Eschilo: Coefore. I canti 8862277474, 9788862277471

L'interpretazione metrica dei cantica delle Coefore proposta nel presente volume prende le mosse dall'analisi

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Eschilo: Coefore. I canti
 8862277474, 9788862277471

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I CANTI

DEL

TEATRO

GRECO

Collana fondata da Bruno Gentili e diretta da Pietro Giannini, Antonietta Gostoli, Liana Lomiento, Franca Perusino 5.

UNIVERSITÀ

CENTRO DI

STUDI DELLA

DEGLI

STUDI

DI

URBINO

INTERNAZIONALE SULLA

CULTURA

GRECIA

ANTICA

COEFORE I Canti ESCHILO A

CURA

GIAMPAOLO

PISA FABRIZIO

DI GALVANI

- ROMA SERRA 2015

EDITORE

Volume pubblicato con i fondi della ricerca scientifica del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e Discipline Umanistiche Università di Urbino Carlo Bo. A norma del codice civile italiano, è vietata la riproduzione, totale

o parziale (compresi estratti, ecc.), di questa pubblicazione in qualsiasi forma e versione (comprese bozze, ecc.), originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa o internet (compresi siti web personali e istituzionali, academia.edu, ecc.), elettronico, digitale, meccanico, per mezzo di fotocopie, pdf, microfilm, film, scanner o altro, senza il permesso scritto della casa editrice.

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1828-8650

978-88-6227-747-1 E-ISBN

(BROSSURA)

978-88-6227-748-8

A

BRUNO IN

GENTILI

MEMORIAM

SOMMARIO Avvertenza

Introduzione

Sigla Abbreviazioni metriche Struttura metrica delle Coefore Parodo

Canto infraepisodico Kommos Primo stasimo

11 13 25 27 29 33 55

Astrophon

65 101 119 141

Terzo stasimo

143

Indice prosodico e metrico Bibliografia

165 167

Secondo stasimo

AVVERTENZA T: testo dei cantica delle Coefore è corredato da un sintetico apparato critico, nel quale sono registrate le varianti e le congetture metricamente rilevanti, e di un apparato colometrico, nel quale si dà conto delle eventuali divergenze del codice M rispetto alla colometria adottata. In tale apparato è indicata la parola finale del colon e solo in alcuni casi particolarmente complessi, per esigenze di chiarezza, è riportata anche quella iniziale. L'utilizzo dell’eisthesis nei testi — e nei relativi schemi metrici - indica che i cola sono tra loro in sinafia. Il testo del manoscritto Laurenziano 32.9 è stato analizzato su una riproduzione digitale a colori, grazie alla quale è stato spesso possibile individuare le correzioni apportate dal diorthotes, responsabile anche dell’inserimento degli scholia vetera a margine del testo. Sono stati, inoltre, analizzati su

riproduzioni digitali in bianco e nero gli apografi Ma, Mb, Mc. Anche i passi tragici e comici citati a supporto dell’interpretazione metrica sono stati controllati sui principali codici. Per alcune opere è stato possibile avvalersi di analisi metriche basate sulle colometrie tradite: Fleming 2007 (Eschilo); Pardini 1999 (Aiace), Giannachi 2011 (Antigone), Giannachi 2009 (Edipo re), Avezzù 2008 (Edipo a Colono); Fileni 2006 (Eraclidi), Santé 1998-99 (Ione), Capilupo 1999-2000 (Ifigenia in Aulide), Parlato 2009-10 (Ippolito), Santé 2002-03 (Fenicie), Pace 2001 (Reso); Perusino (Lisistrata

in corso di pubblicazione). Per la descrizione e l’interpretazione delle forme metriche ci si è attenuti in massima parte alla terminologia attestata nelle fonti antiche. Negli schemi metrici sono segnalate con la doppia barra (||) solo le fini di verso individuabili mediante i criteri boeckhiani della fine di parola generalizzata in concomitanza con iato e/o brevis in longo. Va chiarito che all’interno di una strofe potrebbero essere presenti altre fini di verso oltre a quelle segnalate con la doppia barra, ma la mancanza di “indizi certi” non ne consente una sicura individuazione. Nel commento trova spazio anche la discussione di alcune questioni testuali di particolare rilievo, pur se non di immediata

12,

incidenza sul piano metrico-ritmico. In particolare, sono stati discussi sia i numerosi passi in cui il testo tràdito appare corrotto e

difficilmente emendabile, sia i punti in cui si accolgono nel testo lezioni e congetture rifiutate dalla maggioranza degli editori. Desidero

ringraziare

Pietro

Giannini,

Antonietta

Gostoli,

Lia-

na Lomiento e Franca Perusino per aver accolto questo volume all’interno della collana da loro diretta. Colgo l’occasione per ringraziare Vittorio Citti (Università degli Studi di Trento) e Pierre Judet de La Combe (Ecole des Hautes Etudes en Sciencies Sociales, Paris) che, in qualità di direttori della mia tesi di

dottorato, hanno seguito con attenzione la mia ricerca, da cui prende avvio il presente lavoro. Un ringraziamento particolare va a Liana Lomiento, che ha seguito con grande cura il lavoro nelle sue diverse fasi, fornendomi sempre preziosi suggerimenti e consigli. Ringrazio Maria Grazia Fileni e Luigi Bravi che hanno letto e commentato numerosi passi del dattiloscritto. Da ultimo, un grazie sincero a Maria (Gabriella) Colantonio per l’impareggiabile competenza editoriale con cui ha curato il volume.

INTRODUZIONE ’INTERPRETAZIONE metrica dei cantica delle Coefore propoL sta nella presente edizione prende le mosse dall’analisi della colometria esibita dal ms. Laurenziano 32.9 (M). Tale approccio metodologico si fonda sull’assunto che la tradizione manoscritta medievale riproduca tendenzialmente l’antica edizione alessandrina. Sarebbe certo ingenuo pensare a una riproduzione “fedele”: è, infatti, noto come il processo di trascrizione manoscritta

sia di frequente soggetto a una serie di errori che coinvolgono non solo l’aspetto testuale, ma anche quello colometrico.' L’ipotesi di una sostanziale continuità tra la colometria dei papiri di età alessandrina e imperiale e quella dei manoscritti medievali sembra avvalorata da due considerazioni. In primo luogo va osservato che le colometrie antiche ricostruibili dai frammenti papiracei risultano per gran parte coincidenti con quelle esibite dai codici medievali.” In secondo luogo non deve essere trascurato il fatto che prima dell’epoca paleologa, almeno per quanto riguarda la poesia drammatica, i copisti sembrano non aver avuto una precisa consapevolezza dell’articolazione metrica delle sequenze liriche;? ciò fa sì che l’opera di trascrizione da essi compiuta meccanicamente appaia spesso immune dall’arbitrio interpretativo che è all'origine di molte corruttele nel testo.4 Se la colometria medievale è la lontana erede della colometria alessandrina, 1 Per una rassegna delle principali tipologie di errori colometrici cfr. Pardini 1996, pp. 71-95; Silvestri 1996, pp. 41-70; Santé 2007, p. 196; Pace 1999,

pp. 170-171. ® Non mancano certo casi “problematici”, spesso relativi a opere con un’ampia e complessa tradizione manoscritta, che evidenziano discrepanze tra la colometria papiracea e quella medievale. Emblematica a questo proposito la situazione dell’Edipo Re: come ha ben mostrato Giannachi 2007 la colometria medievale di questa tragedia, spesso non coincidente con quella dei papiri, non presenta un assetto alternativo e razionale rispetto a quello alessandrino, ma è semplicemente il frutto di una serie progressiva di errori colometrici. Altrettanto problematici risultano i rapporti tra la colometria medievale e quella alessandrina delle Fenicie di Euripide per cui cfr. Santé 2007 e le osservazioni di Battezzato 2008b,

3 Cfr. Tessier 2001.

pp. 146-150.

4 Concilio 2002, pp. 59-69.

14 sembra opportuno soffermarsi brevemente sull’attendibilità e sull’origine di quest’ultima. Il dibattito in merito al valore delle colometrie antiche ha diviso — e continua ancor oggi a dividere -- gli studiosi. A partire dagli studi di Ahlwardt, Hermann e Boeckh, a cavallo tra xvi e

xIx secolo, si è diffuso un generale scetticismo nei confronti delle colometrie antiche. In particolare, si è ritenuto che i filologi alessandrini, nella loro attività ecdotica, avessero trascurato l’aspetto

ritmico e musicale dei testi poetici.5 La colometria tramandata dai papiri e dai codici medievali, nonché la dottrina metrica antica a essa correlata — dagli scolii metrici a Pindaro al commento metrico ad Aristofane di Eliodoro, dalle testimonianze dei tardi

grammatici latini al manuale di Efestione — ci offrirebbero soltanto “descrizioni superficiali, classificazioni meccaniche e speculazioni inutili”.° Secondo tale orientamento la prassi del κωλίζειν sarebbe stata inventata ex novo dai grammatici alessandrini per ragioni essenzialmente pratiche. Wilamowitz sosteneva che la disposizione del testo per cola avrebbe avuto come unico intento quello

di facilitare l’avayvootg:

i cola, dunque,

non

sarebbero

altro che entità di natura retorico-grammaticale.” Tale ipotesi è smentita da un passo del De compositione verborum di Dionigi di Alicarnasso: l’erudito invita il lettore a leggere il celebre Lamento di Danae di Simonide

(PMG

543) scritto secondo le divisioni

(διαστολαί) proprie del discorso prosastico e non secondo quelle “che Aristofane o qualche altro ha utilizzato per costruire cola”. Il risultato è, prosegue Dionigi, che il lettore non potrà avvertire il ritmo, né riconoscere strofe, antistrofe o epodo.* La tesi di 5 Emblematiche a tal proposito le affermazioni di Wilamowitz 1900, p. 7: “... die alexandrinischen Ausgaben beriicksichtigen die Musik nicht”; ibid. p. 41 “Die Grammatiker haben die Musik principiell und durchgehends verworfen”. Sull'argomento cfr. anche Gentili 1999a, pp. 13-14; Gentili-Lomiento 2003, p. 8; Tessier 2013, p. 16. 6 Cfr. Maas 1976, p. 7. 7 Cfr. Wilamowitz 1900, pp. 41-42; 1921, p. 83. ® Dion. Hal. De comp. verb. 26, p. 140, 18 ss. Us.-Rad.: per tale osservazione cfr. Tessier 1995, p. 22 ss.; 2013, p. 16. In aggiunta a tale passo Gentili-Lomiento 2003, p. 10 richiamano l’attenzione su una testimonianza altrettanto significativa del De compositione verborum (22, p. 102, 1-4 Us.-

Rad.): a proposito del Ditirambo di Pindaro per gli Ateniesi (fr. 75 Maehl.) Dionigi afferma che per cola egli non intende “le divisioni di cui Aristofane o qualche altro metricista si servì per l’assetto dell’ode, ma le divisioni che

15

Wilamowitz è contraddetta anche dall’analisi delle colometrie tramandate su codice e su papiro; se il colon retorico ha nella fine di parola una condizione necessaria per la sua individuazione, i cola metrici, al contrario, non di rado ripartiscono un’unica pa-

rola in due righi successivi. Altri studiosi hanno sostenuto che la disposizione per cola sarebbe stata adottata per esigenze di mise en page o in funzione di supporto alla critica testuale: disporre il testo per sequenze brevi avrebbe consentito, infatti, una più agevole individuazione di glosse e lacune nel testo.® Anche queste ipotesi sull'origine della prassi colometrica presentano non pochi elementi d’incertezza: se gli editori alessandrini avvessero assunto come criterio guida quello di una ordinata sistemazione della colonna di scrittura non si spiegherebbe l’alternanza di sequenze brevi, come monometri o dimetri, con sequenze più lunghe quali trimetri e tetrametri. A ciò si aggiunga che nei papiri di età ellenistica e imperiale le masse meliche erano distinte dai versi recitati mediante un complesso sistema di rientranze e sporgenze. ὃ Se, come

nota giustamente Tessier, l'esigenza de-

gli eruditi alessandrini fosse stata quella di rendere più leggibile il layout (evitando ipotetiche sequenze troppo lunghe), sarebbe stato sufficiente incolonnare i versi melici al pari di quelli della recitazione e servirsi semmai dell’indicazione χοροῦ, senza ricorrerre al complesso sistema dell’eisthesis, una pratica, dal punto di vista scrittorio, tutt'altro che economica.’

Da ultimo, l’idea di

una disposizione del testo per sequenze brevi ideata ex novo per rispondere a esigenze pratiche sembrerebbe essere poco probabile, qualora si rifletta sui criteri ecdotici degli eruditi alessandrini e sul loro atteggiamento nei confronti della tradizione. Dalle nostre conoscenze sulla filologia alessandrina un dato emerge con chiarezza: figure del calibro di Zenodoto, Aristarco e Aristofane di Bisanzio ebbero verso il testo tràdito un atteggiamento fortemente conservativo, al punto che corruttele, glosse e interpolazioni non erano solitamente emendate, ma venivano segnalate la natura impone al discorso o quelle con le quali gli oratori distinguono i periodi”. ° Cfr. Irigoin 1958, p. 33; Parker 2001, pp. 23-52.

© Sull'argomento cfr. Savignago 2008. ' Cfr. Tessier 2013, pp. 13 € 17.

τό

mediante appositi segni diacritici, per essere poi commentate in hypomnemata separati.'” Di fronte a una posizione così rispettosa

nei confronti del dato testuale, pare difficile pensare che gli eruditi alessandrini abbiano assunto un atteggiamento opposto circa l’aspetto ritmico e musicale, fortemente connaturato a quello testuale. Una rivalutazione del valore delle colometrie tramandate dai papiri e dai codici e una diversa concezione del rapporto colometria-musica caratterizzano i lavori di Fleming e Kopff, = Gentili e Lomiento.'* Secondo tali studiosi non è da escludere la possibilità che gli eruditi alessandrini abbiano articolato il testo per cola servendosi, eventualmente, anche di testi corredati da nota-

zione musicale. Tra gli argomenti prodotti a sostegno di questa tesi due paiono particolarmente degni di nota: la testimonianza dell’Etymologicum Magnum, nella quale si afferma che Apollonio Eidografo avrebbe ordinato i testi lirici in base alle scale musicali; lo scolio all’Ars Grammatica di Dioniso Trace, dove è detto

che i versi della poesia lirica sono scritti non solo sulla base dello schema

metrico, ma

anche sulla base della musica,

essendo la

loro lunghezza dipendente dalle pause della lira.'° Va detto che 1? Per questa riflessione cfr. Lomiento 2013, p. 24. 1. Cfr. Fleming-Kopff 1992; Fleming 1999. “4 Cfr. Gentili-Lomiento 2003, pp. 7-12.

5 Cfr. Et. M. s.v. ’Etd6yoagoc. Di recente Prauscello 2006, pp. 28-33 è tornata a dubitare del valore di tale testimonianza: secondo la studiosa, infatti,

non sarebbe da escludere la possibilità che la classificazione di Apollonio si basasse su criteri altri rispetto al possesso di partiture musicali. Tra questi Prauscello menziona: 1) i riferimenti alle scale musicali ricavabili dal testo di Pindaro, ipotesi già formulata da Irigoin 1952, p. 50; 2) l’analisi delle tipologie metriche, che nelle odi di Pindaro, sostiene la studiosa, dovevano

essere strettamente connesse con i modi musicali. In merito al primo punto si osservi che se nel testo di Pindaro ricorrono in più punti indicazioni concernenti l’aouovia utilizzata, tali riferimenti appaiono, tuttavia, davvero troppo esigui per poter guidare un lavoro sistematico come dovette essere

quello di Apollonio Eidografo. In merito al secondo punto, appare piuttosto difficile ipotizzare che la semplice analisi della metrica potesse fornire indicazioni 5111 ᾿ ἁρμονία. 16 Cfr. C.G. Goettlig, ΘΕΟΔΟΣΙΟΥ͂ TPAMMATIKOY ΠΕΡῚ ΓΡΑΜΜΑΤΙΚΗΣ. Theodosii Alexandrini grammatica, Leipzig 1822, p. 59. Prauscello 2006,

p. 51 ss., dubita del valore testimoniale dello scolio (sarebbe infatti riportato solo nei codici Par. gr. 2553 e 2555, “a collecting basis of ancient grammatical

17

anche questo secondo approccio lascia aperti alcuni interrogativi importanti: in primo luogo è doveroso chiedersi perché i papiri musicali pervenuti non presentino una divisione colometrica, ma siano organizzati in lunghi righi di scrittura. In secondo luogo è opportuno domandarsi perché gli editori alessandrini sentirono la necessità di separare testo e musica, concepiti dagli autori come componenti strettamente connesse. Infine, ci si deve interro-

gare su quale musica, antica o frutto di una re-performance, avessero a disposizione gli alessandrini. Lo stato attuale delle nostre conoscenze e l’esiguità dei documenti a nostra disposizione non consentono di ottenere risposte certe, ma solo di formulare ipotesi. Al primo interrogativo è forse possibile rispondere, come in effetti è stato fatto, pensando che i papiri musicali scritti in coloncontinuum fossero probabilmente copie destinate alla performance e non all’archiviazione; il musico, dunque, avrà avuto la necessità

di abbracciare con l’occhio una porzione di testo il più possibile lunga.” In merito al secondo quesito una risposta potrebbe giungere dalla destinazione dei testi creati nella grande biblioteca d’Alessandria,

copie letterarie,

dove il livello meramente

verbale rivestiva certamente un ruolo di primo piano rispetto al livello musicale. Un’ultima considerazione sulla musica che gli alessandrini avevano a disposizione: da qualche tempo alla concezione di una trasmissione lineare dei testi poetici, che colleghi idealmente la produzione dell’autore con le edizioni alessandrine, si è andata sostituendo l’idea di una trasmissione più fluida e contaminata. I testi poetici, lirici e drammatici, furono,

infatti, rieseguiti in epoca ellenistica e tali performance potevano talvolta comportare anche un riadattamento ritmico-musicale:!8 knowledge of blurred origin”) e ritiene che il collegamento istituito dallo scoliasta tra la prassi colometrica alessandrina e la performance musicale, pur rivelando una sorprendente consapevolezza storica, non confermerebbe in alcun modo che qui egli si stia riferendo a testi corredati da notazione musicale. Come nota opportunamente Tessier 2013, p. 18 n. vi, il dato rilevante non è tanto la presenza o meno di manoscritti con notazione musicale, quanto la consapevolezza che la colometria si fondasse sulle pause della lira. 7 Cfr. Johnson

2000, pp. 66-68; Lomiento

2008b,

pp. 230-231; Battezzato

2009, pp. 13-14. 1 Come

ha

giustamente

osservato

Lomiento

2001b,

p.

