamente sperimentato e che fornisce buoni risultati nella eliminazione delle croste nere, senza arrecare danno al supporto lapideo, è la miscela comunemente nota come AB 57, messa a punto anni fa dall’Istituto Centrale del Restauro. Si tratta di una formulazione a pH 7.5-84 così composta: H2O

acqua demonizzata

1000 cc

NH4HCO3

bicarbonato d’ammonio

30 g

NaHCO3

biocarbonato di sodio

50 g

EDTA 2Na

EDTA disodico

125 g

Tensioattivo

desogen®

10 cc

3. A differenza delle normali puliture con acqua per le quali si procede dall’alto verso il basso del paramento, nel caso di applicazione di prodotti chimici, qualche autore, raccomanda di operare dal basso verso l’alto per evitare un doppio trattamento e la formazione di macchie. 4. La velocità di solubilizzazione del gesso da parte dell’EDTA dipende molto dal pH della soluzione e dalla concentrazione del sale di EDTA

75

CMC

carbossimetilcellulosa

60 g

Eventuali additivi NH4OH idrossido di ammonio

(per controllare il pH)

N(C2H4OH)3

(per eliminare grassi)

trietanolammina

bicarbonato di sodio e di ammonio svolgono una funzione prevalentemente di tipo meccanico. Essi infatti, esposti all’aria, liberano spontaneamente anidride carbonica sotto forma di piccole bolle che, “gorgogliando” sulla superficie lapidea, agevolano lo scollamento della crosta dal substrato. Il Desogen è un tensioattivo che facilita il contatto tra la miscela pulente e la superficie lapidea oltre a svolgere funzione fungicida. Se quindi le analisi di laboratorio avessero messo in evidenza nella crosta la presenza di funghi, questi possono essere direttamente debellati grazie al Desogen stesso senza dover ricorrere ad altri prodotti. La Carbossimetilcellulosa (polpa di carta) costituisce l’elemento ispessente, vera e propria sede della reazione chimica che consiste nel complessare il calcio della crosta (o meglio del gesso CaSO4

2H2O, costituente principale del-

la crosta), portandolo in soluzione, per l’azione catturante (in chimica si dice chelante) del sale bisodico dell’acido etilendiamminotetracetico. Questo complesso calcico, assieme al solfato di sodio Na2SO4 (il sodio proviene dall’EDTA). Schematizzazione della reazione: EDTA + CaSO4

2H2O

Na2SO4 + EDTA_Ca + H2O

Per migliorare l’azione complessante è possibile aumentare la quantità di E.D.T.A. Prove di laboratorio hanno dimostrato tuttavia che la quantità di E.D.T.A non può superare 125 g, oltre i quali la miscela diventa aggressiva per la pietra. Per quanto riguarda il detergente cioè il tensioattivo presente, il loro impiego ha per scopo quello di diminuire la tensione superficiale dell’acqua (ancora una volta l’agente attivo di pulitura), che così bagna meglio la crosta nera, e di ammorbidire la stessa. Rimosso l’impacco anche con l’aiuto di spazzole o spatole, la superficie deve essere lavata abbondantemente con acqua alla pressione d’acquedotto 76

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

2.5

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

controllando sia che non rimanga alcun residuo dell’impacco sia che vengano completamente eliminati gli eventuali sali residui.

Impacchi biologici

L’impacco, a base di sepiolite (o attapulgite) è così chiamato perché sembra che durante l’applicazione sulla pietra si sviluppano microrganismi che partecipano all’eliminazione delle incrostazioni (si pensa si tratti dell’effetto solvente dei microbatteri del gesso). Il fango che si ottiene deve essere spesso almeno 2 cm. La composizione dell’impacco è riportata sulla diapositiva accanto. A volte, alla fine del trattamento, si applica un funghicida per prevenire eventuali aggressioni microbiologiche. Gli impacchi vengono in genere utilizzati per estrarre i sali solubili penetrati, per diverse cause, all’interno del materiale lapideo. Alcune volte essi consistono semplicemente nell’impacco di polpa di carta impregnata di acqua demonizzata. Naturalmente nel caso di materiali coperti da efflorescenze, prima dell’applicazione degli impacchi, queste vanno asportate meccanicamente con spazzole morbide.

2.6

Resine a scambio ionico

Le resine scambiatrici di ioni, prodotti già largamente utilizzati per l’addolcimento delle acque, sono in grado di catturare gli ioni Ca++ e Mg++ dopo sostituzione con ioni che formano sali più solubili come ad es. Na+. In genere utilizzati per l’asportazione delle efflorescenze saline solubili e insolubili. Le resine hanno la capacità di reagire solo con le superfici con le quali vengono a contatto e per questo la loro azione può risultare più controllabile; risultano attive in presenza di acqua e l’impasto ottenuto è efficace solo se messo 77

ripetutamente; non devono venire a contatto con elementi metallici, avere granulometria sottile affinché la loro azione sia omogenea. E’ necessario verificare prima dell’utilizzo che il pH del prodotto risulti neutro. Si tratta di prodotti polimerici organici, con gruppi funzionali acidi (resine acide) o basici (resine basiche), utilizzate sotto forma di polveri a granulometria fine in grado di scambiare gli ioni H+ e OH- con i cationi e gli anioni del composto calcareo da rimuovere (Ca++ e CO3=).

La resina viene applicata con un impacco acquoso. L’applicazione può durare alcuni giorni in funzione della natura e dello spessore dell’incrostazione da eliminare. La scelta del tipo di resina da utilizzare è molto delicata e andrebbe effettuata da specialisti.

2.7

Problemi di puliture particolari

Le indicazioni che seguono sono di massima. Di volta in volta andrebbero testati i prodotti su limitate porzioni del manufatto operate in zone poco evidenti.

TIPO DI SPORCO/INFESTAZIONE

PRODOTTI DA UTILIZZARE

Acido fosforico e fosfati (se si tratta di pietra silicea) Ruggine

78

Fosfato di ammonio (NH4)3PO4 a pH=6 con aggiunta di acido fosforico. Soluzione all’1-5% in acqua di bifluoruro d’ammonio NH4HF2 (se si tratta di pietra calcarea)

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue) PRODOTTI DA UTILIZZARE

Macchie di sali di Rame

Acido solfamminico NH2SO3H al 10% in acqua Carbonato d’ammonio (NH4)2CO3 al 20% in acqua. EDTA

Alghe, licheni, muschi

Trattamenti con raggi ultravioletti. Muschi: rimozione con spatole di legno con successivo trattamento con biocidi. Muschi, licheni e alghe: trattamenti con ipoclorito di litio in soluzione acquosa all’1-2%

Piante superiori

Azioni manuali di rimozione con successivo uso di prodotti chimici diserbanti (composti a base di triazina a bassa solubilità in acqua)

Alghe cianoficee e clorificee

Sali di ammonio quaternario Sali di rame Sali complessi di rame-idrazina Sali solubili dell’acido dimetilditiocarbammico e del mercaptobenzotriazolo

Macchie bituminose

Regie minerali e solventi aromatici

Graffiti

Solventi alifatici (chetoni, solventi clorurati) Solventi aromatici (toluene, xylene…)

Macchie di oli e grassi

Impacchi con solventi (butilammina e trietanoloammina)

Cere

Impacchi con trielina o solventi clorurati

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

TIPO DI SPORCO/INFESTAZIONE

Riassumiamo le tecniche di pulitura: TIPO DI SPORCO

TIPO DI PRODOTTO

VANTAGGI

SVANTAGGI

Non possono essere usate in presenza di strati policromi con pigmenti a base di rame

Croste nere, macchie di sali di rame

Più facile rimozione di Soluzioni di carbonato / sostanze grasse, solubibicarbonato d’ammonio lizzazione del gesso e dei sali di rame

Croste nere, leggere incrostazioni calcaree e macchie di ruggine

EDTA sale disodico

Croste nere

Resine scambiatrici di ioni Solubilizzazione del (in forma OH) gesso

Leggere incrostazioni calcaree, sostanze proteiche invecchiate

Solubilizzazione della calcite e altri carbonati Azione corrosiva sui calResine scambiatrici di ioni poco solubili, più facile cari (in forma H) rimovibilità delle sostanze proteiche

Più facile solubilizzaAzione corrosiva sui zione dei sali di calcio e materiali calcarei degli ossidi di rame

79

(segue) TIPO DI SPORCO

TIPO DI PRODOTTO

Rimozione di vecchi Solventi organici (es. trattamenti superficiali, Metil-etilchetone, clorovernici, inchiostri tene, ecc.) usati per scritte vandaliche Altri problemi di pulitura particolari

2.8

VANTAGGI

SVANTAGGI

Possibilità di solubilizzare o almeno rigonfiare i prodotti organici, facilitandone la rimozione

Se non applicati ad impacco, possono facilitare la penetrazione del prodotto solubilizzato

Vedere la tabella del paragrafo precedente

Consolidamento CONSOLIDAMENTO

Scopo del Consolidamento

Migliorare la coesione tra i costituenti del materiale lapideo degradato

Migliorare l’adesione tra lo strato degradato e il substrato non degradato.

Consolidanti per classi di prodotti (dalle Raccomandazioni NORMAL 20/85) Nonostante sul mercato esistano numerosi e vari prodotti, questi si possono suddividere in alcune grandi categorie:

80



silicati di etile (consigliati per arenarie, laterizi e mattoni crudi);



alchil-alcossi-silani (arenarie, laterizi e mattoni crudi);



miscele di silicati di etile ed alchil-alcossi-silani (arenarie, marmi e calcari);



alchil-aril-polisilossani, parzialmente o totalmente polimerizzati (arenarie, marmi e calcari);



resine acriliche, applicate come monomeri o come polimeri (marmi e calcari compatti);



miscele di resine acriliche e siliconiche (arenarie, marmi e calcari);



idrossido di calcio e di bario (possono essere utilizzati sulle pietre calcaree solo quando queste presentano microfratturazioni di ordine micrometrico).

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

L’applicazione di un prodotto consolidante su materiale lapideo degradato comporta, come conseguenza, un miglioramento delle caratteristiche meccaniche del materiale ed un più difficile accesso in profondità di acque più o meno inquinate. Quali sono i requisiti di un buon consolidante? Essi possono sintetizzarsi come segue: a) non provocare la formazione di prodotti secondari nocivi al materiale lapideo; b) essere assorbito dalla pietra in modo uniforme, raggiungendo, come già detto, il materiale non degradato; La profondità di penetrazione varia in funzione del tipo di pietra e della sua porosità (e quindi del suo degrado). Si può passare così da pochi mm in una pietra poco porosa (marmo) ad alcuni cm per una pietra porosa (arenaria). In genere si può affermare che tanto maggiore è la profondità di penetrazione, tanto più efficace sarà il consolidamento. c) presentare buon potere consolidante, che si traduce in una diminuzione di porosità del materiale degradato. Non è purtroppo a tutt’oggi possibile indicare a quanto deve ammontare (per ogni tipo di pietra) la riduzione della porosità e la modificazione della distribuzione porosimetrica, anche perché non è ancora ben chiarita la relazione che lega la struttura porosa di un materiale lapideo, la sua tendenza ad assorbire acqua e vapore e la sua conseguente permeabilità nei confronti dell’acqua in fase liquida ed in fase vapore. Forse la condizione ottimale sarebbe quella di riportare la pietra degradata e consolidata alle stesse condizioni porosimetriche della pietra sana. Poichè a tutt’oggi il controllo a posteriori di questa variazione porosimetrica è praticamente impossibile in “situ” (è fattibile solo in laboratorio operando su piccoli campioni ed effettuando numerose misure porosimetriche a diverse profondità dalla superficie su cui è stato applicato il prodotto), si preferisce effettuare il consolidamento in modo da ridurre solo parzialmente la porosità, curando però che il materiale trattato sia ancora sufficientemente permeabile al vapore acqueo. d) non modificare sostanzialmente l’aspetto estetico della pietra, anche se, praticamente, è impossibile evitare un lievissimo iscurimento della superficie. Non deve altresì modificare il suo colore per effetto della componente UV della luce solare (vanno cioè evitati i prodotti che, nel tempo, ingialliscono). 81

e) deve presentare un coefficiente di dilatazione termica simile a quello della pietra per evitare fenomeni di fessurazione che costituirebbero vie preferenziali per l’ingresso dell’acqua e di possibili distacchi, ancora più rovinosi per un manufatto restaurato. Sul concetto di reversibilità vanno spese due parole. E’ ovvio che, tra due prodotti consolidanti di efficacia paragonabile, debba essere preferito il prodotto reversibile, cioè solubilizzabile di nuovo in un solvente, ma è altrettanto ovvio che la reversibilità dichiarata dai produttori, si riferisce solo al prodotto isolato; in pratica sarà impossibile eliminare in situ qualsiasi prodotto distribuito in una struttura porosa degradata senza che, per lo meno, non si provochi la perdita di qualche frammento. E’ importante invece che la natura del prodotto prescelto come consolidante non impedisca, negli anni, l’applicazione di un successivo consolidante. Per quanto, anche se sommariamente, indicato, è evidente che non potrà esistere un prodotto ideale per tutti i tipi di pietra indipendentemente dal contesto storico ed ambientale in cui il manufatto è inserito. La scelta del consolidante dovrà essere fatta, caso per caso, con appropriate prove di laboratorio sul sistema pietra-prodotto consolidante. Il consolidamento può essere effettuato con prodotti esclusivamente inorganici, con prodotti esclusivamente organici, con prodotti intermedi tra queste due categorie, ciascuna delle quali presenta vantaggi e svantaggi rispetto all’altra. Così, per esempio, i consolidanti inorganici, in genere, sono più durevoli di quelli organici, ma più fragili e poco elastici. Riescono a “saldare” fratture o fessure le cui pareti non distino reciprocamente più di 50-100 mm. I consolidanti organici si alterano più facilmente, ma hanno maggior potere adesivo e sono più elastici.

2.9

Modalità d’applicazione

Il successo o l’insuccesso di un trattamento di consolidamento dipendono in parte dalle caratteristiche chimiche e chimico-fisiche del prodotto usato e in parte dalle condizioni climatiche e dalle modalità della sua applicazione. Queste infatti influiscono grandemente sulle modalità di assorbimento del prodotto consolidante e quindi sull’omogeneità della sua distribuzione e sulla profondità di penetrazione. A parità di porosità del materiale da trattare, i fattori che maggiormente 82

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI



Natura del consolidante e del solvente (se si tratta di un prodotto usato in soluzione);



Concentrazione, viscosità e tensione superficiale della soluzione;



Tempo di contatto tra prodotto consolidante e superficie da trattare;



Condizioni climatiche durante il trattamento.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

influenzano la profondità di penetrazione sono:

Metodi di applicazione del consolidante che prevedono tempi di contatto brevi, come l’applicazione a spruzzo (spray) o a pennello, non permettono di ottenere buone profondità di applicazione. Risultati migliori si hanno con trattamenti per immersione e per immersione sotto vuoto, evidentemente possibili solo con oggetti di dimensioni limitate che possano essere spostati dalla loro collocazione abituale, o intorno ai quali possa essere costruita una vasca apposita. Nel caso di opere inamovibili e di superfici architettoniche, si può prolungare il tempo di contatto, applicando il prodotto consolidante ad impacco, supportandolo con un materiale assorbente come, ad es. la polpa di carta. L’impacco va sigillato accuratamente con nastro adesivo, alimentato con il liquido consolidante mediante aghi da fleboclisi collegati al contenitore del prodotto e mantenuto coperto con un film spesso di polietilene (vedi immagine accanto) in modo da evitare l’evaporazione. Il trattamento può essere prolungato anche per alcuni giorni.

I prodotti saranno applicati o a spruzzo (ripetendo eventualmente l’operazione più volte), o per impregnazione interponendo ove necessario un foglio di carta giapponese, o per infiltrazione con trattamenti che tengano conto delle caratteristiche chimiche e fisiche dei materiali da trattare, evitando consistenti accumuli incontrollati del prodotto.Ecco alcune immagini di esempi di applicazione in situ di consolidamento mediante l’uso di carta giapponese. (foto tratte dal Manuale di Restauro–Mancosu Editore)

83

Il tempo dipende dal processo chimico di formazione del consolidante usato e dalle caratteristiche di porosità del materiale da trattare, comunque dell’ordine dei giorni. Per quello che riguarda le condizioni climatiche durante il trattamento, temperature molto basse, al di sotto di 10°C, o molto alte, sopra 30°C, sono assolutamente da sconsigliare in quanto, nel primo caso, la viscosità della soluzione consolidante aumenta con l’abbassamento della temperatura e la penetrazione risulta più difficile, mentre nel secondo caso, la temperatura elevata facilita l’evaporazione del solvente, producendo un incremento della concentrazione e quindi un aumento della viscosità.

2.10 Consolidanti inorganici I prodotti consolidanti inorganici sono stati usati soprattutto nel secolo XIX e nella prima metà del XX; successivamente si è assistito a periodici ritorni di interesse per alcuni prodotti da parte degli operatori, spinti soprattutto dall’esigenza di evitare di introdurre nei materiali da conservare sostanze troppo “estranee” per chimismo e comportamento fisico. Si tratta in particolare dell’idrossido di calcio e dell’idrossido di bario che possono esercitare un’azione consolidante in quanto, per reazione con il biossido di carbonio dell’aria, si trasformano, rispettivamente, in carbonato di calcio e carbonato di bario, prodotti insolubili che precipitano entro gli spazi porosi, aderendo alle pareti dei componenti minerali. La possibilità di ottenere la carbonatazione degli idrossidi entro gli spazi porosi al si sotto della superficie è, tuttavia, scarsa per lo scarso contatto con l’aria e richiede l’adozione di accorgimenti quali l’aggiunta di altri prodotti che possano costituire una fonte di CO2 (come l’urea). Il consolidamento si esplica attraverso la precipitazione, nelle discontinuità rappresentate dai pori del materiale lapideo, di composti di formazione nell’ambito delle reazioni chimiche tra il consolidante e qualche componente della pietra o l’anidride carbonica dell’aria o l’acqua con cui il prodotto viene a contatto. Il prodotto che si forma viene quindi a costituire un ponte tra le due pareti di un poro. Tra i consolidanti inorganici più impiegati si ricorda: a) calce o bicarbonato di calcio, usati entrambi in soluzione acquosa. La prima, reagendo con l’anidride carbonica atmosferica, il secondo per 84

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

decarbonatazione e disidratazione, danno luogo ad un precipitato di carbonato di calcio, insolubile:

Ca(HCO3)2

CaCO3 + H2O

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Ca(OH)2 + CO2

CaCO3 + H2O+ CO2

Il carbonato di calcio precipitato nei pori dovrebbe costituire il ponte tra le loro pareti e quindi consolidare il materiale. In realtà il paragone fatto da alcuni ricercatori tra le caratteristiche cementanti del carbonato di calcio di molti materiali lapidei (per esempio i marmi, le arenarie a cemento carbonatico, ecc) ed il carbonato di calcio precipitato volutamente in una struttura porosa più o meno degradata si ferma alla sola formula chimica: si tratta infatti in entrambi i casi di CaCO3; ben diverse sono invece le caratteristiche cementanti legate a tutti quei parametri (temperatura, pressione, campi ionici, ecc,) che accompagnano la precipitazione nei due casi. Il consolidamento con calce o con bicarbonato di calcio, in auge nell’800, va in realtà applicato con molte riserve; b) idrossido di bario, che reagisce con l’anidride carbonica atmosferica precipitando carbonato di bario, praticamente insolubile: Ba(OH)2 + CO2

BaCO3 + H2O

Questo metodo, caduto in disuso negli ultimi decenni, si basa sul buon potere consolidante del prodotto legato alla possibilità degli ioni bario di sostituirsi al calcio, per analogie ioniche dimensionali, nel reticolo cristallino. Il calcio passato a sua volta in soluzione, precipita con il bario, formando cristalli misti di carbonati negli strati più vicini ai cristalli di calcite originariamente presenti nel sistema lapideo. Allontanandosi dai cristalli di calcite, precipita un carbonato sempre più ricco di bario, fintantoché, nella zona centrale dei pori, precipita solo carbonato di bario. A questo sistema “misto” è legata l’azione cementante dell’idrossido di bario. Il metodo, che nel complesso ha fornito discreti risultati soprattutto se applicato in laboratorio (dove è possibile curare molto la modalità di applicazione), soffre di due grandi limitazioni: -

non è applicabile a fratture più larghe di 50µm (non si formano i cristalli misti); 85

-

un eccesso di idrossido di bario sulla superficie esterna porta ad un notevole imbiancamento per la precipitazione di carbonato di bario (si può ovviare a tale inconveniente tamponando con cotone imbevuto d’acqua, l’eccesso di idrossido);

-

in presenza di sali solubili, si possono formare prodotti secondari dannosi: per esempio, se siamo in presenza di solfato di sodio si possono verificare le seguenti reazioni: Na2SO4 + Ba(OH)2 BaSO4 + 2NaOH Il BaSO4 che si forma è un sale insolubile che precipita sulla superficie, imbiancandola. Oppure si può verificare che 2NaOH + CO2 Na2CO3 + H2O e il carbonato di sodio è un sale molto solubile all’acqua e ciò è indice di pericolo per la futura conservazione del manufatto.

c) metodo Ferroni, sviluppato nel 1966 dopo l’ alluvione di Firenze, fu applicato ai dipinti rovinati dallo straripamento dell’Arno. Consiste nel trattare la superficie solfatata con una soluzione di carbonato d’ammonio: CaSO4

2H2O + (NH4)2CO3

(NH4)2SO4 + CaCO3 + 2 H2O

quindi (NH4)2SO4 + Ba(OH)2

2NH4OH + BaSO4

NH4OH si decompone in aria liberando ammoniaca.

2.11

Consolidanti a base di silicio: silicati alcalini HO \ Si==O / HO Acido silicico H2SiO3 Na+ O\ Si==O / + Na Osilicato di sodio Na2SiO3

86

HO idrolisi (+H2O)

\

OH /

Si / \ HO OH Silice idrata H4SiO4 Silica sol (silice idrata collidale) C2H5O OC2H5 \ / Si / \ OC2H5 C2H5O Silicato di etile Si(OC2H5)4

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

SiO2 evaporaz. O==Si==O (-H2O) Silice

MgSiF66H2O Fluosilicato di magnesio ZngSiF66H2O Fluosilicato di zinco

Il meccanismo che sta alla base di questi prodotti è quello tipico dell’acido silicico che per idratazione (somma di acqua) produce la silice idrata che in seguito all’evaporazione dell’acqua forma la silice, il consolidante. QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Questo meccanismo vale per il silicato di sodio, di etile e i fluosilicati di magnesio e zinco. Il silicato di etile, a differenza di quelli elencati, è attualmente tra i consolidanti più frequentemente impiegati. Il silicato di etile, che chimicamente è un estere silicico, un composto cioè a metà strada tra i composti inorganici e quelli organici, e i silicati, composti in cui lo ione alcalino è stato sostituito con un radicale a1chilico, il cui effetto consolidante è legato, anche in questo caso, all’idrolisi del prodotto con formazione di silice idrata che, precipitando in fase amorfa, si lega elettrostaticamente ai reticoli polari dei minerali cristallini costituenti la pietra. Si(OC2H5)4 + 4H2O Silicato di etile

H4SiO4 + 4C2H5OH silice idrata amorfa alcol etilico

Il sottoprodotto che si forma non è più un idrossido alcalino, ma un alcool, sostanza non nociva e volatile che non crea quindi problemi per la futura conservazione del manufatto. Particolarmente critica è la fase d’idrolisi perché fortemente influenzata dalle condizioni di umidità ambientale. A questo scopo i prodotti immessi sul mercato contengono già un catalizzatore (anche in questo caso, come già per i prodotti siliconici, non viene, normalmente, dichiarato dai produttori) che regola la velocità di idrolisi impedendo, soprattutto, che essa avvenga troppo velocemente: una elevata cinetica di idrolisi impedirebbe, al prodotto, di penetrare in profondità. Una lenta idrolisi permette altresì di eliminare un inconveniente antiestetico: la precipitazione sulla superficie esterna della silice con il conseguente imbiancamento della superficie stessa. E’ tuttavia sufficiente, in questo caso, eliminare l’eccesso di prodotto in superficie prima che la silice stessa precipiti. Il grande vantaggio del silicato di etile, rispetto ai silicati inorganici e ai fluosilicati, risiede nell’assenza di sottoprodotti dannosi, in quando dalla reazione di idrolisi, oltre alla silice, si sviluppa alcol etilico, sostanza piuttosto volatile che si elimina spontaneamente dal materiale trattato. Attualmente i prodotti a base di silicato di etile esistenti in commercio sono miscelati con un opportuno catalizzatore che facilita la reazione di idrolisi e ne regola la velocità. Attenzione: come per la maggior parte dei prodotti dell’industria chimica, anche il silicato di etile viene venduto dalle ditte produttrice e distribuito dagli eventuali venditori al dettaglio con un nome commerciale che spesso è del tutto 87

indipendente dalla composizione chimica. Inoltre, a volte, lo stesso prodotto di base, se rivenduto da un dettagliante può essere diluito con solventi o addizionato con altri prodotti e commerciato con un nome diverso da quello di origine. È pertanto difficile, per l’utilizzatore, orientarsi tra i nomi e le sigle e comprendere cosa sia realmente il prodotto che viene offerto. Per tale ragione il Capitolato Speciale Tipo, in emanazione da parte della Commissione NorMaL per il Ministero dei Beni e le Attività Culturali, prevede che i prodotti da impiegare per il trattamento dei materiali lapidei siano accompagnati da una dettagliata scheda tecnica che ne descriva la composizione e i fondamentali parametri chimico-fisici. L’effetto consolidante è al solito legato alla formazione (precipitazione) di silice idrata amorfa, che avviene quando il silicato in presenza di acqua, idrolizza secondo il meccanismo: Na2SiO3 + 3H2O

H4SiO4+ 2NaOH

Silice idrata amorfa

Si presuppone (la chimica del silicio presenta a tutt’oggi molti punti oscuri) che la silice idrata che si forma si leghi, attraverso legami puramente elettrostatici, con i reticoli polari dei minerali che costituiscono il materiale lapideo e che, successivamente, la stessa silice idrata, attraverso un lento processo di disidratazione, polimerizzi. Purtroppo, contemporaneamente alla silice idrata si produce anche idrossido a1calino (nell’esempio sopra citato un idrossido di sodio NaOH) che, come è noto e ripetutamente detto, può dare origine a sali idrosolubili estremamente pericolosi per la futura conservazione del manufatto. E’ questa una delle ragioni per cui i silicati alcalini, molto utilizzati nel passato, non vengono oggi più impiegati come consolidanti, per lo meno per i manufatti di interesse storico-artistico; consolidanti a base di silicio: fluosilicati (prevalentemente di magnesio e Zinco) MgSiF6.6H2O ZnSiF6.6H2O Fluosilicato di magnesio

Fluosilicato di zinco

L’azione consolidante si esplica liberando silice e, per le pietre calcaree, portando alla formazione contemporanea di fluoruro di calcio secondo la reazione: 2CaCO3 + MgSiF6.6H2O 88

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

2 CaF2 + MgF2 + 2CO2 + SiO2



scarsa profondità di penetrazione (nonostante Sampaolesi impiegasse un particolare metodo di impregnazione per aspirazione);



presenza di prodotti secondari dannosi.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Il metodo, noto oggi come metodo Sampaolesi dal nome dell’architetto che lo ha applicato su larga scala sia in Italia che all’estero, è stato oggi completamente abbandonato per i risultati poco soddisfacenti che, a distanza di anni dall’applicazione, il metodo stesso ha presentato:

I cristalli di fluoruro di calcio che si formano (CaF2), per esempio, si incuneano tra i grani della matrice, possono indurre un degrado di tipo meccanico.

2.12 Consolidanti organici a base di silicio Esistono altri prodotti consolidanti a base dell’elemento chimico silicio (ma non di silice come i precedenti!) che sono organici, hanno proprietà idrorepellenti e che dunque esercitano anche una funzione di protezione. COMPOSTI ORGANICI A BASE DI SILICIO

SILANI

ALCHILSILANI

Si__H

Si__R

SILICONATI

C | Si__O-

ALCOSSISILANI

In particolare, la sostituzione di alcuni idrogeni di un silano con radicali alchilici (R) e di altri idrogeni con radicali alcossilici (OR) porta alla formazione degli Alchil-alcossisilani caratterizzati dal legame Si-O-C

Si__O__C poliSILOSSANI

C C6H6 Si__O__ Si__O__ C6H6 C R

poliALCHILALCOSSISILANI

R

__Si__O__

Es. Resine siliconiche o ALCHILARILPOLISILOSSANI

R

R

R

__Si__O__Si__O__Si__O_

R

R

OR

Si tratta di prodotti silanici, monomeri od oligomeri, che possono parzialmente idrolizzare, formare gruppi Si-O-H simili a quelli della silice prodotta dal silicato di etile e successivamente formare catene polimeriche; la presenza nelle catene di gruppi non idrolizzabili e idrofobi, conferisce al consolidante anche caratteristiche di idrorepellenza. Questi prodotti hanno in genere buona capaci89

tà di penetrazione, buona idrorepellenza e discreto potere consolidante. Rientrano in questo raggruppamento tipi differenti di consolidanti che hanno, come caratteristica comune, la stessa origine: i silani, intendendosi con questo nome tutti i composti caratterizzati dal legame Si-H. Il legame Si-O-C può, a sua volta, essere facilmente idrolizzato5; si formano così nuovi gruppi caratterizzati dal legame Si-O-C; questi gruppi si legano tra loro per formare delle strutture polimerizzate il cui legame caratteristico è costituito da Si-O-Si. Se la polimerizzazione è completa, si formano delle sostanze caratterizzate da catene del tipo Si-O-Si-O e da legami Si-C, note con il nome di Polisilossani. In particolare se i radicali che si legano al silicio sono alchilici (cioè appartenenti alla serie alifatica e quindi caratterizzati da una catena lineare) ed arilici (serie aromatica con anelli benzenici), si parla di Alchil-aril-polisilossani o, più comunemente, Resine siliconiche. Tanto gli Alchil-alcalossi-silani quanto le Resine siliconiche vengono oggi ampiamente impiegate come consolidanti. Alchilalcossisilani Le sostanze che così si formano sono caratterizzate da un numero di unità base (polimerizzazione) che varia da 20 a circa 200 in funzione di parametri diversi quali, per esempio, la natura del monomero e, soprattutto, le condizioni di idrolisi e successiva polimerizzazione, condizioni particolarmente critiche perché legate alle condizioni di umidità ambientale, tanto che i prodotti oggi immessi sul mercato sono già addizionati di un opportuno catalizzatore in grado di ridurre la dipendenza della polimerizzazione delle condizioni ambientali. (I catalizzatori non sono, nella maggior parte dei casi noti, ma costituiscono un segreto aziendale). In genere questi prodotti, in virtù del basso peso molecolare del monomero e della bassa viscosità, garantiscono una buona profondità di penetrazione anche per i materiali lapidei poco porosi. Inoltre, la presenza del legame Si-C non idrolizzabile permette che nel prodotto finale permangano dei gruppi a1chilici R che, essendo non polari, conferiscono idrorepellenza al prodotto stesso. Polimeri siliconici (o resine siliconiche o alchilarilpolisilossani) Come abbiamo precedentemente affermato si tratta di composti il cui legame Si-O-C ha già subito l’idrolisi e la successiva completa polimerizzazione: 5. Cioè per azione dell’acqua in presenza di catalizzatori la sostanza può essere scomposta

90

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

HO \

OH /

O \

-H2O

Si / HO

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

essi non sono quindi in grado di formare altri legami chimici. Come per gli a1chilalcossisilani, anche le resine siliconiche hanno caratteristiche che variano notevolmente, in funzione del tipo e lunghezza della catena, del numero e tipo di radicali a1chilici e di radicali aromatici legati al silicio. La presenza del legame Si-O-Si, estremamente stabile (il legame Si-O richiede, per essere rotto, un’energia molto elevata rispetto agli altri legami più comuni), attribuisce ai prodotti siliconici buona stabilità agli agenti chimici, così come la bassa tensione superficiale che li caratterizza, garantisce una buona bagnabilità da parte del prodotto, condizione questa indispensabile perché sia garantita una buona adesione. I prodotti siliconici sono particolarmente resistenti agli stress termici presentando buona elasticità e, nella maggior parte dei casi, offrono una elevata idrorepellenza. Tanto per gli alchilalcossisilani che per le resine siliconiche, l’effetto consolidante nei riguardi del materiale lapideo si presume che si manifesti attraverso la formazione di legami secondari tra la parte polare della catena siliconica e le pareti dei capillari del materiale lapideo da consolidare oppure.

O / Si

/

\ OH

O

\ O

Meccanismo di consolidamento all’interno dei pori del materiale: per disidratazione il silicato precitita come silice.

Mentre la parte polare del prodotto consolidante si lega alle pareti dei pori presenti nel materiale, la parte non polare si orienta verso il centro del poro stesso o verso la superficie esterna creando quella barriera non polare e quindi idrofoba che conferisce carattere di idrorepellenza alla pietra trattata. Ma si tratta tuttavia di ipotesi che ne-

R

R \

R

/ Si

O

R

parte non polare

\ / Si O

O

parte polare

Meccanismo consolidante dei consolidanti organici a base silicio

91

cessitano ancora di una sufficiente conferma sia sperimentale che teorica. Se un materiale trattato con un prodotto siliconico diventa idrorepellente all’acqua liquida, esso resta, però, come è necessario, permeabile all’acqua in fase vapore: mentre infatti le molecole dell’acqua in fase vapore sono reciprocamente separate, quelle in fase liquida sono costituite dai cosiddetti ioni solvatati, da ioni cioè caratterizzati da dimensioni superiori a quelle delle singole molecole. Buona è infine la resistenza nel tempo dei prodotti siliconici. E’ chiaro, da quanto fin qui affermato, che se i prodotti siliconici offrono buone caratteristiche consolidanti, queste sono strettamente dipendenti da molteplici fattori che vanno dalla natura del materiale di partenza (monomero, polimero, copolimero), alla natura del prodotto finale, tipo e numero del radicali legati al silicio.

2.13

Consolidanti organici

Tutti i consolidanti organici propriamente detti (sono indicati comunemente anche come resine sintetiche o materie plastiche) sono polimeri sintetici, cioè prodotti costituiti da molte unità base, ciascuna delle quali detta monomero. Se le unità base sono uguali tra loro si parla di omopolimero, se sono diverse si parla di copolimero. Non è certo questa la sede per un’ampia trattazione dei polimeri di sintesi, basta ricordare che, nella maggior parte dei casi, si tratta di prodotti usati allo stato liquido per garantire la bagnabilità delle superfici che necessitano di adesione. Solo in un secondo momento il prodotto solidifica polimerizzando. Così come per i prodotti siliconici deve ancora essere chiarito nei dettagli il meccanismo di interazione con la superficie lapidea (si avanzano, come già accennato, solo delle ipotesi), altrettanto incerto è, a tutt’oggi, il meccanismo che lega un polimero al solido. Tra le tante ipotesi avanzate, la più probabile sembra quella che individua nelle forze secondarie di Van der Waals la causa dell’assorbimento fisico e chimico tra i polimero ed il materiale lapideo su cui è applicato con il conseguente ancoraggio tra le due. superfici da ricongiungere. Molti sono i polimeri immessi sul mercato a scopo consolidante e tra questi ricordiamo, per gli incoraggianti risultati conseguiti, le resine acriliche, materiali termoplastici ottenuti dall’acido acrilico o da suoi derivati.

92

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

RESINE ACRILICHE

CH2=C etilene \ H

L’acido acrilico si ottiene per sostituzione di un H dell’etilene con gruppo acido _COOH. Dall’ac. acrilico per sostituzione di un altro H con il gruppo alchilico _CH3 si ottiene l’acido metilacrilico CH3 /

H / CH2=C acido acrilico \

CH2=C acido metilacrilico \ CO OH

CO OH H

/ CH2=C acrilato di etile

\ CO OC2H5 polietilacrilato

-CH2-CH-CH2-CH-CH2| | CO CO O C2H5 O C2H5

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

H /

CH3

/ CH2=C metacrilato di metile

\ CO OC2H5 polimetilacrilato CH3

CH3

| | -CH2_-C_ CH2 _ C-CH2| | CO CO O C2H5 O C2H5

Anche per questi prodotti, così come affermato per i prodotti siliconici, le caratteristiche del consolidante variano in funzione della natura del monomero e del peso molecolare del polimero (numero di unità base). Il prodotto più idoneo varia pertanto da caso a caso, la scelta può essere effettuata solo sulla base di prove di laboratorio. Nella maggior parte dei casi, comunque, le resine acriliche sono solubili in opportuni solventi organici, hanno buon potere consolidante e presentano una buona resistenza all’invecchiamento (soprattutto agli agenti chimici ed alla lu-

93

ce) scarsa invece la loro profondità di penetrazione (non superiore ad 1 cm) e scarsa è la loro idrorepellenza, soprattutto se stanno a contatto, per lunghi tempi (ordine delle 70 ore), con l’acqua. E’ per questo motivo che l’impiego delle resine acriliche viene sconsigliato su superfici esposte all’aperto. Una resina acrilica fondamentale è il PMMA, consolidante provvisorio, protettivo per manufatti non esposti all’esterno. | | Si può in parte ovviare a questo inconve-CH2 _-C _ CH2 _ C-CH2niente miscelando una resina acrilica con | | una resina siliconica che, per quanto abCO CO biamo visto, è idrorepellente. O CH3 O CH3 Esistono già in commercio prodotti acril-siliconici opportunamente preparati. La chimica dei consolidanti è in continuo sviluppo e quindi negli anni a venire altri prodotti potranno aiutare il restauratore: si parla soprattutto dei prodotti fluorurati o di resine epossidiche di nuova formulazione (le resine epossidiche a tutt’oggi immesse sul mercato offrono ottime garanzie come incollaggio ma scarse come consolidante per la ridottissima profondità di penetrazione e perché si alterano cromaticamente alla luce (ingialliscono con estrema facilità). Si nutrono altresì buone speranze nei prodotti poliuretanici, anche se manca una sufficiente conferma sperimentale. Polimetilmetacrilato (PMMA) CH3 CH3

RESINE

EPOSSIDICHERESINE ACRILICHE

Possono avere caratteristiche buone come protettivi e consolidanti. Purtroppo non hanno resistenza all’invecchiamento essendo fotodegradabili, soggetti a variazioni cromatiche, sensibili ai raggi UV.

Interessanti soprattutto come consolidanti, anche provvisori (preconsolidamento) essendo reversibili. Negli ambienti interni, possono essere utilizzate come protettivi.

Polimeri Fluorurati

PTFE (PoliTetraFluoroEtilene)

F F | | C=C | | F F

F

F | | —C—C— | | F F

Questo è solo un esempio di una famiglia molto più vasta che comprende: 94

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

1) PERFLUOROPOLIETERI 2) POLIFLUOROURETANI QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

3) FLUOROELASTOMERI 4) RESINE ACRILICHE FLUORURATE. La loro importanza è dovuta al fatto che il legame F-C è più forte del legame H-C I polimeri fluorurati hanno spiccata idrorepellenza, una buona stabilità chimica, una buona resistenza agli agenti fisici. Un loro svantaggio (consistente soprattutto per i perfluoropolieteri), è quello di essere solubili in solventi clorurati, la cui tossicità va tenuta in grande considerazione quando vengono utilizzati. Ma i polimeri fluorurati hanno in genere buona penetrazione e distribuzione nella pietra, buona idrorepellenza, non reagiscono col materiale lapideo, non variano le loro caratteristiche cromatiche, non formano film impermeabili al vapore acqueo, resistono ai processi di permeabilità di gas inquinanti. I Fluoroelastomeri, possono essere utilizzati mediante solvento organici tradizionali, quali acetone, chetoni ed esteri. Possono però formare emulsioni con acqua. A concentrazioni fino al 50% aggiungendo un 5% di acetato di butile con risultati paragonabili a quello con solventi in soluzione. I vantaggi sono resistenza agli UV, diminuzione delle tensioni dovute agli sbalzi termici a causa delle minori differenze dei coefficienti di dilatazione termica all’interno dei materiali, ottima idrorepellenza, completa reversibilità. Questi prodotti vengono spesso impegnati anche come leganti di malte e stuccature. Gli svantaggi dei fluoroelestomeri sono però la scarsa penetrabilità dovuta all’elevato peso molecolare, un film superficiale rugoso suscettibile a contenere facilmente lo sporco e il particolato dell’ambiente in cui si trova il manufatto. Riassumendo le tecniche di consolidamento possiamo così sintetizzare:

95

96

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

ALTRE OSSERVAZIONI

Come sopra

Silice idrata Si(OH)4

Etanolo

Acqua + additivi Silice idrata Si(OH)4 diversi

Silicato di etile monomero

Silicato di etile oligomero

Silica sol

Buon potere aggregante

Come sopra

Silice idrata Si(OH)4

Etanolo, chetoni, ragia minerale

Penetrazione molto modesta

Efficace sulle arenarie, meno sui calcari.