321

ss.,

in

una

song-culture come quella greca la trasmissione era fondamentalmente lega-

18

non è possibile, dunque, stabilire con certezza se la musica che i grammatici del Museo avevano a disposizione fosse quella “originale” d’autore, analogamente, si noti bene, a quanto accade per il testo. Rimane comunque il fatto che il testo e la colometria fissati in epoca ellenistica, pur essendo anch'essi passibili d’errore, rappresentano lo stadio più antico della tradizione a cui è possibile risalire. Le colometrie antiche, pertanto, meritano di essere studiate, vagliate e, laddove

necessario,

corrette,

con lo stesso

atteggiamento che il metodo filologico riserva al testo verbale. Nella maggioranza delle edizioni moderne, invece, le colometrie tramandate dai codici sono state spesso rifiutate aprioristicamente,

in quanto

ritenute corrotte, interpolate e, soprattutto,

prive di consistenza. Alla mancanza di una ratio oggettiva nella meccanica suddivisione in sequenze brevi operata dagli Alessandrini, bisognerebbe sopperire mediante la formulazione di una serie di leggi desunte dalla pura e semplice observatio.!* Ci si attenderebbe, dunque, che l’individuazione di parametri ogget-

tivi avesse potuto determinare in qualche modo una sostanziale uniformità nelle analisi metriche proposte nelle edizioni dell’ultimo secolo. Suscita senz'altro stupore il fatto che talvolta le colometrie proposte dai diversi editori differiscano, anche in misura considerevole, le une dalle altre.?° Tale disaccordo aumenta in maniera esponenziale per i testi poetici che sono giunti privi

di qualsiasi articolazione colometrica antica, o perché redatti in scriptio continua o perché tramandati per tradizione indiretta."ἢ Ciò a conferma del fatto che le colometrie antiche costituiscono ta alla musica.

Il canto,

in particolare,

attraverso

una

serie ininterrotta

di

riesecuzioni, si configura come “un mezzo ottimale di autoconservazione e custodia”. Pare, pertanto, lecito supporre che di norma la componente ritmico-musicale tendesse a preservarsi. Sui possibili riadattamenti ritmicomusicali, un argomento che, in ogni caso, non può che restare problematico,

cfr. Prauscello 2006. 19. Cfr. West 1982a, p. 33: “in analysing lyric poetry generally one must be guided not by ancient colometry but strictly by objective internal criteria”. 2° Coglie nel giusto, a questo proposito, la riflessione di Fleming 2007, p.

In: “In any given lyric section of a dramatic poem there may be almost as many differing colometries as there are editors”. 2 Si pensi ai Persiani di Timoteo e ai Meliambi di Cercida, conservati su papiri in scriptio continua, o alla poesia di Simonide che, ad eccezione di esigui frammenti papiracei, è ricostruibile solo attraverso le citazioni di altri autori.

19 in ogni caso un punto di partenza e una guida per l’individuazione delle forme metriche. °° Si osservi, inoltre, che le rigide norme

formulate dagli studiosi moderni, alle quali la versificazione antica dovrebbe sottostare, non riscuotono quasi mai un consenso condiviso. È il caso della cosiddetta legge di Porson estesa ai metri lirici» o del divieto di soluzione di un longum prima della sincope (uu —v-),?4 che hanno suscitato non poche obiezioni tra gli studiosi. L’aspetto più preoccupante è che sulla base di questi idola rei metricae? gli editori sono talvolta intervenuti pesantemente sul testo senza reale necessità. Un caso indicativo, a tal proposito, è rappresentato dal fenomeno della cosiddetta “responsione libera”, “ossia la non perfetta corrispondenza tra metro della strofe e metro dell’antistrofe”.?% In ossequio alla norma, frutto della speculazione metrica ottocentesca,” di una rigida corrispondenza ad syllabam tra strofe e antistrofe, gli editori moderni hanno emendato sistematicamente i passi in cui occorrevano asimmetrie anche minime nel rappor-

to antistrofico. Sembra opportuno interrogarsi sulla validità di questo atteggiamento che, limitando la propria indagine a una rigida metrique verbale, rischia di fornire una prospettiva parziale di quella che fu essenzialmente poesia per musica. Proprio tenendo conto della componente ritmica alcune presunte anomalie metriche cessano di essere tali e rientrano a pieno titolo tra le prerogative che il poeta aveva a propria disposizione. In 2 Cfr. Lomiento 2013, p. 28. 2 La cosiddetta Porson law extended, formulata da Parker 1966, è accolta ancora da West 1990, p. 177. Sulle numerose eccezioni a tale legge cfr. Martinelli 2004. 24 La validità di tale norma, enucleata da Dale 1968, pp. 73-74, è stata messa in discussione da Diggle 1981, pp. 18-19 e 119 e Parker 1997, p. 44; sull'argomento cfr. infra, pp. 56-59. 2 Cfr. Tessier 2008b, pp. 131-135. 2 Cfr. Giannini 2002, p. 47. Sugli aspetti teorici della responsione cfr. anche Romano 1992, p. 17 ss.; Gentili-Lomiento 2003, p. 50; Andreatta 2007; 2008a e Morelli 2006, s.v. ἀπόδοσις, ἀνταπόδοσις e ἀνακύκλησις.

2 Un

peso decisivo giocarono

la rigida concezione

prassi normalizzatrice di G. Hermann:

di responsione

e la

cfr. Sisti 1984; Andreatta 1998; 1999;

Medda 2006. Tale atteggiamento fu recepito anche dalla maggior parte dei filologi del secolo scorso: si vedano a tal proposito le affermazioni di Maas 1976,

pp.

29-30.

20

altre parole, il ritmo imposto dalla musica poteva compensare alcune irregolarità responsive.? Si pensi, ad esempio, alla responsione libera tra cretici e giambi che, seppure rara, appare comunque ben testimoniata nelle colometrie dei codici.?° Essa trova una sua spiegazione nella teoria ritmica antica: è, infatti, noto che il cretico potesse essere realizzato nella performance non solo come un ritmo emiolio di cinque tempi,5° ma anche come un ritmo doppio di sei tempi, equivalente a seconda dei casi a un metron giambico ( - - —), a un metron trocaico (- « l ) 0 a un coriambo (7 —).* Gli editori moderni preferiscono negare la responsione tra giambi e cretici nei drammi eschilei, ? adducendo come motivazione il fatto che le occorrenze di tale tipologia x

.

di responsione, oltre a essere rare, non costituirebbero “esempi certi”.# Buona parte di esse, infatti, potrebbe essere facilmen-

te emendata mediante interventi sul testo (quali, ad esempio, l’integrazione e l’espunzione di enclitiche, la modifica dell’ordo verborum o congetture “palmari”) che risolvono la presunta anomalia metrica, ma non migliorano la comprensione del passo.* 2 Sul rapporto parola musica cfr. Gentili 1978, pp. 17-19; 1995, p. 12; Gentili-Lomiento 1995, pp. 61-75; Giannini 2002, pp. 47-69; Gentili-Lomiento 2003, pp. 17-18; 68-73; Fileni 2004, pp. 86-87; Lomiento 2008b, p. 220 ss. 2° Cfr. infra, pp. 42-43.

3 Cfr. schol. A Hephaest. p. 110, 2 Consbr.; Choerob. ad Hephaest. p. 246, 15; 20 Consbr. Sull’esclusione del cretico dal novero dei metra prototypa e sulle sue possibili ritmizzazioni si veda anche Gentili-Lomiento 2003, p. 6.

3 Per spiegare tale ritmizzazione si può pensare o alla protrazione di una sillaba, fenomeno designato dalla teoria antica con il termine di monocrono (cfr. P.Oxy. 2687+9; sull'argomento si vedano Rossi 1988; Gentili-Lomiento 1995, p. 61 SS.; 2003, pp. 44-45), Ο alla presenza di un tempo vuoto (kenos chronos), per cui cfr. Arist. Quint. 1, 18, p. 38 W.-I.; Anon. Bell. 1, p. 1, 1-7 Najock; vd. in proposito Rossi 1963b, pp. 93-98; Gentili-Lomiento 2003, pp. 35-36.

3° Tale responsione è generalmente ammessa nelle odi di Bacchilide (cfr. in particolare il Dith. 17 Maehl.), nei drammi del tardo Euripide e nelle commedie di Aristofane. Sulla “sfuggente diacronia” nella libertà di responsione cfr. Andreatta 2008c.

8 Cfr. West 1990, pp. 109-110.

34 Tale atteggiamento è bene illustrato dall’affermazione di Finglass 2007b, p. 56, relativa a una libertà di responsione nella Pyth. 8 di Pindaro: “It is senseless to prefer metrically problematic forms when other, unproblematic forms enjoy exactly the same authority. But it is only slightly less senseless to prefer grossly problematic forms when a small, simple emendation will remove them, especially when that emendation can be supported on other grounds”.

21

Questo approccio al testo di ascendenza maasiana, piuttosto che tentare di spiegare i fenomeni metrici che sembrano contraddire le norme individuate -- formulando al limite una nuova ipotesi interpretativa capace di rendere conto delle anomalie ravvisate -, preferisce modificare direttamente i fenomeni.* In particolare, non sembra corretto sul piano metodologico togliere autorità a un'attestazione per il solo fatto che essa è facilmente emendabile: il rischio è quello di “falsare o di completamente oscurare la natura di certe strutture metrico-ritmiche e il loro rapporto responsivo”.5 Pare, al contrario, opportuno intraprendere un'indagine sulle colometrie tradite priva di pregiudizi nei confronti del fenomeno della responsione libera, rinunciando a quella “normalizzazione programmatica”, che nega valore alle presunte anomalie metriche emendando sistematicamente tutti i possibili loci similes. Questo non significa che sia lecito accogliere senza distinzione e in maniera acritica tutte le irregolarità che le colometrie dei manoscritti presentano, ma è sicuramente d’obbligo una maggiore prudenza nella valutazione di certi fenomeni metrico-ritmici, che due secoli di congetture hanno quasi completamente cancellato. IL

conpiceE

M

Il testo delle Coefore è tramandato dal codex unicus Laurenziano 32.9. Si tratta di un manoscritto pergamenaceo

scritto attorno

agli anni Cinquanta, o nella seconda metà, del x secolo.? Il codice contiene, oltre alle sette tragedie eschilee, tutti i drammi di Sofocle e le Argonautiche di Apollonio Rodio. Nella sezione eschilea (ff. 119"-189') si registra la perdita di alcune porzioni di testo: dopo i vv. 1-310 dell’Agamennone sono andati perduti otto fogli che contenevano i vv. 311-1066; dopo il foglio 135 è riscontrabile una ulteriore lacuna, che ha determinato la perdita del finale della tragedia (vv. 1160-1673), dell’argumentum e dei primi > Si vedano a questo proposito anche le riflessioni di Gentili 1978, p. 21. 3° Cfr. Fileni 2004, p. 86. 7 Cfr. Irigoin 1951, p. 449; Diller 1974, p. 522; Dain 1955-60, ı p. xxvi; Garvie, p. liv; West 1990, p. 321. Turyn 1967, p. 17 estende la possibile data

di composizione fino all’inizio dell’xı secolo.

22,

versi delle Coefore. Ad eccezione di Pers. 1-705, la sezione eschilea

del manoscritto è stata vergata da un unico scriba, che talvolta è intervenuto sul testo per correggere errori. Lo iota finale ascritto è spesso riportato e non mancano casi di -v- efelcistico laddove questo sia richiesto dal metro. Sul codice, inoltre, è intervenuto

un διορθωτής (M?) della stessa epoca dello scriba, responsabile dell'inserimento degli scolii e di numerosi interventi sul testo, apportati secondo modalità differenti. Tra queste si segnalano, in relazione alle Coefore: la restituizione a margine di versi tralasciati dal copista (cfr. v. 627); l'inserimento di lettere supra lineam scritte tra due punti (cfr. vv. 35; 383); congetture precedute da oìμαι (cfr. vv. 408; 435; 590); dubbi relativi all’esegesi di un passo segnalati dalla sigla Ct. (vv. 408; 415; 438; 440; 442; 474; 786;

936). In merito al cosiddetto alpha doricum, va notato che esso non ricorre sistematicamente all’interno dei corali e che talvolta è inserito supra lineam dal correttore di M: cfr. ad es., v. 339 ἄτα e v. 380 ἄτην (ma a è aggiunto supra lineam dal correttore); v.

422 ματρός e ν. 430 μῆτερ. Nel testo greco di questo volume si è scelto di ripristinare sistematicamente le forme doriche, uniformandosi alla prassi delle più recenti edizioni. Sotto il profilo colometrico il codice M appare abbastanza corretto, ad eccezione di alcuni errori meccanici, imputabili con ogni probabilità al copista. Si considerino, ad esempio, la tendenza a far coincidere la fine di parola con la fine del colon (vv. 605-606; 824-825; 834-835; 954-955) o la prassi di accorpare su un

unico rigo più cola, specialmente se brevi (vv. 785a-785b; 789a789b; 803-804; 835a-835b; 961a-961b). Si segnalano, inoltre, sei

casi in cui una parola è scivolata dall’explicit di un colon all’inizio di quello successivo (vv. 73a-73b; 787-788; 798-799; 811-812; 836837) o viceversa (vv. 790-791). Oltre a tali tipologie di errore,

che si concentrano in maniera particolare nel rimangono due passaggi fortemente perturbati 972b), nei quali è stato necessario intervenire ristabilire una responsione coerente tra strofe e

secondo stasimo, (vv. 386-391; 967in più punti per antistrofe. Consi-

derando che su un totale di 388 cola solo 42 (10,8%) necessitano in

8 Cfr. Garvie, p. lvi ss. 39 Sull'argomento cfr. West, pp. xxv-xxvIm.

23

maniera evidente di essere emendati sotto il profilo colometrico, appare lecito affermare che la colometria tramandata è tendenzialmente plausibile. Essa è stata accolta nella maggioranza dei casi anche dagli editori moderni: nell’edizione di Garvie, se si escludono il secondo e il terzo stasimo, caratterizzati da un testo

molto incerto, la colometria accolta a testo presenta un grado di coincidenza significativo: 69% nella parodo, 50% nel corale infraepisodico,* 87% nel kommos,# 70% nel primo stasimo. Non sembra,

pertanto, motivata l’affermazione dello studioso secondo la quale “the M’s colometry is generally unreliable”.* Gli apografi di M non presentano variazioni significative né sul piano testuale né su quello colometrico. 4° Pesa la corruttela che investe la parte conclusiva. “ Ho escluso dal calcolo la quinta coppia strofica palesemente corrotta nella strofe. 4 Cfr. Garvie, p. 166.

SIGLA Codices

M

Laur. 32.9

sacc.

Apographa codicis M raro citata Laur.

S. Marco

222

sacc.

Bonon. Bibl. Univ. 2271

saec . XV

Guelferbytanus Gud. gr. 4° 88

sacc.

M

ante correctionem

M post correctionem

M

supra lineam

M

prima manu

M manu posteriore littera erasa scholium vetus finis versus

finis strophae hiatus

ia hypercat

brevis in longo libera quae dicitur responsio in antistropha muta cum liquida positionem faciens metrum acephalum metrum catalecticum metrum brachycatalectum metrum acephalum et catalecticum metrum hypercatalectum

XV

ABBREVIAZIONI alc an anacr aristoph

METRICHE

alcaico anapesto

la

giambo

ibyc

ibiceo

anacreontico

ion”

aristofaneo

ion”

ionico a maiore ionico a minore

ithyph

itifallico

ba

baccheo

lecyth

lecizio

cho

coriambo cretico

mol

molosso

cr da decasyll

dattilo decasillabo

penthem pher

pentemimere

dimP

dimetro

polischematico do d oFaibel

docmio docmio kaibeliano XK

UV

UV

NUIT

ferecrateo

pros”

NUIT

pros? pros

ω--ὐ--ὁ-ἔ --

reiz?!

reizP 21

=

reiz‘

reiz‘

gliconeo

Sp

spondeo

teles

telesilleo

tr

trocheo

hemiascl

hemiepes maschile hemiepes femminile emiasclepiadeo

hipp

ipponatteo

hypodo

ipodocmio

1 Per i diversi schemi dell’enoplio, del prosodiaco e del reiziano sono state adottate le sigle di Gentili-Lomiento 2003.

STRUTTURA METRICA DELLE COEFORE Prologo: 1-21 trimetri giambici Parodo: 22-83 strofe a: 22-31 antistrofe a: 32-41 strofe β: 42-53 antistrofe B: 54-65

strofe Y: 66-70 antistrofe y: 71-74 epodo: 75-83 Primo episodio: 84-305

trimetri giambici: 84-151 canto infraepisodico: 152-163 trimetri giambici: 164-305 Kommos:

306-478

dimetri anapestici: 306-314 strofe a: 315-322 strofe B: 323-331 antistrofe a: 332-339 dimetri anapestici: 340-344 strofe Y: 345-353 antistrofe β: 354-362 antistrofe y: 363-371 dimetri anapestici: 372-379 strofe $: 380-385 strofe e: 386-393 antistrofe ὃ: 394-399 dimetri anapestici: 400-404 strofe ζ: 405-409 antistrofe e: 410-417 antistrofe ζ: 418-422 strofe n: 423-428

* La numerazione delle strofi segue il criterio alfabetico, conformemente all’uso corrente delle edizioni delle tragedie di Eschilo.

strofe ὃ: 429-433 strofe L: 434-438 antistrofe ı: 439-443 antistrofe n: 444-450 antistrofe 9: 451-455 strofe x: 456-460 antistrofe x: 461-465 strofe X: 466-470 antistrofe A: 471-475 dimetri anapestici: 476-478 Secondo episodio: 479-584

trimetri giambici Primo

stasimo: 585-652

strofe a: 585-593 antistrofe a: 594-602

strofe β: 603-612 antistrofe β: 613-622 strofe y: 623-630

antistrofe Y: 631-638 strofe ὃ: 639-645 antistrofe ὃ: 646-652 Terzo episodio: 653-782 trimetri giambici: 653-718 dimetri anapestici: 719-729 dimetri giambici: 730-782 Secondo stasimo: 783-837 strofe a: 783-788 mesodo «: 7892-793 antistrofe a: 794-799

strofe β: 800-806 mesodo β: 807a-811 antistrofe B: 812-818 strofe Y: 819-825 mesodo γ: 826a-830 antistrofe y: 831-837 Quarto episodio: 838-934 trimetri giambici: 838-854 dimetri anapestici: 855-868 docmi (?) e cretici : 869-871 trimetri giambici: 872-934 Terzo stasimo: 935-972 strofe a: 935-941 mesodo &: 942-945

21

antistrofe a: 946-952 strofe β: 953-961a mesodo ß: 961b-964 antistrofe β: 965-972 Esodo: 973-1076 trimetri giambici: 973-1006 dimetri anapestici: 1007-1009

trimetri dimetri trimetri dimetri

giambici: 1010-1017 anapestici: 1018-1020 giambici:1021-1064 anapestici: 1065-1076

PARODO 22-31 = 32-41 str. a

ἰαλτὸς ἐκ δόμων ἔβαν χοὰς προπομπὸς ὀξύχειρι σὺν κτύπῳ: 3 πρέπει παρηϊς φοίνισσ᾽ ἀμυγμοῖς ὄνυχος ἄλοχκι νεοτόμῳ

25

δι᾽ αἰῶνος δ᾽ tuyuotor βόσκεται κέαρ, ° λινοφϑόροι δ᾽ ὑφασμάτων λακίδες ἔφλαδον ὑπ᾽ ἄλγεσιν, πρόστερνοι στολμοί 9 πέπλων ἀγελάστοις

20

ξυμφοραῖς πεπληγμένων. 23 χύπτῳ M ἄλγεσι M

: corr.

D’Arnaud

1728,

p. 226

«χ8 ἄλγεσιν

ant. x

τορὸς φόβος γὰρ ὀρϑόϑροιξ δόμων ὀνειρόμαντις, ἐξ ὕπνου κότον

Et.

Μ.

403,

I πνέων, ἀωρόνυκτον ἀμβόαμα μυχόϑεν ἔλαχε περὶ φόβῳ. γυναιχείοισιν ἐν δώμασιν βαρὺς πίτνων᾽

47:

25

ὁ χριταί «τε-- τῶνδ᾽ ὀνειράτων deodey ἔλακον ὑπέγγυοι μέμφεσϑαι τοὺς γᾶς ? νέρϑεν περιϑύμως τοῖς χκτανοῦσί τ᾽ ἐγκοτεῖν. 32 γὰρ φοῖβος M : corr. D’Arnaud Victorius 27 Porson

1728,

40 p. 227

36 γυναικίοισιν

M :

corr.

24 str. 7) ant. 22=32

WITUT

UU

237 33

πὶ --

VU

WU,

———

24-34

UL vw

zia zia

ia mol ia,

m

πὶ --

VU

VU

27737 28=38 29-39 30= 40 31=41

la ia la, ia cr

25735 26=36

ba 2cria .-...» A072 SW [we Zu Tu

N I Ze

I ."-.).ὕ..

zia 218

hem”

vel do

penthem?" vel do cr ia

La parodo presenta una struttura compositiva assai frequente in tragedia, ovvero tre coppie strofiche in responsione chiuse da un epodo

(AA BB

CC

D). Nel manoscritto non è data alcuna

indicazione della separazione tra le singole stanze; solo la presenza di una paragraphos in corrispondenza di v. 84 segnala la separazione tra il canticum e i trimetri successivi pronunciati da

Elettra. Come si evince dall’apparato, la colometria del Laurenziano è quasi sempre attendibile, con l’unica eccezione di v. 73a dove l’articolo τόν è con ogni probabilità posposto per errore nell’incipit del verso successivo. Il canto d’ingresso è composto quasi interamente da sequenze giambiche. Le uniche eccezioni ricorrono ai vv. 53= 65, dove compare un ferecrateo che funge da clausola alla seconda coppia strofica,' e ai vv. 29-30=39-40, dove

le sequenze -----

| -— Cfr. Blass 1898, p. 180: “Φοῖβος wird in der That aus φόβος corrigirt sein,

um dem Versmaasse einigermaassen gerecht zu werden”. Lo studioso allude probabilmente al fatto che il v. 32 (“--vu-0-), mediante la correzione Φοῖβος, sembrerebbe assumere un aspetto più vicino alla misura del dimetro giambico (---—-— 178 μελόμενοι δ᾽ ἀρήξατε wu unu cr ia; 876 πατρῴους δόμους ἑλόν- v-— vu bha ia —

882 ἰδόντες, ἤδη διήλ- vo -τῶος- ia cr; Ag. 404 κλόνους λογχίμους τε καὶ u u_u ba ia — 421 πάρεισι δόξαι φέρου- vu --ο-- id cr; Choeph. 800-812; 823b-835b;? Eum. 492 -cer δίκα καὶ βλάβα u —u 2ΟΥ͂ > 501 -ψει κότος τις ἐργυμάτων —u— u_u cr ia; Eum.

526 uNt'Avapatov βίον ---- —u- 2ΟΥ͂ = 538 εἰς τὸ πᾶν δέ σοι λέγω —u— u_u cria.° Chi non ammettesse tale libertà potrebbe scandire come lunga la seconda sillaba di ἀπότροπον,7 ottenendo una 1 Cfr. P. Elmsley, Sophoclis. Oedipus Coloneus, Oxonii 1823, ad v. 836. ? Anche il nesso χάρις ἀχάριτος (mss. ἀχάριστος) del passo euripideo è frut-

to di una congettura, ma l'emendamento difficilmente può essere rifiutato. 3 Cfr. Sidgwick,

p. 49. Anche

Peile,

p. 64, che accoglie la congettura

di

Elmsley, afferma: “I ventured to make this line more harmonious in itself, as well as a more exact counterpart to v. 48”. 4 Più

problematico

Aesch.

Prom.

545

dove

il tràdito χάρις

ἄχαρις

è con

ogni probabilità da intendersi come χάρις ἁ χάρις. Cfr. Headlam 1900, p. 107. 5 Per questi due passi vd. infra, pp. 127-128; 132-133.

° Sull'argomento cfr. Galvani 2014. 7 Analogamente a quanto avviene in Eur. Phoen. 585: ὦ ϑεοί, γένοισϑε τῶνδ᾽ ἀπότροποι κακῶν ——u— uu unu. Se, come sostiene Sidgwick, p. 49, Euripi-

de non costituisce una guida sicura per l’usus metrico eschileo, si deve notare che il gruppo muta cum liquida fa posizione nel testo eschileo sia all’inizio di parola (cfr. Pers. 665 ὅπως καινά te κλύῃς v-— ve; Sept. 1056 γένος ὠλέσατε πρυυνόϑεν οὕτως vu—uu— uve; Choeph. 606 πυρδαὴ τινα πρόνοιαν -u—u—u-u;

43

responsione tra due trimetri giambici con soluzione dell’ottavo elemento nell’antistrofe: "uu vu unu, Contro tale soluzione pesa probabilmente il tabu metrico, formulato dagli editori moderni, secondo il quale responsioni del tipo vu = - all’interno dei giambi lirici, sebbene attestate nelle altre tragedie di Eschilo, non troverebbero occorrenze certe nei cantica dell’Orestea.° A meno di non intervenire sistematicamente sul testo tramandato,

appare difficile negare tale tipologia di responsione in Ag. 1453 πολλὰ (πολέα Haupt) τλάντος γυναιχὸς διαί --ο- u —u = 1473 κόρακος ἐχϑροῦ σταϑεὶς ἐκνόμως «ὐὐ-- —u— —u— 3cr.9 Nel

testo dell’antistrofe accolgo la congettura di Hermann ἀδάματον, in luogo della “Falsche Form”! ἀδάμαντον tramandata da M. La lezione ἀδάματος

è attestata nel Lessico di Esichio (A_966),!

ma non è da escludere che essa debba essere restituita anche in Suppl. 143-153 ἄγαυον ἀδάματον ἐκφυγεῖν (ἀδάμαντον M : corr. Bothe); Sept. 233 διὰ θεῶν πόλιν νεμόμεϑ᾽ ἀδάματον (ἀδάμαντον Μ, ἀδάμαστον HAV : corr. Pauw) = 239 ποταίνιον κλυοῦσα πάταγον ἄμμιγα. In un recente contributo Giannachi propone di accogliere nei tre casi eschilei e in altri cinque passi tragici (Soph. O.T. 192 = 205; 1315=1323; O.C. 1560-1561=1571-1572; Aj. 450; Eur.

Phoen. 640= 659) la più comune forma ἀδάμαστος. 7.1,

mero di “irregolaritä”



᾿ Ε]εναῖο nu-

responsive che si verrebbero cosi a crea-

Eum. 378 τοῖον ἐπὶ χνέφας —vu-vu) sia, più frequentemente, all’interno di parola (cfr., ad es., Sept. 205 -oryec ἔκλαγξαν ἑλίτροχοι --οὐτυτως; 300 χερμάδ᾽ ὀκριόεσσαν —v-uut-; 783 πατροφόνῳ χερὶ τῶν —uvtuvt). ® Cfr., ad esempio,

Fraenkel 1962, τι p. 351; Garvie, p. 216.

? Cito qui di seguito una serie di esempi tratti dall’Orestea in cui tale tipologia di responsione ricorre in versi che necessitano di lievi emendamenti o passibili di scansioni alternative: Ag. 766 ὕβριν τότ᾽ ἣ τόϑ᾽ ὅτε (ὅταν codd.: corr. Klausen) / τὸ κύριον μόλῃ

vum

/ vunutu

= 776 βίον’ τὰ χρυσόπα- /

στα δ᾽ ἔδεϑλα (ἐσθλὰ codd. : corr. Auratus) σὺν tivo vu / vwu-u- 2Î4,, 2ia,,; Ag. 1101 τί τόδε νέον ἄχος: μέγα wow ut || (West postula sinizesi di νέον) = 1108 τὸν duodéuvtoy πόσιν uu vu cr ia; Choeph. 787 διὰ δίκας πᾶν ἔπος ἔλακον wu „wu = 798 τοῦτ᾽ ἰδεῖν δάπεδον ἀνομένων —u— vwwu- ΟΥ̓

do (cfr. infra, pp. 119-120); Choeph.

8234 -των νόμον μεϑήσομεν

8528 -σων

—- vii vl cò ϑανατηφόρον αἶσαν

A

NN

ἐπίστρεπτον αἰῶνα χτίσσας u vu ὁ-.. La A

e

Zelo

,

n”

--

Quasi tutti gli editori alterano la colometria del manoscritto: ,ὔ

5.5

τέκνων T E We

πάρος δ᾽ οἱ χτανόντές ,

,

χελεύϑοις

5

IT

Wu

e

,

ἐπίστρεπτον αἰῶ

νιν οὕτως δαμῆναι

Vo

Vo

[dA

Vo

eo

Vo

χτίσας πολύχωστον ἂν εἶχες

θανατηφόρον

.Ἅ--..Δ.

CUT 53

VISI

Il nuovo

2.

N

- -

assetto colometrico

elimina,

,

UT

αἶσαν

I

in sostanza, il colon v-

uve reiz“ o penthem®", ben attestato in Eschilo (limitandoci alla trilogia si considerino, ad esempio, Ag. 1457; Choeph. 592; Eum. 348; 350; 960 e 531), a favore della sequenza v-uu-vu--, descritta come “D- da West, e come Paroemiacus (Enhoplius) da Dale e Sier. La ricolometrizzazione impone, inoltre, alcuni interventi

testuali del tutto superflui rispetto alla colometria di M: αἰῶνα deve essere corretto in αἰῶ, secondo la proposta di H. L. Ahrens,? mentre χτίσσας di M, una forma epica la cui presenza in 1 In particolare si segnalano al v. 347 κατηναρισϑής, congettura metri causa suggerita da Porson, al v. 352 γᾶς di Turnebus, in luogo di τάς dei mano-

scritti, una lezione priva di significato in questo contesto e spiegabile come un errore di lettura di maiuscola

(cfr. anche v. 399 dove γᾶ è restituzione

certa di Ahrens e Franz). Alla stessa tipologia di errore è forse riconducibile anche ἄλλων contesto.

(ἄλλῳ Stanley)

di v. 365,

difficilmente

comprensibile

in questo

" È una necessaria congettura metri causa di Wellauer. 3 Cfr. Ahrens 1832, p. 16. La correzione si basa su Anecd. Bekker αἰῶ τὸν αἰῶνα κατ᾽ ἀποκοπὴν Αἰσχύλος εἶπεν. La stessa

gr. 1 363, 17 congettura è

74 Eschilo non dovrebbe stupire, è rifiutato a favore della lezione κτίσας. tramandata da Mb.4 Ciò che è importante notare ai fini della costituzione del testo è che la ricolometrizzazione, con i

conseguenti interventi testuali, modifica l’estensione della lacuna presente nell’antistrofe (da tre sillabe va xtiocag S-- a due sillabe χτίσας v—),} compromettendo seriamente la possibilità di recuperare la paradosi:° quasi tutte le numerose congetture proposte per colmare la lacuna di v. 368, infatti, presuppongono la caduta di un bisillabo.” In merito al contenuto della lacuna appare arduo pronunciarsi: qualora si presti fede al sintetico scolio contenuto a margine del v. 368 (τοῖς ἐκείνων), l'ipotesi più probabile è che il termine caduto fosse un dativo dipendente o dal verbo δαμῆναιδ o dall’aggettivo θανατηφόρον" ma, considerata proposta anche per Ag. 229 (ma cfr. Bollack-Judet de La Combe 1981, ad v. 929). Stinton 1975, p. 88 suggerisce di intervenire anche in Sept. 744, dove la

forma è restituita per evitare la responsione ia-cho (cfr. Novelli 2005, p. 298 ss.; Fleming 2007, p. 47 S.). 4 Garvie, pp. 136-137 e Sier 1988, p. 120, pur accogliendo la lezione κτίσας, riconoscono la liceità di κτίσσας, attestata anche nell’epica (Hom. Il. 20, 216), nella poesia corale (Pind. Ol. 10, 25; Pyth. 1, 62; 4, 7; Isthm. 9, 4). Preferisco conservare, considerandole forme epiche, anche τείχεσσι (cfr. Il. 7, 135) di v. 364 e πρόσσω di v. 370. Entrambe le lezioni tràdite non pongono problemi

neppure sul piano metrico: per la variazione

vo - -- nel secondo elemento

del gliconeo di v. 364 cfr. Aesch. Suppl. 665=676; 686=696; Ag. 383=401; 725=735; Choeph. 611=621 (cfr. anche Itsumi 1984, p. 67 s.); per lo stesso fenomeno nel primo elemento dell’en“ (ion"“ tr) cfr., ad es., Soph. O.T. 885=898.

La maggioranza degli editori preferisce accogliere τείχεσι di Heat e πρόσω di Hermann

(1798, p. 82).

5 Qualche incertezza rimane causa

del comportamento

sulla quantità del terz’ultimo elemento

del nesso xt;

talvolta,

infatti,

quest’ultimo

a

non

produce allungamento della sillaba precedente, come in Hipp. fr. 20 W. e, forse, in Pers. 289; cfr. Korzeniewski 1968, p. 22; West 1982a, nelli 1997, p. 56; Gentili-Lomiento 2003, p. 25.

° Continua

a dividere gli studiosi l’interpretazione

p. 17; Marti-

dell’avverbio οὔτως:

secondo alcuni esso sarebbe riferito alle terribili circostanze dell’uccisione di Agamennone (cfr. Schadewaldt 1932, p. 329 n. 3; Livrea 1990, p. 11 n. 25), secondo altri alluderebbe alla morte in battaglia sotto le mura di Troia

appena menzionata da Elettra (cfr. Garvie, p. 141). 7 Per un vrea

1990,

elenco

dei numerosi

emendamenti

cfr. Dawe

1965,

p. 134; Li-

p. 12 n. 28.

® Cfr., ad es., Conington, p. 60 che integra φίλοις. ° Così Blass, p. 118 e West 1990, p. 243 8. che congetturano rispettivamente δόμοις e δάοις. Schadewaldt 1932, p. 325 n. 2 propose il nesso τοῖς ἦν:

75

l’oscurità del nesso τοῖς ἐκείνων, non sono da escludere altre ipotesi. '° cfr. Garvie, p. 141: “of whose (lit. for whom) morale fate we (Electra ad Orestes) should have heard far away (in Argos), without experiencing these troubles”, ma la sintassi appare ostica (vd. West, loc. cit.) !‘° Alcuni editori ipotizzano la caduta di verbi di modo finito e/o di congiunzioni che reggano l’infinito πυνϑάνεσϑαι: ἵν᾽ ἦν Mazon, ἐνὴν Untersteiner, ὥστ᾽ dv Sier, ἣ τὴν Livrea.

330-385

6

381 ἵκετο

= 394-399

τοῦτο διαμπερὲς οὖς ἵχεϑ᾽ ἅπερ τε βέλος. 3 Ζεῦ Ζεῦ, κάτωϑεν ἀμπέμπων ὑστερόποινον ἄταν βροτῶν τλάμονι καὶ πανούργῳ χειρι. τοχεῦσι ὁ ὅμως τελεῖται.

«ΟΡ.»

str. ὃ

,

-





-

380

385

M : corr. Pauw

ant. ὃ

καὶ πότ᾽ ἂν ἀμφιϑαλής Ζεὺς ἐπὶ χεῖρα βάλοι, φεῦ φεῦ, κάρανα δαΐξας: πιστὰ γένοιτο χώρα" δίχαν δ᾽ ἐξ ἀδίκων ἀπαιτῶ: \

2

ζω

I

[A

5."

“Ὁ

>

/

,ὔ

5.5



5

I

she

.

5

led

ὁ χλῦτε δὲ Γᾶ χϑονίων τε τιμαί. str. / ant. hem” hem”

380=394 381=395 382= 396

III

383= 397 384= 398 385-399

— U VUV-lUo—

aristoph

IT

hipp

III Sa

6

U

Vol.

sp ia sp

decasyll alc

395

Nella quarta coppia strofica non si segnalano problemi testuali e metrici di rilievo.' Un elemento degno di nota, ma non posto in rilievo dall’apparato di West, è la presenza della scriptio plena ixero al v. 381, dove la responsione e la presenza di uno iato (ἵκετο ἅπερ) depongono a favore dell'emendamento ἵκεϑ᾽. L’assetto colometrico esibito da M è in linea di massima accolto da tutti gli editori moderni: l’unica eccezione si segnala ai vv. 382-383=396-397, che sono ricolometrizzati da Wilamowitz,

Kraus e Dale al fine di ottenere la successione sp ia / hipp. L’intervento non pare, tuttavia, necessario: la sequenza ———-v-—- di v. 382-396 potrebbe essere interpretata come dimetro giambico ataktos?, ma l’estrema rarità di questa particolare tipologia di metri in ambito tragico sembrerebbe suggerire un’analisi differente, ovvero sp ia sp.’ Gli spondei, che non rientrano nel novero dei metra prototypa, dovrebbero in questo caso intendersi come sequenze protratte alla misura esasema (metra giambici).* La strofe è chiusa dalla sequenza —v-uu-v-- interpretabile come decasillabo alcaico: cfr. anche Pers. 651= 656; Sept. 485=525; 726=734;

860; Ag. 1496=1520.

1 È interessante

notare

che il ms.

dispone

i vv.

382 e 396

in ekthesis,

a

indicare un improbabile cambio di persona canens. Lo stesso errore ricorre anche ai vv. 238, 692 e 722. Le ektheseis senza altra indicazione ricorrono ai VV. 315 € 722; ai Vv. 235 e 855 sono accompagnate da notae personarum (rispettivamente Elettra e Coro), mentre ai vv. 264, 489 e 653 sono precedute da paragraphos. Cfr. supra, pp. 66-67 e nn. 3-4. ? In merito ai giambi ataktoi cfr. Hephaest. p. 57, 13 Consbr; Arist. Quint. p. 33, 5 W.-I. e Gentili-Lomiento 2003, p. 33. 3 Per la quantità lunga della prima a di δαΐξας (v. 396) cfr. Hom. Il. 11, 497.

4 Spondei

in successione

o in unione

con

altri metri

ricorrono

anche

in

Ag. 160=168 (sp lecyth); 179=187 (sp lecyth) e in Suppl. 119=130 (2 sp); 142=152 (2sp); 162-164 (3sp, 3sp, 2sp). Su questi ultimi cfr. Lomiento 2008a, pp. 6768.

386-393 = 410-417 str. €

ἐφυυμνῆσαι γένοιτό μοι πευ-

χήεντ᾽ ὀλολυγ μὸν ἀνδρός 3 ϑεινομένου γυναικός T’ ὀλλυμένας: τί γὰρ κεύϑω φρεν᾽ è σεῖον ἔμπας

290

° ποτᾶται; πάροιϑεν δὲ πρῴρας δριμὺς ἄηται καρδίας θυμός, ἔγκοτον στύγος. 388 ϑινομένου 437

M

(ϑειν. M?)

390

φρενὸς

ϑεῖον

M

: corr.

Headlam

1902,

p.