Efficace sulle arenarie, meno Impossibilità di colmare microfratture > sui calcari. 100 µ m, di consolidare materiali con Meno volatile e meno irriesfoliazioni e di saldare scaglie tante del monomero

Efficace sulle arenarie, meno Impossibilità di colmare microfratture > sui calcari. 50 - 100 µm, di consolidare Possibilità di sbiancamento materiali con esfoliazioni e di saldare scadelle superfici trattate; glie infiammabile, irritante

Si polimerizza un reticolo di silice Formazione di carbonati e solfati alcalini E f fl o re s c e n z e , t e n s i o n i SiO2 avente buona penetrazione e solubili interne alla pietra discreto effetto consolidante

Silice idrata Si(OH)4

Possibilità di sbiancamento delle superfici trattate

Acqua

Silicati alcalini

PRINCIPALI LIMITI

Difficoltà di Carbonatazione all’interno della rete porosa dovuti alla scarsa peneAffinità con i costituenti minerali; trabilità; disomogeneità applicativa; Possibilità di sbiancamento buona resistenza agli inquinamenti discontinuità chimica e fisica con il mate- delle superfici trattate atmosferici riale sottostante (incrostazione superficiale dura)

PRINCIPALI QUALITÀ

Affinità con i costituenti minerali; buona resistenza agli inquinamenti Come sopra atmosferici

Acqua

Idrossido di bario

CaCO3

PRODOTTO CONSOLIDANTE FINALE

BaCO3

Acqua

SOLVENTE/I

Idrossido di calcio (calce)

TIPO DI PRODOTTO

97

PRODOTTO CONSOLIDANTE FINALE PRINCIPALI QUALITÀ

Buon potere adesivo/aggregante, buona stabilità chimica resistenza alla luce, ai raggi UV e agli sbalzi di temperatura, spiccata idrorepellenza.

Polimeri fluorurati acetone esteri e C o p o l i m e r i ( fl u o r o e l a s t o - chetoni fluorurati meri)

QUADERNI per la progettazione

Penetrazione molto scarsa, film superficiale rugoso (che può contenere facil- Non variano le caratteristimente sporco) Costo elevato e pericolo che cromatiche del materiale d’impiego accentuato.

Buon potere adesivo/aggregante, buona stabilità chimica resistenza alla Costo elevato e pericolo d’impiego Non variano le caratteristiluce, ai raggi UV e agli sbalzi di tem- accentuato. che cromatiche del materiale peratura, spiccata idrorepellenza.

Polimeri fluoru- Solventi clorurati Copolimeri rati (perfluoropo- (tossicità), fluorurati lieteri)

Polimeri epossidici

Possibile influenza sul colore del Materiale trattato

Resine epossidiche

Idrocarburi Ottimo potere adesivo, possibilità di saldare fratture > 100 µm, di consolidare materiali con esfoliazioni e di Penetrazione scarsa saldare scaglie. Induriscono a temperatura ambiente senza ritiro. Buona resistenza chimica.

Resine acriliche

Possibile influenza sul colore del materiale trattato

ALTRE OSSERVAZIONI

Polimeri acrilici/ Buon potere Adesivo, trasparenza, Penetrazione e idrorepellenza scarsa metacrilici reversibilità

PRINCIPALI LIMITI

Possibile influenza sul colore del Materiale trattato

Idrocarburi Polimeri silico- Buona penetrazione, buon effetto (+ silicato di etile) nici (+ silice) consolidante e idrorepellente

SOLVENTE/I

Buon potere adesivo, ottima idroResine siliconiche Idrocarburi, emul- Polimeri silico- repellenza, buona permeabilità al Penetrazione scarsa invecchiamento (polisilossani) sioni in acqua nici vapore acqueo. Basso costo nelle emulsioni acquose

Silossani oligomerici

TIPO DI PRODOTTO

(segue)

2.14 Protezione PROTEZIONE

Scopo della Protezione

Rallentare i processi di deterioramento

Impedire o almeno ostacolare il contatto tra la superficie lapidea e l'ambiente circostante

Se un intervento conservativo non sempre richiede l’applicazione di un consolidante, non altrettanto può affermarsi per la protezione che deve sempre costituire l’ultima fase dell’intervento stesso. Scopo della protezione è infatti come riportato nello schema iniziale, quello di rallentare i processi di deterioramento impedendo il contatto tra la superficie lapidea e l’ambiente circostante. Non è d’altra parte una novità dei nostri tempi parlare di protezione, se si pensa che fin dall’antichità si usava ricoprire la superficie lapidea con cera d’api, oli vegetali, grassi animali, resine naturali, tutti prodotti questi impiegati proprio a scopo protettivo. Oggi le resine di sintesi hanno sostituito i prodotti naturali, non più idonei per le mutate condizioni ambientali. I prodotti naturali, quali per esempio le cere microcristalline, possono essere usati con buoni risultati in ambienti confinati. La protezione può quindi essere effettuata intervenendo sul manufatto stesso o sull’ambiente, anche se non sono rari i casi in cui si rendono necessari entrambi gli interventi. a) Protezione mediante l’applicazione di prodotti chimici I requisiti di un buon protettivo, cos1 come indicati dalla Commissione NorMal sono:

98

-

inerzia chimica nei confronti del materiale lapideo;

-

assenza di sottoprodotti di neoformazione dannosi per il materiale lapideo;

-

buona stabilità chimica;

-

buona stabilità alle radiazioni UV;

-

idrorepellenza;

-

buona permeabilità al vapor acqueo,

-

minima variazione cromatica della superficie trattata;

-

reversibilità.

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Nel caso quindi di un prodotto protettivo è necessario che il prodotto sia reversibile nel tempo, sia cioè solubile, anche a distanza di anni dalla sua applicazione, in un opportuno solvente rendendo così possibile la manutenzione ordinaria. Quanto affermato per i consolidanti, vale anche per i protettivi: non è possibile indicare a priori i prodotti più idonei: la scelta andrà effettuata di volta In volta nell’ambito dei prodotti che, per quanto indicato a proposito dei consolidanti, possono offrire le migliori garanzie: -

resine siliconiche;

-

miscele di resine acriliche e siliconiche;

-

resine acriliche (ma da impiegare solo per ambienti confinati).

Tuttavia sulla base dell’esperienza attuale si può tuttavia fornire un elenco di classi di prodotti da impiegare come protettivi: ●

resine acriliche (per marmi e materiali poco porosi);



resine alchil-aril-polisilossaniche, conosciute commercialmente come resine siliconiche (per tutti i materiali);



miscele di resine acriliche e siliconiche (per tutti i materiali).

A differenza dei consolidanti, i protettivi possono essere applicati a pennello purché sia garantita l’applicazione fino a rifiuto del prodotto. L’eventuale eccesso in superficie del prodotto può essere eliminato con impacchi di solvente puro così come l’eventuale lucentezza superficiale può essere eliminata aggiungendo sostanze opacizzanti quali, ad esempio, la silice micronizzata o spazzolando leggermente la superficie una volta perfettamente asciutta. Non c’è una consolidata esperienza in questo campo: ma secondo alcuni, nonostante le affermazioni di molti produttori, i protettivi hanno una durata massima di 5 anni e che, pertanto, andrebbe programmata un’attenta manutenzione ordinaria ogni 3 - 4 anni. A operazione di restauro conclusa vanno sempre documentate le motivazioni che hanno indotto a scegliere un intervento e le relative condizioni operative. I prodotti più frequentemente impiegati appartengono alla categoria dei silani monomeri e dei silossani oligomeri. La loro polimerizzazione è facilitata dalla presenza di un opportuno catalizzatore ed avviene in presenza dell’umidità che può essere presente nel materiale da trattare. Trattandosi di sostanze monomere o oligomere (con diversi monomeri di partenza), con basso peso molecolare e di dimensioni relativamente piccole, questi prodotti hanno una buona capacità di penetrazione all’interno della struttura porosa. 99

Sono in genere messi in commercio in soluzione con solventi organici. È molto importante tenere presente che la purezza dei solventi impiegati ha una forte influenza sul colore delle superfici trattate: partite diverse dello stesso prodotto idrorepellente, applicate sullo stesso materiale, possono dare risultati cromaticamente differenti se non si impiegano sempre solventi dello stessa purezza e se il grado di purezza non è elevato. Anche la miscelazione non accurata e l’uso di contenitori non perfettamente puliti o arrugginiti può provocare sgradevoli effetti sul colore delle superfici trattate. Una certa sensibilità di protezione ambientale e i rischi per la salute degli operatori, rende l’impiego dei solventi organici sempre più difficile. Per tale ragione l’industria chimica si è orientata verso la produzione di prodotti idrorepellenti a base acquosa. Questi prodotti si possono suddividersi in due gruppi: i siliconati e i prodotti silossanici sotto forma di emulsioni e, più recentemente, di microemulsioni. b) Protezione mediante interventi sull’ambiente esterno E’ chiaro che, quando è possibile, la soluzione migliore è quella di ricoverare il manufatto in un ambiente confinato e tenuto in condizioni ambientali ottimali. Poichè tuttavia molto raramente si può ricorrere a questa soluzione è possibile ridurre il deterioramento modificando in maniera stabile il microclima circostante l’oggetto oppure influenzando l’ambiente nelle immediate vicinanze dell’oggetto stesso. La cappella degli Scrovegni a Padova ne è un esempio. Qui addirittura si è contingentato il numero dei visitatori per ridurre la quantità di CO2 immessa nell’ambiente confinato. Si ricorre, in genere, a condizionamento termoigrometrico con filtraggio dell’aria, all’installazione di opportuni ripari (che possono essere eventualmente rimossi allorquando le condizioni ambientali non destano preoccupazione), alla creazione di uno spazio intorno al manufatto, spazio nel quale siano mantenute le condizioni ambientali ottimali. E’ necessario, ovviamente, che il metodo proposto non sia causa dell’insorgere di fenomeni secondari che potrebbero essere gravemente dannosi per l’oggetto. Solo attente valutazioni di. Ordine termoigrometrico permetteranno di effettuare la scelta più oculata. Per quanto riguarda modalità applicative e considerazione di tipo chimico, esse sono pressoché analoghe a quelle viste nell’ambito del consolidamento. 100

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

CAPITOLO 3

3.1

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

PRODOTTI CHIMICI Prodotti chimici generici

Di seguito sono riportati alcuni composti chimici tra i più importanti, ricavati da cataloghi di prodotti per il restauro di ditte specializzate del settore. Ovviamente sono stati eliminati i riferimenti, laddove possibile, di carattere pubblicitario. L’elenco, altrettanto ovviamente, non è da ritenere esaustivo. Vengono indicati anche, per rendersi conto dell’ordine di grandezza e dei volumi di ciò che è sul mercato, i pesi e i volumi delle confezioni in commercio.

ACETATO DI AMILE

ACETATO DI BUTILE ACETATO DI ETILE

ACETATO DI POLIVINILE

ACETONE DIMETILCHETONE

-2PROPANONE (CH3)2CO

ACIDO ACETICO

ACIDO CITRICO

C(OH) (COOH) (CH2.COOH)2.H2O

Liquido da chiaro a incolore con odore di banana. Usato soprattutto per il buon potere solvente. CH3.COO.C5H11 Densità: 0,87. Conf. 1 lt Liquido da chiaro a incolore con odore di banana. Usato soprattutto per il buon potere solvente. CH3.COO.C5H11 - Densità: 0,87. Conf. 1 lt Liquido da chiaro a incolore con odore di banana. Usato soprattutto per il buon potere solvente. Conf. 1 lt. Resina sintetica termoplastica, preparata per polimerizzazione dell’acetato di vinile, utilizzata in soluzione dal 3 al 10% in alcool etilico o isopropilico come fissativo per tempere ed acquerelli. Punto di rammollimento: 155-180°C Peso molecolare: 380.000. Conf.1, 5, 25 kg Liquido volatile ed infiammabile, di odore caratteristico, miscibile con acqua, alcool, cloroformio, etere, ecc. E’ uno dei solventi maggiormente usati data la bassa tossicità e l’elevato potere solvente. Punto di fusione: - 94 °C - Punto di ebollizione: 56,5°C Densità: 0,792 - Conf. 1 - 5 - 25 lt Liquido incolore di odore pungente, miscibile con acqua. In forma concentrata (a titolo superiore al 99%) è detto acido acetico glaciale e congela a temperatura ambiente. CH3-COOH Punto di fusione: 16,6°C - Punto di ebollizione: 118,1°C Densità: 1,0492 - Conf. 1 - 5 lt Acido citrico monoidrato in polvere. Conf. 1 kg

101

(segue)

ACIDO FORMICO

85% HCOOH

ACIDO OSSALICO

(COOH)2.2H2O ACIDO POLIACRILICO

ACIDO STEARICO

ACIDO TANNICO ALL’ETERE ACQUA DEMINERALIZZATA ACQUA DI CALCE ACQUA OSSIGENATA

130 vol. PEROSSIDO DI IDROGENO H2O2 ACRILSILICONICA ADDENSANTE - ETHOCEL ALCOOL BUTILICO BUTANOLO

CH3.(CH2)3.OH ALCOOL ETILICO DEN. 99,9°

ETANOLO - C2H5OH ALCOOL ETILICO PURO

96° ALCOOL ETILICO-ISOPROPILICO

ALCOOL ISO-BUTILICO

102

Acido organico. Punto di ebollizione: 100,7°C Punto di fusione: 8,4 °C Liquido incolore, di odore pungente, caustico, miscibile con acqua, alcool, etere. Ha proprietà riducenti e viene impiegato come antisettico, antifermentativo, coagulante del lattice di gomma, ecc. Conf. 1 lt Acido organico alifatico bicarbossilico. E’ un solido cristallino incolore (punto di fusione 187°C), leggermente solubile in acqua (0,1%), molto tossico. Conf. 1 kg Per la preparazione di solvent-gel di solventi o loro miscele, per la pulitura di dipinti. Conf 100, 500 g Acido saturo mono carbossilico a 18 atomi di carbonio. In natura si trova esterificato con la glicerina nei grassi animali. Punto di fusione: 71°C. Conf. 600 g Acido organico derivato dell’acido gallico. Conf. 1 kg Conf. 25 lt Conf. 25 lt Fortissimo ossidante in soluzione acquosa con un titolo che indica i litri di ossigeno liberati, dopo scissione completa, da un litro di acqua ossigenata. Conf. 1 lt Resina acril siliconica a solvente, impregnante e consolidante per materiali lapidei porosi degradati. Resistenza meccanica, idrorepellenza e resistenza agli UV con effetto satinato. Conf. 5, 25 lt Esteri etilici della cellulosa, per la gelificazione diretta di solventi o loro miscele, per la pulitura di dipinti. Conf 100, 500 g Peso specifico: 0,811 Intervallo di distillazione: 117-118°C Liquido limpido, incolore, buon solvente per grassi, oli, gomme, resine, cere, ecc. Conf. 1 lt. Punto di fusione: -117,3°C Punto di ebollizione: 78,3°C Alcool primario anidro denaturato Miscibile con acqua, acetone, etere. Conf. 1 - 5 - 20 lt. Alcool primario puro “bongusto”, tassato UTIF. Conf. 2 lt Miscela incolore di alcooli anidri, ideale per il discoglimento di gommalacca normale e decerata. Conf. 1 - 5 lt Liquido limpido, incolore utilizzato come solvente per esteri della cellulosa, etilcellulosa (CH3)2CH.CH2OH Peso specifico: 0,803 Intervallo di distillazione:107-108°C Conf. 1 lt

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue)

DEN.

ALCOOL POLIVINILICO ALLUME DI ROCCA ALLUMINIO POTASSIO SOLFATO

Alcool isopropilico + 3% iso-butilico. Intervallo di distillazione: 75-83°C Liquido limpido incolore usato come solvente e pulente. Conf. 1 - 5 lt. Sostanza ad alto peso molecolare, solubile in acqua, alla quale si impartisce forte viscosità e proprietà emulsionanti. E’ poco solubile in solventi organici. Conf. 800 g

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

ALCOOL ISOPROPILICO

Cristalli incolori o polvere cristallina. Solubile in acqua. Conf. 1, 20 Kg

AlK(SO4)2.12H2O ALLUMINIO IN POLVERE

AMIDO DI RISO

AMILASI AMMINA DI COCCO

AMMONIACA AMMONIO BICARBONATO

NH4HCO3 AMMONIO CARBONATO

(NH4)2CO3 AMMONIO CLORURO NH4Cl AMMONIO OSSALATO ANTIGRAFFITI ARALDITE CATALIZZATORE

BALSAMO DEL CANADA

BALSAMO DI COPAIVE BARIO IDROSSIDO

Espansivo per malte da addizionare a grassello di calce. Conf. 1 kg Prodotto naturale ricavato dai semi del riso, contiene amilosio (16-17%) e amilopectina. Utilizzato prevalentemente come adesivo per carte e cartoni e come addensante. Il basso contenuto di amilosio permette la formazione di gel reversibile. Conf. 600 g Preparazione enzimatica supportata per la pulitura controllata di superfici policrome che usa enzimi purificati. Conf. 100 ml. Ammina di cocco etossilata per la preparazione di solvent-gel di solventi o loro miscele, per la pulitura di dipinti. Conf 250 ml, 1 t. Peso specifico 0,89 per concentrazioni al 30%. L’ammoniaca (NH3), e un gas irritante che liquefà a -33°C, commercializzata in soluzione acquosa. Conf. 1 lt. Polvere bianca cristallina con leggero di odore ammoniacale e reazione debolmente alcalina. Conf. 1-5-25 Kg. Massa cristallina traslucida con forte odore ammoniacale. E’ un composto di ammonio bicarbonato e ammonio carbamato in proporzioni equimolecolari. Conf. 1-5-25 Kg. Conf. 1 Kg. Impiegato nella tecnica messa a punto dal Mattini dell’Opificio delle Pietre Dure per il consolidamento di affreschi. Conf. da 200 ml. Antigraffiti concentrato di nuovissima generazione, a base di alchil floda diluire in acqua, contro le scritte vandaliche. Conf 1, 5 kg. Adesivo epossidico bicomponente per incollaggio ceramiche, etc. Conf. 1 Kg + 400 g cat. Resina naturale estratta dall’abete del Canada (Abies Balsamea), famiglia delle pinacee. Resina estremamente trasparente con un indice di rifrazione quasi identico a quello del vetro ottico. Conf. 50 ml. Resina estratta da una leguminosa, Copaifera Landsdorfii, originaria dell’America del Sud. Liquido denso giallo chiaro. Conf. 125 ml. Cristalli bianchi solidi, utilizzata con apposito metodo per consolidare materiali lapidei. Conf. 1 - 5 Kg

103

(segue) BENZINA RETTIFICATA BENZOTRIAZOLO

C6H4.NH.N.N BICROMATO DI POTASSIO K2Cr2O7 BITUME GIUDAICO IN POLVERE

BUTILAMMINA

CALCIO CARBONATO LEGGERO

CALCIO CLORURO

CaCl2 in scaglie

80-100 Utilizzata nella pulitura di superfici pittoriche, sola o in miscela e come solvente per resine. Conf. 1 lt Punto di fusione: 95-98°C Composto eterociclico molto stabile. Utilizzato quale inibitore di corrosione per il rame e le sue leghe. Solubile in alcool. Conf. 250 gr Reagente di ossidazione usato per variare la colorazione dei legni. Conf. 1 Kg Utilizzato quale agente invecchiante in aggiunta a vernici finali per quadri o cere per mobilie nella preparazione delle lastre per incisione nella tecnica ad acquatinta. Conf. 1 Kg Intervallo di eboll.: 77-79°C Densità: 0,736 Diluibile, in tutte le proporzioni, con acqua con l’ausilio di solventi organici. La monobutilamina si presenta come liquido incolore. TOSSICO Conf. 1 lt Carbonato di calcio leggero precipitato noto nel restauro come BIANCO DI S.GIOVANNI, con densità apparente di 250 g/lt ed una densità dopo costipamento di 750 g/lt. Grado di bianco (MgO = 100): 99,7 Residuo a 100 mesh: 0,000% Residuo a 325 mesh: 0,005% Conf. 1 - 5 - 25 Kg CA CP2 72 - 75% - Conf. 1 kg. Scaglie bianche, amorfe che esposte all’aria vanno in deliquescenza, solubili in acqua.

CALCIO IDROSSIDO

CALCE SPENTA IN POLVERE - Ca(OH)2 CALCIO IPOCLORITO

CLORURO DI CALCE - Ca(ClO)2

Base forte, solubile in acqua. Conf. 1 kg Alto potere ossidante. Usato come sbiancante nell’industria tessile e cartaria.

Usato come sbiancante di tessuti e carta. Nome con cui viene indicata la qualità più pregiata di argilla, costituita essenzialmente da caolinite pura. Proveniente dalla Cornovaglia. Colore: Bianco (grado 85,5 metodo ISO) CAOLINO Ossido di silicio: 47% - Ossido alluminio: 37,8% Ossido di ferro 0,6% - pH al 10% in acqua: 5,0 ± 0,5 Peso specifico: 2,3 gr/dm3 - Conf. 1 - 5 - 50 kg Solubile in acqua ed in soluzioni alcaline. Permette di ottenere liquidi molto viscosi dotati di proprietà addensanti, emulsionanti, detergenti e stabilizzanti. CARBOSSIMETILCELLUIl miglior modo per preparare una soluzione di CMC è quello di verLOSA CMC sarla lentamente in acqua calda sotto agitazione veloce. La viscosità diminuisce con il riscaldamento per tornare al valore iniziale con il raffreddamento. Conf. 1 - 5 - 25 kg CALCIO PROPIONATO

104

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue)

CERA CARNAUBA

CERA D’API VERGINE

CERA D’API SBIANCATA

CERA MICROCRISTALLINA

CELLOSOLVE – ETILGLICOLE

C2H5O.CH2.CH2OH

CLOROFORMIO

TRICLOROMETANO - CHCl3 COLLA ADESIVA D’AMIDO

COLLE ANIMALI - GELATINE

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

CASEINA LATTICA

La caseina, polvere giallastra estratta dal latte, è solubile negli alcali e nelle soluzioni di sali alcalini ad acido debole. Quando si utilizza dell’ammoniaca o della soda, si ottiene una sostanza sensibile all’acqua che può essere usata per parecchie ore; con la calce, si migliora la resistenza all’acqua, ma va utilizzata nello spazio di 1-2 ore. Conf. 700 gr - 5 Kg Detta anche cera brasiliana, è un prodotto naturale ricavato dalle foglie della palma del Brasile (Copernicia prunifera). Di colore da giallo a verdastro e odore gradevole, fonde a circa 82-85°C. Resistente e brillante. Utilizzata per aumentare il punto di fusione delle altre cere, per dare più lucentezza e durezza e per diminuirne l’effetto appiccicoso. Conf. 500 gr Sostanza elaborata dalle api per costruire le celle degli alveari (miscela di esteri di alcoli mono e bivalenti con acidi organici). Punto di fusione: 62,4°C Punto di solidificazione: 61,0°C Indice di acidità: 20,7 Insolubile in acqua ma permeabile al vapore. E’ solubile negli idrocarburi aromatici, nei clorurati e nell’etanolo a caldo. Conf. 2,5 Kg Cera d’api particolarmente pura per la preparazione di emulsioni cerose per la pulitura dipinti. Conf. 1 kg Miscela di idrocarburi alifatici saturi a peso molecolare medio alto. Punto di fusione: 110°C In scaglie bianche, particolarmente dura, da sciogliere a bagnomaria per patinatura e protezione. Conf. 1 - 5 Kg Peso specifico: 0,932 Liquido limpido, incolore, di odore leggero. Miscibile con acqua. Impiegato come solvente per nitrato di cellulosa, per siliconi a bassa viscosità, colofonia, acetato di polivinile, resine a base di cicloesanone, formaldeide, resine naturali e sintetiche, ecc. Peso specifico:1,485 Liquido limpido, incolore, volatile di odore etereo. Ottimo solvente per oli, resine e grassi. Come tutti i solventi clorurati deve essere protetto dalla luce del sole. Conf. 1 lt Impiegata nel restauro cartaceo, nella legatoria e nella preparazione di pasticche particolari. Conf. 2,5 kg. Sostanze glutinose adesive ottenute facendo bollire in acqua sostanze collagene di origine animale. Per preparare una soluzione occorre lasciare rigonfiare la colla in acqua fredda (15-30’ per quella in polvere, 2 ore per quella in perle) e scaldarla poi, possibilmente a bagno maria, ad una temperature non superiore ai 60°C.Con le colle animali si può incollare qualunque supporto bagnabile con acqua. La contrazione della colla animale durante l’essiccazione è proporzionale alla quantità d’acqua utilizzata per la soluzione. La viscosità della soluzione di colla varia con il variare del pH. Le viscosità più basse si trovano a pH 4,5-5.

105

(segue)

COLLA DI PESCE

COLLA DI STORIONE COLLA CONIGLIO IN GRANI COLLA LAPIN

COLLA D’OSSA o FORTE

COLOFONIA o PECE GRECA

CONTRAD 2000

CONVERTITORE DI RUGGINE

DIACETONE ALCOOL

4-IDROSSI4-METILPENTAN-2-ONE CH3.CO.CH2.C(CH3)2.OH DILUENTE NITRO ANTINEBBIA

DIMETILFORMAMMIDE

DMF HCON(CH3)2

106

Colla estratta da pelli ed altri scarti di pesci. Fogli sensibili all’acqua e poco solidi a causa del basso peso molecolare. La gelatina di pesce non forma gel. Conf. 1- 5 - 25 Kg Colla ricavata dalla vescica natatoria dello Acipenser sturio. Conf. 100 gr Colla estratta da pelli di animali. Buon potere collante. Conf. 1 - 25 Kg Colla in pellets estratta da pelli di coniglio. Ottima adesività. Conf. 1 - 25 kg Colla in perle da ossa e cascami animali. Chiamata anche colla cervione o garavella o da falegname. Ottima adesività e forte potere collante. Conf. 1 - 25 Kg Resina naturale, solida, trasparente di colore giallastro. Il suo costituente principale è l’acido abietico. La forte ritenzione dei solventi rende lunga l’essiccazione dei films di colofonia, che rimangono per molto tempo appiccicosi. L’elevata acidità può essere pericolosa per pigmenti basici, fibre di cellulosa, ecc. A causa del basso punto di fusione si scioglie con la semplice esposizione al sole e, per la rapida ossidazione, scurisce in breve tempo. Conf. 800 g - 5 - 25 Kg Emulsione acquosa di tensioattivi anionici e non ionici contenente prodotti chimici inorganici ed agenti stabilizzanti. Non corrosivo e atossico. Efficace mezzo di pulizia e decontaminazione. Rimuove: oli e grassi siliconici; residui di distillazione; sangue; olio di legno di cedro; proteine complesse; prodotti organici; catrame; balsamo del Canada; cere; grassi; zuccheri; gelatine; ecc. Viene completamente rimosso con acqua. Conf. 1 - 5 -20 lt Liquido lattigginoso bianco, peso specifico 1.018, con resa media di 20 m2/lt, a base di polimeri chelanti, da diluire in acqua. Stabilizza i prodotti di ossidazione del ferro (ruggine) sotto forma di un complesso ferro-tannico insolubile. Ha reazione molto rapida. Si applica in una sola mano con pennello a setola dura evitando eccessi di prodotto. Si può applicare anche su superfici umide. Conf. 1 - 5 lt Densità: 0,937 Liquido incolore, praticamente inodore. Solubile in acqua. ad alto punto di ebollizione utilizzato nella preparazione di vernici, resine epossidiche e fenoliche. Conf. 1 - 5 lt Miscela di ottima qualità di solventi vari a rapida evaporazione. Possiede un buon potere solvente per vernici nitro e sintetiche in generale. Conf. 1 - 5 - 25 lt Peso specifico: 0,949 Liquido limpido incolore di odore sgradevole, miscibile con acqua, esteri, alcoli, etere, chetoni, idrocarburi aromatici e clorurati. Solvente indicato per moltissimi polimeri fra cui: vinilici; poliuretani, resine epossidiche; derivati cellulosici; poliamide; ecc. Conf. 1 - 5 lt

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue) Agente sequestrante ha la proprietà di formare, con gli ioni dei metalli, composti di coordinazione molto solubili e stabili, mascheACIDO ETILENDIAMINOTETRACE- randone quindi la presenza in soluzione. I principali metalli che può captare sono, in ordine di affinità, i TICO seguenti: calcio; potassio; sodio; cromo; nichel; rame; piombo; zinco; SALE BISODICO (CH2.N(CH2.COOH).CH2.C cobalto; manganese; magnesio. Nella pratica il sale bisodico si differenzia dal tetrasodico per la migliore solubilità in acqua. OONa)2.2H2O Conf. 1 - 5 - 25 kg

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

EDTA BISODICO

EDTA TETRASODICO

ACIDO ETILENDIAMMINOPolvere bianca inodore. Come EDTA Bisodico ma meno solubile in TETRA ACETICO - SALE TETRASO- acqua. Conf. 700 gr - 5 - 25 kg DICO (CH2N(CH2.COONa)2)2.4H2O ELVACITE 2046

Resine di butilmetacrilato diluibili in chetoni, esteri e composti aromatici. Normalmente utilizzate, miscelate in parti uguali, per l’incollaggio di strappi di affreschi su supporti in vetroresina. Utilizzabili anche per realizzare stucchi per legno. Conf. da 1 kg

E S A N O D E N AT U R ATO

Idrocarburo alifatico di odore leggero. Ottimo solvente per cere, Benzina Avio. C6H14 + CH3 - CHCl - CH2Cl grassi, vernici, etilvinilacetato, etc. Conf. da 1 lt Olio essenziale di lavanda. Si usa come diluente per trementina veneta. Conf. 250 ml Idrocarburo rettificato. Diluente per colori ad olio e vernici. Non ESSENZA DI PETROLIO lascia residui evaporando. Conf. 1 lt Olio essenziale che evapora completamente senza lasciare residui. ESSENZA DI ROSMARINO Conf. 250 ml Intervallo di ebollizione: 30-60 °C. Peso specifico: 0,6 ETERE DI PETROLIO Liquido incolore e volatile formato da una miscela di idrocarburi leggeri. Conf. 2,5 lt Punto di ebollizione: 34,6°C - Densità: 0,72 Composto organico ottenuto per disidratazione dell’alcool etilico ETERE ETILICO (C2H5)2O con acido solforico. Liquido incolore, di odore pungente, pochissimo miscibile con acqua, miscibile con solventi organici. Utilizzato come solvente per grassi, resine, cere e gomme. Conf. 1 Kg Peso specifico a 20°C: 0,899 - 0,902 ETILACETATO Intervallo di distillazione:1,3720-1,3725. Punto di infiammabilità: 75° CH3 - COOCH2-CH3 - 78°. Liquido limpido, mobilissimo, incolore di odore gradevole caratteristico, facilmente infiammabile. Conf. 1 - 5 lt ETILFORMIATO Conf. 1 - 5 lt Prodotto animale (fiele bovino) decolorato, stabilizzato, basico. Costituito da colesterolo, sali di sodio di acidi biliari, glicina ed altre sostanze derivate dalla colina e dalla lecitina che conferiscono ottime FIELE DI BUE proprietà tensio-attive. Ottima azione detergente, usato per facilitare la presa delle colle su superfici unte, come diluente per acquerelli, come fissativo del colore su carta, ecc. Conf. 500 ml - 1 lt ESSENZA DI LAVANDA

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(segue) GESSO DA PRESA R21 GESSO DI BOLOGNA

CaSO4.1/2H2O GESSO BIANCO DENTISTICO DA CALCO

Conf. 1, 25 Kg Minerale monoclino prismatico, in natura si trova come solfato biidrato di calcio. Conf. 1-20 Kg Conf. 1, 25 Kg

Alcool alifatico trivalente - Punto di fusione: 18°C Punto di ebollizione: 290°C - Densità: 1,249 Liquido incolore, inodore, sciropposo di sapore dolce. E’ igroscoCH2(OH).CHOH.CH2OH pica, miscibile con acqua ed alcool, insolubile in etere, solventi clorurati, toluolo ed oli. - Conf. 1 - 5 Kg Gomma naturale prodotta da differenti specie d’Astragalo, leguminose che crescono in Asia Minore. Formata per polime-rizzazione di L-arabinosio, D-xilosio, L-fucosio e acido D-galatturonico. Forma soluzioni molto viscose anche a deboli concentrazioni. SoluGOMMA ADRAGANTE bile solo in parte nell’acqua fredda. Forma un gel a partire da una concentrazione di 0,5%. Eccellente colloide protettore, la gomma adragante è utilizzata per stabilizzare emulsioni e dispersioni e come agente addensante. Conf. 1 Kg Gomma naturale ricavata dalla acacia arabica (Acacia Varek o Acacia Senegal) contenente L-arabinosio, Dgalattosio, L-ramosio, e l’acido glucuronico. La gomma arabica si scioglie lentamente, ma completamente, in acqua. E’ insolubile in alcool e in molti solventi. La viscosità della soluzione acquosa dipende dal pH; è massima a pH neutro. Con GOMMA ARABICA il riscaldamento si diminuisce la viscosità della soluzione ma si provoca un processo di degradazione con liberazione di zuccheri. Possiede un elevato potere collante. Viene utilizzata come colloide protettore stabilizzante, come legante per acquerelli e tempere, come adesivo per carte e cartoni. Conf. 1 - 5 Kg Gomma naturale, costituita da resine diterpeniche, ricavata dalle Cesalpinacee, leguminose che crescono nell’isola di Manila (FilipGOMMA COPALE MANILA pine). Dopo la pirogenazione la gomma Manila dà una sostanza solubile in alcool che permette l’aggiunta solo di piccole quantità di olio. Conf. 700 g - 5 Kg Gomma naturale costituita essenzialmente da resine triterpeniche, ricavata da alberi della famiglia delle Diptero-carpacee (Angiospermi) in Indonesia. Le resine Damar sono solubili in White Spirit, solventi aromatici e trementina. Per ottenere una vernice più trasparente è GOMMA DAMAR o DAMMAR opportuno sciogliere la resina in solventi tiepidi. Aggiungendo alcool si provoca la precipitazione dei residui cerosi (ca. 15%) contenuti nella resina. La Damar ha una buon potere adesivo ed una bassa acidità. Conf. 700 gr - 5 Kg Resina naturale ricavata dalle specie Canarium. E’ composta, oltre che da derivati triterpenici, da sostanze volatili quali l’elemolo e l’eleGOMMA ELEMI MANILA micina. Solubiliin alcoli ed idrocarburi aromatici. Viene utilizzata per aumentare la brillantezza dei films e l’adesione; conferisce inoltre un effetto plastificante. Conf. 5 Kg GLICERINA

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue)

GOMMALACCA DECERATA

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Gomma naturale estratta dalle piante della famiglia delle sapotacee. E’ caratterizzata da una elevata impermeabilità all’acqua. Adatta per GOMMA GUTTA la preparazione di colle non acide, conferisce inoltre una colorazione oro all’argento (mecca). Conf. 100 gr Gomma naturale costituita da una miscela di esteri di acidi grassi ossidrilati e di acidi sesquiterpenici a scheletro cedrenico. Forma un GOMMALACCA film sensibile all’acqua, brillante ed adesivo. Con l’invecchiamento tende però a divenire insolubile ed a iscurire. Conf. 1 - 5 - 25 Kg G O M M A L AC C A D E C E - Gomma lacca o Shellac, dalla secrezione della Lacciter Lacca (cocRATA cidi) decerata e deresinata. Conf. 500 g - 5 Kg GOMMALACCA PRONTA Gommalacca decerata in soluzione, pronta all’uso. Conf. 1 lt Gommalacca già in soluzione, pronta all’uso. Conf. 1 lt

Resina naturale ricavata prevalentemente dal pistacchio lentisco (Pistacia Lentiscus) e raccolta nell’isola di Chios nell’Egeo. La gomma mastice presenta una buona solubilità negli idrocarburi aromatici. GOMMA MASTICE di CHIOS Con una aggiunta di alcool si provoca la precipitazione delle cere in essa contenute (ca. 15-20%). Il film che si forma è brillante, flessibile e molle. Conf. 100 g Lattice di gomma naturale a basso contenuto di ammoniaca. Contiene, come preservanti, disolfuroditetrametiltiurame in misura infeGOMMA NATURALE IN LATTICE riore allo 0,10% ed ossido di zinco in misura inferiore allo 0,015%. Conf. 1 - 5 Kg Resina naturale ricavata dalle cipressacee. Solubile in alcoli, eteri, acetone, ecc. Il film formato dalla sandracca GOMMA SANDRACCA è duro e brillante, presenta una certa tendenza a scurire (inferiore alla colofonia). Per evitare lo sfarinamento si può mescolare con trementina veneta. Conf. 700 gr - 5 kg Sistema acrilico che addizionato a cariche inerti dà imitazioni di HARDROCK® BASE materiali lapidei, colabile e pennellabile. Conf. 1 - 5 - 20 kg Sistema epossidico da usare per adesione e colata; addizionato a cariHARDROCK® 554 che inerti dà imitazioni di materiali lapidei. Per ricostruzione di parti mancanti e inserti. Conf. 1 - 5 - 20 - 200 kg Sistema epossidico da usare per adesione e colata; addizionato a cariHARDROCK® 141 che inerti dà imitazioni di materiali lapidei. Per ricostruzione di parti mancanti e inserti. Conf. 1 - 5 - 20 - 200 kg Sistema acrilico che addizionato a cariche inerti dà imitazioni di HARDROCK® 427 materiale ligneo, scolpibile con frattura non vetrosa. Conf. 0,5+0,5 kg, 9+9 kg Sistema acrilico stabilizzato che imita perfettamente i materiali ceraHARDROCK® CERAMICA mici, anche per copie da calchi siliconici. Senza ritiro, colabile e pennellabile. Disponibile: Rosso, Bianco, Nero Conf. 1 - 20 kg Protettivo idrorepellente silossanico concentrato da diluire in acqua, HYDROPHASE® ACQUA non pellicolante. Conf. 1 - 5 - 50 kg

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(segue) Protettivo idrorepellente silossanico concentrato da diluire in solvente, non pellicolante per pietre silicatiche a reazione acida. Conf. 1 - 5 - 50 kg Protettivo idrorepellente silossanico specifico per graniti, da diluire HYDROPHASE® GRANITI in solvente, non pellicolante. Conf. 1 - 5 - 50 kg Protettivo idrorepellente silossanico pronto all’uso, di impiego geneHYDROPHASE® PLUS rale, non pellicolante non altera il colore. Conf. 5 - 50 kg Protettivo idrorepellente silossanico pronto all’uso, per pietre carHYDROPHASE® bonatiche o marmi bianchi a reazione alcalina; non pellicolante, non SUPERFICI altera il colore. Conf. 1 - 5 - 50 kg Protettivo incolore, trasparente a base di Paraloid e benzo-triazolo INCRALAC per rame e sue leghe. Conf. 1 - 5 kg Idrossipropilcellulosa, un polimero non ionico solubile in acqua e nei solventi organici, polvere granulosa di colore bianco. Il pH delle soluKLUCEL-G zione al 5% oscilla da 5,0 a 8,5. E’ solubile in acqua a temperature inferiori ai 45°C, Indicato per fare gel supportanti. Conf.100, 500 g Componente per la preparazione di creme emollienti per pelli. SoluLANOLINA bile in alcool caldo, etere, cloroformio, benzolo e acetone. Insolubile in acqua. Conf. 1 Kg Solvente alifatico con aromatici inf. allo 0,1%, utilizzato nella pulitura LIGROINA 100-140 dei dipinti in sostituzione di essenza di petrolio, considerata maggiormente tossica. Conf. 1, 5 lt Peso specifico: 0,805 Liquido limpido, incolore, odore caratteristico simile a quello METILETILCHETONE dell’acetone. Omologo superiore dell’acetone presenta, rispetto a MEK - BUTANONE quest’ultimo, una minore volatilità. Scioglie: gomma lacca, colofonia, C2H5.CO.CH3 resine cellulosiche, epossidiche, molte resine fenoliche e acriliche, polistirolo, ecc. Conf. 1 - 5 - 25 lt Vernice speciale per tingere l’argento in foglia di un colore imitante MECCA l’oro, a base di una miscela di gomma gutta, aloe, sangue di drago e ALLA FIORENTINA altre disciolte in alcool. Conf. 250 ml, 1 lt HYDROPHASE® CONCENTRATO

MICA MICRONIZZATA IN POLVERE MISSIONE ALL’ACQUA MISSIONE IDRO-ALCOOLICA

MOWILITH 40 / PVA

Conf. 1 Kg Adesivo appositamente formulato per l’adesione di oro e argento in foglia. Adesione dopo 15 minuti. Conf. 250 ml, 1 lt Adesivo appositamente formulato per l’adesione di oro e argento in foglia. Adesione dopo 15 minuti. Conf. 250 ml, 1 lt Polimero di vinil acetato, granulare. Applicato, garantisce la formazione di un film relativamente duro, altamente trasparente, con proprietà di diffusione della luce eccellenti, termoplastico. Utilizzato per strappi e rimozione mosaici. Conf. 800g, 5, 25 kg