N. 13

ant. €

πέπαλται δ᾽ αὖτέ μοι φίλον κέαρ

410

τόνδς κλύουσαν οἶκτον. καὶ τότε μὲν δύσελπις,

2

\

LU

\

,

σπλάγχνα δέ μοι κελαινοῦται πρὸς ἔπος χλυούσᾳ. ὁ ὅταν δ᾽ αὖτ᾽ ἐπαλγχὲς θάρσος ἀπέστασεν ἄχος

415

Ἱπρὸς τὸ φανεῖσϑαι μοὶ καλῶς. \

410

πεπάλατε

M

(αν

Headlam-Thomson,

x

-“

supra

-τε

scr.

-παρῇ

μοι»

Livrea

M?)

\

: corr. 1990, p.

ϑραρεαπεστασεν M : corr. Ludwig 1860, p. 444

DO

Turnebus 18, È correzione di Turnebus per l’insostenibile πεπάλατε di M. 6 Cfr. Dindorf 1836, p. 9. 7 Cfr. Aesch. Sept. 876 πατρῴους δόμους ἑλόν- u-—

ἤδη διήλ- vu

v-u—

ba ia — 882 ἰδόντες,

—-— ia cr; Ag. 195 ναῶν καὶ πεισμάτων ἀφειδεῖς

υ---- —u— ut

ba cr ba - 208 τέκνον datto, δόμων ἄγαλμα .--ο-- —u— u-= ia cr ba; 404 κλόνους λογχίμους τε καί .--- u_u ba ia — 421 πάρεισι δόξαι pépov- vu u ia cr; TrGF 204b, 4 κλυοῦσ᾽ ἐμοῦ vu ia — 13 χορεύσειν «-— ba; Soph. O.T. 668 προσάψει τοῖς πάλαι TÀ πρὸς σφῷν .--- —u- u-- ba cr ba - 697 τανῦν è’ εὔπομπος, εἰ Suva, γενοῦ u-— ——— u_u ba cr ia (cfr. Giannachi 2009, pp. 7677); Eur. Suppl. 1142 πάτερ, σὺ μὲν σῶν κλύεις τέκνων γόους vu —u vu id cr ia — 1149 ἔτ᾽ ᾿Ασωποῦ ue δέξεται γάνος v-— —u— v-u- ba cr ia; Or. 173 ΧΟ. ὑπνώσσει. HA. λέγεις εὖ v-- v-- 2ba -- 194 ΧΟ. δίκαια μέν HA. καλῶς δ᾽ οὔ. u_u v-- ia ba; 965 ἰαχείτω δὲ γᾶ Κυκλωπία .---- -ο-- vu ba cr ia — 976 ἰὼ

ἰώ, πανδάκρυτ᾽ ἐφαμέρων

“-ὦ-- —.— vu

ia cr ia. Sulla libertà di responsione

tra cretici, bacchei e giambi cfr. Denniston 1936, pp. 142-144; Zuntz 1983, p. 275; West 1990, p. 109 s.; Martinelli 1997, p. 195 n. 16; Parker 1997, p. 47; Gentili-Lomiento 2003, pp. 221-223. * Cfr. Eum. 958 νεανίδων e Ag. 1137 ἐπεγχέασα, quest'ultimo corretto senza

reale necessità dagli editori in ἐπεγχύδαν 0 ἐπεγχέαι, cfr. Galvani 2007-08, pp. 150-151.

81

χκήεντ᾽ ὀλολυγμὸν ἀνδρὸς /

VAI

5.5

x

9

\

GITE

τόνδε κλύουσαν οἶκτον LA

/

3

VI

Basandosi sulla colometria dell’antistrofe, appare evidente che anche al v. 387 è necessario ammettere sinizesi in -κήεντ᾽, come, ad esempio, Eur. Andr. 285 αἰγλάεντα; Hel. 1303 ὑλαέντα." Al v.

390 la lezione Yetov è insostenibile sia per il significato sia per la metrica. Tra le varie congetture proposte negli ultimi due secoli οἷον di Hermann ha goduto di particolare fortuna.᾽ Il passo andrebbe dunque inteso: “perché dovrei celare ciò che vola continuamente nel mio cuore ?”. Qualche perplessità suscita, tuttavia, il genitivo φρενός, inteso da alcuni studiosi come un esempio del raro “local genitive”," da altri come un partitivo.' Proprio per risolvere tale inconveniente Page propose, al v. 391 rapord” ἐκ, dove πάροιϑ᾽ si legherebbe a φρενός, “di fronte al cuore”, mentre ἐκ al successivo πρῴρας. Non convince comunque l’ordo verborum, in particolare la collocazione di πάροιϑ᾽ in fondo alla frase. Più efficace appare forse la congettura di Headlam" φρέν᾽ 6 σεῖον, che oltre a risultare persuasiva sul piano del significato, da interpretare “perché dovrei nascondere ciò che vola continuamente squassandomi l’animo”,'* appare più economica della precedente. ‘5 Come anticipato, la lacuna presente al v. 415 e le corruttele che investono rispettivamente l’incipit di v. 416 e buona parte del v. 417 rendono ardua la ricostruzione della paradosis dei versi finali dell’antistrofe. Appare pertanto opportuno andare con ordine, individuando ciò che può essere ragionevolmente difeso e ciò che deve essere emendato. Al v. 415 non c'è motivo di du-

bitare dell’hapax ἐπαλκές, una neoformazione che trova paralleli ° Cfr. Sier 1988, p. 135. ‘° Cfr. Hermann 1798, pp. 83, 92. ! Cfr. Conington, p. 63; Sidgwick, p. 74. Garvie, p. 90 nota che in Eschilo

non ci sarebbero “reliable examples of a local genitive”. 2 Cfr. Wilamowitz 1896, p. 197. 4 Cfr. Headlam 1902, p. 437.

4 Non migliora il passo la congettura εἰκόν᾽ di Sier 1988, p. 58: “Denn wozu soll ich das Bild meines Denkens verbergen?”. 15. La congettura sembra convincente anche dal punto di vista paleografico: in ®PENOZEION, -EION sarebbe stato letto come ®ION, poi trasformato in ΘΕΙ͂ΟΝ per un errore di iotacismo (cfr. Headlam 1902, p. 437).

82

in Erepadung

(Pers.

951) e forse in παναλκής

(Sept.

166) e che

lo scolio interpreta correttamente con il termine ἱσχυροποιός.δ Sempre nello stesso verso il senso indica chiaramente la caduta di una porzione di testo; 7 la lacuna doveva probabilmente con-

tenere il verbo retto da ὅταν, ma le numerose congetture suggerite possono avere solo valore indicativo.‘ Al v. 416 la lezione dpapeareotacev è stata opportunamente corretta da Ludwig in θάρσος ἀπέστασεν. La corruttela di θάρσος è spiegabile pensando alla forma alternativa θράσος, forse inserita supra lineam in una fase antica della trasmissione e, successivamente,

confluita

nel testo; all’alternanza 9ap/9pa si sarebbe aggiunta l’ulteriore corruzione del sigma onciale c in e.'” Eschilo starebbe dunque dicendo: “il coraggio scaccia la mia sofferenza”. Il v. 417 si trova, infine, in condizioni disperate. Il tràdito πρός τὸ φανεῖσθαι non dà senso: Headlam e Thomson hanno ipotizzato che l’espressione rappresenti non tanto un’erronea lettura dell’antigrafo, quanto piuttosto una glossa confluita nel testo. Gli studiosi evidenziano, infatti, come la iunctura πρὸς τό + infinito sia un’espressione propria del linguaggio scoliastico, utilizzata per chiosare un infinito epesegetico.?° Nessuna delle diverse proposte di emendamento appare pienamente convincente. °* Un'ultima

considerazione

in merito

ai vv.

389-390=413-414:

tutti gli editori, pur mantenendo pressoché inalterato l’assetto colometrico dell’antistrofe così come tramandata da M, preferiscono posticipare l’ultima sillaba di κελαινοῦται di v. 413 nell’incipit del verso successivo,” al fine di ottenere una coppia di

16 Cfr. Livrea 1990, p. 17.

‘7 È difficile comprendere perché Page, Sier e Garvie preferiscano collocare la lacuna nell’incipit di v. 416 anticipando ϑραρε del corrotto ϑραρεαπεστασεν nell’explicit di v. 415. Cfr. Livrea 1990, p. 17 e n. 37. 18. Tra queste meritano di essere ricordate προσίζῃ di Headlam-Thomson,

che richiama molto da vicino il ϑάρσος ... ἴζει di Ag. 982, παρῇ μοι di Livrea “ma quando io disponga a mio presidio della fiducia”; il verbo congetturato potrebbe trovare conferma in Choeph. 91 τῶνδ᾽ οὐ πάρεστι ϑάρσος. ‘9 Cfr. Headlam-Thomson, 11 p. 148. 2° Si consideri, ad esempio, schol. Choeph. 970: ἰδεῖν: πρὸς τὸ ἰδεῖν. Cfr. Headlam-Thomson, loc. cit. 2 Cfr. Garvie, pp. 154-155; West 1990, p. 245; Citti 2006, pp. 111-115.

2 In maniera simmetrica tagliano il colon 389 dopo κεύ-.

83 aristofanei, identica a quella che ricorre ai vv. 387-388 - 411-412. Se, tuttavia, si conserva la colometria dell’antistrofe si ottiene la

sequenza -»u-u—---, ovvero una forma di dimetro polischematico” attestato anche in Soph. Trach. 949 δύσκριτ᾽ ἔμοιγε δυστάνω; Eur. El. 116 καὶ u’ ἔτεκεν Κλυταιμήστρα — 131 τλᾶμον σύγγονε, rat pebers;”' Hec. 469 ζεύξομαι dpa πώλους ἐν = 478 τυφομένα δορίκτητος, seguito da un reiz? (cfr. Choeph. 320=337). Da ultimo, al v. 392 conservo la lezione καρδίας, ammettendo una responsione

ia — cho, per cui cfr. infra, pp. 38-39. 2 Per la definizione e le diverse tipologie di dimetri polischematici cfr. Gentili-Lomiento 2003, pp. 185-196.

24 Il dimetro polischematico si ottiene espungendo il termine κούρα, tramandato tamente,

dai codici L e P prima del καί di v. 116, da intendersi, quasi cercome una glossa confluita nel testo (cfr. Denniston 1939, p. 65).

Notevole la responsione del dimetro polischematico con il gliconeo τλᾶμον σύγγον᾽ ἀλατεύεις 2003, p. 186).

al v.

131

(cfr.

Martinelli

1997,

p.

247;

Gentili-Lomiento

405-409 - 418-422 Str. ζ

ποῖ ποῖ δὴ νερτέρων τυραννίδες:

405



ἴδετε πολυκρατεῖς ᾿Αραὶ φϑινομένων᾽

ἴδεσϑ᾽ ᾿Ατρειδᾶν τὰ λοίπ᾽ ἀμηχάνως ἔχοντα καὶ δωμάτων ἄτιμα. πᾷ τις τράποιτ᾽ ἂν ὦ Ζεῦ;

406 φϑειμένων (ι supra εἰ scr. M?) M : corr. Η. L. Ahrens apud Franz πᾷ coniecit M? supra lineam : πε M

ant. È

τί δ᾽ ἂν φάντες τύχοιμεν {dv}; ἦ τάπερ πάϑομεν ἄχεα πρός γε τῶν τεχομένων; 3 πάρεστι σαίνειν, τὰ δ᾽ οὔτι θέλγεται" λύκος γὰρ ὥστ᾽ ὠμόφρων ἄσαντος ἐκ ματρός ἐστι ϑυμός.

418 ἂν del. Hermann 1798, pp. 85, 98 mann 1819, p. 111 ex 2&

419&y9ea

M : corr. Schwenck,

str. / ant. 405-418 406= 419 407= 420 408 = 421

409= 422

--

—u— vu

||

συ πῶς wu 3 UtuUTt ut Vu Tu ut

uu

409

u

u

|||

mol (-ba) cr ia ia 2CI ia cr ia ia cr

ia cr ba

420

Lach-

Al ν. 405 la maggioranza degli editori accoglie la congettura ποrot δᾶ di Bamberger in luogo del tràdito ποῖ rot δή. Il lieve intervento testuale eliminerebbe la responsione tra un molosso ——— ποῖ ποῖ δή e un baccheo v-— τί δ᾽ ἂν φάν-.᾿ In Eschilo occorrenze di tale fenomeno? ricorrono in Sept. 356, τίν᾽ ἐκ τῶνδ᾽ εἰκάσαι λόγος πάρα — 368 παγκλαύτων ἀλγέων ἐπίρροϑον “--- —u— u-u-,3 e forse in Ag. 977 καρδίας τερασκόπου ποτᾶται = 990 τὸν

δ᾽ ἄνευ λύρας ὅμως ὑμνῳδεῖ —o— vu =--.4 Piuttosto difficile negare, invece, gli esempi sofoclei ed euripidei: Soph. Phil. 1134 ἄλλου δ᾽ ἐν μεταλλαγᾷ — 1157 ἐμᾶς σαρχὸς αἰόλας ““---- vu) O.C. 512 τᾶς δειλαίας ἀπόρου φανείσας — 525 xaxd u εὐνᾷ πόλις

οὐδὲν ἔδριν 2---vv-u--; Eur. Suppl. 622 εἰδείης ἂν φίλων — 630 πόλει μοι ξύμμαχος “---- -u-; Ion 190 ἰδού, τᾷδ᾽ ἄθρησον — 201 καὶ μὰν τόνδ᾽ ἄϑροησον T-—

ὦ----; Phoen. 1026 Λιρκαίων ἅ ποτ᾽ ἐκ

- 1050 μιαίνει δὲ πτόλιν ““---- --ἀ--, A meno di non intervenire sistematicamente in tutti i loci similes, come troppo spesso accade nel caso di responsioni che esulano da una rigida corrispondenza, converrà ammettere questa tipologia di responsione. Il passo può essere così inteso: “dove, dove mai (scil. sono andate) le potenze sotterranee?”.° L’interrogativa introdotta da ποῖ (“dove” con valore di moto a luogo) e priva di un verbo reggente non solo

1 ᾧΦάντες è restituzione pressoché certa di Bothe (cfr. schol. εἰπόντες) in luogo del tràdito πάντες, incomprensibile in questo contesto. ? Cfr. Dale 1968, p. 73; Diggle 1981, pp. 86-87; West 1990, Martinelli 1997, p. 215 e n. 19; Gentili-Lomiento 2003, p. 233.

p. 113 n. 19;

3 Cfr. Novelli 2005, pp. 198-200. 4 La libertà di responsione potrebbe essere evitata ipotizzando che il gruppo uv non faccia posizione (cfr. Korzeniewski 1968, p. 22 n. 39; West 1982a,

p. 18; Martinelli 1997,

pp.

56-57;

Gentili-Lomiento

2003,

p. 25). Un

caso analogo si presenta in Pers. 281=287 dove il verso della strofe è con ogni probabilità corrotto nella parte conclusiva, ma la corruttela non tocca la parola δυσαιανῇ in responsione con μέμνεσϑαι. Ai vv. 937=951 dei Sept. (πέπαυται δ᾽ ἔχϑος, ἐν δὲ γαίᾳ vo -ο- u-- = ἰὼ πολλοῖς ἐπανθήσαντες v-- --- ---) gli

editori preferiscono accogliere la lezione del codice O (Leiden. Voss. gr. Q4 A) ἐπανϑίσαντες che consente di avere una responsione regolare. 5 Nella strofe i codici riportano ἀλλ᾽ ἐν, opportunamente corretto in ἀλλ᾽ où δ᾽ ἐν da Hermann. 6 Cfr. Conington, p. 65: “Where are the powers below?”.

δό

trova conferma in Choeph. 882 ποῖ Κλυταιμῆστρα,7 ma appare anche più adatta al contesto, nel quale Oreste chiede alle potenze infernali di volgere lo sguardo su ciò che resta della casa degli Atridi. In una sorta di composizione ad anello la strofe si chiude con una nuova domanda “dove dovrei volgermi, o Zeus”. Alcuni studiosi anlizzano il v. 406=419 come due docmi:* sebbene tale

analisi non possa essere esclusa, il contesto interamente giambico della coppia strofica sembrerebbe deporre a favore di un’interpretazione giambica.° 7 Anche in questo passo gli editori preferiscono intervenire sul testo accogliendo la congettura ποῦ di Elmsley: cfr. Garvie, p. 287. ® Così Kraus 1957, p. 102; Garvie,

p. 359; Sier 1988, pp. 95-96.

° Per la soluzione di un elemento prima del cretico cfr. supra, pp. 58-59. L'analisi cr ia cr è possibile, ma

l'incipit dei versi successivi (---—

...) sem-

brerebbe suggerire anche per il verso in questione un attacco costituito da un giambo puro, sebbene soluto (τσ ...).

423-428 - 444-450 «ΧΟ-

ἔκοψα κουμὸν ”Aptov ἔν τε Κισσίας νόμοις ἰ -η-λεμιστρίας, [Ξ

Str. Ἢ

ἀπριχτόπληκτα πολυπάλακτα δ᾽ ἦν ἰδεῖν

ἐπασσυτεροτριβῇ τὰ χερὸς ὀρέγματα ἄνωθεν dvexadev, κτύπῳ δ᾽ ἐπιρροϑεῖ 6 χροτητὸν ἁμὸν καὶ πανάϑ''λιον κάρα. „

5

,ὔ

,

5.3

425

-

423 ἄρειον M : corr. Hermann 1831, p. 338 424 ἰλεμιστρίας M : corr. Hermann loc. cit. (cfr. Hesych. ἰηλεμιστρίας) 425 ἄπριγτοι πλη χτὰ M : corr. Heat 1762, p. 104 πολυπάλαγχται (πολύ- ΜῈ) M : corr. Bothe εἰδεῖν (i supra εἰ scr. M’) M

ant. ἢ

λέγεις πατρῷον μόρον: ἐγὼ δ᾽ ἀπεστάτουν ἄτιμος, οὐδὲν ἀξία

445

3 μυχῷ δ᾽ ἄφερχτος πολυσινοῦς κυνὸς δίκαν ἑτοιμότερα γέλωτος ἀνέφερον λίβη. χέουσα πολύδακρυν γόον κεκρυμμένα. ° τοιαῦτ᾽ ἀκούων ἐν φρεσὶν -σαῖΐῖσιν γράφου449 χέρουσα

M°°

corr. Robortello

(χαίρ.

MP°

: corr.

Dobree

1833,

p.

27

450

str. / ant.