MOWILITH DMC 2

di-n-BUTILESTERE - VINILACETATO ACIDO MALEICO CH(COOH):CH.COOH

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Dispersione al 55%. Conf. 1 - 5 Kg

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue) Viene utilizzato come sostituto del dimetilformammide per la sua non tossicità. Solvente molto forte per vernici, polimeri acrilici e 1-METIL -2 PIRROLIDONE. resine. Miscibile con essenza di petrolio, white spirit, alcool etilico, etc. Solubile in acqua. Conf. 1 lt Preservante antisettico da impiegare in paste adesive per rifoderaNIPAGINA tura. Conf. 100 g OLIO DI LINO COTTO Conf. 1 lt Olio di lino spremuto a freddo e decolorato. Olio grasso siccativo costituito per il 90% da gliceridi degli acidi grassi non saturi. Si ossida e OLIO DI LINO CRUDO solidifica se esposto all’aria. Il potere essiccativo può essere aumentato riscaldando l’olio a 150-320°C per alcune ore. Conf. 1, 5 lt Olio siccativo molto chiaro. Essicca molto lentamente (76% di acidi OLIO DI PAPAVERI grassi polinsaturi) e non ingiallisce nel tempo. Conf. 500 ml OLIO DI PIEDE DI BUE Emolliente per pelli e pergamene. Conf. 1 lt OLIO PAGLIERINO Utilizzato per la pulitura e lucidatura del legno. Conf. 1, 5 lt Diserbante totale per zone archeologiche a base di glyphoste, da PANTOX diluire 1:100. Conf. 1, 5 lt Miscela solida di idrocarburi paraffinici disponibile in giacimenti natuPARAFFINA IN LASTRE rali oppure derivata dalla lavorazione del petrolio. Conf. 5 Kg orig. Rohm & Haas PARALOID B44 resina acrilica, metil metacrilato, impiego nella protezione dei metalli. Conf. 800g, 5, 15 kg PARALOID B67 orig. Rohm & Haas Isobutil metacrilato. Conf. 800g, 5 kg orig. Rohm & Haas Resina acrilica, copolimero metacrilato-etilmetacrilato con buona resistenza agli acidi e agli alcoli, detersivi, lubrifiPARALOID B72 canti, impiegato come consolidante, adesivo e legante per cariche inerti, pigmenti, etc. Conf. 800g, 5, 15 kg PARALOID B82 orig. Rohm & Haas Metil metacrilato Conf. 800g, 5 kg PARALOID F10 orig. Rohm & Haas CONTROLLO.Conf. 800g, 5 kg Cera finissima con effetto insetticida per la manutenzione e la difesa PERMETAR® CERA dagli insetti in mobili di pregio. Conf. 400 ml Insetticida antitarlo concentrato da diluire 1:49 in solventi. Conf. 100 PERMETAR® CONCENTRATO ml, 1 lt Antitarlo INODORE pronto all’uso, per la difesa dagli insetti in manufatti lignei di pregio, dorati, policromi. PERMETAR® IN PETROLIO Non unge né smuove lacche o vernici, né lascia aloni. Conf. 250 ml, 1, 5, 20 lt Antitarlo spray con beccuccio per la difesa dagli insetti in manufatti PERMETAR® INJECTION SPRAY lignei di pregio. Conf. 400 ml Densità: 0,980 Liquido incolore, di odore sgradevole e penetrante, miscibile con PIRIDINA acqua, ricavato dal carbone e dai bitumi. C5H5N E’ utilizzato come solvente di composti organici e sali inorganici, viene inoltre impiegato come denaturante per alcool. Conf. 1 lt

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

N-METILPIRROLIDONE

111

(segue)

PLEXISOL P-550

PLEXTOL B-500

Polimero plastico a base di butilmetacrilato. Diluibile con esteri, chetoni, idrocarburi aromatici, clorurati. Utilizzato come legante per la fabbricazione di vernici protettive. Usato nel restauro per fissaggi e rintelature. Conf. 1 kg Dispersione acquosa di una resina acrilica pura, termoplastica, a media viscosità. Densità: 1,08 g/cm3. Legante non saponificabile, resistente alle intemperie e all’invecchiamento. Conf. 1 kg

POLIETILEN GLICOL 200 (*) cubo da 1000 kg (*) il numero sta a indicare il grado di polimerizzazione

cubo da 1000 kg fusto 230 kg POLIETILEN GLICOL 1500 cassa 25 kg POLIETILEN GLICOL 4000 cubo da 1000 kg Miscela di fibre di cellulosa a varia lunghezza (da 200 a 1000 A), da utilizzare come supportante in impacchi pulenti per affreschi e lapiPOLPA DI CELLULOSA deo in genere. Completamente atossiche ed innocue, non sono solubili in acqua e in solventi organici, resistono agli acidi deboli ed agli alcali. Ottima capacità di trattenere liquidi. Conf. 1 - 20 Kg Stucco riempitivo per interni da impastare con acqua (1-2 parti di stucco con una parte d’acqua). Ottimo per la riparazione di crepe, fenditure, buchi, screpolature, ecc. Dopo l’essiccamento il prodotto POLYFILLA INTERIOR conserva la forma datagli; pertanto costituisce un pasta speciale per la modellatura. Può essere colato, colorato, modellato e, dopo l’essiccamento, intagliato, raschiato e lucidato. Stucco riempitivo per esterni da impastare con acqua (2-2,5 parti di POLYFILLA EXTERIOR stucco con una parte d’acqua). Per muri esterni in cemento, pietra, mattoni, intonaco. Conf. 1 - 5 Kg Solido in placche. Molto solubile in acqua. Per la sua proprietà di creare dei composti di colore marrone scuro (Solfuro di rame), a conPOTASSIO SOLFURO o FEGATO DI ZOLFO tatto del bronzo; viene utilizzato soprattutto per la patinatura di statue e oggetti artistici in genere. Conf 1 kg Preparazione enzimatica supportata per la pulitura controllata di PROTEASI ACIDA superfici policrome che usa enzimi. Conf. 100 ml Preparazione enzimatica supportata per la pulitura controllata di PROTEASI ALCALINA superfici policrome che usa enzimi purificati. Conf. 100 ml Miscela di idrocarburi con il 19% ca di aromatici. Intervallo distillaRAGIA MINERALE zione 155-185°C. Solubilizza resine quali Plexisol e Beva. Conf. 1 - 5 o WHITE SPIRIT - 25 lt Alghicida-lichenicida per lapidei. Composto di ammonio quaternario ROCIMA 110 ex METATIN N e tributilstagnonaftenato. Solubile in acqua e nei comuni solventi. 5810/101 Conf. 1 lt POLIETILEN GLICOL 400 POLIETILEN GLICOL 600

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue)

RHODORSIL RC 80

SALE DI SEIGNETTE o di ROCHELLES SALIVA ARTIFICIALE

SANGUE DI DRAGO

SEPIOLITE

SILICATO DI ETILE SODIO BICARBONATO

NaHCO3 SODIO CARBONATO

SODA - Na2CO3

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

RHODORSIL RC 70

orig RHODIA RHODORSIL RC 70 a base di silicato di etile, viene utilizzato, per lo più puro, nel restauro dei monumenti e delle statue in pietra naturale e in terracotta ma è anche consigliato per il consolidamento di materiali lapidei porosi. RHODORSIL RC 70 viene assorbito per capillarità dalla pietra; per effetto dell’acqua residua nei pori e di un catalizzatore che favorisce l’azione si ha la formazione di un reticolo consolidante che permette ai materiali di ritrovare una coesione simile al materiale originale senza modificare a fondo la permeabilità ai gas. Conf. 25 kg orig RHODIA RHODORSIL RC 80 a base di silicato di etile, catalizzatore e resina metilica, viene utilizzato nel restauro di materiali lapidei in pietra naturale e in terracotta ma è anche consigliato per il consolidamento di supporti lapidei porosi. Conferisce un’ottima protezione idrorepellente. Conf. 25 kg Usato nella pulitura dei bronzi. Conf. 1 Kg Soluzione acquosa enzimatica ad azione emulsionante detergente per la pulitura controllata di superfici policrome. Ottenuta con enzimi purificati Conf. 100 ml Gemmoresina ricavata dalla Dracena Draco. Contiene ca. il 55% di una resina rossa depurata dal dracorenese (composto amorfo giallo) e dal dracoalbano (composto bianco). Solubile in alcool. Questa resina è stata molto utilizzata per colorare vernici per strumenti musicali. Conf. 100 g Argilla ad altissimo adsorbimento di acqua che però non rigonfia. Molto utilizzata come supporto per impacchi per la pulitura di superfici lapidee anche in miscela con polpa di cellulosa. Peso specifico: 2,4 - Assorbimento acqua: 110-130% pH (sospensione 10%): 8 ± 0,2 - Conf 20 kg Consolidante per materiali lapidei a base di esteri etilici dell’ac.silicico (70%). Residuo secco 45%. Conf 1, 5, 50 kg Polvere bianca, cristallina e soffice. Solubile in acqua ed insolubile il alcoli. Utilizzato come neutralizzante, detergente o abrasivo per microsabbiatrice. Conf. 1-5-25 Kg Polvere cristallina bianca. Solubile in acqua ed insolubile in alcoli. Si decompone, liberando CO2, a 400°C. Assorbe lentamente umidità presente nell’aria. Conf. 1 - 5 - 50 Kg

SODIO GLUCONATO

CH2(OH)(CHOH)4COONa. Conf. 1 - 5 Kg SODIO IDROSSIDO

SODA CAUSTICA - NaOH in scaglie.

Base forte molto solubile in acqua. Conf 1 kg

113

(segue)

SVERNICIATORE DENSO

TEST DETERMINAZIONE CLORURI TEST DETERMINAZIONE NITRATI TEST DETERMINAZIONE NITRITI TEST DETERMINAZIONE SOLFATI

verniciante semifluido, da applicare a pennello, asporta qualsiasi tipo di vernice o pittura, anche cotta a forno. Una certa azione anche su epossidiche e poliuretaniche. Reagisce, in 10-15 minuti. Con l’ausilio di una spazzola di saggina, o di un raschietto, permette di asportare le pellicole di vernice o di pittura. Un successivo lavaggio permette di asportare ogni traccia dello sverniciatore e di ottenere un supporto perfettamente pulito. Conf. 750 ml - 4 lt -17 lt (100 prove) (100 prove) (100 prove) (100 prove)

Tra i metalli a più alte prestazioni per resistenza all’esposizione, resistenze meccaniche, minime dilatazioni e leggerezza, il titanio trova impiego soprattutto per imperniature TOLUENE Liquido limpido, incolore, di odore caratteristico (simile al benzolo). METILBENZOLO C6H5CH3 Solvente per etilcellulosa, gomma, mastice. Conf. 1lt Peso specifico: 0,860 Intervallo di ebollizione:155-175°C TREMENTINA ESSENZA ACQUARAGIA VEGETALE Liquido limpido, debolmente giallo, di odore caratteristico. Prodotto PURA DI GEMMA naturale ricavato dalla distillazione della trementina. Il componente principale è il pinene. Solvente per pitture, vernici e colori. Conf. 1 - 5 lt Resina naturale oleosa di conifere a base di pinene e acido abietinico.Si presenta come liquido denso e trasparente di color gialloTREMENTINA VENETA marrone.Solubile il alcool etilico, acetone, idrocarburi aromatici e clorurati. Conf. 1 Kg Soluzione acquosa con proprietà emulsionanti e detergenti (erroneamente definita saliva sintetica) per la rimozione di sporchi organici TRIAMMONIO CITRATO SOLUZ. ed inorganici da superfici dipinte ad olio o verniciate. pH della soluzione: 7,5 Conf. 250 ml, 1 lt TRIETANOLAMMINA Liquido limpido, viscoso, molto igroscopico che diventa marrone per N(CH2CH2OH)3 esposizione all’aria ed alla luce. Conf. 1 lt Conf. 1 - 5 lt. TRIELINA Liquido limpido, di odore caratteristico che ricorda il cloroformio. o TRICLOROETILENE Buon solvente per oli, grassi, cere, bitumi. Utilizzato per il lavaggio e CHCl:CCl2 sgrassaggio di tessuti e metalli. Ha anche un effetto insetticida. Collante alla cellulosa per carte. Metilidrossietilcellulosa idrosoluTYLOSE MH 300P bile. Conf. 500 g Addensante per colle (Glutofix). Metilidrossietilcellulosa TYLOSE MH 2000K idrosolubile. Conf. 500 g TWEEN 20 Tensioattivo non ionico. Conf. 1 Kg TITANIO IN BARRE

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue)

VETRORESINA IN BARRE VINAPASS CEF 10 ETILVINILACETATO WHITE SPIRIT o RAGIA MINERALE XILENE

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

VELATINO

Malta minerale bilanciata che si ispira alla migliore tradizione edile italiana. E’ un prodotto altamente traspirante. Da applicare sia all’esterno che all’interno con metodi tradizionali anche a spessori notevoli (1-2 cm per strato). Utilizzabile in edifici storici, prestandosi ad arricchimenti di tono del colore con terre naturali. La finitura a frattazzo consente di ottenere una superficie leggermente scabra nella tipologia di molti edifici storici o rustici. Conf. 20 kg Trafilati a sezione circolare per imperniature. 3 e 4 mm 6 mm– fino a 24 mm Conf 1, 5 lt. Conf. 1 - 5 - 25 lt Liquido limpido, incolore, di odore caratteristico. Solvente per etilcellulosa, colofonia, gutta, gomma, olio di lino. Peso specifico: 0,865 - Intervallo eboll.: 136-142°C. - Conf 1 lt MALTE

E’ una calce idraulica con biancore eccezionale ottenuto dalla cottura a 1000°C. della pietra calcarea con circa il 10% di silice diffusa e, successivamente spenta in acqua, sufficiente ad idratare la calce viva senza decomporre i silicati formatisi in cottura. CALCE BIANCA LAFARGE Tempo di presa (AFNOR) inizio di presa: 2h 40’ - 4h fine di presa: 5h 20’ - 6h 20’ Resistenza a compressione: a 2 giorni = 27 kg/cm2 a 7 giorni = 41 kg/cm2 a 28 giorni = 78 kg/cm2 malta minerale a base calce per applicazioni a spessore/finitura. Malta pre-mix a base calce e inerti granulometricamente calibrati per ottimizzare la tessitura finale dell’impasto in tonalità neutra modifiVELATINO cabile con l’aggiunta di pigmenti e terre naturali. La finitura a frettazzo consente di ottenere una superficie leggermente scabra nella tipologia di molti edifici storici o rustici. Conf 25 kg Per infiltrazione e colata in muri decorsi. SAXA® MALTA Studiata specificamente per infiltrazione in muri a sacco, a base di DA INIEZIONE, calci naturali e fluidificanti selezionati. Conf. 20 Kg. Malta da iniezione a base di leganti idraulici speciali chimicamente stabili ed a bassissimo contenuto di sali solubili, inerti silicei, ardesia, pozzolana superventilata con una speciale combinazione di additivi LEIT - MALTA DA INIEZIONE fluidificanti, ritentivi ed aeranti. Idonea per interventi di riadesione al supporto murario di intonaci affrescati. Peso specifico: 1,02 kg/lt. Conf. 1, 15 Kg.

115

(segue) Malta da iniezione a bassissimo peso specifico (0,4 g/ml); bassissimo contenuto di sali solubili, pozzolana e perlite superventilata in comLEIT 01 - MALTA binazione con additivi fluidificanti, ritentivi ed aeranti. Idonea per DA INIEZIONE interventi di riadesione all’intradosso di volte affrescate e superfici musive. Conf. 1, 15 Kg. Malta da iniezione per interventi di consolidamento strutturale su volte in mattoni, colonnati in pietrame misto, strutture archeologiLEIT 03 - MALTA che, strutture murarie affrescate. Ottima penetrabilità, alta resiDA INIEZIONE stenza meccanica e assenza di efflorescenze anche in ambienti molto umidi. Peso specifico: 1,4 kg/lt. Conf. 1, 15 Kg. Legante idraulico ad elevata tixotropicità e potere adesivo, per la ricostruzione di parti mancanti, compatibile e miscelabile con calce e PLASTER ETX - LEGANTE pozzolana. Assenza di efflorescenze anche in ambienti molto umidi e buona colorabilità per aggiunta di terre o pigmenti in misura inferiore al 15% del totale. Conf. 1, 15 Kg. Idrato di calcio in dispersione, polveri di quarzo e marmo, acqua e GRASSELLO DI CALCE fluidificanti (inferiori allo 0,4%). Conf. kg 20 Idrato di calcio in dispersione, polveri di quarzo e marmo, acqua e fluidificanti (inferiori allo 0,4%). Caratteristica fondamentale di questa preparazione è carbonatare CALXNOVA® velocemente e completamente. Da questo deriva un aumento nella resistenza fisico-meccanica anche in presenza di cicli di gelo/disgelo. Basso contenuto di sali solubili. Indicato nel consolidamento di strati sottili in alternativa a resine sintetiche. Conf. 1, 15 Kg. RESINE ED EMULSIONI ACRILICHE

PRIMAL B60A

PRIMAL VOC-FREE

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originale ROHM and HAAS PRIMAL B-60 A trova impiego nel restauro come legante, consolidante ed adesivo per inerti e cariche, pigmenti e granulati di arenarie, marmo, cocciopesto; è utilizzato anche su cemento, calce, gesso, legno, carta, tessuti, etc. E’ caratterizzato da resistenza all’ingiallimento, grande compatibilità con i più diversi inerti, resistenza ai raggi U.V. ed agli agenti chimici, buona trasparenza, resistenza agli alcali, ottima stabilità della emulsione. Residuo non volatile 46-47% pH 9,4 - 9,9 Min. temp. per filmare 9°C. Conf. 1, 5, 15, 120 kg originale ROHM and HAAS Dispersione acrilica, originale ROHM and HAAS, sviluppata per formulare una gran varietà di rivestimenti. Combina la flessibilità a basse temperature richieste normalmente con la velocità di presa e la resistenza all’inglobare il particellato. Contenuto solido 55% pH 8,0-9,0 Peso specifico emulsione 1,04 Temperatura minima di filiazione 0°C. Tg -35°C conf da 1, 5, 15, 120 kg

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue)

PRIMAL WS 24

ACRILICA K6 ACRILICA

MACROEMULSIONE ACRILICA

MICROEMULSIONE ACRILICA

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

PRIMAL E-330S

Originale ROHM and HAAS Dispersione acquosa di un polimero acrilico appositamente studiato per migliorare gli impasti a base di malte per restauro. Conferisce a questi un più veloce indurimento in superficie, un miglioramento nelle caratteristiche fisiche e chimiche (tenacità, durezza, durata nel tempo, resistenza agli agenti chimici, all’abrasione, alla trazione, alla compressione, alla flessione, all’impatto e agli effetti del gelo), oltre ad aumentarne l’adesività su cemento, mattoni, legno, metalli e altri materiali. Contenuto non volatile 47±0,5% Conf. da 1 - 5 – 15 - 120 kg Originale ROHM and HAAS Dispersione acquosa di un polimero acrilico di dimensioni particolarmente piccole che facilitano la penetrazione nei materiali lapidei Contenuto solido 36% Conf. da 1 - 5 – 15 - 120 kg È un reticolante acrilico reattivo che, attivato dall’elevato pH tipico negli impasti cementizi, è in grado di produrre malte e masselli caratterizzati da: - Rapido sviluppo della resistenza meccanica., resistenza agli agenti atmosferici. - Aumento la resistenza all’abrasione e ottima adesione su supporti vecchi e nuovi. Viscosità: < 1000 m.Pa.s (Brookfield RTV 3/20 a 25° C) Contenuto attivo: 54 - 56% pH: 4.0 - 7.0 Misura media delle particelle: 0,34 um Temp. minima filmazione: 14 °C Tg: 13 ° C (temperatura transizione vetrosa) Emulsione acrilica di recentissima formulazione, con caratteristiche estremamente interessanti per l’impiego nel restauro, conf da 1, 5, 15, 125 kg Microemulsione acrilica innovativa, con particelle nell’ordine di 60µ con un grado di penetrazione inimmaginabile per le emulsioni normali, che porta ad un vero e proprio consolidamento in profondo. Conf da 1, 5, 15, 125 kg

PULITURA A IMPACCHI Il metodo degli impacchi o compresse per la pulitura di superfici lapidee o affrescate basa la sua efficacia sul potere adsorbente dei supportanti (sepiolite, polpa di cellulosa, carbossicellulosa) e di sostanze capaci di ammorbidire i diversi tipi di sporco: tensioattivi, complessati, etc

POLPA DI CELLULOSA

Miscela di fibre di cellulosa a varia lunghezza (da 200 a 1000 A), da utilizzare come supportante in impacchi pulenti per affreschi e lapideo in genere. Completamente atossiche ed innocue, non sono solubili in acqua e in solventi organici, resistono agli acidi deboli ed agli alcali. Ottima capacità di trattenere liquidi. Conf. 1 - 20 Kg

117

(segue) Argilla ad altissimo adsorbimento di acqua che però non rigonfia. CoMolto utilizzata come supporto per impacchi per la pulitura di superfici lapidee anche in miscela con polpa di cellulosa SEPIOLITE Peso specifico: 2,4 Assorbimento acqua: 110-130% pH (sospensione 10%): 8 ± 0,2 Conf 20 kg Agente sequestrante ha la proprietà di formare, con gli ioni dei metalli, composti di coordinazione molto solubili e stabili, mascheEDTA BISODICO ACIDO randone quindi la presenza in soluzione. I principali metalli che può ETILENDIAMINOTETRAcaptare sono, in ordine di affinità, i seguenti: calcio; potassio; sodio; CETICO cromo; nichel; rame; piombo; zinco; cobalto; manganese; magnesio. SALE BISODICO Nella pratica il sale bisodico si differenzia dal tetrasodico per la migliore solubilità in acqua. Conf. 1 - 5 - 25 kg EDTA TETRASODICO

Polvere bianca inodore. ACIDO ETILENDIAMINOCome EDTA Bisodico ma meno solubile in acqua. TETRACETICO Conf. 700 gr - 5 - 25 kg SALE TETRASODICO Utilizzato per la rimozione mediante impacchi di tracce di sali di SODIO ESAMETAFOSFATO rame e sue ossidazioni. (NaPO3)6 Conf. 1, 5 kg. Una soluzione satura di ossalato di ammonio genera uno strato protettivo, sottile ma omogeneo, di ossalato di calcio insolubile anche in AMMONIO OSSALATO ambiente acido, traspirante e di colore trasparente. La reazione (NH4)2C2O4 avviene grazie alla trasformazione del carbonato di calcio superficiale in ossalato di calcio. Nel caso sia presente gesso, il reattivo esercita anche un’efficace azione desolfatante. Conf. 1, 5 Kg. Formulato desolfatante a base di resine a scambio ionico non solubile in acqua, costituito da una polvere asciutta, scorrevole, facilmente addizionabile all’acqua, in modo da ottenere una pasta della consistenza richiesta da applicare alla superficie lapidea da RESINE A SCAMBIO IONICO pulire. Il trattamento desolfatante può essere effettuato su opere DESOLFATANTE 90 d’arte e particolari architettonici costituiti in materiale lapideo in genere (intonaci, affreschi, etc.) esposti ad azioni atmosferiche degradanti. Su superfici dipinte occorrerà intervenire previa opportuna indagine analitica. Conf. 1, 2, 5 kg. Preparato per impacchi a base di resina cationica, pulitore per la rimozione controllata di scialbi a calce su affreschi, materiali lapidei DESCIALBANTE 90 delicati, opere d’arte e particolari architettonici degradati. Su superfici dipinte occorrerà intervenire previa opportuna indagine analitica. Conf. 1, 2, 5 Kg.

118

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue) PRODOTTI BIOCIDI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Tecnico, 50% sali d’ammonio quaternario, base per la maggioranza di disinfettanti, ma anche potente fungicida e alghicida.Viene impiegato per la disinfezione e pulizia di superfici in vetro, ceramica, marmo, metalli, gomme naturali sintetiche, fibre tessili, carta e anche per la disinfezione di locali. Nel restauro si usa diluito in acqua allo 0,5-2% ossia 5-20 ml per litro. BENZALCONIO CLORURO Impiegato al 2% permette di devitalizzare fioriture fungine ed algali su materiali lapidei. La sua azione non controlla però nel tempo la microflora e viene consigliato, a restauro finito, un trattamento a solvente che permane attivo per alcuni anni. Può esser aggiunto a tensioattivi non ionici per avere anche effetto detergente. I materiali trattati devono venir lasciati asciugare naturalmente. COPOLIMERI FLUORURATI I copolimeri fluorurati sono l’unico vero esempio di prodotto perfettamente reversibile anche dopo decenni dalla applicazione; trovano impiego nel restauro come protettivi-aggreganti superficiali e come leganti di stucchi elastici. PROTETTIVO FLUORURATO E AGGREGANTE SUPERFICIALE PER PIETRE POROSE

LEGANTE FLUORURATO PER RICOSTRUZIONE REVERSIBILE DI PARTI MANCANTI

Protettivo idro e oleorepellente con caratteristiche di aggregante superficiale a base di elastomero fluorurato (copolimero vinilidene floruroesafluoro-propene). Il prodotto mantiene costanti nel tempo le sue caratteristiche chimico-fisiche, assicurando una protezione costante contro l’invecchiamento oltre alla reversibilità del trattamento. Conf. 1, 5, 25 lt. Legante incolore elastomerico per stuccature con lo stesso materiale oggetto del restauro. Dotato di notevole elasticità alle dilatazioni, isola in maniera efficace la fessura o rottura da stuccare. L’ elevata inerzia chimica anche verso aggressivi molto energici, la stabilità termica ed alle radiazioni, oltre alla permeabilità all’aria e alla reversibilità in acetone anidro, lo rendono particolarmente adatto su supporti lapidei. Conf. 1, 5 lt

ANTIGRAFFITI La lotta contro i graffiti vandalici è diventata non solo in Italia, ma nell’intera Europa, una necessità primaria. Da qui lo sviluppo di prodotti sempre più efficaci.Tuttavia spesso la porosità della pietra rappresenta il vero ostacolo contro l’azione pulitrice e protettrice.

ANTIGRAFFITI® CONCENTRATO SPECIFICO CONTRO SCRITTE VANDALICHE

Protettivo superficiale a base di alchil fluoro silano funzionale, diluibile in acqua, senza solventi. Impedisce agli inchiostri, ed ai solventi che li veicolano, di essere assorbiti dai pori della pietra o dell’intonaco. Resistente ai raggi UV, non origina solventi (VOC) durante l’applicazione. Usi: calcestruzzo, arenaria, pietra naturale, mattone, cotto, ceramica, intonaco. Conf. 1, 5 lt. Altri prodotti simili, sempre a base di alchil fluoro silano funzionale diluito in acqua, senza solventi. Impedisce agli inchiostri ed ai solventi che li veicolano di essere assorbiti dai pori della pietra o dell’intonaco. Resistente ai raggi UV, non origina solventi (VOC) durante l’applicazione. Usi: calcestruzzo, arenaria, pietra naturale, mattone, cotto, ceramica, intonaco.

119

(segue) CONSOLIDANTI

SILICATO DI ETILE

120

Il silicato di etile o estere etilico dell’acido silicico è un consolidante organico per materiali lapidei. Il silicato di etile deriva storicamente dai consolidanti inorganici alcalini di sodio e di potassio usati nella prima metà dell’ottocento, chiamati “waterglass” responsabili di numerosi danni al patrimonio monumentale. I parametri che stabiliscono l’idoneità d’impiego sono forniti dalle raccomandazioni NORMAL 20/85 e sono: A) Non provocare la formazione di sottoprodotti secondari dannosi. B) Venire uniformemente assorbito dalla pietra e raggiungere il nucleo sano collegando la parte alterata con la parte non disgregata o decoesa della pietra. C) Presentare un coefficiente di dilatazione termica vicino a quello del materiale trattato per non esser causa di fessurazioni o sgretolamenti D) Buona penetrabilità al vapore E) Assenza di variazioni cromatiche superficiali, formazione di pellicole lucide o macchie biancastre, stabilità all’ingiallimento causato dalla luce. F) Resistenza ad agenti chimici-biotici. G) Assenza di superfici appiccicose Preparato in genere, a base di esteri etilici dell’acido silicico al 70% di materia attiva, che utilizza come solvente alcool isopropilico, solvente considerato tra i meno tossici e più ecologici. A reazione completata non altera il tono del colore; privo di catalizzatori acidi; ottima penetrazione, non dà origine a film ed è permeabile ai gas. Ultimamente, nei prodotti per il restauro lapideo, si è andati verso una modifica ai composti tradizionali a base di esteri etilici dell’acido silicico mediante l’inserimento di speciali gruppi organici che conferiscono una buona elasticità al prodotto. Risponde ai seguenti requisiti indispensabili: non tossico, di facile e sicuro impiego, senza catalizzatori acidi; ottimale penetrazione nel supporto da trattare senza formazione di film e buona permeabilità ai gas.

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

CAPITOLO 4

4.1

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

IL RISCHIO CHIMICO NEL CANTIERE DI RESTAURO Il rischio chimico generico

Materiali specifici ma anche pericolosi. Mai come oggi il termine chimica è stato sinonimo di pericolo. In questo contesto, direi sia quasi naturale dedicare un capitolo al rischio chimico. Le cause principali degli incidenti in generale sono molteplici tuttavia possono essere sostanzialmente ricondotte alle seguenti: 1) scarsa conoscenza; 2) distrazione; 3) troppa sicurezza; 4) incoscienza. In relazione ai punti 2 e 3 si rammenti bene che, soprattutto quando si compiono delle azioni ripetitive ed apparentemente noiose, anche se si stanno adoperando sostanze ed apparecchiature pericolose, si tende ad abbassare il proprio livello di attenzione ed a sopravvalutare le proprie capacità ed esperienza. Nella manipolazione di sostanze chimiche, le principali fonti ed i tipi di pericolo più comuni ai quali si può andare incontro, se non si prestano le dovute attenzioni e non si opera con le opportune cautele sono i seguenti:

121

Tab. 4.1 FONTI DI PERICOLO

manipolazione di reattivi chimici

TIPO DI PERICOLO

avvelenamenti ed intossicazioni anche mortali, esplosioni, ustioni, ustioni e ferite agli occhi, eritemi della pelle, allergie, corrosioni della strumentazione e degli indumenti,...

uso di apparecchiature in vetro (vanno usati quindi in cantiere contenitori in esplosioni, ferite da taglio, schegge, ustioni,... plastica laddove possibile) uso di apparecchiature elettriche

4.2

scosse, incendi, ustioni, stato di shock,...

Definizioni

Agenti chimici: tutti gli elementi e composti chimici, o loro miscugli, in condizioni naturali o non, utilizzati o presenti a qualunque titolo, in una qualsiasi attività lavorativa (sono compresi i prodotti commerciali). Agenti chimici classificati come sostanze pericolose ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52 e agenti chimici classificati come preparati pericolosi ai sensi del decreto legislativo 16 luglio 1998, n. 285, quali: a) comburenti: sostanze e preparati che a contatto con altre sostanze, soprattutto se infiammabili, provocano una forte reazione esotermica. b) infiammabili: sostanze e preparati liquidi con un basso punto di infiammabilità; c) tossici: sostanze e preparati che, in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, in piccole quantità, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche; d) nocivi: sostanze e preparati che, in caso di inalazione, ingestione o assor-

122

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

bimento cutaneo, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche; QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

e) corrosivi: sostanze e i preparati che, a contatto con i tessuti vivi, possono esercitare su di essi un’azione distruttiva; f) irritanti: sostanze e preparati non corrosivi, il cui contatto diretto, prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una reazione infiammatoria; g) sensibilizzanti: sostanze e preparati che, per inalazione o assorbimento cutaneo, possono dar luogo ad una reazione di ipersensibilizzazione per cui una successiva esposizione alla sostanza o al preparato produce reazioni avverse caratteristiche; h) pericolosi per l’ambiente: sostanze e preparati che, qualora si diffondano nell’ambiente, presentano o possono presentare rischi immediati differiti per una o più delle componenti ambientali. Vi sono poi: Agenti cancerogeni: sostanze e/o preparati che, per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono provocare il cancro o aumentarne la frequenza; sono contrassegnati con le frasi di rischio (R 49 - R 45 - R 40). Mi spiego meglio. Le categorie a livello internazionale, prevedono l’inclusione delle sostanze in 3 diverse categorie, in rapporto alla minore o maggiore evidenza di potenzialità cancerogena: ●

categoria 1: sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo;



categoria 2: sostanze che dovrebbero essere considerate cancerogene per uomo;



categoria 3: sostanze da considerare con sospetto per i possibili effetti cancerogeni sull’uomo e per le quali tuttavia i dati disponibili sono insufficienti per procedere a una valutazione compiuta.

Per le sostanze classificate in categoria 1 e 2 si usa il simbolo T+ e la frase di rischio R 45 “può provocare il cancro” o R49 per quelle sostanze che presentano rischio cancerogeno soltanto per inalazione (polveri, vapori, nebbie, fumi) T+ R 45 “può provocare il cancro” R49 “può provocare il cancro per inalazione”

123

Per le sostanze classificate in categoria 3 si usa il simbolo Xn e la frase di rischio R40

Xn R40 “possibilità di effetti irreversibili”

Agenti mutageni: sostanze e/o preparati che, per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne la frequenza (R 46)1.

4.3

Stoccaggio degli agenti chimici pericolosi

Di seguito vengono riportati alcune fondamentali regole in materia di sicurezza per agenti chimici pericolosi: 1. Tutti i prodotti e/o agenti chimici devono essere conservati nelle confezioni originali. 2. Qualora sia necessario travasare un agente chimico, il recipiente deve essere etichettato in modo tale da riportare le indicazioni presenti sul contenitore originale e che queste siano leggibili anche a distanza di tempo. 3. Tutti recipienti contenenti agenti chimici devono essere accuratamente etichettati, sulle etichette devono essere riportate tutte le indicazioni obbligatorie per legge (nome della sostanza, pittogrammi, frasi di rischio R, consigli di prudenza S, indicazioni relative al fornitore e massa o volume del contenuto) 4. Tutti gli agenti chimici presenti nei laboratori/servizi devono essere corredati della apposita scheda dati di sicurezza, conservata in luogo noto ed accessibile a tutti coloro che operano in laboratorio/servizio. 5. Lo stoccaggio deve rispettare le condizioni riportate sulla schede di sicurezza dello specifico agente chimico; è quindi necessario acquisire tali schede prima di acquistare gli agenti chimici, richiedendole al fornitore o consultando su internet banche dati2. 6. Non si devono mescolare fra loro agenti chimici diversi se non si è certi della loro compatibilità (vedi Tabelle più avanti). 1. Trovate su internet l’elenco delle frasi di rischio R e dei consigli di prudenza S. 2. Ad esempio www.unitn.it/ateneo/organ_gestione/rischio_chimico.htm (Sezione: Informazioni prodotti Chimici – Banca dati Schede di Sicurezza).

124

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

7. Nelle zone di manipolazione delle sostanze possono essere presenti solamente quantitativi di agenti chimici necessari all’attività in corso. QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

8. Gli agenti chimici pericolosi, non utilizzati per l’attività in corso, devono essere conservati in armadi di sicurezza). 9. I contenitori degli agenti chimici devono essere sempre richiusi dopo l’uso e riposti negli appositi armadi o scaffali. 10. Periodicamente, deve essere verificata l’integrità dei contenitori per evitare perdite e diffusioni di sostanze pericolose nell’ambiente. 11. Durante la movimentazione dei contenitori, essi devono essere chiusi e gli operatori devono indossare guanti adeguati alla pericolosità dell’agente chimico. 12. Gli agenti chimici pericolosi non devono essere stoccati: sul pavimento, sui banchi di lavoro. 13. Deve essere disponibile il materiale per l’assorbimento e la neutralizzazione di eventuali versamenti, così come indicato nelle Schede di Sicurezza dei prodotti. 14. In un cantiere, non sono presenti in genere cappe di aspirazione, le manipolazioni delle sostanze vanno effettuate in ambienti ventilati.

4.4

Prodotti chimici nel settore dell’edilizia e del restauro

Una buona metà dei preparati (prodotti contenenti più sostanze chimiche) utilizzati in edilizia sono classificati come pericolosi ai sensi della L. 256/74 e successive modificazioni ed integrazioni: questo è quanto risulta dall’analisi delle schede informative predisposte nel 1997 da una delle maggiori aziende italiane che producono materiali per l’edilizia. Sono classificati come pericolosi, con frasi di rischio (R) e raccomandazioni di prudenza (S) che variano secondo le tipologie dei prodotti stessi, preparati appartenenti a questi gruppi merceologici: Tab. 5.1 ACCELERANTI

per malte cementizie

ADDITIVI:

agenti espansivi per calcestruzzi miscele di additivi per cemento

ADESIVI:

epossidici, neoprenici in solventi, resine sintetiche in alcool, polimeri sintetici in solvente

AGENTI ANTI-GELO

per malte cementizie

APPRETTI

epossidici in solvente, appretti in solvente, resine sintetiche in dispersione acquosa

CEMENTI

cemento-bituminosi 125

(segue) Tab. 5.1 DILUENTI PER ADESIVI

diluenti a base di solventi organici

IMPREGNANTI

a base di resine silossaniche

IDROREPELLENTI

siliconici in soluzione acquosa

IDROFUGHI

per malte cementizie

INDURENTI

per adesivi e sigillanti epossi-poliuretanici

INDURITORI

per massetti cementizi

LATTICI

di gomma sintetica per massetti e rasature

RESINE

epossidiche per iniezioni

SIGILLANTI

epossi-poliuretanici, a base di epossi-catrame

SVERNICIANTI

a base di solventi speciali

VERNICI

protettive in solvente, protettive epossi-bituminose

Alcune aziende produttrici di materiali per l’edilizia hanno predisposto e mettono a disposizione schede informative conformi al modello “europeo” della scheda dei dati di sicurezza (cfr. D.M. 28/1/1992 Ministero della Sanità) anche per i preparati che non sono classificati come pericolosi. La grande maggioranza dei preparati e delle sostanze chimiche in effetti, anche se non sono classificati come pericolosi, richiedono comunque precauzioni per la manipolazione, lo stoccaggio, lo smaltimento dei residui, etc.; nelle schede di sicurezza sono date chiare indicazioni in proposito. Prodotti a rilevante rischio chimico, se ne impiegano spesso nel campo del restauro.

4.5

Alcune miscele in uso nel restauro3

Tab. 5.2 MISCELA

COMPONENTI

2A

ACQUA - AMMONIACA

3A

ACQUA – ACETONE - ETANOLO

4A

ACQUA – AMMONIACA –ETANOLO - ACETONE

AB

ACQUA - BUTILAMMINA

ABD

ACQUA - BUTILAMMINA DIMETILFORMAMMIDE (DMF)

BENZINA 80-100°C

IDROCARBURI

DILUENTE NITRO

ESTERI CHETONI ALCOLI IDR. AROMATICI

3. Fonte ICR

126

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue) Tab. 5.2 MISCELA

COMPONENTI

DIMETILFORMAMMIDE - AMILE ACETATO

DAN

DMF - AMILE ACETATO - DILUENTE NITRO

DIDAX

DMF - DIL. SINTET. – XILENE - ACETONE

ETERE DI PETROLIO

IDROCARBURI

WHITE SPIRIT

IDROCARBURI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

DA

Molto affollata è la famiglia dei solventi. Tra questi, ma è bene conoscere sempre le caratteristiche di tossicità di tutti quelli che si utilizzano, ricordiamo:

Tab. 5.3 SOLVENTE

EFFETTI

ammine alifatiche (butilammina)

asma - dermatiti

benzene

cancerogeno. midollo osseo

benzina rettificata

cancerogeno [se benzene>0,1%]

cloroformio

lesioni epatiche e renali

diluente nitro

cancerogeno [se benzene>0,1%]

dimetilformammide

possibilmente cancerogeno

essenza di petrolio

cancerogeno [se benzene>0,1%]

essenza di trementina

eczema. lesioni renali

formalina 40% (formaldeide)

probabilmente cancerogeno

metilene cloruro

indicazioni di cancerogenecita.

tricloroetilene (trielina)

puo. dare effetti irreversibili

molti solventi quali, ad esempio, acetone, etere etilico, toluene, xilene possono: - passare attraverso la pelle integra e provocare dermatiti o sensibilizzazioni perché rimuovono le sostanze grasse presenti - provocare problemi agli occhi (congiuntiviti).

9

L’uso delle lenti a contatto durante l’impiego di solventi organici è estremamente pericoloso per i vapori che possono interagire con il materiale delle lenti stesse.

127

Avvertenze nell’uso di solventi infiammabili o combustibili 1) non avvicinare fiamme o provocare scintille 2) non fumare 3) ventilare l’ambiente 4) disporre di estintori idonei 5) protezione contro formazione di cariche elettrostatiche, percussioni o impatti violenti

4.6

Scheda di sicurezza

I PRODOTTI CHIMICI ACQUISTATI DEVONO ARRIVARE CORREDATI DI: SCHEDA DI SICUREZZA La scheda di sicurezza va letta necessariamente prima dell’uso4. La conseguenza di questa operazione è che può portare a salvare anche vite umane. È composta da 16 voci informative, la cui struttura è recentemente cambiata, ma complessivamente abbiamo le seguenti: DESCRIZIONE SINTETICA

SPECIFICA

1 Identificazione: 2 Informazione sui componenti 3 Indicazione pericoli 4 Primo soccorso 5 Misure antincendio 6 Fuoriuscita accidentale 7 Manipolazione/Stoccaggio 8 Esposizione e prot. ind. 9 Proprietà chimico-fisiche 10 Stabilità/Reattività 11 Effetti tossicologici 12 Informazioni ecologiche 13 Smaltimento 14 Trasporto 15 Classificazione 16 Informazioni supplementari

a) Denominazione prodotto b) Generalità ditta e responsabile; Identificazione univoca delle sostanze; Rischi per salute e ambiente; Misure necessarie in caso di necessità/chiamata medico; Mezzi ed equipaggiamento necessari, eventuali rischi; Precauzioni individuali/ambientali, metodi di rimozione; Precauzioni e accorgimenti individuali e ambientali; DPI (maschere/filtri, occhiali, guanti, creme...); Stato (solido, liquido, gas), odore, pH, Teb/Tfus, FP,PV,d,...; Fattori accidentali e sostanze da non porre a contatto; Vie di assorbimento, sintomi, tossicità, cancerogenità; Impatto sull’ambiente degradabilità, accumulo, ozono; Manipolazione residui rischiosi, metodi di smaltimento; Precauzioni e raccomandazioni; imballaggio ed etichettatura; Data emanazione scheda, restrizioni d’uso, fonti;

4. Un esempio di scheda di sicurezza, quella di un prodotto usato nel campo del restauro, il benzalconio cloruro è riportata in appendice

128

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

4.7

Tossicità dei solventi organici

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Effetto generale a dosi elevate: narcosi (almeno in teoria, i solventi sono tutti anestetici), altri effetti generali sono la perdita di coordinazione, incapacità di concentrarsi, calo delle funzioni motorie e/o intellettive… In genere l’organo bersaglio è il sistema nervoso centrale (SNC) e periferico (ma anche fegato e reni). Però l’effetto specifico dipende dal singolo solvente Es: il benzene causa tossicità emopoietica, omologhi del benzene causano depressione del SNC, etanolo e tetracloruro di carbonio causano danno epatico, metanolo causa cecità, eteri etilen-glicolici causano tossicità riproduttiva Il danno è spesso causato da esposizione ripetuta a livelli tollerabili del solvente Elementi di misura: 1) TLV-TWA5 (Time Weight Average, cioè Media Ponderata nel Tempo) valore medio ponderato su 8 ore di lavoro in 5 giorni/settimana; 2) TLV-STEL (Short Time Exposition Level, cioè Limite per Breve Tempo di Esposizione) valore medio ponderato per esposizione su breve periodo: 15 min; 3) TLV- C6 (Ceiling, cioè letteralmente “soffitto”), è la concentrazione che non deve essere superata neppure istantaneamente. A causa, infatti, della notevole variabilità della sensibilità individuale, una piccola percentuale di lavoratori può avere dei danni anche in presenza di concentrazioni inferiori al valore limite. Alcuni individui possono essere inoltre ipersuscettibili a talune sostanze in conseguenza di fattori genetici, età, abitudini personali (fumo, alcool, altre droghe), cure mediche o esposizione pregresse. I criteri con cui sono stabiliti i TLV sono relativi all’esperienza ricavata in campo industriale, ai risultati e ricerche sperimentali sugli animali e sull’uomo, e alla combinazione di questi elementi. E’ da ricordare come una parte di 5. I cosiddetti Valori Limite di Soglia (TLV) vengono annualmente forniti dall’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygenist) e sono tradotti in Italia a cura dell’AIDII (Associazione Italiana degli Igienisti Industriali). Sono inoltre disponibili valori limite (OELs) definiti da un Comitato Scientifico Europeo 6. Esiste anche una grandezza chiamata IDLH (Immediately Dangerous to Life and Health, cioè Pericolo Immediato per la Vita e la Salute), che rappresenta la massima concentrazione che un lavoratore può sopportare per 30 minuti prima di subire danni irreversibili. In altre parole è il livello di concentrazione da cui è possibile fuggire. Chiaramente il rischio aumenta al diminuire dell’IDLH. Tale indice è definito come il rapporto tra la concentrazione pericolosa per esposizioni brevi (CP) e la capacità della sostanza a diffondersi nell’ambiente (V).

129

questi studi sono informazioni non pubblicate di fonte aziendale. Questi limiti devono pertanto essere utilizzati in igiene industriale come orientamenti o raccomandazioni per la prevenzione dei rischi per la salute e non possono essere impiegati per altri fini, e non costituiscono una linea di demarcazione netta fra la concentrazione sicura e pericolosa, ne un indice relativo di tossicità. Quando siamo in presenza di più sostanze occorre calcolare un effetto additivo mediante la somma di diverse frazioni relative alle varie sostanze presenti: Ci Cn ----------- + … + ------------ > 1 TLV i TLV n Quando la somma delle diverse frazioni supera l’unità il limite della miscela si considera superato. Questo risultato tuttavia non tiene conto dell’effetto sinergico negativo che si può avere anche tra sostanze ritenute ciascuna poco nociva o addirittura innocua.

conversione tra ppm e mg/m3 e viceversa

( ( mg ) ⁄ m 3 ) 24 ,45 ppm = --------------------------------------------------PM

Le concentrazioni si esprimono in: - ppm (parti per milione, ml/m3) - mg/m3

con PM peso molecolare della sostanza

Tossicità sostanze a breve termine Tab. 5.4 MODALITA’ DI ASSUNZIONE CLASSE SOSTANZA

orale (ratto) DL50 (a) (mg/kg)

cutanea (ratto o coniglio) DL50 (mg/kg)

inalatoria (ratto) CL50(mg/kg/4ore)

NOCIVA

200-2000

400-2000

2-20

TOSSICA

25-200

50-400

0.5-2

*25

*50

*0.5

MOLTO TOSSICA

DL Dose Letale – CL Concentrazione Letale (a) DL50: dose minima - per via orale o cutanea - che procura il decesso del 50% delle cavie CL50: concentrazione nell’aria che procura decesso del 50% delle cavie per inalazione

La tossicità di una sostanza può essere espressa con diversi indici, a seconda delle modalità di penetrazione nell’organismo: nel caso di penetrazione per ingestione o contatto cutaneo, viene utilizzata la DL50 (Dose Letale 50%) che, per definizione, esprime la dose che somministrata una sola volta provoca la morte del 50% degli animali di laboratorio, in un periodo di osservazione di 2 settimane. La tossicità si esprime in mg di so130

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

stanza per Kg di peso corporeo.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

La tossicità di sostanze che penetrano nell’organismo per inalazione è misurata dall’indice CL50 (concentrazione letale 50%) espresso in mg/m3 e riferito ad una esposizione di 4 ore. Anche in questo caso si valuta la concentrazione in grado di determinare la morte del 50% degli animali di laboratorio esposti. Tab. 5.2 - Livello di tossicità di una ipotetica sostanza chimica, secondo la sua DL50. DL50 NELL’ANIMALE

GRADO DI TOSSICITÀ

PROBABILE DL NELL’UOMO

< 5 mg/Kg

Estremamente tossico

Una goccia

5-50 mg/Kg

Altamente tossico Molto tossico

≈ cucchiaino da caffè ≈ cucchiaio da tavola

0,5-5 g/Kg

Moderatamente tossico

35 ml

5-15 g/Kg

Leggermente tossico

≈ litro

> 15 g/Kg

Praticamente non tossico

> un litro

50-500 mg/Kg

ESEMPI DI SOSTANZE TOSSICHE

BENZENE (BENZOLO) Caratteristiche Ottimo solvente (grassi, resine, essenze, mastici, gomme, vernici), estremamente volatile, capostipite serie idrocarburi aromatici. In passato largamente impiegato (oggi è proibito in percentuale superiore al 2%) soprattutto nell’industria calzaturiera, della gomma e rotocalcografica. Cancerogeno riconosciuto per l’uomo (Classe A1 IARC). Inquinante ubiquitario (attuale obbiettivo benzene urbano: 10 mcg/m3) Assorbito per via inalatoria e cutanea TLV-TWA è stato progressivamente ridotto: da 10 ppm (32 mg/m3) a 0,5 ppm (1.6 mg/m3) TLV-STEL = 2.5 ppm (8 mg/m3) Tossicità acuta: SNC, sintomi irritativi (cefalea, vertigini, tremori) e poi narcotici (coma, morte). Tossicità cronica: sistema linfoemopoietico (anemia aplastica, normocromica di tipo rigenerativo, leucopenia e alterazioni piastriniche, ipoplasia midollare), mediata da azione citostatica diretta e azione mielotossica 131

metaboliti. Esposizione intensa e prolungata provoca emopatia benzolica mortale (atrofia mieloide aplastica, fino a leucemia acuta, o atrofia mieloide acuta).

Stirene (Vinilbenzene): irritazioni mucose e congiuntive, narcosi centrale, danno epatico

Terapia: allontanamento dall’esposizione. Tossicità di alcune sostanze aromatiche (molto usate nel campo del restauro)

o, m, p Xileni (miscela isomerica): irritazioni mucose e congiuntive, narcosi centrale

TLV-TWA = 100 ppm (434 mg/m3) TLV-STEL = 150 ppm (651 mg/m3)

TLV-TWA = 20 ppm (85 mg/m3) TLV-STEL = 40 ppm (170 mg/m3), irritante, neurotossico

Toluene: lievi forme di anemie e leucopenia, reversibili; irritazioni mucose e congiuntive, narcosi centrale

TLV-TWA = 50 ppm (188 mg/m3)

ALCOLI Etanolo (CH3CH2OH) Assorbimento controllato dalla quantità di cibo; tolleranza nei bevitori Azione come anestetico generale (depressione SNC7), ma ha valenza anche alimentare A dosi basse: effetti comportamentali (perdita inibizioni, socievolezza, riduzione acuità visiva, gusto e tatto, sonno). A dosi più alte: riduzione acuità visiva, calo sensibilità, scarsa coordinazione muscolare, sonnolenza. Malattia alcoolica epatica: steatosi, cirrosi (effetto diretto o influenza effetti nutrizionali). Co-cancerogenesi: A1 IARC (tumori cavità orali, faringe, laringe, esofago). Effetto teratogeno (Fetal Alcohol Syndrome): quadro clinico caratterizzato da deficit mentale, microcefalia, scarsa coordinazione muscolare.

7. Sistema Nervoso Centrale

132

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Metanolo (CH3OH) Azione generale come anestetico generale (depressione SNC).

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Tossicità sito-specifica e specie-specifica a dosi elevate: cecità (danno sulla retina mediato da acidosi metabolica e accumulo acido formico). TLV-TWA = 200 ppm (262 mg/m3) TLV-STEL = 250 ppm (328 mg/m3), neuropatico, tossicità oculare, SNC

IDROCARBURI ALIFATICI ALOGENATI8 Diclorometano (cloruro di metile) CH2Cl2 Effetto epatotossico ed epatocancerogeno negli animali (attivazione metabolica). TLV-TWA = 50 ppm (103 mg/m3) TLV-STEL = 100 ppm (207 mg/m3), tossicità renale, SNC, riproduttiva

Cloroformio (triclorometano) CHCl3 Assorbito per via inalatoria (anestetico, solvente). Tossicità epatica (necrosi) e renale, aritmizzante cardiaco (fibrillazioni ventricolari). Effetti anche a dosi subnarcotiche ripetute nel tempo. Cancerogeno per l’animale (IARC). TLV-TWA = 10 ppm (49 mg/m3)

Tetracloruro di carbonio (tetraclorometano) CCl4 Assorbito per via inalatoria o cutanea (solvente, parassiticida, estintori). Accumulo nel tessuto lipidico (alterazioni tossiche ritardate a carico di fegato e reni). Epatite tossica (necrosi) mediata da radicali dell’ossigeno, fino ad atrofia giallo-acuta e morte.Nefrosi tossica fino a insufficienza renale acuta ed esito mortale TLV-TWA = 5 ppm (31 mg/m3) TLV-STEL = 10 ppm (63 mg/m3), tossicità epatica, tumore (A2)

8. Sono cioè quegli idrocarburi a catena lineare in cui uno o più atomi di idrogeno sono sostituiti da uno o più atomi di elementi del settimo gruppo del sistema periodico degli elementi (cloro, bromo, …)

133

Cloruro di vinile (CVM) CH2=CHCl Assorbito per via inalatoria o cutanea (polimeri). Cancerogeno epatico umano (A1): angiosarcoma epatico. TLV-TWA = 1 ppm (2.6 mg/m3)

IDROCARBURI ALIFATICI n-esano CH3(CH2)4CH3 Assorbito per via inalatoria (calzaturifici). Ha sostituito il benzene a partire dagli anni ‘60.Neurotossicità mediata da n-esano e metaboliti (2-esanolo, 2,5 esandiolo, 2,5 esandione) TLV-TWA = 50 ppm (176 mg/m3)

Solfuro di carbonio (CS2) Ottimo solvente: per olii, grassi, resine ed essenze. Impiego nell’industria di cellulosa e gomma (vulcanizzazione a freddo), tessile (fibre artificiali, metodo della viscosa), solvente di laboratorio.Assorbito per via inalatoria TLV-TWA: 10 ppm (31 mg/m3) Azione sul SNC (sistema serotoninergico) Solfocarbonismo acuto: vertigini, ansia, insonnia, fino a sintomi psicotici (delirio, crisi di agitazione psicomotoria). Non esistono terapie specifiche

4.8

Calcolo tossicità

Riportiamo di seguito, alcuni problemi relativi al calcolo delle concentrazioni tossiche di alcune sostanze.

PROBLEMA n. 1 Il TLV-TWA della di butilammina è di 15 mg/m3. Quanti g di butilammina devono evaporare in un ambiente di 5 m x 4 m x 3 m per raggiungere il TLV-TWA? Soluzione: volume ambiente= 5mx4mx3m = 60 m3 15 mg: 1m3 = X mg: 60 m3 3

15mg ⋅ 60m X = --------------------------------- = 900mg = 0.9mg 3 1m 134

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

PROBLEMA n. 2 (problema legato a quello precedente) La densità della butilammina è pari a 0,740 g/ml. Qual è il volume di solvente che deve evaporare per raggiungere il TLV-TWA? Soluzione: 0,740 g : 1 ml = 0,9 g : x 1ml ⋅ 0.9g X = --------------------------- = 1.22ml 0.740g

PROBLEMA n. 3 Esempio applicativo: conversione del TLV-TWA da ppm a mg/m3 e viceversa Due solventi A e B - con parametri di solubilità simili, presentano in tabella valori di TLV-TWA in due unità di misura diverse -

solvente A (pm= 100): TLV-TWA pari a 125 ppm

-

solvente B (pm= 150): TLV-TWA pari a 175 mg/m3

domanda: quale dei due risulta meno tossico in base ai TLV-TWA? Soluzione: Risposta: trasformo la soglia di B in ppm 3

3

( mg ) ⁄ ( m ) 24.45 ) ( 175mg ) ⁄ ( m ) 24.45 ) ppm = ----------------------------------------------------- = ---------------------------------------------------------------- = 28, 5ppm PM 150 con PM peso molecolare della sostanza oppure avremmo potuto trasformare i ppm di A in mg/m3 come di seguito riportato. PM 125ppm 100 mg/m3 = ppm -------------------------- = --------------------------------------- = 511.2 mg/m3 24.45 24.45

Solvente

mg/m3

A

511.5

125

B

175

28.5

ppm

In entrambi i casi le unità di misura mi dicono che il solvente A risulta essere meno tossico in quanto i livelli di soglia sono più alti. 135

PROBLEMA n. 4 Valutazione del TLV di miscele di solventi. Esempio Solvente

TLV-TWA ppm

Conc. Aria ppm

Alcol etilico

1000

300

Acetone

500

200

Ottano

300

100

Deve essere per le miscele di solventi Ci Cn ---------- + … + ----------≤ 1 affinché si possa dire che la concentrazione della TLV i TLV n miscela non supera quella consentita dai limiti di soglia. Se supera ovviamente il valore 1, siamo in presenza di una situazione di rischio. 300 200 100 ------------- + ---------- + ---------- = 0.3 + 0.4 + 0.33 = 1.03 > 1 1000 500 300 La concentrazione totale nell’aria dei solventi della miscela, supera quella consentita.

4.9

Dispositivi di protezione individuale

L’ultima barriera a protezione dei rischi di eventuali lesioni è proprio il dispositivo di protezione individuale. Questo per dire che nell’organizzazione della sicurezza devono essere sempre privilegiati le misure di protezione collettiva e i procedimenti di riorganizzazione del lavoro. Prima di valutare l’utilizzo di un Dispositivo Individuale di Protezione (d’ora in poi D.P.I.), come limitazione di eventuali fattori di rischio, occorre verificare l’attuazione di tutti quegli accorgimenti tecnici e/o organizzativi tendenti a eliminare o ridurre al minimo i rischi. Si deve ricordare che, l’utilizzo di D.P.I. deve essere seguente alla valutazione della possibilità di attuare le seguenti azioni preventive9, in ordine d’importanza: 9. Vedi l’art. 3 – Norme generali di tutela – del D.Lgs. 626/94 e smi

136

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI



le vie oculari;



le vie respiratorie;



la cute;



più raramente per ingestione.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Ma tralasciamo le considerazioni inerenti l’applicazione del D.Lgs. 626/94 (anche se più avanti accenneremo ai principali adempimenti), e concentriamoci piuttosto sul fatto che è durante l’attività lavorativa, che le sostanze chimiche possono penetrare nell’organismo, e come tale le vie preferenziali sono soprattutto:

E’ a protezione di queste modalità di penetrazione che bisogna intervenire per impedirne (o limitarne) l’accesso. Protezione delle vie oculari Oggi in commercio ce ne sono svariati tipi. Occhiali, mascherine oculari e visiere devono: ●

Possedere un campo visivo ampio;



Essere robusti e resistenti agli urti;



Essere privi di sporgenze, irregolarità che possano causare danno o disagio agli utilizzatori o causare irritazioni cutanee.

I materiali devono essere fisiologicamente inerti, di bassa conducibilità termica, atossici ed inodori. Tutti questi mezzi di protezione degli occhi e del volto dovrebbero avere: ●

Un peso minimo.



La parte ottica - esente da bolle e con un’ottima trasparenza ottica – perfettamente alloggiata nella sua sede.



Una resistenza alla combustione e alla corrosione delle parti metalliche.

Gli occhiali sono consegnati ai lavoratori e come tali da utilizzare solo da una persona. Se esiste la necessità che più persone utilizzino lo stesso dispositivo di protezione individuale (es. per le visiere) questo deve essere pulito e disinfettato. Le lenti rigate o rovinate devono essere sostituite perché compromettono la visione (favorendo quindi l’evento infortunistico) e la loro resistenza meccanica. 137

Protezione delle vie respiratorie I lavoratori esposti a specifici rischi di inalazioni pericolose di gas, polveri o fumi nocivi devono avere a disposizione maschere respiratorie o altri dispositivi idonei, da conservarsi in luogo idoneo. I mezzi di protezione delle vie di respirazione servono sia ad evitare l’inalazione di sostanze nocive (gas, fumi, polveri) presenti nell’ambiente, sia a fornire ossigeno in quantità sufficiente alla respirazione – in condizioni normali o sotto sforzo – quando esso scarseggia. A questo si provvede con diversi tipi di apparecchi: ●

Maschera a filtro (antigas e antipolvere);



Maschera ad adduzione d’aria esterna;



A rifornimento d’aria o di ossigeno (autorespiratori).

La funzione della maschera a filtro è quella di trattenere le sostanze nocive presenti nell’aria ed il suo uso è condizionato dalla necessità che nell’ambiente vi sia ossigeno in quantità sufficiente alla respirazione (almeno il 18%) e purché la concentrazione della sostanza tossica sia inferiore al 2-3% in vol. Qualora il rischio fosse rappresentato da contaminanti presenti nell’aria, occorre identificare sotto quale forma quindi si presentano: ●

polveri/fibre: particelle solide generate da frantumazione di materiali solidi;



fumi: particelle solide molto fini che si formano quando si fonde un metallo che poi si raffredda velocemente (es. fumi di saldatura);



nebbie: minuscole goccioline liquide in sospensione nell’aria (es. nebbie di oli)



gas/vapori: sostanze in fase gassosa (es. solventi delle vernici).

L’uso di maschere antigas a filtro è talvolta indispensabile per evitare l’inalazione di vapori, polveri e gas irritanti o nocivi soprattutto durante gli incendi. Ne esistono almeno di tre tipi: 1) a copertura parziale che lasciano liberi gli occhi coprendo naso e bocca; 2) a copertura totale che coprono tutto il volto; 3) a copertura totale di tutta la testa. Chi indossa la maschera inspira dell’aria esterna che prima di arrivare alle vie respiratorie viene fatta passare attraverso opportuni filtri che bloccano le sostanze nocive o le trasformano in sostanze più tollerabili dall’organismo. I filtri possono funzionare con uno dei tre meccanismi seguenti: 1) adsorbimento; 2) catalisi; 3) reazione chimica. 138

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

1) Contengono di solito polvere di carbone attivata molto fine che possiede una superficie specifica molto elevata e che è capace di adsorbire e condensare le sostanze nocive nei canali capillari. 2) Contengono polveri di ossidi metallici capaci di catalizzare a temperatura ambiente la trasformazione della sostanza nociva in una meno pericolosa. Ad esempio CO viene ossidato a CO2 dall’ossigeno dell’aria. 3) Contengono ossidi metallici, alcali, acidi,..., capaci di reagire chimicamente con la sostanza nociva trasformandola o imprigionandola. Esistono almeno una cinquantina di filtri diversi, ciascuno adatto ad una certa classe di sostanze: certi filtri funzionano adoperando due o tutti e tre i meccanismi citati. - Attenzione: i filtri hanno un tempo limitato di funzionamento per cui è indispensabile controllare sempre la loro efficienza e data di scadenza. I filtri, pur impedendo alle sostanze nocive di arrivare alle vie respiratorie, non sono in grado di supplire all’eventuale mancanza di ossigeno necessario alla respirazione, fatto che può verificarsi durante un incendio in un ambiente poco arieggiato. Essi diventano inutili quando la percentuale dell’O2 nell’aria (che è normalmente del 21%) diventa minore del 17%. In questi casi è necessario adoperare l’autorespiratore che è una maschera munita di bombole autonome d’aria. I filtri per gas e vapori sono realizzati con carbone attivo trattato, in grado di trattenere specifiche famiglie di composti chimici per assorbimento fisico o chimico. I filtri e respiratori antigas sono classificati in uno dei seguenti tipi o loro combinazioni:

TIPO

PROTEZIONE

COLORE

A

Gas e vapori organici con punto di ebollizione superiore a 65°, secondo le indicazioni del fabbricante

Marrone

B

Gas e vapori inorganici, secondo le indicazioni del fabbricante

Grigio

E

Gas acidi, secondo le indicazioni del fabbricante

Giallo

K

Ammoniaca e derivati, secondo le indicazioni del fabbricante

Verde

AX

Gas e vapori organici a basso punto di ebollizione (inferiore a 65° C), secondo le indicazioni del fabbricante

Marrone

139

Protezione della cute Parliamo soprattutto di guanti. Per misurare l’adeguatezza di tali DPI ci si riferisce agli indici di permeazione. Questi sono il risultato di misurazioni effettuate secondo le procedure, le condizioni di prova ed utilizzando materiale conforme alla norma EN 374-3 (resistenza alla permeazione dei guanti di protezione contro i rischi chimici). INDICE

X

0

1

2

3

4

5

6

TEMPO

non misurato

< 10 m

> 10 m

> 30 m

> 60 m

> 120 m

> 240 m

> 480 m

La tabella che segue rappresenta la tipologia più utilizzata di guanti. Ovviamente essa non è esaustiva della realtà commerciale.

PRODOTTI CHIMICI

P

N

L

B

Acidi Acido acetico (10%)

6

6

6

6

Acido acetico (50%)

6

6

3

6

Acido acetico concentrato

2

2

2

6

Acido cloridrico 10%

6

6

6

6

Acido cloridrico 20%

6

6

6

6

Acido cloridrico 32%

6

6

5

6

Acido cromico (10%)

6

6

6

6

Acidi

140

Acido cromico concentrato

4

4

2

4

Acido citrico puro

6

6

6

6

Acido fluoridrico 48%

x

x

x

6

Acido fluoridrico 73%

x

x

x

6

Acido fluoridrico anidro

x

x

x

6

Acido formico (10%)

6

6

6

6

Acido formico (50%)

5

4

5

6

Acido formico (98%)

4

1

3

6

Acido nitrico (50%)

6

4

6

6

Acido nitrico (65%)

4

2

4

5

Acido nitrico fumante

x

x

x

x

Acido ossalico puro

6

6

6

6

Acido perclorico 60%

6

6

6

6

Acido fosforico 50%

6

6

6

6

Acido fosforico puro

6

6

6

6

Continua da pag. precedente

P

N

L

B

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

PRODOTTI CHIMICI

Acido solforico 50%

P

N

L

B

6

6

6

6

Acido solforico 96%

4

2

1

4

Acido tannico (10%)

6

6

6

6

Acido tannico puro

6

6

3

6

P

N

L

B

Alcool butilico

4

6

2

6

Alcool etilico

3

4

1

6

Alcool isobutilico

5

6

1

6

PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

(segue)

Alcool/Eteri

Alcool isopropilico

4

6

x

6

Alcool metilico

3

2

x

6

Etere dietilico

x

2

x

1

Dietilglicolico

6

6

6

6

Dietilglicole-monobutile-etere

6

6

6

6

Diossano

1

1

2

6

Etilglicole-monobutile-etere

4

6

2

6

Glicerina

6

6

6

6

Glicole

6

6

6

6

Tetraidrofurano

1

0

x

1

4

2

3

6

Composti aromatici Anilina Benzene

1

1

x

1

Clorobenzene

1

1

x

1

Nitrobenzene

3

2

3

6

Fenolo (85%)

6

3

6

6

Toluene

1

2

0

1

Xilene

1

2

1

1

1

1

1

2

Composti organici speciali Butilammina Dimetilsulfossido

6

3

5

6

Dimetilforammide

2

1

3

6

Etilammino (70%)

3

3

2

6

Etilendiammina

5

2

4

6

Isoctano

4

6

1

2

n-Eptano

2

6

1

1

141

(segue) PRODOTTI CHIMICI

P

N

L

B

Esteri/Chetoni/Aldei 1-metossi-propil acetato 2 2 1 6 Acetaldeide 1 x 1 6 Acetone x x 1 6 Butilacetato 1 2 1 3 Dietilchetone 1 x x 3 Etilacetato x 1 x 4 Formaldeide (37%) 4 6 6 6 Isobutilmetilchetone 1 2 1 4 Metilacetato 1 x x 5 Metiletilchetone 1 x x 5 Metilmetacrilato x 1 x 3 Poliacetato 1 1 x 4 Idrocarburi Benzina 1 5 x 1 Nafta 6 6 3 5 Cherosene 6 6 2 3 Soluzioni alcaline Ammoniaca (10%) 3 6 2 6 Ammoniaca (25%) x 4 1 6 Soluzioni saline Ipoclorito di sodio (12%) 6 6 6 6 Soluzione d’ammonio 6 6 6 6 Continua da pag. precedente P N L B Solventi di cloro 1,1,1-Tricloretano 2 3 2 2 Cloroformio x x x 1 Cloruro etilico (1,2-dicloretano) 1 x x 1 Diclorometano (cloruro di metilene) x x x 1 Tetracloretilene (percloretilene) 1 5 x 1 Tricloretilene 1 1 x 1 NB: questi valori sono forniti a solo titolo indicativo. Le condizioni effettive d’utilizzo possono essere diverse rispetto alle condizioni di prova descritte dalla norma EN 374-3; è compito degli utilizzatori verificare che i guanti scelti siano idonei a garantire la protezione adeguata. Gli utilizzatori sono i soli responsabili di tale scelta. Sigle tabella: P guanti in PVC – N guanti in Nitrile – L guanti in Lattice – B guanti in Butile Il numero più elevato sta ad indicare il buon grado di protezione del prodotto per quella sostanza. La X, simbolo di non misurato, indica che per quel prodotto non è stato possibile misurare il tempo di protezione sia per incompatibilità chimica sia per il cedimento chimico del materiale avvenuto in tempi estremamente brevi.

142

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

4.10 Incompatibilità

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Ai fini della sicurezza è necessario prestare attenzione al fatto che alcune sostanze, per il semplice fatto di venire in contatto tra loro, possono dare luogo a reazioni spontanee altamente esotermiche, a sviluppo di gas tossici o infiammabili o alla formazione di prodotti termodinamicamente instabili. Sarebbe difficile elencare tutte le possibilità in cui possa accadere una situazione simile, ma conoscenze di tipo chimico possono aiutare a prevedere il comportamento di alcune sostanze in base alla loro classe di appartenenza. Di seguito è riportata la tabella delle incompatibilità tra le sostanze, da cui è possibile prevedere alcune situazioni. Gravi conseguenze si possono avere anche per il solo contatto tra alcune sostanze, con caratteristiche che dipendono dalla concentrazione delle sostanze stesse, dalla modalità con cui queste vengono a contatto e dalle quantità in gioco. Esistono, però, casi in cui l’effetto è ritardato rispetto all’inizio del fenomeno. Un esempio è l’interazione tra un acido forte ed un metallo, che dà origine ad un lento sviluppo di idrogeno. Se, nel tempo, l’idrogeno si accumula in qualche apparecchiatura od in qualche luogo chiuso, è prevedibile la formazione di una miscela esplosiva con l’aria, suscettibile di essere poi innescata accidentalmente. Tab. A - Classi di sostanze incompatibili CLASSI DI SOSTANZE INCOMPATIBILI

EVENTO DANNOSO

Acidi-Basi. Acidi forti-Acqua. Anidridi (SO3, P2O5, ani- Reazioni fortemente esotermiche, con proiezione o sviluppo di sostanze aggresdride acetica, ecc.), PCl5, PCl3, POCl3-Acqua. sive e scoppio di apparecchiature. Ossidanti energici (H2O2, perossidi, O3, O2 liquido, permanganati, acido ipocloroso e suoi sali, cloriti alcalini, Reazioni fortemente esotermiche: esploClO2, clorati, acido nitrico, N2O4)-Sostanze facilmente sione o incendio. ossidabili, quali diversi composti organici. Reazioni fortemente esotermiche, formaAcido nitrico o ossido di azoto-Ammoniaca, fosforo, o zione di prodotti (nitroderivati) termoditalune sostanze organiche (alcooli, cellulosa, glicoli, namicamente instabili: esplosione o composti insaturi, aromatici, grassi vegetali o animali). incendio. Composti metallorganici e idruri (alluminio alchili, litio Reazioni fortemente esotermiche: incenalluminio idruro, ecc.) - Aria, acqua e alcoli. dio, esplosione. Metalli, solfuri metallici ed altre sostanze piroforiche, Reazioni fortemente esotermiche: incensottoforma di polveri o di particelle ad elevata area dio, esplosione. superficiale-Aria, alogeni o solventi alogenati. 143

(segue) Tab. A - Classi di sostanze incompatibili CLASSI DI SOSTANZE INCOMPATIBILI

EVENTO DANNOSO

Alluminio-Taluni composti organici fluorurati o cloru- Reazioni fortemente esotermiche: incenrati; Titanio-Cloro anidro. dio, esplosione. Reazioni fortemente esotermiche: incendio, esplosione.

Solventi alogenati-Ammine, chetoni

Sviluppo istantaneo di idrogeno e formaAcidi forti-Polveri metalliche. Metalli alcalini o alcalino zione con l’aria di miscela tonante: esploterrosi-Acqua. Alluminio-Soda caustica. sione. Decomposizione anche esplosiva; sviAcqua ossigenata, perossidi, ozonuri-Ioni metallici, bat- luppo di O2 e possibilità di formazione di teri, enzimi, diverse sostanze organiche. miscele esplodibili con vapori di sostanze organiche, incendio. Acidi forti-Sali di acidi deboli volatili e tossici (cianuri, Sviluppo di gas tossici. solfuri, solfiti, ecc.). Zolfo-Acqua a 100÷600 °C.

Sviluppo di H2S e SO2.

Metalli fusi o sali fusi-Acqua.

Ebollizione istantanea: esplosione fisica.

Tab. B - Incompatibilità di immagazzinamento PRODOTTO

144

IMMAGAZZINARE SEPARATAMENTE DA:

Acetilene

Cloro, bromo, rame, fluoro, argento, mercurio

Acetone

Acido nitrico, acido solforico, perossido di idrogeno, cloroformio, bromoformio, metalli alcalini

Acidi forti

Basi forti

Acido acetico

Acido cromico, acido nitrico, acido perclorico, perossidi, permanganati, glicole etilenico

Acido cianidrico

Acido nitrico, alcali

Acido cromico

Acido acetico, canfora, naftalina, glicerina, trementina, alcool, liquidi infiammabili

Acido fluoridrico

Ammoniaca

Acido nitrico concentrato

Acetone, anilina, acido acetico, acido cromico, acido cianidrico, idrogeno solforato, liquidi e gas infiammabili

Acido ossalico

Argento, mercurio

Acido perclorico

Anidride acetica, bismuto e sue leghe, sostanze organiche combustibili

Acido solforico

Clorati, perclorati, permanganati di metalli alcalini

Ammoniaca (anidra)

Mercurio, cloro, ipoclorito di calcio, iodio, bromo, acido fluoridrico

Ammonio nitrato

Acidi, polveri metalliche, liquidi infiammabili, clorati, nitriti, zolfo, sostanze organiche combustibili finemente suddivise

Anilina

Acido nitrico, perossido di idrogeno

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

(segue) Tab. B - Incompatibilità di immagazzinamento IMMAGAZZINARE SEPARATAMENTE DA:

Argento

Acetilene, acido ossalico, composti ammoniacali, acido tartarico, acido fulminico

Bromo, cloro

Acetilene, ammoniaca, butadiene, butano, metano, propano (e altri gas di petrolio), idrogeno, carburo di sodio, trementina, benzene, metalli finemente suddivisi

Calcio ossido

Acqua

Carbone attivo

Ipoclorito di calcio, tutti gli agenti ossidanti

Clorati e perclorati

Sali di ammonio, acidi, polveri metalliche, zolfo, sostanze combustibili finemente suddivise

Cloroformio

Acetone, alcali, fluoro, metalli, metanolo

Fluoro

Ogni sostanza

Fosforo (bianco)

Aria, ossigeno

Idrazina

Perossido di idrogeno, acido nitrico, agenti ossidanti

Idrocarburi

Fluoro, cloro, bromo, acido cromico, perossidi

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

PRODOTTO

Idrogeno solforato Acido nitrico fumante, sostanze ossidanti Iodio

Acetilene, ammoniaca (anidra o acquosa), idrogeno

Nitrato di ammonio, acidi inorganici, perossido di idrogeno, alogeni, sodio Liquidi infiammabili perossido Mercurio

Acetilene, acido fulminico, ammoniaca

Ossigeno

Idrogeno, tutte le sostanze combustibili o infiammabili

Perossidi organici

Acidi (organici o minerali)

Perossido di idrogeno

Rame, cromo, ferro, la maggior parte dei metalli e loro sali, alcool, acetone, anilina, sostanze combustibili o infiammabili

Potassio permanganato

Glicerina, glicole etilenico, benzaldeide, acido solforico

4.11 Ulteriori raccomandazioni I composti chimici devono essere depositati alla temperatura e umidità appropriate. Come regola generale non devono essere depositati vicino ad una fonte di calore, ad un generatore di vapore o sotto i raggi diretti del sole. Sul prodotto chimico deve essere indicata la data di ricevimento e quella di apertura. Nel caso che il prodotto si degradi con il tempo occorre indicare anche la data di scadenza. Devono essere condotte periodicamente delle ispezioni visive che pongano particolare attenzione all’osservazione di: ●

cambiamenti di colore, 145



comparsa di liquidi in solidi o di solidi in liquidi



deterioramento del contenitore o della sua chiusura.

Sui banconi di preparazione delle miscele, (per le cui modalità si rimanda al capitolo dell’Appendice Pratica Chimica di Cantiere) devono essere posti solo i prodotti di consumo giornaliero. Non bisogna mettere i prodotti sul pavimento anche se solo temporaneamente. I liquidi infiammabili dovrebbero essere stoccati in bidoni di sicurezza quando la quantità supera i 4 litri. La quantità nella zona di preparazione, di liquidi infiammabili deve essere ridotta allo stretto indispensabile. Usare possibilmente frigoriferi e freezers, più adatti allo stoccaggio di infiammabili. Occorre smaltire tutti i prodotti chimici che possono generare perossidi entro un anno dalla data di acquisto o sei mesi da quella di apertura. I liquidi corrosivi o altamente reattivi devono essere conservati all’interno di bacinelle di contenimento. Le bombole di gas compresso devono essere assicurate lontano da fonti di calore. Ecco di seguito alcuni esempi assolutamente da evitare.

146

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

4.12 Nozioni fondamentali per prevenire l’incendio



allontanando la sostanza combustibile dal focolaio dell’incendio (separazione), dividendo il combustibile dal comburente o riducendo la concentrazione del comburente in aria (soffocamento);



sottrazione di calore fino ad ottenere una temperatura inferiore a quella necessaria al mantenimento della combustione (raffreddamento);



eliminando la possibilità di innesco degli incendi.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

La combustione è una reazione chimica fra due sostanze con forte sviluppo di calore. Le sostanze in gioco sono il combustibile (solido, liquido o gassoso) ed il comburente (praticamente l’ossigeno dell’aria) che reagiscono in presenza di una fonte di calore, innesco o sorgente di energia, rappresentato dal calore nel triangolo riportato a fianco. Se questo triangolo è chiuso, ci sono alte probabilità che possa insorgere un incendio. Se è aperto, cioè e mancante di uno o più dei suoi lati, questa probabilità di insorgenza è estremamente remota. L’unione di queste tre componenti da luogo al triangolo del fuoco. L’interruzione del triangolo del fuoco comporta lo spegnimento dell’incendio. Questa operazione può essere effettuata:

Il CEN, Comitato Europeo Normalizzazione, ha suddiviso e classificato i fuochi a seconda dei materiali coinvolti nella combustione. Incendi di classe A: materiali solidi, legnami, carta, tessuti, gomma e derivati Incendi di classe B: materiali liquidi come alcoli, solventi, oli minerali, eteri, benzine Incendi di classe C: gas infiammabili come metano, acetilene, propano Incendi di classe D: sostanze chimiche spontaneamente1 combustibili; metalli come sodio e potassio; magnesio; uranio Incendi di classe E: apparecchiature elettriche, trasformatori, alternatori, quadri elettrici I mezzi di estinzione si classificano in maniera analoga, secondo l’idoneità per classe di incendio. usare un materiale estinguente non adatto può avere come conseguenza il peggioramento della situazione, e può essere molto rischioso per l’utilizzatore

147

Incendi di prodotti chimici Questi incendi presentano diversi pericoli aggiuntivi rispetto ai comuni incendi: ●

infiammabilità particolare di alcuni prodotti;



possibilità di miscugli detonanti che si possono formare con l’acqua;



propagazione rapida del fuoco;



liberazione di gas tossici e nocivi durante la combustione.

Le modalità di spegnimento di questi incendi differiscono a seconda della natura del prodotto e comunque esistono dei principi generali come: ●

utilizzare l’agente estinguente indicato nella scheda tecnica del prodotto;



aerare energicamente i locali per evitare formazioni di miscele esplosive;



anche quando l’acqua fosse adatta per spegnere l’incendio assicurarsi che questa inquinata non si immetta in fogna o canali.