423= 444/445

Yun Suva uno

zia

424-446

πος

214

428-450

φρεσσίν

suppl. Seidler 1811-12, p. 195 (γράφου iam Klausen)

Vu

ὄνσου- u

“uu

|||

zia

450 Μ:

AI di là di alcuni errori di trasmissione facilmente sanabili,* l’uni-

co problema degno di nota ricorre al v. 428, dove xat è espunto dalla maggioranza degli editori. Contro il testo del Laurenziano è stato osservato che χροτητόν e πανάϑλιον, due aggettivi molto distanti tra di loro quanto a significato, difficilmente possono essere connessi mediante la congiunzione καί. L’interpolazione, dunque, potrebbe essere spiegata pensando alla tendenza degli scribi a ottenere trimetri giambici non sincopati.? Si noti, tuttavia, che l’uso della congiunzione καὶ “linking qualitative attributes”4 è certamente raro, ma comunque attestato (cfr. Aesch. Ag. x

1452; Eur. TrGF 941; Plat. Phdr. 235b).? A ciò si aggiunga che le

argomentazioni metriche che sostengono l’espunzione non sono probanti in questo passo: la lacuna che interessa il corrispettivo verso dell’antistrofe rende,

infatti, dubbia

l’analisi metrica dei

versi in questione. Certo è che l’atetesi di καί produrrebbe l’unico metro sincopato all’interno della coppia strofica.° Qualora si espunga la congiunzione sarà, d’altra parte, necessario ipotizzare nel corrispondente verso dell’antistrofe non solo la caduta di una 1 Al v. 423 ἄρειον deve essere corretto metri causa in “Agtov, al fine di ottenere un trimetro giambico, mentre il tràdito εἴτε, che non dà senso in

questo contesto, è stato opportunemente emendato in ἔν te da Bothe (la stessa tipologia di errore ricorre anche in Ag. 1153). Infine, la terminazione

del

dativo plurale κισσίαις è stata probabilmente influenzata dal seguente νόμοις: a questo proposito Robortello ha suggerito il genitivo Κισσίας, un attributo del termine ἰηλεμιστρίας, che diversamente risulterebbe troppo vago. ? Cfr. Lesky 1943, p. 91; Garvie, p. 160. 3 Cfr. Headlam-Thomson, τι p. 148. Garvie, loc. cit. aggiunge che l’inseri-

mento della congiunzione potrebbe essere il frutto di un’altra idiosincrasia propria dei copisti, quella di inserire καί o te per collegare due termini che presentano lo stesso caso. Dei tre esempi citati, tuttavia, (Choeph. 586, Ag. 124 € 1452) solo il primo è valido, poiché nei due passi dell’ Agamennone

l’atetesi della congiunzione è tutt'altro che ovvia (cfr. Galvani 2007-08, pp. 13-14; 165-166).

4 Cfr. Denniston 1954, p. 290.

> Più numerosi gli esempi di “qualitative attributes” connessi dalla congiunzione τε: cfr. Denniston 1954, p. 501; Sier 1988, p. 161. 6 Cfr. Sier 1988, p. 161. Denniston 1936, p. 124 e Griffith 1977,

p. 35 so-

stengono che la maggior parte dei giambi eschilei presenti il fenomeno della protrazione, ma è opportuno notare che in Eschilo non mancano stanze composte interamente da giambi puri: cfr. Pers. 1038-1045=1046-1053; Sept.

989-994 (epodo).

89 porzione di testo nel finale, ma anche di un monosillabo κούων e φρεσίν. A proposito della lacuna di v. 450 (τοιαῦτ᾽ ἐν φρεσὶν ), essa può essere parzialmente colmata zando un errore di aplografia relativo alla parola γράφου:

tra ἀἀκούων ipotizquesta,

contenuta sia nell’explicit di v. 450 sia all’inizio di v. 451, sarebbe

stata trascritta solamente una volta dal copista. Il termine, che ben si adatta al senso della frase “ascoltando tali cose scrivile nel cuore ...”, trova conferma in espressioni analoghe attestate ad esempio

in Eum.

275; Prom.

789.7 Tra

le numerose

congetture

proposte per colmare la lacuna di due sillabe, si accoglie nel testo cato di Seidler, spiegabile anch'esso come errore di aplografia generato dalla presenza di φρεσσίν. Le altre congetture non paiono altrettanto efficaci: τάδ᾽ di Wilamowitz richiede l’espunzione di καὶ nella strofe,* mentre πάτερ di Sidgwick, collocato in fine di verso, è alquanto improbabile, sia perché renderebbe ostico ricostruire il processo di corruzione che ha prodotto la caduta del primo γράφου, sia perché il v. 450 è indirizzato chiaramente a Oreste come indica lo scolio al verso: πρὸς τὸν Ὀρέστην φησίν. 7 Cfr. Garvie, p. 166; Sier 1988, p. 168. * Sier, loc. cit. nota come a τοιαῦτα, con funzione riassuntiva di quanto è gia stato detto, si accompagna quasi sempre ταῦτα (l’unica eccezione è costituita da Eum. 480) e non τάδε.

429-433 - 451-455

ἰὼ ἰὼ data πάντολμε μᾶτερ, δαΐαις ἐν ἐκφοραῖς [Ξ

str. d

430

ἄνευ πολιτᾶν ἄναχτ᾽,

ἄνευ δὲ πενθημάτων ἔτλας ἀνοίμωκτον ἄνδρα θάψαι. „

ant. ὃ

«ΧΟ.»

\

,

γράφου: δι᾽ ὦτων δὲ συντέτραινε μῦϑον ἡσύχῳ φρενῶν βάσει. 3 τὰ μὲν γὰρ οὕτως ἔχει. τὰ δ᾽ αὐτὸς ὀργᾷ uadetv: πρέπει δ᾽ ἀκάμπτῳ μένει χαϑήκειν. \

454 αὐτοῖς

5

5

\

9

-

DO

M“

str. 7) ant. 429= 451

430= 452 431= 453

432 = 454 433 = 455

Tu

ut

ia cr

man Tav vai 3 uu

nu

au u Yun u u

zia ia cr

|||

ia cr ia cr ba

455

Il canto prosegue con una tessitura interamente giambica. Alcuni

editori, escludendo la possibilità di un errore di aplografia del termine γράφου, preferiscono anticipare il verbo nell’explicit di V. 450 e espungere metri causa uno dei due ἰώ di v. 429 (ἰὼ {io} data = δι᾿ ὥτων δὲ συν-- v——u-).' La sequenza docmiaca così prodotta sarebbe ammissibile, ma non superiore alla misura giambica implicita nel testo tramandato.” Difficilmente ammissibile sembra, invece, la descrizione suggerita cautamente da Dale,’ che vorrebbe analizzare la sequenza v- --ἶτ- come un dimetro giambico sincopato. 1 Cfr., ad esempio, Wellauer, 11 p. 167; Blass, p. 131. ? Con l’unica eccezione della chiusa di strofe x (vv. 460=465), costituita da un aristofaneo. 3 Cfr. Dale 1981, p. 13.

434-438 - 439-443

τὸ πᾶν ἀτίμως ἔλεξας, οἴμοι: πατρὸς δ᾽ ἀτίμωσιν ἄρα τείσει ῳ

str. t

435

ἕχατι μὲν δαιμόνων, ἕκατι δ᾽ ἁμᾶν χερῶν. ἔπειτ᾽ ἐγὼ νοσφίσας ὀλοίμαν.

435 ἄρα M“,

ἀρὰ MP°: corr. Heath 1762, p. 104

ant. L

ISSÌ

ἐμασχαλίσϑη δέ γ᾽ ὡς τόδ᾽ εἰδῇς. ἔπρασσε δ᾽ ἅπερ νιν ὧδε θάπτει, μόρον χτίσαι μωμένα ἄφερτον αἰῶνι σῷ κλύει -ς-- πατρῴους δύας ἀτίμους.

439 δέ γ᾽ ὡς Klausen, τόδ᾽ Pauw : de τωστοστείδης Bourdelot 443 δυσατίμους M : corr. Portus

M

441 χτεῖναι M

str. / ant. 434= 439

vu

435= 440 436= 441

unu 3 uu

τὸς vt

437 = 442

Yun

τὸς

438= 443

uu

u

—u uu

ia cr ba

vu ||}

||F

ia cr ba ia Cr

u

|||

ia cr ba

ia cr

440

: corr.

Nella strofe non si segnalano problemi metrico-testuali, contrariamente all’antistrofe dove, al v. 439, M mostra l’incomprensi-

bile δέ τωστοστείδησ. A Klausen si deve la correzione δὲ γ᾽, accolta dagli ultimi editori; il nesso, che secondo Denniston “avrebbe

la funzione di continuare la concatenazione del discorso iniziato da un altro interlocutore”,! è facilmente spiegabile anche da un punto di vista paleografico, pensando a un errore di lettura nell’antigrafo in maiuscola (I = T). Al v. 441 χτεῖναι di M non

dà senso; dal participio κατασχευάζουσα, utilizzato dallo scoliaste per commentare il verbo tràdito, è possibile recuperare la forma κτίσαι." LA

TRASPOSIZIONE

DEI

VV.

434-438

Alcuni studiosi hanno messo in dubbio l’assetto strofico tramandato da M, suggerendo di collocare la strofe ı dopo il v. 455.3 Le principali argomentazioni a sostegno di tale trasposizione possono essere così riassunte: in primo luogo, la struttura compositiva tramandata da M ηϑι in9 non occorrerebbe altrove nella superstite produzione poetica greca; in secondo luogo, sembrerebbe più logico collocare le parole di Oreste, relative alla sua volontà di uccidere la madre,

alla fine della sezione narrativa

nella quale Elettra e il coro rievocano le terribili azioni di cui Clitemestra è responsabile;* da ultimo, perché dislocazioni di versi 1 Cfr. Denniston 1954, p. 154. ? Da emendare anche ἄφερκτος di v. 442, opportunamente corretto da Robortello in ἄφερτος, “insopportabile”, e δυσατίμους di v. 443 dove sia la metrica sia il significato avvalorano la ricostruzione δύας ἀτίμους di Turnebus. 3 Cfr. Schiitz 1800; Wilamowitz 1914b, pp. 205-210; Lesky 1943, pp. 101108; Kraus 1957, pp. 100-101; Dawe 1999, pp. 24-33. Isolato il tentativo di Sier di posporre i vv. 423-428 dopo 429-433, così da ottenere la successione ἣν

Ln.

4 Cfr.

Garvie,

p. 157.

ni frequentemente

Meno

significative

appaiono

altre

due

motivazio-

utilizzate dai sostenitori della trasposizione (cfr. Wila-

mowitz 1896, p. 202 e Lesky 1943, p. 108): 1) i termini ἀτίμως di v. 434 € ἀτίμωσιν di v. 435, pronunciati da Oreste, sembrerebbero costituire una ripresa e un commento dei termini ἀτίμους (V. 443) e ἄτιμος (V. 446), pronu-

ciati rispettivamente dal coro e da Elettra; 2) mediante lo spostamento della strofe

l’epressione ὧδε ϑάπτει

di v. 440 risulterebbe più chiara, ricorrendo

94

o di gruppi di versi ricorrerebbero spesso nelle tragedie eschilee.’ In merito alla prima argomentazione & incontestabile che in questa sezione centrale del canto la disposizione delle stanze sia singolare e inattestata, ma l’intero kommos presenta un’articolazione complessiva unica nel panorama della superstite produzione tragica. A ciò si aggiunga che anche la successione n9ı N98, che si viene a creare con la trasposizione, non trova paralleli in tragedia. Essa risponde semmai a un'esigenza di simmetria prettamente moderna, che non tiene conto delle numerose possibilità di articolazione strofica contemplate dalle fonti antiche.° Come è stato giustamente osservato da Scott,” quanti ritengo-

no che il proposito matricida di Oreste dovrebbe, da un punto di vista logico, essere collocato alla fine della sezione narrativa (vv. 423-433; 439-450), sostengono che la funzione drammaturgica del kommos sia unicamente o principalmente quella di spingere Ore-

ste al matricidio.* In obbedienza a un vero e proprio esprit de geometrie essi (ri)costruiscono attorno a questo motivo una climax

(racconto delle terribile sorte di Agamennone — decisione di Oreste) che non può che culminare nella risoluzione omicida del giovane. È stato giustamente osservato che questa analisi del kommos non tiene conto di altri importanti aspetti: innanzi tutto

Oreste ha già preannunciato la sua volontà di portare a compimento la vendetta ai vv. 297-305; inoltre non si può non tener

conto del fatto che il kommos ha come finalità anche — e sopratimmediatamente

dopo

ἄνδρα ϑάψαι

di v. 433. Si noti,

del “disonore” che ricade sui figli di Agamennone nel kommos

e nei versi immediatamente

pare, pertanto, delle parole di tre, ὧδε ϑάπτει (cfr. Garvie, p.

tuttavia,

che il tema

ritorna frequentemente

successivi (cfr. vv. 409 e 485); non

necessario ipotizzare una ripresa puntuale da parte di Oreste Elettra e del coro. Conservando l’ordine strofico di M, inolnon è così distante dalla strofe 9 da non risultare perspicuo 158).

> Cfr. Lesky 1943, p. 101.

° In merito all’ambigua struttura compositiva di questa sezione (periodica o palinodica) cfr. supra, p. 66. Per una descrizione delle numerose strutture poematiche della versificazione greca si veda Hephaest. pp. 58-73 Consbr.; Gentili-Lomiento 2003, pp. 56-65. 7 Cfr. Scott 1984, p. 90: “Those who have transferred the lines find Orestes

irresolute and wearing”. * Cfr. Wilamowitz 1914b, pp. 205-210; Lesky 1943, pp. 118-121.

95

tutto -- quella di evocare il morto affinché aiuti il figlio nell’azione di vendetta.® Mantenendo la disposizione tràdita, la sezione centrale del kommos ha lo scopo di rafforzare la determinazione di Oreste, convincendolo ulteriormente, se ce ne fosse bisogno,

della legittimità delle sue future azioni. La semplice menzione dei funerali senza cittadini e senza compianto (v. 431 ss.) è suffi-

ciente a scatenare la reazione del giovane che si dichiara ora apertamente disposto a tutto pur di uccidere la madre. I successivi racconti della mutilazione del cadavere e delle sofferenze provate da Elettra, tenuta lontana dalle onoranze funebri, non fanno al-

tro che confermare la validità dei suoi propositi. Occorrono, infine, alcune precisazioni in merito alle disloca-

zioni che ricorrerebbero nelle tragedie eschilee. Se l’errata disposizione di uno o due versi, generalmente contigui, non è da escludere in alcuni passi, ‘° trovando sostegno anche nella tradizione manoscritta, '' ben diverso è il caso della trasposizione di un’intera strofe. Dawe individua quattro occorrenze di tale fenomeno:

Ag. 160-191; Choeph. 623-630; Pers. 93-100; Suppl. 88-90. Se si esclude il caso delle Supplici, che non costituisce un esempio calzante, comportando non la dislocazione di una stanza, ma la sostituzione di tre versi della strofe (vv. 88-90) con i corrispondenti versi dell’antistrofe (vv. 93-95), le restanti occorrenze hanno

? Cfr. Schadewaldt 1932, pp. 335-338. Un'analisi delle diverse interpretazioni del kommos si trova in Conacher 1987, pp. 108-113. ‘° Cfr., ad es., Ag. 1203-1204. Il fatto che in alcuni casi non si possa esclu-

dere la trasposizione di versi, non ci autorizza comunque a ipotizzare una “sistematicità” di tale fenomeno. Prima di esprimere giudizi sullo stato della tradizione (“unsere Überlieferung ist von solcher Art, daß die Annahme der Versversetzungen keinen Bedenken grundsätzlich-konservativer Art begegnen kann”, Lesky 1943, p. 101) occorrerebbe quantificare e valutare attenta-

mente tutte le occorrenze di tale fenomeno. Gli editori hanno troppo spesso ipotizzato lo spostamento di versi al fine di risolvere passi problematici o lacunosi, divergendo tra loro sul luogo e sull’ampiezza di tali dislocazioni. Mi sembra significativo il fatto che dei 22 spostamenti di versi proposti da Wilamowitz nella superstite produzione eschilea, solo 5 siano West, nella cui edizione si contano altri 21 casi di dislocazione,

accolti diversi

da da

quelli individuati dallo studioso tedesco. " Si consideri, a tal proposito, il caso di Sept. 519, che alcuni codici collocano dopo il v. 516, altri dopo il v. 517, altri ancora dopo il v. 518. 2 Cfr. Friis Johansen-Whittle 1980, 11 pp. 87-88; Sandin 2007.

96

generalmente riscosso uno scarso consenso, poiché le motivazioni addotte a loro sostegno non appaiono tali da giustificare interventi così drastici nel testo.‘ Un’ultima importante osservazione merita di essere presa in esame:

tra le varie argomentazioni

a

sostegno dell’ordine trädito‘* Garvie fa notare come, qualora si sposti la strofe ı dopo l’antistrofe 9, non si avrebbe cambio di interlocutore tra i vv. 438 e 456, essendo entrambi i versi cantati

da Oreste. Per sopperire a tale difficoltà Dawe è costretto (riprendendo un'ipotesi già formulata da Wilamowitz) a ipotizzare la caduta di una serie di anapesti. Tale soluzione appare, tuttavia, come un estremo tentativo di salvare una trasposizione che non ha ragione d’essere. x

4 Lo spostamento dell’Inno a Zeus nella parodo dell’Agamennone (i vv. 160-191 andrebbero collocati dopo il v. 217), suggerito da Dawe 1966 e riproposto da Dawe 1999, è opportunamente rifiutato da quasi tutti gli editori: come

nota giustamente Fraenkel 1962, 11 p. 113 “Abruptness,

then, there is,

but no loose arrangement, no wavering in the progress of thought either here or anywhere in this great chorus” (la disposizione dei mss. è difesa con buoni argomenti anche da Bergson 1967). In merito alla dislocazione dei vv. 623-630 delle Choeph. vd. infra, p. 112 e Galvani 2012b. Il caso più problematico è rappresentato da Pers. 93-100, ma la disposizione strofica tràdita è stata difesa con buoni

argomenti

da Irigoin 1982,

pp. 173-181,

Belloni 1988,

pp. 93-96 e Hall 1997, pp. 115-116. 14 Cfr. Garvie, pp. 157-158. Un tentativo di criticare le nove argomentazio-

ni a sostegno della disposizione strofica di M fornite dallo studioso si trova in Dawe

1999, pp. 29-31.

456-460 Str. x

«ΗΛ.»

= 461-465

σέ τοι λέγω, ξυγγενοῦ πάτερ φίλοις. ἐγὼ δ᾽ ἐπιφϑέγγομαι χεχλαυμένα.

«ΧΟ.-

3 στάσις δὲ πάγκοινος ἅδ᾽ ἐπιρροϑεῖ᾽ ἄκουσον εἰς φάος μολών.

ξὺν δὲ γενοῦ πρὸς ἐχϑρούς. 456 φίλοισι

ant. x

M

: corr.

ἄρης ἄρει ξυμβαλεῖ, δίκᾳ δίκα,

«ΧΟ.-

461 ξυμβάλλει M τάς- Newmann

460

Porson

ἰὼ ϑεοί, κραίνετ᾽ ἐνδίκως . 3 τρόμος μ᾽ ὑφέρπει κλύουσαν εὐγμάτων. τὸ μόρσιμον μένει πάλαι. εὐχομένοις δ᾽ ἂν ἔλϑοιυ.

: corr. Pauw 462 -δίχας- Hermann 1798, pp. 88, 94, «λι1884, p. 97, κραίνετ᾽ ἐνδίκως Sier 1988, pp. 64, 174

str. / ant. 456= 461 457 = 462

TUT TUT

458= 463

3 unu

ut

vu

459= 464

u

u

[Ὁ

460 = 465

465

uu

eV eV

|||

ia cr ia ia cr ia

[Ὁ

ia cr ia

2ia

aristoph

Se si escludono alcuni lievi interventi (al v. 456 φίλοις di Porson

in luogo di gtAotot di M; al v. 461 ξυμβαλεῖ di Pauw in luogo del tràdito ξυμβάλλει) il testo e la colometria del Laurenziano 32.9

non presentano problemi. Solo al v. 462 la responsione mostra la caduta di due sillabe, ma nessuna delle numerose integrazioni proposte, dal λιτάς di Newman all’ αἶσαν di Sier, risulta del tutto convincente. Da un punto di vista paleografico la più plausibile sembra essere δίκας di Hermann,' giustificabile ipotizzando un errore di aplografia con l’avverbio ἐνδίκως. 1 Per il nesso χραίνειν δίκας cfr., ad es., Bacchyl. 13, 45 δίκας ϑνατοῖσι κραίνων;

Bur.