Si può dire che, praticamente, tutte le sostanze organiche (tranne poche eccezioni) sono combustibili, ma solo una parte di esse presenta caratteristiche tali da dover essere classificate come sostanze infiammabili e quindi pericolose. Le caratteristiche di infiammabilità di una sostanza chimica si esprimono mediante tre dati sperimentali: ●

Punto di infiammabilità (flash point): è la temperatura minima (alla pressione di 1 atm) alla quale una sostanza produce vapori in quantità sufficiente a formare con l’aria una miscela infiammabile. Tale dato consente di stabilire se una sostanza, alla temperatura a cui viene conservata e manipolata, può dar luogo ad incendi oppure no. Sostanze aventi un punto di infiammabilità molto al di sotto della temperatura ambiente non devono essere lasciate allo scoperto, se non sotto adeguata ventilazione. ESEMPIO Confrontando la temperatura raggiunta da un fiammifero acceso si ha:

fiammifero 1.000 °C

metano 600 °C etano 500 °C propano 450 °C butano 350 °C pentano 300 °C esano 200 °C

Questi valori indicano quanto sia facile innescare la combustione. 148

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Temperatura di autoaccensione o di ignizione (ignition temperature): è la temperatura minima alla quale i vapori di una sostanza, in miscela con l’aria nel rapporto corrispondente alla massima infiammabilità, si accendono spontaneamente e mantengono la combustione senza bisogno di ulteriore apporto di calore



Limiti di infiammabilità Si definiscono due limiti di infiammabilità: quello inferiore (LFL Low Fammable Limit) è la minima percentuale di quel gas che produce la combustione e quello superiore (UFL Ultra Fammable Limit) è la massima percentuale di quel gas che produce la combustione. Se si resta fuori di tali limiti la combustione non avviene. Per i gas suddetti i limiti sono:

GAS

LFL

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e



UFL

METANO

5,3

14,0

ETANO

3,0

12,5

PROPANO

2,2

9,5

BUTANO

1,9

8,5

PENTANO

1,2

7,8

ESANO

4,3

7,5

Poiché le percentuali maggiori di gas sono per il propano (35%) e per il butano (22%), i limiti di infiammabilità più pericolosi vanno da 1,9 a 9,5% di aria. E’ BENE RICORDARE CHE L’INCENDIO O L’ESPLOSIONE NON AVVENGONO: 1) QUANDO L’OSSIGENO E’ POCO 2) QUANDO L’OSSIGENO E’ TROPPO.



LA COMBUSTIONE NON PUO’ SOSTENERSI PERCHE’ NEL PRIMO CASO MANCA IL COMBURENTE E NEL SECONDO MANCA IL COMBUSTIBILE. Punto di infiammabilità di miscele Il punto di infiammabilità di una miscela di liquidi infiammabili non corrisponde necessariamente con quello del suo costituente a più basso punto di infiammabilità, ma può essere più alto o più basso a seconda che la miscela formi un azeotropo di minima o di massima.

Tipo di estintori L’uso di tipi diversi di estintori è legato al diverso tipo di materiale che sta bruciando: 149

-

estintori ad H2O o a schiuma: contengono H2O o schiume a base di H2O che vengono spinte fuori dal contenitore da CO2 in pressione: sono poco usati nei laboratori perché l’H2O può reagire con molti composti chimici e rovinare le apparecchiature elettriche.

-

estintori a polvere: contengono polveri a base di NaHCO3, NaCl, NH4fosfato e solfato addizionati con idrorepellenti: l’erogazione della polvere è ottenuta pressurizzando la bombola con aria o N2 o CO2. Si usano per incendi di materiali solidi comuni, solidi con basso punto di fusione, liquidi, gas infiammabili, sostanze che a contatto con H2O danno combustione con formazione di H2, (cioè con Mg, Al, Li, Na, idruri,....) o di apparecchiature elettriche.

-

estintori a CO2: contengono CO2 liquido in pressione: si usano come i precedenti tranne nel caso di incendi coinvolgenti metalli reattivi con CO2 come idruri, nitrati, clorati,... Hanno il vantaggio di non lasciare residui e per questo sono da preferirsi nel caso di spegnimento di incendi in cui siano coinvolte strumentazioni elettriche.

-

estintori ad Halon: di scarsa efficacia con incendi di materiali solidi: impiegano idrocarburi alogenati: sono chiamati con sigle che indicano rispettivamente il numero di atomi di C, F, Cl e Br presenti. I più usati sono: HALON 1211

bromoclorodifluorometano

(BCF)

(gas)

HALON 1301

bromotrifluorometano

(BTM)

(gas)

HALON 2402

dibromotetrafluoroetano

(Fluobrene)

(liquido)

Se sono in forma gassosa sono tenuti in bombole in pressione, se, come nel caso del Fluobrene, sono in forma liquida viene loro aggiunto N2 come propellente. Il loro impiego è limitato a causa della loro tossicità e perché sono ritenuti tra le sostanze responsabili delle alterazioni dello strato di ozono nell’atmosfera. L’azione estinguente si manifesta in virtù dei seguenti fenomeni: 1) soffocamento: consiste nel cercare di impedire il contatto tra O2 ed il combustibile che sta bruciando. 2) raffreddamento: si usa un qualche prodotto che reagisca assorbendo grandi quantità di calore: l’azione endotermica contribuisce ad estinguere le fiamme. 3) azione inibente: il prodotto estinguente esercita una qualche azione catali150

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

tica inibente nei confronti delle complicate reazioni di combustione. Esempio: H2O sottrae calore impedendo l’auto sostentamento della combustioQUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

ne ed isola le sostanze dall’O2 atmosferico che funge da comburente. Esempio: 2NaHCO3 + calore → Na2CO3 + H2O + CO2 esercita tutte e tre le azioni citate. Esempio: CO2 esercita azione soffocante e raffreddante. Esempio: HALON inibisce il meccanismo radicalico con il quale di solito hanno luogo le reazioni di combustione. Gli estintori vanno controllati ogni sei mesi ed eventualmente ricaricati da personale specializzato. Se si usa un estintore ricordarsi di: 1) togliere lo spinotto di sicurezza; 2) impugnare saldamente; 3) rivolgere il getto alla base delle fiamme.

4.13 Bombole di gas compressi E’ possibile che all’interno del cantiere dove si lavora vi siano presenti dei recipienti in pressione contenenti gas. E’ importante sapere alcune cose su questi contenitori. L’ogiva di ogni bombola viene colorata, a seconda del gas contenuto, con un colore convenzionale, in modo che non ci possano essere dubbi sul suo contenuto. L’attuale codice dei colori è in via di modificazione per l’applicazione del decreto del 7/1/99 del Ministero dei Trasporti, inteso ad unificare ed a facilitare la circolazione delle merci in ambito CE. Tale decreto prevede l’applicazione della norma UNI EN 1089-3 che prescrive un sistema di identificazione delle bombole con codice colore delle ogive diverso da quello adoperato attualmente in Italia. Il nuovo codice sarà completamente operativo entro il 10 agosto 2006 e nel frattempo i due sistemi di codificazione vecchio e nuovo coesisteranno. La differenza principale è che il colore dell’ogiva identifica il rischio principale associato al gas, e non il gas stesso. Tale norma non viene applicata agli estintori e alle bombole GPL. Di seguito riportiamo una tabella con i colori caratteristici delle ogive in funzione del contenuto. 151

Schema di sicurezze delle bombole a gas La bombola deve portare incisi sulla parete alcuni dati quali: il nome del gas contenuto, il numero di serie del contenitore, il nome della ditta produttrice, la pressione massima per la quale è collaudata, la pressione massima alla quale viene solitamente caricata, il volume interno, la data di revisione, etc. Assieme a questi dati di solito porta anche un cartellino con il nome della ditta produttrice, la denominazione commerciale del gas contenuto, una o più sigle relative al suo grado di purezza ed eventualmente i dati delle analisi. I gas più comuni (ossigeno, azoto, elio, protossido di azoto) hanno colori specifici. Per individuare un gas è essenziale riferirsi sempre all’etichetta apposta sulla bombola. Ogni bombola possiede una valvola di sicurezza A con un bocchettone di uscita B filettato per il collegamento ad un “riduttore di pressione” C + D. I gas sono infatti solitamente contenuti nelle bombole ad alta pressione (fino a 200 atm), valore che è di solito troppo alto per consentire il loro uso diretto. Pertanto, prima dell’uso, il gas viene portato ad una pressione inferiore (da qualche atm a frazioni di Torr, a seconda delle necessità) da un riduttore. Ad esempio, è riportato in figura un riduttore a due stadi in acciaio. Esso è munito di attacco per il collegamento con il bocchettone della bombola B con raccordi che hanno caratteristiche diverse (diametro, passo della filettatura, senso di avvitamento sinistrorso o destrorso, maschio o femmina) a seconda del tipo di gas contenuto nella bombola. In tal modo, ogni tipo di gas è contenuto in una bombola che ha un bocchettone di uscita che può essere connesso solo con un tipo specifico di riduttore di pressione per eliminare la possibilità di scambi accidentali. Basti pensare a quali drammatiche ed irreparabili conseguenze va sicuramente incontro un paziente al quale venga per errore somministrato CO invece di O2 o aria. Il riduttore di pressione possiede due manometri: C è montato sul I stadio e misura la pressione all’interno della bombola mentre D è montato sul II stadio e misura la pressione di utilizzo che viene regolata dalla valvola E. Prima dell’utilizzo, il gas può essere fatto passare attraverso valvole ed apparecchiature F per la misura del flusso (flussimetro).

152

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Cloro Ogiva gialla

Miscela ossigeno-anidride carbonica Ogiva bianca e grigia

Azoto Ogiva nera

Acetilene Ogiva aranci one

Miscela ossigeno-elio Ogiva bianca e marrone

Idrogeno Ogiva rosso vivo

Ammoniaca Ogiva verde chiaro

Metano Ogiva di nessun colore

Ossigeno Ogiva bianca

Anidride carbonica Ogiva grigio chiaro

Ossido di carbonio Ogiva gialla

Propano Ogiva granata

Elio Ogiva marrone

Ciclopropano Ogiva arancione con scritta

Butano Ogiva avorio

Miscele corrosive Ogiva gialla

Cloruro di metile Ogiva azzurra

Protossido di azoto Ogiva avorio

Aria Ogiva bianca e nera

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Etilene Ogiva viola

153

4.14 Elenco presidi di pronto soccorso10 ed emergenze più frequenti Allegato 1 DM 388/2003 CONTENUTO MINIMO DELLA CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO Guanti sterili monouso (5 paia). Visiera paraschizzi Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1 litro (1). Flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro - 0, 9%) da 500 ml (3). Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (10). Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (2). Teli sterili monouso (2). Pinzette da medicazione sterili monouso (2). Confezione di rete elastica di misura media (1). Confezione di cotone idrofilo (1). Confezioni di cerotti di varie misure pronti all’uso (2). Rotoli di cerotto alto cm. 2,5 (2). Un paio di forbici. Lacci emostatici (3). Ghiaccio pronto uso (due confezioni). Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (2). Termometro. Apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa.

Allegato 2 DM 388/2003 CONTENUTO MINIMO DEL PACCHETTO DI MEDICAZIONE Guanti sterili monouso (2 paia). Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 125 ml (1). Flacone di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 250 ml (1). Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (1). Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (3). Pinzette da medicazione sterili monouso (1). Confezione di cotone idrofilo (1). Confezione di cerotti di varie misure pronti all’uso (1). Rotolo di cerotto alto cm 2,5 (1). Rotolo di benda orlata alta cm 10 (1). Un paio di forbici (1). Un laccio emostatico (1). Confezione di ghiaccio pronto uso (1). Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (1). Istruzioni sul modo di usare i presidi suddetti e di prestare i primi soccorsi in attesa del servizio di emergenza.

10.Un discorso a parte meriterebbe l’applicazione del D.M. 388/2003

154

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Emergenze più frequenti sostanze chimiche negli occhi

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Gli occhi sono molto delicati per loro natura, per cui è necessario indossare sempre gli occhiali di sicurezza e nel malaugurato caso di incidente è necessario intervenire nel minor tempo possibile. Cercare di togliere quanto prima la sostanza estranea dall’occhio lavandolo con molta H2O fredda: successivamente a seconda della natura della sostanza agire come segue: Acido negli occhi: lavare ripetutamente con una soluzione al 2% di borace (borato di sodio Na2B4O7) e successivamente con molta H2O. Basi negli occhi: lavare ripetutamente con una soluzione all’1-2% di acido borico e successivamente con H2O. Frammenti di vetro negli occhi: lavare brevemente, bendare con bendaggio leggero per tenere l’occhio chiuso. In tutti i casi, chiedere l’intervento immediato di un medico. E’ possibile usare i bagnetti ottici, che devono essere presenti in cantiere, funzionanti sia ad acqua che a borace e ad acido borico. Ustioni 1) Da calore secco (oggetti caldi, fiamme) Per piccole ustioni senza lacerazione della pelle, raffreddare con acqua, spalmare la parte colpita con pomate apposite (esempio Foille) ed applicare una fasciatura leggera. Per ustioni più gravi, immergere la parte ustionata in H2O fredda per qualche tempo per calmare il bruciore, togliere tutto ciò che potrebbe causare problemi per il possibile gonfiarsi della parte colpita (anelli, scarpe, orologio, etc), bendare leggermente senza applicare pomate, non rompere le bolle eventualmente formatesi, non applicare cerotti sulla pelle, chiamare il medico. 2) Da elettricità Di solito si osserva una zona scura sulla pelle: chiedere l’intervento del medico perché si possono esser verificati gravi danni in profondità non percettibili all’esterno. 3) Da acidi Lavare abbondantemente con H2O la parte colpita: togliere gli indumenti inquinati usando i guanti: lavare con una soluzione all’1-2% di bicarbonato di sodio ed ancora con H2O, quindi bendare. Se la ferita è estesa, chiamare un medico. 155

4) Da basi Come per il caso degli acidi ma lavare con una soluzione all’1-2% di acido borico o con 0.5% di acido acetico. Tagli In caso di piccole ferite, cercare di togliere eventuali frammenti lasciando sanguinare per qualche secondo la ferita. Disinfettare e bendare. Se la ferita è grave, chiamare un medico e nel frattempo controllare l’emorragia comprimendo i lembi della ferita ed applicando a monte un laccio emostatico che va allentato di tanto in tanto. Ingestione di sostanze tossiche Può accadere che del liquido arrivi alla bocca perché schizza da qualche recipiente o perché si sta usando una pipetta aspirando con la bocca anziché usando la propipetta in gomma, azione che, si ribadisce, è assolutamente vietata. Se non si è ingerito il liquido, sputare immediatamente e sciacquare la bocca con abbondantissima acqua. Se si è ingerito, chiamare il medico e nel frattempo agire a seconda dei casi: -

ingestione di acido: bere molta H2O, seguita da latte di magnesio (sospensione di ossido di magnesio in acqua), non far vomitare l’infortunato perché l’acido risalendo alla bocca potrebbe causare ulteriori gravi ustioni;

-

ingestione di basi: bere molta H2O, seguita da succo di limone o arancio, o soluzioni diluite di acido citrico: come sopra, non far vomitare l’infortunato;

-

ingestione di sali di metalli pesanti: bere latte o chiara d’uovo;

-

avvelenamento da gas, portare l’infortunato in luogo aperto e ventilato o erogargli ossigeno.

Assorbimento cutaneo di sostanze tossiche Attenzione: l’avvelenamento da assorbimento cutaneo è tra i più subdoli, perché può anche essere molto lento e manifestarsi dopo lunghi tempi, quando magari non si è più in contatto diretto con le sostanze pericolose che lo hanno provocato, per cui diventa difficoltoso capirne le cause. Anche in questo caso, la prevenzione è la migliore difesa. In caso di contagio, lavare la parte colpita con un getto di H2O fredda e 156

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

con sapone, risciacquando a lungo. Evitare l’uso di solventi organici per lavare la parte colpita perché questi rischiano di funzionare da veicolanti per la sostanza tossica e di favorirne l’assorbimento cutaneo. Stato di shock Spesso l’infortunato cade in uno stato di shock che si manifesta con stato di debolezza fisica, pallore, respiro affannoso, sudorazione fredda, vertigini, nausea, visione confusa, ansia e paura. In attesa del medico, che va urgentemente chiamato, far distendere l’infortunato con i piedi leggermente alzati e col capo piegato di lato, coprirlo, e non lasciarlo solo ma parlargli cercando di rassicurarlo. Svenimento Quasi sempre lo svenimento è dovuto alla temporaneo calo di afflusso di O2 al cervello. Slacciare gli abiti dell’infortunato attorno al collo ad al petto, coprirlo, girargli il capo di lato assicurandosi che la lingua non ostruisca il passaggio dell’aria in gola. Se l’infortunato smette di respirare, praticargli la respirazione artificiale. N.B. La mancanza di O2 al cervello anche per pochi minuti può provocare danni irreparabili.

157

QUADERNI per la progettazione

APPENDICI

159

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

APPENDICE A

DEFINIZIONI PERDITA DI MATERIALE EROSIONE:

Asportazione di materiale dalla superficie che nella maggior parte dei casi si presenta compatta.

EROSIONE DIFFERENZIALE:

Messa in risalto dell’eterogeneità di motivi tessiturali o strutturali tipici del materiale lapideo.

PITTING:

Formazione di fori ciechi, numerosi e ravvicinati. I fori hanno forma tendenzialmente emisferica con diametro massimo di pochi millimetri.

ALVEOLIZZAZIONE:

Formazione di cavità di forma e dimensioni variabili, dette alveoli, spesso interconnesse e con distribuzione non uniforme.

PERDITA DELLA MORFOLOGIA DISGREGAZIONE:

Decoesione con caduta del materiale sotto forma di polvere o minutissimi frammenti.

ESFOLIAZIONE:

Formazione di una o più porzioni laminari, di spessore molto ridotto e subparallele tra loro, dette sfoglie.

SCAGLIATURA:

Distacco di parti di forma irregolare e spessore consistente e non uniforme, dette scaglie, spesso in corrispondenza di soluzioni di continuità del materiale originario.

DISTACCO:

Soluzione di continuità tra strati superficiali del materiale (ad esempio un intonaco), sia tra loro che rispetto al substrato; prelude, in genere, alla caduta degli strati stessi. Nelle pietre le parti distaccate assumono spesso forme specifiche in funzione delle caratteristiche strutturali e tessiturali dando luogo a scagliatura, esfoliazione, crosta.

MANCANZA:

Perdita di elementi tridimensionali (braccio di una statua, ansa di un’anfora, brano di una decorazione a rilievo, ecc.).

LACUNA:

Assenza di parti con sviluppo prevalentemente bidimensionale (parte di un intonaco e di un dipinto, porzione di impasto o di rivestimento ceramico, tessere di mosaico, ecc.).

PRODOTTI SECONDARI CONCREZIONE O INCROSTAZIONE:

Accrescimento compatto generalmente di estensione limitata, sviluppato sia parallelamente sia perpendicolarmente alla superficie, in quest’ultimo caso può assumere forma stalattitica o stalagmitica.

161

(segue) DEPOSITO SUPERFICIALE:

Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio, guano, ecc. Ha spessore variabile, generalmente scarsa coerenza e scarsa aderenza al materiale sottostante.

CROSTA:

Modificazione dello strato superficiale del materiale lapideo. Di spessore variabile, generalmente dura, distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e, spesso, per il colore. Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, si presenta disgregato e/o polverulento.

EFFLORESCENZA:

Formazione di sali, generalmente di colore biancastro e di aspetto cristallino o polverulento o filamentoso, sulla superficie.

PELLICOLA:

Strato superficiale, trasparente o opaco, di sostanze coerenti fra loro ed estranee al materiale lapideo (es.: pellicola pittorica di rifacimento, pellicola protettiva o con funzioni estetiche, pellicola ad ossalati).

PATINA BIOLOGICA:

Strato sottile, omogeneo, costituito quasi esclusivamente da microrganismi; variabile per consistenza, colore e adesione al substrato in relazione alle condizioni ambientali.

COLONIZZAZIONE BIOLOGICA:

Presenza di organismi vegetali sul substrato, riconoscibili microscopicamente (alghe, funghi, licheni, muschi, piante superiori).

FASI DELL’INTERVENTO DI RESTAURO DIAGNOSI:

studio approfondito delle caratteristiche del manufatto, della sua storia, dei materiali di cui è composto, delle sue forme di alterazione e degrado e su ciò che le ha originate.

operazione che viene effettuata prima della pulitura vera e propria.Viene eseguita solo in casi in cui il materiale si trovi in condiPRECONSOLIDAMENTO: zioni molto critiche di conservazione, permette di migliorare le caratteristiche fisiche del materiale, evitando cadute e disgregazioni durante la fase di pulitura.

162

PULITURA:

operazione che porta alla rimozione degli strati poiché e dei prodotti di alterazione presenti sul poiché manufatto, fase che viene eseguita con trattamenti di tipo chimico, fisico o meccanico.

CONSOLIDAMENTO:

trattamento con specifici prodotti di tipo chimico, che poiché penetrando in profondità, portando a un miglioramento delle caratteristiche fisico-meccaniche della pietra, in particolare quelle coesive.

PROTEZIONE SUPERFICIALE:

operazione finale, eseguita per lo più con sostanze di tipo chimico, che permette di limitare gli effetti dell’acqua, degli agenti atmosferici e degli agenti inquinanti sulla superficie del manufatto.

MANUTENZIONE:

revisione periodica dello stato di conservazione del manufatto, tendente a controllare che i fenomeni di alterazione non assumano una forma patologica irreversibile. Negli interventi di manutenzione dovrebbe anche essere sondata l’efficacia nel tempo degli interventi protettivi già eseguiti, con eventuale ripristino degli stessi.

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

APPENDICE B

PROPRIETÀ DEI MATERIALI B.1

Caratteristiche dei materiali

La durevolezza di un materiale – proprietà per la quale la pietra è stata sempre sinonimo di longevità ed immutabilità è la capacità dei materiali posti in opera a resistere all’attacco e alle aggressioni esterne e all’usura (calpestio, carichi, consunzione, ecc.). Gli agenti atmosferici, talora con azione combinata, sono rappresentati da vento, umidità, pioggia, temperatura, sbalzi termici, nebbia, smog, a cui si aggiungono agenti biologici (licheni, microrganismi, guano). Questi fattori esercitano sul lapideo azioni chimiche e fisiche. Il vento esercita un effetto meccanico di spinta e, a causa del di trasporto di corpuscoli e polvere, porta a corrosione meccanica. La pioggia asporta e dilava i materiali fini rimossi dall’azione eolica preparando una nuova superficie all’abrasione; se contiene anche sostanze aggressive legate prevalentemente allo smog (CO2, SO2, SO3, O3, ecc.) porta ad un profondo degrado per attacchi chimici. L’insolazione e il freddo sottopongono la roccia a cicli termici anche molto violenti e distruttivi. L’azione simultanea di vari fattori mette influisce sulla resistenza di un materiale determinandone la durata in opera (o durevolezza). Data l’importanza della questione sono da vari anni in studio prove tecniche per la quantificazione della durevolezza, che ha importanza ai fini della progettazione di opere nuove, ma anche per le problematiche relative al restauro dei manufatti degradati. In questa ottica è lecito chiedersi quali siano le proprietà fisiche, meccaniche e chimiche, la cui conoscenza ci permette di prevedere quale sia il comportamento del materiale inserito in un certo contesto ambientale e di utilizzo.

163

B1.1

Cosa si valuta nei materiali lapidei

Caratteristiche fisico-meccaniche ■

densità;



porosità;



permeabilità (acqua, gas);



resistenza meccanica (compressione, flessione, durezza, urto, usura o durevolezza, resistenza al gelo, ecc.);



lavorabilità (durezza, spaccabilità, perforabilità, scolpibilità, segabilità, possibilità di trattamento della superficie, …).

B1.2

Densità e peso specifico

La densità (o massa volumica) è definita come la massa (m) per unità di volume (V) di un materiale, ed è riportata in unità di misura come g/cm3, kg/m3 o tonn/m3. m ρ = ---V E’ influenzata da vari fattori: ■

dimensione e peso atomico degli elementi presenti;



impacchettamento degli atomi nella struttura cristallina;



(grado di) porosità alla microscala.

Il termine “densità” è usato in vari modi e con diversi significati: ■

densità cristallografica (d. ideale di una struttura cristallina specifica);



densità teorica (true density; per un materiale a microporosità nulla);



densità totale (bulk density; misurata su un corpo nel suo complesso, includendo porosità, difetti reticolari e tutte le fasi);

B= ■

164

massa Vol solidi + Vol porosità

gravità specifica o densità relativa (numero adimensionale che indica il rapporto tra la densità di un materiale e quello di un ugual volume di acqua a 4°C.

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Il peso specifico γ di una sostanza è il rapporto tra peso e volume di un suo frammento. Poiché a differenza della massa, il peso varia con la forza di gravità, il peso specifico è la quantità meno indicata per confrontare dati di materiali in laboratori diversi. Quindi è la densità, o massa volumica, la proprietà che viene considerata nella normativa. Si possono distinguere due fondamentali categorie di misure. Una si esegue sul provino allo stato naturale, considerando nel volume totale anche i vuoti e nelle masse o pesi anche quelli dell’acqua che imbeve il provino: si tratta di densità o peso specifico apparente. L’altra si esegue su un materiale privato dei vuoti, ovvero polverizzato (a meno che non sia compatto) e fornisce dati di densità e peso specifico reali. Nella normativa si prescrivono le misure di massa volumica apparente e di massa volumica reale (es., UNI 9724/2 e UNI 9724/7 - lapidei; UNI 4452 refrattari). Nella determinazione della densità la massa si misura per confronto con un’unità convenzionale tramite una bilancia ordinaria oppure si ricava dal peso. P = mg La densità si esprime anche per confronto con un materiale noto (c) a parità di volume.

δ=

ρ

m ρ = mc c

I volumi si possono determinare direttamente se il materiale ha una forma geometrica semplice (es., con un calibro) oppure, più comunemente, per immersione in liquidi (metodo del cilindro graduato). La misura più precisa si ottiene col metodo del picnometro o volumometro (dotato anche di termometro), che però non è adatto a misure di densità e peso specifico apparente nelle rocce, poiché il contenitore dello strumento è piccolo. Il picnometro è però usato per materiali granulari e per polveri, per la determinazione della densità o massa volumica reale (cioè del materiale privo di porosità) di materiali lapidei e ceramici, che richiede la polverizzazione del provino. In alternativa si usa la bilancia idrostatica di precisione, con piatto adattabile a misurare sia rocce che manufatti ceramici. La densità o massa volumica apparente è il rapporto (in kg/m3) tra massa e volume apparente, cioè il volume delimitato dalla superficie esterna del provino. Per i materiali sciolti si considera il peso in mucchio e si determina la massa volumica apparente di un aggregato non addensato, che comprende i vuoti in165

tergranulari ed i pori e che viene valutato su diverse frazioni granulo-metriche ottenute setacciando il materiale tramite sets di crivelli e setacci a luce standard (serie italiana UNI, serie americana ASTM, serie tedesca DIN, ecc.). La determinazione della densità dei materiali è di particolare interesse perché essa è collegata col peso specifico dei componenti minerali nella proporzione in cui essi sono contenuti nel lapideo o nel manufatto ceramico, e quindi fornisce un’indicazione di massima della compattezza del materiale. La tessitura influenza in modo determinante il peso specifico e la densità apparente, poiché governa la presenza dei vuoti all’interno di una roccia. Ad es., un calcare poco cementato può avere densità 1.1 g/cm3, mentre un calcare molto compatto o un marmo possono arrivare a 2.75 g/cm3.

B1.3

Porosità

A questo argomento, data l’importanza, è stata dedicata una scheda nell’apposito capitolo.

B1.4

Proprietà meccaniche

Le proprietà meccaniche di un materiale determinano i limiti di impiegabilità del materiale stesso in applicazioni in cui esso debba sostenere un carico o resistere ad uno sforzo. La determinazione e la valutazione delle proprietà meccaniche dei materiali sono di fondamentale importanza nella normativa, anche se esiste il problema della discrepanza tra i valori di resistenza teorica e quelli di resistenza effettiva. Il termine “resistenza” è ambiguo e deve essere specificato, poiché esistono vari tipi di resistenza meccanica: resistenza teorica, alla compressione, alla trazione, alla flessione, alla frattura, ecc. Tralasciamo però queste proprietà per brevità di spazio e passiamo ad altre più attinenti allo strada che abbiamo voluto percorrere, perché più direttamente legati al degrado dei materiali lapidei.

B1.5

Altre proprietà importanti per i lapidei

Ci sono altre proprietà tecniche dei lapidei per le quali non esistono procedure di laboratorio di riferimento. Possono esser previsti dei tests specifici in alcuni paesi ma non c’è nessun tipo di standardizzazione circa il tipo di prova, la metodologia e la convertibilità dei dati ottenuti con sistemi diversi. 166

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI



assorbimento;



igroscopicità;



permeabilità all’acqua;



permeabilità all’aria (o ai gas);



lavorabilità;



durevolezza.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Queste proprietà sono definibili attraverso il comportamento in opera dei diversi materiali o, nelle fasi di estrazione-lavorazione, attraverso valutazioni soggettive. Le più importanti sono:

Assorbimento – capacità di una roccia di assumere una certa quantità di acqua per forza di capillarità o per parziale contatto con l’acqua stessa (rocce poggianti su substrato umido – falda freatica, acqua di rimbalzo per il passaggio frequente di veicoli, ecc.). L’ascesa dell’acqua si arresta dove l’evaporazione annulla l’apporto di nuovo liquido, in un’area nella quale è tipica la cristallizzazione di sali contenuti dell’acqua. Questi sali (carbonati, solfati, nitrati) danno luogo ad efflorescenze, croste e patine bianche o di altro colore che compromettono seriamente l’aspetto estetico dei materiali, nonché la loro durevolezza. Caratteristica di cui tener conto per materiali impiegati in rivestimenti esterni, zoccolature (degradazione e “sgrana-mento” del materiale) e per l’effetto sui materiali metallici eventualmente abbinati (arrugginimento), sulle travi in legno vicine (che marciscono) e sulla degrada-zione di malte e intonaci (che si sfaldano). Grosso problema specialmente a latitudini temperate e fredde, con scarsa evaporazione. Può anche essere valutato l’assorbimento di liquidi di varia natura, come liquidi contenuti in adesivi impiegati per la posa in opera, inchiostro, olii e grassi, bevande, limone, detergenti, ecc. Igroscopicità – attitudine di una roccia ad assumere umidità dall’atmosfera. Connessa in modo particolare alla presenza o meno di componenti argillosi (tendenza al rigonfiamento). Il fenomeno è anche in relazione al tipo di trattamento a cui è stata sottoposta la roccia: trattamenti che limitano l’igroscopicità sono la lucidatura e la fiammatura (trattamento della superficie ad alta temperatura, 2500°C), ma l’effetto si limita solo alla faccia della lastra trattata, ma non al resto della lastra. 167

Permeabilità all’acqua (o penetrabilità) – attitudine a lasciarsi attraversare dall’acqua sotto pressione. Teoricamente nessuna roccia presenta una impermeabilità assoluta, ma rocce molto compatte (a bassissima porosità) sono pochissimo permeabili. Inoltre rocce porose, ma con pori non intercomunicanti, come le pomici, hanno pure una permeabilità bassa. La microfratturazione è un altro fattore di permeabilità nelle rocce compatte ed è tipico di varie rocce vulcaniche che hanno subito raffreddamento rapido con conseguente contrazione e fessurazione interna. L’attacco d’acqua sotto pressione può essere importante da valutare per alcune applicazioni, quali opere di copertura, rivestimento di prospetti sottoposti a dilavamento, in opere fluviali, marine e in bacini artificiali ed opere di arredo urbano con presenza continua di acqua (es., basi di fontane). Permeabilità all’aria (o ai gas) – attitudine della roccia a farsi attraversare dall’aria. Proprietà utile ai fini igienici e di benessere degli ambienti interni. Infatti, la ventilazione naturale degli ambienti, dovuta alla differenza di pressione tra interno ed esterno, è proporzionale alla permeabilità all’aria della muratura. La ventilazione naturale permette anche la sostituzione di aria umida interna con quella più secca esterna, favorendo così lo stato di secchezza dei muri. I migliori materiali in questo senso sono rappresentati dai laterizi da “tamponamento” (forati), mentre sono praticamente impermeabili i marmi, i graniti e in generale tutte le rocce molto compatte. La quantità di gas capace di attraversare un materiale è inversamente proporzionale al suo spessore. Nel caso di grandi rivestimenti esterni di edifici si può procedere con lastre molto sottili, o con montaggio di pareti ventilate, distanziando di alcuni cm lo strato lapideo dalla parete da ricoprire (altra problematica tecnica importante poi è la modalità di ancoraggio dei rivestimenti lapidei alle pareti delle strutture edilizie). Lavorabilità – dalla cava alla posa in opera, tutti i materiali subiscono una serie di operazioni e lavorazioni come abbattimento, spaccatura, perforazione, segagione, trattamenti di superficie, ecc. La lavorabilità di un materiale è l’insieme dei suoi comportamenti nei confronti di queste operazioni e può essere descritta in termini di:

168



spaccabilità;



perforabilità;



scolpibilità;



segabilità;

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI



trattamento della superficie.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Spaccabilità – proprietà delle rocce a rompersi secondo superfici più o meno piane sotto l’azione di utensili a percussione (mazze, cunei, martelli pneumatici, ecc.). Proprietà storicamente tenuta in grande considerazione, specialmente quando le operazioni erano manuali, per la sua influenza nella produzione di elementi edilizi. Corrisponde in parte alla divisibilità, ma può anche essere indipendente dall’esistenza di piani di divisibilità preesistenti. Infatti a differenza di una roccia divisibile, in una roccia spaccabile si possono ricavare superfici grossolanamente piane disposte secondo la volontà dell’operatore (es., sampietrini o lastre di porfido). La spaccabilità dipende generalmente dalla tessitura ovvero dalla disposizione più o meno preferenziale dei singoli componenti, ma in vari casi sembra dipendente anche da altri fattori più complessi e non facilmente definibili. La spaccabilità è facile in materiali sfaldabili (rocce scistose) e meno regolare e molto meno sistematica in materiali non sfaldabili (rocce non scistose). Tecnici e cavatori hanno coniato dei termini, variabili per località, per indicare i diversi piani di più facile spaccabilità: i più usati sono il verso (superficie di più facile suddivisibilità), il contro (superficie ortogonale al verso ma con la sua stessa direzione) e il secondo (superficie ortogonale alle altre due). Per il contro e il secondo la spaccabilità risulta meno facile rispetto al verso. Perforabilità – i costi di abbattimento in una cava dove si fa uso di perforazione sono influenzati dai tempi richiesti per la perforazione della roccia e dal consumo degli utensili impiegati (fioretti). La perforabilità di un materiale può essere espressa in termini di velocità di avanzamento dei fioretti: in funzione della durezza della roccia può variare da alcuni cm/minuto ad oltre un metro/minuto. Diventa un parametro molto importante per le rocce che devono esser coltivate esclusivamente tramite perforazione. Scolpibilità – attitudine dei materiali a lasciarsi scolpire con diverse tecniche scultoree mediante appositi utensili (martelli, punte, scalpelli a mano o pneumatici, ecc.). I migliori materiali scolpibili sono i marmi saccaroidi a grana finissima (Bianco Statuario). In genere offrono caratteristiche di buona scolpibilità tutte le rocce dure, semi-dure e tenere a grana uniforme e mediopiccola o quelle non particolarmente tenaci, come calcari, gessi saccaroidi, arenarie a grana fine, ecc. Più difficilmente scolpibili, anche se comunque utilizzati, sono i graniti, per la tendenza di alcuni minerali a sfaldarsi (negativo specialmente se il granito è a grana grossolana). Segabilità – attitudine a lasciarsi segare con tecniche quali: filo elicoidale 169

+ sabbia abrasiva, lame d’acciaio + abrasivo, seghe e dischi circolari abrasivi (carborundum, diamante), filo diamantato. E’ funzione della mineralogia, della struttura e tessitura della roccia, delle anisotropie presenti. Agli effetti della segabilità si distinguono: ■

rocce durissime (gabbri, basalti, graniti);



rocce dure (serpentini, calcari compatti, marmi);



rocce semidure (calcari teneri, marne);



rocce tenere (tufi, gessi, calcari poco litificati).

La prova di microdurezza Knoop ha cominciato ad introdurre parametri per la valutazione non più empirica, ma quantitativa della segabilità delle rocce, anche se permane un approccio pratico. Questa proprietà riveste un’enorme importanza ai fini della determinazione dei costi per la realizzazione dei manufatti. Trattamento della superficie – costituisce un fattore qualitativo e tecnico al tempo stesso e indica la maggiore o minore applicabilità di trattamenti di finitura (lucidatura, sabbiatura, bocciardatura, gradinatura, spuntatura, fiammatura, ecc.) atti a conferire alla superficie dei manufatti un determinato aspetto estetico, in funzione della destinazione d’uso.

170

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

APPENDICE C

TECNICHE DI ANALISI DEI MATERIALI, LABORATORI SPECIALIZZATI, RIF. NORMAL E COSTI ANALISI C.1

Indagini diagnostiche sui materiali

La diagnostica nel restauro e nella conservazione permette di fare determinazioni certe su materiali, tecniche impiegate, tipo di degrado (pigmenti, leganti, minerali, sali solubili, biodeteriogeni); le analisi offerte sono le più frequenti e caratterizzanti ai fini di una corretta interpretazione del lavoro di restauro, e sono elemento importante e qualificante di ogni relazione tecnica d’intervento. Le tecniche più importanti sono le seguenti:

TIPO ANALISI

ACRONIMO

INFORMAZIONI FORNITE DALL’INDAGINE DIAGNOSTICA

Microscopia ottica su polveri

M.O

Analisi di pigmenti di strati dipinti; analisi microbiologiche

Microscopia ottica su sezioni sottili

M.O

Caratterizzazione del legante, dell’aggregato e del loro rapporto, valutazione della porosità, indagini stratigrafiche, studio di sali solubili

Microscopia ottica su sezioni lucide

M.O

Indagini stratigrafiche Misura della porosità aperta e della distribuzione dei pori in funzione del loro diametro

Porosimetria a mercurio Microscopia elettronica a scansione con analisi di Fluorescenza X dispersiva in energia, o in lunghezza d’onda

SEM EDS WDS

Caratterizzazione chimico-mineralogica del legante e dell’aggregato, composizione elementale, mappatura degli elementi significativi, studio delle alterazioni, indagini stratigrafiche, studio di trattamenti di finitura o protezione

Diffrazione dei Raggi X

XRD

Analisi delle sostanze cristalline (minerali costituenti, sali, pigmenti, ecc.)

171

(segue) ACRONIMO

INFORMAZIONI FORNITE DALL’INDAGINE DIAGNOSTICA

Fluorescenza dei Raggi X

XRF

Analisi qualitativa e quantitativa degli elementi / studio delle specie chimiche presenti per la caratterizzazione del legante e dell’aggregato

S p e t t ro f o t o m e t r i a d i assorbimento atomico

AAS

Analisi quantitativa degli elementi / studio delle specie chimiche presenti per la caratterizzazione del legante e dell’aggregato

TIPO ANALISI

Analisi quantitativa dei carbonati (utile nel caso di malte ad aggregato non calcareo o dopo separazione del legante dall’aggregato

Calcimetria Spettrometria Infrarossa in Trasformata di Fourier

FTIR

Analisi delle sostanze organiche (additivi organici, leganti di policromie, trattamenti antichi e moderni), analisi di minerali e sali

Analisi termogravimetrica e analisi termica differenziale

TG/DTA

Analisi quali - quantitativa di alcune specie minerali e delle sostanze organiche

Cromatografica Ionica

IC

Analisi di ioni di sali solubili

Cromatografica su strato sottile

TLC

Analisi delle sostanze organiche (additivi organici, leganti di policromie, trattamenti antichi e moderni)

Cromatografica liquida ad alta pressione

HPLC

Analisi delle sostanze organiche (additivi organici, leganti di policromie, trattamenti antichi e moderni)

Colorazioni istochimiche

Analisi di leganti organici su sezioni stratifiche / studio di trattamenti superficiali di protezione o di finitura

Analisi microbiologiche in M.O.

Identificazione degli organismi presenti, almeno come gruppi sistematici

Analisi microbiologiche in coltura pura

Identificazione dei microrganismi e valutazione quantitativa della loro concentrazione

Analisi botaniche

Identificazione qualitativa e/o quantitativa di licheni e piante superiori

Nel seguito viene riportato un elenco dei principali laboratori italiani che operano, per conto terzi, nel campo della diagnostica del Patrimonio Artistico. 1. Preparazione delle sezioni lucide e sottili1 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 1. La tecnica (distruttiva), prevede il prelievo dal campione da analizzare di materiale sufficiente per la preparazione di un provino da sottoporre poi ad osservazioni al microscopio elettronico al fine di ottenere informazioni sulle stratificazioni del materiale da restaurare (croste, protettivi, consolidanti, prodotti di corrosione…)

172

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

PUNTO TERRA - V. S. Giovanna Elisabetta, 44 - 00189 Roma tel. 06/3313433, fax 06/3313433

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

IL CENACOLO - V. della Giustiniana, 1012 - 00189 Roma tel. 06/3710830, fax 06/3767648

R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/57300626 COELI RICCARDO - V. P. Gaidano, 12 - 10137 Torino tel. 011/3110247, fax 011/3110247 IL CENACOLO - V. Boemondo, 9 - 70121 Bari tel. 080/5244756, fax 080/5218679 SER.Co.TEC. SRL - P.za S. Giovanni, 3 - 34122 Trieste tel. 040/763974, fax 040/763974

2. Diffrazione dei raggi X 2 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO ARTISTICO Dip. Innovazione, ENEA CR. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Galeria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/30486302 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 ASSING SPA - V. E. Amaldi, 14 - Z.I. - 00016 Monterotondo (Roma) tel. 06/906701, fax 06/9069923 IL CENACOLO - V della Giustiniana, 1012 - 00189 Roma tel. 06/3710830, fax 06/3767648 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 ASSING SPA - V. E. Amaldi, 14 - Z.I. - 00016 Monterotondo (Roma) tel. 06/906701, fax 06/9069923 TECNO FUTUR SERVICE SRL - V. Argini, 2216 - 41017 Ravarino (Modena) tel. 059/909850, fax 059/909038 TECNO FUTUR SERVICE SR - V. Argini, 2216 - 41017 Ravarino (Modena) tel. 059/909850, fax 059/909038 ITALSTRUCTURES - V. Monte Misone, Z.I. Baltera - 38066 Riva del Garda (VR) tel. 0464/ 553426, fax 0464/555270 I TALSTRUCTURES - V. Monte Misone, Z.I. Baltera - 38066 Riva del Garda (VR) tel. 0464/ 553426, fax 0464/555270 2. La tecnica permette il riconoscimento delle fasi cristalline presenti nei materiali.

173

LABORATORIO PER L'ARCH. STORICA - V.le del Bastione, 16 - 90141 Palermo tel. 091/6571477, fax 091/217873 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/57300626 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/57300626 IL CENACOLO - V. Boemondo, 9 - 70121 Bari tel. 080/5244756, fax 080/5218679 SYREMONT SPA - V. Camperio, 9 - 20123 Milano – tel. 02/62705423, fax 02/62705413 V. Fauser, 4 - 28100 Novara tel. 0321/447261, fax 0321/447378 LABORATORIO PER L’ARCH. STORICA - V.le del Bastione, 16 - 90141 Palermo tel. 091/6571477, fax 091/217873

3. Fluorescenza a raggi X3 LABORATORIO PER L’ARCH. STORICA -V.le del Bastione, 16 - 90141 Palermo tel. 091/6571477, fax 091/217873 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMO-NIO ARTISTICO - Dip. Innovazione, ENEA c.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Galeria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/30486302 R&C SCIENTIFICA SRL -V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/ 57300626

4. Assorbimento atomico4 SER.Co.TEC. SRL - P.za S. Giovanni, 3 - 34122 Trieste tel. 040/763974, fax 040/763974 SYREMONT SPA - V. Camperio, 9 - 20123 Milano tel. 02/62705423, fax 02/62705413. V. Fauser, 4 - 28100 Novara tel. 0321/447261, fax 0321/447378 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO ARTISTICO Dip. Innovazione, ENEA C.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Galeria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/30486302 3. Permette attraverso un sistema di analisi (oggi disponibile anche portatile), il riconoscimento degli elementi chimici presenti sul materiale, allo scopo di individuare prodotti inquinanti, di corrosione 4. Prova distruttiva (nel senso che è previsto il prelievo di un campione da analizzare) che consente l’analisi quantitativa e qualitativa degli elementi chimici presenti su un certo materiale

174

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

5. Cromatografia ionica5 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO ARTISTICO - Dip. Innovazione, ENEA c.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Ga1eria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/ 30486302 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 A1tavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 IL CENACOLO - V. della Giustiniana, 1012 - 00189 Roma tel. 06/3710830, fax 06/3767648 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/57300626 IL CENACOLO - V. Boemondo, 9 - 70121 Bari tel. 080/5244756, fax 080/5218679

6. Riflettografia6 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO ARTISTICO - Dip. Innovazione, ENEA c.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Ga1eria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/ 30486302 SOCIETÀ ITALIANA PROGETTI - V. N. Copernico, 16 - 47100 Forlì tel. 0543/722750, fax 0543/722449 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 A1tavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 ARTI SPA - V. Donatello, 79 - 00196 Roma tel. 06/3242492, fax 06/3242495 SOCIETÀ ITALIANA PROGETTI - V. B. Marcello, 91 - 20124 Milano tel. 02/29401032, fax 02/29405996 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma

tel. 06/5740863, fax 06/57300626 PANART SNC - V. di Rusciano, 50 - 50126 Firenze tel. 055/685020, fax 055/685020 T.S.A. SRL - V. Pacinotti, 19E/4 - 35136 Padova tel. 049/8724610, fax 049/8724611 5. Tecnica distruttiva che consente l’analisi, soprattutto sui materiali lapidei, dei fenomeni di inquinamento ambientale, determinando quali e quantitativamente, nitrati, solfati e cloruri. 6. Prova non distruttiva, usata per i dipinti, per individuare i disegni preparatori eseguiti a carboncino sulla tela.

175

7. Infrarosso termico7 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO ARTISTICO - Dip.Innovazione, ENEA c.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Galeria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/30486302 IL CENACOLO - V. della Giustiniana, 1012 - 00189 Roma tel. 06/3710830, fax 06/ 3767648 CND SERVICE SRL - V. della Mag1iana, 501 - 00148 Roma tel. 06/6571716, fax 06/6539210 TECNO FUTUR SERVICE SRL - V. Argini, 2216 - 41017 Ravarino (Modena) tel. 059/909850, fax 059/909038 ARTI SPA - V. Donatello, 79 - 00196 Roma tel. 06/3242492, fax 06/3242495 IL CENACOLO - V. Boemondo, 9 - 70121 Bari tel. 080/5244756, fax 080/5218679 LABORATORIO PER L’ARCH. STORICA - V.le del Bastione, 16 - 90141 Palermo tel. 091/6571477, fax 091/217873 CMP COOP. MEDITERRANEA PROSPEZIONI - V. C. A. Dalla Chiesa, 21 - 00061 Anguillara Sabazia (Roma) tel. 06/ 9996627, fax 06/9996627 T.S.A. SRL - V. PaciI}.otti, 19E/4 - 35136 Padova tel. 049/8724610, fax 049/8724611

8. Fotogrammetria8 ARTI SPA - V. Donatello, 79 - 00196 Roma tel. 06/3242492, fax 06/3242495 DRS ENGINEERING - V. B. Cristofori, 26 - 35100 Padova tel. 049/8722512, fax 049/ 8720000 D.G. RILIEVI SRL - V. Natale Krekich, 25 - 00143 Roma tel. 06/5017673, fax 06/5017673 TREERRE SAS DI G. TILIA - V. Gorgia di Leontini, 170 - 00124 Roma tel. 06/85352226, fax 06/ 8557691 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/57300626 GEODETICAL - V. Pasteur, 78 - 00144 Roma teI. 06/54220475, fax 06/54229266 7. Tecnica non distruttiva, che permette di individuare le disomogeneità strutturali, mappature di fronti di umidità, dispersioni e accumuli termici… 8. Tecnica che permette dal rilievo fotografico, la restituzione su cartografia.

176

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

IL CENACOLO - V. Boemondo, 9 - 70121 Bari teI. 080/5244756, fax 080/5218679

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

GRS GEODESIA RESTITUZIONE E STUDI SNC - V.le Sirtori, 56 - 00149 Roma teI. 06/55284586, fax 06/55284586 SYREMONT SPA - V. Camperio, 9 - 20123 Milano teI. 02/62705423, fax 02/62705413 V. Fauser, 4 - 28100 Novara teI. 0321/447261, fax 0321/447378 T.S.A. SRL - V. Pacinotti, 19E/4 - 35136 Padova teI. 049/8724610, fax 049/8724611 FOART - V. Sporzana, 38 - 43100 Parma teI. 0521/254006, fax 0521/254512 ASSOCIATIMODUS CooP. - V.le A. Manzoni, 26 - 00185 Roma teI. 06/77200073, fax 06/77200095

9. Microscopia elettr. a scansione e microanalisi X IL CENACOLO - V. della Giustiniana, 1012 - 00189 Roma tel. 06/3710830, fax 06/ 3767648 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO ARTISTICO Dip. Innovazione, ENEA C.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Galeria (Roma) teI. 06/30484732, fax 06/30486302 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) teI. 0444/349040, fax 0444/349041 SER. Co. TEc. SRL - P.zza S. Giovanni, 3 - 34122 Trieste teI. 040/763974, fax 040/763974 IL CENACOLO - V. della Giustiniana, 1012 - 00189 Roma tel. 06/3710830, fax 06/3767648 CND SERVICE SRL - V. della Magliana, 501 00148 Roma tel. 06/6571716, fax 06/6539210 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/ 57300626 IL CENACOLO - V. Boemondo, 9 - 70121 Bari tel. 080/5244756, fax 080/5218679 ASSING SPA - V. E. Amaldi, 14 - Z.1. - 00016 Monterotondo (Roma) tel. 06/906701, fax 06/9069923 TECNO FUTUR SERVICE SRL - V. Argini, 2216 - 41017 Ravarino (Modena) tel. 059/909850, fax 059/ 909038

177

T.S.A. SRL - V. Pacinotti, 19E/4 35136 Padova tel. 049/8724610, fax 049/8724611 LABORATORIO PER L’ARCH. STORICA - V.le del Bastione, 16 - 90141 Palermo tel. 091/6571477, fax 091/ 217873

10. ENDOSCOPIA9 ES SRL PROGETTI E SISTEMI - V. Zoe Fontana, 220 - 00131 Roma teI. 06/4191677, fax 06/4191713 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO ARTISTICO - Dip. Innovazione, ENEA C.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Galeria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/ 30486302 CORES DI R. COZZOLINO - V. M. Mari, 66 00100 Roma teI. 06/8606143 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 SOBECA - V.le A. Boito, 126 - 00199 Roma tel. 06/8600696, fax 06/8600696

11. Radiografia10 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMO-NIO ARTISTICO - Dip. Innovazione, ENEA c.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Galeria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/30486302 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/57300626 ITALSTRUCTURES - V. Monte Misone, Z.1. Baltera - 38066 Riva del Garda (Verona) -tel. 0464/ 553426, fax 0464/555270

12. Termoluminescenza11 UNITÀ SALVAGUARDIA DEL PATRIMO-NIO ARTISTICO- Dip. Innovazione, ENEA 9. Permette l’ispezione delle parti interne di un’opera allo scopo di verificarne lo stato di conservazione. 10.Tecnica che permette di evidenziare la presenza di strutture sottostanti la superficie o interne ad un’opera d’arte e quindi non visibili ad occhio nudo. Si basa sulla capacità dei raggi X di attraversare i materiali e di impressionare una lastra fotografica. 11.Permette la datazione attraverso l’analisi delle impurezze radioattive presenti su un materiale ceramico o nei bronzi. La prova è distruttiva.

178

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

C.R. Casaccia - S.P. Anguillarese, 301 - 00060 S. Maria di Galeria (Roma) tel. 06/30484732, fax 06/30486302

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 ARCADIA SRL - P.za Aspromonte, 29 - 20131 Milano tel. 02/29400482, fax 02/ 29516475 LABORATORIO PER L’ARCH. STORICA - V.le del Bastione, 16 - 90141 Palermo tel. 091/6571477, fax 091/ 217873 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/ 57300626

13. Radiocarbonio R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/3.49040, fax 0444/349041 ARTI SPA - V. Donatello, 79 - 00196 Roma tel. 06/3242492, fax 06/3242495 IL CENACOLO - V. della Giustiniana, 1012 - 00189 Roma tel. 06/3710830, fax 06/3767648 CRAD- CENTRO RICERCHE APPL. E DOCUMENTAZIONE - V.le Leonardo da Vinci, 16 - 33100 Udine tel. 0432/520543, fax 0432/522755 CND SERVICE SRL - V. della Magliana, 501 - 00148 Roma tel. 06/6571716, fax 06/6539210 LABORATORIO DI DATAZIONE CON IL CARBONIO 14 - Istituto Tecnologie Applicate ai Beni Culturali - CNR, Area della Ricerca di Roma - V. Salaria, km 29,300 00016 Monterotondo Scalo (Roma) tel. 06/90672469, fax 06/906225849 ARTI SPA - V. Donatello, 79 - 00196 Roma tel. 06/3242492, fax 06/3242495 R&C SCIENTIFICA SRL - V. Piave, 24 - 36077 Altavilla Vicentina (Vicenza) tel. 0444/349040, fax 0444/349041 PANART SNC - V. di Rusciano, 50 - 50126 Firenze tel. 055/685020, fax 055/685020 R&C SCIENTIFICA SRL - V. del Commercio, 36 - 00154 Roma tel. 06/5740863, fax 06/57300626 SERVIZIO DATAZIONI C 14 E TRIZIO - ENEA, Dip.Innovazione - Via dei Colli, 16 40136 Bologna tel. 051/498168, fax 051/498187 179

14. Analisi termica differenz.12 SYREMONT SPA - V. Camperio, 9 - 20123 Milano tel. 02/62705423, fax 02/62705413 V. Fauser, 4 - 28100 Novara tel. 0321/447261, fax 0321/447378 T.S.A. SRL - V. Pacinotti, 19E/4 - 35136 Padova tel. 049/8724610, fax 049/8724611

15. Pulitura mediante laser13 TRIVELLA SPA - V. Guicciardini, 45 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) teI. 02/6127131, fax 02/66049042 CND SERVICE SRL - V. della Magliana, 501 - 00148 Roma teI. 06/6571716, fax 06/6539210

16. Pulitura mediante metodologia JOS14 ACEP - V. L. di Breme, 11 - 00137 Roma tel. 06/8274922, fax 06/86895667 DG RILIEVI SRL - V. Natale Krekich, 25 - 00143 Roma tel. 06/5017673, fax 06/5017673 BALDINI COSTRUZIONI SRL - V. del Ferro, 5 - 54033 Carrara (Massa) tel. 0585/777660, fax 0585/777660 GRS GEODESIA RESTITUZIONE E STUDI SNC - V.le Sirtori, 56 - 00149 Roma tel. 06/55284586, fax 06/55284586

17. Ultrasuoni15 ASSOCIATIMODUS CooP. - V.le A. Manzoni, 26 - 00185 Roma tel. 06/77200073, fax 06/77200095 CoREs DI R. COZZOLINO - V. M. Mari, 66 - 00100 Roma tel. 06/8606143

12. Prova distruttiva utilizzata per lo studio dei materiali organici (leganti, adesivi, vernici, stucchi…) e per la caratterizzazione dei minerali presenti nelle malte. 13. Tecnica efficace per la rimozione completa delle incrostazioni presenti sulle superfici in pietra, metalliche … 14.Una delle ultime tecniche: si basa su un processo a vortice rotativo a bassa pressione (0.51.5 atm) di un granulato neutro finissimo per eliminare pitture, velature, deposito di sporco, calcare, smog). Il procedimento prevede un consumo di acqua molto basso (10-60 l/h). 15.Prova non distruttiva che permette la localizzazione dei difetti presenti nei materiali lapidei e metallici.

180

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

CND SERVICE SRL - V. della Mag1iana, 501 - 00148 Roma tel. 06/6571716, fax 06/6539210

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

LABORATORIO PER L’ARCH. STORICA - V.le del Bastione, 16 - 90141 Palermo tel. 091/6571477, fax 091/ 217873 SOBECA - V.le A. Boito, 126 - 00199 Roma tel. 06/8600696, fax 06/8600696 SER.Co.TEc. SRL - P.za S. Giovanni, 3 - 34122 Trieste tel. 040/763974, fax 040/763974 T.S.A. SRL - V. Pacinotti, 19E/4 - 35136 Padova tel. 049/8724610, fax 049/8724611 FOART - V. Sporzana, 38 - 43100 Parma tel. 0521/254006, fax 0521/254512

18. Correnti indotte16 SYREMONT SPA - V. Camperio, 9 - 20123 Milano teI. 02/62705423, fax 02/62705413 V. Fauser, 4 - 28100 Novara tel. 0321/447261, fax 0321/447378. NOVUM COMUM SAS - V. Guicciardini, 47 - 20092 Cinisello Ba1zamo (Milano) - tel. 02/6127131, fax 02/66049042

Sia le analisi che i laboratori specializzati citati, devono attenersi nell’esecuzione delle prove alle Raccomandazioni NorMaL (NORmativa Materiali Lapidei), norme tecniche di settore elaborate da una Commissione istituita nel 1977 nell’ambito del Ministero dei BBCC, con l’apporto del CNR e l’ICR (Istituto Centrale per il Restauro) con lo scopo di redigere e pubblicare le metodologie da adottare negli interventi di restauro sui materiali lapidei. ELENCO RACCOMANDAZIONI NORMAL N°

TITOLO NORMA

1/80

Alterazioni Macroscopiche dei Materiali Lapidei: Lessico

1/88

Alterazioni Macroscopiche dei Materiali Lapidei: Lessico

3/80

Materiali Lapidei: Campionamento. (Ristampa 1988)

4/80

Distribuzione del Volume dei Pori in Funzione del loro Diametro.

5/81

Misura dei Parametri Ambientali

16.Prova non distruttiva che permette la mappatura dei difetti presenti nei materiali metallici misurando l’alterazione che un campo elettromagnetico subisce quando viene fatto interagire con un materiale conduttore.

181

ELENCO RACCOMANDAZIONI NORMAL N°

182

TITOLO NORMA

5/82

Misura dei Parametri Ambientali

5/83

Misura dei Parametri Ambientali

5/86

Misura dei Parametri Ambientali

5/87

Misura dei Parametri Ambientali

6/81

Caratterizzazione di Materiali Litici di Cava: Schema di Scheda.

7/81

Assorbimento d’Acqua per Immersione Totale - Capacità di Imbibizione

8/81

Esame delle Caratteristiche Morfologiche al Microscopio Elettronico a Scansíone (SEM).

9/82

Microflora Autotrofa ed Eterotrofa: Tecniche di Isolamento in Coltura

9/88

Microflora Autotrofa ed Eterotrofa: Tecniche di Isolamento in Coltura

10/82

Descrizione Petrografica dei Materiali Lapidei Naturali.

11/82

Assorbimento d’Acqua per Capillarità - Coefficiente di Assorbimento Capillare

11/85

Assorbimento d’Acqua per Capillarità - Coefficiente di Assorbimento Capillare. Sostituita dalla UNI 10859

12/83

Aggregati Artificiali di Clasti e Matrice Legante non Argillosa: Schema di Descrizione.

13/83

Dosaggio dei Sali Solubili. Sostituita dalla UNI 11087

14/83

Sezioni Sottili e Lucide di Materiali Lapidei: Tecnica di Allestimento

15/84

Manufatti e Aggregati a Matrice Argillosa: Schema di Descrizione. Sostituita dalla UNI 11084

16/84

Caratterizzazione di Materiali Lapidei in Opera e del loro Stato di Conservazione: Sequenza Analitica

17/84

Elementi Metrologici e Caratteristiche Dimensionali: Determinazione Grafica

18/84

Rilevamento della Funzionalità degli Impianti Tecnici: Schema di Scheda

19/85

Microflora Autotrofa ed Eterotrofa:Tecniche di Indagine Visiva. Sostituita dalla UNI 10923

20/85

Interventi Conservativi: Progettazione, Esecuzione e Valutazione Preventiva. (Ristampa 1996)

21/85

Permeabilità al Vapor d’Acqua

22/86

Misura della Velocità di Propagazione del Suono

23/86

Terminologia Tecnica: Definizione e Descrizione delle Malte

23/87

Terminologia Tecnica: Definizione e Descrizione delle Malte. Sostituita dalla UNI 10924

24/86

Metodologia di Rilevamento e di Analisi della Vegetazione

25/87

Microflora Autotrofa ed Eterotrofa:Tecniche di Isolamento e di Mantenimento in Coltura Pura

26/87

Caratterizzazione delle Malte da Restauro

27/88

Caratterizzazione di una Malta

28/88

Composizione Chimica dei Materiali Lapidei

29/88

Misura dell’Indice di Asciugamento (Drying Index)

30/89

Metodi di Controllo del Biodeterioramento

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

ELENCO RACCOMANDAZIONI NORMAL TITOLO NORMA

Determinazione della Calce e della Magnesia Residue

32/89

Determinazione Gas-Volumetrica della CO2

33/89

Misura dell’Angolo di Contatto

34/91

Analisi di Materiali “Argillosi” mediante XR

35/91

Caratterizzazione di Biocidi: Schema di Scheda

36/92

Glossario per l’Edilizia Storica nei Trattati dal XV al XIX Secolo

37/92

Trattamenti Biocidi: Schema di Scheda per Archiviazione Dati

38/93

Valutazione Sperimentale dell’Efficacia dei Biocidi

39/93

Rilevamento della Carica Microbica dell’Aria

40/93

Misura Ponderale di Umidità in Murature. Sostituita dalla UNI 11085

41/93

Misura Ponderale di Umidità in Superfici Murarie dipinte. Sostituita dalla UNI 11085

42/93

Criteri Generali per l’applicazione delle PnD (Prove non Distruttive)

43/93

Misure colorimetriche di superfici opache

44/93

Assorbimento d’Acqua a Bassa Pressione

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e



31/89

Entrando più nello specifico, di seguito sono elencati gli argomenti che trattano le singole norme (che possono essere acquistate rivolgendosi all’ICR).

NORMAL 1/88 Alterazioni Macroscopiche dei Materiali Lapidei: Lessico. Questo documento aggiorna, sostituendolo, il precedente NORMAL 1/80. Il documento stabilisce il significato dei termini generali alterazione e degradazione, Definisce poi i termini che descrivono i vari fenomeni alterativi e degradativi dei materiali lapidei. Ogni termine è illustrato da una documentazione fotografica significativa ed è corredato da un simbolo grafico. I principi che regolano la documentazione grafica sono esposti ed esemplificati in appendice. NORMAL 3/80 Materiali Lapidei: Campionamento. Si indicano le modalità da seguire nel prelievo di campioni per lo studio dei processi di alterazione ed il controllo degli interventi conservativi. Nel Documento vengono considerate le tre eventualità possibili: ✔

campionamento di materiale in opera;



campionamento di materiale non più in opera e non più reintegrabile al manufatto;



campionamento da cava.

183

NORMAL 2/80 Archiviazione di Materiali Lapidei: Schema di Scheda. La scheda elaborata secondo le indicazioni fornite dal Documento permette una raccolta sistematica del-le notizie utili ai fini dell’impiego a scopo scientifico di frammenti destinati alla dispersione. Il recupero di tali frammenti consente l’esecuzione eli misure ed analisi distruttive necessarie nello studio dei processi di alterazione e nel controllo dei metodi di intervento. NORMAL 16/84 Caratterizzazione di Materiali Lapidei in Opera e del loro Stato di Conservazione: Sequenza analitica per la caratterizzazione dei materiali lapidei in opera e cause del loro deterioramento, in genere sono disponibili campioni di dimensioni e peso ridotti: viene perciò proposta una sequenza analitica che consente di ottenere il maggior numero possibile di informazioni dalle analisi effettuabili. Per la descrizione più dettagliata delle metodologie d’analisi, questo documento, fa riferimento alle Raccomandazioni che verranno di seguito illustrate. NORMAL 6/81Caratterizzazione di Materiali Litici di Cava: Schema di Scheda. La scheda elaborata secondo le indicazioni fornite dal Documento permette una raccolta sistematica di dati relativi alle caratteristiche peculiari dei materiali lapidei di cava impiegati a scopo sia ornamentale che strutturale in edifici o manufatti di importanza storico-artistica. Tali stati forniranno la base comparativa necessaria allo studio delle alterazioni di materiali in opera ed alla scelta dei litotipi da impiegare per sostituzioni e integrazioni NORMAL 8/81 Esame delle Caratteristiche Morfologiche al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM). Si indicano le modalità da adottare in laboratorio per la caratterizzazione (attraverso l’esame al SEM) dei materiali lapidei, valutazione qualitativa della degradazione e controllo degli effetti dei trattamenti conservativi. NORMAL 10/82 Descrizione Petrografica dei Materiali Lapidei Naturali. Vengono definite le modalità da seguire per la descrizione delle caratteristiche che determinano il comportamento chimico, fisico e meccanico del materiale lapideo, anche al fine di eventuali confronti tra parti di un manufatto a diverso stato di conservazione o tra materiale in opera e il corrispondente materiale in cava. NORMAL 14/83 Sezioni Sottili e Lucide di Materiali Lapidei: Tecnica di Allestimento. Viene descritta la tecnica da adottare per I’allestimento delle sezioni 184

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utili per l’esame al microscopio in luce polarizzata trasmessa e riflessa, per la caratterizzazione del materiale lapideo e la valutazione degli effetti dei trattamenti conservativi. NORMAL 28/88 Composizione Chimica dei Materiali Lapidei. Vengono descritti i criteri da adottare per la caratterizzazione chimica finalizzata a: completare la caratterizzazione dei materiali lapidei, ricercare le cause e i meccanismi della loro degradazione, determinare il loro stato di conservazione, valutare l’efficacia degli interventi conservativi, fornire informazioni sulla presenza dei prodotti applicati nel passato. NORMAL 13/83 Dosaggio dei Sali Solubili. Viene indicata la tecnica da adottare per il dosaggio dei sali solubili in acqua presenti nei materiali lapidei sia come componenti naturali, sia come prodotti di neoformazione in fase di degrado, sia provenienti da zone limitrofe all’area di prelievo. NORMAL 32/89 Determinazione Gas volumetrica della CO2. Viene descritto il metodo per valutare il contenuto in carbonati di un materiale lapideo mediante un attacco acido per acido cloridrico del campione e successiva misura della CO2 sviluppata (calcimetria) secondo il metodo DietrichFruhling. Il metodo permette, oltre alla caratterizzazione dei manufatti lapidei, la valutazione del loro stato di conservazione. NORMAL 34/91 Analisi di Materiali argillosi mediante XRD. Viene descritto il metodo per caratterizzare, mediante diffrattometria ai raggi X, su preparati di polveri, la componente argillosa cristallina e, ove possibile, amorfa, dei materiali lapidei. Vengono descritte sia la determinazione qualitativa che la valutazione semi-quantitativa dei componenti. Il metodo è applicabile ad argille, suoli, componenti argillosi di materiali lapidei naturali ed artificiali, in manufatti di interesse storico-artistico, miscele artificiali di argille, prodotti di alterazione, dando anche informazioni sulle cause e forme del deterioramento. NORMAL 4/80 Caratterizzazione fisica dei materiali lapidei naturali - Distribuzione del Volume dei pori in funzione del loro diametro. Viene descritto il metodo che utilizza la porosimetria a mercurio per determinare sia la porosità totale (porosità aperta integrale) che la distribuzione del volume dei pori in funzione del loro diametro. Tali misure permettono sia la valutazione della degradazione che il controllo degli effetti dei trattamenti conservativi. Il Documento descrive inoltre un metodo che permette di misurare la massa volumica appa185

rente facendo uso di parte della apparecchiatura impiegata per la porosimetria a mercurio. NORMAL 7/81 Assorbimento d’Acqua per Immersione Totale - Capacità di Imbibizione. Viene descritto il metodo per la determinazione della Capacità di Imbibizione, ossia della quantità di acqua assorbita dal materiale per immersione totale in acqua deionizzata a pressione e temperatura ambiente. NORMAL 11/85 Assorbimento d’Acqua per Capillarità - Coefficiente di Assorbimento Capillare. Questo Documento, che aggiorna sostituendolo il precedente NORMAL 11/82, descrive il metodo per la determinazione dell’Assorbimento d’acqua per Capillarità, ossia della quantità d’acqua assorbita per unità di superficie, in funzione del tempo, a pressione e temperatura ambiente, da un campione avente la superficie di base in contatto con acqua deionizzata. Viene altresì descritto il metodo per calcolare il Coefficiente di Assorbimento Capillare. NORMAL 21/85 Permeabilità al Vapor d’Acqua. Viene descritto il metodo per misurare la quantità di vapore acqueo che fluisce, nell’unità di tempo, per unità dì superficie e in condizioni stazionarie, attraverso due superfici parallele di un campione di determinato spessore, sotto l’effetto di una differenza di pressione parziale di vapore. NORMAL 22/86 Misura della Velocità di Propagazione del Suono. Descrive i metodi non distruttivi per la determinazione della velocità di propagazione del suono, grandezza che, come è noto, è direttamente correlabile a discontinuità presenti nel materiale. Il metodo per-mette quindi la caratterizzazione del materiale, la valutazione del degrado e degli effetti dei trattamenti conservativi. NORMAL 29/88 Misura dell’Indice di Asciugamento (Drying Index). Viene descritto il metodo per misurare la perdita, per evaporazione, dell’acqua assorbita dal materiale lapideo, in funzione del tempo. La misura viene eseguita sui campioni saturi d’acqua provenienti dalla prova di assorbimento per immersione totale (NORMAL 7/81). Il metodo permette la caratterizzazione del materiale, la valutazione del degrado e degli effetti dei trattamenti conservativi. NORMAL 33/89 Misura dell’Angolo di Contatto. Viene descritto il metodo per misurare l’angolo di contatto acqua - materiale lapideo in condizioni statiche. Permette la valutazione dell’idrorepellenza di 186

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una superficie lapidea sottoposta a trattamenti conservativi. Viene descritto il metodo per misurare l’umidità contenuta nelle murature con il metodo ponderale. Si applica a sistemi murari costituiti da materiali porosi sia naturali che artificiali. NORMAL 43/93 Misure colorimetriche di Superfici opache. Il Documento descrive la caratterizzazione colorimetrica dei materiali lapidei effettuata con metodo sperimentale La caratterizzazione è applicabile ai materiali lapidei sia naturali che artificiali, trattati e non trattati; può quindi essere utilizzala per il controllo di variazioni cromatiche a seguito di trattamenti conservativi e/o di invecchiamenti artificiali. NORMAL 44/93 Assorbimento d’Acqua a bassa Pressione. Viene descritto il metodo per determinare il volume d’acqua assorbito a bassa pressione da una determinata superficie di materiale poroso dopo un tempo prefissato. Si impiega una particolare cella cava (pipetta) e la misura può essere effettuata sia in laboratorio che in situ (essendo non distruttiva). NORMAL 42/93 Criteri generali per l’applicazione delle Prove non Distruttive. Il Documento fornisce indicazioni sui criteri generali e sui principi delle metodologie di indagine non distruttiva per: 1. individuare lo stato attuale del manufatto, o di parti di esso, mediante la caratterizzazione dei materiali costitutivi e/o del manufatto ed il rilevamento di eventuali dissesti, alterazioni e degradi, anche per mezzo di misure prolungate nel tempo; 2. orientare la scelta degli interventi; 3. controllare gli interventi stessi, sia in corso d’opera sia nel tempo; 4. orientare eventuali indagini successive all’intervento, con particolare riferimento a quelle di tipo non distruttivo. Il Documento è di introduzione preliminare alla applicazione di ogni altro Documento NORMAL sulle indagini non distruttive, già pubblicato o che verrà pubblicato in futuro. NORMAL 19/85 Microflora Autotrofa ed Eterotrofa: Tecniche di Indagine Visiva. Il Documento descrive i metodi che permettono di evidenziare le caratteristiche morfologiche dei diversi organismi responsabili del biodeterioramento dei materiali lapidei. Tali metodi sono: l’Analisi Visiva Diretta, l’Analisi allo Stereomicroscopio, l’Analisi al Microscopio Ottico, l’Analisi al Microscopio Elettronico 187

a Scansione (SEM), l’Analisi al Microscopio Elettronico a Trasmissione (TEM). II prelievo dei campioni viene effettuato con le modalità del Documento NORMAL 3/80. Per la descrizione del metodo di Analisi al SEM si rimanda al Documento NORMAL 8/81. Per l’identificazione dei microrganismi e nei casi di dubbio riconoscimento si ricorre ad analisi colturali con le tecniche di isolamento descritte nel Documento NORMAL 9/88. NORMAL 9/88 Microflora Autotrofa ed Eterotrofa: Tecniche di Isolamento in Coltura. NORMAL 25/87 Microflora Autotrofa ed Eterotrofa: Tecniche di isolamento e di mantenimento in Coltura Pura. I due documenti riguardano le metodiche ed i terreni da utilizzare per isolare, identificare e mantenere in coltura pura i microrganismi. Il primo aggiorna sostituendolo il precedente NORMAL 9/82, descrive le metodiche per l’analisi qualitativa e quantitativa della microflora, nonché i terreni colturali specifici per ogni gruppo fisiologico, le tecniche di preparazione, le modalità di incubazione e la lettura dei risultati, il secondo descrive le metodiche per l’ottenimento di colture pure dai campioni prelevati dal monumento, nonché le tecniche per la conservazione delle colture ottenute. NORMAL 24/86 Metodologia di rilevamento e di analisi della Vegetazione. Il Documento tratta dell’analisi della vegetazione ruderale ed infestante, proponendo una scheda di rilevamento della vegetazione. La scheda, oltre alla identificazione delle specie presenti, contiene dati sulla presenza-assenza di alcuni caratteri della vegetazione, sulla percentuale di diffusione delle singole specie, sulle caratteristiche dell’area di sviluppo (altitudine, inclinazione, esposizione, tipo di substrato o di suolo). Il Documento fornisce inoltre un breve cenno sulla metodica e sugli scopi da perseguire nella analisi della vegetazione, analisi impostata come ricerca fitosociologica, cioè come interazione tra le specie, sia reciproca che nei confronti dei parametri ambientali e pedologici. Vengono altresì elencati i termini (glossario) utilizzati nel settore ed il loro significato.

C.1.1

Conoscenza del materiale lapideo artificiale

NORMAL 23/86 e NORMAL 23/87 Terminologia Tecnica: Definizione e Descrizione delle Malte. I due Documenti affrontano il problema malte, sotto l’aspetto puramente terminologico (definizione del termine malta, differenziazione delle malte in base 188

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alla loro funzione, alla natura del legante, al processo di presa). NORMAL 36/92 Glossario per l’Edilizia storica nei Trattati dal XV al XIX sec. QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

II dizionario raccoglie i termini, impiegati nel corso del tempo e nelle diverse regioni italiane, per le malte, le operazioni connesse con la loro preparazione e messa in opera, gli strumenti utilizzati. Il Documento, relativo ai soli trattati a stampa, costituisce la prima parte e riguarda le materie prime e derivati. Il Documento è diviso in due capitoli: cap. 1. riporta i termini moderni (materie prime e derivati) corredati ciascuno di una definizione; cap. 2. ai termini moderni vengono riferiti i termini provenienti dalla trattatistica pubblicata in Italia fra il XV e il XIX secolo. Ciascun termine moderno è seguito dai corrispondenti termini antichi, in ordine alfabetico. NORMAL 12/83 Aggregati Artificiali di Clasti a Matrice Legante non Argillosa: Schema di Descrizione NORMAL 15/84 Manufatti e Aggregati a Matrice Argillosa: Schema di Descrizione. I due Documenti raccolgono sistematicamente i dati utili alla determinazione dei componenti e delle tecniche di fabbricazione, alla individuazione della provenienza delle materie prime e alla valutazione dello stato di conservazione di malte e intonaci. 1 dati raccolti contribuiscono anche ad effettuare il riconoscimento delle diverse fasi costruttive di un manufatto. NORMAL 27/88 Caratterizzazione di una Malta Il Documento indica i criteri generali e le metodologie di misura per la caratterizzazione fisica, mineralogica, petrografica e chimica delle malte in opera. Il Documento è costituito da tre parti: ✔

Elenco dei parametri necessari per la conoscenza di una malta;



Metodologie da adottare per la determinazione di tali parametri;



Schema della sequenza analitica consigliata per la caratterizzazione mineralogico petrografica di una malta e dei suoi prodotti di alterazione.

NORMAL 26/87 Caratterizzazione delle Malte da Restauro. Il Documento si occupa dei requisiti delle malte da impiegare nelle operazioni di restauro con l’obiettivo che tali malte siano il più possibile compatibili con il materiale lapideo antico. Indica i dati necessari per la caratterizzazione chimica, mineralogico, petrografica, fisico, meccanica delle malte da restauro e le relative metodologie di misura.

189

NORMAL 31/89 Determinazione della calce e della magnesia residue Viene descritto il metodo per dosare, nelle malte e nei calcestruzzi, il contenuto di calce e magnesia residue secondo il metodo di Francke. Nel documento sono descritte: ✔

determinazione della somma di calce e magnesia residue (titolazione acidimetrica), valida per leganti aerei ed aggregati di sabbia;



determinazione differenziata della calce e della magnesia residue (titolazione complessometrica).

NORMAL 32/89 Determinazione Gas volumetrica della CO2. Viene descritto il metodo per valutare il contenuto in carbonati di vario materiale lapideo mediante un attacco acido per acido cloridrico del campione e successiva misura della CO2 sviluppata (calcimetria) secondo il metodo Dietrich-Fruhling. Il metodo permette, oltre alla caratterizzazione dei materiali lapidei, la valutazione del loro stato di conservazione. NORMAL 41/93 Misura ponderale dell’Umidità in Superfici murarie. Viene descritto il metodo per misurare l’umidità nelle superfici murarie dipinte, con il metodo ponderale. NORMAL 5/81 Misura dei Parametri Ambientali. NORMAL 5/86 Misura dei Parametri Ambientali (aggiornamento). I due Documenti. oltre ai criteri generali relativi ai sistemi di rilevamento, forniscono un primo gruppo di prescrizioni per la misura di alcuni componenti dell’inquinamento atmosferico. In particolare NORMAL 5/81 contiene: cap. 1. Criteri generali cap. 2. Prescrizioni tecniche ed apparecchiature comuni a tutti i sistemi di rilevamento in discontinuo cap. 3. Prescrizioni tecniche relative ai sistemi di rilevamento in continuo cap. 4. Misura della concentrazione in aria del biossido di zolfo (anidride solforosa) cap. 5. Misura della concentrazione in aria degli ossidi di zolfo NORMAL 5/82 Misura dei Parametri Ambientali. NORMAL 5/87 Misura dei Parametri Ambientali. In questi Documenti continua l’esposizione delle metodologie per la misura dei componenti dell’inquinamento atmosferico. In particolare la NORMAL 5/82 contiene tra l’altro: 190

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cap. 6. Misura della concentrazione in aria degli ossidi di azoto cap. 7. Misura della concentrazione in aria di ozono e ossidanti QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

cap. 8. Misura della concentrazione in aria del cloruro di idrogeno (acido cloridrico) cap. 9. Misura della concentrazione in aria del fluoruro di idrogeno (acido fluoridrico) cap. 10. Misura della concentrazione in aria di ammoniaca cap. 11. Misura della concentrazione in aria del materiale particellare cap. 19. Misura della concentrazione in aria di biossido di carbonio cap. 20. Misura della concentrazione in aria di solfuro di idrogeno (acido solfidrico) NORMAL 5/83 Misura dei Parametri Ambientali. Questo documento fornisce le prescrizioni per la misura dei parametri fisici dell’atmosfera; in particolare contiene: cap. 12. Misura della temperatura dell’aria cap. 13. Misura dell’umidità dell’aria cap. 14. Misura del vento cap. 15. Misura delle idrometeore: pioggia, neve. grandine, nebbia, rugiada, brina, galaverna, vetrone cap. 16. Misura della radiazione solare globale cap. 17. Misura della componente ultravioletta della radiazione solare cap. 18. Misura della pressione barometrica NORMAL 39/93 Rilevamento della Carica microbica dell’Aria. Il documento fornisce indicazioni sulle principali tecniche di campionamento aerobiologico e si articola in due capitoli: cap. 1. Vengono riportati i parametri da considerare per la scelta dei punti e dei periodi di campiona-mento in relazione al tipo di ambiente: interno, semiconfinato od esterno. cap. 2. Vengono descritti i principali sistemi di campionamento con l’indicazione degli eventuali limiti per orientare la scelta nelle diverse condizioni di indagine. NORMAL 20/85 Interventi Conservativi: Progettazione Esecuzione e Valutazione Preventiva. Il documento contiene: 1 Premessa, dedicata a definire gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. 191

2 Stato di conservazione: indagini preliminari. Vengono indicate tutte le metodologie di analisi ritenute necessarie a definire la natura dei materiali costitutivi, i tipi e le intensità delle alterazioni pre-senti, la presenza della vegetazione spontanea, le caratteristiche ambientali. Classi di prodotti e metodologie di applicazione per i differenti tipi di interventi conservativi. Vengono descritti: -

i metodi di pulitura (permessi su superfici scolpite, permessi su paramenti esterni non scolpiti e senza particolari pregi estetici, trattamento della vegetazione spontanea);

-

i metodi permessi per effettuare gli incollaggi e le stuccature;

-

i metodi permessi per effettuare il consolidamento;

-

i metodi permessi per effettuare la protezione (applicazione di prodotti chimici, interventi sull’ambiente esterno).