Heracl.

143 αὐτοὶ

καϑ

αὑτῶν

κυρίους

xpatverv

δίκας.

466-470 - 471-475



str. A

ἰὼ πόνος ἐγγενὴς καὶ παράμουσος ἴΑτας αἱμοατόεσσοα. πλαγά.

ἰὼ δύστον᾽ ἄφερτα κήδη; ἰὼ δυσκατάπαυτον ἄλγος. 9

αηῖ. λ

«ΧΟ.-

,

5»,

/

470

δώμασιν ἔμμοτον τῶνδ᾽ ἄκος οὐδ᾽ ἀπ᾽ ἄλλων 3 ἔκτοϑεν. ἀλλ᾽ ἀπ᾿ αὐτῶν

δι᾿ ὠμὰν 5.

5

ϑεῶν 474 δι᾽ ὠμὰν

Klausen,”Eoıv

\

BZ

Ἔριν αἱματηράν. e



-τῶν-- κατὰ γᾶς ὅδ᾽ ὕμνος.

Hermann

(Σ)

: auwuavarpeıy

Μ

Wellauer 466- 471 467=472 468=473

-οἪυπυuu β-ὐπως-

469= 474

vv

470= 475

vue

hemiascl aristoph aristoph

[18

| ||! |||

hipp

hipp

475

475 τῶν suppl.

Al v. 466 ἰώ di M può essere conservato ipotizzando la perdita di autonomia sillabica dello t:* la scansione monosillabica dell’interiezione pare ricorrere anche in Eum.

511, 512, 785. Gli edito-

ri moderni preferiscono accogliere la congettura metri causa ὦ suggerita da Hermann,” ememendando al contempo anche i loci similes attestati nelle Eumenidi. Al v. 472 s. la frase necessita di un

sostantivo che concordi con l’aggettivo ἔμμοτον; l’erroneo Exarc, “lontano da”, esibito da M, può forse essere il risultato di una

scriptio plena τῶνδε ἄκος." Infine, al v. 474 nell’incomprensibile αιωμαναιρειν sono forse da riconoscere sia errori di trascrizione sia errori di itacismo: lo scolio antico al verso (ἔριν] ἣν ἤρισε πρὸς τὸν πατέρα) sembrerebbe indicare che dietro il tràdito -arpety si celi una forma corrotta per Ἔριν (l’errore sarebbe attribuibile alla pronuncia bizantina che leggeva nello stesso modo e/at ıv/ evv), mentre a Klausen si deve la congettura δι᾽ auav, ripristinata ipotizzando una errore di lettura nell’antigrafo in maiuscola (AI

= AI).

1 Sull'argomento cfr. p. 47.

2 Hermann

1798, p. 88.

3 Cfr. Garvie, p. 172. La presenza dell’avverbio di luogo potrebbe forse essere stata determinata anche dalla presenza di &xro9ev al v. 473. 4 Cfr. Garvie, ibid.

PRIMO

STASIMO

585-593 = 594-602 Str. x

πολλὰ μὲν γᾶ τρέφει δεινὰ

585

{καὶ} δειμάτων

ἄχη.

3 πόντιαί τ᾽ ἀγχκάλ γχκάλαι κνωδάλων δάλ ἀνταίων βροτοῖσι πλήϑουσι. βλαστοῦσι καὶ πεδαίχμιοι ὁ λαμπάδες πεδάοροι

590

πτανά τε καὶ πεδοβάμονα κἀνεμόεντ᾽

ἄν



9 αἰγίδων φράσαι κότον᾽ 586 καὶ del. Heath 1762, p. 107 590 πεδάοροι Portus πέδουροι ἵν᾽ 7) τὸ σημαινόμενον μετέωροι ΜΡ in marg.

: πεδάμαροι M, οἶμαι 592 xaveuoévtov M :

corr. Blomfield ant. x

ἀλλ᾽ ὑπέρτολμον ἀν-

δρὸς φρόνημα τίς λέγοι

595



καὶ γυναικῶν φρεσίν τλαμόνων {xat} παντόλμους ἔρωτας. ἄταισι συννόμους βροτῶν; 6 ξυζύγους δ᾽ ὁμαυλίας ϑηλυχρατὴς ἀπέρωτος ἔρως παρανικᾷ

9 χνωδάλων τε καὶ βροτῶν. 596 φρεσίν Σ : φρεσσίν

Μ

καὶ del. Klausen

597 «ἔρωτας; Klausen

str. 7) ant. 585= 594 586-595 587 = 596 588-597 589= 598

=

u u u_u 3 u u u --- ὑπὸ Yu u vo.

590=599

ou



593= 602

Von

cr ia

-ουπυυσὐπυς-ϑ

hem” reiz! (penthem?")

| ς | ς | ς |

591= 600 592 -- 601

2CT cr ia 3er mol ia, ia cr ia

cr ia

600

I vv. 588-589 contengono tre sillabe in più rispetto ai versi corrispondenti dell’antistrofe. Il problema che ha diviso, e continua a dividere, gli studiosi consiste nello stabilire se sia più opportuno modificare la strofe, espungendo un possibile elemento estraneo confluito nel testo, o intervenire nell’antistrofe (v. 597), ipotiz-

zando una lacuna. A favore della prima ipotesi si schiera West, che accoglie βρύουσι di Hermann, in luogo di Bporotot,' espunge πλάϑουσι (sc. πλήϑουσι),᾽ considerando il verbo una glossa rispetto a βρύουσι. e ripropone la congettura βλάπτουσι di Butler, in luogo di βλαστοῦσι. Si noti, tuttavia, che il dativo βροτοῖσι costruito con ἀνταίων κνωδάλων (“fiere ostili agli uomini”) non solo

contribuisce a migliorare l’interpretazione del passo, ma richiama l’espressione κνωδάλων βροτοφθόρων di Suppl. 264.4 A proposito del secondo intervento si può obiettare che un termine di uso comune come βλάπτουσι difficilmente avrebbe potuto corrompersi nel più raro βλαστοῦσι." Ma è soprattutto opportuno chiedersi se sia credibile il tentativo di recuperare la paradosis mediante una tale concentrazione di congetture su un testo che, così come

tramandato dai codici, non lascia in apparenza emergere problemi né sotto il profilo della lingua né sotto il profilo del metro. In effetti, i vv. 588-589 potrebbero essere intesi in questo modo:

“e le braccia del mare sono piene di esseri prodigiosi ostili agli uomini. Germogliano* anche luci sospese nell’aria”. Dopo aver descritto i prodigi naturali che abitano la terra e gli abissi marini, il poeta si soffermerebbe sui fenomeni luminosi (λαμπάδες) 1 Cfr.

Hermann,

ıı

pp.

543-544.

Lo

studioso

espunge

anche

il verbo

βλαστοῦσι, cosiderandolo una glossa confluita nel testo: cfr. anche Paley 1861, p. 507 e Sidgwick,

p. 86.

? Πλάϑουσι in luogo di πλήϑουσι potrebbe configurarsi come un ipercorrettismo dialettale. 3 Gli studiosi che accolgono l’espunzione richiamano l’attenzione su schol. O.C. 16 dove πλήϑουσι è utilizzato dal commentatore per spiegare il verbo βρύουσι. 4 Cfr. Groeneboom, p. 204. 5 Cfr. Garvie,

p. 205.

° Uno dei due scolii antichi al passo (5890) chiosa il verbo con γεννῶσι καὶ αὔξουσιν, attribuendo un improbabile significato transitivo al verbo. 7 La parola sembrerebbe alludere, più che alle luci degli astri, a fenomeni celesti quali la caduta di meteore (Aristot. De mund. Aesch. Prom. 1083; Eur. Suppl. 1011; Ba. 244; 594).

395) e di lampi

(cfr.

103 che si trovano sospesi in aria (πεδάοροι),

a metà tra cielo e terra

(medatyutor, “in mezzo”).8 Se si conserva il testo della strofe, è necessario ipotizzare una lacuna nell’antistrofe; a favore di tale

ipotesi depone la colometria di M, che sembrerebbe indicare la caduta di parti del testo al v. 597: ἀνταίων βροτοῖσι ———

παντόλμους

Vu

—_— — —

πλάϑουσι βλαστοῦσι καὶ πεδαίχμιοι

ἔρωτας ἄταισι συννόμους βροτῶν



vu

!

— U

ld

— Um

\

)ὔ

DA

Vol

DA

UT

[A



v_ut9?

Garvie, non tenendo conto di questo significativo aspetto della paradosis, preferisce anticipare ἔρωτας &- nell’explicit di v. 597 e

πλή- alla fine di v. 588. Egli ottiene così le sequenze mol ia / cr lec, e postula la lacuna di due lunghe e una breve tra &tatot e cuvvoLovg:!° παντόλμους ἔρωτας ἄταῖσι -----α» συννόμους βροτῶν -----

ι.,-ἰ,-ὄὄᾧ UT

πο

-

Vol.

Il medesimo intervento di ricolometrizzazione è accolto da Sier il quale, tuttavia, modifica ἄταισι in ἄταις, ipotizzando una lacuna di quattro sillabe.‘ Tali interventi, tuttavia, non sembrano stret-

tamente necessari: in primo luogo i due cola esibiti da M possono essere analizzati come mol ia, o ithyph con incipit spondaico (cfr. anche Eur. Phoen.

1039-1040=1063-1064)

e ia cr ia. In secondo

luogo la responsione πλήϑουσι Bia- = ἔρωτας d-=—v-, con realizzazione alogos del primo elemento nell’antistrofe, non è un 8 I termini πεδάοροι

e πεδαίχμιοι

sono

due

forme

eoliche

per μετέωροι

e

μεταίχμιοι. Cfr. Garvie, p. 206; Sier 1988, pp. 197-198. ° Klausen propose di colmare la lacuna mediante la ripetizione del termine ἔρωτας. Ὁ Dale 1983, p. 190, West, pp. 310-311 e Sommerstein, 11 pp. 286-288 alterano l’assetto colometrico dei vv. 587-589: πόντιαί τ᾽ ἀγκάλαι / κνωδάλων ἀνταίων / βρύουσι βλαστοῦσι (βλάπτουσι West e Sommerstein) καὶ πεδαίχμιοι,

corrispondenti a 2cr / cr mol / ia cr ia. " Lo studioso colma la lacuna con la congettura ἄταις «ἐν alvatoı>, traducendo “die mit furchtbarem Verderben sich den Menschen zugesellt”; cfr. Sier 1988, pp 182-183; 201-202.

104

motivo sufficiente per ipotizzare che il termine ἔρωτας sia erroneamente scivolato dal verso precedente. Tutti gli editori preferiscono, infine, accorpare i cola 591-592= 600-601, al fine di ottenere

un pentametro dattilico chiuso da brevis in longo, in luogo della successione hem" penthem® attestato anche in Aesch. Ag. 1054105b=123a-123b; 165-166=173-174; Eum. 347-348= 360-361; 349-350 = 362-363; 959-960 = 979-980.

603-612

str. β

= 613-622

ἴστω δ᾽, ὅστις οὐχ ὑπόπτερος

Y

5

e

5





φροντίσιν, δαείς 3 τὰν ἃ παιδολύμας τάλαινα Θεστιὰς μήσατο

605

πυρδαῇ τινα πρόνοιαν, , καταίϑουσα παιδὸς\ δαφοινόν, δαλὸν ἥλικ᾽, ἐπεὶ μολών ματρόϑεν κελάδησε, 9 ξύμμετρόν τε διαὶ βίου 6

610

μοιρόκραντον ἐς ἦμαρ. 608 x’ αἰϑοῦσα (αἴϑ- M?) M : corr. Canter

611 διὰ M : corr. Canter

612

δ᾽ ἐς M : corr. Turnebus

ant. β

ἄλλαν» δ᾽ ἦν τιν᾽ ἐν λόγοις στυγεῖν. φοινίαν Σκύλλαν. 3 ἅτ᾽ ἐχθρῶν ὑπαὶ φῶτ᾽ ἀπώλεσεν φίλον, Κρητικοῖς ,ὔ

«5.

4

5

,

615

DS

χρυσεοδμήτοισιν Öpuorg 6 πιϑήσασα, δώροισι Μίνω, Νῖσον ἀϑανάτας τριχός νοσφίσασ᾽ ἀπροβούλως 9 πνέονθ᾽ d κυνόφρων ὕπνῳ᾽ κιγχάνει δέ νιν Ἑ ) ουᾶς. 61 ἀλλὰ M : corr. Portus, Canter 616 ἀπόλεσεν πειϑήσασα M : corr. Abresch 1743, p. 450 nus petvo M* ut vid. 622 κιχάνει MP

620

M : corr. Robortello 618 δόροισι M : corr. Asula-

106

str. / ant. 603 = 613 604 = 614 605 = 615

--- U

UV

_ —

w

— vo

606= 607 = 608 = 609 = 610 = 611= 612 =

616 617 618 619 620 621 622

3-4

605-606 παιδολύμας

UU = UI VT

uU_

wu UTC

-V-VUTUT UU \J SUIT

| M

vo.

(O) =

do ia hypodo do hypodo do 2tro (vel hypodo ba) 3ba (vel do tro) glyc pher glyc pher

La colometria di Μ, con l’unica eccezione dei vv. 605-606, dove è

evitata la sinafia verbale di παιδολύμας, non presenta problemi significativi. Dopo un attacco chiaramente docmiaco (do ia / hypodo / do / hypodo do),' seguono una brevissima sezione centrale giambo-trocaica (2tro / 3ba)” e una chiusa in metri gliconici (glyc / pher / glyc / pher). Gli editori moderni hanno preferito un’interpretazione prevalentemente giambica — o giambo-trocaica — dei primi quattro versi, ma sono stati costretti a intervenire in

più punti sul testo e sulla colometria del Laurenziano. A questo proposito è significativo il trattamento riservato ai vv. 604= 614,

dove la sequenza —-—v— ricorre in responsione con una forma “pesante” --ο-- ----, Stinton afferma che tale libertà di responsione, ammissibile all’interno di una sequenza docmiaca, non può essere tollerata in un contesto giambo-trocaico; di qui la sua esigenza di intervenire sul testo della strofe con la congettura φρεσὶν ddoc “hostile fiery thoughts”. Il colon ——— ---- è quindi inteso come “syncopated trochaic dimeter”.3 Sebbene la proposta dello studioso non abbia trovato seguito, le obiezioni alla metrica del passo sono state riproposte da Garvie e Sier. Questi intervengono sul

testo dell’antistrofe, accogliendo la congettura di Merkel κόραν," in luogo del tràdito Σκύλλαν, e intendono il colon —-—v— come un verso giambo-trocaico.5 West, infine, accoglie la congettura ! Per l’associazione hypodo do si vedano anche Sept. 97 δαιμόνων ἰὼ μάκαρες εὔεδροι ou vuutut e 116/117 ἀλλ᾽ ὦ Ted πάτερ -α---- Cfr. Gentili-Lomiento 2003, pp. 241-244.

παντελές,

πάντως

———v-

? Sarebbe forse possibile ipotizzare una prosecuzione in metro docmiaco, analizzando i due cola come hypodo ba / do tro. La rarità di questi composti (il primo condo in 1964, p. 3 Cfr. 4 Cfr.

ricorre nella forma ba hypodo forse in Aesch. Prom. 584=602, il seEur. Phoen. 187 e nella forma tro do in Soph. O. C. 243; cfr. Conomis 48; Medda 1993, pp. 198-199) sembrerebbe sconsigliare tale analisi. Stinton 1979, p. 261. Merkel 1863, p. 12. Garvie, p. 212, alle argomentazioni metriche,

aggiunge che Eschilo, come nella strofe non ha bisogno di menzionare il nome di Altea, così anche nell’antistrofe non necessita di citare esplicitamente Scilla, poiché il pubblico aveva certamente familiarità con la storia. 5 Dale 1983, p. 190 pone tra cruces δαείς della strofe e intende il colon —u- -- come “tr dim contr”. Garvie, p. 360 descrive il colon come “iam-

bo-trochaic pentasyllable”. Meno chiara l’interpretazione di Sier 1988, pp. 193-194 che preferisce la denominazione

di ipodocmio,

ma conclude affer-

108

κόραν, ma preferisce evitare la sequenza —-—-— all’interno di un contesto giambo-trocaico, modificando profondamente, oltre alle lectiones, la colometria dell’intero passo: KV

δ᾽ ἐστὶν ἐν λόγοις στυγεῖν.

φοινίαν κόραν. ἅτ᾽ ἐχϑρῶν ὑπαὶ DOT’ ἀπώλεσεν φίλον, Κρητικοῖς [A

439



e

\

615

χρυσεοδμήτουσιν ὅρμοις πιϑήσασα, δώροισι Μίνω, _ | | ω----

uU

|

sian | lec a |

Xu

lan

“uu = ||

1a

lec | da ||

--οῳ--Ἠ᾽Ο.-ΟὕΟὕὄ..

lec

|

u

0x |

sa nia tr |

Ancora una volta gli emendamenti proposti scaturiscono fiuto aprioristico della colometria esibita del manoscritto. si evince dall’analisi metrica, l’incipit della seconda coppia ca è chiaramente docmiaco e non sorprende, pertanto, che

dal riCome strofiai vv.

604= 614 compaia un ipodocmio, una sequenza che ricorre spesso

in associazione con il cosiddetto docmio attico. In merito alla cosiddetta dragged form —--—-,° si noti che essa è documentata nei tragici (cfr. Soph. O.C. 520 πείϑου: κἀγὼ γὰρ ὅσον σὺ προσχρύήζεις = 533 ματρὸς κοινᾶς ἀπέβλαστον ὠδῖνος ------ wm

--ὦ------ do

hypodo;” O.T. 872 οὐδὲ γηράσκει = 882 προστάταν ἴσχων; 1097 Ἰήϊε Φοῖβε, σοὶ δὲ ταῦτ᾽ ἀρέστ᾽ εἴη = 1109 Νυμφᾶν Ῥλικωνίδων αἷς πλεῖστα συμπαίζει σ-υπωπο

mando mag”.

che il colon in questione,

° Cfr. 2003,

p.

Di 237.

Benedetto West

1965,

1982a,

p.

p. 110

--ἶ’ὧ------ en“ (ion”“ tr) hypodo;*

“hier als Aquivalent von 2cr fungieren 242; n.

Dale 92

1968,

ritiene

p.

114;

possibile

Gentili-Lomiento tale

forma

ma

non

esclude analisi alternative, cfr. anche Medda 1993, p. 131 n. 73. 7 Cfr. Lomiento 2008d, p. 392 e n. 4. Dawe 1984-85, 11 p. 223 analizza la

sequenza come “mol+chor. dim. A”. ® In alternativa pros do: così Giannachi 2009, p. 90.

109 Eur. H.F.

899 Aboca βαχχεύσει;

908 ἐς δόμους πέμπεις;

OT. 1247

τὰ πρῶτα rata Πελασγὸν ἕδος ᾿Αργείων = 1268 κόραισι δίδοτε διὰ βοστρύχων πάντα vv wu || do ῃγροάο;" Tr. 283 φωτὶ δουλεύειν; 287 διπτύχῳ YAWooa;!° Phoen. 309b πλόκαμον σκιάζων δέραν ἁμάνν--ο-- —u——— ia hypodo;' Aristoph. Lys. 1309 πὰρ τὸν Εὐρώταν; 1311 ἀγκονίωαι e ricorre probabilmente in responsione con la forma per così dire regolare in Eur. Or. 170 οὐκ ἀφ᾽ ἡμῶν οὐκ ἀπ᾽ οἴκων = 191 ἐξέθυσ᾽ ὁ Φοῖβος ἡμᾶς u

ὦ----

N]

12

ΑἹ v. 607 conservo πυρδαῆ τινα π ρόνοιαν “una premeditazione che distrugge con il fuoco”. Il testo tràdito mostra una particolarità metrica, poiché il nesso biconsonantico -πρ- di πρόνοιαν rappresenterebbe uno dei rari casi in cui la successione muta cum liquida non consente la correptio. Per sopperire a tale difficoltà 9 Πάντα è lezione del codice L “attraverso i riccioli guardate ogni cosa” (lett. “date alle pupille ogni cosa”); i restanti codici presentano πάντῃ, mentre Triclinio traspone πάντα διὰ βοστρύχων. La presenza della forma “pesante” dell’ipodocmio non scompare neppure se si accoglie la congettura di Canter κόρας διάδοτε πάντῃ: cfr. Di Benedetto 1965, p. 242.

15. Secondo la colometria del codice P; il codice V presenta, invece, λέλογχα φωτὶ δουλεύειν v—utu—-—

2ia ataktos (?).

" Così la colometria dei codici BLVMFOAT; P ha χαίτας πλόκαμον σκιάζων / δερὰν ἐμάν --uunu-— / vu ion" tro / ia, mentre sulla disposizione colometrica

del P.

Vind.

gr.

29769

(cfr. Bremer-Worp

difficile da determinare con certezza data la mancanza e sinistro,

si veda

Santé

2002-03,

p. 97 ss. Va

notato

1986,

pp.

246-248),

dei margini destro che

la forma

dudy

è

congettura di Wecklein (ma dudv, con spirito dolce, è già attestata nei codici MO) in luogo di ἐμάν esibito dalla maggioranza dei mss. e dal papiro. Mastronarde 1994, pp. 235-236 suggerisce una diversa colometria: -tas πλόκαμον σκιάζων δέραν dudy — Tu —--- do cr sp.

2 Non 112-113),

è da escludere l’interpretazione ma

il contesto

prevalentemente

trocaica (cfr. Willink 1986, docmiaco

del canto

pp.

sembrerebbe

suggerire un'analisi docmiaca. Tale tipologia di responsione potrebbe ricorrere anche in Eur. Andr. 835=839 (cfr. Garzya 1978, p. 33; Conomis 1964, Ρ. 32) δράκαμεν πόσιν --ο--ο-- = -padoc ἀνθρώποις --ο------ , ma la problematica

colometria dei manoscritti non reca traccia di tale disposizione. Sulle varie interpretazioni metriche del passo cfr. anche Medda 1993, pp. 216-218. 13. Sulla base del commento antico ai vv. 603-606 (οὕτω τὸ ἑξῆς" ἥντινα υήσατο πρόνοιαν τάλαινα Θεστιὰς ἡ παιδολύμας καὶ πυρδαής) in molte edizioni l’accusativo rupdan è stato trasformato in πυρδαής, un nominativo concordato con ἁ τάλαινα Θεστιὰς. Sebbene tale ricostruzione non sia da escludere, il

testo tramandato funziona ed è forse superiore: Altea ha già due attributi che la caratterizzano, mentre πρόνοιαν appare generico, privo di un aggettivo che lo qualifichi: cfr. Brown 1976, p. 218 n. 39.

110

Page ha suggerito yuva,'* una congettura facilmente spiegabile dal punto di vista di paleografico (ὙΝΑ — TINA). La possibilità di ammettere l’allungamento della sillaba che precede il nesso muta cum liquida nella poesia tragica è stata oggetto di vivaci discussioni.'* La conclusione più ragionevole alla quale si può giungere è che, sebbene raro, il fenomeno non può comunque essere negato in Eschilo.'° Sotto il profilo colometrico preferisco x

conservare ai vv. 607-608 la successione 2tro / 3ba, ‘7 rifiutata dal-

la maggioranza degli editori a favore di lecyth / cr cr tro.*8 44 La congettura avrebbe anche il merito di richiamare il passo bacchilideo (Ep. 5, 137-139) dedicato ad Altea (Θεστίου κούρα ... ἀτάρβακτος γυνά); l'argomento deve sicuramente essere tenuto in considerazione, ma non è

necessario pensare a una ripresa letterale del testo di Bacchilide da parte di Eschilo. 5 Cfr. Fraenkel 1962, mi pp. 826-827: lo studioso ha un atteggiamento piuttosto scettico e cerca di spiegare le apparenti eccezioni con argomenti non del tutto convincenti: a proposito di Eum. 378 sostiene che, trovandosi

all’interno di sequenze dattiliche, potrebbe costituire un omerismo (il fenomeno è infatti ben attestato nell’epica); a proposito del passo delle Coefore pensa invece che l’espressione πυρδαῇ τινα πρόνοιαν “was felt as an expression which was closely bound together”, analogamente a quanto accade in Bur. Tr.

833.

16 Per le occorrenze eschilee cfr. pp. 42-43 n. 7. Barrett 1964, pp. 309310, 435 ha elencato anche le occorrenze sofoclee ed euripidee e, pur con la dovuta cautela, si mostra riluttante a negare aprioristicamente nei cantica

tragici un fenomeno prosodico che solo raramente può essere emendato con facilità. 7 Il dimetro trocaico acataletto è sequenza rara in Eschilo, ma comunque attestata: cfr. Sept. Eum.

352-364;

832=840;

Prom.

415-417=420-422;

Suppl.

42=51;

496=505.

18 Cfr.

Stinton 1975,

pp.

95-96:

si avrebbe

una fine di verso-periodo

(se-

gnalata dal discutibile criterio dell’anceps iuxta breve) priva di pausa retorica nell’antistrofe. Contro l’applicabilità generalizzata di tale criterio nei diversi contesti metrico-ritmici cfr. Pretagostini 1977, pp. 55 ss. Si vedano obiezioni di Tessier 2013, p. 75.

anche le

623-630

Str. Y

= 631-638

ἐπεὶ δ᾽ ἐπεμνασάμαν ἀμειλίχων πόνων. ἀκαίρως δέ, δυσφιλὲς γαμή3. λευρμ᾽ ἀπεύχετον δόμοις 9

\

5.

5

,

9

,

625

γυναικοβούλους τε μήτιδας φρενῶν

ἐπ᾿ ἀνδρὶ τευχεσφόρῳ ° Fer ἀνδρὶ δηΐοις ἐπικότῳ σέβας τίω δ᾽ ἀϑέρμαντον ἑστίαν δόμων γυναικείαν «τ᾽ ἄτολμον αἰχμάν.

630

623 ἐπεμνήσαμεν (a supra ἡ scr. M?) M : corr. Heat 1762, pP. 109 627 om. M, in marg. rest. M° 628 δήνοισιν D’Arnaud 1728, p. 240 630 «>» Hermann 1798,

p. 103

ant. Ὑ

κακῶν δὲ πρεσβεύεται τὸ Λήμνιον λόγῳ βοᾶται δὲ δήμοϑεν κατά3. πτύυστον. ἤχασεν dé τις τὸ δεινὸν αὖ Λημνίοισι πήμασιν. ϑεοστυγήτῳ δ᾽ ἄγει -"

\

,

\

I

635

° βροτῶν ἀτιμωϑὲν οἴχεται γένος:

σέβει γὰρ οὔτις τὸ δυσφιλὲς ϑεοῖς. τί τῶνδ᾽ οὐκ ἐνδίκως ἀγείρω; ,ὔ

)ὔ

\



5



5

x

5

,

\

9

-

,ὔ

632 δήμοθεν Hartung : δὴ πόϑει (0 supra εἰ scr.) M

str. / ant. 623= 624= 625 = 626 = 627 =

631 632 633 634 635

uU uU 3 u uU vu

πῶς Vu πῶς Vu u_u πῶς Vu ut

la la cr la ia

628 = 636

δωπ-

Tu

Vu

ia cr ia

629 = 637

uU

πῶς

Vu

630 = 638

u

u

ve

cr ia cr ia ia cr ia cr

la cr ia

|||

ba cr ba

La terza coppia strofica segna un deciso ritorno a una tessitura

esclusivamente giambica. Se gli editori sono concordi nell’accogliere l’assetto colometrico conservato dalla tradizione, essi offrono, d’altro canto, soluzioni diverse ai numerosi problemi testuali

che affliggono la strofe. Tra questi mi limito a segnalare: 1) il significato (e l'eventuale emendamento) di ἀκαίρως; 2) la mancanza di un verbo principale; 3) il trattamento del v. 628. In merito al primo punto è opportuno notare come ἀκαίρως sia stato rite-

nuto corrotto dalla maggioranza degli editori: esso, infatti, non si legherebbe, da un punto di vista logico, né con quanto precede né con quanto segue.‘ Stinton, in particolare, dopo aver sostenu-

to la necessità di invertire strofe e antistrofe,” suggerisce ἄχκαιρ᾽ οὔδ᾽, una congettura che rovescia diametralmente il senso del testo esibito da M: “But since I have called to mind cruel pains, not untimely do I mention (?) the hateful union ... ”.? L’avverbio d-

καίρως può, tuttavia, essere difeso:4 in questo frangente il coro sta esponendo, attraverso una Priamel, una serie di esempi mitici che

siano capaci di illustrare le terribili gesta di Clitemestra. I due exempla di Altea e Scilla, pur descrivendo le infauste conseguenze della “passione” femminile, non sono del tutto appropriati a raffigurare il δεινόν della regina, poiché non rappresentano la rottura del rapporto coniugale tra moglie e marito. Il coro arriva a identificare, con il mito delle donne di Lemno

(vv. 631-634),

l’exemplum calzante, attraverso un suggestivo processo di approssimazione, riconoscendo di aver rievocato sofferenze certamente 1 Cfr. Garvie,

p. 214: lo studioso

ritiene che, se l’avverbio si legasse con

quanto precede, i versi 623 ss. indicherebbero che gli esempi mitici di Altea e Scilla non sarebbero rilevanti; se, al contrario, esso fosse connesso con

quanto segue, il coro affermerebbe che l’uccisione di Agamennone per mano di Clitemestra non sarebbe pertinente. ? Tale intervento, suggerito da Preuss, è stato difeso con forza da Dawe 1999. Sull'argomento cfr. Galvani 2012b, pp. 169-173. 3 Cfr. Stinton 1979, pp. 259-261. Lo studioso nota come il nesso richiamerebbe l’avverbio ἐνδίκως che, all’interno della trasposizione accolta dallo studioso, viene a trovarsi poche linee sopra il verso in questione. Lo stesso emendamento è stato ripreso da West 1990, p. 248, il quale, tuttavia, man-

tiene la disposizione strofica del manoscritto. 4 Per una rassegna delle diverse interpretazioni fornite dagli editori che conservano l’avverbio cfr. Galvani 2012b, pp. 171-172.

113

terribili, ma in modo non ancora del tutto conveniente,’ perché non perfettamente mimetico della crudeltà di Clitemestra.° Solo alla fine della terza antistrofe, dopo avere esposto il mito più crudele e più vicino alla sanguinosa dipartita di Agamennone, il coro tornerà a interrogarsi sulla complessiva legittimità delle proprie argomentazioni: “quale di questi racconti non ho citato giustamente?” (v. 638). Per quel che riguarda la mancanza di un verbo principale, bisogna osservare che le numerose proposte degli studiosi moderni non appaiono convincenti. Sia ἀπεύχομαι, suggerito da Firnhaber in luogo di ἀπεύχετον, sia ϑροεῖν proposto in apparato nell’edizione di West per il tràdito φρενῶν. oltre a emendare termini in sé non problematici, appaiono entrambe difficilmente spiegabili da un punto di vista paleografico. Non è da escludere la possibilità che il verbo reggente si nasconda nel v. 628,5 ritenuto corrotto dagli ultimi editori.° Al di là delle obiezioni metriche, ‘° la difficoltà maggiore è costituita dalla sintassi: > Per analoghe ἄκαιρον)

espressioni,

nelle quali l’avverbio ἀκαίρως

ricorre in associazione

con verbi

di memoria,

(o la forma

cfr., ad es., Ath.

3,

452, 12 οὐ γὰρ ἄκαιρον καὶ τούτων μνησϑῆναι ...; 4, 53f, 17 οὐκ ἄκαιρον ὃ ἐστὶν υνημονεῦσαι; 13, 184, 18-19 οὐκ ἀκαίρως δ᾽, ὡς ἐμαυτὸν πείϑω, μεμνήσομαι τῆς

λέξεως. 6 Cfr. Young

1971, p. 310. Non

sono mancati

altri, ma

meno

convincen-

ti, tentativi di difendere il testo tràdito: Tierney 1936, p. 101 propone una interrogativa “Since I have recalled dreadful deeds, is it out of place for me

...” (cfr. anche

la traduzione

di Mazon).

Lebeck

1967,

p. 183 richiama

l’attenzione sul monito di “dire cose opportune” che Oreste rivolge al coro ai vv.

581-582.

Il coro,

invece

di rivolgere

un

attacco

diretto contro

Clite-

mestra, preferirebbe servirsi di exempla mitici. Quando è sul punto di fare riferimenti più diretti alle empie azioni della regina esso si interromperebbe, affermando appunto che l’azione del ricordare è inopportuna. Proseguirebbe poi con un nuovo racconto mitico.

7 West 1990, p. 249, suggerisce exempli gratia anche φρασῶ ο φανῶ. Dubitano del genitivo anche Wilamowitz 1914a, p. 269 (φέρων); Murray v. (φρονῶν); Young 1971, p. 309; Sommerstein, II p. 194

1937, ad

* Tentativi in questa direzione sono stati effettuati da Verrall (ἔβας) e Murray 1937 (ἔβα), ma entrambe

le congetture eliminano il termine σέβας e

con esso l’idea di rispetto, che appare centrale nell’antistrofe. Stinton 1979, pp. 260-261 preferisce, invece, dubitare del nesso ἐπ᾿ ἀνδρί, ma le sue proposte exempli gratia

(ἀπέπτυσ᾽,

ἠδ᾽ Mer

ἐπὶ κότῳ

σέβας

/ στύγησα,

κοὐκ

ἔστιν

ἐπὶ

κότῳ σέβας) “are unattractive” come afferma West 1990, p. 249. ? Così Garvie, West e Sommerstein.

1 Queste potrebbero essere superate ammettendo una responsione libera

II4 se si conserva, infatti, il testo di M, l’unico modo di intendere il

passo sembra essere: “per un guerriero oggetto di rancore da parte dei suoi nemici per la sua venerabile dignitä”."' Desta, tuttavia, >

più di qualche perplessità la sintassi del passo e, in particolare: la ripetizione del nesso ἐπ᾽ ἀνδρί nell’incipit dei vv. 627 e 628;! il raro valore passivo che dovrebbe assumere ἐπικότῳ,

“odioso,

odiato”, un aggettivo che di norma significa “iroso, ostile”,! e, infine, l’accusativo di relazione σέβας.

Nell’antistrofe il testo presenta qualche incertezza solo al v. 632, dove ricorre il nesso γοᾶται δὲ πόϑει: il verbo γοᾶται, infatti, non sembra mai assumere il valore passivo di “essere lamentato”, mentre del tutto incomprensibile risulta il dativo πόϑει. Plausibili appaiono, pertanto, le congetture βοᾶται di Blomfield e δηυμόϑεν di Hartung.‘4 ia ia cr - ia cria o, in alternativa, accogliendo la congettura δήνοσιν di D’Arnaud per ottenere la sequenza „-u--vw-u- richiesta dalla responsione con il v. 636. 1 Cfr. Citti 2006, p. 149.

12 Il v. 627 è omesso nel testo di M e riscritto nel margine dal correttore. Non

è da escludere,

come

sottolinea West

1990,

p. 248 n. 18, che ἐπ᾿ ἀνδοί

di v. 628 sia da attribuire ad un lapsus oculi del copista. Questo, dopo aver iniziato a trascrivere il v. 627, sarebbe erroneamente

scivolato al v. 628 che

iniziava in maniera differente nel suo esemplare. Il correttore, notando la mancanza di un verso avrebbe reintrodotto a margine il testo mancante senza preoccuparsi di sanare il v. 628. Garvie, p. 216 non esclude che il poeta abbia voluto mettere in risalto, mediante l’anafora, la figura 461] ἀνήρ Agamennone, in contrapposizione alla γυναικόβουλος Clitemestra. 1 Così in Prom.

601; Sept. 786. Il valore passivo sembrerebbe attestato solo

in Soph. TrGF 428. 4 Contro tale emendamento si sono di recente espressi con motivazioni non del tutto convincenti Sier 1988, pp. 220-221 e West 1990, p. 249: il primo sostiene che qui l’avverbio assumerebbe il valore, non altrove attestato,

di complemento d’agente, il secondo che “... if the reference is to general notoriety,

we

expect

something

like

βροτοῖς,

not

anything

to

do

with

a

δῆμος". In merito alla prima obiezione si noti che l’avverbio potrebbe assumere le funzioni, proprie degli avverbi in -9ey, di complemento di mezzo (“per mezzo del popolo”) o di provenienza (“provenendo dal popolo”). In merito alla seconda obiezione, invece, si osservi che sono frequenti nell’Orestea: si considerino, ad esempio, particolare riferimento a una voce che si diffonde tra Non stupisce, pertanto, che il coro menzioni il δῆμος

storia dei crimini di Lemno è ben conosciuta.

i riferimenti al δῆμος Ag. 883, 938 (qui con il popolo), 1409, 1413. per dimostrare che la

639-645 - 646-652 str. ὃ

τό δ᾽ ἄγχι πλευμόνων ξίφος διανταίαν ὀξυπευκὲς 3 σοῦται διαὶ Δίκας, τὸ un ϑέμις γὰρ οὐΐ

640

λὰξ πέδον πατούμενον. 6 τὸ πᾶν Διός σέβας, παρεκβάντες οὐ θεμιστῶς. 641

οὐτᾷ

Hermann

apud

Blümner

1814,

p.