NORMAL 30/89 Metodi di controllo del biodeterioramento. II Documento contiene le indicazioni sui diversi metodi utilizzabili per il controllo del biodeterioramento dei materiali lapidei, sia naturali che artificiali. In questa prima edizione si riportano le metodologie di applicazione sufficientemente sperimentate. Il documento si articola in tre capitoli: 1 Criteri generali 2 Metodi indiretti 3 Metodi diretti (meccanici, fisici e chimici). Contiene inoltre un glossario dei termini più comunemente usati. NORMAL 35/91 Caratterizzazione Biocidi: Schema di Scheda. La scheda elaborata secondo le indicazioni del Documento permette la raccolta sistematica dei dati relativi alle caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche e all’utilizzazione di biocidi e principi attivi.Tali dati forniranno le informazioni preliminari necessarie per una corretta caratterizzazione dei biocidi. NORMAL 38/93 Valutazione dell’Efficacia dei Biocidi. ll Documento riporta i metodi per la valutazione dell’efficacia dei prodotti ad azione biocida nei con-fronti della microflora, dei licheni e della vegetazione fanerogamica. Per la microflora ed i licheni vengono riportate prove da svolgere in laboratorio ed in situ, mentre per la vegetazione le indagini da effettuare sono esclusivamente in situ. 192

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NORMAL 37/92 Trattamenti Biocidi - Scheda per Archiviazione Dati.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

La scheda elaborata secondo le indicazioni del Documento permette la raccolta di dati per una documentazione sistematica di trattamenti eseguiti con biocidi. NORMAL 17/84 Elementi Metrologici e Caratteristiche Dimensionali: Determinazione Grafica. Costituisce una proposta di interpretazione metrologico - dimensionale di un edificio, nell’ambito di una messa a punto dei criteri generali per la redazione di un modello iconografico, preliminare alla fase di intervento, da cui trarre indicazioni per lo studio delle cause di alterazione e per la scelta delle metodologie di intervento. NORMAL 18/84 Rilevamento della Funzionalità degli impianti Tecnici: Schema di Scheda. Costituisce una proposta di scheda da compilare per la rappresentazione della funzionalità degli impianti tecnici di un edificio, in vista della fase di intervento.

C.2

Costo indagini analitiche

Di seguito vengono riportati i prezzi delle analisi eseguite dal Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi dello I U A V - D S A17. L’elenco viene riportato per due motivi: il primo è per avere un idea dei costi delle analisi preliminari alla progettazione di un intervento di restauro; il secondo motivo è che alcune regioni si stanno movendo nella direzione di rendere obbligatoria prima della stesura del progetto di restauro indagini diagnostiche almeno per i manufatti di interesse storico-artistico. In questo senso ad esempio si è mossa ultimamente la Regione Siciliana. 1 - Prelievi particolari di campioni e loro preparazione 1.2 -

Allestimento di sezioni lucide per osservazioni microscopica, stratigrafiche e non, di qualsiasi materiale. Costo a campione..............................................……… euro 15,49

1.3 -

Allestimento di sezioni sottili per osservazione microscopica, stratigra-

17.Dipartimento di Storia dell’Architettura S. Polo, - 2468/B - 30125 Venezia - tel. 041/ 2571459/39 - fax 041/2571434

193

fiche e non, di: - materiali lapidei e cotti sani. Costo a campione................................................… euro 20,66 - di materiali lapidei e litoidi deteriorati, di malte e intonaci (previo consolidamento con resine opportune). Costo a campione.............................................……… euro 25,82 1.4 -

Macinatura in mortaio di agata di materiali lapidei e litoidi. fino a 50gr. Costo a campione..................................................…… euro 25,82

1.5 -

Carotatura a umido (carote da Ø da 10 a 40 mm). costo a carota.......................................................…… euro 51,65

2 - Indagini in microscopia ottica 2.1 -

Stereomicroscopia - descrizione topografica delle superfici di campioni tal quali di qualsiasi tipo. Costo a campione......................................................... euro 51,65

2.2 -

Microscopia in luce riflessa polarizzata Dipinti murali e di cavalletto: Studio di una sezione lucida, descrizione e misurazione degli spessori degli strati, comprendente l’identificazione dei pigmenti o dei componenti (su sezione stratigrafica). Costo a campione....................................................... euro 206,58 Ceramiche e terrecotte con rivestimenti: studio di una sezione lucida, descrizione e misurazione degli spessori degli strati, nonché identificazione di massima di pigmenti o componenti (su sezione stratigrafica). Costo a campione....................................................... euro 154,94

2.3 -

Microscopia in luce riflessa ultravioletta Dipinti murali e di cavalletto: Studio e descrizione delle fluoresenze di pigmenti e leganti di strati preparativi e pittorici (su sezione startigrafica). Costo a campione....................................................... euro 103,29

2.4 - Microscopia in luce trasmessa 2.4.1 - Materiali lapidei e cotti sani: studio di una sezione sottile, con determinazione struttura/tessitura, 194

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identificazione dei minerali principali, secondari e accessori; classificazione petrografica di massima (per i materiali lapidei); determinazione della tecnologia di fabbricazione (per i cotti). Costo a campione....................................................... euro 206,58 2.4.2 - Materiali lapidei e cotti, deteriorati: studio di una sezione sottile con l’identificazione dei minerali primari ed eventualmente secondari (di deterioramento) o di composti di alterazione. Costo a campione..................................................... euro 206,58 2.4.3 - Malte e intonaci: Studio di una sezione sottile con l’identificazione dei materiali costituenti la malta o l’intonaco, gli eventuali minerali di alterazione (dei materiali lapidei e cotti) costituenti l’aggregato e la matrice, determinazione del rapporto relativo, stima della percentuale dei pori e loro studio morfologico (malte e intonaci), secondo NORMAL 12/83 Costo a campione..................................................... euro 232,41 2.4.4 - Supplemento per analisi modale con contatore di punti di quanto sopra ai punti 2.4.1 - 3. Costo a campione........................................................euro 103.29 3 - Micrografia a colori Fotografia a colori su pellicola per diapositive (24x36 mm), o su pellicola per stampe (24x36 mm) con relativa stampa formato 10x15 cm. Costo per micrografia.................................................... euro 18,08 4 - Analisi mineralogica mediante diffrattometria RX: - Analisi diffrattometrica ai raggi X di sostanze cristalline organiche ed inorganiche, materiali lapidei e litoidi (cotti e malte) e loro prodotti di deterioramento, pigmenti, metalli e loro prodotti di corrosione ecc.); identificazione qualitativa e semiquantitativa delle fasi cristalline: costo a campione ........................................................euro 154,94 - Analisi diffrattometrica ai raggi X del residuo insolubile di rocce (ottenuto previo attacco con acido debole), allestimento di preparati orientati, glicolati e trattati termicamente, e identificazione qualitativa e semiquantitativa dei minerali argillosi contenuti. costo a campione ..................................................... euro 258,23 195

5 - Analisi porosimetrica Determinazione della porosità integrale aperta e della distribuzione del diametro dei pori mediante porosimetria a Mercurio secondo NORMAL 4/80. Costo a campione........................................................euro 154,94 6 - Determinazione dell’assorbimento in acqua - Per immersione totale, secondo NORMAL 7/81. Costo a Campione.....................................................euro 103,29 - Per imbibizione capillare, secondo NORMAL 11/82 e 11/85. Costo a campione.....................................................euro 154,94 7 - Determinazione del peso di volume o densità apparente: su materiali lapidei e litoidi. Costo a campione.......................................................euro 103,29 8 - Analisi chimiche 8.2 - Analisi chimica qualitativa e semiquantitativa dei sali solubili: per anione ...................................................................euro 41,32 8.3 - Analisi Calcimetrica e del residuo insolubile, secondo Normal Costo a campione .......................................................euro 154,94 9 - Determinazione del rapporto isotopico δ 18C δ 13C per la identificazione dei marmi bianchi Costo a Campione ......................................................euro 154,94 10 - Spettrofotometria all’infrarosso con trasformata di fourier (FT/IR) Costo a campione ……………………………………………. euro 129,11 11 - Analisi topografica dell’immagine al microscopio elettronico a scansione (sem) con fotografia della stessa Costo a Campione …………………………………........ euro 154,94 12 - Analisi chimica qualitativa e/o semiquantitativa mediante microsonda EDS AL SEM Costo a campione......................................................…euro 258.23 196

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APPENDICE D

PRATICA CHIMICA DI CANTIERE D.1

PRINCIPI DI BASE

Partiamo dal concetto di mole: una mole è la quantità di sostanza che contiene tante parti elementari (atomi molecole ioni) quanti atomi ci sono in 12 grammi di carbonio 12. Questo numero è il cosiddetto numero di Avogadro N ed è pari a 6,02 per 1023. Questo vuol dire che - 1 mole di H = 1.008 g - 1 mole di ferro = 55.85 g - 1 mole di zolfo = 32.07 g e così via Si può dire che una mole di un elemento è pari al suo peso atomico espresso in grammi. Una mole di un composto è pari alla somma dei singoli pesi atomici degli elementi costituenti lo stesso. Il valore dei pesi atomici degli elementi1 è una delle informazioni che generalmente si ricava dalla Tavola Periodica. Ciò detto, allora una mole di un composto è data dalla somma dei pesi atomici costituenti il composto stesso ed espressa in grammi. Esempio: 1 mole di H2O è pari a 18 grammi (i 2 g dell’H più i 16 g dell’O atomico) Nell’attività di laboratorio chimico sono molto spesso usate soluzioni concentrazioni ben definite. La concentrazione o titolo definisce la quantità di soluto in un certo solvente. Il solvente usato è, quasi sempre, l’acqua. Esistono molti modi per definire le concentrazioni delle soluzioni; e più usati sono: 1. Alla fine di questo settore dell’appendice, si trova l’elenco dei pesi atomici degli elementi.

197

Molarità2 M: indica il numero di moli di soluto presenti in 1 litro (1 L) di soluzione.

M = nmoli / VL; nmoli = M ·VL e, quindi, nmoli = m / PM (con m = massa) Percento in massa %m: indica il numero di grammi di soluto presenti in 100 g di soluzione. Percento in volume %V: indica il numero di grammi di soluto presenti in 100 mL di soluzione. Grammi per litro g/L: indica il numero di grammi di soluto presenti in 1 litro di soluzione. E’ uguale ad 1/10 di quella in percento in volume. Nella pratica le concentrazioni più usate sono quelle in molarità e in percento in massa. E’ possibile passare da un sistema ad un altro utilizzando delle formule di trasformazione; le più importanti sono: %V = %m · d

%m = %V/d

(d è la densità)

Si voglia, ad esempio, calcolare la molarità di una soluzione 32 %m di NaOH (d = 1.35, PM = 40). 1) Si trasforma il valore in %V (%V = %m · d): 32 · 1.35 = 43.2 %V 2) Si passa alla concentrazione g/L (g/L = 10 · %V): 10 · 43.2 = 432 g/L 3) Si ricava la molarità (M = g/L / PM): 432 / 40 = 10.8 M Le soluzioni commerciali, se non titolate in molarità o normalità sono sempre in percento in massa (rif. catalogo reagenti Merck o Carlo Erba).

D.2

Preparazione di soluzioni diluite da soluzioni concentrate

Disponendo di soluzioni concentrate il procedimento pratico può essere così descritto: si riempie a metà un pallone tarato da 1 litro, si preparano 1 pipetta tarata 2. Altre grandezze usate in laboratorio sono la Molalità (m): indica il numero di moli di soluto presenti in 1 kilogrammo (1 kg) di solvente; la Normalità (N): indica il numero di equivalenti di soluto in 1 litro (1 L) di soluzione. N = neq / VL neq = N · V e, quindi, neq = g / PE Dove PE peso equivalente si calcola in modo diverso a seconda del composto e del tipo di reazione nel quale esso è impegnato.

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IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

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da 50 mL, una da 10 mL, una pipetta graduata da 10 mL ed una da 2 mL (1/ 100) ben pulite ed asciutte; si preleva con queste, utilizzando un aspirapipette e con successive operazioni (ad es. 50 + 10 + x mL), la quantità richiesta e la si versa, con cura, nel pallone. Completata questa fase si riempie fino quasi alla tacca di riferimento, si chiude con il tappo e si agita con cautela. Si pone, poi, il pallone su un piano lasciando riposare la soluzione; dopo alcuni minuti, utilizzando una spruzzetta, si porta il livello della soluzione a coincidere perfettamente con la tacca. Nel versare la soluzione concentrata nell’acqua si osservi la massima cautela, in quanto l’operazione, con acidi e basi forti, provoca un forte sviluppo di calore. Preparazione di una soluzione 1 M di acido cloridrico: Si dispone di acido cloridrico (HCl) in sol. 37 %m (d = 1.19, PM = 36.46): 1 litro = 1190 g (m = V · d); in 1190 g (e in 1 L) è presente il 37% di HCl, ovvero (1190 37/100) 440.3 g. Il nmoli è (m / PM): 440.3 / 36.46 = 12.07. La soluzione è, perciò, 12.07 M. Si ricava la quantità di HCl 12.07 M che contiene 1 mole: 12.07: 1000 = 1: x; x = 82.85. Il valore può essere arrotondato a 82.8. Si devono prelevare, quindi, 82.8 mL di HCl concentrato e portare ad 1 litro. Preparazione di una soluzione 0.5 M di idrossido di sodio: Si dispone di idrossido di sodio (NaOH) in sol. 32 %m (d = 1.35, PM = 40): 1 litro = 1350 g (m = V · d); in 1350 g (e in 1 L) è presente il 32 % di NaOH, ovvero (1350 32/100) 432 g. Il nmoli è (m/PM): 432/40 = 10.8. La soluzione è, perciò, 10.8 M. Si ricava la quantità di NaOH 10.8 M che contiene 0.5 moli: 10.8: 1000 = 0.5: x; x = 46.29. Il valore può essere arrotondato a 46.3. Si devono prelevare, quindi, 46.3 mL di NaOH concentrato e portare ad 1 litro. Preparazione di una soluzione 0.2 M di acido solforico: Si dispone di acido solforico (H2SO4) in sol. 96 %m (d = 1.84, PM = 98.08): 1 litro = 1840 g (m = V · d); in 1840 g (e in 1 L) è presente il 96 % di H2SO4, ovvero (1840 96/100) 1766.4 g. Il nmoli è (m/PM): 1766.4 / 98.08 = 18. La soluzione è, perciò, 18 M. Si ricava la quantità di H2SO4 18 M che contiene 0.2 moli: 199

18:1000 = 0.2:x; x =11.11. Il valore può essere arrotondato a 11.1. Si devono prelevare, quindi, 11.1 mL di H2SO4 concentrato e portare ad 1 litro. Preparazione di una soluzione 0.1 M di acido nitrico: Si dispone di acido nitrico (HNO3) in sol. 65 %m (d = 1.40, PM = 63.01): 1 litro = 1400 g (m = V · d); in 1400 g. (e in 1 L) è presente il 65 % di HNO3, ovvero (1400 65/100) 910 g. Il nmoli è m/PM): 910/63.01 = 14.44. La soluzione è, perciò, 14.44 M. Si ricava la quantità di HNO3 14.44 M che contiene 0.1 moli: 14.44:1000 = 0.1: x; x = 6.92. Il valore può essere arrotondato a 6.9. Si devono prelevare, quindi, 6.9 mL di HNO3 concentrato e portare a 1 litro.

D.3

Preparazioni di soluzioni molari da soluti solidi

Disponendo di soluti solidi e puri è possibile ottenere facilmente soluzioni in varie molarità; si pesa la quantità necessaria del soluto, ricavandola dal PM, sciogliendola completamente in circa 500/600 mL di acqua posta nel pallone tarato. Si riempie con altra acqua fino quasi alla tacca di riferimento, si agita per mescolare completamente, si lascia riposare ed, infine, si porta il livello fino alla perfetta corrispondenza della tacca. E’ necessario che il soluto sia perfettamente puro e che la pesata sia molto accurata. Nel caso di sostanze igroscopiche si deve provvedere a disidratazione in stufa. Nel caso di composti idratati è necessario tenere conto, nella formulazione del PM del numero di molecole d’acqua. Preparazione di una soluzione 0.1 M di permanganato di potassio: Si dispone di permanganato di potassio (KMnO4) cristallino anidro (PM = 158.04). 1 litro di soluzione 1 M deve contenere una mole, ovvero 158.04 g di sale; una soluzione 0.1 M deve contenere 0.1 M, ovvero 15.804 g. Si pesano su bilancia analitica, utilizzando un becker, 15.804 g di KMnO4; si aggiunge acqua fino a completa solubilizzazione e si versa il tutto nel pallone tarato, lavando il becker con una spruzzetta in modo da far defluire completamente la soluzione. Si aggiunge acqua fino quasi alla tacca, si agita e si lascia riposare; dopo alcuni minuti si perfeziona il riempimento. 200

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Preparazione di una soluzione 0.5 M di acido ossalico: Si dispone di acido ossalico diidrato cristallino (COOH)2·2H2O (PM = 126.07). QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

1 litro di soluzione 1 M deve contenere una mole, ovvero 126.07 g di acido; una soluzione 0.5 M deve contenere 0.5 M, ovvero 63.05 g. Si pesano su bilancia analitica 63.05 g di (COOH)2 · H2O e si procede nel modo descritto.

D.4

Regola della croce o delle miscele

Vi è una regola utilissima per determinare i rapporti con i quali si devono mescolare due soluzioni della stessa sostanza con concentrazioni diverse o tra una soluzione ad una certa concentrazione e il solvente puro. Due esempi chiariranno meglio di mille parole:

Esempio 1 Ho una soluzione al 96% e una al 75%. Voglio ottenere una soluzione all’80%.

96

5

Dovrò mescolare 5 parti di soluzione al 96% e 16 parti di soluzione al 75%. Le parti saranno in PESO se le soluzioni sono date in %m, sono in volume se le soluzioni sono date in %v.

Esempio 2 Ho una soluzione al 96% e un solvente puro 0%. Se voglio ottenere una soluzione al 40%, dovrò mescolare 40 parti di soluzione al 96% e 56 parti di solvente puro.

80

75

16 21

96

40

40

0

56 96

201

D.5

Riconoscimento di cationi ed anioni PER TUTTE LE OPERAZIONI SEGUENTI, INDOSSARE GUANTI ED OCCHIALI E AL TERMINE LAVARSI BENE LE MANI. NON AVVICINARE I GUANTI AL VISO

Prelevare dal muro l’efflorescenza della quale si vuole determinare il o i tipi di sale che la compongono. Riconoscimento cationi alcalini ed alcalino terrosi mediante saggio alla fiamma Si mette in un vetro da orologio un po’ di HCl concentrato, vi si tuffa la punta di un filo di platino e si mette sulla fiamma fino a incandescenza. Si prosegue fino alla quasi totale scomparsa del colore giallo intenso tipico del sodio che normalmente contamina tutto. Si butta via l’acido cloridrico dal vetro da orologio, si lava, si asciuga e vi si rimette HCl concentrato come prima. Si bagna la punta del filo di Pt con HCl concentrato e si raccoglie un piccolo grano della polvere. Si mette sulla fiamma e si osserva il colore. Eventualmente si ripete la prova più volte. ●

Catione Na+ colore giallo-arancio intenso persistente



Catione K+ color violetto evanescente



Catione Ca++ color rosso mattone persistente



Catione Ba++ color verde.

Attenzione che in presenza di rame si possono osservare fiamme blu ed anche verdastre non attribuibili al bario. Riconoscimento cationi mediante saggi in provetta Sul solito filtrato di cui sopra si eseguono i seguenti saggi in provetta per il riconoscimento dei cationi. ●

202

Catione Ferro Fe3+: si aggiungono una o due gocce di una soluzione di solfocianuro di potassio KSCN 0,1 M. Se c’è ferro si ha colorazione rosso sangue (è comunque sufficiente un viraggio sull’arancio) dovuta alla formazione di complesso del ferro con solfocianuro. In presenza simultanea di ferro e rame il colore vira invece da azzurro a verde. D’altra parte, il viraggio azzurro-verde può essere dovuto anche alla sola presenza di rame. Quindi detta prova non è esaustiva in copresenza di rame e ferro.

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI



Catione rame Cu2+: si aggiunge NH3 concentrata in zona arieggiata (in

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

laboratorio l’operazione andrebbe fatta sotto cappa d’aspirazione) fino a completa neutralizzazione: in presenza di rame si osserva un bel colore azzurro intenso dovuto alla formazione di complessi del rame con ammoniaca. Riconoscimento anioni Si pesano 1,5 grammi della polvere e si fanno sciogliere interamente in una soluzione di HNO3 1 M (20 cm3) in un becker da 50 cm3. Se c’è effervescenza si segnala subito la presenza dello ione carbonato. Si fa sciogliere bene il tutto riscaldando leggermente su becco Bunsen, si aggiungono circa 10 cm3 di acqua deionizzata per diluire l’acido concentrato e si filtra il residuo nella beuta da 250 cm3. Su una piccola porzione del solido presente sul filtro messa in un vetro da orologio si aggiunge qualche goccia di acqua ossigenata H2O2 al 5% in volume: se c’è effervescenza (si libera ossigeno gassoso) si ha presenza di biossido di manganese MnO2 a causa della reazione di ossido-riduzione:

MnO2 + H2O2 + 2H+

Mn2+ + O2 + 2H2O

Si lava bene con acqua deionizzata il residuo sul filtro avendo l’accortezza di far filtrare l’acqua di lavaggio in un becker pulito e non nella beuta dove c’è già la soluzione che servirà per il riconoscimento degli anioni. Dopo il lavaggio con acqua si lava con Etanolo, si pone il filtro col residuo in vetro da orologio e si mette in stufa a 60 °C per un’eventuale analisi del residuo. Sul filtrato (nella beuta da 250) in piccole porzioni di circa 1 cm3 si fanno le seguenti prove in provetta per il riconoscimento degli anioni. ●

Anione solfato SO4=: si aggiunge qualche goccia di una soluzione 0,1 M di BaCl2. Se si forma un precipitato bianco che opacizza interamente la soluzione è presente lo ione solfato (si forma BaSO4 insolubilissimo in acqua).



Anione carbonato CO3=: eventualmente già determinato dall’effervescenza in ambiente acido. Anioni cloruro Cl- e Br-: sul filtrato si aggiunge qualche goccia di una soluzione di AgNO3. Se si forma precipitato bianco sono presenti cloruri, bromuri o ioduri. Per differenziare cloruri da bromuri si fa il saggio con NH3 nel modo seguente. Si scioglie una o due punte di spatola della polvere ini203

ziale in acqua e si filtra dopo aver ben agitato la sospensione. L’ammoniaca 1 M scioglie i cloruri, ma non i bromuri che invece vengono sciolti da ammoniaca concentrata (circa 7,3 M). Si aggiunge ammoniaca diluita fino a pH decisamente basico (si raddoppia circa il volume presente nella provetta: meglio un po’ più di ammoniaca che un po’ meno). Se il precipitato bianco si solubilizza erano cloruri, se non si solubilizza si procede all’aggiunta di ammoniaca concentrata sotto cappa fino a completa solubilizzazione: in quest’ultimo caso si trattava di bromuri. ●

Anione ossalato C2O4=: si aggiunge una goccia di una soluzione di KMnO4 0,1 M (permanganato di potassio di colore viola intenso); se la goccia si decolora dopo alcune decine di secondi in modo graduale mediante agitazione della provetta è presente lo ione ossalato che si riduce a CO2 per azione ossidativa del KMnO4 secondo la reazione:

5C2O4= + 2MnO4- + 16H+

10CO2 + 2Mn2+ + 8H2O

Se, invece, la decolorazione avviene istantaneamente sono presenti bromuri (che avrebbero già dovuto essere stati osservati prima); infatti avviene la reazione velocissima:

5Br- + 7MnO4- + 26H+

5BrO3- + 7Mn2+ + 13H2O

Se la goccia impartisce alla soluzione una colorazione rosso-viola persistente non sono presenti né bromuri né ossalati. Pesi atomici degli elementi chimici in ordine alfabetico

SIMBOLO CHIMICO

ELEMENTO CHIMICO

afnio alluminio americio antimonio argento argo arsenico astato attinio azoto bario berillio berkelio bismuto

204

Hf Al Am Sb Ag Ar As At Ac N Ba Be Bk Bi

NUMERO TOMICO

72 13 95 51 47 18 33 85 89 7 56 4 97 83

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

PESO ATOMICO

178,490 26,982 243,061 121,757 107,868 39,948 74,922 209,987 227,028 14,007 137,327 9,012 247,070 208,980

ANNO DI SCOPERTA

1922 1827 1944 antichità antichità 1894 antichità 1940 1899 1772 1808 1798 1949 1753

(segue)

boro bromo cadmio calcio californio carbonio cerio cesio cloro cobalto cripto cromo curio disprosio einstenio elio erbio europio fermio ferro fluoro fosforo francio gadolinio gallio germanio idrogeno indio iodio iridio itterbio ittrio lantanio lawrenzio litio lutezio magnesio manganese mendelevio mercurio molibdeno neodimio neon nettunio nichel

B Br Cd Ca Cf C Ce Cs Cl Co Kr Cr Cm Dy Es He Er Eu Fm Fe F P Fr Gd Ga Ge H In I Ir Yb Y La Lr Li Lu Mg Mn Md Hg Mo Nd Ne Np Ni

NUMERO TOMICO

5 35 48 20 98 6 58 55 17 27 36 24 96 66 99 2 68 63 100 26 9 15 87 64 31 32 1 49 53 77 70 39 57 103 3 71 12 25 101 80 42 60 10 93 28

PESO ATOMICO

10,811 79,904 112,411 40,078 251,080 12,011 140,115 132,905 35,453 58,933 83,800 51,996 247,070 162,500 252,083 4,003 167,260 151,965 257,095 55,847 18,998 30,974 223,020 157,250 69,723 72,610 1,008 114,818 126,904 192,220 173,040 88,906 138,906 260,110 6,941 174,967 24,305 54,938 256,094 200,590 95,940 144,240 20,180 237,048 58,693

ANNO DI SCOPERTA

1807 1826 1817 1808 1950 antichità 1803 1860 1774 1735 1897 1797 1944 1886 1952 1895 1843 1896 1953 antichità 1771 medioevo 1939 1880 1875 1886 1768 1863 1811 1803 1878 1794 1839 1961 1817 1907 1774 1774 1955 antichità 1782 1885 1898 1940 1751

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

SIMBOLO CHIMICO

ELEMENTO CHIMICO

205

(segue) SIMBOLO CHIMICO

ELEMENTO CHIMICO

niobio nobelio olmio oro osmio ossigeno palladio piombo platino plutonio polonio potassio praseodimio promezio protoattinio radio radon rame renio rodio rubidio rutenio samario scandio selenio silicio sodio stagno stronzio tallio tantalio tecnezio tellurio terbio titanio torio tulio tungsteno uranio vanadio xeno zinco zirconio zolfo

206

Nb No Ho Au Os O Pd Pb Pt Pu Po K Pr Pm Pa Ra Rn Cu Re Rh Rb Ru Sm Sc Se Si Na Sn Sr Tl Ta Tc Te Tb Ti Th Tm W U V Xe Zn Zr S

NUMERO TOMICO

41 102 67 79 76 8 46 82 78 94 84 19 59 61 91 88 86 29 75 45 37 44 62 21 34 14 11 50 38 81 73 43 52 65 22 90 69 74 92 23 54 30 40 16

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

PESO ATOMICO

92,906 259,101 164,930 196,967 190,230 15,999 106,420 207,200 195,080 244,064 209,983 39,098 140,908 144,913 231,036 226,025 222,018 63,546 186,207 102,906 85,468 101,070 150,360 44,956 78,960 28,086 22,990 118,710 87,620 204,383 180,948 98,906 127,600 158,925 47,880 232,038 168,934 183,840 238,051 50,942 131,290 65,390 91,224 32,066

ANNO DI SCOPERTA

1801 1957 1879 antichità 1803 1774 1803 antichità 1735 1941 1898 1807 1885 1947 1917 1898 1900 antichità 1925 1803 1861 1844 1879 1879 1817 1823 1807 antichità 1790 1861 1802 1937 1782 1843 1791 1828 1879 1781 1789 1830 1898 antichità 1787 antichità

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

APPENDICE E

ESEMPI DI PRESCRIZIONI PER I CENTRI STORICI E.1

Prescrizioni operative per interventi nei centri storici

Recentemente alcuni comuni, con edilizia storica consistente, hanno ritenuto di dover emanare dei regolamenti che tra le altre cose contengono delle indicazioni procedurali da far rispettare a progettisti ed imprese esecutrici. Di seguito si riportano le prescrizioni tratte da uno di questi regolamenti. Ho ritenuto interessante estrarre le parti operative più importanti, con l’auspicio che l’esempio possa essere seguito da altre Amministrazioni.

E.2

Protocollo per la pulizia e protezione delle superfici esterne degli edifici regolamentazione degli interventi esterni

Generalità In base all’azione chimico-fisica che svolgono sulle superfici dei materiali, i sistemi di pulizia vengono così classificati: ●

aggressivi: quando operano un forte attacco fisico-chimico;



parzialmente aggressivi: quando la loro azione aggressiva risulta più attenuata;



ad aggressività controllata: quando la loro azione aggressiva è facilmente controllabile;



non aggressivi: quando non operano alcuna azione chimico-fisica.

Prima di iniziare a pulire i manufatti di particolare valore storico artistico, l’appaltatore dovrà fare analizzare le croste e le superfici dei materiali al fine

207

di determinare la natura, la consistenza e la porosità delle superfici. Dovrà, altresì, adottare esclusivamente i sistemi non aggressivi o ad aggressività controllata utilizzando prodotti aventi caratteristiche conformi a quelle di cui all’allegato “P1”. Dovrà, infine, prima di procedere alla pulizia, controllare i risultati forniti dall’esame delle superfici campione già trattate con i sistemi richiesti e tenere presente che sarà assolutamente asportare durante l’esecuzione della pulizia, parti anche millesimali di materiale lapideo o eliminare la tipica colorazione denominata patina.

E.3

Metodi per la pulizia di edifici di particolare valore storico-artistico

Pulizia manuale Poiché la pulizia manuale risulta particolarmente aggressiva, l’appaltatore dovrà eseguirla adoperando esclusivamente spazzole di saggina o nylon. Sarà assolutamente vietato utilizzare spatole, raschetti, carte abrasive (anche a grana sottile) a pietra di pomice salvo diverse disposizione della Direzione Lavori relative a superfici di limitata estenzione. Se autorizzato, l’appaltatore dovrà lavorare con piccoli trapani sulle cui punte monterà delle speciali frese in nylon o setola. Acqua nebulizzata L’appaltatore, distribuiti i tubi adduttori lungo tutta la superficie dell’intervento, inizierà la pulizia dall’alto nebulizzando l’acqua mediante speciali automizzatori autorizzati dal D.L., il cui getto non dovrà mai essere indirizzato direttamente sulle superfici; sfrutterà, quindi, la capacità emolliente dell’acqua durante la caduta. L’efficacia della pulizia, sarà determinata non tanto dalla quantità d’acqua impiegata quanto dal fatto che essendo nebulizzata e, quindi, costituita da numerose microparticelle aventi un’area superficiale molto estesa, avrà una superficie di contatto con i materiali da pulire maggiore di quella dell’acqua impiegata senza nebulizzazione. In ogni caso, il quantitativo d’acqua da impiegare su materiali assorbenti o corpi fessurati, dovrà assolutamente limitato in quanto dannoso. L’appaltatore dovrà prolungare l’intervento finché le croste non risultino talmente morbide da essere asportate manualente mediante spazzole di saggina o nylon. 208

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Apparecchiature ad ultrasuoni

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

L’appaltatore, se previsto, dovrà adoperare speciali dispositivi atti a rimuovere, mediante leggere sollecitazioni prodotte da microonde (25 KHz) trasmesse da un piccolo spray ad acqua, le incrostazioni più resistenti. Le apparecchiature ad ultrasuoni, adatte per la loro precisione al trattamento di manufatti policromi di particolare pregio artistico potranno essere utilizzate solo da personale altamente specializzato. Microsabbiatura di precisione La microsabbiatrice è uno strumento di precisione che sfrutta l’azione fortemente abrasiva di microsfere di vetro o di albumina (40 µ) spinte da area compressa. L’appaltatore, per effettuare micro-sabbiature, dovrà impegnare solo personale specializzato ed operare esclusivamente sulle zone ricoperte da incrostazione avendo cura di pulire i particolari architettonici senza alterarne i volumi. Pulizia chimica L’appaltatore potrà utilizzare solamente quei detergenti chimici dalle caratteristiche richieste dall’allegato “P1” del presente Regolamento che dovrà applicare esclusivamente sulle incrostazioni avendo cura di controllarne l’azione corrosiva in modo da non compromettere l’integrità di materiali lapidei. Dovrà impiegare preferibilmente formulati in pasta da diluire con le percentuali d’acqua stabilite dalla D.L. L’appaltatore per la pulizia di materiali porosi, assorbenti e deteriorati, non dovrà assolutamente utilizzare detergenti chimici che, invece, potrà impiegare per rimuovere lo sporco depositatosi su superfici integre e compatte. Egli, dovrà in ogni caso, eseguire subito dopo la pulizia lavaggi con abbondante acqua e nebulizzatori. Se richiesto, l’appaltatore dovrà attenuare l’azione corrosiva inserendo fogli di carta assorbente fra la pietra e la pasta chimica. Argille assorbenti L’appaltatore dovrà diluire l’argilla con un quantitativo d’acqua sufficiente a renderla pastosa e lavorabile; quindi, applicherà l’impasto sul manufatto con le mani e con piccole spatole flessibili e farà aderire all’impasto dei teli di garza su cui stenderà del cotone idrofilo bagnato; infine, coprirà il tutto con teli di nylon aperti in alto al fine di permettere il ciclico inumidimento del cotone. Trascorsi due, tre giorni, dovrà togliere i teli di nylon per lasciare essiccare l’argilla che, in seguito, asporterà con lavaggi a base di acqua. Se l’argilla non riuscisse a sciogliere le incrostazioni, l’appaltatore dovrà diluirla con piccole 209

quantità di agenti chimici o sostituire l’acqua di impasto con sostanze solventi. Inoltre, se previsto dagli elaborati di progetto o richiesto dalla D.L., dovrà preparare gli impacchi aggiungendo all’argilla, urea, glicerina o altre sostanze capaci di pulire le croste molto spesso mediante l’azione solvente esercitata da nitrobatteri. L’appaltatore avrà, infine, l’obbligo di mantenere l’impacco attivo sulle croste per il tempo ritenuto necessario dalla D.L. ad assolvere la sua funzione detergente. Metodi per la pulizia di edifici comuni. Il sistema di pulizia di questi edifici non richiede né la cautela né le tecniche sofisticate necessarie all’edilizia di tipo monumentale. L’appaltatore, quindi, potrà impiegare sistemi più pratici e veloci a condizione che i materiali utilizzati posseggano le caratteristiche richieste dall’allegato “P1” del presente Regolamento e non alterino l’integrità delle superfici trattate. Pulizia con getti d’acqua a pressione Risulta particolarmente indicata per la rimozione di croste anche molto spesse grazie all’azione meccanica della pressione che aumenta la capacità solvente dell’acqua. L’appaltatore inizierà la pulizia dall’alto impiegando una pressione di 2 – 4 atm in modo da sfruttare i percolamenti per ammorbidire le parti sottostanti. La durata dei lavori dipenderà dalla natura e dalla consistenza delle croste. L’appaltatore dovrà evitare di prolungare questo tipo di trattamento su superfici che si presentino diffusamente fessurate o costituite da materiali porosi. Sabbiatura La sabbiatura dovrà essere effettuata solo su superfici sane e compatte mediante macchine che utilizzino sabbie silicee molto sottili. L’appaltatore non dovrà assolutamente adoperarla su superfici friabili o particolarmente degradate. Su richiesta, l’appaltatore potrà anche adoperare speciali idro-sabbiatrici fornite di serbatoi atti al contenimento della sabbia e dell’acqua ed alla calibratura di solventi chimici adatti ad incrementare l’azione abrasiva. L’appaltatore potrà utilizzare un normale compressore ed una pistola a spruzzo collegati ad un recipiente pieno di sabbia fel miscelata con acqua il cui getto sarà attivato dalla depressione presente nell’ugello. L’appaltatore dovrà limitare la sabbiatura alle zone ricoperte da croste par210

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

ticolarmente dure e spesse e solo su esplicita richiesta degli organi preposti alla tutela del bene in oggetto potrà eseguirla sull’intera superficie del manufatto. QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

La pulizia chimica L’appaltatore dovrà impiegare prodotti a base di sostanza attive che sciogliendo o ammorbidendo le incrostazioni ne rendano possibili l’asportazione mediante successiva pulizia con acqua. Le sostanze chimiche dovranno avere caratteristiche rispondenti a quelle richieste dall’Allegato “P1” e l’appaltatore, prima di adoperarle, dovrà eseguire le prove su campioni al fine di conoscerne la reazione e valutare di conseguenza l’opportunità di un loro utilizzo. In ogni caso, prima di metterle in opera, egli avrà l’obbligo di impregnare le superfici con acqua in modo da limitare il loro assorbimento. L’appaltatore, applicate le sostanza acide su piccoli settori, le lascerà agire per circa 10 minuti ed in seguito le asporterà mediante ripetuti lavaggi con acqua. Egli inoltre dovrà utilizzare le sostanze alcaline atte a sciogliere con rapidità oli e grassi solo su pietre resistenti agli alcaline su manufatti di cemento lasciandole agire non oltre 15 minuti. Infine, l’appaltatore sarà tenuto ad impiegare gli appositi neutralizzatori che, in seguito, dovrà eliminare mediante lavaggi con acqua. Intonaci E’ escluso l’impiego di intonaci plastici, a favore di intonaci tradizionali a base di malta di calce, sabbia (tonachina liscia dipinta) e pigmenti naturali di colore idoneo. Saranno mantenute le modanature realizzate con lo stesso impasto dell’intonaco originario, o eventualmente ricostituite con lo stesso materiale e lo stesso colore. Gli intonaci originati in buono stato dovranno essere mantenuti e consolidati e riproposti, ove mancanti o deteriorati, con materiale dello stesso tipo, e ove possibile nello stesso colore originario. Colori La tinteggiatura delle facciate avrà i seguenti colori: - bianco calce naturale; - giallo ocra; - ossido di alluminio; - terra di Siena; - …………. 211

L’uso del colore sulle facciate deve essere tale da restituire l’articolazione delle unità edilizie costituenti i vari isolati. Le differenti colorazioni vanno preferibilmente ottenute attraverso variazioni di toni, anziché attraverso contrasti di tinte. Non sono consentite le colorazioni delle superfici in pietra da taglio e bugnati. Murature Saranno salvaguardati i parametri murari esterni in pietra a faccia vista, ove esistenti, con la sostituzione di conci mancanti. Saranno altresì salvaguardate, ed eventualmente liberate da intonaci e rivestimenti le murature di mattoni a faccia vista, eventualmente integrate degli elementi mancanti o degradati. Elementi decorativi Gli elementi costruttivi e decorativi, quali cornicioni, capitelli, mensole, lesene, ghiere, balaustre, cornici, bugnati, che siano deteriorati in maniera irrecuperabile verranno sostituiti, impiegando gli stessi materiali e, per quanto possibile, le stesse tecniche di lavorazione. Nella ricostruzione delle parti totalmente mancanti si può intervenire con intonaco o pietra, con lavorazione stilizzata. Per i suddetti interventi sostitutivi od integrativi si dovrà operare in modo tale da rendere gli elementi interessati chiaramente distinguibili da quelli preesistenti. Impianti In tutti gli interventi sugli edifici si deve prevedere la sistemazione sotto traccia delle utenze a rete. I condizionatori vanno collocati in cortili, chiostrine, pozzi luce; in assenza di tale possibilità potranno essere collocati solo all’interno di vani porta o finestra opportunamente schermati.

E.4

Allegato “P1” Prodotti per la pulizia dei manufatti lapidei

Generalità La pulizia delle superfici esterne di un edificio, soprattutto, se di valore sto212

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

rico-artistico, è un’operazione complessa che necessita di un’attenta analisi sulla natura delle croste e dei manufatti lapidei al fine di determinare il processo chimico che innesca il degrado e, quindi, la scelta dei prodotti e delle metodologie più appropriate (raccomandazioni NorMaL). All’appaltatore sarà, quindi, vietato utilizzare qualsiasi tipo di prodotto, anche prescritto, senza la preventiva esecuzione di prove applicative o esplicita autorizzazione della D.L. Pulizia Chimica La pulizia con detergenti chimici richiederà la massima cautela per la difficoltà di controllo della sua azione corrosiva. Essa dovrà, infatti, essere effettuata esclusivamente dietro specifica autorizzazione della D.L. e solo sulle zone ove le croste si presentano più tenaci. In genere, si impiegheranno dei formulati in pasta resi tixotropici dalla carbossi-metilcellulosa che verranno diluiti, per mitigare la loro azione urticante, con i quantitativi d’acqua prescritti dalla D.L. Sostanze alcaline Composte prevalentemente da alcali caustici, polimeri ed agenti reologici, presenteranno, in genere le seguenti proprietà: -

alcalinità 10-20% (NaOH);

-

PH 13-14;

-

PH 1% in acqua 12-13;

-

Peso specifico 1,247g/ml;

-

Viscosità DIN 20.

Neutralizzatori Composti da acidi e solventi solubili in acqua, saranno impiegati per interrompere l’azione delle sostanze alcaline. Il loro utilizzo sarà opportunamente vagliato dalla D.L. in quanto, talvolta, su superfici particolarmente reattive potrebbero produrre sali solubili che, penetrando all’interno, danneggerebbero irreversibilmente i materiali. Presenteranno le seguenti caratteristiche: -

acidità 1-10%

-

PH 1% in acqua 2-4;

-

Peso specifico 1,043 g/ml. 213

Sostanza acide Costituite da acidi inorganici e tensioattivi, dovranno essere impiegate esclusivamente su materiali di natura non calcarea. Presenteranno le seguenti proprietà: -

PH 0-1;

-

PH 1% in acqua 0-2;

-

Peso specifico 1-1.35 g/ml;

-

Viscosità DIN 20.

AB 57 (ICR) Si tratta di un formulato messo a punto dai tecnici dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma. E’ composto da: -

Acqua cc 1000;

-

Bicarbonato d’ammonio g 30;

-

Bicarbonato di sodio g 50;

-

E.D.T.A. (sale bisodico) g 25;

-

Desogen (sale d’ammonio quaternario) cc 10 (tensioattivo, fungicida);

-

Carbossimetilcellulosa g 60.

Dovrà avere un PH intorno a 7,5 e la quantità di E.D.T.A. potrà essere variata e portata, se ritenuto necessario, a 100-125 g. Alla miscela potranno essere aggiunte ammoniaca (NH4OH) o trietanolammina N(CH2CH2OH)3 allo scopo di facilitare la dissoluzione dei componenti “grassi” presenti nella crosta, mentre esameta-fosfato di sodio (NaPO3)6 e formiato di ammonio (HCOONH+) sono sali che hanno la proprietà di sciogliere il gesso senza intaccare il carbonato di calcio. Dovranno essere usati in soluzioni con il 5-10% d’acqua e, su richiesta della D.L., potranno essere miscelati tra loro al fine di ottenere una maggiore capacità solvente. Potrà essere, anche aggiunto un sapone liquido di tipo neutro o leggermente alcalino (5-10 cc Litro) al fine di favorire una migliore bagnabilità ed esportazione delle croste grasse e prodotte dagli idrocarburi alifatici.

214

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Detergenti

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Sono tensioattivi organici costituiti da catene di atomi di carbonio alle quali sono attaccati uno o più gruppi idrofili. Saranno impiegati allo scopo di diminuire la tensione superficiale dell’acqua in modo da aumentare il potere ammorbidente. L’uso dei detergenti dovrà essere opportunamente vagliato dalla D.L., infatti, i tensioattivi oltre a sciogliere il gesso ed il carbonato di calcio (che sono i leganti più comuni delle croste) agiscono anche sulle pietre corrodendole e formando sali solubili). Argille assorbenti Potranno essere impiegate due tipi di argilla; la sepiolite e l’attapulgite. Sono fillosilicati idrati di magnesio capaci di impregnarsi di olii e grassi senza operare azioni aggressive sulla superficie delle pietre deteriorate. La granolumetria dei due tipi di argilla dovrà essere di almeno 100-200 mesh. Dovranno essere preparate diluendole esclusivamente con acqua distillata o demonizzata fino il raggiungere una consistenza pastosa che consenta la loro lavorazione in spessori di due o tre centimetri. Impacchi biologici Gli impasti, a base di sepiolite o attapulgite, avranno la seguente composizione: -

1 litro di acqua;

-

50 g di urea (NH2) 2CO;

-

20 cc di glicerina (CH2OH)2 CHOH; Il fango che si otterrà dovrà essere steso in spessori di almeno due centime-

tri.

215

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

APPENDICE F

TAVOLE DEGLI ADEMPIMENTI PER LA SICUREZZA F.1

Si riportano di seguito gli schemi riassuntivi degli adempimenti di cui al D.Lgs. 626/94 e smi1

Per il datore di lavoro 1. Istituire il Servizio di Prevenzione e Protezione designandone i componenti. 2. Designare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, previa consultazione del Responsabile dei Lavoratori, comunicandone il nominativo agli organi di vigilanza. 3. Designare il Medico Competente se necessario. 4. Qualora il datore di lavoro intenda svolgere direttamente le funzioni di cui ai punti 1 e 2: comunicare all’organo di vigilanza che è stata effettuata la valutazione dei rischi o la autocertificazione (quando consentito), inviare un resoconto degli infortuni e delle malattie professionali dell’ultimo triennio, inviare la attestazione di frequenza di un corso di formazione in materia di sicurezza. 5. Effettuare la valutazione dei rischi e conseguentemente adottare le necessarie misure di sicurezza individuate come necessarie. 6. Elaborare un documento che contenga gli elementi di cui al punto 5. 7. Delegare le funzioni delegabili. 8. Far visionare il documento di valutazione ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. 9. Provvedere all’adeguamento dei luoghi di lavoro qualora siano state rilevate condizioni di carenza. 1. Fonte: Ministero dell’Interno

217

10. Designare gli addetti alla prevenzione incendi, pronto soccorso, evacuazione. 11. Formare gli addetti di cui al punto 10. 12. Approntare i necessari presidi antincendio e di pronto soccorso. 13. Elaborare il piano generale di sicurezza in caso di incendio ed altre emergenze comunicandolo, nei casi previsti, agli organi territorialmente competenti (V.F., Prefettura, USL, Provincia, ecc.). 14. Fornire ai lavoratori attrezzature di lavoro conformi alla normativa di sicurezza vigente. 15. Fornire ai lavoratori i D.P.I. necessari. 16. Informare i lavoratori sui rischi, sugli addetti all’emergenza, sull’uso delle attrezzature di lavoro, sulle procedure di sicurezza, ecc. 17. Formare i lavoratori sulle mansioni da svolgere, sull’uso dei D.P.I., sulle modalità di adozione delle misure di sicurezza. 18. Istituire il registro infortuni. 19. Prevedere la sorveglianza sanitaria nei casi in cui sia necessaria ed esigerne la attuazione dal medico competente. 20. Assicurarsi che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ed il Medico Competente visitino gli ambienti di lavoro due volte l’anno (o una volta nei casi consentiti). 21. Assicurarsi che si tenga almeno una volta l’anno la riunione periodica della sicurezza. 22. Prevedere la revisione del documento di rischio ed il controllo periodico delle misure di sicurezza. Per il medico competente 1. Acquisire cognizione dei rischi presenti nella attività lavorativa. 2. Visitare gli ambienti di lavoro due volte l’anno (una volta nei casi consentiti). 3. Istituire e custodire la cartella sanitaria dei lavoratori da sottoporre a sorveglianza. 4. Eseguire le visite preventive e periodiche e dare i giudizi di idoneità. 5. Comunicare i giudizi di idoneità al lavoratore ed al datore di lavoro. 6. Informare i lavoratori sull’esito degli esami eseguiti e sulla eventuale neces218

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

sità di proseguire la sorveglianza anche dopo la cessazione del lavoro.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

7. Informare il rappresentante dei lavoratori sui dati anonimi e collettivi della sorveglianza sanitaria. 8. Partecipare alla riunione periodica della sicurezza. 9. Collaborare con il datore di lavoro nella adozione delle misure di pronto soccorso. Adempimenti in relazione agli ambienti di lavoro 1. Verificare la adeguatezza generale dei luoghi di lavoro: altezza, cubatura, superficie, fenestratura. 2. Verificare la adeguatezza del ricambio d’aria: naturale e/o artificiale. 3. Verificare le condizioni generali degli ambienti: pulizia, umidità, stato delle pareti, dei pavimenti, degli infissi, ecc. 4. Verificare le condizioni delle vie di accesso e dei passaggi (porte, portoni, vie ed uscite di emergenza, corridoi, scale, ecc.) 5. Verificare le condizioni degli impianti generali e la loro conformità alla normativa vigente (impianto elettrico, termico, di climatizzazione). 6. Verificare le condizioni delle macchine e delle attrezzature di lavoro e la loro conformità alle relative norme di sicurezza (D.P.R. 547/55, D.Lgs. 626/94, D.Lgs. 459/96). 7. Verificare in caso di presenza di sostanze pericolose le modalità di custodia ed utilizzo in sicurezza, nonché la adeguatezza di eventuali sistemi di aspirazione localizzata se necessari. 8. Verificare, in presenza di attività con produzione di rumore, che siano state eseguite le valutazioni di cui al D.Lgs. 277/91 e che siano state adottate tutte le misure tecniche di contenimento. 9. Verificare la presenza dei sistemi di allarme ed estinzione in caso di incendio con la relativa segnaletica conforme al D.Lgs. 493/96 e le specifiche procedure secondo il D.M. 10.3.98. 10. Verificare che i percorsi di esodo siano sgombri, adeguatamente segnalati e muniti di illuminazione di sicurezza. 11. Verificare che gli ambienti ove si svolgono attività lavorative rumorose, inquinanti o con utilizzo di sostanze pericolose, tossiche, nocive, ecc. siano adeguatamente separati da quelli in cui tali lavorazioni non hanno luogo. 219

12. Verificare la adeguatezza di: servizi igienici, docce, spogliatoi. 13. Verificare la accessibilità ai portatori di handicap quando richiesto. Adempimenti in relazione alla prevenzione incendi 1. Valutare preliminarmente se la attività svolta comporti particolari rischi di incendio come previsto dal D.P.R. 547/55 artt. 36 e 37, dal D.P.R. 689/ 59 modificato dal DM 16.2.82. 2. Richiedere il rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi al locale comando dei V.F. quando ricorrano le previsioni di cui al punto 1. 3. In attesa del rilascio del C.P.I. produrre al Comando dei V.F. attestazione da cui risulti il rispetto delle prescrizioni di sicurezza antincendio al fine di ottenere una autorizzazione provvisoria. 4. Provvedere, alle scadenze, al rinnovo del C.P.I. 5. Effettuare nell’ambito degli adempimenti del D.Lgs. 626/94 la valutazione dei rischi di incendio secondo le linee guida del D.M. 10/3/98. 6.

la presenza di prodotti combustibili, infiammabili e di eventuali sorgenti di innesco.

7. Individuare i lavoratori esposti al rischio di incendio ed il grado di affollamento dei locali ove si svolge la attività lavorativa. 8. Classificare il livello di rischio di incendio (basso, medio, elevato). 9. Verificare la adeguatezza dei seguenti parametri: percorsi di esodo (segnaletica, illuminazione ordinaria e di sicurezza, porte ed uscite di emergenza, accesso ai luoghi sicuri); ●

apparecchiature di rilevazione antincendio;



sistema di allarme antincendio;



attrezzature di estinzione automatiche o manuali;



segnalazione delle attrezzature antincendio e dei percorsi di esodo.

10. Prevedere la manutenzione periodica di sistemi di allarme, rilevazione e di lotta antincendio. 11. Designare gli addetti alla attuazione degli interventi in caso di incendio e provvedere alla loro formazione secondo i programmi del D.M. 10/3/98 allegato IX. 12. Informare i lavoratori sui rischi di incendio, sulle misure da adottare, sui nominativi degli addetti alla lotta antincendio. 220

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

13. Prevedere eventualmente esercitazioni periodiche antincendio.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

14. Prevedere un adeguato coordinamento con gli organi locali di soccorso e di protezione civile (VVF) qualora lo richieda la pericolosità dell’attività svolta. Adempimenti in relazione alle misure di pronto soccorso 1. Valutare preliminarmente i potenziali rischi di infortuno insiti nella attività lavorativa. 2. Rendere disponibili presidi di primo soccorso (cassette di pronto soccorso) nei luoghi in cui lo richiedano le condizioni di lavoro. 3. Segnalare i luoghi in cui sono custodite le cassette di pronto soccorso informandone altresì i lavoratori. 4. Designare i lavoratori addetti al primo soccorso ed assicurare una idonea formazione con aggiornamento annuale. 5. Informare i lavoratori sui nominativi degli addetti al pronto soccorso. 6. Instaurare rapporti diretti con i servizi esterni quando lo richieda la tipologia della attività. 7. Istituire locali di pronto soccorso quando lo richieda il tipo di attività lavorativa e la frequenza degli infortuni 8. Segnalare adeguatamente i locali. 9. Dotare i locali dei necessari materiali di primo soccorso e renderli accessibili alle barelle.

F.2

Compiti del committente, del responsabile del procedimento (in caso di LL.PP.), del responsabile dei lavori

Fase di programmazione Il Committente nomina il Responsabile del procedimento (L. 109/94 Art. 7 c.1) Il Responsabile del procedimento, valuta in via preliminare se i lavori rientrano nel campo di applicazione D.Lgs. 494/96 (D.Lgs. 494/96 Art. 1) Il Committente prevede all’eventuale nomina del Responsabile dei lavori Il Responsabile dei lavori valuta la durata delle fasi di lavoro, la presenza di più imprese, l’entità degli uomini giorno o la presenza di rischi particolari di cui all’allegato 2 (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c.1 e D.P.R. 554/99 Art. 8 c.3 lett. b) 221

Il Responsabile dei lavori valuta se per i lavori in questione è richiesta la nomina del Coordinatore per la progettazione (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 3) Il Responsabile del procedimento, nella stesura del documento preliminare alla progettazione, individua o meno la necessità di ricorrere ad un Coordinatore esterno alla struttura dell’Ente/Azienda, stimando i costi relativi (D.P.R. 554/ 99 Art.15) Fase di affidamento dei servizi di ingegneria Nel caso di inadeguatezza dell’organico dell’Ente/Azienda, il Responsabile del procedimento propone al Committente l’affidamento delle attività di supporto (Coordinatore per la progettazione) secondo le procedure e con le modalità previste dalla vigente normativa (D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 5) Il Responsabile del procedimento indica nei bandi di gara i servizi di cui al titolo IV del Regolamento con la specificazione delle prestazioni specialistiche necessarie compresa quella di Coordinatore per la progettazione (D.P.R. 554/ 99 Art. 63) Il Responsabile dei lavori valuta il possesso dei requisiti di cui all’art. 10 del D.Lgs. 494/96 da parte del soggetto da designare quale Coordinatore per la progettazione (D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3 lett. c) Il Responsabile dei lavori nomina il Coordinatore per la progettazione (D.P.R. 554/99 Art. 8 c.3) Il Responsabile dei lavori si autodesigna Coordinatore per la progettazione (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 5) Fase di progettazione preliminare Il Responsabile dei lavori si attiene ai principi generali e alle misure di tutela previsti dalla legge (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3) Fase di progettazione definitiva Il Responsabile dei lavori si attiene ai principi generali e alle misure di tutela previsti dalla legge (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3) Fase di progettazione esecutiva Il Responsabile dei lavori si attiene ai principi generali e alle misure di tutela previsti dalla legge (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3 lett. a) Il Responsabile del procedimento coordina le attività necessarie alla redazione del piano di sicurezza e coordinamento (d.P.R. 554/99 Art. 8 c. 1 lett. f) 222

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Il Responsabile dei lavori vigila sull’attività del Coordinatore per la progettazione (D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3 lett. d) QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Il Responsabile dei lavori valuta il piano di sicurezza e coordinamento e il fascicolo (D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3 lett. d) Fase precedente all’affidamento dei lavori Nel caso di inadeguatezza dell’organico dell’Ente/Azienda, il Responsabile del procedimento propone al Committente l’affidamento delle attività di supporto (Coordinatore per l’esecuzione) secondo le procedure e con le modalità previste dalla vigente normativa (D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 5) Il Responsabile del procedimento indica nei bandi di gara i servizi di cui al titolo IV del Regolamento con la specificazione delle prestazioni specialistiche necessarie compresa quella di Coordinatore per l’esecuzione (D.P.R. 554/99 Art. 63) Il Responsabile dei lavori valuta il possesso dei requisiti di cui all’art. 10 del D.Lgs. 494/96 da parte del soggetto da designare quale Coordinatore per l’esecuzione (D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3 lett. c) Il Responsabile dei lavori nomina il Coordinatore per l’esecuzione (D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3) Il Responsabile dei lavori si autodesigna Coordinatore per l’esecuzione (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 5) Il Responsabile del procedimento evidenzia nei bandi di gara gli oneri per l’attuazione dei piani di sicurezza, non soggetti a ribasso d’asta (L. 109/94 Art. 31 c. 2) Fase di affidamento dei lavori Il Responsabile dei lavori trasmette il piano di sicurezza e di coordinamento a tutte le imprese invitate a presentare offerta per l’esecuzione dei lavori. In caso di appalto di opera pubblica si considera trasmissione la messa a disposizione del piano a tutti i concorrenti alla gara d’appalto (d.lgs 494/96 Art. 13 e d.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3 lett. f) Fase precedente l’inizio dei lavori Il Responsabile dei lavori comunica alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi il nominativo del Coordinatore per la progettazione e quello del Coordinatore per l’esecuzione dei lavori (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 6 e d.P.R. 554/ 99 Art. 8 c. 3 lett. e) 223

Il Responsabile dei lavori verifica l’idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 1 e D.P.R. 554/ 99 Art. 8 c. 3 lett. g) Il Responsabile dei lavori chiede alle imprese esecutrici, una dichiarazione dell’organico medio annuo, nonché una dichiarazione relativa al contratto collettivo applicato ai lavoratori dipendenti (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3) Il Responsabile dei lavori nei casi previsti dalla legge trasmette all’Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro competenti per territorio, la notifica preliminare (D.Lgs. 494/96 Art. 11 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 8 c.3 lett. g) Il Responsabile dei lavori, nel caso in cui, dopo l’affidamento dei lavori ad un’unica impresa, l’esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese, provvede alla nomina del Coordinatore per l’esecuzione (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 4bis) Fase di esecuzione dei lavori Il Responsabile dei lavori si attiene ai principi generali e alle misure di tutela previsti dalla legge (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3 lett. a) Il Responsabile dei lavori vigila sull’attività del Coordinatore per l’esecuzione (D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 3 lett.d) Il Responsabile del procedimento, trasmette agli organi competenti dell’amministrazione aggiudicatrice, la proposta del Coordinatore per l’esecuzione di sospensione dei lavori, di allontanamento dal cantiere delle imprese e dei lavoratori autonomi o di risoluzione del contratto (D.Lgs.494/96 Art. 5 c. 1 D.P.R. 554/99 Art. 8 c. 1 lett. u) Il Responsabile dei lavori può sostituire in qualsiasi momento, anche personalmente se in possesso dei requisiti di cui all’art. 10, il Coordinatore per l’esecuzione (D.Lgs. 494/96 Art. 3 c. 7)

F.3

Compiti del coordinatore nella fase di esecuzione

Fase precedente l’affidamento dei lavori Trasmette al Responsabile dei lavori la documentazione attestante il possesso dei requisiti di cui all’art. 10 del D.Lgs. 494/96 224

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Fase precedente l’inizio dei lavori

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Chiede alle imprese esecutrici, le informazioni necessarie ai fini della gestione del cantiere e la documentazione richiesta dalle norme vigenti Se ritenuto opportuno adegua il piano di sicurezza e coordinamento sulla base delle proposte delle imprese (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett. b) Valuta il piano operativo delle imprese ed eventualmente richiede modifiche ed integrazioni (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett. f) Nei casi di cui all’art. 3 comma 4-bis del D.Lgs. 494/96, oltre a svolgere i compiti di cui al 1° comma, redige il piano di sicurezza e coordinamento e predispone il fascicolo (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1) Fase di esecuzione dei lavori Verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett. a) Adegua il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute (D.Lgs.494/96 Art. 5 c. 1 e d.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett. b) - Adegua il fascicolo in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett. b) Valuta le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett. b) Verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza (D.Lgs.494/96 Art. 5 c. 1) Organizza tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett. c) Verifica l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1) Segnala al Committente o al Responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli artt. 7, 8 e 9, e alle prescrizioni del piano e propone la sospensione dei lavori, l’allontanamento dal cantiere, i la risoluzione del contratto (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1) Nel caso in cui il Committente o il Respon225

sabile dei lavori non adottino nessun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il Coordinatore per l’esecuzione provvede a dare comunicazione dell’inadempienza alla Azienda Unità Sanitaria Locale territorialmente competente e alla Direzione Provinciale del Lavoro (D.Lgs.494/96 Art. 5 c. 1 e d.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett. d) Sospende in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettati dalle imprese interessate (D.Lgs.494/96 Art. 5 c. 1 e D.P.R. 554/99 Art. 127 c. 2 lett.e) Nei casi di cui all’art. 3 comma 4-bis del D.Lgs. 494/96, oltre a svolgere i compiti di cui al 1° comma, redige il piano di sicurezza e coordinamento e predispone il fascicolo (d.lgs 494/96 Art. 5 c. 1) Fase al termine dei lavori Consegna al Responsabile dei lavori il fascicolo adeguato durante l’esecuzione dei lavori.

F.4

Compiti delle imprese

Fase di progettazione esecutiva In caso di appalto integrato essendo la redazione del progetto esecutivo a carico delle imprese partecipanti alla gara, provvedono alla nomina del Coordinatore per la progettazione, alla redazione del piano di sicurezza e coordinamento e alla predisposizione del fascicolo per la prevenzione. Fase di affidamento dei lavori Consultano il piano di sicurezza e coordinamento e redigono l’offerta tenendo conto che gli oneri per l’attuazione delle misure di sicurezza non sono soggetti a ribasso. In caso di appalto concorso, essendo la redazione del progetto esecutivo a carico delle imprese partecipanti alla gara, provvedono alla nomina del Coordinatore per la progettazione, alla redazione del piano di sicurezza e coordinamento e alla predisposizione del fascicolo per la prevenzione. Fase precedente l’inizio dei lavori Trasmettono al Responsabile dei lavori le dichiarazioni inerenti l’organico medio annuo, il contratto collettivo applicato ai lavoratori dipendenti. 226

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Trasmettono al Coordinatore per l’esecuzione la documentazione tecnica necessaria per l’adeguamento del fascicolo per le manutenzioni. QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Riportano nel cartello di cantiere i nominativi dei coordinatori. Trasmettono al Responsabile dei lavori copia del certificato di iscrizione alla Camera di Commercio. Espongono in cantiere in maniera visibile la notifica preliminare. Trasmettono al Coordinatore per l’esecuzione le informazioni necessarie ai fini della gestione del cantiere e la documentazione richiesta dalle norme vigenti. Accettano il piano di sicurezza e coordinamento o propongono modifiche ed integrazioni (D.Lgs. 494/96 Art. 9 c. 2 e Art. 12 c. 5) Redigono il piano operativo per la sicurezza e lo trasmettono al Coordinatore per l’esecuzione (D.Lgs. 494/96 Art. 9 c. 1 e Art. 12 c. 3) Redigono gli altri piano previsti dalle norme nei casi specifici quali: -

Il piano di lavoro previsto per la demolizione e rimozione dell’amianto (D.Lgs. 277/91 Art.34);

-

Il piano per la prevenzione degli infortuni durante le operazioni di produzione, trasporto e montaggio di elementi prefabbricati (Circolare Min. Lavoro 13/82);

-

Progetto del ponteggio quando supera l’altezza di 20 metri o avente configurazione complessa o non rispondente agli schemi tipo (D.P.R. 164/56 art. 33);

-

Progetto armature provvisorie di grandi opere (D.P.R. 164/56 Art. 64);

-

Programma di importanti ed estese demolizioni (D.P.R. 164/56 art. 72).

In ogni caso devono aver redatto il documento di valutazione dei rischi di cui al D.Lgs. 626/94 e il documento di valutazione dei rischi da esposizione al rumore di cui al d.lgs 277/91. Almeno 10 gg. prima dell’inizio dei lavori trasmettono il piano di sicurezza e coordinamento e il piano operativo di sicurezza al Rappresentante dei lavoratori (D.Lgs. 494/96 Art. 12 c. 4) L’Appaltatore trasmette il piano di sicurezza e coordinamento ai subappaltatori e ai lavoratori autonomi (D.Lgs. 494/96 Art. 13 c. 2) Nominano il Direttore tecnico di cantiere e i capi cantiere Nominano il/i responsabile/i per la gestione delle emergenze Fase di esecuzione dei lavori Applicano le disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e co227

ordinamento la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro (d.lgs 494/96 Art. 12 c. 1) Adottano misure conformi alle prescrizioni di cui all’all. IV (D.Lgs. 494/96 Art. 9 c. 1) Curano le condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il Committente o il Resp. dei lavori (D.Lgs. 494/96 Art. 9 c. 1) Propongono modifiche e integrazioni al piano di sicurezza e coordinamento (D.Lgs.494/96 Art. 12 c. 5) Adeguano il piano operativo di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute (D.Lgs. 494/96 Art. 5 c. 1) Curano che lo stoccaggio e l’evacuazione dei detriti e delle macerie avvengano correttamente (D.Lgs. 494/96 Art. 9 c. 1) Si adeguano alle disposizioni del Coordinatore per l’esecuzione. Osservano le misure generali di tutela di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 626/94, e curano, ciascuno per la parte di competenza in particolare:

228

a)

il mantenimento del cantiere in condizioni ordinate e di soddisfacente salubrità;

b)

la scelta dell’ubicazione dei posti di lavoro tenendo conto delle condizioni di accesso a tali posti, definendo vie e zone di spostamento o di circolazione;

c)

le condizioni di movimentazione dei vari materiali;

d)

la manutenzione, il controllo prima dell’entrata in servizio e il controllo periodico degli impianti e dei dispositivi al fine di eliminare i difetti che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;

e)

la delimitazione e l’allestimento delle zone di stoccaggio e deposito dei materiali, in particolare quando si tratta di materie e di sostanze pericolose;

f)

l’adeguamento, in funzione dell’evoluzione del cantiere, della durata effettiva da attribuire ai vari tipi di lavoro o fasi di lavoro;

g)

la cooperazione tra i datori di lavoro e i lavoratori autonomi;

h)

le interazioni con le attività che avvengono sul luogo, all’interno o in prossimità del cantiere.(D.Lgs. 494/96 Art. 8 c. 1)

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

Schema riassuntivo per l’applicazione del D.Lgs. 494/96 e s.m.i. ADEMPIMENTI

IMPRESA PIANO SICUREZZA E COORDINAMENTO PSC

PIANO OPERATIVO DI SICUREZZA POS

no

COORDINAMENTO IN PROGETTAZIONE E IN ESECUZIONE

RISCHI PARTICOLARI AGGRAVATI ALL. II

- 200

NOTIFICA PRELIMINARE

ENTITÀ LAVORI U–G

1

VERIFICA IDONEITÀ TECNICOPROFESSIONALE

N. IMPRESE ESECUTRICI

COMMITTENTE

si

no

no

no

si

1

+ 200

no /si

si

si

no

no

si

+ imprese

- 200

no

si

no

no

no

si

+ imprese

+ 200

no

si

si

si

si

si

+ imprese

- 200

si

si

si

si

si

si

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

CASI

Ci sarebbe poi un’ultima colonna accanto a quella degli oneri per le imprese, che obbliga queste, nel caso di lavori pubblici a redigere il PSS Piano Sostitutivo di Sicurezza nel caso che, per i motivi sopra visti il PSC non sia stato redatto. Il PSS non può però contenere elementi relativi al costo della sicurezza. POS e PSS in questo caso, possono essere assemblati in un unico documento.

229

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

APPENDICE G

Esempio di Scheda di Sicurezza SCHEDA DATI DI SICUREZZA ai sensi della direttiva comunitaria 91/155 Data di compilazione: ___ data di aggiornamento: _____ Vers.: ___ DR * 1 ELEMENTI IDENTIFICATIVI DELLA SOSTANZA O DEL PREPARATO E DELLA SOCIETÀ/ IMPRESA PRODUTTRICE · Dati del prodotto · Denominazione commerciale BENZALCONIO CLORURO SOL. 50% · Articolo numero: 0502610 · Utilizzazione della Sostanza / del Preparato Disinfettante · Produttore/fornitore: _________________________________________ · Informazioni fornite da: Reparto sicurezza prodotti * 2 COMPOSIZIONE/INFORMAZIONI SUGLI INGREDIENTI · Caratteristiche chimiche: · Numero CAS 8001-54-5 BENZALCONIO CLORURO SOL. 50% · Numero/i di identificazione 3 INDICAZIONE DEI PERICOLI · Classificazione di pericolosità: C Corrosivo

· Indicazioni di pericolosità specifiche per l’uomo e l’ambiente: R 22 Nocivo per ingestione. R 34 Provoca ustioni. · Sistema di classificazione: La classificazione corrisponde alle attuali liste della CEE, è tuttavia integrata da dati raccolti da bibliografia specifica e da dati forniti dall’impresa.

231

4 MISURE DI PRONTO SOCCORSO · Indicazioni generali: Togliere immediatamente gli abiti contaminati dal prodotto. I sintomi di avvelenamento possono comparire dopo molte ore, per tale motivo è necessaria la sorveglianza di un medico nelle 48 ore successive all’incidente. · Inalazione: Portare il soggetto in zona ben areata o somministrare ossigeno; chiedere l’intervento di un medico. · Contatto con la pelle: Lavare immediatamente con acqua. · Contatto con gli occhi Lavare con acqua corrente per diversi minuti tenendo le palpebre ben aperte e consultare immediatamente il medico. · Ingestione: Chiamare subito il medico. 5 MISURE ANTINCENDIO · Mezzi di estinzione idonei: CO2, polvere, o acqua nebulizzata.Estinguere gli incendi di grosse dimensioni con acqua nebulizzata o con schiuma resistente all’alcool. · Mezzi di estinzione inadatti per motivi di sicurezza: Nessuno. · Rischi specifici dovuti alla sostanza, ai prodotti della sua combustione o ai gas liberati: Se riscaldato o in caso di incendio il prodotto può sviluppare fumi tossici. In caso di incendio si possono liberare : Ossido di azoto (NO2) Acido cloridrico (HCl) · Mezzi protettivi specifici: Non sono richiesti provvedimenti particolari. 6 MISURE IN CASO DI FUORIUSCITA ACCIDENTALE · Misure cautelari rivolte alle persone: Indossare equipaggiamento protettivo idoneo. Allontanare le persone non equipaggiate. · Misure di protezione ambientale: Impedire l’entrata del prodotto nelle fognature o nei corpi d’acqua. Impedire spargimenti superficiali (ad esempio con argini o barriere d’olio). · Metodi di pulitura/assorbimento: Raccogliere il liquido con materiale assorbente (sabbia, tripoli, legante di acidi, legante universale, segatura). Provvedere ad una sufficiente areazione. 232

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

7 Manipolazione e stoccaggio · Manipolazione:

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

· Indicazioni per una manipolazione sicura: Evitare la formazione di aerosol. · Indicazioni in caso di incendio ed esplosione: Non sono richiesti provvedimenti particolari. · Stoccaggio: · Requisiti dei magazzini e dei recipienti: Assicurare il pavimento contro infiltrazioni. Utilizzare solo contenitori omologati in modo speciale per il materiale/ prodotto. · Indicazioni sullo stoccaggio misto: Non necessario. · Ulteriori indicazioni relative alle condizioni di immagazzinamento: Mantenere i recipienti ermeticamente chiusi. * 8 CONTROLLO DELL’ESPOSIZIONE/PROTEZIONE INDIVIDUALE · Ulteriori indicazioni sulla struttura di impianti tecnici: Nessun dato ulteriore, vedere punto 7 · Componenti i cui valori limite devono essere tenuti sotto controllo negli ambienti di lavoro Non richiesto · Ulteriori indicazioni: Le liste valide alla data di compilazione sono state usate come base. · Mezzi protettivi individuali · Norme generali protettive e di igiene del lavoro: Tenere lontano da cibo, bevande e alimenti. Togliere immediatamente gli abiti contaminati. Lavarsi le mani prima dell’intervallo o a lavoro terminato. Evitare il contatto con gli occhi e la pelle. · Maschera protettiva: Non necessario. · Guanti protettivi: Guanti impermeabili. · Materiale dei guanti La scelta dei guanti adatti non dipende soltanto dal materiale bensí anche da altre caratteristiche di qualità variabili da un produttore a un altro.DR · Tempo di permeazione del materiale dei guanti Richiedere dal fornitore dei guanti il tempo di passaggio preciso il quale deve essere rispettato. · Occhiali protettivi: Occhiali protettivi a tenuta. Protezione per il viso. 233

· Tuta protettiva: Indumenti protettivi impermeabili. Stivali. * 9 PROPRIETÀ FISICHE E CHIMICHE · Indicazioni generali Forma: liquido Colore: giallo chiaro Odore: caratteristico · Cambiamento di stato Temperatura di fusione/ambito di fusione: 100°C · Punto di infiammabilità: > 62°C · Pericolo di esplosione: Prodotto non esplosivo. · Densità a 20°C: 0,97 g/cm3 · Densità apparente a 20°C: 1 kg/m3 · Solubilità in/Miscibilità con Acqua:SI a 20°C completamente g/l · Valori di pH (100 g/l) a 20°C: 6 - 8 10 STABILITÀ E REATTIVITÀ · Decomposizione termica/ condizioni da evitare: Non riscaldare onde evitare decomposizione termica. · Reazioni pericolose Reazioni con acidi, alcali ed ossidanti. Corrosivo per i metalli. · Prodotti di decomposizione pericolosi: Nessuno 11 INFORMAZIONI TOSSICOLOGICHE · Tossicità acuta: · Irritabilità primaria: · Sulla pelle: Corrosivo sulla pelle e sulle mucose. · Sugli occhi: Fortemente corrosivo · Sensibilizzazione: Non si conoscono effetti sensibilizzanti · Ulteriori dati tossicologici: Se ingerito provoca forte corrosione della cavità orale e della faringe con rischio di perforazione dell’esofago e dello stomaco. 12 INFORMAZIONI ECOLOGICHE · Dati sulla eliminazione (persistenza e biodegradabilità) 234

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

· Ulteriori indicazioni: Il prodotto è difficilmente biodegradabile. · Ulteriori indicazioni:

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

Non immettere nelle acque freatiche, nei corpi d’acqua o nelle fognature, anche in piccole dosi. Non immettere il prodotto non diluito o non neutralizzato nelle acque di scarico e nei canali di raccolta. 13 CONSIDERAZIONI SULLO SMALTIMENTO · Prodotto: · Consigli: Non smaltire il prodotto insieme ai rifiuti domestici.Non immettere nelle fognature · Imballaggi non puliti: · Consigli: Smaltimento in conformità con le disposizioni amministrative. * 14 INFORMAZIONI SUL TRASPORTO · Trasporto stradale/ferroviario ADR/RID (oltre confine): · Classe ADR/RID-GGVS/E: 8 Materie corrosive · Numero Kemler: 80 · Numero ONU: 1760 · Gruppo di imballaggio: III · Descrizione della merce: 1760 LIQUIDO CORROSIVO, N.A.S. (BENZALCONIO CLORURO SOL. 50%) * 15 INFORMAZIONI SULLA REGOLAMENTAZIONE · Classificazione secondo le direttive CEE: Il prodotto è classificato e codificato conformemente alle direttive CE/ norme sulle sostanze pericolose · Sigla e etichettatura di pericolosità del prodotto: C Corrosivo · Natura dei rischi specifici (frasi R) 22 Nocivo per ingestione. 34 Provoca ustioni. · Consigli di prudenza (frasi S) 13 Conservare lontano da alimenti o mangimi e da bevande. 26 In caso di contatto con gli occhi, lavare immediatamente e abbondantemente con acqua e consultare un medico. 28 In caso di contatto con la pelle lavarsi immediatamente ed abbondantemente con acqua. 36/37/39 Usare indumenti protettivi e guanti adatti e proteggersi gli occhi/la faccia.

235

16 ALTRE INFORMAZIONI I dati sono riportati sulla base delle nostre conoscenze attuali,non rappresentano tuttavia alcuna garanzia delle caratteristiche del prodotto e non motivano alcun rapporto giuridico contrattuale. Nel caso i materiali non prodotti o forniti dal produttore siano usati insieme od al posto di nostri materiali, il Cliente deve assicurarsi di aver ricevuto dal produttore o fornitore tutte le informazioni tecniche relative ai prodotti in questione. Il produttore non accetta responsabilità (eccetto come altrimenti stabilito dalla legge) che derivi dal non corretto uso delle informazioni fornite, dall’applicazione, dall’adattamento o lavorazione del prodotto ivi descritto, dall’uso di altri materiali al posto di nostri materiali o dall’uso di materiali di nostra produzione congiuntamente con altri materiali. · Scheda rilasciata da: __________________________ · Interlocutore: _______________________ · * Dati modificati rispetto alla versione precedente

236

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

1

P. W. Atkins, L. Jones: Chimica generale, Zanichelli, Bologna.

2

M. Matteini, A. Moles: La chimica nel restauro. Nardini ed., Firenze

3

S. Volpin, L. Appolonia: Le analisi di laboratorio applicate ai beni artistici policromi. I Talenti, Il Prato casa editrice, Padova.

4

P. Cremonesi: L’uso degli enzimi nella pulitura di opere policrome, I Talenti, Il Prato casa editrice, Padova.

5

P. Cremonesi, L’uso dei solventi organici nella pulitura di opere policrome, I Talenti, Il Prato casa editrice, Padova.

6

P. Cremonesi L’uso di tensioattivi e chelanti nella pulitura di opere policrome, I Talenti, Il Prato casa editrice, Padova.

7

1.Artini E., Le rocce. Ed. Hoepli, Milano 1969.

8

Artini E., I minerali. Ed. Hoepli, Milano 1969.

9

Borghini G., (a cura di), Marmi antichi, Ed. Leonardo ~ De Luca, Roma 1992.

QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

10 Istituto per il Commercio Estero, Marmi Italiani. GuidaTecnica, Ed. Vallardi, Milano 1982. 11 Lazzarini L., Laurenzi Tabasso M., Il restauro della pietra. Ed. CEDAM, Padova 1986. 12 Mattias P.P., Guida al riconoscimento macroscopico di minerali e rocce. Edit. Romana, Roma 1983. 13 Negretti G., Di Sabatino B., Corso di Petrografia. Ed. CISU, Roma 1983. 14 Piepoli P., Materiali naturali da costruzione: le rocce. Ed. Libreria Eredi V. Veschi, Roma 1980. 15 Pieri M.., I marmi d’Italia - graniti e pietre ornamentali. Ed. Hoepli, Milano 1964. 16 Rockwell P., Lavorare la pietra. Nuova Italia Scientifica, Roma 1989. 237

17 Rodolico F., Le pietre delle città d’Italia. Ed. Felice Le Monnier, Firenze 1953. 18 Vianello F., Riconoscere i materiali lapidei. Ed. Piovani, Abano Terme (Pd) 1995. 19 A. Arnold, Salt weathering on monuments. Atti del primo Simposio Internazionale su La Conservazione dei Monumenti nel Bacino del Mediterraneo, Bari 1989. 20 S. Catterji, P. Christensen, G. Overgaard, Mechanism od breakdown of natural stones caused by sodium salts. Atti del terzo Congresso Internazionale Deterioramento e Conservazione della Pietra, Venezia 1979. 21 Giovagnoli, M. Marabelli, Considerazioni generali sull’inquinamento atmosferico e la conservazione dei beni culturali. in “Diagnosi e progetto per la conservazione dei materiali dell’architettura”, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, I.C.R., Ed. De Luca, Roma, 1998. 22 M. Laurenzi Tabasso, M. Marabelli, Il degrado dei monumenti a Roma in rapporto all’inquinamento atmosferico, Ed. BetaGamma, Viterbo 1992. 23 Autori Vari, Degradation and conservation of granitic rocks in monuments. Research Report no.5,Proceedings of the EC workshop held in Santiago de Compostela (Spain) on 28-30 November 1994 European Commission DGXII, Brussels,1996 24 A. Altieri, M.R. Giuliani, M.P. Nugari, A.M.Pietrini, S.Ricci, A Roccardi, Il degrado di origine biologica delle opere d’arte: diagnosi ed interventi in “Diagnosi e progetto per la conservazione dei materiali dell’architettura”. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, I.C.R., Ed. De Luca, Roma 1998. 25 G. Caneva, M.P. Nugari, O. Salvatori, La Biologia nel restauro. Ed. Nardini, Firenze 1994. 26 Doc. NORMAL 1/88, Alterazioni macroscopiche dei materiali lapidei: lessico. (CNR-ICR, Roma 1990). 27 B. Fitzner, H. Heinrichs, R. Kownatzki, Classification and mapping of weathering forms. Proc. Of the 7th International Congress on Deterioration and Conservation of Stone, Lisbona, giugno 1992. 28 Caneva G., Nugari M.P., Pinna D., Salvatori O., Il controllo del degrado 238

IL RESTAURO CON PRODOTTI CHIMICI

biologico. I biocidi nel restauro dei materiali lapidei. Ed. Nardini, Firenze 1996. QUADERNI p e r il c o o r d i n a t o r e

29 Alcune diapositive e tabelle sono tratte dal Corso di Chimica del Restauro e da quello di Chimica per l’Ambiente del Consorzio Nettuno (www.uninettuno.it). 30 L’elenco dei prodotti chimici inserito nell’omonimo capitolo è tratto in gran parte dal Catalogo Phase (www.phaseitalia.it). 31 G. Amoroso, Metodi e Tecniche per il Restauro. Dario Flaccovio, Palermo 1996. G.F. Guidi, Interventi di Restauro. DEI, Roma 1999. 32 AA.VV. Il manuale del Restauro Architettonico. Mancuso Editore, Roma 2002. 33 M. Coladonato. Dispensa del Servizio di Prevenzione e Protezione dell’ICR.- Il rischio chimico nel laboratorio e nel cantiere di restauro- Roma 34 Kuster-Tiel, Tabelle logaritmiche per Chimici, farmacisti, medici e fisici. Hoepli Milano

239