62

645

n. 17

642

τὸ

μὴ

ex τομὴν) del. Wilamowitz 1914a, γὰρ οὐ del. Ahrens apud Franz υίστως M*, οὐ ϑεμίστως MP° : corr. Dindorf 1832-41

ant. ὃ

(corruptum

645 ἀϑε-

Δίκας δ᾽ ἐρείδεται nudunv, προχαλκεύει δ᾽ αἶσα φασγανουργός"

3 τέκνον δ᾽ ἐπεισφέρει δώμασιν αἱμάτων παλαιτέρων ° τίνειν μύσος χρόνῳ κλυτὰ βυσσόφρων Ἐρινύς. 647 προσχαλχεύει

M

: corr. Jacob

649 δίμασε M :

650

corr. Victorius ex%

δωμάτων M : corr. Stephanus (apud Victorii ed.) ex 2 Lachmann

1819, p. 63

str. / ant. 639 = 646

vu

640= 647

u

641= 648

vu

zia

——u- ut

ba ia ba

3 τς --ο--

642= 649

u

||

643 = 650

u

u_u

644- 651

O Vu

645 = 652

uu

zia

cr cr ia

ia

u

u

|||

650

651 τείνει M : corr.

ia cr ba

Il testo della strofe mostra seri problemi testuali, in particolare ai vv. 640-642. Tenendo fermi il testo e la colometria dell’antistro-

fe, che non presentano problemi, è necessario postulare la caduta di un bisillabo alla fine di v. 640 o, in alternativa, anticipare σοῦται di v. 641;' si noti, tuttavia, che quest’ultima soluzione

richiederebbe di intervenire anche sulla colometria dell’antistrofe, tagliando la parola ἐπείσ- al v. 648." Le perplessità maggiori sono comunque legate all'espressione τὸ un θέμις γὰρ où, oggetto di numerosi tentativi di emendamento da parte di editori e studiosi negli ultimi due secoli.? Di recente Novelli, suggerendo diverse ipotesi per sanare il passo, propone di espungere où: “non è infatti lecito che la maestà di Zeus sia calpestata a terra con il calcagno, dacché non giustamente l’hanno offesa”.4 La metrica è ripristinata ipotizzando una responsione tra due reiziani: τὸ um) θέμις γὰρ v-u-— = φέρει δόμοισιν (quest’ultima congettura di Hermann in luogo del corrotto dtuace dell’antistrofe) ----—. La ricostruzione non è da escludere, ma rimane qualche perplessità sul valore di té, che non viene considerato nella traduzione. Al-

tri editori preferiscono eliminare γὰρ οὐ, secondo la proposta di Ahrens.’ Thomson ha tentato di spiegare l’inserimento dei due termini, pensando a un originale yp. où(tà) scritto a margine di

σοῦται e successivamente confluito nel testo. Attribuendo a τό un valore prolettico, il testo così ottenuto potrebbe essere forse inteso: “questo non è lecito, che la maestà di Zeus sia calpestata 1 Non è

da escludere

la congettura

di Hermann

oùrà,

“ferisce”,

che ren-

derebbe più comprensibile l’aggettivo femminile διανταίαν, un accusativo dell'oggetto interno concordato con un sottinteso πλαγάν: cfr. Soph. El. 1415 παῖσον εἰ σϑένεις διπλῆν (scil. πληγήν); O.C. 544 δευτέραν ἔπαισας (scil. πλη-

γήν).

? Gli editori moderni intervengono sia sulla colometria della strofe che su

quella della antistrofe, anticipando σοῦται e accorpando i cola 641-642 = 648649: διαὶ Δίκας, τὸ μὴ θέμις {γὰρ οὐ} = τέχνον δ᾽ ἐπεισφέρει δόμοις uu u_u zia: cfr. Dale 1983, pp. 191; Garvie, p. 261; West 1990, p. 314; Sommerstein,

II p. 294. 3 Gli scolii antichi al passo tentano di interpretare il testo di M, ma l’esegesi fornita (difesa ancora da Untersteiner 2002, pp. 371-372) appare improbabile sotto il profilo linguistico: cfr. Garvie, p. 221; Novelli 2004a, pp. 59-60. 5 Così, ad esempio, West e Sommerstein.

4 Cfr. Novelli 2004a, p. 62.

117

del tutto a terra con il calcagno, poiché non giustamente l’hanno offesa”; in alternativa, attribuendo il medesimo valore all’intera

espressione τὸ μὴ θέμις: “giacché costoro — cosa che non è lecita - hanno violato contro Giustizia la dignità di Zeus calpestandola a terra col calcagno”. Rimangono comunque forti dubbi in merito all’accidentata sintassi del passo e, in particolare, alla possibilità di accogliere il nominativus pendens παρεκβάντες collocato in fondo alla frase.” Se si conserva γὰρ οὐ non è da escludere la possibilità di espungere τὸ un, come suggerito da Wilamowitz: il nesso deriverebbe da un originario τομήν, una glossa che tentava di spiegare l’aggettivo dravratav.® Da ultimo, Garvie interpreta τὸ μὴ θέμις come un inciso e interviene sul testo accogliendo παρεχβάντας

di Müller,° un accusativo retto da oùtà, in luogo

del tràdito παρεχβάντες, e πατουμένας di Ahrens,‘° un genitivo concordato con Δίκας. Il passo andrebbe inteso “because of justice trampled underfoot on the ground the sword strikes those who have transgressed”. La sintassi è certamente più lineare, ma l’elevato numero di interventi testuali rende alquanto incerta la ricostruzione. Sotto il profilo colometrico, ai vv. 640-641=647-648 conservo

le sequenze υ---- -—u- u-— / S-u-0-, interpretabili come baccheo giambo baccheo e dimetro giambico brachicataletto. ! ° Così Citti 2006, p. 160. 7 A favore di tale anacoluto Novelli 2004a, p. 61; dubbi in proposito sono espressi da Battezzato 1992, p. 78. ὃ Wilamowitz 19142, p. 270. ? Cfr. Müller 1836, p. 36. ‘0 Apud Franz. " Sulla sequenza ba ia, ritenuta inammissibile da Stinton 1975, pp. 88-95, cfr. supra, v. 77; per il dimetro giambico brachicataletto cfr. vv. 345=363.

SECONDO 783-788 Str. x

STASIMO

= 794-799; 7894-793

νῦν TAPALTOL LEVA μοι TATE Zed ϑεῶν Ὀλυμπίων 3 δὸς τύχας τυχεῖν δόμου χυρίως

τὰ σώφρον᾽ \

[4

3

785a

εὖ μαιομένοις ἰδεῖν: 3

,ὔ

9

-“

° διὰ δίκας ἅπαν ἔπος ἔλαχον:

Ζεῦ, σὺ δέ νιν φυλάσσοις. 783 παραιτοῦμεν (-μέν᾽ M?) ἐμοὶ M : corr. Turnebus 786 τὰ σώφροσυνευ Μ: corr. Hermann 1798, p. 114 787 διαδικᾶσαι M : corr. Pauw ex ® πᾶν M

: corr. de Jongh x

Mo

mes.

È

789a

πρὸ δὲ δὴ ᾿χϑρῶν 3 τὸν ἔσω μελάϑρων, ὦ Ζεῦ, θές, ἐπεί νιν μέγαν ἄρας

790

δίδυμα καὶ τριπλᾶ ° παλίμποινα ϑέλων ἀμείψει. 790 τῶν M :

corr. Seidler 1811-12, p. 406

ant. a

ἴσϑι δ᾽ ἀνδρὸς φίλου πῶλον εὖνιν ζυγέντ᾽ ἐν ἅρμασιν

795

3 πημάτων. ἐν δρόμῳ

796a

προστιϑείς μέτρον χτίσον σῳζόμενον ῥυϑμόν. 6

wo 39 0 9 , τοῦτ᾽ ἰδεῖνm δάπεδον ἀνομένων

βημάτων ὄρεγ᾽ μα. 795 ἅρματι τίσ ἂν Μ

M

: corr. Hermann σωζώμενον Μ΄“

ex%

797xtioov

H. L. Ahrens apud Franz

:

120

str. 7) ant. 783= 794

u

784=795

u

ur

-οα-

785a-796a

3 ut

785b=796b 786=797 787=798 788=799

-ο-vu utt ὁ Su vwwuau |||

3-4 6

3er

vu

Vu

cr ia

— mu

u

cria-

2cr

cr ia do cr do ithyph ?

785a-785b coniungit M 796a-796b in eadem linea, spatio interposito 787 ἔπος | M 798 δάπεδον | M

mes 789a

789b

extra metrum

vu

ion”

790

3 ύπυυ-----

791 792

vu vu vu

793

© uw

1-2

789a-789b coniungit M

3-4

790-791 ϑές | M

u

pros? (2an) 2 ion” do

|||

do ba

Il secondo stasimo è costituito da tre coppie antistrofiche, in ciascuna delle quali è intercalata una strofe mesodica, secondo lo schema ABA, CDC, EFE. Schneider, per primo, propose di ripetere le strofi mesodiche dopo ciascuna antistrofe (ABAB, CDCD, EFEF), considerandole, di fatto, dei veri e propri efimni.' La

proposta, che ha goduto di un discreto successo nel corso degli ultimi due secoli, è stata giustamente rifiutata dagli editori più recenti sulla base di argomentazioni drammaturgiche e di contenuto.” Non si capisce, ad esempio, perché il coro, dopo aver invocato gli dei della casa nella strofe B, Apollo nel mesodo e Hermes nell’antistrofe B, dovrebbe nuovamente rivolgersi ad Apollo, distruggendo l’equilibrata distribuzione delle parti. Tutto il canto è caratterizzato da numerosi problemi testuali, che rendono talvolta arduo ricostruire l’assetto colometrico.? Nella prima strofe, oltre al nesso dé uov, difficilmente com-

prensibile in questo contesto, e alla vox nihili σωφροσυνευ, molte perplessità ha suscitato il nesso τύχας τυχεῖν, poiché esso non esprimerebbe quell’idea di “buona sorte” o “successo” che il contesto sembrerebbe richiedere.* Ai problemi testuali si sommerebbe, inoltre, una responsione libera del tipo ia = cr. A causa di tali difficoltà la maggioranza degli editori preferisce porre tra cruces la porzione di testo compresa tra τύχας e σωφροσυνευ." Pur 1 Cfr. Schneider 1829, pp. 14-16. Così, ad esempio, Schroeder 1907; Wilamowitz 19142; Mazon; Headlam-Thomson. ? Cfr. Verrall, p. 112; Kraus 1957, p. 105; Roux 1974, pp. 64-65; Garvie, PP. 255-256; Cerbo 1994, p. 94 n. 6; Lomiento 2006, p. 135 n. 80. 3 Non è un caso che Dale 1983, pp. 190 e 195 non fornisca un'analisi dei vv. 785 ss., ritenendoli “too uncertain”.

4 Cfr. Garvie, p. 256. Così parrebbe intendere anche lo scolio antico: δός vor εὐτυχίαν εὐτυχῆσαι βεβαίως. 5 Così, ad esempio, Garvie

e West.

Roux

1974,

pp.

65-67,

suggerisce

l'emendamento (δόμου) κυρίους ... μαινομένους “les maîtres légitimes de la maison ... qui aspire à”. Si noti, tuttavia, che il riferimento a Oreste ed Elettra come “padroni della casa” risulterebbe ambiguo, poiché ai vv. 658, 689 con

il termine κύριοι sono stati indicati Clitemestra ed Egisto. Meno economica appare la soluzione adottata da Sier 1988, pp. 232-233; 246-247, che accoglie καιρίως di Lachmann e δόμου di Bothe, espunge τά e integra μαιομένοις,

traducendo il passo “daß die Geschicke des Hauses / günstig ausgehen durch die, die Besonnenes

erstreben”.

122

con la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un passo problematico, non & forse impossibile recuperare un testo e una metrica soddisfacenti. Bothe per primo propose di correggere il trädito δέ μου in δόμου, mentre a Hermann si deve la congettura σώφρον᾽ εὖ in luogo di σοφρωσυνευ. Quanto al difficile nesso τύχας τυχεῖν va detto che il verbo τυγχάνω può assumere talvolta il significato di “avere successo”, “riuscire” (cfr., ad esempio, Pind. Ol. 2, 51):

tale accezione appare particolarmente adeguata al contesto, poiché preparerebbe la complessa metafora sportiva dell’antistrofe, in cui Oreste è paragonato a un giovane puledro che traina il carro. Sotto il profilo metrico si noti, inoltre, che la responsione

ia = cr vanta alcune occorrenze in Eschilo.° Il passo potrebbe essere così inteso: “A me che te lo chiedo, Zeus, padre degli dei Olimpi, concedi che le sorti della casa si realizzino con successo, per coloro che ben desiderano ...”. Sul piano colometrico si noti che i vv. 785a-785b sono accorpati su un unico rigo, ma l’errore è

facilmente sanabile grazie al confronto con i corrispondenti versi dell’antistrofe.” Ai vv. 787-788= 798-799, invece, pur con i necessari interventi

testuali, la colometria di M appare comunque improbabile: strofe

antistrofe

διὰ δίκας ἅπαν ἔπος ὃ Eiaxov' Ζεῦ, σὺ δέ νιν φυλάσσοις. "

“Ὁ

x



τοῦτ᾽ ἰδεῖν δάπεδον" ἀνομένων βημάτων ὄρεγμα

,

6 Cfr. supra, p. 42. Diversamente,

5



Bamberger,

,

DIA

p. 108 e Page, p. 232 adn.

suggeriscono di sistemare l’aporia metrica leggendo rispettivamente δὸς τύχας

εὖ τυχεῖν

7 Anche

{δὲ

μου}

e δὸς τύχας

i vv. 796a-796b

εὐτυχεῖς

{δὲ

μου}.

sono accorpati su un unico rigo di scrittura, ma

lo spazio bianco che li divide sembrerebbe indicare due cola distinti. Per la presenza di cretici isolati cfr. Pers. 573=581; Suppl. 47=56; 94a=89a; 419=424; 637=650;

® Non

Eum.

511=520;

528=540.

è da escludere la possibilità di conservare πᾶν ἔπος ἔλακον

che, sul

piano metrico, produrrebbe un ipodocmio (-„wu-). Headlam 1900, p. 198 ha osservato che, mentre il nesso πᾶν ἔπος ricorre più volte sia in prosa che in poesia, ἅπαν ἔπος non vanterebbe

altre attestazioni.

Si noti, tuttavia, che

la congettura di de Jongh è più vicina al testo trasmesso da M e risulta, pertanto, più facilmente giustificabile sul piano paleografico. ° La quantità della prima sillaba di δάπεδον è generalmente scandita come

breve;

scandita come

non

mancano

alcuni

casi,

lunga, cfr. Gentili 1999b,

peraltro

rari,

in

cui

essa

pp. 57-59; Cozzoli 2003.

può

essere

123

wu

NI

VuUuT_

wu

nl

NI

UT

[lo

Vo

Una soluzione possibile è quella di anticipare ἔλακον e ἀνομένων alla fine del colon che precede, ipotizzando un errore colometrico nel manoscritto. strofe

antistrofe

διὰ δίκας ἅπαν ἔπος ἔλαχον: Ζεῦ, σὺ δέ νιν φυλάσσοις.

τοῦτ᾽ ἰδεῖν δάπεδον ἀνομένων βημάτων ὄρεγμα

“uu

N

ithyph ?

ithyph ?

In merito ai vv. 788-799, la metrica indica la presenza di una

sillaba in più nella strofe: alcuni editori preferiscono eliminare tale anomalia metrica mediante l’espunzione dell’enclitica dé nella strofe, secondo quanto suggerito da Hermann. ‘° Qualora si conservi il testo è necessario ammettere una libertà responsiva

nel secondo elemento dell’itifallico. Tale tipologia di responsione, non attestata altrove in Eschilo, si potrebbe giustificare sul piano ritmico ammettendo

al v. 789 la realizzazione “dattilica”

del primo piede dell’itifallico. Ὁ West 1990, pp. 252-254 preferisce conservare il testo della strofe sia perché l’aristofaneo costituirebbe una delle clausule metriche preferite da Eschilo, sia perché il costrutto vocativo+òè sarebbe idiomatico in poesia. I suoi sospetti di concentrano sull’antistrofe e in particolare su βημάτων, un sostantivo ritenuto “piatto”. Lo studioso ipotizza un vasto processo di corruzione: πημάτων di v. 796 sarebbe una glossa penetrata nel testo in luogo del corretto βημάτων; quest'ultimo a sua volta sarebbe scivolato erroneamente nell'ultimo verso dell’antistrofe, soppiantando la lezione originaria che doveva essere qualcosa di simile a εὐθὺ ποδῶν. A difesa del testo dell’antistrofe cfr. Lomiento 2006, p. 144 e n. 28. " In Eschilo una responsione simile sembrerebbe ricorrere in Sept. 352 ξυμβολεῖ φέρων φέροντι uu —utu - 364 τλήμονες εὐνὰν αἰχμάλωτον —uuT— -0--; cfr. Novelli 2004b, pp. 29-35; 2005, pp. 200-207. Sulla possibilità di

realizzazione dattilica del primo Lomiento 2003, pp. 121-122; sulla (--- L’unica variazione consiste nell’unione dei cola 4-5 al fine di ottenere un

dimetro docmiaco. West ripartisce i cola 2-5 nel modo seguente: do / 2do / 2do.

5 Cfr. Battezzato 20082, p. 86.

53 Ma

cfr. supra, pp. 145-146.

164

ma, poiché le sequenze individuate ai vv. 965-972 sono in molti

casi prive di senso, sembra difficile attribuire agli alessandrini la responsabilità di una simile colometria, vista la loro perizia nell’editare testi lirici. Appare forse più verisimile concludere che la sezione conclusiva del secondo stasimo sia “il frutto di una serie di accidenti”? testuali e colometrici: proprio in considerazione del cattivo stato di conservazione dell’antistrofe sembrerebbe più prudente non servirsi di tali versi per trarre considerazioni di carattere generale sul valore della colometria del Laurenziano. 5 Cfr. Andreatta 2012, p. 220.

INDICE

PROSODICO

E

CONSONANTIZZAZIONE

METRICO

DI VOCALI

68a διαλγὴς; 466 ἰὼ; 960 ἄξιον ALLUNGAMENTO

DAVANTI

30 πέπλων; 347 δορίτιμητος; πρόνοιαν; 799 ὄρεγμα

A MUTA

387 ὀλολυγμὸν;

CUM

LIQUIDA

428 πανάϑ''λιον,

607 τινα

SINIZESI 386-387 πευκήεντ᾽; 410 κέαρ; 971 ϑρεομένοις

NOTABILIA 396 dattac RESPONSIONI 24-34

u

U

392 — 416

-vu

wu

405-418

“__ u

7854-7964 800-812 801-813 823b-835b 825-837

—-— um —U— —um

— vtut

— uU

LIBERE unu

ve“

u

2cho - cho ia

uu-

mol(- ba) cr ia

u_u — un vu — un u VTuT - — vu — un

u u un

uw

un

u METRICA

giambi e trochei 81

πῶς

788-799

vw

utt

jamolia, - 2ia ia,

unu

la tr ia

ithyph ?

criacria2cr la — ia — Cr cria-

2cr 2cr 3CI 2cr

166

docmi 68a=73a

-----.-

do,

158

VU WU UT

do

614

u

hypodo

793 955 = 967 962

uw vt υτύ-οὐutt

——

do ba do do,

gliconei

dimetri polischematici 389= 413

N

dimP

167

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! L’elenco commento.

è limitato Le

edizioni

alle edizioni sono

citate nel testo, nell’apparato

citate con

il solo nome

dell’autore,

e nel

tranne

casi in cui un autore abbia curato più edizioni. Per le congetture attribuite a Casaubon,

Bourdelot, Jacob,

Musgrave

e Scaligero si rinvia all’index criti-

corum dell’edizione di West. Per le congetture attribuite a Portus si rinvia a Tavonatti 2009-10.

i

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